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Salve! E' la mia prima fan fiction seria, quindi non siate troppo severi =( Questa fan fic non è a scopo di lucro, è tutto frutto della mia fantasia e i protagonisti appartengono a loro stessi.
Spero che vi piaccia..
(mi raccomando, recensite!)
Childish
«No, Jared, tiprego!»
La piazzola a quell’ora era deserta, circondata da un gruppo di
case dalle imposte chiuse. La luna faceva capolino tra le nuvole riflettendosi
sull’asfalto e confondendosi con la luce artificiale dei lampioni. Shannon era appena sceso dalla macchina, incredulo alla
proposta che il fratello gli aveva fatto. Il giorno dopo avrebbero avuto un
concerto e il batterista non attendeva alto che un po’ di meritato riposto
dopo le performance precedenti, maJared
l’aveva svegliato in piena notte bussando alla porta della sua camera.
«Ehi, Shan… che ne dici se facciamo un giro?»
Shannon
l’aveva guardato perplesso. «Ti si è fuso il cervello, per
caso? Domani abbiamo un concerto, dobbiamo essere al
meglio delle nostre forze e per farlo dovremmo dormire. Va’ a
letto.» Aveva fatto per chiudere la porta, maJared l’aveva bloccato.
«Andiamo, Shan… Staremo via una mezz’oretta e basta, te
lo giuro.»
Tra i due era piombato il silenzio
e il fratello maggiore aveva guardato l’altro
negli occhi.. Solo dopo qualche attimo, si era arreso lasciandosi andare ad un
rumoroso sospiro e dicendo: «D’accordo, Jay…
andiamo…»
Ed ora
era lì, in una piazzola alla periferia della città, davanti alla
cancellata di una casa abbandonata, cercando di persuadere Jared
dalle sue intenzioni. «Jay,
giuro che se non ci ripensi subito ti concerò talmente male che dovremo
rimandare il concerto. Ehi, mi hai sentito?»
Il fratello minore, per tutta
risposta, si mise a ridere e si voltò verso di lui. Era in piedi di
fronte alla cancellata, una mano già che afferrava una delle sbarre.
«Su, Shan… non avrai mica paura?»
«Non ho paura»,
rispose prontamente lui. «Sono solo seccato dal fatto che tu mi abbia
tirato giù dal letto per venire a fare una cosa stupida e assolutamente
pericolosa.»
Jared
scrollò le spalle. «Una volta non lo ritenevi così stupido
e pericoloso…»
Shannon
azzardò qualche passo verso di lui. «Una volta eravamo dei
bambini, Jay…», ribatté.
«Pensa se ci vedesse qualcuno… che
figura… in men che non si dica saremmo su tutti
i giornali.»
«Si fottano, i giornali…» Il cantante
afferrò con l’altra mano la sbarra accanto.
«Jared,
cazzo… torniamo in albergo, infiliamoci il
pigiama e dormiamo sonni tranquilli…», cercò ancora di
persuaderlo Shannon. Niente da fare.
«Dimentichi che dormo
nudo, fratellone!» Con un balzo, Jared salì su una sbarra orizzontale con entrambi i
piedi e cominciò a scavalcare le cancellata.
«Jay!»
Il fratello gli corse incontro per tentare di
fermarlo, ma quando raggiunse la cancellata, Jared si
trovava già a cavalcioni di quest’ultima. «Santo iddio,
Jay, appena scendi ti ammazzo!»
«Prima devi scavalcare
anche tu il cancello!», replicò Jared
con un grande sorriso raggiante.
Shan scosse
la testa. Suo fratello in quel momento era così infantile, gli ricordava
il bambino magro e smilzo che scavalcava la siepe ogni qualvolta la palla
finiva nel giardino del vicino, che quando si faceva
male sorrideva e provava ad arrampicarsi ancora. Quei ricordi non erano poi
così distanti nella sua memoria e a quanto pare
nemmeno nella memoria di Jared. «Dai, Jay, non sei più un ragazzino… rischi
seriamente di farti male…»
«Ehi,
non offendere… ho appena trentasei anni, non sono ancora vecchio. Ah, ti
ricordo che tu hai un anno in più di me, fratellone»
«Sei fottutamente
idiota, Jay…» Shannon
incrociò le braccia. «E ora scendi… se ti fai del male
parecchie fan avranno da ridire… e poi non verrai
più candidato tra i cento uomini più sexy del mondo.»
Jared si
portò una mano dietro l’orecchio. «Come? Non sento!»,
finse e si mise a ridere.
«Guarda che chiamo la polizia», cercò di minacciarlo il
fratello maggiore, ma l’altro scosse nuovamente la testa, irremovibile.
«Sì, certo… così finiremo veramente sul giornale»
Prima che Shannon potesse parlare ancora, Jared passò anche l’altra gamba sopra la
cancellata e, dopo qualche attimo di esitazione, si
gettò in avanti.
Il batterista sentì il
respiro mancargli, mentre al rallentatore vedeva il fratello compiere la
parabola discendente verso terra. Jared sembrò
atterrare saldamente sulle gambe, ma, prima che Shan
potesse tirare un sospiro di sollievo, barcollò
in avanti e con un gemito sommesso cadde disteso sull’erba incolta del
giardino.
Shannon rimase
pietrificato, le mani stretta ancora attorno alle
sbarre del cancello. «Jared, tutto okay?» Silenzio. Il fratello non si mosse.
«Jared?
Jared? Va tutto bene?», ripeté. Sentiva
il respiro faticoso e le gambe tremargli come se non avessero consistenza.
«Jared, non è per niente divertente! Piantala!» Ma l’altro non si mosse.
«Cazzo,
Jared!» Shannon
guardò verso l’alto: la cancellata non doveva essere più
alta di tre metri. Esitò guardando ancora Jared immobile per terra, poi prese ad arrampicarsi. Non
era mai stato bravo quanto il fratello e nei caldi pomeriggi a casa aveva
sempre preferito giochi a suo dire “meno pericolosi”. A volte gli
venivano i brividi quando il fratello, come al solito
fuori di testa, si arrampicava da qualche parte – era anche successo ad
un concerto, preso dalla foga delle canzoni -e più volte aveva rischiato di
rompersi il collo. Ma mai, mai aveva rinunciato alle
sue arrampicate, nonostante i ripetuti rimproveri di Shannon.
“Passi il buttarti come un sacco di patate sul pubblico, passi lo
spaccare le chitarre, passi fare l’idiota e correre come un forsennato
per il palco, ma la prossima volta che ti arrampichi sull’impalcatura,
sul serio, sarò io ad ucciderti.”
Shannon
raggiunse la sommità del cancello e, scavalcatola, a differenza del
fratello, scese con cautela gettandosi solo quando si trovò ad un metro
da terra. Atterrò a piedi pari e, non appena ristabilito
l’equilibrio chinandosi in avanti, corse verso il fratello.
«Jared!»
Gli si inginocchiò accanto e, afferratolo per i
vestiti scuri, lo voltò verso l’alto. Jared
aveva gli occhi chiusi, in un’espressione completamente fredda e
immobile. Shannon prese a scuoterlo. «Jared? Jared? Porca miseria, Jared! Rispondi!» Si accorse che anche le mani
tremavano, segno della forte agitazione che s’era impadronita
di lui. «Oddio, Jared!»
Improvvisamente,
il volto del fratello si mosse impercettibilmente. Jared non riuscì a trattenersi e, spalancati gli
occhi, esplose in una risata fragorosa. «Ah, Shanny,
ci sei cascato!»
Shannon rimase
per un attimo spaesato. Non sapeva se tirare un sospiro di
sollievo o soffocare il fratello per averlo preso in giro. «Sei un
fottuto bastardo, Jay! Un fottuto bastardo!» E prese a
strattonarlo per il cappotto con entrambe le mani. «Sei forse
idiota? Volevi farmi prendere un colpo? Giuro che se lo fai di nuovo, ti
ammazzo e lo faccio sul serio!»
«Shan,
calmati!» disse Jared, senza smettere di
ridere. «Era solo un modo per farti scavalcare il cancello e a quanto pare ha funzionato!»
Shan rimase
a guardarlo, un’aria truce stampata sul suo volto. Poi, di colpo, pure
lui scoppiò a ridere. «Dannato attore da quattro soldi!»,
esclamò. «Sei un cretino, Jay! Sei una
pazza scimmia allucinata!»
Jared si
alzò aiutato dal fratello, scrollandosi i fili d’erba rimasti
attaccati al cappotto scuro. «Senza questa “pazza scimmia
allucinata” non sareste i ThirtySecondstoMars!»,
ridacchiò.
Shannon gli
diede un pugno amichevole sulla spalla. «Falla finita!»,
esclamò. «Sei sempre il solito narcisista del cavolo, Jay.»
«Stavo
scherzando!» Il cantante sorrise. Poi, non
appena voltatosi verso la casa abbandonata, si fece improvvisamente serio.
«Ora non ci resta che entrare» E, a grandi passi, si diresse verso
la porta sverniciata dalla pioggia.
Shannon si
chiese che cosa passasse nella testa del fratello, ma scosse la testa rinunciandovi e lo seguì.
Bene ^^ Ecco il secondo capitolo. Ribadisco, tutto
ciò è solo frutto della mia fantasia (tranne il fatto che Jared e
Shannon e I Thirty Seconds esistono veramente… meno male!)
