I Testimoni del Fuoco

di Piperilla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: una vecchia storia ***
Capitolo 2: *** Il Centro ***
Capitolo 3: *** Corsa verso la libertà ***
Capitolo 4: *** La Valle degli Elementi ***
Capitolo 5: *** Una caccia infruttuosa e una ricerca riuscita ***
Capitolo 6: *** Un racconto interessante ***
Capitolo 7: *** Segreti e bugie ***
Capitolo 8: *** Il Solstizio d'Estate ***
Capitolo 9: *** Ricordi ***
Capitolo 10: *** Incontri e depistaggi ***
Capitolo 11: *** Perduta e ritrovata ***
Capitolo 12: *** Un fragile equilibrio ***
Capitolo 13: *** Scelte difficili ***
Capitolo 14: *** Sangue e lacrime ***



Capitolo 1
*** Prologo: una vecchia storia ***


La notte era calata da tempo e tutto era sprofondato nell’oscurità: le strade erano silenziose, fatta eccezione per le scarpe dei rari passanti che scricchiolavano sul selciato e il rumore delle poche automobili che di tanto in tanto passavano, scomparendo rapide come erano arrivate. Le finestre degli edifici erano perlopiù buie, ma ogni tanto un rettangolo luminoso spiccava sulle facciate, a segnalare che qualcuno era ancora sveglio, che la giornata di alcune persone ancora non si era conclusa.
   All’interno di un palazzo antico, corridoi e stanze erano buie e silenti da un pezzo. Solo in una sembrava ci fosse ancora vita. Una stanza al primo piano era semibuia: la poca luce dei lampioni che filtrava dalle finestre si univa a quella soffusa della lampada da tavolo, l’unica luce che l’uomo seduto alla scrivania si fosse concesso di accendere.
   Una voce si levò dalle ombre più lontane della stanza.
   «C’è qualche problema con il progetto?».
   L’uomo seduto alla scrivania, mollemente abbandonato nella poltrona, giocherellò con la penna che stringeva tra le dita. «Potrebbero esserci tra non molto» annunciò dopo un breve silenzio meditabondo. «Il mio socio sta facendo delle difficoltà nell’adempiere a una condizione del patto che abbiamo stretto dieci anni fa».
   L’altro uomo emerse dall’oscurità e fissò con sguardo imperturbabile il proprio superiore. «Vuole che me ne occupi?» chiese, e nonostante la sua voce fosse priva di qualsiasi inflessione, era chiaro che i suoi intenti non fossero pacifici.
   Il capo alzò gli occhi sul sottoposto, anche se solo per un breve istante. «Sembri stranamente propenso a occuparti della faccenda. Direi quasi che per te abbia un risvolto personale…»
   «Cerco solo di rendermi utile». Con questa breve frase pronunciata in tono di sfida, in totale contrasto con l’ossequioso cenno del capo con cui l’aveva accompagnata, il dipendente fece per tornare nell’ombra.
   «Un momento». L’uomo alla scrivania si raddrizzò di scatto e sollevò la mano in un gesto rapido e imperioso, bloccando i movimenti dell’altro. «Anche se non in modo drastico, presto potrebbe rivelarsi opportuno rammentare al mio socio chi ha il potere».
   L’altro non batté ciglio. «Vuole darmi delle istruzioni?»
   Il suo superiore scosse la testa. «No. Voglio raccontarti la storia di questo accordo e di cosa ne è scaturito in un intero decennio».
   Per qualche istante il silenzio regnò sovrano. «Perché?» si decise a chiedere il sottoposto.
   Il primo uomo si lasciò andare contro lo schienale della morbida poltrona che occupava. «Perché non potrei affidare questo incarico a nessuno che non conosca alla perfezione la situazione e le persone che dovrebbe affrontare. E perché questo gioco sta diventando pericoloso, per me: ci sono altri nemici che potrebbero approfittarne per screditarmi». Fece un gesto vago verso una delle due poltroncine dall’altro lato della scrivania. «Siedi, siedi. È una storia lunga, tanto vale stare comodi» disse, sistemandosi la raffinata cravatta di seta in un gesto meccanico.
   Il secondo uomo attraversò la stanza con poche falcate grazie alle lunghe gambe e sedé in una poltrona. «La ascolto, signore».
   Il primo uomo prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, rievocando i ricordi.
   «Tredici anni fa, quando già ricoprivo un ruolo di prestigio ed ero occupato a rafforzare la mia posizione, ricevetti una chiamata da un vecchio amico di cui non avevo notizie da tempo. Ha sempre avuto l’indole del vagabondo, dunque non mi stupì sapere che si trovava fuori dall’Italia. Ciò che mi lasciò senza parole fu la sua singolare richiesta: mi chiedeva con un’urgenza del tutto incredibile di assicurargli un ben preciso posto di lavoro. Ovviamente lo accontentai: a me non costava nulla, e sapevo che fornirgli la mia assistenza l’avrebbe messo in condizione di dovermi spiegare, prima o poi, il perché di tale richiesta.
   «Non dovetti aspettare a lungo: circa un anno e mezzo più tardi il vecchio amico bussò alla mia porta, alla disperata ricerca di aiuto. Mi raccontò la sua storia: del lavoro che mi aveva pregato di fargli ottenere, i legami che aveva stretto, le azioni attentamente calcolate così come le parole e le allusioni, ogni gesto, anche apparentemente insignificante, dipanati nell’arco di un intero anno. Quello che si dipinse di fronte ai miei occhi fu uno sforzo titanico finalizzato a un atto folle: tutto il suo impegno, tutte le sue macchinazioni erano culminate nel rapimento di una bambina. “Una bambina speciale, tanto speciale che non se ne vedrà mai l’eguale” furono le sue parole testuali. Non lo comprendevo: stava rischiando tutto – e mi stava coinvolgendo in una faccenda tanto delicata – per cosa? Qualche disgustosa perversione? Eppure i suoi occhi, per quanto frenetici e disperati, erano quelli di sempre: l’impulsività, la propensione alla rabbia e la ferocia con cui erano sempre culminati gli episodi in cui aveva perso il controllo rivelavano il carattere per certi versi crudele ed egoista che conoscevo bene, ma non c’era traccia del mostro perverso di cui per un attimo avevo sospettato l’esistenza.
   «Tuttavia non volli correre rischi. Se davvero voleva il mio aiuto, dovevo accertarmi di quale fosse la situazione prima di espormi: e non potevo farmene un’idea se non vedendo la bambina stessa. Il mio caro amico esitò molto, ma fui irremovibile: era l’occasione non solo per tutelarmi, ma anche per soddisfare la curiosità nata tanti mesi prima. Sotto la spinta del bisogno, il mio amico cedette. Mi permise di osservarla, di nascosto, da lontano: e anche se in quell’occasione non potei scorgere molto più di un paio d’occhi d’ambra, capii cosa intendesse. C’era qualcosa in lei che bruciava con un’intensità tale che mi fu impossibile non notarlo, così come non potei ignorare il fatto che assieme a lei bruciava anche il mio amico, quell’incauto che si era fatto trascinare al punto da sottrare una bambina alla propria famiglia. L’occasione mi permetteva di osservarlo meglio di quanto potessi fare con la bambina, e vidi una quantità di sentimenti bizzarramente assortiti: nei suoi occhi c’era un ardore implacabile che mal si accompagnava alla premura e alla sollecitudine con cui seguiva ogni mossa di quella ragazzina
   «Ma ormai era fatta. Gli fornii la mia assistenza una seconda volta, aiutandoli a sparire, e li lasciai a loro stessi, nonostante una curiosità tutta nuova mi rodesse come un tarlo fastidioso. Che quella bambina fosse speciale ormai era evidente anche a me; ma nonostante questo, continuavo a non comprendere cosa il mio amico vedesse in lei di tanto unico da giustificare le azioni che aveva compiuto pur di tenerla con sé. Ci ho pensato molto, in tutti questi anni, e mi sono chiesto spesso se quella bambina non fosse unica per lui, se tutto quello che aveva di speciale e che anch’io ho percepito non fosse tanto straordinario agli occhi del mio amico perché era l’unico ad avere gli occhi adatti a vedere tutto ciò che quella ragazzina celava in sé. Purtroppo non ho mai avuto modo di ottenere una risposta chiara e inconfutabile a queste domande.
   «Per alcuni anni non ebbi notizie di quello che oggi è il mio socio: sapevo che viveva qui, ma pur risiedendo nella stessa città non ci incrociammo mai. Intanto la mia ascesa proseguiva senza ostacoli, tu lo sai, eri già ai miei ordini: gli incarichi prestigiosi si succedevano in un vortice che mi spingeva sempre più in alto, e presto fu chiaro che nessuno mi avrebbe fermato. Ero – e sarei stato – il detentore di una quantità esorbitante di potere: era lo scopo che mi ero prefissato fin dalla gioventù, e al posto mio chiunque altro si sarebbe sentito soddisfatto e si sarebbe adagiato sugli allori del vincitore. Io, però, sapevo di non potermi accontentare: il potere è effimero, la sua conquista dura, e le possibilità di perdere ogni cosa, sempre dietro l’angolo, pronto a colpire lo stolto che non sappia conservare ciò che ha faticosamente guadagnato. Ero consapevole di dover investire il potere e le risorse che ormai avevo a mia completa disposizione affinché alimentassero loro stesse e incrementassero ciò che già avevo – prestigio, autorevolezza, potere, denaro. Le quattro cose che ti consentono di tenere in pugno un Paese».
   L’uomo tacque, perso nei ricordi. Il suo sottoposto si arrischiò a spezzare il silenzio.
   «Fu allora che le venne l’idea?».
   Il primo uomo si riscosse.
   «No, affatto. Ammetto, anzi, di aver brancolato nel buio in quell’ora gloriosa, di essermi sentito perduto proprio nel momento di maggiore splendore. Abituato com’ero a prevedere ogni cosa, e sapendo che il potere che detenevo avrebbe presto fatto gola a molti, potevo facilmente prevedere l’arrivo di un antagonista, un giorno non troppo lontano. Ma era una minaccia indefinita, ancora non concretizzata, e non sapere contro chi o cosa avrei dovuto combattere mi impediva di prendere delle contromisure efficaci, in grado di farmi sentire al sicuro.
   «Fu proprio in quel periodo che il mio vecchio amico uscì di nuovo allo scoperto. Venne a sottopormi un’idea nata dalla vicinanza con quella ragazzina, un’idea su cui nessuno si era mai soffermato a pensare: quanti altri bambini, ragazzi e adulti c’erano, in giro per il mondo, in grado di governare un Elemento senza saperlo?
   «Fui affascinato e conquistato da quell’idea. C’era un potenziale illimitato in essa: si parlava di centinaia, migliaia…magari milioni di persone! Abbastanza da costruire un esercito. Abbastanza da formare una guardia privata più folta, da spedire contro nemici e detrattori. Abbastanza da permettermi di conservare il mio potere e magari guadagnarne ancora di più.
   «Non gli fu difficile convincermi della necessità di arrivare a queste persone e istruirle sul loro potere di Portatori degli Elementi, né su quanto fosse indispensabile avere un luogo nascosto e inaccessibile in cui ospitarle. La segretezza era il fulcro di tutta la faccenda: se le nostre capacità fossero di dominio pubblico non avremmo più una vita tranquilla, saremmo osservati, studiati, perseguitati.
   «Mi dichiarai d’accordo. Lo avrei aiutato a far sparire le tracce dei nuovi Portatori in modo che nessuno li cercasse, mentre lui si sarebbe occupato di individuare i potenziali Portatori, prelevarli e addestrarli. Era un accordo perfetto: i Portatori più talentuosi, una volta terminato l’addestramento, avrebbero lavorato per me, e tutti gli altri sarebbero rimasti al suo servizio. Dire che ero soddisfatto della situazione significherebbe minimizzare quello che provavo».
   «Continuo a non capire quale sia il problema» intervenne l’altro uomo. «I Portatori arrivano e sono degli ottimi elementi, intelligenti, capaci, bene addestrati. Cos’è che non la soddisfa?».
   «Il nostro accordo prevedeva un altro punto» rispose il primo. «Dai discorsi del mio caro amico, capii che il suo attaccamento a quella ragazzina era, se possibile, aumentato durante quegli anni in cui non avevamo avuto contatti. Parlava con entusiasmo delle sue capacità di Portatrice, dell’intensità e della forza del suo Elemento; e com’era prevedibile, fui di nuovo incuriosito da lei. Stavolta fu più facile convincere il mio amico a lasciarmi osservare la ragazza, e quello che vidi mi lasciò senza parole: l’unicità che il mio nuovo socio aveva tanto decantato e su cui avevo nutrito numerosi dubbi cominciava a palesarsi anche ai miei occhi. Quell’adolescente, che a prima vista non aveva nulla di speciale, era una Portatrice di grande potenza. Decisi che la volevo.
   «Il mio amico non la prese bene. Non voleva separarsi da lei, ma fui irremovibile: un giorno quella ragazza avrebbe preso servizio nella mia scorta, altrimenti non avrei finanziato il suo progetto.
   «Ebbi la meglio. Dopo parecchie ore di contrattazione, il mio amico acconsentì: io tornai ai miei affari e lui partì per una località che non mi ha mai svelato, per prepararsi a questa nuova sfida. Ci volle qualche anno per vedere i primi frutti del suo lavoro, ma non fui deluso: come hai notato anche tu, i Portatori che si sono uniti a noi sono di chiaro talento.
   «Eppure qualcosa continuava a rodermi il fegato. Gli anni passavano, ma di quella ragazza non c’era traccia: parlai più volte con il mio caro amico, ma non ci fu verso di sapere quello che volevo. Lui ripeteva – e ripete tuttora – che il suo addestramento non è completo, che in lei ci sono ancora riserve di potere a cui attingere, che non è pronta. E se all’inizio potevo prendere per buone le sue affermazioni, di sicuro ora non lo faccio più. Quella ragazza è pronta: più che pronta, ma lui non vuole rispettare il nostro accordo».
   «Per quale motivo non prende provvedimenti?» gli chiese il suo sottoposto.
   «Perché per ora la ragazza non mi serve» rispose calmo l’altro. Non notò come la postura dell’uomo che aveva di fronte si fosse rilassata impercettibilmente. «Ma arriverà il giorno in cui mi sarà indispensabile, e quel giorno sarà difficile ottenerla: temo che il mio attuale alleato diventerà il mio primo nemico».
   «Crede davvero che le volterà le spalle soltanto per una donna?»
   «Lo credo. Negli ultimi anni ha ricominciato i suoi viaggi apparentemente senza mèta: sta cercando qualcosa. Con ogni probabilità, qualcosa che lo renda più potente; e se riuscisse ad avere più potere di me, allora perderò ogni possibilità di avere quella ragazza come era stato pattuito».
   Il sottoposto fissò sul suo datore di lavoro due occhi nocciola in cui si scorgeva solo un barlume di preoccupazione.
   «Perché quella ragazza è così importante?» chiese.
   L’altro sorrise senza allegria. «Perché è al tempo stesso lo strumento della mia salvezza e la chiave per la mia rovina».

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Capitolo 2
*** Il Centro ***


I passi risuonavano ovattati lungo il corridoio buio.
   Avanzando, la ragazza controllava di sfuggita le porte che si aprivano a intervalli regolari nelle pareti che la circondavano, analizzando le ombre e ascoltando. C’era qualcuno che gridava, molto più avanti.
   All’improvviso, un’ombra più scura delle altre si staccò dal muro e si accodò alla ragazza, che disse senza voltarsi: «Dovresti coprire quei capelli. Di notte sono come un faro nel buio, te l’ho già detto mille volte».
   Il giovane sorrise «Lo so. Come mai fuori a quest’ora, Sofia?»
   «Giovanni mi ha fatta chiamare».
   André aggrottò la fronte. «Così tardi?»
   «Ce n’è ancora uno» rispose Sofia, continuando a camminare.
   «Davvero?». Il giovane era stupito. Da quando si trovava lì – ed erano ormai nove anni – non ricordava che Giovanni avesse mai dedicato così tanto tempo a un ragazzo. Una cosa strana, senza dubbio.
   «Così pare». Sofia tagliò corto. «Dovresti tornare al tuo posto, a sorvegliare le camerate. Se non dovessero trovarti lì sorgerebbero dei problemi e sai bene che non possiamo permettercelo»
   «D’accordo» rispose lui, ben sapendo che la ragazza aveva ragione. «Buonanotte, Sofia»
   «Buonanotte, André».
   Il ragazzo si defilò e poco dopo Sofia giunse alla fine del corridoio. Dietro una porta si sentivano dei singhiozzi soffocati.
   Bussò. Dall’interno una voce secca intimò: «Avanti!».
   «Mi hai fatta chiamare, Giovanni?» chiese la ragazza, entrando nella stanza dopo una breve esitazione e salutando gli altri occupanti della stanza. «Jackson, Tsukiko».
   L’uomo rispose con un cenno del capo, la donna orientale aggiunse un accenno di sorriso.
   Sofia si guardò intorno. Conosceva bene quella stanza, uguale a molte altre in quel posto: forma rettangolare, pavimento di ardesia, pareti grigio fumo e un’intera parete di vetro di fronte alla porta, con un ampio tavolo e alcune sedie. Anonima e fredda, le ricordava le ore trascorse ad addestrarsi con l’uomo bruno che, in piedi al centro della stanza, appariva tanto furioso da non accorgersi di quello che accadeva intorno a lui.
   «Giovanni» chiamò nuovamente Sofia. Lui alzò lo sguardo.
   «Sei qui!» rispose, le sopracciglia contratte, una linea dura al posto delle labbra. La ragazza gli aveva visto quell’espressione sul volto molte volte, troppe, per non sapere da quali pensieri fosse generata. «Devi liberarmi di questo inutile fagotto singhiozzante!».
  Il fagotto in questione era una ragazzina di circa quattordici anni, accovacciata ai piedi dell’uomo nel tentativo di ripararsi dalla sua furia.
   «Devo portarla nei dormitori?» chiese calma Sofia.
   «No, maledizione! Non c’è un briciolo di potenziale in lei. Non so che farmene!» esplose l’uomo, guardando torvo la giovane donna che le stava davanti.
   «Dovresti aspettare e ritentare domani. Sai bene che un corpo rilassato e una mente fresca rendono più facile l’emergere della loro forza» rispose la ragazza.
   «Accidenti, Sofia» si lamentò Giovanni, guardando la sua pupilla «ho perso l’intera giornata con questa insulsa ragazzina e tu mi proponi di sprecare altro tempo!».
   «So bene che la calma non è una virtù che ti appartenga» disse impassibile la giovane «ma ti consiglio ugualmente di fare uno sforzo».
   I presenti trattennero il fiato. Sapevano bene come la collera dell’uomo duro che avevano di fronte potesse esplodere alla più innocua osservazione.
   Giovanni guardò torvo prima la donna che gli stava di fronte, poi la ragazzina accasciata sul pavimento. «D’accordo, portala via. Tenterò di nuovo domani».
   «Bene» rispose Sofia, come se la decisione dell’uomo fosse stata presa senza il suo intervento. Si rivolse alla ragazza. «Alzati». Lei si alzò. «Seguimi e non restare indietro. Buonanotte, signori» disse, rivolgendosi ai tre superiori.
   Le due giovani si avviarono lungo il corridoio.
   «Come ti chiami?» chiese Sofia, notando un livido nero che si allargava sotto l’orecchio destro della ragazza e chiedendosi come Giovanni potesse essere tanto violento. Negli ultimi tempi peggiorava sempre di più e la cosa la preoccupava.
   «Emma» rispose la ragazzina, guardandola di sottecchi con aria timorosa. Bassa, esile e con i capelli castani, gli occhi color dell’ambra e la carnagione chiarissima, la donna accanto a lei sarebbe potuta passare per una sua coetanea, se non avesse avuto quell’espressione fredda e distante.
   «Bene, Emma. Qui ci sono otto dormitori, quattro maschili e quattro femminili. Ogni responsabile ne controlla due. La prima regola, qui, è fare quello che il proprio responsabile ordina». Sofia parlava con voce bassa e chiara, mentre conduceva rapidamente Emma lungo un altro corridoio. «I nuovi arrivati non prendono subito posto nei dormitori, stanno per qualche giorno in una stanza più piccola. Due o tre giorni, di solito. Lì troverai tutto quello che ti serve: abiti, spazzolino da denti, cose di questo genere».
   Emma la guardò titubante. «E…le mie cose? Voglio dire…quello che avevo quando mi hanno portata qui». Ci teneva a riaverle. Erano l’unico legame che le restava con il mondo al quale l’avevano strappata.
   «Troverai lì anche i tuoi effetti personali» rispose Sofia. Poi si fermò di fronte a una porta. «Siamo arrivate. Ti preparerai nell’anticamera e poi raggiungerai il tuo letto. E ricorda che quando le luci sono spente, non è permesso parlare».
   «Va bene». Un po’ rincuorata, Emma spinse la porta ed entrò in quella che sarebbe diventata la sua nuova casa.

*

Mentre Emma e Sofia si dirigevano verso il dormitorio, nella stanza che avevano appena lasciato i quattro fondatori della struttura discutevano animatamente.
   «Non posso credere d’aver perso tutta la giornata con quella mocciosa!» esplose Giovanni battendo un pugno sul tavolo.
   «È inutile arrabbiarsi, caro» disse Prudencia, l’accento spagnolo ben riconoscibile «e dato che hai acconsentito a ritentare domani con quella ragazzina, dovresti concentrarti su come scoprire quale Elemento padroneggia…sempre che ne padroneggi uno» concluse scettica.
   Intervenne Jackson. «Quello che mi stupisce, Giovanni, è che ti sia piegato tanto facilmente al volere di Sofia. So che è la tua prediletta e che ne hai curato personalmente l’educazione e l’addestramento in ogni dettaglio, ma resta pur sempre una sottoposta. Non è opportuno che abbia questo potere su di te… e quindi su tutti noi» concluse duramente l’uomo.
   «Io non mi piego al volere di nessuno!» ribatté l’italiano, l’ombra del Fuoco che gli brillava negli occhi. «Il suggerimento di Sofia era ottimo e non c’era motivo per non seguirlo. Tu non l’avresti fatto?» chiese con aria di sfida.
   «Probabilmente l’avrei fatto, ma prima mi sarei interrogato attentamente sul perché di quella proposta. Sappiamo tutti quanto sia indifferente alla sorte degli allievi e con quell’intervento… be’, sembrava quasi che volesse proteggere la ragazza. Personalmente, non credo sia saggio fidarsi tanto di lei».
   «Stupido americano malfidato, ottuso come la Terra che manipoli» borbottò irato Giovanni.
  Tsukiko intervenne per evitare che la discussione degenerasse. «Calma, Giovanni. Gli insulti non servono. Sono convinta, come tutti qui» proseguì, guardando fissamente gli occhi dell’americano «che Sofia sia degna della massima fiducia. È qui fin da quando abbiamo fondato il Centro e padroneggia il proprio Elemento bene quasi quanto noi. Ci è utile, e se dà buoni suggerimenti, tanto meglio».
   «Quello di cui dovremmo discutere» si intromise Prudencia «è come muoverci da qui in avanti. Abbiamo trovato molti giovani talentuosi e per alcuni di loro il tempo di addestramento sta per finire. Dovremmo inserirli in posti strategici, se vogliamo allargare la nostra area di ricerca: ormai è sempre più difficile trovare persone che abbiano la capacità di manipolare gli Elementi».
   «D’accordo. Consultiamoci con i Portatori all’esterno e aggiorniamoci tra una settimana» decise Giovanni, mettendo fine alla riunione.
   Usciti dalla stanza, tre dei quattro occupanti si diressero verso il corridoio che portava ai loro alloggi. Il quarto si avviò nella direzione opposta, avanzando veloce lungo il corridoio che portava ai dormitori degli allievi. Pochi minuti dopo si fermava davanti a una porta nera, indistinguibile da tutte le altre, e vi poggiava delicatamente una mano. Una sottile lingua di Fuoco corse veloce dalla mano sotto la porta, che un istante dopo venne spalancata.
   «Giovanni!». Sofia appariva solo vagamente sorpresa. «Non ti aspettavo. È forse successo qualcosa? ».
   «È da molto che non parliamo» rispose l’uomo, ignorando la domanda e guardando con affetto la sua pupilla. «Vieni, usciamo».
   Percorsero il corridoio in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Sofia pensava a come quell’uomo fosse sempre riuscito a capire tutto di lei, e temeva potesse scoprire cosa era diventata; Giovanni, da parte sua, cercava il modo per entrare nella mente della donna che Sofia era diventata, allo stesso modo in cui aveva trovato la porta d’accesso alla mente di lei bambina.
   Camminarono così a lungo, lentamente. Giunti a una grande porta a vetri, Giovanni cedette galantemente il passo alla ragazza, tuffandosi con lei nella fresca notte primaverile.
   Il prato del grande parco era interamente illuminato dalla luna, la cui luce argentea veniva spezzata qua e là da panchine e fontane isolate e inghiottita definitivamente dalle tenebre solo molto più avanti, dove gli alberi crescevano fitti e davano vita a un bosco.
   I due si avviarono lungo i viali candidi che riflettevano la luce lunare e, giunti nel punto più basso del prato, abbandonarono i percorsi tracciati e si avviarono verso il bosco, raggiungendone i primi alberi.
   Giovanni sedette sotto un grande ippocastano ai margini del giardino, riparato da eventuali sguardi curiosi. Per loro, quella era una vecchia tradizione: anni prima, quando si erano stabiliti in quel posto, si recavano lì ogni giorno, insieme. Da tempo non ci andavano – la ricerca di persone come loro l’aveva completamente assorbito e, a poco a poco, lui e Sofia erano divenuti due estranei, o quasi. Ripensandoci, l’uomo si chiese come fosse arrivato al punto da non vederla più anche quando l’aveva davanti. Fece un gesto a Sofia che si sdraiò accanto a lui, gli occhi fissi sulla luna piena seminascosta dai rami.
   «Il Fuoco che è in me canta» sussurrò la ragazza, come ipnotizzata dal disco argenteo.
   Lui la fissò. Poi, con un gesto leggero, le spostò una ciocca di capelli dalla fronte. Sofia si voltò verso di lui, pensando quanto le fosse mancato quell’uomo, e come non riuscisse a odiarlo o disprezzarlo completamente nonostante tutto quello che aveva fatto – e faceva – patire a decine di persone… e a lei. Sei una stupida, disse tra sé e sé. Sapeva che ormai tenere le difese alzate contro di lui era l’unico modo per sopravvivere. Decise di non pensare più a nulla: aveva la sensazione che non sarebbero mai più stati insieme sotto quell’ippocastano e voleva approfittare del tempo che ancora restava loro. Stupida, si ripeté mentalmente.
   Proprio in quel momento, Giovanni spezzò il silenzio. «Jackson non si fida di te» disse inaspettatamente.
   La giovane sbuffò. «Sai che novità. Non si fida di nessuno, lui».
   «Mi ha detto che non dovrei accogliere i tuoi suggerimenti».
   «È per questo che mi hai portata qui?». Sofia, sbalordita, di scatto si mise seduta e fissò Giovanni. «Se anche tu non ti fidi di me, parlarne è inutile. Non dovremmo neanche essere qui» aggiunse, sentendosi stranamente ferita. Decise di non indagare su quella particolare emozione.
   «Non ho detto che non mi fido. Dico solo che se ha ritenuto di parlarmene, forse un motivo valido c’è» insisté lui con voce piatta.
   «Bene». Sofia si alzò. «Dato che questa è la tua opinione, non c’è nulla di cui discutere. Se vuoi scusarmi credo sia ora, per me, di tornare al mio posto. Buonanotte» concluse freddamente la ragazza, avviandosi con passo spedito lungo il prato e dentro l’edificio mentre l’uomo da cui si allontanava la seguiva con uno sguardo pieno di sospetti e rimpianti.

*

Il resto della notte trascorse tranquilla. Alle sette del mattino, la vita ricominciava a scorrere in quel luogo fuori dal mondo.
   «Ehi, vuoi spostarti o no? Devo prendere le mie cose!»
   «E allora? Aspetta il tuo turno!»
   «Dov’è finita la mia maglietta? Era qui!»
   «Non guardare me… io non c’entro!»
   «D’accordo ragazzi basta, basta, basta!» disse André entrando nei dormitori. «Ogni giorno è la stessa storia, possibile che dobbiate azzuffarvi per ogni sciocchezza?» concluse con un sorriso accattivante, mettendo fine al caos che regnava tra i ragazzi. Alto, con un fisico scattante e l’aggiunta di corti capelli dorati e occhi color del mare, André aveva tutta le capacità per rasserenare istantaneamente gli animi.
   La stessa scena si svolgeva nei dormitori di Blaze e Laurence, altri due responsabili dei dormitori. Solo nelle camerate sorvegliate da Sofia regnava la calma. Nessuno dei suoi occupanti desiderava farsi notare dalla responsabile, che incuteva loro timore quasi quanto i capi della struttura.
   Nella stanza destinata agli ultimi arrivati, Emma tentava di scoprire qualcosa di più sul posto in cui si trovava.
   «Che posto è questo?» stava appunto chiedendo a una ragazza poco più grande di lei che si trovava lì già da due giorni e che le aveva detto di chiamarsi Ailie.
   «Non so spiegartelo esattamente, sono qui da poco anch’io».
   «Ma cosa vogliono da noi?».
   «A quanto dicono» rispose Ailie «ci sono persone in grado di… comandare gli elementi. Quando trovano qualcuno che credono ne sia capace, lo portano qui e cercano di scoprire a quale elemento è affine».
   «Davvero? E tu quale elemento comandi?» chiese Emma, guardando con ammirazione la ragazza: il corpo leggermente muscoloso e le efelidi sul suo volto facevano sì che Ailie le suscitasse un gradevole senso di tranquillità.
   «Non ne sono sicura, ma credo sia l’Acqua. L’altro giorno sono riuscita a far correre delle gocce lungo le pareti».
   Insieme alla curiosità, in Emma cresceva anche la paura. «Quindi era questo che voleva da me quell’uomo con i capelli neri!».
   «Ti è capitato Giovanni? Accidenti che sfortuna!» esclamò Ailie, le mani infilate tra i capelli ramati. «Dicono sia il peggiore dei quattro, si arrabbia facilmente e non ti dà modo di tentare con la calma necessaria… e poi, tu sembri così delicata» aggiunse, osservando la corporatura esile, i capelli mossi e il viso dolce della nuova arrivata.
   «È vero, Giovanni ha un pessimo carattere» intervenne André, entrando nella stanza. «Ed è anche privo di fantasia. Sapete come ha chiamato questo posto? “Il Centro”. Davvero originale, non trovate?» concluse con una sonora risata.
   «Non dovresti parlare così di un superiore… specie davanti a loro» disse severa Sofia dalla porta.
   «Oh, andiamo… sai bene che è la verità, prendersela non cambia i fatti» la blandì l’altro.
   «È piuttosto tardi». Sofia decise di tagliare corto, prima che André dicesse qualcosa di cui pentirsi. «Porta Ailie nel gruppo di Prudencia e poi va’ a controllare il secondo gruppo dell’Acqua».
   «D’accordo. Andiamo, Ailie».
   Sofia guardò immobile l’alto giovane biondo e l’atletica scozzese sparire nel corridoio.
   Emma la osservò titubante, poi si arrischiò a parlare. «E noi… restiamo qui?» chiese confusa.
   «Certo che no. Devo portarti da Giovanni, lo sai bene» rispose seccamente l’altra, avviandosi verso una porta e facendo cenno a Emma di precederla.
   In breve tempo arrivarono di fronte all’unica porta di un lungo corridoio nell’ala Est dell’edificio.
Apertala, si trovarono in una grande sala semicircolare, quasi completamente vuota, invasa dalla luce del sole che entrava prepotente dalle grandi vetrate.
   Giovanni era già lì ad aspettarle. Sofia entrò con passo deciso, seguita da Emma che aveva tutta l’aria di un condannato a morte che speri di essere inghiottito dalla terra.
   «Ecco la ragazza. Dove sono i gruppi del Fuoco?».
   «A lezione. Non hanno bisogno di te ora… potresti restare e aiutarmi con questa qui» propose incerto l’uomo.
   «No grazie». Con queste parole, Sofia si voltò e si accinse ad andarsene.
   «SOFIA!». Il grido irato dell’uomo alle sue spalle la costrinse a fermarsi. «Non ti sto chiedendo di restare. Te lo sto ordinando!».
   «Avresti dovuto dirlo subito». Impassibile come sempre, la giovane scosse i lunghi capelli castani – seppure raccolti in una stretta crocchia – in un gesto di orgoglio che le era abituale e andò a sedersi su una sedia poco lontana.
   Giovanni le si avvicinò rapido. «Questo tuo modo di fare non mi piace» ringhiò a pochi centimetri dal volto della ragazza.
   «Stranamente, questo mio modo di fare ti irrita solo da ieri sera. Bizzarro, non trovi?» ribatté lei freddamente. «È incredibile come le parole di Jackson possano essere illuminanti» proseguì sardonica.
   «Ti avverto, Sofia…» iniziò minacciosamente l’uomo. Sofia lo interruppe.
   «Mi avverti?» ripeté. Poi scoppiò in una risata cattiva. «Conserva per gli altri le tue minacce, Giovanni. Ho passato con te metà della mia vita, conosco l’intero repertorio ormai» concluse sprezzante.
   «Basta così». Il volto paonazzo, Giovanni cercava di trattenersi dall’inchiodarla al muro con una palla di Fuoco e ricordarle chi comandava. «Porta quella ragazzina al centro della stanza. Adesso!».
   «Come desideri». Con somma indifferenza, Sofia si diresse verso Emma – che aveva osservato quello scambio di battute con aria preoccupata – e l’afferrò per la spalla. La ragazzina strillò e tentò di divincolarsi.
   «Cosa c’è?» chiese Giovanni con aria sospettosa, osservandole.
   «Io… quando mi ha toccata, è stato come se mi avesse bruciata. Fa male» tentò di spiegare Emma.
   «Colpa mia. Non sono riuscita a controllarmi» confermò Sofia tornando a sedersi.
   «Be’, basta perdere tempo. Cominciamo». L’uomo si avvicinò alla ragazzina che, al centro della stanza, cercava di evitare il suo sguardo. La fissò.
   «Come ti ho spiegato ieri» iniziò Giovanni, con voce controllata «sei stata portata qui – come molti altri – perché sei in grado di fare cose particolari, anche se non te ne sei ancora resa conto».
   «Ma io non so fare niente di strano!» protestò Emma, spaventata.
   «È inutile negarlo!» gridò l’uomo, evocando una sfera infuocata per inchiodare a terra la ragazza. «Esamino ogni singola persona che arriva qui e so bene, quando c’è in loro anche solo una scintilla di potere. E non mi sono mai sbagliato!».
   «Per favore, per favore basta!» pianse la ragazza, sentendo il fuoco pesarle sul petto come un macigno e bruciarla.
   «Se vuoi che smetta devi mostrarmi quale Elemento c’è in te!»
   D’un tratto, Emma non sentì più il fuoco bruciarla. Si rialzò, un po’ incerta sulle gambe.
   «Iniziamo con qualcosa di semplice» disse Giovanni, poggiando un foglio su un tavolo. Guardò Emma. «Prova a spostarlo».
   «E come?» chiese lei. Sembrava atterrita.
   Giovanni sbuffò. «Con l’Aria, ovviamente. Devi generare un soffio di vento diretto sul foglio» spiegò impaziente.
   Non sapendo cosa fare, la ragazza si limitò a fissare il foglio, temendo un nuovo scoppio d’ira dell’uomo. Che, un’ora dopo, si arrese.
   «Tentiamo con qualcos’altro» disse irritato.
   Quattro ore dopo – tentate inutilmente le prove per scoprire se uno dei tre Elementi rimasti fosse presente in Emma – Giovanni si arrese. Si rivolse a Sofia. «Portala via e falla sparire. Se c’è del potere, in lei, è nascosto fin troppo bene» disse stizzito. «Devo controllare un nuovo arrivo e poi iniziare la lezione del terzo gruppo. Il secondo è con Evan, quindi appena avrai terminato con questo compito, dovrai andare a controllare il primo gruppo. Fa’ presto» concluse, uscendo dalla stanza.
   «Dove mi porti?» chiese subito Emma, atterrita. Cominciava appena ad intuire il destino che le parole dell’uomo avevano stabilito per lei.
   «Dove Giovanni non si aspetterebbe mai» rispose inaspettatamente l’altra. «Stammi dietro, occhi a terra e fa’ di tutto per sembrare terrorizzata… non che ce ne sia bisogno» aggiunse, notando il pallore della ragazzina.
   Si diressero spedite nel corridoio, facendo un gran giro e passando sempre in corridoi deserti. Parecchi minuti dopo una porta alla loro sinistra si aprì, qualche metro più avanti rispetto al punto in cui si trovavano. Sofia bloccò Emma e la spinse nel vano di una porta.
   «Porta questa ragazza a lezione e poi va’ da Prudencia. Avvertila che abbiamo trovato quella che sembra essere una promettente Apprendista dell’Acqua» ordinò la voce di Giovanni a un sorvegliante di livello inferiore. La porta si richiuse. Sofia fece cenno a Emma di restare dove si trovava e si avviò decisa ma silenziosa verso il ragazzo che, ignaro della loro presenza, camminava alcuni metri avanti a loro, accompagnando una ragazza dai lunghi capelli biondi.
   «Aspetta, Adam».
   Il ragazzo, preso alla sprovvista, si voltò di scatto. «Sofia! Non ti avevo sentita arrivare. Cosa c’è?».
   «Alcuni ragazzi si stanno azzuffando nel quadrante Nord del parco. Va’ a prenderli, accompagnali negli uffici dei rispettivi Maestri, avverti gli stessi e poi fa’ un giro di ronda».
   Il ragazzo sembrò perplesso. «Ma… Giovanni mi ha detto di accompagnare questa ragazza…».
   Sofia ignorò il suo farfugliare confuso. «Ho sentito cosa ti ha detto Giovanni. Penserò io ad accompagnare la ragazza e ad avvertirlo del cambiamento di programma» lo rassicurò. «Ora muoviti».
   «Subito». Il ragazzo s’incamminò veloce lungo il corridoio e in pochi istanti sparì.
   «Perfetto. Come ti chiami, signorina?» chiese alla ragazza che aveva di fronte. Alta una buona testa più di lei, aveva lineamenti regolari, lunghissimi capelli biondi e occhi verdi: una diciottenne davvero incantevole.
   «Elizabeth» rispose lei.
   «Bene, Elizabeth, seguimi e non parlare. Emma!» chiamò poi a bassa voce.
   La ragazzina scattò al suo fianco.
   «Tra poco arriverà la parte più difficile. Statemi vicino e tenetevi pronte a correre» si raccomandò Sofia.
   Percorsero rapidamente altri tre corridoi, captando frammenti di lezioni – francese, matematica, latino e un’infinità di altre materie – e di addestramenti. Giunte vicino all’uscita dell’Ala Sud, udirono dei passi. Con un gesto, Sofia bloccò le due ragazze. Poi, cautamente, poggiò una mano sul pavimento di ardesia. Dal suo indice si staccò una solitaria fiammella, grande quanto un’unghia, che corse veloce verso l’origine del suono. Una volta lì, si sollevò in aria tracciando una spirale e scoppiettò come un fuoco d’artificio in miniatura.
   Sospirando di sollievo, Sofia corse in avanti, trascinandosi dietro Emma ed Elizabeth. Voltato l’angolo, si trovarono faccia a faccia con André.
   «Come mai hai controllato chi stesse arrivando?» chiese il ragazzo.
   «Credo sia ora di dare una volta alla nostra educazione spiccando il volo verso nuovi orizzonti» ribatté bizzarramente l’altra. «Avverti gli altri e recatevi al punto stabilito. Vi lascerò delle tracce».
   Un largo sorriso illuminò il volto di André. «Puoi contarci. Ci vediamo alla Valle» disse, prima di correre nella direzione opposta alla loro.
   Le tre ragazze seguirono il suo esempio. Uscite dall’edificio, però, Sofia costrinse le altre due a tenere un passo più tranquillo, in modo da non suscitare sospetti. Percorso il parco, giungevano ai primi alberi del bosco del quadrante Sud quando un gran frastuono le mise in allarme.
   Si voltarono. Un gruppo di almeno trenta tra studenti e sorveglianti correva verso di loro. Alla loro testa, chiaramente riconoscibili, c’erano il Maestro del Fuoco e quello dell’Acqua. Prudencia rimase indietro, mentre con uno scatto felino Giovanni si avvicinava velocemente al terzetto al limitare del bosco.
   «Accidenti!». Sofia digrignò i denti, osservando gli inseguitori. Si rivolse rapidamente alle due ragazze. «Correte! Dritte nel bosco, seguite i gladioli, fino a una grotta. Nascondetevi lì, qualcuno verrà a prendervi più tardi» ordinò in fretta, con voce bassa ma chiara.
   Emma ed Elizabeth rimasero a fissarla, poi la seconda prese in mano la situazione, afferrando la più giovane e tirandosela dietro nel bosco.
   Sofia scatenò un muro di Fuoco, che non bruciava nulla ma impediva di passare e inseguire le due ragazze tra gli alberi, e si voltò appena in tempo per ricevere una frustata incandescente in pieno petto. Volò a qualche metro di distanza, atterrando pesantemente sul terreno morbido.
   Rialzatasi prontamente, schivò per un soffio un dardo di ghiaccio: Prudencia aveva raggiunto Giovanni e gli dava manforte nel tentare di abbattere Sofia.
   La ragazza reagì prontamente. Bloccata una sfera di Fuoco lanciatale da Giovanni la scagliò violentemente a terra, facendo schizzare scintille e detriti ovunque. Approfittando dell’attimo di smarrimento dei suoi avversari, inchiodò al suolo l’argentina con una catena infuocata. La sentì gridare di dolore, mentre il Fuoco la tormentava e tentava invano di liberarsi. Giovanni, vedendola a terra, non seppe cosa fare: liberare Prudencia o catturare Sofia? La sua indecisione non durò che un istante, ma fu sufficiente. La ragazza colse l’occasione e lo spedì contro un albero, lo stesso ippocastano sotto il quale si erano sdraiati solo la notte prima, imprimendovi col Fuoco una cicatrice permanente e immediatamente, aprendosi un varco nella muraglia di Fuoco che lei stessa aveva evocato, corse via, dileguandosi tra gli alberi mentre allievi e sorveglianti tentavano invano di seguirla.

*           

Durante lo scontro, Emma ed Elizabeth si erano notevolmente allontanate, correndo attraverso gli alberi. Giunte al limite esterno del bosco, sulla cima di una piccola altura, si bloccarono.
   Intorno a loro, si stendeva un campo sconfinato. Di gladioli.

*

Mentre Emma ed Elizabeth si chiedevano confuse da che parte andare, nel quadrante Nord del parco circa duecento allievi e sorveglianti attendevano istruzioni.
   André prese la parola. «Come sapete, abbiamo aspettato a lungo il momento opportuno per andare via di qui. Quel momento è arrivato e dobbiamo cogliere l’occasione ora che gli altri si stanno radunando nel quadrante Sud per inseguire Sofia e le due ragazze che stanno fuggendo».
   Osservò la distesa di volti seri e concentrati che aveva di fronte. Preoccupato, si chiedeva se sarebbero riusciti ad arrivare all’entrata della Valle senza incontrare ostacoli o se sarebbero stati costretti a combattere con coloro che erano rimasti fedeli ai quattro Maestri degli Elementi. Nascose i propri dubbi e si accinse a dare le indicazioni necessarie ad arrivare al punto di raccolta.
   «Ci divideremo in tre gruppi – ogni gruppo col proprio responsabile. Chi era nelle camerate di Sofia?»
   Una cinquantina di persone alzarono la mano.
   «Bene, voi verrete spartiti tra il mio gruppo e quelli di Laurence e Blaze. Laurence, dividili per favore. In fretta!».
   Laurence si mosse rapido ed efficiente, nonostante la sua alta statura e la corporatura massiccia non lasciassero supporre una tale leggerezza nei movimenti. Chi non lo conosceva l’osservava con timore – l’avevano soprannominato “Gigante Nero” per l’aspetto fisico e il colore della pelle, nera come la notte – ma bastava guardare i suoi occhi per percepire la tranquillità che albergava in lui ed esserne totalmente rassicurati.
   Divisi i ragazzi del Fuoco in tre gruppi e assegnatone ognuno a un sorvegliante, Laurence guardò André. «Dovremmo muoverci. Indugiare non è prudente» disse con la sua voce profonda al giovane biondo, che annuì.
   «È ora di andare. Ogni gruppo seguirà un percorso diverso. Ci troveremo al punto di raccolta entro il tramonto. Buona fortuna a tutti» concluse, osservando Laurence avviarsi col proprio gruppo e scrutando Blaze con aria seria. «Niente bravate, Blaze. Ne avrai tutto il tempo quando saremo alla Valle» si raccomandò. Conosceva bene il carattere imprudente del giovane americano e aveva perso il conto delle volte in cui aveva tentato di arginarne la vitalità. André si augurò mentalmente che non commettesse sciocchezze e lo guardò condurre il gruppo della Terra nel bosco, prima di fare un cenno al proprio gruppo e seguirlo.

*

Emma ed Elizabeth continuavano a guardare la distesa apparentemente infinita di gladioli che si stendeva di fronte a loro, e continuavano a non sapere da che parte andare.
   «”Seguite i gladioli!”. Bel consiglio ci ha dato…qui è pieno di gladioli, non si vede altro!» ringhiò Elizabeth, maledicendo Sofia a bassa voce.
   Emma, in silenzio, rifletteva. Non aveva senso che Sofia le avesse fatte scappare per poi spedirle in un vicolo cieco. La risposta alla sua indicazione era certamente lì, di fronte a loro, nascosta quanto bastava da passare inosservata a un osservatore distratto. Decise di guardarsi intorno più attentamente. La distesa di fiori di fronte a lei era un turbinio di colori: gialli, bianchi, arancio, rosa, viola, blu… all’improvviso vide una macchiolina rossa, tra tutti quei fiori.
   Osservò meglio. Era un piccolo grappolo di gladioli rossi, e ce n’erano pochissimi in quella distesa colorata…
   «Elizabeth!» esclamò all’improvviso. L’altra le si accostò, sempre imprecando sottovoce. «Sofia non ha fatto comparire un muro di Fuoco, quando ci ha fatte scappare?».
   «Sì. E allora?» rispose astiosa Elizabeth.
   «E allora… guarda bene il prato! Ci sono gladioli di tutti i colori… ma solo pochissimi rossi!».
   Elizabeth continuava a non capire. Emma la guardò impaziente.
   «Qual è il colore tipico del Fuoco?».
   «Rosso… accidenti hai ragione, dobbiamo seguire i gladioli rossi! Guarda da questa angolazione… sembra che traccino una linea!» disse eccitata Elizabeth, cogliendo finalmente l’intuizione di Emma. «Presto, andiamo!» proseguì, lanciandosi con lei nella distesa variopinta.

*

Correndo, Sofia prese una direzione diversa da quella che aveva indicato alle due ragazze appena strappate al Centro. Seguì il terreno nel punto in cui declinava fino ad arrivare a qualche decina di metri da un’imponente sequoia, segno che stava andando nella direzione giusta.
   Quella parvenza di tranquillità si dissolse immediatamente. Dei passi risuonavano leggeri sul terreno coperto di foglie e rametti. Sofia si guardò intorno e corse a ripararsi dietro una quercia. Sapeva chi si stava avvicinando – ogni Elemento lascia una traccia inconfondibile in chi lo detiene e lei si era allenata a riconoscere quelle sfumature.
   Giovanni avanzò lentamente tra gli alberi, guardandosi intorno con cautela e temendo un attacco improvviso da un momento all’altro.
   Sofia lo sentì avvicinarsi. Premette ancora di più la schiena sul tronco massiccio dell’albero e si sforzò di reprimere completamente il Fuoco dentro di lei, in modo che Giovanni non potesse sentire la sua presenza. Era certa che lui l’avrebbe seguita – era stato il suo mentore, conosceva bene i particolari segni che distinguevano il suo stile e lei aveva deliberatamente creato un muro infuocato non abbastanza forte da resistere ai Maestri: se avessero conosciuto il suo vero livello, quella scoperta avrebbe fornito loro un motivo per catturarla ben più forte della vendetta.
   Il sangue le pulsava bollente nelle tempie. Sapeva di dover attaccare Giovanni prima che lui la individuasse, per avere una possibilità di scappare senza essere seguita, eppure quella consapevolezza le faceva male al cuore. I secondi passavano veloci. Doveva decidersi. Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e attaccò.

*

Giovanni sapeva che lei era lì. Non la vedeva, non la percepiva, ma sapeva che c’era. Come quando, tredici anni prima, aveva iniziato a girare la Spagna per cercarla. Sapeva che era lì che lo aspettava, come tanti anni prima.
   Sapeva anche che lo avrebbe attaccato. Per questo quando una saetta incandescente volò verso di lui fu pronto ad evitarla.
   Fissò la piccola figura vestita di nero che, trenta metri più avanti, sembrava essersi materializzata dal nulla. Aveva sempre avuto un talento naturale per gli agguati e le strategie di battaglia, pensò Giovanni.
   Si studiarono in silenzio per qualche minuto. Poi il Fuoco iniziò a imperversare per la foresta.
   Inizialmente un po’ guardinghi, gli attacchi di Giovanni e quelli di Sofia andarono aumentando di forza e precisione. I colpi si fecero più fitti, le difese a tratti più deboli, sfere e guizzi di Fuoco impedivano l’un l’altra di vedersi chiaramente. A ogni colpo, la distanza tra loro diminuiva. Senza quasi accorgersene si trovarono a poco più di un metro l’uno dall’altra: schivare i colpi era diventato impossibile.
   Giovanni lanciò una lingua di Fuoco tanto sottile da essere quasi invisibile verso Sofia, che non fu abbastanza rapida da evitarla. Si strinse attorno al suo collo sottile, bruciandola, privandola dell’aria. Caduta in ginocchio guardò l’uomo alto e muscoloso che torreggiava su di lei, lasciando vagare lo sguardo sui capelli neri e il volto dai lineamenti decisi. Infine, si perse nei suoi occhi. Come anni prima, quando si era trovata nella stessa situazione, col Fuoco di lui che la torturava e gli occhi fissi nei suoi, indifferente alla sofferenza che le infliggeva, ai segni che stava lasciando sul suo corpo. Sentì le cicatrici bruciare e il Fuoco guizzò nuovamente in lei.
   Fulminea, Sofia afferrò il filo bollente che la soffocava e lo tirò con violenza. La fiamma resistette per un secondo, poi si dissolse in una miriade di scintille simili a piccole stelle. Vide lo stupore negli occhi di Giovanni e lo bloccò a terra con la stessa decisione con cui fino a un istante prima lui aveva cercato di soffocarla.
   Osservò la barra di Fuoco con cui l’aveva bloccato e ne aumentò l’intensità; gli abiti dell’uomo bruciarono dove erano a contatto col Fuoco. La carne iniziò a sfrigolare, mentre Sofia osservava con occhi incupiti e vuoti l’uomo che stava torturando.
   Giovanni gemette. Quel suono sembrò riportarla alla realtà: scosse la testa e, resasi conto della profondità della ferita che aveva inflitto al suo Maestro, capì che poteva scappare senza il rischio di essere nuovamente inseguita.
   Dopo aver lanciato un ultimo sguardo pieno di rancore all’uomo steso a terra, riprese a correre nella foresta.

*

Come poteva avergli inflitto una ferita del genere?
   Abbandonato sul suolo morbido del bosco, incapace di muoversi, Giovanni continuava a porsi questa domanda. Non era riuscito a liberarsi, quando Sofia lo aveva attaccato. Aveva usato contro di lui un Fuoco troppo potente, e solo i Maestri erano in grado di padroneggiare gli Elementi in modo da scatenarli con una tale forza. Poco più di un anno prima aveva valutato Sofia per farla promuovere al rango di Maestro, ma non si era dimostrata capace di padroneggiare il proprio Elemento in modo adeguato. La stessa scena si era ripetuta solo tre mesi prima.
   «Probabilmente non sono ancora pronta» aveva detto lei con un piccolo sorriso, notando la delusione di lui.
   Che, adesso, era furioso. L’aveva ingannato!
   Sprizzando scintille dalla mano sinistra per la rabbia, provò nuovamente ad alzarsi. Non ci riuscì.

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Capitolo 3
*** Corsa verso la libertà ***


Il sole iniziava la sua inarrestabile discesa verso l’orizzonte. Il cielo iniziò a tingersi d’arancio.
   Dopo aver corso per ore seguendo le indicazioni di Sofia Emma ed Elizabeth, esauste, erano arrivate di fronte ad una comunissima grotta di pietra. Esitarono un momento sull’apertura, poi si decisero ad entrare.
   L’interno era decisamente diverso. Uno strano materiale liscio, nero e lucido prendeva il posto della roccia. Ne furono affascinate.
   «Chissà cos’è» si domandò ad alta voce Emma, curiosa.
   «Credo sia ossidiana… ricordo quando ce ne hanno fatto vedere un campione al corso di scienze» rispose Elizabeth, osservando l’interno della grotta e toccando l’ossidiana che ricopriva le pareti. Al tatto risultava tanto liscia da ricordare l’acqua. «Vieni, andiamo più avanti» disse a Emma, incamminandosi con lei lungo la grotta che andava rimpicciolendosi sempre più fino a diventare uno stretto cunicolo.
   «Mi sento come Alice nel Paese delle Meraviglie» disse Emma, mettendosi carponi e strisciando verso gli sprazzi di luce che si intravedevano poco più avanti. Elizabeth ridacchiò.
   Pochi istanti dopo, Emma parlò di nuovo
   «Elizabeth… mi sembra di sentire delle voci, più avanti»
   «Accidenti. Credi che dovremmo proseguire?»
   «Non lo so. Io… aspetta!»
   «Cosa c’è?»
   «Ho sentito una voce che mi sembra familiare…». All’improvviso il suo volto s’illuminò. «Andiamo, muoviti!».
   Strisciarono velocemente lungo i pochi metri di grotta che le separavano da una fitta cortina di edera. Superatala, si ritrovarono di fronte un’intera folla.
   «Ailie!».
   Emma scattò verso la ragazza dai capelli rossi con cui aveva diviso la stanza la sera prima.
   «Emma! Allora ce l’avete fatta!» rispose l’altra, raggiante. Nonostante le lunghe ore di marcia, Ailie afferrò la sua nuova amica e iniziò a saltellare.
   «Ce l’abbiamo fatta, ce l’abbiamo fatta, siamo scappate da quello stupido posto!» gridava come impazzita.
   Il resto del folto gruppo la fissò sbigottita… poi la tensione si sciolse, e si unirono a lei. Blaze cantava a squarciagola senza ritegno, incurante delle facce divertite e a tratti incredule dei ragazzi che di solito sorvegliava. Molti si erano abbandonati sul prato stremati dalla fatica, altri parlavano, Laurence, in piedi, si guardava intorno con la solita espressione pacifica ma si capiva che tutti stavano aspettando qualcosa.
   Le prime stelle spuntarono nel cielo. André guardò Laurence.
   «Non possiamo più aspettare… credi che troveremo comunque la strada?».
   Laurence era fiducioso. «Gli Elementi ci aiuteranno». Posò una mano sulla spalla del giovane biondo. «È brutto perdere un amico, ma lei per prima ci direbbe di andare».
   «Hai ragione». A malincuore André radunò il proprio gruppo prima di guardarsi intorno un’ultima volta. Quello che vide fece saltare alcuni battiti al suo cuore, come quando si scendono le scale e si manca un gradino.
   «Fermi!».
   Tutti si voltarono. Una fiammella bruciava lì, di fronte a loro, sospesa nell’aria. Sotto di lei, piccoli fiorellini dai petali incandescenti facevano timidamente capolino tra i fili d’erba.
   Un largo sorriso si aprì volto di Laurence, che si era appena fatto strada tra la folla.
   «Una traccia!» ruggì con la sua voce profonda. «Seguiamola, veloci!».
   In preda all’eccitazione, ripresero a correre. Dopo mezz’ora di marcia serrata, si trovarono di nuovo di fronte a una grotta, stavolta d’ardesia.  Vi entrarono, e proseguirono con sicurezza fin quando non si trovarono di fronte a una diramazione.
   Si bloccarono, indecisi. Istintivamente Blaze e Laurence guardarono André.
   «Di noi tu sei quello che la conosce meglio, André… quale cunicolo credi che dovremmo imboccare?» chiese Blaze.
   «Non ne ho idea… sembrano tutti strapieni di tracce riconducibili al suo stile» rispose André, confuso.
   Intervenne Laurence. «Pensaci, André. Sono certo che tu sappia già qual è la strada giusta… devi solo rendertene conto». L’alto nero non sembrava nutrire alcun dubbio al riguardo.
   Perplesso, André si guardò intorno, osservando meglio i tre cunicoli in cui si diramava la grotta in cui si trovavano.
   Il primo era sempre d’ardesia, e la poca luce che lo rischiarava si rifletteva su un tappeto di pietre che ricopriva il pavimento. Blaze si chinò a osservarle meglio.
   «Questa è onice» disse, prendendo una pietra nera in mano. «Questa invece è tormalina rossa… e altra tormalina, nera però» aggiunse, osservando le altre pietre.
   «Rosso e nero. Decisamente i suoi colori» notò André.
   Passò a osservare il secondo cunicolo. Il pavimento – stranamente – era ricoperto d’erba di un verde brillante, che tuttavia quasi spariva, ai lati, sotto un manto compatto di fiori di tutte le sfumature di una fiamma che arde.
   L’ultimo, invece, aveva le pareti ricoperte d’ossidiana e solo delle torce che bruciavano placidamente nei loro sostegni.
   Nel silenzio, André si concentrò su quello che aveva visto. Poi si voltò verso gli altri.
   «Allora? Qual è la strada giusta?» chiesero impazienti alcune voci.
   La risposta li spiazzò.
   «Nessuna di queste».
   Tutti fissavano André allibiti. Solo Laurence e Blaze conservarono un’espressione diversa, il primo era perfettamente calmo mentre il secondo appariva divertito.
   André li superò e posò una mano a terra. Un sottilissimo velo d’Acqua comparve e corse veloce lungo la pietra. Alcuni metri più avanti, vicino alla parete, veniva risucchiata via. Blaze iniziò a ridere.
   «Mai una volta che ci renda le cose facili!» sghignazzò.
  Arrivati nel punto in cui l’Acqua fluiva via, notarono una fessura verticale, tanto sottile da essere quasi invisibile, che andava dal pavimento al soffitto della grotta. Blaze si fece avanti.
   «Se permettete…» disse. Era sempre più allegro.
   Pose anche lui una mano sulla pietra – come André poco prima – e quella si dissolse come neve al sole.
   «Prego» disse, inchinandosi buffamente e trattenendosi dal ridere. Laurence e André entrarono per primi, e quello che videro fu sufficiente a fargli comprendere che avevano trovato la strada giusta.
   «Asfodeli» disse il primo, indicando dei piccoli fiori bianchi con venature rossastre che spuntavano da una piccola frattura della roccia. «I fiori dei Portatori del Fuoco».
   «Già. Andiamo!» ordinò André, facendo scorrere rapidamente il resto del gruppo nella nuova grotta. Blaze rimase per ultimo, preoccupandosi di far ricomparire la roccia al proprio posto.
   «Dobbiamo camminare ancora molto?» chiesero alcune voci. Laurence li rassicurò.
   «Siamo quasi arrivati…».
   Poche centinaia di metri più avanti, la grotta si apriva sul punto più basso di un prato sconfinato, illuminato a giorno dalla luna. In mezzo al prato era ben distinguibile una figuretta scura, in piedi, chiaramente in attesa.
   «Sofia!». L’urlo di Blaze lo precedette, mentre si slanciava in avanti per abbracciare la sua amica.
   Lei lo accolse a braccia aperte. Si strinsero per un tempo che sembrava interminabile. Quando finalmente si sciolsero dall’abbraccio, gli altri li avevano raggiunti: André la abbracciò a sua volta, Laurence le diede una pacca sulla spalla. «È bello essere di nuovo insieme» le disse con gioia. Lei gli rivolse con un sorrisino stanco. «È stata più dura di quanto pensassi» rispose.
   A parte loro, nessuno sembrava contento di rivederla. Era sempre stata una sorvegliante dura, aveva posto regole ferree e non aveva mai concesso a nessuno alcuna confidenza.
   Solo Emma si fece timidamente avanti. Non aveva dimenticato che era stata Sofia a portarla via da quel luogo dove – in poco più di ventiquattr’ore ore – aveva sofferto più di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Le si avvicinò. «Grazie per avermi portata via di lì» disse tutto d’un fiato, guardandola dritta negli occhi.
   Sofia sorrise. «È stato un piacere». Si voltò verso gli altri. «Lassù» disse, indicando il punto più alto del prato «c’è un grande edificio. Dentro troverete cibo e dei letti che vi aspettano».
  Come se avesse pronunciato una formula magica, tutti corsero come impazziti verso il punto che aveva indicato. Passando, Ailie ed Elizabeth presero Emma per mano e la portarono con loro.
   «Buonanotte anche a voi» disse ironica Sofia alla folla che sciamava sul prato ignorandola. Si rivolse ai tre amici che le erano rimasti accanto. «Vorrei che poteste riposare anche voi, ma prima abbiamo un lavoro da fare…».
   Laurence annuì. «Cancellare le tracce».
   «E modificare la morfologia del terreno circostante» aggiunse André.
   «Basta chiacchiere!» esplose Blaze. «Mettiamo tutto a posto e andiamo. Ho fame».
   Gli altri tre scoppiarono a ridere. «Ma taci, ragazzino anoressico» ghignò Sofia. Come previsto, Blaze cambiò colore.
   «Ragazzino anoressico a chi?».
   Il ghigno di Sofia si allargò. «Ma dico, ti sei guardato allo specchio? Sei pelle e ossa. Sappiamo tutti che per te “mangiare” equivale a rosicchiare un osso di pollo». Lo stava palesemente prendendo in giro – tutti sapevano che Blaze mangiava per tre. Quando non aveva fame.
   «Ma brutta…!». Fece per gettarsi su di lei, Sofia evitò la finta e di certo avrebbero iniziato a rincorrersi se non fosse intervenuto Laurence.
   «Domani avrete tutto il tempo di azzuffarvi. Ora pensiamo a cancellare i segni della nostra presenza» disse severamente.
  I due ripresero posto vicino ad André, che faceva di tutto per restare serio. Vederli lottare era uno spettacolo concesso solo a lui e Laurence, e le loro provocazioni reciproche lo esilaravano.
   Tornato il silenzio e formato un quadrato, schiena contro schiena, giunsero le mani davanti al petto come in preghiera. Dalle mani così giunte scaturivano gli Elementi, si riversavano rapidi sul prato seguendo ciascuno le indicazioni mormorate dal proprio Compagno fatto di carne e d’ossa – così il prato sparì sotto la distesa di Terra evocata da Blaze, accarezzato dall’Acqua che scaturiva dalle mani di André in un piccolo fiume – così la cascata di Fuoco di Sofia avanzava a fianco dello sbuffo d’Aria gelida e decisa che proveniva da Laurence. Di quando in quando queste quattro correnti si incrociavano, si univano e sparivano in un unico flusso scintillante, argenteo come la luce della luna che illuminava i quattro amici, trasformandosi in qualcosa di diverso, dando vita all’Energia che tutto muoveva e creava.
   Gli Elementi evocati sparirono rapidi al di là dei boschi, delle grotte e delle colline che li isolavano dall’esterno, distruggendo le tracce del loro passaggio e rendendo invisibili le strade che avevano percorso.

