Remember me

di _Trilly_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio di tutto ***
Capitolo 2: *** Il ritorno di Diego ***
Capitolo 3: *** Incontri e scontri ***
Capitolo 4: *** Aldilà delle apparenze ***
Capitolo 5: *** Leon Vargas ***
Capitolo 6: *** Questione di scelta ***
Capitolo 7: *** Elettricità ***
Capitolo 8: *** Testa o cuore? ***
Capitolo 9: *** Le strade si dividono ***
Capitolo 10: *** Eclissi del cuore ***
Capitolo 11: *** Sogni e frantumi ***
Capitolo 12: *** Mai arrendersi ***
Capitolo 13: *** Diego e Leon: i rubacuori incalliti ***
Capitolo 14: *** Everytime we touch ***
Capitolo 15: *** Open the eyes ***
Capitolo 16: *** Lì dove batte il cuore ***
Capitolo 17: *** Istinto ***
Capitolo 18: *** Amare conseguenze ***
Capitolo 19: *** Importanti decisioni ***
Capitolo 20: *** Salto nel vuoto ***
Capitolo 21: *** I complotti di Marco e Lena ***
Capitolo 22: *** Fuoco e fiamme ***
Capitolo 23: *** Troppo buono ***
Capitolo 24: *** Tempesta ***
Capitolo 25: *** Non è mai un errore ***
Capitolo 26: *** Euforia ***
Capitolo 27: *** Promesse d'amore ***
Capitolo 28: *** Buoni propositi ***
Capitolo 29: *** Non mollare mai ***
Capitolo 30: *** La magia dell'amore ***
Capitolo 31: *** Venezia ***
Capitolo 32: *** Ombre dal passato ***
Capitolo 33: *** Brividi ***
Capitolo 34: *** Brutti presentimenti ***
Capitolo 35: *** I fantasmi di Angie e Leon ***
Capitolo 36: *** Un pò di noi ***
Capitolo 37: *** Lui ***
Capitolo 38: *** Remember me ***
Capitolo 39: *** Juntos somos mas ***
Capitolo 40: *** Confrontarsi con la realtà ***
Capitolo 41: *** Attimi ***



Capitolo 1
*** L'inizio di tutto ***





Quel giorno in casa Galindo, fervevano i preparativi per il ritorno di Diego. Pablo e Angie, genitori del ragazzo, non facevano altro che andare avanti e indietro, mentre Marco, il loro figlio minore, li osservava oltre un voluminoso volume, scuotendo il capo.
“Pablo, passami quel centrotavola,” disse Angie, che al contempo spolverava i mobili con un piumino per la polvere. “Marco, non sei ancora andato a cambiarti?” Aggiunse, notando il figlio seduto sul divano con il libro scolastico tra le mani.
“Già,” convenne Pablo, aiutando la moglie a sistemare centrini e soprammobili. “Sei già uno studente modello, non hai bisogno di studiare tanto.”
Marco sospirò, chiudendo il libro. “Lo so, però preferisco lo studio a due minuti in compagnia di Diego. Come potete davvero pensare che sia cambiato? Quelli come lui non cambiano,” aggiunse, fiondandosi in camera sua e sbattendo la porta.
Pablo scrollò le spalle, sedendosi sul divano e prendendosi il volto tra le mani. “Spero davvero che Marco non abbia ragione, ho bisogno di credere che Diego sia cambiato.”
Angie annuì, affiancandolo e stringendogli una mano. “Lo hai visto anche tu com’era pentito, diamogli fiducia, lui ha bisogno di noi.”
“Hai ragione,” sospirò l’uomo. “È nostro figlio e se non lo aiutiamo noi, chi può farlo?”
“Sai, mi aspettavo che ci odiasse per averlo lasciato chiuso un anno intero in carcere,” ammise la bionda con un sorriso amaro. “È sempre stato così difficile comunicare con lui e più volte mi sono chiesta dove avessimo sbagliato, ma ogni volta che siamo andati a trovarlo l'ho visto sempre meglio e… credo davvero che abbia messo la testa a posto.”
Pablo sorrise, accarezzandole dolcemente il capo. “Ce la faremo Angie, vedrai. Quel Leon dovrà stare dentro ancora un anno e nel frattempo, saremo già riusciti a riportare Diego sulla giusta strada. Quello che è successo, sarà solo un lontano ricordo.”
“Lo spero Pablo, lo spero.”
Le loro menti andarono inevitabilmente a un anno prima, quando Diego e Leon erano stati arrestati per il furto di una motocicletta, l’ennesimo di quell’anno e se la pena per il giovane Galindo era stata solo di un anno, dovevano ringraziare un buon avvocato e le molte conoscenze che un uomo rispettabile come Pablo aveva. Tra l'altro appunto Diego era un ragazzo di buona famiglia e non aveva fatto nulla di irrimediabile, quindi era stato possibile ridurre la pena, a differenza di Leon Vargas che invece sarebbe stato dentro per parecchio. Il messicano infatti, aveva una fedina penale già abbastanza sporca da numerosi precedenti e nemmeno la sua famiglia vantava una buona fama. Quando Pablo e Angie avevano scoperto che il ribelle figlio frequentasse proprio un Vargas, per poco non gli era venuto un colpo. Diego già di suo era una pecora nera, se poi si accompagnava con un delinquente, si otteneva una bomba ad orologeria parecchio letale. A nulla erano serviti i rimproveri e le punizioni, Diego aveva continuato quell’amicizia pericolosa e si era messo nei guai così tante volte che ormai avevano perso il conto. Pensavano che costringerlo a frequentare lo Studio, accademia di musica dove Pablo era direttore e coreografo e dove Angie insegnava canto, li avrebbe aiutati a tenerlo sotto controllo e invece il ragazzo aveva lo stesso conosciuto Vargas e da ribelle era diventato anche un bullo e un delinquente. Speravano ora che quell’anno di carcere fosse riuscito dove loro avevano fallito, perché davvero non sapevano che altro fare per raddrizzare quel giovane. Se Angie non lo avesse partorito, avrebbe detto che non fosse suo figlio. Lei era sempre stata una brava ragazza, a volte ribelle, ma sempre con i suoi limiti. Pablo poi era un ragazzo serio e studioso, la fotocopia del figlio Marco insomma, da chi aveva preso allora Diego? Sin da piccolo li aveva portati a stracciarsi tutti i capelli da testa, diverse volte lo avevano beccato con le mani nel water, altre mentre tentava di bere della varechina, poi le sparizioni improvvise, i dispetti al fratello minore, le bugie. Pablo e Angie però, erano convinti che fosse solo un piccolo diavoletto e che con la crescita sarebbe cambiato, ma appunto era solo peggiorato. Diego non avrebbe potuto essere più diverso da suo fratello Marco, che invece era uno studente modello, un ragazzo educato e amato e rispettato da tutti. Nel soggiorno dei Galindo c’erano un mare di foto del ragazzo con i numerosi premi scolastici che aveva vinto e quell’anno avrebbe tentato di vincere per la terza volta le olimpiadi di matematica, un grande orgoglio per loro e speravano che Diego sarebbe finalmente riuscito a contribuire in tal senso al suo ritorno.




“Mmm… che profumino,” mormorò Violetta Castillo, sfornando una deliziosa pizza margherita e poggiandola sul piano cottura per farla raffreddare. “Ha un aspetto delizioso.”
“Il mio stomaco già pregusta il momento in cui l’addenterò,” commentò la sua amica Francesca, guardando la pizza come se fosse stata un tesoro raro. “Abbiamo fatto un ottimo lavoro.”
Dopo aver apparecchiato la tavola, le due ragazze si servirono una fetta per loro e una per Angelica, la nonna della Castillo, con cui viveva da quando i suoi genitori erano morti in un incidente stradale circa cinque anni prima. Proprio la donna, fece il suo ingresso in cucina, dopo aver passato il pomeriggio a lavorare a maglia. “Siete state bravissime ragazze,” disse loro, con un grande sorriso, sedendosi a tavola e iniziando a mangiare con gusto.
“Grazie nonna” “Grazie signora” sorrisero le giovani, sedendosi a loro volta per provare il risultato del loro lavoro. Nel giro di poco, avevano divorato la pizza, poi Francesca era corsa in bagno per chiamare Marco, il cugino di Violetta e suo fidanzato da alcuni mesi.
Violetta attese alcuni istanti, fingendo di lavare i piatti, poi si voltò verso la nonna, incrociando le braccia al petto. “Diego usciva oggi dal carcere, vero?” Buttò lì, facendola impallidire. “Quando avevi intenzione di dirmi che mio cugino sarebbe uscito da quella prigione?”
“Te lo avrei detto,” mormorò Angelica, guardandola, seria.
La ragazza rise, incredula. “Si, certo. Se non avessi origliato una tua conversazione con zia Angie o se non me lo avesse detto Francesca, che a proposito esce con l’altro mio cugino, tu non me lo avresti detto, abbi il coraggio di ammetterlo.”
L’anziana ruotò gli occhi, alzandosi e raggiungendola a grandi falcate. “Ascoltami, Violetta,” iniziò, prendendola per le spalle. “Voglio bene a tutti i miei nipoti allo stesso modo, ma Diego ha una cattiva influenza su di te e io devo proteggerti, lo devo ai tuoi genitori.”
Violetta annuì, avvertendo gli occhi pungerle. Sapeva che sua nonna lo faceva solo per il suo bene, ma Diego era suo cugino e lei gli voleva bene. Angelica dovette capirlo, perché la strinse in un forte abbraccio. “Anche a me manca e ti prometto che domani andremo a trovarlo.”
“Grazie nonna,” sussurrò la giovane, sciogliendo l’abbraccio e iniziando a lavare i piatti, stavolta davvero. Una parte di lei non desiderava altro che rivedere suo cugino, ma l’altra era terrorizzata al solo pensiero. Rivedere Diego equivaleva a riaprire vecchie ferite, quelle che Angelica aveva curato con tanta fatica e Violetta non sapeva se fosse abbastanza forte per affrontare ciò. Quell’anno era stato molto duro per lei, aveva dovuto studiare tantissimo per recuperare l’anno perso e poi aveva fatto non poca fatica a riconquistarsi la fiducia della nonna, degli amici e degli insegnanti, dato che per tanto tempo li aveva solo delusi e feriti a causa del suo egoismo e della sua assurda e incontrollabile ossessione per Leon Vargas. Solo ripensare a quel nome le fece venir voglia di piangere, ma per fortuna proprio in quel momento Francesca ritornò in cucina e se la trascinò in camera a vedere un film, così i ricordi del passato furono momentaneamente accantonati.
Fu a notte fonda, quando era avvolta tra le coperte, che il passato tornò a tormentarla. Per anni era stata la principessa di casa, la gioia dei suoi genitori, della nonna, degli zii e dei suoi cugini, poi la terribile tragedia… all’alba dei suoi tredici anni, i suoi genitori erano morti in un incidente stradale e il mondo di Violetta era crollato in mille pezzi. I mesi successivi li aveva passati negli uffici degli psicologi e raggomitolata nel letto che un tempo era stato di sua madre, dato che il giudice aveva affidato a sua nonna la sua custodia e quindi aveva dovuto trasferirsi a casa della donna. Ricordava poco di quel periodo, forse perché c’era poco da dire. Si era allontanata da tutti, trascorrendo intere giornate a piangere e se mangiava era solo perché sua nonna o i suoi zii la costringevano, a volte persino Marco le si sedeva vicino e la imboccava. L’unico che mai si era avvicinato a lei era stato Diego e forse per questo lui non lo aveva mai odiato, lui non le faceva pressioni, lui la lasciava in pace.
Chiusa nel suo mondo, sapeva ben poco di quello che succedeva al di fuori della sua camera e perciò si sorprese non poco quando un pomeriggio Diego venne a trovarla. Il cugino non era il tipo che si sprecava ad andare a trovare le persone in difficoltà e soprattutto non l’aveva mai considerata così importante da meritare una sua visita. In poche parole, tra di loro non c’era mai stato un vero e proprio rapporto, cosa che invece aveva sempre avuto con Marco. Era Marco il suo cugino preferito, Diego era quello strano che a volte le metteva anche i brividi e dire che aveva solo due anni in più di lei e di Marco, eppure erano così distanti.
Di quella conversazione con Diego ricordava solo alcune frasi, in particolare quelle in cui le proponeva di uscire con lui. Parlava di passeggiate e di gelati e cose simili, dicendo che le avrebbe fatto bene un po’ d’aria, ma lei non aveva abboccato. Perché mai avrebbe voluto uscire con lei che aveva sempre considerato una mocciosa secchiona e noiosa? Era lì per pena forse? All’epoca conosceva molto poco il cugino e perciò aveva pensato che fosse davvero dispiaciuto per lei e dopo numerose insistenze, si era fatta convincere… non lo avesse mai fatto. Altro che passeggiate, Diego l’aveva portata in un posto dimenticato da Dio, dove c’era una sorta di pista di motocross, probabilmente illegale. La puzza di alcool e fumo era così pungente che la intossicò e la fece tossire sin da subito, scatenando le risate del moro. La cosa peggiore in assoluto però, fu quando la condusse negli spogliatoi, una piccola e logora stanza che puzzava di sudore e che pullulava di uomini di tutte le età. Lei era l’unica ragazza lì dentro e subito avvertì quegli sguardi maliziosi addosso, che la fecero avvampare e desiderare di scappare a gambe levate, peccato che non conoscesse la strada del ritorno. “Diego, portami via, ti prego,” aveva implorato al cugino, ma lui si era limitato a trascinarla in un angolo dello spogliatoio e fu allora che lo vide per la prima volta. Era stravaccato su una panca e stava fumando quello che solo dopo avrebbe scoperto essere uno spinello. Indossava un paio di jeans e una canottiera, che metteva in evidenza il fisico muscoloso. I suoi capelli erano castano dorato e gli ricadevano morbidamente sulla fronte, ma a colpirla maggiormente furono i suoi occhi, verdi come una distesa erbosa, verdi come… mai aveva visto un ragazzo più bello in vita sua. Quando poi lo vide sorridere in direzione di Diego, credette di morire. Era sicura che sorrisi del genere sarebbero dovuti essere stati vietati dalla legge, altrimenti c’era un serio rischio di infarto e il prossimo sarebbe venuto proprio a lei.
“Ehi amico!” Aveva esclamato il moro, abbracciando il misterioso ragazzo. “Ti presento mia cugina Violetta, è grazie a lei se i miei mi hanno permesso di uscire di casa.”
A quel punto le era stato tutto chiaro, Diego l’aveva usata perché Angie e Pablo si fidavano di lei e pensavano che così lui non avrebbe combinato casini. Avrebbe dovuto capirlo. Nemmeno un po’ di rispetto per il suo lutto aveva.
“Violetta, lui è Leon, il mio migliore amico.” Lei però non stava ascoltando, la sua mente era altrove. Ma che razza di persona era Diego? Avrebbe tanto voluto prenderlo a schiaffi.
“Mi fai schifo!” Aveva sbottato alla fine, spintonando uno sconvolto Diego. “Mi hai solo usata per fare i tuoi porci comodi! Dovresti vergognarti! Non hai nemmeno un po’ di rispetto per quello che sto passando?”
Era poi corsa via, ignorando i richiami del cugino e i commenti perversi degli altri. Si fermò solo quando ebbe messo diversi metri di distanza tra lei e la pista, lasciandosi cadere sulle ginocchia. Si trovava in mezzo a una terra isolata e anche se era terrorizzata, non riusciva a fare altro se non piangere. Già il suo equilibrio mentale era parecchio instabile, ci mancava solo quell’egoista di Diego che la trascinava in quel posto pieno di depravati e criminali. Ricordava la preoccupazione che si era formata in lei, al pensiero di come avrebbe fatto a tornare a casa e i singhiozzi disperati che erano seguiti. Mai come quel giorno, aveva desiderato di essere morta anche lei in quell’incidente che le aveva portato via la sua famiglia e poi… e poi quella voce.
“Non dovresti andare in giro da sola, non è un posto raccomandabile per una ragazza.” Era la voce di un ragazzo, una voce profonda, roca, intrigante in qualche maniera e che l’aveva fatta rabbrividire. Quando poi si era inginocchiato accanto a lei, aveva avuto davvero paura. Cosa voleva quel tipo da lei?
“Diego non voleva ferirti, se ci pensi, è riuscito a farti uscire dalla tua camera.” Violetta aveva sollevato di scatto lo sguardo a quelle parole e solo allora, si era resa conto dell’identità del ragazzo. Era l’amico di Diego, quello bello. Vederlo così da vicino, le aveva provocato una scarica di brividi lungo tutto il corpo e la lingua sembrava essersi incollata sotto il palato. Mai un ragazzo aveva avuto un simile effetto su di lei. “Tuo cugino ti vuole bene, pensa che ha messo in chiaro che nessuno ti si deve avvicinare.”
La ragazza si era accigliata, confusa. “Tu però lo hai fatto.” Leon era scoppiato a ridere e lei si era ritrovata a fissarlo, rapita. “Vedi, piccolina,” le aveva sussurrato all’orecchio. “Io non sono uno che si fa intimorire e poi Diego si fida di me.” Quel respiro sul collo, quegli occhi verdi che la fissavano con insistenza, tutto di lui l’aveva sin da subito resa nervosa e faceva non poca fatica a restare lucida. “Diego c’è rimasto davvero male, non avresti dovuto aggredirlo in quella maniera.”
“Tu non sai quello che sto passando, perciò non puoi permetterti di giudicarmi!” Era scoppiata la giovane, stupendo se stessa e Leon, che incredibilmente alla fine aveva annuito. “Deve esserti successo qualcosa di terribile.”
“I miei genitori se ne sono andati pochi mesi fa,” aveva ammesso Violetta, tentando di asciugarsi le lacrime. “Senza di loro io… io ho perso tutto e…”
Leon aveva annuito, serio. “Mi dispiace, so cosa si prova. Mia madre è morta quando avevo sette anni.” Allora le disse che si era trattato di un attacco di cuore, ma poi avrebbe scoperto che era stata uccisa in seguito a un regolamento di conti tra clan. Leon Vargas e la sua famiglia erano dei delinquenti e avevano una pessima nominata a Buenos Aires, ma lei non lo sapeva, era sempre vissuta in un mondo tutto suo e forse proprio per questo, credette a tutto quello che il ragazzo le disse e si lasciò affascinare dal suo sorriso, tanto che lui riuscì a convincerla a fare un giro sulla sua motocicletta. Leon non usava caschi o tute e non aveva limiti di velocità, tanto che Violetta dovette stringersi a lui come una piovra per la paura. Mai era salita su una motocicletta e farlo con un pazzo incurante dei pericoli non era stato un gesto molto intelligente e se ne rese conto sin da subito. Ben presto però, la paura era scomparsa ed era sopraggiunta l’adrenalina e quel senso di libertà e leggerezza che non avvertiva da tanto tempo. Leon le faceva dimenticare i problemi, il dolore, la sofferenza, la faceva sentire viva. Non sapeva dire come o perché, stava di fatto che si ritrovò a vederlo come la sua unica salvezza e così iniziò a frequentare assiduamente quel luogo di perdizione. Ricordava come avesse sofferto prima di riuscire a far capire a Leon che fosse una ragazza e non una bambina, quante volte le avesse detto che le voleva bene e che la considerava la sua sorellina e quante si fosse ritrovata a piangere per quell’amore non corrisposto. Aveva quindici anni la prima volta che aveva avvertito lo sguardo di Leon su di se. Era estate e dicendo a sua nonna che sarebbe andata al mare con Francesca, era andata invece con Diego, Leon e i loro amici. Aveva legato molto con quelli che prima aveva sempre considerato strani e pericolosi e si divertiva un sacco con loro, completamente dimentica che non fossero dei tipi raccomandabili. In ogni caso, tra tuffi e risate, più volte le era sembrato che qualcuno la fissasse con troppa insistenza e quando aveva capito che il ragazzo che la spogliava con gli occhi fosse proprio Leon, aveva creduto di sognare. Se quel giorno si era limitato a fissarla, nei successivi aveva cercato sempre più approcci, l’abbracciava, le stringeva la mano, la faceva sedere sulle sue gambe e poi… e poi una delle tante sere in cui era uscita di nascosto per fare un falò di gruppo, Leon l’aveva portata in disparte e l’aveva baciata. Era allora che era iniziato il suo sogno e allo stesso tempo il suo incubo.
Scosse la testa, seppellendo il volto nel cuscino, sforzandosi di allontanare quei ricordi. Leon Vargas era stato il suo primo grande amore, ma anche il più grande sbaglio della sua vita e doveva smetterla di pensarci. Doveva farlo per sua nonna, che già aveva sofferto troppo a causa sua, doveva farlo per i suoi genitori, che ora non c’erano più, ma soprattutto doveva farlo per se stessa. Il passato era passato e doveva rimanere tale. Basta sofferenze, basta sbagli, doveva tornare ad essere la ragazza modello di un tempo. Con quel pensiero si addormentò, consapevole di star facendo la cosa giusta.




Diego fece le scale che lo separavano dall'aria aperta quasi di corsa, reggendo un grosso borsone. Finalmente, dopo un anno passato in quella prigione dove l’unico svago era il pranzo in cortile e le partite di carte, era libero. Varcò la pesante porta di ferro e appena vide la lieve luce rosa del crepuscolo, un grande sorriso si distese sul suo volto. La sua prigionia era finita, ora poteva tornare a casa.
“Diego!” Quasi senza rendersene conto, si ritrovò stretto in uno dei forti abbracci di Angie. “Piccolo mio!” Esclamò la donna, riempiendogli il volto di baci. “Non hai idea di quanto mi sei mancato!”
Il ragazzo sorrise, stringendo a se la madre e girando in tondo con lei in braccio. “Anche tu mi sei mancata, mamma.”
“Fatti vedere,” mormorò poi la bionda, sciogliendo l’abbraccio. Suo figlio aveva i capelli più corti e si era fatto crescere un accenno di barba e forse era anche più muscoloso, ma per lei sarebbe stato sempre il suo bambino. “Ti fai ogni giorno più bello, amore mio!” Esclamò, abbracciandolo ancora. “Ora ti riporto a casa e ti preparo i tuoi pasti preferiti.” Continuò tra premure, baci e carezze per quasi dieci minuti, finché Pablo non si avvicinò, divertito. “Se continui così, lo soffochi e poi voglio abbracciarlo anch’io.”
“Ma…” provò a protestare la donna, stringendo il ragazzo ancora più forte. “Non voglio lasciare il mio bambino.”
Diego scoppiò a ridere, scompigliando teneramente i capelli della madre. “Lo sai che ti adoro mamma, ma papà ha ragione, se continui a stritolarmi così, mi romperai qualche costola.”
Angie sbuffò, ma alla fine si decise a lasciarlo, così che finalmente anche Pablo poté abbracciare il figlio. “Ah, figlio mio,” mormorò l’uomo, euforico. “Come stai?”
Il giovane sorrise, ricambiando l’abbraccio. “Ora che sono finalmente con voi sto bene, davvero.”
Pablo annuì, dandogli un buffetto affettuoso sulla guancia. “Quest’anno senza di te è stato un inferno, ma ora possiamo ricominciare.”
“Si,” confermò Diego, sicuro. “Voglio rimediare ai miei errori, voglio diventare una persona migliore.”
A quelle parole, i genitori si animarono e lo abbracciarono di slancio. “E noi ti aiuteremo, potrai contare su di noi.”
“Grazie mamma, grazie papà.” Solo allora, Diego notò un’altra persona alle spalle di Pablo e Angie, una persona che non vedeva da un bel po’ di tempo, suo fratello Marco. Da quando era stato chiuso in carcere, non era venuto a trovarlo nemmeno una volta e non poteva dargli torto, non si era comportato bene con lui. Probabilmente quell’anno era stato uno dei più belli della sua monotona vita. “Fratellino,” sghignazzò, allontanandosi dai genitori e avvicinandosi a lui, aprendo le braccia. “Tu non mi abbracci?”
Marco incrociò le braccia al petto e storse il naso, schifato. “Se sono venuto, è solo perché sono stato costretto. Fosse dipeso da me, saresti ancora chiuso lì dentro. Quelli come te non cambiano.”
I Galindo fecero per intervenire, ma Diego li fermò con un gesto della mano. “Hai ragione, sono stato un pessimo fratello, ti ho ferito e umiliato e merito tutto il tuo disprezzo. Mi dispiace Marco, mi dispiace davvero tanto,” aggiunse, mortificato.
Il minore però, non si lasciò abbindolare e al contrario rise, incredulo. “Complimenti, sei un ottimo attore. Se non ti conoscessi, ci avrei quasi creduto. Sei un delinquente esattamente come quel Vargas, siete due luridi che meriterebbero di restare rinchiusi a vita,” proseguì, sicuro che a quelle parole Diego lo avrebbe aggredito, dimostrando che lui avesse ragione e che quindi il fratello stesse solo recitando una parte. Pablo e Angie sbiancarono di colpo, guardando poi il maggiore dei loro figli con preoccupazione, sapevano quanto fosse iroso il temperamento del ragazzo. Lui però stupì tutti, annuendo, colpevole. “Ho sbagliato, ho sbagliato ogni cosa… avrei dovuto capirlo subito e invece mi ci è voluto un anno di prigionia. Sono stato un mostro e vi ho fatto soffrire, ma vi giuro che non volevo… siete la mia famiglia e vi amo con tutto me stesso.”
“Anche noi ti amiamo, amore mio!” Esclamò Angie, scoppiando a piangere tra le sue braccia, a cui si unì poi anche un commosso Pablo. “Il passato è passato, ora dobbiamo solo pensare ad andare avanti,” aggiunse, guardando Marco con rimprovero. “Diego ha pagato per quello che ha fatto ed è pronto a rimediare.”
Marco annuì, seppur scettico. Lui non si fidava di Diego e mai lo avrebbe fatto, se i suoi genitori si fidavano era un problema loro, ma lui non poteva dimenticare. Le ferite lasciate da suo fratello non potevano essere dimenticate così facilmente, era più forte di lui, non ci riusciva. Con quel pensiero, seguì i tre fino alla macchina e prese posto sul sedile posteriore, tenendo più distanza possibile da Diego. In passato gli aveva permesso di sottometterlo e di umiliarlo, ma ora era cresciuto, non aveva più paura di affrontarlo. Suo fratello avrebbe avuto pane per i suoi denti, era una promessa. 



Ciaoooo!!
Ebbene si, sono tornata! :P quest'idea mi è venuta così all'improvviso e dato che ho le idee abbastanza chiare, ho deciso di pubblicare. Come avreste capito, Pablo e Angie sono sposati e hanno due figli Diego e Marco. Violetta invece vive con Angelica, dato che Maria e German sono morti in un incidente quando lei aveva tredici anni. Per quanto riguarda Leon, non somiglia per niente al bravo ragazzo della serie e nei prossimi capitoli ne avrete la conferma. Lui e Vilu si sono conosciuti grazie a Diego e lei essendo molto vulnerabile a causa della morte dei genitori, è entrata nel cattivo giro del ragazzo e del cugino. I nostri Leonetta hanno avuto una storia, che ha portato Vilu ad allontanarsi da amici e familiari e a perdere un anno di scuola. Tutto è finito quando Leon e Diego sono finiti in carcere ed è stato allora che Angelica è riuscita a riportarla sulla giusta strada. Questi primi capitoli saranno molto introspettivi, soprattutto per fare chiarezza su ciò che è accaduto prima dell'inizio della storia e ovviamente per conoscere i caratteri dei vari personaggi. Prima di salutarvi ci tenevo a dedicare questo primo capitolo a DulceVoz, Syontai e ChibiRoby, che mi hanno incoraggiata e sostenuta per dare vita a questa nuova storia :3 spero vi piaccia! Baci <3

 

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Capitolo 2
*** Il ritorno di Diego ***





Una debole luce filtrava oltre la finestra, illuminando il volto ancora assonnato ma sorridente di Diego. Quella notte, dopo tanto tempo, aveva finalmente fatto una bella dormita e si sentiva perfettamente riposato. Stirò le braccia e le gambe, poi si mise seduto, guardandosi intorno. La camera sua e di Marco, era esattamente come la ricordava, grande e ariosa. I poster delle motociclette e del Real Madrid, sua squadra del cuore, erano ancora alle pareti dove li aveva attaccati tanto tempo prima, tutte le sue cose erano esattamente dove le aveva lasciate, come se il tempo non fosse mai passato, come se lui non fosse mai andato via. Aprendo l’armadio, scoprì che anche le foto e le riviste delle donne in costume erano ancora lì e sorrise. Quanto gli era mancata la sua camera. Dopo essersi lavato e vestito, fece per scendere in cucina, ma si scontrò con Marco, che veniva dal senso opposto.
“Buongiorno fratellino,” ghignò, facendo poi per sorpassarlo, ma il ragazzo gli bloccò la strada.
“Puoi ingannare mamma e papà, ma non me. So che stai tramando qualcosa,” sbottò, spintonandolo.
Il sorriso sul volto di Diego si accentuò. “Ah, vedo che ti sono cresciute le palle mentre ero via,” lo schernì, prendendolo per il colletto della t-shirt e sollevandolo mezzo metro da terra. “Sappi però che è ancora troppo poco per misurarti con me. Posso farti a pezzi semplicemente schioccando le dita e lo sai bene, quindi stai al tuo posto.” Detto ciò, lo mollò e fece nuovamente per andarsene, ma…
“Lo sapevo che non eri cambiato, sei qui da meno di un giorno e già sei tornato a minacciarmi, ma ora non ho più paura di te.”
Il maggiore rise, divertito. “La mia non era una minaccia, ma un avvertimento e se sei furbo lo segui alla lettera.”
Marco digrignò i denti, avanzando di qualche passo. “Sei un bastardo! Uno schifoso, un lurido e…”
“Adesso basta!” Sbottò Diego, spingendolo contro il muro. “Mi stai facendo saltare i nervi. Vuoi per caso che torni ai vecchi tempi e usi la tua testa per pulire il water?” Lo minacciò, con un ghigno crudele, che lo fece deglutire.
“Bene, vedo che hai capito,” proseguì il moro, lasciando la presa e scendendo in cucina a grandi falcate. Marco lo seguì con lo sguardo, spaventato e allo stesso tempo furioso. Era passato un anno, ma suo fratello era ancora lo stesso maledettissimo stronzo e doveva assolutamente farlo capire anche ai suoi genitori. Gli dispiaceva dovergli dare quella delusione, ma non aveva scelta, non poteva permettere che Diego approfittasse del loro amore per ferirli ancora, doveva fare tutto ciò che poteva per mettergli i bastoni tra le ruote e lo avrebbe fatto. Era una promessa.
Diego nel frattempo era giunto in cucina, dove Angie stava preparando un numero spropositato di crèpes alla nutella e cantava allegramente, mentre Pablo beveva una spremuta d’arancia.
“Buongiorno famiglia,” sorrise, sedendosi accanto al padre, che gli diede una pacca sulla spalla.
La bionda invece gli schioccò un bacio sulla guancia, per poi servire ai due le crèpes già pronte. “Ecco a voi, preparatevi a leccarvi i baffi.”
“Mmm… io amo le tue crèpes, tesoro,” disse Pablo, tagliando un pezzo e mangiandolo con gusto.
“Anch’io,” convenne Diego con entusiasmo. “In carcere ci facevano mangiare dei biscotti così duri che sembravano dischi da hockey. La tua cucina me la sognavo anche di notte.”
Angie sorrise emozionata, baciando il marito e stringendo poi forte il figlio. “Non dovrai più sognare la mia cucina e sai perché? Perché la tua mamma ti farà ingozzare come un tacchino.”
Il giovane ghignò, riprendendo ad ingozzarsi insieme a Pablo e proprio in quel momento, giunse anche Marco, che dopo aver dato un bacio alla madre, andò a sedersi accanto al padre. Ben presto i due iniziarono a parlare delle olimpiadi di matematica, che il giovane avrebbe dovuto disputare con l’inizio del nuovo anno scolastico e se Diego non aveva iniziato a ridere di lui, era solo perché Angie gli si era seduta accanto e aveva preso a raccontargli dei loro progetti per le vacanze di Natale.
“Io e tuo padre stavamo pensando che potremmo fare una vacanza in famiglia, anche solo per una settimana, sai per poterci ritrovare tutti e quattro insieme come un tempo,” gli spiegò euforica, facendolo annuire. Finché non si andava in quei noiosi campeggi pieni di bambini e animatori gli andava anche bene, l’importante che non ci fosse nessuno che gli rompesse l’anima, poi era disposto ad andare dovunque. Stava mangiando l’ennesima crèpe, quando bussarono alla porta.
“Devono essere la nonna e Violetta,” spiegò Angie, sorridendo. “Non vedevano l’ora di vederti,” corse poi alla porta e Diego la seguì con lo sguardo. In effetti anche lui le voleva rivedere, specialmente la sua cugina preferita, doveva assolutamente chiederle perché non fosse mai venuta a trovarlo. Era sicuro c’entrasse Angelica, ma voleva la sua conferma.
Poco dopo la bionda tornò, seguita dall’anziana e dalla giovane Castillo. “Ecco qui il mio bambino, avete visto come si è fatto bello?” Sorrise, accarezzando il capo del figlio.
Diego si alzò, incrociando subito lo sguardo di Angelica. Sorrideva, ma si vedeva lontano un miglio che avesse ancora delle riserve su di lui, era pronto a scommettere che gli desse la colpa anche dei problemi che gli aveva causato Violetta, lo aveva pensato quando veniva a trovarlo in carcere e lo pensava anche in quel momento. In ogni caso, decise di fare buon viso a cattivo gioco e l’abbracciò. “Ciao nonna.”
L’anziana ricambiò l’abbraccio. “Sono felice che sei tornato a casa, ti vedo molto bene.”
“Si, è così,” confermò il giovane, sorridendo. Il suo sguardo si spostò poi su Violetta, che gli sorrideva timidamente dalle spalle della nonna. “Vilu.”
La ragazza corse subito ad abbracciarlo, avvinghiandosi a lui come un koala. “Non hai idea di quanto mi sei mancato, Dieguito mio!” Esclamò felice, facendolo sorridere. Gli abbracci di Violetta erano sicuramente una delle cose che gli erano mancate di più. Lei non era solo una cugina, era molto di più, era una sorella.
“È una mia impressione, o sei diventata ancora più bella?” Sorrise Diego, mettendola giù e accarezzandole una guancia.
“Mai quanto te,” commentò la Castillo con un sorrisetto. “Peccato che siamo cugini,” proseguì, facendolo sghignazzare.
Si sedettero poi tutti a tavola e Angie si affrettò a servire alle due ospiti le sue gustose crèpes, che loro accettarono con entusiasmo.
Approfittando della conversazione tra adulti, Diego avvicinò la sedia a quella di Violetta. “Dopo possiamo parlare?” Le sussurrò all’orecchio, facendola annuire. C'erano tante cose che voleva chiederle e altrettante gliele voleva dire.
A coglierlo di sorpresa, fu vedere la cugina e Marco parlare in maniera piuttosto confidenziale, cosa che non accadeva da prima della morte dei suoi genitori. Possibile che in un solo anno fossero cambiate tante cose? Un tempo era lui il cugino preferito di Violetta e anche se lo aveva abbracciato con tanto entusiasmo, sentiva che il legame che c’era tra di loro si fosse come spezzato, a differenza di quello con Marco che invece era fin troppo stretto per i suoi gusti. Doveva parlare assolutamente con la ragazza, sapere se Angelica fosse riuscita a cambiarla, se l’avesse chiusa in una campana di vetro come pensava. Più la guardava e più non riconosceva in lei la giovane che si ubriacava con lui, Leon e i loro amici. Ora era tutta composta, perfettina ed educata, nulla a che vedere con la Violetta che conosceva lui e la cosa lo preoccupava.
Pochi minuti dopo in ogni caso, la ragazza accettò di seguirlo in camera sua. Diego stava per chiudere la porta, ma Marco si intrufolò con la velocità di un fulmine. “Perché vuoi chiudere la porta? Cos’è che io e i nostri genitori non possiamo sentire?” Lo provocò, venendogli sotto il naso.
L’altro lo spinse lontano senza pensarci troppo, stizzito. “Fatti gli affaracci tuoi e ora vattene.”
“Non ci penso nemmeno!” Ribatté Marco, gettandosi sul letto. “Questa è anche la mia camera.”
Diego digrignò i denti e contrasse la mascella, mentre la vena sulla sua fronte pulsava impazzita. L’istinto di picchiarlo era altissimo e incontrollabile. Il vecchio Diego lo avrebbe fatto a pezzi senza pensarci troppo, ma la razionalità lo bloccava. Stava facendo tanto per riconquistarsi la fiducia della sua famiglia e non poteva permettersi di rovinare tutto a causa di quell’imbecille di suo fratello. “Andiamo da un’altra parte,” disse alla fine a Violetta, prendendola per mano e trascinandola fuori dalla stanza. Con la coda dell’occhio gli sembrò di vedere delusione sul volto di Marco e ciò lo fece ghignare, soddisfatto. Se suo fratello si aspettava di avere di fronte ancora il Diego violento e irascibile di un tempo si sbagliava di grosso.
Alla fine condusse la cugina nella stanza degli ospiti e chiuse la porta. Violetta si era avvicinata alla finestra e fissava il panorama oltre di essa, con sguardo assente.
“Come stai?” Buttò lì Diego, raggiungendola e poggiandole una mano sulla spalla. “Ti vedo spenta.”
Dopo alcuni istanti di lungo silenzio, la ragazza lo guardò negli occhi e annuì. “Sto bene Diego, tranquillo. Pensa che ho ripreso a frequentare la scuola e le mie amiche e poi...e poi sono tornata allo Studio.”
Le mie amiche? Diego aveva un ricordo molto vago delle amiche di Violetta, anche perché le aveva frequentate fino alla morte dei suoi genitori, per poi abbandonarle per altre compagnie, la sua compagnia di ragazzacci per intenderci. Se non si sbagliava di grosso, le sue amiche erano due sfigate, una con l’apparecchio e un’altra con un paio di occhialoni tondi che potevano fare concorrenza ad Harry Potter. Come ci era tornata la sua cuginetta a frequentare quelle due racchie? E dire che insieme a lui e a Leon aveva fatto loro degli scherzi orribili. Tra l'altro frequentava di nuovo l'accademia di musica dei suoi genitori, quella che aveva abbandonato per aggregarsi a lui e a Leon nelle loro scorribande. Cos’era cambiato allora?
“È stata la nonna a convincerti a frequentare di nuovo lo Studio e quelle due racchie?” Le chiese, storcendo il naso.
“Non chiamarle così, tu non le conosci!” Sbottò Violetta infastidita, lasciandolo basito. “Io non insulto i tuoi amici, perciò tu non farlo con i miei!”
Il moro rise, incredulo. “Un tempo i miei amici erano anche i tuoi.”
Lei annuì. “Hai detto bene, un tempo. Ora non voglio più avere nulla a che fare con quella gente e nemmeno tu dovresti, non sono delle compagnie raccomandabili.” Detto ciò, si avviò verso la porta, considerando probabilmente la conversazione finita, ma Diego non poteva assolutamente lasciarla andare via così e per questo le prese il polso, costringendola a voltarsi. “Che mi dici di Leon? Anche lui non è una compagnia raccomandabile?”
Violetta sbiancò di colpo al solo sentire quel nome e gli occhi le si fecero lucidi. “È stato un errore!” Esclamò, liberandosi dalla sua stretta con uno strattone. “Frequentarlo è stato il più grande sbaglio della mia vita! È un delinquente e non posso stare con un tipo del genere!”
Il ragazzo scosse la testa, prendendola per le spalle. “Questo è quello che pensa la nonna, non tu! Hai dimenticato tutto quello che hai fatto per conquistarlo? Tu lo ami, Violetta! È sempre stato così!”
“No, Diego!” Ribatté lei, spintonandolo lontano da se. “Io non lo amo più, ormai fa parte del passato, ogni cosa che è successa fino a un anno fa per me è solo un ricordo!”
Diego sospirò, prendendosi la testa tra le mani. “Quindi anche quello che legava me e te fa parte del passato. È per questo che non sei mai venuta a trovarmi, vero?”
Violetta lo guardò dispiaciuta, poi corse ad abbracciarlo, scoppiando a piangere. “Non è così, io ti voglio bene sempre e comunque, ma ho promesso di mettere la testa a posto, capisci?” Aggiunse, prendendogli il volto tra le mani. Lui annuì, a fatica. “Perché non sei mai venuta? Ogni volta mi aspettavo di vederti spuntare e…”
“Lo so,” sussurrò lei, stringendolo forte a se. “Avrei voluto venire, ma la nonna me lo ha impedito, temeva che potessi andare da… da lui,” ammise con un filo di voce e ancora una volta Diego si riscoprì a provare odio per sua nonna. Era colpa sua se lui e Violetta non si erano visti per un anno intero, se il loro legame si fosse spezzato. Capiva il cambiamento della ragazza, d’altronde del loro passato non avevano nulla di cui andare orgogliosi, ma quello che reclamava era il rapporto che c’era tra di loro, quello non era sbagliato, non poteva esserlo.
“Diego,” riprese Violetta, asciugandosi le lacrime e sorridendogli dolcemente. “Solo perché ho deciso di cambiare vita, non significa che non tengo più a te. Tu a modo tuo mi sei stato vicino nel periodo più brutto della mia vita, è grazie a te se non sono caduta in depressione e se ho ripreso a vivere, l’ho fatto nel modo sbagliato, ma almeno l’ho fatto e non finirò mai di ringraziarti.” Dopodiché lo abbracciò, stampandogli un bacio sulla guancia e facendolo sorridere. Se Violetta voleva cambiare vita lo avrebbe accettato, l’importante era non perderla perché per lui era troppo importante. “Promettimi che non ti perderò mai,” mormorò, sollevandole il mento e facendo incontrare i loro sguardi.
“Mai,” sorrise lei. “Non mi perderai mai.”
A quel punto Diego non ebbe bisogno di sapere altro e la strinse ancora forte a se. Il legame tra di loro non si era spezzato come pensava, esso era ancora là e avrebbe fatto di tutto per rafforzarlo.





Violetta correva per il parco con le cuffiette alle orecchie. Fare jogging l’aveva sempre aiutata a pensare e a fare chiarezza e quel giorno ne aveva bisogno più che mai. Parlare con Diego l’aveva destabilizzata più di quanto avrebbe mai ammesso. L’ultima volta che avevano parlato, pensava che da un giorno all’altro sarebbe scappata con Leon e lo avrebbe sposato, sembrava passata una vita da allora. Prima di parlare con il cugino era convinta di aver messo una pietra sopra al suo passato, che non le mancassero le uscite notturne, le feste, le corse in motocicletta e le sbornie, ora però non ne era più tanto sicura. Sapeva perfettamente che quella vita era sbagliata e faceva soffrire le persone a cui teneva, infatti non erano quelle cose in se a mancarle, ma le persone con cui le faceva. Le mancava uscire con Diego, divertirsi con lui e anche se sapeva che non avrebbe dovuto, le mancava anche Leon. Le mancava il suo sorriso, i suoi baci, il suo calore. Aveva mentito al cugino quando gli aveva detto di non amare più Vargas, lui era stato il suo primo e unico amore e mai avrebbe potuto dimenticarlo. Anche tra un milione di anni era sicura che in un angolo del suo cuore ci sarebbe ancora stato un piccolo posto occupato da lui. Leon era sbagliato, era un delinquente e ora era chiuso in carcere e chissà per quanto ci sarebbe stato, con lui non avrebbe mai potuto avere un futuro. Lo aveva sempre saputo. Sua nonna glielo aveva detto tante volte e lo stesso avevano fatto Francesca e Camilla, quando dopo aver chiarito aveva raccontato loro tutto. Il senso di colpa poi la tormentava giorno e notte, rimandandole la probabile delusione che i suoi genitori avrebbero provato, se avessero saputo che la loro figlia stava buttando la sua vita così, per un delinquente senza né arte né parte. Il fatto che Leon fosse stato arrestato l’aveva sicuramente aiutata a prendere le distanze, se non lo vedeva poteva imparare a vivere senza e lo aveva fatto. Era tornata a scuola, aveva ripreso i contatti con le sue amiche, era diventata educata e rispettosa come un tempo, insomma l’opposto di quello che era quando era la ragazza di Leon. Rimettere poi piede allo Studio, dove i suoi genitori avevano studiato musica prima di lei, le aveva trasmesso un po' di malinconia, ma le aveva anche fatto capire che nulla fosse perduto e che grazie alla grande passione della sua vita, poteva tornare a vivere. Sua nonna finalmente era tornata a guardarla con orgoglio e ciò la rendeva felice, ora non doveva più mentirle, ora la donna si fidava di nuovo di lei. Diego aveva messo in discussione quelle che pensava essere ormai certezze. Era contenta della nuova Violetta, eppure c’era sempre quel vuoto che non riusciva a riempire. Sapere che suo cugino, uno dei pilastri del suo cambiamento passato fosse tornato, aveva un po’ riempito quel vuoto, ma c’era solo uno che lo poteva fare completamente ed era anche il più sbagliato. Doveva dimenticare Leon, solo così avrebbe potuto ricominciare una vita felice.
“Ehi Violetta!”
La giovane si fermò di colpo, riconoscendo la voce di Francesca. Difatti, quando si voltò vide l’amica in compagnia di Marco e di un altro ragazzo venire verso di lei. Imbarazzata, si affrettò a riporre le cuffiette e a tentare di asciugarsi il sudore con l’asciugamano che si era portata. Sperava di avere almeno un aspetto decente e di non puzzare soprattutto.
“Ciao Vilu,” sorrise Francesca, appena la raggiunse e lo stesso fece Marco, che subito ci tenne a presentarle il misterioso ragazzo. “Lui è il mio amico Thomas. Frequenta la mia scuola e presto farà le audizioni per entrare allo Studio.”
Thomas le sorrise dolcemente e lei ricambiò timidamente. “Ciao Thomas, io sono Violetta.”
“Hai un bellissimo nome,” mormorò il ragazzo, guardandola intensamente e facendole un baciamano che la fece avvampare.
“G..grazie,” balbettò, imbarazzata. Mai nessun ragazzo era stato così cavalleresco con lei, anche perché l’unico che avesse frequentato era Leon e lui era tutto tranne che un cavaliere.
“Vieni a fare una passeggiata con noi? Andiamo a prendere anche Seba e Camilla,” le propose Marco, mentre Thomas non le staccava gli occhi dosso e Francesca le sorrideva complice. Era chiaro che si fossero messi tutti d’accordo per combinarle un appuntamento con quel ragazzo, probabilmente provavano pena per lei, che restava puntualmente a casa quando uscivano a coppie. Thomas non era un brutto ragazzo e poi sembrava molto dolce, ma il pensiero di uscire con un ragazzo che non fosse Leon le sembrava così strano. Vargas era l’unico che avesse mai guardato come uno che le potesse piacere, né prima né dopo aveva frequentato qualcuno. Era pronta ad aprire il suo cuore o almeno a dare un minimo di possibilità a un altro ragazzo? Violetta non sapeva dirlo, era ancora così confusa.
“Dai Vilu,” la pregò Francesca, prendendole le mani. “Ci divertiremo, vedrai. Hai bisogno di cambiare aria,” aggiunse, con un’occhiata eloquente che le fece capire che si riferisse a Leon e al fatto che dovesse dimenticarlo.
Annuì, rassegnata. La sua amica aveva ragione, non poteva continuare così per tutta la vita. “Possiamo vederci tra mezz’ora? Vado a farmi una doccia.”
“Ma certo,” le sorrise dolcemente Thomas. “Se vuoi ti accompagno, ovviamente aspetto fuori,” si affrettò ad aggiungere, facendosi paonazzo. Nulla in confronto però a Violetta, che aveva assunto il colore di un pomodoro. “Ehm… no grazie, non preoccuparti.” Dopodiché si congedò, avviandosi verso casa quasi di corsa, mentre la delusione che aveva letto sul volto del moro non abbandonava la sua mente. Ma davvero si aspettava che lo avrebbe invitato a casa sua? Anche se era amico di Marco, per lei era comunque un estraneo, no? Ricordava ancora quando Leon era venuto a casa sua per la prima volta, all’inizio non lo faceva salire, ma poi aveva preso l’abitudine a farlo entrare dalla finestra. Vargas era l’unico ragazzo che non fosse un suo parente ad aver messo piede nella sua camera, ma era diverso perché lui era il suo fidanzato e poi… e poi non era pronta a condividere con qualcuno quelli che erano gli spazi suoi e di Leon. Era lui quello che l’accompagnava a casa e tutto il resto. Scosse la testa, stizzita dai suoi stessi ragionamenti. Tra lei e Leon era finita, lo doveva accettare e andare avanti, basta rimanere incollata al passato.
Un’ora dopo era sul lungomare a passeggiare accanto a Thomas, mentre Francesca e Marco stavano abbracciati davanti a loro e Seba e Camilla erano dietro. Sembrava quasi una posizione strategica per impedirle di scappare e per tenerla sotto controllo e forse era davvero così. Thomas stava parlando della scuola e delle olimpiadi di matematica, a cui avrebbe partecipato insieme a Marco e sembrava molto entusiasta. Violetta si limitava a sorridere e annuire, anche perché lei aveva sempre odiato la matematica, la considerava un geroglifico comprensibile solo a pochi e quando il suo professore la spiegava, finiva sempre per perdersi. Il ragazzo passò poi a raccontarle dei numerosi premi che aveva vinto nelle gare scolastiche, vantando una collezione quasi più ricca di quella di quel genio di suo cugino. Sorrise, pensando che se Diego fosse stato lì, lo avrebbe preso in giro in eterno e Leon non sarebbe stato da meno, avevano sempre odiato i secchioni che si vantavano dei loro altissimi voti e doveva ammettere che anche a lei la cosa non andava molto giù. Non aveva nulla contro i ragazzi che andassero bene a scuola, al contrario li stimava per le loro capacità, ma a suo parere il moro era troppo presuntuoso e pieno di se, come se fosse stato l'unico sulla terra ad essere dotato di un grande cervello. Possibile che non avesse altro di cui parlarle se non delle sue grandi capacità? Preferiva quasi che le parlasse della politica o del buco nell’ozono, almeno sarebbe stato interessante e chissà, avrebbe pure imparato qualcosa.
“A cosa pensi?” Buttò lì Thomas, scuotendola dai suoi pensieri. I loro amici si erano seduti su una panchina e chiacchieravano allegramente tra di loro, lasciandoli chiaramente di proposito da soli. Sulla panchina infatti, non c’erano più posti liberi e quindi lei e Thomas dovettero sedersi su un’altra. “A niente, sono solo un po’ stanca,” mentì, poggiando la testa sullo schienale della panchina e socchiudendo gli occhi. Se si concentrava, le sembrava quasi di sentire le dita di Leon che si intrecciavano nei suoi capelli. Per colpa sua era costretta a farsi lo shampoo quasi tutti i giorni, aveva una fissa per i suoi capelli. Sorrise sognante a quel ricordo, cosa che probabilmente non sfuggì a Thomas, che difatti mormorò: “Marco mi ha detto che stai uscendo da una storia, non lo hai dimenticato, vero?”
Violetta sgranò gli occhi, rimettendosi seduta con uno scatto. Cos’aveva raccontato suo cugino a Thomas? “Preferisco non parlarne se non ti dispiace.”
Lui annuì, poggiando poi una mano sulla sua, gesto che la fece sussultare. “Tranquilla, non devi preoccuparti. Vedrai che presto ti renderai conto che non è tutto buio e che ci sono tanti ragazzi che aspettano solo di essere notati.” Le sfiorò poi una guancia e a quel punto Violetta non resse più e scattò in piedi.
“Violetta! Dove vai?” La richiamò il ragazzo, ma lei lo ignorò, raggiungendo il muretto che dava sul mare. Si sentiva strana, le tremavano le mani, lo stomaco le si era stretto in una morsa e ogni cellula del suo corpo le urlava di scappare via.
“Violetta.” Thomas le poggiò una mano sulla spalla, ma la ragazza lo scostò. “Scusa, devo andare.” Scappò poi verso casa con il cuore che le batteva a mille. Era più forte di lei, non riusciva a sopportare che Thomas la toccasse, ciò le faceva tornare in mente ricordi che avrebbe dovuto dimenticare, ricordi che riguardavano una sola persona: Leon Vargas. Perché nonostante fosse passato un anno non riusciva a dimenticarlo? Perché si sentiva in colpa come se lo avesse in qualche modo tradito?







Ciao a tutti!
Tra Marco e Diego continuano a volare scintille, ormai è guerra aperta. Se il primo non si fida per nulla e crede che il fratello stia recitando una parte, Pablo e Angie sembrano convinti della sua buona fede, vedremo chi avrà ragione. Vilu e Diego finalmente si rivedono e si apprendono nuovi particolari sul loro passato, ma ovviamente non è finita qui. Vilu ora è cambiata e anche se sorpreso, Diego lo accetta ma non vuole assolutamente che il loro rapporto ne esca danneggiato. Il momento di maggiore sclero è però quando la Castillo ammette almeno a se stessa di non aver dimenticato Leon *_______* appaiono poi altri personaggi oltre Fran e Marco, ossia Cami, Seba e Thomas. Quest'ultimo è palesemente cotto di Vilu e tutti sembrano determinati a farli stare insieme, ma ancora una volta c'è da gioire perché lei non è per niente interessata, nella sua mente c'è solo un ragazzo, Leon awwwwwwww <3
prima di salutarvi volevo ringraziarvi per le meravigliose recensioni che mi avete lasciato nello scorso capitolo, mi avete emozionata con il vostro affetto, grazie!! :3


 

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Capitolo 3
*** Incontri e scontri ***





Leon si appoggiò con la schiena contro la sudicia e scrostata parete, rigirandosi tra le mani una di quelle palline di gomma che rimbalzavano dovunque se le lanciavi. Le giornate in quella maledetta prigione erano tutte uguali e tremendamente lunghe e spesso come quel giorno, si ritrovava seduto sul suo letto, perso nei suoi pensieri. Non ce la faceva più, lui non era il tipo che se ne stava fermo senza far niente. Rivoleva la sua libertà, correre sulla sua motocicletta, sentire i raggi del sole o il vento pungergli la pelle, sentire le braccia di Violetta circondargli la vita. Gli mancava ogni cosa della sua vita, suo padre, sua sorella e poi Diego e la sua Violetta. Chissà cosa stava facendo la ragazza, se lo stava pensando almeno un po’, se quella maledetta di sua nonna l’avesse chiusa in camera. Era sicuro infatti, che se non fosse mai venuta a trovarlo era per colpa di Angelica, l’anziana lo aveva sempre odiato e non aveva fatto nulla per nasconderlo. Lo considerava una cattiva influenza per i suoi nipoti, gli attribuiva la colpa delle loro scelte sbagliate, quasi li avesse minacciati con una pistola. Diego e Violetta avevano scelto volutamente di essere uno il suo migliore amico e l’altra la sua ragazza. Pensando al moro, gli tornò in mente che ormai doveva essere uscito, lui doveva scontare solo un anno in fondo. Per un attimo si ritrovò ad invidiarlo, ora era libero di fare ciò che voleva, mentre lui era ancora chiuso lì dentro e chissà quanto ci sarebbe restato. Diego però era suo amico, non poteva fargliene una colpa e poi era sicuro che presto sarebbe venuto a trovarlo e gli avrebbe portato notizie di Violetta, doveva solo avere pazienza.
“Ehi Vargas?”
Sussultò, notando solo in quel momento che la guardia carceraria gli stesse facendo cenno di avvicinarsi. Che voleva ora quello lì? Sbuffando sonoramente, scese dal letto e lo raggiunse. “Che vuoi?”
La guardia ruotò gli occhi, ignorando volutamente il suo tono arrogante. “Hai una visita.”
Una visita? Chi poteva essere? Possibile che fosse Diego? Animato da quella speranza, si lasciò scortare fino alla stanza dove avvenivano le visite e si sedette tra altri due ragazzi, che attendevano l’ingresso di amici o parenti. Intrecciò le mani sul banco e fissò la porta oltre il vetro, che separava i detenuti dai visitatori, in attesa. Quasi senza rendersene conto, si ritrovò a fissare il suo riflesso, o almeno quello che vedeva tramite il vetro. In quei mesi i capelli gli erano cresciuti e ora gli ricadevano disordinatamente sulla fronte e in più aveva anche lasciato che gli crescesse una lieve barba, tanto che era sicuro dimostrasse di più dei suoi vent’anni. Mai si era trascurato così tanto, ma in fondo chi diavolo doveva vederlo lì dentro?
Proprio in quel momento, iniziarono ad entrare i visitatori e in un attimo individuò la figura elegante e sicura di suo padre, Fernando Vargas. L’uomo gli sorrise prontamente, prendendo posto di fronte a lui e Leon si sforzò di ricambiare. Era contento di vedere suo padre, ma per un attimo si era illuso che potesse essere Diego, l’unico che avrebbe potuto dargli notizie o messaggi di Violetta. “Ciao papà.”
Fernando sorrise divertito. “Quando hai intenzione di farti quella barba? Sembri più vecchio di me.”
Il giovane storse il naso a quelle parole. Avrebbe voluto vedere lui al suo posto, chiuso in una cella dove l’unico passatempo era lanciare una pallina o contare le crepe sul soffitto. “Sei uno spasso papà, davvero,” commentò ironicamente, facendo accentuare il suo sorriso. Leon fu seriamente tentato di prenderlo a pugni attraverso il vetro e probabilmente lo avrebbe fatto, se la voce dell’uomo non lo avesse anticipato. “Avvicinati, Leon.” Confuso obbedì, sfiorando quasi il vetro con la punta del naso, cosa che fece anche Fernando. “Sei mio figlio,” iniziò con un filo di voce. “L’ultima cosa che voglio è che resti chiuso qui dentro.”
Leon annuì, scostandosi nervosamente i capelli della fronte. Nonostante tutto, lo sapeva che suo padre ci tenesse a lui, solo che non era bravo a dimostrarlo e non poteva fargliene una colpa. “Lo so papà, tranquillo.”
“Ho una buona notizia,” proseguì Vargas senior, incuriosendolo non poco. Buona notizia? Di che si poteva mai trattare? Quasi lo avesse letto nel pensiero, l’uomo si affrettò a spiegare. “Oggi devo incontrare una persona, una persona molto… influente qui dentro. Se tutto va bene,” continuò, di fronte al ghigno speranzoso del figlio. “Uscirai da qui nel giro di qualche settimana.”
“Davvero? Ne sei sicuro papà?” Chiese, euforico. Era convinto che sarebbe stato chiuso lì dentro per chissà quanto tempo e invece… stentava quasi a crederci, presto sarebbe uscito. Suo padre non era il tipo che parlava a vanvera, se lo aveva informato, voleva dire che ormai quella persona influente l’aveva in pugno. Chissà quanti soldi o quante minacce aveva dovuto fare per convincerlo, Fernando Vargas conosceva non poche tecniche di convincimento.
L’uomo annuì. “Tu comportati bene, fai credere che sei pentito. Punteremo proprio su questo per tirarti fuori.”
Leon sorrise, pregustando già il momento in cui sarebbe finalmente tornato libero. “Tranquillo papà, sono un ottimo attore. Come sta Lara?” Aggiunse, riferendosi a sua sorella. Era da alcune settimane che non la vedeva ed essendo un fratello molto protettivo, non poteva non preoccuparsi.
Fernando sospirò, rigirandosi tra le mani uno dei suoi grossi anelli d’oro. Lo faceva sempre quando quello che stava per dire non era una cosa positiva e lui lo sapeva bene. “Papà, mi stai facendo preoccupare. Cos’ha mia sorella?” Il solo pensiero che Lara potesse stare male mentre lui era chiuso lì dentro, lo faceva impazzire e sarebbe stato capace anche di spaccare quel maledetto vetro, se l’uomo di fronte a lui non si fosse deciso a rassicurarlo in qualche maniera.
“Le manchi molto, dice che senza di te si sente sola, ma sta bene,” si affrettò a spiegare, quasi fosse a conoscenza dell’idea folle che aveva attraversato la sua mente e forse era davvero così. Loro due in fondo, erano fin troppo simili. Annuì distrattamente, chiedendosi se almeno Diego e sua sorella si fossero incontrati. Lara era molto emotiva, aveva bisogno di un carattere forte che la sorreggesse e dato che lui era ancora in quella prigione, solo il moro poteva ora ricoprire quel ruolo. “Diego si è fatto vedere?” Buttò lì, facendola sembrare una domanda casuale. Fernando scosse la testa. “Da quanto ho capito, i genitori lo tengono sotto controllo e lui sta al loro gioco. È un ragazzo intelligente,” aggiunse, ammirato. Ed era vero, Diego era sempre stato parecchio astuto, il suo degno braccio destro. “Angelica Fernandez non è da meno.”
Leon si accigliò a quelle parole. “Che ha fatto la vecchia?” Chiese, interessato. “L’ha segregata in casa?” Il riferimento a Violetta era abbastanza chiaro, difatti Vargas senior lo colse e annuì. “Violetta è tornata allo Studio e si è fatta un sacco di amici, tra cui Marco Galindo.”
“Marco Galindo?” Chiese, sicuro di aver capito male. Marco era il cugino di Violetta, nonché fratello di Diego e da che ricordava non erano tanto legati. Lui era noioso e petulante, quante volte insieme a Diego lo aveva preso in giro? Quante Violetta si era unita a loro? Com’era possibile che quindi fossero diventati amici? Poteva quella vecchia arpia e il suo seguito di cani ammaestrati, aver trasformato la ragazza in una studentessa modello tutta casa e chiesa? Scosse la testa, incredulo. “Gioiscano finché possono,” mormorò con un sorrisetto sfrontato. “Appena sarò fuori di qui, mi riprenderò ciò che è mio e non potranno fare nulla per evitarlo.”
“Leon,” lo riprese Fernando, serio. “Sei davvero sicuro che tornerà tutto come prima? È passato un anno, lei potrebbe essere cambiata e…”
“E niente,” lo interruppe il giovane, stringendo forte il pugno della mano destra e battendolo sul banco, tanto da far voltare verso di lui diverse persone, guardie carcerarie comprese. “Non mi interessa,” sibilò tra i denti. “Violetta è mia e sarà sempre così.” Mai era stato più convinto in vita sua. Né il tempo, né la distanza, né tantomeno la sua famiglia, potevano separarlo dalla Castillo, loro due erano una cosa sola e presto lo avrebbe dimostrato ancora una volta, doveva solo avere un po’ di pazienza.




Diego uscì dalla doccia, avvolgendosi un asciugamano intorno alla vita. Quel pomeriggio era più afoso del solito, l'umidità era così fitta che poteva percepirla fin nelle ossa e perciò non c’era da sorprendersi che quella fosse la terza doccia da quando si era svegliato. Doveva però ammettere, che stando chiuso in casa con il condizionatore acceso non si sudava molto e quindi la doccia era solo un modo per passare il tempo. Lui non era abituato a stare segregato in casa, ma non aveva scelta visto che i suoi genitori gli stavano addosso come avvoltoi, quasi temessero che potesse vedersi con uno spacciatore o un serial killer.
Dopo essersi asciugato i capelli, indossò i boxer e un paio di jeans, per poi scendere in cucina. Era da un po’ che il suo stomaco aveva iniziato a brontolare e doveva riempirlo in qualche maniera. Sulle scale si imbatté in Angie, che stava parlando al telefono e le sorrise, venendo immediatamente corrisposto. Nonostante avesse avuto due figli, sua madre restava una bellissima donna, quel tipo che se la incontravi per strada ti voltavi più volte a guardare. Era sempre stato molto geloso di lei, quante risse aveva scatenato a scuola quando si ritrovava a sentire commenti sul suo conto più o meno piccanti. L’unica persona più gelosa di lui era suo padre, ogni volta che erano in pubblico la stringeva sempre forte a se, come a voler marcare il territorio, cosa che aveva notato facesse anche Leon con Violetta. Si era sempre chiesto se fosse tipico degli uomini innamorati essere gelosi, anche perché lui non lo era delle ragazze che frequentava, forse perché appunto non si era mai innamorato, si era sempre trattato di un’attrazione che poi andava pian piano scemando.
Giunto davanti alla porta della cucina, si rese conto con stupore che fosse chiusa. Senza pensarci troppo l’aprì e subito si ritrovò ad incrociare dei grandi occhi scuri, appartenenti a una ragazza dai lunghi e lisci capelli neri come l’ebano, che se ne stava seduta al tavolo davanti a diversi libri e quaderni. Indossava un leggero vestito bianco con i pois rossi e tra i capelli aveva un fermacapelli con la stessa fantasia. A colpirlo fu la sua pelle bianca, che a contrasto con i capelli scuri, la facevano somigliare a una moderna Biancaneve. Per alcuni istanti la ragazza aveva sorriso, un sorriso così dolce da abbagliarlo, poi però aveva dominato lo stupore e infine l’imbarazzo alla vista del suo petto nudo.
Diego ghignò, squadrandola attentamente. Che ci faceva quello schianto di ragazza in casa sua? Facendolo sembrare un gesto casuale, si chiuse la porta alle spalle e avanzò di qualche passo. “Ciao bambolina,” mormorò con voce calda, facendola avvampare. “Non sapevo che mia madre desse anche lezioni private,” proseguì, aprendo il frigorifero e prendendo la bottiglia di succo d’arancia.
La ragazza scosse la testa. “Infatti non le dà.” La sua voce era particolare, melodiosa quasi e poi nonostante il disagio, sembrava tranquilla. Era abituato a ragazze che gli saltavano addosso o a quelle che nemmeno lo guardavano in faccia, ma lei non faceva nessuna delle due cose, limitandosi a fissarlo, accigliata.
“Posso offrirti un bicchiere, bambolina?” Le chiese, prendendo due bicchieri e sedendosi accanto a lei, lo sguardo fisso sulla sua scollatura. Lei dovette rendersene conto, perché avvampò di colpo e si affrettò ad incrociare le braccia al petto, facendolo sghignazzare. “No, grazie.”
Diego si riempì il suo bicchiere, non perdendola di vista nemmeno per un attimo e lei ricambiò lo sguardo, seria. “La smetti di fissarmi in quel modo?”
“Quale modo?” Ghignò, squadrandola dall’alto in basso. “Questo modo!” Ribatté la mora, incredula. “Sembra che non hai mai visto una ragazza e sappiamo entrambi che non è così.”
Non seppe dire se furono le sue parole o la sua espressione, in ogni caso si ritrovò a scoppiare a ridere. Quella ragazza aveva un caratterino niente male e doveva ammettere che la cosa gli piacesse parecchio. “In effetti ne ho viste molte, ma tu, bambolina, non sei da meno,” soffiò maliziosamente al suo orecchio.
Lei di tutta risposta lo spinse lontano e si accigliò. “Un tempo non la pensavi così.”
“Un tempo?” Chiese confuso. “Parli come se ci conoscessimo già e non mi pare. Mi ricorderei di una bambolina così graziosa,” proseguì con un sorrisetto complice. Era sicuro di non averla mai vista prima, anche perché in caso contrario avrebbe provveduto a portarla nel suo letto e lei non c’era mai stata, perciò…
“Francesca!”
Sia Diego che la ragazza si voltarono verso la porta, notando uno piuttosto agitato Marco. Il giovane reggeva un grosso vocabolario e faceva scorrere lo sguardo dall’uno all’altra, pallido come un morto. Probabilmente il maggiore dei due fratelli avrebbe sghignazzato se non fosse stato troppo occupato a riflettere su quel nome: Francesca. Francesca. La guardò confuso e lei annuì. “Si,” confermò. “Sono Francesca, l’amica di Violetta.”
“Francesca?” Era incredulo, stupefatto. Lei era davvero quella ragazzina magra come un chiodo, con i brufoli e gli occhiali grossi e tondi? Incredibile, madre natura era stata davvero generosa con lei.
“Hai finito di importunare la mia ragazza?” Intervenne Marco, infastidito, poggiando il dizionario sul tavolo e fissandolo, in attesa.
Diego sgranò gli occhi a quelle parole. Aveva sentito bene? Quella mosca molesta di suo fratello aveva una ragazza? Quella ragazza?
“Avevo ragione allora,” ghignò beffardo, alzandosi e fronteggiandolo. “Ti sono cresciute le palle, eh fratellino?” Abbassò di colpo la voce, così che solo lui potesse sentire. “Ottima scelta comunque, è davvero un bel bocconcino.” Indugiò qualche istante su Francesca, poi un furioso Marco gli diede una forte spinta, che avendolo colto di sorpresa lo fece barcollare. “Stai alla larga dalla mia ragazza.”
Il maggiore dei due sogghignò. “Pensi davvero di farmi paura? E comunque stavamo solo parlando, vero bambolina?” Aggiunse, guardando la mora, che ruotò gli occhi. Non fece però in tempo a dire qualsiasi cosa, che Marco si gettò letteralmente addosso al fratello ed entrambi si ritrovarono sul pavimento, dando vita a una lotta di pugni e calci.
“Smettetela!” Urlò Francesca, spaventata, scattando in piedi. I due però continuarono a darsele di santa ragione, con Diego che ben presto prese il sopravvento, essendo più forte e veloce fisicamente. Si sedette a cavalcioni sul fratello minore, tempestandolo di pugni, finché non avvertì le piccole mani della ragazza stringersi al suo braccio. “Basta! Lascialo!”
“Che sta succedendo qui?” Angie era appena apparsa sulla soglia e fissava i tre a bocca aperta. “Diego, togliti da dosso a tuo fratello, ora!” Il ragazzo obbedì, asciugandosi il labbro sanguinante con la mano, mentre Francesca aiutava un Marco conciato decisamente peggio ad alzarsi. “Perché lo hai aggredito?” Strillò la Saramego, rivolgendosi al figlio maggiore. “Lo sai bene che la violenza non è gradita in questa casa! Pensavo fossi cambiato,” aggiunse, delusa.
“È stato lui ad iniziare!” Sbottò Diego, agitando le braccia. “Ammetto di averlo provocato, ma è stato lui ad aggredirmi, io mi sono solo difeso.”
“Si, certo!” Ribatté Marco, ruotando gli occhi. “Lui non è mai cambiato, è il solito violento e lurido delinquente. Il carcere non ha risolto il problema.”
Diego digrignò i denti, ma si costrinse a non ribattere. Marco lo stava provocando, voleva che lo aggredisse davanti ad Angie così che lei perdesse definitivamente la fiducia che aveva in lui e non poteva permetterlo. “Vado in camera,” disse alla fine. Prima di andarsene però, guardò la madre e aggiunse. “Volevo solo difendermi, ma sei libera di non credermi.”
Lei non disse nulla, allora se ne andò, seguito dalle frecciatine di Marco, che ancora una volta ignorò. Quel maledetto gliel’avrebbe pagata per quell’atteggiamento sfrontato che aveva iniziato ad adottare e allora sì che avrebbe riso. Nessuno tentava di umiliare Diego Galindo e la passava liscia, il suo caro fratellino era avvisato.




Violetta aprì lentamente la finestra e dopo aver controllato più volte che sua nonna stesse dormendo, invitò Leon ad arrampicarsi fino in camera sua. Nemmeno il tempo di atterrare con i piedi sul pavimento, che il ragazzo l’attirò a se e la coinvolse in un bacio appassionato. Tra baci e carezze audaci, si ritrovarono sdraiati sul suo letto uno sopra l’altro. “Non hai idea di quanto ti desidero,” sussurrò lui al suo orecchio, mordicchiandoglielo. “Mmm,” mugugnò lei, allacciandogli le braccia al collo. “Io non aspetto altro.” Si sorrisero, poi si baciarono con voracità, le mani che scorrevano dovunque sui loro corpi.



“Violetta!”
La ragazza sussultò, notando solo in quel momento Camilla e Francesca che reggevano un vassoio con del succo d’arancia e dei biscotti. Aveva completamente dimenticato di essere a casa della Torres, seduta sul suo letto e che le amiche fossero scese in cucina a prendere la merenda. Quasi senza rendersene conto, la sua mente aveva iniziato a viaggiare tra i ricordi e tutto questo perché fino a poco prima, stavano guardando un vecchio album di foto che risaliva alle scuole medie, ossia a poco prima della morte dei suoi genitori e quindi a quando Leon non era ancora entrato nella sua vita. Quante cose erano cambiate da allora, quanto era cambiata lei. Si costrinse però ad allontanare quei pensieri, aveva forse dimenticato di aver fatto una promessa? Doveva cancellare il passato, per lei doveva esserci solo il presente.
Prese un biscotto e iniziò a mangiarlo e lo stesso fecero le amiche, sedendosi accanto a lei. “A cosa pensavi?” Chiese Francesca, scrutandola attentamente. Quando insieme a Camilla era entrata nella camera, aveva notato come Violetta sembrasse persa in un sogno ad occhi aperti, un sogno che in qualche modo la rendeva malinconica e quindi il soggetto poteva essere solo uno: Leon Vargas. La sua amica aveva ammesso di amarlo ancora e che per questo non riusciva a lasciarsi andare con un altro ragazzo, ma lei era convinta che il suo non fosse amore, bensì un’ossessione. Violetta pensava che lui l’avesse tirata fuori dall’oscurità, che l’avesse salvata e si sentisse così grata da essere convinta di dovergli sempre qualcosa, o almeno questo era ciò che pensava Francesca. Ciò che legava la Castillo e Vargas non poteva essere amore, lui non era capace di amare, era solo un delinquente, violento e pericoloso e probabilmente Violetta aveva così paura da non riuscire a contraddirlo… si, doveva essere così.
“A niente,” disse Violetta, per poi cambiare repentinamente argomento. “Come sono andati i compiti con Marco?”
Quella semplice frase, riportò alla mente di Francesca quello strano pomeriggio a casa del fidanzato e in particolare l’incontro con suo fratello Diego. Da tanto tempo non vedeva il maggiore dei Galindo così da vicino. Per anni avevano frequentato la stessa scuola dato che lui aveva solo due anni in più, si erano ritrovati persino nello stesso liceo. Il ragazzo era sempre stato un bullo arrogante, violento, pericoloso e persino manipolatore, per colpa sua Violetta si era allontanata da lei e da Camilla e aveva iniziato a frequentare tutta quella gente poco raccomandabile, primo su tutti quel Vargas, che l’aveva cambiata totalmente, rendendola il suo burattino. Quante volte Violetta aveva partecipato agli scherzi crudeli e alle prese in giro del cugino e di Leon? Quante volte per colpa loro aveva marinato la scuola, si era ubriacata e chissà cos’altro? Diego era colpevole quanto Vargas e anche se aveva pagato il suo conto con la giustizia, Francesca continuava a non fidarsi di lui. Era inquietante prima del carcere e così era rimasto, tra l’altro l’aveva guardata in un modo che l’aveva fatta rabbrividire, sembrava quasi che la stesse spogliando con gli occhi e la cosa non le era piaciuta per niente. Quel ragazzo le faceva paura e sperava davvero che quella fosse stata la prima e l’ultima volta in cui se lo fosse trovato così vicino.
“Siamo a buon punto, ci restano solo alcune equazioni e un capitolo di storia,” spiegò l’italiana, tentando di nascondere il turbamento che il solo pensare a Diego le provocava. Probabilmente però, non doveva esserci riuscita, perché Camilla mormorò: “C’era anche quel bell’imbusto di suo fratello, immagino.” Francesca impallidì, affrettandosi ad annuire. “Si, c’era anche lui. Marco mi ha detto che i suoi genitori lo tengono segregato in casa.”
“E ci credo!” Esclamò la Torres, agitando le braccia. “Io un tipo del genere lo terrei legato come una bestia, ogni volta che fa solo un passo causa disastri. Scusa Vilu,” aggiunse, guardando la Castillo, che annuì. “So come la pensate su Diego, così come so che è inutile dirvi che non è come sembra.”
Francesca rise, incredula. “Ci ha provato con me, Vilu! Ti rendi conto?” Sotto lo sguardo stupito delle amiche, proseguì. “Si è presentato in cucina mezzo nudo e non mi ha tolto gli occhi di dosso per tutto il tempo! Chissà cos’avrebbe fatto se non fosse arrivato Marco.” Raccontò poi loro della rissa tra i due fratelli e del successivo arrivo di Angie. “Il mio povero Marco ne ha passate fin troppe a causa di quella bestia che si ritrova come fratello e non capisco perché Pablo e Angie si ostinano a volergli dare una possibilità.”
“E secondo te perché?” Sbottò Violetta, lasciando basita sia lei che Camilla. “Diego è loro figlio esattamente come lo è Marco, è normale che vogliano credere in lui e secondo me fanno bene. Diego non è cattivo, semplicemente non è mai stato capito… solo io e Leon lo capiamo,” aggiunse con un filo di voce, ma le due lo carpirono comunque e ruotarono gli occhi.
“Devi toglierti quel Vargas dalla testa, Vilu,” la rimproverò Camilla. “Lui non fa per te, ti ha causato solo problemi.”
“Già,” convenne Francesca. “Ora che finalmente te ne sei liberata, devi riprendere in mano la tua vita e anche quella sentimentale, magari dando una possibilità a Thomas. Non è stato carino il modo in cui sei scappata l’altro giorno.”
La Castillo sbuffò, sollevando gli occhi al cielo. “Lo so perfettamente che devo dimenticarlo, ma non è facile. Una volta tanto non potreste provare a mettervi nei miei panni? Leon fa parte della mia vita da quando avevo tredici anni e non posso cancellare tutto all’improvviso… è impossibile.” Dettò ciò, scattò in piedi e si avviò verso la porta. “Scusate, ma ho bisogno di stare da sola.” A nulla servirono i richiami e le scuse delle amiche, lei era già andata via, desiderosa di allontanarsi almeno per un po’ da tutto e da tutti e pensare, pensare al modo di prendere finalmente in mano la sua vita, cosa che fino a quel momento ancora non aveva fatto.






Lo avete chiamato a gran voce ed eccolo qui, Leon! Se Diego vi ha lasciati un po' diffidenti, mi chiedo cosa penserete del nostro Vargas, completamente diverso da quello dolce della serie, ma comunque innamorato di Vilu :3 poi c'è stato il primo incontro tra Diego e Francesca e la faccia sconvolta di lui quando ha capito chi fosse XD altro scontro tra i due fratelli, fermato da una Angie molto delusa. Infine Vilu ricorda un dolce momento da scleri con Leon awwwww interrotto da Fran e Cami, che mostrano una certa ostilità sia verso Leon che verso Diego, cosa che però la ragazza non regge e per questo va via. Grazie di cuore a tutti voi che mi seguite con tanto affetto, in particolare ai 12 che mi hanno recensito lo scorso capitolo, siete stati dolcissimi, grazieeee!! *_________*
Baci <3


 

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Capitolo 4
*** Aldilà delle apparenze ***





Pablo camminava avanti e indietro per il salotto, scuotendo il capo e passandosi continuamente le mani nei capelli. Angie gli aveva appena raccontato ciò che era successo in sua assenza e ancora non riusciva a crederci. Marco era appena uscito dall’ospedale per farsi mettere dei punti al sopracciglio e aveva diversi lividi e graffi sul volto, tutto questo per colpa di Diego. Con tutto se stesso aveva voluto credere che suo figlio fosse cambiato, che non avrebbe più commesso gli errori del passato e invece c’era caduto di nuovo. Diego aveva picchiato Marco, lo aveva fatto davvero, aveva deluso la fiducia che avevano riposto in lui. Guardò Angie, raggomitolata sul divano e si rese conto che stesse piangendo silenziosamente. Le si sedette accanto e la strinse forte a se.
“Perché Pablo, perché…” singhiozzò la bionda, abbandonando il capo contro il suo petto. “Credevo che il mio Diego fosse davvero cambiato… lo ha fatto di nuovo e… cosa dobbiamo fare?”
Pablo sospirò, accarezzandole dolcemente il capo. “Non lo so Angie, non lo so. In questi giorni lo avevo visto davvero diverso, ma forse ha solo finto… è un ottimo attore.”
“Pablo.” Angie sciolse l’abbraccio, asciugandosi le lacrime e specchiandosi nei suoi occhi scuri, così simili a quelli di Marco. “Tu credi che ci tenga almeno un po’ a noi?” Sussurrò, quasi con timore, come se in realtà una risposta non la volesse e forse era davvero così. Aveva paura, paura che lui confermasse quella sua terribile paura.
L’uomo, che la conosceva meglio di chiunque altro, capì quali fossero i suoi pensieri e la strinse ancora a se, facendola sedere sulle sue gambe e cullandola, come faceva quando erano ragazzini. “Certo che ci tiene,” mormorò al suo orecchio. “Siamo i suoi genitori e poi sa che lo amiamo. Parlerò con lui, cercherò di capirlo,” promise, sfiorando la fronte della moglie con le labbra. “Non mi arrenderò finché non ci sarò riuscito, non permetterò agli eventi, alle incomprensioni o a qualunque cosa sia di portarci via nostro figlio. Te lo prometto, Angie.” Le prese il volto tra le mani, asciugandole le lacrime con i pollici e sorridendole teneramente. Lei sorrise a sua volta, stampandogli un bacio sulle labbra. “È per questo che ti amo, tu non ti arrendi mai… sei la mia roccia.”
“E lo sarò sempre amore… sempre,” sussurrò lui, prima di far congiungere le loro labbra e dar vita a un lungo e profondo bacio. Alla fine del bacio, poggiò la fronte contro la sua e aggiunse: “Ce la faremo, la famiglia Galindo supererà anche questa.”
Angie annuì, sfiorandogli il volto con una leggera carezza. “Se ci credi tu, allora ci credo anch’io. Ti amo, Pablo.”
Lui sorrise, perdendosi nei bellissimi occhi verdi della moglie. “Ti amo anch’io, Angie.”

Poche ore dopo, erano tutti a cena, tutti tranne Diego. Il ragazzo infatti aveva detto di non avere fame e se Marco mangiava come se nulla fosse, Pablo e Angie non facevano altro che guardare verso la porta, quasi si aspettassero di vederlo comparire. Aveva sbagliato ed erano arrabbiati e delusi, ma restava comunque loro figlio e mai avrebbero potuto odiarlo.
“Vuoi dell’altro pollo, tesoro?” Chiese Angie, accarezzando il capo di Marco. “Ti vedo sciupato.”
Lui annuì, facendo una smorfia di dolore. I punti dovevano fargli ancora male, dopotutto erano passate solo poche ore da quando glieli avevano messi. “Si, grazie mamma.”
Osservando quel perfetto quadro familiare, Pablo capì di non poter reggere più. Amava Angie e Marco con tutto se stesso, ma proprio non ci riusciva a comportarsi come se nulla fosse. Avrebbe voluto che anche Diego fosse lì con loro, solo allora avrebbe potuto essere davvero felice e per questo doveva fare qualcosa. Si alzò in piedi, attirando lo sguardo confuso della moglie e del figlio. “Devo parlare con Diego.”
Angie annuì, rivolgendogli un dolce sorriso. Marco invece s’irrigidì. “Non capisco perché devi farlo. Ha sbagliato e semmai deve essere lui a venire a scusarsi.”
Pablo scrollò le spalle. “Infatti non voglio scusarmi, voglio solo parlargli.”
“Ma,” provò a protestare il ragazzo, ma la madre gli poggiò una mano sul braccio, invitandolo a non insistere. “Pensa a mangiare, tesoro mio,” gli sussurrò, schioccandogli un bacio sulla guancia.
Dopo aver rivolto alla donna un sorriso riconoscente, Galindo lasciò la cucina e salì la scalinata che portava alle camere da letto. Quella di Diego e Marco era in fondo al corridoio. Bussò diverse volte, ma non ricevette nessuna risposta. Il timore che potesse essere scappato dalla finestra come faceva in passato, lo portò a spalancare la porta. Era tutto al buio e per un attimo pensò di non essersi sbagliato, poi però individuò la figura di suo figlio sul letto, profondamente addormentato con le cuffie alle orecchie. Istintivamente sorrise. Diego non gli aveva disobbedito, era rimasto lì nella sua camera. Chiuse piano la porta, poi andò a sedersi sul bordo del letto e gli tolse le cuffie.
Quel semplice gesto, portò il ragazzo a spalancare gli occhi, sorpreso. “Papà?” Mormorò con voce assonnata.
Lui annuì, riponendo l’MP3 e le cuffie sul comodino, per poi tornare a guardarlo. “Tua madre mi ha detto ciò che è successo oggi.”
Diego ruotò gli occhi e sbuffò. “Se sei qui per farmi la predica, sappi che non ne ho bisogno.” Si alzò poi in piedi e accese la luce, tornando a guardare il padre. “Immagino sia inutile raccontarti la mia versione, ormai mi avete già condannato,” proseguì con una chiara traccia di ironia.
Pablo sospirò, invitandolo con un gesto a sedersi accanto a lui. “Parlami Diego, dimmi qualsiasi cosa, ma dimmela.”
Il giovane rise, incredulo. “E a che servirebbe? Ho visto lo sguardo di mamma e ora vedo il tuo, siete delusi da me.” Si avvicinò alla finestra e guardò distrattamente oltre di essa, seguito dallo sguardo attento del padre. “Lo so che sei convinto che sono sempre il solito stronzo.” Disse ciò con un filo di voce, ma Pablo, che lo aveva prontamente raggiunto, lo carpì e lo costrinse a voltarsi verso di lui. “Ascoltami Diego, non sono qui per rimproverarti. Voglio che mi racconti la tua versione dei fatti.” Sotto lo sguardo confuso del figlio, aggiunse: “Marco mi ha detto che ci stavi provando con la sua ragazza, è vero?”
Diego ghignò. “Non lo sapevo che fosse la sua ragazza, in realtà non immaginavo proprio che potesse avere una ragazza. Non è colpa mia se sembra uno sfigato,” aggiunse sotto l’occhiataccia del padre.
“Diego,” sospirò Pablo, passandosi nervosamente una mano nei capelli. “Tu e Marco siete fratelli e dovreste volervi bene, non farvi continuamente la guerra.”
Il giovane ruotò gli occhi, divertito. “Papà, io e lui non potremmo essere più diversi e comunque da quando sono tornato, fa di tutto per cercare uno scontro, ma tanto non lo ammetterà mai e tu ovviamente crederai a lui.” Sorpassò poi l’uomo e si gettò sul letto a peso morto, recuperando l'MP3 e le cuffie. Prima che potesse però isolarsi di nuovo nel mondo della musica, Pablo mormorò: “Dimostramelo, dimostrami che sei cambiato.”
A quelle parole, Diego si mise improvvisamente seduto e lo guardò con un sopracciglio inarcato. “Che vuoi dire? Non sei qui per punirmi?” Era confuso, stupefatto. Si aspettava una ramanzina e invece lui era lì tutto tranquillo, come se fosse stato in classe e stessero discutendo delle correzioni da fare a una canzone. Possibile che suo padre volesse davvero dargli una possibilità nonostante avesse mandato Marco in ospedale?
“Devi imparare a non cedere alle provocazioni,” continuò Galindo, avviandosi verso la porta. “Il più delle volte, ciò può farti passare per colpevole anche se non lo sei. L’autocontrollo è tutto figliolo, ricordatelo sempre. Buonanotte,” sorrise, per poi lasciarlo solo.
Diego si sdraiò, mentre le ultime parole di suo padre gli rimbombavano nelle orecchie più e più volte. Quella conversazione era stata diversa dalle solite che avevano avuto, sembrava quasi che l’uomo volesse fargli capire qualcosa senza però sbilanciarsi. Tra l’altro non lo aveva accusato o rimproverato, gli aveva dato un consiglio. Che Galindo avesse capito che tutto fosse partito da Marco? Un grande sorriso si formò sul suo volto, forse non era tutto perduto, forse non aveva ancora perso la fiducia dei suoi genitori.
Senza pensarci troppo, decise di scendere in cucina, sicuro che sua madre gli avesse lasciato gli avanzi della cena. Passando accanto al bagno però, gli giunse alle orecchie la voce di Marco.
“È pericoloso mamma, mi ha aggredito solo perché gli ho detto di stare lontano dalla mia ragazza e poi non fa altro che minacciarmi, dice che non devo mettergli i bastoni tra le ruote, altrimenti me la fa pagare e… ho paura mamma,” aggiunse con un filo di voce. Attraverso lo spioncino, Diego lo vide gettarsi tra le braccia di una sconvolta Angie e istintivamente digrignò i denti. Ne aveva abbastanza di lui, non faceva altro che screditarlo e remargli contro, ma non poteva picchiarlo, altrimenti, come aveva detto Pablo, sarebbe passato dalla parte del torto e perciò doveva inventarsi qualcos’altro, ma cosa?
“Pensavo stesse dormendo, altrimenti non avrei invitato Francesca. Credo che l’abbia spaventata, oltre che messa in imbarazzo. Mi vergogno di essere associato a lui e ho paura che Francesca possa lasciarmi per colpa sua e dei suoi atteggiamenti da delinquente perverso,” continuò Marco, ma ormai Diego non aveva bisogno di sentire altro, sapeva perfettamente cosa doveva fare per vendicarsi di suo fratello. Come aveva fatto a non pensarci prima? Eppure era così ovvio. Con un ghigno crudele stampato in faccia, se ne andò in cucina e mangiò il piatto che Angie gli aveva conservato in frigo. Marco non aveva idea contro chi si era messo, gli avrebbe fatto passare la voglia di fare la vittima e di mentire. “Goditi la fidanzatina finché puoi,” sussurrò maligno. “Perché poi sarà mia e allora vedremo chi riderà.”




Rosso. Verde. Rosa. Blu. Violetta aveva svuotato la borsa degli smalti sul letto, indecisa su quale colore scegliere per le sue unghie. Era uno dei tanti pomeriggi ad alto tasso di umidità, di quelli lunghi e afosi, dove un minimo movimento era sufficiente per rendere una persona una spugna di sudore e per questo cercava di impegnarsi in un’attività tranquilla e la manicure lo era sicuramente. Sarebbe voluta uscire con Francesca e Camilla, ma le due erano con i loro fidanzati, perciò doveva accontentarsi di un pomeriggio a casa con sua nonna. Thomas, su suggerimento di Marco, le aveva proposto di aggregarsi alle due coppie, ma lei aveva rifiutato. Aveva capito che lo spagnolo si fosse preso una cotta e dato che non lo ricambiava, non voleva illuderlo.
Alla fine la giovane scelse lo smalto rosa pallido e proprio mentre stava facendo la seconda passata, sentì bussare alla porta della sua camera.
“Entra, nonna,” disse distrattamente, ancora impegnata con la manicure.
“Ciao, cuginetta.” Violetta sollevò lo sguardo, sorpresa, incrociando quello sorridente di Diego. “Posso entrare?”
“Certo che puoi,” sorrise la giovane, andandogli incontro e abbracciandolo. Proprio in quei giorni aveva pensato al cugino e alla voglia che aveva di passare un po’ di tempo con lui, perciò vederlo non poteva che farle piacere. “Gli zii ti hanno fatto uscire da solo?” Chiese sorpresa, rammentando che lui le avesse detto che i genitori lo tenevano sotto stretto controllo.
Diego scosse la testa, scompigliandole affettuosamente i capelli. “Sono venuto con mia madre, solo così sarei potuto uscire di casa. Manicure?” Aggiunse divertito, indicando con un cenno il letto pieno zeppo di smalti.
Lei annuì, affrettandosi a riporli tutti nella borsa. “Dovevo trovare il modo di passare il tempo, senza correre il rischio di sudare.” Mise la borsa nell’armadio e quando tornò a voltarsi verso di lui, lo trovò stravaccato sul suo letto. Istintivamente sorrise. Passavano gli anni, ma suo cugino non aveva perso le vecchie abitudini, continuava a disordinarle tutto il letto senza preoccuparsi di chiedere se poteva. In quell’anno di assenza, era una di quelle piccole cose che le era mancata di più. Andò a sdraiarsi accanto a lui, poggiando il capo sul suo petto e subito il ragazzo l’abbracciò. Violetta chiuse gli occhi, rilassandosi completamente. Con Diego le succedeva sempre, lui era in grado di trasmetterle pace e tranquillità semplicemente abbracciandola. Tante volte dopo un litigio con Angelica o con Leon, correva da suo cugino e lui sapeva subito come farla sentire bene e anche quella volta, ci stava riuscendo alla perfezione.
“Come stai?” Sussurrò il ragazzo, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. “Più ti guardo e più ti vedo infelice. La vecchia ti sta soffocando? Dimmi la verità.”
Violetta sollevò il capo dal suo petto, così da poterlo guardare negli occhi. “Lo so che tu e la nonna non andate molto d’accordo, però ti posso assicurare che sta facendo di tutto per non farmi mancare nulla e non solo… vuole bene anche a te.”
“Si, come no,” rise il moro, ruotando gli occhi. “Non ha mai nascosto che mi considera la causa di tutti i problemi della nostra famiglia e sicuramente mi preferiva in carcere, che qui accanto a te.”
“Forse,” concordò lei, tornando a poggiare il capo sul suo petto. “Però sappiamo entrambi che non è così. Ho frequentato cattive compagnie e adottato altrettante abitudini di mia volontà, tu non c’entri nulla e continuerò a ripeterglielo all’infinito.”
Diego sorrise, accarezzandole dolcemente i capelli. “Sai, forse anche mio padre inizia a credere in me. Io sono uno stronzo, ma Marco che mi punzecchia continuamente non è da meno e lui sembra averlo capito, pensa che mi ha anche consigliato di avere più autocontrollo.”
“Davvero?” Chiese Violetta, sorpresa. “Hai fatto qualcosa per spingere Marco a reagire così? Voglio dire, normalmente è un tipo tranquillo.”
A quelle parole il ragazzo scoppiò a ridere amaramente. “Oh andiamo cuginetta, d’accordo che ho un caratteraccio, ma mi sto comportando bene. Lui non fa altro che provocarmi e l’altro giorno mi ha pure aggredito perché mi ha trovato in cucina insieme alla sua ragazza, che poi da quando quello lì ha una ragazza?” Aggiunse, stupito. “Avrei di più scommesso che la vecchia si trovasse un amico di giochi.”
La Castillo scoppiò a ridere. Quando voleva, suo cugino sapeva essere davvero comico. “Si, Francesca mi ha raccontato del vostro incontro, ma veramente hai flirtato con lei?” Chiese curiosa. Mai avrebbe immaginato loro due nella stessa stanza senza insulti o prese in giro.
Diego ghignò. “Te l’ho detto, non sapevo fosse fidanzata con Marco, né tantomeno immaginavo che fosse quella racchia sfigata che tormentavo costantemente alle scuole medie. Cavolo, stentavo a crederci.”
Violetta scosse la testa incredula, mentre lui continuava a sghignazzare. “Non mi avevi detto che la tua amica si fosse fatta così… interessante.” Un lampo di malizia attraversò il suo sguardo, cosa che alla giovane non sfuggì e per questo scosse la testa con decisione. “Non pensarci nemmeno!”
“A cosa?” Chiese lui, fingendo un’innocenza che lei sapeva non avesse per niente. Conosceva Diego e sapeva che quel guizzo che aveva visto nei suoi occhi, non era altro che il guizzo del predatore. Suo cugino era sempre stato famoso per i tanti flirt, tanto che il più delle volte lei e Leon si ritrovano a scommettere quanto tempo sarebbe durata con la ragazza di turno e di solito tutto terminava dopo una notte di sesso.
“Stai lontano da Francesca, non ti permetterò di giocare con lei come fai con le altre.” Violetta si era seduta sulle ginocchia e lo fulminava con i grandi occhi nocciola, ma se pensava di spaventarlo si sbagliava di grosso. “Sei così buffa,” la prese in giro, beccandosi una pernacchia. “Dico sul serio Diego, lei è mia amica e se provi a farla soffrire te la faccio pagare. Non sto scherzando,” aggiunse sotto il suo sguardo divertito. “Hai dimenticato con chi uscivo fino all’anno scorso? Ho imparato alcune cose.”
Diego sollevò le mani in segno di resa, anche se il sorriso non abbandonava il suo volto. “Se la metti così, allora devo preoccuparmi. Un uomo perverso è pericoloso, una donna è due volte peggio.”
“Ecco, bravo, tienilo a mente,” rise lei, dandogli un affettuoso buffetto sulla spalla. “Mi fido di te,” proseguì, facendosi improvvisamente seria e Diego si sentì uno schifo. Violetta gli stava dando fiducia, mentre lui già progettava di sedurre Francesca e farla innamorare, che razza di persona era? Nella sua mente si fecero strada due importanti quesiti, era più importante la vendetta nei confronti di suo fratello, o l’amore che nutriva per sua cugina? Ma onestamente, voleva davvero portarsi a letto Francesca per poi lasciarla? Aveva elaborato l’idea di farla innamorare e portarla a lasciare Marco per lui, non aveva pensato al resto e per questo si sentiva come se gli avessero sottratto la terra da sotto i piedi. Cosa doveva fare?
“Ce l’hai ancora la mia vecchia chitarra?” Le chiese all’improvviso, ricordandosi della chitarra che le aveva chiesto di custodire prima di andare in carcere un anno prima. Era un regalo dei suoi genitori per il suo diciottesimo compleanno e non voleva che Marco ci mettesse sopra le sue zampe, per questo l’aveva data a Violetta. Quando era nervoso e doveva prendere una decisione importante, la musica lo tranquillizzava e lo aiutava a fare chiarezza e in quel momento ne aveva più che mai bisogno.
Seppur confusa da quell’improvvisa domanda, la ragazza si affrettò a prendere una bellissima e lucida chitarra in legno dall’armadio e gliela porse. Diego la impugnò, poi socchiuse gli occhi e iniziò a suonare, accompagnando con la sua voce.


Escucha y siente
Sube el volumen vas a enloquecer, enloquecer, enloquecer, Oh...

Entiende y siente, que de corazones rotos, soy el rey, yo soy el rey, soy el rey, Oh...

Escucha mi cancion
Haz lo que te dicta el corazon
En mi ritmo ponte a bailar
Esto es especial
mi estilo te va a conquistar

Tues pies ya se mueven al compas,
Se que no lo puedes evitar
Es como sin alas volar
Mi estilo te va a conquistar


Violetta lo guardava con un grande sorriso stampato in faccia. Quando Diego cantava, tirava fuori il meglio di se e sembrava davvero felice e completo come mai lo aveva visto. Tra l’altro aveva una bella voce, potente e allo stesso tempo graffiante. Quasi senza rendersene conto, le tornarono alla mente le tante volte che avevano cantato insieme e per questo le risultò spontaneo sedersi accanto a lui e unirsi al ritornello.

Y es que yo soy asi
Mi vida es alocada
Siento que voy a mil contigo todo cambia

Y es que yo soy asi
Con solo una mirada
Vas a quedar de mi
Por siempre enamorada

Oye Muneca
Yo soy asi
Pregunta por ahi
Pero contigo...

Todo cambia
Cuando te acercas a mi
Tus ojos me hacen sentir que estoy volando, volando

Tu precensia, mi mundo completa

Te haré mi princesa, hoy con un beso



Nel frattempo, Francesca, che era tornata prima dall’appuntamento con Marco, aveva deciso di andare a trovare Violetta, dato che le dispiaceva avesse dovuto passare parte del pomeriggio da sola. Angelica e Angie le dissero che la ragazza era al piano di sopra, perciò si affrettò a raggiungerla. Stava per bussare alla porta, quando le giunse alle orecchie una canzone che non aveva mai sentito prima. Attraverso la piccola fessura lasciata dalla porta socchiusa, poté vedere chiaramente Violetta e Diego seduti sul letto. Lui suonava la chitarra e fissava la cugina con un grande sorriso, prontamente ricambiato da lei, mentre intonavano una canzone. Francesca ovviamente aveva sentito la sua amica cantare tante volte ed era rimasta colpita sin da subito dalla sua voce e dalla luce nei suoi occhi, ma era la prima volta che sentiva cantare Diego. Aveva sempre pensato che quel ragazzo fosse inquietante e pericoloso, quei tipi che se li incontri per strada attraversi prima che si rendano conto di te. Da piccola l’aveva sempre tormentata con scherzi crudeli, attribuendole tra l’altro degli altrettanto maligni soprannomi. Quante lacrime aveva versato per colpa sua, quante volte lo aveva accusato di aver strappato a lei e a Camilla la loro migliore amica. Quel giorno a casa sua e di Marco, aveva visto ancora più oscurità nei suoi occhi e il modo in cui l’aveva guardata l’aveva spaventata, ora però vedeva qualcosa di diverso, una luce. La sua voce poi le piaceva, era roca, dura, graffiante e… con stupore si rese conto di avere la pelle d’oca. Cosa le stava succedendo?
“Francesca.” L’italiana sussultò, riprendendosi da quella sorta di trance in cui era caduta. Violetta e Diego avevano finito di cantare e la fissavano, sorpresi. “Vieni, entra,” la invitò la Castillo, mentre il moro la fissava con insistenza.
“Sono venuta a trovarti,” ammise, sforzandosi di ignorare il ragazzo. “Pensavo fossi sola.”
“In effetti era così, ma poi,” iniziò Violetta, ma fu prontamente interrotta dal cugino. “Ma poi è venuto Dieguito a farle compagnia,” spiegò, ghignando in direzione di Francesca, che avvampò, ma si sforzò di non darlo a vedere. “Mi fa piacere.”
Seguirono istanti di imbarazzante silenzio, durante i quali Diego capì di essere decisamente di troppo e per questo si avviò verso la porta, non prima però di aver stampato un bacio sulla guancia di Violetta. “Vi lascio sole. Ciao cuginetta, ciao bambolina.” Indugiò su Francesca più a lungo del necessario, poi le strizzò l'occhio e se ne andò. Se la Castillo un attimo prima stava sorridendo, quello dopo il sorriso sparì dal suo volto. Non sapeva dire se l’avesse sconvolta di più il modo in cui Diego guardava la sua amica o il rossore che colorava le guance di lei. Cosa stava succedendo?




Holaaaaa!!
Per la gioia di Dulcevoz, il capitolo inizia con una dolcissima scena Pangie, dove lui riesce come sempre a rassicurarla awwwww :3 Pablo ha poi un confronto con Diego, suggerendogli di avere maggiore autocontrollo, avendo capito che Marco lo sta mettendo a dura prova. A conferma di ciò, proprio Marco scredita ancora il fratello parlando con Angie e a quel punto Diego progetta il folle piano di soffiargli la ragazza. Un piano su cui ha dei dubbi quasi subito quando si ritrova a parlare con Vilu, la sua amata cuginetta. Nel finale Diego e Vilu cantano Yo soy asì e Francesca, che arriva in quel momento, resta colpita dalla voce del ragazzo e per la prima volta vede qualcosa di positivo in lui.
Prima di salutarvi ci tenevo a ringraziarvi per il tanto affetto con cui mi state seguendo, grazie. Siete davvero dolcissimi! :3
Per chi se lo stesse chiedendo, Leon is back nel prossimo capitolo! ;)
baci <3


 

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Capitolo 5
*** Leon Vargas ***





Leon si portò distrattamente la sigaretta alle labbra, inspirando una boccata di fumo. Ogni mattina, ai detenuti era concessa un’ora all’aria aperta, precisamente nel cortile della struttura, che era sorvegliato da un vasto numero di guardie, disposte in base alle arie e al numero di prigionieri. Lui di solito approfittava di quell’ora per fumare o per prendere un po’ di sole, dato che dalle sbarre della finestra della sua cella, filtrava ben poca luce e spesso faceva fatica a capire che ore fossero. Quel giorno però, il sole era l’ultimo dei suoi pensieri e il fumo serviva solo per contenere il suo nervosismo. Erano passate tre settimane da quando suo padre gli aveva assicurato che lo avrebbe tirato fuori di lì, tre settimane in cui non si era fatto né vedere e né sentire e la sua pazienza iniziava seriamente a scricchiolare. Cos’era successo? Perché se quella persona che conosceva suo padre era così influente, lui era ancora lì dentro? Perché Fernando non si era più fatto vedere? Il suo pensiero andò poi a Violetta e a quando avrebbe potuto riabbracciarla. La ragazza gli mancava come l’ossigeno, gli mancava stringerla tra le sue braccia, gli mancava il suo profumo, gli mancavano le sue labbra. La sognava ogni notte e si sorprendeva dei tanti piccoli particolari di lei che gli tornavano in mente, cose che prima di quel momento non aveva mai notato e che ora che erano lontani, si rendeva conto di aver memorizzato. Mai prima di conoscerla avrebbe pensato di innamorarsi, soprattutto della dolce e innocente cuginetta del suo migliore amico e invece era accaduto, quella ragazza gli aveva fatto perdere la testa ed era sicuro che per lei fosse lo stesso. Violetta lo stava aspettando, era convinto che fosse così e quella era l’unica speranza che gli permettesse di andare avanti.
“Vargas, vieni qui!” Una guardia, che proveniva sicuramente dall’interno della struttura, lo chiamava a gran voce con un’espressione abbastanza seria. Confuso, spense la sigaretta e si affrettò a raggiungere l’uomo. “Che succede?”
“Devi andare a recuperare le tue cose, tra poco esci,” gli spiegò la guardia con voce annoiata, lasciandolo basito. “Come? Stai scherzando?” Chiese, sicuro di aver capito male. Possibile che suo padre ce l’avesse fatta?
L’uomo si limitò a scrollare le spalle, per poi condurlo nel lungo e tetro corridoio. “Hai cinque minuti per prendere tutto,” gli disse, quando raggiunsero la sua cella.
Leon sogghignò. “Dammi il tempo di recuperare tutti i miei preziosi tesori e sarò pronto.”
La guardia lo fulminò con lo sguardo, infastidito da tanta ironia. “Sbrigati.”
Dopo un’ultima occhiata divertita, il ragazzo gettò in uno zaino i suoi pochi averi, la pallina di gomma che gli aveva tenuto compagnia per tanto tempo compresa. Stentava ancora a crederci, stava davvero per uscire. Quasi non prestò attenzione ai numerosi fogli che dovette firmare, la sua mente già pregustava la tanto agognata libertà.
Con lo zaino in spalla e un grande sorriso stampato in faccia, Leon varcò finalmente la pesante porta in ferro, trovando ad aspettarlo suo padre e sua sorella. Lara subito gli si gettò tra le braccia, stritolandolo così forte da rischiare di rompergli qualche costola. “Oh Leon! Quanto è bello poterti abbracciare di nuovo!” Esclamò, euforica. Lui sorrise, scompigliandole teneramente i capelli. “Anche tu mi sei mancata, sorellina.” Abbracciò poi suo padre, lasciandolo basito. Loro due infatti, non erano mai stati molto espansivi. “Grazie papà, non ne potevo più di stare chiuso lì dentro.”
Fernando annuì, dandogli una pacca sulla spalla. “Ti avevo detto che ti avrei tirato fuori, figliolo e io mantengo le mie promesse.”
Leon sorrise e annuì, stringendo ancora a se la sorella. “Andiamo a casa, ho bisogno di un bagno come si deve.” Entrarono poi nella grande macchina dell’uomo, mentre Lara non faceva altro che parlare, raccontandogli tutto ciò che era successo in sua assenza, sembrava una mitraglietta, ma il giovane non poteva lamentarsi, la sua vita gli era mancata come l’ossigeno. Amava suo padre e sua sorella, erano la sua famiglia, coloro che insieme a Diego e a Violetta lo capivano meglio di chiunque altro e stare lontano da tutti loro lo aveva fatto sentire vuoto, privo di qualsiasi sentimento che non fosse il nervosismo e l’esasperazione.
Appena arrivarono a villa Vargas, Leon si fiondò in bagno, concedendosi un lungo e rilassante bagno, quasi avesse strati e strati di sporcizia da scrostarsi di dosso, ma forse era davvero così. Una parte di lui infatti, considerava sporcizia quell’anno di segregazione e sperava così di cancellarlo dalla sua mente attraverso il corpo. Dopo essersi asciugato e aver indossato dei vestiti puliti degni di un Vargas, recuperò il rasoio e si fece la barba, per poi tagliare i capelli, che ora erano molto più corti di come li aveva sempre avuti. Sorrise, osservando attraverso lo specchio il risultato ultimato. Finalmente si riconosceva, finalmente Leon Vargas era tornato.
“Leon.”
Il ragazzo, che aveva appena raggiunto la sorella in cucina, sollevò lo sguardo, sorridendole. Lara era felice, euforica, mentre metteva la pentola con l’acqua sul fuoco e gli piaceva molto vederla così. Lei era una delle donne più importanti della sua vita e sapeva quanto fosse fragile, perciò poteva immaginare quanto avesse sofferto in sua assenza. Le si avvicinò e l’abbracciò. “Sono qui Lara, non me ne vado più. Te lo prometto.”
Lei annuì, seppellendo il volto contro il suo petto. “È così bello averti di nuovo qui Leon, mi sei mancato così tanto.”
“Anche tu Lara, anche tu.”
Tu. Tu. Tu. Leon gettò il cellulare sul letto con stizza. Era più di un’ora che tentava di chiamare sia Diego che Violetta, ma il telefono squillava a vuoto senza alcuna risposta. Perché non gli rispondevano? Avevano cambiato numero? Si lasciò cadere a sua volta sul letto e si connesse su internet. Chissà, magari li avrebbe trovati su Facebook. Anche lì però, ebbe una brutta sorpresa. I due infatti, non avevano più un account sul social network e nemmeno su Twitter. In passato passavano tanto tempo a chattare, era convinto che lì li avrebbe trovati, quindi l’unica spiegazione era che Angelica e i Galindo li avessero costretti a stare lontani da internet, quasi si aspettassero che lui potesse contattarli dalla sua cella. “Maledetti,” borbottò tra se e se. Poche ore prima, Lara gli aveva confermato di non vederli da parecchio e che Violetta fosse tornata a frequentare le vecchie amicizie, in particolare Francesca e Camilla, le ragazzine sfigate che per tanto tempo aveva deriso. Anche se si sforzava di negarlo con tutto se stesso, iniziava seriamente a temere che la Castillo lo avesse dimenticato, che avesse trovato il modo di essere felice senza di lui. Il solo pensiero lo faceva impazzire e gli faceva venir voglia di spaccare tutto. Lui e Violetta erano una cosa sola, erano legati l’uno all’altra a doppio filo, non poteva essere finito tutto così, non poteva accettarlo. “Dovessi vedermela anche contro il mondo intero, noi staremo insieme Violetta, te lo giuro,” mormorò, digrignando i denti e stringendo forte i pugni.





