Verità e Dannazione di Alice_and_Lolly (/viewuser.php?uid=811599)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Salve
a tutti! ^^
Grazie
per essere passati a leggere questa storia, spero non ne rimaniate
delusi.
Siamo
Alice J Raynor e RedLolly, e abbiamo deciso qualche giorno fa di
tentare un piccolo esperimento, ovvero una collaborazione per una fan
fiction AU in cui tratteremo un argomento alquanto delicato e su cui
tutte due abbiamo fatto qualche ricerca e che in un certo senso ci
affascinano: la Caccia alle Streghe e L'inquisizione. Cercheremo di
descrivere situazioni storicamente accurate per quanto possibile,
legandole ad un anime/manga che ci piace particolarmente, ovvero FMA,
cercando di mantenere i personaggi più IC che possiamo.
Speriamo
che apprezziate, il nostro lavoro, lasciateci tante recensioni, ci
fareste felici!^^
Alice
e Lolly
PS1:
Questa long fiction tratterà di argomenti delicati tra cui la
religione. Le due autrici dichiarano di non voler in alcun modo né
offendere il credo di nessun lettore, né di offendere la religione
in generale.
PS2:
I personaggi di Fullmetal Alchemist non appartengono alle scrittrici,
ma a Hiromu Arakawa.
Verità
e Dannazione
Prologo
Appena
la notte giunse a oscurare il mondo, appena ogni soffio di luce si
perse nella grandezza del firmamento, qualcosa si mosse.
Tutta
la gente, in un unico istante, al suono della campana del coprifuoco,
era sparita nelle proprie case. Chi ce l’aveva almeno. Appena
apparve la notte nella mente delle persone iniziarono a sorgere i
dubbi e la paura. L’oscurità era il dominio del male, dell’ignoto,
di tutto ciò che era meglio seppellire. Le tenebre erano il regno
della tentazione in tutte le sue forme. Dagli angoli potevano
emergere ladri, assassini e ogni sorta di pericolo. Nella coltre
delle ombre poteva emergere una figura di pura seduzione, una sagoma
di infinita violenza, un fantasma di pura avidità. Barricandosi
nelle case, in quelle che doveva essere il caldo e sicuro focolare
domestico si pensava di poter evitare tutto. La casa rappresentava il
nucleo, il bagliore di una luce che rifulgeva nel buio. Anche se la
corruzione e l’invidia di certo non mancava, soprattutto nelle
famiglie più altolocate, si pensava che il simbolo stesso della
croce potesse prevenire qualsiasi male.
E
se il male fosse stato in questo?
E
se il male risiedesse altrove?
L’ignoranza
forgiava quelle credenze così radicate nell’uomo che sembrava
innaturale e insano il solo pensiero che tutto quello potesse essere
sbagliato.
La
vita non aveva né passato, né presente. Tutto era proiettato in un
futuro. Un avvenire di eterna dannazione o di infinita gloria.
Tutto
era scandito dal suono delle campane, le loro metalliche litanie
stabilivano il tempo e i doveri di ognuno.
Quel
potere incombeva su tutto il paese, trattenendolo nelle sue grinfie
d’acciaio, e se non aveva il rispetto di qualcuno, lo prendeva con
la violenza screditando, scomunicando e uccidendo.
Dentro
quelle silenti mura, in quella città di pietra di nome East City,
tutto era immobile, tranne qualcosa.
Figure
ammantate scivolavano veloci per le strade ormai deserte e buie.
Riuscivano ad orientarsi alla perfezione, svelti e furtive. Se
qualcuno le avesse viste le avrebbe scambiate per scure sagome del
Diavolo.
Quello
che stavano per fare era di certo un’accusa in più nei loro
confronti.
Erano
due giovani uomini, che si nascondevano nella notte, cercando di
evitare di fare il benché minimo rumore. Se qualcuno li avesse visti
sarebbe stato un problema, un problema davvero enorme per loro.
Sapevano che stavano correndo dei rischi, in gioco c’era la loro
vita, tuttavia non potevano fermarsi. La causa a cui si erano votati
era essenziale, forse più importante della loro stessa vita.
Edward
Elric, il maggiore dei due fratelli, ne era fermamente convinto. La
scienza non poteva essere fermata.
I
due continuarono silenziosi per i vicoli meno in vista della città,
camminando in punta di piedi. Il posto in cui dovevano recarsi non
era molto lontano da dove si trovavano in quel momento, e se i loro
calcoli non erano errati ciò che cercavano doveva essere ancora lì.
Durante
la giornata, spesso dovevano interrompere il loro spinoso lavoro per
recarsi a stupidi eventi in città, avvenimenti a cui né Edward, né
suo fratello Alphonse, né la loro preziosa amica Winry Rockbell
avevano voglia di partecipare. La società, tuttavia, imponeva
l’adesione a messe, processioni e condanne a morte, che in quel
periodo oscuro, straziato dal morbo della peste, si susseguivano
senza sosta anche più volte al giorno. Non potevano permettersi di
ignorare questo genere di celebrazioni, dato che la loro posizione
era già piuttosto delicata. Se al contrario del resto dei cittadini,
non si fossero fatti vedere in quei momenti, la gente avrebbe avuto
un buon pretesto per denunciarli alle autorità come eretici, e ciò
significava solo una cosa: tortura e morte.
Fu
così che proprio quel pomeriggio, videro qualcosa di interessante,
mentre si incamminavano dietro ad una processione di flagellanti,
fingendo di pregare ferventemente per la fine della pestilenza che
stava affliggendo East City, quando ormai tutte le loro speranze di
mettere fine a quella scia di morte risiedesse nella scienza e non
nella fede.
Avevano
studiato assieme il percorso durante la cena, per arrivare senza
farsi vedere alle due nuove fosse comuni che erano state appena
scavate vicino al consueto cimitero.
La
peste non stava nemmeno accennando a mietere meno vittime nonostante
le continue preghiere collettive, anzi, ogni giorno che passava
sembrava che morissero sempre più persone. Il flagello di quel paese
non si arrendeva, non impallidiva davanti a quelle morti. Continuava
a mietere e mietere, senza alcun ritegno per l’età o il sesso.
Tutti erano uguali davanti a quella furia funerea, tutti venivano
sfigurati e uccisi senza che niente cambiasse da individuo a
individuo. Colpiva uomini e donne, credenti ed eretici, ricchi e
poveri… La punizione divina colpiva indistintamente, facendo
fuoriuscire dalle menti deboli di ogni individuo la parte peggiore e
animalesca del suo essere. Per quanto i superstiti mostrassero il
loro volto in piena luce, con punizioni e flagelli di ogni sorta,
nelle tenebre rubavano le proprietà altrui, temevano gli altri e
uccidevano senza sosta i propri nemici. La situazione era nel più
completo Caos, nel disordine più accecante. Sembrava non esserci più
nessuna uscita da quella bolgia di sofferenza e gli uomini invece di
aiutarsi a vicenda, non facevano altro che distruggersi
indirettamente tra di loro. L’egoismo regnava nei cuori colmi di
paura.
L’unica
soluzione risiedeva nella scienza e nella ricerca, che veniva
ostacolata da tutti e condannata.
Con
grandissima perizia, i due fratelli iniziarono a scavare, provocando
soltanto un sussurro nella notte. Edward si impegnava con più
solerzia, deciso a portare presto a termine il suo lavoro, pronto a
mettere fine presto a quel tormento; suo fratello agiva con più
solennità. Mentre compieva quel gesto meditava sulla morte di quelle
povere persone, si scusava del disturbo che avrebbe provocato al loro
riposo. Tuttavia era determinato nel suo lavoro perché era sicuro di
aiutare migliaia di persone in quel modo. Se avessero trovato una
cura, il merito non sarebbe andato soltanto a loro ma anche a quelle
povere persone che si sarebbero sacrificate per quell’ideale.
Edward
con il suo modo di fare impetuoso cercò di non commuoversi davanti
al corpo senza vita che era pronto a infilare in un sacco, senza
nemmeno soffermarsi a studiare il volto, Alphonse, al contrario,
prese tra le sue braccia il corpo piccolo e prematuro di una giovane
bambina. Guardò il suo volto cereo, l’espressione felice mentre il
viso era deturpato e consumato dalla malattia, sporco di terra. La
tenne un lungo istante tra le sue braccia, inerte, fissando con
straziante dolore e infinita sofferenza quel corpo piccolo e gracile,
schiacciato dalla bruttezza di quell’epidemia.
Era
completamente immerso in quel dolore, e per un attimo pensò di non
poter far niente, credette di essere completamente inutile per quella
causa. E proprio per quello avrebbe dovuto impegnarsi di più in quel
momento. Ogni volta che vedeva un corpo, siglava questa promessa, ma
mai fu come quel giorno, mai fu così forte. Forse perché il corpo
apparteneva a una bambina, forse perché mai si era accorto realmente
dello scempio che lo circondava.
Edward
cercava di non guardare, cercava di non vedere quella sofferenza. Si
era fin troppo impressa nella sua mente e avrebbe voluto evitare di
mostrare i suoi sentimentalismi. Lui sapeva di dover andare avanti,
sapeva che con la sua impulsività ed energia avrebbe dovuto
trascinare anche il fratello.
«Dai,
Al…» sussurrò con la voce più bassa possibile cercando di
spronarlo «Facciamo in fretta, non abbiamo molto tempo.»
«Sì,
scusami.»
Per
Edward, Alphonse era un libro aperto, ormai lo conosceva, sapeva che
era dotato di una grande sensibilità e si emozionava facilmente,
arrivando a diventare addirittura maldestro in certe situazioni.
Questa volta però non potevano permettersi nemmeno un errore e il
fratello era evidentemente molto teso. Ne avevano viste a decine di
condanne a morte, molte persone sfortunate erano state torturate e
uccise nei modi più crudeli, bruciate vive o annegate, con accuse di
eresia o stregoneria. Trafugare dei cadaveri faceva parte delle cose
che la Chiesa considerava dei sacrilegi punibili con la morte, dato
che i corpi dei defunti erano sacri e inviolabili. Se li avessero
scoperti li avrebbero costretti a fare delle confessioni assurde, le
stesse che avevano sentito pronunciare prima dell’esecuzioni delle
pene capitali. Edward non credeva mai ad una parola quando sentiva i
condannati chiedere perdono al Signore per azioni che era impossibile
compiere. C’era gente che aveva ammesso di aver sparso la peste
grazie a delle sostanze fornite da Satana in persona, chi aveva
ucciso dei neonati per creare un veleno da mettere nelle ostie
consacrate, chi aveva reso sterili animali e giovani donne, chi
volava sulle scope per raggiungere i Sabba per poi fornicare con i
demoni… Assurdità senza nessun senso. Alphonse quand’era più
giovane sembrava avere avuto qualche dubbio, e spesso aveva chiesto
al fratello rassicurazioni sul fatto che nessuno avrebbe potuto
rubargli l’anima facendolo riflettere in uno specchio maledetto,
oppure renderlo sterile con un incantesimo. L’altro gli aveva
sempre risposto ridendo che erano sciocchezze, e che sotto tortura si
potevano confessare le cose più terribili senza in realtà averle
mai commesse. Per fortuna si era poi pian piano convinto anche lui e
seguiva ciecamente Edward nel compiere le sue ricerche da molti anni,
mentre per la Chiesa aveva sviluppato un timore viscerale.
«Andiamo,
dobbiamo essere a casa prima i galli inizino a cantare.»
Edward
si incamminò tenendo la parte anteriore del sacco pieno e pesante,
mentre Alphonse teneva la parte posteriore. Ora si muovevano molto
più lentamente di prima, erano impacciati, ed era più facile fare
rumore. Se il sacco fosse caduto avrebbero rischiato di svegliare
qualcuno o di attirare qualche malintenzionato, ladro o assassino che
fosse. Di tanto in tanto si dovevano appoggiare ai muri dei vicoli
puzzolenti che stavano percorrendo e trattenere il fiato con il cuore
in gola. Più volte sentirono passi e schiamazzi, ad un certo punto
anche il grido di una ragazza spaventata dietro un angolo. Edward
dovette trattenere se stesso e il fratello per non correre in
soccorso di quella sfortunata sconosciuta di cui non avrebbero mai
conosciuto la sorte. Dovettero continuare a con il cuore spezzato
deviando il percorso in uno stretto vicolo che puzzava
spaventosamente di latrina.
Proseguirono
ancora, la strada sembrava non finire mai. La loro casa non si
trovava in città, ma in un posto più periferico, vicino al bosco,
in modo da non venire disturbati, lontano da sguardi indiscreti e
soprattutto dalle chiese e dai tribunali. Era vero che il fatto di
vivere una vita ritirata non avrebbe giocato a loro favore se
avessero dovuto essere accusati di qualcosa, eppure avevano deciso di
correre comunque il rischio.
Quando
distinsero a fatica nel buio la loro agognata dimora, entrambi
tirarono un sospiro di sollievo. Ce l’avevano quasi fatta, mancava
solo un piccolo sforzo…
Giunto
a destinazione, Edward aprì la porta di legno lentamente per non
farla scricchiolare, e poi si infilò all’interno delle mura
domestiche, tirandosi dietro il fardello che avevano depredato.
Alphonse respirava affannosamente per lo sforzo, ma ormai non c’era
più bisogno di fare silenzio. Winry era sveglia, non dormiva mai
quando loro andavano via di notte.
Anche
la presenza della ragazza poteva essere pericolosa. Loro cercavano di
proteggerla come meglio potevano, ma la sua bellezza, il suo
isolamento e il fatto che vivesse con loro era spesso interpretato
male dalla società, che voleva le donne in età da marito fidanzate,
o già sposate e votate a diventare angeli del focolare, mentre lei
condivideva la casa con due giovani uomini che non erano nemmeno suoi
parenti.
Winry
Rockbell era parte della famiglia per gli Elric. Era ormai quasi una
donna, i capelli biondi e il volto sarebbero stati lodati dai poeti
per la raffinatezza dei tratti, quasi angelici. Non Edward. Quando
sentiva affermazioni del genere lui spesso sbuffava, scocciato di
questi elogi. La ragazza mostrava spesso un carattere energico, che
non si faceva problemi a mettere in riga i due fratelli con i modi
più rudi. Era il suo comportamento abituale per dimostrare il suo
affetto. Loro erano una famiglia. Lei assumeva atteggiamenti e modi
di fare che mai si sarebbero sognati in un'altra casa. Mostrava
quell’atteggiamento perché sapeva di non essere pregiudicata da
loro, sapeva di poter essere se stessa senza che l’additassero come
meretrice, o la considerassero inferiore.
Per
quanto fosse ormai notte inoltrata, lei era lì, ad attenderli. I
capelli sciolti, disordinati, il viso stravolto e assonnato, ma i
suoi occhi erano ardenti e ansiosi. Lei aveva paura per loro, si
preoccupava troppo.
Li
accolse come suo solito, parlando in modo altero ma non abbastanza
forte per farsi sentire all’esterno, anche se era evidentemente
minacciosa.
«Dove
siete stati? Volete farmi preoccupare?»
E
a entrambi diede il suo benvenuto, lanciando a entrambi i primi
oggetti che le capitarono sotto tiro, un mestolo e una tabacchiera
vuota, che finirono rovinosamente contro la parete. Quella volta la
sua preoccupazione aveva vinto la ragione. Aveva bisogno di sfogarsi.
Quello era il suo modo per dimostrare il suo affetto, per non
piangere, per non essere debole. Era perfettamente al corrente di ciò
che poteva accadere e temeva per la sua famiglia.
Edward
scrollò le spalle, cacciando in quel modo le domande insistenti
della ragazza. Era il suo modo di fare, il suo modo per non cedere
alle emozioni. Non era il tipo.
Alphonse
cercò di essere più gentile, come spesso gli capitava.
«Winry,
non ti devi preoccupare. Riusciremo a cavarcela, piuttosto tu, sei
sicura di voler continuare a vivere con noi?»
Quelle
proposte erano una routine, una cerimonia. Persino Edward rimaneva in
silenzio appena veniva posta quella domanda. Al diavolo la scienza,
al diavolo loro, ma non lei. Lei era più importante di qualsiasi
cosa e il solo pensiero che potesse star male… Che gli potesse
essere riservato uno di quei trattamenti che aveva visto troppo
spesso nelle pubbliche piazze… Non voleva nemmeno pensarci!
Winry
ribatteva, con
forza.
«Al,
perché mi fai questa domanda ogni volta? Per me siete l’unica cosa
che conta e vi seguirò ovunque! Zitti, questo è il mio modo di
aiutarvi!»
E
a questo punto Edward interrompeva «Non abbiamo mai chiesto il tuo
aiut-»
La
donna per non urlare, sussurrò con tutta la minacciosità che poteva
avere, con un espressione che esprimeva tutta la sua decisione
«Secondo te ho bisogno del tuo consenso per decidere di aiutarvi?»
La
discussione sarebbe stata lunga, sicuramente. Ne discutevano molto
ogni volta.
«Ne
parleremo dopo, abbiamo un lavoro da fare.»
Quella
frase decretava che per un momento Winry avrebbe dovuto aspettare. Il
suo volto rimase fisso per qualche secondo, per poi incupirsi. Annuì
piano, poi si avvicinò ai fratelli per aiutarli a portare dentro il
sacco. Sapeva già cosa contenevano, l’odore putrido che il loro
prezioso tesoro emanava era inconfondibile. Le prime volte le era
venuta voglia di vomitare tanto le saliva la nausea, eppure pian
piano si era abituata, per non mostrarsi debole e aiutarli al meglio.
La
loro casa, non era fortunatamente troppo piccola, aveva ben tre
stanze, cosa che rispetto ai normali bugigattoli in cui le persone di
rango sociale non troppo elevato si ammassavano. Una volta era
appartenuta a Pinako Rockbell, la nonna di Winry, una vecchia signora
eccentrica, che aveva cresciuto la nipote dopo che i suoi genitori
erano mancati durante i primi casi di peste. Era una donna testarda e
autonoma, che non si era mai fatta mettere i piedi in testa dalla
Chiesa, si rifiutava di andare alle messe, non si confessava mai, ma
era generosa e amava aiutare le persone in difficoltà. Non esitava a
regalare agli indigenti quel poco che riusciva a tenere da parte del
raccolto del suo piccolo orto, conosceva molti rimedi a base di erbe
che produceva personalmente… Arrivò quindi a dividere la casa con
Trisha Elric, la madre dei due fratelli, nel momento in una fredda
notte d’autunno quest’ultima aveva bussato piangendo alla sua
porta, cacciata e denigrata da tutti poiché senza marito e con due
bambini piccoli da accudire.
Quando
erano morte, prima Trisha, a causa della peste e poi nonna Pinako,
finita nelle mani dell’Inquisizione per essere poi condannata a
compiere un pellegrinaggio da cui non fece mai ritorno, una ferita
nei cuori dei tre giovani aveva iniziato a sanguinare. Per questo
erano così determinati. Già da ragazzini avevano visto in faccia
che cos’erano la morte, la Chiesa, la malattia. Almeno quest’ultima
poteva essere sconfitta, Edward ne era più che sicuro, doveva solo
trovare il modo, lo doveva a sua madre…
«Winry,
hai lasciato accese troppe candele, potrebbero vedere che siamo
svegli.»
«Adesso
ne spengo qualcuna… Tanto penso che andrò a dormire, se come al
solito il mio aiuto non vi serve.»
«Vai,
tranquilla… Qui ci pensiamo noi.»
I
tre posarono il sacco su un tavolo di legno che si trovava nella
piccola stanza che faceva loro da laboratorio. Li aspettava un lungo
lavoro che sarebbe durato fino al mattino, quando poi avrebbero
dovuto disfarsi dei corpi nella foresta non troppo lontano.
Nonostante l’apparenza, quell’operazione era più sicura rispetto
al recupero, poiché tutti avevano paura di andare nei boschi. Si
raccontavano un sacco di leggende su lupi mannari, orchi e altre
creature malvagie che uccidevano chi vi si addentrava, e questo
timore della popolazione giocava tutto a favore dei fratelli Elric.
Oltretutto le tombe che scavavano erano sicuramente più dignitose
per i defunti rispetto alle fosse comuni della città.
Appena
le luci si attenuarono, appena i passi di Winry si bloccarono, sicuri
che fosse andata ormai a dormire, i fratelli iniziarono il loro
lavoro. Nella semioscurità della stanza, circondati dall’odore dei
corpi morti i fratelli iniziarono il loro lavoro. Sulle pareti del
laboratorio, anche se oscurate dalle tenebre, si potevano scorgere
dei lembi di carta. Avevano tracciato con la precisione di un
astronomo, la mappa sui corpi. Avevano studiato a lungo l’anatomia
umana ed erano giunti a conoscere ciò che la Chiesa si rifiutava di
accettare e di credere. Quella prova per loro era stata quella
definitiva, quella che li aveva fatti smuovere dal dubbio e fatti
cadere nel baratro della consapevolezza.
Ormai
conoscevano a memoria i dedali del corpo dell'uomo e proprio per
questo avrebbero dovuto comprendere la natura del male che sterminava
le persone. Esaminavano gli effetti, cercavano una soluzione.
Sperimentavano e ricercavano, senza alcuna sosta. Avevano deciso
ormai di dedicare tutta la loro vita in quella lotta. Erano sicuri di
poter elaborare una cura e una soluzione a quelle morti.
A
loro non interessava se le persone li guardavano con sospetto e
cautela, loro facevano il necessario per non essere condannati e per
quanto comprendessero l’ignoranza della gente prima o poi, con la
loro cura, erano sicuro di riuscire ad aprirgli gli occhi, e con la
cura avrebbero scacciato quella diffidenza.
Le
tenebre gli impedivano di vedere ancora il volto di quelle persone,
li aiutava a estraniarsi dai sentimenti e l’etica comune che
avrebbero ripugnato uno studio del genere.
Ma
non si sarebbero fermati.
Studiavano
ancora per vedere il sorriso della gente.
Studiavano
per rendere l’indipendenza e la conoscenza alle persone.
Studiavano
per ostacolare quel regno opprimente e tirannico.
Avrebbero
assicurato a Winry la pace. Avevano sempre impedito che li aiutasse,
non volevano farla soffrire. Aveva già fatto molti sacrifici per
loro e per un lavoro del genere ci voleva una determinazione ferrea.
I
fratelli avrebbero continuato in quell’intento. Anche se Alphonse
spesso si tormentava, anche se Edward spesso si irritava per
nascondere i suoi sentimenti, avrebbero continuato.
Lavorarono
sino al mattino, ininterrottamente. Da quando ormai portavano avanti
quel progetto dormivano sempre più raramente e male. Erano inseguiti
dai fantasmi della coscienza e dal terrore di essere scoperti.
Edward spesso
scacciava tutti quei pensieri, asserendo che fosse solamente
soggezione. Lui non credeva nei fantasmi come non credeva nella
Chiesa.
Tutto
quello per lui erano scuse per non procedere con il suo lavoro.
E
questo non poteva permetterselo.
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Capitolo
1
Winry
quella mattina si
era svegliata prima dei fratelli Elric, come tutte le volte. Quando i
galli iniziavano a cantare, lei apriva gli occhi e non c’era più
modo che si addormentasse. Del resto, lei si metteva a letto molto
prima di loro, e il suo sonno era leggero. Al minimo rumore, la
ragazza apriva gli occhi, e sentiva le arterie del collo pulsare di
ansia. Negli ultimi tempi oltretutto, si erano moltiplicate le notti
in cui non riusciva a dormire affatto. Stava diventando troppo
ansiosa…
La
stanza in cui dormivano, era in realtà quella in cui svolgevano
anche tutte le attività domestiche. I loro giacigli erano posti a
lato dell’unico camino della piccola dimora, quello di Winry a
sinistra e quelli di Edward e Alphonse a destra, in modo che quando
il fuoco si spegneva potessero ancora godere del calore delle braci
mentre dormivano. Al centro si trovava il tavolo dove mangiavano,
sulle altre pareti c’erano delle mensole, per terra delle
cassepanche con tutto il necessario per vivere. Dal soffitto
pendevano alcuni generi alimentari attaccati a delle piattaforme in
legno grezzo, in modo che i topi non potessero raggiungerli:
soprattutto pane, piante, verdure provenienti dal loro piccolo orto e
quando capitava qualche fetta di carne salata che potevano
permettersi molto raramente.
Dopo
che lei si era alzata, era comunque difficile che i due ragazzi
riuscissero a riposare ancora a lungo. Iniziava a preparare la
colazione e faceva rumore con le ciotole e gli altri utensili da
cucina. Quella mattina non fu quindi così diversa dal solito.
Dopo
Winry, Alphonse fu il secondo ad alzarsi dal suo non proprio comodo
letto, e si mise ancora assonnato a tavola. Aveva dormito pochissime
ore per colpa del lavoro segreto che stava portando avanti con suo
fratello, ma non si lamentava. Era raro in effetti che il più
giovane dei due fratelli protestasse, era troppo affabile,
soprattutto nei confronti di Edward.
«Ciao,
Winry…» disse, sorridendole mentre si grattava pigramente gli
occhi.
«Buongiorno,
Al… Ti ho preparato una ciotola di latte, dato che finalmente ieri
sono riuscita a scambiarne un po’ con uno dei cavoli che ci era
rimasti nella dispensa. Spero che duri almeno fino a domani mattina,
così abbiamo qualcosa in più della solita tisana di erbe in cui
inzuppare le gallette…»
«Lo
sapete che a me il latte non piace…»
Edward
si era alzato e si era seduto a tavola, i capelli dorati tutti
scarmigliati dopo le poche ore di sonno.
«Oggi
andrò in città di nuovo, per vedere se riesco a comprare
qualcos’altro… Guarda che non è così facile vendere senza dare
troppo nell’occhio! Oltretutto non mi ricordo cosa dobbiamo
preparare, ho finito un sacco di infusi! Mi sembrava fosse rimasto
qualcosa a base di digitale, di lupino e anche della borragine…
Dovrei controllare quando torno.»
Proprio
come aveva annunciato, Winry prese a frugare fra gli intrugli e la
merce che era solita vendere. Per quanto si fosse destata da poco era
sempre molto energica, sempre pronta a fare il massimo per aiutare la
sua famiglia. Loro gestivano un lavoro duro e lei non voleva essere
da meno. Usava tutto il suo tempo dedicandosi a qualche piccola
attività che avrebbe potuto fruttargli un po’ di soldi per vivere.
Per un po’ si era seriamente impegnata a imparare a tessere come
qualsiasi altra ragazza, ma aveva trovato un’affinità maggiore tra
le erbe e l’agricoltura. In un periodo tanto piagato da malattie e
carestie, medicine, infusi e cibo erano essenziali per la vita. Aveva
presto scoperto che quel lavoro, per quanto la esponesse a pericoli,
era sicuramente più retribuito rispetto al lavoro massacrante che le
Corporazioni richiedevano senza nemmeno una giusta ed equa
retribuzione.
