Stone River's

di Eleanor S MacNeil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




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Prologo







C'è stato un tempo in cui donne come me venivano spogliate e bruciate vive. Un tempo non molto lontano, quando ancora l'oscurità incuteva terrore nei cuori degli esseri umani, quando la paura sorgeva ad ogni minimo rumore nelle tenebre e i viandanti narravano storie di esseri demoniaci a cavallo di scope nella notte più oscura.

Ci chiamavano streghe; per loro, gli ecclesiastici, era un insulto, per noi un motivo di vanto. Dicevano che avevamo venduto l'anima al diavolo, insieme al nostro corpo. Eravamo le puttane di Satana, ma nulla di tutto questo era vero. Gli uomini del Dio di Abramo temevano ciò che non potevano spiegare, temevano e uccidevano le streghe perché veneravamo divinità antiche e mistiche legate alla natura e al ciclo vitale. Eravamo infedeli, dal loro punto di vista, dotate di poteri che loro non potevano spiegare e, allora, diedero inizio alla “Santa Inquisizione”.

Iniziò così la caccia, in tutto il mondo. Italia, Germania, Inghilterra, nessun paese o nazione venne risparmiata, perché la paura rendeva gli uomini sordi e stupidi e, dal vecchio continente, l'Inquisizione arrivò fino a Salem.

Braccate, imprigionate, processate e bruciate per il solo fatto di essere spiriti liberi e, come nelle peggiori storie dell'orrore, venivamo sottoposte a molteplici torture pur di strapparci una confessione, anche se falsa.

Sono nata in un'epoca dove i roghi sono stati spenti, le torture sono divenute illegali e gli ecclesiastici esercitano meno potere sulla mente dei liberi cittadini. Ogni volta che ci penso o leggo sui libri di storia questi eventi, mi viene la pelle d'oca, perché questo riguarda anche me.

Il mio nome è Avalon e sono una strega, discendo da una stirpe di donne dagli enormi poteri; donne fuggite dai roghi di Salem per trovare un luogo migliore in cui crescere i loro figli ed iniziare una nuova vita.

Correva l'anno 1693 quando le mie antenate giunsero sulle rive del fiume Mystic. Erano streghe dalla nascita, avevano ereditato i loro poteri dalla madre, Deana, una potente strega scozzese fuggita dal vecchio mondo per salvarsi dai roghi, ma a Salem, anni dopo il suo arrivo, la follia aveva oltrepassato l'oceano e intaccato gli animi degli uomini.

Quando il loro pellegrinaggio finì, decisero di stabilirsi sulle rive del fiume e di lasciarsi Salem alle spalle. Ma quando si addentrarono nella foresta per perlustrare la zona, trovarono una delle creature più abbiette dalle terra. Una strega oscura.

Abigail, Heather, Elizabeth, Sarah e Yvaine, le cinque figlie di Deana, sapevano che esistevano donne la cui anima era divenuta nera come la pece a causa della corruzione del potere. Streghe il cui unico scopo era far del male agli altri esseri viventi. Willow Corey era la più potente fra loro.

Mia nonna adora raccontarmi di come le matriarche riuscirono a sconfiggerla ed imprigionarla in una pietra grazie al potere della terra e del cielo. La sigillarono, ma qualcosa andò storto. Deana morì e le figlie, per non rendere vano il suo sacrificio, trasformarono il suo corpo in un albero di mele, in modo che, anche da morta, la strega potesse vegliare sulle sue figlie e sulla pietra ed intorno a quel monolito fondarono Stone River's.

Ma come nelle peggiori favole, Willow riuscì a lanciare sulle cinque streghe una maledizione: nessuna di loro avrebbe trovato l'amore, poiché nell'esatto istante in cui i loro cuori si fossero innamorati, l'uomo da loro amato sarebbe morto.

Solo una di loro decise di rischiare, sposandosi e generando dei figli. Yvaine, la più giovane delle sorelle, s'innamorò di un uomo, Nathan, ma la maledizione ebbe il sopravvento e, nonostante i tentativi di aggirarla, Yvaine rimase vedova in giovane età.

I secoli passarono, Stone River's crebbe e delle cinque matriarche si ricordò solo del loro contributo alla creazione di quella cittadina. Solo io e la mia famiglia conosciamo la verità, del resto sono una discendente di Yvaine e, mentre lei aveva scelto la sofferenza, le altre quattro morirono senza lasciare eredi.

Di Willow non si seppe mai nulla e quella pietra, dentro la quale venne sigillata, non venne mai toccata. Alcuni narrano che il monolito, grande quanto un uomo, in realtà sia una specie di altare o idolo intorno al quale le streghe si riunivano per festeggiare i loro sabba, altri pensano che, ai tempi della fondazione, sia stato usato come meridiana e mia nonna preferisce dare credito a questa ultima storia, piuttosto che alle altre. La ritiene più colorita e meno vicino alla verità. E da quel giorno, dalla fondazione di Stone River's, nessun inquisitore ha mai messo piede nella nostra città. Nessun rogo, nessun' impiccagione e Willow rimane sigillata in quella pietra, con l'albero di mele a vegliarla. Nessuno ha mai tentato di liberarla...fino ad ora!


***


...anno 2014...


Un altro giorno, un'altra ora.

Ad ogni sorgere del sole segnava una tacca sul muro e, ormai, le pareti recavano solo quei segni. In quella cella aveva trascorso gli ultimi cinque anni.

Era un prigioniero, un traditore del suo sangue, un reietto che suo padre aveva deciso di rinchiudere in quel sotterraneo. Il suo unico collegamento con la superficie era una specie di buco sul soffitto dal quale poteva intravedere la luce del giorno.

