Verità e Dannazione

di Alice_and_Lolly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Salve a tutti! ^^

Grazie per essere passati a leggere questa storia, spero non ne rimaniate delusi.

Siamo Alice J Raynor e RedLolly, e abbiamo deciso qualche giorno fa di tentare un piccolo esperimento, ovvero una collaborazione per una fan fiction AU in cui tratteremo un argomento alquanto delicato e su cui tutte due abbiamo fatto qualche ricerca e che in un certo senso ci affascinano: la Caccia alle Streghe e L'inquisizione. Cercheremo di descrivere situazioni storicamente accurate per quanto possibile, legandole ad un anime/manga che ci piace particolarmente, ovvero FMA, cercando di mantenere i personaggi più IC che possiamo.

Speriamo che apprezziate, il nostro lavoro, lasciateci tante recensioni, ci fareste felici!^^

 

Alice e Lolly

 

PS1: Questa long fiction tratterà di argomenti delicati tra cui la religione. Le due autrici dichiarano di non voler in alcun modo né offendere il credo di nessun lettore, né di offendere la religione in generale.

 

PS2: I personaggi di Fullmetal Alchemist non appartengono alle scrittrici, ma a Hiromu Arakawa.

 

 

 

 

Verità e Dannazione

 

 

Prologo

 

Appena la notte giunse a oscurare il mondo, appena ogni soffio di luce si perse nella grandezza del firmamento, qualcosa si mosse.

Tutta la gente, in un unico istante, al suono della campana del coprifuoco, era sparita nelle proprie case. Chi ce l’aveva almeno. Appena apparve la notte nella mente delle persone iniziarono a sorgere i dubbi e la paura. L’oscurità era il dominio del male, dell’ignoto, di tutto ciò che era meglio seppellire. Le tenebre erano il regno della tentazione in tutte le sue forme. Dagli angoli potevano emergere ladri, assassini e ogni sorta di pericolo. Nella coltre delle ombre poteva emergere una figura di pura seduzione, una sagoma di infinita violenza, un fantasma di pura avidità. Barricandosi nelle case, in quelle che doveva essere il caldo e sicuro focolare domestico si pensava di poter evitare tutto. La casa rappresentava il nucleo, il bagliore di una luce che rifulgeva nel buio. Anche se la corruzione e l’invidia di certo non mancava, soprattutto nelle famiglie più altolocate, si pensava che il simbolo stesso della croce potesse prevenire qualsiasi male.

E se il male fosse stato in questo?

E se il male risiedesse altrove?

L’ignoranza forgiava quelle credenze così radicate nell’uomo che sembrava innaturale e insano il solo pensiero che tutto quello potesse essere sbagliato.

La vita non aveva né passato, né presente. Tutto era proiettato in un futuro. Un avvenire di eterna dannazione o di infinita gloria.

Tutto era scandito dal suono delle campane, le loro metalliche litanie stabilivano il tempo e i doveri di ognuno.

Quel potere incombeva su tutto il paese, trattenendolo nelle sue grinfie d’acciaio, e se non aveva il rispetto di qualcuno, lo prendeva con la violenza screditando, scomunicando e uccidendo.

Dentro quelle silenti mura, in quella città di pietra di nome East City, tutto era immobile, tranne qualcosa.

Figure ammantate scivolavano veloci per le strade ormai deserte e buie. Riuscivano ad orientarsi alla perfezione, svelti e furtive. Se qualcuno le avesse viste le avrebbe scambiate per scure sagome del Diavolo.

Quello che stavano per fare era di certo un’accusa in più nei loro confronti.

Erano due giovani uomini, che si nascondevano nella notte, cercando di evitare di fare il benché minimo rumore. Se qualcuno li avesse visti sarebbe stato un problema, un problema davvero enorme per loro. Sapevano che stavano correndo dei rischi, in gioco c’era la loro vita, tuttavia non potevano fermarsi. La causa a cui si erano votati era essenziale, forse più importante della loro stessa vita.

Edward Elric, il maggiore dei due fratelli, ne era fermamente convinto. La scienza non poteva essere fermata.

I due continuarono silenziosi per i vicoli meno in vista della città, camminando in punta di piedi. Il posto in cui dovevano recarsi non era molto lontano da dove si trovavano in quel momento, e se i loro calcoli non erano errati ciò che cercavano doveva essere ancora lì.

Durante la giornata, spesso dovevano interrompere il loro spinoso lavoro per recarsi a stupidi eventi in città, avvenimenti a cui né Edward, né suo fratello Alphonse, né la loro preziosa amica Winry Rockbell avevano voglia di partecipare. La società, tuttavia, imponeva l’adesione a messe, processioni e condanne a morte, che in quel periodo oscuro, straziato dal morbo della peste, si susseguivano senza sosta anche più volte al giorno. Non potevano permettersi di ignorare questo genere di celebrazioni, dato che la loro posizione era già piuttosto delicata. Se al contrario del resto dei cittadini, non si fossero fatti vedere in quei momenti, la gente avrebbe avuto un buon pretesto per denunciarli alle autorità come eretici, e ciò significava solo una cosa: tortura e morte.

Fu così che proprio quel pomeriggio, videro qualcosa di interessante, mentre si incamminavano dietro ad una processione di flagellanti, fingendo di pregare ferventemente per la fine della pestilenza che stava affliggendo East City, quando ormai tutte le loro speranze di mettere fine a quella scia di morte risiedesse nella scienza e non nella fede.

Avevano studiato assieme il percorso durante la cena, per arrivare senza farsi vedere alle due nuove fosse comuni che erano state appena scavate vicino al consueto cimitero.

La peste non stava nemmeno accennando a mietere meno vittime nonostante le continue preghiere collettive, anzi, ogni giorno che passava sembrava che morissero sempre più persone. Il flagello di quel paese non si arrendeva, non impallidiva davanti a quelle morti. Continuava a mietere e mietere, senza alcun ritegno per l’età o il sesso. Tutti erano uguali davanti a quella furia funerea, tutti venivano sfigurati e uccisi senza che niente cambiasse da individuo a individuo. Colpiva uomini e donne, credenti ed eretici, ricchi e poveri… La punizione divina colpiva indistintamente, facendo fuoriuscire dalle menti deboli di ogni individuo la parte peggiore e animalesca del suo essere. Per quanto i superstiti mostrassero il loro volto in piena luce, con punizioni e flagelli di ogni sorta, nelle tenebre rubavano le proprietà altrui, temevano gli altri e uccidevano senza sosta i propri nemici. La situazione era nel più completo Caos, nel disordine più accecante. Sembrava non esserci più nessuna uscita da quella bolgia di sofferenza e gli uomini invece di aiutarsi a vicenda, non facevano altro che distruggersi indirettamente tra di loro. L’egoismo regnava nei cuori colmi di paura.

L’unica soluzione risiedeva nella scienza e nella ricerca, che veniva ostacolata da tutti e condannata.

Con grandissima perizia, i due fratelli iniziarono a scavare, provocando soltanto un sussurro nella notte. Edward si impegnava con più solerzia, deciso a portare presto a termine il suo lavoro, pronto a mettere fine presto a quel tormento; suo fratello agiva con più solennità. Mentre compieva quel gesto meditava sulla morte di quelle povere persone, si scusava del disturbo che avrebbe provocato al loro riposo. Tuttavia era determinato nel suo lavoro perché era sicuro di aiutare migliaia di persone in quel modo. Se avessero trovato una cura, il merito non sarebbe andato soltanto a loro ma anche a quelle povere persone che si sarebbero sacrificate per quell’ideale.

Edward con il suo modo di fare impetuoso cercò di non commuoversi davanti al corpo senza vita che era pronto a infilare in un sacco, senza nemmeno soffermarsi a studiare il volto, Alphonse, al contrario, prese tra le sue braccia il corpo piccolo e prematuro di una giovane bambina. Guardò il suo volto cereo, l’espressione felice mentre il viso era deturpato e consumato dalla malattia, sporco di terra. La tenne un lungo istante tra le sue braccia, inerte, fissando con straziante dolore e infinita sofferenza quel corpo piccolo e gracile, schiacciato dalla bruttezza di quell’epidemia.

Era completamente immerso in quel dolore, e per un attimo pensò di non poter far niente, credette di essere completamente inutile per quella causa. E proprio per quello avrebbe dovuto impegnarsi di più in quel momento. Ogni volta che vedeva un corpo, siglava questa promessa, ma mai fu come quel giorno, mai fu così forte. Forse perché il corpo apparteneva a una bambina, forse perché mai si era accorto realmente dello scempio che lo circondava.

Edward cercava di non guardare, cercava di non vedere quella sofferenza. Si era fin troppo impressa nella sua mente e avrebbe voluto evitare di mostrare i suoi sentimentalismi. Lui sapeva di dover andare avanti, sapeva che con la sua impulsività ed energia avrebbe dovuto trascinare anche il fratello.

«Dai, Al…» sussurrò con la voce più bassa possibile cercando di spronarlo «Facciamo in fretta, non abbiamo molto tempo.»

«Sì, scusami.»

Per Edward, Alphonse era un libro aperto, ormai lo conosceva, sapeva che era dotato di una grande sensibilità e si emozionava facilmente, arrivando a diventare addirittura maldestro in certe situazioni. Questa volta però non potevano permettersi nemmeno un errore e il fratello era evidentemente molto teso. Ne avevano viste a decine di condanne a morte, molte persone sfortunate erano state torturate e uccise nei modi più crudeli, bruciate vive o annegate, con accuse di eresia o stregoneria. Trafugare dei cadaveri faceva parte delle cose che la Chiesa considerava dei sacrilegi punibili con la morte, dato che i corpi dei defunti erano sacri e inviolabili. Se li avessero scoperti li avrebbero costretti a fare delle confessioni assurde, le stesse che avevano sentito pronunciare prima dell’esecuzioni delle pene capitali. Edward non credeva mai ad una parola quando sentiva i condannati chiedere perdono al Signore per azioni che era impossibile compiere. C’era gente che aveva ammesso di aver sparso la peste grazie a delle sostanze fornite da Satana in persona, chi aveva ucciso dei neonati per creare un veleno da mettere nelle ostie consacrate, chi aveva reso sterili animali e giovani donne, chi volava sulle scope per raggiungere i Sabba per poi fornicare con i demoni… Assurdità senza nessun senso. Alphonse quand’era più giovane sembrava avere avuto qualche dubbio, e spesso aveva chiesto al fratello rassicurazioni sul fatto che nessuno avrebbe potuto rubargli l’anima facendolo riflettere in uno specchio maledetto, oppure renderlo sterile con un incantesimo. L’altro gli aveva sempre risposto ridendo che erano sciocchezze, e che sotto tortura si potevano confessare le cose più terribili senza in realtà averle mai commesse. Per fortuna si era poi pian piano convinto anche lui e seguiva ciecamente Edward nel compiere le sue ricerche da molti anni, mentre per la Chiesa aveva sviluppato un timore viscerale.

«Andiamo, dobbiamo essere a casa prima i galli inizino a cantare.»

Edward si incamminò tenendo la parte anteriore del sacco pieno e pesante, mentre Alphonse teneva la parte posteriore. Ora si muovevano molto più lentamente di prima, erano impacciati, ed era più facile fare rumore. Se il sacco fosse caduto avrebbero rischiato di svegliare qualcuno o di attirare qualche malintenzionato, ladro o assassino che fosse. Di tanto in tanto si dovevano appoggiare ai muri dei vicoli puzzolenti che stavano percorrendo e trattenere il fiato con il cuore in gola. Più volte sentirono passi e schiamazzi, ad un certo punto anche il grido di una ragazza spaventata dietro un angolo. Edward dovette trattenere se stesso e il fratello per non correre in soccorso di quella sfortunata sconosciuta di cui non avrebbero mai conosciuto la sorte. Dovettero continuare a con il cuore spezzato deviando il percorso in uno stretto vicolo che puzzava spaventosamente di latrina.

Proseguirono ancora, la strada sembrava non finire mai. La loro casa non si trovava in città, ma in un posto più periferico, vicino al bosco, in modo da non venire disturbati, lontano da sguardi indiscreti e soprattutto dalle chiese e dai tribunali. Era vero che il fatto di vivere una vita ritirata non avrebbe giocato a loro favore se avessero dovuto essere accusati di qualcosa, eppure avevano deciso di correre comunque il rischio.

Quando distinsero a fatica nel buio la loro agognata dimora, entrambi tirarono un sospiro di sollievo. Ce l’avevano quasi fatta, mancava solo un piccolo sforzo…

Giunto a destinazione, Edward aprì la porta di legno lentamente per non farla scricchiolare, e poi si infilò all’interno delle mura domestiche, tirandosi dietro il fardello che avevano depredato. Alphonse respirava affannosamente per lo sforzo, ma ormai non c’era più bisogno di fare silenzio. Winry era sveglia, non dormiva mai quando loro andavano via di notte. 

Anche la presenza della ragazza poteva essere pericolosa. Loro cercavano di proteggerla come meglio potevano, ma la sua bellezza, il suo isolamento e il fatto che vivesse con loro era spesso interpretato male dalla società, che voleva le donne in età da marito fidanzate, o già sposate e votate a diventare angeli del focolare, mentre lei condivideva la casa con due giovani uomini che non erano nemmeno suoi parenti.

 Winry Rockbell era parte della famiglia per gli Elric. Era ormai quasi una donna, i capelli biondi e il volto sarebbero stati lodati dai poeti per la raffinatezza dei tratti, quasi angelici. Non Edward. Quando sentiva affermazioni del genere lui spesso sbuffava, scocciato di questi elogi. La ragazza mostrava spesso un carattere energico, che non si faceva problemi a mettere in riga i due fratelli con i modi più rudi. Era il suo comportamento abituale per dimostrare il suo affetto. Loro erano una famiglia. Lei assumeva atteggiamenti e modi di fare che mai si sarebbero sognati in un'altra casa. Mostrava quell’atteggiamento perché sapeva di non essere pregiudicata da loro, sapeva di poter essere se stessa senza che l’additassero come meretrice, o la considerassero inferiore.

Per quanto fosse ormai notte inoltrata, lei era lì, ad attenderli. I capelli sciolti, disordinati, il viso stravolto e assonnato, ma i suoi occhi erano ardenti e ansiosi. Lei aveva paura per loro, si preoccupava troppo.

Li accolse come suo solito, parlando in modo altero ma non abbastanza forte per farsi sentire all’esterno, anche se era evidentemente minacciosa.

«Dove siete stati? Volete farmi preoccupare?»

E a entrambi diede il suo benvenuto, lanciando a entrambi i primi oggetti che le capitarono sotto tiro, un mestolo e una tabacchiera vuota, che finirono rovinosamente contro la parete. Quella volta la sua preoccupazione aveva vinto la ragione. Aveva bisogno di sfogarsi. Quello era il suo modo per dimostrare il suo affetto, per non piangere, per non essere debole. Era perfettamente al corrente di ciò che poteva accadere e temeva per la sua famiglia.

Edward scrollò le spalle, cacciando in quel modo le domande insistenti della ragazza. Era il suo modo di fare, il suo modo per non cedere alle emozioni. Non era il tipo.

Alphonse cercò di essere più gentile, come spesso gli capitava.

«Winry, non ti devi preoccupare. Riusciremo a cavarcela, piuttosto tu, sei sicura di voler continuare a vivere con noi?»

Quelle proposte erano una routine, una cerimonia. Persino Edward rimaneva in silenzio appena veniva posta quella domanda. Al diavolo la scienza, al diavolo loro, ma non lei. Lei era più importante di qualsiasi cosa e il solo pensiero che potesse star male… Che gli potesse essere riservato uno di quei trattamenti che aveva visto troppo spesso nelle pubbliche piazze… Non voleva nemmeno pensarci!

Winry ribatteva, con forza.

«Al, perché mi fai questa domanda ogni volta? Per me siete l’unica cosa che conta e vi seguirò ovunque! Zitti, questo è il mio modo di aiutarvi!»

E a questo punto Edward interrompeva «Non abbiamo mai chiesto il tuo aiut-»

La donna per non urlare, sussurrò con tutta la minacciosità che poteva avere, con un espressione che esprimeva tutta la sua decisione «Secondo te ho bisogno del tuo consenso per decidere di aiutarvi?»

La discussione sarebbe stata lunga, sicuramente. Ne discutevano molto ogni volta.

«Ne parleremo dopo, abbiamo un lavoro da fare.»

Quella frase decretava che per un momento Winry avrebbe dovuto aspettare. Il suo volto rimase fisso per qualche secondo, per poi incupirsi. Annuì piano, poi si avvicinò ai fratelli per aiutarli a portare dentro il sacco. Sapeva già cosa contenevano, l’odore putrido che il loro prezioso tesoro emanava era inconfondibile. Le prime volte le era venuta voglia di vomitare tanto le saliva la nausea, eppure pian piano si era abituata, per non mostrarsi debole e aiutarli al meglio.

La loro casa, non era fortunatamente troppo piccola, aveva ben tre stanze, cosa che rispetto ai normali bugigattoli in cui le persone di rango sociale non troppo elevato si ammassavano. Una volta era appartenuta a Pinako Rockbell, la nonna di Winry, una vecchia signora eccentrica, che aveva cresciuto la nipote dopo che i suoi genitori erano mancati durante i primi casi di peste. Era una donna testarda e autonoma, che non si era mai fatta mettere i piedi in testa dalla Chiesa, si rifiutava di andare alle messe, non si confessava mai, ma era generosa e amava aiutare le persone in difficoltà. Non esitava a regalare agli indigenti quel poco che riusciva a tenere da parte del raccolto del suo piccolo orto, conosceva molti rimedi a base di erbe che produceva personalmente… Arrivò quindi a dividere la casa con Trisha Elric, la madre dei due fratelli, nel momento in una fredda notte d’autunno quest’ultima aveva bussato piangendo alla sua porta, cacciata e denigrata da tutti poiché senza marito e con due bambini piccoli da accudire.

Quando erano morte, prima Trisha, a causa della peste e poi nonna Pinako, finita nelle mani dell’Inquisizione per essere poi condannata a compiere un pellegrinaggio da cui non fece mai ritorno, una ferita nei cuori dei tre giovani aveva iniziato a sanguinare. Per questo erano così determinati. Già da ragazzini avevano visto in faccia che cos’erano la morte, la Chiesa, la malattia. Almeno quest’ultima poteva essere sconfitta, Edward ne era più che sicuro, doveva solo trovare il modo, lo doveva a sua madre…

«Winry, hai lasciato accese troppe candele, potrebbero vedere che siamo svegli.»

«Adesso ne spengo qualcuna… Tanto penso che andrò a dormire, se come al solito il mio aiuto non vi serve.»

«Vai, tranquilla… Qui ci pensiamo noi.»

I tre posarono il sacco su un tavolo di legno che si trovava nella piccola stanza che faceva loro da laboratorio. Li aspettava un lungo lavoro che sarebbe durato fino al mattino, quando poi avrebbero dovuto disfarsi dei corpi nella foresta non troppo lontano. Nonostante l’apparenza, quell’operazione era più sicura rispetto al recupero, poiché tutti avevano paura di andare nei boschi. Si raccontavano un sacco di leggende su lupi mannari, orchi e altre creature malvagie che uccidevano chi vi si addentrava, e questo timore della popolazione giocava tutto a favore dei fratelli Elric. Oltretutto le tombe che scavavano erano sicuramente più dignitose per i defunti rispetto alle fosse comuni della città.

Appena le luci si attenuarono, appena i passi di Winry si bloccarono, sicuri che fosse andata ormai a dormire, i fratelli iniziarono il loro lavoro. Nella semioscurità della stanza, circondati dall’odore dei corpi morti i fratelli iniziarono il loro lavoro. Sulle pareti del laboratorio, anche se oscurate dalle tenebre, si potevano scorgere dei lembi di carta. Avevano tracciato con la precisione di un astronomo, la mappa sui corpi. Avevano studiato a lungo l’anatomia umana ed erano giunti a conoscere ciò che la Chiesa si rifiutava di accettare e di credere. Quella prova per loro era stata quella definitiva, quella che li aveva fatti smuovere dal dubbio e fatti cadere nel baratro della consapevolezza.

Ormai conoscevano a memoria i dedali del corpo dell'uomo e proprio per questo avrebbero dovuto comprendere la natura del male che sterminava le persone. Esaminavano gli effetti, cercavano una soluzione. Sperimentavano e ricercavano, senza alcuna sosta. Avevano deciso ormai di dedicare tutta la loro vita in quella lotta. Erano sicuri di poter elaborare una cura e una soluzione a quelle morti.

A loro non interessava se le persone li guardavano con sospetto e cautela, loro facevano il necessario per non essere condannati e per quanto comprendessero l’ignoranza della gente prima o poi, con la loro cura, erano sicuro di riuscire ad aprirgli gli occhi, e con la cura avrebbero scacciato quella diffidenza.

Le tenebre gli impedivano di vedere ancora il volto di quelle persone, li aiutava a estraniarsi dai sentimenti e l’etica comune che avrebbero ripugnato uno studio del genere.

Ma non si sarebbero fermati.

Studiavano ancora per vedere il sorriso della gente.

Studiavano per rendere l’indipendenza e la conoscenza alle persone.

Studiavano per ostacolare quel regno opprimente e tirannico.

Avrebbero assicurato a Winry la pace. Avevano sempre impedito che li aiutasse, non volevano farla soffrire. Aveva già fatto molti sacrifici per loro e per un lavoro del genere ci voleva una determinazione ferrea.

I fratelli avrebbero continuato in quell’intento. Anche se Alphonse spesso si tormentava, anche se Edward spesso si irritava per nascondere i suoi sentimenti, avrebbero continuato.

Lavorarono sino al mattino, ininterrottamente. Da quando ormai portavano avanti quel progetto dormivano sempre più raramente e male. Erano inseguiti dai fantasmi della coscienza e dal terrore di essere scoperti.

Edward spesso scacciava tutti quei pensieri, asserendo che fosse solamente soggezione. Lui non credeva nei fantasmi come non credeva nella Chiesa.

Tutto quello per lui erano scuse per non procedere con il suo lavoro.

E questo non poteva permetterselo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 

Winry quella mattina si era svegliata prima dei fratelli Elric, come tutte le volte. Quando i galli iniziavano a cantare, lei apriva gli occhi e non c’era più modo che si addormentasse. Del resto, lei si metteva a letto molto prima di loro, e il suo sonno era leggero. Al minimo rumore, la ragazza apriva gli occhi, e sentiva le arterie del collo pulsare di ansia. Negli ultimi tempi oltretutto, si erano moltiplicate le notti in cui non riusciva a dormire affatto. Stava diventando troppo ansiosa…

La stanza in cui dormivano, era in realtà quella in cui svolgevano anche tutte le attività domestiche. I loro giacigli erano posti a lato dell’unico camino della piccola dimora, quello di Winry a sinistra e quelli di Edward e Alphonse a destra, in modo che quando il fuoco si spegneva potessero ancora godere del calore delle braci mentre dormivano. Al centro si trovava il tavolo dove mangiavano, sulle altre pareti c’erano delle mensole, per terra delle cassepanche con tutto il necessario per vivere. Dal soffitto pendevano alcuni generi alimentari attaccati a delle piattaforme in legno grezzo, in modo che i topi non potessero raggiungerli: soprattutto pane, piante, verdure provenienti dal loro piccolo orto e quando capitava qualche fetta di carne salata che potevano permettersi molto raramente.

Dopo che lei si era alzata, era comunque difficile che i due ragazzi riuscissero a riposare ancora a lungo. Iniziava a preparare la colazione e faceva rumore con le ciotole e gli altri utensili da cucina. Quella mattina non fu quindi così diversa dal solito.

Dopo Winry, Alphonse fu il secondo ad alzarsi dal suo non proprio comodo letto, e si mise ancora assonnato a tavola. Aveva dormito pochissime ore per colpa del lavoro segreto che stava portando avanti con suo fratello, ma non si lamentava. Era raro in effetti che il più giovane dei due fratelli protestasse, era troppo affabile, soprattutto nei confronti di Edward.

«Ciao, Winry…» disse, sorridendole mentre si grattava pigramente gli occhi.

«Buongiorno, Al… Ti ho preparato una ciotola di latte, dato che finalmente ieri sono riuscita a scambiarne un po’ con uno dei cavoli che ci era rimasti nella dispensa. Spero che duri almeno fino a domani mattina, così abbiamo qualcosa in più della solita tisana di erbe in cui inzuppare le gallette…»

«Lo sapete che a me il latte non piace…»

Edward si era alzato e si era seduto a tavola, i capelli dorati tutti scarmigliati dopo le poche ore di sonno.

«Oggi andrò in città di nuovo, per vedere se riesco a comprare qualcos’altro… Guarda che non è così facile vendere senza dare troppo nell’occhio! Oltretutto non mi ricordo cosa dobbiamo preparare, ho finito un sacco di infusi! Mi sembrava fosse rimasto qualcosa a base di digitale, di lupino e anche della borragine… Dovrei controllare quando torno.»

Proprio come aveva annunciato, Winry prese a frugare fra gli intrugli e la merce che era solita vendere. Per quanto si fosse destata da poco era sempre molto energica, sempre pronta a fare il massimo per aiutare la sua famiglia. Loro gestivano un lavoro duro e lei non voleva essere da meno. Usava tutto il suo tempo dedicandosi a qualche piccola attività che avrebbe potuto fruttargli un po’ di soldi per vivere. Per un po’ si era seriamente impegnata a imparare a tessere come qualsiasi altra ragazza, ma aveva trovato un’affinità maggiore tra le erbe e l’agricoltura. In un periodo tanto piagato da malattie e carestie, medicine, infusi e cibo erano essenziali per la vita. Aveva presto scoperto che quel lavoro, per quanto la esponesse a pericoli, era sicuramente più retribuito rispetto al lavoro massacrante che le Corporazioni richiedevano senza nemmeno una giusta ed equa retribuzione.

