I Testimoni del Fuoco di Piperilla (/viewuser.php?uid=167897)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: una vecchia storia ***
Capitolo 2: *** Il Centro ***
Capitolo 3: *** Corsa verso la libertà ***
Capitolo 4: *** La Valle degli Elementi ***
Capitolo 5: *** Una caccia infruttuosa e una ricerca riuscita ***
Capitolo 6: *** Un racconto interessante ***
Capitolo 7: *** Segreti e bugie ***
Capitolo 8: *** Il Solstizio d'Estate ***
Capitolo 9: *** Ricordi ***
Capitolo 10: *** Incontri e depistaggi ***
Capitolo 11: *** Perduta e ritrovata ***
Capitolo 12: *** Un fragile equilibrio ***
Capitolo 13: *** Scelte difficili ***
Capitolo 14: *** Sangue e lacrime ***
Capitolo 1 *** Prologo: una vecchia storia ***
La notte era calata da tempo e tutto era sprofondato
nell’oscurità: le strade erano silenziose, fatta
eccezione per le scarpe dei rari passanti che scricchiolavano sul
selciato e il rumore delle poche automobili che di tanto in tanto
passavano, scomparendo rapide come erano arrivate. Le finestre degli
edifici erano perlopiù buie, ma ogni tanto un rettangolo
luminoso spiccava sulle facciate, a segnalare che qualcuno era ancora
sveglio, che la giornata di alcune persone ancora non si era conclusa.
All’interno di un palazzo antico,
corridoi e stanze erano buie e silenti da un pezzo. Solo in una
sembrava ci fosse ancora vita. Una stanza al primo piano era semibuia:
la poca luce dei lampioni che filtrava dalle finestre si univa a quella
soffusa della lampada da tavolo, l’unica luce che
l’uomo seduto alla scrivania si fosse concesso di accendere.
Una voce si levò dalle ombre
più lontane della stanza.
«C’è qualche
problema con il progetto?».
L’uomo seduto alla scrivania, mollemente
abbandonato nella poltrona, giocherellò con la penna che
stringeva tra le dita. «Potrebbero esserci tra non
molto» annunciò dopo un breve silenzio
meditabondo. «Il mio socio sta facendo delle
difficoltà nell’adempiere a una condizione del
patto che abbiamo stretto dieci anni fa».
L’altro uomo emerse
dall’oscurità e fissò con sguardo
imperturbabile il proprio superiore. «Vuole che me ne
occupi?» chiese, e nonostante la sua voce fosse priva di
qualsiasi inflessione, era chiaro che i suoi intenti non fossero
pacifici.
Il capo alzò gli occhi sul sottoposto,
anche se solo per un breve istante. «Sembri stranamente
propenso a occuparti della faccenda. Direi quasi che per te abbia un
risvolto personale…»
«Cerco solo di rendermi
utile». Con questa breve frase pronunciata in tono di sfida,
in totale contrasto con l’ossequioso cenno del capo con cui
l’aveva accompagnata, il dipendente fece per tornare
nell’ombra.
«Un momento». L’uomo
alla scrivania si raddrizzò di scatto e sollevò
la mano in un gesto rapido e imperioso, bloccando i movimenti
dell’altro. «Anche se non in modo drastico, presto
potrebbe rivelarsi opportuno rammentare al mio socio chi ha il
potere».
L’altro non batté ciglio.
«Vuole darmi delle istruzioni?»
Il suo superiore scosse la testa. «No.
Voglio raccontarti la storia di questo accordo e di cosa ne
è scaturito in un intero decennio».
Per qualche istante il silenzio regnò
sovrano. «Perché?» si decise a chiedere
il sottoposto.
Il primo uomo si lasciò andare contro
lo schienale della morbida poltrona che occupava.
«Perché non potrei affidare questo incarico a
nessuno che non conosca alla perfezione la situazione e le persone che
dovrebbe affrontare. E perché questo gioco sta diventando
pericoloso, per me: ci sono altri nemici che potrebbero approfittarne
per screditarmi». Fece un gesto vago verso una delle due
poltroncine dall’altro lato della scrivania.
«Siedi, siedi. È una storia lunga, tanto vale
stare comodi» disse, sistemandosi la raffinata cravatta di
seta in un gesto meccanico.
Il secondo uomo attraversò la stanza
con poche falcate grazie alle lunghe gambe e sedé in una
poltrona. «La ascolto, signore».
Il primo uomo prese un respiro profondo e chiuse
gli occhi, rievocando i ricordi.
«Tredici anni fa, quando già
ricoprivo un ruolo di prestigio ed ero occupato a rafforzare la mia
posizione, ricevetti una chiamata da un vecchio amico di cui non avevo
notizie da tempo. Ha sempre avuto l’indole del vagabondo,
dunque non mi stupì sapere che si trovava fuori
dall’Italia. Ciò che mi lasciò senza
parole fu la sua singolare richiesta: mi chiedeva con
un’urgenza del tutto incredibile di assicurargli un ben
preciso posto di lavoro. Ovviamente lo accontentai: a me non costava
nulla, e sapevo che fornirgli la mia assistenza l’avrebbe
messo in condizione di dovermi spiegare, prima o poi, il
perché di tale richiesta.
«Non dovetti aspettare a lungo: circa un
anno e mezzo più tardi il vecchio amico bussò
alla mia porta, alla disperata ricerca di aiuto. Mi raccontò
la sua storia: del lavoro che mi aveva pregato di fargli ottenere, i
legami che aveva stretto, le azioni attentamente calcolate
così come le parole e le allusioni, ogni gesto, anche
apparentemente insignificante, dipanati nell’arco di un
intero anno. Quello che si dipinse di fronte ai miei occhi fu uno
sforzo titanico finalizzato a un atto folle: tutto il suo impegno,
tutte le sue macchinazioni erano culminate nel rapimento di una
bambina. “Una
bambina speciale, tanto speciale che non se ne vedrà mai
l’eguale” furono le sue parole
testuali. Non lo comprendevo: stava rischiando tutto – e mi
stava coinvolgendo in una faccenda tanto delicata – per cosa?
Qualche disgustosa perversione? Eppure i suoi occhi, per quanto
frenetici e disperati, erano quelli di sempre:
l’impulsività, la propensione alla rabbia e la
ferocia con cui erano sempre culminati gli episodi in cui aveva perso
il controllo rivelavano il carattere per certi versi crudele ed egoista
che conoscevo bene, ma non c’era traccia del mostro perverso
di cui per un attimo avevo sospettato l’esistenza.
«Tuttavia non volli correre rischi. Se
davvero voleva il mio aiuto, dovevo accertarmi di quale fosse la
situazione prima di espormi: e non potevo farmene un’idea se
non vedendo la bambina stessa. Il mio caro amico esitò
molto, ma fui irremovibile: era l’occasione non solo per
tutelarmi, ma anche per soddisfare la curiosità nata tanti
mesi prima. Sotto la spinta del bisogno, il mio amico cedette. Mi
permise di osservarla, di nascosto, da lontano: e anche se in
quell’occasione non potei scorgere molto più di un
paio d’occhi d’ambra, capii cosa intendesse.
C’era qualcosa in lei che bruciava con
un’intensità tale che mi fu impossibile non
notarlo, così come non potei ignorare il fatto che assieme a
lei bruciava anche il mio amico, quell’incauto che si era
fatto trascinare al punto da sottrare una bambina alla propria
famiglia. L’occasione mi permetteva di osservarlo meglio di
quanto potessi fare con la bambina, e vidi una quantità di
sentimenti bizzarramente assortiti: nei suoi occhi c’era un
ardore implacabile che mal si accompagnava alla premura e alla
sollecitudine con cui seguiva ogni mossa di quella ragazzina
«Ma ormai era fatta. Gli fornii la mia
assistenza una seconda volta, aiutandoli a sparire, e li lasciai a loro
stessi, nonostante una curiosità tutta nuova mi rodesse come
un tarlo fastidioso. Che quella bambina fosse speciale ormai era
evidente anche a me; ma nonostante questo, continuavo a non comprendere
cosa il mio amico vedesse in lei di tanto unico da giustificare le
azioni che aveva compiuto pur di tenerla con sé. Ci ho
pensato molto, in tutti questi anni, e mi sono chiesto spesso se quella
bambina non fosse unica per lui,
se tutto quello che aveva di speciale e che anch’io ho
percepito non fosse tanto straordinario agli occhi del mio amico
perché era l’unico ad avere gli occhi adatti a
vedere tutto ciò che quella ragazzina celava in
sé. Purtroppo non ho mai avuto modo di ottenere una risposta
chiara e inconfutabile a queste domande.
«Per alcuni anni non ebbi notizie di
quello che oggi è il mio socio: sapevo che viveva qui, ma
pur risiedendo nella stessa città non ci incrociammo mai.
Intanto la mia ascesa proseguiva senza ostacoli, tu lo sai, eri
già ai miei ordini: gli incarichi prestigiosi si succedevano
in un vortice che mi spingeva sempre più in alto, e presto
fu chiaro che nessuno mi avrebbe fermato. Ero – e sarei stato
– il detentore di una quantità esorbitante di
potere: era lo scopo che mi ero prefissato fin dalla
gioventù, e al posto mio chiunque altro si sarebbe sentito
soddisfatto e si sarebbe adagiato sugli allori del vincitore. Io,
però, sapevo di non potermi accontentare: il potere
è effimero, la sua conquista dura, e le
possibilità di perdere ogni cosa, sempre dietro
l’angolo, pronto a colpire lo stolto che non sappia
conservare ciò che ha faticosamente guadagnato. Ero
consapevole di dover investire il potere e le risorse che ormai avevo a
mia completa disposizione affinché alimentassero loro stesse
e incrementassero ciò che già avevo –
prestigio, autorevolezza, potere, denaro. Le quattro cose che ti
consentono di tenere in pugno un Paese».
L’uomo tacque, perso nei ricordi. Il suo
sottoposto si arrischiò a spezzare il silenzio.
«Fu allora che le venne
l’idea?».
Il primo uomo si riscosse.
«No, affatto. Ammetto, anzi, di aver
brancolato nel buio in quell’ora gloriosa, di essermi sentito
perduto proprio nel momento di maggiore splendore. Abituato
com’ero a prevedere ogni cosa, e sapendo che il potere che
detenevo avrebbe presto fatto gola a molti, potevo facilmente prevedere
l’arrivo di un antagonista, un giorno non troppo lontano. Ma
era una minaccia indefinita, ancora non concretizzata, e non sapere
contro chi o cosa avrei dovuto combattere mi impediva di prendere delle
contromisure efficaci, in grado di farmi sentire al sicuro.
«Fu proprio in quel periodo che il mio
vecchio amico uscì di nuovo allo scoperto. Venne a
sottopormi un’idea nata dalla vicinanza con quella ragazzina,
un’idea su cui nessuno si era mai soffermato a pensare:
quanti altri bambini, ragazzi e adulti c’erano, in giro per
il mondo, in grado di governare un Elemento senza saperlo?
«Fui affascinato e conquistato da
quell’idea. C’era un potenziale illimitato in essa:
si parlava di centinaia, migliaia…magari milioni di persone!
Abbastanza da costruire un esercito. Abbastanza da formare una guardia
privata più folta, da spedire contro nemici e detrattori.
Abbastanza da permettermi di conservare il mio potere e magari
guadagnarne ancora di più.
«Non gli fu difficile convincermi della
necessità di arrivare a queste persone e istruirle sul loro
potere di Portatori degli Elementi, né su quanto fosse
indispensabile avere un luogo nascosto e inaccessibile in cui
ospitarle. La segretezza era il fulcro di tutta la faccenda: se le
nostre capacità fossero di dominio pubblico non avremmo
più una vita tranquilla, saremmo osservati, studiati,
perseguitati.
«Mi dichiarai d’accordo. Lo
avrei aiutato a far sparire le tracce dei nuovi Portatori in modo che
nessuno li cercasse, mentre lui si sarebbe occupato di individuare i
potenziali Portatori, prelevarli e addestrarli. Era un accordo
perfetto: i Portatori più talentuosi, una volta terminato
l’addestramento, avrebbero lavorato per me, e tutti gli altri
sarebbero rimasti al suo servizio. Dire che ero soddisfatto della
situazione significherebbe minimizzare quello che provavo».
«Continuo a non capire quale sia il
problema» intervenne l’altro uomo. «I
Portatori arrivano e sono degli ottimi elementi, intelligenti, capaci,
bene addestrati. Cos’è che non la
soddisfa?».
«Il nostro accordo prevedeva un altro
punto» rispose il primo. «Dai discorsi del mio caro
amico, capii che il suo attaccamento a quella ragazzina era, se
possibile, aumentato durante quegli anni in cui non avevamo avuto
contatti. Parlava con entusiasmo delle sue capacità di
Portatrice, dell’intensità e della forza del suo
Elemento; e com’era prevedibile, fui di nuovo incuriosito da
lei. Stavolta fu più facile convincere il mio amico a
lasciarmi osservare la ragazza, e quello che vidi mi lasciò
senza parole: l’unicità che il mio nuovo socio
aveva tanto decantato e su cui avevo nutrito numerosi dubbi cominciava
a palesarsi anche ai miei occhi. Quell’adolescente, che a
prima vista non aveva nulla di speciale, era una Portatrice di grande
potenza. Decisi che la volevo.
«Il mio amico non la prese bene. Non
voleva separarsi da lei, ma fui irremovibile: un giorno quella ragazza
avrebbe preso servizio nella mia scorta, altrimenti non avrei
finanziato il suo progetto.
«Ebbi la meglio. Dopo parecchie ore di
contrattazione, il mio amico acconsentì: io tornai ai miei
affari e lui partì per una località che non mi ha
mai svelato, per prepararsi a questa nuova sfida. Ci volle qualche anno
per vedere i primi frutti del suo lavoro, ma non fui deluso: come hai
notato anche tu, i Portatori che si sono uniti a noi sono di chiaro
talento.
«Eppure qualcosa continuava a rodermi il
fegato. Gli anni passavano, ma di quella ragazza non c’era
traccia: parlai più volte con il mio caro amico, ma non ci
fu verso di sapere quello che volevo. Lui ripeteva – e ripete
tuttora – che il suo addestramento non è completo,
che in lei ci sono ancora riserve di potere a cui attingere, che non
è pronta. E se all’inizio potevo prendere per
buone le sue affermazioni, di sicuro ora non lo faccio più.
Quella ragazza è
pronta: più che pronta, ma lui non vuole rispettare il
nostro accordo».
«Per quale motivo non prende
provvedimenti?» gli chiese il suo sottoposto.
«Perché per ora la ragazza
non mi serve» rispose calmo l’altro. Non
notò come la postura dell’uomo che aveva di fronte
si fosse rilassata impercettibilmente. «Ma
arriverà il giorno in cui mi sarà indispensabile,
e quel giorno sarà difficile ottenerla: temo che il mio
attuale alleato diventerà il mio primo nemico».
«Crede davvero che le volterà
le spalle soltanto per una donna?»
«Lo credo. Negli ultimi anni ha
ricominciato i suoi viaggi apparentemente senza mèta: sta
cercando qualcosa. Con ogni probabilità, qualcosa che lo
renda più potente; e se riuscisse ad avere più
potere di me, allora perderò ogni possibilità di
avere quella ragazza come era stato pattuito».
Il sottoposto fissò sul suo datore di
lavoro due occhi nocciola in cui si scorgeva solo un barlume di
preoccupazione.
«Perché quella ragazza
è così importante?» chiese.
L’altro sorrise senza allegria.
«Perché è al tempo stesso lo strumento
della mia salvezza e la chiave per la mia rovina».
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Capitolo 2 *** Il Centro ***
I passi risuonavano
ovattati lungo il corridoio buio.
Avanzando, la ragazza controllava di sfuggita le
porte che si aprivano a intervalli regolari nelle pareti che la
circondavano, analizzando le ombre e ascoltando. C’era
qualcuno che gridava, molto più avanti.
All’improvviso, un’ombra
più scura delle altre si staccò dal muro e si
accodò alla ragazza, che disse senza voltarsi:
«Dovresti coprire quei capelli. Di notte sono come un faro
nel buio, te l’ho già detto mille volte».
Il giovane sorrise «Lo so. Come mai
fuori a quest’ora, Sofia?»
«Giovanni mi ha fatta
chiamare».
André aggrottò la fronte.
«Così tardi?»
«Ce n’è ancora
uno» rispose Sofia, continuando a camminare.
«Davvero?». Il giovane era
stupito. Da quando si trovava lì – ed erano ormai
nove anni – non ricordava che Giovanni avesse mai dedicato
così tanto tempo a un ragazzo. Una cosa strana, senza
dubbio.
«Così pare». Sofia
tagliò corto. «Dovresti tornare al tuo posto, a
sorvegliare le camerate. Se non dovessero trovarti lì
sorgerebbero dei problemi e sai bene che non possiamo
permettercelo»
«D’accordo» rispose
lui, ben sapendo che la ragazza aveva ragione. «Buonanotte,
Sofia»
«Buonanotte, André».
Il ragazzo si defilò e poco dopo Sofia
giunse alla fine del corridoio. Dietro una porta si sentivano dei
singhiozzi soffocati.
Bussò. Dall’interno una voce
secca intimò: «Avanti!».
«Mi hai fatta chiamare,
Giovanni?» chiese la ragazza, entrando nella stanza dopo una
breve esitazione e salutando gli altri occupanti della stanza.
«Jackson, Tsukiko».
L’uomo rispose con un cenno del capo, la
donna orientale aggiunse un accenno di sorriso.
Sofia si guardò intorno. Conosceva bene
quella stanza, uguale a molte altre in quel posto: forma rettangolare,
pavimento di ardesia, pareti grigio fumo e un’intera parete
di vetro di fronte alla porta, con un ampio tavolo e alcune sedie.
Anonima e fredda, le ricordava le ore trascorse ad addestrarsi con
l’uomo bruno che, in piedi al centro della stanza, appariva
tanto furioso da non accorgersi di quello che accadeva intorno a lui.
«Giovanni» chiamò
nuovamente Sofia. Lui alzò lo sguardo.
«Sei qui!» rispose, le
sopracciglia contratte, una linea dura al posto delle labbra. La
ragazza gli aveva visto quell’espressione sul volto molte
volte, troppe, per non sapere da quali pensieri fosse generata.
«Devi liberarmi di questo inutile fagotto
singhiozzante!».
Il fagotto in questione era una ragazzina di circa
quattordici anni, accovacciata ai piedi dell’uomo nel
tentativo di ripararsi dalla sua furia.
«Devo portarla nei dormitori?»
chiese calma Sofia.
«No, maledizione! Non
c’è un briciolo di potenziale in lei. Non so che
farmene!» esplose l’uomo, guardando torvo la
giovane donna che le stava davanti.
«Dovresti aspettare e ritentare domani.
Sai bene che un corpo rilassato e una mente fresca rendono
più facile l’emergere della loro forza»
rispose la ragazza.
«Accidenti, Sofia» si
lamentò Giovanni, guardando la sua pupilla «ho
perso l’intera giornata con questa insulsa ragazzina e tu mi
proponi di sprecare altro tempo!».
«So bene che la calma non è
una virtù che ti appartenga» disse impassibile la
giovane «ma ti consiglio ugualmente di fare uno
sforzo».
I presenti trattennero il fiato. Sapevano bene
come la collera dell’uomo duro che avevano di fronte potesse
esplodere alla più innocua osservazione.
Giovanni guardò torvo prima la donna
che gli stava di fronte, poi la ragazzina accasciata sul pavimento.
«D’accordo, portala via. Tenterò di
nuovo domani».
«Bene» rispose Sofia, come se
la decisione dell’uomo fosse stata presa senza il suo
intervento. Si rivolse alla ragazza. «Alzati». Lei
si alzò. «Seguimi e non restare indietro.
Buonanotte, signori» disse, rivolgendosi ai tre superiori.
Le due giovani si avviarono lungo il corridoio.
«Come ti chiami?» chiese
Sofia, notando un livido nero che si allargava sotto
l’orecchio destro della ragazza e chiedendosi come Giovanni
potesse essere tanto violento. Negli ultimi tempi peggiorava sempre di
più e la cosa la preoccupava.
«Emma» rispose la ragazzina,
guardandola di sottecchi con aria timorosa. Bassa, esile e con i
capelli castani, gli occhi color dell’ambra e la carnagione
chiarissima, la donna accanto a lei sarebbe potuta passare per una sua
coetanea, se non avesse avuto quell’espressione fredda e
distante.
«Bene, Emma. Qui ci sono otto dormitori,
quattro maschili e quattro femminili. Ogni responsabile ne controlla
due. La prima regola, qui, è fare quello che il proprio
responsabile ordina». Sofia parlava con voce bassa e chiara,
mentre conduceva rapidamente Emma lungo un altro corridoio.
«I nuovi arrivati non prendono subito posto nei dormitori,
stanno per qualche giorno in una stanza più piccola. Due o
tre giorni, di solito. Lì troverai tutto quello che ti
serve: abiti, spazzolino da denti, cose di questo genere».
Emma la guardò titubante.
«E…le mie cose? Voglio dire…quello che
avevo quando mi hanno portata qui». Ci teneva a riaverle.
Erano l’unico legame che le restava con il mondo al quale
l’avevano strappata.
«Troverai lì anche i tuoi
effetti personali» rispose Sofia. Poi si fermò di
fronte a una porta. «Siamo arrivate. Ti preparerai
nell’anticamera e poi raggiungerai il tuo letto. E ricorda
che quando le luci sono spente, non è permesso
parlare».
«Va bene». Un po’
rincuorata, Emma spinse la porta ed entrò in quella che
sarebbe diventata la sua nuova casa.
*
Mentre Emma e Sofia si dirigevano verso il dormitorio, nella stanza che
avevano appena lasciato i quattro fondatori della struttura discutevano
animatamente.
«Non posso credere d’aver
perso tutta la giornata con quella mocciosa!» esplose
Giovanni battendo un pugno sul tavolo.
«È inutile arrabbiarsi,
caro» disse Prudencia, l’accento spagnolo ben
riconoscibile «e dato che hai acconsentito a ritentare domani
con quella ragazzina, dovresti concentrarti su come scoprire quale
Elemento padroneggia…sempre che ne padroneggi uno»
concluse scettica.
Intervenne Jackson. «Quello che mi
stupisce, Giovanni, è che ti sia piegato tanto facilmente al
volere di Sofia. So che è la tua prediletta e che ne hai
curato personalmente l’educazione e l’addestramento
in ogni dettaglio, ma resta pur sempre una sottoposta. Non è
opportuno che abbia questo potere su di te… e quindi su
tutti noi» concluse duramente l’uomo.
«Io non mi piego al volere di
nessuno!» ribatté l’italiano,
l’ombra del Fuoco che gli brillava negli occhi. «Il
suggerimento di Sofia era ottimo e non c’era motivo per non
seguirlo. Tu non l’avresti fatto?» chiese con aria
di sfida.
«Probabilmente l’avrei fatto,
ma prima mi sarei interrogato attentamente sul perché di
quella proposta. Sappiamo tutti quanto sia indifferente alla sorte
degli allievi e con quell’intervento…
be’, sembrava quasi che volesse proteggere la ragazza.
Personalmente, non credo sia saggio fidarsi tanto di lei».
«Stupido americano malfidato, ottuso
come la Terra che manipoli» borbottò irato
Giovanni.
Tsukiko intervenne per evitare che la discussione
degenerasse. «Calma, Giovanni. Gli insulti non servono. Sono
convinta, come tutti qui» proseguì, guardando
fissamente gli occhi dell’americano «che Sofia sia
degna della massima fiducia. È qui fin da quando abbiamo
fondato il Centro e padroneggia il proprio Elemento bene quasi quanto
noi. Ci è utile, e se dà buoni suggerimenti,
tanto meglio».
«Quello di cui dovremmo
discutere» si intromise Prudencia «è
come muoverci da qui in avanti. Abbiamo trovato molti giovani
talentuosi e per alcuni di loro il tempo di addestramento sta per
finire. Dovremmo inserirli in posti strategici, se vogliamo allargare
la nostra area di ricerca: ormai è sempre più
difficile trovare persone che abbiano la capacità di
manipolare gli Elementi».
«D’accordo. Consultiamoci con
i Portatori all’esterno e aggiorniamoci tra una
settimana» decise Giovanni, mettendo fine alla riunione.
Usciti dalla stanza, tre dei quattro occupanti si
diressero verso il corridoio che portava ai loro alloggi. Il quarto si
avviò nella direzione opposta, avanzando veloce lungo il
corridoio che portava ai dormitori degli allievi. Pochi minuti dopo si
fermava davanti a una porta nera, indistinguibile da tutte le altre, e
vi poggiava delicatamente una mano. Una sottile lingua di Fuoco corse
veloce dalla mano sotto la porta, che un istante dopo venne spalancata.
«Giovanni!». Sofia appariva
solo vagamente sorpresa. «Non ti aspettavo. È
forse successo qualcosa? ».
«È da molto che non
parliamo» rispose l’uomo, ignorando la domanda e
guardando con affetto la sua pupilla. «Vieni,
usciamo».
Percorsero il corridoio in silenzio, ognuno perso
nei propri pensieri. Sofia pensava a come quell’uomo fosse
sempre riuscito a capire tutto di lei, e temeva potesse scoprire cosa
era diventata; Giovanni, da parte sua, cercava il modo per entrare
nella mente della donna che Sofia era diventata, allo stesso modo in
cui aveva trovato la porta d’accesso alla mente di lei
bambina.
Camminarono così a lungo, lentamente.
Giunti a una grande porta a vetri, Giovanni cedette galantemente il
passo alla ragazza, tuffandosi con lei nella fresca notte primaverile.
Il prato del grande parco era interamente
illuminato dalla luna, la cui luce argentea veniva spezzata qua e
là da panchine e fontane isolate e inghiottita
definitivamente dalle tenebre solo molto più avanti, dove
gli alberi crescevano fitti e davano vita a un bosco.
I due si avviarono lungo i viali candidi che
riflettevano la luce lunare e, giunti nel punto più basso
del prato, abbandonarono i percorsi tracciati e si avviarono verso il
bosco, raggiungendone i primi alberi.
Giovanni sedette sotto un grande ippocastano ai
margini del giardino, riparato da eventuali sguardi curiosi. Per loro,
quella era una vecchia tradizione: anni prima, quando si erano
stabiliti in quel posto, si recavano lì ogni giorno,
insieme. Da tempo non ci andavano – la ricerca di persone
come loro l’aveva completamente assorbito e, a poco a poco,
lui e Sofia erano divenuti due estranei, o quasi. Ripensandoci,
l’uomo si chiese come fosse arrivato al punto da non vederla
più anche quando l’aveva davanti. Fece un gesto a
Sofia che si sdraiò accanto a lui, gli occhi fissi sulla
luna piena seminascosta dai rami.
«Il Fuoco che è in me
canta» sussurrò la ragazza, come ipnotizzata dal
disco argenteo.
Lui la fissò. Poi, con un gesto
leggero, le spostò una ciocca di capelli dalla fronte. Sofia
si voltò verso di lui, pensando quanto le fosse mancato
quell’uomo, e come non riuscisse a odiarlo o disprezzarlo
completamente nonostante tutto quello che aveva fatto – e
faceva – patire a decine di persone… e a lei. Sei una stupida,
disse tra sé e sé. Sapeva che ormai tenere le
difese alzate contro di lui era l’unico modo per
sopravvivere. Decise di non pensare più a nulla: aveva la
sensazione che non sarebbero mai più stati insieme sotto
quell’ippocastano e voleva approfittare del tempo che ancora
restava loro. Stupida,
si ripeté mentalmente.
Proprio in quel momento, Giovanni
spezzò il silenzio. «Jackson non si fida di
te» disse inaspettatamente.
La giovane sbuffò. «Sai che
novità. Non si fida di nessuno, lui».
«Mi ha detto che non dovrei accogliere i
tuoi suggerimenti».
«È per questo che mi hai
portata qui?». Sofia, sbalordita, di scatto si mise seduta e
fissò Giovanni. «Se anche tu non ti fidi di me,
parlarne è inutile. Non dovremmo neanche essere
qui» aggiunse, sentendosi stranamente ferita. Decise di non
indagare su quella particolare emozione.
«Non ho detto che non mi fido. Dico solo
che se ha ritenuto di parlarmene, forse un motivo valido
c’è» insisté lui con voce
piatta.
«Bene». Sofia si
alzò. «Dato che questa è la tua
opinione, non c’è nulla di cui discutere. Se vuoi
scusarmi credo sia ora, per me, di tornare al mio posto.
Buonanotte» concluse freddamente la ragazza, avviandosi con
passo spedito lungo il prato e dentro l’edificio mentre
l’uomo da cui si allontanava la seguiva con uno sguardo pieno
di sospetti e rimpianti.
*
Il resto della notte trascorse tranquilla. Alle sette del mattino, la
vita ricominciava a scorrere in quel luogo fuori dal mondo.
«Ehi, vuoi spostarti o no? Devo prendere
le mie cose!»
«E allora? Aspetta il tuo
turno!»
«Dov’è finita la
mia maglietta? Era qui!»
«Non guardare me… io non
c’entro!»
«D’accordo ragazzi basta,
basta, basta!» disse André entrando nei dormitori.
«Ogni giorno è la stessa storia, possibile che
dobbiate azzuffarvi per ogni sciocchezza?» concluse con un
sorriso accattivante, mettendo fine al caos che regnava tra i ragazzi.
Alto, con un fisico scattante e l’aggiunta di corti capelli
dorati e occhi color del mare, André aveva tutta le
capacità per rasserenare istantaneamente gli animi.
La stessa scena si svolgeva nei dormitori di Blaze
e Laurence, altri due responsabili dei dormitori. Solo nelle camerate
sorvegliate da Sofia regnava la calma. Nessuno dei suoi occupanti
desiderava farsi notare dalla responsabile, che incuteva loro timore
quasi quanto i capi della struttura.
Nella stanza destinata agli ultimi arrivati, Emma
tentava di scoprire qualcosa di più sul posto in cui si
trovava.
«Che posto è
questo?» stava appunto chiedendo a una ragazza poco
più grande di lei che si trovava lì
già da due giorni e che le aveva detto di chiamarsi Ailie.
«Non so spiegartelo esattamente, sono
qui da poco anch’io».
«Ma cosa vogliono da noi?».
«A quanto dicono» rispose
Ailie «ci sono persone in grado di… comandare gli
elementi. Quando trovano qualcuno che credono ne sia capace, lo portano
qui e cercano di scoprire a quale elemento è
affine».
«Davvero? E tu quale elemento
comandi?» chiese Emma, guardando con ammirazione la ragazza:
il corpo leggermente muscoloso e le efelidi sul suo volto facevano
sì che Ailie le suscitasse un gradevole senso di
tranquillità.
«Non ne sono sicura, ma credo sia
l’Acqua. L’altro giorno sono riuscita a far correre
delle gocce lungo le pareti».
Insieme alla curiosità, in Emma
cresceva anche la paura. «Quindi era questo che voleva da me
quell’uomo con i capelli neri!».
«Ti è capitato Giovanni?
Accidenti che sfortuna!» esclamò Ailie, le mani
infilate tra i capelli ramati. «Dicono sia il peggiore dei
quattro, si arrabbia facilmente e non ti dà modo di tentare
con la calma necessaria… e poi, tu sembri così
delicata» aggiunse, osservando la corporatura esile, i
capelli mossi e il viso dolce della nuova arrivata.
«È vero, Giovanni ha un
pessimo carattere» intervenne André, entrando
nella stanza. «Ed è anche privo di fantasia.
Sapete come ha chiamato questo posto? “Il Centro”.
Davvero originale, non trovate?» concluse con una sonora
risata.
«Non dovresti parlare così di
un superiore… specie davanti a loro» disse severa
Sofia dalla porta.
«Oh, andiamo… sai bene che
è la verità, prendersela non cambia i
fatti» la blandì l’altro.
«È piuttosto
tardi». Sofia decise di tagliare corto, prima che
André dicesse qualcosa di cui pentirsi. «Porta
Ailie nel gruppo di Prudencia e poi va’ a controllare il
secondo gruppo dell’Acqua».
«D’accordo. Andiamo,
Ailie».
Sofia guardò immobile l’alto
giovane biondo e l’atletica scozzese sparire nel corridoio.
Emma la osservò titubante, poi si
arrischiò a parlare. «E noi… restiamo
qui?» chiese confusa.
«Certo che no. Devo portarti da
Giovanni, lo sai bene» rispose seccamente l’altra,
avviandosi verso una porta e facendo cenno a Emma di precederla.
In breve tempo arrivarono di fronte
all’unica porta di un lungo corridoio nell’ala Est
dell’edificio.
Apertala, si trovarono in una grande sala semicircolare, quasi
completamente vuota, invasa dalla luce del sole che entrava prepotente
dalle grandi vetrate.
Giovanni era già lì ad
aspettarle. Sofia entrò con passo deciso, seguita da Emma
che aveva tutta l’aria di un condannato a morte che speri di
essere inghiottito dalla terra.
«Ecco la ragazza. Dove sono i gruppi del
Fuoco?».
«A lezione. Non hanno bisogno di te
ora… potresti restare e aiutarmi con questa qui»
propose incerto l’uomo.
«No grazie». Con queste
parole, Sofia si voltò e si accinse ad andarsene.
«SOFIA!». Il grido irato
dell’uomo alle sue spalle la costrinse a fermarsi.
«Non ti sto chiedendo di restare. Te lo sto ordinando!».
«Avresti dovuto dirlo subito».
Impassibile come sempre, la giovane scosse i lunghi capelli castani
– seppure raccolti in una stretta crocchia – in un
gesto di orgoglio che le era abituale e andò a sedersi su
una sedia poco lontana.
Giovanni le si avvicinò rapido.
«Questo tuo modo di fare non mi piace»
ringhiò a pochi centimetri dal volto della ragazza.
«Stranamente, questo mio modo di fare ti
irrita solo da ieri sera. Bizzarro, non trovi?»
ribatté lei freddamente. «È incredibile
come le parole di Jackson possano essere illuminanti»
proseguì sardonica.
«Ti avverto,
Sofia…» iniziò minacciosamente
l’uomo. Sofia lo interruppe.
« Mi
avverti?» ripeté. Poi
scoppiò in una risata cattiva. «Conserva per gli
altri le tue minacce, Giovanni. Ho passato con te metà della
mia vita, conosco l’intero repertorio ormai»
concluse sprezzante.
«Basta così». Il
volto paonazzo, Giovanni cercava di trattenersi
dall’inchiodarla al muro con una palla di Fuoco e ricordarle chi comandava.
«Porta quella ragazzina al centro della stanza. Adesso!».
«Come desideri». Con somma
indifferenza, Sofia si diresse verso Emma – che aveva
osservato quello scambio di battute con aria preoccupata – e
l’afferrò per la spalla. La ragazzina
strillò e tentò di divincolarsi.
«Cosa
c’è?» chiese Giovanni con aria
sospettosa, osservandole.
«Io… quando mi ha toccata,
è stato come se mi avesse bruciata. Fa male»
tentò di spiegare Emma.
«Colpa mia. Non sono riuscita a
controllarmi» confermò Sofia tornando a sedersi.
«Be’, basta perdere tempo.
Cominciamo». L’uomo si avvicinò alla
ragazzina che, al centro della stanza, cercava di evitare il suo
sguardo. La fissò.
«Come ti ho spiegato ieri»
iniziò Giovanni, con voce controllata «sei stata
portata qui – come molti altri – perché
sei in grado di fare cose particolari, anche se non te ne sei ancora
resa conto».
«Ma io non so fare niente di
strano!» protestò Emma, spaventata.
«È inutile
negarlo!» gridò l’uomo, evocando una
sfera infuocata per inchiodare a terra la ragazza. «Esamino
ogni singola persona che arriva qui e so bene, quando
c’è in loro anche solo una scintilla di potere. E
non mi sono mai sbagliato!».
«Per favore, per favore
basta!» pianse la ragazza, sentendo il fuoco pesarle sul
petto come un macigno e bruciarla.
«Se vuoi che smetta devi mostrarmi quale
Elemento c’è in te!»
D’un tratto, Emma non sentì
più il fuoco bruciarla. Si rialzò, un
po’ incerta sulle gambe.
«Iniziamo con qualcosa di
semplice» disse Giovanni, poggiando un foglio su un tavolo.
Guardò Emma. «Prova a spostarlo».
«E come?» chiese lei. Sembrava
atterrita.
Giovanni sbuffò. «Con
l’Aria, ovviamente. Devi generare un soffio di vento diretto
sul foglio» spiegò impaziente.
Non sapendo cosa fare, la ragazza si
limitò a fissare il foglio, temendo un nuovo scoppio
d’ira dell’uomo. Che, un’ora dopo, si
arrese.
«Tentiamo con
qualcos’altro» disse irritato.
Quattro ore dopo – tentate inutilmente
le prove per scoprire se uno dei tre Elementi rimasti fosse presente in
Emma – Giovanni si arrese. Si rivolse a Sofia.
«Portala via e falla sparire. Se c’è del
potere, in lei, è nascosto fin troppo bene» disse
stizzito. «Devo controllare un nuovo arrivo e poi iniziare la
lezione del terzo gruppo. Il secondo è con Evan, quindi
appena avrai terminato con questo compito, dovrai andare a controllare
il primo gruppo. Fa’ presto» concluse, uscendo
dalla stanza.
«Dove mi porti?» chiese subito
Emma, atterrita. Cominciava appena ad intuire il destino che le parole
dell’uomo avevano stabilito per lei.
«Dove Giovanni non si aspetterebbe
mai» rispose inaspettatamente l’altra.
«Stammi dietro, occhi a terra e fa’ di tutto per
sembrare terrorizzata… non che ce ne sia bisogno»
aggiunse, notando il pallore della ragazzina.
Si diressero spedite nel corridoio, facendo un
gran giro e passando sempre in corridoi deserti. Parecchi minuti dopo
una porta alla loro sinistra si aprì, qualche metro
più avanti rispetto al punto in cui si trovavano. Sofia
bloccò Emma e la spinse nel vano di una porta.
«Porta questa ragazza a lezione e poi
va’ da Prudencia. Avvertila che abbiamo trovato quella che
sembra essere una promettente Apprendista
dell’Acqua» ordinò la voce di Giovanni a
un sorvegliante di livello inferiore. La porta si richiuse. Sofia fece
cenno a Emma di restare dove si trovava e si avviò decisa ma
silenziosa verso il ragazzo che, ignaro della loro presenza, camminava
alcuni metri avanti a loro, accompagnando una ragazza dai lunghi
capelli biondi.
«Aspetta, Adam».
Il ragazzo, preso alla sprovvista, si
voltò di scatto. «Sofia! Non ti avevo sentita
arrivare. Cosa c’è?».
«Alcuni ragazzi si stanno azzuffando nel
quadrante Nord del parco. Va’ a prenderli, accompagnali negli
uffici dei rispettivi Maestri, avverti gli stessi e poi fa’
un giro di ronda».
Il ragazzo sembrò perplesso.
«Ma… Giovanni mi ha detto di accompagnare questa
ragazza…».
Sofia ignorò il suo farfugliare
confuso. «Ho sentito cosa ti ha detto Giovanni.
Penserò io ad accompagnare la ragazza e ad avvertirlo del
cambiamento di programma» lo rassicurò.
«Ora muoviti».
«Subito». Il ragazzo
s’incamminò veloce lungo il corridoio e in pochi
istanti sparì.
«Perfetto. Come ti chiami,
signorina?» chiese alla ragazza che aveva di fronte. Alta una
buona testa più di lei, aveva lineamenti regolari,
lunghissimi capelli biondi e occhi verdi: una diciottenne davvero
incantevole.
«Elizabeth» rispose lei.
«Bene, Elizabeth, seguimi e non parlare.
Emma!» chiamò poi a bassa voce.
La ragazzina scattò al suo fianco.
«Tra poco arriverà la parte
più difficile. Statemi vicino e tenetevi pronte a
correre» si raccomandò Sofia.
Percorsero rapidamente altri tre corridoi,
captando frammenti di lezioni – francese, matematica, latino
e un’infinità di altre materie – e di
addestramenti. Giunte vicino all’uscita dell’Ala
Sud, udirono dei passi. Con un gesto, Sofia bloccò le due
ragazze. Poi, cautamente, poggiò una mano sul pavimento di
ardesia. Dal suo indice si staccò una solitaria fiammella,
grande quanto un’unghia, che corse veloce verso
l’origine del suono. Una volta lì, si
sollevò in aria tracciando una spirale e
scoppiettò come un fuoco d’artificio in miniatura.
Sospirando di sollievo, Sofia corse in avanti,
trascinandosi dietro Emma ed Elizabeth. Voltato l’angolo, si
trovarono faccia a faccia con André.
«Come mai hai controllato chi stesse
arrivando?» chiese il ragazzo.
«Credo sia ora di dare una volta alla
nostra educazione spiccando il volo verso nuovi orizzonti»
ribatté bizzarramente l’altra. «Avverti
gli altri e recatevi al punto stabilito. Vi lascerò delle
tracce».
Un largo sorriso illuminò il volto di
André. «Puoi contarci. Ci vediamo alla
Valle» disse, prima di correre nella direzione opposta alla
loro.
Le tre ragazze seguirono il suo esempio. Uscite
dall’edificio, però, Sofia costrinse le altre due
a tenere un passo più tranquillo, in modo da non suscitare
sospetti. Percorso il parco, giungevano ai primi alberi del bosco del
quadrante Sud quando un gran frastuono le mise in allarme.
Si voltarono. Un gruppo di almeno trenta tra
studenti e sorveglianti correva verso di loro. Alla loro testa,
chiaramente riconoscibili, c’erano il Maestro del Fuoco e
quello dell’Acqua. Prudencia rimase indietro, mentre con uno
scatto felino Giovanni si avvicinava velocemente al terzetto al
limitare del bosco.
«Accidenti!». Sofia
digrignò i denti, osservando gli inseguitori. Si rivolse
rapidamente alle due ragazze. «Correte! Dritte nel bosco,
seguite i gladioli, fino a una grotta. Nascondetevi lì,
qualcuno verrà a prendervi più tardi»
ordinò in fretta, con voce bassa ma chiara.
Emma ed Elizabeth rimasero a fissarla, poi la
seconda prese in mano la situazione, afferrando la più
giovane e tirandosela dietro nel bosco.
Sofia scatenò un muro di Fuoco, che non
bruciava nulla ma impediva di passare e inseguire le due ragazze tra
gli alberi, e si voltò appena in tempo per ricevere una
frustata incandescente in pieno petto. Volò a qualche metro
di distanza, atterrando pesantemente sul terreno morbido.
Rialzatasi prontamente, schivò per un
soffio un dardo di ghiaccio: Prudencia aveva raggiunto Giovanni e gli
dava manforte nel tentare di abbattere Sofia.
La ragazza reagì prontamente. Bloccata
una sfera di Fuoco lanciatale da Giovanni la scagliò
violentemente a terra, facendo schizzare scintille e detriti ovunque.
Approfittando dell’attimo di smarrimento dei suoi avversari,
inchiodò al suolo l’argentina con una catena
infuocata. La sentì gridare di dolore, mentre il Fuoco la
tormentava e tentava invano di liberarsi. Giovanni, vedendola a terra,
non seppe cosa fare: liberare Prudencia o catturare Sofia? La sua
indecisione non durò che un istante, ma fu sufficiente. La
ragazza colse l’occasione e lo spedì contro un
albero, lo stesso ippocastano sotto il quale si erano sdraiati solo la
notte prima, imprimendovi col Fuoco una cicatrice permanente e
immediatamente, aprendosi un varco nella muraglia di Fuoco che lei
stessa aveva evocato, corse via, dileguandosi tra gli alberi mentre
allievi e sorveglianti tentavano invano di seguirla.
*
Durante lo scontro, Emma ed Elizabeth si erano notevolmente
allontanate, correndo attraverso gli alberi. Giunte al limite esterno
del bosco, sulla cima di una piccola altura, si bloccarono.
Intorno a loro, si stendeva un campo sconfinato.
Di gladioli.
*
Mentre Emma ed Elizabeth si chiedevano confuse da che parte andare, nel
quadrante Nord del parco circa duecento allievi e sorveglianti
attendevano istruzioni.
André prese la parola. «Come
sapete, abbiamo aspettato a lungo il momento opportuno per andare via
di qui. Quel momento è arrivato e dobbiamo cogliere
l’occasione ora che gli altri si stanno radunando nel
quadrante Sud per inseguire Sofia e le due ragazze che stanno
fuggendo».
Osservò la distesa di volti seri e
concentrati che aveva di fronte. Preoccupato, si chiedeva se sarebbero
riusciti ad arrivare all’entrata della Valle senza incontrare
ostacoli o se sarebbero stati costretti a combattere con coloro che
erano rimasti fedeli ai quattro Maestri degli Elementi. Nascose i
propri dubbi e si accinse a dare le indicazioni necessarie ad arrivare
al punto di raccolta.
«Ci divideremo in tre gruppi –
ogni gruppo col proprio responsabile. Chi era nelle camerate di
Sofia?»
Una cinquantina di persone alzarono la mano.
«Bene, voi verrete spartiti tra il mio
gruppo e quelli di Laurence e Blaze. Laurence, dividili per favore. In
fretta!».
Laurence si mosse rapido ed efficiente, nonostante
la sua alta statura e la corporatura massiccia non lasciassero supporre
una tale leggerezza nei movimenti. Chi non lo conosceva
l’osservava con timore – l’avevano
soprannominato “Gigante Nero” per
l’aspetto fisico e il colore della pelle, nera come la notte
– ma bastava guardare i suoi occhi per percepire la
tranquillità che albergava in lui ed esserne totalmente
rassicurati.
Divisi i ragazzi del Fuoco in tre gruppi e
assegnatone ognuno a un sorvegliante, Laurence guardò
André. «Dovremmo muoverci. Indugiare non
è prudente» disse con la sua voce profonda al
giovane biondo, che annuì.
«È ora di andare. Ogni gruppo
seguirà un percorso diverso. Ci troveremo al punto di
raccolta entro il tramonto. Buona fortuna a tutti» concluse,
osservando Laurence avviarsi col proprio gruppo e scrutando Blaze con
aria seria. «Niente bravate, Blaze. Ne avrai tutto il tempo
quando saremo alla Valle» si raccomandò. Conosceva
bene il carattere imprudente del giovane americano e aveva perso il
conto delle volte in cui aveva tentato di arginarne la
vitalità. André si augurò mentalmente
che non commettesse sciocchezze e lo guardò condurre il
gruppo della Terra nel bosco, prima di fare un cenno al proprio gruppo
e seguirlo.
*
Emma ed Elizabeth continuavano a guardare la distesa apparentemente
infinita di gladioli che si stendeva di fronte a loro, e continuavano a
non sapere da che parte andare.
«” Seguite i gladioli!”.
Bel consiglio ci ha dato…qui è pieno di gladioli,
non si vede altro!» ringhiò Elizabeth, maledicendo
Sofia a bassa voce.
Emma, in silenzio, rifletteva. Non aveva senso che
Sofia le avesse fatte scappare per poi spedirle in un vicolo cieco. La
risposta alla sua indicazione era certamente lì, di fronte a
loro, nascosta quanto bastava da passare inosservata a un osservatore
distratto. Decise di guardarsi intorno più attentamente. La
distesa di fiori di fronte a lei era un turbinio di colori: gialli,
bianchi, arancio, rosa, viola, blu… all’improvviso
vide una macchiolina rossa, tra tutti quei fiori.
Osservò meglio. Era un piccolo grappolo
di gladioli rossi, e ce n’erano pochissimi in quella distesa
colorata…
«Elizabeth!»
esclamò all’improvviso. L’altra le si
accostò, sempre imprecando sottovoce. «Sofia non
ha fatto comparire un muro di Fuoco, quando ci ha fatte
scappare?».
«Sì. E allora?»
rispose astiosa Elizabeth.
«E allora… guarda bene il
prato! Ci sono gladioli di tutti i colori… ma solo
pochissimi rossi!».
Elizabeth continuava a non capire. Emma la
guardò impaziente.
«Qual è il colore tipico del
Fuoco?».
«Rosso… accidenti hai
ragione, dobbiamo seguire i gladioli rossi! Guarda da questa
angolazione… sembra che traccino una linea!» disse
eccitata Elizabeth, cogliendo finalmente l’intuizione di
Emma. «Presto, andiamo!» proseguì,
lanciandosi con lei nella distesa variopinta.
*
Correndo, Sofia prese una direzione diversa da quella che aveva
indicato alle due ragazze appena strappate al Centro. Seguì
il terreno nel punto in cui declinava fino ad arrivare a qualche decina
di metri da un’imponente sequoia, segno che stava andando
nella direzione giusta.
Quella parvenza di tranquillità si
dissolse immediatamente. Dei passi risuonavano leggeri sul terreno
coperto di foglie e rametti. Sofia si guardò intorno e corse
a ripararsi dietro una quercia. Sapeva chi si stava avvicinando
– ogni Elemento lascia una traccia inconfondibile in chi lo
detiene e lei si era allenata a riconoscere quelle sfumature.
Giovanni avanzò lentamente tra gli
alberi, guardandosi intorno con cautela e temendo un attacco improvviso
da un momento all’altro.
Sofia lo sentì avvicinarsi. Premette
ancora di più la schiena sul tronco massiccio
dell’albero e si sforzò di reprimere completamente
il Fuoco dentro di lei, in modo che Giovanni non potesse sentire la sua
presenza. Era certa che lui l’avrebbe seguita – era
stato il suo mentore, conosceva bene i particolari segni che
distinguevano il suo stile e lei aveva deliberatamente creato un muro
infuocato non abbastanza forte da resistere ai Maestri: se avessero
conosciuto il suo vero livello, quella scoperta avrebbe fornito loro un
motivo per catturarla ben più forte della vendetta.
Il sangue le pulsava bollente nelle tempie. Sapeva
di dover attaccare Giovanni prima che lui la individuasse, per avere
una possibilità di scappare senza essere seguita, eppure
quella consapevolezza le faceva male al cuore. I secondi passavano
veloci. Doveva decidersi. Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e
attaccò.
*
Giovanni sapeva che lei era lì. Non la vedeva, non la
percepiva, ma sapeva che c’era. Come quando, tredici anni
prima, aveva iniziato a girare la Spagna per cercarla. Sapeva che era
lì che lo aspettava, come tanti anni prima.
Sapeva anche che lo avrebbe attaccato. Per questo
quando una saetta incandescente volò verso di lui fu pronto
ad evitarla.
Fissò la piccola figura vestita di nero
che, trenta metri più avanti, sembrava essersi
materializzata dal nulla. Aveva sempre avuto un talento naturale per
gli agguati e le strategie di battaglia, pensò Giovanni.
Si studiarono in silenzio per qualche minuto. Poi
il Fuoco iniziò a imperversare per la foresta.
Inizialmente un po’ guardinghi, gli
attacchi di Giovanni e quelli di Sofia andarono aumentando di forza e
precisione. I colpi si fecero più fitti, le difese a tratti
più deboli, sfere e guizzi di Fuoco impedivano
l’un l’altra di vedersi chiaramente. A ogni colpo,
la distanza tra loro diminuiva. Senza quasi accorgersene si trovarono a
poco più di un metro l’uno dall’altra:
schivare i colpi era diventato impossibile.
Giovanni lanciò una lingua di Fuoco
tanto sottile da essere quasi invisibile verso Sofia, che non fu
abbastanza rapida da evitarla. Si strinse attorno al suo collo sottile,
bruciandola, privandola dell’aria. Caduta in ginocchio
guardò l’uomo alto e muscoloso che torreggiava su
di lei, lasciando vagare lo sguardo sui capelli neri e il volto dai
lineamenti decisi. Infine, si perse nei suoi occhi. Come anni prima,
quando si era trovata nella stessa situazione, col Fuoco di lui che la
torturava e gli occhi fissi nei suoi, indifferente alla sofferenza che
le infliggeva, ai segni che stava lasciando sul suo corpo.
Sentì le cicatrici bruciare e il Fuoco guizzò
nuovamente in lei.
Fulminea, Sofia afferrò il filo
bollente che la soffocava e lo tirò con violenza. La fiamma
resistette per un secondo, poi si dissolse in una miriade di scintille
simili a piccole stelle. Vide lo stupore negli occhi di Giovanni e lo
bloccò a terra con la stessa decisione con cui fino a un
istante prima lui aveva cercato di soffocarla.
Osservò la barra di Fuoco con cui
l’aveva bloccato e ne aumentò
l’intensità; gli abiti dell’uomo
bruciarono dove erano a contatto col Fuoco. La carne iniziò
a sfrigolare, mentre Sofia osservava con occhi incupiti e vuoti
l’uomo che stava torturando.
Giovanni gemette. Quel suono sembrò
riportarla alla realtà: scosse la testa e, resasi conto
della profondità della ferita che aveva inflitto al suo
Maestro, capì che poteva scappare senza il rischio di essere
nuovamente inseguita.
Dopo aver lanciato un ultimo sguardo pieno di
rancore all’uomo steso a terra, riprese a correre nella
foresta.
*
Come poteva avergli
inflitto una ferita del genere?
Abbandonato sul suolo morbido del bosco, incapace
di muoversi, Giovanni continuava a porsi questa domanda. Non era
riuscito a liberarsi, quando Sofia lo aveva attaccato. Aveva usato
contro di lui un Fuoco troppo potente, e solo i Maestri erano in grado
di padroneggiare gli Elementi in modo da scatenarli con una tale forza.
Poco più di un anno prima aveva valutato Sofia per farla
promuovere al rango di Maestro, ma non si era dimostrata capace di
padroneggiare il proprio Elemento in modo adeguato. La stessa scena si
era ripetuta solo tre mesi prima.
«Probabilmente
non sono ancora pronta» aveva detto lei con un
piccolo sorriso, notando la delusione di lui.
Che, adesso, era furioso. L’aveva ingannato!
Sprizzando scintille dalla mano sinistra per la
rabbia, provò nuovamente ad alzarsi. Non ci
riuscì.
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Capitolo 3 *** Corsa verso la libertà ***
Il sole iniziava la sua
inarrestabile discesa verso l’orizzonte. Il cielo
iniziò a tingersi d’arancio.
Dopo aver corso per ore seguendo le indicazioni di
Sofia Emma ed Elizabeth, esauste, erano arrivate di fronte ad una
comunissima grotta di pietra. Esitarono un momento
sull’apertura, poi si decisero ad entrare.
L’interno era decisamente diverso. Uno
strano materiale liscio, nero e lucido prendeva il posto della roccia.
Ne furono affascinate.
«Chissà
cos’è» si domandò ad alta
voce Emma, curiosa.
«Credo sia ossidiana… ricordo
quando ce ne hanno fatto vedere un campione al corso di
scienze» rispose Elizabeth, osservando l’interno
della grotta e toccando l’ossidiana che ricopriva le pareti.
Al tatto risultava tanto liscia da ricordare l’acqua.
«Vieni, andiamo più avanti» disse a
Emma, incamminandosi con lei lungo la grotta che andava
rimpicciolendosi sempre più fino a diventare uno stretto
cunicolo.
«Mi sento come Alice nel Paese delle
Meraviglie» disse Emma, mettendosi carponi e strisciando
verso gli sprazzi di luce che si intravedevano poco più
avanti. Elizabeth ridacchiò.
Pochi istanti dopo, Emma parlò di nuovo
«Elizabeth… mi sembra di
sentire delle voci, più avanti»
«Accidenti. Credi che dovremmo
proseguire?»
«Non lo so. Io…
aspetta!»
«Cosa
c’è?»
«Ho sentito una voce che mi sembra
familiare…». All’improvviso il suo volto
s’illuminò. «Andiamo,
muoviti!».
Strisciarono velocemente lungo i pochi metri di
grotta che le separavano da una fitta cortina di edera. Superatala, si
ritrovarono di fronte un’intera folla.
«Ailie!».
Emma scattò verso la ragazza dai
capelli rossi con cui aveva diviso la stanza la sera prima.
«Emma! Allora ce l’avete
fatta!» rispose l’altra, raggiante. Nonostante le
lunghe ore di marcia, Ailie afferrò la sua nuova amica e
iniziò a saltellare.
«Ce l’abbiamo fatta, ce
l’abbiamo fatta, siamo scappate da quello stupido
posto!» gridava come impazzita.
Il resto del folto gruppo la fissò
sbigottita… poi la tensione si sciolse, e si unirono a lei.
Blaze cantava a squarciagola senza ritegno, incurante delle facce
divertite e a tratti incredule dei ragazzi che di solito sorvegliava.
Molti si erano abbandonati sul prato stremati dalla fatica, altri
parlavano, Laurence, in piedi, si guardava intorno con la solita
espressione pacifica ma si capiva che tutti stavano aspettando qualcosa.
Le prime stelle spuntarono nel cielo.
André guardò Laurence.
«Non possiamo più
aspettare… credi che troveremo comunque la
strada?».
Laurence era fiducioso. «Gli Elementi ci
aiuteranno». Posò una mano sulla spalla del
giovane biondo. «È brutto perdere un amico, ma lei
per prima ci direbbe di andare».
«Hai ragione». A malincuore
André radunò il proprio gruppo prima di guardarsi
intorno un’ultima volta. Quello che vide fece saltare alcuni
battiti al suo cuore, come quando si scendono le scale e si manca un
gradino.
« Fermi!».
Tutti si voltarono. Una fiammella bruciava
lì, di fronte a loro, sospesa nell’aria. Sotto di
lei, piccoli fiorellini dai petali incandescenti facevano timidamente
capolino tra i fili d’erba.
Un largo sorriso si aprì volto di
Laurence, che si era appena fatto strada tra la folla.
«Una traccia!»
ruggì con la sua voce profonda. «Seguiamola,
veloci!».
In preda all’eccitazione, ripresero a
correre. Dopo mezz’ora di marcia serrata, si trovarono di
nuovo di fronte a una grotta, stavolta d’ardesia.
Vi entrarono, e proseguirono con sicurezza fin quando non si trovarono
di fronte a una diramazione.
Si bloccarono, indecisi. Istintivamente Blaze e
Laurence guardarono André.
«Di noi tu sei quello che la conosce
meglio, André… quale cunicolo credi che dovremmo
imboccare?» chiese Blaze.
«Non ne ho idea… sembrano
tutti strapieni di tracce riconducibili al suo stile» rispose
André, confuso.
Intervenne Laurence. «Pensaci,
André. Sono certo che tu sappia già qual
è la strada giusta… devi solo rendertene
conto». L’alto nero non sembrava nutrire alcun
dubbio al riguardo.
Perplesso, André si guardò
intorno, osservando meglio i tre cunicoli in cui si diramava la grotta
in cui si trovavano.
Il primo era sempre d’ardesia, e la poca
luce che lo rischiarava si rifletteva su un tappeto di pietre che
ricopriva il pavimento. Blaze si chinò a osservarle meglio.
«Questa è onice»
disse, prendendo una pietra nera in mano. «Questa invece
è tormalina rossa… e altra tormalina, nera
però» aggiunse, osservando le altre pietre.
«Rosso e nero. Decisamente i suoi
colori» notò André.
Passò a osservare il secondo cunicolo.
Il pavimento – stranamente – era ricoperto
d’erba di un verde brillante, che tuttavia quasi spariva, ai
lati, sotto un manto compatto di fiori di tutte le sfumature di una
fiamma che arde.
L’ultimo, invece, aveva le pareti
ricoperte d’ossidiana e solo delle torce che bruciavano
placidamente nei loro sostegni.
Nel silenzio, André si
concentrò su quello che aveva visto. Poi si voltò
verso gli altri.
«Allora? Qual è la strada
giusta?» chiesero impazienti alcune voci.
La risposta li spiazzò.
«Nessuna di queste».
Tutti fissavano André allibiti. Solo
Laurence e Blaze conservarono un’espressione diversa, il
primo era perfettamente calmo mentre il secondo appariva divertito.
André li superò e
posò una mano a terra. Un sottilissimo velo
d’Acqua comparve e corse veloce lungo la pietra. Alcuni metri
più avanti, vicino alla parete, veniva risucchiata via.
Blaze iniziò a ridere.
«Mai una volta che ci renda le cose
facili!» sghignazzò.