Non aveva mai cercato aiuto, perché farlo? In fondo aveva rotto uno dei voti, si era innamorato di una strega, rifiutandosi di portare a termine il compito a lui assegnato. Connor aveva accettato quella prigionia e aveva lasciato che gli anni gli scorressero attorno, rimembrando il volto di Avalon e quel sorriso che l'aveva fatto innamorare. Non si era arreso, si era semplicemente lasciato andare alla corrente, in attesa della sua rivalsa.

In quei cinque anni suo padre non aveva mai messo piede nei sotterranei, mai una visita, mai una sola parola, solo la sua seconda moglie che cercava di strappargli informazioni riguardo le streghe Douglas.

Connor si lasciò andare contro la parete di pietra, osservando la porta che lo separava dalla libertà. Ogni tanto sentiva dei passi, poi qualcuno si affacciava alle sbarre di ferro della porta per vedere se era ancora vivo. Altre volte Ernest, il maggiordomo, gli faceva visita per assicurarsi che la sua mente fosse ancora lucida e in grado di ragionare.

Non si sarebbe fatto piegare dalla prigionia, teneva il cervello in allenamento quanto poteva, ricordando a memoria vecchie poesie apprese a scuola, ripetendo i significati delle parole ed i loro sinonimi. Allenava anche il corpo con flessioni e addominali, tutto pur di tenersi in forze e pronto per qualsiasi evenienza.

Poi, qualche giorno prima, Ernest gli aveva comunicato una notizia alquanto strana. Sembrava che suo padre, per mezzo della moglie, avesse dato ordine ad un altro cacciatore di recarsi a Stone River's per portare a termine quello che lui si era rifiutato di fare.

Pensava che quel compito fosse stato eseguito da anni, da quando era stato imprigionato. Forse c'era ancora speranza, forse Avalon non era morta e, lui, poteva porre rimedio ai suoi errori.

Così, nella solitudine della sua cella, aveva atteso, meditando un possibile piano di fuga e, finalmente, l'aveva trovato.






Angolo autrice:

nuova storia, nuovi misteri.

La storia qui sopra è nata dopo un attento esame di una mia vecchia fan fiction incompleta, Cursed Blood. Ho voluto riscriverla da capo, rendendola un'originale, quindi sarà completamente diversa, solo in alcune cose si rassomiglieranno.

In questo breve prologo siamo venuti a conoscenza di alcuni fatti passati e abbiamo conosciuto il personaggio di Connor. Nei prossimi capitoli conosceremo gli altri.

Stone River's è una cittadina inventata di sana pianta. Secondo la mia mente sorge sulla sponda nord del fiume Mystic, nello stato del Massachusetts, nella contea di Middlesex, poco distante dalla città di Medford.

Dovrei riuscire ad aggiornare ogni dieci giorni, spero di mantenere questo ritmo, ci tengo molto a questa storia!

Per chi volesse, questo è il mio gruppo su FB dedicato alle mie storie: Lettere d'Inchiostro, Parole d'Amore


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Capitolo 2
*** Cap. 1 ***




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Cap. 1

Douglas







Tutto quello che si poteva raccontare su Stone River's era poco più di una favola. Non c'erano molti turisti, solo qualche passante che, da Boston, era in viaggio verso Salem. Non era famosa, era una cittadina come tante, di noto aveva solo le mele.

Stone River's vantava floridi frutteti da secoli. Il primo melo era stato piantato pochi anni dopo la fondazione della città e, da allora, le mele erano diventate il simbolo della comunità. Era la famiglia Douglas a possedere i frutteti. Il sindaco della città non era altri che Siusan MacNeil Douglas, matriarca della famiglia e donna di ferro, come gli uomini l'avevano definita.

Le Douglas erano note per essere non solo le ultime discendenti delle cinque fondatrici di Stone River's, ma anche per essere una famiglia a struttura matriarcale. Erano le donne a comandare e a trasmettere il nome e, stranamente, i mariti o morivano oppure venivano estromessi tramite un divorzio.

Cosa strana per molti, ma per gli abitanti era un fatto comune. Stone River's era stata fondata da cinque sorelle a dispetto dei canoni dell'epoca, era come normale che a condurre la città, a distanza di secoli, fossero donne.

Il fatto curioso non era la struttura gerarchica o la scomparsa prematura dei mariti delle Douglas, ma la strana assenza di figli maschi. Nel corso dei secoli le donne Douglas avevano dato alla luce solo figlie femmine. Alcune voci maligne raccontavano di aborti volontari e uccisioni di neonati, ma nulla era vero. Chi conosceva la famiglia Douglas vedeva in loro solo semplici donne che gestivano una città e l'attività di famiglia: il frutteto.

Le mele erano l'oro di Stone River's. Il frutteto si estendeva per diversi acri e delimitava uno dei confini della città, oltre il quale c'era solo un bosco a separare Stone River's dalla statale. Al centro del frutteto sorgeva il primo albero di mele, piantato molti secoli prima e, proprio accanto ad esso, avvolto dalle radici sporgenti e dai rami dell'albero, si ergeva un masso riportante strane incisioni runiche. I braccianti quando vi passavano accanto facevano un segno di riverenza, come per salutare qualcuno. Si diceva che la pietra, alta quasi come un uomo, un tempo era stata utilizzata come altare o idolo da qualche strega; altri pensavano fosse una specie di monumento antico dedicato alle cinque fondatrici della città, i più scettici dicevano che, anticamente, quel masso era stato una meridiana. Non importava, i lavoratori del frutteto portavano rispetto sia verso il melo che verso la pietra, tanta era la suggestione che entrambi infondevano. Era proprio alle spalle di casa Douglas che quel frutteto tanto prezioso sorgeva e loro, le donne della famiglia, ne erano le custodi e proprietarie.

«Mammina, mammina!»

Ci si poteva confondere tra le risate dei bambini nel parco cittadino, ma Avalon riconosceva ovunque la vocetta squillante di sua figlia Cassandra. Aveva quattro anni, cinque ad ottobre, ma era un vero concentrato di energie e vivacità.