“Quest’anno sarà veramente dura,” commentò Camilla, ravvivandosi nervosamente la lunga chioma ramata. Francesca e Violetta, che camminavano accanto a lei, annuirono. Gli ultimi giorni di vacanza erano passati in un baleno e ora era già tempo di tornare allo Studio. Quello per loro sarebbe stato l’ultimo anno, quello che a detta di tutti era il più impegnativo, dato che avrebbe potuto portare all'incisione di un cd o di un tour per gli studenti che si sarebbero rivelati più talentuosi.
“Già mi immagino gli interminabili pomeriggi nell'aula di danza o in quella di canto,” aggiunse Francesca, spaventata al solo pensiero. “Marco poi non ci farà fermare finché non sarà soddisfatto.”
“Parla per te!” Ribatté Camilla, divertita. “È il tuo ragazzo, non il mio. È lui che fa il secchione sia a scuola che allo Studio e tu te lo sopporti, vero Violetta?” Proseguì, guardando la Castillo, che scoppiò a ridere. “Camilla ha ragione, d’accordo che quest'anno può cambiare le nostre vite e tutto il resto, ma non ho intenzione di agonizzare per tutto il giorno chiusa in un'aula. Farò del mio meglio, senza però impazzire.”
Francesca scosse la testa, incredula. “Possibile che solo io ci tenga a raggiungere la perfezione? Siete due teste calde.”
“E felici di esserlo,” aggiunse la Torres, varcando il cancello d’ingresso dello Studio, seguita dalle due amiche. “Marco è troppo perfettino, Seba lo dice sempre. Non si può pensare solo ai doveri, bisogna pure svagare in qualche modo,” detto ciò, raggiunse il suo ragazzo, con cui scambiò un dolce bacio.
“Immagino che nulla che dirò vi farà cambiare idea,” commentò l’italiana, scrollando le spalle.
“Che intuito,” sorrise Violetta, sedendosi su un muretto insieme all’amica. “La scuola e lo Studio sono importanti, ma non si può vivere di essi e poi non dimenticare che la musica deve essere prima di tutto una passione e non un dovere.”
Francesca fece per rispondere, quando videro la macchina rossa di Pablo fare il suo ingresso nel parcheggio. “È arrivato Marco!” Esclamò l’italiana, correndo verso l’automobile e Violetta la seguì. “Ciao zii.” “Pablo. Angie.” Sorrisero le due, rivolgendosi ai coniugi Galindo. Con sorpresa, si resero poi conto che sul sedile posteriore non c’era solo Marco, ma anche Diego.
“Francesca, amore,” sorrise Marco, stringendo forte la ragazza. “Ciao Vilu,” aggiunse, rivolgendosi alla Castillo, che ricambiò con entusiasmo, per poi spostare l’attenzione sul maggiore dei fratelli Galindo. Quest’ultimo era appena uscito dalla macchina e dopo un breve cenno verso i genitori, si avvicinò alla cugina con il solito passo tronfio. “Ehi cuginetta.”
Violetta sorrise, prendendolo per mano e incamminandosi insieme a lui verso l’ingresso dello Studio, inconsapevole dello sguardo sconvolto di Marco e quello quasi imbarazzato di Francesca. “Non si starà di nuovo facendo manipolare da lui, spero,” mormorò il primo, grattandosi nervosamente il capo.
Lei scrollò le spalle, sperando di riuscire a nascondere lo strano turbamento che l'aveva colpita alla vista di Diego. “Non lo so, ma tutta quella complicità non mi piace per niente. Dobbiamo tenerli d’occhio.” Marco annuì, poi si affrettarono a seguirli.
“Non mi avevi detto che saresti tornato allo Studio, credevo non ci avresti mai messo più piede,” disse Violetta, mentre lei e Diego si fermavano accanto agli armadietti, con gli occhi di tutti puntati addosso. Il giovane Galindo non aveva certo una buona nominata nel quartiere, inoltre tutti sapevano che avesse scontato un anno di carcere e nell’aria aleggiava un certo timore.
Diego scrollò le spalle, sforzandosi di ignorare quegli sguardi. Possibile che non avessero nulla di meglio da fare che guardare lui? “Infatti non è proprio il mio ambiente, sai che lo considero un posto per sfigati” ammise, ruotando gli occhi. “Ma i miei hanno insistito, dicono che devo sfruttare il mio talento artistico. Non sei bravo a scuola, ma sei un artista e non puoi gettare al vento le tue capacità,” aggiunse, imitando le voci di Pablo e Angie, facendola sghignazzare. “In pratica mi hanno trascinato qui di peso.”
La ragazza annuì, comprensiva. “Dai che è l’ultimo anno e poi ce ne andremo da questo posto pieno di pregiudizi,” mormorò, facendogli capire che anche lei avesse notato quegli sguardi che lo seguivano, accompagnati da commenti sottovoce. “Ignorali,” aggiunse con un dolce sorriso. “Fanno lo stesso anche con me, nonostante è da un po’ che ho messo la testa a posto.”
Diego sorrise, circondandole le spalle con un braccio. “Tu ed io non apparteniamo a questo mondo, siamo troppo diversi, troppo veri e la gente preferisce l’ipocrisia a una sincera verità.”
Violetta rise, incredula. “E questa frase così saggia dove l’hai tirata fuori? Lontano da me ti sei fatto una cultura?”
Lui sghignazzò, scompigliandole affettuosamente i capelli. “Che vorresti dire, che prima ero un ignorante? Guarda che potrei offendermi.”
Quando entrarono nella sala teatro, dove si sarebbe tenuto il solito discorso di inizio anno, i due stavano ancora ridendo uno abbracciato all’altra, cosa che sconvolse non poco gli altri studenti, mentre una domanda sorgeva spontanea tra coloro che li conoscevano: Diego e Violetta sarebbero tornati alle vecchie abitudini anche senza Leon Vargas? Poteva esserci la possibilità che anche lui come la Castillo si fosse calmato, oppure era tornato per riportarla sulla cattiva strada?
In ogni caso, non ci fu il tempo per qualsiasi commento dato che Pablo giunse nella sala, costringendo tutti a prendere posto. Quell’anno, per la prima volta l’uomo si ritrovava nella stessa aula i figli e la nipote, dopo tutto ciò che aveva comportato la vicenda Vargas e sperava che ciò non avrebbe causato alcun tipo di problema. Marco punzecchiava in ogni momento e Diego scattava per un non nulla, se poi si aggiungeva Violetta, la cugina di cui si contendevano le attenzioni, era evidente che bastasse veramente poco per far scoppiare la bomba e per questo doveva fare particolare attenzione. Quel giorno la fortuna girò a suo favore, o più semplicemente Diego aveva deciso di comportarsi come uno studente normale, stava di fatto che riuscì a portare a termine il discorso di inizio anno senza alcun intoppo e senza alcun rumore molesto in sottofondo. Forse suo figlio stava davvero prendendo le cose sul serio.
L’ora successiva, i ragazzi si trasferirono nell'aula di ballo, dove la severissima Jackie Saenz, li fece subito disporre in riga ed eseguire un numero infinito di esercizi di riscaldamento. Successivamente, fece fare loro degli esercizi alla spalliera e alla sbarra, tra l’altro stabilendo un tempo piuttosto limitato di esecuzione.
Violetta fece per posizionarsi alle spalle di Diego, con l’intenzione di togliersi subito il pensiero, peccato che Thomas, comparso da chissà dove, si frappose tra di loro, circondandole le spalle con un braccio. Sconvolta, la giovane fu quasi tentata di spingerlo via e se non lo fece, fu perché non voleva risultare antipatica.
“Sei nervosa?” Le sussurrò Thomas all’orecchio, facendola rabbrividire. Tutta quella vicinanza e quel fiato che le solleticava il collo, la facevano sentire strana e davvero non sapeva che fare e che dire per liberarsi di lui.
“Solo un po’,” ammise alla fine, guardandosi disperatamente intorno in cerca di aiuto, ma Francesca, Marco, Camilla e Seba, sembravano troppo occupati a farle segni d’assenso, quasi volessero invitarla a lasciarsi andare con Thomas e ciò le confermò che gli amici non avessero rinunciato all’idea di far loro da cupido.
“Andrà tutto bene,” la rassicurò il ragazzo, stringendola ancora di più a lui. “Ci sono io qui con te.” Accostò poi le labbra al suo volto, con l’intenzione di darle un bacio sulla guancia, quando…
“Scollati da mia cugina, Heredia, tocca a te,” ghignò Diego, facendogli gesto di togliersi di torno. Se si fosse trattato di una qualsiasi altra persona, Thomas avrebbe sicuramente ribattuto qualcosa, ma trattandosi di colui che avrebbe potuto farlo a pezzi senza battere ciglio, si affrettò a raggiungere la sbarra senza dire una parola.
Violetta, finalmente libera, tirò un sospiro di sollievo e mimò un grazie al moro, che sorrise. “Fammi capire, i tuoi 'cari' amici, pensano davvero che potrebbe piacerti quella sanguisuga noiosa e petulante?” Le chiese, sghignazzando. “Ancora non l’hanno capito che a te piacciono i cattivi ragazzi?”
Lei ruotò gli occhi, divertita. “Sei sempre il solito, Diego… e comunque Thomas è carino e poi…”
Diego però la interruppe, scuotendo il capo. “Non potrebbe mai piacerti quello lì, non lo guarderesti nemmeno se fosse l’unica alternativa a tua disposizione e lo sai bene,” aggiunse e la giovane non poté fare altro che concordare, suo cugino la conosceva troppo bene.
Quando fu il turno di Francesca di salire alla sbarra, la giovane si mostrò subito parecchio titubante, era chiaro che soffrisse di vertigini. Marco le si avvicinò, tentando di infonderle coraggio, mentre Diego li fissava appoggiato pigramente a una parete. I due sembravano molto in sintonia, quasi una coppia perfetta, ma era pronto a scommettere che esistesse anche un piccolo insignificante dettaglio da poter usare contro di loro. Alla fine, nonostante tutto, aveva deciso che voleva soffiare la ragazza al fratello ed era pronto ad utilizzare tutte le armi che aveva a disposizione per riuscirci. Mentalmente si annotò che la ragazza soffrisse di vertigini, ma che in compenso sembrava adorare le cose a pois e i fiocchi colorati in stile pacco regalo. Ora doveva solo trovare il modo di utilizzare quelle informazioni a suo favore e magari fare qualche domanda a Violetta senza però farla insospettire. Per alcuni istanti gli occhi castani della ragazza si specchiarono nei suoi e Diego avvertì uno strano formicolio lungo la schiena. C'era qualcosa in lei che lo attraeva, ma non sapeva spiegarsi cosa. Sicuramente però, il fatto che ci fosse un minimo di interesse avrebbe reso più piacevole quel gioco crudele. Tra l'altro era convinto di essere in un certo senso ricambiato, altrimenti come spiegare quelle guance rosse ogni volta che lo vedeva?





Erano ormai le dieci passate, ma incurante di questo, Leon varcò i cancelli dell'accademia dove tante volte si era imbucato per vedere Violetta, calandosi il cappuccio della felpa fin sugli occhi. Se Maometto non va dalla montagna, la montagna va da Maometto, diceva un vecchio detto e per questo il giovane si era abbassato a rimettere piede in quel posto. Era quasi sicuro che Angelica e i Galindo avessero costretto la sua ragazza e il suo amico a ritornare lì e dato che non sapevano che fosse uscito dal carcere, partiva sicuramente avvantaggiato nelle ricerche. Dopo aver controllato tutte le aule da cima a fondo, facendo il possibile per passare inosservato, gli rimase solo l'aula di ballo. Sbirciando dietro una grossa porta in ferro, riuscì ad individuare un folto gruppo di giovani, riunito intorno all’insegnante Jackie Saenz. Tra essi riconobbe quasi subito Marco Galindo e Thomas Heredia, le principali vittime delle sue prese in giro e degli scherzi crudeli. Il primo era accanto a una ragazza mora che gli sembrava di conoscere, il secondo invece si stava facendo strada tra i compagni, alla ricerca di chissà chi. Un attimo dopo, Leon individuò con stupore Diego, appoggiato a una parete, quasi isolato dal resto del gruppo. Apparentemente sembrava esattamente come lo ricordava, ma più tranquillo e controllato. Aveva quasi deciso di raggiungerlo, quando con la coda dell’occhio vide che Heredia avesse trovato la persona che cercava. Era una ragazza dal fisico mingherlino, con dei mossi capelli castano dorato che le ricadevano morbidamente sulle spalle, una ragazza che gli sembrava vagamente familiare. Thomas le circondò le spalle con un braccio, gesto che fece voltare di poco la giovane, così che Leon potesse vederla in volto e per poco il cuore non gli si fermò. Era lei, era Violetta. Come diavolo aveva fatto a non riconoscerla? Certo, sembrava più alta, più donna, ma era lei, era la sua Violetta. Vedere Heredia stringere la ragazza a se e sussurrarle qualcosa all’orecchio, lo fece irrigidire paurosamente. Come osava quello sfigato stare vicino alla sua ragazza, alitarle sul collo, toccarla… una rabbia feroce e incontrollabile lo travolse e la sua mente gli rimandò scene di Thomas sanguinante e agonizzante. Ogni cellula del suo corpo gli urlava di raggiungerlo e ridurlo a un cumulo di cenere e sangue, ma la razionalità lo fermava. Non poteva entrare come un pazzo, lo avrebbero espulso, o addirittura rispedito in carcere. Strinse forte i pugni così tanto che le nocche gli si fecero bianche e le rilasciò solo quando arrivò Diego a separare i due. Il suo sguardo però continuava a seguire Thomas, non poteva lasciargliela passare liscia, non poteva e basta.
Quando la lezione finì, gli studenti andarono nei bagni a cambiarsi, bagni dove Leon si era già abilmente intrufolato, salendo in piedi su un sanitario e chiudendo la porta dall’interno, così da non essere notato. Attese pazientemente che i ragazzi si cambiassero, tenendo d’occhio Thomas dallo spioncino e sperando che presto lo lasciassero da solo. Le sue preghiere furono ascoltate, infatti nel giro di pochi minuti, tutti gli studenti lasciarono il bagno, lasciando il solo Heredia, ancora impegnato a riporre in una sacca la tuta da ballo. Fu allora che Leon uscì dal sanitario, silenzioso e agile come un gatto. In un attimo fu di fronte a Thomas, che non ebbe nemmeno il tempo di rendersene conto che si ritrovò sollevato mezzo metro da terra e schiacciato contro le fredde mattonelle. “Ma guarda un po' chi si rivede, Thomas Heredia,” soffiò ironicamente e una spanna dal suo naso.
Il moro sgranò gli occhi e ben presto assunse la tonalità di un cadavere. “V..Vargas,” balbettò, con un filo di voce.
Leon sorrise. “Sei contento di vedermi? Come puoi vedere, non mi sono dimenticato del mio amichetto di giochi.”
Thomas deglutì, poi iniziò a tremare come una foglia per il terrore. “N..non potresti m..mettermi giù?” Si azzardò a chiedere e ciò portò il ragazzo a farsi di colpo serio e a spingerlo più duramente contro le mattonelle. “E tu non potresti spiegarmi perché stavi incollato come una cozza alla mia ragazza?”
“La t..tua ragazza?” Chiese lo spagnolo, confuso. Vargas digrignò i denti, raggelandolo con una sola occhiata. “Violetta Castillo, ti dice qualcosa?” Prima che lui potesse ribattere, proseguì. “Con tutte le sciocchezze che potevi fare, hai scelto proprio la peggiore. Lo sanno tutti che le mie cose non si toccano e lei è mia, lo è sempre stata e sempre lo sarà. Devi smettere di girarle intorno, devi smettere di guardarla, devi smettere di pensarla. Mi sono spiegato?”
Si aspettava che Heredia annuisse, magari continuando a tremare, ma a sorpresa egli scosse la testa. “Violetta mi ha detto di non essere fidanzata. È andata avanti e forse dovresti farlo anche tu.” Quelle parole rimbombarono nelle orecchie di Leon più e più volte e al contempo la sua rabbia cresceva. Stava mentendo, Violetta non poteva aver detto davvero una cosa simile. Lei non lo aveva dimenticato, non poteva farlo. Senza pensarci troppo, colpì il naso dello spagnolo con un violento pugno, che ebbe l'effetto di fargli anche sbattere la testa contro le dure mattonelle. Nemmeno vedere quel rivolo di sangue, fermò la sua furia. Lo colpì ancora e ancora, fino a ridurlo una maschera di sangue. Quelle maledette parole, accompagnate da ciò che aveva visto nell'aula nel frattempo, non lo mollavano un secondo e difatti gli avevano fatto perdere la lucidità e ora era lì a picchiare duramente quel mingherlino ragazzo. La parte peggiore di lui, quella che nel corso degli anni era riuscito quasi a controllare, soprattutto grazie a Violetta, aveva ormai preso il sopravvento e lui non riusciva a fermarla, o semplicemente non voleva. Poteva accettare tutto, ma non che qualcuno mettesse le mani sulle cose che gli appartenevano e la Castillo era sua. Il destino aveva fatto incrociare le loro strade e nonostante tutto, lui al destino ci credeva. Era scritto che Leon e Violetta dovessero essere uniti per l'eternità e non poteva permettere a Heredia di ostacolarlo e di mettere in dubbio le sue certezze, non poteva e basta.
Fu il suono di una campanella, a risvegliare Leon da quella sorta di trance in cui era caduto e solo allora si rese conto che Thomas fosse ormai privo di sensi. Il sangue gli macchiava il volto, i vestiti e persino il pavimento ne era intinto. Si guardò le mani, rosse del sangue del suo rivale e senza nemmeno verificare che fosse ancora vivo, scappò via come un ladro. Ormai il danno era fatto e comunque era sicuro che Heredia non fosse così stupido da fare il suo nome e che ci avrebbe pensato due volte prima di avvicinarsi di nuovo alla sua ragazza, a meno che non volesse fargli di nuovo da sacco da boxe.


Marco fece di corsa il percorso che portava all'aula di ballo, continuando al contempo a chiamare Thomas al cellulare, senza però ricevere risposta. Era passata più di un'ora dalla lezione e lo spagnolo sembrava essersi volatilizzato. Se il folle professor Benvenuto non se ne era nemmeno accorto, Angie lo aveva notato appena aveva messo piede nell'aula e gli aveva praticamente ordinato di andare a cercarlo, visibilmente preoccupata. “Thomas non ritarda mai a una lezione, deve essere successo qualcosa. Marco, vallo a cercare,” gli aveva detto. “Se non c'è lui, non posso spiegarvi il nuovo esercizio che faremo quest'anno.”
Il giovane Galindo controllò tutte le aule in ogni angolo e persino il cortile alle spalle dello Studio e non trovando nulla, andò a controllare i bagni. Non seppe dire nemmeno lui cosa gli impedì di urlare. Thomas era adagiato sul pavimento accanto ai lavandini come un sacco di patate e c'era sangue dovunque. Restò impalato accanto alla porta per lunghi istanti, incapace di fare altro. Quella visione spaventosa e l'odore ferroso del sangue gli facevano girare la testa. Aveva sempre odiato il sangue, la sola vista lo faceva scappare a gambe levate, ma quella volta non poteva farlo, Thomas aveva bisogno di lui.
Prese un profondo respiro, poi dopo essersi tappato il naso, avanzò lentamente verso l'amico. Nella sua mente ripeteva un numero spropositato di preghiere, sperando che i suoi peggiori timori non si avverassero. Quando però si inginocchiò accanto a lui e si rese conto che il suo cuore battesse ancora, si sentì come se si fosse liberato di un peso immenso. Thomas era vivo. Fece per alzarsi, con l'intenzione di andare ad avvisare il preside, ma la mano di Heredia si strinse intorno al suo polso. Aveva gli occhi chiusi e respirava a fatica, ma riuscì lo stesso a sussurrare poche semplici parole. “V..Vargas...lui...è tornato.” Marco sgranò gli occhi e sbiancò di colpo. Il sangue quasi gli si ghiacciò nelle vene. “No, non può essere.” Il peggiore dei suoi incubi si era avverato.






Leon is back! E che ritorno! Se è pericoloso e inquietante da solo, quando è geloso lo è dieci volte di più e a farne le spese è il povero Tomas. Tra l'altro è apparsa anche Lara, che come avete potuto notare non sarà un problema perché è la sorella minore di Leon ;) nel frattempo Diego torna allo Studio su pressione dei genitori e sembra determinato a portare avanti i suoi propositi di vendetta, anche se non può negare di provare un certo interesse per Francesca, che a sua volta sembra ricambiare. A Marco il compito peggiore, trovare Tomas sanguinante e privo di sensi, con un messaggio dal significato particolare: Leon è tornato. Cosa succederà quando lo saprà Vilu? Quando si incontreranno?
Vi ringrazio di cuore per l'affetto che mi state mostrando e spero davvero che la mia storia continui ad entusiasmarvi :3
vi mando un grande bacio <3


 

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Capitolo 6
*** Questione di scelta ***





“Ancora non ci posso credere,” mormorò Angie, stringendo forte il marmo del davanzale della finestra e scuotendo il capo. Pablo, accanto a lei, sospirò. “Nemmeno io. Credevo che ormai fosse tutto finito.”
I coniugi Galindo erano all'ospedale della città da circa un'ora, ossia da quando Marco aveva ritrovato Thomas Heredia nei bagni in stato di incoscienza. A pochi metri da loro, c'era proprio Marco, seduto su una delle sedie di plastica dalla sala d'aspetto e ovviamente i genitori del giovane spagnolo, che camminavano nervosamente avanti e indietro, in attesa di notizie sullo stato del loro figlio.
“Tu credi davvero che sia stato lui?” Si azzardò a sussurrare la Saramego, guardando attentamente il marito e quasi temendo la sua risposta.
Pablo però non rispose, perdendosi a fissare il vetro un po' macchiato della finestra, mentre qualcosa si agitava nel suo stomaco, una sorta di sensazione. Avrebbe voluto che non fosse così, ma non poteva fare a meno di pensare che purtroppo fosse la verità, Leon Vargas in qualche maniera aveva lasciato il carcere e aveva aggredito Thomas. Istintivamente allungò la mano verso quella di Angie e gliela strinse, sperando di infondere ad entrambi un po' di forza per affrontare quella situazione. “Quello che non capisco,” iniziò, confuso. “Perché avrebbe aggredito Thomas? Cosa può avergli mai fatto?”
“è colpa mia, l'ho convinto a provarci con Violetta.” I due si voltarono di scatto verso Marco, che li aveva raggiunti con le lacrime agli occhi. “Lui aveva una cotta e lei aveva bisogno di dimenticare e ora... è tutta colpa mia,” aggiunse, mentre Angie lo stringeva forte tra le sue braccia e gli accarezzava il capo. “Non è vero, tesoro mio, non è così. Tu non lo potevi sapere,” gli sussurrò dolcemente la donna, mentre i pezzi del puzzle nella testa di Pablo finalmente si univano. Gelosia, Thomas era stato picchiato per gelosia. Vargas non aveva rinunciato a Violetta, ma sua nipote? Lei cos'avrebbe fatto?
Quasi l'avesse chiamata, la Castillo arrivò tutta trafelata, seguita da Diego e Angelica. Appena era uscito fuori quel nome, Pablo aveva chiamato i tre e non solo per informarli, ma anche per assicurarsi che stessero bene.
“Cos'è successo? Chi è che sta male? Thomas?” Aggiunse Violetta, notando solo in quel momento i signori Heredia.
Pablo annuì, affrettandosi poi a spiegare ciò che era successo ai nuovi arrivati, mentre Angie continuava a consolare Marco.
“Pablo,” mormorò Angelica, facendogli segno di seguirla in un angolo del corridoio. Probabilmente voleva chiedergli qualcosa, ma non voleva farlo di fronte ai nipoti e dovettero capirlo anche loro, difatti Diego mormorò: “C'è qualcos'altro che dobbiamo sapere, immagino.”
Galindo fece per dire qualcosa, ma...
“è colpa di quel maledetto!” Esplose Marco, spintonando il fratello. “Il tuo socio delinquente è tornato,” aggiunse, lasciandolo a bocca aperta. Leon era tornato? Diego guardò il padre e ciò che lesse nei suoi occhi, fu più che una conferma.
Violetta nel frattempo era ancora più sconvolta. Leon aveva aggredito Thomas ed era sicura che non lo avesse fatto senza motivo, soprattutto se era uscito da poco dal carcere. Il modo in cui Marco e Angelica la guardavano, quel velo di accusa che tentavano di nascondere, sapevano che era tutta colpa sua. Onestamente non sapeva che pensare, se non sentirsi terribilmente in colpa per ciò che era accaduto a Heredia. L'unica colpa del ragazzo era stata quella di essersi invaghito della ragazza sbagliata. Leon doveva averli visti insieme, forse proprio nell'aula di danza e subito si era vendicato. Quindi lui la considerava ancora la sua ragazza e probabilmente di lì a poco l'avrebbe cercata, ma lei in quel caso cos'avrebbe fatto?
“Era conciato tanto male?” Si azzardò a chiedere, guardando Marco. Lui rise, incredulo. “è una fortuna che non lo abbia ucciso, ma puoi chiederlo a Diego, lui è un esperto in queste cose.”
“Basta Marco!” Sbottò Pablo, agitando le braccia, esasperato e lasciando tutti a bocca aperta. “Smettila con queste frecciatine, Diego non c'entra nulla con le azioni di Vargas.”
“Ma papà,” provò a protestare sconvolto, il giovane Galindo, mentre Diego sghignazzava, ma l'uomo lo interruppe. “Niente ma. Diego era a lezione quando è avvenuta l'aggressione e non sapeva di Vargas fino a pochi minuti fa.”
“Tuo padre ha ragione,” concordò Angie. “Non puoi continuare ad accusarlo per ogni cosa solo perché in passato ha sbagliato.”
Marco ruotò gli occhi e borbottò qualcosa tra i denti, ma alla fine si zittì, sforzandosi di ignorare il ghigno beffardo del fratello.
“State tranquilli,” riprese Pablo, spostando lo sguardo su tutti i presenti. “Ora vado ad informarmi sulla questione Vargas, voi tornate tutti a casa e non aprite a nessuno.”
“Esagerato,” ghignò Diego, beccandosi un'occhiataccia da parte di Angelica e Marco. “Leon non è un serial killer e se lo conosco, dopo quello che ha fatto a Heredia, se ne starà buono.”
“Questo lo so,” convenne Galindo. “Quello che voglio evitare è che si avvicini a te o a Violetta, il perché lo sapete bene.”
Il moro e Violetta non poterono fare a meno di annuire. Dopo tutto quello che era accaduto, era normale che ora volesse tenere loro due sotto controllo.
“Andiamo a casa, Violetta,” disse Angelica, prendendo sotto braccio la nipote. Era molto agitata, segno che probabilmente non le avrebbe permesso di uscire di casa nemmeno per buttare la spazzatura. Poteva anche dire addio alle uscite con le amiche e alla sua ora di jogging giornaliera. Sospirò, rassegnata, poi si incamminò insieme alla nonna.
“Io e Marco restiamo qui ad attendere notizie di Thomas,” disse Pablo, rivolgendosi alla moglie. “Tu vai a casa con Diego.”
Angie annuì, facendo poi segno al figlio di seguirla. “Tienimi informata.”

Durante il viaggio di ritorno, i due non dissero una parola, troppo concentrati sui propri pensieri. La Saramego lanciava di tanto in tanto delle occhiate verso il figlio, chiedendosi se sarebbero riusciti a tenerlo lontano da Vargas. Il solo pensiero che potesse farsi trascinare di nuovo nel tunnel la terrorizzava, non voleva che suo figlio si mettesse nei guai.
Diego nel frattempo, fissava la strada oltre il finestrino, sentendo addosso lo sguardo della madre. Poteva immaginare quali fossero i suoi timori e non poteva darle torto, in fondo aveva causato ai genitori parecchi grattacapi a causa degli atteggiamenti irresponsabili e delle cattive compagnie che aveva frequentato. Ora però si stava comportando bene e sapere che Leon fosse tornato in libertà, un po' lo destabilizzava. Da una parte avrebbe voluto cercare il suo amico, parlare con lui, ma dall'altra si rendeva conto che non poteva, soprattutto dopo che i suoi genitori gli avevano mostrato tutta quella fiducia.
Giunti a casa, Angie corse in cucina a preparare un tè e al contempo recuperò il telefono per chiamare Angelica, mentre Diego si gettò a peso morto sul divano e accese la tv. Distrattamente, scorreva i canali, alla ricerca di nemmeno lui sapeva cosa. La verità era che non riusciva a concentrarsi su nulla, il suo unico pensiero era Leon. Perché non si era ancora fatto vivo con lui? Lo avrebbe fatto prima o poi? Esasperato da tutti quegli interrogativi, accese la play station e si immerse in una bella corsa di auto, chissà, così almeno si sarebbe distratto. Era nel bel mezzo della corsa, quando sentì bussare alla porta. Fece per alzarsi, ma Angie gli passò davanti come un fulmine. “Vado io, tu continua a giocare.” Diego annuì distrattamente, armeggiando con il joystick e sogghignando tra se e se. Se sua madre pensava che Leon bussasse alla porta come un comune mortale, si sbagliava di grosso.
Poco dopo, la donna tornò in compagnia di una ragazza, Francesca. Appena la vide, Diego si ritrovò a fissarla, dimentico della gara alla play station che stava facendo. Era una sua impressione, o ogni volta che la vedeva si faceva più bella?
“Marco è ancora in ospedale,” stava dicendo Angie, facendo strada alla ragazza in salotto. “Ci siamo solo io e Diego, ma lo puoi aspettare qui.”
Francesca annuì, mordendosi nervosamente il labbro e il suo nervosismo crebbe quando notò il maggiore dei Galindo, seduto sul divano e che la fissava con fin troppa insistenza.
“Ciao Diego,” balbettò, affrettandosi a seguire la bionda in cucina. Il ragazzo sogghignò, rivolgendole un lieve cenno del capo. Francesca era a casa sua e Marco non c'era, non poteva lasciarsi scappare quell'occasione. Convinto di ciò, mise il gioco in pausa e raggiunse le due donne, impegnate a bere il tè appena fatto dalla bionda.
“Ce ne è un po' anche per me?” Chiese, sedendosi di fronte alla fidanzata del fratello, che però evitava accuratamente di guardarlo.
“Ma certo,” sorrise Angie, affrettandosi a riempire una tazza anche per lui. “Ecco qui, tesoro.”
“Grazie mamma.” Spostò poi lo sguardo su Francesca e chiese: “Si sa qualcosa di Heredia?”
La Saramego sospirò, mentre la mora fissava il ragazzo, sorpresa da quella domanda. Pensava che lui avrebbe gioito per le condizioni di Thomas e invece sembrava preoccupato. “Tuo padre ha detto che si è svegliato e a parte qualche livido e qualche costola ammaccata, sta bene ed entro un paio di giorni potrà anche tornare a casa.”
Diego annuì distrattamente, bevendo un lungo sorso di tè. Almeno il danno non era grave e quindi a Leon era andata bene. “Thomas però non ha voluto sporgere denuncia e per questo tuo padre ha dovuto mettere pace tra lui e i suoi genitori,” proseguì Angie e la cosa non stupì il giovane più di tanto. Nessuna persona sana di mente avrebbe denunciato Leon, se poi aveva subito una simile aggressione, era ancora più comprensibile.
“Proprio non capisco perché non ha denunciato quel delinquente,” commentò Francesca tra se e se. La donna scrollò le spalle, Diego invece ghignò. “Ve lo dico io, mie belle signore,” iniziò, sotto lo sguardo scettico delle due. “Con Leon non si scherza e lo ha dimostrato più di una volta. Se Heredia lo avesse denunciato, gliel'avrebbe fatta pagare. Altro che farlo finire in ospedale con qualche livido, la sua vendetta sarebbe stata di gran lunga peggiore. Vado a continuare la mia partita,” aggiunse, mollandole lì con delle facce da pesci lessi. Era sicuro di averle colpite, soprattutto Francesca e così avrebbe passato un bel po' di tempo a pensarlo. Calcolando accuratamente i gesti e le parole, sarebbe riuscito a cambiare l'opinione che lei aveva di lui e una volta aver conquistato la sua fiducia, farla innamorare sarebbe stato un gioco da ragazzi.
“Quel modello di macchina è scadente, io non lo avrei scelto.”
Diego sussultò, al suono di quella voce. Francesca si era seduta sul divano accanto a lui, lo sguardo fisso sullo schermo della tv e sulla gara che stava disputando.
“Ah si?” Le chiese, sollevando un sopracciglio. “E cosa ne capisce una ragazza di motori?” La provocò, ottenendo l'effetto di farle fare una smorfia di disappunto. “Solo perché sono una ragazza, non vuol dire che penso solo ad unghie e capelli.” Incrociò le braccia al petto, offesa e lui non poté fare a meno di sorridere. Francesca ne capiva davvero qualcosa, o si trattava di una reazione di orgoglio? Per togliersi ogni dubbio, interruppe la partita e tornò nel menù. “Quale auto avresti scelto allora?” Le chiese, scorrendo le varie macchine a disposizione. “Mmm,” mormorò la ragazza pensierosa. “Vai ancora avanti...quella, no quella di prima...si, questa.”
Diego fischiò, ammirato. Si aspettava che lei scegliesse quella più colorata o imponente e invece no, aveva scelto l'auto in base alle caratteristiche del motore, che appunto apparivano in una piccola didascalia. Non credeva che Francesca conoscesse quelle cose, non aveva mai incontrato una ragazza che ne capisse di auto. “Interessante,” ammise e lei sorrise soddisfatta. “Hai visto? A volte l'apparenza inganna.”
Annuì, sorridendo a sua volta. “Sai anche giocare? Che ne dici di una sfida?”
La mora ci pensò per alcuni istanti, poi però annuì. “Per me va bene, però quell'auto è mia.”
Lui ghignò, porgendole l'altro joystick. “Nessun problema, bambolina.”
“Mi chiamo Francesca,” mormorò lei, storcendo il naso. “Odio i soprannomi, soprattutto se sono da presa in giro.”
“Presa in giro?” Ripeté confuso, ma Francesca lo interruppe con un gesto della mano. “Abbiamo una gara da fare, su.”
Con stupore, Diego dovette ammettere che la ragazza gli stesse dando del filo da torcere, era brava e non poco. Più accelerava e più lei faceva lo stesso, socchiudendo gli occhi, concentrata. Utilizzò tutti i trucchetti che conosceva, tentando persino di sabotare la sua auto, ma Francesca se la cavò in maniera eccezionale e se non vinse, fu perché si distrasse un secondo per fargli una pernacchia. “Ho vinto!” Esultò, soddisfatto. “E Diego Galindo si conferma ancora una volta il migliore. Inchinati a me, bambolina,” aggiunse, restituendole la pernacchia di poco prima. La ragazza storse il naso. “Ti ho detto che non devi chiamarmi così e se hai vinto è stato solo per fortuna. Se non mi fossi distratta, ti avrei stracciato.”
“Forse,” sogghignò lui. “Ma lo hai fatto, perciò... I'm the best.” Gonfiò il petto con fierezza e arroganza, tanto che lei si innervosì ancora di più. “Ci vuole classe anche per vincere e tu non ce l'hai per niente,” sbuffò, incrociando le braccia al petto.
Diego scoppiò a ridere. “Se per questo, nemmeno tu sai perdere, Francesca. Ne stai facendo una tragedia e ancora non ti ho chiesto nulla.”
Lei si voltò di scatto, accigliata. “Che significa che ancora non mi hai chiesto nulla?”
Il moro si finse pensieroso, ma in realtà aveva tutti i sensi allerta, per verificare che sua madre fosse impegnata al cellulare e che quindi non potesse sentirli. Accertatosi di ciò, tornò a guardarla con un sorrisetto beffardo. “Visto che ho vinto, dovresti fare qualcosa di carino per me e...”
“Scordatelo!” Lo interruppe lei, scattando in piedi, indispettita. “Non so cosa ti sei messo in testa, ma io sto con tuo fratello, perciò le tue disgustose proposte indecenti valle a fare a qualcun altro!” Fece per tornarsene in cucina, ma Diego la raggiunse, afferrandole il polso. “Ma che hai capito, non intendevo dire quello.”
Francesca lo fissò, scettica. “Ah no? E cosa intendevi allora? Mi hai presa per stupida per caso?”
Lui scosse la testa. “Canta con me,” sussurrò, lasciandola basita. “Come?”
“Violetta mi ha detto che sei un'ottima cantante e quello che mi piacerebbe, è che qualche volta mi permettessi di accompagnarti con la chitarra, tutto qui. Nessun doppio fine,” aggiunse, portandosi la mano destra al petto a mò di giuramento.
Francesca lo fissò a lungo, sicura di aver capito male. “Vuoi davvero cantare con me?” Gli chiese, scettica.
Diego annuì, ostentando un sorriso innocente. “Perché, cosa c'è di strano? Mi hai visto, canto sempre con Vilu e a volte lo facevo anche con Leon, perciò...”
“Vargas canta?” Esclamò la ragazza, sgranando gli occhi. “Non ce lo vedo proprio.”
Lui rise, divertito. “In realtà l'ho sentito cantare solo da ubriaco, però devo ammettere che è bravo. Vilu mi ha detto che con lei cantava sempre, ma è un caso a parte visto che stavano insieme.”
Francesca annuì, tornando a sorpresa a sedersi sul divano e facendogli gesto di raggiungerla. “Tu credi che Vargas abbia aggredito Thomas per Violetta? Per gelosia, insomma,” sussurrò, dopo alcuni istanti di silenzio, guardandolo con la coda dell'occhio. Sembrava un po' nervosa, ma allo stesso tempo desiderosa di conoscere il suo parere e Diego pensò che non ci fosse nulla di male nel dirglielo. “Si,” ammise perciò. “Leon è innamorato di Violetta, la considera una cosa sua e quando ha visto Heredia girarle intorno, sono sicuro che ha perso la testa. Si dice che l'amore sia così, irrazionale, folle e tutte quelle cose lì,” aggiunse, elencandole con le dita e lasciandosi andare anche a una smorfia di disgusto. Non c'era niente da fare, nonostante il chiaro esempio dei suoi genitori, che si amavano ancora come il primo giorno e quello di Leon e Violetta che sembravano essere legati a doppio filo, lui continuava a non credere nell'amore. Pensava che esso fosse solo una fantasia, un qualcosa di raro, un po' come una predisposizione, che lui di certo non aveva. All'alba dei suoi vent'anni, Diego Galindo poteva dire di non essersi mai innamorato, di non sapere cosa significasse non riuscire ad addormentarsi a causa di una ragazza che gli ossessionasse la mente, di non sapere cosa significasse avere le farfalle nello stomaco e tutte quelle altre cose tipiche degli innamorati. Lui aveva provato sempre e solo attrazione fisica, che poi andava scemando dopo il sesso, perciò era convinto di non essere predisposto per l'amore. Al massimo sarebbe rimasto scapolo e pieno di amanti, oppure si sarebbe sposato per interessi, chissà.
“Tu non ti sei mai innamorato, vero?” Si azzardò a chiedere Francesca, stupita dalla sua stessa domanda, o più semplicemente le sembrava assurdo che lui le avesse lasciato intendere una cosa così personale. Sorprendendola ancora di più, Diego sorrise e annuì. “Io non credo nell'amore, è solo una fantasia per i folli sognatori.”
Lei scosse la testa, divertita. “Ne riparleremo quando incontrerai la ragazza che ti farà perdere la testa.”
A quelle parole, Diego scoppiò a ridere. “Si, come no. È più facile che io e Leon diventiamo dei secchioni come il tuo ragazzo. L'amore non è per me, Francesca.” Si alzò poi in piedi e spense la play station, inconsapevole che lei lo avesse seguito fino alla tv. “Che ne dici di domani?” Sussurrò, facendolo sussultare. “Eh?” Chiese confuso, grattandosi il capo.
Francesca arrossì e si morse il labbro, ma continuò a sostenere il suo sguardo. “Hai detto che vuoi cantare con me. Domani allo Studio abbiamo un'ora libera e se ti va, possiamo approfittarne per cantare qualcosa.”
Diego strabuzzò gli occhi, sicuro di aver capito male. “Non è un appuntamento, sia chiaro,” si affrettò ad aggiungere, quando lo vide ghignare. “Ho perso e devo pagare pegno, tutto qui. Allora, ci stai?”
Lui annuì, continuando a sorridere. “A domani allora, Francesca.”
“A domani,” ripeté lei, un attimo prima che la porta di casa si aprisse e sopraggiungessero Marco e Pablo. La ragazza gli rivolse un'ultima occhiata, poi corse dal suo ragazzo e il sorriso sul volto del maggiore dei Galindo si accentuò. Le cose stavano andando meglio di quanto si aspettasse. Era riuscito a parlare con Francesca senza litigare, avevano riso insieme e aveva pure rimediato una sorta di appuntamento. Guardandola abbracciata al fratello, si ritrovò a pensare che non fosse solo bella, lei era interessante, lei aveva un qualcosa che gli piaceva e sperava vivamente che non si rivelasse un'arma a doppio taglio. Lui non credeva nell'amore e simili e voleva continuare su quella strada a qualsiasi costo. Francesca doveva essere solo uno strumento per la sua vendetta, nient'altro.




Violetta si calò la coperta fin sulla testa, costringendosi a chiudere gli occhi. Come aveva previsto, la notizia che Leon fosse stato rilasciato, aveva allertato non poco sua nonna, che tutta la serata non aveva fatto altro che straparlare, riguardo le misure di sicurezza che dovevano adottare. Aveva persino accennato all'idea di far installare le sbarre alle finestre e di assumere qualcuno per vigilare davanti al loro giardino, quasi fosse evaso un pericoloso serial killer. Diego aveva ragione, era esagerato pensare a simili misure di sicurezza solo per Leon. D'accordo, lui sapeva essere pericoloso, bastava pensare a ciò che aveva fatto a Thomas, ma Violetta restava convinta che non le avrebbe mai fatto del male, né in quel momento e né mai.
Tante volte si era chiesta come avrebbe reagito alla notizia del suo ritorno e ora che ciò era accaduto, si sentiva terribilmente combattuta. Sapeva di amarlo ancora e una parte di lei non desiderava altro che rivederlo, gettarsi tra le sue braccia, baciarlo, ma poi pensava a com'era la sua storia con lui, a come frequentarlo l'avesse portata sulla cattiva strada e ad allontanarsi dalle persone a cui teneva e perciò tendeva a scacciare quel pensiero, ma ora non poteva più. Leon l'avrebbe cercata prima o poi, lo doveva affrontare e prendere la decisione giusta. Ma la decisione giusta, era quella che faceva stare bene lei, o quella che faceva stare bene chi la circondava? Poteva stare con Leon e allo stesso tempo non deludere le persone a cui teneva? Si prese la testa tra le mani, scuotendola con vigore. La verità era che il suo era un amore impossibile, era stato bello finché era durato, ma ora stavano crescendo e lei doveva pensare al suo futuro, un futuro che con uno come Leon non avrebbe mai potuto avere. Lui non voleva studiare, non prendeva nulla sul serio e voleva solo divertirsi. Sua nonna aveva ragione, doveva pensare a realizzarsi e magari prendere in considerazione l'idea dell'università. Avere una laurea le avrebbe consentito sicuramente di trovare un buon lavoro, di poter comprare una casa e una macchina, sposarsi... quell'ultima parola la fece intristire. Avrebbe mai potuto sposare qualcuno che non fosse Leon? Non ci si vedeva proprio, ma in fondo chi poteva mai dirlo? Il destino era imprevedibile, o no?
Se lo stava ancora chiedendo, quando sentì uno strano rumore, un rumore che la fece sussultare e portare in posizione seduta. Si guardò intorno, confusa e il rumore si ripeté, uno, due, tre volte. Solo allora, capì che provenisse dalla finestra. Qualcuno stava lanciando delle pietre contro la sua finestra. Quella constatazione, la fece sbiancare di colpo, mentre il suo cuore batteva come un tamburo impazzito. Un solo nome attraversava la sua mente: Leon. Tante volte ai tempi del loro amore, era venuto a trovarla nel cuore della notte e bussava alla finestra con dei sassolini, possibile che anche ora fosse lui? Violetta fissava la finestra come pietrificata, mentre altri sassolini colpivano il vetro. Cosa doveva fare? Prendendo coraggio, si avvicinò alla finestra e sbirciò oltre di essa. Fuori era tutto buio, la luna splendeva alta nel cielo. Le sembrava però di scorgere anche una sagoma ai piedi del grande albero, una sagoma piegata a raccogliere qualcosa, probabilmente un altro sassolino. Quella visione per Violetta sapeva tanto di deja vù e quasi senza rendersene conto, aprì le ante. Resosene conto, la misteriosa figura, si arrampicò sull'albero con l'agilità di un gatto e in un attimo raggiunse il ramo più alto. A quel punto, la giovane poté vederlo in volto e deglutì, indietreggiando di qualche passo. Era lui, era Leon. Con la stessa agilità con cui si era arrampicato, si intrufolò nella sua finestra e atterrò sul pavimento, senza fare il benché minimo rumore, lo sguardo fisso su di lei. Con la poca luce che proveniva dall'esterno, Violetta notò che fosse diventato più alto e possente e che avesse tagliato i capelli, per il resto sembrava sempre lui. I suoi bellissimi e penetranti occhi verdi erano esattamente come li ricordava e la scrutavano con la stessa bruciante intensità che più volte l'aveva portata ad assecondarlo come un fedele cagnolino. Leon Vargas aveva sempre avuto una grande influenza su di lei, la sua voce, i suoi gesti, i suoi sguardi, essi l'ammaliavano e la stregavano come se fosse stata sotto incantesimo e continuavano a riuscirci anche in quel momento. Dio, quanto era bello e quanto avrebbe voluto gettarsi tra le sue braccia e lasciarsi cullare dal suo calore e dal suo intrigante profumo.
“Violetta.”
Ah, la sua voce. Quante volte l'aveva sognata, quante aveva creduto di sentirla tra i ragazzi della scuola. Quella voce la tormentava, la ossessionava, quella era la voce che amava di più al mondo e non sentirla per un anno intero, era stato come provare a vivere senza ossigeno. Leon era il suo ossigeno.
Il ragazzo avanzò di qualche passo, accigliato. Si aspettava che lei gli corresse incontro, che gli sorridesse, qualsiasi cosa, ma non che lo fissasse come se avesse visto un morto. “Violetta,” ripeté, serio. “Sono io.”
Violetta deglutì, indietreggiando ancora. Sapeva già cosa sarebbe accaduto se gli avesse permesso di avvicinarsi e non poteva permetterselo. Leon l'avrebbe avvolta di nuovo nella sua rete e non sarebbe stata più in grado di dirgli di no. Sarebbe ancora una volta caduta nell'oblio, avrebbe deluso la sua famiglia e i suoi amici.
“La smetti di guardarmi così?” Sbottò lui, facendo però attenzione a non alzare troppo la voce. Non ci teneva ad imbattersi in quel mastino della nonna della ragazza, che sicuramente avrebbe chiamato persino i servizi segreti per farlo portare via.
“Leon,” sussurrò finalmente lei e Leon abbozzò un sorriso, quel maledetto sorriso. Quante volte aveva sfogliato le loro foto, sperando che il suo sorriso le restasse in mente quando temeva di dimenticare i suoi tratti. Iniziò a mordersi il labbro inferiore quasi a sangue, tentando di scacciare ogni pensiero. Il suo Leon era lì che le sorrideva, che le importava di tutto il resto? “Sei tornato,” riuscì a sussurrare, lo sguardo rivolto sui suoi piedi. Cuore o ragione? Perché era così difficile scegliere? Le parole di sua nonna le rimbombavano nella mente, ma allo stesso tempo c'era Leon con i suoi sorrisi. Cosa doveva fare?
Leon annuì, raggiungendola con pochi passi. “Mio padre mi ha fatto uscire,” le spiegò, sollevandole il mento con due dita, così da costringerla a guardarlo negli occhi. “Che ti succede, Amore mio? Perché sei così terrorizzata da me?” La sua voce era così dolce, calda, avvolgente e Violetta si ritrovò a specchiarsi in quei due fari verdi, senza riuscire a dire nulla, non ce ne era bisogno. Il lampo che attraversò il suo sguardo le fece intuire che avesse capito. “è per tua nonna, vero? Lei vuole che mi stai lontano perché sono quello che sono e non sai se darle retta. Non vuoi deluderla, ma allo stesso tempo sai che quello che c'è tra noi è indistruttibile.”
Violetta lo fissò a bocca aperta. A Leon era bastato un semplice sguardo per capire cosa la tormentasse, da che lo conosceva c'era sempre riuscito. Come facesse, non riusciva proprio a spiegarselo. Che fosse telepatico e non glielo avesse detto?
“Violetta,” riprese il ragazzo, poggiando la fronte contro la sua. “Non puoi permettere a tua nonna di separarci, non puoi e basta.”
Lei scrollò le spalle, mordendosi nervosamente il labbro. “So cos'hai fatto a Thomas,” riuscì a sussurrare. “Potevi ucciderlo. Perché?” Gli prese il volto tra le mani, così che lui non potesse evitare il suo sguardo. Il suo fu però un gesto inutile, Leon infatti non era per niente intenzionato ad evitare il suo sguardo, al contrario continuò a guardarla, ostentando uno strano sorrisetto di sfida. “Stava facendo il cretino con la mia ragazza, ho solo marcato il territorio,” sbottò semplicemente, lasciandola stupefatta. Lui non era per niente pentito, addirittura sembrava soddisfatto di ciò che aveva fatto e quella consapevolezza la fece rabbrividire. Ma di che razza di persona si era innamorata? Con il tempo, anziché migliorare, era diventato ancora di più un mostro. Si allontanò da lui, girandogli intorno e raggiungendo la finestra ancora aperta. Socchiuse gli occhi e prese un profondo respiro, sforzandosi di tirar fuori tutto il suo coraggio e la sua determinazione, poi sussurrò: “Vai via.”
Leon strabuzzò gli occhi, credendo di aver capito male. “Mi stai cacciando? Stai scherzando, vero?” Chiese, incredulo, piazzandosi di fronte a lei e prendendola per le spalle. Violetta però non si scompose, insistendo nel tenere lo sguardo basso. Era infatti sicura che se lo avesse guardato negli occhi, non sarebbe riuscita a rimanere così risoluta.
“Rispondimi, dannazione!” Esplose il ragazzo, scuotendola con vigore. “Che diavolo ti ha ficcato in testa quella megera?”
A quelle parole, qualcosa si mosse in lei, che lo spinse lontano, rivolgendogli poi un'occhiata raggelante. “Non parlare mai più così di mia nonna. Sei tu che hai rovinato tutto, non lei e ora vattene.”
Leon la fissò a bocca aperta. Mai Violetta gli aveva parlato in quella maniera e lo aveva guardato con quello sguardo. Possibile che per lei fosse tutto finito? “Violetta, mi vuoi dire che ti ho fatto? Non ho fatto altro che pensarti, ti sono rimasto fedele e ora sono qui per ricominciare.”
Lei rise, incredula. “Ricominciare? Leon, la prima cosa che hai fatto appena sei uscito è stato picchiare Thomas fino a rischiare di ucciderlo. Marco era così sconvolto, temeva che fosse morto. Sei pazzo se pensi che potrei perdonarti una cosa simile.”
Il ragazzo s'irrigidì, contraendo poi la mascella. “Allora è vero, ti vedi con quello lì. Sei tornata ad essere il burattino di tua nonna, complimenti.” Applaudì ironicamente, scrutandola con disprezzo. “Sei felice ora?”
Violetta corrugò le sopracciglia, confusa. “Io non sto con Thomas e non sono il burattino di nessuno, né tantomeno il tuo e...”
“Non hai risposto alla mia domanda,” la interruppe lui, afferrandole il polso e tirandola verso di se. “Sei felice?” Sussurrò, a un soffio dalle sue labbra. “Sei felice senza di me?”
La ragazza deglutì, mentre il cuore le batteva come un tamburo impazzito. Come avrebbe mai potuto essere felice senza di lui? Leon era tutto, ma non poteva dimenticare che avesse rischiato di uccidere Thomas per una gelosia assurda e infondata. “Tra me e Thomas non c'è niente, lo vedo solo come un amico. Avresti dovuto chiedere spiegazioni a me anziché comportarti come una bestia,” aggiunse, quando lui fece per ribattere. “Possibile che il carcere ti abbia peggiorato così tanto? Prima eri incontrollabile e ora sei anche peggio.” Si liberò della sua stretta e incrociò le braccia al petto, mentre Leon la fissava scuotendo il capo. “Fammi capire, mi stai dando del pazzo?” Le si avvicinò con fare minaccioso, fino a farla indietreggiare spalle al muro. “Ora la pensi come loro? Che fine ha fatto la ragazza che amo?” Sibilò contro il suo volto. “Come puoi voltarmi le spalle così? Ti amo, è normale che mi dia fastidio se qualcuno ti gira intorno.”
Violetta sospirò, per nulla spaventata da quel suo atteggiamento. Nonostante tutto, era sicura che su di lei non avrebbe mai alzato un dito, lui la amava, glielo leggeva negli occhi. “Anche io ti amo,” ammise con un filo di voce e quando lo vide sorridere e tentare di dire qualcosa, lo anticipò. “Questo però non cambia nulla. Non puoi pretendere che faccia finta di niente dopo quello che hai fatto. Nel mondo civile non ci si comporta così.”
Leon la fissò per alcuni istanti, poi annuì. “Hai ragione, ho sbagliato, ma la gelosia ha preso il sopravvento e...”
“E niente,” lo interruppe lei, seria. “Leon, io ora ho bisogno di stabilità, ho bisogno di una persona con cui costruire un futuro, sono finiti i tempi delle ragazzate.” Mai Violetta era stata più convinta, lo amava, ma non voleva più commettere gli stessi sbagli.
“Ho capito,” mormorò lui alla fine, preparandosi a scavalcare la finestra, sotto lo sguardo basito della ragazza. “Leon,” provò a richiamarlo, ma lui la ignorò e se ne andò così com'era venuto. La Castillo lo vide sparire nel buio, anche se ormai le lacrime le avevano già inumidito il volto. Sperava che almeno le sue parole lo avrebbero fatto riflettere e rendere conto dei suoi sbagli, così da poter poi rimediare e ricominciare. Nonostante tutto Violetta voleva aspettarlo, aveva bisogno di farlo. Le era bastato incrociare di nuovo il suo sguardo per capire: Leon sarebbe sempre stato l'unico, nessuno avrebbe mai potuto occupare il suo posto, né in quel momento e né mai.





Holaaaaa!! Finalmente c'è l'incontro Leonetta, anche se non si conclude benissimo. Vilu lo ama, ma non può accettare il suo comportamento sbagliato e ora Leon ha molto su cui riflettere. Thomas sta bene, ma la paura lo porta a non voler denunciare Leon. Nel frattempo tutti sono preoccupati, Angelica e i Pangie in primis, mentre Diego ha l'occasione di conoscere meglio Fran, restandone non poco affascinato, nonostante voglia ancora vendicarsi di Marco.
Sono di fretta e spero davvero di non aver fatto nessun errore, nel caso mi scuso. Vi ringrazio di cuore per il vostro affetto, siete sempre dolcissimi :3
Baci <3



 

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Capitolo 7
*** Elettricità ***





“Violetta, tesoro, vuoi dell'altro caffè?”
La voce di Angelica, apparentemente tranquilla e pacata, la fece sussultare e rischiare di far cadere a terra la sua tazza di latte. Si affrettò a scuotere il capo, sotto lo sguardo preoccupato dell'anziana donna, che da troppi giorni si chiedeva cosa tormentasse la sua nipotina. Nonostante le sue domande però, Violetta aveva sempre taciuto o deviato il discorso. Come faceva a dire a sua nonna che il motivo della sua apatia fosse quel Leon Vargas che lei odiava e temeva allo stesso tempo?
Da quella dannatissima notte in cui l'aveva mollata da sola, era passata una settimana senza che lo vedesse, né lo sentisse. Mettere la testa a posto lo spaventava così tanto, oppure quello che provava per lei non era così forte da portarlo a cambiare?
Ogni notte, al sicuro tra le sue coperte, attendeva che lui venisse a spiegarle il perché della sua fuga, ma quando puntualmente ciò non accadeva, si ritrovava a versare fiumi di lacrime e il risultato era che la mattina si svegliasse con l'aspetto di uno zombie. Quella mattina non faceva distinzione, aveva impiegato più di mezz'ora davanti allo specchio del bagno per coprire quelle orribili occhiaie e non era nemmeno tanto sicura di esserci riuscita.
Dov'era Leon? Quello era stato il loro addio? No, non poteva accettare che le cose tra di loro finissero così. Lei e Leon stavano insieme da tanto tempo, il loro amore era sempre stato più solido di una roccia e non poteva crollare in quella maniera, soprattutto dopo che si erano dichiarati il loro amore. Il solo pensiero di averlo perso la terrorizzava. Nemmeno quando era stato arrestato si era sentita così male, forse perché in fondo al suo cuore sapeva che si sarebbero rivisti, anche a costo di aspettare anni, ma ora? Ora era tutto diverso e non sapeva che fare. Aveva tentato diverse volte di chiamarlo, ma il suo cellulare risultava sempre spento e su Facebook, dove si era iscritta di nascosto e con un nome falso, non le aveva mai risposto. Non sapeva più che fare, né che pensare.
Sperando che Angelica, impegnata a preparare uno stufato non se ne accorgesse, gettò nel lavello la tazza di latte ancora intatta. Lo stomaco le si era stretto in una morsa e se avesse bevuto anche un solo sorso, avrebbe rimesso pure l'anima.
Corse poi in camera sua a recuperare la borsa e ne approfittò per guardarsi un'ultima volta allo specchio. Si vedeva tanto che stesse male? Il trucco copriva la sua mancanza di sonno, ma era impossibile nascondere la tristezza che aleggiava nei suoi occhi. Essa era così intensa che probabilmente avrebbe potuto percepirla al tatto e se lo notava lei, non osava immaginare cosa vedessero gli altri.
“Violetta.”
Angelica comparve alle sue spalle, silenziosa come un'ambra, poggiandole una mano sulla spalla. Attraverso lo specchio, Violetta poté leggere la preoccupazione riflessa nei suoi occhi e se ne dispiacque. Era tutta colpa sua, alla sua povera nonna causava solo sofferenze.
“Cosa ti succede, piccolina?” Chiese la donna, stringendola dolcemente a se. “Cos'è che ti fa stare così male? Si tratta di Vargas? Si è fatto sentire?” Aggiunse, sciogliendo l'abbraccio e scrutandola attentamente. Al solo sentire il nome di Leon, la giovane si incupì, ma si sforzò di non darlo a vedere. Se sua nonna avesse anche solo sospettato, l'avrebbe chiusa in camera e le avrebbe messo le sbarre alla finestra. Quel pensiero la fece rabbrividire, già di per se era apprensiva, figuriamoci se avesse saputo. Si affrettò perciò a scuotere la testa e ad ostentare un sorriso forzato, sperando di ingannarla. “Sto bene nonna, davvero. Sono solo un po' stanca, sai, non è facile riprendere il ritmo dopo le vacanze.”
Dall'armadio recuperò il giacchetto di jeans e la borsa, pronta ad andarsene, ma Angelica le si piazzò di fronte, poggiando le mani sui fianchi e battendo un piede a terra. “E Vargas? Si è fatto vedere? Dimmi la verità.” I piccoli occhi della donna la scrutarono con così tanta attenzione che Violetta si sentì come spogliata persino della sua anima. Poteva sua nonna leggerle dentro? Poteva semplicemente guardandola capire cosa le passasse per la testa? Onestamente non sapeva dirlo e non ci teneva per nulla a sperimentarlo.
“Non vedo Leon da quando è stato arrestato,” si affrettò perciò a ribattere, fronteggiando il suo sguardo con una sicurezza che in realtà non aveva e che non sapeva nemmeno da dove avesse recuperato, forse tutto derivava dal suo desiderio di mettere fine a quella spinosa conversazione. In ogni caso Angelica sembrò abboccare, perché annuì per poi abbracciarla. “Menomale, saperlo mi tranquillizza,” sussurrò, lasciandole un bacio tra i capelli.
Violetta sospirò, stringendosi forte a lei. “Non ti devi preoccupare, tra di noi è finita,” la rassicurò e ciò fece illuminare il volto della donna, che probabilmente non desiderava sentirsi dire altro. “Oh Vilu! Sono così felice che hai chiuso con quel delinquente. Ora potrai finalmente prendere in mano la tua vita.”
Anche se in quel momento sorrise e annuì, dentro stava morendo. Sua nonna era felice di essersi liberata di Leon, mentre lei si sentiva come se le avessero sottratto una parte di se. Nonostante i suoi sbagli, nonostante le scelte sbagliate, continuava ad amarlo, non poteva fare a meno di farlo. Persino mentre si incamminava verso lo Studio insieme a Francesca e Camilla, la sua mente era concentrata su di lui. Se solo si fosse fatto vedere, almeno avrebbe potuto parlargli.
“Si può sapere a cosa pensi?” Le chiese Francesca, facendola sobbalzare. “Non hai detto una parola. Sono giorni che sembri persa in un mondo tutto tuo.”
“Già,” concordò Camilla. “Non starai pensando a quel Vargas, vero? È da quando è uscito dal carcere che sei strana e...”
“Basta! Smettetela!” Esplose la Castillo, esasperata. “State tutti a psicoanalizzarmi, ma io sto bene. Sto bene, chiaro? Con Leon è finita da un pezzo!”
Detto ciò, le superò, entrando nel cancello dello Studio quasi di corsa, mentre i suoi nervi non accennavano a calmarsi. Perché tutti le nominavano Leon? Perché nessuno la lasciava in pace? Già stava male di suo, non aveva bisogno che gli altri ci mettessero del loro.
Sapeva che Vargas non piacesse né alla sua famiglia e né ai suoi amici, in passato glielo avevano stra ripetuto e li aveva ignorati, ora però iniziava ad averne abbastanza. Aveva bisogno di Diego, l'unico che non la giudicava e che non cercava di cambiarla.
Salì le scale tre alla volta, scansando gli studenti che invece scendevano, guardandosi nervosamente intorno, alla ricerca del cugino. Dov'era Diego quando aveva bisogno di lui?
Nell'aula di musica, la prima lezione che avevano quella giornata, non lo trovò, forse ancora doveva arrivare. Temendo di doversi di nuovo confrontare con le sue amiche, ritornò in corridoio, affacciandosi distrattamente a una delle tante finestre che dava sull'ingresso. Tra i ragazzi che varcavano il cancello, le sembrò più volte di vedere dei capelli castani o degli occhi verdi, ma quando si rendeva conto che fossero solo scherzi della sua mente, scuoteva il capo, amareggiata. Perché doveva sempre andare tutto così male? Prima nessuno voleva Leon al suo fianco, poi lui era stato arrestato e ora si era persino allontanato di sua spontanea volontà. Aveva sempre pensato che loro due fossero legati dal destino, che una forza superiore li volesse insieme, eppure in quel momento non avrebbero potuto essere più distanti. Dov'era il suo Leon?
“Violetta, sei tu?”
La giovane si voltò di scatto, mettendo a fuoco una ragazza dai lunghi capelli castani e gli occhi scuri. Era in tenuta sportiva come era sempre stata abituata a vederla e le rivolgeva un grande sorriso, che prontamente ricambiò.
“Lara,” mormorò, stringendola in un forte abbraccio. Conosceva la sorella di Leon quasi da quando conosceva lui, erano sempre state grandi amiche, almeno finché Vargas non era stato arrestato e sua nonna non l'aveva chiusa in casa, sperando di riuscire a farle rimettere la testa a posto. Le era mancata Lara, le era mancata la sua compagnia e le risate che si facevano insieme. Una parte di lei aveva temuto che visto il modo in cui fosse sparita, la ragazza l'avrebbe odiata e invece era lì, dolce e sorridente come sempre. “è così bello vederti.”
“Lo stesso vale per me,” mormorò euforica la sorella di Leon, continuando ad abbracciarla. “Mi sei mancata un sacco. Sai quante chiamate ti ho fatto?”
Violetta sospirò, amareggiata. “Scusami Lara, avrei tanto voluto avvertirti e...mia nonna mi ha chiusa in casa senza alcun tipo di comodità e...”
Lara però scosse la testa, interrompendola. “Tranquilla Vilu, lo so. Mi aspettavo che fosse dovuto a una cosa simile. A tua nonna non è mai piaciuta la mia famiglia e non posso darle torto,” commentò con un sorrisetto, sciogliendo l'abbraccio e appoggiandosi al davanzale della finestra accanto a lei. “Leon non è proprio il tipo di ragazzo che piace ai genitori o ai nonni.”
“Forse,” commentò la Castillo, scrollando le spalle. “Ma è anche vero che la vita è mia e sono io a decidere con chi voglio stare.”
“Su questo non c'è dubbio,” annuì Lara. “Si può ascoltare un consiglio, ma la decisione finale spetta a noi. A proposito, come sta Diego?” Nel pronunciare il nome di Galindo, un leggero rossore colorò le guance della ragazza, cosa che non la stupì più di tanto. La sua amica infatti, aveva sempre avuto un debole per il ragazzo e per un periodo erano anche stati insieme, ma poi lui di punto in bianco aveva voluto chiudere, peccato che Lara non fosse mai riuscita a dimenticarlo. A Violetta dispiaceva molto, aveva sempre pensato che i due fossero una bella coppia e che lei fosse proprio la brava ragazza che potesse aiutare il cugino a mettere la testa a posto, ma appunto lui non era stato dello stesso avviso, preferendo tornare a frequentare le sue amiche da una notte e via.
“Sta bene, ha ripreso a venire allo Studio. Se aspetti, magari lo incontri.”
“Mi piacerebbe,” ammise la Vargas, con un timido sorriso. “è da tanto che non lo vedo e...Leon!” Esclamò all'improvviso, guardando oltre le spalle di Violetta, che si voltò così di scatto da rischiare di farsi venire il torcicollo. Proprio in fondo al corridoio, impegnato in una fitta conversazione con Diego, c'era lui, Leon. Al suono della voce di Lara, entrambi sollevarono lo sguardo. Galindo rivolse alle due un grande sorriso, che fece avvampare la Vargas, il secondo invece s'irrigidì, evitando accuratamente di incrociare lo sguardo di Violetta.
Prima che potesse evitarlo, Lara la prese per mano e la trascinò verso i ragazzi. “Ciao Diego,” mormorò, stringendosi tra le braccia del moro. “Non mi avevi detto che saresti venuto allo Studio,” aggiunse, guardando Leon, che scrollò le spalle. “Sono venuto a salutare il mio amico Dieguito, non ho intenzione di frequentare questo postaccio.” Storse il naso e nella sua voce c'era così tanto disprezzo che sia Lara che Diego si accigliarono, per poi guardare Violetta, aspettandosi forse che lei dicesse qualcosa, ma la Castillo non aprì bocca, limitandosi a fissare Vargas con nervosa insistenza. Come poteva essere così codardo da non guardarla nemmeno in faccia? Si vantava tanto di essere un duro, ma poi scappava di fronte alla prima difficoltà come qualsiasi ragazzo. Gli uomini non volevano gli impegni seri, né le responsabilità, sua madre glielo diceva sempre e ora si rendeva conto di quanto avesse ragione. “Noi donne saremmo capaci di fare qualsiasi cosa, loro invece sono codardi e hanno bisogno di mille spinte. Ovviamente ci sono le eccezioni, ma è molto difficile trovarle,” le ripeteva spesso, facendola inevitabilmente scoppiare a ridere. Ora però quel discorso le faceva venire solo una gran voglia di piangere. Pensava che Leon fosse la sua eccezione, che insieme potessero affrontare qualsiasi cosa e invece lui era esattamente come tutti gli altri, un maledettissimo codardo.
“Violetta.” Diego le schioccò le dita davanti agli occhi, accigliato. “A cosa pensi? Sono dieci minuti che tento di attirare la tua attenzione.”
La ragazza sussultò, riprendendosi da quella sorta di trance in cui era caduta, scuotendo poi il capo. Erano ancora tutti lì, suo cugino e Lara visibilmente confusi e Leon quasi indifferente, anche se la guardava con la coda dell'occhio.
“Stai bene?” Chiese il moro. “Sono giorni che volevo chiedertelo. Ho provato anche a chiamarti, ma non mi hai proprio risposto.”
“Si, lo so,” ammise, imbarazzata. “Stavo facendo i compiti, però poi quando ho finito, ho dimenticato di richiamarti.”
“Wow, sei diventata una studentessa modello. Brava,” si congratulò Lara, stringendole le mani con le sue. Accanto a lei, Diego ghignò, mentre Leon, poco distante, s'irrigidì. In quel momento Violetta lo odiò. Per quanto ancora aveva intenzione di fare l'offeso? In fondo non gli aveva chiesto niente di strano.
“Grazie Lara, sto facendo del mio meglio,” sorrise. “L'anno scorso è stato molto difficile, ho dovuto frequentare il quarto anno e nel frattempo recuperare il terzo e non ci tengo a ripetere l'esperienza.”
La sorella di Leon annuì, comprensiva. “Ti capisco, non deve essere stato facile fare due anni in uno. Già uno solo è difficile, figuriamoci due.”
“è stato un incubo,” commentò Violetta, rabbrividendo al ricordo di quel periodo. “Non facevo altro che studiare e per fortuna che Francesca, Camilla e Marco mi hanno aiutata, altrimenti penso che avrei gettato tutto dalla finestra.”
Diego scoppiò a ridere, circondandole le spalle con un braccio. “Povera la mia cuginetta e dire che prima odiavi persino leggere il giornale.”
“Ahaha quanto sei spassoso,” ribatté lei, piccata. “Solo perché non mi hai mai visto leggere, non significa che non lo faccia. Pensa che quest'estate mi sono letta un bel po' di libri, non di scuola ovviamente,” si affrettò ad aggiungere, facendo sghignazzare sia lui che Lara.
“Progetti di andare all'università?” Le chiese Lara, curiosa, facendole scuotere il capo. “Mia nonna lo vorrebbe, ma non è il mio ambiente. Voglio prendermi il diploma, però non ho tutto questo amore per lo studio.”
“Ma come? E io che già ti immaginavo travolta dai libri come il mio fratellino,” la beffeggiò Diego, beccandosi una sonora pernacchia che lo fece ridere ancora di più. “Bè, poteva essere, sei diventata una signorina così responsabile.”
Violetta ruotò gli occhi, esasperata. “Non sono diventata una signorina responsabile, sono semplicemente cresciuta e ne ho abbastanza della scuola. Voglio diventare una cantante come mia madre e poi...e poi mi piacerebbe di nuovo visitare l'ultimo posto dove io e i miei genitori siamo stati felici.”
“Venezia.” Tutti e tre si voltarono di scatto verso Leon, che aveva mormorato il nome della città italiana con un filo di voce, lo sguardo finalmente sollevato verso la Castillo, anche se in esso non trapelava alcuna emozione. Un sorriso malinconico si formò sul volto della ragazza. Leon se lo ricordava ancora, nonostante fossero passato tanto tempo, non poteva essere un caso. Ricordava perfettamente quando glielo aveva detto, quella scena era più vivida che mai nella sua mente.


-Lei e Leon erano a casa di lui, fuori diluviava e faceva decisamente freddo. Raggomitolati nel suo letto tra una moltitudine di coperte, si raccontavano piccoli aneddoti della loro infanzia, lo facevano sempre dopo aver fatto l'amore. Con un filo di voce gli aveva parlato di quel viaggio a Venezia insieme ai suoi genitori, l'ultimo che avevano fatto prima dell'incidente. “Il mio sogno è quello di ritornarci un giorno, mai siamo stati così felici e chissà, magari una parte di loro è ancora lì e...e sarà come rivederli, rivivere quei momenti felici. So che è sciocco, però ne ho bisogno.” Leon l'aveva ascoltata tutto il tempo, per poi stringerla forte tra le sue braccia. “Non è sciocco, è dolce e io verrò con te Amore, sempre e comunque,” le aveva sussurrato dolcemente all'orecchio.-


Quella promessa risaliva a quasi due anni prima, apparentemente era così lontana nel tempo, eppure Leon non lo aveva dimenticato. Solo pensarci, le fece lacrimare gli occhi. Avrebbe tanto voluto gettarsi tra le sue braccia e dimenticare ogni tipo di problema, ma anche se ora la guardava, avvertiva come un muro tra di loro, un muro che non riusciva ad abbattere, quel maledetto silenzio che era calato tra di loro e che le provocava un immenso ed indescrivibile dolore.
Tirò su col naso, sforzandosi di mascherare la tempesta di emozioni che si agitava in lei, per poi tornare a guardare i suoi amici. “Scusatemi, ma devo andare a lezione. Vieni Diego?” Aggiunse, rivolta al cugino, che annuì. “Avviati, vengo subito.”
Violetta abbracciò Lara, poi se la diede letteralmente a gambe, cosa che non sfuggì a Galindo, che fronteggiò prontamente Leon. “Si può sapere che diavolo le hai fatto?” Sbottò, digrignando i denti e lasciandolo basito. “Come?”
“Non fare il finto tonto con me, Leon,” ribatté il moro, mentre anche Lara annuiva concorde. “Avete litigato, non è così? Non le hai rivolto la parola e poi lei era così spenta.”
Leon ruotò gli occhi e sbuffò. “Quello che succede tra me e Violetta non è affare vostro.”
Diego rise, incredulo. “Stai scherzando? Vilu è mia cugina e mi riguarda eccome.”
“Ed è anche mia amica,” continuò Lara, incrociando le braccia al petto e fulminandolo con lo sguardo. “Sai quanto ti ama e non puoi farla soffrire così.”
“Perché siete così convinti che sia colpa mia?” Il giovane Vargas si appoggiò pigramente alla parete e socchiuse gli occhi, quasi si stesse sforzando di recuperare una sicurezza che non aveva. Tutta colpa di Violetta, lei era sempre riuscita a destabilizzarlo.
Diego lo prese per le spalle, scuotendolo con decisione. I suoi occhi verdi emanavano un tacito avvertimento. “Non mi sono mai intromesso nella vostra storia, ma se fai soffrire Violetta, giuro che te la faccio pagare.”
Leon si specchiò negli occhi dell'amico e annuì. Aveva perfettamente ragione, la Castillo non meritava di soffrire e davvero voleva essere colui in grado di renderla felice, ma non sapeva se ne fosse pronto. Le parole che gli aveva detto quella notte lo tormentavano da giorni, ricordandogli quanto fosse stato codardo a scappare in quella maniera. Violetta gli aveva semplicemente proposto di mettere la testa a posto, di prendersi delle responsabilità, era così impossibile per uno come lui? Scosse la testa. In fondo non gli aveva chiesto nulla di particolarmente complicato, voleva che la smettesse con le ragazzate e si prendesse delle responsabilità, nulla di che insomma e per lei poteva farlo. Come aveva potuto anche solo pensare di poter vivere senza di lei? Era imbecille per caso? Quella settimana era stata un inferno ed era bastato vederla per capire quanto avesse sbagliato. Doveva parlare con Violetta, chiarire con lei, ne aveva un disperato bisogno.
Guardò Diego e poi Lara e annuì nuovamente. “State tranquilli, so quello che faccio.” Con quella frase enigmatica se ne andò, lasciandoli decisamente confusi e preoccupati.
“Ci possiamo fidare?” Si azzardò a chiedere Lara, torturandosi una ciocca dei lunghi capelli.
Diego scrollò le spalle. “Lo spero, altrimenti potrei non rispondere di me. Violetta ha già sofferto abbastanza. Devo andare,” aggiunse, lasciandole un bacio sulla guancia, che la fece avvampare di colpo. “Ciao Diego,” balbettò, abbozzando un sorriso. Nonostante fosse passato tanto tempo, continuava ad essere cotta di lui, peccato che il ragazzo la vedesse solo come un'amica e la cosa le provocava un male atroce. Chissà se sarebbe mai riuscita a fargli cambiare idea. Leon le aveva detto che al momento non frequentava nessuno, perciò cosa c'era di male nell'illudersi un po'?





I raggi del sole filtravano oltre le vetrate della grande finestra, mentre Francesca, seduta su un banco con le gambe accavallate e la chitarra tra le mani, teneva gli occhi socchiusi e si godeva quella sensazione di calore così rilassante e appagante. In quel momento ogni pensiero era rilegato in un angolo, compreso quella sorta di litigio con Vilu e l'imminente arrivo di Diego. Alla fine, tra un impegno e l'altro, solo quel giorno lei e il maggiore dei Galindo erano riusciti a trovare un po' di tempo libero per consentirle di pagare il famoso pegno. Ammetteva che ritrovarsi lì da sola con lui la rendeva nervosa e inquieta, non perché avesse paura di lui, era convinta infatti che rispetto a Leon fosse meno pericoloso, però c'era comunque qualcosa in quel ragazzo che la spaventava e che allo stesso tempo l'attraeva. C'era stato un tempo in cui avrebbe pagato oro affinché Diego la notasse, anche quando la prendeva in giro e la umiliava, non poteva fare a meno di sognare che un giorno l'avrebbe amata come lei amava lui. Si, Francesca era stata innamorata del fratello del suo ragazzo, lo era stata per anni e ora che lui aveva iniziato a guardarla con interesse, si sentiva spiazzata. Cosa voleva Diego da lei? Era davvero interessato a passare del tempo in sua compagnia? E lei, perché non aveva avuto il coraggio di dirlo a Marco? Così poco tempo in compagnia di quel ragazzo, poteva averla stravolta così tanto?
“Ciao, bambolina.”
Diego era fermo sul ciglio della porta, tra le braccia reggeva la stessa chitarra che gli aveva visto suonare a casa di Violetta. Le sue labbra erano piegate nel solito ghigno, mentre la scrutava da capo a piedi con interesse.
Francesca avvampò paurosamente, affrettandosi a scendere dal banco. “Ciao,” balbettò, lisciandosi le pieghe della sua gonna e sperando non fosse così evidente il suo turbamento, altrimenti sapeva che lui ne avrebbe approfittato per umiliarla. Lui non sarebbe mai cambiato, doveva tenerlo costantemente a mente.
“Sei pensierosa,” esordì il moro, andandosi a sedere su un banco e non perdendola d'occhio nemmeno per un istante. “Problemi con mio fratello o con Violetta?”
Francesca si accigliò. “Ti interessa davvero, oppure cerchi qualcosa su cui ridere?” Il suo tono era stranamente astioso e accusatorio, cosa che confuse il ragazzo ancora di più delle sue parole. Perché ce l'aveva tanto con lui? Perché lo considerava così maligno da godere delle disgrazie altrui? “Non capisco perché mi aggredisci così, ti sei svegliata con la luna storta?” Ribatté, sollevando un sopracciglio. “Non te la prendere per Violetta,” continuò serio, lasciandola decisamente sorpresa, oltre che imbarazzata. “Credo ci siano dei problemi tra lei e Leon, non ce l'aveva davvero con te o con Camilla.”
Dopo quella frase, lo stupore di Francesca crebbe ancora di più. Come faceva Diego a sapere del litigio con Violetta e soprattutto, che lei ne fosse rimasta tanto turbata? “Vi ho visto parlare, tu e Leon Vargas intendo,” ammise, con un filo di voce, lo sguardo rivolto sulle sue scarpe.
“Si, era dall'arresto che non ci vedevamo,” confermò il ragazzo, che a differenza sua non si faceva alcun tipo di problema a guardarla. Certe persone erano fatte per essere ammirate e Francesca con la sua bellezza semplice e allo stesso tempo inconsapevole era tra esse, bisognava essere stupidi per non riconoscerlo. “Allora, cosa cantiamo?”
La mora sollevò lo sguardo di scatto a quelle parole, tirando un sospiro di sollievo. Era felice che lui avesse deciso di mettere fine a quella conversazione, non voleva conoscerlo troppo a fondo, il solo pensiero la terrorizzava. Diego doveva restare un enigma, un qualcosa di negativo da cui doveva tenersi a distanza e una volta scontato il suo pegno lo avrebbe fatto, costi quel che costi. I sentimenti che aveva provato per lui in passato, dovevano restare appunto passati. Lei amava Marco e così doveva continuare a fare.
“Ora ti faccio vedere,” iniziò, prendendo dalla borsa un foglio spiegazzato. “Io, Violetta e Camilla abbiamo iniziato a scriverla durante le vacanze e se ti va, possiamo provarla.”
Nel prendere il foglio, Diego sfiorò le dita della ragazza, che sussultò quasi avesse
preso la scossa e lui sogghignò, evitando però di fare commenti. La canzone in questione, si intitolava “Euforia” e a prima vista non sembrava male. Gli piacevano le parole e poi era movimentata come la preferiva lui. Impugnò la chitarra e seguendo le note segnate sul foglio, iniziò a suonare, venendo immediatamente seguito dalla ragazza, che recuperata la sua chitarra, si sedette sul banco di fronte al suo.


Ya sé donde quiero ir
Ya tengo claro que quiero decir
Es un estado que me hace bien
Viene de golpe y me vas a entender



Non sapeva nemmeno lui cosa gli stesse accadendo. Sentire Francesca cantare, vedere la passione e l'entusiasmo nei suoi occhi e quel sorriso che la attraversava da parte a parte, tutto in lei lo portava a fissarla come rapito. In quel momento lei era nel suo mondo, era felice, spensierata, viva e non desiderava altro che combinare la voce con la sua.


Ahora te toca a ti
Ya tienes claro que debes decir?
Es alegría y es de bienestar
Van compitiendo en ser superstars



Francesca si morse nervosamente il labbro, mentre ascoltava e guardava Diego cantare la seconda strofa. Come l'ultima volta che lo aveva sentito, restò profondamente colpita dalla sua voce così roca, graffiante e sensuale...si, la sua voce aveva anche un qualcosa di sensuale e poi i suoi occhi, così verdi e così decisi, che la guardavano con una tale intensità da farla rabbrividire.


Ya siento la energía
Que buena compañía
Se siente el escenario
Y el grito necesario

Euforia te da la gloria
¡Grita! la gente grita
¡Canta! siente la euforia
¡Por que asi queremos cantar!



Combinare le loro voci al momento del ritornello, fece avvertire ad entrambi delle intense ed indescrivibili emozioni, che non sapevano comprendere né spiegarsi, sapevano solo che non potevano fare a meno di specchiarsi l'uno negli occhi dell'altra. Il verde di lui si fondeva con le olive nere di lei, i loro cuori battevano come forsennati. Quasi senza rendersene conto, scesero dai banchi con le chitarre tra le mani continuando a cantare e a guardarsi, ogni tipo di pensiero era allontanato.
Al termine della canzone, erano ancora lì, uno di fronte all'altra, l'espressione seria. Diego accorciò ancora le distanze, facendo sfiorare i loro nasi. Quel semplice contatto, sembrò risvegliare la ragazza da quella sorta di ipnosi in cui era caduta, tanto che sussultò e lo spinse lontano da se con il volto in fiamme. “Devo andare,” mormorò, affrettandosi a raggiungere la porta. “Ciao.” Se ne andò così, senza nemmeno guardarlo e a passo così svelto che sembrava se la stesse dando a gambe e forse era davvero così. Diego restò a fissare quella porta chiusa per lunghi e interminabili minuti, più confuso che mai. Cos'era successo in quella dannata aula tra lui e Francesca? Perché si era sentito così turbato? Era solo attrazione, giusto? Perché allora non ne era così convinto?






Holaaaaaaaa!!
In questo capitolo conosciamo meglio due personaggi, Angelica e Lara. La prima si conferma un anti-Leonetta, tra l'altro è molto attenta e determinata a creare problemi e questo la rende una nostra nemica giurata. Per quanto riguarda Lara, non potrebbe essere più diversa da quella della serie, è una ragazza dolce, semplice e onesta e ha una terribile cotta per Diego, cosa che qualcuno di voi aveva già intuito XD awwwwww ma Vilu è proprio innamoratissima del suo Leon, anche se lui per il momento non ha ancora preso la giusta decisione. Francesca poi paga finalmente il famoso pegno e apprendiamo il motivo del suo turbamento in presenza di Diego, in passato ha avuto una grande cotta per lui e forse quei sentimenti non se ne sono mai andati e c'è da dire che anche lui è rimasto visibilmente affascinato :3
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio per il voglio immancabile affetto, siete dolcissimi *________*


ps. tenete a mente il flashback di Leon e Vilu, sarà molto importante più avanti ;)




 

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Capitolo 8
*** Testa o cuore? ***





Violetta si strinse maggiormente nel suo giacchetto di jeans, affrettando il passo. Un'altra dura giornata allo Studio era finita, una giornata che aveva passato evitando tutti come la peste. Non che ce l'avesse con qualcuno, ma non aveva voglia di sentirsi chiedere per l'ennesima volta come stesse e le accuse che sicuramente sarebbero volate contro Leon. Era stanca, maledettamente stanca.
Distrattamente, scorse il cellulare alla ricerca del messaggio che le aveva mandato Angelica. La donna infatti, le aveva detto che quel giorno avrebbero pranzato fuori e le aveva mandato l'indirizzo del ristorante tramite sms. Doveva ammettere che la cosa fosse curiosa, sua nonna non era mai stata una patita dei ristoranti, al contrario prediligeva il cibo fatto in casa, che considerava più sano e sicuro. Supponeva quindi che volesse presentarle qualcuno, magari un lontano cugino o una sua amica, chissà. D'altronde l'indirizzo che le aveva mandato, era di uno dei ristoranti più in voga della capitale argentina, quelli che di solito venivano frequentati da cittadini dei quartieri alti o da uomini d'affari, il luogo perfetto per suo padre insomma. Il pensiero di German e quindi anche quello di Maria, la fece intristire di colpo. Quanto le mancavano i suoi genitori, sembrava ieri che erano una famiglia felice e piena d'amore e invece erano ormai passati cinque anni da quando quel maledetto incidente glieli aveva portati via. Anche se aveva ripreso in mano la sua vita, il dolore continuava a perseguitarla, soprattutto quando si trovava da sola o quando si imbatteva in qualcosa che le ricordava loro. Non poteva negare che a volte, in quell'ultimo anno in cui si era impegnata per fare ordine nella sua vita, fosse stata tentata di procurarsi una bottiglia di alcool, come faceva ai vecchi tempi insieme a Leon e Diego e scolarsela tutta, per dimenticare almeno per qualche ora l'immenso dolore che l'affliggeva. Era stupido e ne era consapevole, ma che ci poteva fare se non riusciva a superare la morte dei suoi genitori? Le mancava ogni cosa di loro, a volte temeva persino di dimenticare i tratti dei loro volti o i suoni delle loro voci e per questo recuperava gli album con le vecchie foto e passava ore a guardarli, scoppiando inevitabilmente a piangere. Quando poi Diego e Leon, coloro a cui si era aggrappata con le unghie e con i denti per riuscire ad andare avanti, erano finiti in carcere, aveva creduto di non farcela, che sarebbe caduta in una depressione ancora più grave. Come poteva farcela senza suo cugino e l'amore della sua vita? A sorpresa però, chi l'aveva aiutata erano stati proprio coloro che fino a quel momento le avevano dato contro per le sue scelte sbagliate, ossia sua nonna, i suoi zii, Marco, Francesca e Camilla. Ora stava meglio, ma rivedere Leon e rendersi conto che lui non fosse disposto a cambiare per stare con lei, le provocava un profondo e immenso dolore. Nonostante tutto, non aveva mai davvero rinunciato al desiderio di poter un giorno tornare con lui. Leon era il suo primo e unico amore, la sola persona che riusciva ad immaginare al suo fianco. Era così sbagliato crederci ancora?
Troppo persa nei suoi pensieri, non si era resa conto di essere arrivata fuori al ristorante. Il locale era già strapieno di persone e fece non poca fatica a farsi strada fino alla sala interna. Dov'era sua nonna? Mentre camminava, si sollevò sulle punte, alla ricerca della donna. Niente, solo volti estranei, eppure il ristorante era quello. Continuò ad avanzare, guardandosi nervosamente intorno, poi finalmente la vide. Angelica era seduta a un tavolo in un angolo della sala e la salutava con la mano. Le sorrise, affrettandosi a raggiungerla. Solo quando fu a pochi passi, si rese conto della persona seduta con sua nonna. Era di spalle, perciò non aveva idea di chi fosse, ma appena li raggiunse, si paralizzò sul posto, il sorriso sul suo volto si gelò. “Thomas?” Chiese, esterrefatta. Seduto di fronte ad Angelica c'era proprio lui, Thomas Heredia. Non lo vedeva da quando era andata a trovarlo in ospedale e doveva ammettere che a primo impatto le aveva fatto un certo effetto. Aveva un occhio nero, un taglio sul labbro e qualcun altro sul volto e in aggiunta il braccio sinistro ingessato. Leon lo aveva conciato proprio male.
“Ciao Violetta,” mormorò il ragazzo, decisamente in imbarazzo. Era chiaro come il sole che avrebbe preferito trovarsi dovunque tranne che lì e il fatto che si guardasse continuamente intorno, quasi temesse un attacco terroristico lo confermava. Perché allora era venuto?
Quasi le avesse letto nel pensiero, Angelica si affrettò a spiegare: “Ho incontrato Thomas al supermercato. È stato dimesso ieri dall'ospedale e ho pensato di invitarlo a pranzo. È un ragazzo così a modo,” aggiunse, rivolgendo a Thomas un dolce sorriso, che lui ricambiò a fatica. Per Violetta non ci fu bisogno d'altro per fare due più due. Sua nonna, come Fran e Cami, stava tentando di fare da cupido tra lei e Thomas e quella cosa iniziava a darle sui nervi. Possibile che la considerassero un caso così disperato da non essere capace di trovarsi un ragazzo? In ogni caso non poteva mettersi a polemizzare davanti a Thomas, perciò si sforzò di sorridere, prendendo posto tra i due.
“Come stai?” Chiese allo spagnolo, ignorando il sorrisino soddisfatto sul volto di Angelica. Davvero credeva che solo perché gli stesse rivolgendo la parola le cose stessero andando come voleva lei?
“Meglio, ora riesco a sdraiarmi senza avvertire dolore ed entro tre settimane potrò anche togliere il gesso,” le spiegò il ragazzo, sorridendole. Anche se a disagio, Thomas continuava a guardarla in quel modo, come se non avesse mai visto nulla di più bello di lei e quella consapevolezza la fece arrossire nella zona guance, cosa che non sfuggì all'emozionata Angelica. “Sareste proprio una bella coppia,” commentò la donna, con gli occhi a cuoricino, facendoli avvampare di colpo.
Thomas abbassò lo sguardo e iniziò a battere il piede destro a terra in maniera frequente e nervosa, mentre Violetta dovette mordersi l'interno della guancia quasi a sangue, per non lasciarsi sfuggire un'imprecazione. Ma cosa stava saltando in mente a sua nonna? Era forse impazzita?
Rendendosi conto di averli messi in imbarazzo, Angelica si affrettò a chiamare il cameriere, che portò loro tre menù. La Castillo scorse i vari piatti con aria assente, mentre lo stomaco le si stringeva in una morsa. Avrebbe preferito essere dovunque, anche in classe per l'interrogazione di matematica, tutto pur di non trovarsi a pranzo con sua nonna e Thomas, con la prima che faceva di tutto per farli socializzare. Perché accidenti non la smetteva?
Se lo stava ancora chiedendo, quando vide qualcosa che la sconvolse ancora di più della vista di Heredia di poco prima. Nella sala infatti, avevano appena fatto il loro ingresso tre persone che conosceva molto bene, ossia Fernando Vargas, Lara e... Leon. Erano vestiti in maniera impeccabile, i due uomini in giacca e camicia e la ragazza con un grazioso abito dai colori pastello. Il suo sguardo si perse a fissare Leon, come faceva ad essere sempre così bello? Quasi si fosse accorto del suo sguardo, il giovane si voltò nella sua direzione e appena vide lei e le persone con cui era, si irrigidì paurosamente e il sorriso sparì dal suo volto. “Ancora lui,” digrignò, attirando l'attenzione del padre e della sorella, che non ci misero molto a capire. “Siediti e non fare scenate,” ordinò Fernando, glaciale, trascinandolo al tavolo più vicino. “Obbedisci, Leon.”
“Papà ha ragione,” convenne Lara, guardandolo, seria. “Sei appena stato rilasciato, una sola sciocchezza potrebbe costarti cara.”
Leon storse il naso, sedendosi scompostamente e continuando a fissare quel tavolo che tanto lo aveva indispettito. “A quanto pare quell'Heredia vuole prenderle ancora ed è fortunato che sia un tipo generoso,” borbottò crudelmente, pregustando il momento in cui gli avrebbe messo di nuovo le mani addosso. Violetta era sua, sua e di nessun altro e se per farglielo capire doveva picchiarlo ancora, lo avrebbe fatto, lui non era di certo uno che si tirava indietro.
“Non fare l'idiota,” lo rimproverò Fernando, scorrendo distrattamente il menù e lanciandogli un'occhiata di tanto in tanto. “è già una fortuna che non ti abbia denunciato per quell'aggressione, non sfidare la sorte.”
Il giovane sospirò. Sapeva che suo padre avesse ragione, ma proprio non riusciva a sopportare che quel ragazzo andasse dietro a Violetta nonostante lo avesse minacciato e spedito in ospedale. Era inconcepibile. Probabilmente, dopo che era scappato dalla sua camera come un codardo se lo meritava, ma ora aveva capito il suo sbaglio, ora era pronto a lottare per lei. Se la sarebbe ripresa, costi quel che costi.
A Violetta nel frattempo, non era sfuggito il nervosismo di Vargas e la cosa l'agitò ancora di più. E se avesse aggredito di nuovo Thomas? E se l'avesse odiata? Non poteva permetterlo, Heredia non aveva colpe, era stata sua nonna ad averlo invitato. Doveva risolvere quella situazione e doveva farlo il prima possibile. “Scusate, devo andare un attimo in bagno,” esordì all'improvviso, sforzandosi di apparire tranquilla e sperando con tutta se stessa che Angelica non avesse notato i Vargas, altrimenti addio piano. Di sicuro non le avrebbe permesso nemmeno di fare mezzo metro. Quando però la donna si limitò ad annuire, comprese che non si fosse accorta di nulla e tirò un sospiro di sollievo. Ora o mai più. Affrettando il passo, si sbrigò ad imboccare lo stretto corridoio che portava ai bagni, convinta che Leon avrebbe colto il messaggio e l'avrebbe seguita. Se lo conosceva bene, non si sarebbe fatto scappare la possibilità di farle una scenata lontano da tutti.
Il bagno delle donne era una vera e propria suite. Le pareti erano tappezzate da lucide mattonelle rosa confetto e il marmo dei lavandini era così bianco che le sembrava quasi che luccicasse, per non parlare delle fontane color oro. Si guardò intorno, ammirata. Mai in vita sua aveva visto tanto lusso, forse solo a casa di Leon, anche se in quel caso si parlava di un lusso che non avrebbe dovuto appartenergli. Il ragazzo infatti, una volta aveva ammesso che suo padre potesse permettersi la reggia dove abitavano grazie ai suoi affari non proprio puliti. “Contrabbando, traffico di droghe, favori e cose simili,” le aveva detto con una traccia di ammirazione, che allora non aveva notato. Era così innamorata di lui, da non rendersi conto di ciò che le accadesse intorno e di quanto fosse sbagliata la vita che conduceva. Ora però lo vedeva e proprio per questo gli aveva proposto di cambiare, di diventare una persona responsabile così da coronare il loro sogno d'amore, ma lui non aveva voluto.
La porta alle sue spalle sbatté con foga, facendola letteralmente sobbalzare. Voltandosi, incrociò lo sguardo furioso di Leon.
“A che gioco stai giocando?” Sibilò, avanzando verso di lei con le braccia conserte. Normalmente Violetta avrebbe indietreggiato, lui non l'aveva mai guardata in quel modo, quella volta però non lo fece, continuando a sostenere il suo sguardo. “Cosa vuoi, Leon? L'ultima volta che abbiamo parlato, non avresti potuto essere più chiaro.”
Un lampo attraversò lo sguardo del giovane, che sciolse le braccia dalla stretta in cui le aveva tenute fino a quel momento e le poggiò le mani sulle spalle, scrutandola con astio. “E quindi hai pensato bene di vendicarti, facendoti vedere con quello lì.”
Violetta lo fissò, esterrefatta. “Davvero pensi che volessi farti ingelosire? Per chi mi hai preso? Io non sono come te,” aggiunse, spingendolo lontano da se.
Leon non si scompose, anzi, quando lei lo spinse, un sorrisetto si fece strada sul suo volto. “Ma davvero? E allora perché sei a pranzo con lui?”
Quegli occhi verdi la trafiggevano con divertimento e presunzione, non perdendosi nemmeno un suo gesto e Violetta si sentì come se fosse stata sotto esame. “è stato architettato tutto da mia nonna,” ammise alla fine. “Lei vorrebbe che stessimo insieme.”
Vargas annuì, per nulla sorpreso. Era perfettamente consapevole che la nonna della giovane lo odiasse e che lo volesse a chilometri dalla sua innocente nipote, quindi non doveva sorprendersi se stesse tentando di farle frequentare un bravo ragazzo come Heredia. “Tu però non hai fatto nulla per scoraggiare i suoi piani.”
Violetta ruotò gli occhi, esasperata. “E che avrei dovuto fare, secondo te? Dovevo mettermi a urlare e a battere i piedi per terra?”
A sorpresa, il giovane sogghignò. “Ho sempre amato quel tuo particolare umorismo,” mormorò, avvicinandosi ancora a lei e guardandola con una tale intensità, che la fece arrossire di botto. “Tra l'altro,” proseguì, sfiorandole una guancia con l'indice. “Anche il tuo modo di arrossire continua a farmi lo stesso effetto.” L'attirò a se, facendo aderire i loro corpi. “Io lo so che non è cambiato nulla, noi siamo ancora una cosa sola. Il tuo corpo e i tuoi occhi fanno di tutto per farmelo capire, tu mi ami.” Quelle parole gliele sussurrò all'orecchio con voce calda e intrigante, facendola rabbrividire e arrossire ancora di più. Si sentiva come se fosse stata sotto l'effetto di un potente incantesimo, più lui parlava, più l'ammaliava e più le sue difese si indebolivano. Purtroppo Leon aveva ragione, ogni cellula del suo corpo le urlava di gettarsi tra le sue braccia, di inebriarsi del suo profumo, di aggredire le sue labbra. Lo desiderava, lo bramava come se ne dipendesse la sua vita. “Se quello sfigato ti si avvicina ancora, giuro che lo spedisco all'ospedale in fin di vita. Le cose di Leon Vargas non si toccano.”
Bastò quella semplice frase per mandare in mille pezzi il sogno in cui Violetta si era cullata fino a quel momento. Per alcuni folli istanti, aveva creduto che lui volesse dirle che sarebbe cambiato a favore del loro amore e invece le aveva dato l'ennesima cocente delusione. Leon non era pentito di quello che aveva fatto a Thomas, al contrario sembrava non aspettasse altro che ripetersi. Tra l'altro l'aveva definita una cosa sua, come se lei fosse stata un oggetto. “Lui è un delinquente e un prepotente, uno che è abituato a prendersi ciò che vuole fregandosene delle conseguenze.” Quante volte sua nonna e i suoi zii le avevano ripetuto quella frase? E quante li aveva ignorati? Possibile che invece avessero ragione? Leon la considerava una sua proprietà e voleva riportarla nella più buia oscurità, non voleva cambiare, voleva che fosse lei a farlo, ignorando quelli che erano i suoi desideri e aspirazioni. Quello non era amore, quello era semplicemente possesso.
“Quanto mi sei mancata,” proseguì Leon, accostando le labbra a un soffio dalle sue. Dopodiché la baciò. Avvertire ancora il calore e il sapore delle sue labbra, la turbò a tal punto da pietrificarla sul posto, mentre lui la baciava con sempre maggiore intensità. Non riusciva a reagire, non riusciva ad allontanarlo. Il cuore le urlava di lasciarsi andare a quel bacio, il cervello invece voleva che lo interrompesse. Cosa doveva fare? Quando sentì la lingua del ragazzo fare pressione contro le sue labbra, capì che doveva prendere una decisione e alla svelta, così consapevole che poi ne avrebbe intensamente sofferto, lo spinse lontano da se, lasciandolo stupito.
“Non voglio stare con una persona violenta e pericolosa come te. Ho bisogno di stabilità, ho bisogno di una persona con cui fare dei progetti per il futuro e tu non ne sei capace. È finita,” aggiunse, evitando di guardarlo negli occhi. Se lo avesse fatto infatti, non sarebbe mai riuscita a dirgli quelle cose. Leon era così sbagliato, ma restava comunque l'amore della sua vita e lasciarlo era l'ultima cosa che avrebbe voluto, purtroppo però non aveva scelta, doveva scegliere la cosa migliore per se stessa e per il proprio futuro. Continuando a non guardarlo, si avviò verso la porta, sperando che lui non la fermasse, altrimenti era sicura che non sarebbe più riuscita ad andarsene. Per fortuna Leon non fece assolutamente nulla e così Violetta potè filarsela, con un dolore al petto che aumentava d'intensità a ogni passo che metteva tra di loro. Perché fare la cosa giusta doveva essere anche così doloroso? La ragazza continuò a chiederselo anche quando tornò da sua nonna e Thomas, sforzandosi di sorridere e partecipare alla loro conversazione, mentre non avrebbe desiderato altro che piangere e urlare fino ad addormentarsi.
Leon dal canto suo, si sentiva svuotato di ogni emozione. Credeva di essere riuscito a riprendersi Violetta, che tra di loro non fosse finita e invece lei lo aveva mollato. Non poteva accettarlo, non poteva e basta. Si appoggiò con la schiena contro le mattonelle rosa confetto, lasciandosi scivolare sul pavimento e prendendosi il volto tra le mani. Era tutta colpa di Angelica e dei suoi cani ammaestrati e non parlava solo dei genitori di Diego, ma anche delle sue amiche, di Marco e di Thomas, loro gliel'avevano messa contro, loro le avevano fatto credere che lui fosse un mostro.
“Leon, che fai nel bagno delle donne?” Una sorpresa Lara, fece il suo ingresso nel bagno e appena notò il fratello, si accigliò.
Lui scrollò le spalle. “Violetta mi ha lasciato,” mormorò alzandosi e sorpassandola.
“Lasciato?” Ripeté la ragazza, confusa. “E quando eravate tornati insieme? Leon, aspetta,” aggiunse, affrettandosi a seguirlo. Ora più che mai, suo fratello aveva bisogno di lei.




Diego sbuffò sonoramente, spegnendo la televisione, che stava trasmettendo l'ennesimo notiziario su chissà quale catastrofe e gettò il telecomando in una delle fessure del divano, dov'era stravaccato a peso morto. Iniziava davvero ad averne abbastanza di quei pomeriggi chiuso in casa, lui che era sempre stato un tipo attivo e pieno di vita. Quando era piccolo, la febbre era il suo incubo peggiore perché non poteva uscire a giocare e da grande le cose non erano cambiate, odiava stare in casa, lo odiava con tutto se stesso. Se poi la sua mente rievocava quel momento con Francesca, le cose non potevano che peggiorare. Cantare con l'italiana, specchiarsi nei suoi occhi scuri e rendersi conto che quei sorrisi fossero per lui, gli avevano fatto provare delle strane sensazioni, un qualcosa che andava oltre l'attrazione fisica. Quando si era avvicinato per baciarla, aveva sentito di voler assaporare quelle labbra e nemmeno per un attimo aveva pensato al sesso, cosa non da lui. Diego Galindo aveva sempre pensato solo al sesso quando aveva a che fare con una ragazza, mai si era interessato a voler avere una conversazione o a condividere un hobby. Che gli stava prendendo? Scosse la testa con decisione. Il problema era che essendo stato chiuso in carcere, non aveva avuto nessun approccio con il gentil sesso e perciò ora ogni più piccolo contatto con una ragazza lo mandava in confusione, doveva per forza essere così.
“Diego, tesoro, puoi aiutarmi?”
Una trafelata Angie, aveva appena ritirato da fuori al balcone diverse lenzuola e le aveva poggiate sul divano, spostandosi poi una ciocca di capelli che le era caduta sugli occhi.
“Cosa devo fare?” Chiese il giovane, scattando in piedi, desideroso di fare qualsiasi cosa per liberarsi dalla sua apatia.
“Aiutami a piegare le lenzuola,” sorrise la donna, porgendogli i lembi di un lenzuolo rosa pastello, probabilmente del letto suo e di Pablo. Iniziarono così a piegare le lenzuola appena asciugate, mentre un delicato profumo di lavanda, appartenente a uno dei detersivi preferiti di Angie, invadeva le loro narici.
“Ti vedo pensieroso,” mormorò lei all'improvviso, posando sul tavolo l'ennesimo lenzuolo ormai piegato. Che li avesse lavati proprio tutti? Incredibile quanti ce ne fossero.
Diego annuì. Era inutile negare, sua madre avrebbe insistito finché non fosse riuscita a farlo parlare, perciò tanto valeva facilitarle il compito.
Angie iniziò a torturarsi nervosamente il labbro inferiore, indecisa su come iniziare il discorso, poi però decise di agire d'istinto. “Marco mi ha detto che ti ha visto parlare con Leon Vargas allo Studio,” mormorò, pronta a qualsiasi reazione da parte del figlio, che sorprendendola, ghignò. “Sapevo che te lo avrebbe riportato, ama causare dissidi tra di noi,” commentò, con un tono chiaramente ironico, che lei decise di ignorare. Se lo avesse aggredito infatti, non avrebbe ottenuto alcuna risposta da lui. La bionda allora, lasciando perdere i panni che ancora dovevano piegare, prese il figlio per il polso e lo condusse in cucina, consapevole della confusione che gli stava attraversando lo sguardo.
“Mamma, che succede?” Chiese infatti il ragazzo, sedendosi su una delle sedie di legno, mentre la donna riempiva due bicchieri di succo d'arancia, per poi sedersi di fronte a lui. Angie scrollò le spalle. “Ho bisogno che tu sia sincero con me, Diego,” esordì, bevendo un lungo sorso e fissandolo, seria.
Diego lanciò un'occhiata al bicchiere che lei gli aveva messo sotto il naso, poi si portò nervosamente una mano nei capelli, scompigliandoli. Sapeva già cosa volesse sapere sua madre, in fondo se lo aspettava che prima o poi avrebbe voluto parlargli a quattrocchi. “Vuoi sapere che rapporto c'è adesso tra me e Leon, non è così? Temi che possa ricadere negli sbagli del passato.”
La Saramego sbiancò, non si aspettava che suo figlio sarebbe stato così diretto, né che avrebbe capito subito quali fossero le sue preoccupazioni. “Diego,” iniziò a disagio. “Non voglio che tu pensi che ti stia accusando.”
“Lo so, tranquilla,” annuì il giovane, abbozzando un sorriso. “Dopo quello che ho combinato, è normale se ora sei preoccupata.” Poggiò poi una mano su quella della madre e gliela strinse. “Ho incontrato Leon fuori dallo Studio e abbiamo parlato del carcere, di come stessimo e cose del genere. Non sono rientrato nel giro e non ho intenzione di farlo, te lo giuro,” aggiunse, fissandola serio. “Non sono un santo e mai lo sarò, ma non voglio tornare in carcere. Voglio prendere in mano la mia vita e vivermela fino in fondo.”
Di fronte a quella determinazione e a quella sicurezza, Angie sorrise. Diego sembrava così sincero, quindi perché non dargli un po' di fiducia? “Se mi dici che le cose stanno così, allora ti credo,” sentenziò, rafforzando la stretta delle loro mani. “Lo sai che ti voglio bene e che voglio solo il meglio per te.”
Il giovane annuì. “Anch'io ti voglio bene mamma e farò del mio meglio per rimediare ai miei errori. Non voglio più deludere né te e né papà.”
“Oh, tesoro!” Emozionata, la bionda fece il giro del tavolo e lo stritolò in un forte abbraccio. “Noi ti aiuteremo, sempre e comunque, non ti abbandoneremo mai.”
Diego sorrise, ricambiando l'abbraccio. “Lo so mamma, lo so.”