Arrivati nel punto in cui l’Acqua fluiva via,
notarono una fessura verticale, tanto sottile da essere quasi
invisibile, che andava dal pavimento al soffitto della grotta. Blaze si
fece avanti.
«Se permettete…»
disse. Era sempre più allegro.
Pose anche lui una mano sulla pietra –
come André poco prima – e quella si dissolse come
neve al sole.
«Prego» disse, inchinandosi
buffamente e trattenendosi dal ridere. Laurence e André
entrarono per primi, e quello che videro fu sufficiente a fargli
comprendere che avevano trovato la strada giusta.
«Asfodeli» disse il primo,
indicando dei piccoli fiori bianchi con venature rossastre che
spuntavano da una piccola frattura della roccia. «I fiori dei
Portatori del Fuoco».
«Già. Andiamo!»
ordinò André, facendo scorrere rapidamente il
resto del gruppo nella nuova grotta. Blaze rimase per ultimo,
preoccupandosi di far ricomparire la roccia al proprio posto.
«Dobbiamo camminare ancora
molto?» chiesero alcune voci. Laurence li
rassicurò.
«Siamo quasi
arrivati…».
Poche centinaia di metri più avanti, la
grotta si apriva sul punto più basso di un prato sconfinato,
illuminato a giorno dalla luna. In mezzo al prato era ben distinguibile
una figuretta scura, in piedi, chiaramente in attesa.
« Sofia!».
L’urlo di Blaze lo precedette, mentre si slanciava in avanti
per abbracciare la sua amica.
Lei lo accolse a braccia aperte. Si strinsero per
un tempo che sembrava interminabile. Quando finalmente si sciolsero
dall’abbraccio, gli altri li avevano raggiunti:
André la abbracciò a sua volta, Laurence le diede
una pacca sulla spalla. «È bello essere di nuovo
insieme» le disse con gioia. Lei gli rivolse con un sorrisino
stanco. «È stata più dura di quanto
pensassi» rispose.
A parte loro, nessuno sembrava contento di
rivederla. Era sempre stata una sorvegliante dura, aveva posto regole
ferree e non aveva mai concesso a nessuno alcuna confidenza.
Solo Emma si fece timidamente avanti. Non aveva
dimenticato che era stata Sofia a portarla via da quel luogo dove
– in poco più di ventiquattr’ore ore
– aveva sofferto più di quanto avrebbe mai potuto
immaginare. Le si avvicinò. «Grazie per avermi
portata via di lì» disse tutto d’un
fiato, guardandola dritta negli occhi.
Sofia sorrise. «È stato un
piacere». Si voltò verso gli altri.
«Lassù» disse, indicando il punto
più alto del prato «c’è un
grande edificio. Dentro troverete cibo e dei letti che vi
aspettano».
Come se avesse pronunciato una formula magica, tutti corsero
come impazziti verso il punto che aveva indicato. Passando, Ailie ed
Elizabeth presero Emma per mano e la portarono con loro.
«Buonanotte anche a voi» disse
ironica Sofia alla folla che sciamava sul prato ignorandola. Si rivolse
ai tre amici che le erano rimasti accanto. «Vorrei che
poteste riposare anche voi, ma prima abbiamo un lavoro da
fare…».
Laurence annuì. «Cancellare
le tracce».
«E modificare la morfologia del terreno
circostante» aggiunse André.
«Basta chiacchiere!» esplose
Blaze. «Mettiamo tutto a posto e andiamo. Ho fame».
Gli altri tre scoppiarono a ridere. «Ma
taci, ragazzino anoressico» ghignò Sofia. Come
previsto, Blaze cambiò colore.
«Ragazzino anoressico a chi?».
Il ghigno di Sofia si allargò.
«Ma dico, ti sei guardato allo specchio? Sei pelle e ossa.
Sappiamo tutti che per te “mangiare” equivale a
rosicchiare un osso di pollo». Lo stava palesemente prendendo
in giro – tutti sapevano che Blaze mangiava per tre. Quando non aveva fame.
«Ma brutta…!». Fece
per gettarsi su di lei, Sofia evitò la finta e di certo
avrebbero iniziato a rincorrersi se non fosse intervenuto Laurence.
«Domani avrete tutto il tempo di
azzuffarvi. Ora pensiamo a cancellare i segni della nostra
presenza» disse severamente.
I due ripresero posto vicino ad André, che faceva
di tutto per restare serio. Vederli lottare era uno spettacolo concesso
solo a lui e Laurence, e le loro provocazioni reciproche lo esilaravano.
Tornato il silenzio e formato un quadrato, schiena
contro schiena, giunsero le mani davanti al petto come in preghiera.
Dalle mani così giunte scaturivano gli Elementi, si
riversavano rapidi sul prato seguendo ciascuno le indicazioni mormorate
dal proprio Compagno fatto di carne e d’ossa –
così il prato sparì sotto la distesa di Terra
evocata da Blaze, accarezzato dall’Acqua che scaturiva dalle
mani di André in un piccolo fiume –
così la cascata di Fuoco di Sofia avanzava a fianco dello
sbuffo d’Aria gelida e decisa che proveniva da Laurence. Di
quando in quando queste quattro correnti si incrociavano, si univano e
sparivano in un unico flusso scintillante, argenteo come la luce della
luna che illuminava i quattro amici, trasformandosi in qualcosa di
diverso, dando vita all’Energia che tutto muoveva e creava.
Gli Elementi evocati sparirono rapidi al di
là dei boschi, delle grotte e delle colline che li isolavano
dall’esterno, distruggendo le tracce del loro passaggio e
rendendo invisibili le strade che avevano percorso.
*
Mentre André scopriva la strada per arrivare alla Valle,
coloro che erano rimasti al Centro setacciavano la foresta alla ricerca
di Giovanni.
Lo trovarono privo di sensi lì dove
Sofia lo aveva lasciato. Il Fuoco che gli aveva scagliato contro lo
aveva bruciato, lasciandogli una profonda ferita sulla clavicola destra.
Arrivarono al Centro poco prima che iniziasse a
delirare. Dopo che l’ebbero medicato, gli altri tre Maestri
degli Elementi andarono a sincerarsi delle sue condizioni.
«Sta peggio di quanto
pensassi» disse Prudencia osservandone il volto cereo.
Ripensando alle leggere cicatrici che le erano rimaste dopo
l’attacco di Sofia, decise di essere stata fortunata:
evidentemente la ragazza avrebbe potuto colpirla molto più
duramente.
Jackson scoprì la ferita di Giovanni e
la esaminò. Poi, dopo averla coperta di nuovo con cura,
alzò uno sguardo cupo verso le due donne che si trovavano
lì con lui. «Questa ferita è troppo
profonda per essere stata inflitta da una semplice Figlia del Fuoco.
È a un livello superiore! Probabilmente al nostro stesso
livello. Sapevo che non dovevamo fidarci di lei!» concluse,
guardando torvo Tsukiko.
La bella orientale non si lasciò
turbare e preferì spostare l’attenzione su un
problema più pressante.
«Hanno portato via metà dei
ragazzi del Centro, e tra loro quasi tutti i più dotati.
Dobbiamo trovarli e riportarli indietro: se lui venisse a
sapere che ce li siamo fatti scappare, non ce lo perdonerebbe di
certo» disse freddamente.
«E di Sofia cosa ne faremo?»
chiese Prudencia con aria feroce. Sembrava impaziente di vendicarsi
dell’affronto subito.
Intervenne Jackson. «Cosa ne faremo di
Sofia… e di Blaze, André e Laurence. Chi credete
abbia portato via gli allievi?».
In quel momento, Giovanni prese ad agitarsi,
mormorando confusamente.
«Sta dicendo qualcosa»
osservò Prudencia, le sopracciglia aggrottate. «Ma
non capisco cosa… Tsukiko, che ne dici?».
«Non ne ho idea… la sua voce
è così flebile! Non riesco proprio a distinguere
le parole».
Jackson si limitò a stringere le
labbra. Lui aveva capito benissimo cosa stava mormorando Giovanni e
questo era fonte, per lui, di nuovi dubbi e nuovi sospetti.
«È meglio lasciarlo riposare
e fare altrettanto» si limitò a dire.
Se ne andarono lanciando un’ultima
occhiata all’uomo che, steso sul letto, continuava ad
agitarsi, seppure incosciente. Solo alcune ore dopo Giovanni si
calmò, cadendo in un sonno profondo, come se uno spirito
benevolo fosse apparso per portargli la tranquillità.
*
Alle prime luci dell’alba Blaze, Laurence e André
erano già in piedi. Mancava solo Sofia.
André sbucò da una macchia
d’alberi particolarmente fitta e guardò gli altri
due con aria preoccupata.
«Non l’ho trovata».
«Questo era evidente»
sbuffò Blaze. Detestava il modo in cui Sofia spariva, ma
ormai ci si erano tutti abituati. «Mi piacerebbe sapere dove
si è cacciata stavolta».
All’improvviso udirono un forte fruscio
e poi un rumore di passi.
«Dove accidenti eri andata?»
proruppe Blaze, vedendola sbucare da un boschetto poco lontano. Ansante
lei si fermò, leggermente piegata in avanti, con le mani
poggiate appena sopra le ginocchia nel tentativo di riprendere fiato
rapidamente.
«Dove potrei mai essere andata? A
correre, è ovvio! Dovresti farlo anche tu, forse
così riusciresti a mettere qualche muscolo su quelle ossa
sgangherate!» lo rimbrottò Sofia, ben sapendo che
punzecchiandolo avrebbe distolto la sua attenzione dal fatto che era
sparita.
Come previsto, Blaze le rivolse una smorfia e si
avviò verso la costruzione che torreggiava su di loro.
«Vado a prepararmi! Tra poco dovremo
svegliare i ragazzi!» urlò allontanandosi.
«Sarà meglio che vada con
lui, sarebbe capace di buttare giù qualche muro in questo
momento» disse Laurence. Nonostante il carattere di Blaze
– vivace fino allo sfinimento e spesso quasi irresponsabile
– fosse tanto diverso dal suo, tra i due si era stabilito un
legame profondo.
Sofia si lasciò cadere
sull’erba a braccia e gambe larghe. André sedette
accanto a lei con le gambe incrociate.
«Sofia…»
«Sì?»
«Non ci saresti dovuta andare».
Sofia aprì un solo occhio e lo
fissò con sguardo ingenuo.
«Perché? Vado a correre tutti
i giorni, spesso mi hai anche accompagnata… cosa
c’è di male ora?».
André la fissò di rimando,
sollevando un sopracciglio.
«Andare a correre va bene…
è correre fino al Centro per entrare di soppiatto e vedere
Giovanni che non mi sembra una buona idea!».
Sofia si tirò a sedere e lo
guardò.
«So bene che non mi hai seguita. Quindi,
come fai a dire con tanta sicurezza che è lì che
sono stata?» chiese con aria di sfida, fissando i begli occhi
blu del suo amico che in quel momento ricordavano il mare in tempesta.
André si stava arrabbiando, lo sapeva bene, così
come sapeva che le rare liti che scoppiavano tra di loro finivano
sempre piuttosto male.
«Ti conosco» rispose lui
semplicemente. «Giovanni ti ha cresciuta e avete sempre avuto
un legame molto più profondo di quello che passa tra un
maestro e la sua allieva. Abbiamo passato insieme gli ultimi nove anni,
Sofia, credevi davvero che non l’avessi notato?».
André sospirò. «Cerco solo di farti
capire che devi tagliare il filo che ti lega a lui. Non credo che ti
perdonerà quello che hai fatto!».
«Tu non hai la più pallida
idea di quello che gli ho fatto» ringhiò Sofia.
«Mi ha inseguita nel bosco, ieri».
«Cosa?». André era
sconvolto. «Per questo ci hai messo tanto ad arrivare e non
ti sei presentata al punto di raccolta! Ma come hai fatto a evitare che
ti seguisse fino a qui?».
Lei fece una strana smorfia. André la
guardò preoccupato.
«Ho dovuto usare più forza di
quanto non volessi. Adesso sa che sono al livello dei
Maestri…».
Andrè sentì la sua
esitazione. La spronò a continuare. «E…
cos’è successo?» chiese impaziente.
«Gli ho lasciato una ferita profonda
sulla clavicola… il Fuoco gli è arrivato fino
all’osso» disse lei abbassando lo sguardo.
André sgranò gli occhi. Lei proseguì.
«Tu non hai mai subito una lesione grave inflitta dagli
Elementi. Sappiamo che è sbagliato, tentare di uccidere
qualcuno utilizzandoli. È contro la loro natura. E quando ci
si serve di loro in questo modo… l’Elemento che
è nel ferito gli si rivolta contro».
«Scusa?». Lui non riusciva a
capire dove volesse arrivare. Sofia si spiegò meglio.
«Quando un Elemento si abbatte con tanta
forza su qualcuno… se la vittima è Portatore di
un Elemento… questo percepisce l’uso contro natura
dell’altro Elemento, che in quel momento sente come affine e
contemporaneamente come nemico, e cerca di scacciarlo in modo
aggressivo. Di solito si scatena una febbre violenta…
diversa a seconda dell’Elemento del ferito. Porta al
delirio» lei abbassò di nuovo gli occhi
«sapevo che la ferita che gli avevo inflitto era grave, non
mi sono controllata nel colpirlo e… volevo vedere se era
ancora vivo».
Guardò André. Stranamente,
lui sembrava essersi calmato.
«Hai corso un rischio simile solo per
controllare che fosse vivo?» chiese. Proprio non la capiva.
«Ti ha vista?».
«No. Delirava, come avevo
previsto… se anche mi avesse vista, non sarebbe riuscito a
distinguere la realtà dalle allucinazioni».
«Ma… dopo aver fatto tutta
quella strada, aver corso quel pericolo solo per vedere come
stava… te ne sei andata? Così?» le
domandò, non ancora convinto.
Sofia esitò un istante di troppo.
André scattò in piedi.
«Non ci credo… dimmi che non l’hai
fatto!» esclamò torvo.
Lei alzò il mento in segno di sfida.
«Tu non sai cosa sia quella febbre… per noi
Portatori del Fuoco è come ardere su un rogo! Dopo ore e
giorni che ti consuma senti di poter impazzire, speri di morire pur di
liberarti di quella sensazione!» gridò Sofia
furiosa, alzandosi in piedi a sua volta.
«Sì ma questo non
è un buon motivo per curarlo! Si accorgeranno che qualcuno
l’ha aiutato, potrebbero capire… seguire qualche
traccia che non hai cancellato!».
«Quindi oltre a immischiarti nella mia
vita, ora metti anche in dubbio le mie capacità?».
Sofia lo guardò con aria arrabbiata e offesa. «Mi
rincresce dovertelo rammentare, ma io
ho trovato questo posto, io
ho predisposto quasi tutto, qui, perché ci fosse ogni cosa
di cui potessimo aver bisogno, io
ho preparato i percorsi per arrivare qui in modo che solo tu, Blaze e
Laurence poteste trovare la strada! Non ho certo bisogno che sia tu a
insegnarmi come si coprono le tracce, o a ricordarmi di
farlo!».
«Ti rendi conto
dell’incoerenza di quello che hai fatto? Prima rischi di
ucciderlo per poter scappare, e poi lo curi! Hai aiutato quello che a
oggi è il nostro peggior nemico!».
«Perché, tu avresti lasciato
Prudencia in quelle condizioni?» contrattaccò
Sofia. La frecciata andò a segno: il volto di
André divenne paonazzo.
«Tra me e Prudencia non
c’è mai stato nulla!»
protestò agitato.
Sofia sogghignò. Sapeva che questo
l’avrebbe fatto infuriare ancora di più, ma non le
importava. Affondò il colpo. «Strano, ho visto le
attenzioni che ti rivolge… richiede sempre la tua
presenza… vuoi che continui?».
Laurence e Blaze, richiamati dalle urla,
arrivarono giusto in tempo per vedere André attaccare Sofia.
In preda alla rabbia, scagliò un
violento getto d’Acqua verso di lei che, evocato prontamente
un randello di Fuoco, lo rispedì indietro. Rapido,
André afferrò l’Acqua, mutandola in
ghiaccio e lanciandolo nuovamente verso Sofia, che lo bloccò
con uno scudo incandescente.
L’arrivo di Laurence impedì
loro di scambiarsi colpi più feroci: li spinse lontani
l’uno dall’altra grazie a un forte vento mentre
Blaze, furioso, gridava.
«Si può sapere cosa vi
è preso?» chiese ai due che, non potendosi
più colpire, si accontentavano di lanciarsi sguardi feroci.
«Perché invece non le chiedi
dov’era finita stamattina? Sono certo che troverai la
risposta molto interessante!» sbottò
André.
«Diglielo tu, così mi
risparmio la fatica di sentire un’altra predica!»
replicò Sofia. Si voltò e si avviò
verso la sommità della collinetta che sovrastava il punto in
cui si trovavano. «Vado a prendere i ragazzi. Questo
è un giorno fondamentale per lo sviluppo del loro
potere» concluse, rivolta a Laurence.
Una volta che si fu allontanata, Blaze si rivolse
ad André.
«Allora, dove si era cacciata
Sofia?».
L’espressione di André era
cupa.
«Non potete neanche
immaginarlo…».
Rapidamente raccontò loro quello che
gli aveva detto Sofia poco prima. Nessuno dei due ne fu sorpreso.
Dopo alcuni minuti di silenzio, André
riprese a parlare.
«Lo sapevate?» chiese.
«Lo sospettavamo» rispose
calmo Laurence. Scambiò uno sguardo con Blaze.
«Almeno, osservando Giovanni era evidente che per lui Sofi
non fosse solo un’allieva. Quanto a Sofia…
be’, immagino che dopo essere stata cresciuta da lui, sia
normale che ci sia un legame piuttosto forte» concluse.
«Credete che dovremmo tenerla
d’occhio? Magari impedire che vada di nuovo al
Centro…» disse Blaze, un po’ titubante.
André sembrava decisamente d’accordo. Laurence,
invece, espresse un parere diverso.
«Non dobbiamo intrometterci.
È in grado di prendere da sola le proprie decisioni, lei non
limiterebbe mai la nostra libertà. Farle una cosa del genere
sarebbe solo il primo passo sulla strada per diventare come Giovanni e
gli altri» esclamò deciso. André e
Blaze furono costretti a riconoscere che aveva ragione e a fare quello
che diceva.
Vedendo il sole alzarsi nel cielo, si fecero
strada nella fresca aria primaverile verso l’altro versante
della collina. Era arrivato il momento di lasciare che il potere degli
Elementi scorresse libero. |
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Capitolo 4 *** La Valle degli Elementi ***
Sentirono le voci prima
ancora di arrivare.
Quando finalmente giunsero in cima videro i
ragazzi che, seduti sul prato, ascoltavano attentamente Sofia.
«Sapete tutti per quale motivo siete
stati portati al Centro» disse, guardandoli a uno a uno.
«Sapete anche che metodi venivano usati per far sì
che il vostro Elemento emergesse. Questo perché essere in
grado di manipolare un Elemento apre molte possibilità per
manovrare anche le persone, dato che i quattro Elementi fondamentali
– Aria, Acqua, Terra e Fuoco – insieme danno vita
all’Energia che, come vi è stato insegnato,
è ciò che muove e costituisce tanto gli esseri
viventi quanto gli oggetti inanimati».
Si interruppe per soffermarsi con particolare
attenzione sugli allievi che si trovavano al Centro da meno tempo.
«Voi, che siete arrivati da poco, non
avete ancora capito quale sia effettivamente il vostro Elemento.
È essenziale che lo individuiate. Per far sì che
ciò accada, inizieremo oggi stesso con un programma
innovativo che sono certa darà ottimi risultati».
Sofia osservò divertita gli sguardi
poco convinti che le venivano rivolti: sapeva che stavano pensando al
peggio. Riprese a parlare.
«Per questo motivo, adesso ognuno di voi
riceverà del cibo da portare con sé».
Fu interrotta da un ragazzo.
«Perché, dobbiamo andare via?
Ieri ci avevano detto che saremmo rimasti qui!» disse
guardando André, Laurence e Blaze che si erano avvicinati a
Sofia.
Lei sorrise. «Non dobbiamo affatto
andare via. Quello che vi chiedo di fare oggi è di esplorare
questo posto. Ascoltate cosa vi suggerisce la Natura, vivetela, fatene
parte». Si rivolse al resto del gruppo.
«Vorrei che anche quelli di voi che sanno già
utilizzare il proprio Elemento riprendessero contatto con la Natura.
Questo aumenterà l’affinità tra
Elemento e Portatore» concluse allegra.
Tutti la guardarono sbigottiti.
«Quindi… ci stai dicendo che
dobbiamo andare in giro a divertirci e fare quello che
vogliamo?» chiese dubbioso lo stesso ragazzo che
l’aveva interrotta poco prima.
«Precisamente» fu la risposta.
«Ma…» il ragazzo
sembrava ancora scettico «che posto è
questo?».
«Ah! Ottima domanda. In effetti, nella
concitazione di ieri non vi è stato detto nulla. A
proposito, come ti chiami? Non eri nei miei gruppi» chiese
Sofia sempre più allegra… e già questo
era sufficiente a confonderli. Nessuno ricordava d’averla mai
vista sorridere.
«Fernando. Sono un’Apprendista
di secondo livello dell’Aria».
«Bene. Il posto in cui ci troviamo
è un luogo dove la Natura non è stata in alcun
modo intralciata dall’uomo e questo ha permesso agli Elementi
di manifestarsi liberamente in tutte le loro forme. A rischio di
risultare banali, l’abbiamo chiamato “Valle degli
Elementi”».
«E Giovanni sarebbe quello privo di
fantasia?». Ailie scoppiò a ridere tanto da finire
distesa sull’erba. «Certo che ne hai, di
coraggio!» concluse, guardando André.
Lui sembrò irritato. «Avevamo
altro a cui pensare, in caso non l’avessi intuito»
le fece notare.
Blaze gli tirò un pugno sul braccio.
«La ragazza ha colpito nel segno, devi accettarlo!»
disse, scoppiando a ridere come Ailie.
Sofia riprese la parola. «Avanti, basta
con le chiacchiere! Andate».
Lentamente, il folto gruppo davanti a lei
cominciò ad alzarsi e a dividersi in gruppi più
piccoli che si allontanavano in ogni direzione, parlottando fitto e
guardandosi attorno guardinghi.
Emma si avvicinò a Sofia.
«E io cosa faccio?».
Sofia la fissò senza capire.
«Vai con gli altri! Cos’altro
dovresti fare?»
«Ma io non comando nessun
Elemento!»
«Come fai a saperlo con
certezza?» le chiese insinuante Sofia. Emma sembrò
confusa.
«Ma… per due giorni non sono
riuscita a fare niente di quello che mi veniva chiesto» disse
sconfortata.
Sofia poggiò le mani sulle spalle della
ragazzina e la costrinse a guardarla negli occhi. «Emma,
cercherò di essere chiara. Ascoltami bene: Giovanni
potrà essere crudele, duro, insensibile… ma ha un
talento straordinario nel percepire gli Elementi latenti nelle persone.
Non mentiva, quando diceva di non essersi mai sbagliato. E anche in
questo caso, io non credo che si sia sbagliato: credo che non abbia
capito cosa aveva di fronte» disse seria. Poi si
fermò per un istante. Sapeva che le poche persone rimaste
intorno a lei – Laurence, Blaze, André e Ailie
– la stavano osservando. Non poteva far capire loro cosa
sospettava… almeno fino a quando non ne avesse avuto la
conferma. Prese fiato e proseguì. «Per questo
vorrei che andassi con gli altri. Non devi fare niente: solo ascoltare
quello che senti dentro di te. Sarà la Natura a farti
scoprire il tuo potere».
Non molto convinta, Emma si avvicinò a
Ailie che le faceva segno di andare. In quel momento furono raggiunte
da Elizabeth che era tornata indietro per chiamare le due ragazze.
«Siete ancora qui! Che
aspettate?» chiese impaziente, fermandosi bruscamente a pochi
centimetri da André che – notò Sofia
– trattenne il fiato. Guai
in vista, pensò.
«Stavamo per raggiungerti»
rispose Ailie, alzando un sopracciglio. Il tono autoritario e
l’atteggiamento egocentrico di Elizabeth la disturbavano, ma
decise di non darlo a vedere. Quella ragazza non la convinceva, il suo
istinto le diceva di stare attenta – e se avesse saputo che
Sofia condivideva le sue stesse preoccupazioni, probabilmente avrebbe
controllato Elizabeth ancora più attentamente.
Si avviarono verso la cima della collinetta di
fronte a quella dove si trovava l’edificio che, col passare
dei mesi, avrebbero iniziato a considerare una casa e scesero sul
versante opposto.
La scena che si presentò ai loro occhi
le lasciò senza fiato.
Una valle si stendeva sconfinata, interrotta da
dolci dune verde brillante e punteggiata da laghetti che brillavano
come diamanti alla luce del sole. Stavano ascoltando le risate dei loro
amici, sparsi un po’ ovunque, che venivano amplificate
dall’eco quando qualcosa passò così
vicino alle loro teste da spostarle i capelli.
Alzarono gli occhi al cielo. Tre Fenici
volteggiavano sopra di loro, le piume dorate del collo che brillavano
al sole e le lunghe code color del cielo che le accarezzavano.
Si scostarono con un balzo.
«Ma cosa…» dissero
in coro.
Poi Elizabeth riportò lo sguardo sul
laghetto più vicino.
«Io vado a farmi un tuffo!»
gridò iniziando a correre lungo il pendio. Giunta allo
specchio d’acqua, le altre due la videro tuffarsi ancora in
corsa e completamente vestita.
«Ma è impazzita?»
chiese sbigottita Emma a Ailie che, intanto, fremeva.
«Mi dispiace Emma non resisto
più… devo andare!».
«Andare? E dove?» sempre
più confusa, Emma guardò Ailie sfilarsi
rapidamente le scarpe e correre a piedi nudi sull’erba.
«Avanti Emma vieni anche tu!»
gridò lanciandosi a terra e rotolando vicino allo specchio
d’acqua in cui si era lanciata Elizabeth, che proprio in quel
momento riemerse… solo per afferrare Ailie per una caviglia
e trascinarla in acqua con lei.
Scuotendo la testa, Emma riprese a camminare,
osservando man mano gli altri gruppetti che incrociava. Sembravano
tutti esaltati.
Andando avanti scopriva sempre più
animali di tutte le specie, che sembravano andare d’accordo
tra loro e con gli umani contrariamente a tutto quello che aveva sempre
visto e che le era sempre stato insegnato: gatti che facevano le fusa
agli uccellini, orsi che si gettavano in acqua insieme alle persone,
pantere sdraiate placidamente al sole. Nessuno sembrava spaventato, si
comportavano tutti con estrema naturalezza. All’improvviso
sentì qualcosa di umido sfiorarle la mano. Balzò
indietro terrorizzata. Un grande lupo grigio stava strusciando il muso
contro la sua mano.
Laurence la fermò.
«Sta’ tranquilla…
non ti farà nulla» le disse sorridendo.
Emma allungò timidamente la mano verso
il lupo che corse subito da lei. Iniziò ad accarezzarlo con
gli occhi sgranati.
«Perché si fa
accarezzare?»
«Qui tutto vive in armonia…
la Natura, gli Elementi, gli animali e qualunque altra cosa ti venga in
mente!».
Sofia li superò di corsa. «Ho
dimenticato di dire ai ragazzi di non infastidire le Coccatrici e i
Kappa!» gridò senza fermarsi.
Emma guardò Laurence.
«Coccatrici? Kappa? Ma che
sono?»
«Sono entrambi animali
leggendari… ce ne sono molti qui. Se guardi verso quel
cespuglio» disse, indicando un punto qualche metro alla loro
destra «vedrai una Coccatrice…».
Proprio in quel momento un buffo animale
sbucò dal cespuglio indicato da Laurence. Grande quanto un
gallo, di quest’animale aveva la testa, le zampe e le ali
piumate, mentre il corpo era simile a quello di un serpente, verde
scuro, liscio e completo di coda.
Emma scoppiò a ridere.
«Come ha detto Sofia, mai infastidire
una Coccatrice. Nonostante l’aspetto ha un becco capace di
spaccare a metà la pietra, artigli affilati e sguardo e
fiato possono uccidere, se si sente minacciata o arrabbiata. In linea
generale, però, sono docili e non aggressive, come i Kappa.
Quelli sono più difficili da vedere, di solito stanno
nascosti sul fondo dei laghi… ne escono di tanto in tanto
per fare qualche dispetto a chi nuota. Ecco, guarda
lì» indicò un laghetto poco lontano,
dove i ragazzi di tanto in tanto venivano trascinati
sott’acqua da qualcosa per qualche secondo e poi riemergevano
ridendo.
«Che altri animali ci sono
qui?» chiese Emma mentre camminavano, con aria affascinata.
«Be’ le Fenici le hai
viste… ci sono Grifoni, varie specie di Draghi, Salamandre
del Fuoco… ah guarda, laggiù
c’è un Wakinyan: lo chiamano anche Uccello del
Tuono, perché col movimento delle ali può
generare dei venti fortissimi». Seguendo lo sguardo di
Laurence, Emma vide un rapace di proporzioni immense che, battendo le
ali, creava una corrente d’aria contro cui cercavano di
andare alcuni ragazzi. Una di loro, ridendo, fu scagliata indietro di
qualche metro e cadde a terra.
«Poi… mhhh… ci
sono anche Kelpie e Manticore» disse Laurence pensieroso.
«Col passare dei giorni li vedrai tutti. Adesso ti
lascio» aggiunse, vedendo Fernando avvicinarsi a loro.
Emma guardò bene il ragazzo: di media
altezza, col fisico asciutto, i capelli castano scuro e gli occhi neri,
perfettamente intonati alla pelle chiara, si rivolse subito a lei con
un sorriso sul volto.
«Allora, che te ne pare di questo
posto?». Sembrava entusiasta.
«È incredibile…
ogni minuto che passa si scopre qualcosa di nuovo!».
Fernando sorrise. «Parlami un
po’ di te. Dove vivevi?».
«In Danimarca». Ricordare il
posto a cui era stata strappata le faceva male – in fondo
erano passati solo due giorni da quando aveva visto per
l’ultima volta i suoi genitori salutarla mentre usciva.
Fernando sembrò capire cosa provava. La
prese per mano, cercando di trasmetterle la propria forza: il distacco
iniziale era il più doloroso, c’era passato ognuno
di loro.
«Pensa un po’, non
l’avrei mai detto. Credevo che le ragazze del Nord Europa
fossero tutte bionde e con gli occhi azzurri» la prese in
giro.
Sul volto di Emma spuntò un piccolo
sorriso.
«Io invece vengo dalla Spagna. Caldo,
mare, tanto sole… praticamente
l’opposto!» proseguì.
«Da quanto tempo sei qui?» gli
chiese lei. Da quando era lì, Fernando era la prima persona
che le parlava di cose che potesse comprendere e questo la rendeva
felice.
«Io? Sono sei anni
ormai…» rispose, cercando di mascherare
l’amarezza. Voleva rassicurarla, dirle che col tempo non
avrebbe più sentito la lontananza, la nostalgia verso il
mondo che aveva perso, ma non ci riusciva.
Emma strinse la mano che era ancora intrecciata
alla sua con una naturalezza che la lasciò sbalordita.
Decise di cambiare discorso.
«Prima hai detto che sei
un’Apprendista di secondo livello dell’Aria. Che
significa?».
«Come sai, qui ognuno di noi padroneggia
uno dei quattro Elementi fondamentali: Acqua, Aria, Terra e Fuoco. I
primi Portatori di Elementi però vennero scoperti
già molti secoli fa e per questo furono scritte numerose
memorie tramandate poi di generazione in generazione.
L’abilità con cui si evocano e manipolano gli
Elementi progredisce con gli anni e l’esercizio: per questo,
nel Quindicesimo Secolo, un potente Maestro degli Elementi
elaborò una classificazione dei Portatori a seconda del
grado di manipolazioni degli Elementi raggiunto».
Fernando s’interruppe. Emma lo
guardò impaziente. «Non fermarti proprio ora che
sto iniziando a capirci qualcosa!».
Lui sorrise e proseguì. «I
Portatori di Elementi si dividono in Apprendisti di primo, secondo e
terzo livello. Dopo gli Apprendisti ci sono i Figli degli Elementi e
per ultimi i Maestri»
«E come si capisce quando un Portatore
passa da un livello all’altro?»
«Non è complicato…
lo scritto di cui ti ho parlato è molto chiaro in proposito.
Sono Apprendisti di primo livello coloro che stanno imparando a evocare
il proprio Elemento nella sua forma base e con
un’intensità media. Quando riescono in questo,
passano al secondo livello, in cui ti insegnano a manipolare
l’Elemento sempre a un’intensità media,
ma nelle varie forme che può prendere. Pensa
all’Acqua: un Apprendista di secondo livello impara a mutarla
in ghiaccio, vapore, nuvole, eccetera. Quando si passa al terzo
livello, invece, si continua a fare quello che si faceva al secondo
livello ma evocando l’Elemento con
un’intensità molto maggiore».
Emma sembrava avere un milione di domande da fare.
«I Figli e i Maestri degli Elementi cosa fanno in
più rispetto agli Apprendisti?».
«Be’, devi capire che gli
Apprendisti possono evocare gli Elementi solo in quantità
minima – che so, una sfera di fuoco, una pioggia localizzata,
cose del genere. I Figli degli Elementi, invece, imparano a evocarli e
manipolarli in modo molto più esteso. Un Figlio
dell’Aria, ad esempio, può scatenare anche delle
trombe d’aria, seppure non molto potenti. Fino a questo
livello, chi evoca gli Elementi non riesce a utilizzarli con la forza
necessaria per renderli veramente dannosi o letali. In questo riescono
solo i Maestri».
«Quindi i Maestri possono uccidere, e
gli altri no».
«Non è esatto» la
corresse Fernando. «Anche Apprendisti e Figli degli Elementi
possono uccidere, a patto di scagliare molti colpi e tutti ben mirati.
Ai Maestri, invece, può bastare anche un solo colpo.
Inoltre, meglio si padroneggia un Elemento, più si sviluppa
la resistenza ai danni fisici. Capisci da sola che i Maestri hanno un
doppio vantaggio».
«Come mai dopo sei anni sei ancora un
Apprendista di secondo livello?». Appena lo disse, Emma si
morse la lingua. Non voleva offendere Fernando, era stato gentile e
comprensivo con lei e la stava aiutando a capire in che mondo era
capitata.
Lui però sembrò non farci
caso. Le sorrise rassicurante. «L’apprendistato di
secondo livello è uno dei livelli d’addestramento
più lunghi in assoluto perché un Elemento, per
manifestarsi in forme diverse da quella base, spesso ha bisogno
dell’apporto anche minimo di un altro Elemento. Pensa alla
nebbia…».
«Gocce d’acqua in sospensione
nell’aria» disse Emma annuendo.
«Esatto. Quindi bisogna imparare a
manipolare anche gli altri Elementi».
Lei sembrava perplessa. «Se vi insegnano
a manipolare tutti gli Elementi… perché vi
dividono in Portatori di Acqua, Fuoco, Terra e Aria?».
«Perché la manipolazione
sugli altri Elementi è sempre minima, funzionale alla
manipolazione dell’Elemento principale. Un Portatore della
Terra non avrà mai con gli altri tre Elementi
l’affinità che ha con la prima»
spiegò Fernando paziente.
Emma era ammirata. «Come fai a sapere
tutte queste cose?».
«Ce le insegnano per imparare a capire
meglio gli Elementi e sviluppare l’affinità con
loro. Le imparerai anche tu, vedrai».
Camminando si erano allontanati parecchio. Se ne
accorsero solo in quel momento, notando la pianura apparentemente senza
fine in cui si trovavano.
A spezzare la linea piatta di quel posto
c’era solo un grande, solitario ippocastano; i due ragazzi
intravidero un movimento accanto al tronco massiccio e Fernando
trascinò indietro Emma.
«È meglio andare
via» le disse, spingendola rapidamente nella direzione da cui
erano arrivati e controllando che nessuno li seguisse.
*
Ailie uscì dal laghetto.
«Ma come fai a stare ancora
lì dentro?» chiese stringendo le labbra ormai
viola. Elizabeth le rivolse un ghigno.
«A me non fa nessun effetto!».
Scuotendo i rossi capelli zuppi d’acqua,
la prima si guardò intorno.
«Ci siamo dimenticate di Emma! Dove
sarà finita?»
Ancora in acqua, Elizabeth sbuffò.
«Che importa? E poi non sei mica sua madre!»
Non riuscendo a trattenersi, Ailie la
guardò con astio.
«Conosce solo noi due, qui. E poi non
sai cos’ha passato quella poverina per colpa di
Giovanni!».
Improvvisamente interessata, Elizabeth riemerse
dallo specchio d’acqua.
«Giovanni? Il Maestro del Fuoco, vero?
Ma se è così gentile! ».
Incredula, Ailie la fissò strabuzzando
gli occhi.
«Giovanni… gentile?».
Non poteva credere alle proprie orecchie. Tutti lo conoscevano come un
uomo crudele e insensibile.
«Sì, con me lo è
stato! E poi è così bello…».
Elizabeth sospirò.
L’altra la guardò
socchiudendo gli occhi. Poi, come se avesse intuito qualcosa di ovvio,
ritrovò le parole. «Ho capito! Mi stai prendendo
in giro… divertente, davvero molto divertente!».
Questa volta fu il turno di Elizabeth di guardarla
con aria sconcertata.
«Non sto affatto scherzando!».
Ailie la osservò con un misto di
incredulità e sospetto.
«Io non sono qui da molto più
tempo di te, però ho avuto modo di parlare con un
po’ di persone. Tutti, specialmente gli Apprendisti del
Fuoco, sono d’accordo nel considerare Giovanni senza
pietà. Lui cerca persone che sappiano comandare gli Elementi
e non si fa problemi a usare i metodi più violenti per
costringere il loro potere a manifestarsi. Puoi chiedere a chiunque, ti
diranno questo. Quindi permettimi di dirti che no, Giovanni di certo
non è né buono né gentile!».
Ma Elizabeth non l’ascoltava
più. Alcuni metri alla loro destra, infatti, aveva notato
Blaze e André che andavano a fare un giro di controllo.
Così lasciò Ailie dove si trovava e corse verso
di loro.
*
«Guarda un po’… la biondina di
stamattina viene verso di noi» disse Blaze malizioso.
Il volto di André divenne purpureo.
«Ma che stai dicendo, avrà
visto qualcun altro…» farfugliò.
«Oh andiamo… ammettilo che ti
piace!» rispose l’altro tirandogli una gomitata.
Elizabeth si fermò di scatto a pochi
centimetri da loro.
«Ciao!» disse, piantando i
propri occhi in quelli di André e rivolgendogli un gran
sorriso.
«Ciao» rispose Blaze,
osservando il suo amico e trattenendo un ghigno. «Il mio
amico è davvero contento di vederti sai? Adesso
però io devo proprio andare, devo fare un giro di controllo
per assicurarmi che stiano tutti bene… ci vediamo
dopo!» concluse, facendo l’occhiolino ad
André ed allontanandosi velocemente.
«Non fare caso a Blaze, gli piace
prendere in giro tutti» disse André, cercando di
superare l’imbarazzo che gli provocava l’avere
Elizabeth così vicina.
Lei mise il broncio.
«Quindi non sei contento di vedermi!
Sarà meglio che me ne vada…» disse,
avviandosi nella direzione da cui era arrivata. Lui la
bloccò.
«Ma no, non mi sono spiegato…
mi fa piacere che tu sia qui» arrossì
violentemente «ma non devi credere a tutto quello che dice
Blaze, era questo che intendevo dire». Dopo qualche istante
di silenzio imbarazzato, André decise di cambiare discorso.
«Ho visto che sei un’Apprendista
dell’Acqua… eri appena arrivata al Centro,
vero?».
Fingendosi ancora imbronciata, Elizabeth rispose
affermativamente.
«Be’, pensavo…
magari potrei insegnarti qualcosa da subito, prima che inizi
l’addestramento per tutti gli altri…»
disse lui, sperando che rispondesse di sì. Voleva a tutti i
costi passare del tempo con lei.
Elizabeth finse di pensarci su. «Va
bene… quando iniziamo?» chiese infine,
rivolgendogli un altro sorriso. Era esattamente quello che aveva
sperato. Quel mattino si era svegliata molto prima degli altri e, come
Blaze e Laurence, aveva assistito allo scontro tra André e
Sofia. Istintivamente aveva percepito l’abilità di
lui e deciso che l’avrebbe persuaso a essere il suo
insegnante… ma non si aspettava che sarebbe stato tanto
facile.
Alla sua risposta, anche André sorrise.
«Direi immediatamente. Perché perdere
tempo?» disse.
«Giusto. A proposito…
chiamami Liz» disse avviandosi con lui verso una collinetta.
*
Sofia accarezzò la corteccia ruvida dell’albero
con affetto.
Si diceva che nel mondo non ci fossero due cose
perfettamente identiche, ma per quell’albero valeva una
regola diversa: era il gemello dell’ippocastano che si
trovava nel parco del Centro. Uniti dallo stesso Spirito della Terra,
condividevano ogni cosa ed erano uguali fino all’ultima
foglia, fino alla cicatrice che Sofia aveva lasciato sul tronco del
secondo scappando dall’uomo che l’aveva cresciuta.
Quando l’ossessione di Giovanni
l’aveva portato a dimenticare la loro tradizione, lei aveva
continuato ad andare sotto quell’albero ogni giorno della sua
vita che aveva passato al Centro. Era stato così che aveva
scoperto che il contatto con la Natura accentuava e favoriva la
capacità di utilizzare gli Elementi. Avere la
possibilità di sdraiarsi ancora sotto le foglie amiche la
rendeva felice e quell’ippocastano era spuntato in un luogo
abbastanza isolato da non essere disturbata – molto lontano
dalla zona abitata della Valle, al centro di una pianura piatta e vuota
dove nessuno avrebbe avuto la pazienza di arrivare.
Sfiorò la bruciatura sul tronco
dell’albero mentre i raggi del sole morente incendiavano le
foglie e circondavano il fusto imponente con un’intensa
aureola luminosa. Rivolgendogli un ultimo sguardo, staccò le
dita dalla corteccia e si allontanò, tornando ai propri
compiti.
Camminava veloce, cercando di svuotare la mente da
tutti i dubbi che la notte precedente le avevano impedito di dormire,
quando li sentì. André ed Elizabeth, in una
piccola radura ben nascosta dagli alberi e dalle dune, parlavano. Lui,
tenendo saldamente la mano di Elizabeth nella propria, le fece
distendere il braccio in avanti, insegnandole a evocare il proprio
Elemento. Un piccolo getto d’Acqua scaturì dalla
mano della ragazza, muovendosi fluido nell’aria come un
serpente luminoso che avvolgeva e distendeva le proprie spire.
Sofia si concentrò sui loro volti.
Anche da dove si trovava poteva vedere chiaramente gli occhi di
André brillare in modo quasi innaturale, rendendo evidente
il desiderio che provava per la ragazza che con una scusa teneva
stretta a sé e che sembrava, invece, del tutto
disinteressata alla persona che le stava accanto. L’Acqua che
aveva evocato assorbiva tutta la sua mente, ne seguiva i movimenti con
uno sguardo che era soddisfatto solo per metà. Troppo presa
da quello che stava imparando, cullata dall’apparente assenza
di altre persone, Elizabeth non riusciva a soffocare la brama di un
maggior potere che aveva provato dal momento in cui Giovanni
l’aveva elogiata per il suo talento.
Decidendo di aver visto abbastanza, Sofia si
allontanò silenziosa, iniziando a correre solo quando fu
certa che non avrebbero potuto sentire i suoi passi e chiedendosi
quante altre preoccupazioni la sua mente avrebbe potuto sopportare.
*
I giorni e le notti si susseguirono e, prima che potessero rendersene
conto, due settimane erano trascorse da quando erano arrivati alla
Valle degli Elementi.
Il contatto prolungato con la Natura aveva
accelerato i tempi di apprendimento dei Portatori.
Gli Apprendisti di primo livello, anche i meno
esperti, evocavano già il proprio Elemento con una
padronanza inaspettata, tanto che furono subito uniti agli Apprendisti
di secondo livello che si addestravano da meno tempo.
Ormai la maggior parte dei ragazzi era pronto a
passare al terzo livello dell’apprendistato o a quello
destinato a formare i Figli degli Elementi; per questo
André, Blaze, Laurence e Sofia decisero di iniziare
nuovamente le lezioni e gli addestramenti a pieno ritmo.
«Proprio non capisco perché
dobbiamo studiare tutte queste cose. Io odio la matematica! E conoscere
tutte queste lingue a cosa dovrebbe servirci?» si
lagnò Ailie al termine del primo giorno di lezioni. Tra
tutte le cose che si era aspettata, l’ultima era
l’idea di ricominciare la scuola.
Uno dei Figli del Fuoco anziani, Costa, le si
affiancò.
«Cosa vorresti fare della tua vita? Hai
intenzione di restare qui per sempre?».
«Perché, quali alternative
ho?» disse Ailie sbuffando.
L’uomo la guardò
intensamente. «L’addestramento dura molti anni,
è vero, ma una volta terminato assumete dei normali
incarichi nel mondo, vi costruite una famiglia… non siete
obbligati a restare qui per sempre. Non lo siete neanche ora».
Un moto di stupore accolse le sue parole.
«È un fatto,
però» proseguì Costa «che se
andate via da qui, ora, con ogni probabilità verrete
nuovamente portati al Centro. Per questo dovreste restare e imparare a
controllare il vostro potere. Perché quando il vostro
periodo di apprendimento sarà terminato, nessuno
potrà più piegarvi al proprio volere. Allora,
solo allora, sarete veramente liberi».
La vista della porta della mensa distrasse il
gruppetto che lo ascoltava, e la conversazione si interruppe. Seduti ai
tavoli i ragazzi chiacchieravano e ridevano, raccontandosi come avevano
passato la giornata. Alcuni, più irrequieti, tentavano di
modificare ciò che avevano nei piatti e nei bicchieri,
spesso con conseguenze disastrose.
«Che accidenti combini?»
«Vuoi stare attenta?»
«Non ne posso più!».
Le urla provenivano da uno dei tavoli centrali,
dove un’Apprendista dell’Acqua aveva appena fatto
schizzare ovunque quello che aveva nel bicchiere nel tentativo di
mutare l’acqua in nebbia. Dai tavoli vicini si
levò un coro di risate, che si spense rapidamente quando un
Apprendista del Fuoco incendiò una panca.
Scuotendo la testa, Sofia fece un gesto come a
raccogliere qualcosa in aria e strinse il pugno: il piccolo incendio
svanì immediatamente, lasciandosi dietro solo qualche voluta
di fumo grigiastro e dei segni neri sulla panca.
L’autore del danno guardò
Sofia. «Non ho saputo resistere!» disse a
mo’ di scusa.
Lei scosse di nuovo la testa. «Quante
volte dovrò dirti di non fare esperimenti in mezzo agli
altri? Prima o poi ci farai saltare tutti per aria, Marcos!».
Il ragazzo sorrise con aria colpevole e
tornò alla propria cena.
Sofia sedette di nuovo al proprio posto. Senza
neanche darle il tempo di respirare, André partì
all’attacco.
«I tuoi Apprendisti sono irrequieti.
Devi imparare a tenerli sotto controllo, oppure li dovremo dividere
dagli altri!».
Dalla prima mattina che avevano passato alla Valle
– da quell’ultima lite, da quell’ultimo
scontro – non si erano più rivolti la parola, a
meno che non fosse indispensabile.
Tutti gli occupanti del tavolo si voltarono a
guardarlo. Solo Sofia, impassibile, lo ignorò.
Lui insisté. «Allora? Devo
interpretare questo tuo silenzio come un assenso?».
Finalmente, gli occhi ambrati di Sofia si posarono
su di lui. «Invece di pensare ai miei allievi, dovresti
pensare ai tuoi… anche se a una di loro pensi fin
troppo».
Come aveva previsto, André
cambiò colore. Sofia sapeva che nessuno era a conoscenza
della storia che era nata tra lui ed Elizabeth, e se provocata non
esitava a colpire i punti deboli degli avversari… neanche
quando erano suoi amici.
Dopo averle rivolto uno sguardo truce e aver
lanciato la forchetta sul tavolo, André si
allontanò.
Costa scosse la testa.
«E poi dicono che sono i Portatori del
Fuoco, quelli suscettibili».
Blaze si abbandonò sullo schienale
della sedia e lo guardò.
«Be’, Sofi ha un talento
naturale per scoprire i segreti degli altri e trasformarli in armi
potenzialmente devastanti, lo sai anche tu. Chiunque al posto di
André si sarebbe arrabbiato. A proposito»
proseguì, cercando Sofia con lo sguardo «chi
è la fortunata cui alludevi? ».
«Prova a indovinare» rispose
lei distrattamente. Blaze ridacchiò.
«A occhio e croce, direi che si tratta
di quella bella biondina che ha puntato da quando siamo
arrivati… quella che sta sempre con Ailie e con la tua
protetta, come accidenti si chiama… ah sì,
Elizabeth».
«Emma non è la mia protetta.
Cerco solo di non farle pesare il fatto che non ha ancora capito quale
sia il suo Elemento» precisò lei.
«Comunque sì, hai indovinato. È proprio
di Elizabeth che parlavo… non che fosse difficile capirlo.
André le sta sempre incollato addosso»
«Quanto sei noiosa… lascia
che si divertano!»
«Mhhh»
«E adesso questo
“mhhh” cosa significherebbe?»
«Significa “lasciami mangiare
in pace”, Blaze. Credi di poterci riuscire?»
sbuffò Sofia, cercando di cambiare discorso.
«No, non posso farcela. Certo, se tu mi
dicessi cosa stavi realmente pensando… magari potrei fare
uno sforzo» la provocò lui. Sofia alzò
gli occhi al cielo.
«Come va l’addestramento di
Ailie?».
«Meravigliosamente. Non posso credere
che l’avessero classificata come una Portatrice
dell’Acqua, ha un’affinità fin troppo
evidente con la Terra… sai che riesce già a farla
mutare in tutte le sue forme, compresi i metalli allo stato
liquido?» rispose lui, infervorandosi. Il talento di Ailie
era davvero molto sviluppato – come quello di tutti i giovani
Portatori che erano stati condotti al Centro negli ultimi tre mesi.
Stavano affrontando di già il secondo livello
dell’apprendistato, e con una rapidità
impressionante, confermando quello che Sofia prima e gli altri Figli
degli Elementi poi avevano sospettato: Giovanni, Prudencia, Jackson e
Tsukiko, evidentemente, comprimevano il potere dei più
dotati in modo da essere certi di mantenere la supremazia su tutti loro.
«Questi nuovi Apprendisti hanno davvero
delle capacità impressionanti. Cosa credete sia cambiato,
dai nostri tempi?» chiese Costa.
Fu Laurence a rispondergli.
«È cambiato l’ambiente, Costa. Qui sono
liberi di esprimere il loro potere, come lo sono stati alcuni di noi
prima che la funzione del Centro degenerasse».
Incontrò lo sguardo di Sofia. Di tutte
le persone che avevano visto nascere il Centro e che vi erano state
addestrate quando la principale funzione di quel posto era formare
Portatori di Elementi di massimo livello erano rimasti solo loro due e
André. Tutti i loro compagni – pochi, in
verità – erano stati spediti in ogni angolo del
mondo per occupare posti strategici e individuare altri Portatori.
Negli ultimi sei anni gli arrivi erano stati sempre più
frequenti… cioè da quando i quattro Maestri
avevano impostato una diversa linea di comportamento. Non si occupavano
più di insegnare ai Portatori a utilizzare il proprio
Elemento al meglio, ma erano impegnati nella ricerca di qualcosa.
Nessuno sapeva cosa… tranne Sofia.
«Non riesco a capire. A me sembra che
non sia mai cambiato nulla, da quando mi sono unito a voi».
Costa era arrivato al Centro dalla Grecia cinque
anni prima, durante l’apprendistato di terzo livello. Circa
un anno prima del suo arrivo, Giovanni aveva deciso di potenziare la
struttura e si era rivolto ai Maestri all’esterno
perché gli segnalassero gli Apprendisti di terzo livello di
maggior talento: per questo, Costa non riusciva a immaginare che il
Centro fosse mai stato un luogo diverso da quello che aveva visto con i
propri occhi.
Sofia si schiarì la voce.
«Quando sei arrivato, cinque anni
fa» esordì «stavano potenziando il
programma di addestramento. Formare quanti più Portatori
possibile senza sviluppare il loro completamente il loro potere. Lo
aveva deciso Giovanni un anno e mezzo prima. Gli ci sono voluti alcuni
mesi per convincere anche Jackson, Prudencia e Tsukiko ma alla fine ce
l’ha fatta e ha cominciato a cercare Apprendisti di terzo
livello per aumentare l’organico tanto di insegnanti quanto
di sorveglianti. Fino a quel momento il Centro era stato un luogo di
addestramento sì, ma nei limiti del ragionevole. Portavano
via i ragazzi, quando erano troppo giovani e ancora affidati alle
proprie famiglie, con qualche scusa, e si impegnavano per far
sì che sviluppassero al massimo il loro
potenziale».
«E perché Giovanni ha messo
in atto un cambiamento tanto radicale?» chiese Costa. Era
più che stupito da quello che stava apprendendo.
Sofia esitò. «Non saprei
dirlo» mentì.
Costa la guardò con aria scettica.
«Avanti Sofia, sappiamo tutti che tra te e Giovanni
c’era… come dire… una certa
intimità».
«Non quella che pensi tu».
Guardò il quarantenne greco con le sopracciglia aggrottate.
«Mi ha cresciuta come una figlia, è vero. Negli
ultimi sei anni, però, è cambiato. Non si confida
più con me… quindi non ti so dire il
perché di questa sua scelta». Sofia concluse con
la stessa aria indifferente che aveva mantenuto durante tutto il
discorso. Dentro, però, non si sentiva sicura. Sperava e
pregava che Costa e gli altri Figli degli Elementi si decidessero a
crederle perché non sapeva di chi fidarsi, perché
il tipo di potere che Giovanni cercava era tanto grande da poter
spingere qualcuno di loro a tradirli tutti.
Laurence intervenne, traendola
d’impaccio.
«Siamo rimasti solo noi, qui. Sarebbe
meglio andare a riposare».
Notando che la mensa era deserta, tutti si
alzarono.
«Be’, buonanotte… e
non dar retta a Costa, voleva solo punzecchiarti un
po’» disse Viola, una Figlia dell’Aria, a
Sofia.
Lei annuì e, notando un cenno di
Laurence, seguì lui e Blaze nel parco. Camminarono a lungo,
in perfetto silenzio… poi, Laurence si decise a
chiederglielo.
«Capisco se non puoi o vuoi dircelo,
Sofia» iniziò, titubante, voltandosi verso di lei
«ma da quando il Centro ha cambiato linea di comportamento
anch’io ho notato che Giovanni sembra alla disperata ricerca
di qualcosa. So quello che hai appena detto a Costa»
proseguì rapidamente, vedendo che lei apriva la bocca per
replicare «ma ti conosco da abbastanza tempo da sapere quando
menti. E quella che hai appena rifilato agli altri era una balla
colossale».
Sofia lo guardò indecisa, ma fu solo un
istante. Se c’era una persona di cui si fidava, quella era
Laurence. Si erano sostenuti a vicenda negli anni difficili che avevano
trascorso insieme – lui l’aveva protetta e, quando
lei era cresciuta abbastanza da capire il dolore che lo tormentava, era
diventata sua amica e confidente.
Guardò entrambi gli uomini che aveva di
fronte – il giovane americano dai capelli scuri e il
trentottenne dal cuore candido quanto nera era la sua pelle.
Prese fiato. Quello che stava per dire la
tormentava da sei anni, da quando, con una domanda, aveva scatenato
– seppure involontariamente –
l’ossessione di Giovanni.
«Sei anni fa, tornata dal
Brasile» iniziò «portai a Giovanni un
antico manoscritto del XV secolo che avevo trovato per caso. Parlava
del rapporto con la Natura e dedicava un brano molto particolare ai
Portatori».
«Non capisco cosa ci sia di strano.
Abbiamo centinaia di antichi manoscritti che citano i Portatori di
Elementi» la interruppe Blaze.
Sofia proseguì. «Una cosa
strana in effetti c’era. Quel manoscritto individuava cinque
tipi di Portatori». Laurence e Blaze la guardarono con aria
confusa.
« Cinque?
Ma gli Elementi sono solo quattro!» esclamò Blaze,
sostenuto dallo sguardo di Laurence che però, un istante
dopo, spalancò gli occhi. Aveva capito cosa stava dicendo
Sofia.
«Vorresti dire… quel
manoscritto parla dei Portatori
di Energia?» ruggì incredulo.
Era una storia che esisteva da tempo immemorabile
– come alcune altre storie sui Portatori di Elementi. E
nessuna di esse era mai stata considerata qualcosa di più di
una leggenda metropolitana.
Sofia annuì. «Chiesi a
Giovanni se fosse possibile. Non seppe rispondermi, e così
iniziammo a rileggere tutti i testi che avevamo, cercando allusioni
particolari o indicazioni che potessero riguardare i Portatori di
Energia. In questo modo, molti punti che avevamo sempre considerato
oscuri si sono chiariti. Ricorderete poi che da quel giorno abbiamo
intrapreso entrambi molti viaggi, perlopiù
separatamente» proseguì. «Siamo andati a
cercare altri manoscritti e a interrogare persone nei piccoli villaggi,
soprattutto in Giappone e in alcune zone dell’Africa, dove la
memoria tramandata oralmente era ancora viva. E abbiamo ottenuto
riscontri positivi. I Portatori di Energia esistono… o
almeno, esistevano fino a un paio di secoli fa».
«Come, fino a un paio di secoli
fa?» chiese Blaze con voce strozzata.
«L’ultima testimonianza
dell’esistenza di un Portatore d’Energia risale al
1802, l’anno in cui morì»
spiegò Sofia. «Da quel giorno, non ne sono nati
altri… o almeno, non ce ne è giunta
traccia».
«È strano…
possibile che ci siano così tanti Portatori di Elementi, e
nessun Portatore d’Energia da duecento anni a questa
parte?» rifletté Laurence a voce alta.
«Lo è» rispose
Sofia. «Dai documenti che abbiamo esaminato – e ti
assicuro che sono parecchi – risulta chiaramente che i
Portatori d’Energia sono molto rari. Spesso, inoltre, sono
stati uccisi o in qualche modo resi inoffensivi prima che le loro
capacità si sviluppassero completamente».
«Ma perché fare una cosa del
genere?» chiese Laurence e Blaze in coro.
«Pare che non riuscissero a sostenere un
tale potere. A volte il loro fisico veniva rapidamente consumato,
probabilmente perché non riuscivano a gestire
l’Energia. In alcun casi, invece, il problema era
più che altro… diciamo morale. La brama di potere
sugli altri Portatori li spingeva a compiere violenze inimmaginabili.
Ho letto cose, in proposito, che vi farebbero drizzare i capelli in
testa» concluse con una smorfia disgustata.
«E così, ora Giovanni sta
cercando un Portatore di Energia» disse Laurence.
«Spera di trovarne uno e imbrigliarne il potere? Ma a che
scopo?».
«Non ne ho idea, Laurence»
rispose Sofia, e stavolta era sincera. «La sua ossessione
è trovarne uno. Cosa ne farà, una volta
trovato… non so dirlo. Temo quello che potrebbe accadere. Ho
l’impressione che questa ricerca lo stia divorando dentro e
gli stia facendo perdere il controllo».
I tre si guardarono in silenzio.
«Credi… possiamo riferire ad
André quello che ci hai appena detto?» le chiese
Blaze, incerto.
Sofia sembrò perplessa. «Io e
André abbiamo litigato, è vero, ma ho sempre
piena fiducia in lui. Non dovresti neanche chiedermelo,
Blaze».
Blaze tirò un sospiro di sollievo. Lo
scontro tra André e Sofia durava ormai molto a
più a lungo di quanto non fosse mai accaduto, e iniziava a
temere che tra i due la rottura fosse definitiva.
Una falce di luna era ormai alta nel cielo e li
osservava, apparentemente indifferente, da lassù.