«Cassie, è ora di tornare a casa.» Ma la piccola non sembrava voler dare ascolto alla madre, troppo presa sull'altalena. «Sai che nonna Siusan odia i ritardatari!»

Cassandra sbuffò, dirigendosi verso la madre con il broncio. «Ma io voglio giocare!»

«É quasi il tramonto, cucciola, dobbiamo andare.» Avalon prese la figlia da sotto le ascelle, facendola sedere sul seggiolino posteriore della bicicletta, cominciando a pedalare verso casa.

Entrambe adoravano girare per la piccola cittadina in bici, soprattutto in primavera. Tra marzo e maggio Stone River's si trasformava in una specie di giardino fiorito, pieno di profumi e di colori. I glicini addobbavano il gazebo della piazzetta, le magnolie abbellivano i marciapiedi e i ciliegi profumavano il parco pubblico.

Era come tuffarsi in un mondo fatto di sole e felicità. Le giornate più lunghe, la vita che riprendeva come animata da una danza, gli animali che si risvegliavano dal letargo e gli stormi di airone azzurro tornavano per la stagione degli amori.

Con i capelli castani mossi dal vento e gli occhi pieni di meraviglia, Cassandra guardava il mondo con quel sorriso infantile e gioioso che non svaniva mai. Somigliava a sua madre, chiunque la guardasse per la prima volta vedeva in lei Avalon, gli stessi capelli, la stessa fossetta sul mento, il sorriso dolce, persino le mani dalle dita lunghe e affusolate. Solo gli occhi differivano da quelli della madre. Mentre Avalon possedeva iridi verdi dalle pagliuzze ambrate, tipiche delle Douglas, le sue erano castane scure, come le castagne. Erano gli occhi di suo padre, uomo che la piccola non aveva mai conosciuto.

Avalon suonò il campanello della bicicletta, avviandosi lungo il viale alberato che conduceva verso la residenza delle Douglas.

«Suonare quel campanello è una sorta di rito scaramantico?»

«Ciao zia Ellen» Avalon sorrise, alzando lo sguardo sulla donna dai capelli castani, in piedi, appoggiata alla balaustra del patio. «Che succede?»

«Tua nonna, alias mia madre, nonché sindaco, ha appena telefonato dal municipio, dicendo...anzi, ordinando, di andare a controllare al pietra.»

La giovane strabuzzò gli occhi, facendo scendere la figlia dalla bicicletta. «Ancora? Ci siamo state stamattina!»

«Dice di avere un cattivo presentimento.»

«Fammi indovinare, vuoi che ci vada io.»

«Sarebbe fantastico.»

Era sempre così. Ogni volta che bisognava andare alla pietra, Ellen si defilava; guardava gli altri con occhi imploranti, di quel verde tipico delle Douglas, e se ne andava lasciando ad altri il compito.

«Posso venire anch'io, mammina?» cantilenò Cassandra, dondolandosi in avanti.

Avalon sospirò, raccogliendo i capelli in una coda bassa, per poi prendere per mano la figlia e avviarsi verso il frutteto. Adorava camminare tra i meli, ma ogni volta che si avvicinava alla pietra sentiva quello strano senso di angoscia e terrore che le ricordava chi era stato sigillato in quel masso.

Se Siusan aveva uno strano presentimento, bisognava darle retta. Era la matriarca, ma prima di tutto la strega più potente della famiglia, non si poteva passare oltre le sue sensazioni. Avvolta dalle radici e dal tronco del grande melo, l'albero di Deana, la roccia si ergeva al centro del frutteto, cupa e imponente. A volte, quando le si avvicinava, era come se dei sussurri provenissero da essa, come un richiamo, una specie d'invocazione arcana e misteriosa. Non sempre avveniva, ma quando Avalon avvertiva quelle voci, percepiva uno strano senso di potenza e oscurità. Era il motivo primario per cui sua zia le stava alla larga, il monolito sapeva corrompere l'animo umano, o forse era meglio dire che la strega sigillata al suo interno ne era in grado.

Quando era piccola sua nonna le aveva raccontato di come Willow fosse in grado di risvegliare il lato oscuro di ogni uomo, corrompendolo e portandolo a commettere atti di assoluta malvagità. Se le sue antenate non fossero riuscite a sigillarla, probabilmente la strega oscura si sarebbe fatta strada nel mondo, distruggendo tutto il buono che esisteva.

«Tu resta qui.» Con passo incerto, le girò attorno, tenendo la figlia a debita distanza. Sembrava tutto normale poi, qualcosa attirò l'attenzione di Avalon. Uno strano bagliore proveniente da una piccola crepa sulla superficie liscia.

«Che cosa vuol dire, mammina?»

«Non lo so, Cassie, ma sono certa che non è nulla di buono» disse Avalon, guardando con terrore quella spaccatura. «Andiamo a dirlo alla nonna.»


***


Connor aveva atteso per anni di riabbracciare Avalon, di rispecchiarsi in quegli occhi verdi e brillanti. Aveva sognato il suo volto ovale con la fossetta sul mento, i capelli castani e mossi, il suo sorriso così dolce e amorevole. Aveva aspettato.

La fuga dalla sua cella non era stata facile; aveva utilizzato una forchetta, piegata e rimodellata, non sapeva quanti tentativi era stato costretto a fare, per riuscire ad aprire la porta, ma alla fine ce l'aveva fatta. Con il favore della notte era sgattaiolato fuori dalla sua prigione, muovendosi silenziosamente e sempre con la schiena contro le pareti di pietra. Grazie al maggiordomo, l'unico di cui si fidava, aveva eluso la sorveglianza, rubando una delle tante auto del padre e recuperato alcuni suoi abiti, fuggendo finalmente dalla villa. Appena fuori Salem aveva abbandonato l'auto e preso l'autobus per Stone River's.

Aveva fantasticato sui modi di avvicinare Avalon, una volta giunto in città, ma quando l'aveva vista in sella alla sua bicicletta, sorridente come sempre, era rimasto in disparte, preferendo seguirla.

