Avengers: The Dark Lord

di SAA89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Natasha ***
Capitolo 3: *** La prigione ***
Capitolo 4: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 5: *** Dalla stessa parte ***
Capitolo 6: *** Ho bisogno di un abbraccio ***
Capitolo 7: *** Alto voltaggio ***
Capitolo 8: *** Most wanted ***
Capitolo 9: *** L' astronave ***
Capitolo 10: *** Quando è tutto finito ***
Capitolo 11: *** Il mandante ***
Capitolo 12: *** Sin ***
Capitolo 13: *** Il generale ***
Capitolo 14: *** Avengers vs. RAID ***
Capitolo 15: *** Controllo mentale ***
Capitolo 16: *** Dammi la mano ***
Capitolo 17: *** Chi sei veramente ***
Capitolo 18: *** Consiglio di guerra ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


< Avrai la tua guerra, asgardiano. Se fallirai... se il Tesseract non ci verrà consegnato... non esisteranno Regni, né lune deserte, né crepacci dove lui non potrà trovarti. Credi di conoscere il dolore? Lui ti farà capire quanto quel dolore sia niente! >

Asgard

Buio. Freddo. Umido.

Mai avrebbe potuto immaginare che la sua cella in realtà non era nessuna di queste cose.

Era abbondantemente illuminata; il mobilio semplice ed essenziale era tuttavia più che sufficiente per le esigenze basilari di chiunque. Ma lui non poteva più accorgersene.

Non sapeva di preciso quando era cominciato. Nessuno lo sapeva.

Ricordava vagamente i suoi primi giorni di prigionia. La rabbia, la frustrazione derivate dal suo fallimento... allora, il terrore era già il sentimento dominante, ma almeno non era l’unico. Ora, l’unica cosa che sentiva era quel  terribile groppo nello stomaco. Che gli faceva girare la testa. Che non lo lasciava respirare. Che lo intrappolava dentro al suo corpo come un coma profondo, eppure cosciente.

Stava solo aspettando che arrivasse la sua fine. Perché, di questo era certo, la sua fine sarebbe arrivata. E sarebbe stata una lenta e dolorosissima agonia.

New York City, Avengers Tower

Tony era esausto, ma anche soddisfatto.

Dopo la battaglia di New York, tutti i Vendcatori avevano accettato la proposta di Tony di trasferirsi in pianta stabile alla Stark Tower, ribattezzata per l’occasione Avengers Tower. Le uniche due eccezioni erano Thor, che passava molto del suo tempo ad Asgard e tornava sulla Terra solo per qualche toccata e fuga, e lo stesso Tony. Il famigerato miliardario, alla fine, si era trasferito da Malibu dopo che quello squilibrato di Aldrich Killian e i suoi scagnozzi-fiammifero gli avevano... ristrutturato la casa. E appena arrivato, si era barricato in laboratorio per giorni a lavorare sulla Mark 43.

Ci aveva provato, a fare a meno delle sue armature. Le aveva fatte saltare in aria tutte quante per convincersi che lui era qualcosa di più di una corazza di metallo. Ma ormai non poteva più rinunciarci: Iron Man ormai era una parte di lui, non poteva farci più niente.

Alla fine, Pepper era riuscita a tirarlo fuori dal laboratorio. Steve e Bruce le avevano dato una mano, persuadendo l’eccentrico inventore che doveva assolutamente staccare la spina. In fondo, la Mark 43 era già operativa, e la successiva Mark 44, affettuosamente soprannominata “Magnum”dallo stesso Tony, aveva solo bisogno di un paio di ultimi ritocchi.

Il capitano Rogers stava già iniziando a pentirsi di essersi lasciato coinvolgere da Pepper. Tony aveva accettato di uscire dal suo buco solo a condizione di poter impiegare il suo tempo libero per, come aveva detto lui, “portare Captain America nel ventunesimo secolo”, che significava istruire il povero Steve in tutte le meraviglie tecnologiche della nostra epoca. Il capitano aveva capito fin da subito che quella era solo una scusa per darsi delle arie e fare lo spaccone.

Quella sera, Pepper era a Washington per una conferenza, mentre Natasha e Clint erano da qualche parte a bordo di un Quinjet che sorvolava l’oceano Atlantico, di ritorno da una missione per conto dello SHIELD a Rota, in Spagna. Tony aveva intrappolato il capitano Rogers e il dottor Banner con una serata- cineforum: secondo la modesta opinione di Stark, “Star Trek” era il film perfetto, ed era una delle pietre miliari che Steve doveva assolutamente vedere al più presto.

< Vedrai, capitano. Ti divertirai un mondo > squittì mentre si dirigeva verso il divano con una enorme ciotola di pop corn.

< Certo, come no - rispose Steve, già pigramente sbracato sul sofà - come quando mi hai portato in quella stupida discoteca. Non riuscivo a sentire neanche quello che stavo pensando >

< Oh, chiudi il becco. Ti sarebbe piaciuto, se solo avessi preso qualche drink... > replicò l’altro sedendosi di fianco a lui e accendendo il gigantesco televisore al plasma.

< Siero del super soldato, Tony. Sai perfettamente che l’alcol non ha nessun effetto su di me. Che differenza avrebbe fatto? >

Tony non ebbe modo di rispondere. Un violentissimo tuono scosse l’edificio, seguito da un black-out generale che per un attimo spense le luci, oltre a mandare in corto circuito la costosissima TV.

< Che cosa è stato? > chiese Bruce, che finora non aveva ancora parlato.

Gli altri due avevano capito immediatamente che cosa era successo. Appena il reattore ARC della torre stabilizzò la tensione e riaccese le luci, Tony si produsse in uno sbuffo irritato, seguito da un paio di francesismi: < JARVIS, dov’è quel teppista? > chiese infine.

L’intelligenza artificiale rispose subito con i suoi soliti modi gentili: < Si trova nel cortile superiore, signore. Credo sia arrivato direttamente da Asgard >.

Stark girò sui tacchi e si diresse con passo deciso verso l’ascensore. Steve lo seguì a ruota, e lo stesso fece Bruce, ancora perplesso dallo sbalzo di tensione e senza capire dove stavano andando.

Appena arrivarono sul tetto, e la porta dell’ascensore si aprì, Tony ne uscì come una furia: < Maledizione, Thor! Quante volte ti ho ripetuto di usare la porta come le persone normali? Hai appena bruciato un televisore nuovo di zec... >

La sfuriata dell’inventore fu bloccata nel momento esatto in cui i tre poterono scorgere il loro amico asgardiano in piedi sulla piattaforma di atterraggio per gli elicotteri: Thor aveva la testa bassa e le spalle ricurve, come se un gigantesco macigno lo stesse schiacciando.

Si girò lentamente verso di loro: < Mi serve il vostro aiuto > disse soltanto. La sua voce era ferma, autoritaria come sempre, ma Steve aveva colto una nota che forse agli altri era sfuggita: c’era urgenza nel suo tono, quasi fosse una supplica.

< Anche a noi fa piacere rivederti, Point Break... > commentò sarcastico Tony, voltandosi per tornare verso l’ascensore.

< È molto importante! Per favore! Dovete aiutarmi! > lo fermò Thor, portandosi davanti a Tony come per impedirgli di tornare dentro.

< Ehi, Tony... forse dovremmo ascoltarlo... > propose Bruce. Steve annuì, silenziosamente mostrandosi d’accordo con il dottore.

< Grazie... > disse semplicemente Thor.

Cinque minuti più tardi, i quattro erano seduti nel salotto all’ultimo piano. Tony puntava ancora lo sguardo verso il suo gigantesco – e distrutto – televisore al plasma, mentre Thor iniziava a parlare:

< Prima di tutto, vorrei che quello che sto per dirvi rimanesse tra di noi... non mi posso fidare dello SHIELD, in questo caso. Soprattutto del direttore Fury > disse con tono grave.

< Ma certo, d’accordo... > disse Bruce, mentre Steve ancora una volta si limitò ad annuire. La cosa sembrava molto seria.

< ...signor Stark? > chiamò Thor. Doveva sapere se anche lui era d’accordo.

Tony fece un leggero sospiro, prima di voltarsi: < JARVIS, il piano in sicurezza > disse. Immediatamente le saracinesche delle finestre si chiusero, e le luci si abbassarono leggermente.

< Piano in sicurezza, signore... > disse la vore robotica di JARVIS appena la procedura fu completata.

< Tutto questo piano adesso è insonorizzato. Nessuno entra o esce e nessuno ci ascolta. Sei contento, adesso? > continuò Tony, leggermente scocciato.

Thor non rispose direttamente: < è importante che nessuno sappia di quello che faremo... >

< Di che stai parlando? > volle sapere Steve.

La risposta di Thor si fece attendere per qualche secondo. Alla fine, il dio del tuono abbassò la testa, evitando lo sguardo degli altri tre, prima di parlare: < Dobbiamo salvare mio fratello dalla sua prigionia ad Asgard > disse infine.

Steve, Tony e Bruce sgranarono gli occhi per qualche istante. Ma era chiaro che Thor non stava scherzando.

< Interessante... > commentò sarcastico Steve.

< Dì un po’, non è che tutti quei fulmini ti hanno fuso il cervello? > chiese Tony.

Thor sbuffò leggermente: < Non c’è il tempo per certe amenità, Uomo di metallo. Mio fratello sta lentamente morendo, la sua punizione è diventata di gran lunga fuori misura... >

< Ha cercato di conquistare l’intero pianeta > fece notare Bruce.

< E ha pagato per questo. E per tutte le vite che ha preso. > rispose a tono Thor.

Steve si grattò la nuca, riflettendo: < Loki non mi è sembrato un tipo che ha bisogno dell’aiuto degli altri. O che vuole l’aiuto degli altri, se è per questo. Dove si trova adesso? Perché credi che debba essere salvato? > chiese.

< Nelle segrete di Asgard. È stato condannato alla prigionia a vita. Ma qualcosa in lui si è rotto, capitano. Io lo so, lo sento. Mio fratello sta lentamente morendo >

< Non lo so, Thor... > mormorò Steve.

Prima che l’asgardiano potesse replicare, fu Tony a rivolgersi a parlare: < Ehi, non starai davvero pensando quello che penso che tu stia pensando, vero? > chiese rivolto al super soldato, che alzò semplicemente le mani.

Tony aveva un’espressione scandalizzata quando si voltò verso Bruce per chiedere aiuto. Ma, con sua grande sorpresa, si accorse che anche il dottor Banner sembrava perplesso proprio come Steve.

< Voi siete fuori di testa... > mormorò infine, alzandosi per andarsene.

< Tony... > cercò di richiamarlo Bruce, ma l’inventore aveva già sbloccato il sistema di sicurezza, era uscito dalla porta e si stava avviando verso il suo laboratorio.

Steve si voltò verso il televisore ormai inservibile: < Beh, non possiamo più vedere il film di Tony ambientato nello spazio... ma possiamo andare a fare un giretto nello spazio di persona > disse alla fine, voltandosi verso Banner e Thor.

Il volto dell’asgardiano si illuminò di speranza: < Significa che potrò contare su di voi? >

< No – rispose secco Steve – significa che voglio vedere tuo fratello. Voglio che ci porti ad Asgard, così potremo vedere di persona se Loki è così malridotto come dici. Nel qual caso... decideremo cosa fare. Sei d’accordo, dottore? >

Bruce fece un respiro profondo, prima di rispondere. Non gli piaceva per niente l’idea di aiutare Loki, ma del resto, doveva ancora scusarsi con Thor per quello che era successo sull’Helicarrier e perché Hulk lo aveva picchiato durante la battaglia di New York. Banner conosceva benissimo l’opinione che Hulk aveva di Loki. Non era delle migliori.

Ma era anche vero che Hulk stava a sentire Captain America.

Mai aveva creduto di vedere il giorno in cui “l’altro” avrebbe obbedito a un ordine. Eppure, durante l’invasione dei Chitauri, quando Steve gli aveva detto di “spaccare”, lui lo aveva ascoltato più che volentieri. Steve aveva un’autorità incredibile, non c’rea che dire.

< E va bene – disse infine – ma se tuo fratello si lascia scappare anche una sola battutaccia o trucchetto, giuro che faccio uscire Hulk. Siamo intesi? >

Thor sorrise debolmente: < Non credo che Loki sia in grado di infastidire più nessuno > disse, una nota di tristezza nella voce.

< Beh, allora andiamo, che stiamo aspettando? > chiese Bruce alzandosi dal divano.

< Non ancora. Ci sono altre due persone che non possiamo lasciare fuori... > lo fermò Steve.

< Barton e Romanoff... > mormorò il dottore.

< Eh già... soprattutto Barton... > rispose Steve.




Ok, allora, questa è la mia prima fanfiction su questo fandom, quindi mi presento: sono SAA89, mi sono appassionato ai film Marvel dai tempi del primo Captain America, e da allora sono sempre andato a vederli al cinema il primo giorno che escono nelle sale!Finora, direi che il mio preferito è stato The Winter Soldier, ma per esigenze di trama ( cioè perché non so gestire tutti i personaggi nuovi che stanno introducendo ad ogni nuovo film ) ho deciso di mantenere il "cast" originale. Spero che la storia possa piacervi, lasciatemi una recensione e ditemi cosa ne pensate!Al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Natasha ***



Trascorsero venti minuti abbondanti prima che i tre sentissero il rumore del Quinjet che atterrava sul tetto della torre. Era il momento della verità.

Steve sapeva già che, nel migliore dei casi, Barton avrebbe reagito come aveva fatto Tony. Eppure sperava davvero di riuscire a convincerlo almeno a tenersi quella storia per sé e non spifferare tutto allo SHIELD.

Aveva approfittato dell’attesa per mettersi l’uniforme e recuperare lo scudo. E, quando Natasha uscì dall’ascensore entrando nel salotto, rimase sorpresa di vederlo in assetto da battaglia, assieme a Banner e Thor, come se si stessero preparando per un’altra missione.

< Salve, ragazzi... > disse, con tono perplesso.

< Dobbiamo parlare. Dov’è Barton? > chiese Steve, andando dritto al punto.

Natasha non sapeva bene cosa pensare: perché Steve era in uniforme? E perché avevano tutti quell’espressione truce sul volto?

< Che succede? > chiese, senza rispondere alla domanda.

< Abbiamo una missione piuttosto particolare... >

< Adesso? >

< Sì, adesso. >

Ormai era chiaro che qualcosa non andava: < Barton è al Triskelion > disse infine, dopo un lungo attimo di silenzio: < Fury vuole un rapporto completo sulla missione a Rota. Mi volete spiegare che sta succedendo? >

Tutti tirarono un piccolo sospiro di sollievo: era molto meglio cercare di convincere Clint e Natasha separatamente. Se fossero almeno riusciti a convincere prima Natasha, poi grazie a lei avrebbero avuto possibilità molto maggiori di convincere anche Barton. Se invece avessero fatto la proposta indecente a tutti e due insieme, di certo non avrebbero cavato un ragno dal buco.

Dopo appena qualche minuto, Natasha aveva capito che la situazione era davvero seria: infatti Steve, Banner e Thor erano completamente usciti di senno.

< Vediamo se ho capito bene... > disse sarcasticamente, stringendosi il ponte del naso con le dita: < vorreste andare su un altro mondo per far evadere il peggior criminale di guerra di tutto l’universo... >

< Più o meno... > rispose Steve.

< ... e volete farlo contro il volere del re di Asgard... così scateneremo una bella guerra interplanetaria che non possiamo neanche lontanamente sperare di vincere... >

Stavolta fu Thor a rispondere: < Padre Tutto è nel sonno di Odino. Non può impedirci di fare nulla... >

< Ma tutti gli altri asgardiani possono, non è così!? > urlò la spia. Natasha era sull’orlo di una crisi isterica: < Come potete anche solo pensare di aiutare quel verme? Quell’essere spregevole merita di morire! > concluse, uscendo dalla stanza e avviandosi verso il tetto.

Steve aveva dovuto trattenere Thor dal fare qualcosa di cui avrebbe potuto pentirsi. Il dio del tuono aveva tutte intenzioni di piantare una scenata da oscar, ma non poteva permettersi di litigare con le persone a cui stava chiedendo aiuto.

< Lascia che me ne occupi io... > aveva detto Steve, afferrando l’asgardiano per un polso. Thor aveva rilassato i muscoli, annuendo semplicemente.

Steve  era salito sul tetto più in fretta che poteva: aveva creduto che Natasha sarebbe saltata sull’aereo e si sarebbe fiondata al quartier generale dello SHIELD per informare Fury, o l’agente Hill, dei piani di Thor. E il capitano Rogers sapeva che non potevano permetterselo: se Fury avesse sospettato qualcosa, si sarebbe sollevato un vespaio senza precedenti. Doveva assolutamente fermare Natasha.

Ma, quando era arrivato alla piattaforma di decollo, il Quinjet era ancora lì, con i motori spenti e il portellone abbassato.

Natasha era appoggiata vicino alla balaustra, e stringeva la ringhiera con entrambe le mani. Sembrava pronta ad esplodere.

Steve era incerto sul da farsi: a parte il fatto che con le donne era pressoché un completo imbranato, con Natasha non sapeva mai come comportarsi. Lei era forse la migliore spia del mondo, e proprio per questo sapeva celare perfettamente le sue emozioni.

O almeno, ci riusciva quasi sempre. Ma Steve si accorse benissimo del leggero sussulto che le scosse le spalle: Natasha stava piangendo.
Detestava Loki con tutta se stessa, e non soltanto per quello che aveva fatto a Barton, o per aver ucciso Coulson. La loro piccola diatriba sull’Helicarrier l’aveva segnata molto più di quanto volesse dare a vedere. La figlia di Drakov, San Paolo, l’incendio all’ospedale, il suo registro rosso... aveva finto indifferenza, era stata addestrata proprio per questo, ma in realtà si era sentita come se fosse stata esposta nuda in pubblico.

Mai Steve Rogers avrebbe creduto di vedere un giorno Natasha Romanoff con le lacrime agli occhi. Ma del resto, mai avrebbe creduto di vedere un giorno un esercito alieno invadere New York. O di conoscere un paio di dei norreni. O di vivere tanto a lungo da vedere il terzo millennio.

Fece l’unica cosa che poteva fare: si avvicinò con deliberata lentezza, giusto per evitare di trovarsi un paio di Glock 26 puntate sul naso, e mettendole una mano sulla spalla. Lei si votò lentamente, le lacrime le segnavano il volto, mentre lui la scrutava con i suoi occhi azzurri. Natasha non lo guardava. Teneva gli occhi bassi; non si era mai fatta vedere così vulnerabile da nessuno.

< Qualsiasi cosa gli stia succedendo... Loki si merita di peggio... > disse con voce rotta.

< Può darsi. Ma non si tratta solo di Loki, vero? > rispose lui.

La rossa non sapeva cosa rispondere. Si chiese se tra le altre cose il famoso siero del super soldato gli avesse donato anche la capacità di leggere nella mente: Steve era forse l’unica persona al mondo a cui non riusciva a mentire. Quasi mai, per lo meno.

Passò qualche attimo prima che Steve la abbracciasse. Per un attimo aveva creduto che lei avrebbe reagito sollevandolo di peso a mani nude e scaraventandolo giù dalla torre, invece lei lo aveva lasciato fare, appoggiando la testa contro il suo petto e rilassando finalmente i muscoli. Per qualche motivo sentiva che poteva fidarsi, che Steve era forse il solo al mondo con cui poteva permettersi di essere se stessa, senza nascondersi dietro la maschera della spietata Vedova Nera. Quando era con lui non c’era niente di cui aver paura.

< Non so cosa ti abbia fatto Loki... ma vedila in questo modo: hai un’occasione per dimostrare di essere migliore di lui >.

Natasha non era certa di volersi lasciare convincere: normalmente avrebbe pensato che le stessero vendendo aria fritta. Ma lui era Steve, il gentile e onesto Steve che non le avrebbe mai mentito. Che non mentiva mai a nessuno.

< E poi... non dirmi che vuoi rinunciare alla vista di Loki chiuso in gabbia! > concluse malizioso.

Si lasciò sfuggire un sorrisetto sbilenco: in effetti, l’idea era piuttosto allettante: magari vedendo Loki in catene si sarebbe sentita meglio...

< Andiamo solo a vedere in che condizioni è, vero? > chiese infine, alzando lo sguardo verso di lui, senza sciogliere l’abbraccio.

< Certo... >

< Non significa che dobbiamo per forza liberarlo, vero? > chiese ancora, neanche fosse stata una bambina capricciosa che non voleva alzarsi dal letto per il primo giorno di scuola.

< È quello che ho detto... > rispose lui con un sorriso rassicurante. Passò ancora qualche attimo prima che lei si decidesse:

< D’accordo... > mormorò infine, accoccolandosi meglio contro la sua spalla.

< D’accordo? >

< Sì, d’accordo... >

< Perfetto, ora dobbiamo solo aspettare Barton e poi- >

< non credo sia una buona idea – lo interruppe lei – lo conosco, e so cosa gli ha fatto Loki... cerdo sia meglio lasciarlo fuori, almeno per adesso. >
Steve non era sicuro di volerla ascoltare. Non gli piaceva avere dei segreti. Non gli piaceva tenere la sua squadra all’oscuro di niente, soprattutto tenere Barton all’oscuro di qualcosa che riguardava Loki. Ma Natasha conosceva Occhio di Falco meglio di chiunque altro, nella loro piccola e disfunzionale famigliola. Se lei diceva che era meglio lasciarlo fuori, probabilmente aveva ragione.

< Non credi che metterlo di fronte al fatto compiuto sia peggio? > chiese.

< Non lo so – rispose lei – ma se lo avvertiamo prima, non ci sarà nessun fatto compiuto, Steve: Barton informerebbe lo SHIELD all’istante >

< ... e va bene. Evitiamo di dirlo a Clint, per ora. Forza, torniamo di sotto. Thor e il dottore ci aspettano... > decise lui, prendendola per mano e riportandola verso l’ascensore.

Pochi minuti dopo, Thor, Bruce, Steve e Natasha erano di nuovo in cima alla torre.

< Ci sono circa un milione di cose che possono andare male, in questa storia – bofonchiò la donna – non mi va a genio l’idea di mettermi contro Odino... >

< Mio padre non è come gli altri asgardiani... il suo potere è smisurato, questo è vero, ma di tanto in tanto deve riposare per poter recuperare quel potere... questo stato è chiamato il Sonno di Odino. La prigionia di Loki ha sconvolto parecchio anche lui, ed è entrato nel Sonno di Odino due giorni fa. Ma non so quanto ancora resterà addormentato, per questo dobbiamo sbrigarci >

L’urgenza nelle sue parole convinse tutti che non c’era più tempo da perdere. Tutti si avvicinarono a lui, per occupare meno spazio possibile.

< Heimdall, apri il Bifrost! >

Nel cielo nero sopra New York City, le nuvole cominciarono a deformarsi, formando una specie di vortice. E proprio come era successo durante l’invasione dei Chitauri, un raggio di luce bianca andò a connettere il tetto della torre con l’atmosfera. Pochi secondi dopo, tutto era finito. Lo strano fascio di luce era scomparso... così come le quattro persone sul rooftop della Avengers Tower.



... E si parte!
Che cosa aspetta i quattro Vendicatori una volta arrivati ad Asgard? Thor avrà ragione sulle condizioni del suo carissimo e odioso fratellino? E come la prenderà l'agente Barton? Lo scoprirete nei prossimi episodi! Ehm, cioè, capitoli.
Alla prossima!
           

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Capitolo 3
*** La prigione ***


Asgard, Osservatorio di Heimdall

Si trovavano in una strana camera circolare, con il tetto semisferico ornato di ingranaggi e ruote di varie dimensioni, faccia a faccia con un individuo di colore, vestito con una scintillante armatura d’oro, che li scrutava con inquietanti occhi arancioni.

< Lui è Heimdall, il guardiano di Asgard > disse Thor rispondendo alla domanda che non era ancora stata posta.

< Ci hai messo più del previsto... > disse Heimdall, rivolto a Thor.

< C’è voluta più persuasione di quanto pensassi... > rispose.

< Dovete fare presto. Tuo padre ancora dorme, ma non ci è dato sapere per quanto... >. La voce del guardiano era urgente, ma piuttosto distaccata. Era chiaro che non era poi così propenso ad aiutare Loki come lo era Thor. Natasha si chiese per un attimo se ci si poteva davvero fidare di lui.

Ci volle parecchio per percorrere a piedi il Bifrost: quello che gli antichi chiamavano il “Ponte dell'Arcobaleno” era lunghissimo, almeno tre chilometri. Captain America prese mentalmente nota che al ritorno, se davvero avessero deciso di portare via Loki, avrebbero potuto avere seri problemi: trasportare un ferito li avrebbe rallentati, ed eventuali inseguitori, probabilmente superiori numericamente e sicuramente più veloci, gli avrebbero fatto vedere i sorci verdi. Se il guerriero asgardiano medio era anche solo lontanamente simile a Thor, Steve non aveva nessuna intenzione di affrontarne un'orda inferocita. Per fortuna che avevano portato anche il dottor Banner.

Appena entrati ad Asgard, comunque, i piani di fuga che Steve stava elaborando passarono immediatamente in secondo piano: quel posto era semplicemente stupefacente. Anche se era notte fonda, i palazzi dorati e gli immensi giardini erano una meraviglia incredibile. Per un attimo ebbe una strana sensazione di deja vu: quando si era accorto per la prima volta di trovarsi nella New York del 2011 aveva provato qualcosa di simile, ma qui l'assurdo aveva raggiunto tutto un altro livello.

Natasha e Bruce sembravano concordare con lui: entrambi avevano la bocca spalancata per lo stupore, tanto che le mascelle iniziavano a fargli male.

< Ma è pazzesco... > mormorò il dottore.

< Già, ma non siamo qui come turisti... un'altra volta, Bruce... > rispose Steve, il primo dei tre a cercare di ricomporsi.

< Forza, le segrete sono da questa parte, venite > gli fece eco Thor.

Ogni più piccolo dettaglio di Asgard lasciava esterrefatti, ma mano a mano che i quattro scendevano sotto al palazzo reale, prendendo strade secondarie e cercando di non dare nell'occhio, le cose diventavano molto più banali e asettiche. Alla fine, quando furono arrivati alla prigione, tutti si accorsero che non faceva differenza se si trovassero sulla Terra o su un'isola fluttuante aliena: un carcere è pur sempre un carcere, nonostante tutti gli ammennicoli e le decorazioni.

Miracolosamente, erano riusciti ad arrivare alla prigione incontrando solo un paio di guardie. Finora non avevano fatto nulla di illegale, e Thor aveva tutto il diritto e l'autorità per portare tre mortali su Asgard. Almeno finché il Padre degli Dei non si fosse risvegliato dal Sonno di Odino e avesse detto qualcosa a riguardo. Loki era in una cella di isolamento, al livello più basso della prigione. Sempre se quella si poteva definire “cella”. Le mura erano bianche, il letto sembrava piuttosto comodo, e c'erano una sedia, uno scrittoio e uno sgabello al centro della stanza. Non c'erano sbarre, né chiavistelli a trattenere il prigioniero: la quarta parete della stanza era formata da una specie di campo di forza trasparente.

Thor, che fino a lì aveva guidato il gruppo, camminando sempre davanti agli altri, si era come bloccato: sembrava quasi che avesse paura di percorrere gli ultimi cinque metri che lo separavano dalla cella del fratello. Era come se in qualche modo si incolpasse di aver fatto finire Loki in quella situazione. Nessuno, in quel momento, riusciva a capire il perché.

Bruce fu il primo a passargli davanti. Non si erano messi d'accordo, ma a tutti sembrava appropriato che fosse il dottore a dare una prima occhiata al “paziente”. Quello che vide lo lasciò perplesso.