«Sarà meglio
andare» disse infine Sofia, dirigendosi con gli altri due
verso la strada del ritorno. |
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Capitolo 5 *** Una caccia infruttuosa e una ricerca riuscita ***
«Non ne potevo più di stare sdraiato in quel
letto!».
Jackson sbuffò.
«Basta, Giovanni! È la quarta
volta che lo ripeti!».
Dopo un mese di convalescenza, finalmente Giovanni
era perfettamente guarito ed era tornato alle sue abituali
attività.
«Piuttosto, chiediti come hai fatto a
riprenderti tanto in fretta!» esclamò
l’americano.
Il giorno dopo la fuga di massa dal Centro,
infatti, notando che le condizioni di Giovanni erano migliorate in modo
repentino, Jackson aveva esaminato nuovamente la ferita. Quello che
aveva visto l’aveva lasciato incredulo. Uno strato di pelle
si era già formato sulla ferita a coprire la carne viva e la
febbre che lo divorava era cessata. Sapeva bene che una lesione del
genere non poteva guarire tanto in fretta senza un aiuto
esterno… e lì non c’era nessuno in
grado di fare una cosa simile.
Giovanni lo fissò.
«Se non temessi di passare per pazzo,
oserei dire che sia stata Sofia a guarirmi».
Jackson strabuzzò gli
occhi. «Cosa?!».
L’italiano fece una smorfia.
«Lo so, lo so… è impossibile, inoltre
non sarebbe mai riuscita a entrare qui senza essere notata e
soprattutto non avrebbe avuto motivo di farlo…
però mi è sembrato di vederla, quella notte. Di
sentire le sue mani accarezzarmi la fronte e scoprirmi la ferita.
Probabilmente erano solo allucinazioni» concluse, scrollando
le spalle.
Jackson, al contrario, saltò in piedi.
«Ma non capisci? Non era
un’allucinazione! Lei è davvero stata qui,
è riuscita a entrare… avanti, andiamo!».
«Andiamo? E dove?».
«A chiamare Tsukiko e Prudencia.
Dobbiamo organizzare delle squadre di ricerca! Se è riuscita
a tornare fin qui, quella notte, non possono essere troppo lontani!
Sofia potrebbe aver lasciato delle tracce del suo passaggio. Possiamo
ancora trovarli!» esclamò Jackson correndo verso
la grande sala semicircolare dell’Ala Sud.
Spalancò la porta con violenza.
«Dobbiamo parlare!» disse con
veemenza alle due donne che avevano osservato il suo ingresso con aria
preoccupata. Giovanni, che lo seguiva da vicino, chiuse la porta.
«Abbiamo appena scoperto una cosa molto
importante» esordì l’americano.
Lanciò un’occhiata all’uomo che aveva
accanto. «La notte della fuga, Sofia è stata
qui».
«Cosa?». Prudencia
scattò in piedi, rovesciando la sedia. «Come
diavolo l’avete scoperto?».
«Avevo notato che, il giorno dopo la
fuga, la ferita di Giovanni aveva subito un miglioramento improvviso e
apparentemente inspiegabile. Poco fa, parlandone, mi ha rivelato di
aver visto Sofia quella notte al suo capezzale. Credeva fosse
un’allucinazione generata dalla febbre, ma evidentemente non
è così. Lei è stata davvero qui e ha
guarito in parte la sua ferita».
«Ma questo è
impossibile». Tsukiko lo interruppe. «La
capacità di guarire le ferite è estremamente
rara, ci si può riuscire solo dopo decenni di addestramento
e Sofia non è certo a quel livello!».
«Ovviamente lo è. Ci aveva
già tenuto nascosto il fatto di essere al nostro stesso
livello… niente ci garantisce che non sia più
abile di noi» s’inserì Giovanni con aria
amareggiata.
«Non ci sono livelli al di sopra di
quello di Maestro, quindi devo convenire con Tsukiko: quello che dite
è impossibile» rimarcò Prudencia.
Jackson sembrò titubante. Ma fu
Giovanni a spazzare via definitivamente tutte le loro convinzioni.
«Un grado al di sopra dei Maestri
esiste» affermò.
Gli altri tre lo guardarono con aria scettica.
«Se ci fosse un livello superiore,
l’avremmo già raggiunto» disse Jackson.
«Ma un livello superiore
c’è» insisté Giovanni.
«I Testimoni degli Elementi».
Tsukiko trattenne il fiato. Era nata e cresciuta in un piccolo paesino
del Giappone, e ricordava ancora la sua nonna materna che le raccontava
storie sui Portatori di Elementi, sull’Energia – e
sui Testimoni. Ma riguardo a questi ultimi, sembrava si trattasse solo
di leggende nate intorno a Maestri particolarmente dotati.
Giovanni annuì. «Ho trovato
alcuni cenni, nei manoscritti che ho esaminato, e ho rinvenuto anche
alcune testimonianze orali. Come per i Portatori d’Energia,
sembra che i Testimoni degli Elementi esistano… ma che siano
incredibilmente rari».
«O incredibilmente sfuggenti»
sottolineò Jackson.
Prudencia s’irrigidì.
«Sofia non può essere una Testimone. È impossibile!»
gridò, mentre la rabbia, l’amarezza e
l’invidia l’accecavano. «Sono solo
leggende – e neanche credibili. Non ci sono prove che questi
cosiddetti Testimoni
fossero qualcosa di più di Maestri dotati e bene addestrati.
Quello su cui dovremmo concentrarci è trovarla ed
eliminarla. Se è stata qui, potrebbe aver lasciato delle
tracce lungo la strada che ha percorso!» esplose, giungendo
alla stessa conclusione che aveva fatto scattare Jackson poco prima.
«Non la troverete».
L’affermazione di Giovanni li lasciò interdetti.
«Sofia sa tutto riguardo a tattiche di combattimento e di
difesa. Avrà di certo cancellato ogni traccia e seminato
falsi indizi. Cercarla non servirà ad altro che a sprecare
tempo ed energie» disse con voce piatta.
Gli altri tre lo guardarono stupefatti. Poi
Prudencia esplose.
«Tu non vuoi che la cerchiamo,
è questa la verità!» disse con astio
all’uomo bruno che la guardava senza l’ombra di
emozioni sul volto. «È viva e vuoi che rimanga
tale, anche se questo significa lasciare in circolazione un nemico fin
troppo pericoloso!».
«Non mi interessa quello che
pensi» replicò lui, sempre distante. «Mi
sono limitato a dirvi come stanno le cose. Ma se volete cercarla, fate
pure».
«Certo che lo faremo»
ribatté l’argentina, uscendo dalla stanza e
tirandosi dietro i Maestri dell’Aria e della Terra.
Rimasto solo Giovanni prese una sedia, la
trascinò di fronte alla vetrata, sedette e
aspettò.
*
«Sofia è stata qui» disse Prudencia,
rivolgendosi alle circa duecento persone che aveva di fronte.
«La notte dopo la fuga. Nonostante sia passato tutto questo
tempo, forse è ancora possibile rinvenire delle tracce del
suo passaggio. Trovarla è fondamentale».
Tsukiko prese la parola.
«Ci divideremo in gruppi da venticinque.
A ogni gruppo verrà assegnata una zona da controllare. Ogni
sei ore, i capisquadra si riuniranno per aggiornarsi e farsi assegnare
una nuova zona di ricerca». Mentre lei parlava, Jackson si
muoveva veloce tra la folla, formando gruppi in cui fossero presenti
Portatori di tutti e quattro gli Elementi. Una volta terminato,
nominò lui stesso i capisquadra.
«Quando vi chiamo, venite qui e prendete
la mappa per sapere qual è la zona di vostra competenza.
Vediamo… Callum per il gruppo uno»
chiamò. Un uomo di circa trent’anni, castano e
dall’aria apparentemente anonima andò da Jackson,
prese la mappa e indirizzò rapidamente il proprio gruppo
verso la zona di ricerca. La scena si ripeté identica per
ogni gruppo.
«Olimpia per il gruppo due…
Nikanor per il gruppo tre… Moira per il gruppo
quattro… dov’è Moira?»
ripeté impaziente, quando la Figlia dell’Aria che
aveva chiamato non si presentò. La ragazza sbucò
alle sue spalle un istante dopo, affannata, per ricevere istruzioni.
«Ora… Evan per il gruppo
cinque. Il gruppo sei a Tsukiko, il sette a Prudencia e
l’ultimo a me» concluse rapidamente
l’americano.
«E ora muoviamoci» disse
Prudencia, avviandosi con il proprio gruppo.
*
I giorni divennero settimane. Le ricerche proseguivano di ora in ora,
di minuto in minuto. Le zone diventavano sempre più ampie,
il tempo di riposo diminuiva e i risultati scarseggiavano. Sette volte
si imbatterono in false piste, per quattro volte proseguirono per due
giorni prima di finire immancabilmente in un vicolo cieco. Tre
settimane dopo, si arresero.
*
Giovanni li aspettava nella grande sala da cui gli altri tre Maestri
erano partiti, settimane prima.
Ogni giorno si era recato in quella stanza e si
era seduto di fronte alla vetrata, seguendo con gli occhi il sole
compiere il proprio percorso e osservando indifferente gli sforzi vani
degli occupanti del Centro.
Quando entrarono, non si voltò e non
parlò.
«Sarai soddisfatto spero»
ringhiò Prudencia alle sue spalle. «Non
l’abbiamo trovata».
Giovanni restò in silenzio.
«Non rispondi? Certo che no, tu saresti
in grado di trovarla ma non hai intenzione di farlo!»
proseguì l’argentina.
«Ti sbagli».
Fu difficile per lui dirlo. Non aveva mai
tollerato le sconfitte, ed essere stato raggirato da quella che
considerava la sua creatura era un vero tormento per il suo orgoglio.
«Se Sofia non vuole farsi trovare,
allora nemmeno io posso riuscirci» proseguì con
voce piatta. «E lei non ha alcuna intenzione di essere
scoperta».
«Ma potrebbe tornare» disse
Tsukiko speranzosa. «Per sapere se abbiamo trovato qualche
indizio che possa portarci a lei… o per vedere te».
«Non tornerà».
L’apatia di Giovanni era sempre più evidente.
«Come fai a dirlo con tanta
sicurezza?» gli chiese Tsukiko. Lui scrollò le
spalle.
«Lo so e basta. La conosco abbastanza da
sapere che non desidera tornare. Tantomeno per me» concluse
con un evidente sforzo.
Prudencia, stizzita per non essere riuscita a
vendicarsi di Sofia, se ne andò sbattendo la porta. La bella
orientale la seguì. Jackson, che fino a quel momento era
rimasto in silenzio, trascinò una sedia accanto a Giovanni e
sedette vicino a lui, fissando gli occhi nel terso cielo primaverile
che si intravedeva oltre la vetrata.
«Ti stai spegnendo, amico mio»
disse senza guardarlo. «Il tuo potere sta morendo, e se non
fai qualcosa in fretta, potresti perderlo per sempre».
«Non ho più
stimoli» rispose cupo l’italiano. «Non ho
trovato quello che cercavo, e ho perso Sofia».
Jackson si voltò a guardarlo.
«Non sono mai riuscito a capire che tipo
di sentimenti provi verso quella ragazza. Ti ho visto comportarti come
un padre amorevole e un istante dopo torturarla come il peggiore degli
aguzzini. L’hai portata ovunque, le hai insegnato tutto
quello che sai, ma non ti sei mai rassegnato a lasciarla andare.
L’hai tenuta confinata qui, legata a te in modo che non
potesse andarsene, ma da alcuni anni la ignori sempre di
più… come se non ci fosse, come se non fosse mai
esistita nella tua vita. Vuoi averla accanto, ma la tieni
lontana». L’uomo parlò lentamente,
cercando una volta di più di capire che legame tenesse
Giovanni stretto a Sofia in modo tanto forte e insieme tanto crudele,
come se pronunciare le parole ad alta voce potesse finalmente svelargli
quel segreto.
Giovanni decise di rivelargli quello che non aveva
mai confidato a nessuno.
«Quando ci siamo ritrovati –
io, te, Prudencia e Tsukiko – e abbiamo deciso di fondare il
Centro, Sofia era già con me. Quattro anni prima mi ero
recato in Spagna – avevo un incarico come diplomatico presso
l’Ambasciata italiana. Non appena scesi dall’aereo,
svenni».
Jackson lo guardò senza parlare,
perfettamente immobile, temendo che s’interrompesse. Ma
Giovanni proseguì.
«Mi portarono in ospedale. Dovetti
reprimere il mio potere per far sì che non notassero nulla
di strano, ma fu qualcos’altro a lasciare i medici perplessi.
Avevo difficoltà a respirare, era stato quello il motivo
dello svenimento, ma nonostante tutti gli accertamenti non riuscivano a
trovare una spiegazione. Io sapevo abbastanza di medicina e del potere
degli Elementi da capire che quello che avevo non riguardava il mio
corpo, ma il Fuoco. C’era come un pugno invisibile che mi
strizzava i polmoni, bruciandoli, e mi impediva di prendere fiato
liberamente. Come se qualcosa avesse risvegliato il mio Elemento in
modo violento e improvviso».
S’interruppe e prese fiato.
«Firmai quello che dovevo firmare e mi
dimisero. Sapevo, ormai, che stare lì era inutile.
Così iniziai a girare il Paese: a volte quel pugno di fuoco
diminuiva d’intensità, altre volte aumentava, ma
era sempre lì, presente. Fin quando un giorno non capitai a
Barcellona».
Giovanni s’interruppe di nuovo, come se
il solo ricordo di quello che era successo potesse togliergli il
respiro come era accaduto tredici anni prima.
«Camminavo lungo il Passeig de
Gràcia, osservando gli edifici distrattamente. Ero
già stato lì, mi piace molto
quell’architettura ma quel giorno ero distratto. Poi,
arrivato di fronte a Casa Batlló, fui costretto a fermarmi.
Mi mancava di nuovo il fiato, come il giorno in cui ero arrivato in
Spagna, tre mesi prima, ma stavolta c’era qualcosa di
diverso. Tutto in me bruciava, non solo i polmoni: il Fuoco mi stava
divorando. Mi appoggiai a un albero, e vi lasciai una
bruciatura».
Jackson lo incitò a proseguire.
«Guardai l’altro lato della
strada. Proprio di fronte a me c’era un uomo che teneva per
mano una bambina di circa undici anni. Era così piccola ed
esile che faceva pensare a una fatina o a un folletto dispettoso.
Guardava incantata Casa Batlló, come se non potesse saziarsi
di quella stravaganza, con gli occhi ambrati che brillavano».
Jackson non seppe trattenere un moto di stupore.
«Era Sofia» mormorò
piano. Giovanni annuì e chinò il capo.
«Rimasi a osservarli» riprese.
«Sentii l’uomo – era suo padre
– dirle che era tardi, che dovevano andare via, che non
potevano restare ogni giorno fermi per un’ora a guardare
quella casa, per quanto bella fosse. Ricordo ancora
l’espressione con cui lo guardò Sofia»
disse, scoppiando inaspettatamente a ridere. «Lo
fissò come se fosse completamente pazzo e iniziò
una tirata inimmaginabile su Gaudì. Restarono lì
per altri venti minuti, poi si allontanarono. Li seguii. Avevo capito
che era lei che mi chiamava, e che in realtà non mi aveva
tolto il respiro: me lo aveva dato. Ora che l’avevo trovata,
il Fuoco che mi bruciava dentro era la più bella sensazione
che avessi mai provato. Mi sentivo più energico, il Fuoco mi
fluiva nelle vene e mi faceva sentire più potente di quanto
non fossi mai stato. Non potevo lasciarla andare.
«Proprio il giorno seguente,
però, dovevo tornare al lavoro. Chiesi di essere trasferito
all’Ambasciata italiana a Barcellona. Grazie a un mio amico,
un Maestro della Terra, la procedura fu rapida e ottenni subito il
trasferimento. Così riuscii a restarle vicino,
nell’ombra».
«Quando fondammo il Centro, Sofia aveva
solo quindici anni. Come hai fatto a portarla via da
Barcellona?» chiese Jackson, affascinato suo malgrado. Quello
di cui parlava Giovanni non era amore né attrazione,
né tantomeno una pura affinità tra Elementi. Era
un po’ di tutte e tre le cose – ma nessuna di esse
in particolare.
«La settimana seguente fui costretto a
riprendere il lavoro. Mi serviva, ma non riuscivo a distogliere la
mente dal ricordo di quella bambina. Il mio sangue, il mio Elemento,
tutto mi spingeva verso di lei. La sua sola esistenza era per me come
il canto delle sirene: mi attraeva e affascinava. Non sapevo come
avvicinarla, come portarla via – ma fu il destino a darmi
un’opportunità incredibile. Me ne resi conto
quando vidi suo padre, il signor Lindberg, entrare nel mio ufficio e
presentarsi come un collega».
Per un attimo, Giovanni sembrò
vergognarsi.
«Mi bastò un istante per
elaborare un piano. In poche settimane divenni molto amico di Thobias
Lindberg: fu forse uno dei pochi, veri amici che io abbia mai avuto.
Tre mesi dopo averlo conosciuto ero ospite fisso in casa sua, e
ufficialmente uno zio acquisito per Sofia. Credo che lei abbia sempre
saputo quale sentimento mi muovesse, se di sentimenti si può
parlare: fatto sta che, un anno dopo il mio arrivo a Barcellona, misi
in atto l’ultima parte del mio piano per portarla via dalla
sua famiglia.
«Era un periodo caotico
all’Ambasciata: Italia e Spagna stavano dando vita a una
serie di accordi bilaterali, gli incontri e le comunicazioni erano
sempre più frequenti e, come spesso accade nella diplomazia,
le cene erano uno dei momenti preferiti dagli esponenti dei vari
governi per trattare in modo informale. Una sera, sul finire
dell’inverno, fu organizzata una grande serata di gala a
Barcellona. In quanto collaboratori dell’ambasciatore, sia io
che Thobias eravamo costretti a partecipare. Lui portò con
sé la madre di Sofia, Tamara. Era una donna
bellissima» ricordò Giovanni «entrambi
lo erano. Alti, biondi e statuari, sembravano quasi fratello e sorella,
benché Thobias fosse di origini danesi e Tamara
brasiliana». Jackson sembrava perplesso. Giovanni
capì subito a cosa pensava. «Sì, Sofia
non somiglia a nessuno dei due, se non in qualche tratto. Comunque,
quella sera decisero di affidarla a una babysitter… come se
ce ne fosse bisogno» disse, scoppiando di nuovo a ridere.
«È sempre stata terribilmente seria e
responsabile. Pare sia nata così… stando anche a
quello che mi raccontavano Tamara e Thobias».
«Non riesco a capire cosa
c’entri il fatto che l’avessero affidata a una
babysitter» ammise Jackson.
Giovanni proseguì. «Giusto,
in effetti non te l’ho detto. Be’… fu
facile. Rintracciai quella ragazza, prima della cena, e le diedi molti
soldi. In cambio, lei portò Sofia su una nave diretta a
Civitavecchia, in Italia, e da lì la portò nella
mia casa a Roma, dove si nascosero per qualche mese. Quella stessa sera
incendiai l’appartamento in cui la babysitter abitava e dove
era stata lasciata Sofia. Il fuoco divorò ogni cosa, e
nessuno si stupì del fatto che non furono mai ritrovati i
resti dei due cadaveri. Io rimasi a Barcellona per qualche mese, a
consolare i miei due amici distrutti dal dolore, e poi feci ritorno a
Roma, dal mio piccolo folletto dispettoso».
«Hai fatto credere a quello che
consideri uno dei tuoi migliori amici che la sua unica figlia fosse
morta?» chiese Jackson sbigottito. Non aveva certo un cuore
tenero, però quello che aveva fatto Giovanni gli sembrava
davvero oltre ogni limite.
L’altro chinò di nuovo il
capo, come se la vergogna fosse troppa da sostenere.
«Una parte di me se ne pente ogni
giorno. A volte mi rimprovero l’egoismo che mi ha portato a
strappare Sofia alla sua famiglia… ma non sono mai riuscito
a condannare del tutto quello che ho fatto. Nonostante sia tornato
spesso da Thobias e Tamara, nonostante abbia portato avanti la nostra
amicizia tanto da essere scelto come padrino del loro secondo figlio,
il bisogno di averla accanto mi ha sempre impedito di pentirmi di
quello che avevo fatto abbastanza da lasciarla tornare da
loro».
«E tu non le hai mai detto quello che
avevi fatto». Quella di Jackson era più
un’affermazione che non una domanda.
«Non ce n’era bisogno. Certo,
cercavo di convincermi che non sapesse, che non avesse intuito. Ma non
era vero, e in realtà non ci credevo neanche io».
«Quindi sa».
«Ne ebbi la conferma cinque anni fa. Era
appena tornata da un viaggio in Danimarca quando venne a parlarmi. Mi
disse che aveva rintracciato i suoi nonni paterni e che aveva scoperto
che Thobias era stato trasferito all’Ambasciata italiana di
Istanbul. Mi arrabbiai tantissimo» ammise Giovanni.
«Il mio timore più grande era proprio quello: che
ritrovasse la propria famiglia e uscisse dalla mia vita. Aggiunse che
non ce l’aveva con me per quello che aveva fatto –
sapeva tutto nei minimi dettagli – e che desiderava tornare
dalla sua famiglia, ma che questo non avrebbe significato doverci
dividere. Non le credetti. Persi il controllo e l’attaccai
violentemente. Troppo violentemente. Rimase ferita in modo grave, e per
salvarla dovetti chiedere aiuto a un Maestro dell’Acqua che
conoscevo da tempo. Lui arrivò e riuscì a
guarirla quel tanto che bastava per impedirle di morire. Poi la
portò via con sé».
«Ricordo. Ci avevi detto che era partita
per affrontare un addestramento speciale» esclamò
Jackson.
Giovanni annuì.
«Proprio così. La
verità, invece, è che fui costretto a lasciarla
partire per affrontare la convalescenza in un luogo dove non potessi
arrivare. Era la condizione che aveva posto il Maestro che
l’aveva guarita, quando aveva saputo per quale motivo
l’avevo attaccata con tanta violenza.
«Non opposi resistenza. Sofia sapeva che
la stavo attaccando: avrebbe potuto evitare il colpo, difendersi, ma
non lo fece. Nonostante tutto, si fidava di me. Non credeva che potessi
farle del male, e io l’ho tradita. L’ho quasi
uccisa».
Sfinito, Giovanni tacque. Dopo un breve silenzio,
fu Jackson a parlare.
«Per questo ti sei allontanato da lei.
Avevi paura che potesse capitare di nuovo».
L’altro confermò.
«Prima di lasciarla partire, le proibii
di cercare i suoi genitori. Le dissi che si erano rifatti una vita, che
avevano avuto altri figli e l’avevano dimenticata. Feci leva
sul suo amore per loro. Provai a convincerla che ricomparire dopo tutti
quegli anni sarebbe servito solo a riaprire vecchie ferite e a farli
soffrire. Non penso che ci credesse, ma ormai mi conosceva troppo bene.
Sapeva che, pur essendo loro amico, non avrei esitato a fare loro di
nuovo del male, pur di tenerla con me. E così ottenni quello
che desideravo: lei non li cercò e non li nominò
più. Ma per una cosa tanto desiderata e infine ottenuta, ne
avevo persa un’altra. Avevo perso il suo cuore».
Il silenzio scese tra i due uomini, e la notte
calò prima che si decidessero a separarsi.
*
Blaze tamburellava nervosamente le dita sulla superficie
liscia del tavolo.
«Doveva essere tornata otto giorni
fa!».
«Quella che sta facendo non è
una cosa facile. Probabilmente le occorre più tempo di
quello che aveva previsto» tentò di rassicurarlo
Laurence.
André, in silenzio, sembrava non
ascoltarli nemmeno.
«Accidenti André! Lo so che
siete entrambi cocciuti, ma ormai dovreste averla superata! Invece
sembra che a te non importi niente di quello che potrebbe esserle
successo!» esplose Blaze.
Continuando a giocherellare con la matita che
teneva tra le dita, André lo ignorò. Dopo aver
ascoltato sbuffare il giovane americano per un quarto d’ora,
si decise a rispondergli.
«Non mi preoccupo per Sofia
perché so che sta bene».
«Ah davvero? E come lo sai? Te
l’ha forse detto un pesciolino?» chiese sardonico
Blaze.
Il suo sarcasmo volò sopra la testa di
André.
«Nabeela non si è mossa di
qui, in queste tre settimane» disse, parlando della Fenice
prediletta di Sofia. «Se Sofia fosse stata in
difficoltà, sarebbe corsa da lei».
Un silenzio stupefatto accolse la sua
affermazione. Nessuno aveva pensato di controllare il comportamento di
Nabeela per capire come stesse Sofia.
«E tornerà presto»
aggiunse André. Guardò oltre la finestra, dove la
Fenice, appollaiata sul ramo di un albero, teneva gli occhi fissi verso
il limite estremo della Valle, in attesa.
«A proposito… ha detto a
qualcuno dove sarebbe andata?» chiese il giovane biondo.
Laurence rispose negativamente.
«Ha detto solo che doveva cercare una
persona e che era fondamentale trovarla il prima possibile. Il
perché non ce lo ha spiegato» disse sospirando.
«Be’ spero che sia qualcuno di
veramente importante, perché mi sta facendo impazzire!
Poteva almeno farci sapere che sta bene!» sbuffò
Blaze.
André sorrise di fronte alla sua
apprensione. Blaze si era unito a loro solo cinque anni prima e,
nonostante la giovanissima età –
all’epoca aveva solo quindici anni – aveva mostrato
di possedere un potere già molto sviluppato, tanto da
arrivare al rango di Figlio della Terra in meno di cinque anni. Quasi
un record. Ma, proprio perché conosceva Sofia da meno tempo
di André e Laurence, si preoccupava per lei, quando spariva.
André scosse la testa. Personalmente, aveva capito da molto
tempo che se c’era qualcuno per cui non bisognava
preoccuparsi, quella era proprio Sofia.
«Sa difendersi» disse,
cercando di calmare il ragazzo che aveva di fronte. Poi
guardò Laurence in cerca di sostegno. «Spiegagli
che non deve preoccuparsi per Sofia, ma piuttosto per chi si mette
contro di lei».
Laurence scoppiò a ridere.
«Dopo quello che ha fatto a Giovanni, non credevo ci fosse
bisogno di dirglielo!».
Suo malgrado, Blaze si unì alle risate
degli altri due.
«Penso comunque che avrebbe dovuto dirci
qualcosa in più. Ho sempre detestato il modo in cui
sparisce… e ora più che mai. Sicuramente Giovanni
e gli altri saranno sulle nostre tracce. Uscire dalla Valle
è un rischio troppo alto» disse, tornando serio.
«Ma è necessario. Proprio
perché potrebbero essere sulle nostre tracce
c’è la possibilità che trovino una
delle strade che portano qui, e in quel caso dobbiamo essere pronti a
difenderci, anche con un aiuto esterno. Credo sia questo il motivo per
cui Sofia è partita» disse André.
«Per cercare degli alleati? Ma i Maestri
all’esterno di certo sono già stati avvicinati da
chi è rimasto al Centro a questo fine. Inoltre Jackson,
Prudencia, Giovanni e Tsukiko hanno molte conoscenze e un notevole
ascendente, all’estero. Chi mai si metterebbe contro di loro
per aiutarci?» esclamò Blaze, scoraggiato.
Lo sguardo di Laurence si illuminò.
«Una persona forse
c’è. E credo sia proprio questa la persona che
Sofia sta cercando».
Gli altri due ebbero un moto di stupore.
«E chi sarebbe questa
persona?» chiesero in coro.
Laurence scosse la testa.
«Non posso dirvelo. Riguarda una vicenda
della sua vita troppo delicata perché possa parlarvene
io… lo farà lei, non appena sarà
tornata. Se è proprio la persona a cui penso,
però, si spiega anche perché ci sta mettendo
tutto questo tempo a rintracciarla».
«E cioè?» chiese
André impaziente.
«Questa persona non sta mai ferma troppo
a lungo nello stesso posto. Per trovarla bisogna tracciarne gli
spostamenti, dato che sono pochissime le persone che sanno dove si
trova. E questa informazione viene custodita gelosamente» fu
l’enigmatica risposta.
«Bene. Dunque ora sappiamo che Sofia
è non si sa dove, a cercare una persona che non sappiamo chi
sia e che non abbiamo idea di dove si trovi. E non si sa quando
tornerà» sintetizzò Blaze.
«Se non fosse tragica, questa situazione avrebbe del
ridicolo».
Di nuovo, tutti e tre scoppiarono a ridere,
alleviando la tensione per qualche istante.
*
Tra lezioni ed addestramenti, altri tre giorni trascorsero tranquilli
nella Valle degli Elementi. Ormai mancavano solo due settimane al
Solstizio d’Estate e tutti si preparavano a festeggiare,
poiché Solstizi ed Equinozi rappresentavano i quattro
Elementi e il loro momento di maggiore comunione con la Natura intera.
In quei quattro giorni, distribuiti lungo l’arco di un anno,
il potere degli Elementi era come potenziato.
Quest’abitudine – da tempo
persa, al Centro – era stata prontamente ripresa dai
Portatori che si erano stabiliti alla Valle e che avevano posto il
contatto con la Natura come punto focale della loro vita con gli
Elementi.
Tutti, ormai, si erano accorti della prolungata
assenza di Sofia. L’unica a esserne preoccupata, oltre a
Blaze, Andrè e Laurence, era Emma.
«Secondo voi dov’è
andata?» stava appunto chiedendo ad Ailie e Fernando.
I due – con cui aveva molto legato
– l’ascoltavano pazientemente cercando di
rassicurarla, benché non avessero le risposte che cercava.
Fernando aveva provato a informarsi con Laurence, ma aveva scoperto
solo che Sofia era partita per cercare una cosa e che non sarebbe
tornata finché non l’avesse trovata.
«Sono certo che sta bene»
disse Fernando, cingendo con un braccio le spalle di Emma e
stringendola a sé. «L’ho vista allenarsi
e addestrare gli Apprendisti del Fuoco per sei anni e ti garantisco che
sa difendersi, all’occorrenza».
Ailie annuì, spalleggiandolo.
«Non dimenticare che ti ha portata via dal Centro e che si
è scontrata da sola con chi vi stava inseguendo…
e ne è uscita senza alcun danno!». Poi rimase in
silenzio a guardarli. Chiaramente c’era del tenero, tra quei
due. Stavano spesso insieme, quando Fernando era libero dalle lezioni e
dagli addestramenti. Emma, non avendo ancora trovato il proprio
Elemento, seguiva solo le prime, e quello era per lei un altro motivo
di preoccupazione. Temeva di essere abbandonata a se stessa da un
momento all’altro anche se questa paura, con il trascorrere
dei giorni e grazie anche alle rassicurazioni di Laurence e Blaze,
stava lentamente svanendo.
In quel momento Elizabeth arrivò come
una furia sul prato di fronte all’Ala Est
dell’edificio, dove si trovavano i tre amici.
«Oh, ma che carini siete!»
disse ironica a Fernando ed Emma. «Sempre insieme eh? Che
teneri…».
Emma arrossì violentemente. Fernando,
invece, la strinse ancora di più, fissando Elizabeth con
aria impassibile.
«Cos’è,
invidia?» le chiese insinuante. Ormai tutti
l’avevano vista con André anche se lui, in
pubblico, cercava di non farsi notare con lei.
La frecciata non andò a segno, almeno
apparentemente. Liz lo guardò sollevando un sopracciglio.
«Invidia? E di cosa?» disse
con indifferenza, come se la risposta non la interessasse.
Dopo aver scambiato uno sguardo con Ailie,
Fernando decise di affondare il colpo. Se Elizabeth voleva la guerra,
l’avrebbe avuta.
«Non saprei… magari del fatto
che André fa di tutto per non farsi vedere in atteggiamenti
troppo intimi con te dagli altri! Certo, lo capisco… sei
molto bella, ma personalmente anch’io mi vergognerei di far
sapere a tutti che sto con una ragazza presuntuosa, boriosa,
insopportabile e neanche dotata di chissà quale grande
potere!».
Stavolta Elizabeth non riuscì a
nascondere la rabbia. Divenne verde, e ogni bellezza sembrò
svanire dal suo volto mentre l’ira e la vanità
ferita la pervadevano.
«Posso stenderti in qualunque
momento!» ringhiò minacciosa.
Fernando la guardò sogghignando.
«Non farmi ridere, ragazzina. Ho sei
anni di addestramento alle spalle e sono già piuttosto
avanti nell’apprendistato di terzo livello…
azzardati anche solo a pensare di attaccarmi, e ti garantisco che te ne
farò pentire».
Anche se furiosa, Elizabeth percepì la
nota di minaccia nella voce del giovane e decise di non rischiare. Se
ne andò senza aggiungere altro.
Un largo sorriso illuminò il volto di
Ailie. L’umiliazione di Elizabeth la rendeva raggiante: ogni
giorno che passava, tollerava sempre meno lei e la sua presunzione.
Guardò Fernando.
«Sei stato grande!» gli disse
felice. «Si meritava proprio una bella lezione, quella
sciocca arrogante».
Fernando le rivolse il suo miglior ghigno, che
però in quel momento lo rendeva più comico che
minaccioso. Emma li rimproverò.
«Non dovevate trattarla
così… ha dei sentimenti anche lei! E poi non
è antipatica come sembra» esclamò,
tentando di difendere Elizabeth.
Ailie scosse il capo. «Emma, tu sei un
tesoro, ma sei anche troppo buona. Liz non è antipatica:
è infida, maligna e non merita alcuna fiducia. Quindi non
devi difenderla. Quelle come te potrebbe mangiarsele per
colazione».
«Ailie ha ragione» disse
Fernando, rincarando la dose. «I suoi comportamenti sono
strani. Ad esempio, sta con André ma sembra non provare
nessun sentimento per lui… tanto per dirne una. Inoltre fa
sempre dei discorsi strani sul potere, su quanto avremmo potuto
imparare restando al Centro… forse Sofia avrebbe fatto
meglio a lasciarla lì» concluse, esprimendo ad
alta voce un pensiero che condivideva con Ailie.
Emma protestò. «Visto il modo
in cui la trattate, è ovvio che si nasconda dietro una
maschera fredda e dura!».
Gli altri due scambiarono uno sguardo rassegnato
che sembrava dire “niente da fare, è senza
speranza”.
«Mi sa che è inutile
continuare a discuterne… sei tanto buona quanto
cocciuta» disse Ailie alla sua amica, che le
sorrise… un istante prima di balzare in piedi.
«Cosa
c’è?» chiesero in coro Fernando ed
Ailie, allarmati.
«Ho una strana sensazione…
credo che Sofia sia tornata!» esclamò Emma
eccitata, correndo intorno all’edificio seguita dagli altri
due.
*
Nabeela emise un verso tremulo, slanciandosi dall’albero
nell’aria tersa del pomeriggio.
André scattò in piedi,
allontanando Elizabeth che l’aveva appena raggiunto. Poi mise
la testa fuori dalla porta della stanza in cui si trovava e
iniziò a gridare.
«Blaze! BLAZE! Laurence! Venite qui,
presto!».
I due arrivarono trafelati.
«Che succede?» chiese il
primo, allarmato. André puntò un dito verso la
finestra spingendo via Elizabeth che, nel tentativo di attirare la sua
attenzione, gli si era praticamente appesa a un braccio.
Blaze e Laurence corsero alla finestra e la
spalancarono. Videro Nabeela compiere acrobazie nell’aria,
mentre il suo canto aumentava d’intensità.
I loro occhi si illuminarono.
«Sofia è tornata!»
gridò Laurence con la sua voce profonda, mentre gioia e
sollievo lo riempivano. I tre corsero nel parco, mentre Elizabeth
seguiva André con aria insoddisfatta.
Non appena uscirono furono raggiunti da Emma,
Ailie e Fernando. Tutti insieme corsero oltre prati e collinette,
dribblando laghi e alberi e seguendo la Fenice che, cantando gioiosa,
faceva loro strada fino a condurli a un centinaio di metri dal punto in
cui una cascata si infrangeva rumorosa a terra dando vita ad un fiume.
Rimasero in attesa. All’improvviso, la
cascata si aprì come una tenda.
Sofia si diresse veloce verso di loro, seguita da
un uomo che nessuno di loro aveva mai visto. Un bel sorriso danzava sul
volto di entrambi, mentre Blaze e Laurence si facevano avanti e
stringevano la loro giovane amica in un abbraccio. Anche
André si avvicinò a loro; si fermò di
fronte a Sofia, osservandola attentamente.
«Be’, direi
che…» iniziò incerto.
«Lo penso anch’io»
rispose lei, guardandolo con aria seria. Poi si abbracciarono come se
nulla fosse accaduto tra loro.
Blaze alzò gli occhi al cielo.
«Io proprio non li capisco!» esclamò
rassegnato.
Dopo aver salutato gli altri – e
ignorato un’occhiata velenosa di Elizabeth – Sofia
si voltò verso l’uomo che era arrivato con lei.
«Bene, ragazzi» esordì «sono
stata via più a lungo di quanto pensassi, ma la mia ricerca
ha avuto successo. Vi presento Gregory» disse, accennando
all’uomo alto che le stava accanto.
«Greg, loro sono Laurence, Blaze e
André…».
L’uomo fece loro un cenno.
«Sofia mi parla di voi da cinque anni». Sembrava
ironico.
Lei proseguì. «… e
poi Ailie, Fernando, Elizabeth… ed Emma».
L’uomo quasi ignorò i primi
tre, soffermandosi su Emma. «Anche di te mi ha parlato molto.
Dice che qui sei l’unica che non ha ancora trovato il proprio
Elemento» disse, osservandola come se volesse trapassarla con
lo sguardo. Emma arrossì: era esattamente quello che aveva
temuto. Sofia però le strinse la spalla e le sorrise,
tranquillizzandola un po’.
«Greg resterà con noi per un
po’» riprese lei, avviandosi verso la casa.
«Ci aiuterà con gli addestramenti sul controllo
del potere, la ricerca e la cancellazione delle tracce e altre cose che
possono tornare utili».
André le si affiancò.
«Il tuo amico non sembra molto
socievole» le disse, osservando i tentativi –
perlopiù vani – degli altri di intavolare una
conversazione con l’uomo dall’aria sarcastica che
si era appena unito a loro.
Sofia annuì.
«È un misantropo, sarcastico
e a volte persino crudele, quando si tratta di ferire qualcuno con le
parole. In realtà ama profondamente insegnare, e
all’occorrenza sarebbe pronto a sacrificarsi per salvare un
suo allievo o chiunque dipenda da lui anche in minima parte. Senza
contare che è un Maestro dell’Acqua straordinario.
Ha un talento indescrivibile, e l’ha coltivato con un
addestramento perfetto e assolutamente completo. Avrete modo di
apprezzarlo, te lo garantisco».
Poco convinto, André
assentì. In quel momento gli altri li raggiunsero.
«Come mai ti ci è voluto
quasi un mese, per trovarlo?» chiese Blaze, che aveva
ascoltato tutto.
«Aveva seminato parecchie false
piste» rispose Sofia, rivolgendo un mezzo sorriso a Gregory.
«Solo dopo averne seguite alcune ho capito che in
realtà si trovava nel posto più ovvio»
proseguì, scoppiando a ridere al ricordo del luogo in cui
l’aveva trovato.
Laurence le chiese perché ridesse. Lei
glielo spiegò.
«Devi sapere che Greg ha un talento
impareggiabile tanto nel percepire gli Elementi – e questo
gli permette di individuare i Portatori e le tracce delle loro
manipolazioni anche a grandi distanze – quanto nelle
strategie di guerra. È una specie di investigatore privato,
nel nostro settore».
«E allora?» chiese Laurence,
continuando a non capire.
«L’ho trovato a Londra. A
Baker Street».
«Non ci credo». Blaze
scoppiò a ridere tanto da restare senza fiato. Sembrava non
riuscire a smettere.
«Si diverte con poco» disse
Gregory a Sofia, accennando al giovane che continuava a ridere senza
freni.
Lei scrollò le spalle. «Gli
piace ridere. E poi anch’io l’ho trovato molto
divertente… senza contare che ti eri nascosto lì
proprio perché anche tu lo trovavi esilarante».
Gregory stirò le labbra in una linea
sottile e spalancò gli occhi. «Mi hai
scoperto!».
Sofia scoppiò a ridere di fronte alla
sua buffa espressione. Aveva dimenticato quanto potesse essere
divertente parlare con Gregory.
Finalmente giunsero a casa.
«Be’ Greg comunque…
benvenuto alla Valle».
Alzarono gli occhi sulle mura amiche. Di fronte a
loro si stendeva, ancora indefinito, il futuro. |
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Capitolo 6 *** Un racconto interessante ***
«Allora, Gregory, Sofia ci dice che sei un Maestro di
notevole talento e che puoi insegnarci molto. Perché non ci
racconti qualcosa di te?» disse André.
Mantenendo la sedia in equilibrio sulle gambe
posteriori, l’uomo declinò l’invito.
«Non mi piace molto parlare di
me».
«Dicci almeno come vi siete
conosciuti» chiese Blaze.
«Mhhh… no».
André si rivolse di nuovo a Sofia.
«È irritante. Lo sai,
vero?».
«Lo so. Purtroppo non posso farci
nulla» fu la laconica risposta.
«Bene bene bene, vediamo un
po’» esordì Gregory
all’improvviso, senza alcun motivo apparente. «Cosa
sapete sui gradi d’addestramento dei Portatori di
Elementi?» chiese ad alta voce, arrampicandosi su un tavolo e
guardando da lì gli occupanti della sala che – lo
sapeva bene – fino a un istante prima avevano origliato ogni
sua parola.
Nessuno rispose.
«Ma come, non dite niente? Eppure qui ci
sono Apprendisti di primo, secondo e terzo livello, Figli degli
Elementi…e anche alcuni Maestri» disse, lanciando
una rapida occhiata in basso verso alcuni Figli degli Elementi anziani.
«Sappiamo già tutto al
riguardo, ci hanno spiegato queste cose per parecchi giorni. Che altro
c’è da dire?» rispose Elizabeth, un
po’ scocciata.
Gregory le puntò un dito contro.
«Tu» esordì
«non sai nulla. Soprattutto, non hai idea di quante cose non
conosci. Ad esempio, non sai – come probabilmente quasi
nessuno di voi, qui – che la gerarchia dei Portatori che vi
viene insegnata è incompleta».
Un silenzio stupefatto accolse le sue parole.
Qualche istante dopo, fu Emma a romperlo.
«C’è un altro grado
al di sopra dei Maestri degli Elementi, vero? In alcuni documenti ci
sono degli strani cenni a qualcosa del genere!».
Tutti si voltarono a guardarla. Intrecciando le
mani dietro la schiena e dondolandosi sui talloni, Gregory
spostò l’attenzione su di lei.
«Ma brava! Lei, che a quanto pare non ha
uno straccio di potere verso nessun Elemento, che pare essere una
Portatrice tanto quanto il tavolo che sto calpestando, ha capito molto
più di tutti gli altri. E questi sarebbero i Portatori tanto
dotati di cui mi hai parlato?» chiese a Sofia, mentre Emma
arrossiva, umiliata.
Lei scrollò le spalle.
«Ho detto che sono dotati e potenti, non
che siano dei grandi osservatori».
«In ogni caso» riprese
l’uomo, voltandosi di nuovo verso la folla in attesa
«questa ragazzina ha perfettamente ragione.
C’è un altro grado al di sopra dei Maestri e se
aveste studiato come si deve, avreste notato anche voi che nei
manoscritti che sono alla base della vostra educazione come Portatori
ci sono parecchie allusioni a quello di cui parlo, alcune anche
piuttosto esplicite».
«Certo, c’è un
altro livello e nessuno ne parla né lo raggiunge. Come
no» lo interruppe Liz, ironica.
Gregory la studiò a lungo, socchiudendo
gli occhi e voltando leggermente testa verso destra.
«Se non mi credi, puoi anche andartene.
Nessuno ti costringe ad ascoltarmi» disse infine.
Elizabeth esitò per un istante, ma poi
restò dove si trovava.
Gregory socchiuse ancora di più i suoi
occhi azzurri, riducendoli a due fessure.
«Come? Sei ancora qui? Strano, eppure mi
sembrava d’aver capito che ritieni che quello che sto dicendo
è un inutile mucchio di sciocchezze… quindi
perché resti qui ad ascoltarmi?» le chiese,
sarcastico.
La ragazza cambiò colore ma non si
mosse.
«A proposito di sentire cose
inutili… tu, cosa resti a fare?» chiese a Emma,
che arrossì. «A sentire la maggior parte della
gente che ti ha vista, non hai un briciolo di potere e non ce
l’avrai mai, quindi sapere tutte queste cose non ti
servirà a nulla… puoi anche andartene».
Da scarlatta che era, Emma diventò
pallidissima.
Sofia prese la pallina con cui era solito giocare
Gregory quando rifletteva e gliela tirò in testa.
«Lasciala stare, Greg!» gli
disse con sguardo minaccioso.
Lui la fissò e poi scoppiò a
ridere.
«Avevo dimenticato che faccia fai quando
ti arrabbi!».
Lei lo ignorò e si rivolse a Emma.
«Non dargli retta Emma, si diverte a
fare il cinico e il sarcastico… ma non ce l’ha con
te».
Sempre pallida, la ragazzina andò a
sedersi in un angolo, quasi in lacrime.
Fernando si alzò e fece per scagliarsi
su Gregory, con aria tempestosa. Lui lo notò.
«Che vorresti fare, ragazzino?
Attaccarmi? Mhhh…non credo ti convenga!».
Sofia scattò in piedi a sua volta e
bloccò il ragazzo con un braccio.
«Non prendertela, Fernando, fa
così con tutti… e vedrai che diventerà
il primo sostenitore di Emma» gli sussurrò
all’orecchio.
Il ragazzo la guardò poco convinto ma a
un ulteriore cenno di Sofia decise di concedergli il beneficio del
dubbio e raggiunse Emma, che intanto si era calmata anche grazie a
Ailie.
Gregory tornò a rivolgersi alla sala in
attesa.
«Riprendiamo. Dov’eravamo
rimasti?» disse, ignorando le occhiate di avvertimento che
alcuni Figli degli Elementi gli rivolgevano. Sofia, tornata al proprio
posto, li rimproverò sottovoce.
«Smettetela di fare quelle
facce… tanto non vi ascolterà! E poi è
ora di dire loro quello che ancora non sanno!» disse mentre
Gregory fischiettava, indifferente ai loro sonori bisbigli.
Costa si arrabbiò. «Vorresti
dire loro tutto?»
chiese minaccioso.
«Non subito. Meglio cominciare con un
argomento su cui hanno già sentito alcune voci…
ho la sensazione che ci sia qualcuno, qui, di cui non possiamo fidarci
completamente» fu la secca risposta.
L’uomo si rilassò appena e
tutti tornarono a guardare Gregory.
«Va’ avanti» lo
esortò Sofia. Lui non se lo fece ripetere due volte.
«Conoscete tutti la gerarchia classica
dei Portatori di Elementi: Apprendisti di primo, secondo e terzo
livello, Figli degli Elementi e Maestri degli Elementi»
iniziò nel silenzio generale. «Al di sopra dei
Maestri, però, c’è un altro livello:
quello dei Testimoni degli Elementi».
Un mormorio si levò alle sue parole.
Tutti avevano sentito le leggende che circolavano riguardo ai Testimoni
ma, appunto, non erano considerate altro che storie fantasiose e prive
di fondamento.
Una voce si levò dalla sala a esprimere
ad alta voce questo pensiero.
Gregory sogghignò di fronte alla loro
ostinazione. Per essere
le prove viventi del fatto che lo straordinario esiste sono
incredibilmente ottusi, pensò.
«Nessuno vi ha mai detto che in ogni
leggenda c’è un pizzico di
verità?» disse sardonico.
La sicurezza di alcuni sembrò vacillare.
«Quello che dovete sapere è
che i Testimoni degli Elementi sono molto rari.
C’è chi dice siano il frutto di unioni tra
Portatori particolarmente potenti… una sorta di evoluzione
genetica, per capirci. Altri sostengono che sia solo una questione di
addestramento e disciplina. Come dire: è un livello come un
altro, solo molto più difficile da raggiungere, ma pur
sempre alla portata di tutti. Infine, ci sono quelli convinti che i
Testimoni siano dei Portatori che, prescelti dagli Spiriti degli
Elementi, sono stati da loro toccati e dotati di un potere
superiore».
«Esattamente, cosa sono gli Spiriti
degli Elementi?» gridò una ragazza.
Gli altri iniziarono a rumoreggiare.
«Che c’importa di questi
Spiriti degli Elementi? Vogliamo sapere qual è la
verità riguardo ai Testimoni! Qual è la teoria
giusta?» chiesero molte voci.
Gregory afferrò la pallina da tennis da
cui non si separava mai, si accovacciò e, lasciando vagare
uno sguardo intenso sui suoi ascoltatori d’un tratto attenti,
parlò.
«Come spesso accade, la
verità sta nel mezzo. I Testimoni degli Elementi sono il
frutto un po’ di tutte e tre quelle teorie: nascono
predisposti al raggiungimento di un livello superiore a quello di tutti
gli altri, ma lo raggiungono solo con un lungo, duro allenamento e una
severa disciplina fisica e mentale. E, ovviamente, hanno un rapporto
privilegiato con gli Spiriti degli Elementi: sono gli unici in grado di
comunicare con essi».
Un forte brusio si alzò quando
s’interruppe. Intanto i Figli degli Elementi più
anziani lo guardavano attoniti, consultandosi concitati. Certo, tutti
coloro che avevano studiato a fondo la storia dei Portatori conoscevano
bene le tre teorie sui Testimoni degli Elementi che Gregory aveva
appena esposto, ma nessuno aveva mai scoperto quale di esse
rispecchiasse la realtà. Da secoli non c’erano
tracce di un Testimone: erano persino più rari dei Portatori
d’Energia, quindi non c’era mai stato modo di
scoprire da dove venisse il loro potere. Per questo Costa, Viola,
André e gli altri si chiedevano perché Gregory
stesse inventando tutto di sana pianta.
«Probabilmente vuole solo farsi notare
inventando una storia ancora più fantasiosa di quelle che
già circolano e spacciandola per vera»
bisbigliò Costa a Blaze, che scosse la testa.
«Proprio non capisco perché
lo stia facendo» rispose il giovane americano.
Soltanto Sofia, imperturbabile, non si univa
né alle loro congetture né ai mormorii eccitati
degli altri Portatori. Fissava Gregory con sguardo limpido e fermo,
come se potesse guardargli dentro. E in effetti, era proprio
così.
Blaze si rivolse a Gregory.
«Come puoi essere certo di quello che
dici? Non ci sono tracce di Testimoni da troppo tempo. Nessuno sa da
cosa derivi il loro potere, quanto si estenda… quali
capacità abbiano… di fatto, sappiamo solo che
sono esistiti dei Portatori di straordinario potere e che, col passare
del tempo, sono fiorite su di loro alcune leggende».
«Hai detto bene: non ci sono tracce, dei
Testimoni. Sono le prove che mancano… non la loro
esistenza» puntualizzò l’altro.
Costa si voltò di scatto.
«Vorresti dire che ci sono dei Testimoni
in giro? In questo momento?» gli chiese.
«So per certo che, a oggi, ce ne sono
almeno due» fu l’inattesa risposta.
Costa, Blaze ed André balzarono in
piedi e iniziarono a gridare frasi sconnesse, attirando su di loro
l’attenzione generale.
Sofia intervenne immediatamente, riportando la
calma.
«Non è questo il momento di
parlarne… i ragazzi sono ancora tutti qui» disse
duramente, richiamando all’ordine i suoi amici con
l’aiuto di Laurence. I tre tacquero immediatamente.
Gregory si rialzò e riprese a parlare
alla sala, distogliendo l’attenzione generale dal gruppo di
Figli degli Elementi che lo guardava torvo.
«È difficile, quasi
impossibile, dire quale sia il limite del potere di un
Testimone» disse con voce sonora. «Si ritiene,
piuttosto verosimilmente, che possa manipolare il proprio Elemento con
un’intensità esponenzialmente maggiore a quella
dei Maestri, anche a grandissime distanze. Inoltre, si crede sia in
grado di padroneggiare, almeno in minima misura, l’Energia
pura».
Fu interrotto dalle urla che si scatenarono
intorno a lui.
«Ma questo non è possibile!
Un potere come quello che hai descritto sarebbe devastante…
nessun corpo può reggerne una simile
quantità!» gridò Serj, uno degli
Apprendisti del Fuoco più dotati, ormai prossimo a diventare
un Figlio del Fuoco.
«Senza contare che se si è
Portatori di un Elemento non si può in nessun caso riuscire
a manipolare autonomamente l’Energia… neanche in
minima parte!» rincarò la dose Olivia,
un’altra Apprendista del Fuoco.
Grida di questo tipo risuonavano per tutta la
stanza. Gregory, tranquillissimo, aspettava senza batter ciglio che il
tumulto e le congetture causati dalle sue parole si placassero.
Circa mezz’ora dopo tornò il
silenzio. Uno a uno, i ragazzi e le ragazze della Valle tornarono a
sedersi, aspettando che Gregory parlasse ancora. Quello che udirono,
però, non era certo ciò che si aspettavano.
«È piuttosto tardi. Tutti nei
dormitori, avanti» disse Sofia.
Immediatamente si levò un coro di
proteste, ma la ragazza li stroncò sul nascere.
«Non voglio sentire obiezioni. Via di
corsa, tutti quanti» intimò severa.
Rassegnandosi, i ragazzi si avviarono lenti al di
fuori della stanza.
Quando furono usciti tutti, Sofia si rivolse ad
alcuni Figli degli Elementi.
«Costa… Viola, Gloria e
Friedrich, potreste andare a controllare che tutti siano nei
dormitori?».
«Certo. Andiamo subito»
rispose il primo, dirigendosi rapido verso i dormitori con gli altri
tre.
Gregory scese dal tavolo e si accomodò
su una sedia, piegato in avanti con i gomiti poggiati sulle ginocchia,
facendo rimbalzare a terra la sua amata pallina da tennis rossa e
grigia mentre i pochi rimasti nella sala lo osservavano in silenzio.
Blaze e Sofia sedettero sul bordo del tavolo,
spalla a spalla, seguendo il moto della pallina con gli occhi;
André, poco distante, parlottava piano con Laurence.
Una decina di minuti dopo, Costa e gli altri
rientrarono. Viola si chiuse delicatamente la porta alle spalle e
andò a sedersi insieme agli altri.
Istintivamente si girarono tutti verso Gregory,
come i raggi di un cerchio perfetto si rivolgono tutti al suo centro.
Lui, indifferente, li ignorava.
Il primo a rompere il silenzio fu Costa. Dopo aver
ascoltato Friedrich, che gli aveva sussurrato qualcosa
all’orecchio, si rivolse a Gregory.
«Tutto quello che stai
dicendo… l’esistenza dei Testimoni,
l’estensione del loro potere… chi ci dice che sia
la verità?».
Gregory, scocciato, lo fissò.
«Lo dico io. Non ti basta?».
Costa strabuzzò gli occhi.
«No che non mi basta! Perché
dovremmo fidarci di te? Non sappiamo chi sei, da dove
arrivi… niente di niente!».
«Garantisco io per lui»
intervenne Sofia, fissando il greco con aria di sfida.
«Questo per me non cambia
nulla!» ribatté l’uomo.
«Sparisci per quasi un mese e torni qui con lui»
indicò Gregory «che non ci dice niente di
sé ma in compenso ci rifila storie strampalate e prive di
fondamento!».
Sofia lo guardò con aria preoccupata.
Poi lo avvertì.
«Costa, fossi in te non irriterei
Gregory».
«E perché no? Ah certo, fammi
indovinare… perché uno dei famigerati due
Testimoni di cui parlava prima è proprio lui! E
l’altro invece sono io!» replicò
sarcastico. Sofia sollevò un sopracciglio.
«Molto divertente. Comunque, Costa, vuoi
sapere qualcosa su Greg? E voi altri?» chiese, guardandoli
uno alla volta. Annuirono tutti, alcuni con decisione, altri titubanti.
«Ottimo. Costa, ricordi l’onda
anomala che due anni fa si è abbattuta sulle coste del
Perù?».
L’uomo sembrava perplesso.
«Certo che la ricordo. Nessuno ha mai capito
perché si sia scatenata, dato che non c’erano
stati terremoti… senza contare che è stata
devastante. Ma cosa c’entra, adesso?».
«C’entra,
c’entra» rispose Sofia sghignazzando.
«Volevi sapere da cosa è derivata? Bene, la causa
ce l’hai davanti. Precisamente, sta alla mia
destra».
Costa la fissò incredulo. Poi
passò a fissare Gregory.
«Non è possibile!».
«Cosa non è
possibile?» chiese Gregory tranquillissimo.
«Quell’onda… era di
straordinaria potenza! Non ho mai visto nessuno evocare
l’Acqua in quel modo!» rispose Costa.
«Be’, adesso l’hai
visto. O vuoi una dimostrazione pratica, qui e ora?» chiese
Gregory, reprimendo un ghigno. Sembrava divertirsi un mondo.
«No no, non ce n’è
bisogno!» lo rassicurò in fretta
l’altro. Non ci teneva, a vedere quali danni fosse in grado
di provocare Gregory.
Sofia li guardò, ghignando apertamente.
Al pari di Gregory, sembrava divertirsi parecchio.
«Andiamo avanti…
André, Gloria: avete presente quella manovra per scagliare
una sfera di ghiaccio con un nucleo interno di Acqua bollente e vapore?
Quella che vi piace tanto e per cui vi siete dovuti allenare quasi un
anno, prima di riuscire a padroneggiarla?» riprese la ragazza.
I due si illuminarono.
«È un colpo
fantastico… ho sempre desiderato conoscere il genio che
l’ha ideato!» disse Gloria con gli occhi che
brillavano, mentre André annuiva.
«Perfetto. Gloria, André: vi
presento Gregory, il Portatore che ha ideato quello e molti altri colpi
d’Acqua complessi».
«Lui
ha ideato i colpi d’Acqua complessi?»
strillò Gloria. Sembrava fuori di sé.
«Ti prego, devi assolutamente
insegnarmi la doppia spirale d’Acqua e ghiaccio…
proprio non riesco a capire come si fa!» lo pregò
con sguardo implorante.
Gregory scoppiò a ridere.
«È uno dei colpi
più difficili da padroneggiare, ti ci vorrà
parecchio allenamento… ma potrei darti una mano»
rispose sorridendo.
Sofia si alzò e andò a
calmare Gloria, che sembrava in presa a una crisi isterica.
«Viola ti prego, aiutami a calmare tua
sorella!» esclamò disperata, non riuscendo a
contenere la ragazza di qualche anno più grande di lei.
Viola, la ventinovenne gemella di Gloria, corse verso di loro,
trascinò la sorella in un angolo e la costrinse a sedersi.
In pochi minuti, la ragazza si tranquillizzò.
Tirando indietro con le mani i lunghi capelli
castani, Sofia riprese fiato. Poi si rivolse di nuovo agli altri.
«C’è altro che
vorreste sapere su Greg?».
«Io voglio ancora sapere come vi siete
conosciuti» disse Blaze risoluto.
Sofia esitò per un momento.
«Nulla di particolare, Blaze. Ricordi
quando arrivasti al Centro, cinque anni fa?».
«Certo che lo ricordo. Tu non
c’eri» rispose il ragazzo.
«Precisamente. Ero appena partita e
restai all’estero per otto mesi, per un addestramento
particolare. Greg era il mio insegnante» disse, rivolgendo
all’uomo un sorriso luminoso. «Ho appreso molte
cose in quei mesi… oltre ad aver guadagnato un
amico».
Lui non ricambiò il sorriso.
«Non fu per addestrarla, che la conobbi.
Anche se capii subito che portarla via dal Centro era la cosa migliore
che potessi fare per lei, in quel momento» disse sibillino.
Sofia gli rivolse uno sguardo omicida. Laurence
intervenne per trarla d’impaccio.
«Be’, è una storia
lunga e al momento ci sono cose più interessanti di cui
discutere, non trovate?» disse, sedendosi accanto a Gregory e
rivolgendogli un’occhiata significativa.
«Perché non ci parli ancora dei Testimoni? Sarebbe
utile saperne di più».