Hitting an angel
Three years
earlier
Le luci fredde dei neon che brillavano sopra il suo capo, riflettendosi sul
forte bianco del pavimento e delle pareti del corridoio, sembravano bruciargli
gli occhi. Jared sentiva ancora i rumori del concerto nelle orecchie, a
malapena riusciva a percepire quello che il fratello, camminandogli a fianco,
gli stava dicendo:
«Hai visto la folla? Santo cielo, Jay! È stato uno dei
migliori concerti di quest’anno, li abbiamo fatti letteralmente
impazzire!»
Jared si passò una mano sugli occhi. Le luci gli parvero meno forti
di prima… certo, di sicuro meno caotiche del continuo cambiamento di
quelle che sul palco. «Senza dubbio…» Le parole gli uscirono
fioche, deboli dalle labbra. La voce sembrava essersi fermata in fondo alla
gola riarsa e in fiamme dopo il lungo cantare e urlare ai fan. Non si era mai
abituato a quella sensazione sgradevole post-concerto in cui ogni parola era
pronunciata con così grande fatica.
Shannon lo guardò e sorrise, posandogli una mano sulla spalla, poi
si calò nella parte del fratello preoccupato. «Anche stavolta hai
esagerato, Jay!», ripeté. «Non sforzarti mai più
così, quando senti che ti manca o la voce o il fiato fai cantare anche i
fan, non tentare di strafare sempre. Ah, e la prossima volta che fai il crowd
surfing, ricordati di lasciare il microfono sul palco.»
Jared si portò una mano alla gola. «Finita la predica?»,
chiese, con un sorriso. Suo fratello era sempre stato così protettivo e
preoccupato, ma comprese che forse era quello il ruolo dei fratelli maggiori.
Anche se non erano più dei bambini, almeno in apparenza…
Il batterista alzò il mento offeso. «Dì pure tutto
quello che vuoi fratellino, ma io non ho intenzione di passare per la comare
del gruppo. Ti ho solo detto quello che dovresti fare per il bene del gruppo,
non per il tuo bene. Se rimani con le corde vocali lesionate, le fan ci
linceranno… e noi vogliamo pur sempre rimanere un gruppo, no?»
«Certo, per il bene del gruppo…» Jared sorrise
ironicamente. «Bene, quando avrai finito di dire stronzate…»
All’improvviso qualcosa, o meglio, qualcuno urtò la sua spalla
costringendolo a voltarsi verso destra. Fece appena in tempo per vedere una
ragazza di spalle cercare di trattenere a sé una cartellina nera, ma
sfortunatamente essa si aprì e decine di fogli caddero ondeggiando a
terra. Impegnati com’erano a parlare, nessuno dei due fratelli si era
accorto della figura che era venuta loro incontro e nemmeno lei si era accorta
di loro, impegnata a sistemare i fogli della cartellina.
«No! No! Cazzo, i fogli!» La ragazza, con uno sbuffo irritato,
si chinò sul pavimento candido dei corridoi.
«Ehi, attenta a dove cammini, per la miseria!», le urlò
dietro Shannon, prendendo Jared per un braccio. «Dai, andiamo, ci stanno
aspettando. »Ma il cantante
gli lanciò uno sguardo di rimprovero e si chinò accanto alla
giovane donna indaffarata con i fogli.
«Scusami…» La voce gli uscì piuttosto roca e
provò un forte imbarazzo. Un cantante senza voce? Suonava come un
paradosso!La ragazza sembrò
non sentirlo poiché proseguì con il raccogliere i fogli, cercando
di metterli nell’ordine che aveva deciso e sbuffando frustrata quando si
accorgeva che qualcuno mancava all’appello. «Dannazione!
Dannazione!», continuava a ripetere come una cantilena.
Jared, alquanto mortificato, prese a raccogliere i fogli che gli erano
caduti accanto e, dopo averli messi grossolanamente a posto, glieli porse. Lei
borbottò un veloce “grazie”, prendendoglieli dalle mani e
cacciandoli nella cartellina. Prima che il cantante potesse chiederle qualsiasi
cosa o tentare ancora di scusarsi, la ragazza scattò in piedi e riprese
a camminare velocemente per il corridoio.
“Sono sempre il solito combina guai… chissà dove stava
andando…”, commentò tra sé Jared, seguitando a
guardarla allontanarsi, quasi sperasse di vedere il suo volto. I capelli lunghi
e neri sciolti le scivolavano lungo la schiena e ondeggiavano ad ogni suo
passo.
Shannon gli diede un buffetto sulla spalla. «Ehi, Jared, ci sei?
Vogliamo andare? Gli altri stanno già facendo gli autografi, non vorrai
lasciare a loro tutta la gloria? E poi le fan non aspettano altro che
noi… Ehi, forza!»
Jared si alzò in piedi. La ragazza si era fermata all’entrata
di una stanza, dove era comparsa improvvisamente un’altra donna con i
capelli raccolti dietro la nuca.«D-d’accordo Shan… andiamo»
«Dannazione!»
Elisabeth riprese il cammino, la cartellina stretta forte al petto. Tutti i
fogli, lo sapeva, erano in disordine. Già, poteva già vedere la
faccia paonazza del capo che le gridava “Questa tua negligenza si
riflette persino sul tuo lavoro! Sei pagata per far poco e non fai
nulla!” E via discorrendo altre esclamazioni e sfuriate.
“Possibile che se non stai attenta tu agli altri, gli altri non
stanno attenti a te?” Ovviamente si riferiva ai due contro i quali era
andata a sbattere, anche se era riuscita a vedere ben poco di loro. Anzi,
nulla.
Improvvisamente, da una delle stanze che si affacciavano sul corridoio,
comparve quella che doveva essere una sua collega che per poco non le fece
cadere nuovamente la cartellina.
«E anche tu!» Elisabeth esplose, rivolgendo
un’occhiataccia alla donna. «Diamine, cosa avete tutti oggi? Volete
forse farmi licenziare sul serio? Kate, per favore, cerca di non spuntare
più così dai corridoi quando ci sono io a lavoro, ve bene?»
«Ehi, ehi, che nervosismo, scusa….» Katherine
portò le mani in avanti. «Qualcun altro ti è venuto
addosso?»
«Sì, appena adesso, un paio di screanzati che mi hanno fatto
cadere i fogli a terra. Adesso sono tutti in disordine. Mr Twins mi
ucciderà, come minimo», rispose lei, senza voltarsi indietro.
«Un paio di screanzati?» Kate si alzò in punta di piedi
per vedere oltre le sue spalle. «Forse sono le guardie del corpo
di… oh, dio!»
«Adesso non esagerare, Kate…», la canzonò Liz.
«Le guardie del corpo di dio… stiamo esagerando…»
«Oh mio dio!», ripeté la donna, ignorando la punzecchiatura
della collega. «Oh, mio dio! Sono i fratelli Leto!»
«I fratelli chi?» Elisabeth la guardò, perplessa.
«Leto, L-E-T-O! Shannon e Jared Leto, il batterista e il cantate dei
Thirty Seconds to Mars!» Kate si portò le mani sul volto.
«Oddio, sei andata addosso ai fratelli Leto!»
«Sembri una di quelle ragazzine idiote che stanno urlando là
fuori, stanno urlando proprio per quei due tizi…» Elisabeth scosse
la testa. «Sono i soliti teenager star con canzoni completamente prive di
senso o musiche già sentite. Com’è che si chiamano? Fifty
seconds…»
«Macché Fifty, THIRTY!», la corresse Kate. «Ma
dove diamine vivi? Sulla luna? Non li hai mai sentiti? Hanno dei testi
particolarissimi, le musiche sono molto belle e poi… il cantante è
semplicemente PERFETTO! Ha due occhi… wow! E anche suo fratello non
è per niente male!»
«Fatti assumere come sponsor, Kate» Elisabeth chiuse la
cartellina e si voltò. Solo allora si accorse che uno dei due ragazzi la
stava guardando. Incrociò i suoi occhi grigio-azzurri e vide sul suo
volto comparire un sorriso. Ma furono solo pochi attimi. Il fratello lo
condusse fuori e lui scomparve oltre la porta in direzione della folla che
urlante lo attendeva.
«Hai visto? Oddio, Jared ti ha sorriso!»
Elisabeth non sentì il commento della collega, o almeno non ci
prestò caso. Rimase ancora qualche secondo a guardare la porta che
veniva richiusa con un chiaro tonfo metallico, poi superò Kate e riprese
il proprio cammino.
Curiosità finali: il fatto che Elisabeth capisca "Fifty" al posto di "Thirty" è da ricondurre alla mia cara sorellona, la quale quando è venuta a sapere della mia passione per questa band, era convinta che Leto&Co fossero i "Cinquanta Secondi a Marte". XD XD XD XD XD
Grazie a tutti quelli che hanno recensito i capitoli di questa fan fiction ^-^ Bene, ecco il terzo capitolo
The Promise
La porta della casa era rimasta come
un tempo, forse anche più deteriorata di prima dalla pioggia e dalla
neve che la natura puntualmente si prodigava a far scendere dal cielo nelle
giuste stagioni. Il numero civico era del tutto assente, nascosto probabilmente
da qualche parte tra l’erba alta e incolta del giardino che in qualche
maniera tentava di penetrare nell’edificio dalla fessura sotto alla porta e dalle finestre.