Nessun ulteriore borbottio di Edward riuscì a trattenerla, nessuna domanda gentile d’attesa di Alphonse bastarono per non farla uscire. Come loro avevano i loro doveri notturni e diurni, lei aveva la sua corsa da fare. Si destreggiava per le vie, conosceva ormai una certa clientela, conosceva piccole piazze e cunicoli dove posizionare la sua povera merce. Ma spesso la bella ragazza non si rendeva conto di attirare occhiate e commenti indiscreti.

Quando gli uomini posavano gli occhi sui suoi capelli biondi, sui suoi occhi pieni di energia e di dolcezza venivano subito ragguagliati. Lei aveva l’aspetto di un angelo, ma per molti pettegoli non era altro che un cupo segnale di morte.

 Le voci iniziavano a vorticare sempre più veloci. La sua attività non erano di certo sfuggite alle accorte e tutta quella pratica con veleni, intrugli ed erbe rivelavano le sue oscure tendenze. Si era indagato sempre di più sul suo conto, fino a sapere che vivesse con due uomini che non condividevano nessun legame di sangue con lei. Lì i sospetti erano scoppiati, dilagati nel ceto basso della popolazione. Qualunque cosa facesse, qualsiasi azione compiesse era guardata di soppiatto, i bambini si nascondevano al suo passaggio e lei, povera stolta, ancora non si era accorta di quanto la cosa avrebbe potuto rivelarsi pericolosa. Riteneva di agire con la più grande discrezione possibile. Avrebbe dovuto comprendere che la gente iniziava a provare risentimento nocivo nei suoi confronti da quando era iniziato a diventare più difficile vendere la sua mercanzia. Tutto a un tratto, molti dei suoi acquirenti erano scomparsi nel nulla, troppo spaventati persino per incontrarla. I suoi modi gentili, a volte forse un po’ virili per una donna, ma sempre molto positivi erano stati mal interpretati. In un periodo così grottesco e poco amichevole non tutti erano disposti a giudicare quell’allegria positiva. Quei sorrisi, quei gesti, quei modi… Qualsiasi cosa compiesse era diventato un puro sospetto e probabilmente tutto sarebbe degenerato.

Non era una donna stupida,  aveva recepito quello che stava accadendo. Se ancora non aveva espresso ad alta voce il pensiero di essere scrutata e guardata con diffidenza, lei sentiva tutto su di sé. Tutto quello iniziava a pesarle, sebbene non desse a vedere niente. Continuava a illudersi che tutto fosse ancora normale per tranquillizzarsi e darsi forza. Cercava di convincersi che tutto fosse solo frutto della pressione e dell’ansia – soprattutto notturna – che l’affliggeva. Forse incubi e stanchezza erano la causa dei suoi guai e nient’altro.

Anche quel giorno quindi, arrivò nel centro di East City, cercando come al solito di essere allegra e rassicurante. Aveva nascosto le preziose fiale dentro un cestino coperto da un piccolo straccio, in modo che la sua merce fosse nascosta.

La piazza centrale in cui si stava avviando brulicava di gente. C’erano tantissime bancarelle cariche di ogni genere di mercanzia: c’era chi vendeva ortaggi, chi verdura, chi frutta esotica e costosissima, chi galline e conigli vivi stretti in piccole gabbie, chi tessuti meravigliosi provenienti dalla lontana Xing (E Winry avrebbe tanto voluto un vestito fatto che quelle sete, sarebbe sembrata una principessa!). Ad un certo punto, vide anche un predicatore coperto di stracci che preannunciava l’apocalisse urlando a squarcia gola, attirando attorno a sé un capannello di persone incuriosite o estremamente devote.

La ragazza cambiò subito strada infastidita e preferì avvicinarsi ad uomo robusto e con una gran pancia sferica e pochi capelli sul cranio, il quale stava appoggiato al muro di un’abitazione e teneva con un guinzaglio di corda un pasciuto porcellino. L’uomo non sembrava in gran forma, continuava a tossire in modo convulso in un fazzoletto fino ad avere le lacrime, spaventando l’animaletto che tentava di indietreggiare e liberarsi.

«Salve, scusi se la disturbo… Non si sente tanto bene?» chiese con voce gentile dopo essersi guardata attorno. Sembrava che nessuno avesse fatto caso a loro.

Non ottenne nessuna risposta, ma solo altri colpi di tosse. Winry per un po’ temette che l’uomo avrebbe iniziato a sputare anche i polmoni.

«Ho qualcosa che fa al caso suo… Un unguento di rapa bianca e miele, lo deve sciogliere in un po’ d’acqua e berlo… Dovrebbe calmare un po’ la tosse, glielo vendo per tre monete d’argento…»

L’uomo ci mise un po’ a rispondere.

«Due… Coff, coff… Due monete…»

Winry annuì, anche se non era molto felice. Avrebbe potuto comprarsi qualche ortaggio per una zuppa, era meglio di niente per iniziare, e doveva accontentarsi. Sorrise, mentre di soppiatto passava un piccolo contenitore dalla cesta alle mani dell’uomo, che a sua volta le lasciò le due agognate monete. Per fortuna la giornata non era iniziata male.

Intascò velocemente l’argento, toccandolo freneticamente con le dita, per verificare le incisioni, per essere sicura che non fosse stata ingannata. Le era spesso capitato e aveva imparato a conoscere quei pezzi di metallo al solo tatto, doveva avere discrezione e prudenza. L’uomo di certo non condivideva la sua teoria. Svelto, guardò il liquido che aveva ottenuto e poi lo bevve, avido, continuando a tossire. Continuava a tenere d’occhio la giovane, persino mentre continuava a ingurgitare la fiala, di certo non gliel’avrebbe fatta passare liscia se soltanto avesse scoperto che quella fosse stata una truffa. Forse non era acculturato e intelligente, forse non era ricco e benestante quanto la sua pancia avrebbe dovuto testimoniare ma non era stupido. Era attaccato ai soldi quanto alla vita, eppure nessuno in quel periodo avrebbe potuto biasimarlo. Si uccideva per avere qualche misero spicciolo per sopravvivere, si sciacallavano le case dei malati e dei moribondi – spesso i ricchi – per ottenere qualcosa. Presto la tosse si placò pian piano, fino a mettere a tacere il bruciore lacerante dei polmoni.

Agli attenti osservatori dell’affollata piazza tuttavia, non era sfuggito né la provocatoria preoccupazione di lei né il gesto avido di lui. Per loro quello era il chiaro segno di una fascinazione, un gesto dettato dalle oscuri arti del male. Quale uomo avrebbe obbedito con tanta velocità a un comando di una semplice meretrice? No, c’era di più e loro l’avrebbero smentito pubblicamente.

Mentre lei iniziava ad allontanarsi, ormai libera dallo sguardo di quell’uomo, ormai pronta per cercare un nuovo cliente, era tanto intenta nel suo progetto da non dare più tanto peso alle persone che la circondavano. Si avvicinò ad un secondo uomo, notandolo in palese difficoltà, dato che si teneva la parte bassa della schiena, dove evidentemente sentiva dolore. Non ebbe tempo di notare il suo volto, propose il suo aiuto, con una medicina a base di farina d’avena e aceto, che avrebbe potuto ridurre la lombalgia… Ma non aveva fatto caso a quella figura incappucciata, da cui persino il sole sembrava sfuggire, tanto da lasciare intorno alla sua sagoma un’intera zona di penombra.

L’aveva osservata con i suoi spilli di ghiaccio, più di una volta. Aveva odiato il suo vagare per le piazze, aveva disprezzato il suo volto angelico e gli occhi limpidi, aveva disgustato i suoi futili rimedi che sapevano di magia e d’oscurità. Non riuscì a trattenersi.

Prese a parlare, la voce grave e solenne. Iniziò lentamente poi alzò sempre di più il tono, attirando l’attenzione su di sé e la figura che additava. La piazza tacque, tutte le teste si voltarono, le attività si interruppero.  Le due figure principali diventarono la donna angelica del Diavolo e l’uomo tenebroso della Chiesa.

«Voi tutti, ancora non vi siete accorti del male che infesta la nostra comunità. Insita nel seno della nostra Sacra Città avvelena il cuore e l’animo della gente. Non oso perciò discorrere dei danni che il corpo potrebbe ricevere. Pregate per la vostra salvezza perché lei potrà anche ingannarvi, ma se resisterete e sarete ligi ai doveri santi non dovrete temere. Rifuggite da codesta meretrice, serva di Mefistofele. Non accettate l’aiuto che gentilmente vi porge, fuggite e condannate la sua presenza. Se siamo puniti dall’Altissimo, sicuramente è perché siamo infestati da questi parassiti che ci impediscono di raggiungere la più alta spera.»

In pochi secondi un nutrito gruppo di persone si era avvicinato a loro, incuriosito e intimorito dalle parole di quell’uomo. La gente impaurita e soggiogata si aggrappava in continuazione alle parole degli uomini di Chiesa, e perfino Winry lo riconobbe dopo averlo sentito inveire contro di lei. Non sapeva come si chiamasse, poiché non era un prete della chiesa che frequentava insieme ai due fratelli per non dare troppo nell’occhio, eppure lo aveva visto spesso mentre si aggirava nel centro di East City predicando per le strade e raccogliendo i fedeli in preghiere improvvisate. Nelle processioni era sempre in prima fila, anche in quelle dei flagellanti.

Un campanellino d’allarme iniziò a suonare nella mente della giovane bionda: le cose non si stavano mettendo affatto bene, le parole di quell’uomo stavano attirando troppi sguardi sospettosi su di lei, che già non era ben vista da molte persone. Non aveva compreso perfettamente tutto quello che aveva detto, ma non essendo per nulla stupida, il senso l’aveva colto.

Una piccola goccia di sudore le solcò lentamente la fronte, mentre le sue mani iniziarono a tremare leggermente. Doveva sottrarsi a quella situazione in qualche modo…

«Io non sto ingannando nessuno… Dovete credermi…» provò a difendersi con voce inquieta, indietreggiando «Non sto facendo niente di male…»

«Guardatela, osservatela bene!»

Senza averla nemmeno ascoltata, con uno scatto le afferrò violentemente il polso, strattonandole il braccio. Winry non riuscì a opporre resistenza, la sua mente non era lucida, era spaventata. Poteva solo sperare che qualcuno la difendesse, eppure aveva paura di illudersi. Gli unici che avrebbero provato a proteggerla sarebbero stati i fratelli Elric, e lei non sapeva se si sarebbero recati al mercato, non gliel’aveva chiesto quella mattina…

«Questa donna è il Male! La sua bellezza è un empio dono del Diavolo! Vuole ingannarvi con le sue magie e i suoi filtri, rendendovi dei peccatori, rendendovi grette creature del Demonio! Guardate come tutti i peccati capitali si incarnano in lei! Addirittura si compiace di questi suoi capelli, recandosi qui senza coprirli, parla agli uomini senza permesso e cerca di corromperli in cambio di denaro! Non lasciatevi ingannare da un lupo travestito da agnello che si confonde tra di voi!»

Winry era frastornata, stava cercando in tutti i modi di trattenere le lacrime, ma l’uomo la strattonava con forza rischiando di farla cadere per terra.  Di tanto intanto riusciva a sentire i commenti delle persone che stavano osservando la scena.

«Ma non ha proprio nessun timore di Dio? In effetti se ne va in giro a capo scoperto come se niente fosse…»

«E’ una strega, vende filtri magici… La vedo sempre che si avvicina di soppiatto alle persone per bene per stregarle con i suoi incantesimi…»

«Io so come si chiama, è Winry Rockbell!»

«E’ davvero troppo bella, non ha neanche un difetto! E scommetto che non si ammala mai grazie ai suoi poteri!»

«E’ una prostituta! Convince gli uomini a giacere con lei, in modo che il Demonio possa prendere possesso dei loro corpi e farli ammalare!»

«Io so che vive con due uomini, due fratelli, non è un segreto! Li avrà resi suoi schiavi!»

«No, no, anche loro sono dei servi del Demonio! Mi hanno detto che commettono atti impuri tutte le notti, tutti e tre insieme! Sono persone orribili, e non si vergognano delle nefandezze che compiono!»

«Portiamola dalle guardie! Portiamola dagli Inquisitori!»

«Dovremmo uccidere questa puttana!»

«Deve bruciare! Le streghe come lei ci contagiano con la peste! La malattia non finirà fino a quando non avremo eliminato gli untori!»

La gente inveiva sempre più furiosa. Il cerchio di persone le si stava stringendo intorno, e Winry era completamente terrorizzata.

Il prete aveva aizzato gli animi contro di lei, consapevole che sarebbe stato un ottimo capro espiatorio. Soddisfatto della reazione che aveva ottenuto dai cittadini, l’uomo la spinse facendola cadere a terra. Nell’impatto Winry lasciò andare il cestino con dentro i medicinali, che si rovesciò, perdendo tutto il suo prezioso contenuto. Le fiale si ruppero quasi tutte, ma al momento aveva problemi ben peggiori a cui pensare. La folla inferocita aveva iniziato a stringerla per le braccia, trascinandola sul terreno tanto da escoriarle le ginocchia, e a tirarle i capelli con forza.

Il predicatore, gettata la zizzania, si dileguò. Si persero completamente le sue tracce ma alla folla ormai non interessava più, avevano ben altro da fare. Punire.

Quella massa di persona probabilmente non aveva capito neanche metà delle accuse che erano state rivolte a quella donna, molti magari seguivano il corteo tanto per seguire la moltitudine, parlavano per sentito dire. Di tutta quell’orazione degna del vero e proprio tribunale, avevano compreso soltanto che lei era qualcosa di malsano e sbagliato e che andava eliminato. Quel subbuglio non era che il risultato di repressione, di tutta la morte che li circondava, di tutta la desolazione che opprimeva il loro cuore. La loro mente era soggiogata dall’ignoranza e forse anche dalla paura, perché non potevano opporsi a quel regime che gli veniva imposto, in nessuno modo riuscivano a liberarsene.

Così, Winry, trascinata da questa folla inferocita, non era più conscia della situazione. Si sentiva completamente inerme, in balia da una forza più potente di lei. La sorpresa di essere stata presa era stata forte, inoltre non avrebbe mai potuto immaginare una tale pressione sul suo corpo. I più audaci del corteo, quelli che "non facevano numero”, vedendosi avvantaggiati dal suo stupore e la sua docilità, avevano assunto gli atteggiamenti più offensivi e la violenza più pura e genuina. Sentiva sprazzi di dolori allucinanti, non comprendeva dove e come, ma avvertiva una sofferenza tale da farla urlare tanto forte da troncarle il respiro in gola. Solo per un istante pensò di ribellarsi, ma ormai era stata completamente sopraffatta da quella marmaglia informe. Notando la sua debolezza e poca lucidità era diventata preda di un potere più grande e alla folla codarda non basta niente per credersi più grande e soggiogare il singolo. La sua vista era annebbiata, al suo orecchio giungevano soltanto pochi degli insulti che lanciavano nella sua direzione. Chi non poteva agire fisicamente, sia per lontananza sia per codardia, ormai si era lanciato in fescennini di pura volgarità.

Si levò una timida voce «Al rogo la strega!», e da quella frase l’idea dilagò nella mente di tutti. Gli insulti passarono di secondo piano, sostituiti dal nuovo corale bisogno del popolo.

«Al Rogo l’ingannatrice!»

«Al Rogo la serva del Diavolo! Che le fiamme la consumino e la purifichino.»

Tutto era stato soppiantato da questa assurda follia, da questo obiettivo barbarico. La gente ormai era nella più completa foga, richiamando vicino a sé persone dalle case e dalle vie, che si univano al corteo senza nemmeno sapere di cosa si trattasse, ma partecipavano con non meno entusiasmo.

Ormai Winry non tentava nemmeno più di reagire. Si lasciava trasportare dalla folla, piangendo in modo incontrollato. I suoi «Vi prego… Lasciatemi andare…» erano un sussurro tra i singhiozzi che nessuno udiva. Era talmente frastornata che quando le mani furiose che la spingevano ad un certo punto la lasciarono di colpo, facendola cadere per terra, non si rese conto di cosa stesse capitando.

Immaginò che fosse arrivata al luogo in cui l’avrebbero uccisa in quel modo atroce… Fu così che si raggomitolò istintivamente su se stessa in posizione fetale in un infantile tentativo di proteggersi. Avvertì dei calci, e delle urla incomprensibili, le orecchie le fischiavano. Quando di nuovo si sentì afferrare per un braccio e tirata da una parte gridò atterrita pensando che fosse arrivata la sua fine, ma non aveva idea di cosa le stesse succedendo intorno.

«No, adesso la lasciate, avete capito? La lasciate subito! Non vi avvicinate!»

Con la vista appannata dal pianto, Winry sentì una voce che le diede una nuova speranza.

Edward.

 Edward era arrivato appena in tempo e si era buttato nella mischia non appena aveva visto cosa stessero facendo alla sua preziosa amica. Era stato lui a prenderla per un braccio e l’aveva trascinata dietro di sé, in modo che nessuno potesse toccarla. No, nessuno le avrebbe fatto del male, lui l’avrebbe protetta fino alla morte.

«Edward…» gemette lei, felice per il suo arrivo ma ancora sconvolta dalla situazione.

«Stai tranquilla, Winry. Nessuno ti farà niente, te lo prometto…» la rassicurò lui prima di urlare nuovamente voltato contro la folla «Andatevene! Lasciatela stare!»

«Tu non ti devi immischiare, hai capito?» tuonò una voce maschile tra la massa indistinta.

«Sì, lasciala! Lasciala, o fai una brutta fine anche tu!» continuò un altro uomo, questa volta proprio davanti a lui.

«E’ uno dei fratelli Elric!» urlò invece una donna «E’ l’amante della strega!»

«Ah, e così sei tu il bastardo che si scopa questa puttana… Non preoccuparti, farai una br…»

Il pugno che Edward sferrò tolse completamente il fiato all’uomo che stava oltraggiando Winry. Non poteva sopportare quelle parole, non su di lei, che era una ragazza straordinaria ai suoi occhi, anche se un po’ eccentrica rispetto a tutte le altre donne. Loro non la conoscevano, giudicavano e basta, e volevano ucciderla per colpe che non aveva… Era decisamente troppo. Accecato dalla rabbia, continuò a colpire in faccia la persona che l’aveva insultata, tanto che le nocche gli facevano male. L’uomo, preso alla sprovvista, provò a difendersi, ma il ragazzo sembrava non patire le percosse che riceveva in pieno viso.

Winry gridava senza controllo, gli urlava di smetterla, di portarla via. Quando vide fiotti di sangue rosso acceso colare copiosamente dal naso dell’amico, si coprì il volto con le braccia e si raggomitolò, avviluppandosi su se stessa. A quel punto nemmeno la voce rassicurante di Alphonse, che fino a quel momento non aveva nemmeno notato, la consolò.  In effetti il fratello era rimasto in disparte, e non si era buttato nella folla come Edward, accecato dalla rabbia. Dei due era il più riflessivo, e se c’era una cosa che non era in grado di fare era alzare le mani su qualcuno… Era più forte di lui.

«Winry… Alzati… Prendiamo Ed e andiamo via, prima che arrivino le guardie…»

La gente ormai non prestava più attenzione a loro, ma era interessata allo scontro che si stava svolgendo poco lontano.

Sarebbe stato di certo il momento ideale per filare via e in quel modo sicuramente si sarebbero salvati. Purtroppo Alphonse conosceva bene il carattere focoso del fratello e non si sarebbe arrestato fino a quando non avrebbe ridotto a brandelli quella marmaglia che aveva osato fare del male a Winry. Con tutto quel baccano che si stava inevitabilmente alzando sicuramente le guardie non avrebbero tardato ad arrivare e fare piazza pulita con le maniere forti. Questo non potevano permetterselo.

La situazione gli era sfuggita pericolosamente di mano. Avrebbero dovuto riparare il danno e anche in fretta, o quasi sicuramente avrebbe visto suo fratello pendere da una forca per quello che stava combinando.

Mentre Alphonse si struggeva per trovare un modo abbastanza risoluto per portare suo fratello e Winry al sicuro, Edward non stava di certo in ozio. Dopo le prime manifestazioni di violenza e reattività che quel giovane aveva mostrato, tutti si erano zittiti e avevano placato il loro sangue caldo. Erano rimasti stupiti da una tale reazione. Fino a quando avevano avuto il controllo della situazione, picchiando quella donna indifesa, fino a quando avevano sentito di essere superiori avevano tenuto la presa sulle loro condizioni. Appena avevano ricevuto quell’assaggio di resistenza, quella strenua, disperata e accanita voglia di proteggere quella donna, avevano lasciato perdere. Se non fosse stata per la quantità di gente che poteva a mala pena essere contenuta in quella piazza e per il mormorio che i loro gesti e movimenti producevano, ci sarebbe stato di sicuro in quei pochi momenti un silenzio decisamente imbarazzante.

Edward rimaneva eretto nella sua misera altezza, ma osservava tutti con un vero proprio sguardo di fuoco, lanciando fulmini dagli occhi. Era teso ed era pronto a continuare la lotta in qualsiasi momento. Non gli importava quando gli sarebbe costato, lui avrebbe protetto Winry da quella assurda faccenda. Al contempo però, non poteva non maledirsi. Era stata colpa sua se l’aveva esposta così, avrebbe dovuto stare più attento! Ma ormai era troppo tardi per i rimproveri…

Una campana riecheggiò nell’aria e riscosse la gente dal torpore. Quel suono religioso chiamava ai propri doveri il credente, e fu un segno che fece avanzare in avanti i più temerari.

«E’ solo un nanerottolo! Lo schiacceremo via!» Da una sola frase se ne riprodussero altre nello stesso tono, decise e violente.

Di certo una delle prerogative di Edward non era l’altezza e proprio questo difetto lo rendeva irritabile. Avevano toccato il tasto dolente.

«Chi hai osato chiamare in quel modo? Maledetto! Ti farò rimangiare le tue parole a suon di pugni!» Se prima era mediamente infuriato adesso aveva proprio toccato il colmo della sua ira. Stava per avventarsi contro quella massa informe, quando fu prontamente afferrato da una spalla e trascinato brutalmente via.

«Maledetto! Lasciami! Adesso gliela faccio pagare a quei bastardi!»

Le guardie fortunatamente non li videro e lo schiamazzo e il polverone della folla furono questa volta a loro vantaggio, perché riuscirono a sfuggire senza farsi vedere e sentire dalle sentinelle. Alphonse, in un atto disperato e quanto mai risoluto, aveva trascinato suo fratello via da quella incombente situazione, portando con sé Winry semisvenuta.

Il suo era uno sforzo immane di sopravvivenza. Edward era ancora lontano dal rinsavimento – tra il “nanerottolo” e le angherie su Winry non si capiva proprio quale fosse stata la mossa peggiore – e la ragazza era evidentemente provata da quello che aveva dovuto subire.

Correva via da quel posto, prendendo vicoli e strade sempre più desolate. Piangeva ma non poteva fermarsi a urlare, la sua era una corsa per la vita.

Il sole si era alzato, la giornata era ormai entrata nel vivo, e le campane suonavano in ogni angolo per annunciare l’inizio delle messe. Per una volta non ci sarebbero andati, e ne avevano un buon motivo.

Quando arrivarono nella loro casetta, ad Alphonse sembrò di aver corso per appena un paio di minuti, quando in realtà aveva attraversato mezza città con il cuore in gola. Buttò malamente dentro casa il fratello e Winry, sbarrando la porta con un pesante chiavistello. Come se volesse essere sicuro che nessuno avesse potuto entrare da lì, si mise con la schiena appoggiata all’uscio, e solo dopo qualche respiro affannoso si lascio scivolare sul pavimento, più rilassato.

L’esperienza che aveva appena fatto lo turbava comunque in maniera feroce. Lui non era una persona che digeriva facilmente la violenza. Ogni volta che era costretto ad assistere alle esecuzioni non riusciva a stare fermo, si sentiva vuoto e angosciato. Adesso che era stata la sua famiglia ad essere presa di mira, era andato letteralmente nel panico. Stava così male da sentirsi nauseato, e il suo intero corpo tremava.

«Ragazzi… Io… Non voglio che succeda mai più…» balbettò sull’orlo di una crisi di pianto.

Non ricevette risposta.

Winry si era accasciata sul pavimento, troppo scioccata per reagire, mentre Edward camminava furibondo avanti e indietro per la stanza, noncurante delle proprie ferite. Aveva le nocche sbucciate, e il sangue ormai secco gli sporcava le labbra e il mento. Sull’orbita sinistra si stava formando una grossa ecchimosi violacea e gonfia, e i capillari esplosi avevano colorato una parte della sclera dell’occhio di un inquietante rosso vivo.

«Me la pagheranno… Sono solo dei creduloni, dei bastardi… Come hanno potuto farle del male…»

«E’ colpa dell’epidemia, lo sai…» rispose Alphonse diplomatico «La gente non sa quello che fa… Siamo tutti nervosi, tutta la popolazione lo è…»

Edward preferì non obbiettare. Non voleva mettersi a discutere anche con suo fratello, che, pensandoci a mente lucida, lo aveva tirato fuori dai guai. Preferì concentrarsi sulla povera Winry, che sembrava paralizzata sul pavimento. Non aveva mai passato un’esperienza del genere, non si era mai sentita così vicina alla morte. Molte volte l’avevano insultata o derisa, ma quella volta le persone che la odiavano si erano spinte troppo oltre, e non scherzavano. Avrebbe potuto essere uccisa, aveva rischiato di morire malamente per non aver fatto troppa attenzione… E Edward ci era finito di mezzo…

«Ed…» lo chiamò, dopo che lui le si era fermato vicino e stava cercando di farla alzare a fatica «Ho avuto tanta paura… Se non foste arrivati voi, mi avrebbero… Hanno detto… Che sono una strega, e volevano bruciarmi…»

«Stai tranquilla, è tutto a posto. Adesso mettiti a riposare, ne hai bisogno.» le disse gentilmente per calmarla.