Gregory non si lasciò ingannare, ma
decise di lasciar cadere l’argomento del suo primo incontro
con Sofia, che da parte sua ringraziò silenziosamente
Laurence per aver sviato il discorso.
Prima di iniziare, Gregory si rivolse proprio a
Sofia.
«Posso parlare liberamente?»
le chiese.
«Direi di sì… ma
non esagerare» rispose lei sottovoce, premendo leggermente
con le dita sulla spalla sinistra dell’uomo.
«D’accordo. Allora, ascoltate
tutti» esordì Gregory, richiamando la loro
attenzione. «Avete già sentito quello che ho detto
riguardo alla nascita del potere dei Testimoni. Ora vi
parlerò apertamente dell’estensione di questo
potere. Un Testimone è in grado di manipolare il proprio
Elemento senza alcun limite. Può rivoltare un oceano,
scatenare uragani di potenza inimmaginabile e causare terremoti, far
eruttare vulcani e tutto quello che di più catastrofico e
implacabile vi venga in mente. Lo può far mutare in tutte le
sue forme e, più in generale, riesce a fare tutto quello che
fa un normale Maestro: però in misura molto maggiore.
Inoltre, può fare questo sia stando direttamente a contatto
con l’Elemento, che trovandosi dall’altra parte del
mondo: il suo potere non risente in alcun modo della
distanza».
Fece una pausa, lasciando che i presenti
assorbissero le prime informazioni e le relative implicazioni.
«Ti rendi conto di quello che stai
dicendo? Mi dispiace ammetterlo ma Serj, prima, aveva ragione. Nessun
corpo può sopportare un potere simile. Finisce per esserne
consumato e distrutto» intervenne Friedrich, guardando
Gregory accigliato.
Anche gli altri annuirono. Avevano visto con i
loro stessi occhi un loro compagno forzare il proprio Elemento tanto da
perderne il controllo ed esserne consumato fino a morire.
Anche Gregory si accigliò.
«Credevo d’aver già
detto che per arrivare a essere un Testimone degli Elementi,
c’è bisogno di sottoporsi a un lungo e duro
addestramento, molto più duro di quanto voi possiate
immaginare, e questo addestramento comprende un grande lavoro sul
controllo dell’Elemento. E poi, se si nasce con una simile
capacità, si ha una resistenza fisica al proprio potere
molto maggiore rispetto ai normali Portatori. Credevo fosse
ovvio» disse, stupito che non l’avessero capito da
soli «in fondo è un principio molto simile allo
svilupparsi della resistenza fisica che avviene col passaggio da un
grado all’altro del normale addestramento, che rende il corpo
di un Maestro molto più forte rispetto a quello di un
Apprendista, ad esempio. Eppure avevo l’impressione che fosse
una delle prime cose che insegnate ai novelli Portatori»
concluse Gregory con lo stesso tono.
Alcuni dei suoi ascoltatori abbassarono lo
sguardo, sentendosi umiliati. Sofia intervenne in loro favore.
«Concepire un potere tanto esteso
è molto difficile, Greg. È normale esserne
spiazzati, inizialmente. È successo anche a noi, quindi non
gliene puoi certo fare una colpa» disse con forza.
«Sofi, i tuoi amici non sono certo dei
novellini. Sono tutti al livello dei Maestri, come te. Non posso
credere che siano tanto ingenui» ribatté subito
l’uomo.
La ragazza fremette. Moriva dalla voglia di
ricordare al suo vecchio insegnante ciò che le aveva
raccontato riguardo a quello che aveva provato quando aveva scoperto
quanto ampio potesse essere il potere di un Testimone, ma si trattenne.
Non era il momento di scatenare una disputa.
«Allora Gregory, invece di umiliarli,
perché non pensi a istruirli in qualcosa che tu conosci
molto bene ed evidentemente loro non conoscono affatto?»
suggerì con una punta di acredine nella voce.
Intervenne André. «Un
momento. Prima che vada avanti, credo che Gregory debba rendere conto
della sua affermazione di poco fa» disse inaspettatamente.
L’altro, chiamato in causa, lo
guardò con aria ingenua. «Di quale affermazione
parli? Ho detto svariate cose, fino ad ora».
«Sai bene a cosa mi riferisco. Hai detto
che siamo al livello dei Maestri, ma sai benissimo che siamo ancora
tutti Figli degli Elementi» ribatté il giovane
biondo.
Gregory lo guardò spazientito.
«Credi davvero che basti dire una
menzogna, per convincermi che si tratta della verità? Voi
otto, qui, siete dei Maestri. Potete nasconderlo, potete reprimere il
vostro potere come avete fatto finora per evitare che gli altri se ne
rendessero conto, ma il fatto che i vostri stratagemmi abbiano
ingannato gli altri non significa che possano fuorviare anche
me».
Prima che André potesse ribattere,
Sofia parlò.
«È inutile insistere,
André. Gregory ha un’incredibile talento nel
percepire l’estensione di un Elemento, anche se nascosto o
represso. Ve l’avevo già detto questo pomeriggio.
Possiamo ingannare chiunque… ma non lui».
Tutti osservarono prima Sofia e poi Gregory,
improvvisamente guardinghi.
«Se è
così… saprà dirci il livello di
chiunque, qui» disse Viola.
«Ho un’idea
migliore» intervenne Costa. Fissò Gregory con aria
di sfida. «Magari può dirci se e quale Elemento
appartiene a Emma».
«Non ho intenzione di dirvi nulla, al
riguardo» disse immediatamente Gregory. «Se lo
sapeste, finireste per forzarla… o trascurarla. Deve trovare
la propria strada da sola, quali che siano i suoi tempi»
concluse energicamente, rivolgendo un’occhiata severa al
greco.
«Ma torniamo ai Testimoni degli
Elementi» riprese Gregory dopo un breve silenzio.
«Come dicevo prima, i Testimoni sono in grado di
padroneggiare anche l’Energia pura. Sì,
sì, so già cosa state per dire» disse
con una smorfia, anticipando le obiezioni degli altri.
«L’Energia, sebbene sia il frutto
dell’unione dei quattro Elementi Fondamentali, non
può essere manipolata dal Portatore di un Elemento proprio
perché un normale Portatore padroneggia un solo Elemento, e
per formare l’Energia sono necessari anche gli altri tre. Le
dinamiche in base alle quali un Testimone di un Elemento riesca a
comandare l’Energia pura non sono chiare: l’unica
spiegazione plausibile, sebbene molto generica, è quella
secondo cui un Testimone sarebbe in grado di utilizzare
l’Energia perché il livello di manipolazione
dell’Elemento che viene raggiunto è talmente alto
da dare accesso all’Energia, che come sapete è
talmente difficile da sopportare – a livello fisico
– e da domare – a livello di manipolazione
– da aver fatto sì che la maggior parte dei
Portatori d’Energia si sia consumata proprio per
l’incapacità di sostenere un simile
potere»
«Quanta Energia riescono a padroneggiare
i Testimoni?» domandò Viola.
Gregory sorrise. Se gli facevano delle domande,
evidentemente iniziavano a fidarsi di lui.
«Questo varia da Testimone a Testimone.
Non c’è una regola fissa… o se
c’è, è stato impossibile individuarla,
dato che le documentazioni sui Testimoni sono tanto scarse.
È lecito ipotizzare, tuttavia, che un Testimone molto dotato
e ben addestrato sia in grado di manipolare un’ingente
quantità di Energia senza risentirne».
«Quanto ingente?» chiese
Costa. Sembravano tutti preoccupati.
«Conosci il significato di questa
parola? Significa che possono manipolarne parecchia. Abbastanza da
radere al suolo il Centro con un colpo ben piazzato».
La risposta di Gregory li colpì come
uno schiaffo in pieno viso. Come spenti, si rattrappirono sulle proprie
sedie, in un pesante silenzio.
Gregory, perplesso, chiese loro il
perché di quell’atteggiamento.
Fu Gloria a rispondere.
«Se Giovanni ci trova, non abbiamo
speranze» disse laconicamente.
«Continuo a non capire. Cosa
c’entra Giovanni con le nozioni che vi sto fornendo sui
Testimoni?» chiese l’uomo, sempre più
perplesso.
Gloria lo fissò incredula.
«Hai detto che ad ora ci sono almeno due
Testimoni nel mondo. Di certo Giovanni ne conosce l’esistenza
e sa chi sono… li convincerà ad aiutarlo a
trovarci e ad abbatterci, se opporremo resistenza. Se sono potenti come
dici… non avremo scampo» spiegò
cupamente la giovane donna.
«Non credo proprio che i due Testimoni
si schiererebbero con Giovanni» disse Gregory con una
vaghissima nota d’ilarità nella voce, a stento
repressa.
«Non puoi saperlo»
ribatté Costa, nervoso.
«Oh, posso eccome» fu la
risposta. «Dovete fidarvi di me quando vi dico che, in un
eventuale scontro, quei due Testimoni non sarebbero mai al fianco di
Giovanni. In nessun caso e per nessun motivo. Inoltre, lui non sa della
loro esistenza».
Lo fissarono tutti. Gregory era terribilmente
irritante: dava loro informazioni incomplete, lasciandoli fremere sulla
soglia della rivelazione, senza mai accontentarli. Tutti pensavano
questo… tutti tranne Sofia. Lei era l’unica a non
scomporsi, qualunque cosa lui dicesse: come se sapesse già
ciò di cui il suo vecchio insegnante parlava, ascoltava a
malapena le sue parole, preferendo concentrarsi sulle reazioni degli
altri Portatori.
André si schiarì la voce.
«Come fa un Portatore a rendersi conto
di poter raggiungere un livello superiore a quello dei
Maestri?».
«È una domanda
interessante» osservò Gregory. «Mi
chiedo come ti sia venuta in mente».
«Be’, visto che i Testimoni
sono tanto rari, probabilmente il loro addestramento si ferma quando
raggiungono il livello di Maestri. Qualcuno, in qualche modo, deve
rendersi conto che un determinato Portatore può raggiungere
un livello ancora superiore, altrimenti non ci sarebbero mai stati dei
Testimoni… visto che per diventare tali, ci hai detto che
bisogna sottoporsi a un ulteriore addestramento».
Gregory annuì soddisfatto.
«Hai centrato uno dei punti
più spinosi della questione. La risposta è
semplice: non tutti i Testimoni si rendono conto, nella loro vita, di
poter essere tali. Anche per questo, nella storia ce ne sono stati
così pochi».
«E dunque… come un Portatore
capisce di poter essere un Testimone?» chiesero di nuovo
Viola e Friedrich, impazienti.
«Di solito avviene attraverso un evento
traumatico. Quasi sempre, essendo i nostri addestramenti tanto duri, un
Portatore scopre quel surplus di potere dopo essere stato ferito.
È però possibile che se ne renda conto anche a
causa di un evento che sconvolge profondamente il suo equilibrio
emozionale o psichico, tanto positivo quanto negativo. Un altro motivo
per cui i Testimoni sono vergognosamente rari» fu la
spiegazione di Gregory.
«Quindi se un Portatore subisce una
grave lesione, o uno sconvolgimento emotivo, scopre questa nuova
riserva di potere» disse Blaze.
«Sì e no. Perché
questo avvenga, il Portatore in questione deve essere naturalmente
predisposto al raggiungimento del livello di Testimone. Ricorda che la
base di quel potere è intrinseca del Portatore: ha quella
facoltà dalla nascita» gli ricordò
Gregory.
Finalmente cominciava a essere tutto chiaro. Ora
André, Viola e gli altri riuscivano a spiegarsi il
perché della rarità dei Testimoni:
perché un solo Portatore giungesse a quel livello, erano
necessari una serie di requisiti – talvolta dettati dal caso
– piuttosto vari.
All’improvviso, Laurence si
ricordò di qualcosa che Gregory aveva detto poco prima.
«Chi sono i due Testimoni?»
gli domandò a bruciapelo.
Tutti si voltarono a guardarli.
Come faceva spesso, Gregory ostentò
un’aria confusa e innocente.
«Non saprei proprio dirtelo. Ma
perché me lo chiedi?» disse con noncuranza.
Laurence lo guardò fisso negli occhi.
Aveva un’indole tranquilla, ma quando si prefiggeva un
obiettivo diventava duro e implacabile. E in quel momento, il suo scopo
era scoprire chi fossero i due Testimoni di cui aveva parlato Gregory.
«Te lo chiedo perché ce ne
hai parlato» insisté Laurence.
«Sono solo voci. Autorevoli, certo:
provengono da persone affidabili. Ma restano pur sempre delle
voci» replicò l’altro, apparentemente
tranquillo.
«Ma poco fa ci hai detto, con grande
sicurezza, che questi due Testimoni non si schiererebbero mai con
Giovanni, in un’eventuale battaglia contro di noi. Per
affermarlo con tanta decisione devi di certo conoscerli, e
bene» esclamò Laurence, mettendolo alle strette.
Gregory lo guardò, affascinato. Durante
quelle prime ore alla Valle l’aveva visto posizionarsi ai
margini della vita che lì si svolgeva e aveva ritenuto che
le lodi che di lui tesseva Sofia fossero eccessive, ispirate
dall’affetto. In quel momento, però, si rese conto
che la sua giovane amica aveva ragione: Laurence era un Portatore
capace ed un uomo molto intelligente. Provando per lui una nuova stima,
decise di rispondergli con onestà.
«Hai ragione, Laurence: so chi sono i
due Testimoni, e li conosco molto bene. Però non posso
rivelarvi i loro nomi: hanno detto esplicitamente di voler conservare
l’anonimato, e io devo rispettare il loro desiderio. Ma se
dovesse rendersi assolutamente necessario, sarò pronto a
farli schierare al vostro fianco».
Laurence l’osservò
attentamente. Sapeva che quello che gli stava dicendo Gregory era la
verità, ma nonostante tutto aveva ancora
l’impressione che l’uomo stesse omettendo qualche
dettaglio fondamentale. A dispetto di tutto, però, sentiva
di potersi fidare.
I due uomini si scambiarono un sorriso appena
accennato. Entrambi sapevano che tra loro era appena nato qualcosa che
col tempo sarebbe diventata una solida amicizia. Poi Gregory prese di
nuovo la parola.
«Credo di avervi detto più o
meno tutto quello che so sui Testimoni. Per saperne di più,
dovreste vederli all’opera».
«Credi che accadrà
mai?» gli chiesero Viola e Gloria.
«Spero proprio di no. Solo una guerra
potrebbe costringerli a mostrarsi, e noi faremo di tutto per
evitarlo» fu l’inaspettata risposta non di Gregory,
ma di Sofia.
«E non c’è
nessun’altra possibilità di
incontrarli?» domandò Blaze speranzoso.
Gregory guardò di sbieco Sofia.
«Magari potremmo convincerli…
dopotutto sarebbe ora di finirla, con questa smania della segretezza.
Potrebbero scoprire altri Testimoni, aiutarli a riconoscere il proprio
potere senza dover necessariamente passare per un evento
traumatico…» tentò.
Lei scosse la testa prima ancora che Gregory
terminasse.
«Assolutamente no! Sai bene quanto me
cosa accadrebbe se si mostrassero… si scatenerebbe il
finimondo. Il loro potere è troppo ambito, troppo
desiderato, troppo pericoloso per rischiare».
«Oh, andiamo Sofi…».
«No, Gregory. Se proprio vuoi farlo
prego, accomodati. Ma non contare su di me» disse Sofia
stizzita, uscendo dalla sala.
Gregory sospirò.
«Mi sa che stavolta è
arrabbiata sul serio… non interrompe mai una conversazione
andandosene» disse Blaze non appena la porta si richiuse alle
spalle della ragazza.
«Lo so» rispose Gregory.
Sembrava pentito d’aver tentato di forzare la situazione.
Laurence gli rivolse un’occhiata
d’intesa.
«Sta’ tranquillo, le
passerà. Il vostro viaggio è stato piuttosto
faticoso, vero?».
«Abbastanza… in effetti sono
un po’ stanco» disse Gregory, afferrando al volo la
via d’uscita che Laurence gli stava offrendo. Non se la
sentiva di farsi fare altre domande riguardo ai Testimoni.
«Allora andiamo… ci sono
ancora parecchie camere libere, puoi scegliere quella che
preferisci» disse Laurence facendogli strada fuori dalla
stanza, mentre gli altri li seguivano e si sparpagliavano
nell’edificio come foglie al vento. |
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Capitolo 7 *** Segreti e bugie ***
«Qualcuno ha visto Elizabeth?».
Gli Apprendisti dell’Acqua risposero
negativamente.
«D’accordo…
grazie» rispose Andrè, accigliato.
Percorse poche centinaia di metri, vide Sofia in
lontananza. La raggiunse di corsa.
«Sofi!» gridò
quando le fu abbastanza vicino. Lei si girò di scatto.
«André! Mi hai
spaventata… cosa c’è?».
«Per caso hai visto
Elizabeth?».
Lei aggrottò le sopracciglia.
«È sparita? Di
nuovo?».
«Pare proprio di
sì».
Nell’ultima settimana Elizabeth si era
eclissata per diverse ore, senza che nessuno riuscisse a trovarla.
«È già la terza
volta» notò André preoccupato.
In quel momento Blaze spuntò fuori dal
nulla.
«André! Di nuovo alla
disperata ricerca di Elizabeth?» chiese sghignazzando.
L’altro non parve altrettanto divertito.
«Non è che per caso
l’hai vista?» chiese speranzoso. Il giovane
americano scosse la testa.
«Neanche l’ombra.
Probabilmente si è nascosta da qualche parte per
allenarsi… o magari si è di nuovo incollata a
Gregory, nella speranza che lui le insegni qualche colpo
d’Acqua complesso!» disse, trattenendo un altro
ghigno. Sapeva quanto André fosse infastidito dalle recenti
attenzioni di Elizabeth per Gregory - che da parte sua la ignorava il
più possibile. Il ragazzo, infatti, ebbe un moto di stizza.
«Vado a cercarla, è
meglio!» disse, avviandosi veloce verso un boschetto.
Sofia guardò Blaze.
«Dovevi proprio provocarlo? Sai quanto
gli dia fastidio l’atteggiamento di Elizabeth, che bisogno
c’è di girare il dito nella piaga?» gli
chiese.
Blaze scrollò le spalle.
«Magari in questo modo si
renderà conto che lei non lo merita. Neanche a me piacciono
i suoi atteggiamenti… è
un’opportunista».
«André è
innamorato, Blaze. Non puoi farci niente…
rassegnati».
Il ragazzo sbuffò.
«Ti prego non dirlo… evito
più che posso di pensarci!» disse, ostentando
un’esagerata smorfia di disperazione.
Sofia scoppiò a ridere.
«Sei senza speranze Blaze…
non cambierai mai!». Poi, tornando seria, gli
parlò delle proprie preoccupazioni.
«A te sembrano normali, queste
sparizioni di Liz?» gli chiese.
«Per ora non ci vedo niente di
strano… magari vuole solo stare un po’ da sola.
Qui non c’è molta privacy, lo sai»
rispose lui con una scrollata di spalle.
«Mah… forse hai ragione
tu» disse Sofia, poco convinta.
Proprio in quel momento, un rumore alle loro
spalle li fece voltare. Elizabeth era arrivata di corsa.
«Sapete dov’è
Gregory?» chiese immediatamente.
Blaze alzò gli occhi al cielo. Sofia,
invece, le rivolse uno sguardo torvo.
«Perché invece non ci chiedi
di André? Ti ha cercata dappertutto, sta impazzendo dalla
preoccupazione!» la rimproverò.
La ragazza l’ascoltò a
malapena.
«Be’, ditegli che mi avete
vista e che sto bene. Allora, dov’è
Gregory?» chiese di nuovo con impazienza.
«Di là, ai piedi delle ultime
colline prima della prateria. Vicino al terzo laghetto a Est»
disse Sofia, indicandole la direzione con una mano.
«Perfetto. Ciao!» disse
Elizabeth, correndo via.
«Poteva almeno ringraziarmi»
disse Sofia tra sé e sé.
«Non credo che lo
farà… specialmente quando si renderà
conto che l’hai mandata nella direzione opposta a quella in
cui si trova davvero Greg» notò Blaze divertito.
Sofia gli rivolse un ghigno divertito.
«Se l’è meritato.
Non ho saputo resistere!».
Si incamminarono nella direzione opposta a quella
presa da Elizabeth. Pochi minuti dopo incrociarono Fernando, Emma e
Ailie.
«Gregory ci ha mandati a
cercarti» dissero i tre a una voce, rivolti a Sofia.
Lei spalancò gli occhi.
«Quando mi fa chiamare mi preoccupo
sempre. Non oso immaginare cosa stia tramando…».
Blaze scoppiò a ridere.
«Tu,
preoccupata? Ah no, questa scena non voglio perdermela…
andiamo!» esclamò il ragazzo, facendo cenno a
Fernando di fargli strada e trascinandosi dietro Sofia.
Mentre Fernando parlava con Blaze, Sofia chiese a Ailie come
avessero trascorso la mattinata.
«Oh, è stato molto
interessante!» esclamò la giovane con gli occhi
che brillavano. «Gregory ci sta spiegando come percepire gli
Elementi».
«E qualcuno è riuscito a
percepire qualcosa?» le domandò Sofia. Sapeva
quanto fosse difficile imparare a sentire gli Elementi e a riconoscere
la traccia inconfondibile che caratterizzava ogni singolo Portatore.
Ailie scosse la testa.
«Qualcuno si è sentito
male… dicevano che era come se qualcosa di invisibile li
schiacciasse».
«È perfettamente normale.
Quando si inizia a percepire la massa indistinta degli Elementi dei
vari Portatori, non si riesce a distinguerli gli uni dagli altri e i
sensi ne vengono sopraffatti. Ma imparerete presto a sopportare quel
flusso d’informazioni» le spiegò Sofia,
prima di rivolgersi a Emma. «E tu, Emma? Hai sentito
qualcosa, mentre Gregory vi spiegava come riconoscere le tracce dei
Portatori?».
«Io… non ci ho
provato» rispose mesta la ragazzina.
Sofia la guardò stupita, prima di
rivolgerle la domanda più semplice e insieme più
complessa.
«Perché?».
«Perché non sono una
Portatrice!» esplose Emma, stanca di ripeterlo ogni volta che
le veniva rivolta una domanda che riguardasse gli Elementi.
«Invece avresti dovuto. Non puoi sapere
in quale modo il tuo potere si mostrerà e se non provi
nemmeno ad avvicinarti a questo mondo, be’… allora
potrebbe non accadere mai» disse Sofia accigliata.
«Però è bello vedere che sotto quel
visetto dolce e l’aria riservata c’è
della grinta» proseguì sorridendo.
«Credi davvero che in me ci sia la
traccia di un qualche Elemento?» le chiese Emma speranzosa.
«Quello che credo io non ha importanza,
Emma. Conta quello che credi tu, e il modo in cui ti poni di fronte al
problema è sbagliato. Impedisce al tuo potere di
manifestarsi, se c’è. Sì, so cosa stai
pensando» disse Sofia notando la sua espressione.
«Ti senti a disagio perché sei l’unica,
qui, che non ha ancora dimostrato di essere un Portatore. Quello che
devi capire è che non ci sono tempi e modalità
standard. Per ognuno di noi vale una regola diversa, riguardo
l’emergere del potere. Prendi Laurence: lui ha scoperto di
essere un Portatore dell’Aria a ventinove anni. Quindi smetti
di preoccuparti del fattore tempo» concluse, dandole una
pacca sulla spalla.
Ailie tirò una gomitata a Emma.
«Hai visto? Te l’avevo detto
che ti stavi facendo troppi problemi!».
L’altra la spinse, ridendo.
Sofia scosse la testa, mentre arrivavano al grande
prato dove sorgeva l’Ala Est dell’unico grande
edificio della Valle.
«Eccovi finalmente!». La voce
di Gregory li raggiunse prima che riuscissero a scorgerlo.
Si fermarono di fronte a lui e Laurence.
«Allora Greg, cosa vuoi da
me?» gli chiese Sofia con l’aria di un condannato a
morte che si avvii al patibolo.
Gli occhi di lui brillarono maliziosi nel
risponderle.
«Pensavo che ti avrebbe fatto piacere un
po’ di allenamento… è da tanto che non
ci sfidiamo. O hai forse paura?» la stuzzicò.
Lei arruffò il pelo come una gatta.
«Mi prendi in giro? Potrei batterti a
occhi chiusi!» fu la replica.
«Bene. Allora cominciamo»
decise Gregory con un ghigno. «Sarà meglio che vi
allontaniate» disse agli altri, che si affrettarono ad
obbedire.
I due iniziarono a studiarsi, mettendo circa
cinque metri tra di loro. Trascorsero in questo modo dieci
interminabili minuti, durante i quali gli altri Figli degli Elementi e
alcuni Apprendisti – tra cui Elizabeth - si unirono al
gruppetto già sul prato.
«Pensate che andranno avanti a lungo in
questo modo?» chiese Ailie a Laurence e André.
Proprio in quel momento, i due contendenti
scattarono.
Gregory lanciò contro Sofia un getto
d’Acqua, che si tramutò in ghiaccio e si divise in
uno sciame di schegge prima di arrivare a destinazione. Sofia
parò il colpo disperdendo i piccoli dardi con la mano
sinistra, coperta da un sottilissimo velo di Fuoco. Poi
contrattaccò, evocando una frusta incandescente e cercando
di arpionare l’uomo alla gamba per trascinarlo a terra, ma
Gregory riuscì appena in tempo a deviare il colpo,
evitandolo per pochi centimetri.
Tutto si svolse in meno di cinque secondi. Poi,
dopo un istante di pausa, fu Sofia ad attaccare nuovamente, scagliando
una manciata di sfere infuocate contro Gregory.
«Banale!» le gridò
contro lui, facendole esplodere con dei colpi d’Acqua ben
piazzati. Ma la massa di scintille in cui si erano sbriciolate le sfere
di Sofia, invece di dissolversi, a un cenno delle mani della ragazza si
avventarono su Gregory, che non riuscì a evitarle tutte. Il
suo braccio destro scomparve sotto le scintille, che immediatamente
arsero.
Saltellando, Gregory tentò di
scrollarsele di dosso. Mentre con una sottile lastra di ghiaccio
riusciva a fare presa sulle scintille più esterne,
staccandole dal proprio braccio, Sofia gli immobilizzò le
mani con dei ceppi di Fuoco e lo colpì con una frustata
ardente in pieno petto, facendolo crollare al suolo.
«Uno a zero per me»
annotò ghignando la ragazza.
«Stronza» replicò
lui, steso a terra.
Sofia lo liberò e attese che si
rialzasse. Poi si misero di nuovo in posizione, lei in allerta, lui
studiando il modo migliore per attaccarla e tornare in
parità.
Immobili, si fissarono per alcuni minuti.
All’improvviso Sofia spiccò un salto.
«Ma che diavolo…?».
Si guardò i piedi: erano stretti in una
morsa di ghiaccio che le impediva di muoversi. Un cerchio di Fuoco le
percorse il corpo, dall’alto verso il basso, concentrandosi
sul ghiaccio e sciogliendolo. Gregory colse il momento per lanciarle
contro un lungo, spesso nastro d’Acqua che le si avvolse
attorno al corpo, bloccandola.
«Uno pari» disse Greg,
sollevando un sopracciglio.
«Fossi in te non ci
scommetterei» rispose Sofia muovendo impercettibilmente le
mani, rimaste libere.
Uno spesso strato di fumo, grigio e acre, si
levò dal terreno circondando Greg e togliendogli
momentaneamente il respiro. Mentre l’uomo annaspava
un’onda di Fuoco si alzò alle sue spalle,
inglobandolo in una bolla incandescente.
Alcuni Apprendisti gridarono di paura e stupore,
mentre Costa e André scattavano in avanti per intervenire.
«Non vi azzardate!»
gridò Sofia, intuendo le loro intenzioni. Un istante
più tardi l’Acqua che la stringeva in una morsa si
dilatò, chiudendola a sua volta in una bolla trasparente
attraverso cui il corpo della ragazza si intravedeva confusamente.
Per metà atterriti e per
metà affascinati tutti rimasero al proprio posto, senza
osare muoversi o intervenire. Dopo un paio di minuti, quasi
simultaneamente, le due bolle crollarono su loro stesse, franando a
terra e dissolvendosi. Gregory e Sofia caddero sull’erba,
respirando affannosamente, il primo col viso coperto di fuliggine
rivolto verso il cielo a cercare aria pulita, la seconda distesa
bocconi sul terreno, bagnata fradicia.
Greg si girò faticosamente verso di lei.
«Pari?» chiese.
«Scordatelo. Io avevo già
messo a segno un colpo» replicò Sofia con voce
flebile.
Blaze, André e Costa scattarono in avanti.
«Siete pazzi? Potevate uccidervi
l’un l’altra!» strillò il
greco, sconcertato dalla noncuranza con cui valutavano il loro recente
scontro.
Gregory si alzò, aiutato da Blaze.
«Oh no, stavamo solo giocando un
po’. Altrimenti non ci saremmo
trattenuti…».
Costa lo guardò strabuzzando gli occhi.
«E quello tu lo chiami giocare?»
disse incredulo.
«Calmati Costa» intervenne
Sofia, mentre André l’afferrava per la vita e la
tirava su di peso «o andrai a fuoco».
«Calmarmi? Ci prende anche in giro, ci
dice che vi stavate trattenendo e…».
«Ma è
così» lo interruppe Sofia. «Ti sembrava
ci stessimo impegnando? Se l’hai pensato, hai delle pessime
capacità di valutazione». Poi si
guardò. «Greg, accidenti a te… sono
zuppa, guarda!» disse, afferrando i lisci capelli castani che
le arrivavano alla vita e strizzandoli. Una piccola pioggia si
riversò sul prato.
«E io cosa dovrei dire?»
replicò lui, indicandosi i vestiti anneriti, coperti di
fuliggine e bruciacchiati qua e là. «Sono sudicio,
grazie al tuo fuocherello».
«E chiamalo fuocherello!»
disse Blaze.
Scoppiarono tutti a ridere.
«Va be’, sarà
meglio andare a cambiarci… a proposito André,
dov’è Liz? Mi sembrava d’averla vista
lì tra voi» chiese Sofia mentre il gruppetto di
spettatori si allontanava e lei, Greg, André, Blaze e
Laurence entravano nell’edificio e si dirigevano verso
l’Ala Nord, dove erano situate le loro stanze.
«Non ne ho idea… mentre
osservavamo il vostro scontro mi ha detto che le era venuta voglia di
fare una passeggiata e se n’è andata»
rispose il giovane.
«Certo che la tua ragazza è
diventata una gran camminatrice. Da quand’è che ha
cominciato a sparire per queste lunghe passeggiate
solitarie?» disse Blaze ad André.
Fu Gregory a rispondere. «È
sparita per la prima volta pochi giorni dopo il mio arrivo…
l’undici di Giugno. E non credo sia stata una coincidenza,
che sia iniziato tutto quel giorno».
«E cos’aveva di speciale quel
giorno?» chiese sempre Blaze.
«Era il mio compleanno» disse
Gregory «e credo che Elizabeth avesse sentito Sofia farmi gli
auguri, perché si è presentata mentre mi allenavo
nel boschetto qui vicino per augurarmi un buon compleanno e offrirmi un
regalo… decisamente particolare».
«E cos’era, che voleva
regalarti?» domandò Laurence dopo una breve
esitazione. Avevano tutti il timore che la risposta potesse ferire
André.
«La sua fedeltà. Come
Portatrice d’Acqua, non come donna… a patto
però che io decidessi di addestrarla e insegnarle i colpi
d’Acqua complessi e altri trucchi del genere. Ho rifiutato, e
lei se n’è andata come una furia, sparendo fino a
notte fonda» disse Gregory.
«Abbiamo notato tutti che ha una certa
ossessione per l’addestramento e che vuole bruciare le tappe,
ma questo non ha senso. Sei un Maestro dell’Acqua,
l’avresti addestrata comunque». Questa volta fu
Blaze a parlare.
«Ho avuto come l’impressione
che si aspetti lo scoppio di una guerra» replicò
Gregory, guardando André. «Magari tu sai dirci
come mai lo pensa».
Intervenne Laurence. «Tutti ci
aspettiamo un attacco da un momento all’altro. Abbiamo
allertato ogni singolo Portatore a tenere costantemente gli occhi
aperti».
«Ma anche questo non ha senso. Ho visto
le protezioni che avete attivato intorno alla Valle per evitare che
qualcuno riesca ad accedervi o a percepirvi. Queste cose di certo le
sanno tutti quelli che sono qui, quindi come può Elizabeth
credere una cosa del genere? Sofia, tu cosa ne pensi?» disse
Gregory rivolgendosi alla sua vecchia allieva, che aveva
un’aria preoccupata.
«Penso che dovremmo rafforzare le
protezioni e controllare Elizabeth. Queste passeggiate solitarie non
sono prudenti… e lei non sa ancora reprimere il proprio
potere» aggiunse dopo una breve riflessione.
«E…?» disse
Gregory. Sapeva che lei aveva omesso una parte dei suoi pensieri.
«E penso anche che dovremmo stare
attenti a quello che diciamo… e soprattutto a chi lo diciamo.
Temo che ci sia qualcuno, tra di noi, di cui non possiamo
fidarci» concluse la ragazza.
«Intesi. Vado a cercare Liz»
disse André lasciandoli.
«Noi andiamo a prendere gli altri Figli
degli Elementi e facciamo un giro di controllo» dissero
Laurence e Blaze.
«A proposito di questo…
sarebbe ora che vi decideste a rivelare che voi otto siete dei Maestri,
non più dei semplici Figli degli Elementi»
esclamò Gregory. Laurence annuì.
«Lo faremo alla prima occasione
utile» confermò l’uomo, uscendo
nuovamente all’esterno.
Gregory e Sofia rimasero soli nel corridoio.
«Andiamo a cambiarci e vediamoci nella
biblioteca… ci sono alcune cose di cui dobbiamo parlare, se
non vogliamo una guerra» disse Sofia, fissando gli occhi
azzurri del cinquantaduenne che aveva davanti. Lui annuì, e
si separarono.
*
Giovanni sbucò da dietro un albero, richiamato dalle grida
di Jackson.
«Eccoti finalmente!»
esclamò l’americano spazientito. «Si
può sapere cosa fai tutti i giorni qui in mezzo al
bosco?».
«Mi alleno» rispose Giovanni.
Dalla conversazione avvenuta solo due settimane prima sembrava essersi
ripreso.
«Sono contento che ti sia scosso
dall’apatia che ti avvolgeva e che tu abbia ricominciato a
utilizzare il tuo Elemento… ma non ti sembra di
esagerare?».
«Assolutamente no. Devo sviluppare il
mio potere a ogni costo».
«Ancora? Giovanni mi dispiace dirtelo ma
credo tu abbia già raggiunto il tuo limite. Sono ventisette
anni che ti alleni ormai…» disse Jackson, cercando
di farlo ragionare.
L’uomo bruno gli rivolse un gran sorriso.
«Da quando mi sono ripreso,
più di un mese fa» esordì «ho
iniziato a sentire il potere del Fuoco scorrermi dentro con molta
più energia. Ogni giorno aumentava
d’intensità e, dopo aver parlato con te, ho capito
che non dovevo trascurare questo nuovo flusso di potere, ma
valorizzarlo. Quindi mi allenerò fino a quando non si
esaurirà».
Jackson lo guardò con sospetto.
«So a cosa stai pensando, Giovanni. Vuoi
raggiungere il livello dei Testimoni, ma non puoi. Non puoi
perché quel livello non
esiste».
«Lo so bene. Ripensandoci mi sono reso
conto che Sofia è sì a un livello superiore a
quello che credevamo, ma se è riuscita a ferirmi
è stato solo perché la rabbia ha avuto il
sopravvento sulla mia mente e mi ha portato ad abbassare la guardia nel
tentativo di sopraffarla. Penso solo di poter sviluppare il mio potere
un po’ di più, e credo non ci sia nulla di male in
questo» disse tranquillamente l’uomo. Jackson
sembrò rilassarsi.
«Bene, mi fa piacere che tu abbia smesso
di trastullarti con idee infondate. Comunque ero solo venuto ad
avvertirti che tra mezz’ora dovresti cominciare
l’addestramento giornaliero dei tuoi Portatori» gli
disse.
«Sei stato molto gentile… in
effetti avevo perso la cognizione del tempo. Tu va’, io li
raggiungo tra qualche minuto».
Alle sue parole Jackson si avviò di
nuovo verso il Centro, facendo attenzione a non inciampare nelle radici
di qualche albero che, in quel punto della foresta, spuntavano numerose
dal terreno.
Giovanni lo guardò allontanarsi. Non
riusciva a capacitarsi di quanto ottusi e mentalmente ristretti fossero
gli altri tre Maestri. Erano convinti di essere i depositari della
verità assoluta, riguardo agli Elementi e ai Portatori, e
così facendo non riuscivano a cogliere le sfumature che,
nelle ultime due settimane, avevano aperto una nuova serie di
possibilità - pressoché infinite - davanti ai
suoi occhi.
Giovanni riprese ad allenarsi, chiedendosi dove
diavolo fosse finito Gregory e dove ancora potesse cercarlo.
*
«Avanti, pensate: dove potrebbero essere?».
Jackson e Tsukiko alzarono gli occhi al cielo.
Prudencia era alle prese con la sua occupazione preferita: scoprire
come arrivare a Sofia e agli altri Portatori fuggiaschi.
«Prudencia santo cielo, basta! Non
abbiamo idea di dove siano e, a meno di un colpo di fortuna, non lo
scopriremo mai. Quindi smettila di assillarci!» esplose
l'orientale. Le continue domande di Prudencia al riguardo erano
riuscite a intaccare la sua calma e a farle perdere la pazienza.
Qualcosa che non capitava spesso.
L’argentina la guardò
sbuffando e scuotendo i lunghi, neri capelli ricci.
«Sembra che non v’importi di
trovarli!» disse con astio.
«Certo che c’importa di
trovarli» intervenne Jackson «ma come ha
giustamente detto Tsukiko, al momento non abbiamo modo di scovarli e
insistere con delle ricerche infruttuose è inutile. Fattene
una ragione».
Giovanni entrò nella stanza con passo
svelto, il volto disteso e i capelli ancora umidi. Probabilmente era
appena uscito dalla doccia.
«A Prudencia non interessa riportare
indietro i Portatori che sono fuggiti… vuole solo vendicarsi
di Sofia. Si sente umiliata dal fatto che una ventiquattrenne possa
essere molto più potente di lei» disse
allegramente l’italiano. Prudencia lo fulminò con
gli occhi.
«Sofia non è più
potente di me!» ribatté con veemenza, prima di
rendersi conto di quanto infantile fosse la sua risposta.
«Oh sì, che lo
è» insistette Giovanni «e se fossi
onesta con te stessa e con gli altri, ammetteresti che ce
l’hai con lei da quando abbiamo fondato il Centro. Non hai
mai accettato che ti avessi lasciata per occuparmi di una ragazzina
più piccola di me di ben diciotto anni. Ne sei sempre stata
gelosa» concluse tranquillamente, incurante
dell’espressione sbalordita di Jackson e Tsukiko e di quella
furiosa di Prudencia, che era livida in volto.
«Comunque» proseguì
l’uomo «a rischio di risultare banale, ti ripeto
quello che hanno già detto Tsukiko e Jackson: ad ora, non
hai modo di trovarla. Però una possibilità
c’è».
«E quale sarebbe, questa
possibilità? Dimmelo!» ringhiò la donna.
«C’è un Maestro,
che conosco da molto tempo e che mi ha addestrato per circa tre anni,
abilissimo nel percepire le tracce dei Portatori. Voglio chiedergli di
venire qui e aiutarci a trovare i fuggiaschi».
«Si può sapere cosa stai
aspettando? Se ti fossi mosso prima, forse li avremmo già
trovati!».
«Non è così
semplice. Questo Maestro ha l’abitudine di
nascondersi… rintracciarlo è molto difficile. Ho
chiesto informazioni a tutti quelli che lo conoscono, ma nessuno ha
saputo aiutarmi… è come svanito nel
nulla» spiegò Giovanni. «Ma non dubito
di riuscire a trovarlo. A una condizione però, Prudencia:
che tu mi prometta che non torcerai neanche un capello a
Sofia».
«Cosa?!» esclamò
lei furiosa, ma non aggiunse altro. La sua indignazione sembrava averla
lasciata senza parole: quando finalmente le ritrovò, si
scatenò in una lunga invettiva contro Giovanni.
«Non accetterò mai! Voglio farla a pezzi con le
mie mani!» concluse con violenza.
«Allora non farò nulla per
ritrovarla. Uccidere una Portatrice di talento come Sofia sarebbe uno
spreco indescrivibile, Prudencia. Senza contare che lei è mia. La rivoglio
con me, ma non da morta. Piuttosto, la lascerò scappare e
nascondersi fin quando non ti passerà la voglia di farle del
male» disse risoluto Giovanni, prima di voltarsi ed andarsene.
Calò un silenzio imbarazzato. Poi
Tsukiko si rivolse all’argentina.
«Non sapevo che tu e Giovanni aveste
avuto una storia…» disse titubante.
«Ce l’avevamo, sì.
Fin quando non andò in Spagna» rispose Prudencia
con una smorfia feroce sul volto. «Arrivato là
sparì, e non ne seppi più nulla per quattro
anni… cioè fino a quando non tornò per
dirmi che si era messo in affari con quell’altro italiano e
chiedermi di fondare il Centro con lui e con voi due».
Dopo il breve silenzio che seguì le sue
parole, fu proprio Prudencia a parlare di nuovo.
«Giovanni si comporta in modo strano,
ultimamente. Non riesco a capire cos’abbia in
mente».
«Gli ho parlato, poco prima che venisse
qui. La guarigione sembra avergli infuso nuove energie e si sta
allenando per potenziare il controllo del proprio Elemento»
la informò Jackson.
Prudencia non sembrò convinta.
«Che si allena a fare, se ha già raggiunto il
livello massimo dell’addestramento?».
«Ma Prudencia, si può sempre
migliorare. Magari vuole acquisire una padronanza del Fuoco sufficiente
a imparare le tecniche di guarigione» ipotizzò
Tsukiko.
«Non si è mai interessato di
cose simili. Finora non ha fatto altro che concentrarsi sulle tecniche
di combattimento e di ricerca» obiettò
l’altra donna.
«Probabilmente dopo aver subito quella
ferita si è reso conto di quanto può essere utile
saper guarire» rispose Jackson con noncuranza.
«No, continuo a essere convinta che ci
sia qualcosa che non va. Devo parlarne con lui, subito»
decise Prudencia.
Detto ciò uscì dalla stanza.
Jackson e Tsukiko si guardarono.
«Credi sia il caso di seguirla e
controllare che la loro discussione non degeneri?» chiese lei.
Jackson scosse la testa. «Giovanni
è cambiato. Sembra aver ritrovato il proprio
equilibrio… e niente di quello che può dire
Prudencia può toccarlo. Non gli interessa minimamente la sua
opinione… né quella di nessun altro».
«Allora non ci resta che
aspettare» rispose Tsukiko, scrollando le spalle.
*
Prudencia percorse quasi a passo di marcia il corridoio principale
dell’Ala Sud, controllando le stanze più spaziose:
erano tutte vuote. Affacciatasi a una finestra vide fiamme e fumo
alzarsi dalla parte più bassa del parco. Fece dietrofront ed
uscì dalla grande porta al termine del corridoio, camminando
veloce, guidata dalle voci. Abbandonò i sentieri e
attraversò il prato verde brillante in modo da arrivare
più rapidamente a destinazione. In pochi minuti giunse al
limitare del bosco: Giovanni era lì, che addestrava i
Portatori del Fuoco con una pazienza e una buona volontà che
non si vedevano in lui da anni, ormai.
Questo la confuse ancora di più. Non
riusciva a capire il perché del repentino cambiamento del
suo ex amante, ed era più decisa che mai a scoprirlo.
«Giovanni!» chiamò
con forza.
L’uomo alzò lo sguardo.
«Prudencia. Hai bisogno di
qualcosa?» chiese in tono neutro, come se la scena di poco
prima non si fosse mai svolta.
«Devo parlarti. Subito»
sottolineò, convinta che lui le avrebbe rivolto un netto
rifiuto.
La sua risposta la spiazzò.
«Ma certo. Evan!»
chiamò Giovanni, volgendo lo sguardo verso la parte sinistra
del gruppo. «Vieni qui e continua tu a guidare gli altri
nell’esecuzione degli esercizi».
Il ragazzo si affrettò ad eseguire.
Giovanni invitò Prudencia a seguirlo.
«Immagino desideri che la nostra
conversazione sia privata» disse, facendole strada.
Dopo aver attraversato il bosco per qualche
minuto, giunsero in una piccola radura inondata dal sole. Lì
la donna si voltò, pronta ad affrontarlo.
«Da quando ti sei ripreso sei molto
cambiato. Cosa c’è sotto?» chiese tutto
d’un fiato.
«Cambiato? Direi piuttosto di essere
molto più simile a quello che ero un tempo. Prima che il
Centro mi assorbisse completamente, anima e corpo» rispose
lui, evitando la domanda principale.
«Sai bene a cosa mi riferisco. Ti stai
allenando di nuovo!» replicò lei.
«Oh andiamo, ne state facendo un caso.
Anche voi vi allenate ogni giorno per mantenere il contatto col vostro
Elemento, studiare nuove tecniche e migliorare. Non capisco cosa ci sia
di strano se a farlo sia io» sbottò Giovanni, ora
lievemente irritato.
«C’è di strano che
dedichi ogni tuo momento libero ad addestrarti. Noi ci limitiamo a
esercitarci per un paio d’ore al giorno, ma tu… a
volte non dormi neanche, pur di allenarti. Credevi non
l’avessimo notato? Ti stai spingendo al limite, e ora voglio
sapere perché»
fu la risposta.
«Perché mi manca
Sofia!» esplose Giovanni, optando per una parte della
verità. «Perché senza di lei il Fuoco
che mi scorre dentro è come affievolito e voglio essere
sicuro che il mio potere non diminuirà. Perché
quando mi alleno non penso al fatto che ha tradito la mia
fiducia!».
Prudencia lo guardò offesa.
«Possibile che tu non faccia che pensare a quella
ragazzina?!» gridò.
Lui sospirò. Sapeva che se la sarebbe
presa – ce l’aveva ancora con lui per essere stata
lasciata di punto in bianco e senza una spiegazione dodici anni prima
– e aveva tentato di evitare che si creassero nuovi attriti
tra loro.
«Quella ragazzina, come la
chiami tu, è la nostra migliore Portatrice e stratega e io
avevo garantito al mio collega che avrebbe lavorato per lui. Lo
conosci, sai bene che non posso tirarmi indietro proprio ora e per di
più dicendogli che mi sono fatto scappare metà
degli allievi» le ricordò con una punta
d’impazienza.
«Se ci tiene tanto ad averla, chiedi il
suo aiuto: visti i mezzi che ha a disposizione, non gli ci
vorrà molto a ritrovarla!».
Giovanni sbuffò. «Da come
parli, si direbbe che tu non sappia come stanno le cose: è
buffo, considerato che sei l’unica che, invece, sa tutto»
ringhiò. «Il mio socio non ha idea di chi sia
Sofia: di lei non conosce che il nome e l’età
visto che, come ti ho detto tempo fa, mi ha aiutato lui a procurarmi i
documenti falsi per nasconderla. Inoltre non ho intenzione di
informarlo di questo piccolo "incidente di percorso". Almeno, non fino
a quando sarà possibile evitarlo».
«Allora trova un modo per riportarli
tutti indietro, e in fretta, oppure penserò io ad avvisare
il tuo amico» sputò l’argentina con
rabbia prima di andarsene.
Bene,
pensò Giovanni. Un
altro problema da risolvere. Posò lo sguardo a
terra e scagliò con rabbia un getto di Fuoco contro una
piccola macchia di fiori che si trovava ai suoi piedi, incenerendoli.
«Maledetti asfodeli»
ringhiò prima di tornare indietro.
*
Quando entrò nella biblioteca, lui era già
lì.
«Ci hai messo
un’eternità!» la rimproverò
Gregory.
«Certo. Perché grazie a qualcuno avevo i
capelli completamente impregnati d’acqua e ho dovuto
asciugarli!» ribatté Sofia guardandolo torvo.
Sedettero uno di fronte all’altra. Poi
Sofia prese fiato.
«Abbiamo un problema, temo»
esordì.
Gregory annuì.
«So a cosa stai pensando.
C’è qualcuno che si avvicina troppo al confine tra
la Valle e il mondo esterno».
«Precisamente. Percepisco che
c’è qualcuno che tenta di violare le nostre
difese, ma non riesco a capire di chi si tratti. Tu per caso ci sei
riuscito?» chiese speranzosa.
Lui scosse la testa.
«C’è un tale concentrazione di Elementi
di Portatori diversi e di Spiriti degli Elementi, in quella zona, da
renderlo impossibile persino per me».
Si guardarono l’un l’altra,
delusi.
«In ogni caso dobbiamo rafforzare le
difese e monitorare costantemente i confini, se non vogliamo trovarci
degli intrusi alle porte. Vorrei però che del monitoraggio
ce ne occupassimo solo io e te… in fondo ci basta regolarci
sulle vibrazioni degli Elementali ai confini. Credi di potercela fare,
o preferisci coinvolgere gli altri Maestri?» riprese Gregory.
«Non ce n’è bisogno: possiamo
riuscirci benissimo da soli» disse Sofia. Poi, dopo una breve
riflessione, aggiunse: «Questo potrebbe non essere il nostro
unico problema. Un altro punto da chiarire è: chi tenta di
forzare le nostre difese, lo fa dall’interno o
dall’esterno?».
«Stai pensando a qualcuno che si trova
alla Valle?» chiese Greg, sorpreso.
«Ho dei sospetti, sì. E
fingerti sorpreso non servirà: so che anche tu stai tenendo
d’occhio alcuni dei Portatori che sono qui»
ribatté lei. A dispetto della situazione, lui si mise a
ridere.
«A volte dimentico che non posso
ingannarti. Sei troppo abile nel riconoscere le menzogne».
Sofia ricambiò il sorriso.
«Ho avuto un ottimo insegnante» disse maliziosa.
«Comunque, a proposito di riconoscere le menzogne…
dobbiamo stare più attenti ai comportamenti di tutti. E
probabilmente dobbiamo ridurre il numero di informazioni che stiamo
fornendo».
«Sono d’accordo.
C’è un’altra questione, però,
di cui vorrei parlarti» disse Greg, tornando serio.
«Sai che ho ricevuto delle comunicazioni da alcuni miei ex
allievi che si trovano sparsi qua e là».
La ragazza annuì. Gli aveva suggerito
lei stessa di utilizzare Nabeela per mandare e ricevere messaggi con
alcuni Portatori fidati, in modo che nessuno potesse seguire quelle
tracce da e verso la Valle.
«Alcuni di loro conoscono Giovanni. Mi
hanno detto che mi cerca con insistenza da alcuni giorni: una
circostanza che è stata confermata anche da altri miei ex
allievi. Sembra stia facendo di tutto per trovarmi».
Sofia assunse un’aria pensosa.
«Credo di sapere perché ti
sta cercando».
«Di sicuro per sapere se ho informazioni
su di te».
«Sì e no. Sono certa che
voglia chiederti di rintracciare la mia Aura» disse Sofia.
Era così che i Portatori chiamavano la traccia che ognuno di
loro lasciava. Era un ottimo modo per rintracciarli, poiché
l’Aura di ogni Portatore era individuale e unica: un
po’ come un’impronta digitale. «In fin
dei conti l’hai addestrato per ben tre anni…
conosce molte delle tue abilità».
«Come può pensare che lo
aiuterei?» chiese Greg indignato. Sofia sorrise.
«Per quanto ne sa, non hai motivo di
schierarti da una parte o dall’altra. Quindi la sua idea
è del tutto logica».
«Per quanto ne sa… credi che
si arrabbierebbe, se scoprisse che negli ultimi quattro anni ci siamo
visti di nascosto?» domandò Gregory. Sofia
ridacchiò.
«Sarebbe furioso» lo corresse
divertita. «Ma credo che, se anche lo scoprisse, con tutto
ciò che ho fatto quella sarebbe l’ultima delle sue
preoccupazioni!» concluse allegramente.
«Comunque stavo pensando che potrebbe
essere utile farmi vedere, di quando in quando, in posti
diversi… possibilmente molto lontani da qui. Questo potrebbe
sviarlo» propose Gregory.
«È una buona idea.
Però sarebbe più prudente organizzare il tutto,
prima di metterla in atto» rispose Sofia. Poi
guardò la grande pendola di ebano nell’angolo.
«Sono le 15:00 passate…
è ora di far rimettere tutti al lavoro».
«Allora andiamo. È ora che i
tuoi amici imparino a riconoscere le Aure» disse Gregory,
facendole strada verso la porta e assaporando lo stupore che avrebbe
provocato nei giovani Maestri. |
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Capitolo 8 *** Il Solstizio d'Estate ***
«Avanti sveglia, sveglia, sveglia!»
esclamò con voce sonora Sofia, irrompendo nei dormitori.
In molti si girarono nel letto, emettendo
borbottii incomprensibili. Alcuni controllarono l’ora.
«Ma… sono le quattro e mezzo
del mattino!» gridarono esasperati. «Cosa ti salta
in mente, di svegliarci a quest’ora?!».
Sofia si voltò a guardarli.
«Innanzitutto, non osate mai
più rivolgervi a me in questo modo. Secondo: oggi
è il 21 Giugno!».
«E allora?».
«E
allora?» ripeté Sofia incredula.
«È il Solstizio d’Estate! Uno dei giorni
dell’anno in cui il nostro potere è più
forte, più intenso, più esteso!».
«Sì, certo, ma il sole non
è ancora sorto... quindi lasciaci dormire un altro
po’» risposero, tirandosi le lenzuola fin sopra la
testa e ignorandola.
In quel momento entrò Gregory.
«Be’? Che ci fanno ancora a
letto?» chiese a Sofia. Lei lo guardò sconsolata.
«Non mi ascoltano... la loro pigrizia
è più forte della mia
autorità».
«Ma è il Solstizio
d’Estate!» esclamò incredulo. Lei
alzò le spalle.
«Non gli interessa».
«Ah, è così? Bene,
allora ci penso io!» disse malevolo. Contò
rapidamente i letti, divisi tra loro da librerie e separé,
dell’ampia stanza dalle pareti bordeaux, il pavimento nero
d’ossidiana e le grandi portefinestre schermate da pesanti
tende, sempre nere.
«Venticinque letti... bene, vediamo se
ora si decideranno ad alzarsi» esclamò Gregory,
facendo innalzare un’onda d’Acqua gelida dalla
testata di ogni letto e riversandole sui loro occupanti.
Soddisfatto li guardò saltare in piedi,
imprecando e scrollandosi l’acqua di dosso.
«Non c’è bisogno di
prendersela tanto» disse, richiamando l’Acqua che
aveva evocato e lasciandoli perfettamente asciutti. «La
prossima volta vi conviene dare retta a Sofia quando vi dice di
alzarvi. E ora preparatevi per la colazione».
La scena si ripeté, con variazioni
minime, in tutti i dormitori.
«Dai Sofi, almeno i tuoi Portatori si
sono alzati appena li hai chiamati» la rincuorò
Gregory.
«Certo che l’hanno fatto. Ho
insegnato loro che quando li chiamo c’è sempre un
motivo e devono fare quello che gli viene detto»
sbuffò lei.
Controllarono l’orologio. Di
lì a poco il sole sarebbe sorto.
«Dobbiamo muoverci. Non possono perdersi
l’alba per nessun motivo» disse Sofia, accelerando
il passo.
Pochissimi minuti dopo erano tutti seduti sul
grande prato, rivolti a Nord-Est. Per la maggior parte erano
semiaddormentati: gli otto Maestri e Gregory passavano tra di loro,
svegliandoli e scuotendoli dal torpore.
«Ci siamo quasi...» disse
Sofia emozionata, stringendo il braccio di Blaze fino a fargli male.
Pochi istanti dopo, un primo spicchio di sole
spuntò dalla linea dell’orizzonte.
Come investiti da un’onda calda, i
Portatori che si erano riversati sul prato sentirono il proprio
Elemento risvegliarsi e scorrergli dentro con nuova energia. Alcuni si
piegarono per qualche istante, sotto un potere di tale
intensità. Altri scattarono in piedi, come se restare
immobili rendesse loro impossibile sopportare quel flusso di potere.
Gli Elementi nelle loro vene cantavano, rendendoli euforici e
spingendoli a manifestare le proprie capacità.
«È meraviglioso... non avrei
mai creduto di poter provare sensazioni simili!»
strillò Ailie in preda alla gioia.
«Ve l’avevo detto che i
Solstizi e gli Equinozi sono giorni speciali, per i Portatori. Sono le
uniche occasioni in cui in noi, oltre a un Elemento, scorre anche una
certa quantità di Energia» spiegò Sofia
sorridente.
Il caos era generale. Grazie all’Energia
pura, oltre a un potenziamento degli Elementi, nei Portatori si
verificava anche un aumento della forza fisica: molti, intuendo
istintivamente quello che stava accadendo nel loro corpo, iniziarono a
correre e saltare con un’agilità insospettabile.
Ben presto, Laurence e gli altri Maestri furono impegnati a inseguire
gli altri Portatori nel tentativo, spesso vano, di placarli.
«Santo cielo, Marcos! Scendi subito da
quell’albero... potresti romperti l’osso del
collo!» stava appunto gridando Sofia a un suo Apprendista che
si era arrampicato su un’imponente magnolia e, incurante
dell’altezza a cui si trovava, si dondolava su un ramo.
Poco lontano, Blaze cercava di impedire a Ailie di
esibirsi in una serie di salti mortali mentre Laurence e
André avevano appena salvato Elizabeth
dall’assalto di alcuni Kappa particolarmente infastiditi
dall’esuberanza della ragazza.
Gregory osservava la scena ridendo di gusto.
Sofia, dopo aver riportato Marcos a terra e aver
impedito a Serj di dare fuoco a un larice, si trovò vicina a
Gregory e lo fulminò con lo sguardo.
«Invece di ridere potresti aiutarci a
fermarli!» lo apostrofò.
«Andiamo Sofi, lascia che si divertano!
Devo forse ricordarti cos’hai combinato tu, al tuo primo
Equinozio?».
La ragazza, di carnagione molto chiara, divenne
scarlatta. Durante il suo primo Equinozio, cinque anni prima,
benché si stesse ancora riprendendo dalle lesioni
provocatele da Giovanni aveva incendiato una casa, diversi ettari di un
bosco e si era esibita in uno spettacolare tuffo da una scogliera alta
trenta metri.
«Lascia che si divertano»
ripeté Gregory. «È il modo
più rapido e semplice per far sì che smaltiscano
l’accumulo di Energia iniziale e si calmino. Poi potremmo
insegnare loro a incanalare in modo più razionale questo
surplus di potere».
Ben sapendo che aveva ragione, Sofia si arrese di
fronte alle parole del suo amico e richiamò gli altri
Maestri. Mentre, rassegnati, osservavano i ragazzi sparpagliarsi per la
Valle, Emma si avvicinò a loro.
«Allora Emma» disse Sofia
«vedo che anche tu hai capito che stare lontana da quei folli
è, per il momento, la cosa migliore da fare!».
La ragazzina sorrise. «Non ho intenzione
di finire arrostita o di volare via trascinata da una tromba
d’aria».
Sedettero tutti sul prato tranne Costa e
Friedrich, che ancora tenevano d’occhio i loro allievi, e
Gregory, che sembrava disinteressato a tutto quello che gli accadeva
intorno.
«Non senti niente risvegliarsi in
te?» chiese André a Emma. Nonostante tentasse di
nasconderlo, dalla sua voce traspariva chiaramente la convinzione che
la ragazzina non avrebbe sentito in sé nessun Elemento,
né in quel momento, né mai.
Lei scosse la testa. «Non so neanche
cosa dovrei provare... come potrei riconoscere un Elemento in me, se
anche ci fosse?».