“Sono esausto,” mormorò Marco, richiudendo il libro di matematica e lasciandosi andare ad un sonoro sbadiglio. Francesca, seduta sul letto accanto a lui, annuì. Erano ore che stavano lavorando sulla moltitudine di esercizi che il professore aveva assegnato, ormai non avevano più la forza nemmeno per fare una semplice addizione. L'italiana si allungò per prendere da terra il suo zaino, così da infilarci il grosso libro e il quaderno, dov'erano scritti ordinatamente tutti gli esercizi ultimati. “Abbiamo finito i compiti, vero?” Chiese al ragazzo, dando un'occhiata all'orario dal suo cellulare.
Marco annuì. “Si, ora possiamo riposarci in santa pace, il dovere è fatto.” Dopodiché si sdraiò, tirando la ragazza al suo fianco, facendole poggiare il capo contro il suo petto. Seppur imbarazzata, lei non si ritrasse. In fondo le piaceva stare tra le braccia di Marco, la faceva sentire protetta, al sicuro. Lui era la sua roccia, la sua sicurezza.
Proprio mentre pensava a questo, la porta della camera del giovane si aprì e prima che potessero fare qualsiasi gesto per ricomporsi, un Diego carico di indumenti piegati ordinatamente, fece il suo ingresso.
“Non lo sai che si bussa prima di entrare?” Sbottò acidamente Marco, cosa che fece sogghignare il fratello maggiore, mentre riponeva i vestiti sul suo letto e scrutava i due con saccente ironia. “Vi ho forse interrotti? Naaaaaa, impossibile,” aggiunse divertito, cosa che indispettì Marco, che difatti si mise seduto e gli rivolse un'occhiata raggelante. “Fatti gli affari tuoi e vattene.”
Diego non si scompose, al contrario continuò a sorridere, mentre Francesca, che si era a sua volta seduta, si torturava le pieghe del vestito a pois, a disagio.
“Te ne vai?” Proseguì Marco, ma il ragazzo lo ignorò, iniziando ad aprire gli armadi e a riporvi i vestiti, mentre un odioso sorrisetto faceva bella mostra di se. Francesca nel frattempo, spostava lo sguardo dall'uno all'altro, indugiando in particolare sul maggiore dei due e quando se ne rese conto, avvampò, addentandosi il labbro inferiore con rabbia. Cosa le prendeva? Come poteva anche solo fermarsi a guardare un tipo del genere? Doveva toglierselo dalla testa e subito. Proprio per questo, quando la sua mente rievocò il ricordo di lei e Diego a un soffio dal baciarsi, attirò Marco a se e lo baciò. Il ragazzo rimase inizialmente sorpreso, poi però iniziò a ricambiare dolcemente.
Solo dopo aver finito di riporre i vestiti, Diego tornò a guardare i due, rendendosi conto che si stessero baciando. Quella visione lo disgustò. Come diavolo gli era saltato in mente di baciarsi davanti a lui? E perché la cosa gli dava tanto fastidio?
Si schiarì la gola, facendoli letteralmente sobbalzare. “Potreste evitare queste smancerie davanti a me? Non vorrei rimettere tutto quello che ho mangiato.” Il suo doveva essere un tono ironico, ma si rese conto che gliene fosse uscito uno piuttosto infastidito. Se Marco non se ne accorse, iniziando a sproloquiare sul fatto che ne avesse abbastanza delle sue battutine, Francesca sorrise soddisfatta. Più chiara di così non poteva essere, sperava davvero che non le si avvicinasse più come quel giorno che avevano cantato insieme e che soprattutto, il suo cuore si liberasse di quelle vecchie e assurde fantasie adolescenziali. Se aveva provato qualcosa per Diego, era stato in passato, prima di conoscere Marco. Era il minore dei Galindo il ragazzo che amava e che doveva amare.
“Ora vattene e lasciaci soli!” Quell'esclamazione del suo ragazzo, la riportò alla realtà. I due fratelli erano uno di fronte all'altro e si fronteggiavano con occhiate raggelanti. Marco era furioso, ma mai quanto Diego, che lo prese per il colletto della t-shirt, sollevandolo mezzo metro da terra. “Non ti permettere più di parlarmi così, chiaro? Questa è camera tua quanto mia, se voglio entrarci tu non me lo puoi proibire.” Detto ciò, lo lasciò andare e dal suo armadio prese la giacca di pelle. Prima di uscire dalla camera, rivolse un'ultima occhiata verso Francesca, che però si fissava le scarpe, mentre Marco le si sedeva accanto, stringendo forte i pugni. “Bye bye,” li salutò, agitando la mano destra in direzione dei due. Il fratello storse il naso, la ragazza invece sembrava ora fin troppo nervosa. A che gioco stava giocando? Marco era troppo ingenuo e casto per mettersi a baciare la fidanzata davanti a lui, era stata chiaramente lei a iniziare, ma perché? Possibile che quello che stava per succedere in quell'aula l'avesse turbata tanto?
“Dove vai?”
Diego, che aveva ormai indossato la giacca ed era a pochi passi dalla porta di casa, si voltò di scatto verso Angie, che lo fissava a braccia conserte. “Sai che non puoi uscire.”
Lui annuì, passandosi nervosamente le dita nel ciuffo corvino. “Ho bisogno di uscire, mamma. Entro un'ora sono di nuovo qui, te lo giuro.” I suoi occhi sembravano così sinceri e normalmente la donna gli avrebbe creduto, ma dopo quello che era accaduto non poteva, non poteva e basta. Proprio per questo, scosse la testa, dispiaciuta. “Scusa Diego, ma non posso farti uscire. Tuo padre non c'è e questa responsabilità non me la posso prendere.”
Era tranquilla, risoluta, consapevole che nonostante tutto, stesse facendo la cosa giusta e Diego non poteva biasimarla. In passato non aveva fatto nulla per meritare la sua fiducia.
“Hai ragione a non fidarti di me,” concordò, con un sorriso amaro. “Ma davvero, ho un disperato bisogno di evadere da queste mura. Concedimi di andare nel parco di fronte casa, da qui puoi vedermi,” proseguì, guidandola verso il balcone del salotto, da cui c'era una perfetta visuale del parco in questione. “Non mi muovo da lì, te lo giuro.” Si portò una mano al cuore a mo di giuramento e Angie non potè fare a meno di scuotere la testa, divertita. “Non ti arrenderai finché non ti dirò di si, vero?”
Diego ghignò. “Mi conosci troppo bene, ma sul serio, farò il bravo,” promise. “Mi faccio solo una passeggiata e prima di quanto pensi, sarò già qui. Se vuoi, puoi controllarmi da qui e posso anche lasciarti il mio cellulare, così non chiamo nessuno.” Entrambi sapevano che quel 'nessuno' corrispondesse al nome di Leon, non c'era bisogno di fare il suo nome, anche perché meno lo sentiva e meglio era per la Saramego. Quando però Diego le porse il suo cellulare, lo allontanò con un gesto della mano. “Non deludermi,” sussurrò con un filo di voce.
Un grande sorriso si distese sul volto del giovane, che la strinse in un forte abbraccio. “Non lo farò mamma, te lo prometto.”






Hola!
Vilu ha lasciato Leon!! :( Certo, Angelica con questi pranzi non ci sta aiutando, ma ahimè il vero problema dei nostri Leonetta è proprio Leon. Lei lo ama davvero e lo sta dimostrando, ma lui continua a sbagliare. Perché non capisci, Leon, perché? :( awwwwww almeno possiamo gioire per il bacio che finalmente è arrivato *________* Diego nel frattempo rassicura Angie circa le sue intenzioni e allo stesso tempo deve confrontarsi con le strane sensazioni che gli provoca Fran, compreso il fastidio alla vista del bacio della ragazza con Marco. Quest'ultima spera davvero così di poter tenere a bada ciò che prova per Diego.
Spero che il capitolo anche se triste vi sia piaciuto :3
Baci <3


 

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Capitolo 9
*** Le strade si dividono ***





Non è una buona idea Leon, ho paura.”
Un vento gelido pungeva la pelle dei due giovani con la forza di mille aghi, i capelli erano scossi con una tale violenza sulle loro fronti, grossi nuvoloni neri si stagliavano in cielo, tutto lasciava presagire l'arrivo di un terribile temporale. Incuranti del tempo, Leon e Violetta se ne stavano seduti sul muretto di mattoni rossi che costeggiava il lungomare della città, dove il gelo era ancora più intenso. Erano da poco iniziate le lezioni, ma quel giorno avevano deciso di saltare la scuola e Vargas le aveva appena fatto la folle proposta di insegnarle a guidare la sua motocicletta, ferma proprio accanto a loro.
Daiiiii,” scherzò il giovane, scompigliandole affettuosamente i capelli e beccandosi per questo un'occhiataccia. “Ci sono io con te, non ti accadrà nulla.” Dicendo ciò, si alzò e iniziò a giocherellare con le chiavi della moto, mentre lei lo fissava, scuotendo il capo, divertita. “E se ti distruggo la moto, come la mettiamo?”
Leon sorrise, stringendole le mani e tirandola così verso di lui. “Oh bè, in quel caso dovrai trovare il modo di farti perdonare,” soffiò, a pochi centimetri dalle sue labbra. Un sorrisetto malandrino si fece strada sul volto della ragazza, che gli allacciò le braccia al collo e si sollevò sulle punte, facendo sfiorare i loro nasi. “E come potrei fare, secondo te?” Sussurrò maliziosamente. Un lampo attraversò lo sguardo di Leon, che con uno slancio l'attirò ancora di più a se e la baciò con passione. In un attimo le loro lingue si intrecciarono, esplorando ogni centimetro delle loro bocche. Le mani di lui scorrevano lungo la schiena della giovane, mentre quelle di lei erano immerse nei suoi capelli. Il vento sferzava sui loro volti, il rumore dei passi delle poche persone che erano uscite con quel tempo, risuonava nelle orecchie dei due innamorati, che però continuavano a baciarsi con un certo trasporto. Fu l'accecante bagliore di un lampo e il successivo rombo di un tuono, a farli sussultare, costringendoli ad interrompere il bacio. Per alcuni istanti si fissarono sorridenti e con il fiato corto, poi Leon si passò una mano nei capelli, sconsolato. “Mi sa che ho scelto il giorno sbagliato per insegnarti a guidare la moto.”
Violetta scoppiò a ridere. “Mi sa proprio di si. Già normalmente sarebbe stato pericoloso, figuriamoci se poi è anche una pessima giornata. Forse avremmo dovuto marinare la scuola un altro giorno,” aggiunse, avvicinandosi al muretto per prendere la sua borsa e dare così un'occhiata al cellulare, con il timore che Angelica potesse aver scoperto che non fosse andata a scuola. “Forse,” concordò Leon, seguendo con interesse ogni suo minimo movimento. “Però,” proseguì, raggiungendola con pochi passi e ostentando un sorrisetto malizioso. “Potremmo appartarci da qualche parte e...” sussurrò con voce calda al suo orecchio, facendola avvampare. “Sei proprio un depravato, Leon Vargas!” Sbottò, indignata, anche se le sue labbra si erano piegare in un'abbagliante e luminoso sorriso, che finì con lo stordire il giovane, che difatti si ritrovò ad ammirarla, rapito. Esisteva qualcosa di più bello del sorriso di Violetta? Onestamente, era convinto di no. Senza pensarci troppo, la strinse forte a se, inspirando a pieni polmoni il dolce profumo dei suoi capelli. Quando poi avvertì le sue piccole mani circondargli la vita, si sentì davvero bene. Lui e Violetta erano lì insieme, fregandosene di tutto e di tutti, cos'altro poteva mancargli? Specchiandosi nei suoi occhi nocciola, capì: niente, non poteva mancargli assolutamente niente.



Leon sospirò, accendendosi l'ennesima sigaretta e portandosela alle labbra. Di lì a pochi minuti, sarebbero iniziate le lezioni, ma a lui non importava. Se ne stava seduto su un muretto nel cortile posteriore dello Studio, incurante che fosse vietato a coloro che non studiassero lì. In fondo, quando mai lui aveva rispettato qualche regola? Da quando Violetta lo aveva lasciato, non faceva altro che tormentarsi, rievocando i momenti più belli della loro storia. Come poteva davvero essere finita così? Non poteva accettarlo, non poteva e basta. Il loro amore era così intenso, così devastante, così reale. Glielo aveva letto negli occhi anche in quel bagno, lei lo amava. Perchè allora aveva voluto prendere le distanze da lui? Perché aveva iniziato a disprezzare ciò che fino a quel momento le era sempre piaciuto? Lo aveva definito violento e pericoloso, a ragione tra l'altro, ma non si era mai lamentata, al contrario lo aveva accettato, lo aveva amato, nonostante i suoi difetti. Cos'era cambiato? Perché ora quello che poteva darle non le bastava più?
Il forte scricchiolio del cancello alle sue spalle, lo fece sobbalzare e voltare di scatto. A quanto pareva, qualcun altro aveva avuto la sua stessa idea e quel qualcuno era Diego. Appena lo vide, il moro impallidì e fece per fare dietrofront, ma Leon lo salutò con un gesto della mano, invitandolo poi a raggiungerlo, cosa che anche se combattuto, fece.
“Dove credevi di scappare Galindo, sembrava avessi visto un morto,” lo schernì Vargas, tornando a guardare l'enorme spiazzato dello Studio, che ormai era deserto, pensierosamente.
Diego, che lo aveva affiancato, sogghignò. “Non stavo scappando, ho semplicemente pensato che volessi stare da solo. Hai un aspetto orribile,” aggiunse, scrutandolo con interesse. “Violetta?”
Una sola parola, una sola per far irrigidire il ragazzo e confermare quindi al moro i suoi dubbi. “Avete litigato?”
Leon scrollò le spalle, schiacciando sotto la scarpa la sigaretta ormai consumata e recuperando il pacchetto dalla tasca, con l'intenzione di accenderne un'altra. “Mi ha lasciato, dice che non può stare con uno come me,” ammise, ruotando gli occhi e battendo il pugno sul muretto, stizzito. “Uno come me! Ti rendi conto? Quella ragazza è impazzita.”
Diego sospirò, soffiandogli il pacchetto di sigarette da sotto il naso e prendendosene una, facendolo accigliare. “è cresciuta, Leon,” mormorò, inspirando il fumo a pieni polmoni. Da quanto tempo non fumava? Da tanto, troppo. “Ha dei sogni, dei progetti.”
“Questo lo so!” Ribatté l'altro, agitando le braccia. “E non può realizzarli con me? Farei qualsiasi cosa per lei, come può non capirlo?”
“Tutto tranne quello che lei realmente vuole,” spiegò il moro, dandogli una pacca sulla spalla. “Vuole che metti la testa a posto, basta risse, basta fare il criminale. L'hai sentita l'altro giorno, lei vuole diplomarsi e realizzare i suoi sogni, vuole stabilità e soprattutto una vita onesta.”
Leon lo ascoltò in silenzio, poi però lo fissò come se fosse stato pazzo. “è assurdo, lei mi ama, glielo leggo negli occhi. Se non le piacesse come sono, non mi amerebbe.”
Diego si accigliò. “Allora, secondo te, la verità qual è? Leon,” proseguì, prendendolo per le spalle e fissandolo, serio. “Le cose sono cambiate, prima era una ragazzina, ma ora è una donna e pensa al futuro. Lo dovresti fare anche tu.”
“Perchè, secondo te non lo faccio?” Sbottò l'altro, stizzito, spingendolo lontano da se. “Io me la voglio sposare, non aspetto altro.”
Il moro ruotò gli occhi, colpendosi la fronte, esasperato. “Davvero non capisci? Violetta non vuole vivere come la moglie di un delinquente! Apri gli occhi, smettila di comportarti come un'egoista! Se la ami, valle incontro. Ascoltami, per una volta e...”
Leon contrasse la mascella, mentre un lampo gli attraversava lo sguardo e ciò portò Diego a zittirsi e ad incrociare le braccia al petto, in attesa della sua reazione. Sapeva di aver esagerato ad aggredirlo in quella maniera, ma sapeva che il suo amico ne avesse bisogno visto quanto era testardo ed ottuso in certi casi. In ogni caso, le sue parole dovevano averlo colpito, perché l'iniziale rabbia, fu sostituita dalla confusione, dal dubbio. La corazza di arroganza di Vargas stava iniziando a scricchiolare, Diego ne era sicuro.
“Anche per te è così?” Sussurrò Leon all'improvviso, con un tono incerto che di certo non gli apparteneva. “Tu e Violetta non volete più avere a che fare con me, non è così? Pensate che vi abbia rovinato la vita.” Ora appariva smarrito, colpevole, dispiaciuto, mai il moro lo aveva visto così vulnerabile. Si affrettò per questo a scuotere la testa. “Non è così. Io e Violetta abbiamo scelto autonomamente di frequentare te e la tua cerchia, non ci hai mai costretti a fare nulla.”
“Ma,” provò a ribattere Leon, ma lui lo interruppe. “Solo perché voglio mettere la testa a posto, non significa che ti colpevolizzi di qualcosa,” gli si avvicinò, ostentando un mezzo sorriso. “Eri e resti il mio migliore amico e nulla potrà cambiare ciò.”
A quelle parole, anche il giovane Vargas sorrise, stringendo l'amico in un forte abbraccio. “Mi sei mancato, Dieguito.”
Diego scosse la testa, divertito. “Anche tu sei mancato a me, testone.”
Continuando a sorridere, Leon sciolse l'abbraccio e gli diede uno scappellotto dietro al capo. “E così io sarei un delinquente, mmm... sai che potrei farti fuori dopo una frase del genere?”
Il giovane Galindo sghignazzò. “Non ne dubito, ma ti assicuro che vengo in pace. Voglio davvero aiutarti con Vilu.”
L'altro annuì, tornando ad appoggiarsi con la schiena contro il muretto e scompigliandosi nervosamente i capelli. “Io la amo e non voglio perderla.”
“Lo so,” convenne il moro, affiancandolo. “E sono sicuro che anche lei ama te, dalle un po' di tempo per rendersi conto che sei cambiato, se la rivuoi devi cambiare,” si affrettò ad aggiungere e Leon non poté fare altro che concordare. “è un buon inizio, se accetto di frequentare quest'accademia di sfigati?” Chiese, speranzoso.
“Certo che lo è!” Esclamò Diego, circondandogli le spalle con un braccio. “è il primo passo verso la redenzione.”
Leon sorrise, ora animato da una nuova forte speranza. Forse non era finita, forse c'era ancora una possibilità per lui e Violetta. “E tu?” Esordì, rompendo quel silenzio che era calato tra di loro. “Che stai combinando con Francesca Cauviglia?”
Il moro s'irrigidì e il sorriso sparì dal suo volto, al sentir nominare quel nome. Guardò l'amico, rendendosi conto che fosse piuttosto divertito. “Ma insomma, giochi e non mi dici nulla?”
“Che vuoi dire?” Chiese, confuso.
Leon scoppiò a ridere, dandogli una pacca complice sulla schiena. “Dai Dieguito, a me puoi dirlo. Ho visto il modo in cui guardi la fidanzatina di tuo fratello, è lei la nuova preda? Tre o quattro settimane?”
Diego sgranò gli occhi, poi scosse la testa, divertito. Ora gli era tutto chiaro, Leon pensava che volesse far innamorare Francesca per poi lasciarla. Un tempo era stato il suo passatempo preferito, anche perché aveva parecchie spasimanti, ma ora era cresciuto, non era più così meschino. Cosa voleva fare allora con la ragazza? “Voglio conquistarla per fare un affronto a Marco. Da quando sono tornato, ha fatto di tutto per mettermi i bastoni tra le ruote,” spiegò, serio. “Voglio che lei perda la testa per me e che lo lasci.”
Il giovane Vargas annuì, interessato. “E poi? Una volta che l'avrai fatta cadere ai tuoi piedi, che farai?”
Diego scrollò le spalle, incurante. “Cosa vuoi che faccia? La lascio. Immagina come starà Marco nel vedere la sua amata strisciarmi dietro, mi odierà ancora di più,” aggiunse, con un sorrisetto crudele, che fece ridacchiare l'altro. “Non ti ricordavo così malvagio.”
“E questo è solo l'inizio, amico mio,” mormorò il moro, pregustando già il momento in cui Marco avrebbe sofferto per causa sua. “Sono tornato con le buone intenzioni e lui non ha fatto altro che indispettirmi. Me la pagherà, fosse l'ultima cosa che faccio.”




Era da poco l'ora di pranzo e come ogni giorno, gli studenti si riversarono nel cortile dello Studio, tra di loro Leon, che per la prima volta aveva messo piede nelle aule e senza causare alcun tipo di disturbo e Diego, che con lo sguardo cercava Francesca. Se doveva conquistarla infatti, doveva passare almeno un po' di tempo con lei.
“Tu sai perché Violetta non è venuta?” Chiese Leon, guardandosi intorno, quasi si aspettasse di vederla sbucare da un momento all'altro.
Diego scrollò le spalle. “Non ne ho idea, non mi ha detto che non sarebbe venuta.”
Vargas disse poi qualcos'altro, ma il moro non lo udì, difatti aveva appena individuato Francesca e Camilla all'ombra di una quercia che ridevano e scherzavano. Nel giro di pochi istanti, furono raggiunte da Seba, Marco e Thomas, quest'ultimo ancora piuttosto malconcio, cosa che fece ridacchiare Leon, che evidentemente stava guardando nella sua stessa direzione. “Ho fatto proprio un buon lavoro, eh?”
Il giovane Galindo scosse la testa, divertito. “E poi il malvagio sarei io?”
Leon scoppiò a ridere. “Diciamo allora che hai avuto un buon maestro. Comunque, devo dire che Francesca Cauviglia è diventata niente male. I miracoli esistono allora,” proseguì, squadrando la ragazza da capo a piedi, cosa che poi fece anche Diego. Il suo amico aveva ragione, Francesca era davvero carina. “Vado a tormentare quel gruppetto di sfigati,” annunciò a Leon, che divertito, incrociò le braccia al petto e lo seguì con lo sguardo.
La Cauviglia, nonostante stesse parlando animatamente con Camilla e con i ragazzi, con la coda dell'occhio vide il fratello del suo ragazzo procedere verso di loro e ciò le trasmise un certo nervosismo. Non voleva che si avvicinasse a lei, lo voleva distante anni luce. Lui infatti le trasmetteva delle strane sensazioni, che in un certo senso la spaventavano e perciò voleva evitarle a qualsiasi costo. Nel bel mezzo del discorso della Torres perciò, prese il volto di Marco tra le mani e gli stampò un bacio a fior di labbra. Nelle orecchie le giunse il fischio di Seba e Thomas e il gridolino di Camilla, mentre il giovane Galindo, colto di sorpresa, era ancora rigido come un palo e solo dopo lunghi istanti, finalmente le circondò la vita e ricambiò il bacio.
Tutto questo, sotto gli occhi di Diego, che a metà strada tra Leon e la quercia, si era trovato ad assistere come un qualsiasi spettatore. Storse il naso, disgustato, poi però, a sorpresa ghignò. Quella era stata la chiara dimostrazione che anche quel giorno a casa sua, fosse stata la ragazza a dare inizio al bacio e in entrambi i casi, lei lo aveva visto arrivare. Ne era sicuro, anche in quel momento lo aveva visto e perciò si era affrettata a mettere le cose in chiaro e cioè che lei stesse con Marco. Ma se era così convinta dei suoi sentimenti per il ragazzo, perché aveva bisogno di dargli una dimostrazione per tenerlo lontano? Possibile che la sua convinzione iniziasse a vacillare? Si voltò a guardare Leon, che con un solo sguardo, gli fece capire che avesse colto il segno. Francesca aveva baciato Marco di proposito. Doveva ammettere che non si aspettava di essere sfidato in quella maniera, pensava che lei fosse una ragazza ingenua. Doveva inventarsi qualcosa e subito. Guardandosi intorno, notò seduta su un muretto mentre si metteva lo smalto, una biondina di sua conoscenza, Ludmilla Ferro. Ora sapeva cosa doveva fare. Con pochi passi la raggiunse, sedendolesi accanto. “Ciao biondina,” soffiò maliziosamente al suo orecchio. “Cosa fai qui tutta sola?”
Ludmilla, che lo aveva visto avvicinarsi, non si scompose, al contrario sorrise, sbattendo le lunghe ciglia. “Diego, tesoro, ti piace il mio nuovo smalto?” Con orgoglio gli mostrò le mani, dove facevano bella mostra di se, le lunghe unghie laccate di un rosso acceso.
Diego sorrise, sfiorandole una guancia con una leggera carezza. “Mi piace molto, ma mai quanto te.” La scrutò da capo a piedi, indugiando sulla sua scollatura, cosa che la Ferro notò e per questo gli diede un lieve schiaffetto sul braccio. “Sei venuto qui per fare il pervertito?” Le sue labbra color ciliegia, erano però piegate in un sorriso, segno che alla fin fine non le dispiacesse così tanto e quella consapevolezza, lo fece ghignare, soddisfatto. Ludmilla aveva sempre nutrito una sorta di passione per lui e in quel momento era ciò di cui avesse più bisogno.
“Sai Diego,” esordì la bionda, riponendo lo smalto nella sua borsetta e fissandolo con i suoi maliziosi occhioni scuri. “Credo che il carcere ti abbia fatto bene, sei diventato ancora più affascinante e selvaggio. Sai quanto questo mi piaccia,” aggiunse al suo orecchio, poggiandogli una mano sul ginocchio. Sorrise, avvertendo le labbra della ragazza lambirgli la guancia. Lo aveva sempre intrigato il modo di fare di Ludmilla, era così sensuale, così...
“Posso baciarti?” Ludmilla gli aveva improvvisamente preso il volto tra le mani e si mordeva sensualmente il labbro inferiore. Diego sogghignò, poi senza pensarci troppo, l'attirò a se e la baciò con trasporto. Esplorare la sua bocca e far congiungere le loro lingue, fu come al solito piacevole e appagante, ogni cellula del suo corpo era sottomessa a quelle sensazioni e sembravano spingerlo a cercare ancora di più. Artigliare quel volto morbido tra le mani poi, non fece altro che amplificare il tutto e i pantaloni iniziarono a stargli decisamente stretti. Non ci sarebbe stato nulla di strano visto che Ludmilla era una bella ragazza, peccato che la sua mente non pensasse a lei, bensì a Francesca. Era la mora che immaginava di baciare, era il suo volto che sognava di accarezzare. Sconvolto da quei pensieri, si costrinse ad aggredire le labbra della Ferro con ancora più enfasi. D'accordo che la Cauviglia fosse una bella ragazza, ma da lì a desiderare di baciarla ce ne passava. Lui era Diego Galindo, colui che agiva solo per i propri interessi e non doveva dimenticarlo. Doveva conquistare Francesca solo per vendicarsi degli affronti di Marco, non doveva esistere alcun tipo di attrazione.
Il verso di dolore di Ludmilla, lo riportò alla realtà. Lei infatti, aveva interrotto il bacio, per poi tamponarsi le labbra con un fazzoletto. Solo con una seconda occhiata, Diego notò sul fazzoletto candido delle gocce di sangue. Doveva averle morso il labbro fino a farlo sanguinare, peccato che non se ne fosse nemmeno accorto, troppo assorto nei suoi pensieri.
“Ma quanto sei passionale,” commentò Ludmilla, divertita, continuando a tamponarsi il labbro. “Per poco non me lo staccavi il labbro, però devo dire che questo tuo lato focoso mi piace parecchio,” aggiunse, ammiccando.
Diego sogghignò, passandosi la lingua sulle labbra, avvertendo un leggero sapore ferroso. “Scusa biondina, non volevo farti male.”
Lei sorrise, intrecciando la mano con la sua. “Se per ottenere la tua attenzione devo farmi sanguinare il labbro, ben venga allora.” Spostò la mano sulla sua guancia e lo attirò a se, baciandolo nuovamente. Il giovane assecondò il suo gesto, facendo però vagare lo sguardo oltre le sue spalle, incrociando lo sguardo di Francesca. Stava ancora parlando con Camilla, però guardava lui di tanto in tanto, con espressione apparentemente impassibile. Chissà cosa le passasse per la testa, chissà se fosse almeno un po' gelosa. Lo sperava con tutto se stesso, altrimenti il suo piano avrebbe fallito in partenza e non poteva permetterselo. La Cauviglia doveva perdere completamente la testa per lui e lasciare Marco, solo così lui avrebbe raggiunto il suo obbiettivo, qualsiasi mezzo era lecito.
Dopo il bacio, Ludmilla iniziò a parlargli del suo nuovo parrucchiere, o almeno così gli era parso, dato che continuava a lanciare occhiate verso la ragazza di suo fratello, che però fingeva di non vederlo e il fatto che apparisse visibilmente agitata, sicuramente non l'aiutava nella sua recita. Fu il suono della campanella a costringere tutti ad interrompere le chiacchiere e Diego ne approfittò per raggiungere Leon, che non la smetteva di ridere. “Accidenti Dieguito, sei più malvagio di quanto credessi.”
Il moro sorrise, circondando le spalle dell'amico. “Speriamo che mi possa servire per il mio piano, altrimenti sarebbe tempo perso.”
Vargas scosse la testa, divertito. “Credimi amico, hai fatto colpo, in tutti i sensi,” aggiunse al suo orecchio, con fare complice. “La biondina è cotta e la moretta, manca poco così.”
Diego sogghignò. “Non potrei chiedere di meglio.”




Violetta passeggiava per le strade di Buenos Aires con le braccia incrociate al petto e lo sguardo vuoto, assente. Sapeva che avrebbe dovuto essere allo Studio, ma non c'era riuscita. Una volta uscita di casa infatti, aveva iniziato a camminare senza meta. Il peso nel suo stomaco nel frattempo, aveva assunto la dimensione di un macigno e tutto questo per colpa di Leon. Lasciarlo era stata la decisione più difficile che avesse mai preso e le conseguenze la tormentavano giorno e notte. Il suo cuore le urlava di correre da lui, di baciarlo, di amarlo, ma il cervello la frenava, ricordandole quanto il ragazzo fosse pericoloso e sbagliato. Il modo in cui Leon l'amava era malato, possessivo, sembrava quasi che la considerasse un oggetto, dimenticando che lei avesse dei sentimenti. Forse era sempre stato così, ma essendo stata troppo innamorata e sottomessa a lui, non se ne era accorta. Ora però era cresciuta, ora vedeva le cose per com'erano realmente e si rendeva conto che non poteva continuare ad avere a che fare con Leon. Per quanto lo amasse, il ragazzo aveva intrapreso una strada che non poteva e non voleva condividere, lei voleva vivere in maniera onesta, voleva costruirsi un futuro. Ma poteva farlo senza di lui? Poteva amare un ragazzo che non fosse Leon? In quel momento le sembrava un'utopia, Leon era l'unico ragazzo che avesse mai amato, nessuno avrebbe potuto prendere il suo posto. Ricordava perfettamente quando glielo aveva detto per la prima volta. Nella compagnia di Leon si era da poco aggiunto un nuovo ragazzo, decisamente bravo nel motocross e non poco interessato a lei. Vargas era gelosissimo, le stava addosso come un avvoltoio e più volte era stato sul punto di venire alle mani. Era stata lei, che prendendolo in disparte, lo aveva rassicurato.


-Tu sei l'unico, Leon, l'unico. Non amerò nessun altro che te-


Quel giorno non avrebbe potuto dire niente di più vero, amava Leon, lo aveva sempre fatto. Il loro amore era stato sincero, travolgente, reale, ma appunto faceva parte del passato. Lui aveva fatto le sue scelte e a sua volta, lei aveva fatto le sue. Leon avrebbe seguito le orme di suo padre, tra soldi facili, minacce e raggiri, a differenza sua che voleva diplomarsi, trovare un lavoro e condurre una vita onesta. Inevitabilmente le loro strade si dovevano dividere.
Affrettò il passo, mordendosi nervosamente il labbro inferiore, tentando di trattenere le lacrime. Perché era così difficile prendere la decisione giusta?
Quasi senza rendersene conto, si era ritrovata in uno dei grandi parchi di Buenos Aires, quello dove da bambina giocava con Marco e Diego o con Francesca e Camilla. Da quanto tempo non ci veniva? Tanto, troppo. Allora i suoi genitori erano ancora con lei, erano una famiglia felice, tutto andava bene. Sembrava passata una vita intera da allora e forse era davvero così, la Violetta ingenua e spensierata aveva lasciato il posto a una Violetta matura e razionale, colei che aveva avuto il coraggio di chiudere ogni rapporto con Leon, cosa che in passato non avrebbe mai fatto. Era cambiata davvero tanto, la sofferenza e l'amore l'avevano portata a crescere velocemente, ora era più forte, più sicura... o almeno così credeva.
Si sedette su una panchina e chiuse gli occhi, prendendosi il volto tra le mani. Senza che potesse evitarlo, iniziò a piangere silenziosamente. Da quando aveva preso quella decisione, tutti erano felici, sua nonna, i suoi zii, i suoi amici, più di tutto la volevano lontano da Leon, non volevano che si lasciasse condizionare ancora da lui. Violetta lo capiva, lo accettava, ma come poteva smettere di pensare al grande amore della sua vita? Leon Vargas, anche se l'aveva trascinata nell'oscurità, tra bugie, alcool, cattive compagnie, scommesse e quant'altro, era anche stato in grado di ridarle il sorriso che credeva aver perso dopo la morte dei suoi genitori e poi le aveva fatto scoprire cosa fosse l'amore, quella forza intensa, devastante, capace di stravolgere ogni certezza e intossicarla dall'interno come il peggiore dei veleni. Tutto questo non si poteva cancellare, né tantomeno dimenticare. Doveva solo trovare la forza per rilegare ciò in un angolo del suo cuore e sforzarsi di andare avanti, era l'unica opzione che avesse.
“Vilu, tutto bene?” Una preoccupata Lara, le si sedette accanto e quando notò che stesse piangendo, si preoccupò ancora di più. “Perchè piangi?”
Violetta si specchiò per alcuni istanti negli occhi dell'amica, così simili a quelli di Leon, poi si gettò tra le sue braccia, singhiozzando ancora più forte. Aveva un disperato bisogno di aggrapparsi a qualcuno, di sfogarsi e Lara era l'unica con cui poteva farlo senza essere giudicata. Lei avrebbe capito, lei le avrebbe consigliato, ne era sicura.
“Cosa ti succede, Vilu?” Le chiese Lara, stringendola forte a se.
La Castillo tirò su col naso, poi sciolse l'abbraccio, asciugandosi le lacrime. “So che ho preso la decisione giusta, ma... ci sto così male,” singhiozzò, mentre l'altra le porgeva un fazzoletto. “Stiamo parlando di Leon, immagino,” esordì la Vargas, stringendo le mani dell'amica. “Mi ha detto che vi siete lasciati.”
Violetta annuì. “Non ho avuto scelta. Ormai apparteniamo a due mondi diversi,” ammise, con un filo di voce, lo sguardo perso nel vuoto. “Io sono cambiata, ma lui... lui è sempre lo stesso e... non mi capisce, non più.”
Lara l'ascoltò in silenzio, poi sospirò. “Ti capisco, mio fratello ha fatto tanti sbagli e continua a farli, ma ti ama, su questo posso metterci la mano sul fuoco. Dico sul serio,” aggiunse, affinché la Castillo la guardasse negli occhi. “Vuole frequentare lo Studio, lo vuole fare per te.”
Quell'ultima frase, colpì inevitabilmente la ragazza, che sgranò gli occhi, sorpresa. Tutto si aspettava, ma non di certo che Leon potesse decidere di frequentare lo Studio. “Davvero? Saranno solo chiacchiere,” proseguì, scuotendo il capo con decisione. Non doveva cadere di nuovo nella trappola di Leon, non doveva e basta. Scattò in piedi, ma riuscì a fare solo pochi passi, dato che fu prontamente raggiunta da Lara, che la strattonò per il polso. “Tu e Leon vi amate, non potete distruggere tutto a causa di stupide incomprensioni.”
Violetta scosse la testa, liberandosi dalla sua stretta. “è lui che sta distruggendo il nostro rapporto, non io! Gli ho chiesto di prendersi delle responsabilità, ma lui ha preferito scappare come un codardo! Vive nel passato, non capisce che le cose sono cambiate, non capisce che voglia costruirmi un futuro onesto! Non posso stare con una persona così egoista!” Sbottò, agitando le braccia e attirando per questo l'attenzione di diversi passanti.
Lara abbassò lo sguardo, non sapendo proprio che dire. Sapeva che Violetta avesse ragione, Leon era istintivo, testardo, spesso nemmeno si rendeva conto di ciò che dicesse, però non era cattivo e amava davvero la ragazza, su quello non aveva alcun dubbio. Notando che la Castillo stesse nuovamente tentando di andarsene, le si parò di fronte, prendendola per le spalle. “Hai ragione su tutto, chiunque al tuo posto vorrebbe nella sua vita un ragazzo migliore di Leon, ma tu lo ami, so che è così e lui ama te. Insieme potete trovare una soluzione.”
Violetta ruotò gli occhi e sospirò. “Lo so che è tuo fratello e che lo difenderai sempre, ma devi accettare che tra me e lui è finita, non insistere più.”
“Non è vero!” Sbottò Lara, continuando a stringerle le spalle, così da impedirle di scappare. “Non può finire, tu lo ami e non provare a negarlo.”
“Cosa vuoi sentirti dire, Lara?” Esplose Violetta, spingendola lontano da se, esasperata. “è vero, lo amo e lo amerò sempre, ma a volte l'amore non basta.”
Detto ciò, scappò via con le lacrime agli occhi, sotto lo sguardo amareggiato della sorella di Leon. Aveva tentato di parlare con entrambi, ma aveva fallito. Suo fratello non si era voluto confidare, mentre Violetta l'aveva in un certo senso mandata al diavolo e ora non sapeva proprio cosa fare per aiutarli a chiarire, forse doveva ritentare di parlare con il fratello, o al limite con Diego. Pensare a Galindo, la fece inevitabilmente sorridere. Aiutare Leon e Violetta, poteva essere un'occasione per stare vicino al ragazzo che amava e magari fare qualche passo in avanti. Con quel pensiero, si incamminò verso casa, con un grande sorriso stampato in faccia.






Holaaaa!!
Oggi flashback Leonetta da scleri awwwwww almeno nei ricordi sono felici ed innamorati :3 Ma ecco che Diego e Lara, gli unici nostri alleati al momento, intervengono per risolvere le cose e Leon sembra iniziare a capire :3 Vilu invece è sfiduciata, ma lo ama ancora tantissimo awww :3 Diego e Francesca nel frattempo continuano a sfidarsi. Lei bacia ancora Marco, sperando di allontanare il maggiore dei due e quest'ultimo sta al suo gioco, baciando invece Ludmilla. A cosa porterà tutto questo?
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio di cuore per il vostro affetto, per me è importantissimo :3
A presto, baci <3


 

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Capitolo 10
*** Eclissi del cuore ***





Marco e Diego erano da poco usciti per andare al cinema con le rispettive ragazze, la prima libera uscita del maggiore dei due da quando era tornato dal carcere e nonostante l'iniziale opposizione di Angie e Pablo, alla fine non avevano potuto fare altro che accettare, in fondo insieme a Marco che era un bravo ragazzo, erano sicuri che non potesse fare nessuna malefatta. Certo, nessuno dei due immaginava che Diego avesse una ragazza, ma se il loro figlio minore e Francesca avevano accettato di uscire con i due, c'era la speranza che finalmente il loro ribelle figlio avesse messo la testa a posto e sentivano il bisogno di aggrapparsi ad essa con le unghie e con i denti.
Dopo aver ripulito la cucina da cima a fondo e aver fatto un bagno rilassante, Angie si lasciò cadere a peso morto sul suo morbido lettone e chiuse gli occhi. Il mal di testa che da diverse ore martellava imperterrito, a poco a poco si affievolì, fino a condurla nel mondo dei sogni, un mondo dove tra i suoi figli non c'era alcun tipo di problema e lei e Pablo avevano tutto sotto controllo. Nella sua vita mai nulla era stato sotto controllo, da maschiaccio ribelle, si era innamorata del classico bravo ragazzo, che non avrebbe potuto essere più diverso da lei. Pablo era tranquillo, intelligente, dolce, sincero, tante qualità che non era abituata a vedere in un uomo, soprattutto in suo padre. Il signor Saramego infatti, aveva abbandonato Angelica con le loro due figlie, Maria appena adolescente e lei solo una ragazzina, da quel giorno avevano sempre vissuto da sole, con una gran dose di pregiudizi verso gli uomini. Su pressione di Angelica, Maria aveva iniziato a frequentare il conservatorio, Angie invece, da pecora nera qual era, era passata da una scuola all'altra, tra cattivi voti, liti e compagnie poco raccomandabili. Aveva diciotto anni quando la sua vita era stata stravolta completamente. All'ennesima insufficienza, la sua professoressa di matematica l'aveva costretta a fermarsi a scuola di pomeriggio per un corso di recupero. Ricordava ancora, quando furiosa con l'insegnante e con sua madre, si era ritrovata tra quelle quattro mura insieme ad altri quattro studenti e un paio di giovani cervelloni. Sin da subito era rimasta colpita da quei due pozzi senza fondo che erano gli occhi di Pablo Galindo. Lui non era come gli altri, era un autentico genio, ma era anche modesto, imbranato, paziente e tanto dolce. Anche se non era compito suo, le si era seduto accanto e le aveva spiegato ciò che non aveva mai capito in tanti anni di scuola, con una semplicità e una tranquillità che l'avevano lasciata a bocca aperta. Nemmeno per un attimo aveva mostrato arroganza, fastidio o frustrazione, al contrario si era dimostrato disponibile anche a spiegarle la stessa cosa un milione di volte. Quella che per lei era iniziata come una terribile ingiustizia, si trasformò in breve tempo nella cosa più bella della sua giornata. Mai aveva amato tanto la matematica, mai si era fermata a guardare e ad ascoltare un ragazzo con tanto interesse. Le piaceva la voce di Pablo, le piacevano i suoi sorrisi e poi quella luce che lampeggiava nel suo sguardo quando si rivolgeva a lei. Quasi subito aveva avuto la sensazione di piacergli, era sempre agitato e si faceva tutto rosso quando incrociava il suo sguardo, per non parlare delle numerose matite che aveva spezzato quando lei gli sorrideva o semplicemente lo guardava con troppa insistenza. Tutte quelle cose per Angie erano nuove, lei che aveva sempre frequentato ragazzi più sfacciati, presuntuosi e sicuri di se e forse per questo Pablo le piaceva così tanto. Lui sembrava capirla, l'ascoltava, le consigliava e poi il suo essere sempre così maldestro, riusciva a strapparle un sorriso anche nelle giornate più buie. Nemmeno lei sapeva come, ma da un giorno all'altro si rese conto di essersi innamorata di lui, che con le sue parole e i suoi gesti, l'aveva cambiata radicalmente, Pablo l'aveva resa migliore. Senza saperlo poi, anche lei aveva cambiato lui. Il timido e imbranato Galindo infatti, aveva un giorno preso il coraggio a due mani e l'aveva baciata. Era l'ultimo giorno del corso di recupero, poi non si sarebbero più visti e alla fine di esso, il ragazzo si era deciso a correre il rischio. Angie che non aspettava altro, gli aveva allacciato le braccia al collo, entusiasta e da allora erano stati inseparabili. Insieme erano cresciuti, si erano costruiti una vita, si erano amati. Quando lo aveva conosciuto, Angelica era stata la donna più felice del mondo, lo aveva definito la salvezza della sua scapestrata figlia e se avesse potuto, avrebbe eretto un monumento in suo onore. Se ci pensava bene, Angelica continuava a nutrire una certa predilezione per Pablo, le si illuminavano gli occhi quando parlava di lui. Fortuna che fosse sua madre, altrimenti si sarebbe dovuta preoccupare che le volesse soffiare il marito. Lei che era la pecora nera di casa, si era innamorata del classico bravo ragazzo e addirittura si era sposata prima di Maria e di German, che stavano insieme da tempo immemore. Nel giro di pochi mesi, era già incinta di Diego e due anni dopo, era nato anche Marco. Suo marito e i suoi figli, le più grandi gioie della sua vita. Nonostante i problemi che avevano dovuto affrontare, nonostante i litigi, se avesse potuto tornare indietro non avrebbe cambiato nulla. Maria e German le mancavano tantissimo e avrebbe tanto voluto averli al suo fianco e a quello di Violetta, purtroppo però il destino se li era portati via e loro non potevano fare altro che accettarlo e andare avanti.
Angie scosse la testa, scacciando quei tristi pensieri. Era inutile pensarci, le cose non sarebbero cambiate. Maria avrebbe voluto che fosse felice e lei lo era, davvero. Diego e Marco finalmente stavano iniziando ad avvicinarsi e poi c'era Pablo, colui che più di tutti le era sempre stato accanto. Suo marito, la sua dolce metà. Pensare a lui, fece nascere sul suo volto un luminoso sorriso. Lo amava con tutta se stessa e non desiderava altro che stringersi forte tra le sue braccia. Scattò in piedi, specchiandosi nel grande specchio della sua camera. Quella dormita le aveva restituito un po' di colorito e le occhiaie dovute alla stanchezza erano quasi sparite, tutto sommato si vedeva bene, viva e con il suo Pablo lo sarebbe stata ancora di più. Non poteva non approfittare dell'assenza dei loro figli, in quel momento la casa era tutta loro. Dalla cassapanca accanto al letto, recuperò la sua vestaglia da camera blu notte, quella che Pablo adorava e dopo essersi liberata dei vestiti, restando solo in biancheria, la indossò. Si rimirò un'ultima volta allo specchio poi, soddisfatta, andò a cercare suo marito. L'uomo era seduto comodamente sul divano e stava leggendo con attenzione quelli che sembravano i conti dello Studio. Proprio quando erano da soli in casa doveva farlo? Ruotò gli occhi, poi andò a sedersi accanto a lui, accavallando le gambe. “Pablo,” sussurrò dolcemente, poggiandogli una mano sul braccio.
Lui di tutta risposta le rivolse una mezza occhiata, per poi tornare a concentrarsi su quel cumulo di fogli, probabilmente nemmeno si era accorto di come fosse vestita. “Quanti errori, mi ci vorrebbe un contabile,” mormorò pensierosamente, correggendo con decisione con una penna rossa.
“Ne hai ancora per molto?” Sbuffò la bionda, arricciandosi una ciocca dorata intorno all'indice e sollevando di poco il lembo della sua vestaglia da camera, così da mettere in mostra le lunghe gambe.
Avvertendo il fastidio nel suo tono di voce, finalmente Pablo staccò lo sguardo dai conti per posarlo su di lei e deglutì rumorosamente. Sua moglie era sempre bellissima, ma quando lo guardava con quello sguardo malizioso e quando indossava quella vestaglia striminzita, che lasciava poco spazio all'immaginazione, lui perdeva ogni tipo di razionalità e si sentiva davvero un imbecille.
“Vuoi davvero passare tutto il pomeriggio a correggere i conti dello Studio?” Lo stuzzicò Angie, passandogli un dito sulle labbra. “Siamo soli in casa, i ragazzi non torneranno prima di cena, non pensi che dovremmo approfittarne?” Aggiunse, alzandosi con grazia e portandosi i capelli sulla spalla destra, così da lasciare scoperta quella sinistra. I suoi occhi verdi nel frattempo, erano accesi di una luce che conosceva bene, una luce che era sempre stata capace di ammaliarlo. Nemmeno si rese conto di essersi alzato e di averla raggiunta. Al diavolo i conti, per quello c'era tempo, la sua bellissima moglie meritava la precedenza.
“Sei stupenda,” soffiò a pochi centimetri dalle sue labbra. L'attirò poi a se e la baciò con passione. “Pablo,” mugugnò lei, gettandogli le braccia al collo e approfondendo maggiormente il bacio. Continuarono a baciarsi, mentre le mani di lui scorrevano lungo la sua schiena e quelle di lei erano immerse nei suoi capelli. I vestiti iniziavano ad essere decisamente di troppo e proprio per questo, Angie si lasciò scivolare la vestaglia di dosso, restando solo intimo. Pablo la scrutò da capo a piedi, rapito. Avrebbe dovuto essere abituato, ma ogni volta che la vedeva in quelle vesti, si sentiva morire. Poteva esistere una donna più bella della sua Angie? Era sicuro di no e si sentiva l'uomo più fortunato del mondo al pensiero che lei avesse scelto lui, lui e nessun altro.
“Vieni?” Sorrise la bionda, tendendogli la mano. Completamente stregato, Pablo ignorò la mano e la sollevò di peso, per poi fiondarsi nella loro camera da letto. La risata della Saramego gli risuonò nelle orecchie, accompagnata dalla sua e ciò ebbe il potere di riscaldargli il cuore. “Ti amo, Angie,” sussurrò tra i suoi capelli. Angie ridacchiò, sfilandogli la t-shirt, per poi far congiungere le loro labbra. “Anch'io ti amo, tanto.”


Quel pomeriggio, Angelica non avrebbe potuto essere più agitata. Violetta sarebbe dovuta tornare dallo Studio già da diverse ore, tra l'altro non rispondeva al cellulare e nemmeno le sue amiche sapevano dove fosse. E se le fosse accaduto qualcosa? Aveva provato a chiamare Angie e Pablo, ma nessuno dei due le aveva risposto e Marco aveva il cellulare spento. Dov'erano tutti? Perché nessuno le rispondeva? Ansiosa e con mille brutti pensieri, recuperò le chiavi della macchina e guidò fino a casa Galindo. Non riusciva a stare senza far niente, aveva bisogno di parlare con sua figlia, chiederle se per caso sapesse qualcosa di Violetta. Il solo pensiero che potesse essere in giro con quel Vargas la terrorizzava. Doveva proteggere sua nipote da quel ragazzaccio, non poteva permettere che la facesse cadere di nuovo nell'oblio.
Fece le scale del palazzo dei Galindo quasi di corsa e il risultato fu che giunta sul pianerottolo, dovette piegarsi in due per riprendere fiato. Ormai non era più una ragazzina, non poteva permettersi tutti quegli sforzi. Suonò ripetutamente il campanello e solo quando stava quasi per arrendersi, qualcuno venne ad aprirle.
“Angelica,” mormorò Pablo, sorpreso, arrossendo di botto. Indossava solo una canottiera e un paio di jeans e aveva i capelli scompigliati, ma su tutto si potevano notare i numerosi segni di rossetto sul volto e sul collo dell'uomo. Bastò una mezza occhiata,per far capire alla donna che doveva aver scelto il momento sbagliato per andare da loro. “Io...ehm... ciao, Pablo,” balbettò, a disagio. “Ho tentato di chiamarvi, ma non rispondevate e...”
Galindo annuì, facendosi da parte per consentirle di entrare. “Non preoccuparti Angelica, entra pure.”
“Non volevo disturbarvi, mi dispiace,” si giustificò la donna, seguendo il genero in salotto. Sul pavimento c'era quella che sembrava una vestaglia, che un imbarazzatissimo Pablo si affrettò a raccogliere e nascondere dietro la schiena. Quel semplice gesto, fece sentire Angelica ancora di più fuori posto, forse aveva sbagliato a presentarsi a casa loro, forse avrebbe fatto bene ad aspettare Violetta a casa.
“Non preoccuparti, tu non disturbi mai. Vado a chiamare Angie,” le disse il moro, mollandola lì e andando in camera da letto. La donna allora si sedette sul divano, torturandosi nervosamente le cuciture della giacca. Alle orecchie le giunsero diversi bisbigli, provenienti chiaramente dalla camera da letto, poi seguì un lungo e teso silenzio. Dove si era cacciata la sua nipotina? Angie poteva saperne qualcosa?
“Mamma.” Un'imbarazzata Angie, uscì dalla camera da letto, seguita dal marito, che si fissava le pantofole con un certo interesse e ancora una volta, Angelica si pentì di essere venuta. Era chiaro che avesse interrotto un pomeriggio romantico tra sua figlia e suo genero e se non era stata cacciata a calci, era perché entrambi erano troppo a disagio per pensarci. Pablo aveva fatto sparire i segni di rossetto, probabilmente era stata Angie a ripulirglieli e lei, dal canto suo, era evidente che avesse racimolato i primi vestiti che aveva trovato, difatti indossava il pantalone del pigiama e un maglione grigio topo.
“Angie, tesoro,” iniziò, alzandosi in piedi. “Scusate se sono venuta senza preavviso, il fatto è che sono preoccupata per Violetta.”
“Perchè, cos'è successo?” Chiese la Saramego, preoccupata, facendo accomodare la madre in cucina e recuperando la caffettiera dalla credenza. Angelica la seguì con lo sguardo, prendendo posto e intrecciando le mani sul tavolo. “Da quando è uscita per andare allo Studio, non ho sue notizie. E se le è successo qualcosa? E se quel Vargas le ha fatto del male?” La donna continuò a sproloquiare, avanzando ogni tipo di possibile disgrazia, sotto lo sguardo confuso di Angie. “Mamma, ma cosa dici?” La interruppe, dimenticandosi per il momento della caffettiera e voltandosi verso di lei, poggiando le mani sui bordi del tavolo. “Violetta non è venuta allo Studio oggi, ho annotato io stessa le assenze in segreteria,” spiegò, facendo impallidire paurosamente la sua interlocutrice. “Come?”
“è così,” confermò Pablo, entrando in cucina in quel momento e mettendo sul fuoco la caffettiera che la moglie aveva lasciato sul lavello. “Proprio oggi, Beto mi stava dicendo che c'era una verifica, ma che Violetta non si è presentata.”
I due consorti guardarono attentamente Angelica, che ormai aveva assunto la tonalità di un cadavere e artigliava il centrino ricamato sul tavolo con sempre più enfasi. “Mi ha mentito,” riuscì a sussurrare, lo sguardo perso nel vuoto. “è tutta colpa sua, lui me l'ha trascinata di nuovo nella perdizione e...” singhiozzò, venendo subito affiancata da Angie, che la strinse in un forte abbraccio. “Tranquilla mamma, sono sicura che c'è una spiegazione logica e che Vargas non c'entri nulla. Non ti aveva assicurato di aver chiuso con lui?” Aggiunse, sciogliendo l'abbraccio e fissandola, seria.
Angelica annuì, accettando di buon grado il fazzoletto che gentilmente Pablo le offriva. “Ha detto così, ma ho paura che mi abbia mentito. Non ha mai marinato la scuola di sua spontanea volontà, c'è sempre stato lui dietro e temo che tutto possa ripetersi e... Oh Angie, io non so se riuscirei ad affrontarlo di nuovo.” Scoppiò a piangere, gettandosi tra le braccia della figlia. “Quel maledetto ragazzo! Perché non la lascia in pace?” Angie non disse nulla, limitandosi a consolarla. Con tutta se stessa avrebbe voluto credere che tra sua nipote e Vargas fosse tutto finito, ma come poteva farlo se ogni cosa la contraddiceva? Guardò Pablo, alla ricerca di una rassicurazione, ma lui scrollò le spalle, amareggiato. “Nemmeno le sue amiche ne sanno nulla? Francesca? Camilla? Posso provare a chiamare Marco, lui e Francesca sono andati al cinema e...”
“Nessuno sa nulla,” singhiozzò Angelica, aggrappandosi forte alle spalle della figlia. “La mia piccola Vilu, da sola con quel criminale.”
“Tranquilla Angelica, Violetta non è più una ragazzina ingenua,” la rassicurò Pablo, aggirando il tavolo e poggiandole una mano sulla spalla. “Sa quello che fa, non commetterà gli stessi errori.”
“Pablo ha ragione,” annuì Angie, sorridendo riconoscente al marito. Lui sapeva sempre dire la cosa giusta al momento giusto, uno dei motivi per cui lo amasse tanto. “Diamo fiducia a Vilu, forse aveva bisogno di tempo per riflettere. Vedrai che presto si farà viva.”
Angelica sospirò, sforzandosi di riprendere il controllo. “Spero davvero che abbiate ragione, altrimenti non saprei proprio cosa fare.”




“Avete una preferenza per i posti?” Chiese Diego allegramente, entrando nella sala del cinema e guardando distrattamente i quattro biglietti appena fatti alla biglietteria.
Ludmilla, aggrappata al suo braccio, si limitò a scuotere il capo. Poco dietro di loro, sia Marco che Francesca apparivano visibilmente indispettiti. Era chiaro che avrebbero preferito essere dovunque tranne che lì, ma allora perché c'erano andati? Semplice, il minore dei Galindo quella mattina aveva informato i genitori del programma del pomeriggio, ma Diego si era intromesso nel discorso, sostenendo che loro due avessero deciso di mettere da parte le divergenze e per questo sarebbero usciti insieme con le rispettive ragazze. Anche se inizialmente scettici, Pablo e Angie si erano poi dimostrati parecchio emozionati e ciò aveva scoraggiato ogni tentativo di Marco di controbattere a quella bugia. I suoi genitori erano così felici e l'ultima cosa che voleva era deluderli, per questo si era morso la lingua, limitandosi ad ostentare un sorriso di circostanza. Inutile parlare della sfuriata di Francesca quando era stata informata. “Si può sapere che cosa vuole quello sfacciato? E da quando poi ha una ragazza?”
“Che vuoi che ti dica,” aveva ribattuto Marco, scoraggiato. “Si è intromesso all'improvviso, non me la sono sentita di controbattere e deludere così i nostri genitori. Il fatto che non andiamo d'accordo li fa stare male e...”
“Tranquillo,” lo aveva rassicurato lei. “Si tratta solo di un film, in men che non si dica ci saremo liberati di lui.”
Ecco spiegato il motivo per cui Marco e Francesca fossero andati al cinema con Diego e Ludmilla.
“Allora,” insistette Diego, voltandosi verso i due fidanzati. “I nostri posti sono questi e...”
“Siediti dove diavolo ti pare,” sbottò Marco esasperato, agitando le braccia e beccandosi per questo diverse occhiatacce dalle persone che avevano già preso posto. “Se fosse dipeso da me, non sarei qui.”
Francesca e Ludmilla si scambiarono un'occhiata, a disagio, poi spostarono lo sguardo dall'uno all'altro fratello, temendo seriamente la reazione del maggiore dei due.
Diego però non reagì in maniera aggressiva come si aspettavano, al contrario si limitò a scrollare le spalle. “Hai ragione,” iniziò, lasciando tutti e tre a bocca aperta. “Non avrei dovuto auto invitarmi, ma ho pensato che avrebbe potuto essere l'occasione perfetta per appianare le nostre divergenze. Li hai visti mamma e papà, da quanto tempo non sorridevano in quel modo?”
Marco ruotò gli occhi e sospirò. Sapeva che in fondo avesse ragione, ma dirglielo esplicitamente era un'altra cosa e per questo si limitò a prendere posto, senza dire una parola. Dopo aver lanciato un'occhiata a Diego, Francesca andò a sedersi accanto al suo ragazzo, seguita a ruota da Ludmilla e per ultimo il maggiore dei Galindo, che ostentava un sorriso soddisfatto. Per tutta la durata del film, una commedia rosa scelta dalle due ragazze, che apparivano piuttosto emozionate, Marco fu silenzioso e taciturno, mentre Diego si unì ai commenti delle due, attirando di tanto in tanto la bionda a se e baciandola con trasporto. Francesca si comportava come se la cosa non la riguardasse, ma più volte si ritrovò ad incrociare lo sguardo di Diego, che sembrava quasi sfidarla. Cosa voleva da lei? Possibile che quel cinema fosse una scusa per tormentarla? Normalmente non era così presuntuosa da pensare che il mondo girasse intorno a lei, ma come spiegare altrimenti il fatto che il fratello del suo ragazzo, non facesse altro che lanciarle occhiate sia prima che dopo i baci con Ludmilla? E Marco, perché si comportava come un asociale? Non si rendeva conto che così la desse vinta a Diego? Tentò di coinvolgerlo nella conversazione diverse volte, ma la reazione di Marco fu piuttosto passiva, cosa che la innervosì non poco. Già era stata costretta a dividere una sala del cinema con quell'arrogante, se poi il suo ragazzo era così musone, si rendeva conto che quella giornata dovesse essere bollata come pessima.
“Mi passate i popcorn?” Sussurrò l'italiana, rivolgendosi agli altri due. Almeno mangiando si sarebbe distratta e non avrebbe pensato a quanto quell'appuntamento fosse terribile. Diego e Ludmilla però non la sentirono, troppo occupati a baciarsi appassionatamente. Quella visione, ancora di più delle precedenti, le fece rivoltare lo stomaco. Decisamente non aveva più fame. “Vado in bagno,” disse a Marco, che si limitò a farle un cenno del capo. Possibile che non avesse proprio nulla da dirle? Era giunta quasi a metà fila, quando voltandosi, si ritrovò faccia a faccia con Diego. Spaventata, si portò una mano al cuore, facendolo ridacchiare. “Mi hai spaventata a morte,” bisbigliò, tentando di ricomporsi. Quegli occhi verdi la scrutarono attentamente, attraversati da un lampo di divertimento. “Di solito chi si spaventa con facilità è perché sta commettendo qualcosa di illecito,” la canzonò, prendendola poi per il polso e conducendola in un angolo della sala, dato che alcune persone avevano iniziato a lamentarsi perché ostruivano loro la visuale sul grande schermo. Francesca lo lasciò fare, ma poi si liberò dalla sua stretta con stizza. “Non sono io quella che commette cose illecite qui,” sbottò, facendo per andarsene, ma la voce del ragazzo la bloccò. “Pensavo volessi i popcorn.” Le porse il secchiello pieno per metà e lei lo prese, avvertendo subito un brivido scorrerle lungo la schiena quando le loro mani si sfiorarono. Ora Diego non sorrideva, era dannatamente serio e ciò la confuse ancora di più. Cosa voleva da lei? E il suo cuore, perché all'improvviso batteva come se le volesse uscire fuori dal petto? Cosa le stava accadendo? Spaventata, si affrettò a ringraziarlo e a distogliere lo sguardo, fiondarsi nella toilette. Attraverso il piccolo e macchiato specchio sopra i lavandini, si rese conto di avere le guance rosse e accaldate e per questo si sciacquò con abbondanti dosi d'acqua. Cosa le stava accadendo? Onestamente non sapeva dirlo e per questo era ancora più preoccupata. “Calmati Francesca, va tutto bene,” sussurrò tra se e se, asciugandosi il volto e avviandosi verso l'uscita. Doveva resistere, mancava ormai poco alla fine del film, poi sarebbe tutto finito.




“Si può sapere che sta succedendo qui?”
Violetta stava per svoltare l'angolo, diretta verso casa, peccato che una voce familiare avesse attirato la sua attenzione. Voltandosi verso destra, precisamente in uno svincolo isolato, c'era proprio la persona che temeva di più di incontrare, ossia Leon e non era solo. Con lui c'era Thomas e stavano discutendo in maniera piuttosto accesa, o meglio Leon era quello ad urlare, mentre lo spagnolo, ancora soggetto alle conseguenze del precedente pestaggio, se ne stava rintanato in un angolo con lo sguardo basso. Anche da quella distanza era evidente quanto Vargas lo terrorizzasse. Qualcun altro avrebbe proseguito, fingendo di non aver notato nulla, soprattutto dopo il proposito di separare la sua vita da quella di Leon, ma non poteva farlo, non poteva e basta. Era colpa sua se Vargas aveva aggredito Thomas e probabilmente anche quella lite doveva essere dovuta allo stesso motivo e proprio per questo, con il cuore che le batteva a mille, si era affrettata a raggiungerli. “Lascialo in pace,” sbottò, tenendo però lo sguardo fisso su Thomas. Non voleva incrociare quello di Leon, lui la rendeva vulnerabile e non se lo poteva permettere.
“Non immischiarti e vattene a casa, ora!” Ribatté Leon gelido, gesticolando freneticamente. Violetta però lo ignorò, avvicinandosi al moro. “Va tutto bene?” Gli chiese preoccupata, poggiandogli una mano sul braccio. Thomas annuì, anche se poco convinto. Alternava lo sguardo da lei a Leon, quasi si aspettasse una reazione aggressiva del ragazzo da un momento all'altro e ciò lo portava a deglutire piuttosto rumorosamente. “Si, sto bene,” riuscì a sussurrare. “Vai a casa, Vilu, tranquilla.” Le indicò la strada verso casa con un cenno, ma lei scosse la testa. “Non ti lascio da solo con lui,” provò a sussurrarlo, sperando che Leon non sentisse, peccato che Vargas avesse sempre avuto un grande udito, difatti scoppiò a ridere, facendo irrigidire entrambi. “Certo, perché io sono un mostro con i denti a sciabola, non è così?” Spostò poi lo sguardo su Thomas e aggiunse: “Vattene, Heredia. Io e Violetta dobbiamo parlare.”
Thomas provò a protestare, ma la Castillo scosse la testa. “Vai, tranquillo. Non ci metteremo molto, cinque minuti e sarò a casa,” promise, sforzandosi di mostrare una sicurezza che in realtà non aveva. Il solo pensiero di dover restare da sola con Leon la terrorizzava, non perché potesse farle del male, non glielo avrebbe fatto nemmeno involontariamente, ma perché temeva la reazione del suo cuore, che purtroppo continuava a dipendere completamente da lui. In ogni caso, il suo sguardo dovette convincerlo, perché il moro annuì e si incamminò verso la strada a passo svelto, lasciandola da sola con il peggiore dei suoi incubi. Socchiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro, poi lentamente si voltò verso di lui. Leon era lì, appoggiato pigramente alla parete con le braccia conserte e un sorrisetto stampato in faccia. “Finalmente mi concedi di parlare con te,” esordì, scrutandola con divertito interesse.
Violetta scosse la testa, esasperata. “Devi lasciare in pace Thomas, non so più in che lingua dirtelo. Lui non c'entra nulla con i nostri problemi, lo vuoi capire o no?”
Leon storse il naso, infastidito. “In effetti la colpa è tutta della tua carissima nonna, che ha fatto sempre di tutto per ostacolare il nostro amore, ma ora basta,” proseguì, staccandosi dal muro e avvicinandosi a lei, fino a bloccarla contro la parete opposta, il volto a un soffio dal suo. “Noi due staremo insieme, che lo voglia o no.” La ragazza rabbrividì, erano vicini, troppo vicini. Le mancava il fiato, le mancavano le forze, tutto quello che riusciva a fare era specchiarsi nei suoi bellissimi e penetranti occhi verdi, desiderando solo di accorciare le distanze e far congiungere le loro bocche. Quanto le mancava assaporare le sue labbra, rifugiarsi tra le sue braccia, definirsi ancora la sua ragazza.
“Violetta,” sussurrò lui con voce calda al suo orecchio. “La mia Violetta, così fragile e allo stesso tempo così forte.” Con l'indice le sfiorò la guancia, su cui si propagò subito una sensazione di calore. Tutti i suoi sensi erano allerta e bramavano il suo tocco come se ne dipendesse la loro vita e forse era davvero così. Lei dipendeva da Leon, lo aveva sempre fatto. “Basta con i giochi, è ora di riprendere da dove abbiamo lasciato,” soffiò, a pochi centimetri dalle sue labbra. La giovane Castillo, intuendo il pericolo, poggiò le mani contro il suo petto, allontanandolo così dal suo volto. “Te l'ho detto, tra noi è finita,” riuscì a mormorare, facendo non poca fatica a sostenere il suo sguardo.
Leon si irrigidì e contrasse la mascella. “Ancora con questa storia!” Sbottò, stizzito, assestando un calcio al bidone dei rifiuti poco distante, facendola sussultare. “Si può sapere che ti prende ultimamente? Pensavo fossi in quel periodo, che ti avessero fatto il lavaggio del cervello, ma mi rifiuto di credere che non provi più nulla per me!” Con pochi passi le si avvicinò nuovamente, prendendola per le spalle. “Smettila di mentire a te stessa.”
La giovane deglutì, avvertendo il familiare bruciore agli occhi, che preannunciava la fuoriuscita delle lacrime. Non poteva piangere davanti a lui, doveva essere forte, doveva dimostrarsi sicura e risoluta. “Basta, Leon,” sussurrò, scuotendo il capo. “Tu hai fatto la tua scelta ed io la mia, non ha senso continuare a farci del male.”
“Farci del male?” Ripetè, incredulo. “Ci facciamo del male se restiamo distanti, dipendiamo l'uno dall'altro... è sempre stato così,” aggiunse, con un'improvvisa dolcezza, sfiorandole una guancia. “Ti amo, e lo farò sempre, così come lo farai sempre tu.”
Mai Leon aveva avuto più ragione, Violetta ne era sicura, ma cedere in quel momento sarebbe stato un errore. Se lei non fosse intervenuta, cosa sarebbe successo a Thomas? Vargas avrebbe ripetuto il precedente pestaggio? Non poteva stare con una persona simile, non poteva vivere con il rischio che facesse del male a qualcuno per poi finire in carcere. Che razza di futuro avrebbe mai potuto avere al suo fianco? Se ci pensava, l'unica cosa che le appariva alla mente era l'oscurità, quella in cui si era cullata dopo la morte dei suoi genitori, dove l'amore per Leon era l'unica ancora che avesse e che l'aveva portata a commettere molti sbagli, alcuni dei quali avrebbero potuto esserle fatali. Che avesse perso un anno di scuola era il male minore, soprattutto confrontato con la delusione che aveva causato alla sua famiglia, alla quasi distruzione del suo rapporto con Francesca e Camilla e a tutto l'alcool e il fumo che aveva fatto circolare nel suo corpo. Avrebbe potuto finire in carcere come Leon e Diego, causare la morte di qualcuno, morire lei stessa. Rabbrividì al solo pensiero. No, non poteva permetterselo, doveva proteggersi e soprattutto proteggere le persone a cui teneva. “Mi dispiace, Leon,” sentenziò perciò, con le lacrime agli occhi. “Per quanto ti amo, devo fare la cosa giusta per me e per la mia famiglia. È finita. Non cercarmi più.” Forse fu la convinzione che percepì dai suoi occhi e dalle sue parole oltre le lacrime a farlo rassegnare, stava di fatto che Leon mollò la presa sulle sue spalle, permettendole così di sgusciare via. Se a Violetta quella decisione faceva male, per lui era come la peggiore delle condanne. Lei era il suo mondo, era la speranza a cui si era aggrappato mentre era in carcere. Poteva mai vivere senza di lei? Scosse la testa, imperterrito. Non poteva arrendersi, non poteva e basta. “Risolverò le cose Amore, ti prometto che lo farò.”






Holaaaa!!!
Non uccidetemi, so che per i nostri Leonetta non ci sono miglioramenti, da dovete tener presente che uno come Leon non poteva cambiare così all'improvviso, ha bisogno di tempo e comunque vi posso assicurare che manca poco e poi ci saranno parecchi momenti per cui sclerare awwwwww :3
Nel frattempo qualcuno che sclera già c'è, sto parlando di Dulcevoz, che chissà se si riprenderà dopo la scena Pangie! Awwwwwww a loro le cose vanno benissimo, anche se Angelica si è presentata nel momento meno opportuno -.-
Uscita a quattro per i fratelli Galindo e il gioco di Diego continua ancora, destabilizzando Francesca, che davvero non sa più che pensare e forse nemmeno lui ha più tutto sotto controllo :3
Tornando ai Leonetta, l'agguato a Thomas è un altro passo falso di Leon, e la Castillo si convince che sia finita, anche se lo ama ancora tanto. Mai ragazzo fu più ottuso, almeno per il momento ;)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e come sempre vi ringrazio per il vostro costante affetto, grazie! :3
A presto, baci <3


 

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Capitolo 11
*** Sogni e frantumi ***





Francesca camminava in un lungo e tetro corridoio dall'aspetto sinistro. Ritratti e statue probabilmente di vecchi antenati, sembravano seguirla con lo sguardo, facendola sentire ancora più spaventata. Perché i corridoi le apparivano tutti uguali? Perché non riusciva a trovare i suoi amici? Ricordava quella villa immensa, c'era stata una sola volta ed era stato per il compleanno di una sua amica, esattamente due anni prima. Come c'era finita di nuovo? Era convinta di essere al sicuro nel suo letto. La sua mente le stava giocando qualche brutto tiro? Il forte e improvviso rombo di un tuono la fece sobbalzare, portandola ad affrettare il passo. Già quella casa le suscitava terrore sin nelle viscere, se poi pioveva, era ancora peggio. Tra l'altro le sembrava anche che facesse più freddo. Rabbrividì, stringendosi forte le braccia al petto. Lo sguardo saettava a destra e a sinistra, alla ricerca di una qualsiasi via di fuga, ma sembrava non esistesse, tutto era uguale, quasi non si fosse proprio mossa. Aveva sempre odiato i film horror, finivano sempre per provocarle dei terribili incubi e per giorni aveva paura persino di andare in bagno, ma quella sera era sicura di non averli visti. Cosa stava succedendo?
Francesca?” Quella voce, era sicura di conoscerla, sapeva di speranza. Iniziò per questo a correre verso quel suono e quando riuscì a mettere a fuoco quella sagoma così familiare, si sentì come se avesse ripreso a respirare dopo tanto tempo. “Marco!” Si gettò tra le braccia di Galindo, lasciandosi andare a un pianto liberatorio. Lui la strinse forte a se, accarezzandole dolcemente il capo e la schiena. “Tranquilla, ci sono io con te.” Quella voce era così avvolgente, così rassicurante, così... graffiante. Confusa, sciolse l'abbraccio e sollevò lo sguardo, specchiandosi in due penetranti occhi verdi, che di certo non appartenevano a Marco. “Diego?” Sussurrò, stupita. Di fronte a lei c'era proprio il fratello del suo ragazzo, che le sorrideva in una maniera strana, mai aveva visto tanta dolcezza sul suo volto. “Cosa ci fai qui?”
Sono venuto a salvarti, ti ho sentita urlare,” spiegò Diego, scostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio, facendola rabbrividire. “Vieni, ti riporto a casa,” proseguì, prendendola per mano, ma Francesca oppose resistenza, costringendolo a voltarsi di nuovo verso di lei. “Come facevi a sapere che avessi bisogno di aiuto? Come mi hai trovata?”
Lui scrollò le spalle. “Non lo sapevo, ho sentito le tue urla e sono corso,” spiegò, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Pensavo avresti trovato divertente vedermi spaventata,” insistette lei, imperterrita. “Perché mai aiutarmi?”
Diego corrugò le sopracciglia, confuso. “Davvero pensi che mi diverta a vederti spaventata? Mi deludi, Francesca,” aggiunse con un sorrisetto che voleva essere innocente, ma che non la convinse nemmeno un po'. “Ti sei preso gioco di me per anni, mi hai affibbiato i peggiori soprannomi, mi hai umiliata. Quelli come te non cambiano.” Gli voltò le spalle, con l'intenzione di cavarsela da sola, una via d'uscita doveva esserci. Diego però la seguì, costringendola a voltarsi a metà corridoio. “Ti sei mai chiesta perché? Perché ero così cattivo con te, intendo,” soffiò al suo orecchio. Era serio, nessuna traccia di divertimento nel suo sguardo. Francesca scrollò le spalle, confusa. Non ci stava capendo più niente. “Volevo attirare la tua attenzione, sciocchina,” sorrise lui, circondandole la vita con un braccio e attirandola a se. Avvertire il calore e la consistenza del corpo di Diego contro il suo, la fece rabbrividire e allo stesso tempo sgranare gli occhi. Mai si era trovata così vicina a lui, tanto da avvertire il suo respiro sul volto e suo collo. Quegli occhi verdi mai erano stati così ardenti, così intriganti. Era impossibile non restare imbambolata di fronte a lui. Diego non era solo bello, era affascinante, tenebroso, passionale, tutto in lui richiamava mistero e sensualità. “Francesca,” sussurrò, a un soffio dalle sue labbra. E poi la baciò, un bacio travolgente, appassionato, un bacio che sapeva di perdizione, di peccato e ciò lo rendeva ancora più desiderato. Per Francesca fu la cosa più naturale del mondo gettargli le braccia al collo e corrispondere con il medesimo trasporto. Era diverso dai baci che aveva dato fino a quel momento, era più profondo, rude, animalesco e le piaceva...eccome se le piaceva. Nemmeno lei seppe come si ritrovò schiacciata tra la parete e il corpo di Diego, era troppo occupata a baciarlo e a far scorrere le mani sul suo corpo e lui non era di certo da meno, dato che le esplorava ogni zona con una certa decisione. Quello doveva essere il suo inferno personale, un inferno che aveva risvegliato il suo lato più oscuro, di cui nemmeno sapeva l'esistenza prima di avere a che fare con Diego Galindo, il suo diavolo tentatore. Poteva un inferno essere così affascinante e allo stesso tempo appagante? Era così sbagliato desiderare che quel momento non finisse mai?


Francesca aprì gli occhi di scatto, mettendosi seduta e prendendosi il volto tra le mani. La sveglia sul comodino segnava le sei del mattino, di lì a una manciata di minuti sarebbe suonata e lei si sarebbe dovuta svegliare per andare allo Studio. La sua mente in quel momento però, era concentrata su tutt'altro. Era sconvolta, impietrita, terrorizzata, si vergognava di se stessa. Come aveva potuto fare un sogno del genere? Aveva sognato di baciare il fratello del suo ragazzo, non era normale, così come non lo era il fatto che nel sogno avesse avvertito una forte attrazione e che quel bacio le fosse piaciuto parecchio. Si strofinò il volto con vigore, quasi questo potesse bastare per cancellare quel maledetto sogno dalla sua mente. Mai aveva fatto un sogno così vivido e soprattutto su una persona che realmente esistesse. Nemmeno su Marco si era ritrovata a fantasticare con tanta intensità. Le sembrava quasi di sentire ancora il calore delle labbra di Diego sulle sue, di avvertire il tocco delle sue mani sul suo corpo e la cosa le faceva paura. Già il pomeriggio al cinema le aveva fatto provare delle sensazioni strane, ora addirittura i sogni ci si mettevano. Pensava di non provare più nulla per il fratello del suo ragazzo, pensava che la cotta che aveva avuto per anni si fosse ormai dissolta, ma allora cosa le stava accadendo? Quei sentimenti si stavano ripresentando, o non se ne erano mai andati? E Marco, cosa provava per lui? Amava il giovane Galindo, era sicura che fosse così, era stato proprio il ragazzo a farle scoprire le gioie dell'amore corrisposto, la dolcezza, la sincerità, i piccoli gesti. L'amore per Diego invece era sempre stato a senso unico, lei lo guardava da lontano, lo ammirava, sperava che la prendesse in giro così che le rivolgesse la parola e potesse poi vedere i suoi occhi verdi finalmente riflessi nei suoi, era insomma un amore che l'aveva fatta soffrire, che le aveva fatto versare fiumi di lacrime. Con Marco ciò non accadeva, lui l'aveva sempre fatta sentire bene. Perché allora la sola vicinanza con Diego la destabilizzava così tanto? Certo, sembrava aver smesso di umiliarla e al contrario la guardava in maniera diversa, ma ciò non poteva farle dimenticare il passato e renderla tanto vulnerabile. Doveva tenere quel ragazzo lontano da se, lo doveva fare a tutti i costi. Convinta di ciò, prese il cellulare dal comodino e mandò un messaggio a Marco.


-Buongiorno, Amore. Oggi non vengo allo Studio, mi sento poco bene, infatti mi rimetto a letto. Ti dispiace se stasera vieni tu a mangiare da me? Sai, non vorrei peggiorare le mie condizioni. Ti amo-


Rilesse il messaggio diverse volte, poi lo inviò. Quella sera sarebbe dovuta andare a cena a casa Galindo, ma dopo quello che era successo, preferiva evitare, non voleva vedere Diego e per questo aveva deciso di non andare nemmeno allo Studio. Sapeva che si stesse comportando da codarda, ma non aveva scelta, se voleva risolvere le cose, doveva evitare ogni tipo di contatto con il peggiore dei suoi incubi e allo stesso tempo, rafforzare il suo rapporto con Marco. Ce la poteva fare.




Un suono fastidioso gli risuonava nelle orecchie, ma Diego, profondamente addormentato, sembrava non sentirlo. Stava sognando, un sogno strano, ma allo stesso tempo coinvolgente, sembrava così reale. Quel suono però insisteva imperterrito, accompagnato da un mugugno poco distante da lui, che lo costrinse ad aprire gli occhi. Una luce forte e abbagliate lo colpì, accecandolo a dir poco e proprio per questo, li richiuse e li strofinò con vigore, per poi aprirli più lentamente. Si trovava in una grande camera da letto, sicuramente femminile vista la combinazione dei colori rosa e dorato che la caratterizzavano. Era sicuro di conoscere quel posto, ma in quel momento la sua mente si rifiutava di collaborare. Voltandosi alla sua sinistra e notando la ragazza bionda profondamente addormentata, capì. Si trovava a casa di Ludmilla, avevano concluso la serata lì. E dire che non aveva bevuto, come aveva fatto quindi a dimenticare quel particolare? Si massaggiò le tempie, lasciandosi andare a un sonoro sbadiglio. Nel frattempo quel suono che lo aveva svegliato, continuava a ripetersi. Ci mise diversi secondi per capire che si trattava del suo cellulare e subito lo recuperò dalla tasca dei pantaloni, gettati alla rinfusa ai piedi del letto. Sul display lampeggiava un nome, che da solo bastava per la sua condanna: 'Papà'.
E ora che gli diceva? Già immaginava la furia dei suoi genitori. Sua madre avrebbe imprecato e gli avrebbe lanciato oggetti, mentre suo padre lo avrebbe chiuso in camera e gli avrebbe messo le sbarre alla finestra. Deglutì, poi accettò la chiamata.
Non fece in tempo a dire una sola parola, che le urla di Angie per poco non gli ruppero un timpano. -DIEGO GALINDO! DOVE DIAVOLO SEI? SONO ORE CHE IO E TUO PADRE PROVIAMO A CHIAMARTI! HAI IDEA DI QUANTO CI SIAMO PREOCCUPATI? STAVAMO PER DENUNCIARE LA TUA SCOMPARSA!-
-Hai ragione, mamma, scusami,- riuscì a mormorare, quando la donna smise di urlare. -Sono a casa di Ludmilla e nemmeno mi sono accorto del tempo che è passato-
-Fammi capire, io e tuo padre eravamo qui morti di paura e tu stavi facendo i tuoi sporchi affari? APPENA TI HO DI FRONTE TI UCCIDO, TE LO GIURO!- Aggiunse fuori di se. -Marco ci ha detto che stavi accompagnando Ludmilla a casa, ma poi non sei più tornato e non sapevamo cosa fosse successo. POTEVA ESSERTI SUCCESSO QUALCOSA DI BRUTTO! POTEVI ESSERE MORTO! SANTO CIELO, DIEGO! DILLO CHE CI VUOI MORTI E...- La voce della donna s'interruppe e in sottofondo si sentì il bisbiglio di Pablo, che probabilmente doveva averle tolto il telefono di mano. -Vai a farti una camomilla tesoro, hai bisogno di riposarti, qui ci penso io. Ascoltami bene,- proseguì, facendosi improvvisamente severo, segno che ora si stesse rivolgendo al figlio. -Se hai combinato qualche altro guaio, giuro che sarò io stesso a farti rinchiudere di nuovo in carcere. Ti abbiamo dato fiducia e tu che hai fatto? Ne hai combinata un'altra delle tue-
-Mi dispiace, papà,- si scusò il ragazzo, seriamente dispiaciuto. -Avrei dovuto avvisarvi che mi fermavo da Ludmilla,- giuro che sono lì,- si affrettò a confermare.
-Tua madre ed io non riuscivamo a trovare pace, pensavamo fossi con Leon Vargas e...-
-Lo so papà, scusami. Ora vengo a casa e vi racconto tutto,- promise.
-Va bene,- disse Pablo dopo alcuni istanti di silenzio. -Ma vedi di sbrigarti.-
Diego chiuse la chiamata, per poi voltarsi verso Ludmilla, che raggomitolata tra le lenzuola, gli sorrideva ammiccante. “I tuoi genitori?”
Lui annuì, affrettandosi a recuperare i boxer e i jeans dal pavimento, per poi indossarli. “Devo tornare a casa subito, scusami,” aggiunse, lanciandole una mezza occhiata. La ragazza sbuffò, mettendosi in posizione seduta, mantenendo il lenzuolo sopra il seno. “Quindi non hai tempo per... ripeterci?” Soffiò maliziosamente, sfiorandogli il braccio. Diego la squadrò da capo a piedi, scuotendo il capo con un certo rammarico. Fosse stato per lui, sarebbe rimasto eccome, ma non poteva, altrimenti i suoi genitori lo avrebbero ucciso. “Scusa, Ludmilla, ma i miei sono già furiosi perché non li ho avvisati, devo calmarli.”
Si alzò poi in piedi, per indossare la t-shirt e la giacca di pelle, mentre la bionda non si perdeva nessuno dei suoi movimenti, anche se appariva parecchio delusa. Diego se ne accorse, rendendosi anche conto che dopo quel momento che avevano condiviso, dovesse almeno dirle qualcosa di carino, era il minimo. “Ludmilla,” sorrise, inginocchiandosi sul letto e sollevandole il mento con due dita. “Sono stato bene, sei una ragazza fantastica.”
La bionda sorrise a sua volta, sfiorandogli il volto con una leggera carezza. “Lo stesso vale per me, sai quanto ti adoro.” Fece poi congiungere le loro labbra, gesto che riportò alla mente di Diego quello strano sogno che stava facendo prima di essere svegliato. Quella grande villa dall'aspetto sinistro e poi lui e Francesca...quel bacio appassionato che si erano scambiati. Mai aveva fatto dei sogni tanto vividi, per un attimo aveva quasi creduto che fosse reale. Gli era sembrato davvero di avvertire il calore e il profumo della sua pelle e poi il sapore delle sue labbra e poi...chissà se il sogno si sarebbe spinto oltre, se non fosse stato svegliato dal suo cellulare. Possibile che la ragazza di suo fratello lo attraesse tanto? Poteva essere un problema per il suo piano di vendetta?
Si scostò da Ludmilla, rimettendosi in piedi, turbato. “Devo andare.”
La Ferro sospirò, in parte soddisfatta, in parte delusa che lui dovesse già andarsene. “Mi chiamerai, vero?” Gli chiese, temendo quasi la sua risposta.
Diego annuì, anche se poco convinto. La sua mente infatti, era tutta concentrata su Francesca. Chissà se baciarla gli avrebbe fatto provare le stesse sensazioni che aveva avvertito in sogno. Chissà com'era fare l'amore con lei. Si passò la lingua sulle labbra, immaginando lui e la mora nello stesso letto. Ludmilla, che probabilmente pensava stesse rivivendo quello che era accaduto in quel letto, ammiccò. “Io aspetto la tua chiamata.”
Il ragazzo sussultò, riprendendosi dalla sua fantasia ad occhi aperti. “Arriverà presto, tranquilla,” la rassicurò, stampandole un nuovo bacio sulle labbra. Se ne andò da quella casa, confuso dai suoi stessi pensieri. Com'era possibile che avendo di fronte Ludmilla mezza nuda, la sua mente non avesse fatto altro che pensare a Francesca? Che razza di incantesimo gli stava facendo quella ragazza? Possibile che tutto dipendesse dal fatto che non l'avesse e che nemmeno avrebbe potuto mai averla? Era il gusto del proibito? Convinto di ciò, o almeno così credeva, si mise il casco e salì sulla moto, destinazione casa sua, dove lo aspettavano le partacce dei suoi genitori. Via il dente e via il dolore, diceva un famoso detto. Sperava solo che i suoi bisogni non lo avessero portato a perdere la fiducia di Pablo e Angie, ci teneva a loro e davvero non voleva rovinare tutto, soprattutto quando poi non aveva fatto nulla di particolarmente grave. D'accordo, era sparito per diverse ore, ma non poteva cacciarsi nei guai mentre era nel letto di Ludmilla, no? Purtroppo però, nonostante i suoi sproloqui mentali, era consapevole di averli spaventati a morte e quindi di meritare qualsiasi punizione. Una punizione che avrebbe affrontato senza battere ciglio, anche perché non avrebbe potuto essere più giusta.




“Ciao, Thomas,” sorrise Violetta, aprendo il cancelletto in legno della grande villa dove abitava e invitando il ragazzo ad entrare in giardino, per poi condurlo verso il tavolo che Angelica aveva insistito per comprare la scorsa estate. 'Abbiamo un giardino così grande e bello, non possiamo non avere un tavolo per bere il tè e conversare', aveva detto la donna, mentre visitavano un negozio di arredamento e alla fine l'aveva spuntata, il tavolo con annesse sedie in plastica, era stato acquistato e faceva bella mostra di se nel giardino di casa. Thomas la seguì, anche se non faceva altro che guardarsi nervosamente intorno, quasi si aspettasse l'attacco di una bestia feroce, o più precisamente di Leon, per cui nutriva un vero e proprio terrore, abbastanza simile se non peggiore, di quello che sentiva Marco. In ogni caso, Violetta non sembrò notarlo, troppo occupata a pensare alle parole giuste per iniziare l'imminente discorso. Sapeva che il ragazzo voleva sapere se stesse bene dopo che l'aveva lasciata da sola con Leon in quel vicolo isolato e doveva in un certo senso rassicurarlo, senza però dirgli tutti i dettagli. Era una conversazione privata, un qualcosa che riguardava lei e il suo ex ragazzo e proprio per questo voleva tenersela per se. Prese posto, invitando Thomas a fare lo stesso. “Credo di sapere perché sei qui,” esordì, picchiettando le unghie sul tavolo, così da attirare l'attenzione del ragazzo, che continuava a guardarsi intorno con una certa agitazione. “Thomas? Mi stai ascoltando?”
Lui deglutì, poi si affrettò ad annuire. “Certo Vilu, scusami. Ehm... sono venuto per scusarmi, non avrei dovuto andarmene in quel modo e... stai bene, vero? Non ti ha fatto del male o...?” Balbettò, imbarazzato, facendo accigliare la ragazza. Avrebbe voluto dirgli che Leon mai le avrebbe fatto del male e che in caso contrario, se fosse dipeso da lui, l'avrebbero molestata o peggio sarebbe morta, dopotutto se l'era svignata come un codardo e scusarsi o informarsi dopo un giorno, le sembrava alquanto ridicolo, ma si trattenne, mordendosi la lingua. Non frequentava più la gentaglia che caratterizzava la compagnia di amici di Leon e Diego, doveva essere educata e pensare prima di parlare, era una delle prime regole che le avevano insegnato i suoi genitori e voleva rispettarle molto di più di quanto non avesse fatto precedentemente. “Si, ehm... cinque minuti e sono tornata a casa, come ti avevo detto insomma.”
Thomas annuì. “Ma cosa voleva? Se non sono indiscreto, ovviamente,” si affrettò ad aggiungere, prendendole una mano e stringendola con la sua. A quel contatto, Violetta rabbrividì, piuttosto a disagio. Non era abituata ad avere un qualsiasi contatto con l'altro sesso che non fossero i suoi cugini o Leon, sapeva che fosse assurdo ma era così e per questo, il fatto che Thomas le stringesse la mano, la rendeva decisamente nervosa. “Ehm...la tipica conversazione di due ex...nulla di particolare,” balbettò, sforzandosi di sorridere.
“Voleva tornare con te, immagino,” insistette il moro, scrutandola attentamente e con un certo rammarico. Nonostante avesse paura di Leon e l'ultima cosa che volesse era contraddirlo, il ragazzo non poteva negare di nutrire dei sentimenti molto profondi per la Castillo e di sperare di poter avere anche solo un minimo di possibilità con lei. Quelle parole, in ogni caso fecero sgranare gli occhi alla ragazza, che davvero non sapeva che dire. Poteva confermare, o le conveniva negare? Negando, avrebbe lasciato le porte aperte a Thomas, ma non sarebbe stato giusto. Lei non ricambiava i suoi sentimenti e anche se lo avesse fatto, non poteva metterlo in pericolo, Leon lo avrebbe ucciso, su quello non aveva dubbi. Il peggior difetto in assoluto di Vargas infatti, era sempre stata la gelosia, una gelosia ossessiva, violenta, che gli impediva di pensare e lo portava ad agire d'istinto. Bastava pensare che quando lei usciva con la sua compagnia, Leon impediva a chiunque che non fosse Diego di avvicinarsi a lei e per questo si ritrovava ora a temere ogni tipo di contatto con un estraneo. Se avesse iniziato a frequentare Thomas o qualsiasi altro ragazzo, lui sarebbe impazzito di gelosia e chissà cos'avrebbe potuto fare. Le sue alternative perciò erano due, o con Leon o da sola e visti i propositi che si era posta, doveva scegliere la seconda opzione. Con quella convinzione, guardò Thomas e annuì. “Si, voleva che tornassimo insieme, ma gli ho detto di no. Voglio stare da sola.”
Se con la prima parte di frase aveva fatto nascere una speranza nel ragazzo, con le seconda parte lo aveva sicuramente scoraggiato. “Quindi non c'è speranza per...bè, per noi due?” Si azzardò a chiedere il moro, continuando a stringerle la mano e a guardarla con i suoi grandi occhi azzurri.
Violetta deglutì. Aveva promesso di essere sincera e di proteggere Thomas da Leon, non voleva che Vargas se la prendesse ancora con lui per colpa sua e proprio per questo, scosse la testa. “Voglio essere sincera con te, Thomas,” iniziò, notando che lui si fosse ombrato, probabilmente aveva già capito dove volesse andare a parare. “Mentirei se ti dicessi che non provo più nulla per Leon. Lui è sempre stato il mio mondo, la mia roccia, il mio tutto e credo che lo amerò fino alla fine dei miei giorni.” Fece una pausa, sospirando con una certa amarezza. Non credeva sarebbe riuscita ad esprimere quelle cose a voce e soprattutto a Thomas, forse era più forte di quanto credesse, o forse semplicemente dato che non faceva più nulla per negare i suoi sentimenti, aveva meno difficoltà a tirarli fuori. “Tuttavia, io e Leon siamo cambiati molto, io soprattutto e ciò, ha in un certo senso creato una voragine tra di noi, tanto che ho deciso di mettere fine alla nostra storia. Lui ha i suoi progetti ed io i miei, i quali non potrebbero essere più diversi, ma... tu sei un bravo ragazzo,” aggiunse, sorridendogli dolcemente. “So che i tuoi sentimenti per me sono sinceri e davvero vorrei ricambiarli, ma... ma non è così.”
Thomas l'ascoltò in silenzio per tutto il tempo, anche se aveva capito sin dall'inizio che quella conversazione avrebbe portato a un rifiuto. Niente era più sincero e diretto degli occhi di Violetta, in essi aveva letto quello che provava ancora prima che glielo dicesse. “Va bene,” disse alla fine. “Ho capito, non potevi essere più chiara. Tranquilla,” si affrettò ad aggiungere, quando lei fece per dire qualcosa. “Ti ringrazio per essere stata sincera e...bè, spero che potremo lo stesso essere amici.” Si alzò in piedi e allargò le braccia, abbozzando un sorriso. La ragazza si morse nervosamente il labbro, poi si alzò a sua volta. Non c'era niente di male ad essere amici, no? Si lasciò perciò abbracciare da Thomas, felice che lui avesse capito e che non ce l'avesse con lei.
Dato però che ogni gesto poteva assumere un significato diverso a seconda degli individui, agli occhi di Leon che stava passando proprio in quel momento davanti alla villa della ragazza, con l'intenzione di arrampicarsi alla finestra per tentare nuovamente di parlarle, quell'abbraccio apparve sin troppo complice e affettuoso per essere quello di due amici. La sua gelosia ossessiva poi, di certo non aiutava a farlo ragionare e proprio per questo, si ritrovò a stringere forte i pugni, fino a far diventare le nocche bianche. I suoi occhi verdi erano ridotti a due fessure, la belva nel suo stomaco si agitava frenetica, invitandolo a scavalcare il cancello e a fare a pezzi Thomas Heredia. La sua mente nel frattempo, era completamente offuscata, una furia animale la dominava. Violetta era sua, sua e di nessun altro e se quel ragazzo non lo aveva ancora capito, allora aveva bisogno di una nuova lezione. Proprio quando stava per avvicinarsi al cancello, con l'intenzione di assecondare la belva nel suo stomaco, Violetta e Thomas sciolsero l'abbraccio e il ragazzo se ne andò. Leon, nascosto dietro una macchina, lo seguì con lo sguardo, finché non svoltò a destra, sparendo così dalla sua visuale. A quel punto, si rimise in piedi e tornò accanto al cancello, che scavalcò con l'agilità di un gatto. Violetta che era di spalle, dato che si stava avviando verso la porta d'ingresso, non lo vide, ma sentì il tonfo causato dal suo atterraggio e si voltò di scatto, spaventata. “Leon,” sussurrò, quasi avesse visto un fantasma. Lui storse il naso, avanzando verso di lei con le mani nelle tasche. Il suo volto era una maschera di freddezza, cosa che la portò istintivamente ad indietreggiare. “Non dovresti essere qui.”
Un sorrisetto ironico si disegnò sul volto di Leon. “E perché mai? Non vuoi che ti veda fare la cretina con Heredia?” Sbottò, facendole sgranare gli occhi, stupita. “Come?”
“Oh andiamo, Violetta! Non osare mentirmi! Vi ho visti abbracciati!” Ribattè stizzito, agitando le braccia. Lo aveva preso per scemo per caso? Violetta ruotò gli occhi e sbuffò, esasperata. “Come al solito vedi solo quello che vuoi vedere, io e Thomas siamo solo amici, anche se poi non sono affari tuoi,” aggiunse, voltandogli le spalle e incamminandosi verso l'ingresso, considerando la conversazione conclusa. Peccato che Leon non la pensasse così, dato che le afferrò il polso e la costrinse a voltarsi. “Lo sono eccome, invece,” sibilò, sollevandole il mento, così da far incrociare i loro sguardi. Nei suoi occhi si poteva leggere una certa rabbia. “Tu sei mia, Violetta. Se non posso averti io, allora non ti avrà nessuno. Hai capito?” Aggiunse, con un velo di minaccia, che la turbò profondamente. Leon non l'aveva mai minacciata, mai aveva provato anche solo un minimo di paura e ora invece non riusciva a smettere di tremare. “Lasciami, ti prego,” lo supplicò, con voce spezzata. Lui scosse la testa, continuando a stringerle il mento con la mano destra, mentre il braccio sinistro le circondava la vita, così da tenerla stretta a se. Sembrava quasi non si fosse accorto che fosse spaventata, la rabbia continuava a dominarlo, rendendolo poco lucido. “Non ti azzardare mai più a fare la poco di buono con quello lì, altrimenti giuro che quello che gli ho già fatto, non sarà nulla rispetto a quello che potrei fargli. Mi sono spiegato?”
“Quello che faccio non è affare tuo, tra di noi è finita. Se non mi lasci, mi metto ad urlare,” aggiunse, prima che lui potesse anche solo provare a ribattere. Leon le rivolse un'occhiata raggelante, ignorando completamente la sua minaccia. “Non può davvero piacerti quel tipo, tu sei mia, tu ami me.” Nonostante volesse mostrarsi forte e sicuro, nella sua voce c'era una traccia di insicurezza. Il solo pensiero che lei potesse smettere di amarlo lo terrorizzava. “Nulla è impossibile nella vita,” mormorò la ragazza, guardandolo fisso negli occhi. “Una volta riuscivi a farmi stare bene solo con la tua presenza, ora non ne sei più capace.”
Quelle parole ferirono Leon peggio di una pugnalata e la convinzione che lampeggiava nei suoi occhi nocciola, fu dieci volte più dolorosa. Lui non riusciva più a farla stare bene, lui le faceva del male, lui... quasi non si accorse che Violetta fosse corsa verso casa, restando al centro del suo giardino, rigido come uno stoccafisso e con il cuore a pezzi. L'aveva persa, l'aveva persa per sempre.




Questo capitolo è tristissimo e sa tanto di fine, mi odio per averlo scritto ma serve per quello che dovrà accadere dopo. La cosa positiva è che Vilu ha rifilato un bel due di picche a Thomas, che ve lo posso assicurare, è ormai fuori dai giochi ;) Leon però ha frainteso l'abbraccio a cui ha assistito e ha avuto una reazione molto aggressiva, che ha spaventato Vilu e l'ha portata a rifiutarlo ancora, ferendolo non solo nell'orgoglio, ma soprattutto al cuore. Come vi dicevo però, era necessario che Leon ne uscisse devastato, perché solo così può iniziare a capire.
Nel frattempo, c'è il primo bacio Diecesca *_____* anche se è solo un sogno, che entrambi hanno fatto tra l'altro. Francesca inizia a capire che prova qualcosa, ma non vuole soffrire e nemmeno vuole che soffra Marco, perciò è determinata a reprimere i suoi sentimenti. Diego invece, va a letto con Ludmilla, ma appunto fa lo stesso sogno dell'italiana e si rende conto di essere attratto da lei, cosa che lo turba parecchio. Ora però ha anche la furia dei Pangie di cui preoccuparsi, visto che non è tornato a casa all'orario stabilito XD
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, vi adoro :3
baci <3


 

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Capitolo 12
*** Mai arrendersi ***






“Speriamo bene,” sussurrò Lara tra se e se, lisciandosi per l'ennesima volta le pieghe della camicetta color pesca che indossava e affrettando il passo. Tramite il computer, aveva appreso che un locale che si trovava proprio nella sua città, cercasse una cameriera e subito si era precipitata, nonostante il nervosismo. La verità era che non ne poteva più di fare la donna di casa, voleva costruirsi un futuro, qualsiasi cosa. A differenza di suo fratello Leon che aveva potuto frequentare la scuola, lei era sempre stata rilegata in casa, in quanto suo padre aveva una mentalità piuttosto antica, secondo la quale le donne fossero inferiori agli uomini e perciò non gli aveva detto nulla di quel colloquio di lavoro. Fernando Vargas infatti, non avrebbe mai approvato e sicuramente avrebbe fatto di tutto per impedirle di andarci. Lara non era mai stata una ragazza molto forte caratterialmente, al contrario aveva sempre subito le decisioni di suo padre e il fatto che preferisse Leon, ciò però non le aveva impedito di sognare ad occhi aperti e anche grazie ai suggerimenti del fratello, aveva deciso di fare il colloquio. Era proprio Leon quindi, che le aveva sempre dato una certa forza e determinazione, consigliandole di non arrendersi e di lottare per ciò in cui credeva. “Tranquilla, lotta per ciò in cui credi. Io ci sarò sempre a sostenerti.” Quella e molte altre frasi simili erano ripetute continuamente dal giovane, tanto che Lara se ne era ormai convinta. Doveva lottare con le unghie e con i denti, perché solo lei era l'artefice del suo destino. Socchiuse gli occhi e prese un profondo respiro, guardando poi il proprio riflesso attraverso una grande vetrina di un negozio di abbigliamento. Quasi non si riconosceva vestita in quella maniera, mai si era sentita così femminile. Davvero gli accessori potevano fare miracoli. In fondo indossava una camicetta e un paio di jeans stretti, che accompagnati da una borsetta e da un paio di zeppe, la rendevano elegante e aggraziata, cosa che di solito non era. Abituata a felpe e pantaloni larghi, si sentiva sempre un pesce fuor d'acqua, una di quelle che i ragazzi vedono solo come un'amica e non come una possibile fidanzata. Forse proprio per quello, all'alba dei suoi diciassette anni, Lara non aveva mai avuto un ragazzo, per tutti era la sorellina di Leon, quella che lui si portava sempre in giro e che anche se allegra e divertente, vedevano solo come un'amica. Ciò inizialmente non la feriva, era abituata ad avere tanti amici maschi, ma con il tempo si era resa conto che ciò non le bastasse, soprattutto per quanto riguardava Diego, il migliore amico di suo fratello. Dire che avesse una cotta per lui era dire poco, lei ne era innamorata persa e in tutti i modi aveva tentato di attirare la sua attenzione, peccato che lui neanche la vedesse. Una volta, probabilmente perché accecato dai fumi dell'alcool, l'aveva baciata e Lara si era sentita viva e felice come mai prima di quel momento. Il giorno dopo però, Diego si era comportato come se nulla fosse accaduto, addirittura si era presentato alla pista, loro luogo di ritrovo, in compagnia di una bionda siliconata. Ricordava ancora le tante lacrime che aveva versato tra le braccia di Violetta, l'unica che fosse a conoscenza dei suoi sentimenti e il solo pensarci, la intristì. Chissà se Diego l'avrebbe guardata con occhi diversi se l'avesse vista vestita in quella maniera. Scosse la testa, come a voler scacciare quei fastidiosi pensieri e riprese a camminare. Basta pensare a Galindo, aveva un colloquio da fare e doveva pensare solo a quello. Svoltando a destra, finalmente davanti ai suoi occhi apparve l'insegna del locale.
“Restò Band,” sussurrò, deglutendo rumorosamente, mentre il cuore le batteva forte. Non aveva mai lavorato, se si escludevano i lavori domestici, sarebbe stata in grado? E suo padre come l'avrebbe presa quando lo avrebbe saputo? Il solo pensare alla furia di Fernando, rabbrividì. Poteva prendersela tanto? In fondo lei voleva solo sentirsi utile e acquistare un po' di sicurezza, era un male? No, certo che no. Convinta di ciò, percorse gli ultimi metri che la separavano dal locale ed entrò, mentre nelle orecchie le risuonava il suono della campanella e il vociare dei numerosi clienti, per lo più ragazzi, che bevevano bibite in grandi bicchieri dai colori vivaci. Nervosa come mai in vita sua, si incamminò verso il bancone, rischiando più volte di inciampare nei suoi stessi piedi. Poteva essere più imbranata? Possibile che tutta la sicurezza e la sfacciataggine di suo padre l'avesse ereditata Leon?
“Ciao.”
Lara sussultò, incrociando lo sguardo di un ragazzo moro, decisamente alto e anche molto carino, che stava ripulendo dei bicchieri con un canovaccio. Doveva essere il titolare. “Cosa posso offrirti?” Continuò il giovane, aprendosi in un grande sorriso che l'abbagliò, aumentando a dir poco la sua agitazione. “Ehm...ecco, sono qui per il lavoro di cameriera,” riuscì a mormorare, facendolo annuire. “Bene,” disse, riponendo il canovaccio e aggirando il bancone, facendole poi gesto di seguirlo a un tavolo in un angolo del locale. “Mi chiamo Luca, ma visto che hai letto il mio annuncio, penso che lo sai.” Una volta che si furono seduti, il ragazzo passò alle presentazioni, sempre con quel particolare sorriso stampato in faccia, che le trasmetteva una certa ansia. “Tu come ti chiami? Ti vedo piccola, è la tua prima esperienza?”
“Mi chiamo Lara,” annuì lei. “Ho diciassette anni e si, non ho mai lavorato prima, anche se mi sono sempre occupata dei lavori di casa da sola, perciò sono abituata ai grandi ritmi,” ammise, chiedendosi più volte se avesse fatto bene a raccontare tanto di se. Le sue parole in ogni caso dovettero colpire Luca, perché un lampo gli attraversò lo sguardo e sorrise. “Bè Lara, ho proprio bisogno di una ragazza volenterosa e determinata, in grado di cavarsela anche in una situazione come questa.” Le indicò il locale, quel giorno piuttosto gremito. “Quello che dovresti fare è pulire i tavoli, prendere il menu dei clienti e vigilare che nessuno se ne vada senza pagare, ma non devi preoccuparti per quello,” proseguì, divertito. “Ci sono anche le altre ragazze e poi ovviamente io, con tanti occhi puntati addosso nessuno si azzarderà a fare il furbo. Che ne pensi del posto, ti piace?”
Lara annuì, guardandosi intorno con curiosità. “Mi piace avere a che fare con le persone e questo posto ha il suo fascino.”
Luca le mostrò allora uno dei menù, spiegandole i nomi e il contenuto di ogni cibo o bibita illustrati. “Alcuni clienti chiedono il menù, altri, che poi sono quelli abituali, ti faranno direttamente le ordinazioni. Tu le annoterai su un taccuino che ti darò io, aggiungendo anche il numero del tavolo. Come ti ho detto, ci sono anche altre ragazze, perciò vi dividerete i clienti. Verrà tutto in automatico, tranquilla,” aggiunse, notando la sua agitazione. “All'inizio ti aiuteremo tutti, se ovviamente sei interessata.”
Di fronte a quel sorriso rassicurante, Lara non potè fare a meno di sorridere a sua volta. Poteva farcela. “Si, dimmi solo quando devo iniziare.”
Euforico, Luca si affrettò a spiegarle i turni di lavoro e lo stipendio, cose che convinsero ancora di più la ragazza. Non poteva lasciarsi scappare quella possibilità. “Vieni lunedì mattina, ci sarà meno gente e potrai imparare con più calma.”
“Perfetto,” sorrise la giovane, stringendogli la mano. “Ci vediamo lunedì allora.”
“A lunedì, Lara.”
Con un grande sorriso stampato in faccia, Lara lasciò il locale, affrettandosi a chiamare Leon.
-Com'è andata?- Senza nemmeno salutarla, il fratello le chiese subito del colloquio.
-Bene!- Esclamò, euforica. -Inizio lunedì.-
-Fantastico! Dobbiamo festeggiare allora! Aspettami lì fuori, sto venendo a prenderti,- aggiunse, felice per lei. -Lo sapevo che ce l'avresti fatta, chi non ti vorrebbe?-
Diego, avrebbe voluto ribattere, ma si limitò a raccontare al fratello tutti i dettagli del colloquio. Ora doveva pensare a godersi quella piccola vittoria, il pensiero di Galindo doveva essere messo da parte, almeno per momento, poi sarebbe potuta tornare a deprimersi per la sua indifferenza. Chissà se un giorno lui l'avrebbe notata, chissà se sarebbe invece riuscita a dimenticarlo. Tutto era possibile in fondo, no? L'importante era crederci.