*

Mentre André scopriva la strada per arrivare alla Valle, coloro che erano rimasti al Centro setacciavano la foresta alla ricerca di Giovanni.
   Lo trovarono privo di sensi lì dove Sofia lo aveva lasciato. Il Fuoco che gli aveva scagliato contro lo aveva bruciato, lasciandogli una profonda ferita sulla clavicola destra.
   Arrivarono al Centro poco prima che iniziasse a delirare. Dopo che l’ebbero medicato, gli altri tre Maestri degli Elementi andarono a sincerarsi delle sue condizioni.
   «Sta peggio di quanto pensassi» disse Prudencia osservandone il volto cereo. Ripensando alle leggere cicatrici che le erano rimaste dopo l’attacco di Sofia, decise di essere stata fortunata: evidentemente la ragazza avrebbe potuto colpirla molto più duramente.
   Jackson scoprì la ferita di Giovanni e la esaminò. Poi, dopo averla coperta di nuovo con cura, alzò uno sguardo cupo verso le due donne che si trovavano lì con lui. «Questa ferita è troppo profonda per essere stata inflitta da una semplice Figlia del Fuoco. È a un livello superiore! Probabilmente al nostro stesso livello. Sapevo che non dovevamo fidarci di lei!» concluse, guardando torvo Tsukiko.
   La bella orientale non si lasciò turbare e preferì spostare l’attenzione su un problema più pressante.
   «Hanno portato via metà dei ragazzi del Centro, e tra loro quasi tutti i più dotati. Dobbiamo trovarli e riportarli indietro: se lui venisse a sapere che ce li siamo fatti scappare, non ce lo perdonerebbe di certo» disse freddamente.
   «E di Sofia cosa ne faremo?» chiese Prudencia con aria feroce. Sembrava impaziente di vendicarsi dell’affronto subito.
   Intervenne Jackson. «Cosa ne faremo di Sofia… e di Blaze, André e Laurence. Chi credete abbia portato via gli allievi?».
   In quel momento, Giovanni prese ad agitarsi, mormorando confusamente.
   «Sta dicendo qualcosa» osservò Prudencia, le sopracciglia aggrottate. «Ma non capisco cosa… Tsukiko, che ne dici?».
   «Non ne ho idea… la sua voce è così flebile! Non riesco proprio a distinguere le parole».
   Jackson si limitò a stringere le labbra. Lui aveva capito benissimo cosa stava mormorando Giovanni e questo era fonte, per lui, di nuovi dubbi e nuovi sospetti.
   «È meglio lasciarlo riposare e fare altrettanto» si limitò a dire.
   Se ne andarono lanciando un’ultima occhiata all’uomo che, steso sul letto, continuava ad agitarsi, seppure incosciente. Solo alcune ore dopo Giovanni si calmò, cadendo in un sonno profondo, come se uno spirito benevolo fosse apparso per portargli la tranquillità.

*

Alle prime luci dell’alba Blaze, Laurence e André erano già in piedi. Mancava solo Sofia.
   André sbucò da una macchia d’alberi particolarmente fitta e guardò gli altri due con aria preoccupata.
   «Non l’ho trovata».
   «Questo era evidente» sbuffò Blaze. Detestava il modo in cui Sofia spariva, ma ormai ci si erano tutti abituati. «Mi piacerebbe sapere dove si è cacciata stavolta».
   All’improvviso udirono un forte fruscio e poi un rumore di passi.
   «Dove accidenti eri andata?» proruppe Blaze, vedendola sbucare da un boschetto poco lontano. Ansante lei si fermò, leggermente piegata in avanti, con le mani poggiate appena sopra le ginocchia nel tentativo di riprendere fiato rapidamente.
   «Dove potrei mai essere andata? A correre, è ovvio! Dovresti farlo anche tu, forse così riusciresti a mettere qualche muscolo su quelle ossa sgangherate!» lo rimbrottò Sofia, ben sapendo che punzecchiandolo avrebbe distolto la sua attenzione dal fatto che era sparita.
   Come previsto, Blaze le rivolse una smorfia e si avviò verso la costruzione che torreggiava su di loro.
   «Vado a prepararmi! Tra poco dovremo svegliare i ragazzi!» urlò allontanandosi.
   «Sarà meglio che vada con lui, sarebbe capace di buttare giù qualche muro in questo momento» disse Laurence. Nonostante il carattere di Blaze – vivace fino allo sfinimento e spesso quasi irresponsabile – fosse tanto diverso dal suo, tra i due si era stabilito un legame profondo.
   Sofia si lasciò cadere sull’erba a braccia e gambe larghe. André sedette accanto a lei con le gambe incrociate.
   «Sofia…»
   «Sì?»
   «Non ci saresti dovuta andare».
   Sofia aprì un solo occhio e lo fissò con sguardo ingenuo.
   «Perché? Vado a correre tutti i giorni, spesso mi hai anche accompagnata… cosa c’è di male ora?».
   André la fissò di rimando, sollevando un sopracciglio.
   «Andare a correre va bene… è correre fino al Centro per entrare di soppiatto e vedere Giovanni che non mi sembra una buona idea!».
   Sofia si tirò a sedere e lo guardò.
   «So bene che non mi hai seguita. Quindi, come fai a dire con tanta sicurezza che è lì che sono stata?» chiese con aria di sfida, fissando i begli occhi blu del suo amico che in quel momento ricordavano il mare in tempesta. André si stava arrabbiando, lo sapeva bene, così come sapeva che le rare liti che scoppiavano tra di loro finivano sempre piuttosto male.
   «Ti conosco» rispose lui semplicemente. «Giovanni ti ha cresciuta e avete sempre avuto un legame molto più profondo di quello che passa tra un maestro e la sua allieva. Abbiamo passato insieme gli ultimi nove anni, Sofia, credevi davvero che non l’avessi notato?». André sospirò. «Cerco solo di farti capire che devi tagliare il filo che ti lega a lui. Non credo che ti perdonerà quello che hai fatto!».
   «Tu non hai la più pallida idea di quello che gli ho fatto» ringhiò Sofia. «Mi ha inseguita nel bosco, ieri».
   «Cosa?». André era sconvolto. «Per questo ci hai messo tanto ad arrivare e non ti sei presentata al punto di raccolta! Ma come hai fatto a evitare che ti seguisse fino a qui?».
   Lei fece una strana smorfia. André la guardò preoccupato.
   «Ho dovuto usare più forza di quanto non volessi. Adesso sa che sono al livello dei Maestri…».
   Andrè sentì la sua esitazione. La spronò a continuare. «E… cos’è successo?» chiese impaziente.
   «Gli ho lasciato una ferita profonda sulla clavicola… il Fuoco gli è arrivato fino all’osso» disse lei abbassando lo sguardo. André sgranò gli occhi. Lei proseguì. «Tu non hai mai subito una lesione grave inflitta dagli Elementi. Sappiamo che è sbagliato, tentare di uccidere qualcuno utilizzandoli. È contro la loro natura. E quando ci si serve di loro in questo modo… l’Elemento che è nel ferito gli si rivolta contro».
   «Scusa?». Lui non riusciva a capire dove volesse arrivare. Sofia si spiegò meglio.
   «Quando un Elemento si abbatte con tanta forza su qualcuno… se la vittima è Portatore di un Elemento… questo percepisce l’uso contro natura dell’altro Elemento, che in quel momento sente come affine e contemporaneamente come nemico, e cerca di scacciarlo in modo aggressivo. Di solito si scatena una febbre violenta… diversa a seconda dell’Elemento del ferito. Porta al delirio» lei abbassò di nuovo gli occhi «sapevo che la ferita che gli avevo inflitto era grave, non mi sono controllata nel colpirlo e… volevo vedere se era ancora vivo».
   Guardò André. Stranamente, lui sembrava essersi calmato.
   «Hai corso un rischio simile solo per controllare che fosse vivo?» chiese. Proprio non la capiva. «Ti ha vista?».
   «No. Delirava, come avevo previsto… se anche mi avesse vista, non sarebbe riuscito a distinguere la realtà dalle allucinazioni».
   «Ma… dopo aver fatto tutta quella strada, aver corso quel pericolo solo per vedere come stava… te ne sei andata? Così?» le domandò, non ancora convinto.
   Sofia esitò un istante di troppo. André scattò in piedi.
   «Non ci credo… dimmi che non l’hai fatto!» esclamò torvo.
   Lei alzò il mento in segno di sfida. «Tu non sai cosa sia quella febbre… per noi Portatori del Fuoco è come ardere su un rogo! Dopo ore e giorni che ti consuma senti di poter impazzire, speri di morire pur di liberarti di quella sensazione!» gridò Sofia furiosa, alzandosi in piedi a sua volta.
   «Sì ma questo non è un buon motivo per curarlo! Si accorgeranno che qualcuno l’ha aiutato, potrebbero capire… seguire qualche traccia che non hai cancellato!».
   «Quindi oltre a immischiarti nella mia vita, ora metti anche in dubbio le mie capacità?». Sofia lo guardò con aria arrabbiata e offesa. «Mi rincresce dovertelo rammentare, ma io ho trovato questo posto, io ho predisposto quasi tutto, qui, perché ci fosse ogni cosa di cui potessimo aver bisogno, io ho preparato i percorsi per arrivare qui in modo che solo tu, Blaze e Laurence poteste trovare la strada! Non ho certo bisogno che sia tu a insegnarmi come si coprono le tracce, o a ricordarmi di farlo!».
   «Ti rendi conto dell’incoerenza di quello che hai fatto? Prima rischi di ucciderlo per poter scappare, e poi lo curi! Hai aiutato quello che a oggi è il nostro peggior nemico!».
   «Perché, tu avresti lasciato Prudencia in quelle condizioni?» contrattaccò Sofia. La frecciata andò a segno: il volto di André divenne paonazzo.
   «Tra me e Prudencia non c’è mai stato nulla!» protestò agitato.
   Sofia sogghignò. Sapeva che questo l’avrebbe fatto infuriare ancora di più, ma non le importava. Affondò il colpo. «Strano, ho visto le attenzioni che ti rivolge… richiede sempre la tua presenza… vuoi che continui?».
   Laurence e Blaze, richiamati dalle urla, arrivarono giusto in tempo per vedere André attaccare Sofia.
   In preda alla rabbia, scagliò un violento getto d’Acqua verso di lei che, evocato prontamente un randello di Fuoco, lo rispedì indietro. Rapido, André afferrò l’Acqua, mutandola in ghiaccio e lanciandolo nuovamente verso Sofia, che lo bloccò con uno scudo incandescente.
   L’arrivo di Laurence impedì loro di scambiarsi colpi più feroci: li spinse lontani l’uno dall’altra grazie a un forte vento mentre Blaze, furioso, gridava.
   «Si può sapere cosa vi è preso?» chiese ai due che, non potendosi più colpire, si accontentavano di lanciarsi sguardi feroci.
   «Perché invece non le chiedi dov’era finita stamattina? Sono certo che troverai la risposta molto interessante!» sbottò André.
   «Diglielo tu, così mi risparmio la fatica di sentire un’altra predica!» replicò Sofia. Si voltò e si avviò verso la sommità della collinetta che sovrastava il punto in cui si trovavano. «Vado a prendere i ragazzi. Questo è un giorno fondamentale per lo sviluppo del loro potere» concluse, rivolta a Laurence.
   Una volta che si fu allontanata, Blaze si rivolse ad André.
   «Allora, dove si era cacciata Sofia?».
   L’espressione di André era cupa.
   «Non potete neanche immaginarlo…».
   Rapidamente raccontò loro quello che gli aveva detto Sofia poco prima. Nessuno dei due ne fu sorpreso.
   Dopo alcuni minuti di silenzio, André riprese a parlare.
   «Lo sapevate?» chiese.
   «Lo sospettavamo» rispose calmo Laurence. Scambiò uno sguardo con Blaze. «Almeno, osservando Giovanni era evidente che per lui Sofi non fosse solo un’allieva. Quanto a Sofia… be’, immagino che dopo essere stata cresciuta da lui, sia normale che ci sia un legame piuttosto forte» concluse.
   «Credete che dovremmo tenerla d’occhio? Magari impedire che vada di nuovo al Centro…» disse Blaze, un po’ titubante. André sembrava decisamente d’accordo. Laurence, invece, espresse un parere diverso.
   «Non dobbiamo intrometterci. È in grado di prendere da sola le proprie decisioni, lei non limiterebbe mai la nostra libertà. Farle una cosa del genere sarebbe solo il primo passo sulla strada per diventare come Giovanni e gli altri» esclamò deciso. André e Blaze furono costretti a riconoscere che aveva ragione e a fare quello che diceva.
   Vedendo il sole alzarsi nel cielo, si fecero strada nella fresca aria primaverile verso l’altro versante della collina. Era arrivato il momento di lasciare che il potere degli Elementi scorresse libero.

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Capitolo 4
*** La Valle degli Elementi ***


Sentirono le voci prima ancora di arrivare.
   Quando finalmente giunsero in cima videro i ragazzi che, seduti sul prato, ascoltavano attentamente Sofia.
   «Sapete tutti per quale motivo siete stati portati al Centro» disse, guardandoli a uno a uno. «Sapete anche che metodi venivano usati per far sì che il vostro Elemento emergesse. Questo perché essere in grado di manipolare un Elemento apre molte possibilità per manovrare anche le persone, dato che i quattro Elementi fondamentali – Aria, Acqua, Terra e Fuoco – insieme danno vita all’Energia che, come vi è stato insegnato, è ciò che muove e costituisce tanto gli esseri viventi quanto gli oggetti inanimati».
   Si interruppe per soffermarsi con particolare attenzione sugli allievi che si trovavano al Centro da meno tempo.
   «Voi, che siete arrivati da poco, non avete ancora capito quale sia effettivamente il vostro Elemento. È essenziale che lo individuiate. Per far sì che ciò accada, inizieremo oggi stesso con un programma innovativo che sono certa darà ottimi risultati».
   Sofia osservò divertita gli sguardi poco convinti che le venivano rivolti: sapeva che stavano pensando al peggio. Riprese a parlare.
   «Per questo motivo, adesso ognuno di voi riceverà del cibo da portare con sé».
   Fu interrotta da un ragazzo.
   «Perché, dobbiamo andare via? Ieri ci avevano detto che saremmo rimasti qui!» disse guardando André, Laurence e Blaze che si erano avvicinati a Sofia.
   Lei sorrise. «Non dobbiamo affatto andare via. Quello che vi chiedo di fare oggi è di esplorare questo posto. Ascoltate cosa vi suggerisce la Natura, vivetela, fatene parte». Si rivolse al resto del gruppo.  «Vorrei che anche quelli di voi che sanno già utilizzare il proprio Elemento riprendessero contatto con la Natura. Questo aumenterà l’affinità tra Elemento e Portatore» concluse allegra.
   Tutti la guardarono sbigottiti.
   «Quindi… ci stai dicendo che dobbiamo andare in giro a divertirci e fare quello che vogliamo?» chiese dubbioso lo stesso ragazzo che l’aveva interrotta poco prima.
   «Precisamente» fu la risposta.
   «Ma…» il ragazzo sembrava ancora scettico «che posto è questo?».
  «Ah! Ottima domanda. In effetti, nella concitazione di ieri non vi è stato detto nulla. A proposito, come ti chiami? Non eri nei miei gruppi» chiese Sofia sempre più allegra… e già questo era sufficiente a confonderli. Nessuno ricordava d’averla mai vista sorridere.
   «Fernando. Sono un’Apprendista di secondo livello dell’Aria».
   «Bene. Il posto in cui ci troviamo è un luogo dove la Natura non è stata in alcun modo intralciata dall’uomo e questo ha permesso agli Elementi di manifestarsi liberamente in tutte le loro forme. A rischio di risultare banali, l’abbiamo chiamato “Valle degli Elementi”».
   «E Giovanni sarebbe quello privo di fantasia?». Ailie scoppiò a ridere tanto da finire distesa sull’erba. «Certo che ne hai, di coraggio!» concluse, guardando André.
   Lui sembrò irritato. «Avevamo altro a cui pensare, in caso non l’avessi intuito» le fece notare.
   Blaze gli tirò un pugno sul braccio. «La ragazza ha colpito nel segno, devi accettarlo!» disse, scoppiando a ridere come Ailie.
   Sofia riprese la parola. «Avanti, basta con le chiacchiere! Andate».
   Lentamente, il folto gruppo davanti a lei cominciò ad alzarsi e a dividersi in gruppi più piccoli che si allontanavano in ogni direzione, parlottando fitto e guardandosi attorno guardinghi.
   Emma si avvicinò a Sofia.
   «E io cosa faccio?».
   Sofia la fissò senza capire.
   «Vai con gli altri! Cos’altro dovresti fare?»
   «Ma io non comando nessun Elemento!»
   «Come fai a saperlo con certezza?» le chiese insinuante Sofia. Emma sembrò confusa.
   «Ma… per due giorni non sono riuscita a fare niente di quello che mi veniva chiesto» disse sconfortata.
   Sofia poggiò le mani sulle spalle della ragazzina e la costrinse a guardarla negli occhi. «Emma, cercherò di essere chiara. Ascoltami bene: Giovanni potrà essere crudele, duro, insensibile… ma ha un talento straordinario nel percepire gli Elementi latenti nelle persone. Non mentiva, quando diceva di non essersi mai sbagliato. E anche in questo caso, io non credo che si sia sbagliato: credo che non abbia capito cosa aveva di fronte» disse seria. Poi si fermò per un istante. Sapeva che le poche persone rimaste intorno a lei – Laurence, Blaze, André e Ailie – la stavano osservando. Non poteva far capire loro cosa sospettava… almeno fino a quando non ne avesse avuto la conferma. Prese fiato e proseguì. «Per questo vorrei che andassi con gli altri. Non devi fare niente: solo ascoltare quello che senti dentro di te. Sarà la Natura a farti scoprire il tuo potere».
   Non molto convinta, Emma si avvicinò a Ailie che le faceva segno di andare. In quel momento furono raggiunte da Elizabeth che era tornata indietro per chiamare le due ragazze.
   «Siete ancora qui! Che aspettate?» chiese impaziente, fermandosi bruscamente a pochi centimetri da André che – notò Sofia – trattenne il fiato. Guai in vista, pensò.
   «Stavamo per raggiungerti» rispose Ailie, alzando un sopracciglio. Il tono autoritario e l’atteggiamento egocentrico di Elizabeth la disturbavano, ma decise di non darlo a vedere. Quella ragazza non la convinceva, il suo istinto le diceva di stare attenta – e se avesse saputo che Sofia condivideva le sue stesse preoccupazioni, probabilmente avrebbe controllato Elizabeth ancora più attentamente.
   Si avviarono verso la cima della collinetta di fronte a quella dove si trovava l’edificio che, col passare dei mesi, avrebbero iniziato a considerare una casa e scesero sul versante opposto.
   La scena che si presentò ai loro occhi le lasciò senza fiato.
   Una valle si stendeva sconfinata, interrotta da dolci dune verde brillante e punteggiata da laghetti che brillavano come diamanti alla luce del sole. Stavano ascoltando le risate dei loro amici, sparsi un po’ ovunque, che venivano amplificate dall’eco quando qualcosa passò così vicino alle loro teste da spostarle i capelli.
   Alzarono gli occhi al cielo. Tre Fenici volteggiavano sopra di loro, le piume dorate del collo che brillavano al sole e le lunghe code color del cielo che le accarezzavano.
   Si scostarono con un balzo.
   «Ma cosa…» dissero in coro.
   Poi Elizabeth riportò lo sguardo sul laghetto più vicino.
   «Io vado a farmi un tuffo!» gridò iniziando a correre lungo il pendio. Giunta allo specchio d’acqua, le altre due la videro tuffarsi ancora in corsa e completamente vestita.
   «Ma è impazzita?» chiese sbigottita Emma a Ailie che, intanto, fremeva.
   «Mi dispiace Emma non resisto più… devo andare!».
   «Andare? E dove?» sempre più confusa, Emma guardò Ailie sfilarsi rapidamente le scarpe e correre a piedi nudi sull’erba.
   «Avanti Emma vieni anche tu!» gridò lanciandosi a terra e rotolando vicino allo specchio d’acqua in cui si era lanciata Elizabeth, che proprio in quel momento riemerse… solo per afferrare Ailie per una caviglia e trascinarla in acqua con lei.
   Scuotendo la testa, Emma riprese a camminare, osservando man mano gli altri gruppetti che incrociava. Sembravano tutti esaltati.
   Andando avanti scopriva sempre più animali di tutte le specie, che sembravano andare d’accordo tra loro e con gli umani contrariamente a tutto quello che aveva sempre visto e che le era sempre stato insegnato: gatti che facevano le fusa agli uccellini, orsi che si gettavano in acqua insieme alle persone, pantere sdraiate placidamente al sole. Nessuno sembrava spaventato, si comportavano tutti con estrema naturalezza. All’improvviso sentì qualcosa di umido sfiorarle la mano. Balzò indietro terrorizzata. Un grande lupo grigio stava strusciando il muso contro la sua mano.
   Laurence la fermò.
   «Sta’ tranquilla… non ti farà nulla» le disse sorridendo.
   Emma allungò timidamente la mano verso il lupo che corse subito da lei. Iniziò ad accarezzarlo con gli occhi sgranati.
   «Perché si fa accarezzare?»
   «Qui tutto vive in armonia… la Natura, gli Elementi, gli animali e qualunque altra cosa ti venga in mente!».
   Sofia li superò di corsa. «Ho dimenticato di dire ai ragazzi di non infastidire le Coccatrici e i Kappa!» gridò senza fermarsi.
   Emma guardò Laurence.
   «Coccatrici? Kappa? Ma che sono?»
   «Sono entrambi animali leggendari… ce ne sono molti qui. Se guardi verso quel cespuglio» disse, indicando un punto qualche metro alla loro destra «vedrai una Coccatrice…».
   Proprio in quel momento un buffo animale sbucò dal cespuglio indicato da Laurence. Grande quanto un gallo, di quest’animale aveva la testa, le zampe e le ali piumate, mentre il corpo era simile a quello di un serpente, verde scuro, liscio e completo di coda.
   Emma scoppiò a ridere.
   «Come ha detto Sofia, mai infastidire una Coccatrice. Nonostante l’aspetto ha un becco capace di spaccare a metà la pietra, artigli affilati e sguardo e fiato possono uccidere, se si sente minacciata o arrabbiata. In linea generale, però, sono docili e non aggressive, come i Kappa. Quelli sono più difficili da vedere, di solito stanno nascosti sul fondo dei laghi… ne escono di tanto in tanto per fare qualche dispetto a chi nuota. Ecco, guarda lì» indicò un laghetto poco lontano, dove i ragazzi di tanto in tanto venivano trascinati sott’acqua da qualcosa per qualche secondo e poi riemergevano ridendo.
   «Che altri animali ci sono qui?» chiese Emma mentre camminavano, con aria affascinata.
   «Be’ le Fenici le hai viste… ci sono Grifoni, varie specie di Draghi, Salamandre del Fuoco… ah guarda, laggiù c’è un Wakinyan: lo chiamano anche Uccello del Tuono, perché col movimento delle ali può generare dei venti fortissimi». Seguendo lo sguardo di Laurence, Emma vide un rapace di proporzioni immense che, battendo le ali, creava una corrente d’aria contro cui cercavano di andare alcuni ragazzi. Una di loro, ridendo, fu scagliata indietro di qualche metro e cadde a terra.
   «Poi… mhhh… ci sono anche Kelpie e Manticore» disse Laurence pensieroso. «Col passare dei giorni li vedrai tutti. Adesso ti lascio» aggiunse, vedendo Fernando avvicinarsi a loro.
   Emma guardò bene il ragazzo: di media altezza, col fisico asciutto, i capelli castano scuro e gli occhi neri, perfettamente intonati alla pelle chiara, si rivolse subito a lei con un sorriso sul volto.
   «Allora, che te ne pare di questo posto?». Sembrava entusiasta.
   «È incredibile… ogni minuto che passa si scopre qualcosa di nuovo!».
   Fernando sorrise. «Parlami un po’ di te. Dove vivevi?».
   «In Danimarca». Ricordare il posto a cui era stata strappata le faceva male – in fondo erano passati solo due giorni da quando aveva visto per l’ultima volta i suoi genitori salutarla mentre usciva.
   Fernando sembrò capire cosa provava. La prese per mano, cercando di trasmetterle la propria forza: il distacco iniziale era il più doloroso, c’era passato ognuno di loro.
   «Pensa un po’, non l’avrei mai detto. Credevo che le ragazze del Nord Europa fossero tutte bionde e con gli occhi azzurri» la prese in giro.
   Sul volto di Emma spuntò un piccolo sorriso.
   «Io invece vengo dalla Spagna. Caldo, mare, tanto sole… praticamente l’opposto!» proseguì.
   «Da quanto tempo sei qui?» gli chiese lei. Da quando era lì, Fernando era la prima persona che le parlava di cose che potesse comprendere e questo la rendeva felice.
   «Io? Sono sei anni ormai…» rispose, cercando di mascherare l’amarezza. Voleva rassicurarla, dirle che col tempo non avrebbe più sentito la lontananza, la nostalgia verso il mondo che aveva perso, ma non ci riusciva.
   Emma strinse la mano che era ancora intrecciata alla sua con una naturalezza che la lasciò sbalordita. Decise di cambiare discorso.
   «Prima hai detto che sei un’Apprendista di secondo livello dell’Aria. Che significa?».
   «Come sai, qui ognuno di noi padroneggia uno dei quattro Elementi fondamentali: Acqua, Aria, Terra e Fuoco. I primi Portatori di Elementi però vennero scoperti già molti secoli fa e per questo furono scritte numerose memorie tramandate poi di generazione in generazione. L’abilità con cui si evocano e manipolano gli Elementi progredisce con gli anni e l’esercizio: per questo, nel Quindicesimo Secolo, un potente Maestro degli Elementi elaborò una classificazione dei Portatori a seconda del grado di manipolazioni degli Elementi raggiunto».
   Fernando s’interruppe. Emma lo guardò impaziente. «Non fermarti proprio ora che sto iniziando a capirci qualcosa!».
   Lui sorrise e proseguì. «I Portatori di Elementi si dividono in Apprendisti di primo, secondo e terzo livello. Dopo gli Apprendisti ci sono i Figli degli Elementi e per ultimi i Maestri»
   «E come si capisce quando un Portatore passa da un livello all’altro?»
   «Non è complicato… lo scritto di cui ti ho parlato è molto chiaro in proposito. Sono Apprendisti di primo livello coloro che stanno imparando a evocare il proprio Elemento nella sua forma base e con un’intensità media. Quando riescono in questo, passano al secondo livello, in cui ti insegnano a manipolare l’Elemento sempre a un’intensità media, ma nelle varie forme che può prendere. Pensa all’Acqua: un Apprendista di secondo livello impara a mutarla in ghiaccio, vapore, nuvole, eccetera. Quando si passa al terzo livello, invece, si continua a fare quello che si faceva al secondo livello ma evocando l’Elemento con un’intensità molto maggiore».
   Emma sembrava avere un milione di domande da fare. «I Figli e i Maestri degli Elementi cosa fanno in più rispetto agli Apprendisti?».
   «Be’, devi capire che gli Apprendisti possono evocare gli Elementi solo in quantità minima – che so, una sfera di fuoco, una pioggia localizzata, cose del genere. I Figli degli Elementi, invece, imparano a evocarli e manipolarli in modo molto più esteso. Un Figlio dell’Aria, ad esempio, può scatenare anche delle trombe d’aria, seppure non molto potenti. Fino a questo livello, chi evoca gli Elementi non riesce a utilizzarli con la forza necessaria per renderli veramente dannosi o letali. In questo riescono solo i Maestri».
   «Quindi i Maestri possono uccidere, e gli altri no».
   «Non è esatto» la corresse Fernando. «Anche Apprendisti e Figli degli Elementi possono uccidere, a patto di scagliare molti colpi e tutti ben mirati. Ai Maestri, invece, può bastare anche un solo colpo. Inoltre, meglio si padroneggia un Elemento, più si sviluppa la resistenza ai danni fisici. Capisci da sola che i Maestri hanno un doppio vantaggio».
   «Come mai dopo sei anni sei ancora un Apprendista di secondo livello?». Appena lo disse, Emma si morse la lingua. Non voleva offendere Fernando, era stato gentile e comprensivo con lei e la stava aiutando a capire in che mondo era capitata.
   Lui però sembrò non farci caso. Le sorrise rassicurante. «L’apprendistato di secondo livello è uno dei livelli d’addestramento più lunghi in assoluto perché un Elemento, per manifestarsi in forme diverse da quella base, spesso ha bisogno dell’apporto anche minimo di un altro Elemento. Pensa alla nebbia…».
   «Gocce d’acqua in sospensione nell’aria» disse Emma annuendo.
   «Esatto. Quindi bisogna imparare a manipolare anche gli altri Elementi».
   Lei sembrava perplessa. «Se vi insegnano a manipolare tutti gli Elementi… perché vi dividono in Portatori di Acqua, Fuoco, Terra e Aria?».
   «Perché la manipolazione sugli altri Elementi è sempre minima, funzionale alla manipolazione dell’Elemento principale. Un Portatore della Terra non avrà mai con gli altri tre Elementi l’affinità che ha con la prima» spiegò Fernando paziente.
   Emma era ammirata. «Come fai a sapere tutte queste cose?».
   «Ce le insegnano per imparare a capire meglio gli Elementi e sviluppare l’affinità con loro. Le imparerai anche tu, vedrai».
   Camminando si erano allontanati parecchio. Se ne accorsero solo in quel momento, notando la pianura apparentemente senza fine in cui si trovavano.
   A spezzare la linea piatta di quel posto c’era solo un grande, solitario ippocastano; i due ragazzi intravidero un movimento accanto al tronco massiccio e Fernando trascinò indietro Emma.
   «È meglio andare via» le disse, spingendola rapidamente nella direzione da cui erano arrivati e controllando che nessuno li seguisse.

*

Ailie uscì dal laghetto.
   «Ma come fai a stare ancora lì dentro?» chiese stringendo le labbra ormai viola. Elizabeth le rivolse un ghigno.
   «A me non fa nessun effetto!».
   Scuotendo i rossi capelli zuppi d’acqua, la prima si guardò intorno.
   «Ci siamo dimenticate di Emma! Dove sarà finita?»
   Ancora in acqua, Elizabeth sbuffò. «Che importa? E poi non sei mica sua madre!»
   Non riuscendo a trattenersi, Ailie la guardò con astio.
   «Conosce solo noi due, qui. E poi non sai cos’ha passato quella poverina per colpa di Giovanni!».
   Improvvisamente interessata, Elizabeth riemerse dallo specchio d’acqua.
   «Giovanni? Il Maestro del Fuoco, vero? Ma se è così gentile! ».
   Incredula, Ailie la fissò strabuzzando gli occhi.
   «Giovanni… gentile?». Non poteva credere alle proprie orecchie. Tutti lo conoscevano come un uomo crudele e insensibile.
   «Sì, con me lo è stato! E poi è così bello…». Elizabeth sospirò.
   L’altra la guardò socchiudendo gli occhi. Poi, come se avesse intuito qualcosa di ovvio, ritrovò le parole. «Ho capito! Mi stai prendendo in giro… divertente, davvero molto divertente!».
   Questa volta fu il turno di Elizabeth di guardarla con aria sconcertata.
   «Non sto affatto scherzando!».
   Ailie la osservò con un misto di incredulità e sospetto.
   «Io non sono qui da molto più tempo di te, però ho avuto modo di parlare con un po’ di persone. Tutti, specialmente gli Apprendisti del Fuoco, sono d’accordo nel considerare Giovanni senza pietà. Lui cerca persone che sappiano comandare gli Elementi e non si fa problemi a usare i metodi più violenti per costringere il loro potere a manifestarsi. Puoi chiedere a chiunque, ti diranno questo. Quindi permettimi di dirti che no, Giovanni di certo non è né buono né gentile!».
   Ma Elizabeth non l’ascoltava più. Alcuni metri alla loro destra, infatti, aveva notato Blaze e André che andavano a fare un giro di controllo. Così lasciò Ailie dove si trovava e corse verso di loro.

*

«Guarda un po’… la biondina di stamattina viene verso di noi» disse Blaze malizioso.
   Il volto di André divenne purpureo.
   «Ma che stai dicendo, avrà visto qualcun altro…» farfugliò.
   «Oh andiamo… ammettilo che ti piace!» rispose l’altro tirandogli una gomitata.
   Elizabeth si fermò di scatto a pochi centimetri da loro.
   «Ciao!» disse, piantando i propri occhi in quelli di André e rivolgendogli un gran sorriso.
   «Ciao» rispose Blaze, osservando il suo amico e trattenendo un ghigno. «Il mio amico è davvero contento di vederti sai? Adesso però io devo proprio andare, devo fare un giro di controllo per assicurarmi che stiano tutti bene… ci vediamo dopo!» concluse, facendo l’occhiolino ad André ed allontanandosi velocemente.
   «Non fare caso a Blaze, gli piace prendere in giro tutti» disse André, cercando di superare l’imbarazzo che gli provocava l’avere Elizabeth così vicina.
   Lei mise il broncio.
   «Quindi non sei contento di vedermi! Sarà meglio che me ne vada…» disse, avviandosi nella direzione da cui era arrivata. Lui la bloccò.
   «Ma no, non mi sono spiegato… mi fa piacere che tu sia qui» arrossì violentemente «ma non devi credere a tutto quello che dice Blaze, era questo che intendevo dire». Dopo qualche istante di silenzio imbarazzato, André decise di cambiare discorso. «Ho visto che sei un’Apprendista dell’Acqua… eri appena arrivata al Centro, vero?».
   Fingendosi ancora imbronciata, Elizabeth rispose affermativamente.
   «Be’, pensavo… magari potrei insegnarti qualcosa da subito, prima che inizi l’addestramento per tutti gli altri…» disse lui, sperando che rispondesse di sì. Voleva a tutti i costi passare del tempo con lei.
   Elizabeth finse di pensarci su. «Va bene… quando iniziamo?» chiese infine, rivolgendogli un altro sorriso. Era esattamente quello che aveva sperato. Quel mattino si era svegliata molto prima degli altri e, come Blaze e Laurence, aveva assistito allo scontro tra André e Sofia. Istintivamente aveva percepito l’abilità di lui e deciso che l’avrebbe persuaso a essere il suo insegnante… ma non si aspettava che sarebbe stato tanto facile.
   Alla sua risposta, anche André sorrise. «Direi immediatamente. Perché perdere tempo?» disse.
   «Giusto. A proposito… chiamami Liz» disse avviandosi con lui verso una collinetta.

*

Sofia accarezzò la corteccia ruvida dell’albero con affetto.
   Si diceva che nel mondo non ci fossero due cose perfettamente identiche, ma per quell’albero valeva una regola diversa: era il gemello dell’ippocastano che si trovava nel parco del Centro. Uniti dallo stesso Spirito della Terra, condividevano ogni cosa ed erano uguali fino all’ultima foglia, fino alla cicatrice che Sofia aveva lasciato sul tronco del secondo scappando dall’uomo che l’aveva cresciuta.
   Quando l’ossessione di Giovanni l’aveva portato a dimenticare la loro tradizione, lei aveva continuato ad andare sotto quell’albero ogni giorno della sua vita che aveva passato al Centro. Era stato così che aveva scoperto che il contatto con la Natura accentuava e favoriva la capacità di utilizzare gli Elementi. Avere la possibilità di sdraiarsi ancora sotto le foglie amiche la rendeva felice e quell’ippocastano era spuntato in un luogo abbastanza isolato da non essere disturbata – molto lontano dalla zona abitata della Valle, al centro di una pianura piatta e vuota dove nessuno avrebbe avuto la pazienza di arrivare.
   Sfiorò la bruciatura sul tronco dell’albero mentre i raggi del sole morente incendiavano le foglie e circondavano il fusto imponente con un’intensa aureola luminosa. Rivolgendogli un ultimo sguardo, staccò le dita dalla corteccia e si allontanò, tornando ai propri compiti.
   Camminava veloce, cercando di svuotare la mente da tutti i dubbi che la notte precedente le avevano impedito di dormire, quando li sentì. André ed Elizabeth, in una piccola radura ben nascosta dagli alberi e dalle dune, parlavano. Lui, tenendo saldamente la mano di Elizabeth nella propria, le fece distendere il braccio in avanti, insegnandole a evocare il proprio Elemento. Un piccolo getto d’Acqua scaturì dalla mano della ragazza, muovendosi fluido nell’aria come un serpente luminoso che avvolgeva e distendeva le proprie spire.
   Sofia si concentrò sui loro volti. Anche da dove si trovava poteva vedere chiaramente gli occhi di André brillare in modo quasi innaturale, rendendo evidente il desiderio che provava per la ragazza che con una scusa teneva stretta a sé e che sembrava, invece, del tutto disinteressata alla persona che le stava accanto. L’Acqua che aveva evocato assorbiva tutta la sua mente, ne seguiva i movimenti con uno sguardo che era soddisfatto solo per metà. Troppo presa da quello che stava imparando, cullata dall’apparente assenza di altre persone, Elizabeth non riusciva a soffocare la brama di un maggior potere che aveva provato dal momento in cui Giovanni l’aveva elogiata per il suo talento.
   Decidendo di aver visto abbastanza, Sofia si allontanò silenziosa, iniziando a correre solo quando fu certa che non avrebbero potuto sentire i suoi passi e chiedendosi quante altre preoccupazioni la sua mente avrebbe potuto sopportare.

*

I giorni e le notti si susseguirono e, prima che potessero rendersene conto, due settimane erano trascorse da quando erano arrivati alla Valle degli Elementi.
   Il contatto prolungato con la Natura aveva accelerato i tempi di apprendimento dei Portatori.
   Gli Apprendisti di primo livello, anche i meno esperti, evocavano già il proprio Elemento con una padronanza inaspettata, tanto che furono subito uniti agli Apprendisti di secondo livello che si addestravano da meno tempo.
   Ormai la maggior parte dei ragazzi era pronto a passare al terzo livello dell’apprendistato o a quello destinato a formare i Figli degli Elementi; per questo André, Blaze, Laurence e Sofia decisero di iniziare nuovamente le lezioni e gli addestramenti a pieno ritmo.
   «Proprio non capisco perché dobbiamo studiare tutte queste cose. Io odio la matematica! E conoscere tutte queste lingue a cosa dovrebbe servirci?» si lagnò Ailie al termine del primo giorno di lezioni. Tra tutte le cose che si era aspettata, l’ultima era l’idea di ricominciare la scuola.
   Uno dei Figli del Fuoco anziani, Costa, le si affiancò.
   «Cosa vorresti fare della tua vita? Hai intenzione di restare qui per sempre?».
   «Perché, quali alternative ho?» disse Ailie sbuffando.
   L’uomo la guardò intensamente. «L’addestramento dura molti anni, è vero, ma una volta terminato assumete dei normali incarichi nel mondo, vi costruite una famiglia… non siete obbligati a restare qui per sempre. Non lo siete neanche ora».
   Un moto di stupore accolse le sue parole.
   «È un fatto, però» proseguì Costa «che se andate via da qui, ora, con ogni probabilità verrete nuovamente portati al Centro. Per questo dovreste restare e imparare a controllare il vostro potere. Perché quando il vostro periodo di apprendimento sarà terminato, nessuno potrà più piegarvi al proprio volere. Allora, solo allora, sarete veramente liberi».
   La vista della porta della mensa distrasse il gruppetto che lo ascoltava, e la conversazione si interruppe. Seduti ai tavoli i ragazzi chiacchieravano e ridevano, raccontandosi come avevano passato la giornata. Alcuni, più irrequieti, tentavano di modificare ciò che avevano nei piatti e nei bicchieri, spesso con conseguenze disastrose.
   «Che accidenti combini?»
   «Vuoi stare attenta?»
   «Non ne posso più!».
   Le urla provenivano da uno dei tavoli centrali, dove un’Apprendista dell’Acqua aveva appena fatto schizzare ovunque quello che aveva nel bicchiere nel tentativo di mutare l’acqua in nebbia. Dai tavoli vicini si levò un coro di risate, che si spense rapidamente quando un Apprendista del Fuoco incendiò una panca.
   Scuotendo la testa, Sofia fece un gesto come a raccogliere qualcosa in aria e strinse il pugno: il piccolo incendio svanì immediatamente, lasciandosi dietro solo qualche voluta di fumo grigiastro e dei segni neri sulla panca.
   L’autore del danno guardò Sofia. «Non ho saputo resistere!» disse a mo’ di scusa.
   Lei scosse di nuovo la testa. «Quante volte dovrò dirti di non fare esperimenti in mezzo agli altri? Prima o poi ci farai saltare tutti per aria, Marcos!».
   Il ragazzo sorrise con aria colpevole e tornò alla propria cena.
   Sofia sedette di nuovo al proprio posto. Senza neanche darle il tempo di respirare, André partì all’attacco.
   «I tuoi Apprendisti sono irrequieti. Devi imparare a tenerli sotto controllo, oppure li dovremo dividere dagli altri!».
   Dalla prima mattina che avevano passato alla Valle – da quell’ultima lite, da quell’ultimo scontro – non si erano più rivolti la parola, a meno che non fosse indispensabile.
   Tutti gli occupanti del tavolo si voltarono a guardarlo. Solo Sofia, impassibile, lo ignorò.
   Lui insisté. «Allora? Devo interpretare questo tuo silenzio come un assenso?».
   Finalmente, gli occhi ambrati di Sofia si posarono su di lui. «Invece di pensare ai miei allievi, dovresti pensare ai tuoi… anche se a una di loro pensi fin troppo».
   Come aveva previsto, André cambiò colore. Sofia sapeva che nessuno era a conoscenza della storia che era nata tra lui ed Elizabeth, e se provocata non esitava a colpire i punti deboli degli avversari… neanche quando erano suoi amici.
   Dopo averle rivolto uno sguardo truce e aver lanciato la forchetta sul tavolo, André si allontanò.
   Costa scosse la testa.
   «E poi dicono che sono i Portatori del Fuoco, quelli suscettibili».
   Blaze si abbandonò sullo schienale della sedia e lo guardò.
   «Be’, Sofi ha un talento naturale per scoprire i segreti degli altri e trasformarli in armi potenzialmente devastanti, lo sai anche tu. Chiunque al posto di André si sarebbe arrabbiato. A proposito» proseguì, cercando Sofia con lo sguardo «chi è la fortunata cui alludevi? ».
   «Prova a indovinare» rispose lei distrattamente. Blaze ridacchiò.
   «A occhio e croce, direi che si tratta di quella bella biondina che ha puntato da quando siamo arrivati… quella che sta sempre con Ailie e con la tua protetta, come accidenti si chiama… ah sì, Elizabeth».
   «Emma non è la mia protetta. Cerco solo di non farle pesare il fatto che non ha ancora capito quale sia il suo Elemento» precisò lei. «Comunque sì, hai indovinato. È proprio di Elizabeth che parlavo… non che fosse difficile capirlo. André le sta sempre incollato addosso»
   «Quanto sei noiosa… lascia che si divertano!»
   «Mhhh»
   «E adesso questo “mhhh” cosa significherebbe?»
   «Significa “lasciami mangiare in pace”, Blaze. Credi di poterci riuscire?» sbuffò Sofia, cercando di cambiare discorso.
   «No, non posso farcela. Certo, se tu mi dicessi cosa stavi realmente pensando… magari potrei fare uno sforzo» la provocò lui. Sofia alzò gli occhi al cielo.
   «Come va l’addestramento di Ailie?».
   «Meravigliosamente. Non posso credere che l’avessero classificata come una Portatrice dell’Acqua, ha un’affinità fin troppo evidente con la Terra… sai che riesce già a farla mutare in tutte le sue forme, compresi i metalli allo stato liquido?» rispose lui, infervorandosi. Il talento di Ailie era davvero molto sviluppato – come quello di tutti i giovani Portatori che erano stati condotti al Centro negli ultimi tre mesi. Stavano affrontando di già il secondo livello dell’apprendistato, e con una rapidità impressionante, confermando quello che Sofia prima e gli altri Figli degli Elementi poi avevano sospettato: Giovanni, Prudencia, Jackson e Tsukiko, evidentemente, comprimevano il potere dei più dotati in modo da essere certi di mantenere la supremazia su tutti loro.
   «Questi nuovi Apprendisti hanno davvero delle capacità impressionanti. Cosa credete sia cambiato, dai nostri tempi?» chiese Costa.
   Fu Laurence a rispondergli. «È cambiato l’ambiente, Costa. Qui sono liberi di esprimere il loro potere, come lo sono stati alcuni di noi prima che la funzione del Centro degenerasse».
   Incontrò lo sguardo di Sofia. Di tutte le persone che avevano visto nascere il Centro e che vi erano state addestrate quando la principale funzione di quel posto era formare Portatori di Elementi di massimo livello erano rimasti solo loro due e André. Tutti i loro compagni – pochi, in verità – erano stati spediti in ogni angolo del mondo per occupare posti strategici e individuare altri Portatori. Negli ultimi sei anni gli arrivi erano stati sempre più frequenti… cioè da quando i quattro Maestri avevano impostato una diversa linea di comportamento. Non si occupavano più di insegnare ai Portatori a utilizzare il proprio Elemento al meglio, ma erano impegnati nella ricerca di qualcosa. Nessuno sapeva cosa… tranne Sofia.
   «Non riesco a capire. A me sembra che non sia mai cambiato nulla, da quando mi sono unito a voi».
   Costa era arrivato al Centro dalla Grecia cinque anni prima, durante l’apprendistato di terzo livello. Circa un anno prima del suo arrivo, Giovanni aveva deciso di potenziare la struttura e si era rivolto ai Maestri all’esterno perché gli segnalassero gli Apprendisti di terzo livello di maggior talento: per questo, Costa non riusciva a immaginare che il Centro fosse mai stato un luogo diverso da quello che aveva visto con i propri occhi.
   Sofia si schiarì la voce.
   «Quando sei arrivato, cinque anni fa» esordì «stavano potenziando il programma di addestramento. Formare quanti più Portatori possibile senza sviluppare il loro completamente il loro potere. Lo aveva deciso Giovanni un anno e mezzo prima. Gli ci sono voluti alcuni mesi per convincere anche Jackson, Prudencia e Tsukiko ma alla fine ce l’ha fatta e ha cominciato a cercare Apprendisti di terzo livello per aumentare l’organico tanto di insegnanti quanto di sorveglianti. Fino a quel momento il Centro era stato un luogo di addestramento sì, ma nei limiti del ragionevole. Portavano via i ragazzi, quando erano troppo giovani e ancora affidati alle proprie famiglie, con qualche scusa, e si impegnavano per far sì che sviluppassero al massimo il loro potenziale».
   «E perché Giovanni ha messo in atto un cambiamento tanto radicale?» chiese Costa. Era più che stupito da quello che stava apprendendo.
   Sofia esitò. «Non saprei dirlo» mentì.
   Costa la guardò con aria scettica. «Avanti Sofia, sappiamo tutti che tra te e Giovanni c’era… come dire… una certa intimità».
   «Non quella che pensi tu». Guardò il quarantenne greco con le sopracciglia aggrottate. «Mi ha cresciuta come una figlia, è vero. Negli ultimi sei anni, però, è cambiato. Non si confida più con me… quindi non ti so dire il perché di questa sua scelta». Sofia concluse con la stessa aria indifferente che aveva mantenuto durante tutto il discorso. Dentro, però, non si sentiva sicura. Sperava e pregava che Costa e gli altri Figli degli Elementi si decidessero a crederle perché non sapeva di chi fidarsi, perché il tipo di potere che Giovanni cercava era tanto grande da poter spingere qualcuno di loro a tradirli tutti.
   Laurence intervenne, traendola d’impaccio.
   «Siamo rimasti solo noi, qui. Sarebbe meglio andare a riposare».
   Notando che la mensa era deserta, tutti si alzarono.
   «Be’, buonanotte… e non dar retta a Costa, voleva solo punzecchiarti un po’» disse Viola, una Figlia dell’Aria, a Sofia.
   Lei annuì e, notando un cenno di Laurence, seguì lui e Blaze nel parco. Camminarono a lungo, in perfetto silenzio… poi, Laurence si decise a chiederglielo.
   «Capisco se non puoi o vuoi dircelo, Sofia» iniziò, titubante, voltandosi verso di lei «ma da quando il Centro ha cambiato linea di comportamento anch’io ho notato che Giovanni sembra alla disperata ricerca di qualcosa. So quello che hai appena detto a Costa» proseguì rapidamente, vedendo che lei apriva la bocca per replicare «ma ti conosco da abbastanza tempo da sapere quando menti. E quella che hai appena rifilato agli altri era una balla colossale».
   Sofia lo guardò indecisa, ma fu solo un istante. Se c’era una persona di cui si fidava, quella era Laurence. Si erano sostenuti a vicenda negli anni difficili che avevano trascorso insieme – lui l’aveva protetta e, quando lei era cresciuta abbastanza da capire il dolore che lo tormentava, era diventata sua amica e confidente.
   Guardò entrambi gli uomini che aveva di fronte – il giovane americano dai capelli scuri e il trentottenne dal cuore candido quanto nera era la sua pelle.
   Prese fiato. Quello che stava per dire la tormentava da sei anni, da quando, con una domanda, aveva scatenato – seppure involontariamente – l’ossessione di Giovanni.
   «Sei anni fa, tornata dal Brasile» iniziò «portai a Giovanni un antico manoscritto del XV secolo che avevo trovato per caso. Parlava del rapporto con la Natura e dedicava un brano molto particolare ai Portatori».
   «Non capisco cosa ci sia di strano. Abbiamo centinaia di antichi manoscritti che citano i Portatori di Elementi» la interruppe Blaze.
   Sofia proseguì. «Una cosa strana in effetti c’era. Quel manoscritto individuava cinque tipi di Portatori». Laurence e Blaze la guardarono con aria confusa.
   «Cinque? Ma gli Elementi sono solo quattro!» esclamò Blaze, sostenuto dallo sguardo di Laurence che però, un istante dopo, spalancò gli occhi. Aveva capito cosa stava dicendo Sofia.
   «Vorresti dire… quel manoscritto parla dei Portatori di Energia?» ruggì incredulo.
   Era una storia che esisteva da tempo immemorabile – come alcune altre storie sui Portatori di Elementi. E nessuna di esse era mai stata considerata qualcosa di più di una leggenda metropolitana.
   Sofia annuì. «Chiesi a Giovanni se fosse possibile. Non seppe rispondermi, e così iniziammo a rileggere tutti i testi che avevamo, cercando allusioni particolari o indicazioni che potessero riguardare i Portatori di Energia. In questo modo, molti punti che avevamo sempre considerato oscuri si sono chiariti. Ricorderete poi che da quel giorno abbiamo intrapreso entrambi molti viaggi, perlopiù separatamente» proseguì. «Siamo andati a cercare altri manoscritti e a interrogare persone nei piccoli villaggi, soprattutto in Giappone e in alcune zone dell’Africa, dove la memoria tramandata oralmente era ancora viva. E abbiamo ottenuto riscontri positivi. I Portatori di Energia esistono… o almeno, esistevano fino a un paio di secoli fa».
   «Come, fino a un paio di secoli fa?» chiese Blaze con voce strozzata.
   «L’ultima testimonianza dell’esistenza di un Portatore d’Energia risale al 1802, l’anno in cui morì» spiegò Sofia. «Da quel giorno, non ne sono nati altri… o almeno, non ce ne è giunta traccia».
   «È strano… possibile che ci siano così tanti Portatori di Elementi, e nessun Portatore d’Energia da duecento anni a questa parte?» rifletté Laurence a voce alta.
   «Lo è» rispose Sofia. «Dai documenti che abbiamo esaminato – e ti assicuro che sono parecchi – risulta chiaramente che i Portatori d’Energia sono molto rari. Spesso, inoltre, sono stati uccisi o in qualche modo resi inoffensivi prima che le loro capacità si sviluppassero completamente».
   «Ma perché fare una cosa del genere?» chiese Laurence e Blaze in coro.
   «Pare che non riuscissero a sostenere un tale potere. A volte il loro fisico veniva rapidamente consumato, probabilmente perché non riuscivano a gestire l’Energia. In alcun casi, invece, il problema era più che altro… diciamo morale. La brama di potere sugli altri Portatori li spingeva a compiere violenze inimmaginabili. Ho letto cose, in proposito, che vi farebbero drizzare i capelli in testa» concluse con una smorfia disgustata.
   «E così, ora Giovanni sta cercando un Portatore di Energia» disse Laurence. «Spera di trovarne uno e imbrigliarne il potere? Ma a che scopo?».
   «Non ne ho idea, Laurence» rispose Sofia, e stavolta era sincera. «La sua ossessione è trovarne uno. Cosa ne farà, una volta trovato… non so dirlo. Temo quello che potrebbe accadere. Ho l’impressione che questa ricerca lo stia divorando dentro e gli stia facendo perdere il controllo».
   I tre si guardarono in silenzio.
   «Credi… possiamo riferire ad André quello che ci hai appena detto?» le chiese Blaze, incerto.
   Sofia sembrò perplessa. «Io e André abbiamo litigato, è vero, ma ho sempre piena fiducia in lui. Non dovresti neanche chiedermelo, Blaze».
   Blaze tirò un sospiro di sollievo. Lo scontro tra André e Sofia durava ormai molto a più a lungo di quanto non fosse mai accaduto, e iniziava a temere che tra i due la rottura fosse definitiva.
   Una falce di luna era ormai alta nel cielo e li osservava, apparentemente indifferente, da lassù.
   «Sarà meglio andare» disse infine Sofia, dirigendosi con gli altri due verso la strada del ritorno.