Nessun
ulteriore borbottio di Edward riuscì a trattenerla, nessuna domanda
gentile d’attesa di Alphonse bastarono per non farla uscire. Come
loro avevano i loro doveri notturni e diurni, lei aveva la sua corsa
da fare. Si destreggiava per le vie, conosceva ormai una certa
clientela, conosceva piccole piazze e cunicoli dove posizionare la
sua povera merce. Ma spesso la bella ragazza non si rendeva conto di
attirare occhiate e commenti indiscreti.
Quando
gli uomini posavano gli occhi sui suoi capelli biondi, sui suoi occhi
pieni di energia e di dolcezza venivano subito ragguagliati. Lei
aveva l’aspetto di un angelo, ma per molti pettegoli non era altro
che un cupo segnale di morte.
Le
voci iniziavano a vorticare sempre più veloci. La sua attività non
erano di certo sfuggite alle accorte e tutta quella pratica con
veleni, intrugli ed erbe rivelavano le sue oscure tendenze. Si era
indagato sempre di più sul suo conto, fino a sapere che vivesse con
due uomini che non condividevano nessun legame di sangue con lei. Lì
i sospetti erano scoppiati, dilagati nel ceto basso della
popolazione. Qualunque cosa facesse, qualsiasi azione compiesse era
guardata di soppiatto, i bambini si nascondevano al suo passaggio e
lei, povera stolta, ancora non si era accorta di quanto la cosa
avrebbe potuto rivelarsi pericolosa. Riteneva di agire con la più
grande discrezione possibile. Avrebbe dovuto comprendere che la gente
iniziava a provare risentimento nocivo nei suoi confronti da quando
era iniziato a diventare più difficile vendere la sua mercanzia.
Tutto a un tratto, molti dei suoi acquirenti erano scomparsi nel
nulla, troppo spaventati persino per incontrarla. I suoi modi
gentili, a volte forse un po’ virili per una donna, ma sempre molto
positivi erano stati mal interpretati. In un periodo così grottesco
e poco amichevole non tutti erano disposti a giudicare quell’allegria
positiva. Quei sorrisi, quei gesti, quei modi… Qualsiasi cosa
compiesse era diventato un puro sospetto e probabilmente tutto
sarebbe degenerato.
Non
era una donna stupida, aveva recepito quello che stava
accadendo. Se ancora non aveva espresso ad alta voce il pensiero di
essere scrutata e guardata con diffidenza, lei sentiva tutto su di
sé. Tutto quello iniziava a pesarle, sebbene non desse a vedere
niente. Continuava a illudersi che tutto fosse ancora normale per
tranquillizzarsi e darsi forza. Cercava di convincersi che tutto
fosse solo frutto della pressione e dell’ansia – soprattutto
notturna – che l’affliggeva. Forse incubi e stanchezza erano la
causa dei suoi guai e nient’altro.
Anche
quel giorno quindi, arrivò nel centro di East City, cercando come al
solito di essere allegra e rassicurante. Aveva nascosto le preziose
fiale dentro un cestino coperto da un piccolo straccio, in modo che
la sua merce fosse nascosta.
La
piazza centrale in cui si stava avviando brulicava di gente. C’erano
tantissime bancarelle cariche di ogni genere di mercanzia: c’era
chi vendeva ortaggi, chi verdura, chi frutta esotica e costosissima,
chi galline e conigli vivi stretti in piccole gabbie, chi tessuti
meravigliosi provenienti dalla lontana Xing (E Winry avrebbe tanto
voluto un vestito fatto che quelle sete, sarebbe sembrata una
principessa!). Ad un certo punto, vide anche un predicatore coperto
di stracci che preannunciava l’apocalisse urlando a squarcia gola,
attirando attorno a sé un capannello di persone incuriosite o
estremamente devote.
La
ragazza cambiò subito strada infastidita e preferì avvicinarsi ad
uomo robusto e con una gran pancia sferica e pochi capelli sul
cranio, il quale stava appoggiato al muro di un’abitazione e teneva
con un guinzaglio di corda un pasciuto porcellino. L’uomo non
sembrava in gran forma, continuava a tossire in modo convulso in un
fazzoletto fino ad avere le lacrime, spaventando l’animaletto che
tentava di indietreggiare e liberarsi.
«Salve,
scusi se la disturbo… Non si sente tanto bene?» chiese con voce
gentile dopo essersi guardata attorno. Sembrava che nessuno avesse
fatto caso a loro.
Non
ottenne nessuna risposta, ma solo altri colpi di tosse. Winry per un
po’ temette che l’uomo avrebbe iniziato a sputare anche i
polmoni.
«Ho
qualcosa che fa al caso suo… Un unguento di rapa bianca e miele, lo
deve sciogliere in un po’ d’acqua e berlo… Dovrebbe calmare un
po’ la tosse, glielo vendo per tre monete d’argento…»
L’uomo
ci mise un po’ a rispondere.
«Due…
Coff, coff… Due monete…»
Winry
annuì, anche se non
era molto felice. Avrebbe potuto comprarsi qualche ortaggio per una
zuppa, era meglio di niente per iniziare, e doveva accontentarsi.
Sorrise, mentre di soppiatto passava un piccolo contenitore dalla
cesta alle mani dell’uomo, che a sua volta le lasciò le due
agognate monete. Per fortuna la giornata non era iniziata male.
Intascò
velocemente l’argento, toccandolo freneticamente con le dita, per
verificare le incisioni, per essere sicura che non fosse stata
ingannata. Le era spesso capitato e aveva imparato a conoscere quei
pezzi di metallo al solo tatto, doveva avere discrezione e prudenza.
L’uomo di certo non condivideva la sua teoria. Svelto, guardò il
liquido che aveva ottenuto e poi lo bevve, avido, continuando a
tossire. Continuava a tenere d’occhio la giovane, persino mentre
continuava a ingurgitare la fiala, di certo non gliel’avrebbe fatta
passare liscia se soltanto avesse scoperto che quella fosse stata una
truffa. Forse non era acculturato e intelligente, forse non era ricco
e benestante quanto la sua pancia avrebbe dovuto testimoniare ma non
era stupido. Era attaccato ai soldi quanto alla vita, eppure nessuno
in quel periodo avrebbe potuto biasimarlo. Si uccideva per avere
qualche misero spicciolo per sopravvivere, si sciacallavano le case
dei malati e dei moribondi – spesso i ricchi – per ottenere
qualcosa. Presto la tosse si placò pian piano, fino a mettere a
tacere il bruciore lacerante dei polmoni.
Agli
attenti osservatori dell’affollata piazza tuttavia, non era
sfuggito né la provocatoria preoccupazione di lei né il gesto avido
di lui. Per loro quello era il chiaro segno di una fascinazione, un
gesto dettato dalle oscuri arti del male. Quale uomo avrebbe obbedito
con tanta velocità a un comando di una semplice meretrice? No, c’era
di più e loro l’avrebbero smentito pubblicamente.
Mentre
lei iniziava ad allontanarsi, ormai libera dallo sguardo di
quell’uomo, ormai pronta per cercare un nuovo cliente, era tanto
intenta nel suo progetto da non dare più tanto peso alle persone che
la circondavano. Si avvicinò ad un secondo uomo, notandolo in palese
difficoltà, dato che si teneva la parte bassa della schiena, dove
evidentemente sentiva dolore. Non ebbe tempo di notare il suo volto,
propose il suo aiuto, con una medicina a base di farina d’avena e
aceto, che avrebbe potuto ridurre la lombalgia… Ma non aveva fatto
caso a quella figura incappucciata, da cui persino il sole sembrava
sfuggire, tanto da lasciare intorno alla sua sagoma un’intera zona
di penombra.
L’aveva
osservata con i suoi spilli di ghiaccio, più di una volta. Aveva
odiato il suo vagare per le piazze, aveva disprezzato il suo volto
angelico e gli occhi limpidi, aveva disgustato i suoi futili rimedi
che sapevano di magia e d’oscurità. Non riuscì a trattenersi.
Prese
a parlare, la voce grave e solenne. Iniziò lentamente poi alzò
sempre di più il tono, attirando l’attenzione su di sé e la
figura che additava. La piazza tacque, tutte le teste si voltarono,
le attività si interruppero. Le due figure principali
diventarono la donna angelica del Diavolo e l’uomo tenebroso della
Chiesa.
«Voi
tutti, ancora non vi siete accorti del male che infesta la nostra
comunità. Insita nel seno della nostra Sacra Città avvelena il
cuore e l’animo della gente. Non oso perciò discorrere dei danni
che il corpo potrebbe ricevere. Pregate per la vostra salvezza perché
lei potrà anche ingannarvi, ma se resisterete e sarete ligi ai
doveri santi non dovrete temere. Rifuggite da codesta meretrice,
serva di Mefistofele. Non accettate l’aiuto che gentilmente vi
porge, fuggite e condannate la sua presenza. Se siamo puniti
dall’Altissimo, sicuramente è perché siamo infestati da questi
parassiti che ci impediscono di raggiungere la più alta spera.»
In
pochi secondi un nutrito gruppo di persone si era avvicinato a loro,
incuriosito e intimorito dalle parole di quell’uomo. La gente
impaurita e soggiogata si aggrappava in continuazione alle parole
degli uomini di Chiesa, e perfino Winry lo riconobbe dopo averlo
sentito inveire contro di lei. Non sapeva come si chiamasse, poiché
non era un prete della chiesa che frequentava insieme ai due fratelli
per non dare troppo nell’occhio, eppure lo aveva visto spesso
mentre si aggirava nel centro di East City predicando per le strade e
raccogliendo i fedeli in preghiere improvvisate. Nelle processioni
era sempre in prima fila, anche in quelle dei flagellanti.
Un
campanellino d’allarme iniziò a suonare nella mente della giovane
bionda: le cose non si stavano mettendo affatto bene, le parole di
quell’uomo stavano attirando troppi sguardi sospettosi su di lei,
che già non era ben vista da molte persone. Non aveva compreso
perfettamente tutto quello che aveva detto, ma non essendo per nulla
stupida, il senso l’aveva colto.
Una
piccola goccia di sudore le solcò lentamente la fronte, mentre le
sue mani iniziarono a tremare leggermente. Doveva sottrarsi a quella
situazione in qualche modo…
«Io
non sto ingannando nessuno… Dovete credermi…» provò a
difendersi con voce inquieta, indietreggiando «Non sto facendo
niente di male…»
«Guardatela,
osservatela bene!»
Senza
averla nemmeno ascoltata, con uno scatto le afferrò violentemente il
polso, strattonandole il braccio. Winry non riuscì a opporre
resistenza, la sua mente non era lucida, era spaventata. Poteva solo
sperare che qualcuno la difendesse, eppure aveva paura di illudersi.
Gli unici che avrebbero provato a proteggerla sarebbero stati i
fratelli Elric, e lei non sapeva se si sarebbero recati al mercato,
non gliel’aveva chiesto quella mattina…
«Questa
donna è il Male! La sua bellezza è un empio dono del Diavolo! Vuole
ingannarvi con le sue magie e i suoi filtri, rendendovi dei
peccatori, rendendovi grette creature del Demonio! Guardate come
tutti i peccati capitali si incarnano in lei! Addirittura si compiace
di questi suoi capelli, recandosi qui senza coprirli, parla agli
uomini senza permesso e cerca di corromperli in cambio di denaro! Non
lasciatevi ingannare da un lupo travestito da agnello che si confonde
tra di voi!»
Winry
era frastornata,
stava cercando in tutti i modi di trattenere le lacrime, ma l’uomo
la strattonava con forza rischiando di farla cadere per terra.
Di tanto intanto riusciva a sentire i commenti delle persone che
stavano osservando la scena.
«Ma
non ha proprio nessun timore di Dio? In effetti se ne va in giro a
capo scoperto come se niente fosse…»
«E’
una strega, vende filtri magici… La vedo sempre che si avvicina di
soppiatto alle persone per bene per stregarle con i suoi
incantesimi…»
«Io
so come si chiama, è Winry Rockbell!»
«E’
davvero troppo bella, non ha neanche un difetto! E scommetto che non
si ammala mai grazie ai suoi poteri!»
«E’
una prostituta! Convince gli uomini a giacere con lei, in modo che il
Demonio possa prendere possesso dei loro corpi e farli ammalare!»
«Io
so che vive con due uomini, due fratelli, non è un segreto! Li avrà
resi suoi schiavi!»
«No,
no, anche loro sono dei servi del Demonio! Mi hanno detto che
commettono atti impuri tutte le notti, tutti e tre insieme! Sono
persone orribili, e non si vergognano delle nefandezze che compiono!»
«Portiamola
dalle guardie! Portiamola dagli Inquisitori!»
«Dovremmo
uccidere questa puttana!»
«Deve
bruciare! Le streghe come lei ci contagiano con la peste! La malattia
non finirà fino a quando non avremo eliminato gli untori!»
La
gente inveiva sempre più furiosa. Il cerchio di persone le si stava
stringendo intorno, e Winry era completamente terrorizzata.
Il
prete aveva aizzato gli animi contro di lei, consapevole che sarebbe
stato un ottimo capro espiatorio. Soddisfatto della reazione che
aveva ottenuto dai cittadini, l’uomo la spinse facendola cadere a
terra. Nell’impatto Winry lasciò andare il cestino con dentro i
medicinali, che si rovesciò, perdendo tutto il suo prezioso
contenuto. Le fiale si ruppero quasi tutte, ma al momento aveva
problemi ben peggiori a cui pensare. La folla inferocita aveva
iniziato a stringerla per le braccia, trascinandola sul terreno tanto
da escoriarle le ginocchia, e a tirarle i capelli con forza.
Il
predicatore, gettata la zizzania, si dileguò. Si persero
completamente le sue tracce ma alla folla ormai non interessava più,
avevano ben altro da fare. Punire.
Quella
massa di persona probabilmente non aveva capito neanche metà delle
accuse che erano state rivolte a quella donna, molti magari seguivano
il corteo tanto per seguire la moltitudine, parlavano per sentito
dire. Di tutta quell’orazione degna del vero e proprio tribunale,
avevano compreso soltanto che lei era qualcosa di malsano e sbagliato
e che andava eliminato. Quel subbuglio non era che il risultato di
repressione, di tutta la morte che li circondava, di tutta la
desolazione che opprimeva il loro cuore. La loro mente era soggiogata
dall’ignoranza e forse anche dalla paura, perché non potevano
opporsi a quel regime che gli veniva imposto, in nessuno modo
riuscivano a liberarsene.
Così,
Winry, trascinata da questa folla inferocita, non era più conscia
della situazione. Si sentiva completamente inerme, in balia da una
forza più potente di lei. La sorpresa di essere stata presa era
stata forte, inoltre non avrebbe mai potuto immaginare una tale
pressione sul suo corpo. I più audaci del corteo, quelli che "non
facevano numero”, vedendosi avvantaggiati dal suo stupore e la sua
docilità, avevano assunto gli atteggiamenti più offensivi e la
violenza più pura e genuina. Sentiva sprazzi di dolori allucinanti,
non comprendeva dove e come, ma avvertiva una sofferenza tale da
farla urlare tanto forte da troncarle il respiro in gola. Solo per un
istante pensò di ribellarsi, ma ormai era stata completamente
sopraffatta da quella marmaglia informe. Notando la sua debolezza e
poca lucidità era diventata preda di un potere più grande e alla
folla codarda non basta niente per credersi più grande e soggiogare
il singolo. La sua vista era annebbiata, al suo orecchio giungevano
soltanto pochi degli insulti che lanciavano nella sua direzione. Chi
non poteva agire fisicamente, sia per lontananza sia per codardia,
ormai si era lanciato in fescennini di pura volgarità.
Si
levò una timida voce «Al rogo la strega!», e da quella frase
l’idea dilagò nella mente di tutti. Gli insulti passarono di
secondo piano, sostituiti dal nuovo corale bisogno del popolo.
«Al
Rogo l’ingannatrice!»
«Al
Rogo la serva del Diavolo! Che le fiamme la consumino e la
purifichino.»
Tutto
era stato soppiantato da questa assurda follia, da questo obiettivo
barbarico. La gente ormai era nella più completa foga, richiamando
vicino a sé persone dalle case e dalle vie, che si univano al corteo
senza nemmeno sapere di cosa si trattasse, ma partecipavano con non
meno entusiasmo.
Ormai
Winry non tentava nemmeno più di reagire. Si lasciava trasportare
dalla folla, piangendo in modo incontrollato. I suoi «Vi prego…
Lasciatemi andare…» erano un sussurro tra i singhiozzi che nessuno
udiva. Era talmente frastornata che quando le mani furiose che la
spingevano ad un certo punto la lasciarono di colpo, facendola cadere
per terra, non si rese conto di cosa stesse capitando.
Immaginò
che fosse arrivata al luogo in cui l’avrebbero uccisa in quel modo
atroce… Fu così che si raggomitolò istintivamente su se stessa in
posizione fetale in un infantile tentativo di proteggersi. Avvertì
dei calci, e delle urla incomprensibili, le orecchie le fischiavano.
Quando di nuovo si sentì afferrare per un braccio e tirata da una
parte gridò atterrita pensando che fosse arrivata la sua fine, ma
non aveva idea di cosa le stesse succedendo intorno.
«No,
adesso la lasciate, avete capito? La lasciate subito! Non vi
avvicinate!»
Con
la vista appannata dal pianto, Winry sentì una voce che le diede una
nuova speranza.
Edward.
Edward
era arrivato appena in tempo e si era buttato nella mischia non
appena aveva visto cosa stessero facendo alla sua preziosa amica. Era
stato lui a prenderla per un braccio e l’aveva trascinata dietro di
sé, in modo che nessuno potesse toccarla. No, nessuno le avrebbe
fatto del male, lui l’avrebbe protetta fino alla morte.
«Edward…»
gemette lei, felice per il suo arrivo ma ancora sconvolta dalla
situazione.
«Stai
tranquilla, Winry. Nessuno ti farà niente, te lo prometto…» la
rassicurò lui prima di urlare nuovamente voltato contro la folla
«Andatevene! Lasciatela stare!»
«Tu
non ti devi immischiare, hai capito?» tuonò una voce maschile tra
la massa indistinta.
«Sì,
lasciala! Lasciala, o fai una brutta fine anche tu!» continuò un
altro uomo, questa volta proprio davanti a lui.
«E’
uno dei fratelli Elric!» urlò invece una donna «E’ l’amante
della strega!»
«Ah,
e così sei tu il bastardo che si scopa questa puttana… Non
preoccuparti, farai una br…»
Il
pugno che Edward sferrò tolse completamente il fiato all’uomo che
stava oltraggiando Winry. Non poteva sopportare quelle parole, non su
di lei, che era una ragazza straordinaria ai suoi occhi, anche se un
po’ eccentrica rispetto a tutte le altre donne. Loro non la
conoscevano, giudicavano e basta, e volevano ucciderla per colpe che
non aveva… Era decisamente troppo. Accecato dalla rabbia, continuò
a colpire in faccia la persona che l’aveva insultata, tanto che le
nocche gli facevano male. L’uomo, preso alla sprovvista, provò a
difendersi, ma il ragazzo sembrava non patire le percosse che
riceveva in pieno viso.
Winry
gridava senza
controllo, gli urlava di smetterla, di portarla via. Quando vide
fiotti di sangue rosso acceso colare copiosamente dal naso
dell’amico, si coprì il volto con le braccia e si raggomitolò,
avviluppandosi su se stessa. A quel punto nemmeno la voce
rassicurante di Alphonse, che fino a quel momento non aveva nemmeno
notato, la consolò. In effetti il fratello era rimasto in
disparte, e non si era buttato nella folla come Edward, accecato
dalla rabbia. Dei due era il più riflessivo, e se c’era una cosa
che non era in grado di fare era alzare le mani su qualcuno… Era
più forte di lui.
«Winry…
Alzati… Prendiamo Ed e andiamo via, prima che arrivino le guardie…»
La
gente ormai non prestava più attenzione a loro, ma era interessata
allo scontro che si stava svolgendo poco lontano.
Sarebbe
stato di certo il momento ideale per filare via e in quel modo
sicuramente si sarebbero salvati. Purtroppo Alphonse conosceva bene
il carattere focoso del fratello e non si sarebbe arrestato fino a
quando non avrebbe ridotto a brandelli quella marmaglia che aveva
osato fare del male a Winry. Con tutto quel baccano che si stava
inevitabilmente alzando sicuramente le guardie non avrebbero tardato
ad arrivare e fare piazza pulita con le maniere forti. Questo non
potevano permetterselo.
La
situazione gli era sfuggita pericolosamente di mano. Avrebbero dovuto
riparare il danno e anche in fretta, o quasi sicuramente avrebbe
visto suo fratello pendere da una forca per quello che stava
combinando.
Mentre
Alphonse si struggeva per trovare un modo abbastanza risoluto per
portare suo fratello e Winry al sicuro, Edward non stava di certo in
ozio. Dopo le prime manifestazioni di violenza e reattività che quel
giovane aveva mostrato, tutti si erano zittiti e avevano placato il
loro sangue caldo. Erano rimasti stupiti da una tale reazione. Fino a
quando avevano avuto il controllo della situazione, picchiando quella
donna indifesa, fino a quando avevano sentito di essere superiori
avevano tenuto la presa sulle loro condizioni. Appena avevano
ricevuto quell’assaggio di resistenza, quella strenua, disperata e
accanita voglia di proteggere quella donna, avevano lasciato perdere.
Se non fosse stata per la quantità di gente che poteva a mala pena
essere contenuta in quella piazza e per il mormorio che i loro gesti
e movimenti producevano, ci sarebbe stato di sicuro in quei pochi
momenti un silenzio decisamente imbarazzante.
Edward
rimaneva eretto nella sua misera altezza, ma osservava tutti con un
vero proprio sguardo di fuoco, lanciando fulmini dagli occhi. Era
teso ed era pronto a continuare la lotta in qualsiasi momento. Non
gli importava quando gli sarebbe costato, lui avrebbe protetto Winry
da quella assurda faccenda. Al contempo però, non poteva non
maledirsi. Era stata colpa sua se l’aveva esposta così, avrebbe
dovuto stare più attento! Ma ormai era troppo tardi per i
rimproveri…
Una
campana riecheggiò nell’aria e riscosse la gente dal torpore. Quel
suono religioso chiamava ai propri doveri il credente, e fu un segno
che fece avanzare in avanti i più temerari.
«E’
solo un nanerottolo! Lo schiacceremo via!» Da una sola frase se ne
riprodussero altre nello stesso tono, decise e violente.
Di
certo una delle prerogative di Edward non era l’altezza e proprio
questo difetto lo rendeva irritabile. Avevano toccato il tasto
dolente.
«Chi
hai osato chiamare in quel modo? Maledetto! Ti farò rimangiare le
tue parole a suon di pugni!» Se prima era mediamente infuriato
adesso aveva proprio toccato il colmo della sua ira. Stava per
avventarsi contro quella massa informe, quando fu prontamente
afferrato da una spalla e trascinato brutalmente via.
«Maledetto!
Lasciami! Adesso gliela faccio pagare a quei bastardi!»
Le
guardie fortunatamente non li videro e lo schiamazzo e il polverone
della folla furono questa volta a loro vantaggio, perché riuscirono
a sfuggire senza farsi vedere e sentire dalle sentinelle. Alphonse,
in un atto disperato e quanto mai risoluto, aveva trascinato suo
fratello via da quella incombente situazione, portando con sé Winry
semisvenuta.
Il
suo era uno sforzo immane di sopravvivenza. Edward era ancora lontano
dal rinsavimento – tra il “nanerottolo” e le angherie su Winry
non si capiva proprio quale fosse stata la mossa peggiore – e la
ragazza era evidentemente provata da quello che aveva dovuto subire.
Correva
via da quel posto, prendendo vicoli e strade sempre più desolate.
Piangeva ma non poteva fermarsi a urlare, la sua era una corsa per la
vita.
Il
sole si era alzato, la giornata era ormai entrata nel vivo, e le
campane suonavano in ogni angolo per annunciare l’inizio delle
messe. Per una volta non ci sarebbero andati, e ne avevano un buon
motivo.
Quando
arrivarono nella loro casetta, ad Alphonse sembrò di aver corso per
appena un paio di minuti, quando in realtà aveva attraversato mezza
città con il cuore in gola. Buttò malamente dentro casa il fratello
e Winry, sbarrando la porta con un pesante chiavistello. Come se
volesse essere sicuro che nessuno avesse potuto entrare da lì, si
mise con la schiena appoggiata all’uscio, e solo dopo qualche
respiro affannoso si lascio scivolare sul pavimento, più rilassato.
L’esperienza
che aveva appena fatto lo turbava comunque in maniera feroce. Lui non
era una persona che digeriva facilmente la violenza. Ogni volta che
era costretto ad assistere alle esecuzioni non riusciva a stare
fermo, si sentiva vuoto e angosciato. Adesso che era stata la sua
famiglia ad essere presa di mira, era andato letteralmente nel
panico. Stava così male da sentirsi nauseato, e il suo intero corpo
tremava.
«Ragazzi…
Io… Non voglio che succeda mai più…» balbettò sull’orlo di
una crisi di pianto.
Non
ricevette risposta.
Winry
si era accasciata
sul pavimento, troppo scioccata per reagire, mentre Edward camminava
furibondo avanti e indietro per la stanza, noncurante delle proprie
ferite. Aveva le nocche sbucciate, e il sangue ormai secco gli
sporcava le labbra e il mento. Sull’orbita sinistra si stava
formando una grossa ecchimosi violacea e gonfia, e i capillari
esplosi avevano colorato una parte della sclera dell’occhio di un
inquietante rosso vivo.
«Me
la pagheranno… Sono solo dei creduloni, dei bastardi… Come hanno
potuto farle del male…»
«E’
colpa dell’epidemia, lo sai…» rispose Alphonse diplomatico «La
gente non sa quello che fa… Siamo tutti nervosi, tutta la
popolazione lo è…»
Edward
preferì non obbiettare. Non voleva mettersi a discutere anche con
suo fratello, che, pensandoci a mente lucida, lo aveva tirato fuori
dai guai. Preferì concentrarsi sulla povera Winry, che sembrava
paralizzata sul pavimento. Non aveva mai passato un’esperienza del
genere, non si era mai sentita così vicina alla morte. Molte volte
l’avevano insultata o derisa, ma quella volta le persone che la
odiavano si erano spinte troppo oltre, e non scherzavano. Avrebbe
potuto essere uccisa, aveva rischiato di morire malamente per non
aver fatto troppa attenzione… E Edward ci era finito di mezzo…
«Ed…»
lo chiamò, dopo che lui le si era fermato vicino e stava cercando di
farla alzare a fatica «Ho avuto tanta paura… Se non foste arrivati
voi, mi avrebbero… Hanno detto… Che sono una strega, e volevano
bruciarmi…»
«Stai
tranquilla, è tutto a posto. Adesso mettiti a riposare, ne hai
bisogno.» le disse gentilmente per calmarla.