Loki non era ferito. Non fisicamente, almeno. Si aspettava di trovarsi davanti un relitto umano coperto di ferite raccapriccianti, invece non vedeva niente di tutto questo. Ma c'erano ben altri segnali che davano adito alle preoccupazioni di Thor: Loki stava tremando visibilmente, nonostante la temperatura si aggirasse intorno ai venti gradi. Il respiro era rapido e affannoso, ed era molto più magro e soprattutto più pallido di come lo ricordassero.

< Che mi dici, dottore? > chiese Steve, affiancandosi a lui. La sua espressione era indecifrabile, così come il tono della sua voce.

< Sembra piuttosto denutrito... e fatica a respirare – iniziò Bruce, sistemandosi gli occhiali – se fosse umano direi che avrebbe decisamente bisogno di cure mediche... ma c'è qualcos'altro >

< Di che si tratta? >

< Beh... non mi sembra presente. Insomma guardalo, Steve. Siamo a tre metri da lui e non si è neanche mosso... a quest'ora non credi che si sarebbe almeno voltato nella nostra direzione, normalmente? >

< Chi ci assicura che non si sia accorto di noi e non stia semplicemente aspettando che abbassiamo la guardia per usare uno dei suoi trucchetti? > chiese Natasha, che si rifiutava di avvicinarsi troppo.

< Io non credo; avrebbe comunque dovuto reagire in qualche modo... qualche cambiamento nel respiro, qualche tic motorio... e invece nulla di tutto questo > concluse Bruce.

< E' questo che intendevo – disse Thor, trovando finalmente la forza di avvicinarsi – mio padre lo ha rinchiuso in questa cella credendo di poterlo confinare più di quanto non sia già. Ma questa prigione non è altro che una cornice per lui. La sua vere prigione... è nella sua mente >.

La voce del dio del tuono era carica di angoscia. Per secoli, aveva chiamato fratello quella esile figura che giaceva agonizzante davanti a lui. Vederlo in quello stato, anche dopo tutto quello che era successo, era devastante per lui.

Natasha fu l’ultima ad avvicinarsi. E quando Loki finalmente aprì leggermente gli occhi, proprio mentre la spia russa raggiungeva i suoi tre compagni, fu proprio lei, nonostante fosse la meno convinta, a capire davvero che cosa stava succedendo.

Appena se ne accorse, rimase stupefatta, inspirando velocemente. Steve non si era fatto sfuggire la sua reazione: < Che c’è? Qualcosa non va? > chiese.

Natasha aveva già visto quello sguardo prima. Lo aveva visto a bordo dell’Helicarrier dello SHIELD, subito prima della Battaglia di New York. Ma allora non era Loki ad averla guardata così.

< I suoi occhi... > mormorò.

Gli altri girarono di nuovo la testa per osservare Loki: Natasha aveva ragione. I suoi occhi erano diversi. Spenti. Vitrei. Trasparenti. Come fossero di ghiaccio.

< Ma che diavolo... > iniziò Bruce, togliendosi gli occhiali e avvicinandosi ancora di un passo per osservarlo meglio.

Natasha aveva già visto quello sguardo. Ma non negli occhi di Loki. In quelli di Clint Barton.

Quello sguardo senza vita, era lo stesso che avevano Barton e Selvig quando erano sottoposti al controllo mentale dello scettro di Loki.

< lo stanno controllando... > disse soltanto.

< Cosa? Controllando? > chiese Thor, evidentemente a disagio.

< Barton e Selvig avevano esattamente lo stesso sguardo, quando lui li ha ipnotizzati con quella specie di bacchetta magica... > spiegò Natasha.

Lo shock sul volto di Thor era evidente: spostava continuamente lo sguardo dalla spia russa al fratello adottivo, incapace di formulare un pensiero coerente.

Steve, il super soldato, in genere ci metteva pochi secondi a valutare la situazione e decidere cosa fare, ma stavolta c’erano troppe domande senza risposta: era Loki che controllava Barton e Selvig a New York... allora adesso chi stava controllando Loki? E a che scopo controllare la mente di un prigioniero rinchiuso in cella?

< Potrebbe anche essere un trucco > disse la voce di Natasha.

Steve, Bruce e Thor si voltarono a guardarla. La spia continuò: < Voglio dire, sappiamo che Loki è il maestro delle illusioni >

< Beh... sì, forse... > concordò Bruce.

Thor stava per mettersi a urlare. Avrebbe voluto pestarli entrambi per aver parlato così di suo fratello, ma in fondo sapeva che avrebbero potuto benissimo avere ragione. Del resto che motivo avevano loro per fidarsi di Loki? Che motivo aveva lui? Tutti questi ragionamenti lo sfinivano.

< Lo scettro... > disse improvvisamente Steve.

< Che cosa? > chiese Bruce, che non capiva dove il capitano volesse andare a parare.

< Lo scettro di Loki. Quello con cui ha ipnotizzato Barton e Selvig. Da dove salta fuori? Come lo ha avuto Loki? >

Thor ci mise alcuni secondi per capire che la domanda del capitano era rivolta a lui. Scosse la testa: < Io... io non ne ho idea. Non è un manufatto asgardiano... > rispose infine.

< Allora è come pensavo – mormorò Steve, avvicinandosi nuovamente alla cella di Loki – non è venuto sulla Terra solo per vendicarsi, stava lavorando per qualcuno... >

< ...e questo qualcuno probabilmente voleva il Tesseract... > concluse Bruce.

< Ma certo! Tutto ha senso ora! Loki avrebbe avuto la sua vendetta, e la Terra sotto il suo comando, e colui che gli ha affidato quello scettro avrebbe ottenuto il Tesseract! > si intromise Thor, ricordando improvvisamente la discussione che avevano avuto nella foresta, quando si erano parlati per la prima volta dopo che Loki era stato dato per morto in seguito alla sua caduta dal Bifrost.

< Già... ma se le cose stanno così... chiunque sia questo tizio che adesso controlla Loki... > iniziò Natasha

< Controlla anche i Chitauri > finì per lei Steve.

< E non credo che sia particolarmente contento del fallimento di Loki sulla Terra – aggiunse Bruce – Insomma, quello scettro è un’arma con i controfiocchi. Se io l’avessi data a Loki e lui l’avesse persa sulla Terra sarei piuttosto irritato... >

Thor era preoccupato dalla piega che la discussione stava prendendo. Si rendeva perfettamente conto che per i suoi tre compagni, data la situazione, liberare Loki equivaleva a tirarsi addosso chissà quali rogne: se questo fantomatico individuo avesse voluto vendicarsi, perché attirarlo sulla Terra portando lì Loki? Thor capiva benissimo che per qualunque midgardiano con un minimo di buon senso, Loki stava benissimo lì dov’era. Fu Natasha a dare voce ai suoi pensieri:

< Beh... non è più un nostro problema. Lasciamo che se la sbrighi Loki >

Thor stava quasi per mettersi in ginocchio a scongiurarli di aiutarlo, di aiutare suo fratello, quando Steve ruppe di nuovo il silenzio:

< E’ un nostro problema eccome, Natasha... >

La russa lo guardò con stupore: < come? >

< Lo scettro di Loki è sulla Terra. Se quel tizio vuole il Tesseract verrà a cercarlo qui... ma se rivolesse la sua bacchetta magica verrà da noi. E a giudicare dall’aspetto di Loki... beh, mi pare che si stia già vendicando di lui... >

Natasha cercò di replicare, ma non sapeva che cosa dire. La logica era stringente.

< Portiamo Loki sulla Terra. Dobbiamo capire con chi abbiamo a che fare > disse infine Steve.




Ebbene, eccoci di nuovo qui, con Loki che sta imparando la legge del contrappasso, Nat e Bruce che non sanno cosa pensare (come me, del resto) e Steve che potrebbe aver appena firmato la condanna della Terra decidendo di dare retta a Thor. Cosa succederà ora?
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 4
*** Ritorno a casa ***


Thor aveva tirato un profondo sospiro di sollievo. Almeno Steve era dalla sua parte. Anche Bruce sembrava essere d’accordo. Natasha, d’altro canto...

< Ti rendi conto che stiamo facendo una cazzata colossale, vero? > sbuffò.

< Preferisci che torniamo indietro sperando che il capo di Loki non decida di venire a farci una visitina? > commentò sarcastico Steve.

< Tu invece preferisci che sia Odino a venire a farci una visitina, quando scoprirà che abbiamo fatto evadere Loki? > gli tenne testa lei.

< Io preferisco sapere contro chi combatto. E Loki sa chi è. Avanti, Natasha, si tratta di raccogliere intelligence! È la tua area di competenza, no? Lo sai come funziona... >

< Uff... d’accordo, d’accordo... allora, come pensi di tirarlo fuori? >

Prima ancora che la spia finisse di parlare, Thor aveva già iniziato a prendere a martellate la barriera magnetica che separava Loki dal resto del mondo. Ci vollero soltanto tre colpi ben assestati perché Mjolnir finisse il suo lavoro: in una esplosione di scintille, il campo magnetico cedette.

< Okay, credo che così possa andare > commentò Natasha mentre Thor si avvicinava alla tremante figura di Loki.

Ora che lo vedeva più da vicino, sentiva un terribile groppo in gola. E se fosse stata colpa sua se suo fratello si trovava in quello stato?

< Non ho mai bramato il trono! > gli aveva urlato in faccia Loki mentre, consumato dalla follia, stava tentando di distruggere Jotunheim, il suo stesso mondo, < Volevo solo essere tuo pari! >. Thor non se ne era mai accorto. Non aveva mai visto la frustrazione di Loki, ogni volta che il Padre degli Dei lo ignorava per dedicare invece tutta la sua attenzione a quello che, in fin dei conti, era il suo unico, vero figlio.

Un rumore dall’altra parte del corridoio lo distrasse dai suoi improvvisi sensi di colpa. Due guardie, probabilmente attirate dal trambusto, erano venute a controllare cosa stesse succedendo alla cella di Loki. Un attimo più tardi, furono entrambi colpiti in faccia, uno dal martello di Thor e l’altro dallo scudo di Cap.

Erano svenuti sul colpo. Bruce sorrise per il lavoretto ben fatto: forse non ci sarebbe stato bisogno di Hulk per andarsene. Era molto meglio cercare di tornare al Bifrost in silenzio e senza farsi notare, piuttosto che trovarsi ad affrontare l’intero esercito di Asgard.

Era il caso di togliere in fretta il disturbo. Thor prese in braccio Loki, soffermandosi solo un attimo su quanto poco pesasse.

Fortunatamente, le due guardie non avevano dato l’allarme, ma ci volle molto più tempo del previsto per ritornare al Bifrost: dovettero passare per corridoi secondari e vicoli fuori mano per non farsi scoprire. Thor portava Loki in spalla e non avrebbe potuto combattere al meglio. In realtà, se c’era una possibilità di non combattere affatto, aveva tutte le intenzioni di sfruttarla. Era strano: proprio lui che aveva sempre cercato la guerra, i combattimenti, anche le banali risse tra ragazzini, ora faceva di tutto per non provocare nessuno.

Si trovavano all’inizio del ponte, e non c’era modo di attraversarlo senza farsi vedere. O almeno così credevano.

< Reggetevi tutti a me > aveva detto Thor. Non erano proprio sicuri di cosa avesse in mente il dio del tuono, ma tutti fecero come gli era stato chiesto. Thor iniziò a roteare vorticosamente il suo martello, e all’improvviso i quattro Avengers furono catapultati in avanti, volando a raso terra per tutta la lunghezza del ponte.

Arrivarono all’osservatorio di Heimdall slittando sugli ultimi cento metri del Bifrost, per finire in un imbarazzante mucchio umano ai piedi del guardiano di Asgard. Nessuno si era fatto male in alcun modo, ma Loki era finito al di sotto di tutto il groviglio. Thor si alzò in piedi per non schiacciarlo, facendo cadere per terra gli altri tre.

Bruce, per fortuna, non si era spaventato rischiando qualche incidente con Hulk. Anzi, stava ridendo di gusto: < Facciamolo ancora! > disse.

Ma Thor e Heimdall non erano decisamente in vena di scherzi. Guardavano Loki, steso a terra nello stesso pietoso stato in cui si trovava nella sua cella, evidentemente preoccupati. Bruce si chiese se lo avevano sentito, ma si disse che probabilmente era meglio di no.

< Sei sicuro di quello che fai? > chiese il guardiano dopo un lungo attimo di silenzio.

Thor, in ginocchio di fronte al fratello, rispose: < è tardi per i ripensamenti adesso, e comunque è l’unico modo... non potrà mai rinsavire, rinchiuso in quella cella... >

< Sai che dovrò informare il Padre degli Dei, quando si risveglierà... >

< Lo capisco, Heimdall... accetterò qualunque punizione alla quale il Padre degli Dei mi condannerà, ma non posso non agire >

Il guardiano tornò al suo posto, al centro dell’osservatorio, prendendo l’elsa della grossa spada conficcata nel pavimento con entrambe le mani.

< Buona fortuna, figlio di Odino > disse infine, aprendo di nuovo il Bifrost.

Washington D.C, Triskelion

L’ascensore si aprì nel parcheggio al piano interrato del gigantesco palazzo, e uno dei migliori agenti dello SHIELD ne uscì a passo spedito. Clint Barton era quasi arrivato alla sua macchina; ormai era troppo tardi e lui era troppo stanco per andare fino a New York e tornare alla Avengers Tower. Avrebbe passato la notte in una delle case sicure dello SHIELD lì a Washington e sarebbe tornato a New York il giorno seguente. Fury lo aveva tenuto nel suo ufficio per un’ora e un quarto, per il debriefing sulla missione appena completata a Rota. Si chiese perché a lui toccava sempre il lavoro d’ufficio mentre Natasha ogni volta riusciva a svignarsela appena rientravano. Avrebbe dovuto presentare un reclamo ufficiale allo SHIELD, ma probabilmente, se lo avesse fatto, Natasha avrebbe inventato nuovi ed eccitanti modi per fargli provare dolore fisico. Era meglio lasciar perdere e dormirci su.

Aveva fatto scattare la serratura e aperto la portiera della sua auto, quando all’improvviso il telefono iniziò a squillare. Il faccione arrogante di Stark apparve sul display. Fantastico. Dopo una dura giornata di lavoro, ci volevano proprio le frecciatine di Tony a rovinargli il sonno.

Accettò la chiamata, anche se per un attimo aveva seriamente valutato l’opzione di chiudergli il telefono in faccia: < Stark, lo sai che ore sono? Ho avuto una giornata pesantuccia; ho bisogno di dormire. Che cosa vuoi? >

< Vieni alla torre, subito >

Barton era rimasto di sasso. Non aveva mai sentito la voce di Tony così seria: < Che c’è? Problemi? > chiese, un po’ meno bellicoso.

< Forse. Dai, muoviti > rispose Stark, chiudendo la telefonata.

Hawkeye sbuffò rumorosamente, prima di rassegnarsi, chiudere la macchina e avviarsi di nuovo verso l’ascensore, per dirigersi invece all’aeroporto al di fuori dell’edificio e prendere un elicottero che lo portasse al quartier generale degli Avengers.

New York City, Avengers Tower

Il Bifrost li aveva depositati sul tetto esattamente nello stesso punto da dove erano partiti.

Ora veniva la parte difficile: evitare che Tony e Clint avessero una crisi isterica. Non avevano ancora pensato a come fare, e purtroppo non ne ebbero il tempo: quando scesero al piano di sotto, furono accolti da due paia di occhi che lanciavano fuoco e fiamme.

Clint era in piedi con le braccia lungo i fianchi, in uniforme da battaglia, l’arco stretto nella mano destra e le frecce a tracolla, quasi fosse pronto ad affrontarli tutti e quattro da solo. Era furioso e disgustato allo stesso tempo. Tony, qualche passo dietro di lui, stava con le braccia conserte, il volto molto meno contratto di quello dell’arciere, ma comunque evidentemente contrariato. Tra l’altro, la sua nuova armatura Mark 43 faceva bella mostra di sé proprio in mezzo al soggiorno. Prima non c’era, pensò Steve. Evidentemente, entrambi erano pronti a uno scontro violento.

Thor, che teneva ancora in braccio Loki, fu il primo a rompere il silenzio: < Mio fratello ha bisogno di aiuto > disse, facendo un passo avanti verso di loro.

Clint avrebbe voluto incoccare una freccia e “aiutare” Loki con un bel colpo di grazia, ma decise che non valeva la pena di farsi massacrare da un dio norreno solo per far smettere di soffrire quel criminale: < Tieni quel bastardo lontano da me > sibilò minaccioso, alzando la mano libera e puntando l’indice contro Thor.

Il dio del tuono rivolse il suo sguardo a Tony, con un’espressione interrogativa. Il miliardario lo guardò negli occhi restando in silenzio, ignorando il patetico ammasso di carne che teneva tra le braccia, sostenendo il suo sguardo e lasciandogli intendere la sua decisione.

La situazione stava per precipitare: Clint aveva stretto ancora di più la presa sul suo arco, e anche Tony si era avvicinato di parecchi passi alla sua armatura.

Anche Thor non scherzava: stringeva l’impugnatura del suo martello talmente forte che ormai le sue nocche erano diventate bianche.

Stava per scoppiare un putiferio, poco ma sicuro. Steve si disse che doveva inventarsi qualcosa, e subito anche, prima che i membri della sua squadra si scannassero a vicenda: < D’accordo – disse, attirando l’attenzione dei tre “belligeranti” – lo portiamo via. Andiamo al mio vecchio appartamento, a Brooklyn. È chiaro che qui non è il benvenuto... >

Tony e Clint sembrarono accettare la soluzione di compromesso, rilassandosi leggermente. Steve stava letteralmente tirando Thor per il mantello per portarlo via, ma all’improvviso un nuovo arrivo mandò a monte i suoi piani: < Io non credo. Voi non lo portate da nessuna parte > disse la squillante ma autoritaria voce di Pepper Potts.

La direttrice esecutiva delle Stark Industries aveva appena fatto il suo ingresso nel soggiorno, e se ne stava a gambe leggermente divaricate e mani sui fianchi proprio davanti alla porta, pronta ad imporre il suo ruolo di padrona di casa ( anche se, secondo Tony, era la padrona soltanto del 12 per cento della casa... ).

< E tu che cosa ci fai qui? > chiese il miliardario, stupito.

< Hai fatto mettere il piano in sicurezza da JARVIS, prima. Mi sono preoccupata... e a quanto pare ne avevo motivo... > rispose la donna, avvicinandosi a Thor, che ancora teneva Loki in braccio.

< Ehi! Aspetta! Quello è pericoloso! > le urlò contro Tony. In fondo, Loki lo aveva pur sempre scaraventato giù proprio dalla stessa finestra che ora si trovava a pochi metri lì accanto. Ma il suo avvertimento scivolò addosso a Pepper come acqua su uno specchio: < Forza, venite con me > disse, rivolta ai quattro.

< Ma che stai facendo, sei impazzita? > protestò Tony. Pepper si girò verso di lui con un’espressione serissima: < Questo è uno dei posti più sicuri in tutta la città. Preferisci che il dio asgardiano mezzo matto sia portato in un appartamento qualsiasi di Brooklyn? Perché io credo che sia meglio tenerlo d’occhio da vicino > sibilò, tappandogli la bocca.

Tony la guardava con gli occhi sgranati mentre usciva seguita da Bruce, Steve e Natasha. Thor, prima di andarsene, si voltò un’ultima volta: < Lo sapete, pensavo che avreste almeno mostrato un po’ di compassione. Mi sbagliavo. Non siete poi tanto diversi dal mostro che credete che Loki sia >.





...Che la squadra si sfaldi prima ancora che comincino i problemi veri?
Nonostante le sue condizioni, Loki ha sconvolto gli equilibri tra gli Avengers come un tornado. Le cose torneranno mai come prima?
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 5
*** Dalla stessa parte ***


Pepper aveva condotto il gruppo in uno dei piani inferiori, uno che non era occupato da nessuno degli Avengers, dove Loki era stato steso su un letto riservato agli ospiti. Poi, il silenzio era sceso nella stanza.

Pepper e i quattro Vendicatori non avevano la più pallida idea di cosa fare. Non sapevano nemmeno se fosse opportuno sedersi o rimanere in piedi. Alla fine, fu Bruce a rompere il silenzio: < Beh, io... io vedo di capire cosa gli sta succedendo esattamente. Ehm... Steve, Thor, mi sentirei molto più tranquillo se uno di voi restasse in zona. Se Loki mi dovesse attaccare non credo proprio che sarei in grado di trattenere Hulk >

< Io non vado da nessuna parte, dottor Banner... > rispose risoluto il dio del tuono.

< In questo caso, se non avete bisogno di aiuto, io andrei a cercare di far ragionare Tony... > disse invece Steve.

< Io provo a fare lo stesso con Barton > aggiunse Natasha con poca convinzione.

Pepper era piuttosto indecisa, ma alla fine optò per cercare di dare man forte a Steve.

*

< La vedi quella finestra? Mi ha scaraventato fuori da lì! E lo sai perché? Perché non era riuscito ad hackerarmi il cervello con quel suo bastone dell'apocalisse! > esplose Tony. L'unico motivo per cui ancora cercava di darsi un minimo di contegno era Pepper, che assisteva in silenzio a tutta la scena.

< Senti, Stark, neanche a me piace questa situazione. Ma sento puzza di bruciato lontano un miglio. C'è qualcosa di grosso in ballo, credimi... > rispose Steve, cercando di mantenere la calma.

< E allora? Siamo preparati, no? Siamo gli Avengers! Perché dovremmo dare asilo ad un criminale come Loki!? >

< Perché è lui la chiave di tutto, Stark! Possibile che non te ne rendi conto? È tutto collegato! Loki, lo scettro, il Tesseract, i Chitauri, sono tutte pedine di uno stesso piano! >

< Sei tu che non te ne rendi conto, Rogers! Hai tirato fuori di prigione la più grande minaccia che la Terra abbia mai affrontato! E questo solo perché senti “puzza di bruciato”? >

< Hai visto come è ridotta la tua “minaccia”? Non credi che forse, se gli dimostriamo che noi siamo migliori del tizio per cui lavora, la “minaccia” potrebbe cambiare schieramento? >

< Oh, certo, grande idea! Fidiamoci del dio dell'inganno! >

< Certo che per essere un genio a volte sei veramente ottuso! Non mi fido di Loki, mi fido di Thor! Sarebbe opportuno che lo facessi anche tu! Possibile che Howard non ti abbia insegnato nemmeno a fidarti dei tuoi compagni di squadra!? >

< MAGARI LO AVREBBE FATTO, SE SOLO NON AVESSE PASSATO TUTTO IL SUO TEMPO AL CIRCOLO POLARE ARTICO A CERCARE TE!! >

Il silenzio assoluto era immediatamente sceso nella stanza. Pepper si era portata una mano alla bocca, esterrefatta, sgranando gli occhi. Tony aveva distolto lo sguardo, voltandosi e facendo qualche passo verso la finestra. Non riusciva più a sostenere lo sguardo di Steve. Aveva provato a balbettare qualcosa, ma poi ci aveva rinunciato. Non sapeva che cosa dire.

Anche Steve aveva abbassato la testa: < Allora è di questo che si tratta... > mormorò.

Tony finalmente trovò il coraggio di parlare: < Senti, mi dispiace, okay? Ti chiedo scusa, e segnati questa data perché ti garantisco che non succederà mai più. Lo so che non è colpa tua e che stavi facendo il tuo dovere e tutto il resto, è solo che... >

Aveva lasciato il discorso a metà.

Verso la fine della guerra, Howard Stark era stato coinvolto nel Progetto Manhattan, ovvero la creazione della prima bomba atomica. Aveva creato un'arma come nessun'altra prima di allora. Si era convinto di aver causato solo morte e distruzione, e si era convinto anche che il suo contributo alla nascita di Captain America fosse l'unica cosa buona che avesse mai fatto. Non riusciva ad accettare l'idea che Steve Rogers fosse morto, ne era ossessionato, e aveva passato buona parte del resto della sua vita conducendo una spedizione dopo l'altra alla ricerca dell'aereo dell' HYDRA. Inoltre, era uno dei fondatori dello SHIELD e il capo della più grande multinazionale del mondo. Il che non gli lasciava molto tempo per crescere un figlio.

E così, il piccolo Tony aveva iniziato a detestare con tutto se stesso questo integerrimo supereroe che gli aveva praticamente portato via il padre. E quando era saltato fuori che Captain America era ancora vivo ed era nella lista dei candidati per il Progetto Avengers, Tony Stark sapeva già che le basi su cui fondare un rapporto di lavoro erano piuttosto precarie.

Pepper si era avvicinata, mettendogli una mano sulla spalla, per poi strofinargli lentamente la schiena, cercando di consolarlo.

< Mio padre era troppo occupato per insegnarmi la fiducia, capitano > disse infine Tony.

< Non è mai troppo tardi, però... > rispose Steve avvicinandosi, anche se la sua voce era molto più bassa del normale. Non riusciva a non sentirsi in colpa per quello che Tony aveva dovuto passare: < Non sei obbligato ad andare d'accordo con me, Stark. Cercherò di farmi perdonare, te lo prometto. Ma adesso ho bisogno che tu stia dalla mia parte >

Tony riuscì finalmente a voltarsi. Si guardarono negli occhi per qualche istante:

< ...Sì, d’accordo. Voglio provare a fidarmi, Rogers... > disse, tendendo una mano verso di lui.

La mano guantata del capitano strinse la sua. Steve credeva in ogni parola che aveva detto: non chiedeva amicizia o rispetto. Per lui, la fiducia era più che sufficiente.

*

< Non ci posso credere! >

< Clint, ti prego, ascoltami... >

< Tu dovresti essere dalla mia parte, Nat! >

< Siamo tutti quanti dalla stessa parte, Clint! >

< Oh, e adesso aiutiamo Loki!? Posso capire tutto, Natasha! Posso capire Thor, del resto Loki è pur sempre suo fratello; Steve è una specie di super boy scout che aiuterebbe anche Freddy Krueger se qualcuno gli avesse fatto un torto; Bruce è un medico e ha giurato di aiutare le persone in difficoltà, ma tu! Che motivo hai tu, Natasha? >

< Steve dice che può aiutarci... io mi fido di lui... >

< Balle, Natasha! Stronzate! La Vedova Nera non si fida di nessuno! >

Era rimasta ferita da quell'affermazione. Era stato proprio lui il primo di cui aveva imparato a fidarsi:

< Ti sbagli... le cose cambiano... >

< Davvero? Lo sai cosa penso? Penso che la tua motivazione sia puramente personale! >

Natasha non capiva: < Che... che stai dicendo? >

< Oh, per favore! Non fare la finta tonta! Credi che non lo sappia? Lo fai soltanto per essere in pace con te stessa! Credi che se prendi esempio da Captain America e aiuti il prossimo, forse ti verrà perdonato tutto quello che hai fatto in passato, vero? E se poi riesci anche ad entrare nelle grazie di Steve e a fargli tirare qualche filo con Fury per eliminare quella nota rossa sul tuo registro, allora tanto meglio, no? >

Era rimasta di sasso; non era certa di aver sentito bene: < Dì un po', sei impazzito forse? Hai idea di cosa mi farebbe Fury se venisse a sapere cosa sta succedendo qui? Sto rischiando che lo SHIELD mi butti nella stessa prigione di Emil Blonsky e butti via la chiave! > sbottò la spia, sdegnata.

< Già. Come no. Mi chiedo quanto ci metterà Steve ad accorgersi che per te è solo un burattino... >

Questo era davvero troppo. Tirò un violentissimo pugno dritto sul naso di Barton, facendolo cadere a terra:

< Io non sto usando Steve! Non lo sto usando!! È chiaro!? > urlò, continuando a tempestare di pugni e calci quello che credeva essere un suo carissimo amico.

La rissa durò poco più di trenta secondi. Natasha si fermò, allontanandosi da Clint. Sapeva che era la rabbia che lo faceva parlare così, ma non doveva permettersi di insinuare che voleva usare Steve per il suo tornaconto. Lui non sapeva niente di quello che provava per Steve.

Però lei non avrebbe dovuto perdere il controllo in quel modo. Barton aveva tutte le ragioni di questo mondo per odiare Loki, e di certo si sentiva come se lo avessero pugnalato alle spalle.