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Capitolo 5
*** Una caccia infruttuosa e una ricerca riuscita ***


«Non ne potevo più di stare sdraiato in quel letto!».
   Jackson sbuffò.
   «Basta, Giovanni! È la quarta volta che lo ripeti!».
   Dopo un mese di convalescenza, finalmente Giovanni era perfettamente guarito ed era tornato alle sue abituali attività.
   «Piuttosto, chiediti come hai fatto a riprenderti tanto in fretta!» esclamò l’americano.
   Il giorno dopo la fuga di massa dal Centro, infatti, notando che le condizioni di Giovanni erano migliorate in modo repentino, Jackson aveva esaminato nuovamente la ferita. Quello che aveva visto l’aveva lasciato incredulo. Uno strato di pelle si era già formato sulla ferita a coprire la carne viva e la febbre che lo divorava era cessata. Sapeva bene che una lesione del genere non poteva guarire tanto in fretta senza un aiuto esterno… e lì non c’era nessuno in grado di fare una cosa simile.
   Giovanni lo fissò.
   «Se non temessi di passare per pazzo, oserei dire che sia stata Sofia a guarirmi».
   Jackson strabuzzò gli occhi.   «Cosa?!».
   L’italiano fece una smorfia. «Lo so, lo so… è impossibile, inoltre non sarebbe mai riuscita a entrare qui senza essere notata e soprattutto non avrebbe avuto motivo di farlo… però mi è sembrato di vederla, quella notte. Di sentire le sue mani accarezzarmi la fronte e scoprirmi la ferita. Probabilmente erano solo allucinazioni» concluse, scrollando le spalle.
   Jackson, al contrario, saltò in piedi.
   «Ma non capisci? Non era un’allucinazione! Lei è davvero stata qui, è riuscita a entrare… avanti, andiamo!».
   «Andiamo? E dove?».
   «A chiamare Tsukiko e Prudencia. Dobbiamo organizzare delle squadre di ricerca! Se è riuscita a tornare fin qui, quella notte, non possono essere troppo lontani! Sofia potrebbe aver lasciato delle tracce del suo passaggio. Possiamo ancora trovarli!» esclamò Jackson correndo verso la grande sala semicircolare dell’Ala Sud. Spalancò la porta con violenza.
   «Dobbiamo parlare!» disse con veemenza alle due donne che avevano osservato il suo ingresso con aria preoccupata. Giovanni, che lo seguiva da vicino, chiuse la porta.
   «Abbiamo appena scoperto una cosa molto importante» esordì l’americano. Lanciò un’occhiata all’uomo che aveva accanto. «La notte della fuga, Sofia è stata qui».
   «Cosa?». Prudencia scattò in piedi, rovesciando la sedia. «Come diavolo l’avete scoperto?».
   «Avevo notato che, il giorno dopo la fuga, la ferita di Giovanni aveva subito un miglioramento improvviso e apparentemente inspiegabile. Poco fa, parlandone, mi ha rivelato di aver visto Sofia quella notte al suo capezzale. Credeva fosse un’allucinazione generata dalla febbre, ma evidentemente non è così. Lei è stata davvero qui e ha guarito in parte la sua ferita».
   «Ma questo è impossibile». Tsukiko lo interruppe. «La capacità di guarire le ferite è estremamente rara, ci si può riuscire solo dopo decenni di addestramento e Sofia non è certo a quel livello!».
   «Ovviamente lo è. Ci aveva già tenuto nascosto il fatto di essere al nostro stesso livello… niente ci garantisce che non sia più abile di noi» s’inserì Giovanni con aria amareggiata.
   «Non ci sono livelli al di sopra di quello di Maestro, quindi devo convenire con Tsukiko: quello che dite è impossibile» rimarcò Prudencia.
   Jackson sembrò titubante. Ma fu Giovanni a spazzare via definitivamente tutte le loro convinzioni.
   «Un grado al di sopra dei Maestri esiste» affermò.
   Gli altri tre lo guardarono con aria scettica.
   «Se ci fosse un livello superiore, l’avremmo già raggiunto» disse Jackson.
   «Ma un livello superiore c’è» insisté Giovanni.
   «I Testimoni degli Elementi». Tsukiko trattenne il fiato. Era nata e cresciuta in un piccolo paesino del Giappone, e ricordava ancora la sua nonna materna che le raccontava storie sui Portatori di Elementi, sull’Energia – e sui Testimoni. Ma riguardo a questi ultimi, sembrava si trattasse solo di leggende nate intorno a Maestri particolarmente dotati.
   Giovanni annuì. «Ho trovato alcuni cenni, nei manoscritti che ho esaminato, e ho rinvenuto anche alcune testimonianze orali. Come per i Portatori d’Energia, sembra che i Testimoni degli Elementi esistano… ma che siano incredibilmente rari».
   «O incredibilmente sfuggenti» sottolineò Jackson.
   Prudencia s’irrigidì. «Sofia non può essere una Testimone. È impossibile!» gridò, mentre la rabbia, l’amarezza e l’invidia l’accecavano. «Sono solo leggende – e neanche credibili. Non ci sono prove che questi cosiddetti Testimoni fossero qualcosa di più di Maestri dotati e bene addestrati. Quello su cui dovremmo concentrarci è trovarla ed eliminarla. Se è stata qui, potrebbe aver lasciato delle tracce lungo la strada che ha percorso!» esplose, giungendo alla stessa conclusione che aveva fatto scattare Jackson poco prima.
   «Non la troverete». L’affermazione di Giovanni li lasciò interdetti. «Sofia sa tutto riguardo a tattiche di combattimento e di difesa. Avrà di certo cancellato ogni traccia e seminato falsi indizi. Cercarla non servirà ad altro che a sprecare tempo ed energie» disse con voce piatta.
   Gli altri tre lo guardarono stupefatti. Poi Prudencia esplose.
   «Tu non vuoi che la cerchiamo, è questa la verità!» disse con astio all’uomo bruno che la guardava senza l’ombra di emozioni sul volto. «È viva e vuoi che rimanga tale, anche se questo significa lasciare in circolazione un nemico fin troppo pericoloso!».
   «Non mi interessa quello che pensi» replicò lui, sempre distante. «Mi sono limitato a dirvi come stanno le cose. Ma se volete cercarla, fate pure».
   «Certo che lo faremo» ribatté l’argentina, uscendo dalla stanza e tirandosi dietro i Maestri dell’Aria e della Terra.
   Rimasto solo Giovanni prese una sedia, la trascinò di fronte alla vetrata, sedette e aspettò.

*

«Sofia è stata qui» disse Prudencia, rivolgendosi alle circa duecento persone che aveva di fronte. «La notte dopo la fuga. Nonostante sia passato tutto questo tempo, forse è ancora possibile rinvenire delle tracce del suo passaggio. Trovarla è fondamentale».
   Tsukiko prese la parola.
   «Ci divideremo in gruppi da venticinque. A ogni gruppo verrà assegnata una zona da controllare. Ogni sei ore, i capisquadra si riuniranno per aggiornarsi e farsi assegnare una nuova zona di ricerca». Mentre lei parlava, Jackson si muoveva veloce tra la folla, formando gruppi in cui fossero presenti Portatori di tutti e quattro gli Elementi. Una volta terminato, nominò lui stesso i capisquadra.
   «Quando vi chiamo, venite qui e prendete la mappa per sapere qual è la zona di vostra competenza. Vediamo… Callum per il gruppo uno» chiamò. Un uomo di circa trent’anni, castano e dall’aria apparentemente anonima andò da Jackson, prese la mappa e indirizzò rapidamente il proprio gruppo verso la zona di ricerca. La scena si ripeté identica per ogni gruppo.
   «Olimpia per il gruppo due… Nikanor per il gruppo tre… Moira per il gruppo quattro… dov’è Moira?» ripeté impaziente, quando la Figlia dell’Aria che aveva chiamato non si presentò. La ragazza sbucò alle sue spalle un istante dopo, affannata, per ricevere istruzioni.
   «Ora… Evan per il gruppo cinque. Il gruppo sei a Tsukiko, il sette a Prudencia e l’ultimo a me» concluse rapidamente l’americano.
   «E ora muoviamoci» disse Prudencia, avviandosi con il proprio gruppo.

*

I giorni divennero settimane. Le ricerche proseguivano di ora in ora, di minuto in minuto. Le zone diventavano sempre più ampie, il tempo di riposo diminuiva e i risultati scarseggiavano. Sette volte si imbatterono in false piste, per quattro volte proseguirono per due giorni prima di finire immancabilmente in un vicolo cieco. Tre settimane dopo, si arresero.

*

Giovanni li aspettava nella grande sala da cui gli altri tre Maestri erano partiti, settimane prima.
   Ogni giorno si era recato in quella stanza e si era seduto di fronte alla vetrata, seguendo con gli occhi il sole compiere il proprio percorso e osservando indifferente gli sforzi vani degli occupanti del Centro.
   Quando entrarono, non si voltò e non parlò.
   «Sarai soddisfatto spero» ringhiò Prudencia alle sue spalle. «Non l’abbiamo trovata».
   Giovanni restò in silenzio.
   «Non rispondi? Certo che no, tu saresti in grado di trovarla ma non hai intenzione di farlo!» proseguì l’argentina.
   «Ti sbagli».
   Fu difficile per lui dirlo. Non aveva mai tollerato le sconfitte, ed essere stato raggirato da quella che considerava la sua creatura era un vero tormento per il suo orgoglio.
   «Se Sofia non vuole farsi trovare, allora nemmeno io posso riuscirci» proseguì con voce piatta. «E lei non ha alcuna intenzione di essere scoperta».
   «Ma potrebbe tornare» disse Tsukiko speranzosa. «Per sapere se abbiamo trovato qualche indizio che possa portarci a lei… o per vedere te».
   «Non tornerà». L’apatia di Giovanni era sempre più evidente.
   «Come fai a dirlo con tanta sicurezza?» gli chiese Tsukiko. Lui scrollò le spalle.
   «Lo so e basta. La conosco abbastanza da sapere che non desidera tornare. Tantomeno per me» concluse con un evidente sforzo.
   Prudencia, stizzita per non essere riuscita a vendicarsi di Sofia, se ne andò sbattendo la porta. La bella orientale la seguì. Jackson, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, trascinò una sedia accanto a Giovanni e sedette vicino a lui, fissando gli occhi nel terso cielo primaverile che si intravedeva oltre la vetrata.
   «Ti stai spegnendo, amico mio» disse senza guardarlo. «Il tuo potere sta morendo, e se non fai qualcosa in fretta, potresti perderlo per sempre».
   «Non ho più stimoli» rispose cupo l’italiano. «Non ho trovato quello che cercavo, e ho perso Sofia».
   Jackson si voltò a guardarlo.
   «Non sono mai riuscito a capire che tipo di sentimenti provi verso quella ragazza. Ti ho visto comportarti come un padre amorevole e un istante dopo torturarla come il peggiore degli aguzzini. L’hai portata ovunque, le hai insegnato tutto quello che sai, ma non ti sei mai rassegnato a lasciarla andare. L’hai tenuta confinata qui, legata a te in modo che non potesse andarsene, ma da alcuni anni la ignori sempre di più… come se non ci fosse, come se non fosse mai esistita nella tua vita. Vuoi averla accanto, ma la tieni lontana». L’uomo parlò lentamente, cercando una volta di più di capire che legame tenesse Giovanni stretto a Sofia in modo tanto forte e insieme tanto crudele, come se pronunciare le parole ad alta voce potesse finalmente svelargli quel segreto.
   Giovanni decise di rivelargli quello che non aveva mai confidato a nessuno.
   «Quando ci siamo ritrovati – io, te, Prudencia e Tsukiko – e abbiamo deciso di fondare il Centro, Sofia era già con me. Quattro anni prima mi ero recato in Spagna – avevo un incarico come diplomatico presso l’Ambasciata italiana. Non appena scesi dall’aereo, svenni».
   Jackson lo guardò senza parlare, perfettamente immobile, temendo che s’interrompesse. Ma Giovanni proseguì.
   «Mi portarono in ospedale. Dovetti reprimere il mio potere per far sì che non notassero nulla di strano, ma fu qualcos’altro a lasciare i medici perplessi. Avevo difficoltà a respirare, era stato quello il motivo dello svenimento, ma nonostante tutti gli accertamenti non riuscivano a trovare una spiegazione. Io sapevo abbastanza di medicina e del potere degli Elementi da capire che quello che avevo non riguardava il mio corpo, ma il Fuoco. C’era come un pugno invisibile che mi strizzava i polmoni, bruciandoli, e mi impediva di prendere fiato liberamente. Come se qualcosa avesse risvegliato il mio Elemento in modo violento e improvviso».
   S’interruppe e prese fiato.
   «Firmai quello che dovevo firmare e mi dimisero. Sapevo, ormai, che stare lì era inutile. Così iniziai a girare il Paese: a volte quel pugno di fuoco diminuiva d’intensità, altre volte aumentava, ma era sempre lì, presente. Fin quando un giorno non capitai a Barcellona».
   Giovanni s’interruppe di nuovo, come se il solo ricordo di quello che era successo potesse togliergli il respiro come era accaduto tredici anni prima.
   «Camminavo lungo il Passeig de Gràcia, osservando gli edifici distrattamente. Ero già stato lì, mi piace molto quell’architettura ma quel giorno ero distratto. Poi, arrivato di fronte a Casa Batlló, fui costretto a fermarmi. Mi mancava di nuovo il fiato, come il giorno in cui ero arrivato in Spagna, tre mesi prima, ma stavolta c’era qualcosa di diverso. Tutto in me bruciava, non solo i polmoni: il Fuoco mi stava divorando. Mi appoggiai a un albero, e vi lasciai una bruciatura».
   Jackson lo incitò a proseguire.
   «Guardai l’altro lato della strada. Proprio di fronte a me c’era un uomo che teneva per mano una bambina di circa undici anni. Era così piccola ed esile che faceva pensare a una fatina o a un folletto dispettoso. Guardava incantata Casa Batlló, come se non potesse saziarsi di quella stravaganza, con gli occhi ambrati che brillavano».
   Jackson non seppe trattenere un moto di stupore.
   «Era Sofia» mormorò piano. Giovanni annuì e chinò il capo.
   «Rimasi a osservarli» riprese. «Sentii l’uomo – era suo padre – dirle che era tardi, che dovevano andare via, che non potevano restare ogni giorno fermi per un’ora a guardare quella casa, per quanto bella fosse. Ricordo ancora l’espressione con cui lo guardò Sofia» disse, scoppiando inaspettatamente a ridere. «Lo fissò come se fosse completamente pazzo e iniziò una tirata inimmaginabile su Gaudì. Restarono lì per altri venti minuti, poi si allontanarono. Li seguii. Avevo capito che era lei che mi chiamava, e che in realtà non mi aveva tolto il respiro: me lo aveva dato. Ora che l’avevo trovata, il Fuoco che mi bruciava dentro era la più bella sensazione che avessi mai provato. Mi sentivo più energico, il Fuoco mi fluiva nelle vene e mi faceva sentire più potente di quanto non fossi mai stato. Non potevo lasciarla andare.
   «Proprio il giorno seguente, però, dovevo tornare al lavoro. Chiesi di essere trasferito all’Ambasciata italiana a Barcellona. Grazie a un mio amico, un Maestro della Terra, la procedura fu rapida e ottenni subito il trasferimento. Così riuscii a restarle vicino, nell’ombra».
   «Quando fondammo il Centro, Sofia aveva solo quindici anni. Come hai fatto a portarla via da Barcellona?» chiese Jackson, affascinato suo malgrado. Quello di cui parlava Giovanni non era amore né attrazione, né tantomeno una pura affinità tra Elementi. Era un po’ di tutte e tre le cose – ma nessuna di esse in particolare.
   «La settimana seguente fui costretto a riprendere il lavoro. Mi serviva, ma non riuscivo a distogliere la mente dal ricordo di quella bambina. Il mio sangue, il mio Elemento, tutto mi spingeva verso di lei. La sua sola esistenza era per me come il canto delle sirene: mi attraeva e affascinava. Non sapevo come avvicinarla, come portarla via – ma fu il destino a darmi un’opportunità incredibile. Me ne resi conto quando vidi suo padre, il signor Lindberg, entrare nel mio ufficio e presentarsi come un collega».
   Per un attimo, Giovanni sembrò vergognarsi.
   «Mi bastò un istante per elaborare un piano. In poche settimane divenni molto amico di Thobias Lindberg: fu forse uno dei pochi, veri amici che io abbia mai avuto. Tre mesi dopo averlo conosciuto ero ospite fisso in casa sua, e ufficialmente uno zio acquisito per Sofia. Credo che lei abbia sempre saputo quale sentimento mi muovesse, se di sentimenti si può parlare: fatto sta che, un anno dopo il mio arrivo a Barcellona, misi in atto l’ultima parte del mio piano per portarla via dalla sua famiglia.
   «Era un periodo caotico all’Ambasciata: Italia e Spagna stavano dando vita a una serie di accordi bilaterali, gli incontri e le comunicazioni erano sempre più frequenti e, come spesso accade nella diplomazia, le cene erano uno dei momenti preferiti dagli esponenti dei vari governi per trattare in modo informale. Una sera, sul finire dell’inverno, fu organizzata una grande serata di gala a Barcellona. In quanto collaboratori dell’ambasciatore, sia io che Thobias eravamo costretti a partecipare. Lui portò con sé la madre di Sofia, Tamara. Era una donna bellissima» ricordò Giovanni «entrambi lo erano. Alti, biondi e statuari, sembravano quasi fratello e sorella, benché Thobias fosse di origini danesi e Tamara brasiliana». Jackson sembrava perplesso. Giovanni capì subito a cosa pensava. «Sì, Sofia non somiglia a nessuno dei due, se non in qualche tratto. Comunque, quella sera decisero di affidarla a una babysitter… come se ce ne fosse bisogno» disse, scoppiando di nuovo a ridere. «È sempre stata terribilmente seria e responsabile. Pare sia nata così… stando anche a quello che mi raccontavano Tamara e Thobias».
   «Non riesco a capire cosa c’entri il fatto che l’avessero affidata a una babysitter» ammise Jackson.
   Giovanni proseguì. «Giusto, in effetti non te l’ho detto. Be’… fu facile. Rintracciai quella ragazza, prima della cena, e le diedi molti soldi. In cambio, lei portò Sofia su una nave diretta a Civitavecchia, in Italia, e da lì la portò nella mia casa a Roma, dove si nascosero per qualche mese. Quella stessa sera incendiai l’appartamento in cui la babysitter abitava e dove era stata lasciata Sofia. Il fuoco divorò ogni cosa, e nessuno si stupì del fatto che non furono mai ritrovati i resti dei due cadaveri. Io rimasi a Barcellona per qualche mese, a consolare i miei due amici distrutti dal dolore, e poi feci ritorno a Roma, dal mio piccolo folletto dispettoso».
   «Hai fatto credere a quello che consideri uno dei tuoi migliori amici che la sua unica figlia fosse morta?» chiese Jackson sbigottito. Non aveva certo un cuore tenero, però quello che aveva fatto Giovanni gli sembrava davvero oltre ogni limite.
   L’altro chinò di nuovo il capo, come se la vergogna fosse troppa da sostenere.
   «Una parte di me se ne pente ogni giorno. A volte mi rimprovero l’egoismo che mi ha portato a strappare Sofia alla sua famiglia… ma non sono mai riuscito a condannare del tutto quello che ho fatto. Nonostante sia tornato spesso da Thobias e Tamara, nonostante abbia portato avanti la nostra amicizia tanto da essere scelto come padrino del loro secondo figlio, il bisogno di averla accanto mi ha sempre impedito di pentirmi di quello che avevo fatto abbastanza da lasciarla tornare da loro».
   «E tu non le hai mai detto quello che avevi fatto». Quella di Jackson era più un’affermazione che non una domanda.
   «Non ce n’era bisogno. Certo, cercavo di convincermi che non sapesse, che non avesse intuito. Ma non era vero, e in realtà non ci credevo neanche io».
   «Quindi sa».
   «Ne ebbi la conferma cinque anni fa. Era appena tornata da un viaggio in Danimarca quando venne a parlarmi. Mi disse che aveva rintracciato i suoi nonni paterni e che aveva scoperto che Thobias era stato trasferito all’Ambasciata italiana di Istanbul. Mi arrabbiai tantissimo» ammise Giovanni. «Il mio timore più grande era proprio quello: che ritrovasse la propria famiglia e uscisse dalla mia vita. Aggiunse che non ce l’aveva con me per quello che aveva fatto – sapeva tutto nei minimi dettagli – e che desiderava tornare dalla sua famiglia, ma che questo non avrebbe significato doverci dividere. Non le credetti. Persi il controllo e l’attaccai violentemente. Troppo violentemente. Rimase ferita in modo grave, e per salvarla dovetti chiedere aiuto a un Maestro dell’Acqua che conoscevo da tempo. Lui arrivò e riuscì a guarirla quel tanto che bastava per impedirle di morire. Poi la portò via con sé».
   «Ricordo. Ci avevi detto che era partita per affrontare un addestramento speciale» esclamò Jackson.
   Giovanni annuì.
   «Proprio così. La verità, invece, è che fui costretto a lasciarla partire per affrontare la convalescenza in un luogo dove non potessi arrivare. Era la condizione che aveva posto il Maestro che l’aveva guarita, quando aveva saputo per quale motivo l’avevo attaccata con tanta violenza.
   «Non opposi resistenza. Sofia sapeva che la stavo attaccando: avrebbe potuto evitare il colpo, difendersi, ma non lo fece. Nonostante tutto, si fidava di me. Non credeva che potessi farle del male, e io l’ho tradita. L’ho quasi uccisa».
   Sfinito, Giovanni tacque. Dopo un breve silenzio, fu Jackson a parlare.
   «Per questo ti sei allontanato da lei. Avevi paura che potesse capitare di nuovo».
   L’altro confermò.
   «Prima di lasciarla partire, le proibii di cercare i suoi genitori. Le dissi che si erano rifatti una vita, che avevano avuto altri figli e l’avevano dimenticata. Feci leva sul suo amore per loro. Provai a convincerla che ricomparire dopo tutti quegli anni sarebbe servito solo a riaprire vecchie ferite e a farli soffrire. Non penso che ci credesse, ma ormai mi conosceva troppo bene. Sapeva che, pur essendo loro amico, non avrei esitato a fare loro di nuovo del male, pur di tenerla con me. E così ottenni quello che desideravo: lei non li cercò e non li nominò più. Ma per una cosa tanto desiderata e infine ottenuta, ne avevo persa un’altra. Avevo perso il suo cuore».
   Il silenzio scese tra i due uomini, e la notte calò prima che si decidessero a separarsi.

*

 Blaze tamburellava nervosamente le dita sulla superficie liscia del tavolo.
   «Doveva essere tornata otto giorni fa!».
   «Quella che sta facendo non è una cosa facile. Probabilmente le occorre più tempo di quello che aveva previsto» tentò di rassicurarlo Laurence.
   André, in silenzio, sembrava non ascoltarli nemmeno.
   «Accidenti André! Lo so che siete entrambi cocciuti, ma ormai dovreste averla superata! Invece sembra che a te non importi niente di quello che potrebbe esserle successo!» esplose Blaze.
   Continuando a giocherellare con la matita che teneva tra le dita, André lo ignorò. Dopo aver ascoltato sbuffare il giovane americano per un quarto d’ora, si decise a rispondergli.
   «Non mi preoccupo per Sofia perché so che sta bene».
   «Ah davvero? E come lo sai? Te l’ha forse detto un pesciolino?» chiese sardonico Blaze.
   Il suo sarcasmo volò sopra la testa di André.
   «Nabeela non si è mossa di qui, in queste tre settimane» disse, parlando della Fenice prediletta di Sofia. «Se Sofia fosse stata in difficoltà, sarebbe corsa da lei».
   Un silenzio stupefatto accolse la sua affermazione. Nessuno aveva pensato di controllare il comportamento di Nabeela per capire come stesse Sofia.
   «E tornerà presto» aggiunse André. Guardò oltre la finestra, dove la Fenice, appollaiata sul ramo di un albero, teneva gli occhi fissi verso il limite estremo della Valle, in attesa.
   «A proposito… ha detto a qualcuno dove sarebbe andata?» chiese il giovane biondo.
   Laurence rispose negativamente.
   «Ha detto solo che doveva cercare una persona e che era fondamentale trovarla il prima possibile. Il perché non ce lo ha spiegato» disse sospirando.
   «Be’ spero che sia qualcuno di veramente importante, perché mi sta facendo impazzire! Poteva almeno farci sapere che sta bene!» sbuffò Blaze.
   André sorrise di fronte alla sua apprensione. Blaze si era unito a loro solo cinque anni prima e, nonostante la giovanissima età – all’epoca aveva solo quindici anni – aveva mostrato di possedere un potere già molto sviluppato, tanto da arrivare al rango di Figlio della Terra in meno di cinque anni. Quasi un record. Ma, proprio perché conosceva Sofia da meno tempo di André e Laurence, si preoccupava per lei, quando spariva. André scosse la testa. Personalmente, aveva capito da molto tempo che se c’era qualcuno per cui non bisognava preoccuparsi, quella era proprio Sofia.
   «Sa difendersi» disse, cercando di calmare il ragazzo che aveva di fronte. Poi guardò Laurence in cerca di sostegno. «Spiegagli che non deve preoccuparsi per Sofia, ma piuttosto per chi si mette contro di lei».
   Laurence scoppiò a ridere. «Dopo quello che ha fatto a Giovanni, non credevo ci fosse bisogno di dirglielo!».
   Suo malgrado, Blaze si unì alle risate degli altri due.
   «Penso comunque che avrebbe dovuto dirci qualcosa in più. Ho sempre detestato il modo in cui sparisce… e ora più che mai. Sicuramente Giovanni e gli altri saranno sulle nostre tracce. Uscire dalla Valle è un rischio troppo alto» disse, tornando serio.
   «Ma è necessario. Proprio perché potrebbero essere sulle nostre tracce c’è la possibilità che trovino una delle strade che portano qui, e in quel caso dobbiamo essere pronti a difenderci, anche con un aiuto esterno. Credo sia questo il motivo per cui Sofia è partita» disse André.
   «Per cercare degli alleati? Ma i Maestri all’esterno di certo sono già stati avvicinati da chi è rimasto al Centro a questo fine. Inoltre Jackson, Prudencia, Giovanni e Tsukiko hanno molte conoscenze e un notevole ascendente, all’estero. Chi mai si metterebbe contro di loro per aiutarci?» esclamò Blaze, scoraggiato.
   Lo sguardo di Laurence si illuminò.
   «Una persona forse c’è. E credo sia proprio questa la persona che Sofia sta cercando».
   Gli altri due ebbero un moto di stupore.
   «E chi sarebbe questa persona?» chiesero in coro.
   Laurence scosse la testa.
   «Non posso dirvelo. Riguarda una vicenda della sua vita troppo delicata perché possa parlarvene io… lo farà lei, non appena sarà tornata. Se è proprio la persona a cui penso, però, si spiega anche perché ci sta mettendo tutto questo tempo a rintracciarla».
   «E cioè?» chiese André impaziente.
   «Questa persona non sta mai ferma troppo a lungo nello stesso posto. Per trovarla bisogna tracciarne gli spostamenti, dato che sono pochissime le persone che sanno dove si trova. E questa informazione viene custodita gelosamente» fu l’enigmatica risposta.
   «Bene. Dunque ora sappiamo che Sofia è non si sa dove, a cercare una persona che non sappiamo chi sia e che non abbiamo idea di dove si trovi. E non si sa quando tornerà» sintetizzò Blaze. «Se non fosse tragica, questa situazione avrebbe del ridicolo».
   Di nuovo, tutti e tre scoppiarono a ridere, alleviando la tensione per qualche istante.

*

Tra lezioni ed addestramenti, altri tre giorni trascorsero tranquilli nella Valle degli Elementi. Ormai mancavano solo due settimane al Solstizio d’Estate e tutti si preparavano a festeggiare, poiché Solstizi ed Equinozi rappresentavano i quattro Elementi e il loro momento di maggiore comunione con la Natura intera. In quei quattro giorni, distribuiti lungo l’arco di un anno, il potere degli Elementi era come potenziato.
   Quest’abitudine – da tempo persa, al Centro – era stata prontamente ripresa dai Portatori che si erano stabiliti alla Valle e che avevano posto il contatto con la Natura come punto focale della loro vita con gli Elementi.
   Tutti, ormai, si erano accorti della prolungata assenza di Sofia. L’unica a esserne preoccupata, oltre a Blaze, Andrè e Laurence, era Emma.
   «Secondo voi dov’è andata?» stava appunto chiedendo ad Ailie e Fernando.
   I due – con cui aveva molto legato – l’ascoltavano pazientemente cercando di rassicurarla, benché non avessero le risposte che cercava. Fernando aveva provato a informarsi con Laurence, ma aveva scoperto solo che Sofia era partita per cercare una cosa e che non sarebbe tornata finché non l’avesse trovata.
   «Sono certo che sta bene» disse Fernando, cingendo con un braccio le spalle di Emma e stringendola a sé. «L’ho vista allenarsi e addestrare gli Apprendisti del Fuoco per sei anni e ti garantisco che sa difendersi, all’occorrenza».
   Ailie annuì, spalleggiandolo. «Non dimenticare che ti ha portata via dal Centro e che si è scontrata da sola con chi vi stava inseguendo… e ne è uscita senza alcun danno!». Poi rimase in silenzio a guardarli. Chiaramente c’era del tenero, tra quei due. Stavano spesso insieme, quando Fernando era libero dalle lezioni e dagli addestramenti. Emma, non avendo ancora trovato il proprio Elemento, seguiva solo le prime, e quello era per lei un altro motivo di preoccupazione. Temeva di essere abbandonata a se stessa da un momento all’altro anche se questa paura, con il trascorrere dei giorni e grazie anche alle rassicurazioni di Laurence e Blaze, stava lentamente svanendo.
   In quel momento Elizabeth arrivò come una furia sul prato di fronte all’Ala Est dell’edificio, dove si trovavano i tre amici.
   «Oh, ma che carini siete!» disse ironica a Fernando ed Emma. «Sempre insieme eh? Che teneri…».
   Emma arrossì violentemente. Fernando, invece, la strinse ancora di più, fissando Elizabeth con aria impassibile.
   «Cos’è, invidia?» le chiese insinuante. Ormai tutti l’avevano vista con André anche se lui, in pubblico, cercava di non farsi notare con lei.
   La frecciata non andò a segno, almeno apparentemente. Liz lo guardò sollevando un sopracciglio.
   «Invidia? E di cosa?» disse con indifferenza, come se la risposta non la interessasse.
   Dopo aver scambiato uno sguardo con Ailie, Fernando decise di affondare il colpo. Se Elizabeth voleva la guerra, l’avrebbe avuta.
   «Non saprei… magari del fatto che André fa di tutto per non farsi vedere in atteggiamenti troppo intimi con te dagli altri! Certo, lo capisco… sei molto bella, ma personalmente anch’io mi vergognerei di far sapere a tutti che sto con una ragazza presuntuosa, boriosa, insopportabile e neanche dotata di chissà quale grande potere!».
   Stavolta Elizabeth non riuscì a nascondere la rabbia. Divenne verde, e ogni bellezza sembrò svanire dal suo volto mentre l’ira e la vanità ferita la pervadevano.
   «Posso stenderti in qualunque momento!» ringhiò minacciosa.
   Fernando la guardò sogghignando.
   «Non farmi ridere, ragazzina. Ho sei anni di addestramento alle spalle e sono già piuttosto avanti nell’apprendistato di terzo livello… azzardati anche solo a pensare di attaccarmi, e ti garantisco che te ne farò pentire».
   Anche se furiosa, Elizabeth percepì la nota di minaccia nella voce del giovane e decise di non rischiare. Se ne andò senza aggiungere altro.
   Un largo sorriso illuminò il volto di Ailie. L’umiliazione di Elizabeth la rendeva raggiante: ogni giorno che passava, tollerava sempre meno lei e la sua presunzione. Guardò Fernando.
   «Sei stato grande!» gli disse felice. «Si meritava proprio una bella lezione, quella sciocca arrogante».
   Fernando le rivolse il suo miglior ghigno, che però in quel momento lo rendeva più comico che minaccioso. Emma li rimproverò.
   «Non dovevate trattarla così… ha dei sentimenti anche lei! E poi non è antipatica come sembra» esclamò, tentando di difendere Elizabeth.
   Ailie scosse il capo. «Emma, tu sei un tesoro, ma sei anche troppo buona. Liz non è antipatica: è infida, maligna e non merita alcuna fiducia. Quindi non devi difenderla. Quelle come te potrebbe mangiarsele per colazione».
   «Ailie ha ragione» disse Fernando, rincarando la dose. «I suoi comportamenti sono strani. Ad esempio, sta con André ma sembra non provare nessun sentimento per lui… tanto per dirne una. Inoltre fa sempre dei discorsi strani sul potere, su quanto avremmo potuto imparare restando al Centro… forse Sofia avrebbe fatto meglio a lasciarla lì» concluse, esprimendo ad alta voce un pensiero che condivideva con Ailie.
   Emma protestò. «Visto il modo in cui la trattate, è ovvio che si nasconda dietro una maschera fredda e dura!».
   Gli altri due scambiarono uno sguardo rassegnato che sembrava dire “niente da fare, è senza speranza”.
   «Mi sa che è inutile continuare a discuterne… sei tanto buona quanto cocciuta» disse Ailie alla sua amica, che le sorrise… un istante prima di balzare in piedi.
   «Cosa c’è?» chiesero in coro Fernando ed Ailie, allarmati.
   «Ho una strana sensazione… credo che Sofia sia tornata!» esclamò Emma eccitata, correndo intorno all’edificio seguita dagli altri due.

*

Nabeela emise un verso tremulo, slanciandosi dall’albero nell’aria tersa del pomeriggio.
   André scattò in piedi, allontanando Elizabeth che l’aveva appena raggiunto. Poi mise la testa fuori dalla porta della stanza in cui si trovava e iniziò a gridare.
   «Blaze! BLAZE! Laurence! Venite qui, presto!».
   I due arrivarono trafelati.
   «Che succede?» chiese il primo, allarmato. André puntò un dito verso la finestra spingendo via Elizabeth che, nel tentativo di attirare la sua attenzione, gli si era praticamente appesa a un braccio.
   Blaze e Laurence corsero alla finestra e la spalancarono. Videro Nabeela compiere acrobazie nell’aria, mentre il suo canto aumentava d’intensità.
   I loro occhi si illuminarono.
   «Sofia è tornata!» gridò Laurence con la sua voce profonda, mentre gioia e sollievo lo riempivano. I tre corsero nel parco, mentre Elizabeth seguiva André con aria insoddisfatta.
   Non appena uscirono furono raggiunti da Emma, Ailie e Fernando. Tutti insieme corsero oltre prati e collinette, dribblando laghi e alberi e seguendo la Fenice che, cantando gioiosa, faceva loro strada fino a condurli a un centinaio di metri dal punto in cui una cascata si infrangeva rumorosa a terra dando vita ad un fiume.
   Rimasero in attesa. All’improvviso, la cascata si aprì come una tenda.
   Sofia si diresse veloce verso di loro, seguita da un uomo che nessuno di loro aveva mai visto. Un bel sorriso danzava sul volto di entrambi, mentre Blaze e Laurence si facevano avanti e stringevano la loro giovane amica in un abbraccio. Anche André si avvicinò a loro; si fermò di fronte a Sofia, osservandola attentamente.
   «Be’, direi che…» iniziò incerto.
   «Lo penso anch’io» rispose lei, guardandolo con aria seria. Poi si abbracciarono come se nulla fosse accaduto tra loro.
   Blaze alzò gli occhi al cielo. «Io proprio non li capisco!» esclamò rassegnato.
   Dopo aver salutato gli altri – e ignorato un’occhiata velenosa di Elizabeth – Sofia si voltò verso l’uomo che era arrivato con lei. «Bene, ragazzi» esordì «sono stata via più a lungo di quanto pensassi, ma la mia ricerca ha avuto successo. Vi presento Gregory» disse, accennando all’uomo alto che le stava accanto.
  «Greg, loro sono Laurence, Blaze e André…».
   L’uomo fece loro un cenno. «Sofia mi parla di voi da cinque anni». Sembrava ironico.
   Lei proseguì. «… e poi Ailie, Fernando, Elizabeth… ed Emma».
   L’uomo quasi ignorò i primi tre, soffermandosi su Emma. «Anche di te mi ha parlato molto. Dice che qui sei l’unica che non ha ancora trovato il proprio Elemento» disse, osservandola come se volesse trapassarla con lo sguardo. Emma arrossì: era esattamente quello che aveva temuto. Sofia però le strinse la spalla e le sorrise, tranquillizzandola un po’.
   «Greg resterà con noi per un po’» riprese lei, avviandosi verso la casa. «Ci aiuterà con gli addestramenti sul controllo del potere, la ricerca e la cancellazione delle tracce e altre cose che possono tornare utili».
   André le si affiancò.
   «Il tuo amico non sembra molto socievole» le disse, osservando i tentativi – perlopiù vani – degli altri di intavolare una conversazione con l’uomo dall’aria sarcastica che si era appena unito a loro.
   Sofia annuì.
   «È un misantropo, sarcastico e a volte persino crudele, quando si tratta di ferire qualcuno con le parole. In realtà ama profondamente insegnare, e all’occorrenza sarebbe pronto a sacrificarsi per salvare un suo allievo o chiunque dipenda da lui anche in minima parte. Senza contare che è un Maestro dell’Acqua straordinario. Ha un talento indescrivibile, e l’ha coltivato con un addestramento perfetto e assolutamente completo. Avrete modo di apprezzarlo, te lo garantisco».
   Poco convinto, André assentì. In quel momento gli altri li raggiunsero.
   «Come mai ti ci è voluto quasi un mese, per trovarlo?» chiese Blaze, che aveva ascoltato tutto.
   «Aveva seminato parecchie false piste» rispose Sofia, rivolgendo un mezzo sorriso a Gregory. «Solo dopo averne seguite alcune ho capito che in realtà si trovava nel posto più ovvio» proseguì, scoppiando a ridere al ricordo del luogo in cui l’aveva trovato.
   Laurence le chiese perché ridesse. Lei glielo spiegò.
   «Devi sapere che Greg ha un talento impareggiabile tanto nel percepire gli Elementi – e questo gli permette di individuare i Portatori e le tracce delle loro manipolazioni anche a grandi distanze – quanto nelle strategie di guerra. È una specie di investigatore privato, nel nostro settore».
   «E allora?» chiese Laurence, continuando a non capire.
   «L’ho trovato a Londra. A Baker Street».
   «Non ci credo». Blaze scoppiò a ridere tanto da restare senza fiato. Sembrava non riuscire a smettere.
   «Si diverte con poco» disse Gregory a Sofia, accennando al giovane che continuava a ridere senza freni.
   Lei scrollò le spalle. «Gli piace ridere. E poi anch’io l’ho trovato molto divertente… senza contare che ti eri nascosto lì proprio perché anche tu lo trovavi esilarante».
   Gregory stirò le labbra in una linea sottile e spalancò gli occhi. «Mi hai scoperto!».
   Sofia scoppiò a ridere di fronte alla sua buffa espressione. Aveva dimenticato quanto potesse essere divertente parlare con Gregory.
   Finalmente giunsero a casa.
   «Be’ Greg comunque… benvenuto alla Valle».
   Alzarono gli occhi sulle mura amiche. Di fronte a loro si stendeva, ancora indefinito, il futuro. 

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Capitolo 6
*** Un racconto interessante ***


«Allora, Gregory, Sofia ci dice che sei un Maestro di notevole talento e che puoi insegnarci molto. Perché non ci racconti qualcosa di te?» disse André.
   Mantenendo la sedia in equilibrio sulle gambe posteriori, l’uomo declinò l’invito.
   «Non mi piace molto parlare di me».
   «Dicci almeno come vi siete conosciuti» chiese Blaze.
   «Mhhh… no».
   André si rivolse di nuovo a Sofia.
   «È irritante. Lo sai, vero?».
   «Lo so. Purtroppo non posso farci nulla» fu la laconica risposta.
   «Bene bene bene, vediamo un po’» esordì Gregory all’improvviso, senza alcun motivo apparente. «Cosa sapete sui gradi d’addestramento dei Portatori di Elementi?» chiese ad alta voce, arrampicandosi su un tavolo e guardando da lì gli occupanti della sala che – lo sapeva bene – fino a un istante prima avevano origliato ogni sua parola.
   Nessuno rispose.
   «Ma come, non dite niente? Eppure qui ci sono Apprendisti di primo, secondo e terzo livello, Figli degli Elementi…e anche alcuni Maestri» disse, lanciando una rapida occhiata in basso verso alcuni Figli degli Elementi anziani.
   «Sappiamo già tutto al riguardo, ci hanno spiegato queste cose per parecchi giorni. Che altro c’è da dire?» rispose Elizabeth, un po’ scocciata.
   Gregory le puntò un dito contro.
   «Tu» esordì «non sai nulla. Soprattutto, non hai idea di quante cose non conosci. Ad esempio, non sai – come probabilmente quasi nessuno di voi, qui – che la gerarchia dei Portatori che vi viene insegnata è incompleta».
   Un silenzio stupefatto accolse le sue parole. Qualche istante dopo, fu Emma a romperlo.
   «C’è un altro grado al di sopra dei Maestri degli Elementi, vero? In alcuni documenti ci sono degli strani cenni a qualcosa del genere!».
   Tutti si voltarono a guardarla. Intrecciando le mani dietro la schiena e dondolandosi sui talloni, Gregory spostò l’attenzione su di lei.
   «Ma brava! Lei, che a quanto pare non ha uno straccio di potere verso nessun Elemento, che pare essere una Portatrice tanto quanto il tavolo che sto calpestando, ha capito molto più di tutti gli altri. E questi sarebbero i Portatori tanto dotati di cui mi hai parlato?» chiese a Sofia, mentre Emma arrossiva, umiliata.
   Lei scrollò le spalle.
   «Ho detto che sono dotati e potenti, non che siano dei grandi osservatori».
   «In ogni caso» riprese l’uomo, voltandosi di nuovo verso la folla in attesa «questa ragazzina ha perfettamente ragione. C’è un altro grado al di sopra dei Maestri e se aveste studiato come si deve, avreste notato anche voi che nei manoscritti che sono alla base della vostra educazione come Portatori ci sono parecchie allusioni a quello di cui parlo, alcune anche piuttosto esplicite».
   «Certo, c’è un altro livello e nessuno ne parla né lo raggiunge. Come no» lo interruppe Liz, ironica.
   Gregory la studiò a lungo, socchiudendo gli occhi e voltando leggermente testa verso destra.
   «Se non mi credi, puoi anche andartene. Nessuno ti costringe ad ascoltarmi» disse infine.
   Elizabeth esitò per un istante, ma poi restò dove si trovava.
   Gregory socchiuse ancora di più i suoi occhi azzurri, riducendoli a due fessure.
   «Come? Sei ancora qui? Strano, eppure mi sembrava d’aver capito che ritieni che quello che sto dicendo è un inutile mucchio di sciocchezze… quindi perché resti qui ad ascoltarmi?» le chiese, sarcastico.
   La ragazza cambiò colore ma non si mosse.
   «A proposito di sentire cose inutili… tu, cosa resti a fare?» chiese a Emma, che arrossì. «A sentire la maggior parte della gente che ti ha vista, non hai un briciolo di potere e non ce l’avrai mai, quindi sapere tutte queste cose non ti servirà a nulla… puoi anche andartene».
   Da scarlatta che era, Emma diventò pallidissima.
   Sofia prese la pallina con cui era solito giocare Gregory quando rifletteva e gliela tirò in testa.
   «Lasciala stare, Greg!» gli disse con sguardo minaccioso.
   Lui la fissò e poi scoppiò a ridere.
   «Avevo dimenticato che faccia fai quando ti arrabbi!».
   Lei lo ignorò e si rivolse a Emma.
   «Non dargli retta Emma, si diverte a fare il cinico e il sarcastico… ma non ce l’ha con te».
   Sempre pallida, la ragazzina andò a sedersi in un angolo, quasi in lacrime.
   Fernando si alzò e fece per scagliarsi su Gregory, con aria tempestosa. Lui lo notò.
   «Che vorresti fare, ragazzino? Attaccarmi? Mhhh…non credo ti convenga!».
   Sofia scattò in piedi a sua volta e bloccò il ragazzo con un braccio.
   «Non prendertela, Fernando, fa così con tutti… e vedrai che diventerà il primo sostenitore di Emma» gli sussurrò all’orecchio.
   Il ragazzo la guardò poco convinto ma a un ulteriore cenno di Sofia decise di concedergli il beneficio del dubbio e raggiunse Emma, che intanto si era calmata anche grazie a Ailie.
   Gregory tornò a rivolgersi alla sala in attesa.
   «Riprendiamo. Dov’eravamo rimasti?» disse, ignorando le occhiate di avvertimento che alcuni Figli degli Elementi gli rivolgevano. Sofia, tornata al proprio posto, li rimproverò sottovoce.
   «Smettetela di fare quelle facce… tanto non vi ascolterà! E poi è ora di dire loro quello che ancora non sanno!» disse mentre Gregory fischiettava, indifferente ai loro sonori bisbigli.
   Costa si arrabbiò. «Vorresti dire loro tutto?» chiese minaccioso.
   «Non subito. Meglio cominciare con un argomento su cui hanno già sentito alcune voci… ho la sensazione che ci sia qualcuno, qui, di cui non possiamo fidarci completamente» fu la secca risposta.
   L’uomo si rilassò appena e tutti tornarono a guardare Gregory.
   «Va’ avanti» lo esortò Sofia. Lui non se lo fece ripetere due volte.
   «Conoscete tutti la gerarchia classica dei Portatori di Elementi: Apprendisti di primo, secondo e terzo livello, Figli degli Elementi e Maestri degli Elementi» iniziò nel silenzio generale. «Al di sopra dei Maestri, però, c’è un altro livello: quello dei Testimoni degli Elementi».
   Un mormorio si levò alle sue parole. Tutti avevano sentito le leggende che circolavano riguardo ai Testimoni ma, appunto, non erano considerate altro che storie fantasiose e prive di fondamento.
   Una voce si levò dalla sala a esprimere ad alta voce questo pensiero.
   Gregory sogghignò di fronte alla loro ostinazione. Per essere le prove viventi del fatto che lo straordinario esiste sono incredibilmente ottusi, pensò.
   «Nessuno vi ha mai detto che in ogni leggenda c’è un pizzico di verità?» disse sardonico.
   La sicurezza di alcuni sembrò vacillare.
   «Quello che dovete sapere è che i Testimoni degli Elementi sono molto rari. C’è chi dice siano il frutto di unioni tra Portatori particolarmente potenti… una sorta di evoluzione genetica, per capirci. Altri sostengono che sia solo una questione di addestramento e disciplina. Come dire: è un livello come un altro, solo molto più difficile da raggiungere, ma pur sempre alla portata di tutti. Infine, ci sono quelli convinti che i Testimoni siano dei Portatori che, prescelti dagli Spiriti degli Elementi, sono stati da loro toccati e dotati di un potere superiore».
   «Esattamente, cosa sono gli Spiriti degli Elementi?» gridò una ragazza.
   Gli altri iniziarono a rumoreggiare.
   «Che c’importa di questi Spiriti degli Elementi? Vogliamo sapere qual è la verità riguardo ai Testimoni! Qual è la teoria giusta?» chiesero molte voci.
   Gregory afferrò la pallina da tennis da cui non si separava mai, si accovacciò e, lasciando vagare uno sguardo intenso sui suoi ascoltatori d’un tratto attenti, parlò.
   «Come spesso accade, la verità sta nel mezzo. I Testimoni degli Elementi sono il frutto un po’ di tutte e tre quelle teorie: nascono predisposti al raggiungimento di un livello superiore a quello di tutti gli altri, ma lo raggiungono solo con un lungo, duro allenamento e una severa disciplina fisica e mentale. E, ovviamente, hanno un rapporto privilegiato con gli Spiriti degli Elementi: sono gli unici in grado di comunicare con essi».
   Un forte brusio si alzò quando s’interruppe. Intanto i Figli degli Elementi più anziani lo guardavano attoniti, consultandosi concitati. Certo, tutti coloro che avevano studiato a fondo la storia dei Portatori conoscevano bene le tre teorie sui Testimoni degli Elementi che Gregory aveva appena esposto, ma nessuno aveva mai scoperto quale di esse rispecchiasse la realtà. Da secoli non c’erano tracce di un Testimone: erano persino più rari dei Portatori d’Energia, quindi non c’era mai stato modo di scoprire da dove venisse il loro potere. Per questo Costa, Viola, André e gli altri si chiedevano perché Gregory stesse inventando tutto di sana pianta.
   «Probabilmente vuole solo farsi notare inventando una storia ancora più fantasiosa di quelle che già circolano e spacciandola per vera» bisbigliò Costa a Blaze, che scosse la testa.
   «Proprio non capisco perché lo stia facendo» rispose il giovane americano.
   Soltanto Sofia, imperturbabile, non si univa né alle loro congetture né ai mormorii eccitati degli altri Portatori. Fissava Gregory con sguardo limpido e fermo, come se potesse guardargli dentro. E in effetti, era proprio così.
   Blaze si rivolse a Gregory.
   «Come puoi essere certo di quello che dici? Non ci sono tracce di Testimoni da troppo tempo. Nessuno sa da cosa derivi il loro potere, quanto si estenda… quali capacità abbiano… di fatto, sappiamo solo che sono esistiti dei Portatori di straordinario potere e che, col passare del tempo, sono fiorite su di loro alcune leggende».
   «Hai detto bene: non ci sono tracce, dei Testimoni. Sono le prove che mancano… non la loro esistenza» puntualizzò l’altro.
   Costa si voltò di scatto.
   «Vorresti dire che ci sono dei Testimoni in giro? In questo momento?» gli chiese.
   «So per certo che, a oggi, ce ne sono almeno due» fu l’inattesa risposta.
   Costa, Blaze ed André balzarono in piedi e iniziarono a gridare frasi sconnesse, attirando su di loro l’attenzione generale.
   Sofia intervenne immediatamente, riportando la calma.
   «Non è questo il momento di parlarne… i ragazzi sono ancora tutti qui» disse duramente, richiamando all’ordine i suoi amici con l’aiuto di Laurence. I tre tacquero immediatamente.
   Gregory si rialzò e riprese a parlare alla sala, distogliendo l’attenzione generale dal gruppo di Figli degli Elementi che lo guardava torvo.
   «È difficile, quasi impossibile, dire quale sia il limite del potere di un Testimone» disse con voce sonora. «Si ritiene, piuttosto verosimilmente, che possa manipolare il proprio Elemento con un’intensità esponenzialmente maggiore a quella dei Maestri, anche a grandissime distanze. Inoltre, si crede sia in grado di padroneggiare, almeno in minima misura, l’Energia pura».
   Fu interrotto dalle urla che si scatenarono intorno a lui.
   «Ma questo non è possibile! Un potere come quello che hai descritto sarebbe devastante… nessun corpo può reggerne una simile quantità!» gridò Serj, uno degli Apprendisti del Fuoco più dotati, ormai prossimo a diventare un Figlio del Fuoco.
   «Senza contare che se si è Portatori di un Elemento non si può in nessun caso riuscire a manipolare autonomamente l’Energia… neanche in minima parte!» rincarò la dose Olivia, un’altra Apprendista del Fuoco.
   Grida di questo tipo risuonavano per tutta la stanza. Gregory, tranquillissimo, aspettava senza batter ciglio che il tumulto e le congetture causati dalle sue parole si placassero.
   Circa mezz’ora dopo tornò il silenzio. Uno a uno, i ragazzi e le ragazze della Valle tornarono a sedersi, aspettando che Gregory parlasse ancora. Quello che udirono, però, non era certo ciò che si aspettavano.
   «È piuttosto tardi. Tutti nei dormitori, avanti» disse Sofia.
   Immediatamente si levò un coro di proteste, ma la ragazza li stroncò sul nascere.
   «Non voglio sentire obiezioni. Via di corsa, tutti quanti» intimò severa.
   Rassegnandosi, i ragazzi si avviarono lenti al di fuori della stanza.
   Quando furono usciti tutti, Sofia si rivolse ad alcuni Figli degli Elementi.
   «Costa… Viola, Gloria e Friedrich, potreste andare a controllare che tutti siano nei dormitori?».
   «Certo. Andiamo subito» rispose il primo, dirigendosi rapido verso i dormitori con gli altri tre.
   Gregory scese dal tavolo e si accomodò su una sedia, piegato in avanti con i gomiti poggiati sulle ginocchia, facendo rimbalzare a terra la sua amata pallina da tennis rossa e grigia mentre i pochi rimasti nella sala lo osservavano in silenzio.
   Blaze e Sofia sedettero sul bordo del tavolo, spalla a spalla, seguendo il moto della pallina con gli occhi; André, poco distante, parlottava piano con Laurence.
   Una decina di minuti dopo, Costa e gli altri rientrarono. Viola si chiuse delicatamente la porta alle spalle e andò a sedersi insieme agli altri.
   Istintivamente si girarono tutti verso Gregory, come i raggi di un cerchio perfetto si rivolgono tutti al suo centro. Lui, indifferente, li ignorava.
   Il primo a rompere il silenzio fu Costa. Dopo aver ascoltato Friedrich, che gli aveva sussurrato qualcosa all’orecchio, si rivolse a Gregory.
   «Tutto quello che stai dicendo… l’esistenza dei Testimoni, l’estensione del loro potere… chi ci dice che sia la verità?».
   Gregory, scocciato, lo fissò.
   «Lo dico io. Non ti basta?».
   Costa strabuzzò gli occhi.
   «No che non mi basta! Perché dovremmo fidarci di te? Non sappiamo chi sei, da dove arrivi… niente di niente!».
   «Garantisco io per lui» intervenne Sofia, fissando il greco con aria di sfida.
   «Questo per me non cambia nulla!» ribatté l’uomo. «Sparisci per quasi un mese e torni qui con lui» indicò Gregory «che non ci dice niente di sé ma in compenso ci rifila storie strampalate e prive di fondamento!».
   Sofia lo guardò con aria preoccupata. Poi lo avvertì.
   «Costa, fossi in te non irriterei Gregory».
   «E perché no? Ah certo, fammi indovinare… perché uno dei famigerati due Testimoni di cui parlava prima è proprio lui! E l’altro invece sono io!» replicò sarcastico. Sofia sollevò un sopracciglio.
   «Molto divertente. Comunque, Costa, vuoi sapere qualcosa su Greg? E voi altri?» chiese, guardandoli uno alla volta. Annuirono tutti, alcuni con decisione, altri titubanti.
   «Ottimo. Costa, ricordi l’onda anomala che due anni fa si è abbattuta sulle coste del Perù?».
   L’uomo sembrava perplesso. «Certo che la ricordo. Nessuno ha mai capito perché si sia scatenata, dato che non c’erano stati terremoti… senza contare che è stata devastante. Ma cosa c’entra, adesso?».
   «C’entra, c’entra» rispose Sofia sghignazzando. «Volevi sapere da cosa è derivata? Bene, la causa ce l’hai davanti. Precisamente, sta alla mia destra».
   Costa la fissò incredulo. Poi passò a fissare Gregory.
   «Non è possibile!».
   «Cosa non è possibile?» chiese Gregory tranquillissimo.
   «Quell’onda… era di straordinaria potenza! Non ho mai visto nessuno evocare l’Acqua in quel modo!» rispose Costa.
   «Be’, adesso l’hai visto. O vuoi una dimostrazione pratica, qui e ora?» chiese Gregory, reprimendo un ghigno. Sembrava divertirsi un mondo.
   «No no, non ce n’è bisogno!» lo rassicurò in fretta l’altro. Non ci teneva, a vedere quali danni fosse in grado di provocare Gregory.
   Sofia li guardò, ghignando apertamente. Al pari di Gregory, sembrava divertirsi parecchio.
   «Andiamo avanti… André, Gloria: avete presente quella manovra per scagliare una sfera di ghiaccio con un nucleo interno di Acqua bollente e vapore? Quella che vi piace tanto e per cui vi siete dovuti allenare quasi un anno, prima di riuscire a padroneggiarla?» riprese la ragazza.
   I due si illuminarono.
   «È un colpo fantastico… ho sempre desiderato conoscere il genio che l’ha ideato!» disse Gloria con gli occhi che brillavano, mentre André annuiva.
   «Perfetto. Gloria, André: vi presento Gregory, il Portatore che ha ideato quello e molti altri colpi d’Acqua complessi».
   «Lui ha ideato i colpi d’Acqua complessi?» strillò Gloria. Sembrava fuori di sé. «Ti prego, devi assolutamente insegnarmi la doppia spirale d’Acqua e ghiaccio… proprio non riesco a capire come si fa!» lo pregò con sguardo implorante.
   Gregory scoppiò a ridere.
   «È uno dei colpi più difficili da padroneggiare, ti ci vorrà parecchio allenamento… ma potrei darti una mano» rispose sorridendo.
   Sofia si alzò e andò a calmare Gloria, che sembrava in presa a una crisi isterica.
   «Viola ti prego, aiutami a calmare tua sorella!» esclamò disperata, non riuscendo a contenere la ragazza di qualche anno più grande di lei. Viola, la ventinovenne gemella di Gloria, corse verso di loro, trascinò la sorella in un angolo e la costrinse a sedersi. In pochi minuti, la ragazza si tranquillizzò.
   Tirando indietro con le mani i lunghi capelli castani, Sofia riprese fiato. Poi si rivolse di nuovo agli altri.
   «C’è altro che vorreste sapere su Greg?».
   «Io voglio ancora sapere come vi siete conosciuti» disse Blaze risoluto.
   Sofia esitò per un momento.
   «Nulla di particolare, Blaze. Ricordi quando arrivasti al Centro, cinque anni fa?».
   «Certo che lo ricordo. Tu non c’eri» rispose il ragazzo.
   «Precisamente. Ero appena partita e restai all’estero per otto mesi, per un addestramento particolare. Greg era il mio insegnante» disse, rivolgendo all’uomo un sorriso luminoso. «Ho appreso molte cose in quei mesi… oltre ad aver guadagnato un amico».
   Lui non ricambiò il sorriso.
   «Non fu per addestrarla, che la conobbi. Anche se capii subito che portarla via dal Centro era la cosa migliore che potessi fare per lei, in quel momento» disse sibillino.
   Sofia gli rivolse uno sguardo omicida. Laurence intervenne per trarla d’impaccio.
   «Be’, è una storia lunga e al momento ci sono cose più interessanti di cui discutere, non trovate?» disse, sedendosi accanto a Gregory e rivolgendogli un’occhiata significativa. «Perché non ci parli ancora dei Testimoni? Sarebbe utile saperne di più».
   Gregory non si lasciò ingannare, ma decise di lasciar cadere l’argomento del suo primo incontro con Sofia, che da parte sua ringraziò silenziosamente Laurence per aver sviato il discorso.
   Prima di iniziare, Gregory si rivolse proprio a Sofia.
   «Posso parlare liberamente?» le chiese.
   «Direi di sì… ma non esagerare» rispose lei sottovoce, premendo leggermente con le dita sulla spalla sinistra dell’uomo.
   «D’accordo. Allora, ascoltate tutti» esordì Gregory, richiamando la loro attenzione. «Avete già sentito quello che ho detto riguardo alla nascita del potere dei Testimoni. Ora vi parlerò apertamente dell’estensione di questo potere. Un Testimone è in grado di manipolare il proprio Elemento senza alcun limite. Può rivoltare un oceano, scatenare uragani di potenza inimmaginabile e causare terremoti, far eruttare vulcani e tutto quello che di più catastrofico e implacabile vi venga in mente. Lo può far mutare in tutte le sue forme e, più in generale, riesce a fare tutto quello che fa un normale Maestro: però in misura molto maggiore. Inoltre, può fare questo sia stando direttamente a contatto con l’Elemento, che trovandosi dall’altra parte del mondo: il suo potere non risente in alcun modo della distanza».
   Fece una pausa, lasciando che i presenti assorbissero le prime informazioni e le relative implicazioni.
   «Ti rendi conto di quello che stai dicendo? Mi dispiace ammetterlo ma Serj, prima, aveva ragione. Nessun corpo può sopportare un potere simile. Finisce per esserne consumato e distrutto» intervenne Friedrich, guardando Gregory accigliato.
   Anche gli altri annuirono. Avevano visto con i loro stessi occhi un loro compagno forzare il proprio Elemento tanto da perderne il controllo ed esserne consumato fino a morire.
   Anche Gregory si accigliò.
   «Credevo d’aver già detto che per arrivare a essere un Testimone degli Elementi, c’è bisogno di sottoporsi a un lungo e duro addestramento, molto più duro di quanto voi possiate immaginare, e questo addestramento comprende un grande lavoro sul controllo dell’Elemento. E poi, se si nasce con una simile capacità, si ha una resistenza fisica al proprio potere molto maggiore rispetto ai normali Portatori. Credevo fosse ovvio» disse, stupito che non l’avessero capito da soli «in fondo è un principio molto simile allo svilupparsi della resistenza fisica che avviene col passaggio da un grado all’altro del normale addestramento, che rende il corpo di un Maestro molto più forte rispetto a quello di un Apprendista, ad esempio. Eppure avevo l’impressione che fosse una delle prime cose che insegnate ai novelli Portatori» concluse Gregory con lo stesso tono.
   Alcuni dei suoi ascoltatori abbassarono lo sguardo, sentendosi umiliati. Sofia intervenne in loro favore.
   «Concepire un potere tanto esteso è molto difficile, Greg. È normale esserne spiazzati, inizialmente. È successo anche a noi, quindi non gliene puoi certo fare una colpa» disse con forza.
   «Sofi, i tuoi amici non sono certo dei novellini. Sono tutti al livello dei Maestri, come te. Non posso credere che siano tanto ingenui» ribatté subito l’uomo.
   La ragazza fremette. Moriva dalla voglia di ricordare al suo vecchio insegnante ciò che le aveva raccontato riguardo a quello che aveva provato quando aveva scoperto quanto ampio potesse essere il potere di un Testimone, ma si trattenne. Non era il momento di scatenare una disputa.
   «Allora Gregory, invece di umiliarli, perché non pensi a istruirli in qualcosa che tu conosci molto bene ed evidentemente loro non conoscono affatto?» suggerì con una punta di acredine nella voce.
   Intervenne André. «Un momento. Prima che vada avanti, credo che Gregory debba rendere conto della sua affermazione di poco fa» disse inaspettatamente.
   L’altro, chiamato in causa, lo guardò con aria ingenua. «Di quale affermazione parli? Ho detto svariate cose, fino ad ora».
   «Sai bene a cosa mi riferisco. Hai detto che siamo al livello dei Maestri, ma sai benissimo che siamo ancora tutti Figli degli Elementi» ribatté il giovane biondo.
   Gregory lo guardò spazientito.
   «Credi davvero che basti dire una menzogna, per convincermi che si tratta della verità? Voi otto, qui, siete dei Maestri. Potete nasconderlo, potete reprimere il vostro potere come avete fatto finora per evitare che gli altri se ne rendessero conto, ma il fatto che i vostri stratagemmi abbiano ingannato gli altri non significa che possano fuorviare anche me».
   Prima che André potesse ribattere, Sofia parlò.
   «È inutile insistere, André. Gregory ha un’incredibile talento nel percepire l’estensione di un Elemento, anche se nascosto o represso. Ve l’avevo già detto questo pomeriggio. Possiamo ingannare chiunque… ma non lui».
   Tutti osservarono prima Sofia e poi Gregory, improvvisamente guardinghi.
   «Se è così… saprà dirci il livello di chiunque, qui» disse Viola.
   «Ho un’idea migliore» intervenne Costa. Fissò Gregory con aria di sfida. «Magari può dirci se e quale Elemento appartiene a Emma».
   «Non ho intenzione di dirvi nulla, al riguardo» disse immediatamente Gregory. «Se lo sapeste, finireste per forzarla… o trascurarla. Deve trovare la propria strada da sola, quali che siano i suoi tempi» concluse energicamente, rivolgendo un’occhiata severa al greco.
   «Ma torniamo ai Testimoni degli Elementi» riprese Gregory dopo un breve silenzio. «Come dicevo prima, i Testimoni sono in grado di padroneggiare anche l’Energia pura. Sì, sì, so già cosa state per dire» disse con una smorfia, anticipando le obiezioni degli altri. «L’Energia, sebbene sia il frutto dell’unione dei quattro Elementi Fondamentali, non può essere manipolata dal Portatore di un Elemento proprio perché un normale Portatore padroneggia un solo Elemento, e per formare l’Energia sono necessari anche gli altri tre. Le dinamiche in base alle quali un Testimone di un Elemento riesca a comandare l’Energia pura non sono chiare: l’unica spiegazione plausibile, sebbene molto generica, è quella secondo cui un Testimone sarebbe in grado di utilizzare l’Energia perché il livello di manipolazione dell’Elemento che viene raggiunto è talmente alto da dare accesso all’Energia, che come sapete è talmente difficile da sopportare – a livello fisico – e da domare – a livello di manipolazione – da aver fatto sì che la maggior parte dei Portatori d’Energia si sia consumata proprio per l’incapacità di sostenere un simile potere»
   «Quanta Energia riescono a padroneggiare i Testimoni?» domandò Viola.
   Gregory sorrise. Se gli facevano delle domande, evidentemente iniziavano a fidarsi di lui.
   «Questo varia da Testimone a Testimone. Non c’è una regola fissa… o se c’è, è stato impossibile individuarla, dato che le documentazioni sui Testimoni sono tanto scarse. È lecito ipotizzare, tuttavia, che un Testimone molto dotato e ben addestrato sia in grado di manipolare un’ingente quantità di Energia senza risentirne».
   «Quanto ingente?» chiese Costa. Sembravano tutti preoccupati.
   «Conosci il significato di questa parola? Significa che possono manipolarne parecchia. Abbastanza da radere al suolo il Centro con un colpo ben piazzato».
   La risposta di Gregory li colpì come uno schiaffo in pieno viso. Come spenti, si rattrappirono sulle proprie sedie, in un pesante silenzio.
   Gregory, perplesso, chiese loro il perché di quell’atteggiamento.
   Fu Gloria a rispondere.
   «Se Giovanni ci trova, non abbiamo speranze» disse laconicamente.
   «Continuo a non capire. Cosa c’entra Giovanni con le nozioni che vi sto fornendo sui Testimoni?» chiese l’uomo, sempre più perplesso.
   Gloria lo fissò incredula.
   «Hai detto che ad ora ci sono almeno due Testimoni nel mondo. Di certo Giovanni ne conosce l’esistenza e sa chi sono… li convincerà ad aiutarlo a trovarci e ad abbatterci, se opporremo resistenza. Se sono potenti come dici… non avremo scampo» spiegò cupamente la giovane donna.
   «Non credo proprio che i due Testimoni si schiererebbero con Giovanni» disse Gregory con una vaghissima nota d’ilarità nella voce, a stento repressa.
   «Non puoi saperlo» ribatté Costa, nervoso.
   «Oh, posso eccome» fu la risposta. «Dovete fidarvi di me quando vi dico che, in un eventuale scontro, quei due Testimoni non sarebbero mai al fianco di Giovanni. In nessun caso e per nessun motivo. Inoltre, lui non sa della loro esistenza».
   Lo fissarono tutti. Gregory era terribilmente irritante: dava loro informazioni incomplete, lasciandoli fremere sulla soglia della rivelazione, senza mai accontentarli. Tutti pensavano questo… tutti tranne Sofia. Lei era l’unica a non scomporsi, qualunque cosa lui dicesse: come se sapesse già ciò di cui il suo vecchio insegnante parlava, ascoltava a malapena le sue parole, preferendo concentrarsi sulle reazioni degli altri Portatori.
   André si schiarì la voce.
   «Come fa un Portatore a rendersi conto di poter raggiungere un livello superiore a quello dei Maestri?».
   «È una domanda interessante» osservò Gregory. «Mi chiedo come ti sia venuta in mente».
   «Be’, visto che i Testimoni sono tanto rari, probabilmente il loro addestramento si ferma quando raggiungono il livello di Maestri. Qualcuno, in qualche modo, deve rendersi conto che un determinato Portatore può raggiungere un livello ancora superiore, altrimenti non ci sarebbero mai stati dei Testimoni… visto che per diventare tali, ci hai detto che bisogna sottoporsi a un ulteriore addestramento».
   Gregory annuì soddisfatto.
   «Hai centrato uno dei punti più spinosi della questione. La risposta è semplice: non tutti i Testimoni si rendono conto, nella loro vita, di poter essere tali. Anche per questo, nella storia ce ne sono stati così pochi».
   «E dunque… come un Portatore capisce di poter essere un Testimone?» chiesero di nuovo Viola e Friedrich, impazienti.
   «Di solito avviene attraverso un evento traumatico. Quasi sempre, essendo i nostri addestramenti tanto duri, un Portatore scopre quel surplus di potere dopo essere stato ferito. È però possibile che se ne renda conto anche a causa di un evento che sconvolge profondamente il suo equilibrio emozionale o psichico, tanto positivo quanto negativo. Un altro motivo per cui i Testimoni sono vergognosamente rari» fu la spiegazione di Gregory.
   «Quindi se un Portatore subisce una grave lesione, o uno sconvolgimento emotivo, scopre questa nuova riserva di potere» disse Blaze.
   «Sì e no. Perché questo avvenga, il Portatore in questione deve essere naturalmente predisposto al raggiungimento del livello di Testimone. Ricorda che la base di quel potere è intrinseca del Portatore: ha quella facoltà dalla nascita» gli ricordò Gregory.
   Finalmente cominciava a essere tutto chiaro. Ora André, Viola e gli altri riuscivano a spiegarsi il perché della rarità dei Testimoni: perché un solo Portatore giungesse a quel livello, erano necessari una serie di requisiti – talvolta dettati dal caso – piuttosto vari.
   All’improvviso, Laurence si ricordò di qualcosa che Gregory aveva detto poco prima.
   «Chi sono i due Testimoni?» gli domandò a bruciapelo.
   Tutti si voltarono a guardarli.
   Come faceva spesso, Gregory ostentò un’aria confusa e innocente.
   «Non saprei proprio dirtelo. Ma perché me lo chiedi?» disse con noncuranza.
   Laurence lo guardò fisso negli occhi. Aveva un’indole tranquilla, ma quando si prefiggeva un obiettivo diventava duro e implacabile. E in quel momento, il suo scopo era scoprire chi fossero i due Testimoni di cui aveva parlato Gregory.
   «Te lo chiedo perché ce ne hai parlato» insisté Laurence.
   «Sono solo voci. Autorevoli, certo: provengono da persone affidabili. Ma restano pur sempre delle voci» replicò l’altro, apparentemente tranquillo.
   «Ma poco fa ci hai detto, con grande sicurezza, che questi due Testimoni non si schiererebbero mai con Giovanni, in un’eventuale battaglia contro di noi. Per affermarlo con tanta decisione devi di certo conoscerli, e bene» esclamò Laurence, mettendolo alle strette.
   Gregory lo guardò, affascinato. Durante quelle prime ore alla Valle l’aveva visto posizionarsi ai margini della vita che lì si svolgeva e aveva ritenuto che le lodi che di lui tesseva Sofia fossero eccessive, ispirate dall’affetto. In quel momento, però, si rese conto che la sua giovane amica aveva ragione: Laurence era un Portatore capace ed un uomo molto intelligente. Provando per lui una nuova stima, decise di rispondergli con onestà.
   «Hai ragione, Laurence: so chi sono i due Testimoni, e li conosco molto bene. Però non posso rivelarvi i loro nomi: hanno detto esplicitamente di voler conservare l’anonimato, e io devo rispettare il loro desiderio. Ma se dovesse rendersi assolutamente necessario, sarò pronto a farli schierare al vostro fianco».
   Laurence l’osservò attentamente. Sapeva che quello che gli stava dicendo Gregory era la verità, ma nonostante tutto aveva ancora l’impressione che l’uomo stesse omettendo qualche dettaglio fondamentale. A dispetto di tutto, però, sentiva di potersi fidare.
   I due uomini si scambiarono un sorriso appena accennato. Entrambi sapevano che tra loro era appena nato qualcosa che col tempo sarebbe diventata una solida amicizia. Poi Gregory prese di nuovo la parola.
   «Credo di avervi detto più o meno tutto quello che so sui Testimoni. Per saperne di più, dovreste vederli all’opera».
   «Credi che accadrà mai?» gli chiesero Viola e Gloria.
   «Spero proprio di no. Solo una guerra potrebbe costringerli a mostrarsi, e noi faremo di tutto per evitarlo» fu l’inaspettata risposta non di Gregory, ma di Sofia.
   «E non c’è nessun’altra possibilità di incontrarli?» domandò Blaze speranzoso.
   Gregory guardò di sbieco Sofia.
   «Magari potremmo convincerli… dopotutto sarebbe ora di finirla, con questa smania della segretezza. Potrebbero scoprire altri Testimoni, aiutarli a riconoscere il proprio potere senza dover necessariamente passare per un evento traumatico…» tentò.
   Lei scosse la testa prima ancora che Gregory terminasse.
   «Assolutamente no! Sai bene quanto me cosa accadrebbe se si mostrassero… si scatenerebbe il finimondo. Il loro potere è troppo ambito, troppo desiderato, troppo pericoloso per rischiare».
   «Oh, andiamo Sofi…».
   «No, Gregory. Se proprio vuoi farlo prego, accomodati. Ma non contare su di me» disse Sofia stizzita, uscendo dalla sala.
   Gregory sospirò.
   «Mi sa che stavolta è arrabbiata sul serio… non interrompe mai una conversazione andandosene» disse Blaze non appena la porta si richiuse alle spalle della ragazza.
   «Lo so» rispose Gregory. Sembrava pentito d’aver tentato di forzare la situazione.
   Laurence gli rivolse un’occhiata d’intesa.
   «Sta’ tranquillo, le passerà. Il vostro viaggio è stato piuttosto faticoso, vero?».
   «Abbastanza… in effetti sono un po’ stanco» disse Gregory, afferrando al volo la via d’uscita che Laurence gli stava offrendo. Non se la sentiva di farsi fare altre domande riguardo ai Testimoni.
   «Allora andiamo… ci sono ancora parecchie camere libere, puoi scegliere quella che preferisci» disse Laurence facendogli strada fuori dalla stanza, mentre gli altri li seguivano e si sparpagliavano nell’edificio come foglie al vento.