Quando
finalmente alzò lo sguardo verso di lui in segno di riconoscenza, il
sorriso le si spense subito sulle labbra. Il viso dell’amico era
completamente pesto, e per questo avvertì un forte senso di colpa,
doloroso come una pugnalata. Edward si era ferito al volto per colpa
sua.
«Mi…
Mi dispiace tanto…»
Winry
gli accarezzò
lentamente il viso con la punta delle dita tremanti, per non fargli
male. Vedere tutto quel sangue sul suo viso e quell’occhio
malridotto le provocava una gran sofferenza. Era troppo affezionata
alla sua famiglia, cos’avrebbe fatto senza di loro, ora che era
scomparsa anche nonna Pinako?
«Ti
stai preoccupando troppo, non mi sono fatto niente, anzi, mi aspetto
che da un momento all’altro mi arrivi un tuo schiaffo, non so
perché…»
Il
tentativo di Edward di sdrammatizzare la situazione andò a buon
fine: la giovane bionda abbozzò un sorriso mentre si lasciava
accompagnare a letto.
Nessuno
dei tre poteva immaginare se la folla sarebbe venuta a cercarli o
meno. La loro casa non era un posto sicuro, e non potevano fare altro
che sperare, sperare che la gente li avesse già dimenticati, e che
avesse sfogato la rabbia in altro modo. Non potevano presagire che il
loro desiderio si sarebbe avverato, e che una seconda vittima
innocente sarebbe caduta sotto i colpi rabbiosi della furia cieca di
un popolo disperato e disposto a tutto.
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Ciao
a tutti, siamo Alice e Lolly!
Volevamo
solo fare un piccolo avvertimento prima di questo capitolo:
nonostante il tono cupo della storia che stiamo raccontando, abbiamo
deciso inserire qualche piccola battuta per farvi leggermente
sorridere in questa parte della storia, anche se la serietà degli
argomenti sarà conservata. Pensiamo in questo modo di alleggerire la
tensione, in modo da non creare un atmosfera troppo melodrammatica
che potrebbe farci scadere nel ridicolo. Oltretutto l’opera di FMA
è costellata di momenti divertenti intercalati tra gli avvenimenti
seri o drammatici, quindi pensiamo che questo avrebbe potuto far
assomigliare il nostro racconto all’originale!^^
Diteci
cosa ne pensate!
Alice
Jane Raynor
RedLolly
Capitolo
2
Le
campane continuavano a risuonare, scandendo il nuovo tempo per una
nuova riunione di fedeli. Per quanto i fratelli Elric fossero
riusciti a mettersi al riparo, quelle campane suonavano a morte e
presto qualcuno, al loro posto, avrebbe pagato per i loro crimini.
Quel rumore si propagava nell’aria, facendo nascere in ogni persona
un nuovo desiderio. Era l’eco di un vuoto incolmabile che faceva
impazzire la gente. Una follia che avrebbe condotto tutti in una
tragedia.
La
piazza dove Winry era stata aggredita, si era rapidamente svuotata,
tutti avevano seguito il corteo per vie e viottoli, sperando di poter
bruciare la strega.
I
banconi erano stati travolti dalla furia degli astanti, molta merce
era ormai sparpagliata per terra, confusa e dimenticata come la
razionalità della massa. I mercanti più ricchi però erano riusciti
a mettere ben al sicuro le loro spezie e i loro tesori orientali,
mettendo la cupidigia avanti il loro desiderio di liberarsi dalla
peste. Tutto giaceva abbandonato e incolto ma era soltanto una
questione di tempo. Tutto sarebbe stato nuovamente stravolto.
Una
timida figura avanzò titubante tra quelle macerie di cibo. Gli
animali già avevano iniziato il loro bel d’affare per iniziare a
contendersi gli alimenti, in quel periodo sempre più scarsi e
costosi. Tutta l’opulenza del mercato era svanita in un sermone di
follia, travolto da potenze più grandi dell’attuale comprensione
umana. La sagoma strisciò verso alcuni cibi avvizziti e non di
bell’aspetto. Li prese, addentandoli con voracità. Il suo era un
disperato tentativo di non morire di fame, la sua era una lotta
contro l’imminente falce della Morte.
Aveva
paura di quella Oscura Figura come allo stesso tempo sperava che essa
l’avrebbe innalzata al suo Creatore. Aveva visto, anche di
sfuggita, quelle tetre figure incappucciate che falciavano la vita
delle persone che si presentavano a loro nell’estrema scintilla di
vita. Quando l’uomo sente di giungere la morte ecco che questo
bagliore si accende, più fulgida che mai, facendogli desiderare di
vivere ancora. Solo la vista di una di quelle figure l’aveva
gettata nel più grande sconforto. La fede era giunta a salvarla.
Aveva sempre creduto, era stata sempre una cosa naturale in lei.
Forse non aveva quella spiccata propensione a sacrificare tutto per
la religione ma non per questo si poteva definire non meno fedele di
molti altri. Spesso non poteva recarsi in Chiesa per la vergogna
della sua miserevole tenuta, ma non per questo non credeva almeno ai
valori e ai principi che le erano stati insegnati ed erano serviti
per farsi largo nella vita. Forse non era ricca, forse era ignorante,
ma aveva una morale rigida e ferrea e non sarebbe mai venuta meno ai
suoi doveri. Persino rubare le pesava, sentiva una strizza tremenda
ogni volta che lo faceva e aveva esami di coscienza che andavano ben
più là di un normale pagamento monetario.
Non
aveva lavoro, né amici, né influenza né potere. Non poteva
avvalersi neanche delle sue capacità e per quanto si sforzasse di
lavorare e di essere umile, per guadagnare onestamente, non spesso
riusciva nell’intento. Si lasciava marcire, si lasciava
completamente morire di fame, sperando che quella fosse la volta
buona per essere cacciata via da quel mondo ostile, sperando che la
fame o la malattia l’avessero uccisa. Ma poi, improvvisamente, lo
spirito di sopravvivenza ritornava e lei era costretta a rubare.
Obbligata dalla vita e dalla società. Se non le permettevano di
applicarsi non era solo per sua inerzia – e di certo non ne aveva!
– o per sua totale incapacità. Era perché ogni strada le era
preclusa, persino la Morte stentava a raccoglierla.
Vagò,
ancora intontita dalla fame, stremata dalla vita lurida che conduceva
per la piazza, sperando di non essere vista. Era quasi giunta a una
fase di follia, in cui non sapeva neanche dove i piedi la
conducessero. Le ginocchia cedettero, il suo corpo cadde. Aveva
divorato quel poco cibo che era riuscita a prendere ma ancora sentiva
quel terribile capogiro, ancora era intontita da quella sensazione.
Quando si riprese, solo allora avvertì una nuova sensazione di
dolore. Non urlava, non gemeva, non ne aveva la forza ma neanche
l’intenzione. Si guardò le mani sanguinanti, ferite da dei cocci
di vetro su cui era caduta. Guardò, con lo sguardo sfuocato, quei
strani contenitori rotti e allungò una mano verso una fiala ancora
intatta.
Non
aveva idea di cosa fosse quella roba, di certo però non era
commestibile. Dato che non era una sciocca, capì che si trattava di
unguenti. Dovevano essere caduti a qualcuno durante il trambusto che
aveva sentito prima. Le persone erano state attirate da qualcosa, una
colluttazione forse, dato che aveva sentito alcune delle grida
piuttosto violente. Non era una cosa rara in quel periodo…
Nella
piazza del mercato, c’era ora poca gente, molti carretti erano
stati portati via, e gli ultimi venditori che si stavano allontanando
con le loro mercanzie non la degnavano di uno sguardo. Già, nessuno
pareva mai vederla, faceva parte di quello stuolo di invisibili che
non avevano un tetto, una famiglia, o un lavoro. Lei stessa preferiva
comunque che nessuno facesse troppa attenzione a lei. I suoi abiti
erano informi, costituiti da vari tessuti color terra, troppo larghi
per lei, ed era meglio così. Riteneva che per una donna era un grave
peccato indossare abiti che mettessero in risalto le forme. Teneva
anche sulla testa un pesante velo della medesima stoffa, e i capelli
nascosti in modo che non potessero scivolare fuori. Potevano essere
belli, ma nessuno doveva guardarli. Aveva promesso più volte a Dio,
che l’unica persona che avrebbe potuto vederli sarebbe stato il suo
sposo. In quelle condizioni però, era certa che non ne avrebbe mai
trovato uno, ma la cosa non la scoraggiava. Se quella era la strada
che il destino le aveva riservato, sapeva di doverla accettare. Forse
preferiva addirittura così da quel punto di vista: l’idea di dover
essere data in sposa ad uno sconosciuto, magari con il doppio dei
suoi anni, senza che lei lo avesse amato era qualcosa che le metteva
angoscia, anche se si sarebbe piegata al dovere.
Da
quando suo padre era morto nell’incendio della sua casa, si era
ritrovata spaventosamente sola, e aveva perso tutto. Le uniche cose
che le erano rimaste erano la Dignità e la Fede, e l’aveva
promesso a sé stessa, voleva tenersele strette entrambi. L’idea di
vendere il suo corpo non le era mai nemmeno passata per la testa,
così aveva deciso di vivere di quei piccoli espedienti, e chiedeva
perdono al Signore continuamente per questo.
La
donna rimase un attimo indecisa, continuando a studiare il piccolo
recipiente in vetro. Conteneva una specie di liquido molto denso, di
un forte color verde salvia.
Non
sapeva bene cosa pensare, e iniziò a torturarsi con i denti il
labbro inferiore. Magari era stato proprio Dio a darle una
possibilità? Poteva essere un farmaco che l’avrebbe protetta dalla
peste, ma anche un veleno mortale... No, era più probabile che
quella fosse una qualche opera malefica di una strega, eppure
continuava a provare una curiosità estrema per quello strano
intruglio, e non solo per quello. C’erano altre tre piccole fiale
apparentemente integre.
Istintivamente
portò la sua mano a toccare un piccolo crocifisso che portava al
collo, intagliato rozzamente in un pezzettino di legno.
Non
sapeva davvero cosa fare. Magari poteva venderle a qualcuno…
Avrebbe guadagnato qualche moneta onestamente… Forse però era
meglio consegnarle a qualche religioso, dato che potevano essere
opere malefiche….
Era
molto indecisa e tentata sul da farsi. Anche se avrebbe potuto
guadagnare dei soldi onestamente non sapeva effettivamente a cosa
servissero, quindi avrebbe comunque dovuto inventarsi una bugia e non
sarebbe stato onesto. Osservò attentamente le fiale, non sapendo
cosa fare. Se anche le avesse portate da qualche esperto sicuramente
gli avrebbe chiesto come se le fosse procurate. Non voleva farsi
scoprire, non voleva dare nell’occhio, inoltre non sembrava tanto
affidabile con quell’aspetto povero ma umile. Era una zingara di
strada e senza che qualcuno potesse testimoniare della sua onestà
non poteva fare un bel niente.
Ormai
le aveva raccolte, decise di tenerle con sé e avrebbe ragionato sul
da farsi. Non pensava minimamente che quel gesto lo avrebbe rimpianto
amaramente.
Abituata
com’era a passare in secondo piano, a essere il fantasma di una
persona, non pensava di poter generare un tale tumulto e ne rimase
completamente sconvolta.
«Eccola!
Ecco è lei! Sta raccogliendo i poteri della strega, così da poter
incontrare il Diavolo e ucciderci tutti!»
Quelle
urla stridule percorsero con un brivido il povero corpo della donna.
Tremante, continuava a tenere tra le mani quelle fiale, sentendo il
peso della colpevolezza su di sé. Lei non voleva fare niente di
male, sentiva quelle accuse false ed errate eppure… in un certo
senso non avrebbe dovuto osare tanto, forse inconsciamente era stata
davvero guidata dal Diavolo e il fatto di essere stata colta in
fragrante la rendeva insicura sul da farsi. Sapeva perfettamente
quello che sarebbe potuto succedere, ma era dilaniata da diversi
pensieri, tra la sopravvivenza e la fede.
Una
piccola ressa iniziò a rifluire nella piazza, richiamata da quelle
nuove grida di giustizia. Le campane in quel momento sembravano
solamente ricordare il sangue che doveva essere versato per la
supremazia della purezza della Fede.
Quando
lei si vide circondata, quando si vide sull’orlo del baratro, prese
la sua risoluzione. La sopravvivenza aveva vinto. Si alzò,
incespicando. Camminò per un breve tratto all’indietro,
continuando a guardare smarrita la folla che avanzava sempre di più.
Aveva paura, aveva il terrore di subire quello che aveva visto tante
volte. La sua insicurezza la fece inciampare. Ormai era segnata.
Le
fiale che si erano salvate dalla prima caduta, finirono a terra,
rompendosi in mille pezzi.
La
gente le fu addosso, mentre lei non provava nemmeno a rialzarsi, non
ci riusciva. Era impaurita, straziata dai sensi di colpa per quello
che aveva fatto. Era proprio vero che la tentazione si insinuava
dappertutto, e anche un piccolo gesto poteva divenire un peccato
grave.
Con
gli occhi pieni di lacrime, si lasciò alzare di peso da quelle mani
grezze, che la tiravano su senza alcun riguardo, per poi spingerla in
avanti tra grida furiose. Non capiva quello che le dicevano,
percepiva solo delle urla senza senso, ma non aveva importanza. Non
le interessava cosa le avrebbero fatto. Che differenza faceva?
L’avrebbero bruciata, oppure annegata, magari le avrebbero
semplicemente tagliato la gola. Tanto la conclusione sarebbe stata la
medesima.
Non
si accorse di nulla, la sua mente era concentrata solo sulla
rispettiva coscienza. Doveva pregare e chiedere perdono prima che il
momento fosse giunto, tremante e timorata come mai lo era stata…
«Hanno
chiamato le guardie!»
«C’è
il capitano in persona!»
Non
si rese nemmeno conto che il corteo ad un certo punto si era fermato.
Il trambusto si era levato tutto ad un tratto, come se un elemento di
disturbo avesse colto gli abitanti furiosi, che avevano trovato un
secondo capro espiatorio dopo che il primo era fuggito.
Solo
una cosa avrebbe potuto fermare le loro crudeli intenzioni, e quella
cosa si era fatta viva.
«Dovete
disperdervi immediatamente, questi sono ordini! Non sono concesse
sommosse di questo tipo, non quando stanno per avvenire funzioni
religiose sopratutto!» gridava una voce maschile con fermezza.
La
donna riuscì a percepire il frammento di discorso e aprì gli occhi,
incredula e sconvolta. Stava avvenendo ciò che non si aspettava.
Solitamente le guardie non riuscivano a fermare quei crimini violenti
che venivano commessi un po’ dappertutto ad East City. Spesso
facevano addirittura finta di nulla, e quella volta invece…
«Questa
donna è un’eretica, una strega! Siamo circondati! Ce ne era
un’altra al mercato, ma è fuggita! Andate a controllare! Aveva in
mano queste fiale, ci voleva contagiare con la peste!»
«Fate
silenzio! Vi ho già detto che questo non è permesso! Lasciate stare
questa donna! Ve lo sta ordinando il capitano Hughes, se per caso non
aveste capito chi sono. Potrei farvi finire tutti sulla forca! »
«Portatela
all’inquisizione! Fatela processare almeno!»
Il
capitano delle guardie Maes Hughes che aveva cercato di riportare
l’ordine sbuffò, ma purtroppo non poteva ribattere. Quel lavoro
non gli piaceva, ma non aveva avuto altra scelta nella vita, e ora
doveva fare il suo dovere, anche se questo voleva dire minacciare dei
cittadini per riportare l’ordine e trascinare una donna via con sé.
Almeno le avrebbe salvato la vita… Per il momento.
In
realtà stava inseguendo una chimera, sapeva perfettamente che una
semplice morte sarebbe stata di gran lunga preferibile alle pene e
alla morte dolorosa che gli inquisitori erano capaci di procurare.
Con un gesto deciso- fatto anche per scacciare via quei tetri
pensieri - ordinò al suo piccolo drappello di uomini di portare via
la donna, lui avrebbe dovuto cercare di riparare l’impossibile. Non
sapeva esattamente perché lo stava facendo, sapeva solo che quella
follia stava dilagando, troppo. Ormai chiunque era un sospetto se non
si faceva parte di qualche famiglia ricca e facoltosa. Questo non
poteva assolutamente tollerarlo, avrebbe dovuto mettere un freno a
quella follia e forse sapeva a chi rivolgersi.
Con
passo svelto e militare, iniziò a destreggiarsi tra la folla che si
stava dirigendo in Chiesa.
Lo
avrebbe riconosciuto tra mille, non poteva ingannarsi, dopotutto non
era stato così difficile distinguerlo. Camminava a testa alta,
imperscrutabile, immerso in un’estasi proiettata già verso la
messa a cui avrebbe assistito. In pompa magna, le spalle erette, il
passo sicuro e deciso, non si rendeva decisamente conto delle
occhiate che, timidamente e con discrezione, le donne gli rivolgevano
di continuo… O semplicemente faceva finta di niente. Appena il
capitano delle guardie si intromise sulla sua strada, si lasciò
sfuggire uno sbuffo sonoro. Sembrava evidentemente scocciato di
vederlo, tanto da lasciar trapelare un sentimento.
La
gente si riunì in corteo ad ascoltare quello che quei importanti
personaggi avevano da dirsi.
«Roy
Mustang, siete chiamato nel nome della Santissima Chiesa per svolgere
il vostro dovere. E’ per tanto necessario che lasciate le funzioni
per seguirmi al più presto» Iniziò il capitano, con rispetto verso
l’Inquisitore.
Di
certo quel discorso gli era partito spontaneo, ed era sicuramente la
cosa migliore da fare. Aveva evitato di essere più prolisso per non
perdere tempo ma aveva cercato anche di non essere troppo coinciso e
confidenziale per lasciar trapelare la sua preoccupazione ai
cittadini che si erano radunati lì in modo tanto irritante.
Mustang
lo guardò e prese il medesimo tono.
«Capitano
Hughes, devo purtroppo ricordarle che il Signore Altissimo ha
designato la Domenica come santissimo giorno di riposo. Ogni uomo,
prima di qualsiasi dovere, dovrà onorarlo e fare di questo dì
quello più proficuo per innalzare le sue lodi, che dovremo fare
sempre e mai sarà abbastanza! Le chiedo quindi di attendere che le
funzioni abbiano termine prima di qualsiasi altra attività.»
Il
suo discorso ebbe presto vinto il favore del pubblico – soprattutto
femminile – che rimase incantato ad ascoltare le sue buone e
lodevoli ragioni, oltre che crogiolarsi beatamente nella sua
incantevole voce e l’alternanza di toni alti e bassi che aveva
fatto assumere alla sua orazione.
«Mustang,
ho bisogno del tuo aiuto, urgentemente» Sussurrò Hughes, ormai al
colmo della disperazione e si limitò solo ad aggiungere ad alta voce
«I vostri doveri non saranno altro che una bellissima grazia che
farete al Signore, seguitemi.»
Mustang
allora sospirò, ormai conscio di non potersi arrendere dopo aver
sentito le parole che l’amico aveva bisbigliato sottovoce. Avrebbe
di certo rimpianto quella bellissima e pia ora, ne era sicuro. Il suo
sospiro era così sentito, la sua rassegnazione così forte da far
fremere e urlare di protesta la folla, fulminata da una sola occhiata
del capo delle guardie e della sua truppa.
Mustang
intanto vedeva le sue funzioni annullate per processare chissà quale
sdentato, pidocchioso e brutto essere che gli si sarebbe parato
innanzi. La vita era proprio ingiusta.
Mentre
procedeva a passo svelto verso il tribunale, non poteva esimersi
dallo sbuffare ogni decina di passi.
Lui
semplicemente adorava andare in chiesa, ci avrebbe passato le
giornate se solo avesse potuto. Era un momento così distensivo, in
cui poteva bearsi di tutte le bellezze che la società poteva
offrirgli. Nei banchi davanti poteva osservare le donne dell’alta
società, tutte imbellettate, in piedi ai lati e in fondo alle navate
quelle più povere, con i loro straccetti miseri che spesso offrivano
visioni celestiali di caviglie, spalle, visetti innocenti e scavati;
o ancora le suore tutte radunate dietro le grate accanto all’abside,
che pregavano ferventemente innocenti come margherite in un prato,
guidate dalla madre superiora più bella che il Signore avesse potuto
offrire. Lui si crogiolava in tutto quel ben di Dio, osservando i
loro abiti, e quei piccoli particolari che gli imporporavano le
guance ogni volta: una ciocca di capelli che sfuggiva distrattamente
da un velo, una clavicola lievemente scoperta, un sorriso rivolto
alla sua bella persona, qualche fianco la cui forma traspariva sotto
un abito troppo stretto… Se la messa non era un paradiso, nessun
altro posto poteva esserlo, per l’inquisitore Roy Mustang.
Ancora
irritato per aver perso il suo spettacolo quotidiano, l’uomo arrivò
al tribunale, dove si trovava il cubicolo in cui teneva le sue carte.
Aveva sicuramente preceduto Maes Hughes, camminando così spedito, e
infilandosi altrettanto velocemente nella stanza ingombra di
pergamene, volumi di legge e manuali su come stanare e processare
eretici e streghe. Si sedette svogliatamente, pensando a cosa dire
per fare in fretta e tornare presto ai propri passatempi. Non era un
appassionato del proprio lavoro, doveva ammetterlo, e non sapeva
nemmeno bene il motivo per cui aveva intrapreso quella pia carriera.
Era
completamente immerso nei suoi pensieri, quando Hughes giunse nel
cubicolo aprendo la porta senza bussare, tutto trafelato, tenendo per
un braccio un ammasso di stracci dall’odore non proprio piacevole,
mentre dietro di lui si faceva strada Kain Fury, il basso e fedele
segretario di Mustang, il cui compito era quello di scrivere tutto
ciò che era rilevante ai fine dell’accusa e della difesa
dell’imputato.
«Va
bene, Hughes… Cerchiamo di farla finita in fretta, per favore…
Oggi non è una buona giornata.» disse l’inquisitore con voce
estremamente annoiata, appoggiando i gomiti alla scrivania di legno e
incrociando le dita davanti al viso. Immaginava già che cosa Hughes
gli avesse portato, sapendo che Mustang era una persona ragionevole,
forse l’inquisitore meno infervorato di tutto il tribunale, oltre
che suo grande amico: un poveraccio che qualche esaltato aveva
accusato di volare sulle scope e di mangiare i neonati.
Spinse
il suo prigioniero in avanti, il quale cadde con un ansito sulle
proprie ginocchia. La spessa stoffa che gli infagottava la testa
scivolo sulle sue spalle, e Mustang non riuscì a trattenersi dal
saltare sulla propria sedia.
Era
una ragazza. Una bionda, scarna, bellissima, innocente ragazza con
due occhi color nocciola come quelli dei cerbiatti.
Lo
squadrava, con sguardo penetrante e allo stesso tempo rassegnato,
aspettando la sua pena e la sua condanna. Era rimasta abbastanza
perplessa al gesto improvviso di quell’inquisitore e non sapeva
ancora bene come interpretarlo, ma non gli piaceva nemmeno un po’.
Quell’azione avventata di Mustang, dopotutto, non era passata
inosservata neanche agli altri due uomini presenti nella sala.
L’inquisitore riprese rapidamente il suo contegno abituale,
soffocando il sorrisetto che puntualmente gli spuntava sulle labbra,
incrociando nuovamente le dita davanti al viso, come era solito fare.
Eppure, guardandolo attentamente si poteva notare una strana luce
negli occhi, particolari guizzi che non facevano presagire niente di
buono. Intanto doveva trovare una buona scusa per uscire da quel bel
pasticcio in cui si era cacciato. Poteva anche non dover spiegazioni
a lei, ma agli altri due uomini sicuramente sì, non voleva perdere
la sua rispettabilità.
«Avete
superato la prima prova! Se foste stata una strega non avreste
battuto ciglio, invece vi siete spaventata, l’ho notato.»
Se
i due uomini c’erano caduti in pieno, di certo non valeva lo stesso
per l’indagata, che in realtà non aveva battuto ciglio. Quel tipo
o era completamente pazzo – probabile – oppure stava inventando
accuse senza senso, chissà perché. Ormai si era rassegnata ad
ascoltare l’inevitabile. L’unica cosa che la irritava erano i
capelli ormai sciolti. Avrebbe voluto riaggiustarsi il velo,
mantenere fede alla promessa alla quale avrebbe mostrato i capelli
solamente al suo sposo, ma quegli occhi non la lasciavano un istante
e la trafiggevano, inchiodandola lì al suo posto, immobile. Di
sicuro quello non sarebbe mai stato suo marito, poco ma sicuro.
«Iniziamo.
Il vostro nome?»
La
donna lo guardò per un po’, ma capì subito di non poter
azzardarsi a non rispondere. Raccolse le sue energie e disse,
diligentemente «Riza Hawkeye».
Non
si perse in giri di parola di sorta, rispondeva lo stretto
necessario, continuando a tenere lo sguardo fermo su quell’uomo
strano.
Mustang
rimase fermo e immobile, come una statua di sale. Contemplava quel
nominativo, assaporando ogni singola sillaba. «Bellissim…» Si
interruppe bruscamente, non poteva permettersi complimenti sul nome,
con charme aggiustò la frase, come se niente fosse «Bellissima
condanna che vi è stata attribuita!».
Tutti
lo guardarono ancora più straniti, tuttavia lo lasciarono fare.
Dopotutto la prima qualità di un inquisitore era quella di depistare
le sue vittime e giocare con le parole. O lo stava facendo alla
grande o anche lui non sapeva cosa fare, ciò a libera
interpretazione del lettore.
Riza
dal canto suo rimase
ferma e in silenzio, aspettando che quella specie di essere si
spiegasse. Non riusciva a comprendere la sua euforia, gli inquisitori
si divertivano davvero per così poco? Era inquietante. Lei non aveva
alcuna intenzione di cedere, era sicura che il Signore non si sarebbe
dimenticato di una fedele credente, e l’avrebbe aiutata al momento
giusto, anche se questo momento sarebbe coinciso con la morte, non
aveva rimpianti.
Hughes
si schiarì la voce. Quel teatrino stava diventando un po’ troppo
surreale, e conosceva abbastanza bene Mustang da sapere quanto
perdesse la testa per le donne. Doveva ricomporsi al più presto, o
non sarebbe andata bene.
«Un
gruppo di uomini asserisce che questa donna sia una strega. E’
stata trovata in possesso di certi… Preparati di dubbio
scopo. Sono intervenuto prima che si facessero giustizia da soli,
uccidendola, e l’ho portata qui.»
«Sì,
avete fatto bene, Hughes, bravo.» tagliò corto l’inquisitore
senza nemmeno guardarlo, completamente rapito dalle iridi nocciola
della donna.
Accanto
alla sua scrivania, Fury aveva iniziato a vergare su una pergamena
diligentemente il resoconto di quello che stava succedendo.
«Allora,
uhm… Riza Hawkeye, come vi giustificate? Cos’avevate in mano?»
continuò Mustang che ormai era riuscito a riacquisire un certo
contegno.