Non aveva reagito. Si era lasciato picchiare senza fare nulla. Quando lei aveva smesso, era rimasto sdraiato sul pavimento, cercando solo di contenere con una mano le perdite di sangue causate dalle ferite sulla bocca e sul naso.
Natasha era sconvolta. Si sentiva una stupida, e già i sensi di colpa per quello che aveva appena fatto iniziavano a tormentarla:

< Clint... > tentò.

< Vattene, Natasha... >

< Clint, per favore... >

< VATTENE VIA!!! >

Non era assolutamente il caso di insistere. Esitò solo per un brevissimo attimo, prima di voltarsi e andarsene di corsa. Senza dire nulla. Senza mai girare la testa per guardare indietro.

*

Ormai se ne erano andati tutti. Bruce non aveva ottenuto nulla, e alla fine aveva solo potuto mettere a Loki una mascherina per l’ossigeno, per aiutarlo a respirare meglio. Thor era crollato in un sonno profondo pochi minuti dopo che il dottore se ne era andato. Era mentalmente sfinito. Nella stanza non c’era nessun altro.

Era il momento perfetto per lui. Avrebbe potuto finalmente avere la sua vendetta e farla finita una volta per tutte.

Occhio di Falco era uno dei migliori agenti segreti del mondo; le sue abilità erano paragonabili a quelle di Natasha. E infatti era riuscito ad intrufolarsi nell’infermeria senza che nessuno se ne accorgesse.

Se se stava lì, accanto al letto della persona che odiava di più in tutto l’universo. Loki tremava e respirava affannosamente: quasi quasi gli dispiaceva ammazzarlo e porre fine alle sue sofferenze. Ma una occasione d’oro come questa avrebbe potuto non ripresentarsi più.

Sfilò una freccia, la incoccò e tese l’arco, puntando dritto in mezzo agli occhi di Loki. Thor russava beatamente, sbracato su una poltrona lì accanto. Non avrebbe potuto fare nulla finché non fosse tutto finito. Probabilmente non se ne sarebbe accorto fino alla mattina seguente.

Era semplicissimo: gli sarebbe bastato rilasciare la corda e la freccia avrebbe fatto il suo lavoro. Al diavolo le conseguenze.

Ma non era completamente sicuro che fosse la cosa giusta da fare.

Natasha diceva che Loki era sotto lo stesso controllo mentale che aveva subito lui. Da una parte, questo gli dava un motivo più che valido per neutralizzarlo, ma dall’altra non poteva fare a meno di pensare che nessuno meritava di essere torturato in quel modo.

Gli tremavano le mani per la rabbia. Perché sapeva che non poteva fare quello per cui era venuto. Nonostante tutto, non poteva ucciderlo così a sangue freddo. Non era come lui. Non era un assassino.

Abbassò l’arma, cercando di calmarsi.

Loki non l’avrebbe passata liscia. Gli avrebbe fatto pagare tutto quanto, in un modo o nell’altro, ma non così. Non mentre non poteva difendersi.

Uscì silenziosamente dalla stanza, indeciso su cosa fare. Sapeva che non sarebbe riuscito a chiudere occhio, quella notte.





...Civil War? No, sul serio, Loki crea instabilità anche quando dorme!
Comunque, mi sono sempre chiesto perché Tony punzecchia continuamente Steve, e questa è la migliore risposta Internet mi ha fornito. Avete altre idee?
Nel prossimo capitolo la situazione migliorerà, lo prometto. A presto!

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Capitolo 6
*** Ho bisogno di un abbraccio ***


Era stata una serata orribile per entrambi.

Steve e Natasha erano seduti ad un tavolo, nel piano della torre in cui abitava il super soldato.

Era un’abitudine che era cominciata poco dopo che erano diventati compagni di squadra nello SHIELD: ogni volta che aveva bisogno di aiuto, o di conforto, o semplicemente di qualcuno con cui parlare, Natasha entrava nel suo appartamento forzando la serratura, e Steve si faceva sempre trovare lì, si lamentava per un attimo per la serratura rotta, e subito dopo era pronto ad aiutarla.

Dopo la sua lite con Clint, Natasha era corsa da lui senza nemmeno accorgersene. Era stato istintivo, come un riflesso condizionato: appena era entrata nell’ascensore, aveva premuto il pulsante per il piano di Steve invece del suo. Se ne era accorta solo quando aveva trovato la porta dell’appartamento che non era chiusa a chiave. Lei teneva sempre la porta chiusa a chiave. Steve non lo faceva più da quando si erano trasferiti nella Torre, tanto per evitare le domande inquisitorie di Stark sul perché la serratura di quella specifica porta si rompesse così spesso.

< Clint è quello che mi ha tirato fuori dalla mia vecchia vita... è stato il primo a credere che io potessi essere qualcosa di diverso dalla super assassina dal cuore di ghiaccio che il KGB aveva creato... e io gli ho voltato le spalle, Steve. Come ho potuto? > chiese Natasha, più a se stessa che a lui. La sua voce era spenta, la sua espressione assente. Era tremendo vederla in quello stato.

< Nat, non buttarti giù così... Loki gli ha fatto il lavaggio del cervello, è più che naturale che sia infuriato... >

< Ha detto che ti sto usando... >

Steve era confuso: < Usando? >

< Dice che voglio “entrare nelle tue grazie” perché tu faccia pressione con Fury. Per eliminare la nota rossa sul mio registro... ma io... io non... >

Steve prese le mani della ragazza nelle sue: < Natasha, guardami >

La spia ci mise un lungo attimo a raccogliere il coraggio necessario a guardarlo negli occhi senza scoppiare a piangere.

< io so che non è vero > disse alla fine lui.

Natasha scosse leggermente la testa: < Sì, ma... >

< Anch’io so che non è vero > disse una voce che proveniva dal lato della stanza. I due si voltarono immediatamente, scorgendo la figura di Clint sulla porta.

Aveva un aspetto orribile: anche senza contare le labbra spaccate e il naso gonfio che Natasha gli aveva appena procurato, sembrava che non avesse dormito per due settimane. Si portò la mano destra dietro la testa, grattandosi la nuca: < Mi dispiace, Nat, non volevo offenderti... è che tutta questa storia mi sta dando alla testa... >

I due si alzarono dal tavolo, dirigendosi verso il loro collega. Natasha sembrava aver ritrovato una parvenza di tranquillità: < non ti preoccupare... tu piuttosto, come ti senti? >

< Beh, la faccia mi fa un male cane... hai un sinistro micidiale, Romanoff... > rispose. Entrambi sorrisero, ma Steve era ancora preoccupato: < Sul serio, Barton: come ti senti? > chiese.

Clint abbassò la testa, tornando serio: < Non lo posso uccidere... > disse.

Natasha e Steve sgranarono gli occhi: < Aspetta, vuol dire che hai... >

< Ci ho provato, sì – ammise Barton – ma non ci riesco. Quando è successo a me, è stato semplicemente orribile. E forse... forse avete ragione voi. Forse sta soffrendo più di quello che merita. Per quanto mi piaccia l’idea di farlo a brandelli a mani nude, non lo posso fare >

Steve e Natasha si guardarono per un istante prima di voltarsi di nuovo verso Barton. Nessuno dei due aveva intenzione di accusarlo. Al suo posto, forse non si sarebbero trattenuti.

< Credo di avere bisogno di un abbraccio... > disse poco dopo, abbracciando Steve e Natasha insieme. Entrambi ricambiarono subito: < Probabilmente abbiamo tutti bisogno di un abbraccio > concordò Steve.

Rimasero tutti e tre immobili abbastanza a lungo perché la situazione diventasse imbarazzante. Quando l’abbraccio fu sciolto, era ritornato il vecchio Clint Barton: < però vi avverto fin da subito: appena tutta questa storia sarà finita, troverò il modo di fargli molto male... >

< Mi sembra giusto > concordò Steve.

*

< Allora, come sta? > chiese Steve, quando Natasha ritornò dall’infermeria, dove la faccia di Clint era in riparazione

< Gli ho messo un cerotto sul naso e gli ho dato una borsa del ghiaccio. Dovrebbe tenerla per un po’ prima di andare a letto, ma dice che non avrebbe dormito comunque, con tutto quello che è successo... e tu invece?  Com’è andata con Stark? >

Steve ebbe un leggero scatto. Non si aspettava che Natasha gli chiedesse di Stark: < Oh, lui... lui ha detto che vuole provare a fidarsi... > rispose, facendo sì con la testa come per approvare quello che aveva appena detto. Ma Natasha aveva capito subito che qualcosa non andava. Steve si comportava come se stesse nascondendo qualcosa:

< Steve... cos’è che non vuoi dirmi? >

< Niente... davvero, non c’è altro... > insistette.

Era davvero un pessimo bugiardo. E lei non aveva intenzione di mollare: Steve l’aveva sempre aiutata, e ora era chiaro che era lui ad avere bisogno di aiuto. Le sembrava il minimo che potesse fare: < Steve, prima hai detto che avevamo tutti bisogno di un abbraccio. Quindi anche tu. Perché tu avevi bisogno di un abbraccio, Steve? >

Il super soldato fece una smorfia. Quella donna era decisamente troppo perspicace: < Nat, sul serio, non è niente... abbiamo problemi ben più gravi al momento... >

< Avanti, Rogers. Mi hai sempre detto che devo lasciarmi aiutare, da te e dalla squadra... cerca di fare lo stesso. Lasciati aiutare > disse. Lui abbassò la testa, arrendendosi: < Ho scoperto che Stark mi detesta perché quand’era piccolo suo padre era sempre a setacciare l’Artico cercando me >

Natasha capì al volo. In realtà lo sapeva già.

Era successo subito dopo che Thor aveva riportato Loki ad Asgard. Tony aveva indetto una delle sue “festicciole”, aveva alzato troppo il gomito e stava per mettersi a fare a botte con Steve. Natasha lo aveva bloccato prima che il capitano lo riducesse in poltiglia, e poi con l’aiuto di Pepper lo aveva portato di peso nella sua camera. Appena lo avevano buttato sul letto come un sacco vuoto, Tony si era messo a piangere.

Entrambe erano rimaste sorprese: nessuna delle due lo aveva mai visto in quello stato. Pepper aveva cercato di consolarlo, e quel punto Tony aveva iniziato a parlare di qualcosa che si era sempre tenuto dentro fin da bambino: secondo lui Steve era il figlio che Howard aveva sempre desiderato. Lui, invece, non reggeva minimamente il confronto.

Chiaramente era in balìa dei fumi dell’alcol, ma sia Pepper che Natasha non avevano potuto fare a meno di pensare che intendesse davvero quello che diceva. Tony era uno stronzo, ma Natasha sapeva che questo dipendeva dal fatto che Howard non era mai stato lì per educarlo. Tutto considerato, Tony era venuto su un fiore, rispetto a quello che sarebbe potuto diventare.

Però non era giusto accusare Steve. Lui aveva salvato milioni di vite facendo schiantare l’aereo di Schmidt, e di certo non poteva immaginare che le sue azioni avrebbero rovinato l’infanzia di un bambino che sarebbe nato venticinque anni più tardi.

< Steve... >

< Sì, non è colpa mia, lo so. Ma forse potevo girare l’aereo e farlo atterrare... forse c’era tempo per... >

< No, Steve. Non fare così. Il passato è passato. E’ inutile piangersi addosso pensando a quello che sarebbe potuto essere >

Steve ebbe un sussulto: quelle erano le stesse parole che aveva sentito da Peggy Carter, quando era andato a trovarla dopo essere stato scongelato.

Peggy aveva vissuto la sua vita, aveva avuto figli e nipoti. Steve era sempre nel suo cuore ma, anche se ci aveva messo degli anni, si era resa conto che non poteva cambiare il passato. E nemmeno lui poteva farlo.

Non poteva tornare nel 1945, e non poteva restituire a Tony la sua infanzia. Poteva soltanto cercare di fare il meglio che poteva con quello che aveva adesso.

Ma prima...

< Ho bisogno di un altro abbraccio > mormorò.

Natasha sorrise: < non ti ci abituare, Rogers > disse, ma in realtà fu più che felice di accontentarlo.

Sanctuary, Spazio dei Chitauri

Una inquietante figura incappucciata si fece avanti, senza osare salire i pochi gradini che lo separavano dal trono. La tunica e il cappuccio coprivano gran parte della sua figura, ma per quello che era possibile vedere, era un individuo orribilmente deforme: il mento decisamente troppo appuntito, le braccia e le mani erano coperti da una pelle bluastra dalla superficie irregolare, come ustionata. Inoltre, aveva due pollici su entrambe le mani. Si inchinò di fronte al suo padrone:

Mio signore... il nostro alleato è di nuovo sulla Terra... >

< Sì, lo so... > rispose il suo interlocutore, annoiato.

< Se posso, forse può ancora tornarci utile... > fece il servitore

< Non so se valga ancora la pena di sprecare il nostro tempo con lui... > rispose il suo signore con un’aria pensierosa. Poi però, il suo tono cambiò radicalmente, divenendo divertito e quasi di scherno: < Ma d’altro canto... è lui l’unico che ha qualcosa da perdere... > concluse.

New York City, Avengers Tower

I suoi sogni, attraverso i quali veniva torturato, erano stati terribili. Aveva visto la morte di tutti i suoi amici – se mai aveva potuto considerarli tali. Aveva visto la fine della sua famiglia – anche se non era davvero la sua famiglia. Aveva urlato, implorato pietà, cercato in tutti i modi di reagire, di aiutarli, ma non riusciva mai a raggiungerli. Aveva invocato invano i loro nomi, pregandoli di non lasciarlo da solo con lui... e subito dopo, aveva visto se stesso. Al loro posto. Dopo che tutti loro avevano pagato per il suo fallimento, era venuto il suo turno. E già sapeva che la sua fine sarebbe stata molto, molto più lenta e brutale di tutto ciò che aveva visto finora.

Era di nuovo lì, al cospetto dell’essere più potente dell’universo. Non riusciva a distinguere nient’altro, attorno a lui tutto era buio. Poteva vedere solo il suo volto. Il volto del Signore Oscuro.

< Tu hai avuto quello che tutti bramano, ma solo pochi fortunati ottengono... tu hai avuto una seconda possibilità, Gigante di Ghiaccio... e l’hai sprecata... > disse egli. Loki era troppo spaventato per rispondere. Era troppo spaventato persino per respirare.

< Ma le circostanze ti sono favorevoli... > continuò la voce minacciosa.

Loki iniziò a distinguere qualcos’altro, nell’oscurità: un letto. Era sdraiato in un letto. Ma non era lo stesso della cella in cui era imprigionato. L’essere catturò di nuovo la sua attenzione:

< Non deludermi di nuovo... >

Dopo quell’ultima frase, l’oscurità era ritornata prepotentemente, ricominciando ad inghiottirlo. Avrebbe voluto urlare, ma la voce gli era rimasta bloccata in gola. Un attimo dopo, Loki non aveva più visto nient’altro che il buio.




Okay, Civil War evitata. Per ora.
Stiamo per addentrarci nel vivo della storia. Loki, o meglio chi lo controlla, sta per fare la sua mossa, e altri personaggi stanno per entrare in gioco. Che cosa succederà?
Alla prossima!

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Capitolo 7
*** Alto voltaggio ***


Darcy Lewis era super eccitata: sembrava una bambina di cinque anni in overdose di zuccheri. Del resto, nessuno poteva darle torto: non capitava tutti i giorni di essere invitati alla Avengers Tower.

Okay, a dirla tutta lei non era stata proprio invitata: il professor Erik Selvig aveva ricevuto una strana telefonata in piena notte. Era rimasto sorpreso di scoprire che all’altro lato della linea protetta c’era Tony Stark.

La conversazione era durata poco, ma quello che Stark gli aveva riferito aveva dell’incredibile: Thor aveva riportato Loki sulla Terra, e Loki sembrava essere ipnotizzato proprio come lo erano stati lui e Barton. Il fatto di aver sperimentato sulla propria pelle gli effetti di quel particolare tipo di ipnosi, unito alla sua grande esperienza in fenomeni paranormali, soprattutto di natura asgardiana, rendevano Selvig la persona più qualificata per sbrogliare quella complicata matassa. Soprattutto se volevano tenere all’oscuro lo SHIELD. Quindi Tony aveva richiesto urgentemente la presenza sua e della dottoressa Foster per capire che accidenti stesse succedendo. Naturalmente, Darcy ne aveva approfittato per imbucarsi alla festa.

Selvig non capiva tutta quella segretezza: se Loki era di nuovo sulla Terra, perché gli Avengers volevano tenere all’oscuro lo SHIELD?

Gli squittii da fangirl assatanata di Darcy interruppero il filo dei suoi pensieri: < Ooooh ragazzi! Ragazzi ragazzi ragazzi! Vi rendete conto? La Avengers Tower! Siamo stati invitati da Tony Stark in persona! Non ci credo! Ditemi che non sto sognando! > farfugliava la ragazza, che non riusciva a stare ferma un attimo e continuava ad agitarsi nel sedile della Rolls Royce che li aveva prelevati dall’aeroporto J.F.K. e li stava portando alla torre.

Jane Foster, seduta lì accanto, aveva smesso ormai da tempo di provare a calmare i bollenti spiriti della sua zelante assistente ed ex-stagista, e se ne stava seduta in silenzio, chiedendosi se davvero era sicuro andare alla Avengers Tower se lì c’era anche Loki.

Happy Hogan, ex guardia del corpo di Tony e ora autista personale della signorina Potts, rimase in silenzio, limitandosi a lanciare un’occhiata perplessa ai suoi tre passeggeri nello specchietto retrovisore: non era a conoscenza dei dettagli della questione, anzi in realtà non aveva la più pallida idea di che cosa stesse succedendo alla torre. Pensava che probabilmente stesse per tenersi una convention di scienziati mezzi matti.

La lussuosa limousine si fermò nell’ampio cortile davanti alla torre. I tre passeggeri scesero dall’auto e si avviarono verso l’ingresso. A circa metà strada, videro le porte scorrevoli aprirsi, e dalla hall della torre uscirono due personaggi che non avevano alcun bisogno di presentazioni.


< Dottor Selvig, grazie per essere venuto. Lui è Steven Rogers... il mio nuovo capo > esordì Bruce Banner, vecchia conoscenza dello studioso svedese, presentando il super soldato al professore: < Non c’è problema, Bruce. Mi sembra di capire che la questione è piuttosto seria > rispose Erik, stringendo la mano a Steve.

< Infatti, ma ci servite voi per capite quanto è effettivamente seria... > ribadì Steve.

Alle spalle del professore, Darcy stava per avere un aneurisma: < quello è Captain America!! > sibilò, eccitatissima, all’orecchio di Jane.

Proprio in quell’istante, Steve si rivolse a loro due: < Dottoressa Foster, scusateci per il poco preavviso... > disse, avvicinandosi. Jane gli strinse la mano: < Felici di potervi essere d’aiuto, capitano Rogers. Le presento la mia emotiva assistente, Darcy Lewis... > disse, con un sorrisetto.

Steve si presentò a sua volta, sorridendo: < È un vero piacere, signorina Lewis... >

Darcy, imbarazzatissima, strinse la mano del capitano, balbettando qualche monosillabo insensato. Fu salvata in angolo da Jane: < Davvero lì sopra c’è Loki? > disse, volgendo lo sguardo verso la sommità del grattacielo.

< Proprio così, abbiamo aiutato Thor a riportarlo sulla Terra ieri sera. Sembra che in qualche modo Loki sia rimasto vittima della magia del suo stesso scettro. Il dottor Banner lo ha visitato ieri sera, ma non ha ottenuto granché... >

Selvig non sembrava molto interessato. Secondo la sua modesta opinione, il posto di Loki era in una cella, problemi di salute o meno: < Voglio che sappiate che lo facciamo solo per Thor > chiarì il professore.

< Ma certo – rispose Steve – anche noi non vediamo l’ora di rispedirlo in gabbia >

Bruce cambiò discorso, andando dritto al punto: < Loki presenta segni di afasia, e sembra quasi in stato catatonico. Non risponde ad alcuno stimolo sensoriale > rispose il dottor Banner, avviandosi insieme a Steve e ai tre nuovi arrivati verso l’ingresso: < inutile dire che la sua presenza qui ha causato un bel po’ di trambusto... >

< Oh, lo immagino > mormorò Selvig, entrando nell’edificio.

Nessuno dei cinque poteva immaginare che, mentre loro conversavano amabilmente, un centinaio di piani più in alto si era scatenato il putiferio: Loki si era appena risvegliato dall’incubo che gli era stato indotto la notte precedente, ed ora aveva un solo obiettivo: recuperare il suo scettro e completare la missione. Era l’unico modo per salvarsi la vita.

Era saltato giù dal letto lanciando un urlo straziante. Thor si era svegliato di soprassalto un attimo prima che Loki lo aggredisse. Era stato colto di sorpresa, ma Loki era troppo indebolito dalla sua prigionia e dalla tortura mentale per rappresentare una minaccia. Thor lo aveva scaraventato a terra, per poi allontanarsi di qualche passo. In quel momento entrarono Pepper e Tony.

< Che sta succedendo? Che gli prende!? > urlò Pepper in preda al panico. Tony si preoccupò prima di tutto di mettere in salvo la sua fidanzata: < Sta’ indietro, Pepper... > disse, trascinando la donna fuori dalla stanza.

< Andate via! Andatevene! Fatemi uscire!! > urlava Loki, dimenandosi a vuoto al centro della stanza. Sembrava quasi che stesse combattendo contro dei nemici invisibili.

Un attimo più tardi, Natasha e Clint fecero il loro ingresso, pronti all’azione: Clint aveva già l’arco teso, e Natasha aveva entrambe le pistole puntate alla testa del dio dell’inganno.

< No, fermi! > li bloccò Thor. Nessuno dei due attaccò, ma rimasero entrambi pronti a farlo in qualsiasi momento.

< Basta! Andate via! Andate via!! > continuava Loki, che ora sembrava leggermente più lucido: sembrava che distinguesse le persone che aveva davanti, o per lo meno aveva capito che c’erano delle persone che gli stavano ostacolando l’uscita. Era terrorizzato che qualcuno lo attaccasse.

< Fratello, siamo qui per aiutarti... > tentò Thor, provando ad avvicinarsi

< No! Stammi lontano! Statemi lontano!! Andatevene via!! > urlò ancora Loki, alzando le mani verso di lui, come per proteggersi.

Tony si disse che doveva subito avvertire Steve e Bruce. Aveva trascinato Pepper per un braccio lontano dalla stanza di Loki, correndo verso gli ascensori per raggiungere i due che erano andati ad accogliere il professor Selvig e la dottoressa Foster.

La porta dell’ascensore si aprì con un “ding”, e ne uscirono Bruce, Steve, Selvig, Jane e Darcy. Tony gli corse incontro, ancora tirandosi dietro Pepper per un braccio.

< Tony, cos’è successo? > chiese Banner, presumendo il peggio.

< Non lo so, Loki si è svegliato e sta facendo il diavolo a quattro! Dobbiamo fermarlo subito! > rispose incalzante il miliardario.

Bruce sapeva che non avrebbe potuto gestire la situazione senza scatenare “l’altro”, anche se a dirla tutta nel suo stato attuale Loki probabilmente si reggeva a malapena in piedi. Decise di andare con Tony e Pepper, mentre Steve correva verso la stanza di Loki.

< Che sta succedendo? > tuonò il super soldato entrando nella stanza e vedendo Clint e Natasha che tenevano sotto tiro l’impazzito semidio, mentre Thor non sapeva se provare ancora ad avvicinarsi al fratello o allontanarsi per lasciargli un po’ di spazio. Steve avrebbe tanto voluto avere il suo scudo a portata di mano, in quel momento, ma non aveva il tempo di andarlo a recuperare. Doveva assolutamente trovare un modo per calmare Loki.

Proprio mentre il capitano pensava ad una soluzione, due piccoli dardi centrarono Loki in pieno petto, fulminandolo con una scarica da cinquantamila volt. Stupefatto, Steve seguì con lo sguardo i due sottili cavi elettrici collegati ai dardi, scorgendo Darcy con un taser spianato. Dietro di lei, Jane e Selvig la guardavano con un’espressione a metà tra lo stupito e l’esasperato.

Loki era rimasto come pietrificato per un paio di secondi, prima di accasciarsi a terra. Steve, Clint e Natasha guardavano la ragazza con gli occhi sgranati e la bocca spalancata: < Scusate... mi sono spaventata... davvero, è una reazione involontaria, non lo faccio apposta... > si difese lei, mentre i suoi istinti da fangirl iniziavano di nuovo a prendere il sopravvento, accorgendosi di essere nella stessa stanza con quattro Avengers.

Thor era l’unico che non aveva prestato attenzione a Darcy, fiondandosi invece verso il fratello adottivo.

< Loki! Loki, parlami! > chiamò Thor, scuotendo leggermente il corpo del fratello.

Lentamente, Loki aprì gli occhi. I suoi veri occhi, verdi e stanchi, non gli occhi di ghiaccio degli schiavi dello scettro: < ...Thor? > sussurrò, con voce appena udibile.

Nel frattempo, gli altri tre Vendicatori avevano spostato nuovamente la loro attenzione su di lui: < Ehi, com’è la situazione? > chiese Natasha.

Thor si voltò nuovamente verso di loro: < è tornato in sé... > rispose, felice e quasi commosso.

Steve fece un passo avanti per osservarlo meglio. Gli occhi di Loki erano tornati normali: < Non ci posso credere, ha funzionato sul serio! > esclamò, sinceramente stupito.

In quell'istante, Tony piombò nuovamente nella stanza, stavolta avvolto nella sua armatura: < Spostatevi! > urlò, caricando il repulsore della mano destra.

< No, Tony, fermo, per l'amor di Dio, si è svegliato!!! > lo fermò Steve, alzando le mani, mentre Thor aveva stretto Loki a sé per evitare che gli facessero del male.

La faccia dell'armatura si sollevò, rivelando il volto di Tony: < Davvero? > chiese con nonchalance.

< Sì, davvero! Ora mettete giù le armi... > rispose Steve, rivolto anche a Natasha, Clint e Darcy. Dopo qualche attimo di esitazione i quattro ubbidirono, Clint per ultimo, per poi avvicinarsi a Thor e Loki. Effettivamente, gli occhi di Loki erano ritornati del loro colore normale. Tutti tirarono un breve sospiro di sollievo, mentre Thor lo sdraiava di nuovo sul letto.

Pochi minuti dopo la situazione era tornata alla normalità: Thor aveva staccato gli elettrodi del taser di Darcy dal petto di Loki, e Bruce si preparava a visitarlo di nuovo. Pepper aveva condotto Selvig e Darcy in un'altra stanza, offrendogli da bere. Thor si rifiutava di abbandonare il capezzale del fratello, e Jane era rimasta al suo fianco. Anche Steve e Natasha erano rimasti nella stanza, nel caso Loki avesse tentato qualche trucchetto: del resto, quello era pur sempre il dio dell'inganno.

Tony e Clint, stressati, erano usciti dalla stanza e si stavano dirigendo insieme verso gli ascensori. Tony aveva notato qualcosa, e fissava il cecchino con gli occhi assottigliati. Clint aveva il labbro inferiore spaccato e un cerotto sul naso:

< Che ti è successo alla faccia? > chiese.

Clint non si girò a guardarlo. Anzi, si voltò leggermente dall’altra parte, quasi nascondendosi. Pigiò più volte il pulsante dell’ascensore, con una certa urgenza:

< Sono caduto dalle scale >.




Darcy Lewis: la settima Vendicatrice!
No, sul serio: la ragazzina con quel taser HA STESO THOR!
Comunque, le sorprese non sono finite! Restate con me, perché nel prossimo capitolo inizieranno i guai!
Alla prossima!