«Be’, quando in un Portatore
si risveglia il suo Elemento, lo capisce innanzitutto perché
sviluppa un’immediata propensione al contatto con
l’Elemento stesso... come è successo a Liz e
Ailie, ad esempio: la prima si è tuffata in un laghetto, la
seconda ha cominciato a rotolare sull’erba. È una
cosa che si sente dentro»
le spiegò Laurence.
Emma scosse di nuovo la testa. «Non
provo niente del genere... però qualcosa di strano
c’è! Non so come descriverlo...».
Sofia la incoraggiò.
«Sta’ tranquilla e concentrati unicamente sulle tue
sensazioni, come se noi non ci fossimo... le parole verranno da
sole».
Seguendo il suo consiglio, Emma chiuse gli occhi e
prese un respiro profondo. Rimase seduta per alcuni minuti,
perfettamente immobile, solo respirando lentamente, come se fosse persa
in una diversa dimensione, mentre gli altri aspettavano in silenzio.
Infine, sempre ad occhi chiusi, iniziò
a parlare.
«Quello che sento non è
dentro di me, ma fuori» disse lentamente.
«È come se una brezza tiepida mi sfiorasse... no,
non una brezza. Il vento è indefinito, non ha confini e
riempie interamente lo spazio che mi circonda. Invece tutto quello che
mi danza attorno ha una forma ben definita: il loro tocco è
leggero come l’aria, ma hanno un corpo, solido e tangibile
benché invisibile agli occhi. Ognuno di essi è
unico: alcuni si somigliano, nella loro essenza più
profonda, ma poi di distinguono gli uni dagli altri per altre
caratteristiche».
Facendo cenno ad André di spostarsi,
Gregory sedette accanto a Emma. La guardò attentamente e poi
le domandò, a voce bassa «Come se fossi circondata
da una folla di persone, dove ognuno ti comunica qualcosa di
diverso?».
«Sì, proprio
così» confermò stupita Emma, riaprendo
gli occhi.
«A quanto pare abbiamo un’Aura
Sensibile!» disse Gregory agli altri.
«Cos’è
l’Aura?» chiese Emma incuriosita.
«Prima di tutto, devi capire che in ogni
persona sono presenti gli Elementi: solo, in quantità
diversa. Ma gli Elementi sono qualcosa di eccessivamente potente
rispetto a un corpo umano, e per far sì che le persone
possano sopportarli senza esserne distrutti, una parte di essi si
riversa all’esterno: questa è la base
dell’Aura, che in fondo è un po’
un’estensione del corpo stesso» esordì
Sofia.
Emma la interruppe.
«D’accordo, ma poi cos’è che
le rende le une diverse dalle altre?».
Sofia sorrise di fronte alla sua impazienza.
«Sai, in effetti
c’è un tipo di Aura in cui tutte sono uguali tra
loro: sono quelle delle persone normali, che possiedono in
sé una quantità minima di ognuno dei quattro
Elementi Fondamentali, in perfetto equilibrio tra loro. In questo caso,
l’Aura che si percepisce è uguale per tutti ed
è composta di Energia. È a stento percepibile:
per questo la chiamiamo Aura Inerte» spiegò
paziente. Poi proseguì. «Quelle dei Portatori,
invece, sono Aure molto più potenti, benché per
percepirle – e soprattutto per distinguerle le une dalle
altre e associare ognuna di esse al Portatore che la emana –
siano necessari molta concentrazione e un allenamento piuttosto duro.
Queste sono le Aure Maggiori: e ovviamente si dividono in Aure di
Terra, di Aria, di Acqua e di Fuoco».
«Continuo a non capire come questi
quattro tipi di Aure si differenzino poi al loro interno»
chiese di nuovo Emma.
«Non è difficile. Tra il
Portatore e l’Elemento si stabilisce un rapporto reciproco:
si completano l’un l’altro. Quindi,
nell’Aura, all’Elemento si mescolano i tratti
particolari del carattere del Portatore. Di fatto, è questo
a rendere ogni Aura unica» disse Sofia, completando
rapidamente la seconda parte della sua spiegazione.
«Non mi hai chiesto, però,
cosa sono le Aure Sensibili» fece notare ad Emma, che
ribatté prontamente «Stavo per farlo!».
Sofia ridacchiò.
«Be’, le Aure Sensibili si collocano nel mezzo.
Sono Aure abbastanza intense da poter essere percepite e da poter
riconoscere le altre Aure, ma non sono caratterizzate dalla prevalenza
di un Elemento... quindi chi ha un’Aura Sensibile non
è mai un Portatore degli Elementi. Ha però un
potere in più rispetto alle Aure Inerti: in pratica sono
esse stesse Aure Inerti, ma molto più forti... tanto, a
conti fatti, da distinguersene».
«Hai detto “Sono Aure abbastanza intense da
poter riconoscere le altre Aure”. Credevo
fossero i Portatori a percepirle, non le Aure stesse!»
domandò Emma.
Gregory diede una gomitata a Laurence.
«La ragazzina è più sveglia di quanto
pensassimo!».
«La tua è un’ottima
domanda. Quello che avevi pensato è corretto: sono i
Portatori a percepire le altre Aure... ma grazie alla loro stessa Aura,
che li circonda e percepisce ciò che le è
affine».
«Cioè le altre
Aure».
«Esattamente».
«Quindi... quando Gregory ci insegna a
percepire le Aure e ci fa esercitare... in realtà
è la nostra Aura che alleniamo, non l’Elemento
né noi stessi!» esclamò Emma.
Tutti la guardarono stupiti. Poi Gregory esplose.
«È molto più
ricettiva e intelligente lei, di tutto quel branco di Portatori
scatenati messi insieme!» esclamò, gettando
indietro la testa e ridendo di gusto.
«A proposito di loro»
intervenne Blaze «sembra che si siano calmati,
finalmente!».
Infatti tutti i loro allievi, poco alla volta,
stavano tornando al grande prato da cui erano partiti. Molti, arrivati
di fronte al gruppetto di Maestri, si buttarono a terra, sfiniti.
Sofia ghignò. «Sembrano
stanchi... peggio per loro! Non sanno cosa li aspetta».
«A proposito... come mai su di voi il
Solstizio non fa effetto?» chiese Emma.
«Non riuscire a controllare
l’euforia è tipico di chi è ai primi
Equinozi e Solstizi... dopo il terzo o il quarto impari a incanalare
l’Energia attraverso il tuo Elemento e non ti abbandoni
più a scene simili» le spiegò Laurence.
«A meno che non ti divertano!»
precisò Blaze con un sorrisetto.
«Tutti in piedi!»
gridò Sofia, avanzando verso i ragazzi abbandonati sul
prato. Nessuno rispose.
«Ci risiamo, Sofi!»
sghignazzò Gregory. Lei lo guardò alzando un
sopracciglio.
«Stavolta mi daranno retta»
ribatté lei con sicurezza.
«Come fai ad esserne certa?».
Gregory non fece in tempo a terminare la frase che
tutti i Portatori saltarono in piedi come colpiti da una scarica
elettrica. L’uomo sbirciò le loro schiene: erano
coperte di scintille incandescenti.
«Non ti ho neanche vista
muoverti» disse con stupore a Sofia. Lei gli rivolse un
ghigno.
«Neanche quando ti ho messo al tappeto
qualche giorno fa, mi avevi vista muovermi!». Mentre parlava,
fece svanire le scintille di dosso le sue vittime.
«Ora che siete calmi e
attenti» esordì «possiamo iniziare
l’addestramento di oggi».
I ragazzi rumoreggiarono.
«Credevamo che Equinozi e Solstizi
fossero giorni di festa!» dissero in coro.
«Di festa, sì. Di riposo,
assolutamente no! Sono anzi i giorni in cui ci si deve allenare con
maggiore intensità» replicò la ragazza,
trattenendo un sorriso di fronte alle loro espressioni deluse. Più tardi mi
ringrazieranno, pensò.
Rivolse un’occhiata agli altri Maestri,
che avanzarono fino a formare una linea di fronte agli allievi.
Gregory prese la parola.
«Prima di cominciare,
c’è qualcosa che dovete sapere. Tutti conoscete
questi otto Portatori» disse, indicando Sofia, Laurence,
Blaze, Viola, André, Costa, Friedrich e Gloria
«come dei Figli degli Elementi. Continuare a mantenere in voi
questa convinzione, oltre a non essere corretto nei vostri confronti,
vi impedisce di tributare loro il giusto rispetto e di ascoltare e
seguire le loro indicazioni come dovreste. Anche se probabilmente lo
avrete già intuito, loro sono dei Maestri già da
tempo: degli ottimi Maestri. Fate quello che vi dicono, e il vostro
potere si svilupperà ogni oltre aspettativa».
Nessuno replicò. Tutti sembravano
aspettare indicazioni.
«Bene» disse Sofia,
riprendendo il comando della situazione «è ora di
dividerci. I Portatori del Fuoco con Costa,
laggiù» esclamò, indicando un punto
oltre la prima collinetta ad Est. «Io vi raggiungo tra
poco» sussurrò al greco che annuì,
facendo strada al suo gruppo.
«Ora... I Portatori dell’Aria
con Laurence e Viola, nel piccolo spiazzo qui dietro» disse,
alludendo a una sorta di vallata in miniatura racchiusa tra due file di
colline piuttosto alte: era una zona molto ventosa.
«I Portatori della Terra con Blaze e
Friedrich, tra la quinta fila di colline a Ovest e i piedi dei monti
Shehy».
«Ma i monti Shehy si trovano in Irlanda,
nella contea di Cork! Ecco dove ci troviamo!»
esclamò Ailie, afferrando il braccio di Blaze che le fece
cenno di tacere.
«Ti spiego tutto più tardi,
te lo prometto» le rispose sottovoce.
«Per finire, i Portatori
dell’Acqua con Gloria e André alla concentrazione
di laghetti a Sud» concluse Sofia, guardandosi attorno.
Quando tutti si furono allontanati, si rivolse
agli unici due che erano ancora lì con lei.
«Emma, tu con Gregory.
Inizierà ad addestrarti su come percepire le Aure»
disse sorridendo.
La ragazzina ricambiò il sorriso,
felice di avere finalmente un’occupazione.
«Noi restiamo qui» disse
Gregory a Sofia. «Così avrò la
tranquillità necessaria per approfondire la tua spiegazione
e iniziare a farla tentare».
Lei annuì. «Allora io
raggiungo i miei Portatori. Buon divertimento» disse prima di
allontanarsi, notando l’espressione euforica di Emma e quella
divertita di Gregory.
*
«Avanti Serj, tranquillo...».
«Tranquillo?! Sono due ore che ci provo!
Non ci riuscirò!» ribatté il ragazzo.
Costa lo guardò male.
«Sì che ci riesci... smetti
di lamentarti e tenta di nuovo!» disse, esortandolo a evocare
del Plasma di Fuoco.
L’altro sbuffò. Sofia decise
di intervenire.
«Serj, ascolta me altrimenti non ne
usciamo. Non ti chiediamo di fare niente di particolare, col Plasma:
devi solo evocarlo».
«Sono due ore che ci
provo» ripeté lui, stanco, demoralizzato e un
po’ arrabbiato. «Non ci riesco!».
«Va bene, allora fa’ così:
passa per un'altra strada. Sai evocare della lava ardente,
vero?» gli chiese Sofia. Lui la guardò incredulo.
«Cosa? ...Certo che so
evocarla!» disse, offeso.
«Bene. Allora evocane una sfera piena...
diciamo di venti centimetri di diametro».
Serj eseguì. La lava si librava a
qualche centimetro dalle sue mani e, seppure racchiusa in una forma ben
definita, al suo interno scorreva e si rimescolava di continuo, quasi
accecante.
«Perfetto. Ora inizia a concentrarla in
uno spazio sempre minore... poco alla volta. Non preoccuparti del fatto
che può esplodere: penserò io a bloccare la lava,
se dovesse accadere» lo guidò Sofia.
Lentamente, con circospezione, Serj
diminuì il diametro della sfera di un paio di centimetri.
«Bene così»
commentò la ragazza.
Quando giunse a dimezzarne la dimensione iniziale,
cominciarono a sfuggire alcuni schizzi di lava. Come se nulla fosse,
Sofia li bloccò con delle sottili lingue di Fuoco,
inglobandoli e facendoli sparire.
Dopo aver ridotto la sfera alla dimensione di una
pallina da golf, Serj si fermò, limitandosi a mantenerla
nelle condizioni in cui si trovava.
«Più di così non
riesco a concentrarla» ansimò. Lo sforzo gli aveva
imperlato di sudore la fronte.
«Va benissimo così»
lo rassicurò Sofia. «Ora, prova a mutarla in
Plasma».
Concentrandosi, il ragazzo infuse più
potenza alla piccola sfera. Tremolando, in essa apparve qualche guizzo
violaceo.
«Insisti» lo incitò
Sofia. Poggiò le proprie mani sulle sue. «Devi
sfruttare l’Energia pura che oggi ti scorre dentro. Ti guido
io...».
Detto questo, lo aiutò a incanalare
l’Energia insieme al Fuoco. Un velo argenteo, nebuloso e
quasi invisibile ricoprì la piccola sfera prima di
immergervisi.
«Adesso prova di nuovo a mutare la lava
in Plasma...».
Pochi istanti dopo la guizzante massa arancione
divenne nera e violacea, frantumandosi in uno sciame di goccioline
luccicanti.
Serj esultò. «Ci sono
riuscito!».
«Mantienilo!» si
raccomandò Sofia, richiamandolo all’attenzione.
Dopo un paio di minuti le gocce di Plasma di Fuoco
si dissolsero.
«Bravissimo»
commentò Sofia, dandogli una pacca sulla spalla.
«Riposati dieci minuti e poi riprova». Poi si mosse
per andare a controllare i progressi degli altri Portatori.
*
«Elizabeth, vuoi smetterla di distrarti?
Concentrati!» la rimproverò Gloria. La ragazza non
l’ascoltò neanche: continuò a evocare
piccoli getti d’Acqua, mandandoli a dissolvere la nebbia
creata dagli altri Portatori.
Esasperata, Gloria corse da André, che
si trovava qualche metro più in là, intento ad
aiutare un Apprendista di secondo livello che non riusciva ad evocare
acqua e vapore simultaneamente.
«Non potresti dire qualcosa ad
Elizabeth? Non mi ascolta, non si esercita e dà fastidio
agli altri allievi!» gli sussurrò, alzando al
cielo i begli occhi grigi e scuotendo i capelli castano chiaro, mentre
la luce del sole si rifletteva sulla pelle rosea del volto.
Lui sospirò. Liz stava diventando
ingestibile tanto come allieva quanto come fidanzata.
«D’accordo ci penso io... tu
intanto aiuta Pietro» le chiese, indicandole
l’Apprendista che stava seguendo.
André si diresse rapido verso
Elizabeth, arrivando appena in tempo per impedire che si scatenasse una
rissa tra lei e alcuni Apprendisti stanchi dei suoi continui dispetti.
«Ci penso io qui» disse ai
tre, due ragazzi e una ragazza, che si allontanarono con aria torva.
Poi prese Elizabeth per un braccio e la trascinò lontano dal
gruppo. «Liz si può sapere che diavolo ti prende?
Non ti alleni, non fai quello che ti viene detto... eppure mi sembrava
che l’addestramento fosse una delle tue
priorità!» disse brusco.
La ragazza si liberò dalla sua presa
con uno strattone.
«Visto che non ho più un
insegnante, come faccio ad allenarmi?» rispose con astio.
André la guardò incredulo.
«Liz, qui ci sono altri cinquanta
Portatori dell’Acqua! Non posso dedicarmi solo ed
esclusivamente a te! E comunque non puoi disturbare le persone mentre
si esercitano... non è corretto, e prima o poi qualcuno
perderà la pazienza! Non sei tanto potente da poterti
difendere da un attacco di gruppo!».
«Se almeno non avessi detto a Gregory di
non allenarmi, ora potrei imparare qualcosa!».
André strabuzzò gli occhi,
sempre più incredulo.
«Tu... tu credi che sia stato io a
dirgli di non allenarti? Elizabeth, apri gli occhi! A parte me, qui
nessuno ti tollera! Ti stai rendendo insopportabile agli occhi degli
altri, è per questo che non hai amici e che Gregory ha
deciso di non addestrarti e ti evita più che può!
Prima cambierai atteggiamento e meglio sarà per tutti...
specialmente per te! Puoi imparare anche senza avere qualcuno che si
dedichi esclusivamente a te... se non fosse così, nessuno
qui sarebbe andato avanti nel proprio addestramento! E ora, se non hai
intenzione di allenarti e di sfruttare il dono meraviglioso che la
Natura ti ha fatto oggi, vattene!» esplose Andrè.
Lei si allontanò, dopo averlo fulminato
con lo sguardo.
André si voltò. Tutti
ripresero frettolosamente le loro occupazioni.
«Mi spiace André, non volevo
che litigaste... vuoi prenderti una pausa?» disse Gloria
dispiaciuta.
Lui le diede una pacca sulla spalla.
«Sta’ tranquilla, se io e Liz abbiamo discusso la
colpa è solo sua» le rispose, tornando ad allenare
gli altri Portatori.
*
«Brava Ailie, avanti così!».
Molto soddisfatto, Blaze osservava i progressi di
Ailie e l’impegno con cui si applicava.
«Ora evoca della Terra...
perfetto» disse, quando sospesa tra le mani della ragazza
comparve una piccola zolla di terra. Rapidamente, Ailie la
mutò in fango, nuovamente in terra e poi in pietra.
Arrivò Friedrich. «Ancora non
ha imparato a mutarla nei vari minerali?» chiese.
Per tutta risposta, la ragazza si esibì
nella mutazione della pietra in vari tipi di minerali.
«Tormalina, adamite, olivina, quarzo,
ematite, argentite...» elencò Friedrich,
osservando le azioni di Ailie. «Anche i metalli?»
domandò sorpreso, vedendo l’argentite mutarsi in
argento, rame e poi oro.
Blaze sorrise trionfante. «Te
l’avevo detto che era brava!».
«È come tutti gli altri
Apprendisti, né più né meno»
fu la risposta.
Non appena l’ebbe pronunciata il suolo
franò sotto i suoi piedi: in un attimo si ritrovò
intrappolato nella terra, sommerso dai detriti fino al collo.
Ailie gli rivolse un ghigno soddisfatto, mentre
Blaze scoppiava a ridere.
«Avrei dovuto dirti che, oltre al
talento, ha anche un pessimo carattere» disse il giovane
americano, ghignando come la propria allieva che, in quel momento,
stava modellando una sorta di corona con del ferro liquido. Quando si
solidificò, con un gesto della mano lo spedì
sulla testa biondo scuro di Friedrich, che si stava ancora liberando.
«Ha inciso qualcosa su
quell’elmo... fammi leggere…» disse
Blaze incuriosito, avvicinandosi al giovane tedesco più che
mai contrariato. Portò gli occhi a pochi centimetri dal
metallo e lesse. «’Stupido’»
declamò.
Mascherando una risata con un colpo di tosse,
Blaze tornò velocemente accanto a Ailie. «Ehm...
Ailie, è davvero molto divertente, però non
dovresti comportarti in modo così irrispettoso nei confronti
di un Maestro» le sussurrò.
Annuendo, la ragazza si decise a liberare
Friedrich, che riemerse dalla buca coperto di polvere e piccole radici
e le rivolse uno sguardo torvo, con gli occhi nocciola socchiusi.
«Era solo uno scherzo» gli
disse lei a mo’ di scusa, rivolgendogli uno sguardo innocente
attraverso i capelli rossi.
«E ora torniamo ad allenarci»
disse Blaze, ingaggiando una piccola lotta con Ailie.
*
Alcune paia di occhi si alzarono al passaggio della manciata di
mulinelli d’Aria alti due metri.
«Perfetto. Aggiungine un
altro!» ordinò Viola a Fernando.
Un sesto mulinello d’Aria si
accodò alla piccola fila che vagava ordinata tra i Portatori
seguendo i precisi comandi del ragazzo.
«Aumenta
l’intensità. Devono essere più
potenti» gli disse Laurence.
I piccoli vortici presero a girare sempre
più rapidi sul proprio asse, con una nuvoletta di polvere
che si alzava nel punto in cui toccavano il suolo. A guardarli da
lontano, somigliavano a buffe calze da donna impazzite.
Con impercettibili gesti, Fernando divise i
piccoli cicloni in coppie: poi, lentamente, fece fondere le varie
coppie tra loro. Le tre onde d’urto che si sprigionarono
quando i sei vortici divennero tre, ma molto più grandi,
fecero barcollare tutti nel raggio di venti metri.
Solo Laurence e Viola rimasero perfettamente
immobili, coi piedi piantati nel terreno, come se non fossero stati
toccati da altro che da una delicata brezza estiva. L’uomo
sostenne Fernando, evitando che rovinasse a terra.
«Devi sviluppare la tua resistenza.
È troppo bassa, per un aspirante Figlio
dell’Aria» disse al ragazzo in tono di rimprovero.
Pur annuendo, Fernando si concentrò sui mulinelli che,
ormai, somigliavano più a trombe d’aria quasi
completamente formate. Mentre tentava di unire tra loro due dei tre
vortici rimasti, Laurence lo bloccò.
«No, Fernando. Non esagerare... se non
sviluppi la tua resistenza fisica agli Elementi, potresti farti molto
male. Occupiamoci di questo» gli disse, facendo svanire con
un distratto cenno della mano i tre piccoli cicloni e iniziando a
bersagliarlo con delle folate di vento dapprima deboli e poi sempre
più forti.
Vedendolo indietreggiare, lo spronò.
«Andiamo Fernando, mettici più impegno. Espandi il
tuo potere verso l’esterno a formare una bolla che ti
protegga!».
Il ragazzo eseguì. Le raffiche di
Laurence, ormai pericolosamente vicine a trasformarsi in una tempesta
di vento, sollevavano polvere, foglie e piccole pietre. In
prossimità di Fernando, però, il flusso risultava
deviato, tanto da risultare visibile a occhio nudo il cambiamento di
direzione dell’Elemento e dei detriti che si trascinava
dietro.
L’uomo tenne Fernando sotto attacco per
quasi un’ora. Poi, improvvisamente, fermò il
potere dell’Aria che aveva evocato: appena in tempo
perché il ragazzo, stremato, crollò a terra un
istante dopo. Se Laurence l’avesse attaccato un solo secondo
più a lungo, Fernando avrebbe fatto un volo di parecchi
metri, senza contare la forza stessa del vento che, a quel livello, era
quasi una muraglia compatta: come andare a schiantarsi a tutta
velocità contro un muro di mattoni.
Passandosi un braccio di Fernando intorno alle
spalle, Laurence lo tirò su.
«Temo proprio di avere esagerato...
scusami, Fernando».
Il ragazzo fece un debole cenno di diniego.
«Non hai bisogno di scusarti.
È necessario arrivare al proprio limite, se si vuole
migliorare» rispose, mentre il suo insegnante lo trascinava
sotto un albero.
«Ora però devi riposare, se
vuoi riuscire ad allenarti ancora! Non azzardarti a muoverti di qui fin
quando non ti sarai perfettamente ripreso» lo
ammonì Laurence, tornando verso gli altri allievi.
*
«Possiamo fermarci qualche minuto? Sono un po’
stanca!».
«Andiamo, non ti lamentare e
concentrati».
«Sono cinque ore che sto in piedi, ferma
in questo punto! Mi fanno male le gambe!».
«E va bene... facciamo una pausa
allora».
Strappandosi la benda dal volto Emma si
lasciò cadere sull’erba soffice, riempiendosi gli
occhi con il cielo luminoso fino a esserne accecata. Dopo tante ore
passate senza vedere nulla era un sollievo.
Gregory sedette vicino a lei, studiandola
attentamente. Iniziava a capire meglio alcune cose che Sofia le aveva
raccontato di Emma, durante il loro viaggio verso la Valle.
«Impari molto in fretta».
Emma si voltò a guardarlo. Rimase in
silenzio per un certo tempo, e quando parlò, non disse
quello che Gregory si aspettava di sentire.
«Mi ricordi mio padre».
Spiazzato, l’uomo non rispose. Sempre con gli occhi fissi nel
cielo, la ragazza proseguì. «Non siete
assolutamente in grado di fare complimenti né di riconoscere
pubblicamente i meriti degli altri. Pretendete sempre di
più, quello che le persone fanno non è mai
abbastanza secondo voi. Proprio non riesco a capire se dipenda dal
fatto che siete personalità di spicco, nel vostro campo, o
se è una questione di tipo caratteriale».
«Di cosa si occupa tuo padre?»
chiese Gregory, affascinato suo malgrado. Quella ragazzina somigliava
tremendamente a lui e le ricordava un’altra sua allieva:
un’allieva che, in quel momento, era impegnata ad addestrare
giovani Portatori a poca distanza da loro. Dure nonostante
l’apparente fragilità. Determinate. Talentuose. Accidenti a te, Sofia,
pensò Gregory. Avevi
ragione anche stavolta.
«Oh, lui è un professore
universitario. Insegna storia, filosofia e letteratura... ha scritto un
mucchio di trattati, ricevuto riconoscimenti... una specie di guru
delle materie umanistiche, per intenderci. Tutto prima dei trentacinque
anni».
«Il classico tipo che ti riprende per
una pausa piazzata male in un discorso» disse Gregory.
Emma scoppiò a ridere. «Sì,
proprio così. Per il mio ultimo compleanno mi ha portata a
teatro, alla prima della Turandot.
Chi mai porterebbe una quattordicenne all’Opera come regalo
di compleanno?» disse, esibendosi in un’espressione
comicamente perplessa. Nonostante tutto, però, si vedeva che
quel ricordo le scaldava il cuore.
«È così che ha conosciuto
mia madre» proseguì, come se parlasse a se stessa.
«Alla prima della Traviata
di Verdi – sai, va pazzo per il teatro. Ha anche una bella
voce da tenore. Insomma era lì, sul suo palco, che aspettava
l’inizio dello spettacolo e sbirciava nella buca degli
orchestrali, quando lei arrivò. Il direttore
d’orchestra le fece una bella ramanzina – era la
prima violinista ed era in ritardo. Lei è sempre in
ritardo» rise Emma «ma glielo perdonano ogni volta,
visto che a vent’anni suonava già in
quell’orchestra. Lui la guardò per tutto il tempo
e, finita l’opera, se ne andò. Tornò a
ogni replica, per tutta la stagione. Poi, all’ultima
rappresentazione, andò da lei, durante la pausa tra il primo
e il secondo atto. Si sporse sulla buca degli orchestrali e
intonò l’aria che Alfredo dedica a Violetta nel
primo atto, Un
dì, felice, eterea».
«Un
di', felice, eterea,
Mi balenaste innante,
E da quel dì
tremante
Vissi d'ignoto amor.
Di quell'amor
ch'è palpito
Dell'universo intero,
Misterioso, altero,
Croce e delizia al cor»
canticchiò Sofia, arrivando alle loro spalle e sedendosi.
«Bel libretto».
Emma annuì. «Be’,
uno dei violoncellisti era il fidanzato di mia madre. Mio padre si
beccò un bel pugno nell’occhio da lui, e si
sentì dare del cretino da lei».
«E come ha fatto a convincerla a uscire
con lui?» chiese Sofia, profondamente divertita.
«Non è stato lui a chiederle
di uscire. Il giorno seguente mia madre si è presentata a
una sua lezione e l’ha invitato a pranzo» rispose
Emma ridendo.
Sofia si unì a lei. «Tua
madre sembra proprio una donna decisa, a quanto dici!».
«Già». Il sorriso
sparì dal volto della ragazzina.
Guardandola con aria triste, Sofia
cercò di rincuorarla.
«Tutti noi sentiamo nostalgia delle
nostre famiglie» le disse dispiaciuta.
«E adesso mi dirai che ci si abitua,
vero?» chiese Emma con una punta di rabbia.
«No. Non ci si abitua, nessuno
è tanto stupido da poterci credere» fu la
risposta. «Però le cose possono cambiare. Possiamo
ritrovarli. Non oggi, non domani, ma comunque presto, se la fortuna ci
aiuterà».
La ragazzina la guardò dubbiosa.
«E non guardarmi così, Emma.
Non sei l’unica a voler tornare dalla propria famiglia. Qui
abbiamo tutti dei sentimenti, sai» le disse con una smorfia.
«Ma adesso parliamo
d’altro» riprese Sofia, rivolgendosi a Gregory dopo
una breve pausa. «Come va l’addestramento di questa
giovane Aura Sensibile?».
«Meglio di quanto si possa immaginare.
Guarda tu stessa» disse, lanciando la benda ad Emma e
invitandola a riprendere il posto che aveva occupato fino a
mezz’ora prima.
Quando Emma fu pronta, Gregory le diede il via.
Espandendo la propria Aura, iniziò a
elencare quello che percepiva.
«Allora... a Est, poco distante... Costa
sta litigando con qualcuno, la sua Aura è
instabile...».
«Oh che strazio, non riesce proprio a
stare calmo» sbuffò Sofia, percependo a sua volta
la rabbia del greco.
«...mhhh sì, sta litigando
con Olivia, le loro Aure sono tanto vicine da confondersi in parte
l’una con l’altra...Oh, lei gli appena scagliato
del Fuoco contro, ma lui l’ha bloccato»
esclamò Emma senza la minima traccia di preoccupazione.
«Avevi ragione, non immaginavo potesse
arrivare a un livello simile in poche ore!» disse Sofia a
Gregory, che la guardò scettico.
«Lo sapevi benissimo, invece.
Così come sapevi tutto il resto».
Lei gli rivolse un’occhiata innocente,
ma l’uomo non si lasciò ingannare.
«Tutto il resto cosa?»
intervenne Emma, togliendosi la benda.
«Nulla, Emma. Greg allude al fatto che
gli avevo detto che c’era del potere, in te, anche se nessun
altro sembrava crederci fino a stamattina» rispose con
noncuranza Sofia, ignorando lo sguardo sardonico di Gregory.
«Continua a esercitarti».
La ragazzina si rimise la benda ed espanse di
nuovo la propria Aura, spingendola sempre più lontano, alla
ricerca degli altri Portatori.
«Quando glielo dirai?» chiese
Gregory sottovoce, trascinando Sofia lontano da Emma e trattenendo la
propria Aura, in modo che l’oggetto della discussione non
potesse intuire il tenore della loro conversazione.
«Non glielo dirò!»
fu la pronta replica. «Non ne siamo sicuri e comunque non ha
senso turbarla con una notizia del genere. Finirebbe solo per
danneggiarla!» bisbigliò la ragazza, trattenendo a
sua volta l’Aura. «Quindi non insistere e
soprattutto non ti azzardare a dirle o a farle intuire
qualcosa!» aggiunse con aria minacciosa.
I due si guardarono torvi per qualche istante, poi
Gregory cedette.
«D’accordo, faremo a modo tuo.
Ma dovresti ricordare che Emma potrebbe non avere ancora molto
tempo» la ammonì.
«Lo so bene».
Poi, di tacito accordo, si separarono. Uno
tornò ad allenare la ragazzina sulla cima della collina;
l’altra andò a separare il Maestro e
l’Apprendista che, al di là della collina, stavano
ancora litigando furiosamente.
*
«Sono stanchissimo!»
«A chi lo dici»
«Io vado a fare la doccia... ci vediamo
a cena!»
«La doccia? Ma sei matta? Io sogno solo
il letto...»
«Ho fame!»
«Ma non sai pensare ad altro?»
Blaze entrò nella mensa e li
ascoltò stupefatto.
«Certo che per essere tanto stanchi fate
parecchio chiasso!» esclamò. «Ora, fate
quello che volete ma fatelo a bassa voce!».
Il caos si placò. Blaze si
lasciò cadere su una sedia, le gambe allungate, la testa
reclinata indietro e gli occhi chiusi.
Laurence sedette accanto a lui.
«Il Solstizio ti ha messo
k.o.?» chiese divertito. Blaze emise uno strano grugnito.
«Loro
mi hanno messo k.o., non il Solstizio».
«Be’, ormai è quasi
finita... manca solo un’ora al tramonto».
«Sono ancora le nove?».
Stavolta Blaze emise un gemito.
Laurence tentò di rassicurarlo, ma
prima di riuscirci scoppiò a ridere.
«Devi fare l’abitudine a un
simile carico di lavoro... essere un Maestro è anche
questo».
«Quasi quasi preferivo restare un
semplice Figlio degli Elementi» borbottò in
risposta.
Un’ora più tardi, riuniti sul
prato da cui erano partiti al mattino, tutti osservavano il sole
sparire al di sotto della linea dell’orizzonte.
Quando le tenebre inghiottirono il mondo
circostante la maggior parte dei Portatori si lasciò andare,
come svuotata. In generale, la fine del Solstizio – e con
esso la fine di quel maggior potere che inevitabilmente si riversava
nei Portatori – sembrava aver lasciato tutti alquanto
depressi.
Trascinandosi tornarono al riparo delle mura
amiche, per prepararsi a un nuovo giorno. |
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Capitolo 9 *** Ricordi ***
«Aspettate un momento!».
Il richiamo di Sofia bloccò quanti
già si avviavano ai dormitori. Tutti tornarono indietro,
nella vastissima sala che fungeva da mensa: sedendosi su ogni
superficie disponibile – tavoli, panche e sedie di legno di
noce – e osservando le pareti color giallo ocra scuro su cui
spiccavano i ritagli di cielo che facevano capolino dalle finestre,
neri come il pavimento, aspettarono che parlasse.
«Oggi è stata una giornata
speciale, non è vero?» chiese lei, in piedi su un
tavolo, alla folla che aveva di fronte. Sapeva che erano stanchi, ma
aveva per loro un’ultima sorpresa.
Un mormorio di assenso si levò dalla
sala.
«Per concludere una giornata come
questa, ci vuole qualcosa di altrettanto speciale». Fece una
pausa. Quello che stava per dire avrebbe fatto male a ognuno di loro,
lei inclusa, e una piccola parte della sua coscienza non si decideva a
lasciarle dire quella semplice frase. Poi prese fiato.
«Vorrei che ci parlaste delle vostre
famiglie, se qualcuno se la sente».
Molti trattennero il respiro. La famiglia era
qualcosa a cui tutti cercavano di non pensare: quelli che erano
lì da poco, perché il distacco era ancora troppo
doloroso; quelli che erano lì da anni, invece,
perché scoprire che non riuscivano a ricordare i volti e le
voci di genitori e fratelli era ancora più devastante.
In molti guardarono Sofia con aperta
ostilità. Lei se l’aspettava, ma le dispiacque lo
stesso.
«Allora? Nessuno? Eppure alcuni di voi
sono qui da pochissimo tempo, dovreste ricordare bene i vostri
genitori... fratelli, sorelle, la vita che conducevate...».
Una mano le strattonò il braccio,
interrompendola.
Laurence la guardò con rabbia.
«Non puoi comportarti così.
Gli fai male! Girare il coltello nella piaga non servirà
né a loro né a te!» le disse furioso ma
a bassa voce.
Con un altro strattone, lei si liberò
il braccio e lo fissò come se potesse guardargli dentro,
come era solito fare Gregory con lei.
«Ti sembro crudele, amico mio? Ti sembra
che io abbia mai usato trattamenti simili nei confronti di qualcuno in
modo gratuito?» domandò con voce tagliente.
L’uomo aggrottò ancora di più le
sopracciglia.
«Te l’ho visto fare
un’infinità di volte, Sofia. Ma stavolta no, non
lo puoi proprio fare» rispose con voce gelida.
Intanto, gli altri Maestri erano sulle spine.
Laurence e Sofia non avevano mai discusso, pur avendo entrambi due
caratteri molto forti. Temevano un possibile scontro: sarebbe stato
difficile, quasi impossibile fermarli.
«Qui c’è una sola persona che
sa cosa ho fatto, cosa ho sopportato pur di tentare di ritrovare la mia
famiglia. E non sei tu. Non accetto una critica simile in questa
situazione. Quindi spostati e lasciami parlare, Laurence»
disse Sofia, apparentemente calma. In realtà, la mancanza di
fiducia di Laurence l’aveva ferita: aveva sempre creduto di
poter fare affidamento su di lui, in qualunque circostanza, e scoprire
che per lui non era lo stesso l’aveva lasciata triste e
amareggiata.
Gli voltò le spalle senza aspettare una
risposta e riprese a scrutare le persone che aveva di fronte.
All’improvviso, Fernando
sbottò.
«Cosa vuoi che ti diciamo? Non li ricordiamo!»
gridò con rabbia. «Non riusciamo a ricordare
niente di loro e…» s’interruppe, non
riuscendo a proseguire.
«E vi sentite in colpa proprio
perché non riuscite a ricordare. Per questo e
perché avete paura che non li ritroverete mai
più» concluse la ragazza. Poi li guardò
di nuovo, uno a uno. «Quindi nessuno di voi ricorda i loro
volti, le loro voci... le abitudini... nulla?».
Un mare di teste davanti a lei si mosse in un
unico cenno di diniego, con poche eccezioni.
Senza aggiungere altro, Sofia scese dal tavolo con
un balzo e uscì dalla porta che si trovava pochi metri
dietro di lei. Riapparve un minuto dopo, spingendo uno dei grandi
carrelli che usavano per portare i pasti dalle cucine: entrambi i
ripiani erano zeppi di scatole di cartone. Sembravano pesanti: la
ragazza faceva una certa fatica a manovrare il carrello.
Si fermò e aprì la prima
scatola. Ne trasse una grande busta di cartoncino giallo e
scrutò attentamente il nome che vi era scritto sopra.
Prendendo un’altra decina di plichi iniziò a
girare per i tavoli, consegnandoli ai destinatari.
«Devo chiedervi di non aprirle fino a
quando non avrò consegnato anche l’ultima
busta» disse, osservando i primi ragazzi stringere la loro
tra le mani con curiosità. Quelli assentirono
silenziosamente, e lei riprese a distribuire il contenuto delle scatole.
In quindici minuti finì di smistare le
buste: Gregory fu l’unico a non riceverne una, e Laurence
l’ultimo al quale Sofia si avvicinò.
«Per ripagare la tua scarsa
fiducia» gli disse gelida, mettendogli una busta
più grande delle altre tra le mani. Poi trascinò
il carrello e una sedia in un angolo, vicino a Gregory, e si rivolse
alle persone in attesa.
«Avanti, apritele pure» disse
senza emozioni. Si voltò, infilando le mani nelle tasche:
non aveva intenzione di guardare le loro espressioni nel momento in cui
avrebbero visto il contenuto dei plichi.
Un lungo silenzio si dilatò nella sala.
Sembravano tutti impietriti: gli unici movimenti erano quelli delle
mani, che sfogliavano ciò che avevano trovato nelle buste, e
degli occhi, che vagavano qua e là cercando di assimilare
tutto istantaneamente, come se temessero di non poter rivolgere un
secondo sguardo al tesoro che ognuno di loro stringeva tra le mani.
Poi un profondo, rumoroso respiro e un singhiozzo
spezzarono il silenzio: soffocandone un secondo, Fernando strinse le
foto che lo ritraevano con la sua famiglia. Vedere di nuovo i loro
volti aveva aperto un cassetto nella sua mente – iniziarono a
riaffiorare i ricordi di voci e profumi, i piccoli gesti quotidiani, le
colazioni, le lotte con i suoi fratelli, i pomeriggi passati sotto il
sole della Spagna...
Intorno a lui, tutti vivevano emozioni simili:
alcuni cercavano di mantenere un contegno; altri piangevano, chi di
gioia per l’aver ritrovato i volti amati, chi di dolore,
sentendone ancora più forte la mancanza; alcuni ridevano,
altri ancora baciavano le foto e parlavano loro, come se chi vi era
ritratto potesse ascoltarli e dargli conforto.
Emma, stretta tra le braccia di Fernando,
sfogliava i ricordi di una vita immortalati sulla carta;
l’emozione che provava era troppo forte per poterle dare un
nome preciso, troppo forte per non volerla condividere con gli altri,
così espanse la propria Aura fino a toccare tutti:
sentì la tristezza di Ailie, la meraviglia di Gloria e
Viola, la felicità un po’ rabbiosa di Serj e
tanto, tanto altro...
Blaze rideva felice, gli occhi asciutti ma
brillanti di emozioni represse, mentre guardava la foto che lo ritraeva
con la sorellina di quattro anni più piccola di lui, a una
partita di baseball. Nonostante fossero passati anni, ricordava
perfettamente quel giorno: era la prima partita a cui i loro genitori
li avevano portati, e solo due settimane dopo era stato portato via,
lontano da tutto quello che gli apparteneva, per finire tra persone
sconosciute.
André, ammutolito, si rigirava tra le
mani una foto dei suoi genitori, osservando gli occhi di sua madre
– così simili ai suoi – e chiedendosi
per l’ennesima volta cosa fosse capitato loro, come avessero
reagito alla sparizione del loro unico figlio, e desiderando di poter
dire loro che stava bene, che li pensava ogni notte da nove anni, da
quando, a quindici anni, era stato preso mentre eseguiva una
commissione per sua madre ed era sparito senza lasciare tracce.
Laurence, invece, teneva ancora tra le mani il
plico perfettamente chiuso. Quando si decise ad aprirlo la sua mano
cercò istintivamente la foto più grande, la foto
che conosceva meglio di qualunque altra al mondo... perché
pur senza guardarla sapeva già quale, tra le tante foto che
c’erano in quella busta, Sofia aveva scelto di regalargli.
Le sue dita incontrarono una sottile cornice, e
sentì il freddo del vetro sulla mano: delicatamente,
estrasse la foto dalla busta e fissò con sguardo adorante il
volto della sua giovane sposa il giorno delle loro nozze. Una copia di
quella stessa foto era arrivata con lui al Centro, infilata nel suo
portafogli: l’aveva guardata e baciata ogni giorno, le aveva
parlato, sperando che in una qualche parte oscura della sua mente
Ambrosine sentisse la sua presenza. Aveva consumato quella foto
– che ormai non era che un foglio di carta rigido e un
po’ stropicciato su cui a stento si poteva riconoscere
qualche tratto, e un’ombra di colore.
Continuò a fissare quel volto che Sofia
gli aveva restituito, in una calda sera d’estate: si immerse
nel sorriso che quindici anni prima lo aveva fatto innamorare,
ricordando come si era divertita, quel giorno, a far svolazzare il
leggero velo di pizzo bianco – l’unico vezzo che si
era concessa, su di un vestito semplicissimo – e quanto si
era sentito felice quando nel suo volto fragile aveva scorto
l’amore che provava per lui, forte e deciso, che niente
avrebbe mai potuto spezzare.
Finalmente capiva perché la sua amica,
l’unica a cui avesse parlato di Ambrosine, avesse voluto
riaprire le vecchie ferite, prima di fare loro quel regalo: per
ricordare a tutti che c’era ancora una speranza di ritrovare
le persone che amavano.
Gregory intanto osservava la scena, impassibile e
un po’ annoiato. Poi guardò Sofia: continuava a
dare le spalle alle persone a cui aveva restituito una parte
– seppure minima – delle loro vite e sembrava non
volersi curare di quello che accadeva. Teneva gli occhi fissi contro il
muro, come se vedesse qualcosa che agli altri era invisibile.
L’uomo si alzò e si
portò alle spalle di lei: in quel momento, il suo sguardo
cadde dentro una delle scatole che erano ancora ammonticchiate sul
carrello. Allungò una mano ed estrasse una busta che giaceva
lì, volutamente dimenticata.
Se la rigirò tra le mani per qualche
istante, osservando il nome scritto con la piccola calligrafia corsiva
che conosceva bene e la ceralacca, ancora intatta. Poi porse la busta a
Sofia.
«Anche tu hai diritto ai tuoi
ricordi».
Lei scostò la busta con una mano, senza
neanche guardarla. Gregory insisté.
«Da quanto tempo le hai?»
chiese piano.
«Da due anni» rispose Sofia
sottovoce. «Da quando ho iniziato a sistemare tutto, qui, in
attesa del momento della fuga. Ho duplicato l’archivio del
Centro... pensavo che avrebbe potuto far loro piacere, riavere indietro
qualche pezzetto della loro vita».
«Ma la tua busta è ancora
chiusa» notò Gregory.
«Io li ricordo. Ma non voglio
vederli».
«Bugiarda».
L’affermazione di Gregory la costrinse a
voltarsi.
«Sai bene che Giovanni tiene
d’occhio tutte le nostre famiglie, specialmente la mia.
Tornare alla propria vita è quello che tutti desiderano,
qui, ed è anche il modo migliore per essere scoperti e
catturati. È un rischio che non possiamo correre»
disse la ragazza.
«Ma hai dato loro le foto ugualmente,
perché sai che ti ascolteranno. Sai che ti ascolteranno:
scontenti, arrabbiati, controvoglia, anche quando dirai loro che adesso
non possono tornare da chi amano, perché sarebbe un suicidio
per loro stessi e per le loro famiglie. Quello che ti manca
è qualcuno che possa fare lo stesso per te. Qualcuno che
possa fermarti, impedirti di commettere una sciocchezza. Per questo non
vuoi guardare quelle foto».
Sofia chinò il capo. Sapeva che Gregory
avrebbe centrato subito il punto; ecco perché aveva lasciato
la propria busta lì, sul fondo di una scatola.
Gregory aprì la busta ed estrasse le
foto. Gliele mise davanti agli occhi, e lei li chiuse immediatamente.
Non voleva vederle.
La mano libera dell’uomo le strinse una
spalla.
«Tu sei la voce della loro ragione. Io
sarò la tua» le mormorò.
Tremando impercettibilmente, le palpebre di Sofia
si sollevarono. Le sue mani scattarono in avanti, afferrando il
pacchetto di fotografie che Gregory teneva davanti a lei.
La prima del mucchio era vecchia di dodici anni: i
suoi genitori, abbracciati e sorridenti, in abito da sera a una cena
organizzata dall’Ambasciata. La cena che si era svolta la
notte in cui Giovanni l’aveva fatta portare via.
Una lacrima scivolò silenziosa dal suo
volto alla foto. Gregory la asciugò.
«Sono molto belli» le disse
piano.
Lei tirò su col naso.
«È vero. Erano dei buoni
genitori: nonostante le apparenze mia madre forse era la più
decisa. Mio padre aveva l’aria un pochino più
burbera, ma faceva sempre di tutto per accontentarmi. Ogni giorno, dopo
il lavoro, tornava a casa e mi portava a spasso lungo il Passeig de
Gràcia. Mi lasciava stare di fronte a Casa Batllò
anche per due ore, se mi andava. Ogni volta mi diceva che non potevamo
stare lì sotto ogni giorno; e ogni volta, la sera seguente,
mi ci portava di nuovo. Qualche volta ci passavamo anche la sua pausa
pranzo» disse con un sorriso nostalgico.
Prese a sfogliare le foto: alcune erano
chiaramente scatti di una comune vita familiare, a cena, durante una
gita, a saggi e manifestazione sportive. Altre, invece, sembravano
scattate di nascosto.
Gregory gliene chiese il motivo.
«Ci sono foto simili per tutti
quanti» fu la risposta. «Quando individuano un
Portatore, specie se è molto giovane, devono organizzare nei
dettagli il modo migliore in cui farlo sparire: quindi si documentano
sulle abitudini del Portatore stesso e della famiglia con fotografie,
filmati e tutto il resto».
«Credevo ci fosse una
modalità... diciamo standard. Un qualcosa che potessero
mettere in atto ogni volta» chiese Gregory stupito.
«Gregory, ti basta pensarci un attimo
per capire che sarebbe un modo certo per farsi scoprire. Non possono
far sparire decine e decine di persone tutte nello stesso modo, anche
se in tempi diversi. A seconda dell’età, elaborano
un metodo diverso per depistare le ricerche che inevitabilmente vengono
intraprese per ritrovare chi sparisce di punto in bianco».
«Ad esempio?».
Prima di rispondere, Sofia si guardò
attentamente intorno. Voleva essere certa che nessuno li ascoltasse.
«Gregory mi raccomando: quello che ti
dirò non deve saperlo nessuno. Per loro sarebbe ancora
più difficile affrontare tutto questo, se sapessero in che
modo sono stati portati via».
L’uomo la rassicurò
prontamente della propria discrezione.
«Bene, ti faccio qualche esempio...
guarda Fernando: è stato preso quando aveva dodici anni. Nel
suo caso hanno inscenato un semplice rapimento e seminato
un’infinità di false piste. Blaze e
André, invece, avevano quindici anni quando sono stati
portati al Centro e, anche se Blaze è arrivato quattro anni
più tardi, hanno utilizzato lo stesso metodo: hanno finto
che fossero scappati di casa dopo una lite con i genitori e spariti nel
nulla. Anche lì, hanno confuso le ricerche con indizi
fuorvianti. Laurence, invece, aveva ventinove anni: si trovava su un
traghetto – stava attraversando la Manica per tornare in
Inghilterra poiché i voli aerei erano stati tutti cancellati
– e visto che le condizioni del mare erano pessime, hanno
fatto credere che fosse caduto fuoribordo e annegato. Quando ce
n’è l’occasione sfruttano gli eventi
atmosferici più devastanti... è uno dei metodi
più semplici».
«E il modo in cui Giovanni ha fatto
sparire te?» chiese Gregory titubante.
«Troppo scenico, troppo complicato da
organizzare e troppo difficile da gestire. Non l’hanno mai
neanche preso in considerazione» snocciolò Sofia
senza ombra di emozioni sul volto.
In silenzio, pescò una fotografia dal
mucchio: ritraeva lei e suo padre davanti a Casa Batllò.
«Questa l’abbiamo scattata
appena arrivati a Barcellona» ricordò con un
sorrisino triste. «Avevo nove anni».
Stavolta fu Gregory a prendere una foto.
«E questa?» chiese divertito.
Nella foto si vedeva Tamara che tentava di intrecciare i capelli di
Sofia e la bambina che si dimenava, chiaramente scontenta.
«Oh cielo, me n’ero
dimenticata!» rise la ragazza. «Quando ero piccola,
mia madre adorava farmi treccine e code e mettermi mollette e
fiocchetti tra i capelli: io lo detestavo. Senza contare che aveva la
pessima abitudine di infilarmi a forza vestitini svolazzanti, magari
bianchi o, peggio, rosa».
«Be’, di solito è
così che si vestono le bambine. Cos’avresti mai
voluto indossare?».
«Mia madre mi fece la stessa domanda
quando avevo sette anni. Mi portò in giro per negozi per una
giornata intera dicendomi di comprare quello che mi piaceva di
più. Tornai a casa con jeans, anfibi, scarpe da ginnastica e
un’infinità di magliette e camicie nere e
viola» disse Sofia, soffocando un’altra risata.
«Punk/rock a sette anni? Decisamente una
bambina fuori dal comune» disse Gregory con gli occhi
brillanti.
Lei annuì. «Quando mio padre
vide cos’avevo comprato, invece di unirsi allo sconcerto
della mamma – che si lamentava di avere un maschiaccio, come
figlia – si mise a ridere e gridò:
“Sapevo che mia figlia aveva un’anima
rock!”» concluse, strozzandosi per il gran ridere.
«Il giorno dopo mi comprò una chitarra e
iniziò a darmi lezioni di musica».
Sedettero, Sofia sempre tenendo strette tra le
mani le fotografie.
«Perché non hai
più provato a cercarli?» le chiese Gregory a bassa
voce. Lei scosse il capo, come cercando di riordinare le idee.
«Lo sai benissimo perché.
C’eri, quando Giovanni mi ha intimato di non
cercarli» rispose laconica.
«Ricordo perfettamente ciò
che ti ha detto. Quello che non capisco è perché
hai fatto come voleva lui. Non ha modo di controllare che tu abbia
fatto quello che ti ha ordinato!».
«Oh sì, che ce
l’ha. In tutti questi anni ha continuato ad andare a trovare
i miei genitori. Ha parlato con loro, sono andati insieme in vacanza, a
pranzo, a cena. Li vede spesso, e la ricomparsa della loro primogenita
per anni creduta morta di certo non passerebbe inosservata».
«Non capisco quale sia il problema...
racconta ai tuoi genitori come sono andate le cose e di’ loro
di non raccontare nulla a Giovanni, di fingere!».
«Per chiedergli una cosa del genere,
dovrei rivelare loro che è stato proprio Giovanni a portarmi
via. Non posso!» disse Sofia, stupita d’averglielo
dovuto spiegare.
Gregory era più stupito di lei.
«Tu non vuoi che pensino male di lui!» esplose. Non
riusciva a crederci: nonostante tutto, Sofia continuava a difendere
Giovanni. Scosse la testa. «Non puoi proteggerlo, Sofia. Non puoi. Hai
rischiato di farti uccidere da lui già una volta, in futuro
potresti non essere così fortunata! ».
Prima che lei potesse ribattere Blaze,
André e Laurence si avvicinarono. In quel momento si resero
conto che tutti gli altri se n’erano andati.
Il giovane americano strinse Sofia.
Cercò di mettere in quell’abbraccio tutto quello
che provava e probabilmente ci riuscì, perché
negli occhi di lei brillò una piccola lacrima di gioia.
Quando si separarono, fu il turno di Laurence di
abbracciarla.
«Grazie per avermi restituito
Ambrosine» le sussurrò.
Lei ricambiò l’abbraccio: in
quel momento tutto era perdonato, da entrambe le parti.
Mentre i cinque si guardavano, André
ebbe un’idea.
«È quasi mezzanotte. Che ne
dite di concludere il Solstizio con una nuotata?» propose con
un sorriso.
Gregory, Blaze e Laurence accolsero favorevolmente
l’idea; Sofia sembrò esitare, ma dopo alcune
insistenze acconsentì.
«Be’ allora
andiamo!» esclamò Blaze impaziente.
Lasciarono le scarpe sulla porta
dell’Ala Ovest e mossero i primi passi a piedi nudi
sull’erba lievemente illuminata dalla luna.
André guardò gli altri
quattro.
«Al terzo lago dietro le
colline!» disse, slanciandosi in avanti. Gli altri lo
seguirono, correndo a perdifiato: s’inerpicarono lungo i
fianchi ripidi delle colline per poi lasciarsi quasi scivolare nella
discesa sul lato opposto. Giunsero in poco tempo al lago indicato da
André: rapidamente, i quattro uomini si liberarono dei
vestiti e, in boxer, si tuffarono nell’acqua gelida da una
sporgenza rocciosa alta qualche metro.
Sofia rimase dov’era, bloccata. Gli
altri riemersero e la fissarono.
«Sofi, non dirmi che ti vergogni di noi!
Avanti, togliti quei vestiti e buttati in acqua!» la
spronò Blaze.
Lei non sembrò ascoltarlo: rimase dove
si trovava, quasi senza muoversi.
Anche André la incitò a
tuffarsi. «Sei arrivata fin qui, non puoi restare imbambolata
a riva!».
Laurence e Gregory, invece, non dissero nulla. Uno
dei due immaginava di sapere cosa bloccasse la ragazza;
l’altro, invece, ne conosceva con certezza il motivo.
Il suo vecchio insegnante la guardò con
tristezza. «Non c’è niente di cui
vergognarsi» le mormorò. Nel silenzio, le sue
parole risuonarono come se le avesse gridate.
André e Blaze fissavano
alternativamente Sofia e Gregory, confusi; Laurence le fece un cenno
d’incoraggiamento.
Sospirando, Sofia iniziò a sbottonarsi
la camicia nera a maniche corte. Quando le scivolò via dal
corpo la luna illuminò una grande, bianca cicatrice che, dal
centro dello sterno, si allargava sulla parte sinistra del petto e le
avvolgeva la spalla e la parte superiore del braccio. A quella vista
Blaze e André ammutolirono, e persino Laurence –
che pure sapeva di quella ferita, ma non l’aveva mai vista
– rimase scioccato. Non aveva mai immaginato che fosse tanto
estesa.
A disagio sotto gli sguardi curiosi,
compassionevoli e inorriditi dei suoi amici, Sofia si tolse velocemente
i pantaloni e si tuffò nell’acqua scura,
immergendosi fino al collo.
Blaze le fu subito addosso.
«Sofi, come diavolo ti sei procurata
quella cicatrice?» le chiese senza mezzi termini.
Per tutta risposta lei s’immerse fino al
naso e cercò di nuotare via ma la mano di André,
che si era a sua volta avvicinato, le afferrò una caviglia e
la trattenne.
«Io non voglio sapere come: voglio sapere
quando...
da una ferita del genere non si guarisce in tempi brevi e io non ti ho
mai vista star male!» esclamò, mettendola alle
strette.
«E che cavolo! Basta!» esplose
Sofia, divincolandosi. «Ce l’abbiamo tutti qualche
cicatrice, con l’addestramento a cui ci sottoponiamo
è normale!».
«Ma non è normale una
cicatrice di quelle
dimensioni!» gridarono a una voce Blaze e André.
Laurence nuotò verso di loro e
toccò lievemente le spalle dei suoi due amici: quel semplice
gesto bastò per farli calmare, almeno temporaneamente, e
Sofia ne approfittò per nuotare via.
«Non sembri sorpreso... tu lo
sapevi?» chiese André a Laurence con un
po’ di rabbia mentre nuotavano verso uno scoglio e ci si
arrampicavano per parlare liberamente.
L’uomo annuì.
«Sapevo che era stata ferita piuttosto gravemente, una volta,
ma non avevo mai visto la cicatrice». Fece una pausa,
sospirando.
«”Era stata ferita”?
Allora non è stato un incidente durante
l’addestramento! Ma chi è stato?» chiese
Blaze.
Laurence si strinse nelle spalle. «Non
ne ho idea. L’ho saputo solo quando stavano per portarla
via... André non c’era e hanno chiesto a me di
prepararle una piccola borsa per il viaggio».
«Ma Sofia è sempre partita...
be’, da sola. Chi l’avrebbe portata via?»
chiese André.
«Io».
Tutti e tre si voltarono di scatto. Non avevano
sentito Gregory avvicinarsi, né si erano accorti che stava
ascoltando la loro conversazione.
«Tu?
Ma allora saprai cosa le è successo... chi è
stato... tutto insomma!» esplose André.
Gregory scosse la testa, inerpicandosi a sua volta
sul masso. «Dovrebbe essere lei a parlarne... ma ho la
sensazione che non lo farà mai».
Guardò per un attimo la superficie del
lago, liscia e perfetta, spezzata di tanto in tanto dalla testa di
Sofia che riaffiorava e poi spariva di nuovo, lontana.
«Sofia, come ognuno di voi, è
stata allontanata a forza dalla propria famiglia»
esordì l’uomo, dopo aver riflettuto brevemente.
«Con due sole differenze. È stata presa molto
prima che il Centro venisse fondato, e il suo rapimento ha richiesto un
intero anno, prima di essere portato a termine».
I due ragazzi più giovani lo
interruppero.
«Anche lei è stata portata
via... come noi? Avevo sempre pensato che fosse... non lo so, una
figlia illegittima di Giovanni o roba simile!» esplose Blaze.
Gregory scoppiò a ridere: nonostante
tutto, trovava l’idea del ragazzo incredibilmente divertente.
«E tu André? Che versione ti
eri costruito, al riguardo?» gli chiese Gregory, rendendosi
conto che anche lui sembrava sorpreso da quello che aveva appena saputo.
«Inizialmente credevo che Giovanni
avesse qualche interesse... particolare, diciamo, verso di lei. Sofi
aveva quindici anni e lui la trattava come se fosse il centro del suo
universo. Le ruotava attorno, letteralmente: era come se fossero legati
insieme da una catena. Se uno dei due faceva un passo, automaticamente
l’altro lo seguiva. Poi però ho conosciuto Sofia,
siamo diventati amici, e ho capito che la cosa era molto più
complicata» tentò di spiegare André.
Gregory annuì.
«Sì, il loro legame è qualcosa che mi
ha affascinato da quando li conosco entrambi: diciamo che si colloca
nello spazio grigio tra diversi tipi di sentimenti. È un
po’ di tutto». Poi proseguì.
«Sofia, a differenza degli altri, ha sempre avuto la piena
coscienza di quello che le avevano fatto: sapeva benissimo che
stratagemmi erano stati messi in atto per portarla via, e da quanto ho
capito, sembrava avesse intuito che l’avrebbero strappata
alla sua vita prima ancora che lo facessero; e sempre a differenza
degli altri, ha avuto il permesso di uscire dal Centro e viaggiare
autonomamente, senza alcun controllo».
I tre annuirono. Sapevano già quello
che Gregory stava dicendo loro.