Le era stato alle costole, non troppo vicino per non farsi scoprire, ma mai si sarebbe aspettato di vederla insieme ad una bambina. In un primo momento aveva immaginato fosse la figlia di Ellen o di Lauren, ma poi la piccola aveva chiamato Avalon “mammina” e il suo cuore si era fermato.

Lei era andata avanti, si era rifatta una vita, ma con chi? Poi la sua mente aveva iniziato quel ragionamento matematico che l'aveva portato a calcolare gli anni della bambina, Cassie l'aveva sentita chiamare. Doveva avere poco più di quattro anni e lui aveva lasciato Avalon cinque anni prima.

Sdraiato sul letto della stanza che occupava del bed and breakfast, osservò la fotografia di lui ed Avalon, scattata sotto il gazebo la settimana prima della sua dipartita. Guardò quella foto, sfiorandone la superficie. Cassie somigliava incredibilmente ad Avalon, ma erano gli occhi che l'avevano portato a fare quel ragionamento. Occhi di un castano scuro, come le castagne che sua madre raccoglieva per lui il giorno di Halloween.

Se i calcoli erano giusti, Cassie doveva essere nata pochi mesi dopo la sua partenza e, questo, poteva voler dire solo una cosa: era sua figlia.


***


«Ne sei sicura?» Lauren guardò la figlia preoccupata, sperando che si fosse sbagliata, ma Avalon era seria. Quando Siusan aveva chiamato dal municipio, aveva pensato alle sue solite manie di controllo, ma Avalon aveva visto la crepa e ciò non prometteva nulla di buono.

«Il sigillo si sta indebolendo.» Ellen si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, guardando la nipote preoccupata. «Nostra madre aveva ragione.»

«Avevo ragione riguardo a cosa?» Siusan entrò in cucina, posando la borsa sul tavolo e guardando le tre donne di fronte a lei. «Ebbene?»

Possedeva un portamento quasi regale, sempre con lo sguardo arcigno e freddo, come se stesse sul punto di rimproverare qualcuno. Era una donna caparbia, spietata, calcolatrice e potente, dall'aspetto nordico reso più evidente dai capelli biondi, proprio come la figlia maggiore. Siusan MacNeil Douglas era la matrona della famiglia, una tra le streghe più potenti del mondo e quando entrava in una stanza era come se quella forza interiore, quei poteri, irradiassero dal suo corpo rendendola maestosa. Per fortuna nessuno sapeva che le streghe esistevano veramente, altrimenti chiunque si sarebbe fatto di lato al suo passaggio.

«Sono stata alla pietra poco fa» cominciò Avalon. «C'era una crepa, piccola, ma c'era.»

Il volto severo di Siusan si contrarre in un'espressione di preoccupazione e allerta, mentre spostava lo sguardo sulla figlia maggiore. «Stamattina non c'era?»

Lauren negò col capo. «E neanche nel primo pomeriggio.»

«Il sigillo si sta indebolendo» disse Siusan, accendendosi una sigaretta. «Se quella crepa si allargasse...»

«Lo sappiamo, madre, Willow potrebbe liberarsi.»

«E con lei tutte le forze oscure che le cinque matriarche hanno imprigionato in quella pietra maledetta» disse a denti stretti Siusan, arricciando le labbra. «Il male dilagherebbe e il mondo che noi conosciamo finirebbe per sempre!»

Ellen sentì un brivido correrle lungo la schiena. Willow Corey, di tutte le streghe che il mondo avesse visto, lei era la più potente e la più spietata. Ricordava le storie che sua nonna le raccontava da bambina, storie di oscurità e sangue. Si diceva che Willow fosse sulla terra da molti secoli, quando le matriarche Douglas giunsero a Stone River's. Si diceva che avesse il corpo glabro e coperto di segni, alcuni scritti la descrivevano come un mostro assetato di sangue, ma sapeva che le storie spesso venivano travisate e riscritte nel corso degli anni, ma di una cosa era certa, Willow era una strega oscura dai poteri troppo grandi per essere uccisa senza complicazioni. Deana Douglas, la madre delle cinque matriarche, era morta nel tentativo di sigillarla e, le sue figlie, furono maledette.

«E se fosse la luna di sangue?» domandò all'improvviso una voce alle loro spalle. In piedi sulla porta della veranda, Phoebe le stava fissando impaurita, stringendo sotto il braccio la cartelletta del corso di arte.

Lauren deglutì, la figlia più giovane aveva menzionato l'evento che ogni strega temeva o attendeva con impazienza. «Non può essere!»

«Ma potrebbe» disse la ragazza, avanzando verso il tavolo, aprendo la cartelletta e mostrando uno dei disegni. «Questo l'ho disegnato stamattina, appena sveglia. All'inizio è stato come se a guidare la mia mano fosse una forza superiore, poi ho capito che non era la prima volta che lo sognavo.»

Avalon deglutì, sbarrando gli occhi a quella vista. Una luna rossa come il sangue spiccava in un cielo notturno senza stelle e, illuminata dalla luce scarlatta, la pietra di Willow spaccata a metà e l'albero di mele sanguinante. I sogni profetici di sua sorella non sbagliavano mai e se lei aveva visto il futuro, quello che si prospettava era una vera e propria apocalisse.


***


La notte doveva portare consiglio, secondo il vecchio detto, ma quello che portava con sé non era altro che il timore di una guerra e la consapevolezza della fine di un'epoca di pace.

Gli occhi di Willow apparsi come una visione nel fuoco, la luna di sangue nei sogni di Phoebe, quel senso d'inquietudine, tutto faceva presupporre ad una tempesta di arrivo. Siusan sentiva e sapeva che tutto stava per cambiare, quella pace ottenuta con il sacrificio presto sarebbe finita nel sangue e nella guerra che le sue antenate avevano già combattuto.