Quanti anni erano passati
dall’ultima volta che vi aveva messo piede? Jared
continuava a chiederselo mentre esitava davanti a
quella porta. Tre? Forse di più? Forse meno? Ne aveva
perso il conto. Quando ci pensava, quei momenti nella
sua mente era come se fossero stati vissuti il giorno prima, così belli
ma così dolorosi.
Shannon,
lamentandosi per l’erba che s’impigliava tra i vestiti, lo
raggiunse. «Allora? Come hai intenzione di entrare? Rompendo una
finestra? Tanto hai già commesso il reato di violazione di
proprietà privata… finestra rotta più, finestra
rotta meno…», lo punzecchiò, scrollando le spalle.
Jared non
replicò. Rimase in silenzio e allungò la mano verso la maniglia
della porta.
«Sì, certo, come se
l’avessero lasciata aperta appositamente per t…» Il
batterista s’interruppe, poiché nel frattempo la porta, spinta dal fratello, stava ruotando cigolando sinistramente
sui cardini ed aprendosi.
«Sì. Appositamente
per me», ripeté Jared, il tono non era
più quello vivace di pochi minuti prima. Era un tono cupo, carico di
profonda tristezza per qualcosa che avrebbe dovuto fare da tempo.
Entrò.
Le assi di legno scricchiolarono
sotto i suoi piedi, accompagnando ogni suo passo. Shannon lo seguì e richiuse la porta alle spalle.
«Perché mi hai portato fin qui, Jay? Forse sarebbe il momento di dirmelo…»,
chiese, guardando preoccupato il fratello che si stava avventurando a passo
lento nel corridoio d’ingresso.
Jared si
bloccò di fronte alla rampa di scale che portava al primo e ultimo piano
della casa. Non si voltò. Le mani, abbandonate lungo il corpo, si
strinsero a pugno. «Non… non volevo venire da solo, tutto qui. Mi
dispiace averti svegliato, ma ho una promessa da portare a termine, una
promessa che avrei dovuto compiere un anno fa, ma se
ti ricordi bene non ebbi nemmeno il coraggio di allontanarmi dalla città
per venire fin qui.»
Shannon comprese
finalmente le intenzioni del fratello. Ricordava benissimo ciò che,
esattamente un anno prima, era successo. Si era
svegliato la mattina in cui dovevano registrare una nuova canzone, un passo
molto importante poiché finalmente i ThirtySecondstoMars cominciavano a riscuotere
successo, e si era accorto che Jared era scomparso.
La sua automobile sparita, il cellulare abbandonato in camera. Aveva passato
tutta la giornata a cercarlo, pregando gli altri di avere pazienza e di
contattarlo non appena avute notizie. Ricordava benissimo ciò che aveva
provato in quei momenti, la paura che Jared potesse
commettere qualche pazzia, la disperata ricerca che sembrava non arrivare mai
ad una conclusione.
«Già, me lo
ricordo», disse, con una sottile e impercettibile punta di amarezza e compassione. Aveva pregato di non vedere mai
più il fratello in quello stato e a quanto parequell’anno le cose sarebbero andate
diversamente.
«Aspettami qui.»
Jared prese a
salire la scalinata, senza aspettare che il fratello ribattesse. Infatti, Shannon non disse nulla.
Capiva che Jared aveva bisogno di qualcuno che lo
sostenesse, in quel momento, e non qualcuno che lo rimproverasse o lo
commiserasse.
«D’accordo, ti
aspetterò qui», disse e si sedette sul primo scalino impolverato
appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
Un altro passo in ciò che è successo tre anni prima. Non sono mai stata ad un concerto prima d'ora, quindi se la descrizione non può corrispondere alla realtà chiedo perdono per la mia assoluta ignoranza. Quest'anno aspettavo con trepidazione il concerto dei Thirty Seconds a Milano, ma sono venuta a conoscenza delle date solo un paio di settimane prima. Ed era già tutto esaurito... ='(
Bene ^^ A parte questo, eccovi il quarto capitolo di "All I left." Non dimenticatevi di recensire!!
See you again
«Scusi, le serve aiuto?»
Elisabeth trasalì quando la commessa le
comparve improvvisamente accanto ponendole quella domanda con un chiaro finto
sorriso stampato in faccia. Solo allora si accorse che da qualche minuto era
stupidamente ferma davanti ad uno degli scaffali stracolmi di cd, alcuni dei
quali minacciavano di caderle addosso. Si senti profondamente imbarazzata e si
chiese per l’ennesima volta come diavolo avesse fatto a
entrare in quel negozio di cd, dove mai in vita sua aveva messo piede. Se
c’era qualcosa che non sopportava, era proprio la musica rock e quel
negozio ne era strapieno. Ovunque, i
poster dei cantanti del momento, foto con autografi per via dei numerosi
concerti che si tenevano in quella città. Evidentemente chiunque gestissequell’impresa,
aveva partecipato a tutti i concerti negli ultimi dieci anni.
«Veramente… sì», rispose Elisabeth, incrociando le
braccia. «Stavo… ehm, cercando… il cd dei ThirtySecondstoMars. Li conosce?»
La commessa le sorrise. «Come non conoscere
i ThirtySecondstoMars?», disse, indicando
uno dei poster appesi alle pareti. «Eccoli alle
origini.»
Elisabeth si avvicinò alle pareti. C’erano
quattro ragazzi ritratti nella foto, il primo riconobbe essere il
fratello di Jared, poi altri due ed infine lui, in
secondo piano. Aveva lo sguardo serio e concentrato rivolto
verso chiunque li avesse fotografati, i capelli in parte biondi e in parte neri
spostati da un’unica parte. Era ben diverso dall’ultima volta che
lo aveva visto, i capelli erano neri e più corti di quanto non li avesse
in quella foto.
«Faranno altri concerti?», chiese Elisabeth, voltandosi verso
la commessa che nel frattempo era scomparsa dietro al bancone e stava rovistando
tra gli scaffali alle sue spalle.
«In questa città l’ultima data
sarà proprio stasera, ma… temo i biglietti siano andati a
ruba. Anzi, tutto il tour è andato sold out,
questi sono concerti che hanno voluto fare in più. Oh, eccolo!» La
commessa trovò finalmente il cd che trovava e
lo posò sopra il banco. «Anche se molte volte,
vedendo il tutto esaurito, qualche ora prima dell’inizio del concerto rilasciano
biglietti extra. Magari puoi tentare la fortuna.»
«Non credo lo farò», disse Elisabeth, avvicinandosi al
bancone e prendendo tra le mani il cd. La copertina era in
bianco e nero, eccetto la scritta in rosso “30 SECONDS TO MARS” e
c’era raffigurato un bambino che imbronciato guardava dritto davanti a
sé. Accanto al numero, quattro simboli posti l’uno sotto
l’altro. “Sono proprio pazzi, questi…”, pensò
Elisabeth, quindi alzò lo sguardo. «Quanto costa?»
Kate era rimasta incredula quando, tornata dal suo
turno di lavoro nella pizzeria dell’angolo, aveva sentito la musica dei ThirtySecondstoMars provenire dalla stanza
della coinquilina. Era rimasta ancora più incredula
quando Elisabeth, spenta improvvisamente la musica, era piombata nel
corridoio gridando di voler andare al concerto di quella sera della band.
«Tu al concerto di stasera?!» Era
rimasta paralizzata alla proposta della collega che fino alla sera prima aveva
definito le canzoni dei ThirtySeconds
“prive di senso” e “già sentite”.
«Andiamo, Kate, avevi
detto di avere due biglietti!», aveva sbuffato Elisabeth, incrociando le
braccia. «Ti prego, dimmi che non hai già
trovato qualcuno con cui andarci.»
«Beh, veramente…» Kate aveva
sospirato, abbassando il capo.
«Veramente cosa?» L’altra aveva cominciato ad agitarsi.
«Kate?»
Kate aveva rialzato il capo. «Veramente… no! Il biglietto è
tuo Liz, se solo vuoi veramente venire con me al
concerto!»
Ed ora entrambe erano lì, in prima fila, pressati dalle parti e da
dietro dalla moltitudine di gente che acclamava l’inizio del concerto.
L’ambiente dal palasport era insopportabilmente chiuso,
si faceva fatica a respirare. Elisabeth, non andata mai ad un concerto
in vita sua, continuava a chiedersi cosa diamine ci facesse
in quel luogo. Ma, come quella mattina, non seppe
darsi risposta. Da quando aveva visto Jared
sorriderle, non era più riuscita a levarselo dalla testa.
“Esattamente come tutte le fan riunite qui, a quanto
pare”, pensò, sentendo un coro di ragazze acclamare il nome
del cantante. «Jared! Jared!
Jared!»
«Non sei eccitata all’idea di essere in prima fila?», le
urlò Kate che, nonostante le fosse a pochi
centimetri dall’orecchio, riuscì a malapena a sentire.
«Penso solo che ho fatto un errore a venire
qui!» rispose Liz. «Fa
caldo, c’è troppo casino. I concerti non fanno per
me!»
Kate le diede un buffetto sulla schiena. «Rilassati, Liz,
e goditi quest’atmosfera. Dovresti sentirti
fortunata di essere nelle prime file. Oh, guarda!
Stanno per cominciare, finalmente!»