 

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Capitolo 8
*** Most wanted ***


Idaho, località sconosciuta

Tutti tranne Pepper erano saliti a bordo del Quinjet, diretti verso quella che Stark aveva definito la sua “casetta di montagna". Il viaggio era durato poco meno di 35 minuti. Tony aveva progettato per conto del Ministero della Difesa il bunker dove erano diretti, come prigione a prova di Hulk. Ne era stato poi costruito uno identico in Alaska, gestito dallo SHIELD, in cui era stato imprigionato Emil Blonsky dopo lo scontro con Bruce Banner ad Harlem. Il prototipo costruito nell’Idaho, vicino al confine canadese, era invece rimasto in mano alle Stark Industries, quasi dimenticato. Era il posto migliore dove trasferire Loki: nessuno riteneva che fosse il caso di tenerlo a New York ora che aveva recuperato le proprie facoltà mentali.

L’unica cosa che si vedeva in superficie era una normale casetta in muratura, sperduta in una piccola valle tra due montagne e collegata alle strade principali solo tramite un sentiero sterrato, a malapena largo abbastanza per passarci in macchina. All’interno, però, c’era un ascensore che scendeva a più di 90 metri di profondità, in un corto corridoio che dava su una cella costruita interamente in vibranio, con le pareti, il soffitto e il pavimento spessi 38 centimetri. Era qui che Loki era stato condotto.

Thor, Steve e Tony erano con lui: era il momento delle risposte. Nel cortile della casa, Bruce si stava lamentando con Selvig: < Lo sai? Questa è la seconda volta che lo mettono nella mia stanza... > disse, ricordando la gabbia che era stata installata sull’helicarrier dello SHIELD.

Selvig non rispose. Aveva il sospetto che Loki tentasse di manipolare in qualche modo i tre per poi giocare qualche tiro mancino. Ma i suoi sospetti erano infondati.

Avevano provato in tutti i modi a farlo collaborare: Thor lo aveva supplicato, Tony lo aveva stuzzicato, Steve era rimasto in silenzio, leggermente in disparte, fissandolo con uno sguardo penetrante. Ma Loki non aveva spiccicato mezza sillaba. Teneva lo sguardo fisso sui suoi piedi, senza fare il minimo movimento. Alla fine, Steve e Tony decisero che ne avevano abbastanza.

< Il poliziotto buono non sembra funzionare... > disse Tony.

< Già... > rispose semplicemente Steve.

< Sbirro cattivo? >

< Si, dai. Sbirro cattivo >.

Tony sorrise leggermente e uscì dalla stanza. Pochi minuti dopo entrò Clint, con un piccolo cofanetto di metallo tra le mani. Il tiratore scelto sorrise malignamente, aprendo la scatoletta ed estraendo una siringa e una fiala di liquido giallastro.

< Siero della verità? > chiese Steve.

< Proprio così – rispose Clint riempiendo la siringa – il migliore che esista. Ricetta segreta dello SHIELD >.

Loki perse immediatamente la sua compostezza, iniziando ad andare nel panico. Guardò Thor come per supplicarlo di fermarli, ma il fratello rimase inflessibile: < Devi dirci quello che vogliamo sapere, Loki. In un modo o nell’altro >.

< È l’ora della punturina > minacciò Clint, avvicinandosi.

< No, voi non capite – disse Loki, spaventato – non potete farlo... >

< Oh, allora sai ancora parlare > osservò Steve.

< Perché mai non dovremmo farlo, Loki? > aggiunse Thor.

< E’ per il vostro bene che non parlo! Voi non vi rendete conto! >

< Ma che carino, si preoccupa per noi! Anche i Chitauri erano per il nostro bene, vero? > sputò Clint, afferrando un polso dell’asgardiano e sollevandogli una manica. Loki cercò di resistere, ma era ancora troppo debole. Però, Clint non sarebbe riuscito a fargli l’iniezione.

In quel momento, infatti, un leggero rimbombo seguito da un breve scossa di terremoto fece tremare la stanza. Le luci si abbassarono leggermente, per poi stabilizzarsi dopo qualche secondo.

Steve e Thor si guardarono negli occhi con aria allarmata. Anche Loki aveva capito che cosa era appena successo. Clint era confuso, fino a che Tony non fece capolino dalla porta con la sua armatura addosso.

< Abbiamo visite... > disse soltanto, avviandosi poi verso il tetto dell’edificio.

Dopo aver accuratamente rinchiuso Loki, i tre seguirono Tony nell’ascensore e poi all’esterno della casa, trovandovi anche tutti gli altri. L’inconfondibile raggio di luce scaturito dal Bifrost scomparve un istante più tardi, e davanti agli Avengers apparvero quattro individui dall’aria minacciosa, chiaramente guerrieri asgardiani.

Tre uomini, armati con spade, asce e mazze chiodate, stavano qualche passo dietro all’unica donna del gruppo, una guerriera dai capelli corvini e un’espressione furiosa e letale.

Thor era quasi spaventato dal loro arrivo: < Sif? > sussurrò.

La ragazza rispose quasi ringhiando: < Thor... è il Padre degli Dei che ci manda, e credo che tu sappia il perché >.

Il dio si ricompose velocemente, scuotendo la testa: < No. Non potete prendere Loki. È in gioco la sicurezza non solo di Asgard, o dei Nove Regni, ma dell’intero universo! >

< Non rendere le cose più difficili, figlio di Odino... > lo ammonì Sif.

Gli asgardiani si misero in posizione di combattimento. In quel momento, sembrava che i quattro migliori amici di Thor fossero diventati i suoi peggiori nemici.

< Miei amici... non combatterò contro di voi > cercò di calmarli Thor.

< Ah davvero? – rispose Sif, sfoderando la grossa spada che portava sulla schiena – La tua sola alternativa è consegnarci Loki... >

< Sai che non lo posso fare... >

< Molto bene, allora! >

Sif scattò all’attacco come una tigre che si avventa su una gazzella. La sua spada piombò dall’alto su Thor, che era pronto a spostarsi alla sua sinistra per evitare il colpo, ma l’attacco di Sif venne prematuramente bloccato quando la sua spada si schiantò contro uno scudo circolare rosso, bianco e blu. Meno di un secondo più tardi, un violento calcio all’addome la spedì indietro di dieci metri.

Captain America troneggiava al centro della scena, sostenendo lo sguardo omicida di Sif: < Loki ha commesso crimini di guerra su questo pianeta. È qui che deve essere giudicato >

< Non esiste luogo su Midgard in grado di contenere Loki... > parlò uno dei tre asgardiani venuti insieme a Sif, un giovanotto biondo che, paragonato agli altri due, sembrava un ragazzino agghindato per una festa in maschera piuttosto che un vero guerriero.

< A quanto pare neanche ad Asgard esiste un posto simile... > rispose Tony, con la voce metallica che usciva dalla sua armatura.

< Riconsiderate le vostre strategie... Avengers... > sibilò Sif, rimettendosi in posizione.

< Non sopporto i bulletti... tanto meno i bulletti alieni > rispose Steve, portandosi anche lui in posizione di guardia.

< E va bene! L’avete voluto voi! > urlò un altro dei tre asgardiani, un uomo tozzo e barbuto, che nonostante il suo aspetto, si dimostrò molto più agile di quanto sembrava: aggredì Tony, che gli aveva puntato un repulsore in faccia, spostandogli il braccio di lato. Il colpo sparato da Tony abbattè un grosso pino a cinquanta metri di distanza, mentre Volstagg, questo il nome dell’asgardiano, colpiva Tony con una potente gomitata sul mento.

In pochi attimi era scoppiato il pandemonio: Sif aveva attaccato di nuovo Steve, e di nuovo lui l’aveva bloccata con il suo scudo. A quel punto, però, Sif estrasse una seconda lama dall’altro lato dell’impugnatura della sua spada, che per pochi centimetri non andò a conficcarsi nella gamba del capitano. Steve attaccò con un potentissimo pugno destro. Sif riuscì ad usare il suo scudo per bloccarlo, ma il colpo fu talmente violento da farle perdere l’equilibrio. Sì rialzò con un’agile capriola all’indietro, prendendo le distanze dal suo avversario, e quando guardò il suo scudo rimase esterrefatta nel vedere una grossa ammaccatura a forma di pugno destro.

Fandral e Hogun, gli altri due guerrieri asgardiani, erano sotto il tiro incrociato di Clint e Natasha, che si erano posizionati sul tetto della casa e tenevano sotto tiro i due da una posizione sopraelevata. Purtroppo però, i proiettili di Nat avevano lo stesso effetto di punture di zanzare, e anche le frecce esplosive di Clint non erano poi così efficaci.

Thor e Bruce non avevano preso parte al combattimento. Il dottor Banner era indeciso: la zona era abbastanza isolata, e Hulk non avrebbe causato troppi danni, ma se avesse ucciso uno dei compari di Thor, la guerra con Asgard sarebbe stata inevitabile.

Il dio del tuono aveva altre priorità: doveva assicurarsi che Jane e gli altri fossero al sicuro, e soprattutto doveva portare Loki via da lì, nasconderlo da qualche parte, fare qualsiasi cosa perché i Tre Guerrieri e Lady Sif non riuscissero a portarlo via.

Nevada, Area 51

C’erano vari racconti, uno più fantasioso dell’altro, che riguardavano questa segretissima base dell’esercito americano nel bel mezzo del deserto del Mojave. Alcuni dicevano che si facessero sperimentazioni su cadaveri di alieni atterrati nel New Mexico nel 1947. Altri dicevano che in quella base fossero nascosti dei missili al cobalto, armi di distruzione di massa che esistono solo nella fantasia di alcuni romanzieri e che sarebbero in grado di produrre un fallout radioattivo talmente intenso ed esteso da poter cancellare ogni singola forma di vita sul pianeta. La versione ufficiale era che l’Area 51 non era altro che un’installazione gestita congiuntamente dall’Esercito e dall’Aeronautica americane in cui si sviluppavano prototipi di nuove armi e aerei che avrebbero equipaggiato in futuro le forze armate statunitensi.

La realtà era diversa.

L’Area 51 non era una base dell’esercito. Era un’installazione dello SHIELD. Era qui che erano stati progettati e costruiti i Quinjet in dotazione all’agenzia, e anche l’helicarrier di Nick Fury.

E qui era stata portata una delle armi più strane e potenzialmente distruttive mai viste: lo scettro di Loki.

Mentre nell’edificio più sorvegliato della base un gruppo di scienziati selezionati con cura certosina dallo stesso Fury, in base alle loro competenze ma anche alla loro lealtà, eseguivano i più svariati test ed esperimenti sullo scettro, quattro Chevrolet Suburban neri, con i vetri oscurati e l’insegna dello SHIELD sulle portiere, si avvicinavano in fila indiana all’entrata nord del complesso.

Arrivati al primo checkpoint, la guardia esaminò il tesserino fornitogli dall’autista. A tutti gli occupanti dei quattro SUV fu ordinato di fornire il badge di riconoscimento. Quando le guardie si ritennero soddisfatte, i cancelli furono aperti e le macchine poterono passare.

La carovana dovette passare per altri due posti di blocco prima di poter accedere all’interno della base. Lentamente, e sempre in fila indiana, i quattro grossi fuoristrada si fermarono proprio davanti all’edificio in cui lo scettro era custodito.

L’uomo seduto al posto del passeggero del primo SUV fu il primo a scendere, avviandosi verso la porta d’ingresso.

Una guardia gli si parò davanti: < Identificatevi > ordinò, conciso e risoluto.

L’altro lo guardò negli occhi, porgendogli il proprio tesserino: < Brock Rumlow, agente dello SHIELD, livello 7, nome in codice Crossbones. Loro sono i miei uomini, la squadra STRIKE. Siamo qui per sorvegliare lo scettro. Autorizzazione numero 887KWST >

La guardia sembrò vagamente sorpresa: < Cazzo! Hanno mandato qui la STRIKE? Dev’esserci qualcosa di grosso in ballo! > esclamò.

< Oh... tu non ne hai idea... > rispose Rumlow, sorridendo leggermente.





Crossbones, aka Brock Rumlow, è uno dei cattivi più bastardi dell'intero universo Marvel! In captain America 2 gli hanno fatto cascare un helicarrier in testa ed è ancora vivo! Potevo forse lasciarlo fuori da questa storia? No, non potevo.
Comunque, siamo finalmente passati all'azione! Che ne pensate?
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 9
*** L' astronave ***


Washington D.C., Triskelion

Il direttore Fury se ne stava seduto alla sua scrivania, poco interessato a quello che il suo braccio destro, l’agente Maria Hill, aveva da dire:

< Non credi di stare esagerando? Ieri sera i satelliti hanno rilevato tre firme energetiche compatibili con un ponte Bifrost sopra alla Avengers Tower... che vuoi che sia? Vorrà dire che Thor è tornato... >

< Direttore, tre firme energetiche in un intervallo di meno di due ore non sono un evento ordinario! Secondo me dovremmo investigare > rispose Maria, evidentemente molto più preoccupata di lui.

< Bah. Forse aveva dimenticato il martello a casa ed è tornato a riprenderlo. Che vuoi che ti dica? >

< Io rimango del parere che stia succedendo qualcosa... perché non contattiamo Stark? >

< Davvero, Hill? Pensi che se qualcosa andasse storto, Stark ce lo direbbe? È soltanto un’interurbana sprecata, lascia stare... >

In quel momento, Jasper Sitwell entrò nell’ufficio senza bussare: < Signore, c’è un’emergenza livello 8! L’area 51 è sotto attacco! > disse, trafelato.

Fury saltò in piedi, rovesciando la sua poltrona: < Che cosa? Cosa sappiamo? >

< Poco o niente, signore. L’attacco è ancora in corso... >

< Lo 0-8-4? >

< Crediamo che sia proprio quello l’obiettivo, direttore >

< Certo che lo 0-8-4 è l’obiettivo – si intromise Maria – perché attaccare la base più segreta e impenetrabile di tutto lo SHIELD se non per impossessarsi dello scettro di Loki? >

< Maledizione! Dobbiamo andare, Hill, muoviti! > berciò Fury, avviandosi fuori dalla stanza e verso il tetto dell’edificio, con Hill al seguito.

Mentre salivano a bordo dell’elicottero che li attendeva sul tetto del Triskelion, e che li avrebbe portati sull’helicarrier già in volo verso il Nevada, Hill ricevette una chiamata d’emergenza: < Succede qualcos’altro, direttore... >

< Cos’altro può succedere, Hill? > sbuffò Fury, allacciandosi la cintura e mettendosi le cuffie.

< È stata rilevata una quarta firma energetica, 17 minuti fa... questa volta è nell’Idaho, a 23 miglia dal confine con il Canada... >

A Fury venne subito in mente il rifugio costruito da Stark per contenere Hulk. Si trovava esattamente a 23 miglia dal confine canadese, non poteva essere una coincidenza.

< Contatta gli Avengers > ordinò, mentre l’elicottero si sollevava.

Nevada, Area 51

Brock Rumlow e la sua squadra avevano fatto un lavoretto rapido e molto ben eseguito. All’esterno dell’edificio, nessuno si era accorto di niente finché la squadra STRIKE non era uscita. Poi, gli uomini del commando si erano fatti strada ad armi spianate verso la pista di decollo numero 1, salendo su un Quinjet e volando via un attimo prima che le difese della base li abbattessero. L’Air Force statunitense era stata tempestivamente allertata, ma gli uomini di Rumlow avevano attivato i pannelli retro-riflettenti del Quinjet, rendendosi impossibili da localizzare sia per gli F-22 Raptor dell’Aeronautica americana che per gli aerei e i satelliti dello SHIELD.

< Rollins, il pacco? > chiese Rumlow, rivolto al suo uomo migliore, una volta arrivati a distanza di sicurezza dalla base.

Jack Rollins, un tizio dall’aspetto minaccioso, con i capelli tirati all’indietro e una disgustosa cicatrice sul mento, sorrise malignamente, sfilandosi lo zaino e aprendolo. All’interno, la gemma dello scettro di Loki scintillava sotto i volti compiaciuti dei due uomini. Fu allora che il cellulare di Rumlow iniziò a squillare.

< Ehi, piccola > salutò, rispondendo al telefono.

< Missione compiuta? > chiese una voce femminile dall’altro capo della linea.

< Certo che sì, per chi mi hai preso? >

< Beh, pensavo che lo SHIELD ti potesse creare problemi... > rispose la donna misteriosa, con un tono seducente.

< Piccola, te l’ho detto. Non ti devi preoccupare dello SHIELD. Conosco tutti i loro metodi. Siamo in vantaggio con loro > sghignazzò Rumlow.

< Bene. Il nostro socio sarà soddisfatto. Incontriamoci al punto stabilito, dobbiamo fare quell’altra cosa di cui ti ho parlato... >

< Sei proprio sicura? Così la metteremo sul personale... >

< Per me è già una questione personale, lo sai. Molto personale >

< D’accordo, piccola. Stiamo arrivando > disse infine Rumlow, chiudendo la chiamata.

SHIELD helicarrier 64, da qualche parte sopra il New Jersey

La gigantesca nave volante avrebbe impiegato due ore e mezza a raggiungere l’Area 51. Appena salito a bordo, il direttore Fury aveva ottenuto maggiori informazioni sull’attacco. Le telecamere di sicurezza avevano ripreso Rumlow e la squadra STRIKE che sparavano sugli indifesi scienziati che trafficavano attorno allo scettro, per poi svignarsela a bordo di un Quinjet rubato. Nick non aveva potuto fare altro che constatare di avere un traditore all’interno dello SHIELD.

< Direttore, un altro rilevamento satellitare > disse l’agente Hill, alle spalle di Fury.

< Un’altra firma energetica? Cos’è, gli asgardiani hanno organizzato una crociera sulla Terra? >

< No, signore... un oggetto volante non identificato è appena entrato nell’atmosfera... si dirige verso il rifugio di Stark... >

< Come sarebbe un oggetto volante non identificato? Identificatelo, cazzo! >

< Ci stiamo provando, ma... è grande... >

< Quanto grande? >

Hill alzò lo sguardo dal suo computer, per guardare in faccia il direttore: < Più di questo helicarrier >

Nick sgranò il suo unico occhio buono: < Timoniere, rotta 310, massima velocità. Destinazione Idaho, prigione anti-Hulk > ordinò. L’helicarrier iniziò una rapida virata a sinistra, portandosi sulla nuova rotta.

< Sei riuscita a contattare gli Avengers? > chiese poi Fury a Hill.

< Negativo, signore. Ho chiamato la Avengers Tower, mi ha risposto Pepper Potts. Dice di non sapere dove siano >.

Fury rimase pensieroso per un momento. Indubbiamente stava succedendo qualcosa di grosso. E qualcosa gli diceva che gli Avengers erano già sul campo.

< Chiama la Casa Bianca – disse poi – vediamo se almeno War Machine è disponibile... >

Idaho, prigione anti-Hulk

Lo scontro tra gli Avengers e i quattro guerrieri asgardiani non sembrava destinato a finire tanto presto.

Steve combatteva ancora con Lady Sif. Ricordava di aver letto un libro sulla mitologia norrena, una volta, e di aver trovato qualcosa su di lei. Era descritta come una bellissima ragazza dai capelli biondi e dall’animo gentile. C’era anche scritto che Sif era la moglie di Thor, quindi ovviamente quel libro non era molto accurato, ma di certo Steve non si aspettava di trovarsi davanti la versione asgardiana di Natasha Romanoff.

Ogni più piccolo dettaglio del suo aspetto urlava: “pericolo”, e il suo modo di combattere rendeva pienamente giustizia alle apparenze. C’era un motivo, se la chiamavano “la dea della guerra”.

D’altra parte, però, nemmeno Sif si aspettava di trovarsi davanti la versione terrestre di Thor: Steve le teneva testa egregiamente, rispondendo colpo su colpo. Era incredibile come un’arma prettamente difensiva come uno scudo circolare, nelle mani del super soldato divenisse letale quanto la sua spada a doppia lama.

Tony era ancora occupato a tenere a bada Volstagg. L’asgardiano lo aveva centrato in pieno con la sua gigantesca ascia, e se non avesse avuto l’armatura lo avrebbe sicuramente tagliato in due. Poi però, Iron Man era lentamente passato in vantaggio, riuscendo a disarmare il guerriero con i suoi repulsori. L’ascia di Volstagg era andata in frantumi, ma poi gli altri due asgardiani, Fandral e Hogun, lo avevano preso alle spalle, danneggiando ulteriormente la sua armatura. Tony aveva quindi attaccato Fandral, mentre Hogun si era ritrovato faccia a terra grazia ad un violentissimo calcio nella schiena ad opera di Natasha, che aveva poi provveduto a metterlo definitivamente K.O. con i suoi braccialetti elettrici.

Clint si sentiva inutile: nemmeno le sue frecce esplosive avevano il benché minimo effetto. Sembrava che servissero solo a far incazzare gli asgardiani ancora di più. Era chiaro che lì non poteva fare nulla. Decise che era meglio dare una mano a Bruce, e assicurarsi che Jane, Darcy e Selvig fossero al sicuro.

Thor invece non aveva nemmeno iniziato a combattere.

Loki era rimasto chiuso nella cella anti-Hulk per alcuni minuti, chiedendosi cosa stesse succedendo, prima che la porta si aprisse e Thor facesse il suo ingresso: < Dobbiamo andare – disse il dio del tuono – non lascerò che ti riportino ad Asgard >.

Loki non aveva risposto, lasciandosi trascinare via dal fratello. Appena ritornati in superficie, vide Lady Sif e i Tre Guerrieri che si stavano battendo brutalmente con gli Avengers. Si chiese perché mai a questi terrestri importasse così tanto di lui. Perche non lo avessero immediatamente consegnato, lasciando che Thor se la sbrigasse da solo. Si disse che tutto quello che volevano da lui erano le informazioni. Non credeva che facessero quello che stavano facendo anche per fare un favore a Thor.

Comunque, non ebbe modo di pensarci oltre: Thor stava già roteando il suo martello, pronto a prendere il volo e lasciare il campo di battaglia, quando il cielo sopra di loro si oscurò improvvisamente.

Tutti quanti smisero di combattere all’istante: una gigantesca astronave nera, con un corpo centrale tozzo e due gigantesche ali formate da vari pannelli impilati uno a fianco all’altro, era apparsa dal nulla. Pochi attimi più tardi, una piccola navicella dalla forma oblunga uscì da un boccaporto al di sotto dello scafo, avviandosi lentamente verso il terreno.

Nessuno mosse un muscolo durante la discesa della navicella, e nemmeno quando la suddetta navicella atterrò, e dal suo interno ne uscì uno strano individuo dalla pelle blu, con un cappuccio che ricordava vagamente quello di un guerriero medievale giapponese, e armato con un grosso martello dal manico lungo quasi un metro.

Appena sceso dalla navicella, si rivolse verso Thor e Loki, senza prestare la benché minima attenzione a tutti gli altri.

Loki era spaventato come non mai: < Ronan > mormorò.

L’individuo chiamato Ronan lo squadrò: < Non ci servi più, Loki... > disse soltanto, sollevando il suo martello, e poi girandolo con un rapido movimento del polso, creando una violentissima onda d’urto che scaraventò Thor e Loki a cinquanta metri di distanza.

Quello fu il momento in cui tutti quanti, asgardiani ed Avengers, scattarono all’attacco contro il nuovo, comune nemico. Ma prima che potessero anche soltanto arrivargli vicino, la grossa astronave sopra di loro iniziò ad aprire il fuoco.

Una valanga di raggi fiammeggianti iniziò a distruggere completamente l’intera zona. Erano tutti quanti allo scoperto, e non potevano né ripararsi né contrattaccare.

Quando la casa fu colpita da un raggio sparato dall’astronave, il dottor Banner non riuscì più a controllarsi. Stava già diventando verde mentre mormorava: < Andate nella cella... > rivolto a Jane, Selvig, Darcy e Barton.

Hulk era uscito sfondando il muro ruggendo e sbattendo entrambi i pugni contro il suolo, ma non poteva fare nulla: venne centrato da tali e tanti raggi d’energia da sparire alla vista.

Steve sapeva che c’era un solo modo per scamparla: < Tutti nel rifugio! Presto! > urlò, mentre scorgeva Ronan che camminava tranquillamente verso la sua navicella e ritornava sulla grande astronave.

Miracolosamente, tutti riuscirono ad entrare in casa, scendere nel sotterraneo e rifugiarsi nella cella. Tutti tranne Banner, Loki e Thor.

< Che diavolo succede!? > urlò Darcy in preda al panico, mentre il rumore del disastro che stava succedendo in superficie accompagnava le violente scosse di terremoto che squassavano la cella.





Ebbene sì, Ronan l'Accusatore. Non aspettatevi che introduca i Guardiani della Galassia, è solo che Ronan mi è piaciuto, così ho deciso di "assumerlo"...
Chi sarà la donna misteriosa che parlava al telefono con Rumlow? Quale sarà il suo piano per rendere la questione personale? E come sono collegati tra loro tutti questi personaggi? Le risposte nel prossimo capitolo!
A proposito, sia in questo capitolo che nel capitolo scorso ho inserito un Easter Egg... se riuscite a trovarlo, scrivetelo nelle recensioni! Potreste ricevere un premio!
Alla prossima!

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Capitolo 10
*** Quando è tutto finito ***


La vita del colonnello dell'Aeronautica James Rupert Rhodes, per gli amici “Rhodey”, da qualche anno era diventata piuttosto movimentata. Da quando nell'ormai lontano 2008 era nato Iron Man, Rhodey aveva visto e fatto cose che nessun altro colonnello della US Air Force aveva mai neanche immaginato.

Credeva che, dopo il gran casino sulla petroliera Roxxon Norco ad opera del Mandarino, non ci fosse nient'altro che lo potesse sorprendere. Ma quello che stava succedendo ora portava la sua vita ad un livello di assurdità senza precedenti.

Nick Fury, dopo aver parlato con il Presidente, lo aveva contattato con estrema urgenza ordinando la sua presenza in una località remota nell'Idaho. Appena arrivato, Rhodey aveva creduto di essere atterrato nel bel mezzo dell'inferno.

L'intera vallata in cui si trovava era coperta di crateri, come se l'Esercito avesse sparato contemporaneamente in quella zona tutte le sue munizioni. I pochi alberi rimasti erano sradicati e in fiamme. Alla sua sinistra, poteva scorgere le rovine di una piccola casa. Che diavolo era successo?

Un attimo più tardi, uno degli alberi divelti venne scaraventato in aria. Rhodey scorse Hulk che ruggiva dove prima c'era il grosso albero. E lì vicino, stesi per terra e privi di sensi, due individui dall'abbigliamento poco discreto.

Hulk si avvicinò minacciosamente. Rhodey era indeciso se provare a parlargli o darsela a gambe levate. Il gigante verde, però, non sembrava eccessivamente imbufalito. Forse valeva la pena tentare: < Ehi... vengo in pace, ok? Non ti faccio niente... Amici... >

Hulk emise un suono a metà tra un ringhio e uno sbuffo.

Rhodey provò a continuare: < Chi sono quei due? > chiese, avvicinandosi alle due figure prive di conoscenza.

Incredibilmente, Hulk gli rispose parlando: < Gracili... > ringhiò.

Avvicinandosi abbastanza, Rhodey si accorse che i due non erano altri che Thor e... Loki? Che ci faceva Loki sulla Terra?

Comunque, gli scanner della sua armatura riportarono che i due asgardiani erano ancora vivi e vegeti. Erano semplicemente svenuti. Che fosse stato Hulk a proteggerli da... qualunque cosa fosse successa poco prima?

C'era un'altra domanda a cui Rhodey doveva dare una risposta: < Hulk... dove sono gli Avengers? >

Il bestione si girò, avviandosi verso i resti della piccola casetta. Rhodey lo seguì.

Il colonnello fu sorpreso di vedere, al centro del pavimento, quella che sembrava a tutti gli effetti la tromba di un ascensore.

Hulk indicò proprio quel punto: < Qui sotto > disse soltanto, mettendosi a scavare.