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Capitolo 7
*** Segreti e bugie ***


«Qualcuno ha visto Elizabeth?».
   Gli Apprendisti dell’Acqua risposero negativamente.
   «D’accordo… grazie» rispose Andrè, accigliato.
   Percorse poche centinaia di metri, vide Sofia in lontananza. La raggiunse di corsa.
   «Sofi!» gridò quando le fu abbastanza vicino. Lei si girò di scatto.
   «André! Mi hai spaventata… cosa c’è?».
   «Per caso hai visto Elizabeth?».
   Lei aggrottò le sopracciglia.
   «È sparita? Di nuovo?».
   «Pare proprio di sì».
   Nell’ultima settimana Elizabeth si era eclissata per diverse ore, senza che nessuno riuscisse a trovarla.
   «È già la terza volta» notò André preoccupato.
   In quel momento Blaze spuntò fuori dal nulla.
   «André! Di nuovo alla disperata ricerca di Elizabeth?» chiese sghignazzando.
   L’altro non parve altrettanto divertito.
   «Non è che per caso l’hai vista?» chiese speranzoso. Il giovane americano scosse la testa.
   «Neanche l’ombra. Probabilmente si è nascosta da qualche parte per allenarsi… o magari si è di nuovo incollata a Gregory, nella speranza che lui le insegni qualche colpo d’Acqua complesso!» disse, trattenendo un altro ghigno. Sapeva quanto André fosse infastidito dalle recenti attenzioni di Elizabeth per Gregory - che da parte sua la ignorava il più possibile. Il ragazzo, infatti, ebbe un moto di stizza.
   «Vado a cercarla, è meglio!» disse, avviandosi veloce verso un boschetto.
   Sofia guardò Blaze.
   «Dovevi proprio provocarlo? Sai quanto gli dia fastidio l’atteggiamento di Elizabeth, che bisogno c’è di girare il dito nella piaga?» gli chiese.
   Blaze scrollò le spalle.
   «Magari in questo modo si renderà conto che lei non lo merita. Neanche a me piacciono i suoi atteggiamenti… è un’opportunista».
   «André è innamorato, Blaze. Non puoi farci niente… rassegnati».
   Il ragazzo sbuffò.
   «Ti prego non dirlo… evito più che posso di pensarci!» disse, ostentando un’esagerata smorfia di disperazione.
   Sofia scoppiò a ridere.
   «Sei senza speranze Blaze… non cambierai mai!». Poi, tornando seria, gli parlò delle proprie preoccupazioni.
   «A te sembrano normali, queste sparizioni di Liz?» gli chiese.
   «Per ora non ci vedo niente di strano… magari vuole solo stare un po’ da sola. Qui non c’è molta privacy, lo sai» rispose lui con una scrollata di spalle.
   «Mah… forse hai ragione tu» disse Sofia, poco convinta.
   Proprio in quel momento, un rumore alle loro spalle li fece voltare. Elizabeth era arrivata di corsa.
   «Sapete dov’è Gregory?» chiese immediatamente.
   Blaze alzò gli occhi al cielo. Sofia, invece, le rivolse uno sguardo torvo.
   «Perché invece non ci chiedi di André? Ti ha cercata dappertutto, sta impazzendo dalla preoccupazione!» la rimproverò.
   La ragazza l’ascoltò a malapena.
   «Be’, ditegli che mi avete vista e che sto bene. Allora, dov’è Gregory?» chiese di nuovo con impazienza.
   «Di là, ai piedi delle ultime colline prima della prateria. Vicino al terzo laghetto a Est» disse Sofia, indicandole la direzione con una mano.
   «Perfetto. Ciao!» disse Elizabeth, correndo via.
   «Poteva almeno ringraziarmi» disse Sofia tra sé e sé.
   «Non credo che lo farà… specialmente quando si renderà conto che l’hai mandata nella direzione opposta a quella in cui si trova davvero Greg» notò Blaze divertito.
   Sofia gli rivolse un ghigno divertito.
   «Se l’è meritato. Non ho saputo resistere!».
   Si incamminarono nella direzione opposta a quella presa da Elizabeth. Pochi minuti dopo incrociarono Fernando, Emma e Ailie.
   «Gregory ci ha mandati a cercarti» dissero i tre a una voce, rivolti a Sofia.
   Lei spalancò gli occhi.
   «Quando mi fa chiamare mi preoccupo sempre. Non oso immaginare cosa stia tramando…».
   Blaze scoppiò a ridere.
   «Tu, preoccupata? Ah no, questa scena non voglio perdermela… andiamo!» esclamò il ragazzo, facendo cenno a Fernando di fargli strada e trascinandosi dietro Sofia.
  Mentre Fernando parlava con Blaze, Sofia chiese a Ailie come avessero trascorso la mattinata.
   «Oh, è stato molto interessante!» esclamò la giovane con gli occhi che brillavano. «Gregory ci sta spiegando come percepire gli Elementi».
   «E qualcuno è riuscito a percepire qualcosa?» le domandò Sofia. Sapeva quanto fosse difficile imparare a sentire gli Elementi e a riconoscere la traccia inconfondibile che caratterizzava ogni singolo Portatore.
   Ailie scosse la testa.
   «Qualcuno si è sentito male… dicevano che era come se qualcosa di invisibile li schiacciasse».
   «È perfettamente normale. Quando si inizia a percepire la massa indistinta degli Elementi dei vari Portatori, non si riesce a distinguerli gli uni dagli altri e i sensi ne vengono sopraffatti. Ma imparerete presto a sopportare quel flusso d’informazioni» le spiegò Sofia, prima di rivolgersi a Emma. «E tu, Emma? Hai sentito qualcosa, mentre Gregory vi spiegava come riconoscere le tracce dei Portatori?».
   «Io… non ci ho provato» rispose mesta la ragazzina.
   Sofia la guardò stupita, prima di rivolgerle la domanda più semplice e insieme più complessa.
   «Perché?».
   «Perché non sono una Portatrice!» esplose Emma, stanca di ripeterlo ogni volta che le veniva rivolta una domanda che riguardasse gli Elementi.
   «Invece avresti dovuto. Non puoi sapere in quale modo il tuo potere si mostrerà e se non provi nemmeno ad avvicinarti a questo mondo, be’… allora potrebbe non accadere mai» disse Sofia accigliata. «Però è bello vedere che sotto quel visetto dolce e l’aria riservata c’è della grinta» proseguì sorridendo.
   «Credi davvero che in me ci sia la traccia di un qualche Elemento?» le chiese Emma speranzosa.
   «Quello che credo io non ha importanza, Emma. Conta quello che credi tu, e il modo in cui ti poni di fronte al problema è sbagliato. Impedisce al tuo potere di manifestarsi, se c’è. Sì, so cosa stai pensando» disse Sofia notando la sua espressione. «Ti senti a disagio perché sei l’unica, qui, che non ha ancora dimostrato di essere un Portatore. Quello che devi capire è che non ci sono tempi e modalità standard. Per ognuno di noi vale una regola diversa, riguardo l’emergere del potere. Prendi Laurence: lui ha scoperto di essere un Portatore dell’Aria a ventinove anni. Quindi smetti di preoccuparti del fattore tempo» concluse, dandole una pacca sulla spalla.
   Ailie tirò una gomitata a Emma.
   «Hai visto? Te l’avevo detto che ti stavi facendo troppi problemi!».
   L’altra la spinse, ridendo.
   Sofia scosse la testa, mentre arrivavano al grande prato dove sorgeva l’Ala Est dell’unico grande edificio della Valle.
   «Eccovi finalmente!». La voce di Gregory li raggiunse prima che riuscissero a scorgerlo.
   Si fermarono di fronte a lui e Laurence.
   «Allora Greg, cosa vuoi da me?» gli chiese Sofia con l’aria di un condannato a morte che si avvii al patibolo.
   Gli occhi di lui brillarono maliziosi nel risponderle.
   «Pensavo che ti avrebbe fatto piacere un po’ di allenamento… è da tanto che non ci sfidiamo. O hai forse paura?» la stuzzicò.
   Lei arruffò il pelo come una gatta.
   «Mi prendi in giro? Potrei batterti a occhi chiusi!» fu la replica.
   «Bene. Allora cominciamo» decise Gregory con un ghigno. «Sarà meglio che vi allontaniate» disse agli altri, che si affrettarono ad obbedire.
   I due iniziarono a studiarsi, mettendo circa cinque metri tra di loro. Trascorsero in questo modo dieci interminabili minuti, durante i quali gli altri Figli degli Elementi e alcuni Apprendisti – tra cui Elizabeth - si unirono al gruppetto già sul prato.
   «Pensate che andranno avanti a lungo in questo modo?» chiese Ailie a Laurence e André.
   Proprio in quel momento, i due contendenti scattarono.
   Gregory lanciò contro Sofia un getto d’Acqua, che si tramutò in ghiaccio e si divise in uno sciame di schegge prima di arrivare a destinazione. Sofia parò il colpo disperdendo i piccoli dardi con la mano sinistra, coperta da un sottilissimo velo di Fuoco. Poi contrattaccò, evocando una frusta incandescente e cercando di arpionare l’uomo alla gamba per trascinarlo a terra, ma Gregory riuscì appena in tempo a deviare il colpo, evitandolo per pochi centimetri.
   Tutto si svolse in meno di cinque secondi. Poi, dopo un istante di pausa, fu Sofia ad attaccare nuovamente, scagliando una manciata di sfere infuocate contro Gregory.
   «Banale!» le gridò contro lui, facendole esplodere con dei colpi d’Acqua ben piazzati. Ma la massa di scintille in cui si erano sbriciolate le sfere di Sofia, invece di dissolversi, a un cenno delle mani della ragazza si avventarono su Gregory, che non riuscì a evitarle tutte. Il suo braccio destro scomparve sotto le scintille, che immediatamente arsero.
   Saltellando, Gregory tentò di scrollarsele di dosso. Mentre con una sottile lastra di ghiaccio riusciva a fare presa sulle scintille più esterne, staccandole dal proprio braccio, Sofia gli immobilizzò le mani con dei ceppi di Fuoco e lo colpì con una frustata ardente in pieno petto, facendolo crollare al suolo.
   «Uno a zero per me» annotò ghignando la ragazza.
   «Stronza» replicò lui, steso a terra.
   Sofia lo liberò e attese che si rialzasse. Poi si misero di nuovo in posizione, lei in allerta, lui studiando il modo migliore per attaccarla e tornare in parità.
   Immobili, si fissarono per alcuni minuti. All’improvviso Sofia spiccò un salto.
   «Ma che diavolo…?».
   Si guardò i piedi: erano stretti in una morsa di ghiaccio che le impediva di muoversi. Un cerchio di Fuoco le percorse il corpo, dall’alto verso il basso, concentrandosi sul ghiaccio e sciogliendolo. Gregory colse il momento per lanciarle contro un lungo, spesso nastro d’Acqua che le si avvolse attorno al corpo, bloccandola.
   «Uno pari» disse Greg, sollevando un sopracciglio.
   «Fossi in te non ci scommetterei» rispose Sofia muovendo impercettibilmente le mani, rimaste libere.
   Uno spesso strato di fumo, grigio e acre, si levò dal terreno circondando Greg e togliendogli momentaneamente il respiro. Mentre l’uomo annaspava un’onda di Fuoco si alzò alle sue spalle, inglobandolo in una bolla incandescente.
   Alcuni Apprendisti gridarono di paura e stupore, mentre Costa e André scattavano in avanti per intervenire.
   «Non vi azzardate!» gridò Sofia, intuendo le loro intenzioni. Un istante più tardi l’Acqua che la stringeva in una morsa si dilatò, chiudendola a sua volta in una bolla trasparente attraverso cui il corpo della ragazza si intravedeva confusamente.
   Per metà atterriti e per metà affascinati tutti rimasero al proprio posto, senza osare muoversi o intervenire. Dopo un paio di minuti, quasi simultaneamente, le due bolle crollarono su loro stesse, franando a terra e dissolvendosi. Gregory e Sofia caddero sull’erba, respirando affannosamente, il primo col viso coperto di fuliggine rivolto verso il cielo a cercare aria pulita, la seconda distesa bocconi sul terreno, bagnata fradicia.
   Greg si girò faticosamente verso di lei.
   «Pari?» chiese.
   «Scordatelo. Io avevo già messo a segno un colpo» replicò Sofia con voce flebile.
  Blaze, André e Costa scattarono in avanti.
   «Siete pazzi? Potevate uccidervi l’un l’altra!» strillò il greco, sconcertato dalla noncuranza con cui valutavano il loro recente scontro.
   Gregory si alzò, aiutato da Blaze.
   «Oh no, stavamo solo giocando un po’. Altrimenti non ci saremmo trattenuti…».
   Costa lo guardò strabuzzando gli occhi.
   «E quello tu lo chiami giocare?» disse incredulo.
   «Calmati Costa» intervenne Sofia, mentre André l’afferrava per la vita e la tirava su di peso «o andrai a fuoco».
   «Calmarmi? Ci prende anche in giro, ci dice che vi stavate trattenendo e…».
   «Ma è così» lo interruppe Sofia. «Ti sembrava ci stessimo impegnando? Se l’hai pensato, hai delle pessime capacità di valutazione». Poi si guardò. «Greg, accidenti a te… sono zuppa, guarda!» disse, afferrando i lisci capelli castani che le arrivavano alla vita e strizzandoli. Una piccola pioggia si riversò sul prato.
   «E io cosa dovrei dire?» replicò lui, indicandosi i vestiti anneriti, coperti di fuliggine e bruciacchiati qua e là. «Sono sudicio, grazie al tuo fuocherello».
   «E chiamalo fuocherello!» disse Blaze.
   Scoppiarono tutti a ridere.
   «Va be’, sarà meglio andare a cambiarci… a proposito André, dov’è Liz? Mi sembrava d’averla vista lì tra voi» chiese Sofia mentre il gruppetto di spettatori si allontanava e lei, Greg, André, Blaze e Laurence entravano nell’edificio e si dirigevano verso l’Ala Nord, dove erano situate le loro stanze.
   «Non ne ho idea… mentre osservavamo il vostro scontro mi ha detto che le era venuta voglia di fare una passeggiata e se n’è andata» rispose il giovane.
   «Certo che la tua ragazza è diventata una gran camminatrice. Da quand’è che ha cominciato a sparire per queste lunghe passeggiate solitarie?» disse Blaze ad André.
   Fu Gregory a rispondere. «È sparita per la prima volta pochi giorni dopo il mio arrivo… l’undici di Giugno. E non credo sia stata una coincidenza, che sia iniziato tutto quel giorno».
   «E cos’aveva di speciale quel giorno?» chiese sempre Blaze.
   «Era il mio compleanno» disse Gregory «e credo che Elizabeth avesse sentito Sofia farmi gli auguri, perché si è presentata mentre mi allenavo nel boschetto qui vicino per augurarmi un buon compleanno e offrirmi un regalo… decisamente particolare».
   «E cos’era, che voleva regalarti?» domandò Laurence dopo una breve esitazione. Avevano tutti il timore che la risposta potesse ferire André.
   «La sua fedeltà. Come Portatrice d’Acqua, non come donna… a patto però che io decidessi di addestrarla e insegnarle i colpi d’Acqua complessi e altri trucchi del genere. Ho rifiutato, e lei se n’è andata come una furia, sparendo fino a notte fonda» disse Gregory.
   «Abbiamo notato tutti che ha una certa ossessione per l’addestramento e che vuole bruciare le tappe, ma questo non ha senso. Sei un Maestro dell’Acqua, l’avresti addestrata comunque». Questa volta fu Blaze a parlare.
   «Ho avuto come l’impressione che si aspetti lo scoppio di una guerra» replicò Gregory, guardando André. «Magari tu sai dirci come mai lo pensa».
   Intervenne Laurence. «Tutti ci aspettiamo un attacco da un momento all’altro. Abbiamo allertato ogni singolo Portatore a tenere costantemente gli occhi aperti».
   «Ma anche questo non ha senso. Ho visto le protezioni che avete attivato intorno alla Valle per evitare che qualcuno riesca ad accedervi o a percepirvi. Queste cose di certo le sanno tutti quelli che sono qui, quindi come può Elizabeth credere una cosa del genere? Sofia, tu cosa ne pensi?» disse Gregory rivolgendosi alla sua vecchia allieva, che aveva un’aria preoccupata.
   «Penso che dovremmo rafforzare le protezioni e controllare Elizabeth. Queste passeggiate solitarie non sono prudenti… e lei non sa ancora reprimere il proprio potere» aggiunse dopo una breve riflessione.
   «E…?» disse Gregory. Sapeva che lei aveva omesso una parte dei suoi pensieri.
   «E penso anche che dovremmo stare attenti a quello che diciamo… e soprattutto a chi lo diciamo. Temo che ci sia qualcuno, tra di noi, di cui non possiamo fidarci» concluse la ragazza.
   «Intesi. Vado a cercare Liz» disse André lasciandoli.
   «Noi andiamo a prendere gli altri Figli degli Elementi e facciamo un giro di controllo» dissero Laurence e Blaze.
   «A proposito di questo… sarebbe ora che vi decideste a rivelare che voi otto siete dei Maestri, non più dei semplici Figli degli Elementi» esclamò Gregory. Laurence annuì.
   «Lo faremo alla prima occasione utile» confermò l’uomo, uscendo nuovamente all’esterno.
   Gregory e Sofia rimasero soli nel corridoio.
   «Andiamo a cambiarci e vediamoci nella biblioteca… ci sono alcune cose di cui dobbiamo parlare, se non vogliamo una guerra» disse Sofia, fissando gli occhi azzurri del cinquantaduenne che aveva davanti. Lui annuì, e si separarono.

*

Giovanni sbucò da dietro un albero, richiamato dalle grida di Jackson.
   «Eccoti finalmente!» esclamò l’americano spazientito. «Si può sapere cosa fai tutti i giorni qui in mezzo al bosco?».
   «Mi alleno» rispose Giovanni. Dalla conversazione avvenuta solo due settimane prima sembrava essersi ripreso.
   «Sono contento che ti sia scosso dall’apatia che ti avvolgeva e che tu abbia ricominciato a utilizzare il tuo Elemento… ma non ti sembra di esagerare?».
   «Assolutamente no. Devo sviluppare il mio potere a ogni costo».
   «Ancora? Giovanni mi dispiace dirtelo ma credo tu abbia già raggiunto il tuo limite. Sono ventisette anni che ti alleni ormai…» disse Jackson, cercando di farlo ragionare.
   L’uomo bruno gli rivolse un gran sorriso.
   «Da quando mi sono ripreso, più di un mese fa» esordì «ho iniziato a sentire il potere del Fuoco scorrermi dentro con molta più energia. Ogni giorno aumentava d’intensità e, dopo aver parlato con te, ho capito che non dovevo trascurare questo nuovo flusso di potere, ma valorizzarlo. Quindi mi allenerò fino a quando non si esaurirà».
   Jackson lo guardò con sospetto.
   «So a cosa stai pensando, Giovanni. Vuoi raggiungere il livello dei Testimoni, ma non puoi. Non puoi perché quel livello non esiste».
   «Lo so bene. Ripensandoci mi sono reso conto che Sofia è sì a un livello superiore a quello che credevamo, ma se è riuscita a ferirmi è stato solo perché la rabbia ha avuto il sopravvento sulla mia mente e mi ha portato ad abbassare la guardia nel tentativo di sopraffarla. Penso solo di poter sviluppare il mio potere un po’ di più, e credo non ci sia nulla di male in questo» disse tranquillamente l’uomo. Jackson sembrò rilassarsi.
   «Bene, mi fa piacere che tu abbia smesso di trastullarti con idee infondate. Comunque ero solo venuto ad avvertirti che tra mezz’ora dovresti cominciare l’addestramento giornaliero dei tuoi Portatori» gli disse.
   «Sei stato molto gentile… in effetti avevo perso la cognizione del tempo. Tu va’, io li raggiungo tra qualche minuto».
   Alle sue parole Jackson si avviò di nuovo verso il Centro, facendo attenzione a non inciampare nelle radici di qualche albero che, in quel punto della foresta, spuntavano numerose dal terreno.
   Giovanni lo guardò allontanarsi. Non riusciva a capacitarsi di quanto ottusi e mentalmente ristretti fossero gli altri tre Maestri. Erano convinti di essere i depositari della verità assoluta, riguardo agli Elementi e ai Portatori, e così facendo non riuscivano a cogliere le sfumature che, nelle ultime due settimane, avevano aperto una nuova serie di possibilità - pressoché infinite - davanti ai suoi occhi.
   Giovanni riprese ad allenarsi, chiedendosi dove diavolo fosse finito Gregory e dove ancora potesse cercarlo.

*

«Avanti, pensate: dove potrebbero essere?».
   Jackson e Tsukiko alzarono gli occhi al cielo. Prudencia era alle prese con la sua occupazione preferita: scoprire come arrivare a Sofia e agli altri Portatori fuggiaschi.
   «Prudencia santo cielo, basta! Non abbiamo idea di dove siano e, a meno di un colpo di fortuna, non lo scopriremo mai. Quindi smettila di assillarci!» esplose l'orientale. Le continue domande di Prudencia al riguardo erano riuscite a intaccare la sua calma e a farle perdere la pazienza. Qualcosa che non capitava spesso.
   L’argentina la guardò sbuffando e scuotendo i lunghi, neri capelli ricci.
   «Sembra che non v’importi di trovarli!» disse con astio.
   «Certo che c’importa di trovarli» intervenne Jackson «ma come ha giustamente detto Tsukiko, al momento non abbiamo modo di scovarli e insistere con delle ricerche infruttuose è inutile. Fattene una ragione».
   Giovanni entrò nella stanza con passo svelto, il volto disteso e i capelli ancora umidi. Probabilmente era appena uscito dalla doccia.
   «A Prudencia non interessa riportare indietro i Portatori che sono fuggiti… vuole solo vendicarsi di Sofia. Si sente umiliata dal fatto che una ventiquattrenne possa essere molto più potente di lei» disse allegramente l’italiano. Prudencia lo fulminò con gli occhi.
   «Sofia non è più potente di me!» ribatté con veemenza, prima di rendersi conto di quanto infantile fosse la sua risposta.
   «Oh sì, che lo è» insistette Giovanni «e se fossi onesta con te stessa e con gli altri, ammetteresti che ce l’hai con lei da quando abbiamo fondato il Centro. Non hai mai accettato che ti avessi lasciata per occuparmi di una ragazzina più piccola di me di ben diciotto anni. Ne sei sempre stata gelosa» concluse tranquillamente, incurante dell’espressione sbalordita di Jackson e Tsukiko e di quella furiosa di Prudencia, che era livida in volto.
   «Comunque» proseguì l’uomo «a rischio di risultare banale, ti ripeto quello che hanno già detto Tsukiko e Jackson: ad ora, non hai modo di trovarla. Però una possibilità c’è».
   «E quale sarebbe, questa possibilità? Dimmelo!» ringhiò la donna.
   «C’è un Maestro, che conosco da molto tempo e che mi ha addestrato per circa tre anni, abilissimo nel percepire le tracce dei Portatori. Voglio chiedergli di venire qui e aiutarci a trovare i fuggiaschi».
   «Si può sapere cosa stai aspettando? Se ti fossi mosso prima, forse li avremmo già trovati!».
   «Non è così semplice. Questo Maestro ha l’abitudine di nascondersi… rintracciarlo è molto difficile. Ho chiesto informazioni a tutti quelli che lo conoscono, ma nessuno ha saputo aiutarmi… è come svanito nel nulla» spiegò Giovanni. «Ma non dubito di riuscire a trovarlo. A una condizione però, Prudencia: che tu mi prometta che non torcerai neanche un capello a Sofia».
   «Cosa?!» esclamò lei furiosa, ma non aggiunse altro. La sua indignazione sembrava averla lasciata senza parole: quando finalmente le ritrovò, si scatenò in una lunga invettiva contro Giovanni. «Non accetterò mai! Voglio farla a pezzi con le mie mani!» concluse con violenza.
   «Allora non farò nulla per ritrovarla. Uccidere una Portatrice di talento come Sofia sarebbe uno spreco indescrivibile, Prudencia. Senza contare che lei è mia. La rivoglio con me, ma non da morta. Piuttosto, la lascerò scappare e nascondersi fin quando non ti passerà la voglia di farle del male» disse risoluto Giovanni, prima di voltarsi ed andarsene.
   Calò un silenzio imbarazzato. Poi Tsukiko si rivolse all’argentina.
   «Non sapevo che tu e Giovanni aveste avuto una storia…» disse titubante.
   «Ce l’avevamo, sì. Fin quando non andò in Spagna» rispose Prudencia con una smorfia feroce sul volto. «Arrivato là sparì, e non ne seppi più nulla per quattro anni… cioè fino a quando non tornò per dirmi che si era messo in affari con quell’altro italiano e chiedermi di fondare il Centro con lui e con voi due».
   Dopo il breve silenzio che seguì le sue parole, fu proprio Prudencia a parlare di nuovo.
   «Giovanni si comporta in modo strano, ultimamente. Non riesco a capire cos’abbia in mente».
   «Gli ho parlato, poco prima che venisse qui. La guarigione sembra avergli infuso nuove energie e si sta allenando per potenziare il controllo del proprio Elemento» la informò Jackson.
   Prudencia non sembrò convinta. «Che si allena a fare, se ha già raggiunto il livello massimo dell’addestramento?».
   «Ma Prudencia, si può sempre migliorare. Magari vuole acquisire una padronanza del Fuoco sufficiente a imparare le tecniche di guarigione» ipotizzò Tsukiko.
   «Non si è mai interessato di cose simili. Finora non ha fatto altro che concentrarsi sulle tecniche di combattimento e di ricerca» obiettò l’altra donna.
   «Probabilmente dopo aver subito quella ferita si è reso conto di quanto può essere utile saper guarire» rispose Jackson con noncuranza.
   «No, continuo a essere convinta che ci sia qualcosa che non va. Devo parlarne con lui, subito» decise Prudencia.
   Detto ciò uscì dalla stanza. Jackson e Tsukiko si guardarono.
   «Credi sia il caso di seguirla e controllare che la loro discussione non degeneri?» chiese lei.
   Jackson scosse la testa. «Giovanni è cambiato. Sembra aver ritrovato il proprio equilibrio… e niente di quello che può dire Prudencia può toccarlo. Non gli interessa minimamente la sua opinione… né quella di nessun altro».
   «Allora non ci resta che aspettare» rispose Tsukiko, scrollando le spalle.

*

Prudencia percorse quasi a passo di marcia il corridoio principale dell’Ala Sud, controllando le stanze più spaziose: erano tutte vuote. Affacciatasi a una finestra vide fiamme e fumo alzarsi dalla parte più bassa del parco. Fece dietrofront ed uscì dalla grande porta al termine del corridoio, camminando veloce, guidata dalle voci. Abbandonò i sentieri e attraversò il prato verde brillante in modo da arrivare più rapidamente a destinazione. In pochi minuti giunse al limitare del bosco: Giovanni era lì, che addestrava i Portatori del Fuoco con una pazienza e una buona volontà che non si vedevano in lui da anni, ormai.
   Questo la confuse ancora di più. Non riusciva a capire il perché del repentino cambiamento del suo ex amante, ed era più decisa che mai a scoprirlo.
   «Giovanni!» chiamò con forza.
   L’uomo alzò lo sguardo.
   «Prudencia. Hai bisogno di qualcosa?» chiese in tono neutro, come se la scena di poco prima non si fosse mai svolta.
   «Devo parlarti. Subito» sottolineò, convinta che lui le avrebbe rivolto un netto rifiuto.
   La sua risposta la spiazzò.
   «Ma certo. Evan!» chiamò Giovanni, volgendo lo sguardo verso la parte sinistra del gruppo. «Vieni qui e continua tu a guidare gli altri nell’esecuzione degli esercizi».
   Il ragazzo si affrettò ad eseguire.
   Giovanni invitò Prudencia a seguirlo.
   «Immagino desideri che la nostra conversazione sia privata» disse, facendole strada.
   Dopo aver attraversato il bosco per qualche minuto, giunsero in una piccola radura inondata dal sole. Lì la donna si voltò, pronta ad affrontarlo.
   «Da quando ti sei ripreso sei molto cambiato. Cosa c’è sotto?» chiese tutto d’un fiato.
   «Cambiato? Direi piuttosto di essere molto più simile a quello che ero un tempo. Prima che il Centro mi assorbisse completamente, anima e corpo» rispose lui, evitando la domanda principale.
   «Sai bene a cosa mi riferisco. Ti stai allenando di nuovo!» replicò lei.
   «Oh andiamo, ne state facendo un caso. Anche voi vi allenate ogni giorno per mantenere il contatto col vostro Elemento, studiare nuove tecniche e migliorare. Non capisco cosa ci sia di strano se a farlo sia io» sbottò Giovanni, ora lievemente irritato.
   «C’è di strano che dedichi ogni tuo momento libero ad addestrarti. Noi ci limitiamo a esercitarci per un paio d’ore al giorno, ma tu… a volte non dormi neanche, pur di allenarti. Credevi non l’avessimo notato? Ti stai spingendo al limite, e ora voglio sapere perché» fu la risposta.
   «Perché mi manca Sofia!» esplose Giovanni, optando per una parte della verità. «Perché senza di lei il Fuoco che mi scorre dentro è come affievolito e voglio essere sicuro che il mio potere non diminuirà. Perché quando mi alleno non penso al fatto che ha tradito la mia fiducia!».
   Prudencia lo guardò offesa. «Possibile che tu non faccia che pensare a quella ragazzina?!» gridò.
   Lui sospirò. Sapeva che se la sarebbe presa – ce l’aveva ancora con lui per essere stata lasciata di punto in bianco e senza una spiegazione dodici anni prima – e aveva tentato di evitare che si creassero nuovi attriti tra loro.
   «Quella ragazzina, come la chiami tu, è la nostra migliore Portatrice e stratega e io avevo garantito al mio collega che avrebbe lavorato per lui. Lo conosci, sai bene che non posso tirarmi indietro proprio ora e per di più dicendogli che mi sono fatto scappare metà degli allievi» le ricordò con una punta d’impazienza.
   «Se ci tiene tanto ad averla, chiedi il suo aiuto: visti i mezzi che ha a disposizione, non gli ci vorrà molto a ritrovarla!».
   Giovanni sbuffò. «Da come parli, si direbbe che tu non sappia come stanno le cose: è buffo, considerato che sei l’unica che, invece, sa tutto» ringhiò. «Il mio socio non ha idea di chi sia Sofia: di lei non conosce che il nome e l’età visto che, come ti ho detto tempo fa, mi ha aiutato lui a procurarmi i documenti falsi per nasconderla. Inoltre non ho intenzione di informarlo di questo piccolo "incidente di percorso". Almeno, non fino a quando sarà possibile evitarlo».
   «Allora trova un modo per riportarli tutti indietro, e in fretta, oppure penserò io ad avvisare il tuo amico» sputò l’argentina con rabbia prima di andarsene.
   Bene, pensò Giovanni. Un altro problema da risolvere. Posò lo sguardo a terra e scagliò con rabbia un getto di Fuoco contro una piccola macchia di fiori che si trovava ai suoi piedi, incenerendoli.
   «Maledetti asfodeli» ringhiò prima di tornare indietro.

*

Quando entrò nella biblioteca, lui era già lì.
   «Ci hai messo un’eternità!» la rimproverò Gregory.
   «Certo. Perché grazie a qualcuno avevo i capelli completamente impregnati d’acqua e ho dovuto asciugarli!» ribatté Sofia guardandolo torvo.
   Sedettero uno di fronte all’altra. Poi Sofia prese fiato.
   «Abbiamo un problema, temo» esordì.
   Gregory annuì.
   «So a cosa stai pensando. C’è qualcuno che si avvicina troppo al confine tra la Valle e il mondo esterno».
   «Precisamente. Percepisco che c’è qualcuno che tenta di violare le nostre difese, ma non riesco a capire di chi si tratti. Tu per caso ci sei riuscito?» chiese speranzosa.
   Lui scosse la testa. «C’è un tale concentrazione di Elementi di Portatori diversi e di Spiriti degli Elementi, in quella zona, da renderlo impossibile persino per me».
   Si guardarono l’un l’altra, delusi.
   «In ogni caso dobbiamo rafforzare le difese e monitorare costantemente i confini, se non vogliamo trovarci degli intrusi alle porte. Vorrei però che del monitoraggio ce ne occupassimo solo io e te… in fondo ci basta regolarci sulle vibrazioni degli Elementali ai confini. Credi di potercela fare, o preferisci coinvolgere gli altri Maestri?» riprese Gregory.
  «Non ce n’è bisogno: possiamo riuscirci benissimo da soli» disse Sofia. Poi, dopo una breve riflessione, aggiunse: «Questo potrebbe non essere il nostro unico problema. Un altro punto da chiarire è: chi tenta di forzare le nostre difese, lo fa dall’interno o dall’esterno?».
   «Stai pensando a qualcuno che si trova alla Valle?» chiese Greg, sorpreso.
   «Ho dei sospetti, sì. E fingerti sorpreso non servirà: so che anche tu stai tenendo d’occhio alcuni dei Portatori che sono qui» ribatté lei. A dispetto della situazione, lui si mise a ridere.
   «A volte dimentico che non posso ingannarti. Sei troppo abile nel riconoscere le menzogne».
   Sofia ricambiò il sorriso. «Ho avuto un ottimo insegnante» disse maliziosa. «Comunque, a proposito di riconoscere le menzogne… dobbiamo stare più attenti ai comportamenti di tutti. E probabilmente dobbiamo ridurre il numero di informazioni che stiamo fornendo».
   «Sono d’accordo. C’è un’altra questione, però, di cui vorrei parlarti» disse Greg, tornando serio. «Sai che ho ricevuto delle comunicazioni da alcuni miei ex allievi che si trovano sparsi qua e là».
   La ragazza annuì. Gli aveva suggerito lei stessa di utilizzare Nabeela per mandare e ricevere messaggi con alcuni Portatori fidati, in modo che nessuno potesse seguire quelle tracce da e verso la Valle.
   «Alcuni di loro conoscono Giovanni. Mi hanno detto che mi cerca con insistenza da alcuni giorni: una circostanza che è stata confermata anche da altri miei ex allievi. Sembra stia facendo di tutto per trovarmi».
   Sofia assunse un’aria pensosa.
   «Credo di sapere perché ti sta cercando».
   «Di sicuro per sapere se ho informazioni su di te».
   «Sì e no. Sono certa che voglia chiederti di rintracciare la mia Aura» disse Sofia. Era così che i Portatori chiamavano la traccia che ognuno di loro lasciava. Era un ottimo modo per rintracciarli, poiché l’Aura di ogni Portatore era individuale e unica: un po’ come un’impronta digitale. «In fin dei conti l’hai addestrato per ben tre anni… conosce molte delle tue abilità».
   «Come può pensare che lo aiuterei?» chiese Greg indignato. Sofia sorrise.
   «Per quanto ne sa, non hai motivo di schierarti da una parte o dall’altra. Quindi la sua idea è del tutto logica».
   «Per quanto ne sa… credi che si arrabbierebbe, se scoprisse che negli ultimi quattro anni ci siamo visti di nascosto?» domandò Gregory. Sofia ridacchiò.
   «Sarebbe furioso» lo corresse divertita. «Ma credo che, se anche lo scoprisse, con tutto ciò che ho fatto quella sarebbe l’ultima delle sue preoccupazioni!» concluse allegramente.
   «Comunque stavo pensando che potrebbe essere utile farmi vedere, di quando in quando, in posti diversi… possibilmente molto lontani da qui. Questo potrebbe sviarlo» propose Gregory.
   «È una buona idea. Però sarebbe più prudente organizzare il tutto, prima di metterla in atto» rispose Sofia. Poi guardò la grande pendola di ebano nell’angolo.
   «Sono le 15:00 passate… è ora di far rimettere tutti al lavoro».
   «Allora andiamo. È ora che i tuoi amici imparino a riconoscere le Aure» disse Gregory, facendole strada verso la porta e assaporando lo stupore che avrebbe provocato nei giovani Maestri.