Elisabeth non si sarebbe mai più scordata il momento in cui vide Jared fare la sua apparizione sul palco, accompagnato dalla
batteria di Shannon che, posto in fondo, agitava in modo quasi innaturale le bacchette. La musica le
risuonava forte nelle orecchie, cosa che in altri momenti e in
altri occasioni le sarebbe sembrato insopportabile e le avrebbero fatto
perdere la ragione, ma allora non le importava niente. I suoi occhi erano fissi
solo sul cantante, forse nella speranza che lui le sorridesse ancora.
“È ovvio che non si ricorda di me, dannazione!” si
rimproverò, improvvisamente, rendendosi conto che stava fissando Jared. “Sono come queste scimmie urlatrici che mi
sono accanto, completamente assorta da un uomo irraggiungibile.” Il suo impulso fu quello di voltarsi e andarsene, ma
la folla la premeva contro le sbarre che separavano di qualche metro i fan dal palco. “Voglio andarmene, dannazione, voglio andarmene!” Non riusciva nemmeno a muoversi.
Dopo un paio di tentativi falliti cercando di farsi largo tra le persone,
rinunciò e rimase immobile, fissando a malincuore il palco.
“Voglio andarmene.” Non partecipò
con gesti o grida, a differenza di Kate, al concerto.
Jared seguitava a cantare e, come raccomandatogli dal
fratello, molte volte rivolgeva il microfono verso il
pubblico e dava il tempo muovendo la testa o la mano libera.
Il caldo all’interno dell’edificio crebbe sino a diventare insopportabile.
Elisabeth avrebbe dato qualsiasi cosa per andarsene, qualsiasi
cosa per non vedere più quel cantante, per cancellare tutto quello che
aveva fatto quel giorno. “Ma cosa mi salta in
testa? Io ho sempre odiato i concerti!”
All’improvviso, Jared scese le scalinate
del palco e si avvicinò alle sbarre, salutando i fan,
fermati in parte dai bodyguard. Le note della canzone
risuonavano così limpide dalle sue labbra, si poteva notare che amava
quella canzone dalla prima all’ultima nota.
«Tell me, did you see
her face? Tell me, did you smell her taste? Tell me, what’s the
difference? Don’t they all just look the same inside?»
Cantando, si avvicinava sempre di più. Elisabeth smise di lottare
contro la folla. Era come incantata dai suoi movimenti, dai suoi
gesti. Come non esserlo?
«Buddha for Mary, here it
comes! Buddha for Mary, here it comes!»
Elisabeth ricordò che quelle erano gli ultimi versi della canzone.
Per un attimo temette che Jared si voltasse e
tornasse sul palco, ma fortunatamente per lei proseguì il cammino, certe
volte fermandosi per farsi una foto con i fan che si erano
portati dietro la macchina fotografica, per battere il cinque con altri.
«Here it comes!»
Le ultime parole.E finalmente Jared le passò di fronte. Vide con la coda
dell’occhio Kate quasi svenire alla sua vista,
continuando a scattare foto quasi fosse indemoniata.
Elisabeth, invece, non fece niente. Rimase pietrificata,
mentre alle sue spalle, mani si allungavano superandola per incontrare
quelle del cantante.
Questi alzò il microfono in alto e si fermò davanti a lei. Se non fossero state per le luci, non l’avrebbe
certamente vista in quella marmaglia di gente. Rimase qualche istante a
guardarla, prima di riconoscerla. E un sorriso
comparve sul suo volto.
«Spero mi darai l’occasione di chiederti scusa per quanto
è successo ieri», disse.
Elisabeth non sapeva cosa dire. Si guardò attorno, non riuscendo a
comprendere se stesse parlando proprio a lei. Come poteva averla riconosciuta?
«D... dici a me?»
Jared alzò le mani al cielo. «Chi altri ho
urtato ieri sera provocando un’incredibile caduta di fogli a
terra?»
“Se ne ricorda!” Elisabeth era forse più scioccata di
prima.
«Non penso di aver gridato molto questa sera, quindi… se riesco
a vederti dopo il concerto, potrò chiederti scusa. Ho tentato di farlo
ieri, ma avevo talmente poca voce che non mi hai
sentito. Per me è una questione d’onore.» Il cantante scese
dalle sbarre su cui si era arrampicato, chiudendo uno degli occhi in un’espressione
complice. «Spero di scontrarti ancora per i corridoi.»Jared portò il microfono alle labbra e si
voltò verso il palco. «Forza, Shannon, facci sentire la batteria di Echelon!»
«Aspetta…», gridò Elisabeth, ma la sua voce si
perse tra le urla della folla.
Ovviamente nella realtà quello che accade a Elisabeth è a dir poco impossibile, ma questa è una fan fiction, no? XD XD XD XD
Il legno scricchiolò violentemente sotto i suoi piedi, non appena
entrato nella stanza. I vetri della finestra che davano sul
cortile e sulla cancellata erano in frantumi sul pavimento, forse unici
testimoni di una recente ragazzata. Jared
notò subito con malincuore che i mobili erano spariti. La stanza era
completamente vuota, nemmeno il vecchio materasso a molle abbandonato in un
angolo come si ricordava. Niente. Nemmeno la vecchia credenza
vuota appoggiata alla parete accanto alla finestra. Era come se quel
posto avesse rimosso tutto quello che poteva ricondurre a lei e ai momenti
passati con lei. Jared rimase per un attimo
interdetto, chiedendosi se tutto quello che aveva vissuto fosse stato reale o
fosse stato semplicemente un sogno.
Fece un passo in avanti e di nuovo il legno scricchiolò vibrando
sotto il suo piede. Si fermò ancora e ancora fu il silenzio. Un brivido gli percorse la schiena, sentì come un peso
schiacciargli il cuore. Quella stanza, seppur vuota, era ancora impregnata di
quei ricordi che adesso riaffioravano inarrestabili nella sua mente per
colpirlo a tradimento, dopo tanto tempo passato cercando di dimenticare. No,
non era stato un sogno. Rammentava il dolore che aveva provato, forte e
incredibilmente difficile da scacciare, rammentava di aver raggiunto per la
prima volta l'apice della felicità per poi essere bruscamente trascinato
verso il basso.
Dio, che cosa avrebbe fatto per tornare indietro nel tempo, che cosa
avrebbe dato perché tutto fosse stato diverso!
Strinse i pugni talmente forte che sentì le
unghie conficcarsi nella carne. Ma non ci badò.
Quel lieve dolore gli diede la forza per continuare, per compiere un altro
passo in direzione dell'angolo sotto la finestra.
La luna per un attimo scomparve, nascosta da una nuvola passeggera, e la
stanza piombò nella penombra. E nell'attimo in cui tutto si
oscurò, gli parve di vedere nebulosa l'immagine di lei
china su quell'angolo, le mani occupate a mettere a
posto uno degli assi di legno che componevano il pavimento. Gli parve di vedere
lei, i capelli neri che riflettevano la luce del sole, voltarsi verso di lui,
gli parve di vedere il suo volto, il suo sorriso mentre
pronunciava con fare da bambina "E'
un segreto...".
Allungò una mano verso quell'ombra, quel ricordo che la mente aveva proiettato davanti a
sé. Ma non appena la sua mano fece per
sfiorarla, quell'ombra svanì portata via dalla
chiara luce lunare che si era liberata da quella dannata nuvola. E sentì nuovamente il cuore stringersi in una fredda
morsa, contrarsi su se stesso, rivoltarsi nel suo petto.
Compì gli ultimi passi sentendo gli occhi bruciargli, bruciargli come non avevano mai fatto. La sua mente, il suo
cuore, lo pregavano, lo scongiuravano di voltarsi e andarsene, di lasciare le cose del passato nel passato, ma sapeva che ancora qualcosa
lo teneva legato a lei.
Ed era quella dannata promessa.
Le sue mani scorsero sul pavimento di legno, mentre nella sua testa
risuonavano ancora le parole di lei.
"Prometti che lo farai... promettilo. Non posso andarmene... sapendo che tu soffri..."
"Non parlare così...."
"Jared...
è la verità"
"Vedrai che tutto si
sistemerà, vedrai che potremo stare ancora insieme, scavalcare cancelli,
tornare ne..."
"Jay... promettimelo."
Le sue dita s'infilarono in un'apertura e sollevarono uno degli assi di
legno, lo stesso che aveva visto tempo addietro tra le mani
di lei. Sotto di esso, nascosta nel buio, una
piccola scatola di latta.
"Che
cosa hai nascosto?"
Jared si accorse che le sue mani
tremavano, mentre aprivano quella scatola.
"E' un segreto, Jay..."
Il cantante appoggiò la scatola a terra e solo allora la luce della
luna ne illuminò il contenuto.
"Dai, ti prego, dimmelo."
Riconobbe subito cosa quella piccola scatola celava: una vecchia polaroid,
risalente a poco più di due anni prima, quando
pensava di aver raggiunto la vera felicità dopo tanto tempo. Jared era solito farsi le foto con
i fan, nelle pose più disparate e nelle smorfie più stupide,
eppure in quella esibiva un aspetto normale, un leggero sorriso sulle labbra.
Stretta attorno a lui, Elisabeth. Gli occhi della ragazza erano chiusi, mentre
con un bacio sfiorava la guancia di lui.
"Proprio non mi lascerai stare
se non te lo dico, eh?"