Sotto lo sguardo basito di Rhodey, Hulk iniziò a strappare via pezzi di cemento, scendendo sempre più in profondità. Rhodey rimase ancora più sorpreso quando il gigante uscì dalla voragine da lui stesso creata portando sulle spalle una gigantesca cassa rettangolare e posandola al suolo con una delicatezza di cui nessuno lo avrebbe mai creduto capace.

Il colonnello osservò perplesso il gigante per qualche secondo, per poi scorgere una grossa porta su uno dei lati del grosso container. Avvicinandosi, bussò energicamente quattro volte.

La porta si aprì, rivelando un Tony Stark agghindato in un'armatura pesantemente danneggiata, senza il casco.

< Rhodey? > chiese.

< Tony? > rispose Rhodey con lo stesso tono.

< Che ci fai qui? >

< Potrei farti la stessa domanda! >

< E' una lunga storia... >

< Ho tutto il tempo. C'è mezzo mondo che vi sta cercando... Sono stato chiamato dallo SHIELD! Lo SHIELD non mi chiama mai! Che è successo? >

< Alieni cattivi, divinità in pericolo... il solito > cercò di sdrammatizzare Tony. Ma era chiaro che non l'avrebbe passata liscia, questa volta. Dietro di lui, uno alla volta uscirono dalla cella anche tutti gli altri.

< Tony, basta così! Quello sdraiato lì per terra a prendere il sole è chi penso che sia!? > sbottò, indicando i due asgardiani svenuti in lontananza.

Steve fu il primo a incamminarsi nella direzione di Thor e Loki. Dopo essersi accertato delle condizioni di Thor, che stava già iniziando a riprendersi, scosse violentemente Loki per svegliarlo.

Loki però non reagiva, e la pazienza di Steve si stava ormai velocemente esaurendo. Uno schiaffone in faccia fu sufficiente perché gli occhi dell'asgardiano si aprissero lentamente.

< Ora basta giochetti – esordì Steve, tirandolo in piedi per il bavero della casacca – siamo stati appena bombardati da un'astronave aliena! O mi dici quello che voglio sapere, o ti ficco in quello cella assieme ad Hulk! > minacciò, indicando la cella in vibranio che era appena stata riportata in superficie dal gigante verde, che ora lo guardava in cagnesco.

Loki ricordava bene il suo incontro ravvicinato del terzo tipo con Hulk alla Stark Tower. Non era proprio entusiasta di ripetere l'esperienza. E poi non aveva più molta scelta: Ronan era stato mandato ad ucciderlo. Non poteva più stare da quella parte.

< … e va bene... sì, parlerò... > si arrese infine.

Ma le spiegazioni avrebbero dovuto attendere ancora. In quell'istante, un sibilo sommesso iniziò a farsi sentire nell'aria, aumentando sempre più di volume, fino a che i presenti non riuscirono a scorgere un Quinjet dello SHIELD in avvicinamento da est.

L'aereo atterrò piuttosto rapidamente in mezzo alla zona dilaniata dal recente bombardamento, e non appena il portellone di coda si aprì, ne uscirono il vicedirettore Hill e un palesemente irritato direttore Fury.

Entrambi notarono la... ridondanza di guerrieri asgardiani. Non era un buon segno, specialmente considerando che con loro, anche se si reggeva appena in piedi e veniva sostenuto da Thor, c'era anche Loki.

< Signori... > salutò cortesemente Maria, prima che Fury le passasse davanti a passo di marcia, fermandosi davanti a Tony e Steve: < Spiegate. Ora. > ordinò. Darcy non poté fare a meno di metterci bocca: < Ehi, Barbanera! Siamo appena stati bombardati! Un “per favore” sarebbe carino >

Fury non credeva alle proprie orecchie: < Come dici, ragazzina? > disse minaccioso, avvicinandosi.

< Ho detto che un “per favore” sarebbe carino, capitan Harlock... > gli tenne testa Darcy, piazzandosi davanti a lui con le mani sui fianchi.

Tony iniziò a ridere di gusto al nuovo soprannome che Darcy aveva dato a Fury: < Capitan Harlock... come ho fatto a non pensarci prima? >

Le occhiatacce inceneritrici che gli furono lanciate da quasi tutti i presenti furono sufficienti perché il gioviale miliardario si zittisse all'istante, tornando serio. Sif e i Tre Guerrieri si scambiavano sguardi confusi, completamente ignari del significato di quell'alterco.

Fury era sconvolto: < Ma chi diavolo è questa? > chiese, rivolto a Steve.

Darcy rispose per se stessa: < Darcy Lewis. Dottoressa Lewis, per te. E tu invece chi saresti? >

A Nick ormai prudevano le mani: < Nicholas Joseph Fury, direttore dello SHIELD. Direttore Fury, per te >

Darcy era sbiancata, sgranando gli occhi e perdendo all'istante tutta la sua baldanza. Credeva che quelli fossero due comuni agenti dello SHIELD, come quelli che avevano incontrato in New Mexico. Non si aspettava certo il capo di tutta la baracca. Anche se, effettivamente, se un'astronave aliena si metteva a bombardare l'Idaho la situazione era piuttosto seria.

Finalmente, Darcy si decise a mordersi la lingua e lasciar parlare le persone competenti.

Stavolta era stato Steve a parlare per primo: < Che ci fai qui, Nick? >

Fury era sull'orlo di un collasso nervoso: < Che ci faccio qui? Dirigo la più grande agenzia di controspionaggio del mondo; cosa pensi che ci faccia qui? Abbiamo rilevato un gigantesco oggetto volante entrare nell'atmosfera, sorvolare questa zona e poi sparire come è venuto! Ed è chiaro che voi siete coinvolti, quindi se non ti dispiace le domande qui le faccio io! Ad esempio, perché questa valle somiglia ad una riproduzione di Gettysburg? Perché ci sono tutti questi asgardiani con voi? E soprattutto, CHE CAZZO CI FA LOKI SU QUESTO PIANETA SENZA MANETTE ?!? >

Steve aveva pazientemente aspettato che la scenata finisse. Poi aveva risposto con assoluta e serafica calma: < Abbiamo commesso un errore di valutazione... >

< UN ERRORE DI VALUTAZIONE??? > ripeté urlando Nick, ancora imbestialito.

< Già. Pensavamo di poter gestire la cosa senza tirare in ballo lo SHIELD. Ma a quanto pare ci sbagliavamo >

< PUOI DIRLO FORTE, CAZZO!! >

< Avrai tutte le risposte che cerchi. Loki, qui, stava giusto per sputare il rospo... > disse. Tutti si voltarono verso il dio dell'inganno. Era il momento della verità.

Washington D.C., casa di riposo Thomas Circle

Una Porsche Carrera S metallizzata ultimo modello era parcheggiata davanti all'istituto, dall'altro lato della strada. Una vecchia Chrysler blu parcheggiò lentamente dietro di essa. Brock Rumlow scollegò i fili che aveva legato insieme quando l'aveva rubata pochi minuti prima, spegnendo il motore, prima di scendere e avviarsi verso  la Porsche. Si affacciò al finestrino del lato passeggero e sorrise all'interno dell'abitacolo, prima di aprire la portiera e accomodarsi nell'auto.

Al volante della Porsche era seduta una ragazza dai capelli rossi e lo sguardo fanatico. Indossava pantaloni aderenti in pelle nera e lunghi guanti dello stesso materiale. Gli stivali al ginocchio e il corpetto che le fasciava il busto erano invece di color rosso fuoco, in tinta con i suoi capelli.

< Sei pronto? > chiese la ragazza, con un sorriso glaciale.

< Piccola, ho appena violato l'Area 51. Non ho bisogno di essere pronto per questo >

< Andiamo, allora... >

I due scesero dalla macchina, avviandosi a passo svelto verso l'ingresso della casa di riposo.

*

Rumlow stava strangolando l'ultima delle guardie mentre la misteriosa ragazza, che ora indossava un camice bianco da infermiera preso a una delle loro prime vittime, apriva la porta per entrare nella stanza che cercavano.

All'interno una signora anziana con i capelli sciolti che le ricadevano dolcemente sulle spalle, stava lavorando a maglia, seppur con qualche difficoltà dovuta agli acciacchi della vecchiaia.

La ragazza le si parò davanti: < Peggy Carter? > chiese.

Peggy sollevò la testa, osservandola con curiosità: < Sì... sono io... > disse.

Il viso della ragazza misteriosa si contrasse in una smorfia malefica, mentre estraeva una pistola. Era una Luger P 08, la pistola usata come arma d'ordinanza da tutte le forze armate tedesche durante la Seconda Guerra Mondiale.

< Teschio Rosso ti manda i suoi saluti... > sibilò, prima di sparare tre colpi contro l'inerme Peggy.

Rumlow entrò nella stanza un attimo dopo, trovando la ragazza che osservava con sguardo rapito il sangue che colava dalle ferite nel petto di Peggy.

Si portò al suo fianco, osservando anch'egli il cadavere della povera donna con lo stesso ghigno malvagio della ragazza:

< Questo dovrebbe attirare la sua attenzione, che ne dici? > chiese lei.

< Questo lo farà incazzare di brutto... > rispose Crossbones.

< Mi fa piacere. È uno dei pochi modi per farlo soffrire come merita >

Mentre ritornavano verso la Porsche, Rumlow ruppe il silenzio: < Vuoi davvero effettuare la consegna al quartier generale? >

< Ci troverebbero comunque, Brock – rispose la ragazza sedendosi al posto di guida – tanto vale farci trovare dove siamo più preparati. Ma ricordati una cosa: Captain America è mio... >

Rumlow annuì semplicemente. Il motore della Porsche prese vita con un potente rombo, e l'auto sfrecciò via nel traffico di Washington.





Nick Fury ha una benda sull'occhio e una nave volante: come capitan Harlock.
Gli Easter eggs degli scorsi capitoli sono i seguenti:
Capitolo 8: Steve ammacca lo scudo di Sif con un pugno: riferimento a Captain America: il primo vendicatore, in cui Teschio Rosso ammacca il suo vecchio scudo con un pugno nello stesso modo.
Capitolo 9: lo scettro di Loki è chiamato da Fury e Hill " 0-8-4 ": nella serie televisiva Agents of SHIELD, "0-8-4" è una classificazione per ogni oggetto di origine sconosciuta.
Qualche idea in più su chi possa essere la donna misteriosa alla fine del capitolo? Di certo è una grandissima... quella parola che inizia per P e che Steve non vuole che dica.
A presto!

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Capitolo 11
*** Il mandante ***


Ora che il direttore Fury era stato messo di fronte al fatto compiuto dell’evasione di Loki, aveva preteso che il dio dell’inganno fosse immediatamente trasferito sull’helicarrier, che nel frattempo aveva nuovamente cambiato rotta e si dirigeva ancora una volta verso l’Area 51: se volevano ritrovare  lo scettro, dovevano necessariamente incominciare da lì. Iron Man e War Machine, con le loro armature ipersoniche, avevano raggiunto il vascello un quarto d’ora abbondante prima del Quinjet con a bordo Fury, Hill, gli Avengers e gli asgardiani. Mentre erano in volo, tutti erano stati informati dell'attacco all'Area 51 e della sparizione dello scettro.

Il fatto che Crossbones e l'intera squadra STRIKE si fossero rivelati dei traditori aveva scosso profondamente l'agente Barton. Clint aveva lavorato con la STRIKE per più di dieci anni. Trentuno missioni in tutto, più di quelle che aveva effettuato con Natasha. Brock Rumlow, Jack Rollins e gli altri membri della squadra erano sempre stati affidabili e preparati. Occhio di Falco non era esattamente un loro amico, ma andavano d’accordo, e avevano sempre lavorato bene insieme. Incredibile come le apparenze ingannino.

Chissà quali crimini avevano commesso, mentre si fingevano agenti dello SHIELD. Clint promise a se stesso che gliel’avrebbe fatta pagare cara.
Nessuno, tra l’altro, aveva notato che Loki sembrava essersi spaventato ancora di più quando aveva sentito che lo scettro era stato trafugato.

Una volta arrivati, Loki era stato subito portato nella sala conferenze, adiacente al ponte di comando. Niente cella, questa volta. Almeno per il momento.
Si aspettava che gli facessero delle domande, invece tutti lo stavano fissando senza parlare, in attesa delle risposte.

Decise che era meglio cominciare dall’inizio. Prese un respiro profondo, iniziando a sbrogliare quella complicata matassa:

< Quando Thor ha distrutto il Bifrost, l’energia che io avrei usato per distruggere Jotunheim fu scatenata in prossimità del confine estremo di Asgard. Sì verificò un’esplosione abbastanza forte da causare un contatto con un altro mondo... e io ne fui inghiottito. Quando fui dall’altra parte, incontrai un uomo. Un uomo che possedeva un potere che io, un principe di Asgard, non avevo neanche mai immaginato potesse esistere... >

< Parli dello scettro? > chiese Steve.

< Lo scettro non è che una piccola parte di qualcosa di molto più grande. Così come il Tesseract >

Tutti si spostarono in avanti sulle loro sedie. Loki continuò: < All'interno del Tesseract e dello scettro ci sono due gemme. Sono oggetti che esistono fin da prima dell'esistenza stessa. Il loro potere è tale che in un tempo ormai tanto remoto da essere stato dimenticato dalla Storia, esse furono imbrigliate nei rispettivi manufatti per impedire i cataclismi che potevano causare... >

Il racconto era inquietante. Loki proseguì: < Ciò che lo scettro e il Tesseract sono in grado di sprigionare non è che una parte infinitesimale del potere di quelle due gemme... mi è stato consegnato lo scettro così che io recuperassi il Tesseract, e poi lui li avrebbe distrutti entrambi... e avrebbe avuto il completo potere delle gemme... il potere assoluto... >

< Chi sarebbe “lui”? Parli del kree che ci ha attaccato nella foresta?> volle sapere Sif.

< No. Il nome di quel Kree è Ronan, detto “l’Accusatore”; è un criminale che si è ribellato all'Impero Kree e ha rubato una delle loro astronavi da guerra, la Dark Aster... è la nave con cui ci ha attaccato... >

Loki abbassò lo sguardo prima di continuare: < Ronan non è che una pedina. Così come lo ero io. Solo ora me ne rendo conto... >

< Allora chi? > incalzò Thor.

Loki non rispose. Aveva iniziato a tremare; stava per avere un attacco di panico...

< Loki, chi!? > insistette Thor. La risposta di Loki fu un sibilo appena percettibile: < Thanos... >

Thor e gli altri asgardiani sgranarono gli occhi, impallidendo. Gli altri notarono questa strana reazione. Come al solito, fu Darcy la prima a commentare: < Ci siamo persi qualcosa? >

Volstagg fu il prossimo a reagire: < non può essere > sussurrò. Un attimo dopo, scattò in piedi e si fiondò su Loki: < Non può essere! Tu menti! > urlò, prendendolo per il bavero e sbattendolo contro il muro.

< Ehi! Niente scazzottate sulla mia nave! > lo ammonì Fury. Ci volle qualche secondo perché Thor, Sif, Fandral e Hogun riuscissero a calmare il loro compagno e staccarlo da Loki.

< Chi è questo Thanos? > chiese Bruce.

< Ci sono delle storie – rispose Thor – storie che parlano di un titano, un tiranno dal potere immenso, che un tempo cercò di conquistare l'intero universo. Lo chiamavano “il Signore Oscuro”. Ci fu una guerra, brutale e sanguinosa come nessun'altra prima, e come nessun'altra da allora. Asgard, Jotunheim, Vanaheim, l'impero Kree, chiunque fosse in grado di affrontarlo, si schierò contro di lui. Riuscirono a sconfiggerlo... ma se Loki dice il vero, in realtà Thanos si era soltanto ritirato >

< Quindi è piuttosto forte? > chiese timidamente Darcy.

< Invincibile > rispose Loki.

Il silenzio assoluto cadde nella stanza. Tony trovò la forza di parlare dopo più di un minuto: < Allora, fatemi capire: abbiamo un titano pazzo che vuole conquistare l'universo, e uno dei mezzi che gli servono per farlo ci è appena stato rubato da sotto il naso? >

< Significa che tenterà di recuperare lo scettro molto presto > disse Steve, quasi parlando tra sé e sé. Poi alzò gli occhi verso il gruppo: < dobbiamo fare in modo che non ci riesca >

Tony non era affatto convinto: < Sì, certo! E come faremo ad impedirglielo? >

Steve si voltò a guardarlo: < Insieme >.

Sif era scettica quasi quanto Tony: < Non ce la faremo mai... il potere di Thanos va oltre ogni immaginazione... >

< Abbiamo un asso nella manica > rispose Steve

< E sarebbe? > chiese Bruce.

Steve puntò il dito verso Loki: < Lui > disse soltanto.

Loki sembrò cadere dalle nuvole: < Io? >

Steve si girò verso di lui, fissandolo dritto negli occhi: < Thanos ha mandato uno dei suoi tirapiedi con una gigantesca astronave ad ucciderti. Secondo me lo ha fatto perché tu sai troppe cose su di lui. Da come ne parlate, questo Thanos sembra davvero un pessimo cliente. Se vogliamo trovare un modo per batterlo dobbiamo sapere tutto su di lui. Deve pur avere qualche punto debole... >

Loki scosse la testa, abbassando lo sguardo.

Steve insistette: < Avanti, rifletti! Se non riusciamo a sconfiggerlo ti ucciderà, lo sai vero? Allora fai funzionare il cervello, e aiutaci a trovare una soluzione... >

Loki sembrò convincersi. Passò un lungo istante, prima che parlasse: < Durante l'Antica Guerra, Thanos possedeva sia lo scettro che il Tesseract... ma entrambi gli furono sottratti quando fu sconfitto... ora che non ha nessuno dei due dovrebbe essere più vulnerabile... comanda interi eserciti, ma non possiede le gemme... non ancora... >

Alzò lo sguardo verso Steve: < Non deve impossessarsi delle gemme. Per nessun motivo. Dobbiamo essere noi ad usare quelle gemme contro di lui. È l’unica possibilità che abbiamo >.

< Bene. Allora la prima cosa da fare è recuperare quello scettro prima che Rumlow lo consegni a Thanos > decise Steve. La sua mente da stratega stava già entrando in azione.

< Sempre ammesso che non gliel’abbia già consegnato... > lo interruppe Natasha.

< Potrebbe darsi. Ma potrebbe anche darsi che Rumlow lavori per qualcun altro e non abbia nulla a che fare con Thanos... In ogni caso, dobbiamo assolutamente recuperare quello scettro il prima possibile. Da dove cominciamo? >

Fu Maria a rispondergli: < La STRIKE ha avuto accesso all’Area 51 con un’autorizzazione falsa. Ci dev’essere una talpa nello SHIELD che deve avergliela fornita, probabilmente al Triskelion... >

< Trovalo > disse Steve. Maria annuì, alzandosi e uscendo dalla stanza. Steve spostò la sua attenzione sugli asgardiani: < C’è una seria possibilità che non riusciremo ad impedire a Thanos di mettere le mani sullo scettro. Se dovesse succedere, non deve assolutamente riuscire a prendere anche il Tesseract... >

< Ritorneremo ad Asgard immediatamente – rispose Thor – non lasceremo che quel mostro si impadronisca del cubo >.

< Io rimango qui > disse la voce di Loki.

Thor era rimasto colpito da quell’affermazione: < Fratello- >

< No, Thor. Mi rinchiuderebbero nelle segrete appena messo piede ad Asgard. Sono stato io a portare quello scettro su questo regno, e io devo impedire che Thanos lo riprenda... >

< E tu credi veramente che ci fideremo di te dopo il numero che hai fatto a New York? > disse incredulo e sarcastico Clint.

< Quale altra scelta ho? Ronan è venuto per uccidermi! Se non sbaglio, avete un detto su questo pianeta: i nemici dei miei nemici sono miei amici... >

Barton non poteva, non voleva essere costretto a fidarsi di Loki. Ma le opzioni erano limitate, e se questo Thanos era davvero così potente, avevano davvero bisogno di tutto l’aiuto possibile.

< Non è cambiato nulla. Lo sto facendo solo per il mio personale tornaconto: se impedisco a Thanos di impossessarsi dello scettro, forse sarò graziato quando tornerò ad Asgard... > aggiunse Loki con un sorriso saccente.

< Te l’ha mai detto nessuno che sei simpatico come un wurstel infilato tra le chiappe? > chiese Clint.

Loki non gli rispose. Si rivolse invece al fratello: < Lasciami fare a modo mio, Thor. È così che deve essere > disse, perfettamente serio.

Thor gli si avvicinò, finché il suo volto non fu a pochi centimetri da quello del fratello: < Tradisci queste persone, Loki... e te ne farò pentire amaramente... >

< Allora rimango anch’io > si intromise Sif.

Loki la osservò con uno sguardo malizioso. Sif sostenne il suo sguardo: < Non farti strane idee, traditore. Il Padre degli Dei ha ordinato a me personalmente di riportarti ad Asgard; non ti lascerò incustodito finché non sarai di fronte a lui... > bofonchiò minacciosa.

In quel momento Fury ricevette una telefonata e si scusò, uscendo dalla sala. Steve concluse la discussione tra gli asgardiani: < D’accordo, è deciso. Avengers, da questo momento dobbiamo essere pronti a tutto- >

< Capitano – lo interruppe Fury, tornando nella stanza – dovrei scambiare due parole con te. In privato >.

Steve corrugò la fronte, ma uscì subito dalla porta assieme a Fury. Il direttore sembrava a disagio.

< che succede, Nick? > chiese Steve.

Fury prese un respiro profondo, prima di parlare: < La telefonata che ho appena ricevuto... mi hanno chiamato perché ci sono degli sviluppi. C’è stato un attentato a Washington, venti minuti fa. Rumlow è coinvolto. È stato ripreso dalle telecamere della Polizia Stradale... davanti alla Thomas Circle >.

Steve sgranò gli occhi. La casa di riposo Thomas Circle era l’istituto che ospitava Peggy.

< Rumlow e un secondo attentatore sono entrati e usciti in meno di quattro minuti. Ci sono cinque vittime. Tre guardie, un’infermiere... e uno degli ospiti dell’istituto >.

Non poteva essere vero. Si rifiutava di credere che quello che Fury gli stava dicendo fosse vero: < Nick... > mormorò.

Il direttore abbassò lo sguardo: < Mi dispiace, capitano > disse soltanto.

Steve sentì il proprio sangue gelarsi nelle vene.





 ...Ed eccoci di nuovo qui. Capitolo di assestamento, stavolta.
Riusciranno i nostri eroi a sconfiggere Thanos prima che entri in possesso delle gemme? Clint e Loki riusciranno a lavorare insieme senza scannarsi? E come reagirà Steve alla notizia della morte di Peggy?
E soprattutto, chi è stato ad ucciderla?
Le risposte nel prossimo capitolo!

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Capitolo 12
*** Sin ***


La notizia di ciò che era successo a Peggy Carter aveva lasciato tutti di sasso. Steve aveva un’espressione serissima; cercando di non crollare e di non dare impressioni sbagliate alla sua squadra. Se solo tutti quanti non avessero avuto gli occhi puntati costantemente su di lui... avrebbe voluto prendere a pugni il muro fino a spaccarsi tutte le ossa delle mani. Ma doveva concentrarsi. Aveva una missione da compiere: trovare lo scettro di Loki a tutti i costi. E subito dopo, fare a brandelli Crossbones e tutti i suoi complici.

Nella sua epoca, durante la guerra, Captain America non aveva mai voluto uccidere nessuno, nemmeno Teschio Rosso. C’era, appunto, una guerra in corso. Si uccideva per necessità; Steve non lo aveva mai fatto perché voleva farlo. Ma stavolta era diverso. Stavolta, Steve avrebbe ucciso perché voleva farlo. Per vendetta.

Si trovavano tutti ancora nella sala conferenze della grande nave volante. Un agente stava digitando velocemente sulla tastiera del suo computer, trasmettendo sul grande schermo al centro di una parete le immagini delle telecamere di sicurezza della Stradale di Washington. Anche Thor e i Tre Guerrieri erano ancora nella sala conferenze: era meglio capire con chi avevano a che fare, prima di ripartire per Asgard.

Nel fotogramma che apparve sullo schermo, Rumlow stava salendo a bordo di una Porsche grigia. Con lui, c’era una ragazza dai capelli rossi e lo sguardo maligno, che stava guardando dritta nell’obiettivo della telecamera con un’espressione di sfida.

Fury era in piedi dietro all’agente al computer, che stava usando un software per il riconoscimento facciale per identificare la sconosciuta. Steve fissava l’immagine della ragazza. C’era qualcosa di familiare in quello sguardo malefico... qualcosa che non riusciva a identificare.

< Signore, abbiamo un riscontro... > disse l’analista. Fury si chinò verso lo schermo del computer:

< Oh cazzo... quella è Sin... >

Steve si voltò verso di lui. Fury digitò qualcosa sulla tastiera del computer, e sullo schermo a muro, accanto al fotogramma della polizia, apparve una foto segnaletica.

< Sin è una terrorista internazionale – spiegò Fury – una delle peggiori mai esistite. Al confronto, Osama Bin Laden era un chierichetto. C’è addirittura chi dice che sia coinvolta nell’assassinio del presidente Kennedy nel 1963. Il suo vero nome... è Synthia Schmidt >

Steve sentì i peli del collo rizzarglisi dietro la nuca: < Schmidt? Come Johann Schmidt? >

Fury annuì: < è sua figlia... >

Clint si intromise: < Johann Schmidt sarebbe Teschio Rosso, il fondatore dell’HYDRA? Ha avuto una figlia? >

< Già. Ed è pazza almeno quanto lui > confermò Fury.

Steve si avvicinò minacciosamente al direttore: < La figlia di Teschio Rosso? Quando pensavi di dirmelo, Nick? >

< Calmati, Rogers. Credevamo che fosse morta... >

Steve fissava Fury come se volesse perforarlo con lo sguardo. Il direttore continuò: < Nel 1992, ci fu un attentato contro l’ambasciata britannica a Roma. La polizia italiana arrivò lì a guastargli la festa, e gli attentatori fecero esplodere la bomba prematuramente. Ci furono quattro vittime: un poliziotto e tre terroristi, tutti troppo ustionati per poterli identificare. Uno degli attentatori era una donna. Avevamo tutte le ragioni di credere che fosse lei... >

< Evidentemente vi sbagliavate > notò sarcastico Steve.

Tony notò qualcos’altro: < Ehi, ma se questa è la figlia di Teschio Rosso... e Teschio Rosso è morto nel ’45... quanti anni ha questa ragazzina? >

< Per quanto ne sappiamo è nata nel 1943 > rispose Fury.

Tony lo guardò confuso: < Ma... questo significa che ha soltanto 25 anni in più del capitano! Nelle riprese della polizia sembra che abbia 25 anni in tutto! >

Fu Bruce a rispondergli: < Se è nata nel 1943, significa che è stata concepita quando Schmidt era già diventato Teschio Rosso... il siero del super soldato di Erskine non agisce solo a livello muscolare, ma si combina con il DNA... lo modifica... quindi lei ha ereditato il siero di Erskine da suo padre. Per questo non è invecchiata... >

Steve spostò ancora una volta lo sguardo verso l’immagine della ragazza. Era la sua nemesi perfetta: era nata nel ’43, nello stesso periodo in cui lui era diventato Captain America. Aveva ereditato da suo padre la prima versione del siero del dottor Erskine. E, visto che a quanto pare aveva sparato ad una povera anziana indifesa, era anche spietata e crudele come suo padre.

I commenti fuori luogo di Tony lo distrassero: < Wow! Questo significa che quella carrozzeria resterà così per sempre? > disse, osservando le forme toniche e slanciate della ragazza.

Steve aggrottò le sopracciglia e digrignò i denti: < Quando avrò finito con lei, quella “carrozzeria” sarà completamente irriconoscibile... > ringhiò, con lo sguardo fisso sullo schermo.

Nessuno lo aveva mai visto così. Era a dir poco spaventoso. Darcy e Jane fecero involontariamente due passi indietro. Thor invece fece si spostò verso di lui, stringendogli una spalla con la mano. Steve non sembrò nemmeno accorgersene.