«Cinque anni fa, resasi conto che
nessuno – neanche Giovanni – controllava quello che
faceva quando andava all’estero, si decise a cercare la
propria famiglia. Ritrovò i suoi nonni paterni, e
scoprì dove si trovavano i suoi genitori. Rientrata al
Centro, parlò con Giovanni della sua intenzione di tornare
dalla propria famiglia e passare del tempo con loro. L’idea
di abbandonare il Centro, e con esso Giovanni, non l’ha mai
neanche sfiorata; non aveva neanche intenzione di raccontare che era
stato proprio Giovanni, dopo aver conquistato la fiducia dei suoi
genitori, a portarla via».
Un’esclamazione di sorpresa interruppe
il suo racconto; Gregory li rimproverò.
«Non ditemi che non avevate immaginato
che era stato proprio Giovanni a portarla via! In ogni caso»
riprese, «Giovanni si infuriò. Aveva messo su un
teatrino veramente degno di nota per portarla via e, come avete
giustamente notato, ha sempre avuto una sorta di... dipendenza,
diciamo, alla presenza di Sofia. Non le credette e perse il controllo.
Poi la attaccò; lei lo conosce fin troppo bene, avrebbe
potuto difendersi ma non fece nulla: rimase lì, immobile, a
farsi ammazzare perché non voleva fargli del male. Giovanni
non si fece altrettanti scrupoli e la bruciò, avete visto la
cicatrice, e lei crollò al suolo. Lui si rese conto
immediatamente di quello che aveva fatto e mi mandò a
chiamare: sapeva che mi trovavo a Cardiff e che, se ci fossimo mossi
tutti molto rapidamente, forse avremmo potuto salvarla».
Riprese fiato e si passò una mano sul
volto, ricordando la scena che si era presentata ai suoi occhi quel
giorno di cinque anni prima.
«Dovetti scatenare una tempesta marina
per arrivare al Centro nel minor tempo possibile. Rischiai anche di far
colare a picco due o tre navi. Quando arrivai... be’,
è una scena cui nessuno dovrebbe assistere. Sofia era stesa
a terra, e c’era tanto di quel sangue in giro... sembrava che
non ce ne fosse più una goccia in lei, era bianca come la
neve e l’unica cosa da cui si capiva che era ancora viva
erano gli occhi, che conservavano un’ultima scintilla di
lucidità: era cosciente. Era completamente bruciata, e tanto
a fondo che in alcuni punti si vedeva il cuore battere, del tutto
scoperto. Io arrivai, e un minuto dopo lei morì tra le mie
braccia».
Si bloccò con un groppo in gola,
esattamente come gli altri tre. Sapeva che stavano immaginando quello
che lui aveva vissuto – vedere la vita scivolare via da quel
corpo per un motivo tanto futile – e ricordava ancora quanta
rabbia avesse scatenato in lui.
«Ma se era morta come...
come...» tentò Blaze prima
d’interrompersi, tirando su col naso. Sofia era per lui una
seconda sorella, l’aveva aiutato e consolato quando era
arrivato al Centro, e il racconto di quello che aveva sofferto si
riversava in lui come se l’avessero vissuto insieme.
Gregory riprese il racconto, un po’ a
fatica. «Sofi morì, e Giovanni...
impazzì. Letteralmente. Dopo aver perso conoscenza per
qualche istante, iniziò a gridare contro tutti: contro di
lei, contro di me, contro se stesso. Si ruppe una mano dopo aver
distrutto un tavolo, tre sedie e quattro finestre in poco
più di un minuto. Dovetti bloccarlo contro un muro con dei
ceppi d’Acqua per farlo stare fermo. Ero più
arrabbiato di lui: gli Elementi non vanno mai usati per uccidere e, nel
suo delirio, mi aveva detto cosa era successo prima del mio arrivo,
perché l’aveva attaccata. Provavo pena per quella
povera ragazza di cui avevo solo sentito parlare da lui; provavo pena
per quello che le aveva fatto quando era una bambina e per come
l’aveva uccisa senza battere ciglio, senza fermarsi quando
aveva capito che non avrebbe reagito. La presi di nuovo tra le braccia:
non potevo fare niente per lei, ma quello era l’unico modo in
cui mi sembrava di poterle dare almeno un po’ di affetto.
Presi a parlarle... le sussurrai che mi dispiaceva di non essere
riuscito a salvarla, e Giovanni iniziò di nuovo a gridare,
senza più avere il controllo del proprio Elemento. E il
cuore di Sofia... ricominciò a battere. Debole, irregolare:
poteva fermarsi di nuovo da un momento all’altro, e stavolta
per sempre. La ferita era troppo grave: non potevo guarire tutto. Mi
concentrai sul suo cuore. Dopo mezz’ora di sforzi, il battito
tornò a essere abbastanza forte da tenerla in vita. Le
medicai la ferita e predisposi subito il suo trasferimento negli Stati
Uniti, con me».
«E Giovanni la lasciò andare?
Dopo averla quasi uccisa solo perché voleva stare un
po’ con la propria famiglia?» chiese
André incredulo.
«Giovanni si era reso conto di quello
che aveva fatto. Mentre cercavo di salvarla lo avevo avvertito che se
fossi riuscito a strapparla dalle braccia della Morte, che la tenevano
tanto stretta, allora l’avrei portata via con me fino a
quando non fosse guarita completamente, fisicamente e psicologicamente.
Se non avesse accettato, mi sarei fermato immediatamente e non
l’avrei guarita. Ovviamente non l’avrei mai fatto;
era solo un bluff; ma lui era così terrorizzato
all’idea di vederla morire di nuovo che accettò
senza esitare un istante, anche se prima di lasciarla andare le
ordinò di non cercare mai più la sua famiglia.
Sotto le minacce che le faceva – non tanto verso lei stessa,
quanto verso i suoi genitori – Sofia cedette. E
così la portai via, in un luogo sconosciuto a tutti tranne
me, in modo che Giovanni non potesse raggiungerla. Lei guarì
molto più rapidamente di quanto mi aspettassi, e mi chiese
di addestrarla. Io acconsentii, e anche se in meno di tre mesi si era
perfettamente ristabilita, rimase con me molto più a lungo.
Poi non potemmo più fingere: lei dovette tornare al Centro,
e continuammo a vederci e ad allenarci di nascosto» concluse
Gregory.
«Per questo Sofia si fida tanto di
te» disse Laurence piano.
«Proprio così»
disse la voce limpida della ragazza. Ancora un volta, troppo presi
nella conversazione, i tre amici non l’avevano sentita
avvicinarsi. Gregory invece se n’era accorto ma era andato
avanti ugualmente nel racconto consapevole che, se avesse voluto
impedirgli di parlare, Sofia sarebbe intervenuta molto prima.
«Devo dire che ad ascoltarla da fuori,
sembra una storia davvero affascinante. La realtà invece
è stata solo incredibilmente squallida» aggiunse
la giovane.
Nessuno aggiunse nulla. Tornarono in acqua,
galleggiando sulla superficie, e restarono a fissare le stelle fino a
quando il sole non sorse sul primo, vero giorno d’estate.
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Capitolo 10 *** Incontri e depistaggi ***
«Accidenti, è l’alba!»
«Shhht... sta’ calmo e goditi
il momento».
Di nuovo in silenzio, tutti e cinque porsero il
volto alla luce rosea che andava diffondendosi, sempre cullati dalle
acque placide del lago.
Improvvisamente un rumore di passi
turbò la tranquillità. Gregory e Sofia, scattando
come due molle, si slanciarono fuori dall’acqua e corsero
verso la fonte del suono.
«Si può sapere che vi
prende?» gli gridò dietro Blaze.
Senza preoccuparsi di rispondere, i due
continuarono a correre. In alcuni punti, tra le colline, il buio era
ancora piuttosto intenso; seguirono i passi per alcune centinaia di
metri finché Sofia non intravide qualcosa. Si
fermò di botto, allungando un braccio e dando una botta in
pieno petto a Gregory.
Quando il rumore di passi svanì, lui si
voltò verso Sofia.
«Perché ci siamo
fermati?» le chiese.
Lei si mise in punta di piedi e, tirandolo verso
di sé, gli sussurrò qualcosa
all’orecchio. L’uomo si rialzò di scatto.
«Sei proprio sicura di quello che hai
visto?» le chiese con aria seria. Sofia annuì.
«Bene. Allora abbiamo decisamente un
problema» disse l’uomo.
Tornarono dagli altri che, intanto, erano usciti
dall’acqua e si erano rivestiti.
«Allora? Cos’è
successo?» chiesero impazienti.
Sempre in silenzio, Sofia e Gregory iniziarono a
loro volta a rivestirsi.
«Abbiamo un problema»
esordì Gregory, infilandosi i pantaloni.
«Che tipo di problema?» chiese
André impaziente.
«Il tipo di problema che può
degenerare da un momento all’altro»
replicò Sofia. «C’è qualcuno
che gironzola un po’ troppo intorno ai confini della Valle, e
non riusciamo a capire se sia all’interno o
all’esterno».
«Avete ragione. Questo è un
problema» disse Laurence corrugando la fronte. Poi, prima di
parlare di nuovo, espanse la propria Aura. «Non mi sembra ci
siano falle nei confini, quindi la persona di cui parlate è
certamente all’interno».
«Non è detto» lo
corresse Gregory. «Anche se in questo momento non ci sono
brecce nei confini, non vuol dire che qualcuno non ne abbia trovata una
e che l’abbia personalmente richiusa per non far capire dove
c’è un passaggio aperto a tutti».
«Ma se ci fosse un passaggio e qualcuno
all’esterno l’avesse trovato, ci avrebbero
già attaccati» disse Blaze poco convinto.
«Potrebbero stare ancora perlustrando la
Valle. In fin dei conti è un territorio abbastanza esteso, o
magari prima di attaccare vogliono scegliere il luogo e il momento
adatto. Questo potrebbero farlo solo dopo aver studiato le nostre
abitudini» replicò Sofia.
«Ma non avete individuato chi
è passato dietro quelle colline, poco fa?»
domandò André.
«Non siamo riusciti a vederlo e non
abbiamo percepito nessuna Aura. Quindi o è una persona
normale capitata qui per caso, o è un Portatore che sa
trattenere bene la propria Aura» rispose Gregory.
Rimasero tutti in silenzio per qualche minuto, con
l’aria preoccupata e pensierosa.
«D’accordo, io ho
un’idea» esordì Sofia dopo qualche
minuto di riflessione. «Potremmo farci vedere –
almeno noi quattro, Costa, Viola, Gloria e Friedrich, e i Figli degli
Elementi meglio addestrati – all’esterno della
Valle: magari in prossimità dei luoghi in cui siamo stati
rapiti, o delle abitazioni di altri Portatori. In ogni caso,
possibilmente lontano da qui. Facciamo in modo che ci vedano e che
pensino che ci siamo sparpagliati».
«Credi che
funzionerà?» chiese Laurence.
«Non ne sono certa. Probabilmente
Jackson, Tsukiko e soprattutto Prudencia si getteranno a capofitto in
quelle trappole. Questo dovrebbe garantirci una maggiore sicurezza
almeno per qualche settimana, mentre saranno impegnati a passare al
setaccio i luoghi in cui siamo stati visti. Non credo che riusciremo a
ingannare Giovanni, ma per lui ho già un’altra
esca pronta» spiegò Sofia rivolgendo un mezzo
sguardo a Gregory, che annuì.
«Sarà meglio tornare a casa e
organizzare subito i depistaggi» propose André.
*
«No no no... non possiamo farci vedere a Cork, è
troppo vicino!» disse Blaze.
«Accidenti a te, razza di testa dura che
non sei altro... la prima uscita non possiamo farla troppo lontana
dalla Valle! E se qualcosa andasse storto? Dove andresti a nasconderti,
eh?» sbuffò Costa.
«Va bene, va bene, basta! La prima
uscita a me! Però scelgo io dove, e che nessuno si azzardi a
contraddirmi!» esplose Sofia, mettendo fine alla disputa che
andava avanti ormai da un’ora.
Al mattino, tornati ognuno nelle proprie stanze,
si erano cambiati e avevano aspettato l’ora di svegliare gli
allievi. Dopo la colazione, li avevano avvisati che avevano deciso di
concedere a tutti una giornata di riposo e li avevano incitati ad
andare in giro per la Valle a rilassarsi. Poi avevano convocato nella
biblioteca gli altri quattro Maestri per metterli al corrente delle
ultime novità, elaborare i depistaggi e scegliere i Figli
degli Elementi che li avrebbero affiancati.
«Non ci puoi andare da sola.
È fuori discussione» intervenne André.
Sofia alzò gli occhi al cielo.
«Va bene, allora mi porto Laurence! Lui
almeno non si perderà in crisi isteriche» disse
facendo la linguaccia a Blaze, che rispose con una buffa smorfia del
volto.
«Comunque credo che dovremmo andare
tutti in coppia, quando facciamo un’apparizione: uno si
mostra, e l’altro è lì di supporto. In
caso qualcosa andasse storto» aggiunse Sofia.
Tutti annuirono.
«Come ci spostiamo? Non possiamo restare
a lungo allo scoperto...» iniziò Viola.
«... e se dobbiamo mostrarci lontano
dall’Irlanda, la questione si complica» concluse
Gloria.
«Facile» disse subito Sofia.
«Abbiamo un’imponente colonia di Fenici, qui alla
Valle. Usiamo loro».
«Prego?» Costa sembrava non
capire. «Come facciamo a spostarci con le Fenici? Senza
contare che sono tanto vistose che ci farebbero scoprire
immediatamente. Ci renderebbero bersagli facili».
Sofia lo guardò incredula.
«Di’ un po’, Costa, mi prendi forse in
giro? Ma che razza di Portatore del Fuoco sei, se non conosci neanche
le caratteristiche principali degli Animali del Fuoco? Le Fenici
possono sollevare grandissimi pesi e, se proprio vuoi spostarti in
fretta, ti basta dire loro dove vuoi andare aggrappandoti alle piume
della coda: entrambi si dissolvono e ricompaiono quasi istantaneamente
nel luogo scelto. Quando c’è un grande feeling tra
un Portatore del Fuoco e una Fenice, al Portatore è
sufficiente pensare
al luogo in cui vuole recarsi, prima di afferrare la coda della
Fenice» spiegò al greco.
«Be’, mi sembra perfetto.
Questo ci permetterà di fare rapide incursioni in luoghi
molto distanti... è esattamente quello che ci
serve» disse Laurence.
«A questo punto non resta che decidere
quali Figli degli Elementi coinvolgere» disse Blaze.
«Devono proprio essere Figli degli
Elementi?» chiese Friedrich.
Sofia e Gregory si scambiarono
un’occhiata.
«Sarebbe meglio coinvolgere dei Figli
degli Elementi perché hanno raggiunto un livello di
addestramento abbastanza alto da permettere loro di difendersi se
attaccati e di muoversi con discrezione, avendo appreso le tecniche di
mimetizzazione... ma se avete in mente qualche Apprendista che credete
possa farcela e sia degno di fiducia, ne possiamo parlare»
disse Gregory.
«Be’ Ailie è molto
abile e, con qualche lezione sulla mimetizzazione, potrebbe fare un
ottimo lavoro» propose Friedrich. «Inoltre
è senza dubbio uno dei Portatori più devoti alla
Valle».
«Se la metti così, allora io
propongo Fernando» intervenne Laurence.
«Non lo so se sono d’accordo,
per quanto riguarda Fernando» disse Sofia. «Se gli
succede qualcosa, Emma mi ammazza anche senza riuscire a padroneggiare
uno straccio di Elemento!».
Tutti scoppiarono a ridere al timore di Sofia, che
proseguì. «In ogni caso, io propongo Serj.
È molto determinato, sta affrontando
l’apprendistato dei Figli del Fuoco e buona parte del suo
addestramento l’ho curato io stessa... credo sia qualcuno su
cui possiamo fare affidamento. Tu che ne dici, Costa?».
«Sono d’accordo. Serj
è senza dubbio adatto» confermò
l’uomo.
«E tu André? Hai qualche
proposta?» gli domandò Gregory.
«Ci sarebbe Pietro, un Apprendista di
secondo livello... stiamo per passarlo al terzo. È discreto,
riservato e molto dotato, anche se piuttosto giovane. Possiamo
prepararlo adeguatamente in una settimana».
«Ci possiamo fidare di lui?»
chiese Sofia.
«Garantisco io. È il mio
pupillo» intervenne Gloria con decisione.
«D’accordo». Sofia
prese un profondo respiro. «Allora tanto vale cominciare oggi
stesso».
Dalla biblioteca, il gruppetto si mosse verso
l’Ala Nord. Usciti dall’edificio scesero dalla
collina su cui si trovarono e si spostarono sul prato dove Sofia li
aveva aspettati la notte in cui erano arrivati lì.
Laurence e Sofia si staccarono leggermente dagli
altri.
«Trattieni quasi completamente
l’Aura» disse la ragazza al suo compagno.
«Appena arriviamo mi stacco, espando l’Aura al
massimo e faccio un giro per le vie del posto. Quindici minuti e
torniamo indietro».
Laurence annuì.
«Nabeela!» chiamò
Sofia. La Fenice arrivò cantando dolcemente e si
fermò sopra di loro, scuotendo le lunghe piume variopinte
della coda.
I due si presero per mano.
«Al mio tre» disse Sofia.
«Uno... due... tre!».
Al segnale, entrambi afferrarono la coda della
Fenice e con lei sparirono in un lampo di fuoco.
*
Quando lasciarono la coda di Nabeela barcollarono per un istante,
mentre uno sbuffo d’aria fredda li investiva.
«Dove siamo?» chiese Laurence,
guardandosi intorno nel piccolo vicolo spoglio e desolato.
«A Kastrup, in Danimarca»
rispose Sofia.
L’uomo la guardò perplesso.
«Perché proprio qui?».
«Perché mi noteranno subito.
Ci abitano i miei nonni paterni» fu la risposta.
«È troppo
pericoloso!»
«È un diversivo perfetto. E
poi, così saremo certi che avrà successo. Ora
vado. Ricorda: quindici minuti. Se non torno, se senti sparire la mia
Aura, torna alla Valle con Nabeela» disse Sofia, espandendo
la propria Aura più che poteva e mescolandosi alle persone
che camminavano nella via su cui si affacciava il vicolo.
Preoccupato, Laurence aspettava con impazienza che
la ragazza tornasse, tenendo la propria Aura al minimo in modo da poter
percepire quella di lei. Di tanto in tanto guardava Nabeela che,
placidamente appollaiata sulla sua spalla, teneva gli occhi chiusi e di
tanto in tanto scrollava leggermente la coda.
Dopo quella che sembrava
un’eternità l’Aura di Sofia
sparì e ricomparve per tre volte. Poi scomparve del tutto.
Un paio di minuti dopo la ragazza irruppe nel
vicolo, ansimando.
«Giovanni aveva lasciato un suo amico di
guardia. Dobbiamo andarcene alla svelta» disse, aggrappandosi
a Laurence e afferrando con lui la coda di Nabeela.
*
«Allora, com’è andata?»
chiesero impazienti Gregory e gli altri, che li avevano aspettati nello
stesso punto da cui i due erano partiti solo pochi minuti prima.
«In teoria bene» rispose
Laurence, lanciando un’occhiataccia a Sofia. Non riusciva a
credere che avesse volontariamente corso un rischio simile.
«E in pratica?» chiese Viola,
notando l’espressione corrucciata dell’uomo.
«In pratica, Sofia è voluta
andare in un posto dove sapeva che si aspettavano di vederla comparire
e ha rischiato di farsi catturare» snocciolò
Laurence.
«Cos’hai fatto?».
Blaze boccheggiò. «Sei impazzita o
cosa?».
Lei lo guardò male. «Non
cominciare, Blaze!». Poi si rivolse agli altri.
«Hanno abboccato, siamo tornati e stiamo bene. Che altro
c’è da dire?» esclamò,
mettendo fine alle proteste prima ancora che cominciassero.
Gregory la guardò senza riuscire a
nascondere la soddisfazione.
«Visto che il metodo funziona, andiamo a
organizzare le altre apparizioni» disse, facendo loro strada
di nuovo verso la biblioteca.
*
Giovanni camminava lentamente lungo i viali del parco quando Jackson,
Prudencia e Tsukiko lo raggiunsero.
«Come mai hai quest’aria
soddisfatta?» gli chiese Tsukiko.
«Hanno avvistato Sofia».
«L’hanno avvistata? E
dove?» chiese subito Prudencia.
«In una cittadina in Danimarca. A
Kastrup, per la precisione».
«Allora ci dobbiamo andare
immediatamente. Di certo è ancora nascosta
là».
«Se c’è qualcosa di
certo, è che non si trova più lì.
Nessuno sarebbe tanto stupido da restarci, ben sapendo che lo stiamo
cercando e che è stato visto».
Jackson e Tsukiko osservavano lo scambio di
battute tra i due senza osare interromperli. Poi l’americano
intervenne.
«Prudencia, Giovanni ha ragione. Sofia
non sarebbe mai rimasta lì dopo essere stata
vista».
«Dobbiamo andarci lo stesso! Una pista
da seguire era quello che stavamo aspettando... e ora la lasciamo
cadere così?» fu la replica rabbiosa
dell’argentina.
Giovanni scosse una mano con fare noncurante.
«Lasciate pure che vada, se ci tiene tanto» disse,
continuando a camminare.
Jackson gli si affiancò.
«Non sembri sorpreso dalla sua
apparizione improvvisa» chiese all’italiano, che
trattenne a stento un sorrisetto compiaciuto.
«È ovvio che vuole portarci
fuori strada. Doveva sapere benissimo che l’avrebbero vista:
è il paesino dove abitano i suoi nonni paterni, e lei
c’è andata senza neanche curarsi di trattenere
l’Aura».
«Magari non si aspettava di incontrare
un Portatore con cui sei in contatto» disse Jackson.
«Sai, è stata furba a scappare e a nascondersi
così a lungo... ma rischiare di farsi catturare per tentare
di depistarci mi sembra troppo anche per lei. È una mossa
fin troppo imprudente».
«È ovvio che sei convinto che
il suo farsi vedere sia stato un mero errore di calcolo. Libero di
avere la tua opinione... ma non venite da me a lamentarvi quando avrete
di nuovo sprecato tempo, energie e risorse solo per cadere nelle sue
trappole» disse Giovanni in tono definitivo.
Cogliendo il tono dell’amico,
l’americano si allontanò per andare a organizzare
il viaggio in Danimarca con i Maestri dell’Acqua e
dell’Aria.
*
«Grazie Akram!» disse Blaze, dando un buffetto sul
collo della Fenice prima che volasse via.
«Allora ragazzi...
com’è viaggiare con una Fenice?» chiese
Sofia sorridendo.
«Assolutamente fantastico»
rispose Gloria, mentre Blaze annuiva entusiasta.
«Siete tornati! Chi dei due si
è fatto vedere, e dove?» domandò
Gregory avvicinandosi.
«Oh, mi sono fatto vedere io. Ho fatto
una bella passeggiata per Manhattan... lo desideravo da
sempre!» rispose Blaze.
Gloria scosse la testa. «Credevo che non
sarebbe più tornato, era così euforico quando
siamo arrivati là!» disse divertita.
Insieme, i quattro si avviarono verso la mensa,
mentre Sofia ripensava agli ultimi cinque giorni. Dalla sua prima
uscita ormai si erano mostrati tutti gli otto Maestri, Ailie e
Fernando, quest’ultimo nonostante l’evidente
preoccupazione di Emma.
«Cosa dicono i tuoi contatti
all’esterno?» chiese piano Sofia a Gregory.
«Le vostre uscite si stanno facendo
notare... pare che dal Centro stiano mandando alcuni tra i Figli degli
Elementi più dotati nei luoghi in cui siete apparsi per
cercare eventuali piste che portino a uno o più
nascondigli» bisbigliò l’uomo di rimando.
« E... ?».
«Come avevi previsto, Giovanni non si
è fatto ingannare. A quanto ne so, non sta prendendo parte
alle ricerche».
«Mhhh» mugugnò
Sofia con aria pensierosa. «Allora dobbiamo
distrarlo»
Gregory annuì. «Quando vuoi
che vada?»
«Direi il prima possibile»
«Allora tanto vale farlo
subito».
I due fecero dietrofront e, dopo aver camminato
per qualche minuto, s’infilarono in un boschetto. Sentendosi
sfiorare la nuca da qualcosa di morbido e setoso, Gregory fece un salto
indietro.
«Sta’ tranquillo»
rise Sofia. «È soltanto Nabeela».
La Fenice di Sofia, infatti, era appollaiata sopra
di loro, sul ramo di un albero.
«Vuoi mandarmi con lei?»
chiese Gregory sbalordito. Sofia adorava Nabeela ed era
l’unica a potersi spostare con quella particolare Fenice.
Lei annuì. «E vedi di stare
attento, perché se torna con una sola piuma fuori posto ti
uccido» disse scherzosamente. Nabeela era una Fenice, non
aveva certo bisogno di protezione.
Gregory allungò un braccio verso il
cielo, a sfiorare la coda di Nabeela.
«Andiamo» disse, bisbigliando
la destinazione ed afferrando le piume turchine.
*
Giovanni alzò di scatto la testa che, fino a un istante
prima, teneva appoggiata sulle proprie braccia incrociate, semidisteso
sul tavolo.
«Cosa succede?» chiese Jackson
allarmato.
L’italiano non rispose. Dopo settimane
di attesa eccola lì, quell’Aura, a pochi
chilometri da lui. Non poteva farsi scappare quell’occasione.
«Devo andare» disse, alzandosi
e correndo via. Dalla finestra della stanza in cui si trovava, Jackson
lo vide schizzare via in sella alla sua moto come se avesse il diavolo
alle calcagna. Scosse la testa. Il
giorno in cui riuscirò a capire Giovanni,
pensò, sarà
il giorno in cui potrò fare qualunque cosa.
*
Trattenendo quasi completamente la propria Aura, Giovanni
continuò a seguire quella che aveva inaspettatamente
percepito. Arrivato a Cork ne fu completamente avvolto. Era
lì, il Portatore che la emanava, a pochi metri da lui.
Mollò la moto, che cadde a terra di
schianto. Senza preoccuparsene corse silenzioso, facendosi strada tra
la folla del venerdì pomeriggio, fin quando non scorse la
persona che cercava. Con energia l’agguantò per la
spalla.
«Giovanni!» disse Gregory
sorpreso. «Non ti ho sentito arrivare. Come mai stai
trattenendo l’Aura?»
«Oh, volevo farti una sorpresa. Fatti
abbracciare» replicò l’altro.
I due uomini si strinsero in un rapido abbraccio.
«Come mai da queste parti?»
chiese Giovanni in tono leggero.
«Era da molto che non venivo in
Irlanda... è una bella terra, e io volevo concedermi una
piccola vacanza» rispose Gregory sullo stesso tono.
«Piuttosto lunga questa
vacanza!» esclamò Giovanni.
«Lunga? Che intendi dire?»
chiese Gregory, apparentemente perplesso.
«Ti cerco da diverse settimane, ma
nessuno ha saputo dirmi dov’eri. Sembrava fossi sparito nel
nulla» disse l’italiano insinuante.
«Oh, mi sono spostato parecchio... un
po’ qui e un po’ là» rispose
vago. «Perché mi cercavi?» chiese poi,
corrucciato. Se solo
Sofia potesse vedermi, pensò. Sono un genio anche nella
recitazione.
«Dovresti cercare una persona per
me» disse Giovanni, fingendosi più sicuro di
quanto non fosse in realtà. Improvvisamente, non era
più tanto certo che il suo vecchio insegnante lo avrebbe
aiutato. Se si fosse trattato di trovare qualcun altro, non avrebbe
avuto dubbi. Ma non si trattava di una persona qualunque: si trattava
di Sofia.
«Se hai bisogno del mio aiuto, questa
persona deve essere nascosta davvero bene. Chi vuoi che
rintracci?» disse Gregory con indifferenza.
Giovanni esitò un istante, prima di
rispondere. «Sofia».
Gregory corrugò ancora di
più la fronte. «Perché dovrei cercarla?
Non è al Centro?».
«No, non c’è. Se
n’è andata e non so dove sia finita».
«Da quanto è
sparita?».
«Dieci settimane» disse mesto
l’italiano. Quando pensava a quanto tempo aveva
già trascorso senza la ragazza, il Fuoco in lui si
affievoliva.
Gregory vide il potere dell’uomo
indebolirsi sotto i suoi stessi occhi, e ne ebbe pietà. Per
un attimo, si chiese se fosse giusto continuare a ingannarlo.
Gli strinse leggermente la spalla con fare
comprensivo. Giovanni alzò gli occhi.
«Forse so
dov’è» disse Gregory, guardandolo negli
occhi. «Verrò qui, di tanto in tanto, per
aggiornarti».
Giovanni tirò un respiro di sollievo.
Aveva davvero temuto che Gregory decidesse di non aiutarlo.
«Grazie... ah, in caso ti interessi
è stata vista qualche giorno fa a Kastrup, in Danimarca. Non
credo ci sia niente di utile, lì, per trovarla, ma per te
può comunque essere un punto di partenza».
«Sì, può essere un
posto da dove iniziare le ricerche».
«Bene. Grazie ancora, davvero.
Aspetterò che tu ti faccia vivo» lo
salutò l’italiano.
«Giovanni, aspetta!».
A quel richiamo, l’uomo si
voltò.
«Cosa c’è,
Gregory?».
«Per quale motivo vuoi ritrovarla a ogni
costo? Prima o poi potrebbe tornare spontaneamente, se è
quello che desidera» gli domandò.
L’italiano gli rivolse un gran sorriso.
«Per lo stesso motivo per cui
l’ho portata via quando era ancora una bambina e per cui
l’ho lasciata andare via con te, cinque anni fa. E
perché se Prudencia la trova prima di me, farà di
tutto per ucciderla» rispose, prima di voltarsi e andarsene.
Senza aggiungere altro Gregory seguì il
suo esempio e trattenendo completamente la propria Aura si
dileguò rapidamente nella folla, cercando un posto dove
poter chiamare Nabeela e tornare alla Valle.
*
«Ciao Gregory» salutò Sofia, sdraiata
nel folto degli alberi.
L’uomo non rispose al saluto.
«La tua Fenice è
pazza» disse senza mezzi termini. La ragazza si
voltò a guardarlo mentre Nabeela, scuotendo la coda con
furia, andava a posarsi su un ramo dell’albero sotto cui era
sdraiata Sofia.
«Scusami?» chiese perplessa.
«Mi ha beccato!»
esclamò Gregory con rabbia, mostrando una profonda ferita
sul polso destro.
«Strano, non è da lei. Non
è che hai fatto qualcosa contro di me?» disse
gelida, fissandolo negli occhi color ghiaccio e alzandosi in piedi.
«Ho parlato con Giovanni»
ammise Gregory, ben sapendo che mentire sarebbe servito a poco.
Sofia chiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie
con la punta delle dita. «D’accordo. Prima di
arrabbiarmi, aspetterò di sentire perché
l’hai fatto».
«Stavo passeggiando per Cork quando
è arrivato. Non so come abbia fatto, ma se era al Centro
deve aver corso come un pazzo per metterci così poco
tempo».
«Prevedibile. Quando si mette in testa
qualcosa niente può fermarlo, e lui aveva deciso di
parlarti. In ogni caso non potevi sapere con certezza che
l’avrebbe fatto, quindi Nabeela non ti ha beccato per questo.
Cosa vi siete detti?» chiese sospettosa.
L’uomo esitò per un istante.
«Ci ha girato un po’ intorno.
Poi mi ha chiesto di cercarti...».
Sofia lo interruppe.
«Questo potevo immaginarlo anche da
sola. Arriva al dunque, Gregory. Sono certa che tu sappia
già per quale motivo Nabeela se l’è
presa con te!»
«Mi è dispiaciuto per
lui!» esplose Gregory. «Si sta spegnendo
perché siete separati da troppo tempo, non riesce a stare
senza di te!».
«Cinque anni fa è stato senza
di me per otto mesi, eppure quando tornai al Centro stava
benissimo» ricordò glaciale la giovane.
«Be’, stavolta non
è così! È convinto che non tornerai
mai da lui...»
«Caspita, perspicace!»
bofonchiò lei.
«... e vuole riaverti vicina! Inoltre,
da qualcosa che ha detto mi è parso di capire che tu debba
stare molto attenta a Prudencia, se mai vi incontraste di
nuovo» proseguì l’uomo alzando un
sopracciglio.
Sofia rispose con una smorfia.
«Prudencia mi odia perché
l’ho bloccata a terra, mentre scappavo, e non è
riuscita a liberarsi da sola... senza contare che è gelosa
di Giovanni. Lo è sempre stata» disse digrignando
i denti. «Ma non cambiare discorso» riprese
all’improvviso. «Ti è dispiaciuto per
lui... e cos’hai fatto?» lo incalzò.
«Non ho fatto nulla...»
«Non mentirmi!»
gridò la ragazza furiosa. «Tu vuoi aiutarlo a
trovarmi, vuoi portarlo qui!»
«Non so ancora se voglio
farlo!» urlò a sua volta Gregory. «Ma
comincio ad avere dei dubbi sul continuare a ingannarlo!»
«Be’, decidi da che parte
stare» disse gelida la ragazza. «Decidi in fretta,
e se è con lui che vuoi schierarti, allora
vattene».
Poi si voltò, scura in volto.
«Nabeela!» chiamò.
La Fenice scese rapida dal ramo e porse la propria
coda alla ragazza, che vi si aggrappò. Così,
prima che Gregory potesse fermarla, entrambe sparirono in un lampo di
fuoco, dirette chissà dove.
*
Prudencia sbatté la piccola valigia a terra.
«Non l’hai trovata
eh?» le domandò allegro Giovanni.
La donna perse il controllo e
l’attaccò. Lui deviò prontamente il
colpo, mandando la sfera di ghiaccio che Prudencia gli aveva spedito
contro a schiantarsi su un muro: vi scavò un buco,
circondato da una ragnatela di piccole crepe.
«Ha chiamato Emmett, da New York: hanno
visto Blaze Goldberg a Manhattan, un’ora fa»
ansimò un giovane Portatore della Terra, irrompendo nella
stanza.
Giovanni si voltò verso di lui, sempre
sorridendo.
«Ottimo. Ora va’ ad informare
anche i Maestri dell’Aria e della Terra, Hilario».
«Subito».
Il ragazzo uscì quasi correndo dalla
stanza.
«Te l’avevo detto o no che
sarebbe stato inutile andare fino a Kastrup?»
insisté Giovanni. Poi fissò il volto arrabbiato
di Prudencia. «Ma visto che ti piace tanto inseguire le
tracce che lasciano, puoi andare a fare un giretto a New York... tanto
hai già la valigia pronta!» sghignazzò.
Prudencia uscì a sua volta dalla
stanza, sbattendo la porta.
Giovanni guardò soddisfatto la porta
che si era appena chiusa dietro la sua ex fidanzata. Aver trovato
Gregory – e averlo convinto ad aiutarlo –
l’aveva messo di ottimo umore.
Pochi minuti dopo, Jackson entrò.
«Dove sei andato così di
fretta, prima?». Aveva notato il buonumore di Giovanni, e
sperava di ottenere una risposta.
«Credevo d’aver percepito
un’Aura che non sentivo da tempo» rispose
l’altro. In fondo, era la verità.
«L’Aura di chi? E soprattutto,
spero almeno che tu abbia trovato questo Portatore... potevi
ammazzarti, alla velocità a cui andavi!».
«Non l’ho trovato, no, ma
quantomeno ho fatto una passeggiata a Cork... non ci andavo da
tempo» mentì l’italiano, glissando sulla
prima domanda.
«E non mi dirai chi credevi di trovare,
a Cork?» insistette Jackson.
«Credo proprio di no» disse
l’altro, portandosi di fronte alla finestra e osservando il
parco.
Quasi non sentì Jackson chiudersi
delicatamente la porta alle spalle, lasciandolo solo.
*
Respirando profondamente, Sofia fece scorrere lo sguardo sulla verde
campagna che si scorgeva al di là del vigneto in cui era
arrivata. Carezzando le piume dorate del collo di Nabeela, le
ordinò di tornare alla Valle.
Guardinga, uscì dai filari e si
dileguò.
Continuando a respirare l’aria profumata
della campagna toscana cercò di calmarsi, in modo da poter
trattenere l’Aura. La rabbia che la mordeva dentro,
però, era troppo grande perché riuscisse a
domarla e così si rassegnò a lasciare libera una
parte della propria Aura.
Rallentò il passo, godendosi il sole
pomeridiano. Trascorse così un’ora, prima che
davanti ai suoi occhi apparisse una bella città.
Sofia sorrise. Siena. Da anni non la visitava.
Entrò lentamente nella
città, dirigendosi immediatamente verso il centro storico e
godendosi l’ombra che i palazzi iniziavano a proiettare.
Iniziarono i vicoli. Vi si immerse, camminando
senza fretta e annusando l’aria sempre più
incandescente. Passò sotto la facciata del Duomo, fermandosi
ad ammirarla per diversi minuti, resistendo alla tentazione di entrare.
Sedette sul bordo di Fonte Gaia, sfiorando l’acqua fresca con
una mano e beandosi del silenzio che la circondava. Camminò
ancora e ancora, e quando sbucò in Piazza del Campo, il sole
per un attimo l’accecò; guardò il
Palazzo Pubblico e la Torre del Mangia, la bella piazza a forma di
conchiglia e ripensò a quando, tanti anni prima, suo padre
l’aveva portata proprio lì, a vedere il famoso
Palio, prima che si trasferissero in Spagna.
Quei posti la riempivano di pace: ormai era
abbastanza calma da poter trattenere l’Aura, ma la
tranquillità che quel posto le infondeva le aveva tolto la
voglia di reprimere il proprio Elemento: così
tornò a esplorare i vicoli, col Fuoco che le danzava
attorno, tanto intenso da essere quasi visibile.
Mentre camminava sentì alle sue spalle
una porta aprirsi con uno scatto soffocato. Prima che potesse anche
solo voltarsi qualcosa le strizzò i polmoni, togliendole
l’ossigeno, e una mano l’afferrò per la
maglietta bianca trascinandola dentro una casa. |
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Capitolo 11 *** Perduta e ritrovata ***
Blaze e Costa passeggiavano nervosamente nella grande sala che fungeva
da mensa. Viola e Gloria avevano dipinta sul viso un’identica
espressione preoccupata, così come Laurence, che
però cercava di mascherare l’inquietudine che lo
agitava. André e Friedrich, poco discosti dagli,
parlottavano tra loro, lanciando di quando in quando
un’occhiata a Gregory che sembrava essere irritato, in colpa
e preoccupato al medesimo tempo.
«Dici che se n’è
andata senza dire nulla, ma non è da lei» chiese
André, sospettando già la risposta.
Gregory lo guardò male.
«Abbiamo avuto un diverbio».
«Riguardo a cosa?»
incalzò il giovane francese. Gregory lo ignorò.
«Sono passate già tre
ore» notò Blaze preoccupato. «Non
c’è proprio niente che possiamo fare per
rintracciarla?»
«Non abbiamo niente su cui lavorare,
Blaze. Non possiamo sparpagliarci per il mondo e cercarla»
disse André corrucciato. Condivideva la sua preoccupazione,
ma non vedeva come potessero scoprire dove si trovava Sofia.
«Potremmo... potremmo chiedere a Nabeela
di portarci dove l’ha lasciata» tentò
Viola. «In fin dei conti le Fenici sono animali molto
intelligenti, sono certa che capirebbe quello che vogliamo»
«Lo capirebbe, sì»
intervenne Laurence «ma non ci aiuterebbe comunque. Nabeela
risponde solo a Sofia».
«Vale comunque la pena fare un
tentativo» disse Gregory, attirandosi gli sguardi rancorosi
degli altri Maestri. Non sapevano perché avessero litigato,
ma di una cosa erano ormai certi: era colpa di Gregory, se Sofia se
n’era andata senza dire nulla a nessuno.
André si affacciò alla
finestra. Su un albero di fronte a loro era appollaiata la Fenice, in
attesa.
«Nabeela» chiamò.
La Fenice scosse le piume della coda; a parte quello, non si mosse.
«Nabeela, ti prego. Portaci da Sofia,
siamo preoccupati» tentò Gregory.
La Fenice, voltandosi, emise un grido stridulo,
drizzò le due lunghe piume – una rosa e una
azzurra – che le ornavano la testa e si slanciò
verso l’uomo, facendo scattare il becco. Lui si
tirò indietro appena in tempo, schivandola per un soffio.
Compiendo una giravolta in aria e
schiaffeggiandolo con la coda, Nabeela tornò sul ramo da cui
era partita. André fissò l’uomo.
«Mi pare evidente che anche Nabeela ti
ritiene responsabile della sparizione di Sofi» disse gelido,
ignorando la smorfia irritata dell’altro.
«Lascia stare, André. Abbiamo
un altro problema» dissero Costa e Laurence in coro,
indicando la finestra.
Pur restando dov’era Nabeela si
dimenava, agitatissima, scuotendo la coda e la testa e sbattendo con
forza le ali. Di tanto in tanto, emetteva un piccolo verso roco.
Tutti la osservarono preoccupati.
L’agitazione della Fenice si spiegava in un solo modo: Sofia
non era al sicuro. Ma se era in pericolo, perché Nabeela non
volava da lei?
*
Senza quasi rendersene conto Sofia si ritrovò dentro una
casa immersa nella penombra.
Sempre senza fiato, capì che era
l’Aria a comprimerle i polmoni; concentrandosi,
mandò il Fuoco che scorreva in lei a consumare e scacciare
quel nemico invisibile.
Mentre riprendeva a respirare, la mano che
l’aveva afferrata poco prima la prese per la gola e la spinse
violentemente contro un muro: la ragazza sentì un rumore di
vetro che andava in frantumi prima che le schegge le graffiassero la
schiena, lacerando la stoffa e la carne.
Dopo un momento di panico schiaffeggiò
il suo aggressore, con la mano coperta di Fuoco; sentì la
presa sul suo collo allentarsi e si spostò di lato con un
balzo, riflettendo rapidamente. La persona che aveva davanti era senza
dubbio un Portatore dell’Aria, ma l’Aura che
emanava le era del tutto sconosciuta. Un istante più tardi
percepì un’altra Aura, stavolta di un Portatore
della Terra, anch’essa sconosciuta. Sentì la
volontà di attaccarla crescere nel secondo aggressore e fu
pronta a difendersi: evocò una parete di Fuoco di fronte a
sé e le catene luccicanti che le erano state spedite contro
si liquefecero, appena entrarono in contatto con la sua difesa.
Uno sbuffo d’Aria, invisibile ma solido
come il metallo, si strinse attorno ai polsi di Sofia; dalle sue mani
aperte scaturì immediatamente uno sciame di scintille, che
ricoprendo il flusso d’Aria lo rese ben riconoscibile. Con un
po’ di fatica le fiammelle lo divorarono, liberando la
ragazza che dovette subito passare a occuparsi della pietra che,
apparsa dal nulla, le avviluppava i piedi impedendole di scappare.
Mentre il Fuoco correva veloce lungo il suo corpo, difendendola e
tentando di liberarla, la rabbia di Sofia esplose.
«Ma chi siete? Si può sapere
che diavolo volete da me?» strillò.
Con un grugnito, il primo aggressore la
sbatté di nuovo contro il muro, mandando in frantumi altre
cornici; Sofia sentì il sangue scorrerle lungo la schiena e
inzupparle la maglia ormai ridotta a brandelli.
«Come hai fatto a imitare
quest’Aura?» le gridò una voce maschile,
mentre un forte vento la spingeva indietro, tenendola schiacciata
contro il muro, e la pietra arrivava a bloccarle le gambe fino alle
ginocchia.
«Io non sto imitando nulla! È
la mia
Aura, da sempre!» urlò la ragazza in risposta,
allentando la presa della morsa invisibile che la stringeva,
costringendola a socchiudere gli occhi, e mandando il Fuoco a
sbriciolare la pietra che la teneva bloccata al pavimento.
«Bugiarda!» gridò
di nuovo la stessa voce, afferrandole la testa e sbattendogliela con
forza contro la parete; Sofia, furiosa, concentrò il Fuoco
nella propria bocca e lo sputò sulla mano
dell’aggressore, bruciandolo.
L’uomo si scostò con un
gemito di dolore. Sofia ne approfittò per rispedire indietro
quel che restava del vento che la colpiva e, dimenando le gambe,
finì di sbriciolare la pietra.
Appena si fu liberata, dalla sua mano destra
esplosero delle fiammelle sottili che andarono a bloccare
l’uomo nascosto dalla penombra, mentre con la mano sinistra
formava uno scudo di Plasma di Fuoco a proteggersi da eventuali
attacchi del secondo aggressore.
«Allora, cosa volete da me?»
chiese di nuovo con rabbia, aumentando la potenza del Fuoco e bruciando
quello che fino a un istante prima era stato il suo aguzzino.
Sforzandosi di mantenere un tono di voce che non tradisse il dolore che
provava, l’uomo riprese a gridare.
«Voglio sapere come hai fatto a imitare
quest’Aura, e soprattutto perché!»
urlò prima che le fiamme aumentassero la stretta,
togliendogli il fiato.
Sofia aggrottò la fronte, al suono di
quella voce che finalmente ascoltava bene. Parò un attacco
scagliatole contro dal secondo aggressore – arrivato sotto
forma di un nugolo di aghi – e si rivolse al Portatore della
Terra.
«Attaccami di nuovo e uccido il tuo
amico!» gridò furiosa. Sentì la seconda
Aura ritirarsi sotto la sua minaccia, e si rivolse di nuovo alla
persona che aveva immobilizzato.
«Ti ripeto che non sto imitando niente!
L’Aura di ogni Portatore è unica e dipende da
caratteristiche intrinseche, non si può in alcun modo
replicare!» gli disse.
«Invece evidentemente si
può!» fu la risposta furibonda che
l’uomo le scagliò contro, tentando di liberarsi.
«Perché la Portatrice cui apparteneva davvero
quest’Aura è morta dodici anni fa!».
«Questo non è possibile!
Dodici anni fa ho scoperto di essere una Portatrice, ed emanavo
quest’Aura già da tempo!»
urlò Sofia, ormai più sorpresa che arrabbiata,
anche se i tagli sulla schiena le facevano male e sulla testa le stava
crescendo un gran bernoccolo, là dove l’uomo
gliel’aveva sbattuta contro il muro. «Devi avermi
confusa con qualcun altro» disse poi, allentando la presa del
Fuoco sul suo corpo.
Lui si liberò immediatamente e
saltò in piedi, attaccandola di nuovo.
«Non mi sbaglio! Riconoscerei
quest’Aura tra milioni, era l’Aura della mia
figlioccia... e lei
è morta!» disse con voce strozzata.
Inchiodata di nuovo contro il muro, Sofia
gridò.
«Maledizione... Claudio!»
strillò incredula. «Sei un Portatore
dell’Aria, ecco perché quando mi portavi al parco
il mio aquilone volava sempre, anche se non c’era vento... lo
dicevo, io, che eri tu a fare qualcosa di strano!» esplose,
nonostante il vento che la schiacciava la privasse
dell’ossigeno.
L’Aria che la bloccava scomparve
immediatamente; un uomo di circa sessant’anni le corse
incontro e l’abbracciò con tanta forza da
toglierle di nuovo il fiato.
«Claudio... ahia, mi fai
male!» si lamentò Sofia mentre le braccia del suo
padrino le conficcavano più a fondo nella carne le schegge
di vetro.
«Oh, Sofi, sei viva... non ci posso
credere, eravamo convinti che fossi morta...»
singhiozzò lui, sordo ai suoi lamenti.
«Cornelia... CORNELIA! Vieni qui, è lei,
è davvero Sofia!» urlò.
Una donna di qualche anno più giovane
di lui corse fuori dall’ombra.
«Oh tesoro non è possibile...
sei proprio tu...» disse, unendosi all’abbraccio.
«Zia Cornelia...» disse la
ragazza con gli occhi lucidi; ritrovare il suo padrino e Cornelia
– che per lei era una zia a tutti gli effetti – era
una cosa che non si sarebbe mai aspettata.
Sentendo un liquido appiccicoso bagnargli le
braccia, Claudio lasciò Sofia.
«Ma... stai sanguinando!»
esclamò sconvolto.
«Chissà come mai»
rise la ragazza. Non le importava nulla delle ferite; avere davanti due
persone che avevano sempre fatto parte della sua vita e della sua
famiglia agiva su di lei come un balsamo, fisico e mentale.
«Piccola mi dispiace tanto...»
esordì lui, facendola voltare per esaminarle la schiena.
«Ma eravamo davvero convinti che fossi morta in
quell’incendio...» disse con voce incrinata.
Cornelia annuì, con gli occhi lucidi.
«Mhhh... Cornelia, portami la borsa»
ordinò, dopo aver inforcato gli occhiali e aver osservato
con attenzione le ferite della sua figlioccia.
La donna corse via. Mentre aspettavano il suo
ritorno, Claudio prese un paio di forbici e finì di tagliare
la maglietta di Sofia, dopo averla fatta sedere.
«Per fortuna sei un medico»
disse lei, appoggiando le braccia sull’alto schienale della
sedia e cercando di sbirciare oltre la propria spalla, dopo aver
spostato i lunghi capelli. «Cos’hai intenzione di
fare?» gli domandò, mentre Cornelia tornava e
metteva tra le mani del fratello la borsa che le aveva chiesto.
«Prima di tutto devo estrarre le
schegge. Poi pulirò le ferite e. sì, di sicuro ci
vorrebbero anche dei punti» snocciolò lui.
«Troppo complicato»
replicò Sofia. «Togli i frammenti di vetro, al
resto ci penso io!».
«Quindi sai anche guarire?»
disse stupito l’uomo, iniziando a estrarre le schegge.
«Un po’» rispose
lei, trattenendo una smorfia di dolore.
«Un po’ è sempre
meglio di niente» rispose Claudio. «Magari posso
aiutarti a migliorare, essendo un medico ho sviluppato molto le mie
capacità di guarire con gli Elementi».
«Sarebbe fantastico» disse
Sofia. «Ma parlatemi di mamma e papà... non ho
più saputo niente di loro».
Claudio non rispose, concentrandosi su quello che
stava facendo. Cornelia esitò.
«Be’ tesoro... è
stato difficile per loro» iniziò titubante.
«Ti prego zia, non
c’è bisogno di indorare la pillola. Dimmi
cos’hanno passato».
«Sono arrivati a un passo dal
divorzio» disse mesta la donna. «Quasi non si
parlavano più. Sono andati avanti così per tre
anni... poi hanno ricominciato ad avere degli sprazzi di
normalità... e tua madre è rimasta incinta.
Quando è nato Benjamin hanno ricominciato a comportarsi
normalmente, a uscire... a vivere insomma» concluse in
fretta, come se temesse di dare un dispiacere alla ragazza che,
però, sorrise.
«Ne sono felice. Mi dispiace solo che ci
sia voluto tanto... quanti anni ha Benjamin?»
domandò curiosa.
«Ne ha sette ormai» rispose
Claudio «e non ti somiglia per niente».
Sofia scoppiò a ridere.
«Questa mi sembra un’ottima cosa!».
«Non vuoi sapere se è un
Portatore?» le domandò l’uomo. Lei
scosse la testa.
«Non ha importanza... non gli
accadrà quello che è capitato a me».
«Perché tu sarai
lì per impedirlo» affermò con sicurezza
il suo padrino.
«Claudio, io non tornerò a
casa. E voi non dovete dire nulla di me ai miei genitori»
disse Sofia.
Entrambi la fissarono. Poi Claudio estrasse dalla
schiena della ragazza un frammento conficcato particolarmente in
profondità.
«Non puoi chiedermi questo»
disse, continuando a estrarre schegge. L’aveva conciata
proprio male.
«Non te lo sto chiedendo».
La determinazione nella voce di Sofia lo costrinse
a fermarsi.
«Se vuoi che non dica niente a Thobias e
Tamara, devi darmi una spiegazione. Sul perché non vuoi
tornare a casa e sul perché sei tanto convinta che Ben non
sarebbe in pericolo, se anche fosse un Portatore» disse
Claudio con altrettanta determinazione.
Dopo averlo scrutato per qualche istante si
voltò di nuovo in avanti, verso Cornelia, scegliendo con
cura le parole. Quando parlò la sua voce suonò
neutra, impersonale, come se raccontasse la storia di un altro.
Rapidamente disse loro come Giovanni l’aveva rapita e
parlò della sua vita negli ultimi dodici anni. Non omise
nulla – l’unico a cui avesse raccontato
l’intera storia era Gregory, e ora che si sentiva tradita da
lui avvertiva il bisogno di parlarne con qualcun altro.
Quando terminò il racconto, Claudio
tirò le pinze sul tavolo. Con un brutto suono metallico,
rimbalzarono sulla superficie di legno e caddero a terra.
«Quel bastardo!»
gridò. Si passò le mani nei capelli candidi,
arruffandoli. «E pensare che Tamara e Thobias si fidano di
lui, è persino il padrino di Benjamin!».
Cornelia era stupita e arrabbiata quanto lui. Si
torceva nervosamente le mani, come se desiderasse stringerle intorno al
collo del loro compatriota.
«Per questo stai trattenendo
l’Aura, per non essere individuata» disse a Sofia,
che annuì.
«È già una fortuna
che nessuno mi abbia percepita mentre lottavamo. Altrimenti sarebbe
già arrivato qualcuno» spiegò. Poi si
rivolse al suo padrino. «Claudio, hai finito con le
schegge?».
«Cosa? Ah, sì,
sì... le ho tolte tutte» rispose lui
distrattamente.
La ragazza si concentrò e, dopo aver
condensato il proprio potere, lo spedì verso le ferite. Il
fluido rosso brillante con strane sfumature dorate si immerse nei
tagli, insieme a quello candido che scaturiva dalle mani del suo
padrino, richiudendoli e cancellando le cicatrici, come se la pelle
liscia non fosse mai stata intaccata.
«Però» disse
Claudio ammirato. «Bel lavoro... sei diventata davvero una
Portatrice di grande talento. Fuoco, eh?».
Lei sorrise. «Già».
«Il Fuoco è un Elemento
particolarmente violento, da controllare e sopportare»
proseguì l’uomo. «È difficile
che ve ne siano Portatrici donne... e che arrivino al grado di
Maestro».
«Nonostante tutti i suoi difetti,
Giovanni è stato un ottimo insegnante» rispose
Sofia scrollando le spalle. «E poi sono stata addestrata
anche da quel Maestro che mi ha aiutata quando ero ferita».
«Quello che ancora non capisco,
però» le domandò ancora lui
«è come tu faccia ad essere tanto sicura che
Giovanni non prenderebbe anche tuo fratello».
«Perché Giovanni vuole bene
ai miei genitori, specialmente a papà» disse
Sofia. «Si sente in colpa per avermi portata via».
«Avrebbe potuto lasciarti in pace, a
vivere la tua vita, senza ricorrere a un gesto tanto
estremo». Claudio sembrava ancora più arrabbiato.
«A quanto pare neanche il suo presunto affetto per Thobias
è riuscito a fermarlo... non vedo perché per
Benjamin dovrebbe essere diverso!».
«Non è così
semplice, Claudio. Il legame tra me e Giovanni è un
po’ speciale...».
«Speciale?».
A quelle parole, l’uomo si strozzò con
l’acqua che stava bevendo; tossendo e lacrimando,
scrutò con aria truce la sua figlioccia. «Che
diavolo significa speciale?»
chiese con un ruggito.
Sofia alzò gli occhi al cielo e scosse
la testa. Era stufa di dover spiegare a tutti che tra lei e Giovanni
non c’era mai stato quel
tipo di legame.
«Non di tipo sentimentale.
Rilassati» disse, battendogli una mano sulla schiena per
farlo smettere di tossire. Mentre lui si calmava, Cornelia finalmente
parlò.
«Tesoro sei tutta sporca di sangue e di polvere...
vieni a fare una doccia» le disse con uno sguardo
significativo.
Sofia la seguì su per un stretta scala
di legno.
«Bella casa» disse ammirata,
osservando le travi del soffitto di legno scuro e il caldo color giallo
ocra delle pareti dove, di tanto in tanto, c’erano delle
piccole isole di mattoni.
«Dammi i vestiti» le disse
Cornelia, facendole strada in una bella stanza arredata sui toni del
verde. «Per la maglietta c’è poco da
fare, ma il resto possiamo lavarlo e intanto andrò a
comprarti un’altra t-shirt».
«Grazie, zia» disse Sofia,
uscendo dal bagno con addosso un accappatoio bianco e i vestiti in mano.
La donna li prese scuotendo la testa.
«Per me sei come una figlia, Sofi. Non devi
ringraziarmi» disse, andandosene.
Sofia torno nel bagno e
s’infilò sotto la doccia. Mentre insaponava i
capelli sporchi e scompigliati sentì gli ultimi residui di
tensione scivolarle via di dosso e si chiese da quanto tempo fosse
lì. Poi si ricordò dei suoi amici alla Valle.
«Accidenti»
borbottò, finendo rapidamente di lavarsi e uscendo dalla
doccia come una furia.
Nella stanza, trovò Cornelia ad
aspettarla.
«Ti ho portato qualcosa da
metterti» le disse, indicando una tuta da ginnastica di
cotone celeste. «Vestiti e fatti aiutare con quei
capelli» proseguì con un sorriso.
La ragazza ubbidì e, un minuto dopo,
era seduta sul pavimento, mentre Cornelia afferrava una spazzola e
iniziava a districarle la lunga, setosa massa castana.
«Sembri preoccupata» disse
dopo qualche minuto, vedendo la giovane silenziosa.
«Stavo pensando»
replicò lei. «Vi ho detto che ho discusso con quel
Maestro e… be’, me ne sono andata senza avvertire
nessuno. Non sanno dove sono, né se sto bene...».
«Devi andare via» concluse
Cornelia, annuendo tra sé e sé e comprendendo i
sentimenti della ragazza. Non voleva lasciare loro, dopo averli
finalmente ritrovati, ma non poteva neanche abbandonare i suoi amici.
«Sai tesoro» disse, dopo
qualche istante di riflessione «stavo pensando
anch’io... hai detto che state continuando
l’addestramento di quelle duecento persone che sono fuggite
con voi, giusto?».
Sofia confermò.
«Sai, mi chiedevo... magari vi farebbero
comodo un paio di Maestri in più» disse titubante.
La ragazza si voltò e la
guardò senza capire.
«Tu... tu e Claudio verreste con me?
Alla Valle?» chiese lentamente.
La donna sembrò a disagio.
«Sì, lo so, è
un’idea stupida e tu non hai tempo da perdere con noi...
però sai, era solo un’idea, se non vuoi non fa
niente...».
«Non
voglio?» ripeté Sofia, sempre
più incredula. «Sarebbe la cosa più
bella del mondo!» gridò, saltando in braccio a
Cornelia e abbracciandola con tutta la forza che aveva.
Claudio, sentendo gridare, entrò nella
stanza.
«Che succede?» chiese placido.
Le due donne lo guardarono.
«Sofi deve tornare dai suoi amici. Le ho
detto che potremmo andare con lei e aiutarla, insieme agli altri
Maestri, ad addestrare tutti quei Portatori» disse Cornelia.
«Mi sembra un’ottima
idea» replicò suo fratello, uscendo dalla stanza.
«Vado a prepararmi».
«Per cosa?».
«Per il viaggio ovviamente!».
La porta si chiuse alle spalle dell’uomo.
Zia e nipote si fissarono stupite.
«Se non lo conoscessi, direi che stava
origliando la nostra conversazione» disse Cornelia ridendo.
Quando tornò seria osservò attentamente Sofia.
«Spiegami meglio questo tuo rapporto con
Giovanni» le chiese. La ragazza
s’infilò le mani tra i capelli ancora umidi.
«Non credo sia possibile»
rispose confusa. Cornelia la guardò, poco convinta.
«Dico sul serio, zia. In dodici anni non sono mai riuscita a
definire cosa ci spinge l’uno verso l’altro. Tutti
pensano che sia amore, o qualcosa di simile»
«E non lo è?»
chiese la donna, con una vaghissima traccia
d’ilarità nella voce. «Non ci sarebbe
nulla di cui vergognarsi... non scegliamo noi, di chi
innamorarci»
«Lo so. Ma non è amore...
anche se in qualcosa gli somiglia. È più come...
una necessità».