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Capitolo 8
*** Il Solstizio d'Estate ***


«Avanti sveglia, sveglia, sveglia!» esclamò con voce sonora Sofia, irrompendo nei dormitori.
   In molti si girarono nel letto, emettendo borbottii incomprensibili. Alcuni controllarono l’ora.
   «Ma… sono le quattro e mezzo del mattino!» gridarono esasperati. «Cosa ti salta in mente, di svegliarci a quest’ora?!».
   Sofia si voltò a guardarli.
   «Innanzitutto, non osate mai più rivolgervi a me in questo modo. Secondo: oggi è il 21 Giugno!».
   «E allora?».
   «E allora?» ripeté Sofia incredula. «È il Solstizio d’Estate! Uno dei giorni dell’anno in cui il nostro potere è più forte, più intenso, più esteso!».
   «Sì, certo, ma il sole non è ancora sorto... quindi lasciaci dormire un altro po’» risposero, tirandosi le lenzuola fin sopra la testa e ignorandola.
   In quel momento entrò Gregory.
   «Be’? Che ci fanno ancora a letto?» chiese a Sofia. Lei lo guardò sconsolata.
   «Non mi ascoltano... la loro pigrizia è più forte della mia autorità».
   «Ma è il Solstizio d’Estate!» esclamò incredulo. Lei alzò le spalle.
   «Non gli interessa».
   «Ah, è così? Bene, allora ci penso io!» disse malevolo. Contò rapidamente i letti, divisi tra loro da librerie e separé, dell’ampia stanza dalle pareti bordeaux, il pavimento nero d’ossidiana e le grandi portefinestre schermate da pesanti tende, sempre nere.
   «Venticinque letti... bene, vediamo se ora si decideranno ad alzarsi» esclamò Gregory, facendo innalzare un’onda d’Acqua gelida dalla testata di ogni letto e riversandole sui loro occupanti.
   Soddisfatto li guardò saltare in piedi, imprecando e scrollandosi l’acqua di dosso.
   «Non c’è bisogno di prendersela tanto» disse, richiamando l’Acqua che aveva evocato e lasciandoli perfettamente asciutti. «La prossima volta vi conviene dare retta a Sofia quando vi dice di alzarvi. E ora preparatevi per la colazione».
   La scena si ripeté, con variazioni minime, in tutti i dormitori.
   «Dai Sofi, almeno i tuoi Portatori si sono alzati appena li hai chiamati» la rincuorò Gregory.
   «Certo che l’hanno fatto. Ho insegnato loro che quando li chiamo c’è sempre un motivo e devono fare quello che gli viene detto» sbuffò lei.
   Controllarono l’orologio. Di lì a poco il sole sarebbe sorto.
   «Dobbiamo muoverci. Non possono perdersi l’alba per nessun motivo» disse Sofia, accelerando il passo.
   Pochissimi minuti dopo erano tutti seduti sul grande prato, rivolti a Nord-Est. Per la maggior parte erano semiaddormentati: gli otto Maestri e Gregory passavano tra di loro, svegliandoli e scuotendoli dal torpore.
   «Ci siamo quasi...» disse Sofia emozionata, stringendo il braccio di Blaze fino a fargli male.
   Pochi istanti dopo, un primo spicchio di sole spuntò dalla linea dell’orizzonte.
   Come investiti da un’onda calda, i Portatori che si erano riversati sul prato sentirono il proprio Elemento risvegliarsi e scorrergli dentro con nuova energia. Alcuni si piegarono per qualche istante, sotto un potere di tale intensità. Altri scattarono in piedi, come se restare immobili rendesse loro impossibile sopportare quel flusso di potere. Gli Elementi nelle loro vene cantavano, rendendoli euforici e spingendoli a manifestare le proprie capacità.
   «È meraviglioso... non avrei mai creduto di poter provare sensazioni simili!» strillò Ailie in preda alla gioia.
   «Ve l’avevo detto che i Solstizi e gli Equinozi sono giorni speciali, per i Portatori. Sono le uniche occasioni in cui in noi, oltre a un Elemento, scorre anche una certa quantità di Energia» spiegò Sofia sorridente.
   Il caos era generale. Grazie all’Energia pura, oltre a un potenziamento degli Elementi, nei Portatori si verificava anche un aumento della forza fisica: molti, intuendo istintivamente quello che stava accadendo nel loro corpo, iniziarono a correre e saltare con un’agilità insospettabile. Ben presto, Laurence e gli altri Maestri furono impegnati a inseguire gli altri Portatori nel tentativo, spesso vano, di placarli.
   «Santo cielo, Marcos! Scendi subito da quell’albero... potresti romperti l’osso del collo!» stava appunto gridando Sofia a un suo Apprendista che si era arrampicato su un’imponente magnolia e, incurante dell’altezza a cui si trovava, si dondolava su un ramo.
   Poco lontano, Blaze cercava di impedire a Ailie di esibirsi in una serie di salti mortali mentre Laurence e André avevano appena salvato Elizabeth dall’assalto di alcuni Kappa particolarmente infastiditi dall’esuberanza della ragazza.
   Gregory osservava la scena ridendo di gusto.
   Sofia, dopo aver riportato Marcos a terra e aver impedito a Serj di dare fuoco a un larice, si trovò vicina a Gregory e lo fulminò con lo sguardo.
   «Invece di ridere potresti aiutarci a fermarli!» lo apostrofò.
   «Andiamo Sofi, lascia che si divertano! Devo forse ricordarti cos’hai combinato tu, al tuo primo Equinozio?».
   La ragazza, di carnagione molto chiara, divenne scarlatta. Durante il suo primo Equinozio, cinque anni prima, benché si stesse ancora riprendendo dalle lesioni provocatele da Giovanni aveva incendiato una casa, diversi ettari di un bosco e si era esibita in uno spettacolare tuffo da una scogliera alta trenta metri.
   «Lascia che si divertano» ripeté Gregory. «È il modo più rapido e semplice per far sì che smaltiscano l’accumulo di Energia iniziale e si calmino. Poi potremmo insegnare loro a incanalare in modo più razionale questo surplus di potere».
   Ben sapendo che aveva ragione, Sofia si arrese di fronte alle parole del suo amico e richiamò gli altri Maestri. Mentre, rassegnati, osservavano i ragazzi sparpagliarsi per la Valle, Emma si avvicinò a loro.
   «Allora Emma» disse Sofia «vedo che anche tu hai capito che stare lontana da quei folli è, per il momento, la cosa migliore da fare!».
   La ragazzina sorrise. «Non ho intenzione di finire arrostita o di volare via trascinata da una tromba d’aria».
   Sedettero tutti sul prato tranne Costa e Friedrich, che ancora tenevano d’occhio i loro allievi, e Gregory, che sembrava disinteressato a tutto quello che gli accadeva intorno.
   «Non senti niente risvegliarsi in te?» chiese André a Emma. Nonostante tentasse di nasconderlo, dalla sua voce traspariva chiaramente la convinzione che la ragazzina non avrebbe sentito in sé nessun Elemento, né in quel momento, né mai.
   Lei scosse la testa. «Non so neanche cosa dovrei provare... come potrei riconoscere un Elemento in me, se anche ci fosse?».
   «Be’, quando in un Portatore si risveglia il suo Elemento, lo capisce innanzitutto perché sviluppa un’immediata propensione al contatto con l’Elemento stesso... come è successo a Liz e Ailie, ad esempio: la prima si è tuffata in un laghetto, la seconda ha cominciato a rotolare sull’erba. È una cosa che si sente dentro» le spiegò Laurence.
   Emma scosse di nuovo la testa. «Non provo niente del genere... però qualcosa di strano c’è! Non so come descriverlo...».
   Sofia la incoraggiò. «Sta’ tranquilla e concentrati unicamente sulle tue sensazioni, come se noi non ci fossimo... le parole verranno da sole».
   Seguendo il suo consiglio, Emma chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. Rimase seduta per alcuni minuti, perfettamente immobile, solo respirando lentamente, come se fosse persa in una diversa dimensione, mentre gli altri aspettavano in silenzio.
   Infine, sempre ad occhi chiusi, iniziò a parlare.
   «Quello che sento non è dentro di me, ma fuori» disse lentamente. «È come se una brezza tiepida mi sfiorasse... no, non una brezza. Il vento è indefinito, non ha confini e riempie interamente lo spazio che mi circonda. Invece tutto quello che mi danza attorno ha una forma ben definita: il loro tocco è leggero come l’aria, ma hanno un corpo, solido e tangibile benché invisibile agli occhi. Ognuno di essi è unico: alcuni si somigliano, nella loro essenza più profonda, ma poi di distinguono gli uni dagli altri per altre caratteristiche».
   Facendo cenno ad André di spostarsi, Gregory sedette accanto a Emma. La guardò attentamente e poi le domandò, a voce bassa «Come se fossi circondata da una folla di persone, dove ognuno ti comunica qualcosa di diverso?».
   «Sì, proprio così» confermò stupita Emma, riaprendo gli occhi.
   «A quanto pare abbiamo un’Aura Sensibile!» disse Gregory agli altri.
   «Cos’è l’Aura?» chiese Emma incuriosita.
   «Prima di tutto, devi capire che in ogni persona sono presenti gli Elementi: solo, in quantità diversa. Ma gli Elementi sono qualcosa di eccessivamente potente rispetto a un corpo umano, e per far sì che le persone possano sopportarli senza esserne distrutti, una parte di essi si riversa all’esterno: questa è la base dell’Aura, che in fondo è un po’ un’estensione del corpo stesso» esordì Sofia.
   Emma la interruppe. «D’accordo, ma poi cos’è che le rende le une diverse dalle altre?».
   Sofia sorrise di fronte alla sua impazienza.
   «Sai, in effetti c’è un tipo di Aura in cui tutte sono uguali tra loro: sono quelle delle persone normali, che possiedono in sé una quantità minima di ognuno dei quattro Elementi Fondamentali, in perfetto equilibrio tra loro. In questo caso, l’Aura che si percepisce è uguale per tutti ed è composta di Energia. È a stento percepibile: per questo la chiamiamo Aura Inerte» spiegò paziente. Poi proseguì. «Quelle dei Portatori, invece, sono Aure molto più potenti, benché per percepirle – e soprattutto per distinguerle le une dalle altre e associare ognuna di esse al Portatore che la emana – siano necessari molta concentrazione e un allenamento piuttosto duro. Queste sono le Aure Maggiori: e ovviamente si dividono in Aure di Terra, di Aria, di Acqua e di Fuoco».
   «Continuo a non capire come questi quattro tipi di Aure si differenzino poi al loro interno» chiese di nuovo Emma.
   «Non è difficile. Tra il Portatore e l’Elemento si stabilisce un rapporto reciproco: si completano l’un l’altro. Quindi, nell’Aura, all’Elemento si mescolano i tratti particolari del carattere del Portatore. Di fatto, è questo a rendere ogni Aura unica» disse Sofia, completando rapidamente la seconda parte della sua spiegazione.
   «Non mi hai chiesto, però, cosa sono le Aure Sensibili» fece notare ad Emma, che ribatté prontamente «Stavo per farlo!».
   Sofia ridacchiò. «Be’, le Aure Sensibili si collocano nel mezzo. Sono Aure abbastanza intense da poter essere percepite e da poter riconoscere le altre Aure, ma non sono caratterizzate dalla prevalenza di un Elemento... quindi chi ha un’Aura Sensibile non è mai un Portatore degli Elementi. Ha però un potere in più rispetto alle Aure Inerti: in pratica sono esse stesse Aure Inerti, ma molto più forti... tanto, a conti fatti, da distinguersene».
   «Hai detto “Sono Aure abbastanza intense da poter riconoscere le altre Aure”. Credevo fossero i Portatori a percepirle, non le Aure stesse!» domandò Emma.
   Gregory diede una gomitata a Laurence. «La ragazzina è più sveglia di quanto pensassimo!».
   «La tua è un’ottima domanda. Quello che avevi pensato è corretto: sono i Portatori a percepire le altre Aure... ma grazie alla loro stessa Aura, che li circonda e percepisce ciò che le è affine».
   «Cioè le altre Aure».
   «Esattamente».
   «Quindi... quando Gregory ci insegna a percepire le Aure e ci fa esercitare... in realtà è la nostra Aura che alleniamo, non l’Elemento né noi stessi!» esclamò Emma.
   Tutti la guardarono stupiti. Poi Gregory esplose.
   «È molto più ricettiva e intelligente lei, di tutto quel branco di Portatori scatenati messi insieme!» esclamò, gettando indietro la testa e ridendo di gusto.
   «A proposito di loro» intervenne Blaze «sembra che si siano calmati, finalmente!».
   Infatti tutti i loro allievi, poco alla volta, stavano tornando al grande prato da cui erano partiti. Molti, arrivati di fronte al gruppetto di Maestri, si buttarono a terra, sfiniti.
   Sofia ghignò. «Sembrano stanchi... peggio per loro! Non sanno cosa li aspetta».
   «A proposito... come mai su di voi il Solstizio non fa effetto?» chiese Emma.
   «Non riuscire a controllare l’euforia è tipico di chi è ai primi Equinozi e Solstizi... dopo il terzo o il quarto impari a incanalare l’Energia attraverso il tuo Elemento e non ti abbandoni più a scene simili» le spiegò Laurence.
   «A meno che non ti divertano!» precisò Blaze con un sorrisetto.
   «Tutti in piedi!» gridò Sofia, avanzando verso i ragazzi abbandonati sul prato. Nessuno rispose.
   «Ci risiamo, Sofi!» sghignazzò Gregory. Lei lo guardò alzando un sopracciglio.
   «Stavolta mi daranno retta» ribatté lei con sicurezza.
   «Come fai ad esserne certa?».
   Gregory non fece in tempo a terminare la frase che tutti i Portatori saltarono in piedi come colpiti da una scarica elettrica. L’uomo sbirciò le loro schiene: erano coperte di scintille incandescenti.
   «Non ti ho neanche vista muoverti» disse con stupore a Sofia. Lei gli rivolse un ghigno.
   «Neanche quando ti ho messo al tappeto qualche giorno fa, mi avevi vista muovermi!». Mentre parlava, fece svanire le scintille di dosso le sue vittime.
   «Ora che siete calmi e attenti» esordì «possiamo iniziare l’addestramento di oggi».
   I ragazzi rumoreggiarono.
   «Credevamo che Equinozi e Solstizi fossero giorni di festa!» dissero in coro.
   «Di festa, sì. Di riposo, assolutamente no! Sono anzi i giorni in cui ci si deve allenare con maggiore intensità» replicò la ragazza, trattenendo un sorriso di fronte alle loro espressioni deluse. Più tardi mi ringrazieranno, pensò.
   Rivolse un’occhiata agli altri Maestri, che avanzarono fino a formare una linea di fronte agli allievi.
   Gregory prese la parola.
   «Prima di cominciare, c’è qualcosa che dovete sapere. Tutti conoscete questi otto Portatori» disse, indicando Sofia, Laurence, Blaze, Viola, André, Costa, Friedrich e Gloria «come dei Figli degli Elementi. Continuare a mantenere in voi questa convinzione, oltre a non essere corretto nei vostri confronti, vi impedisce di tributare loro il giusto rispetto e di ascoltare e seguire le loro indicazioni come dovreste. Anche se probabilmente lo avrete già intuito, loro sono dei Maestri già da tempo: degli ottimi Maestri. Fate quello che vi dicono, e il vostro potere si svilupperà ogni oltre aspettativa».
   Nessuno replicò. Tutti sembravano aspettare indicazioni.
   «Bene» disse Sofia, riprendendo il comando della situazione «è ora di dividerci. I Portatori del Fuoco con Costa, laggiù» esclamò, indicando un punto oltre la prima collinetta ad Est. «Io vi raggiungo tra poco» sussurrò al greco che annuì, facendo strada al suo gruppo.
   «Ora... I Portatori dell’Aria con Laurence e Viola, nel piccolo spiazzo qui dietro» disse, alludendo a una sorta di vallata in miniatura racchiusa tra due file di colline piuttosto alte: era una zona molto ventosa.
   «I Portatori della Terra con Blaze e Friedrich, tra la quinta fila di colline a Ovest e i piedi dei monti Shehy».
   «Ma i monti Shehy si trovano in Irlanda, nella contea di Cork! Ecco dove ci troviamo!» esclamò Ailie, afferrando il braccio di Blaze che le fece cenno di tacere.
   «Ti spiego tutto più tardi, te lo prometto» le rispose sottovoce.
   «Per finire, i Portatori dell’Acqua con Gloria e André alla concentrazione di laghetti a Sud» concluse Sofia, guardandosi attorno.
   Quando tutti si furono allontanati, si rivolse agli unici due che erano ancora lì con lei.
   «Emma, tu con Gregory. Inizierà ad addestrarti su come percepire le Aure» disse sorridendo.
   La ragazzina ricambiò il sorriso, felice di avere finalmente un’occupazione.
   «Noi restiamo qui» disse Gregory a Sofia. «Così avrò la tranquillità necessaria per approfondire la tua spiegazione e iniziare a farla tentare».
   Lei annuì. «Allora io raggiungo i miei Portatori. Buon divertimento» disse prima di allontanarsi, notando l’espressione euforica di Emma e quella divertita di Gregory.

*

«Avanti Serj, tranquillo...».
   «Tranquillo?! Sono due ore che ci provo! Non ci riuscirò!» ribatté il ragazzo.
   Costa lo guardò male.
   «Sì che ci riesci... smetti di lamentarti e tenta di nuovo!» disse, esortandolo a evocare del Plasma di Fuoco.
   L’altro sbuffò. Sofia decise di intervenire.
   «Serj, ascolta me altrimenti non ne usciamo. Non ti chiediamo di fare niente di particolare, col Plasma: devi solo evocarlo».
   «Sono due ore che ci provo» ripeté lui, stanco, demoralizzato e un po’ arrabbiato. «Non ci riesco!».
  «Va bene, allora fa’ così: passa per un'altra strada. Sai evocare della lava ardente, vero?» gli chiese Sofia. Lui la guardò incredulo.
   «Cosa? ...Certo che so evocarla!» disse, offeso.
   «Bene. Allora evocane una sfera piena... diciamo di venti centimetri di diametro».
   Serj eseguì. La lava si librava a qualche centimetro dalle sue mani e, seppure racchiusa in una forma ben definita, al suo interno scorreva e si rimescolava di continuo, quasi accecante.
   «Perfetto. Ora inizia a concentrarla in uno spazio sempre minore... poco alla volta. Non preoccuparti del fatto che può esplodere: penserò io a bloccare la lava, se dovesse accadere» lo guidò Sofia.
   Lentamente, con circospezione, Serj diminuì il diametro della sfera di un paio di centimetri.
   «Bene così» commentò la ragazza.
   Quando giunse a dimezzarne la dimensione iniziale, cominciarono a sfuggire alcuni schizzi di lava. Come se nulla fosse, Sofia li bloccò con delle sottili lingue di Fuoco, inglobandoli e facendoli sparire.
   Dopo aver ridotto la sfera alla dimensione di una pallina da golf, Serj si fermò, limitandosi a mantenerla nelle condizioni in cui si trovava.
   «Più di così non riesco a concentrarla» ansimò. Lo sforzo gli aveva imperlato di sudore la fronte.
   «Va benissimo così» lo rassicurò Sofia. «Ora, prova a mutarla in Plasma».
   Concentrandosi, il ragazzo infuse più potenza alla piccola sfera. Tremolando, in essa apparve qualche guizzo violaceo.
   «Insisti» lo incitò Sofia. Poggiò le proprie mani sulle sue. «Devi sfruttare l’Energia pura che oggi ti scorre dentro. Ti guido io...».
   Detto questo, lo aiutò a incanalare l’Energia insieme al Fuoco. Un velo argenteo, nebuloso e quasi invisibile ricoprì la piccola sfera prima di immergervisi.
   «Adesso prova di nuovo a mutare la lava in Plasma...».
   Pochi istanti dopo la guizzante massa arancione divenne nera e violacea, frantumandosi in uno sciame di goccioline luccicanti.
   Serj esultò. «Ci sono riuscito!».
   «Mantienilo!» si raccomandò Sofia, richiamandolo all’attenzione.
   Dopo un paio di minuti le gocce di Plasma di Fuoco si dissolsero.
   «Bravissimo» commentò Sofia, dandogli una pacca sulla spalla. «Riposati dieci minuti e poi riprova». Poi si mosse per andare a controllare i progressi degli altri Portatori.

*

«Elizabeth, vuoi smetterla di distrarti? Concentrati!» la rimproverò Gloria. La ragazza non l’ascoltò neanche: continuò a evocare piccoli getti d’Acqua, mandandoli a dissolvere la nebbia creata dagli altri Portatori.
   Esasperata, Gloria corse da André, che si trovava qualche metro più in là, intento ad aiutare un Apprendista di secondo livello che non riusciva ad evocare acqua e vapore simultaneamente.
   «Non potresti dire qualcosa ad Elizabeth? Non mi ascolta, non si esercita e dà fastidio agli altri allievi!» gli sussurrò, alzando al cielo i begli occhi grigi e scuotendo i capelli castano chiaro, mentre la luce del sole si rifletteva sulla pelle rosea del volto.
   Lui sospirò. Liz stava diventando ingestibile tanto come allieva quanto come fidanzata.
   «D’accordo ci penso io... tu intanto aiuta Pietro» le chiese, indicandole l’Apprendista che stava seguendo.
   André si diresse rapido verso Elizabeth, arrivando appena in tempo per impedire che si scatenasse una rissa tra lei e alcuni Apprendisti stanchi dei suoi continui dispetti.
   «Ci penso io qui» disse ai tre, due ragazzi e una ragazza, che si allontanarono con aria torva. Poi prese Elizabeth per un braccio e la trascinò lontano dal gruppo. «Liz si può sapere che diavolo ti prende? Non ti alleni, non fai quello che ti viene detto... eppure mi sembrava che l’addestramento fosse una delle tue priorità!» disse brusco.
   La ragazza si liberò dalla sua presa con uno strattone.
   «Visto che non ho più un insegnante, come faccio ad allenarmi?» rispose con astio.
   André la guardò incredulo.
   «Liz, qui ci sono altri cinquanta Portatori dell’Acqua! Non posso dedicarmi solo ed esclusivamente a te! E comunque non puoi disturbare le persone mentre si esercitano... non è corretto, e prima o poi qualcuno perderà la pazienza! Non sei tanto potente da poterti difendere da un attacco di gruppo!».
   «Se almeno non avessi detto a Gregory di non allenarmi, ora potrei imparare qualcosa!».
   André strabuzzò gli occhi, sempre più incredulo.
   «Tu... tu credi che sia stato io a dirgli di non allenarti? Elizabeth, apri gli occhi! A parte me, qui nessuno ti tollera! Ti stai rendendo insopportabile agli occhi degli altri, è per questo che non hai amici e che Gregory ha deciso di non addestrarti e ti evita più che può! Prima cambierai atteggiamento e meglio sarà per tutti... specialmente per te! Puoi imparare anche senza avere qualcuno che si dedichi esclusivamente a te... se non fosse così, nessuno qui sarebbe andato avanti nel proprio addestramento! E ora, se non hai intenzione di allenarti e di sfruttare il dono meraviglioso che la Natura ti ha fatto oggi, vattene!» esplose Andrè.
   Lei si allontanò, dopo averlo fulminato con lo sguardo.
   André si voltò. Tutti ripresero frettolosamente le loro occupazioni.
   «Mi spiace André, non volevo che litigaste... vuoi prenderti una pausa?» disse Gloria dispiaciuta.
   Lui le diede una pacca sulla spalla. «Sta’ tranquilla, se io e Liz abbiamo discusso la colpa è solo sua» le rispose, tornando ad allenare gli altri Portatori.

*

«Brava Ailie, avanti così!».
   Molto soddisfatto, Blaze osservava i progressi di Ailie e l’impegno con cui si applicava.
   «Ora evoca della Terra... perfetto» disse, quando sospesa tra le mani della ragazza comparve una piccola zolla di terra. Rapidamente, Ailie la mutò in fango, nuovamente in terra e poi in pietra.
   Arrivò Friedrich. «Ancora non ha imparato a mutarla nei vari minerali?» chiese.
   Per tutta risposta, la ragazza si esibì nella mutazione della pietra in vari tipi di minerali.
   «Tormalina, adamite, olivina, quarzo, ematite, argentite...» elencò Friedrich, osservando le azioni di Ailie. «Anche i metalli?» domandò sorpreso, vedendo l’argentite mutarsi in argento, rame e poi oro.
   Blaze sorrise trionfante. «Te l’avevo detto che era brava!».
   «È come tutti gli altri Apprendisti, né più né meno» fu la risposta.
   Non appena l’ebbe pronunciata il suolo franò sotto i suoi piedi: in un attimo si ritrovò intrappolato nella terra, sommerso dai detriti fino al collo.
   Ailie gli rivolse un ghigno soddisfatto, mentre Blaze scoppiava a ridere.
   «Avrei dovuto dirti che, oltre al talento, ha anche un pessimo carattere» disse il giovane americano, ghignando come la propria allieva che, in quel momento, stava modellando una sorta di corona con del ferro liquido. Quando si solidificò, con un gesto della mano lo spedì sulla testa biondo scuro di Friedrich, che si stava ancora liberando.
   «Ha inciso qualcosa su quell’elmo... fammi leggere…» disse Blaze incuriosito, avvicinandosi al giovane tedesco più che mai contrariato. Portò gli occhi a pochi centimetri dal metallo e lesse. «’Stupido’» declamò.
   Mascherando una risata con un colpo di tosse, Blaze tornò velocemente accanto a Ailie. «Ehm... Ailie, è davvero molto divertente, però non dovresti comportarti in modo così irrispettoso nei confronti di un Maestro» le sussurrò.
   Annuendo, la ragazza si decise a liberare Friedrich, che riemerse dalla buca coperto di polvere e piccole radici e le rivolse uno sguardo torvo, con gli occhi nocciola socchiusi.
   «Era solo uno scherzo» gli disse lei a mo’ di scusa, rivolgendogli uno sguardo innocente attraverso i capelli rossi.
   «E ora torniamo ad allenarci» disse Blaze, ingaggiando una piccola lotta con Ailie.

*

Alcune paia di occhi si alzarono al passaggio della manciata di mulinelli d’Aria alti due metri.
   «Perfetto. Aggiungine un altro!» ordinò Viola a Fernando.
   Un sesto mulinello d’Aria si accodò alla piccola fila che vagava ordinata tra i Portatori seguendo i precisi comandi del ragazzo.
   «Aumenta l’intensità. Devono essere più potenti» gli disse Laurence.
   I piccoli vortici presero a girare sempre più rapidi sul proprio asse, con una nuvoletta di polvere che si alzava nel punto in cui toccavano il suolo. A guardarli da lontano, somigliavano a buffe calze da donna impazzite.
   Con impercettibili gesti, Fernando divise i piccoli cicloni in coppie: poi, lentamente, fece fondere le varie coppie tra loro. Le tre onde d’urto che si sprigionarono quando i sei vortici divennero tre, ma molto più grandi, fecero barcollare tutti nel raggio di venti metri.
   Solo Laurence e Viola rimasero perfettamente immobili, coi piedi piantati nel terreno, come se non fossero stati toccati da altro che da una delicata brezza estiva. L’uomo sostenne Fernando, evitando che rovinasse a terra.
   «Devi sviluppare la tua resistenza. È troppo bassa, per un aspirante Figlio dell’Aria» disse al ragazzo in tono di rimprovero. Pur annuendo, Fernando si concentrò sui mulinelli che, ormai, somigliavano più a trombe d’aria quasi completamente formate. Mentre tentava di unire tra loro due dei tre vortici rimasti, Laurence lo bloccò.
   «No, Fernando. Non esagerare... se non sviluppi la tua resistenza fisica agli Elementi, potresti farti molto male. Occupiamoci di questo» gli disse, facendo svanire con un distratto cenno della mano i tre piccoli cicloni e iniziando a bersagliarlo con delle folate di vento dapprima deboli e poi sempre più forti.
   Vedendolo indietreggiare, lo spronò. «Andiamo Fernando, mettici più impegno. Espandi il tuo potere verso l’esterno a formare una bolla che ti protegga!».
   Il ragazzo eseguì. Le raffiche di Laurence, ormai pericolosamente vicine a trasformarsi in una tempesta di vento, sollevavano polvere, foglie e piccole pietre. In prossimità di Fernando, però, il flusso risultava deviato, tanto da risultare visibile a occhio nudo il cambiamento di direzione dell’Elemento e dei detriti che si trascinava dietro.
   L’uomo tenne Fernando sotto attacco per quasi un’ora. Poi, improvvisamente, fermò il potere dell’Aria che aveva evocato: appena in tempo perché il ragazzo, stremato, crollò a terra un istante dopo. Se Laurence l’avesse attaccato un solo secondo più a lungo, Fernando avrebbe fatto un volo di parecchi metri, senza contare la forza stessa del vento che, a quel livello, era quasi una muraglia compatta: come andare a schiantarsi a tutta velocità contro un muro di mattoni.
   Passandosi un braccio di Fernando intorno alle spalle, Laurence lo tirò su.
   «Temo proprio di avere esagerato... scusami, Fernando».
   Il ragazzo fece un debole cenno di diniego.
   «Non hai bisogno di scusarti. È necessario arrivare al proprio limite, se si vuole migliorare» rispose, mentre il suo insegnante lo trascinava sotto un albero.
   «Ora però devi riposare, se vuoi riuscire ad allenarti ancora! Non azzardarti a muoverti di qui fin quando non ti sarai perfettamente ripreso» lo ammonì Laurence, tornando verso gli altri allievi.

*

«Possiamo fermarci qualche minuto? Sono un po’ stanca!».
   «Andiamo, non ti lamentare e concentrati».
   «Sono cinque ore che sto in piedi, ferma in questo punto! Mi fanno male le gambe!».
   «E va bene... facciamo una pausa allora».
   Strappandosi la benda dal volto Emma si lasciò cadere sull’erba soffice, riempiendosi gli occhi con il cielo luminoso fino a esserne accecata. Dopo tante ore passate senza vedere nulla era un sollievo.
   Gregory sedette vicino a lei, studiandola attentamente. Iniziava a capire meglio alcune cose che Sofia le aveva raccontato di Emma, durante il loro viaggio verso la Valle.
   «Impari molto in fretta».
   Emma si voltò a guardarlo. Rimase in silenzio per un certo tempo, e quando parlò, non disse quello che Gregory si aspettava di sentire.
   «Mi ricordi mio padre». Spiazzato, l’uomo non rispose. Sempre con gli occhi fissi nel cielo, la ragazza proseguì. «Non siete assolutamente in grado di fare complimenti né di riconoscere pubblicamente i meriti degli altri. Pretendete sempre di più, quello che le persone fanno non è mai abbastanza secondo voi. Proprio non riesco a capire se dipenda dal fatto che siete personalità di spicco, nel vostro campo, o se è una questione di tipo caratteriale».
   «Di cosa si occupa tuo padre?» chiese Gregory, affascinato suo malgrado. Quella ragazzina somigliava tremendamente a lui e le ricordava un’altra sua allieva: un’allieva che, in quel momento, era impegnata ad addestrare giovani Portatori a poca distanza da loro. Dure nonostante l’apparente fragilità. Determinate. Talentuose. Accidenti a te, Sofia, pensò Gregory. Avevi ragione anche stavolta.
   «Oh, lui è un professore universitario. Insegna storia, filosofia e letteratura... ha scritto un mucchio di trattati, ricevuto riconoscimenti... una specie di guru delle materie umanistiche, per intenderci. Tutto prima dei trentacinque anni».
   «Il classico tipo che ti riprende per una pausa piazzata male in un discorso» disse Gregory.
  Emma scoppiò a ridere. «Sì, proprio così. Per il mio ultimo compleanno mi ha portata a teatro, alla prima della Turandot. Chi mai porterebbe una quattordicenne all’Opera come regalo di compleanno?» disse, esibendosi in un’espressione comicamente perplessa. Nonostante tutto, però, si vedeva che quel ricordo le scaldava il cuore.
  «È così che ha conosciuto mia madre» proseguì, come se parlasse a se stessa. «Alla prima della Traviata di Verdi – sai, va pazzo per il teatro. Ha anche una bella voce da tenore. Insomma era lì, sul suo palco, che aspettava l’inizio dello spettacolo e sbirciava nella buca degli orchestrali, quando lei arrivò. Il direttore d’orchestra le fece una bella ramanzina – era la prima violinista ed era in ritardo. Lei è sempre in ritardo» rise Emma «ma glielo perdonano ogni volta, visto che a vent’anni suonava già in quell’orchestra. Lui la guardò per tutto il tempo e, finita l’opera, se ne andò. Tornò a ogni replica, per tutta la stagione. Poi, all’ultima rappresentazione, andò da lei, durante la pausa tra il primo e il secondo atto. Si sporse sulla buca degli orchestrali e intonò l’aria che Alfredo dedica a Violetta nel primo atto, Un dì, felice, eterea».
   «Un di', felice, eterea,
Mi balenaste innante,
E da quel dì tremante
Vissi d'ignoto amor.
Di quell'amor ch'è palpito
Dell'universo intero,
Misterioso, altero,
Croce e delizia al cor» canticchiò Sofia, arrivando alle loro spalle e sedendosi. «Bel libretto».
   Emma annuì. «Be’, uno dei violoncellisti era il fidanzato di mia madre. Mio padre si beccò un bel pugno nell’occhio da lui, e si sentì dare del cretino da lei».
   «E come ha fatto a convincerla a uscire con lui?» chiese Sofia, profondamente divertita.
   «Non è stato lui a chiederle di uscire. Il giorno seguente mia madre si è presentata a una sua lezione e l’ha invitato a pranzo» rispose Emma ridendo.
   Sofia si unì a lei. «Tua madre sembra proprio una donna decisa, a quanto dici!».
   «Già». Il sorriso sparì dal volto della ragazzina.
   Guardandola con aria triste, Sofia cercò di rincuorarla.
   «Tutti noi sentiamo nostalgia delle nostre famiglie» le disse dispiaciuta.
   «E adesso mi dirai che ci si abitua, vero?» chiese Emma con una punta di rabbia.
   «No. Non ci si abitua, nessuno è tanto stupido da poterci credere» fu la risposta. «Però le cose possono cambiare. Possiamo ritrovarli. Non oggi, non domani, ma comunque presto, se la fortuna ci aiuterà».
   La ragazzina la guardò dubbiosa.
   «E non guardarmi così, Emma. Non sei l’unica a voler tornare dalla propria famiglia. Qui abbiamo tutti dei sentimenti, sai» le disse con una smorfia.
   «Ma adesso parliamo d’altro» riprese Sofia, rivolgendosi a Gregory dopo una breve pausa. «Come va l’addestramento di questa giovane Aura Sensibile?».
   «Meglio di quanto si possa immaginare. Guarda tu stessa» disse, lanciando la benda ad Emma e invitandola a riprendere il posto che aveva occupato fino a mezz’ora prima.
   Quando Emma fu pronta, Gregory le diede il via.
   Espandendo la propria Aura, iniziò a elencare quello che percepiva.
   «Allora... a Est, poco distante... Costa sta litigando con qualcuno, la sua Aura è instabile...».
   «Oh che strazio, non riesce proprio a stare calmo» sbuffò Sofia, percependo a sua volta la rabbia del greco.
   «...mhhh sì, sta litigando con Olivia, le loro Aure sono tanto vicine da confondersi in parte l’una con l’altra...Oh, lei gli appena scagliato del Fuoco contro, ma lui l’ha bloccato» esclamò Emma senza la minima traccia di preoccupazione.
   «Avevi ragione, non immaginavo potesse arrivare a un livello simile in poche ore!» disse Sofia a Gregory, che la guardò scettico.
   «Lo sapevi benissimo, invece. Così come sapevi tutto il resto».
   Lei gli rivolse un’occhiata innocente, ma l’uomo non si lasciò ingannare.
   «Tutto il resto cosa?» intervenne Emma, togliendosi la benda.
   «Nulla, Emma. Greg allude al fatto che gli avevo detto che c’era del potere, in te, anche se nessun altro sembrava crederci fino a stamattina» rispose con noncuranza Sofia, ignorando lo sguardo sardonico di Gregory. «Continua a esercitarti».
   La ragazzina si rimise la benda ed espanse di nuovo la propria Aura, spingendola sempre più lontano, alla ricerca degli altri Portatori.
   «Quando glielo dirai?» chiese Gregory sottovoce, trascinando Sofia lontano da Emma e trattenendo la propria Aura, in modo che l’oggetto della discussione non potesse intuire il tenore della loro conversazione.
   «Non glielo dirò!» fu la pronta replica. «Non ne siamo sicuri e comunque non ha senso turbarla con una notizia del genere. Finirebbe solo per danneggiarla!» bisbigliò la ragazza, trattenendo a sua volta l’Aura. «Quindi non insistere e soprattutto non ti azzardare a dirle o a farle intuire qualcosa!» aggiunse con aria minacciosa.
   I due si guardarono torvi per qualche istante, poi Gregory cedette.
   «D’accordo, faremo a modo tuo. Ma dovresti ricordare che Emma potrebbe non avere ancora molto tempo» la ammonì.
   «Lo so bene».
   Poi, di tacito accordo, si separarono. Uno tornò ad allenare la ragazzina sulla cima della collina; l’altra andò a separare il Maestro e l’Apprendista che, al di là della collina, stavano ancora litigando furiosamente.

*

«Sono stanchissimo!»
   «A chi lo dici»
   «Io vado a fare la doccia... ci vediamo a cena!»
   «La doccia? Ma sei matta? Io sogno solo il letto...»
   «Ho fame!»
   «Ma non sai pensare ad altro?»
   Blaze entrò nella mensa e li ascoltò stupefatto.
   «Certo che per essere tanto stanchi fate parecchio chiasso!» esclamò. «Ora, fate quello che volete ma fatelo a bassa voce!».
   Il caos si placò. Blaze si lasciò cadere su una sedia, le gambe allungate, la testa reclinata indietro e gli occhi chiusi.
   Laurence sedette accanto a lui.
   «Il Solstizio ti ha messo k.o.?» chiese divertito. Blaze emise uno strano grugnito.
   «Loro mi hanno messo k.o., non il Solstizio».
   «Be’, ormai è quasi finita... manca solo un’ora al tramonto».
   «Sono ancora le nove?». Stavolta Blaze emise un gemito.
   Laurence tentò di rassicurarlo, ma prima di riuscirci scoppiò a ridere.
   «Devi fare l’abitudine a un simile carico di lavoro... essere un Maestro è anche questo».
   «Quasi quasi preferivo restare un semplice Figlio degli Elementi» borbottò in risposta.
   Un’ora più tardi, riuniti sul prato da cui erano partiti al mattino, tutti osservavano il sole sparire al di sotto della linea dell’orizzonte.
   Quando le tenebre inghiottirono il mondo circostante la maggior parte dei Portatori si lasciò andare, come svuotata. In generale, la fine del Solstizio – e con esso la fine di quel maggior potere che inevitabilmente si riversava nei Portatori – sembrava aver lasciato tutti alquanto depressi.
   Trascinandosi tornarono al riparo delle mura amiche, per prepararsi a un nuovo giorno.

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Capitolo 9
*** Ricordi ***


«Aspettate un momento!».
   Il richiamo di Sofia bloccò quanti già si avviavano ai dormitori. Tutti tornarono indietro, nella vastissima sala che fungeva da mensa: sedendosi su ogni superficie disponibile – tavoli, panche e sedie di legno di noce – e osservando le pareti color giallo ocra scuro su cui spiccavano i ritagli di cielo che facevano capolino dalle finestre, neri come il pavimento, aspettarono che parlasse.
   «Oggi è stata una giornata speciale, non è vero?» chiese lei, in piedi su un tavolo, alla folla che aveva di fronte. Sapeva che erano stanchi, ma aveva per loro un’ultima sorpresa.
   Un mormorio di assenso si levò dalla sala.
   «Per concludere una giornata come questa, ci vuole qualcosa di altrettanto speciale». Fece una pausa. Quello che stava per dire avrebbe fatto male a ognuno di loro, lei inclusa, e una piccola parte della sua coscienza non si decideva a lasciarle dire quella semplice frase. Poi prese fiato.
   «Vorrei che ci parlaste delle vostre famiglie, se qualcuno se la sente».
   Molti trattennero il respiro. La famiglia era qualcosa a cui tutti cercavano di non pensare: quelli che erano lì da poco, perché il distacco era ancora troppo doloroso; quelli che erano lì da anni, invece, perché scoprire che non riuscivano a ricordare i volti e le voci di genitori e fratelli era ancora più devastante.
   In molti guardarono Sofia con aperta ostilità. Lei se l’aspettava, ma le dispiacque lo stesso.
   «Allora? Nessuno? Eppure alcuni di voi sono qui da pochissimo tempo, dovreste ricordare bene i vostri genitori... fratelli, sorelle, la vita che conducevate...».
   Una mano le strattonò il braccio, interrompendola.
   Laurence la guardò con rabbia.
   «Non puoi comportarti così. Gli fai male! Girare il coltello nella piaga non servirà né a loro né a te!» le disse furioso ma a bassa voce.
   Con un altro strattone, lei si liberò il braccio e lo fissò come se potesse guardargli dentro, come era solito fare Gregory con lei.
   «Ti sembro crudele, amico mio? Ti sembra che io abbia mai usato trattamenti simili nei confronti di qualcuno in modo gratuito?» domandò con voce tagliente. L’uomo aggrottò ancora di più le sopracciglia.
   «Te l’ho visto fare un’infinità di volte, Sofia. Ma stavolta no, non lo puoi proprio fare» rispose con voce gelida.
   Intanto, gli altri Maestri erano sulle spine. Laurence e Sofia non avevano mai discusso, pur avendo entrambi due caratteri molto forti. Temevano un possibile scontro: sarebbe stato difficile, quasi impossibile fermarli.
  «Qui c’è una sola persona che sa cosa ho fatto, cosa ho sopportato pur di tentare di ritrovare la mia famiglia. E non sei tu. Non accetto una critica simile in questa situazione. Quindi spostati e lasciami parlare, Laurence» disse Sofia, apparentemente calma. In realtà, la mancanza di fiducia di Laurence l’aveva ferita: aveva sempre creduto di poter fare affidamento su di lui, in qualunque circostanza, e scoprire che per lui non era lo stesso l’aveva lasciata triste e amareggiata.
   Gli voltò le spalle senza aspettare una risposta e riprese a scrutare le persone che aveva di fronte.
   All’improvviso, Fernando sbottò.
   «Cosa vuoi che ti diciamo? Non li ricordiamo!» gridò con rabbia. «Non riusciamo a ricordare niente di loro e…» s’interruppe, non riuscendo a proseguire.
   «E vi sentite in colpa proprio perché non riuscite a ricordare. Per questo e perché avete paura che non li ritroverete mai più» concluse la ragazza. Poi li guardò di nuovo, uno a uno. «Quindi nessuno di voi ricorda i loro volti, le loro voci... le abitudini... nulla?».
   Un mare di teste davanti a lei si mosse in un unico cenno di diniego, con poche eccezioni.
   Senza aggiungere altro, Sofia scese dal tavolo con un balzo e uscì dalla porta che si trovava pochi metri dietro di lei. Riapparve un minuto dopo, spingendo uno dei grandi carrelli che usavano per portare i pasti dalle cucine: entrambi i ripiani erano zeppi di scatole di cartone. Sembravano pesanti: la ragazza faceva una certa fatica a manovrare il carrello.
   Si fermò e aprì la prima scatola. Ne trasse una grande busta di cartoncino giallo e scrutò attentamente il nome che vi era scritto sopra. Prendendo un’altra decina di plichi iniziò a girare per i tavoli, consegnandoli ai destinatari.
   «Devo chiedervi di non aprirle fino a quando non avrò consegnato anche l’ultima busta» disse, osservando i primi ragazzi stringere la loro tra le mani con curiosità. Quelli assentirono silenziosamente, e lei riprese a distribuire il contenuto delle scatole.
   In quindici minuti finì di smistare le buste: Gregory fu l’unico a non riceverne una, e Laurence l’ultimo al quale Sofia si avvicinò.
   «Per ripagare la tua scarsa fiducia» gli disse gelida, mettendogli una busta più grande delle altre tra le mani. Poi trascinò il carrello e una sedia in un angolo, vicino a Gregory, e si rivolse alle persone in attesa.
   «Avanti, apritele pure» disse senza emozioni. Si voltò, infilando le mani nelle tasche: non aveva intenzione di guardare le loro espressioni nel momento in cui avrebbero visto il contenuto dei plichi.
   Un lungo silenzio si dilatò nella sala. Sembravano tutti impietriti: gli unici movimenti erano quelli delle mani, che sfogliavano ciò che avevano trovato nelle buste, e degli occhi, che vagavano qua e là cercando di assimilare tutto istantaneamente, come se temessero di non poter rivolgere un secondo sguardo al tesoro che ognuno di loro stringeva tra le mani.
   Poi un profondo, rumoroso respiro e un singhiozzo spezzarono il silenzio: soffocandone un secondo, Fernando strinse le foto che lo ritraevano con la sua famiglia. Vedere di nuovo i loro volti aveva aperto un cassetto nella sua mente – iniziarono a riaffiorare i ricordi di voci e profumi, i piccoli gesti quotidiani, le colazioni, le lotte con i suoi fratelli, i pomeriggi passati sotto il sole della Spagna...
   Intorno a lui, tutti vivevano emozioni simili: alcuni cercavano di mantenere un contegno; altri piangevano, chi di gioia per l’aver ritrovato i volti amati, chi di dolore, sentendone ancora più forte la mancanza; alcuni ridevano, altri ancora baciavano le foto e parlavano loro, come se chi vi era ritratto potesse ascoltarli e dargli conforto.
   Emma, stretta tra le braccia di Fernando, sfogliava i ricordi di una vita immortalati sulla carta; l’emozione che provava era troppo forte per poterle dare un nome preciso, troppo forte per non volerla condividere con gli altri, così espanse la propria Aura fino a toccare tutti: sentì la tristezza di Ailie, la meraviglia di Gloria e Viola, la felicità un po’ rabbiosa di Serj e tanto, tanto altro...
   Blaze rideva felice, gli occhi asciutti ma brillanti di emozioni represse, mentre guardava la foto che lo ritraeva con la sorellina di quattro anni più piccola di lui, a una partita di baseball. Nonostante fossero passati anni, ricordava perfettamente quel giorno: era la prima partita a cui i loro genitori li avevano portati, e solo due settimane dopo era stato portato via, lontano da tutto quello che gli apparteneva, per finire tra persone sconosciute.
   André, ammutolito, si rigirava tra le mani una foto dei suoi genitori, osservando gli occhi di sua madre – così simili ai suoi – e chiedendosi per l’ennesima volta cosa fosse capitato loro, come avessero reagito alla sparizione del loro unico figlio, e desiderando di poter dire loro che stava bene, che li pensava ogni notte da nove anni, da quando, a quindici anni, era stato preso mentre eseguiva una commissione per sua madre ed era sparito senza lasciare tracce.
   Laurence, invece, teneva ancora tra le mani il plico perfettamente chiuso. Quando si decise ad aprirlo la sua mano cercò istintivamente la foto più grande, la foto che conosceva meglio di qualunque altra al mondo... perché pur senza guardarla sapeva già quale, tra le tante foto che c’erano in quella busta, Sofia aveva scelto di regalargli.
   Le sue dita incontrarono una sottile cornice, e sentì il freddo del vetro sulla mano: delicatamente, estrasse la foto dalla busta e fissò con sguardo adorante il volto della sua giovane sposa il giorno delle loro nozze. Una copia di quella stessa foto era arrivata con lui al Centro, infilata nel suo portafogli: l’aveva guardata e baciata ogni giorno, le aveva parlato, sperando che in una qualche parte oscura della sua mente Ambrosine sentisse la sua presenza. Aveva consumato quella foto – che ormai non era che un foglio di carta rigido e un po’ stropicciato su cui a stento si poteva riconoscere qualche tratto, e un’ombra di colore.
   Continuò a fissare quel volto che Sofia gli aveva restituito, in una calda sera d’estate: si immerse nel sorriso che quindici anni prima lo aveva fatto innamorare, ricordando come si era divertita, quel giorno, a far svolazzare il leggero velo di pizzo bianco – l’unico vezzo che si era concessa, su di un vestito semplicissimo – e quanto si era sentito felice quando nel suo volto fragile aveva scorto l’amore che provava per lui, forte e deciso, che niente avrebbe mai potuto spezzare.
  Finalmente capiva perché la sua amica, l’unica a cui avesse parlato di Ambrosine, avesse voluto riaprire le vecchie ferite, prima di fare loro quel regalo: per ricordare a tutti che c’era ancora una speranza di ritrovare le persone che amavano.
   Gregory intanto osservava la scena, impassibile e un po’ annoiato. Poi guardò Sofia: continuava a dare le spalle alle persone a cui aveva restituito una parte – seppure minima – delle loro vite e sembrava non volersi curare di quello che accadeva. Teneva gli occhi fissi contro il muro, come se vedesse qualcosa che agli altri era invisibile.
   L’uomo si alzò e si portò alle spalle di lei: in quel momento, il suo sguardo cadde dentro una delle scatole che erano ancora ammonticchiate sul carrello. Allungò una mano ed estrasse una busta che giaceva lì, volutamente dimenticata.
   Se la rigirò tra le mani per qualche istante, osservando il nome scritto con la piccola calligrafia corsiva che conosceva bene e la ceralacca, ancora intatta. Poi porse la busta a Sofia.
   «Anche tu hai diritto ai tuoi ricordi».
   Lei scostò la busta con una mano, senza neanche guardarla. Gregory insisté.
   «Da quanto tempo le hai?» chiese piano.
   «Da due anni» rispose Sofia sottovoce. «Da quando ho iniziato a sistemare tutto, qui, in attesa del momento della fuga. Ho duplicato l’archivio del Centro... pensavo che avrebbe potuto far loro piacere, riavere indietro qualche pezzetto della loro vita».
   «Ma la tua busta è ancora chiusa» notò Gregory.
   «Io li ricordo. Ma non voglio vederli».
   «Bugiarda».
   L’affermazione di Gregory la costrinse a voltarsi.
   «Sai bene che Giovanni tiene d’occhio tutte le nostre famiglie, specialmente la mia. Tornare alla propria vita è quello che tutti desiderano, qui, ed è anche il modo migliore per essere scoperti e catturati. È un rischio che non possiamo correre» disse la ragazza.
   «Ma hai dato loro le foto ugualmente, perché sai che ti ascolteranno. Sai che ti ascolteranno: scontenti, arrabbiati, controvoglia, anche quando dirai loro che adesso non possono tornare da chi amano, perché sarebbe un suicidio per loro stessi e per le loro famiglie. Quello che ti manca è qualcuno che possa fare lo stesso per te. Qualcuno che possa fermarti, impedirti di commettere una sciocchezza. Per questo non vuoi guardare quelle foto».
   Sofia chinò il capo. Sapeva che Gregory avrebbe centrato subito il punto; ecco perché aveva lasciato la propria busta lì, sul fondo di una scatola.
   Gregory aprì la busta ed estrasse le foto. Gliele mise davanti agli occhi, e lei li chiuse immediatamente. Non voleva vederle.
   La mano libera dell’uomo le strinse una spalla.
   «Tu sei la voce della loro ragione. Io sarò la tua» le mormorò.
   Tremando impercettibilmente, le palpebre di Sofia si sollevarono. Le sue mani scattarono in avanti, afferrando il pacchetto di fotografie che Gregory teneva davanti a lei.
   La prima del mucchio era vecchia di dodici anni: i suoi genitori, abbracciati e sorridenti, in abito da sera a una cena organizzata dall’Ambasciata. La cena che si era svolta la notte in cui Giovanni l’aveva fatta portare via.
   Una lacrima scivolò silenziosa dal suo volto alla foto. Gregory la asciugò.
   «Sono molto belli» le disse piano.
   Lei tirò su col naso.
   «È vero. Erano dei buoni genitori: nonostante le apparenze mia madre forse era la più decisa. Mio padre aveva l’aria un pochino più burbera, ma faceva sempre di tutto per accontentarmi. Ogni giorno, dopo il lavoro, tornava a casa e mi portava a spasso lungo il Passeig de Gràcia. Mi lasciava stare di fronte a Casa Batllò anche per due ore, se mi andava. Ogni volta mi diceva che non potevamo stare lì sotto ogni giorno; e ogni volta, la sera seguente, mi ci portava di nuovo. Qualche volta ci passavamo anche la sua pausa pranzo» disse con un sorriso nostalgico.
   Prese a sfogliare le foto: alcune erano chiaramente scatti di una comune vita familiare, a cena, durante una gita, a saggi e manifestazione sportive. Altre, invece, sembravano scattate di nascosto.
   Gregory gliene chiese il motivo.
   «Ci sono foto simili per tutti quanti» fu la risposta. «Quando individuano un Portatore, specie se è molto giovane, devono organizzare nei dettagli il modo migliore in cui farlo sparire: quindi si documentano sulle abitudini del Portatore stesso e della famiglia con fotografie, filmati e tutto il resto».
   «Credevo ci fosse una modalità... diciamo standard. Un qualcosa che potessero mettere in atto ogni volta» chiese Gregory stupito.
   «Gregory, ti basta pensarci un attimo per capire che sarebbe un modo certo per farsi scoprire. Non possono far sparire decine e decine di persone tutte nello stesso modo, anche se in tempi diversi. A seconda dell’età, elaborano un metodo diverso per depistare le ricerche che inevitabilmente vengono intraprese per ritrovare chi sparisce di punto in bianco».
   «Ad esempio?».
   Prima di rispondere, Sofia si guardò attentamente intorno. Voleva essere certa che nessuno li ascoltasse.
   «Gregory mi raccomando: quello che ti dirò non deve saperlo nessuno. Per loro sarebbe ancora più difficile affrontare tutto questo, se sapessero in che modo sono stati portati via».
   L’uomo la rassicurò prontamente della propria discrezione.
   «Bene, ti faccio qualche esempio... guarda Fernando: è stato preso quando aveva dodici anni. Nel suo caso hanno inscenato un semplice rapimento e seminato un’infinità di false piste. Blaze e André, invece, avevano quindici anni quando sono stati portati al Centro e, anche se Blaze è arrivato quattro anni più tardi, hanno utilizzato lo stesso metodo: hanno finto che fossero scappati di casa dopo una lite con i genitori e spariti nel nulla. Anche lì, hanno confuso le ricerche con indizi fuorvianti. Laurence, invece, aveva ventinove anni: si trovava su un traghetto – stava attraversando la Manica per tornare in Inghilterra poiché i voli aerei erano stati tutti cancellati – e visto che le condizioni del mare erano pessime, hanno fatto credere che fosse caduto fuoribordo e annegato. Quando ce n’è l’occasione sfruttano gli eventi atmosferici più devastanti... è uno dei metodi più semplici».
   «E il modo in cui Giovanni ha fatto sparire te?» chiese Gregory titubante.
   «Troppo scenico, troppo complicato da organizzare e troppo difficile da gestire. Non l’hanno mai neanche preso in considerazione» snocciolò Sofia senza ombra di emozioni sul volto.
   In silenzio, pescò una fotografia dal mucchio: ritraeva lei e suo padre davanti a Casa Batllò.
   «Questa l’abbiamo scattata appena arrivati a Barcellona» ricordò con un sorrisino triste. «Avevo nove anni».
   Stavolta fu Gregory a prendere una foto.
   «E questa?» chiese divertito. Nella foto si vedeva Tamara che tentava di intrecciare i capelli di Sofia e la bambina che si dimenava, chiaramente scontenta.
   «Oh cielo, me n’ero dimenticata!» rise la ragazza. «Quando ero piccola, mia madre adorava farmi treccine e code e mettermi mollette e fiocchetti tra i capelli: io lo detestavo. Senza contare che aveva la pessima abitudine di infilarmi a forza vestitini svolazzanti, magari bianchi o, peggio, rosa».
   «Be’, di solito è così che si vestono le bambine. Cos’avresti mai voluto indossare?».
   «Mia madre mi fece la stessa domanda quando avevo sette anni. Mi portò in giro per negozi per una giornata intera dicendomi di comprare quello che mi piaceva di più. Tornai a casa con jeans, anfibi, scarpe da ginnastica e un’infinità di magliette e camicie nere e viola» disse Sofia, soffocando un’altra risata.
   «Punk/rock a sette anni? Decisamente una bambina fuori dal comune» disse Gregory con gli occhi brillanti.
   Lei annuì. «Quando mio padre vide cos’avevo comprato, invece di unirsi allo sconcerto della mamma – che si lamentava di avere un maschiaccio, come figlia – si mise a ridere e gridò: “Sapevo che mia figlia aveva un’anima rock!”» concluse, strozzandosi per il gran ridere. «Il giorno dopo mi comprò una chitarra e iniziò a darmi lezioni di musica».
   Sedettero, Sofia sempre tenendo strette tra le mani le fotografie.
   «Perché non hai più provato a cercarli?» le chiese Gregory a bassa voce. Lei scosse il capo, come cercando di riordinare le idee.
   «Lo sai benissimo perché. C’eri, quando Giovanni mi ha intimato di non cercarli» rispose laconica.
   «Ricordo perfettamente ciò che ti ha detto. Quello che non capisco è perché hai fatto come voleva lui. Non ha modo di controllare che tu abbia fatto quello che ti ha ordinato!».
   «Oh sì, che ce l’ha. In tutti questi anni ha continuato ad andare a trovare i miei genitori. Ha parlato con loro, sono andati insieme in vacanza, a pranzo, a cena. Li vede spesso, e la ricomparsa della loro primogenita per anni creduta morta di certo non passerebbe inosservata».
   «Non capisco quale sia il problema... racconta ai tuoi genitori come sono andate le cose e di’ loro di non raccontare nulla a Giovanni, di fingere!».
   «Per chiedergli una cosa del genere, dovrei rivelare loro che è stato proprio Giovanni a portarmi via. Non posso!» disse Sofia, stupita d’averglielo dovuto spiegare.
   Gregory era più stupito di lei. «Tu non vuoi che pensino male di lui!» esplose. Non riusciva a crederci: nonostante tutto, Sofia continuava a difendere Giovanni. Scosse la testa. «Non puoi proteggerlo, Sofia. Non puoi. Hai rischiato di farti uccidere da lui già una volta, in futuro potresti non essere così fortunata! ».
   Prima che lei potesse ribattere Blaze, André e Laurence si avvicinarono. In quel momento si resero conto che tutti gli altri se n’erano andati.
   Il giovane americano strinse Sofia. Cercò di mettere in quell’abbraccio tutto quello che provava e probabilmente ci riuscì, perché negli occhi di lei brillò una piccola lacrima di gioia.
   Quando si separarono, fu il turno di Laurence di abbracciarla.
   «Grazie per avermi restituito Ambrosine» le sussurrò.
   Lei ricambiò l’abbraccio: in quel momento tutto era perdonato, da entrambe le parti.
   Mentre i cinque si guardavano, André ebbe un’idea.
   «È quasi mezzanotte. Che ne dite di concludere il Solstizio con una nuotata?» propose con un sorriso.
   Gregory, Blaze e Laurence accolsero favorevolmente l’idea; Sofia sembrò esitare, ma dopo alcune insistenze acconsentì.
   «Be’ allora andiamo!» esclamò Blaze impaziente.
   Lasciarono le scarpe sulla porta dell’Ala Ovest e mossero i primi passi a piedi nudi sull’erba lievemente illuminata dalla luna.
   André guardò gli altri quattro.
   «Al terzo lago dietro le colline!» disse, slanciandosi in avanti. Gli altri lo seguirono, correndo a perdifiato: s’inerpicarono lungo i fianchi ripidi delle colline per poi lasciarsi quasi scivolare nella discesa sul lato opposto. Giunsero in poco tempo al lago indicato da André: rapidamente, i quattro uomini si liberarono dei vestiti e, in boxer, si tuffarono nell’acqua gelida da una sporgenza rocciosa alta qualche metro.
   Sofia rimase dov’era, bloccata. Gli altri riemersero e la fissarono.
   «Sofi, non dirmi che ti vergogni di noi! Avanti, togliti quei vestiti e buttati in acqua!» la spronò Blaze.
   Lei non sembrò ascoltarlo: rimase dove si trovava, quasi senza muoversi.
   Anche André la incitò a tuffarsi. «Sei arrivata fin qui, non puoi restare imbambolata a riva!».
   Laurence e Gregory, invece, non dissero nulla. Uno dei due immaginava di sapere cosa bloccasse la ragazza; l’altro, invece, ne conosceva con certezza il motivo.
   Il suo vecchio insegnante la guardò con tristezza. «Non c’è niente di cui vergognarsi» le mormorò. Nel silenzio, le sue parole risuonarono come se le avesse gridate.
   André e Blaze fissavano alternativamente Sofia e Gregory, confusi; Laurence le fece un cenno d’incoraggiamento.
   Sospirando, Sofia iniziò a sbottonarsi la camicia nera a maniche corte. Quando le scivolò via dal corpo la luna illuminò una grande, bianca cicatrice che, dal centro dello sterno, si allargava sulla parte sinistra del petto e le avvolgeva la spalla e la parte superiore del braccio. A quella vista Blaze e André ammutolirono, e persino Laurence – che pure sapeva di quella ferita, ma non l’aveva mai vista – rimase scioccato. Non aveva mai immaginato che fosse tanto estesa.
   A disagio sotto gli sguardi curiosi, compassionevoli e inorriditi dei suoi amici, Sofia si tolse velocemente i pantaloni e si tuffò nell’acqua scura, immergendosi fino al collo.
   Blaze le fu subito addosso.
   «Sofi, come diavolo ti sei procurata quella cicatrice?» le chiese senza mezzi termini.
   Per tutta risposta lei s’immerse fino al naso e cercò di nuotare via ma la mano di André, che si era a sua volta avvicinato, le afferrò una caviglia e la trattenne.
   «Io non voglio sapere come: voglio sapere quando... da una ferita del genere non si guarisce in tempi brevi e io non ti ho mai vista star male!» esclamò, mettendola alle strette.
   «E che cavolo! Basta!» esplose Sofia, divincolandosi. «Ce l’abbiamo tutti qualche cicatrice, con l’addestramento a cui ci sottoponiamo è normale!».
   «Ma non è normale una cicatrice di quelle dimensioni!» gridarono a una voce Blaze e André.
   Laurence nuotò verso di loro e toccò lievemente le spalle dei suoi due amici: quel semplice gesto bastò per farli calmare, almeno temporaneamente, e Sofia ne approfittò per nuotare via.
   «Non sembri sorpreso... tu lo sapevi?» chiese André a Laurence con un po’ di rabbia mentre nuotavano verso uno scoglio e ci si arrampicavano per parlare liberamente.
   L’uomo annuì. «Sapevo che era stata ferita piuttosto gravemente, una volta, ma non avevo mai visto la cicatrice». Fece una pausa, sospirando.
   «”Era stata ferita”? Allora non è stato un incidente durante l’addestramento! Ma chi è stato?» chiese Blaze.
   Laurence si strinse nelle spalle. «Non ne ho idea. L’ho saputo solo quando stavano per portarla via... André non c’era e hanno chiesto a me di prepararle una piccola borsa per il viaggio».
   «Ma Sofia è sempre partita... be’, da sola. Chi l’avrebbe portata via?» chiese André.
   «Io».
   Tutti e tre si voltarono di scatto. Non avevano sentito Gregory avvicinarsi, né si erano accorti che stava ascoltando la loro conversazione.
   «Tu? Ma allora saprai cosa le è successo... chi è stato... tutto insomma!» esplose André.
   Gregory scosse la testa, inerpicandosi a sua volta sul masso. «Dovrebbe essere lei a parlarne... ma ho la sensazione che non lo farà mai».
   Guardò per un attimo la superficie del lago, liscia e perfetta, spezzata di tanto in tanto dalla testa di Sofia che riaffiorava e poi spariva di nuovo, lontana.
   «Sofia, come ognuno di voi, è stata allontanata a forza dalla propria famiglia» esordì l’uomo, dopo aver riflettuto brevemente. «Con due sole differenze. È stata presa molto prima che il Centro venisse fondato, e il suo rapimento ha richiesto un intero anno, prima di essere portato a termine».
   I due ragazzi più giovani lo interruppero.
   «Anche lei è stata portata via... come noi? Avevo sempre pensato che fosse... non lo so, una figlia illegittima di Giovanni o roba simile!» esplose Blaze.
   Gregory scoppiò a ridere: nonostante tutto, trovava l’idea del ragazzo incredibilmente divertente.
   «E tu André? Che versione ti eri costruito, al riguardo?» gli chiese Gregory, rendendosi conto che anche lui sembrava sorpreso da quello che aveva appena saputo.
   «Inizialmente credevo che Giovanni avesse qualche interesse... particolare, diciamo, verso di lei. Sofi aveva quindici anni e lui la trattava come se fosse il centro del suo universo. Le ruotava attorno, letteralmente: era come se fossero legati insieme da una catena. Se uno dei due faceva un passo, automaticamente l’altro lo seguiva. Poi però ho conosciuto Sofia, siamo diventati amici, e ho capito che la cosa era molto più complicata» tentò di spiegare André.
   Gregory annuì. «Sì, il loro legame è qualcosa che mi ha affascinato da quando li conosco entrambi: diciamo che si colloca nello spazio grigio tra diversi tipi di sentimenti. È un po’ di tutto». Poi proseguì. «Sofia, a differenza degli altri, ha sempre avuto la piena coscienza di quello che le avevano fatto: sapeva benissimo che stratagemmi erano stati messi in atto per portarla via, e da quanto ho capito, sembrava avesse intuito che l’avrebbero strappata alla sua vita prima ancora che lo facessero; e sempre a differenza degli altri, ha avuto il permesso di uscire dal Centro e viaggiare autonomamente, senza alcun controllo».
   I tre annuirono. Sapevano già quello che Gregory stava dicendo loro.
   «Cinque anni fa, resasi conto che nessuno – neanche Giovanni – controllava quello che faceva quando andava all’estero, si decise a cercare la propria famiglia. Ritrovò i suoi nonni paterni, e scoprì dove si trovavano i suoi genitori. Rientrata al Centro, parlò con Giovanni della sua intenzione di tornare dalla propria famiglia e passare del tempo con loro. L’idea di abbandonare il Centro, e con esso Giovanni, non l’ha mai neanche sfiorata; non aveva neanche intenzione di raccontare che era stato proprio Giovanni, dopo aver conquistato la fiducia dei suoi genitori, a portarla via».
   Un’esclamazione di sorpresa interruppe il suo racconto; Gregory li rimproverò.
   «Non ditemi che non avevate immaginato che era stato proprio Giovanni a portarla via! In ogni caso» riprese, «Giovanni si infuriò. Aveva messo su un teatrino veramente degno di nota per portarla via e, come avete giustamente notato, ha sempre avuto una sorta di... dipendenza, diciamo, alla presenza di Sofia. Non le credette e perse il controllo. Poi la attaccò; lei lo conosce fin troppo bene, avrebbe potuto difendersi ma non fece nulla: rimase lì, immobile, a farsi ammazzare perché non voleva fargli del male. Giovanni non si fece altrettanti scrupoli e la bruciò, avete visto la cicatrice, e lei crollò al suolo. Lui si rese conto immediatamente di quello che aveva fatto e mi mandò a chiamare: sapeva che mi trovavo a Cardiff e che, se ci fossimo mossi tutti molto rapidamente, forse avremmo potuto salvarla».
   Riprese fiato e si passò una mano sul volto, ricordando la scena che si era presentata ai suoi occhi quel giorno di cinque anni prima.
   «Dovetti scatenare una tempesta marina per arrivare al Centro nel minor tempo possibile. Rischiai anche di far colare a picco due o tre navi. Quando arrivai... be’, è una scena cui nessuno dovrebbe assistere. Sofia era stesa a terra, e c’era tanto di quel sangue in giro... sembrava che non ce ne fosse più una goccia in lei, era bianca come la neve e l’unica cosa da cui si capiva che era ancora viva erano gli occhi, che conservavano un’ultima scintilla di lucidità: era cosciente. Era completamente bruciata, e tanto a fondo che in alcuni punti si vedeva il cuore battere, del tutto scoperto. Io arrivai, e un minuto dopo lei morì tra le mie braccia».
   Si bloccò con un groppo in gola, esattamente come gli altri tre. Sapeva che stavano immaginando quello che lui aveva vissuto – vedere la vita scivolare via da quel corpo per un motivo tanto futile – e ricordava ancora quanta rabbia avesse scatenato in lui.
   «Ma se era morta come... come...» tentò Blaze prima d’interrompersi, tirando su col naso. Sofia era per lui una seconda sorella, l’aveva aiutato e consolato quando era arrivato al Centro, e il racconto di quello che aveva sofferto si riversava in lui come se l’avessero vissuto insieme.
   Gregory riprese il racconto, un po’ a fatica. «Sofi morì, e Giovanni... impazzì. Letteralmente. Dopo aver perso conoscenza per qualche istante, iniziò a gridare contro tutti: contro di lei, contro di me, contro se stesso. Si ruppe una mano dopo aver distrutto un tavolo, tre sedie e quattro finestre in poco più di un minuto. Dovetti bloccarlo contro un muro con dei ceppi d’Acqua per farlo stare fermo. Ero più arrabbiato di lui: gli Elementi non vanno mai usati per uccidere e, nel suo delirio, mi aveva detto cosa era successo prima del mio arrivo, perché l’aveva attaccata. Provavo pena per quella povera ragazza di cui avevo solo sentito parlare da lui; provavo pena per quello che le aveva fatto quando era una bambina e per come l’aveva uccisa senza battere ciglio, senza fermarsi quando aveva capito che non avrebbe reagito. La presi di nuovo tra le braccia: non potevo fare niente per lei, ma quello era l’unico modo in cui mi sembrava di poterle dare almeno un po’ di affetto. Presi a parlarle... le sussurrai che mi dispiaceva di non essere riuscito a salvarla, e Giovanni iniziò di nuovo a gridare, senza più avere il controllo del proprio Elemento. E il cuore di Sofia... ricominciò a battere. Debole, irregolare: poteva fermarsi di nuovo da un momento all’altro, e stavolta per sempre. La ferita era troppo grave: non potevo guarire tutto. Mi concentrai sul suo cuore. Dopo mezz’ora di sforzi, il battito tornò a essere abbastanza forte da tenerla in vita. Le medicai la ferita e predisposi subito il suo trasferimento negli Stati Uniti, con me».
   «E Giovanni la lasciò andare? Dopo averla quasi uccisa solo perché voleva stare un po’ con la propria famiglia?» chiese André incredulo.
   «Giovanni si era reso conto di quello che aveva fatto. Mentre cercavo di salvarla lo avevo avvertito che se fossi riuscito a strapparla dalle braccia della Morte, che la tenevano tanto stretta, allora l’avrei portata via con me fino a quando non fosse guarita completamente, fisicamente e psicologicamente. Se non avesse accettato, mi sarei fermato immediatamente e non l’avrei guarita. Ovviamente non l’avrei mai fatto; era solo un bluff; ma lui era così terrorizzato all’idea di vederla morire di nuovo che accettò senza esitare un istante, anche se prima di lasciarla andare le ordinò di non cercare mai più la sua famiglia. Sotto le minacce che le faceva – non tanto verso lei stessa, quanto verso i suoi genitori – Sofia cedette. E così la portai via, in un luogo sconosciuto a tutti tranne me, in modo che Giovanni non potesse raggiungerla. Lei guarì molto più rapidamente di quanto mi aspettassi, e mi chiese di addestrarla. Io acconsentii, e anche se in meno di tre mesi si era perfettamente ristabilita, rimase con me molto più a lungo. Poi non potemmo più fingere: lei dovette tornare al Centro, e continuammo a vederci e ad allenarci di nascosto» concluse Gregory.
   «Per questo Sofia si fida tanto di te» disse Laurence piano.
   «Proprio così» disse la voce limpida della ragazza. Ancora un volta, troppo presi nella conversazione, i tre amici non l’avevano sentita avvicinarsi. Gregory invece se n’era accorto ma era andato avanti ugualmente nel racconto consapevole che, se avesse voluto impedirgli di parlare, Sofia sarebbe intervenuta molto prima.
   «Devo dire che ad ascoltarla da fuori, sembra una storia davvero affascinante. La realtà invece è stata solo incredibilmente squallida» aggiunse la giovane.
   Nessuno aggiunse nulla. Tornarono in acqua, galleggiando sulla superficie, e restarono a fissare le stelle fino a quando il sole non sorse sul primo, vero giorno d’estate.

