Stone River's di Eleanor S MacNeil (/viewuser.php?uid=4019)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
C'è
stato un tempo in cui donne come me venivano spogliate e bruciate
vive. Un tempo non molto lontano, quando ancora l'oscurità
incuteva terrore nei cuori degli esseri umani, quando la paura
sorgeva ad ogni minimo rumore nelle tenebre e i viandanti narravano
storie di esseri demoniaci a cavallo di scope nella notte più
oscura.
Ci
chiamavano streghe; per loro, gli ecclesiastici, era un insulto, per
noi un motivo di vanto. Dicevano che avevamo venduto l'anima al
diavolo, insieme al nostro corpo. Eravamo le puttane di Satana, ma
nulla di tutto questo era vero. Gli uomini del Dio di Abramo temevano
ciò che non potevano spiegare, temevano e uccidevano le
streghe perché veneravamo divinità antiche e mistiche
legate alla natura e al ciclo vitale. Eravamo infedeli, dal loro
punto di vista, dotate di poteri che loro non potevano spiegare e,
allora, diedero inizio alla “Santa Inquisizione”.
Iniziò
così la caccia, in tutto il mondo. Italia, Germania,
Inghilterra, nessun paese o nazione venne risparmiata, perché
la paura rendeva gli uomini sordi e stupidi e, dal vecchio
continente, l'Inquisizione arrivò fino a Salem.
Braccate,
imprigionate, processate e bruciate per il solo fatto di essere
spiriti liberi e, come nelle peggiori storie dell'orrore, venivamo
sottoposte a molteplici torture pur di strapparci una confessione,
anche se falsa.
Sono
nata in un'epoca dove i roghi sono stati spenti, le torture sono
divenute illegali e gli ecclesiastici esercitano meno potere sulla
mente dei liberi cittadini. Ogni volta che ci penso o leggo sui libri
di storia questi eventi, mi viene la pelle d'oca, perché
questo riguarda anche me.
Il
mio nome è Avalon e sono una strega, discendo da una stirpe di
donne dagli enormi poteri; donne fuggite dai roghi di Salem per
trovare un luogo migliore in cui crescere i loro figli ed iniziare
una nuova vita.
Correva
l'anno 1693 quando le mie antenate giunsero sulle rive del fiume
Mystic. Erano streghe dalla nascita, avevano ereditato i loro poteri
dalla madre, Deana, una potente strega scozzese fuggita dal vecchio
mondo per salvarsi dai roghi, ma a Salem, anni dopo il suo arrivo, la
follia aveva oltrepassato l'oceano e intaccato gli animi degli
uomini.
Quando
il loro pellegrinaggio finì, decisero di stabilirsi sulle rive
del fiume e di lasciarsi Salem alle spalle. Ma quando si addentrarono
nella foresta per perlustrare la zona, trovarono una delle creature
più abbiette dalle terra. Una strega oscura.
Abigail,
Heather, Elizabeth, Sarah e Yvaine, le cinque figlie di Deana,
sapevano che esistevano donne la cui anima era divenuta nera come la
pece a causa della corruzione del potere. Streghe il cui unico scopo
era far del male agli altri esseri viventi. Willow Corey era la più
potente fra loro.
Mia
nonna adora raccontarmi di come le matriarche riuscirono a
sconfiggerla ed imprigionarla in una pietra grazie al potere della
terra e del cielo. La sigillarono, ma qualcosa andò storto.
Deana morì e le figlie, per non rendere vano il suo
sacrificio, trasformarono il suo corpo in un albero di mele, in modo
che, anche da morta, la strega potesse vegliare sulle sue figlie e
sulla pietra ed intorno a quel monolito fondarono Stone River's.
Ma
come nelle peggiori favole, Willow riuscì a lanciare sulle
cinque streghe una maledizione: nessuna di loro avrebbe trovato
l'amore, poiché nell'esatto istante in cui i loro cuori si
fossero innamorati, l'uomo da loro amato sarebbe morto.
Solo
una di loro decise di rischiare, sposandosi e generando dei figli.
Yvaine, la più giovane delle sorelle, s'innamorò di un
uomo, Nathan, ma la maledizione ebbe il sopravvento e, nonostante i
tentativi di aggirarla, Yvaine rimase vedova in giovane età.
I
secoli passarono, Stone River's crebbe e delle cinque matriarche si
ricordò solo del loro contributo alla creazione di quella
cittadina. Solo io e la mia famiglia conosciamo la verità, del
resto sono una discendente di Yvaine e, mentre lei aveva scelto la
sofferenza, le altre quattro morirono senza lasciare eredi.
Di
Willow non si seppe mai nulla e quella pietra, dentro la quale venne
sigillata, non venne mai toccata. Alcuni narrano che il monolito,
grande quanto un uomo, in realtà sia una specie di altare o
idolo intorno al quale le streghe si riunivano per festeggiare i loro
sabba, altri pensano che, ai tempi della fondazione, sia stato usato
come meridiana e mia nonna preferisce dare credito a questa ultima
storia, piuttosto che alle altre. La ritiene più colorita e
meno vicino alla verità. E da quel giorno, dalla fondazione di
Stone River's, nessun inquisitore ha mai messo piede nella nostra
città. Nessun rogo, nessun' impiccagione e Willow rimane
sigillata in quella pietra, con l'albero di mele a vegliarla. Nessuno
ha mai tentato di liberarla...fino ad ora!
***
...anno
2014...
Un
altro giorno, un'altra ora.
Ad
ogni sorgere del sole segnava una tacca sul muro e, ormai, le pareti
recavano solo quei segni. In quella cella aveva trascorso gli ultimi
cinque anni.
Era
un prigioniero, un traditore del suo sangue, un reietto che suo padre
aveva deciso di rinchiudere in quel sotterraneo. Il suo unico
collegamento con la superficie era una specie di buco sul soffitto
dal quale poteva intravedere la luce del giorno.