Quando finalmente alzò lo sguardo verso di lui in segno di riconoscenza, il sorriso le si spense subito sulle labbra. Il viso dell’amico era completamente pesto, e per questo avvertì un forte senso di colpa, doloroso come una pugnalata. Edward si era ferito al volto per colpa sua.

«Mi… Mi dispiace tanto…»

Winry gli accarezzò lentamente il viso con la punta delle dita tremanti, per non fargli male. Vedere tutto quel sangue sul suo viso e quell’occhio malridotto le provocava una gran sofferenza. Era troppo affezionata alla sua famiglia, cos’avrebbe fatto senza di loro, ora che era scomparsa anche nonna Pinako?

«Ti stai preoccupando troppo, non mi sono fatto niente, anzi, mi aspetto che da un momento all’altro mi arrivi un tuo schiaffo, non so perché…»

Il tentativo di Edward di sdrammatizzare la situazione andò a buon fine: la giovane bionda abbozzò un sorriso mentre si lasciava accompagnare a letto.

Nessuno dei tre poteva immaginare se la folla sarebbe venuta a cercarli o meno. La loro casa non era un posto sicuro, e non potevano fare altro che sperare, sperare che la gente li avesse già dimenticati, e che avesse sfogato la rabbia in altro modo. Non potevano presagire che il loro desiderio si sarebbe avverato, e che una seconda vittima innocente sarebbe caduta sotto i colpi rabbiosi della furia cieca di un popolo disperato e disposto a tutto.

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Ciao a tutti, siamo Alice e Lolly!

Volevamo solo fare un piccolo avvertimento prima di questo capitolo: nonostante il tono cupo della storia che stiamo raccontando, abbiamo deciso inserire qualche piccola battuta per farvi leggermente sorridere in questa parte della storia, anche se la serietà degli argomenti sarà conservata. Pensiamo in questo modo di alleggerire la tensione, in modo da non creare un atmosfera troppo melodrammatica che potrebbe farci scadere nel ridicolo. Oltretutto l’opera di FMA è costellata di momenti divertenti intercalati tra gli avvenimenti seri o drammatici, quindi pensiamo che questo avrebbe potuto far assomigliare il nostro racconto all’originale!^^

Diteci cosa ne pensate!

Alice Jane Raynor

RedLolly

 

 

Capitolo 2

 

Le campane continuavano a risuonare, scandendo il nuovo tempo per una nuova riunione di fedeli. Per quanto i fratelli Elric fossero riusciti a mettersi al riparo, quelle campane suonavano a morte e presto qualcuno, al loro posto, avrebbe pagato per i loro crimini. Quel rumore si propagava nell’aria, facendo nascere in ogni persona un nuovo desiderio. Era l’eco di un vuoto incolmabile che faceva impazzire la gente. Una follia che avrebbe condotto tutti in una tragedia.

La piazza dove Winry era stata aggredita, si era rapidamente svuotata, tutti avevano seguito il corteo per vie e viottoli, sperando di poter bruciare la strega.

I banconi erano stati travolti dalla furia degli astanti, molta merce era ormai sparpagliata per terra, confusa e dimenticata come la razionalità della massa. I mercanti più ricchi però erano riusciti a mettere ben al sicuro le loro spezie e i loro tesori orientali, mettendo la cupidigia avanti il loro desiderio di liberarsi dalla peste. Tutto giaceva abbandonato e incolto ma era soltanto una questione di tempo. Tutto sarebbe stato nuovamente stravolto.

Una timida figura avanzò titubante tra quelle macerie di cibo. Gli animali già avevano iniziato il loro bel d’affare per iniziare a contendersi gli alimenti, in quel periodo sempre più scarsi e costosi. Tutta l’opulenza del mercato era svanita in un sermone di follia, travolto da potenze più grandi dell’attuale comprensione umana. La sagoma strisciò verso alcuni cibi avvizziti e non di bell’aspetto. Li prese, addentandoli con voracità. Il suo era un disperato tentativo di non morire di fame, la sua era una lotta contro l’imminente falce della Morte.

Aveva paura di quella Oscura Figura come allo stesso tempo sperava che essa l’avrebbe innalzata al suo Creatore. Aveva visto, anche di sfuggita, quelle tetre figure incappucciate che falciavano la vita delle persone che si presentavano a loro nell’estrema scintilla di vita. Quando l’uomo sente di giungere la morte ecco che questo bagliore si accende, più fulgida che mai, facendogli desiderare di vivere ancora. Solo la vista di una di quelle figure l’aveva gettata nel più grande sconforto. La fede era giunta a salvarla. Aveva sempre creduto, era stata sempre una cosa naturale in lei. Forse non aveva quella spiccata propensione a sacrificare tutto per la religione ma non per questo si poteva definire non meno fedele di molti altri. Spesso non poteva recarsi in Chiesa per la vergogna della sua miserevole tenuta, ma non per questo non credeva almeno ai valori e ai principi che le erano stati insegnati ed erano serviti per farsi largo nella vita. Forse non era ricca, forse era ignorante, ma aveva una morale rigida e ferrea e non sarebbe mai venuta meno ai suoi doveri. Persino rubare le pesava, sentiva una strizza tremenda ogni volta che lo faceva e aveva esami di coscienza che andavano ben più là di un normale pagamento monetario.

Non aveva lavoro, né amici, né influenza né potere. Non poteva avvalersi neanche delle sue capacità e per quanto si sforzasse di lavorare e di essere umile, per guadagnare onestamente, non spesso riusciva nell’intento. Si lasciava marcire, si lasciava completamente morire di fame, sperando che quella fosse la volta buona per essere cacciata via da quel mondo ostile, sperando che la fame o la malattia l’avessero uccisa. Ma poi, improvvisamente, lo spirito di sopravvivenza ritornava e lei era costretta a rubare. Obbligata dalla vita e dalla società. Se non le permettevano di applicarsi non era solo per sua inerzia – e di certo non ne aveva! – o per sua totale incapacità. Era perché ogni strada le era preclusa, persino la Morte stentava a raccoglierla.

Vagò, ancora intontita dalla fame, stremata dalla vita lurida che conduceva per la piazza, sperando di non essere vista. Era quasi giunta a una fase di follia, in cui non sapeva neanche dove i piedi la conducessero. Le ginocchia cedettero, il suo corpo cadde. Aveva divorato quel poco cibo che era riuscita a prendere ma ancora sentiva quel terribile capogiro, ancora era intontita da quella sensazione. Quando si riprese, solo allora avvertì una nuova sensazione di dolore. Non urlava, non gemeva, non ne aveva la forza ma neanche l’intenzione. Si guardò le mani sanguinanti, ferite da dei cocci di vetro su cui era caduta. Guardò, con lo sguardo sfuocato, quei strani contenitori rotti e allungò una mano verso una fiala ancora intatta.

Non aveva idea di cosa fosse quella roba, di certo però non era commestibile. Dato che non era una sciocca, capì che si trattava di unguenti. Dovevano essere caduti a qualcuno durante il trambusto che aveva sentito prima. Le persone erano state attirate da qualcosa, una colluttazione forse, dato che aveva sentito alcune delle grida piuttosto violente. Non era una cosa rara in quel periodo…

Nella piazza del mercato, c’era ora poca gente, molti carretti erano stati portati via, e gli ultimi venditori che si stavano allontanando con le loro mercanzie non la degnavano di uno sguardo. Già, nessuno pareva mai vederla, faceva parte di quello stuolo di invisibili che non avevano un tetto, una famiglia, o un lavoro. Lei stessa preferiva comunque che nessuno facesse troppa attenzione a lei. I suoi abiti erano informi, costituiti da vari tessuti color terra, troppo larghi per lei, ed era meglio così. Riteneva che per una donna era un grave peccato indossare abiti che mettessero in risalto le forme. Teneva anche sulla testa un pesante velo della medesima stoffa, e i capelli nascosti in modo che non potessero scivolare fuori. Potevano essere belli, ma nessuno doveva guardarli. Aveva promesso più volte a Dio, che l’unica persona che avrebbe potuto vederli sarebbe stato il suo sposo. In quelle condizioni però, era certa che non ne avrebbe mai trovato uno, ma la cosa non la scoraggiava. Se quella era la strada che il destino le aveva riservato, sapeva di doverla accettare. Forse preferiva addirittura così da quel punto di vista: l’idea di dover essere data in sposa ad uno sconosciuto, magari con il doppio dei suoi anni, senza che lei lo avesse amato era qualcosa che le metteva angoscia, anche se si sarebbe piegata al dovere. 

Da quando suo padre era morto nell’incendio della sua casa, si era ritrovata spaventosamente sola, e aveva perso tutto. Le uniche cose che le erano rimaste erano la Dignità e la Fede, e l’aveva promesso a sé stessa, voleva tenersele strette entrambi. L’idea di vendere il suo corpo non le era mai nemmeno passata per la testa, così aveva deciso di vivere di quei piccoli espedienti, e chiedeva perdono al Signore continuamente per questo.

La donna rimase un attimo indecisa, continuando a studiare il piccolo recipiente in vetro. Conteneva una specie di liquido molto denso, di un forte color verde salvia.

Non sapeva bene cosa pensare, e iniziò a torturarsi con i denti il labbro inferiore. Magari era stato proprio Dio a darle una possibilità? Poteva essere un farmaco che l’avrebbe protetta dalla peste, ma anche un veleno mortale... No, era più probabile che quella fosse una qualche opera malefica di una strega, eppure continuava a provare una curiosità estrema per quello strano intruglio, e non solo per quello. C’erano altre tre piccole fiale apparentemente integre. 

Istintivamente portò la sua mano a toccare un piccolo crocifisso che portava al collo, intagliato rozzamente in un pezzettino di legno.

Non sapeva davvero cosa fare. Magari poteva venderle a qualcuno… Avrebbe guadagnato qualche moneta onestamente… Forse però era meglio consegnarle a qualche religioso, dato che potevano essere opere malefiche….

Era molto indecisa e tentata sul da farsi. Anche se avrebbe potuto guadagnare dei soldi onestamente non sapeva effettivamente a cosa servissero, quindi avrebbe comunque dovuto inventarsi una bugia e non sarebbe stato onesto. Osservò attentamente le fiale, non sapendo cosa fare. Se anche le avesse portate da qualche esperto sicuramente gli avrebbe chiesto come se le fosse procurate. Non voleva farsi scoprire, non voleva dare nell’occhio, inoltre non sembrava tanto affidabile con quell’aspetto povero ma umile. Era una zingara di strada e senza che qualcuno potesse testimoniare della sua onestà non poteva fare un bel niente.

Ormai le aveva raccolte, decise di tenerle con sé e avrebbe ragionato sul da farsi. Non pensava minimamente che quel gesto lo avrebbe rimpianto amaramente.

Abituata com’era a passare in secondo piano, a essere il fantasma di una persona, non pensava di poter generare un tale tumulto e ne rimase completamente sconvolta.

«Eccola! Ecco è lei! Sta raccogliendo i poteri della strega, così da poter incontrare il Diavolo e ucciderci tutti!»

Quelle urla stridule percorsero con un brivido il povero corpo della donna. Tremante, continuava a tenere tra le mani quelle fiale, sentendo il peso della colpevolezza su di sé. Lei non voleva fare niente di male, sentiva quelle accuse false ed errate eppure… in un certo senso non avrebbe dovuto osare tanto, forse inconsciamente era stata davvero guidata dal Diavolo e il fatto di essere stata colta in fragrante la rendeva insicura sul da farsi. Sapeva perfettamente quello che sarebbe potuto succedere, ma era dilaniata da diversi pensieri, tra la sopravvivenza e la fede.

Una piccola ressa iniziò a rifluire nella piazza, richiamata da quelle nuove grida di giustizia. Le campane in quel momento sembravano solamente ricordare il sangue che doveva essere versato per la supremazia della purezza della Fede.

Quando lei si vide circondata, quando si vide sull’orlo del baratro, prese la sua risoluzione. La sopravvivenza aveva vinto. Si alzò, incespicando. Camminò per un breve tratto all’indietro, continuando a guardare smarrita la folla che avanzava sempre di più. Aveva paura, aveva il terrore di subire quello che aveva visto tante volte. La sua insicurezza la fece inciampare. Ormai era segnata.

Le fiale che si erano salvate dalla prima caduta, finirono a terra, rompendosi in mille pezzi.

La gente le fu addosso, mentre lei non provava nemmeno a rialzarsi, non ci riusciva. Era impaurita, straziata dai sensi di colpa per quello che aveva fatto. Era proprio vero che la tentazione si insinuava dappertutto, e anche un piccolo gesto poteva divenire un peccato grave.

Con gli occhi pieni di lacrime, si lasciò alzare di peso da quelle mani grezze, che la tiravano su senza alcun riguardo, per poi spingerla in avanti tra grida furiose. Non capiva quello che le dicevano, percepiva solo delle urla senza senso, ma non aveva importanza. Non le interessava cosa le avrebbero fatto. Che differenza faceva? L’avrebbero bruciata, oppure annegata, magari le avrebbero semplicemente tagliato la gola. Tanto la conclusione sarebbe stata la medesima.

Non si accorse di nulla, la sua mente era concentrata solo sulla rispettiva coscienza. Doveva pregare e chiedere perdono prima che il momento fosse giunto, tremante e timorata come mai lo era stata…

«Hanno chiamato le guardie!»

«C’è il capitano in persona!»

Non si rese nemmeno conto che il corteo ad un certo punto si era fermato. Il trambusto si era levato tutto ad un tratto, come se un elemento di disturbo avesse colto gli abitanti furiosi, che avevano trovato un secondo capro espiatorio dopo che il primo era fuggito.

Solo una cosa avrebbe potuto fermare le loro crudeli intenzioni, e quella cosa si era fatta viva.

«Dovete disperdervi immediatamente, questi sono ordini! Non sono concesse sommosse di questo tipo, non quando stanno per avvenire funzioni religiose sopratutto!» gridava una voce maschile con fermezza.

La donna riuscì a percepire il frammento di discorso e aprì gli occhi, incredula e sconvolta. Stava avvenendo ciò che non si aspettava. Solitamente le guardie non riuscivano a fermare quei crimini violenti che venivano commessi un po’ dappertutto ad East City. Spesso facevano addirittura finta di nulla, e quella volta invece…

«Questa donna è un’eretica, una strega! Siamo circondati! Ce ne era un’altra al mercato, ma è fuggita! Andate a controllare! Aveva in mano queste fiale, ci voleva contagiare con la peste!»

«Fate silenzio! Vi ho già detto che questo non è permesso! Lasciate stare questa donna! Ve lo sta ordinando il capitano Hughes, se per caso non aveste capito chi sono. Potrei farvi finire tutti sulla forca! »

«Portatela all’inquisizione! Fatela processare almeno!»

Il capitano delle guardie Maes Hughes che aveva cercato di riportare l’ordine sbuffò, ma purtroppo non poteva ribattere. Quel lavoro non gli piaceva, ma non aveva avuto altra scelta nella vita, e ora doveva fare il suo dovere, anche se questo voleva dire minacciare dei cittadini per riportare l’ordine e trascinare una donna via con sé. Almeno le avrebbe salvato la vita… Per il momento.

In realtà stava inseguendo una chimera, sapeva perfettamente che una semplice morte sarebbe stata di gran lunga preferibile alle pene e alla morte dolorosa che gli inquisitori erano capaci di procurare. Con un gesto deciso- fatto anche per scacciare via quei tetri pensieri - ordinò al suo piccolo drappello di uomini di portare via la donna, lui avrebbe dovuto cercare di riparare l’impossibile. Non sapeva esattamente perché lo stava facendo, sapeva solo che quella follia stava dilagando, troppo. Ormai chiunque era un sospetto se non si faceva parte di qualche famiglia ricca e facoltosa. Questo non poteva assolutamente tollerarlo, avrebbe dovuto mettere un freno a quella follia e forse sapeva a chi rivolgersi.

Con passo svelto e militare, iniziò a destreggiarsi tra la folla che si stava dirigendo in Chiesa.

Lo avrebbe riconosciuto tra mille, non poteva ingannarsi, dopotutto non era stato così difficile distinguerlo. Camminava a testa alta, imperscrutabile, immerso in un’estasi proiettata già verso la messa a cui avrebbe assistito. In pompa magna, le spalle erette, il passo sicuro e deciso, non si rendeva decisamente conto delle occhiate che, timidamente e con discrezione, le donne gli rivolgevano di continuo… O semplicemente faceva finta di niente. Appena il capitano delle guardie si intromise sulla sua strada, si lasciò sfuggire uno sbuffo sonoro. Sembrava evidentemente scocciato di vederlo, tanto da lasciar trapelare un sentimento.

La gente si riunì in corteo ad ascoltare quello che quei importanti personaggi avevano da dirsi.

«Roy Mustang, siete chiamato nel nome della Santissima Chiesa per svolgere il vostro dovere. E’ per tanto necessario che lasciate le funzioni per seguirmi al più presto» Iniziò il capitano, con rispetto verso l’Inquisitore.

Di certo quel discorso gli era partito spontaneo, ed era sicuramente la cosa migliore da fare. Aveva evitato di essere più prolisso per non perdere tempo ma aveva cercato anche di non essere troppo coinciso e confidenziale per lasciar trapelare la sua preoccupazione ai cittadini che si erano radunati lì in modo tanto irritante.

Mustang lo guardò e prese il medesimo tono.

 «Capitano Hughes, devo purtroppo ricordarle che il Signore Altissimo ha designato la Domenica come santissimo giorno di riposo. Ogni uomo, prima di qualsiasi dovere, dovrà onorarlo e fare di questo dì quello più proficuo per innalzare le sue lodi, che dovremo fare sempre e mai sarà abbastanza! Le chiedo quindi di attendere che le funzioni abbiano termine prima di qualsiasi altra attività.»

Il suo discorso ebbe presto vinto il favore del pubblico – soprattutto femminile – che rimase incantato ad ascoltare le sue buone e lodevoli ragioni, oltre che crogiolarsi beatamente nella sua incantevole voce e l’alternanza di toni alti e bassi che aveva fatto assumere alla sua orazione.

«Mustang, ho bisogno del tuo aiuto, urgentemente» Sussurrò Hughes, ormai al colmo della disperazione e si limitò solo ad aggiungere ad alta voce «I vostri doveri non saranno altro che una bellissima grazia che farete al Signore, seguitemi.»

Mustang allora sospirò, ormai conscio di non potersi arrendere dopo aver sentito le parole che l’amico aveva bisbigliato sottovoce. Avrebbe di certo rimpianto quella bellissima e pia ora, ne era sicuro. Il suo sospiro era così sentito, la sua rassegnazione così forte da far fremere e urlare di protesta la folla, fulminata da una sola occhiata del capo delle guardie e della sua truppa.

Mustang intanto vedeva le sue funzioni annullate per processare chissà quale sdentato, pidocchioso e brutto essere che gli si sarebbe parato innanzi. La vita era proprio ingiusta.

Mentre procedeva a passo svelto verso il tribunale, non poteva esimersi dallo sbuffare ogni decina di passi.

Lui semplicemente adorava andare in chiesa, ci avrebbe passato le giornate se solo avesse potuto. Era un momento così distensivo, in cui poteva bearsi di tutte le bellezze che la società poteva offrirgli. Nei banchi davanti poteva osservare le donne dell’alta società, tutte imbellettate, in piedi ai lati e in fondo alle navate quelle più povere, con i loro straccetti miseri che spesso offrivano visioni celestiali di caviglie, spalle, visetti innocenti e scavati; o ancora le suore tutte radunate dietro le grate accanto all’abside, che pregavano ferventemente innocenti come margherite in un prato, guidate dalla madre superiora più bella che il Signore avesse potuto offrire. Lui si crogiolava in tutto quel ben di Dio, osservando i loro abiti, e quei piccoli particolari che gli imporporavano le guance ogni volta: una ciocca di capelli che sfuggiva distrattamente da un velo, una clavicola lievemente scoperta, un sorriso rivolto alla sua bella persona, qualche fianco la cui forma traspariva sotto un abito troppo stretto… Se la messa non era un paradiso, nessun altro posto poteva esserlo, per l’inquisitore Roy Mustang.  

Ancora irritato per aver perso il suo spettacolo quotidiano, l’uomo arrivò al tribunale, dove si trovava il cubicolo in cui teneva le sue carte. Aveva sicuramente preceduto Maes Hughes, camminando così spedito, e infilandosi altrettanto velocemente nella stanza ingombra di pergamene, volumi di legge e manuali su come stanare e processare eretici e streghe. Si sedette svogliatamente, pensando a cosa dire per fare in fretta e tornare presto ai propri passatempi. Non era un appassionato del proprio lavoro, doveva ammetterlo, e non sapeva nemmeno bene il motivo per cui aveva intrapreso quella pia carriera.

Era completamente immerso nei suoi pensieri, quando Hughes giunse nel cubicolo aprendo la porta senza bussare, tutto trafelato, tenendo per un braccio un ammasso di stracci dall’odore non proprio piacevole, mentre dietro di lui si faceva strada Kain Fury, il basso e fedele segretario di Mustang, il cui compito era quello di scrivere tutto ciò che era rilevante ai fine dell’accusa e della difesa dell’imputato.

«Va bene, Hughes… Cerchiamo di farla finita in fretta, per favore… Oggi non è una buona giornata.» disse l’inquisitore con voce estremamente annoiata, appoggiando i gomiti alla scrivania di legno e incrociando le dita davanti al viso. Immaginava già che cosa Hughes gli avesse portato, sapendo che Mustang era una persona ragionevole, forse l’inquisitore meno infervorato di tutto il tribunale, oltre che suo grande amico: un poveraccio che qualche esaltato aveva accusato di volare sulle scope e di mangiare i neonati.

Spinse il suo prigioniero in avanti, il quale cadde con un ansito sulle proprie ginocchia. La spessa stoffa che gli infagottava la testa scivolo sulle sue spalle, e Mustang non riuscì a trattenersi dal saltare sulla propria sedia.

Era una ragazza. Una bionda, scarna, bellissima, innocente ragazza con due occhi color nocciola come quelli dei cerbiatti.

Lo squadrava, con sguardo penetrante e allo stesso tempo rassegnato, aspettando la sua pena e la sua condanna. Era rimasta abbastanza perplessa al gesto improvviso di quell’inquisitore e non sapeva ancora bene come interpretarlo, ma non gli piaceva nemmeno un po’. Quell’azione avventata di Mustang, dopotutto, non era passata inosservata neanche agli altri due uomini presenti nella sala. L’inquisitore riprese rapidamente il suo contegno abituale, soffocando il sorrisetto che puntualmente gli spuntava sulle labbra, incrociando nuovamente le dita davanti al viso, come era solito fare. Eppure, guardandolo attentamente si poteva notare una strana luce negli occhi, particolari guizzi che non facevano presagire niente di buono. Intanto doveva trovare una buona scusa per uscire da quel bel pasticcio in cui si era cacciato. Poteva anche non dover spiegazioni a lei, ma agli altri due uomini sicuramente sì, non voleva perdere la sua rispettabilità.

«Avete superato la prima prova! Se foste stata una strega non avreste battuto ciglio, invece vi siete spaventata, l’ho notato.»

Se i due uomini c’erano caduti in pieno, di certo non valeva lo stesso per l’indagata, che in realtà non aveva battuto ciglio. Quel tipo o era completamente pazzo – probabile – oppure stava inventando accuse senza senso, chissà perché. Ormai si era rassegnata ad ascoltare l’inevitabile. L’unica cosa che la irritava erano i capelli ormai sciolti. Avrebbe voluto riaggiustarsi il velo, mantenere fede alla promessa alla quale avrebbe mostrato i capelli solamente al suo sposo, ma quegli occhi non la lasciavano un istante e la trafiggevano, inchiodandola lì al suo posto, immobile. Di sicuro quello non sarebbe mai stato suo marito, poco ma sicuro.

«Iniziamo. Il vostro nome?»

La donna lo guardò per un po’, ma capì subito di non poter azzardarsi a non rispondere. Raccolse le sue energie e disse, diligentemente «Riza Hawkeye».

Non si perse in giri di parola di sorta, rispondeva lo stretto necessario, continuando a tenere lo sguardo fermo su quell’uomo strano.

Mustang rimase fermo e immobile, come una statua di sale. Contemplava quel nominativo, assaporando ogni singola sillaba. «Bellissim…» Si interruppe bruscamente, non poteva permettersi complimenti sul nome, con charme aggiustò la frase, come se niente fosse «Bellissima condanna che vi è stata attribuita!».

Tutti lo guardarono ancora più straniti, tuttavia lo lasciarono fare. Dopotutto la prima qualità di un inquisitore era quella di depistare le sue vittime e giocare con le parole. O lo stava facendo alla grande o anche lui non sapeva cosa fare, ciò a libera interpretazione del lettore.

Riza dal canto suo rimase ferma e in silenzio, aspettando che quella specie di essere si spiegasse. Non riusciva a comprendere la sua euforia, gli inquisitori si divertivano davvero per così poco? Era inquietante. Lei non aveva alcuna intenzione di cedere, era sicura che il Signore non si sarebbe dimenticato di una fedele credente, e l’avrebbe aiutata al momento giusto, anche se questo momento sarebbe coinciso con la morte, non aveva rimpianti.

Hughes si schiarì la voce. Quel teatrino stava diventando un po’ troppo surreale, e conosceva abbastanza bene Mustang da sapere quanto perdesse la testa per le donne. Doveva ricomporsi al più presto, o non sarebbe andata bene.

«Un gruppo di uomini asserisce che questa donna sia una strega. E’ stata trovata in possesso di certi… Preparati di dubbio scopo. Sono intervenuto prima che si facessero giustizia da soli, uccidendola, e l’ho portata qui.»

«Sì, avete fatto bene, Hughes, bravo.» tagliò corto l’inquisitore senza nemmeno guardarlo, completamente rapito dalle iridi nocciola della donna.

Accanto alla sua scrivania, Fury aveva iniziato a vergare su una pergamena diligentemente il resoconto di quello che stava succedendo.

«Allora, uhm… Riza Hawkeye, come vi giustificate? Cos’avevate in mano?» continuò Mustang che ormai era riuscito a riacquisire un certo contegno.