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Capitolo 10
*** Incontri e depistaggi ***


«Accidenti, è l’alba!»
   «Shhht... sta’ calmo e goditi il momento».
   Di nuovo in silenzio, tutti e cinque porsero il volto alla luce rosea che andava diffondendosi, sempre cullati dalle acque placide del lago.
   Improvvisamente un rumore di passi turbò la tranquillità. Gregory e Sofia, scattando come due molle, si slanciarono fuori dall’acqua e corsero verso la fonte del suono.
   «Si può sapere che vi prende?» gli gridò dietro Blaze.
   Senza preoccuparsi di rispondere, i due continuarono a correre. In alcuni punti, tra le colline, il buio era ancora piuttosto intenso; seguirono i passi per alcune centinaia di metri finché Sofia non intravide qualcosa. Si fermò di botto, allungando un braccio e dando una botta in pieno petto a Gregory.
   Quando il rumore di passi svanì, lui si voltò verso Sofia.
   «Perché ci siamo fermati?» le chiese.
   Lei si mise in punta di piedi e, tirandolo verso di sé, gli sussurrò qualcosa all’orecchio. L’uomo si rialzò di scatto.
   «Sei proprio sicura di quello che hai visto?» le chiese con aria seria. Sofia annuì.
   «Bene. Allora abbiamo decisamente un problema» disse l’uomo.
   Tornarono dagli altri che, intanto, erano usciti dall’acqua e si erano rivestiti.
   «Allora? Cos’è successo?» chiesero impazienti.
   Sempre in silenzio, Sofia e Gregory iniziarono a loro volta a rivestirsi.
   «Abbiamo un problema» esordì Gregory, infilandosi i pantaloni.
   «Che tipo di problema?» chiese André impaziente.
   «Il tipo di problema che può degenerare da un momento all’altro» replicò Sofia. «C’è qualcuno che gironzola un po’ troppo intorno ai confini della Valle, e non riusciamo a capire se sia all’interno o all’esterno».
   «Avete ragione. Questo è un problema» disse Laurence corrugando la fronte. Poi, prima di parlare di nuovo, espanse la propria Aura. «Non mi sembra ci siano falle nei confini, quindi la persona di cui parlate è certamente all’interno».
   «Non è detto» lo corresse Gregory. «Anche se in questo momento non ci sono brecce nei confini, non vuol dire che qualcuno non ne abbia trovata una e che l’abbia personalmente richiusa per non far capire dove c’è un passaggio aperto a tutti».
   «Ma se ci fosse un passaggio e qualcuno all’esterno l’avesse trovato, ci avrebbero già attaccati» disse Blaze poco convinto.
   «Potrebbero stare ancora perlustrando la Valle. In fin dei conti è un territorio abbastanza esteso, o magari prima di attaccare vogliono scegliere il luogo e il momento adatto. Questo potrebbero farlo solo dopo aver studiato le nostre abitudini» replicò Sofia.
   «Ma non avete individuato chi è passato dietro quelle colline, poco fa?» domandò André.
   «Non siamo riusciti a vederlo e non abbiamo percepito nessuna Aura. Quindi o è una persona normale capitata qui per caso, o è un Portatore che sa trattenere bene la propria Aura» rispose Gregory.
   Rimasero tutti in silenzio per qualche minuto, con l’aria preoccupata e pensierosa.
   «D’accordo, io ho un’idea» esordì Sofia dopo qualche minuto di riflessione. «Potremmo farci vedere – almeno noi quattro, Costa, Viola, Gloria e Friedrich, e i Figli degli Elementi meglio addestrati – all’esterno della Valle: magari in prossimità dei luoghi in cui siamo stati rapiti, o delle abitazioni di altri Portatori. In ogni caso, possibilmente lontano da qui. Facciamo in modo che ci vedano e che pensino che ci siamo sparpagliati».
   «Credi che funzionerà?» chiese Laurence.
   «Non ne sono certa. Probabilmente Jackson, Tsukiko e soprattutto Prudencia si getteranno a capofitto in quelle trappole. Questo dovrebbe garantirci una maggiore sicurezza almeno per qualche settimana, mentre saranno impegnati a passare al setaccio i luoghi in cui siamo stati visti. Non credo che riusciremo a ingannare Giovanni, ma per lui ho già un’altra esca pronta» spiegò Sofia rivolgendo un mezzo sguardo a Gregory, che annuì.
   «Sarà meglio tornare a casa e organizzare subito i depistaggi» propose André.

*

«No no no... non possiamo farci vedere a Cork, è troppo vicino!» disse Blaze.
   «Accidenti a te, razza di testa dura che non sei altro... la prima uscita non possiamo farla troppo lontana dalla Valle! E se qualcosa andasse storto? Dove andresti a nasconderti, eh?» sbuffò Costa.
   «Va bene, va bene, basta! La prima uscita a me! Però scelgo io dove, e che nessuno si azzardi a contraddirmi!» esplose Sofia, mettendo fine alla disputa che andava avanti ormai da un’ora.
   Al mattino, tornati ognuno nelle proprie stanze, si erano cambiati e avevano aspettato l’ora di svegliare gli allievi. Dopo la colazione, li avevano avvisati che avevano deciso di concedere a tutti una giornata di riposo e li avevano incitati ad andare in giro per la Valle a rilassarsi. Poi avevano convocato nella biblioteca gli altri quattro Maestri per metterli al corrente delle ultime novità, elaborare i depistaggi e scegliere i Figli degli Elementi che li avrebbero affiancati.
   «Non ci puoi andare da sola. È fuori discussione» intervenne André.
   Sofia alzò gli occhi al cielo.
   «Va bene, allora mi porto Laurence! Lui almeno non si perderà in crisi isteriche» disse facendo la linguaccia a Blaze, che rispose con una buffa smorfia del volto.
   «Comunque credo che dovremmo andare tutti in coppia, quando facciamo un’apparizione: uno si mostra, e l’altro è lì di supporto. In caso qualcosa andasse storto» aggiunse Sofia.
   Tutti annuirono.
   «Come ci spostiamo? Non possiamo restare a lungo allo scoperto...» iniziò Viola.
   «... e se dobbiamo mostrarci lontano dall’Irlanda, la questione si complica» concluse Gloria.
   «Facile» disse subito Sofia. «Abbiamo un’imponente colonia di Fenici, qui alla Valle. Usiamo loro».
   «Prego?» Costa sembrava non capire. «Come facciamo a spostarci con le Fenici? Senza contare che sono tanto vistose che ci farebbero scoprire immediatamente. Ci renderebbero bersagli facili».
   Sofia lo guardò incredula. «Di’ un po’, Costa, mi prendi forse in giro? Ma che razza di Portatore del Fuoco sei, se non conosci neanche le caratteristiche principali degli Animali del Fuoco? Le Fenici possono sollevare grandissimi pesi e, se proprio vuoi spostarti in fretta, ti basta dire loro dove vuoi andare aggrappandoti alle piume della coda: entrambi si dissolvono e ricompaiono quasi istantaneamente nel luogo scelto. Quando c’è un grande feeling tra un Portatore del Fuoco e una Fenice, al Portatore è sufficiente pensare al luogo in cui vuole recarsi, prima di afferrare la coda della Fenice» spiegò al greco.
   «Be’, mi sembra perfetto. Questo ci permetterà di fare rapide incursioni in luoghi molto distanti... è esattamente quello che ci serve» disse Laurence.
   «A questo punto non resta che decidere quali Figli degli Elementi coinvolgere» disse Blaze.
   «Devono proprio essere Figli degli Elementi?» chiese Friedrich.
   Sofia e Gregory si scambiarono un’occhiata.
   «Sarebbe meglio coinvolgere dei Figli degli Elementi perché hanno raggiunto un livello di addestramento abbastanza alto da permettere loro di difendersi se attaccati e di muoversi con discrezione, avendo appreso le tecniche di mimetizzazione... ma se avete in mente qualche Apprendista che credete possa farcela e sia degno di fiducia, ne possiamo parlare» disse Gregory.
   «Be’ Ailie è molto abile e, con qualche lezione sulla mimetizzazione, potrebbe fare un ottimo lavoro» propose Friedrich. «Inoltre è senza dubbio uno dei Portatori più devoti alla Valle».
   «Se la metti così, allora io propongo Fernando» intervenne Laurence.
   «Non lo so se sono d’accordo, per quanto riguarda Fernando» disse Sofia. «Se gli succede qualcosa, Emma mi ammazza anche senza riuscire a padroneggiare uno straccio di Elemento!».
   Tutti scoppiarono a ridere al timore di Sofia, che proseguì. «In ogni caso, io propongo Serj. È molto determinato, sta affrontando l’apprendistato dei Figli del Fuoco e buona parte del suo addestramento l’ho curato io stessa... credo sia qualcuno su cui possiamo fare affidamento. Tu che ne dici, Costa?».
   «Sono d’accordo. Serj è senza dubbio adatto» confermò l’uomo.
   «E tu André? Hai qualche proposta?» gli domandò Gregory.
   «Ci sarebbe Pietro, un Apprendista di secondo livello... stiamo per passarlo al terzo. È discreto, riservato e molto dotato, anche se piuttosto giovane. Possiamo prepararlo adeguatamente in una settimana».
   «Ci possiamo fidare di lui?» chiese Sofia.
   «Garantisco io. È il mio pupillo» intervenne Gloria con decisione.
   «D’accordo». Sofia prese un profondo respiro. «Allora tanto vale cominciare oggi stesso».
   Dalla biblioteca, il gruppetto si mosse verso l’Ala Nord. Usciti dall’edificio scesero dalla collina su cui si trovarono e si spostarono sul prato dove Sofia li aveva aspettati la notte in cui erano arrivati lì.
   Laurence e Sofia si staccarono leggermente dagli altri.
   «Trattieni quasi completamente l’Aura» disse la ragazza al suo compagno. «Appena arriviamo mi stacco, espando l’Aura al massimo e faccio un giro per le vie del posto. Quindici minuti e torniamo indietro».
   Laurence annuì.
   «Nabeela!» chiamò Sofia. La Fenice arrivò cantando dolcemente e si fermò sopra di loro, scuotendo le lunghe piume variopinte della coda.
   I due si presero per mano.
   «Al mio tre» disse Sofia. «Uno... due... tre!».
   Al segnale, entrambi afferrarono la coda della Fenice e con lei sparirono in un lampo di fuoco.

*

Quando lasciarono la coda di Nabeela barcollarono per un istante, mentre uno sbuffo d’aria fredda li investiva.
   «Dove siamo?» chiese Laurence, guardandosi intorno nel piccolo vicolo spoglio e desolato.
   «A Kastrup, in Danimarca» rispose Sofia.
   L’uomo la guardò perplesso. «Perché proprio qui?».
   «Perché mi noteranno subito. Ci abitano i miei nonni paterni» fu la risposta.
   «È troppo pericoloso!»
   «È un diversivo perfetto. E poi, così saremo certi che avrà successo. Ora vado. Ricorda: quindici minuti. Se non torno, se senti sparire la mia Aura, torna alla Valle con Nabeela» disse Sofia, espandendo la propria Aura più che poteva e mescolandosi alle persone che camminavano nella via su cui si affacciava il vicolo.
   Preoccupato, Laurence aspettava con impazienza che la ragazza tornasse, tenendo la propria Aura al minimo in modo da poter percepire quella di lei. Di tanto in tanto guardava Nabeela che, placidamente appollaiata sulla sua spalla, teneva gli occhi chiusi e di tanto in tanto scrollava leggermente la coda.
   Dopo quella che sembrava un’eternità l’Aura di Sofia sparì e ricomparve per tre volte. Poi scomparve del tutto.
   Un paio di minuti dopo la ragazza irruppe nel vicolo, ansimando.
   «Giovanni aveva lasciato un suo amico di guardia. Dobbiamo andarcene alla svelta» disse, aggrappandosi a Laurence e afferrando con lui la coda di Nabeela.

*

«Allora, com’è andata?» chiesero impazienti Gregory e gli altri, che li avevano aspettati nello stesso punto da cui i due erano partiti solo pochi minuti prima.
   «In teoria bene» rispose Laurence, lanciando un’occhiataccia a Sofia. Non riusciva a credere che avesse volontariamente corso un rischio simile.
   «E in pratica?» chiese Viola, notando l’espressione corrucciata dell’uomo.
   «In pratica, Sofia è voluta andare in un posto dove sapeva che si aspettavano di vederla comparire e ha rischiato di farsi catturare» snocciolò Laurence.
   «Cos’hai fatto?». Blaze boccheggiò. «Sei impazzita o cosa?».
   Lei lo guardò male. «Non cominciare, Blaze!». Poi si rivolse agli altri. «Hanno abboccato, siamo tornati e stiamo bene. Che altro c’è da dire?» esclamò, mettendo fine alle proteste prima ancora che cominciassero.
   Gregory la guardò senza riuscire a nascondere la soddisfazione.
  «Visto che il metodo funziona, andiamo a organizzare le altre apparizioni» disse, facendo loro strada di nuovo verso la biblioteca.

*

Giovanni camminava lentamente lungo i viali del parco quando Jackson, Prudencia e Tsukiko lo raggiunsero.
   «Come mai hai quest’aria soddisfatta?» gli chiese Tsukiko.
   «Hanno avvistato Sofia».
   «L’hanno avvistata? E dove?» chiese subito Prudencia.
   «In una cittadina in Danimarca. A Kastrup, per la precisione».
   «Allora ci dobbiamo andare immediatamente. Di certo è ancora nascosta là».
   «Se c’è qualcosa di certo, è che non si trova più lì. Nessuno sarebbe tanto stupido da restarci, ben sapendo che lo stiamo cercando e che è stato visto».
   Jackson e Tsukiko osservavano lo scambio di battute tra i due senza osare interromperli. Poi l’americano intervenne.
   «Prudencia, Giovanni ha ragione. Sofia non sarebbe mai rimasta lì dopo essere stata vista».
   «Dobbiamo andarci lo stesso! Una pista da seguire era quello che stavamo aspettando... e ora la lasciamo cadere così?» fu la replica rabbiosa dell’argentina.
   Giovanni scosse una mano con fare noncurante. «Lasciate pure che vada, se ci tiene tanto» disse, continuando a camminare.
   Jackson gli si affiancò.
   «Non sembri sorpreso dalla sua apparizione improvvisa» chiese all’italiano, che trattenne a stento un sorrisetto compiaciuto.
   «È ovvio che vuole portarci fuori strada. Doveva sapere benissimo che l’avrebbero vista: è il paesino dove abitano i suoi nonni paterni, e lei c’è andata senza neanche curarsi di trattenere l’Aura».
   «Magari non si aspettava di incontrare un Portatore con cui sei in contatto» disse Jackson. «Sai, è stata furba a scappare e a nascondersi così a lungo... ma rischiare di farsi catturare per tentare di depistarci mi sembra troppo anche per lei. È una mossa fin troppo imprudente».
   «È ovvio che sei convinto che il suo farsi vedere sia stato un mero errore di calcolo. Libero di avere la tua opinione... ma non venite da me a lamentarvi quando avrete di nuovo sprecato tempo, energie e risorse solo per cadere nelle sue trappole» disse Giovanni in tono definitivo.
   Cogliendo il tono dell’amico, l’americano si allontanò per andare a organizzare il viaggio in Danimarca con i Maestri dell’Acqua e dell’Aria.

*
 
«Grazie Akram!» disse Blaze, dando un buffetto sul collo della Fenice prima che volasse via.
   «Allora ragazzi... com’è viaggiare con una Fenice?» chiese Sofia sorridendo.
   «Assolutamente fantastico» rispose Gloria, mentre Blaze annuiva entusiasta.
   «Siete tornati! Chi dei due si è fatto vedere, e dove?» domandò Gregory avvicinandosi.
   «Oh, mi sono fatto vedere io. Ho fatto una bella passeggiata per Manhattan... lo desideravo da sempre!» rispose Blaze.
   Gloria scosse la testa. «Credevo che non sarebbe più tornato, era così euforico quando siamo arrivati là!» disse divertita.
   Insieme, i quattro si avviarono verso la mensa, mentre Sofia ripensava agli ultimi cinque giorni. Dalla sua prima uscita ormai si erano mostrati tutti gli otto Maestri, Ailie e Fernando, quest’ultimo nonostante l’evidente preoccupazione di Emma.
   «Cosa dicono i tuoi contatti all’esterno?» chiese piano Sofia a Gregory.
   «Le vostre uscite si stanno facendo notare... pare che dal Centro stiano mandando alcuni tra i Figli degli Elementi più dotati nei luoghi in cui siete apparsi per cercare eventuali piste che portino a uno o più nascondigli» bisbigliò l’uomo di rimando.
   « E... ?».
   «Come avevi previsto, Giovanni non si è fatto ingannare. A quanto ne so, non sta prendendo parte alle ricerche».
   «Mhhh» mugugnò Sofia con aria pensierosa. «Allora dobbiamo distrarlo»
   Gregory annuì. «Quando vuoi che vada?»
   «Direi il prima possibile»
   «Allora tanto vale farlo subito».
   I due fecero dietrofront e, dopo aver camminato per qualche minuto, s’infilarono in un boschetto. Sentendosi sfiorare la nuca da qualcosa di morbido e setoso, Gregory fece un salto indietro.
   «Sta’ tranquillo» rise Sofia. «È soltanto Nabeela».
   La Fenice di Sofia, infatti, era appollaiata sopra di loro, sul ramo di un albero.
   «Vuoi mandarmi con lei?» chiese Gregory sbalordito. Sofia adorava Nabeela ed era l’unica a potersi spostare con quella particolare Fenice.
   Lei annuì. «E vedi di stare attento, perché se torna con una sola piuma fuori posto ti uccido» disse scherzosamente. Nabeela era una Fenice, non aveva certo bisogno di protezione.
   Gregory allungò un braccio verso il cielo, a sfiorare la coda di Nabeela.
   «Andiamo» disse, bisbigliando la destinazione ed afferrando le piume turchine.

*

Giovanni alzò di scatto la testa che, fino a un istante prima, teneva appoggiata sulle proprie braccia incrociate, semidisteso sul tavolo.
   «Cosa succede?» chiese Jackson allarmato.
   L’italiano non rispose. Dopo settimane di attesa eccola lì, quell’Aura, a pochi chilometri da lui. Non poteva farsi scappare quell’occasione.
   «Devo andare» disse, alzandosi e correndo via. Dalla finestra della stanza in cui si trovava, Jackson lo vide schizzare via in sella alla sua moto come se avesse il diavolo alle calcagna. Scosse la testa. Il giorno in cui riuscirò a capire Giovanni, pensò, sarà il giorno in cui potrò fare qualunque cosa.

*

Trattenendo quasi completamente la propria Aura, Giovanni continuò a seguire quella che aveva inaspettatamente percepito. Arrivato a Cork ne fu completamente avvolto. Era lì, il Portatore che la emanava, a pochi metri da lui.
   Mollò la moto, che cadde a terra di schianto. Senza preoccuparsene corse silenzioso, facendosi strada tra la folla del venerdì pomeriggio, fin quando non scorse la persona che cercava. Con energia l’agguantò per la spalla.
   «Giovanni!» disse Gregory sorpreso. «Non ti ho sentito arrivare. Come mai stai trattenendo l’Aura?»
   «Oh, volevo farti una sorpresa. Fatti abbracciare» replicò l’altro.
   I due uomini si strinsero in un rapido abbraccio.
   «Come mai da queste parti?» chiese Giovanni in tono leggero.
   «Era da molto che non venivo in Irlanda... è una bella terra, e io volevo concedermi una piccola vacanza» rispose Gregory sullo stesso tono.
   «Piuttosto lunga questa vacanza!» esclamò Giovanni.
   «Lunga? Che intendi dire?» chiese Gregory, apparentemente perplesso.
   «Ti cerco da diverse settimane, ma nessuno ha saputo dirmi dov’eri. Sembrava fossi sparito nel nulla» disse l’italiano insinuante.
   «Oh, mi sono spostato parecchio... un po’ qui e un po’ là» rispose vago. «Perché mi cercavi?» chiese poi, corrucciato. Se solo Sofia potesse vedermi, pensò. Sono un genio anche nella recitazione.
   «Dovresti cercare una persona per me» disse Giovanni, fingendosi più sicuro di quanto non fosse in realtà. Improvvisamente, non era più tanto certo che il suo vecchio insegnante lo avrebbe aiutato. Se si fosse trattato di trovare qualcun altro, non avrebbe avuto dubbi. Ma non si trattava di una persona qualunque: si trattava di Sofia.
   «Se hai bisogno del mio aiuto, questa persona deve essere nascosta davvero bene. Chi vuoi che rintracci?» disse Gregory con indifferenza.
   Giovanni esitò un istante, prima di rispondere. «Sofia».
   Gregory corrugò ancora di più la fronte. «Perché dovrei cercarla? Non è al Centro?».
   «No, non c’è. Se n’è andata e non so dove sia finita».
   «Da quanto è sparita?».
   «Dieci settimane» disse mesto l’italiano. Quando pensava a quanto tempo aveva già trascorso senza la ragazza, il Fuoco in lui si affievoliva.
   Gregory vide il potere dell’uomo indebolirsi sotto i suoi stessi occhi, e ne ebbe pietà. Per un attimo, si chiese se fosse giusto continuare a ingannarlo.
   Gli strinse leggermente la spalla con fare comprensivo. Giovanni alzò gli occhi.
   «Forse so dov’è» disse Gregory, guardandolo negli occhi. «Verrò qui, di tanto in tanto, per aggiornarti».
   Giovanni tirò un respiro di sollievo. Aveva davvero temuto che Gregory decidesse di non aiutarlo.
   «Grazie... ah, in caso ti interessi è stata vista qualche giorno fa a Kastrup, in Danimarca. Non credo ci sia niente di utile, lì, per trovarla, ma per te può comunque essere un punto di partenza».
   «Sì, può essere un posto da dove iniziare le ricerche».
   «Bene. Grazie ancora, davvero. Aspetterò che tu ti faccia vivo» lo salutò l’italiano.
   «Giovanni, aspetta!».
   A quel richiamo, l’uomo si voltò.
   «Cosa c’è, Gregory?».
   «Per quale motivo vuoi ritrovarla a ogni costo? Prima o poi potrebbe tornare spontaneamente, se è quello che desidera» gli domandò. L’italiano gli rivolse un gran sorriso.
   «Per lo stesso motivo per cui l’ho portata via quando era ancora una bambina e per cui l’ho lasciata andare via con te, cinque anni fa. E perché se Prudencia la trova prima di me, farà di tutto per ucciderla» rispose, prima di voltarsi e andarsene.
   Senza aggiungere altro Gregory seguì il suo esempio e trattenendo completamente la propria Aura si dileguò rapidamente nella folla, cercando un posto dove poter chiamare Nabeela e tornare alla Valle.

*

«Ciao Gregory» salutò Sofia, sdraiata nel folto degli alberi.
   L’uomo non rispose al saluto.
   «La tua Fenice è pazza» disse senza mezzi termini. La ragazza si voltò a guardarlo mentre Nabeela, scuotendo la coda con furia, andava a posarsi su un ramo dell’albero sotto cui era sdraiata Sofia.
   «Scusami?» chiese perplessa.
   «Mi ha beccato!» esclamò Gregory con rabbia, mostrando una profonda ferita sul polso destro.
   «Strano, non è da lei. Non è che hai fatto qualcosa contro di me?» disse gelida, fissandolo negli occhi color ghiaccio e alzandosi in piedi.
   «Ho parlato con Giovanni» ammise Gregory, ben sapendo che mentire sarebbe servito a poco.
   Sofia chiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie con la punta delle dita. «D’accordo. Prima di arrabbiarmi, aspetterò di sentire perché l’hai fatto».
   «Stavo passeggiando per Cork quando è arrivato. Non so come abbia fatto, ma se era al Centro deve aver corso come un pazzo per metterci così poco tempo».
   «Prevedibile. Quando si mette in testa qualcosa niente può fermarlo, e lui aveva deciso di parlarti. In ogni caso non potevi sapere con certezza che l’avrebbe fatto, quindi Nabeela non ti ha beccato per questo. Cosa vi siete detti?» chiese sospettosa.
   L’uomo esitò per un istante.
   «Ci ha girato un po’ intorno. Poi mi ha chiesto di cercarti...».
   Sofia lo interruppe.
   «Questo potevo immaginarlo anche da sola. Arriva al dunque, Gregory. Sono certa che tu sappia già per quale motivo Nabeela se l’è presa con te!»
   «Mi è dispiaciuto per lui!» esplose Gregory. «Si sta spegnendo perché siete separati da troppo tempo, non riesce a stare senza di te!».
   «Cinque anni fa è stato senza di me per otto mesi, eppure quando tornai al Centro stava benissimo» ricordò glaciale la giovane.
   «Be’, stavolta non è così! È convinto che non tornerai mai da lui...»
   «Caspita, perspicace!» bofonchiò lei.
   «... e vuole riaverti vicina! Inoltre, da qualcosa che ha detto mi è parso di capire che tu debba stare molto attenta a Prudencia, se mai vi incontraste di nuovo» proseguì l’uomo alzando un sopracciglio.
   Sofia rispose con una smorfia.
   «Prudencia mi odia perché l’ho bloccata a terra, mentre scappavo, e non è riuscita a liberarsi da sola... senza contare che è gelosa di Giovanni. Lo è sempre stata» disse digrignando i denti. «Ma non cambiare discorso» riprese all’improvviso. «Ti è dispiaciuto per lui... e cos’hai fatto?» lo incalzò.
   «Non ho fatto nulla...»
   «Non mentirmi!» gridò la ragazza furiosa. «Tu vuoi aiutarlo a trovarmi, vuoi portarlo qui!»
   «Non so ancora se voglio farlo!» urlò a sua volta Gregory. «Ma comincio ad avere dei dubbi sul continuare a ingannarlo!»
   «Be’, decidi da che parte stare» disse gelida la ragazza. «Decidi in fretta, e se è con lui che vuoi schierarti, allora vattene».
   Poi si voltò, scura in volto.
   «Nabeela!» chiamò.
   La Fenice scese rapida dal ramo e porse la propria coda alla ragazza, che vi si aggrappò. Così, prima che Gregory potesse fermarla, entrambe sparirono in un lampo di fuoco, dirette chissà dove.

*

Prudencia sbatté la piccola valigia a terra.
   «Non l’hai trovata eh?» le domandò allegro Giovanni.
   La donna perse il controllo e l’attaccò. Lui deviò prontamente il colpo, mandando la sfera di ghiaccio che Prudencia gli aveva spedito contro a schiantarsi su un muro: vi scavò un buco, circondato da una ragnatela di piccole crepe.
   «Ha chiamato Emmett, da New York: hanno visto Blaze Goldberg a Manhattan, un’ora fa» ansimò un giovane Portatore della Terra, irrompendo nella stanza.
   Giovanni si voltò verso di lui, sempre sorridendo.
   «Ottimo. Ora va’ ad informare anche i Maestri dell’Aria e della Terra, Hilario».
   «Subito».
   Il ragazzo uscì quasi correndo dalla stanza.
   «Te l’avevo detto o no che sarebbe stato inutile andare fino a Kastrup?» insisté Giovanni. Poi fissò il volto arrabbiato di Prudencia. «Ma visto che ti piace tanto inseguire le tracce che lasciano, puoi andare a fare un giretto a New York... tanto hai già la valigia pronta!» sghignazzò.
   Prudencia uscì a sua volta dalla stanza, sbattendo la porta.
   Giovanni guardò soddisfatto la porta che si era appena chiusa dietro la sua ex fidanzata. Aver trovato Gregory – e averlo convinto ad aiutarlo – l’aveva messo di ottimo umore.
   Pochi minuti dopo, Jackson entrò.
   «Dove sei andato così di fretta, prima?». Aveva notato il buonumore di Giovanni, e sperava di ottenere una risposta.
   «Credevo d’aver percepito un’Aura che non sentivo da tempo» rispose l’altro. In fondo, era la verità.
   «L’Aura di chi? E soprattutto, spero almeno che tu abbia trovato questo Portatore... potevi ammazzarti, alla velocità a cui andavi!».
   «Non l’ho trovato, no, ma quantomeno ho fatto una passeggiata a Cork... non ci andavo da tempo» mentì l’italiano, glissando sulla prima domanda.
   «E non mi dirai chi credevi di trovare, a Cork?» insistette Jackson.
   «Credo proprio di no» disse l’altro, portandosi di fronte alla finestra e osservando il parco.
   Quasi non sentì Jackson chiudersi delicatamente la porta alle spalle, lasciandolo solo.

*

Respirando profondamente, Sofia fece scorrere lo sguardo sulla verde campagna che si scorgeva al di là del vigneto in cui era arrivata. Carezzando le piume dorate del collo di Nabeela, le ordinò di tornare alla Valle.
   Guardinga, uscì dai filari e si dileguò.
   Continuando a respirare l’aria profumata della campagna toscana cercò di calmarsi, in modo da poter trattenere l’Aura. La rabbia che la mordeva dentro, però, era troppo grande perché riuscisse a domarla e così si rassegnò a lasciare libera una parte della propria Aura.
   Rallentò il passo, godendosi il sole pomeridiano. Trascorse così un’ora, prima che davanti ai suoi occhi apparisse una bella città.
   Sofia sorrise. Siena. Da anni non la visitava.
   Entrò lentamente nella città, dirigendosi immediatamente verso il centro storico e godendosi l’ombra che i palazzi iniziavano a proiettare.
   Iniziarono i vicoli. Vi si immerse, camminando senza fretta e annusando l’aria sempre più incandescente. Passò sotto la facciata del Duomo, fermandosi ad ammirarla per diversi minuti, resistendo alla tentazione di entrare. Sedette sul bordo di Fonte Gaia, sfiorando l’acqua fresca con una mano e beandosi del silenzio che la circondava. Camminò ancora e ancora, e quando sbucò in Piazza del Campo, il sole per un attimo l’accecò; guardò il Palazzo Pubblico e la Torre del Mangia, la bella piazza a forma di conchiglia e ripensò a quando, tanti anni prima, suo padre l’aveva portata proprio lì, a vedere il famoso Palio, prima che si trasferissero in Spagna.
   Quei posti la riempivano di pace: ormai era abbastanza calma da poter trattenere l’Aura, ma la tranquillità che quel posto le infondeva le aveva tolto la voglia di reprimere il proprio Elemento: così tornò a esplorare i vicoli, col Fuoco che le danzava attorno, tanto intenso da essere quasi visibile.
   Mentre camminava sentì alle sue spalle una porta aprirsi con uno scatto soffocato. Prima che potesse anche solo voltarsi qualcosa le strizzò i polmoni, togliendole l’ossigeno, e una mano l’afferrò per la maglietta bianca trascinandola dentro una casa.

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Capitolo 11
*** Perduta e ritrovata ***


Blaze e Costa passeggiavano nervosamente nella grande sala che fungeva da mensa. Viola e Gloria avevano dipinta sul viso un’identica espressione preoccupata, così come Laurence, che però cercava di mascherare l’inquietudine che lo agitava. André e Friedrich, poco discosti dagli, parlottavano tra loro, lanciando di quando in quando un’occhiata a Gregory che sembrava essere irritato, in colpa e preoccupato al medesimo tempo.
   «Dici che se n’è andata senza dire nulla, ma non è da lei» chiese André, sospettando già la risposta.
   Gregory lo guardò male. «Abbiamo avuto un diverbio».
   «Riguardo a cosa?» incalzò il giovane francese. Gregory lo ignorò.
   «Sono passate già tre ore» notò Blaze preoccupato. «Non c’è proprio niente che possiamo fare per rintracciarla?»
   «Non abbiamo niente su cui lavorare, Blaze. Non possiamo sparpagliarci per il mondo e cercarla» disse André corrucciato. Condivideva la sua preoccupazione, ma non vedeva come potessero scoprire dove si trovava Sofia.
   «Potremmo... potremmo chiedere a Nabeela di portarci dove l’ha lasciata» tentò Viola. «In fin dei conti le Fenici sono animali molto intelligenti, sono certa che capirebbe quello che vogliamo»
   «Lo capirebbe, sì» intervenne Laurence «ma non ci aiuterebbe comunque. Nabeela risponde solo a Sofia».
   «Vale comunque la pena fare un tentativo» disse Gregory, attirandosi gli sguardi rancorosi degli altri Maestri. Non sapevano perché avessero litigato, ma di una cosa erano ormai certi: era colpa di Gregory, se Sofia se n’era andata senza dire nulla a nessuno.
   André si affacciò alla finestra. Su un albero di fronte a loro era appollaiata la Fenice, in attesa.
   «Nabeela» chiamò. La Fenice scosse le piume della coda; a parte quello, non si mosse.
   «Nabeela, ti prego. Portaci da Sofia, siamo preoccupati» tentò Gregory.
   La Fenice, voltandosi, emise un grido stridulo, drizzò le due lunghe piume – una rosa e una azzurra – che le ornavano la testa e si slanciò verso l’uomo, facendo scattare il becco. Lui si tirò indietro appena in tempo, schivandola per un soffio.
   Compiendo una giravolta in aria e schiaffeggiandolo con la coda, Nabeela tornò sul ramo da cui era partita. André fissò l’uomo.
   «Mi pare evidente che anche Nabeela ti ritiene responsabile della sparizione di Sofi» disse gelido, ignorando la smorfia irritata dell’altro.
   «Lascia stare, André. Abbiamo un altro problema» dissero Costa e Laurence in coro, indicando la finestra.
   Pur restando dov’era Nabeela si dimenava, agitatissima, scuotendo la coda e la testa e sbattendo con forza le ali. Di tanto in tanto, emetteva un piccolo verso roco.
   Tutti la osservarono preoccupati. L’agitazione della Fenice si spiegava in un solo modo: Sofia non era al sicuro. Ma se era in pericolo, perché Nabeela non volava da lei?

*

Senza quasi rendersene conto Sofia si ritrovò dentro una casa immersa nella penombra.
   Sempre senza fiato, capì che era l’Aria a comprimerle i polmoni; concentrandosi, mandò il Fuoco che scorreva in lei a consumare e scacciare quel nemico invisibile.
   Mentre riprendeva a respirare, la mano che l’aveva afferrata poco prima la prese per la gola e la spinse violentemente contro un muro: la ragazza sentì un rumore di vetro che andava in frantumi prima che le schegge le graffiassero la schiena, lacerando la stoffa e la carne.
   Dopo un momento di panico schiaffeggiò il suo aggressore, con la mano coperta di Fuoco; sentì la presa sul suo collo allentarsi e si spostò di lato con un balzo, riflettendo rapidamente. La persona che aveva davanti era senza dubbio un Portatore dell’Aria, ma l’Aura che emanava le era del tutto sconosciuta. Un istante più tardi percepì un’altra Aura, stavolta di un Portatore della Terra, anch’essa sconosciuta. Sentì la volontà di attaccarla crescere nel secondo aggressore e fu pronta a difendersi: evocò una parete di Fuoco di fronte a sé e le catene luccicanti che le erano state spedite contro si liquefecero, appena entrarono in contatto con la sua difesa.
   Uno sbuffo d’Aria, invisibile ma solido come il metallo, si strinse attorno ai polsi di Sofia; dalle sue mani aperte scaturì immediatamente uno sciame di scintille, che ricoprendo il flusso d’Aria lo rese ben riconoscibile. Con un po’ di fatica le fiammelle lo divorarono, liberando la ragazza che dovette subito passare a occuparsi della pietra che, apparsa dal nulla, le avviluppava i piedi impedendole di scappare. Mentre il Fuoco correva veloce lungo il suo corpo, difendendola e tentando di liberarla, la rabbia di Sofia esplose.
   «Ma chi siete? Si può sapere che diavolo volete da me?» strillò.
   Con un grugnito, il primo aggressore la sbatté di nuovo contro il muro, mandando in frantumi altre cornici; Sofia sentì il sangue scorrerle lungo la schiena e inzupparle la maglia ormai ridotta a brandelli.
   «Come hai fatto a imitare quest’Aura?» le gridò una voce maschile, mentre un forte vento la spingeva indietro, tenendola schiacciata contro il muro, e la pietra arrivava a bloccarle le gambe fino alle ginocchia.
   «Io non sto imitando nulla! È la mia Aura, da sempre!» urlò la ragazza in risposta, allentando la presa della morsa invisibile che la stringeva, costringendola a socchiudere gli occhi, e mandando il Fuoco a sbriciolare la pietra che la teneva bloccata al pavimento.
   «Bugiarda!» gridò di nuovo la stessa voce, afferrandole la testa e sbattendogliela con forza contro la parete; Sofia, furiosa, concentrò il Fuoco nella propria bocca e lo sputò sulla mano dell’aggressore, bruciandolo.
   L’uomo si scostò con un gemito di dolore. Sofia ne approfittò per rispedire indietro quel che restava del vento che la colpiva e, dimenando le gambe, finì di sbriciolare la pietra.
   Appena si fu liberata, dalla sua mano destra esplosero delle fiammelle sottili che andarono a bloccare l’uomo nascosto dalla penombra, mentre con la mano sinistra formava uno scudo di Plasma di Fuoco a proteggersi da eventuali attacchi del secondo aggressore.
   «Allora, cosa volete da me?» chiese di nuovo con rabbia, aumentando la potenza del Fuoco e bruciando quello che fino a un istante prima era stato il suo aguzzino. Sforzandosi di mantenere un tono di voce che non tradisse il dolore che provava, l’uomo riprese a gridare.
  «Voglio sapere come hai fatto a imitare quest’Aura, e soprattutto perché!» urlò prima che le fiamme aumentassero la stretta, togliendogli il fiato.
   Sofia aggrottò la fronte, al suono di quella voce che finalmente ascoltava bene. Parò un attacco scagliatole contro dal secondo aggressore – arrivato sotto forma di un nugolo di aghi – e si rivolse al Portatore della Terra.
   «Attaccami di nuovo e uccido il tuo amico!» gridò furiosa. Sentì la seconda Aura ritirarsi sotto la sua minaccia, e si rivolse di nuovo alla persona che aveva immobilizzato.
   «Ti ripeto che non sto imitando niente! L’Aura di ogni Portatore è unica e dipende da caratteristiche intrinseche, non si può in alcun modo replicare!» gli disse.
   «Invece evidentemente si può!» fu la risposta furibonda che l’uomo le scagliò contro, tentando di liberarsi. «Perché la Portatrice cui apparteneva davvero quest’Aura è morta dodici anni fa!».
   «Questo non è possibile! Dodici anni fa ho scoperto di essere una Portatrice, ed emanavo quest’Aura già da tempo!» urlò Sofia, ormai più sorpresa che arrabbiata, anche se i tagli sulla schiena le facevano male e sulla testa le stava crescendo un gran bernoccolo, là dove l’uomo gliel’aveva sbattuta contro il muro. «Devi avermi confusa con qualcun altro» disse poi, allentando la presa del Fuoco sul suo corpo.
   Lui si liberò immediatamente e saltò in piedi, attaccandola di nuovo.
   «Non mi sbaglio! Riconoscerei quest’Aura tra milioni, era l’Aura della mia figlioccia... e lei è morta!» disse con voce strozzata.
   Inchiodata di nuovo contro il muro, Sofia gridò.
   «Maledizione... Claudio!» strillò incredula. «Sei un Portatore dell’Aria, ecco perché quando mi portavi al parco il mio aquilone volava sempre, anche se non c’era vento... lo dicevo, io, che eri tu a fare qualcosa di strano!» esplose, nonostante il vento che la schiacciava la privasse dell’ossigeno.
   L’Aria che la bloccava scomparve immediatamente; un uomo di circa sessant’anni le corse incontro e l’abbracciò con tanta forza da toglierle di nuovo il fiato.
   «Claudio... ahia, mi fai male!» si lamentò Sofia mentre le braccia del suo padrino le conficcavano più a fondo nella carne le schegge di vetro.
   «Oh, Sofi, sei viva... non ci posso credere, eravamo convinti che fossi morta...» singhiozzò lui, sordo ai suoi lamenti. «Cornelia... CORNELIA! Vieni qui, è lei, è davvero Sofia!» urlò.
   Una donna di qualche anno più giovane di lui corse fuori dall’ombra.
   «Oh tesoro non è possibile... sei proprio tu...» disse, unendosi all’abbraccio.
   «Zia Cornelia...» disse la ragazza con gli occhi lucidi; ritrovare il suo padrino e Cornelia – che per lei era una zia a tutti gli effetti – era una cosa che non si sarebbe mai aspettata.
   Sentendo un liquido appiccicoso bagnargli le braccia, Claudio lasciò Sofia.
   «Ma... stai sanguinando!» esclamò sconvolto.
   «Chissà come mai» rise la ragazza. Non le importava nulla delle ferite; avere davanti due persone che avevano sempre fatto parte della sua vita e della sua famiglia agiva su di lei come un balsamo, fisico e mentale.
   «Piccola mi dispiace tanto...» esordì lui, facendola voltare per esaminarle la schiena. «Ma eravamo davvero convinti che fossi morta in quell’incendio...» disse con voce incrinata.
   Cornelia annuì, con gli occhi lucidi.
  «Mhhh... Cornelia, portami la borsa» ordinò, dopo aver inforcato gli occhiali e aver osservato con attenzione le ferite della sua figlioccia.
   La donna corse via. Mentre aspettavano il suo ritorno, Claudio prese un paio di forbici e finì di tagliare la maglietta di Sofia, dopo averla fatta sedere.
   «Per fortuna sei un medico» disse lei, appoggiando le braccia sull’alto schienale della sedia e cercando di sbirciare oltre la propria spalla, dopo aver spostato i lunghi capelli. «Cos’hai intenzione di fare?» gli domandò, mentre Cornelia tornava e metteva tra le mani del fratello la borsa che le aveva chiesto.
   «Prima di tutto devo estrarre le schegge. Poi pulirò le ferite e. sì, di sicuro ci vorrebbero anche dei punti» snocciolò lui.
   «Troppo complicato» replicò Sofia. «Togli i frammenti di vetro, al resto ci penso io!».
   «Quindi sai anche guarire?» disse stupito l’uomo, iniziando a estrarre le schegge.
   «Un po’» rispose lei, trattenendo una smorfia di dolore.
   «Un po’ è sempre meglio di niente» rispose Claudio. «Magari posso aiutarti a migliorare, essendo un medico ho sviluppato molto le mie capacità di guarire con gli Elementi».
   «Sarebbe fantastico» disse Sofia. «Ma parlatemi di mamma e papà... non ho più saputo niente di loro».
   Claudio non rispose, concentrandosi su quello che stava facendo. Cornelia esitò.
   «Be’ tesoro... è stato difficile per loro» iniziò titubante.
   «Ti prego zia, non c’è bisogno di indorare la pillola. Dimmi cos’hanno passato».
   «Sono arrivati a un passo dal divorzio» disse mesta la donna. «Quasi non si parlavano più. Sono andati avanti così per tre anni... poi hanno ricominciato ad avere degli sprazzi di normalità... e tua madre è rimasta incinta. Quando è nato Benjamin hanno ricominciato a comportarsi normalmente, a uscire... a vivere insomma» concluse in fretta, come se temesse di dare un dispiacere alla ragazza che, però, sorrise.
   «Ne sono felice. Mi dispiace solo che ci sia voluto tanto... quanti anni ha Benjamin?» domandò curiosa.
   «Ne ha sette ormai» rispose Claudio «e non ti somiglia per niente».
   Sofia scoppiò a ridere. «Questa mi sembra un’ottima cosa!».
   «Non vuoi sapere se è un Portatore?» le domandò l’uomo. Lei scosse la testa.
   «Non ha importanza... non gli accadrà quello che è capitato a me».
   «Perché tu sarai lì per impedirlo» affermò con sicurezza il suo padrino.
   «Claudio, io non tornerò a casa. E voi non dovete dire nulla di me ai miei genitori» disse Sofia.
   Entrambi la fissarono. Poi Claudio estrasse dalla schiena della ragazza un frammento conficcato particolarmente in profondità.
   «Non puoi chiedermi questo» disse, continuando a estrarre schegge. L’aveva conciata proprio male.
   «Non te lo sto chiedendo».
   La determinazione nella voce di Sofia lo costrinse a fermarsi.
   «Se vuoi che non dica niente a Thobias e Tamara, devi darmi una spiegazione. Sul perché non vuoi tornare a casa e sul perché sei tanto convinta che Ben non sarebbe in pericolo, se anche fosse un Portatore» disse Claudio con altrettanta determinazione.
   Dopo averlo scrutato per qualche istante si voltò di nuovo in avanti, verso Cornelia, scegliendo con cura le parole. Quando parlò la sua voce suonò neutra, impersonale, come se raccontasse la storia di un altro. Rapidamente disse loro come Giovanni l’aveva rapita e parlò della sua vita negli ultimi dodici anni. Non omise nulla – l’unico a cui avesse raccontato l’intera storia era Gregory, e ora che si sentiva tradita da lui avvertiva il bisogno di parlarne con qualcun altro.
   Quando terminò il racconto, Claudio tirò le pinze sul tavolo. Con un brutto suono metallico, rimbalzarono sulla superficie di legno e caddero a terra.
   «Quel bastardo!» gridò. Si passò le mani nei capelli candidi, arruffandoli. «E pensare che Tamara e Thobias si fidano di lui, è persino il padrino di Benjamin!».
   Cornelia era stupita e arrabbiata quanto lui. Si torceva nervosamente le mani, come se desiderasse stringerle intorno al collo del loro compatriota.
   «Per questo stai trattenendo l’Aura, per non essere individuata» disse a Sofia, che annuì.
   «È già una fortuna che nessuno mi abbia percepita mentre lottavamo. Altrimenti sarebbe già arrivato qualcuno» spiegò. Poi si rivolse al suo padrino. «Claudio, hai finito con le schegge?».
   «Cosa? Ah, sì, sì... le ho tolte tutte» rispose lui distrattamente.
   La ragazza si concentrò e, dopo aver condensato il proprio potere, lo spedì verso le ferite. Il fluido rosso brillante con strane sfumature dorate si immerse nei tagli, insieme a quello candido che scaturiva dalle mani del suo padrino, richiudendoli e cancellando le cicatrici, come se la pelle liscia non fosse mai stata intaccata.
   «Però» disse Claudio ammirato. «Bel lavoro... sei diventata davvero una Portatrice di grande talento. Fuoco, eh?».
   Lei sorrise. «Già».
   «Il Fuoco è un Elemento particolarmente violento, da controllare e sopportare» proseguì l’uomo. «È difficile che ve ne siano Portatrici donne... e che arrivino al grado di Maestro».
   «Nonostante tutti i suoi difetti, Giovanni è stato un ottimo insegnante» rispose Sofia scrollando le spalle. «E poi sono stata addestrata anche da quel Maestro che mi ha aiutata quando ero ferita».
   «Quello che ancora non capisco, però» le domandò ancora lui «è come tu faccia ad essere tanto sicura che Giovanni non prenderebbe anche tuo fratello».
   «Perché Giovanni vuole bene ai miei genitori, specialmente a papà» disse Sofia. «Si sente in colpa per avermi portata via».
   «Avrebbe potuto lasciarti in pace, a vivere la tua vita, senza ricorrere a un gesto tanto estremo». Claudio sembrava ancora più arrabbiato. «A quanto pare neanche il suo presunto affetto per Thobias è riuscito a fermarlo... non vedo perché per Benjamin dovrebbe essere diverso!».
   «Non è così semplice, Claudio. Il legame tra me e Giovanni è un po’ speciale...».
   «Speciale?». A quelle parole, l’uomo si strozzò con l’acqua che stava bevendo; tossendo e lacrimando, scrutò con aria truce la sua figlioccia. «Che diavolo significa speciale?» chiese con un ruggito.
   Sofia alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. Era stufa di dover spiegare a tutti che tra lei e Giovanni non c’era mai stato quel tipo di legame.
   «Non di tipo sentimentale. Rilassati» disse, battendogli una mano sulla schiena per farlo smettere di tossire. Mentre lui si calmava, Cornelia finalmente parlò.
  «Tesoro sei tutta sporca di sangue e di polvere... vieni a fare una doccia» le disse con uno sguardo significativo.
   Sofia la seguì su per un stretta scala di legno.
   «Bella casa» disse ammirata, osservando le travi del soffitto di legno scuro e il caldo color giallo ocra delle pareti dove, di tanto in tanto, c’erano delle piccole isole di mattoni.
   «Dammi i vestiti» le disse Cornelia, facendole strada in una bella stanza arredata sui toni del verde. «Per la maglietta c’è poco da fare, ma il resto possiamo lavarlo e intanto andrò a comprarti un’altra t-shirt».
   «Grazie, zia» disse Sofia, uscendo dal bagno con addosso un accappatoio bianco e i vestiti in mano.
   La donna li prese scuotendo la testa. «Per me sei come una figlia, Sofi. Non devi ringraziarmi» disse, andandosene.
   Sofia torno nel bagno e s’infilò sotto la doccia. Mentre insaponava i capelli sporchi e scompigliati sentì gli ultimi residui di tensione scivolarle via di dosso e si chiese da quanto tempo fosse lì. Poi si ricordò dei suoi amici alla Valle.
   «Accidenti» borbottò, finendo rapidamente di lavarsi e uscendo dalla doccia come una furia.
   Nella stanza, trovò Cornelia ad aspettarla.
   «Ti ho portato qualcosa da metterti» le disse, indicando una tuta da ginnastica di cotone celeste. «Vestiti e fatti aiutare con quei capelli» proseguì con un sorriso.
   La ragazza ubbidì e, un minuto dopo, era seduta sul pavimento, mentre Cornelia afferrava una spazzola e iniziava a districarle la lunga, setosa massa castana.
   «Sembri preoccupata» disse dopo qualche minuto, vedendo la giovane silenziosa.
   «Stavo pensando» replicò lei. «Vi ho detto che ho discusso con quel Maestro e… be’, me ne sono andata senza avvertire nessuno. Non sanno dove sono, né se sto bene...».
   «Devi andare via» concluse Cornelia, annuendo tra sé e sé e comprendendo i sentimenti della ragazza. Non voleva lasciare loro, dopo averli finalmente ritrovati, ma non poteva neanche abbandonare i suoi amici.
   «Sai tesoro» disse, dopo qualche istante di riflessione «stavo pensando anch’io... hai detto che state continuando l’addestramento di quelle duecento persone che sono fuggite con voi, giusto?».
   Sofia confermò.
   «Sai, mi chiedevo... magari vi farebbero comodo un paio di Maestri in più» disse titubante.
   La ragazza si voltò e la guardò senza capire.
   «Tu... tu e Claudio verreste con me? Alla Valle?» chiese lentamente.
   La donna sembrò a disagio.
   «Sì, lo so, è un’idea stupida e tu non hai tempo da perdere con noi... però sai, era solo un’idea, se non vuoi non fa niente...».
   «Non voglio?» ripeté Sofia, sempre più incredula. «Sarebbe la cosa più bella del mondo!» gridò, saltando in braccio a Cornelia e abbracciandola con tutta la forza che aveva.
   Claudio, sentendo gridare, entrò nella stanza.
   «Che succede?» chiese placido.
   Le due donne lo guardarono.
   «Sofi deve tornare dai suoi amici. Le ho detto che potremmo andare con lei e aiutarla, insieme agli altri Maestri, ad addestrare tutti quei Portatori» disse Cornelia.
   «Mi sembra un’ottima idea» replicò suo fratello, uscendo dalla stanza. «Vado a prepararmi».
   «Per cosa?».
   «Per il viaggio ovviamente!».
   La porta si chiuse alle spalle dell’uomo.
   Zia e nipote si fissarono stupite.
   «Se non lo conoscessi, direi che stava origliando la nostra conversazione» disse Cornelia ridendo. Quando tornò seria osservò attentamente Sofia.
   «Spiegami meglio questo tuo rapporto con Giovanni» le chiese.  La ragazza s’infilò le mani tra i capelli ancora umidi.
   «Non credo sia possibile» rispose confusa. Cornelia la guardò, poco convinta. «Dico sul serio, zia. In dodici anni non sono mai riuscita a definire cosa ci spinge l’uno verso l’altro. Tutti pensano che sia amore, o qualcosa di simile»
   «E non lo è?» chiese la donna, con una vaghissima traccia d’ilarità nella voce. «Non ci sarebbe nulla di cui vergognarsi... non scegliamo noi, di chi innamorarci»
   «Lo so. Ma non è amore... anche se in qualcosa gli somiglia. È più come... una necessità».
   «Una necessità?» ripeté Cornelia. Quella non era certo la definizione che si aspettava. Sofia annuì.
   «Non c’è mai stato amore nel senso classico del termine, tra me e lui: abbiamo convissuto pacificamente, ci siamo scontrati, ci siamo quasi uccisi a vicenda. Qualunque sentimento io provi verso Giovanni, il Fuoco che è dentro di me lo chiama, sempre, in ogni istante. L’ho detestato, odiato, ma il Fuoco continuava a chiamarlo: anche ora che sono scappata, continuo a sentire il bisogno di averlo accanto. E quando lui è vicino, tutto è più intenso: non per un’emozione, ma fisicamente. Il mio Elemento si scatena, quando c’è lui, diventa più potente. C’è stato anche dell’affetto, è vero, ma anche quello è scaturito dal bisogno che abbiamo l’uno dell’altra, da quel richiamo che non cessa e non mi dà tregua. E a Giovanni capita la stessa cosa. Per questo mi ha rapita, dodici anni fa; temeva che, se avesse spiegato come stavano le cose, avrebbero frainteso e non l’avrebbero più lasciato avvicinarsi a me».
   «Hai detto che il tuo Elemento lo chiama» notò Cornelia. Sofia annuì di nuovo.
   «Non ho mai incontrato nessun altro che abbia provato una cosa simile, quindi non posso esserne certa, ma credo ci sia un rapporto di dominanza tra i due Elementi. Il mio Elemento sovrasta il suo; per questo io reagisco meglio al distacco. Giovanni, invece, se non sta attento e non si allena ogni giorno, rischia di spegnersi».
   «Ne parli come se una simile eventualità potesse portarlo alla morte».
   «Perché è così. Certo sai meglio di me che in un Portatore l’Elemento è parte della sua linfa vitale. Ho trovato racconti, in alcuni vecchi testi, di Portatori che per un motivo o per l’altro hanno lasciato morire il proprio Elemento. Una volta che il potere svaniva definitivamente, i Portatori non sopravvivevano a lungo. Pochi mesi, a volte un anno».
   Cornelia la guardò stupita. Sofia sembrava essere a conoscenza dei più oscuri segreti sui Portatori.
   In quel momento, Claudio entrò di nuovo nella stanza.
   «Allora, Cornelia? Hai intenzione di prepararti o no?» disse.
   «Non avete bisogno di molto, alla Valle riusciamo a procurarci tutto quello di cui abbiamo bisogno, inclusi i vestiti» spiegò Sofia con un sorriso. «Personalmente vi consiglio di prendere le cose a cui siete più affezionati». Poi guardò l’orologio. «Già le sei?» esclamò sorpresa. Non si era resa conto dello scorrere del tempo. «Claudio ha ragione, è meglio muoverci in fretta... credete di poter essere pronti tra un’ora?» chiese.
   «Ma certo» rispose Cornelia, accarezzandole una guancia. «Tu riposa un po’ mentre ci aspetti... più tardi ti porto i vestiti» aggiunse, uscendo dalla stanza insieme a suo fratello.
   Finalmente rilassata, Sofia si distese sul letto. Poco dopo, si addormentò.