Non
aveva mai cercato aiuto, perché farlo? In fondo aveva rotto
uno dei voti, si era innamorato di una strega, rifiutandosi di
portare a termine il compito a lui assegnato. Connor aveva accettato
quella prigionia e aveva lasciato che gli anni gli scorressero
attorno, rimembrando il volto di Avalon e quel sorriso che l'aveva
fatto innamorare. Non si era arreso, si era semplicemente lasciato
andare alla corrente, in attesa della sua rivalsa.
In
quei cinque anni suo padre non aveva mai messo piede nei sotterranei,
mai una visita, mai una sola parola, solo la sua seconda moglie che
cercava di strappargli informazioni riguardo le streghe Douglas.
Connor
si lasciò andare contro la parete di pietra, osservando la
porta che lo separava dalla libertà. Ogni tanto sentiva dei
passi, poi qualcuno si affacciava alle sbarre di ferro della porta
per vedere se era ancora vivo. Altre volte Ernest, il maggiordomo,
gli faceva visita per assicurarsi che la sua mente fosse ancora
lucida e in grado di ragionare.
Non
si sarebbe fatto piegare dalla prigionia, teneva il cervello in
allenamento quanto poteva, ricordando a memoria vecchie poesie
apprese a scuola, ripetendo i significati delle parole ed i loro
sinonimi. Allenava anche il corpo con flessioni e addominali, tutto
pur di tenersi in forze e pronto per qualsiasi evenienza.
Poi,
qualche giorno prima, Ernest gli aveva comunicato una notizia
alquanto strana. Sembrava che suo padre, per mezzo della moglie,
avesse dato ordine ad un altro cacciatore di recarsi a Stone River's
per portare a termine quello che lui si era rifiutato di fare.
Pensava
che quel compito fosse stato eseguito da anni, da quando era stato
imprigionato. Forse c'era ancora speranza, forse Avalon non era morta
e, lui, poteva porre rimedio ai suoi errori.
Così,
nella solitudine della sua cella, aveva atteso, meditando un
possibile piano di fuga e, finalmente, l'aveva trovato.
Angolo
autrice:
nuova
storia, nuovi misteri.
La
storia qui sopra è nata dopo un attento esame di una mia
vecchia fan fiction incompleta, Cursed Blood. Ho voluto riscriverla
da capo, rendendola un'originale, quindi sarà completamente
diversa, solo in alcune cose si rassomiglieranno.
In
questo breve prologo siamo venuti a conoscenza di alcuni fatti
passati e abbiamo conosciuto il personaggio di Connor. Nei prossimi
capitoli conosceremo gli altri.
Stone
River's è una cittadina inventata di sana pianta. Secondo la
mia mente sorge sulla sponda nord del fiume Mystic, nello stato del
Massachusetts, nella contea di Middlesex, poco distante dalla città
di Medford.
Dovrei
riuscire ad aggiornare ogni dieci giorni, spero di mantenere questo
ritmo, ci tengo molto a questa storia!
Per
chi volesse, questo è il mio gruppo su FB dedicato alle mie
storie: Lettere
d'Inchiostro, Parole d'Amore
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Capitolo 2 *** Cap. 1 ***
Cap.
1
Douglas
Tutto
quello che si poteva raccontare su Stone River's era poco più
di una favola. Non c'erano molti turisti, solo qualche passante che,
da Boston, era in viaggio verso Salem. Non era famosa, era una
cittadina come tante, di noto aveva solo le mele.
Stone
River's vantava floridi frutteti da secoli. Il primo melo era stato
piantato pochi anni dopo la fondazione della città e, da
allora, le mele erano diventate il simbolo della comunità. Era
la famiglia Douglas a possedere i frutteti. Il sindaco della città
non era altri che Siusan MacNeil Douglas, matriarca della famiglia e
donna di ferro, come gli uomini l'avevano definita.
Le
Douglas erano note per essere non solo le ultime discendenti delle
cinque fondatrici di Stone River's, ma anche per essere una famiglia
a struttura matriarcale. Erano le donne a comandare e a trasmettere
il nome e, stranamente, i mariti o morivano oppure venivano
estromessi tramite un divorzio.
Cosa
strana per molti, ma per gli abitanti era un fatto comune. Stone
River's era stata fondata da cinque sorelle a dispetto dei canoni
dell'epoca, era come normale che a condurre la città, a
distanza di secoli, fossero donne.
Il
fatto curioso non era la struttura gerarchica o la scomparsa
prematura dei mariti delle Douglas, ma la strana assenza di figli
maschi. Nel corso dei secoli le donne Douglas avevano dato alla luce
solo figlie femmine. Alcune voci maligne raccontavano di aborti
volontari e uccisioni di neonati, ma nulla era vero. Chi conosceva la
famiglia Douglas vedeva in loro solo semplici donne che gestivano una
città e l'attività di famiglia: il frutteto.
Le
mele erano l'oro di Stone River's. Il frutteto si estendeva per
diversi acri e delimitava uno dei confini della città, oltre
il quale c'era solo un bosco a separare Stone River's dalla statale.
Al centro del frutteto sorgeva il primo albero di mele, piantato
molti secoli prima e, proprio accanto ad esso, avvolto dalle radici
sporgenti e dai rami dell'albero, si ergeva un masso riportante
strane incisioni runiche. I braccianti quando vi passavano accanto
facevano un segno di riverenza, come per salutare qualcuno. Si diceva
che la pietra, alta quasi come un uomo, un tempo era stata utilizzata
come altare o idolo da qualche strega; altri pensavano fosse una
specie di monumento antico dedicato alle cinque fondatrici della
città, i più scettici dicevano che, anticamente, quel
masso era stato una meridiana. Non importava, i lavoratori del
frutteto portavano rispetto sia verso il melo che verso la pietra,
tanta era la suggestione che entrambi infondevano. Era proprio alle
spalle di casa Douglas che quel frutteto tanto prezioso sorgeva e
loro, le donne della famiglia, ne erano le custodi e proprietarie.
«Mammina,
mammina!»
Ci
si poteva confondere tra le risate dei bambini nel parco cittadino,
ma Avalon riconosceva ovunque la vocetta squillante di sua figlia
Cassandra. Aveva quattro anni, cinque ad ottobre, ma era un vero
concentrato di energie e vivacità.