Quella
ragazza era nei guai, e a seconda di cos’avrebbe risposto avrebbe
potuto rilasciarla o meno. Purtroppo non avrebbe potuto chiudere un
occhio e aiutarla, se le prove fossero state tutte contro di lei, e
con quel maledetto Fury che prendeva nota di tutto non c’era via di
scampo.
«Ho
trovato una cesta per strada, signore.» rispose lei con lo sguardo
basso, mentre cercava di ricoprirsi malamente i capelli con il velo.
Si
sentiva terribilmente a disagio così scoperta davanti a tre uomini
che non conosceva, di cui uno sembrava decisamente poco affidabile.
«Sono
una persona povera, signore, davvero… Non volevo fare niente di
male… Ho pensato che avrei potuto vendere le fiale intatte, o non
so… Le ho prese… Non so nemmeno cosa contenessero…»
Mustang
e Hughes si guardarono perplessi. Non andava bene, quella storia era
troppo confusa.
«Mi
sembra una giustificazione un poco vaga… Voi avete visto questo
fantomatico cestino, Hughes?»
«No,
purtroppo sono arrivato quando la stavano già maltrattando…»
«Vi
prego, dovete credermi! Non ho fatto niente di male!» urlò lei
tutto d’un fiato, le lacrime agli occhi «Se volete uccidermi fate
pure, perché il nostro Signore sa la verità e non mi punirà! Ma vi
prego, non torturatemi! Non torturatemi! Ve l’ho detto il mio
crimine, mi sono lasciata condurre dalla mia curiosità! Non so come
altro giustificarmi!»
«Calma,
calma, sono certo che riusciremo a districare questa matassa, ho
bisogno solo di un po’ di tempo, anche se ammetto che non siete in
una situazione favorevole, Hawkeye. Qui ci sono tutte le carte in
regola per accusarvi di essere un’untrice! Capisce che la
situazione è grave, vero?» rispose Mustang vedendola tanto
sconvolta.
Nessuno,
nemmeno chi avesse nervi di ferro e un controllo di ghiaccio non
avrebbe potuto tremare al nome dell’Inquisizione. Nessuno conosceva
esattamente che tipo di torture venivano praticate ma non per questo
si aveva meno paura. Le voci che si sussurravano erano terribili,
anche decisamente surreali, ma efficaci per comprendere il terrore
che ormai era dilagato nella popolazione. Riza poteva anche essere
all’oscuro di tutto e a conoscenza solo di queste dicerie, ma Roy
le conosceva e sapeva che erano davvero così terribili. Mustang
aveva perso tutta la sua bonarietà, aveva la fronte corrucciata in
un disperato tentativo di essere serio. Doveva trovare una via di
uscita, così come sapeva trovarne una d’accusa, tuttavia aveva
bisogno di prendere tempo e quel Fury che continuava a prendere
appunti in quel modo gli faceva soltanto venir voglia di
defenestrarlo.
Con
tutta la calma e serietà che gli era nota, disse «Bene, dovrò
analizzare il vostro caso, Riza Hawkeye,» non poteva proprio fare a
meno di dire quel nome, «Per il momento sarete tenuta in prigione,
fino a quando non avrò accumulato abbastanza prove.» Si alzò, come
a siglare le sue parole «E’ tutto.»
Il
suo aspetto disciplinato e militare, lo sguardo tetro e serio
sembravano finalmente averlo fatto rinsavire.
La
giovane Riza si lasciò andare ad un singhiozzo, e scoppiò in un
mesto e silenzioso pianto. Se solo quella mattina avesse potuto
immaginare che la giornata sarebbe finita in quel modo, rinchiusa in
una cella e trattata come una criminale… Proprio lei, che si
riteneva una persona morigerata e estremamente retta! Che scherzo
crudele che il destino le aveva riservato! Eppure non doveva
comportarsi così, forse era Dio che voleva metterla alla prova.
Doveva riappropriarsi della propria dignità e far vedere che non era
una persona che cedeva in quel modo.
Tirò
allora su con il naso, si alzò in piedi a testa alta, cercando di
avere in viso l’espressione più seria e orgogliosa che potesse.
«Accetterò
la prigionia, se servirà a provare la mia innocenza.»
«E
vorrei ben vedere, non avete molta scelta.» rispose Mustang serio,
mentre Hughes la prendeva per un braccio e si voltava verso la porta
«Da parte mia cercherò di fare il possibile al riguardo.»
Avrebbe
voluto almeno salutarla, ma il capitano Hughes aprì la porta e la
portò fuori. Fury era ancora tutto intento a scrivere come se non
fosse successo nulla.
Non
andava bene quella situazione. Aveva capito perché Hughes l’aveva
portata da lui: tra gli inquisitori era l’unico che avrebbe almeno
provato a cercare qualche prova che la scagionasse. Se fosse finita
sotto le mani di Kimblee o di Bradley l’avrebbero fatta torturare e
il suo corpo sarebbe diventato cenere prima dell’alba del giorno
successivo. Mustang, al contrario, non provava un piacere malsano a
vedere le persone soffrire le pene dell’Inferno e confessare in
seguito qualsiasi cosa, non smaniava per osservare roghi o
annegamenti. Tra gli inquisitori era uno dei pochi che condannava
sovente i rei a pellegrinaggi, oppure chiedeva al clero la scomunica.
Quella era la giustizia, e non aveva senso far confessare il falso ad
un condannato, non serviva a niente.
E
poi quella ragazza… Era così bella, così innocente, così
virtuosa e castigata mentre si copriva quei capelli biondi piena di
imbarazzo… Se quella era una strega lui era il Papa in
persona. Doveva trovare il modo per tirarla fuori dai guai.
Guardò
Fury al suo fianco, che stava riordinando le pergamene e
l’inchiostro. Forse lui avrebbe potuto manomettere le carte, fare
un nuovo documento… Ma cosa avrebbe potuto scriverci? Doveva
esserci pur un motivo per cui Riza era finita davanti al suo
scrittoio. No, doveva agire diversamente.
Si
grattava con insistenza una tempia scervellandosi sul da farsi,
quando Hughes rientrò nel cubicolo con un sorriso beota stampato sul
viso.
«Ah,
Mustang, Mustang, vecchia volpe… Lo sapevo che avrei fatto bene a
portare quella ragazza da te!» esclamò con il tono informale che
usavano tra di loro quando si trovavano soli.
«Per
favore, Hughes! Guarda che non è fuori dai guai. A proposito, l’hai
messa in cella, vero?»
«L’ho
lasciata a Havoc, se ne sta occupando lui.»
«Bene.
Il nome di questa ragazza non deve arrivare all’orecchio di King
Bradley. Mi avete sentito tutti e due? Voglio che questa faccenda
rimanga tra noi. Devo trovare il modo per liberarla…»
«Sapevo
che vedendo questo dolce bocciolo di rosa ancora tutto da schiudere
avresti preso a cuore la sua causa!» lo canzonò il capitano.
Le
guance di Mustang divennero di un rosso acceso ma non aveva alcuna
intenzione di cedere alle provocazioni del suo amico. Avrebbe dovuto
risparmiare le energie per rendere l’impossibile possibile e non
aveva la più pallida di dove iniziare. Era la prima volta che
provava a fare una cosa del genere. Doveva essere prudente, molto,
sia per salvare lei ma anche per salvaguardare se stesso. Se soltanto
avesse lasciato una traccia del suo operato sarebbe stato ucciso come
minimo. Sapeva di essere spiato, sapeva di non incontrare il consenso
degli altri inquisitori. Aveva modi molto meno violenti e la sua
“pietà” svigoriva le rigide regole di quel Sacro Istituto,
doveva essere prudente. Lui voleva salvare più vite possibili ma non
sempre era una cosa facile. La sua era una strada irta e pericolosa.
Ignorò
le parole provocatorie di Hughes, si alzò e si allontanò deciso.
Aveva bisogno di un posto dove meditare, un luogo che avrebbe potuto
ispirargli una soluzione. Aveva già in mente quello che sarebbe
potuto tornare utile e vi si diresse senza alcun indugio.
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Capitolo
3
Era
stato ben facile per Mustang decidere di aiutare quella donna, il
vero problema era pensare a qualche soluzione plausibile. Conosceva
le insidie di quel mondo e sapeva perfettamente che anche se avesse
trovato qualcosa di geniale non sarebbe passato inosservato. Un solo
errore e sarebbe stato condannato senza alcuna revoca. Si era diretto
in quel luogo, sperando vivamente di trovare l’ispirazione
necessaria. Doveva essere rapido e prudente, non era di certo facile
e proprio per questo aveva bisogno di qualcosa di speciale. Sperava
che il miracolo si raffigurasse in quel santo luogo. Era tornato alle
sue funzioni, alla sua concentrazione ed estasi religiosa.
Persino
lui, alla vista di tutte quelle donne non poteva non darsi una
calmata. Doveva indagare, sapere quale scegliere – questo era già
più difficile – e non farsi scorgere. Ogni volta che si sentiva in
difficoltà, che non sapeva cosa fare, pensava di poter contare su
quelle visioni celestiale, ma quella volta gli mancava qualcosa. Tra
quei visi devoti di falsa e vera umiltà non riusciva a scorgere
quello sguardo impaurito e quei capelli biondi. Mai una donna gli
aveva fatto quest’effetto, mai qualcuna aveva scavato un’emozione
così fervida nella memoria. Aveva prediletto una sagoma, adorato un
cipiglio, ammirato una chioma, ma mai aveva avuto qualcosa di così
assoluto e travolgente. Persino tutto quel pubblico femminile non
riusciva davvero a coinvolgerlo, non riusciva proprio a sentirsi come
altre volte, avvolto in quel paradiso di bellezza. Quel giorno non
notava altro se non volti colpiti e segnati dalla febbre, labbra
sporgenti, tratti grossolani, espressioni ridicole.
Sospirò
rassegnato, lasciandosi travolgere da una profonda enfasi nella messa
che continuava ad andare avanti. Quelle mosse attiravano sempre
l’attenzione della gente ma quella volta, circondato da volti
maschili e sbirciato in lontananza da quelli femminili, non
desiderava niente, non voleva essere notato. L’oggetto dei suoi
pensieri non lo degnava certo di attenzioni e lui avrebbe dovuto
dimostrargli il suo amore, liberandola. I poeti cortesi avrebbero
invidiato la sua posizione e di certo gli avrebbero dedicato poemi e
opere. Per quanto avrebbe rischiato il suo onore, la sua onestà e il
suo buonsenso – potendo competere persino con Lancillotto e la
carretta – sarebbero stati messi completamente in gioco per l’amore
di quella donna crudele e sfruttatrice, ma sarebbe riuscito a
conquistare il suo amore. La sua estasi e contemplazione aveva
davvero ben altri fini, ma quella fu una delle messe più sentite da
tutti per il comportamento di quell’uomo eccezionale. In fondo, non
pensò a nulla di concreto, si era così perso nelle sue aspirazioni
e brame da non pensare minimamente come aiutare quella donna. Era un
caso difficile e di certo non poteva contare sulla frivolezza
per trovare un ispirazione, avrebbe dovuto escogitare decisamente
dell’altro.
Aveva
già escluso la possibilità di far falsificare la documentazione
appena redatta da Kain Fury, non tanto perché non si fidasse di lui,
ma piuttosto perché era troppo pericoloso. A credere alle parole di
Hughes, troppe persone avevano mosso le medesime accuse alla dolce
Riza Hawkeye (Quel nome suonava così bene, non poteva fare a meno di
ripeterlo mentalmente in ogni momento!), e tutte le giustificazioni a
cui pensava gli parevano vaghe esattamente come quella fornita dalla
ragazza stessa. Il suo fidato segretario per lui avrebbe riscritto
anche tutta l’accusa d’accapo, ne era certo, tuttavia era troppo
rischioso per tutti, se ne rendeva perfettamente conto. Mustang
poteva essere un uomo distratto e disinteressato alla propria pia
carriera, ma di certo non era stupido, e non voleva rischiare di
finire lui stesso su una forca a riempire lo stomaco dei corvi.
Doveva trovare una strategia più sottile.
Si
stava arrovellando così tanto la mente, che un rivolo di sudore
iniziò a colargli dalla fronte pallida. Teneva lo sguardo fisso su
un punto imprecisato del bancone davanti al suo, avendo ormai finito
di scrutare le donne presenti. Le aveva osservate tutte una ad una, e
la frustrazione insolita che gli era sopraggiunta lo aveva gettato in
uno sconforto non indifferente. Le uniche che suscitavano un minimo
della sua attenzione erano il solito gruppo di suore imprigionate
nell’alcova sul lato destro dell’abside centrale, protette da una
spessa griglia che non permetteva una buona visione dettagliata delle
suddette, nonostante il suo posto fosse nella seconda fila di banchi,
molto vicino all’altare. Non che in quel momento lo interessassero
particolarmente come accadeva di solito, ma qualcuna di loro sembrava
decisamente agitata, cosa rara per delle donne che non avevano altri
interessi al mondo oltre alla preghiera e alla lettura delle Sacre
Scritture. Non era loro nemmeno permesso di allontanarsi dal convento
adiacente quella chiesa. In particolare, la priora gli pareva quella
che si muoveva in modo più nervoso, tanto che addirittura gli era
parso che dicesse qualcosa all’orecchio della sua vicina, una
ragazza piuttosto giovane e dall’aspetto anonimo, sul cui viso
celava malamente un’espressione preoccupata.
“Chissà
cos’avranno da parlottare.” Pensò irritato Mustang tra sé e sé.
Le suore avevano spesso stuzzicato le sue fantasie, non lo metteva in
dubbio, tuttavia si trattava di donne temibili: se una di loro si
fosse accorta dei suoi sguardi insistenti avrebbe potuto fargli
vivere un attimo di paradiso… Oppure rovinargli la vita. Sarebbe
stato scomunicato o anche peggio, quindi non c’era da fidarsi. La
loro era tutta finta ingenuità, ne era quasi sicuro.
Sospettava
ovviamente che non fossero proprio tutte delle sante illibate come
volevano far credere, per questo la cosa poteva rivelarsi parecchio
pericolosa. Potevano diventare dei veri e propri serpenti malefici,
ne era convinto.
Quello
era il volto della religione che spesso assumeva e sapeva
perfettamente di non sbagliarsi, questi cambiamenti li aveva visti e
vissuti in prima persona. Tutti quei volti potevano ingannare la
maggior parte dei presenti, ma non lui. Ora avrebbe dovuto trovare
qualcosa e sapeva di non potersi confidare con nessuno.
Le
funzioni finalmente terminarono, il sacerdote lasciò la solita
benedizione in latino – di cui nessuno capiva niente – e la folla
iniziò a uscire dalle varie porte.
Mustang
non si accorse di quello sguardo pungente che gli veniva rivolto.
Quello sguardo era insito nella Chiesa stessa e lo pedinava, lo
studiava e analizzava. Anche quando l’edificio diventò silente e
vuoto, con la sola compagnia delle finestre colorate che riflettevano
magnifiche luci sul pavimento, quello sguardo non pareva staccarsi da
quella figura. Anche se era lontana, anche se fisicamente non era
presente, lei lo seguiva.
Come
ogni suora, la priora non poteva mai abbandonare quel luogo sacro. La
chiesa era l’unico modo in cui poteva entrare in contatto con la
gente, spiarla e scrutarla. Aveva modi eccellenti, una cultura
abbastanza vasta, caritatevole e socievole. Era insomma una madre
superiore di tutto rispetto, almeno in apparenza. Se solo ci si fosse
sforzati di notare più a fondo la sua personalità nessuno avrebbe
visto di certo visto una santa. Teneva nascosti dei capelli lunghi
mai tagliati dopo la prima volta durante il voto; la sua stanza non
era certo una cella di umiltà. Ma quella sua ipocrisia le permetteva
tutto, anche situazioni decisamente sconvenienti. Essere una donna di
potere nel monastero le aveva dato molti vantaggi e per quanto non
fosse diventata suora per sua volontà, in fondo non se n’era
pentita. Aveva un ottimo alibi per non essere una strega, era
rispettata e sicura, poteva accedere a manoscritti importanti – e
non per amore per la cultura ma solo per giungere a un’agognata
ricerca – e poteva avere amanti con diritto di vita e di morte su
di loro, era praticamente intoccabile. Non era fatta per quella vita
di clausura eppure sembrava decisamente a suo agio.
Avrebbe
voluto la libertà e l’indipendenza ma queste costavano decisamente
troppo care. Avrebbe dovuto lavorare o vivere per strada – il suo
aspetto ne avrebbe risentito – avrebbe dovuto essere davvero casta
e umile – due qualità che decisamente non gli appartenevano – e
avrebbe dovuto subire febbri e malattie che spesso si contagiavano
vivendo a contatto con le strade e gli ambienti putridi. Questa
scelta imposta insomma, che aveva detestato all’inizio, in
fondo si era rivelata la più saggia. Era troppo ben voluta per
essere sospettata e troppo temuta e prudente per essere sorvegliata.
Possedeva nelle sue mani le sorti della vita.
Era
intenta nella ricerca, per soddisfare il suo più grande desiderio.
Per quanto spesso leggesse l’Ars Amatoria di Ovidio con la scusa di
approfondire chissà quale passo santo, esplorava manoscritti
proibiti che normalmente non avrebbe mai dovuto leggere. Ricercava
fino alla disperazione ed era sicura che sarebbe riuscita a trovarlo,
dopotutto le mancava davvero poco.
In
quel momento la chiesa si era ormai svuotata di tutti i suoi devoti
fedeli, e lei si era messa in coda dietro le sue sottoposte in modo
da chiudere la fila, e controllare che nessuna rimanesse indietro. Si
ricordava fin troppo bene quando era diventata lei stessa una
novizia, molti anni addietro, e tentava in tutti i modi di sfuggire
al controllo della superiora dell’epoca nei momenti in cui
quest’ultima era meno sospettosa. Era stato così difficile, eppure
tutto questo l’aveva temprata. Era diventata scaltra, diffidente,
prudente,ed era riuscita pian piano ad arrivare dove voleva grazie
alla sua innata capacità di mentire e nascondere i suoi veri
sentimenti.
Il
suo controllo austero e inflessibile delle altre suore avrebbe potuto
parere incomprensibile rispetto ai suoi comportamenti
dissoluti, se solo qualcuno fosse venuto a saperlo, ma la donna si
atteggiava in quel modo per delle buone ragioni: innanzitutto agli
occhi della gente era una donna austera, pia e amante della
giustizia, allontanando così i sospetti che avrebbero potuto
scaturire dai suoi maneggi letterari e dalla scoperta delle sue
relazioni, in secondo luogo, non aveva difficoltà ad ammettere a sé
stessa che tormentare le altre era un’attività che la dilettava in
modo viscerale.
Amava
vedere soprattutto le novizie subire i medesimi trattamenti che le
erano stati riservati quando era giovane: bacchettate sulle dita se
non si applicavano nella preghiera e nello studio, rinchiuse senza
cibo per giorni in una cella se le osservava mentre fissavano gli
uomini troppo a lungo e altre punizioni di ogni sorta, quali
fustigazioni e tormenti fisici che infliggeva personalmente, fingendo
che quei castighi fossero un grande dispiacere anche per lei stessa,
e che fosse obbligata dalla morale a punire i peccati delle sue
sottoposte. Se c’era poi una cosa che adorava fare, era il taglio
dei capelli delle nuove novizie: armata di rasoio si divertiva a
pelare le loro testoline appena entravano in convento, e assaporava
con gusto le loro espressioni sconvolte e tristi. A lei nessuno
avrebbe più fatto una cosa del genere, mai. Quel potere era suo.
Manteneva
un viso neutro e austero, mentre si riavviava nel salone del
convento, ma nella sua testa già sapeva cosa avrebbe dovuto fare.
Una sua informatrice sarebbe arrivata sotto copertura e fingendosi
una mendicante l’avrebbe aggiornata sulle novità di East City.
Quello era l’unico modo che aveva per poter interagire con il mondo
esterno: i suoi fidati informatori. Ogni giorno ne arrivava uno
diverso, e lei li ricompensava con monete o cibo. I poveri si
corrompevano davvero facilmente… E lei aumentava la sua nomea di
donna retta e caritatevole verso le persone sfortunate, accogliendole
personalmente nel convento.
Fu
così che quando, arrivata al convento, venne avvertita dell’arrivo
di una donna indigente che chiedeva del cibo si precipitò nella
stanzetta dove avrebbe avuto la conversazione che attendeva.
Il
suo slancio, visto come gesto di pura e genuina gravità non era
altro che bramosia di sapere e di conoscere. Per anni, come novizia,
non aveva mai avuto nessun tipo di contatto con l’esterno ma quando
finalmente era giunta alla carica che adesso ricopriva aveva sentito
il desiderio di avere il controllo di tutti gli affari sotto di sé.
Voleva tenere in pugno in quella situazione e poteva riuscirci, ne
era certa. La sua in fondo era stata una vera e propria scalata al
potere, quante donne avrebbero potuto vantare i suoi privilegi? Le
nobildonne erano troppo pressate dalla società e dai pettegolezzi –
nonché tediate dal proprio marito – dovevano avere un immagine,
come lei, ma non potevano essere né colte né intelligenti né
sensuali. La priora era sottoposta solo a Dio e dato che Lui non le
si manifestava… Era fieramente indipendente. Perché una divinità
come Lui avrebbe dovuto permettere che lei, e non magari una più
meritevole, reggesse il potere? Perché in Suo nome l’Inquisizione
commetteva carneficine per vedere il puro terrore e il sangue?
Proprio per questo il mondo voltava al rovescio, la Scolastica aveva
ragione, Dio era troppo impegnato nell’aspirare a se stesso per
contemplare la bassezza umana.
Giunse
finalmente al luogo dell’incontro. Avrebbe voluto guardare la donna
con uno sguardo penetrante, con tutto il desiderio di sapere che
l’alimentava. Si contenne. Il suo fu una fusione tra il
caritatevole e l’ipocrisia, corredato da una certa aria di
sensualità che non riusciva a non nascondere. Consegnando il
compenso pattuito ebbe le informazioni che tanto agognava e non erano
per niente deludenti. Se c’era un vantaggio di accattivarsi i
deboli e gli indifesi era proprio perché stavano ovunque e sentivano
voci che spesso le guardie avrebbero esitato a lasciar trapelare. Non
che i suoi modi non riuscissero a persuadere anche i più duri di
loro, tutti gli uomini condividevano uno stesso difetto e lei sapeva
come accontentarli, ma preferiva essere il più prudente possibile.
Ascoltava
ormai le parole concitate di quella donna quasi sdentata, che parlava
in un modo abbastanza inarticolato, eccitato e volgare. Ma la priora
aveva ormai imparato anche a distinguere il vocabolario del volgo e
riusciva a estrarre dal tutto ciò che era più interessante.
«Il
mercato, signora! Dovevate vedere quanta bella roba! Cibo in
abbondanza, ci vogliono far credere alle carestie, ma io ho detto no!
Non ci credo ovviamente, è tutta una mossa. Anche le stoffe di quel
posto.. Ching? Xing? Abbondavano, questa non può di certo essere
crisi! E ci pagano una miseria, figuratevi, neanche i soldi per il
pane o per una misera minestra! Le streghe non potevano non venire!
Dove c’è ricchezza c’è lui, sissignora. Quel viscido essere del
Diavolo! Ma io lo avevo capito, il predicatore aveva aizzato tutti ma
io già tenevo d’occhio quella sciagurata! Senza velo, capelli
d’oro – il diavolo ha molte forme! Ora bisogna diffidare anche
dagli angeli – sguardo simpatico… Ma non si vergognava di
vendere i suoi intrugli fingendoli per buoni. Il predicatore ha detto
qualcosa nella santa lingua del latino ma non c’era bisogno di lui
per comprendere la situazione!» Riprese un attimo fiato,
interrompendosi un secondo.
La
superiora rimase composta, ascoltando pazientemente, mentre dentro di
sé il fuoco ribolliva. Bramava sapere cosa stava succedendo nel
mondo esterno che le era precluso.
«Continuate,
mia cara, di grazia. Purtroppo qui dentro non mi giunge mai nessuna
informazione dal resto di East City … Mi state rendendo un amabile
servizio, raccontandomi le brutture del mondo, sai, devo proteggere
le mie novizie, queste storie servono da monito.»
«Certo,
signora! E appunto dicevo, c’era la strega, e tutti l’hanno
riconosciuta, per grazia del Signore! Stavano per ucciderla, dovevate
vedere la gente! Oh, non l’avrebbe passata liscia, io ho visto
tutto! La volevano bruciare, avrebbero fatto proprio bene! Avrei
sputato sulle ceneri di quella disgraziata! Figlia del Demonio!»
La
vecchia rise di gusto, mostrando una chiostra di pochi denti, tutti
marci. La priora si trattenne a stento dall’arricciare il naso
disgustata.
«Ma
sapete una cosa? Io so anche come si chiamava, perché ho sentito che
pronunciavano il suo nome! Se le guardie me lo chiedono io glielo
dico certamente! Winry Rockbell! Lo gridavano e poi ho sentito tante
cose su di lei! Vive da concubina con due uomini senza nessuna
vergogna, e non sapete che attività ripugnanti e lussuriose
praticano quei tre sciagurati! Non voglio nemmeno ripetere le cose
che ho sentito, vi spaventereste!»
La
priora in realtà le avrebbe ascoltate più che volentieri. Lasciò
comunque che l’altra continuasse senza interromperla.
«Sono
arrivati quei due fratelli e l’hanno portata via prima che venisse
fatta giustizia divina. Che siano anche loro maledetti… Due bei
ragazzi, per carità, con i capelli d’oro anche loro! Quello più
basso li porta lunghi, ci ha attaccati e dovevate vedere che sguardo
feroce! Ha ferito anche un pover’uomo che voleva solo fare
giustizia… L’altro invece è più alto, ha il viso gentile e
tranquillo, ma io so che non c’è da fidarsi! Infatti è quello lì
che li ha fatti fuggire! Oh poveri noi, siamo brava gente circondati
da eretici… Abbiamo trovato una seconda strega! Questa non ha
fatto resistenza, ma è arrivato il capitano delle guardie e l’ha
arrestata! Non vedo l’ora di vederla bruciare, lui l’ha
consegnata personalmente all’inquisitore… Ehm… Quello giovane e
bello, oh bello come il sole! Ha i capelli neri, devotissimo signore,
sì! Devo andare da lui e dirgli di quei tre, in modo che li arresti
pure loro!»
A
quel punto la priora era davvero intrigata dal discorso. Si sporse
leggermente in avanti dal suo scranno, e cercò le parole più
delicate che conosceva per spingere l’altra donna a rivelare cosa
aveva visto. Faceva finta di nulla, tuttavia aveva capito a chi si
stesse riferendo: i fratelli Elric. Già altre persone l’avevano
informata al riguardo di strane attività da parte di quei giovani
individui, in particolare aveva saputo di gente che si era recata da
loro a causa di problemi di salute… E che effettivamente era
guarita, o almeno così si diceva. Questa era una cosa che le
interessava da parecchio tempo, perché quei due sicuramente avevano
delle nozioni di medicina… Proprio quello che le serviva per le sue
ricerche segrete.