Jared sentì qualcosa di
incredibilmente caldo percorrergli entrambe le guance. Solo sfiorandosi il
volto con la mano, capì che stava piangendo.
"No, non ti lascerò
stare finché non me l'avrai detto."
Tornò a fissare la polaroid. Era incredibile come ricordasse
ogni singolo istante in cui l'avevano scattata, troppe notte prima alla luce di
un lampione. E le lacrime si moltiplicarono quando si
rese conto di non poter adempiere la promessa fatta.
"D'accordo, d'accordo, te lo
dirò.... lo sai che non so dire di no quando mi
guardi in quel modo..."
«Perdonami, ma non posso farlo... », sussurrò, come se
qualcuno potesse sentirlo, come se lei potesse sentirlo, nascosta in quelle
pareti, in quei ricordi, in quella piccola scatola di latta. La mano tremante
si strinse attorno a quella polaroid e la mise al sicuro in una delle tasche
interne del giubbotto nero che indossava.
Ecco il nuovo capitolo ^^ Spero vi piaccia! XD ringrazio tutti quelli che mi hanno aggiunto tra i preferiti! Grazie, grazie mille!
Moonlight
Entrare nell'edificio dietro il
palasport non era stato facile, soprattutto non era stato facile
convincere i bodyguard del fatto che lei lavorava in
quel luogo, avendo scordato a casa il
tesserino. Ma ora, nonostante tutto, era lì,
nello stesso punto in cui il giorno prima aveva scontrato Jared,
le braccia incrociate sul petto, dondolando continuamente da un piede
all'altro. Si chiese cosa diavolo stesse facendo
lì, cosa diavolo l'avesse portata prima in quel negozio di dischi, poi
al concerto e infine in quel corridoio. Aveva perso Kate
tra la folla non appena Jared e gli altri della band erano scesi dal palco, altrimenti la collega l'avrebbe
seguita solo per rivedere i fratelli Leto.
«Ti devo chiedere scusa... per me è
una questione d'onore... » forse erano state queste parole a colpirla.
Strano che, una rock star come lui, formulasse parole
del genere. Non sapeva quanto di lì a poco Jared
l'avrebbe sorpresa.
All'improvviso, dall'angolo che portava verso i camerini, comparvero
nuovamente Jared e Shannon,
fianco a fianco come la sera prima. Ed
Elisabeth si sentì completamente sprofondare. Avrebbe
voluto sparire nel nulla, andarsene da quel corridoio. Ma non c’era nessuna porta nel corridoio nel punto in
cui si trovava lei, nessuna porta dietro a cui sparire. Poi Jared
la vide. Sul suo volto comparve nuovamente un sorriso che
illuminò i suoi occhi straordinariamente chiari. Shannon, che non si era nemmeno accorto della ragazza,
intento a frugare tra le tasche alla ricerca del telefono, si fermò
all'improvviso non sentendo più il fratello camminare al suo fianco.
Jared, infatti, si era fermato davanti
alla ragazza. «Sapevo saresti venuta... »
Il suo tono era completamente dolce, nessuna sfumatura di superbia o di superiorità, ma quella frase non fece altro che
involontariamente punzecchiare Elisabeth. «Sono venuta solo per ricevere
le tue scuse. Ieri per poco ho perso il lavoro per la
tua sbadataggine. »
«Ci si
scontra quando entrambi si è distratti »,
ribatté Jared. «La colpa non è
solo mia.» Vide il volto della ragazza diventare incredibilmente cupo e
quindi s'affrettò ad aggiungere. «Comunque
scusami. »
«Mi fa piacere sentirlo... » Elisabeth finse un'insofferenza
che non provava nei suoi confronti. Subito, a pelle, gli era sembrata una
persona diversa da quella che si era immaginata. Non una rock
star, né un attore famoso, ma una persona che dopo tanto tempo, gradino
dopo gradino, con molta fatica era riuscita a raggiungere i propri sogni.
Jared rivolse una strana occhiata al
fratello che, ad un paio di metri di distanza, lo guardava perplesso, con le
mani alzate verso l’alto. «Jared…?»
E toccò ripetutamente con l’indice la schermata
dell’orologio che portava.
Il cantante
tornò a guardare Elisabeth, quasi snobbando il
fratello. «Ti va di andare da qualche
parte?»
Lei rimase
paralizzata. «Che… che cosa?»
Jared guardò l'orologio che portava al polso, nascosto
sotto una lunga manica nera. «Oh, merda,
è già mezzanotte... come passano in fretta questi concerti!»S'interruppe un
attimo, riflettendo. «Abiti in questa città, vero?»
«Sì,
ma.... »
«Perfetto!
» Jared le afferrò il braccio.
«Andiamo!», esclamò, e prese a trascinarla per il corridoio.
Shannon
rimase allibito nel vedere il fratello trascinare con sé quella
sconosciuta. «Jared, dove cazzostai andando? Dobbiamo andare in albergo! Ci sono
alcuni giornalisti che ci stanno aspettando!», gli urlò dietro il
batterista.
Jared non si voltò, ma rispose comunque.
«Inventa qualche scusa!» E scomparve dietro la curvatura a gomito
del corridoio.
Shannon rimase pietrificato a fissare l'ambiente vuoto dove era
appena scomparso il fratello, poi abbandonò le braccia lungo i fianchi e
scosse la testa. “Non crescerà mai…”
Le strade erano tutt'altro
che deserte a quell'ora proprio per via del concerto e Jaredaveva invitato la ragazza a mostrargli vie secondarie
e meno trafficate. Ora camminavano in tranquillità lungo la via che
costeggiava il fiume, alla sola luce dei lampioni che illuminavano fiocamente
il marciapiede e della luna che dall'alto vegliava la città non ancora
addormentata. Jared camminava con le mani in tasca,
la sciarpa stretta attorno al collo: ora che non stava correndo per il palco,
che non stava cantando poteva benissimo sentire il freddo che si era levato.
«Beh, dopo tutto questo, direi che il minimo
è presentarci, che ne dici? », esordì all'improvviso,
rivolgendo alla ragazza che le camminava a fianco l'ennesimo sorriso.
Elisabeth questa volta non riusì a non farsi contagiare: sorrise anche lei ed allungò
una mano verso il cantante. «Mi chiamo Elisabeth, Elisabeth Swank. »
«Bel nome... »,
commentò lui, stringendole la mano. «Io mi chiamo Jared, Jared Leto... anche se
purtroppo credo che tu mi conosca già
abbastanza.»
«Perché
“purtroppo”?», chiese lei, perplessa.
«Perché non posso
presentarmi come si deve... »Jared
era davvero dispiaciuto e il tono della sua voce lo confermò. Rivolse lo
sguardo verso l'alto: la luna, quella notte piena in cielo, era oscurata dalla
fredda e artificiale luce dei lampioni. «Starai
pensando “come? Non ti piace essere riconosciuto? Non ti piace essere
famoso?” E, per essere sincerto, ti devo
rispondere che essere una star non è così semplice come si pensa,
come ogni cosa ha il suo lato positivo e quello
negativo.» Fece una pausa e abbassò lo sguardo verso il
marciapiede. «Devi sempre dare il massimo, anche quando sei in un periodo
della tua vita in cui vorresti buttarti dall'undicesimo piano, devi sempre
stare attento che la tua vita privata non ti venga
rubata. E appena commetti uno sbaglio, uno solo che compiuto da una persona
qualsiasi apparirebbe insignificante, ecco che diventi un mostro, ti gettano
fango addosso, ti rovinano la vita.»
Elisabeth lo guardò. Era sincero, poteva percepirlo nelle sue parole. «Non
ti piace il tuo lavoro? », chiese.
«No, no, non è questo
», s'affrettò a rispondere Jared.
«Io amo recitare, amo cantare con la mia band,
amo cambiare continuamente, solo che i giornali ricamano su di me tante di
quelle stronzate, ovviamente false, che mi fanno maledire
me stesso. E ti assicuro che vivere così
è un inferno. Non hai nemmeno idea di quante voci siano
girate sul mio conto, interi settimanali che dedicano pagine e pagine sulla
domanda: “Ma Jared Leto è gay?”,
quasi senza sapere che l'oggetto della questione esiste sul serio ed è
una persona reale che potrebbe offendersi. Ma alla
fine i veri mostri siamo noi che ci stiamo male e non i giornalisti.
Giornalisti.... Il più delle volte cerco di non
dar loro retta, altre prendo in giro chi mi accusa, ma mi sento profondamente
ferito.» Rimase in silenzio, riflettendo, quindi si
voltò verso la ragazza. «Ma
piantiamola di parlare di me: raccontami un po' della tua vita... ovviamente se
ne hai voglia e se ti fidi di me, non ti costringe nessuno. E' solo che... mi fa
piacere parlare con qualcuno che non siano i giornalisti.»
E mentre diceva questo, lei incrociò i suoi
occhi: sembravano addirittura trasparenti alla luce di quei lampioni.
Sì, erano sinceri: in fondo, Jared non era
altro che una persona normale, senza dubbio di incredibile
talento e bellezza, ma pur sempre una persona.... una persona che con quelle
parole conquistò la sua fiducia.