«Cassie,
è ora di tornare a casa.» Ma la piccola non sembrava
voler dare ascolto alla madre, troppo presa sull'altalena. «Sai
che nonna Siusan odia i ritardatari!»
Cassandra
sbuffò, dirigendosi verso la madre con il broncio. «Ma
io voglio giocare!»
«É
quasi il tramonto, cucciola, dobbiamo andare.» Avalon prese la
figlia da sotto le ascelle, facendola sedere sul seggiolino
posteriore della bicicletta, cominciando a pedalare verso casa.
Entrambe
adoravano girare per la piccola cittadina in bici, soprattutto in
primavera. Tra marzo e maggio Stone River's si trasformava in una
specie di giardino fiorito, pieno di profumi e di colori. I glicini
addobbavano il gazebo della piazzetta, le magnolie abbellivano i
marciapiedi e i ciliegi profumavano il parco pubblico.
Era
come tuffarsi in un mondo fatto di sole e felicità. Le
giornate più lunghe, la vita che riprendeva come animata da
una danza, gli animali che si risvegliavano dal letargo e gli stormi
di airone azzurro tornavano per la stagione degli amori.
Con
i capelli castani mossi dal vento e gli occhi pieni di meraviglia,
Cassandra guardava il mondo con quel sorriso infantile e gioioso che
non svaniva mai. Somigliava a sua madre, chiunque la guardasse per la
prima volta vedeva in lei Avalon, gli stessi capelli, la stessa
fossetta sul mento, il sorriso dolce, persino le mani dalle dita
lunghe e affusolate. Solo gli occhi differivano da quelli della
madre. Mentre Avalon possedeva iridi verdi dalle pagliuzze ambrate,
tipiche delle Douglas, le sue erano castane scure, come le castagne.
Erano gli occhi di suo padre, uomo che la piccola non aveva mai
conosciuto.
Avalon
suonò il campanello della bicicletta, avviandosi lungo il
viale alberato che conduceva verso la residenza delle Douglas.
«Suonare
quel campanello è una sorta di rito scaramantico?»
«Ciao
zia Ellen» Avalon sorrise, alzando lo sguardo sulla donna dai
capelli castani, in piedi, appoggiata alla balaustra del patio. «Che
succede?»
«Tua
nonna, alias mia madre, nonché sindaco, ha appena telefonato
dal municipio, dicendo...anzi, ordinando, di andare a controllare al
pietra.»
La
giovane strabuzzò gli occhi, facendo scendere la figlia dalla
bicicletta. «Ancora? Ci siamo state stamattina!»
«Dice
di avere un cattivo presentimento.»
«Fammi
indovinare, vuoi che ci vada io.»
«Sarebbe
fantastico.»
Era
sempre così. Ogni volta che bisognava andare alla pietra,
Ellen si defilava; guardava gli altri con occhi imploranti, di quel
verde tipico delle Douglas, e se ne andava lasciando ad altri il
compito.
«Posso
venire anch'io, mammina?» cantilenò Cassandra,
dondolandosi in avanti.
Avalon
sospirò, raccogliendo i capelli in una coda bassa, per poi
prendere per mano la figlia e avviarsi verso il frutteto. Adorava
camminare tra i meli, ma ogni volta che si avvicinava alla pietra
sentiva quello strano senso di angoscia e terrore che le ricordava
chi era stato sigillato in quel masso.
Se
Siusan aveva uno strano presentimento, bisognava darle retta. Era la
matriarca, ma prima di tutto la strega più potente della
famiglia, non si poteva passare oltre le sue sensazioni. Avvolta
dalle radici e dal tronco del grande melo, l'albero di Deana, la
roccia si ergeva al centro del frutteto, cupa e imponente. A volte,
quando le si avvicinava, era come se dei sussurri provenissero da
essa, come un richiamo, una specie d'invocazione arcana e misteriosa.
Non sempre avveniva, ma quando Avalon avvertiva quelle voci,
percepiva uno strano senso di potenza e oscurità. Era il
motivo primario per cui sua zia le stava alla larga, il monolito
sapeva corrompere l'animo umano, o forse era meglio dire che la
strega sigillata al suo interno ne era in grado.
Quando
era piccola sua nonna le aveva raccontato di come Willow fosse in
grado di risvegliare il lato oscuro di ogni uomo, corrompendolo e
portandolo a commettere atti di assoluta malvagità. Se le sue
antenate non fossero riuscite a sigillarla, probabilmente la strega
oscura si sarebbe fatta strada nel mondo, distruggendo tutto il buono
che esisteva.
«Tu
resta qui.» Con passo incerto, le girò attorno, tenendo
la figlia a debita distanza. Sembrava tutto normale poi, qualcosa
attirò l'attenzione di Avalon. Uno strano bagliore proveniente
da una piccola crepa sulla superficie liscia.
«Che
cosa vuol dire, mammina?»
«Non
lo so, Cassie, ma sono certa che non è nulla di buono»
disse Avalon, guardando con terrore quella spaccatura. «Andiamo
a dirlo alla nonna.»
***
Connor
aveva atteso per anni di riabbracciare Avalon, di rispecchiarsi in
quegli occhi verdi e brillanti. Aveva sognato il suo volto ovale con
la fossetta sul mento, i capelli castani e mossi, il suo sorriso così
dolce e amorevole. Aveva aspettato.
La
fuga dalla sua cella non era stata facile; aveva utilizzato una
forchetta, piegata e rimodellata, non sapeva quanti tentativi era
stato costretto a fare, per riuscire ad aprire la porta, ma alla fine
ce l'aveva fatta. Con il favore della notte era sgattaiolato fuori
dalla sua prigione, muovendosi silenziosamente e sempre con la
schiena contro le pareti di pietra. Grazie al maggiordomo, l'unico di
cui si fidava, aveva eluso la sorveglianza, rubando una delle tante
auto del padre e recuperato alcuni suoi abiti, fuggendo finalmente
dalla villa. Appena fuori Salem aveva abbandonato l'auto e preso
l'autobus per Stone River's.
Aveva
fantasticato sui modi di avvicinare Avalon, una volta giunto in
città, ma quando l'aveva vista in sella alla sua bicicletta,
sorridente come sempre, era rimasto in disparte, preferendo seguirla.