Francesca chiuse gli occhi e deglutì, sforzandosi di controllare il senso di nausea alla bocca dello stomaco. Era a casa sua, sdraiata sul letto con Marco sopra di lei che le baciava il collo e faceva scorrere le mani lungo la sua schiena. Non era la prima volta che avevano un contatto così intimo, in fondo stavano insieme da più di un anno, anche se non avevano ancora fatto l'amore. Normalmente alla ragazza piacevano quei momenti e spesso lei stessa li cercava, approfittava del fatto che i suoi genitori non ci fossero per invitare Marco e trascorrere così del tempo insieme. Quel giorno però si sentiva strana, insofferente, le mani del ragazzo e le sue labbra le causavano fastidio e non riusciva a spiegarsi perché. Marco era il suo ragazzo, colui che amava, perché allora non riusciva più a stare bene in sua compagnia?
“Francesca,” soffiò Marco al suo orecchio, iniziando poi a mordicchiarglielo. Le mani nel frattempo, passarono ad accarezzarle il ventre piatto. In quel momento la giovane avrebbe dovuto provare piacere per tutte quelle attenzioni e invece avvertiva solo fastidio. Lo stomaco le si era stretto in una morsa e il senso di nausea si triplicò. E se avesse vomitato addosso a Marco? Quando poi il ragazzo si sfilò la maglia, Francesca sgranò gli occhi. Possibile che si volesse spingere oltre? “Voglio fare l'amore con te, Fran,” sussurrò infatti il moro, stampandole poi un bacio sulle labbra. E lei, lei lo voleva? Fino a un paio di settimane prima, anche se imbarazzata, avrebbe detto di si, ma ora...ora non sapeva più cosa voleva davvero e la colpa era tutta di quel maledetto. Cosa le stava succedendo? Come poteva anche solo pensare a Diego in quel momento? Marco tentò di sbottonarle il vestito, ma dato che lei se ne stava rigida come un palo, trovava non poca difficoltà e per questo le schioccò le dita davanti agli occhi. “Ehi, ci sei?” Francesca sussultò e un attimo dopo, lo stava fissando a bocca aperta. Il ragazzo sdraiato su di lei non era Marco, ma Diego. I capelli erano più corti, gli occhi non erano più nocciola, ma verdi e la scrutavano in maniera maliziosa. “Cosa c'è, bambolina, ti vedo distratta.” Quella voce roca e allo stesso tempo graffiante, quel ghigno impertinente e poi quelle braccia possenti e quel profumo... quello che solo una volta aveva sentito, precisamente in quell'aula vuota quando avevano cantato insieme. “Hai paura di me?” Continuò, sfiorandole una guancia con una leggera carezza. “Tranquilla, non farei nulla che non vuoi anche tu.” Il volto di Diego era a un soffio dal suo e Francesca non riusciva a fare altro che fissarlo, impietrita. Tutti i suoi muscoli erano contratti e rifiutavano ogni suo ordine, persino il respiro le sembrava più lento, solo il cuore continuava a battere impazzito, quasi avesse la tachicardia. Un caldo afoso, insopportabile, le si propagava a poco a poco in ogni singola parte del corpo. Il cervello nel frattempo, era in stand-by e non riusciva a formulare alcun pensiero razionale. Mai si era sentita in quella maniera e non sapeva proprio cosa fare. Diego accorciò ancora le distanze, continuando a sorridere. “Non ti dispiace se ti bacio, vero?” Senza attendere risposta, poggiò le labbra sulle sue, facendole strabuzzare gli occhi. Quel bacio però non era appassionato come quello del sogno, era lento, dolce e...non riusciva a sentirsi coinvolta, al contrario avvertiva solo nausea. Possibile che le desse fastidio sia il bacio di Marco che quello di Diego? Che stesse covando un'influenza?
Diego la fece sdraiare più comodamente, per poi tornare a baciarla e solo allora, sbattendo diverse volte le palpebre, la ragazza mise a fuoco di nuovo la sagoma di Marco. Fu a quel punto che capì...lei era lì con Marco, il maggiore dei Galindo era stato solo frutto della sua immaginazione. Com'era possibile? Sconvolta, si rese conto di bramare quel bacio appassionato del sogno, quelli dolci del suo ragazzo le davano fastidio, voleva che smettesse di baciarla e di toccarla, voleva andare via. Socchiuse gli occhi, poi lo spinse lontano da se. “Scusa Marco, ma non posso,” balbettò, evitando di guardarlo.
“Perché? Che succede?” Chiese lui, confuso. “Francesca.” Le prese il volto tra le mani, costringendola a guardarlo. “Stai tremando,” constatò, preoccupato. E in effetti era proprio così, la ragazza tremava come un pulcino infreddolito e si mordeva il labbro inferiore quasi a sangue. “Francesca, dimmi cos'hai, mi stai spaventando,” insistette Marco, ma lei si liberò dalla sua stretta e saltò giù dal letto. Improvvisamente quella camera le sembrava troppo piccola, troppo stretta, si sentiva soffocare, aveva un disperato bisogno d'aria.
“Francesca.” Il moro fece per raggiungerla, ma la ragazza, notandolo con la coda dell'occhio, lo scansò e corse fuori dalla camera. “Francesca!” Urlò Marco, rincorrendola lungo tutta la casa, fino alla porta d'ingresso, che lei varcò per poi scendere le scale di corsa. “Francesca! Fermati! Dove vai?” Man mano che correva per la strada, la voce del ragazzo le giungeva sempre più lontana, ma non si fermò, al contrario accelerò l'andatura, senza una meta precisa, sapeva solo che voleva mettere più distanza possibile tra lei e Marco. Solo quando si rese conto di essere a corto di fiato e che la milza iniziasse a dolerle, si fermò al centro di un marciapiede di chissà quale strada, smarrita, confusa.
“Fran, cosa fai qui?” Camilla e Seba stavano uscendo da un negozio di cd a pochi metri da lei e appena la videro, le andarono incontro, preoccupati. Francesca li fissò con sguardo assente, quasi non li vedesse davvero, poi senza nemmeno sapere come, si ritrovò a gettarsi tra le braccia della Torres, scoppiando a piangere.
“Oh mio Dio, Francesca!” Esclamò Camilla, stringendola forte a se. “Mi stai spaventando. Cos'è successo?” L'italiana però non rispose, continuando a singhiozzare, disperata.
La rossa guardò Seba, in cerca di aiuto, ma lui scrollò le spalle, non sapendo proprio cosa dire o fare. Lei gli rivolse un'occhiataccia, come a rimproverarlo di essere un incapace, poi condusse l'amica verso una panchina, seguita da uno sconfortato Seba.
“Fran, guardami.” Camilla prese il volto dell'amica tra le mani, asciugandole le lacrime. Mai l'aveva vista in quello stato e la cosa la preoccupava non poco. “è successo qualcosa con Marco?” Francesca scosse la testa, tirando su col naso. “è t..tutta colpa m..mia,” balbettò, riprendendo di nuovo a piangere e coprendosi il volto con le mani. “Cos'ho che non va? Cosa?” Camilla e Seba la guardavano, confusi. Proprio non riuscivano a capire cosa stesse cercando di dirgli. “Perchè non mi lascia in pace, perché?”
Anche mentre se ne stava seduta su quella panchina insieme ai suoi amici, profondamente turbata, il volto di Diego non abbandonava la sua mente, così come la sua voce che la chiamava con quel dannato nomignolo, 'bambolina'. Le sembrava quasi di aver avvertito davvero la sua carezza sulla guancia, per non parlare del bacio appassionato del sogno! Prepotentemente, ogni minimo dettaglio le lampeggiava nella mente, alimentando la sua disperazione. Non era stupida, aveva capito perfettamente cosa le stesse accadendo, ma non poteva accettarlo, non poteva e basta. Diego Galindo era come il raffreddore, lo si contraeva facilmente ed era difficile da guarire e poi la ricaduta era sempre dietro l'angolo. Per anni aveva fantasticato e pianto a causa sua, sapeva cosa significasse esserne prima cotta e poi innamorata e non voleva ripetere l'esperienza, aveva impiegato tanto per dimenticarlo. Marco era l'unico ragazzo che con la sua dolcezza fosse riuscito a strapparle Diego dal cuore e pensava davvero che fosse l'amore della sua vita. Pensava di odiare ormai l'altro, pensava che facesse parte del passato...eppure già quando lo aveva rivisto nella cucina dei Galindo, avrebbe dovuto capire che le avrebbe stravolto la vita e prendere le distanze. Stupida che non era altro, gli aveva in un certo senso dato corda, si era lasciata avvicinare, aveva giocato ai videogiochi con lui, aveva accettato di cantare insieme e poi da lì, era caduta di nuovo nella sua trappola. Il fascino che aveva sempre esercitato su di lei, si era ripresentato e cresceva di giorno in giorno e ora stava a poco a poco perdendo il controllo di se stessa. La mente vagava da sola, rimandandole sempre il suo volto o la sua voce e ogni volta che Marco le si avvicinava, il suo corpo si irrigidiva e sembrava alzare una sorta di muro tra di loro, cosa che in presenza di Diego era sicura non le sarebbe accaduta. Possibile che i suoi sentimenti per il ragazzo si stessero manifestando di nuovo? O più semplicemente, non lo aveva mai davvero dimenticato? Il fatto poi che avesse smesso di umiliarla e che al contrario la guardava e le parlava con malizia, la confondeva ancora di più. Scherzava, o ci provava con lei? Riconosceva di essere cambiata davvero tanto e che magari ciò potesse aver incuriosito Diego, ma da lì a provare qualcosa per lei ce ne passava, perciò o la stava prendendo in giro o la voleva portare a letto, non vedeva altra possibilità. Doveva difendersi, non poteva permettergli di avere tanto potere su di lei.
Si asciugò le lacrime, poi tornò a guardare Camilla e Seba e si sforzò di sorridere. “Scusate, vi ho spaventati a morte.”
“Ci spieghi cosa succede?” Chiese la Torres, stringendole le mani con le sue, mentre Seba, seduto accanto alla sua ragazza, fece per alzarsi. “Se volete, vi lascio da sole e...”
Francesca scosse la testa. “No, tranquillo, puoi restare. Ho litigato con Marco, tutto qui,” aggiunse, guardando anche Camilla, che però scosse la testa, scettica. “Fran, sembravi così disperata. Possibile che si è trattato solo di un litigio?” Seba annuì concorde, senza però aggiungere una parola, non ci teneva a subire le ire di Camilla per colpa della sua insensibilità, di cui tra l'altro lo accusava costantemente.
L'italiana si morse nervosamente il labbro, non sapendo proprio che ribattere. Non poteva dire loro di Diego, ma non poteva nemmeno farli preoccupare, doveva inventarsi qualcosa e subito. La Torres, intuendo che dovesse esserci dell'altro, fece gesto a Seba di lasciarle sole e lui non se lo fece ripetere due volte, rientrando nel negozio di cd. “Ora siamo sole, dimmi la verità,” riprese, stringendole le mani con le sue. Francesca tirò su col naso, poi balbettò: “Marco...lui voleva farlo, ma io...io ho avuto paura e...sono scappata via.” Camilla sgranò gli occhi, sorpresa. Non credeva che Marco avrebbe fatto quella proposta alla sua amica, ne tantomeno che lei ne sarebbe rimasta tanto turbata. Aveva sempre considerato lui un tipo esageratamente pudico, ma pensava che Francesca lo amasse per questo e che quindi avrebbe ceduto. “Ci sono dei problemi tra di voi?” Si azzardò a chiedere, scrutandola attentamente. Qualcosa la tormentava, ne era sicura. La Cauviglia scosse il capo quasi subito. “No, lui è dolce, premuroso e mi ama tanto, ma io non sono pronta. È così sbagliato?” Aggiunse con un filo di voce. Camilla le sorrise, rassicurante. “Assolutamente no. È un passo importante, dopo non si può tornare indietro e perciò non lo devi fare se non ne sei sicura. Prendi me e Seba per esempio, abbiamo deciso di aspettare.”
“Si, ma voi state insieme da meno tempo, è normale,” ribatté la mora, prendendosi la testa tra le mani e scuotendola con vigore. “Non voglio che mi tocchi, mi viene la nausea, capisci? Io non sono normale.” Riprese poi a piangere, sotto lo sguardo stupito di Camilla. Un dubbio aveva iniziato a tormentarla, un'idea assurda forse, ma se in realtà fosse stata giusta? “Fran.” Le allontanò le mani dal volto, costringendola a guardarla. “Non è che per caso c'è un altro ragazzo?” Francesca sgranò gli occhi, ma non disse nulla, allora lei proseguì. “Lo sai che non ti giudicherei mai, sei la mia migliore amica e sarò sempre dalla tua parte.” L'altra sorrise, abbracciandola calorosamente. “Lo so, ma ti assicuro che non c'è nessuno.” Tentò di apparire il più possibile convincente, vergognandosi al contempo di quella bugia, ma non aveva scelta. Era un problema che doveva risolvere da sola e in un modo o nell'altro ci sarebbe riuscita. Camilla annuì, anche se poco convinta. La sua amica le nascondeva qualcosa, ne era sicura, ma forse non era pronta per parlarne e perciò le avrebbe lasciato il suo spazio in attesa che si confidasse, non poteva di certo costringerla, tempo al tempo.




“Non posso uscire Leon, sono in punizione. Andare da Ludmilla senza avvisare i miei, mi è costato caro.”
Le parole di Diego risuonavano nelle orecchie del giovane Vargas, mentre guidava il fuoristrada nuovo di zecca che suo padre gli aveva comprato a una velocità ai limiti del consentito. Nemmeno lo stereo a tutto volume, lo aiutava a distrarsi. Era notte fonda e lui guidava senza una vera destinazione, mentre la mente non faceva altro che tormentarlo, ricordandogli le ultime conversazioni con Violetta. Avrebbe tanto voluto sfogarsi con Diego, l'unico che poteva capirlo, ma l'amico era segregato in casa, perciò con chi poteva parlare? Lara aveva già i suoi problemi, dato che aveva discusso con Fernando a causa del colloquio di lavoro che aveva fatto e non voleva tormentarla anche con i suoi grattacapi. La conclusione era quindi che lui si ritrovasse a vagare da solo senza meta, desiderando solo affogare tutti i suoi dispiaceri nell'alcool. La prima volta che Violetta gli aveva detto che tra di loro fosse finita, credeva non dicesse sul serio, che fosse solo arrabbiata, ma glielo aveva ripetuto ancora e poi aveva aggiunto altre parole, quelle che lo tormentavano giorno e notte. Gli aveva detto che non poteva stare con un delinquente come lui, che lo considerava violento e pericoloso e che non fosse più in grado di renderla felice e ciò lo aveva ferito peggio di uno schiaffo. Avrebbe preferito che lo aggredisse con oggetti, che lo investisse, tutto piuttosto che sentirsi dire quelle cose e leggere la delusione nei suoi occhi. Mai loro due erano stati così distanti, mai si era sentito così demoralizzato. Possibile che tra lui e Violetta fosse davvero finita? E ora come avrebbe fatto senza di lei?
Parcheggiò in uno spiazzato buio e isolato, dove non c'era alcuna forma di vita se non lui. Proprio mentre stava chiudendo le sicure però, comparve un uomo piuttosto mingherlino e che puzzava di alcool. Leon lo scrutò dall'alto in basso, storcendo il naso. “Bada che non accada nulla alla mia macchina,” sbottò, mostrandogli poi il grosso anello d'oro che aveva al dito. “Sono un Vargas.” Già alla vista dell'anello, egli impallidì, poi alle sue parole, si affrettò ad annuire. “Tranquillo, me ne occupo io.”
Il giovane si limitò ad un cenno del capo, poi si avviò verso il locale dove aveva scelto di passare la nottata. L'ultima volta che c'era stato, era insieme a Diego, una delle loro tante notti brave, un luogo così squallido dove mai aveva voluto portare Violetta e perciò era sicuro che lì nulla gli avrebbe ricordato di lei. Scioccamente si voleva illudere che andando in un luogo dove la Castillo non aveva mai messo piede, non l'avrebbe pensata, quando sapeva perfettamente che anche andando in capo al mondo, quegli occhi nocciola così tristi e delusi lo avrebbero tormentato, ricordandogli tutto ciò che ora pensavano di lui.
Come l'ultima volta che ci era stato, all'interno del locale c'era una musica assordante ed era illuminato solo da una luce soffusa. Uomini di tutte le età erano seduti su dei morbidi divanetti, accompagnati da ragazze truccate pesantemente e in abiti succinti. Non era di certo il luogo frequentato da un bravo ragazzo, o che perlomeno fosse impegnato, ma poteva ancora definirsi tale? Che non fosse il ragazzo che una madre volesse accanto a sua figlia era evidente, non lo era mai stato d'altronde, ora però non poteva nemmeno considerarsi fidanzato. Violetta lo aveva lasciato, non voleva più avere nulla a che fare con lui.
Si diresse verso il bancone, dove una ragazza con una profonda scollatura, subito gli sorrise ammiccante, facendo ondeggiare la lunga chioma. “Ciao Leon, è da tanto che non ci si vedeva.”
Leon si accigliò, sforzandosi di ricordare come mai quella ragazza sapesse il suo nome, non ricordava di averla vista prima di quel giorno, ma forse era così ubriaco da averlo rimosso. Sorrise, sedendosi sullo sgabello. “Ciao dolcezza, mi porti qualcosa di forte?”
Lei sorrise, sporgendosi in avanti, così da mettere ancora di più in evidenza la scollatura. “Hai una preferenza?” Soffiò maliziosamente, facendo schioccare la lingua.
Il ragazzo la guardò da capo a piedi, poi però scosse la testa. “Scegli tu, ma mi raccomando, che sia così forte da bruciarmi il cervello.”
“Brutta giornata?” Sorrise la ragazza, poggiando la mano sulla sua e ottenendo l'effetto di farlo irrigidire. “Di più,” si limitò a borbottare, sottraendo la mano. Per quanto carina, quella lì non era il suo tipo, troppo disinibita, troppo intraprendente, troppo...
Lei in ogni caso dovette capire di essere stata snobbata, perché si allontanò per preparargli il cocktail, stizzita, ma lui non ci fece caso, troppo impegnato a guardarsi intorno. Nonostante tutto quel trambusto, la sua mente continuava a lavorare freneticamente, tormentandolo come peggio non avrebbe potuto. Chissà, forse se si fosse scelto una ragazza da portare a letto avrebbe smesso di pensare a Violetta, almeno per qualche ora s'intende, lei infatti non sarebbe mai potuta uscire dal suo cuore, lei era la donna della sua vita e sarebbe sempre stato così. Finalmente la ragazza arrivò con il cocktail, anche se glielo sbatté sotto il naso senza degnarlo di uno sguardo, per poi iniziare a flirtare con un altro. Leon sogghignò, portandosi il bicchiere alle labbra. Davvero quella ragazza pensava di poter avere una possibilità con lui? Lui non era uno che si accontentava, era sempre stato di gusti difficili, osava definirli raffinati dato che tendeva ad ignorare le sciaquette. Voleva una donna con la 'd' maiuscola e non una qualsiasi ragazza di facili costumi che ci provava con chiunque.
Quasi senza rendersene conto, era giunto al quarto bicchiere di quella sostanza sconosciuta, mai aveva bevuto dell'alcool tanto forte ed era strano visto che aveva provato di tutto. In ogni caso, nel giro di un'ora, aveva bevuto così tanto da perdere quasi del tutto la lucidità. La testa gli girava come una trottola impazzita, gli occhi minacciavano di chiudersi, la mente era ormai svuotata, ma continuava ad ordinare bicchieri, quasi non ci fosse un domani.
All'improvviso sentì qualcuno sedersi accanto a lui e sollevando lo sguardo, notò che fosse una ragazza con dei mossi capelli castano dorato. A differenza delle altre, era vestita più composta e sembrava decisamente fuori posto, il suo disagio era evidente. Il modo in cui si torturava le mani e si mordeva il labbro inferiore e poi quegli occhi nocciola...tutto in lei gli ricordava Violetta...persino il modo di vestire era il suo. Senza poterlo evitare, si ritrovò a fissarla, rapito. Poi lei parlò e Leon si sentì ancora più attirato. Aveva appena ordinato un cocktail e la sua voce...ah, la sua voce, era così dolce, così simile e...
“Violetta,” si ritrovò a sussurrare, dimenticandosi del bicchiere di liquore, ancora pieno per metà. La ragazza si voltò a guardarlo, confusa, poi però sorrise. “Credo che tu mi abbia confusa con qualcun'altra. Io sono Elena.”
“Elena,” ripeté Leon, con un sorrisetto. “Hai un bel nome. Il mio è Leon.” Le tese la mano, che lei prontamente strinse. “Non farci caso, ho bevuto molto, ma non sono pericoloso,” aggiunse divertito, facendola sorridere. “Tranquillo, non sono una che si impressiona facilmente. Sei qui per dimenticare, immagino.” Un'ombra le attraversò lo sguardo e ciò fece capire al ragazzo che anche per lei fosse lo stesso. “Non ho mai messo piede in un luogo simile, ma oggi ne ho sentito davvero il bisogno,” continuò Elena, con un sorriso malinconico. “Tutto sta andando in pezzi e non so proprio che fare.”
“A chi lo dici,” annuì Leon, con amarezza. “La mia ragazza mi ha lasciato e non riesco a farmene una ragione. L'amore fa schifo.”
“Più che schifo,” concordò lei, scolandosi un sorso del cocktail che le era appena stato servito. “Quel lurido si vede con un'altra chissà da quanto e non ho la forza di affrontarlo.” Si lasciò sfuggire un singhiozzo, stringendo forte il bicchiere, mentre una lacrima le scorreva lungo la guancia. “Mi dispiace,” sussurrò il giovane Vargas, staccandole la mano dal bicchiere e stringendola con la sua. “Se ti ha tradita, non ti merita.”
“Si, ma..” provò a protestare lei, ma lui la interruppe, scuotendo il capo. “Te lo dice uno che di sbagli ne ha fatti tanti e probabilmente continuerò a farne, se un uomo tradisce, non si può definire un uomo. So che fa male, ma devi cacciarlo dalla tua vita,” aggiunse, con una saggezza che non credeva gli appartenesse. Mai si era visto che Leon Vargas desse consigli, ma in quel momento sentiva di doverlo fare, quella ragazza ne aveva bisogno. “Dimenticalo, Elena, lui non ti merita.”
Elena sorrise, stringendogli più forte la mano. “Grazie, avevo bisogno di parlare con qualcuno. Spero che la tua ragazza cambi idea, non può lasciarsi scappare un ragazzo come te.”
“Lo spero anch'io,” annuì Leon, ricambiando il suo sorriso. “Penso però di averla fatta grossa, ho mandato uno all'ospedale e le ho anche detto che non sono pentito.”
La ragazza sgranò gli occhi, sorpresa. “Sei un tipo geloso, vero?” Sotto il suo sguardo confuso, aggiunse: “Si vede, l'ho capito alla prima occhiata.”
Si sorrisero, continuando poi a parlare del più e del meno, scoprendo di avere diverse cose in comune. Baciare Elena, fu la cosa più naturale del mondo. Entrambi avevano bisogno di dimenticare almeno per qualche ora il loro profondo dolore, perciò cosa c'era di male se lo facessero insieme? Quella notte era solo loro e se la sarebbero vissuta fino in fondo, poi all'alba del nuovo giorno, sarebbero tornati ad agire con razionalità, dopotutto c'erano delle decisioni da prendere. In quel momento però, non volevano pensarci, volevano solo aggrapparsi l'uno all'altro con tutti se stessi. I problemi, per il momento, erano rimandati.






Holaaa!! :P
Premetto che odio questo capitolo, non mi piace e non mi convince, purtroppo non sono riuscita a renderlo più digeribile. La cosa positiva è che da qui in poi assisteremo a una svolta positiva un po' per tutti, quindi spero possiate perdonarmi per questo schifo XD
Comunque, Lara decide di prendere in mano la sua vita e trova lavoro al Restò band. Francesca dopo aver rifiutato Marco, capisce di provare qualcosa per Diego e si sfoga con Cami. Leon infine, è devastato per la fine della sua storia con Vilu e fa la conoscenza di una ragazza, Elena, che probabilmente tutti starete odiando, ma la somiglianza con Vilu è un fattore positivo, no? :3
Vi ringrazio per il vostro costante affetto e mi scuso ancora per questo orribile capitolo.
Trilly <3


 

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Capitolo 13
*** Diego e Leon: i rubacuori incalliti ***





“Toc, toc. Posso entrare?” Sorrise Violetta, bussando alla porta della camera di Diego, dove sapeva che il cugino fosse rinchiuso da quando era stato messo in punizione.
Il ragazzo, che se ne stava stravaccato sul letto con lo sguardo perso nel vuoto, al suono di quella voce sorrise e si mise seduto. “Certo che puoi, cuginetta.”
La Castillo subito si fiondò in camera, chiudendosi la porta alle spalle. “Come stai?” Gli chiese, stringendolo in un forte abbraccio. “So quanto detesti stare chiuso in camera.”
Diego scrollò le spalle, invitandola a sedersi sul letto accanto a lui. “Ormai ci sto facendo l'abitudine, conosco ogni singola crepa di questa camera. Tu invece, che mi dici?” Proseguì, scrutandola attentamente e facendola accigliare. “Che vuoi dire?”
Galindo sospirò, passandosi nervosamente una mano nei capelli. “Ho parlato con Leon ieri sera,” buttò lì, con la convinzione che prima lo ammettesse e prima si sarebbe tolto quel peso.
Violetta sgranò gli occhi, il sorriso sparì dal suo volto. “Non mi va di parlarne,” mormorò alla fine, prendendo l'MP3 che lui aveva lasciato sul letto e iniziando a giocherellarci distrattamente. Diego, che la conosceva bene, sapeva che stesse solo tentando di mascherare il suo dolore. Stava male, il sorriso che ormai non raggiungeva più gli occhi e i suoi gesti nervosi lo confermavano. Le tolse allora l'aggeggio di mano e la strinse forte a se, facendole poggiare il capo contro il suo petto. “Shh,” sussurrò, quando lei fece per dire qualcosa. “Non c'è bisogno che tu mi dica nulla. So che lo hai lasciato e non ti nascondo, che me lo aspettavo.”
Violetta sollevò lo sguardo, confusa. “Come?”
“Mi hai detto che volevi chiudere con la vecchia vita e poi...bè, non avete fatto altro che litigare e...Leon continua a causare problemi e...,” spiegò Diego, facendo fatica a trovare le parole giuste, non sapendo quanto potesse spingersi, vista la situazione sicuramente delicata.
“Con lui non si può parlare!” Esplose finalmente la Castillo, seppellendosi tra le sue braccia. “è solo un egoista, un violento e un malato di mente! Avresti dovuto sentirlo, ha perso completamente la testa!” Un attimo dopo, stava piangendo disperata e lo stava colpendo con dei piccoli pugni. “Mi fa arrabbiare...vorrei...vorrei ucciderlo, ma...ma allo stesso tempo...Diego, perché non riesco a togliermelo dalla testa?” Singhiozzò, mentre lui le accarezzava la schiena e i capelli. “Vorrei odiarlo...tenerlo fuori dalla mia vita, ma il cuore non ne vuole sapere...lui continua a dipendere da Leon, io dipendo da Leon,” ammise ancora, mentre le lacrime continuavano a scorrere lungo le sue guance.
“è perché lo ami,” mormorò Diego, sospirando con amarezza. “Me lo hai sempre detto tu, non si può decidere chi amare, succede e basta.” Mentre diceva quelle parole, il giovane non sembrava molto convinto e Violetta non ne rimase sorpresa, suo cugino non aveva mai creduto nell'amore, addirittura pensava di non averne la predisposizione. “Diego,” provò, ma lui scosse la testa, prendendole il volto tra le mani. “Guardami, Vilu.” Quando lei lo fece, proseguì. “Tu lo ami e anche lui ama te, ma non sa dimostrarlo. Sai che è così,” si affrettò ad aggiungere quando la ragazza fece per dire qualcosa. “Leon è cresciuto convinto di seguire dei valori giusti, gli è stato insegnato in quel modo e non puoi pretendere di cambiarlo così all'improvviso. Anziché giudicarlo e aggredirlo, dovresti provare a parlargli con calma, spiegargli le tue ragioni e farti spiegare le sue. Nonostante i tanti sbagli, ti ha sempre amata con tutto se stesso...non hai idea dello stato in cui si trovava quando mi ha chiamato ieri. La distanza da te lo sta uccidendo.”
La Castillo lo ascoltò in silenzio per tutto il tempo, quelle parole si ripetevano più volte nella sua mente, destabilizzandola decisamente. Fino a un attimo prima, era convinta della decisione che aveva preso nonostante la facesse stare male, ora però non sapeva che pensare. Diego aveva ragione, Leon era cresciuto secondo le idee e le regole di Fernando Vargas convinto che fossero giuste, non si rendeva conto che ciò che faceva fosse sbagliato, anche perché chi glielo aveva insegnato era proprio suo padre, una delle persone a cui teneva di più. Come aveva potuto non fermarsi a riflettere su quel dettaglio? Se voleva che Leon capisse, glielo doveva spiegare con calma e non aggredirlo in quella maniera, era normale che inizialmente fosse scappato e poi avesse tentato di imporre il suo modo di fare. Quando aveva aggredito Thomas in quel vicolo, quando aveva affrontato lei in giardino, dimostrandosi apertamente geloso e insofferente, era l'unico modo di comportarsi che Leon conosceva, non gli era mai stato insegnato che ne esistessero altri. Come poteva quindi lei punirlo per qualcosa che la sua famiglia gli aveva insegnato fosse giusto? Lei che aveva sempre detto di amarlo al di sopra di tutto, ora lo stava ferendo nella maniera peggiore, pretendendo che lui capisse cosa doveva fare senza averlo mai fatto prima, che razza di persona era?
Istintivamente si gettò di nuovo tra le braccia di Diego, lasciandosi andare a un pianto liberatorio. “Hai ragione tu, sono una stupida...una grandissima stupida...” singhiozzò, disperata. “Gli ho persino detto che non è più in grado di rendermi felice...semmai è il contrario e...Oh Diego! Sono un mostro...l'ho ferito e...lui non se lo meritava...il solo pensiero che stia male, mi sta uccidendo...” Continuò a piangere sempre più forte, mentre Diego tentava di consolarla, sentendosi anche vagamente in colpa. Forse era stato troppo duro, avevano ragione gli altri quando dicevano che avesse poco tatto, ma che ci poteva fare se non se ne rendeva conto? Se solo non fosse stato tanto istintivo e si fosse fermato a pensare. Voleva aprire gli occhi a Violetta, ma non accusarla e farla sentire tanto in colpa, odiava vederla piangere. “Va tutto bene Vilu, tranquilla,” le sussurrò perciò all'orecchio, scostandole una ciocca di capelli dal volto umido. “Tu non hai colpa, è comprensibile se hai reagito così. Lui ha sbagliato quanto te,” aggiunse, sollevandole il mento così da costringerla a guardarlo negli occhi. “Non è tutto perduto, basta che vi chiarite, che vi dite ogni cosa. Nulla potrebbe davvero separarvi.” Le sorrise incoraggiante, cosa che poi anche Violetta si costrinse a fare oltre le lacrime. “Tu credi davvero che mi ascolterà?” Chiese la giovane, speranzosa.
Diego annuì. “Non lo credo, ne sono sicuro. Lui ti ama e ti ascolterà.”
“Oh Diego!” Esclamò lei, abbracciandolo di slancio. “Parlerò con lui. Grazie, grazie davvero.”
Si stavano ancora abbracciando, quando sentirono bussare alla porta. Un attimo dopo, entrò un allegro Pablo. “Ciao Violetta.”
“Ciao zio,” sorrise la ragazza, andandogli incontro e stampandogli un bacio sulla guancia.
“Tutto bene?” Chiese l'uomo, guardando anche il figlio, preoccupato. Non gli era sfuggito che la Castillo avesse gli occhi lucidi.
Diego si limitò a scrollare le spalle, lasciandosi andare a un lungo sbadiglio. “A meraviglia.” L'ironia nella sua voce era più che evidente e se Violetta rivolse un'occhiataccia al cugino, Pablo sospirò, andandosi a sedere sul letto accanto ai ragazzi e circondando le loro spalle con le braccia. “Devo andare a fare delle commissioni,” esordì, guardando Diego. “Ti va di venire con me? Così esci un po' da questa camera e...” Sembrava a disagio, quasi temesse la risposta del figlio. Non ce la faceva a vederlo così apatico, sapeva che stava male a stare chiuso in camera e per questo gli aveva fatto quella proposta, ma se l'avesse presa male?
Il giovane guardò il padre, sorpreso. Tutto si aspettava, ma non di certo quello. Cercò lo sguardo di Violetta, che gli sorrise incoraggiante, allora tornò a rivolgere la sua attenzione a Pablo, abbozzando un mezzo sorriso. “Si, mi va.”
A quelle parole, il volto di Pablo si illuminò. “Perfetto, vado a prendere la giacca. Vieni con noi, Vilu?” Prima di uscire dalla camera, si era rivolto alla ragazza, che annuì. Anche lei aveva bisogno di distrarsi e poi era sicura che insieme a Galindo, Angelica non avrebbe avuto nulla da ridire. Nel giro di pochi minuti, tutti e tre scesero in cucina, dove proprio la donna in compagnia di Angie, stava bevendo un tè.
“Porto Diego e Vilu con me,” esordì Pablo, baciando la guancia della moglie. Se Angie annuì, sorridendo dolcemente ai tre, Angelica s'irrigidì, facendosi di colpo seria. “In realtà Violetta ed io dovevamo andare a fare la spesa e...”
Diego e Violetta ruotarono gli occhi, cercando poi con lo sguardo l'aiuto di Angie e Pablo. Sapevano che la donna lo facesse in buona fede, ma a volte era fin troppo apprensiva.
“Ti accompagno io a fare la spesa,” propose Angie, strizzando l'occhio al figlio e alla nipote. “Lascia andare i ragazzi con Pablo, con lui saranno al sicuro.”
“Sai che ti puoi fidare di me, Angelica,” aggiunse Galindo, poggiandole una mano sulla spalla. La donna sbuffò, poi annuì, rassegnata. “Fate quello che volete.”
“Grazie nonna!” Esclamò Violetta, stringendola in un forte abbraccio. “Ti prometto che ci comporteremo bene.”
Così lo strano trio composto da Pablo, Diego e Violetta, andò in giro per la città a svolgere le numerose commissioni che l'uomo aveva da fare, intrattenendo un'allegra conversazione. Lontano dalle mura di casa, il giovane sembrava avesse ripreso a respirare, era spiritoso e pieno di vita come gli altri due non lo vedevano da parecchio.
“Vi va un gelato?” Propose Pablo alcune ore dopo, quando stancamente si sedettero su una panchina nel parco. “Tutto questo movimento mi ha fatto venire fame,” aggiunse, facendoli sghignazzare. “Conosco un posto dove fanno un gelato eccezionale,” disse Violetta, entusiasta, guidandoli verso una stradina piuttosto affollata. “Ci vado sempre dopo lo Studio. Per me è una sorta di ritrovo.”
Quando Pablo e Diego videro che il luogo in questione si chiamava proprio 'Restò Band', capirono perché la Castillo lo avesse definito un luogo di ritrovo, difatti lì ci lavorava Luca, il fratello di Francesca, anche se loro non ci avevano mai messo piede. Per Pablo quello era un luogo per giovani e poi immaginava che i suoi studenti si sarebbero sentiti in imbarazzo a vederlo lì, Diego invece non frequentava molto quel tipo di ambienti o persone, era di più il tipo da locali notturni, discoteche o la cara vecchia pista di motocross. In ogni caso, entrambi decisero di fare un'eccezione e seguirono Violetta all'interno del locale. Se Pablo e Violetta raggiunsero subito il bancone, dove li accolse un sorridente Luca, Diego restò indietro, guardandosi intorno alla ricerca di Francesca. Se suo fratello lavorava lì, c'erano buone possibilità che ci fosse anche lei da qualche parte. Dopo quel pomeriggio al cinema e il successivo sogno che aveva fatto di loro due, non l'aveva più vista e una parte di lui bramava il momento di incrociare di nuovo quegli occhi nocciola. Si rendeva conto di esserne non poco attratto e di averla pensata molto, ma non aveva dimenticato di avere un piano da portare avanti e perciò doveva scacciare tutte quelle strane sensazioni e pensare piuttosto ad agire. Fece per voltarsi, ma nel farlo si scontrò con una ragazza dai lunghi capelli corvini, che chissà come riuscì ad evitare di far cadere il bicchiere di frullato che aveva tra le mani. “Stai atten...” iniziò lei, ma si bloccò non appena mise a fuoco il volto di Diego. “Ah, sei tu,” balbettò, con un filo di imbarazzo. Il giovane sogghignò, squadrandola da capo a piedi. “Ciao bambolina, come stai?”
Francesca deglutì, sforzandosi di controllare il proprio nervosismo. La sola presenza di Diego, accompagnata da quello sguardo insistente e dai suoi modi di fare, la destabilizzavano e la facevano sentire una completa idiota. “Sto bene, grazie. Tu? Marco mi ha detto che stavi in punizione.” Come le era saltato in mente di mettere in mezzo quel discorso? Lei doveva evitarlo a tutti i costi, non fermarsi a parlarci. Diego dal canto suo, la scrutò, sorpreso. Francesca era nervosa, agitata, eppure era lì ad intrattenere una conversazione. Era interesse o semplice cortesia? “Infatti è così, sono venuto con mio padre e con Violetta,” spiegò, indicando i due, che stavano parlando animatamente con Luca accanto al bancone. La Cauviglia guardò nella direzione indicata da lui, sorridendo. “Non li avevo visti, devo andare a salutarli.” Fece per avviarsi, ma Diego le prese il polso, costringendola a voltarsi. “Aspetta.”
“Cosa c'è?” Chiese Francesca, confusa ma anche spaventata, specchiandosi negli occhi verdi e seri del ragazzo. Non era tanto sicura di voler sapere cosa avesse da dirle, lui la confondeva, la ammaliava e la cosa non le piaceva per niente. Il moro però non disse niente, limitandosi a fissarla. Era da alcuni giorni che non la vedeva e poi c'era stato quel sogno che aveva fatto e a cui non riusciva a smettere di pensare. Si sentiva attratto da lei, Francesca lo incuriosiva, c'erano ancora tante cose di lei che non sapeva, era sicuro che ci fossero e chissà perché, sentiva il bisogno di conoscerle. Fece per dire qualcosa, ma...
“Diego, tesoro!” Un'allegra Ludmilla Ferro, ancheggiò verso di loro, gettandosi letteralmente tra le braccia di uno sconvolto Galindo. “Non mi avevi detto che saresti venuto qui. Aspetto ancora la tua chiamata, Amoruccio.” Dopodiché poggiò le labbra sulle sue, gesto che colse di sorpresa Diego e fece irrigidire paurosamente Francesca. La Cauviglia infatti se ne stava lì immobile a fissarli, incapace di fare altro. La sensazione di fastidio che aveva provato al cinema alla vista dei loro baci, in quel momento sembrava essersi triplicata. Non le piaceva vederli insieme, non le piaceva per nulla. Diego stava per dirle qualcosa, se solo Ludmilla non si fosse messa in mezzo. Scosse la testa, incredula. Ma cosa andava pensando? Era un bene che fosse arrivata la Ferro, lei stava con Marco, non poteva pensare a Diego, non poteva lasciarsi affascinare da lui. Eppure i suoi occhi...sembrava volessero dirle qualcosa, in essi aveva letto una tale intensità e poi...quando le aveva afferrato il polso, aveva avvertito una sorta di corrente elettrica, un qualcosa che non riusciva a spiegarsi. Diego Galindo le faceva uno strano effetto e non era di certo un bene, doveva andarsene da lì e subito. Si costrinse a distogliere lo sguardo dai due, rendendosi conto che le bruciassero gli occhi e che il cuore le battesse così forte da farle male. Le gambe le tremavano, l'ossigeno sembrava mancarle e lo stomaco le si era stretto in una morsa. Senza sapere come, riuscì a voltarsi e a correre verso l'uscita del locale, facendo non poca fatica a trattenere le lacrime. Non poteva piangere per Diego e soprattutto non poteva farlo lì.
Nel frattempo, accanto al bancone, a pochi metri da Luca, Pablo e Violetta, Lara fissava a sua volta Diego e Ludmilla, che ora avevano smesso di baciarsi, con gli occhi lucidi. Sapeva che il maggiore dei Galindo fosse un playboy incallito e che mai l'avrebbe amata, però vederlo insieme a un'altra le provocava lo stesso un dolore atroce. Perché doveva rimorchiare proprio sul suo luogo di lavoro? Tra l'altro era anche il suo primo giorno, era ancora in prova e se si fosse rivelata un fallimento, Luca l'avrebbe cacciata. Perché doveva sempre andarle tutto male? Incapace di resistere oltre, mollò il vassoio e il taccuino sul bancone, poi corse verso il bagno, dove avrebbe potuto dare libero sfogo alle lacrime, dimenticando che ci fossero dei clienti da servire.
Diego, una volta riuscito a liberarsi di Ludmilla con la scusa di dover tornare dal padre, confuso si accorse che Francesca fosse sparita. Dov'era andata? “Accidenti!” Sbottò tra i denti. Tutta colpa della Ferro, ora la mora avrebbe pensato che stessero davvero insieme quando in realtà c'era solo andato a letto. Sbuffò, passandosi nervosamente una mano nei capelli. Se solo la bionda non fosse arrivata, se solo fosse riuscito a parlare. Chissà cosa pensava di lui la Cauviglia. Il pensiero che potesse essere disgustata da lui, non gli piaceva per niente. Ma era solo per via del suo piano di conquista, o c'era di più? E perché ora si poneva quella domanda?
Confuso, si affrettò a raggiungere Pablo e Violetta, rendendosi conto che la cugina lo fissasse in maniera strana, che avesse capito qualcosa?
Quasi lo avesse letto nel pensiero, la Castillo lo affiancò e sussurrò: “Che diavolo stai combinando? Continui a fare stragi di cuori?” Aggiunse, lasciandolo basito.
Diego fece per dire qualcosa, ma lei scosse la testa. “Lascia perdere e vedi di stare alla larga da Francesca.” Stizzita, lo mollò lì accanto al padre, che troppo occupato a parlare con Luca, nemmeno se ne accorse. Eppure era stata chiara con il cugino, Francesca era la sua migliore amica e la fidanzata di Marco, entrambi meritavano rispetto. Credeva che avesse capito, credeva che per lei avrebbe rinunciato a fare il cretino e invece continuava. Come poteva ferirla in quella maniera? Come poteva essere così crudele? E Francesca, lei cosa provava? Già in passato aveva avuto dei dubbi circa i suoi sentimenti verso Diego, ma ora credeva amasse Marco, perché allora sembrava essere rimasta tanto scossa dal bacio del ragazzo con Ludmilla? C'era qualcosa che non le avesse detto?
Il flusso dei suoi pensieri, si interruppe di colpo quando la porta del locale si aprì e Leon Vargas fece il suo ingresso. Alla sua vista, il cuore di Violetta perse un battito. Forse il destino le stava dando una possibilità, quella di poter finalmente parlare con lui. Avanzò di qualche passo, ma Leon, che a quanto pareva non l'aveva vista, si avviò verso un tavolo, dove c'era una ragazza dai lunghi capelli castani che sembrava impegnata a studiare su un grosso libro. Sconvolta, Violetta vide Vargas chinarsi verso la ragazza e darle un bacio a fior di labbra, per poi sedersi accanto a lei. Gli occhi iniziarono a pungerle e le sembrò di avvertire il cuore frantumarsi in tanti piccoli pezzi. Le gambe le tremavano, ogni cellula del suo corpo sembrava volesse spingerla a piangere e ad urlare. Ogni emozione o pensiero l'aveva abbandonata, facendola sentire come un guscio vuoto. I muscoli le si erano paralizzati di colpo, impedendole qualsiasi azione, che non fosse quella di fissare Leon e quella ragazza. Perché il ragazzo le stava facendo questo? Aveva scelto un luogo che lei di solito frequentava di proposito? Sapeva di meritarlo, dopotutto lo aveva trattato malissimo, rifiutandolo fino all'inverosimile, ma non poteva fare a meno di starci male. Lei lo amava con tutta se stessa, non aveva mai smesso di farlo e vederlo con un'altra la uccideva. Come aveva potuto essere così stupida?
“Violetta.” Diego le poggiò una mano sulla spalla e senza pensarci troppo, la ragazza si gettò tra le sue braccia, piangendo silenziosamente. Galindo rivolse un'occhiata incredula verso Leon e la ragazza, che sembrava somigliare vagamente a sua cugina, poi condusse quest'ultima fuori al locale, dove li attendeva un preoccupato Pablo.
L'uomo fece per chiedere qualcosa, ma il figlio gli fece gesto di tacere, allora lui si limitò a condurli verso casa, con il pensiero che poi avrebbe sicuramente preso da parte Diego e gli avrebbe chiesto spiegazioni, non poteva di certo lasciar correre, soprattutto dopo aver visto sua nipote ridotta in quello stato. Doveva per forza essere successo qualcosa e anche di abbastanza serio. Accidenti a lui e a quando aveva deciso di portare i due in giro. Se sua moglie e sua suocera lo avessero ucciso, non avrebbe potuto dare loro torto.




“Tutti seduti e in silenzio, forza!” Gregorio Casal, professore di matematica, era un uomo distinto e alquanto particolare. Chiunque frequentasse il famoso liceo di Buenos Aires, conosceva la fama dell'uomo, un autentico genio con quell'aura di follia tipica di tutte le menti brillanti. Durante una sua lezione si poteva restare affascinati dal suo modo di esporre un argomento, difatti era impossibile che qualcuno non prestasse attenzione e non provasse ammirazione per lui, tuttavia, egli era anche un uomo rigido, poco indulgente, severo, selettivo e dall'animo volubile. Un attimo prima ci si poteva trovare nella sua lista preferenziale e godere dei maggiori privilegi, ma quello dopo il proprio nome poteva crollare in quella nera e allora si, che la convivenza con l'uomo poteva rivelarsi un autentico inferno. Lo sapevano benissimo i suoi colleghi, che tentavano di averci a che fare il meno possibile e gli studenti, che quando avevano la sfortuna di averlo come insegnante, assumevano tutti i tipici comportamenti di un'accademia militare. Parlavano lo stretto necessario e solo se interpellati, studio intenso ogni giorno ed educazione, tutto pur di non dare a Casal alcun motivo per odiarli. Gli unici studenti che sin dalla prima volta che avevano messo piede in quella scuola si trovavano nella lista nera dell'uomo e non avevano mai fatto nulla per uscirci, erano Leon Vargas e Diego Galindo, che al contrario avevano fatto di tutto per sfidare la sua pazienza. Tanti erano stati i litigi di Gregorio con i due ragazzi e con i loro genitori, in particolare con Pablo e Angie, con cui non aveva mai avuto un buon rapporto e non faceva nulla per nascondere la sua antipatia. Una delle caratteristiche principali dell'uomo infatti, era che fosse molto diretto, manifestava apertamente le proprie simpatie e si potevano contare sulle dita di una mano. Essendo il professore di matematica, spettava a lui organizzare le olimpiadi di matematica, ossia un torneo che ogni anno si svolgeva tra le principali scuole della capitale argentina. Gregorio era molto orgoglioso della sua squadra, che appunto comprendeva i suoi studenti prediletti, gli unici cinque che avevano un posto fisso nella sua classifica di gradimento. Quando però il preside della sua scuola gli aveva annunciato che non avesse un'aula a disposizione per il torneo, furioso aveva dovuto arrangiarsi da solo, finché uno dei suoi studenti, ossia Marco Galindo, non gli aveva proposto di usare la sala teatro dello Studio, l'accademia dove suo padre lavorava. All'inizio Gregorio si era rifiutato, Pablo non gli stava molto simpatico, ma poi non vedendo alternative, non aveva potuto fare altro che acconsentire, anche se a malincuore. Il solo pensiero di dover essere in debito con qualcuno, lo mandava in bestia, lui non aveva bisogno di nessuno.
Entrando nella famosa sala teatro, che era stata allestita per la prima riunione dell'anno per quanto riguardava le olimpiadi, lo sguardo dell'uomo si posò sulla sua squadra, che se ne stava seduta composta in prima fila. Marco Galindo, Thomas Heredia, Maximiliano Ponte, Ana Taylor e Libi Sanchez erano in assoluto i migliori studenti di matematica che Gregorio avesse mai avuto negli ultimi dieci anni, gli unici che meritassero la sua considerazione, gli altri erano solo scarti. E dire che il cognome di Marco lo aveva quasi portato ad escluderlo, ma poi il ragazzo si era rivelato una pedina fondamentale per la sua squadra, portandolo a vincere le olimpiadi per due anni di seguito e perciò non aveva potuto più ignorarlo. Per quanto fosse figlio di due persone che detestasse, il giovane si distingueva dai suoi genitori, non era arrogante e presuntuoso come loro o come il fratello maggiore, che Casal detestava al pari di Pablo e Angie, lui sapeva comportarsi, sapeva stare al suo posto e questa era una cosa che apprezzava molto.
Gregorio raggiunge la grande scrivania in legno di ciliegio, che aveva fatto intagliare e trasportale fin lì personalmente e a cui non permetteva di avvicinarsi a nessuno che non fosse lui, per poi sedersi e rivolgersi ai cinque. “Buon pomeriggio, ragazzi,” esordì, scrutandoli uno ad uno.
“Buon pomeriggio, professor Casal,” risposero in coro.
“Come sapete,” riprese l'uomo, sfogliando un fascicolo pieno di documenti. “In questa prima riunione conoscerete le squadre con cui dovrete sfidarvi e provengono tutti da buonissime scuole. In conclusione, la gara sarà parecchio ostica rispetto all'anno scorso.” Sotto lo sguardo per niente preoccupato dei cinque ragazzi, che con Casal erano abituati alle peggiori pressioni, il professore invitò ad entrare diversi gruppi di ragazzi con relativo insegnante che li accompagnava. Ognuno di loro poté presentarsi, così che gli studenti che giocavano in casa, si potessero fare un'idea precisa. In particolare fu la squadra proveniente da un piccolo quartiere ad attirare il loro interesse. A prima vista sembravano dei ragazzi semplici, non di certo i tipi che eccellevano in una materia così complessa come la matematica, eppure Federico Bianchi, le sorelle Natalia e Helena Alvarez, Andres Calipxo ed Emma Rodriguez, si rivelarono subito degli avversari parecchio competitivi, rispondendo correttamente a tutti i quesiti a cui Casal li sottopose. Se le altre squadre infatti, caddero nei tranelli del perfido insegnante, loro non si lasciarono intimidire, mantenendo una sicurezza e una freddezza invidiabili. Seppur stizzito, Gregorio dovette arrendersi e insieme agli altri professori lasciò la sala per un caffè, così che i ragazzi potessero fare conoscenza.
“Questa scuola ha parecchi lussi, non c'è che dire,” commentò Federico con voce strascicata, che lasciava intravedere un certo accento italiano, mentre scrutava l'aula con cipiglio critico. “Qui i soldi non mancano.” I suoi compagni non aprirono bocca, ma a loro volta ammiravano il tutto con meraviglia. La scuola del loro quartiere infatti, non reggeva di certo il confronto, i fondi erano sempre pochissimi e proprio per questo avevano deciso di partecipare alle olimpiadi. La vincita era in denaro e ne avevano assolutamente bisogno per ricostruire il tetto della palestra e per aggiustare il sistema di riscaldamento. Fortuna che Buenos Aires non fosse una città particolarmente fredda, ma soprattutto nei piani bassi, d'inverno il gelo si avvertiva in ogni caso e non potevano continuare in quella situazione.
La squadra di Casal, ignorò a sua volta il commento di Federico, parlottando tra di loro, cosa che lo fece indispettire. Aveva sempre detestato l'arroganza dei quartieri alti, solo perché erano ricchi si credevano superiori, ma in realtà era solo spocchiosi e vuoti di qualsiasi cosa che non fosse il loro ego. Certo, Federico Bianchi non si poteva considerare un ragazzo modesto, era ambizioso, critico, selettivo e alquanto pretenzioso, ma aveva un motivo più che valido per esserlo. Era nato e cresciuto in un orfanotrofio, aveva dovuto imparare a cavarsela da solo senza poter contare su nessuno e quando all'età di sette anni era stato adottato da una famiglia argentina, aveva conosciuto un amore intenso e devastante, ma anche la profonda povertà. Suo padre aveva di punto in bianco perso il lavoro e i soldi per mantenere lui e i suoi due fratelli minori, sembravano non bastare mai. Federico si era rifugiato nello studio, scoprendo una certa predisposizione per la matematica, che apprendeva in maniera così rapida da sorprendere i suoi insegnanti, che gli offrirono allora una borsa di studio per continuare a studiare. Senza di essa, non sarebbe diventato un autentico piccolo genio e probabilmente si sarebbe ritrovato a lavorare in fabbrica dodici ore al giorno insieme al suo povero padre. Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto vincere quel torneo, così da poter usare la sua parte di vincita per aiutare la sua famiglia. A volte si sentiva quasi in colpa che lui avesse potuto studiare e i suoi fratelli no, così come stava male alla vista di suo padre sempre più stanco e debilitato. Perché quei ragazzi potevano vivere una vita perfetta e poi c'erano altri come la sua famiglia, che a malapena potevano mangiare? Il mondo era ingiusto, terribilmente ingiusto. Guardò quei ragazzi con ostilità e loro, stupiti da quell'antipatia gratuita, lo ignorarono bellamente, presentandosi però agli altri studenti con un certo entusiasmo. In particolare, Lena subito si avvicinò a Marco, con cui iniziò una fitta conversazione. Sin dall'inizio infatti, il ragazzo l'aveva incuriosita e voleva capire se fosse interessante come credeva. “Quindi hai già vinto il torneo in passato?” Gli chiese, sedendosi accanto a lui e scrutandolo attentamente.
“Si,” confermò il giovane Galindo, abbozzando un timido sorriso. “La mia scuola ha vinto diverse volte ed è stata un'emozione unica.” Marco continuò a raccontarle delle passate vittorie del torneo, delle emozioni che aveva provato e Lena lo ascoltava, rapita. Una luce brillava negli occhi del ragazzo, una luce che l'attirava come una calamita. Mai si era sentita così in presenza di un ragazzo. Che fosse quello giusto? Lei onestamente ci sperava e avrebbe fatto di tutto affinché ciò si avverasse. Nessuno era più determinata di Lena Alvarez e presto lo avrebbe dimostrato.






La svolta che avevo promesso è iniziata, anche se può non sembrare. Il discorso di Diego è fondamentale per Vilu, che si rende conto non solo di essere stata un po' troppo dura con Leon, ma anche di non poter stare senza di lui awwwwww :3 tra l'altro i due cuginetti sono tanto dolci *____* Grande Pablito che porta figlio e nipote in giro e ci libera un po' di Angelica, anche se vista la brutta sorpresa di Leon, forse era meglio di no -.- ora ci saranno tante imprecazioni per lui, da me per prima, Vilu non merita di soffrire così tanto :( Nel frattempo Diego non può negare di pensare fin troppo spesso a Fran ed entrambi devono confrontarsi con le sensazioni che suscita la presenza dell'altro :3 Se Leon ci fa piangere Vilu, Diego fa lo stesso con Fran e Lara, ferite dal bacio con Ludmilla e solo Pablo sembra non aver capito niente XD piangono tutti qui, insomma :(
Ma c'è anche una sorpresa! Mi avete spesso chiesto di lui ed eccolo qui, Federico! :3 un personaggio un po' particolare, sfortunato ma con un grande carattere e poi c'è anche una spasimante per Marco, Lena :P
Ho scritto un poema, mi sa. Vabbè, fa niente XD spero di non avervi annoiato e che questo capitolo vi sia piaciuto :3
Baci <3


 

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Capitolo 14
*** Everytime we touch ***






“Accidenti!” Sbottò Francesca, sistemandosi la borsa sulla spalla e affrettando il passo. Era in ritardo, un ritardo spaventoso e tutto questo perché la sera prima aveva dimenticato di mettere la sveglia. Cosa le stava accedendo? Normalmente lei non era un tipo distratto, probabilmente era la persona più organizzata del mondo, cosa che nelle ultime settimane non riusciva ad essere più. Si isolava in un mondo tutto suo, ascoltava musica deprimente, piangeva, che stesse cadendo in depressione? Francesca non ci stava capendo più nulla, sapeva solo che fosse tutta colpa di Diego Galindo, che si era insinuato nella sua mente e come una pianta rampicante, più tentava di scacciarlo e più si diramava. Quando poi lui e Ludmilla si erano baciati al Restò Band, il suo equilibrio mentale aveva iniziato a scricchiolare ancora di più. Quel giorno aveva pianto come una fontana, ultimamente non faceva altro e per questo si odiava. Non voleva soffrire a causa di quel maledetto ragazzo, non voleva più provare qualcosa per lui. Aveva impiegato tanto tempo per dimenticarlo, grazie soprattutto agli amici e all'amore di Marco, non poteva caderci di nuovo, non poteva essere così stupida.
“Lasciami in pace!” Sbottò esasperata, assestando un calcio contro il terreno del parco, che doveva attraversare per raggiungere lo Studio. “Ti detesto, non hai idea quanto!” Fortuna che non ci fosse nessuno nelle vicinanze, altrimenti l'avrebbero scambiata per una pazza.
Attraversò i pochi metri che la separavano dal cancello dello Studio, rendendosi conto che il cortile fosse deserto...mai era stata così in ritardo. Una volta aver varcato l'ingresso, percorse il lungo corridoio quasi di corsa, rischiando seriamente di inciampare, ma non poteva fare altrimenti, non voleva affrontare la furia di Jackie. Sempre correndo, svoltò a sinistra e troppo tardi si rese conto che qualcun altro facesse il percorso opposto. Il risultato fu che i due si scontrarono duramente e lei perse l'equilibrio. Istintivamente afferrò la t-shirt del ragazzo, che colto di sorpresa, le cadde addosso.
Francesca tenne gli occhi chiusi tutto il tempo dell'impatto e quando li aprì, si rese conto di avvertire un forte dolore al fondo schiena e di sentirsi gravata di un grosso peso. Un lieve battito di ciglia, le fece mettere a fuoco il volto del ragazzo con cui si era scontrata, a pochi centimetri dal suo e avvampò paurosamente, mentre il cuore le batteva impazzito. “D..Diego?” Balbettò, facendo fatica persino a respirare. Mai si era ritrovata in una situazione simile, poteva sentire perfettamente la consistenza del corpo muscoloso del ragazzo contro il suo, il suo calore e poi il suo respiro sul collo.
Il giovane dal canto suo, la fissava, stupito. Era uscito dall'aula per andare in bagno e nemmeno aveva visto quel piccolo uragano venirgli addosso. Aveva tentato di restare in piedi, ma poi Francesca si era aggrappata a lui e lo aveva sbilanciato, portandoli in quella posizione alquanto particolare, che non aveva assolutamente nulla di innocente. Quasi senza rendersene conto, si ritrovò a fissarle il volto. Da un po' pensava che fosse carina, ma avendola così vicina, sentendo quel piccolo corpo sotto il suo, come spesso lo aveva immaginato nelle sue fantasie più oscure, dovette riconoscere che lei fosse molto di più. Ogni singolo muscolo del suo corpo era teso, desideroso di restare in quella posizione e magari anche di approfondirla e poi c'erano le sue labbra...quelle labbra così vogliose e tentatrici, che sembravano chiedergli di assaggiarle. Fu quasi tentato di farlo, ma poi ritrovò un po' di lucidità e si affrettò ad alzarsi, porgendole la mano affinché potesse fare lo stesso. “Stai bene?” Le chiese, scrutandola attentamente. Francesca sbatté le palpebre, poi senza pensarci troppo, strinse la sua mano, lasciandosi tirare su. Appena le mani combaciarono, entrambi avvertirono una sorta di scossa elettrica propagarsi lungo tutto il braccio e se la ragazza non se ne sorprese, dato che si stava confrontando da fin troppo tempo con le sensazioni che lui le provocava, Diego sussultò, colto decisamente in contropiede. Non era abituato a una cosa simile, non sapeva cosa fosse, non capiva cosa gli stesse accadendo. L'istinto gli suggeriva di non lasciarle la mano e così fece, stringendola al contrario più forte. L'odore dei suoi capelli, che quando l'aveva aiutata ad alzarsi gli aveva invaso le narici, lo aveva inspirato a pieni polmoni. Gli piaceva quel profumo, gli piaceva il calore che gli trasmetteva la sua piccola mano e soprattutto, gli piaceva avere la ragazza così vicina. “Scusami, non guardavo dove andavo,” le disse, grattandosi nervosamente il collo con la mano libera.
Francesca sorrise, imbarazzata. “Se è per questo, nemmeno io. Sono in ritardo e mi sono messa a correre. Sono maldestra.”
Diego abbozzò un sorriso. “Sembra che tu ed io siamo destinati ad incontrarci così.” Il riferimento a quel giorno al Restò Band era piuttosto evidente e lei non potè fare altro che annuire. Anche quella volta si erano scontrati, ma almeno non erano caduti. Lanciò un'occhiata alle loro mani, ancora strette l'una all'altra e arrossì. Sapeva che avrebbe dovuto sottrarsi e scappare via, ma non ci riusciva. Se il cervello tentava di scuoterla infatti, il cuore batteva come impazzito e la spingeva a godersi quel momento, a chi doveva dare ascolto? Se poi Diego la guardava e le sorrideva in quel modo, si sentiva ancora più confusa e destabilizzata.
“Mi piace il tuo sorriso,” sussurrò il ragazzo all'improvviso, facendola arrossire ancora di più. Quello sguardo penetrante la percorreva da capo a piedi, indugiando sul suo volto, che prese a sfiorare con la punta delle dita. Francesca rabbrividì a quel tocco, ma non si sottrasse. Lasciò che Diego le accarezzasse la guancia, lasciò che i loro sguardi si specchiassero, lasciò che i loro cuori battessero allo stesso frenetico ritmo. “Mi piace anche quando arrossisci,” aggiunse lui, avvicinando le labbra al suo orecchio. La mora non disse nulla, completamente rapita dalla sua voce e da quel respiro che le solleticava il collo. Il cervello aveva ormai smesso di funzionare, riusciva a pensare solo a Diego e al desiderio che quel momento non finisse mai. Non si trattava di un sogno, quella volta era reale.
Il giovane accorciò ancora le distanze, avvertendo nuovamente il delicato profumo dei suoi capelli, un profumo che lo inebriò e che gli fece desiderare di poggiare le labbra su quel collo candido. Chissà che sapore aveva la sua pelle, chissà se era morbida e profumata come credeva. Chissà com'era baciare quelle labbra, chissà se avrebbe provato le stesse sensazioni del sogno o se sarebbe stato tutto più intenso. Continuò a sfiorarle la guancia e lentamente avvicinò il volto al suo. Gli occhi nocciola di Francesca era così sinceri, così puri, così innocenti, non c'era lussuria, ma nemmeno disgusto o paura...vedeva sorpresa, confusione e poi...e poi c'era anche qualcos'altro, ma non riusciva a decifrarlo. “Diego,” sussurrò la ragazza, facendolo sussultare. Gli sorrideva e il suo tono di voce sembrava così dolce, così...nemmeno lui sapeva come fosse, ma di una cosa era sicuro, più di qualsiasi cosa voleva baciarla e far combaciare ancora i loro corpi. Le circondò allora la vita con un braccio e l'attirò a se. La sua mano destra ancora stretta a quella della ragazza, i loro respiri che si fondevano, i loro volti distanti solo di pochi centimetri. Francesca deglutì. Ormai erano vicinissimi e l'unica cosa che riusciva a vedere erano gli occhi di Diego, animati da uno strano guizzo che sembrava vagamente desiderio. Possibile che...? il ragazzo fece sfiorare i loro nasi e allora lei capì...stava per succedere. Esattamente come nel sogno, lui era a un passo dal baciarla. Allora lo aveva assecondato, ma ora? Per quanto lo desiderasse non poteva, non poteva fare a Marco una cosa così orribile solo perché attratta da quel bastardo di suo fratello. Quello che sentiva per Diego era una forte e intensa attrazione, ma appunto solo un'attrazione e assecondarla sarebbe stato un autogol clamoroso. Marco non meritava di soffrire a causa dei giochi crudeli di Diego, perché alla fin fine era di quello che si trattava, di un gioco. Per lui era solo una delle tante prede con cui giocare, non aveva rispetto, voleva solo divertirsi, era sempre stato così. Facendo uso di tutta la forza di volontà che aveva, lo spinse lontano e solo allora le sembrò di tornare a respirare.
Diego, che già pregustava quel bacio, restò decisamente spiazzato. “Perché?” Le chiese, corrugando le sopracciglia, confuso.
Francesca rise, incredula. “Secondo te, perché? Quello che volevi fare è sbagliato e lo sai,” mormorò, portandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio e facendo fatica a sostenere il suo sguardo. Lui sospirò, appoggiandosi con la schiena contro il davanzale della finestra poco distante, prendendosi poi il volto tra le mani. Davvero stava per baciare la ragazza di suo fratello? Dentro di lui nutriva così tanto odio da fargli una cosa così orribile? Scosse la testa, stupito da se stesso. Non era mai stato uno stinco di santo, ma in quel momento si rendeva conto che rubare la ragazza a Marco fosse un gesto vile persino per lui. Era per vendetta che voleva baciarla, giusto? Sollevò lo sguardo, incrociando quello profondamente turbato di Francesca. Anche in quel momento era incredibilmente bella, tutto di lei lo attraeva. Pensava si trattasse di una cosa fisica, difatti aveva fantasticato parecchio su di lei in quell'ambito, ma c'era anche dell'altro. Voleva stringerle ancora la mano, sentire la sua voce, inebriarsi con il suo profumo. Cosa gli stava accadendo? Diego Galindo non faceva quei pensieri, non li aveva mai fatti. “Devo andare,” sbottò alla fine, scostandosi dal davanzale e incamminandosi nella direzione opposta a dove si trovava la ragazza.
“Diego,” sussurrò Francesca, fissandolo seria. Lui le rivolse una mezza occhiata e annuì. “Hai ragione, non avrei dovuto.” Dopodiché se ne andò, mollandola lì, troppo sconvolta per fare un solo passo. Le sembrava così assurdo che Diego volesse baciarla e ancora di più, che si sentisse delusa dal fatto che lui non avesse insistito. Una parte di lei avrebbe voluto quel bacio e il fatto che Diego avesse accettato il suo rifiuto con tanta facilità, le aveva provocato uno strano senso di insoddisfazione, un qualcosa che la faceva vergognare di se stessa. Doveva smetterla, doveva togliersi quel maledetto ragazzo dalla testa. Lui stava solo giocando, Marco invece l'amava davvero e non meritava di soffrire, non lo meritava e basta. Con quella convinzione, si avviò verso l'aula di musica, ormai la lezione di danza doveva essere finita ed era inutile recarsi lì. Per quanto si costrinse però, per tutto il giorno non fece altro che pensare a quello scontro con il maggiore dei Galindo e a ciò che aveva suscitato in lei.




“Vilu, vieni con noi?”
Violetta, Francesca e Camilla avevano appena terminato una lunga faticosa mattinata di prove allo Studio e se la Torres non desiderava altro che andare al Restò Band per mettere qualcosa sotto i denti, la Cauviglia l'assecondava, anche se sembrava avere la testa da un'altra parte e la Castillo continuava a guardarsi nervosamente intorno, prestando poca attenzione a ciò che dicevano le sue amiche. In ogni caso, quando Camilla la prese per le spalle e la scosse, dovette per forza prestarle un minimo di interesse. “Camilla.”
La rossa ruotò gli occhi, esasperata. “Finalmente ci degni di un po' di considerazione, sono commossa,” aggiunse con una traccia di ironia, che fece ridacchiare sia lei che Francesca. “Dai Cami, Vilu sarà stanca dopo tutte le prove che abbiamo fatto,” la difese la mora, ottenendo in risposta un sorriso di riconoscenza. “Io per esempio vorrei solo mettermi a letto e dormire per giorni e...” Improvvisamente si zittì di colpo e si fece rossa come un pomodoro. “Andiamo al Restò Band?” Afferrò le mani delle confuse amiche, tentando di trascinarsele dietro, ma loro opposero resistenza. Mai l'avevano vista così nervosa e agitata. Se Camilla tentò di calmarla, Violetta si voltò, convinta che Francesca dovesse aver visto qualcuno di poco gradito e infatti, accanto all'ingresso dell'accademia c'erano Diego e Leon che parlavano fitto fitto. La Cauviglia non voleva che lei si dovesse confrontare con Vargas al di fuori delle lezioni, oppure era lei stessa che voleva evitare Diego? Era da un po' che sospettava che suo cugino e la sua amica le nascondessero qualcosa e non aspettava altro che il momento adatto per affrontarli. Per quanto riguardava Leon, nemmeno lei sapeva cosa volesse fare. Da una parte ciò che aveva visto al Restò Band le faceva pensare che tra di loro fosse finita, che lui stesse con un'altra, ma dall'altra non riusciva a farsene una ragione. Come aveva detto Diego, lo sbaglio era stato da entrambe le parti, lei aveva preteso di cambiarlo e Leon, frustrato, si era ostinato a mostrarle il peggio di se. Ora però Violetta aveva capito il suo sbaglio, aveva capito che lo amava troppo per mandare tutto in frantumi, ma se fosse stato troppo tardi?
“Violetta,” la richiamò Francesca, che aveva quasi raggiunto il cancello insieme a una sempre più confusa Camilla, che proprio non riusciva a capire perché la mora avesse tutta quella fretta. “Andiamo?”
La Castillo scosse la testa. “Avviatevi voi, vi raggiungo tra poco.” Prima che una delle due potesse ribattere, si era già incamminata verso il cugino e Leon, che continuavano a parlottare. Non sapeva nemmeno lei perché li stesse raggiungendo, si stava facendo guidare solo dal cuore. A metà strada però, una ragazza mora la sorpassò, avvicinandosi subito a Leon, che l'abbracciò. Violetta si bloccò al centro del cortile a fissarli parlare e sorridersi in maniera fin troppo confidenziale. Ancora quella ragazza, possibile che stessero davvero insieme? Diego, a pochi passi dai due, si stava chiaramente chiedendo la stessa cosa. Non voleva che sua cugina soffrisse a causa dell'idiozia di Leon, odiava vederla piangere.
In ogni caso, Vargas e la ragazza parlarono ancora per un po', poi lei se ne andò, salutandolo con un bacio sulla guancia. Sia Violetta che Diego la seguirono con lo sguardo e una volta che fu sparita dalla loro visuale, la Castillo si affrettò a raggiungere i due, decisamente con i nervi a fior di pelle. Era pronta a scommettere che fosse stato Leon a dire a quella mora di venire lì, voleva che lei li vedesse insieme, era tipico suo un gesto simile. Il primo a notarla fu proprio il cugino, che poi diede una gomitata a Leon, che si fece di colpo serio.
“Diego,” iniziò Violetta, guardando il moro. “Puoi lasciarci da soli?” Lui annuì e si allontanò, mentre Vargas sogghignò. “Se mi vuoi ripetere di nuovo le stesse cose, sappi che...”
“Stai zitto!” Sbottò lei, lasciandolo basito. “A che gioco stai giocando, si può sapere?” Aggiunse, stizzita. Leon incrociò le braccia al petto, divertito. “Non so di che parli.”
Ciò la innervosì ancora di più. Lo conosceva troppo bene, il modo in cui la scrutava, quel sorrisetto...si stava prendendo gioco di lei. “Sei un bastardo, ecco cosa sei!” Esclamò, puntandogli l'indice contro e ottenendo l'effetto di farlo scoppiare a ridere. “Questo per me è un complimento,” mormorò, avvicinandosi a lei di un passo. “E poi sai che vederti furiosa è una cosa che odoro,” proseguì, a un soffio dal suo volto.
Violetta lo spinse lontano da se, inviperita. “Sei sempre stato stronzo, ma ora ti sei superato. Che volevi ottenere facendo venire la tua fidanzatina qui, eh?”
Un lampo attraversò lo sguardo di Leon, che non poté fare a meno di sorridere. “Sento puzza di una signorina gelosa,” sussurrò, avvicinandosi nuovamente a lei e alitandole sul collo. “Mmm...questa puzza mi intriga molto.” Le circondò la vita con un braccio, mentre l'altro lo piegò così da poterle accarezzare una guancia. “Ammettilo Vilu, non c'è niente di male. Lo so che mi ami da impazzire.” Sorrideva, ma i suoi occhi lo tradivano, in essi c'era un lampo di emozione che nemmeno con le più crudeli delle prese in giro avrebbe potuto mascherare, soprattutto a lei che lo conosceva meglio di chiunque altro. Violetta gli poggiò le mani sugli avambracci, specchiandosi nel suo sguardo, quello che l'aveva sempre fatta sentire protetta e amata e sospirò. “Tu e quella ragazza state davvero insieme o ti stai vendicando?” Si azzardò a chiedergli, ora più insicura. Leon scrollò le spalle, facendosi di colpo serio. “Cosa ti piacerebbe che ti rispondessi? Vuoi che ti dica che ti ho dimenticata, o che non riesco a fare a meno di desiderarti?” Soffiò contro il suo volto, lo sguardo acceso da una nuova luce, riflesso nel suo. La ragazza rabbrividì a quelle parole e a quel tono così ardente, per non parlare del suo sguardo, sembrava quasi che le leggesse l'anima. “Leon,” deglutì, incapace di aggiungere altro. La lingua le si era come incollata al palato, impedendole qualsiasi frase di senso compiuto e così si limitava a fissarlo. Il giovane Vargas dal canto suo, alternava lo sguardo da lei ai pochi studenti rimasti in cortile. Loro due dovevano parlare, ma non potevano farlo lì, con il rischio di essere ascoltati o di essere interrotti da Pablo e Angie, che presto sarebbero sicuramente usciti. Proprio per questo, la prese per mano e le fece gesto di seguirlo nel cortile sul retro dello Studio, che a quell'ora sarebbe stato sicuramente deserto. Il fatto che lei avesse acconsentito, gli fece capire che probabilmente a sua volta voleva parlargli e quello era sicuramente un buon segno.
Violetta si sedette sul muretto, mentre Leon restò in piedi di fronte a lei. “Ti dà fastidio vedermi con una ragazza, però tu puoi frequentare Heredia, giusto?” Esordì il ragazzo, scrutandola con un sopracciglio inarcato. “Non ti sembra un po' egoista da parte tua?”
La ragazza ruotò gli occhi, esasperata. “Ancora con questa storia? Io e Thomas non stiamo insieme, siamo solo amici. Mi hai mai vista baciarlo?” Aggiunse stizzita, ma lui non la stava più ascoltando, quell'ultima frase si ripeteva nella sua mente più e più volte. “Mi hai visto baciare Elena?” Le chiese all'improvviso, sorpreso. “Oggi non l'ho baciata e...”
“Vi ho visti al Restò Band,” spiegò lei, guardandosi le scarpe a disagio. Ora lui avrebbe avuto la conferma che fosse gelosa e avrebbe goduto come una pasqua. Difatti, dopo un attimo di stupore, il ragazzo ostentò un sorrisetto arrogante. “La cosa quindi non ti è piaciuta?”
“A te è piaciuto vedermi con Thomas?” Ribatté Violetta, scendendo dal muretto e fronteggiandolo. “Ogni tua reazione di gelosia è giustificata, mentre le mie no? È questo che vuoi farmi capire?” Leon sorrise. “Quindi lo ammetti, sei gelosa,” la provocò, arricciandosi una ciocca dei suoi capelli intorno all'indice.
“E tu? Tu ammetti di essere geloso?” Chiese lei, sfidandolo con lo sguardo. “Vilu, Vilu, Vilu,” mormorò il ragazzo, continuando a sorridere e accostando il volto al suo. “Io non ho mai negato di essere geloso. Tu sei mia, solo mia.” Le circondò la vita con un braccio, attirandola ancora di più a se, il sorriso improvvisamente si dissolse dal suo volto. “Dimmi che non ti ha toccata, dimmelo,” sibilò al suo orecchio, facendola rabbrividire. Il solo pensiero che Thomas avesse potuto avere Violetta, lo faceva impazzire. La ragazza, che con una semplice occhiata aveva capito i suoi timori, scosse la testa. “Non c'è mai stato nemmeno un bacio. Te l'ho detto, io e Thomas siamo amici, nient altro.”
Quelle parole fecero nascere un grande sorriso di sollievo sul volto di Leon, che la strinse così forte da soffocarla. “Mia. Mia. Mia,” mormorò contro i suoi capelli, quasi fosse una cantilena.
“Leon, mi fai male.” Violetta tentò di liberarsi da quella stretta, che rischiava davvero di romperle una costola, ma lui impiegò diversi secondi per rendersene conto e lasciarla. Lei allora si massaggiò la schiena, facendo una smorfia di dolore. “Hai fatto palestra per caso? Sei diventato ancora più imponente.” Indugiò per alcuni istanti sul fisico del ragazzo, decisamente più muscoloso di quanto ricordasse, senza però essere eccessivo e ne restò colpita. Lui se ne rese conto e sogghignò. “Hai visto, Amore, sono diventato ancora di più uno schianto.” Le sfiorò una guancia con una leggera carezza e lei lo lasciò fare, anche perché la sua mente si era fermata ad analizzare le precedenti parole di Leon. Quel forte senso di possesso nei suoi confronti un tempo la lusingava tantissimo, poi aveva iniziato ad odiarlo, in quanto convinta di essere per lui solo un oggetto, ora però non sapeva che pensare. Tra l'altro l'aveva anche chiamata 'Amore', quindi non stava davvero con quella ragazza. “Leon.” Lo prese per le spalle, invitandolo a guardarla negli occhi. “Quella ragazza...tu e lei...cosa c'è tra di voi?”
Lui sorrise, tornando ad accarezzarle il volto. “Assolutamente niente, ci siamo conosciuti per caso.” Le raccontò poi delle serata sua e di Elena in quel locale e dell'accordo che avevano fatto. “Il suo ragazzo la tradiva e dato che lei non trovava la forza di affrontarlo, l'ho fatto io. Sai quanto il mio solo nome incuta timore,” aggiunse, divertito. “In ogni caso gli ho dato una lezione che si ricorderà per molto. Elena è venuta per ringraziarmi.”
Violetta annuì, anche se non era convinta al cento per cento, c'era ancora un pensiero che la tormentava. “Ci sei andato a letto?” Si azzardò a chiedergli, anche se non era tanto sicura di voler conoscere la risposta. E se le avesse detto di si, lei cosa avrebbe fatto?
Leon sbiancò paurosamente, colto decisamente in contropiede. Non si aspettava una domanda così diretta, soprattutto da lei. Cosa poteva mai dirle? Sembrava così agitata, così...se le avesse detto la verità, ne avrebbe sofferto ne era sicuro, ma d'altronde lo aveva mandato al diavolo per tre volte di seguito dicendogli che tra di loro fosse finita, perciò non aveva nulla di cui farsi perdonare, la sua coscienza era pulita. Convinto di ciò, annuì. “Si, è successo quella notte nel locale.”
Bastò quella frase detta con assoluta sincerità e sicurezza, a ferirla peggio di una pugnalata. Leon aveva fatto l'amore con quella ragazza, lo aveva fatto davvero. In cuor suo lo aveva pensato, ma sentirselo dire era stato lo stesso terribile. “Bè, a questo punto non abbiamo più nulla da dirci.” Gli voltò le spalle, con l'intenzione di trovare un bagno dove rintanarsi e versare tutte le sue lacrime, ma la mano di Leon le artigliò il polso, costringendola a voltarsi. “Certo che hai una grande faccia tosta!” Sbottò, agitando le braccia. “Prima mi tratti peggio di uno straccio, ordinandomi di starti lontano e poi fai la parte dell'offesa perché sono andato a letto con Elena? Ma ti senti quando parli? Mi avevi lasciato e io ero disperato, non riuscivo ad accettarlo! Non puoi farmene una colpa, non puoi essere così egoista!” Mai Leon le aveva urlato contro con così tanto astio e frustrazione e Violetta incassò tutto in silenzio, rendendosi conto effettivamente che avesse ragione. Lo aveva lasciato, trattandolo tra l'altro malissimo, cosa poteva mai pretendere? Lo conosceva, sapeva che non fosse il tipo che si deprimeva chiuso in casa, lui reagiva, lo faceva sempre. Aiutare quella ragazza gli aveva dato una sorta di stimolo per andare avanti e poi non poteva dimenticare che fosse un uomo, come tale aveva dei bisogni. Lui in quel momento era libero, loro non stavano insieme. Leon non l'aveva mai tradita e mai lo avrebbe fatto. “Non capisco che accidenti vuoi da me!” Continuò Vargas, inconsapevole della tempesta di pensieri ed emozioni che si agitavano in lei. “Hai detto che non mi vuoi nella tua vita, allora che senso ha questa scenata? c...”
Violetta però lo costrinse a zittirsi, scuotendo il capo. “Basta Leon, stai zitto!” Lui fece per ribattere, confuso, ma lei lo anticipò, sollevandosi sulle punte e stampandogli un bacio a fior di labbra. “Se io sono tua, tu sei mio,” sussurrò, mordendosi nervosamente il labbro. Leon sgranò gli occhi, sicuro di aver capito male. Avrebbe voluto chiederle una spiegazione, ma in quel momento qualsiasi chiacchiera gli sembrava inutile. Violetta lo aveva baciato, che gli fregava del resto? L'attirò a se e senza pensarci troppo, la baciò con passione e stavolta lei non lo respinse, al contrario gli allacciò le braccia al collo e ricambiò con il medesimo trasporto. Per entrambi fu come se avessero ripreso a respirare, come se tornassero a vedere il mondo a colori, come se la loro vita avesse di nuovo un senso. Leon baciava e mordeva le labbra di Violetta con così tanta enfasi, quanto gli era mancato assaporarle. Con la lingua fece pressione contro di esse, voleva rendere quel bacio ancora più profondo, ne aveva un disperato bisogno. La Castillo, dal canto suo, si godeva ogni singolo istante di quel bacio, così simile ma allo stesso tempo così diverso da quelli che si erano scambiati in passato. Quel bacio sapeva di maturità, di consapevolezza e forse proprio per questo, schiuse le labbra, consentendo alle loro lingue di incontrarsi e intrecciarsi, esplorando ogni angolo delle loro bocche. Quanto le piaceva baciarlo in maniera così profonda e anche per lui doveva essere lo stesso, dato che la stringeva sempre di più a se. Continuarono a baciarsi con un certo trasporto, prendendosi solo delle piccole pause per recuperare ossigeno, mentre le mani scorrevano lungo il corpo dell'altro. Qualsiasi pensiero era rilegato in un angolo, in quel momento c'erano solo loro e quella complicità di cui tanto avevano sentito la mancanza.
Proprio in quel momento però, il cellulare di Violetta iniziò a squillare, costringendoli a separarsi, lui piuttosto contrariato. La Castillo sgranò gli occhi quando lesse sul display il nome di Angelica. “Oh no,” mormorò tra se e se. “è mia nonna, sarà preoccupata, devo andare,” spiegò a Leon, che ruotò gli occhi e sbuffò. “Devi proprio? Dobbiamo ancora parlare.”
Violetta annuì, rassegnata. Avrebbe tanto voluto restare, ma non poteva. “Ti prometto che parleremo, ma ora devo proprio andare.” Gli si avvicinò, poggiandogli le mani sulle spalle. “Se ti do un bacio, me lo fai un sorriso?” Lui non disse nulla, limitandosi a fissarla, allora la ragazza ridusse le distanze e gli stampò un bacio sulle labbra. “Parleremo prima di quanto pensi, è una promessa.”




Ludmilla affrettò il passo, pregustando già il momento in cui avrebbe raggiunto il parco e si sarebbe seduta sulla sua panchina preferita, quella dove batteva maggiormente il sole e quindi poteva rilassarsi e allo stesso tempo prendere quella lieve abbronzatura che le rendeva la pelle ancora più lucente. Non poteva farci nulla, era una tipa parecchio vanitosa e amava apparire sempre perfetta. In quel momento poi ne aveva bisogno più che mai, dato che aveva decisamente i nervi a fior di pelle e tutto questo per colpa di Diego Galindo. Quel maledetto ragazzo prima l'aveva illusa e dopo aver ottenuto quello che voleva, era sparito evitando tutte le sue chiamate. Quando poi lo vedeva allo Studio, il giovane fingeva di non vederla o si faceva sempre trovare in compagnia di qualcuno. Un codardo, ecco cos'era. Lei però non era una qualsiasi, non poteva accettare un comportamento così vile e squallido e in un modo o nell'altro avrebbe ottenuto la sua attenzione.
Troppo persa nei suoi pensieri, non si rese conto subito di essere giunta a destinazione e che addirittura qualcuno avesse occupato la sua panchina. Era un ragazzo castano con un grande ciuffo, impegnato a leggere un libro-mattone. Ludmilla si irrigidì, incrociando le braccia al petto e battendo il piede destro, infastidita. “Ehm...Ehm...” tossì, attirando l'attenzione del ragazzo, che sollevò lo sguardo, confuso. “Hai detto qualcosa?”
Quel tono tranquillo e pacato la indispettì ancora di più. “Questa è la mia panchina, perciò eclissati.”
Il giovane si accigliò, poi però sorrise divertito. “Ma davvero? Non mi sembra ci sia scritto il tuo nome sopra,” dicendo ciò, indicò la panchina con uno sguardo ironico. Ludmilla digrignò i denti, stizzita. “Tu non hai idea di chi sono io. Alzati, subito!” Sbottò, fuori di se.
Lui scoppiò a ridere, battendo il pugno sulla panchina. “Dovrei saperlo? Sei famosa per caso?”
La bionda si fece rossa dalla rabbia e iniziò a battere entrambi i piedi per terra come una bambina viziata, cosa che fece ridere ancora di più il ragazzo. “Io sono Ludmilla Ferro e nessuno mi parla così, né tantomeno un presuntuoso come te!”
Lui la fissò, indeciso se offendersi per quell'insulto gratuito o riderle in faccia per quell'assurdo comportamento, poi alla fine decise che era troppo dura trattenere le risate e così se le concesse, beccandosi un'occhiata raggelante. “Io sono Federico,” disse il ragazzo, tentando di riassumere un minimo di contegno. “Puoi sederti accanto a me e io fingerò che tu non mi abbia insultato gratuitamente,” le propose, indicandole con un cenno il posto accanto a lui. Ludmilla sgranò gli occhi sicura di aver capito male. “A parte che non mi interessa il tuo nome, poi davvero ti aspetti che una supernova come me possa abbassarsi a sedersi accanto a un secchione poveraccio come te?” Aggiunse, scrutando il suo abbigliamento alquanto modesto e storcendo il naso, disgustata. Un lampo di fastidio attraversò lo sguardo di Federico, che però lo mascherò prontamente con un freddo sorriso. “Simpatica,” commentò, alzandosi in piedi e riponendo il libro nello zaino, per poi raggiungerla con pochi passi. “Stai attenta, supernova,” sussurrò al suo orecchio, serio. “La tua arroganza potrebbe ritorcerti contro e allora si, che essere secchione e poveraccio ti sembrerà un paradiso, rispetto al vuoto e alla solitudine che ti avvolgeranno.” Dettò ciò, se ne andò, mollandola sola e confusa. Cosa intendeva quel Federico? Ma soprattutto, perché le sue parole l'avevano tanto colpita? Era forse perché lui era stato il primo a parlarle in maniera così diretta? Scosse la testa, prendendo finalmente posto sulla sua amata panchina. Nello stirare le braccia, avvertì qualcosa di duro sotto il palmo della mano...era una matita. Se la rigirò tra le dita, sorpresa. Doveva essere di quel ragazzo tanto fastidioso. Fu quasi tentata di gettarla nell'immondizia, ma all'ultimo senza sapere nemmeno perché, la ripose nella sua borsetta rosa confetto, mentre un debole sorriso si disegnava sulle sue labbra.






Holaaaa!
Allora? Vi piace questa svolta? Awwwwwwww bacio Leonetta! E che bacio!! finalmente i due parlano apertamente e ora non solo non ci sono più segreti, ma entrambi sono intenzionati a far funzionare le cose e ciò significa solo una cosa, tanti scleri!! drfgtyhujikokjhgfd tanti scleri anche per i Diecesca, che si scontrano in un corridoio dello Studio. L'attrazione è alle stelle e se non c'è il bacio è perché i sensi di colpa di Fran e successivamente anche quelli di Diego, lo impediscono. Questo sancisce la fine del piano di vendetta? Vedremo XD
nel frattempo c'è il primo incontro tra Ludmilla e Federico e con i due caratterini che si ritrovano, volano scintille. La Ferro nonostante tutto però, sembra rimasta colpita dall'italiano :3 spero con questo capitolo, che io amo, di essere riuscita a farmi perdonare per le sofferenze dei capitoli scorsi e che quindi sclererete anche voi come me quando l'ho scritto *______*
A presto, baci
Trilly <3



 

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Capitolo 15
*** Open the eyes ***





Francesca fece scorrere distrattamente le dita sulla tastiera, riproducendo una tenue e dolce melodia, mentre accanto a lei, Violetta e Camilla stavano facendo delle correzioni su uno spartito, dove c'era il testo e la base di Euforia, canzone che le tre avevano composto in estate. La sala teatro era già abbastanza popolata di studenti, che seduti su delle sedie di plastica dai colori vivaci, attendevano l'arrivo dei professori. Questi ultimi da diversi minuti, erano radunati nella loro aula per discutere di uno spettacolo che avevano intenzione di organizzare. La Cauviglia non riusciva proprio a concentrarsi su ciò che dicessero le amiche e questo per colpa di quello scontro con Diego e delle emozioni che ciò aveva suscitato in lei. Si rendeva conto ogni giorno di più di quanto quel ragazzo la rendesse vulnerabile e non sapeva cosa fare per toglierselo dalla testa. Ormai non riusciva nemmeno più a passare del tempo con Marco, difatti finiva inevitabilmente per paragonarlo a Diego e così lo evitava come la peste, avanzando la scusa dei compiti o di un'uscita con le amiche. Purtroppo però, non poteva continuare così, i problemi dovevano essere affrontati, ma come? Quando poi vide giungere nella sala Marco e Thomas, seguiti poco distante da Diego e Leon e che i due Galindo guardassero insistentemente verso di lei, avvampò paurosamente e abbassò lo sguardo sulla tastiera, dove prese a suonare in maniera confusa e frenetica, producendo un suono insensato, che nulla aveva a che fare con Euforia. Camilla e Violetta per fortuna non se ne accorsero, dato che la rossa straparlava su delle correzioni da fare e la Castillo aveva lo sguardo incatenato con quello di Leon. Da quando si erano baciati nel cortile dello Studio, lei e Vargas non avevano ancora affrontato 'quella' conversazione, però lo stesso erano rimasti in contatto tramite sms e ogni volta che si incontravano, non potevano fare a meno di cercarsi con lo sguardo e di sorridersi, esattamente come facevano in quel momento. Si amavano, non potevano negarlo e né tantomeno nasconderlo, provare a vivere lontani l'uno dall'altra non era servito, una sorta di forza invisibile, finiva sempre per farli ricongiungere e loro non potevano e non volevano opporsi. Leon abbozzò un sorriso, mentre insieme a Diego si appoggiava contro una parete in fondo alla sala e Violetta lo ricambiò prontamente, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, visibilmente imbarazzata. Fortuna che gli altri studenti, troppo occupati a parlare tra loro non se ne accorsero, tutti tranne Thomas, che rendendosi conto effettivamente dell'intensità di quegli sguardi, sospirò amareggiato. Purtroppo non c'era nulla da fare, Violetta non lo avrebbe mai guardato come guardava Leon.
“Buongiorno ragazzi.” Pablo, seguito da Angie, Beto e Jackie, fece il suo ingresso nella sala, costringendo tutti a zittirsi di colpo e ostentando un grande sorriso, segno che probabilmente i professori avessero trovato un accordo. Galindo fece scorrere lo sguardo su ogni studente, soffermandosi in particolare sui suoi figli, rispettivamente uno seduto accanto a Thomas e l'altro più in disparte insieme a Leon. In particolare, la compagnia del maggiore dei due fece preoccupare leggermente sia lui che Angie, che a sua volta aveva cercato i ragazzi con lo sguardo. “Bene,” riprese Pablo, avviandosi verso il palco, mentre Violetta, Camilla e Francesca vi scendevano. “Abbiamo delle importanti novità.” Angie e Jackie lo raggiunsero prontamente sul palco, mentre Beto inciampò in uno dei cavi dei microfoni e ruzzolò sulle ginocchia, scatenando le risate generali. Imbarazzato, lo strambo insegnante si affrettò a rimettersi in piedi e a raggiungere i colleghi, ancora profondamente divertiti. Una volta che tutti gli studenti si furono seduti, Pablo si rese conto come ormai ogni ragazzo avesse un posto fisso, sempre lo stesso e sempre accanto alle medesime persone. In sintesi, nonostante tutti gli esercizi che organizzava per renderli una squadra, continuavano ad essere divisi in gruppi. Partendo da destra c'erano Maxi, Thomas e Marco, coloro che frequentavano anche la stessa scuola e che facevano parte della squadra di matematica di Gregorio Casal, professore di entrambi i suoi figli e con cui spesso si era scontrato per colpa di Diego. Gli sembrava ancora così assurdo che Casal avesse messo da parte l'orgoglio, per chiedergli la sala teatro per alcune ore del pomeriggio per la preparazione delle olimpiadi di matematica, mai se lo sarebbe aspettato da un tipo come lui. Scacciò quel pensiero, tornando ad analizzare i suoi studenti. Accanto a Marco c'era Seba e poi Camilla, Francesca e Violetta. Esattamente alle spalle della Castillo c'era Leon, che non le toglieva gli occhi di dosso, poi Diego, Ana, Ludmilla e Libi. La Ferro e il moro, che Pablo aveva capito stessero insieme, si ignoravano bellamente dato che lui parlottava con Vargas e lei messaggiava con il suo cellulare. Probabilmente Galindo avrebbe continuato con la sua analisi se Angie non gli avesse dato una gomitata, riportandolo alla realtà. Guardò la moglie, imbarazzato, poi si affrettò a rivolgersi ai ragazzi. “Ho parlato con il direttore di un locale sulla periferia della città, deve fare un'inaugurazione e vorrebbe che ci esibissimo per diverse serate,” spiegò, scatenando l'entusiasmo dei ragazzi, che non aspettavano altro che esibirsi in pubblico, la loro prima esibizione. “L'inaugurazione è prevista per il prossimo maggio, perciò abbiamo abbastanza tempo per preparare le canzoni e le coreografie,” intervenne Jackie, con il solito tono severo, facendo annuire i colleghi.
“L'idea sarebbe quella di aprire e chiudere lo show con una canzone di gruppo,” proseguì Angie, emozionata alla sola idea. “A cui poi sarebbero accompagnate delle esibizioni singole o duetti.”
“Proprio per questo ora vorremmo sentire qualcosa, così da poter decidere chi canterà.” Pablo non fece nemmeno in tempo a finire di parlare, che Ludmilla scattò in piedi. “Ti dispiace se inizio io, Pablo?”
L'uomo però scosse la testa. “In realtà, vorrei sentire prima i nuovi acquisti, così da farmi un'idea. Siete d'accordo?” Aggiunse, rivolgendosi ai colleghi. “Assolutamente,” concordò Beto. “Voglio conoscere meglio i nuovi.”
Ludmilla ruotò gli occhi e sbuffò, tornando a sedersi, mentre gli insegnanti presero a parlottare per decidere chi volessero sentire per primo. “Libi, Leon, sul palco,” disse Pablo alla fine, facendo gesto ai due di avvicinarsi. Seppur titubante, Libi si affrettò ad obbedire, mentre Vargas s'irrigidì paurosamente. Aveva deciso di andare allo Studio per vedere Violetta, ma non pensava sarebbe stato costretto a cantare davanti a tutti, pensava sarebbe stato qualcosa di gruppo. Lui cantava solo davanti alla Castillo, non era il tipo che si esponeva di fronte a chiunque. Guardò Diego, che gli restituì lo sguardo, serio. L'amico conosceva perfettamente il problema di Leon e davvero voleva aiutarlo, ma non sapeva come. “Prima o poi dovrai farlo,” sussurrò e Vargas scosse la testa. “Io non canto, non ora.” Tutti gli sguardi erano fissi su Leon, compreso quello di Libi, che era stata già armata di microfono. Il ragazzo era sempre più nervoso e agitato e Violetta fu quasi tentata di offrirsi lei, ma sapeva che Pablo non avrebbe accettato. Proprio per questo guardò Diego, che essendo a sua volta un ultimo acquisto, avrebbe sicuramente potuto sostituire Leon. Fortuna che il moro comprese quasi subito cosa volesse comunicargli la cugina e scattò in piedi. Nemmeno lui era il tipo che si esponeva, ma aveva già cantato davanti ai suoi genitori, a Violetta e a Francesca, perciò era sicuro di farcela. “Canto io,” annunciò, lasciando tutti a bocca aperta.
“Per me va bene,” disse Jackie, scrutando attentamente sia Leon che Diego. Beto annuì. “Anche per me va bene.” Pablo e Angie si scambiarono un'occhiata, poi non poterono fare altro che dare il consenso. Diego perciò salì sul palco, sistemandosi accanto a Libi, mentre Pablo gli sistemava l'asse del microfono. “La canzone è questa,” disse Angie, porgendo ai ragazzi uno spartito. “Libi canta la prima e la terza strofa e Diego, la seconda e la quarta, ok?”
I due annuirono, poi gli insegnanti scesero dal palco e fecero partire la base di 'Ven y Canta'. Nonostante l'iniziale nervosismo, soprattutto da parte di Libi, i due riuscirono ad eseguire la canzone con una perfetta sincronia, tanto che molti ne restarono colpiti e ammirati. Francesca però, nel bel mezzo dell'esibizione scattò in piedi e si fiondò fuori dalla sala. Un altro minuto a guardare e ad ascoltare Diego avrebbe potuto esserle fatale. Si fermò accanto agli armadietti e proprio quando fece per aprire il suo, sentì una mano posarsi sulla sua spalla, facendola letteralmente sobbalzare. “Dobbiamo parlare.” La voce di Marco non avrebbe potuto essere più determinata. “Cosa sta succedendo? Mi eviti, non rispondi alle mie chiamate e non ti sei nemmeno seduta vicino a me oggi.”
Francesca si specchiò negli occhi castani del ragazzo e sospirò. Sapeva che prima o poi sarebbe arrivato quel momento, il momento in lui l'avrebbe affrontata, eppure lo stesso non sapeva che dirgli. Non poteva di certo confessargli quanto suo fratello Diego la destabilizzasse e che non riusciva a smettere di pensarlo nemmeno quando stava con lui. “Marco,” provò, ma lui la interruppe. “No, Francesca, non provare a rifilarmi una delle tue solite scuse,” sbottò, imperterrito. “Odio quando mi menti.”
La mora scosse la testa, aprendo l'armadietto e riponendo la borsa. “Io non ho il vizio di mentirti Marco, ti sto dicendo la verità.”
Il giovane Galindo le chiuse l'armadietto e le prese il polso, costringendola a voltarsi. “Non fare la finta tonta con me, ti conosco, mi stai nascondendo qualcosa.”
Francesca si liberò dalla sua stretta, stizzita. “Smettila di tormentarmi! Ti ho detto che non ho nulla da nasconderti, semplicemente in questo periodo ho molte cose da fare e...”
“Basta!” Sbottò il ragazzo, prendendola per le spalle. Marco, di solito sempre così tranquillo e pacato, ora sembrava avere un diavolo per capello e la cosa la inquietava a dir poco. “Stiamo insieme, si o no? Non ne posso più di questo silenzio! Dimmi che sta succedendo, ora!” La presa sulle sue spalle si rafforzò, portandola a una smorfia di dolore, oltre all'evidente preoccupazione di vederlo così furioso. Provò a dire qualcosa, quando...
“Lasciala stare, Galindo.” Una voce fredda e autoritaria ruppe quell'improvviso silenzio che era calato nel corridoio e Leon Vargas avanzò verso di loro. La sua espressione era impassibile, ma i suoi occhi mandavano scintille. “Mi hai sentito? Lasciala, ora.”
Marco deglutì, poi si affrettò a mollare la presa dalle spalle della ragazza. Nonostante fosse ormai cresciuto e fosse perfettamente in grado di tenere testa a suo fratello, lo stesso non si poteva dire di Vargas, che continuava a scatenargli terrore fin nelle viscere. Sarà stata la sua fama, il suo sguardo inceneritore o quel tono che non ammetteva repliche, non sapeva dirlo.
Leon lo scrutò per alcuni istanti, poi gli fece gesto di andarsene, ma lui coraggiosamente o incoscientemente, a seconda dei punti di vista, non si mosse di un centimetro. “Devo finire di parlare con la mia ragazza.”
Un sorrisetto divertito si disegnò sul volto di Vargas, che di punto in bianco si avvicinò a Francesca, che sgranò gli occhi, ma non si mosse di un centimetro. “Hai qualcosa da dirgli?” Le chiese, continuando a sorridere, avendo notato quanto averlo vicino la rendesse nervosa.
La ragazza guardò Marco e poi Leon, scuotendo la testa. “No, ci siamo detti tutto ciò che dovevamo dirci,” ammise con un filo di voce. A quel punto il castano tornò a guardare Galindo, sollevando un sopracciglio. “Sentito? Eclissati.” Schioccò le dita sotto il naso di un impietrito Marco, che dopo aver lanciato un'ultima occhiata a Francesca, si incamminò di nuovo verso la sala teatro.
“Grazie.” Quello della ragazza fu un debole sussurro e se Leon lo carpì, fu perché era solo a pochi passi da lei e doveva ammettere che non se lo aspettasse. Le sorrise e lei ricambiò, anche se in maniera più timida e impacciata. Di certo pensava che mai si sarebbe ritrovata a ringraziare Leon Vargas, né tantomeno che lui la aiutasse. Nell'ultimo periodo in effetti accadevano parecchie cose inaspettate. Si stavano ancora sorridendo, quando sentirono dei passi alle loro spalle. “Tutto bene?” Una preoccupata Violetta si avvicinò, seguita da un accigliato Diego. Se Vargas continuò a sorridere, Francesca s'irrigidì, riaprendo l'armadietto e iniziando a cercare chissà cosa. “Ho visto Marco piuttosto nervoso.”
Leon annuì. “Lui e Francesca hanno avuto una discussione e sono intervenuto per placare gli animi.”
“Che discussione? E che significa che hai dovuto 'placare gli animi'?” Chiese la Castillo, decisamente inquieta. “Non gli avrai messo le mani addosso?”
“Quella è una mia prerogativa, Vargas, ricordatelo,” aggiunse Diego divertito, beccandosi una gomitata da una contrariata Violetta. “Non sei per niente divertente!”
Lui sogghignò, facendo ridere anche Leon. “Tranquilli, non l'ho nemmeno sfiorato, è bastata la mia presenza, vero Francesca?” Tutti e tre guardarono la mora, che finalmente smise di rovistare nell'armadietto e si voltò verso di loro, fin troppo agitata. L'unico sguardo che riuscì ad incrociare facilmente fu quello di Violetta e poi anche quello di Leon, ma evitò accuratamente quello di Diego. Già saperlo lì la rendeva nervosa, figurarsi se lo avesse guardato. “Va tutto bene, sul serio,” mormorò, sperando di apparire tranquilla e rassicurante, peccato che la Castillo non abboccò. “Avete litigato?” Le chiese infatti, stringendole le mani con le sue.
Francesca però non aprì bocca. L'imbarazzo per il fatto che Leon avesse assistito al suo litigio con Marco non l'aveva abbandonata e non voleva che ne fosse informato anche Diego. La Castillo dovette capire, perché guardò i due, facendogli poi gesto di andarsene. Vargas annuì e l'altro, seppur riluttante, dato che da quando era giunto in corridoio non aveva fatto altro che fissare Francesca con una certa intensità, fu costretto a seguire l'amico verso il cortile dello Studio, lasciando alle ragazze la giusta privacy.




Luca guardò per l'ennesima volta la porta d'ingresso del Restò Band, aspettandosi da un momento all'altro di veder apparire Francesca, ma della ragazza ancora nessuna traccia. Dov'era finita? Aveva promesso di sostituirlo per un paio d'ore al bancone, dato che lui doveva andare a parlare con dei fornitori. Scosse la testa, tornando a lucidare una serie di grandi bicchieri dai colori vivaci. Quel giorno il locale per fortuna non era molto popolato, probabilmente perché era appena primo pomeriggio, ma la cosa non lo tranquillizzava lo stesso. Doveva incontrare i fornitori di lì a un'ora e se Francesca non arrivava, non poteva muoversi, il locale non poteva restare incustodito. Stava pensando proprio a quello, quando vide entrare Marco in compagnia di una ragazza bionda che non aveva mai visto. Il ragazzo sembrava di pessimo umore, mentre lei tentava di rassicurarlo. Si accigliò, confuso. Che ci faceva il fidanzato di sua sorella con quella biondina? Li vide sedersi a un tavolo e parlare in maniera fin troppo confidenziale e la cosa non gli piacque per niente. Francesca sapeva che Marco fosse lì? Perché non era ancora arrivata?
“Ciao Luca.”
Il ragazzo sussultò, notando solo in quel momento Camilla dall'altra parte del bancone che gli sorrideva. Accanto a lei, con un braccio intorno alle sue spalle, c'era Seba. In ogni caso, Luca si soffermò in particolare sulla Torres, che a suo avviso si faceva ogni giorno più bella. Un tempo erano stati insieme, erano stati solo pochi mesi, ma per lui erano stati molto importanti e faceva ancora fatica ad accettare che fosse finita e che lei ora stesse con un altro.
“Ciao ragazzi,” mormorò distrattamente, fingendo di concentrarsi sulla pulizia di posate e piattini, non era ancora in grado di guardare quei due insieme troppo a lungo. “Francesca non è venuta con voi?” Continuò, ricordandosi improvvisamente di sua sorella e dei fornitori.
“In realtà siamo venuti proprio per questo,” spiegò Seba, avvicinandosi al bancone e poggiando i gomiti su di esso. “Francesca è con Violetta e per questo siamo venuti noi a sostituirla.”
“Vai dai fornitori,” aggiunse Camilla, affiancando il ragazzo. “Qui ci pensiamo noi.”
Luca guardò i due per alcuni istanti, poi annuì. Non era la prima volta che la Torres si occupasse del locale e poi anche Seba si era dimostrato un ragazzo responsabile, perciò si poteva fidare e nel giro di un paio d'ore sarebbe anche tornato. “Va bene,” disse, invitandoli dietro al bancone per spiegare loro dove avrebbero potuto trovare le cose. “Mi raccomando, controllate bene il resto e rimettete tutto dove lo trovate.”
“Tranquillo,” sorrise Camilla, poggiandogli una mano sul braccio. “Seba ed io abbiamo tutto sotto controllo.” Seppur a disagio per quella mano sul suo braccio, Cauviglia si sforzò di sorridere. Sarebbe mai riuscito a dimenticarla? Entrambi ricambiarono il suo sorriso, segno che non avessero notato il suo turbamento, che evidentemente era diventato molto bravo a mascherare. Dopo le ultime raccomandazioni, si incamminò verso lo stanzino per recuperare la giacca, non dimenticando però di lanciare un'occhiata verso Marco, ancora impegnato a chiacchierare con la ragazza bionda. Cosa c'era tra di loro?
Passando accanto al bagno, sentì dei versi che lo fecero bloccare sul posto, sembravano singhiozzi. Lentamente spinse la porta e vide Lara, ferma davanti allo specchio, che piangeva.
“Lara.” La ragazza sobbalzò, affrettandosi ad asciugarsi le lacrime. “Luca, scusami...io, torno subito a lavoro.” Fece per sorpassarlo, ma lui le bloccò il polso. “Perchè stavi piangendo?” Le chiese, scrutandola preoccupato. “è successo qualcosa?”
Lei scosse la testa. “No, tranquillo. Sto bene, problemi familiari.” Luca però non sembrava molto convinto. “Eri e sei tuttora disperata, Lara, sicuramente ti è successo qualcosa di grave. Se vuoi prenderti il pomeriggio libero...” iniziò, ma lei lo interruppe, scuotendo il capo. “Non posso permettere ai miei problemi di condizionare il lavoro, soprattutto se riguardano un maledetto ragazzo.” Si portò subito le mani sulla bocca, pentita dalle sue parole, lasciandolo a bocca aperta. “è questo allora il problema, stai soffrendo per amore,” mormorò comprensivo, poggiandole una mano sulla spalla. “Non si finisce mai di soffrire per colpa di quel maledetto sentimento.”
Lara si morse il labbro, pensierosa. “Quindi non c'è modo di uscirne?”
Luca sorrise e sospirò. “Suppongo che con il tempo si superi qualsiasi cosa, ma appunto ci vuole tempo.” Inevitabilmente si ritrovò a pensare a Camilla e a quell'amore che nonostante fosse passato tempo, non riusciva a cancellare. Nessuno capiva quindi Lara di più di lui. “Se le cose non vanno, forse questo ragazzo non ti merita,” proseguì, facendole nascere sulle labbra un mezzo sorriso. “Vedrai che quello giusto arriverà.”
“Grazie Luca,” sorrise la ragazza, eliminando con il dorso della mano le ultime lacrime. “Avevo davvero bisogno di parlare con qualcuno.”
Lui annuì, ricambiando il sorriso. “Quando ne hai bisogno, io ti ascolterò. Ora però devo andare,” continuò, recuperando la giacca dal gancio dietro la porta e indossandola. “Devo incontrare dei nuovi fornitori.”
Lara lo seguì con lo sguardo, lisciandosi al contempo il suo grembiule, decisamente sgualcito, non potendo evitare di sorridere. Luca era stato in grado di restituirle il buon umore, ora stava decisamente meglio, ora si sentiva più leggera. “Io torno a lavorare.” Fece per varcare la porta, ma poi si voltò di nuovo verso di lui. “Grazie per avermi ascoltata.”
Luca si limitò a sorriderle e quel sorriso l'accompagnò per tutta la giornata, facendole pensare che in fondo la sua vita non fosse così buia e che anche per lei potesse esserci uno spiraglio di luce.