In piedi sul balcone della sua camera, poteva vedere la cupola del municipio cittadino, la torre dell'orologio e gli ettari di foresta che circondavano metà Stone River's. Dalla villa poteva sentire perfino lo scrosciare le fiume Mystic, ma per lei gli occhi non servivano, lei vedeva con la mente, con l'istinto, non c'era nulla che poteva sfuggirle. Come un falco lei scrutava e attendeva.

Poi guardò verso il frutteto, osservando l'oscurità avanzare con passo lento, l'incedere di quella malvagità antica e lontana. La foresta, custode di antichi e immemori segreti, brulicava di verità nascoste. Le vie vecchie urlavano ancora i nomi delle vittime innocenti di Salem che loro non avevano dimenticato; ciò che aveva portato a quelle morti si stava risvegliando, più forte e infuriato che mai, portando con sé l'oscurità e le tenebre. Un'antica forza voleva tornare per rivendicare ciò che non era suo, e Siusan avrebbe combattuto, era pronta al sacrificio per proteggere quel segreto e la sua famiglia.

Alzò lo sguardo ed i capelli biondi vennero sferzati da una folata di vento gelido. «Che gli dei ci proteggano!»


***


La luna di sangue. Avalon non ne aveva mai vista una. Gli studiosi chiamavano con questo nome il fenomeno dell'eclissi di luna, poiché il satellite si tingeva di rosso. Un evento usuale, ma quella a cui si riferiva sua sorella Phoebe non era la luna rossa, bensì era un evento astronomico molto raro, durante il quale la luna non solo diveniva scarlatta, ma entrava in allineamento con il pianeta saturno, proiettando sulla terra una luce talmente nefasta da nascondere le stelle. Gli astronomi non riuscivano a spiegarsi un tale fenomeno, talmente raro e poco documentato, l'ultima si era verificata nel 1693 e, da allora, non era più accaduto.

Non era ciclico, a volte trascorrevano cento anni, altre cinquecento dall'ultima luna di sangue, ma di una cosa le streghe erano certe: il fenomeno rendeva i poteri più forti e le streghe oscure ne approfittavano per lanciare i loro malefici sul mondo. Fu durante una luna di sangue che Willow venne sigillata nella pietra, poco prima che riuscisse nel suo intento di dominio e oscurità.

Avalon si strinse nello scialle, rientrando in camera e chiudendo la finestra che dava su uno dei balconi, sentendo i piccoli passi di Cassandra correre per il corridoio. La porta si aprì lentamente e la testolina castana della figlia fece capolino timidamente.

«Ti ho messa a letto un'ora fa!»

Cassandra si dondolò sui piedi, tenendo le mani dietro la schiena. «Le mie trecce si sono disfate.»

Con un sospiro rassegnato, Avalon fece segno alla figlia di sedersi sul letto. Ogni sera le intrecciava i capelli prima di andare a dormire e sua figlia non era di certo una bambina tranquilla, aveva il sonno agitato e si muoveva come una trottola, era naturale che le trecce si disfassero, ma solitamente Cassandra si addormentava subito e si risvegliava solo la mattina seguente.

Iniziò a rifarle le due trecce, canticchiando la ninna nanna che, a suo tempo, sua madre aveva cantato a lei. Era così dolce e innocente, avrebbe voluto metterla sotto ad una teca di cristallo, lontana dal mondo e dal male, ma non era possibile.

«Perché il mio papà non è qui?» domandò all'improvviso Cassandra, facendo sussultare Avalon. «É per colpa della maledizione?»

«Chi ti ha detto questo?» Non aveva mai parlato a sua figlia della maledizione, del pesante fardello che le streghe Douglas portavano, tanto meno del perché suo padre non era lì a crescerla insieme a lei.

«Ho sentito zia Ellen dire a nonna Lauren che tu e la nonna siete state fortunate. Diceva che se non aveste mandato via il papà ed il nonno anche loro sarebbero morti come tutti gli altri.»

Peccato che non era stata lei a mandare via Connor. Era stato lui ad andarsene senza dirle nulla, senza un biglietto, senza una motivazione. A differenza di suo padre, Connor non sapeva della maledizione o che lei fosse una strega. Lui era all'oscuro di tutto. Magari se n'era andato perché aveva scoperto la verità, potevano esserci svariati motivi, ma una parte di lei era grata della sua dipartita, almeno era vivo, salvo, da qualche parte. Non aveva avuto il tempo d'innamorarsi e questo era un bene.

Sua madre aveva agito in modo diverso. Lauren aveva cacciato di casa Marcus quando era incinta di Phoebe. A dirla tutta, aveva lasciato che fosse Siusan a mandarlo via, ma era stata lei a scegliere di allontanarlo da Stone River's. Si stava innamorando di lui e non poteva permettersi di perderlo. Chissà dov'erano adesso, suo padre e Connor.

«Purtroppo, piccola mia, tuo padre è andato via prima di sapere che ti aspettavo. La maledizione non perdona ed io non potevo permettermi di soffrire.» Mentì. Non sapeva perché, ma mentì. Dire a sua figlia che il padre se n'era andato per sua scelta poteva spezzarle il cuore e non voleva. Non poteva.

Connor forse un giorno sarebbe tornato, oppure no, ma in qualsiasi circostanza, lei non voleva più vederlo. Non perché aveva scelto la fuga, ma per i suoi sentimenti, per quell'amore che lei avrebbe provato rivedendolo e che, se fosse rimasto, l'avrebbe portato alla morte certa.

Amare un uomo voleva dire ucciderlo e lei non voleva macchiarsi le mani del sangue di un innocente.












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Capitolo 3
*** Cap. 2 ***




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Cap. 2

The Stone






Oscuro è il cuore della strega

che di sangue grondano le mani.

Maledetta è la sua tomba di pietra

su cui nessuno si reca a pregare.