Le
era stato alle costole, non troppo vicino per non farsi scoprire, ma
mai si sarebbe aspettato di vederla insieme ad una bambina. In un
primo momento aveva immaginato fosse la figlia di Ellen o di Lauren,
ma poi la piccola aveva chiamato Avalon “mammina” e il
suo cuore si era fermato.
Lei
era andata avanti, si era rifatta una vita, ma con chi? Poi la sua
mente aveva iniziato quel ragionamento matematico che l'aveva portato
a calcolare gli anni della bambina, Cassie l'aveva sentita chiamare.
Doveva avere poco più di quattro anni e lui aveva lasciato
Avalon cinque anni prima.
Sdraiato
sul letto della stanza che occupava del bed and breakfast, osservò
la fotografia di lui ed Avalon, scattata sotto il gazebo la settimana
prima della sua dipartita. Guardò quella foto, sfiorandone la
superficie. Cassie somigliava incredibilmente ad Avalon, ma erano gli
occhi che l'avevano portato a fare quel ragionamento. Occhi di un
castano scuro, come le castagne che sua madre raccoglieva per lui il
giorno di Halloween.
Se
i calcoli erano giusti, Cassie doveva essere nata pochi mesi dopo la
sua partenza e, questo, poteva voler dire solo una cosa: era sua
figlia.
***
«Ne
sei sicura?» Lauren guardò la figlia preoccupata,
sperando che si fosse sbagliata, ma Avalon era seria. Quando Siusan
aveva chiamato dal municipio, aveva pensato alle sue solite manie di
controllo, ma Avalon aveva visto la crepa e ciò non prometteva
nulla di buono.
«Il
sigillo si sta indebolendo.» Ellen si portò una ciocca
di capelli dietro l'orecchio, guardando la nipote preoccupata.
«Nostra madre aveva ragione.»
«Avevo
ragione riguardo a cosa?» Siusan entrò in cucina,
posando la borsa sul tavolo e guardando le tre donne di fronte a lei.
«Ebbene?»
Possedeva
un portamento quasi regale, sempre con lo sguardo arcigno e freddo,
come se stesse sul punto di rimproverare qualcuno. Era una donna
caparbia, spietata, calcolatrice e potente, dall'aspetto nordico reso
più evidente dai capelli biondi, proprio come la figlia
maggiore. Siusan MacNeil Douglas era la matrona della famiglia, una
tra le streghe più potenti del mondo e quando entrava in una
stanza era come se quella forza interiore, quei poteri, irradiassero
dal suo corpo rendendola maestosa. Per fortuna nessuno sapeva che le
streghe esistevano veramente, altrimenti chiunque si sarebbe fatto di
lato al suo passaggio.
«Sono
stata alla pietra poco fa» cominciò Avalon. «C'era
una crepa, piccola, ma c'era.»
Il
volto severo di Siusan si contrarre in un'espressione di
preoccupazione e allerta, mentre spostava lo sguardo sulla figlia
maggiore. «Stamattina non c'era?»
Lauren
negò col capo. «E neanche nel primo pomeriggio.»
«Il
sigillo si sta indebolendo» disse Siusan, accendendosi una
sigaretta. «Se quella crepa si allargasse...»
«Lo
sappiamo, madre, Willow potrebbe liberarsi.»
«E
con lei tutte le forze oscure che le cinque matriarche hanno
imprigionato in quella pietra maledetta» disse a denti stretti
Siusan, arricciando le labbra. «Il male dilagherebbe e il mondo
che noi conosciamo finirebbe per sempre!»
Ellen
sentì un brivido correrle lungo la schiena. Willow Corey, di
tutte le streghe che il mondo avesse visto, lei era la più
potente e la più spietata. Ricordava le storie che sua nonna
le raccontava da bambina, storie di oscurità e sangue. Si
diceva che Willow fosse sulla terra da molti secoli, quando le
matriarche Douglas giunsero a Stone River's. Si diceva che avesse il
corpo glabro e coperto di segni, alcuni scritti la descrivevano come
un mostro assetato di sangue, ma sapeva che le storie spesso venivano
travisate e riscritte nel corso degli anni, ma di una cosa era certa,
Willow era una strega oscura dai poteri troppo grandi per essere
uccisa senza complicazioni. Deana Douglas, la madre delle cinque
matriarche, era morta nel tentativo di sigillarla e, le sue figlie,
furono maledette.
«E
se fosse la luna di sangue?» domandò all'improvviso una
voce alle loro spalle. In piedi sulla porta della veranda, Phoebe le
stava fissando impaurita, stringendo sotto il braccio la cartelletta
del corso di arte.
Lauren
deglutì, la figlia più giovane aveva menzionato
l'evento che ogni strega temeva o attendeva con impazienza. «Non
può essere!»
«Ma
potrebbe» disse la ragazza, avanzando verso il tavolo, aprendo
la cartelletta e mostrando uno dei disegni. «Questo l'ho
disegnato stamattina, appena sveglia. All'inizio è stato come
se a guidare la mia mano fosse una forza superiore, poi ho capito che
non era la prima volta che lo sognavo.»
Avalon
deglutì, sbarrando gli occhi a quella vista. Una luna rossa
come il sangue spiccava in un cielo notturno senza stelle e,
illuminata dalla luce scarlatta, la pietra di Willow spaccata a metà
e l'albero di mele sanguinante. I sogni profetici di sua sorella non
sbagliavano mai e se lei aveva visto il futuro, quello che si
prospettava era una vera e propria apocalisse.
***
La
notte doveva portare consiglio, secondo il vecchio detto, ma quello
che portava con sé non era altro che il timore di una guerra e
la consapevolezza della fine di un'epoca di pace.
Gli
occhi di Willow apparsi come una visione nel fuoco, la luna di sangue
nei sogni di Phoebe, quel senso d'inquietudine, tutto faceva
presupporre ad una tempesta di arrivo. Siusan sentiva e sapeva che
tutto stava per cambiare, quella pace ottenuta con il sacrificio
presto sarebbe finita nel sangue e nella guerra che le sue antenate
avevano già combattuto.