«State
parlando sicuramente dell’inquisitore Roy Mustang… Ho sentito
dire che è un uomo pio e giusto nelle sue condanne. Dalla nostra
alcova privata accanto all’altare lo vedo sempre nelle prime file.»
«Proprio
lui, mia signora!»
Mentre
la donna prese a parlare di cose più o meno importanti, soprattutto
riguardo alla sua intelligentissima – a suo dire – ragione per
cui la peste e la carestia non fossero mai esistite, la priora era
immersa in ben altri ragionamenti. A stento riusciva a nascondere il
sorrisetto lascivo che stava sorgendo sempre più impetuoso sul suo
volto. Aveva proprio ragione a dire che fosse proprio un’ottima
preda, prima o poi sarebbe riuscita a farlo cadere nella sua
trappola. Dopotutto aveva molti metodi e si intratteneva sempre in
nuove avventure. Aveva davvero un qualcosa di perverso, lei lo sapeva
e se ne divertiva. Era quello il bello del gioco.
«Inoltre
tutto questo non basta al Diavolo! E’ stato imprigionato un altro
miscredente dall’Inquisizione! Sicuramente i grossi lo sistemeranno
a dovere. Un farabutto credetemi, non mi ricordo nemmeno il nome…
Fatto stare che merita più di una pubblica punizione e magari dopo
averlo esposto in gabbia o alla ruota lo uccideranno. Dovrebbero
ripulire un po’ di più il mondo da questo letamaio! Negli ultimi
tempi stanno facendo il possibile ma questi si riproducono e si
diffondono come non mai, altro che peste! Loro sono la peste della
nostra epoca! Spero solo che la morte non sia abbastanza poco. Ma
perdonatemi! Magari, Madre Solaris, con questi discorsi vi annoio e
potrei ferire la sensibilità.»
Madre
Solaris scosse la testa, lanciando uno sguardo seducente «Come ho
già detto, questi non sono altro che esempi da dare alle nostre
novizie. Questi avvenimenti sono concessi da Dio solo per dimostrare
agli uomini la crudeltà delle loro azioni.»
Ormai
la priora aveva perso qualsiasi interesse in quei discorsi,
continuava a svolgersi il naturale flusso degli eventi, ma lei aveva
bisogno di risposte il più in fretta possibile. Bramava quella
sapienza che avrebbe potuto accontentarla. La sentiva vicina, tanto
vicina da poterla afferrare e stringere tra le dita eppure ancora
così effimera da sentirla frantumarsi come sabbia tra le sue mani.
Le sfuggiva un misero dettaglio e lei voleva conoscere la risposta.
Era sicura che l’avrebbe trovata, avrebbe travolto chiunque pur di
raggiungere la verità. Era giunta fin lì e non aveva alcuna
intenzione di ritirarsi. Avrebbe anche ucciso e assassinato, non in
prima persona ovviamente, ma ormai stava sfiorando la sosta e non ci
mancava poi più di tanto per infrangere quella soglia. Sentiva la
dolcezza di quella situazione ed era completamente inebriata da
quella fama di potere. Ormai la sua mente era lontana da quella
vecchia sdentata, futile mezzo marcio. Per lei un informatore valeva
altro, aveva spie ovunque ed erano facilmente sostituibili, per lei
quell’ammasso di carne non aveva alcun senso. Era stupida e
ignorante, oltre che brutta e senza alcuna speranza.
La
Madre si presentava caritatevole ma il suo era un puro disgusto verso
quei mendicanti che la schifavano oltremodo. Era uno dei prezzi che
doveva pagare e soltanto pensare alla ricompensa la ripagava da quei
sforzi.
Aveva
letto tanti di quei libri al riguardo… Avrebbe potuto ottenere
l’Immortalità e scoprire i segreti del mondo, le mancavano così
pochi elementi… E nessuno ancora aveva il benché minimo
sospetto sulla sua persona, il che la metteva in una posizione
decisamente favorevole. Assolutamente doveva arrivare ad attirare
Mustang nella sua trappola. Sarebbe stato un gioco da bambini.
Sempre
sorridendo, la priora si congedò dalla sua maleodorante ospite,
incalzandola ad andarsene da lì in fretta.
«Mia
cara, sarei immensamente felice di rimanere ad ascoltarvi mentre mi
parlate del mondo, ma purtroppo Nostro Signore mi richiama ai miei
doveri. Le mie novizie si saranno già raccolte per il pranzo, e io
rischio di arrivare in ritardo, cosa decisamente disdicevole per il
responsabilità che ricopro. Vi accompagno alla porta… Tornate nei
prossimi giorni, le vostre informazioni saranno come al solito
ricompensate.»
Quando
la donna se ne fu andata, Madre Solaris tirò un sospiro di sollievo.
Camminando nei corridoi, la sua mente era totalmente assorta nelle
macchinazioni di un piano per entrare in contatto con Mustang.
Avrebbe agito il giorno successivo.
Aveva
fatto finta di nulla davanti a quello scarto umano, ma la storia
dell’ultimo detenuto la conosceva benissimo, ed era quello che le
interessava più di tutti: era un infedele straniero che pareva avere
moltissime informazioni riguardanti la sua ricerca. Doveva entrare in
contatto con lui prima che venisse giustiziato, poi avrebbe pensato a
farsi raggiungere anche dai fratelli Elric, che anche se si erano
messi nei guai, erano comunque ancora liberi. Una cosa per volta,
doveva agire con astuzia.
Entrando
nel salone del pranzo, riacquisì uno sguardo benevolo.
Sarebbe
stata una lunga giornata.
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
Capitolo
4
Erano
ormai due giorni che i fratelli Elric e Winry Rockbell non uscivano
dalla loro casetta ai limiti di East City. Non avevano osato mettere
il naso fuori per evitare che la gente li riconoscesse e che la
situazione peggiorasse ulteriormente, dato che già erano consapevoli
di essersi messi in guai seri. La loro vita non era mai stata tanto
in pericolo dopo quello che era successo nella piazza del mercato.
Alphonse
era spaventato. La prima notte l’aveva addirittura passata a
piangere silenziosamente in modo che gli altri non se ne
accorgessero, perché in fondo un po’ se ne vergognava. Così si
era rannicchiato nel letto con il viso rivolto al muro, strofinando
tra le mani l’unico ricordo che gli era rimasto di sua madre: una
croce di metallo di medie dimensioni, ornata con dei simboli fastosi
ed al centro una piccola sfera su cui era inciso un disegno purtroppo
illeggibile, forse una lettera. Quando si sentiva triste, solo o
spaventato tenerla tra le dita lo rassicurava. Era un ragazzo grande
e forte, eppure così sensibile, soprattutto rispetto al fratello che
pareva non temere nulla. Invece Alphonse tremava come una foglia
all’idea di cosa sarebbe successo di lì a poco. Era solo questione
di tempo, prima o poi le guardie sarebbero arrivate e li avrebbero
portati nelle prigioni vicino al tribunale per torturarli. Aveva
visto con i suoi stessi occhi la condizione delle persone che
venivano condannate alla pena capitale per delitti come i loro: era
pieni di ferite, di ustioni, a volte non riuscivano nemmeno a stare
in piedi perché avevano le gambe rotte, e quelle visioni di ossa che
bucavano la pelle, di scalpi e maschere di sangue gli facevano girare
la testa. Non voleva che andasse in quel modo, non voleva vedere
Edward e Winry patire quelle sofferenze prima di finire su una pira o
di venir gettati in un pozzo con gli arti legati…
La
ragazza dal canto suo era ancora decisamente scossa da ciò che le
era accaduto, ma anche desiderosa più che mai di fuggire. Lei non
era riuscita a chiudere occhio, ogni volta che provava ad
addormentarsi sentiva nella sua mente le urla di una folla inferocita
che voleva farle del male. Nemmeno la vicinanza di Edward la
rassicurava del tutto. Ad ogni scricchiolio della vecchia abitazione
sentiva il cuore batterle forsennatamente in petto, tremava tutto il
giorno come una foglia, e si rifiutava anche solo di avvicinarsi alle
finestre. Non mangiava quasi niente se non dei piccoli bocconi, e a
nulla valevano le parole che l’amico le rivolgeva per incitarla.
Del resto Edward era molto in pena anche per lei oltre che per
Alphonse. Vederla così frastornata, tremante, terrorizzata, e con le
braccia e il viso pesti, rannicchiata tutto il giorno sul pavimento o
nel letto con i capelli coperti malamente da una pesante stoffa come
non aveva mai fatto lo faceva impazzire di rabbia e di dolore…
Per
fortuna che almeno lui, al contrario degli altri due, si era comunque
ripreso abbastanza in fretta. Era ancora ammaccato, il livido intorno
all’occhio era sempre di un vivo blu violaceo, eppure sembrava come
sempre pieno di energie. Aveva girato in continuazione per casa senza
meta come un leone in gabbia, pensando ad un modo per andar via senza
farsi notare. Ne aveva parlato molto anche con Alphonse e Winry.
Tuttavia,
sapeva bene che, come quel movimento incessante e vorticoso che
compieva avanti per la piccola stanza, anche i suoi pensieri erano
abbastanza confusi. Sapeva di dover recuperare a tutti i costi la sua
lucidità, di doversi calmare e ragionare con tranquillità, con il
metodo scientifico che utilizzava anche nel sezionare i cadaveri e
studiare ogni tipo di scienza. Con un grande sforzo, provò a
sedersi, a placare quella furia che non permetteva a nessuno dei suoi
arti di rimanere fermo. Tentò in ogni modo possibile, tentò davvero
di raggiungere la freddezza necessaria per progettare qualcosa di
sicuro e intelligente. Ma i sentimenti che lo tenevano strettamente
legato alla vicenda, la sofferenza che vedeva riflessa nelle persone
che più amava e quel silenzio inquietante, gli metteva agitazione.
Non poteva di certo pensare in quelle condizioni!
Con
potenza e prepotenza sferrò un calcio, facendo cadere lo sgabello
vicino e far sobbalzare i suoi coinquilini. Si alzò rapidamente in
piedi, incurante di quello che aveva fatto. Sentiva una rabbia tale
che, era sicuro, lo avrebbe condotto a uccidere uno per uno quella
folla. Era frustrato e non solo perché si era giunti a quel momento.
Lui aveva sempre lottato contro tutte quelle istituzioni per salvare
ogni singola vita, per trovare una cura a quella malattia che
decimava ormai la popolazione. Rischiava la sua vita, vivendo ai
margini della società e di certo non nell’allegria, ma nel timore
di essere sempre scoperto, non capito, cacciato o peggio. Aveva
sempre temuto quel momento, ma era stato più duro del previsto.
Aveva assaporato il disprezzo per la sua carità, la non comprensione
dei suoi sacrifici e la reazione violenta dei suoi sforzi per
salvarli.
Batté
un pugno sul tavolo, sentiva tutta quella furia montargli fino alla
testa, sentiva quell’impotenza che lo avrebbe condotto
inevitabilmente al pianto se non fosse stato così testardo e
determinato da non cedere, da non far trapelare la sua disperazione e
quindi la sua debolezza. I capelli biondi andarono a nascondere e
oscurare il suo sguardo. Era giunto al limite, ora era davvero il
momento di cambiare atteggiamento. Per lui adesso conoscere una cura
non era più una questione di mero aiuto, era questione di orgoglio,
doveva dimostrare che tutta quell’incomprensione era sbagliata.
Avrebbe smascherato la ridicola corruzione della Chiesa, avrebbe
trascinato nel baratro quell’istituzione che rigirava a suo
vantaggio il latino, non compreso dalla maggior parte della folla,
per i propri interessi. Lui non credeva, non aveva mai creduto.
Perché Dio avrebbe dovuto provocare tutto questo dolore alla sua
gente? Aveva fatto delle ricerche scientifiche, aveva indagato e
appurato con la stessa meticolosità con cui si era gettato nei suoi
appunti di medicina. La Chiesa interpretava a suo vantaggio
tantissime situazioni, lo aveva sperimentato e provato. Ma se solo
avesse osato ad alzare la voce, se soltanto avesse osato dire la
propria sapeva che non sarebbe stato creduto. Tutto sarebbe stata
un’accusa ulteriore delle sue azioni. Ora doveva trovare quella
soluzione alla peste e per trovarla avrebbe dovuto portare prima al
sicuro suo fratello e Winry. Avrebbe dovuto pensare lui a cosa fare,
erano nelle sue mani.
Tutto
era pronto. Appena sarebbero calate le tenebre sarebbero scappati,
per recarsi probabilmente verso Resembool, un piccolo villaggio che
si trovava abbastanza lontano dalla loro città, ma comunque
raggiungibile in qualche giorno di viaggio se avessero mantenuto un
buon passo di marcia. La madre dei due Elric era originaria di quel
luogo, e anche loro erano nati lì. Quando era rimasta sola dopo che
loro padre li aveva abbandonati, Trisha Elric se ne era andata e
aveva trovato rifugio a East City. Nessuno li avrebbe riconosciuti, e
avrebbero potuto ottenere qualche attimo di pace in quel luogo.
Avrebbero avuto quindi tutto il tempo di pensare al da farsi.
Edward
aveva appena finito di radunare sul tavolo della stanza principale le
provviste per il viaggio che aveva trovato in casa: dei cavoli, del
pane ormai non più freschissimo, qualche striscia di carne salata,
delle borracce d’acqua, una saccoccia contenente un pugno di monete
d’argento. Era consapevole che non sarebbe stato sufficiente per il
viaggio che li attendeva, ma avrebbero potuto rifornirsi lungo la
strada, se solo avessero avuto un pizzico di fortuna. Nonostante il
periodo buio, c’erano molti mercanti che battevano le rotte
commerciali, e se ne avessero incontrato qualcuno avrebbero potuto
comprare qualcosa da mettere sotto i denti.
Quando
Edward l’aveva fatto notare ai due compagni, aveva immediatamente
notato l’espressione nervosa di Alphonse. Aveva anche capito
perfettamente il perché di quella reazione, conoscendo il fratello
come le sue tasche: Trisha raccontava sempre che loro padre era un
facoltoso mercante, per questo se ne stava sempre lontano da casa.
Evidentemente aveva trovato qualche bella ragazza esotica durante i
suoi viaggi, perciò li aveva ripudiati, o almeno, questa era l’idea
che Edward si era fatto della vicenda, anche se sua madre aveva
sempre glissato la questione, e più ci pensava più si rodeva il
fegato di rabbia... Per questo aveva deciso di non iniziare una
conversazione con Alphonse su quell’argomento ostico, non era il
momento di litigare. Purtroppo avevano due pareri completamente
diverse riguardo a quel farabutto del loro padre.
L’attesa
delle tenebre nella loro casetta divenne estenuante, il tempo
sembrava non passare mai. Ormai i fagotti erano pronti, nessuno
parlava.
Winry
rimaneva sdraiata
nella sua brandina, infagottata in una coperta, silenziosa, Edward
non poteva fare altro che sospirare, seduto al tavolo senza curarsi
del mobilio che poco prima aveva calciato, vicino ad Alphonse, che si
teneva la testa ciondolante con una mano e nel frattempo con l’altra
giocherellava con la solita piccola croce.
«Dici
che a Resembool ci riconosceranno?» chiese quest’ultimo ad un
certo punto con voce preoccupata.
Il
maggiore scosse il capo.
«No,
non credo proprio. Dobbiamo essere rapidi e la notizia non arriverà
fino lì. Nessuno sa che la mamma era originaria di quel posto
tranne…»
«Tranne
Pinako… Lo so… Ma io mi chiedevo, fratellone… Sei sicuro che
non abbiamo parenti lì?»
«La
mamma ha sempre detto che non aveva nessuno al villaggio, che era
figlia unica e che i suoi genitori erano morti. Perché avrebbe
dovuto mentirci?»
«No…
Io pensavo a papà, Ed…»
«Non
parlare di lui. Era di Central City, non di Resembool. E poi non
sappiamo nemmeno che faccia abbia, quel maiale schifoso.»
La
voce di Edward si era fatta tagliente come la lama di un rasoio, le
sue guance si erano infiammate di colpo. Era evidente che stesse
perdendo nuovamente il controllo di sé. Non amava sondare la
questione sia per non ricordare il padre che aveva misconosciuto e li
aveva abbandonati sia per non entrare in disputa con Alphonse come si
era prefissato dal principio. Soprattutto in quel momento tanto
difficile non era proprio il caso di discutere sulla faccenda. Il
carattere di Edward non gli permetteva certo di sentire quelle
repliche da parte del fratello, lui era convinto nel suo odio verso
il padre e nessuno sarebbe riuscito a farlo rinsavire, nemmeno lui,
doveva ben ricordarselo!
Alphonse
tacque, chiudendo in sé i suoi dubbi. Continuava ad aggrapparsi a
quella croce, continuava a stringerla nelle mani come se
quell’oggetto potesse rivelargli delle certezze. Winry continuava a
rimanere completamente immobile, immersa in quel suo dolore, incapace
di reagire.
Quel
silenzio era pesante, mosso da una grande tensione.
Edward
era ricaduto nella sua solita rabbia, il fratello rimaneva zitto e
fermo in un angolo con la croce stretta sul petto.
Quell’aria
di tensione non diminuiva, ognuno rimaneva intento nelle proprie
attività, nei propri pensieri, infestando la stanza da numerosi
dubbi che, simili a fantasmi, ormai avevano preso il pieno controllo
di tutta la casa. Erano succubi di quei mostri nati dal loro
inconscio e non sapevano più come liberarsene. Immersi in quei
tristi pensieri, nelle proprie paure non riuscivano a lottare e
rialzarsi. Il tempo passava fin troppo lentamente e niente sembrava
placarsi. Le loro paure vecchie e nuove si confondevano, si univano,
fino a generare una completa impotenza verso la minaccia incombente.
Senza la loro forza di volontà e il loro desiderio di vivere
certamente non sarebbero andati avanti ma erano troppo poco lucidi
per rendersi conto della situazione. I loro timori, anche se
tutt’altro che irrazionali, li stavano sviando, e la discussione
era dietro l’angolo. Edward non era in sé, Alphonse non era in sé
e nemmeno Winry… Lei era sicuramente quella che stava peggio,
costretta a metabolizzare le violenze subite.
La
negatività di quella piccola stanza stava diventando soffocante, e
il maggiore dei due Elric annaspava in cerca di aria incontaminata.
«Io…
Io devo uscire un attimo…» farfugliò a voce bassa.
«E
dove vai, Ed? Non dovevamo uscire solo dopo il tramonto?» rispose
Alphonse come risvegliatosi dalle sue funeste fantasie.
La
ragazza, che sembrava non aver posto alcuna attenzione verso i loro
discorsi precedenti, mosse il capo e guardò con occhi spaventati e
gonfi di pianto nella loro direzione e annuì debolmente.
«Voglio
partire in fretta…» pigolò.
«Devo
prendere ancora delle provviste, poi potremmo partire.»
«Dai,
per favore, se qualcuno ti vede saranno guai! Hai detto che avremmo
comprato da mangiare lungo il cammino, non è da te cambiare idea
tutti i momenti!» cercò di rimproverarlo Alphonse. Peccato che il
suo tono di voce non riusciva ad essere in alcun modo adirato, anzi,
pareva più una supplica.
«No,
prendo ancora un paio di cose e torno.»
Che
scusa patetica, se ne rendeva conto da solo. Il problema era che non
sarebbe riuscito a stare un minuto di più chiuso lì dentro con
quegli altri due. Non poteva odiarli, eppure avvertire i singulti
incontrollati di Winry e le lagne su loro padre di Alphonse era ormai
una cosa intollerabile. Non ce la faceva davvero più, doveva
schiarirsi le idee o non avrebbe potuto affrontare il viaggio con la
sua solita mentalità razionale. Non aveva talmente più voglia di
ascoltare quei due, che uscì di casa a tutta velocità, sbattendosi
la porta alle spalle, quando il Sole si stava ancora avviando verso
l’orizzonte, gettando solo qualche schiva ombra su East City.
Era
palese che non stesse andando a cercare nulla da mangiare anche dal
fatto che non aveva preso nemmeno un cestino con sé. Alphonse non
era stupido e lo notò immediatamente, eppure rimase paralizzato
sulla sua sedia, la croce eternamente stretta nella mano, indeciso su
cosa fare. Doveva andare a recuperare il fratello oppure aspettarlo
in tranquillità, concentrandosi magari su Winry, in modo da farla
uscire da quello stato catatonico prima di mettersi in marcia? E se
Edward si fosse cacciando nei guai? Non sarebbe riuscito a lasciare
la città senza di lui, i rimorsi lo avrebbero divorato. Lui amava
così tanto suo fratello…
Stringendo
i pugni tanto da sbiancarsi le nocche, si alzò in piedi e senza dire
una parola corse a sua volta fuori dalla casetta. La ragazza sarebbe
stata al sicuro, pensava tra sé e sé, tanto non si sarebbe
sicuramente mossa. Sarebbe stato via giusto il tempo di trovare quel
testardo di suo fratello e tornare indietro, in seguito sarebbero
immediatamente partiti tutti insieme. Doveva preoccuparsi più per
lui che per lei, dato che se qualcuno lo avesse visto gironzolare
indisturbato per la città non gliel’avrebbe fatta passare liscia.
Lui
era solamente preoccupato e dilaniato da quei sentimenti contrastanti
che lo stavano invasando. Aveva il cuore palpitante, l’anima in
subbuglio, non si era minimamente reso conto di come avesse fatto
degenerare la situazione a causa dei suoi pensieri, avrebbe dovuto
rimettere presto una pezza a quella storia e in fretta. Suo fratello
era senza dubbio intelligente, un ottimo scienziato, addirittura
prudente quando non perdeva la testa. Conosceva la sua impulsività,
sapeva perfettamente il suo modo di fare e non poteva non volergli
bene, non poteva in alcun modo smettere di stimarlo e apprezzarlo.
Avrebbe dovuto stare più attento, solo lui poteva mettere freno, con
la sua cautela e dolcezza, all’energia dirompente dell’adorato
fratello. Lui lo sapeva e quella volta, nel momento di maggiore
fragilità, nel momento in cui sarebbe dovuto essergli più vicino,
lui non c’era stato e lo aveva abbandonato. Lo aveva lasciato per
quella stupida croce, il ricordo sbiadito di un passato lontano e
incerto. Lo aveva scartato per ricordare ancora una volta le origini
di un padre lontano, che li aveva rifiutati. Lui capiva il
risentimento di Edward, comprendeva appieno quella mancanza che
sentiva in fondo al petto, quel colmo che non era mai riuscito a
riempire. Per lui era stato anche più semplice, non solo Pinako e
Winry erano sempre state vicine, ma anche Edward… Lui era stato il
suo baluardo e difensore, lui aveva sostituito appieno come fratello
maggiore anche suo padre. Non avrebbe potuto non essergli più grato.
Continuava
a camminare, trascinando con sé quella pesantezza, quei sentimenti
che lo aggravavano con la loro devastante mole. Si sentiva
schiacciato e soltanto con un’immane forza di volontà cercava di
trascinarsi in avanti, alla disperata ricerca del ragazzo.
Nonostante
tutto questo, tutto questo amore di cui non si poteva lamentare, lui
non riusciva a convincersi del tutto ad abbandonare la ricerca
dell’uomo che aveva loro dato la vita. Voleva mettere fine a quei
dubbi, alle incertezze dell’abbandono, ma anche vedere finalmente
il suo vero volto, per avere un immagine familiare a cui rivolgersi.
Nei suoi remoti desideri e nelle sue mai perdute speranze continuava
a figurare nella sua mente l’idea di famiglia che avrebbe potuto
condividere gioie e dolori. Non si era mai accorto che le opulenze
delle famiglie più ricche, la falsa cortesia che albergava in ognuno
di loro non era altro che apparenza. Lo spettro di una società che
avrebbe voluto dimostrare valori di cui era completamente priva e
spoglia. Avrebbe voluto piangere, scacciando così via da sé
quell’infinita sofferenza che lo attanagliava.
Camminava
rapido, senza fermarsi, imboccando strade a caso senza alcun nesso
logico. Era confuso ma allo stesso tempo sapeva perfettamente dove
andare, come se seguisse un filo invisibile che lo legava al
fratello. Di questo non ne aveva mai fatto parola, eppure ne era
convinto. Probabilmente a Edward sarebbe sembrata solo una sciocca
superstizione, ma Alphonse era fermamente convinto che qualcosa di
molto potente lo collegasse a lui. Erano così diversi, ma malgrado
ciò erano sincronizzati e andavano molto d’accordo: sicuramente
c’era un motivo, qualcosa che nemmeno la scienza avrebbe potuto
testimoniare a livello di ossa o sangue, qualcosa che andava ben
oltre a qualsiasi sapienza umana.
Il
solo fatto di ritrovarsi davanti Edward, il solo fatto di averlo
trovato in quella grande città con la sola forza della disperazione
e dell’istinto era un’ulteriore prova ai suoi pensieri.
Mentre
Alphonse quindi gioiva per essere riuscito a rintracciare il suo
irascibile fratello sano e salvo a braccia incrociate e scuro in
volto, appoggiato ad un muro all’ombra di un vicolo che puzzava di
liquami, Winry aveva trovato un moto di coraggio e si era seduta sul
letto. Si guardò attorno con aria stranita e all’erta ad ogni
minimo rumore, poiché iniziava ad essere molto inquieta. Non voleva
più stare da sola in quella casa, il tempo sembrava non passare mai.
Maledì
mentalmente il momento in cui quel testardo di Edward era uscito da
quella porta, aveva solo rallentato la loro partenza… E la ragazza
non vedeva l’ora di andarsene. Non aveva più nulla da spartire con
East City e con i suoi abitanti, per lei potevano morire tutti dal
momento in cui avevano cercato di ucciderla insieme ai suoi due
amici. Loro stavano cercando solo di aiutarli e di salvarli, e questo
era quello che avevano ottenuto: insulti, lividi ed escoriazioni! Non
avrebbe smesso di supportare il loro lavoro solo perché erano troppo
legati, e poi Edward… Edward era una persona speciale. Mai come in
quei momenti in cui pareva catatonica e insensibile alle sue
attenzioni aveva sentito così vivida una fiamma d’affezione nei
suoi confronti. Aveva sussultato segretamente di piacere ogni volta
che aveva avvertito la sua mano accarezzarle dolcemente una spalla o
una scapola, aveva avvertito la pelle coprirsi di brividi e le gote
incendiarsi. Si sentiva strana e ingenua, un po’ sciocca forse. Lui
le aveva salvato la vita, e gli era così grata per questo. Non che
non lo fosse nei riguardi di Alphonse, eppure non era la stessa cosa.