*

«Non si è mossa» disse Blaze, lanciando un’occhiata verso la finestra.
   Lui e gli altri Maestri erano lì ormai da ore. Soltanto Gregory si era allontanato, circa due ore prima, non sopportando gli sguardi torvi che gli rivolgevano gli altri, ma non era stato via più di dieci minuti.
   «Ormai è calma da un’ora e mezza» considerò Laurence parlando della Fenice che, dopo essersi agitata per più di mezz’ora, si era improvvisamente tranquillizzata. Al momento sonnecchiava placida appollaiata su un ramo, con la testa nascosta sotto l’ala.
   «Quindi Sofia sta bene» disse Costa, sollevato.
   «Oppure è morta» puntualizzò André brutale. «Altrimenti perché non avrebbe richiamato Nabeela per tornare qui?».
   «Magari è ancora arrabbiata» disse Viola. Persino la sua gemella la guardò scettica.
   «Stare allo scoperto così a lungo, anche trattenendo l’Aura, è troppo pericoloso. Anche se fosse ancora arrabbiata non sarebbe così imprudente da rischiare tanto» spiegò Laurence alla donna.
   «Potrebbe non essere mai uscita dalla Valle» disse Friedrich, pur sapendo che nessuno sarebbe stato d’accordo con lui.
   «D’accordo, ora basta. Dobbiamo andare a cercarla» decise Blaze alzandosi in piedi.
   André sospirò. «Blaze, smetti di fare lo stupido. Non abbiamo la minima idea di dove sia. Non c’è modo di trovarla, devi accettarlo».
   «Non capisco come puoi star qui, tranquillo, senza fare nulla. Potrebbe essere in pericolo, avere bisogno di noi!» rispose arrabbiato.
   «Io sono preoccupato!» esplose André. «Ma non posso aiutarla in nessun modo, e neanche tu!».
   In quel momento, dei colpi risuonarono alla porta. Poi Emma entrò nella stanza, seguita da Fernando e Ailie. Tutti e tre si guardarono intorno per qualche istante, prima che sul volto della prima si dipingesse un’espressione dispiaciuta.
   «Non è ancora tornata?» chiese a Gregory.
   «Chi?» replicò lui.
   «Ma... Sofia» rispose Emma, come se fosse ovvio.
   «Perché ci chiedi se è tornata? Dove mai dovrebbe essere andata?» disse Friedrich. Tutti i Maestri, infatti, si erano trovati d’accordo sul nascondere il più a lungo possibile la sparizione di Sofia.
   «Dov’è andata non lo so, ma di certo non è alla Valle» rispose la ragazzina con sicurezza.
   «Scusa Emma ma... come puoi sapere una cosa del genere?» le domandò Gregory, gettando alle ortiche ogni cautela.
   «Be’... ho percepito la sua Aura, è ovvio. Era troppo lontana perché si trovasse alla Valle» disse confusa.
   Gli otto Maestri la fissarono sconcertati. Nessuno, infatti, riusciva a percepire le Aure che si trovavano al di fuori della Valle; questo perché le barriere protettive che erano state poste intorno a quel luogo funzionavano anche da scudo tra le Aure di chi si trovava all’interno e quelle dei Portatori all’esterno.
   «Sei assolutamente certa che fosse l’Aura di Sofia?» chiese Blaze eccitato.
   Emma lo guardò male. «Che domande fai? Non padroneggerò un Elemento, ma almeno le Aure le so percepire! E poi, conosco troppo bene quella di Sofia».
   In un attimo le furono tutti addosso.
   «La senti anche ora?» le domandò André. Lei fece cenno di no la testa.
   «L’ho sentita un’ora e mezza fa per l’ultima volta».
   «E qual era il suo stato d’animo?» incalzò Gregory.
   «È stato strano» disse Emma, perplessa. «Prima era furiosa, ho avuto l’impressione che tentasse di controllare l’Aura ma non ci riuscisse... poi si è calmata» ricordò la ragazza «ma a quel punto non ha neanche cercato di reprimere l’Aura... era intensa ma molto tranquilla, quasi neutra, se parliamo di emozioni. Almeno, questo è quello che sono riuscita a percepire... c’erano come delle interferenze, sembrava che qualcosa bloccasse sia la mia Aura che la sua e la sentivo a stento. Poi all’improvviso... circa due ore fa... ha espanso l’Aura al massimo. Me lo ricordo bene perché la percepivo perfettamente, come se nulla si frapponesse più tra le nostre Aure».
   «Ha espanso l’Aura? Ma perché?» chiese Gloria a Laurence. Emma la sentì.
   «Non credo potesse fare altrimenti, visto che la stavano attaccando» spiegò.
   Gli altri la guardarono sconvolti, compresi Ailie e Fernando. Emma se li era tirati dietro, mentre cercava Sofia, senza riferire loro i dettagli di quello che aveva percepito.
   «Be’, non fate quelle facce!» esclamò scuotendo la testa. «Lo scontro è andato avanti per una mezz’ora, poi Sofia li ha sopraffatti».
   «Li? Ma quanti erano?» chiese André preoccupato.
   «Oh, solo due. Un Portatore dell’Aria e uno della Terra» rispose con noncuranza la ragazzina. Aveva la massima stima nelle capacità di Sofia e non aveva temuto neanche per un istante, mentre sentiva i tre poteri scontrarsi, che la ragazza potesse essere sconfitta.
   «Dici che Sofia ha vinto lo scontro... e poi la sua Aura è svanita?» disse Costa.
   Emma annuì. «Più o meno. L’ho percepita ancora per un minuto, prima che la reprimesse. L’Aura era sempre intensa – e anche quelle dei suoi aggressori – però non erano più ostili... sembravano felici» rispose, di nuovo confusa.
   «Felici? Tutti e tre?». Come gli altri, Viola sembrava non credere alle sue orecchie.
   Emma annuì di nuovo.
   «Be’, almeno sappiamo che non è morta» disse André a Blaze e Laurence, sottovoce.
   «A questo punto, proprio non abbiamo alternative: possiamo solo aspettare» notò Gregory con una punta di sconforto.
   Non dovettero attendere a lungo. Solo mezz’ora dopo, Nabeela intonò un tremulo canto e si dissolse nel solito sbuffo di fuoco.
   «Avete visto? Nabeela se n’è andata!».
   Tutti si precipitarono alle finestre, seguendo Andrè; i minuti scorrevano lenti, come se un folletto dispettoso avesse stregato le lancette degli orologi, che venivano consultati di continuo tra sbuffi d’impazienza e di preoccupazione. Alla fine...
   «Una fiamma!» gridò Ailie.
   Aveva ragione: a pochi metri da dove si trovavano, una fiamma divampò accecante. Un istante dopo, aggrappate alla coda della bella Fenice, apparvero tre persone.
   «Sofia!». Gridando come un pazzo, Blaze scavalcò la finestra e corse incontro ai nuovi arrivati, seguito da André. Gli altri preferirono passare per la porta.
   Arrivato di fronte a Sofia, il giovane americano la prese tra le braccia e iniziò a girare su se stesso, facendole sventolare i capelli come una bandiera al vento.
   Quando si fermò, i capelli della ragazza erano completamente arruffati.
   «Blaze, accidenti a te... guarda che hai combinato!» si lamentò lei.
   «Pensi troppo ai tuoi capelli» fu la risposta.
   «Ah sì?» chiese Sofia con un ghigno malefico. Un istante dopo saltò addosso al ragazzo e gli affondò le mani nei capelli neri. In meno di cinque secondi, Blaze se li ritrovò tanto scompigliati da far pensare che avesse infilato la testa in un tornado.
   Mentre Blaze si tastava la testa con un’esagerata smorfia di orrore, André abbracciò Sofia.
   «Smetterai mai di sparire così?» le bisbigliò.
   «Certo. Quando saprò che non proverai più a fermarmi» rispose lei sorridendo e notando gli altri avvicinarsi.
   Quando furono tutti arrivati, Sofia si sciolse dall’abbraccio e si preparò a fare le presentazioni. Un’esclamazione sorpresa, però, la anticipò.
   «Claudio?».
   «Gregory!» rispose l’uomo, facendosi avanti e abbracciandolo.
   «Forse qualcuno deve darci delle spiegazioni» disse Laurence a una sconcertata Sofia.

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Capitolo 12
*** Un fragile equilibrio ***


«Ma che piacere rivederti!».
   Mentre Claudio e Gregory si salutavano calorosamente, Sofia si voltò verso Cornelia.
   «Vi conoscete?» chiese allibita.
   La donna fece un rigido cenno di assenso. Teneva le labbra strette in una linea dura e, contrariamente al fratello, non sembrava affatto contenta di quell’incontro.
   Quando Gregory si accorse della sua presenza avanzò verso di lei con un bel sorriso.
   «Cornelia, ci sei anche tu!» disse con gioia. Lei non ricambiò il saluto.
   «Cornelia ma... cosa c’è che non va?» le chiese Claudio, stupito dal suo comportamento freddo. Cornelia era sempre andata molto d’accordo con Gregory.
   «Davvero non l’hai ancora capito?» rispose la donna con rabbia. Lui scosse la testa mentre Gregory, Sofia e gli altri li fissavano, sulle spine.
   «È lui il Maestro di cui ci ha parlato Sofia. Quello con cui ha litigato perché aveva parlato con Giovanni e stava pensando di aiutarlo!» esplose Cornelia.
   «Che cosa hai fatto?» ruggì Blaze. Fece per attaccare Gregory ma Sofia e Laurence lo fermarono.
   «Lascia stare» lo blandì la prima. «Se desidera andarsene può farlo, lo sa già. Ma se va via, se va via per schierarsi contro di noi con i Portatori del Centro, allora riceverà lo stesso trattamento che riserveremo a loro».
   «È una dichiarazione di guerra, Sofia?» le chiese Gregory, calmo.
   «No. Ti sto semplicemente dicendo come stanno le cose, Gregory. Devi decidere da che parte stare» ribatté lei con determinazione.
   Claudio lì guardò entrambi, a disagio. La sua figlioccia parve comprendere il dilemma che lo attanagliava.
   «Sta’ tranquillo Claudio, non devi scegliere tra comportarti da padrino amorevole o da amico leale. Puoi fare entrambe le cose» gli disse con dolcezza.
   «Padrino? Ho sentito bene?» bisbigliò Costa a Friedrich.
   «Sì Costa, hai sentito benissimo» esclamò Sofia, che aveva distinto ciò che l’uomo aveva detto, anche se in un sussurro. «Sono felice di presentarvi Claudio, il mio padrino, e sua sorella Cornelia, la mia adorata zia» spiegò con un gran sorriso. «A proposito, ora potete rilasciare le Aure» sussurrò ai due.
  Non appena lasciarono nuovamente espandere le proprie Aure, Emma saltò su come colpita da una scarica elettrica.
   «Sono proprio loro! Sono i due Portatori che prima l’hanno aggredita!» disse eccitata.
   «E tu come sai che mi hanno attaccata?» le domandò Sofia sorpresa.
   «Oh, li ho percepiti... in realtà avevo percepito anche te, specialmente mentre lottavate» disse con noncuranza la ragazzina.
   Gli occhi di Sofia si dilatarono.
   «Emma, ti rendi conto di quello che stai dicendo? Nessuno riesce a percepire le Aure che si trovano all’esterno della Valle!» esclamò sconcertata.
   «Davvero? E perché no?» domandò Emma, stupita a sua volta.
   «Be’, perché le protezioni che abbiamo imposto intorno alla Valle funzionano anche da scudo per le Aure! Impediscono a chi è all’esterno di percepirci, ma per contro impediscono anche a noi di percepire i Portatori che sono oltre i confini!» le spiegò.
   Si voltò verso gli altri Maestri.
   «Voi lo sapevate?» chiese, indicando Emma.
   «Ce l’ha detto poco fa» disse Laurence. «Neanche noi potevamo crederci».
   «Un’Aura Sensibile, eh?» esclamò Claudio avvicinandosi alla ragazzina e osservandola attentamente. «Mi ricorda un po’ te» disse a Sofia. «Anche tu eri incredibilmente dotata, per la tua età. Solo, non avevi ancora scoperto di essere una Portatrice, l’ultima volta che ci siamo visti».
   «Direi molto più dotata di quanto fossi io alla sua età, se è riuscita a percepire le nostre Aure mentre eravamo al di fuori della Valle, e anche piuttosto lontani» notò la sua figlioccia.
   Gregory si avvicinò a Sofia. Blaze emise un ringhio sordo e, in generale, tutti i Maestri – insieme a Cornelia – si misero sulla difensiva. La ragazza li riprese con un cenno del capo, mentre Laurence e Claudio cercavano di restare neutrali.
   «Visto il talento di Emma nel percepire le Aure, magari potrebbe aiutarci a capire chi si avvicina ai confini» bisbigliò Gregory.
   «Non mi va di esporla così tanto» replicò Sofia con sguardo duro.
   «Non dire sciocchezze. Il suo potere si è rivelato solo qui, nessuno può riconoscere la sua Aura per il semplice fatto che, al di fuori della Valle, nessuno l’ha mai percepita» disse Gregory irritato.
   «Allora va bene, ci faremo aiutare da lei. Ma se quella persona la percepisse a sua volta, capirebbe che teniamo d’occhio i confini... e potrebbe prendersela con Emma» fu la risposta.
   L’uomo tirò un sospiro di sollievo. Aveva temuto che la loro recentissima lite avrebbe influito sul loro lavoro in comune.
   «Emma, andiamo. Dobbiamo recuperare tutte le ore in cui non ci siamo allenati... faremo una breve pausa per la cena, più tardi» disse Gregory avviandosi verso il prato su cui era solito addestrare la ragazzina.
   «No».
   Quel semplice monosillabo lasciò tutti di stucco. Gregory si voltò verso Emma.
   «Cosa hai detto?».
   «Ho detto di no» ripeté la ragazzina senza alcun timore.
   L’uomo le si avvicinò con fare lievemente minaccioso, ma Emma non si scompose.
   «E perché avresti detto di no?» le domandò con voce fin troppo calma.
   «Hai parlato con Giovanni».
   «E allora?». Gregory sembrava spazientito.
   «Io sono rimasta al Centro per meno di quarantotto ore, ma Giovanni l’ho visto. È stato lui a cercare di tirar fuori il mio potere, e se c’è una cosa che non posso dimenticare è quanto sia crudele e insensibile. E se tu vuoi aiutarlo a trovarci e a riportarci indietro, dopo tutto quello che Sofia, e Blaze, e Laurence e André hanno fatto per portarci via, allora non voglio più avere nulla a che fare con te. Potrà addestrarmi benissimo qualcun altro» disse la ragazzina, voltandosi istintivamente verso Cornelia che nei riguardi Gregory provava, in quel momento, il suo stesso disgusto.
   La donna protese subito una mano verso la ragazzina, sorridendo.
   «Sarei onorata di poter insegnare qualcosa a una ragazza tanto dotata e di buonsenso».
   La piccola coalizione che si era appena formata contro di lui lasciò Gregory senza parole.
   «È la mia allieva! Non può trattarmi così. Fa’ qualcosa!» proruppe rivolto a Sofia, che scrollò le spalle.
   «Io posso convincerla a continuare con te il suo addestramento, ma non posso fare in modo che torni a rispettarti, Gregory. Credi di poter insegnare a qualcuno che non nutre la minima stima nei tuoi confronti?».
   «Non m’interessa se mi rispetta o no. È una mia allieva, e voglio essere io a portare avanti il suo addestramento!» esplose l’uomo.
   Sofia si rivolse a Emma.
   «Emma, neanche io sono contenta di quello che Gregory ha fatto, ma come Portatrice e sua ex allieva sarei un’ipocrita e una bugiarda se dicessi che la tua è una decisione saggia. Al di là dei suoi errori e delle sue scelte, Gregory resta comunque uno dei Portatori più dotati che io abbia mai visto, se non il più dotato. La decisione è solo tua, ma personalmente ti consiglio di continuare il tuo addestramento con lui. Ovviamente, se lo desideri, niente ti impedisce di riservare parte del tuo tempo per poi utilizzarlo per esercitarti con altri Maestri».
   La ragazzina ci pensò su per qualche istante, poi si avviò verso il prato che si trovava di fronte all’Ala Est.
   «Allora, ti muovi? Se dobbiamo recuperare il tempo perso, è meglio iniziare subito!» gridò al suo insegnante senza neanche voltarsi.
   Gregory guardò gli altri, sconcertato dal comportamento autoritario di Emma.
   «Be’, non era quello che volevi, Gregory? Ora va’» gli disse Sofia con un ghigno.
   L’uomo si affrettò dietro la ragazzina e Blaze guardò l’orologio.
   «Andiamo a recuperare gli altri» disse agli altri Maestri, che annuirono e si sparpagliarono.
   Laurence rimase indietro.
   «Cornelia, Claudio... se volete venire con me, potrete decidere in quali stanze sistemarvi e riposare un po’ prima di cena».
   I due annuirono entusiasti e lo seguirono, dopo aver rivolto un sorriso ad Sofia.
   Lei guardò i tre allontanarsi e poi si lanciò all’inseguimento di André. Lo trovò poco lontano e lo bloccò.
   «André...» esordì un po’ incerta.
   «Sofi dimmi. Cosa c’è?».
   «C’è una cosa che volevo chiederti da alcuni giorni... ho notato che tu ed Elizabeth vi siete allontanati» disse, sempre incerta.
   Il ragazzo scrollò le spalle.
   «Io e Liz abbiamo litigato, il giorno del Solstizio. Mi rimprovera di non occuparmi esclusivamente di lei e crede sia stato io, a dire a Gregory di non addestrarla» disse mesto.
   Sofia lo prese sottobraccio, ricominciando a camminare.
   «Magari era solo arrabbiata... con tutto quello che abbiamo dovuto organizzare negli ultimi tempi l’avrai un po’ trascurata, e lei non può saperne il motivo» disse, cercando di rincuorarlo.
   Lui scrollò di nuovo le spalle. Dal giorno del Solstizio Elizabeth l’aveva evitato e gli aveva rivolto la parola solo se costretta. Ogni volta che lo ignorava, André sentiva il proprio cuore stringersi.
   «Senti André, so che non sono affari miei, però è evidente che questa situazione ti fa stare male. Forse faresti meglio a parlarle e a chiederle scusa...» riprese Sofia. Lui la interruppe.
   «Ah, dovrei anche chiederle scusa?» esclamò incredulo.
   «Se ci tieni a lei, sì. Tra voi ci sono state solo alcune sciocche incomprensioni, e in questo caso farsi dominare dall’orgoglio non serve a niente. Fate pace e torna a sorridere» concluse la ragazza, stringendogli delicatamente il braccio.
   André ricambiò la stretta.
   «Forse hai ragione... vado a cercarla subito, scusami» disse, baciandola sulla guancia e allontanandosi spedito.

*

Come aveva previsto, la ragazza si trovava a uno dei laghi più lontani.
   «Liz!» chiamò con voce sonora. Lei si voltò.
   «Ah, sei tu» disse con indifferenza, tornando a dargli le spalle e sollevando un’onda nel lago.
   André le si avvicinò.
   «Liz andiamo, smettila di fare così... non mi piace questa situazione, lo sai quanto tengo a te...» disse, cingendole la vita. Elizabeth si scostò.
   «No, non lo so» esclamò, sempre senza degnarlo di uno sguardo. «Cosa sei venuto a fare qui? Mi sto allenando, lasciami in pace».
   «Senti Elizabeth, tu hai un brutto carattere, ma a me piaci così» replicò André, afferrandola di nuovo e abbracciandola. «Quindi smetti di tenermi il broncio».
   La ragazza non rispose. Continuò a evocare onde che si rincorrevano sulla superficie liscia del lago, facendole accavallare e inabissarsi per poi riformarsi.
   «So che ti ho trascurata, nelle ultime settimane» riprese André «e ti prometto che non succederà più. E poi potremmo trovare un po’ di tempo per allenarci insieme» la tentò.
   Finalmente Elizabeth si voltò a guardarlo.
   «Parli sul serio?» chiese dubbiosa. Il ragazzo annuì con aria solenne, e finalmente lei lo abbracciò.
   André la baciò dolcemente. Le era mancato averla vicina e poterla stringere; era mancato a lui e all’Acqua che aveva dentro e che in parte si risvegliava, quando aveva Elizabeth accanto. In qualche modo, in qualche parte dentro di lui iniziava a capire – seppur vagamente – cosa provava Giovanni quando Sofia gli era accanto, e perché aveva cercato così disperatamente di tenerla sempre legata a sé.
   «Si sta facendo tardi. Non dovremmo tornare dagli altri?» domandò Elizabeth.
   «C’è ancora tempo» bisbigliò lui, trascinandola sull’erba accanto a sé.

*

«Ma André dov’è finito?» disse Gloria guardandosi attorno.
   Ormai erano tutti riuniti nella mensa. Come ogni sera, le chiacchiere e il tintinnio delle posate erano inframmezzati dagli esperimenti – più o meno riusciti – degli allievi.
   Sofia bloccò Marcos un istante prima che evocasse un getto di Fuoco con cui far evaporare l’acqua dal suo bicchiere.
   «Non pensarci neanche» gli intimò con aria truce. Il ragazzo si fermò di fronte allo sguardo della sua insegnante.
   Dopo aver osservato la scena divertito, Blaze rispose a Gloria. «Non ne ho idea. Sofi, tu sai dov’è finito André?» chiese quando Sofia tornò a sedersi.
   Lei annuì. «Eccolo lì» disse, facendo un cenno con la testa verso la porta della sala.
   Infatti André stava entrando proprio in quel momento, tenendo per mano Elizabeth. Blaze ridacchiò e gli rivolse un vistoso cenno di trionfo, facendolo diventare scarlatto. Sofia diede un piccolo schiaffo dietro la nuca dell’americano.
   «E finiscila Blaze! Non lo mettere in imbarazzo» lo rimbrottò prima di fare l’occhiolino ad André, che le rivolse un gran sorriso.
   I due continuarono ad azzuffarsi mentre Elizabeth raggiungeva il posto che di solito occupava insieme a Emma e André si sedeva tra Laurence e Sofia.
   Appena tornò la calma, il francese schioccò un bacio sulla guancia della sua amica.
   «Non mi sembra un mossa saggia... Liz potrebbe ingelosirsi!» disse lei con un risolino.
   «Oh, sa bene che io e te siamo solo ottimi amici» rispose il ragazzo, tranquillo.
   «Meglio così. Ehi, guardate un po’ chi c’è» sussurrò Sofia, dando una gomitata a Blaze e facendo cenno agli altri.
   Emma e Gregory, interrotto l’allenamento, si erano uniti agli altri per la cena. La ragazzina entrò con aria imperturbabile e andò a sedersi insieme a Elizabeth, Ailie e Fernando; Gregory, invece, si trascinò nella sala con aria torva e occupò il suo solito posto insieme agli altri otto Maestri e, ora, Claudio e Cornelia. Sofia scoppiò a ridere.
   «Se quando l’ho vista per la prima volta mi avessero detto che Emma sarebbe diventata tanto forte e decisa in così poco tempo, non ci avrei mai creduto!» disse soddisfatta.
   Gregory le rivolse uno sguardo burrascoso.
   «Quella ragazzina non mi rispetta» bofonchiò.
   «Io ti avevo avvertito» gli ricordò Sofia sardonica. «Hai detto che non ti interessa avere il suo rispetto, quindi ora è un problema solo tuo».
   Di malumore, l’uomo infilzò una patata arrosto e se la portò alla bocca, mentre i Maestri intorno a lui lo osservavano con sospetto e astio. Alla fine, Gregory esplose.
   «Volete continuare a fissarmi ancora a lungo?» sbottò, prima di rivolgersi a Sofia. «Di’ loro qualcosa!».
   «Hai deciso da che parte stare? Se vuoi restare o andartene?» gli chiese invece lei.
   «No, ancora no» rispose l’uomo, spiazzato.
   «Allora non posso aiutarti. Così come non posso costringere Emma a rispettarti, non ho il potere di far sì che loro si fidino ancora di te» disse Sofia con indifferenza.
   Alla risposta della ragazza, Gregory lanciò la forchetta sul tavolo e se ne andò.
   «Non ti pare di essere stata un po’ troppo dura?» disse Claudio. Lei lo fissò con espressione neutra.
   «Direi proprio di no. Anche se è un tuo amico ha tradito la fiducia di tutti qui, la mia per prima. Finché non deciderà da che parte stare, non posso dargli appoggio in alcun modo. Soprattutto, non posso più parlare con lui come ho fatto fino a ieri. Non posso dare informazioni a chi da un momento all’altro potrebbe decidere di schierarsi dalla parte dei nostri nemici e raccontare tutto quello che sa» rispose Sofia con voce piatta.
   «Ha ragione Sofi. Allo stato attuale, non possiamo fidarci di Gregory» rincarò la dose Cornelia. Tutti i Maestri, a esclusione di Laurence e Claudio, annuirono con decisione alle sue parole. André guardò l’alto nero.
   «Laurence, tu continui a non condannare quello che ha fatto Gregory» notò.
   L’uomo non se la prese per l’affermazione del giovane biondo, che era stata fatta senza ombra di biasimo.
   «No André, non lo condanno. Non ha detto nulla di compromettente e, in generale, mi sembra che non abbia ancora cambiato la propria fedeltà. Tutti possiamo avere dei dubbi e non possiamo condannarlo per questo» disse.
   «Ma Gregory sa bene quello che ha fatto Giovanni a Sofia» sottolineò Blaze.
   «Perché, cos’ha fatto Giovanni a Sofia?» chiese Viola. Nessuno le rispose; i tre migliori amici di Sofia continuarono a fissarsi.
   «Probabilmente Gregory conosce Giovanni molto più di noi. Se ha anche solo pensato di poterlo aiutare, evidentemente sa che non le farebbe mai più del male» disse Laurence.
   «Nello stesso modo in cui non ha provato a farle del male il giorno in cui siamo fuggiti, quando l’ha quasi soffocata?» esclamò André sardonico. «Mi dispiace Laurence, ma sono d’accordo con Blaze. Gregory non avrebbe neanche dovuto pensare di passare dalla parte di Giovanni».
   Claudio decise d’intervenire.
   «Voi sottovalutate Gregory. Io lo conosco da trent’anni ed è sempre stato, oltre che un Portatore di immenso talento, un uomo incredibilmente intelligente e un grande osservatore. Non voglio giustificare quello che ha fatto...»
   «E ci mancherebbe altro» borbottò Cornelia.
   «...ma se ha anche solo preso in considerazione la possibilità di aiutare Giovanni a riunirsi a Sofia, è ovvio che sa qualcosa che noi non sappiamo e che depone in favore di Giovanni, e devo ammettere questo anche se non mi piace affatto l’idea che la mia figlioccia torni da quell’individuo» concluse con forza.
   «È inutile. Non sarete mai d’accordo su come comportarvi con Gregory» disse Sofia, scuotendo la testa e mettendo fine alla discussione.

*

«Sofi! Come mai non sei tornata per il pranzo?»
   «Non avevo fame».
  Senza parlare, André osservò il Fuoco che la ragazza aveva evocato posarsi delicatamente su un candido fiore della magnolia che avevano di fronte, adagiandosi sui petali come un velo e aderendo a ogni centimetro. Il profumo che il fiore spandeva nell’aria si intensificò.
   «Hai parlato con Gregory?» le domandò titubante. Lei emise un grugnito.
   «Scusa Sofi, ma io il linguaggio degli orsi proprio non lo capisco» scherzò André, tentando di alleggerire l’atmosfera. Funzionò; trattenendo un sorriso, Sofia fece svanire il Fuoco dai petali delicati e sedé a terra, invitando André ad accomodarsi di fronte a lei.
   «Ci ho parlato, sì» esclamò la ragazza, incrociando le gambe nella posizione del loto.
   «E ha deciso cosa fare?».
   «Pare di no. Dice che è indeciso e che ha bisogno di pensarci... in ogni caso, ho istruito l’intera colonia di Fenici a non trasportarlo se è da solo e a non trasmettere messaggi a meno che non sia io a consegnarglieli» rivelò Sofia.
   «Brava!» approvò André. «Credi che avrà bisogno di pensarci ancora a lungo?».
   «Non ne ho idea» sospirò la ragazza. Era passata già una settimana dal suo scontro con Gregory e quel clima di costante incertezza stava minando anche il suo autocontrollo.
   «Be’, speriamo che si decida in fretta» concluse André alzandosi.
   «Dove vai?».
   «Ho promesso a Liz che avrei trovato almeno due ore al giorno per allenarci da soli».
   Sofia alzò gli occhi al cielo.
   «Ne sei proprio innamorato, eh?» gli chiese.
   «Come un pazzo» rispose lui annuendo, con un sorriso, mentre si allontanava.
   «Fai in modo che l’amore non soffochi il buonsenso!» gridò la ragazza. André fece un cenno con la mano per farle capire che l’aveva sentita e sparì rapidamente alla vista.
   Appena rimasta sola, Sofia si alzò a sua volta e si avviò spedita nella direzione opposta a quella presa da André; superò alcune colline, fermandosi a parlare con Cornelia e Claudio, che approfittavano della pausa pomeridiana per addestrare due diversi gruppi di Portatori; superò il fiume, che si stendeva come un bel nastro argenteo tra prati e colline, saltando sulle pietre che spuntavano dalle acque, e continuò a camminare fino a giungere all’inizio di una pianura sconfinata. Si immerse nell’erba alta, affondandovi fino al ginocchio e facendosi strada con decisione verso l’unico albero che spezzava la lineare perfezione di quel luogo.
   Arrivata sotto le folte fronde dell’ippocastano poggiò la fronte contro il tronco, mentre la corteccia ruvida le grattava la pelle delicata del viso. Sospirando tentò di fare il punto della situazione – dall’incertezza che derivava dalla mancata scelta di Gregory, che si stava riversando come un veleno su tutti gli abitanti della Valle, al rapporto tra André ed Elizabeth che, nonostante l’armonia finalmente raggiunta, continuava a mostrare dei caratteri ambigui, passando per la stranezza d’essere finita, la settimana precedente, proprio nel luogo dove si trovavano sua zia e il suo padrino, che si erano rivelati Maestri di grande potenza mentre lei non aveva mai neanche sospettato che potessero essere dei Portatori di Elementi e per di più conoscere Gregory – restando in quella posizione per diversi minuti. Lasciò espandere liberamente la propria Aura, nel tentativo di calmarsi e concentrarsi su quella serie di circostanze e strane coincidenze, cercando il dettaglio fondamentale che le sfuggiva, tentando di focalizzare il punto in cui tutte quelle vicende si univano per portare a un’unica conclusione, quando la sentì. Quell’Aura, che ormai non percepiva da tempo, ora la circondava come se il suo Portatore fosse lì accanto a lei, al posto dell’ippocastano su cui si era abbandonata.
   Come colpita da una scarica elettrica, Sofia balzò indietro, interrompendo il contatto fisico con l’albero e reprimendo in sé tutta la propria Aura, come se temesse che chi emanava l’altra Aura potesse percepirla come aveva appena fatto lei.
   Dopo un istante di esitazione, una possibile spiegazione le si affacciò alla mente. Allora Sofia si voltò e corse via più veloce che poteva, senza mai guardarsi indietro.

*

Giovanni fissò l’albero senza capire.
   Come ogni giorno era seduto sotto l’ippocastano suo e di Sofia, con la schiena poggiata contro il tronco, pensando a quanto tempo ancora sarebbe dovuto passare prima di poterla ritrovare, quando una strana sensazione l’aveva attraversato. Si era sentito come colpito da una scarica elettrica e per un istante, un istante di pura follia, era stato certo di aver percepito l’Aura di Sofia: come se ciò a cui era appoggiato non fosse il tronco di un albero, ma la schiena della ragazza che da tredici anni era diventata il centro del suo universo.
   Era immediatamente scattato in piedi e, superato il primo momento di stupore, si era reso conto di aver davvero percepito l’Aura della giovane, che però era già svanita nel nulla.
   Seguendo un primo istinto si lanciò nel folto degli alberi, sforzandosi di ascoltare ogni minimo suono nella speranza di riconoscere un rumore di passi; espanse la propria Aura, cercando disperatamente di percepire di nuovo Sofia. Dopo aver assecondato per alcuni minuti una speranza tanto vana, capì di essersi sbagliato. Di pessimo umore fece ritorno al Centro, evitando i Portatori che si allenavano e gli rivolgevano domande.
   Con rabbia entrò nell’edificio e si precipitò nella stanza di Sofia: non vi si era più recato da quando la ragazza era sparita.
   Aprì con violenza i cassetti, affondando le mani negli abiti. Afferrò un morbido maglione nero e se lo premette contro il volto, respirandone l’odore come se potesse restituirgli la calma, riflettendo su quanto era appena accaduto. Alcuni minuti dopo, sempre furioso, scagliò l’indumento sul letto e si diresse verso la grande sala semicircolare dell’Ala Sud.
   Quando gli altri tre Maestri lo videro arrivare restarono senza parole. Nell’arco di un’ora, il Giovanni equilibrato e imperturbabile che avevano ritrovato nelle ultime settimane aveva nuovamente lasciato il posto all’uomo irascibile e fuori controllo con cui avevano vissuto negli ultimi sei anni.
   «Giovanni cosa... cosa ti è successo?» gli chiese Jackson, allarmato e titubante.
   «L’ho percepita. Ho percepito l’Aura di Sofia!» ringhiò l’uomo in risposta.
   A quelle parole nessuno osò aggiungere nulla, neanche Prudencia. Il motivo del malumore di Giovanni non poteva essere che uno: aveva percepito Sofia, ma non l’aveva trovata.
   L’italiano, intanto, andava da una parte all’altra della stanza, senza riuscire a fermarsi; di tanto in tanto tirava un pugno all’aria, e contraeva le mani come se desiderasse fare a pezzi qualcosa.
   «Maledizione!» esplose all’improvviso. «Vorrei solo che Gregory non ci mettesse così tanto!».
   «Gregory? Chi è?» indagò subito Jackson.
   «Il Maestro di cui vi ho parlato qualche tempo fa... quello che stavo cercando per farci aiutare a trovare Sofia e gli altri» rispose Giovanni.
   «Ma... avevi detto di non riuscire a rintracciarlo!» strillò Prudencia, infiammandosi.
   «E invece l’ho trovato... anche se è stato un colpo di fortuna» replicò, lanciando una mezza occhiata a Jackson.
   «Ahhh... l’Aura che hai inseguito qualche giorno fa» disse Jackson, appoggiandosi con la schiena sul muro e affondando le mani nelle tasche.
   Tsukiko e Prudencia, intanto, guardavano alternativamente i due uomini, tentando di venire a capo di quello scambio di battute.
   «Aiutatemi a capire» esordì infine l’argentina, le sopracciglia contratte. «Giovanni, sei riuscito a trovare quel Maestro che dovrebbe aiutarci a scovare i fuggiaschi?».
   «Sì».
   «E ha accettato di collaborare con noi».
   «Sì è messo subito al lavoro» annuì l’uomo.
   «Quindi da un momento all’altro potrebbe tornare qui e condurci da loro». Sul volto della donna si aprì un sorriso carico di ferocia.
   Giovanni assentì di nuovo, soprappensiero. Poi sembrò ricordarsi di qualcosa.
   «Naturalmente, Prudencia, le circostanze attuali non cambiano ciò che ti ho detto tempo fa. Se non mi garantisci che non toccherai Sofia, dirò a Gregory che non abbiamo più bisogno del suo aiuto» disse, osservando con disgusto la smorfia feroce che alterava i tratti di Prudencia e che alle sue parole si accentuò.
   «Pensavo d’averti già detto che voglio ridurla in briciole. Come puoi credere che rinuncerò a vendicarmi di quella ragazzina insolente?» ringhiò.
   «Te lo dirò una volta sola, Prudencia: azzardati anche solo a tentare di colpire Sofia, e sarò io a ridurre in briciole te» l’avvertì Giovanni con pari aggressività.
   A quella minaccia la donna boccheggiò per un attimo, prima di scagliarsi contro l’italiano.
   Jackson e Tsukiko intervennero immediatamente, bloccandola prima che potesse attaccare Giovanni e dare inizio ad uno scontro che si sarebbe di certo rivelato molto duro.
   Recuperato un barlume di lucidità, nella mente di Prudencia, ancora immobilizzata dai Maestri della Terra e dell’Aria, balenò una diversa possibilità. Giovanni gli aveva intimato di non toccare Sofia: ma se fosse stata la ragazza, ad attaccarla per prima, allora lei sarebbe stata libera di fare quello che preferiva senza che Giovanni potesse obiettare in alcun modo.
   Trattenendo a stento un ghigno malvagio fece cenno a Tsukiko di essersi calmata e di poter essere liberata, mentre un piano sottilmente crudele prendeva forma nei suoi pensieri.
   «D’accordo Giovanni. Hai la mia parola: non toccherò la tua piccola, dolce Sofia» disse sarcastica. Gli altri tre Maestri la fissarono, sconcertati da quell’improvviso cambiamento.
   Giovanni la guardò sospettoso. «Dici sul serio?» chiese, non molto convinto.
   «Certo che sono seria».
   «E la vendetta cui tenevi tanto fino a un minuto fa?» insisté l’uomo.
   Prudencia scrollò le spalle.
   «Troverò un altro modo per avere soddisfazione. Magari la sfiderò, quando l’avremo riportata al Centro» disse con noncuranza.
   Non ancora del tutto persuaso, Giovanni continuò a fissarla. Fu Tsukiko a distoglierlo dai suoi pensieri.
   «Allora, Giovanni. Ora che avete risolto questa piccola questione... quanto dovremo ancora aspettare per avere una risposta dal tuo amico?» gli domandò.
   «Non ne ho idea» ammise l’italiano. «Ha detto che si sarebbe fatto vivo lui. Probabilmente una settimana non è abbastanza, per avere qualcosa di concreto da riferire».
   «E una volta che li avremo trovati, cosa faremo?» disse Jackson.
   «Li riportiamo qui, è ovvio» rispose Giovanni.
   «Ma come? Non credo che si lasceranno prendere senza opporre resistenza» controbatté l’americano.
   «Possiamo preparare una trappola» intervenne Tsukiko.
   «Credi davvero che si faranno ingannare tanto facilmente?». Giovanni era scettico. «In fin dei conti sono riusciti a sfuggirci sotto il naso».
   «È vero, ma stavolta siamo noi in vantaggio» precisò la donna. «Non si aspettano di essere trovati. Sarà facile farli cadere in un’imboscata».
   Prudencia s’intromise nel discorso.
   «State parlando come se fossero ancora tutti insieme» notò.
   Jackson e Tsukiko la guardarono confusi, poi si resero conto di essersi automaticamente conformati all’idea di Giovanni che i duecento Portatori fuggiti dal Centro fossero ancora riuniti in un unico gruppo.
   «In effetti è poco verosimile che non si siano divisi. Gli avvistamenti dimostrano chiaramente che si sono separati» disse Jackson.
   «L’unica cosa che gli avvistamenti dimostrano è che siete incredibilmente ottusi e che Sofia è molto più abile di voi. La mano dietro quei depistaggi è chiaramente la sua; dunque, sono ancora tutti insieme» rispose Giovanni senza mezzi termini.
   «Io proprio non capisco come puoi ostinarti a credere...» iniziò Tsukiko. Lui l’interruppe.
   «Io non mi ostino a crederlo; io so che le cose stanno in questo modo perché conosco Sofia. In ogni caso» riprese dopo un istante di silenzio «se proprio volete attirarli in una trappola, allora dovrà essere ben congegnata. Basterebbe un dettaglio apparentemente insignificante per mandare tutto all’aria».
   «Non c’è bisogno di nessuna trappola» intervenne Prudencia.
   «Ah no? Bene, se hai un’idea migliore ti prego, illuminaci» disse Jackson sarcastico.
   «La mia idea è molto migliore. Sarà sufficiente parlare con loro, per persuaderli a tornare».
   Giovanni scoppiò a ridere.
   «Nemmeno tu puoi essere tanto stupida. Nessuno di loro tornerebbe indietro!» disse sprezzante.
   «Hai ragione: non tornerebbero... a meno di non esercitare un po’ di pressione su di loro» replicò la donna.
   «Vuoi ricattarli!» esclamò Jackson, che finalmente aveva capito dove voleva arrivare Prudencia. Lei annuì.
   «Ci basterà minacciare le loro famiglie. Torneranno tutti senza esitare un istante».
   «Parli sul serio? Minacciare duecento famiglie. Ti rendi conto di quello che dici?». Giovanni non sembrava affatto convinto dalla proposta dell’argentina.
   «Non abbiamo bisogno di fare nulla di concreto. Diremo loro che se non tornano al Centro, saranno le loro famiglie a pagare. Se qualcuno si rifiuterà comunque di seguirci, allora passeremo alle dimostrazioni pratiche» spiegò Prudencia con indifferenza.
   «Tu sei pazza!» esplose Giovanni. Si guardò intorno, cercando il sostegno di Jackson e Tsukiko, ma i due sembravano condividere quello che Prudencia aveva appena detto.
   «In effetti è sensato» stava appunto dicendo l’americano. «Mi sembra il modo più rapido e semplice per risolvere la questione. Tsukiko, cosa ne pensi?».
   «Sono d’accordo. È la tattica migliore» rispose la Portatrice dell’Aria, annuendo entusiasta.
   «Quindi non ci resta che aspettare il ritorno di quel Gregory per sapere dove si trovano» concluse Prudencia soddisfatta.
   Giovanni si guardò intorno, arrabbiato, scontento e isolato. Quella proposta non gli piaceva affatto: aveva già fatto una cosa simile in passato, e si era reso conto che quel tipo di forzatura sconfinava nella crudeltà. Nonostante avesse usato brutalità simili nei confronti dei suoi allievi per anni, ora ne provava disgusto: l’uomo che era prima che l’ossessione per i Portatori di Energia deviasse la sua morale e i suoi principi stava riemergendo dall’abisso in cui era sprofondato.
   «Allora Giovanni, tu cosa ne pensi?» gli chiese Jackson.
   «Non mi piace affatto. È un atto meschino, e non ho intenzione di aiutarvi a metterlo in pratica. Troverò un modo alternativo per riportare tutti indietro, ma di certo non vi permetterò di compiere un simile orrore» disse con rabbia, uscendo dalla stanza e sbattendosi la porta alle spalle.

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Capitolo 13
*** Scelte difficili ***


Tutti la fissavano. Senza muovere un muscolo, Sofia continuò a esaminare il manoscritto che aveva davanti. Sapeva cosa volevano da lei: risposte.
   Era trascorsa un’altra settimana alla Valle; un’altra settimana di dubbi, ostilità e incertezze. Sapeva che il comportamento ambiguo di Gregory stava minando alla base lo stile di vita che avevano adottato da quando erano scappati dal Centro, un modello di comportamento basato su fiducia e sostegno reciproci, nonché sull’onestà. I pensieri nella sua testa ronzavano come api intrappolate in un barattolo. Continuava a cercare il dettaglio che le avrebbe chiarito ogni cosa: a volte le sembrava di essere a un passo dal cogliere la chiave di lettura di quell’assurda situazione, ma puntualmente la risposta le sfuggiva come acqua tra le mani.
   Scosse la testa, soprappensiero, e alzò lo sguardo: la stavano ancora fissando.
   Rendendosi conto che sarebbero andati avanti così fino a quando non avesse chiarito la situazione con Gregory, si alzò, decisa a trovarlo: l’uomo aveva infatti preso l’abitudine di isolarsi dal resto del gruppo.
   «Vai da Gregory?» chiese immediatamente Gloria. Sofia annuì. «Vengo con te» disse Blaze alzandosi. Aveva sviluppato nei confronti dell’uomo un’ostilità che rasentava l’odio, e cercava in ogni modo di non lasciare Sofia da sola con lui. Di solito la ragazza lo lasciava fare, ma stavolta lo bloccò.
   «Non ce n’è bisogno Blaze. Resta pure qui».
   Il giovane tentennò per un attimo, ma di fronte allo sguardo fermo di lei cedette.
   «Va be’... se hai bisogno di me, espandi l’Aura al massimo» disse, tornando a sedersi.
   Affondando le mani nelle tasche e abbandonando il suo abituale passo veloce, Sofia si diresse lentamente verso l’Ala Ovest, ascoltando i rumori che provenivano da dietro le porte. Invece di studiare, come al solito i ragazzi stavano parlando di sciocchezze. Passando, la ragazza batté un pugno sulle porte e all’interno calò subito il silenzio.
   Sempre adagio uscì all’esterno e scese lungo il declivio, pensierosa. Gregory cambiava continuamente punto della Valle in cui nascondersi, e trovarlo si rivelava spesso piuttosto difficile.
   Per non mettere in allarme Blaze espanse l’Aura solo in parte, tentando di percepire Gregory ugualmente. Dopo aver camminato per un po’ ne sentì l’Aura, piuttosto flebile. Si avviò nella direzione da cui le sembrava venisse emanata e, a mano a mano che procedeva, percepiva l’Aura dell’uomo sempre più intensa.
   Lo trovò al laghetto in cui si erano immersi la notte del Solstizio, seduto sulla sporgenza rocciosa da cui si erano tuffati, con i piedi che pendevano nel vuoto alcuni metri sopra lo specchio d’acqua cristallina.
   Sofia rimase in piedi dietro di lui.
   «Gregory, mi dispiace ma non si può più aspettare. Devi prendere una decisione, adesso».
   «Cosa potrei mai scegliere? Qui nessuno ha più fiducia in me» notò lui con amarezza.
   «Come ti aspettavi reagissero, Gregory? Tutti loro hanno subito, in un modo o nell’altro, la tirannia di Giovanni. Sanno perfettamente cosa li aspetta, se mai dovessero essere catturati e portati di nuovo al Centro. Ti avevano accolto senza la minima esitazione e tu hai provato pietà per il nemico, hai pensato di aiutarlo. È ovvio che non abbiano più fiducia in te» disse lei, cupa.
   Gregory si alzò e si avvicinò a Sofia.
   «E tu, Sofi? Anche tu non hai più fiducia in me?» le chiese, cercando il suo sguardo.
   La ragazza distolse il proprio e si concentrò sui dolci pendii che aveva di fronte.
   «Tu mi hai salvato la vita, anni fa. Non lo dimentico» rispose laconicamente.
   «Non è di questo che parlo, e lo sai». Le afferrò il mento e la costrinse a guardarlo negli occhi. «Tu vuoi che io rimanga?».
   «Voglio che tu faccia quello che ritieni più giusto» replicò Sofia, gli occhi ambrati scintillanti di orgoglio. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di sentirle dire che aveva bisogno che restasse lì con lei.
   I due continuarono a fissarsi. Entrambi aspettavano che fosse l’altro a cedere.
   «Basta una tua parola, Sofia» insisté lui dolcemente. «Una sola parola, e io accantonerò tutti i sentimenti di pietà e comprensione che abbia provato nei confronti di Giovanni. Una parola e io resterò qui al tuo fianco, anche in una guerra, se necessario».
   Rimase in silenzio per qualche istante, dandole modo di riflettere su quanto le aveva appena detto. Poi glielo chiese di nuovo.
   «Allora Sofi... devo restare?» esclamò, poggiandole una mano sulla guancia e carezzandola con il pollice. Lei si scostò arrabbiata.
   «Va’ al diavolo Gregory. Non deciderò al posto tuo!» disse furiosa.
   «Pensaci bene, Sofia. Se ora me ne vado, non tornerò. Per nessun motivo» l’ammonì.
   «Non c’è bisogno di girarci tanto intorno. Hai deciso di schierarti con Giovanni? Va bene. Hai sempre saputo di essere libero di scegliere. Ora va’ via» esclamò, sempre più arrabbiata.
   «Non è per questo che me ne vado. Non ho ancora deciso se aiutare o no Giovanni; non riesco a decidere se e con chi schierarmi. Se tu mi avessi dato un motivo per restare, l’avrei fatto. Ma stando così le cose, preferisco andarmene» precisò Gregory.
   «E allora vattene. Subito» ringhiò la ragazza.
   «E come? Le Fenici si rifiutano di trasportarmi»
   «Te ne andrai a piedi. Ti accompagno personalmente a un varco» disse gelida Sofia.
   «Così potrai immediatamente sigillarlo ed evitare che lo utilizzi per portare qui Giovanni» notò lui, ironico
   Senza rispondere la ragazza gli voltò le spalle, incamminandosi velocemente verso Sud; i loro passi erano l’unico suono che spezzava il silenzio. Procedettero così per più di mezz’ora, fino a una microscopica grotta.
   «Quello è il passaggio» disse Sofia, rivolgendo una mano verso la roccia; al suo posto rimase un arco di pietra da cui pendeva una fittissima cortina d’edera.
   Gregory mosse alcuni passi in avanti, fino a toccare la tenda vegetale; poi tornò indietro e in un istante fu addosso alla ragazza. Si fermò col volto a un soffio da quello di lei.
   «Addio, Sofia» bisbigliò, posandole un bacio sulla fronte come aveva fatto tanti anni prima, quando l’aveva riportata al Centro.
   Un attimo dopo si diresse con decisione verso il passaggio che l’avrebbe condotto all’esterno e lo attraversò senza voltarsi indietro. Con un fruscio e uno scricchiolio, l’edera si trasformò di nuovo in pietra.
   «Addio Gregory» mormorò la ragazza fissando la roccia e iniziando a manipolare l’ambiente esterno per cancellare il passaggio, mentre un’unica lacrima cadeva dai suoi occhi.

*

Lo scatto della serratura li fece voltare.
   «Se n’è andato» comunicò Sofia con voce piatta.
   Alle sue parole si scatenò il tumulto.
   «Quel bastardo... ha deciso di schierarsi con Giovanni! Dopo tutto quello che ti ha fatto!» esplose Blaze; il suo Elemento si riversò all’esterno del suo corpo con tanta furia da aprire una grossa fenditura nel pavimento. Friedrich la richiuse immediatamente, cercando di calmare il giovane americano.
   «Non posso credere che l’abbia fatto... e ora lo porterà qui! Dobbiamo prepararci!» disse Gloria, arrabbiata e preoccupata.
   Sofia alzò le mani, tentando di ristabilire l’ordine; non aveva abbastanza forza per sovrastare le loro grida.
   «Ragazzi per favore... fate silenzio un momento e ascoltatemi» disse a voce bassa.
   Il caos si placò immediatamente: tutti rimasero immobili, in attesa.
   «Gregory non se n’è andato per aiutare Giovanni; se n’è andato proprio perché non sa con chi schierarsi. Ha preferito chiamarsi fuori» spiegò stancamente.
   «E ti sembra giusto?» gridò Viola; considerava quello di Gregory un tradimento tanto grande da perdere la sua abituale pacatezza.
   «Non sta a noi giudicare. Come chiunque, qui, anche lui aveva diritto a scegliere liberamente, ed è quello che ha fatto. Non possiamo farci influenzare dal fatto che la sua scelta non corrisponde alle nostre aspettative» disse Sofia con lo stesso tono.
   Nessuno aggiunse nulla; sedettero attorno al tavolo e iniziarono una discussione sottovoce, parlando fitto fitto.
   Sofia si abbandonò su di una poltrona, la testa reclinata indietro e una mano sugli occhi. Claudio le si avvicinò.
   «Non ho potuto farci nulla, Claudio. Mi dispiace» mormorò.
   «Qualcosa avresti potuto fare. Ma come hai detto poco fa, qui tutti hanno il diritto a prendere liberamente le proprie decisioni ed è quello che anche tu hai fatto» replicò senza ombra di biasimo.
   La ragazza aprì gli occhi.
   «Voleva che decidessi per lui. Non potevo prendermi una simile responsabilità: e se ci avesse traditi?» chiese, con una voce in cui amarezza e tormento si mescolavano. Prese un respiro profondo, cercando di tranquillizzarsi, mentre il suo padrino le stringeva una spalla con fare comprensivo. Poi sì alzò.
   «Un momento d’attenzione, per favore» disse Sofia con voce sonora, riprendendo il controllo della situazione e della propria mente. «La partenza di Gregory ci impone di prendere ulteriori precauzioni contro eventuali intrusioni alla Valle. Dobbiamo rinforzare le protezioni ai confini. L’ho mandato via a piedi; questo ci dà un po’ di tempo, ma se non vogliamo correre rischi dobbiamo muoverci subito».
   Gli altri Maestri scattarono in piedi.
   «Da dove cominciamo?» chiese Costa.
   «Credo sia molto più pratico dividerci in due gruppi: così risparmieremo tempo» replicò la ragazza.
   «D’accordo, i soliti due gruppi: io, Blaze, Laurence e Sofi nel primo e Costa, Viola, Gloria e Friedrich nel secondo» disse André.
   «Io e Claudio cosa dobbiamo fare? Veniamo ad aiutarvi o restiamo qui a controllare i ragazzi?» chiese immediatamente Cornelia.
   André e Sofia si guardarono per un istante.
    «Credo sia meglio che veniate con noi» decise la ragazza. «Più siamo e meglio rinforzeremo i confini».
   «Allora dobbiamo nominare dei sorveglianti per ogni gruppo di Portatori» disse Blaze.
   «Va bene, allora pensaci tu ad avvertirli: nominiamo Serj per i Portatori del Fuoco...» stabilì Sofia.
   «... Pietro per quelli dell’Acqua» decretò André con il consenso di Gloria.
   «Fernando per il gruppo dell’Aria, senza il minimo dubbio» disse immediatamente Laurence.
   «E Ailie per quello della Terra. Vado e torno» concluse Blaze uscendo di corsa dalla stanza.
   «Allora, dobbiamo equilibrare i due gruppi: Cornelia, tu vieni con noi, mentre Claudio va col gruppo di Costa e gli altri» disse Sofia. I due annuirono e si divisero.
   «Come ci dividiamo le zone?» chiesero Viola e Gloria in coro.
   «Voi vi occupate dei confini a Sud e a Est, noi di quelli a Nord e a Ovest» decise rapidamente la Portatrice del Fuoco. Friedrich annuì.
   «Be’, noi possiamo muoversi subito» disse, ottenendo il consenso dei suoi compagni. Si diressero verso la porta e i loro passi si spensero rapidamente lungo il corridoio.
   Un minuto dopo, Blaze tornò.
   «Fatto» disse ansante. «Ora sarà meglio andare» aggiunse, notando l’assenza del secondo gruppo.
   Gli altri quattro annuirono, e insieme si diressero verso l’Ala Nord dell’edificio.

*

Gregory espanse la propria Aura più che poteva, cercando la direzione giusta. Vagò per circa due ore, senza riuscire a percepire nulla, prima di trovare quello che cercava. Cambiò direzione ed iniziò a correre.

*

«Giovanni!».
   L’uomo si voltò con aria torva.
   «Cos’hai da gridare, ragazzino? Per rivolgerti a me, oltretutto!» esclamò pieno di rabbia evocando una sfera di Fuoco, pronto a colpire il ragazzo, che iniziò a tremare.
   «Scusami... io... mi scusi, mi scusi, mi dispiace ma...» balbettò.
   «Allora, cosa c’è? Non farfugliare in questo modo Hilario, è irritante!» lo rimbrottò Giovanni.
   Il ragazzo sembrò ancora più terrorizzato.
   «C’è... c’è una persona che chiede di lei, ha detto che è urgente, per questo io...»
   «E chi sarebbe questa persona che deve parlarmi tanto urgentemente?» lo interruppe.
   «Io... non lo so, non mi ha detto come si chiama...» bisbigliò Hilario.
   «E mi disturbi perché qualcuno, di cui non conosci neanche il nome, mi vuole parlare?» esplose l’uomo.
   «Ecco ha detto... ha d-detto di dirle che vi s-siete v-visti due settimane fa a Cork... ha detto... ha detto che lei avrebbe c-capito e che per questo n-non c’era bisogno di dire il suo nome!» concluse precipitosamente il ragazzo.
   Giovanni si alzò di scatto, rovesciando la sedia a terra, e uscì dalla stanza in un istante. Al suo passaggio Hilario si rattrappì contro la porta, temendo ancora che l’uomo l’avrebbe colpito, ma quello gli passò accanto come se non esistesse.
   Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo, lasciandosi scivolare a terra. Quando racconterò che Giovanni non mi ha colpito, pensò, nessuno mi crederà.