In
piedi sul balcone della sua camera, poteva vedere la cupola del
municipio cittadino, la torre dell'orologio e gli ettari di foresta
che circondavano metà Stone River's. Dalla villa poteva
sentire perfino lo scrosciare le fiume Mystic, ma per lei gli occhi
non servivano, lei vedeva con la mente, con l'istinto, non c'era
nulla che poteva sfuggirle. Come un falco lei scrutava e attendeva.
Poi
guardò verso il frutteto, osservando l'oscurità
avanzare con passo lento, l'incedere di quella malvagità
antica e lontana. La foresta, custode di antichi e immemori segreti,
brulicava di verità nascoste. Le vie vecchie urlavano ancora i
nomi delle vittime innocenti di Salem che loro non avevano
dimenticato; ciò che aveva portato a quelle morti si stava
risvegliando, più forte e infuriato che mai, portando con sé
l'oscurità e le tenebre. Un'antica forza voleva tornare per
rivendicare ciò che non era suo, e Siusan avrebbe combattuto,
era pronta al sacrificio per proteggere quel segreto e la sua
famiglia.
Alzò
lo sguardo ed i capelli biondi vennero sferzati da una folata di
vento gelido. «Che gli dei ci proteggano!»
***
La
luna di sangue. Avalon non ne aveva mai vista una. Gli studiosi
chiamavano con questo nome il fenomeno dell'eclissi di luna, poiché
il satellite si tingeva di rosso. Un evento usuale, ma quella a cui
si riferiva sua sorella Phoebe non era la luna rossa, bensì
era un evento astronomico molto raro, durante il quale la luna non
solo diveniva scarlatta, ma entrava in allineamento con il pianeta
saturno, proiettando sulla terra una luce talmente nefasta da
nascondere le stelle. Gli astronomi non riuscivano a spiegarsi un
tale fenomeno, talmente raro e poco documentato, l'ultima si era
verificata nel 1693 e, da allora, non era più accaduto.
Non
era ciclico, a volte trascorrevano cento anni, altre cinquecento
dall'ultima luna di sangue, ma di una cosa le streghe erano certe: il
fenomeno rendeva i poteri più forti e le streghe oscure ne
approfittavano per lanciare i loro malefici sul mondo. Fu durante una
luna di sangue che Willow venne sigillata nella pietra, poco prima
che riuscisse nel suo intento di dominio e oscurità.
Avalon
si strinse nello scialle, rientrando in camera e chiudendo la
finestra che dava su uno dei balconi, sentendo i piccoli passi di
Cassandra correre per il corridoio. La porta si aprì
lentamente e la testolina castana della figlia fece capolino
timidamente.
«Ti
ho messa a letto un'ora fa!»
Cassandra
si dondolò sui piedi, tenendo le mani dietro la schiena. «Le
mie trecce si sono disfate.»
Con
un sospiro rassegnato, Avalon fece segno alla figlia di sedersi sul
letto. Ogni sera le intrecciava i capelli prima di andare a dormire e
sua figlia non era di certo una bambina tranquilla, aveva il sonno
agitato e si muoveva come una trottola, era naturale che le trecce si
disfassero, ma solitamente Cassandra si addormentava subito e si
risvegliava solo la mattina seguente.
Iniziò
a rifarle le due trecce, canticchiando la ninna nanna che, a suo
tempo, sua madre aveva cantato a lei. Era così dolce e
innocente, avrebbe voluto metterla sotto ad una teca di cristallo,
lontana dal mondo e dal male, ma non era possibile.
«Perché
il mio papà non è qui?» domandò
all'improvviso Cassandra, facendo sussultare Avalon. «É
per colpa della maledizione?»
«Chi
ti ha detto questo?» Non aveva mai parlato a sua figlia della
maledizione, del pesante fardello che le streghe Douglas portavano,
tanto meno del perché suo padre non era lì a crescerla
insieme a lei.
«Ho
sentito zia Ellen dire a nonna Lauren che tu e la nonna siete state
fortunate. Diceva che se non aveste mandato via il papà ed il
nonno anche loro sarebbero morti come tutti gli altri.»
Peccato
che non era stata lei a mandare via Connor. Era stato lui ad
andarsene senza dirle nulla, senza un biglietto, senza una
motivazione. A differenza di suo padre, Connor non sapeva della
maledizione o che lei fosse una strega. Lui era all'oscuro di tutto.
Magari se n'era andato perché aveva scoperto la verità,
potevano esserci svariati motivi, ma una parte di lei era grata della
sua dipartita, almeno era vivo, salvo, da qualche parte. Non aveva
avuto il tempo d'innamorarsi e questo era un bene.
Sua
madre aveva agito in modo diverso. Lauren aveva cacciato di casa
Marcus quando era incinta di Phoebe. A dirla tutta, aveva lasciato
che fosse Siusan a mandarlo via, ma era stata lei a scegliere di
allontanarlo da Stone River's. Si stava innamorando di lui e non
poteva permettersi di perderlo. Chissà dov'erano adesso, suo
padre e Connor.
«Purtroppo,
piccola mia, tuo padre è andato via prima di sapere che ti
aspettavo. La maledizione non perdona ed io non potevo permettermi di
soffrire.» Mentì. Non sapeva perché, ma mentì.
Dire a sua figlia che il padre se n'era andato per sua scelta poteva
spezzarle il cuore e non voleva. Non poteva.
Connor
forse un giorno sarebbe tornato, oppure no, ma in qualsiasi
circostanza, lei non voleva più vederlo. Non perché
aveva scelto la fuga, ma per i suoi sentimenti, per quell'amore che
lei avrebbe provato rivedendolo e che, se fosse rimasto, l'avrebbe
portato alla morte certa.
Amare
un uomo voleva dire ucciderlo e lei non voleva macchiarsi le mani del
sangue di un innocente.
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Capitolo 3 *** Cap. 2 ***
Cap.
2
The
Stone
Oscuro
è il cuore della strega
che
di sangue grondano le mani.
Maledetta
è la sua tomba di pietra
su
cui nessuno si reca a pregare.