Lui era gentile e sensibile, tuttavia non suscitava in lei le stesse
emozioni. Ogni volta che Edward le aveva sussurrato delicatamente
qualche parola di conforto all’orecchio aveva percepito degli
spasmi nei visceri del bassoventre, piacevoli e dolenti nello stesso
tempo. Arrivò persino a chiedersi se per caso il trauma non l’avesse
fatta uscire di senno. Erano stati cresciuti insieme, doveva vederli
come fratelli… Ma non poteva mentire a se stessa: no, non lo erano
e non lo sarebbero mai stati.
In
cuor suo non vedeva l’ora di giungere a Resembool, che si
immaginava come un sorridente villaggio di poche case immerso nella
natura, lontano dalla malattia e dalle brutture dei giochi di potere,
senza religiosi invasati, senza Inquisizione, senza soldati, dove
tutti vivevano in pace grazie agli umili lavori campestri. Avrebbe
sicuramente trovato delle nuove piante con cui riprendere la sua
attività, e magari lì nessuno le avrebbe fatto del male, avrebbe
potuto rendersi utile… Aveva ascoltato tante volte quando era una
bambina i racconti malinconici di Trisha, mentre descriveva quella
cittadina idilliaca da cui purtroppo era fuggita per conservare un
fantomatico onore perduto…
Era
persa nelle sue fantasticherie innocenti, quando avvertì dei colpi
forti e sordi contro la porta di legno della casa. Sì spaventò
talmente tanto da non riuscire a non emettere un piccolo gridò
terrorizzato. Il cuore le batté impazzito nel petto. Edward e
Alphonse non avrebbero picchiato in quel modo, non potevano essere
loro.
«Aprite
subito! Aprite o bruciamo la casa e vi lasciamo dentro!» gridò una
voce minacciosa.
Winry
tremava senza alcun
controllo.
Si
accasciò a terra in silenzio, sentendo completamente tutti i suoi
muscoli non sostenerla più. Quel coraggio che era riuscita pian
piano ad acquistare, quel piccolo slancio di arditezza che era aveva
accumulato e manifestato in quei pochi minuti era stato completamente
inutile. Sbattuta nuovamente in quel lido di terrore, oppressa dalla
paura, non sapeva cosa fare. Il suo cervello la scongiurava di
salvarsi ma non sapeva come, non sapeva cosa fare e non sapeva dove
andare. Era caduta completamente nel panico e anche se avesse voluto
fare qualcosa le sue membra non la sostenevano, l’avevano
completamente abbandonata al suo destino. Non aveva nemmeno le forze
per agitarsi, nemmeno per compiere un atto disperato mosso dal
desiderio di sopravvivenza. Solo la sua mente continuava a muoversi,
rischiando di farla impazzire, perché avvertiva solamente di essere
inerme e spacciata. Si sentiva completamente scoppiare la testa,
tutte quelle energie avrebbe potuto utilizzarle in un altro modo,
tuttavia era inchiodata a quel posto e trafitta da migliaia di spilli
che le procuravano un dolore irresistibile.
Tutto
iniziò a prendere tinte meno marcate, si ritrovava nella piazza,
trascinata da quelle persone che la ritenevano una strega. Sentiva
tutto il loro disprezzo, aspettava la sua morte e proprio nel momento
in cui Edward sarebbe dovuto venire in suo soccorso, lui non
giungeva. Viveva in continuazione quell’Inferno che aveva provato
solo qualche giorno prima, continuando a rivivere la stessa scena,
senza potersi ribellare. A quell’immagine poi iniziò a sovrapporsi
il dolore delle torture. Aveva ascoltato a malapena i sussurri nelle
strade, ciò che la gente diceva a proposito delle torture e le
sentiva sperimentate su di sé, sentiva proprio un dolore fisico
lacerarla. Era completamente ingabbiata nel terrore e nella
sofferenza, senza riuscirsi a liberarsi da quella ragnatela di
funereo presentimento.
Se
solo avesse potuto probabilmente si sarebbe alzata e avrebbe aperto
la porta, si sarebbe consegnata e arresa, forse così Edward e
Alphonse avrebbero potuto salvarsi. Ma com’era ridotta non poteva
di certo sperare di alzarsi e presto quel desiderio, come tanti
altri, si spense. In quel momento la tempesta infuriò e Winry smise
di lottare, abbandonandosi con stentata rassegnazione a quella
bufera.
Una
folla irruppe senza molti complimenti, devastando in poco tempo la
catapecchia. Winry era semisvenuta, completamente ignara di ciò che
la circondava. Non poteva di certo ascoltare le loro voci e
distinguerle.
«E
queste appese al muro? In questo posto che puzza di putrido? Mappe
per raggiungere il Diavolo?»
«Ma
non vedi, stupido? Sono gli ingredienti per dei riti contro
l’Altissimo! Vedi sangue, muscoli e tutti questi nomi strani? Sono
tutti ingredienti! Non oso immaginare questi altri nomi
impronunciabili cosa significhino!»
«E
questo? Jupiter, Venus? Dei pagani? E questi? Spiriti del Vino?»
«Sono
chiari riti orgiastici del loro Padrone! Donne e Vino… Non ci si
poteva immaginare di meglio! Qui la situazione è molto più grave
del previsto! Inquisizione, Inquisizione subito! Sono rivoltanti
servitori del Demonio!»
«Anche
quella donna svenuta! E’ in estasi chiaramente, e in contatto con
il suo Signore Maligno! Bisogna portarla subito dall’Inquisizione,
è una strega proprio come si mormorava!»
Gli
uomini temevano anche a toccarla. Non potevano dimostrare la loro
superstizione, ma avevano evidentemente paura di poter essere uccisi
da un maleficio di quella strega ormai nemmeno più presunta. Infine,
la afferrarono e la trascinarono via tra le macerie di quella casa.
Saccheggiarono ciò che fu possibile trovare e portarono via i
principali oggetti imputati per l’accusa.
Quella
schiera punitiva attraversò la città, lasciando dietro di sé una
scia di morte e desolazione, ma non sembravano per niente pentiti
della cosa. Ciò era loro richiesto e quello era il loro modo per
portare la Felice Novella nelle case.
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
Capitolo
5
Winry
Rockbell
si sentiva nuovamente in un incubo, un sogno angosciante ancora
peggiore di quello che aveva vissuto qualche giorno prima. Le
sembrava di non riuscire più a uscirne, a svegliarsi, era
intrappolata. Non sapeva cosa le sarebbe accaduto, o almeno, poteva
solamente immaginarlo e questo avvenire si prospettava terribile. Nei
suoi fumosi pensieri non vedeva altro che sofferenza e torture, ma
soprattutto non scorgeva una via d’uscita. Era in trappola come un
topo, non doveva fare altro che aspettare la Morte e pregarla
affinché la portasse via con sé in fretta. Questa volta i fratelli
Elric non avrebbero potuto salvarla.
Piangeva
in silenzio mentre veniva trascinata da due uomini in uno stretto
corridoio che si trovava sotto il tribunale in cui l’avevano spinta
a forza. Le facevano male le gambe e le braccia escoriate così come
gli occhi gonfi e arrossati, la testa le scoppiava. Non aveva avuto
un attimo di respiro, non avevano smesso di trainarla malamente da
quando l’avevano rapita dalla sua casa. Il tempo non passava mai…
Ad
un certo punto quasi non si accorse che l’avevano buttata in una
stanza dai muri in pietra. Non c’erano finestre, e la luce
traballante delle fiaccole appese al muro non le permetteva che una
vista confusa di ciò che c’era attorno a lei. Annaspò per terra
gemendo, provando a rannicchiarsi su se stesse e nei suoi miseri
vestiti ridotti a brandelli dagli uomini che l’avevano maltrattata
fino a quel momento. Quegli straccetti sporchi la coprivano a
malapena, si sentiva nuda ed inerme, e quel luogo era freddo e umido.
Incominciò a tremare, cogliendo qualche frammento di discorso
attorno a sé.
«Signor
Bradley… Abbiamo portato la ragazza come ci avevate chiesto.»
«Ben
fatto, ben fatto. Mi raccomando, che la notizia della cattura di
questa presunta strega circoli in tutta East City.» rispose una voce
che le metteva i brividi.
Winry
aveva
sentito parlare di King Bradley, lo aveva visto di sfuggita, sempre
con aria grave e nello stesso tempo estremamente compiaciuta a
moltissime esecuzioni. Era una specie di Inquisitore Capo da quel che
aveva capito. Ed era feroce…
«Certamente.
Ora gli abitanti di East City si sentiranno più al sicuro.»
«Gli
abitanti di East City si sentiranno più al sicuro solo quando tutti
i servi del Demonio saranno stati mondati nelle fiamme.
Ricordatevelo. Avete portato anche delle prove da quella casa?»
«Sì,
è stato orribile! Materiali blasfemi ovunque! Le pareti erano
ricoperte di orribili disegni di visceri umani e formule di
maledizioni. Non oso pensare a cosa non sia successo in quella casa,
signore…»
«E
i due giovani uomini? I fratelli Elric? Li avete trovati?»
«No,
c’era solo questa donna lì dentro…»
Winry
cercò
di farsi il più piccola possibile e di rimanere immobile in un
infantile moto di conservazione, come se così facendo avesse potuto
confondersi con il pavimento gelido e sparire nel nulla.
Quello
era veramente King Bradley. Le avrebbe fatto confessare delle cose
orribili, le avrebbe estorto anche delle accuse contro Edward e
Alphonse… Si prefisse di resistere. Sarebbe morta piuttosto, doveva
essere forte.
Non
si rendeva conto di essere una delle tante vittime che siglava quella
promessa. Le avevano parlato delle torture, di dolori inimmaginabili
ma non avrebbe potuto lontanamente sospettare della persuasiva
potenza delle macchine infernali. Non sapeva che avrebbe dovuto
incorrere alla furiosa e violenta pietà del proprio boia per dare
pace alle proprie membra sfibrate. Non avrebbe potuto lontanamente
comprendere la perversione di quella follia e lei non sarebbe stata
poi diversa da tutti gli altri. Fino a quel momento nessuno era
riuscito a resistere a quella sofferenza senza impazzire. Si giungeva
al punto di rinnegare tutto ciò che si era stati, era come se si
finisse di perdere la propria rispettabilità e il proprio onore. Si
era degradati ad animali da macello, si era soltanto un ammasso di
carne da torturare e a cui estorcere informazioni. Non c’era
salvezza né redenzione, si moriva nella dannazione dell’Inferno,
nell’ignominia della propria memoria. Sciagurati e scellerati, i
condannati non si rendevano conto che niente vi era a salvarli,
neanche una minima comprensione da parte del popolo, neanche gli
amici più cari potevano sopravvivere in quel dolore… Spesso
finivano per voltare le spalle e quindi accusare i conoscenti con
ferocia, sempre in testa al corteo – per farsi credere dagli altri–
oppure ancora venivano processati come complici e a quel punto la
morte era preferibile a qualsiasi altra pena.
Bradley
non sembrava per niente un Inquisitore che andasse per il sottile.
Era calmo e pacato e aveva proprio le caratteristiche essenziali per
accattivarsi un condannato, senza alcun dubbio. Lui era perfettamente
consapevole di non cercare la verità, lui sapeva che nelle accuse e
nelle confessioni ci si inventava situazioni ed eventi. In quel modo
l’Inquisizione aveva il predominio e il controllo su tutto: vita
politica, quotidiana, religiosa e laica. Nessuna sfera della società
poteva sfuggire alle rigide regole ecclesiastiche, che prendevano
configurazione di un vero e proprio stato militaresco. Con una
piccola ed essenziale caratteristica: se soltanto ci si fosse
ribellati non solo si sarebbe stati processati senza alcuna replica
ma persino la paura e il terrore della dannazione eterna bloccavano i
più temerari.
Winry
in
quel momento non era altro che una sciocca fra tante che si illudeva
di poter resistere agli strazi più violenti. Bisognava riconoscere
il suo coraggio, senza dubbio, ma presto la sua volontà si sarebbe
spezzata, la sua decisione incrinata e in quel momento avrebbero
fatto breccia le assurde speranze che donava il boia.
Da
quel momento cercò di chiudersi in sé stessa come un piccolo
riccio, tappandosi anche le orecchie. Non voleva sentire, si voleva
eclissare, non avrebbe mai risposto finché avrebbe avuto la forza di
lottare.
Quando
una mano le sfiorò una spalla nuda sussultò di terrore coprendosi
ancora di più il volto con le braccia magre.
«Ragazzina…
Mi senti?» era la voce affilata e nello stesso tempo melliflua di
King Bradley.
L’Inquisitore
si era inginocchiato accanto a lei, la sua figura enorme e robusta la
sovrastava completamente.
«Fammi
vedere il tuo volto, ragazzina… Coraggio…»
Winry
era
terrorizzata, ma l’istinto di sopravvivenza le suggerì di
obbedire, per evitare di farlo arrabbiare. Al momento non sembrava
avesse intenzione di iniziare a farle del male, e il modo delicato
con cui le accarezzava una spalla… Sollevò il viso rigato di
lacrime lentamente, mostrandogli la sua espressione inconsciamente
sconvolta. Arrivò in questo modo a fissare finalmente il suo viso.
Non
aveva mai visto Bradley così da vicino. Era un uomo che aveva
sicuramente superato i cinquant’anni, con i capelli neri e corti,
il viso squadrato incorniciato da baffi severi e una benda su un
occhio, la quale era il suo segno distintivo. Tutti sapevano che
l’inquisitore mancava dell’occhio sinistro, era inconfondibile…
Quando
la giovane vittima lo vide sorridere e asciugarle una lacrima con il
dorso della mano, ne rimase spiazzata. Non sapeva più cosa pensare,
il cervello era ingombro di paura e di speranza. Quell’uomo avrebbe
dovuto farla torturare, e invece le stava asciugando una guancia.
«Mi
sai dire il tuo nome?» le mormorò affettato.
Lei
si guardò attorno, come se cercasse delle risposte nei volti degli
altri presenti, uomini che non aveva mai visto e che non tradivano
alcuna compassione nei suoi confronti.
«Io…
Mi chiamo Winry… Rockbell…» mugolò infine con un filo di voce.
«Bene,
brava. Hai visto che non era difficile?» Bradley parve soddisfatto
«Adesso mettiti seduta, non stare qui per terra. Tirati su. Ma
guarda come ti hanno conciata, hai tutti i vestiti strappati…»
La
prese per l’avambraccio e la aiutò ad issarsi a sedere. Il sangue
nelle tempie di lei iniziò a pulsare dolorosamente, ma resistette,
mordendosi un labbro, mentre con l’altra mano cercava di coprirsi
il petto e le spalle con quello che rimaneva del suo abito. Lui
continuava a rimanere abbassato alla sua altezza, tanto che ne poteva
annusare l’alito: sapeva di menta, mentre le sue guance rasate
odoravano di profumi muschiati orientali.
«Adesso
dovrai rispondere solamente ad altre domande altrettanto semplici. Se
farai la coscienziosa e mi dirai la verità verrai sicuramente
premiata da me e ovviamente anche dal Nostro Signore misericordioso,
che è sempre pronto ad accettare le sue pecorelle smarrite. Continua
così e vedrai che questa situazione si risolverà al meglio,
bambina…»
«Vi
dirò la verità… Lo giuro, posso spiegarvi tutto! Non ho mai fatto
niente di male…»
«Certamente,
lo so che dirai la verità… Allora, iniziamo. Ammetti che condividi
la tua casa con due giovani fratelli che non hanno alcun legame di
parentela con la tua famiglia?»
Winry
annuì
debolmente.
«E
come mai una bella ragazza in piena età da marito come te non è
sposata? Per caso hai dimenticato perché il Creatore vi ha create? O
forse c’è dell’altro? Perché vedi, io devo soppesare delle
accuse molto gravi nei tuoi confronti, e che sembrano decisamente
fondate su molte prove, bambina… Molti cittadini testimoniano il
fatto che siate decisamente inclini tutti e tre al peccato della
lussuria… Hai tu dunque giaciuto con i suddetti fratelli, vero?»
Lo
sguardo di Winry si rivitalizzò tutto d’un tratto, indignata per
sentirsi sbeffeggiata in quel modo, ma anche arrossendo al solo
pensiero di ciò che aveva pensato di Edward solo qualche ora prima.
«No!» Quelle parole erano il risultato del rifiuto di quel pensiero
romantico, l’indignazione di ciò che si pensava di lei e il
desiderio di mettere fine al più presto alla situazione.
Bradley
scosse il capo, deluso «No, cara, questa non è la risposta giusta.»
Winry
rimase
completamente annientata dal suo tono calmo e dalle sue parole.
«Tutti
sanno questa verità… Se anche tu davvero non avessi commesso il
bieco peccato della lussuria nessuno ti crederebbe… E non potrai
mai uscire da qui.»
Non
era esattamente ciò che Winry si aspettava né quello che la gente
aveva prospettato parlando di lui. Non era crudele, ma gentile e
l’avrebbe aiutata, almeno questo sperava quella sciocca ragazza.
Non si rendeva conto di essere caduta nella trappola e nella falsa
fiducia del suo torturatore.
«Allora,
cosa dovrei rispondere?» Il tono di voce della ragazza era
straziante e triste, il suo sguardo supplichevole e mansueto.
Bradley
finse di pensarci seriamente e poi le rispose «Dovrete ammettere la
vostra colpa vergognosa e chiedere umilmente l’aiuto e il perdono
di Dio che sicuramente vi saranno concessi.»
Winry
tremò.
Istintivamente iniziava a fidarsi un po’ meno, quelle parole
risuonavano nella sua mente come una cupa minaccia. Non vi era motivo
per cui adesso dubitasse, eppure quella frase l’aveva completamente
raggelata.
«Ma…
Ma non sarebbe la verità!» Winry balbettava, con fare stentato era
riuscita a pronunciare quelle parole, parole che probabilmente non
giunsero nemmeno alle orecchie di Bradley, distratto dall’entrata
di qualcuno nella stanza.
Si
trattava di Roy Mustang, cosa che lei non poteva certamente sapere.
Il nuovo arrivato, con una domanda alquanto sciocca, distolse
l’Inquisitore dalla sua mansione.
Winry
era
frastornata, ma di certo non poteva non sentire su di sé lo sguardo
di Mustang che la dardeggiava e la analizzava. Non riuscì ad
ascoltare la loro discussione. Lui se ne andò poco dopo, rassicurato
di non aver trovato al suo posto Riza Hawkeye come aveva sospettato
quando gli era arrivata all’orecchio la notizia di una ragazza
bionda che stava per essere torturata, ma comunque perplesso e triste
di vedere una bella ragazza in quell’Inferno.
Bradley
a quel punto si ricordò di altri due personaggi presenti nella sala.
Uno di questi era un altro prigioniero, uno sconosciuto.
L?inquisitore
si avvicinò al boia e diede inizio a una tortura, un’indiretta
dimostrazione di forza per la ragazza.
Winry
non
riusciva ad osservare la scena raccapricciante, aveva la vista
annebbiata o forse semplicemente non voleva capire ciò che la
circondava. Sentiva gli stridii degli strumenti sconosciuti, prima
silenziosi poi sempre più prolungati e strazianti. Sapeva che il
condannato cercava di mantenere il silenzio ma piano piano, tra
l’alternarsi di domande a cui lui rispondeva negativamente, sentiva
prima dei gemiti stentati e involontari. Poi, tutto si mutò in grida
disperate e infine in lamenti sempre più forti, pieni di preghiere
di pietà. Era debole ma allo stesso tempo urlava con tutte le sue
rauche forze, annichilendo sempre di più la povera Winry. Non sapeva
quanto tempo fosse passato ma tutto era graduale, lento, e in un
certo senso solenne. Non avevano alcuna fretta nel mettere fine alle
pene del disgraziato. La donna ringraziava soltanto di non poter
vedere tutte quelle sofferenze, anche senza questo si sentiva
svenire. Nella sua mente immaginava quegli occhi fissarla, iniettati
di sangue, con le pupille dilatate. Immaginava nelle ciglia
aggrottate e nello sguardo supplichevole qualcosa di decisamente
doloroso. In quegli occhi vedeva unire richiesta di pietà e dolore,
debolezza e un insano desiderio di vivere o di morire e mettere fine
a quei mali. Vedeva uniti in quello sguardo la massima convivenza di
forti sentimenti nell’uomo. Non poteva che essere risucchiata in
quella grandezza inquietante.
Era
un incubo da cui doveva uscire al più presto, non voleva far parte
di quella scena! Forse avrebbe dovuto solo confessare ciò che mai
aveva fatto, cose terribili e impossibili, dire che volasse su una
scopa, che praticasse chissà quale rito orgiastico insieme ai suoi
compagni di vita in presenza di Satana in persona, che producesse lei
stessa gli unguenti che diffondevano la peste… Se questo fosse
servito a salvare Edward e Alphonse avrebbe pensino potuto farlo,
invece sapeva che qualsiasi cosa avrebbe detto sarebbe stata usata
come accusa nei confronto degli altri due, che sarebbero diventati
suoi complici a tutti gli effetti. Non erano ancora stati trovati,
quindi avevano una possibilità… Dovevano solo essere forti e
scappare verso Resembool senza pensare a lei, che ormai era
spacciata. Sì, se lei stava zitta, loro si sarebbero salvati.
Iniziò
a mugolare, cercando di muoversi il meno possibile, anche se era
continuamente sconvolta dai tremori. Non vedeva l’ora che tutto
fosse finito. Con la sua morte avrebbe fatto in modo che i due
fratelli potessero scappare via… Se solo non fosse stata
terrorizzata avrebbe potuto sorridere in modo beffardo al pensiero
del viso di Edward… “Sei una stupida!” poteva quasi sentirlo
dire “Verrò a prenderti, Winry! Spaccherò il muso a tutto il
tribunale se necessario, ma ti porterò via di lì…”. Lo pregò
mentalmente di non farlo, in modo da impegnarsi a non ascoltare
quello che stava succedendo attorno a lei. Bradley e quell’altro,
il boia, volevano spaventarla, ma non le avevano ancora fatto nulla.
Magari per un po’ si sarebbero anche dimenticati di lei, e questa
era una speranza disperata più che una vera idea coerente.
Come
se avesse potuto leggere nei profondi reconditi della sua mente, King
Bradley si rivolse di nuovo a lei con voce tonante.
«Allora,
ragazzina? Non hai proprio niente da dirmi adesso che sai cosa ti
aspetta? Voglio darti una seconda possibilità… Confessa tutti i
tuoi delitti impuri e offensivi verso l’Altissimo e prometto che
non ti succederà niente di male qui dentro. Scriveremo la sentenza,
la applicheremo e non dovrai più soffrire…»
«No…
Io non ho fatto niente, non voglio confessare delle bugie…»
«Perché
ti ostini a difendere quei due fratelli?»
Quella
domanda lasciò Winry totalmente spiazzata, e non rispose.
«Loro
ti stanno usando, guarda che non sono uno sprovveduto, io l’ho
capito. Sei solo una giovane ragazzina che è stata plagiata dagli
occhi dolci di quello che credeva un amico fidato. E’ il maggiore
dei due, quello con i capelli lunghi, la mente perversa, vero? La
denuncia che mi è stata fatta afferma che sembra sia lui quello che
vilipende i cadaveri della povera gente… Potresti dirci che sei sua
complice, che ti sei lasciata tentare dai piaceri carnali… La legge
del Signore afferma che le donne sono deboli e si lasciano facilmente
tentare, non convieni?»
«No!
Edward non c’entra, dovete lasciarlo stare! Non ha fatto niente di
male, voi volete solo far divertire il popolo più becero con la
nostra esecuzione! Non vi darò questa soddisfazione, non tradirò Ed
e Al! Nostro Signore dice che il tradimento è il peccato peggiore
che uno possa compiere, e io non mi macchierò di questa colpa! Anche
io sono innocente, sono persino ancora vergine!» gridò Winry a
pieni polmoni, con una forza residua che non pensava di poter avere.
Bradley
prese a guardarla, indifferente, con il suo unico occhio. Il suo
corpo robusto e impassibile mettevano un certo timore per la rudezza
e durezza dei suoi tratti. Era ovvio che avesse più rabbia di quanto
dimostrasse con quella falsa freddezza. Winry adesso tremava, appena
resosi conto di ciò che aveva detto aveva di nuovo sentito la
debolezza invaderla. Il suo gesto di gagliardia era presto scemato
nel guardare Bradley e nel ricordare la sua furia. Come aveva potuto
dare fiducia a un tipo simile? E soprattutto, perché una persona
tanto inquietante e losca era giunta a quel punto? Possibile che la
Chiesa fosse corrotta così tanto da aver bisogno di gente del genere
per avere il predominio? Era più importante soggiogare le persone
con la forza piuttosto che farle credere sul serio in quella dottrina
che non era altro che un modo per tenere sotto scacco tutti quanti?
Era completamente vergognoso, una degradazione del genere umano.
Lui
si avvicinò lentamente, ma anche minacciosamente. Il suo volto si
era incupito di una nera violenza. La sua reazione fu più trattenuta
e calma di quello che Winry avrebbe potuto sospettare, ma di certo le
parole furono terribili.
«Fossi
in voi, non lo ripeterei. La verginità è una situazione molto
precaria e non si sa mai come casualmente si potrebbe perderla.»
Il
boia, il complice di quelle terribile torture ghignò alle spalle di
Bradley, comprendendo perfettamente l’allusione poco delicata
dell’Inquisitore. Tutto ad un tratto, con il “voi”, con il
tono, e con quelle minacce la scena era mutata drasticamente. Winry
era completamente annullata da questo cambiamento. Quelle persone
sgradevoli non facevano altro che minacciare per poi rendere reali le
proprie paure più profonde e recondite.
Non
potevano essere chiamati uomini, erano dei veri e propri demoni.
Winry – influenzata da Edward – forse non era il massimo della
credenza religiosa, tuttavia non aveva davvero nessun altra parola
per descrivere quelle persone tanto infami. Se Winry avesse dovuto
associare quegli esseri a qualcosa, sicuramente li avrebbe paragonati
a diavoli o al Demonio stesso. La Chiesa voleva riconvertire e
punire, eppure proprio nel seno della sua istituzione si annidavano
così tanti parassiti del male. Quella non era questione di fede o
meno, quella era strumentalizzazione del terrore che metteva la morte
alla gente, per usarla per tornaconto personale.
Winry
non
ebbe più il coraggio di guardare quella triste e bigia realtà. Non
poteva protestare contro quelle parole e sentiva la propria dignità
e riservatezza bruciarle dentro. Sapeva di dover far finta di niente,
se soltanto avesse osato protestare probabilmente quella minaccia
sarebbe diventata spaventosamente reale. Ma almeno la rabbia
dell’Inquisitore aveva messo per un attimo fine a quelle domande
insistenti sui due fratelli. Sapeva che presto avrebbe rincarato con
i quesiti e l’avrebbe messa con le spalle al muro, non nello stesso
modo, ma sicuramente con lo stesso risultato.