Tony gli lanciò un’occhiata veloce, per poi abbassare lo sguardo. Doveva decisamente imparare a contare fino a cinque, prima di aprire bocca.

< Che altro sappiamo su di lei? > chiese poi Steve.

Fury digitò ancora qualcosa sulla tastiera del computer, e sullo schermo apparvero dei file dello SHIELD:

< Pare che all’inizio degli anni Settanta abbia seguito le orme del suo paparino fondando una sua organizzazione terroristica, accreditata di svariati attentati a partire dal 1974, ma credevamo che si fosse disciolta dopo la presunta morte di Sin. L’organizzazione si chiamava RAID >

< RAID? >

< Già, è un acronimo. Sta per Radically Advanced Ideas in Destruction >

Loki alzò le sopracciglia: < Teatrale, la signorina… >

Steve fece una smorfia: < Già… tutta suo padre… >

Ci fu un altro, lungo attimo di silenzio, prima che Steve parlasse di nuovo: < D’accordo, fammi sapere che cos’altro riesci a trovare, Nick. Avvertitemi se Maria scopre qualcosa sul nullaosta che Rumlow ha usato per violare l’Area 51. Io... io ho bisogno di una pausa... > disse, uscendo velocemente dalla stanza.

*

Thor e i Tre guerrieri stavano per uscire sul ponte di volo dell’helicarrier, dove un Quinjet li aspettava per riportarli a terra. Da lì, Heimdall li avrebbe poi riportati ad Asgard. Con loro c’erano anche Jane e Natasha.

< Credi che il capitano starà bene? > chiese Thor alla russa, mentre i suoi tre compagni uscivano sul ponte.

< Steve è un osso duro. Se la caverà... > rispose la spia fingendo indifferenza, ma in realtà era molto più preoccupata di lui.

< Ciò che questa Sin e i suoi uomini gli hanno fatto è deprecabile e meschino. Mi piacerebbe essere lì con voi quando sarà il momento della resa dei conti... >

< Non preoccuparti. Mi assicurerò di ammazzarne un paio anche per te, Thor >

L’asgardiano sorrise, abbracciandola. Natasha si sentì leggermente soffocare, prima che Thor la liberasse, baciando Jane sulle labbra per poi seguire i suoi tre compagni: < buona fortuna... > disse, salendo sul Quinjet. Natasha li salutò velocemente prima di sparire all’interno della nave, in cerca di Steve.

Il capitano si era rinchiuso nell’alloggio che gli era stato assegnato sull’helicarrier. Come al solito, Natasha non si preoccupò di bussare, forzando la serratura ed entrando senza tanti complimenti.

Steve era seduto sul letto, con un’espressione persa: < Avrei potuto essere nudo... > disse.

Natasha sorrise. Aveva provato a fare una battuta, era un buon segno: < Puoi stare tranquillo. Non hai niente che io non abbia già visto, Rogers... > disse, portandosi davanti a lui.

Steve la guardò negli occhi. Natasha allargò le braccia, e lui finalmente si alzò dal letto e si lasciò abbracciare.

< Vedi, è per questo che ho così tanti problemi ad affezionarmi a qualcuno – disse Natasha, stringendolo – non voglio che qualche avversario cerchi di sfruttare un mio punto debole... >

< Ma loro non hanno sfruttato un punto debole > la corresse Steve. Si spostò leggermente da lei, tenendole le mani sui fianchi e guardandola negli occhi: < Credono di avermi indebolito. Di avermi distratto. Invece mi hanno reso più forte che mai, perché adesso l'unica cosa che mi interessa è fermarli per sempre. Hanno firmato la loro condanna a morte. Quando sarà il momento, se ne accorgeranno. E allora si pentiranno amaramente di quello che hanno fatto... >

Natasha non sapeva cosa rispondere. Sapeva cosa stava provando. Sapeva che Steve in quel momento era distrutto dal dolore. Ma lo stava facendo per lei. Stava cercando di convincerla che gli affetti non ti indeboliscono, ti rendono più forte. Voleva che Natasha si lasciasse andare, che dimenticasse quel maledetto indottrinamento del KGB e si permettesse di vivere la sua vita. Anche in un momento come quello, Steve si preoccupava per lei.
Si limitò ad abbracciarlo, ancora più forte di prima. Steve ricambiò l’abbraccio.

*

< JARVIS, chiama la signorina Potts > disse Tony, infilandosi un auricolare.

< Molto bene, signore > rispose JARVIS, collegando il telefono.

New York City, Avengers Tower

Pepper era rimasta alla Avengers Tower. Stranamente, quel giorno non aveva nessun impegno. Dopo che gli Avengers erano partiti con Loki per chissà dove – Tony non aveva voluto dirgli dove erano diretti – la direttrice delle Stark Industries aveva tutte le intenzioni di rilassarsi nel solarium della torre. Fu proprio lì che JARVIS la trovò.

< Ehi, Tony... > disse, una volta messa in linea.

< Ehi... senti, ti sto chiamando per sapere come stai... >

< Io sto benissimo, Tony. Tu, piuttosto, dove sei? Loki sta facendo i capricci? >

< Sono sull’helicarrier dello SHIELD, Pepper... senti, la cosa è molto più seria di quanto pensassimo. Ci sono degli alieni piuttosto feroci con manie di conquista alla caccia dello scettro di Loki. Sono alleati con dei terroristi qui sulla Terra. Hanno ucciso Peggy Carter >.

Il sorriso sul volto di Pepper svanì di colpo: < Oh mio Dio, Tony, Steve lo sa? >

< Sì... sì, lo sa... >

< Come sta? >

< Beh... è scosso. Sta cercando di fare il grand’uomo, lo sai com’è fatto, ma si vede che ha preso un brutto colpo... Pepper, sono preoccupato. Non voglio che ti capiti qualcosa, quindi... io e JARVIS abbiamo preparato una piccola contromisura. È nel mio laboratorio. Vacci subito, per favore. Appena hai fatto, voglio che mi raggiungi sulla nave >.

Pepper era sorpresa. Tony non era mai stato così preoccupato, nemmeno durante il disastro del Mandarino: < D’accordo, Tony, vado subito al laboratorio... >

< Grazie, Pep. Cerca di fare in fretta. Ci vediamo. >

< Tony? >

< Sì? >

< Ti amo... >

< Ti amo anch’io... ora vai >

< D’accordo. Ciao >.

La comunicazione cadde. Pepper non perse altro tempo, dirigendosi verso l’ascensore. Non appena fu arrivata, andò prima a cambiarsi velocemente nella propria stanza, e poi si diresse subito al laboratorio di Tony, quattro piani più in basso.

Passò il suo tesserino sullo scanner della porta, per poi appoggiare il pollice sul lettore per le impronte digitali. Appena entrata in laboratorio, Jarvis aprì un ripostiglio incassato nella parete alla sua sinistra. Guardando ciò che c’era al suo interno, Pepper rimase completamente senza parole.





Ed eccola qui. L'assassina di Peggy.
Ho modificato il background di Sin rispetto ai fumetti... del resto l'hanno fatto anche con Ultron... Cosa ne pensate?
Alla prossima!

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Capitolo 13
*** Il generale ***


All’interno dell’ipertecnologico armadietto era stipata un’armatura. Però era piuttosto diversa dalle solite armature serie Iron Man: le forme generali erano decisamente più sottili e longilinee, chiaramente adatte ad un corpo femminile. Inoltre, le parti che sulle armature di Tony erano di color giallo dorato, su questa armatura erano cromate a specchio.

Pepper non sapeva cosa pensare: < JARVIS... che cos'è? > chiese.

< Armatura serie leggera, Mark 1. I propulsori sono gli stessi della Iron Man Mark 43. Nessuna arma da fuoco, ma la corazzatura può resistere a tutti i tipi di proiettili leggeri e all’equivalente di 150 libbre di esplosivo Semtex. Progettata su misura per lei, signorina Potts >.

Pepper, in quel momento, scorse un post-it attaccato sopra al reattore ARC sul petto dell’armatura. Lo staccò per leggerlo:

Il tuo 12 per cento,
Tony

Che simpatico, pensò Pepper. Pensava che quella battuta del 12 per cento fosse riferita soltanto alla Stark Tower, non che si estendesse anche alle sue armature. Ma, visto che c’erano...

< JARVIS, facciamo una prova di collaudo > disse, con un sorriso sornione.

SHIELD helicarrier 64, in rotta per l’Area 51

Maria era salita sul ponte di comando e lo aveva preso per la collottola, strappandogli via la pistola, sollevandolo dalla sedia e trascinandolo via. Ci aveva messo un po’, ma alla fine era riuscita a scovare chi aveva fornito le credenziali a Rumlow: Jasper Sitwell. Era stato bravo, aveva coperto le sue tracce in modo eccellente, ma l’agente Hill era il vicedirettore dello SHIELD. Nulla poteva sfuggirle per troppo tempo.

Lo portò nella sala conferenze, scaraventandolo contro il muro. Steve era già lì; non aspettava altro: < Dove sono Sin e Rumlow? > inquisì.
Sitwell fece il finto tonto: < Cosa? >

Steve non aveva né il tempo né la voglia di stare al gioco. Assestò un destro dritto allo stomaco di Sitwell, per poi agguantarlo per la cravatta. Sitwell boccheggiò, ma ancora non volle parlare. Steve fece in modo che lo guardasse bene in faccia: < Apri bene le orecchie, vermiciattolo: o te ne stai zitto e muori qui e subito di una morte orribile, oppure ti fai furbo, mi dici quello che voglio sapere e muori di vecchiaia in prigione. Riproviamo: dove sono Sin e Rumlow? >

A quanto pare, Sitwell aveva la testa dura: < Non... non so di cosa stai parlando... >

Steve lo prese per la cintura dei pantaloni e per il collo della camicia, scaraventandolo contro il soffitto per poi farlo cadere sul tavolo, che andò in pezzi.

Fuori dalla stanza, Loki, Sif, Natasha e Fury osservavano i metodi di persuasione del capitano. Loki non era impressionato: < Perché non lasciano che sia tu ad interrogarlo, agente Romanoff? – chiese – sicuramente ti hanno insegnato metodi di tortura molto più efficaci del semplice pestaggio... scommetto che sei un portento, negli interrogatori... >

Natasha alzò un sopracciglio: < Il nome del corso era “tecniche avanzate di raccolta informazioni”, e sì, ero la prima della classe. Tu dovresti saperlo... non ti ricordi il nostro primo incontro su questa nave? >

Come dimenticarlo, pensò Loki. Non era da tutti ingannare il dio dell’inganno: < Allora, perché hai lasciato il posto al capitano? >

< Direi che Steve ha bisogno di sfogarsi un po’... >

Steve non ebbe esattamente modo di sfogarsi, dato che Sitwell crollò dopo solo un minuto e diciannove secondi: < Va bene, va bene, basta! Sono... sono ad Annapolis... > farfugliò. Steve gli aveva spaccato un braccio, una gamba, quattro costole e due denti.

< Dove, di preciso? >

< Al... al vecchio aeroporto abbandonato... della marina... hangar 11B... >

< Visto? Era così difficile? > disse Steve, prima di sferrare un pugno sul naso a Sitwell, facendogli perdere conoscenza.

< Che rottura, dobbiamo fare dietrofront... > sbuffò Fury.

Annapolis, dove sorgeva la sede dell’accademia di addestramento della Marina degli Stati Uniti, era vicinissima a Washington. Fino agli anni 80 c’era anche un aeroporto, che poi però era stato ricostruito in un altro sito, più vicino al porto militare. Il vecchio aeroporto era rimasto abbandonato, ed alcuni edifici erano stati comprati da una holding con sede in Germania. Maria fece un rapido controllo incrociato al computer: quella holding era riconducibile alla RAID.

Il grosso helicarrier virò di 180 gradi. Erano sulla rotta per l’Area 51, e ci avrebbero messo venticinque minuti per tornare indietro.

*

< Come procediamo? > chiese Natasha.

< Sono sicuro che ci stanno aspettando – le rispose Steve – credo che sapessero fin dall’inizio che avremmo smascherato Sitwell. Non possiamo attaccare frontalmente, non sappiamo quante forze hanno a disposizione... >

< Abbiamo Hulk con noi, te ne sei scordato? > disse Tony, dando una pacca sulla spalla a Bruce. Il dottore sorrise imbarazzato.

< Non voglio rischiare. Se dovessero sfuggirci saremmo punto e a capo, e poi potrebbe anche essere una trappola. Dovremo essere più discreti possibile. Loki? >

L’asgardiano si voltò verso di lui, facendo finta di mettersi sull’attenti. Steve ignorò la presa in giro: < Riesci a farci entrare senza che ci vedano? >

< Nessun problema, capitano... > rispose, facendogli il saluto militare. Steve alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.

Fury prese la parola: < Noi vi seguiremo da vicino. Cercate di non ingaggiare finché non saremo in posizione per fornirvi supporto di fuoco... >

Steve annuì: < Ricevuto. Avengers, prepariamoci... >

Pochi minuti dopo, un Quinjet prese il volo dal ponte dell’helicarrier, diretto verso il vecchio aeroporto di Annapolis. Nello stesso istante, qualcos’altro atterrò sulla nave. Maria non credette ai propri occhi nel vedere Pepper, con addosso un’armatura personalizzata, che avanzava verso di lei: < Salve, Maria. Dove sono i ragazzi? >

Tony li aveva avvertiti che Pepper stava per raggiungere l’helicarrier, ma si aspettavano che arrivasse in elicottero, non certo così: < Uh... ehm, hanno appena lasciato la nave; stanno seguendo una pista... gran bel completo, Pepper... > farfugliò la Hill.

Pepper sorrise. Dopo l’avventura con il Mandarino, la vita normale e il lavoro d’ufficio avevano iniziato a sembrarle noiosi. Ma ora che si trovava su una portaerei volante con addosso un’armatura Stark, aveva la faccia di una ragazzina ad un concerto degli One Direction.

Annapolis, vecchio aeroporto

L’hangar 11B era enorme, quasi delle stesse dimensioni della base HYDRA dalla quale Teschio Rosso era decollato con il suo gigantesco aereo per attaccare gli Stati Uniti. Era situato ai confini dell'aeroporto, e solo una recinzione di rete metallica lo separava dalla strada pubblica dietro di esso: Sin e la RAID si stavano praticamente nascondendo in piena vista.

La Corvette nera di Natasha era parcheggiata al lato della strada, a circa dieci metri dall’hangar. Seduto al posto del passeggero, Steve stava infilando i proiettili nel caricatore di una 45 semiautomatica. Natasha lo osservava sorpresa: < Non ti ho mai visto portare una pistola... > disse.

< Non ne ho mai sentito il bisogno, da quando mi hanno scongelato... fino ad oggi > rispose Steve, infilando il caricatore nell’impugnatura e riponendo la pistola nella fondina al fianco destro della sua uniforme blu notte: < Barton, sei in posizione? > disse poi, parlando all’auricolare.

Clint si trovava sul tetto di un edificio poco lontano. Dietro di lui, Bruce, Loki e Sif stavano scendendo dal Quinjet: < in posizione, capitano... > rispose.

< Stark, Rhodey, com’è il panorama? > chiese poi Steve, infilandosi l’elmetto dell’uniforme.

Iron Man e War Machine erano atterrati all’interno dell’aeroporto, nascondendosi in uno degli edifici attigui e scansionando i dintorni con l’aiuto di JARVIS: < I sensori termici rilevano la presenza di almeno cinquantasette persone all’interno... tantine, per un hangar abbandonato... > disse Tony.

< Ehi, Tony, vedi quello che vedo io? > chiese Rhodes. C’era una strana interferenza elettromagnetica che proveniva dall’interno dell’hangar.

< Dev’essere lo scettro – rispose Tony – direi che siamo nel posto giusto... >

Steve fece un respiro profondo: < Okay, Loki. Tocca a voi >

Loki, Bruce e Sif scesero silenziosamente al piano terra dell’edificio su cui si trovavano assieme a Clint. Si diressero verso l’entrata dell’aeroporto, e poi, tranquilli e pacifici, entrarono indisturbati dalla porta principale dell’hangar 11B.

< Siamo dentro, capitano > bisbigliò Bruce al suo auricolare. Non cercava nemmeno di nascondersi: grazie alla magia di Loki, nessuno poteva vederli né sentirli.

In fondo all’hangar c'era un gigantesco bombardiere Tupolev Tu-95 “Bear” sovietico. Difficile non notarlo, con i suoi oltre 50 metri di lunghezza e altrettanti di apertura alare. Bruce non sapeva niente di aerei da guerra, ma la stella rossa sulle ali e i caratteri cirillici sulla fusoliera ne rendevano abbastanza ovvia la nazionalità.

< C’è la tua amichetta, capitano... > disse Loki al suo auricolare, arrivato al centro della struttura.

Steve strinse la maniglia della portiera. Quanto avrebbe voluto saltare lì dentro e tagliarle la gola.

Sif e Bruce si voltarono nella direzione in cui guardava Loki, e poterono scorgere Sin, che parlava con un uomo sulla sessantina, vestito con un impermeabile beige.

Si avvicinarono per sentire cosa si stessero dicendo.

< Devi stare tranquillo, Lukin... > stava dicendo Sin.

< Non dirmi di stare tranquillo > rispose l’uomo misterioso, con uno spiccato accento russo.

Steve era impaziente: < Vedete lo scettro? >

Gli rispose Bruce: < Negativo, capitano. Sta parlando con un uomo... russo, credo... l’ha chiamato Lukin... >

Al sentire il nome Lukin, Natasha, che prima guardava annoiata il volante della sua macchina, alzò la testa di scatto, fissando l’hangar fuori dal finestrino: < Hai detto Lukin? Fatemi vedere... >

Bruce estrasse una piccola telecamera portatile, riprendendo il volto dell’uomo che parlava con Sin. Natasha e Steve potevano vedere il video su un tablet. Natasha sgranò gli occhi.

Steve era preoccupato: < Nat, lo conosci? >

< Eccome – rispose la russa, digrignando i denti – Aleksander Vasilevic Lukin, generale dell’Armata Rossa. Era il direttore della Stanza Rossa, la divisione del KGB che mi ha addestrata >

< Ed è invischiato con la RAID... > osservò Steve.

Natasha non rispose. Si limitò a tornare a guardare fuori dal finestrino in direzione dell’hangar.

Sin e Lukin continuavano la loro conversazione: < Hai dato un calcio ad un nido di calabroni, Synthia. Era proprio necessario uccidere la Carter? > disse Lukin.

Sin scrollò le spalle: < Dovevamo provocarli in qualche modo, così ho pensato di unire l'utile al dilettevole. Ora ci attaccheranno di sicuro. Quando lo faranno, noi li distruggeremo... e tu riavrai la tua schiavetta personale >

Lukin sbuffò, esasperato: < Ti senti invincibile adesso, vero, signorina Schmidt? Proprio come l'imperatore del Giappone dopo l'attacco di Pearl Harbor. O come tuo padre, dopo aver fatto uccidere Abraham Erskine... >

< Io ho lo scettro >

< Tuo padre aveva il Tesseract >

< Rivuoi la tua preziosa Vedova Nera, sì o no? Se vuoi che ti aiuti, smetti di discutere > disse infine Sin. Lukin non rispose.

Natasha aveva sentito tutto grazie alle riprese video. Quel pazzo di Lukin aveva intenzione di usare lo scettro per farle il lavaggio del cervello e riavere così la migliore assassina mai uscita dalla Stanza Rossa. Ma se pensava davvero che i suoi piani sarebbero andati in porto, si sbagliava di grosso.






Allora, aggiorno un po' in anticipo, visto che ci sono.
Avete presente Pepper nei fumetti? E avete presente che nei film, tranne l'exploit alla fine di Iron Man 3, è sempre e solo la damigella in pericolo? Ecco, adesso non più...
Inoltre, ho deciso di seguire l'idea che Sitwell e rumlow lavorassero insieme. Questo non significa che lo SHIELD sia corrotto dall'HYDRA, o che prima o poi troveremo Alexander Pierce. Ma mi piace l'idea di qualche talpa nell'organizzazione più segreta del mondo.
Infine, Aleksander Lukin è un altro personaggio dei fumetti che ho deciso di introdurre... chissà cosa riusciranno a combinare lui e Sin...
Lasciatemi un commentino per dirmi cosa ne pensate! Alla prossima!

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Capitolo 14
*** Avengers vs. RAID ***


Un altro uomo era uscito dal portello di carico del bombardiere sovietico. Bruce riprese anche lui, con la sua telecamera, e appena lo videro sui display delle loro armature, Tony e Rhodey lo riconobbero immediatamente: Justin Hammer.

< Guarda chi si rivede... > mormorò Tony.

< A quanto pare si è fatto nuovi amici, dall'ultima volta > rispose Rhodes.

Hammer sembrava impaziente: < Allora? >

Sin era irritata e annoiata: < Allora cosa, Hammer? Lukin mi ha appena fatto venire mal di testa... torna sull'aereo, non intendo cominciare altre discussioni > disse, guadagnandosi un'occhiataccia da parte del generale russo.

< Non ci torno, sull'aereo! Quel tizio alieno lì dentro è inquietante! >

< Beh, puoi sempre andartene... >

< Sì, certo... vi ho fornito tonnellate di armi, voglio vedere qualcosa di concreto. Dov'è lo scettro? >

Sin sorrise, avvicinandosi ad una cassa in prossimità dell'aereo. La aprì.

Lady Sif parlò al suo auricolare: < Vediamo lo scettro > disse.

Finalmente lo avevano trovato. Quel maledetto scettro aveva causato fin troppi problemi. Steve non vedeva l’ora di farla finita: < Nick, mi senti? > chiamò all’auricolare.

La voce di Fury si fece sentire immediatamente: < Forte e chiaro, capitano... >

< Banner, Loki e Sif hanno gli occhi sul premio. Voi a che punto siete? >

< Saremo in posizione ottimale tra otto minuti. Se Loki riesce a prendere lo scettro senza far scattare l’allarme, per me va benissimo... ma non ingaggiate finché non siamo a portata di tiro >

< Loki, hai sentito? > chiese Steve.

< Agli ordini, capitano... > rispose il dio dell’inganno, iniziando ad avviarsi verso la cassa contenente lo scettro.

Si sentiva così importante: passeggiava tranquillamente nel covo del nemico e nessuno lo vedeva. Arrivò alla cassa, trovandosi a non più di un metro da Sin, e stava per soffiargli lo scettro sotto il naso. Quegli stupidi non se ne sarebbero accorti nemmeno quando avessero cominciato a bombardarli dall’helicarrier.
Ma, appena afferrato lo scettro e tiratolo fuori dalla cassa, una sirena iniziò a risuonare all’interno dell’hangar. Che stava succedendo?

Lukin e Hammer si erano allarmati, mentre Sin era perfettamente calma. Prese un walkie talkie per dare ordini ai suoi uomini: < Visori a infrarossi >, disse soltanto. Tutti estrassero degli strani occhiali, indossandoli.

La magia di Loki lo rendeva invisibile all’occhio umano, ma non ad un visore ad infrarossi. Rumlow, che si trovava sulla rampa di carico del bombardiere, fu il primo a notarlo, estrasse la pistola e iniziò a scaricargliela addosso.

I proiettili rimbalzavano addosso all’asgardiano come sassolini, ma la sorpresa di essere stato scoperto fu sufficiente per fargli perdere la concentrazione quel tanto che bastava a spezzare l’illusione. Loki aveva lasciato cadere lo scettro, correndo a ripararsi.

Anche Sif e Bruce erano stati immediatamente scoperti. Tutti e tre si trovarono sotto il fuoco incrociato di oltre cinquanta uomini armati con fucili da assalto, bazooka e chissà quali altre diavolerie firmate Hammer.

< Steve! Credo che ci fosse un sensore di pressione sotto lo scettro! Appena Loki lo ha sollevato è scattato l’allarme! > urlò Bruce, cercando riparo dietro ad alcune casse di munizioni.

< Maledizione! Piano B, ragazzi! Tutti dentro! > urlò a sua volta Steve, scendendo dalla macchina assieme a Natasha e scavalcando la recinzione.

In pochi attimi era scoppiata una battaglia in piena regola: Tony e Rhodey erano entrati sfondando il tetto, iniziando a snellire i nemici dall’alto. Alcuni avevano provato ad uscire dall’hangar, ma lì avevano incontrato lo scudo di Steve, le pistole di Nat e le frecce di Clint.

Purtroppo però, apparve subito evidente che Hammer aveva fornito alla RAID armamenti piuttosto avanzati: uno dei tizi all’interno dell’hangar aveva in mano uno strano aggeggio che somigliava ad una parabola televisiva. Puntandolo contro Rhodey, fece partire un qualche tipo di impulso elettrico che spense completamente tutti i sistemi della sua armatura. Poco dopo, anche Tony fu colpito dallo stesso strano raggio, e anche la sua armatura fu immediatamente messa fuori uso. I due non erano feriti, e le loro armature li proteggevano da qualsiasi proiettile vagante, ma entrambi erano ormai fuori combattimento.

Sif e Loki facevano quello che potevano: i proiettili normali gli facevano il solletico, ma alcuni degli uomini della RAID erano armati di lanciarazzi ed RPG, e gli impedivano di avvicinarsi abbastanza. Armati solo di spade e pugnali, i due asgardiani non erano in grado di contrattaccare efficacemente. Era frustrante: su Asgard era credenza comune che gli abitanti di Midgard potessero essere schiacciati come mosche. Evidentemente le cose erano cambiate, dal 965 dopo Cristo a questa parte.

Bruce stava rapidamente perdendo il controllo. Tra trenta secondi al massimo, più di qualcuno si sarebbe fatto molto male.

In mezzo a tutta quella confusione, Sin aveva afferrato lo scettro e lo aveva affidato a Rumlow: < Sai cosa fare... > disse.

Rumlow annuì, salendo sull’aereo, seguito da Lukin e dai suoi uomini della STRIKE.

Steve la intravide in fondo all’hangar: Sin era già al volante della sua Porsche, guardandolo per un fugace attimo con un sorrisetto strafottente, mentre correva rombando verso l’uscita. Steve non riuscì a raggiungerla in tempo.

Natasha gli lanciò le chiavi della sua macchina: < Vai, qui ci pensiamo noi! > gli urlò, prima di fare secchi altri due uomini della RAID con due proiettili in testa. Steve corse fuori dall’hangar e verso la Corvette parcheggiata sul ciglio della strada. Gli otto cilindri del motore ruggirono prepotentemente, mentre Steve partiva a razzo facendo fumare le ruote posteriori.

Rumlow stava per decollare. I motori del bombardiere iniziarono ad acquistare potenza, e lentamente il grosso aereo si avviò verso l’esterno. Tutti erano troppo impegnati per fermarlo. Soltanto Natasha era abbastanza vicina: riuscì a saltare all’interno del vano di carico mentre il portellone si stava già chiudendo.

Una volta sulla pista di decollo, l’aereo iniziò a prendere velocità. Al suo inseguimento si era lanciato Bruce, ora trasformatosi in Hulk. Il bestione verde riuscì a raggiungerlo proprio mentre si sollevava dal suolo. Con un lungo salto, riuscì ad aggrapparsi con una mano al carrello posteriore, ma non aveva una presa abbastanza salda: riuscì a resistere solo pochi secondi, prima di scivolare e cadere a terra.

Nel frattempo, Sif e Loki stavano lentamente riportando la situazione all’interno dell’hangar sotto controllo. Tony, inoltre, era finalmente riuscito a riavviare la sua armatura: a quel punto, non ce n’era più per nessuno.

Hammer era l'ultimo rimasto. Si era nascosto dietro un camion parcheggiato. Si sentì battere un dito sulla spalla, e si girò di scatto estraendo una pistola. Di fronte a lui, c'erano Loki, Sif e Tony, e alle loro spalle si stava facendo avanti anche Hulk. Il volto di Tony era coperto dall'armatura, ma gli altri avevano uno sguardo feroce.