Il
suo dominio di terrore e morte
le
cinque streghe hanno fermato
e
Stone River's liberato.
Ora
giace nella fredda pietra
ma
se la luna di sangue sorgerà
la
strega sorella giungerà per liberarla.
Una
vita per una vita
Un'anima
per un'anima
Le
Tenebre caleranno,
dal
fiume la nebbia si alzerà,
antichi
nemici diverranno amici,
e
quando sorgerà la luna di sangue,
nessuno
sarà più al sicuro.
Aveva
sempre pensato di poter vivere tranquillamente, di andare avanti
senza eventi rilevanti, di crescere sua figlia in un mondo tranquillo
e pacifico.
Vane
speranze.
Il
risveglio non fu dei migliori. Dopo una notte passata ad osservare il
soffitto, andando avanti e indietro per il corridoio, passando dalla
sua stanza a quella di Cassandra per controllare che dormisse, Avalon
si rese conto che sperare non portava a nulla.
In
piedi, attorno alla pietra, Avalon, Phoebe, Ellen, Lauren e Siusan
osservavano il monolito con preoccupazione e timore. La crepa si
stava allargando e potevano chiaramente sentire il potere di Willow
al suo interno. Il melo di Deana stava lentamente appassendo, come se
improvvisamente fosse arrivato l'autunno.
«Non
so voi, ma stare qui davanti a fissarla mi mette a disagio!»
esclamò Ellen smorzando la tensione.
Phoebe
continuava a giocherellare con una ciocca di capelli biondi, cercando
di capire cosa fare. Ma come poteva? Aveva solo diciotto anni, era
una ragazza che voleva semplicemente vivere la sua vita e divertirsi,
non pensare alle sorti del mondo e al suo ingrato compito di
guardiana di una tomba. «Io vado, farò tardi a lezione!»
«Forse
nel grimorio c'è qualcosa.» Avalon l'aveva detto per
dare una speranza, ma sapeva anche lei che il grimorio, per quanto
antico, non conteneva nulla, nemmeno un incantesimo che potesse
tornare utile a quella situazione.
«E
se tentassimo di guarire l'albero?» domandò Lauren, ma
Siusan la guardò con sguardo ammonitore. No, qualsiasi ipotesi
era da scartare.
Poi
Avalon ricordò un racconto, una specie di filastrocca che la
sua bisnonna le aveva cantilenato da bambina. «Se la crepa è
comparsa, può darsi che qualcuno stia cercando di liberare
Willow, qualcuno fuori dalla città che non ha ancora
abbastanza potere per riuscirci.»
«Cosa?»
«Ma
se la luna di sangue sorgerà la strega sorella giungerà
per liberarla.» disse Avalon. «La filastrocca di
nonna Charlotte!»
***
Seduto
al bancone del bar, con la visiera del cappellino abbassata quanto
bastava per vedere, Connor beveva piccoli sorsi del whiskey che aveva
ordinato. Osservava la vita scorrere tranquillamente, in attesa del
momento giusto per fare la sua mossa.
Poteva
andare da Avalon subito, parlarle, cercare di dirle la verità,
ma come poteva sperare che lo perdonasse? Era un cacciatore di
streghe che aveva tradito il giuramento fatto innamorandosi di una
strega. Come avrebbe reagito lei una volta venuta a conoscenza del
vero motivo che l'aveva spinto a lasciarla?
E
sua figlia?
«Siamo
in una piccola città, credevi davvero di poterti nascondere
tanto a lungo?»
Quella
voce. Connor sorrise, senza nemmeno voltarsi, ascoltando lo
scampanellio dei bracciali di Ellen. «Come lo sapevi?»
Ellen
fece spallucce, sedendosi accanto a lui. «Te l'ho detto, è
una piccola città.»
«Avalon
lo sa?»
«No,
non le ho detto nulla. Abbiamo altro a cui pensare.»
Ellen
era la figlia minore di Siusan. Avalon l'adorava, spesso la definiva
la sua confidente, forse per il fatto che più di una zia,
Ellen si comportava più come amica che come parente.
Aveva
gli occhi sempre contornati dall'eyeliner nero, come se volesse farli
sembrare più sottili, quasi da gatto. Portava bracciali con
charmes tintinnanti e collane lunghe con ciondoli grandi. Era strana,
se la si giudicava solo dalle apparenze, ma aveva un cuore grande.
Ellen
aveva perso il fidanzato pochi giorni prima del matrimonio, morto in
un incidente stradale mentre la raggiungeva per le prove della cena
di nozze. Un tragico incidente che le aveva spezzato il cuore.
Peccato, perché aveva solo trentasei anni ed era una bella
donna, meritava di essere felice.
Quando
era arrivato a Stone River's, cinque anni prima, aveva fatto ricerche
sulle Douglas, frequentando Avalon aveva scoperto i poteri di tutte
le streghe della famiglia. Se ricordava bene, Ellen era una medium in
grado di manipolare i fulmini a suo piacere e con sensi psichici
acuti, forse perfino sensitiva, ma non ne era certo. Lauren, la madre
di Avalon e Phoebe, poteva manipolare i ricordi delle persone,
perfino prenderne il controllo e far fare ciò che più
preferiva, poteva anche leggere il pensiero e spostare gli oggetti
con la forza del pensiero. Avalon, la sua Avalon, era in grado di
controllare gli elementi naturali, una medium e una sensitiva capace
di prevedere il futuro, proprio come sua sorella Phoebe che era anche
una telecineta. Era Siusan quella da temere, la strega che, non solo
possedeva molti più poteri delle altre, ma poteva trasferire
il suo spirito in altri corpi, perfino varcare le soglie del mondo
degli spiriti, suo padre pensava perfino che fosse in grado di
riportare in vita i morti, ma quelle erano solo voci, non c'erano
vere e proprie prove a riguardo.
«Perché
sei tornato, anzi, perché te n'eri andato?»
«Storia
lunga, Ellen.»
«Se
sei qui per recuperare il rapporto, ti do un consiglio» disse
Ellen, alzandosi dallo sgabello. «Vattene finché sei in
tempo!»
Minaccia
o avvertimento?