Ciò
che non sapeva era una cosa ancora più terribile e orribile. Gli
Inquisitori spesso avevano una capacità grandissima nel capire chi
dicesse la verità o chi meno. Loro sapevano dove insistere e dove
aggirare l’ostacolo minacciando, ma in realtà facevano in modo che
tutti fossero colpevoli, che tutti giungessero a rivelare delle bugie
inenarrabili, se non con la dialettica e la persuasione sicuramente
con le torture. Era qualcosa di spaventoso, che faceva rabbrividire.
Cosa aveva spinto quelle persone a diventare tanto feroci?
Non
poteva rispondere a nulla de genere perché nella sua mente
semplicemente non poteva concepirlo, eppure la frase che Bradley
aveva appena pronunciato era stata di una schiettezza e di una
crudeltà disarmanti. Si diede ancora della stupida, per aver
affermato quelle parole in preda alla disperazione. Sì, quell’uomo
avrebbe potuto farle una cosa tanto terribile, chi gliel’avrebbe
impedito? Chi avrebbe potuto difenderla dall’ulteriore accusa di
aver ammaliato un pio uomo di giustizia, che in seguito si sarebbe
macchiato di un peccato carnale? Nessuno avrebbe portato conforto a
lei, no, lei sarebbe sempre e solo stata una strega malvagia e
reietta. Nessuno si sarebbe preoccupato se l’avesse stuprata,
perché alla fine se lo meritava, nessuno tranne i suoi due amici…
In ogni momento gli tornavano alla mente, non poteva fare a meno di
pensare a loro.
Piangeva
in silenzio, Winry, costernata e affranta, senza più speranze. Che
Bradley la uccidesse, che lo facesse subito!
L’uomo
continuava a fissarla con quella sua espressione seria eppure al
contempo divertita, senza staccarle di dosso quella sua unica e
penetrante pupilla. Si compiaceva del fatto che la ragazza lo
temesse. King Bradley adorava detenere il potere e schiacciare i
deboli come lei. Non era come quel bellimbusto di Mustang, che
cercava in ogni modo di evitare le pene peggiori agli imputati. Non
era un comportamento degno il suo, quella non era giustizia, la sua
lo era. I condannati dovevano confessare ed essere puniti in
modo esemplare. Il Signore avrebbe poi pensato a redimerli nel Regno
dei Cieli se fosse stato opportuno a suo giudizio, mentre sulla terra
vigeva la legge degli uomini, che non ammettevano lo sbaglio, e ogni
reato aveva il suo prezzo.
«Forse
hai bisogno di un giorno per pensare, bambina? Magari domani sarai
pronta a dirmi quello che voglio sentire, no? Abbiamo un posto libero
in una cella insieme ad un porco infedele ed un pederasta traditore…
Magari passare un po’ di tempo con loro ti farà venire voglia di
chiedere perdono e di confessare i crimini tuoi e dei tuoi
concubini…»
Winry
non
ebbe nemmeno la forza di annuire. Si lasciò trasportare mollemente
da due braccia che non conosceva e che l’avevano nuovamente
afferrata, trasportandola via a pancia in giù. Le sue ginocchia
grattavano contro il pavimento di pietra scorticandosi, tuttavia
pareva non sentire nemmeno più il dolore.
«Signore,
se esisti… Proteggili…» sussurrò a fior
di labbra… Poi tutto divenne nero.
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
Capitolo
6
Riza
Hawkeye era
intrappolata in quella cella. Non aveva alcuna idea di quanto tempo
fosse passato. Poteva pensare che fosse circa una settimana, eppure
non ne era sicura. I pasti non le venivano sempre portati, sempre che
quel pastone immangiabile potesse essere considerato cibo. Le
ricordava molto quello che veniva dato ai porci e alle galline,
eppure non faceva alcuna fatica a finire la ciotola ogni volta in
pochissimo tempo: era affamata e abituata a nutrirsi di quello che
trovava. Qualsiasi cosa per lei aveva un buon sapore, quando sentiva
lo stomaco contrarsi per ore e ore in cerca di sostanze nutritive.
La
cosa positiva era che nessuno veniva a disturbarla. All’inizio
aveva temuto le torture, aveva pregato l’Altissimo di darle la
forza della sopportazione, ma non ce ne era stato bisogno: non aveva
visto nessun boia, nessuno l’aveva mai spostata da quella cella
stretta, umida e buia, tanto che la paura che si stava insinuando in
lei, poco a poco divenne un’altra, ovvero quella che prima o poi
l’avrebbero dimenticata e lei sarebbe morta di fame e di sete,
trascurata da tutti, senza aver diritto a nessuno sepoltura.
Aveva
il terrore che persino Roy Mustang si scordasse di lei… Quando
l’aveva imprigionata, il suo sguardo era stato eloquente, non
cattivo, ma pietoso e forse addirittura invaghito. Quella cosa non le
piaceva per nulla. Non voleva attirare sguardi del genere su di sé,
erano impuri e si era sentita imbarazzata e fragile. Non le
interessava essere una bella donna, la Vanità non le apparteneva, al
contrario, la disturbava. La Superbia era un peccato grave da cui
spesso le donne si lasciavano contagiare, avide di gioielli, di
vestiti preziosi, perché? Per attirare gli uomini? Non era questo
che il Signore voleva da loro.
Riza
era convinta che non
avrebbe dovuto fingere di essere esteticamente migliore di come Dio
l’avesse fatta perché sarebbe stata amata così com’era
dall’uomo che il destino le avrebbe riservato. Se questo non fosse
mai successo voleva dire che questa era la volontà del Creatore e
lei non era nessuno per giudicare il suo operato. Di certo non poteva
essere quel Mustang che l’aveva fissata con sguardo così impudente
e lussurioso… Sì, era un bell’uomo, alto, con i capelli corvini
e luminosi, la barba rasata di fresco, una pelle della quale
ricordava addirittura il profumo e un viso particolare così come il
taglio degli occhi neri come pozzi profondi… Era un uomo
affascinante, tuttavia non riusciva a fidarsi delle sue promesse. Le
aveva detto che l’avrebbe aiutata, e invece l’aveva messa a
marcire in quella prigione!
Non
riusciva ancora completamente a capacitarsi del suo destino. Solo
pochi giorni prima batteva la strada piagata dalle malattia e
dall’incertezza. Se mai avesse commesso un piccolo furto, se mai
avesse fatto qualcosa di sbagliato, lo aveva solo fatto a nome della
sopravvivenza, e dopotutto in quel periodo tanto buio pieno di
rovesciamenti tanto netti ed evidenti non era di certo l’unica a
fare sciacallaggi del genere. Si sentiva colpevole e sporca di quel
peccato, ma le aveva provate tutte, invano, contrastando la sua
posizione sociale pur di raggiungere a un umile lavoro. Quella era
stata l’unica scelta e ora si rendeva conto di dover pagare un
prezzo non di certo leggero o basso per quei delitti. Per quanto si
illudesse di stare al sicuro in quella putrida cella, sapeva che era
soltanto una questione temporanea. Ascoltava i lamenti dei
prigionieri vicini, sentiva spesso provenire dai piani superiori le
urla di dolore dei torturati e tremava, rabbrividiva di terrore
nell’udire quelle voci strazianti dimenticate da Dio.
Presto
o tardi sarebbe arrivato il suo turno, sapeva perfettamente che tutti
gli Inquisitori promettevano una vana salvezza, quel tipo non doveva
essere poi tanto diverso dagli altri. Eppure al solo pensiero del suo
volto triste e nel contempo concentrato non poteva capacitarsi di
come potessero esistere maschere di ipocrisia tanto ben riuscite. Si
voleva convincere di essere disgustata perché si rendeva conto che
cedere per un solo istante l’avrebbe direttamente consegnata alle
braccia della morte. Per quanto timorosa, preferiva il giudizio di
Dio piuttosto che quello diabolico che riproducevano gli uomini. Non
si capacitava di credere come potessero esistere macchine tanto
infernali se non le avesse suggerite alla mente umana il Diavolo. Si
distraeva con quei pensieri, cercando di trovare la forza e la
volontà necessaria per andare avanti senza tentennare e dimostrarsi
debole. Sapeva perfettamente che quelle erano mere illusioni di una
realtà che non si poteva verificare. Non era di certo abbastanza
forte per abbandonare la percezione della carne per ritrovare la più
alta elevazione di Spirito, infatti prima di tutto era una
peccatrice, ma anche il suo semplice stato di essere umana non le
avrebbe mai permesso di raggiungere una tale altezza.
La
stava lasciando marcire, in modo che impazzisse prima del tempo, che
al solo sentire quell’oppressione e l’indecisione del proprio
destino l’avrebbe presto condannata alla Follia. Avrebbe tanto
voluto scappare da quell’incubo, tuttavia sembrava che non ci fosse
una via d’uscita, e lottava strenuamente contro quella
irrazionalità che la vedeva coinvolta in azioni omicide o nella
perdita del senno prima ancora del tempo.
Si
accoccolò così nel suo abito miserabile e sformato, finché ad un
certo punto non avvertì la porta della sua cella aprirsi
pesantemente. Era buio pesto, e la luce delle lanterne del corridoio
esterno che invase improvvisamente il cubicolo bastò a ferirle la
vista, tanto che dovette ripararsi con un braccio davanti al viso.
Non riuscì nell’immediato a capire di chi si trattasse. La figura
appariva sulla soglia in controluce in modo indistinto, eppure la
lista dei candidati era decisamente breve: poteva essere
l’Inquisitore Mustang o uno dei suoi sottoposti, Jean Havoc, la
guardia che le portava da mangiare, o magari Kain Fury, il suo
giovane segretario.
Il
fatto che qualcuno si occupasse nuovamente di lei la rendeva quasi
sollevata, poiché significava che avrebbe potuto resistere ancora un
poco alla pazzia. Bastava anche solo una parola, un gesto, un
movimento, un qualcosa che le facesse capire di non di essere ancora
arrivata all’Inferno…
La
figura avanzò con passo lento e solenne verso di lei.
«Bene,
bene… Chi è che abbiamo in questa cella? Ho proprio voglia di
conoscere la prigioniera privilegiata che il caro Mustang tiene tutta
per sé. Avanti, sono curioso, venite fuori, signorina.»
Era
una voce affilata che Riza non aveva mai sentito. Colta da un’ansia
improvvisa rimase in silenzio, schiacciata contro la parete. Non
presagiva nulla di buono da quell’uomo che non conosceva, il suo
timbro vocale non era per nulla rassicurante, anzi, le faceva venire
i brividi. Ingoiò il nodo che aveva in gola e decise in ogni caso
che doveva dimostrarsi forte e risoluta come al solito. Non era
Mustang, era vero però non sapeva cosa volesse da lei. Magari era
davvero un altro inquisitore solo curioso di vederla, dato che poteva
immaginare da sola quanto la sua situazione fosse atipica.
Si
schiarì la voce arrochita dai lunghi silenzi che l’accompagnavano
in quelle giornate, tuttavia non si espose e rimase nella posizione
rannicchiata in cui era.
«Sono
Riza Hawkeye… Chi siete? Cosa volete da me? Vi ha mandato Mustang?»
«Penso
che non siate nella posizione adeguata per poter pormi in modo tanto
prepotente delle domande, non credete anche voi? Comunque, oggi sono
particolarmente di buon umore, quindi mi presento: mi chiamo Kimblee,
Zolf Kimblee per l’esattezza. E no, non sono stato mandato da
Mustang. Diciamo che sono un suo pari, e mi chiedevo come mai
circolassero tutte queste voci tra le guardie sul fatto che ci fosse
una prigioniera che era riuscita in qualche modo a convincere Mustang
a non farle subire alcun interrogatorio… E’ vero che il nostro
amico tratta con i guanti la maggior parte dei suoi prigionieri, ma
da qui a trattarli come principesse… Mi chiedevo, gli avete fatto
un qualche sortilegio? Si sarà invaghito di voi?»
Riza
era alquanto scossa
e confusa, quella non sembrava particolarmente un trattamento da
principesse e ancor meno si sentiva privilegiata. Era abituata a
stare all’addiaccio la notte e il giorno, vivendo libera e vagando
dove più le conveniva. Un animo come il suo non era fatto per essere
contenuto in quella putrida e oscura gabbia dimenticata da tutti. Se
quella non era la soglia della miseria, cos’erano davvero capaci di
fare lì dentro? Avrebbe quasi preferito affogare dalla pazzia che
prima stava tanto temendo, piuttosto che sperimentarsi con quel
dubbio di sofferenza lacerante. La figura indistinta le metteva
timore, il suo tono studiato e persuasivo non promettevano niente di
buono e quasi sentiva i suoi occhi puntati su di lei, nel disperato
tentativo di oltrepassare quella coltre di tenebre con lo sguardo e
di vederla. Voleva guardare il suo volto circonfuso da pazzia, voleva
i suoi occhi piangere lacrime di sangue, voleva compiacersi nello
scrutare il suo corpo genuflesso in avanti, sfinito dalle torture.
Quello sguardo sadico, pronto a trovare i punti deboli delle persone,
era terrorizzante e Riza, pur temendolo, rimase rannicchiata al suo
posto.
Non
seppe dove riuscì a trovare il coraggio di ribattere a quella
presenza lugubre, per quanto la banalità e la timidezza della
risposta fosse evidente. Il semplice fatto di riuscire a contrastare
quell’uomo era un’impresa notevole.
«Non
so di cosa stiate parlando.»
Le
labbra di Kimblee si contrassero in un sorriso feroce, quante volte
aveva sentito quella frase e quante volte era riuscito a far morire
quella affermazione sulle labbra del condannato. Sapeva essere molto
persuasivo e quando la sua furia dilagava niente riusciva a frenarlo.
Aveva solo il desiderio innato di continuare a ferire, dilaniare,
bruciare e far agonizzare. Quello era il nutrimento della sua anima,
quello era il desiderio che gli permetteva di vivere. Stava giusto
per far fuoriuscire quell’indole implacabile, quando sentì quella
voce.
«Cosa
succede qui?» Passi scanditi e regolari lungo il corridoio, la voce
calma e il volto impassibile. Mustang procedeva incurante
dell’oscurità, guardando e affrontando con lo sguardo Kimblee.
Quest’ultimo non riuscì a trattenersi dal sorridere.
«La
tua colombella è in pericolo e giungi a salvarla, Mustang?
Ammirevole!»
Mustang
per tutta risposta si avvicinò a Riza e prendendola per i capelli,
le intimò di alzarsi. Non vi era cortesia nei suoi modi, né pietà
nel suo sguardo. «I miei metodi d’inquisizione non ti riguardano,
Kimblee. Sono libero di agire come più mi piace, psicologicamente o
fisicamente. Non credo di essere mai venuto a insegnarti il mestiere.
Ritorna dal tuo eretico.»
Il
suo volto duro, contratto in una maschera di calma irosa non era uno
spettacolo di tutti i giorni. Kimblee stesso era un po’ sorpreso da
quel gesto ma non dimostrava di non compiacersene. La sfida lo
stimolava.
I
due inquisitori si fissarono per qualche istante che pareva eterno,
sotto la luce soffusa delle lanterne che continuava a penetrare
insistentemente nella cella. L’aria era carica di tensione. Gli
occhi di Kimblee erano taglienti come le sue parole e il suo sorriso
sarcastico e spietato.
Riza
finalmente riusciva
a scorgerlo, anche se a fatica, concentrata com’era a stringere con
le mani i polsi di Mustang sulla sua nuca, in un disperato tentativo
di allentare quella presa ferrea sui suoi capelli. Il dolore acuto le
faceva lacrimare involontariamente gli occhi, non riusciva a smettere
di gemere. Se avesse continuata a strattonarla in quel modo le
avrebbe strappato il cuoio capelluto.
«Hai
deciso improvvisamente di fare il duro? Sono quasi commosso…»
«Ti
ho già detto che non sono affari tuoi. Occupati dei tuoi imputati,
sparisci.»
«Certo,
come desideri… Ma sappi che vi tengo d’occhio, tu, il tuo
gruppetto di fedeli sottoposti e questa bella signorina… Non vorrei
mai essere costretto a rivelare a Bradley che gli occhi dolci della
tua prigioniera ti hanno reso… Inadeguato, diciamo. Confesso
che sarebbe comunque interessante per me il caso di una strega che
sia riuscita a far invaghire il pio Mustang. Potrebbe essere proprio
stimolante, un caso simile non mi è mai capitato, me lo accollerei
volentieri.»
«Vattene.»
Il
sibilo minaccioso di Mustang avrebbe fatto deglutire intimorito
chiunque… Chiunque tranne Kimblee. L’inquisitore continuava a
sorridere malignamente, divertito dalle reazioni che aveva suscitato
nel collega.
«Come
vuoi… A presto.»
Se
molta gente temeva King Bradley, si poteva dire che altrettanta
avesse il terrore anche di Zolf Kimblee. Non perdeva mai la calma, ma
con i suoi metodi riusciva a far confessare qualsiasi cosa a chiunque
grazie alla sua subdola ferocia. Era pericoloso perché non aveva
alcun tipo di reverenza, non lo faceva per nessuno scopo in
particolare se non quello di compiacere il proprio ego pervertito.
Non temeva niente e nessuno, non credeva in nulla nel suo intimo, e
l’unico motivo che lo aveva spinto verso la carriera inquisitoria
era la possibilità di divertirsi impunemente al piccolo costo di far
finta di credere in qualcosa di superiore. Non esisteva altro dio al
di fuori di se stesso, per lui. La sua superbia e tracotanza
non aveva mai incontrato nessun ira divina e proprio questo lo
rendeva così sprezzante verso quella religione. Era un mero mezzo di
paura di cui il più forte si avvaleva per sopravvivere e lui voleva
essere il più forte, senza dubbio era dalla parte del vincitore. Non
si sarebbe fermato davanti a niente e nessuno, senza che l’etica o
la pietà lo ostacolassero: erano concetti così lontani da lui da
essergli estranei. Se ne andò quindi con quell’eleganza che gli
era tipica, senza che quel cambiamento repentino di Mustang lo
irritasse. Era piacevole, era buffo osservare come quel lavoro
trasformasse la gente, come la rendesse così poco umana e
caritatevole. Nemmeno Mustang poteva sopportare quella pressione e
lui sarebbe precipitato nella violenza, ne era sicuro. Aveva provato
a opporsi a quella morsa, ma non poteva fare evidentemente niente per
fermare quel flusso, e la sua indole sarebbe precipitata ancora più
in basso, spezzata e affranta. Kimblee a stento riusciva a frenare
quella risata sadica e sprezzante che si manifestava a più riprese
sulle sue labbra, che colorava i suoi occhi iniettati di sangue e
accendeva il volto dal divertimento. La sua figura di perse in quegli
oscuri meandri, presto la sua ira sarebbe ricaduta sullo Sfortunato e
nessun Dio avrebbe potuto salvarlo.
Mustang
dal canto suo era irriconoscibile. Era precipitato nel lato della sua
indole in cui dimostrava la sua arditezza e il suo poco controllo.
Era stato un incosciente, uno stupido idiota. Già attirava
l’attenzione di mezza inquisizione per le sue pratiche poco severe,
se non si voleva far scoprire doveva decisamente invertire la sua
rotta. Ora a pagarne le conseguenze sarebbe stata quella donna che
teneva ancora per i capelli. A differenza di qualsiasi altra era
stupita, era gemente, ma dimostrava una forza fuori dal comune…
Tuttavia lui non poteva sottrarsi al suo incarico e per mettere
definitivamente quelle voci a tacere doveva fare ciò che andava
fatto. La trascinò senza alcuna pietà ma ogni suo singhiozzo, ogni
sua protesta per lui era una pugnalata al cuore. Sentiva il suo
essere sgretolarsi di fronte a quella violenza, sentiva il suo cuore
infrangersi in quel dolore che stava impartendo. Avrebbe voluto
smettere, avrebbe voluto evitare quella farsa – che tanto farsa non
era – ma non poteva opporsi a quegli sguardi vigili, a quella
presenza costante. Ciò che poteva fare era soltanto salvare il
salvabile e avrebbe dovuto compiere il tutto senza che nessuno si
avvedesse di niente, senza che si sospettasse minimamente di lui. Non
poteva rischiare, un passo falso di troppo e avrebbe mandato tutto a
monte. Bastava poco e Kimblee avrebbe attuato le sue minacce. Poteva
farlo, non aveva dubbi, lo conosceva troppo bene.
Continuò
a trascinarla fin fuori dalla cella, un po’ a fatica perché lei
opponeva una forte ed ostinata resistenza.
Solitamente
gli inquisitori non si sporcavano le mani in quel modo, avevano un
boia a cui si affidavano, che faceva il lavoro sporco per loro. In
quel momento lui non aveva il tempo di mandarne a chiamare uno,
doveva semplicemente distogliere le attenzioni dal suo atipico
operato, fare in modo che sembrasse davvero convinto nel suo voler
estorcere ad ogni costo una confessione a quella ragazza. Il tempo
che aveva per pensare ad un piano per salvarla stava via via
scemando, e lui nemmeno se ne era accorto. Non aveva trovato nessuna
prova che potesse scagionarla dalle accuse, tutto remava contro di
lei. Era obbligato a prendersi altro tempo, anche se questo voleva
dire fare qualcosa di orribile.
Nel
corridoio della prigione, i singulti della ragazza riecheggiavano. I
condannati nelle celle stavano in silenzio cercando di far finta di
nulla, di non ascoltare. Era sempre così, ogni volta che il
miserabile di turno veniva preso e portato via.
Per
Riza il tempo sembrava non finire mai. Continuava a rimanere
aggrappata alle braccia dell’uomo per reggersi finché non fu
scaraventata a terra. Cadde di peso supina, e fortunatamente i suoi
riflessi furono abbastanza pronti da permetterle di attutire
l’impatto con le mani. I palmi le si graffiarono sulla fredda
pietra del pavimento. Tra le dita di Mustang erano rimaste impigliate
delle ciocche di capelli.
Lui
non voleva farle nulla, e mentalmente le chiedeva perdono, in modo
disperato. Se solo lei avesse potuto capire.
Riza
invece si voltò su
se stessa arrabattandosi in velocità nella sua veste lacera, che le
cadeva da tutte le parti e scopriva le sue nudità. Le ferite sulle
mani bruciavano, eppure cercò di non darlo a vedere, occupata
com’era a coprirsi. Già non era in grado di trattenere le lacrime,
che sgorgavano ormai senza controllo sulle sue gote. Non avrebbe
lasciato a quell’uomo la soddisfazione di vedere il suo corpo
fresco e giovane, proprio no. Lo fissò con lo sguardo più rancoroso
che potesse fare in quegli istanti, mentre tremava di rabbia e di
paura. Si sentiva così ingenua ad aver pensato per qualche tempo che
volesse davvero aiutarla, che fosse un uomo tutto sommato giusto e
che l’avesse capita…
«Potete
farmi quello che volete! Non vi dirò mai niente! Mai! Fatemi pure
uccidere da quel Kimblee! Per me sarà solo una liberazione! Mi avete
già torturato abbastanza!»
«Non
hai alcuna idea di cosa sia la tortura. Il problema è che io sono
nei guai adesso, quindi non ho altra scelta. Devi confessare, Riza! O
lo fai di tua spontanea volontà o te lo farò fare io stesso con le
mie mani, senza nemmeno un boia!»
«Non
risponderò a niente! Io sono una persona devota, non mentirò mai!»
Riza
era disperata ed era
completamente indignata dalle parole di Mustang. Erano quasi
caritatevoli, come se fosse dalla sua parte. La verità era che lui
l’aveva gettata in quella cella a marcire per un fatto che non
aveva commesso, l’aveva trascinata con violenza, minacciandola
deliberatamente davanti a quel Kimblee e adesso faceva finta di stare
dalla sua parte per estorcerle false verità. Non avrebbe parlato,
non avrebbe lasciato che quell’uomo la potesse spogliare della sua
rispettabilità e della sua innocenza. Poteva anche torturarla e
strapparle via quegli stracci che ostinatamente si sforzava di tenere
su di sé per nascondersi ma non poteva privarla della sua moralità,
non glielo avrebbe permesso ed era decisa in questo. Poteva solo
immaginare cosa le aspettava ma non aveva alcuna intenzione di
cedere.
Roy
la guardò, lì gettata in quell’angolo. Non aveva alcun desiderio
di infliggere quelle pene, non aveva alcuna voglia ma non aveva
scelta. Non aveva alcuna intenzione di ferire quella flebile carne,
non voleva macchiarsi di quel sangue innocente. Ma perché doveva
avere più pietà di lei che di tanti altri innocenti che erano morti
nello stesso identico modo? Quella rabbia che lo aveva invaso vedendo
Kimblee lo aveva gettato in un gorgo senza fine, poiché
evidentemente quell’uomo aveva anche influenze molto negative. Era
stato assalito da quella rabbia repressa che ormai lo perseguitava da
tanto tempo. Vedendo tutta quella violenza e quelle torture stava
iniziando davvero a perdere la testa e smarrire se stesso. Se
soltanto avesse davvero ferito Riza, sapeva che avrebbe consumato
irrimediabilmente il suo animo.
Come
in un sogno estremamente vivido, quasi incosciente di ciò che
faceva, alzò di peso la ragazza. Non voleva, non poteva ferirla
eppure lentamente, evitando di farle troppo male e eludendo i punti
vitali prese a fare il suo lavoro. Ogni volta che avvertiva un suo
gemito, ogni volta che sfiorava la sua carne, ogni volta che sentiva
quel fremito e ribrezzo di pura violenza investirlo, tremava. Era
completamente travolto da diversi sentimenti, e anche se non lo
avrebbe mai ammesso gli sembrava di provare addirittura un certo
piacere. Possibile che il suo confuso stato d’animo lo avesse
gettato fino a quell’estremo? Tuttavia si sentiva stringere
il cuore al suo dolore, sentiva la sua mente inorridire a tutte
quelle azioni. Ma non poteva fermarsi, sentiva gli occhi scrutatori e
attenti di Kimblee su di sé e se soltanto non avesse fatto bene il
suo lavoro non avrebbe mai potuto salvarla – sempre che avesse
trovato un sistema – né salvare il suo posto, la sua vita e la sua
reputazione. Non era per quello che aveva iniziato quel lavoro.
Voleva smettere, smettere di essere così freddo e magari piangere
per ciò che stava facendo. Non era nel suo carattere ma neanche lui
poteva digerire tutto quel sadismo e si sentiva completamente
distrutto dai diversi sentimenti e sensazioni che ormai lo invadevano
e lo dilaniavano.
Riza
nel frattempo
accusava i colpi, uno per uno, affranta, incastrata tra una parete
ruvida di pietra grezza e il corpo del suo assalitore. Nella sua
mente c’era solo un pensiero che cercava di tenersi stretto, per
non cedere, quello di non parlare. Dalle sue labbra spaccate e
sanguinanti sarebbero usciti solo gemiti, se lo promise. Sarebbe
rimasta aggrappata alla sua stessa dignità come un naufrago alla
zattera. No, non gli avrebbe nemmeno dato la soddisfazione di
pregarlo di smettere. Perché a quelle botte poteva resistere, sapeva
che avrebbe potuto farcela, che l’Altissimo le stava dando la forza
di proteggere i propri ideali. Sarebbe morta,
pur di difendere la propria onestà.