Diego si portò distrattamente la sigaretta alle labbra, lo sguardo perso verso il cortile dello Studio, dove un gruppo di studenti stava cantando una canzone fin troppo lenta e deprimente per i suoi gusti, quel tipo di canzoni che lo avrebbero fatto addormentare anche nei momenti di maggiore euforia, un'euforia che di sicuro non aveva. Si sistemò più comodamente sul muretto che troneggiava sul lato sinistro dell'ingresso della struttura, perso nei suoi pensieri. Quel giorno per la prima volta aveva cantato davanti a tutte quelle persone e solo per evitare quel grattacapo a Leon, che ancora non era pronto. Doveva ammettere che nonostante la sicurezza che aveva dimostrato, aveva avvertito un grande nervosismo. Fino a quel momento aveva cantato con Violetta, con sua madre e suo padre lo aveva accompagnato al piano e poi...e poi aveva cantato anche con Francesca, ma mai di fronte a tutte quelle persone sempre pronte a giudicarlo. Non che temesse i loro giudizi, sia mai che Diego Galindo si facesse condizionare dai commenti di un gruppo di ragazzini, però non era abituato a condividere una passione con loro. Ebbene si, lui amava cantare, la musica lo liberava di ogni pensiero e lo trasportava in un mondo diverso, un mondo solo suo dove poteva essere se stesso, dove poteva essere libero. Cantare 'Ven y Canta' insieme a Libi, gli aveva fatto avvertire subito tutte quelle sensazioni, quel senso di leggerezza, di libertà e quando istintivamente si era ritrovato ad incrociare lo sguardo di Francesca, in lui si era diffuso una sorta di calore, di benessere. Non sapeva spiegare cosa fosse, anche se lo aveva già provato quando avevano cantato insieme, sapeva solo che appena lei aveva distolto lo sguardo ed era andata via, tutto si era dissolto ed era come tornato nel mondo reale. Cosa poteva mai significare? Quando poi insieme a Violetta aveva trovato Leon e la Cauviglia in corridoio e capito che lei avesse litigato con suo fratello, vedere il suo turbamento e la sua agitazione...Diego non sapeva spiegarsi perché, ma aveva la sensazione che fosse lui a renderla nervosa, difatti guardava Leon e Violetta normalmente, mentre lui lo ignorava. Che Francesca iniziasse davvero a provare qualcosa per lui? E il litigio con Marco, poteva essere dovuto a quello?
Diego scosse la testa, stizzito dai suoi stessi pensieri. Da quando si faceva tutte quelle paranoie? Non era affare suo se e perché Marco e Francesca litigassero, anche perché a lui della ragazza non importava nulla, se di tanto in tanto aveva flirtato con lei lo aveva fatto solo per fare un affronto a suo fratello. Era così, no?
“Ehi.”
Leon gli si sedette accanto, sottraendogli il pacchetto di sigarette dalla tasca della giacca e accendendosene una. Il moro gli rivolse un'occhiataccia, ma poi non disse nulla, ormai era abituato a quel tipo di azioni da parte di Vargas.
“Allora,” esordì l'ultimo arrivato, scrutandolo con un cipiglio divertito. “Immagino di doverti ringraziare, se non fosse stato per te sarei stato costretto a salire su quel palco.”
Diego sogghignò. “Mi devi un favore enorme, amico mio. Mi sono messo in ridicolo per colpa tua.” Scherzosamente lo spinse, gesto che poi Leon gli restituì, ridendo a sua volta. “Ridicolo? Ma se tutte le ragazze sbavavano. Sembra che tu attiri le donne come calamite,” commentò divertito. Il moro scosse la testa, compiaciuto. In effetti aveva sempre riscosso un grande successo con il gentil sesso, peccato che la cosa non fosse mai stata ricambiata. Aveva fatto innamorare tante ragazze, ma nessuna di loro era riuscita a far innamorare lui. “Che vuoi farci, sono troppo bello.”
Leon scoppiò a ridere, spintonandolo ancora. “Complimenti per la modestia Galindo, davvero.” Si fece poi di colpo serio, scrutandolo attentamente. “Sembra che il tuo piano proceda a meraviglia. Tuo fratello e la bella moretta hanno litigato, lui non si fida e lei lo evita. Tra l'altro la tua presenza la rende nervosa,” aggiunse, ammirato. “A quanto pare il tuo tocco è sempre infallibile.” Gli diede una pacca sulla spalla, aspettandosi che Diego si unisse alle sue risate e gli raccontasse nei dettagli come stesse abbindolando la ragazza, ma lui non disse una parola e gli sembrò quasi di vedere un'ombra nel suo sguardo.
“Diego.” Leon scese dal muretto e gli si piazzò di fronte, così da poterlo guardare negli occhi. “Sei vicino così dal realizzare la tua vendetta, perché non sei felice?”
Il moro scrollò le spalle, pensieroso. “Questo gioco non mi diverte più, forse dovrei inventarmi qualcos'altro per far arrabbiare Marco.”
“Che?” Vargas non ci stava capendo più niente. Perché di punto in bianco il suo amico voleva tirarsi indietro? “Non ti capisco, vuoi rinunciare proprio adesso? Ce l'hai quasi fatta e...”
“E non se lo merita!” Sbottò Diego, scattando in piedi. “Sto giocando con il fuoco e così facendo rischio di deludere un sacco di persone, i miei genitori, Violetta, Marco...Francesca...non è giusto,” aggiunse, prendendosi il volto tra le mani e strofinandolo con vigore. Leon lo seguì con lo sguardo, inizialmente confuso, poi la sua mente iniziò a lavorare freneticamente, mettendo insieme i vari pezzi di quel complicato puzzle e allora capì. Come aveva fatto a non pensarci prima? Era così ovvio, i segnali c'erano tutti e proprio lui avrebbe dovuto comprenderlo per primo. “Diego,” Gli si avvicinò, prendendolo per le spalle. “Cosa provi per Francesca?”
“Come?” Diego lo guardò come se fosse stato pazzo, mentre la sua mente faceva fatica a dare un senso a quell'assurda domanda. “Te la faccio più semplice, non vuoi continuare il piano perché ti sei reso conto che ti piace la ragazza di tuo fratello?”
Come al solito Leon andò dritto al sodo, senza tentennamenti o giri di parole e se normalmente il moro apprezzava quella sua caratteristica, in quel momento era così sconvolto che non sapeva proprio cosa dire o cosa pensare. Gli piaceva Francesca? No, impossibile. Scosse la testa, come se ciò bastasse a cancellare quella frase dell'amico. “Ma come ti viene in mente una cosa simile? Ammetto che la trovo bella e di averci fantasticato, ma da qui a dire che mi piace ce ne passa. È solo un'attrazione,” aggiunse, sicuro. Vargas però lo conosceva bene, difatti aveva notato un lampo di incertezza nel suo sguardo. “Stai tentando di convincere me, o te stesso?”
Diego, che aveva quasi deciso di andarsene, desideroso di mettere fine a quell'assurda conversazione, si bloccò di colpo a quelle parole. “Che vuoi dire?” Gli chiese, voltandosi verso di lui, accigliato.
Leon sorrise, dandogli una pacca sulla spalla, comprensivo. “Ci sono passato prima di te, so cosa si prova. Non volevo accettare che Violetta fosse riuscita a farmi perdere la testa, che fosse riuscita a rendermi vulnerabile, a stravolgere tutte le mie certezze. Ora però sono sicuro che non potrei vivere senza di lei e che farei di tutto per non perderla.” Un sorriso innamorato si distese sul volto del ragazzo. “Ho visto come la guardi,” proseguì, facendo impallidire il moro. “Non ne sei ancora innamorato, ma ci sei vicino. Mi ricordi me quando osservavo Violetta da lontano e non riuscivo ad accettare l'effetto che mi suscitasse.”
Diego lo ascoltò in silenzio, sempre più confuso e destabilizzato. Era consapevole di essere attratto da Francesca e che la sua vicinanza, ma anche la sua sola presenza, gli provocasse delle strane sensazioni, ma ciò poteva essere collegato all'amore? Diego Galindo poteva innamorarsi? “Pensaci,” insistette Leon. “Cosa faresti se lei fosse qui e nessuno potesse vedervi?” Immediatamente immaginò di fare l'amore con lei, ma anche di accarezzarla, di baciarla e poi...e poi di specchiarsi nei suoi occhi, di inspirare il profumo della sua pelle, di lasciarsi cullare dalla sua voce mentre gli cantava 'Euforia', quella stessa canzone che avevano cantato insieme una volta. Allontanò quei pensieri, profondamente turbato. Possibile che Leon avesse ragione e che lui provasse qualcosa per Francesca? Si lasciò cadere sul muretto, prendendosi la testa tra le mani. Non poteva succedergli una cosa del genere, non poteva e basta. Lui non si innamorava, lui non era un debole. “Me la devo togliere dalla testa e subito,” mormorò, guardando poi l'amico. “Non avresti una bella ragazza da presentarmi, magari disponibile a una notte di sesso e alcool?”
Vargas sogghignò, scuotendo il capo. “Se pensi che questo possa risolvere il tuo problema, te ne posso procurare anche due, ma sappi che il giorno dopo sarai di nuovo allo stesso punto.”
“Tu procurami le due ragazze, al resto ci penso io!” Ribatté il moro, imperterrito. “Voglio divertirmi, voglio dimenticare ogni cosa e...”
S'interruppe di colpo, notando la figura di Pablo avanzare verso di loro e subito si affrettò a nascondere il pacchetto di sigarette. Non aveva voglia di una ramanzina. Galindo però nemmeno ci aveva fatto caso, il suo sguardo era infatti fisso su Leon. “Vorrei scambiare due parole con te,” esordì, incrociando le braccia al petto. “Puoi lasciarci soli, Diego?” Aggiunse, guardando il figlio, che annuì. “Torno dentro allora.”
Appena il ragazzo si fu allontanato, Leon incrociò lo sguardo di Pablo. “Vuole parlarmi di Diego, o di Violetta?” Gli chiese, divertito. Il direttore sospirò. “In realtà volevo parlare di te,” spiegò, facendolo accigliare. “Ti ho permesso di frequentare lo Studio, di farti un'idea di com'è l'ambiente, ma non si può continuare così.”
Il giovane ruotò gli occhi. “Parli chiaro, cosa vuole da me.” Si alzò in piedi, fronteggiandolo, cosa che non impressionò l'uomo più di tanto, ormai abituato alla sua sfrontatezza. “Ancora non ti sei deciso a prenotarti per le audizioni e ti sei persino rifiutato di cantare oggi. Mi dici che ci vieni a fare allora qui?” Leon fece per ribattere, ma Pablo lo anticipò. “Se vieni per flirtare con mia nipote, evita. Non sono tenuto a farti frequentare le lezioni se non sei uno studente regolare, tienilo a mente.” Detto ciò, gli voltò le spalle e si incamminò verso l'ingresso, seguito dallo sguardo infastidito di Vargas. Sapeva che l'uomo avesse ragione, ma quell'ironia con cui solitamente gli parlava lo mandava in bestia. “Se pensa di liberarsi di me con due paroline, si sbaglia di grosso,” mormorò tra se e se, intraprendendo poi la stessa strada di Pablo. Avrebbe fatto la cosa giusta, per Violetta lo avrebbe fatto.






Holaaaa!!
In questo capitolo non succede tantissimo, in realtà è molto introspettivo e questo perché dovevo chiarire alcune cose e mettere le basi per i capitoli di fuoco che ci aspettano. Questo è una quiete prima della tempesta insomma, una tempesta che porterà sia cose positive che negative ;) allora, qui abbiamo da una parte Vilu e Leon finalmente determinati a combattere per il loro amore, tra l'altro lui sembra interessato a diventare uno studente effettivo dello Studio grazie alle parole di Pablito :3 dall'altra Fran prende sempre più consapevolezza di provare qualcosa per Diego, mentre lui messo alle strette da Leon, capisce ma si rifiuta di accettarlo. In compenso però, sembra aver rinunciato definitivamente al piano ;)
Nel frattempo, non solo Luca vede Marco con un'altra ragazza, ma apprendiamo anche il suo amore mai finito per Cami e una sofferenza che si ritrova a condividere con Lara, che a sua volta soffre per Diego :(
Vi ringrazio per il vostro costante affetto, quello che mi spinge a farvi un piccolo spoiler. Se il 14 vi ha fatto sclerare, il 16 farà molto di più! Awwwwwwww :3
un bacione!! <3


 

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Capitolo 16
*** Lì dove batte il cuore ***





“habla si puedes
grita que sientes
dime a quien quieres y te hace feliz.”


Dopo la discussione accanto agli armadietti, Francesca e Marco si erano a malapena sentiti per telefono, anche se il loro rapporto era piuttosto gelido e tutto questo perché lui era convinto gli nascondesse qualcosa e purtroppo era così. La ragazza infatti gli nascondeva quei sentimenti che provava per suo fratello Diego, quei dannatissimi sentimenti che sembravano crescere ogni giorno di più. Stava lottando con le unghie e con i denti per allontanarli, lo evitava come la peste, ma nemmeno ciò sembrava bastare visto che con la mente andava costantemente ed inevitabilmente a lui. Iniziava seriamente a pensare di non aver mai smesso di provare qualcosa per lui, anche quando credeva di odiarlo, anche quando sosteneva di amare Marco, i sentimenti per Diego dovevano essere ancora lì e ora stavano riemergendo, travolgendola come un fiume in piena. Anche mentre riponeva la sua tuta da ballo nel borsone e canticchiava 'Habla si puedes' tra se e se, non poteva fare a meno di pensare a come quei sentimenti stessero condizionando la sua vita. Diego la confondeva, la rendeva stupida e a poco a poco stava mettendo in dubbio tutte le sue convinzioni, compresa la sua idea di amore. Prima era convinta che l'amore fosse un sentimento dolce, tenero, che rendesse le persone migliori, ma da un po' di tempo a quella parte, aveva iniziato ad attribuire a quel sentimento altre caratteristiche che mai aveva considerato, come i brividi, le notti in bianco, la passione. Nella sua mente Diego era sinonimo di passione, stravolgimento, intensità e la cosa le faceva paura. Lei non aveva mai provato nulla di simile e non poteva e non voleva più avvertirlo. Era Marco il suo ragazzo, con lui avrebbe dovuto sentire quelle cose e non con suo fratello. Per colpa sua tra l'altro, lei e Marco avevano non pochi problemi e doveva trovare il modo di risolverli, era ora che parlassero apertamente. Non poteva dirgli di Diego, ma poteva fare il possibile per recuperare il loro rapporto e lo avrebbe fatto a qualsiasi costo. Proprio per questo, dopo aver rimesso a posto tutto, andò in giro per lo Studio alla ricerca del suo ragazzo. A quanto ne sapeva Marco doveva fermarsi a parlare con Beto per sistemare degli accordi di una canzone, perciò doveva essere lì da qualche parte. Dopo un lungo vagare tra le varie aule, passò accanto ad una vuota e finalmente individuò la folta chioma di Marco, che se ne stava in piedi accanto alla finestra a scrivere qualcosa su uno spartito. Accanto a lui c'era una ragazza bionda che non aveva mai visto e che lo guardava in maniera fin troppo intensa per essere una semplice conoscente. Proprio pochi giorni prima suo fratello Luca le aveva detto di averlo visto al Restò Band con una biondina, che fosse la stessa? Allora non ci aveva dato molto peso, pensava si trattasse di Ana, amica storica del ragazzo e che suo fratello non l'avesse riconosciuta, ma ora non sapeva che pensare. Conosceva tutte le amiche di Marco, così come lui conosceva i suoi, allora perché non le aveva presentato quella tipa con cui era così in sintonia? Aveva quasi deciso di varcare la soglia, con l'intenzione di capirci di più, quando i due la colsero decisamente in contropiede. Marco infatti si voltò verso la ragazza e le sorrise dolcemente e lei, senza pensarci troppo, si sollevò sulle punte e gli prese il volto tra le mani, stampandogli un bacio a fior di labbra. Francesca sbatté diverse volte le palpebre, sicura di esserselo immaginato. I due però erano ancora fin troppo vicini e si sorridevano complici, cosa che non le piacque per niente. Sentì gli occhi pungerle e il cuore frantumarsi in tanti piccoli pezzi. Marco si vedeva con un'altra e lo faceva nella sua stessa scuola. Ancora non le sembrava vero, ancora...con le poche forze che le restavano, scappò via, non riuscendo più a trattenere le lacrime, che ora scorrevano a fiumi sulle sue guance. Stava lottando con tutta se stessa contro i sentimenti che provava per Diego, lo evitava più che poteva e tutto questo perché voleva stare con Marco e lui...lui si era già consolato. Che stupida, era tutta colpa sua, lo aveva trascurato troppo nell'ultimo periodo, lo aveva ferito, fatto sentire solo. Stava raccogliendo ciò che aveva seminato in fondo. Si fermò in un corridoio isolato e si appoggiò a una parete, lasciandosi scivolare sul pavimento, prendendosi il volto tra le mani. Ormai non riusciva più a trattenere i singhiozzi. Era tutta colpa di Diego, lo sapeva che lui fosse un'influenza negativa, che avesse un effetto tossico, eppure lo stesso gli aveva permesso di insinuarsi nel suo cuore e così aveva perso Marco. Cosa doveva fare ora? Perché quella ferita che avrebbe dovuto essere una lacerazione e bruciare così tanto da farla svenire, non le faceva così male come avrebbe dovuto?
“Ehi.”
Una mano le si posò sulla spalla, scuotendola e facendola letteralmente sobbalzare. Sollevò lo sguardo, ma le troppe lacrime le rendevano difficoltoso riconoscere il ragazzo piegato verso di lei. Si affrettò perciò ad asciugarsi gli occhi e solo allora mise a fuoco il volto sorpreso ed incredibilmente bello di Diego, fin troppo vicino al suo. Il cuore prese a batterle come un forsennato e le sembrò quasi che le fosse salito in gola e poi faceva come al solito troppo caldo quando lui era nelle vicinanze.
“Perché piangi?” Le chiese il ragazzo, piegandosi maggiormente sulle ginocchia, così da trovarsi alla sua stessa altezza. I suoi occhi verdi la scrutavano con così tanta intensità che Francesca si sentì come svuotata della sua anima e poi c'era la sua voce...quella maledetta voce che era a poco a poco diventata il suo punto debole, quando la sentiva smetteva di pensare, smetteva di fare qualsiasi cosa. Scosse la testa, quasi a voler scacciare tutte quelle maledette sensazioni e scattò in piedi, rischiando di inciampare sui suoi stessi piedi, ma Diego l'afferrò di slancio per la vita, evitandole una brutta caduta. Avvertire quelle braccia possenti intorno al suo corpo e quegli occhi fissi nei suoi, fu veramente troppo per Francesca, che lo spinse lontano, facendogli sgranare gli occhi, sorpreso.
“Grazie. Ora però devo andare.” Non poteva permettergli di destabilizzarla ancora di più, era fin troppo vulnerabile di suo, mancava solo lui. Se però credeva che Diego l'avrebbe lasciata andare così, si sbagliava di grosso. Lui era un tipo ostinato, non poteva lasciar correre dopo averla vista in quello stato. Le prese perciò il polso, costringendola a voltarsi di nuovo verso di lui. “Bambolina, cosa ti succede?” Il suo fu un sussurro, ma lei lo carpì comunque e accompagnato alla preoccupazione che leggeva nei suoi occhi, le riscaldò il cuore. Senza nemmeno sapere come, si ritrovò a gettarsi tra le sue braccia, circondandogli la vita e seppellendo il volto contro il suo petto. Diego si irrigidì di colpo, tutto si aspettava ma non quello. Francesca si stava aggrappando a lui quasi con disperazione, il suo piccolo corpo era scosso dai singhiozzi e lui non sapeva proprio che fare. Non era abituato a ragazze che gli chiedessero conforto, l'unica era Violetta, ma era sua cugina e perciò era diverso. Perché la mora aveva scelto lui? Perché imbecille che non era altro non l'aveva lasciata andare via? Doveva togliersela dalla testa, lo aveva giurato a se stesso, ma se si comportava in quel modo complicava solo le cose. Era forse diventato rammollito?
Sentire il pianto di Francesca, tutte quelle lacrime che gli inumidivano la t-shirt e poi le molteplici sensazioni che il contatto dei loro corpi gli provocava, lo portò a spegnere il cervello e ad agire d'istinto, stringendola forte a se. Il profumo dei suoi capelli gli invase le narici e lui lo inspirò a pieni polmoni, socchiudendo gli occhi e sfiorandole piano le spalle. Gli piaceva averla così vicina, avvertire il suo calore e poi...e poi non poteva sopportare di vederla piangere, voleva aiutarla a smettere e a riprendersi. Non erano pensieri da lui, che pensava gli sarebbe importato solo di due donne in vita sua, ossia sua madre e sua cugina, eppure con Francesca stava provando le medesime sensazioni se non più intense. Possibile che Leon avesse ragione? Era quello l'amore?
La ragazza dal canto suo, piangeva in maniera sempre più disperata, rendendosi conto del perché appunto il bacio di Marco e quella ragazza non l'avesse ferita come si aspettava, il suo cuore era lì, che batteva a ritmo con quello di Diego. Sollevando il capo dal suo petto e guardandolo fisso negli occhi, Francesca ne ebbe l'ennesima conferma. Era innamorata, perdutamente innamorata di lui. Aveva provato a combattere quei sentimenti, a negarli all'infinito, ma ormai non poteva farlo più. Quasi aveva dimenticato la scena a cui aveva assistito, nella sua mente c'era solo lui e la piacevole sensazione che avvertiva stando tra le sue braccia. Ogni cellula del suo corpo le urlava di cullarsi a lui ancora e ancora, allontanando qualsiasi pensiero. Mai si era sentita così coinvolta e dipendente da un ragazzo, Diego l'ammaliava, la stregava, la portava a pensare e a desiderare cose che prima di quel momento non aveva mai considerato e la cosa l'affascinava e la spaventava allo stesso tempo.
Il ragazzo non era di certo più razionale. Si specchiava nei suoi occhi castani e nel frattempo faceva scorrere le mani lungo la sua schiena. Come ogni volta che la vedeva o semplicemente pensava a lei, si ritrovò a desiderare di spingerla contro il muro e aggredirle le labbra con tutta la passione che aveva in corpo, di morderle fino a farle sanguinare e poi... Scosse la testa, come se ciò potesse bastare per cancellare le sue assillanti fantasie. Basta, doveva recuperare un minimo di autocontrollo. “Perché piangevi?” Le chiese, con voce bassa e roca. Averla così vicino non era una cosa positiva, l'attrazione diventava a poco a poco più ingestibile e non sapeva quanto sarebbe riuscito a resistere.
Quelle parole sembrarono risvegliare Francesca da quella sorta di trance in cui era caduta, portandola ad asciugarsi le lacrime con il dorso della mano. “Scusami, avrai pensato che sono una pazza e...scusa, davvero,” balbettò rossa in viso, mentre lui la scrutava con un sopracciglio inarcato, le braccia che ancora le circondavano la vita. “Perché mai dovrei pensare che sei pazza?”
“Bè, ehm...ti salto addosso, piango come una stupida e...” iniziò, a disagio, torturandosi una ciocca di capelli, ma si zittì, vedendolo scuotere la testa. “Avevi bisogno di conforto, è normale. Hai litigato con mio fratello, immagino,” aggiunse, rammentando che in effetti nell'ultimo periodo Marco e la Cauviglia si fossero notevolmente allontanati.
Francesca avvampò di colpo, facendo fatica a sostenere il suo sguardo. “Abbiamo dei problemi,” confessò poi con un filo di voce.
“E per questo eri qui terra a piangere,” concluse per lei, smettendo finalmente di abbracciarla, cosicché potesse riprendere a respirare. “Mio fratello è pazzo di te, vedrai che tutto si risolverà.” Lo disse con una tale sicurezza e tranquillità, che lei non poté fare a meno di sgranare gli occhi, sicura di aver capito male. Diego la stava davvero rassicurando sulla sua relazione con Marco dopo che aveva fatto di tutto per mettersi tra di loro? Lo guardò per alcuni istanti, aspettandosi di vederlo scoppiare a ridere, ma ciò non accadde lui restò serio e comprensivo, nemmeno sembrava lo stesso ragazzo che una volta aveva tentato di baciarla. Qual era allora il vero Diego? Fino a quel momento aveva solo giocato? “Tu pensi davvero che il mio rapporto con Marco si possa salvare?”
Il giovane annuì, sforzandosi di non lasciar trapelare alcuna emozione. Doveva tenere Francesca fuori dalla sua vita e l'unico modo era spingerla verso Marco. Se loro tornavano insieme, se lei smetteva di guardarlo con quello sguardo, per lui sarebbe stato più facile dimenticare quei sentimenti sbagliati. Diego infatti non solo non voleva innamorarsi per non sentirsi un debole, ma soprattutto non voleva che gli accadesse con la ragazza di suo fratello, colei che nemmeno avrebbe dovuto guardare, figurarsi altro. “Parla con lui,” disse perciò alla fine, allontanandosi di qualche passo. “Non è tutto perduto.”
La mora lo osservò allontanarsi, sempre più confusa. In un certo senso lui si era fatto da parte, dimostrando di provare un minimo di rispetto per Marco e capiva perfettamente il suo comportamento. Era sicura che anche Diego avvertisse quella sorta di corrente elettrica che c'era tra di loro, ma appunto aveva deciso di combatterla per il bene di suo fratello. Francesca lo capiva davvero e pensava che il suo fosse un gesto corretto e leale, tuttavia non poteva fare a meno di avvertire una sorta di vuoto. Le cose tra lei e Marco non erano così semplici e non solo perché lui aveva baciato un'altra, ma anche perché ormai riconosceva di essersi innamorata di Diego e perciò dubitava di essere in grado di fingere ciò che non provava. Cosa doveva fare quindi? Poteva tornare con Marco, nonostante tutto? Poteva contrastare l'amore che sentiva per Diego? Onestamente la ragazza non sapeva dirlo, aveva bisogno di tempo per stare da sola con se stessa, aveva bisogno di pensare.




Leon sospirò, passandosi nervosamente le mani nei capelli. L'orologio sulla parete della cucina di casa sua segnava le cinque, solo dei deboli raggi rosati illuminavano il luogo, altrimenti completamente buio. Suo padre si stava occupando di alcuni affari e sarebbe rientrato solo a notte fonda, mentre Lara aveva il turno al Restò Band, perciò il ragazzo era completamente solo. Sul tavolo faceva bella mostra di se un cumulo di fogli dall'aria ufficiale e penne di vari colori, racimolate dalla camera di Lara, che in pratica le collezionava. Non credeva lo avrebbe fatto e invece alla fine Leon Vargas aveva compiuto quel passo così decisivo, tutto merito di Diego e Lara, con cui aveva parlato molto a lungo.
Il suono del campanello lo fece sobbalzare dai suoi pensieri e per questo si affrettò a raggiungere la porta. Quando l'aprì, si ritrovò di fronte un'ansiosa Violetta. “Ehi.”
“Ciao Leon,” mormorò lei, mordendosi continuamente il labbro inferiore.
Il giovane sorrise, facendosi di lato così da permetterle di entrare. “Di cosa volevi parlarmi?” Chiese Violetta, seguendolo in cucina. “Ho dovuto dire a mia nonna che andavo da Camilla e...cosa sono quei fogli?” Aggiunse, indicando con un cenno il cumulo sul tavolo.
Leon sogghignò, recuperando del succo di mela dal frigo. Violetta lo aveva sempre adorato e perciò subito dopo averla invitata a casa sua, aveva provveduto a procurarselo. Riempì due bicchieri e si sedette accanto alla ragazza, che nel frattempo non aveva fatto altro che far oscillare lo sguardo da lui a quei fogli. Una cosa che amava particolarmente di lei era la sua discrezione, avrebbe potuto darci un'occhiata e invece non aveva mosso un dito, attendendo che fosse lui a parlargliene.
“Grazie,” sorrise Violetta, bevendo un sorso di succo, ma lanciando di tanto in tanto l'occhio sui fogli. Leon ovviamente se ne accorse, ma preferì continuare a sorseggiare il suo succo, giusto per prolungare la suspance e leggere la tensione in quegli occhi nocciola. Lo divertiva molto vederla così agitata, era ancora più bella. All'ennesimo sospiro di disappunto della giovane, dovette però smetterla di prendere tempo e così ripose il bicchiere, prendendo invece uno dei fogli e mettendoglielo sotto il naso. Violetta lo scrutò confusa, poi leggendo alcune righe sgranò gli occhi. “è quello che penso io?” Chiese, sorpresa. Era sicura di conoscere quel modulo, lei lo aveva compilato tempo addietro e...possibile che Leon...?
Il ragazzo sorrise e annuì. “è la domanda di iscrizione allo Studio, l'ho compilata poco fa,” ammise il ragazzo con un filo di imbarazzo, mostrandole poi anche gli altri fogli. “Qui ci sono anche le fotocopie della carta di identità, il codice fiscale, il certificato medico e i risultati delle mie analisi. Farò le audizioni.”
Violetta lo ascoltò in silenzio, rendendosi conto che effettivamente non mancasse niente, Leon si era procurato ogni cosa servisse per diventare uno studente dello Studio e nei suoi occhi poteva leggere quanto fosse sicuro e determinato. Non era uno scherzo, il ragazzo voleva davvero fare quel passo. Quasi senza rendersene conto sorrise, poggiando la mano sulla sua. “Lo vuoi davvero?” Gli chiese però, temendo che avesse preso quella decisione solo per accontentare lei e che in realtà non lo volesse davvero.
Leon sorrise, facendo intrecciare le loro dita. “Non sono mai stato più sicuro. Voglio stare con te e se vuoi che io cambi, lo farò.”
Violetta si morse nervosamente il labbro, emozionata da quelle parole. Anche lei voleva stare con lui, lo voleva con tutta se stessa, ma come le aveva detto anche Diego, non era giusto pretendere di cambiare il ragazzo a suo piacimento, dovevano venirsi incontro, capirsi. “Leon, io...io sono felice, davvero,” iniziò con un filo di voce, facendolo accigliare. Era chiaro, che sarebbe seguito un 'ma' e non riusciva a capire perché. “Ho sbagliato a dirti tutte quelle brutte cose, non te le meritavi.” Leon fece per ribattere, ma lei gli fece gesto di tacere. “Aspetta, non ho finito. Leon, io so chi sei e ti amo per questo, ma non voglio che tu diventi chi non sei per accontentare me, dobbiamo cambiare insieme.” Le ultime tre parole le disse stringendogli anche l'altra mano e sorridendogli dolcemente. “Che ne dici, sei d'accordo con me?”
Il giovane Vargas annuì, ricambiando il sorriso. “Ricominciamo daccapo e stavolta lottiamo fino in fondo per noi due.” Avvicinò il volto a quello della ragazza, stampandole un bacio sulla fronte. “Ah, ti amo anch'io,” sussurrò, facendo sfiorare i loro nasi.
Violetta fece scorrere una mano nei suoi capelli, scompigliandoglieli teneramente. “Ti aiuterò io a preparare l'audizione, vedrai che sarà un successo.” Fece una piccola pausa, poi però intonò:

No soy ave para volar,
Y en un cuadro no se pintar
No soy poeta escultor.
Tan solo soy lo que soy.”


Leon la guardò rapito. Amava ascoltarla cantare, la sua voce era la più dolce e la più avvolgente delle melodie. Un'autentica perfezione agli occhi e alle orecchie del ragazzo. Fu quasi spontaneo per lui intonare la seconda strofa.

Las estrellas no se leer,
Y la luna no bajare.
No soy el cielo, ni el sol…
Tan solo soy.”

Solo con lei riusciva a cantare, solo con lei si sentiva se stesso, si sentiva libero. Sarebbe mai riuscito a farlo davanti agli altri, o avrebbe taciuto come quel giorno allo Studio? Leon non sapeva dirlo, sapeva solo che in quel momento voleva passare del tempo insieme alla ragazza che amava, magari cantando proprio quella canzone che tanto amavano e che li rappresentava.

Podemos pintar, colores al alma,
Podemos gritar iee eê
Podemos volar, si tener alas…
Ser la letra en mi canción…
Podemos pintar, colores al alma,
Podemos gritar iee eê
Podemos volar, si tener alas…
Ser la letra en mi canción…
Y tallarme en tu voz.”

Alla fine della canzone erano occhi negli occhi, incapaci di non sorridersi. Ogni volta che si guardavano o semplicemente si pensavano, sorridere era la cosa più naturale del mondo, probabilmente perché si rendevano conto di essere l'uno la felicità dell'altro, era sempre stato così dopotutto.
Leon fece scorrere le dita lungo la sua guancia, facendola arrossire e rabbrividire allo stesso tempo. “La tua pelle è sempre così morbida, Amore mio,” le sussurrò dolcemente a fior di labbra. “Farei qualsiasi cosa per te.”
La guardò con una tale intensità che Violetta si sentì come spogliata della sua stessa anima. In quegli occhi verdi, poteva vedere quanto fosse forte e devastante l'amore che provava per lei ed era ogni istante più consapevole che lui fosse l'amore della sua vita. Nessuno l'avrebbe mai amata e fatta sentire bene come lui, nessuno poteva prendere il suo posto. “Ho intenzione di dire a mio padre che non voglio essere il suo erede. Voglio mettere la testa a posto, per te.” Leon lo disse con una tale tranquillità e sicurezza e con quel velo di determinazione, che la fece rabbrividire e allo stesso tempo il suo cuore accelerò di almeno tre battiti. Dio solo sapeva quanto avesse desiderato di sentirgli dire quelle parole. Leon voleva tirarsi fuori dagli affari di suo padre, voleva provare a vivere in maniera onesta, lo voleva fare per lei.
“L..Leon,” balbettò, incapace di dire altro. Era sconvolta, destabilizzata, sorpresa ed immensamente felice. Quell'amore sempre così contrastato, sembrava ora avere delle grandissime possibilità di concretizzarsi e Violetta aveva intenzione di lottare con le unghie e con i denti affinché le cose andassero proprio così. Fece aderire il palmo della mano sulla sua guancia, mentre alcune lacrime sfuggirono al suo controllo. “Oh Leon,” singhiozzò. “Io non potrei chiedere altro.”
Emozionato, Leon la strinse forte a se, facendole adagiare il capo contro il suo petto. “E allora facciamolo Vilu, lottiamo per noi due,” le sussurrò tra i capelli. La ragazza socchiuse gli occhi, circondandogli la vita. Era così bello trovarsi di nuovo tra le braccia di Leon, il posto che amava di più in assoluto, quel posto che l'aveva sempre fatta sentire protetta e amata. Sorrise, inspirando a pieni polmoni il suo profumo. “Leon.”
Il ragazzo le prese il volto tra le mani, accostandolo al suo. “La mia Vilu,” soffiò, facendo sfiorare le loro labbra. Inizialmente fu un bacio dolce e lento, che la giovane assecondò allacciandogli le braccia al collo, poi a poco a poco si fece più appassionato, coinvolgendo anche le loro lingue. Con uno slancio Leon la sollevò e la fece sedere a cavalcioni su di lui, approfondendo ancora di più il bacio e facendo scorrere le mani lungo la sua schiena. Le loro lingue si incontravano e si intrecciavano in maniera sempre più famelica, così come le labbra si torturavano con piccoli morsi. “Ho bisogno di te.” Leon spostò le labbra verso il suo orecchio, sussurrandole quelle quattro parole con voce calda e avvolgente, tanto che Violetta avvertì un brivido scorrerle lungo la schiena. Anche lei non desiderava altro che fare l'amore con lui, un po' la cosa la imbarazzava, ma non poteva farci nulla, lo voleva con tutta se stessa. Si specchiò nei suoi occhi verdi, addentandosi nervosamente il labbro, sicura che lui avrebbe capito tutto semplicemente guardandola. Basta costringersi a stare lontani, basta fingere che non ci fosse un intenso e insormontabile amore a tenerli legati. Era ora che si vivessero senza alcuna riserva. Proprio per questo, quando Leon si alzò in piedi con lei in braccio, la ragazza gli allacciò prontamente le braccia al collo, lasciando che la trasportasse fino in salotto e la adagiasse sul divano. Fu quasi tentata di chiedergli perché non l'avesse portata in camera sua, ma quando Vargas si sdraiò sopra di lei, dimenticò qualsiasi dubbio o interrogativo, intrecciando le dita nei suoi capelli e attirandolo a se, coinvolgendolo in un bacio appassionato. “Ti amo,” bisbigliò il ragazzo, scendendo a lasciarle una scia di baci lungo il collo e sbottonandole alcuni bottoni della camicetta, così da poter raggiungere anche le spalle. Violetta si morse il labbro, tentando di trattenere un sospiro di piacere. Sentire le labbra di Leon esplorare ogni centimetro della sua pelle e poi le sue mani che l'accarezzavano e allo stesso tempo la stringevano in maniera possessiva, provocava in lei sempre quelle indescrivibili sensazioni che le facevano perdere ogni contatto con la realtà. Tutto quello che desiderava era che lui non si fermasse e che al contrario fosse ancora più deciso. “Violetta,” sussurrò il ragazzo, staccandosi da lei giusto per sfilarsi la maglia. Violetta fece scorrere lo sguardo sul suo petto nudo, pensando che se prima fosse perfetto, ora lo era ancora di più. Lentamente gli sfiorò le spalle, poi le braccia e il petto. Era un movimento lento e ipnotico, che Leon seguì attentamente, lasciandosi sfuggire un sospiro. Come lei poco prima, bramava un tocco più marcato, voleva sentire quelle unghie conficcarglisi nella carne come solo loro sapevano fare. Era sempre stato un tipo impaziente lui e Violetta lo sapeva bene, ma si divertiva a torturarlo, ostentando quel sorrisetto furbo che lo faceva letteralmente impazzire. Incapace di resistere oltre, la baciò con passione schiacciandola sotto di lui. Tra baci e carezze audaci, la liberò della camicetta e del reggiseno e lei lo lasciò fare, pregustando il momento in cui avrebbe ripreso le sue dolci torture. Difatti, quando prese a baciarle i seni e poi il ventre, gettò il capo all'indietro e si lasciò sfuggire un lungo e rumoroso sospiro. Leon conosceva fin troppo bene i suoi punti deboli e puntualmente la metteva alla prova, tastando la sua resistenza e quel giorno non fu da meno. Mentre la liberava di tutti gli indumenti, baciò e accarezzò ogni zona sensibile del suo corpo, non perdendosi nemmeno una delle sue reazioni, tra sogghigni e sguardi di fuoco. “Quanto mi sei mancata, Amore mio,” mormorò, prima di coinvolgerla in un nuovo bacio.
Lei sorrise, facendo scorrere una mano dietro al suo collo, mentre l'altra scese a sbottonargli i jeans. “Togliteli, ora,” ammiccò, sotto lo sguardo ardente del giovane. “Tu mi farai impazzire così, ne sei consapevole?” La baciò ancora, addentandole i labbro inferiore. “Non hai idea di quanto ti desidero.”
“Cosa aspetti allora?” Lo provocò con uno sguardo malizioso. “Guarda che devo tornare a casa per cena.” Bastarono quelle parole per portare Leon a sfilarsi i jeans e i boxer con la velocità di un fulmine. “Eccomi, sono pronto,” sogghignò, fermandosi ad osservarla con desiderio. “Avevo quasi dimenticato quanto fosse meraviglioso osservarti in questo stato.”
Violetta rabbrividì, sentendo quello sguardo di fuoco percorrerle ogni centimetro di pelle. Ovviamente non era la prima volta che lui la vedeva nuda, ma ogni volta le faceva sempre lo stesso effetto, ancora di più se poi per più di un anno erano stati separati. “Sei la cosa più bella che abbia mai visto,” sussurrò lui, sfiorandole una guancia e continuando a guardarla con crescente desiderio. La ragazza si aprì in un debole sorriso, fermandosi a sua volta ad ammirare il corpo del giovane, finalmente libero di ogni indumento. Era bello Leon, lo era sempre stato. Il classico bello e bastardo, di quelli che con un solo sguardo erano capaci di rubarti l'anima, di stravolgere tutte le tue certezze e di conquistarsi un posto nei tuoi pensieri più frequenti. Si era innamorata di lui sin da quando quegli occhi verdi si erano specchiati nei suoi e con il tempo quell'amore era cresciuto sempre di più, fino a travolgerla come un fiume in piena. Si nutriva di lui, viveva di lui e stare lontani era stato come se avesse provato a stare in apnea più del necessario, ritrovandosi ad aprire la bocca e ad inghiottire litri d'acqua fino a soffocare. Non poteva vivere senza Leon, ora ne aveva la certezza. Gli accarezzò le braccia, continuando a sorridergli. “Se dobbiamo parlare di cose belle, tu non sei da meno, mio Bronzo di Riace.”
Leon ridacchiò, sdraiandosi su di lei, ma sorreggendosi sui gomiti, così da non gravarla troppo del suo peso. “Naaaa, io sono anche meglio, piccola mia.” Le lasciò un caldo bacio sul collo, gesto che le fece completamente dimenticare di dover ribattere qualcosa a quel ragazzo così arrogante e pieno di se. Che ci poteva fare se i suoi baci le facevano perdere la lucidità? Prese il volto di Leon tra le mani e lo baciò, mentre lui le faceva divaricare le gambe e si frapponeva tra esse. Fu a quel punto, nel pieno dell'emozione per l'avvicinarsi di quel momento tanto atteso, che a Violetta tornò in mente una piccola particolarità del giovane, una richiesta che puntualmente le faceva prima di fare l'amore. Se l'aspettava da un momento all'altro e perciò non si sorprese quando lui interruppe il bacio e la guardò, serio. “Vilu, amore, ho bisogno che tu me lo dica,” sussurrò con il fiato corto e l'espressione decisamente agitata. Mai era riuscita a capire perché in quel preciso momento volesse sempre quella rassicurazione, quando aveva provato a chiederglielo aveva sempre cambiato argomento o aveva finto di non capire. La sua conclusione era stata che fondamentalmente Leon anche se non lo desse a vedere, era molto insicuro e proprio come in passato, accostò le labbra al suo orecchio e sussurrò: “Non amerò nessun altro che te, mai.”
Finalmente il giovane si rilassò e dopo averla guardata per alcuni istanti, la baciò, riprendendo esattamente dove avevano lasciato. Dopo più di un anno tornarono ad essere una cosa sola, cosa che ad entrambi era mancata come l'aria. Erano l'uno la metà dell'altro e solo insieme avevano senso, da soli erano il nulla. Mentre se ne stavano abbracciati con le gambe intrecciate, i respiri corti e i cuori che battevano all'unisono, ne erano sempre più consapevoli e si sentivano sommersi di un'intensa felicità e completezza, sensazioni che d'ora in avanti volevano provare sempre e comunque, il resto non contava.






Allora, siete ancora vivi? Awwwwwwww io tra lo scriverlo e il correggerlo ancora mi devo riprendere *_______* è la miglior medicina visto che nella serie le cose vanno sempre peggio -.- quasi quasi preferisco il Leon versione malavitoso piuttosto che quello completamente rincretinito della serie, almeno non ha dubbi sui suoi sentimenti per Vilu e sicuramente camuffata da Roxy la riconoscerebbe XD Comunque, che ve ne pare di questo 16?
Leon ha preso la sua decisione, farà le audizioni per entrare allo Studio! Non potrebbe esserci notizia migliore per i nostri Leonetta, che finalmente hanno superato l'ostacolo comportamento da malavitoso di Leon e viversi completamente il loro amore e frgtyuioplkijhgfdfghjkilo non ce la faccio a commentare il resto, sono ancora in fase scleri awwwwwwwww :3
Nel frattempo Francesca assiste al bacio di Marco e Lena proprio nel momento in cui aveva deciso di tentare di recuperare la sua storia con il ragazzo e si ritrova a piangere tra le braccia di Diego. Passi in avanti anche per i Diecesca, Fran infatti non ha più dubbi è innamorata di lui awwwwww :3 Diego però, guidato dalla paura di innamorarsi e dai sensi di colpa verso Marco, la incoraggia a parlare con lui, facendosi quindi da parte. Cosa farà Fran?
Ahaahahaaha ho scritto una nota chilometrica oggi, oddio XD spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio per il vostro costante affetto :3
Trilly <3


 

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Capitolo 17
*** Istinto ***





“Non lo nego, è vero.”
Marco e Francesca erano a casa del ragazzo, seduti sul suo letto. Da quel famoso pomeriggio in cui la ragazza aveva assistito al bacio tra il giovane Galindo e una biondina, era passata una settimana, una settimana in cui Francesca aveva riflettuto a lungo prima di affrontarlo. Ora appunto era lì a pretendere delle spiegazioni, peccato che le cose non stessero andando come si aspettava. Difatti, non solo Marco lo aveva ammesso senza alcun problema, ma non sembrava nemmeno pentito. “Di che ti lamenti,” sbottò, ostentando un sorrisetto insolente che la innervosì a dir poco. “Ormai è come se fossi single, mi eviti, non rispondi alle mie chiamate, sei assente. Lena mi cerca, è interessata a me, è da tanto che non mi sentivo così,” continuò, alzandosi in piedi e iniziando a passeggiare per la camera. Marco era tranquillo, sicuro di non avere alcuna colpa e Francesca non poteva fare a meno di fissarlo, sconvolta.
“Ti rendi conto di quello che dici?” Scattò a sua volta in piedi, bloccandolo e costringendolo a voltarsi verso di lei. “Ammetto di aver avuto dei dubbi e per questo mi sono presa del tempo, ma non sono andata a baciare un altro.”
Marco rise, incredulo. “Tu ti allontani senza motivo e io sarei il colpevole? Sei ridicola Francesca, ti stai arrampicando sugli specchi,” ribatté freddamente, tentando di spostarla di lato, ma lei oppose resistenza. “Ho tutto il diritto di avere dei dubbi, sono una persona, non un marziano!”
“Hai dei dubbi perché stai vedendo un altro, non è così? Ammettilo, ti conosco, so quando menti.” La prese per le spalle, costringendola a guardarlo, ma lei scosse la testa. “Se pensi che potrei averti tradito, allora non hai mai capito niente di me.” Si liberò con stizza dalla sua stretta e gli voltò le spalle, tentando di trattenere le lacrime. “Come puoi anche solo pensare che potrei essere quel tipo di persona?” Singhiozzò, avvertendo la sua presenza a pochi passi da lei. “Io non ti avrei mai tradito. Perché Marco, perché?” Aggiunse, tornando a voltarsi verso di lui. “Quella ragazza ti ha baciato e tu non l'hai respinta,” soffiò, mordendosi il labbro quasi a sangue, anche se era ormai inutile visto che alcune lacrime erano già sfuggite al suo controllo. Marco abbassò lo sguardo, passandosi nervosamente una mano nei capelli. “Tu mi ignoravi e...mi sentivo solo, incompreso e lei c'è stata, mi ha capito,” ammise, tornando a guardarla, serio. “Ho provato a capirti, a lasciarti il tuo spazio, ma il fatto è che non posso più. Perché hai dei dubbi così all'improvviso? Non mi ami più?”
Francesca deglutì, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. Avrebbe tanto voluto rassicurarlo, dirgli che qualsiasi dubbio avesse avuto ora era risolto, che amava lui e nessun altro, ma sarebbe stata una grandissima bugia e lei non era una bugiarda. Cosa poteva mai dirgli allora? E poi c'era quel bacio, anche se avesse amato ancora Marco, avrebbe potuto perdonarlo? “Io...io non lo so,” soffiò, strofinandosi il volto con vigore. “Ultimamente non riesco a capire più nulla, sento che ogni cosa mi sta sfuggendo di mano, più provo a sistemarle e più si complicano.” Si appoggiò con la schiena contro l'armadio, socchiudendo gli occhi e continuando a strofinarsi il volto. Perché tutto doveva essere così difficile? Perché non poteva essere felice e spensierata e doveva sempre avere qualche grattacapo? Marco era quello giusto, il ragazzo che chiunque avrebbe amato e voluto al suo fianco, perché amarlo le risultava ora così difficile? Lui era così dolce, premuroso, attento, la metteva al centro del suo mondo, facendola sentire una principessa, cosa poteva chiedere di più? Diego non era nulla di tutto quello, era egocentrico, tenebroso, ambiguo, manipolatore, bugiardo e soprattutto bastardo e pericoloso, un tipo del genere non avrebbe mai potuto darle nulla, mai l'avrebbe fatta sentire speciale. Lo sapeva, eppure lui l'attirava come una falena era attirata dalla luce, sentiva che voleva conoscere ogni cosa di lui, sentiva che voleva correre il rischio, che la stabilità non le bastasse più. Voleva brividi, passione, sconvolgimento, imprevedibilità, cose a cui non aveva mai pensato, ma che ora bramava con ogni cellula del suo corpo. Quel sentimento era la cosa più sbagliata del mondo, un qualcosa da cui aveva tentato troppo spesso di salvare Violetta, cercando di aprirle gli occhi e ironia della sorte, proprio lei aveva finito col caderci. Da quando Francesca Cauviglia era così irresponsabile?
“Hai ragione,” esordì Marco, dopo lunghi minuti di silenzio, distogliendola dei suoi pensieri. “Ho sbagliato a baciare Lena, ma sei stata tu con i tuoi dubbi a portarmi a commettere una simile sciocchezza.” Francesca lo guardò e si rese conto che il ragazzo fosse maledettamente sicuro di ciò che dicesse. “Se non ti fossi allontanata così da me, io non lo avrei fatto,” continuò, staccandole le mani dal volto e stringendole con le sue. “Io ti amo e se per te è lo stesso, non vedo perché non possiamo ricominciare daccapo.” Fece per baciarla, ma quando si ritrovò il volto del ragazzo così vicino al suo, alla mora tornò in mente il bacio di Marco e quella Lena e per questo lo respinse. Non ci riusciva, non poteva dimenticare quanto facilmente avesse baciato un'altra solo perché si sentiva solo e incompreso, mentre lei nonostante la forte e crescente attrazione e a quel punto anche amore, che avvertiva per Diego non avesse mai ceduto. Lei aveva resistito, si era opposta con le unghie e con i denti, Marco invece no e lo stesso si permetteva di dirle che l'amava. Era assurdo, inconcepibile. “Sei pazzo se pensi che potrei dimenticare che hai baciato un'altra così su due piedi.”
Il giovane, profondamente deluso e indispettito per essere stato respinto, alle sue parole si lasciò sfuggire una risata carica di amarezza. “Se io posso perdonare il modo squallido con cui mi hai tenuto lontano, non vedo perché tu non puoi dimenticare un misero bacio. Te la stai prendendo per una sciocchezza e lo sai,” insistette, prendendola nuovamente per le spalle. Sembrava che ormai ci avesse preso l'abitudine. “Addirittura mi hai fatto fare la figura dell'imbecille davanti a quel Vargas, l'hai dimenticato?”
Il riferimento a quel giorno accanto agli armadietti quando Leon li aveva beccati a litigare, era evidente e Francesca non seppe che dire. Allora era più nervosa e agitata che mai, aveva assistito all'esibizione di Diego ed era un turbinio di emozioni, tanto che non desiderava altro che restare sola, ma non poteva di certo dirglielo e poi il punto non era quello e per questo glielo fece prontamente notare. “Marco, quel giorno mi stavi facendo male e questo perché non ti ho detto quello che volevi sentirti dire. Mi hai spaventata, è normale che abbia reagito così.”
Lui scosse la testa, imperterrito. “Non ti avrei mai fatto del male e lo sai, volevo solo la verità, quella che continui a negarmi.” Prima che lei potesse ribattere, aggiunse. “Sei davvero arrabbiata per il bacio con Lena, o stai solo cercando una scusa per troncare con me? Magari hai già un altro e non aspetti altro che renderlo pubblico.”
Francesca lo fissò a bocca aperta, incapace di dire qualsiasi cosa. Non poteva davvero pensare una cosa simile, non poteva. “Ammettilo,” insistette Marco, scuotendola. “Mi evitavi per vedere il tuo amichetto, magari proprio per questo non hai voluto fare l'amore con me e...”
SBAM. Il ragazzo non riuscì ad aggiungere altro perché lei lo colpì con un forte ceffone, che risuonò nelle loro orecchie più e più volte. “Non ti permetto di dire una cosa del genere! Non te lo permetto e basta!” Sbottò lei, ferita e allo stesso tempo profondamente delusa. Gli occhi nel frattempo le pungevano minacciando la fuoriuscita delle lacrime, ma fece il possibile per trattenersi, non gli avrebbe dato quella soddisfazione.
Marco si portò la mano sulla guancia colpita, l'espressione impassibile. “Questo non fa altro che confermare i miei dubbi,” borbottò, ma Francesca non voleva più ascoltarlo, doveva andarsene e subito. “Vai al diavolo!” Esclamò perciò, voltandogli le spalle e incamminandosi verso la porta. Un altro secondo lì dentro e lo avrebbe ucciso e poi ovviamente sarebbe scoppiata a piangere e sinceramente voleva evitarlo. “Dove vai? Non puoi andartene così!” Marco tentò di afferrarle il polso, ma lei si liberò con stizza. “Non voglio sentirti e non voglio che mi tocchi! Stai lontano da me!” Finalmente il ragazzo smise di insistere e Francesca poté scappare via, mentre le lacrime scorrevano a fiumi sul suo volto. Le parole di Galindo le risuonavano nelle orecchie e il suo sguardo la tormentava imperterrito, facendola sentire ancora peggio. Si era sentita sporca, disgustosa, un mostro a causa dei sentimenti che nutriva per Diego e li aveva combattuti per rispetto per Marco e nonostante tutto doveva subire quell'umiliazione, non era giusto, non lo era per niente. Alla fine i suoi erano stati solo pensieri, a parte un abbraccio, il nulla più assoluto. Non meritava che il suo ragazzo baciasse un'altra e che poi l'additasse come una poco di buono, quella era una cattiveria gratuita.
Senza nemmeno sapere come, giunse di fronte allo Studio e incurante di essere in lacrime e che non fosse orario per le lezioni, varcò la soglia. Non aveva idea del perché lo avesse fatto e cosa si aspettasse di trovare, le gambe camminavano da sole. Imboccò il corridoio che portava all'aula di danza, ignorando coloro che la guardavano sconvolti. D'altronde era in uno stato pietoso, non poteva dare loro torto. Sperava solo di non incontrare nessun volto conosciuto, soprattutto Jackie, voleva solo sfogare con la danza tutta la sua frustrazione. Quando però aprì la porta dell'aula, la trovò già occupata dall'ultima persona che avrebbe voluto vedere dopo Marco, ossia Diego. Alla sua vista, il moro smise di colpo di ballare e spense la musica, fissandola impietrito. Francesca avvampò, portandosi subito le mani sul volto, tentando di asciugare le lacrime e poi si lisciò i capelli. Mai avrebbe voluto che lui la vedesse in quello stato, che vergogna. “Scusa, non sapevo che l'aula fosse occupata,” balbettò, facendo per andarsene, ma la sua voce la bloccò. “Non mi piace vederti piangere.”
La ragazza socchiuse gli occhi, sentendolo avvicinarsi sempre di più, finché non percepì il suo respiro sul collo che la fece rabbrividire. “Perché ultimamente ti vedo sempre triste?” Sussurrò al suo orecchio, facendola sentire se possibile, ancora più vulnerabile. Lentamente si voltò verso di lui e nei suoi occhi lesse una grande preoccupazione, la stessa che vi aveva visto quando l'aveva consolata. Fu quasi tentata di gettarsi tra le sue braccia esattamente come quel giorno, ma non lo fece. Per quanto desiderasse essere protetta e rassicurata, sapeva che fosse sbagliato e che le avrebbe trasmesso ancora più confusione. Tirò su col naso, portandosi poi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. “La mia vita sta crollando in pezzi e non so che fare,” ammise con un filo di voce.
Diego la scrutò attentamente, corrugando le sopracciglia. “Che ha fatto Marco?” Le chiese, facendole sgranare gli occhi, sorpresa. “Mio padre mi ha detto che saresti passata a casa per parlare con lui,” spiegò il ragazzo, incurante. “è per questo che sono venuto qui, per lasciarvi la camera libera.”
Francesca annuì, avvicinandosi alla piccola scrivania e recuperando la bottiglia d'acqua, scolandosi un lungo sorso. “Non ne posso più, se continuo così impazzisco,” sbottò, scuotendo nervosamente il capo. Il moro nel frattempo la seguiva con lo sguardo, confuso. Credeva che lei e Marco avrebbero chiarito, ma era chiaro che non fosse accaduto, come mai?
“Francesca.” Le si avvicinò con pochi passi, ma quando fece per aggiungere altro, lei lo anticipò, esplodendo come una bomba a mano. “Mi ha dato della poco di buono! Riesci a crederci? Lui bacia un'altra e io sono un mostro!” Si prese poi il volto tra le mani, lasciandosi andare a un pianto disperato, sotto lo sguardo stupefatto di Diego, che tutto si aspettava tranne quello. Senza fermarsi a riflettere, la strinse forte a se, facendole poggiare il capo contro il suo petto. “Stt...va tutto bene,” le sussurrò, tentando di tranquillizzarla. “Non piangere, non ne vale la pena.” Le prese poi il volto tra le mani, asciugandole le lacrime con i pollici. “Non devi permettere a nessuno di avere tutto questo potere su di te.”
Francesca deglutì, specchiandosi nei suoi profondi occhi verdi. “Il fatto è che io...io già mi sentivo così in colpa e...sapevo che i miei sentimenti fossero sbagliati e li ho combattuti, ho fatto di tutto...lui invece non ha esitato a baciare un'altra...non me lo merito...non me lo merito...” singhiozzò, abbandonando ancora il volto nel suo petto, mentre il giovane era sempre più confuso. Tutte quelle frasi sconnesse era sicuro che avessero un senso e doveva solo trovarlo. Mentre abbracciava la ragazza, ci rifletteva su e a poco a poco le cose gli furono più chiare. “Ti piace un altro,” buttò lì, avvertendola irrigidirsi, cosa che gli fece capire di aver fatto centro. “è per questo che Marco si è arrabbiato, non è così?”
La mora sciolse l'abbraccio e fece per scappare, ma Diego fu più lesto, afferrandole il polso e costringendola a voltarsi. “Dove credi di andare? Non hai risposto alla mia domanda.”
Francesca si liberò dalla sua stretta, poi lo guardò indispettita. “Cosa vuoi da me? Perché mi tormenti? Non ne posso più di vederti e pensarti, basta!” Esplose, agitando le braccia e lasciandolo di stucco.
Non ne posso più di vederti e pensarti. Non ne posso più di vederti e pensarti. Aveva capito bene? Francesca pensava a lui? Prima che potesse scappare ancora, le si piazzò di fronte, prendendola per le spalle e guardandola fisso negli occhi. Anche se piangeva e tentava di dimenarsi, la risposta ai suoi interrogativi non avrebbe potuto essere più chiara e anche lei dovette pensarlo, perché a un certo punto smise di lottare e mormorò. “Si, ti penso e lo faccio continuamente.” Sotto lo sguardo sconvolto del moro, aggiunse. “Ho provato a lottare contro i miei sentimenti, ma è stato inutile. Mi sono innamorata di te.”
Diego la fissò per quelli che gli parvero lunghi minuti, mentre la sua mente tentava di dare un senso a quelle parole. Aveva capito di piacerle e per questo l'aveva spinta verso Marco, ma non credeva che lo amasse. E lui, cosa provava? Francesca gli piaceva, lo aveva capito da un pezzo e nemmeno uscire con le amiche di Leon era servito. Quella maledetta ragazza non aveva abbandonato un attimo la sua mente e ora era lì, a confessargli il suo amore. Cosa doveva fare? Aveva paura, una paura matta di abbattere le sue difese, non voleva mostrarsi debole, non voleva mettere se stesso nelle mani di qualcuno, non poteva. Ma non poteva nemmeno far finta di niente. Lei si era dichiarata a costo di umiliarsi e piangeva con così tanta fierezza, senza distogliere lo sguardo nemmeno per un attimo. Era forte Francesca, quella forza che era sempre mancata a lui ed era bella, in quel momento era bella più che mai. La sua mente fu attraversata da una serie di frasi e frammenti che tante volte aveva sentito dalla bocca di Leon e Violetta, tutte collegate all'amore. Aveva sempre pensato che l'amore fosse per i deboli e di non averne la predisposizione, ma mentre guardava la Cauviglia, non poteva fare a meno di pensare che fosse bellissima e che non desiderasse altro che baciarla. Normalmente allontanava le sue fantasie, ma in quel momento non ci riusciva. Le sue labbra erano così invitanti e poi c'era la sua pelle che voleva accarezzare e i suoi capelli, di cui desiderava inspirare il profumo ed immergerci le dita. “Diego.”
Bastò che quelle labbra sussurrassero il suo nome e Diego non capì più nulla. L'attirò a se e finalmente fece ciò che entrambi desideravano da troppo tempo, poggiò le labbra sulle sue. Esattamente come nel sogno, si lasciarono trasportare dalle emozioni, dando vita a un bacio appassionato. Lui fece scorrere le mani lungo la sua schiena, Francesca invece gli allacciò le braccia al collo, attirandolo ancora di più a se. Quando la lingua di Diego fece pressione contro le sue labbra, la ragazza le schiuse, consentendo l'incontrarsi delle loro lingue, che presero ad intrecciarsi e ad esplorare ogni centimetro delle loro bocche. Le labbra poi si mordevano con sempre più enfasi. Sentivano di stare esaurendo il fiato che avevano a disposizione, ma non riuscivano a fare a meno di baciarsi e al contrario erano sempre più appassionati. Forse tutto derivava dal fatto che lo avessero tanto desiderato, stava di fatto che in quel momento avessero tutti i sensi all'erta, ogni cellula e ogni muscolo sembrava assecondare quell'unione, il cervello invece era in stand-by e il cuore batteva così forte che temettero potesse uscire fuori dal petto. Mai si erano sentiti così vivi, così completi. Continuarono perciò a baciarsi, inconsapevoli che qualcuno li stesse osservando a bocca aperta. Era Ludmilla Ferro, che dopo un attimo di stupore, fu attraversata dalla rabbia e dalla delusione. Allora ci aveva visto giusto, Diego aveva puntato Francesca. Lo aveva pensato quel giorno al Restò Band e per questo era intervenuta, ora ne aveva la certezza. Nessuno la umiliava così e la passava liscia, l'avrebbero pagata tutti e due, era una promessa. Con quel pensiero si dileguò, mentre un sorrisetto malvagio che non prometteva assolutamente nulla di buono, faceva bella mostra di se sul suo volto.




“Mi era mancato tutto questo,” mormorò Leon pensierosamente, mentre abbracciato a Violetta passeggiava tra gli affollati negozi del centro commerciale. Era tanto tempo che loro due non si concedevano un pomeriggio insieme, prima il carcere e poi le loro incomprensioni li avevano tenuti lontani e ora che finalmente erano di nuovo uniti, il ragazzo stentava a crederci. Per alcuni terribili momenti aveva quasi creduto che tra lui e Violetta fosse finita, che non ci fossero possibilità di ritornare nella sua vita e si era sentito morire. Senza di lei, lui non era assolutamente nulla. L'orgoglio però, accompagnato dalla sua testardaggine perenne, lo avevano frenato a lungo, finché soprattutto grazie a Diego e Lara, non aveva finalmente aperto gli occhi. Era ora di cambiare, di mettere la testa a posto e ripensando a quello che era successo tra lui e Violetta quel pomeriggio a casa sua, poteva dire di aver preso la miglior decisione della sua vita. La ragazza che amava aveva deciso di dargli un'altra possibilità, quella che lui bramava con tutto se stesso. Insieme a lei si sentiva finalmente completo, come se una luce fosse tornata ad illuminare l'oscurità che per troppo tempo lo aveva accompagnato e forse era davvero così. Violetta era la sua luce, lei lo rendeva migliore, quasi dimenticava di essere un Vargas, in sua compagnia era solo Leon e lui amava essere solo Leon. Odiava tutti quei pregiudizi che circondavano la sua persona, odiava essere additato o temuto, per quanto spesso se ne fosse vantato infatti, a volte non desiderava altro che essere uno dei tanti giovani spensierati. Essere un Vargas pesava davvero tanto, era tenuto a dei comportamenti, aveva un futuro già scritto e la cosa non gli stava più bene. Un tempo si era sentito così orgoglioso di potersi occupare degli affari di suo padre, di essere temuto, rispettato, ricco, la sua ambizione era sempre stata molto alta, ora però si rendeva conto di avere altre esigenze, prima su tutte l'amore di Violetta. Voleva stare con lei, era l'unica cosa che gli interessasse. Poggiò le labbra sulla sua tempia, lasciandovi un dolce bacio. “Io e la mia Violetta.”
La ragazza sorrise, stringendosi maggiormente a lui e poggiando la guancia contro il suo petto. “Promettimi che sarà sempre così, promettimi che non permetteremo più a nulla di mettersi tra di noi.”
Si fermarono accanto alla vetrina di un negozio di peluche dalle varie forme e colori, riflettendo sull'ultima frase della ragazza. Leon alternava lo sguardo da lei ai pupazzi esposti, mentre un debole sorriso si distendeva sulle sue labbra. “Te lo prometto,” sussurrò, facendo scorrere le dita tra i suoi capelli. “Tu ed io, sempre e comunque.”
Violetta si voltò verso di lui, accarezzandogli una guancia e facendo adagiare la fronte contro la sua. “Ti amo Leon, non ho mai smesso di farlo.” Gli diede un bacio a fior di labbra, sorridendogli dolcemente. “Ora più che mai voglio credere in noi due.”
“Anch'io,” concordò il giovane, stringendola in uno dei suoi meravigliosi e terapeutici abbracci. “Risolveremo tutti i nostri problemi.”
E Violetta era sicura che sarebbe stato così, mentre passeggiava mano nella mano insieme al ragazzo che amava, se ne convinceva sempre di più. Un tempo Leon si sarebbe rifiutato di fare la fila per un gelato e avrebbe preteso che gli dessero la precedenza perché un Vargas, quel giorno però si mise in coda come un ragazzo qualsiasi, non lanciò sguardi minacciosi e non attirò l'attenzione, sembrava insomma più maturo, più uomo. Se prima aveva dubitato che le cose potessero cambiare, ora in lei stava a poco a poco crescendo la speranza di poter davvero avere un futuro con lui. Magari avrebbero potuto sposarsi, viaggiare, avere dei bambini, invecchiare insieme. Non avrebbe potuto chiedere di più alla sua vita, solo Leon.
“A cosa pensi?” Erano seduti al tavolo del piccolo McDonalds del centro commerciale e stavano addentando due grandi panini, o almeno Leon lo stava facendo, visto che Violetta era rimasta con il panino a mezz'aria e lo sguardo perso nel vuoto. Al suono della voce del giovane, sobbalzò, affrettandosi a riporre il panino e a bere un sorso di cocacola. Lui nel frattempo non si era perso nessuno dei suoi gesti. Conosceva Violetta, era abituato al fatto che di tanto in tanto si estraniasse dal mondo per perdersi nelle sue fantasie ad occhi aperti e quella era una delle cose che gli piacevano di lei. “Ehi,” le strinse una mano con la sua, abbozzando un dolce sorriso. “Sei molto pensierosa oggi.”
La ragazza annuì, ricambiando il sorriso. “Pensavo a noi due e al fatto che abbiamo una seria possibilità di cambiare le nostre vite, insieme,” ammise, giocherellando con il cartone delle patatine, pieno ancora per metà. “Devo trovare il modo di dirlo a mia nonna, anche perché non voglio più nascondermi.”
“Troveremo il modo,” la rassicurò lui, accarezzandole il dorso della mano. “Tua nonna capirà che sono davvero cambiato, vedrai che accetterà il nostro amore.”
“Lo spero,” commentò lei pensierosamente, sgranocchiando una patatina. “Sai quanto può essere testarda. Non mi sorprenderei se mi rinchiudesse in camera fino ai quarant'anni.”
Leon ridacchiò, facendola accigliare. “Vorrei tanto vedere la sua faccia quando glielo dirai. Secondo me, sviene.” Scoppiò poi a ridere, sotto lo sguardo sconvolto della giovane. “Ti stai prendendo gioco di mia nonna?”
Lui smise di colpo di ridere, ma il sorriso non abbandonò le sue labbra. “Bè, sai quanto quella donna mi adori, ogni volta che mi vede sembra che abbia visto il diavolo in persona.”
Violetta scosse la testa, divertita. “Devi ammettere che ci è andata vicina, un po' diavolo lo sei.” Il giovane inizialmente si finse offeso, poi però si lasciò andare alle risate insieme a lei. “Non un po', parecchio,” soffiò, spostandosi sulla sedia accanto alla sua e lasciandole un focoso bacio sul collo. La ragazza avvampò, portandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio. “Leon, non qui, ci guardano tutti.”
Lui, di tutta risposta, scoppiò a ridere contro il suo collo, su cui lasciò una serie di piccoli baci. “Ma quanto sei pudica, Amore mio,” la canzonò, circondandole le spalle con un braccio, le labbra a un soffio dal suo orecchio. “Quando sei in imbarazzo sei ancora più sexy.” Fece scorrere le dita lungo la sua guancia rosata, che dopo quelle parole lo divenne ancora di più. “Ti prego,” lo supplicò. Flirtare con Leon era la cosa che le piaceva di più, soprattutto quando l'accarezzava e la baciava, ma se c'erano altre persone presenti si vergognava terribilmente e quel giorno non era da meno. “Ti prego, Leon.” Sapeva però che fosse inutile, lo conosceva. Vargas non aveva idea di cosa fosse la vergogna e si divertiva un mondo a vederla a disagio e per questo non si sorprese quando avvertì ancora le sue labbra sul suo collo. “Mmm...mi è sempre piaciuto il tuo profumo.”
“è alla vaniglia, niente di particolare,” spiegò lei ingenuamente. “Perché ridi?” Aggiunse, notando che in effetti facesse fatica a trattenere le risate. Leon si sforzò di ritornare serio, specchiandosi nei suoi occhi nocciola. “Rido perché sei così tenera e innocente.” Sotto il suo sguardo confuso, proseguì. “Non parlavo di quel tipo di profumo, ma di quello della tua pelle.”
“C..come?” Balbettò Violetta, rossa come un pomodoro. “Ma come ti viene in mente e...perché dobbiamo flirtare proprio qui dove tutti ci possono vedere? è...è imbarazzante.”
Il giovane ridacchiò, facendo sfiorare il naso con il suo. “Imbarazzante per te, per me è molto divertente.” Dopodiché la baciò, un bacio dolce che lei ricambiò prontamente intrecciandogli le dita nei capelli. “Sei insopportabile,” sussurrò la Castillo, facendo combaciare ancora le loro labbra. Lui sorrise, accarezzandole dolcemente i capelli. “Tutto questo però ti piace.” Si scambiarono un altro bacio, ma quando Leon fece per approfondirlo, la ragazza lo fermò poggiandogli le mani sul petto. “Come sta proseguendo la canzone per le audizioni?”
Pochi giorni prima, di fronte allo sguardo stupefatto di Pablo e Angie, Vargas aveva presentato il modulo e la certificazione necessaria per partecipare alle audizioni e per questo aveva iniziato a mettersi a lavoro per progettare una coreografia e una canzone. Se per la coreografia Violetta lo stava aiutando molto, la canzone era un mistero e lei era davvero curiosa di saperne di più. Leon la fissò per alcuni istanti, stupefatto e allo stesso tempo amareggiato per quel repentino cambio di argomento, ma poi sorrise. “Non posso lamentarmi, la canzone sta venendo bene, ho anche composto la base. In pratica mancano solo alcune modifiche,” annunciò, gonfiando il petto orgoglioso.
“E quando me la farai ascoltare?” Chiese la giovane, trepidante. La voce di Leon era sempre riuscita ad incantarla e il solo pensiero di poter ascoltare una canzone solo sua, le faceva venire la pelle d'oca. Era sicura che già alla prima strofa si sarebbe conquistato l'ammissione allo Studio, lui era un talento innato e lo avrebbe dimostrato anche a tutti coloro che mai lo avevano apprezzato o capito. “Avanti, non tenermi sulle spine,” lo incalzò ancora, sporgendo il labbro in fuori come una bambina.
Lui di tutta risposta si finse pensieroso, anche se il suo divertimento era piuttosto evidente. “Mmm...uno di questi giorni forse,” sogghignò, scrutandola attentamente.
“Ti odio,” sbottò Violetta, ruotando gli occhi e scattando in piedi. “Ho finito di mangiare, paga,” aggiunse, facendogli la linguaccia e incamminandosi verso l'uscita del Mcdonalds. Leon non si sorprese per nulla, loro due avevano sempre scherzato così in passato e come ogni volta, non si mosse dal suo posto e addirittura riprese a mangiare. Se Violetta era testarda, lui lo era ancora di più. Difatti, dopo nemmeno cinque minuti, la ragazza tornò indietro, piuttosto stizzita. “Con te è sempre la stessa storia,” sbuffò, sedendosi di fronte a lui.
Leon scrollò le spalle, finendo di mangiare il resto delle patatine e scolandosi un sorso di cocacola. “Io non cedo ai ricatti, Amore mio. Non l'ho mai fatto e mai lo farò. Non mangi?” Aggiunse, indicando con un cenno il quarto di panino nella scatola di cartone. Lei scosse la testa, ancora visibilmente indispettita. Il ragazzo allora, prese il panino e se lo divorò con un solo morso, lasciandola a bocca aperta. “Vado a pagare.”
Violetta lo seguì con lo sguardo, sospirando rumorosamente. Riconosceva di non avere un caratterino facile e di alternare momenti di maturità a quelli infantili, ma Leon non era di certo da meno. Era testardo, irritante, contraddittorio e si divertiva a farle saltare i nervi, fastidiosa abitudine che con il tempo non lo aveva abbandonato. Era capace di lasciarla andare da sola a casa piuttosto che accontentarla, era pronta a scommetterci, era un vero bastardo. Mentre lo guardava parlare con il ragazzo alla cassa però, la Castillo dovette riconoscere che lo amava proprio com'era. Aveva ragione Diego quando le diceva che avesse un debole per i cattivi ragazzi. Con quel pensiero, lo raggiunse al bancone e si aggrappò al suo braccio, cogliendolo decisamente di sorpresa. Era chiaro che non si aspettasse tutta quell'improvvisa docilità. In ogni caso, almeno davanti dal cassiere non disse nulla e nemmeno mentre si incamminavano verso la sua moto, però si trattava comunque di Leon Vargas e lui non perdeva mai l'occasione di deridere qualcuno, perciò Violetta era sicura che di lì a poco avrebbe introdotto l'argomento.
“Vedo che ti è passata l'arrabbiatura, bambina capricciosa.” Nei pressi di casa sua, appena parcheggiarono la moto, Leon esordì con quella frase accompagnata da una grassa risata e lei non potè fare altro che ruotare gli occhi. Tipico suo, era impossibile che si fosse dimenticato di prenderla in giro. “Non puoi fare a meno di me, ammettilo.”
Violetta scese dalla moto, ignorandolo completamente. A volte era capricciosa, era vero e per questo stava lavorando per modificare quel lato del suo carattere, ma Leon che la punzecchiava per ogni cosa non l'aiutava per niente. “Sei fastidioso e molesto, smettila una buona volta,” sbottò, voltandosi verso di lui.
Vargas ridacchiò, attirandola a se e facendo combaciare le loro fronti. “E tu sei capricciosa e lunatica, ma ti amo lo stesso.”
A quelle parole, dette con così tanta dolcezza, dimenticò l'arrabbiatura e tutto il resto, sciogliendosi completamente. “Anch'io ti amo.”
Angelica, che aveva appena varcato il cancello per gettare l'immondizia, mise subito a fuoco a pochi metri da lei, due giovani che si baciavano con un certo trasporto. Una seconda occhiata le bastò per riconoscere sua nipote Violetta e...no, non poteva essere. L'anziana donna si portò la mano al cuore, facendo fatica a respirare con regolarità. No, non di nuovo quel Vargas. Possibile che il suo incubo non avesse mai fine? Perché la sua Violetta le stava facendo una cosa simile? Credeva che ormai fosse tutto superato, che appartenesse al passato, ma quello che vedeva le confermava che non fosse così. Senza sapere nemmeno come, rientrò in casa, anche se ancora visibilmente agitata. Non poteva permettere che la storia si ripetesse, doveva intervenire e stavolta in maniera definitiva.




Holaaa!!
E finalmente è accaduto, Fran e Marco si sono in un certo senso lasciati e... bacio Diecesca!! awwwwww Sono dolcissimiiii :3 Ludmilla però li ha visti e qui c'è molto da preoccuparsi 0.0 Nel frattempo Leon e Vilu si concedono un pomeriggio insieme e conosciamo un po' meglio la loro particolare storia d'amore e... awwwwww quanto sono teneriiii :3 Qui però c'è un altro pericolo in vista, Angelica ha visto tutto! Cosa farà ora? 0.0
Fatemi sapere cosa ne pensate e grazie per il vostro sostegno, per me è fondamentale!! :3
un bacione <3


 

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Capitolo 18
*** Amare conseguenze ***





“IO TI AMMAZZO!” Come una furia Marco entrò nell'aula di ballo, fiondandosi verso Diego che in piedi accanto alla finestra insieme a Francesca, lo fissò confuso. Non fece però in tempo a dire qualsiasi cosa, che il fratello gli saltò praticamente addosso tempestandolo di pugni. “SEI UN BASTARDO! UN MALEDETTO BASTARDO!” Urlò, tra un pugno e l'altro. Diego, colto di sorpresa, subì in maniera passiva e anche se successivamente avrebbe potuto ribaltare la situazione facilmente non lo fece, lasciando che Marco lo riempisse di pugni. In fondo li meritava dal primo all'ultimo.
“Ragazzi, smettetela, vi prego,” mormorò Francesca, spaventata. “Vi farete male se continuate.” Tentò di fermare il braccio di Marco, ma lui la respinse, rischiando di farla cadere. “Con te farò i conti dopo,” sbottò, non guardandola nemmeno in faccia. “Avevo ragione, sei una poco di buono.”
La ragazza abbassò lo sguardo, ferita da quelle parole, ma non disse nulla. Diego però non reagì alla stessa maniera e colpì il fratello con un forte pugno in pieno naso, riuscendo a ribaltare le posizioni. “Non ti azzardare mai più a parlare così di lei,” sibilò tra i denti. “Tu non la devi nemmeno nominare.”
Marco rise, incredulo. “E come dovrei chiamarla una che si fa mio fratello? Siete perfetti insieme, due esseri disgustosi.” Diego si bloccò di colpo a quelle parole e il fratello ne approfittò per riprendere il controllo di quella rissa.
Proprio in quel momento, la porta dell'aula si aprì di nuovo per l'arrivo di Pablo e Angie. “Che sta succedendo qui? Cos'erano quelle urla? Marco, cosa...” Galindo si interruppe, rendendosi conto non solo che i suoi figli fossero sul pavimento, ma che il minore da sempre il più pacifico stesse avendo la meglio. “Smettetela, ora,” disse in ogni caso, mentre la sua mente era attraversata da pensieri sempre più confusi. Appena entrambi si furono messi in piedi, fu Angie a prendere la parola. “Si può sapere perché vi stavate picchiando?” Sbottò la donna, rivolgendosi poi a Diego. “Che gli hai fatto per portarlo a reagire così?”
“è sempre il solito bastardo, non cambierà mai!” Intervenne Marco, avanzando di nuovo verso il fratello, ma Pablo si frappose tra i due. “Al vostro posto, tutti e due. Niente violenza, sapete che non la tollero.” Lo sguardo dell'uomo si posò poi su Francesca, che se ne stava da sola in un angolo con gli occhi bassi. “Francesca, ma cosa sta succedendo qui?”
La ragazza però non si mosse di un centimetro e ancora una volta fu Marco a dire la sua. “Quei due sono amici di letto papà, ti rendi conto?”
“Che?” Pablo sbiancò paurosamente, sicuro di aver capito male. Guardò Diego e Francesca, cercando una qualsiasi risposta nei loro sguardi. Se la Cauviglia era ancora nella medesima posizione, il ragazzo non batté ciglio, troppo occupato a tamponarsi il labbro spaccato con il lembo della maglia.
“Stai scherzando?” Angie si avvicinò a Marco, fissandolo stupita. “Se quello che dici è vero, loro...”
“è così, mamma,” la interruppe il ragazzo. “Ludmilla mi ha detto che li ha visti baciarsi e poi li ho trovati qui da soli,” spiegò, storcendo il naso disgustato.
Diego sgranò gli occhi, sorpreso. Ludmilla li aveva visti? Doveva immaginarlo che non si sarebbe lasciata sfuggire l'occasione di fargliela pagare per come l'aveva trattata e in effetti non poteva darle torto, se lo meritava.
Marco tentò ancora una volta di fronteggiarlo, ma trovò l'opposizione del padre e per questo fu costretto a fermarsi. “Sapevo che fossi un essere disgustoso, ma non credevo potessi spingerti a tanto. La mia ragazza.”
Diego fece per ribattere, ma Angie lo anticipò. “Tu e Francesca? È uno scherzo? Tu … lei... oh mio Dio!” Esclamò, incapace di dire altro.
“è vero quello che dice Marco?” Chiese invece Pablo, alternando lo sguardo dal figlio all'italiana. “Rispondetemi.”
“è vero,” ammise Diego, continuando a tenere lo sguardo basso. “L'ho baciata, ma giuro che non c'è stato altro,” aggiunse, scatenando le risate di Marco. “E ti sembra poco? Baci la mia ragazza e te ne vanti pure, non ti fai schifo?”
“è colpa mia, Marco.” Tutti si voltarono di scatto verso Francesca, che finalmente aveva alzato lo sguardo, sostenendo quello di tutti i presenti. “Lui mi stava consolando dopo il nostro litigio e...bè, è accaduto. Io non ti ho mai tradito Marco, mai,” continuò, facendo un passo verso di lui e tentando di controllare il tono di voce. “Mi sono presa del tempo per me stessa per riflettere sui miei sentimenti, non ti ho mentito su questo.”
Marco rise, incredulo. “Hai però omesso che la causa fosse ciò che provavi per mio fratello, mica una sciocchezza?” La guardò con disgusto, ma lei non si lasciò intimorire, avanzando di un altro passo. “Hai ragione, ho combinato un disastro. Avrei dovuto dirtelo o almeno allontanarmi da entrambi, ma te lo giuro...prima di oggi non era mai accaduto nulla, nemmeno quando ti ho visto baciare Lena.” Francesca disse quelle parole con le lacrime agli occhi, stanca di tenersi tutto dentro e ora aveva gli occhi di tutti puntati addosso. Se Diego era visibilmente nervoso, gli altri apparivano tutt'altro che comprensivi.
“Non me lo sarei mai aspettato da te, Francesca, ti credevo una brava ragazza,” esordì Angie, scuotendo il capo. “Ti ho accolta in casa mia e tu hai subito messo gli occhi sull'altro mio figlio! Dovresti vergognarti!” Prima che qualcuno potesse ribattere, la donna si avvicinò alla ragazza, continuando la sua ramanzina. “Visti i pensieri impuri che hai fatto, ti sta bene che Marco abbia baciato quella ragazza! Tu non lo meriti, non meriti nessuno dei miei figli! Complimenti, sei riuscita a peggiorare la situazione della mia famiglia, li hai messi uno contro l'altro, cos'altro vuoi distruggere?”
“Angie.” Pablo si avvicinò, tentando di calmarla. Aveva notato che la ragazza fosse già abbastanza mortificata e infierire non gli sembrava giusto. “Calmati.”
“Come faccio a calmarmi?” Sbottò lei, fulminando il marito con lo sguardo. “Ti rendi conto di cos'ha fatto questa qui? Si è messa a giocare con i sentimenti dei miei figli e...”
“Basta, smettila!” Esplose Diego, sconvolto dalla piega che stesse prendendo quella conversazione. “Sono adulto e vaccinato, non sono stato molestato. Io l'ho baciata, mamma. Lo volevo esattamente come lo voleva lei.”
“CHE COSA? TI RENDI CONTO DI QUELLO CHE DICI?” La bionda lo prese per le spalle, scuotendolo con vigore. “La ragazza di tuo fratello non avresti nemmeno dovuto guardarla!”
Lui annuì. “Credi che non lo sappia? Non l'ho fatto di proposito, ho tentato di contenermi, ma poi...”
“Ma poi cosa?” Insistette lei, ancora visibilmente alterata. “Non dirmi che non sei riuscito a tenere a bada gli ormoni, altrimenti ti do una sberla! Sei un uomo, Diego, non un animale!”
Diego ruotò gli occhi e sospirò. “Non volevo dire questo, solo che...non siamo riusciti ad evitarlo e...lei era ferita per quello che era accaduto con Marco e...non lo so...”
“E hai pensato di poter avere campo libero? È questo che stai cercando di dirmi?” Il ragazzo però non rispose e quello per Angie valse più di qualsiasi parola. “Mi vergogno di te,” commentò, spingendolo lontano, disgustata. “E tu,” aggiunse, guardando Francesca. “Non farti più vedere né a casa mia e né allo Studio. Non provare a contraddirmi,” proseguì, notando che Pablo stesse per parlare. “Non le permetterò di causare ancora problemi, la voglio fuori dalle nostre vite.”
Francesca incassò il colpo e senza dire nulla si avviò verso la porta, ma la voce di Diego la fermò. “Aspetta. Se cacci Francesca dallo Studio, allora devi cacciare anche me.”
“Come? Ma cosa dici?” Chiese la bionda, confusa. “è colpa sua ed è lei che deve andarsene.”
“Io l'ho baciata, io. Lo vuoi capire o no? Se cacci lei, allora cacci anche me.” Dicendo ciò, raggiunse Francesca accanto alla porta. “Non urlarmi solo contro, puniscimi. Avanti, fallo.”
“Diego ha ragione,” intervenne Pablo, frapponendosi tra le moglie e il figlio. “La colpa è di entrambi, perciò o tutti e due o nessuno.”
“Ma,” provò a protestare lei e lo stesso Marco fece per dire qualcosa, ma Galindo li zittì con un'occhiata. “Sono disgustato dal vostro comportamento,” disse, guardando Diego e Francesca. “Marco ha sbagliato, ma voi due non siete stati da meno. Non me lo sarei mai aspettato e davvero non so che fare. Fatemi finire,” aggiunse, notando con la coda dell'occhio che stessero di nuovo provando ad interromperlo. “Non posso cacciarvi dallo Studio, siete dei grandi talenti, ma vi voglio a chilometri di distanza. Non vi dovete più parlare, guardare o cose simili, avviserò anche gli altri professori di non farvi lavorare insieme. Se disobbedite, cambio idea e vi caccio, mi sono spiegato?”
Loro due annuirono, evitando di guardarsi. Sapevano di aver sbagliato e di meritare quella situazione, protestare non sarebbe servito a nulla. Paradossalmente Diego si sentiva quasi più in colpa di Francesca, nonostante di casini ne avesse combinati parecchi, ma d'altronde era lui il fratello di Marco e quindi il più lurido dei due peccatori.
“Bene,” disse Galindo alla fine. “Direi che non c'è più nulla da aggiungere. Puoi andare, Francesca.” La ragazza non se lo fece ripetere e lasciò l'aula quasi di corsa, seguita dalle occhiate torve di Angie e Marco. “Tutto qui?” Chiese quest'ultimo, deluso. “Dopo quello che ha fatto non sarà punito?”
“Certo che sarà punito!” Esclamò Angie, che a quanto pareva non aveva ancora sbollito la sua rabbia. “Te ne torni segregato in casa, Diego e non uscirai finché non lo dirò io.” Gli puntò il dito contro minacciosamente e lui si limitò a fissarla, senza battere ciglio. Dopo quello che aveva fatto era il minimo, onestamente si aspettava che sua madre lo avrebbe preso a schiaffi, perciò non poteva lamentarsi. “Non hai niente da dire a tuo fratello?” Riprese la bionda, fulminandolo con lo sguardo. “Delle scuse sarebbero il minimo per il tuo deplorevole comportamento.”
“Io non le voglio le sue scuse!” Ribatté Marco, storcendo il naso. “Lui non è pentito, è solo un egoista e un bastardo.”
Diego non disse una parola, riprendendo al contrario a tamponarsi il labbro. Che avrebbe mai potuto dire? Suo fratello aveva ragione su tutto, lui era una persona orribile e meritava il disprezzo che leggeva nei loro occhi. “Mi dispiace,” riuscì a sussurrare con un filo di voce, ma nessuno di loro gli credette. Quante volte aveva detto quelle due parole per ridurre la sua punizione di fronte all'ennesimo guaio in cui si era cacciato? Tante, troppe. Se Angie si limitò a scuotere il capo, Marco si fece rosso dalla rabbia e avanzò prepotentemente verso di lui. “Stai mentendo, è l'unica cosa che sai fare.” Pablo però si frappose tra i due, respingendolo indietro. “Ho detto che non voglio vedere violenza. Tu vieni con me.” Prese Diego per il polso e se lo trascinò verso la porta. “Ci vediamo dopo a casa,” aggiunse, guardando Angie, che annuì. “Perfetto, io e Marco restiamo qui ancora per un po', eh tesoro?” Strinse a se il minore dei suoi figli, che ricambiò calorosamente, mentre Pablo e Diego lasciavano l'aula, probabilmente per una lunga e tesa conversazione in privato. Stavolta il ragazzo l'aveva davvero combinata grossa, ma quello che la sua famiglia non sapeva era che per la prima volta le sue scuse erano state davvero sincere. Il senso di colpa lo stava dilaniando sempre di più, provocandogli un profondo disgusto verso se stesso. In che razza di persona si stava trasformando? Li aveva delusi tutti come mai c'era riuscito prima e Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto essere risucchiato dalla terra e sparire. Aveva ragione Marco, non era altro che un egoista e un bastardo.




Violetta si chiuse la porta di casa alle spalle, ostentando un grande sorriso e canticchiando tra se e se. Le era mancato trascorrere i pomeriggi con il suo Leon, solo lui era in grado di farla sentire così serena. Fece per incamminarsi verso la sua camera, quando sua nonna sbucò da una zona in ombra con le braccia conserte e l'espressione seria. Istintivamente la giovane si portò la mano al cuore, spaventata. “Santo cielo, nonna! Che ci facevi al buio?”
Angelica non rispose, continuando ad avanzare verso di lei, seria. “C'è qualcosa che mi devi dire?” Violetta corrugò le sopracciglia, confusa. “No, perché?” Fece per sorpassarla, ma la donna le ostruì il cammino. “Io mi fidavo di te, credevo che fossi ormai una giovane responsabile.”
La ragazza sospirò. Odiava quando sua nonna le faceva quei lunghi sermoni senza mai arrivare al nocciolo della questione, era decisamente irritante. “Qual è il problema nonna, parla chiaro,” le disse perciò, scrutandola in attesa.
Angelica prese un profondo respiro, quasi stesse cercando le parole giuste e forse era davvero così, poi alla fine mormorò. “Ti ho vista qui fuori con quel Vargas, vi stavate baciando.”
Violetta sbiancò di colpo, appoggiandosi alla parete per tentare di mantenere l'equilibrio. Tutto si aspettava, ma non quello. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto dirlo a sua nonna, ma non credeva che lei lo avrebbe scoperto così all'improvviso. Non era preparata, non sapeva cosa dirle.
“Mi avevi assicurato che fosse finita, che ormai lui fosse fuori dalla tua vita,” continuò Angelica, scrutandola con rammarico. “Mi hai mentito.”
“Non ti ho mentito,” sbottò la Castillo, scuotendo il capo. “Pensavo fosse davvero finita, ma poi...io e Leon ci amiamo e vogliamo davvero far funzionare le cose. È cambiato,” aggiunse, quando la donna fece per dire qualcosa. “Farà le audizioni per entrare allo Studio e ha anche deciso di tirarsi fuori dagli affari di suo padre e tutto questo per me. Leon mi ama e io amo lui.” Provò a stringere le mani di sua nonna, ma ella si sottrasse, scuotendo il capo, contrariata. “E tu gli credi? Quelli come lui non cambiano, lo vuoi capire o no?”
“Ma nonna,” iniziò la giovane, ma lei la interruppe. “Niente ma. Vargas non mi piace e mai mi piacerà, devi stare lontano da lui,” sentenziò, con un tono che non ammetteva repliche. Dopodiché si incamminò verso la cucina, considerando il discorso chiuso, ma Violetta non poteva accettarlo e proprio per questo le ostruì il passaggio. “Non puoi impedirmi di stare con Leon, lo amo. Mi hai sentito? Lo amo!” Sbottò, agitando le braccia.
La donna però era ancora più testarda di lei e con la solita gelida calma, mormorò: “Non mi interessa, lui non è giusto per te.”
“Che cosa?” Esclamò Violetta, incredula. “Non ti importa che io sia felice? È questo che stai cercando di dirmi?”
Angelica sospirò, accarezzandole il capo. “Certo che mi importa, è la cosa che vorrei di più al mondo, ma con quel ragazzo non lo sarai mai. Ora fa promesse, ma quando arriverà il momento di metterle in pratica, non riuscirà ad opporsi a suo padre.” La prese per le spalle, costringendola a guardarla negli occhi e aggiunse: “Quel mondo è uno circolo vizioso, una volta che ci sei entrato, non ci esci più. Possono anche passare anni, può cambiare vita e abitudini, ma le sue origini lo seguiranno. Permettimi di proteggerti.” Tentò di abbracciarla, ma Violetta incrociò le braccia al petto, esasperata. “So come la pensi, me lo hai ripetuto un'infinità di volte e quello che ti chiedo ora, è di lasciar decidere me. Ti prego, rispetta la mia scelta,” la supplicò, congiungendo le mani e facendole gli occhi dolci, quelli che da piccola le avevano permesso di ottenere tutto quello che voleva, soprattutto da Angelica. La donna però, non era più così sensibile a quello sguardo e infatti scosse la testa, imperterrita. “Mi dispiace Violetta, ma non ho intenzione di permetterti di rovinarti la vita. Ho promesso sulla tomba dei tuoi genitori che ti avrei protetta e lo farò fino alla fine dei miei giorni. Voglio che smetti di vederlo,” tuonò, indicandole con un gesto della mano la porta della sua camera. “Se non farai come ti dico, allora ti segregherò in camera.”
Violetta strinse forte i pugni, guardandola con odio, mentre gli occhi le si facevano lucidi. “Non puoi dire sul serio, non puoi davvero pensare di tenermi chiusa in casa.”
“Se lo devo fare per proteggerti, allora lo farò,” ribatté l'anziana donna, aprendo la porta della camera e spingendola all'interno. “Non vedrai mai più quel ragazzo, non gli permetterò di consumarti.” La chiuse poi in camera con diverse mandate, mentre lei disperata batteva i pugni contro la porta. “Nonna, apri! Non puoi tenermi chiusa qui dentro! Apri dannazione!” Senza poterlo evitare, le lacrime iniziarono a scorrerle lungo le guance. Non credeva l'avrebbe davvero chiusa in camera, pensava si trattasse solo di una minaccia, nemmeno quando Leon e Diego erano finiti in carcere si era spinta a tanto. Certo, le aveva impedito di uscire di casa, ma almeno era libera di girare per le camere. “SEI IMPAZZITA PER CASO? FAMMI USCIRE! NON HAI ALCUN DIRITTO DI FARMI QUESTO! TU NON SEI MIA MADRE! LEI E PAPà NON LO AVREBBERO PERMESSO!” Urlò, con quanto fiato avesse in gola, iniziando a colpire la porta anche con dei calci. “LEON MI CERCHERà, VERRà A PRENDERMI E NON POTRAI FARE NULLA PER IMPEDIRLO!” Dall'esterno però non arrivò nessuna risposta, se non il volume del notiziario che si alzava sempre di più, coprendo la sua voce. La stava ignorando, sua nonna la stava ignorando. Si appoggiò con la schiena alla porta, lasciandosi scivolare sul pavimento e prendendosi il volto tra le mani. Per quanto tempo Angelica l'avrebbe tenuta chiusa lì dentro? Leon e i suoi amici se ne sarebbero accorti? Tentò di asciugarsi le lacrime e al contempo frugò nelle tasche dei jeans, alla ricerca del cellulare. “Accidenti,” borbottò, ricordandosi di averlo lasciato nella borsa, che si trovava in corridoio, quindi fuori dal suo carcere. E ora cos'avrebbe fatto? Piangere era inutile, sua nonna non si era fatta impietosire né dal suo pianto e né dalle sue urla e perciò doveva pensare ad altro per evadere da lì. Uscire dalla finestra non se ne parlava, era un incapace totale, per questo di solito era sempre stato Leon ad aiutarla. Si rimise in piedi a fatica, guardandosi intorno con un certa agitazione. Il solo pensiero di dover stare chiusa in camera sua come un leone in gabbia la faceva impazzire, era identica a suo cugino Diego in quello, entrambi detestavano gli spazi stretti, le mura di casa ancora di più. Doveva uscire, doveva farlo assolutamente. Camminò avanti e indietro per la camera per almeno mezz'ora, poi finalmente ebbe un lampo di genio.
“Ma certo!” Sbottò, colpendosi la fronte. Come aveva fatto a non pensarci prima? Si fiondò verso l'armadio, iniziando a rovistare tra i vestiti, gettandone alcuni alla rinfusa sul pavimento. Sua nonna doveva aver già calcolato tutto, difatti aveva fatto sparire il suo computer, ma Violetta Castillo non era una sprovveduta, grazie a Leon e Diego aveva imparato ad avere sempre un asso nella manica e quell'asso era un vecchio telefono cellulare, che spesso in passato aveva usato per comunicare di nascosto con i due ragazzi. Certo, non era moderno, ma almeno doveva avere il credito necessario per permetterle di mandare un messaggio. Finalmente, sul fondo dell'armadio, avvolto in un vecchio paio di calzini, trovò ciò che cercava. Lo ripulì con cura e lo accese, incrociando le dita. Erano quasi due anni che non lo usava, e se le avessero disattivato la scheda? E se non ci fosse stato il credito per un messaggio? Scacciando quei pensieri negativi, si affrettò a scorrere nella casella degli sms. Doveva tentare, era la sua unica possibilità. Sul mittente poi non aveva dubbi, lui era l'unico che potesse tirarla fuori da quell'assurda situazione.

Leon, amore, sono io. Mia nonna ha scoperto di noi e mi ha chiusa in camera, ho bisogno di te...

Le mani le tremavano così tanto che le sembrò incredibile che fosse riuscita a scrivere qualcosa di senso compiuto. Digitò poi il numero di Vargas, che conosceva a memoria e schiacciò sul tasto 'invio', socchiudendo gli occhi ed incrociando le dita. “Ti prego, Leon, tu sei l'unico che può aiutarmi,” mormorò tra se e se, guardando il display del cellulare un secondo si e l'altro pure. Era così nervosa che non riusciva a stare ferma nemmeno per un'istante, si sentiva come coloro che erano in astinenza dalla droga, agitata e per niente razionale. Per tenere occupata la mente, decise di rimettere a posto i vestiti, così almeno avrebbe smesso di agitarsi come una folle. Leon le avrebbe risposto, era sicura che non l'avrebbe abbandonata e...
Il cellulare, che da sempre aveva impostata la vibrazione, vibrò all'improvviso, facendo sobbalzare la ragazza, che abbandonò i vestiti e recuperò prontamente l'aggeggio. Un messaggio, Leon.

Tranquilla, sto venendo da te. Ti tiro fuori e ti porto via con me. Inizia ad aprire la finestra.

Violetta sorrise, stringendo a se il cellulare. “Sapevo che non mi avresti abbandonata.” Dopodichè si affrettò ad alzarsi e fece come le aveva detto. Un vento gelido la investì, facendola rabbrividire fin nelle ossa, ma quasi non vi fece caso, l'unica cosa che le interessava era che Leon la raggiungesse al più presto.
“Pss...”
La ragazza, che da almeno dieci minuti era affacciata alla finestra con sguardo assente, sussultò a quel suono, affrettandosi a guardare in basso. Nonostante fosse buio, riuscì a mettere a fuoco la sagoma di Leon, che con l'agilità di un gatto si arrampicò su quell'albero come tante volte aveva fatto in passato, quando la veniva a trovare di nascosto, fino a raggiungere il ramo più vicino alla sua finestra. A quel punto poteva vederlo in volto, le stava sorridendo, quel bellissimo sorriso che era sempre stato in grado di stordirla.
“Vieni,” le disse, allungando il braccio e porgendole la mano. Violetta si guardò nervosamente indietro, poi si arrampicò sul davanzale della finestra e afferrò la mano del ragazzo, che con la sola forza delle braccia, riuscì a tirarla sul grande ramo accanto a lui. Si guardarono per alcuni istanti, sorridendosi dolcemente, poi Leon le spiegò come fare per scendere dall'albero. Non riusciva a credere che davvero lo stesse facendo. Tante volte era uscita di nascosto, ma quella volta era diverso, quella volta stava scappando e chissà se sarebbe mai tornata. In quel momento però non le importava, l'unica cosa che voleva era allontanarsi il più possibile da lì insieme al ragazzo che amava e a cui non voleva per nessun motivo rinunciare.




Le lacrime scorrevano a fiumi sul volto di Francesca, mentre se ne stava raggomitolata sul suo letto in posizione fetale. La conversazione con i Galindo le rimbombava nella testa più e più volte, accompagnata dai loro sguardi ostili e disgustati e ciò le provocava un devastante colpo al cuore, che le causava difficoltà solo a respirare. Lo sapeva che i sentimenti che provava per Diego le avrebbero causato dei problemi, lo sapeva sin dall'inizio eppure lo stesso li aveva assecondati e perciò non poteva lamentarsi, se l'era cercata. Marco aveva baciato un'altra, lui e i suoi genitori, in particolare Angie, la consideravano una poco di buono e poi c'era Diego, che per colpa sua si era messo contro la sua famiglia. Aveva combinato un disastro, un grandissimo disastro eppure lo stesso non riusciva a sentirsi in colpa. Era innamorata del maggiore dei Galindo e baciarlo era ciò che aveva desiderato sin da quando era una ragazzina, come poteva perciò pentirsene? Quel bacio era stato ancora più bello, più intenso, più sentito, rispetto a come lo aveva sempre sognato, mai aveva provato così tante emozioni insieme. Ogni volta che chiudeva gli occhi, riviveva quel momento, le sembrava di avvertire ancora le sue labbra sulle sue, il loro sapore, il suo calore e poi il suo profumo. Il suo sogno ad occhi aperti era però rovinato da quel litigio con la famiglia del ragazzo, quel litigio che l'aveva vista uscire umiliata e piena di vergogna. Capiva perfettamente Pablo e Angie, Marco e Diego erano i loro figli e volevano solo la loro felicità. Lei era la ragazza del minore dei due, di punto in bianco poi apprendevano che avesse baciato l'altro loro figlio, chiunque avrebbe pensato male di lei, chiunque l'avrebbe aggredita come aveva fatto Angie. Se solo avesse tenuto quei sentimenti per se, forse non l'avrebbero odiata così tanto e Diego non avrebbe litigato con la sua famiglia. Scosse la testa, strofinandosi nervosamente il volto umido. Anche se non avesse confessato il suo amore a Diego, lo stesso con Marco sarebbe finita e non solo perché aveva baciato un'altra, ma anche perché ormai non lo amava più e non sarebbe mai riuscita a ricominciare con lui come se nulla fosse. Era innamorata di Diego e quel bacio era stato meraviglioso, ciò non poteva cancellarlo purtroppo. Certo, non sapeva cosa provasse lui, se fosse solo un'attrazione o se ci fosse di più, ma in ogni caso non faceva differenza. Per lei e il ragazzo non poteva esserci un futuro, tutto era contro di loro, doveva dimenticarlo, non c'era altra via d'uscita.
“Francesca.”
La ragazza sobbalzò, mettendosi in posizione seduta. Ferma accanto alla porta c'era Camilla, che la fissava, preoccupata. “Fran, ho sentito delle voci su di te allo Studio e... oh mio Dio, ma tu stai piangendo!” Aggiunse, chiudendo la porta e fiondandosi sul letto accanto a lei. “Cos'è successo?” Le chiese, scostandole una ciocca di capelli dal volto umido.
Francesca tirò su col naso, poi quasi senza rendersene conto si ritrovò a raccontarle ogni cosa. Non ce la faceva più, aveva un disperato bisogno di sfogarsi con qualcuno, anche se non era sicura che Camilla avrebbe capito. E se l'avesse guardata con disgusto come i Galindo?
La Torres in ogni caso l'ascoltò tutto il tempo a bocca aperta, mentre lo stupore e l'incredulità le attraversavano lo sguardo. “Tu e Diego? Incredibile,” mormorò alla fine, passandosi nervosamente le mani tra i lunghi boccoli ramati. “Quindi vi siete davvero...baciati?”
La mora annuì. “Ero così vulnerabile dopo il litigio con Marco e...non so nemmeno io come sono riuscita a confessargli i miei sentimenti e... ho combinato un disastro, lo so. Se stai pensando che sono una persona orribile, non potrei biasimarti e...”
“Basta Fran, taci,” la rimbeccò Camilla, prendendole le mani e stringendogliele con le sue. “Ammetto che non me lo aspettavo, ma non penserei mai che sei una persona orribile. Lo avevo capito che provassi qualcosa per Diego, aspettavo solo che tu lo ammettessi.” Sotto lo sguardo stupefatto di Francesca, aggiunse. “Ti ho vista assente in questo periodo e poi ti conosco, me ne accorgo subito quando hai qualcosa per la testa, soprattutto quando si tratta di Diego. Quante volte ti ho consolata dopo una sua presa in giro o un'umiliazione? Nonostante tutto, continuavi ad avere un'ossessione per lui. Se non ti ho abbandonata allora, perché dovrei farlo adesso?” La strinse poi in un forte abbraccio, permettendole di dare sfogo a tutte le sue lacrime. “Io non me ne vado, resto qui con te,” le promise, accarezzandole dolcemente il capo.
La Cauviglia tirò su col naso, lasciandosi sfuggire un singhiozzo. “Grazie Cami, ora più che mai ne ho davvero bisogno. Non so che fare, non so più nulla.”
“Diego cosa prova per te?” La incalzò Camilla, sciogliendo l'abbraccio così da poterla guardare negli occhi. L'altra scrollò le spalle, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. “Non lo so, credo di piacergli ma... non ha per nulla importanza ora.” Fece per alzarsi, ma l'amica le bloccò il polso, costringendola a risedersi e fissandola attentamente. “Che significa che non ha importanza? Tu e Marco non state più insieme, no? Se Diego ti ricambia, potete provare a...”
“No Camilla, no,” la interruppe Francesca, scuotendo il capo. “Hai dimenticato che sono fratelli? Avresti dovuto vedere il modo in cui mi guardavano Angie e Pablo e poi le parole di lei...mi odiano, mi considerano una poco di buono.” Si alzò ancora in piedi e stavolta Camilla non la fermò, così potè liberamente camminare avanti e indietro per la camera, continuando a strofinarsi gli occhi rossi e gonfi. “Devo togliermelo dalla testa e c'è un solo modo per riuscirci,” mormorò alla fine, guardando una confusa Torres. “Che vuoi fare?”
Francesca sospirò, fermandosi al centro della camera, continuando a scuotere freneticamente il capo. “Farò come vuole Angie, lascerò lo Studio.”
“Che cosa?” Esclamò Camilla, incredula. “Non puoi dire sul serio. È il tuo sogno, non puoi rinunciarci così.” La raggiunse e la prese per le spalle, scuotendola leggermente. “Non fare cose di cui potresti pentirti.”
“E che dovrei fare secondo te, eh?” Ribatté la mora, esasperata. “Mi odiano, come posso presentarmi lì come se nulla fosse? Come posso dimenticare Diego se lo vedo ogni giorno? Non si tratta di una cotta, io lo amo Cami, capisci?”
La rossa a quel punto non seppe che ribattere, sapeva perfettamente quanto fossero problematiche le questioni di cuore, soprattutto poi se si trattava del ragazzo di cui l'amica era cotta da sempre e di cui con il tempo aveva finito addirittura per innamorarsi. “Quindi hai deciso, lascerai lo Studio.”
Francesca annuì. “è la cosa migliore per tutti. Diego deve ricongiungersi con la sua famiglia e io devo dimenticarlo.” Dopodichè si risedette sul letto, spiegando all'amica come già il giorno dopo volesse andare a parlare con Pablo e Camilla l'ascoltò, anche se poco convinta. Lo Studio era il sogno di una vita per Francesca, cosa avrebbe fatto ora? Sarebbe riuscita lo stesso ad essere felice? Non sapeva dirlo, ma di una cosa era sicura, le sarebbe rimasta accanto qualsiasi decisione avesse preso, perché le vere amiche facevano questo e molto altro e lei alla mora ci teneva davvero tanto.