Elisabeth cercò
di formulare l'inizio del discorso nella sua mente, poi parlò. «Abito con un'amica in un quartiere piuttosto e stranamente
tranquillo di questa città, in un piccolo appartamento. Ogni
giorno lavoro con lei negli uffici dietro al palasport, portando avanti e
indietro le scartoffie del mio capo: l'unico posto di lavoro che sono riuscita ad ottenere dopo anni e anni dedicati allo
studio e con una laurea in diritto. Non ho né fratelli né sorelle
e i miei hanno divorziato quando io ero piccola. Ho vissuto per un periodo con mia madre, poi lei è
morta. Mio padre? Probabilmente risposato. Non mi è mai venuto a cercare
ed io non ho mai voluto cercarlo.»
Jared, che aveva
ascoltato con interesse, intervenne quasi leggendole nel pensiero. «Non siamo poi così diversi... -, disse, infatti.
«Io sono cresciuto con mia madre e con mio
fratello maggiore, Shannon. Beh, Shan
è stato ed è un grande fratello
maggiore, ma tende ancora a preoccuparsi troppo: ha sempre tentato d'essere una
sorta di padre con me. Gli voglio un bene dell'anima, anche se forse non
può sembrare, ma vorrei che lui smettesse di preoccuparsi per me...
ormai non sono più un bambino.»
All'improvviso, si sentirono un paio
di trilli provenire dalla tasca del cantante. Jared
sbuffò, roteando gli occhi. «Dannato telefono!-, borbottò,
frugando nel cappotto alla ricerca dell'apparecchio. Una
volta trovato, lesse il display.
“Shannoncalling”
Elisabeth, che lo stava guardando,
fece un passo verso di lui. «Non rispondi?»
Jared
ricambiò lo sguardo, poi premette un tasto e la suoneria s'interruppe.
Come se niente fosse successo, spense il cellulare e se lo mise in tasca.
«No... voglio essere libero, per un po'....
»
I due ripresero a camminare fianco a fianco. In lontananza, si sentiva dalla strada
principale un'enorme confusione di auto e macchine e
gente che urlava, probabilmente ubriaca, dirigendosi verso qualche bar. Ma loro
sembravano non sentire niente, continuavano a parlare alla luce di quei
lampioni, passo dopo passo. Jared era una persona
strana: nonostante tutti i discorsi che le aveva fatto
prima, ora rideva e faceva battute in continuazione, mimava situazioni imbarazzanti
e comiche che gli erano capitate, quasi non avesse detto niente, quasi che gli
aspetti negativi della sua vita non esistessero affatto.
Elisabeth avrebbe tanto voluto che
quella notte non finisse mai, ma poco dopo tempo – per quello che era
sembrato a lei poco tempo: erano infatti passate due
ore -, vide l'angolo di strada che ospitava il suo appartamento. Si
fermò davanti alla porta comune di quest'ultimo e guardò Jared con
aria triste.
«Temo che siamo
arrivati... »
«Di
già?» Jared guardò
l'orologio. «Oh, santo iddio... le due di notte?
Shannon mi ucciderà!» Poi, si mise a
ridere. «Chissà come saranno le facce dei
giornalisti!» La sua risata pian piano si spense e tra i due
calò di nuovo il silenzio.
Elisabeth tirò fuori dalla tasca le chiavi e le infilò nella
serratura. «Non ci rivedremo più, non è
così?»
«E' probabile...» rispose Jared.
Lei si morse il labbro inferiore. Jared ebbe l'impressione che lei volesse
dirgli qualcosa, ma Elisabeth si limitò ad aprire la porta e voltarsi
verso di lui. «E' stato davvero un piacere conoscerti... Jared.»
«Anche
per me, Elisabeth... »
«Grazie per avermi
accompagnato fin qui.»
«Figurati... »
La porta si chiuse e lei scomparve
dietro di essa. Jared perse
il conto di quanto tempo rimase a fissare quella porta chiusa, manon avrebbe mai
dimenticato i sentimenti che provava in quel momento. Per una sera, dopo tanto
tempo, si era sentito davvero felice.
Tirò fuori
dalla tasca il cellulare, guardando ancora l'apparatamento
dove abitava Elisabeth, poi lo accese e chiamò un taxi.
«Era ora che tornassi, razza di idiota, ci hai fatto stare tutti in pensiero!»
L'accoglienza
all'albergo fu proprio quella che si aspettava. Shannon
era furibondo, ma come aveva detto Jared solo per
mascherare la sua preoccupazione, ed ora lo guardava a braccia incrociate, i
piedi ben saldi a terra nella hall a quell'ora
deserta.
Il cantante si guardò
attorno. «Oh, meno male i giornalisti se ne sono andati... »,
commentò.
«E' tutto quello che hai da
dire?» Shannon lo afferrò per la maglia.
«Mi aspettavo almeno un “oh, scusa, Shannon,
per averti fatto stare in pensiero.” »
Jared sorrise,
puntandogli un dito contro. «Ah, ma allora lo ammetti!»
Shannon
lasciò la presa, colto in pieno dalle parole del fratello. Finse un'aria
indispettita e incrociò nuovamente le braccia. «Non ammetto
assolutamente niente, è solo che ci hai fatto fare una figura del cavolo
con tutti i giornalisti... alcuni di loro sono partiti alla tua ricerca e
probabilmente sono ancora là che vagano...»
«E
lasciali vagare!» Jared scrollò le
spalle, sorridendo.
«La pianti di sorridere come
un'idiota? Cosa diavolo hai combinato?», chiese Shannon e, vedendo che il fratello non diceva una parola,
aggiunse, «Mi vuoi dire almeno il motivo di una
figuraccia collettiva della band? Sai benissimo che i giornalisti aspettavano
solo che te!»
Il cantante lo superò e
cominciò a salire le scale. «Buonanoteeee...»,
canticchiò, salutandolo con una mano, ma senza mai voltarsi.
Shannon rimase
impietrito: non l'aveva mai visto così. Certo, era sempre stato un po'
strano, amava fare versi e battute in continuazione, ma ora sembrava... sembrava felice. Veramente felice. Cominciò a
chiedersi se non c'entrasse la sconosciuta che aveva visto uscire con Jared, poi scosse la testa.
“Jared
innamorato? Oh, ma dai!” E lo seguì per
le scale.
Per favore, recensite! Non posso continuare ad aggiornare se non conosco il vostro parere su questa fan fiction! Comunque eccovi il nuovo capitolo di "All I left"
(Per l'ennesima volta ringrazio tutti quelli che mi hanno recensito e aggiunto tra i preferiti... vi ringrazio XD)
Chapter seven:
Sunrisesagain
Non fu l'allarme ripetuto e
penetrante del cellulare a svegliarlo l'indomani da un sonno senza sogni, ma la
voce squillante di Shannon che, appena aperta la
porta della sua camera d'albergo, gridò:«Sveglia, bell'addormentato! C'è un sacco di cose da
fare oggi!«
Jared aprì
gli occhi, sbattendo ripetutamente le palpebre per abituare le pupille alla
forte luce solare che entrava dalla finestra.
Sbadigliò portandosi una mano davanti alla bocca. «Che... che diavolo ci fai tu in camera mia?»
Shannon non lo guardò neppure, si diresse verso il frigo bar
nell'altra stanza. «Ho fregato il passepourtout dalle
tasche di una cameriera... », disse, scrollando le spalle, come se per
lui fosse una cosa del tutto naturale.
Jared
balzò a sedere, completamente sveglio. «COSA?»
Il fratello tirò fuori dal frigo una bottiglia di birra e, ridendo, si
voltò verso di lui. «Rilassati! Stavo solo scherzando! Mi sono fatto dare le chiavi alla reception...
non ti svegliavi!»
Jared si
portò una mano sul volto, stropicciandosi gli occhi ancora insonnoliti.
« Bevi birra di mattina?»
Shannonmandò giù un sorso della bevanda, poi alzò
la bottiglia quasi in segno di salute. «Ehi, ragazzo... io sono sveglio
da parecchio, me lo posso anche permettere!», commentò.
«Ma...
che ore sono?» Jared si voltò verso il
comodino, aspettandosi di vedere il cellulare con lo schermo rivolto verso di
lui. Ma il mobile era vuoto. «Dove diavolo
è il mio cellulare....?»
Qualcosa lo colpì al petto e
gli cadde in grembo.
Jared si
voltò e vide che Shannon gli aveva lanciato il
suo telefonino.
«L'hai dimenticato in auto,
ieri sera», spiegò il batterista. «Temevo l'avessi fatto di
nuovo... »
Il cantante abbassò lo
sguardo. Tutto gli tornò alla mente. Sia quanto era
successo l'anno prima, sia quanto era successo la sera prima. Per un
attimo aveva creduto, aveva sperato fosse solo un
sogno, uno dei film in cui aveva recitato. No. Era l'amara e dura
realtà che tornava. “La fotografia!” Già, la
polaroid che aveva trovato la sera prima! Istintivamente si portò le
mani sul petto, nel punto in cui si trovava la tasca del giubbotto, ma si
accorse di non avere nient'altro che una maglia a maniche corte addosso.
Sospirò e prese tra le mani il cellulare.«Grazie, Shan...»