Buttò a terra la pistola e alzò lentamente le mani, sorridendo nervosamente: < Parley? > chiese.

*

Steve stava lasciando la zona dell'aeroporto a tutta velocità: < Barton, hai visto da che parte è andata quella macchina? >

Clint era ancora in posizione sul tetto dell'edificio accanto: < Est, capitano. Verso il porto >

< Prendi il jet e segui quel bombardiere! > ordinò Steve, prendendo la direzione che aveva preso Sin.

< Non abbatterli, c'è anche Natasha su quell'aereo! > aggiunse Tony, prendendo il volo a sua volta.

Barton non se lo fece ripetere due volte: saltò sull'aereo con agilità felina, lanciandosi all'inseguimento del grosso bombardiere.

Steve sfrecciava per le strade di Annapolis, ma non vedeva nessuna Porsche nei dintorni: < JARVIS, riesci a localizzare Sin? >

< Si trova sulla trentasettesima, in direzione del porto, capitano Rogers > disse il maggiordomo elettronico di Tony, con il suo tipico aplomb britannico. Steve sterzò bruscamente a sinistra al primo incrocio. La Corvette cambiò direzione con una violenta scodata, e per evitarla, una piccola monovolume finì per tamponare un furgone parcheggiato a bordo strada.

Steve intravide la Porsche in lontananza davanti a lui. Salì di marcia e accelerò a tavoletta, iniziando inesorabilmente a recuperare terreno.

Sin lo intravide nello specchietto retrovisore e capì subito che ben presto l'avrebbe raggiunta. Appena Steve fu abbastanza vicino, Sin frenò di colpo, cercando di farsi tamponare: se Steve l'avesse colpita abbastanza forte con il muso della macchina avrebbe rotto il radiatore, e a quel punto avrebbe fuso il motore in pochissimi minuti. Ma il capitano ebbe la prontezza di riflessi di portarsi sull'altra corsia, riuscendo ad evitarla per un pelo.

Le due supersportive si trovavano ora testa a testa, correndo a velocità folle sulla banchina del porto, costeggiando la base della Marina. Sin non si lasciò sfuggire l'occasione: estrasse la sua Luger e iniziò a sparare a Steve, che però si protesse immediatamente dietro al suo scudo. I proiettili frantumarono il finestrino del passeggero della Corvette, ma dopo aver colpito lo scudo, caddero a terra sul sedile di fianco a Steve.

Sin aveva finito i colpi e, preoccupata di prendere un altro caricatore, non si accorse che Steve aveva a sua volta estratto la pistola.

Il primo proiettile le passò a meno di due centimetri dal viso. Dovette buttarsi di fianco per evitare che il secondo, il terzo e il quarto la colpissero. Purtroppo, da quella posizione semisdraiata, non riusciva a vedere bene fuori dal parabrezza. Durante questo scontro a fuoco, Sin e Steve avevano continuato ad accelerare al massimo, tanto che ormai stavano per raggiungere i 300 chilometri all'ora, e lei in quel momento non vedeva neanche dove stava andando.
Ad un certo punto, Steve aveva smesso di sparare, e Sin aveva sentito un violento stridio di pneumatici. Alzandosi in posizione seduta, vide che la Corvette di fianco a lei non c'era più: guardò rapidamente indietro, accorgendosi che Steve aveva inchiodato violentemente. Appena tornò a guardare avanti, capì subito il perché: un muletto che trasportava diverse casse di legno stava lentamente uscendo da uno dei capannoni di fianco alla banchina. Sin cercò di sterzare a sinistra per evitarlo, ma ormai era troppo tardi.

Perse il controllo, sbandando. La Porsche colpì in pieno le casse del muletto, mandandole in frantumi. Il contraccolpo fu abbastanza forte da far sì che la macchina si cappottasse, saltando in aria di almeno quattro metri. Cadde a terra sulla fiancata destra, rimbalzando e iniziando a rotolare su sé stessa, fermandosi dopo almeno duecento metri, completamente distrutta.

Era di nuovo sulle quattro ruote... anzi, sulle TRE ruote, visto che quella anteriore destra si era staccata nella carambola. Il motore ridotto a pezzi mandava voluminosi sbuffi di fumo dal cofano posteriore, che avvolgevano l'intera auto come un fantasma.

Steve si era fermato a pochi metri di distanza, scendendo dalla macchina. Iniziò ad incamminarsi lentamente verso i rottami, lo scudo infilato nel braccio sinistro e la pistola stretta nella mano destra. Ma appena arrivò all'auto, si accorse che dentro non c'era nessuno: Sin era scappata.

*

Clint osservò fuori dal cockpit del Quinjet, scorgendo Iron Man in volo a pochi metri da lui. Davanti a loro, il Tupolev di Lukin sfrecciava nel cielo, diretto ad est, verso l'oceano. Lì dentro c'era anche Natasha. Non lo potevano abbattere.
Non sapevano assolutamente cosa fare.




...Un po' si vince, un po' si perde. Gli Avengers hanno sconfitto gli uomini di Sin e lei si è data alla macchia, ma adesso Natasha è l'unica che può recuperare lo scettro. Riuscirà la Vedova Nera a mettere fuori gioco Rumlow, Lukin e i loro uomini e scendere dall'aereo con lo scettro di Loki?
Lo scoprirete nel prossimo capitolo!

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Capitolo 15
*** Controllo mentale ***


Appena era salita a bordo dell'aereo, Natasha aveva dovuto vedersela con gli uomini della squadra STRIKE: i primi due si trovavano nel vano di carico posteriore, da dove era entrata. Ebbe subito modo di notare che nessuno si faceva troppi problemi a sparare con dei mitra all'interno di un aereo in volo. Tanto valeva che non ci pensasse nemmeno lei.

Aspettò pazientemente, al riparo dietro ad alcune casse, che i due finissero i colpi per passare al contrattacco: il primo si beccò una pallottola dritta in fronte, ma il secondo riuscì a sua volta a ripararsi e ricaricare il suo fucile. Appena uscì allo scoperto per prendere la mira, però, si accorse che Natasha non era più dove l'aveva lasciata. Esitò un momento di troppo: Nat lo disarmò calciando via il fucile, per poi saltargli in groppa e rompergli il collo con una sola, rapida mossa.

Un terzo uomo, sentiti gli spari, irruppe nel vano di carico con il fucile spianato. Anche lui, in un attimo, si ritrovò con un foro di proiettile in mezzo agli occhi.
Natasha si assicurò che le sue Glock fossero completamente cariche, prima di avviarsi nel prossimo compartimento dell'aereo.

*

Steve era ancora vicino ai rottami della Porsche di Sin: non poteva essere andata lontana, ma non era il momento per andarla a cercare: doveva raggruppare la sua squadra e rintracciare l'aereo di Rumlow.

Proprio in quel momento, un Quinjet atterrò a pochi metri da lui: a bordo, Maria Hill e Nick Fury.

< Ti serve un passaggio, capitano? > chiese Maria, alzando la voce per coprire il rumore dei reattori. Steve non le rispose nemmeno: saltò dentro in un attimo, e l'aereo decollò all'istante.

< Capitano, hai presente che vi avevo detto: “non ingaggiate finché non siamo in posizione”? Che è successo? > chiese Fury, irritato.

< Ti ricordi che hai anche detto: “se Loki riesce a prendere lo scettro per me va benissimo”? >

< Senza far scattare l’allarme – lo corresse Nick – se riesce a prendere lo scettro “senza far scattare l’allarme”, per me va benissimo. Ho detto così >

< Ne avrete ancora per molto? > chiese Maria, cercando di porre fine alla diatriba. Steve e Fury si azzittirono all’istante.

*

Il vecchio bombardiere sovietico aveva motori ad elica, e una velocità massima di circa 925 chilometri all'ora: niente, rispetto al Quinjet che pilotava Barton, e ancora meno rispetto all’armatura di Tony, quindi di sicuro non sarebbe riuscito a sfuggirgli. Ma finché rimanevano in aria c'era poco da fare: abbattere l'aereo avrebbe significato uccidere Natasha, e anche perdere lo scettro: ormai si trovavano sopra l’ Oceano Atlantico, e anche se il manufatto avesse resistito all'esplosione, lo avrebbero indubbiamente perso in mare.

< Stark, dobbiamo inventarci qualcosa! > disse Clint, osservando il suo collega che volava accanto a lui.

< Ci sto lavorando > rispose Tony, mentre attivava gli scanner dell'armatura: forse, se non poteva abbattere l'aereo, poteva trovare un modo per entrarci...

In quel momento, un secondo Quinjet si affiancò a loro: Fury e Hill avevano recuperato anche Loki e Sif, mentre Rhodey era rimasto indietro ad aspettare l'arrivo dell'helicarrier per mettere in custodia Hammer e gli altri sopravvissuti della RAID, e Hulk... beh, per ovvie ragioni era meglio non averlo su un aereo all'inseguimento di un altro aereo. Oltre al secondo Quinjet, però, c'era anche qualcos'altro: una seconda armatura.

Appena la vide, Tony diede fuori di matto: < Pepper, che ci fai qui? > urlò.

< Pepper? > chiesero tutti quanti – tranne Maria – in coro.

< C'è una mia amica, lì dentro. E ha bisogno di aiuto > rispose la voce della donna.

< Quell'armatura è per la tua sicurezza, Pepper, non per dare la caccia ai cattivi! Torna indietro! >

< Stai sprecando fiato, Tony. Non me ne vado da qui >

Tony sapeva che non avrebbe vinto quella discussione. Scosse la testa, rassegnato, e decise di tornare a concentrarsi sull'aereo.

*

Natasha stava facendo progressi: aveva fatto fuori altri due uomini di Rumlow, e continuava ad avanzare verso la cabina di pilotaggio. Ora si trovava nel vano bombe.

Fu lì che se lo trovò davanti. Era invecchiato, ma lo avrebbe riconosciuto tra mille: < Lukin... > sibilò.

L'ex generale dell'Armata Rossa stringeva lo scettro con entrambe le mani, con un sorriso malvagio stampato sul volto: < Cos'è tutta questa confidenza, Natalia? Hai dimenticato i nostri insegnamenti? Devi rivolgerti a me con “signor generale”... >

Natasha ebbe un moto di disgusto: < Beh, vedi, “signor generale”, io non lavoro più per te. Non hai avuto la mia lettera di dimissioni? >

< La Stanza Rossa non funziona così, Natalia. Decido io chi licenziare. E quando ho deciso, quella persona tira le cuoia. Dicono così, qui in America, no? “Tira le cuoia”? >

Natasha decise di prenderlo in giro: < Complimenti, un vero cittadino del mondo... alleato con la figlia di un gerarca nazista e un gruppo di terroristi americani... per non parlare degli altri terroristi, quelli alieni. Rivogliono quell'attrezzo che hai in mano, vero? > disse, indicando lo scettro.

< Già... beh, nessuno ha detto che non posso usarlo io per un po', prima di consegnarlo. Hai visto cosa fa, no? Sarai di nuovo al mio servizio prima ancora di accorgertene... > minacciò Lukin.

< Staremo a vedere > rispose a tono Natasha, stringendo le sue pistole.

Lukin le puntò contro lo scettro, che sparò un raggio di energia. Natasha si spostò rapidamente, prima che il raggio distruggesse delle casse alle sue spalle. Pochi attimi più tardi, l'intera cabina pullulava di agenti della STRIKE e della RAID. In tutto erano 14, tra cui anche Rumlow e Jack Rollins.

< Prendetela... > ordinò il generale.

Natasha era in difficoltà: gli spazi erano troppo ristretti per combattere al meglio. Tentò di mantenere le distanze il più possibile e di sfruttare le sue pistole. Ne aveva già ammazzati quattro e ferito un quinto, quando Rumlow mise a segno un colpo.

Una fitta di dolore le paralizzò l’avambraccio destro, facendole cadere di mano la pistola. Il colpo le aveva trapassato il braccio da parte a parte. L’aveva anche distratta parecchio, e questo diede modo agli altri di avvicinarsi.

Riuscì a colpire il primo con un calcio in faccia, spaccandogli il naso, prima di sparargli con l’altra pistola e metterlo definitivamente fuori combattimento, ma gli altri ebbero ben presto la meglio. Alla fine, si ritrovò bloccata per le braccia di fronte al generale.

< Ora, non sono proprio sicuro di come funziona questo affare. Cerca di stare ferma, Natalia, non vorrei graffiarti con la lama... > rise Lukin, avvicinando la punta dello scettro al cuore di Natasha.

La gemma iniziò a brillare, ma prima che Lukin potesse toccarla con lo scettro, Natasha lo centrò in pieno con un calcione in mezzo alle gambe, per poi eseguire una capriola all'indietro e liberarsi dai due energumeni che la tenevano ferma. Raccolse un mitra da uno degli uomini precedentemente eliminati, sparando a raffica finché il caricatore non si esaurì. Li aveva falciati quasi tutti: rimanevano Lukin, Rumlow, Rollins e altri due.

Recuperò le sue pistole nel momento in cui Lukin estrasse la sua. Natasha trovò una granata addosso a una delle sue vittime stese al suolo, la innescò e la lanciò in direzione del generale.

L'ordigno gli esplose in faccia, uccidendolo all’istante. I resti dell'uomo che le aveva rovinato la vita si afflosciarono sul pavimento, assieme al cadavere di Rollins, anche lui coinvolto nell'esplosione.

Rumlow e gli altri due avevano trovato riparo uscendo dal vano bombe ed entrando nel successivo scompartimento, più verso la parte anteriore dell’aereo. Natasha vide lo scettro a terra e si avvicinò con cautela per recuperarlo, ma in quel momento, qualcun altro entrò nella stanza: uno strano individuo incappucciato dalla pelle blu. Non era quello che li aveva attaccati nell'Idaho: questo era di gran lunga più brutto.

< E tu chi diavolo sei? > chiese Natasha, puntandogli contro la pistola.

Lo strano individuo raccolse lo scettro, e all’improvviso, l'ambiente intorno a loro cambiò completamente: ora non si trovavano più all'interno dell'aereo. Natasha si guardò intorno: era all'aperto, in un luogo roccioso, freddo e desolato. Il cielo era nero, pieno di stelle. Doveva essere notte fonda, ammesso che quello strano posto fosse mai stato raggiunto dalla luce del giorno.

Era forse stata teletrasportata in un’altra dimensione? Com’era possibile?

< Il mio nome è Corvus Glaive – rispose lo strano essere – sono il servo del mio padrone, Thanos... sono un distruttore di mondi, un rovesciatore di sovrani... e non sono un avversario alla tua portata >

Detto questo, lo strano essere afferrò la gemma incastonata nello scettro, staccandola da esso e rompendo l’involucro che la imprigionava. Si verificò una strana esplosione di energia, e Natasha ebbe modo di dare appena una fugace occhiata alla gemma, ora di colore giallo, prima che l’onda d’urto generata dall’esplosione la investisse in pieno, sbalzandola all’indietro e mandandola a sbattere contro il muro dell'aereo alle sue spalle. Perché sì, adesso si trovava di nuovo nell'aereo.

Non era rimasta ferita. Non fisicamente. Ma era successo qualcos’altro, in quella particolare esplosione. Qualcosa di terribile.

Era come se lo scettro avesse iniziato a schiavizzare la sua mente, ma dato che la gemma era stata liberata, l'effetto era stato molto più devastante di quando le vittime erano state Clint o Selvig.

Iniziò immediatamente  a rivivere le parti peggiori del suo passato, e non solo. Ora, sapeva nel dettaglio esattamente quello che le avevano fatto nella Stanza Rossa. Aveva sempre avuto il sospetto che le avessero fatto il lavaggio del cervello, o quantomeno cancellato una parte della sua memoria, per impedirle di sapere in chi, o meglio in che cosa, l’avevano trasformata. Ma non pensava certo che un simile abominio fosse possibile.

Non ebbe modo di pensarci oltre, però, perché subito dopo erano iniziate le visioni sul suo futuro. Stava avendo allucinazioni di Thanos che spadroneggiava nell'universo. Vide Lukin, che nella realtà era appena morto ma nella sua testa era riuscito a soggiogarla di nuovo, che le ordinava di uccidere tutti i suoi amici. E lei lo faceva: uccideva tutti. Da Pepper a Clint, da Fury a Maria, per finire in bellezza con Steve.

Aveva ucciso Steve. Lo aveva ucciso senza esitare, quando invece pensava di non potergli mai fare del male.

E poi, si ritrovò con la pistola puntata contro una bambina, che probabilmente non aveva più di quattro anni. Una bambina dai capelli rossi, in ginocchio, che piangeva, che la implorava di non farlo, perché lei poteva ancora salvarsi, perché aveva la possibilità di essere migliore di così. Ma non era vero, perché lei, subito dopo, aveva premuto il grilletto, e aveva ucciso quella bambina. Aveva ucciso Natalia. Aveva ucciso quella minuscola parte di lei che era ancora innocente. Rimaneva soltanto la Vedova Nera. L'assassina.

I suoi occhi videro lo strano individuo chiamato Corvus Glaive sparire sotto i suoi occhi, evaporando come un fantasma, con in mano la gemma. Ma la sua mente non le permise di farci caso. La sua mente non riusciva a concentrarsi su nient’altro che sull’orrido passato, presente e futuro di morte e distruzione che era la sua vita.





Eeeh, povera Natty... mi dispiace di averle fatto quello che le ho appena fatto, ma è funzionale alla storia. Se non altro, Lukin è schiattato. A proposito, non sono sicuro che il leccapiedi di Thanos sia effettivamente il Corvus Glaive dei fumetti, ma ci assomiglia parecchio, quindi... facciamo finta che sia lui.
A parte questo, GIRLS POWA!!! Pepper sta avendo il suo momento di gloria e Maria ha tappato la bocca sia a Captain America che al suo diretto superiore!
Capiremo un po' meglio che cosa è successo a Natasha nei prossimi due capitoli. A presto!

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Capitolo 16
*** Dammi la mano ***


Pepper aveva trovato la soluzione prima di Tony. Volava più in basso e più avanti rispetto a lui e ai due Quinjet, e poté scorgere i portelli del vano bombe sotto la pancia dell’aereo.

< JARVIS, dici che da lì si può entrare? >

< Affermativo, signorina Potts... >

Pepper si portò in volo rovesciato sotto all’aereo, per poi sparare ai portelli con i repulsori sulle mani, creando uno squarcio abbastanza grande da poterci entrare.

< Pepper, che diavolo fai!? > strillò Tony, ma la donna si era già infilata nella carlinga.

Appena dentro, scorse Natasha, che tremava rannicchiata contro la parete posteriore, con le ginocchia al petto e un braccio attorno alle gambe. Si avvicinò, sollevando la visiera del casco: < Nat? Nat, mi senti? Natasha! > chiamò, ma la russa non rispose. Non la guardava nemmeno. Aveva gli occhi sgranati e colmi di lacrime che minacciavano di cadere da un momento all’altro. Sembrava che avesse appena visto chissà quale fantasma.

Sentì un rumore alle sue spalle e si voltò, ma prima che potesse reagire, si ritrovò con i polsi bloccati alla parete alle sue spalle da due braccialetti magnetici, e Brock Rumlow a trenta centimetri dalla sua faccia.

< Virginia Potts, vero? Ho letto di te su Forbes... > disse Rumlow, mentre lei si dimenava, cercando di liberare le braccia.

< Che succede? La piccola segretaria vuole fare a botte con il grosso e cattivo agente segreto? > la canzonò ancora Rumlow, spostando ripetutamente lo sguardo tra lei e la figura tremante di Natasha, sul pavimento.

Il ghigno strafottente di Rumlow, però, iniziò a svanire quando sentì il tipico fischio sommesso di un repulsore che si carica.

Guardò in basso: il reattore ARC sul petto di Pepper brillò di luce bianca, sparando un potente raggio d’energia che sfondò da parte a parte la cassa toracica di Rumlow, scaraventandolo sul muro opposto e facendolo crollare a terra con un’espressione ancora incredula sul viso e un rivolo di sangue che gli usciva dall’angolo della bocca.

< Questa “segretaria” ha fatto secco il Mandarino... > disse Pepper, con lo stesso sorrisetto saccente che poco prima adornava il volto di Rumlow. Ma il momento di gloria stava per finire: gli altri due uomini erano riapparsi dalla porta, con le armi spianate.

< Oh-oh... > mormorò Pepper, abbassando la visiera dell’armatura mentre i due iniziavano a spararle addosso. I proiettili non le stavano nemmeno graffiando la vernice, ma aveva ancora i polsi bloccati alla parete e non poteva muoversi.

< Ehm...Tony? Un aiutino?? > chiamò.

Un istante dopo, Iron Man entrò dallo squarcio nei portelli, e si sbarazzò dei due sopravvissuti prendendoli per le caviglie e scaraventandoli giù da dove era entrato, facendoli precipitare da oltre quattromila metri.

Voltandosi, si avviò verso Pepper e le liberò i polsi, strappando i braccialetti con una facilità imbarazzante.

< Si può sapere cosa ti è preso? > berciò infuriato.

Pepper gli tenne testa: < te l’ho detto: Natasha aveva bisogno di aiuto. Le è successo qualcosa, non vedi? >

La rabbia di Tony si tramutò in sorpresa appena si voltò a guardare il relitto umano che fino a qualche minuto prima era stata la Vedova Nera: ora sembrava più piccola del normale, e aveva l’espressione di un cerbiatto con due fari abbaglianti puntati addosso.

Lì accanto, c’erano i resti dello scettro di Loki. La lama era spezzata, e la gemma al suo interno non c’era più.

Tony prese subito una decisione: < Resta con lei. Vedo se è rimasto qualcun altro... > disse.

Sapendo che Natasha era entrata dal vano di carico posteriore, Tony suppose – correttamente – che avesse eliminato tutti quanti nella parte posteriore dell’aereo, così si diresse verso la cabina di pilotaggio.

Non c’era più nessuno, e l’aereo avanzava con il pilota automatico. Rumlow doveva averlo inserito prima di andare ad affrontarla.

Chiamò via radio i suoi colleghi nei Quinjet: < Ragazzi, mi sentite? >

Clint gli rispose per primo: < Tony, che è sucesso? Come sta Nat? >

< Ecco, è... non lo so. Qualcosa è sicuramente successo. Ha solo una ferita al braccio, ma sembra completamente intontita... >

Steve prese la parola: < Che mi dici dello scettro? >

< Lo scettro è qui, capitano. Ma la gemma che conteneva è sparita... >

Loki sgranò gli occhi per un breve istante, prima di assumere un’espressione sconfitta e rassegnata. Steve decise di affrontare un problema alla volta: < Riesci a riportare indietro quell’aereo? >

< Sì, nessun problema... >

< Bene. Ci vediamo all’aeroporto >

< Ricevuto, capitano. Passo e chiudo >

Il contatto radio si chiuse, e pochi secondi dopo, il Tupolev iniziò una pigra virata a sinistra di 180 gradi, seguito dai due Quinjet.

SHIELD helicarrier 64, zona d’attracco del Triskelion

La riunione era durata più di due ore. Rumlow era morto, così come l’intera squadra STRIKE e parecchi degli affiliati alla RAID. Inoltre Hammer e Sitwell erano sotto chiave nella zona di detenzione della nave, e presto sarebbero stati trasferiti a terra. Ma le buone notizie finivano lì.

Loki osservava le due metà dello scettro posate al centro del tavolo con un’espressione assente. Sentiva un groppo alla gola che gli faceva male ogni volta che deglutiva. Era successo esattamente quello che non doveva succedere: ora Thanos possedeva una delle gemme.

Sin era ancora in giro, la gemma dello scettro era sparita, e ancora nessuno aveva capito come fosse possibile che qualcuno l’avesse presa da un aereo in volo senza lasciare tracce. Loki aveva i suoi sospetti, ma l’unica che poteva rispondere davvero a quella domanda era Natasha.

Bruce l’aveva fatta ricoverare in infermeria, dove le era stata medicata la ferita al braccio, ma non esisteva medicina al mondo per quello che era successo nella sua mente.

Clint era seduto di fianco al letto su cui la ragazza era sdraiata, incerto su cosa fare. Provava una rabbia incredibile, e al tempo stesso si sentiva completamente inutile.

Da quando aveva cambiato schieramento ed era entrata nello SHIELD, Natasha era diventata come una sorella minore per lui. La sua letale sorellina russa. Erano una squadra formidabile ancora prima che arrivassero supereroi vari ed eventuali a formare gli Avengers.

Natasha si era ritrovata in un mondo diametralmente opposto a quello della Stanza Rossa. Lì, ogni volta che premeva il grilletto, lo faceva per uccidere. Qui, la forza letale si usava solo come ultima risorsa.

Nei primi tempi, nessuno allo SHIELD si fidava di lei, nemmeno Fury. L’unico ad aiutarla era Clint.

Il Consiglio Mondiale della Sicurezza non era stato molto entusiasta che Barton avesse trasgredito agli ordini, portando Natasha nello SHIELD invece di ucciderla. Occhio di Falco aveva rischiato addirittura la Corte Marziale, e per un certo periodo gli avevano affidato soltanto missioni secondarie, ben al di sotto delle sue capacità. Ma a lui non importava. Gli importava molto di più Natasha: le era sempre rimasto accanto; aveva sempre cercato di non farla sentire come il pesce fuor d’acqua che era in realtà.

Natasha aveva sempre potuto contare su di lui. Ma in quel momento, quando lei ne aveva più bisogno, Clint non aveva la più pallida idea di cosa fare.
Stavolta ci voleva qualcun altro, pensò. Qualcuno che potesse fare meglio di lui. Qualcuno che potesse riuscire a trovare la vera Natasha nei meandri della sua mente confusa, e tirarla fuori da quella situazione. Qualcuno che arrivò un attimo dopo.

Steve entrò nella stanza mentalmente esausto. Aveva discusso con Fury e Loki su cosa fare. Erano tutti d’accordo che avevano bisogno di sapere con esattezza cos’era successo alla gemma. Ma non era venuto per questo.

< Come sta? > chiese.

Clint si strinse nelle spalle: < Sta bene. Cioè... sta come prima >

Natasha era sdraiata su un fianco, dando le spalle ai due. Era rannicchiata in posizione fetale, tremando vistosamente, e ogni tanto qualche gemito sommesso le usciva dalla gola.

All’improvviso, Clint si alzò dalla sedia: < Beh, finalmente sei arrivato... non ce la facevo proprio a lasciarla da sola... > disse.

Steve si voltò a guardarlo; non era sicuro di cosa intendesse dire. Il cecchino gli mise una mano sulla spalla: < Cerca di aiutarla, Steve... io non posso riuscirci. Tutto quello che posso fare adesso è mettere sotto torchio Sitwell e Hammer per vedere se sanno qualcos’altro... > disse infine, uscendo dalla stanza senza aspettare una risposta.

Steve si soffermò solo un attimo sulla figura dell’arciere che si allontanava nel corridoio, per poi riportare la sua attenzione su Natasha. Fece il giro del letto, e finalmente poté vederla in faccia.

Vederla in quello stato pietoso gli spezzò il cuore. Non si era sentito così male nemmeno quando Fury gli aveva detto della morte di Peggy: la sofferenza di Natasha lo turbava molto di più.

Natasha aveva l’espressione di una bambina che credeva ci fossero dei mostri sotto il letto. Ma Steve sapeva che i mostri non erano sotto il letto. I mostri erano nella sua testa. Nel suo passato. E adesso, in qualche modo, quella gemma li aveva resi più forti che mai.

Il più delicatamente possibile, le mise una mano sul braccio sinistro. Natasha trasalì, e Steve indietreggiò immediatamente.

Doveva essere davvero spaventata a morte. Era meglio evitare di toccarla, se non era in grado di riconoscerlo. Non distingueva nulla: per lei, in quel momento, la più piccola ombra poteva nascondere un nemico mortale.

< Nat... > tentò ancora Steve. Ma lo sguardo della ragazza rimaneva perso nel vuoto.