«E
se ti dicessi che so tutto sulle streghe Douglas?»
Ellen
si bloccò all'istante, guardando Connor posare lentamente il
bicchiere sul bancone. «Non so di cosa tu stia parlando.»
«So
che siete streghe, tutte quante. So che avete un segreto legato ad
una strana pietra nel frutteto.»
«Abbassa
la voce.» Ellen si guardò attorno, cercando di decidere
il da farsi, ma la realtà era che Connor l'aveva sorpresa.
Doveva agire, ma come? «Chi sei?»
«Il
mio nome non è Connor Reynolds e non sono nato a Boston.»
«Vuoi
dirmi il tuo vero nome, oppure preferisci che ti faccia seriamente
del male?»
«Connor
Wolf, di Salem.»
La
famiglia Wolf di Salem, la più temuta famiglia di cacciatori
di streghe del Massachusetts, erano i diretti discendenti di Cotton
Mather, uno degli inquisitori di Salem che per poco non prese le sue
antenate. Perché diavolo gli stava dicendo tutto questo?
Ellen
si sentì gelare il sangue; per la prima volta nella sua vita
si trovava di fronte ad un cacciatore di streghe. «Chi è
tuo padre?»
«Jeffrey
Solomon Wolf.»
Il
cacciatore per eccellenza. Il flagello delle streghe. Jeffrey Solomon
Wolf era un uomo senza pietà e senza coscienza; aveva ucciso
centinaia di streghe senza lasciare tracce, si diceva ne
collezionasse gli occhi per puro vanto. Se il figlio sapeva di loro,
allora voleva dire che erano finite.
«Prima
che tu scappi, voglio solo dirti che non sono qui per uccidervi.»
«No?
Sei qui per il the delle cinque?»
«Sono
qui per aiutarvi. Mio padre manderà altri cacciatori ad
uccidervi. Dovevo farlo io cinque anni fa, ma non ce l'ho fatta.»
***
Lo
chiamavano “Scrigno dei ricordi”. Era una semplice
scatola di legno finemente lavorata, con incisioni runiche ed il
marchio delle antenate sul coperchio. Era stata intagliata in un
pezzo di frassino e resa impossibile da aprire tramite la magia.
Lauren
ne teneva in mano uno. Era stata sua madre a crearla per lei quando,
anni prima, aveva capito che il suo cuore stava iniziando ad amare
Marcus. L'aveva supplicata di aiutarla, non poteva permettere che il
marito morisse, non voleva soffrire, non voleva che la maledizione
portasse alla morte un uomo innocente.
Così
Siusan aveva creato quello scrigno, relegando al suo interno tutti i
ricordi belli, tutte le emozioni ed i sentimenti di Lauren per
Marcus. Aveva funzionato.
Il
giorno dopo era stata la stessa Siusan ad allontanare l'uomo ed
imporgli il divorzio. Era stata dura? Non lo ricordava, perché
ogni sentimento provato per lui era chiuso in quella scatola magica.
Almeno
era salvo.
Lauren
aveva sacrificato l'amore per suo marito pur di saperlo vivo. L'aveva
fatto cacciare, allontanato, facendogli credere che per lei era stato
solo un mezzo per generare una nuova stirpe di streghe, ma non era
così.
Seduta
sulle sponde del fiume Mystic guardava la superficie dello scrigno.
Era stata così speranzosa il giorno delle sue nozze, aveva
scelto di rischiare, sicura di poter trovare un modo per aggirare la
maledizione, ma niente, nemmeno il sacro grimorio, il ricettario che
le sue antenate avevano scritto nel corso dei secoli, era servito a
qualcosa. Se lei si fosse lasciata andare all'amore, suo marito
sarebbe morto prematuramente.
Non
era stato facile prendere quella decisione, ma alla fine aveva
scordato tutto. L'amore, la felicità, i bei momenti, a stento
ricordava cosa aveva provato per lui, c'erano solo i sentimenti per
le sue figlie, nient'altro.
Lo
Scrigno dei Ricordi. Sua madre ne aveva uno identico. L'aveva creato
il giorno dopo la morte di Peter, suo marito, il padre delle sue due
figlie. A differenza dello scrigno di Lauren, quello di Siusan
serviva per contenere il dolore e l'amore. Perdere il marito era
stato devastante per lei, un vero e proprio colpo al cuore. Lo
Scrigno l'aveva aiutata a dimenticare tutto. In quella scatola di
legno aveva relegato ogni singolo ricordo, ogni sentimento, ogni
minima traccia di Peter e, questo, l'aveva resa la donna fredda e
spietata che tutti conoscevano.
Non
era sempre stata così, c'era stato un tempo in cui Siusan
aveva amato talmente tanto da soffrirne, ed era stata una donna
affettuosa, amorevole, soprattutto con Lauren ed Ellen. Ma la morte
di Peter le aveva portato via quella voglia di vivere e, per
superarlo, aveva scelto di chiudere tutto nello Scrigno.
La
maledizione non perdonava e loro dovevano imparare a conviverci.
«Cosa
succederebbe se tu l'aprissi?»
Lauren
si voltò, scostando una ciocca di capelli biondi dalla fronte
per vedere meglio sua sorella Ellen avanzare verso di lei.
«Marcus
morirebbe, perché io tornerei ad amarlo.»
«Beh,
non saresti l'unica vedova di questa famiglia» disse Ellen con
amarezza, sedendosi accanto alla sorella.
«Sai
che puoi chiedere a nostra madre di creare uno scrigno anche per te.»
«No,
io voglio ricordare Thomas, voglio ricordare tutto l'amore che ho
provato per lui e tutta la felicità che mi ha donato.»
Ellen aveva perso l'amore della sua vita, ma aveva scelto di soffrire
e ricordare. «Abbiamo un problema.»
«Cacciatori?»
«Peggio»
disse Ellen. «Jeffrey Solomon Wolf.»
Lauren
non aveva l'aria stupita, del resto leggeva il pensiero, aveva già
compreso cosa passava per la testa della sorella. «E Connor?
Credi che lascerà Stone River's?»