Il suo dominio di terrore e morte

le cinque streghe hanno fermato

e Stone River's liberato.

Ora giace nella fredda pietra

ma se la luna di sangue sorgerà

la strega sorella giungerà per liberarla.

Una vita per una vita

Un'anima per un'anima

Le Tenebre caleranno,

dal fiume la nebbia si alzerà,

antichi nemici diverranno amici,

e quando sorgerà la luna di sangue,

nessuno sarà più al sicuro.





Aveva sempre pensato di poter vivere tranquillamente, di andare avanti senza eventi rilevanti, di crescere sua figlia in un mondo tranquillo e pacifico.

Vane speranze.

Il risveglio non fu dei migliori. Dopo una notte passata ad osservare il soffitto, andando avanti e indietro per il corridoio, passando dalla sua stanza a quella di Cassandra per controllare che dormisse, Avalon si rese conto che sperare non portava a nulla.

In piedi, attorno alla pietra, Avalon, Phoebe, Ellen, Lauren e Siusan osservavano il monolito con preoccupazione e timore. La crepa si stava allargando e potevano chiaramente sentire il potere di Willow al suo interno. Il melo di Deana stava lentamente appassendo, come se improvvisamente fosse arrivato l'autunno.

«Non so voi, ma stare qui davanti a fissarla mi mette a disagio!» esclamò Ellen smorzando la tensione.

Phoebe continuava a giocherellare con una ciocca di capelli biondi, cercando di capire cosa fare. Ma come poteva? Aveva solo diciotto anni, era una ragazza che voleva semplicemente vivere la sua vita e divertirsi, non pensare alle sorti del mondo e al suo ingrato compito di guardiana di una tomba. «Io vado, farò tardi a lezione!»

«Forse nel grimorio c'è qualcosa.» Avalon l'aveva detto per dare una speranza, ma sapeva anche lei che il grimorio, per quanto antico, non conteneva nulla, nemmeno un incantesimo che potesse tornare utile a quella situazione.

«E se tentassimo di guarire l'albero?» domandò Lauren, ma Siusan la guardò con sguardo ammonitore. No, qualsiasi ipotesi era da scartare.

Poi Avalon ricordò un racconto, una specie di filastrocca che la sua bisnonna le aveva cantilenato da bambina. «Se la crepa è comparsa, può darsi che qualcuno stia cercando di liberare Willow, qualcuno fuori dalla città che non ha ancora abbastanza potere per riuscirci.»

«Cosa?»

«Ma se la luna di sangue sorgerà la strega sorella giungerà per liberarla.» disse Avalon. «La filastrocca di nonna Charlotte!»


***


Seduto al bancone del bar, con la visiera del cappellino abbassata quanto bastava per vedere, Connor beveva piccoli sorsi del whiskey che aveva ordinato. Osservava la vita scorrere tranquillamente, in attesa del momento giusto per fare la sua mossa.

Poteva andare da Avalon subito, parlarle, cercare di dirle la verità, ma come poteva sperare che lo perdonasse? Era un cacciatore di streghe che aveva tradito il giuramento fatto innamorandosi di una strega. Come avrebbe reagito lei una volta venuta a conoscenza del vero motivo che l'aveva spinto a lasciarla?

E sua figlia?

«Siamo in una piccola città, credevi davvero di poterti nascondere tanto a lungo?»

Quella voce. Connor sorrise, senza nemmeno voltarsi, ascoltando lo scampanellio dei bracciali di Ellen. «Come lo sapevi?»

Ellen fece spallucce, sedendosi accanto a lui. «Te l'ho detto, è una piccola città.»

«Avalon lo sa?»

«No, non le ho detto nulla. Abbiamo altro a cui pensare.»

Ellen era la figlia minore di Siusan. Avalon l'adorava, spesso la definiva la sua confidente, forse per il fatto che più di una zia, Ellen si comportava più come amica che come parente.

Aveva gli occhi sempre contornati dall'eyeliner nero, come se volesse farli sembrare più sottili, quasi da gatto. Portava bracciali con charmes tintinnanti e collane lunghe con ciondoli grandi. Era strana, se la si giudicava solo dalle apparenze, ma aveva un cuore grande.

Ellen aveva perso il fidanzato pochi giorni prima del matrimonio, morto in un incidente stradale mentre la raggiungeva per le prove della cena di nozze. Un tragico incidente che le aveva spezzato il cuore. Peccato, perché aveva solo trentasei anni ed era una bella donna, meritava di essere felice.

Quando era arrivato a Stone River's, cinque anni prima, aveva fatto ricerche sulle Douglas, frequentando Avalon aveva scoperto i poteri di tutte le streghe della famiglia. Se ricordava bene, Ellen era una medium in grado di manipolare i fulmini a suo piacere e con sensi psichici acuti, forse perfino sensitiva, ma non ne era certo. Lauren, la madre di Avalon e Phoebe, poteva manipolare i ricordi delle persone, perfino prenderne il controllo e far fare ciò che più preferiva, poteva anche leggere il pensiero e spostare gli oggetti con la forza del pensiero. Avalon, la sua Avalon, era in grado di controllare gli elementi naturali, una medium e una sensitiva capace di prevedere il futuro, proprio come sua sorella Phoebe che era anche una telecineta. Era Siusan quella da temere, la strega che, non solo possedeva molti più poteri delle altre, ma poteva trasferire il suo spirito in altri corpi, perfino varcare le soglie del mondo degli spiriti, suo padre pensava perfino che fosse in grado di riportare in vita i morti, ma quelle erano solo voci, non c'erano vere e proprie prove a riguardo.

«Perché sei tornato, anzi, perché te n'eri andato?»

«Storia lunga, Ellen.»

«Se sei qui per recuperare il rapporto, ti do un consiglio» disse Ellen, alzandosi dallo sgabello. «Vattene finché sei in tempo!»

Minaccia o avvertimento?

«E se ti dicessi che so tutto sulle streghe Douglas?»