Dopo un breve attimo di silenzio, decise di provare in un altro modo: < Natalia... >

Questa volta, la rossa parve sentirlo, girando la testa verso di lui e fissandolo negli occhi.

Normalmente Natasha detestava sentir pronunciare il suo vero nome. Sulla bocca di Lukin, era un ricordo dell’assassina che era stata. Pronunciato da tutti gli altri, le faceva pensare a quanto fosse stata orribile la sua vita. Ma risuonando con la voce di Steve, in qualche modo le ricordò quella bambina innocente, che avrebbe tanto voluto diventare una ballerina, lontano dagli orrori in cui era stata scaraventata.

Finalmente, riuscì a vederlo. Finalmente, riusciva a vedere qualcosa di vero, e non un’orribile allucinazione: < S... Steve? > sussurrò.

< Dammi la mano, Natalia... > disse lui, porgendole la mano.

Lentamente, timidamente, alzò la mano e prese quella di Steve.

< St-teve... > balbettò di nuovo, un po’ più forte.

< Sì, Nat. Sono io >

La ragazza abbassò la testa, guardando un punto indefinito sul suo torace. Poi, portò l’altra mano sul suo petto, iniziando a tracciare con le dita i contorni della stella argentata sulla sua uniforme.

Ormai non ce la faceva più: < Steve... > gemette. Le lacrime iniziarono a rigarle le guance: stava crollando completamente.

Steve reagì all’istante. La abbracciò più stretta che poteva, mentre lei continuava, finalmente, a piangere tutte quelle lacrime che aveva sempre, testardamente tenuto imbottigliate dentro. Anni e anni di orrori uscirono tutti in una volta, bagnando il petto dell’uniforme di Steve, mentre lui la cullava, stringendola forte, baciandole la testa e accarezzandole i capelli, sussurrandole che sarebbe andato tutto bene.




Ok, allora, è un capitolo un po' strappalacrime, ma almeno Rumlow è morto (tremate tutti di fronte all'immenso potere dell'armatura di Pepper!) e Natasha sta un pochino meglio. E il rapporto tra lei e Steve cambierà radicalmente nel prossimo capitolo, ve lo posso assicurare...
A proposito... c'è un Easter Egg (più o meno)! Vediamo chi lo trova!
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 17
*** Chi sei veramente ***


Ormai su Washington era calata la sera. C’era voluta quasi un’ora perché Natasha riuscisse finalmente a calmarsi.

Rimasero in silenzio ancora per qualche minuto, dopo che lei aveva finalmente smesso di piangere. Steve la teneva ancora in braccio, con una mano dietro la testa per stringerla al suo petto come un neonato.

Stava ancora tremando leggermente. Steve non avrebbe mai voluto forzarla nello stato in cui era, ma aveva bisogno di sapere che fine aveva fatto la gemma: < Nat... >

< Mi dispiace, Steve... > balbettò la rossa, rannicchiandosi ancora di più contro di lui.

Doveva essere successo qualcosa di davvero terribile su quell’aereo, per far crollare Natasha in quel modo: < Che cosa ti hanno fatto, Nat? >

Quella era un’ottima domanda. Sapeva che Steve si riferiva a quello che era successo sull’aereo, ma quando lo scettro era esploso, Natasha aveva visto per filo e per segno tutto quello che le era stato fatto per trasformarla nell’assassina che era.

Raccolse tutta la sua forza di volontà, per dare a Steve la risposta che cercava: < C’era un tizio, sull’aereo. Alieno. Ha detto di chiamarsi Corvus... qualcosa... >

Loki aveva menzionato un nome simile durante la riunione: < Corvus Glaive? > chiese Steve. Natasha annuì semplicemente. I sospetti di Loki erano fondati.

< Non so come abbia fatto, ma ha strappato la gemma dallo scettro e poi è sparito. Deve aver usato qualche magia per teletrasportarsi... > continuò la ragazza.

Steve rimase per un attimo in silenzio a rielaborare quell’informazione. Quindi la gemma era effettivamente caduta in mani nemiche.

A questo punto, era un’altra la questione che gli premeva: < È stato lui a ridurti così? >

Natasha scosse la testa: < No. È stata la gemma >

Steve la strinse un po’ più forte, incoraggiandola a continuare: < Quando l’ha tolta dallo scettro, la gemma ha liberato un’ondata di energia che mi ha colpito in pieno. Non so spiegarti come, ma ho visto delle cose... delle allucinazioni terribili... e anche qualcos’altro... >

Steve sentiva che per lei, continuare quella discussione sarebbe stato deleterio: < Natasha, non devi per forza- >

< Ho visto chi sono in realtà > lo interruppe lei.

Steve non capiva: < Di che stai parlando? >

Natasha si spostò, sedendosi sul letto senza guardarlo negli occhi: < Nella Stanza Rossa, mi hanno cancellato la memoria per evitare che sapessi a che genere di trattamenti mi hanno sottoposta... quella gemma mi ha aperto gli occhi. Ho visto tutto quanto, nei minimi dettagli... ora so perfettamente in che razza di mostro mi hanno trasformata... >

Steve cercò subito di consolarla: < Ho letto i file, Natasha. So tutto della cerimonia di laurea della Stanza Rossa >

< Mi hanno sterilizzata – lo interruppe nuovamente lei – non posso... non posso più avere dei figli... >

< Natasha, questo non ti rende affatto un mostro. L’hanno fatto contro la tua volontà >

La ragazza si voltò di nuovo verso di lui: < Ma io non intendevo solo questo... >

Steve rimase in silenzio, confuso. Natasha abbassò la testa: < Io ero la migliore allieva della Stanza Rossa. Nessuna prima di me aveva mai avuto punteggi alti come i miei, e nessun’altra li ha avuti da allora... così, Lukin decise che io ero la candidata perfetta... >

< La candidata... che significa? La candidata perfetta per cosa? >

< Per il programma Vedova Nera >

Ci fu un lungo attimo di silenzio. Steve credeva che la Stanza Rossa fosse il programma Vedova Nera... invece erano due cose separate?

Natasha faceva molta fatica a trovare le parole giuste: < Steve, io... quando vengo ferita, guarisco molto più in fretta delle persone normali... > disse, sciogliendo le bende che le fasciavano l’avambraccio destro. Steve notò che la ferita che Natasha aveva riportato sull’aereo si stava già rimarginando, e non sanguinava quasi più.

Natasha continuò: < Finora non avevo idea di come fosse possibile. Mi hanno cancellato la memoria perché non rivelassi mai queste informazioni nel caso in cui fossi stata catturata, ma adesso lo so. Ho visto tutto. Guarisco così in fretta perché... perché al termine del mio addestramento, subito dopo avermi sterilizzata, mi hanno iniettato un siero... >

Steve non credeva alle sue orecchie: < Un... siero? Intendi un siero del super soldato? >

Natasha annuì. Dopo un attimo di silenzio, riprese: < Nelle tue cellule c’è il siero completo, Steve... la mia versione è ridotta; gli scienziati di Lukin non sono riusciti a replicarlo del tutto. Mi ha resa solo leggermente più forte e più veloce... ma mi fa guarire più in fretta, e in teoria dovrei anche invecchiare molto più lentamente del normale... proprio come te >

< Ma... come faceva Lukin ad avere quel siero? >

La ragazza distolse lo sguardo dal suo: < Lo ha isolato dal sangue di un altro super soldato >

Steve rimase di sasso.

Sin era con Lukin all’aeroporto. Lavoravano insieme. Sin gli aveva addirittura prestato lo scettro per cercare di soggiogare Natasha. Quindi...

< Io sono quello che sono... grazie al sangue di Synthia Schmidt > disse Natasha.

Steve non sapeva cosa rispondere. Rimase in silenzio, con gli occhi sgranati. Natasha abbassò la testa e le lacrime tornarono a rigarle il volto. Stava per crollare di nuovo, quando Steve finalmente reagì. Le prese il viso tra le mani, sollevandolo perché lei lo guardasse in faccia:

< Ora ascoltami, Natasha: noi non siamo quello che gli altri decidono, siamo quello che scegliamo di essere. Synthia Schmidt ha scelto di fondare un’organizzazione terroristica. Nessuno l’ha costretta a mettere in piedi una nuova HYDRA, o ad uccidere Peggy. Lo ha fatto di sua spontanea volontà. Tu invece non hai mai scelto di essere una spia del KGB, o l’assassina personale di Lukin; quelle cose ti sono state imposte. Ma hai scelto di essere un agente dello SHIELD. Appena ne hai avuto la possibilità, hai scelto di fare la cosa giusta >

Fece una breve pausa, per assicurarsi che il suo discorso avesse avuto effetto.

< Non pensare mai di essere come Sin. Tu non sei un mostro. Sei una brava persona, Nat >

Natasha non era convinta. Aveva abbassato gli occhi, non riuscendo più a sostenere lo sguardo di Steve. Lui avrebbe tanto voluto che la smettesse di pensare che l’unica cosa che contava fosse il numero dei morti o la quantità di rosso sul suo registro. Natasha meritava molto più di quello che aveva avuto dalla sua vita...

< Se pensi che ti stia dicendo queste cose solo per farti sentire meglio... ecco la prova che ti sbagli > disse, avvicinandosi e baciandola sulle labbra.

Natasha sentì una scossa elettrica correrle giù per la spina dorsale. Non aveva mai provato nulla del genere in tutta la sua vita. Sgranò gli occhi in assoluta sorpresa, ma Steve non la lasciò. Finalmente, dopo un lungo attimo, Natasha iniziò a rilassarsi e lasciarsi andare. Portò le braccia attorno al collo di Steve, traendolo più vicino. Quando finalmente riuscirono a staccarsi l’uno dall’altra, Natasha non sapeva assolutamente cosa pensare, per la prima volta in vita sua. Allora seguì l’istinto, si avvicinò e lo baciò di nuovo.

Mentre entrambi sentivano che stavano per perdere il controllo, Natasha si staccò improvvisamente da lui. Sembrava disperata.

< Non mi sono mai trovata in una situazione simile... Steve... io... io non sono mai riuscita... non ho mai provato un sentimento come questo in tutta la mia vita... > sussurrò, tra le lacrime.

Quelle parole lo colpirono con una violenza cento volte maggiore di una martellata di Thor.

< Ti prego, Steve... ti prego... non ce la faccio più a non sentire niente... ti prego, aiutami... >

Fu allora che Steve la abbracciò più forte di quanto non avesse mai fatto, e non la lasciò più andare. Rimase avvinghiato a lei in ogni istante, per tutta la notte, mentre la faceva sua, insegnandole ad accogliere quel sentimento nuovo e a non respingere più le emozioni per paura di restare ferita, liberandola finalmente da tutti quei demoni che popolavano il suo passato.

Molto più tardi, Natasha era ancora rannicchiata tra le possenti braccia del capitano. Aveva di nuovo le lacrime agli occhi. Ma stavolta non erano lacrime di dolore o di disperazione. Erano lacrime di gioia. Sorrise, tirando su col naso e asciugandosi velocemente gli occhi: < Steve... adesso cosa succede? Voglio dire... tra noi due. Che cosa siamo noi, adesso? >

< Possiamo essere tutto quello che vuoi, Natasha > rispose Steve incoraggiandola.

< Voglio sapere che cosa vuoi tu, Steve... sei sicuro di volere qualcuna con un passato come il mio? > rispose lei, dopo un lungo attimo di silenzio.

Steve sospirò: < Quando capirai che non me ne importa niente del tuo passato? Te l’ho già detto, tu sei una persona buona. Non devi avere paura, Nat... >

Natasha si era sempre negata qualunque genere di affetto. Si era negata la possibilità di vivere la sua vita, in parte perché non voleva essere compromessa in nessun modo, ma soprattutto perché non credeva di esserne capace. Aveva paura di ferire le persone a cui teneva.

Ma ormai era stanca. Stanca di essere fredda e distaccata. Stanca di non poter contare su nessuno e doversela sempre cavare da sola. Stanca di cercare di spiegare tutto in modo razionale.

Quello che provava per Steve andava oltre la razionalità. Non poteva pensarci sopra e poi decidere. E negare a se stessa i suoi sentimenti l’avrebbe soltanto fatta soffrire, e avrebbe fatto soffrire anche Steve.

Si voltò lentamente, guardandolo negli occhi: < Io... io vorrei tanto essere la tua ragazza, Steve... > disse.

Steve sorrise, baciandola di nuovo: < Lo vorrei tanto anch’io, Nat >.

*

< Perché l’hai fatto!? > urlò Tony, in preda ad una crisi isterica degna della peggiore scolaretta mestruata. Pepper era seduta ad un tavolo, con un’espressione ferita e frustrata.

< Tony, sei stato tu a costruirmi quell’armatura, no? >

< L’ho costruita perché tu fossi al sicuro, non perché ti lanciassi in mezzo ad una guerra! Hai idea di come mi sono sentito quando ti ho vista entrare in quell’aereo? >

Pepper abbassò lo sguardo, sospirando: < Credo proprio di sì. Credo che tu abbia provato esattamente quello che provo io ogni volta che tu ti metti la tua armatura... >

Tony era stato colto in contropiede. Non si aspettava una risposta del genere. Pepper continuò:

< La prima volta, quando ti ho visto affrontare Obadiah su quel gigantesco mostro di metallo che aveva costruito, credevo di svenire da un momento all’altro. Poi quando ho visto Vanko affettare la tua macchina su quel circuito a Montecarlo, sentito una fitta al cuore ogni volta che lanciava una frustata. Quando Loki ha attaccato New York, l’ho saputo dalla TV, come un’estranea. Ti ho visto sparire in un wormhole abbracciato ad un missile nucleare . E poi arriva Aldrich Killian con tre elicotteri da guerra e fa saltare in aria la nostra casa con te dentro... >

Tony rimase in silenzio.

< Non voglio più restare a guardare, Tony. Se io non intervenissi e ti succedesse qualcosa, non me lo perdonerei mai. Mi hai dato un’armatura per proteggermi. Intendo usarla per proteggere anche te. Che tu lo voglia o no > concluse Pepper, alzandosi e uscendo. Tony non la fermò.





Allora, fatto interessante: nei fumetti, a Natasha è stata iniettata dalla Stanza Rossa una versione ridotta del siero del super soldato che hanno usato su Steve. Però per quanto ne so, non è mai stato spiegato come ha fatto la Stanza Rossa a mettere le mani su quel siero. Quindi, mi sono inventato io la spiegazione...
Per quanto riguarda Pepper e Tony non c'è molto da dire. sono sempre stato dell'opinione che Pepper sia uno dei personaggi più trascurati di tutto l' MCU. A proposito, l'Easter Egg nel capitolo scorso è nella breve conversazione che hanno Rumlow e Pepper, in cui lui le dice di aver letto di lei su Forbes: c'è una scena in Iron Man 3 in cui Eric Savin, il braccio destro di Aldrich Killian, se ne sta stravaccato su una poltrona a leggere una copia di Forbes con Pepper in copertina.
Non c'è altro da dire! Al prossimo capitolo!

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Capitolo 18
*** Consiglio di guerra ***


Era stata indetta l’ennesima riunione. Loki si era chiesto cosa diamine ci fosse ancora da discutere: avevano bisogno di agire, non di star lì a chiacchierare. Subito dopo, si rese conto che quello era esattamente il modo di ragionare di Thor: attaccare frontalmente e a testa bassa senza pensare alle conseguenze...

No, era un’idea stupida. Gli serviva un piano. Forse era meglio fare un’altra riunione.

Si diresse in sala conferenze, scortato per via precauzionale da un paio di agenti dello SHILED di tenuta antisommossa e armati con fucili calibro 50, oltre naturalmente alla carissima Lady Sif, che non gli aveva staccato gli occhi di dosso neanche per un secondo, da quando Thor e i Tre Guerrieri erano tornati ad Asgard. Possibile che ancora nessuno si fidasse di lui? Per una volta che non stava facendo il doppio gioco!

Quando arrivarono, l’unica che ancora mancava all’appello era Natasha. Probabilmente era ancora fuori combattimento, pensò Loki. Sapeva bene qual era il potere dello scettro, e con la gemma libera da esso l’effetto doveva essere stato esponenzialmente più forte.

Steve lo interpellò subito: < Allora, ho parlato con Natasha, e Loki aveva ragione: il tizio che ha trafugato la gemma si chiama Corvus Glaive. Pare che sappia teletrasportarsi > disse.

< Beh, questo sarà un problema... > commentò Tony.

< Come sta Natasha? > chiese Pepper a Steve. Prima che il capitano potesse rispondere, proprio Natasha entrò nella stanza: < Guarda tu stessa. Come ti sembra che stia? > disse con il suo solito sorrisetto enigmatico, rivolta a Pepper.

Loki la osservò stupefatto: Che razza di oscuro potere le permetteva di essere già in piedi dopo quello che le era capitato?

Ci fu un breve attimo di silenzio. Poi Steve parlò: < Sei sicura di stare bene? >

< Certo. Non sarà qualche trip mentale a mettermi fuori gioco > rispose lei risoluta, sedendosi. Lei e Steve si scambiarono una rapida occhiatina complice: la sera prima, le loro vite erano cambiate completamente. Ma questo, per il momento, era il loro piccolo segreto.

Fury cambiò discorso: < Sentite, c’è una cosa che non capisco: è stato Thanos a dare lo scettro a Loki perché recuperasse il Tesseract, no? Perché invece non ha estratto la gemma subito e non ha mandato questo Corvo-come-si-chiama ad attaccarci per prendere il cubo? >

Fu proprio Loki a rispondergli: < E’ pericolosissimo maneggiare le gemme senza protezione. Thanos sperava che la potenza dello scettro mi sarebbe stata sufficiente per recuperare il cubo e aprire il portale ai Chitauri. È uno abbastanza pieno di sé; non riteneva che le forze della Terra sarebbero state una minaccia... >

Steve ebbe come un’illuminazione: < Ecco perché ha estratto la gemma dallo scettro... > disse. Tutti si voltarono verso di lui.

Steve alzò lo sguardo verso gli altri: < Le difese della Terra non sarebbero state una minaccia... ma adesso il Tesseract si trova su Asgard... >

Lady Sif finì il discorso per lui: < Il Tesseract è chiuso nella Camera delle Armi di Odino... per arrivare ad esso Thanos intende usare la gemma al suo massimo potere... >

< Attaccherà Asgard con tutto quello che ha a disposizione... gemma compresa > aggiunse Loki.

Steve si alzò in piedi: < Dobbiamo avvertire Thor >.

Periferia di Annapolis

Sin era riuscita ad uscire dalla sua Porsche distrutta e a sgattaiolare via dal porto prima che Steve se ne accorgesse. Aveva provato a contattare Rumlow, ma senza riuscirci.

Aveva rubato un furgone ed era tornata all’aeroporto, trovandolo pieno di agenti dello SHIELD, addirittura con quella gigantesca portaerei volante che levitava sopra l’hangar 11B. A quel punto, aveva scorto due degli agenti che scortavamo Hammer in manette verso un Quinjet. A quanto pare, gli Avengers avevano vinto il primo round. Poco importava.

Quello che importava era sapere che fine aveva fatto la gemma. Di Hammer, di Lukin, di Rumlow e di tutti i suoi uomini le importava meno di zero. Le dava molto più fastidio aver distrutto la sua Porsche.

L’importante era che la consegna fosse avvenuta. Era per questo che, senza perdere tempo, era ripartita, dirigendosi verso la più vicina delle sue basi secondarie, in periferia.

Era una piccola casa a schiera ai confini della zona industriale di Annapolis. Parcheggiò il furgone a due isolati di distanza, giusto per non ritrovarsi la polizia a suonarle il citofono, e si chiuse in casa.

Perse poco più di due minuti per medicarsi le ferite che aveva riportato nell’incidente. Aveva riportato solo graffi superficiali nonostante la violenza del botto, e grazie al siero del super soldato in poche ore sarebbe stata come nuova. Ora, doveva assolutamente capire che ne era stato dello scettro.

Prese uno strano dispositivo da un cassetto, simile ad un vecchio floppy disk. Premette un bottone su un lato e il dispositivo si illuminò, creando un ologramma. Era Corvus Glaive.

< Avete lo scettro? > chiese Sin all’ologramma.

< Credo che tutti i tuoi uomini siano morti, ma ho estratto la gemma. Hai fatto un buon lavoro, Synthia Schmidt. Ti faremo sapere se avremo ancora bisogno dei tuoi servizi >, rispose l’orripilante alieno, pronto a chiudere la conversazione.

< Ehi, aspetta un secondo. Quella dannata pietruzza mi è costata più di sessanta uomini. Se pensi di lasciarmi fuori proprio sul più bello, ti sbagli di grosso. So che state organizzando qualcosa... e voglio partecipare >

< Non giocare col fuoco, umana. Ci stiamo preparando per un attacco al Regno Eterno di Asgard. Sarà Ronan a condurlo. Una piccola terrestre come te non ci sarebbe di nessun aiuto >

< Davvero? Ti fidi più di quello schizzato samurai blu che di me? Interessante, visto che ha già fallito una volta... >

La sicurezza di Corvus si incrinò: < Che cosa vuoi dire? >

< Loki è ancora vivo >

< E’ impossibile! Ronan ci ha assicurato- >

< E io invece vi assicuro che è ancora vivo. Si è alleato con gli Avengers. Era all’aeroporto e ha cercato di impossessarsi dello scettro >

Corvus emise un ringhio di rabbia. Sin insistette: < Senti, non mi importa dei problemini coniugali tra te e Ronan. Siamo nella stessa barca. Non intendo farmi tagliare fuori. Se attaccherete Asgard, voglio esserci anch’io > disse, con un tono che non ammetteva repliche.

Corvus sbuffò: < “Se attaccherete Asgard, voglio esserci anch’io”? Quale sarebbe il tuo tornaconto, partecipando all’attacco ad Asgard? In che modo questo dovrebbe portarti più vicina alla conquista del tuo mondo? >

Sin sorrise malefica: < Allora non hai capito proprio niente... Conquistare il mondo era un’idea di mio padre. Un’idea che ormai è obsoleta. Vedi, io non voglio affatto conquistare il mondo. Il mio obiettivo è la distruzione. La distruzione totale. Vedere la devastazione che posso portare, soprattutto con una delle gemme, mi da una sensazione di potere assoluto... e vedere la cosiddetta “casa degli dei” bruciare fino alle fondamenta sarà uno spettacolo indimenticabile. Quindi, voglio essere della partita >

Corvus ci mise un attimo a rispondere: < Così sia... >

SHIELD Helicarrier 64, Washington D.C., Triskelion

< Preparatevi. Andiamo ad Asgard >.

Queste erano state le ultime parole di Steve, e poi la riunione era stata subito conclusa.

Loki era nervoso come non mai. Con che coraggio avrebbe affrontato nuovamente il Padre degli Dei, dopo la sua evasione?

Chissà quali conseguenze aveva subito Thor, per averlo fatto evadere. Forse Odino lo aveva imprigionato, visto che esiliarlo senza poteri su un altro pianeta evidentemente non era servito a mettergli un briciolo di sale in zucca. Anzi, ne era quasi sicuro. Che ironia: Thor in gattabuia e lui libero come l’aria.

Forse, Odino avrebbe rispedito anche lui in cella senza neanche dargli modo di illustrargli la situazione. E questo non potevano permetterselo.

Avevano bisogno di un piano d’emergenza. Doveva discuterne con qualcuno di cui poteva fidarsi. E c’era una sola persona, su quella portaerei, di cui poteva fidarsi.

Si alzò dal tavolo delle riunioni, avviandosi nel corridoio che portava al ponte inferiore, ancora con Sif che gli stava col fiato sul collo. Ma non appena furono scesi di livello, la guerriera notò che non si stavano dirigendo verso la sua cella.

< Dove stai andando? > volle sapere.

< Devo conferire con una persona... > rispose laconico lui. Sif rimase allerta, ma decise di non ostacolarlo, per il momento.

Quando arrivarono a destinazione, il mistero fu svelato: sulla porta c’era scritto il nome del capitano Rogers. Quello era l’alloggio di Captain America.

Loki bussò due volte, prima che Steve aprisse la porta. Il capitano fu sorpreso di trovarsi davanti i due asgardiani: < Che c’è? > chiese.

< C’è che mio padre forse non vi ascolterà. È orgoglioso, e si sente imbattibile. Potrebbe pensare di riuscire a sconfiggere Thanos e i suoi scagnozzi da solo, ma io so che non ci riuscirà mai. Non sono sicuro che abbia dato ascolto nemmeno a Thor. Scommetto anzi che mi farà imprigionare non appena metterò piede ad Asgard, e subito dopo vi farà ritornare a casa senza sentire ragioni. Quindi vorrei che tu ed io discutessimo di questa eventualità >.

< Steve era indeciso, ma Loki sembrava piuttosto convinto. Tra l’altro, lui non conosceva affatto Odino, ed effettivamente, perché mai il re di Asgard avrebbe dovuto dare udienza ad un gruppetto di mortali che annunciava l’apocalisse?

< Entrate > disse soltanto, spostandosi dall’uscio perché Loki e Sif potessero entrare. Guardò un attimo nel corridoio, e poi richiuse la porta dietro di sé.

Sanctuary, spazio dei Chitauri

< Hai fallito, Accusatore! > berciò Corvus con la sua voce gutturale.

< Modera il tono! > rispose a tono Ronan, infuriato.

< La nostra alleata sulla Terra dice che Loki vive ancora! Ha quasi impedito che la gemma ci venisse consegnata! Se ciò fosse successo sarebbe stata soltanto colpa tua! >

< Io non ti permetto- >

< Basta! > ordinò una terza voce.

I due litiganti si azzittirono all’istante. A pochi metri da loro, girato di spalle, era il loro capo. L’essere più potente dell’universo. Thanos, il Signore Oscuro.

< Loki non ha alcuna importanza, ora > continuò egli.

< Ma... se dovesse avvertire la sua gente ad Asgard... > iniziò Corvus.

< Sono più che certo che nessuno gli darebbe ascolto > lo interruppe il Signore Oscuro, alzandosi dal trono. Era un essere gigantesco, alto almeno tre metri e mezzo, e avvolto in un’armatura dorata che gli donava un aspetto imponente ed inquietante al tempo stesso.

< E comunque non fa differenza, se Asgard è a conoscenza o meno di ciò che l’attende. Non riusciranno mai a fermarci. Ci occuperemo di Loki in un secondo momento. Ora... – disse Thanos, voltandosi finalmente verso di loro – ...andate a prendere ciò che mi appartiene. Ci occuperemo di Loki quando sarà il momento > comandò.

Corvus e Ronan si inchinarono, allontanandosi.

Thanos sogghignò. Presto il Tesseract sarebbe stato suo. Allora niente e nessuno avrebbe potuto più fermarlo.

Aveva atteso questo momento per migliaia di anni. Finalmente, il suo sogno si stava avverando. L’universo intero sarebbe caduto sotto il suo comando, e avrebbe avuto potere di vita o di morte su ogni essere esistente, fino alla fine dei tempi.

Avrebbe avuto il potere assoluto.





...Ebbene, le cose si stanno scaldando. Non sentite anche voi questa elettricità nell'aria? Come la quiete prima della tempesta?
Secondo voi che cosa stanno confabulando Loki e Steve? (chiedete a Sif, c'è anche lei lì con loro. Oppure aspettate semplicemente che lo scriva nella storia). Per quanto riguarda invece Synthia Schmidt, la mattacchiona farà ancora parecchi danni, questo è poco ma sicuro. E il suo discorsetto non me lo sono inventato: nei fumetti è davvero una maniaca della distruzione. Del resto la D di RAID sta per Destruction...
Per finire, piccolo richiamo ai Guardiani della Galassia, nella diatriba tra Corvus, Ronan e Thanos. Colui che finora non ha fatto niente se non starsene seduto sulla sua seggiola volante nei film entrerà in azione tra qualche capitolo in questa fanfiction.
P.S. Notizia non correlata: me ne vado in vacanza, quindi questo sarà l'ultimo capitolo, per un po'. Tornerò a fine agosto/inizio settembre. Alla prossima!

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