*

Mentre usciva dall’edificio, Giovanni espanse la propria Aura più che poteva. Sondò per alcuni momenti il mare di Aure che lo circondava; poi trovò quella che cercava. Scese veloce lungo il prato, puntando verso il bosco dell’Ala Sud; non lo stupì trovare Gregory comodamente seduto su una panchina vicino ai primi alberi, mentre si guardava intorno con indifferenza.
   «Allora» esordì l’italiano, sedendosi accanto al suo ex insegnante. «Hai qualcosa di utile per me?».
   «Sì e no» fu l’ambigua risposta.
   «L’hai vista» disse Giovanni. Era più un’affermazione che una domanda. L’altro annuì.
   «Ma non mi dirai dov’è» proseguì Giovanni.
   Gregory lo guardò con un sorriso.
   «Hai ragione, non lo farò. Però c’è qualcos’altro che posso dirti, qualcosa che ti sarà altrettanto utile, anche se dovrai pazientare ancora un po’ per poterne trarre dei risultati».
   «Ti ascolto» disse Giovanni, curioso di sentire cosa l’uomo aveva da dirgli.
   Gregory si avvicinò a Giovanni e iniziò a bisbigliargli qualcosa all’orecchio. Dopo alcuni istanti, un sorriso soddisfatto si aprì sul volto di quest’ultimo.
   «Ottimo. Allora terrò gli occhi aperti» disse infine.
   Gregory si alzò.
   «Ti ho detto tutto, credo. Per me è ora di andare» si congedò.
   «Andare... dove?» domandò Giovanni.
   «Lontano» rispose l’uomo, allontanandosi tra gli alberi. L’altro lo seguì.
   «C’è un’ultima cosa che vorrei sapere» disse l’italiano.
   «Chiedi pure».
   «Sai dov’è ma non vuoi dirmelo, anche se mi hai dato un altro modo per arrivare a lei. Perché ti stai chiamando fuori?» chiese a Gregory, che sorrise con aria colpevole.
   «Per lo stesso motivo per cui tu, invece, ti affanni tanto a cercarla» rispose, sparendo in pochi istanti.
   Giovanni rimase dov’era, un’espressione indecifrabile dipinta sul volto. Poi anche lui si immerse nel folto della vegetazione.

*

Tornati nella biblioteca, tutti si lasciarono cadere su divani e poltrone.
   «Credi che basterà?» chiese André a Laurence.
   «Spero di sì. Aumentare ancora le barriere le renderebbe riconoscibili; sarebbe come segnalare la nostra presenza con dei cartelloni al neon» replicò l’altro con una smorfia.
   Sofia sedette a un tavolo, abbandonando la testa sulla superficie ruvida con un tonfo sonoro. Viola le si avvicinò e le scompigliò i capelli.
   «Dai Sofia, non fare così. Le protezioni basteranno, ne sono sicura».
   «Lo spero proprio» rispose lei con voce sepolcrale, il volto schiacciato contro il legno.
   La Portatrice dell’Aria si allontanò mentre Cornelia si avvicinava.
   «Sofi tesoro, non prendertela per la partenza di Gregory. Almeno adesso sappiamo che dobbiamo stare in guardia da lui» la rincuorò.
   «Oh zia, non è questo che mi abbatte. O meglio, solo in parte... so che è stato meglio che abbia preso una decisione, anche se è stata questa decisione, perché ora non siamo più nell’incertezza» replicò Sofia, alzando la testa.
   «E allora cosa c’è che non va?».
   «Non saprei... ho una brutta sensazione».
   Cornelia sembrava perplessa.
   «Quanto brutta, tesoro? ».
   «Parecchio» rispose la ragazza, a disagio. «Non so, è che quando guardo gli altri... mi si stringe lo stomaco. Ogni volta che li guardo negli occhi, è come se fosse l’ultima volta».
   «Oh cara» disse Cornelia, abbracciandola e accarezzandole i capelli in un gesto materno. «Probabilmente sei solo in ansia per quello che è successo oggi, ma non hai motivo di preoccuparti. Nessuno dei Portatori all’esterno ci può trovare, specialmente adesso che abbiamo rinforzato le protezioni ai confini».
   «Speriamo sia così...» mormorò la ragazza, osservando Elizabeth entrare nella stanza e saltare in braccio ad André. «Almeno qualcuno non ha pensieri cupi» disse con un accenno di sorriso.
   «Ma dov’eri sparito?» stava chiedendo Elizabeth ad André, dopo averlo baciato.
   «Oh, sono successe alcune cose... Gregory ha deciso di andarsene e abbiamo dovuto potenziare le barriere intorno alla Valle» le spiegò.
   Lei fece una faccia strana.
   «Davvero? E credi che ora siano assolutamente impenetrabili?».
   «Lo spero... anzi, lo speriamo tutti perché più di questo non possiamo fare. Se le fortificassimo ancora, la concentrazione di Elementi diverrebbe tale da essere riconoscibile ai Portatori all’esterno» rispose André mesto.
   «Dai, non ti avvilire. Andiamo a fare una passeggiata... così ti rilasserai un po’» gli propose Elizabeth con voce suadente. Lui non resistette un secondo; la prese per mano e insieme uscirono dalla biblioteca. Blaze scosse la testa.
   «Ce lo siamo proprio giocato».
   «Cosa ci siamo giocati?» chiese Ailie, che era appena arrivata con Emma e Fernando.
   «André» rispose Blaze, puntando un dito verso la porta ormai chiusa.
   «Abbiamo sentito quello che dicevano. E così Gregory alla fine ha deciso, eh?» disse Fernando.
   «Sì. Da ora in poi dovremo stare molto più attenti: se notate qualcosa di strano, dovete dircelo subito. È meglio perdere mezz’ora per un falso allarme che ignorare dei segnali e ritrovarci i nemici addosso» si raccomandò l’americano.
   «A proposito» intervenne Sofia. «Emma, tu che sei così brava a percepire le Aure... ti andrebbe di aiutarci a tenere sotto controllo i confini?».
   «Certo che mi va! Però dovrete spiegarmi come si fa, perché non ne ho la minima idea» ribatté subito la ragazzina.
   «Vedrai, è più facile di quanto si possa credere. Devi solo imparare a riconoscere il tipo di vibrazioni che ci sono intorno ai confini; sono diverse dalle Aure, ma quando ti ci sarai abituata ti accorgerai subito se c’è qualche variazione» le spiegò Sofia.
   «Fammi provare subito!» chiese Emma, impaziente.
   «Se tutti avessero la sua stessa voglia di imparare» disse Costa, puntando i gomiti sul tavolo e poggiando il mento sui propri pugni chiusi «il nostro lavoro sarebbe molto più semplice».
   Sofia si mise a ridere.
   «Andiamo» disse a Emma, che subito la seguì.

*

Sprofondato in una poltrona, Giovanni si copriva il volto con le mani, cercando di riflettere. La sua tranquillità non durò a lungo; un minuto più tardi Jackson, Prudencia e Tsukiko irruppero nella stanza.
   «Ecco dov’eri finito!» disse Prudencia, spazientita. Lui la ignorò.
   «Hilario mi ha detto che c’era un uomo che ti cercava. Chi era?» chiese Jackson.
   Masticando un’imprecazione, Giovanni si vide costretto a rispondere.
   «Era Gregory» bofonchiò di malavoglia.
   I tre si infervorarono.
   «Allora? Ha scoperto dove si trova Sofia?» chiese Prudencia, eccitatissima.
   «Sì» rispose cupo l’uomo.
   «E allora cosa stiamo aspettando? Prepariamoci, andiamo a prenderla!» esclamò la donna, quasi fuori di sé dalla gioia.
   Giovanni chiuse gli occhi per un attimo, preparandosi al finimondo che si sarebbe scatenato. Poi parlò.
   «Ha scoperto dove si trova... ma non me l’ha voluto dire» ammise faticosamente.
   Un lungo silenzio accolse le sue parole. Tutti e tre lo fissarono esterrefatti.
   «Non te l’ha voluto dire?» ripeté Prudencia, frastornata.
   «No. Però mi ha dato un’altra informazione che potrà esserci molto utile per trovarla» aggiunse. Gli altri Maestri parvero riprendersi.
   «Be’, qual è quest’informazione?» lo interrogò Jackson. Giovanni scosse la testa.
   «Per ora non ci è utile. Dobbiamo aspettare» disse sibillino.
   «Aspettare cosa?» chiese Tsukiko con la sua calma abituale.
   Lui non rispose; sembrava assente.
   «Giovanni ma... cos’hai?» domandò Jackson, tentando di penetrare nella mente confusa dell’altro uomo, che scosse di nuovo la testa.
   «Non so... stavo pensando. Credete... voi credete che sia giusto, continuare a dar loro la caccia?» chiese, sinceramente combattuto. Gli altri lo guardarono, se possibile ancora più sbalorditi.
   «Giovanni tu... tu non parli sul serio, vero? Vero?» lo esortò l’americano. L’italiano si mise le mani nei capelli, tirandoli.
   «Non so più cosa è giusto!» sbottò, alzandosi in piedi. «Pensateci... li abbiamo presi, li abbiamo sottratti alle loro vite e alle loro famiglie. Li abbiamo privati dell’adolescenza, tutti quanti, li abbiamo costretti a vivere in una bolla... noi avremmo sopportato tutto questo, al posto loro?» chiese con furia. Nessuno rispose: erano così abituati al male che avevano compiuto da non considerarlo più tale.
   «È ovvio che siano scappati; chiunque avrebbe fatto lo stesso» proseguì Giovanni, parlando più a se stesso che agli altri. «Abbiamo deciso di trovarli e riportarli qui; con il passare delle settimane questo proposito si è trasformato in un’ossessione, un’ossessione che abbiamo alimentato senza chiederci se i presupposti che ci muovono sono giusti o sbagliati. E sono sbagliati» concluse, camminando avanti e indietro e puntando lo sguardo a terra.
   «Senti, Giovanni» iniziò Prudencia, inviperita. «Io non so cosa abbia scatenato in te questa specie di crisi mistica, e non m’interessa. Fino a un’ora fa eri d’accordo con noi sul cercare i Portatori che sono scappati e sul riportarli qui. Ora non puoi tirarti indietro!».
   «Comunque li avremmo mandati via, una volta terminato l’addestramento!» gridò lui. «Se ne andranno in ogni caso, quindi che senso ha riportarli indietro?».
   «Che senso ha? Servirà a dimostrare che siamo ancora noi, ad avere l’autorità!» strillò in risposta l’argentina. «Altrimenti come potremmo continuare a prendere e addestrare i Portatori?».
   «Magari dovremmo cambiare metodo! Dovremmo spiegare loro cosa succede e permettergli di continuare a vedere e vivere con le loro famiglie!» urlò Giovanni.
   «Tu sei pazzo» disse Prudencia, guardandolo con disprezzo. «Se non vuoi aiutarci, bene, non farlo. Ma noi troveremo lo stesso un modo per rintracciare i fuggiaschi e riportarli qui».
   Giovanni la guardò, fuori di sé; teneva gli occhi fissi nei suoi, mentre le mani gli prudevano dal desiderio di attaccarla. Sapeva di essersi messo in trappola da solo, rivelando quello che pensava; sapeva anche che se non avesse fatto credere loro di aver cambiato idea ancora una volta, di desiderare nuovamente catturare i Portatori scappati e punirli, gli si sarebbero rivoltati contro. Lo sapeva, ma non riusciva ad accantonare quei pensieri che, dopo anni, avevano squarciato il velo di ossessione e crudeltà che aveva ottenebrato la sua mente, facendolo arrivare a colpire mortalmente Sofia. Non riusciva a fare la sua scelta: fingere o ribellarsi contro quel sistema malvagio che lui stesso aveva creato?
   Guardò i tre Maestri con cui aveva fondato il Centro, che osservavano attenti ogni suo movimento, aspettando una risposta; vide in fondo ai loro occhi quello che lui stesso era diventato, e ne fu disgustato. Si chiese come fosse potuto arrivare tanto oltre nella sua follia: non riuscì a trovare una risposta.
   Di nuovo, ripensò a tutto quello che aveva fatto in quegli ultimi sei lunghi anni; analizzò i sentimenti e le convinzioni che lo avevano portato a credere che quello che stavano facendo fosse giusto. Ricordando a mente fredda, non gli sembrò tutto sbagliato; vi scorgeva una mancanza di umanità, ma non vedeva errori essenziali. Tuttavia, continuava a provarne orrore.
   Respirò profondamente, soppesando i risultati delle sue valutazioni, sforzandosi di capire quale fosse la scelta migliore. Infine, si apprestò a parlare.
   «Ho preso la mia decisione» esordì, dopo aver preso un altro respiro profondo. «Continueremo sulla strada che abbiamo percorso sino ad ora. Ritroveremo Sofia e gli altri e li riporteremo al Centro».
   La sua affermazione scatenò un’ondata di gioia; Prudencia sorrise trionfante, Tsukiko sembrava soddisfatta e rassicurata. Jackson gli diede una pacca sulla spalla.
   «Bravo, Giovanni. Sapevo che saresti tornato in te» disse compiaciuto.
   L’altro annuì; tutti quei dubbi l’avevano sfiancato.
   «Credo che andrò a riposare» disse agli altri tre Maestri che lo lasciarono andare, ormai soddisfatti.

*

Sofia prese la parola.
   «Come molti di voi avranno sicuramente notato, Gregory non c’è. Avremmo potuto inventare delle scuse per giustificare la sua assenza, ma sarebbe scorretto nei vostri confronti, oltre a costituire un grave pericolo».
   I Portatori che aveva di fronte la guardavano con espressione confusa; non capivano dove volesse andare a parare.
   «I Maestri del Centro hanno svolto, in tutte queste settimane, indagini e ricerche nel tentativo di trovarci. Abbiamo messo in atto degli accorgimenti per ingannarli, ma Gregory ha iniziato a nutrire dei dubbi sull’opportunità di proseguire lungo questa strada; per questo motivo oggi, dopo aver riflettuto a lungo, ha deciso di andarsene».
   Tutti iniziarono a gridare, in preda al panico. Sofia scosse la testa; era esattamente quello che aveva temuto.
   «ORA BASTA!».
   Il sonoro grido della donna riportò tutti alla calma, o quasi. Limitandosi a borbottare ognuno tornò al proprio posto, aspettando che la giovane donna che avevano di fronte continuasse a parlare.
   Escludere del tutto la possibilità che Gregory passi loro delle informazioni su di noi sarebbe altamente imprudente; per questo vi esortiamo a tenere gli occhi aperti più di quanto non facciate già. Se notate qualcosa di strano, parlatene immediatamente con uno dei Maestri. Non abbiate paura di sembrare eccessivamente ansiosi o di segnalare qualcosa che potrebbe poi rivelarsi un falso allarme: in questo momento, la prudenza non potrà mai essere troppa» disse seria, osservando a una a una le facce rivolte verso di lei.
   «E adesso, andate a dormire. Buonanotte».
   Con un rumoroso grattare del legno contro il pavimento, tutti si alzarono.
   In silenzio, i Maestri guardarono gli allievi sfilare oltre la porta, parlando di ciò che avevano appena sentito e facendo congetture. Poi Claudio controllò l’ora.
   «Sono quasi le undici... è più tardi del previsto» disse.
   «Dobbiamo controllare i confini?» chiese Friedrich. Claudio annuì.
   «Sarebbe meglio... così almeno ci risparmiamo le ronde notturne».
   Blaze si guardò intorno.
   «Se André non fosse sparito...».
   Mentre diceva così, tutti sentirono un risolino provenire da dietro la porta. Viola scosse la testa.
   «Ma si staccano mai quei due? Avanti André, muoviti! Abbiamo ancora parecchio da fare!» aggiunse la donna ad alta voce.
   Qualche istante dopo André rientrò nella mensa, il volto scarlatto. Prima di chiudere la porta, si sporse verso l’esterno e mormorò qualcosa.
   Blaze e Sofia lo presero per le braccia e lo tirarono dentro.
   «Scusa Liz ma adesso ci serve... avrete tutto il tempo di stare insieme domani, dopodomani e i giorni che seguiranno» disse Sofia alla ragazza a mo’ di scusa. Quella sorrise e chiuse la porta.
   «Wow Sofi, Elizabeth ti ha sorriso? Niente niente, tra poco inizierà a comportarsi da normale diciottenne» ghignò Blaze. André gli tirò un pugno sul braccio.
   «Lascia stare la mia ragazza» gli intimò, esibendo un’aria feroce pochissimo convincente prima di scoppiare a ridere.
   «Siamo di buonumore eh? Ottimo, così lavorerai meglio» tagliò corto Sofia, spingendolo nel mezzo del gruppo. Lui le fece la linguaccia.
   Cornelia prese la parola.
   «Organizziamoci ragazzi. Dobbiamo controllare i confini; potremmo dividerci in coppie, così il lavoro sarà più rapido ma nessuno sarà solo... in caso di necessità».
   «Va bene. Dobbiamo ricontrollare in modo particolare i passaggi verso l’esterno... accidenti!» disse Sofia, battendosi una mano sulla fronte.
   «Cosa c’è Sofi?» le domandò Claudio. Lei fece una smorfia.
   «C’è un varco... la cascata da cui sono entrata alla Valle quando sono andata a prendere Gregory».
   «E allora?» la esortò Blaze.
   «Quel varco non si può rinforzare; gli Elementi ci girano attorno... credo dipenda dagli Spiriti dell’Acqua che si trovano lì. Bisogna prendere accorgimenti particolari per riuscire a mascherarlo, ma chiuderlo in modo definitivo è praticamente impossibile. In sostanza, quello è il solo punto debole nei confini» spiegò la giovane, preoccupata.
   «D’accordo, quella zona la controlliamo io e Sofia e ci occupiamo di fornire la maggior copertura possibile a quel passaggio» decise André. «Sono un Maestro dell’Acqua, magari riesco a fare qualcosa in più» disse rivolto a Sofia, che annuì.
   «Visto che una zona è già assegnata, vediamo di spartirci le altre» esclamò Claudio, richiamo l’attenzione generale. In una decina di minuti divisero le aree da controllare; e quando uscirono dall’edificio, le cinque coppie si separarono nell’oscurità; Blaze e Laurence, Claudio e Cornelia, Viola e Gloria, Costa e Friedrich e André e Sofia si allontanarono gli uni dagli altri in perfetto silenzio, camminando veloci e preparandosi alla possibilità – seppur minima – di subire un attacco. Fu solo molto tempo dopo che riuscirono a sdraiarsi nei loro letti.

*

Giovanni si svegliò di soprassalto. Qualcuno stava bussando alla porta della sua stanza.
   Imprecando, controllò l’orologio. Che diavolo volevano alle due del mattino?
   «Un momento!» borbottò quando una nuova scarica di colpi si abbatté sulla porta, vestendosi alla meno peggio. Infilati una maglietta e un paio di pantaloni, aprì la porta.
   «Jackson, che cosa vuoi?» chiese, un po’ irritato.
   Gli occhi scintillanti d’eccitazione, l’americano lo prese per un braccio e lo spinse in corridoio.
   «Non immagini neanche cos’abbiamo appena trovato davanti alla porta principale» disse esaltato. Giunti di fronte a un piccolo salotto in cui erano soliti riunirsi per discutere in privato, si fermarono. Anche Tsukiko e Prudencia erano lì, frementi.
   Jackson diede di nuovo una spintarella a Giovanni, che stava sbirciando dalla porta socchiusa. Intravide la figura seduta sul divano. Per un istante aggrottò la fronte; poi sul suo volto si aprì un’espressione sconcertata.
   «Devi parlarci tu» lo esortò l’americano. Giovanni si voltò.
   «Io? E perché?».
   «Abbiamo provato a far sì che parlasse, ma non ha ceduto. Dice che risponderà solo a te, in privato» spiegò Jackson.
   Giovanni prese un respiro profondo; non sapeva cosa aspettarsi.
   Dopo aver rivolto un cenno rassicurante agli altri tre Maestri entrò deciso nella saletta,
Chiudendosi la porta alle spalle. L’altro occupante della stanza lo fissò con indifferenza, aspettando che parlasse.
   L’italiano sedette su una poltrona di fronte al divano. Poi afferrò una brocca.
   «Acqua? Devi aver fatto molta strada per arrivare fin qui».
   «No, grazie».
   Giovanni posò la brocca e si rivolse alla persona che aveva di fronte.
   «Dicono che hai qualcosa per me. Informazioni?».
   «Più di quante tu possa immaginare. E molto precise» fu la risposta.
   Giovanni studiò guardingo la persona comodamente seduta sul divanetto. Non sapeva se poteva fidarsi, ma di una cosa era assolutamente certo: quelle informazioni gli sarebbero costate parecchio.
   «Cosa vuoi in cambio?» domandò a bruciapelo.
   Sul volto del suo interlocutore si aprì un sorriso scaltro.
   «Potere».
   «Possiamo parlarne» replicò l’italiano. Poi i due intavolarono una fitta discussione, contrattando. A tratti le voci si riducevano a un bisbiglio appena udibile; in altri momenti, arrivavano quasi a gridare. Circa mezz’ora dopo, calò il silenzio.
   Giovanni uscì dalla stanza con un gran sorriso stampato in volto.
   «Chiamate quattro sorveglianti. Che restino qui: non devono allontanarsi per nessun motivo».
   «Temi che possa andarsene?» gli chiese Jackson. Lui scosse la testa.
   «Non se ne andrà, ma è meglio prendere alcune precauzioni».
   Nel frattempo Tsukiko aveva recuperato quattro sorveglianti tra quelli che avevano già allertato in precedenza. Dopo aver dato loro precise istruzioni, Giovanni sentì la voce di Jackson chiamarlo di nuovo.
   «Cosa ti ha detto? Sei riuscito ad avere qualche informazione utile? ».
   Sempre col sorriso stampato in viso, Giovanni annuì.
   «Ne ho avute molte, e tutte ottime. Ora andiamo» disse, facendo strada agli altri tre verso una stanza diversa. «Abbiamo pochissimo tempo e molte cose da decidere».
   I quattro fondatori del Centro si chiusero in una stanza e iniziarono a parlare.

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Capitolo 14
*** Sangue e lacrime ***


Sofia scattò a sedere sul letto, respirando affannosamente. La brutta sensazione che l’aveva accompagnata per tutto il giorno non l’aveva abbandonata neanche nelle ore notturne.
   Dei colpi alla porta la fecero sobbalzare.
   «Chi è?» chiese con voce flebile, ancora concentrata sull’incubo che aveva appena avuto.
   «Sono io» rispose la voce di André, un attimo prima di aprire la porta. Dopo essersela richiusa alle spalle, andò a sedersi sul bordo del letto. Sofia accese una piccola lampada.
   «Come mai qui a quest’ora?» gli chiese dopo una rapida occhiata al quadrante dell’orologio. Le due del mattino.
   «Non riuscivo a dormire...e neanche tu, vero? Hai un aspetto orribile» rispose il ragazzo, osservando il colore cinereo del volto di lei.
   Sofia fece una smorfia.
   «Ho fatto un sogno poco piacevole» disse con un tono strano.
   Preoccupato, André cercò di incontrare il suo sguardo. Sofia era molto sensibile agli eventi esterni e spesso, mentre dormiva, il suo subconscio le offriva, sotto forma di sogni, la soluzione alle domande su cui la ragazza aveva riflettuto da sveglia: coglieva in anticipo il modo in cui, dati determinati presupposti, una situazione si sarebbe sviluppata.
   «Che tipo di sogno, Sofi?» la incalzò. «Cos’hai visto?».
   «Sangue e lacrime» rispose lei, evitando di fornire alcun tipo di dettaglio nonostante il suo sogno fosse stato molto preciso e incredibilmente realistico.
   André tirò un sospiro di sollievo. Aveva sentito, quel pomeriggio, Cornelia rassicurare Sofia sull’eventualità di essere scoperti ed era convinto che l’incubo della sua amica non fosse stato altro che uno sfogo della sua psiche sovraccarica di pensieri e preoccupazioni.
   Rimasero in silenzio; dopo aver giocato per qualche minuto con l’orlo del lenzuolo, la ragazza si alzò.
   «Non ce la faccio a stare qui» sbottò. «Andiamo a fare due passi».
   «Ma... ti sei messa a letto vestita?» disse André sbigottito. Sofia infatti indossava già un paio di jeans e una maglietta a maniche corte.
   «Ho fatto una doccia e mi sono cambiata. Mi sentivo più sicura così» spiegò lei, infilandosi le scarpe. «E poi, mi sembra che anche tu non sia in pigiama» aggiunse. Il ragazzo, infatti, era vestito di tutto punto.
   Con un’alzata di spalle, André aspettò che finisse di prepararsi prima di avviarsi insieme a Sofia lungo i corridoi bui.
   Dopo aver vagato per un po’, sentirono un brusio provenire dal corridoio vicino. Si guardarono per un istante, prima di dirigersi guardinghi ma decisi verso la fonte del rumore. Arrivati di fronte alla porta della mensa la spalancarono.
   La stanza era completamente stipata: sembrava ci fossero tutti i Portatori che si trovavano alla Valle. André si diresse immediatamente verso il gruppetto di Maestri che, in piedi in un angolo, sorvegliava gli altri.
   «Cosa ci fanno tutti qui?» chiese il giovane biondo, guardandosi attorno.
   «Nessuno riusciva a dormire, come noi. Hanno cominciato a venire qui uno alla volta finché i dormitori non si sono svuotati» spiegò Laurence in tono comprensivo.
   Anche Blaze si guardò attorno.
   «Non li possiamo biasimare, André. La partenza di Gregory e soprattutto i motivi che l’hanno provocata li hanno turbati. Non si sentono più al sicuro» disse il giovane americano, passandosi le mani nei capelli.
   «Capisco quello che provano, Blaze, ma se permettiamo loro di passare questa notte in piedi, poi sarà ancora più difficile far sì che riescano a dormire tranquilli. Continueranno ad alzarsi, notte dopo notte. Senza contare che domani non riusciranno a seguire le lezioni e gli addestramenti» esclamò André in tono di rimprovero.
   «Non farla così tragica, André» intervenne Sofia. «Lascia che smaltiscano l’ansia, stando svegli tutta la notte se necessario. Potranno dormire domattina... per una volta possono anche saltare l’addestramento».
   Calò il silenzio tra i Maestri: a poco a poco si propagò anche sul resto della sala e uno alla volta i Portatori si addormentarono, con le braccia incrociate sui tavoli e la testa poggiata di lato su una spalla.
   L’ultimo gruppetto si era addormentato da circa mezz’ora quando una figuretta si alzò silenziosamente e, individuati i Maestri, si diresse con passo veloce ma leggero verso di loro.
   «Emma, c’è qualcosa che non va?» chiese Sofia, preoccupata. La ragazzina la fissava come se avesse visto un fantasma; pallidissima, gli occhi leggermente cerchiati di viola e sbarrati, non osava parlare. Sofia la prese per le spalle e la scosse con energia.
   «Emma, che cosa c’è?» insisté con voce bassa ma decisa. Emma sembrò riprendersi, almeno in parte.
   «Io... io credo d’aver sentito qualcosa. Al di fuori dei confini» disse con voce appena udibile. Immediatamente in allerta, i Maestri l’accerchiarono.
   Sofia però non si lasciò trascinare dall’ansia degli altri. Afferrò la ragazzina e la fece sedere. Dopo averle fatto mandar giù un bicchiere d’acqua, la guardò attentamente.
   «Ora, Emma. Con calma, dimmi cos’hai sentito» la esortò.
   «Non ne sono certa. Sicuramente mi sono sbagliata, sarà stata la paura...» temporeggiò.
   «Smetti di parlare a vuoto e dicci cos’è, che hai sentito!» sbottò Costa. Sofia gli rivolse un’occhiata assassina, poi decise.
   «Via di qui. Tutti quanti» ordinò.
   Gli altri la guardarono strabuzzando gli occhi.
   «Sofia, ci stai prendendo in giro o cosa?». L’agitazione rendeva aggressivo il quarantenne greco.
   «Non vi prendo affatto in giro, ma comportandovi in questo modo la turbate e le fate pressione» rispose gelida la giovane donna, indicando Emma. «Quindi, adesso andate dalla parte opposta della sala. Il primo che si avvicina lo carbonizzo» minacciò.
   Senza replicare si allontanarono. Laurence afferrò Costa e lo trascinò via con sé, dato che appariva determinato a restare dove si trovava.
   «Non dar retta a Costa: si fa prendere dalla preoccupazione e diventa sgarbato. Purtroppo dobbiamo tenercelo così com’è». Sofia cercò di rassicurare Emma; per quanto l’istinto le suggerisse che un pericolo incombeva su tutti loro, non voleva forzare i tempi.
   «Senti Sofia, dicevo sul serio prima. Di certo mi sono sbagliata...».
   Ma s’interruppe a metà frase; come Sofia si voltò immediatamente verso Sud. Gli altri Maestri, ignorando l’avvertimento di poco prima, tornarono di corsa dalle due ragazze.
   «Avete sentito anche voi?» chiese Laurence, preoccupatissimo.
   «Maledizione, sì!» ringhiò Sofia. «Svegliate tutti, immediatamente!» gridò, alzandosi e iniziando lei stessa a scrollare a una a una le persone addormentate.

 *

«E così è questo il posto» disse Giovanni ammirato, guardandosi intorno.
   «Sì».
   Impaziente, Prudencia li interruppe.
   «Sono quasi le cinque. Dobbiamo sbrigarci».
   «Ha ragione. In che direzione dobbiamo andare?» chiese Giovanni alla loro guida.
   «Di là... se ci muoviamo velocemente, in meno di mezz’ora arriveremo» fu la risposta.
   «Bene. Trattenete completamente le Aure, e mi raccomando: silenzio assoluto» si raccomandò l’italiano alle circa quattrocento persone che li seguivano.
   «È stata una fortuna aver richiamato per tempo i Portatori che abbiamo addestrato negli ultimi anni... altrimenti ora ci saremmo trovati in parità numerica contro i fuggiaschi» bisbigliò Jackson a Giovanni, che annuì e fece cenno di muoversi. Come un unico corpo la folla in nero si mosse, confondendosi con le ombre e seguendo i cinque che guidavano il gruppo.

*

«Presto, correte!».
   Senza quasi toccare il suolo con i piedi Sofia guidava più velocemente possibile il numeroso gruppo oltre colline e boschetti, costeggiando i laghi e chiedendosi dove portarli. André la affiancò.
   «Sofi non possiamo uscire dalla Valle, non sappiamo dove andare...».
   «Lo so André, lo so!» rispose lei furiosa, senza quasi più fiato.
   Blaze e Laurence li raggiunsero; il secondo fece un ampio gesto con la mano e la folla si fermò.
   «Non possiamo continuare a correre alla cieca; rischiamo di finire nella direzione sbagliata» disse il giovane americano, afferrando Sofia e costringendola a fermarsi. Lei si prese la testa tra le mani.
   «Maledizione, non so cosa fare! C’è un’unica possibilità che mi viene in mente...» si lamentò. Gli altri Maestri li accerchiarono; Laurence prese Sofia per le spalle.
   «Non vorrai andargli incontro!» disse incredulo. Lei si liberò dalla presa ferrea dell’uomo.
   «Non abbiamo scelta. Ci seguiranno comunque!» ribatté con forza.
   «Ha ragione, Laurence. Se sono riusciti a trovare la Valle e a penetrare le nostre difese, non abbiamo modo di sfuggirgli. Specialmente ora che non abbiamo un posto dove poterci nascondere» intervenne Viola.
   Sofia prese un respiro profondo e si coprì il volto con le mani, riflettendo. Un minuto dopo alzò lo sguardo sulle persone che aveva di fronte.
   «Basta con le incertezze. Seguitemi e tenetevi pronti» ordinò, ricominciando a correre.

*

Giovanni si bloccò all’improvviso e alzò una mano. Tutti si fermarono.
   «Cosa c’è?» chiese Jackson. L’altro trattenne a stento un sorriso.
   «Siamo arrivati» rispose.

*

Nascosti dietro una cresta sulla sommità di una collina, Sofia e gli altri Maestri osservavano la compatta massa nera che, nella distesa sotto di loro, sostava perfettamente immobile.
   Emma, Ailie e Fernando si avvicinarono, stando attenti a non farsi vedere.
   «Quanti sono?» chiese la prima.
   «Troppi. Finiremo per farci ammazzare tutti, Sofi» disse Blaze masticando un’imprecazione.
   «E cosa vorresti fare, scappare?». A ribattere non fu la ragazza, ma Fernando. «Io non ho intenzione di tornare al Centro; preferisco lasciarmi fare a pezzi».
   «Non ci faranno a pezzi» ribatté Laurence. «Le capacità di tutti quei Portatori non sono mai state sviluppate come si deve; inoltre, tutti voi conoscete molti più colpi e molta più tattica per affrontare uno scontro».
   «Senza contare che abbiamo la possibilità di attaccarli per primi; questo potrebbe spiazzarli...» iniziò André. Poi s’interruppe. Guardò Emma, Fernando e Ailie. «Dov’è Elizabeth?».
   «Non lo so, noi non l’abbiamo vista... pensavamo fosse con te in testa al gruppo!» rispose Ailie.
   Il ragazzo si spostò indietro, guardingo, e corse tra i Portatori a cercare Elizabeth. Qualche minuto dopo tornò indietro.
   «Non l’ho trovata! Dov’è finita?» chiese terrorizzato.
   «Laggiù» rispose con voce lontana Sofia, indicando la testa del gruppo dei Portatori del Centro.

*

In piedi tra Prudencia e Giovanni, Elizabeth si guardava intorno senza battere ciglio.
   «Perché ci siamo fermati?» chiese a Giovanni. «Dobbiamo camminare ancora molto, per arrivare ai dormitori».
   «Non è necessario andare avanti» rispose lui.
   Elizabeth aggrottò le sopracciglia. «Ma...»
   «Sta’ tranquilla, il nostro patto è sempre valido. Dovevi condurci all’interno della Valle e l’hai fatto. Piuttosto, vedi di non fare scherzi, quando ci troveremo faccia a faccia con i tuoi amici» si raccomandò l’uomo. La giovane lo guardò con aria sdegnosa.
   «Sai bene cosa ho deciso. Altrimenti non vi avrei portati fin qui» disse, inviperita.
   «Meglio così» concluse sibillino Giovanni, intimando il silenzio.

*

Pallidissimo, André guardava la distesa sotto di loro. Non poteva credere a quello che vedeva; eppure Elizabeth era davvero laggiù, tra i loro nemici.
   «Dobbiamo andare a prenderla» disse con voce fioca.
   «Scusa?» dissero Blaze, Costa e Gloria contemporaneamente.
   «L’hanno catturata. Non possiamo lasciarla lì!» esclamò André con più decisione.
   Tutti tacquero: sapevano cosa andava detto, ma nessuno aveva il coraggio di farlo. Alla fine fu Sofia a parlare.
   «André... mi dispiace, ma non stanno trattenendo Liz in nessun modo. Lei è calma e mantiene il suo solito atteggiamento arrogante, il che può significare solamente che è lì di sua volontà».
   Il ragazzo si voltò, furioso.
   «Stai insinuando che sia stata Elizabeth a portarli qui?» ruggì.
   «Credo sia evidente che è così che sono andate le cose. Mi dispiace» ripeté Sofia in tono piatto. Neanche lei poteva credere che Elizabeth li avesse davvero traditi, anche se più volte aveva sospettato che non fosse completamente soddisfatta di trovarsi alla Valle, specialmente dopo aver scoperto che era lei a vagare vicino ai confini.
   «Non mi interessa cosa credete. Non ho intenzione di abbandonarla!» esplose il giovane alzandosi e correndo, completamente allo scoperto, verso il grande prato dove si trovavano i loro avversari.
   «André, no!» gridò Sofia, ma inutilmente; il ragazzo continuò la sua folle corsa. «Maledizione!» sbottò, prima di lanciarsi all’inseguimento del suo amico.

*

«Guardate un po’... ecco il primo pazzo che esce allo scoperto» ridacchiò Giovanni, scorgendo il giovane biondo che correva verso di loro; un istante più tardi, gridando, un’intera folla si riversò sul versante della collina di fronte a loro.
   Riconoscendo Sofia – che stava per raggiungere André nel tentativo di fermarlo – il cuore di Giovanni saltò alcuni battiti. Istintivamente si voltò a controllare Prudencia, ma la donna sembrava non aver degnato di uno sguardo quella che negli ultimi mesi aveva considerato una sua rivale.
   Insieme, i quattro fondatori del Centro espansero al massimo le loro Aure; la potenza che si sprigionò diede vita a un’onda d’urto tale che nel raggio di trenta metri tutti furono scagliati a terra. Rialzatisi prontamente, i Portatori dei due schieramenti iniziarono a scagliare i primi colpi.
   «Elizabeth!» gridò André, tentando di raggiungere la ragazza che già cercava di abbattere Ailie; Sofia riuscì ad afferrarlo per un braccio e lo tirò via.
   «André, non puoi fare nulla per lei! Non vuole essere aiutata, ha fatto la sua scelta!» strillò, tentando di sovrastare le grida e il rumore degli Elementi che cozzavano tra loro.
   Con uno strattone il giovane si liberò, ma troppo tardi: i pochi secondi in cui Sofia l’aveva trattenuto erano stati sufficienti ad Elizabeth per sparire nel clamore della battaglia che andava divampando.
   Dopo aver rivolto un’occhiata velenosa alla sua amica, André corse via; parò il colpo di un Portatore della Terra e sparì tra i combattenti, rischiando di finire addosso a Fernando.
   «Emma vattene!» stava gridando il giovane spagnolo.
   «Non ci penso neanche!» urlò lei in risposta. Fernando deviò un dardo ghiacciato evocando un muro d’Aria con un gesto del braccio e riprese a gridare.
   «Ti ammazzeranno! Non sei una Portatrice, non puoi difenderti in nessun modo... va’ a nasconderti!».
   «No!» insisté lei, testarda; lo afferrò e lo trascinò a terra, e una sfera di metallo incandescente passò sibilando sopra le loro teste. Se Emma non avesse gettato Fernando al suolo, il colpo gli avrebbe staccato la testa.
   «E va bene... ma non ti allontanare da me neanche di un millimetro!» si arrese il giovane, tirandola su, abbracciandola e circondando entrambi con uno scudo invisibile per difendersi da una pioggia di Fuoco che stava per investirli.
   Blaze passò accanto a Sofia, inseguendo André, quando qualcosa lo distrasse; Ailie non era più alle prese con Elizabeth, ma con Jackson. L’uomo, molto più esperto, stava tentando di fiaccare la resistenza della giovane scozzese, che saltellava evitando i colpi e tentando di immobilizzare le mani del suo avversario. Con un rapido gesto, Blaze s’inserì nello scontro e lanciò delle spesse funi di metallo lucente verso Jackson, che non riuscì a evitarle tutte: una fune gli bloccò il braccio destro, assicurandolo al suolo, mentre una spessa campana di pietra gli avvolgeva completamente la mano.
   «Va’ a cercare André!» ordinò Blaze a Ailie, che corse via; un attimo più tardi Jackson si liberò e ingaggiò una lotta feroce con il suo ex allievo.
   La giovane si mosse più velocemente che poteva; schivò colpi e chiamò a gran voce André fino a quando la folla, per un attimo, si aprì di fronte a lei e le permise di scorgere il ragazzo che girava su se stesso, incurante degli Elementi che gli schizzavano intorno, cercando Elizabeth. Mentre lo osservava, sentì un’Aura ostile espandersi verso di lei e si voltò appena in tempo per evocare un muro di solida pietra e smorzare lo spesso getto d’Acqua bollente che Prudencia le aveva scagliato contro. Con un leggero gesto delle mani, Ailie aprì una voragine sotto i piedi della sua avversaria, che vi cadde dentro come un masso per poi riemergere un istante più tardi sopra un’onda d’Acqua.
   «Sofia!» gridò Ailie, scorgendo la ragazza che avanzava tra i combattenti; lei si voltò e le corse incontro proprio mentre André scorgeva finalmente Elizabeth, che era sbucata alla sua sinistra, a qualche metro di distanza.
   «Elizabeth!» gridò, correndole incontro.
   Prudencia rivolse un sorriso malvagio a Sofia prima di voltarsi verso il ragazzo che correva da Elizabeth; poi evocò un sottilissimo disco di ghiaccio e lo scagliò con violenza contro di lui.
   «André attento!» urlarono Ailie e Sofia a una voce. Lui si voltò appena in tempo per vedere la lama arrivargli contro, e alzò un braccio per difendersi; inutilmente.
   La lastra di ghiaccio lo colpì in pieno: un oggetto scuro roteò contro il cielo arancio dell’aurora e André cadde a terra con un tonfo, senza emettere un suono.
   Il cuore di Sofia si fermò per un istante; piena di odio, si voltò verso Prudencia.
   Più veloce del pensiero mosse la mano destra dal basso verso l’alto, evocando una lancia argentea, solida nonostante il materiale che la formava si muovesse fluido e libero entro i confini dell’oggetto che attirò gli sguardi di tutti; con un gesto deciso l’afferrò e la scagliò con cattiveria contro la donna che aveva di fronte.
   «SOFIA, NO!» gridò una voce. Troppo tardi: il colpo di Sofia era già partito.
   La lunga asta infilzò Prudencia da parte a parte e la violenza del colpo la sollevò da terra, trascinandola per alcuni metri. La donna finì inchiodata a un albero, con la sottile lancia d’Energia Pura conficcata nello stomaco, contorcendosi.
   Prudencia morì, e davanti agli occhi di Sofia tutto divenne oscuro; legati dagli Elementi, il destino della vittima si ripercuoteva sul carnefice, e la giovane Portatrice del Fuoco era condannata a provare la sensazione della Morte che aveva inflitto a un altro essere vivente.
   Mentre lei si accasciava al suolo, Giovanni gridò.
   «È una Testimone!».
   In preda alla rabbia Jackson scagliò una pioggia di pietre contro la ragazza quando una doppia spirale d’Acqua e ghiaccio esplose, respingendo le rocce verso l’aggressore.
   A fatica, Sofia riacquistò la vista e fissò il suo salvatore.
   «Gregory ma cosa...» iniziò, quando un grido la interruppe.
   «Sofia!».
   La disperazione nella voce di Blaze la costrinse a voltarsi. A fatica si rialzò e corse dal giovane piegata in avanti e schivando i colpi di una battaglia che, dopo la morte di Prudencia, era ripresa con maggior ferocia.
   Percorsi i dieci metri che li separavano, la ragazza cadde in ginocchio accanto al corpo di André: per quanto improbabile, il ragazzo respirava ancora.
   «È vivo» disse con voce strozzata, poggiando le mani a terra per non cadere.
   «Ancora per poco» ribatté Blaze con voce tremante. «Sofi fa’ qualcosa, guariscilo, sta morendo!».
   Lei rialzò le mani e se le ritrovò coperte di sangue. Guardò in basso, e le si rivoltò lo stomaco: dal braccio di André il sangue sgorgava a fiotti, inzuppando l’erba. La mano destra del ragazzo era sparita: il colpo di Prudencia gliel’aveva tranciata di netto.
   «Oddio» balbettò inorridita. «La sua mano!».
   «SOFI!» gridò di nuovo Blaze, disperato.
   «Sofi» disse un’altra voce, tanto flebile da essere quasi impercettibile.
   «André!» esclamarono in coro Sofia e Blaze. «Non ti preoccupare, adesso ti guarirò... ti riportiamo a casa, starai bene...» singhiozzò la ragazza, accarezzandogli il volto e i capelli.
   «Sofi... Sofi ti prego, salva Elizabeth, non lasciare che la portino via...» mormorò André, afferrandola per la t-shirt e tirandola verso di sé prima di perdere di nuovo i sensi. Sofia fissò il volto esangue del suo amico: sembrava che non avesse più molto sangue dentro di sé.
   «No amico mio, non ti lascio morire» disse, afferrando il moncherino e mandando un velo di Energia Pura a immergersi nella carne, per riformare un po’ di sangue e bloccare l’emorragia. «Prima devo farti capire che razza di stronza traditrice è la tua ragazza!» borbottò furiosa. In un gesto di stizza, scagliò lontano un getto d’Energia. Poi rivolse un richiamo al cielo.
   «Nabeela!».
   La Fenice comparve in un lampo di Fuoco ad alcuni metri di distanza; planò sull’erba e arrivò da loro stringendo una sfera scintillante tra gli artigli.
 «Ailie, stringi forte la mano di André e afferra la coda di Nabeela. Vi riporterà ai dormitori» ordinò Sofia alla ragazza, che si era appena avvicinata. «Proteggilo. Espandi l’Aura; se senti arrivare qualcuno del Centro, chiama Nabeela e sposta André in un posto, qualunque altro posto, il più lontano possibile da qui».
   Senza dire una parola, Ailie annuì e fece ciò che le aveva detto Sofia. Un istante dopo lei e André erano spariti.
   Blaze e Sofia si guardarono negli occhi prima di alzare lo sguardo su Gregory, che li aveva protetti dagli attacchi mentre si occupavano di André. Il giovane americano corse ad aiutare Laurence, che era alle prese con Tsukiko. Sofia si affiancò a Gregory.
   «Perché sei tornato?» gli chiese.
   «Perché avevo promesso che se ci fosse stata una guerra, i Testimoni si sarebbero schierati con voi» rispose con un sorriso che la ragazza ricambiò, mentre Giovanni si univa a Jackson e iniziava ad attaccarli a sua volta.
   Poco distante, Fernando era alle prese con un potente Figlio della Terra, Callum. Spietato come il suo insegnante nonostante l’aspetto anonimo, l’uomo aveva immediatamente scoperto il punto debole del suo giovane avversario: Emma. Iniziò a dirigere i suoi attacchi verso di lei, ben sapendo che questo avrebbe costretto Fernando a scoprirsi nel tentativo di proteggerla. Dopo alcuni minuti di lotta serrata, infatti, il ragazzo abbassò la guardia un istante troppo a lungo e Callum ne approfittò per colpirlo: uno sciame di lunghi, incandescenti aghi metallici trapassò il braccio dello spagnolo da parte a parte. Fernando cadde a terra urlando ed Emma si ritrovò, completamente indifesa, faccia a faccia con il loro aggressore.
   L’orrore di quello che aveva visto nell’ultima ora le scorreva davanti agli occhi: la ferocia con cui li attaccavano, la determinazione che mettevano nel tentativo di ucciderli, Olivia a terra, uccisa da una bolla d’Acqua che l’aveva soffocata, il tradimento di Elizabeth, il sangue di André che bagnava l’erba e gli altri che vedeva ogni giorno e che giacevano a terra, morti o feriti...
   Vedere Fernando steso al suolo, ferito, rappresentò per la ragazzina la goccia che fa traboccare il vaso. La timidezza e l’insicurezza sparirono, accantonate dalla rabbia e dal disgusto; la sua furia si scatenò.
   Con la velocità del lampo, attorno a Emma si formò una bolla argentea che si allargò ed esplose: l’Energia investì i combattenti e li scagliò lontano.
   Rialzandosi Giovanni puntò lo sguardo, incredulo, sulla ragazzina che mesi prima aveva ritenuto priva di ogni potere, sulla ragazzina che aveva deciso di far sparire perché riportarla alla sua famiglia avrebbe significato far crollare la rete di segreti che permetteva al Centro di esistere. I suoi occhi si dilatarono: eccolo lì, il Portatore d’Energia che aveva tanto cercato e non aveva riconosciuto. In un lampo di comprensione, ricordò il tocco incandescente di Sofia sulla spalla di Emma, il giorno della fuga, e capì perché proprio quel giorno tutto fosse iniziato. Sofia l’aveva capito prima di lui: finalmente erano arrivati al termine della loro lunga ricerca. Aveva bloccato l’Energia che era in Emma per nascondere il suo potere e portarla via.
   Mentre Giovanni si perdeva in frenetici ragionamenti, proprio Sofia correva verso Emma.
   «Emma fermati!» gridò; evocò a sua volta dell’Energia e bloccò il flusso argenteo che si propagava dal corpo della ragazzina. La prese per le spalle.
   «Emma, devi controllare l’Energia, o ti consumerà!».
   Fuori di sé, l’altra la guardò con gli occhi annebbiati. Sofia la scosse e la pungolò con leggere fitte d’Energia, tentando di reprimere quell’eccesso di potere. Capì di essere riuscita nel suo intento quando la vide scuotere la testa con forza e sollevare su di lei uno sguardo molto più lucido.
   Accanto a loro passarono Claudio e Cornelia: il primo aveva scorto Giovanni e il desiderio di vendicare quello che aveva subito la sua figlioccia lo spingeva a correre più veloce di quanto non avesse mai fatto.
   Sofia l’afferrò per un braccio.
   «Claudio...»
   «Lasciami, Sofia. Voglio uccidere quel bastardo!» esclamò, fissando Giovanni e tentando di liberarsi dalla presa della ragazza.
   «Claudio, devi proteggere Emma. Giovanni farà di tutto per catturarla e riportarla al Centro» ansimò Sofia, non riuscendo a trattenere l’uomo. Espanse la propria Aura e impiegò una parte d’Energia per tenerlo fermo, puntando i piedi a terra, mentre con una campana argentea si riparava da tre diversi attacchi.
   «Proteggila tu. Io devo occuparmi di lui» disse, continuando a tenere sull’uomo bruno uno sguardo carico d’odio. Sofia lo strattonò e lo costrinse a guardarla negli occhi.
   «Se prendete Emma, Giovanni vi seguirà. Vi attaccherà, per poterla prendere, e avrai l’occasione di fare di lui quello che preferisci. Adesso però aiutami a proteggerla! Aiutami a far sì che Giovanni non le faccia quello che ha fatto a me!» concluse implorante.
   La sua preghiera sortì gli effetti desiderati; Claudio e Cornelia afferrarono la ragazzina e la trascinarono via. Sofia la trattenne ancora un istante.
   «Emma, non farti dominare dall’Energia!» si raccomandò mentre parava un colpo di Giovanni, che si avvicinava sempre di più a loro.
   L’altra puntò i piedi a terra; svanito lo stordimento provocato dall’Energia si era ricordata di Fernando. Non voleva lasciarlo lì, ma fu proprio il ragazzo a risolvere il suo dubbio, arrivando faticosamente al suo fianco e aiutando Claudio e Cornelia a condurla nel fitto di un bosco.
   Sofia si voltò e, come mesi prima, finì a terra, colpita dall’italiano.
   Si rialzò prontamente mentre Jackson, schivato un attacco di Gregory, si affiancava a Giovanni.
   «È una Testimone! Non attaccarla, non hai possibilità!» esclamò, tentando di trascinarlo indietro. L’altro si liberò con un ghigno.
   «Ne sei proprio sicuro?» chiese, evocando una frusta argentea e facendola schioccare.
   Gli occhi dei combattenti si dilatarono; i colpi cessarono e alcuni fecero per fuggire. Gregory raggiunse Sofia, che si era rialzata a fatica, e guardò attonito l’Energia evocata da Giovanni.
   «Maledizione... è un Testimone anche lui!» ringhiò. Non poteva più nascondersi; evocò due sciabole d’Energia e si preparò ad attaccare.
   L’improvvisa rivelazione di Gregory spiazzò Giovanni; da quando aveva capito che Sofia era una Testimone, non aveva mai preso in considerazione la possibilità che potessero essercene altri.
   Laurence e gli altri guardavano i tre Testimoni senza quasi osare respirare; persino Claudio, Cornelia, Emma e Fernando si erano fermati, ben nascosti, per osservarli, raggiunti poco dopo da una contrariata Ailie. André, che aveva ripreso i sensi, aveva percepito le tre Aure e aveva deciso di voler assistere, insistendo tanto da convincere la giovane scozzese, che non voleva per nessun motivo lasciarlo solo viste le condizioni in cui si trovava.
   Dopo essersi valutati per un lunghissimo minuto, i tre scattarono contemporaneamente; Gregory scagliò le due sciabole contro Giovanni, che le evitò mentre con un colpo di frusta faceva esplodere le tre sfere argentee che Sofia gli aveva scagliato contro.
   Quel primo attacco fu il segnale d’inizio: tra Giovanni e Gregory e Sofia iniziarono a volare fittissimi i colpi. L’Energia, manipolata in tutte le forme possibili, andava dall’italiano alla coppia che lo contrastava; sfere, dardi e lame dal bordo seghettato venivano scagliati da una parte all’altra, a volte andando a segno. Corde lucenti li immobilizzavano per qualche istante, prima di essere distrutte, e guaine scintillanti come la luce della luna s’immergevano nelle ferite, richiudendole. Le centinaia di persone che li circondavano si allontanavano sempre di più, affascinati e terrorizzati dalla brutalità dello scontro, quando due persone si mossero nella direzione opposta.
   Proprio mentre Giovanni stava per essere sopraffatto, Jackson e Tsukiko si scagliarono contro Gregory, distraendolo. Attaccato dai due – che pur non essendo Testimoni, erano molto potenti – Gregory fu costretto a concentrarsi su di loro, lasciando sola Sofia a fronteggiare Giovanni.
   L’essere rimasti uno contro uno sembrò infiammare ancora di più il loro potere e la battaglia: scagliandosi uno contro l’altro come due pantere, aumentarono la violenza e la precisione dei colpi. Sottilissimi getti d’Energia volarono da entrambe le parti, intrappolando braccia e gambe, costringendo i due combattenti ad avvicinarsi fino ad essere praticamente a contatto. Entrambi tenendo ben salde le funi che legavano l’altro, si guardarono negli occhi dopo mesi mentre il sole, ormai sorto, gettava una luce dorata tutt’intorno.
   «Sofia» sospirò l’uomo, abbassando la testa sulla massa di capelli arruffati della ragazza e respirandone il profumo. Lei si scostò, per quanto possibile.
   «Che cosa vuoi ancora?» domandò con aria di sfida. Dopo tutta la morte e la sofferenza che erano state seminate in meno di due ore le sembrò strano essere lì, nel bel mezzo di uno scontro, e riuscire a parlare così tranquillamente.
   «Solo che torniate indietro» rispose Giovanni, sentendo il Fuoco e l’Energia scorrergli bollenti nelle vene insieme al sangue e riassaporando la forza che si risvegliava in lui quando Sofia gli era vicino.
   «Scordatelo» fu la secca risposta. Sapeva troppo bene cosa stava tramando l’uomo. Un istante dopo, fu lui stesso a confermare i suoi sospetti.
   «Andiamo, Sofi» bisbigliò con voce suadente. «Guardaci. Due Testimoni del Fuoco... e abbiamo trovato una Portatrice d’Energia. Potremmo fare qualunque cosa insieme»
   «No, grazie. E ora ascoltami bene: non metterai le mani su Emma. Te lo impedirò, fosse l’ultima cosa che farò in vita mia» disse gelida, strattonando le funi che la tenevano saldamente legata, tentando di liberarsi. Il suo avversario invece sembrava non avere nessuna fretta di disfarsi degli scomodi legacci che lo tenevano stretto altrettanto saldamente.
   «Sofi, Sofi... potresti avere tutto. Potresti avere di nuovo me... non mi farò mai più distrarre da stupide ossessioni. Riprenderemo ad addestrare i giovani Portatori di Elementi, e tra noi tutto tornerà come prima che fondassi il Centro... e anche meglio» la tentò.
   Nonostante sentisse la mancanza di Giovanni – se ne rendeva conto in quel momento più che mai, con il suo potere che s’intensificava a quella vicinanza – sapeva che tornare sui propri passi sarebbe stato sbagliato. La voce della ragione gridava nella sua testa, ma qualcosa di diverso si stava facendo strada in Sofia, ottenebrando la razionalità.
   Per un attimo guardò Giovanni con gli occhi offuscati dal desiderio di tornare indietro con lui. L’uomo colse la sua indecisione e si apprestò a darle l’ultima spintarella verso la scelta che desiderava facesse. Tirò ancora di più le corde che la legavano e la strinse a sé.
   «Sofia, lo vedi... è quello che vuoi anche tu» bisbigliò avvicinandosi al suo volto.
   Completamente stordita, la ragazza non si mosse. Sapere che quello che stava accadendo era sbagliato non riusciva ad accantonare la consapevolezza che nel suo essere, tutto era stato modellato dalla Natura e dal destino per portarla a quel momento. Per portarla da lui.
   Mentre ragione e istinto si scontravano furiosamente dentro Sofia, Giovanni si avvicinò ancora di più e le sfiorò le labbra con le proprie.
   A quel contatto – tanto leggero da essere quasi impercettibile – il potere di entrambi esplose con la forza di una bomba, distruggendo le funi argentee che li tenevano avvinti e scagliandoli a parecchi metri di distanza in direzioni opposte.
   I due si rialzarono immediatamente e si fissarono negli occhi: entrambi erano incerti su cosa fare. Nonostante tutti i viaggi intrapresi, nonostante tutte le loro conoscenze, nessuno dei due riusciva a comprendere cosa fosse accaduto, o perché, o se sarebbe potuto accadere di nuovo. Ma soprattutto, a quali conseguenze avrebbe potuto portare.
   Senza fiato, Giovanni capì cosa doveva fare. Aveva bisogno di tempo e non c’era che un modo per procurarsene. Prese un respiro profondo e si rivolse ai Portatori che si erano schierati al suo fianco.
   «Ci ritiriamo» disse con voce sonora.
   Jackson gli fu subito addosso.
   «Stai scherzando?» chiese rabbioso.
   L’italiano l’agguantò per il colletto della maglia con un gesto fulmineo e portò il naso a pochi centimetri dal suo volto.
   «Qui c’è in ballo molto più di alcune decine di Portatori» ringhiò.
   La sua espressione convinse Jackson a non insistere. Si allontanò, iniziando a radunare coloro che li avevano seguiti alla Valle. Giovanni si rivolse a Sofia.
   «C’è qualche possibilità che io possa vederti ancora?» le domandò.
   «Forse» rispose lei. «Tregua?».
   Lui si avvicinò. «Tregua» concordò, afferrando la piccola mano sottile che lei gli porgeva e stringendola tra le proprie. «A presto, Sofia» la salutò.
   La ragazza rispose solo con un cenno del capo, mentre osservava le centinaia di Portatori nemici portare via i loro morti e feriti.
   Stupiti dalla repentina fine dello scontro, Blaze e Laurence le si avvicinarono, trascinando André che riusciva a stento a non perdere i sensi.
   «E ora cosa faremo?» le chiese a fatica, osservando Elizabeth che si allontanava con i Maestri del Centro senza degnarli di uno sguardo.
   «Ci costruiamo un futuro» rispose Sofia, osservando i corpi distesi a terra e la devastazione prodotta dalla battaglia.
   I quattro amici si strinsero, come ogni giorno, pronti a ricominciare.

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