Quella ragazza era nei guai, e a seconda di cos’avrebbe risposto avrebbe potuto rilasciarla o meno. Purtroppo non avrebbe potuto chiudere un occhio e aiutarla, se le prove fossero state tutte contro di lei, e con quel maledetto Fury che prendeva nota di tutto non c’era via di scampo.

«Ho trovato una cesta per strada, signore.» rispose lei con lo sguardo basso, mentre cercava di ricoprirsi malamente i capelli con il velo.

Si sentiva terribilmente a disagio così scoperta davanti a tre uomini che non conosceva, di cui uno sembrava decisamente poco affidabile.

«Sono una persona povera, signore, davvero… Non volevo fare niente di male… Ho pensato che avrei potuto vendere le fiale intatte, o non so… Le ho prese… Non so nemmeno cosa contenessero…»

Mustang e Hughes si guardarono perplessi. Non andava bene, quella storia era troppo confusa.

«Mi sembra una giustificazione un poco vaga… Voi avete visto questo fantomatico cestino, Hughes?»

«No, purtroppo sono arrivato quando la stavano già maltrattando…»

«Vi prego, dovete credermi! Non ho fatto niente di male!» urlò lei tutto d’un fiato, le lacrime agli occhi «Se volete uccidermi fate pure, perché il nostro Signore sa la verità e non mi punirà! Ma vi prego, non torturatemi! Non torturatemi! Ve l’ho detto il mio crimine, mi sono lasciata condurre dalla mia curiosità! Non so come altro giustificarmi!»

«Calma, calma, sono certo che riusciremo a districare questa matassa, ho bisogno solo di un po’ di tempo, anche se ammetto che non siete in una situazione favorevole, Hawkeye. Qui ci sono tutte le carte in regola per accusarvi di essere un’untrice! Capisce che la situazione è grave, vero?» rispose Mustang vedendola tanto sconvolta.

Nessuno, nemmeno chi avesse nervi di ferro e un controllo di ghiaccio non avrebbe potuto tremare al nome dell’Inquisizione. Nessuno conosceva esattamente che tipo di torture venivano praticate ma non per questo si aveva meno paura. Le voci che si sussurravano erano terribili, anche decisamente surreali, ma efficaci per comprendere il terrore che ormai era dilagato nella popolazione. Riza poteva anche essere all’oscuro di tutto e a conoscenza solo di queste dicerie, ma Roy le conosceva e sapeva che erano davvero così terribili. Mustang aveva perso tutta la sua bonarietà, aveva la fronte corrucciata in un disperato tentativo di essere serio. Doveva trovare una via di uscita, così come sapeva trovarne una d’accusa, tuttavia aveva bisogno di prendere tempo e quel Fury che continuava a prendere appunti in quel modo gli faceva soltanto venir voglia di defenestrarlo.

Con tutta la calma e serietà che gli era nota, disse «Bene, dovrò analizzare il vostro caso, Riza Hawkeye,» non poteva proprio fare a meno di dire quel nome, «Per il momento sarete tenuta in prigione, fino a quando non avrò accumulato abbastanza prove.» Si alzò, come a siglare le sue parole «E’ tutto.»

Il suo aspetto disciplinato e militare, lo sguardo tetro e serio sembravano finalmente averlo fatto rinsavire.

La giovane Riza si lasciò andare ad un singhiozzo, e scoppiò in un mesto e silenzioso pianto. Se solo quella mattina avesse potuto immaginare che la giornata sarebbe finita in quel modo, rinchiusa in una cella e trattata come una criminale… Proprio lei, che si riteneva una persona morigerata e estremamente retta! Che scherzo crudele che il destino le aveva riservato! Eppure non doveva comportarsi così, forse era Dio che voleva metterla alla prova. Doveva riappropriarsi della propria dignità e far vedere che non era una persona che cedeva in quel modo.

Tirò allora su con il naso, si alzò in piedi a testa alta, cercando di avere in viso l’espressione più seria e orgogliosa che potesse.

«Accetterò la prigionia, se servirà a provare la mia innocenza.»

«E vorrei ben vedere, non avete molta scelta.» rispose Mustang serio, mentre Hughes la prendeva per un braccio e si voltava verso la porta «Da parte mia cercherò di fare il possibile al riguardo.»

Avrebbe voluto almeno salutarla, ma il capitano Hughes aprì la porta e la portò fuori. Fury era ancora tutto intento a scrivere come se non fosse successo nulla.

Non andava bene quella situazione. Aveva capito perché Hughes l’aveva portata da lui: tra gli inquisitori era l’unico che avrebbe almeno provato a cercare qualche prova che la scagionasse. Se fosse finita sotto le mani di Kimblee o di Bradley l’avrebbero fatta torturare e il suo corpo sarebbe diventato cenere prima dell’alba del giorno successivo. Mustang, al contrario, non provava un piacere malsano a vedere le persone soffrire le pene dell’Inferno e confessare in seguito qualsiasi cosa, non smaniava per osservare roghi o annegamenti. Tra gli inquisitori era uno dei pochi che condannava sovente i rei a pellegrinaggi, oppure chiedeva al clero la scomunica. Quella era la giustizia, e non aveva senso far confessare il falso ad un condannato, non serviva a niente.

E poi quella ragazza… Era così bella, così innocente, così virtuosa e castigata mentre si copriva quei capelli biondi piena di imbarazzo…  Se quella era una strega lui era il Papa in persona. Doveva trovare il modo per tirarla fuori dai guai.

Guardò Fury al suo fianco, che stava riordinando le pergamene e l’inchiostro. Forse lui avrebbe potuto manomettere le carte, fare un nuovo documento… Ma cosa avrebbe potuto scriverci? Doveva esserci pur un motivo per cui Riza era finita davanti al suo scrittoio. No, doveva agire diversamente.

Si grattava con insistenza una tempia scervellandosi sul da farsi, quando Hughes rientrò nel cubicolo con un sorriso beota stampato sul viso.

«Ah, Mustang, Mustang, vecchia volpe… Lo sapevo che avrei fatto bene a portare quella ragazza da te!» esclamò con il tono informale che usavano tra di loro quando si trovavano soli.

«Per favore, Hughes! Guarda che non è fuori dai guai. A proposito, l’hai messa in cella, vero?»

«L’ho lasciata a Havoc, se ne sta occupando lui.»

«Bene. Il nome di questa ragazza non deve arrivare all’orecchio di King Bradley. Mi avete sentito tutti e due? Voglio che questa faccenda rimanga tra noi. Devo trovare il modo per liberarla…»

«Sapevo che vedendo questo dolce bocciolo di rosa ancora tutto da schiudere avresti preso a cuore la sua causa!» lo canzonò il capitano.

Le guance di Mustang divennero di un rosso acceso ma non aveva alcuna intenzione di cedere alle provocazioni del suo amico. Avrebbe dovuto risparmiare le energie per rendere l’impossibile possibile e non aveva la più pallida di dove iniziare. Era la prima volta che provava a fare una cosa del genere. Doveva essere prudente, molto, sia per salvare lei ma anche per salvaguardare se stesso. Se soltanto avesse lasciato una traccia del suo operato sarebbe stato ucciso come minimo. Sapeva di essere spiato, sapeva di non incontrare il consenso degli altri inquisitori. Aveva modi molto meno violenti e la sua “pietà” svigoriva le rigide regole di quel Sacro Istituto, doveva essere prudente. Lui voleva salvare più vite possibili ma non sempre era una cosa facile. La sua era una strada irta e pericolosa.

Ignorò le parole provocatorie di Hughes, si alzò e si allontanò deciso. Aveva bisogno di un posto dove meditare, un luogo che avrebbe potuto ispirargli una soluzione. Aveva già in mente quello che sarebbe potuto tornare utile e vi si diresse senza alcun indugio.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

Era stato ben facile per Mustang decidere di aiutare quella donna, il vero problema era pensare a qualche soluzione plausibile. Conosceva le insidie di quel mondo e sapeva perfettamente che anche se avesse trovato qualcosa di geniale non sarebbe passato inosservato. Un solo errore e sarebbe stato condannato senza alcuna revoca. Si era diretto in quel luogo, sperando vivamente di trovare l’ispirazione necessaria. Doveva essere rapido e prudente, non era di certo facile e proprio per questo aveva bisogno di qualcosa di speciale. Sperava che il miracolo si raffigurasse in quel santo luogo. Era tornato alle sue funzioni, alla sua concentrazione ed estasi religiosa.

Persino lui, alla vista di tutte quelle donne non poteva non darsi una calmata. Doveva indagare, sapere quale scegliere – questo era già più difficile – e non farsi scorgere. Ogni volta che si sentiva in difficoltà, che non sapeva cosa fare, pensava di poter contare su quelle visioni celestiale, ma quella volta gli mancava qualcosa. Tra quei visi devoti di falsa e vera umiltà non riusciva a scorgere quello sguardo impaurito e quei capelli biondi. Mai una donna gli aveva fatto quest’effetto, mai qualcuna aveva scavato un’emozione così fervida nella memoria. Aveva prediletto una sagoma, adorato un cipiglio, ammirato una chioma, ma mai aveva avuto qualcosa di così assoluto e travolgente. Persino tutto quel pubblico femminile non riusciva davvero a coinvolgerlo, non riusciva proprio a sentirsi come altre volte, avvolto in quel paradiso di bellezza. Quel giorno non notava altro se non volti colpiti e segnati dalla febbre, labbra sporgenti, tratti grossolani, espressioni ridicole.

Sospirò rassegnato, lasciandosi travolgere da una profonda enfasi nella messa che continuava ad andare avanti. Quelle mosse attiravano sempre l’attenzione della gente ma quella volta, circondato da volti maschili e sbirciato in lontananza da quelli femminili, non desiderava niente, non voleva essere notato. L’oggetto dei suoi pensieri non lo degnava certo di attenzioni e lui avrebbe dovuto dimostrargli il suo amore, liberandola. I poeti cortesi avrebbero invidiato la sua posizione e di certo gli avrebbero dedicato poemi e opere. Per quanto avrebbe rischiato il suo onore, la sua onestà e il suo buonsenso – potendo competere persino con Lancillotto e la carretta – sarebbero stati messi completamente in gioco per l’amore di quella donna crudele e sfruttatrice, ma sarebbe riuscito a conquistare il suo amore. La sua estasi e contemplazione aveva davvero ben altri fini, ma quella fu una delle messe più sentite da tutti per il comportamento di quell’uomo eccezionale. In fondo, non pensò a nulla di concreto, si era così perso nelle sue aspirazioni e brame da non pensare minimamente come aiutare quella donna. Era un caso difficile e di certo non poteva  contare sulla frivolezza per trovare un ispirazione, avrebbe dovuto escogitare decisamente dell’altro.

Aveva già escluso la possibilità di far falsificare la documentazione appena redatta da Kain Fury, non tanto perché non si fidasse di lui, ma piuttosto perché era troppo pericoloso. A credere alle parole di Hughes, troppe persone avevano mosso le medesime accuse alla dolce Riza Hawkeye (Quel nome suonava così bene, non poteva fare a meno di ripeterlo mentalmente in ogni momento!), e tutte le giustificazioni a cui pensava gli parevano vaghe esattamente come quella fornita dalla ragazza stessa. Il suo fidato segretario per lui avrebbe riscritto anche tutta l’accusa d’accapo, ne era certo, tuttavia era troppo rischioso per tutti, se ne rendeva perfettamente conto. Mustang poteva essere un uomo distratto e disinteressato alla propria pia carriera, ma di certo non era stupido, e non voleva rischiare di finire lui stesso su una forca a riempire lo stomaco dei corvi. Doveva trovare una strategia più sottile.

Si stava arrovellando così tanto la mente, che un rivolo di sudore iniziò a colargli dalla fronte pallida. Teneva lo sguardo fisso su un punto imprecisato del bancone davanti al suo, avendo ormai finito di scrutare le donne presenti. Le aveva osservate tutte una ad una, e la frustrazione insolita che gli era sopraggiunta lo aveva gettato in uno sconforto non indifferente. Le uniche che suscitavano un minimo della sua attenzione erano il solito gruppo di suore imprigionate nell’alcova sul lato destro dell’abside centrale, protette da una spessa griglia che non permetteva una buona visione dettagliata delle suddette, nonostante il suo posto fosse nella seconda fila di banchi, molto vicino all’altare. Non che in quel momento lo interessassero particolarmente come accadeva di solito, ma qualcuna di loro sembrava decisamente agitata, cosa rara per delle donne che non avevano altri interessi al mondo oltre alla preghiera e alla lettura delle Sacre Scritture. Non era loro nemmeno permesso di allontanarsi dal convento adiacente quella chiesa. In particolare, la priora gli pareva quella che si muoveva in modo più nervoso, tanto che addirittura gli era parso che dicesse qualcosa all’orecchio della sua vicina, una ragazza piuttosto giovane e dall’aspetto anonimo, sul cui viso celava malamente un’espressione preoccupata.

Chissà cos’avranno da parlottare.” Pensò irritato Mustang tra sé e sé. Le suore avevano spesso stuzzicato le sue fantasie, non lo metteva in dubbio, tuttavia si trattava di donne temibili: se una di loro si fosse accorta dei suoi sguardi insistenti avrebbe potuto fargli vivere un attimo di paradiso… Oppure rovinargli la vita. Sarebbe stato scomunicato o anche peggio, quindi non c’era da fidarsi. La loro era tutta finta ingenuità, ne era quasi sicuro.

Sospettava ovviamente che non fossero proprio tutte delle sante illibate come volevano far credere, per questo la cosa poteva rivelarsi parecchio pericolosa. Potevano diventare dei veri e propri serpenti malefici, ne era convinto.     

Quello era il volto della religione che spesso assumeva e sapeva perfettamente di non sbagliarsi, questi cambiamenti li aveva visti e vissuti in prima persona. Tutti quei volti potevano ingannare la maggior parte dei presenti, ma non lui. Ora avrebbe dovuto trovare qualcosa e sapeva di non potersi confidare con nessuno.

Le funzioni finalmente terminarono, il sacerdote lasciò la solita benedizione in latino – di cui nessuno capiva niente – e la folla iniziò a uscire dalle varie porte.

Mustang non si accorse di quello sguardo pungente che gli veniva rivolto. Quello sguardo era insito nella Chiesa stessa e lo pedinava, lo studiava e analizzava. Anche quando l’edificio diventò silente e vuoto, con la sola compagnia delle finestre colorate che riflettevano magnifiche luci sul pavimento, quello sguardo non pareva staccarsi da quella figura. Anche se era lontana, anche se fisicamente non era presente, lei lo seguiva.

Come ogni suora, la priora non poteva mai abbandonare quel luogo sacro. La chiesa era l’unico modo in cui poteva entrare in contatto con la gente, spiarla e scrutarla. Aveva modi eccellenti, una cultura abbastanza vasta, caritatevole e socievole. Era insomma una madre superiore di tutto rispetto, almeno in apparenza. Se solo ci si fosse sforzati di notare più a fondo la sua personalità nessuno avrebbe visto di certo visto una santa. Teneva nascosti dei capelli lunghi mai tagliati dopo la prima volta durante il voto; la sua stanza non era certo una cella di umiltà. Ma quella sua ipocrisia le permetteva tutto, anche situazioni decisamente sconvenienti. Essere una donna di potere nel monastero le aveva dato molti vantaggi e per quanto non fosse diventata suora per sua volontà, in fondo non se n’era pentita. Aveva un ottimo alibi per non essere una strega, era rispettata e sicura, poteva accedere a manoscritti importanti – e non per amore per la cultura ma solo per giungere a un’agognata ricerca – e poteva avere amanti con diritto di vita e di morte su di loro, era praticamente intoccabile. Non era fatta per quella vita di clausura eppure sembrava decisamente a suo agio.

Avrebbe voluto la libertà e l’indipendenza ma queste costavano decisamente troppo care. Avrebbe dovuto lavorare o vivere per strada – il suo aspetto ne avrebbe risentito – avrebbe dovuto essere davvero casta e umile – due qualità che decisamente non gli appartenevano – e avrebbe dovuto subire febbri e malattie che spesso si contagiavano vivendo a contatto con le strade e gli ambienti putridi. Questa scelta imposta  insomma, che aveva detestato all’inizio, in fondo si era rivelata la più saggia. Era troppo ben voluta per essere sospettata e troppo temuta e prudente per essere sorvegliata. Possedeva nelle sue mani le sorti della vita.

Era intenta nella ricerca, per soddisfare il suo più grande desiderio. Per quanto spesso leggesse l’Ars Amatoria di Ovidio con la scusa di approfondire chissà quale passo santo, esplorava manoscritti proibiti che normalmente non avrebbe mai dovuto leggere. Ricercava fino alla disperazione ed era sicura che sarebbe riuscita a trovarlo, dopotutto le mancava davvero poco.

In quel momento la chiesa si era ormai svuotata di tutti i suoi devoti fedeli, e lei si era messa in coda dietro le sue sottoposte in modo da chiudere la fila, e controllare che nessuna rimanesse indietro. Si ricordava fin troppo bene quando era diventata lei stessa una novizia, molti anni addietro, e tentava in tutti i modi di sfuggire al controllo della superiora dell’epoca nei momenti in cui quest’ultima era meno sospettosa. Era stato così difficile, eppure tutto questo l’aveva temprata. Era diventata scaltra, diffidente, prudente,ed era riuscita pian piano ad arrivare dove voleva grazie alla sua innata capacità di mentire e nascondere i suoi veri sentimenti.

 Il suo controllo austero e inflessibile delle altre suore avrebbe potuto parere incomprensibile rispetto ai  suoi comportamenti dissoluti, se solo qualcuno fosse venuto a saperlo, ma la donna si atteggiava in quel modo per delle buone ragioni: innanzitutto agli occhi della gente era una donna austera, pia e amante della giustizia, allontanando così i sospetti che avrebbero potuto scaturire dai suoi maneggi letterari e dalla scoperta delle sue relazioni, in secondo luogo, non aveva difficoltà ad ammettere a sé stessa che tormentare le altre era un’attività che la dilettava in modo viscerale.

Amava vedere soprattutto le novizie subire i medesimi trattamenti che le erano stati riservati quando era giovane: bacchettate sulle dita se non si applicavano nella preghiera e nello studio, rinchiuse senza cibo per giorni in una cella se le osservava mentre fissavano gli uomini troppo a lungo e altre punizioni di ogni sorta, quali fustigazioni e tormenti fisici che infliggeva personalmente, fingendo che quei castighi fossero un grande dispiacere anche per lei stessa, e che fosse obbligata dalla morale a punire i peccati delle sue sottoposte. Se c’era poi una cosa che adorava fare, era il taglio dei capelli delle nuove novizie: armata di rasoio si divertiva a pelare le loro testoline appena entravano in convento, e assaporava con gusto le loro espressioni sconvolte e tristi. A lei nessuno avrebbe più fatto una cosa del genere, mai. Quel potere era suo.

Manteneva un viso neutro e austero, mentre si riavviava nel salone del convento, ma nella sua testa già sapeva cosa avrebbe dovuto fare. Una sua informatrice sarebbe arrivata sotto copertura e fingendosi una mendicante l’avrebbe aggiornata sulle novità di East City. Quello era l’unico modo che aveva per poter interagire con il mondo esterno: i suoi fidati informatori. Ogni giorno ne arrivava uno diverso, e lei li ricompensava con monete o cibo. I poveri si corrompevano davvero facilmente… E lei aumentava la sua nomea di donna retta e caritatevole verso le persone sfortunate, accogliendole personalmente nel convento.

Fu così che quando, arrivata al convento, venne avvertita dell’arrivo di una donna indigente che chiedeva del cibo si precipitò nella stanzetta dove avrebbe avuto la conversazione che attendeva.

Il suo slancio, visto come gesto di pura e genuina gravità non era altro che bramosia di sapere e di conoscere. Per anni, come novizia, non aveva mai avuto nessun tipo di contatto con l’esterno ma quando finalmente era giunta alla carica che adesso ricopriva aveva sentito il desiderio di avere il controllo di tutti gli affari sotto di sé. Voleva tenere in pugno in quella situazione e poteva riuscirci, ne era certa. La sua in fondo era stata una vera e propria scalata al potere, quante donne avrebbero potuto vantare i suoi privilegi? Le nobildonne erano troppo pressate dalla società e dai pettegolezzi – nonché tediate dal proprio marito – dovevano avere un immagine, come lei, ma non potevano essere né colte né intelligenti né sensuali. La priora era sottoposta solo a Dio e dato che Lui non le si manifestava… Era fieramente indipendente. Perché una divinità come Lui avrebbe dovuto permettere che lei, e non magari una più meritevole, reggesse il potere? Perché in Suo nome l’Inquisizione commetteva carneficine per vedere il puro terrore e il sangue? Proprio per questo il mondo voltava al rovescio, la Scolastica aveva ragione, Dio era troppo impegnato nell’aspirare a se stesso per contemplare la bassezza umana.

Giunse finalmente al luogo dell’incontro. Avrebbe voluto guardare la donna con uno sguardo penetrante, con tutto il desiderio di sapere che l’alimentava. Si contenne. Il suo fu una fusione tra il caritatevole e l’ipocrisia, corredato da una certa aria di sensualità che non riusciva a non nascondere. Consegnando il compenso pattuito ebbe le informazioni che tanto agognava e non erano per niente deludenti. Se c’era un vantaggio di accattivarsi i deboli e gli indifesi era proprio perché stavano ovunque e sentivano voci che spesso le guardie avrebbero esitato a lasciar trapelare. Non che i suoi modi non riuscissero a persuadere anche i più duri di loro, tutti gli uomini condividevano uno stesso difetto e lei sapeva come accontentarli, ma preferiva essere il più prudente possibile.

Ascoltava ormai le parole concitate di quella donna quasi sdentata, che parlava in un modo abbastanza inarticolato, eccitato e volgare. Ma la priora aveva ormai imparato anche a distinguere il vocabolario del volgo e riusciva a estrarre dal tutto ciò che era più interessante.

«Il mercato, signora! Dovevate vedere quanta bella roba! Cibo in abbondanza, ci vogliono far credere alle carestie, ma io ho detto no! Non ci credo ovviamente, è tutta una mossa. Anche le stoffe di quel posto.. Ching? Xing? Abbondavano, questa non può di certo essere crisi! E ci pagano una miseria, figuratevi, neanche i soldi per il pane o per una misera minestra! Le streghe non potevano non venire! Dove c’è ricchezza c’è lui, sissignora. Quel viscido essere del Diavolo! Ma io lo avevo capito, il predicatore aveva aizzato tutti ma io già tenevo d’occhio quella sciagurata! Senza velo, capelli d’oro – il diavolo ha molte forme! Ora bisogna diffidare anche dagli angeli – sguardo simpatico…  Ma non si vergognava di vendere i suoi intrugli fingendoli per buoni. Il predicatore ha detto qualcosa nella santa lingua del latino ma non c’era bisogno di lui per comprendere la situazione!» Riprese un attimo fiato, interrompendosi un secondo.

La superiora rimase composta, ascoltando pazientemente, mentre dentro di sé il fuoco ribolliva. Bramava sapere cosa stava succedendo nel mondo esterno che le era precluso.

«Continuate, mia cara, di grazia. Purtroppo qui dentro non mi giunge mai nessuna informazione dal resto di East City … Mi state rendendo un amabile servizio, raccontandomi le brutture del mondo, sai, devo proteggere le mie novizie, queste storie servono da monito.»

«Certo, signora! E appunto dicevo, c’era la strega, e tutti l’hanno riconosciuta, per grazia del Signore! Stavano per ucciderla, dovevate vedere la gente! Oh, non l’avrebbe passata liscia, io ho visto tutto! La volevano bruciare, avrebbero fatto proprio bene! Avrei sputato sulle ceneri di quella disgraziata! Figlia del Demonio!»

La vecchia rise di gusto, mostrando una chiostra di pochi denti, tutti marci. La priora si trattenne a stento dall’arricciare il naso disgustata.

«Ma sapete una cosa? Io so anche come si chiamava, perché ho sentito che pronunciavano il suo nome! Se le guardie me lo chiedono io glielo dico certamente! Winry Rockbell! Lo gridavano e poi ho sentito tante cose su di lei! Vive da concubina con due uomini senza nessuna vergogna, e non sapete che attività ripugnanti e lussuriose praticano quei tre sciagurati! Non voglio nemmeno ripetere le cose che ho sentito, vi spaventereste!»

La priora in realtà le avrebbe ascoltate più che volentieri. Lasciò comunque che l’altra continuasse senza interromperla.

«Sono arrivati quei due fratelli e l’hanno portata via prima che venisse fatta giustizia divina. Che siano anche loro maledetti… Due bei ragazzi, per carità, con i capelli d’oro anche loro! Quello più basso li porta lunghi, ci ha attaccati e dovevate vedere che sguardo feroce! Ha ferito anche un pover’uomo che voleva solo fare giustizia… L’altro invece è più alto, ha il viso gentile e tranquillo, ma io so che non c’è da fidarsi! Infatti è quello lì che li ha fatti fuggire! Oh poveri noi, siamo brava gente circondati da eretici…  Abbiamo trovato una seconda strega! Questa non ha fatto resistenza, ma è arrivato il capitano delle guardie e l’ha arrestata! Non vedo l’ora di vederla bruciare, lui l’ha consegnata personalmente all’inquisitore… Ehm… Quello giovane e bello, oh bello come il sole! Ha i capelli neri, devotissimo signore, sì! Devo andare da lui e dirgli di quei tre, in modo che li arresti pure loro!»

A quel punto la priora era davvero intrigata dal discorso. Si sporse leggermente in avanti dal suo scranno, e cercò le parole più delicate che conosceva per spingere l’altra donna a rivelare cosa aveva visto. Faceva finta di nulla, tuttavia aveva capito a chi si stesse riferendo: i fratelli Elric. Già altre persone l’avevano informata al riguardo di strane attività da parte di quei giovani individui, in particolare aveva saputo di gente che si era recata da loro a causa di problemi di salute… E che effettivamente era guarita, o almeno così si diceva. Questa era una cosa che le interessava da parecchio tempo, perché quei due sicuramente avevano delle nozioni di medicina… Proprio quello che le serviva per le sue ricerche segrete.  