Ellen si bloccò all'istante, guardando Connor posare lentamente il bicchiere sul bancone. «Non so di cosa tu stia parlando.»

«So che siete streghe, tutte quante. So che avete un segreto legato ad una strana pietra nel frutteto.»

«Abbassa la voce.» Ellen si guardò attorno, cercando di decidere il da farsi, ma la realtà era che Connor l'aveva sorpresa. Doveva agire, ma come? «Chi sei?»

«Il mio nome non è Connor Reynolds e non sono nato a Boston.»

«Vuoi dirmi il tuo vero nome, oppure preferisci che ti faccia seriamente del male?»

«Connor Wolf, di Salem.»

La famiglia Wolf di Salem, la più temuta famiglia di cacciatori di streghe del Massachusetts, erano i diretti discendenti di Cotton Mather, uno degli inquisitori di Salem che per poco non prese le sue antenate. Perché diavolo gli stava dicendo tutto questo?

Ellen si sentì gelare il sangue; per la prima volta nella sua vita si trovava di fronte ad un cacciatore di streghe. «Chi è tuo padre?»

«Jeffrey Solomon Wolf.»

Il cacciatore per eccellenza. Il flagello delle streghe. Jeffrey Solomon Wolf era un uomo senza pietà e senza coscienza; aveva ucciso centinaia di streghe senza lasciare tracce, si diceva ne collezionasse gli occhi per puro vanto. Se il figlio sapeva di loro, allora voleva dire che erano finite.

«Prima che tu scappi, voglio solo dirti che non sono qui per uccidervi.»

«No? Sei qui per il the delle cinque?»

«Sono qui per aiutarvi. Mio padre manderà altri cacciatori ad uccidervi. Dovevo farlo io cinque anni fa, ma non ce l'ho fatta.»


***


Lo chiamavano “Scrigno dei ricordi”. Era una semplice scatola di legno finemente lavorata, con incisioni runiche ed il marchio delle antenate sul coperchio. Era stata intagliata in un pezzo di frassino e resa impossibile da aprire tramite la magia.

Lauren ne teneva in mano uno. Era stata sua madre a crearla per lei quando, anni prima, aveva capito che il suo cuore stava iniziando ad amare Marcus. L'aveva supplicata di aiutarla, non poteva permettere che il marito morisse, non voleva soffrire, non voleva che la maledizione portasse alla morte un uomo innocente.

Così Siusan aveva creato quello scrigno, relegando al suo interno tutti i ricordi belli, tutte le emozioni ed i sentimenti di Lauren per Marcus. Aveva funzionato.

Il giorno dopo era stata la stessa Siusan ad allontanare l'uomo ed imporgli il divorzio. Era stata dura? Non lo ricordava, perché ogni sentimento provato per lui era chiuso in quella scatola magica.

Almeno era salvo.

Lauren aveva sacrificato l'amore per suo marito pur di saperlo vivo. L'aveva fatto cacciare, allontanato, facendogli credere che per lei era stato solo un mezzo per generare una nuova stirpe di streghe, ma non era così.

Seduta sulle sponde del fiume Mystic guardava la superficie dello scrigno. Era stata così speranzosa il giorno delle sue nozze, aveva scelto di rischiare, sicura di poter trovare un modo per aggirare la maledizione, ma niente, nemmeno il sacro grimorio, il ricettario che le sue antenate avevano scritto nel corso dei secoli, era servito a qualcosa. Se lei si fosse lasciata andare all'amore, suo marito sarebbe morto prematuramente.

Non era stato facile prendere quella decisione, ma alla fine aveva scordato tutto. L'amore, la felicità, i bei momenti, a stento ricordava cosa aveva provato per lui, c'erano solo i sentimenti per le sue figlie, nient'altro.

Lo Scrigno dei Ricordi. Sua madre ne aveva uno identico. L'aveva creato il giorno dopo la morte di Peter, suo marito, il padre delle sue due figlie. A differenza dello scrigno di Lauren, quello di Siusan serviva per contenere il dolore e l'amore. Perdere il marito era stato devastante per lei, un vero e proprio colpo al cuore. Lo Scrigno l'aveva aiutata a dimenticare tutto. In quella scatola di legno aveva relegato ogni singolo ricordo, ogni sentimento, ogni minima traccia di Peter e, questo, l'aveva resa la donna fredda e spietata che tutti conoscevano.

Non era sempre stata così, c'era stato un tempo in cui Siusan aveva amato talmente tanto da soffrirne, ed era stata una donna affettuosa, amorevole, soprattutto con Lauren ed Ellen. Ma la morte di Peter le aveva portato via quella voglia di vivere e, per superarlo, aveva scelto di chiudere tutto nello Scrigno.

La maledizione non perdonava e loro dovevano imparare a conviverci.

«Cosa succederebbe se tu l'aprissi?»

Lauren si voltò, scostando una ciocca di capelli biondi dalla fronte per vedere meglio sua sorella Ellen avanzare verso di lei.

«Marcus morirebbe, perché io tornerei ad amarlo.»

«Beh, non saresti l'unica vedova di questa famiglia» disse Ellen con amarezza, sedendosi accanto alla sorella.

«Sai che puoi chiedere a nostra madre di creare uno scrigno anche per te.»

«No, io voglio ricordare Thomas, voglio ricordare tutto l'amore che ho provato per lui e tutta la felicità che mi ha donato.» Ellen aveva perso l'amore della sua vita, ma aveva scelto di soffrire e ricordare. «Abbiamo un problema.»

«Cacciatori?»

«Peggio» disse Ellen. «Jeffrey Solomon Wolf.»

Lauren non aveva l'aria stupita, del resto leggeva il pensiero, aveva già compreso cosa passava per la testa della sorella. «E Connor? Credi che lascerà Stone River's?»

«No, a quanto pare ama la nostra Avalon e non se ne andrà senza prima averle parlato e combattuto per lei.» Ellen alzò gli occhi al cielo. «Uomini!»