Vi avevo anticipato una tempesta ed eccola qui! 0.0 Ludmilla ha detto a Marco del bacio Diecesca e da lì rissa e urla, che hanno coinvolto anche i Pangie, in particolare una Angie fuori di se, che difende a spada tratta il minore dei suoi figli. Se Diego è travolto dai sensi di colpa e accetta passivamente la sua punizione, Francesca ne esce distrutta ma consapevole del suo amore per Diego, tanto che comunica a Camilla di aver deciso di lasciare lo Studio per il bene di tutti :(
A Violetta non va meglio. Angelica è così furiosa per il ricongiungimento Leonetta da decidere di chiudere la giovane in camera. Nonostante l'iniziale disperazione però, Vilu ha un lampo di genio che le permette di avvisare Leon, che accorre prontamente in suo aiuto. Chissà ora dove andranno tutti e due insieme *________*
Vi ringrazio di cuore per i bellissimi messaggi che mi lasciate e spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto come i precedenti :3
Besos <3


 

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Capitolo 19
*** Importanti decisioni ***





Pablo si chiuse la porta di casa alle spalle, rigirandosi il mazzo di chiavi tra le mani. Era stanco morto e aveva una gran fame, dato che quella mattina l'aveva passata in sala professori sui conti dello Studio, cercando disperatamente di farli quadrare. Tutto questo perché per alcuni giorni aveva dovuto aiutare i ragazzi con una coreografia e di conseguenza aveva dovuto chiedere a Beto di occuparsi della contabilità, non lo avesse mai fatto. Benvenuto infatti, aveva combinato un vero e proprio disastro e per rimettere tutto a posto, aveva saltato la colazione e la pausa pranzo ed ecco spiegato il motivo per cui il suo stomaco brontolasse tanto. Alle narici gli giunse subito il delizioso profumino delle tagliatelle al sugo di Angie, il suo piatto preferito e affamato si affrettò a raggiungere la cucina. “Amore, sono tornato.”
Una nervosa Saramego, gli venne incontro in salotto, stampandogli un bacio a fior di labbra. “Sei tornato più tardi oggi. Sei riuscito a sistemare i conti?” Gli chiese, guidandolo in cucina.
Pablo annuì. “Ho passato una mattinata da inferno, credevo di non farcela, Beto ha...” s'interruppe di colpo, notando che in cucina oltre a Marco, che mangiava silenziosamente, ci fosse anche Angelica. “Ciao figliolo.” Diede una pacca sulla spalla del figlio, che lo salutò con un cenno, poi sorrise alla suocera. “Buon pomeriggio, Angelica.”
La donna gli sorrise, ma era un sorriso forzato, si vedeva lontano un miglio che avesse la testa da un'altra parte e anche Angie sembrava molto pensierosa. Che fosse sorto l'ennesimo problema? “Tutto bene?” Chiese, sedendosi a tavola e iniziando a mangiare.
Di tutta risposta Angelica si lasciò sfuggire un lamento e battè un pugno sul tavolo, facendo sobbalzare tutti. “Non so più che fare,” si lamentò la donna, sospirando disperatamente.
Confuso, Pablo guardò la moglie, che scrollò le spalle. “Violetta è scappata di casa.” Continuò poi raccontandogli di come Angelica avesse scoperto che la ragazza fosse tornata con Vargas e l'avesse per questo chiusa in camera, lasciandolo decisamente sbigottito. Tutto si aspettava, ma non di certo quello. “Se non ha chiamato la polizia, è perché io gliel'ho impedito,” spiegò, lanciando un'occhiata alla madre. “Sono sicura che Vilu è a casa di Vargas.”
“Questo non mi fa di certo stare meglio!” Ribattè l'anziana donna, scuotendo il capo. “Quello lì me la sta portando di nuovo sulla cattiva strada e non so più che fare. Se ne è andata, andata, capite? Aiutatemi, vi prego!” Aggiunse, a un passo dalle lacrime.
Angie subito abbracciò la madre, tentando di confortarla. Marco continuava a mangiare, apparentemente perso nei suoi pensieri e il povero Pablo si sentiva per l'ennesima volta immischiato in situazioni più grandi di lui. Da quando aveva vita, non ricordava un giorno in cui non avesse avuto delle questioni di cui preoccuparsi, sembrava che i problemi lo perseguitassero. Smise di colpo di mangiare, poggiando i gomiti sul tavolo e prendendosi la testa tra le mani. Tra i problemi allo Studio, quelli tra Marco e Diego e ora quello di Violetta, non sapeva davvero cosa fare. La sua intenzione era quella di mangiare e farsi qualche ora di sonno prima di tornare allo Studio, ma ora i suoi piani erano inevitabilmente saltati. Guardando lo stato d'animo di sua moglie e sua suocera, si rendeva conto che doveva fare qualcosa per risollevarle e subito, ma cosa? “Dov'è Diego?” Si azzardò a chiedere, notando che fosse stato apparecchiato anche per lui, ma che non ve ne fosse traccia. A quella domanda, Marco s'irrigidì e Angelica continuò a piangere silenziosamente, mentre Angie digrignò i denti, rivolgendogli un'occhiata esasperata. “Un giorno di questi quel ragazzo lo ammazzo, Pablo! Ti rendi conto che si è chiuso in camera e rifiuta di farmi entrare? Mi ignora completamente!” Esplose la bionda, agitando le braccia. “Si permette di fare l'offeso quando dovremmo essere noi ad avercela con lui.” Continuò a sproloquiare contro Diego, ma ormai Pablo non la stava ascoltando, stava elaborando un'idea apparentemente folle, ma che forse gli avrebbe permesso di risolvere due problemi in un solo colpo. “Lasciate fare a me,” esordì all'improvviso, scattando in piedi e attirando lo sguardo curioso di tutti i presenti. “C'è una sola persona che può convincere Violetta a tornare a casa, è la sua occasione per rimediare a ciò che ha combinato.” Il riferimento a Diego, che da sempre era molto legato alla Castillo, era molto evidente, ma se lui era abbastanza sicuro di ciò che dicesse, gli altri tre apparivano scettici. Marco borbottò qualcosa a proposito della malvagità del fratello, che di sicuro avrebbe sfruttato la situazione a suo vantaggio, mentre Angie e Angelica lo ascoltavano, interessate. “E come pensi di riuscire a parlare con quel testone se non apre nemmeno la porta?” Chiese la Saramego, scettica. “Non tocca cibo da ieri e solo per farci un dispetto.”
Pablo sospirò, avvicinandosi ai fornelli e riempiendo un piatto di pasta. “Gli porto da mangiare e tento di parlargli. Chissà, magari oggi sarà più collaborativo,” aggiunse, alludendo al famoso giorno del litigio nell'aula di ballo, quando una volta fuori non era riuscito ad ottenere altro che monosillabi di risposta. “Buona fortuna,” gli disse Angie, poco convinta. Se Diego aveva ignorato lei, non vedeva perché avrebbe dovuto dare retta a Pablo.
In ogni caso, Galindo si incamminò verso la camera del figlio, tentando di ostentare una sicurezza che non aveva. Diego poteva essere più testardo di sua madre quando ci si metteva e per questo temeva che lo avrebbe lasciato fuori alla porta come un allocco. Con la coda dell'occhio, vide che Angie si fosse appostata per spiare e prendendo un profondo respiro, bussò un paio di volte. “Diego, sono papà. Ti ho portato il pranzo, mi fai entrare?”
Seguirono lunghi istanti di silenzio, in cui Pablo pensò seriamente di andarsene, suo figlio lo stava ignorando come aveva fatto con Angie, poi però di punto in bianco sentì la chiave girare nella toppa. Lanciò un'occhiata verso una stupefatta Saramego e infine varcò la porta, che Diego gli aveva lasciato socchiusa. La prima cosa che notò era che facesse decisamente freddo e quello perché la finestra era spalancata, probabilmente per fare uscire la terribile puzza di fumo che l'aveva completamente invasa. Il giovane era proprio accanto alla finestra e stava spegnendo in un posacenere quella che a occhio e croce doveva essere l'ennesima cicca. Apparentemente sembrava il solito di sempre, ma a Pablo bastò un'occhiata per rendersi conto che Diego fosse presente fisicamente ma non mentalmente. “Diego.”
Il ragazzo sussultò, risvegliandosi da quella sorta di trance e voltandosi verso di lui. “Papà,” mormorò con voce incolore. “Ha mandato te adesso?” Aggiunse, con un'improvvisa acidità. Galindo senior non ci mise molto a capire che alludesse ad Angie e confuso gli si avvicinò, poggiando il piatto di pasta sulla scrivania. “Ti ho portato da mangiare.”
Diego lanciò una mezza occhiata al piatto, poi storse il naso. “Non voglio niente che sia preparato da lei, anzi dille di smetterla di urlare come un'isterica, tanto non le risponderò.” Andò a sdraiarsi sul letto e recuperò l'MP3, probabilmente intenzionato a concludere lì la conversazione, ma l'uomo non era per niente d'accordo. “Perché ce l'hai tanto con tua madre?” Gli chiese perciò, sollevando un sopracciglio, in attesa. Il ragazzo ruotò gli occhi e sbuffò, mettendosi in posizione seduta. “Non lo immagini? Ti credevo più intelligente.” Di fronte allo sguardo confuso del padre, sbottò: “Il modo in cui ha aggredito Francesca ti sembra normale? Non aveva alcun diritto di dirle delle cose così orribili!” Diego strinse forte i pugni, mentre la rabbia e l'indignazione si propagavano in ogni cellula del suo corpo. Da quando era chiuso lì dentro, era riuscito a contenersi ma ora non poteva più, doveva tirar fuori ogni cosa, solo così poteva liberarsi e sentirsi più leggero. “Io ho sbagliato quanto lei, con me doveva prendersela, con me e basta!” Quasi senza rendersene conto, era scattato in piedi e si era avvicinato alla finestra, mentre il padre lo fissava a bocca aperta. “Tra l'altro anche Marco ha sbagliato, ma sembra che a nessuno interessi!” Artigliò le mani al davanzale e lo strinse così forte da far diventare le nocche bianche, ma non gli importava, tutto ciò a cui riusciva a pensare era che per colpa di sua madre, Francesca era stata ferita e umiliata e non se lo meritava. Odiava che lei stesse male, non lo poteva sopportare.
Pablo gli si avvicinò, poggiandogli una mano sul braccio. “Dimmi la verità Diego, cosa provi per quella ragazza?”
Diego si voltò di scatto quasi avesse preso la scossa. “Come?” Chiese, confuso.
“Non fare il finto tonto con me,” ribattè Galindo, scuotendo il capo. “è chiaro che ci tieni a lei, la sola idea che possa soffrire ti fa impazzire.”
Il ragazzo sospirò, prendendosi il volto tra le mani. Quella conversazione sapeva tanto di deja vù, era fin troppo simile a quella che aveva avuto con Leon. Possibile che suo padre e Vargas per la prima volta la pensassero allo stesso modo? Ma soprattutto, avevano ragione?
“Sei innamorato di Francesca?” Quella domanda fatta con tanta semplicità, lo colpì con la violenza e l'imprevedibilità di uno schiaffo. Leon lo aveva affermato, suo padre glielo stava chiedendo, ma il senso era lo stesso. Fece qualche passo per la camera, poi si bloccò di colpo passandosi nervosamente le mani nei capelli. Era innamorato di Francesca? Quando glielo aveva detto Vargas, lo aveva mandato al diavolo, pensando che fosse un'assurdità, ma ora era decisamente confuso. Aveva desiderato baciarla sin da quando se l'era ritrovata nella cucina di casa, era persino arrivato a sognarla e quando finalmente aveva assaporato quelle labbra, si era reso conto che il sogno non reggeva nemmeno lontanamente il confronto. Quelle labbra erano così morbide, dolci, innocenti e allo stesso tempo sensuali e poi...cavolo, non riusciva a togliersela dalla testa. Ora non sognava solo di farci l'amore, voleva baciarla, stringerla a se, vederla sorridere e...cosa gli stava succedendo? Da quando Diego Galindo faceva simili pensieri? Tornò a guardare suo padre e quello che vide lo terrorizzò. In quegli occhi c'era la risposta a quella tempesta di emozioni che da troppo tempo lo confondeva e non poteva e non voleva accettarlo.
Pablo lo raggiunse con pochi passi, scuro in volto. “Lo sapevo,” mormorò con un filo di voce. “Ti sei innamorato di lei.”
Diego non rispose, limitandosi a fissarlo. No, lui non poteva innamorarsi, non era predisposto, non voleva. Scosse la testa, come se ciò potesse bastare per cancellare le parole di suo padre. “Assurdo,” borbottò tra se e se.
“Devi dimenticarla, Diego,” disse Pablo saggiamente, poggiandogli una mano sulla spalla. “E anche Marco deve farlo. Siete fratelli e vi piace la stessa ragazza, la cosa giusta è che entrambi ci rinunciate. Ciò non toglie che hai ragione, tua madre non avrebbe dovuto aggredire Francesca. Pretenderò che le chieda scusa.”
Il ragazzo rise, incredulo. “Non lo farà mai, è convinta che Francesca sia una seduttrice seriale, io un maniaco perverso e Marco la povera vittima. Bè, non è così!” Sbottò, scattando in piedi. “Ha baciato un'altra papà, non è un santo. Perché non è stato punito? Perché non è stata messa in discussione la sua posizione allo Studio?” Pablo abbassò lo sguardo, non sapendo proprio che dire. Diego aveva ragione, la colpa era anche di Marco e non era giusto che solo lui e Francesca fossero stati puniti. “Allora?” Il giovane gli si piazzò di fronte, sfidandolo con lo sguardo. “Non hai niente da dire?” Galindo incrociò lo sguardo del figlio, mortificato. “Diego, io...mi dispiace figliolo, hai ragione su tutto.” Diego sgranò gli occhi, sorpreso. “Parlerò con tua madre, la farò ragionare e... non è giusto che tu stia in punizione e Marco no.” Seppur ancora visibilmente sconvolto, il ragazzo si limitò ad annuire. “Per quanto riguarda Francesca,” riprese, invitandolo a sedersi di nuovo sul letto. “Se vi amate davvero, ti devo chiedere di far passare un po' di tempo, la situazione è delicata.” “Capisco,” si limitò a dire Diego. D'altronde la Cauviglia era la ex di suo fratello e poi lui stesso aveva bisogno di fare chiarezza, era troppo confuso e anche se non lo avrebbe mai ammesso, la paura incideva e non poco. “Diego, figliolo, c'è un'altra cosa che devo chiederti.” Il moro non disse una parola, allora lui continuò. “Violetta è scappata a casa di Vargas, tua nonna è disperata e...ho bisogno del tuo aiuto.”
Diego si voltò verso di lui, ostentando un sorrisetto ironico. “Fammi capire, sei venuto solo per farmi delle richieste? Wow.” Gli fece un applauso, per poi incrociare le braccia al petto e sollevare un sopracciglio, divertito. Pablo sospirò, esasperato. “Sai che non è così, se potessi risolvere ogni cosa con un semplice schiocco di dita lo farei. Vorrei solo che tu, Marco e Violetta foste felici,” proseguì, guardandolo dispiaciuto. “Non devi mai dubitare di questo.”
Diego annuì, sistemandosi più comodamente sul letto. “Raccontami di Violetta e della nonna, vedo cosa posso fare,” mormorò rassegnato, facendo nascere un grande sorriso sul volto del padre. “Arriveranno tempi migliori, vedrai.”




Violetta stirò le gambe e le braccia, sorridendo tra se e se. Un delizioso profumo di caffè le giungeva alle narici, ma era ancora molto assonnata per alzarsi. Il letto di Leon era troppo morbido, troppo caldo. Tenendo gli occhi chiusi, allungò il braccio accanto a lei, aspettandosi di trovare Vargas, ma non c'era nessuno. Aprì gli occhi di scatto, confusa. Il letto era ancora caldo, lui doveva essersi alzato da poco.
“Mmm...” Si abbandonò ancora tra i confortevoli guanciali, mentre la mente andava a ciò che era accaduto il giorno prima. Sua nonna aveva scoperto di lei e Leon e l'aveva chiusa in camera e così, disperata, aveva avvisato il suo ragazzo che prontamente l'aveva portata via. Poteva immaginare la paura e la disperazione di Angelica quando non l'aveva trovata in camera e ciò la faceva stare male, ma d'altronde non aveva avuto scelta. La donna non poteva rinchiuderla in camera come un animale, non poteva impedirle di stare con Leon, non poteva contrastare la sua felicità. Ne aveva abbastanza dei suoi piani per separarla dal suo grande amore, ne aveva abbastanza di tutto e di tutti. Si strofinò il volto con vigore, mentre una serie di fastidiosi pensieri non abbandonava la sua mente. Perché doveva essere sempre tutto così complicato? Voleva bene a sua nonna, ma non poteva costringerla a scegliere tra lei e Leon, era assurdo, impensabile.
“Ehi.” Il giovane Vargas comparve sul ciglio della porta, reggendo un vassoio con caffè e biscotti. “L'ora di pranzo è passata da un pezzo, ma non penso che volessi della pasta appena sveglia,” sorrise, sedendosi sul bordo del letto.
La Castillo ricambiò il sorriso, sfiorandogli una guancia con una leggera carezza. “Tu mi conosci sempre troppo bene.” Prese poi un biscotto e lo addentò con gusto. “Mmm...questi biscotti sono buonissimi.”
Leon annuì, mangiandone uno a sua volta. “Li ha preparati Lara, è sempre stata brava in cucina.” Continuarono a mangiare, scambiandosi dolci sguardi e sorrisi, poi il giovane si fece di colpo serio. “Sai che verranno a cercarti, vero? Non fraintendermi,” aggiunse, circondandole le spalle con un braccio e attirandola a se. “Mi piacerebbe svegliarmi ogni giorno con te accanto, ma tua nonna sarà preoccupata e...”
“Lo so, ma lei non ti accetterà mai e io non posso ubbidirle come un cagnolino,” ribatté lei, poggiando la guancia contro il suo petto. “Io ti amo e non rinuncerò a te, né ora e né mai.”
Leon sorrise, facendo scorrere la mano lungo la sua schiena. “Nulla ci separerà , te lo giuro.” Le prese poi il volto tra le mani, facendo combaciare le loro labbra. “Ti amo.”
Si stavano ancora baciando, quando sentirono bussare alla porta. “Avanti,” sbottò Leon, con una punta di fastidio. Chiunque fosse aveva davvero un tempismo perfetto.
La porta si aprì e un'agitatissima Lara varcò l'ingresso. “Scusate se vi disturbo, ma c'è una persona che chiede di te.” Guardò Violetta, che s'irrigidì di colpo, cosa che accadde anche a Leon. “Chi è?”
“Diego,” ammise Lara, mordendosi nervosamente il labbro. “Dice che deve parlarti.”
“Fallo entrare,” ribatté Leon, prima che la Castillo potesse dire qualsiasi cosa. La ragazza allora si allontanò per andare a chiamare Galindo, mentre Violetta guardò Vargas preoccupata. “Lo ha mandato mia nonna, ne sono sicura.”
“Tranquilla,” la rassicurò lui, sorridendole dolcemente. “Faremo valere le nostre idee e comunque di Diego possiamo fidarci, è uno di noi.” Lei annuì, anche se poco convinta. Si era sempre fidata ciecamente del cugino, ma da quando la sera prima Francesca e Camilla le avevano raccontato del bacio tra lui e la Cauviglia e della successiva lite con i Galindo, non sapeva più che pensare. Gli aveva chiesto di non giocare con i sentimenti della sua amica, eppure lui non l'aveva ascoltata e addirittura aveva messo Francesca in una situazione parecchio complicata, come poteva quindi comportarsi con lui come se nulla fosse accaduto? Si sentiva così ferita, delusa e...
“Leon, Violetta.” Diego entrò nella camera, ostentando un debole sorriso. Lara, ferma poco dietro di lui, lo fissava sognante. Chiaramente la ragazza non sapeva nulla di quello che era accaduto.
“Ehi Dieguito,” lo salutò Leon, andandogli incontro e dandogli una pacca sulla spalla. “Sei evaso?” Lo beffeggiò, facendolo sghignazzare. “Qualcosa di simile. Mi ha accompagnato mio padre,” spiegò, guardando anche Violetta. “Come stai cuginetta, non me lo dai un abbraccio?” Aprì le braccia, aspettandosi che lei ci si fiondasse come faceva sempre, ma rimase deluso. Violetta infatti restò esattamente dov'era, guardandolo torva. “Me lo avevi promesso.”
Diego sospirò, capendo immediatamente a cosa si riferisse. La ragazza doveva aver parlato con Francesca e perciò sapeva che non avesse rispettato la promessa che le aveva fatto, flirtando lo stesso con la Cauviglia. “Non sono venuto per parlare di me,” disse loro, recuperando la sedia da dietro la scrivania e sedendosi pigramente. “La nonna è disperata, non riesce a darsi pace, ha bisogno di te.”
La Castillo abbassò lo sguardo, dispiaciuta. Sapeva di aver provocato un profondo dolore in sua nonna, ma sentirselo dire la faceva sentire ancora di più in colpa. “Non voglio che stia male,” ammise, con un filo di voce.
“Allora torna a casa,” ribattè il moro, sorridendole comprensivo. “Siete sempre state solo voi due, vi siete fatte forza insieme, non può finire tutto così.” Mentre diceva ciò, Diego scuoteva il capo, stupito dalle sue stesse parole. Da quando era così saggio? Parlare troppo con suo padre iniziava a fargli decisamente male. Se Leon non disse una parola, limitandosi ad alternare lo sguardo da Violetta a Diego, la ragazza si morse il labbro facendo fatica a trattenere le lacrime. “Lei è tutto quello che mi resta della mia famiglia, è come una mamma per me,” singhiozzò, lo sguardo fisso nel vuoto. “Non voglio perderla.”
“Non la perderai.” Leon le si sedette accanto, stringendola forte a se. “Ti vuole bene e non ti abbandonerà mai, vedrai che capirà.” Violetta tirò su col naso, strofinando il volto contro il suo petto. “Non vuole che stiamo insieme, lo sai. Se torno a casa mi chiude di nuovo in camera.”
Vargas le accarezzò dolcemente il capo, lanciando un'occhiata verso Diego, che scosse la testa. “Non lo farà, mio padre mi ha assicurato che vuole solo parlarti,” promise il cugino avvicinandosi al letto e sfiorandole il capo, ma Violetta lo scacciò, scattando in piedi, stizzita. “Quanto sei falso, prima rompi una promessa e poi fingi che ti importa di me.”
Diego sollevò gli occhi al cielo, esasperato. “Pensi davvero che non mi importi di te? Cavolo Violetta, tu sei una delle poche persone per cui darei la vita.”
“Perchè allora ti sei messo lo stesso tra Marco e Francesca? Perché non hai mantenuto la promessa che mi avevi fatto?” Sbottò lei, agitando le braccia. “Mi fidavo di te.”
Il moro abbassò lo sguardo, afflitto. Violetta aveva ragione su tutti i fronti e non c'era nulla che lui potesse dire per discolparsi. L'aveva ferita, tradita, delusa, con il suo comportamento aveva causato fin troppi problemi esattamente come faceva in passato, evidentemente era un tipo recidivo.
“Stai esagerando, adesso basta.” Diego e Violetta si voltarono di scatto verso Leon, che ancora seduto sul letto fissava la fidanzata, serio. “Diego ha baciato Francesca e allora? Se lei non voleva quel bacio poteva tirarsi indietro, ma non lo ha fatto.” Si alzò poi in piedi, raggiungendo i due. “è già stato punito abbastanza e nonostante tutto, è qui a sostenerti, dovresti ringraziarlo e non dargli contro,” proseguì duramente, stupendo entrambi i giovani. Leon non aveva mai parlato a Violetta con quel tono e nonostante tutto, lei si rendeva conto di meritarlo. Vargas aveva ragione, non poteva avercela con Diego per una cosa simile, d'altronde la stessa Francesca le aveva detto di essere innamorata del moro e di averglielo persino confessato, entrambi avevano le loro colpe e non avrebbe dovuto permettersi di giudicare. Convinta di ciò, guardò il cugino, mortificata. “Scusami, non avrei dovuto dirti quelle cose, perdonami.” Diego scosse la testa, stringendola tra le sue forti braccia. “Non ti devo perdonare nulla, va tutto bene.”
Lei annuì, singhiozzando contro il suo petto. “Ti voglio bene, Diego.”
“Anch'io cuginetta, anch'io,” sorrise lui, rivolgendo uno sguardo riconoscente a Leon, che gli strizzò l'occhio. “Parlate con la nonna, non penso voglia ripetere l'esperienza della tua fuga...vi ascolterà.”
Violetta sciolse l'abbraccio, così da poter guardare sia lui che Leon, scettica. “Credi davvero che mi ascolterà?”
“Credi davvero che ascolterà me?” Aggiunse Vargas, divertito. “è più facile che mi cacci a calci nel sedere, mi odia.”
Diego scrollò le spalle, sforzandosi di trattenere una risata. “Se è per questo odia anche me, ma vale la pena provare, no?”
Alla fine Violetta si convinse ad affrontare Angelica, anche se pretese che Leon l'accompagnasse e lui non potè fare altro che concordare. Dopotutto era arrivato il momento del confronto tra lui e la persona che più di tutti gli aveva sempre remato contro, molte cose dovevano essere chiarite e lui non era il tipo che lasciava correre, era fin troppo diretto.
“Sono sicuro che mia nonna capirà.” Leon aveva accompagnato Diego all'ingresso e prima di varcare la soglia il moro gli aveva mormorato quella frase, dandogli una pacca sulla spalla, solidale.
Vargas sorrise riconoscente. “Spero che tu abbia ragione, amico.” Il moro ricambiò il sorriso e quando fece per voltarsi, lui lo fermò. “Abbiamo una conversazione in sospeso io e te, non dimenticarlo.” Chiaramente Leon voleva conoscere la sua versione su quello che era accaduto con Francesca e Diego non poté fare a meno di scuotere la testa, divertito. “Non lo dimentico, tranquillo.”




“Ma quanto sono perfetta,” sorrise soddisfatta Ludmilla, ammirando il suo riflesso nello specchio del suo armadietto, passandosi l'ennesimo strato di rossetto rosso. Aveva appena terminato di scrivere una canzone, una canzone che parlava di lei ovviamente e che quindi era meravigliosa, perciò ora doveva ricomporsi prima di lasciare lo Studio. Poco distante da lei c'era un gruppo di ragazzi e da stralci di conversazione, potè capire che parlassero dei Galindo e di Francesca e ciò fece accentuare il suo sorriso. La sua vendetta ai danni di Diego si era conclusa a meraviglia, tutti sapevano cosa aveva fatto, tutti lo giudicavano male, la sua famiglia su tutti. Ora avrebbe sofferto così tanto che la prossima volta ci avrebbe pensato due volte prima di prendersi gioco di lei.
“Ciao Supernova.”
Ludmilla distolse lo sguardo dallo specchio, per posarlo sul ragazzo che era apparso di punto in bianco alla sua destra. Era quel Federico, il ragazzo fastidioso che aveva occupato la sua panchina. Come l'ultima volta, aveva un odioso sorrisetto stampato in faccia ed era vestito in maniera piuttosto modesta. “Ah, sei tu ehm...non mi ricordo il tuo nome però,” ribattè con voce annoiata, tornando a concentrarsi sulla sua immagine riflessa. Federico sogghignò, appoggiandosi pigramente contro gli armadietti, lo sguardo che seguiva ogni movimento della ragazza. “Mi chiamo Federico,” le disse, facendo scorrere le dita lungo il bordo dell'anta dell'armadietto in maniera lenta e ipnotica. Ludmilla seguì quelle dita per alcuni istanti, poi scosse la testa, disgustata. “Ti ho già detto che il tuo nome non mi interessa, perciò è inutile che me lo ripeti.” Nonostante fosse indispettita, lui si ritrovò a ridacchiare, profondamente divertito. “Sai che ti dico, Supernova,” iniziò, avanzando di un passo, cosicché i due fossero separati solo dall'anta dell'armadietto. “Io dico che il mio nome te lo ricordavi eccome, ma dovevi darti delle arie.” Con un leggero gesto della mano, accostò l'anta, così da poterla guardare meglio in volto. “Sei molto modesta, eh?” Aggiunse, con un sorrisino ironico.
Ludmilla lo fulminò con lo sguardo, chiudendo l'armadietto con un gesto di stizza e facendo voltare diverse persone. “Non hai niente di meglio da fare che darmi fastidio? La tua presenza mi innervosisce.”
Ancora una volta Federico non si scompose, al contrario continuò a sorridere. “Non avevo dubbi, però innervosirti mi piace troppo.” Fece scorrere lo sguardo lungo la figura della ragazza, che s'irrigidì. Non sapeva dire perché, ma lui la rendeva nervosa e il modo in cui la guardava la faceva sentire sotto esame come mai le era accaduto, cosa che non le piaceva per niente. Si lisciò con cura la giacca verde marine che indossava, stringendo nella mano sinistra la pochette coordinata. “Non ho tempo da perdere con te. Bye,” lo salutò agitando la mano. Non fece però nemmeno mezzo metro, che una voce la fermò, una voce che era sicura non appartenesse a Federico. “Finalmente ti ho trovata.”
La Ferro si voltò, spazientita, incrociando lo sguardo di Marco Galindo. “Dobbiamo parlare,” spiegò il ragazzo, particolarmente nervoso, segno che per lui quella conversazione avesse molta importanza. “Mi dispiace sweety, ma ora non ho proprio tempo,” ribattè la bionda, ma Marco le bloccò il polso, impedendole di andarsene. “Tu non vai da nessuna parte senza prima avermi ascoltato.”
Ludmilla fece per ribattere, ma... “L'hai sentita, non vuole parlare con te.” Federico si frappose tra i due, fronteggiando il ragazzo. “Lasciala stare,” sibilò minacciosamente, stupendo sia Galindo che la stessa ragazza.
Marco gli rivolse una mezza occhiata, poi mollò la presa. “è una cosa importante,” disse, guardando la Ferro. La bionda ruotò gli occhi e sbuffò. “E va bene, ma ti concedo solo cinque minuti.” A quel punto Federico non potè fare altro che sollevare le mani in segno di resa e allontanarsi, mentre Galindo appariva decisamente soddisfatto. “Finalmente se ne è andato, è di un'arroganza spaventosa,” commentò, guardando Bianchi con la coda dell'occhio.
“Cosa vuoi?” Chiese Ludmilla, incrociando le braccia al petto e battendo il piede, in attesa.
Marco sorrise, circondandole le spalle con un braccio. “Siamo proprio una bella squadra tu ed io e proprio per questo, non possiamo lasciare il lavoro a metà.”
“A che ti riferisci?” Ribattè lei, liberandosi dalla sua stretta, stizzita. Non ricordava di avergli mai dato tutta quella confidenza.
Galindo sollevò le spalle, come se la sua risposta fosse ovvia. “Ma a Diego e Francesca ovviamente,” spiegò infatti il ragazzo con un filo di voce. “Dobbiamo vendicarci per come si sono comportati con noi e...”
“E niente,” lo interruppe la Ferro, agitando la mano quasi stesse scacciando una mosca particolarmente fastidiosa. “Li odiano tutti, non potrei chiedere di meglio.”
“Ma...” provò a protestare il ragazzo, ma lei lo zittì. “Basta, non insistere. A tirare troppo la corda si rischia di spezzarla. Vedere tutti parlar male di Diego, mi basta.” Detto ciò, lo spinse di lato e se ne andò ancheggiando, mollandolo lì da solo.
“Allora, che voleva?” Federico riapparve di nuovo da chissà dove, affiancandola, interessato.
Ludmilla sospirò, rivolgendogli una mezza occhiata. “Nulla di particolare, non mi perdona che tutti abbiano saputo dell'avventura tra la sua ragazza e suo fratello.”
“Che cosa?” Chiese il ragazzo, stupito. “E tu l'hai raccontato in giro? Sei anche pettegola quindi,” considerò, accigliato.
Lei scrollò le spalle, incurante. “Chi si mette contro di me, ne paga le conseguenze e il fratello di Marco se l'è cercata più di tutti,” ribatté con un sorriso maligno stampato in faccia.
“Wow,” commentò Federico, stupito dal fuoco che vide riflesso nei suoi occhi nocciola. Non credeva avesse un temperamento così vendicativo e doveva ammettere che la cosa lo affascinasse molto. “E dimmi, queste conseguenze colpirebbero anche me se ti chiedessi un appuntamento?” Si azzardò a chiederle, guardandola intensamente.
Ludmilla si bloccò di colpo, voltandosi verso di lui, sorpresa. “Come scusa?”
Federico sorrise, piegando leggermente il capo verso destra. “Voglio conoscerti meglio Supernova, mi incuriosisci molto.”
Lei rise, incredula. “Io no, per niente.” Fece per andarsene, ma la voce del ragazzo la bloccò. “Non pensi che dopo averti difeso da Galindo me lo meriterei?” Le fece notare con un sorrisetto sornione.
Ludmilla lo scrutò, scettica. “Mmm...me la sarei cavata lo stesso, non ho bisogno di qualcuno che mi difenda.” Sotto lo sguardo interessato del ragazzo, proseguì. “Ma in effetti potrei concederti questo onore, non sei così disgustoso, ho avuto a che fare con tipi peggiori,” dicendo ciò, lo scrutò storcendo il naso, mentre lui sorrideva soddisfatto. “Io sono il meglio che potrebbe capitarti Supernova, te lo assicuro.” Le strizzò l'occhio, per poi allontanarsi e lei lo seguì con lo sguardo, incredula. A quanto pareva, in fatto di arroganza nemmeno lui scherzava, erano fin troppo simili e la cosa, doveva ammettere, era decisamente interessante.




Dopo la tempesta ecco un po' di quiete, se così si può definire. Lunga conversazione tra Pablo e Diego, dove il primo non solo rivaluta le colpe del figlio ma lo mette di fronte a un'importante interrogativo: cosa prova per Francesca?
Awwwww ecco dove si sono rifugiati i Leonetta, a casa di Leon!! *________* Chiarimento tra Vilu e Diego, poi il giovane convince lei e Leon a parlare con Angelica, chissà come andrà questo confronto XD
Nel frattempo Ludmilla liquida Marco e i suoi propositi di vendetta e decide al contrario di uscire con Federico, con cui sembra esserci un'intesa molto particolare :3
Vi ringrazio per il vostro affetto e spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto :3
Baci <3


 

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Capitolo 20
*** Salto nel vuoto ***





“Sono sicura che li lascerai tutti a bocca aperta,” sorrise Violetta, sedendosi su una sedia di plastica blu accanto a Leon, stringendogli la mano. I pochi giorni che precedevano l'audizione del ragazzo erano passati in un lampo e così ora era lì, nella sala allestita per gli aspiranti studenti in attesa del suo turno. Apparentemente sembrava tranquillo, quasi indifferente, ma la Castillo che lo conosceva meglio di chiunque altro, sapeva che non fosse così. Leon non era abituato a cantare in pubblico, quella sarebbe stata la prima volta in assoluto per lui e proprio per questo voleva fornirgli tutto il suo sostegno. “Hai un grande talento e ora lo sapranno tutti.” Il giovane abbozzò un mezzo sorriso, facendo oscillare leggermente le loro mani intrecciate. “Hai una grande fiducia in me, forse troppa.”
Lei scosse la testa, sicura. “Ti conosco, so quello che puoi o non puoi fare e quest'audizione per te sarà una passeggiata, non ho dubbi.” Poggiò poi il capo contro la sua spalla, lasciando che le forti braccia del ragazzo l'avvolgessero, trasmettendole quel dolce e rilassante tepore. “Questa non è solo una semplice audizione, è la prova che voglio davvero far funzionare le cose tra di noi e spero di riuscirci stavolta,” sussurrò Leon, quasi più a se stesso che a lei. Violetta sollevò di poco il capo, così da poterlo guardare negli occhi. “Insieme possiamo qualsiasi cosa.” Gli sfiorò una guancia con una leggera carezza, sorridendogli dolcemente. “Io non ti abbandonerò, non più.”
Vargas sorrise, facendo sfiorare i loro nasi. “Sarò una persona migliore, per te.” Si scambiarono un dolce bacio, alternandovi dei piccoli morsi. Le braccia della ragazza andarono ad allacciarsi al suo collo, mentre quelle di lui le circondavano la vita.
“Leon Vargas, tocca a te.”
Leon e Violetta si staccarono di colpo, voltandosi verso Pablo, che fermo accanto all'ingresso della sala teatro li fissava, accigliato. Chiaramente era contrariato per ciò a cui aveva assistito, ma si stava contenendo dato che oltre ad essere lo zio della ragazza, era anche il direttore dello Studio e quindi doveva mantenere un comportamento professionale.
Il giovane scattò in piedi, imitato subito da Violetta. “Posso assistere, zio?” Chiese quest'ultima, rivolgendosi all'uomo che annuì. “L'ho permesso anche agli altri, perciò non vedo perché dovrei dirti di no.” La ragazza sorrise riconoscente allo zio, poi insieme a Leon lo seguì all'interno della sala. “Ehi, Vargas.” Prima che l'aspirante studente potesse anche solo guardarsi intorno, fu raggiunto da un affannato Diego, che probabilmente aveva fatto una lunga corsa per arrivare in tempo. “In bocca al lupo. Spacca tutto,” gli disse, stringendolo in un caloroso abbraccio. Leon sorrise, ricambiando l'abbraccio. “Crepi, Dieguito.”
A quel punto Leon raggiunse il palco, mentre Diego e Violetta presero posto in fondo alla sala, facendogli gesti di incoraggiamento.
“Bene,” disse Pablo, sedendosi in prima fila. Alla sua sinistra c'era Angie, mentre alla sua destra c'era Beto e poi Jackie. L'unico che rivolse al ragazzo un sorriso rassicurante fu Beto, Jackie infatti era fredda e impassibile e i coniugi Galindo visibilmente scettici. Leon non era sorpreso, sapeva che l'opinione dei genitori di Diego su di lui non fosse eccezionale, al contrario era sicuro lo detestassero e lo considerassero la principale causa dei loro problemi con il figlio e con Violetta. Quella in ogni caso era la sua occasione per dimostrare quanto valesse e non aspettava altro che vederli fissarlo con delle facce da pesci lessi.
Una volta che l'apparecchiatura fu pronta per sostenere la prova di canto, Pablo prese di nuovo la parola. “Che canzone hai preparato?”
Leon si passò nervosamente la lingua sulle labbra, poi lanciò una mezza occhiata verso Violetta e Diego, a cui non aveva rivelato nulla su quella canzone, era una sorpresa per tutti. “Una canzone scritta da me, si intitola 'Voy por ti'.”
“Sentiamo allora.” Il ragazzo socchiuse gli occhi e prese un profondo respiro, mentre in sottofondo partiva la base che aveva composto. Era ora, ora di affrontare la sua paura come aveva sempre fatto con quelle che si erano presentate, lui non era un codardo. Quasi senza rendersene conto, iniziò a cantare, lo sguardo fisso sulla sua ragazza e sul suo migliore amico, coloro che avevano sempre creduto in lui. Vedere la sorpresa e l'emozione nei loro occhi, gli trasmise la sicurezza necessaria per tirare fuori il meglio di se, in quella canzone che più che mai sentiva lo descrivesse a meraviglia. Troppo occupato a guardare i due ragazzi, non si rese conto subito dello stupore che faceva bella mostra di se sui volti di Angie, Pablo e Jackie. Chiaramente non si aspettavano sapesse cantare, o che lo sapesse fare così bene. La voce di Leon era decisa, forte, avvolgente, emozionata, tutto in essa lasciava presagire quanto quella canzone fosse per lui tanto sentita, che ciò che cantava lo sentisse davvero, dalla prima all'ultima nota. In quel momento, esattamente come gli accadeva con Violetta, non era Leon Vargas, ma solo Leon, un ragazzo come tanti con sogni e grandi aspirazioni.


Hablemos de una vez
Siempre cerca tuyo estaré
Aunque no me veas mirame
No importa esta vez voy por ti,
voy por ti,
voy por ti,
voy por ti.”


Quasi con stupore, Leon sentì un forte applauso riecheggiargli nelle orecchie. Non erano solo Diego e Violetta ad applaudire, ma anche l'intera commissione di insegnanti. Ce l'aveva fatta, aveva superato la sua paura e allo stesso tempo, aveva dimostrato che anche una mela marcia come lui avesse qualcosa di positivo da offrire. Un sorriso soddisfatto sorse spontaneo sulle sue labbra. “Sei stato eccezionale!” Un'euforica Violetta corse verso il palco, fiondandosi tra le sue braccia. Lui la sollevò di peso, girando in tondo con lei in braccio. “Ti è piaciuta la sorpresa, Amore mio?” Le sussurrò all'orecchio. “Eccome se mi è piaciuta,” ribatté la ragazza, schioccandogli un bacio sulla guancia. “Mi sono emozionata.” Aveva infatti gli occhi lucidi e Leon le asciugò una lacrima ribelle con il pollice, sorridendole dolcemente.
“Ammetto che non me lo aspettavo.” La voce di Pablo riportò i due innamorati alla realtà. La sorpresa faceva ancora bella mostra di se sul suo volto. “Ottima prova Leon, davvero.”
“Hai una voce pazzesca ragazzo, pazzesca,” aggiunse Beto, emozionato, urtando un portapenne e facendolo finire sul pavimento insieme al suo contenuto.
“Grazie,” mormorò Leon, divertito dalla sbadataggine dell'insegnante. Jackie lanciò una mezza occhiata esasperata verso Beto, che si era chinato a raccogliere le penne, poi si rivolse al ragazzo. “Hai una buona presenza scenica, tipica dello showman, ma sei un po' troppo superbo per i miei gusti. Se verrai ammesso dovremo lavorare su questo,” gli disse con la solita severità che la contraddistingueva. I suoi occhi però la tradivano, in essi vi si poteva leggere una nota di approvazione. Angie dal canto suo, era senza parole. Mai, nemmeno sotto tortura avrebbe ammesso che Leon le fosse piaciuto, era una questione di principio.
“Cavolo Vargas, non sapevo avessi una voce così potente.” Dopo aver scansato a fatica le molteplici penne che Beto aveva sparso sul pavimento, anche Diego salì sul palco per congratularsi con l'amico. “Ti sei davvero superato.”
Leon sorrise, dandogli una pacca sulla spalla. “Grazie amico, grazie a tutti voi,” aggiunse, guardando gli insegnanti.
Pablo fece per dire qualcosa, ma proprio in quel momento una ragazza comparve sul ciglio della porta, attirando l'attenzione di tutti i presenti: era Francesca. La giovane era visibilmente agitata e non faceva altro che torturarsi le mani, lo sguardo rivolto dovunque tranne che verso il palco, dove appunto c'era Diego. “Pablo, ho bisogno di parlarti,” esordì, rivolgendosi al direttore, che dopo un attimo di confusione, annuì. “Va bene. Prendiamoci una pausa di dieci minuti,” disse agli insegnanti. “Parlo un attimo con Francesca e poi riprendiamo.” Angie però gli bloccò il polso, impedendogli di alzarsi. “Non puoi davvero darle retta,” bisbigliò al suo orecchio, contrariata. Lui scrollò le spalle, indicandogli la ragazza con un cenno. “Smettila, Angie. Se ho ascoltato Marco e Diego, posso ascoltare anche lei. Sono tutti colpevoli, nessuno escluso.”
Francesca nel frattempo, appena aveva notato con la coda dell'occhio il maggiore dei Galindo sul palco, aveva evitato accuratamente di guardare in quella direzione. Ormai aveva preso una decisione e sapeva che fosse quella giusta. Diego dal canto suo, nonostante sapesse che fosse sbagliato, non potè fare a meno di lanciare delle occhiate verso la Cauviglia, troppo nervosa e agitata per i suoi gusti. Di cosa voleva parlare con suo padre? Era forse accaduto qualcosa? Violetta e Leon, che a loro volta guardavano la ragazza, avevano avuto una reazione contrastante. Se Vargas era confuso e anche un po' preoccupato, la Castillo era dispiaciuta, ma per niente sorpresa, chiaramente doveva conoscere il contenuto di quella conversazione che l'amica voleva sostenere con il direttore.
Nonostante lo scetticismo della moglie, alla fine Pablo si incamminò lo stesso verso Francesca, guidandola nel suo ufficio, seguiti da diversi sguardi.
“Allora,” iniziò l'uomo, una volta aver preso posto dietro la sua scrivania, intrecciando le mani su di essa. “Immagino vuoi parlarmi di Diego o di Marco.”
Francesca, che faceva ondeggiare la gamba destra ansiosamente, scosse la testa. “In realtà voglio parlarti di me.” Di fronte allo sguardo accigliato di Pablo aggiunse: “Ho deciso di lasciare lo Studio.” Lui sgranò gli occhi, sorpreso. “Cosa? Sei sicura? Questo è il tuo sogno.”
“Lo so,” annuì la ragazza, tristemente. “Ma non ho alternative. Ho combinato un disastro con i tuoi figli e...mi dispiace così tanto, mai avrei voluto deludere te e Angie...scusami Pablo...il mio posto non è più qui, è giusto che me ne vada,” balbettò, facendo fatica a sostenere il suo sguardo, dato che gli occhi le bruciavano sempre di più ad ogni parola.
Pablo sospirò, non potendo fare a meno di dispiacersi per lei. Sembrava così fragile, così indifesa, così pentita. Conosceva Francesca da tanto tempo, lei e Violetta erano cresciute insieme, sapeva che fosse una brava ragazza e anche con Marco lo era stata. Lei aveva sbagliato, certo, ma anche i suoi figli lo avevano fatto, non era giusto punire soltanto lei. “Siete solo dei ragazzi,” disse perciò, sorridendole rassicurante. “Alla vostra età è normale essere confusi o fare gesti avventati. Sono disposto a metterci una pietra sopra e...”
“Tu non hai capito,” lo interruppe Francesca, lasciandosi sfuggire un singhiozzo. “Io non sono confusa, non ho agito d'istinto...sono innamorata di Diego e proprio per questo devo andarmene. Solo non vedendolo posso riuscire a dimenticarlo,” spiegò a disagio, lasciandolo decisamente spiazzato. A quanto pareva la situazione era più grave di quanto credesse. Diego e Francesca non si erano baciati per capriccio, erano innamorati, ma per volere del destino dovevano soffocare i loro sentimenti. Si sentiva così crudele per doverli tenere lontani, ma allo stesso tempo si rendeva conto quanto quella situazione facesse soffrire anche Marco, che si aveva baciato un'altra ragazza, ma colei che amava era innamorata di suo fratello. Tutto era così assurdo e lui da genitore doveva fare la cosa giusta. Diego e Francesca dovevano stare lontani, almeno finché non si fossero calmate le acque, poi lui stesso sarebbe stato il loro primo sostenitore. “Bè, a questo punto non posso fare altro che rispettare la tua decisione,” disse alla fine, recuperando da un cassetto il fascicolo della ragazza. “Prima che firmi qualsiasi cosa, ci tenevo però a dirti una cosa. Non c'è l'ho con te e davvero ti auguro ogni bene.”
La mora sorrise, mordendosi nervosamente il labbro. “Grazie Pablo, tu e Angie siete delle brave persone e anche Marco e Diego lo sono...mai avrei voluto farvi del male e...”
“Basta,” la interruppe lui, scuotendo il capo. “I miei figli hanno colpa quanto te e per questo non vorrei che tu te ne andassi, ripensaci.”
Lei scosse la testa. “Ci ho pensato e la cosa giusta è che vada via,” ribattè imperterrita, recuperando una penna dalla borsa. “Grazie per tutto.”
Pablo annuì, rassegnato. “Grazie a te, per l'apporto che hai dato allo Studio e a tutti noi.”




Leon e Violetta si accomodarono sul grande divano di pelle bianca del salotto, mentre una nervosa Angelica prendeva posto su una poltrona dello stesso tessuto, facendo vagare lo sguardo sui due ragazzi e in particolare sulle loro mani intrecciate con una certa disapprovazione. Lei voleva parlare con sua nipote, farle capire che la volesse lontano da Vargas per il suo bene, ma il fatto che lo avesse portato con se di certo non aiutava. Angelica non si era mai trovata faccia a faccia con il ragazzo, qualche volta lo aveva visto da lontano, ma più che altro lo conosceva di fama e ciò le era sempre bastato. Non le piaceva per niente averlo nel suo salotto e né tantomeno accanto a sua nipote, lui era una cattiva influenza, la più sbagliata. Leon dal canto suo, si guardava intorno con particolare interesse. Era la prima volta che vedeva la casa di Violetta, fino a quel momento infatti aveva visto solo la sua camera in cui si intrufolava dalla finestra, perciò era sinceramente curioso. Gli piaceva in fondo quella casa, sembrava vissuta e allo stesso tempo emanava vitalità, poteva riconoscere sia il tocco di Angelica che quello della sua Violetta. Quest'ultima nel frattempo, a tutto era interessata tranne che ad ammirare quella casa che conosceva come le sue tasche. Era nervosa, agitata, non faceva altro che far oscillare la gamba sinistra, che era accavallata sulla destra e allo stesso tempo, gli stringeva la mano con sempre maggiore intensità. Era la prima volta che tutti e tre si trovassero nella stessa stanza e aveva una paura matta di quel confronto. Angelica era tutto ciò che le restava della sua famiglia, era come una madre per lei e poi c'era Leon, l'unico ragazzo che avesse mai amato, l'amore della sua vita, non poteva vivere senza uno dei due, loro erano le persone a cui teneva di più al mondo, la sua forza, la sua vita.
“Quindi sei stata a casa sua stanotte,” esordì Angelica con un tono di voce tremante, quasi temesse il significato delle sue stesse parole e forse era davvero così. Una cosa era pensare che Violetta avesse passato la notte da un ragazzo, che tra l'altro non le piaceva per niente, l'altra era averne la conferma dalla diretta interessata e per questo non era tanto sicura di voler conoscere la sua risposta. In ogni caso, aveva lo sguardo puntato su Violetta, che dopo aver lanciato un'occhiata a Leon, annuì. Per la donna fu come ricevere uno schiaffo in pieno volto e dovette fare non poca fatica a mantenere il controllo. Pensava di essere ancora in tempo per salvare sua nipote e invece lei aveva già donato il suo tesoro più prezioso a quel maledetto ragazzo. Si prese il volto tra le mani, strofinandolo con vigore. Si sentiva così impotente, così inutile. Aveva promesso a Maria e a German che avrebbe protetto la loro figlia, che l'avrebbe aiutata ad essere felice e a realizzarsi e invece aveva fallito. Vargas aveva vinto, gliel'aveva portata via, le loro mani intrecciate e il modo in cui si guardavano glielo confermava. Se quel ragazzo si era azzardato a mettere piede in casa sua era per sbatterle in faccia come fosse riuscito a circuire Violetta e a portarla dalla sua parte, ne era sicura.
“Nonna.” Violetta si sporse verso di lei, poggiando una mano sulla sua. “Io ti voglio bene, sei la mia famiglia e non voglio perderti,” singhiozzò, stringendole forte la mano.
Angelica sorrise, ricambiando la stretta. “Nemmeno io voglio perderti, piccola mia. Sei la cosa più importante per me,” ammise, con le lacrime agli occhi.
La Castillo tirò su col naso, incapace di trattenere oltre le lacrime. “Allora non me lo chiedere, non costringermi a scegliere tra te e Leon, ti supplico.” Ormai la ragazza singhiozzava senza ritegno, le mani ancora strette a quelle di coloro che amava di più e che la guardavano dispiaciuti. “Violetta.” Con la mano libera, Leon le scostò una ciocca di capelli dal volto umido, accarezzandole poi una guancia. “Ehi, tranquilla, va tutto bene,” tentò di rassicurarla. La ragazza però non lo stava ascoltando, il suo sguardo era fisso su Angelica. “Ti prego nonna, cerca di capirmi,” balbettò con un filo di voce. “Io lo amo, non posso vivere senza di lui e non posso vivere nemmeno senza di te...ho bisogno di entrambi,” aggiunse disperata, staccando le mani dalle loro e portandosele sul volto arrossato e grondante di lacrime. “Senza uno di voi due è come perdere una parte di me.”
Angelica sospirò, profondamente afflitta. Non sopportava di vedere la sua Violetta in quello stato, voleva che lei fosse felice, quella era l'unica cosa che contava, ma non poteva accettare Vargas, non poteva e basta. Si alzò in piedi, avvicinandosi alla finestra e scostando la tenda, così da poter guardare distrattamente la strada oltre di essa. “Sai perfettamente cosa penso di lui.”
Leon ruotò gli occhi a quelle parole. Quella donna lo detestava proprio, mai lo avrebbe accettato. Prima che potesse fermarla, Violetta scattò in piedi, raggiungendo la nonna accanto alla finestra. “E per te sono più importanti degli stupidi pregiudizi che la felicità di tua nipote? Guardami, nonna,” aggiunse, indicando se stessa. “Mi vedi felice adesso? Mi hai vista felice quando Leon era in carcere?”
“Signora.” Il ragazzo, vedendo colei che amava in condizioni così disperate e non potendone sopportare più la vista, prese coraggio e raggiunse le due, rivolgendosi ad Angelica. “Capisco i suoi dubbi su di me, anch'io al suo posto non vorrei uno come me accanto a mia nipote, ma le posso giurare che mai le farei del male e...”
“Lo so che non la faresti soffrire volontariamente,” lo interruppe la donna, guardandolo per la prima volta negli occhi, stupendo il diretto interessato e la nipote. “Non ho dubbi sul fatto che la ami, ma non voglio che Violetta abbia a che fare con il mondo tuo e di tuo padre, voglio che abbia una vita onesta e sicura.” Mai la donna era stata più chiara e risoluta, mai Leon si era sentito tanto colpito e concorde. Il mondo suo e di suo padre era un mondo sporco, illegale, crudele, un mondo che assolutamente non voleva che Violetta conoscesse, lei così pura e innocente. “Violetta non vi avrà mai a che fare, glielo posso garantire,” promise, portandosi la mano al petto a mo di giuramento. “E presto nemmeno io. Non voglio diventare come mio padre,” sotto lo sguardo scettico di Angelica e quello orgoglioso di Violetta, aggiunse: “Ho fatto le audizioni per entrare allo Studio e sto anche cercando un lavoro.”
“Leon sta facendo di tutto per mettere la testa a posto,” spiegò la Castillo, asciugandosi i residui di lacrime. “Non è come in passato, ora siamo cresciuti e pensiamo al futuro.”
Leon annuì, circondando le spalle della ragazza. “L'unica cosa che mi interessa è renderla felice e farò di tutto per riuscirci.”
“Dacci fiducia, ti prego,” la supplicò la giovane, prendendole le mani. “Ti prometto che non ti deluderemo, che stavolta il nostro amore è più maturo e responsabile.”
Angelica alternò lo sguardo dall'uno all'altra, ancora visibilmente scettica. Poteva davvero fidarsi di quel ragazzo? Cosa le assicurava che avesse davvero intenzione di mettere la testa a posto? “Attendo solo una chiamata di conferma e se arriverà, avrò un lavoro,” mormorò Leon, quasi le avesse letto nel pensiero. “Mi guadagnerò dei soldi in maniera onesta, basta affari sporchi, furti o altro.”
La donna sospirò, incapace di resistere oltre. Vargas in fondo sembrava sincero e Violetta era così felice quando lo aveva accanto, forse poteva davvero cambiarlo in meglio. “E va bene, siete in prova, ma al primo intoppo ritiro tutto.”
“Grazie nonna, grazie!” Esclamò la giovane euforica, stringendola in un forte abbraccio. “Non ti deluderemo, te lo prometto.”
Angelica annuì, ricambiando la stretta e guardando al contempo Leon. “Ti tengo d'occhio,” lo avvisò e lui non potè fare a meno di sorridere. “Non avevo dubbi su questo.” Una volta sciolto l'abbraccio con la nipote, la donna accettò di stringere la mano del ragazzo, anche se lui era convinto che non lo avesse accettato al cento per cento, piuttosto si stava sforzando per far felice Violetta ma alla fin fine non poteva lamentarsi, ora non doveva fare altro che dimostrarle quanto fosse determinato a cambiare e per la ragazza che amava, era sicuro di poter fare quello e molto altro.




“Allora, me lo dici che cos'hai?” Francesca, che era seduta su uno sgabello accanto al bancone del Restò Band con il mento poggiato sulle mani congiunte e lo sguardo perso nel vuoto, sussultò al suono di quella voce. Luca la fissava dall'altro lato del bancone, visibilmente preoccupato. “Da quando sei arrivata non hai detto una parola, sei completamente assente.”
La ragazza scrollò le spalle, stancamente. “Ho lasciato lo Studio,” buttò lì, giocherellando svogliatamente con delle molliche di pane cosparse sul bancone. Luca sgranò gli occhi, sicuro di aver capito male. “Che cosa?” Esclamò, facendo voltare diverse persone, ma non vi fece caso, la sua completa attenzione era per la sorella, che sembrava essere piombata di nuovo in un mondo tutto suo. “Che stai combinando, Francesca?” Le chiese, lasciando perdere le posate che stava lucidando per piegarsi verso di lei. “Lo Studio è il tuo mondo, perché lo avresti abbandonato?”
Francesca finalmente tornò a guardarlo e quello che il ragazzo lesse nei suoi occhi non gli piacque per niente, c'era tanto dolore e qualcosa che somigliava al senso di colpa. “Io e Marco ci siamo lasciati e...Oh Luca, sono solo un mostro,” singhiozzò, prendendosi il volto tra le mani. Preoccupato, Luca aggirò il bancone e si sedette sullo sgabello accanto al suo, accogliendola tra le sue braccia. “Ehi, sorellina...va tutto bene.” Tentò di rassicurarla, ma lei scosse la testa, continuando a singhiozzare. “Mi s..sono innamorata d..di suo fr..fratello...Diego, capisci?”
Il giovane Cauviglia si irrigidì paurosamente a quelle parole. Sua sorella era innamorata di Diego Galindo? Gli sembrava così assurdo e mentre Francesca gli spiegava bene la vicenda, alternandovi dei deboli singhiozzi, il suo stupore cresceva a dismisura. “è per questo che me ne sono andata,” concluse la giovane, sciogliendo l'abbraccio e asciugandosi le lacrime con i dorsi delle mani. “Ora penserai che sono una poco di buono e...”
Lui scosse la testa, accarezzandole dolcemente il capo. “Mai potrei pensare una cosa del genere di te, ti conosco, tu sei la mia dolce sorellina.” La strinse ancora a se, accarezzandole la schiena. “I Galindo hanno colpa quanto te. Perché tu lasci lo Studio e loro no?” Aggiunse, stizzito. “Ma certo, loro giocano in casa, hanno i genitori lì e...”
“Luca,” lo interruppe la ragazza con un gesto della mano. “Pablo ha tentato di farmi restare, sono io che ho voluto andarmene. Devo riprendere in mano la mia vita e per farlo devo chiudere con il passato.” Seppur scettico, Luca annuì, tornando dietro al bancone. In quel momento si avvicinò una ragazza bassina con una coda di cavallo castana per porgere a Cauviglia dei biglietti con le ordinazioni. Francesca la guardò curiosa, doveva trattarsi di colei che suo fratello aveva assunto, Lara, la sorella di Leon. Sentendosi osservata, Lara si voltò verso di lei. Ovviamente sapeva chi fosse la Cauviglia e non solo perché sorella di Luca e amica di Violetta, ma anche e soprattutto perchè colei che pochi giorni prima aveva baciato Diego. Per caso aveva sentito Leon e Violetta parlarne, poi lì al Restò Band le voci correvano, anche perché molti studenti dello Studio frequentavano quel locale. In fondo non era rimasta tanto sorpresa, era abituata al fatto che Diego cambiasse continuamente ragazza e doveva ammettere di non averci sofferto tanto come al solito, forse in cuor suo si stava rassegnando, chissà. “Ecco qui, Lara,” sorrise Luca, porgendole un vassoio con tutte le ordinazioni.
Nel momento in cui lo prese, le sue mani sfiorarono quelle del ragazzo e un brivido le scorse lungo la schiena. Era da un po' di tempo che le accadeva e non sapeva spiegarsi perché. Quando poi le sorrideva come in quel momento, avvertiva un grande calore raggiungerle le guance, facendola impercettibilmente arrossire. Cosa le stava succedendo? Confusa, si allontanò verso i tavoli, seguita dallo sguardo divertito di Francesca. A quanto pareva la ragazza si era presa una bella cotta per suo fratello, chissà se lui la ricambiava. Glielo stava per chiedere, quando lo vide irrigidirsi paurosamente e farsi di colpo serio. “Luca, tutto bene?” Il ragazzo non rispose, continuava a guardare qualcosa alle sue spalle contraendo la mascella. Confusa, Francesca si voltò e quello che vide la fece deglutire rumorosamente. Diego era fermo accanto all'ingresso del locale e sembrava indeciso se varcare o meno la soglia, i suoi occhi però erano fissi su di lei. “Che ci fa lui qui?” Sbottò Luca, stizzito.
Lei scrollò le spalle. “Non ne ho idea.” Tornò a dare le spalle a Galindo come se nulla fosse, sotto lo sguardo accigliato del fratello. “Bè, perché non vai a vedere che vuole?”
“Chi dice che è qui per me?” Ribatté la mora, fingendo una sicurezza che non aveva. Luca ridacchiò. “Forse il fatto che non ti toglie gli occhi di dosso. Vai Fran, una chiacchierata non ha mai fatto male a nessuno.” Francesca guardò il fratello, scettica, ma quando lui le fece nuovamente gesto di andare, non potè fare altro che annuire. “Va bene, vado.” Nonostante si sforzasse di apparire tranquilla, in realtà non avrebbe potuto essere più nervosa e agitata. Perché Diego era venuto lì? Cosa voleva da lei? Con mano tremante aprì la porta del locale, trovandosi faccia a faccia con Galindo. “Ciao,” mormorò il ragazzo, grattandosi nervosamente il capo. “Ciao,” ripeté Francesca, incamminandosi per il marciapiede affollato, affiancata prontamente dal moro. “Perché sei venuto? Lo sai che non possiamo parlare.”
Diego scrollò le spalle, mettendosi le mani nelle tasche dei pantaloni. “è stato mio padre a dirmi di venire, lui pensa che dobbiamo parlare,” spiegò, guardandola di sbieco e spiazzandola a dir poco. “Tuo padre?” Si ricordò poi della conversazione che aveva avuto con l'uomo nel suo ufficio e dovette riconoscere che in effetti fosse un gesto da lui. Pablo era un uomo buono, generoso, chiaramente non voleva che lei lasciasse lo Studio e doveva aver pensato che suo figlio potesse farle cambiare idea. “Perché hai lasciato lo Studio?” Chiese infatti Diego, piazzandosi di fronte a lei così da costringerla a fermarsi. “Se è per quello che ha detto mia madre, non darle retta, lei non sa come stanno davvero le cose e...”
“No,” lo interruppe lei, scuotendo il capo. “Tua madre non c'entra nulla, il motivo è ancora più ovvio e tu lo sai benissimo,” ammise con un filo di voce, arrossendo leggermente nella zona guance. Galindo si accigliò, poi un lampo di comprensione gli attraversò lo sguardo e annuì. “Abbiamo sbagliato ed è giusto che ne paghiamo le conseguenze,” riprese Francesca, facendogli però scuotere il capo. “Lo pensi davvero?” Le chiese, serio. “Pensi davvero che quello che è successo tra noi sia uno sbaglio?” Quegli occhi verdi la scrutavano attentamente, tradendo un certo nervosismo e lei fece non poca fatica a sostenere il suo sguardo. Avrebbe tanto voluto dirgli di no, che per lei era stato uno dei momenti più belli della sua vita e che lo amava così tanto da sentirsi male, ma non poteva, quello che c'era tra loro non era giusto, faceva soffrire troppe persone. Proprio per questo, con il cuore in gola e le lacrime che minacciavano prepotentemente la loro fuoriuscita, dovette annuire. “è sbagliato per le persone a cui vogliamo bene e questo conta più di qualsiasi cosa.” Fece poi per voltarsi con l'intenzione di tornare al Restò Band, ma Diego le prese il polso costringendola a voltarsi. “Stai sbagliando tutto. Non puoi davvero rinunciare al tuo sogno e nemmeno vergognarti di quello che senti,” insistette, imperterrito. Francesca deglutì, abbassando lo sguardo. “Stiamo parlando della tua famiglia, non di persone qualsiasi. Rischi di perderli e tutto per colpa mia,” aggiunse, guardandolo afflitta. “Chissà, magari un giorno il destino ci darà un'altra opportunità.” Il giovane le lasciò il polso, permettendole così di scappare via, seguendola con sguardo assente, vuoto. In quel momento Diego si sentiva proprio così, svuotato di qualsiasi emozione ed energia. Il debole e amareggiato sorriso che Francesca gli aveva rivolto prima di andare via, era ancora lì davanti ai suoi occhi, così come le sue parole non facevano altro che ripetersi nella sua mente. Quasi senza rendersene conto, si lasciò cadere sullo scalino di un negozio di ferramenta e si prese la testa tra le mani. Quella conversazione con Francesca era stata strana, sapeva tanto di addio e... e non riusciva ad accettarlo. Nemmeno lui sapeva cosa volesse ottenere quando aveva seguito il suggerimento di suo padre. Forse voleva convincerla a tornare allo Studio, forse voleva ancora che quegli occhi castani gli ribadissero il suo amore per lui. Non ne aveva idea, ma di una cosa era sicuro, si sentiva un vero schifo. Magari era vero, amava Francesca e non poteva sopportare di dover rinunciare a lei, era tutto così dannatamente ingiusto. “Perché?” Sbottò, assestando un pugno contro il terreno. Era finita ancora prima di iniziare, evidentemente aveva ragione quando pensava di non essere predisposto per l'amore.
A diversi metri di distanza, rintanata in uno dei bagni del Restò Band mentre piangeva disperata, Francesca la pensava quasi allo stesso modo. Il suo amore per Diego era la cosa più dolce e pura di quel mondo, eppure anche la più sbagliata, tutto era contro di loro e accettarlo le risultava così immensamente difficile. “Come faccio a smettere di amarti, come?” Singhiozzò, raggomitolandosi ai piedi di un sanitario. Ce l'avrebbe fatta prima o poi ad andare avanti? Poteva dimenticare l'unico ragazzo che avesse mai amato in maniera così totale? “Lo spero, lo spero davvero,” sussurrò tra se e se, lo sguardo perso nel vuoto.




Hola chicos! :P
Un capitolo di luci e ombre questo. Leon fa finalmente l'audizione allo Studio ed è un vero successo *_* tra l'altro lui e Vilu affrontano magnificamente l'ostacolo Angelica, che sembra aver accettato la loro storia :3 ma sarà davvero così?
Nonostante i tentativi di Pablo e Diego, Francesca decide comunque di lasciare lo Studio e di chiudere ogni tipo di rapporto con il ragazzo che ama, decisione che sembra pesare ad entrambi :(
Grazie di cuore per le meravigliose recensioni che mi avete lasciato, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto :3
baci <3


 

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Capitolo 21
*** I complotti di Marco e Lena ***





“Siete fuori tempo ragazzi, che vi prende oggi?” Violetta recuperò il telecomando da sopra il piccolo tavolino e spense lo stereo, fissando Leon e Diego incredula. Erano passate tre settimane da quando Vargas era stato ammesso allo Studio e quasi subito si era ritrovato coinvolto in uno degli esercizi organizzati da Pablo, in particolare doveva creare una coreografia insieme alla ragazza e al giovane Galindo, ma quel giorno sembrava che Violetta lavorasse da sola. I due ragazzi infatti dovevano essere su un altro pianeta, erano distratti, lenti, scoordinati, cosa per niente da loro. Appena lo stereo fu spento, Leon e Diego si fermarono, ma lo stesso sembrava che non l'avessero sentita e per questo la Castillo gli si avvicinò, schioccando le dita davanti ai loro occhi, offesa. “Ehi, si dia il caso che ci sono anch'io qui, consideratemi.” Finalmente Leon parve tornare alla realtà e le sorrise, attirandola a se. “Certo che ti considero, Amore mio.” Le lasciò un dolce bacio sulla fronte, ma lei si liberò dalla sua stretta, stizzita. “Voglio sapere che sta succedendo,” sbottò, incrociando le braccia al petto e fissandolo attentamente. Il giovane sospirò, cercando con lo sguardo l'aiuto di Diego, che troppo perso nei suoi pensieri nemmeno se ne accorse. Galindo stava ripensando alla terribile lite tra i suoi genitori e Marco a cui aveva assistito quella mattina, dato che i due coniugi si poteva dire che lo avessero perdonato per ciò che era accaduto tra lui e Francesca e suo fratello non lo poteva accettare. “Vi rendete conto che ha baciato la mia ragazza? Dovreste odiarlo e tenerlo segregato in camera per sempre!” Quella e tante altre frasi erano state urlate quasi con disprezzo dal ragazzo e se Pablo e Angie, un po' offesi avevano tentato di farlo ragionare, Diego era sprofondato nel profondo mutismo che in quel periodo lo stava contraddistinguendo. Da quel giorno che avevano parlato fuori al Restò Band, non aveva più visto e né sentito la Cauviglia, un po' perché aveva trascorso la maggior parte del tempo in sala prove per tentare disperatamente di tenere occupata la mente e un po' perché nessuno dei due aveva fatto un passo verso l'altro, forse tormentati dal senso di colpa. Riconosceva infatti che Marco avesse ragione e che fosse stato un pessimo fratello, ma allo stesso tempo non riusciva a smettere di pensare a Francesca. Gli mancava ogni cosa di quella ragazza, il suo sorriso, i suoi occhi così pieni di vita, le sue labbra che tanto avrebbe voluto riassaporare, si sarebbe persino accontentato di guardarla da lontano o di litigarci, ma comportarsi come se lei non esistesse non riusciva a sopportarlo. Prese la bottiglia d'acqua dal tavolo e si scolò un lungo sorso, peccato che quel semplice gesto gli riportò alla mente che proprio lì in quell'aula, Francesca gli aveva confessato il suo amore e si erano baciati, tra l'altro la ragazza aveva prima bevuto da una bottiglia come quella che in quel momento aveva in mano. Sbuffò sonoramente, riponendo la bottiglia e solo allora, notò che Leon e Violetta lo stessero fissando. “Diego,” iniziò la Castillo, raggiungendolo con pochi passi. “Le cose con Marco vanno ancora male?” Lui scrollò le spalle, incurante. “Al solito.”
Anche Leon si avvicinò, circondandogli le spalle con un braccio. “Non prenderla male, tuo fratello aspettava solo l'occasione giusta per vendicarsi degli affronti passati,” gli disse, beccandosi un'occhiataccia da Violetta. “Non gettare terra sul fuoco, Leon. Diego e Marco sono fratelli e hanno bisogno di superare le loro divergenze e...”
“Basta!” Sbottò Diego, esasperato, facendola ammutolire di colpo per lo spavento. “Non ho voglia di essere psicoanalizzato, ok?” Detto ciò, lasciò l'aula a grandi falcate, sbattendo la porta. Era stanco, maledettamente stanco di tutto e di tutti. Raggiunse il cortile dello Studio e si sedette su un muretto, conficcandovi le unghie con sempre più decisione. In quel periodo non si riconosceva più, avrebbe potuto stare fuori per tutto il giorno, andare ad ubriacarsi, tanto ormai i suoi genitori lo avevano liberato dalla punizione, ma si sentiva così fiacco, così apatico. Nulla era capace di attirare il suo interesse, tutto gli sembrava inutile, superfluo, patetico.
Nell'aula di ballo nel frattempo, Violetta aveva trattenuto Leon per il polso prima che potesse andare dietro all'amico, costringendolo di conseguenza a voltarsi verso di lei. “Allora, hai intenzione di dirmi che sta succedendo a te e a Diego?” Lo interrogò, fissandolo attentamente. Il ragazzo ruotò gli occhi e sospirò, poi si sedette a gambe incrociate al centro dell'aula e lei lo imitò, capendo che dovesse trattarsi di una questione seria e quando lui le strinse la mano, ne ebbe la conferma definitiva. “Ho mentito,” sotto lo sguardo confuso della giovane aggiunse: “Non è vero che presto avrò un lavoro. Basta che sentano il mio nome e per magia non hanno più bisogno di manodopera,” ammise, afflitto. “Non so che fare.”
Violetta gli accarezzò la guancia con la mano libera, sorridendogli rassicurante. “Non arrenderti, vedrai che presto troverai qualcuno a cui non importa il tuo cognome e io sarò sempre qui a sostenerti.” Leon sorrise, poggiando la mano sulla sua. “Spero tu abbia ragione.” Lei lo strinse forte a se, facendogli poggiare il capo contro il suo petto. “Tu non sei come ti descrivono e riusciremo a dimostrarlo, non ho dubbi su questo.” Il giovane annuì, strofinando il naso contro il suo collo. “Mmm...che dolce che sei, piccolina mia.” Le lasciò un focoso bacio sul collo, facendola rabbrividire. “Ti amo.” Violetta sorrise, facendo scorrere le dita nei suoi capelli. “Ti amo anch'io.” Gli diede un bacio sulla fronte, continuando a stringerlo a se. “Tu lo sai cos'ha Diego, vero?” Chiese lei all'improvviso, facendolo irrigidire. “Dimmi la verità.”
Leon sospirò, sollevando il capo così da poterla guardare negli occhi. “Mi prometti che non ti arrabbi?” Violetta corrugò le sopracciglia, confusa, ma anche preoccupata. “Che avete combinato?” Il ragazzo esitò per alcuni istanti, poi non potè fare altro che confessare. “Diego ha iniziato ad andare dietro a Francesca per vendicarsi di Marco, voleva che lei lo lasciasse...voleva fargliela pagare per l'ostilità e le frecciatine con cui lo aveva accolto una volta uscito dal carcere.”
“Che cosa?” Esclamò Violetta, sgranando gli occhi sconvolta. Un po' lo aveva sospettato, infatti si era anche scontrata con il cugino, ma averne la conferma l'aveva decisamente spiazzata. Aveva fatto bene allora a prendersela con Diego, lui non aveva rispetto per nessuno, nemmeno per lei a cui diceva di volere tanto bene. “Da quanto tempo lo sai?” Leon non rispose, non ce ne fu bisogno, aveva già capito. Si rimise in piedi, scuotendo la testa, delusa. “Tu lo sapevi e non hai fatto nulla per impedirglielo?” Sbottò, mentre il ragazzo scattava in piedi a sua volta, con lo sguardo basso. “Potevi almeno dirlo a me! Guardami negli occhi quando ti parlo!” Aggiunse, spintonandolo stizzita. Vargas sospirò, incrociando il suo sguardo. “Non spettava a me dirgli cosa fosse sbagliato e comunque la vendetta è finita ancora prima di iniziare.” Prese Violetta per le spalle, così che la smettesse di agitarsi. “Credo che Diego si stia innamorando di lei, se non lo è già,” spiegò, lasciandola stupefatta. “Come? Ne sei sicuro?”
Leon annuì. “Ho parlato con lui e...lo conosco e mai ho notato una simile luce nei suoi occhi quando parlava di una ragazza.”
La Castillo abbassò lo sguardo, pensierosa. Ora tutto le era chiaro, quella sorta di apatia in cui era caduto Diego, l'eccessiva ostilità di Marco verso il fratello. Non era solo Francesca ad amare Diego, era anche il contrario. Come aveva fatto a non capirlo prima?
Quello che Leon e Violetta non sapevano, era che appostata fuori la porta ci fosse Lena e che avesse sentito ogni cosa. Sul volto della ragazza faceva bella mostra di se un sorrisetto che non prometteva assolutamente nulla di buono.



“Ne sei davvero sicura?” Chiese Marco, stupefatto. Lena aveva appena finito di raccontargli per filo e per segno della conversazione che aveva origliato tra Leon e Violetta e doveva ammettere di essere rimasto sorpreso, tutto si aspettava ma non quello. “Quindi Diego è davvero innamorato di Francesca?”
Lena ruotò gli occhi, esasperata. “Sveglia, Marco!” Gli schioccò le dita davanti agli occhi, parlandogli poi come se fosse stato un bambino un po' tardo. “Faceva tutto parte di un piano per ferire te, è questa informazione che devi usare contro di loro, solo questa.”
Marco la fissò confuso, allora lei si affrettò a spiegargli. “Devi dire a Francesca di questo piano, solo così lei lo odierà ed entrambi soffriranno.” Un sorriso malvagio le increspò le labbra, pregustando già le conseguenze di quella soffiata. Galindo la fissò per alcuni istanti, poi sorrise a sua volta. Lena aveva ragione, se voleva separare definitivamente Diego e Francesca, doveva far sapere alla Cauviglia del piano, doveva farglielo odiare e allora si che la sua vendetta sarebbe stata raggiunta. Dovevano soffrire esattamente come stava soffrendo lui. “Ora so cosa devo fare, grazie,” mormorò, stringendola in un forte abbraccio, che lei contraccambiò euforica e rossa in volto. Se giocava bene le sue carte, Marco avrebbe odiato sempre di più suo fratello e la sua ex e avrebbe invece apprezzato lei, l'unica che gli era rimasta accanto e chissà che finalmente non avrebbe ricambiato i suoi sentimenti. Lena lo sperava e aveva intenzione di utilizzare ogni mezzo a disposizione per raggiungere il suo obiettivo.



Francesca sfogliava svogliatamente le pagine della rivista che aveva appena acquistato, la sua mente però era decisamente altrove. Sperava che una passeggiata per il parco l'avrebbe aiutata a distrarsi e a non pensare, ma niente...i pensieri continuavano a fluire imperterriti e andavano in un'unica direzione: Diego Galindo. Nonostante il senso di colpa per aver peggiorato il rapporto tra i due fratelli e la delusione che aveva letto negli occhi di Pablo e Angie, non riusciva a smettere di amarlo. Ogni notte sognava loro due in un mondo dove potevano stare insieme senza essere giudicati male e puntualmente si risvegliava con le lacrime agli occhi, rendendosi conto che fossero solo fantasie. Quanto era stupida, quanto era patetica. Ammesso che non ci fossero stati ostacoli, cosa le assicurava che Diego l'amasse? Magari per lui si trattava di una semplice attrazione, del gusto del proibito o cose simili e quello di sicuro non aveva nulla a che fare con l'amore. In fondo lui stesso una volta le aveva confessato di non credere assolutamente in quel sentimento, io non sono predisposto, le aveva detto, quindi fantasticare su qualcosa di diverso era assurdo e alquanto patetico.
“Francesca.” Quella voce...non era nella sua testa, era lì a pochi metri da lei, ne era sicura. Quando alzò lo sguardo infatti, si ritrovò di fronte Marco con un espressione afflitta. Onestamente tutto si aspettava tranne che il suo ex le rivolgesse la parola, pensava che l'avrebbe evitata, a meno che non si fosse fatto avanti per polemizzare. “Ciao Marco.”
Galindo le rivolse un breve cenno, poi senza chiedere se potesse si sedette accanto a lei. “Devo parlarti,” esordì serio. Francesca fece per dire qualcosa, ma lui le fece cenno di tacere. “Non sono qui per litigare,” specificò, cosicché lei poté tirare un sospiro di sollievo. “Cosa devi dirmi allora?” Marco prese un profondo respiro, sforzandosi di trovare le parole giuste e soprattutto di mostrarsi arrabbiato per qualcosa che invece lo rendeva euforico. “Si tratta di Diego.” Prima che Francesca potesse dire qualsiasi cosa, si affrettò a spiegare. “Ti è venuto dietro per vendicarsi di me, sapeva quanto ci tenessi a te e quanto perderti mi avrebbe fatto stare male. Vargas lo ha confessato a Violetta poco fa.”
Quelle parole rimbombarono nella mente della ragazza, che cercava disperatamente di darci un senso. Non poteva essere vero, non poteva. “Se non mi credi, lo puoi chiedere a loro,” concluse Marco con semplicità. Sapeva di averle fatto sorgere il dubbio con quelle parole, così come sapeva di aver gettato seriamente i presupposti per spezzarle il cuore e se una parte di lui quasi si sentiva in colpa, quella parte che ancora l'amava, d'altra parte era convinto di meritare un riscatto dopo l'umiliazione che lei e Diego gli avevano provocato. Era passato agli occhi di tutti come il ragazzo tradito, un completo idiota che non aveva notato che suo fratello e la sua ragazza si facessero gli occhi dolci e non poteva accettarlo. Il minimo era che provassero le sue stesse sofferenze. “Diego non è in grado di amare, è solo un bastardo egoista e lo ha confermato ancora una volta. Mi sembrava giusto che tu lo sapessi,” concluse, alzandosi in piedi e fissandola attentamente. Perché non reagiva? Si aspettava di vederla piangere, che si disperasse e invece era ancora peggio...Francesca era immobile come una statua di sale, lo sguardo fisso nel vuoto. “Francesca,” sussurrò, tentando di attirare la sua attenzione, ma la ragazza non rispose, troppo persa nei suoi pensieri. Davvero Diego voleva solo usarla per ferire Marco? Per tutto quel tempo aveva semplicemente finto di essere interessato a lei? “Grazie per avermelo detto,” si limitò a dire, evitando di incrociare lo sguardo di Marco, che non potè fare a meno di sogghignare. Se la conosceva bene, ora Francesca avrebbe chiesto spiegazioni e non a Leon e Violetta, bensì proprio a Diego e allora si che ci sarebbe stato da ridere, quasi si immaginava la scena. “Bè, io vado, ho fatto il mio dovere.” Si allontanò senza attendere risposta, anche perché sconvolta com'era, sicuramente non avrebbe aggiunto altro. Già pregustava la sua vendetta, sarebbe stata un successo, ne era sicuro. L'italiana dal canto suo, non sapeva che pensare. Doveva fidarsi delle parole di Marco? Il solo pensiero le faceva venire una gran voglia di piangere. Poteva accettare che lei e Diego non potessero stare insieme, ma non che l'avesse presa in giro, era troppo per il suo cuore ferito. Prese il cellulare dalla borsa e iniziò ad armeggiarvi freneticamente. Aveva bisogno di risposte e solo lui poteva dargliele.


-Ho bisogno di parlarti. Raggiungimi al parco di fronte al cinema. È importante-


Senza rifletterci troppo, inviò il messaggio a Diego, mordendosi il labbro inferiore quasi a sangue. Aveva una paura matta che lui le confermasse i suoi timori, ma allo stesso tempo non poteva restare con il dubbio, doveva sapere la verità. I minuti scorsero lentamente senza che il ragazzo le mandasse alcuna risposta e la cosa la innervosì ancora di più. E se non si fosse presentato?
Diego ripose il cellulare nella tasca dei jeans, poi affrettò il passo tra le affollate strade di Buenos Aires. Francesca voleva vederlo, non se lo aspettava proprio e nemmeno per un attimo aveva pensato di declinare l'invito. Vederla era quello che voleva di più, ne aveva un disperato bisogno. Svoltò l'ultimo svincolo e in un attimo il parco apparve nella sua visuale. Ora solo pochi metri lo separavano da lei. Forse era sbagliato presentarsi lì, ma in quel momento non gli importava. Al diavolo tutto, lui doveva vederla.
Sorrise, mettendola a fuoco seduta su una panchina. Era una sua impressione, o in tre settimane era diventata ancora più bella? Francesca sollevò lo sguardo e allora lo vide. Il cuore prese a batterle come un forsennato. Diego era venuto. Si alzò in piedi, facendo fatica a contenere il nervosismo. Avrebbe tanto voluto gettarsi tra le sue braccia e dimenticare le parole di Marco, dimenticare ogni cosa, ma non poteva e così restò ferma a fissarlo. Il giovane invece, aveva allontanato qualsiasi pensiero e con pochi passi l'aveva raggiunta. “Ciao bambolina,” sorrise, attirandola a se e facendo combaciare i loro petti. Gli sguardi erano come incatenati, i respiri si fondevano. “Non mi aspettavo il tuo messaggio.” Fece sfiorare i loro nasi e prima che Francesca potesse fermarlo, le stampò un bacio a fior di labbra.
“Ma cosa f..fai?” Balbettò lei, rossa in viso. Diego corrugò le sopracciglia, confuso. “Ti ho semplicemente baciata, l'altra volta non ti sei sconvolta tanto.”
La mora scosse la testa, abbandonandosi di nuovo sulla panchina e lui la imitò, fissandola divertito. “Non devi fingere, lo so che ti sono mancato.” Provò ancora a baciarla, ma lei lo respinse, spiazzandolo a dir poco. “Non ho cambiato idea, continuo a pensare che non dovremmo lasciarci andare, è sbagliato.”
“E allora perché mi hai chiesto di vederci?” Ribatté Diego. “Pensavo che volessi mandare al diavolo tutto e...”
“E cosa? Pensavi che avremmo ripreso a giocare al gatto col topo? Dimmi la verità,” continuò, specchiandosi nei suoi occhi verdi. “Perché sei venuto? Perché non hai esitato nemmeno per un attimo?”
Galindo la guardò come se gli avesse fatto la domanda più scontata del mondo, poi scrollò le spalle. “Mi sembra ovvio, volevo vederti.” Fece scorrere l'indice lungo la sua guancia, sorridendo malizioso. “Ho una gran voglia di baciarti.” Francesca avvampò di colpo, avvertendo il respiro farsi sempre più difficoltoso. “Diego, ti p..prego, smettila.” Scostò la sua mano e seppur infastidito, il ragazzo accettò di rimettersi composto. “Mi vuoi spiegare che sta succedendo?”
La ragazza prese un profondo respiro, poi tornò a guardarlo, torturando nervosamente l'orlo del suo vestito. “Marco mi ha detto che ti sei interessato a me per vendicarti di lui. Volevi usarmi per ferirlo? Dimmi la verità, ti prego,” lo supplicò, con un filo di voce.
Diego sgranò gli occhi a quelle parole. Come aveva fatto Marco a scoprirlo? Maledetto, non ci aveva pensato due volte a rivelarlo a Francesca, si stava vendicando alla grande.
“Ti prego.” La Cauviglia gli strinse una mano con le sue, guardandolo con le lacrime agli occhi. “Ti prego, dimmi che Marco ha mentito...dimmi che non mi hai solo presa in giro.”
Lui si specchiò negli occhi castani e supplicanti della ragazza, non sapendo proprio che dire. Avrebbe potuto mentire, ma non poteva essere così viscido, non con lei. Proprio per questo, anche se sapeva che stesse per condannarsi da solo, annuì. “Volevo fargliela pagare per come si stava comportando con me e soffiargli la ragazza mi è sembrata l'idea perfetta,” confessò, inconsapevole che con quelle parole le avesse lacerato il cuore come se fosse stato colpito da una violenta ed imprevedibile coltellata. “Poi però hai iniziato a piacermi davvero e...” S'interruppe, notando che Francesca fosse scattata in piedi. “Quindi ti sei solo preso gioco di me.” Diego fece per parlare, ma lei lo anticipò. “Per colpa tua mi sono messa contro tutto lo Studio, la tua famiglia su tutti e tu stavi solo giocando! Mi credono una poco di buono, una sfascia famiglie e...li sento i loro commenti al Restò Band, non fanno nulla per nascondere ciò che pensano e...ho incassato tutto in silenzio, convinta che almeno un po' di bene me ne volessi...avrei accettato tutto, anche che il tuo obiettivo fosse portarmi a letto, ma questo no...hai giocato con i miei sentimenti, mi hai ferita, mi hai umiliata e...” Francesca non riuscì aggiungere altro, sopraffatta dai singhiozzi. Le lacrime scorrevano ormai a fiumi sul suo volto e ciò incrementò il profondo disprezzo che Diego provava per se stesso. Odiava vederla stare male, soprattutto se era per colpa sua, non lo poteva sopportare. “è vero,” ammise, alzandosi a sua volta e bloccandole il polso, così da impedirle di scappare. “è iniziata come una vendetta, ma poi ho imparato a conoscerti e mi sei piaciuta...cavolo se mi piaci...ti giuro che non sto mentendo,” aggiunse, prendendole il mento e facendo incontrare i loro sguardi. “Sono stato un bastardo, tu non c'entri nulla con me e Marco e per questo ti chiedo scusa.” Non credeva lo avrebbe mai fatto e invece per la prima volta si stava scusando con una ragazza che aveva ferito. Con Ludmilla e tutte le altre nemmeno per l'anticamera del cervello lo aveva attraversato l'idea di scusarsi, ma con lei gli risultava quasi spontaneo, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo. “Ho abbandonato i miei propositi di vendetta da un pezzo, te lo giuro.” Francesca tirò su col naso, tentando di fermare il flusso delle lacrime. Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto credergli, i suoi occhi sembravano così sinceri, ma c'era qualcosa che la frenava. “Perché non me lo hai detto?” Si azzardò a chiedergli. “Hai avuto tante occasioni per farlo.”
Diego annuì, amareggiato. “Lo so, ma non volevo ferirti e poi...e poi non sapevo nemmeno io cosa volessi e...”
“Diego.” Francesca lo interruppe, stringendogli ancora le mani, gesto che li fece entrambi rabbrividire. “Io ti ho confessato di amarti,” soffiò, rossa in volto. “Tu però non mi hai mai fatto capire cosa provi, è normale se ora io ho dei dubbi.”
Ancora quei maledetti sentimenti! Già Leon e suo padre gli avevano posto lo stesso interrogativo e ora era proprio lei a fargli quella muta richiesta. Come poteva darle una risposta se non la conosceva nemmeno lui? “Mi piaci,” buttò lì, a disagio. Nessuna delle ragazze con cui era stato gli aveva mai chiesto cosa provasse e si sentiva così impacciato a dover tirare fuori qualcosa di tanto personale. Se per lui quelle due parole erano state uno sforzo, per Francesca furono quasi nulle. “Anche a me piacciono tante persone, i miei amici, la mia famiglia, mi può piacere un pasto, un film. La mia domanda è diversa, ti piaccio come una ragazza con cui stare o come una con cui divertirti? Rispondimi Diego, dannazione!” Aggiunse, notando che non mostrasse intenzione a rispondere. “Non lo so, Francesca, non lo so!” Sbottò alla fine, esasperato. “Se vuoi una dichiarazione, hai proprio sbagliato persona, non ne sono capace!” La ragazza lo fissò per alcuni istanti, poi annuì. “Ho capito, non potevi essere più chiaro.”
“Cosa?” Diego le prese il polso, impedendole di andarsene. “Ti ho chiesto scusa, ti ho detto che ora sono sincero, perché te ne vuoi andare?” Le chiese, confuso.
Lei si liberò dalla sua stretta, stizzita. “Se non me lo avesse detto Marco, tu non lo avresti mai fatto! Magari ti piaccio come dici, ma non provi quello che provo io. Non voglio essere una delle tante che passa per il tuo letto, io non sono così,” deglutì, avvertendo di nuovo gli occhi farsi lucidi. “Lo so,” ribatté Diego, prendendola per le spalle. “Tu non sei come le altre, tu sei diversa.” La guardò in maniera così intensa che Francesca si sentì come spogliata della sua stessa anima. Quanto avrebbe voluto fidarsi di lui, lasciarsi andare, dimenticare ogni cosa. “Smettila di giocare con il mio cuore, se non puoi darmi ciò di cui ho bisogno, lasciami andare.”
“E tu di cosa hai bisogno?” Si azzardò a chiedere Diego, completamente in confusione. Sentiva che lei volesse che le dicesse qualcosa, ma non riusciva a capire cosa. “Se non lo capisci, credo sia proprio inutile continuare questa conversazione.” Si liberò dalla sua stretta, profondamente delusa. Per lei e Diego non c'era futuro, ora ne aveva la certezza. “Siamo troppo diversi tu ed io, è evidente.”
“Perché dici così, dannazione?” Sbottò lui, agitando le braccia. “Ti sto dicendo la verità ora, perché devi rendere tutto così difficile? Al diavolo tutti, pensiamo solo a noi.” L'attirò a se, determinato a mettere fine a quella conversazione con un bacio, ma fu nuovamente respinto. “Basta, Diego! Lo capisci o no che per me non è un gioco?” Esplose lei, lasciandolo a bocca aperta. “Non voglio mettermi contro tutte le persone a cui tengo per un semplice capriccio! Ho bisogno di certezze, cosa che tu non puoi darmi. Lasciami in pace,” aggiunse girando i tacchi e mollandolo lì come un idiota. Provò a chiamarla, ad andarle dietro, ma Francesca continuò a proseguire imperterrita e lui non poté fare altro che arrendersi. Il presentimento che ci fosse una cosa precisa che avrebbe dovuto dirle e che avrebbe potuto cambiare ogni cosa, continuava a tormentarlo. Ma di quale cosa si trattava?



“Ho così tanta fame che mi mangerei un cavallo,” commentò Camilla, accarezzandosi la pancia che brontolava a più non posso. Seba ridacchiò, facendo scattare la sicura della sua auto, per poi prenderla per mano. “Tranquilla, siamo arrivati.”
Poco distanti da loro, anche Leon parcheggiò la sua motocicletta, per poi aiutare Violetta a scendere. Dopo tanta insistenza delle due amiche, i ragazzi avevano accettato di trascorrere la serata tutti e quattro insieme e così ora si ritrovavano fuori al bowling. “Fa freddo, eh?” Rabbrividì la Castillo, stringendosi al braccio di Leon. Lui sogghignò. “Io ti avevo avvertita, ma tu hai voluto lo stesso metterti la gonna, perciò non lamentarti.”
Violetta ruotò gli occhi e gli fece la linguaccia, staccandosi dal suo braccio e aggrappandosi a quello di Camilla. Seba si sentì di troppo tra le due amiche e fu quasi tentato di avvicinarsi a Leon, ma poi si ricordò chi fosse e desistette, incamminandosi da solo. Lui e Vargas non erano mai stati amici, addirittura quasi non si salutavano e ritrovarsi a passare la serata in sua compagnia lo faceva sentire a disagio. Loro due non avevano nulla in comune, venivano da mondi completamente diversi. Leon dal canto suo, la pensava quasi allo stesso modo. Aveva accettato di uscire con Seba e Camilla per fare contenta la sua ragazza, ma non si sentiva molto a suo agio. In ogni caso, tenendosi a distanza di sicurezza, Leon e Seba entrarono nel bowling, seguiti dalle loro ragazze. Subito un forte vociare giunse alle loro orecchie. La struttura era strapiena di giovani di tutte le età, che se ne stavano seduti ai tavoli a consumare le loro ordinazioni oppure sulla pista da bowling. Alla loro sinistra, c'era poi una lunga fila per prendere da mangiare. “Cosa prendete voi?” Chiese Leon, fermandosi e voltandosi verso Seba e Camilla. “Un hamburger gigante,” esclamò lei allegramente.
“Due hamburger, una birra e una cocacola,” confermò Seba, prendendo il portafoglio, ma Vargas lo fermò con un gesto della mano. “Pago io, facciamo i conti dopo. Tu e Camilla iniziate a cercare il tavolo, io e Vilu ci mettiamo in fila per le ordinazioni.”
Il moro annuì, prendendo la fidanzata sottobraccio. “Andiamo, Cami.” Mentre si allontanavano, a Violetta e Leon sembrò di sentire la Torres lamentarsi perché Seba aveva ordinato la bibita al posto suo e per questo ridacchiarono. Si misero poi in fila, ma la Castillo non fece altro che guardare il suo ragazzo, cosa di cui ben presto lui si accorse e per questo si accigliò. “Cosa c'è Amore, perché mi guardi così?” Lei prese un profondo respiro, poi sussurrò. “Grazie, so che ti costa molto essere qui con i miei amici e...bè, lo apprezzo molto.”
Leon sorrise, circondandole la vita con un braccio e attirandola a se. “Farei qualsiasi cosa per te, lo sai.” Le sfiorò la fronte con le labbra e lei si rilassò contro il suo petto. Vargas stava cambiando davvero e lo stava facendo per lei, non avrebbe potuto essere più felice di questo. Forse avevano avuto contro tante persone, sua nonna in primis, ma il destino sembrava volgere dalla loro parte e quello era sicuramente un alleato parecchio vantaggioso.
“Allora, che ne pensi di Leon?” Chiese Camilla curiosa, mentre lei e Seba prendevano posto all'unico tavolo libero che erano riusciti a trovare dopo un lungo girare a vuoto. Il ragazzo scrollò le spalle. “Non è male, ammetto che mi aspettavo di peggio.”
“Hai visto?” Esclamò la Torres, euforica, stritolandolo in un forte abbraccio. “Non è un ragazzo cattivo ed è anche a modo. Possiamo uscire anche altre volte con lui e Vilu, no?”
“Bè, suppongo di si,” ribatté lui, facendo scorrere la mano lungo la sua schiena in maniera lenta e ipnotica. “Me lo immaginavo un cafone, un prepotente e cose simili, invece sembra tranquillo...spero di non sbagliarmi.”
“Vedrai che non sarà così,” sorrise Camilla, allacciandogli le braccia al collo e facendo sfiorare i loro nasi. “Andrà tutto a meraviglia.”
“Mmm...”borbottò Seba con un sorrisetto impertinente, lasciandole un bacio sul naso. “Spero che tu abbia ragione.”
“Io ho sempre ragione,” soffiò lei di rimando, facendo combaciare le loro labbra. Il ragazzo sogghignò, stringendola a se e approfondendo il bacio. In quel momento era come se le persone intorno a loro e il caos che provocavano non ci fossero, c'erano solo loro due. Continuarono a baciarsi con sempre maggiore intensità, finché qualcuno si schiarì la voce, facendoli sobbalzare. Leon e Violetta li fissavano divertiti, reggendo due grandi vassoi. “Interrompiamo qualcosa?” Ghignò il ragazzo, sedendosi di fronte a Seba. I due avvamparono di colpo, mentre la Castillo faceva fatica a contenere le risate. “Ma quanto siete teneri.”
Camilla la fulminò con lo sguardo. “Se non la smetti, ti svuoto questa in testa.” Dicendo ciò, sollevò il suo bicchiere di cocacola, scatenando le risate di tutti i presenti. “E farò lo stesso anche con voi due,” aggiunse, guardando Leon e Seba, che si finsero spaventati. “Che paura.”
La Torres mise un finto broncio e divertito, il moro le stampò un bacio sulla guancia. “Dai tesoro, stavamo scherzando.” Tra le risate presero a mangiare e a sorpresa, Leon e Seba si ritrovarono a parlare di calcio come se fossero stati dei vecchi amici, lasciando le loro ragazze a bocca aperta. Mai si sarebbero aspettate una cosa simile, le cose stavano andando meglio di quanto si aspettassero. Avevano quasi terminato di mangiare, quando il cellulare di Violetta iniziò a squillare. Confusa, la giovane vide lampeggiare sul display il nome di Francesca. Non fece nemmeno in tempo a rispondere e a dirle qualsiasi cosa, che la mora l'anticipò con frasi sconnesse tra i singhiozzi.
-Vilu...scusa se interrompo la vostra uscita...sto male e...ho bisogno di te e Cami- singhiozzò disperata, facendo sbiancare Violetta per la preoccupazione, tanto che Leon, Camilla e Seba la fissarono, accigliati. -Cos'è successo Francesca? Mi stai spaventando-
-Venite a casa mia, vi p..prego-
-Arriviamo subito, tranquilla- la rassicurò, chiudendo poi la conversazione e rivolgendosi a Camilla. “Francesca sta male, ha bisogno di noi.” Entrambe scattarono subito in piedi, imitate dai ragazzi. “Scusate se interrompiamo così la serata, ma Fran...” iniziò Violetta, ma Leon la zittì con un gesto della mano. “Va tutto bene, la vostra amica sta male ed è giusto che andate da lei.” Seba annuì. “Non credevo lo avrei mai detto, ma Leon ha ragione. Vi accompagniamo noi,” aggiunse, sotto il cenno di assenso dell'altro ragazzo. Violetta e Camilla sorrisero dolcemente ai loro ragazzi, poi tutti e quattro si incamminarono verso l'uscita. Destinazione: casa di Francesca.