«State parlando sicuramente dell’inquisitore Roy Mustang… Ho sentito dire che è un uomo pio e giusto nelle sue condanne. Dalla nostra alcova privata accanto all’altare lo vedo sempre nelle prime file.»

«Proprio lui, mia signora!»

Mentre la donna prese a parlare di cose più o meno importanti, soprattutto riguardo alla sua intelligentissima – a suo dire – ragione per cui la peste e la carestia non fossero mai esistite, la priora era immersa in ben altri ragionamenti. A stento riusciva a nascondere il sorrisetto lascivo che stava sorgendo sempre più impetuoso sul suo volto. Aveva proprio ragione a dire che fosse proprio un’ottima preda, prima o poi sarebbe riuscita a farlo cadere nella sua trappola. Dopotutto aveva molti metodi e si intratteneva sempre in nuove avventure. Aveva davvero un qualcosa di perverso, lei lo sapeva e se ne divertiva. Era quello il bello del gioco.

«Inoltre tutto questo non basta al Diavolo! E’ stato imprigionato un altro miscredente dall’Inquisizione! Sicuramente i grossi lo sistemeranno a dovere. Un farabutto credetemi, non mi ricordo nemmeno il nome… Fatto stare che merita più di una pubblica punizione e magari dopo averlo esposto in gabbia o alla ruota lo uccideranno. Dovrebbero ripulire un po’ di più il mondo da questo letamaio! Negli ultimi tempi stanno facendo il possibile ma questi si riproducono e si diffondono come non mai, altro che peste! Loro sono la peste della nostra epoca! Spero solo che la morte non sia abbastanza poco. Ma perdonatemi! Magari, Madre Solaris, con questi discorsi vi annoio e potrei ferire la sensibilità.»

Madre Solaris scosse la testa, lanciando uno sguardo seducente «Come ho già detto, questi non sono altro che esempi da dare alle nostre novizie. Questi avvenimenti sono concessi da Dio solo per dimostrare agli uomini la crudeltà delle loro azioni.»

Ormai la priora aveva perso qualsiasi interesse in quei discorsi, continuava a svolgersi il naturale flusso degli eventi, ma lei aveva bisogno di risposte il più in fretta possibile. Bramava quella sapienza che avrebbe potuto accontentarla. La sentiva vicina, tanto vicina da poterla afferrare e stringere tra le dita eppure ancora così effimera da sentirla frantumarsi come sabbia tra le sue mani. Le sfuggiva un misero dettaglio e lei voleva conoscere la risposta. Era sicura che l’avrebbe trovata, avrebbe travolto chiunque pur di raggiungere la verità. Era giunta fin lì e non aveva alcuna intenzione di ritirarsi. Avrebbe anche ucciso e assassinato, non in prima persona ovviamente, ma ormai stava sfiorando la sosta e non ci mancava poi più di tanto per infrangere quella soglia. Sentiva la dolcezza di quella situazione ed era completamente inebriata da quella fama di potere. Ormai la sua mente era lontana da quella vecchia sdentata, futile mezzo marcio. Per lei un informatore valeva altro, aveva spie ovunque ed erano facilmente sostituibili, per lei quell’ammasso di carne non aveva alcun senso. Era stupida e ignorante, oltre che brutta e senza alcuna speranza.

La Madre si presentava caritatevole ma il suo era un puro disgusto verso quei mendicanti che la schifavano oltremodo. Era uno dei prezzi che doveva pagare e soltanto pensare alla ricompensa la ripagava da quei sforzi.

Aveva letto tanti di quei libri al riguardo… Avrebbe potuto ottenere l’Immortalità e scoprire i segreti del mondo, le mancavano così pochi elementi…  E nessuno ancora aveva il benché minimo sospetto sulla sua persona, il che la metteva in una posizione decisamente favorevole. Assolutamente doveva arrivare ad attirare Mustang nella sua trappola. Sarebbe stato un gioco da bambini.

Sempre sorridendo, la priora si congedò dalla sua maleodorante ospite, incalzandola ad andarsene da lì in fretta.

«Mia cara, sarei immensamente felice di rimanere ad ascoltarvi mentre mi parlate del mondo, ma purtroppo Nostro Signore mi richiama ai miei doveri. Le mie novizie si saranno già raccolte per il pranzo, e io rischio di arrivare in ritardo, cosa decisamente disdicevole per il responsabilità che ricopro. Vi accompagno alla porta… Tornate nei prossimi giorni, le vostre informazioni saranno come al solito ricompensate.»

Quando la donna se ne fu andata, Madre Solaris tirò un sospiro di sollievo. Camminando nei corridoi, la sua mente era totalmente assorta nelle macchinazioni di un piano per entrare in contatto con Mustang. Avrebbe agito il giorno successivo.

Aveva fatto finta di nulla davanti a quello scarto umano, ma la storia dell’ultimo detenuto la conosceva benissimo, ed era quello che le interessava più di tutti: era un infedele straniero che pareva avere moltissime informazioni riguardanti la sua ricerca. Doveva entrare in contatto con lui prima che venisse giustiziato, poi avrebbe pensato a farsi raggiungere anche dai fratelli Elric, che anche se si erano messi nei guai, erano comunque ancora liberi. Una cosa per volta, doveva agire con astuzia.

Entrando nel salone del pranzo, riacquisì uno sguardo benevolo.

Sarebbe stata una lunga giornata.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Erano ormai due giorni che i fratelli Elric e Winry Rockbell non uscivano dalla loro casetta ai limiti di East City. Non avevano osato mettere il naso fuori per evitare che la gente li riconoscesse e che la situazione peggiorasse ulteriormente, dato che già erano consapevoli di essersi messi in guai seri. La loro vita non era mai stata tanto in pericolo dopo quello che era successo nella piazza del mercato.

Alphonse era spaventato. La prima notte l’aveva addirittura passata a piangere silenziosamente in modo che gli altri non se ne accorgessero, perché in fondo un po’ se ne vergognava. Così si era rannicchiato nel letto con il viso rivolto al muro, strofinando tra le mani l’unico ricordo che gli era rimasto di sua madre: una croce di metallo di medie dimensioni, ornata con dei simboli fastosi ed al centro una piccola sfera su cui era inciso un disegno purtroppo illeggibile, forse una lettera. Quando si sentiva triste, solo o spaventato tenerla tra le dita lo rassicurava. Era un ragazzo grande e forte, eppure così sensibile, soprattutto rispetto al fratello che pareva non temere nulla. Invece Alphonse tremava come una foglia all’idea di cosa sarebbe successo di lì a poco. Era solo questione di tempo, prima o poi le guardie sarebbero arrivate e li avrebbero portati nelle prigioni vicino al tribunale per torturarli. Aveva visto con i suoi stessi occhi la condizione delle persone che venivano condannate alla pena capitale per delitti come i loro: era pieni di ferite, di ustioni, a volte non riuscivano nemmeno a stare in piedi perché avevano le gambe rotte, e quelle visioni di ossa che bucavano la pelle, di scalpi e maschere di sangue gli facevano girare la testa. Non voleva che andasse in quel modo, non voleva vedere Edward e Winry patire quelle sofferenze prima di finire su una pira o di venir gettati in un pozzo con gli arti legati…

La ragazza dal canto suo era ancora decisamente scossa da ciò che le era accaduto, ma anche desiderosa più che mai di fuggire. Lei non era riuscita a chiudere occhio, ogni volta che provava ad addormentarsi sentiva nella sua mente le urla di una folla inferocita che voleva farle del male. Nemmeno la vicinanza di Edward la rassicurava del tutto. Ad ogni scricchiolio della vecchia abitazione sentiva il cuore batterle forsennatamente in petto, tremava tutto il giorno come una foglia, e si rifiutava anche solo di avvicinarsi alle finestre. Non mangiava quasi niente se non dei piccoli bocconi, e a nulla valevano le parole che l’amico le rivolgeva per incitarla. Del resto Edward era molto in pena anche per lei oltre che per Alphonse. Vederla così frastornata, tremante, terrorizzata, e con le braccia e il viso pesti, rannicchiata tutto il giorno sul pavimento o nel letto con i capelli coperti malamente da una pesante stoffa come non aveva mai fatto lo faceva impazzire di rabbia e di dolore…

Per fortuna che almeno lui, al contrario degli altri due, si era comunque ripreso abbastanza in fretta. Era ancora ammaccato, il livido intorno all’occhio era sempre di un vivo blu violaceo, eppure sembrava come sempre pieno di energie. Aveva girato in continuazione per casa senza meta come un leone in gabbia, pensando ad un modo per andar via senza farsi notare. Ne aveva parlato molto anche con Alphonse e Winry.

Tuttavia, sapeva bene che, come quel movimento incessante e vorticoso che compieva avanti per la piccola stanza, anche i suoi pensieri erano abbastanza confusi. Sapeva di dover recuperare a tutti i costi la sua lucidità, di doversi calmare e ragionare con tranquillità, con il metodo scientifico che utilizzava anche nel sezionare i cadaveri e studiare ogni tipo di scienza. Con un grande sforzo, provò a sedersi, a placare quella furia che non permetteva a nessuno dei suoi arti di rimanere fermo. Tentò in ogni modo possibile, tentò davvero di raggiungere la freddezza necessaria per progettare qualcosa di sicuro e intelligente. Ma i sentimenti che lo tenevano strettamente legato alla vicenda, la sofferenza che vedeva riflessa nelle persone che più amava e quel silenzio inquietante, gli metteva agitazione. Non poteva di certo pensare in quelle condizioni!

Con potenza e prepotenza sferrò un calcio, facendo cadere lo sgabello vicino e far sobbalzare i suoi coinquilini. Si alzò rapidamente in piedi, incurante di quello che aveva fatto. Sentiva una rabbia tale che, era sicuro, lo avrebbe condotto a uccidere uno per uno quella folla. Era frustrato e non solo perché si era giunti a quel momento. Lui aveva sempre lottato contro tutte quelle istituzioni per salvare ogni singola vita, per trovare una cura a quella malattia che decimava ormai la popolazione. Rischiava la sua vita, vivendo ai margini della società e di certo non nell’allegria, ma nel timore di essere sempre scoperto, non capito, cacciato o peggio. Aveva sempre temuto quel momento, ma era stato più duro del previsto. Aveva assaporato il disprezzo per la sua carità, la non comprensione dei suoi sacrifici e la reazione violenta dei suoi sforzi per salvarli.

 Batté un pugno sul tavolo, sentiva tutta quella furia montargli fino alla testa, sentiva quell’impotenza che lo avrebbe condotto inevitabilmente al pianto se non fosse stato così testardo e determinato da non cedere, da non far trapelare la sua disperazione e quindi la sua debolezza. I capelli biondi andarono a nascondere e oscurare il suo sguardo. Era giunto al limite, ora era davvero il momento di cambiare atteggiamento. Per lui adesso conoscere una cura non era più una questione di mero aiuto, era questione di orgoglio, doveva dimostrare che tutta quell’incomprensione era sbagliata. Avrebbe smascherato la ridicola corruzione della Chiesa, avrebbe trascinato nel baratro quell’istituzione che rigirava a suo vantaggio il latino, non compreso dalla maggior parte della folla, per i propri interessi. Lui non credeva, non aveva mai creduto. Perché Dio avrebbe dovuto provocare tutto questo dolore alla sua gente? Aveva fatto delle ricerche scientifiche, aveva indagato e appurato con la stessa meticolosità con cui si era gettato nei suoi appunti di medicina. La Chiesa interpretava a suo vantaggio tantissime situazioni, lo aveva sperimentato e provato. Ma se solo avesse osato ad alzare la voce, se soltanto avesse osato dire la propria sapeva che non sarebbe stato creduto. Tutto sarebbe stata un’accusa ulteriore delle sue azioni. Ora doveva trovare quella soluzione alla peste e per trovarla avrebbe dovuto portare prima al sicuro suo fratello e Winry. Avrebbe dovuto pensare lui a cosa fare, erano nelle sue mani.

Tutto era pronto. Appena sarebbero calate le tenebre sarebbero scappati, per recarsi probabilmente verso Resembool, un piccolo villaggio che si trovava abbastanza lontano dalla loro città, ma comunque raggiungibile in qualche giorno di viaggio se avessero mantenuto un buon passo di marcia. La madre dei due Elric era originaria di quel luogo, e anche loro erano nati lì. Quando era rimasta sola dopo che loro padre li aveva abbandonati, Trisha Elric se ne era andata e aveva trovato rifugio a East City. Nessuno li avrebbe riconosciuti, e avrebbero potuto ottenere qualche attimo di pace in quel luogo. Avrebbero avuto quindi tutto il tempo di pensare al da farsi.

Edward aveva appena finito di radunare sul tavolo della stanza principale le provviste per il viaggio che aveva trovato in casa: dei cavoli, del pane ormai non più freschissimo, qualche striscia di carne salata, delle borracce d’acqua, una saccoccia contenente un pugno di monete d’argento. Era consapevole che non sarebbe stato sufficiente per il viaggio che li attendeva, ma avrebbero potuto rifornirsi lungo la strada, se solo avessero avuto un pizzico di fortuna. Nonostante il periodo buio, c’erano molti mercanti che battevano le rotte commerciali, e se ne avessero incontrato qualcuno avrebbero potuto comprare qualcosa da mettere sotto i denti.

Quando Edward l’aveva fatto notare ai due compagni, aveva immediatamente notato l’espressione nervosa di Alphonse. Aveva anche capito perfettamente il perché di quella reazione, conoscendo il fratello come le sue tasche: Trisha raccontava sempre che loro padre era un facoltoso mercante, per questo se ne stava sempre lontano da casa. Evidentemente aveva trovato qualche bella ragazza esotica durante i suoi viaggi, perciò li aveva ripudiati, o almeno, questa era l’idea che Edward si era fatto della vicenda, anche se sua madre aveva sempre glissato la questione, e più ci pensava più si rodeva il fegato di rabbia...  Per questo aveva deciso di non iniziare una conversazione con Alphonse su quell’argomento ostico, non era il momento di litigare. Purtroppo avevano due pareri completamente diverse riguardo a quel farabutto del loro padre.

L’attesa delle tenebre nella loro casetta divenne estenuante, il tempo sembrava non passare mai. Ormai i fagotti erano pronti, nessuno parlava.

Winry rimaneva sdraiata nella sua brandina, infagottata in una coperta, silenziosa, Edward non poteva fare altro che sospirare, seduto al tavolo senza curarsi del mobilio che poco prima aveva calciato, vicino ad Alphonse, che si teneva la testa ciondolante con una mano e nel frattempo con l’altra giocherellava con la solita piccola croce.

«Dici che a Resembool ci riconosceranno?» chiese quest’ultimo ad un certo punto con voce preoccupata.

Il maggiore scosse il capo.

«No, non credo proprio. Dobbiamo essere rapidi e la notizia non arriverà fino lì. Nessuno sa che la mamma era originaria di quel posto tranne…»

«Tranne Pinako… Lo so… Ma io mi chiedevo, fratellone… Sei sicuro che non abbiamo parenti lì?»

«La mamma ha sempre detto che non aveva nessuno al villaggio, che era figlia unica e che i suoi genitori erano morti. Perché avrebbe dovuto mentirci?»

«No… Io pensavo a papà, Ed…»

«Non parlare di lui. Era di Central City, non di Resembool. E poi non sappiamo nemmeno che faccia abbia, quel maiale schifoso.»  

La voce di Edward si era fatta tagliente come la lama di un rasoio, le sue guance si erano infiammate di colpo. Era evidente che stesse perdendo nuovamente il controllo di sé. Non amava sondare la questione sia per non ricordare il padre che aveva misconosciuto e li aveva abbandonati sia per non entrare in disputa con Alphonse come si era prefissato dal principio. Soprattutto in quel momento tanto difficile non era proprio il caso di discutere sulla faccenda. Il carattere di Edward non gli permetteva certo di sentire quelle repliche da parte del fratello, lui era convinto nel suo odio verso il padre e nessuno sarebbe riuscito a farlo rinsavire, nemmeno lui, doveva ben ricordarselo!

Alphonse tacque, chiudendo in sé i suoi dubbi. Continuava ad aggrapparsi a quella croce, continuava a stringerla nelle mani come se quell’oggetto potesse rivelargli delle certezze. Winry continuava a rimanere completamente immobile, immersa in quel suo dolore, incapace di reagire.

Quel silenzio era pesante, mosso da una grande tensione.

Edward era ricaduto nella sua solita rabbia, il fratello rimaneva zitto e fermo in un angolo con la croce stretta sul petto.

Quell’aria di tensione non diminuiva, ognuno rimaneva intento nelle proprie attività, nei propri pensieri, infestando la stanza da numerosi dubbi che, simili a fantasmi, ormai avevano preso il pieno controllo di tutta la casa. Erano succubi di quei mostri nati dal loro inconscio e non sapevano più come liberarsene. Immersi in quei tristi pensieri, nelle proprie paure non riuscivano a lottare e rialzarsi. Il tempo passava fin troppo lentamente e niente sembrava placarsi. Le loro paure vecchie e nuove si confondevano, si univano, fino a generare una completa impotenza verso la minaccia incombente. Senza la loro forza di volontà e il loro desiderio di vivere certamente non sarebbero andati avanti ma erano troppo poco lucidi per rendersi conto della situazione. I loro timori, anche se tutt’altro che irrazionali, li stavano sviando, e la discussione era dietro l’angolo. Edward non era in sé, Alphonse non era in sé e nemmeno Winry… Lei era sicuramente quella che stava peggio, costretta a metabolizzare le violenze subite.

La negatività di quella piccola stanza stava diventando soffocante, e il maggiore dei due Elric annaspava in cerca di aria incontaminata.

«Io… Io devo uscire un attimo…» farfugliò a voce bassa. 

«E dove vai, Ed? Non dovevamo uscire solo dopo il tramonto?» rispose Alphonse come risvegliatosi dalle sue funeste fantasie.

La ragazza, che sembrava non aver posto alcuna attenzione verso i loro discorsi precedenti, mosse il capo e guardò con occhi spaventati e gonfi di pianto nella loro direzione e annuì debolmente.

«Voglio partire in fretta…» pigolò.

«Devo prendere ancora delle provviste, poi potremmo partire.»

«Dai, per favore, se qualcuno ti vede saranno guai! Hai detto che avremmo comprato da mangiare lungo il cammino, non è da te cambiare idea tutti i momenti!» cercò di rimproverarlo Alphonse. Peccato che il suo tono di voce non riusciva ad essere in alcun modo adirato, anzi, pareva più una supplica.

«No, prendo ancora un paio di cose e torno.»

Che scusa patetica, se ne rendeva conto da solo. Il problema era che non sarebbe riuscito a stare un minuto di più chiuso lì dentro con quegli altri due. Non poteva odiarli, eppure avvertire i singulti incontrollati di Winry e le lagne su loro padre di Alphonse era ormai una cosa intollerabile. Non ce la faceva davvero più, doveva schiarirsi le idee o non avrebbe potuto affrontare il viaggio con la sua solita mentalità razionale. Non aveva talmente più voglia di ascoltare quei due, che uscì di casa a tutta velocità, sbattendosi la porta alle spalle, quando il Sole si stava ancora avviando verso l’orizzonte, gettando solo qualche schiva ombra su East City.

Era palese che non stesse andando a cercare nulla da mangiare anche dal fatto che non aveva preso nemmeno un cestino con sé. Alphonse non era stupido e lo notò immediatamente, eppure rimase paralizzato sulla sua sedia, la croce eternamente stretta nella mano, indeciso su cosa fare. Doveva andare a recuperare il fratello oppure aspettarlo in tranquillità, concentrandosi magari su Winry, in modo da farla uscire da quello stato catatonico prima di mettersi in marcia? E se Edward si fosse cacciando nei guai? Non sarebbe riuscito a lasciare la città senza di lui, i rimorsi lo avrebbero divorato. Lui amava così tanto suo fratello…

Stringendo i pugni tanto da sbiancarsi le nocche, si alzò in piedi e senza dire una parola corse a sua volta fuori dalla casetta. La ragazza sarebbe stata al sicuro, pensava tra sé e sé, tanto non si sarebbe sicuramente mossa. Sarebbe stato via giusto il tempo di trovare quel testardo di suo fratello e tornare indietro, in seguito sarebbero immediatamente partiti tutti insieme. Doveva preoccuparsi più per lui che per lei, dato che se qualcuno lo avesse visto gironzolare indisturbato per la città non gliel’avrebbe fatta passare liscia.

Lui era solamente preoccupato e dilaniato da quei sentimenti contrastanti che lo stavano invasando. Aveva il cuore palpitante, l’anima in subbuglio, non si era minimamente reso conto di come avesse fatto degenerare la situazione a causa dei suoi pensieri, avrebbe dovuto rimettere presto una pezza a quella storia e in fretta. Suo fratello era senza dubbio intelligente, un ottimo scienziato, addirittura prudente quando non perdeva la testa. Conosceva la sua impulsività, sapeva perfettamente il suo modo di fare e non poteva non volergli bene, non poteva in alcun modo smettere di stimarlo e apprezzarlo. Avrebbe dovuto stare più attento, solo lui poteva mettere freno, con la sua cautela e dolcezza, all’energia dirompente dell’adorato fratello. Lui lo sapeva e quella volta, nel momento di maggiore fragilità, nel momento in cui sarebbe dovuto essergli più vicino, lui non c’era stato e lo aveva abbandonato. Lo aveva lasciato per quella stupida croce, il ricordo sbiadito di un passato lontano e incerto. Lo aveva scartato per ricordare ancora una volta le origini di un padre lontano, che li aveva rifiutati. Lui capiva il risentimento di Edward, comprendeva appieno quella mancanza che sentiva in fondo al petto, quel colmo che non era mai riuscito a riempire. Per lui era stato anche più semplice, non solo Pinako e Winry erano sempre state vicine, ma anche Edward… Lui era stato il suo baluardo e difensore, lui aveva sostituito appieno come fratello maggiore anche suo padre. Non avrebbe potuto non essergli più grato.

Continuava a camminare, trascinando con sé quella pesantezza, quei sentimenti che lo aggravavano con la loro devastante mole. Si sentiva schiacciato e soltanto con un’immane forza di volontà cercava di trascinarsi in avanti, alla disperata ricerca del ragazzo.

Nonostante tutto questo, tutto questo amore di cui non si poteva lamentare, lui non riusciva a convincersi del tutto ad abbandonare la ricerca dell’uomo che aveva loro dato la vita. Voleva mettere fine a quei dubbi, alle incertezze dell’abbandono, ma anche vedere finalmente il suo vero volto, per avere un immagine familiare a cui rivolgersi. Nei suoi remoti desideri e nelle sue mai perdute speranze continuava a figurare nella sua mente l’idea di famiglia che avrebbe potuto condividere gioie e dolori. Non si era mai accorto che le opulenze delle famiglie più ricche, la falsa cortesia che albergava in ognuno di loro non era altro che apparenza. Lo spettro di una società che avrebbe voluto dimostrare valori di cui era completamente priva e spoglia. Avrebbe voluto piangere, scacciando così via da sé quell’infinita sofferenza che lo attanagliava.

Camminava rapido, senza fermarsi, imboccando strade a caso senza alcun nesso logico. Era confuso ma allo stesso tempo sapeva perfettamente dove andare, come se seguisse un filo invisibile che lo legava al fratello. Di questo non ne aveva mai fatto parola, eppure ne era convinto. Probabilmente a Edward sarebbe sembrata solo una sciocca superstizione, ma Alphonse era fermamente convinto che qualcosa di molto potente lo collegasse a lui. Erano così diversi, ma malgrado ciò erano sincronizzati e andavano molto d’accordo: sicuramente c’era un motivo, qualcosa che nemmeno la scienza avrebbe potuto testimoniare a livello di ossa o sangue, qualcosa che andava ben oltre a qualsiasi sapienza umana.

Il solo fatto di ritrovarsi davanti Edward, il solo fatto di averlo trovato in quella grande città con la sola forza della disperazione e dell’istinto era un’ulteriore prova ai suoi pensieri.

Mentre Alphonse quindi gioiva per essere riuscito a rintracciare il suo irascibile fratello sano e salvo a braccia incrociate e scuro in volto, appoggiato ad un muro all’ombra di un vicolo che puzzava di liquami, Winry aveva trovato un moto di coraggio e si era seduta sul letto. Si guardò attorno con aria stranita e all’erta ad ogni minimo rumore, poiché iniziava ad essere molto inquieta. Non voleva più stare da sola in quella casa, il tempo sembrava non passare mai.

Maledì mentalmente il momento in cui quel testardo di Edward era uscito da quella porta, aveva solo rallentato la loro partenza… E la ragazza non vedeva l’ora di andarsene. Non aveva più nulla da spartire con East City e con i suoi abitanti, per lei potevano morire tutti dal momento in cui avevano cercato di ucciderla insieme ai suoi due amici. Loro stavano cercando solo di aiutarli e di salvarli, e questo era quello che avevano ottenuto: insulti, lividi ed escoriazioni! Non avrebbe smesso di supportare il loro lavoro solo perché erano troppo legati, e poi Edward… Edward era una persona speciale. Mai come in quei momenti in cui pareva catatonica e insensibile alle sue attenzioni aveva sentito così vivida una fiamma d’affezione nei suoi confronti. Aveva sussultato segretamente di piacere ogni volta che aveva avvertito la sua mano accarezzarle dolcemente una spalla o una scapola, aveva avvertito la pelle coprirsi di brividi e le gote incendiarsi. Si sentiva strana e ingenua, un po’ sciocca forse. Lui le aveva salvato la vita, e gli era così grata per questo. Non che non lo fosse nei riguardi di Alphonse, eppure non era la stessa cosa. Lui era gentile e sensibile, tuttavia non suscitava in lei le stesse emozioni. Ogni volta che Edward le aveva sussurrato delicatamente qualche parola di conforto all’orecchio aveva percepito degli spasmi nei visceri del bassoventre, piacevoli e dolenti nello stesso tempo. Arrivò persino a chiedersi se per caso il trauma non l’avesse fatta uscire di senno. Erano stati cresciuti insieme, doveva vederli come fratelli… Ma non poteva mentire a se stessa: no, non lo erano e non lo sarebbero mai stati.