«Una necessità?»
ripeté Cornelia. Quella non era certo la definizione che si
aspettava. Sofia annuì.
«Non c’è mai stato
amore nel senso classico del termine, tra me e lui: abbiamo convissuto
pacificamente, ci siamo scontrati, ci siamo quasi uccisi a vicenda.
Qualunque sentimento io provi verso Giovanni, il Fuoco che è
dentro di me lo chiama, sempre, in ogni istante. L’ho
detestato, odiato, ma il Fuoco continuava a chiamarlo: anche ora che
sono scappata, continuo a sentire il bisogno di averlo accanto. E
quando lui è vicino, tutto è più
intenso: non per un’emozione, ma fisicamente. Il mio Elemento
si scatena, quando c’è lui, diventa più
potente. C’è stato anche dell’affetto,
è vero, ma anche quello è scaturito dal bisogno
che abbiamo l’uno dell’altra, da quel richiamo che
non cessa e non mi dà tregua. E a Giovanni capita la stessa
cosa. Per questo mi ha rapita, dodici anni fa; temeva che, se avesse
spiegato come stavano le cose, avrebbero frainteso e non
l’avrebbero più lasciato avvicinarsi a
me».
«Hai detto che il tuo Elemento lo
chiama» notò Cornelia. Sofia annuì di
nuovo.
«Non ho mai incontrato nessun altro che
abbia provato una cosa simile, quindi non posso esserne certa, ma credo
ci sia un rapporto di dominanza tra i due Elementi. Il mio Elemento
sovrasta il suo; per questo io reagisco meglio al distacco. Giovanni,
invece, se non sta attento e non si allena ogni giorno, rischia di
spegnersi».
«Ne parli come se una simile
eventualità potesse portarlo alla morte».
«Perché è
così. Certo sai meglio di me che in un Portatore
l’Elemento è parte della sua linfa vitale. Ho
trovato racconti, in alcuni vecchi testi, di Portatori che per un
motivo o per l’altro hanno lasciato morire il proprio
Elemento. Una volta che il potere svaniva definitivamente, i Portatori
non sopravvivevano a lungo. Pochi mesi, a volte un anno».
Cornelia la guardò stupita. Sofia
sembrava essere a conoscenza dei più oscuri segreti sui
Portatori.
In quel momento, Claudio entrò di nuovo
nella stanza.
«Allora, Cornelia? Hai intenzione di
prepararti o no?» disse.
«Non avete bisogno di molto, alla Valle
riusciamo a procurarci tutto quello di cui abbiamo bisogno, inclusi i
vestiti» spiegò Sofia con un sorriso.
«Personalmente vi consiglio di prendere le cose a cui siete
più affezionati». Poi guardò
l’orologio. «Già le sei?»
esclamò sorpresa. Non si era resa conto dello scorrere del
tempo. «Claudio ha ragione, è meglio muoverci in
fretta... credete di poter essere pronti tra
un’ora?» chiese.
«Ma certo» rispose Cornelia,
accarezzandole una guancia. «Tu riposa un po’
mentre ci aspetti... più tardi ti porto i vestiti»
aggiunse, uscendo dalla stanza insieme a suo fratello.
Finalmente rilassata, Sofia si distese sul letto.
Poco dopo, si addormentò.
*
«Non si è mossa» disse Blaze, lanciando
un’occhiata verso la finestra.
Lui e gli altri Maestri erano lì ormai
da ore. Soltanto Gregory si era allontanato, circa due ore prima, non
sopportando gli sguardi torvi che gli rivolgevano gli altri, ma non era
stato via più di dieci minuti.
«Ormai è calma da
un’ora e mezza» considerò Laurence
parlando della Fenice che, dopo essersi agitata per più di
mezz’ora, si era improvvisamente tranquillizzata. Al momento
sonnecchiava placida appollaiata su un ramo, con la testa nascosta
sotto l’ala.
«Quindi Sofia sta bene» disse
Costa, sollevato.
«Oppure è morta»
puntualizzò André brutale. «Altrimenti
perché non avrebbe richiamato Nabeela per tornare
qui?».
«Magari è ancora
arrabbiata» disse Viola. Persino la sua gemella la
guardò scettica.
«Stare allo scoperto così a
lungo, anche trattenendo l’Aura, è troppo
pericoloso. Anche se fosse ancora arrabbiata non sarebbe
così imprudente da rischiare tanto»
spiegò Laurence alla donna.
«Potrebbe non essere mai uscita dalla
Valle» disse Friedrich, pur sapendo che nessuno sarebbe stato
d’accordo con lui.
«D’accordo, ora basta.
Dobbiamo andare a cercarla» decise Blaze alzandosi in piedi.
André sospirò.
«Blaze, smetti di fare lo stupido. Non abbiamo la minima idea
di dove sia. Non c’è modo di trovarla, devi
accettarlo».
«Non capisco come puoi star qui,
tranquillo, senza fare nulla. Potrebbe essere in pericolo, avere
bisogno di noi!» rispose arrabbiato.
«Io sono
preoccupato!» esplose André. «Ma non
posso aiutarla in nessun modo, e neanche tu!».
In quel momento, dei colpi risuonarono alla porta.
Poi Emma entrò nella stanza, seguita da Fernando e Ailie.
Tutti e tre si guardarono intorno per qualche istante, prima che sul
volto della prima si dipingesse un’espressione dispiaciuta.
«Non è ancora
tornata?» chiese a Gregory.
«Chi?» replicò lui.
«Ma... Sofia» rispose Emma,
come se fosse ovvio.
«Perché ci chiedi se
è tornata? Dove mai dovrebbe essere andata?» disse
Friedrich. Tutti i Maestri, infatti, si erano trovati
d’accordo sul nascondere il più a lungo possibile
la sparizione di Sofia.
«Dov’è andata non
lo so, ma di certo non è alla Valle» rispose la
ragazzina con sicurezza.
«Scusa Emma ma... come puoi sapere una
cosa del genere?» le domandò Gregory, gettando
alle ortiche ogni cautela.
«Be’... ho percepito la sua
Aura, è ovvio. Era troppo lontana perché si
trovasse alla Valle» disse confusa.
Gli otto Maestri la fissarono sconcertati.
Nessuno, infatti, riusciva a percepire le Aure che si trovavano al di
fuori della Valle; questo perché le barriere protettive che
erano state poste intorno a quel luogo funzionavano anche da scudo tra
le Aure di chi si trovava all’interno e quelle dei Portatori
all’esterno.
«Sei assolutamente certa che fosse
l’Aura di Sofia?» chiese Blaze eccitato.
Emma lo guardò male. «Che
domande fai? Non padroneggerò un Elemento, ma almeno le Aure
le so percepire! E poi, conosco troppo bene quella di Sofia».
In un attimo le furono tutti addosso.
«La senti anche ora?» le
domandò André. Lei fece cenno di no la testa.
«L’ho sentita un’ora
e mezza fa per l’ultima volta».
«E qual era il suo stato
d’animo?» incalzò Gregory.
«È stato strano»
disse Emma, perplessa. «Prima era furiosa, ho avuto
l’impressione che tentasse di controllare l’Aura ma
non ci riuscisse... poi si è calmata»
ricordò la ragazza «ma a quel punto non ha neanche
cercato di reprimere l’Aura... era intensa ma molto
tranquilla, quasi neutra, se parliamo di emozioni. Almeno, questo
è quello che sono riuscita a percepire... c’erano
come delle interferenze, sembrava che qualcosa bloccasse sia la mia
Aura che la sua e la sentivo a stento. Poi all’improvviso...
circa due ore fa... ha espanso l’Aura al massimo. Me lo
ricordo bene perché la percepivo perfettamente, come se
nulla si frapponesse più tra le nostre Aure».
«Ha espanso l’Aura? Ma
perché?» chiese Gloria a Laurence. Emma la
sentì.
«Non credo potesse fare altrimenti,
visto che la stavano attaccando» spiegò.
Gli altri la guardarono sconvolti, compresi Ailie
e Fernando. Emma se li era tirati dietro, mentre cercava Sofia, senza
riferire loro i dettagli di quello che aveva percepito.
«Be’, non fate quelle
facce!» esclamò scuotendo la testa. «Lo
scontro è andato avanti per una mezz’ora, poi
Sofia li ha sopraffatti».
«Li?
Ma quanti erano?» chiese André preoccupato.
«Oh, solo due. Un Portatore
dell’Aria e uno della Terra» rispose con noncuranza
la ragazzina. Aveva la massima stima nelle capacità di Sofia
e non aveva temuto neanche per un istante, mentre sentiva i tre poteri
scontrarsi, che la ragazza potesse essere sconfitta.
«Dici che Sofia ha vinto lo scontro... e
poi la sua Aura è svanita?» disse Costa.
Emma annuì. «Più o
meno. L’ho percepita ancora per un minuto, prima che la
reprimesse. L’Aura era sempre intensa – e anche
quelle dei suoi aggressori – però non erano
più ostili... sembravano felici» rispose, di nuovo
confusa.
«Felici? Tutti e tre?». Come
gli altri, Viola sembrava non credere alle sue orecchie.
Emma annuì di nuovo.
«Be’, almeno sappiamo che non
è morta» disse André a Blaze e
Laurence, sottovoce.
«A questo punto, proprio non abbiamo
alternative: possiamo solo aspettare» notò Gregory
con una punta di sconforto.
Non dovettero attendere a lungo. Solo
mezz’ora dopo, Nabeela intonò un tremulo canto e
si dissolse nel solito sbuffo di fuoco.
«Avete visto? Nabeela se
n’è andata!».
Tutti si precipitarono alle finestre, seguendo
Andrè; i minuti scorrevano lenti, come se un folletto
dispettoso avesse stregato le lancette degli orologi, che venivano
consultati di continuo tra sbuffi d’impazienza e di
preoccupazione. Alla fine...
«Una fiamma!» gridò
Ailie.
Aveva ragione: a pochi metri da dove si trovavano,
una fiamma divampò accecante. Un istante dopo, aggrappate
alla coda della bella Fenice, apparvero tre persone.
«Sofia!». Gridando come un
pazzo, Blaze scavalcò la finestra e corse incontro ai nuovi
arrivati, seguito da André. Gli altri preferirono passare
per la porta.
Arrivato di fronte a Sofia, il giovane americano
la prese tra le braccia e iniziò a girare su se stesso,
facendole sventolare i capelli come una bandiera al vento.
Quando si fermò, i capelli della
ragazza erano completamente arruffati.
«Blaze, accidenti a te... guarda che hai
combinato!» si lamentò lei.
«Pensi troppo ai tuoi capelli»
fu la risposta.
«Ah sì?» chiese
Sofia con un ghigno malefico. Un istante dopo saltò addosso
al ragazzo e gli affondò le mani nei capelli neri. In meno
di cinque secondi, Blaze se li ritrovò tanto scompigliati da
far pensare che avesse infilato la testa in un tornado.
Mentre Blaze si tastava la testa con
un’esagerata smorfia di orrore, André
abbracciò Sofia.
«Smetterai mai di sparire
così?» le bisbigliò.
«Certo. Quando saprò che non
proverai più a fermarmi» rispose lei sorridendo e
notando gli altri avvicinarsi.
Quando furono tutti arrivati, Sofia si sciolse
dall’abbraccio e si preparò a fare le
presentazioni. Un’esclamazione sorpresa, però, la
anticipò.
«Claudio?».
«Gregory!»
rispose l’uomo, facendosi avanti e abbracciandolo.
«Forse qualcuno deve darci delle
spiegazioni» disse Laurence a una sconcertata Sofia. |
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Capitolo 12 *** Un fragile equilibrio ***
«Ma che piacere rivederti!».
Mentre Claudio e Gregory si salutavano
calorosamente, Sofia si voltò verso Cornelia.
«Vi conoscete?» chiese
allibita.
La donna fece un rigido cenno di assenso. Teneva
le labbra strette in una linea dura e, contrariamente al fratello, non
sembrava affatto contenta di quell’incontro.
Quando Gregory si accorse della sua presenza
avanzò verso di lei con un bel sorriso.
«Cornelia, ci sei anche tu!»
disse con gioia. Lei non ricambiò il saluto.
«Cornelia ma... cosa
c’è che non va?» le chiese Claudio,
stupito dal suo comportamento freddo. Cornelia era sempre andata molto
d’accordo con Gregory.
«Davvero non l’hai ancora
capito?» rispose la donna con rabbia. Lui scosse la testa
mentre Gregory, Sofia e gli altri li fissavano, sulle spine.
«È lui il Maestro di
cui ci ha parlato Sofia. Quello con cui ha litigato perché
aveva parlato con Giovanni e stava pensando di aiutarlo!»
esplose Cornelia.
«Che
cosa hai fatto?» ruggì Blaze. Fece
per attaccare Gregory ma Sofia e Laurence lo fermarono.
«Lascia stare» lo
blandì la prima. «Se desidera andarsene
può farlo, lo sa già. Ma se va via, se va via per
schierarsi contro di noi con i Portatori del Centro, allora
riceverà lo stesso trattamento che riserveremo a
loro».
«È una dichiarazione di
guerra, Sofia?» le chiese Gregory, calmo.
«No. Ti sto semplicemente dicendo come
stanno le cose, Gregory. Devi decidere da che parte stare»
ribatté lei con determinazione.
Claudio lì guardò entrambi,
a disagio. La sua figlioccia parve comprendere il dilemma che lo
attanagliava.
«Sta’ tranquillo Claudio, non
devi scegliere tra comportarti da padrino amorevole o da amico leale.
Puoi fare entrambe le cose» gli disse con dolcezza.
«Padrino? Ho sentito bene?»
bisbigliò Costa a Friedrich.
«Sì Costa, hai sentito
benissimo» esclamò Sofia, che aveva distinto
ciò che l’uomo aveva detto, anche se in un
sussurro. «Sono felice di presentarvi Claudio, il mio
padrino, e sua sorella Cornelia, la mia adorata zia»
spiegò con un gran sorriso. «A proposito, ora
potete rilasciare le Aure» sussurrò ai due.
Non appena lasciarono nuovamente espandere le proprie Aure,
Emma saltò su come colpita da una scarica elettrica.
«Sono proprio loro! Sono i due Portatori
che prima l’hanno aggredita!» disse eccitata.
«E tu come sai che mi hanno
attaccata?» le domandò Sofia sorpresa.
«Oh, li ho percepiti... in
realtà avevo percepito anche te, specialmente mentre
lottavate» disse con noncuranza la ragazzina.
Gli occhi di Sofia si dilatarono.
«Emma, ti rendi conto di quello che stai
dicendo? Nessuno riesce
a percepire le Aure che si trovano all’esterno della Valle!»
esclamò sconcertata.
«Davvero? E perché
no?» domandò Emma, stupita a sua volta.
«Be’, perché le
protezioni che abbiamo imposto intorno alla Valle funzionano anche da
scudo per le Aure! Impediscono a chi è all’esterno
di percepirci, ma per contro impediscono anche a noi di percepire i
Portatori che sono oltre i confini!» le spiegò.
Si voltò verso gli altri Maestri.
«Voi lo sapevate?» chiese,
indicando Emma.
«Ce l’ha detto poco
fa» disse Laurence. «Neanche noi potevamo
crederci».
«Un’Aura Sensibile,
eh?» esclamò Claudio avvicinandosi alla ragazzina
e osservandola attentamente. «Mi ricorda un po’
te» disse a Sofia. «Anche tu eri incredibilmente
dotata, per la tua età. Solo, non avevi ancora scoperto di
essere una Portatrice, l’ultima volta che ci siamo
visti».
«Direi molto più dotata di
quanto fossi io alla sua età, se è riuscita a
percepire le nostre Aure mentre eravamo al di fuori della Valle, e
anche piuttosto lontani» notò la sua figlioccia.
Gregory si avvicinò a Sofia. Blaze
emise un ringhio sordo e, in generale, tutti i Maestri –
insieme a Cornelia – si misero sulla difensiva. La ragazza li
riprese con un cenno del capo, mentre Laurence e Claudio cercavano di
restare neutrali.
«Visto il talento di Emma nel percepire
le Aure, magari potrebbe aiutarci a capire chi si avvicina ai
confini» bisbigliò Gregory.
«Non mi va di esporla così
tanto» replicò Sofia con sguardo duro.
«Non dire sciocchezze. Il suo potere si
è rivelato solo qui, nessuno può riconoscere la
sua Aura per il semplice fatto che, al di fuori della Valle, nessuno
l’ha mai percepita» disse Gregory irritato.
«Allora va bene, ci faremo aiutare da
lei. Ma se quella persona la percepisse a sua volta, capirebbe che
teniamo d’occhio i confini... e potrebbe prendersela con
Emma» fu la risposta.
L’uomo tirò un sospiro di
sollievo. Aveva temuto che la loro recentissima lite avrebbe influito
sul loro lavoro in comune.
«Emma, andiamo. Dobbiamo recuperare
tutte le ore in cui non ci siamo allenati... faremo una breve pausa per
la cena, più tardi» disse Gregory avviandosi verso
il prato su cui era solito addestrare la ragazzina.
«No».
Quel semplice monosillabo lasciò tutti
di stucco. Gregory si voltò verso Emma.
«Cosa hai detto?».
«Ho detto di no»
ripeté la ragazzina senza alcun timore.
L’uomo le si avvicinò con
fare lievemente minaccioso, ma Emma non si scompose.
«E perché avresti detto di
no?» le domandò con voce fin troppo calma.
«Hai parlato con Giovanni».
«E allora?». Gregory sembrava
spazientito.
«Io sono rimasta al Centro per meno di
quarantotto ore, ma Giovanni l’ho visto. È stato
lui a cercare di tirar fuori il mio potere, e se
c’è una cosa che non posso dimenticare
è quanto sia crudele e insensibile. E se tu vuoi aiutarlo a
trovarci e a riportarci indietro, dopo tutto quello che Sofia, e Blaze,
e Laurence e André hanno fatto per portarci via, allora non
voglio più avere nulla a che fare con te. Potrà
addestrarmi benissimo qualcun altro» disse la ragazzina,
voltandosi istintivamente verso Cornelia che nei riguardi Gregory
provava, in quel momento, il suo stesso disgusto.
La donna protese subito una mano verso la
ragazzina, sorridendo.
«Sarei onorata di poter insegnare
qualcosa a una ragazza tanto dotata e di buonsenso».
La piccola coalizione che si era appena formata
contro di lui lasciò Gregory senza parole.
«È la mia allieva! Non
può trattarmi così. Fa’
qualcosa!» proruppe rivolto a Sofia, che scrollò
le spalle.
«Io posso convincerla a continuare con
te il suo addestramento, ma non posso fare in modo che torni a
rispettarti, Gregory. Credi di poter insegnare a qualcuno che non nutre
la minima stima nei tuoi confronti?».
«Non m’interessa se mi
rispetta o no. È una mia allieva, e voglio essere io a
portare avanti il suo addestramento!» esplose
l’uomo.
Sofia si rivolse a Emma.
«Emma, neanche io sono contenta di
quello che Gregory ha fatto, ma come Portatrice e sua ex allieva sarei
un’ipocrita e una bugiarda se dicessi che la tua è
una decisione saggia. Al di là dei suoi errori e delle sue
scelte, Gregory resta comunque uno dei Portatori più dotati
che io abbia mai visto, se non il più dotato. La decisione
è solo tua, ma personalmente ti consiglio di continuare il
tuo addestramento con lui. Ovviamente, se lo desideri, niente ti
impedisce di riservare parte del tuo tempo per poi utilizzarlo per
esercitarti con altri Maestri».
La ragazzina ci pensò su per qualche
istante, poi si avviò verso il prato che si trovava di
fronte all’Ala Est.
«Allora, ti muovi? Se dobbiamo
recuperare il tempo perso, è meglio iniziare
subito!» gridò al suo insegnante senza neanche
voltarsi.
Gregory guardò gli altri, sconcertato
dal comportamento autoritario di Emma.
«Be’, non era quello che
volevi, Gregory? Ora va’» gli disse Sofia con un
ghigno.
L’uomo si affrettò dietro la
ragazzina e Blaze guardò l’orologio.
«Andiamo a recuperare gli
altri» disse agli altri Maestri, che annuirono e si
sparpagliarono.
Laurence rimase indietro.
«Cornelia, Claudio... se volete venire
con me, potrete decidere in quali stanze sistemarvi e riposare un
po’ prima di cena».
I due annuirono entusiasti e lo seguirono, dopo
aver rivolto un sorriso ad Sofia.
Lei guardò i tre allontanarsi e poi si
lanciò all’inseguimento di André. Lo
trovò poco lontano e lo bloccò.
«André...»
esordì un po’ incerta.
«Sofi dimmi. Cosa
c’è?».
«C’è una cosa che
volevo chiederti da alcuni giorni... ho notato che tu ed Elizabeth vi
siete allontanati» disse, sempre incerta.
Il ragazzo scrollò le spalle.
«Io e Liz abbiamo litigato, il giorno
del Solstizio. Mi rimprovera di non occuparmi esclusivamente di lei e
crede sia stato io, a dire a Gregory di non addestrarla»
disse mesto.
Sofia lo prese sottobraccio, ricominciando a
camminare.
«Magari era solo arrabbiata... con tutto
quello che abbiamo dovuto organizzare negli ultimi tempi
l’avrai un po’ trascurata, e lei non può
saperne il motivo» disse, cercando di rincuorarlo.
Lui scrollò di nuovo le spalle. Dal
giorno del Solstizio Elizabeth l’aveva evitato e gli aveva
rivolto la parola solo se costretta. Ogni volta che lo ignorava,
André sentiva il proprio cuore stringersi.
«Senti André, so che non sono
affari miei, però è evidente che questa
situazione ti fa stare male. Forse faresti meglio a parlarle e a
chiederle scusa...» riprese Sofia. Lui la interruppe.
«Ah, dovrei anche chiederle
scusa?» esclamò incredulo.
«Se ci tieni a lei, sì. Tra
voi ci sono state solo alcune sciocche incomprensioni, e in questo caso
farsi dominare dall’orgoglio non serve a niente. Fate pace e
torna a sorridere» concluse la ragazza, stringendogli
delicatamente il braccio.
André ricambiò la stretta.
«Forse hai ragione... vado a cercarla
subito, scusami» disse, baciandola sulla guancia e
allontanandosi spedito.
*
Come aveva previsto, la ragazza si trovava a uno dei laghi
più lontani.
«Liz!» chiamò con
voce sonora. Lei si voltò.
«Ah, sei tu» disse con
indifferenza, tornando a dargli le spalle e sollevando
un’onda nel lago.
André le si avvicinò.
«Liz andiamo, smettila di fare
così... non mi piace questa situazione, lo sai quanto tengo
a te...» disse, cingendole la vita. Elizabeth si
scostò.
«No, non lo so»
esclamò, sempre senza degnarlo di uno sguardo.
«Cosa sei venuto a fare qui? Mi sto allenando, lasciami in
pace».
«Senti Elizabeth, tu hai un brutto
carattere, ma a me piaci così» replicò
André, afferrandola di nuovo e abbracciandola.
«Quindi smetti di tenermi il broncio».
La ragazza non rispose. Continuò a
evocare onde che si rincorrevano sulla superficie liscia del lago,
facendole accavallare e inabissarsi per poi riformarsi.
«So che ti ho trascurata, nelle ultime
settimane» riprese André «e ti prometto
che non succederà più. E poi potremmo trovare un
po’ di tempo per allenarci insieme» la
tentò.
Finalmente Elizabeth si voltò a
guardarlo.
«Parli sul serio?» chiese
dubbiosa. Il ragazzo annuì con aria solenne, e finalmente
lei lo abbracciò.
André la baciò dolcemente.
Le era mancato averla vicina e poterla stringere; era mancato a lui e
all’Acqua che aveva dentro e che in parte si risvegliava,
quando aveva Elizabeth accanto. In qualche modo, in qualche parte
dentro di lui iniziava a capire – seppur vagamente
– cosa provava Giovanni quando Sofia gli era accanto, e
perché aveva cercato così disperatamente di
tenerla sempre legata a sé.
«Si sta facendo tardi. Non dovremmo
tornare dagli altri?» domandò Elizabeth.
«C’è ancora
tempo» bisbigliò lui, trascinandola
sull’erba accanto a sé.
*
«Ma André dov’è
finito?» disse Gloria guardandosi attorno.
Ormai erano tutti riuniti nella mensa. Come ogni
sera, le chiacchiere e il tintinnio delle posate erano inframmezzati
dagli esperimenti – più o meno riusciti
– degli allievi.
Sofia bloccò Marcos un istante prima
che evocasse un getto di Fuoco con cui far evaporare l’acqua
dal suo bicchiere.
«Non pensarci neanche» gli
intimò con aria truce. Il ragazzo si fermò di
fronte allo sguardo della sua insegnante.
Dopo aver osservato la scena divertito, Blaze
rispose a Gloria. «Non ne ho idea. Sofi, tu sai
dov’è finito André?» chiese
quando Sofia tornò a sedersi.
Lei annuì. «Eccolo
lì» disse, facendo un cenno con la testa verso la
porta della sala.
Infatti André stava entrando proprio in
quel momento, tenendo per mano Elizabeth. Blaze ridacchiò e
gli rivolse un vistoso cenno di trionfo, facendolo diventare scarlatto.
Sofia diede un piccolo schiaffo dietro la nuca dell’americano.
«E finiscila Blaze! Non lo mettere in
imbarazzo» lo rimbrottò prima di fare
l’occhiolino ad André, che le rivolse un gran
sorriso.
I due continuarono ad azzuffarsi mentre Elizabeth
raggiungeva il posto che di solito occupava insieme a Emma e
André si sedeva tra Laurence e Sofia.
Appena tornò la calma, il francese
schioccò un bacio sulla guancia della sua amica.
«Non mi sembra un mossa saggia... Liz
potrebbe ingelosirsi!» disse lei con un risolino.
«Oh, sa bene che io e te siamo solo
ottimi amici» rispose il ragazzo, tranquillo.
«Meglio così. Ehi, guardate
un po’ chi c’è»
sussurrò Sofia, dando una gomitata a Blaze e facendo cenno
agli altri.
Emma e Gregory, interrotto
l’allenamento, si erano uniti agli altri per la cena. La
ragazzina entrò con aria imperturbabile e andò a
sedersi insieme a Elizabeth, Ailie e Fernando; Gregory, invece, si
trascinò nella sala con aria torva e occupò il
suo solito posto insieme agli altri otto Maestri e, ora, Claudio e
Cornelia. Sofia scoppiò a ridere.
«Se quando l’ho vista per la
prima volta mi avessero detto che Emma sarebbe diventata tanto forte e
decisa in così poco tempo, non ci avrei mai
creduto!» disse soddisfatta.
Gregory le rivolse uno sguardo burrascoso.
«Quella ragazzina non mi
rispetta» bofonchiò.
«Io ti avevo avvertito» gli
ricordò Sofia sardonica. «Hai detto che non ti
interessa avere il suo rispetto, quindi ora è un problema
solo tuo».
Di malumore, l’uomo infilzò
una patata arrosto e se la portò alla bocca, mentre i
Maestri intorno a lui lo osservavano con sospetto e astio. Alla fine,
Gregory esplose.
«Volete continuare a fissarmi ancora a
lungo?» sbottò, prima di rivolgersi a Sofia.
«Di’ loro qualcosa!».
«Hai deciso da che parte stare? Se vuoi
restare o andartene?» gli chiese invece lei.
«No, ancora no» rispose
l’uomo, spiazzato.
«Allora non posso aiutarti.
Così come non posso costringere Emma a rispettarti, non ho
il potere di far sì che loro si fidino ancora di
te» disse Sofia con indifferenza.
Alla risposta della ragazza, Gregory
lanciò la forchetta sul tavolo e se ne andò.
«Non ti pare di essere stata un
po’ troppo dura?» disse Claudio. Lei lo
fissò con espressione neutra.
«Direi proprio di no. Anche se
è un tuo amico ha tradito la fiducia di tutti qui, la mia
per prima. Finché non deciderà da che parte
stare, non posso dargli appoggio in alcun modo. Soprattutto, non posso
più parlare con lui come ho fatto fino a ieri. Non posso
dare informazioni a chi da un momento all’altro potrebbe
decidere di schierarsi dalla parte dei nostri nemici e raccontare tutto
quello che sa» rispose Sofia con voce piatta.
«Ha ragione Sofi. Allo stato attuale,
non possiamo fidarci di Gregory» rincarò la dose
Cornelia. Tutti i Maestri, a esclusione di Laurence e Claudio,
annuirono con decisione alle sue parole. André
guardò l’alto nero.
«Laurence, tu continui a non condannare
quello che ha fatto Gregory» notò.
L’uomo non se la prese per
l’affermazione del giovane biondo, che era stata fatta senza
ombra di biasimo.
«No André, non lo condanno.
Non ha detto nulla di compromettente e, in generale, mi sembra che non
abbia ancora cambiato la propria fedeltà. Tutti possiamo
avere dei dubbi e non possiamo condannarlo per questo» disse.
«Ma Gregory sa bene quello che ha fatto
Giovanni a Sofia» sottolineò Blaze.
«Perché, cos’ha
fatto Giovanni a Sofia?» chiese Viola. Nessuno le rispose; i
tre migliori amici di Sofia continuarono a fissarsi.
«Probabilmente Gregory conosce Giovanni
molto più di noi. Se ha anche solo pensato di poterlo
aiutare, evidentemente sa che non le farebbe mai più del
male» disse Laurence.
«Nello stesso modo in cui non ha provato
a farle del male il giorno in cui siamo fuggiti, quando l’ha
quasi soffocata?» esclamò André
sardonico. «Mi dispiace Laurence, ma sono d’accordo
con Blaze. Gregory non avrebbe neanche dovuto pensare di passare dalla
parte di Giovanni».
Claudio decise d’intervenire.
«Voi sottovalutate Gregory. Io lo
conosco da trent’anni ed è sempre stato, oltre che
un Portatore di immenso talento, un uomo incredibilmente intelligente e
un grande osservatore. Non voglio giustificare quello che ha
fatto...»
«E ci mancherebbe altro»
borbottò Cornelia.
«...ma se ha anche solo preso in
considerazione la possibilità di aiutare Giovanni a riunirsi
a Sofia, è ovvio che sa qualcosa che noi non sappiamo e che
depone in favore di Giovanni, e devo ammettere questo anche se non mi
piace affatto l’idea che la mia figlioccia torni da
quell’individuo» concluse con forza.
«È inutile. Non sarete mai
d’accordo su come comportarvi con Gregory» disse
Sofia, scuotendo la testa e mettendo fine alla discussione.
*
«Sofi! Come mai non sei tornata per il pranzo?»
«Non avevo fame».
Senza parlare, André osservò il Fuoco
che la ragazza aveva evocato posarsi delicatamente su un candido fiore
della magnolia che avevano di fronte, adagiandosi sui petali come un
velo e aderendo a ogni centimetro. Il profumo che il fiore spandeva
nell’aria si intensificò.
«Hai parlato con Gregory?» le
domandò titubante. Lei emise un grugnito.
«Scusa Sofi, ma io il linguaggio degli
orsi proprio non lo capisco» scherzò
André, tentando di alleggerire l’atmosfera.
Funzionò; trattenendo un sorriso, Sofia fece svanire il
Fuoco dai petali delicati e sedé a terra, invitando
André ad accomodarsi di fronte a lei.
«Ci ho parlato, sì»
esclamò la ragazza, incrociando le gambe nella posizione del
loto.
«E ha deciso cosa fare?».
«Pare di no. Dice che è
indeciso e che ha bisogno di pensarci... in ogni caso, ho istruito
l’intera colonia di Fenici a non trasportarlo se è
da solo e a non trasmettere messaggi a meno che non sia io a
consegnarglieli» rivelò Sofia.
«Brava!» approvò
André. «Credi che avrà bisogno di
pensarci ancora a lungo?».
«Non ne ho idea»
sospirò la ragazza. Era passata già una settimana
dal suo scontro con Gregory e quel clima di costante incertezza stava
minando anche il suo autocontrollo.
«Be’, speriamo che si decida
in fretta» concluse André alzandosi.
«Dove vai?».
«Ho promesso a Liz che avrei trovato
almeno due ore al giorno per allenarci da soli».
Sofia alzò gli occhi al cielo.
«Ne sei proprio innamorato,
eh?» gli chiese.
«Come un pazzo» rispose lui
annuendo, con un sorriso, mentre si allontanava.
«Fai in modo che l’amore non
soffochi il buonsenso!» gridò la ragazza.
André fece un cenno con la mano per farle capire che
l’aveva sentita e sparì rapidamente alla vista.
Appena rimasta sola, Sofia si alzò a
sua volta e si avviò spedita nella direzione opposta a
quella presa da André; superò alcune colline,
fermandosi a parlare con Cornelia e Claudio, che approfittavano della
pausa pomeridiana per addestrare due diversi gruppi di Portatori;
superò il fiume, che si stendeva come un bel nastro argenteo
tra prati e colline, saltando sulle pietre che spuntavano dalle acque,
e continuò a camminare fino a giungere all’inizio
di una pianura sconfinata. Si immerse nell’erba alta,
affondandovi fino al ginocchio e facendosi strada con decisione verso
l’unico albero che spezzava la lineare perfezione di quel
luogo.
Arrivata sotto le folte fronde
dell’ippocastano poggiò la fronte contro il
tronco, mentre la corteccia ruvida le grattava la pelle delicata del
viso. Sospirando tentò di fare il punto della situazione
– dall’incertezza che derivava dalla mancata scelta
di Gregory, che si stava riversando come un veleno su tutti gli
abitanti della Valle, al rapporto tra André ed Elizabeth
che, nonostante l’armonia finalmente raggiunta, continuava a
mostrare dei caratteri ambigui, passando per la stranezza
d’essere finita, la settimana precedente, proprio nel luogo
dove si trovavano sua zia e il suo padrino, che si erano rivelati
Maestri di grande potenza mentre lei non aveva mai neanche sospettato
che potessero essere dei Portatori di Elementi e per di più
conoscere Gregory – restando in quella posizione per diversi
minuti. Lasciò espandere liberamente la propria Aura, nel
tentativo di calmarsi e concentrarsi su quella serie di circostanze e
strane coincidenze, cercando il dettaglio fondamentale che le sfuggiva,
tentando di focalizzare il punto in cui tutte quelle vicende si univano
per portare a un’unica conclusione, quando la
sentì. Quell’Aura, che ormai non percepiva da
tempo, ora la circondava come se il suo Portatore fosse lì
accanto a lei, al posto dell’ippocastano su cui si era
abbandonata.
Come colpita da una scarica elettrica, Sofia
balzò indietro, interrompendo il contatto fisico con
l’albero e reprimendo in sé tutta la propria Aura,
come se temesse che chi emanava l’altra Aura potesse
percepirla come aveva appena fatto lei.
Dopo un istante di esitazione, una possibile
spiegazione le si affacciò alla mente. Allora Sofia si
voltò e corse via più veloce che poteva, senza
mai guardarsi indietro.
*
Giovanni fissò l’albero senza capire.
Come ogni giorno era seduto sotto
l’ippocastano suo e di Sofia, con la schiena poggiata contro
il tronco, pensando a quanto tempo ancora sarebbe dovuto passare prima
di poterla ritrovare, quando una strana sensazione l’aveva
attraversato. Si era sentito come colpito da una scarica elettrica e
per un istante, un istante di pura follia, era stato certo di aver
percepito l’Aura di Sofia: come se ciò a cui era
appoggiato non fosse il tronco di un albero, ma la schiena della
ragazza che da tredici anni era diventata il centro del suo universo.
Era immediatamente scattato in piedi e, superato
il primo momento di stupore, si era reso conto di aver davvero
percepito l’Aura della giovane, che però era
già svanita nel nulla.
Seguendo un primo istinto si lanciò nel
folto degli alberi, sforzandosi di ascoltare ogni minimo suono nella
speranza di riconoscere un rumore di passi; espanse la propria Aura,
cercando disperatamente di percepire di nuovo Sofia. Dopo aver
assecondato per alcuni minuti una speranza tanto vana, capì
di essersi sbagliato. Di pessimo umore fece ritorno al Centro, evitando
i Portatori che si allenavano e gli rivolgevano domande.
Con rabbia entrò
nell’edificio e si precipitò nella stanza di
Sofia: non vi si era più recato da quando la ragazza era
sparita.
Aprì con violenza i cassetti,
affondando le mani negli abiti. Afferrò un morbido maglione
nero e se lo premette contro il volto, respirandone l’odore
come se potesse restituirgli la calma, riflettendo su quanto era appena
accaduto. Alcuni minuti dopo, sempre furioso, scagliò
l’indumento sul letto e si diresse verso la grande sala
semicircolare dell’Ala Sud.
Quando gli altri tre Maestri lo videro arrivare
restarono senza parole. Nell’arco di un’ora, il
Giovanni equilibrato e imperturbabile che avevano ritrovato nelle
ultime settimane aveva nuovamente lasciato il posto all’uomo
irascibile e fuori controllo con cui avevano vissuto negli ultimi sei
anni.
«Giovanni cosa... cosa ti è
successo?» gli chiese Jackson, allarmato e titubante.
«L’ho percepita. Ho percepito l’Aura di
Sofia!» ringhiò l’uomo in
risposta.
A quelle parole nessuno osò aggiungere
nulla, neanche Prudencia. Il motivo del malumore di Giovanni non poteva
essere che uno: aveva percepito Sofia, ma non l’aveva trovata.
L’italiano, intanto, andava da una parte
all’altra della stanza, senza riuscire a fermarsi; di tanto
in tanto tirava un pugno all’aria, e contraeva le mani come
se desiderasse fare a pezzi qualcosa.
«Maledizione!» esplose
all’improvviso. «Vorrei solo che Gregory non ci
mettesse così tanto!».
«Gregory? Chi è?»
indagò subito Jackson.
«Il Maestro di cui vi ho parlato qualche
tempo fa... quello che stavo cercando per farci aiutare a trovare Sofia
e gli altri» rispose Giovanni.
«Ma... avevi detto di non riuscire a
rintracciarlo!» strillò Prudencia, infiammandosi.
«E invece l’ho trovato...
anche se è stato un colpo di fortuna»
replicò, lanciando una mezza occhiata a Jackson.
«Ahhh... l’Aura che hai
inseguito qualche giorno fa» disse Jackson, appoggiandosi con
la schiena sul muro e affondando le mani nelle tasche.
Tsukiko e Prudencia, intanto, guardavano
alternativamente i due uomini, tentando di venire a capo di quello
scambio di battute.
«Aiutatemi a capire»
esordì infine l’argentina, le sopracciglia
contratte. «Giovanni, sei riuscito a trovare quel Maestro che
dovrebbe aiutarci a scovare i fuggiaschi?».
«Sì».
«E ha accettato di collaborare con
noi».
«Sì è messo subito
al lavoro» annuì l’uomo.
«Quindi da un momento
all’altro potrebbe tornare qui e condurci da loro».
Sul volto della donna si aprì un sorriso carico di ferocia.
Giovanni assentì di nuovo,
soprappensiero. Poi sembrò ricordarsi di qualcosa.
«Naturalmente, Prudencia, le circostanze
attuali non cambiano ciò che ti ho detto tempo fa. Se non mi
garantisci che non toccherai Sofia, dirò a Gregory che non
abbiamo più bisogno del suo aiuto» disse,
osservando con disgusto la smorfia feroce che alterava i tratti di
Prudencia e che alle sue parole si accentuò.
«Pensavo d’averti
già detto che voglio ridurla in briciole. Come puoi credere
che rinuncerò a vendicarmi di quella ragazzina
insolente?» ringhiò.
«Te lo dirò una volta sola,
Prudencia: azzardati anche solo a tentare
di colpire Sofia, e sarò io a ridurre in briciole
te» l’avvertì Giovanni con pari
aggressività.
A quella minaccia la donna boccheggiò
per un attimo, prima di scagliarsi contro l’italiano.
Jackson e Tsukiko intervennero immediatamente,
bloccandola prima che potesse attaccare Giovanni e dare inizio ad uno
scontro che si sarebbe di certo rivelato molto duro.
Recuperato un barlume di lucidità,
nella mente di Prudencia, ancora immobilizzata dai Maestri della Terra
e dell’Aria, balenò una diversa
possibilità. Giovanni gli aveva intimato di non toccare
Sofia: ma se fosse stata la ragazza, ad attaccarla per prima, allora
lei sarebbe stata libera di fare quello che preferiva senza che
Giovanni potesse obiettare in alcun modo.
Trattenendo a stento un ghigno malvagio fece cenno
a Tsukiko di essersi calmata e di poter essere liberata, mentre un
piano sottilmente crudele prendeva forma nei suoi pensieri.
«D’accordo Giovanni. Hai la
mia parola: non toccherò la tua piccola, dolce
Sofia» disse sarcastica. Gli altri tre Maestri la fissarono,
sconcertati da quell’improvviso cambiamento.
Giovanni la guardò sospettoso.
«Dici sul serio?» chiese, non molto convinto.
«Certo che sono seria».
«E la vendetta cui tenevi tanto fino a
un minuto fa?» insisté l’uomo.
Prudencia scrollò le spalle.
«Troverò un altro modo per
avere soddisfazione. Magari la sfiderò, quando
l’avremo riportata al Centro» disse con noncuranza.
Non ancora del tutto persuaso, Giovanni
continuò a fissarla. Fu Tsukiko a distoglierlo dai suoi
pensieri.
«Allora, Giovanni. Ora che avete risolto
questa piccola questione... quanto dovremo ancora aspettare per avere
una risposta dal tuo amico?» gli domandò.
«Non ne ho idea» ammise
l’italiano. «Ha detto che si sarebbe fatto vivo
lui. Probabilmente una settimana non è abbastanza, per avere
qualcosa di concreto da riferire».
«E una volta che li avremo trovati, cosa
faremo?» disse Jackson.
«Li riportiamo qui, è
ovvio» rispose Giovanni.
«Ma come? Non credo che si lasceranno
prendere senza opporre resistenza» controbatté
l’americano.
«Possiamo preparare una
trappola» intervenne Tsukiko.
«Credi davvero che si faranno ingannare
tanto facilmente?». Giovanni era scettico. «In fin
dei conti sono riusciti a sfuggirci sotto il naso».
«È vero, ma stavolta siamo
noi in vantaggio» precisò la donna. «Non
si aspettano di essere trovati. Sarà facile farli cadere in
un’imboscata».
Prudencia s’intromise nel discorso.
«State parlando come se fossero ancora
tutti insieme» notò.
Jackson e Tsukiko la guardarono confusi, poi si
resero conto di essersi automaticamente conformati all’idea
di Giovanni che i duecento Portatori fuggiti dal Centro fossero ancora
riuniti in un unico gruppo.
«In effetti è poco verosimile
che non si siano divisi. Gli avvistamenti dimostrano chiaramente che si
sono separati» disse Jackson.
«L’unica cosa che gli
avvistamenti dimostrano è che siete incredibilmente ottusi e
che Sofia è molto più abile di voi. La mano
dietro quei depistaggi è chiaramente la sua; dunque, sono
ancora tutti insieme» rispose Giovanni senza mezzi termini.
«Io proprio non capisco come puoi
ostinarti a credere...» iniziò Tsukiko. Lui
l’interruppe.
«Io non mi ostino a crederlo; io so che le cose
stanno in questo modo perché conosco Sofia. In ogni
caso» riprese dopo un istante di silenzio «se
proprio volete attirarli in una trappola, allora dovrà
essere ben congegnata. Basterebbe un dettaglio apparentemente
insignificante per mandare tutto all’aria».
«Non c’è bisogno di
nessuna trappola» intervenne Prudencia.
«Ah no? Bene, se hai un’idea
migliore ti prego, illuminaci» disse Jackson sarcastico.
«La mia idea è molto migliore.
Sarà sufficiente parlare con loro, per persuaderli a
tornare».
Giovanni scoppiò a ridere.
«Nemmeno tu puoi essere tanto stupida.
Nessuno di loro tornerebbe indietro!» disse sprezzante.
«Hai ragione: non tornerebbero... a meno
di non esercitare un po’ di pressione su di loro»
replicò la donna.
«Vuoi ricattarli!»
esclamò Jackson, che finalmente aveva capito dove voleva
arrivare Prudencia. Lei annuì.
«Ci basterà minacciare le
loro famiglie. Torneranno tutti senza esitare un istante».
«Parli sul serio? Minacciare duecento
famiglie. Ti rendi conto di quello che dici?». Giovanni non
sembrava affatto convinto dalla proposta dell’argentina.
«Non abbiamo bisogno di fare nulla di
concreto. Diremo loro che se non tornano al Centro, saranno le loro
famiglie a pagare. Se qualcuno si rifiuterà comunque di
seguirci, allora passeremo alle dimostrazioni pratiche»
spiegò Prudencia con indifferenza.
«Tu sei pazza!» esplose
Giovanni. Si guardò intorno, cercando il sostegno di Jackson
e Tsukiko, ma i due sembravano condividere quello che Prudencia aveva
appena detto.
«In effetti è
sensato» stava appunto dicendo l’americano.
«Mi sembra il modo più rapido e semplice per
risolvere la questione. Tsukiko, cosa ne pensi?».
«Sono d’accordo. È
la tattica migliore» rispose la Portatrice
dell’Aria, annuendo entusiasta.
«Quindi non ci resta che aspettare il
ritorno di quel Gregory per sapere dove si trovano» concluse
Prudencia soddisfatta.
Giovanni si guardò intorno, arrabbiato,
scontento e isolato. Quella proposta non gli piaceva affatto: aveva
già fatto una cosa simile in passato, e si era reso conto
che quel tipo di forzatura sconfinava nella crudeltà.
Nonostante avesse usato brutalità simili nei confronti dei
suoi allievi per anni, ora ne provava disgusto: l’uomo che
era prima che l’ossessione per i Portatori di Energia
deviasse la sua morale e i suoi principi stava riemergendo
dall’abisso in cui era sprofondato.
«Allora Giovanni, tu cosa ne
pensi?» gli chiese Jackson.
«Non mi piace affatto. È un
atto meschino, e non ho intenzione di aiutarvi a metterlo in pratica.
Troverò un modo alternativo per riportare tutti indietro, ma
di certo non vi permetterò di compiere un simile
orrore» disse con rabbia, uscendo dalla stanza e sbattendosi
la porta alle spalle.
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Capitolo 13 *** Scelte difficili ***
Tutti la fissavano. Senza muovere un muscolo, Sofia continuò
a esaminare il manoscritto che aveva davanti. Sapeva cosa volevano da
lei: risposte.
Era trascorsa un’altra settimana alla
Valle; un’altra settimana di dubbi, ostilità e
incertezze. Sapeva che il comportamento ambiguo di Gregory stava
minando alla base lo stile di vita che avevano adottato da quando erano
scappati dal Centro, un modello di comportamento basato su fiducia e
sostegno reciproci, nonché sull’onestà.
I pensieri nella sua testa ronzavano come api intrappolate in un
barattolo. Continuava a cercare il dettaglio che le avrebbe chiarito
ogni cosa: a volte le sembrava di essere a un passo dal cogliere la
chiave di lettura di quell’assurda situazione, ma
puntualmente la risposta le sfuggiva come acqua tra le mani.
Scosse la testa, soprappensiero, e alzò
lo sguardo: la stavano ancora fissando.
Rendendosi conto che sarebbero andati avanti
così fino a quando non avesse chiarito la situazione con
Gregory, si alzò, decisa a trovarlo: l’uomo aveva
infatti preso l’abitudine di isolarsi dal resto del gruppo.
«Vai da Gregory?» chiese
immediatamente Gloria. Sofia annuì. «Vengo con
te» disse Blaze alzandosi. Aveva sviluppato nei confronti
dell’uomo un’ostilità che rasentava
l’odio, e cercava in ogni modo di non lasciare Sofia da sola
con lui. Di solito la ragazza lo lasciava fare, ma stavolta lo
bloccò.
«Non ce n’è bisogno
Blaze. Resta pure qui».
Il giovane tentennò per un attimo, ma
di fronte allo sguardo fermo di lei cedette.
«Va be’... se hai bisogno di
me, espandi l’Aura al massimo» disse, tornando a
sedersi.
Affondando le mani nelle tasche e abbandonando il
suo abituale passo veloce, Sofia si diresse lentamente verso
l’Ala Ovest, ascoltando i rumori che provenivano da dietro le
porte. Invece di studiare, come al solito i ragazzi stavano parlando di
sciocchezze. Passando, la ragazza batté un pugno sulle porte
e all’interno calò subito il silenzio.
Sempre adagio uscì
all’esterno e scese lungo il declivio, pensierosa. Gregory
cambiava continuamente punto della Valle in cui nascondersi, e trovarlo
si rivelava spesso piuttosto difficile.
Per non mettere in allarme Blaze espanse
l’Aura solo in parte, tentando di percepire Gregory
ugualmente. Dopo aver camminato per un po’ ne
sentì l’Aura, piuttosto flebile. Si
avviò nella direzione da cui le sembrava venisse emanata e,
a mano a mano che procedeva, percepiva l’Aura
dell’uomo sempre più intensa.
Lo trovò al laghetto in cui si erano
immersi la notte del Solstizio, seduto sulla sporgenza rocciosa da cui
si erano tuffati, con i piedi che pendevano nel vuoto alcuni metri
sopra lo specchio d’acqua cristallina.
Sofia rimase in piedi dietro di lui.
«Gregory, mi dispiace ma non si
può più aspettare. Devi prendere una decisione, adesso».
«Cosa potrei mai scegliere? Qui nessuno
ha più fiducia in me» notò lui con
amarezza.
«Come ti aspettavi reagissero, Gregory?
Tutti loro hanno subito, in un modo o nell’altro, la tirannia
di Giovanni. Sanno perfettamente cosa li aspetta, se mai dovessero
essere catturati e portati di nuovo al Centro. Ti avevano accolto senza
la minima esitazione e tu hai provato pietà per il nemico,
hai pensato di aiutarlo. È ovvio che non abbiano
più fiducia in te» disse lei, cupa.
Gregory si alzò e si
avvicinò a Sofia.
«E tu, Sofi? Anche tu non hai
più fiducia in me?» le chiese, cercando il suo
sguardo.
La ragazza distolse il proprio e si
concentrò sui dolci pendii che aveva di fronte.
«Tu mi hai salvato la vita, anni fa. Non
lo dimentico» rispose laconicamente.
«Non è di questo che parlo, e
lo sai». Le afferrò il mento e la costrinse a
guardarlo negli occhi. «Tu vuoi che io rimanga?».
«Voglio che tu faccia quello che ritieni
più giusto» replicò Sofia, gli occhi
ambrati scintillanti di orgoglio. Non gli avrebbe dato la soddisfazione
di sentirle dire che aveva bisogno che restasse lì con lei.
I due continuarono a fissarsi. Entrambi
aspettavano che fosse l’altro a cedere.
«Basta una tua parola, Sofia»
insisté lui dolcemente. «Una sola parola, e io
accantonerò tutti i sentimenti di pietà e
comprensione che abbia provato nei confronti di Giovanni. Una parola e
io resterò qui al tuo fianco, anche in una guerra, se
necessario».
Rimase in silenzio per qualche istante, dandole
modo di riflettere su quanto le aveva appena detto. Poi glielo chiese
di nuovo.
«Allora Sofi... devo restare?»
esclamò, poggiandole una mano sulla guancia e carezzandola
con il pollice. Lei si scostò arrabbiata.
«Va’ al diavolo Gregory. Non
deciderò al posto tuo!» disse furiosa.
«Pensaci bene, Sofia. Se ora me ne vado,
non tornerò. Per nessun motivo»
l’ammonì.
«Non c’è bisogno di
girarci tanto intorno. Hai deciso di schierarti con Giovanni? Va bene.
Hai sempre saputo di essere libero di scegliere. Ora va’
via» esclamò, sempre più arrabbiata.
«Non è per questo che me ne
vado. Non ho ancora deciso se aiutare o no Giovanni; non riesco a
decidere se e con chi schierarmi. Se tu mi avessi dato un motivo per
restare, l’avrei fatto. Ma stando così le cose,
preferisco andarmene» precisò Gregory.
«E allora vattene. Subito»
ringhiò la ragazza.
«E come? Le Fenici si rifiutano di
trasportarmi»
«Te ne andrai a piedi. Ti accompagno
personalmente a un varco» disse gelida Sofia.
«Così potrai immediatamente
sigillarlo ed evitare che lo utilizzi per portare qui
Giovanni» notò lui, ironico
Senza rispondere la ragazza gli voltò
le spalle, incamminandosi velocemente verso Sud; i loro passi erano
l’unico suono che spezzava il silenzio. Procedettero
così per più di mezz’ora, fino a una
microscopica grotta.
«Quello è il
passaggio» disse Sofia, rivolgendo una mano verso la roccia;
al suo posto rimase un arco di pietra da cui pendeva una fittissima
cortina d’edera.
Gregory mosse alcuni passi in avanti, fino a
toccare la tenda vegetale; poi tornò indietro e in un
istante fu addosso alla ragazza. Si fermò col volto a un
soffio da quello di lei.
«Addio, Sofia»
bisbigliò, posandole un bacio sulla fronte come aveva fatto
tanti anni prima, quando l’aveva riportata al Centro.
Un attimo dopo si diresse con decisione verso il
passaggio che l’avrebbe condotto all’esterno e lo
attraversò senza voltarsi indietro. Con un fruscio e uno
scricchiolio, l’edera si trasformò di nuovo in
pietra.
«Addio Gregory»
mormorò la ragazza fissando la roccia e iniziando a
manipolare l’ambiente esterno per cancellare il passaggio,
mentre un’unica lacrima cadeva dai suoi occhi.
*
Lo scatto della serratura li fece voltare.
«Se n’è
andato» comunicò Sofia con voce piatta.
Alle sue parole si scatenò il tumulto.
«Quel bastardo... ha deciso di
schierarsi con Giovanni! Dopo tutto quello che ti ha fatto!»
esplose Blaze; il suo Elemento si riversò
all’esterno del suo corpo con tanta furia da aprire una
grossa fenditura nel pavimento. Friedrich la richiuse immediatamente,
cercando di calmare il giovane americano.
«Non posso credere che l’abbia
fatto... e ora lo porterà qui! Dobbiamo
prepararci!» disse Gloria, arrabbiata e preoccupata.
Sofia alzò le mani, tentando di
ristabilire l’ordine; non aveva abbastanza forza per
sovrastare le loro grida.
«Ragazzi per favore... fate silenzio un
momento e ascoltatemi» disse a voce bassa.
Il caos si placò immediatamente: tutti
rimasero immobili, in attesa.
«Gregory non se n’è
andato per aiutare Giovanni; se n’è andato proprio
perché non sa con chi schierarsi. Ha preferito chiamarsi
fuori» spiegò stancamente.
«E ti sembra giusto?»
gridò Viola; considerava quello di Gregory un tradimento
tanto grande da perdere la sua abituale pacatezza.
«Non sta a noi giudicare. Come chiunque,
qui, anche lui aveva diritto a scegliere liberamente, ed è
quello che ha fatto. Non possiamo farci influenzare dal fatto che la
sua scelta non corrisponde alle nostre aspettative» disse
Sofia con lo stesso tono.
Nessuno aggiunse nulla; sedettero attorno al
tavolo e iniziarono una discussione sottovoce, parlando fitto fitto.
Sofia si abbandonò su di una poltrona,
la testa reclinata indietro e una mano sugli occhi. Claudio le si
avvicinò.
«Non ho potuto farci nulla, Claudio. Mi
dispiace» mormorò.
«Qualcosa avresti potuto fare. Ma come
hai detto poco fa, qui tutti hanno il diritto a prendere liberamente le
proprie decisioni ed è quello che anche tu hai
fatto» replicò senza ombra di biasimo.
La ragazza aprì gli occhi.
«Voleva che decidessi per lui. Non
potevo prendermi una simile responsabilità: e se ci avesse
traditi?» chiese, con una voce in cui amarezza e tormento si
mescolavano. Prese un respiro profondo, cercando di tranquillizzarsi,
mentre il suo padrino le stringeva una spalla con fare comprensivo. Poi
sì alzò.
«Un momento d’attenzione, per
favore» disse Sofia con voce sonora, riprendendo il controllo
della situazione e della propria mente. «La partenza di
Gregory ci impone di prendere ulteriori precauzioni contro eventuali
intrusioni alla Valle. Dobbiamo rinforzare le protezioni ai confini.
L’ho mandato via a piedi; questo ci dà un
po’ di tempo, ma se non vogliamo correre rischi dobbiamo
muoverci subito».
Gli altri Maestri scattarono in piedi.
«Da dove cominciamo?» chiese
Costa.
«Credo sia molto più pratico
dividerci in due gruppi: così risparmieremo tempo»
replicò la ragazza.
«D’accordo, i soliti due
gruppi: io, Blaze, Laurence e Sofi nel primo e Costa, Viola, Gloria e
Friedrich nel secondo» disse André.
«Io e Claudio cosa dobbiamo fare?
Veniamo ad aiutarvi o restiamo qui a controllare i ragazzi?»
chiese immediatamente Cornelia.
André e Sofia si guardarono per un
istante.
«Credo sia meglio che veniate
con noi» decise la ragazza. «Più siamo e
meglio rinforzeremo i confini».
«Allora dobbiamo nominare dei
sorveglianti per ogni gruppo di Portatori» disse Blaze.
«Va bene, allora pensaci tu ad
avvertirli: nominiamo Serj per i Portatori del Fuoco...»
stabilì Sofia.
«... Pietro per quelli
dell’Acqua» decretò André con
il consenso di Gloria.
«Fernando per il gruppo
dell’Aria, senza il minimo dubbio» disse
immediatamente Laurence.
«E Ailie per quello della Terra. Vado e
torno» concluse Blaze uscendo di corsa dalla stanza.
«Allora, dobbiamo equilibrare i due
gruppi: Cornelia, tu vieni con noi, mentre Claudio va col gruppo di
Costa e gli altri» disse Sofia. I due annuirono e si divisero.
«Come ci dividiamo le zone?»
chiesero Viola e Gloria in coro.
«Voi vi occupate dei confini a Sud e a
Est, noi di quelli a Nord e a Ovest» decise rapidamente la
Portatrice del Fuoco. Friedrich annuì.
«Be’, noi possiamo muoversi
subito» disse, ottenendo il consenso dei suoi compagni. Si
diressero verso la porta e i loro passi si spensero rapidamente lungo
il corridoio.
Un minuto dopo, Blaze tornò.
«Fatto» disse ansante.
«Ora sarà meglio andare» aggiunse,
notando l’assenza del secondo gruppo.
Gli altri quattro annuirono, e insieme si
diressero verso l’Ala Nord dell’edificio.
*
Gregory espanse la propria Aura più che poteva, cercando la
direzione giusta. Vagò per circa due ore, senza riuscire a
percepire nulla, prima di trovare quello che cercava. Cambiò
direzione ed iniziò a correre.
*
«Giovanni!».
L’uomo si voltò con aria
torva.
«Cos’hai da gridare,
ragazzino? Per rivolgerti a me, oltretutto!»
esclamò pieno di rabbia evocando una sfera di Fuoco, pronto
a colpire il ragazzo, che iniziò a tremare.
«Scusami... io... mi scusi, mi scusi, mi
dispiace ma...» balbettò.
«Allora, cosa c’è?
Non farfugliare in questo modo Hilario, è
irritante!» lo rimbrottò Giovanni.
Il ragazzo sembrò ancora più
terrorizzato.
«C’è...
c’è una persona che chiede di lei, ha detto che
è urgente, per questo io...»
«E chi sarebbe questa persona che deve
parlarmi tanto urgentemente?» lo interruppe.
«Io... non lo so, non mi ha detto come
si chiama...» bisbigliò Hilario.
«E mi disturbi perché qualcuno, di cui
non conosci neanche il nome, mi vuole parlare?» esplose
l’uomo.
«Ecco ha detto... ha d-detto di dirle
che vi s-siete v-visti due settimane fa a Cork... ha detto... ha detto
che lei avrebbe c-capito e che per questo n-non c’era bisogno
di dire il suo nome!» concluse precipitosamente il ragazzo.