Tempi duri per Leon, Diego e Fran. Leon per colpa della fama delle sua famiglia non riesce a trovare lavoro. Marco e Lena scoprono del piano originale di Diego e lo usano contro lui e Fran, peccato che alla fine il vero ostacolo è Diego stesso, che non capisce cosa la ragazza ha bisogno di sentirsi dire e finiscono per allontanarsi ancora di più :(
In compenso c'è la prima uscita a quattro Leonetta e Seba e Cami e i due ragazzi riescono finalmente ad intendersi :3 peccato per il finale con una Fran disperata :(
Grazie a tutti coloro che leggono e recensiscono, un bacio!! <3
ps. mi scuso per eventuali errori, vado di fretta e qualcosa potrebbe essermi sfuggito XD


 

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Capitolo 22
*** Fuoco e fiamme ***





“Dobbiamo attuare una strategia e subito,” esordì Federico, camminando nervosamente davanti ai suoi compagni di squadra, che lo fissavano dalle sedie di plastica dov'erano seduti. Anche quel pomeriggio ai ragazzi che dovevano disputare le olimpiadi di matematica, era stata concessa un'aula dello Studio per prepararsi all'imminente sfida. Se i padroni di casa, guidati da Casal e dal suo pupillo Marco Galindo, sembravano sempre più presuntuosi e sicuri di se, gli ospiti provenienti da un piccolo quartiere della capitale, che probabilmente non veniva nemmeno citato sulle carte geografiche, avvertivano sempre di più crescere il timore di non essere all'altezza. Loro non avevano mai avuto delle strutture e dei laboratori molto forniti e anche la qualità degli insegnanti e dei libri di testo, non poteva essere paragonabile a quella dei ragazzi di Casal.
“Non possiamo permettere a quei figli di papà di umiliarci,” aggiunse Bianchi, ottenendo la pronta approvazione di Emma e Lena, che chiaramente erano orgogliose quanto lui. “Noi siamo migliori di loro, non abbiamo bisogno di darci delle arie per dimostrarlo,” concordò la prima, raggiungendo Federico e dandogli una pacca sulla spalla. “Sono d'accordo,” aggiunse Lena, sicura. “Alla fine quelli là possono vantare tanti soldi e altrettanta arroganza, ma non hanno un cervello come il nostro. Noi abbiamo dovuto lottare per raggiungere i nostri obiettivi, loro invece hanno avuto tutto su un piatto d'argento.”
Andres e Nata, che fino a quel momento si erano limitati ad ascoltarli in silenzio, si ritrovarono a loro volta a concordare. “Mi sono procurato uno dei loro libri di testo,” disse Calixto, mostrando agli amici un librone dalla copertina blu. “Me lo ha prestato la ragazza carina, Libi,” spiegò con un filo d'imbarazzo. “Non è tanto diverso dal nostro...io dico che possiamo farcela.” Federico annuì, mentre Emma, Lena e Nata ridacchiarono, notando il rossore che aveva colorato il volto del ragazzo nel nominare Libi Sanchez.
“A me danno la sensazione di quelli che potrebbero giocare sporco,” sussurrò Nata, un po' intimorita, quando il sorriso sparì dal suo volto. “Si, soprattutto quel Galindo,” commentò Bianchi storcendo il naso. Sin dalla prima volta che lo aveva visto, il ragazzo aveva suscitato in lui una strana antipatia e più passava il tempo, più ciò si amplificava. Si avvicinò alla finestra, guardando distrattamente la strada oltre di essa. “Se giocano sporco loro, allora lo faremo anche noi,” concluse, tornando a voltarsi verso gli amici.
Non ci fu il tempo di aggiungere altro che la porta dell'aula si aprì, mostrando un'ancheggiante e come al solito elegantissima Ludmilla Ferro. La bionda fece indugiare per alcuni istanti lo sguardo sui presenti, poi si rivolse unicamente a Federico. “Ciao sweety, ne hai ancora per molto?” Gli chiese, arricciandosi una ciocca di capelli intorno all'indice e sbattendo le lunghe ciglia. Bianchi sgranò gli occhi, sorpreso, mentre gli altri gli rivolsero un'occhiata interrogativa, non riuscendo proprio a capire come facesse l'amico a conoscere una ragazza così ricca e appariscente. “Allora?” Ludmilla gli si avvicinò, schioccandogli le dita davanti agli occhi. “Qualcuno ti ha mangiato la lingua?”
Federico scosse la testa, riprendendosi da quella sorta di trance in cui era caduto. Con un gesto della mano fece capire ad Andres, Emma, Lena e Nata di andarsene e loro, dopo avergli abbondantemente riso in faccia, si decisero a varcare l'uscita. “Stavi dicendo?” Chiese, tornando a guardare la Ferro, che si aprì in una cinguettante risatina. “Devo andare a fare shopping e mi serve qualcuno che mi porti le buste. Volevi un appuntamento con me, no?”
Il ragazzo si accigliò, sicuro di aver capito male. “Si, ma non intendevo dire che volevo farti da schiavetto. Volevo fare una passeggiata, mangiare un gelato o cose simili,” spiegò, grattandosi nervosamente il collo. Ludmilla scrollò le spalle, guardandolo come se avesse detto una sciocchezza. “Lo faremo, ma prima devo fare shopping.” Prima che Federico potesse ribattere, lo prese per il polso e se lo trascinò fuori dall'aula. “Sono iniziati i saldi e io devo essere in prima fila. Forza, muoviti,” esclamò, mentre lui le stava dietro a fatica su una strada parecchio affollata. Nel giro di un'ora Ludmilla lo condusse in un numero spropositato di negozi, sommergendolo di buste di varie dimensioni e colori. “Che colore ti piace la camicetta, Fede?” Gliene mostrò una gialla, una rossa e una bianca dello stesso modello e lui non potè fare a meno di sospirare, esasperato. “Cosa vuoi che ne sappia, per me è lo stesso.”
Ludmilla scosse la testa, incredula. “Vuoi uomini non capite proprio niente di stile,” commentò, storcendo il naso, per poi optare per quella rossa. Visitarono ancora tantissimi negozi e altrettante furono le buste che la ragazza gli rifilò, poi finalmente raggiunsero un bar all'aperto, dove lui potè abbandonarsi stancamente su una sedia in ferro battuto. “Nemmeno in vent'anni di vita ho mai speso tanti soldi,” commentò, asciugandosi una goccia di sudore dalla fronte. La Ferro scosse la testa, divertita. “Questo perché sei un pezzente, tesoro, di solito spendo anche di più.” Guardò le numerose buste ai loro piedi con fare critico. “Con questa spesa ho riempito a malapena l'ala est del mio armadio.”
“L'ala est?” Ribattè Federico, stupefatto. Era già tanto che lui lo avesse un armadio e lei lo aveva addirittura diviso in varie zone. Ignorando le sue parole, Ludmilla chiamò il cameriere, a cui ordinò due cioccolate calde. “Che giornata stressante, sono davvero stanca,” commentò lei, assaggiando un sorso della cioccolata fumante, rischiando di far soffocare il giovane con la sua. “Ti ricordo che sono io ad aver sgobbato come un facchino, tu mi hai solo caricato di vestiti.” La ragazza lo fulminò con lo sguardo, infastidita. Possibile che lui avesse sempre da ridire? Da quando lo conosceva le aveva sempre tenuto testa, cosa a cui non era per niente abituata. “Dovresti sentirti orgoglioso, chiunque vorrebbe andare a fare shopping con Ludmilla Ferro.” Federico sollevò un sopracciglio, poi ridacchiò, facendo scorrere lo sguardo sui lineamenti perfetti del volto della ragazza. Lei era capricciosa, viziata, presuntuosa, ma anche molto bella, sicura di se, intrigante, tutto di quella ragazza lo attraeva. “Quindi sei una vip e nessuno mi ha informato?” La canzonò, beccandosi l'ennesima occhiataccia raggelante. “Non osare prenderti gioco di me, posso schiacciarti come una formichina, non dimenticarlo,” lo minacciò, battendo la mano sul tavolo per dare una maggiore enfasi alle sue parole. Lui sogghignò, scolandosi l'ultimo sorso di cioccolata. Non poteva farci nulla, più Ludmilla si arrabbiava e lo minacciava e più gli piaceva. Mai una ragazza lo aveva colpito tanto, ma forse la verità era che lei fosse unica e per questo terribilmente interessante ai suoi occhi. La Ferro dal canto suo si mostrava ostile e acida come suo solito, ma solo per mascherare la realtà. Il modo in cui quel Federico la guardava, il lampo che gli attraversava lo sguardo quando lei gli parlava, il modo in cui l'ascoltava, tutto in lui lasciava presagire interesse, un interesse che però sembrava diverso da ciò a cui era abituata. I ragazzi che aveva frequentato, Diego in primis, l'avevano sempre considerata solo fisicamente, si rendeva conto che mentre parlava le guardassero la scollatura e facessero pensieri lussuriosi e certo lei che si vestiva abitualmente in maniera tanto appariscente, non poteva dar loro torto. Probabilmente dall'esterno appariva come una ragazza frivola e superficiale, quei tipi che si adescano in discoteca, da una notte e via insomma, peccato che non avrebbero potuto essere più lontani dalla realtà. Riconosceva di essere capricciosa, narcisista, vanitosa ed egocentrica, ma non era una ragazza facile e né tantomeno andava in discoteca per cercare uno con cui passare la notte. Ludmilla Ferro come tutte sognava il grande amore, anche se non lo avrebbe mai ammesso era così e pensava davvero di poterlo trovare in Diego, colui per cui aveva una sorta di ossessione sin dalla prima volta che lo aveva visto. Galindo però si era solo divertito e una volta ottenuto ciò che voleva, l'aveva gettata via come un rifiuto. Pensava che distruggere il rapporto del ragazzo con la sua famiglia e con Francesca, che a quanto pareva era la sua nuova preda, l'avrebbe fatta sentire meglio e invece si sentiva ancora più vuota, sempre più sola. Da quando però quello strambo ragazzo che era Federico Bianchi, aveva iniziato a farle la corte e a guardarla come una persona e non come una cosa, sentiva che tutte quelle brutte sensazioni si stessero riducendo e che non potesse fare a meno di sorridere sempre più spesso senza un'apparente motivo. “Sai Supernova, sei davvero bella quando sorridi.”
La voce di Federico, così dolce e sincera, la riscosse dai suoi pensieri, riportandola alla realtà. Davvero stava sorridendo? Lui pensava che fosse bella? Il suo sorriso si accentuò. Bianchi non l'aveva definita sexy, non le guardava la scollatura, lui la guardava dritto negli occhi e non vi vedeva nessuna traccia di malizia o di doppi sensi. Quando poi il ragazzo sorrise, uno strano calore partì dal suo cuore e si espanse in tutto il corpo, facendola sentire per la prima volta in vita sua apprezzata, viva. Intrecciare una mano con la sua fu la cosa più naturale del mondo, così come lo fu ricambiare quel dolce e rassicurante sorriso. “Mi piacerebbe uscire ancora con te,” sussurrò Federico con un filo di imbarazzo che poco gli si addiceva, ma che ci poteva fare se lei lo rendeva nervoso? “Mi va bene anche se andiamo di nuovo a fare shopping.”
Ludmilla sorrise e scosse il capo. “Come sei monotono, una come me la devi sorprendere.” Nella sua voce però non c'era più astio, al contrario traspariva un sincero divertimento, cosa che portò entrambi a ridacchiare. “Allora si farà a modo mio, ma poi non lamentarti,” concluse il ragazzo, guardandola intensamente. “Questo non posso prometterlo, potresti avere un pessimo gusto per quanto ne so,” ribatté la Ferro, divertita, ripulendosi le labbra con un fazzoletto candido preso dalla sua pochette. “Ora devo tornare a casa,” continuò, guardando l'orario dal suo cellulare. “Mio padre ha organizzato una noiosissima cena con i suoi colleghi di lavoro e rispettive consorti.” Ruotò gli occhi e storse il naso, infastidita al solo pensiero e Federico sogghignò, aiutandola a recuperare le molteplici buste ai suoi piedi. “Ti accompagno a casa allora, posso?” Lei lo guardò inizialmente sorpresa, poi annuì. Decisamente non era abituata a tutta quella galanteria e a quell'interesse per la sua persona e la cosa la lusingava parecchio. Durante tutta la strada verso villa Ferro, Bianchi si ritrovò a raccontarle delle olimpiadi di matematica a cui aveva accettato di partecipare per aiutare economicamente la sua famiglia e se normalmente avrebbe storto il naso per quel ragazzo così inferiore a lei, in quel momento non potè fare a meno di ammirare la sua determinazione e il suo buon cuore. Federico stava dimostrando che i soldi non fossero tutto, che non era la ricchezza a rendere una persona migliore e le stava anche dando una dimostrazione di fiducia, aprendosi tanto con lei. Se non avessero avuto tutte quelle buste lo avrebbe preso per mano, sentiva un bisogno impellente di farlo, ma erano evidentemente limitati nei movimenti e perciò dovette rinunciarvi, limitandosi a sorridergli. “Bè, siamo arrivati,” mormorò Federico, quando si fermarono davanti a un grande cancello dorato, che delimitava l'imponente villa dei Ferro. “Già,” annuì la ragazza, chiamando con un gesto della mano una delle guardie che sorvegliava abitualmente la tenuta dall'esterno e ordinandogli di portare dentro casa le sue buste. L'uomo obbedì senza battere ciglio, evidentemente abituato a fare da facchino per la capricciosa figlia del padrone. Federico scosse la testa, incredulo, lo sguardo che saettava su quella che era la casa della ragazza. Mai aveva visto una villa così imponente, trasudava ricchezza solo a guardarla, un qualcosa che uno come lui avrebbe potuto solo sognarsi. Chiaramente non era all'altezza di una ragazza come Ludmilla, al massimo avrebbe potuto lucidarle le scarpe. La Ferro in ogni caso continuava a sorridergli, inconsapevole dei suoi pensieri carichi di amarezza. “Grazie per avermi accompagnata.” Cogliendolo decisamente alla sprovvista, gli stampò poi un bacio sulla guancia. “Ciao Federico.”
Federico non rispose, guardandola varcare il grande cancello con aria quasi assente, mentre si sfiorava al contempo la guancia dove lei gli aveva schioccato quell'inatteso quanto desiderato bacio. Mai nessuna ragazza lo aveva fatto sentire così stupido e imbranato, di solito era tanto sicuro quasi da risultare sfacciato e poi...”Accidenti!” Sbottò, colpendosi la fronte. Come aveva potuto dimenticare di chiederle il numero di telefono? E ora come l'avrebbe contattata per invitarla ad uscire con lui? Le alternative erano due, o correva il rischio e tornava direttamente a cercarla in quella villa, o semplicemente cercava il suo profilo su Facebook. Ma si, avrebbe fatto così.



Diego sbuffò esasperato, guardandosi nervosamente intorno. La sua idiozia lo aveva portato a decidere di uscire con una delle amiche di Leon, un'oca egocentrica che non aveva fatto altro che parlare di se e attirare lo sguardo di tutti a causa dei vestiti striminziti che indossava. Prima di finire in carcere quella era il tipo di ragazza che frequentava, anche perché era interessato solo ad un'avventura senza alcun coinvolgimento sentimentale, ora però si rendeva conto di quanto fosse cambiato. Non gli importava un'accidente di quello che diceva quella giovane di cui non ricordava nemmeno il nome, voleva solo che si zittisse e sparisse dalla circolazione, quello che bramava di più era essere lasciato da solo. Ne aveva abbastanza di sentire le persone parlare sottovoce appena lo vedevano, di essere scrutato dai loro sguardi accusatori e ancora di più odiava suo fratello e tutto quel rancore che puntualmente gli manifestava. Sapeva che dopo aver baciato la sua ragazza se lo fosse cercato e non poteva nemmeno dargli torto, però tutto quell'accanimento iniziava a stancarlo. Aveva preso la decisione giusta, ogni tipo di legame con Francesca ora non esisteva più e ognuno era andato per la sua strada. Cosa volevano ancora da lui allora? E perché non riusciva a lasciarsi andare con quella ragazza? In fondo era bella e sicuramente ci sapeva fare, non le mancava nulla, o no? Eppure più la guardava con la coda dell'occhio e più sentiva come il bisogno di darsela a gambe. Aveva ragione Leon, uscire con quella ragazza era stata un'idea pessima.
-Se vuoi uscirci, fallo. Sappi però che ciò non ti farà dimenticare Francesca-
Quella frase di Vargas, accompagnata da quello sguardo carico di avvertimento gli attraversarono la mente, destabilizzandolo a dir poco. Purtroppo la verità era proprio quella, l'unica ragazza a cui riusciva a pensare era la Cauviglia e più tentava di scacciarla dalla sua mente e più il suo volto tornava prepotente a tormentarlo.
“Dove mi porti?” Gracchiò la ragazza, che gli stava fastidiosamente aggrappata al braccio, riportandolo alla realtà. Diego fece per rispondere, quando qualcosa o meglio qualcuno attirò la sua attenzione. Dall'altra parte della strada una ragazza mora aveva appena svoltato l'angolo e ora proseguiva verso di loro. I lunghi capelli corvini erano raccolti in una coda alta e indossava un semplice leggins nero e una felpa, nemmeno un filo di trucco sul suo volto. Con la mano destra reggeva un grande borsone da palestra e appariva visibilmente stanca. Galindo si ritrovò quasi senza rendersene conto a fermarsi al centro del marciapiede a fissarla. Francesca Cauviglia non avrebbe potuto essere più acqua e sapone di quel momento, nulla a che vedere con la barbie che lui aveva accanto, eppure non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Lei era così semplice, così innocente e allo stesso tempo così bella. Ormai gli era chiaro che quella ragazza gli piacesse, lo stava accettando e forse proprio per quello non riusciva a sopportare di doverle stare lontano. Capiva le motivazioni dei suoi genitori e di Marco e capiva anche quelle della giovane, che era alla disperata ricerca di stabilità, ma quello non cambiava ciò che provava. Francesca lo amava e ovviamente voleva anche essere amata, alla fine aveva compreso che intendesse ciò quel giorno, purtroppo però lui non era in grado di amare, quindi non poteva darle nulla ed era giusto che lei non lo volesse nella sua vita. Il fatto che Diego avrebbe voluto trascinarla in un vicolo e baciarla fino all'ultimo respiro era però un altro discorso. “Cosa guardi?” La ragazza bionda tentò ancora di attirare la sua attenzione, ma lui era troppo occupato a guardare e a pensare a Francesca. La Cauviglia era troppo per uno come lui, ma cosa c'era di male a fantasticarci un po' su?
Nel frattempo dall'altra parte della strada, Francesca si fermò accanto a un palazzo e gettò a terra il borsone con un gesto di stizza. La palestra, che avrebbe dovuto consentirle di rilassarsi e allontanare qualsiasi pensiero, aveva sortito l'effetto contrario. Si sentiva ancora più nervosa e irritabile, tutto era contro di lei. Pensava di poter andare a lavorare al Restò Band, ma con l'assunzione di Lara ora non c'era più posto per lei, che davvero non sapeva che fare della sua vita. La musica era il suo mondo, su di essa aveva investito tutti i suoi sogni e le sue aspirazioni, cosa avrebbe fatto ora che aveva chiuso quel capitolo della sua vita? A completare quel quadro alquanto deprimente, c'erano quei maledetti sentimenti per Diego, che anziché ridursi sembravano amplificarsi sempre di più. Mai Francesca si era sentita più confusa, non sapeva proprio che fare, ogni tipo di idea o volontà di reagire e voltare pagina sembrava averla abbandonata e di conseguenza si ritrovava a convivere con i 'se' e con i 'ma' e a fantasticare su come avrebbe voluto che fosse la sua vita. Illusioni le sue, ne era cosciente, ma era solo grazie ad esse se non era ancora impazzita...era tutto ciò che le restava in fondo. Si costrinse a scacciare quei pensieri e si avvicinò al citofono, su cui cercò il nome di Camilla. Aveva un disperato bisogno di piangere e lo poteva fare solo con lei.
“Francesca.” Quella voce la fece letteralmente sobbalzare e quando si voltò, incrociò lo sguardo serio di Marco. Tutti si aspettava di incontrare ma non di certo lui, non di nuovo. L'ultima volta le aveva riportato il piano di Diego e le era sembrato fin troppo euforico all'idea di ferirla e non ci teneva a ripetere l'esperienza. “Ciao Marco,” mormorò perciò, tornando a voltarsi. Lui però le prese il polso, riportandola nella posizione di prima. “Ci ho pensato,” le sussurrò all'orecchio. “Non posso e non voglio perderti. Sono disposto a dimenticare che hai baciato mio fratello.” Prima che lei potesse anche solo provare a ribattere, la strinse a se e la baciò, facendole sgranare gli occhi, sconvolta. Quello che lei non poteva nemmeno immaginare, era che se Marco l'aveva baciata era perché con la coda dell'occhio aveva notato Diego a diversi metri da loro con una ragazza bionda e non poteva lasciarsi scappare l'occasione per la sua vendetta definitiva. Francesca tentava di spingerlo lontano, ma lui la stringeva in una presa d'acciaio, costringendola a quel bacio. Da dove si trovava però, al maggiore dei Galindo sembrava che la ragazza stesse ricambiando il bacio e la cosa lo sconvolse. Il dolore al petto era sempre più intenso e devastante e nel suo stomaco sembrava si stesse estendendo una voragine. La sua mente nel frattempo era annebbiata e tutto ciò che riusciva a provare era rabbia, una rabbia quasi animale, che lo invitava a fare a pezzi quei due. Le mani gli prudevano sempre di più e per questo le strinse a pugno, conficcandosi le unghie nei palmi. Cosa gli stava accadendo? Mai aveva provato sensazioni simili, mai aveva tanto desiderato strangolare qualcuno. Marco e Francesca non potevano baciarsi, non potevano tornare insieme...lei non poteva fargli una cosa simile. Aveva detto che lo amava, allora perché era lì con suo fratello? Si era solo presa gioco di lui? Senza pensarci troppo, scappò via prima che potesse commettere qualsiasi sciocchezza e la ragazza bionda gli andò dietro, mentre Marco, notandoli, si decise a lasciare Francesca, che prontamente lo schiaffeggiò. “Non ti azzardare a farlo mai più!” Sbottò furiosa, massaggiandosi i bracci indolenziti. “Mi hai fatto male e costretta a qualcosa che non volevo. Ti è dato di volta il cervello?” Galindo scrollò le spalle, non potendo evitare di sorridere. Le cose stavano andando meglio di quanto si aspettasse. Diego aveva visto il bacio e ora sicuramente pensava che lui e la Cauviglia fossero tornati insieme. Chissà quanto fosse ferito e deluso da lei, chissà...
“Mi stai ascoltando?” Francesca gli diede uno spintone, facendolo barcollare pericolosamente per la sorpresa. I suoi occhi castani emanavano scintille. “Stai alla larga da me!”
Marco non disse nulla, limitandosi ad osservarla mentre recuperava il borsone ed entrava nel palazzo di Camilla, sbattendo forte la porta e non degnandolo più di uno sguardo. A quel punto si piegò in due dalle risate. Con quella mossa era sicuro di aver distrutto ogni tipo di possibilità anche futura per Diego e Francesca e non poteva essere più soddisfatto del suo piano geniale. Se non poteva averla lui, allora nemmeno suo fratello l'avrebbe avuta. Lo aveva promesso a se stesso e così sarebbe stato.



Violetta si lasciò cadere stancamente sul letto, chiudendo gli occhi e portandosi il braccio destro su di essi. Le faceva ancora uno strano effetto il fatto che sua nonna avesse accettato la storia tra lei e Leon, sembrava così irreale. Credeva che quel momento non sarebbe mai arrivato e che al massimo lo avrebbe vissuto nella sua mente. Normalmente si sarebbe goduta la sua felicità, peccato che in quella circostanza non ci riuscisse e tutto questo perché non poteva fare a meno di pensare a Francesca. Aveva trascorso tutto il pomeriggio a casa di Camilla per consolare la Cauviglia, che mai aveva visto così disperata. La ragazza era innamorata di Diego, ma tutto era contro di loro e lo stesso giovane era parecchio confuso circa i suoi sentimenti. “Lui non mi ama come lo amo io e per questo preferisco tenerlo lontano da me.” Ovviamente poi c'era Marco, che sembrava godere malvagiamente di fronte alle sue sofferenze e addirittura ci metteva del suo per rincarare la dose. “è impazzito! Un giorno mi cerca per parlarmi male di Diego e quello dopo mi dice che vuole tornare con me...mi ha costretto a un bacio, vi rendete conto?” E poi tante di quelle lacrime, che Violetta e Camilla non avevano potuto fare altro che stringerla in un forte abbraccio. La Castillo conosceva molto bene sia Diego che Marco, ma mai si sarebbe aspettata dei simili comportamenti da parte loro. Il maggiore dei due aveva sempre prediletto un tipo di ragazza molto diversa da Francesca, ma allora perché le era andato dietro per tanto tempo se era guidato solo dall'attrazione fisica? E Marco, come gli era saltato in mente di baciare la ragazza con prepotenza? Cosa stava succedendo? Troppe cose non quadravano e proprio per questo non sapeva che pensare.
“Psss...Amore?”
Violetta sobbalzò, rimettendosi di colpo seduta al suono di quella voce. Senza pensarci troppo, si avvicinò alla finestra che teneva chiusa solo per metà. Seduto comodamente sul ramo dell'albero c'era lui, Leon, che le sorrideva dolcemente. “Credevo non ci saremmo visti stasera,” sorrise, aprendo completamente la finestra e facendosi da parte, così da consentigli di saltare agilmente all'interno di essa. “Lo credevo anch'io,” ribatté Leon, scostandosi un ciuffo dalla fronte e attirandola poi a se, poggiando la fronte contro la sua. “Mio padre è fuori per degli affari e Lara è uscita con una sua amica, perciò la cena di famiglia è rimandata.” Se il braccio sinistro rimase ancorato alla vita della ragazza, quello destro lo piegò così da poterle accarezzare una guancia. “La serata è solo nostra,” sussurrò, facendo combaciare le loro labbra. Violetta gli allacciò le braccia al collo, approfondendo il bacio, che si fece a poco a poco più coinvolgente e appassionato. Continuando a baciarsi raggiunsero il letto, dove si adagiarono l'uno sopra l'altra. Le mani di Leon le percorrevano ogni centimetro di pelle, mentre la baciava e al contempo la liberava dei vestiti. “La nostra serata,” le bisbigliò ancora all'orecchio, che raggiunse con una serie di infuocati baci. Violetta sospirò, godendosi quelle dolci attenzioni e accarezzandogli la schiena al di sotto della t-shirt. Lo attirò poi a se, coinvolgendolo in un nuovo e appassionato bacio. “Ancora non mi sembra vero che mia nonna ti abbia accettato,” sussurrò, a un soffio dalle sue labbra. Leon si accigliò. “Dobbiamo parlare di tua nonna proprio ora?” Le chiese confuso, indicandole con un cenno il rigonfiamento nei suoi pantaloni. “Sai, sono molto impaziente.” Se lui ora era divertito, Violetta assunse tutte le tonalità del rosso e del viola. Tipico di Leon, se non se ne usciva con una frase per imbarazzarla non era lui. “Che tenera che sei quando arrossisci,” ridacchiò il ragazzo, baciandole le guance. “Ma tanto lo so che in fondo tutto questo ti piace.” Dicendo ciò, si sfilò la t-shirt restando a petto nudo e come ogni volta, Violetta lo fissò ammirata. Tutto in Leon trasudava perfezione ed era felice che fosse solo suo. Gli prese il volto tra le mani e lo baciò, per poi scendere a baciargli il collo. Quanto le piaceva il sapore della sua pelle, quanto le piaceva sentirlo sospirare e sapere che fosse per merito suo. “Mmm...” mugugnò il ragazzo, gettando il capo all'indietro e socchiudendo gli occhi. “Questo più di tutto mi ha permesso di non impazzire in quel maledetto carcere.” Si sfilò poi i jeans e fece lo stesso anche con il resto del pigiama della giovane. “Ti amo,” sussurrò contro le sue labbra. Lei sorrise, intrecciando le dita nei suoi capelli. “Ti amo anch'io.” Le loro labbra si cercarono e si trovarono, dando vita a una danza sensuale e appassionata. Le mani scorrevano dovunque sui loro corpi. Leon coprì entrambi con la coperta, per poi riprendere da dove avevano lasciato e lei prontamente gli allacciò le gambe intorno alla vita, così da rendere il loro contatto ancora più intimo. Incapaci di resistere oltre, i due finalmente si unirono divenendo una cosa sola. Prima ovviamente, Violetta sussurrò al ragazzo quella famosa frase, quella rassicurazione da cui sembrava seriamente dipendere. Nella camera e soprattutto nelle loro orecchie, risuonarono sospiri sempre più affannati, che tentavano di attutire scambiandosi lunghi e coinvolgenti baci. D'accordo che fosse notte fonda e perciò Angelica doveva essere già a letto, ma c'era comunque il rischio che si alzasse per un bicchiere d'acqua e non osavano immaginare cosa sarebbe potuto succedere se la donna li avesse beccati. Quando poi raggiunsero il massimo piacere, non riuscirono a trattenersi e gemiti ben più rumorosi sfuggirono dalle loro labbra. “Santo cielo,” soffiò Leon, uscendo lentamente da dentro di lei e sdraiandosi al suo fianco, asciugandosi una goccia di sudore dalla fronte. Violetta socchiuse gli occhi, stiracchiando le gambe. Un grande sorriso faceva bella mostra di se sul suo volto. A costo di sembrare una pervertita, non poteva fare a meno di pensare che fare l'amore con Leon fosse ogni volta più straordinario. Amava sentirsi un tutt'uno con lui, amava sentire i loro corpi sfiorarsi e i cuori battere allo stesso ritmo, amava inebriarsi del suo profumo, amava tutte quelle emozioni che ciò risvegliava in lei. Un anno senza provarle era stato un inferno, era stato come se in quel carcere fosse stata rinchiusa anche una parte di se e forse era davvero così. Leon era la sua metà, se non c'era lui, lei non poteva e non voleva esistere, ogni attimo trascorso con Vargas ne aveva sempre di più la certezza. Si accoccolò contro il suo petto e il ragazzo subito la strinse a se, sfiorandole il capo con le labbra. “Oggi mi ha chiamato quello del cantiere.” La Castillo sollevò il capo di scatto a quelle parole. Sapeva che Leon stesse continuando a cercare lavoro e che aspettasse diverse chiamate, ma non credeva che qualcuno lo avesse già fatto e che soprattutto glielo stesse dicendo solo in quel momento. “Che ti ha detto?” Gli chiese, specchiandosi nei suoi grandi occhi verdi, che apparivano stranamente impenetrabili a lei che di solito riusciva a leggervi dentro con una certa facilità. Leon scosse la testa, mostrando ora una certa amarezza. “Ha detto che ha già trovato qualcuno...guarda caso,” aggiunse ironicamente, ruotando gli occhi. “Nessuno vorrà mai offrire un lavoro a un Vargas, a meno che non utilizzo i metodi di mio padre e...”
“Non ci pensare nemmeno,” lo interruppe Violetta, scuotendo il capo. “Mi hai promesso che non ti saresti più messo nei guai, ricordi?”
Leon si specchiò negli occhi forti e determinati della ragazza che amava e non potè fare altro che annuire, sfiorandole la guancia con una leggera carezza. “Hai ragione, te l'ho promesso e io mantengo le mie promesse.” Violetta sorrise, poggiando la mano sulla sua. “In un modo o nell'altro troveremo una soluzione. Io sarò sempre accanto a te, sono pronta ad affrontare qualsiasi cosa.” Il ragazzo sorrise a sua volta, emozionato da quella dolcissima dichiarazione. “Io non sono niente senza di te.” Avvicinò poi il volto al suo, dando vita a un lungo bacio, che lei contraccambiò con il medesimo trasporto, intrecciando le dita nei suoi capelli. Leon la fece adagiare sotto di se, continuando a baciarla e a stringerla a se in maniera possessiva. Continuarono così per un bel po', finché non avvertirono un leggero bussare alla porta che li fece bloccare di colpo. “Vilu, sei ancora sveglia? Ho sentito un rumore.” La voce preoccupata di Angelica raggiunse le orecchie dei due giovani, che sbiancarono di colpo. Non potevano far finta di nulla, erano sicuri che in quel caso la donna sarebbe entrata e allora si che li avrebbe uccisi, perciò non c'era altra alternativa. Leon sgusciò agilmente fuori dal letto, affrettandosi a recuperare tutti i suoi vestiti dal pavimento, per poi andarsi a nascondere dietro all'anta dell'armadio. Violetta lo seguì con lo sguardo, trattenendo una risatina nervosa. In un altro momento sarebbe stata divertente la scena di Vargas nudo che raccoglieva vestiti alla disperata, ma in quel momento era più che mai nervosa. E se sua nonna si fosse accorta di qualcosa? Quando Leon le fece un cenno d'assenso, la giovane prese un profondo respiro, poi mormorò: “Si nonna, sto bene...è solo che non riesco a dormire e credo di aver urtato qualcosa.” Cercò di mostrarsi il più possibile sicura, ma come aveva previsto, la donna aprì la porta ed entrò. Nonostante il buio, Violetta notò lo sguardo di sua nonna percorrere ogni angolo della camera, per poi avvicinarsi al letto, dove lei se ne stava raggomitolata con le coperte fino al mento. Non aveva di certo avuto il tempo di vestirsi e se la donna l'avesse vista nuda, sarebbe accaduto un putiferio. Angelica le accarezzò dolcemente il capo, continuando a guardarsi intorno. La Castillo si sforzava di sorriderle, facendo fatica a contenere il nervosismo e l'agitazione. Perché sua nonna non la smetteva con quello sguardo? Perchè non andava via? “Vuoi che ti preparo una camomilla, tesoro?” Le chiese dolcemente. Lei scosse la testa. “No grazie, ora riprovo a dormire.” Dopo un tempo che parve infinito, finalmente Angelica annuì e le lasciò un bacio sulla fronte. “Ti lascio dormire allora. Buonanotte.” “Buonanotte nonna,” soffiò lei, vedendola avviarsi verso la porta. Solo dopo che se la fu chiusa alle spalle, tirò un sospiro di sollievo. “Non ho mai avuto tanta paura in vita mia,” sussurrò, quando Leon uscì dal suo nascondiglio e la raggiunse sul letto, facendo fatica a trattenere le risate. “L'abbiamo passata liscia, eh Amore?” Sogghignò, beccandosi per questo uno scappellotto dietro il capo che lo fece ridacchiare ancora di più. “Non è per niente divertente, abbiamo corso un grosso rischio e lo sai.” Lui le fece il verso, ma di fronte alla sua occhiataccia decise di tacere e tornare a sdraiarsi accanto a lei. Violetta dal canto suo si sforzò davvero di dormire, ma i cattivi pensieri non l'abbandonarono nemmeno per un attimo. Cosa sarebbe successo se Angelica avesse visto Leon?




Holaaa!!
defrtyuiopolkijuhygtfrd che ve ne pare della scena Leonetta? Io sto sclerando ancora, sono meravigliosi!! awwwwwwwww :3 per poco Angelica non li beccava e Leon ha ancora problemi a trovare lavoro, ma dettagli XD
Abbiamo poi il primo appuntamento, se così si può definire, dei Fedemilla e i due sembrano avere un'intesa sempre più forte nonostante le diversità :3
Nel frattempo il piano di Marco continua e ora Diego, che sembrava quasi essersi ripreso dalla stupidità dello scorso capitolo, pensa che Fran abbia ricambiato il bacio di Marco e se ne va via furioso. In tutto questo a soffrire è sempre la povera Cauviglia :(
per fortuna che abbiamo la scena Leonetta per cui sclerare!! awwwwww :3
Grazie a tutti coloro che leggono o recensiscono :3
baci, Trilly


 

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Capitolo 23
*** Troppo buono ***





“Voi siete pazzi,” commentò Lara scuotendo il capo, incredula. Quella mattina Leon era passato al Restò Band a trovarla e di fronte a un frullato, le aveva raccontato di come Angelica avesse quasi scoperto lui e Violetta la notte precedente. “Avete corso un rischio enorme, lo sai, vero?”
Il ragazzo ridacchiò, tamburellando distrattamente le dita sul tavolo. “Avresti dovuto vedere la faccia della vecchia, quegli occhietti malvagi non la smettevano di guardarsi intorno. Per un attimo ho quasi temuto che potesse avere i raggi X.” Leon iniziò a ridere sempre di più, mentre Lara lo fissava scioccata. Suo fratello era senza vergogna e il fatto che raccontasse quella disavventura con tanto orgoglio, lo confermava. A volte avrebbe voluto essere come lui, smetterla di farsi tanti complessi e agire solo d'istinto. Se lo avesse fatto anche solo una volta, forse avrebbe avuto qualche possibilità con Diego, o almeno avrebbe avuto uno straccio di ragazzo, visto che vantava una vita sentimentale decisamente imbarazzante. All'alba dei suo diciassette anni infatti, Lara non aveva mai avuto o baciato un ragazzo, complesso che si portava dietro da tanto tempo e che ancora non era riuscita a superare. Spesso si era scoperta gelosa del rapporto tra Violetta e Leon, loro non erano chiusi come lei, sapevano lottare per essere felici, poi però inevitabilmente si era vergognata dei suoi stessi pensieri. La Castillo aveva perso i suoi genitori in un tragico incidente e il ragazzo portava sulle spalle il peso di essere un Vargas, tanto che tutti lo temevano e lo evitavano. L'amore che li legava era una delle poche cose belle della loro vita, non meritavano di essere invidiati. Lei almeno aveva ancora suo padre e suo fratello e non era stata coinvolta negli affari sporchi di Fernando, che addirittura aveva accettato che lavorasse al Restò Band, l'unica cosa che le mancava era un po' di coraggio in più. “Non credevo fossi così brava, sorellina,” sorrise Leon, accarezzandole dolcemente il capo e scuotendola dai suoi pensieri. “Sono tutti pazzi di te,” aggiunse, indicando con un cenno gli altri tavoli pieni di clienti. “Ma cosa dici?” Avvampò la ragazza, mordendosi nervosamente il labbro. “Faccio solo del mio meglio.” Vargas sollevò un sopracciglio, scettico. “Il tuo capo non sembra pensarla così.”
“C..come?” Balbettò Lara, assumendo tutte le tonalità del rosso e del viola, sicura di aver capito male. Leon sogghignò, accostando le labbra al suo orecchio. “Lancia continue occhiate verso di te, solo tu non te ne sei accorta.” Con le guance in fiamme, la ragazza si voltò nella direzione indicata dal fratello e vide Luca dietro al bancone che lucidava dei bicchieri e che di tanto in tanto guardava verso di lei. “Credo che tu gli piaccia,” sussurrò Leon, portandola ad abbassare lo sguardo e a voltarsi di nuovo, imbarazzata. “Probabilmente starà pensando che sto perdendo un sacco di tempo e che dovrei tornare a lavoro,” mormorò, evitando il suo sguardo. Il ragazzo scosse la testa, esasperato. “Devi smetterla di buttarti giù, tu sei speciale, molto più di quanto credi,” aggiunse, lasciandole un bacio sulla guancia. “Se solo la smettessi di avere sempre così tanta paura, ti renderesti conto di quanti ragazzi farebbero carte false per averti. Non esiste solo Diego,” proseguì, consapevole della cotta storica della ragazza per il giovane Galindo. “Luca Cauviglia aspetta solo che ti accorgi di lui.”
I due stavano ancora parlando, quando un agitato Pablo Galindo fece il suo ingresso nel locale. Quel giorno Violetta lo aveva fermato in un corridoio dello Studio per parlargli di Leon Vargas. “Sta facendo di tutto per trovare un lavoro, ma nessuno vuole aiutarlo. Ti prego zio, aiutalo a trovare qualcosa...mettici una buona parola...qualsiasi cosa va bene.” Le parole della giovane e il suo sguardo supplicante, non facevano altro che tormentarlo. Ci aveva pensato a lungo, considerando i pro e i contro e alla fine aveva preso una decisione, sperava solo di non pentirsene. Violetta gli aveva detto che Leon sarebbe andato lì a trovare sua sorella Lara e perciò doveva solo cercarlo. Guardandosi intorno, individuò Francesca che parlava con suo fratello accanto al bancone. Anche se sorrideva, era evidente che il sorriso non raggiungesse i suoi occhi. Quella ragazza stava male e non solo perché aveva dovuto mettere da parte i suoi sentimenti per Diego, ma anche perché aveva dovuto rinunciare al sogno della sua vita. Con il grande talento e la passione che ci metteva, avrebbe dovuto essere allo Studio insieme ai suoi amici e invece era lì, a sforzarsi di mascherare la sua tristezza. Era più forte di lui, non riusciva a fare a meno di dispiacersi per quella giovane, che aveva commesso l'unico errore di agire con il cuore. Forse aveva ragione sua moglie, lui si preoccupava troppo e per troppe persone. Convinto di ciò, continuò a cercare Leon, finché non lo individuò a un tavolo in fondo al locale in compagnia proprio di sua sorella. Appena lo vide venire verso di lui, Vargas si fece di colpo serio e sussurrò qualcosa a Lara, che si affrettò a tornare a lavoro, così da lasciarli soli.
“Posso sedermi?” Chiese nervosamente Galindo, grattandosi il capo. Il giovane lo scrutò per alcuni istanti, perplesso, poi si limitò ad indicargli con un cenno la sedia di fronte alla sua. “Come va?” Esordì l'uomo, intrecciando le mani sul tavolo e scrutandolo attentamente. Sembrava apparentemente tranquillo, a suo agio, ma a occhio attento si poteva notare una certa agitazione, quasi stesse sostenendo una lotta con se stesso e Leon non riusciva a spiegarsi il perché. Cosa voleva da lui il padre di Diego? D'accordo, ora era anche un suo professore, ma non aveva mai dimostrato tanto interesse per il suo stato d'animo. “è venuto di sua spontanea volontà, o l'hanno mandato?” Chiese perciò, adagiando la schiena allo schienale della sedia e incrociando le braccia al petto, sollevando un sopracciglio. Pablo sgranò gli occhi, sicuro di aver capito male. “Come?” Vargas ridacchiò, piegando leggermente il capo verso destra. “Oh andiamo, sappiamo entrambi che non suscito molta simpatia in giro. Immagino che sua moglie o sua suocera hanno un messaggio per me.” Un sorrisetto arrogante faceva bella mostra di se sul volto del giovane, convinto più che mai di averci preso e Pablo non potè fare altro che scuotere il capo, per niente sorpreso. Anche se ci aveva avuto a che fare poco, aveva capito abbastanza bene il carattere particolare del giovane. Si mostrava sfacciato, indisponente, ironico, ma in realtà la sua era solo una forma di difesa. Doveva essere dura vivere con il peso di essere figlio di Fernando Vargas, soprattutto se si stava facendo di tutto per imboccare la strada giusta. “In realtà sono io ad avere un messaggio per te,” spiegò, ottenendo l'effetto di attirare finalmente l'interesse di Leon. Il ragazzo infatti si mise seduto in maniera composta e l'astio iniziale fu sostituito dalla curiosità. “Che messaggio?”
Pablo prese un profondo respiro, cercando le parole giuste, poi tornò a guardarlo, serio. “Violetta mi ha detto che stai cercando un lavoro, è così?” Quando Leon annuì, seppur scettico, si affrettò ad aggiungere: “Se io ti facessi una proposta, mi prometti che non mi causeresti alcun tipo di problema?”
Vargas corrugò le sopracciglia, confuso. “La smetta di girarci intorno e parli chiaro, non riesco a seguirla.”
“Beto ha bisogno di un aiutante per montare e smontare gli strumenti, mettere in ordine l'aula e il ripostiglio e cose simili,” si affrettò ad illustrare, sotto lo sguardo stupito del giovane. “Lui ha bisogno di un assistente, tu hai bisogno di un lavoro e bè...ho pensato che magari potrebbe interessarti,” concluse, fissandolo attentamente. Diverse emozioni attraversarono il volto di Leon, decisamente spiazzato da quella proposta, non se l'aspettava proprio. Probabilmente era stata proprio Violetta a chiedere a Pablo di parlargli e lui lo aveva fatto davvero. Possibile che quell'uomo volesse dargli fiducia? Lo guardò per lunghi istanti, confuso. Pablo Galindo era agitato, ma allo stesso tempo convinto di ciò che aveva detto e poi...e poi per la prima volta non vedeva odio o paura in quegli occhi neri, ma qualcosa che somigliava vagamente alla fiducia. Non era preparato a quell'eventualità, era convinto che lui sarebbe sempre stato nella lista di coloro che lo detestavano e che lo volevano a marcire in una galera e invece era lì a porgergli la mano. Cosa doveva fare? Poteva accettarla? Poteva fidarsi? In fondo Galindo gli sembrava così sincero e poi lui aveva bisogno di quel lavoro, era la sua occasione per dimostrare quanto fosse cambiato e determinato a chiudere definitivamente con gli errori del passato, l'occasione per far conoscere il vero Leon.
“Allora?” Riprese Pablo. “Cosa ne pensi?” Leon ci pensò ancora qualche istante, poi a sorpresa gli strinse la mano. “Accetto.”
Galindo sorrise soddisfatto. Forse non stava sbagliando a dare fiducia a quel ragazzo, forse stava davvero cambiando. “Puoi iniziare già oggi pomeriggio. Beto ti spiegherà cosa devi fare e poi nel mio ufficio parleremo della tua paga.”
Leon annuì, seguendo con lo sguardo l'uomo alzarsi in piedi. “Ci vediamo oggi pomeriggio allora.”
“Si,” concordò Pablo, ma quando fece per andarsene sentì la mano del ragazzo stringergli il braccio, costringendolo a voltarsi. “Signor Galindo,” iniziò il giovane, stranamente a disagio. “Io volevo dirle che...si, insomma...grazie.”
L'uomo sorrise, dandogli una pacca sulla spalla. “Non mi devi ringraziare, ma solo dimostrarmi che non sbaglio a darti fiducia. Ah Leon,” aggiunse, portandolo ad alzare lo sguardo, confuso. “Chiamami Pablo e per favore, dammi del tu. Non sono così vecchio,” ridacchiò, scatenando anche l'ilarità del giovane, che si affrettò ad annuire. “Come vuoi, Pablo.”
“Così mi piaci,” sorrise Galindo, salutandolo con un cenno del capo. “Ora devo andare, a più tardi.”
“A più tardi,” ripetè Leon, guardandolo allontanarsi con un grande sorriso carico di ammirazione stampato in faccia. Quell'uomo che aveva sempre giudicato male, si stava rivelando invece uno dei pochi ad offrirgli la sua fiducia e a tutti i costi voleva fare del suo meglio per non deluderlo, mai se lo sarebbe perdonato altrimenti.



“Sei sicura che per te non è un problema?” Chiese Luca, guardando sua sorella Francesca con un cipiglio preoccupato. Anziché migliorare, la ragazza sembrava sempre più pallida e malaticcia e la cosa lo agitava non poco. “Posso tranquillamente aspettare che ritorni il ragazzo delle consegne e...”
Francesca però lo interruppe, scuotendo energicamente il capo. “Tranquillo, la faccio io la consegna alla signora Rodriguez. Cosa vuoi che sia e poi mi fa bene distrarmi un po',” aggiunse con un sorriso che voleva essere il più possibile rassicurante. Stare tutto il giorno seduta davanti al bancone era troppo deprimente persino per lei, andare invece a fare qualche consegna le avrebbe permesso di prendere una ventata d'aria fresca e perché no, di spegnere anche il cervello per un po'. Luca esitò ancora qualche istante, poi annuì. “Va bene,” sospirò, porgendole la busta con l'ordinazione della signora Rodriguez e un bigliettino con l'indirizzo. “Conosci questa strada, vero?” Quando lei confermò, proseguì. “Allora vai e...” La strinse in un forte abbraccio, accarezzandole dolcemente il capo. “Vedrai che passerà, il tempo guarisce qualsiasi ferita.” Francesca sorrise, stampandogli un bacio sulla guancia. “Spero che tu abbia ragione, fratellone.” Dopodiché si incamminò verso l'uscita, mentre lui scrollò le spalle impotente. Dio solo sapeva cosa avrebbe dato per rivedere di nuovo quella luce brillare negli occhi di sua sorella. Lei sorrideva, diceva di stare bene, che a poco a poco si stesse riprendendo, ma lui sapeva che non fosse così, la conosceva troppo bene. In poco tempo Francesca aveva dovuto reprimere i sentimenti per il fratello del suo ex e rinunciare alla sua passione per la musica, chiunque al suo posto avrebbe sofferto tanto e sperava davvero con il tempo di vederla tornare a vivere, perché se lei stava male allora di conseguenza soffriva anche lui. Francesca era la sua sorellina e la sua felicità contava più di qualsiasi cosa. Stava ancora pensando a ciò, quando il suo sguardo cadde su Lara che stava annotando le ordinazioni su un block notes. Sin dal primo istante che aveva incrociato il suo sguardo, non aveva potuto fare a meno di pensare che non avesse niente in comune con suo fratello. Vargas era sicuro di se tanto da apparire sfacciato, mentre Lara sembrava così piccola e innocente e a malapena dimostrava i suoi diciassette anni. Troppo occupato a fissarla, quasi non la vide avvicinarsi a lui con il volto in fiamme e il passo incerto. “Queste sono le ordinazioni dei tavoli quattro, due e sette” mormorò con un filo di voce, porgendogli tre bigliettini e facendolo letteralmente sobbalzare. “Cosa? oh...ehm, si.” Si affrettò a prendere le ordinazioni dalle mani della ragazza, che inevitabilmente sfiorò, gesto che la portò a ritrarre le sue quasi avesse preso la scossa. Le guance le si erano di nuovo tinte di rosso e teneva lo sguardo basso. In quel momento a Luca sembrò ancora più piccola e gli trasmise una sorta di tenerezza, che mai aveva provato per una ragazza che non fosse Francesca. Solo sua sorella gli era sempre apparsa indifesa e innocente, ogni ragazza che aveva frequentato era più sicura, determinata, maliziosa, caratteristiche che non vedeva in Lara, eppure non poteva fare a meno di sentirsi in qualche modo affascinato da lei. “Lara,” sussurrò, sollevandole il mento, così da potersi specchiare nei suoi grandi occhi scuri. Un brivido gli scorse lungo la schiena appena i loro sguardi si incrociarono e il suo cuore aveva iniziato a battere come un forsennato. Conosceva molto bene quelle reazioni, fino a poche settimane prima le provava per Camilla, la ragazza che più di tutte aveva amato. Com'era possibile che ora fosse quella ragazzina a farlo sentire così? Lara era indubbiamente molto carina, aveva uno sguardo intenso e un sorriso abbagliante e poi era di una dolcezza e un'innocenza incredibili, ma da lì a sentirsi attratto da lei ce ne passava, no? Lei era troppo piccola per lui, era assurdo, inconcepibile. Lara dal canto suo, se ne stava rigida come la corda di un violino, gli occhi fissi in quelli verdi del giovane Cauviglia. Avvertiva le guance farsi sempre più incandescenti e un caldo afoso diffondersi in ogni zona del suo corpo, ma lo stesso non riusciva a muovere un muscolo. Da un po' di tempo a quella parte, si sentiva terribilmente a disagio quando doveva rivolgersi al suo capo, o semplicemente quando i loro sguardi si incrociavano e il fatto che ora addirittura le tenesse il mento...tutto era decisamente amplificato. Certo, riconosceva di provare ancora qualcosa per Diego, ma allo stesso tempo sentiva anche nascere un sentimento per Luca, l'unico oltre a suo fratello che le rivolgesse un dolce sorriso e che sembrava interessato al suo stato d'animo. Chi al posto di Cauviglia quando l'aveva vista piangere nei bagni l'avrebbe consolata con così tanta premura? Avrebbe potuto far finta di nulla o ignorarla e invece Luca era rimasto e forse era proprio da allora che aveva iniziato a guardarlo in maniera diversa. Lui non era solo un bel ragazzo, era dolce, sincero, premuroso, altruista e...bastarono solo quei pensieri a farla arrossire ancora di più e rendendosene conto, Luca sorrise dolcemente. A fatica Lara ricambiò il sorriso, notando quel volto avvicinarsi sempre di più al suo. Il giovane Cauviglia non aveva idea di quello che stava facendo, il cervello sembrava aver smesso di funzionare ed era guidato solo dall'istinto, che lo spingeva sempre di più verso le labbra della giovane. Più di qualsiasi cosa voleva farle combaciare con le sue, anche solo per un istante. Erano ormai a un soffio e Lara non aveva fatto assolutamente nulla per allontanarlo, al contrario si limitava a fissarlo. Luca voleva davvero baciarla? Possibile che Leon avesse ragione e che il ragazzo fosse interessato a lei? Fremeva al solo pensiero. Il suo primo bacio...Luca stava per darle il suo primo bacio. Socchiuse gli occhi, avvertendo il suo respiro sul volto. Il cuore le batteva fortissimo, le gambe le tremavano, tutto il suo corpo era in tensione. Non desiderava altro che lui dimezzasse anche quegli ultimi centimetri. Sentì le braccia di Luca circondarle la vita e attirarla a se, ormai mancava davvero poco e...
“Allora, quando arrivano i nostri frullati?”
Luca e Lara sobbalzarono, allontanandosi di scatto imbarazzati. Due ragazze vestite in maniera striminzita e con un trucco piuttosto pesante, sedute a un tavolo poco distante, li fissavano con disappunto. “Rischia di passarci la sete se non vi muovete.”
“Arrivano subito,” mormorò Luca, fiondandosi dietro al bancone, ancora decisamente sconvolto. Cosa stava per fare? Era forse impazzito? E perché non poteva fare a meno di avercela con quelle due ragazze per averli interrotti?
Lara nel frattempo, era tornata a prendere le ordinazioni, anche se la sua mente era da tutt'altra parte. Il ragazzo che aveva scoperto iniziasse a piacerle, stava per baciarla e non poteva fare a meno di avvertire una sorta di vuoto alla bocca dello stomaco. Lei quel bacio lo voleva con tutta se stessa e ora che erano stati interrotti, chissà se avrebbe avuto un'altra occasione. Possibile che fosse destinata ad essere sfortunata in amore?




“Non lo posso accettare, non posso e basta!” Sbottò Marco esasperato, agitando le braccia e camminando avanti e indietro per il cortile dello Studio. Lena, seduta su un muretto con il grande libro di matematica poggiato sulle ginocchia, lo seguiva con lo sguardo, apparentemente impassibile. In realtà la ragazza era davvero insofferente, non ne poteva più di sentir parlare di Francesca e di quanto Galindo fosse determinato a riconquistarla. “Ho bisogno di Francesca, la amo troppo e non posso stare senza di lei,” continuò Marco, ignaro della tempesta di pensieri negativi che albergava nella giovane. “Penso di essermi liberato di Diego, ma come faccio a farla tornare da me?” Guardò Lena, alla ricerca di qualsiasi consiglio o aiuto, ma lei non aprì bocca, limitandosi a scrollare le spalle. Possibile che ogni volta che Marco le chiedesse di vedersi doveva parlare della sua ex? Aveva dimenticato che Francesca aveva baciato Diego incurante dei suoi sentimenti? Come poteva sentirsi ancora legato a lei nonostante tutto? “Lena, mi stai ascoltando?” Galindo le si piazzò di fronte, piegandosi leggermente verso di lei, confuso. “Ti prego, aiutami. Non so cosa fare.”
La ragazza ruotò gli occhi, stizzita. “Ma ti sei rincretinito per caso?” Sbottò, lasciandolo a bocca aperta. “Non ti ama più, vuole tuo fratello! Cosa non ti è chiaro?” Scese poi dal muretto, stringendo il libro al petto. “Perchè mi parli così?” Chiese Marco confuso, afferrandole il polso così da impedirle di andarsene. “Sai quanto amo Francesca, lei è il grande amore della mia vita e...”
“Ma tu non sei il suo,” sussurrò Lena, portandolo ad abbassare lo sguardo, ferito. In fondo sapeva che fosse la verità, aveva notato come Francesca aveva guardato suo fratello nell'aula di danza quando c'erano anche Pablo e Angie, così come aveva visto quanto stesse male lontana da lui, ma sentirselo dire aveva tutto un altro effetto. Si lasciò cadere sul muretto, prendendosi la testa tra le mani. “Quello che non capisco è che cosa ci trova in lui,” soffiò con un filo di voce. Vedendolo così smarrito, la ragazza avvertì un colpo al cuore e per questo lo raggiunse, poggiandogli le mani sulle ginocchia. “Francesca è una stupida, non ha idea di cosa si sta perdendo.” Marco sollevò il capo, specchiandosi negli occhi scuri della giovane e ciò che vi lesse lo sconvolse. In essi non c'era solo una semplice amicizia, c'era qualcosa di più forte, un qualcosa che anche se non riusciva a spiegarsi, aveva il presentimento che non fosse niente di positivo per lui. La conferma la ebbe quando la ragazza gli prese il volto tra le mani e lo baciò. Fu un bacio dolce, leggero, un bacio che lo sconvolse. Non era la prima volta che lei lo baciava, era già accaduto in passato, ma dato che era furioso e allo stesso tempo ferito da Francesca, non vi aveva prestato molta attenzione, ora però non poteva comportarsi come se nulla fosse, non poteva e basta. “Io non ti farei soffrire, io saprei renderti felice,” continuò Lena con un dolce sorriso. “Permettimi di amarti.” Tentò nuovamente di baciarlo, ma Marco la respinse, scuotendo il capo. “Scusa Lena, ma io non provo lo stesso. Sono innamorato di Francesca,” le spiegò dispiaciuto. “Non voglio illuderti,” aggiunse, sfiorandole una guancia con una leggera carezza. “Ti voglio bene, ma...”
“Ma non mi ami, ho capito,” lo interruppe la ragazza, per la prima volta con lo sguardo basso. Lei che di solito era sempre sicura di se, in quel momento si sentiva così fragile, così ferita. Marco non l'amava, per lui esisteva solo Francesca. Galindo fece per aggiungere qualcosa, ma lei scosse energicamente il capo. “Tranquillo, non devi aggiungere altro. Grazie per la sincerità.” Marco la seguì con lo sguardo, mentre si allontanava a passo svelto e non potè fare a meno di dispiacersi. Lena era una brava ragazza e ci teneva davvero a lui, ma il suo cuore apparteneva a Francesca e non c'era assolutamente modo di cambiare le cose.




“Ehi, ragazzo, svegliati. Devo chiudere.”
Diego aprì gli occhi a fatica, mettendo a fuoco il volto di un uomo che non aveva mai visto, che non faceva altro che scuoterlo per le spalle. “Dove sono?” Chiese con la voce impastata di sonno, strofinandosi gli occhi con vigore. Intorno a lui c'era solo il buio, a parte il bancone dov'era seduto. Con una seconda occhiata riuscì a riconoscere il locale, era più di un anno che non metteva piede in quel posto e non aveva idea di come ci fosse arrivato. Il proprietario ancora una volta gli disse di andarsene e Diego non potè fare altro che obbedire, ma appena si mise in piedi fu colpito da un leggero capogiro e per questo dovette aggrapparsi a uno degli sgabelli per non cadere. Sulla lingua avvertiva il forte sapore di alcool, chissà quanto ne aveva bevuto quella notte. Si strofinò ancora il volto e con fare barcollante si incamminò per le strade buie e isolate. Non sapeva che ore fossero e nemmeno se quella fosse la strada per casa sua, non sapeva assolutamente nulla. Ricordava di aver passato il pomeriggio allo Studio e di aver declinato un'uscita con gli altri ragazzi, poi il buio più assoluto. L'unica immagine che la sua mente si ostinava a rimandargli e che era anche il principale motivo di quella sbronza, era la scena di Marco e Francesca che si baciavano. In se avvertiva una rabbia feroce, incontrollabile, un qualcosa di così potente che gli annebbiava la mente e gli impediva di pensare lucidamente. Non aveva mai provato niente di simile, lui non era un tipo geloso, o almeno non lo era delle ragazze che frequentava. Riconosceva di essere stato spesso geloso di sua madre o di sua cugina, ma Francesca non era nessuna delle due cose e né tantomeno era o era stata la sua ragazza. C'era stato solo un bacio, nient'altro. Perché allora rivederla insieme a Marco gli procurava tanto fastidio? Quello che sentiva per lei poteva essere più forte di quanto credesse? Il volto sorridente di Francesca attraversò la sua mente e ancora una volta da quando aveva a che fare con lei, Diego si sentì terribilmente smarrito. Non era mai stato bravo con i sentimenti, credeva di non potersi innamorare, ma ora non era più sicuro di nulla. Si sentiva come se si trovasse su una di quelle travi dove ai tempi del liceo il professore di educazione fisica li costringeva a fare i più assurdi esercizi di equilibrio, solo che nel caso suo la trave era sospesa a mezz'ora e sotto c'era il nulla. Intorno a lui vedeva Leon, Violetta, Marco, i suoi genitori, anche loro in equilibrio su una trave, ma a differenza sua compievano solo alcuni passi per poi gettarsi nel vuoto con una certa convinzione. Loro non avevano paura, sapevano quello che facevano ed erano così felici, così liberi. Lui era l'unico che se ne stava sulla sua trave immobile, incapace di fare anche solo un passo. Le gambe gli tremavano, il cuore batteva così forte da rischiare di uscirgli fuori dal petto e poi c'erano quelle piccole gocce di sudore che gli imperlavano la fronte. Diego non era solo spaventato, era impietrito, terrorizzato alla sola idea di cadere, di permettere a se stesso di amare. Perché la trave per lui rappresentava un porto sicuro, una certezza, mentre il nulla al di sotto non era altro che tutta quella tempesta di emozioni che caratterizzavano il sentimento più irrazionale e imprevedibile del mondo: l'amore. La sua principale paura era proprio l'amore, lui che era abituato ad avere certezze, si impietriva alla sola idea di avere a che fare con qualcosa che non sapesse controllare. Aveva paura di ciò che Francesca gli faceva provare e forse proprio per quello aveva preferito non dirglielo, aggrappandosi a quel 'non lo so', che era appunto l'unica certezza che gli restava. Il fatto che con il passare dei giorni la ragazza gli mancasse sempre di più e l'incontrollabile gelosia che lo aveva travolto dopo averla vista con Marco, metteva però in discussione ogni cosa. Non poteva più far finta di nulla e scappare come un codardo, doveva affrontare la realtà. Francesca per lui non era come le altre, non lo era mai stata. Per nessuna si era mai ridotto in quella maniera, solo per lei. Doveva pur significare qualcosa. Scosse la testa, esasperato dai suoi stessi pensieri. Non gli piaceva come si sentiva, non gli piaceva per niente. Diego Galindo non era confuso, non era debole e soprattutto non era un patetico sentimentale. Avrebbe potuto cercarsi una ragazza per la notte e non limitarsi a bere, cavolo lui avrebbe potuto farlo. Perché allora non lo aveva fatto? Perché stava tornando a casa ubriaco e barcollante come un barbone, con il rischio che i suoi lo chiudessero in camera fino ai quarant'anni?
“Diego? Cosa ci fai in giro a quest'ora?”
Il giovane si bloccò sul posto al suono di quella voce. Nemmeno si era accorto di essere giunto nel parco di casa sua, così come non aveva notato la macchina grigia di suo padre parcheggiare a pochi metri da lui. Un accigliato Pablo stava ora procedendo verso di lui e Diego non sapeva proprio che fare. Che ci faceva l'uomo in giro a quell'ora? E se si fosse accorto che aveva bevuto? “Sono andato a prendere Marco e Violetta dalla pizzeria dov'erano andati insieme ai ragazzi,” spiegò Pablo quasi gli avesse letto nel pensiero, indicandogli poi proprio suo fratello, che era già entrato in casa e che sembrava non lo avesse nemmeno notato, altrimenti era sicuro che ne avrebbe approfittato per gettare benzina sul fuoco. “Mi aspettavo che dopo le lezioni anche tu ti saresti unito a loro,” continuò, scrutandolo attentamente. “Dove sei stato?”
Diego abbassò lo sguardo senza proferire parola. Se avesse detto qualsiasi cosa suo padre avrebbe capito che avesse bevuto e non aveva voglia di ascoltare una delle sue ramanzine, voleva solo gettarsi nel suo letto ed essere lasciato in pace. Se però pensava di potersela svignare si sbagliava di grosso, infatti Pablo gli ostruì ogni via di fuga, prendendolo poi per le spalle. “Non ci muoviamo da qui finché non mi dici dove sei stato.”
“Non ho dieci anni, non devo dirti tutto quello che faccio!” Esplose il giovane, dimenticando il suo proposito di stare zitto. D'altronde era un tipo istintivo e c'era da aspettarselo una cosa del genere. Galindo senior sgranò gli occhi, indeciso se essere più arrabbiato per come gli avesse risposto o per il fatto che suo figlio puzzasse di alcool. “Hai bevuto,” disse alla fine, scuotendo energicamente il capo. “Puzzi come un ubriacone da taverna e non ti reggi nemmeno in piedi,” aggiunse, riferendosi alla sua andatura barcollante. “Se tua madre ti vede in questo stato da di matto.”
“E allora non dirglielo,” ribattè Diego, ruotando gli occhi. “Sono adulto e vaccinato e se voglio bere sono affari miei. Ho già rinunciato a troppe cose,” proseguì con una nota di risentimento, che portò Pablo ad abbassare lo sguardo. Entrambi ricordavano quel famoso giorno quando l'uomo aveva chiesto al figlio di mettere da parte, almeno per il momento, i sentimenti per Francesca per il bene della famiglia e ora quelle parole si ripetevano più volte nelle loro menti, confondendo non poco l'uomo. Egli infatti sapeva di aver fatto la cosa giusta a scongiurare qualsiasi azione del figlio, ma allo stesso tempo sentiva che se Diego si fosse ubriacato era anche colpa sua. Anche se non ne era pienamente consapevole, il ragazzo era innamorato di Francesca e stare lontano da lei lo faceva stare male e di conseguenza lo portava a bere per dimenticare. Poteva quindi punirlo solo perché soffriva per amore? Quanto poteva essere sottile la differenza tra il giusto e il sbagliato? Pablo amava intensamente entrambi i suoi figli e odiava vederli soffrire, soprattutto se si trattava di un sentimento distruttivo come l'amore. Se Marco che apparentemente gli era sempre sembrato il più fragile dei due, appariva invece colui che stesse reagendo meglio, Diego che al contrario era il più sfacciato e sicuro di se, quasi non lo riconosceva. Forse proprio perché aveva sempre indossato una maschera per apparire forte, forse perché era la prima volta che si confrontasse con l'amore e quindi faceva fatica a gestire tutte quelle emozioni...Pablo non lo sapeva dire con certezza, ma era sicuro di una cosa e cioè che l'ultima cosa di cui Diego avesse bisogno era doversi confrontare con quella folle di Angie. “Diremo a tua madre che Beto ti ha permesso di restare allo Studio per provare,” mormorò alla fine Galindo, circondandogli le spalle con un braccio e guidandolo verso casa. Il giovane strabuzzò gli occhi, sicuro di aver capito male. “Cosa? E se si accorge che ho bevuto e...” Pablo però lo interruppe con un gesto della mano. “Vattene subito a letto e non dire una parola, alle spiegazioni ci penso io.”
Diego si bloccò di colpo, voltandosi verso il padre, sorpreso. “Vuoi mentire per me? Perché?” L'uomo si limitò a fissarlo e dai suoi occhi scuri, il ragazzo lesse la risposta; gli dispiaceva che stesse soffrendo e in un certo senso lo capiva...si, negli occhi di Pablo c'era comprensione e allo stesso tempo impotenza per non poter cambiare le cose e mai Diego si sentì più legato a suo padre. Seguendo solo l'istinto lo abbracciò, aggrappandosi a lui quasi ne dipendesse la sua vita e sorpreso ed emozionato, Galindo senior ricambiò la stretta. “Grazie papà.” Due semplici parole, due parole dette con così tanta sincerità e calore che lui non potè non commuoversi e convincersi ancora di più di star facendo la cosa giusta. Quello che non sapeva, era che presto quelle scelte fatte con così tanta convinzione gli si sarebbero ritorte contro e nel modo peggiore.




Questo è sicuramente il capitolo di Pablo, che non solo ha deciso di dare fiducia a Leon, ma gli ha anche offerto un lavoro allo Studio. Tra l'altro, ha deciso di coprire la sbornia di Diego, comprendendo quanto quel periodo debba essere duro per suo figlio. Se Diego inizia a capire l'intensità dei sentimenti che prova per Fran, Leon apre gli occhi a Lara e lei e Luca arrivano a un passo dal baciarsi, peccato che vengano interrotti -.- Marco nel frattempo rifila un bel due di picche a Lena.
Grazie a tutti per il vostro affetto :3
Trilly

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Capitolo 24
*** Tempesta ***





“Pensavo che di quell'affare di stasera potresti occupartene tu.”
Leon, che stava tranquillamente mangiando la sua ciotola di cereali, si irrigidì di colpo a quella frase del padre. Fernando dal canto suo, si pulì le labbra con un tovagliolo, poi tornò a guardare il figlio soddisfatto di essere riuscito ad attirare la sua attenzione. “Allora, figliolo,” riprese, poggiandogli una mano sul braccio. “Che ne dici? È la tua occasione per inserirti in prima linea negli affari di famiglia, così ti conosceranno e capiranno chi dovrà prendere le mie redini in futuro.” L'uomo gli parlava con così tanto orgoglio, quasi gli stesse facendo la proposta più allettante del mondo e probabilmente un tempo anche lui l'avrebbe pensata così, d'altronde aveva sempre considerato suo padre un modello a cui ispirarsi, ma ora erano cambiate tante cose. “Mi aspettavo un po' più di entusiasmo, non so quante volte mi hai chiesto di poterti occupare di qualcosa e ora non dici niente,” aggiunse, scrutandolo attentamente. Leon deglutì, mentre il volto di Violetta attraversava la sua mente. Aveva promesso alla ragazza che sarebbe cambiato, che avrebbe preso una strada diversa rispetto a suo padre, che sarebbe stato una persona onesta e non poteva deluderla. Allo stesso tempo però di fronte a lui c'era suo padre, la sua famiglia, il suo mondo, non poteva deludere nemmeno lui. Perché era tutto così maledettamente difficile? Perché per far felice uno doveva ferire l'altro? Suo padre e Violetta insieme a Lara e Diego, erano le persone più importanti della sua vita e mai avrebbe voluto scegliere tra di loro.
“Allora?” Fernando gli sventolò una mano davanti agli occhi, riportandolo alla realtà. “Dì qualcosa.” Leon guardò l'uomo per alcuni istanti, indeciso sul da farsi. Non voleva più essere immischiato in quel mondo, additato come un delinquente ed evitato e temuto da tutti, voleva essere un giovane come tanti che lavorava e stava con la ragazza che amava, non chiedeva molto, o no? “Papà, io...” Iniziò, ma lui lo interruppe, scuotendo il capo, divertito. “Ho capito, sei così emozionato da non trovare le parole, ma tranquillo, saprai farti valere.” Gli diede un'affettuosa pacca sulla spalla, scattando poi in piedi. “Ora devo andare, ma più tardi ti spiego tutto. Ah, Leon,” aggiunse, tornando a voltarsi verso il figlio. “Sono orgoglioso di te. Non potrei chiedere un erede migliore.” Leon abbozzò un sorriso, avvertendo un grande calore partire dal cuore e diffondersi in tutto il corpo. Suo padre non era un uomo molto espansivo e sentirsi dire quelle parole aveva un doppio effetto: il massimo della felicità e il massimo della confusione. Per tutta la vita aveva fatto il massimo per ottenere l'approvazione dell'uomo che più ammirava e sapere di essere riuscito ad ottenerla lo inorgogliva enormemente, ma avrebbe continuato ad averla se gli avesse detto che non voleva occuparsi dei suoi affari? E se Fernando fosse rimasto deluso? E se lo avesse odiato? Non voleva perdere suo padre, il solo pensiero lo faceva impazzire. “Ma cos'hai stamattina?” Gli chiese Fernando, accigliato. “Sei sempre così loquace e ora non dici una parola.” Leon sorrise, alzandosi a sua volta. “Hai ragione papà, è che stavo pensando al lavoro che mi ha offerto Pablo e...lascia perdere, sono contento di renderti tanto orgoglioso.” L'uomo annuì, ricambiando il sorriso. “Non mi hai mai deluso e sono sicuro che mai lo farai.”

Non mi hai mai deluso e sono sicuro che mai lo farai. Non mi hai mai deluso e sono sicuro che mai lo farai. Non mi hai mai deluso e sono sicuro che mai lo farai.

Quella frase si ripeté un'infinità di volte nella mente di Leon nel corso delle ore successive e non gli diede pace nemmeno per un attimo. Mai si era sentito tanto turbato, non sapeva cosa fare e non riusciva a concentrarsi su nulla. Proprio per quello, prima di andare allo Studio decise di passare a casa di Violetta. Aveva bisogno di specchiarsi nei suoi occhi e stringersi tra le sue braccia, lei era l'unica che poteva aiutarlo a fare chiarezza, l'unica che lo conosceva davvero. Quando però suonò il campanello, non venne ad aprirgli la ragazza, bensì sua nonna Angelica. La donna subito lo scrutò dall'alto in basso, facendolo sentire come se gli stesse facendo una radiografia integrale. “Ehm...buongiorno, signora,” iniziò, schiarendosi la voce. “C'è Violetta?” Angelica esitò qualche istante, continuando però a fissarlo con espressione critica. Che la tregua che gli aveva concesso fosse già scaduta? Eppure era sicuro di essersi comportato bene, davanti a lei perlomeno lo aveva fatto. “Perché mi guarda così?” Sbottò alla fine, incapace di resistere oltre. Non sapeva spiegarsi perché, ma quella donna gli trasmetteva soggezione. Un lampo attraversò lo sguardo della donna, che si fece improvvisamente seria. “Dimmi la verità, davvero hai trovato un lavoro?” Gli chiese, incrociando le braccia al petto, scettica. “Certo che l'ho trovato,” ribatté Leon, con un sorriso sicuro. “Sono stato assunto come aiutante di Beto allo Studio. Come vede, ho messo la testa a posto.”
“E tuo padre che ne pensa?” Insistette l'anziana, sicura di toccare un tasto dolente. Difatti, quando lo vide irrigidirsi, sogghignò. “Immagino tu non lo abbia informato dei tuoi propositi, non è così?” Leon incassò il colpo, consapevole che la donna fosse nel suo momento di maggiore euforia. Chiaramente aveva finto di accettarlo solo per far tornare Violetta a casa, doveva aspettarselo che l'astio che provava per lui non potesse sparire così in fretta. “Senta signora, so che non le piaccio, ma io ci tengo davvero a sua nipote.”
“Lo so,” annuì Angelica, spiazzandolo a dir poco. “Non sei tu il problema, ma il genere di ambiente da cui provieni,” proseguì, chiudendosi la porta di casa alle spalle e incamminandosi nel grande giardino che circondava la villa, seguita da un confuso Leon. La donna si fermò proprio accanto al cancelletto di legno, guardando distrattamente la strada oltre di esso. “Conosco molto bene quell'ambiente, anche quando credi di esserci uscito ecco che un imprevisto ti ci trascina di nuovo dentro.” La voce di Angelica era bassa, lo sguardo perso nel vuoto. Sembrava quasi che non stesse parlando con lui, ma con qualcuno che il giovane non riuscisse a vedere e doveva ammettere che la cosa lo inquietasse e affascinasse allo stesso tempo e proprio per quello, non disse una parola lasciando che continuasse. “Quando nasci in un ambiente simile, il tuo destino è già scritto. Puoi convincerti di essere diverso, di poter prendere una strada onesta, ma quel mondo finirà inevitabilmente per travolgerti di nuovo. Violetta è una ragazza innocente e pulita e se sta con te, finirà per essere coinvolta e sai benissimo che ciò o la cambierà o la ucciderà, non ci sono altre strade.”
Leon deglutì, avvertendo come un grosso macigno alla base dello stomaco. Quelle parole. Non credeva fosse possibile, ma quelle parole avevano risvegliato in lui un ricordo lontano, una conversazione origliata per caso quando era solo un bambino e che credeva di aver dimenticato.


Fernando e Miranda erano nello studio dell'uomo. Era notte fonda e i piccoli Leon e Lara erano già a letto, o almeno loro così credevano. Leon infatti, dato che non riusciva a dormire, era uscito dalla sua cameretta per andare nel lettone dei genitori. Non trovandoli, si mise alla loro ricerca, finché non giunse fuori alla porta dello studio del padre e lì si bloccò, avvertendo delle voci piuttosto alterate.
Mi avevi promesso che avresti chiuso con quella gente!” Esclamò infuriata Miranda, facendo rizzare i capelli al piccolo Leon. “Ora hai una moglie e dei figli, non vorrai mica metterci in pericolo?”
Non posso tirarmi indietro Miranda, si tratta di mio padre e dei miei fratelli, devo aiutarli. Vedrai che poi potrò tirarmene fuori definitivamente,” tentò di rassicurarla Fernando. “Si, certo, finché non ti chiederanno un nuovo favore,” ribatté la donna, esasperata. “Lo capisci o no che voglio vivere lontano da quel mondo? I miei bambini non lo devono conoscere mai, non devono restarci incastrati come te. Farò tutto il possibile affinché crescano protetti, amati e soprattutto innocenti. Non si sporcheranno le mani come te, non lo permetterò.”


Leon strinse forte i pugni e socchiuse gli occhi, tornando con la mente alla realtà. Senza poterlo evitare, una lacrima iniziò a scorrergli lungo la guancia. Uno dei pochi ricordi di sua madre era quella famosa conversazione, quella conversazione così distante nel tempo eppure allo stesso tempo così simile a quella tra lui e Angelica. Miranda aveva lottato finché aveva potuto per evitare che lui e Lara venissero coinvolti nei loschi affari di suo padre, ma poi proprio quegli affari le avevano portato via la vita, impedendole di proteggere i suoi figli. Lara in un modo o nell'altro era diventata esattamente come sua madre avrebbe voluto; era una brava ragazza, responsabile, dolce, buona, lui invece no. Leon non si era mai ritrovato a riflettere su quella cosa, forse perché non pensava di ricordare quel discorso di Miranda, o forse semplicemente perché suo padre era sempre stato tutto per lui e di conseguenza non aveva desiderato altro che la sua approvazione. Ricordava che tante volte da ragazzino aveva visto entrare e uscire da casa sua dei loschi individui, ricordava i loro dialoghi e poi le grandi somme di denaro che circolavano tra di loro. A ciò si aggiungevano le parole dei suoi zii e di suo nonno, che nel corso degli anni lo avevano sempre incoraggiato a conquistarsi un suo posto nel mondo. “Tu sei un Vargas, Leon, non sei uno qualsiasi. Lotta per ottenere quello che vuoi, quelli come noi possono tutto.” La prima volta che suo nonno gli aveva detto quelle parole, gli aveva dato dei soldi per comprare del cioccolato, aggiungendo che se avesse fatto bene i suoi calcoli, quei soldi avrebbe potuto usarli un'infinità di volte. Inizialmente, confuso, non aveva capito cosa intendesse e aveva comprato il cioccolato normalmente e così era stato anche nelle volte successive. Aveva circa otto anni quando suo zio Santiago gli mostrò il senso di quella frase, facendo scivolare nella tasca della giacca una barretta di cioccolato. “Così risparmi tanti soldi, nipote,” gli aveva detto, strizzandogli l'occhio. Ricordava perfettamente lo shock che aveva attraversato la sua mente e la paura matta di essere scoperto le prime volte che aveva rubato qualcosa, poi tutto era divenuto quasi naturale e dal cioccolato era passato a cose sempre più grandi e costose. Nel giro di un anno era cambiato radicalmente, rubava, marinava la scuola, era minaccioso e aggressivo con i più deboli. Quante volte era finito in presidenza perché insieme alla sua gang aveva picchiato o umiliato qualcuno? Così tante che aveva perso il conto e forse era un bene, perché altrimenti sarebbe stato perseguitato dagli incubi. Fino ai quindici-sedici anni, ne aveva combinate di cotte e di crude, era sempre in strada, fumava, beveva, rubava cellulari, scarpe o addirittura moto e poi c'erano le gare clandestine di motocross, le serate in discoteca tra alcool, droga e un numero spropositato di ragazze, tutto questo finché non aveva conosciuto Violetta. Inizialmente l'aveva sempre vista come la cugina del suo migliore amico, quella ragazzina da proteggere e da tenere d'occhio, poi da un giorno all'altro si era riscoperto a fissarla e a pensarla e ogni certezza era stata messa in discussione. Angelica aveva ragione, lui stava trascinando Violetta nel suo mondo sporco sempre di più. Prima erano solo ragazzini, ma ora stavano crescendo, ora le cose si facevano serie e la proposta di suo padre lo confermava. Se lo stesso Fernando ai suoi tempi non era riuscito a tirarsene fuori e addirittura aveva perso la donna che amava, come poteva lui proteggere se stesso e soprattutto Violetta? Le scelte sbagliate di suo padre gli avevano portato via sua madre e se fosse accaduto lo stesso alla Castillo? Rabbrividì al solo pensiero. Non poteva permettere che le succedesse qualcosa per colpa sua, doveva proteggerla come Fernando non era riuscito con Miranda. Incrociò lo sguardo amareggiato di Angelica e finalmente riuscì a comprendere il punto di vista della donna. Violetta era tutto ciò che le restava di sua figlia Maria e non poteva portagliela via in quella maniera. La preferiva viva e al sicuro, piuttosto che spaventata e sempre in pericolo di vita e l'unico modo era allontanarsi da lei. “Mi dispiace doverti dire queste cose,” riprese l'anziana donna, poggiandogli una mano sul braccio. “Violetta è tutto quello che ho e non mi perdonerei mai se le succedesse qualcosa di brutto.” Leon annuì, abbassando poi lo sguardo sulle sue scarpe. Doveva fare la cosa giusta per la ragazza che amava, doveva proteggerla da quel mondo maledetto di cui faceva parte. La sua anima era troppo buona e pura, non poteva permettere che si contaminasse come la sua o che peggio gliela portassero via com'era accaduto a sua madre, Violetta meritava di vivere e di essere felice, lei più di tutti. “Voglio solo che lei sia felice,” riuscì a sussurrare e con la coda dell'occhio, gli sembrò di vedere dispiacere oltre che sollievo negli occhi di Angelica. Forse aveva sempre sbagliato, forse quella donna non lo odiava davvero e tutto ciò che aveva fatto era stato per il bene di Violetta, un bene a cui anche lui avrebbe dovuto pensare sin dall'inizio anziché anteporvi il proprio egoismo. Con quella convinzione se ne andò, consapevole per la prima volta in vita sua di star facendo qualcosa che non fosse per il suo benessere personale e nonostante l'immenso dolore che ora albergava nel suo cuore, non poteva fare a meno di sentirsi una persona un po' meno orribile.



Quando Pablo tornò a casa quella sera, non poteva minimamente immaginare della brutta sorpresa che lo attendesse. Angie infatti, da diversi minuti camminava avanti e indietro per la cucina, in attesa che il marito tornasse dallo Studio. Al rumore della porta che sbatteva, seguito dai passi dell'uomo, ella si bloccò di colpo facendo fatica a mantenere la calma.
“Angie, amore, sono tornato,” sorrise allegramente Pablo, raggiungendola in cucina. “Come hai passato la giornata? Ho provato a ch...” s'interruppe di colpo, rendendosi conto che Angie lo stesse decisamente fulminando con lo sguardo. “Tutto bene?”
“E ME LO CHIEDI PURE?” Sbottò lei, furiosa, facendolo sobbalzare per quell'urlo improvviso. “Mi hai mentito, Pablo Galindo! Come hai potuto?”
Lui corrugò le sopracciglia, confuso. “Di che parli, non capisco,” ammise, grattandosi nervosamente il capo. Se gli sguardi avessero potuto uccidere, Pablo era sicuro che sarebbe già stato steso sul pavimento in fin di vita visto il modo in cui sua moglie lo stava guardando. “TUO FIGLIO!” Urlò ancora la donna, prendendo un secchio da vicino alla lavatrice e mettendoglielo sotto il naso. “Sono i vestiti di Diego,” spiegò, prendendo dal secchio una t-shirt e un paio di jeans. “Li ho trovati ammucchiati sotto al suo letto e guarda caso, puzzano di alcool e fumo. Ne sai qualcosa?”
Pablo sgranò gli occhi, assumendo la tonalità di un cadavere. Dovevano essere i vestiti che Diego indossava quella famosa sera in cui si era ubriacato, sera che aveva fatto di tutto per nascondere a sua moglie. “Io...ehm, non so Angie, forse...” provò a dire, ma lei lo interruppe, posando il secchio e agitandogli l'indice davanti agli occhi. “Non ci provare a rifilarmi un'altra bugia, ho incontrato la signora Garcia, stamattina!”
Bastò quella frase a convincere Pablo di essere nei guai. La signora Garcia era un'anziana signora che abitava al piano sotto al loro, famosa per essere una grande pettegola e per conoscere ogni singolo movimento di coloro che abitavano nella sua visuale. Sicuramente la donna doveva aver visto lui e Diego e lo aveva riportato ad Angie, aggiungendo magari anche come fossero vestiti. “Hai coperto tuo figlio ubriaco? Lo hai fatto, Pablo?” Riprese la bionda, agitando le braccia, fuori di se. “Ma ti è dato di volta il cervello? Hai dimenticato i problemi che ha avuto Diego in passato? Vuoi che finisca di nuovo in carcere?”
Pablo non disse una parola, limitandosi ad osservarla mentre girava come una trottola impazzita per la cucina. “Me lo sentivo che mi nascondevi qualcosa, ma non credevo potessi fare una simile sciocchezza!” Continuò, iniziando a lavare freneticamente i piatti.
“Angie, ascoltami per favore,” provò l'uomo, avvicinandosi di qualche passo. “Diego ha sbagliato e gliel'ho detto, ma cerca di capirlo. Si è innamorato per la prima volta e ha dovuto rinunciarci, è normale che ora stia male e...”
“MA CERTO, è NORMALE CHE QUANDO UNO STIA MALE SI UBRIACHI, VERO PABLO?” Strillò la bionda, gettando un piatto grondante di schiuma sul pavimento e provocando un forte schianto, che lo fece sobbalzare. I pezzi di ceramica e le bolle di schiuma schizzarono dovunque. “SONO TUA MOGLIE! MI DEVI CONSULTARE PRIMA DI COMMETTERE UNA SCHIOCCHEZZA! DOVEVI DIRMI CHE DIEGO FOSSE UBRIACO! DOVEVI PUNIRLO E INVECE GLI PERMETTI DI FARE Ciò CHE VUOLE! CHE RAZZA DI PADRE SEI?”
“Un padre che si preoccupa per suo figlio,” riuscì a mormorare l'uomo, quando finalmente le urla di Angie cessarono. “In passato si è lasciato condizionare da cattive compagnie, ma ora ha un motivo serio e...”
“SEI UN DECEREBRATO, PABLO! DEVI SMETTERLA DI FARE SCIOCCHEZZE SENZA CONSULTARMI! HAI IDEA DI COME SGHIGNAZZAVA QUELLA CORNACCHIA DELLA SIGNORA GARCIA QUANDO HA CAPITO CHE NON SAPESSI NIENTE?” La Saramego si infiammò di nuovo di colpo, spintonandolo così forte da farlo barcollare. “E per chiudere in bellezza, ho sentito Beto oggi pomeriggio e sai che mi ha detto?” Pablo deglutì, capendo immediatamente quali parole sarebbero seguite. “Mi ha detto che è molto soddisfatto dell'aiutante che gli hai trovato. QUANDO AVEVI INTENZIONE DI DIRMI CHE HAI DATO UN LAVORO A LEON VARGAS?”
“Angie, io...posso spiegarti...” iniziò l'uomo, ma lei lo interruppe. “Non hai fatto altro che mentirmi ultimamente! IO TI AMMAZZO!” Una Angie fuori di se, recuperò un altro piatto dal lavandino, ma anziché lanciarlo sul pavimento come il precedente, glielo tirò contro e Pablo dovette fare un salto di lato per evitare che lo centrasse in piena fronte. Il piatto così si schiantò contro la parete alle sue spalle, frantumandosi in mille pezzi, che schizzarono in ogni dove. “Ma sei impazzita?” Sbottò, incredulo. Non era la prima volta che sua moglie lanciasse piatti per sfogare la sua rabbia, ma mai aveva tentato di colpirlo volutamente. Ora che ci pensava, mai l'aveva vista così furiosa. “Te lo avrei detto proprio stasera di Leon, me lo ha chiesto Violetta perché lui non riusciva a trovare lavoro.”
Angie rise, incredula. “Certo, nemmeno per un attimo hai pensato di consultarti con tua moglie prima di prendere una decisione simile. Ma dico io, il mio parere non conta nulla? Si tratta di mia nipote, Pablo, mia nipote! Dovevi dirmelo e poi decidere insieme! Questo fanno le persone normali!” La donna fece per prendere un altro piatto, ma Galindo le ostruì la strada. “Angie per favore, ascoltami.” La prese per le spalle, costringendola a fermarsi e a guardarlo negli occhi. “Hai ragione, avrei dovuto dirtelo, ma in quel momento ho pensato che Leon meritasse fiducia. Si sta comportando bene e anche tua madre lo ha riconosciuto.”
“Non mi interessa!” Ribattè lei, liberandosi dalla sua stretta con stizza. “Dovevi parlarne prima con me e non agire come se non avessi una moglie. SEI UN DECEREBRATO!” Lo spinse di lato, uscendo poi dalla cucina a grandi falcate e lui la seguì. “Smettila di urlare e di insultarmi e fermati, mi stai facendo girare la testa,” sbottò, costringendola a voltarsi al centro del salotto. “E tu mi fai saltare i nervi! Offri un lavoro a Leon Vargas e copri tuo figlio ubriaco! Due con un solo colpo, complimenti!” Applaudì ironicamente, facendogli ruotare gli occhi. “Leon sta cambiando e lo sta dimostrando. Per quanto riguarda Diego, te l'ho già spiegato. Nostro figlio ha fatto la cosa giusta, ma sai quanto sono complicate le questioni di cuore.”
Non lo avesse mai detto. Angie infatti si fece tutta rossa per la rabbia e gli rivolse una delle sue occhiate raggelanti. “Non ci credo, lo stai difendendo! Diego ha baciato la ragazza di Marco e anche lui è tuo figlio, lo hai dimenticato?”
Pablo sospirò, passandosi nervosamente una mano nei capelli. “Non lo sto difendendo, sto solo cercando di farti capire il motivo del suo comportamento. Sa di aver sbagliato e sta facendo del suo meglio per andare avanti,” tentò di spiegarle con la sua solita calma, ma lei scosse la testa, imperterrita. “Questo non significa che puoi fargliela passare liscia ogni volta, potrebbe approfittarsene per fare ciò che gli pare e lo stesso vale per Vargas!”
“Angie...”
“Angie niente!” Strillò Angie, agitando le braccia. “SE NON LO AVESSI SCOPERTO, NON MI AVRESTI DETTO DI DIEGO E NON PROVARE A MENTIRMI! MAGARI POI AVREI DOVUTO TROVARMELO DI FRONTE DOMANI PER SAPERE CHE AVEVI DATO UN LAVORO A VARGAS! VERGOGNATI!” Prima che Pablo potesse ribattere, la bionda corse in camera da letto, per poi tornare con un cuscino e una coperta. “Tu dormi sul divano stasera, non ti voglio nel mio letto, mi sono spiegata?”
Sconvolto, Galindo tentò di farla ragionare, ma lei scongiurò ogni tentativo urlando ancora più forte, fino a chiudersi in camera, sbattendo forte la porta. A quel punto Pablo dovette arrendersi, sedendosi sul divano e prendendosi la testa tra le mani. Quella volta l'aveva fatta grossa, ne era consapevole, ma che ci poteva fare se non poteva fare a meno di aiutare gli altri?



“Non so se è una buona idea,” mormorò Francesca, scuotendo energicamente il capo. La ragazza era seduta sul bordo del suo letto in compagnia di Violetta, Camilla e Luca e quest'ultimo le aveva appena fatto una proposta che lei considerava assurda.
“E perché mai?” Chiese il giovane Cauviglia, confuso. “Ho bisogno di una cantante per delle serate al locale e tu sei una cantante.”
“Luca ha ragione,” concordò Violetta, sedendosi accanto a lei e circondandole le spalle con un braccio. “è da quando hai lasciato lo Studio che non canti più e sappiamo quanto ti manca.”
Camilla annuì, prendendo posto dall'altro lato di Francesca. “Hai bisogno di distrarti, di tornare a sorridere e questa è una grande occasione per te.”
Francesca guardò uno ad uno le amiche e il fratello, considerando i pro e i contro. In effetti non aveva nulla da perdere, cosa c'era di male se cantava nel locale di suo fratello qualche sera? Magari qualcuno la notava e poteva lo stesso provare a realizzare il suo sogno, in fondo tutto era possibile e se non rischiava non poteva mai avere alcuna possibilità. “Va bene,” annuì alla fine, facendo esultare i tre, che l'abbracciarono entusiasti. “Prepara una scaletta di canzoni, sorellina e poi fammela avere,” sorrise Luca, scompigliandole teneramente i capelli.
“Se poi servono un batterista o un chitarrista, sono sicura che Seba e Leon saranno disponibili, no?” Continuò Camilla rivolgendosi a Violetta, che annuì. “A Leon farà molto piacere, anzi ora lo chiamo e glielo chiedo.”
“Perfetto!” Esclamò il ragazzo, entusiasta, recuperando poi la giacca da una sedia. “Ora devo andare al locale, raggiungetemi con i ragazzi appena potete così possiamo iniziare le prove.”
Appena Luca se ne andò, Violetta e Camilla andarono nelle stanze accanto per chiamare i loro fidanzati per avere conferma, lasciando da sola Francesca a scegliere la scaletta delle canzoni. La ragazza prese una cartellina rossa da un cassetto della sua scrivania e ne estrasse degli spartiti e dei testi che aveva scritto. Li scorse distrattamente, chiedendosi quali potessero essere le più adatte. Quando però si ritrovò tra le mani il testo di “Euforia”, si bloccò di colpo e il foglio le sfuggì di mano. Inevitabilmente la sua mente le rievocò il momento in cui lei e Diego avevano cantato quella canzone, le loro voci che si sovrapponevano, gli sguardi fissi l'uno nell'altro, i sorrisi che si scambiavano...semplicemente loro due. A quel ricordo se ne aggiunsero poi altri, sembrava quasi che la sua mente le stesse proiettando le scene di un film, dalle più belle alle più brutte, solo che mentre i film avevano un finale, il suo sembrava incompleto come se la pellicola si fosse danneggiata e di conseguenza restava solo il nulla. Quasi senza rendersene conto, una lacrima iniziò a scorrerle lungo la guancia. Stava facendo del suo meglio per dimenticare Diego, per riprendere in mano le redini della sua vita, ma tutto la riportava costantemente a lui. Ogni volta che chiudeva gli occhi, i momenti passati con il ragazzo, quando ancora non riusciva ad accettare i suoi sentimenti, le attraversavano la mente, accompagnati da quelle forti e incontrollabili emozioni che solo lui era in grado di suscitarle. A volte, anche in pieno giorno, le sembrava quasi di avvertire la sua presenza alle sue spalle, il suo respiro sul collo, la sua voce sussurrarle all'orecchio e poi le sue forti braccia che la stringevano a se, trasmettendole tutto il loro calore. Si rendeva conto che si stesse facendo cullare da quelle che erano patetiche illusioni, che mai avrebbe avuto l'amore di Diego, ma né la sua mente e né il suo cuore ne volevano sapere di tornare con i piedi per terra, erano proprio quelle fantasie infatti che le permettevano di andare avanti. Ogni mattina si svegliava e affrontava la giornata, consapevole che poi sarebbe giunta la notte e sarebbe potuta tornare nel suo mondo fantastico, un mondo che esisteva solo nella sua testa. Tutto era così deprimente, patetico quasi e in fondo Francesca si considerava proprio così. Non aveva più desideri o aspirazioni per cui lottare, si sentiva come un corpo vuoto che agiva solo per abitudine e con il passare dei giorni la situazione non migliorava. Probabilmente suo fratello le aveva proposto di cantare al Restò Band proprio per quello, voleva darle un motivo per ricominciare daccapo, le stava insomma tendendo la mano e non poteva rifiutarla, doveva permettere a lui e alle sue amiche di aiutarla. Con quel pensiero, raccolse il foglio e lo ripose nella cartellina, tornando a scegliere le canzoni. Tutte, le avrebbe cantate anche tutte ma assolutamente no quella, non sarebbe mai stata in grado di cantarla, almeno per il momento poi in futuro chissà.
Camilla nel frattempo, dopo aver parlato con Seba, che le aveva confermato la sua presenza al locale, si era fermata sul ciglio della porta ad osservare l'amica. Anche la persona più distratta del mondo avrebbe intuito che Francesca stesse ancora soffrendo per Diego e non poteva fare a meno di avvertire un colpo al cuore. Avrebbe tanto voluto cancellarle quello sguardo triste e vederla felice e innamorata come lei e Violetta, ma sapeva che non fosse possibile. Riprendere a cantare avrebbe sicuramente fatto sentire meglio la ragazza, che concentrandosi sulla sua grande passione avrebbe messo da parte il dolore, ma appunto sarebbe stata una situazione solo momentanea; le ferite causate dall'amore erano le più difficili da rimarginarsi e purtroppo Camilla lo sapeva molto bene.
“Camilla.” Violetta l'affiancò, ma diversamente da come la Torres si aspettava, era stranamente pensierosa e non faceva altro che armeggiare con il cellulare. “Qualcosa non va?” Le chiese perciò, preoccupata. La Castillo sospirò. “Non lo so Cami, non lo so. Leon non mi risponde,” spiegò, agitando nervosamente le braccia. “Non è da lui, normalmente mi risponderebbe anche in piena notte. Deve essere successo qualcosa.” Iniziò a camminare nervosamente per il corridoio, attirando anche l'attenzione di Francesca, che ora la fissava accigliata. “Ora che ci penso, sono diverse ore che non lo sento. Seba ti ha detto nulla?” Aggiunse, rivolgendosi a Camilla, che scosse il capo. “No, Seba è allo Studio con gli altri ma non ha proprio nominato Leon. Se vuoi lo chiamo e glielo chiedo.”
Violetta annuì. “Grazie Cami, mi faresti un gran favore.” La Torres sorrise, prendendo subito il cellulare per chiamare Seba, mentre Francesca si avvicinò alla Castillo e l'abbracciò. “Tranquilla, vedrai che Leon ti chiamerà presto e avrà un'ottima spiegazione.”
“Mi fido di lui, però è tutto così strano,” spiegò Violetta, sciogliendo l'abbraccio così da poterla guardare negli occhi. “Leon non è il tipo che dimentica il cellulare o cose simili.”
La mora fece per ribattere, ma proprio in quel momento ritornò Camilla. “Seba mi ha detto che non lo ha visto né sentito,” mormorò, affranta. “Mi ha promesso però che proverà anche lui a contattarlo,” aggiunse con fare rassicurante.
Violetta annuì, sedendosi sul letto e mandando al fidanzato l'ennesimo messaggio. “Se non si fa sentire entro stasera, vado a cercarlo fino a casa.”
“E noi ti accompagniamo,” promise Camilla, sedendosi accanto a lei. “Lo cercheremo anche in capo al mondo.”
“Perché non chiami Diego?” Buttò lì Francesca, facendo sgranare gli occhi alle amiche, che proprio non si aspettavano avrebbe nominato Galindo. “Lui e Leon sono tanto amici, magari sa dov'è,” spiegò la ragazza con fare ovvio.
“In effetti Fran ha ragione,” concordò la rossa, mentre Violetta iniziava a scorrere in rubrica alla ricerca del numero del cugino. “Che stupida a non pensarci, grazie ragazze,” sorrise alle due. La ragazza provò diverse volte, ma incredibilmente il cellulare di Diego risultava spento. “Assurdo! Non lo ha mai spento in vita sua e ora lo fa?” Gettò il cellulare sul letto con stizza, prendendosi poi la testa tra le mani. “Quei due mi manderanno al manicomio prima o poi, ne sono sicura.” Nonostante Francesca e Camilla facessero di tutto per rassicurarla, il sesto senso continuava a mettere in allarme la Castillo. Cos'era accaduto a Leon?




Non ammazzatemi, non ho avuto scelta che concludere il capitolo con la presunta sparizione di Leon. L'improvvisa proposta di Fernando, il confronto con Angelica e alcuni flashback del passato, hanno fatto riflettere molto il ragazzo che sembra aver compreso il punto di vista della nonna di Vilu e non solo, pare aver deciso di prendere le distanze da lei :( ma sarà così? Nel frattempo, come aveva ipotizzato Syontai, le scelte di Pablo scatenano la furia di Angie, che ha completamente perso il controllo 0.0 in tutto questo, Luca ha un'idea geniale per risollevare Francesca dalla sua apatia, anche se il pensiero di Diego non abbandona la sua mente :( Ringrazio tutti coloro che seguono e recensiscono la storia :3
un bacio <3



 

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Capitolo 25
*** Non è mai un errore ***




Diego ha sbagliato e gliel'ho detto, ma cerca di capirlo. Si è innamorato per la prima volta e ha dovuto rinunciarci, è normale che ora stia male e...”
Leon sta cambiando e lo sta dimostrando. Per quanto riguarda Diego, te l'ho già spiegato. Nostro figlio ha fatto la cosa giusta, ma sai quanto sono complicate le questioni di cuore.”

La mente di Angie era tormentata da continui stralci del terribile litigio che aveva avuto con Pablo il giorno prima e se inizialmente li aveva allontanati con stizza, ora era visibilmente pensierosa. Continuava a pensare che suo marito avrebbe dovuto consultarla prima di prendere qualsiasi decisione, ma riconosceva anche che alla fin fine non avesse tutti i torti, almeno per quanto riguardava Leon Vargas. Il ragazzo, infatti, le sembrava davvero cambiato e sinceramente innamorato di Violetta, non c'era quasi più traccia in lui di quel giovane che un tempo le metteva i brividi solo a guardarlo. Per quanto riguardava Diego, era parecchio combattuta; se da una parte non poteva fare a meno di colpevolizzarlo per aver flirtato con la ragazza di suo fratello, gesto che considerava a dir poco squallido anche se si trattava di suo figlio, dall'altra aveva notato una strana luce negli occhi di Diego quel giorno in cui lo aveva rimproverato nell'aula di danza, una luce che non aveva mai visto. Da quando però aveva preso le distanze da Francesca, lo vedeva sempre assente, scontroso, intrattabile e soprattutto triste. Inizialmente aveva pensato che stesse facendo la vittima, dopotutto sia lui che Marco avevano sin troppo spesso quell'abitudine, ma la lite con Pablo le aveva aperto gli occhi e fatto notare cose che prima non aveva considerato. I sintomi c'erano tutti, dal primo all'ultimo, allora come aveva fatto a non capire che Diego fosse innamorato? Lei era sua madre, lei più di tutti avrebbe dovuto capirlo e invece si era limitata a prendere in considerazione solo il suo sbaglio, senza pensare che il suo comportamento potesse essere dovuto a un sentimento come l'amore. Fermò la macchina nel parcheggio dello Studio e scosse energicamente il capo. Mai, nemmeno nel peggiore dei suoi incubi aveva preso in considerazione la possibilità che Diego e Marco potessero innamorarsi della stessa ragazza, loro che erano sempre stati così diversi. Anche se in maniera opposta, entrambi soffrivano e Angie non sapeva proprio che fare. Capiva Marco che voleva a tutti i costi che suo fratello venisse punito, ma capiva anche Diego che proprio perché innamorato faceva fatica a dimenticare e in fondo capiva anche Pablo, che aveva deciso di coprire la sofferenza del maggiore dei suoi figli. In fondo lei per prima avrebbe fatto qualsiasi cosa per le persone che amava, ma questo non giustificava il fatto che suo marito glielo avesse nascosto, no? Doveva scusarsi con lui per la reazione che aveva avuto? Mentre si incamminava nei corridoi dello Studio, Angie non poteva fare a meno di torturarsi con quelli e molti altri interrogativi. Le dispiaceva per le brutte parole che aveva rifilato a Pablo e anche per averlo costretto a dormire sul divano. Il fatto poi che lui fosse uscito di casa prima che lei si svegliasse, quando normalmente facevano colazione insieme, l'aveva fatta sentire ancora peggio. La colazione magari era una cosa stupida, ma per loro era un rituale, un momento in cui ancora assonnati parlavano della giornata che li aspettava tra dolci sorrisi e grandi risate e non poteva vivere senza quei piccoli attimi, per lei erano tutto. Distrattamente entrò nell'aula di canto e gettò la borsa sulla scrivania. Sperava solo che quella giornata passasse il più velocemente possibile, anche perché non vedeva l'ora di chiarire con Pablo e mettere fine a quell'insostenibile distanza. Ci mise diversi secondi per notare sul davanzale della finestra un numero spropositato di rose rosse, che avevano diffuso il loro dolce profumo in tutta l'aula. Cosa ci facevano quelle rose lì? Confusa, si avvicinò alla finestra, prendendo delicatamente tra le mani un gambo, facendo attenzione a non pungersi. Inspirò il profumo della rosa a pieni polmoni, accarezzando quei petali che sembravano velluto. Aveva sempre amato le rose, sembravano così delicate, ma allo stesso tempo con le loro spine potevano essere anche tanto pericolose. Solo una persona poteva aver fatto un gesto così dolce. Sorrise emozionata, cercando con lo sguardo un qualsiasi indizio tra tutti quei fiori disposti ordinatamente. E poi finalmente la vide...una busta da lettere di un rosa acceso era nascosta tra le rose e per questo impiegò alcuni minuti a tirarla fuori. Nella busta c'era un bigliettino della stessa tonalità, su cui capeggiava la piccola ed ordinata calligrafia di suo marito.

Angie, amore mio, so che stavolta l'ho fatta davvero grossa e credimi se ti dico che mai avrei voluto mentirti. Merito ogni singola parola che mi hai detto e per questo ti chiedo scusa. Perdona quest'uomo che guidato dall'istinto ha dimenticato la cosa più importante: la fiducia. Ti amo e così sarà fino alla fine dei miei giorni.
Pablo.


Angie rilesse quel biglietto più volte, mentre le lacrime scorrevano ormai a fiumi sul suo volto. “Oh Pablo,” singhiozzò, tentando di asciugarsi le guance con i dorsi delle mani. Quanto poteva essere meraviglioso suo marito? Ogni volta riusciva sempre a sorprenderla e ad emozionarla, riducendola a piangere come una ragazzina. Come poteva aver pensato di resistere fino alla fine delle lezioni? Lei il suo Pablo lo voleva abbracciare in quel momento, al diavolo tutto il resto. Proprio per quello, stringendo la lettera tra le mani, si fiondò fuori dall'aula sorpassando diversi studenti, che la fissarono confusi. “Cinque minuti e sono da voi,” disse a Marco, che aveva tentato di fermarla. “Tutto bene, mamma?” Chiese il ragazzo, accigliato. “Certo, tesoro, devo solo parlare un attimo con tuo padre,” annuì Angie, riprendendo poi a correre. Come una furia entrò in sala professori, trovando Pablo impegnato ad analizzare un cumulo di fogli. “Angie.” Sollevò il capo appena la vide entrare e si illuminò alla vista della lettera che stringeva tra le mani. Lei non disse nulla, limitandosi a chiudere la porta alle sue spalle, senza però mai distogliere lo sguardo da lui. “Angie,” riprovò Pablo, scattando in piedi e raggiungendola con pochi passi. “Avrei dovuto dirti di Diego e di Leon.”
“Si, avresti dovuto farlo,” lo interruppe Angie, annuendo con decisione. “Abbiamo sempre detto che tra di noi non dovessero esserci segreti e che avremmo preso qualsiasi decisione insieme.”
“Lo so, hai ragione. Mi dispiace.” Galindo le prese le mani e gliele strinse con le sue, dispiaciuto. “Odio litigare con te e...” La donna scosse la testa, portandogli un dito sulle labbra. “Stt...non aggiungere altro. Anche io ho sbagliato, mi sono comportata come una pazza anziché ascoltarti. Hai ragione, sia su Leon che su Diego,” aggiunse, sotto il suo sguardo stupito. “Stanno tentando di rimediare ai loro sbagli e meritano una possibilità.” Prima che lui potesse ribattere, gli allacciò le braccia al collo sorridendo ammiccante. “Ora basta parlare, mi annoia.” Pablo ridacchiò, circondandole la vita e attirandola a se. “E cosa vorresti fare, sentiamo.” Si sfidarono con lo sguardo per alcuni istanti, poi Galindo si fiondò sulle labbra di Angie, che lo accolse con il medesimo trasporto. Continuando a baciarsi, indietreggiarono finché la bionda non si ritrovò spalle al muro. “Mmm...” mugugnò lei, mentre il loro bacio si faceva più profondo e appassionato coinvolgendo anche le lingue, che si intrecciarono in una danza sensuale. “La mia Angie.” Pablo scese a baciarle il collo e lei girò il capo di lato, facilitandogli il compito. Amava sentire le labbra dell'uomo sulla sua pelle, lui risvegliava il suo lato più passionale e le faceva desiderare di trascorrere un'intera giornata da soli lontano da tutti e anche in quel momento era il suo principale pensiero. Al diavolo lo Studio e le loro responsabilità, ora voleva solo che lei e suo marito divenissero un'unica cosa. Pablo doveva pensarla allo stesso modo, perché non faceva altro che stringerla a se e baciarle e mordicchiarle la tenera carne del collo. Angie si lasciò sfuggire un sospiro, cercando poi le sue labbra e coinvolgendolo in un nuovo e travolgente bacio. “Ti voglio, Angie,” soffiò maliziosamente il moro al suo orecchio. Lei ammiccò, mordendosi il labbro inferiore. “Cosa aspetti allora, maritino?” Le mani di Angie gli percorsero sensualmente il petto, fino a raggiungere la cintura dei suoi jeans e sbottonarla. Pablo seguì i suoi movimenti rapito, ma quando vide che lei si stesse sollevando la gonna, la fermò di colpo, guardandosi nervosamente intorno. “Non possiamo farlo qui, potrebbero vederci.” La bionda ruotò gli occhi esasperata, spostandolo di lato e raggiungendo la porta. Un attimo dopo la serratura scattò. “Ecco qui, siamo chiusi dentro e nessuno potrà disturbarci,” sorrise maliziosamente, sbottonandosi il vestito e facendolo scivolare ai suoi piedi, restando solo in intimo. Galindo non potè fare a meno di far scorrere lo sguardo sul suo corpo perfetto. Nonostante avesse partorito due figli, sua moglie restava la donna più bella e sensuale che avesse mai visto e il desiderio di lei era sempre così incessante. Senza pensarci troppo, si liberò della cravatta e della camicia, per poi raggiungere quell'angelo tentatore, che seduta con le gambe accavallate sul grande tavolo, gli faceva gesto di avvicinarsi sbattendo le lunghe ciglia. Fece scorrere una mano lungo la sua guancia candida, per poi baciarla e lei, sorridendo soddisfatta, gli allacciò le gambe intorno alla vita e prese ad accarezzargli le spalle. A poco a poco la temperatura nell'aula si fece incandescente, i loro baci e le loro carezze erano sempre più intense, più decise ed erano più che mai impazienti di divenire un'unica cosa. Dimenticando perciò che dovessero andare a lezione, o che qualche insegnante potesse trovare l'aula chiusa, si lasciarono travolgere dalla passione, seguendo solo l'irrefrenabile e primordiale istinto che li portava ad unirsi come solo loro sapevano fare. Anche se si conoscevano da tanti anni ed erano sposati quasi da altrettanto e quindi si conoscevano piuttosto bene, erano comunque in grado di sorprendere l'altro, sembrava quasi che il tempo avesse alimentato ancora di più la fiamma del loro amore, rendendola più vivida che mai. Erano dipendenti l'uno dall'altro, lo dimostrava il fatto che non riuscissero a restare lontani per più di qualche ora, non importava chi avesse torto o ragione, prontamente si cercavano e dimenticavano qualsiasi cosa. Il profondo e devastante amore che li legava era più forte di qualsiasi cosa. Quando raggiunsero il massimo piacere, Angie si sdraiò sul tavolo, socchiudendo gli occhi, mentre Pablo adagiò il capo sul suo petto, sforzandosi di riprendere fiato. “Dobbiamo litigare più spesso se poi finiamo così,” soffiò Galindo, facendo ridacchiare la bionda, che prese ad accarezzargli i capelli. “Magari senza piatti volanti però,” aggiunse, sollevando il capo così da potersi specchiare nei suoi grandi occhi verdi. Lei sorrise divertita. “Tu non farmi arrabbiare e vedrai che nessun piatto ti ferirà.” Scoppiarono entrambi a ridere, stringendosi l'uno all'altra. “Ti amo, Angie,” sussurrò Pablo, a un soffio dalle sue labbra. Angie sorrise emozionata, accarezzandogli una guancia. “Ti amo anch'io, Pablo.”