«No,
a quanto pare ama la nostra Avalon e non se ne andrà senza
prima averle parlato e combattuto per lei.» Ellen alzò
gli occhi al cielo. «Uomini!»
***
«Credi
sul serio che possa tornare?» Phoebe osservava la lezione di
danza, disegnando le figure delle ballerine alla sbarra. Avalon la
lasciava assistere alle lezioni che teneva per le ragazzine e
sfruttava l'occasione per ritrarre le adolescenti nelle loro pose
tirate, un ottimo esercizio.
Avalon
fece spallucce, tenendo sotto controllo i movimenti delle sue
allieve, lasciandosi trasportare dalla musica di Tchaikovsky. «Non
lo so, ma quella crepa è preoccupante e l'albero sta'
appassendo.»
«Per
non parlare delle mie visioni, sono sempre più forti ed oggi
ne ho avuta una ad occhi aperti!»
Phoebe
somigliava molto alla madre, stessi occhi verdi e capelli biondi,
pelle diafana e delicata, ma c'era qualcosa in lei, nel suo sguardo,
che ricordava ad Avalon il padre. «Quando parli così
sembri papà!»
«Peccato
che non ho idea di come sia o dove sia.»
«Meglio
sapere che è vivo, piuttosto di saperlo morto, non credi?»
Phoebe
sbuffò, riponendo i fogli e il carboncino, alzando lo sguardo
sulla sorella. Era pronta a ribattere, ma quando vide gli occhi di
Avalon si fermò. Era dolore quello che vi leggeva, rabbia e
disperazione. Non si stava riferendo solo al padre, ma anche a
Connor. «E se ci fosse un modo?»
«Un
modo per impedire a Willow di tornare?»
«No,
un modo per spezzare la maledizione. Il grimorio delle antenate
contiene talmente tanti incantesimi, alcuni in una lingua
sconosciuta, magari c'è anche la soluzione.» Phoebe si
alzò, prendendo il braccio della sorella. «Potremmo
porre fine a questa sofferenza, a queste morti.»
«Credi
che nonna Siusan non ci abbia già provato?» Avalon si
liberò della presa di Phoebe, cercando di tenere un tono
basso. «Abbiamo scandagliato il libro, carattere per carattere,
ma nessuna delle nostre antenate ha mai trovato un incantesimo o un
modo per aggirare la maledizione. Siamo condannate alla sofferenza
eterna, ad innamorarci per poi vedere morire gli uomini da noi
amati.»
La
musica finì e Avalon dovette tornare alla realtà,
fingendo che nulla stesse accadendo, che il dolore che provava era
solo un pallido miraggio. Batté le mani, annunciando la fine
della lezione. Attese che le sue allieve uscissero, cominciando a
racimolare la sua roba. «Fattene una ragione Phoebe, e prima
che tu te ne accorga riuscirai a chiudere il tuo cuore all'amore»
disse, prendendo le sue cose e lasciando l'aula.
«E
diventare una senza cuore come le donne della nostra famiglia?»
urlò Phoebe, ma ormai Avalon era già uscita.
C'era
stato un tempo in cui sua sorella aveva amato, il suo sorriso era
stato diverso, più solare e contagioso; ora, dietro quegli
occhi, nascondeva il dolore di essere sola. Connor se n'era andato e,
per fortuna, l'aveva fatto di sua spontanea volontà, senza che
fosse Avalon a cacciarlo. Non le aveva dato il tempo d'innamorarsi di
lui, ma le aveva spezzato il cuore. Forse un bene, dato che il
sentimento di affetto era stato eclissato dalla rabbia e
dall'abbandono. Aveva concentrato tutte le sue energie e le sue
attenzioni verso Cassie, dimenticandosi di Connor e della felicità
provata con lui. Non aveva rinchiuso il suo ricordo come sua madre
aveva fatto con quello di Marcus, ma aveva semplicemente tramutato
qualsiasi sentimento positivo verso l'amato in un sentimento negativo
e corrosivo, corroborando tutte le altre emozioni per offuscare
qualsiasi minima fiaccola di amore. Il tutto per mantenere in vita un
uomo che l'aveva lasciata da sola con una figlia da crescere.
Ci
doveva essere un modo per impedire tutto questo, per dare alle donne
della sua famiglia quella felicità che meritavano. Amare per
poi soffrire, era la maledizione della Douglas, la loro croce e,
presto, sarebbe stata anche la sua. No, lei non voleva soffrire come
sua zia Ellen, non voleva rinchiudere i suoi sentimenti in una
scatoletta di legno come sua madre e sua nonna, diventando fredda e
priva di sentimenti positivi. Lei voleva amare, voleva sentirsi le
farfalle nello stomaco, sposarsi, avere dei figli ed invecchiare con
l'uomo della sua vita, ma sapeva che era tutto impossibile.
Senza
rendersene conto giunse a casa, addentrandosi nel frutteto. Era di
fronte alla pietra e la crepa sembrava più grande rispetto a
quella mattina.
«É
tutta colpa tua» disse, guardando attentamente quel monolito
maledetto, la tomba che ospitava l'anima di colei che continuava a
causare così tanto dolore alla sua famiglia anche dopo secoli
dalla sua morte. «Mi hai sentita? Io ti odio!» urlò,
avvertendo la rabbia montarle in corpo. «Hai rovinato le nostre
vite!»
Afferrò
un sasso a terra, alzando il braccio sopra la sua testa, era pronta a
tirarlo, ma qualcuno le prese il polso, impedendole di lanciare la
roccia e distruggere la tomba. Vide i simboli incisi sul tronco del
melo illuminarsi, mentre si voltava per guardare in faccia colui che
l'aveva fermata. «Connor!»
Angolo
autrice
Eccomi
di ritorno, scusate l'attesa.
In
questo capitolo scopriamo qualcosa di più, conosciamo meglio
il personaggio di Phoebe e Lauren, abbiamo un quadro della situazione
di famiglia e apprendiamo altre informazioni su Connor e chi è
in realtà. Ma la domanda vera è: perché i
simboli sull'albero si stanno illuminando?
Altre
domande le cui risposte arriveranno col tempo!
Vi
lascio a questo capitolo che, spero, sia stato di vostro gradimento!
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