Giovanni si alzò di scatto, rovesciando
la sedia a terra, e uscì dalla stanza in un istante. Al suo
passaggio Hilario si rattrappì contro la porta, temendo
ancora che l’uomo l’avrebbe colpito, ma quello gli
passò accanto come se non esistesse.
Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo,
lasciandosi scivolare a terra. Quando
racconterò che Giovanni non mi ha colpito, pensò,
nessuno mi crederà.
*
Mentre usciva dall’edificio, Giovanni espanse la propria Aura
più che poteva. Sondò per alcuni momenti il mare
di Aure che lo circondava; poi trovò quella che cercava.
Scese veloce lungo il prato, puntando verso il bosco dell’Ala
Sud; non lo stupì trovare Gregory comodamente seduto su una
panchina vicino ai primi alberi, mentre si guardava intorno con
indifferenza.
«Allora» esordì
l’italiano, sedendosi accanto al suo ex insegnante.
«Hai qualcosa di utile per me?».
«Sì e no» fu
l’ambigua risposta.
«L’hai vista» disse
Giovanni. Era più un’affermazione che una domanda.
L’altro annuì.
«Ma non mi dirai
dov’è» proseguì Giovanni.
Gregory lo guardò con un sorriso.
«Hai ragione, non lo farò.
Però c’è qualcos’altro che
posso dirti, qualcosa che ti sarà altrettanto utile, anche
se dovrai pazientare ancora un po’ per poterne trarre dei
risultati».
«Ti ascolto» disse Giovanni,
curioso di sentire cosa l’uomo aveva da dirgli.
Gregory si avvicinò a Giovanni e
iniziò a bisbigliargli qualcosa all’orecchio. Dopo
alcuni istanti, un sorriso soddisfatto si aprì sul volto di
quest’ultimo.
«Ottimo. Allora terrò gli
occhi aperti» disse infine.
Gregory si alzò.
«Ti ho detto tutto, credo. Per me
è ora di andare» si congedò.
«Andare... dove?»
domandò Giovanni.
«Lontano» rispose
l’uomo, allontanandosi tra gli alberi. L’altro lo
seguì.
«C’è
un’ultima cosa che vorrei sapere» disse
l’italiano.
«Chiedi pure».
«Sai dov’è ma non
vuoi dirmelo, anche se mi hai dato un altro modo per arrivare a lei.
Perché ti stai chiamando fuori?» chiese a Gregory,
che sorrise con aria colpevole.
«Per lo stesso motivo per cui tu,
invece, ti affanni tanto a cercarla» rispose, sparendo in
pochi istanti.
Giovanni rimase dov’era,
un’espressione indecifrabile dipinta sul volto. Poi anche lui
si immerse nel folto della vegetazione.
*
Tornati nella biblioteca, tutti si lasciarono cadere su divani e
poltrone.
«Credi che
basterà?» chiese André a Laurence.
«Spero di sì. Aumentare
ancora le barriere le renderebbe riconoscibili; sarebbe come segnalare
la nostra presenza con dei cartelloni al neon»
replicò l’altro con una smorfia.
Sofia sedette a un tavolo, abbandonando la testa
sulla superficie ruvida con un tonfo sonoro. Viola le si
avvicinò e le scompigliò i capelli.
«Dai Sofia, non fare così. Le
protezioni basteranno, ne sono sicura».
«Lo spero proprio» rispose lei
con voce sepolcrale, il volto schiacciato contro il legno.
La Portatrice dell’Aria si
allontanò mentre Cornelia si avvicinava.
«Sofi tesoro, non prendertela per la
partenza di Gregory. Almeno adesso sappiamo che dobbiamo stare in
guardia da lui» la rincuorò.
«Oh zia, non è questo che mi
abbatte. O meglio, solo in parte... so che è stato meglio
che abbia preso una decisione, anche se è stata questa decisione,
perché ora non siamo più
nell’incertezza» replicò Sofia, alzando
la testa.
«E allora cosa c’è
che non va?».
«Non saprei... ho una brutta
sensazione».
Cornelia sembrava perplessa.
«Quanto brutta, tesoro? ».
«Parecchio» rispose la
ragazza, a disagio. «Non so, è che quando guardo
gli altri... mi si stringe lo stomaco. Ogni volta che li guardo negli
occhi, è come se fosse l’ultima volta».
«Oh cara» disse Cornelia,
abbracciandola e accarezzandole i capelli in un gesto materno.
«Probabilmente sei solo in ansia per quello che è
successo oggi, ma non hai motivo di preoccuparti. Nessuno dei Portatori
all’esterno ci può trovare, specialmente adesso
che abbiamo rinforzato le protezioni ai confini».
«Speriamo sia
così...» mormorò la ragazza, osservando
Elizabeth entrare nella stanza e saltare in braccio ad
André. «Almeno qualcuno non ha pensieri
cupi» disse con un accenno di sorriso.
«Ma dov’eri
sparito?» stava chiedendo Elizabeth ad André, dopo
averlo baciato.
«Oh, sono successe alcune cose...
Gregory ha deciso di andarsene e abbiamo dovuto potenziare le barriere
intorno alla Valle» le spiegò.
Lei fece una faccia strana.
«Davvero? E credi che ora siano
assolutamente impenetrabili?».
«Lo spero... anzi, lo speriamo tutti
perché più di questo non possiamo fare. Se le
fortificassimo ancora, la concentrazione di Elementi diverrebbe tale da
essere riconoscibile ai Portatori all’esterno»
rispose André mesto.
«Dai, non ti avvilire. Andiamo a fare
una passeggiata... così ti rilasserai un
po’» gli propose Elizabeth con voce suadente. Lui
non resistette un secondo; la prese per mano e insieme uscirono dalla
biblioteca. Blaze scosse la testa.
«Ce lo siamo proprio giocato».
«Cosa ci siamo giocati?»
chiese Ailie, che era appena arrivata con Emma e Fernando.
«André» rispose
Blaze, puntando un dito verso la porta ormai chiusa.
«Abbiamo sentito quello che dicevano. E
così Gregory alla fine ha deciso, eh?» disse
Fernando.
«Sì. Da ora in poi dovremo
stare molto più attenti: se notate qualcosa di strano,
dovete dircelo subito. È meglio perdere mezz’ora
per un falso allarme che ignorare dei segnali e ritrovarci i nemici
addosso» si raccomandò l’americano.
«A proposito» intervenne
Sofia. «Emma, tu che sei così brava a percepire le
Aure... ti andrebbe di aiutarci a tenere sotto controllo i
confini?».
«Certo che mi va! Però
dovrete spiegarmi come si fa, perché non ne ho la minima
idea» ribatté subito la ragazzina.
«Vedrai, è più
facile di quanto si possa credere. Devi solo imparare a riconoscere il
tipo di vibrazioni che ci sono intorno ai confini; sono diverse dalle
Aure, ma quando ti ci sarai abituata ti accorgerai subito se
c’è qualche variazione» le
spiegò Sofia.
«Fammi provare subito!» chiese
Emma, impaziente.
«Se tutti avessero la sua stessa voglia
di imparare» disse Costa, puntando i gomiti sul tavolo e
poggiando il mento sui propri pugni chiusi «il nostro lavoro
sarebbe molto più semplice».
Sofia si mise a ridere.
«Andiamo» disse a Emma, che
subito la seguì.
*
Sprofondato in una poltrona, Giovanni si copriva il volto con le mani,
cercando di riflettere. La sua tranquillità non
durò a lungo; un minuto più tardi Jackson,
Prudencia e Tsukiko irruppero nella stanza.
«Ecco dov’eri
finito!» disse Prudencia, spazientita. Lui la
ignorò.
«Hilario mi ha detto che c’era
un uomo che ti cercava. Chi era?» chiese Jackson.
Masticando un’imprecazione, Giovanni si
vide costretto a rispondere.
«Era Gregory»
bofonchiò di malavoglia.
I tre si infervorarono.
«Allora? Ha scoperto dove si trova
Sofia?» chiese Prudencia, eccitatissima.
«Sì» rispose cupo
l’uomo.
«E allora cosa stiamo aspettando?
Prepariamoci, andiamo a prenderla!» esclamò la
donna, quasi fuori di sé dalla gioia.
Giovanni chiuse gli occhi per un attimo,
preparandosi al finimondo che si sarebbe scatenato. Poi
parlò.
«Ha scoperto dove si trova... ma non me
l’ha voluto dire» ammise faticosamente.
Un lungo silenzio accolse le sue parole. Tutti e
tre lo fissarono esterrefatti.
«Non
te l’ha voluto dire?»
ripeté Prudencia, frastornata.
«No. Però mi ha dato
un’altra informazione che potrà esserci molto
utile per trovarla» aggiunse. Gli altri Maestri parvero
riprendersi.
«Be’, qual è
quest’informazione?» lo interrogò
Jackson. Giovanni scosse la testa.
«Per ora non ci è utile.
Dobbiamo aspettare» disse sibillino.
«Aspettare cosa?» chiese
Tsukiko con la sua calma abituale.
Lui non rispose; sembrava assente.
«Giovanni ma...
cos’hai?» domandò Jackson, tentando di
penetrare nella mente confusa dell’altro uomo, che scosse di
nuovo la testa.
«Non so... stavo pensando. Credete...
voi credete che sia giusto, continuare a dar loro la caccia?»
chiese, sinceramente combattuto. Gli altri lo guardarono, se possibile
ancora più sbalorditi.
«Giovanni tu... tu non parli sul serio,
vero? Vero?»
lo esortò l’americano. L’italiano si
mise le mani nei capelli, tirandoli.
«Non so più cosa è
giusto!» sbottò, alzandosi in piedi.
«Pensateci... li abbiamo presi, li abbiamo sottratti alle
loro vite e alle loro famiglie. Li abbiamo privati
dell’adolescenza, tutti quanti, li abbiamo costretti a vivere
in una bolla... noi avremmo sopportato tutto questo, al posto
loro?» chiese con furia. Nessuno rispose: erano
così abituati al male che avevano compiuto da non
considerarlo più tale.
«È ovvio che siano scappati;
chiunque avrebbe fatto lo stesso» proseguì
Giovanni, parlando più a se stesso che agli altri.
«Abbiamo deciso di trovarli e riportarli qui; con il passare
delle settimane questo proposito si è trasformato in
un’ossessione, un’ossessione che abbiamo alimentato
senza chiederci se i presupposti che ci muovono sono giusti o
sbagliati. E sono sbagliati» concluse, camminando avanti e
indietro e puntando lo sguardo a terra.
«Senti, Giovanni»
iniziò Prudencia, inviperita. «Io non so cosa
abbia scatenato in te questa specie di crisi mistica, e non
m’interessa. Fino a un’ora fa eri
d’accordo con noi sul cercare i Portatori che sono scappati e
sul riportarli qui. Ora non puoi tirarti indietro!».
«Comunque li avremmo mandati via, una
volta terminato l’addestramento!» gridò
lui. «Se ne andranno in ogni caso, quindi che senso ha
riportarli indietro?».
«Che
senso ha? Servirà a dimostrare che siamo ancora
noi, ad avere l’autorità!»
strillò in risposta l’argentina.
«Altrimenti come potremmo continuare a prendere e addestrare
i Portatori?».
«Magari dovremmo cambiare metodo!
Dovremmo spiegare loro cosa succede e permettergli di continuare a
vedere e vivere con le loro famiglie!» urlò
Giovanni.
«Tu sei pazzo» disse
Prudencia, guardandolo con disprezzo. «Se non vuoi aiutarci,
bene, non farlo. Ma noi troveremo lo stesso un modo per rintracciare i
fuggiaschi e riportarli qui».
Giovanni la guardò, fuori di
sé; teneva gli occhi fissi nei suoi, mentre le mani gli
prudevano dal desiderio di attaccarla. Sapeva di essersi messo in
trappola da solo, rivelando quello che pensava; sapeva anche che se non
avesse fatto credere loro di aver cambiato idea ancora una volta, di
desiderare nuovamente catturare i Portatori scappati e punirli, gli si
sarebbero rivoltati contro. Lo sapeva, ma non riusciva ad accantonare
quei pensieri che, dopo anni, avevano squarciato il velo di ossessione
e crudeltà che aveva ottenebrato la sua mente, facendolo
arrivare a colpire mortalmente Sofia. Non riusciva a fare la sua
scelta: fingere o ribellarsi contro quel sistema malvagio che lui
stesso aveva creato?
Guardò i tre Maestri con cui aveva
fondato il Centro, che osservavano attenti ogni suo movimento,
aspettando una risposta; vide in fondo ai loro occhi quello che lui
stesso era diventato, e ne fu disgustato. Si chiese come fosse potuto
arrivare tanto oltre nella sua follia: non riuscì a trovare
una risposta.
Di nuovo, ripensò a tutto quello che
aveva fatto in quegli ultimi sei lunghi anni; analizzò i
sentimenti e le convinzioni che lo avevano portato a credere che quello
che stavano facendo fosse giusto. Ricordando a mente fredda, non gli
sembrò tutto sbagliato; vi scorgeva una mancanza di
umanità, ma non vedeva errori essenziali. Tuttavia,
continuava a provarne orrore.
Respirò profondamente, soppesando i
risultati delle sue valutazioni, sforzandosi di capire quale fosse la
scelta migliore. Infine, si apprestò a parlare.
«Ho preso la mia decisione»
esordì, dopo aver preso un altro respiro profondo.
«Continueremo sulla strada che abbiamo percorso sino ad ora.
Ritroveremo Sofia e gli altri e li riporteremo al Centro».
La sua affermazione scatenò
un’ondata di gioia; Prudencia sorrise trionfante, Tsukiko
sembrava soddisfatta e rassicurata. Jackson gli diede una pacca sulla
spalla.
«Bravo, Giovanni. Sapevo che saresti
tornato in te» disse compiaciuto.
L’altro annuì; tutti quei
dubbi l’avevano sfiancato.
«Credo che andrò a
riposare» disse agli altri tre Maestri che lo lasciarono
andare, ormai soddisfatti.
*
Sofia prese la parola.
«Come molti di voi avranno sicuramente
notato, Gregory non c’è. Avremmo potuto inventare
delle scuse per giustificare la sua assenza, ma sarebbe scorretto nei
vostri confronti, oltre a costituire un grave pericolo».
I Portatori che aveva di fronte la guardavano con
espressione confusa; non capivano dove volesse andare a parare.
«I Maestri del Centro hanno svolto, in
tutte queste settimane, indagini e ricerche nel tentativo di trovarci.
Abbiamo messo in atto degli accorgimenti per ingannarli, ma Gregory ha
iniziato a nutrire dei dubbi sull’opportunità di
proseguire lungo questa strada; per questo motivo oggi, dopo aver
riflettuto a lungo, ha deciso di andarsene».
Tutti iniziarono a gridare, in preda al panico.
Sofia scosse la testa; era esattamente quello che aveva temuto.
«ORA BASTA!».
Il sonoro grido della donna riportò
tutti alla calma, o quasi. Limitandosi a borbottare ognuno
tornò al proprio posto, aspettando che la giovane donna che
avevano di fronte continuasse a parlare.
Escludere del tutto la possibilità che
Gregory passi loro delle informazioni su di noi sarebbe altamente
imprudente; per questo vi esortiamo a tenere gli occhi aperti
più di quanto non facciate già. Se notate
qualcosa di strano, parlatene immediatamente con uno dei Maestri. Non
abbiate paura di sembrare eccessivamente ansiosi o di segnalare
qualcosa che potrebbe poi rivelarsi un falso allarme: in questo
momento, la prudenza non potrà mai essere troppa»
disse seria, osservando a una a una le facce rivolte verso di lei.
«E adesso, andate a dormire.
Buonanotte».
Con un rumoroso grattare del legno contro il
pavimento, tutti si alzarono.
In silenzio, i Maestri guardarono gli allievi
sfilare oltre la porta, parlando di ciò che avevano appena
sentito e facendo congetture. Poi Claudio controllò
l’ora.
«Sono quasi le undici... è
più tardi del previsto» disse.
«Dobbiamo controllare i
confini?» chiese Friedrich. Claudio annuì.
«Sarebbe meglio... così
almeno ci risparmiamo le ronde notturne».
Blaze si guardò intorno.
«Se André non fosse
sparito...».
Mentre diceva così, tutti sentirono un
risolino provenire da dietro la porta. Viola scosse la testa.
«Ma si staccano mai quei due? Avanti
André, muoviti! Abbiamo ancora parecchio da fare!»
aggiunse la donna ad alta voce.
Qualche istante dopo André
rientrò nella mensa, il volto scarlatto. Prima di chiudere
la porta, si sporse verso l’esterno e mormorò
qualcosa.
Blaze e Sofia lo presero per le braccia e lo
tirarono dentro.
«Scusa Liz ma adesso ci serve... avrete
tutto il tempo di stare insieme domani, dopodomani e i giorni che
seguiranno» disse Sofia alla ragazza a mo’ di
scusa. Quella sorrise e chiuse la porta.
«Wow Sofi, Elizabeth ti ha sorriso?
Niente niente, tra poco inizierà a comportarsi da normale
diciottenne» ghignò Blaze. André gli
tirò un pugno sul braccio.
«Lascia stare la mia ragazza»
gli intimò, esibendo un’aria feroce pochissimo
convincente prima di scoppiare a ridere.
«Siamo di buonumore eh? Ottimo,
così lavorerai meglio» tagliò corto
Sofia, spingendolo nel mezzo del gruppo. Lui le fece la linguaccia.
Cornelia prese la parola.
«Organizziamoci ragazzi. Dobbiamo
controllare i confini; potremmo dividerci in coppie, così il
lavoro sarà più rapido ma nessuno sarà
solo... in caso di necessità».
«Va bene. Dobbiamo ricontrollare in modo
particolare i passaggi verso l’esterno...
accidenti!» disse Sofia, battendosi una mano sulla fronte.
«Cosa c’è
Sofi?» le domandò Claudio. Lei fece una smorfia.
«C’è un varco... la
cascata da cui sono entrata alla Valle quando sono andata a prendere
Gregory».
«E allora?» la
esortò Blaze.
«Quel varco non si può
rinforzare; gli Elementi ci girano attorno... credo dipenda dagli
Spiriti dell’Acqua che si trovano lì. Bisogna
prendere accorgimenti particolari per riuscire a mascherarlo, ma
chiuderlo in modo definitivo è praticamente impossibile. In
sostanza, quello è il solo punto debole nei
confini» spiegò la giovane, preoccupata.
«D’accordo, quella zona la
controlliamo io e Sofia e ci occupiamo di fornire la maggior copertura
possibile a quel passaggio» decise André.
«Sono un Maestro dell’Acqua, magari riesco a fare
qualcosa in più» disse rivolto a Sofia, che
annuì.
«Visto che una zona è
già assegnata, vediamo di spartirci le altre»
esclamò Claudio, richiamo l’attenzione generale.
In una decina di minuti divisero le aree da controllare; e quando
uscirono dall’edificio, le cinque coppie si separarono
nell’oscurità; Blaze e Laurence, Claudio e
Cornelia, Viola e Gloria, Costa e Friedrich e André e Sofia
si allontanarono gli uni dagli altri in perfetto silenzio, camminando
veloci e preparandosi alla possibilità – seppur
minima – di subire un attacco. Fu solo molto tempo dopo che
riuscirono a sdraiarsi nei loro letti.
*
Giovanni si svegliò di soprassalto. Qualcuno stava bussando
alla porta della sua stanza.
Imprecando, controllò
l’orologio. Che diavolo volevano alle due del mattino?
«Un momento!»
borbottò quando una nuova scarica di colpi si
abbatté sulla porta, vestendosi alla meno peggio. Infilati
una maglietta e un paio di pantaloni, aprì la porta.
«Jackson, che cosa vuoi?»
chiese, un po’ irritato.
Gli occhi scintillanti d’eccitazione,
l’americano lo prese per un braccio e lo spinse in corridoio.
«Non immagini neanche
cos’abbiamo appena trovato davanti alla porta
principale» disse esaltato. Giunti di fronte a un piccolo
salotto in cui erano soliti riunirsi per discutere in privato, si
fermarono. Anche Tsukiko e Prudencia erano lì, frementi.
Jackson diede di nuovo una spintarella a Giovanni,
che stava sbirciando dalla porta socchiusa. Intravide la figura seduta
sul divano. Per un istante aggrottò la fronte; poi sul suo
volto si aprì un’espressione sconcertata.
«Devi parlarci tu» lo
esortò l’americano. Giovanni si voltò.
«Io? E perché?».
«Abbiamo provato a far sì che
parlasse, ma non ha ceduto. Dice che risponderà solo a te,
in privato» spiegò Jackson.
Giovanni prese un respiro profondo; non sapeva
cosa aspettarsi.
Dopo aver rivolto un cenno rassicurante agli altri
tre Maestri entrò deciso nella saletta,
Chiudendosi la porta alle spalle. L’altro occupante della
stanza lo fissò con indifferenza, aspettando che parlasse.
L’italiano sedette su una poltrona di
fronte al divano. Poi afferrò una brocca.
«Acqua? Devi aver fatto molta strada per
arrivare fin qui».
«No, grazie».
Giovanni posò la brocca e si rivolse
alla persona che aveva di fronte.
«Dicono che hai qualcosa per me.
Informazioni?».
«Più di quante tu possa
immaginare. E molto precise» fu la risposta.
Giovanni studiò guardingo la persona
comodamente seduta sul divanetto. Non sapeva se poteva fidarsi, ma di
una cosa era assolutamente certo: quelle informazioni gli sarebbero
costate parecchio.
«Cosa vuoi in cambio?»
domandò a bruciapelo.
Sul volto del suo interlocutore si aprì
un sorriso scaltro.
«Potere».
«Possiamo parlarne»
replicò l’italiano. Poi i due intavolarono una
fitta discussione, contrattando. A tratti le voci si riducevano a un
bisbiglio appena udibile; in altri momenti, arrivavano quasi a gridare.
Circa mezz’ora dopo, calò il silenzio.
Giovanni uscì dalla stanza con un gran
sorriso stampato in volto.
«Chiamate quattro sorveglianti. Che
restino qui: non devono allontanarsi per nessun motivo».
«Temi che possa andarsene?»
gli chiese Jackson. Lui scosse la testa.
«Non se ne andrà, ma
è meglio prendere alcune precauzioni».
Nel frattempo Tsukiko aveva recuperato quattro
sorveglianti tra quelli che avevano già allertato in
precedenza. Dopo aver dato loro precise istruzioni, Giovanni
sentì la voce di Jackson chiamarlo di nuovo.
«Cosa ti ha detto? Sei riuscito ad avere
qualche informazione utile? ».
Sempre col sorriso stampato in viso, Giovanni
annuì.
«Ne ho avute molte, e tutte ottime. Ora
andiamo» disse, facendo strada agli altri tre verso una
stanza diversa. «Abbiamo pochissimo tempo e molte cose da
decidere».
I quattro fondatori del Centro si chiusero in una
stanza e iniziarono a parlare. |
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Capitolo 14 *** Sangue e lacrime ***
Sofia scattò a sedere sul letto, respirando affannosamente.
La brutta sensazione che l’aveva accompagnata per tutto il
giorno non l’aveva abbandonata neanche nelle ore notturne.
Dei colpi alla porta la fecero sobbalzare.
«Chi è?» chiese con
voce flebile, ancora concentrata sull’incubo che aveva appena
avuto.
«Sono io» rispose la voce di
André, un attimo prima di aprire la porta. Dopo essersela
richiusa alle spalle, andò a sedersi sul bordo del letto.
Sofia accese una piccola lampada.
«Come mai qui a
quest’ora?» gli chiese dopo una rapida occhiata al
quadrante dell’orologio. Le due del mattino.
«Non riuscivo a dormire...e neanche tu,
vero? Hai un aspetto orribile» rispose il ragazzo, osservando
il colore cinereo del volto di lei.
Sofia fece una smorfia.
«Ho fatto un sogno poco
piacevole» disse con un tono strano.
Preoccupato, André cercò di
incontrare il suo sguardo. Sofia era molto sensibile agli eventi
esterni e spesso, mentre dormiva, il suo subconscio le offriva, sotto
forma di sogni, la soluzione alle domande su cui la ragazza aveva
riflettuto da sveglia: coglieva in anticipo il modo in cui, dati
determinati presupposti, una situazione si sarebbe sviluppata.
«Che tipo di sogno, Sofi?» la
incalzò. «Cos’hai visto?».
«Sangue e lacrime» rispose
lei, evitando di fornire alcun tipo di dettaglio nonostante il suo
sogno fosse stato molto preciso e incredibilmente realistico.
André tirò un sospiro di
sollievo. Aveva sentito, quel pomeriggio, Cornelia rassicurare Sofia
sull’eventualità di essere scoperti ed era
convinto che l’incubo della sua amica non fosse stato altro
che uno sfogo della sua psiche sovraccarica di pensieri e
preoccupazioni.
Rimasero in silenzio; dopo aver giocato per
qualche minuto con l’orlo del lenzuolo, la ragazza si
alzò.
«Non ce la faccio a stare qui»
sbottò. «Andiamo a fare due passi».
«Ma... ti sei messa a letto
vestita?» disse André sbigottito. Sofia infatti
indossava già un paio di jeans e una maglietta a maniche
corte.
«Ho fatto una doccia e mi sono cambiata.
Mi sentivo più sicura così»
spiegò lei, infilandosi le scarpe. «E poi, mi
sembra che anche tu non sia in pigiama» aggiunse. Il ragazzo,
infatti, era vestito di tutto punto.
Con un’alzata di spalle,
André aspettò che finisse di prepararsi prima di
avviarsi insieme a Sofia lungo i corridoi bui.
Dopo aver vagato per un po’, sentirono
un brusio provenire dal corridoio vicino. Si guardarono per un istante,
prima di dirigersi guardinghi ma decisi verso la fonte del rumore.
Arrivati di fronte alla porta della mensa la spalancarono.
La stanza era completamente stipata: sembrava ci
fossero tutti i Portatori che si trovavano alla Valle. André
si diresse immediatamente verso il gruppetto di Maestri che, in piedi
in un angolo, sorvegliava gli altri.
«Cosa ci fanno tutti qui?»
chiese il giovane biondo, guardandosi attorno.
«Nessuno riusciva a dormire, come noi.
Hanno cominciato a venire qui uno alla volta finché i
dormitori non si sono svuotati» spiegò Laurence in
tono comprensivo.
Anche Blaze si guardò attorno.
«Non li possiamo biasimare,
André. La partenza di Gregory e soprattutto i motivi che
l’hanno provocata li hanno turbati. Non si sentono
più al sicuro» disse il giovane americano,
passandosi le mani nei capelli.
«Capisco quello che provano, Blaze, ma
se permettiamo loro di passare questa notte in piedi, poi
sarà ancora più difficile far sì che
riescano a dormire tranquilli. Continueranno ad alzarsi, notte dopo
notte. Senza contare che domani non riusciranno a seguire le lezioni e
gli addestramenti» esclamò André in
tono di rimprovero.
«Non farla così tragica,
André» intervenne Sofia. «Lascia che
smaltiscano l’ansia, stando svegli tutta la notte se
necessario. Potranno dormire domattina... per una volta possono anche
saltare l’addestramento».
Calò il silenzio tra i Maestri: a poco
a poco si propagò anche sul resto della sala e uno alla
volta i Portatori si addormentarono, con le braccia incrociate sui
tavoli e la testa poggiata di lato su una spalla.
L’ultimo gruppetto si era addormentato
da circa mezz’ora quando una figuretta si alzò
silenziosamente e, individuati i Maestri, si diresse con passo veloce
ma leggero verso di loro.
«Emma, c’è qualcosa
che non va?» chiese Sofia, preoccupata. La ragazzina la
fissava come se avesse visto un fantasma; pallidissima, gli occhi
leggermente cerchiati di viola e sbarrati, non osava parlare. Sofia la
prese per le spalle e la scosse con energia.
«Emma, che cosa
c’è?» insisté
con voce bassa ma decisa. Emma sembrò riprendersi, almeno in
parte.
«Io... io credo d’aver sentito
qualcosa. Al di fuori dei confini» disse con voce appena
udibile. Immediatamente in allerta, i Maestri l’accerchiarono.
Sofia però non si lasciò
trascinare dall’ansia degli altri. Afferrò la
ragazzina e la fece sedere. Dopo averle fatto mandar giù un
bicchiere d’acqua, la guardò attentamente.
«Ora, Emma. Con calma, dimmi
cos’hai sentito» la esortò.
«Non ne sono certa. Sicuramente mi sono
sbagliata, sarà stata la paura...»
temporeggiò.
«Smetti di parlare a vuoto e dicci
cos’è, che hai sentito!»
sbottò Costa. Sofia gli rivolse un’occhiata
assassina, poi decise.
«Via di qui. Tutti quanti»
ordinò.
Gli altri la guardarono strabuzzando gli occhi.
«Sofia, ci stai prendendo in giro o
cosa?». L’agitazione rendeva aggressivo il
quarantenne greco.
«Non vi prendo affatto in giro, ma
comportandovi in questo modo la turbate e le fate pressione»
rispose gelida la giovane donna, indicando Emma. «Quindi,
adesso andate dalla parte opposta della sala. Il primo che si avvicina
lo carbonizzo» minacciò.
Senza replicare si allontanarono. Laurence
afferrò Costa e lo trascinò via con
sé, dato che appariva determinato a restare dove si trovava.
«Non dar retta a Costa: si fa prendere
dalla preoccupazione e diventa sgarbato. Purtroppo dobbiamo tenercelo
così com’è». Sofia
cercò di rassicurare Emma; per quanto l’istinto le
suggerisse che un pericolo incombeva su tutti loro, non voleva forzare
i tempi.
«Senti Sofia, dicevo sul serio prima. Di
certo mi sono sbagliata...».
Ma s’interruppe a metà frase;
come Sofia si voltò immediatamente verso Sud. Gli altri
Maestri, ignorando l’avvertimento di poco prima, tornarono di
corsa dalle due ragazze.
«Avete sentito anche voi?»
chiese Laurence, preoccupatissimo.
«Maledizione, sì!»
ringhiò Sofia. «Svegliate tutti,
immediatamente!» gridò, alzandosi e iniziando lei
stessa a scrollare a una a una le persone addormentate.
*
«E così è questo il posto»
disse Giovanni ammirato, guardandosi intorno.
«Sì».
Impaziente, Prudencia li interruppe.
«Sono quasi le cinque. Dobbiamo
sbrigarci».
«Ha ragione. In che direzione dobbiamo
andare?» chiese Giovanni alla loro guida.
«Di là... se ci muoviamo
velocemente, in meno di mezz’ora arriveremo» fu la
risposta.
«Bene. Trattenete completamente le Aure,
e mi raccomando: silenzio assoluto» si raccomandò
l’italiano alle circa quattrocento persone che li seguivano.
«È stata una fortuna aver
richiamato per tempo i Portatori che abbiamo addestrato negli ultimi
anni... altrimenti ora ci saremmo trovati in parità numerica
contro i fuggiaschi» bisbigliò Jackson a Giovanni,
che annuì e fece cenno di muoversi. Come un unico corpo la
folla in nero si mosse, confondendosi con le ombre e seguendo i cinque
che guidavano il gruppo.
*
«Presto, correte!».
Senza quasi toccare il suolo con i piedi Sofia
guidava più velocemente possibile il numeroso gruppo oltre
colline e boschetti, costeggiando i laghi e chiedendosi dove portarli.
André la affiancò.
«Sofi non possiamo uscire dalla Valle,
non sappiamo dove andare...».
«Lo so André, lo
so!» rispose lei furiosa, senza quasi più fiato.
Blaze e Laurence li raggiunsero; il secondo fece
un ampio gesto con la mano e la folla si fermò.
«Non possiamo continuare a correre alla
cieca; rischiamo di finire nella direzione sbagliata» disse
il giovane americano, afferrando Sofia e costringendola a fermarsi. Lei
si prese la testa tra le mani.
«Maledizione, non so cosa fare!
C’è un’unica possibilità che
mi viene in mente...» si lamentò. Gli altri
Maestri li accerchiarono; Laurence prese Sofia per le spalle.
«Non vorrai andargli
incontro!» disse incredulo. Lei si liberò dalla
presa ferrea dell’uomo.
«Non abbiamo scelta. Ci seguiranno
comunque!» ribatté con forza.
«Ha ragione, Laurence. Se sono riusciti
a trovare la Valle e a penetrare le nostre difese, non abbiamo modo di
sfuggirgli. Specialmente ora che non abbiamo un posto dove poterci
nascondere» intervenne Viola.
Sofia prese un respiro profondo e si
coprì il volto con le mani, riflettendo. Un minuto dopo
alzò lo sguardo sulle persone che aveva di fronte.
«Basta con le incertezze. Seguitemi e
tenetevi pronti» ordinò, ricominciando a correre.
*
Giovanni si bloccò all’improvviso e
alzò una mano. Tutti si fermarono.
«Cosa
c’è?» chiese Jackson. L’altro
trattenne a stento un sorriso.
«Siamo arrivati» rispose.
*
Nascosti dietro una cresta sulla sommità di una collina,
Sofia e gli altri Maestri osservavano la compatta massa nera che, nella
distesa sotto di loro, sostava perfettamente immobile.
Emma, Ailie e Fernando si avvicinarono, stando
attenti a non farsi vedere.
«Quanti sono?» chiese la prima.
«Troppi. Finiremo per farci ammazzare
tutti, Sofi» disse Blaze masticando un’imprecazione.
«E cosa vorresti fare,
scappare?». A ribattere non fu la ragazza, ma Fernando.
«Io non ho intenzione di tornare al Centro; preferisco
lasciarmi fare a pezzi».
«Non ci faranno a pezzi»
ribatté Laurence. «Le capacità di tutti
quei Portatori non sono mai state sviluppate come si deve; inoltre,
tutti voi conoscete molti più colpi e molta più
tattica per affrontare uno scontro».
«Senza contare che abbiamo la
possibilità di attaccarli per primi; questo potrebbe
spiazzarli...» iniziò André. Poi
s’interruppe. Guardò Emma, Fernando e Ailie.
«Dov’è Elizabeth?».
«Non lo so, noi non l’abbiamo
vista... pensavamo fosse con te in testa al gruppo!» rispose
Ailie.
Il ragazzo si spostò indietro,
guardingo, e corse tra i Portatori a cercare Elizabeth. Qualche minuto
dopo tornò indietro.
«Non l’ho trovata!
Dov’è finita?» chiese terrorizzato.
«Laggiù» rispose
con voce lontana Sofia, indicando la testa del gruppo dei Portatori del
Centro.
*
In piedi tra Prudencia e Giovanni, Elizabeth si guardava intorno senza
battere ciglio.
«Perché ci siamo
fermati?» chiese a Giovanni. «Dobbiamo camminare
ancora molto, per arrivare ai dormitori».
«Non è necessario andare
avanti» rispose lui.
Elizabeth aggrottò le sopracciglia.
«Ma...»
«Sta’ tranquilla, il nostro
patto è sempre valido. Dovevi condurci all’interno
della Valle e l’hai fatto. Piuttosto, vedi di non fare
scherzi, quando ci troveremo faccia a faccia con i tuoi
amici» si raccomandò l’uomo. La giovane
lo guardò con aria sdegnosa.
«Sai bene cosa ho deciso. Altrimenti non
vi avrei portati fin qui» disse, inviperita.
«Meglio così»
concluse sibillino Giovanni, intimando il silenzio.
*
Pallidissimo, André guardava la distesa sotto di loro. Non
poteva credere a quello che vedeva; eppure Elizabeth era davvero
laggiù, tra i loro nemici.
«Dobbiamo andare a prenderla»
disse con voce fioca.
«Scusa?» dissero Blaze, Costa
e Gloria contemporaneamente.
«L’hanno catturata. Non
possiamo lasciarla lì!» esclamò
André con più decisione.
Tutti tacquero: sapevano cosa andava detto, ma
nessuno aveva il coraggio di farlo. Alla fine fu Sofia a parlare.
«André... mi dispiace, ma non
stanno trattenendo Liz in nessun modo. Lei è calma e
mantiene il suo solito atteggiamento arrogante, il che può
significare solamente che è lì di sua
volontà».
Il ragazzo si voltò, furioso.
«Stai insinuando che sia stata Elizabeth
a portarli qui?» ruggì.
«Credo sia evidente che è
così che sono andate le cose. Mi dispiace»
ripeté Sofia in tono piatto. Neanche lei poteva credere che
Elizabeth li avesse davvero traditi, anche se più volte
aveva sospettato che non fosse completamente soddisfatta di trovarsi
alla Valle, specialmente dopo aver scoperto che era lei a vagare vicino
ai confini.
«Non mi interessa cosa credete. Non ho
intenzione di abbandonarla!» esplose il giovane alzandosi e
correndo, completamente allo scoperto, verso il grande prato dove si
trovavano i loro avversari.
«André, no!»
gridò Sofia, ma inutilmente; il ragazzo continuò
la sua folle corsa. «Maledizione!»
sbottò, prima di lanciarsi all’inseguimento del
suo amico.
*
«Guardate un po’... ecco il primo pazzo che esce
allo scoperto» ridacchiò Giovanni, scorgendo il
giovane biondo che correva verso di loro; un istante più
tardi, gridando, un’intera folla si riversò sul
versante della collina di fronte a loro.
Riconoscendo Sofia – che stava per
raggiungere André nel tentativo di fermarlo – il
cuore di Giovanni saltò alcuni battiti. Istintivamente si
voltò a controllare Prudencia, ma la donna sembrava non aver
degnato di uno sguardo quella che negli ultimi mesi aveva considerato
una sua rivale.
Insieme, i quattro fondatori del Centro espansero
al massimo le loro Aure; la potenza che si sprigionò diede
vita a un’onda d’urto tale che nel raggio di trenta
metri tutti furono scagliati a terra. Rialzatisi prontamente, i
Portatori dei due schieramenti iniziarono a scagliare i primi colpi.
«Elizabeth!» gridò
André, tentando di raggiungere la ragazza che già
cercava di abbattere Ailie; Sofia riuscì ad afferrarlo per
un braccio e lo tirò via.
«André, non puoi fare nulla
per lei! Non vuole essere aiutata, ha fatto la sua scelta!»
strillò, tentando di sovrastare le grida e il rumore degli
Elementi che cozzavano tra loro.
Con uno strattone il giovane si liberò,
ma troppo tardi: i pochi secondi in cui Sofia l’aveva
trattenuto erano stati sufficienti ad Elizabeth per sparire nel clamore
della battaglia che andava divampando.
Dopo aver rivolto un’occhiata velenosa
alla sua amica, André corse via; parò il colpo di
un Portatore della Terra e sparì tra i combattenti,
rischiando di finire addosso a Fernando.
«Emma vattene!» stava gridando
il giovane spagnolo.
«Non ci penso neanche!»
urlò lei in risposta. Fernando deviò un dardo
ghiacciato evocando un muro d’Aria con un gesto del braccio e
riprese a gridare.
«Ti ammazzeranno! Non sei una
Portatrice, non puoi difenderti in nessun modo... va’ a
nasconderti!».
«No!» insisté lei,
testarda; lo afferrò e lo trascinò a terra, e una
sfera di metallo incandescente passò sibilando sopra le loro
teste. Se Emma non avesse gettato Fernando al suolo, il colpo gli
avrebbe staccato la testa.
«E va bene... ma non ti allontanare da
me neanche di un millimetro!» si arrese il giovane, tirandola
su, abbracciandola e circondando entrambi con uno scudo invisibile per
difendersi da una pioggia di Fuoco che stava per investirli.
Blaze passò accanto a Sofia, inseguendo
André, quando qualcosa lo distrasse; Ailie non era
più alle prese con Elizabeth, ma con Jackson.
L’uomo, molto più esperto, stava tentando di
fiaccare la resistenza della giovane scozzese, che saltellava evitando
i colpi e tentando di immobilizzare le mani del suo avversario. Con un
rapido gesto, Blaze s’inserì nello scontro e
lanciò delle spesse funi di metallo lucente verso Jackson,
che non riuscì a evitarle tutte: una fune gli
bloccò il braccio destro, assicurandolo al suolo, mentre una
spessa campana di pietra gli avvolgeva completamente la mano.
«Va’ a cercare
André!» ordinò Blaze a Ailie, che corse
via; un attimo più tardi Jackson si liberò e
ingaggiò una lotta feroce con il suo ex allievo.
La giovane si mosse più velocemente che
poteva; schivò colpi e chiamò a gran voce
André fino a quando la folla, per un attimo, si
aprì di fronte a lei e le permise di scorgere il ragazzo che
girava su se stesso, incurante degli Elementi che gli schizzavano
intorno, cercando Elizabeth. Mentre lo osservava, sentì
un’Aura ostile espandersi verso di lei e si voltò
appena in tempo per evocare un muro di solida pietra e smorzare lo
spesso getto d’Acqua bollente che Prudencia le aveva
scagliato contro. Con un leggero gesto delle mani, Ailie
aprì una voragine sotto i piedi della sua avversaria, che vi
cadde dentro come un masso per poi riemergere un istante più
tardi sopra un’onda d’Acqua.
«Sofia!» gridò
Ailie, scorgendo la ragazza che avanzava tra i combattenti; lei si
voltò e le corse incontro proprio mentre André
scorgeva finalmente Elizabeth, che era sbucata alla sua sinistra, a
qualche metro di distanza.
«Elizabeth!» gridò,
correndole incontro.
Prudencia rivolse un sorriso malvagio a Sofia
prima di voltarsi verso il ragazzo che correva da Elizabeth; poi
evocò un sottilissimo disco di ghiaccio e lo
scagliò con violenza contro di lui.
«André attento!»
urlarono Ailie e Sofia a una voce. Lui si voltò appena in
tempo per vedere la lama arrivargli contro, e alzò un
braccio per difendersi; inutilmente.
La lastra di ghiaccio lo colpì in
pieno: un oggetto scuro roteò contro il cielo arancio
dell’aurora e André cadde a terra con un tonfo,
senza emettere un suono.
Il cuore di Sofia si fermò per un
istante; piena di odio, si voltò verso Prudencia.
Più veloce del pensiero mosse la mano
destra dal basso verso l’alto, evocando una lancia argentea,
solida nonostante il materiale che la formava si muovesse fluido e
libero entro i confini dell’oggetto che attirò gli
sguardi di tutti; con un gesto deciso l’afferrò e
la scagliò con cattiveria contro la donna che aveva di
fronte.
«SOFIA, NO!» gridò
una voce. Troppo tardi: il colpo di Sofia era già partito.
La lunga asta infilzò Prudencia da
parte a parte e la violenza del colpo la sollevò da terra,
trascinandola per alcuni metri. La donna finì inchiodata a
un albero, con la sottile lancia d’Energia Pura conficcata
nello stomaco, contorcendosi.
Prudencia morì, e davanti agli occhi di
Sofia tutto divenne oscuro; legati dagli Elementi, il destino della
vittima si ripercuoteva sul carnefice, e la giovane Portatrice del
Fuoco era condannata a provare la sensazione della Morte che aveva
inflitto a un altro essere vivente.
Mentre lei si accasciava al suolo, Giovanni
gridò.
«È
una Testimone!».
In preda alla rabbia Jackson scagliò
una pioggia di pietre contro la ragazza quando una doppia spirale
d’Acqua e ghiaccio esplose, respingendo le rocce verso
l’aggressore.
A fatica, Sofia riacquistò la vista e
fissò il suo salvatore.
«Gregory ma cosa...»
iniziò, quando un grido la interruppe.
«Sofia!».
La disperazione nella voce di Blaze la costrinse a
voltarsi. A fatica si rialzò e corse dal giovane piegata in
avanti e schivando i colpi di una battaglia che, dopo la morte di
Prudencia, era ripresa con maggior ferocia.
Percorsi i dieci metri che li separavano, la
ragazza cadde in ginocchio accanto al corpo di André: per
quanto improbabile, il ragazzo respirava ancora.
«È vivo» disse con
voce strozzata, poggiando le mani a terra per non cadere.
«Ancora per poco»
ribatté Blaze con voce tremante. «Sofi
fa’ qualcosa, guariscilo, sta morendo!».
Lei rialzò le mani e se le
ritrovò coperte di sangue. Guardò in basso, e le
si rivoltò lo stomaco: dal braccio di André il
sangue sgorgava a fiotti, inzuppando l’erba. La mano destra
del ragazzo era sparita: il colpo di Prudencia gliel’aveva
tranciata di netto.
«Oddio» balbettò
inorridita. «La
sua mano!».
«SOFI!» gridò di
nuovo Blaze, disperato.
«Sofi» disse
un’altra voce, tanto flebile da essere quasi impercettibile.
«André!»
esclamarono in coro Sofia e Blaze. «Non ti preoccupare,
adesso ti guarirò... ti riportiamo a casa, starai
bene...» singhiozzò la ragazza, accarezzandogli il
volto e i capelli.
«Sofi... Sofi ti prego, salva Elizabeth,
non lasciare che la portino via...» mormorò
André, afferrandola per la t-shirt e tirandola verso di
sé prima di perdere di nuovo i sensi. Sofia fissò
il volto esangue del suo amico: sembrava che non avesse più
molto sangue dentro di sé.
«No amico mio, non ti lascio
morire» disse, afferrando il moncherino e mandando un velo di
Energia Pura a immergersi nella carne, per riformare un po’
di sangue e bloccare l’emorragia. «Prima devo farti
capire che razza di stronza traditrice è la tua
ragazza!» borbottò furiosa. In un gesto di stizza,
scagliò lontano un getto d’Energia. Poi rivolse un
richiamo al cielo.
«Nabeela!».
La Fenice comparve in un lampo di Fuoco ad alcuni
metri di distanza; planò sull’erba e
arrivò da loro stringendo una sfera scintillante tra gli
artigli.
«Ailie, stringi forte la mano di André e
afferra la coda di Nabeela. Vi riporterà ai
dormitori» ordinò Sofia alla ragazza, che si era
appena avvicinata. «Proteggilo. Espandi l’Aura; se
senti arrivare qualcuno del Centro, chiama Nabeela e sposta
André in un posto, qualunque altro posto, il più
lontano possibile da qui».
Senza dire una parola, Ailie annuì e
fece ciò che le aveva detto Sofia. Un istante dopo lei e
André erano spariti.
Blaze e Sofia si guardarono negli occhi prima di
alzare lo sguardo su Gregory, che li aveva protetti dagli attacchi
mentre si occupavano di André. Il giovane americano corse ad
aiutare Laurence, che era alle prese con Tsukiko. Sofia si
affiancò a Gregory.
«Perché sei
tornato?» gli chiese.
«Perché avevo promesso che se
ci fosse stata una guerra, i Testimoni si sarebbero schierati con
voi» rispose con un sorriso che la ragazza
ricambiò, mentre Giovanni si univa a Jackson e iniziava ad
attaccarli a sua volta.
Poco distante, Fernando era alle prese con un
potente Figlio della Terra, Callum. Spietato come il suo insegnante
nonostante l’aspetto anonimo, l’uomo aveva
immediatamente scoperto il punto debole del suo giovane avversario:
Emma. Iniziò a dirigere i suoi attacchi verso di lei, ben
sapendo che questo avrebbe costretto Fernando a scoprirsi nel tentativo
di proteggerla. Dopo alcuni minuti di lotta serrata, infatti, il
ragazzo abbassò la guardia un istante troppo a lungo e
Callum ne approfittò per colpirlo: uno sciame di lunghi,
incandescenti aghi metallici trapassò il braccio dello
spagnolo da parte a parte. Fernando cadde a terra urlando ed Emma si
ritrovò, completamente indifesa, faccia a faccia con il loro
aggressore.
L’orrore di quello che aveva visto
nell’ultima ora le scorreva davanti agli occhi: la ferocia
con cui li attaccavano, la determinazione che mettevano nel tentativo
di ucciderli, Olivia a terra, uccisa da una bolla d’Acqua che
l’aveva soffocata, il tradimento di Elizabeth, il sangue di
André che bagnava l’erba e gli altri che vedeva
ogni giorno e che giacevano a terra, morti o feriti...
Vedere Fernando steso al suolo, ferito,
rappresentò per la ragazzina la goccia che fa traboccare il
vaso. La timidezza e l’insicurezza sparirono, accantonate
dalla rabbia e dal disgusto; la sua furia si scatenò.
Con la velocità del lampo, attorno a
Emma si formò una bolla argentea che si allargò
ed esplose: l’Energia investì i combattenti e li
scagliò lontano.
Rialzandosi Giovanni puntò lo sguardo,
incredulo, sulla ragazzina che mesi prima aveva ritenuto priva di ogni
potere, sulla ragazzina che aveva deciso di far sparire
perché riportarla alla sua famiglia avrebbe significato far
crollare la rete di segreti che permetteva al Centro di esistere. I
suoi occhi si dilatarono: eccolo lì, il Portatore
d’Energia che aveva tanto cercato e non aveva riconosciuto.
In un lampo di comprensione, ricordò il tocco incandescente
di Sofia sulla spalla di Emma, il giorno della fuga, e capì
perché proprio quel
giorno tutto fosse iniziato. Sofia l’aveva capito prima di
lui: finalmente erano arrivati al termine della loro lunga ricerca.
Aveva bloccato l’Energia che era in Emma per nascondere il
suo potere e portarla via.
Mentre Giovanni si perdeva in frenetici
ragionamenti, proprio Sofia correva verso Emma.
«Emma
fermati!» gridò; evocò a
sua volta dell’Energia e bloccò il flusso argenteo
che si propagava dal corpo della ragazzina. La prese per le spalle.
«Emma, devi controllare
l’Energia, o ti consumerà!».
Fuori di sé, l’altra la
guardò con gli occhi annebbiati. Sofia la scosse e la
pungolò con leggere fitte d’Energia, tentando di
reprimere quell’eccesso di potere. Capì di essere
riuscita nel suo intento quando la vide scuotere la testa con forza e
sollevare su di lei uno sguardo molto più lucido.
Accanto a loro passarono Claudio e Cornelia: il
primo aveva scorto Giovanni e il desiderio di vendicare quello che
aveva subito la sua figlioccia lo spingeva a correre più
veloce di quanto non avesse mai fatto.
Sofia l’afferrò per un
braccio.
«Claudio...»
«Lasciami, Sofia. Voglio uccidere quel
bastardo!» esclamò, fissando Giovanni e tentando
di liberarsi dalla presa della ragazza.
«Claudio, devi proteggere Emma. Giovanni
farà di tutto per catturarla e riportarla al
Centro» ansimò Sofia, non riuscendo a trattenere
l’uomo. Espanse la propria Aura e impiegò una
parte d’Energia per tenerlo fermo, puntando i piedi a terra,
mentre con una campana argentea si riparava da tre diversi attacchi.
«Proteggila tu. Io devo occuparmi di
lui» disse, continuando a tenere sull’uomo bruno
uno sguardo carico d’odio. Sofia lo strattonò e lo
costrinse a guardarla negli occhi.
«Se prendete Emma, Giovanni vi
seguirà. Vi attaccherà, per poterla prendere, e
avrai l’occasione di fare di lui quello che preferisci.
Adesso però aiutami a proteggerla! Aiutami a far
sì che Giovanni non le faccia quello che ha fatto a
me!» concluse implorante.
La sua preghiera sortì gli effetti
desiderati; Claudio e Cornelia afferrarono la ragazzina e la
trascinarono via. Sofia la trattenne ancora un istante.
«Emma, non farti dominare
dall’Energia!» si raccomandò mentre
parava un colpo di Giovanni, che si avvicinava sempre di più
a loro.
L’altra puntò i piedi a
terra; svanito lo stordimento provocato dall’Energia si era
ricordata di Fernando. Non voleva lasciarlo lì, ma fu
proprio il ragazzo a risolvere il suo dubbio, arrivando faticosamente
al suo fianco e aiutando Claudio e Cornelia a condurla nel fitto di un
bosco.
Sofia si voltò e, come mesi prima,
finì a terra, colpita dall’italiano.
Si rialzò prontamente mentre Jackson,
schivato un attacco di Gregory, si affiancava a Giovanni.
«È una Testimone! Non
attaccarla, non hai possibilità!»
esclamò, tentando di trascinarlo indietro. L’altro
si liberò con un ghigno.
«Ne sei proprio sicuro?»
chiese, evocando una frusta argentea e facendola schioccare.
Gli occhi dei combattenti si dilatarono; i colpi
cessarono e alcuni fecero per fuggire. Gregory raggiunse Sofia, che si
era rialzata a fatica, e guardò attonito l’Energia
evocata da Giovanni.
«Maledizione... è un
Testimone anche lui!» ringhiò. Non poteva
più nascondersi; evocò due sciabole
d’Energia e si preparò ad attaccare.
L’improvvisa rivelazione di Gregory
spiazzò Giovanni; da quando aveva capito che Sofia era una
Testimone, non aveva mai preso in considerazione la
possibilità che potessero essercene altri.
Laurence e gli altri guardavano i tre Testimoni
senza quasi osare respirare; persino Claudio, Cornelia, Emma e Fernando
si erano fermati, ben nascosti, per osservarli, raggiunti poco dopo da
una contrariata Ailie. André, che aveva ripreso i sensi,
aveva percepito le tre Aure e aveva deciso di voler assistere,
insistendo tanto da convincere la giovane scozzese, che non voleva per
nessun motivo lasciarlo solo viste le condizioni in cui si trovava.
Dopo essersi valutati per un lunghissimo minuto, i
tre scattarono contemporaneamente; Gregory scagliò le due
sciabole contro Giovanni, che le evitò mentre con un colpo
di frusta faceva esplodere le tre sfere argentee che Sofia gli aveva
scagliato contro.
Quel primo attacco fu il segnale
d’inizio: tra Giovanni e Gregory e Sofia iniziarono a volare
fittissimi i colpi. L’Energia, manipolata in tutte le forme
possibili, andava dall’italiano alla coppia che lo
contrastava; sfere, dardi e lame dal bordo seghettato venivano
scagliati da una parte all’altra, a volte andando a segno.
Corde lucenti li immobilizzavano per qualche istante, prima di essere
distrutte, e guaine scintillanti come la luce della luna
s’immergevano nelle ferite, richiudendole. Le centinaia di
persone che li circondavano si allontanavano sempre di più,
affascinati e terrorizzati dalla brutalità dello scontro,
quando due persone si mossero nella direzione opposta.
Proprio mentre Giovanni stava per essere
sopraffatto, Jackson e Tsukiko si scagliarono contro Gregory,
distraendolo. Attaccato dai due – che pur non essendo
Testimoni, erano molto potenti – Gregory fu costretto a
concentrarsi su di loro, lasciando sola Sofia a fronteggiare Giovanni.
L’essere rimasti uno contro uno
sembrò infiammare ancora di più il loro potere e
la battaglia: scagliandosi uno contro l’altro come due
pantere, aumentarono la violenza e la precisione dei colpi.
Sottilissimi getti d’Energia volarono da entrambe le parti,
intrappolando braccia e gambe, costringendo i due combattenti ad
avvicinarsi fino ad essere praticamente a contatto. Entrambi tenendo
ben salde le funi che legavano l’altro, si guardarono negli
occhi dopo mesi mentre il sole, ormai sorto, gettava una luce dorata
tutt’intorno.
«Sofia» sospirò
l’uomo, abbassando la testa sulla massa di capelli arruffati
della ragazza e respirandone il profumo. Lei si scostò, per
quanto possibile.
«Che cosa vuoi ancora?»
domandò con aria di sfida. Dopo tutta la morte e la
sofferenza che erano state seminate in meno di due ore le
sembrò strano essere lì, nel bel mezzo di uno
scontro, e riuscire a parlare così tranquillamente.
«Solo che torniate indietro»
rispose Giovanni, sentendo il Fuoco e l’Energia scorrergli
bollenti nelle vene insieme al sangue e riassaporando la forza che si
risvegliava in lui quando Sofia gli era vicino.
«Scordatelo» fu la secca
risposta. Sapeva troppo bene cosa stava tramando l’uomo. Un
istante dopo, fu lui stesso a confermare i suoi sospetti.
«Andiamo, Sofi»
bisbigliò con voce suadente. «Guardaci. Due
Testimoni del Fuoco... e abbiamo trovato una Portatrice
d’Energia. Potremmo fare qualunque cosa insieme»
«No, grazie. E ora ascoltami bene: non
metterai le mani su Emma. Te lo impedirò, fosse
l’ultima cosa che farò in vita mia»
disse gelida, strattonando le funi che la tenevano saldamente legata,
tentando di liberarsi. Il suo avversario invece sembrava non avere
nessuna fretta di disfarsi degli scomodi legacci che lo tenevano
stretto altrettanto saldamente.
«Sofi, Sofi... potresti avere tutto.
Potresti avere di nuovo me... non mi farò mai più
distrarre da stupide ossessioni. Riprenderemo ad addestrare i giovani
Portatori di Elementi, e tra noi tutto tornerà come prima
che fondassi il Centro... e anche meglio» la tentò.
Nonostante sentisse la mancanza di Giovanni
– se ne rendeva conto in quel momento più che mai,
con il suo potere che s’intensificava a quella vicinanza
– sapeva che tornare sui propri passi sarebbe stato
sbagliato. La voce della ragione gridava nella sua testa, ma qualcosa
di diverso si stava facendo strada in Sofia, ottenebrando la
razionalità.
Per un attimo guardò Giovanni con gli
occhi offuscati dal desiderio di tornare indietro con lui.
L’uomo colse la sua indecisione e si apprestò a
darle l’ultima spintarella verso la scelta che desiderava
facesse. Tirò ancora di più le corde che la
legavano e la strinse a sé.
«Sofia, lo vedi... è quello
che vuoi anche tu» bisbigliò avvicinandosi al suo
volto.
Completamente stordita, la ragazza non si mosse.
Sapere che quello che stava accadendo era sbagliato non riusciva ad
accantonare la consapevolezza che nel suo essere, tutto era stato
modellato dalla Natura e dal destino per portarla a quel momento. Per
portarla da lui.
Mentre ragione e istinto si scontravano
furiosamente dentro Sofia, Giovanni si avvicinò ancora di
più e le sfiorò le labbra con le proprie.
A quel contatto – tanto leggero da
essere quasi impercettibile – il potere di entrambi esplose
con la forza di una bomba, distruggendo le funi argentee che li
tenevano avvinti e scagliandoli a parecchi metri di distanza in
direzioni opposte.
I due si rialzarono immediatamente e si fissarono
negli occhi: entrambi erano incerti su cosa fare. Nonostante tutti i
viaggi intrapresi, nonostante tutte le loro conoscenze, nessuno dei due
riusciva a comprendere cosa fosse accaduto, o perché, o se
sarebbe potuto accadere di nuovo. Ma soprattutto, a quali conseguenze
avrebbe potuto portare.
Senza fiato, Giovanni capì cosa doveva
fare. Aveva bisogno di tempo e non c’era che un modo per
procurarsene. Prese un respiro profondo e si rivolse ai Portatori che
si erano schierati al suo fianco.
«Ci ritiriamo» disse con voce
sonora.
Jackson gli fu subito addosso.
«Stai
scherzando?» chiese rabbioso.
L’italiano
l’agguantò per il colletto della maglia con un
gesto fulmineo e portò il naso a pochi centimetri dal suo
volto.
«Qui c’è in ballo
molto più di alcune decine di Portatori»
ringhiò.
La sua espressione convinse Jackson a non
insistere. Si allontanò, iniziando a radunare coloro che li
avevano seguiti alla Valle. Giovanni si rivolse a Sofia.
«C’è qualche
possibilità che io possa vederti ancora?» le
domandò.
«Forse» rispose lei.
«Tregua?».
Lui si avvicinò.
«Tregua» concordò, afferrando la piccola
mano sottile che lei gli porgeva e stringendola tra le proprie.
«A presto, Sofia» la salutò.
La ragazza rispose solo con un cenno del capo,
mentre osservava le centinaia di Portatori nemici portare via i loro
morti e feriti.
Stupiti dalla repentina fine dello scontro, Blaze
e Laurence le si avvicinarono, trascinando André che
riusciva a stento a non perdere i sensi.
«E ora cosa faremo?» le chiese
a fatica, osservando Elizabeth che si allontanava con i Maestri del
Centro senza degnarli di uno sguardo.
«Ci costruiamo un futuro»
rispose Sofia, osservando i corpi distesi a terra e la devastazione
prodotta dalla battaglia.
I quattro amici si strinsero, come ogni giorno,
pronti a ricominciare. |
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