Quando
finalmente l’Inquisitore la lasciò andare, Riza si accasciò su se
stessa esausta, scivolando contro il muro. Tremava come una foglia,
ma cercava di mantenere la testa alta, fissando in viso il suo
assalitore, quasi in segno di sfida.
Era
strano. Le sembrava di vedere delle lacrime sulle sue guance, ma
forse erano solo le violenze che aveva ricevuto che la stavano
facendo sragionare.
“Non
dirò nulla, signore… Picchiatemi ancora… Stupratemi…
Bruciatemi pure… Non avrete niente da me, ve lo giuro…”
sussurrò a fatica, quasi sorridendo, prima di perdere i sensi.
Fu
in quel momento che Mustang lo vide. Il sacco lurido con cui la
ragazza era vestita si era strappato sulla schiena a causa
dell’attrito contro la parete. La sua schiena nuda era coperta di
graffi superficiali, ma non solo…
Aveva
una scritta incisa sulla pelle, sopra un disegno stilizzato e quasi
incomprensibile raffigurante un uccello avvolto nelle fiamme, forse
un aquila, che volava verso un sole. Lo si poteva capire a mala pena
poiché la pelle era completamente rovinata da profonde cicatrici,
cicatrici di ustioni ormai rimarginate. Le lettere “tio m
it atis” dovevano una volta formare delle parole che qualcuno
aveva voluto cancellare in quel modo tanto doloroso.
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 ***
Capitolo
7
Roy
sedeva, in completo silenzio. Sentiva dentro di sé quegli strani
sentimenti che lo avevano posseduto sino a quel momento. Erano però
più soffusi, quasi spenti in quell’impeto di violenza che lo aveva
posseduto. Rifletteva intensamente a quegli ultimi eventi. Ora che
era di nuovo calmo, ora che era di nuovo quasi cosciente di ciò che
aveva fatto, rabbrividiva terrorizzato. Ma aveva dovuto farlo,
altrimenti non avrebbe mai potuto salvarla, se non avesse assunto
quel comportamento non avrebbe potuto in nessun modo tentare di
levarla completamente da quella situazione. Eppure se soltanto non
fosse stato così accecato dalla rabbia all’arrivo di Kimblee
sicuramente non avrebbe mai potuto mettere davvero in pratica quel
piano. Anche se detestava ammetterlo in un certo senso doveva
ringraziarlo, nonostante fossero lui medesimo e Bradley a obbligarlo
a tutto quello. Scosse il capo, freddamente. Doveva trovare al più
presto una soluzione. Adesso che aveva assaggiato il dolce gusto
della violenza non voleva sperimentarla di nuovo, nel timore di
cadere completamente in suo potere.
Si
era preoccupato di ricondurre Riza nella sua cella. Magra
consolazione dalle violenze che le aveva inferto. Si era preoccupato
di coprirle la schiena, tremava ancora agli strani simboli che vi
erano impressi. Se soltanto qualcuno li avesse visti probabilmente
avrebbe trovato un’accusa in più per condannarla per eresia. Erano
simboli strani che sfuggivano alla normale comprensione dell’uomo e
un messaggio cifrato come quello di certo non poteva non essere
aggiunto come scusa a un possibile processo. Mustang doveva
velocizzare i tempi, doveva trovare un qualcosa che la potesse
salvare, ma più si arrovellava più non riusciva a trovare qualcosa
di plausibile. L’unico fine era la morte e sembrava inevitabile…
Eppure doveva esistere un modo per gabbare Bradley e Kimblee… Si
rendeva conto della pazzia del piano ma doveva trovare qualcosa,
qualcosa di insolito e soprattutto senza alcun errore, altrimenti la
morte avrebbe tinto per sempre le sue azioni.
Abbassò
lo sguardo verso la sua debolezza, trattenendo fieramente le lacrime,
tuttavia il suo volto velato da quell’aria di stentata tristezza
ancora si atteggiava in una calma freddezza. In un fazzoletto teneva
i capelli biondi di Riza che la sua furia avevano strappato. La
stoffa era lievemente macchiata di sangue ormai tendente al rosato.
Non
aveva smesso di tenerli con sé nemmeno per un secondo. Senza che lei
lo avesse notato li aveva nascosti in una tasca del suo abito da
inquisitore bianco e nero e li aveva ritirati fuori solo in quella
completa solitudine. Il suo era un alloggio modesto, situato vicino
al tribunale, in un complesso di edifici riservati per coloro che si
occupavano di giustizia divina e terrena. Almeno lì dentro era
sicuro che nessuno sarebbe venuto ad importunarlo.
Le
parole di Zolf Kimblee erano impresse a fuoco nella sua mente. Riza e
lui stesso erano ora in pericolo più che mai, tuttavia lui se lo
sentiva che quella ragazza era assolutamente innocente! I simboli e
le lettere tatuate malamente sulla sua schiena non bastavano a
convincerlo. Di certo non aveva potuto farseli da sola, c’era
sicuramente una spiegazione razionale a tutto questo, e non aveva
voluto toccare l’argomento con lei in quegli attimi orrendi.
L’aveva riportata nella sua cella un tale stato di
semi-incoscienza...
L’uomo
strinse convulsamente quei capelli biondi mentre una lacrima gli
rigava il viso.
Era
stato costretto a farle qualcosa di terrificante, eppure qualcosa di
peggio, qualcosa che non riusciva a perdonarsi in alcun modo e che lo
faceva sentire sporco. Quando l’aveva posata sul pavimento della
piccola prigione, delicatamente, i suoi soliti pensieri avevano
iniziato a tormentarlo. Forse era troppo abituato a essere
condizionato dalle bellezze femminili, forse era davvero una specie
di morbo malsano che lo aveva intaccato a causa di Kimblee e della
sua negatività, con la mente ottenebrata da una forza eccitatoria ed
oscura. Quel corpo inerme e fragile che contrastava pesantemente con
la personalità determinata, forte e inflessibile di lei lo aveva
attirato come una calamita.
L’
aveva scoperta in quel momento di debolezza, aveva scostato le sue
vesti lacere mentre le sue gote diventavano rubizze e bollenti, e le
sue mani tremavano lievemente, febbricitanti.
Lui,
estimatore implacabile di corpi di donne, aveva osservato prima il
suo viso, i secchi rivoli vermigli che le sporcavano le guance e le
narici, le palpebre chiuse, e subito dopo con ingordigia era passato
ai suoi fianchi pallidi, alle sue costole lievemente in rilievo sotto
la pelle, alle cosce scarne, al suo ventre piatto, ai suoi seni
torniti e perfetti, al suo inguine virginale. Era rimasto alcuni
minuti in quello stato catatonico, estasiato e accaldato, prima di
rendersi conto tutto ad un tratto di quello che stava facendo.
L’aveva quindi immediatamente ricoperta, mentre le sue fantasie
galoppavano nella sua testa in modo quasi doloroso. Si rendeva conto
che di lei avrebbe potuto fare ciò che voleva in quel momento. Aveva
detenuto e assaporato un potere che mai gli era sembrato piacevole
come in quegli istanti. Quella ragazza era così bella, e avrebbe
potuto essere sua… Eppure il buonsenso aveva agito, anche se in
ritardo, facendolo vergognare intimamente. La sua lotta interiore gli
faceva pulsare il cranio.
Si
rendeva conto di mentire a se stesso, lui aveva provato sì piacere
nel torturarla, aveva desiderato fare quello. Eppure non era stata la
pazzia e la foga del momento a spingerlo a fare quello ma lui era
stato consapevole di ciò che aveva fatto. Che avesse deciso
volontariamente di torturarla lo stava facendo impazzire. Mai aveva
usato una tale violenza che, seppure contenuta, non sapeva
perdonarsi. Aveva usato tutta quella veemenza per la prima volta
contro l’unica persona in tutta la sua carriera che voleva
proteggere con tutto se stesso. Sarebbe stato tutto più facile se
avesse potuto affibbiare tutta la colpa a una pazzia incontrollabile.
Invece no, lei lo avrebbe temuto, lo avrebbe ritenuto come un nemico
e lui avrebbe dovuto leggere quella paura nei suoi occhi, avrebbe
dovuto piangere in solitudine quella repulsione che lei gli avrebbe
dimostrato. Eppure lui si era pur trattenuto, non aveva ceduto
completamente, rimanendo lucido per non ucciderla, ma lei non le
avrebbe mai riconosciuto nemmeno quello e per sempre lo avrebbe
condannato solo perché cercava disperatamente di sottrarla a
qualcosa di peggio.
Avrebbe
voluto non conoscerla, avrebbe voluto quasi che rimanesse per le
strade, senza che si ritrovasse coinvolta in quella rivolta… Non
l’avrebbe mai conosciuta certo ma non l’avrebbe vista soffrire…
Per di più a causa sua.
Era
completamente freddo, calmo e impassibile ma avrebbe voluto compiere
atti disperati, avrebbe voluto strapparsi i capelli, avrebbe voluto
urlare e piangere ma non stava facendo altro che rimanere
completamente immobile, lievemente imbronciato. E con quelle immagini
nella sua mente, quelle in cui vedeva Riza gemere, la sua pelle
stracciarsi, il suo sangue fuoriuscire, i suoi occhi piangere,
involontariamente non poteva pensare a niente che non fosse quel
dolore. Avrebbe voluto trovare una soluzione, avrebbe voluto davvero
trovare un modo per scagionarla, farsi in qualche modo perdonare e
farle vivere in modo più o meno agiato. Ma non poteva davvero
pensare a nient’altro. Era solo, solo con quella ciocca di capelli
a ricordargli costantemente ciò che aveva fatto. Doveva
assolutamente cercare di riprendere il controllo. Non doveva perdere
se stesso, non doveva in alcun modo cedere a quella debolezza che lo
avrebbe portato davvero alla follia.
In
quel momento sentì dei passi avvicinarsi e quasi avvertendo che si
dirigessero proprio in quel modo, cercà di continuare a essere
mortalmente serio. Fortunatamente con quella disciplina che gli era
stata insegnata riuscì a trattenere quel controllo.
Maes
Hughes,
senza nemmeno bussare, tutto contento, fece irruzione nella stanza.
Roy fece scivolare velocemente le ciocche di capelli nel suo abito:
non poteva di certo permettere che il suo gaio amico si accorgesse
anche solo lontanamente del tormento che lo stava assalendo.
Non
era ancora riuscito a capire come facesse il capitano delle guardie
ad essere sempre così di buon umore nonostante lo conoscesse da
anni. A volte quel suo comportamento sfiorava quasi l'irritante,
eppure non riusciva a non essergli affezionato. Quella sua
personalità alla fine era tutto sommato perfino affascinante, ed era
una delle persone più oneste e leali che conoscesse in quella città
popolata maggiormente da traditori e ruffiani. Era una persona su cui
avrebbe sempre potuto contare.
«Ma
buon pomeriggio, Mustang!» lo salutò tutto festoso come sempre,
evitando ovviamente tutti i noiosi convenevoli solitamente
obbligatori tra cariche elevate «Adesso mi devi proprio dire dove ti
sei cacciato in questi giorni! No, non voglio nemmeno sapere come
stai, non puoi sparire in questo modo!»
Hughes
si andò a sedere a grandi falcate sulla sedia di legno che stava
vicino ad un piccolo scrittoio senza chiedere il permesso. Era
ovviamente fintamente arrabbiato con lui, eppure sinceramente curioso
di capire perché l'amico aveva iniziato a comportarsi in modo tanto
strano. Si erano a malapena salutati quella mattina e non si erano
scambiati nemmeno due parole.
Dal
canto suo, Roy provò a sorridere facendo finta di nulla. Doveva
cercare di apparire sereno, per non dare sospetti all'amico della
battaglia che si stava consumando all'interno del suo cranio. Non che
non si fidasse di lui, ma non era davvero il caso di metterlo al
corrente di una questione tanto delicata e pericolosa. Gli avrebbe
spiegato tutto a tempo debito.
«Ho
avuto solo molto da fare, ho diversi casi a cui pensare e sono pieno
di lavoro. » cercò di giustificarsi sempre cercando di apparire
rilassato «E poi il numero di celebrazioni sta aumentando di
settimana in settimana, devo presenziare, lo sai come sono fatto...»
«Sì,
certo che lo so... Cosa non faresti per rifarti gli occhi su qualche
pollastrella tutta elegante, genuflessa ed immersa nella preghiera...
Per favore, amico mio, niente corbellerie tra noi, si vede che c'è
qualcosa che non va, per questo ho preferito venire qui e parlarti in
privato. C'è qualcosa che ti sta preoccupando e sono sicuro che
c'entra la bella biondina che sono stato costretto ad arrestare tempo
fa. Le guardie hanno il brutto vizio di parlare e di farsi sentire,
sai? Peccato che io voglia sapere da te la verità. Non vorrei
mai che tu ti cacciassi in qualche guaio più grosso di te, o almeno,
non senza il mio aiuto. Le voci che ho sentito non sono per nulla
lusinghiere nei tuoi confronti, sappilo.»
«Lo
sai che il mio lavoro non è apprezzato, così come il tuo. Siamo
troppo buoni, troppo idealisti, questa è la verità.»
rispose l'inquisitore facendo spallucce e sedendosi sul proprio
letto, puntellandosi il mento con la mano com'era solito fare.
«Ma
qui non si sta parlando di idealismo o di scaramucce di poco conto,
Mustang! La posta in gioco è decisamente alta! Qualche soldatino da
quattro soldi è andato a fare delle confidenze a Bradley a proposito
di una tua fantomatica condotta poco nobile. Vorrei semplicemente
avvertirti di fare attenzione e se per caso io possa fare qualcosa
per te.»
Mustang
lo guardò, riflettendo, completamente immerso nei suoi pensieri. Sì,
avrebbe desiderato quell’aiuto, lo avrebbe desiderato come il
viandante cerca un luogo in cui riposare. Ma semplicemente non poteva
parlarne, non poteva confidarsi. Non perché non si fidasse del suo
amico ma perché sapeva che anche soltanto il silenzio della sua
anima non bastava per mantenere la segretezza. L’Inquisizione aveva
occhi ovunque, la religione era un arma potente e se soltanto avesse
fatto un passo falso avrebbe sofferto, orribilmente e con lui avrebbe
portato alla dannazione anche agli altri. No, non poteva
assolutamente permettere questo, eppure non sapeva come stroncare
quell’invadenza inopportuna. Se soltanto avesse saputo come fare,
se soltanto avesse saputo come agire… Di certo sarebbe stato tutto
più semplice. Hughes probabilmente non conosceva neanche cosa aveva
fatto quella mattina altrimenti sarebbe scappato da lui, lo avrebbe
guardato con diffidenza, lo avrebbe evitato. Roy era incompreso ma al
contempo non poteva neanche trovare una giustificazione alla sua
violenza. Sapeva egli stesso di essere un mostro, di essere stato
disumano. Sentiva quelle ciocche di capelli bruciargli
irrimediabilmente nel petto, corrodendolo dall’interno. Sentiva
quell’intimo dolore spossarlo e ucciderlo, tuttavia se soltanto
avesse osato accennarvi, se soltanto avesse osato confessare il suo
dolore ecco che tutto il mondo gli sarebbe crollato addosso.
King
Bradley e Kimblee avrebbero trovato una prova alle loro accuse,
Hughes lo avrebbe rimproverato della sua azione e Riza… Riza
semplicemente non lo avrebbe creduto e non avrebbe mai capito il suo
gesto, dopotutto aveva osato farle del male… Come poteva mai
sperare che potesse comprendere le sue azioni? Non avrebbe potuto
trovare comprensione, pietà o clemenza, perché lui stesso non ne
aveva avute per lei quando il suo unico desiderio era stata sottrarla
dalle mani di Kimblee e quindi da una morte certa, lenta e dolorosa.
In
quel momento sentiva ancora la furia non completamente assopita nel
suo animo tanto era agitato, sicuramente se non si fosse controllato
avrebbe cacciato via il capitano. Vedeva il suo volto teso eppure
sorridente e allegro, come faceva a essere così? Come poteva trovare
la felicità in quel mondo tanto oscuro e tetro? Proprio non riusciva
a capacitarsene. Avrebbe voluto scuoterlo, convincerlo a rivelargli
il suo segreto, sì lo avrebbe anche torturato se necessario.
Si
scatenò una lotta interiore in cui fieramente cercava di trattenere
quell’ansia, quell’istinto che lo spingeva a quel bisogno. Come
aveva solo pensato di agire in quel modo contro quell’amico che
voleva soltanto salvarlo dal suo stesso stato d’animo? Non riusciva
a spiegarsi ciò che stava accadendo dentro di lui ma si sentiva
deperire a quel continuo assalto degli eventi. Sarebbe stato molto
più semplice farsi completamente dominare da quei sentimenti
piuttosto che reprimerli e controllarli con la ferma razionalità.
Ma
tutto gli scorreva davanti agli occhi, no, semplicemente non poteva.
C’era altro per cui combattere che lo spingeva a non arrendersi. Si
sarebbe opposto contro quella tempesta furiosa, si sarebbe opposto a
quel mare tempestoso. Conosceva a mala pena il prezzo da pagare ma
non poteva fare nient’altro che lottare e sperare, sperare di
costruire un futuro migliore.
«Ti
stai preoccupando troppo.»
Quella
fu l'unica frase che riuscì a pronunciare dopo una manciata di
secondi in cui aveva riflettuto guardando ostinatamente il pavimento.
Quella guerra che si stava scatenando furibonda nella sua testa non
traspariva quasi dal suo viso su cui spiccava un'espressione quasi
canzonatoria nei confronti del comandante delle guardie, che invece
pareva aver preso un viso molto più serio del solito, preoccupato
com'era per le sorti del suo amico. Hughes era incredulo. Non
riusciva a capire se Mustang fosse davvero così avventato o se
stesse veramente nascondendo qualcosa di grosso che riguardava lei.
Pensava di conoscerlo abbastanza bene, eppure si stava trovando in
difficoltà. Era testardo, maledizione...
«Ascolta,
Mustang... Te lo dico chiaramente, devi fare attenzione, ma
attenzione per davvero. Se hai perso la testa per quella ragazza,
posso capirti, ma cerca di essere discreto nei tuoi comportamenti!
Sei diventato troppo strano! Non parli più con nessuno, sei stato a
messa pochissime volte, sei sempre nel tuo studio a fare non si sa
bene che cosa, e intanto la ragazza se ne sta bella tranquilla nella
sua cella senza che le venga fatto nulla... Se credessi a tutte le
frottole che ci vengono propinate dalla Chiesa vedendoti in questo
stato inizierei a pensare che quella strega abbia usato qualche sua
fattura o non so cosa per friggerti il cervello e farti diventare il
suo schiavo! E sai che c'è davvero un sacco di gentaglia che crede a
queste stupidaggini di magie e simili... Io invece potrei capirti,
sono innamorato perso della mia dolce Gracia, per me è la donna più
bella del mondo! Quando l'ho conosciuta ho fatto di tutto per
conquistarla, per caso te l'ho già raccontato?»
«Almeno
una cinquantina di volte...»
«Sono
andato sotto casa sua tutte le sere cercando di attirare la sua
attenzione e le lasciavo dei fiori sull'uscio di casa, poi le cantavo
le serenate e...»
«...E
suo padre si era infuriato così tanto che decise di chiamare il
capitano delle guardie una sera che non ne poteva più... Peccato che
scoprì che si trattava proprio di quell'uomo che stava importunando
la sua dolce figliola, e dopo aver compreso che il suo era un cuore
nobile e il suo amore era sincero acconsentì alle nozze, eccetera
eccetera... Vissero tutti felici e contenti.» cantilenò
l'inquisitore imitando la voce di Hughes.
Il
capitano era solito decantare le lodi della moglie e della figlia
nelle circostanze più disparate e soprattutto inopportune. Mustang
conosceva la storia a menadito.
«
Eh sì, Gracia è adorabile, così come Elicia, che è la bambina più
bella del mondo, dovresti venire più spesso a trovarci...» sospirò
l'amico prima di tornare nuovamente molto serio «Ma quella Riza...
Ascolta, lo so che sono stato io a portarla da te perché credevo che
tu avresti potuto aiutarla... Però adesso ho paura che non troverai
un modo per scagionarla purtroppo, e se non sarai tu a condannarla lo
farà un altro inquisitore, magari mandandola al rogo dopo averla
torturata e stuprata per giorni... Perché non la mandi in esilio e
in pellegrinaggio, lo hai fatto spesso con un sacco di altri casi,
non capisco quale sia il problema questa volta! E' vero che non
potrai vederla mai più, tuttavia almeno l'avrai salvata... Poi lo
sai che a me puoi dire tutto quello che ti passa per quella tua
maledetta testa di legno, forse sono l'unico in questa dannata città
di cui ti puoi fidare e che può aiutarti!”
A
quelle parole, Mustang sollevò il viso, fissando Hughes dritto negli
occhi. Le sue iridi nere come pece parevano quasi scintillare. Gli
era venuta in mente finalmente un'idea che avrebbe potuto funzionare,
grazie alle parole che il capitano delle guardie aveva appena
pronunciato. Sì, era solo un pensiero, ma se l'avesse studiata nei
minimi dettagli forse sarebbe stata l'unica soluzione plausibile.
Avrebbe dovuto mobilitarsi in fretta però, perché tutto avrebbe
dovuto svolgersi all'insaputa di tutti, di Hughes in primis,
che non avrebbe dovuto sospettare nulla, così come di Riza. Era un
piano troppo folle, una come lei non avrebbe mai collaborato di sua
spontanea volontà, soprattutto dopo il male che le aveva fatto. Sì,
non aveva alcuna scelta, anche se era terribilmente rischioso...
I
suoi occhi si assottigliarono pericolosamente, Hughes a mala pena
riusciva a riconoscere l’amico di sempre. L’ingegno di Mustang
stava lavorando, sistemando e progettando. Sentiva quell’idea e
quel progetto delinearsi sempre più nettamente nel suo cervello…
se soltanto ci fosse riuscito… sì se ci fosse riuscito
probabilmente avrebbe avuto la vittoria in pugno. Era folle,
terribilmente folle, ma non tanto folle quanto lo era quella stessa
istituzione. Non aveva tempo da perdere, sentiva gli sguardi di
Kimblee e di Bradley fissi su di lui, avrebbe dovuto agire alla
svelta. In tutti quegli anni aveva sempre avuto il vantaggio di non
essersi mai ribellato, almeno apertamente e sfacciatamente, ai loro
piani e proprio per questo forse ancora non era sospettato
abbastanza. Certo, era stravagante ma in fondo aveva sempre svolto il
suo lavoro senza falli.
Aveva
sbagliato a farsi cogliere in quell’atto di debolezza, il rimedio
che stava elaborando era drastico e purtroppo… strano.
Kimblee era furbo, di certo se non avesse saputo bene fare la parte
avrebbe capito il suo inganno.
Divenne
cupo. Anche Hughes non poteva sospettare della sua bontà, se avesse
continuato a essergli amico probabilmente allora… Sì, tutti
avrebbero creduto che in lui non sarebbe cambiato niente. Il distacco
avrebbe dovuto essere totale e se avesse ingannato a fin di bene il
suo amico forse ce l’avrebbe fatta.
Eppure
una parte di lui ancora esitava. Perché doveva privarsi anche di
quel sentimento? Certo odiava quando Hughes lo interrompeva ogni
volta narrandogli le peripezie della sua famiglia eppure aveva capito
che era soltanto un modo per distrarlo dai suoi rigidi doveri.
Avrebbe dovuto davvero ingannare anche lui? Se Hughes lo
avesse capito, sarebbe stato al suo gioco? W anche se non avesse
compreso, lo avrebbe perdonato dopo?
Si
ritrovava in una situazione pessima e la sua presenza in quel momento
lo irritava, quell’aura allegra che lo circondava gli impediva di
pensare coerentemente. Per salvare Riza, se stesso e anche Hughes
avrebbe dovuto ingannare tutti e diventare sporco quanto lo erano le
persone che detestava? Probabilmente sì, e la risposta gli faceva
davvero male. Non voleva costruire un futuro migliore su fondamenta
insicure, immorali e peccaminose. Con quale autorità poi avrebbe
potuto considerarsi migliore o peggiore dell’Inquisizione e del
Braccio Secolare? No, non voleva tuttavia non aveva scelta e in quel
momento di assoluta disperazione in cui era di nuovo sprofondato non
aveva davvero altro da fare. Era l’unico modo per non tradire sul
serio i suoi amici, anche se apparentemente li avrebbe disprezzati.
Non avrebbe mai permesso che qualcuno avrebbe fatto loro del male,
che qualcuno li avrebbe danneggiati, né Hughes, né i suoi
collaboratori, quali Jean Havoc la guardia, o il giovane Kain Fury,
il suo segretario…
Sì,
forse non era tanto diverso dagli altri umani. Aveva le stesse
debolezze, le stesse propensioni al potere ma lui non lo faceva per
egoismo, voleva proteggere chi poteva salvare.
«L’esilio?
Il suo caso purtroppo non può richiedere un mezzo tanto futile. Le
accuse sono gravi e il popolo stesso vuole solo una cosa: la sua
morte.»
Era
apparentemente calmo ma si reggeva e continuava a ostentare
quell’atteggiamento solo grazie al grande nervosismo che lo reggeva
e lo faceva andare avanti. Vedeva davanti a sé quel miraggio
incrollabile, avrebbe solo dovuto guardare in quel punto, cercando di
raggiungerlo e non corrompere e perdere la sua anima. Era
terribilmente difficile ma sperava di potercela fare, ma da solo
senza quei pochi sostegni e consensi che aveva in realtà si sentiva
anche debole, svuotato. Avrebbe dovuto godere dei ricordi e della
fiducia che loro gli riponevano dentro. Sperava, sperava ardentemente
che Hughes capisse e il suo sguardo forse lasciava intravedere quella
scintilla di compassione che gli emergeva involontariamente. Se
soltanto Hughes avesse saputo coglierla allora… Allora forse vi era
speranza anche di mantenere la loro amicizia. Ma doveva essere brusco
e inflessibile.
«Ho
studiato un sacco di carte, ma non ne vengo a capo. Credo che prima o
poi sarò costretto ad accontentarli.» Era stato duro, sprezzante,
le aveva pronunciate con un tono forte, come se volesse cacciare via
quelle parole lontane da lui, infondo non le appartenevano.
«Probabilmente non lo sai, ma oggi ho avuto delle conferme da lei
stessa, ed io non posso ignorare ciò che mi si para davanti, devo
fare ciò che va fatto. Non vi è possibilità di salvezza. Se dovrà
morire non mi tirerò indietro dal fare il mio lavoro.»
Non
aveva neanche il coraggio di guardare il suo amico e al solo pensiero
che in pubblico avrebbe dovuto guardarlo e dirgli quelle cose
orribili… no, non poteva sopportarlo.
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