In cuor suo non vedeva l’ora di giungere a Resembool, che si immaginava come un sorridente villaggio di poche case immerso nella natura, lontano dalla malattia e dalle brutture dei giochi di potere, senza religiosi invasati, senza Inquisizione, senza soldati, dove tutti vivevano in pace grazie agli umili lavori campestri. Avrebbe sicuramente trovato delle nuove piante con cui riprendere la sua attività, e magari lì nessuno le avrebbe fatto del male, avrebbe potuto rendersi utile… Aveva ascoltato tante volte quando era una bambina i racconti malinconici di Trisha, mentre descriveva quella cittadina idilliaca da cui purtroppo era fuggita per conservare un fantomatico onore perduto…

Era persa nelle sue fantasticherie innocenti, quando avvertì dei colpi forti e sordi contro la porta di legno della casa. Sì spaventò talmente tanto da non riuscire a non emettere un piccolo gridò terrorizzato. Il cuore le batté impazzito nel petto. Edward e Alphonse non avrebbero picchiato in quel modo, non potevano essere loro.

«Aprite subito! Aprite o bruciamo la casa e vi lasciamo dentro!» gridò una voce minacciosa.

Winry tremava senza alcun controllo.

Si accasciò a terra in silenzio, sentendo completamente tutti i suoi muscoli non sostenerla più. Quel coraggio che era riuscita pian piano ad acquistare, quel piccolo slancio di arditezza che era aveva accumulato e manifestato in quei pochi minuti era stato completamente inutile. Sbattuta nuovamente in quel lido di terrore, oppressa dalla paura, non sapeva cosa fare. Il suo cervello la scongiurava di salvarsi ma non sapeva come, non sapeva cosa fare e non sapeva dove andare. Era caduta completamente nel panico e anche se avesse voluto fare qualcosa le sue membra non la sostenevano, l’avevano completamente abbandonata al suo destino. Non aveva nemmeno le forze per agitarsi, nemmeno per compiere un atto disperato mosso dal desiderio di sopravvivenza. Solo la sua mente continuava a muoversi, rischiando di farla impazzire, perché avvertiva solamente di essere inerme e spacciata. Si sentiva completamente scoppiare la testa, tutte quelle energie avrebbe potuto utilizzarle in un altro modo, tuttavia era inchiodata a quel posto e trafitta da migliaia di spilli che le procuravano un dolore irresistibile.

Tutto iniziò a prendere tinte meno marcate, si ritrovava nella piazza, trascinata da quelle persone che la ritenevano una strega. Sentiva tutto il loro disprezzo, aspettava la sua morte e proprio nel momento in cui Edward sarebbe dovuto venire in suo soccorso, lui non giungeva. Viveva in continuazione quell’Inferno che aveva provato solo qualche giorno prima, continuando a rivivere la stessa scena, senza potersi ribellare. A quell’immagine poi iniziò a sovrapporsi il dolore delle torture. Aveva ascoltato a malapena i sussurri nelle strade, ciò che la gente diceva a proposito delle torture e le sentiva sperimentate su di sé, sentiva proprio un dolore fisico lacerarla. Era completamente ingabbiata nel terrore e nella sofferenza, senza riuscirsi a liberarsi da quella ragnatela di funereo presentimento.

Se solo avesse potuto probabilmente si sarebbe alzata e avrebbe aperto la porta, si sarebbe consegnata e arresa, forse così Edward e Alphonse avrebbero potuto salvarsi. Ma com’era ridotta non poteva di certo sperare di alzarsi e presto quel desiderio, come tanti altri, si spense. In quel momento la tempesta infuriò e Winry smise di lottare, abbandonandosi con stentata rassegnazione a quella bufera.

Una folla irruppe senza molti complimenti, devastando in poco tempo la catapecchia. Winry era semisvenuta, completamente ignara di ciò che la circondava. Non poteva di certo ascoltare le loro voci e distinguerle.

«E queste appese al muro? In questo posto che puzza di putrido? Mappe per raggiungere il Diavolo?»

«Ma non vedi, stupido? Sono gli ingredienti per dei riti contro l’Altissimo! Vedi sangue, muscoli e tutti questi nomi strani? Sono tutti ingredienti! Non oso immaginare questi altri nomi impronunciabili cosa significhino!»

«E questo? Jupiter, Venus? Dei pagani? E questi? Spiriti del Vino?»

«Sono chiari riti orgiastici del loro Padrone! Donne e Vino… Non ci si poteva immaginare di meglio! Qui la situazione è molto più grave del previsto! Inquisizione, Inquisizione subito! Sono rivoltanti servitori del Demonio!»

«Anche quella donna svenuta! E’ in estasi chiaramente, e in contatto con il suo Signore Maligno! Bisogna portarla subito dall’Inquisizione, è una strega proprio come si mormorava!»

Gli uomini temevano anche a toccarla. Non potevano dimostrare la loro superstizione, ma avevano evidentemente paura di poter essere uccisi da un maleficio di quella strega ormai nemmeno più presunta. Infine, la afferrarono e la trascinarono via tra le macerie di quella casa. Saccheggiarono ciò che fu possibile trovare e portarono via i principali oggetti imputati per l’accusa.

Quella schiera punitiva attraversò la città, lasciando dietro di sé una scia di morte e desolazione, ma non sembravano per niente pentiti della cosa. Ciò era loro richiesto e quello era il loro modo per portare la Felice Novella nelle case.

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Winry Rockbell si sentiva nuovamente in un incubo, un sogno angosciante ancora peggiore di quello che aveva vissuto qualche giorno prima. Le sembrava di non riuscire più a uscirne, a svegliarsi, era intrappolata. Non sapeva cosa le sarebbe accaduto, o almeno, poteva solamente immaginarlo e questo avvenire si prospettava terribile. Nei suoi fumosi pensieri non vedeva altro che sofferenza e torture, ma soprattutto non scorgeva una via d’uscita. Era in trappola come un topo, non doveva fare altro che aspettare la Morte e pregarla affinché la portasse via con sé in fretta. Questa volta i fratelli Elric non avrebbero potuto salvarla.

Piangeva in silenzio mentre veniva trascinata da due uomini in uno stretto corridoio che si trovava sotto il tribunale in cui l’avevano spinta a forza. Le facevano male le gambe e le braccia escoriate così come gli occhi gonfi e arrossati, la testa le scoppiava. Non aveva avuto un attimo di respiro, non avevano smesso di trainarla malamente da quando l’avevano rapita dalla sua casa. Il tempo non passava mai…

Ad un certo punto quasi non si accorse che l’avevano buttata in una stanza dai muri in pietra. Non c’erano finestre, e la luce traballante delle fiaccole appese al muro non le permetteva che una vista confusa di ciò che c’era attorno a lei. Annaspò per terra gemendo, provando a rannicchiarsi su se stesse e nei suoi miseri vestiti ridotti a brandelli dagli uomini che l’avevano maltrattata fino a quel momento. Quegli straccetti sporchi la coprivano a malapena, si sentiva nuda ed inerme, e quel luogo era freddo e umido. Incominciò a tremare, cogliendo qualche frammento di discorso attorno a sé. 

«Signor Bradley… Abbiamo portato la ragazza come ci avevate chiesto.»

«Ben fatto, ben fatto. Mi raccomando, che la notizia della cattura di questa presunta strega circoli in tutta East City.» rispose una voce che le metteva i brividi.

Winry aveva sentito parlare di King Bradley, lo aveva visto di sfuggita, sempre con aria grave e nello stesso tempo estremamente compiaciuta a moltissime esecuzioni. Era una specie di Inquisitore Capo da quel che aveva capito. Ed era feroce…

«Certamente. Ora gli abitanti di East City si sentiranno più al sicuro.»

«Gli abitanti di East City si sentiranno più al sicuro solo quando tutti i servi del Demonio saranno stati mondati nelle fiamme. Ricordatevelo. Avete portato anche delle prove da quella casa?»

«Sì, è stato orribile! Materiali blasfemi ovunque! Le pareti erano ricoperte di orribili disegni di visceri umani e formule di maledizioni. Non oso pensare a cosa non sia successo in quella casa, signore…»

«E i due giovani uomini? I fratelli Elric? Li avete trovati?»

«No, c’era solo questa donna lì dentro…»

Winry cercò di farsi il più piccola possibile e di rimanere immobile in un infantile moto di conservazione, come se così facendo avesse potuto confondersi con il pavimento gelido e sparire nel nulla.

Quello era veramente King Bradley. Le avrebbe fatto confessare delle cose orribili, le avrebbe estorto anche delle accuse contro Edward e Alphonse… Si prefisse di resistere. Sarebbe morta piuttosto, doveva essere forte.

Non si rendeva conto di essere una delle tante vittime che siglava quella promessa. Le avevano parlato delle torture, di dolori inimmaginabili ma non avrebbe potuto lontanamente sospettare della persuasiva potenza delle macchine infernali. Non sapeva che avrebbe dovuto incorrere alla furiosa e violenta pietà del proprio boia per dare pace alle proprie membra sfibrate. Non avrebbe potuto lontanamente comprendere la perversione di quella follia e lei non sarebbe stata poi diversa da tutti gli altri. Fino a quel momento nessuno era riuscito a resistere a quella sofferenza senza impazzire. Si giungeva al punto di rinnegare tutto ciò che si era stati, era come se si finisse di perdere la propria rispettabilità e il proprio onore. Si era degradati ad animali da macello, si era soltanto un ammasso di carne da torturare e a cui estorcere informazioni. Non c’era salvezza né redenzione, si moriva nella dannazione dell’Inferno, nell’ignominia della propria memoria. Sciagurati e scellerati, i condannati non si rendevano conto che niente vi era a salvarli, neanche una minima comprensione da parte del popolo, neanche gli amici più cari potevano sopravvivere in quel dolore… Spesso finivano per voltare le spalle e quindi accusare i conoscenti con ferocia, sempre in testa al corteo – per farsi credere dagli altri– oppure ancora venivano processati come complici e a quel punto la morte era preferibile a qualsiasi altra pena.

Bradley non sembrava per niente un Inquisitore che andasse per il sottile. Era calmo e pacato e aveva proprio le caratteristiche essenziali per accattivarsi un condannato, senza alcun dubbio. Lui era perfettamente consapevole di non cercare la verità, lui sapeva che nelle accuse e nelle confessioni ci si inventava situazioni ed eventi. In quel modo l’Inquisizione aveva il predominio e il controllo su tutto: vita politica, quotidiana, religiosa e laica. Nessuna sfera della società poteva sfuggire alle rigide regole ecclesiastiche, che prendevano configurazione di un vero e proprio stato militaresco. Con una piccola ed essenziale caratteristica: se soltanto ci si fosse ribellati non solo si sarebbe stati processati senza alcuna replica ma persino la paura e il terrore della dannazione eterna bloccavano i più temerari.

Winry in quel momento non era altro che una sciocca fra tante che si illudeva di poter resistere agli strazi più violenti. Bisognava riconoscere il suo coraggio, senza dubbio, ma presto la sua volontà si sarebbe spezzata, la sua decisione incrinata e in quel momento avrebbero fatto breccia le assurde speranze che donava il boia.

Da quel momento cercò di chiudersi in sé stessa come un piccolo riccio, tappandosi anche le orecchie. Non voleva sentire, si voleva eclissare, non avrebbe mai risposto finché avrebbe avuto la forza di lottare.

Quando una mano le sfiorò una spalla nuda sussultò di terrore coprendosi ancora di più il volto con le braccia magre.

«Ragazzina… Mi senti?» era la voce affilata e nello stesso tempo melliflua di King Bradley.

L’Inquisitore si era inginocchiato accanto a lei, la sua figura enorme e robusta la sovrastava completamente.

«Fammi vedere il tuo volto, ragazzina… Coraggio…»

Winry era terrorizzata, ma l’istinto di sopravvivenza le suggerì di obbedire, per evitare di farlo arrabbiare. Al momento non sembrava avesse intenzione di iniziare a farle del male, e il modo delicato con cui le accarezzava una spalla… Sollevò il viso rigato di lacrime lentamente, mostrandogli la sua espressione inconsciamente sconvolta. Arrivò in questo modo a fissare finalmente il suo viso.

Non aveva mai visto Bradley così da vicino. Era un uomo che aveva sicuramente superato i cinquant’anni, con i capelli neri e corti, il viso squadrato incorniciato da baffi severi e una benda su un occhio, la quale era il suo segno distintivo. Tutti sapevano che l’inquisitore mancava dell’occhio sinistro, era inconfondibile…

Quando la giovane vittima lo vide sorridere e asciugarle una lacrima con il dorso della mano, ne rimase spiazzata. Non sapeva più cosa pensare, il cervello era ingombro di paura e di speranza. Quell’uomo avrebbe dovuto farla torturare, e invece le stava asciugando una guancia.

«Mi sai dire il tuo nome?» le mormorò affettato.

Lei si guardò attorno, come se cercasse delle risposte nei volti degli altri presenti, uomini che non aveva mai visto e che non tradivano alcuna compassione nei suoi confronti.

«Io… Mi chiamo Winry… Rockbell…» mugolò infine con un filo di voce.

«Bene, brava. Hai visto che non era difficile?» Bradley parve soddisfatto «Adesso mettiti seduta, non stare qui per terra. Tirati su. Ma guarda come ti hanno conciata, hai tutti i vestiti strappati…»

La prese per l’avambraccio e la aiutò ad issarsi a sedere. Il sangue nelle tempie di lei iniziò a pulsare dolorosamente, ma resistette, mordendosi un labbro, mentre con l’altra mano cercava di coprirsi il petto e le spalle con quello che rimaneva del suo abito. Lui continuava a rimanere abbassato alla sua altezza, tanto che ne poteva annusare l’alito: sapeva di menta, mentre le sue guance rasate odoravano di profumi muschiati orientali.

«Adesso dovrai rispondere solamente ad altre domande altrettanto semplici. Se farai la coscienziosa e mi dirai la verità verrai sicuramente premiata da me e ovviamente anche dal Nostro Signore misericordioso, che è sempre pronto ad accettare le sue pecorelle smarrite. Continua così e vedrai che questa situazione si risolverà al meglio, bambina…»

«Vi dirò la verità… Lo giuro, posso spiegarvi tutto! Non ho mai fatto niente di male…»

«Certamente, lo so che dirai la verità… Allora, iniziamo. Ammetti che condividi la tua casa con due giovani fratelli che non hanno alcun legame di parentela con la tua famiglia?»

Winry annuì debolmente.

«E come mai una bella ragazza in piena età da marito come te non è sposata? Per caso hai dimenticato perché il Creatore vi ha create? O forse c’è dell’altro? Perché vedi, io devo soppesare delle accuse molto gravi nei tuoi confronti, e che sembrano decisamente fondate su molte prove, bambina… Molti cittadini testimoniano il fatto che siate decisamente inclini tutti e tre al peccato della lussuria… Hai tu dunque giaciuto con i suddetti fratelli, vero?»

Lo sguardo di Winry si rivitalizzò tutto d’un tratto, indignata per sentirsi sbeffeggiata in quel modo, ma anche arrossendo al solo pensiero di ciò che aveva pensato di Edward solo qualche ora prima. «No!» Quelle parole erano il risultato del rifiuto di quel pensiero romantico, l’indignazione di ciò che si pensava di lei e il desiderio di mettere fine al più presto alla situazione.

Bradley scosse il capo, deluso «No, cara, questa non è la risposta giusta.»

Winry rimase completamente annientata dal suo tono calmo e dalle sue parole.

«Tutti sanno questa verità… Se anche tu davvero non avessi commesso il bieco peccato della lussuria nessuno ti crederebbe… E non potrai mai uscire da qui.»

Non era esattamente ciò che Winry si aspettava né quello che la gente aveva prospettato parlando di lui. Non era crudele, ma gentile e l’avrebbe aiutata, almeno questo sperava quella sciocca ragazza. Non si rendeva conto di essere caduta nella trappola e nella falsa fiducia del suo torturatore.

«Allora, cosa dovrei rispondere?» Il tono di voce della ragazza era straziante e triste, il suo sguardo supplichevole e mansueto.

Bradley finse di pensarci seriamente e poi le rispose «Dovrete ammettere la vostra colpa vergognosa e chiedere umilmente l’aiuto e il perdono di Dio che sicuramente vi saranno concessi.»

Winry tremò. Istintivamente iniziava a fidarsi un po’ meno, quelle parole risuonavano nella sua mente come una cupa minaccia. Non vi era motivo per cui adesso dubitasse, eppure quella frase l’aveva completamente raggelata.

«Ma… Ma non sarebbe la verità!» Winry balbettava, con fare stentato era riuscita a pronunciare quelle parole, parole che probabilmente non giunsero nemmeno alle orecchie di Bradley, distratto dall’entrata di qualcuno nella stanza.

Si trattava di Roy Mustang, cosa che lei non poteva certamente sapere. Il nuovo arrivato, con una domanda alquanto sciocca, distolse l’Inquisitore dalla sua mansione.

Winry era frastornata, ma di certo non poteva non sentire su di sé lo sguardo di Mustang che la dardeggiava e la analizzava. Non riuscì ad ascoltare la loro discussione. Lui se ne andò poco dopo, rassicurato di non aver trovato al suo posto Riza Hawkeye come aveva sospettato quando gli era arrivata all’orecchio la notizia di una ragazza bionda che stava per essere torturata, ma comunque perplesso e triste di vedere una bella ragazza in quell’Inferno.

Bradley a quel punto si ricordò di altri due personaggi presenti nella sala. Uno di questi era un altro prigioniero, uno sconosciuto.

L?inquisitore si avvicinò al boia e diede inizio a una tortura, un’indiretta dimostrazione di forza per la ragazza.

Winry non riusciva ad osservare la scena raccapricciante, aveva la vista annebbiata o forse semplicemente non voleva capire ciò che la circondava. Sentiva gli stridii degli strumenti sconosciuti, prima silenziosi poi sempre più prolungati e strazianti. Sapeva che il condannato cercava di mantenere il silenzio ma piano piano, tra l’alternarsi di domande a cui lui rispondeva negativamente, sentiva prima dei gemiti stentati e involontari. Poi, tutto si mutò in grida disperate e infine in lamenti sempre più forti, pieni di preghiere di pietà. Era debole ma allo stesso tempo urlava con tutte le sue rauche forze, annichilendo sempre di più la povera Winry. Non sapeva quanto tempo fosse passato ma tutto era graduale, lento, e in un certo senso solenne. Non avevano alcuna fretta nel mettere fine alle pene del disgraziato. La donna ringraziava soltanto di non poter vedere tutte quelle sofferenze, anche senza questo si sentiva svenire. Nella sua mente immaginava quegli occhi fissarla, iniettati di sangue, con le pupille dilatate. Immaginava nelle ciglia aggrottate e nello sguardo supplichevole qualcosa di decisamente doloroso. In quegli occhi vedeva unire richiesta di pietà e dolore, debolezza e un insano desiderio di vivere o di morire e mettere fine a quei mali. Vedeva uniti in quello sguardo la massima convivenza di forti sentimenti nell’uomo. Non poteva che essere risucchiata in quella grandezza inquietante.

Era un incubo da cui doveva uscire al più presto, non voleva far parte di quella scena! Forse avrebbe dovuto solo confessare ciò che mai aveva fatto, cose terribili e impossibili, dire che volasse su una scopa, che praticasse chissà quale rito orgiastico insieme ai suoi compagni di vita in presenza di Satana in persona, che producesse lei stessa gli unguenti che diffondevano la peste… Se questo fosse servito a salvare Edward e Alphonse avrebbe pensino potuto farlo, invece sapeva che qualsiasi cosa avrebbe detto sarebbe stata usata come accusa nei confronto degli altri due, che sarebbero diventati suoi complici a tutti gli effetti. Non erano ancora stati trovati, quindi avevano una possibilità… Dovevano solo essere forti e scappare verso Resembool senza pensare a lei, che ormai era spacciata. Sì, se lei stava zitta, loro si sarebbero salvati.

Iniziò a mugolare, cercando di muoversi il meno possibile, anche se era continuamente sconvolta dai tremori. Non vedeva l’ora che tutto fosse finito. Con la sua morte avrebbe fatto in modo che i due fratelli potessero scappare via… Se solo non fosse stata terrorizzata avrebbe potuto sorridere in modo beffardo al pensiero del viso di Edward… “Sei una stupida!” poteva quasi sentirlo dire “Verrò a prenderti, Winry! Spaccherò il muso a tutto il tribunale se necessario, ma ti porterò via di lì…”. Lo pregò mentalmente di non farlo, in modo da impegnarsi a non ascoltare quello che stava succedendo attorno a lei. Bradley e quell’altro, il boia, volevano spaventarla, ma non le avevano ancora fatto nulla. Magari per un po’ si sarebbero anche dimenticati di lei, e questa era una speranza disperata più che una vera idea coerente.

Come se avesse potuto leggere nei profondi reconditi della sua mente, King Bradley si rivolse di nuovo a lei con voce tonante.

«Allora, ragazzina? Non hai proprio niente da dirmi adesso che sai cosa ti aspetta? Voglio darti una seconda possibilità… Confessa tutti i tuoi delitti impuri e offensivi verso l’Altissimo e prometto che non ti succederà niente di male qui dentro. Scriveremo la sentenza, la applicheremo e non dovrai più soffrire…»

«No… Io non ho fatto niente, non voglio confessare delle bugie…»

«Perché ti ostini a difendere quei due fratelli?»

Quella domanda lasciò Winry totalmente spiazzata, e non rispose.

«Loro ti stanno usando, guarda che non sono uno sprovveduto, io l’ho capito. Sei solo una giovane ragazzina che è stata plagiata dagli occhi dolci di quello che credeva un amico fidato. E’ il maggiore dei due, quello con i capelli lunghi, la mente perversa, vero? La denuncia che mi è stata fatta afferma che sembra sia lui quello che vilipende i cadaveri della povera gente… Potresti dirci che sei sua complice, che ti sei lasciata tentare dai piaceri carnali… La legge del Signore afferma che le donne sono deboli e si lasciano facilmente tentare, non convieni?»

«No! Edward non c’entra, dovete lasciarlo stare! Non ha fatto niente di male, voi volete solo far divertire il popolo più becero con la nostra esecuzione! Non vi darò questa soddisfazione, non tradirò Ed e Al! Nostro Signore dice che il tradimento è il peccato peggiore che uno possa compiere, e io non mi macchierò di questa colpa! Anche io sono innocente, sono persino ancora vergine!» gridò Winry a pieni polmoni, con una forza residua che non pensava di poter avere.   

Bradley prese a guardarla, indifferente, con il suo unico occhio. Il suo corpo robusto e impassibile mettevano un certo timore per la rudezza e durezza dei suoi tratti. Era ovvio che avesse più rabbia di quanto dimostrasse con quella falsa freddezza. Winry adesso tremava, appena resosi conto di ciò che aveva detto aveva di nuovo sentito la debolezza invaderla. Il suo gesto di gagliardia era presto scemato nel guardare Bradley e nel ricordare la sua furia. Come aveva potuto dare fiducia a un tipo simile? E soprattutto, perché una persona tanto inquietante e losca era giunta a quel punto? Possibile che la Chiesa fosse corrotta così tanto da aver bisogno di gente del genere per avere il predominio? Era più importante soggiogare le persone con la forza piuttosto che farle credere sul serio in quella dottrina che non era altro che un modo per tenere sotto scacco tutti quanti? Era completamente vergognoso, una degradazione del genere umano.

Lui si avvicinò lentamente, ma anche minacciosamente. Il suo volto si era incupito di una nera violenza. La sua reazione fu più trattenuta e calma di quello che Winry avrebbe potuto sospettare, ma di certo le parole furono terribili.

«Fossi in voi, non lo ripeterei. La verginità è una situazione molto precaria e non si sa mai come casualmente si potrebbe perderla.»

Il boia, il complice di quelle terribile torture ghignò alle spalle di Bradley, comprendendo perfettamente l’allusione poco delicata dell’Inquisitore. Tutto ad un tratto, con il “voi”, con il tono, e con quelle minacce la scena era mutata drasticamente. Winry era completamente annullata da questo cambiamento. Quelle persone sgradevoli non facevano altro che minacciare per poi rendere reali le proprie paure più profonde e recondite.

Non potevano essere chiamati uomini, erano dei veri e propri demoni. Winry – influenzata da Edward – forse non era il massimo della credenza religiosa, tuttavia non aveva davvero nessun altra parola per descrivere quelle persone tanto infami. Se Winry avesse dovuto associare quegli esseri a qualcosa, sicuramente li avrebbe paragonati a diavoli o al Demonio stesso. La Chiesa voleva riconvertire e punire, eppure proprio nel seno della sua istituzione si annidavano così tanti parassiti del male. Quella non era questione di fede o meno, quella era strumentalizzazione del terrore che metteva la morte alla gente, per usarla per tornaconto personale.

Winry non ebbe più il coraggio di guardare quella triste e bigia realtà. Non poteva protestare contro quelle parole e sentiva la propria dignità e riservatezza bruciarle dentro. Sapeva di dover far finta di niente, se soltanto avesse osato protestare probabilmente quella minaccia sarebbe diventata spaventosamente reale. Ma almeno la rabbia dell’Inquisitore aveva messo per un attimo fine a quelle domande insistenti sui due fratelli. Sapeva che presto avrebbe rincarato con i quesiti e l’avrebbe messa con le spalle al muro, non nello stesso modo, ma sicuramente con lo stesso risultato.