Shannon bevve un
altro sorso di birra e prese il blocchetto di fogli che aveva portato in camera
e abbandonato ai piedi del cantante, quindi scrollò le spalle.Figurati«, disse. «Dai,
alzati... hai un sacco di cose da fare oggi, è
la seconda e ultima datain questa
città. »
Jared
spostò le coperte di lato e si alzò, dirigendosi verso il bagno
la cui porta si apriva accanto al letto. Lasciò
scorrere l'acqua dal rubinetto del lavandino e, dopo averne raccolta un po' con
le mani giunte a coppa, se la passò sul volto. Il freddoper un attimo
gli intorpidì la pelle, ma servì per svegliarlo definitivamente.
Abbassò le mani e si fermò a guardare la propria immagine
riflessa sullo specchio: era strano vedersi senza alcun trucco che sottolineasse pesantemente i suoi occhi, vedersi con i
capelli che cadevano scompigliati sulla fronte. Se li
sistemò con qualche movimento delle mani, poi tornò in camera
dove Shannon era ancora seduto sul suo letto.
Il batterista appoggiò la
bottiglia di birra per terra. «Oh, bene, Jay!
Ci sei?»., esclamò battendo le mani l'una
contro l'altra, simulando un'allegria che non provava. Doveva tenere alto il
morale del fratello, dato che quello era un giorno molto triste per lui.
Sfogliò ilblocchetto che aveva in mano. «Allora... il programma di oggi: fra un quarto d'ora arriveranno i truccatori...
sono andati un po' in escandescenza prima quando non ti hanno visto e ci hanno
truccato borbottando per tutto il tempo.» Sorrise, indicando la matita nera che già
gli contornava gli occhi.
«Perchè diavolo non mi hai svegliato, allora?«, borbottò Jared nel frattempo direttosi verso l'armadio.
Shannon
scrollò le spalle. «Non volevo svegliarti... non hai dormito che
poche ore questa notte e oggi devi dare il massimo al concerto, non puoi
permetterti di farci fare brutte figure...» Un
momento di silenzio, nel quale Jared scosse la testa
con un sorriso: suo fratello non cambiava mai!
«Comunque...»,,
riprese il batterista. «Tra un quarto d'ora hai i truccatori. Tra
mezz'ora abbiamo la prima intervista tutti insieme con
giornali locali, nazionali, televisione. La solita routine, insomma. Questo
c'impegnerà tutta la mattinata, fino a mezzogiorno e mezzo dove siamo
attesi nel ristorante dell'albergo per un pranzo con il sindaco della
città che...»
« Ehiehiehiehi,
frena, frena!» Jared, che aveva tirato fuori dall'armadio maglia e pantaloni rigorosamente neri,
interruppe il fratello che parlava in modo molto veloce. «Perché mi stai dicendo il programma tu? Dov'è Emma?»
« Ha avuto un piccolo contrattempo
con dei giornalisti»,, rispose Shannon, ridacchiando. « Come al
solito, ha ringhiato loro contro quando hanno detto di voler anticipare le
interviste, dovessi vedere che scene! Ah, inoltre anche lei è andata in escandescenza quando non ti ha visto.... »
Jared
s'infilò la maglia. « Ma lei va in escandescenza
anche quando mi vede, Shan!», ridacchiò.
«Già!»,
concordò il batterista. «Dunque, stavo dicendo....
ah, a mezzogiorno pranzo con il sindaco che si vuole congratulare per aver
scelto questa città come sede del concerto e per aver portato un po' di turismo
in più, ecc. ecc. ecc... Lo sai come sono i
politici, non smettono mai di parlare. Poi, alle tre massimo
dobbiamo sgusciare via allo stadio, dove dobbiamo controllare che tutto sia a
posto e fare le prove generali come al solito. E alle sei....
il concerto! E Matt, come al
solito, ci ha augurato buona fortuna e ti raccomanda di non sbagliare a dire il
nome della città, com'è già successo...»
Jared
s'infilò i pantaloni e le scarpe, poi si diresse verso il cappotto nero
che la sera precedente aveva abbandonato sull'attaccapanni. «Già...
Tomo continua a prendermi per il culo
per questo... », ridacchiò. Allungò le mani verso il
cappotto, ma si bloccò.
La fotografia.
No, non poteva prendere quel
cappotto, non dopo aver fallito miseramente per la seconda volta.
Tornò verso l'armadio e prese
un altro giubbotto, questa volta grigio, e lo
indossò. «Insomma, abbiamo parecchia roba da fare oggi, eh?»
Cercò di apparire felice, ma dal suo tono trasparì la tristezza
che provava.
Shannon si
alzò in piedi e gli andò incontro. « Jay,
te la senti di affrontare i giornalisti, il pranzo, le prove...
il concerto? »
Jared si
sistemò le maniche del cappotto e sospirò, tenendo il capo chino.
« No, Shannon... non me la sento» Dopo un
attimo, però, alzò lo sguardo. «Ma
devo farlo. E' il mio lavoro. »
«Jared...»,
fece per chiamarlo il fratello, ma l'altro esibì un sorriso forzato.
«Forza, andiamo»,
esclamò il cantante,quindi aprì la porta e
uscì.
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHH!
Scusate il ritardo, ma per quest'ultimo anno non ho più avuto internet in casa, colpa di certi lavori che hanno messo fuori uso il computer!! XD Perdonate l'attesa!!
Allora questo nuovo capitolo è ambientato nel "passato" e devo dire che è stato ispirato dopo la visione della versione completa del video "From Yesterday".
Spero con tutto il cuore vi piaccia!!!
Capitolo otto:
Capitolo otto:
Backstage
Un’altra città. Un altro
concerto.
Jared era seduto
in una comoda poltrona in quello che per l’occasione era stato
trasformato nel loro camerino, assieme agli altri membri della band. Shannon si stava riscaldando seduto di fronte a un piccolo
tavolo su cui batteva ripetutamente le bacchette, canticchiando a bocca chiusa
una canzone identificabile. Tomo, invece, stava parlando sottovoce seduto sul
divano con Matt che sfogliava nel frattempo una rivista.
Un altro concerto.
Solitamente il suo pensiero, nei minuti
precedenti all’inizio di qualsiasi performance, era rivolto a quali
sarebbero state le prime parole rivolte al pubblico, solitamente progettava
l’inizio di discorsi o acclamazioni che puntualmente per l’emozione
una volta saliti sul palco svanivano, come se non fossero mai esistiti.
Solitamente…
Già, perché il suo
pensiero in quel momento era rivolto a ben altra cosa, ad una ragazza
misteriosa con la quale si era scontrato nei corridoi di un’altra
città, in un altro concerto. All’inizio aveva pensato fosse solo
la simpatia per quella ragazza – cosa assai strana poiché
dimostratasi tutt’altro che una sua fan! -, ma poi aveva capito che
c’era qualcosa di più, una sensazione che non provava da tempo.
Qualcosa che premeva all’altezza del cuore, facendogli senza ragione
mancare il respiro, rendendogli insopportabili i momenti di riflessioni e i
lunghi silenzi. Come quello.
Jared alzò
lo sguardo verso la porta, sopra il quale era stato appeso un orologio grigio
che spiccava in mezzo a quel bianco accecante delle pareti.
“Dieci minuti, fra dieci minuti si
va in scena”.
Un’altra città…
Elisabeth. Non riusciva a dimenticarsi
di lei, forse perché non si era arreso dopo quello
che sembrava essere un addio, all’entrata del suo appartamento. Si era
scritto l’indirizzo e il numero civico sul palmare e, tornato in albergo,
era rimasto ore e ore per decidere sul da farsi. Incontrarla ancora? No, era
troppo rischioso, i giornalisti avrebbero sbattuto subito la notizia su tutti i
giornali dopo la sua scomparsa improvvisa… Cosa fare allora?
Era stata una pazzia, se ne rendeva
conto, come si rendeva conto che Elisabeth probabilmente non l’avrebbe
assecondata, ma in fondo al cuore sperava che nemmeno lei si fosse dimenticata
di lui.
Guardò di nuovo l’orologio.
Erano passati solo un paio di minuti.
“Otto minuti, fra otto minuti si
va in scena”.
L’attesa cominciò ad essere
davvero snervante. Jared si alzò dalla sedia,lasciandosi
andare ad un sospiro nervoso e intrecciando fra loro le dita delle mani coperte
dagli immancabili guanti di pelle. Shannon
notò la sua agitazione e smise per un attimo di battere le bacchette. «Andiamo, Jay! Andrà tutto bene
come al solito»,
cercò di confortarlo.
Il cantante scosse la testa. « Non è il concerto che mi preoccupa,
fratellone... », disse e di
nuovo si chiuse nel silenzio. S'impose di non guardare più quel
maledetto orologio, tanto ormai si era rassegnato al fatto che nulla prima
dell'inizio del concerto sarebbe capitato. “Sono stato un pazzo, un
pazzo...!” Prese a camminare avanti e indietro,
meccanicamente, stringendo ancora tra loro le mani. Ogni volta, però, il
suo sguardo immancabilmente finiva per posarsi sull'orologio e per questo
chiuse gli occhi.
“Andiamo, andiamo, andiamo!”
Per un attimo non riuscì a capire per che cosa stesse pregando: se
perché si avverasse ciò che sperava oppure perché il tempo
trascorresse incredibilmente veloce, smorzando quella che per lui era
un'agonia.
All'improvviso, alle sue spalle, la
porta si aprì. “Ecco... è l'ora di andare sul palco...” Cercò subito di non far caso alla
delusione che l'aveva colto e si sentì uno stupido per aver creduto che
lei lo avesse assecondato.