***


«Credi sul serio che possa tornare?» Phoebe osservava la lezione di danza, disegnando le figure delle ballerine alla sbarra. Avalon la lasciava assistere alle lezioni che teneva per le ragazzine e sfruttava l'occasione per ritrarre le adolescenti nelle loro pose tirate, un ottimo esercizio.

Avalon fece spallucce, tenendo sotto controllo i movimenti delle sue allieve, lasciandosi trasportare dalla musica di Tchaikovsky. «Non lo so, ma quella crepa è preoccupante e l'albero sta' appassendo.»

«Per non parlare delle mie visioni, sono sempre più forti ed oggi ne ho avuta una ad occhi aperti!»

Phoebe somigliava molto alla madre, stessi occhi verdi e capelli biondi, pelle diafana e delicata, ma c'era qualcosa in lei, nel suo sguardo, che ricordava ad Avalon il padre. «Quando parli così sembri papà!»

«Peccato che non ho idea di come sia o dove sia.»

«Meglio sapere che è vivo, piuttosto di saperlo morto, non credi?»

Phoebe sbuffò, riponendo i fogli e il carboncino, alzando lo sguardo sulla sorella. Era pronta a ribattere, ma quando vide gli occhi di Avalon si fermò. Era dolore quello che vi leggeva, rabbia e disperazione. Non si stava riferendo solo al padre, ma anche a Connor. «E se ci fosse un modo?»

«Un modo per impedire a Willow di tornare?»

«No, un modo per spezzare la maledizione. Il grimorio delle antenate contiene talmente tanti incantesimi, alcuni in una lingua sconosciuta, magari c'è anche la soluzione.» Phoebe si alzò, prendendo il braccio della sorella. «Potremmo porre fine a questa sofferenza, a queste morti.»

«Credi che nonna Siusan non ci abbia già provato?» Avalon si liberò della presa di Phoebe, cercando di tenere un tono basso. «Abbiamo scandagliato il libro, carattere per carattere, ma nessuna delle nostre antenate ha mai trovato un incantesimo o un modo per aggirare la maledizione. Siamo condannate alla sofferenza eterna, ad innamorarci per poi vedere morire gli uomini da noi amati.»

La musica finì e Avalon dovette tornare alla realtà, fingendo che nulla stesse accadendo, che il dolore che provava era solo un pallido miraggio. Batté le mani, annunciando la fine della lezione. Attese che le sue allieve uscissero, cominciando a racimolare la sua roba. «Fattene una ragione Phoebe, e prima che tu te ne accorga riuscirai a chiudere il tuo cuore all'amore» disse, prendendo le sue cose e lasciando l'aula.

«E diventare una senza cuore come le donne della nostra famiglia?» urlò Phoebe, ma ormai Avalon era già uscita.

C'era stato un tempo in cui sua sorella aveva amato, il suo sorriso era stato diverso, più solare e contagioso; ora, dietro quegli occhi, nascondeva il dolore di essere sola. Connor se n'era andato e, per fortuna, l'aveva fatto di sua spontanea volontà, senza che fosse Avalon a cacciarlo. Non le aveva dato il tempo d'innamorarsi di lui, ma le aveva spezzato il cuore. Forse un bene, dato che il sentimento di affetto era stato eclissato dalla rabbia e dall'abbandono. Aveva concentrato tutte le sue energie e le sue attenzioni verso Cassie, dimenticandosi di Connor e della felicità provata con lui. Non aveva rinchiuso il suo ricordo come sua madre aveva fatto con quello di Marcus, ma aveva semplicemente tramutato qualsiasi sentimento positivo verso l'amato in un sentimento negativo e corrosivo, corroborando tutte le altre emozioni per offuscare qualsiasi minima fiaccola di amore. Il tutto per mantenere in vita un uomo che l'aveva lasciata da sola con una figlia da crescere.

Ci doveva essere un modo per impedire tutto questo, per dare alle donne della sua famiglia quella felicità che meritavano. Amare per poi soffrire, era la maledizione della Douglas, la loro croce e, presto, sarebbe stata anche la sua. No, lei non voleva soffrire come sua zia Ellen, non voleva rinchiudere i suoi sentimenti in una scatoletta di legno come sua madre e sua nonna, diventando fredda e priva di sentimenti positivi. Lei voleva amare, voleva sentirsi le farfalle nello stomaco, sposarsi, avere dei figli ed invecchiare con l'uomo della sua vita, ma sapeva che era tutto impossibile.

Senza rendersene conto giunse a casa, addentrandosi nel frutteto. Era di fronte alla pietra e la crepa sembrava più grande rispetto a quella mattina.

«É tutta colpa tua» disse, guardando attentamente quel monolito maledetto, la tomba che ospitava l'anima di colei che continuava a causare così tanto dolore alla sua famiglia anche dopo secoli dalla sua morte. «Mi hai sentita? Io ti odio!» urlò, avvertendo la rabbia montarle in corpo. «Hai rovinato le nostre vite!»

Afferrò un sasso a terra, alzando il braccio sopra la sua testa, era pronta a tirarlo, ma qualcuno le prese il polso, impedendole di lanciare la roccia e distruggere la tomba. Vide i simboli incisi sul tronco del melo illuminarsi, mentre si voltava per guardare in faccia colui che l'aveva fermata. «Connor!»







Angolo autrice

Eccomi di ritorno, scusate l'attesa.

In questo capitolo scopriamo qualcosa di più, conosciamo meglio il personaggio di Phoebe e Lauren, abbiamo un quadro della situazione di famiglia e apprendiamo altre informazioni su Connor e chi è in realtà. Ma la domanda vera è: perché i simboli sull'albero si stanno illuminando?

Altre domande le cui risposte arriveranno col tempo!

Vi lascio a questo capitolo che, spero, sia stato di vostro gradimento!



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