Ciò che non sapeva era una cosa ancora più terribile e orribile. Gli Inquisitori spesso avevano una capacità grandissima nel capire chi dicesse la verità o chi meno. Loro sapevano dove insistere e dove aggirare l’ostacolo minacciando, ma in realtà facevano in modo che tutti fossero colpevoli, che tutti giungessero a rivelare delle bugie inenarrabili, se non con la dialettica e la persuasione sicuramente con le torture. Era qualcosa di spaventoso, che faceva rabbrividire. Cosa aveva spinto quelle persone a diventare tanto feroci?

Non poteva rispondere a nulla de genere perché nella sua mente semplicemente non poteva concepirlo, eppure la frase che Bradley aveva appena pronunciato era stata di una schiettezza e di una crudeltà disarmanti. Si diede ancora della stupida, per aver affermato quelle parole in preda alla disperazione. Sì, quell’uomo avrebbe potuto farle una cosa tanto terribile, chi gliel’avrebbe impedito? Chi avrebbe potuto difenderla dall’ulteriore accusa di aver ammaliato un pio uomo di giustizia, che in seguito si sarebbe macchiato di un peccato carnale? Nessuno avrebbe portato conforto a lei, no, lei sarebbe sempre e solo stata una strega malvagia e reietta. Nessuno si sarebbe preoccupato se l’avesse stuprata, perché alla fine se lo meritava, nessuno tranne i suoi due amici… In ogni momento gli tornavano alla mente, non poteva fare a meno di pensare a loro.

Piangeva in silenzio, Winry, costernata e affranta, senza più speranze. Che Bradley la uccidesse, che lo facesse subito!

L’uomo continuava a fissarla con quella sua espressione seria eppure al contempo divertita, senza staccarle di dosso quella sua unica e penetrante pupilla. Si compiaceva del fatto che la ragazza lo temesse. King Bradley adorava detenere il potere e schiacciare i deboli come lei. Non era come quel bellimbusto di Mustang, che cercava in ogni modo di evitare le pene peggiori agli imputati. Non era un comportamento degno il suo, quella non era giustizia, la sua lo era. I condannati dovevano confessare ed essere puniti in modo esemplare. Il Signore avrebbe poi pensato a redimerli nel Regno dei Cieli se fosse stato opportuno a suo giudizio, mentre sulla terra vigeva la legge degli uomini, che non ammettevano lo sbaglio, e ogni reato aveva il suo prezzo.

«Forse hai bisogno di un giorno per pensare, bambina? Magari domani sarai pronta a dirmi quello che voglio sentire, no? Abbiamo un posto libero in una cella insieme ad un porco infedele ed un pederasta traditore… Magari passare un po’ di tempo con loro ti farà venire voglia di chiedere perdono e di confessare i crimini tuoi e dei tuoi concubini…»

Winry non ebbe nemmeno la forza di annuire. Si lasciò trasportare mollemente da due braccia che non conosceva e che l’avevano nuovamente afferrata, trasportandola via a pancia in giù. Le sue ginocchia grattavano contro il pavimento di pietra scorticandosi, tuttavia pareva non sentire nemmeno più il dolore.

«Signore, se esisti… Proteggili…» sussurrò a fior di labbra… Poi tutto divenne nero.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

Riza Hawkeye era intrappolata in quella cella. Non aveva alcuna idea di quanto tempo fosse passato. Poteva pensare che fosse circa una settimana, eppure non ne era sicura. I pasti non le venivano sempre portati, sempre che quel pastone immangiabile potesse essere considerato cibo. Le ricordava molto quello che veniva dato ai porci e alle galline, eppure non faceva alcuna fatica a finire la ciotola ogni volta in pochissimo tempo: era affamata e abituata a nutrirsi di quello che trovava. Qualsiasi cosa per lei aveva un buon sapore, quando sentiva lo stomaco contrarsi per ore e ore in cerca di sostanze nutritive.

La cosa positiva era che nessuno veniva a disturbarla. All’inizio aveva temuto le torture, aveva pregato l’Altissimo di darle la forza della sopportazione, ma non ce ne era stato bisogno: non aveva visto nessun boia, nessuno l’aveva mai spostata da quella cella stretta, umida e buia, tanto che la paura che si stava insinuando in lei, poco a poco divenne un’altra, ovvero quella che prima o poi l’avrebbero dimenticata e lei sarebbe morta di fame e di sete, trascurata da tutti, senza aver diritto a nessuno sepoltura.

Aveva il terrore che persino Roy Mustang si scordasse di lei… Quando l’aveva imprigionata, il suo sguardo era stato eloquente, non cattivo, ma pietoso e forse addirittura invaghito. Quella cosa non le piaceva per nulla. Non voleva attirare sguardi del genere su di sé, erano impuri e si era sentita imbarazzata e fragile. Non le interessava essere una bella donna, la Vanità non le apparteneva, al contrario, la disturbava. La Superbia era un peccato grave da cui spesso le donne si lasciavano contagiare, avide di gioielli, di vestiti preziosi, perché? Per attirare gli uomini? Non era questo che il Signore voleva da loro.

Riza era convinta che non avrebbe dovuto fingere di essere esteticamente migliore di come Dio l’avesse fatta perché sarebbe stata amata così com’era dall’uomo che il destino le avrebbe riservato. Se questo non fosse mai successo voleva dire che questa era la volontà del Creatore e lei non era nessuno per giudicare il suo operato. Di certo non poteva essere quel Mustang che l’aveva fissata con sguardo così impudente e lussurioso… Sì, era un bell’uomo, alto, con i capelli corvini e luminosi, la barba rasata di fresco, una pelle della quale ricordava addirittura il profumo e un viso particolare così come il taglio degli occhi neri come pozzi profondi… Era un uomo affascinante, tuttavia non riusciva a fidarsi delle sue promesse. Le aveva detto che l’avrebbe aiutata, e invece l’aveva messa a marcire in quella prigione!

Non riusciva ancora completamente a capacitarsi del suo destino. Solo pochi giorni prima batteva la strada piagata dalle malattia e dall’incertezza. Se mai avesse commesso un piccolo furto, se mai avesse fatto qualcosa di sbagliato, lo aveva solo fatto a nome della sopravvivenza, e dopotutto in quel periodo tanto buio pieno di rovesciamenti tanto netti ed evidenti non era di certo l’unica a fare sciacallaggi del genere. Si sentiva colpevole e sporca di quel peccato, ma le aveva provate tutte, invano, contrastando la sua posizione sociale pur di raggiungere a un umile lavoro. Quella era stata l’unica scelta e ora si rendeva conto di dover pagare un prezzo non di certo leggero o basso per quei delitti. Per quanto si illudesse di stare al sicuro in quella putrida cella, sapeva che era soltanto una questione temporanea. Ascoltava i lamenti dei prigionieri vicini, sentiva spesso provenire dai piani superiori le urla di dolore dei torturati e tremava, rabbrividiva di terrore nell’udire quelle voci strazianti dimenticate da Dio.

Presto o tardi sarebbe arrivato il suo turno, sapeva perfettamente che tutti gli Inquisitori promettevano una vana salvezza, quel tipo non doveva essere poi tanto diverso dagli altri. Eppure al solo pensiero del suo volto triste e nel contempo concentrato non poteva capacitarsi di come potessero esistere maschere di ipocrisia tanto ben riuscite. Si voleva convincere di essere disgustata perché si rendeva conto che cedere per un solo istante l’avrebbe direttamente consegnata alle braccia della morte. Per quanto timorosa, preferiva il giudizio di Dio piuttosto che quello diabolico che riproducevano gli uomini. Non si capacitava di credere come potessero esistere macchine tanto infernali se non le avesse suggerite alla mente umana il Diavolo. Si distraeva con quei pensieri, cercando di trovare la forza e la volontà necessaria per andare avanti senza tentennare e dimostrarsi debole. Sapeva perfettamente che quelle erano mere illusioni di una realtà che non si poteva verificare. Non era di certo abbastanza forte per abbandonare la percezione della carne per ritrovare la più alta elevazione di Spirito, infatti prima di tutto era una peccatrice, ma anche il suo semplice stato di essere umana non le avrebbe mai permesso di raggiungere una tale altezza.

La stava lasciando marcire, in modo che impazzisse prima del tempo, che al solo sentire quell’oppressione e l’indecisione del proprio destino l’avrebbe presto condannata alla Follia. Avrebbe tanto voluto scappare da quell’incubo, tuttavia sembrava che non ci fosse una via d’uscita, e lottava strenuamente contro quella irrazionalità che la vedeva coinvolta in azioni omicide o nella perdita del senno prima ancora del tempo.

Si accoccolò così nel suo abito miserabile e sformato, finché ad un certo punto non avvertì la porta della sua cella aprirsi pesantemente. Era buio pesto, e la luce delle lanterne del corridoio esterno che invase improvvisamente il cubicolo bastò a ferirle la vista, tanto che dovette ripararsi con un braccio davanti al viso. Non riuscì nell’immediato a capire di chi si trattasse. La figura appariva sulla soglia in controluce in modo indistinto, eppure la lista dei candidati era decisamente breve: poteva essere l’Inquisitore Mustang o uno dei suoi sottoposti, Jean Havoc, la guardia che le portava da mangiare, o magari Kain Fury, il suo giovane segretario.

Il fatto che qualcuno si occupasse nuovamente di lei la rendeva quasi sollevata, poiché significava che avrebbe potuto resistere ancora un poco alla pazzia. Bastava anche solo una parola, un gesto, un movimento, un qualcosa che le facesse capire di non di essere ancora arrivata all’Inferno…

La figura avanzò con passo lento e solenne verso di lei.

«Bene, bene… Chi è che abbiamo in questa cella? Ho proprio voglia di conoscere la prigioniera privilegiata che il caro Mustang tiene tutta per sé. Avanti, sono curioso, venite fuori, signorina.»

Era una voce affilata che Riza non aveva mai sentito. Colta da un’ansia improvvisa rimase in silenzio, schiacciata contro la parete. Non presagiva nulla di buono da quell’uomo che non conosceva, il suo timbro vocale non era per nulla rassicurante, anzi, le faceva venire i brividi. Ingoiò il nodo che aveva in gola e decise in ogni caso che doveva dimostrarsi forte e risoluta come al solito. Non era Mustang, era vero però non sapeva cosa volesse da lei. Magari era davvero un altro inquisitore solo curioso di vederla, dato che poteva immaginare da sola quanto la sua situazione fosse atipica.

Si schiarì la voce arrochita dai lunghi silenzi che l’accompagnavano in quelle giornate, tuttavia non si espose e rimase nella posizione rannicchiata in cui era.

«Sono Riza Hawkeye… Chi siete? Cosa volete da me? Vi ha mandato Mustang?»

«Penso che non siate nella posizione adeguata per poter pormi in modo tanto prepotente delle domande, non credete anche voi? Comunque, oggi sono particolarmente di buon umore, quindi mi presento: mi chiamo Kimblee, Zolf Kimblee per l’esattezza. E no, non sono stato mandato da Mustang. Diciamo che sono un suo pari, e mi chiedevo come mai circolassero tutte queste voci tra le guardie sul fatto che ci fosse una prigioniera che era riuscita in qualche modo a convincere Mustang a non farle subire alcun interrogatorio… E’ vero che il nostro amico tratta con i guanti la maggior parte dei suoi prigionieri, ma da qui a trattarli come principesse… Mi chiedevo, gli avete fatto un qualche sortilegio? Si sarà invaghito di voi?»

Riza era alquanto scossa e confusa, quella non sembrava particolarmente un trattamento da principesse e ancor meno si sentiva privilegiata. Era abituata a stare all’addiaccio la notte e il giorno, vivendo libera e vagando dove più le conveniva. Un animo come il suo non era fatto per essere contenuto in quella putrida e oscura gabbia dimenticata da tutti. Se quella non era la soglia della miseria, cos’erano davvero capaci di fare lì dentro? Avrebbe quasi preferito affogare dalla pazzia che prima stava tanto temendo, piuttosto che sperimentarsi con quel dubbio di sofferenza lacerante. La figura indistinta le metteva timore, il suo tono studiato e persuasivo non promettevano niente di buono e quasi sentiva i suoi occhi puntati su di lei, nel disperato tentativo di oltrepassare quella coltre di tenebre con lo sguardo e di vederla. Voleva guardare il suo volto circonfuso da pazzia, voleva i suoi occhi piangere lacrime di sangue, voleva compiacersi nello scrutare il suo corpo genuflesso in avanti, sfinito dalle torture. Quello sguardo sadico, pronto a trovare i punti deboli delle persone, era terrorizzante e Riza, pur temendolo, rimase rannicchiata al suo posto.

Non seppe dove riuscì a trovare il coraggio di ribattere a quella presenza lugubre, per quanto la banalità e la timidezza della risposta fosse evidente. Il semplice fatto di riuscire a contrastare quell’uomo era un’impresa notevole.

«Non so di cosa stiate parlando.»

Le labbra di Kimblee si contrassero in un sorriso feroce, quante volte aveva sentito quella frase e quante volte era riuscito a far morire quella affermazione sulle labbra del condannato. Sapeva essere molto persuasivo e quando la sua furia dilagava niente riusciva a frenarlo. Aveva solo il desiderio innato di continuare a ferire, dilaniare, bruciare e far agonizzare. Quello era il nutrimento della sua anima, quello era il desiderio che gli permetteva di vivere. Stava giusto per far fuoriuscire quell’indole implacabile, quando sentì quella voce.

«Cosa succede qui?» Passi scanditi e regolari lungo il corridoio, la voce calma e il volto impassibile. Mustang procedeva incurante dell’oscurità, guardando e affrontando con lo sguardo Kimblee. Quest’ultimo non riuscì a trattenersi dal sorridere.

«La tua colombella è in pericolo e giungi a salvarla, Mustang? Ammirevole!»

Mustang per tutta risposta si avvicinò a Riza e prendendola per i capelli, le intimò di alzarsi. Non vi era cortesia nei suoi modi, né pietà nel suo sguardo. «I miei metodi d’inquisizione non ti riguardano, Kimblee. Sono libero di agire come più mi piace, psicologicamente o fisicamente. Non credo di essere mai venuto a insegnarti il mestiere. Ritorna dal tuo eretico.»

Il suo volto duro, contratto in una maschera di calma irosa non era uno spettacolo di tutti i giorni. Kimblee stesso era un po’ sorpreso da quel gesto ma non dimostrava di non compiacersene. La sfida lo stimolava.

I due inquisitori si fissarono per qualche istante che pareva eterno, sotto la luce soffusa delle lanterne che continuava a penetrare insistentemente nella cella. L’aria era carica di tensione. Gli occhi di Kimblee erano taglienti come le sue parole e il suo sorriso sarcastico e spietato.

Riza finalmente riusciva a scorgerlo, anche se a fatica, concentrata com’era a stringere con le mani i polsi di Mustang sulla sua nuca, in un disperato tentativo di allentare quella presa ferrea sui suoi capelli. Il dolore acuto le faceva lacrimare involontariamente gli occhi, non riusciva a smettere di gemere. Se avesse continuata a strattonarla in quel modo le avrebbe strappato il cuoio capelluto.

«Hai deciso improvvisamente di fare il duro? Sono quasi commosso…»

«Ti ho già detto che non sono affari tuoi. Occupati dei tuoi imputati, sparisci.»

«Certo, come desideri… Ma sappi che vi tengo d’occhio, tu, il tuo gruppetto di fedeli sottoposti e questa bella signorina… Non vorrei mai essere costretto a rivelare a Bradley che gli occhi dolci della tua prigioniera ti hanno reso… Inadeguato, diciamo. Confesso che sarebbe comunque interessante per me il caso di una strega che sia riuscita a far invaghire il pio Mustang. Potrebbe essere proprio stimolante, un caso simile non mi è mai capitato, me lo accollerei volentieri.»

«Vattene.»

Il sibilo minaccioso di Mustang avrebbe fatto deglutire intimorito chiunque… Chiunque tranne Kimblee. L’inquisitore continuava a sorridere malignamente, divertito dalle reazioni che aveva suscitato nel collega.

«Come vuoi… A presto.»

Se molta gente temeva King Bradley, si poteva dire che altrettanta avesse il terrore anche di Zolf Kimblee. Non perdeva mai la calma, ma con i suoi metodi riusciva a far confessare qualsiasi cosa a chiunque grazie alla sua subdola ferocia. Era pericoloso perché non aveva alcun tipo di reverenza, non lo faceva per nessuno scopo in particolare se non quello di compiacere il proprio ego pervertito. Non temeva niente e nessuno, non credeva in nulla nel suo intimo, e l’unico motivo che lo aveva spinto verso la carriera inquisitoria era la possibilità di divertirsi impunemente al piccolo costo di far finta di credere in qualcosa di superiore. Non esisteva altro dio al di fuori di se stesso, per lui.  La sua superbia e tracotanza non aveva mai incontrato nessun ira divina e proprio questo lo rendeva così sprezzante verso quella religione. Era un mero mezzo di paura di cui il più forte si avvaleva per sopravvivere e lui voleva essere il più forte, senza dubbio era dalla parte del vincitore. Non si sarebbe fermato davanti a niente e nessuno, senza che l’etica o la pietà lo ostacolassero: erano concetti così lontani da lui da essergli estranei. Se ne andò quindi con quell’eleganza che gli era tipica, senza che quel cambiamento repentino di Mustang lo irritasse. Era piacevole, era buffo osservare come quel lavoro trasformasse la gente, come la rendesse così poco umana e caritatevole. Nemmeno Mustang poteva sopportare quella pressione e lui sarebbe precipitato nella violenza, ne era sicuro. Aveva provato a opporsi a quella morsa, ma non poteva fare evidentemente niente per fermare quel flusso, e la sua indole sarebbe precipitata ancora più in basso, spezzata e affranta. Kimblee a stento riusciva a frenare quella risata sadica e sprezzante che si manifestava a più riprese sulle sue labbra, che colorava i suoi occhi iniettati di sangue e accendeva il volto dal divertimento. La sua figura di perse in quegli oscuri meandri, presto la sua ira sarebbe ricaduta sullo Sfortunato e nessun Dio avrebbe potuto salvarlo.

Mustang dal canto suo era irriconoscibile. Era precipitato nel lato della sua indole in cui dimostrava la sua arditezza e il suo poco controllo. Era stato un incosciente, uno stupido idiota. Già attirava l’attenzione di mezza inquisizione per le sue pratiche poco severe, se non si voleva far scoprire doveva decisamente invertire la sua rotta. Ora a pagarne le conseguenze sarebbe stata quella donna che teneva ancora per i capelli. A differenza di qualsiasi altra era stupita, era gemente, ma dimostrava una forza fuori dal comune… Tuttavia lui non poteva sottrarsi al suo incarico e per mettere definitivamente quelle voci a tacere doveva fare ciò che andava fatto. La trascinò senza alcuna pietà ma ogni suo singhiozzo, ogni sua protesta per lui era una pugnalata al cuore. Sentiva il suo essere sgretolarsi di fronte a quella violenza, sentiva il suo cuore infrangersi in quel dolore che stava impartendo. Avrebbe voluto smettere, avrebbe voluto evitare quella farsa – che tanto farsa non era – ma non poteva opporsi a quegli sguardi vigili, a quella presenza costante. Ciò che poteva fare era soltanto salvare il salvabile e avrebbe dovuto compiere il tutto senza che nessuno si avvedesse di niente, senza che si sospettasse minimamente di lui. Non poteva rischiare, un passo falso di troppo e avrebbe mandato tutto a monte. Bastava poco e Kimblee avrebbe attuato le sue minacce. Poteva farlo, non aveva dubbi, lo conosceva troppo bene.

Continuò a trascinarla fin fuori dalla cella, un po’ a fatica perché lei opponeva una forte ed ostinata resistenza.

Solitamente gli inquisitori non si sporcavano le mani in quel modo, avevano un boia a cui si affidavano, che faceva il lavoro sporco per loro. In quel momento lui non aveva il tempo di mandarne a chiamare uno, doveva semplicemente distogliere le attenzioni dal suo atipico operato, fare in modo che sembrasse davvero convinto nel suo voler estorcere ad ogni costo una confessione a quella ragazza. Il tempo che aveva per pensare ad un piano per salvarla stava via via scemando, e lui nemmeno se ne era accorto. Non aveva trovato nessuna prova che potesse scagionarla dalle accuse, tutto remava contro di lei. Era obbligato a prendersi altro tempo, anche se questo voleva dire fare qualcosa di orribile.

Nel corridoio della prigione, i singulti della ragazza riecheggiavano. I condannati nelle celle stavano in silenzio cercando di far finta di nulla, di non ascoltare. Era sempre così, ogni volta che il miserabile di turno veniva preso e portato via.

Per Riza il tempo sembrava non finire mai. Continuava a rimanere aggrappata alle braccia dell’uomo per reggersi finché non fu scaraventata a terra. Cadde di peso supina, e fortunatamente i suoi riflessi furono abbastanza pronti da permetterle di attutire l’impatto con le mani. I palmi le si graffiarono sulla fredda pietra del pavimento. Tra le dita di Mustang erano rimaste impigliate delle ciocche di capelli.

Lui non voleva farle nulla, e mentalmente le chiedeva perdono, in modo disperato. Se solo lei avesse potuto capire.

Riza invece si voltò su se stessa arrabattandosi in velocità nella sua veste lacera, che le cadeva da tutte le parti e scopriva le sue nudità. Le ferite sulle mani bruciavano, eppure cercò di non darlo a vedere, occupata com’era a coprirsi. Già non era in grado di trattenere le lacrime, che sgorgavano ormai senza controllo sulle sue gote. Non avrebbe lasciato a quell’uomo la soddisfazione di vedere il suo corpo fresco e giovane, proprio no. Lo fissò con lo sguardo più rancoroso che potesse fare in quegli istanti, mentre tremava di rabbia e di paura. Si sentiva così ingenua ad aver pensato per qualche tempo che volesse davvero aiutarla, che fosse un uomo tutto sommato giusto e che l’avesse capita…

«Potete farmi quello che volete! Non vi dirò mai niente! Mai! Fatemi pure uccidere da quel Kimblee! Per me sarà solo una liberazione! Mi avete già torturato abbastanza!»

«Non hai alcuna idea di cosa sia la tortura. Il problema è che io sono nei guai adesso, quindi non ho altra scelta. Devi confessare, Riza! O lo fai di tua spontanea volontà o te lo farò fare io stesso con le mie mani, senza nemmeno un boia!»

«Non risponderò a niente! Io sono una persona devota, non mentirò mai!»

Riza era disperata ed era completamente indignata dalle parole di Mustang. Erano quasi caritatevoli, come se fosse dalla sua parte. La verità era che lui l’aveva gettata in quella cella a marcire per un fatto che non aveva commesso, l’aveva trascinata con violenza, minacciandola deliberatamente davanti a quel Kimblee e adesso faceva finta di stare dalla sua parte per estorcerle false verità. Non avrebbe parlato, non avrebbe lasciato che quell’uomo la potesse spogliare della sua rispettabilità e della sua innocenza. Poteva anche torturarla e strapparle via quegli stracci che ostinatamente si sforzava di tenere su di sé per nascondersi ma non poteva privarla della sua moralità, non glielo avrebbe permesso ed era decisa in questo. Poteva solo immaginare cosa le aspettava ma non aveva alcuna intenzione di cedere.

Roy la guardò, lì gettata in quell’angolo. Non aveva alcun desiderio di infliggere quelle pene, non aveva alcuna voglia ma non aveva scelta. Non aveva alcuna intenzione di ferire quella flebile carne, non voleva macchiarsi di quel sangue innocente. Ma perché doveva avere più pietà di lei che di tanti altri innocenti che erano morti nello stesso identico modo? Quella rabbia che lo aveva invaso vedendo Kimblee lo aveva gettato in un gorgo senza fine, poiché evidentemente quell’uomo aveva anche influenze molto negative. Era stato assalito da quella rabbia repressa che ormai lo perseguitava da tanto tempo. Vedendo tutta quella violenza e quelle torture stava iniziando davvero a perdere la testa e smarrire se stesso. Se soltanto avesse davvero ferito Riza, sapeva che avrebbe consumato irrimediabilmente il suo animo.

Come in un sogno estremamente vivido, quasi incosciente di ciò che faceva, alzò di peso la ragazza. Non voleva, non poteva ferirla eppure lentamente, evitando di farle troppo male e eludendo i punti vitali prese a fare il suo lavoro. Ogni volta che avvertiva un suo gemito, ogni volta che sfiorava la sua carne, ogni volta che sentiva quel fremito e ribrezzo di pura violenza investirlo, tremava. Era completamente travolto da diversi sentimenti, e anche se non lo avrebbe mai ammesso gli sembrava di provare addirittura un certo piacere. Possibile che il suo confuso stato d’animo lo avesse gettato fino a quell’estremo?  Tuttavia si sentiva stringere il cuore al suo dolore, sentiva la sua mente inorridire a tutte quelle azioni. Ma non poteva fermarsi, sentiva gli occhi scrutatori e attenti di Kimblee su di sé e se soltanto non avesse fatto bene il suo lavoro non avrebbe mai potuto salvarla – sempre che avesse trovato un sistema – né salvare il suo posto, la sua vita e la sua reputazione. Non era per quello che aveva iniziato quel lavoro. Voleva smettere, smettere di essere così freddo e magari piangere per ciò che stava facendo. Non era nel suo carattere ma neanche lui poteva digerire tutto quel sadismo e si sentiva completamente distrutto dai diversi sentimenti e sensazioni che ormai lo invadevano e lo dilaniavano.

Riza nel frattempo accusava i colpi, uno per uno, affranta, incastrata tra una parete ruvida di pietra grezza e il corpo del suo assalitore. Nella sua mente c’era solo un pensiero che cercava di tenersi stretto, per non cedere, quello di non parlare. Dalle sue labbra spaccate e sanguinanti sarebbero usciti solo gemiti, se lo promise. Sarebbe rimasta aggrappata alla sua stessa dignità come un naufrago alla zattera. No, non gli avrebbe nemmeno dato la soddisfazione di pregarlo di smettere. Perché a quelle botte poteva resistere, sapeva che avrebbe potuto farcela, che l’Altissimo le stava dando la forza di proteggere i propri ideali. Sarebbe morta, pur di difendere la propria onestà.   