L'uomo alla porta si schiarì la
voce. «Signor Leto...
», disse. « C'è
una persona per lei... »
Gli altri membri della band si voltarono
verso il loro leader che, incredulo, si avvicinò all'uomo. « E chi sarebbe? »
L'altro gli porse quello che sembrava
essere un pass per il concerto. « Dice di
chiamarsi Elisabeth e... »
Jared non gli
lasciò il tempo di terminare la frase. Prese il pass dalle mani
dell'uomo e si precipitò fuori dalla stanza. In fondo a quel corridoio,
davanti all'entrata, vide una figura femminile che avrebbe riconosciuto
ovunque.
«Liz!»
Lei si voltò. I capelli, raccolti
in un'elegante coda di cavallo, ondeggiarono seguendo i suoi movimenti.
Poi un sorriso comparve sul suo volto. « Salve, Jared... »
Sentì
la voce del fratello e un bussare insistente alle sue spalle.
«Jared, tutto a posto? Dobbiamo salire sul palco, il
concerto sta per cominciare! Ehi, mi senti?»
Quel
bagno era insolitamente piccolo, a malapena riusciva a muoversi. Era tutto di
un bianco abbagliante e ovunque regnava un forte odore di disinfettante. Il
lavandino era basso, ma piuttosto ampio. Il vetro sopra di esso era in parte
strisciato e macchiato. Oltre quelle macchie, il suo riflesso.
«Salve, Jared...»Ricordava ancora quella volta in cui Elisabeth l'aveva
raggiunto nel backstage di un suo concerto. Ricordava ogni sua parola, ogni suo
gesto. «Ho ricevuto la tua lettera... »
Dal camerino erano usciti anche Shannon,
Tomo e Matt. Il primo aveva fatto un cenno al fratello. «Jared, dobbiamo salire sul
palco, il concerto sta per cominciare! »
Jared li
aveva ignorati e, voltatosi verso di lei, aveva sorriso. «Non riesco ancora a credere che tu sia qui. »
Elisabeth
aveva guardato, oltre le sue spalle, le espressioni di unShannon alquanto impaziente. « Dovresti andare... »
Il
cantante aveva scosso la testa. «E se non ti trovassi al mio ritorno? »
«Jared, dobbiamo
andare!Jared?
Jared,se non apri sfondo la porta!»
« Ti
prometto che al mio ritorno mi ritroverai... Non ho viaggiato fin qui per
andarmene subito... »
Jared
aprì la porta del bagno così improvvisamente cheShannon aveva ancora la mano alzata nell'atto di bussare.
« Era ora, Jared, mi hai spaventato!»
Il
cantante accennò un sorriso imbarazzato.«Scusami... »
Il
fratello gli posò una mano sulla spalla. «Non scusarti. Non devi. », disse. «E' ora, per un attimo, di mettere da parte i ricordi.
Non senti? La folla la fuori ci sta aspettando! Facciamo vedere la carica dei ThirtySecondstoMars! »
Jared si
mise a ridere per il gesticolare concitato di Shannon.
«Sì, Shan... Andiamo!», rispose imitandolo.
Ma
dentro di sé sentiva che quell'allegria, quel giorno, non gli
apparteneva.
Shannon,
dietro al fratello su una piccola piattaforma rialzata, era alle prese con la
batteria, ma continuava con lo sguardo a tenere d'occhio Jared.
Il
concerto era cominciato bene, Jared aveva tirato
fuori la solita carica e il solito entusiasmo, acclamato dai fan che lo avevano
accolto con striscioni, grida e applausi. Ma Shannon
sapeva che in quel momento stava solo recitando.
Era
quella la condanna di essere famosi: essere sempre al meglio, rappresentare
sempre la perfezione. Non era concesso altro.
Jared
recitava alla perfezione, la folla sembrava non accorgersi che qualcosa non
andava nel cuore del cantante, era bravo a nascondere i propri sentimenti a chi
non lo conosceva. Sotto quella finta patina di allegria, però, Shannon sapeva cosa stava succedendo in realtà e
avrebbe fatto qualsiasi cosa per interrompere il concerto in quel preciso
istante.
E
la sua preghiera venne improvvisamente esaurita.
« Your defences were
on high, your walls built deep inside... »
Jared
aveva infatti cominciato a cantare, sulle note della
chitarra di Tomo, “Wasit
a dream?” . La voce trasmetteva un intenso
dolore che Shannon sapeva essere vero. Lo
accompagnava con la batteria, incalzando il ritmo, doveva trovare il modo di
farla terminare al più presto.
“Cazzo,
Jared, perché hai voluto cantarla?”
Jared
proseguiva imperterrito, ignorando le occhiate del batterista al suo fianco. Il
tono, sempre più malinconico e tremante, aveva calmato la folla che ora
lo seguiva cantando quasi senza muoversi.
«Was it a dream? Was
it a dream? Is this the only evidence that proves it? A photo....»La voce gli
morì in gola.
“Prevedibile”
pensò Shannon. Si aspettava che, sentendo
il nodo in gola impedirgli di cantare, avrebbe rivolto il microfono al
pubblico. Uno stratagemma che funzionava sempre. Uno stratagemma che questa
volta Jared sembrava intenzionato a non usare.
Il
cantante teneva gli occhi incollati alla folla, quasi un incantesimo lo avesse
bloccato in quella posizione.
Sembrava
avesse visto un fantasma e, forse, era stato proprio così.
Perché
non molto tempo dopo un flebile sussurro uscì dalle sue labbra. Una
sola, unica parola che fece comprendere a Shannon
cosa stava accadendo.
«Liz...
»Jared allontanò il
microfono dalla bocca.
«LIZ!»
Il
cantante gettò il microfono a terra e scese dal palco.
Strano,
per tutta la durata del concerto aveva provato una forte e pressante
impazienza.
Strano,
ogni qualvolta faceva un concerto pregava perché il tempo si fermasse.
Non
quella volta.
Durante
la serata, Jared aveva chiesto più volte
l'orario al fratello, sul palchetto alle sue spalle. Shannon
aveva risposto una decina di volte prima di spazientirsi e lanciare al fratello
una delle bacchette che impugnava.
La
folla aveva riso, credendo fosse uno sketch già preparato precedentemente.
In realtà, come ebbe modo di appurare in seguito, la bacchetta che lo
aveva realmente colpito in pieno volto gli lasciò un non voluto livido
sulla guancia.
Alla
fine, giunti attorno alla mezzanotte e sentendo le corde vocali stanche, Jared congedò il suo pubblico e sgusciò via
veloce dal palco.
Impazienza.
Strano,
ora si trovava a correre verso i camerini. Gli venne quasi da ridere. Era ovvio
che ciò che aveva vissuto era stato solo una visione o un sogno. O forse
entrambi. Correva verso il nulla. Verso uno spoglio camerino vuoto che sembrava
la stanza di un manicomio. Correva verso una meta che sembrava non raggiungere
mai. Sembrava che il camerino fosse distante milioni
di miglia che percorreva con la velocità di una lumaca.
Poi,
improvvisamente, si trovò di fronte alla porta del camerino.
Rise.
Sì,
era senza dubbio impazzito e quello era un manicomio. Si preparò al
bianco abbagliante e irritante della stanza e aprì la porta.
«Jared!»
Una
risata più dolce, cristallina dalla sua.
Elisabeth
si alzò dal divano su cui era seduta. I colori scuri di cui vestiva
erano in netto contrasto con il bianco della stanza – divano compreso -.
«Allora.... sei... rimasta».
Solo in quel momento il cantante si accorse di ansimare.
Lei
gli si avvicinò. « Ma cosa avete fatto, un incontro di pugilato? Pensavo foste solo dei
cantanti!»,
chiese, ridendo e toccandogli una parte della guancia. Solo in quel momento Jared sentì il lieve dolore sul volto.
“Dannato
fratellone”, pensò. E poi rise di nuovo e
la sua risata si confuse con quella della ragazza.«Sai, questa è la nostra ultima tappa...», disse. «Ho dovuto dare spettacolo.»
La
mano di lei si strinse attorno al suo polso. «L'ultimo concerto, dici?», sorrise. Un sorriso che svanì presto dalle
sue labbra. «Vuol dire che non avremo altre occasioni per
incontrarci?»
Jared
la guardò, sconvolto, scuotendo con vigore la testa. « No, no, Liz! Anzi, avremo
più tempo! »,
esclamò. «Volevo
dirti che... gireremo le scene di un film nella tua città. Potremo
incontrarci ogni qualvolta che lo vorrai»
Lei
parve sollevata. «Hai appena concluso un concerto e già sei
impegnato sul set»-, chiese. Rise. «
Mi hai invitata qui solo per dirmi che reciterai nella mia città...
perché non hai aspettato di tornare là?»
«Aspettare
così tanto?», chiese Jared, prendendole
la mano. «Non ci sarei riuscito... mai.»
Era
appena caduto il silenzio tra i due, quando la porta del camerino si
spalancò nuovamente.
« Oh...» Shannon si
bloccò sulla soglia. Non era più di tanto sorpreso. « Salve....?»
«
Elisabeth...», la
presentò Jared, spingendola dolcemente in
avanti, ma senza mai lasciare la presa sulla sua mano. «Elisabeth Swank.»