Quando finalmente l’Inquisitore la lasciò andare, Riza si accasciò su se stessa esausta, scivolando contro il muro. Tremava come una foglia, ma cercava di mantenere la testa alta, fissando in viso il suo assalitore, quasi in segno di sfida.

Era strano. Le sembrava di vedere delle lacrime sulle sue guance, ma forse erano solo le violenze che aveva ricevuto che la stavano facendo sragionare.

Non dirò nulla, signore… Picchiatemi ancora… Stupratemi… Bruciatemi pure… Non avrete niente da me, ve lo giuro…” sussurrò a fatica, quasi sorridendo, prima di perdere i sensi.

Fu in quel momento che Mustang lo vide. Il sacco lurido con cui la ragazza era vestita si era strappato sulla schiena a causa dell’attrito contro la parete. La sua schiena nuda era coperta di graffi superficiali, ma non solo…

Aveva una scritta incisa sulla pelle, sopra un disegno stilizzato e quasi incomprensibile raffigurante un uccello avvolto nelle fiamme, forse un aquila, che volava verso un sole. Lo si poteva capire a mala pena poiché la pelle era completamente rovinata da profonde cicatrici, cicatrici di ustioni ormai rimarginate. Le lettere “tio m it atis” dovevano una volta formare delle parole che qualcuno aveva voluto cancellare in quel modo tanto doloroso. 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

Roy sedeva, in completo silenzio. Sentiva dentro di sé quegli strani sentimenti che lo avevano posseduto sino a quel momento. Erano però più soffusi, quasi spenti in quell’impeto di violenza che lo aveva posseduto. Rifletteva intensamente a quegli ultimi eventi. Ora che era di nuovo calmo, ora che era di nuovo quasi cosciente di ciò che aveva fatto, rabbrividiva terrorizzato. Ma aveva dovuto farlo, altrimenti non avrebbe mai potuto salvarla, se non avesse assunto quel comportamento non avrebbe potuto in nessun modo tentare di levarla completamente da quella situazione. Eppure se soltanto non fosse stato così accecato dalla rabbia all’arrivo di Kimblee sicuramente non avrebbe mai potuto mettere davvero in pratica quel piano. Anche se detestava ammetterlo in un certo senso doveva ringraziarlo, nonostante fossero lui medesimo e Bradley a obbligarlo a tutto quello. Scosse il capo, freddamente. Doveva trovare al più presto una soluzione. Adesso che aveva assaggiato il dolce gusto della violenza non voleva sperimentarla di nuovo, nel timore di cadere completamente in suo potere.

Si era preoccupato di ricondurre Riza nella sua cella. Magra consolazione dalle violenze che le aveva inferto. Si era preoccupato di coprirle la schiena, tremava ancora agli strani simboli che vi erano impressi. Se soltanto qualcuno li avesse visti probabilmente avrebbe trovato un’accusa in più per condannarla per eresia. Erano simboli strani che sfuggivano alla normale comprensione dell’uomo e un messaggio cifrato come quello di certo non poteva non essere aggiunto come scusa a un possibile processo. Mustang doveva velocizzare i tempi, doveva trovare un qualcosa che la potesse salvare, ma più si arrovellava più non riusciva a trovare qualcosa di plausibile. L’unico fine era la morte e sembrava inevitabile… Eppure doveva esistere un modo per gabbare Bradley e Kimblee… Si rendeva conto della pazzia del piano ma doveva trovare qualcosa, qualcosa di insolito e soprattutto senza alcun errore, altrimenti la morte avrebbe tinto per sempre le sue azioni.

Abbassò lo sguardo verso la sua debolezza, trattenendo fieramente le lacrime, tuttavia il suo volto velato da quell’aria di stentata tristezza ancora si atteggiava in una calma freddezza. In un fazzoletto teneva i capelli biondi di Riza che la sua furia avevano strappato. La stoffa era lievemente macchiata di sangue ormai tendente al rosato.

Non aveva smesso di tenerli con sé nemmeno per un secondo. Senza che lei lo avesse notato li aveva nascosti in una tasca del suo abito da inquisitore bianco e nero e li aveva ritirati fuori solo in quella completa solitudine. Il suo era un alloggio modesto, situato vicino al tribunale, in un complesso di edifici riservati per coloro che si occupavano di giustizia divina e terrena. Almeno lì dentro era sicuro che nessuno sarebbe venuto ad importunarlo.

Le parole di Zolf Kimblee erano impresse a fuoco nella sua mente. Riza e lui stesso erano ora in pericolo più che mai, tuttavia lui se lo sentiva che quella ragazza era assolutamente innocente! I simboli e le lettere tatuate malamente sulla sua schiena non bastavano a convincerlo. Di certo non aveva potuto farseli da sola, c’era sicuramente una spiegazione razionale a tutto questo, e non aveva voluto toccare l’argomento con lei in quegli attimi orrendi. L’aveva riportata nella sua cella un tale stato di semi-incoscienza...

L’uomo strinse convulsamente quei capelli biondi mentre una lacrima gli rigava il viso.

Era stato costretto a farle qualcosa di terrificante, eppure qualcosa di peggio, qualcosa che non riusciva a perdonarsi in alcun modo e che lo faceva sentire sporco. Quando l’aveva posata sul pavimento della piccola prigione, delicatamente, i suoi soliti pensieri avevano iniziato a tormentarlo. Forse era troppo abituato a essere condizionato dalle bellezze femminili, forse era davvero una specie di morbo malsano che lo aveva intaccato a causa di Kimblee e della sua negatività, con la mente ottenebrata da una forza eccitatoria ed oscura. Quel corpo inerme e fragile che contrastava pesantemente con la personalità determinata, forte e inflessibile di lei lo aveva attirato come una calamita.

L’ aveva scoperta in quel momento di debolezza, aveva scostato le sue vesti lacere mentre le sue gote diventavano rubizze e bollenti, e le sue mani tremavano lievemente, febbricitanti.

Lui, estimatore implacabile di corpi di donne, aveva osservato prima il suo viso, i secchi rivoli vermigli che le sporcavano le guance e le narici, le palpebre chiuse, e subito dopo con ingordigia era passato ai suoi fianchi pallidi, alle sue costole lievemente in rilievo sotto la pelle, alle cosce scarne, al suo ventre piatto, ai suoi seni torniti e perfetti, al suo inguine virginale. Era rimasto alcuni minuti in quello stato catatonico, estasiato e accaldato, prima di rendersi conto tutto ad un tratto di quello che stava facendo. L’aveva quindi immediatamente ricoperta, mentre le sue fantasie galoppavano nella sua testa in modo quasi doloroso. Si rendeva conto che di lei avrebbe potuto fare ciò che voleva in quel momento. Aveva detenuto e assaporato un potere che mai gli era sembrato piacevole come in quegli istanti. Quella ragazza era così bella, e avrebbe potuto essere sua… Eppure il buonsenso aveva agito, anche se in ritardo, facendolo vergognare intimamente. La sua lotta interiore gli faceva pulsare il cranio. 

Si rendeva conto di mentire a se stesso, lui aveva provato sì piacere nel torturarla, aveva desiderato fare quello. Eppure non era stata la pazzia e la foga del momento a spingerlo a fare quello ma lui era stato consapevole di ciò che aveva fatto. Che avesse deciso volontariamente di torturarla lo stava facendo impazzire. Mai aveva usato una tale violenza che, seppure contenuta, non sapeva perdonarsi. Aveva usato tutta quella veemenza per la prima volta contro l’unica persona in tutta la sua carriera che voleva proteggere con tutto se stesso. Sarebbe stato tutto più facile se avesse potuto affibbiare tutta la colpa a una pazzia incontrollabile. Invece no, lei lo avrebbe temuto, lo avrebbe ritenuto come un nemico e lui avrebbe dovuto leggere quella paura nei suoi occhi, avrebbe dovuto piangere in solitudine quella repulsione che lei gli avrebbe dimostrato. Eppure lui si era pur trattenuto, non aveva ceduto completamente, rimanendo lucido per non ucciderla, ma lei non le avrebbe mai riconosciuto nemmeno quello e per sempre lo avrebbe condannato solo perché cercava disperatamente di sottrarla a qualcosa di peggio.

Avrebbe voluto non conoscerla, avrebbe voluto quasi che rimanesse per le strade, senza che si ritrovasse coinvolta in quella rivolta… Non l’avrebbe mai conosciuta certo ma non l’avrebbe vista soffrire… Per di più a causa sua.

Era completamente freddo, calmo e impassibile ma avrebbe voluto compiere atti disperati, avrebbe voluto strapparsi i capelli, avrebbe voluto urlare e piangere ma non stava facendo altro che rimanere completamente immobile, lievemente imbronciato. E con quelle immagini nella sua mente, quelle in cui vedeva Riza gemere, la sua pelle stracciarsi, il suo sangue fuoriuscire, i suoi occhi piangere, involontariamente non poteva pensare a niente che non fosse quel dolore. Avrebbe voluto trovare una soluzione, avrebbe voluto davvero trovare un modo per scagionarla, farsi in qualche modo perdonare e farle vivere in modo più o meno agiato. Ma non poteva davvero pensare a nient’altro. Era solo, solo con quella ciocca di capelli a ricordargli costantemente ciò che aveva fatto. Doveva assolutamente cercare di riprendere il controllo. Non doveva perdere se stesso, non doveva in alcun modo cedere a quella debolezza che lo avrebbe portato davvero alla follia.

In quel momento sentì dei passi avvicinarsi e quasi avvertendo che si dirigessero proprio in quel modo, cercà di continuare a essere mortalmente serio. Fortunatamente con quella disciplina che gli era stata insegnata riuscì a trattenere quel controllo.

Maes Hughes, senza nemmeno bussare, tutto contento, fece irruzione nella stanza. Roy fece scivolare velocemente le ciocche di capelli nel suo abito: non poteva di certo permettere che il suo gaio amico si accorgesse anche solo lontanamente del tormento che lo stava assalendo.

Non era ancora riuscito a capire come facesse il capitano delle guardie ad essere sempre così di buon umore nonostante lo conoscesse da anni. A volte quel suo comportamento sfiorava quasi l'irritante, eppure non riusciva a non essergli affezionato. Quella sua personalità alla fine era tutto sommato perfino affascinante, ed era una delle persone più oneste e leali che conoscesse in quella città popolata maggiormente da traditori e ruffiani. Era una persona su cui avrebbe sempre potuto contare.

«Ma buon pomeriggio, Mustang!» lo salutò tutto festoso come sempre, evitando ovviamente tutti i noiosi convenevoli solitamente obbligatori tra cariche elevate «Adesso mi devi proprio dire dove ti sei cacciato in questi giorni! No, non voglio nemmeno sapere come stai, non puoi sparire in questo modo!»

Hughes si andò a sedere a grandi falcate sulla sedia di legno che stava vicino ad un piccolo scrittoio senza chiedere il permesso. Era ovviamente fintamente arrabbiato con lui, eppure sinceramente curioso di capire perché l'amico aveva iniziato a comportarsi in modo tanto strano. Si erano a malapena salutati quella mattina e non si erano scambiati nemmeno due parole.

Dal canto suo, Roy provò a sorridere facendo finta di nulla. Doveva cercare di apparire sereno, per non dare sospetti all'amico della battaglia che si stava consumando all'interno del suo cranio. Non che non si fidasse di lui, ma non era davvero il caso di metterlo al corrente di una questione tanto delicata e pericolosa. Gli avrebbe spiegato tutto a tempo debito.

«Ho avuto solo molto da fare, ho diversi casi a cui pensare e sono pieno di lavoro. » cercò di giustificarsi sempre cercando di apparire rilassato «E poi il numero di celebrazioni sta aumentando di settimana in settimana, devo presenziare, lo sai come sono fatto...»

«Sì, certo che lo so... Cosa non faresti per rifarti gli occhi su qualche pollastrella tutta elegante, genuflessa ed immersa nella preghiera... Per favore, amico mio, niente corbellerie tra noi, si vede che c'è qualcosa che non va, per questo ho preferito venire qui e parlarti in privato. C'è qualcosa che ti sta preoccupando e sono sicuro che c'entra la bella biondina che sono stato costretto ad arrestare tempo fa. Le guardie hanno il brutto vizio di parlare e di farsi sentire, sai? Peccato che io voglia sapere da te la verità. Non vorrei mai che tu ti cacciassi in qualche guaio più grosso di te, o almeno, non senza il mio aiuto. Le voci che ho sentito non sono per nulla lusinghiere nei tuoi confronti, sappilo.»

«Lo sai che il mio lavoro non è apprezzato, così come il tuo. Siamo troppo buoni, troppo idealisti, questa è la verità.» rispose l'inquisitore facendo spallucce e sedendosi sul proprio letto, puntellandosi il mento con la mano com'era solito fare.

«Ma qui non si sta parlando di idealismo o di scaramucce di poco conto, Mustang! La posta in gioco è decisamente alta! Qualche soldatino da quattro soldi è andato a fare delle confidenze a Bradley a proposito di una tua fantomatica condotta poco nobile. Vorrei semplicemente avvertirti di fare attenzione e se per caso io possa fare qualcosa per te.»

 Mustang lo guardò, riflettendo, completamente immerso nei suoi pensieri. Sì, avrebbe desiderato quell’aiuto, lo avrebbe desiderato come il viandante cerca un luogo in cui riposare. Ma semplicemente non poteva parlarne, non poteva confidarsi. Non perché non si fidasse del suo amico ma perché sapeva che anche soltanto il silenzio della sua anima non bastava per mantenere la segretezza. L’Inquisizione aveva occhi ovunque, la religione era un arma potente e se soltanto avesse fatto un passo falso avrebbe sofferto, orribilmente e con lui avrebbe portato alla dannazione anche agli altri. No, non poteva assolutamente permettere questo, eppure non sapeva come stroncare quell’invadenza inopportuna. Se soltanto avesse saputo come fare, se soltanto avesse saputo come agire… Di certo sarebbe stato tutto più semplice. Hughes probabilmente non conosceva neanche cosa aveva fatto quella mattina altrimenti sarebbe scappato da lui, lo avrebbe guardato con diffidenza, lo avrebbe evitato. Roy era incompreso ma al contempo non poteva neanche trovare una giustificazione alla sua violenza. Sapeva egli stesso di essere un mostro, di essere stato disumano. Sentiva quelle ciocche di capelli bruciargli irrimediabilmente nel petto, corrodendolo dall’interno. Sentiva quell’intimo dolore spossarlo e ucciderlo, tuttavia se soltanto avesse osato accennarvi, se soltanto avesse osato confessare il suo dolore ecco che tutto il mondo gli sarebbe crollato addosso.

King Bradley e Kimblee avrebbero trovato una prova alle loro accuse, Hughes lo avrebbe rimproverato della sua azione e Riza… Riza semplicemente non lo avrebbe creduto e non avrebbe mai capito il suo gesto, dopotutto aveva osato farle del male… Come poteva mai sperare che potesse comprendere le sue azioni? Non avrebbe potuto trovare comprensione, pietà o clemenza, perché lui stesso non ne aveva avute per lei quando il suo unico desiderio era stata sottrarla dalle mani di Kimblee e quindi da una morte certa, lenta e dolorosa.

In quel momento sentiva ancora la furia non completamente assopita nel suo animo tanto era agitato, sicuramente se non si fosse controllato avrebbe cacciato via il capitano. Vedeva il suo volto teso eppure sorridente e allegro, come faceva a essere così? Come poteva trovare la felicità in quel mondo tanto oscuro e tetro? Proprio non riusciva a capacitarsene. Avrebbe voluto scuoterlo, convincerlo a rivelargli il suo segreto, sì lo avrebbe anche torturato se necessario.

Si scatenò una lotta interiore in cui fieramente cercava di trattenere quell’ansia, quell’istinto che lo spingeva a quel bisogno. Come aveva solo pensato di agire in quel modo contro quell’amico che voleva soltanto salvarlo dal suo stesso stato d’animo? Non riusciva a spiegarsi ciò che stava accadendo dentro di lui ma si sentiva deperire a quel continuo assalto degli eventi. Sarebbe stato molto più semplice farsi completamente dominare da quei sentimenti piuttosto che reprimerli e controllarli con la ferma razionalità.

Ma tutto gli scorreva davanti agli occhi, no, semplicemente non poteva. C’era altro per cui combattere che lo spingeva a non arrendersi. Si sarebbe opposto contro quella tempesta furiosa, si sarebbe opposto a quel mare tempestoso. Conosceva a mala pena il prezzo da pagare ma non poteva fare nient’altro che lottare e sperare, sperare di costruire un futuro migliore.

«Ti stai preoccupando troppo.»

Quella fu l'unica frase che riuscì a pronunciare dopo una manciata di secondi in cui aveva riflettuto guardando ostinatamente il pavimento. Quella guerra che si stava scatenando furibonda nella sua testa non traspariva quasi dal suo viso su cui spiccava un'espressione quasi canzonatoria nei confronti del comandante delle guardie, che invece pareva aver preso un viso molto più serio del solito, preoccupato com'era per le sorti del suo amico. Hughes era incredulo. Non riusciva a capire se Mustang fosse davvero così avventato o se stesse veramente nascondendo qualcosa di grosso che riguardava lei. Pensava di conoscerlo abbastanza bene, eppure si stava trovando in difficoltà. Era testardo, maledizione...

«Ascolta, Mustang... Te lo dico chiaramente, devi fare attenzione, ma attenzione per davvero. Se hai perso la testa per quella ragazza, posso capirti, ma cerca di essere discreto nei tuoi comportamenti! Sei diventato troppo strano! Non parli più con nessuno, sei stato a messa pochissime volte, sei sempre nel tuo studio a fare non si sa bene che cosa, e intanto la ragazza se ne sta bella tranquilla nella sua cella senza che le venga fatto nulla... Se credessi a tutte le frottole che ci vengono propinate dalla Chiesa vedendoti in questo stato inizierei a pensare che quella strega abbia usato qualche sua fattura o non so cosa per friggerti il cervello e farti diventare il suo schiavo! E sai che c'è davvero un sacco di gentaglia che crede a queste stupidaggini di magie e simili... Io invece potrei capirti, sono innamorato perso della mia dolce Gracia, per me è la donna più bella del mondo! Quando l'ho conosciuta ho fatto di tutto per conquistarla, per caso te l'ho già raccontato?»

«Almeno una cinquantina di volte...»

«Sono andato sotto casa sua tutte le sere cercando di attirare la sua attenzione e le lasciavo dei fiori sull'uscio di casa, poi le cantavo le serenate e...»

«...E suo padre si era infuriato così tanto che decise di chiamare il capitano delle guardie una sera che non ne poteva più... Peccato che scoprì che si trattava proprio di quell'uomo che stava importunando la sua dolce figliola, e dopo aver compreso che il suo era un cuore nobile e il suo amore era sincero acconsentì alle nozze, eccetera eccetera... Vissero tutti felici e contenti.» cantilenò l'inquisitore imitando la voce di Hughes.

Il capitano era solito decantare le lodi della moglie e della figlia nelle circostanze più disparate e soprattutto inopportune. Mustang conosceva la storia a menadito.

« Eh sì, Gracia è adorabile, così come Elicia, che è la bambina più bella del mondo, dovresti venire più spesso a trovarci...» sospirò l'amico prima di tornare nuovamente molto serio «Ma quella Riza... Ascolta, lo so che sono stato io a portarla da te perché credevo che tu avresti potuto aiutarla... Però adesso ho paura che non troverai un modo per scagionarla purtroppo, e se non sarai tu a condannarla lo farà un altro inquisitore, magari mandandola al rogo dopo averla torturata e stuprata per giorni... Perché non la mandi in esilio e in pellegrinaggio, lo hai fatto spesso con un sacco di altri casi, non capisco quale sia il problema questa volta! E' vero che non potrai vederla mai più, tuttavia almeno l'avrai salvata... Poi lo sai che a me puoi dire tutto quello che ti passa per quella tua maledetta testa di legno, forse sono l'unico in questa dannata città di cui ti puoi fidare e che può aiutarti!”

A quelle parole, Mustang sollevò il viso, fissando Hughes dritto negli occhi. Le sue iridi nere come pece parevano quasi scintillare. Gli era venuta in mente finalmente un'idea che avrebbe potuto funzionare, grazie alle parole che il capitano delle guardie aveva appena pronunciato. Sì, era solo un pensiero, ma se l'avesse studiata nei minimi dettagli forse sarebbe stata l'unica soluzione plausibile. Avrebbe dovuto mobilitarsi in fretta però, perché tutto avrebbe dovuto svolgersi all'insaputa di tutti, di Hughes in primis, che non avrebbe dovuto sospettare nulla, così come di Riza. Era un piano troppo folle, una come lei non avrebbe mai collaborato di sua spontanea volontà, soprattutto dopo il male che le aveva fatto. Sì, non aveva alcuna scelta, anche se era terribilmente rischioso...

I suoi occhi si assottigliarono pericolosamente, Hughes a mala pena riusciva a riconoscere l’amico di sempre. L’ingegno di Mustang stava lavorando, sistemando e progettando. Sentiva quell’idea e quel progetto delinearsi sempre più nettamente nel suo cervello… se soltanto ci fosse riuscito… sì se ci fosse riuscito probabilmente avrebbe avuto la vittoria in pugno. Era folle, terribilmente folle, ma non tanto folle quanto lo era quella stessa istituzione. Non aveva tempo da perdere, sentiva gli sguardi di Kimblee e di Bradley fissi su di lui, avrebbe dovuto agire alla svelta. In tutti quegli anni aveva sempre avuto il vantaggio di non essersi mai ribellato, almeno apertamente e sfacciatamente, ai loro piani e proprio per questo forse ancora non era sospettato abbastanza. Certo, era stravagante ma in fondo aveva sempre svolto il suo lavoro senza falli.

Aveva sbagliato a farsi cogliere in quell’atto di debolezza, il rimedio che stava elaborando era drastico e purtroppo… strano. Kimblee era furbo, di certo se non avesse saputo bene fare la parte avrebbe capito il suo inganno.

Divenne cupo. Anche Hughes non poteva sospettare della sua bontà, se avesse continuato a essergli amico probabilmente allora… Sì, tutti avrebbero creduto che in lui non sarebbe cambiato niente. Il distacco avrebbe dovuto essere totale e se avesse ingannato a fin di bene il suo amico forse ce l’avrebbe fatta.

Eppure una parte di lui ancora esitava. Perché doveva privarsi anche di quel sentimento? Certo odiava quando Hughes lo interrompeva ogni volta narrandogli le peripezie della sua famiglia eppure aveva capito che era soltanto un modo per distrarlo dai suoi rigidi doveri. Avrebbe dovuto davvero ingannare anche lui? Se Hughes lo avesse capito, sarebbe stato al suo gioco? W anche se non avesse compreso, lo avrebbe perdonato dopo?

Si ritrovava in una situazione pessima e la sua presenza in quel momento lo irritava, quell’aura allegra che lo circondava gli impediva di pensare coerentemente. Per salvare Riza, se stesso e anche Hughes avrebbe dovuto ingannare tutti e diventare sporco quanto lo erano le persone che detestava? Probabilmente sì, e la risposta gli faceva davvero male. Non voleva costruire un futuro migliore su fondamenta insicure, immorali e peccaminose. Con quale autorità poi avrebbe potuto considerarsi migliore o peggiore dell’Inquisizione e del Braccio Secolare? No, non voleva tuttavia non aveva scelta e in quel momento di assoluta disperazione in cui era di nuovo sprofondato non aveva davvero altro da fare. Era l’unico modo per non tradire sul serio i suoi amici, anche se apparentemente li avrebbe disprezzati. Non avrebbe mai permesso che qualcuno avrebbe fatto loro del male, che qualcuno li avrebbe danneggiati, né Hughes, né i suoi collaboratori, quali Jean Havoc la guardia, o il giovane Kain Fury, il suo segretario…

Sì, forse non era tanto diverso dagli altri umani.  Aveva le stesse debolezze, le stesse propensioni al potere ma lui non lo faceva per egoismo, voleva proteggere chi poteva salvare.

«L’esilio? Il suo caso purtroppo non può richiedere un mezzo tanto futile. Le accuse sono gravi e il popolo stesso vuole solo una cosa: la sua morte.»

Era apparentemente calmo ma si reggeva e continuava a ostentare quell’atteggiamento solo grazie al grande nervosismo che lo reggeva e lo faceva andare avanti. Vedeva davanti a sé quel miraggio incrollabile, avrebbe solo dovuto guardare in quel punto, cercando di raggiungerlo e non corrompere e perdere la sua anima. Era terribilmente difficile ma sperava di potercela fare, ma da solo senza quei pochi sostegni e consensi che aveva in realtà si sentiva anche debole, svuotato. Avrebbe dovuto godere dei ricordi e della fiducia che loro gli riponevano dentro. Sperava, sperava ardentemente che Hughes capisse e il suo sguardo forse lasciava intravedere quella scintilla di compassione che gli emergeva involontariamente. Se soltanto Hughes avesse saputo coglierla allora… Allora forse vi era speranza anche di mantenere la loro amicizia. Ma doveva essere brusco e inflessibile.

«Ho studiato un sacco di carte, ma non ne vengo a capo. Credo che prima o poi sarò costretto ad accontentarli.» Era stato duro, sprezzante, le aveva pronunciate con un tono forte, come se volesse cacciare via quelle parole lontane da lui, infondo non le appartenevano. «Probabilmente non lo sai, ma oggi ho avuto delle conferme da lei stessa, ed io non posso ignorare ciò che mi si para davanti, devo fare ciò che va fatto. Non vi è possibilità di salvezza. Se dovrà morire non mi tirerò indietro dal fare il mio lavoro.»

Non aveva neanche il coraggio di guardare il suo amico e al solo pensiero che in pubblico avrebbe dovuto guardarlo e dirgli quelle cose orribili… no, non poteva sopportarlo.

 

 

 

 

 

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