“Sei sicura che il posto sia questo?” Chiese Seba scettico, fermando la macchina in uno spiazzato isolato. Violetta annuì, guardandosi nervosamente intorno. “Sembra un raduno per drogati,” proseguì il ragazzo, facendola ridacchiare. “L'ho pensato anch'io la prima volta che l'ho visto, ma ti assicuro che è una pista di motocross e dentro ci sono gli spogliatoi.” Dicendo ciò, la giovane uscì dalla macchina e Seba la seguì prontamente. “Grazie per avermi accompagnata, ora puoi andare, tranquillo.” Lui rise incredulo, facendo scattare le sicure. “Stai scherzando? Non ti lascio da sola in questo postaccio, Camilla mi ammazzerebbe.” Violetta sorrise riconoscente, accettando la mano che il ragazzo le porgeva e poi insieme si incamminarono verso la struttura. “Quindi Leon fa gare illegali?” Chiese Seba, mentre superavano un gruppo di loschi individui che fumavano strane sostanze dall'odore pesante. “Un tempo si, ma è da un po' che ha smesso.”
“Perché allora pensi di trovarlo qui?” Chiese il ragazzo, confuso. “Perché mi sta palesemente evitando e sa che questo è l'ultimo posto dove lo cercherei,” spiegò Violetta, conducendolo in un affollato e puzzolente spogliatoio. “Deve essere qui da qualche parte.”
Seba annuì, guardandosi intorno con circospezione. Non gli piaceva per niente quel luogo e ancora di meno tutti quegli sguardi che saettavano sulla giovane Castillo. Sperava solo che non si avvicinassero, anche perché erano nettamente in maggioranza e quindi chissà cosa avrebbero potuto fare loro. Conosceva il passato di Leon e tutto il resto, ma non credeva che potesse frequentare un luogo simile. Forse proprio per quello l'intuizione di Violetta poteva essere giusta se Leon la stava davvero evitando, quale persona sana di mente lo avrebbe cercato lì d'altronde? Seba strinse maggiormente la ragazza a se, sforzandosi di apparire tranquillo e sicuro, quando in realtà avrebbe solo voluto girare i tacchi e andarsene. “Stammi vicino,” le sussurrò all'orecchio e lei annuì, continuando a guardarsi nervosamente intorno. Finalmente, seguiti dagli sguardi di tutti i presenti, raggiunsero il fondo degli spogliatoi, dove trovarono proprio Leon. Il ragazzo se ne stava stravaccato su una panca e parlava allegramente con un gruppo di ragazzi, portandosi distrattamente la sigaretta alle labbra. Quella scena suscitò in Violetta una sorta di deja vù. Il luogo e la panca erano esattamente gli stessi dove lo aveva visto per la prima volta; che strani scherzi giocava il destino. Appena Leon si rese conto di lei e Seba, sbiancò paurosamente e fece gesto ai ragazzi di allontanarsi. “Che ci fate qui?” Chiese poi, quando i due si sedettero accanto a lui. “Casomai questa domanda dovrei fartela io!” Sbottò Violetta, stizzita. “Che stai combinando? Perché sei tornato qui? Perché mi eviti?” Lo scosse con decisione e Leon la lasciò fare, stranamente passivo. “Non ho chiuso occhio stanotte! Mi hai spaventata a morte, razza di idiota!”
“è successo qualcosa che dovremmo sapere?” Aggiunse Seba, dubbioso. “Ti abbiamo cercato dovunque e cavolo, hai fatto tanto per trovare un lavoro e poi sei sparito. Tutto questo è stupido, no?”
Vargas fece scorrere lo sguardo dall'uno all'altra, indeciso sul da farsi. Avrebbe dovuto aspettarselo che Violetta lo avrebbe trovato, che stupido codardo a pensare di poter sfuggire ai problemi in quella maniera così squallida. Lei meritava una spiegazione, non era giusto ferirla e farla preoccupare tanto. “Andiamo fuori,” mormorò perciò alla fine, scattando in piedi e facendo cenno ai due di seguirlo. Ancora una volta una moltitudine di sguardi li seguì, ma loro proseguirono senza prestarvi molta attenzione, finché non giunsero all'esterno della struttura. “Io vi aspetto alla macchina,” disse Seba, indicando la sua auto nera a diversi metri di distanza. “Ah Leon,” aggiunse, rivolgendosi al ragazzo. “Lo so che non siamo così amici da potermi permettere di darti un consiglio, però una cosa te la voglio dire lo stesso. Violetta è una brava ragazza e ti ama tanto, non farla soffrire.”
Leon lo fissò per alcuni istanti, sorpreso, poi abbozzò un sorriso. “Lo terrò a mente Seba, davvero,” promise, dandogli una pacca sulla spalla. L'altro annuì, ora più tranquillo e dopo aver strizzato l'occhio a Violetta si incamminò verso la sua macchina. A quel punto il messicano non potè più rimandare il confronto con la ragazza, che lo fissava con le braccia conserte e un sopracciglio inarcato. “Allora? Hai intenzione di darmi una spiegazione decente? Sai, vorrei sapere se ne è valsa la pena passare la notte in bianco,” sbottò con una tale acidità che lo lasciò interdetto. Rarissime volte Violetta gli aveva parlato con quel tono e di solito era accaduto quando l'aveva ferita molto e quella consapevolezza, gli fece provare ancora più disgusto verso se stesso. Lei meritava molto di più di un delinquente e un egoista come lui che sapeva solo farle del male e metterla in pericolo; aveva bisogno di un ragazzo che si prendesse cura di lei, che l'amasse profondamente, che la proteggesse, che la rendesse felice e Leon si rendeva conto a poco a poco di quanto fosse stato egoista a pretendere di insinuarsi di nuovo nella sua vita. Per Violetta era stata dura ricominciare a vivere e lui non aveva fatto altro che distruggere tutti i suoi progressi, riportandola nel vuoto più assoluto. Perché non aveva ascoltato Angelica sin dall'inizio e non l'aveva lasciata in pace?
Prese un profondo respiro, per poi tornare a specchiarsi nei suoi grandi occhi nocciola, quegli occhi così dolci e innocenti che lui aveva finito per contaminare facendole conoscere il suo disgustoso mondo. “Ho sbagliato tutto con te, avrei dovuto proteggerti e invece ti ho solo ferita e messa in pericolo,” sussurrò, sfiorandole dolcemente una guancia. “Di che stai parlando?” Chiese Violetta confusa, scostando la sua mano. “Hai uno sguardo inquietante, mi devo preoccupare?”
Leon sospirò, accendendosi un'altra sigaretta e incamminandosi lungo quell'immenso territorio dimenticato da Dio e la ragazza lo seguì, scrutandolo con attenzione e crescente impazienza. “Ti decidi a parlare? Leon, mi metti ansia,” aggiunse, piazzandosi davanti a lui e impedendogli di proseguire. “Ora te ne stai fermo e mi spieghi che sta succedendo.”
Il giovane inspirò una boccata di fumo, poi rassegnato mormorò: “Ho parlato con tua nonna e bè...mi ha aperto gli occhi.”
“Che cosa?” Esclamò Violetta, incredula, prendendolo per le spalle e costringendolo così a guardarla negli occhi. “E da quando dai retta a mia nonna? Che ti ha detto Leon, dimmelo.”
“Il mondo da cui provengo è pericoloso e non saresti mai al sicuro con uno come me,” le spiegò, scostandola di lato e riprendendo a camminare. “Non potrei mai perdonarmi se ti facessero del male per colpire me, capisci?” Tornò a voltarsi verso di lei, serio. “Come un egoista ti ho voluta a tutti i costi nella mia vita e non mi rendevo conto che così facendo ti mettevo in pericolo e... il solo pensiero che possa accaderti qualcosa mi fa impazzire.”
Quasi senza rendersene conto, Violetta si ritrovò a sorridere. Nella sua mente si erano fatti strada i peggiori timori, primo su tutti che lui avesse smesso di amarla e invece temeva solo che le potesse accadere qualcosa di brutto. “Oh, amore mio.” Emozionata, gli prese il volto tra le mani e gli stampò un bacio a fior di labbra. “Sei dolcissimo a preoccuparti per me, ma se tu non ci avevi pensato, io lo avevo fatto eccome. So i rischi che corro e non mi interessa, voglio stare con te.” Tentò di nuovo di baciarlo, ma lui la scostò, prendendola per le spalle. “A te non interessa, ma a me si. Quella gente è poco raccomandabile e...”
“E allora?” Lo interruppe lei confusa. “Hai deciso di tirarti fuori da quel mondo, no? Né io e né tu ci avremo più a che fare, perciò non capisco tutta questa preoccupazione.”
Leon esitò qualche istante, decisamente agitato. Poteva dirle di suo padre? No, Violetta non doveva saperlo, doveva proteggerla da quello schifo che era il suo mondo, non poteva contaminarla ulteriormente. “Violetta,” spense la sigaretta e la prese per le spalle. “Posso scappare anche in capo al mondo, ma le mie origini mi seguiranno dovunque. Potrebbero trovare il modo di coinvolgermi in qualcosa, di vendicarsi di mio padre tramite me e...se qualcuno ti facesse del male per colpa mia...potrei impazzire.” Lei annuì, mordendosi nervosamente il labbro. “Lo capisco, davvero, ma avresti potuto dirmelo sin dall'inizio anziché nasconderti come un criminale. Tu non sei un criminale, chiaro?” Aggiunse, accostando la fronte alla sua. “Sei cresciuto con degli ideali sbagliati, ma non sei un mostro. Ti conosco,” proseguì, prima che lui potesse ribattere. “So chi sei e di cosa sei capace e nulla che mi dirai cambierà quello che provo per te. Ti amo, Leon e mai smetterò di farlo, lo vuoi capire o no?”
“Violetta,” provò lui, ma ancora una volta lei lo interruppe. “Capisco la preoccupazione di mia nonna e capisco che le sue parole possano averti condizionato, ma sta a me decidere. Quando ho deciso di frequentarti e poi di tornare di nuovo con te dopo il carcere, ero perfettamente consapevole a cosa andassi incontro. Non me ne importa di chi è tuo padre e dei pregiudizi che ci sono su di voi, a me importa solo di te!” Esclamò la ragazza, facendo fatica a contenere le lacrime. “Lo capisci che allontanandomi da te mi fai solo del male?” Gli voltò le spalle, lasciandosi sfuggire un singhiozzo. Solo Leon era in grado di renderla così vulnerabile. “Violetta.” Sentì il respiro del ragazzo sul collo e poi le sue mani sui fianchi e non riuscì più a trattenersi, lasciando che le lacrime le inumidissero le guance. “Ti prego, Leon, non lasciarmi,” singhiozzò disperata. “Non posso vivere senza di te.” A quel punto scoppiò a piangere a singhiozzi e sconvolto, Leon la strinse subito a se, cullandola come se fosse stata una bambina. “Vilu, amore, non piangere,” sussurrò il giovane, facendo fatica a controllare il tono di voce. “Non sopporto di vederti piangere.”
“E allora non lasciarmi più,” singhiozzò Violetta, tirando su col naso. “Senza di te non sono nulla.” Colpito da quelle parole, Leon fece scorrere lentamente le dita tra i suoi capelli. Cosa doveva fare? Il cuore gli urlava di fregarsene di tutto ed essere felice con colei che amava, ma il cervello lo frenava e gli ricordava quanto potesse essere rischioso per lei. “Ti amo più della mia vita, Leon,” mormorò ancora la ragazza, strofinando il volto contro il suo petto. Lui deglutì, avvertendo gli occhi farsi lucidi. “Anch'io ti amo, Vilu, ti amo da impazzire.”
“E allora perché vuoi allontanarmi da te?” Chiese la ragazza, sciogliendo l'abbraccio così da poterlo guardare negli occhi. “Non capisci che ci faresti solo del male? Noi due siamo una cosa sola e separati siamo destinati a soffrire.”
“Violetta...”
“No, Leon,” lo interruppe lei, scuotendo il capo. “Non ricominciare, non sono stupida e so che potrebbero esserci dei pericoli, ma non mi importa. Sono pronta a tutto per stare con te.” Gli allacciò poi le braccia al collo, sorridendogli oltre le lacrime. “Lascia scegliere me, ti prego.”
“Non voglio che tu mi lasci come mia madre, non potrei sopportarlo,” riuscì finalmente ad ammettere il giovane con un filo di voce. Violetta sorrise, stringendolo forte a se. “Non accadrà mai, io sarò sempre con te. Te lo prometto. Niente e nessuno ci separerà.”
Leon annuì, accarezzandole teneramente il capo. Non poteva vivere senza di lei, sia che la lasciasse andare e sia che gliela portassero via, lui sarebbe morto dentro, non aveva dubbi su quello. “Lottiamo per noi due, Leon, non permettiamo a delle stupide paure di separarci,” riprese la ragazza, tornando a specchiarsi nei suoi profondi occhi verdi. “Lotta con me.”
Il ragazzo esitò ancora qualche istante, poi sorrise, accarezzandole una guancia. “Al diavolo tutto e tutti,” sbottò alla fine, aggredendole le labbra con un bacio appassionato, che lei ricambiò prontamente, intrecciandogli le dita nei capelli. “Ti amo troppo per rinunciare a te,” sussurrò, a pochi centimetri dalle sue labbra. La giovane sorrise, facendo sfiorare i loro nasi. “Sono felice che tu lo abbia capito e spero che in futuro te lo ricorderai, amore mio.” Dopodiché si baciarono nuovamente, più che mai convinti che non potesse esserci sciocchezza peggiore di allontanarsi. Un'ombra però continuava ad oscurare lo sguardo di Leon, che non poteva fare a meno di chiedersi per quanto avrebbe potuto tenere nascosto un segreto tanto grande alla ragazza che amava. Scacciò quel pensiero con stizza, sforzandosi di sorridere. Ora doveva godersi i suoi momenti con Violetta, c'era tutto il tempo del mondo per i problemi.



Diego fece scorrere distrattamente le dita sulle corde della chitarra, riproducendo la melodia di Yo soy asì, mentre la sua mente vagava verso porti lontani. Quasi non si rendeva conto delle persone che gli passavano accanto, seduto su un muretto nel cortile dello Studio. La verità era che non si era mai sentito tanto insofferente verso la sua vita e coloro che lo circondavano. Ne aveva abbastanza di tutto e di tutti. Faceva la cosa sbagliata e tutto gli si ritorceva contro, faceva la cosa giusta e gli succedeva lo stesso, cosa doveva fare quindi? Ormai non capiva più nulla e davvero non sapeva che fare, quasi rimpiangeva il carcere almeno lì non aveva problemi.
“Ehi, amico.” Diego sollevò lo sguardo di scatto, mettendo a fuoco le sagome di Leon e Violetta che avanzavano verso di lui. “Quando hai intenzione di riaccendere il cellulare? Sei sempre irrintracciabile,” gli fece notare Vargas, mentre lui e Violetta prendevano posto ai suoi lati.
“Fanculo,” bofonchiò Galindo, ruotando gli occhi. Di tutta risposta il ragazzo ridacchiò, dandogli una pacca sulla spalla. “Sei molto loquace e simpatico oggi, eh?”
Diego gli rivolse un'occhiata raggelante e se non disse nulla, fu perché la Castillo lo anticipò. “Dobbiamo risolvere questa situazione Diego, non possiamo continuare così.”
Il ragazzo si voltò verso di lei, confuso. “Di che parli? Quale situazione?”
“La tua e quella di Francesca,” spiegò Violetta, facendolo irrigidire di colpo. “State soffrendo e non posso più vedervi così.” Gli strinse forte la mano, guardandolo con apprensione. “Violetta ha ragione,” concordò Leon. “Tutta questa distanza vi si sta solo ritorcendo contro.”
Diego rise incredulo, spostando lo sguardo dall'uno all'altra. “Non riesco a seguirvi, davvero.”
La Castillo ruotò gli occhi, esasperata. “Voi uomini siete proprio stupidi. Francesca ti ama, cosa non ti è chiaro?” Sbottò, schioccandogli le dita davanti agli occhi e guardandolo come se si stesse rivolgendo a un bambino un pochino tardo. Il moro in ogni caso non si lasciò impressionare da quelle parole, anche perché ormai non ci credeva più tanto e per questo si limitò a scrollare le spalle, incurante. “Se fosse come dici tu, non avrebbe baciato Marco.”
“Come?” Chiese Violetta, guardando Leon e sperando che le dicesse che avesse capito male. “Francesca e Marco? Sei sicuro? Loro non...” Improvvisamente le tornò in mente una conversazione con la Cauviglia, avvenuta a casa di Camilla.

-Marco mi ha costretta a un bacio, vi rendete conto? È impazzito! Non ha ancora capito che deve lasciarmi in pace?-

“Ma certo!” Esclamò la giovane, colpendosi la fronte e facendo sussultare sia Leon che Diego. “è stato Marco a baciarla,” spiegò poi, guardando il cugino. “Lo ha raccontato a me e a Camilla e...lo ha schiaffeggiato, Diego, te lo posso assicurare. Lei non prova più nulla per Marco.” Diego fece per ribattere, ma Violetta lo zittì con un gesto della mano. “Ascoltami ora,” lo prese per le spalle, guardandolo attentamente. “Francesca sta male, non è più la stessa e sai perché? È innamorata di te.”
“E tu lo sei di lei,” aggiunse Leon serio. “Non ti ho mai visto tanto coinvolto da una ragazza.”
Diego deglutì, mentre quelle parole si ripetevano più volte nella sua mente. Francesca non voleva Marco, ma lui. E lui, davvero amava la ragazza? Quella sorta di vuoto che avvertiva in sua assenza e tutte quelle emozioni che la sua sola presenza gli suscitava, dipendevano dall'amore? “Smettila di avere paura, accidenti a te!” Sbottò Vargas all'improvviso, dandogli uno spintone che per poco non lo fece finire nelle aiuole alle loro spalle. “Fregatene di tutto e di tutti, tanto le persone avranno sempre da ridire e prenditi la ragazza che ami! Lei aspetta solo un tuo passo.”
“Marco continua ad attaccarti anche se le stai lontano, perciò tanto vale che lo faccia per un giusto motivo,” continuò Violetta, stupendoli a dir poco. Nessuno dei due infatti, si aspettava che la ragazza prendesse una posizione così decisa per un cugino a discapito dell'altro. “Francesca non sorride più, è spenta, priva di vita e tu non sei da meno. Lo so che la ami anche tu, perciò metti fine a questo supplizio.”
Diego si prese il volto tra le mani, strofinandolo con vigore. Leon e Violetta avevano perfettamente ragione, lui era innamorato di Francesca, ma era la paura a frenarlo, la paura di confrontarsi con tutte quelle sensazioni che mai aveva provato. Ovviamente poi non poteva dimenticare che la ragazza fosse la ex di Marco, che nonostante le incomprensioni, restava comunque suo fratello e anche se non lo avrebbe mai ammesso, in fondo al suo cuore c'era qualcosa di molto forte che lo legava a lui. Forse si trattava del vincolo fraterno, o semplicemente della sua coscienza, non sapeva dirlo.
“Marco non si è fatto problemi a raccontarle del tuo piano iniziale, a baciarla e a screditarti con tutti,” sentenziò Leon, quasi gli avesse letto nel pensiero. “Perché allora tu devi avere tanti scrupoli?”
Violetta annuì, concorde. “Zio Pablo e zia Angie capiranno, in fondo Marco non è stato uno stinco di santo e non lo è nemmeno adesso. Sembra più preoccupato di ottenere vendetta che di soffrire per la fine della sua storia. Tu invece la ami, non è così?”
Sia Violetta che Leon lo guardarono attentamente, desiderosi di sentirgli finalmente dire ciò che fino a quel momento gli avevano solo letto negli occhi. Diego prese un profondo respiro, poi mettendo da parte qualsiasi pensiero razionale, si lasciò guidare solo dal cuore. “Io, io...accidenti, si...io credo di amarla,” confessò finalmente, venendo subito stritolato da un'euforica Castillo. “Sia ringraziato il cielo,” commentò invece Leon con un sogghigno, beccandosi un'occhiataccia. “Vai da lei e diglielo, noi facciamo il tifo per voi,” sorrise Violetta, recuperando dalla borsetta un foglio spiegazzato e porgendoglielo. Galindo lo analizzò per alcuni istanti, notando che si trattasse della pubblicità di alcune serate al Restò Band, dove la cantante era proprio Francesca, poi annuì. “Avete ragione, è ora che io e Francesca ci concediamo un'opportunità.”






Holaaa!!
Siete vivi? XD Se si, ci tengo a dire alcune cose. Dulcevoz, mi rivolgo in particolare a te, non voglio responsabilità sulle conseguenze che questo capitolo ha avuto su di te, me ne lavo le mani, ok? Ahaahahahahaa in realtà visti i molti scleri che ci sono in questo capitolo, non voglio responsabilità in ogni caso da parte di nessuno XD
Dopo la sfuriata dello scorso capitolo, Angie inizia a ragionare e dopo un sorpresa dolciosa di Pablo (quell'uomo è un amore awwww :3) è il momento di fare pace in tutti i sensi awwwwwww :3 nel frattempo, Vilu e Seba trovano Leon, che si decide a dare spiegazioni circa il suo comportamento, trovando però una Vilu molto forte e determinata a lottare per loro due, tanto che non può fare altro che cedere awwwwwww :3 resta però in sospeso la questione Fernando. Infine, i due decidono di affrontare apertamente Diego, ottenendo non solo di fargli ammettere i sentimenti che prova per Francesca, ma anche che si faccia avanti finalmente :3
Ringrazio tutti quelli che seguono e recensiscono la storia, spero che questo capitolo vi sia piaciuto :3
Trilly


 

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Capitolo 26
*** Euforia ***





Applausi e fischi di approvazione le risuonavano nelle orecchie, ma Francesca stringendo il microfono così forte da rendere le nocche bianche e standosene immobile e rigida come un palo, sembrava non accorgersene. Cantava meccanicamente, facendo il possibile per trasmettere ogni tipo di emozione, ma non avrebbe potuto essere più nervosa e agitata. Avrebbe dovuto essere abituata a cantare in pubblico, allo Studio lo faceva sempre, eppure sembrava che quelle settimane di riposo, l'avessero arrugginita e le avessero fatto perdere quella sicurezza che in tanti anni di lezioni di canto aveva acquisito e di conseguenza, si sentiva come una ragazzina alle prime armi. Le tremavano le gambe e le mani, il cuore le batteva come un tamburo impazzito e faceva fin troppo caldo per i suoi gusti. Troppi sguardi erano rivolti verso di lei, troppe orecchie l'ascoltavano e l'unica cosa che avrebbe voluto in quel momento era scappare il più lontano possibile dal palco del Restò Band. Francesca non era mai stata molto sicura di se, al contrario si era sempre considerata una nullità, una ragazza tanto intelligente quanto invisibile agli occhi degli altri. Tutti preferivano Camilla e Violetta, più solari e belle rispetto a lei, così timida e insicura. Ricordava con terrore la sua adolescenza, le prese in giro per gli enormi occhiali da vista e qualche brufolo di troppo e poi c'era Violetta, che invece piaceva a tutti i ragazzi e vantava tante amicizie. A volte era stata fin troppo gelosa della Castillo e anche di Camilla, che mai si era fatta complessi di inferiorità e si era ritrovata così a passare interi pomeriggi a piangere. La situazione le era sfuggita di mano quando si era presa una cotta per Diego, il bello e crudele cugino di Violetta. Lui era forse la persona che di più si era divertita a ferirla e ad umiliarla e nonostante l'immenso dolore che le aveva provocato, mai era riuscita ad odiarlo. Stupidamente si era ritrovata a sperare di incontrarlo per i corridoi della scuola, di incrociare il suo sguardo anche solo per un istante e poco le importava se la prendeva in giro; essere notata da lui, sentire il suo sguardo addosso e la sua voce, era tutto ciò di cui aveva bisogno. Per anni si era nutrita e allo stesso tempo intossicata con quell'amore a senso unico, dove le sofferenze erano decisamente maggiori delle gioie, finché un bel giorno non aveva aperto gli occhi o più semplicemente lo aveva perso di vista. Diego infatti, aveva conosciuto Leon Vargas e di conseguenza aveva iniziato a marinare la scuola o a scatenare risse, prendere in giro le ragazze sfigate sembrava non interessargli più e pian piano, soprattutto grazie alle sue amiche, Francesca aveva messo da parte la cotta per il ragazzo, rendendosi conto che non fosse l'unico sulla terra. Quando poi Violetta si era allontanata da loro, lei e Camilla avevano legato con altre persone, erano cresciute e in un certo senso avevano acquisito sicurezza. Si poteva dire che Luca e Marco fossero stati una manna dal cielo per lei e la Torres, che per la prima volta si era sentite apprezzate da un ragazzo. Ironia della sorte, proprio il fratello del suo primo amore era stato il primo a farle la corte e a farla sentire bella e importante, innamorarsi di lui era stata la cosa più naturale del mondo. Davvero credeva di aver dimenticato Diego, che fosse stata sempre e solo una cotta e il fatto che lo considerasse responsabile della cattiva strada che aveva preso Violetta, aveva alimentato la sua convinzione. Era stato lui a far conoscere Leon alla sua amica e a trascinarla nel buio con loro d'altronde e complice anche l'odio di Marco per il fratello, Francesca si era ritrovata a coltivare un pensiero molto negativo verso il primo ragazzo che le aveva fatto battere il cuore. Quando però Diego era uscito dal carcere e aveva iniziato a guardarla senza alcuna presa in giro o crudeltà, ma con interesse e desiderio, tutte le certezze di Francesca erano state spazzate via. Quei sentimenti che credeva essere spariti si erano ripresentati più vividi ed intensi che mai, travolgendola come un fiume in piena e da lì aveva perso ogni tipo di razionalità. Era sempre stato così con Diego, lui la rendeva stupida, la faceva soffrire, per colpa sua aveva dovuto rinunciare allo Studio e si era conquistata il disgusto di Marco e dei coniugi Galindo, ma nemmeno in quel momento riusciva ad odiarlo. Era innamorata di lui, che però non provava un sentimento così forte e anche se ci soffriva tanto, doveva accettarlo. Doveva dimenticarlo e riprendere in mano la sua vita, non c'era altra scelta.
Proprio mentre Francesca stava cantando il ritornello di 'Junto a ti', un agitato Diego entrò nel locale, attirando subito l'attenzione di Violetta e Camilla che prontamente gli andarono incontro. “Alla buon ora,” lo rimproverò la Torres, agitando le braccia. “Ormai manca solo una canzone alla fine della serata.”
“Tutto bene?” Chiese invece Violetta, scrutandolo preoccupata. “Ho quasi temuto che non saresti venuto.” Il giovane guardò prima una e poi l'altra, scuotendo il capo. “Il fatto è che non so che dirle,” ammise, scatenando l'incredulità delle due. “Stai scherzando? Fiondati su quel palco e comportati da uomo, altrimenti ti ci spedisco io a calci!” Sbottò Camilla minacciosamente, attirando lo sguardo di diverse persone. La Castillo annuì concorde. “Segui solo il cuore, ignora tutto il resto,” sussurrò, stringendolo in un forte abbraccio. Diego annuì, lo sguardo fisso su Francesca. Basta avere paura dell'amore, era ora che lottasse per ciò che voleva. “Forse so cosa devo fare.” Confuse, Violetta e Camilla lo videro farsi strada tra la folla, fino a raggiungere Luca accanto al bancone. Dopo alcuni minuti, durante i quali parlò fitto con uno scettico Cauviglia, riuscì finalmente a convincerlo a dargli un microfono. Cosa aveva in mente Diego? Francesca nel frattempo, non aveva notato nulla e una volta concluse le ultime note di 'Junto a ti', si gustò gli applausi entusiasti del pubblico ripassando al contempo le parole di 'En mi mundo', l'ultima canzone in programma della serata. Quando però terminarono gli applausi, calò un improvviso silenzio e la ragazza impiegò diversi secondi per capire il motivo. Leon e Seba, che l'accompagnavano con la chitarra e la batteria, così come tutti i presenti, fissavano una persona che con un balzo salì sul palco. Quella persona era Diego. Sconvolta, lo vide avanzare verso di lei con un microfono tra le mani e un sorrisetto stampato in faccia. “Potete partire, ragazzi,” disse a Leon e Seba, che gli strizzarono l'occhio complici. Cosa si era persa? Improvvisamente nelle sue orecchie risuonò la base di una canzone che conosceva molto bene, ma che aveva escluso dalla scaletta. La base di 'Euforia'. Si guardò nervosamente intorno, ma dagli sguardi che le lanciarono amici e conoscenti, capì che quella scioccata fosse solo lei. Possibile che...?
“Sei pronta?” Sorrise Diego, fermandosi accanto a lei. Francesca deglutì, profondamente scossa. Cosa ci faceva il ragazzo lì? Erano tutti d'accordo? Se si, perché? Cosa avevano in mente? Violetta e Camilla, vedendo l'amica così sconvolta, subito corsero sotto al palco e iniziarono ad applaudire a ritmo di musica, sperando così di infonderle coraggio. La Cauviglia le notò quasi subito, così come avvertì gli incoraggiamenti di Leon e Seba alle sue spalle e il sorriso rassicurante di Diego e finalmente riuscì a tranquillizzarsi. Era una canzone, solo una canzone. Socchiuse gli occhi, intonando la prima strofa di 'Euforia'. Inizialmente la voce le tremò, poi però una volta preso coraggio riuscì a cantare con più sicurezza. Galindo le sorrise soddisfatto, prendendole la mano ed eseguendo la seconda strofa. A quel contatto, la ragazza rabbrividì ma non si sottrasse. Lei e Diego erano lì su quel palco a cantare per la seconda volta quella canzone, quella che le aveva permesso di rendersi conto di provare ancora qualcosa di molto forte per lui. Sembrava tutto così irreale, per un attimo pensò si trattasse di un sogno, ma sbattendo le palpebre la scena non cambiava. Era ancora sul palco con il ragazzo che amava, si tenevano per mano e duettavano come se non avessero mai fatto altro nella vita. Tutto era finito in secondo piano, c'erano solo loro due e le loro voci che si combinavano alla perfezione, i loro sguardi erano praticamente incatenati. Il cervello nel frattempo aveva smesso di rispondere ai comandi, l'unico organo funzionante era il cuore, che batteva così forte che per un attimo pensò lo potessero sentire anche gli altri. Ogni problema o preoccupazione sembrava appartenere a un'altra vita e le stava bene così, voleva godersi quel momento finché fosse durato.

Euforia te da la gloria
¡Grita! la gente grita
¡Canta! siente la euforia
¡Por que asi queremos cantar!


Appena le ultime note si affievolirono, partì un forte ed entusiasta applauso, ma né Diego e né Francesca ci fecero molto caso, erano troppo occupati a fissarsi intensamente. Ogni muscolo del loro corpo si era pietrificato e così non riuscivano a fare altro che guardarsi. I fischi ammirati di qualcuno nella sala, risvegliarono la ragazza dalla sorta di trance in cui era caduta, portandola a distogliere lo sguardo e a scendere di corsa dal palco. Diverse persone tentarono di fermarla, ma lei scansò tutti rifugiandosi nel magazzino e appoggiando la schiena contro la porta. Cosa aveva fatto? Profondamente turbata, si prese la testa tra le mani, scuotendola con vigore. La mente fu subito attraversata dagli eventi di pochi minuti prima, confondendola ancora di più. Cos'era successo su quel palco? Perché?
“Francesca.” La ragazza si irrigidì paurosamente, riconoscendo la voce di Diego oltre la porta. “Apri, dobbiamo parlare.”
“Vattene,” sbottò, facendo fatica a contenere il tono di voce. “Ti diverti a farmi del male, eh? Che tu sia maledetto, Diego Galindo,” singhiozzò, avvertendo gli occhi farsi lucidi.
“Ma cosa dici? Apri e fammi spiegare,” insistette il moro. “Non mi muovo da qui finché non mi apri.” Francesca ruotò gli occhi e sbuffò, poi si decise ad aprire incrociando subito lo sguardo serio del ragazzo, che la fece rabbrividire. “Perchè lo hai fatto?” Esclamò, mentre alcune lacrime sfuggivano al suo controllo. “Dovevi solo starmi lontano, non ti ho chiesto molto. Come faccio a dimenticarti se ti comporti così?”
Diego la prese per le spalle, tentando di calmarla. “Forse non voglio che mi dimentichi.”
La Cauviglia rise incredula, liberandosi dalla sua presa con stizza e dandogli le spalle. “Ma ti rendi conto di quanto sei egoista? Come puoi giocare con i miei sentimenti in questa maniera? Non credevo potessi essere tanto meschino. Vattene,” aggiunse, voltandosi nuovamente e indicandogli la porta. Lui però scosse la testa. “Non mi muovo da qui.”
“Cosa?” Francesca gli si avvicinò e tentò di spintonarlo, non smuovendolo però di un centimetro. “Perchè mi fai questo, perché?” Singhiozzò, colpendolo con dei piccoli pugni. Diego sospirò, bloccandole i polsi e specchiandosi nei suoi occhi castani, che in quel momento erano rossi e grondanti di lacrime. Vederla in quello stato per colpa sua lo fece sentire uno schifo, ma allo stesso tempo gli fornì il coraggio necessario per riuscire finalmente a dirle la verità, quella verità che aveva fatto tanta fatica a comprendere e ad accettare. “Perchè io ti amo, Francesca.” La ragazza dilatò gli occhi, bloccandosi di colpo. Si stava sforzando più che poteva, ma non riusciva a registrare e a comprendere quelle parole. Forse le aveva solo immaginate, forse... Scosse la testa con decisione. Non poteva essere vero, non poteva e basta. “Ti prego,” lo supplicò, lasciandosi sfuggire un singhiozzo. “Non farmi ancora del male.”
“Francesca.” Diego le prese il volto tra le mani, costringendola a specchiarsi nei suoi occhi. “Ti giuro che non sto mentendo, non sono mai stato più sincero in vita mia.”
“Diego,” provò, ma lui la interruppe, scuotendo il capo. “Aspetta, fammi spiegare.” La ragazza annuì, allora continuò. “Non sono un bravo ragazzo e probabilmente non lo sarò mai, ma tu mi hai stravolto la vita. Cavolo, non mi riconosco più e...prima non mi importava di nessuna, mi divertivo e poi le scaricavo senza pensarci troppo, ma ora non ci riesco più. Non so né come e né perché e probabilmente quello che ti sto dicendo non ha senso, ma non posso più negarlo a me stesso e soprattutto a te. Mi sei entrata sotto pelle, nei muscoli, nelle ossa e non riesco più a scacciarti.” Prese una pausa, agitato come mai in vita sua e si rese conto che Francesca avesse smesso di dimenarsi e di piangere, limitandosi a fissarlo con le labbra socchiuse. I suoi occhi castani sembravano quasi impazienti di conoscere la conclusione di quel discorso e perciò si affrettò a riprendere: “Quello che sto cercando di dirti è che...non ce la faccio più a starti lontano e...prima non mentivo, è vero...mi sono innamorato di te.”
Diego deglutì, non credeva che sarebbe riuscito a dirglielo, ma anziché sentirsi più leggero avvertiva un peso opprimente alla base dello stomaco e questo perché i secondi scorrevano e la mora non diceva una parola, sembrava persa in un mondo tutto suo. Perché non diceva nulla?
“Diego.” Quasi non ci sperava più, addirittura la sua mente aveva formulato l'idea di andarsene. “Io...” Francesca gli strinse le mani con le sue, permettendo di nuovo alle lacrime di inumidirle le guance. “Io non so che dire...nessuno mi ha mai parlato così e...è la dichiarazione più bella che abbia mai sentito...nemmeno nei miei sogni più fantasiosi l'ho immaginata così e...accidenti a te, mi hai fatto commuovere!” Esclamò, sorridendo tra le lacrime. “Ti amo anch'io, Diego. Ti amo tantissimo.” Diego sorrise emozionato, poi senza pensarci troppo le prese il volto tra le mani e la baciò. Francesca corrispose prontamente, allacciandogli alla vita le esili braccia, mentre lui la faceva indietreggiare spalle al muro. Il loro bacio partì lento e profondo, quasi si volessero gustare ogni singolo istante. Ancora non ci credevano che finalmente avessero superato le loro paure e che fossero lì a baciarsi, con i cuori che battevano in sincrono a conferma di quanto fossero profondi i sentimenti che provavano l'uno per l'altra. Quando la lingua di Diego fece pressione contro le sue labbra, Francesca le schiuse consentendo alle loro lingue di intrecciarsi, dando vita a un bacio passionale e coinvolgente. Finalmente entrambi si sentivano di nuovo vivi come quel giorno nell'aula di danza, in cui si erano scambiati il loro primo e unico bacio. A differenza di allora però, erano più consapevoli dei loro sentimenti e determinati a combattere per essi anche a costo di scontrarsi con il mondo intero. Per mancanza di fiato, dovettero però fermarsi e Diego accostò la fronte alla sua, sorridendo. “Non voglio più vederti piangere,” soffiò, asciugandole le lacrime con i pollici. Lei sorrise, allacciandogli le braccia al collo. “Se non fossi così bastardo, io non piangerei.”
“Sono fatto così, bambolina, lo sai,” ribattè divertito, strofinando il naso contro il suo. “Se voglio qualcosa me la prendo.” Francesca sollevò un sopracciglio, scettica. “Ma quanto sei presuntuoso. Se sei qui è perché lo voglio anch'io, altrimenti saresti ancora fuori la porta.” Si guardarono per alcuni istanti, poi scoppiarono a ridere, facendo combaciare di nuovo le loro labbra.



Violetta si sbattè la porta della camera alle spalle, stizzita. Era tornata a casa euforica per come si erano messe le cose tra Diego e Francesca, ma trovare sua nonna ad aspettarla con le solite teorie contro la sua relazione con Leon, le aveva completamente stravolto l'umore. Credeva che Angelica lo avesse accettato, che non si sarebbe più intromessa tra di loro e invece non solo aveva messo in testa a Leon delle assurdità, ma aveva anche atteso il suo ritorno a casa per rincarare la dose. Perché si comportava così? Perché non capiva che così facendo la faceva solo soffrire? Lentamente raggiunse il letto e ci si gettò a peso morto, lasciandosi andare a un pianto liberatorio. Sembrava che il destino si divertisse a giocare con i suoi sentimenti. Ogni volta che nella sua vita accadeva qualcosa di bello, subito dopo un evento negativo rovinava tutto. Violetta non chiedeva molto in fondo, voleva solo essere felice con il ragazzo che amava e le persone a cui teneva di più. Strofinò il volto umido contro il cuscino, facendo fatica a contenere un singhiozzo. Quanto avrebbe voluto che i suoi genitori fossero lì, loro l'avrebbero capita. Nonostante fosse stato un uomo geloso, era sicura che German non le avrebbe mai proibito di vedere Leon, al contrario lo avrebbe invitato a casa per fargli un discorsetto da uomo a uomo, mentre Maria avrebbe preparato una delle sue buonissime crostate di frutta. Se si concentrava, le sembrava quasi di avvertire il delizioso profumo del dolce appena sfornato e il leggero canticchiare di sua madre, che allegramente rimetteva a posto la cucina. Quanto le mancavano i suoi genitori, quanto le mancavano i calorosi abbracci di German e gli allegri chiacchiericci di Maria, quanto le mancava la sua vita. Solo ripensare a loro il suo pianto si fece più incontrollabile e disperato. Aveva già perso i suoi genitori, non voleva perdere anche Leon. Perché sua nonna non lo capiva? Perché voleva per forza metterla di fronte a una scelta? Si rimise seduta, poggiando i gomiti sulle ginocchia e tentando di asciugarsi le lacrime con i dorsi delle mani. Mai come in quel momento sentiva il bisogno di essere rassicurata dai suoi genitori, un abbraccio, una parola, le sarebbe andato bene qualsiasi cosa. “Perchè mi avete lasciata? Perché?”
Con uno slancio scattò in piedi, avvicinandosi al grande armadio. In fondo ad esso, dove teneva sempre nascosto il famoso cellulare di riserva, c'era anche una grande scatola di cartone rettangolare dalla fantasia floreale, che prese prontamente tra le mani portandola sul letto. All'interno di essa c'erano diversi oggetti personali appartenuti a German e Maria, tra cui foto, orologi, collane, la pallina da golf con cui suo padre aveva vinto un importante torneo e poi il libro delle ricette di sua madre. Vedere quegli oggetti la emozionò e allo stesso tempo la fece sorridere malinconicamente. Nel fondo della scatola trovò poi quello che stava cercando. Era un grande album rilegato con un pregiato tessuto rosa confetto, che tempo addietro Angelica aveva cucito con tanto amore per metterci le foto delle nozze della sua figlia maggiore. Sull'intestazione, sempre cucita, capeggiava la scritta German y Maria. Violetta sfiorò quelle lettere con l'indice e il medio della mano destra, mentre una serie di ricordi affollava la sua mente. Quando i suoi genitori si erano sposati lei era ancora poco più di un feto, eppure con tutti i loro racconti e quelli di Angie e Angelica, era come se vi avesse partecipato anche lei. Lentamente iniziò a sfogliare le pagine, facendo attenzione a non sgualcire la delicata carta velina che proteggeva ogni foto. Rivedere quelle immagini che ormai conosceva a memoria, anziché farla sorridere come al solito, le trasmise un grande senso di vuoto, lo stesso che aveva provato poco dopo la loro morte, quasi fosse tornata indietro nel tempo senza accorgersene. Avrebbe dato tutto ciò che aveva per rivederli anche solo un istante. Maria era così bella nel suo vaporoso abito da sposa, sembrava una principessa e German era il suo principe azzurro. Sin da piccola aveva sempre sognato un matrimonio come il loro, di avere al suo fianco un uomo che l'amasse come suo padre amava lei e sua madre. Era convinta di averlo trovato, Leon era quello giusto e ai suoi genitori sarebbe piaciuto, non aveva dubbi...tutto quel pensare al condizionale però, la stava distruggendo. Maria e German non avrebbero mai conosciuto Leon, non sarebbero stati al loro matrimonio e mai più avrebbe potuto vederli o chiedergli cosa pensassero di lei e delle sue scelte. La vita era stata davvero crudele con lei. Continuando a sfogliare giunse a metà album, da cui poi partivano le foto del viaggio di nozze. Venezia. I suoi genitori erano così giovani, così felici. Tante volte le avevano raccontato quanto quella città avesse rappresentato per loro. “è stato il nostro primo viaggio insieme, eravamo emozionatissimi e poi c'eri tu che scalciavi nella mia pancia in continuazione. Venezia è sempre stata magica anche per te,” le aveva detto una volta Maria e non avrebbe potuto avere più ragione. L'ultimo viaggio di loro tre insieme infatti, era stato proprio a Venezia e sin da subito Violetta aveva avvertito una sorta di legame con quella città. Visitare quei luoghi, conoscerne la storia, assaporarne i piatti tipici, tutto le aveva trasmesso quiete e tranquillità, facendola sentire come a casa, una sensazione che mai aveva provato prima e che le mancava come l'ossigeno. In quel momento non desiderava altro che tornare in quella città così importante per la sua famiglia, sentiva che se lo avesse fatto in un certo senso avrebbe sentito i suoi genitori più vicini, come se non se ne fossero mai andati. “Tornerò lì, ve lo prometto,” sussurrò, raggomitolandosi in posizione fetale e stringendo l'album al petto. Si lasciò così condurre nel mondo dei sogni, più che mai determinata a mantenere quella promessa, mentre alcune lacrime le inumidivano le guance.




Federico scosse la testa, stizzito. Erano ore che se ne stava seduto a un tavolo isolato del Restò Band ad armeggiare con il suo portatile. Il locale si stava a poco a poco svuotando vista l'ora tarda, ma lui si ostinava a rimanere lì. Aveva provato di tutto e di più, ma ancora non era riuscito a trovare il profilo di Ludmilla su Facebook. Ludmilla Ferro, Ludmilla Supernova e tanti altri tentativi si erano rivelati inutili. Si era persino azzardato a visitare il profilo dei fratelli Galindo, sperando che avessero la ragazza tra gli amici, ma il nulla assoluto. Eppure da voci di corridoio aveva saputo che la Ferro e Diego si fossero frequentati per un certo periodo, si erano però lasciati malissimo e perciò non avrebbe dovuto sorprendersi più di tanto se non l'aveva trovata tra i contatti del ragazzo. Sbuffò sonoramente, facendo un altro tentativo.
“Davvero pensi che una come me si iscriverebbe con un nome così banale?”
Federico sobbalzò, al suono di quella voce cinguettante e ironica a un soffio dal suo orecchio. “Buonasera, Fede,” continuò Ludmilla, sedendosi elegantemente accanto a lui. “Come mai cercavi il mio profilo Facebook?” Gli chiese divertita, ravvivandosi la lunga chioma dorata. Il ragazzo si irrigidì, improvvisamente agitato. Non poteva fare gaffe peggiore, beccato mentre la cercava disperatamente su un social network. Chissà cosa avrebbe pensato di lui ora. “Ciao, Supernova,” mormorò, grattandosi nervosamente il capo. “Cosa ci fai qui a quest'ora?”
“Sono venuta con Ana e Libi,” spiegò la bionda indicando con un cenno le due, sedute a un tavolo poco distante. “Se avessi alzato il capo dal tuo computer un po' prima, ti saresti risparmiato un bel po' di ricerche,” aggiunse con un sorrisetto di scherno. “Già,” concordò Bianchi, sorridendo a fatica, facendo poi per chiudere il portatile, ma la giovane lo fermò. “Aspetta.” Velocemente digitò un insieme di lettere e numeri alquanto particolari e finalmente davanti ai loro occhi apparve il profilo della Ferro. “Eccomi qui,” sorrise, mostrandogli un numero infinito di foto. “Sono perfetta, eh? Chissà che non decida di accettarti tra gli amici, così potrai vedere queste foto tutte le volte che vuoi.” Federico sogghignò, incredulo. “Mi hai preso per un guardone per caso? Se cercavo il tuo profilo era per parlare.”
“Ah si?” Chiese Ludmilla con un sorrisetto, accavallando le gambe e accostando le labbra al suo orecchio. “E di cosa volevi parlare?” Il ragazzo sorrise a sua volta, portandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio e accarezzandole una guancia. “Voglio uscire ancora con te,” ammise, specchiandosi nei suoi occhi scuri. Lei lo guardò, sorpresa. Un attimo prima le era sembrato quasi intimidito dalla sua presenza e ora invece era tornato ad ostentare la sua solita sicurezza, più lo conosceva e più la sorprendeva non c'era che dire. In fondo anche lei voleva rivederlo, quel ragazzo l'aveva colpita come mai nessuno prima di quel momento. “E non sapevi come invitarmi, giusto?” Federico annuì. “Non potevo presentarmi fuori alla tua reggia, mi avrebbero scambiato per un mendicante e cacciato a calci,” proseguì, ridendo della sua stessa battuta. Ludmilla scosse la testa, lasciandosi sfuggire una bassa risatina. “Probabilmente si, ma ora sono qui, perciò puoi dirmi quello che mi avresti detto in chat.”
Il ragazzo prese un profondo respiro, poi tornò a specchiarsi nei suoi occhi scuri. “Mi piaci e vorrei che ci frequentassimo, se a te va bene, ovviamente,” si affrettò ad aggiungere. La bionda esitò qualche istante, poi però annuì. “Sono uscita con persone peggiori.”
“è un modo contorto per dirmi si?” Chiese lui, scettico, facendola scoppiare a ridere. “Mmm...potrebbe,” soffiò, fingendosi pensierosa. Federico la fissò, ammirato. Quando rideva così apertamente la trovava ancora più bella e davvero gli dava l'idea di una Supernova, non poteva esserci soprannome più azzeccato a suo parere. Lentamente accostò il volto al suo, mentre lei lo fissava con un sorrisetto ammiccante. “Cosa vuoi fare, Fede?” Lo provocò, poggiandogli le mani sulle spalle. Lui scosse il capo, poi senza pensarci troppo si avvicinò ancora fino a poggiare le labbra sulle sue. Si scambiarono un dolce e lungo bacio, un bacio che entrambi desideravano già da quel pomeriggio di shopping e che finalmente ora potevano concedersi. “Ecco cosa volevo fare,” sorrise il ragazzo alla fine del bacio. “Davvero interessante,” ammiccò Ludmilla, lasciandogli un altro bacio a fior di labbra.



Lara si strinse meglio nella giacca a vento che indossava, affrettando il passo. Era stanca morta dopo un'intensa giornata di lavoro, ma non aveva alcuna intenzione di prolungare quella passeggiata da sola e al buio. Solo pochi metri la separavano dalla fermata dell'autobus e non vedeva l'ora di raggiungerla, sempre se non l'avesse fatta attendere come spesso capitava. Il solo pensiero di dover aspettare l'autobus insieme a qualche ubriacone la faceva rabbrividire. Normalmente la sera andava a prenderla suo padre o Leon, purtroppo però quel giorno dovevano occuparsi di chissà quali affari e perciò doveva cavarsela da sola. “Tranquilla Lara, andrà tutto bene, in un attimo sarai a casa,” sussurrò tra se e se, mentre finalmente raggiungeva la fermata. Oltre a lei c'erano una donna dall'aria trasandata e un gruppo di barboni che confabulavano. Tremando da capo a piedi, si fermò accanto alla donna, sperando che le scambiassero per madre e figlia e che perciò nessuno le si avvicinasse. Incredibile che una ragazza così fifona e insicura come lei fosse figlia di Fernando Vargas, non aveva ereditato proprio nulla del carattere sicuro e autoritario dell'uomo. Mentre attendeva l'autobus, armeggiava distrattamente con il cellulare, continuando però a tenere sotto controllo il gruppo di barboni e sobbalzando ogni volta che facessero un movimento, tanto che più volte la donna si voltò verso di lei, accigliata. Quanto ci metteva l'autobus ad arrivare?
“Lara!” Esclamò una voce, seguita da un forte clacson. La ragazza sussultò, guardandosi nervosamente intorno. Proprio di fronte a lei si era fermata una macchina e dal finestrino spuntava un volto familiare. Luca. Sgranò gli occhi e assunse la tonalità di un pomodoro, riconoscendo il suo affascinante capo. “Sali, ti do un passaggio,” disse il ragazzo, abbozzando un dolce sorriso che le fece battere forte il cuore. Poteva accettare la sua proposta? Una mezza occhiata verso quelle persone poco raccomandabili le bastò per decidere. Come un fulmine si fiondò verso la macchina di Luca e prese posto sul sedile del passeggero. “Grazie,” balbettò con un filo di voce. Lui annuì, mettendo in moto. “Credevo sarebbe venuto a prenderti tuo fratello, sennò ti avrei accompagnata senza problemi.”
“Lo credevo anch'io, ma ha avuto un impegno improvviso,” spiegò la ragazza, guardando nervosamente fuori dal finestrino. Si sentiva a disagio da sola con lui in uno spazio così stretto. Da quando si erano quasi baciati infatti, si erano evitati come la peste e a malapena si erano parlati, perciò proprio non si aspettava che si sarebbe fermato per darle un passaggio. Probabilmente però la sua doveva essere stata semplice cortesia e preoccupazione per quella ragazzina da sola a quell'ora tarda. Luca la considerava solo una ragazzina, era pronta a scommetterci e sicuramente era felice che quelle due clienti lo avessero fermato in tempo dal commettere una sciocchezza. Avevano troppi anni di differenza, addirittura lei aveva un anno in meno di Camilla, la sua ex ragazza e perciò mai l'avrebbe guardata in maniera diversa. Pensava di essere finalmente riuscita a dimenticare Diego, di aver trovato un ragazzo che la trovasse carina e invece era al punto di partenza. Lei e l'amore procedevano su strade parallele evidentemente.
“Tutto bene?” Chiese Luca all'improvviso, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. “Sembri nervosa.” Lara scosse la testa, sorridendo forzatamente. “Sono solo stanca, oggi è stata una giornata molto faticosa.”
Il ragazzo annuì, anche se poco convinto. Probabilmente come lui anche lei era a disagio a causa di quel quasi bacio. Chissà cosa sarebbe successo se non fossero stati interrotti, se alla fine l'avrebbe davvero baciata o se si sarebbe fermato. Tante volte si era posto quella domanda nei giorni scorsi e se spesso si era costretto ad allontanare quei pensieri, altrettante volte aveva avuto la tentazione di crearsi una nuova occasione per baciarla. Possibile che quella ragazzina gli piacesse davvero? La guardò con la coda dell'occhio e sorpreso, si rese conto che anche Lara guardasse verso di lui, visibilmente imbarazzata. Aveva capito di piacerle e proprio per quello aveva preso le distanze, ma ora la sua sicurezza iniziava a vacillare. Cosa doveva fare? Parcheggiò la macchina sotto casa della ragazza, tornando poi a fissarla, stavolta apertamente e lei fece lo stesso, seppur con meno decisione. “Bè, ehm...grazie per il passaggio,” mormorò, facendo per aprire la portiera, ma lui le prese il polso costringendola di nuovo a voltarsi. “Lara.” Luca avvicinò il volto al suo, poi però all'ultimo deviò verso la guancia lasciandovi un piccolo bacio. “Non c'è di che. Buonanotte,” aggiunse, ricomponendosi e strizzandole l'occhio. “Buonanotte,” deglutì la ragazza, dandosela poi letteralmente a gambe per la vergogna. Luca le aveva dato un bacio. Certo, era sulla guancia, ma si trattava comunque di un bacio, no? Solo dopo essersi chiusa il portone di casa alle spalle, si lasciò sfuggire un piccolo gridolino di emozione, improvvisando una piroetta sul posto. Forse non era tutto perduto, forse una minima possibilità con lui ce l'aveva ancora. “Non mi arrendo, Luca, stavolta no.”



Ehilààà!!
Un capitolo ricco di eventi e svolte questo. Finalmente dopo tanti dubbi, paure e sensi di colpa, Diego e Francesca hanno ammesso i loro sentimenti e sono ufficialmente una coppia *______* passi in avanti anche per i Fedemilla, che si scambiano il loro primo bacio :3 nel frattempo, Lara e Luca iniziano a provare un sentimento sempre più forte l'uno per l'altra e la ragazza è determinata a conquistarlo :3 per quanto riguarda Vilu, ho gli occhi lucidi ogni volta che leggo quel blocco :( sente più che mai la mancanza di German e Maria e il suo più grande desiderio è tornare di nuovo a Venezia, chissà che non sia finalmente arrivato il momento *_____*
ringrazio tutti coloro che leggono e recensiscono la storia, siete sempre dolcissimi!! :3
ah, dimenticavo una cosa. Ho controllato sul calendario e mi sono accorta che i prossimi due giovedì sono Natale e il 1 gennaio. Dato che non voglio farvi aspettare troppo facendo una pausa, ho pensato di aggiornare il 24 e il 31, cosa ne pensate? Fatemi sapere ;)
un bacio, Trilly  

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Capitolo 27
*** Promesse d'amore ***





“Allora? Che ne pensi, papà?” La colazione era da poco iniziata a casa Galindo e mentre Angie rileggeva distrattamente alcuni spartiti che voleva proporre quel giorno ai ragazzi allo Studio, Marco mostrava a Pablo gli argomenti che lui e la sua squadra avevano ripassato per le imminenti olimpiadi di matematica. “Secondo te dobbiamo ripetere anche questi?” Continuò il giovane Galindo, porgendogli una serie di fogli pieni di note, che l'uomo analizzò, interessato. In passato anche lui come suo figlio aveva partecipato e vinto diverse volte quel torneo ed era disponibilissimo a dare consigli e suggerimenti. “Questo lo farei, quest'altro invece no, non è molto quotato di solito.” Marco annuì, prendendo nota concorde. “Hai ragione papà, penso proprio che faremo così. Dopo chiamo Ana e la informo dei cambiamenti.”
Proprio in quel momento giunse in cucina anche Diego, già vestito e pettinato di tutto punto mentre teneva poggiata sul braccio destro la sua amata giacca di pelle. “Buongiorno a tutti,” sorrise, prendendo posto dall'altro lato di Pablo. “Ti vedo allegro stamattina,” notò la Saramego, guardando con curiosità il maggiore dei suoi figli, cosa che a quelle parole fecero anche Pablo e Marco. “Si, è così,” confermò il ragazzo, addentando con gusto un croissant alla crema. “Oggi è proprio una bella giornata.”
“Mi fa piacere che sia così,” sorrise Angie, poggiandogli una mano sulla spalla. “Anche perché oggi volevo proprio ascoltare la canzone che dovevi arrangiare.” A quelle parole Diego sbiancò paurosamente, particolare che non sfuggì a nessuno dei presenti. “Tutto bene?” Chiese Pablo, preoccupato. “Qualche problema con la canzone?” Il giovane scosse la testa, sforzandosi di apparire calmo e disinvolto. “Oh no, credo sia venuta piuttosto bene.”
“Allora perché quella faccia?” Ribattè la bionda, fissandolo scettica. “Sembra che hai appena ingoiato un limone.” Pablo ridacchiò. “Sono d'accordo con tua madre, hai cambiato completamente espressione.” Diego deglutì, mollando il croissant nel piatto e bevendo un sorso di succo d'arancia. Era inutile mentire, tanto prima o poi sarebbero venuti in ogni caso a saperlo e poi ne aveva abbastanza di inventare scuse assurde per vedere Francesca. “Oggi non vengo allo Studio, la canzone te la faccio sentire domani,” disse perciò ad Angie, lasciandola a bocca aperta. “Come? E perché mai? Che devi fare?”
“Non ti sarai messo in qualche guaio,” aggiunse Pablo, abbandonando la colazione e gli appunti di Marco per rivolgere completa attenzione al maggiore dei suoi figli. “Parla, ora.” Persino il più giovane dei Galindo si ritrovò a fissare il fratello, anche se apparentemente disinteressato. Con quelle tre paia di occhi puntati addosso, Diego non potè più prendere tempo e perciò mormorò: “Non ho combinato nessun guaio, se oggi sarò assente è perché passo la mattinata con la mia ragazza.” Come aveva previsto, quelle parole lasciarono a bocca aperta ogni singolo membro della sua famiglia. “E da quando hai una ragazza? Perché non ne sapevo nulla?” Chiese Angie, la prima che riuscì a riprendersi dallo shock di quelle parole. Suo figlio aveva frequentato tantissime ragazze, ma mai aveva fatto intendere di voler avere una storia seria, ne tantomeno in quel periodo. Era convinta infatti che Diego si fosse innamorato di Francesca, come poteva quindi aver cambiato così rapidamente il suo interesse? Si era persa qualcosa?
Marco aveva più o meno la stessa faccia sconvolta della madre e allo stesso tempo, si stava accendendo in lui la speranza che suo fratello avesse perso interesse per la Cauviglia e che quindi avesse ancora la possibilità di riconquistarla. Pablo, a differenza di moglie e figlio, sembrava aver già capito dato che si era fatto di colpo serio. “Da quanto tempo?” La domanda di Galindo senior risuonò più volte nelle orecchie dei presenti, che non poterono fare a meno di fissarlo, stupiti. Diego sospirò, passandosi nervosamente una mano nei capelli. Come aveva previsto, suo padre aveva capito tutto. “Una settimana.”
Dovettero trascorrere ancora diversi secondi affinché anche Angie e Marco capissero la verità. Il ragazzo lesse la comprensione nei loro occhi e quindi si decise a rischiare il tutto e per tutto, confessando il suo segreto. “Si, è vero. Io e Francesca stiamo insieme.”
“CHE COSA?” Esclamò Angie, scattando in piedi e battendo le mani sul tavolo, facendo sussultare tutti i presenti. “Tu e Francesca, insieme?” Il ragazzo annuì. “Abbiamo provato a stare lontani, ma non ci siamo riusciti.”
Marco rise, incredulo. “E ovviamente non vedevi l'ora di sbattermelo in faccia, vero? Mi hai rubato la ragazza! Sei un essere disgustoso!” Fece per fiondarsi verso il fratello, ma Pablo, il più lucido dei presenti, si frappose tra i due prendendo per le spalle il minore. “In casa mia non tollero violenza, sedetevi,” ordinò, fulminandoli con lo sguardo. Seppur indispettito, Marco obbedì. “Ti rendi conto di quello che sta facendo?” Sbottò in ogni caso, mentre Diego lo fissava impassibile e Angie era ancora sotto shock. “La mia ragazza...”
“Se l'avessi amata tanto, non le avresti raccontato del mio piano con il solo proposito di ferirla,” lo interruppe il maggiore dei Galindo, visibilmente stizzito. “L'unica cosa che ti interessava era la vendetta, questo non è amore.” A quelle parole l'altro si aprì in un sorrisetto sprezzante. “è da quando sei così esperto in amore? Hai sempre considerato le ragazze come degli oggetti.” Diego annuì, per nulla colpito da quelle parole, in fondo non erano altro che la verità. “è vero,” confermò, lasciandolo a bocca aperta. “Questo prima di conoscere Francesca e innamorarmi di lei. Si, io la amo.” Un lampo gli attraversò lo sguardo quando ammise i sentimenti che provava per l'italiana, cosa che non sfuggì a nessuno dei presenti. “Diego.” Angie fece per avvicinarsi, ma lui scosse la testa affrettandosi ad indossare la giacca. “Ho bisogno di stare da solo.” I coniugi Galindo si limitarono a dargli il loro consenso con un cenno del capo senza aggiungere altro, cosa che indispettì non poco Marco. “Lo lasciate andare via così? Vi rendete conto di quanto è disgustoso e irrispettoso?” Urlò il ragazzo, agitando le braccia come a voler dare più enfasi alle sue parole. “Quel bastardo mi ha rubato la ragazza e voi non fate nulla? Ma c...”
“STAI ZITTO, MARCO, DACCI UN TAGLIO!” Sia Angie che Marco guardarono Pablo a bocca aperta. Era raro che un uomo controllato come lui alzasse la voce e perciò ogni volta se ne sorprendevano. Incurante di ciò, Galindo senior iniziò a camminare avanti e indietro per la cucina, scompigliandosi nervosamente i capelli. “Non ne posso più di te e di Diego. Io e tua madre abbiamo fatto di tutto per farvi chiarire e non è servito a niente, ora tocca a voi.” Con quelle parole l'uomo se ne andò, mollando madre e figlio da soli in cucina. “Anche tu la pensi così?” Angie guardò Marco per istanti che parvero lunghi minuti, poi annuì. “Diego ha sbagliato, ma anche tu hai le tue colpe e...e in fondo anche io e tuo padre,” continuò, rivolgendosi più a se stessa che al moro, prendendosi il volto tra le mani e strofinandolo con vigore. “Siete entrambi miei figli e non dovrei difendere l'uno o l'altro, ma aiutarvi a chiarire. Sto sbagliando tutto.” Si avvicinò a Marco e spiazzandolo a dir poco, lo stritolò in un forte abbraccio. “Tu e Diego siete la mia vita e non potrei vivere senza di voi. Non troverò pace finché non tornerete uniti come lo eravate da piccoli.”
Le parole di Angie erano così dolci, così malinconiche, eppure mentre la abbracciava il ragazzo si rendeva conto di non provare assolutamente nulla, se non fastidio. Amava sua madre e per lei avrebbe fatto di tutto, ma quello che gli chiedeva era a dir poco impossibile. Lui odiava Diego, lo odiava con tutto se stesso e dopo aver saputo di lui e Francesca quell'odio era cresciuto a dismisura, diffondendosi nel suo sangue come il più tossico dei veleni. Si sarebbe vendicato, in un modo o nell'altro Diego avrebbe pagato tutto con gli interessi e la Cauviglia sarebbe stata di nuovo sua, non aveva alcun dubbio.



“Accidenti,” borbottò Diego, sedendosi sugli ultimi gradini della scalinata del palazzo di Francesca, prendendosi il volto tra le mani. Nella cucina di casa sua aveva ostentato rabbia e sicurezza, cose che in realtà non provava per niente. Da quando era uscito dal carcere e aveva trovato l'ostile accoglienza di Marco, si era formata in lui la convinzione di non meritare di essere trattato in quel modo e che quindi dovesse vendicarsi, ma a poco a poco quelle sue convinzioni stavano iniziando a scricchiolare. Sia Pablo che Angie, anche se in maniera diversa, avevano provato a fargli aprire gli occhi ma lui imperterrito aveva continuato per la sua strada, almeno fino a quella lite a colazione. Le parole di Marco, il modo in cui lui, suo padre e sua madre lo avevano guardato, tutto lo aveva portato a guardare la vicenda da un'altra prospettiva. Lui e Marco erano fratelli, avrebbero dovuto volersi bene, aiutarsi, sostenersi e invece si erano sempre e solo fatti la guerra. Improvvisi flash dell'infanzia e dell'adolescenza gli attraversarono la mente, confermando quel pensiero di cui stava iniziando a convincersi sempre di più. Da che ricordava aveva sempre deriso e umiliato suo fratello, era stato crudele, spietato e lui non lo meritava. Cosa aveva mai fatto di male Marco per essere trattato in quella maniera? A mente lucida si rendeva conto che se ora fossero in quella situazione era per colpa sua e della sua gelosia. Ebbene si, Diego aveva sviluppato quella sorta di ostilità e intolleranza per suo fratello perché era geloso, geloso del suo essere così perfetto. Marco era quello dolce e tranquillo, quello che sua madre tempestava di lodi e baci, quello che suo padre faceva sedere sulle sue ginocchia a guardare la tv, quello che sua nonna Angelica riempiva di caramelle quando l'andavano a trovare e poi era il cugino preferito di Violetta. Tutti avevano sempre preferito Marco a lui, familiari, amici, insegnanti e ciò aveva a poco a poco accresciuto la sua gelosia, tramutandola in odio. Quasi senza rendersene conto, il suo carattere già di per se ribelle si era indurito e aveva tirato fuori il peggio di se. Inizialmente si era limitato a burlarsi di suo fratello con prese in giro e atti violenti, poi tali atteggiamenti li aveva adottati con tutti quelli che ai suoi occhi apparivano troppo perfetti. Da lì la strada per diventare un bullo era stata breve e quando aveva conosciuto Leon, messo decisamente peggio di lui, la situazione era addirittura peggiorata. Diego era cambiato radicalmente, era diventato strafottente, violento, brusco, crudele, senza scrupoli e aveva manipolato tante persone per i suoi interessi. Quante ragazze aveva ferito e illuso solo per portarle a letto, quanti ragazzi aveva picchiato solo perché avevano osato incrociare il suo sguardo e poi c'era Marco e quella gelosia che mai lo aveva abbandonato. Era riuscito a strappargli Violetta, che aveva iniziato a preferire lui, ma tutti gli altri prediligevano ancora suo fratello e non riusciva proprio ad accettarlo, tanto che aveva continuato ad infierire su di lui. Una volta uscito dal carcere pensava di aver superato i suoi problemi, di poter rimediare ai suoi sbagli, ma Marco lo aveva accolto con rabbia e ostilità, dimostrando quanto in sua assenza fosse riuscito a crescere e maturare. Egocentrico com'era, Diego si era convinto di essere lui quello nel giusto e che dovesse rimettere il ragazzo al suo posto, niente di più sbagliato. Dopo tutto quello che aveva fatto passare a Marco, era più che giusto che non si fidasse e che gli fosse tanto ostile. Lui lo aveva ferito, umiliato e nel peggior modo possibile. Il colpo di grazia glielo aveva inflitto quando gli aveva rubato la ragazza. La sua gelosia lo aveva portato a distruggere ogni tipo di legame con suo fratello e mai come in quel momento aveva provato più disgusto per se stesso. Quale fratello si comportava in quella maniera? Senza nemmeno rendersene conto, alcune lacrime presero a scorrergli lungo le guance. Assurdo, lui che mai aveva pianto, in quel momento lo stava facendo e non riusciva a fermarsi. Aveva ragione Marco, era solo un egoista, un essere disgustoso che non meritava nulla. Avrebbe dovuto lasciare in pace Francesca, lei era così dolce e innocente e meritava un bravo ragazzo come suo fratello, loro due erano perfetti insieme. Se solo non si fosse intromesso tra di loro, se solo...
“Diego.” Una confusa Francesca scese gli ultimi gradini che la separavano dal ragazzo, per poi sedersi accanto a lui. “Perchè non mi hai avvisato che eri già arrivato? Sarei...Oh Dio, ma tu stai piangendo,” aggiunse preoccupata, togliendogli le mani dal volto così da poterlo guardare negli occhi. Diego scosse la testa, affrettandosi ad asciugarsi le lacrime. Mai avrebbe voluto che lei lo vedesse in quello stato. “Sto bene, davvero.” Fece per alzarsi, ma la ragazza lo bloccò. “Non ci credo, è di sicuro successo qualcosa. Guardami.” Lui ruotò gli occhi, poi si decise a specchiarsi nei profondi occhi nocciola di Francesca e ciò che vi lesse lo fece sentire ancora peggio. In essi c'era apprensione, agitazione, nervosismo, ma anche amore, amore per lui. Come poteva una come lei amare uno come lui? Lei poteva avere molto di più, eppure era lì e sembrava non avere alcuna intenzione di andare via. “Allora,” riprese Francesca, sfiorandogli una guancia con una leggera carezza. “Me lo dici che ti succede?”
“Sono un essere disgustoso,” sbottò Diego, stringendo forte i pugni e facendola accigliare. “Non capisco.” Lui allora si affrettò a raccontarle della lite con Marco e dei pensieri che ciò gli aveva suscitato. “Ho rubato la ragazza a mio fratello, ti rendi conto? Mi vergogno di me stesso.” Si alzò poi in piedi e uscì dal palazzo, seguito prontamente da Francesca. In effetti lei era sicura che prima o poi avrebbero avuto quella conversazione, anche perché era impossibile che Diego non ci tenesse nemmeno un po' a Marco e ora ne aveva la conferma. Potevano esserci liti, incomprensioni, ostilità, ma il legame fraterno era indistruttibile e valeva anche per loro due. Raggiunse il ragazzo accanto alle cassette della posta, dove si era bloccato come una statua di pietra. “è tutta colpa mia, io ho distrutto il nostro rapporto,” continuò, avendo chiaramente avvertito i passi della mora alle sue spalle. “Come ho potuto essere così lurido ed egoista?” Francesca non disse nulla, limitandosi ad affiancarlo e a poggiargli una mano sul braccio. Avrebbe voluto abbracciarlo, rassicurarlo, ma aveva paura. Diego non si era mai aperto tanto con lei e per quello temeva di dire qualcosa di sbagliato o di risultare invadente. Lui in ogni caso continuò a dire frasi più o meno sconnesse, lanciandole delle occhiate ogni tanto e Francesca, prendendo coraggio lo abbracciò. Si aspettava che la respingesse o che restasse rigido, ma non accadde nulla di tutto ciò dato che lui ricambiò subito quella stretta, quasi ne dipendesse la sua vita. “Io non ti merito, dovresti stare con Marco e...”
“Io non dovrei fare proprio niente!” Sbottò la mora, stringendolo più forte a se. “Capisco i tuoi sensi di colpa, li ho anch'io, ma non ho più intenzione di sacrificarmi.” Sciolse l'abbraccio, così da poterlo guardare negli occhi e aggiunse: “Io ti amo, ma non ti chiederei mai di scegliere tra me e Marco. Sappi però che anche se deciderai di chiudere con me, io non tornerò mai con lui.” Diego annuì, accostando la fronte alla sua. “Anch'io ti amo ed è proprio questo il problema. Il senso di colpa mi divora, ma non riesco a starti lontano.”
“Allora non farlo,” sussurrò lei, mentre il ragazzo si attorcigliava una ciocca dei suoi capelli intorno all'indice. “Ci abbiamo provato a stare lontani e non è servito a nulla. I problemi che hai con Marco non hanno nulla a che vedere con noi due.”
“E quindi che dovremmo fare?” Chiese Diego, ancora visibilmente scettico. Lei scrollò le spalle. “Non sta a me deciderlo, ma a te.” Detto ciò si incamminò lungo il marciapiede con le braccia conserte. Lo amava con tutta se stessa, ma capiva i suoi dubbi, d'altronde si stava parlando di suo fratello e non poteva essere egoista. I problemi tra i due Galindo non erano iniziati per colpa sua, ma era anche vero che la loro relazione aveva peggiorato le cose. “Fran.” Il ragazzo le prese il polso, costringendola a voltarsi verso di lui. “Hai ragione, io e Marco abbiamo problemi da sempre, quello che c'è tra me e te non c'entra nulla.”
“E la conclusione qual è?” Chiese lei, addentandosi nervosamente l'interno della guancia. Diego a sorpresa sorrise, prendendole una mano e stringendola con la sua. “Se sto iniziando a capire i miei sbagli, è solo grazie a te. Tu mi rendi migliore e se ti lasciassi andare commetterei il più grande sbaglio della mia vita. Ti amo, Francesca.” Emozionata, la ragazza si gettò tra le sue braccia. “Ti amo anch'io, scemo,” soffiò al suo orecchio, prima di coinvolgerlo in un lungo bacio. “E ora andiamo, ci aspetta un'intensa giornata,” sorrise la ragazza, prendendolo per mano e conducendolo per le strade della città. “Dove stiamo andando?” Chiese lui, confuso. “Ho lasciato la moto sotto casa tua.”
“Lo so,” annuì lei. “Ma per il posto dove stiamo andando non ci serve.” Diego si fermò di colpo, obbligandola a fare lo stesso. “Che posto?” Le chiese, curioso. Francesca sorrise sibillina. “Non te lo dico, è una sorpresa.” Gli allacciò poi le braccia al collo e aggiunse: “Il mio compito oggi è risollevarti il morale e non mi fermerò finché non ci sarò riuscita.” Il ragazzo sogghignò, facendo sfiorare le loro labbra. “Mmm...è una minaccia per caso?”
“Potrebbe,” ribatté lei divertita, schioccandogli un bacio sulla guancia. “Seguimi e lo scoprirai.” Lui non se lo fece ripetere due volte, circondandole le spalle con un braccio e procedendo al suo fianco, curioso, ma soprattutto profondamente affascinato da come quella ragazza riuscisse a comprenderlo e a farlo sentire meglio. Forse in fondo una predisposizione per l'amore ce l'aveva anche lui.



“Tutto chiaro, Leon?” Chiese allegramente Beto, colpendo il ragazzo con una pacca così forte da rischiare di slogargli una spalla. “Si, certo,” annuì lui, massaggiandosi la zona lesa con una smorfia di dolore. Sin dalle audizioni aveva capito che l'uomo fosse un tipo strano, ma ogni volta che ci aveva a che fare, ora che gli faceva da aiutante ancora di più, restava comunque spiazzato dalle sue stramberie. Beto combinava tantissimi disastri, spesso parlava delle cose più assurde e sembrava vivere in un mondo tutto suo, ma durante le sue lezioni aveva anche dimostrato di essere un autentico genio. Il cosiddetto genio oltre la follia e in un certo senso lo stimava parecchio, peccato che nello spiegare come montare e smontare strumenti non fosse molto chiaro, ma decise lo stesso di annuire, tanto non poteva essere così difficile.
“Fantastico!” Esclamò Benvenuto, battendo forte le mani e saltellando sul posto, finendo inevitabilmente per urtare una chitarra. Fortuna che Leon ebbe i riflessi pronti e la afferrò un istante prima che si schiantasse al suolo. “Oh cielo! Fortuna che ci sei tu, Leon,” sorrise ancora Beto, abbracciandolo di slancio. “Sei proprio un bravo ragazzo.” Il giovane non potè fare a meno di scuotere la testa e ridacchiare, incredulo. Nessuno lo aveva mai definito un bravo ragazzo, lui era sempre stato tutto tranne quello, ma dallo strambo insegnante ci si doveva aspettare quello e molto altro. La lussazione di una spalla e le improvvise dimostrazioni di affetto, ovviamente facevano parte del pacchetto. Appena Beto se ne fu andato per andare a comprare ciambelle o qualcosa di simile, Leon riprese a sistemare gli strumenti come meglio poteva. Così concentrato nel suo lavoro, non si accorse di Violetta ferma sul ciglio della porta che lo osservava con un dolce sorriso. Sarebbe rimasta ore a fissarlo, lui aveva quel particolare modo di corrugare la fronte e di passarsi la lingua sulle labbra quando era molto impegnato in qualcosa e ciò lo rendeva ancora più bello. Quando lo vide dirigersi verso lo stanzino degli strumenti, lo seguì facendo attenzione a non fare rumore. “Chi sono?” Chiese divertita, sollevandosi sulle punte dei piedi e coprendogli gli occhi con le mani. Leon ridacchiò, poggiando le mani sulle sue. “Mmm...vediamo. Mani morbide e profumate, vocina dolce e sexy e...” Spostò le mani fino a poggiarle sui suoi fianchi. “Ah, qui abbiamo anche un bel corpicino. Bè, allora è facile...la mia Vilu,” sorrise, voltandosi verso di lei e lasciandole un bacio a fior di labbra. “Credevo fossi a lezione con tua zia Angie.” Violetta annuì, allacciandogli le braccia al collo e facendo sfiorare i loro nasi. “Abbiamo finito prima e così sono venuta a trovarti. Come va il lavoro?” Chiese, guardandosi intorno con curiosità. Lo stanzino era ancora piuttosto disordinato, però già iniziava ad intravedere un minimo di organizzazione, cosa che a Beto era sempre mancata. Leon scrollò le spalle. “Quell'uomo è un folle, ma è una brava persona. Non posso lamentarmi.” Violetta scoppiò a ridere, sedendosi su un grosso scatolone. “E non hai visto ancora nulla. Beto è capace di tutto. Dovresti vederlo quando passa il camioncino dei gelati o quando inciampa sui cavi delle casse. Il povero zio Pablo non sa più a quale santo rivolgersi per tenerlo buono.” Il giovane si unì alle sue risate, sedendosi accanto a lei. In effetti non faceva molta fatica ad immaginarsi Beto in determinate situazioni e quasi provava pena per Galindo e gli altri professori, costretti a doversi confrontare continuamente con le sue stramberie. “Solo un tipo del genere poteva definirmi un bravo ragazzo,” commentò divertito, incrementando le risate di Violetta. “Un bravo ragazzo? Tu? Con questa, Beto si è superato.” Gli scompigliò poi teneramente i capelli, continuando a ridere. “Senza offesa, ma dire che tu sei un bravo ragazzo è come dire che mia nonna è di larghe vedute.”
“Ma sentitela,” sbottò Leon, fingendosi offeso. “Tu dovresti difendermi e dirmi che sono buono come un angelo e invece sai solo disprezzare.” Di tutta risposta, la giovane rise incredula. “Buono come un angelo? Nemmeno quando dormi lo sei, Leon Vargas. So per certo che fai dei sogni pervertiti.” Vargas scoppiò a ridere, accostando poi le labbra al suo orecchio. “Non lo nego, i miei sogni sono molto pervertiti e indovina chi è la mia partner?” Soffiò maliziosamente, facendola avvampare. “Tu sei cos...”
“Smettila, non aggiungere altro!” Sbottò la ragazza, dandogli uno scappellotto dietro la nuca, facendolo ridacchiare. “Hai un solo pensiero in testa.”
“Sei tu che hai tirato in ballo l'argomento, cara Vilu e ti dico subito perché.” Le sollevò il mento, così da specchiarsi nei suoi occhi castani. “Sei pazza di me e non puoi fare a meno di immaginarci in quell'ambito,” la provocò, beccandosi un altro schiaffo. “Ma quanto sei volgare, non hai nemmeno un po' di tatto.” Si alzò in piedi con la chiara intenzione di uscire dallo stanzino, ma Leon le prese il polso, costringendola a voltarsi. “Dai Amore, scherzavo.” Lei si accigliò, incrociando le braccia al petto. “Non si direbbe.”
“Sarebbe peggio se parlassi di un'altra, no?” Violetta scosse la testa, divertita. “Come devo fare con te, come?” Lui si limitò a sorridere, attirandola a se e facendo combaciare le loro fronti. “Lo sai che ti adoro, Violetta Castillo. Per me esisti solo tu.” La giovane sorrise emozionata, sfiorandogli una guancia con una leggera carezza. “Oh Leon, lo stesso vale per me.” Lo baciò con passione e lui corrispose prontamente, stringendola forte a se. Continuando a baciarla, Leon chiuse la porta dello stanzino con un piede. Sia mai che a qualche scocciatore fosse venuto in mente di entrare lì dentro. Lui e Violetta si meritavano un momento tutto per loro. Indietreggiò fino a sedersi sullo scatolone, facendo poi accomodare la ragazza sulle sue gambe, mentre il loro bacio si faceva sempre più profondo e appassionato. Le mani scorrevano lungo la sua schiena, quelle della ragazza invece si intrecciarono nei suoi capelli. Ai baci alternarono dei piccoli morsi, ma nemmeno per un attimo staccarono le loro labbra. Erano troppo dipendenti l'uno dall'altra per farlo. Quando però iniziò a mancargli il fiato, Leon scese a lasciarle una lunga scia di baci sul collo, che la portarono a socchiudere gli occhi e a sospirare. “Leon, non fermarti.” Lui sorrise, scostandole di poco la maglietta, così da poter continuare la sua opera sulla spalla sinistra.
“Vilu, sei qui dentro?”
I due sobbalzarono letteralmente al suono di quella voce e si affrettarono ad alzarsi, imbarazzati. Un istante dopo, Camilla aprì la porta dello stanzino. “Vilu, io...” Quando notò anche Leon, avvampò di colpo. “Oh, ehm...scusate. Non sapevo che...”
“Tranquilla Cami, non preoccuparti,” la rassicurò Violetta, andandole incontro. “è successo qualcosa?” La rossa scosse la testa, ancora visibilmente a disagio per aver interrotto lei e Leon. “Hai dimenticato questa nell'aula di canto,” spiegò, porgendole una busta giallo canarino. “Ho lezione con Jackie tra dieci minuti e non sapevo dove lasciartela, ho pensato che fosse importante.” Violetta impallidì quando riconobbe la busta e per quello si affrettò a stringerla forte a se. “Grazie Cami, l'avevo completamente dimenticata.” L'altra annuì, divertita. “Lo avevo pensato. Ora vi lascio alla vostra intimità,” proseguì guardando anche Leon, che si limitò a strizzarle l'occhio.
“Cos'è quella busta?” Chiese curioso, un attimo dopo che la Torres si fu chiusa la porta alle spalle. Violetta sospirò, aprendo poi la busta e tirando fuori un album rilegato con un pregiato tessuto rosa confetto. Era l'album di nozze di German e Maria. Anche se non lo aveva mai visto, a Leon bastò una mezza occhiata per capirlo. “Sentivo il bisogno di averlo con me e così me lo sono portato dietro,” spiegò la ragazza, iniziando a sfogliarlo in maniera lenta e distratta. “Più guardo queste foto e più mi sembra di avvicinarmi a loro.” Silenziosamente, Leon la raggiunse e prese a guardare le foto oltre le sue spalle. Nessuno più di lui sapeva quanto Violetta avesse sofferto per la morte dei suoi genitori. L'aveva conosciuta proprio pochi mesi dopo e ricordava di aver pensato di trovarsi di fronte una ragazza devastata, priva di vita e di speranza. A modo loro lui e Diego l'avevano aiutata a ricominciare a vivere, ma nonostante tutto, l'ombra che aveva visto nel suo sguardo quando il maggiore dei Galindo li aveva presentati, non era mai sparita, era sempre lì nascosta dietro un sorriso o uno sguardo dolce. La perdita di un genitore provocava una ferita profonda e lui che aveva perso sua madre lo sapeva bene, ma la Castillo li aveva persi addirittura entrambi e in un'età in cui era pienamente cosciente, perciò poteva solo immaginare l'immenso vuoto che si portava dietro. Faceva tutto il possibile per amarla e per renderla felice, ma si rendeva conto che nemmeno lui poteva colmare il vuoto lasciato da German e Maria. Violetta si sarebbe portata quella ferita per tutta la vita e l'unica cosa che lui poteva fare, era starle accanto e restituirle quel sorriso che i brutti pensieri ogni volta le strappavano via. Convinto di ciò, le circondò la vita e poggiò il capo sulla sua spalla. La ragazza che amava non avrebbe più subito un dolore così grande, avrebbe fatto di tutto per evitarlo, era una promessa. Leon impiegò diversi minuti per rendersi conto che Violetta si fosse fermata a fissare una foto in particolare, una foto fuori a una grande terrazza. Il panorama che si vedeva oltre di essa era uno dei più belli che avesse mai visto. German e Maria erano appoggiati con la schiena contro la ringhiera ed entrambi tenevano una mano sul grembo della donna, mentre due grandi sorrisi illuminavano i loro volti giovani, raggianti e innamorati. Se li osservava attentamente, poteva notare dei particolari della sua Violetta in loro ed era sicuro che anche lei li vedesse. “Questo è l'albergo dove alloggiavano in viaggio di nozze,” sussurrò Violetta, continuando a guardare la foto come ipnotizzata. “Mi dicevano sempre che io scalciavo molto in quel periodo e in un certo senso l'ho fatto anche quando ci siamo ritornati. Lì siamo stati felici, tutti e tre.” Leon strinse più forte la ragazza a se e socchiuse gli occhi. Ovviamente già alla prima occhiata aveva capito che posto fosse quello della foto e non solo a causa dei racconti di Violetta, ma anche e soprattutto per il modo in cui lei guardava quella foto, come se desiderasse essere divorata da essa. Venezia era stata importante per lei e i suoi genitori e sapeva quanto desiderasse ritornarci. “L'anno prossimo, quando il nostro percorso allo Studio sarà finito, ti ci porto, Amore, te lo giuro,” le promise, lasciandole un dolce bacio sul capo. Violetta annuì, voltandosi e rifugiandosi tra le sue braccia. “Grazie, Leon,” balbettò, strofinando il volto contro il suo petto. “Stringimi forte, ti prego.” “Sempre, Amore, sempre,” assicurò lui, stringendola maggiormente a se. “Promettimi che tu non mi abbandonerai,” sussurrò Violetta, lasciandosi poi sfuggire un singhiozzo. “Non potrei sopportare di perdere anche te.”
“Violetta.” Leon sciolse l'abbraccio e le prese il volto tra le mani. “Io non ti abbandonerò mai, ti starò accanto finché non sarai tu ad allontanarmi, te lo prometto.”
Violetta sorrise, accostando la fronte alla sua. “Non potrei mai allontanarti, sei tu la mia forza. Ti amo,” aggiunse, a un soffio dalle sue labbra. Lui sorrise, accarezzandole dolcemente una guancia. “E io amo te, Vilu.” Si scambiarono un dolce e lungo bacio, poi Leon tornò a stringerla tra le sue braccia. Con la coda dell'occhio notò l'album poggiato sullo scatolone, quell'album che conteneva i ricordi più belli di quella famiglia che ormai non esisteva più e un'ombra di malinconia gli attraversò lo sguardo. Le cose non dovevano andare in quel modo, Violetta non avrebbe dovuto perdere i suoi punti di riferimento così presto. A tredici anni una ragazza aveva ancora bisogno di qualcuno a cui chiedere consiglio e da cui farsi aiutare e proteggere, ma il destino aveva crudelmente deciso di farla crescere troppo in fretta e Leon non lo poteva sopportare. La sua Violetta non avrebbe dovuto mai soffrire, lei doveva sempre sorridere e godersi la vita sia per se stessa che per i suoi genitori. Sicuramente loro da lassù l'avrebbero voluta vedere andare avanti e costruirsi un futuro felice e sereno e lui voleva davvero aiutarla a fare ciò, ma sapeva che prima ci fosse un altro importante passo da compiere: Violetta doveva andare a Venezia, visitare quei luoghi dove lei e la sua famiglia erano stati felici e in un certo senso dirgli finalmente addio. Solo così poteva poi voltare pagina e affrontare tutto con più serenità e lui l'avrebbe aiutata, costi quel che costi. “Andrai a Venezia, Vilu, te lo prometto.”




Come vi avevo anticipato, ho postato in anticipo dato che domani è Natale e ne approfitto per augurare a tutti buona Vigilia e buon Natale :3
Alloraaaa, capitolo molto particolare questo. Marco e i genitori Pangiosi apprendono di Diego e Fran e da lì parte una dura lite tra i due fratelli, che fa nascere in Diego una grande dose di sensi di colpa, oltre ovviamente a rievocare la vera ragione dei loro problemi, la gelosia. Per fortuna che Francesca è lì pronta ad ascoltarlo e a consolarlo, oltre ovviamente a tirare fuori il meglio di lui awwwww :3
Momento molto awwww per i Leonetta, tra cui c'è un intesa sempre più forte e si aggiungono anche importanti tasselli sulla questione Venezia. Vilu ha bisogno di andarci per dire una sorta di addio ai suoi genitori e ricominciare così a vivere e Leon, è determinato a sostenerla e ad accompagnarla awwwwww :3
vi ringrazio per il vostro immancabile affetto e vi faccio ancora tanti auguri!! :3
Trilly


 

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Capitolo 28
*** Buoni propositi ***





“Cos'è quella faccia? Qualche problema?” Chiese Pablo confuso, notando Gregorio Casal che camminava avanti e indietro per la sala teatro, guardandosi intorno con aria critica. “I ragazzi stanno provando, è per questo che c'è un po' di disordine,” si giustificò Galindo, grattandosi nervosamente il capo. Il professore di matematica annuì distrattamente, continuando a storcere il naso. Fosse stato per lui avrebbe abbandonato quello squallido posto all'istante, purtroppo però le aule della sua scuola avevano ancora un problema di sovraffollamento e perciò quella era l'unica alternativa che gli restava per preparare la sua squadra all'imminente torneo. “Si, certo,” disse perciò, lasciando la sala e mollando Pablo da solo come un ebete. Che tipo strano era quel Casal, più ci aveva a che fare e più se ne convinceva. E dire che suo figlio Marco lo stimava tanto.
“Pablo.” L'uomo si voltò di scatto, andando poi incontro a una piuttosto nervosa Angie. “I tuoi figli!” Sbottò la bionda, agitando le braccia in maniera così frenetica che lui dovette scansarsi per evitare una gomitata. “Non so più cosa fare con loro, mi mandano in bestia!”
“Angie, calmati,” disse Pablo, prendendola per le spalle. “Raccontami cos'è successo.” Seppur stizzita perché suo marito le avesse ordinato di calmarsi, la donna decise di sorvolare affrettandosi a raccontargli di ciò che era appena accaduto nella sua aula. “Hanno litigato ancora e per poco non sono arrivati alle mani. Se non fosse intervenuto Beto ad aiutarmi, a quest'ora sarebbero all'ospedale.”
“Il motivo immagino che...” iniziò lui, facendola prontamente annuire. “Francesca, sempre lei. Da quello che ho capito, Diego stava messaggiando con lei e ne parlava con Leon. Marco li ha sentiti e da lì è partita la lite,” continuò Angie, gettandosi poi tra le braccia del marito. “Cosa dobbiamo fare, non ce la faccio più.” Pablo annuì, accarezzandole dolcemente la schiena. “Continuo a pensare che dovrebbero mettere da parte tutto quel risentimento e parlarsi apertamente, ma forse noi possiamo aiutarli.”
“Come?” Chiese curiosa la bionda, sciogliendo l'abbraccio ma continuando a tenergli le braccia allacciate al collo. “Hai qualche idea?”
“Forse si,”spiegò l'uomo, aprendosi in un grande sorriso. “Ricordi che volevamo fare una vacanza di famiglia? Potrebbe essere l'occasione per Marco e Diego di passare un po' di tempo insieme e di chiarirsi finalmente.” Le sorrise incoraggiante, ma Angie era ancora visibilmente scettica. I loro figli avrebbero accettato di partire insieme? C'era anche solo una minima possibilità che chiarissero? Ora che Diego aveva iniziato a frequentare Francesca, ne dubitava sempre di più. “Ehi, Angie.” Pablo le sollevò il mento con due dita, costringendola a specchiarsi nei suoi occhi scuri. “Fidati di me, risolveremo tutti i nostri problemi, te lo prometto.” Lei sorrise, lasciandosi poi avvolgere di nuovo tra le sue braccia. “Possiamo partire per Natale, dobbiamo solo scegliere la meta.”
Leon, che stava per entrare nella sala per recuperare degli strumenti per Beto, ascoltò inevitabilmente l'ultima parte di conversazione e si bloccò di colpo. Nella mente gli stava frullando un'idea improvvisa. “Volete fare un viaggio?” Chiese, aprendo la porta e facendo voltare di scatto i due verso di lui. “Leon,” iniziò Galindo, accigliato. “Non dovresti essere a lezione?” Il giovane scosse il capo, avanzando verso di loro. “Il viaggio, lo volete fare davvero?” “Perchè ti interessa?” Ribattè Angie, con il solito tono combattivo. “Hai qualcosa da ridire?” Leon sgranò gli occhi, sorpreso da quell'improvvisa ostilità e probabilmente avrebbe detto qualcosa se Pablo non si fosse frapposto tra i due. “Dobbiamo risolvere i problemi dei nostri figli, so che non puoi capire l'importanza che...” Iniziò, ma Vargas lo interruppe con un gesto della mano. “Invece capisco eccome. Sono i vostri figli, è normale che li vogliate uniti,” continuò, recuperando una sedia e sedendosi comodamente, mentre i due lo fissavano a bocca aperta, sicuri di aver capito male o semplicemente che Leon Vargas avesse preso un colpo in testa. “Bè, perché mi guardate così?” Chiese il ragazzo, inconsapevole che fossero state proprio le sue parole a scioccarli tanto. “Ehm, niente,” balbettò Pablo, sedendosi a sua volta di fronte a Leon e invitando Angie con lo sguardo a fare lo stesso. “Immagino che tu voglia dirci qualcosa, non ci avresti interrotti altrimenti, no?” Iniziò l'uomo, facendolo prontamente annuire. “Sei un tipo sveglio, Pablo, l'ho sempre detto,” sorrise divertito, per poi riprendere. “L'idea del viaggio arriva proprio al momento giusto, infatti c'è qualcun altro che ne avrebbe un gran bisogno.”
“Cioè?” Chiese Angie, decisamente meno ostile e più interessata. Leon spostò lo guardo dall'uno all'altra, facendo schioccare la lingua, soddisfatto di essere riuscito a suscitare la curiosità dei suoi interlocutori. “Violetta. Ha bisogno di andare a Venezia, sapete quanto è importante per lei e...sarebbe l'occasione perfetta per risolvere in un solo colpo i problemi tra Diego e Marco e permettere a Vilu di regolare i conti con il passato.”
Pablo e Angie lo fissarono a lungo, completamente spiazzati. Entrambi conoscevano molto bene il desiderio di Violetta di tornare a Venezia, quella città dove aveva vissuto gli ultimi momenti felici con la sua famiglia e in effetti loro potevano davvero intervenire in prima persona per aiutarla. “Mi sembra una grande idea,” sorrise Pablo, progettando già di andare a prenotare il volo e l'albergo per la sua famiglia e la giovane Violetta. “A tutti noi serve una vacanza per staccare la spina e sono sicuro che anche Vilu sarà felicissima di andare a Venezia.”
Se Leon annuì concorde, Angie scattò il piedi camminando nervosamente avanti e indietro per la sala. “Forse sei un po' troppo precipitoso,” disse al marito, che si accigliò. “Precipitoso? Ma se fino a poco fa eri d'accordo per il viaggio.”
“Infatti è così,” confermò la bionda, fermandosi di colpo e fissandolo seria. “Ma penso che dovremmo parlarne prima con i ragazzi riguardo la meta e poi...e poi magari Vilu non vuole andarci con noi e...” Angie continuò a straparlare, motivando il suo dissenso con le scuse più assurde, tanto da confondere sia Pablo che Leon. Perché la donna era tanto nervosa e agitata? Si aspettavano che avrebbe mostrato un grande entusiasmo nel poter aiutare sua nipote ad affrontare il passato che riguardava Maria e German, invece sembrava quasi spaventata all'idea. Preoccupato, Pablo raggiunse la moglie l'abbracciò. Chiaramente andare in un luogo che aveva rappresentato tanto per sua sorella doveva essere triste per Angie, come aveva fatto a non pensarci? Anche se lei non aveva visitato personalmente la città italiana, aveva però visto foto e video e perciò ogni luogo le avrebbe ricordato Maria, facendo nascere in lei una profonda tristezza e malinconia, cosa che voleva assolutamente evitare. Quel viaggio doveva portare serenità non solo ai ragazzi, ma anche a lui e a sua moglie e non se lo sarebbe mai perdonato se al contrario la sua Angie avesse sofferto. Avvertire le sue esili braccia circondargli la vita con così tanta decisione, gli confermò quanto lei fosse vulnerabile in quel momento. Sua moglie non era pronta ad affrontare quel passato, la sua ferita non si era ancora rimarginata. Ricordava perfettamente come stava dopo la morte di Maria, era sempre così triste, apatica, assente. Per mesi era andata da uno psicologo insieme ad Angelica e Violetta, mentre lui stava a casa con Marco e Diego se ne andava in giro chissà dove. Era stato un periodo buio, uno dei peggiori della sua vita, quello in cui per la prima volta aveva pensato davvero di non riuscire a reagire. Lui e Angie ne erano usciti fuori a fatica e se erano stati in grado di non far pesare troppo la cosa a Marco, Diego al contrario si era allontanato sempre di più. Il ragazzo non li ascoltava, rispondeva male, era sfuggente, aggressivo, mentiva in continuazione e con se aveva trascinato anche la vulnerabile Violetta, la quale doveva aver visto nel cugino la sola speranza per combattere il suo dolore. La morte di Maria e German aveva fatto a pezzi tutto quello che restava della loro famiglia e se alcuni frammenti a fatica si erano riuniti, restavano ancora tanti altri da sistemare e dovevano trovare il modo di farlo. “Se ti fa stare male andare lì, noi possiamo andare da un'altra parte,” sussurrò dolcemente Pablo all'orecchio della moglie. Angie scosse la testa, stringendosi maggiormente a lui. “No, per Vilu è importante e...e potrebbe esserlo anche per me.” Non ne era convinta al cento per cento, d'altronde andare a Venezia la terrorizzava, ma si rendeva anche conto di quanto lei e sua nipote ne avessero un grande bisogno. Era ora di affrontare quel passato che tanto le aveva fatte soffrire, così da prenderne consapevolezza, accettarlo e riuscire finalmente a guardare al futuro con serenità. “Andiamo,” disse perciò alla fine, sciogliendo l'abbraccio e sorridendogli oltre gli occhi lucidi. “Non credevo lo avrei mai detto,” continuò, rivolgendosi a Leon. “Ma hai ragione, tutti noi dobbiamo affrontare le nostre paure.”
“Questa è musica per le mie orecchie. Puoi ripeterlo?” Sogghignò Leon, beccandosi un'occhiataccia dalla bionda, mentre Pablo ridacchiò. “Ho detto che hai ragione stavolta, non sempre,” si affrettò a precisare, scatenando l'ilarità del giovane. “Tranquilla, non ho mai pensato il contrario.” Incredibilmente si ritrovarono tutti e tre a ridere, dimenticando almeno per il momento chi fossero e quanto si differenziassero per modo di pensare e agire. Per anni i coniugi Galindo avevano attribuito a quel ragazzo la colpa per il comportamento di Diego, ma ora tutto sembrava appartenere a un'altra vita dato che per la prima volta desideravano la stessa cosa: ricucire il rapporto tra Marco e Diego e realizzare il sogno di Violetta.



Francesca sorrise, affrettando il passo per evitare di essere colpita da una pallonata. Possibile che quei ragazzini non avessero niente di meglio da fare che giocare a calcio tutto il giorno? Le persone come lei che non sapevano fare nemmeno un palleggio, per passeggiare per il parco dovevano puntualmente mettere a rischio la loro vita? In ogni caso, almeno quel giorno non era interessata a imprecare contro quei ragazzini, anche perché aveva già riconosciuto la testa mora di Diego, seduto su una panchina a diversi metri da lei.
“Ciao,” mormorò con un grande sorriso, quando lo ebbe raggiunto. Diego sollevò il capo sorpreso, poi però sorrise. “Ciao, Bambolina.” Francesca subito gli si sedette accanto, fissandolo attentamente. “Mi devi dire qualcosa? Sembri pensieroso.” Lui scosse la testa, circondandole le spalle con un braccio e attirandola a se. “Ho litigato con Marco, la solita routine,” spiegò, intrecciando distrattamente le dita tra i suoi lunghi capelli corvini. “Sicuro?” Insistette lei, apprensiva, invitandolo con un gesto della mano a guardarla negli occhi. Il ragazzo lo fece, rivolgendole un mezzo sorriso. “Non devi preoccuparti di nulla, davvero,” la rassicurò, accostando la fronte contro la sua. “Se devo litigare costantemente con Marco per stare con te, mi va più che bene,” aggiunse malizioso, facendo sfiorare le loro labbra. Francesca sorrise, allacciandogli le braccia al collo e assecondando prontamente il bacio, che subito si fece profondo e appassionato. Le braccia di Diego nel frattempo le avevano avvolto la vita, stringendola a se in maniera possessiva, cosa a cui a poco a poco la ragazza si stava abituando, scoprendo quanto ciò le piacesse. Ancora non le sembrava vero che lei e il suo primo amore stavano insieme. Per anni ci aveva fantasticato, convinta che mai sarebbe accaduto e invece ora era lì tra le sue forti braccia a baciarlo con trasporto. Diego dal canto suo stava vivendo un qualcosa di completamente nuovo. Quello che sentiva per la Cauviglia non lo aveva mai provato prima; non era solo attrazione, era anche bisogno di proteggerla, di renderla felice. Con le altre era sempre andato dritto al sodo, incurante dei loro sentimenti, con Francesca invece non accadeva, con lei voleva anche parlare, stringerla a se, condividere un hobby, conoscerla il più possibile. Stava scoprendo cose nuove che non aveva mai considerato, primo su tutti che l'amore non fosse tanto diverso dall'amicizia, anche in quel caso bisognava coltivare il rapporto, condividere qualcosa e perché no, si poteva ridere e scherzare come si faceva con un amico o con una cugina.
“Mmm...hai un buon profumo,” sussurrò Diego, annusandole la zona del collo sotto l'orecchio, facendola rabbrividire. Prima che lei potesse dire qualsiasi cosa, iniziò a lasciarle una serie di piccoli e infuocati baci. Anche Marco a volte le aveva baciato il collo, ma le sensazioni che avvertiva in quel momento per lei erano inedite. Era normale che sentisse caldo e freddo allo stesso tempo e che non riuscisse a muovere un muscolo, come se fosse stata colpita da un incantesimo congelante? Quasi istintivamente chiuse gli occhi e girò il capo di lato, esponendo maggiormente il collo verso il ragazzo. A poco a poco un pensiero si fece strada nella sua mente, ossia che Diego non si fermasse e al contrario continuasse a sfiorarle con le labbra ogni centimetro di pelle. Quel pensiero la fece arrossire di colpo, ma si sforzò di allontanarlo immergendo le dita nei capelli del ragazzo, scoprendoli incredibilmente morbidi e setosi. Diego risalì poi fino alle sue labbra, coinvolgendola in un nuovo bacio.
Quando Leon, Violetta, Camilla e Seba giunsero sul posto, essendo stati invitati precedentemente dal giovane Galindo, li trovarono avvinghiati come due ventose e non poterono fare a meno di sorridere. I due ragazzi erano piuttosto divertiti, mentre le loro fidanzate erano euforiche per l'amica, che finalmente aveva smesso di soffrire ed era felice con colui che amava. Sapere poi che fosse stato in parte merito loro, gli riempiva cuore di gioia. “Forse dovremmo lasciarli da soli,” disse Violetta, guardando i due piccioncini con un sorriso sognante. “Mmm...assolutamente no!” Ribattè Leon, con un sorrisetto malandrino. “Hai dimenticato quante volte lui ci ha interrotto? Dobbiamo restituirgli il favore, giusto Seba?” Aggiunse guardando il moro, che nonostante l'occhiata ammonitrice di Camilla, ridacchiò. “Non ho mai visto Diego Galindo imbarazzato.” Vargas sorrise soddisfatto, circondando le spalle del ragazzo con fare cospiratore. “Andiamo a vederlo allora, socio.” Nonostante le proteste di Violetta e Camilla che tentarono in tutti i modi di fermarli, i due ragazzi si avvicinarono alla panchina dove erano Diego e Francesca, che sentendo delle voci si staccarono di colpo, voltandosi verso di loro. Se la Cauviglia si fece rossa come un pomodoro, Galindo abbozzò un ghigno sfrontato. “Speravate davvero di spaventarci facendo tutto questo baccano?”
Le tre ragazze scoppiarono a ridere, mentre Leon e Seba scossero la testa, divertiti. “Tutta colpa delle nostre fidanzate, che non sono capaci di fare uno scherzo come si deve,” commentò il primo, sedendosi accanto a Francesca ed invitando la Castillo a prendere posto sulle sue ginocchia. “Allora,” riprese, guardando l'italiana con un sorrisetto. “Come si sta comportando Dieguito? Se fa il bastardo non farti problemi a dirmelo, lo rimetto in riga io.” Quelle parole scatenarono l'ilarità generale, compresa quella del diretto interessato che lo colpì con uno scappellotto oltre le spalle di Francesca. “Io sono un angioletto, quello bastardo sei tu.” Continuarono a ridere e scherzare, poi Camilla che insieme a Seba aveva preso posto accanto a Diego, cambiò completamente argomento. “Incredibile come sono cambiate le cose in questi mesi. Vi ricordate la scorsa estate?” Proseguì, rivolgendosi a Violetta e Francesca, che annuirono concordi. Come dimenticarlo? All'epoca la Castillo soffriva a causa di Leon ormai in carcere, convinta che mai sarebbero tornati insieme e la Cauviglia era fidanzata con Marco, pensando davvero di aver trovato il suo grande amore. “Io, Marco e Thomas eravamo tanto amici,” ricordò Seba con una traccia di malinconia. “Ora a malapena ci salutiamo, mi considerano un traditore.”
“E perché mai?” Chiese Leon confuso. L'altro rise amaramente. “Perchè non sono stato ostile con te e Diego come invece hanno fatto loro.”
“A volte quando li incontriamo fanno finta di non vederci,” aggiunse la Torres, storcendo il naso. “Tra loro e le mie amiche era ovvio chi avrei scelto.”
“Non capisco perché l'hanno presa così sul personale,” commentò Violetta. “Thomas lo sapeva che non ci fossero speranze per noi due, così come lo sapeva Marco, perciò...”
“Non sei tu la persona con cui ce l'hanno,” la interruppe Francesca, scuotendo il capo. “Vi hanno escluso perché continuate ad essere miei amici. Me lo ha detto Ludmilla l'altro giorno,” spiegò, stupendo tutti i presenti. “Ludmilla?” Chiese Diego, una volta ripresosi dallo shock. “E da quando voi due vi parlate? Ti ha attaccata in qualche maniera?”
La ragazza scosse la testa. “In realtà no. L'ho incontrata per strada, era insieme al ragazzo del torneo, Federico. Ci siamo fermate a parlare ed è stata quasi simpatica. Mi ha detto di aver sentito alcuni allo Studio parlare di me, ma in fondo non sono sorpresa, me lo aspettavo.”
Nonostante Francesca apparisse abbastanza tranquilla e per niente ferita da ciò che aveva scoperto, Diego non potè non sentirsi in parte colpevole. Lui era il motivo per cui Marco e Thomas la odiavano. “è colpa mia,” ammise perciò guardando la sua ragazza, che scosse la testa. “Ti sbagli. Io e Thomas non siamo mai stati così amici, perciò non dovrebbe nemmeno permettersi di giudicare le mie scelte. Per quanto riguarda Marco, è risentito, ferito, un po' lo capisco, ma non è colpa mia se non lo amo più,” concluse con una tale sicurezza che normalmente poco le si addiceva. Inizialmente infatti ci era rimasta male, ma poi riflettendoci si era resa conto di non aver fatto nulla di male se non seguire il suo cuore. Non poteva colpevolizzarsi per tutta la vita solo perché gli altri pensavano che dovesse farlo, non era per niente giusto. Gli amici subito le si dimostrarono solidali e lo stesso Diego sorrise, attirandola contro il suo petto. “L'ho sempre detto che Heredia è un idiota,” commentò Leon, giocherellando distrattamente con una ciocca di capelli di Violetta. “Non è cattivo e nemmeno Marco lo è, sono solo feriti,” ribattè Violetta, sicura. Conosceva molto bene suo cugino e in fondo non lo biasimava, così come Thomas; dopo tutto quello che Leon e Diego gli avevano fatto passare sfidava chiunque a reagire diversamente. Seba, capendo che sarebbe potuta scoppiare una discussione, il lampo che attraversò lo sguardo di Vargas era piuttosto eloquente, si affrettò ad intervenire. “In giro si dice che Leon e Francesca potrebbero diventare parenti,” buttò lì, incuriosendo tutti tranne i diretti interessati, che ridacchiarono. “Si, Luca e Lara si sono avvicinati molto,” ammise l'italiana e Leon annuì. “Mia sorella si è presa una cotta colossale per il Cauviglia grande,” commentò divertito. “Se son rose fioriranno.”
Tutti reagirono positivamente alla notizia, soprattutto considerato quanto entrambi i giovani fossero sempre stati sfortunati in amore, l'unica a restarsene in silenzio fu Camilla. Non sapeva dire perché, ma la cosa le causava una sorta di fastidio alla bocca dello stomaco. Aveva notato che la sorella di Leon fosse interessata a Luca, ma era convinta che lui non la ricambiasse. Si trattava comunque di una ragazzina, troppo piccola per lui. Doveva però anche riconoscere che non fosse affare suo chi frequentava Luca, dopotutto non stavano più insieme. Lei stava con Seba e lo amava, ma se era così perché sapere che Cauviglia potesse essere interessato a un'altra l'aveva turbata tanto?



“Quanto odio il caldo!” Sbottò Ludmilla stizzita, legandosi la lunga chioma dorata in una coda alta, mentre Federico la fissava con un sorrisetto stampato in faccia. Erano nell'aula di musica e la ragazza stava componendo una canzone alla tastiera, annotando di tanto in tanto delle note su uno spartito. Lui era venuto allo Studio per una riunione con la sua squadra di matematica e quando si era conclusa, l'aveva prontamente raggiunta e rapito, la osservava comporre. Gli piaceva troppo la voce di Ludmilla, era forte e allo stesso tempo dolce e poi ostentava quella sorta di sicurezza che aveva sempre ricercato in una ragazza. Nonostante l'ambiente da cui provenisse, Federico non era mai stato un tipo particolarmente modesto, al contrario mostrava sempre un velo di arroganza e la sua partner ideale avrebbe dovuto somigliargli in tal senso. Pochi giorni in compagnia di Ludmilla Ferro, gli erano bastati per capire che lei fosse quella giusta e mentre gli rivolgeva un sorriso luminoso e la sua voce gli risuonava nelle orecchie, se ne convinceva ancora di più.
“Ehi Fede, a cosa pensi?” Chiese curiosa la ragazza, interrompendosi a metà dell'ultima strofa, avendo notato il modo in cui lui la guardava. Federico scrollò le spalle, poggiando le mani sulla tastiera e sporgendosi verso di lei. “Pensavo a te e a quanto mi piace guardarti,” ammise con un sorrisetto sfrontato, ma lo stesso il suo sguardo fu attraversato da un lampo di leggero imbarazzo. Mai nessuna ragazza gli era piaciuta come lei, tutte quelle emozioni per lui erano nuove e in fondo gli facevano anche un po' paura. Ludmilla ammiccò, avvicinando il volto al suo. “Non immaginavo fossi così romantico,” lo provocò, poggiandogli le mani sulle spalle. “Sei una continua sorpresa, Federico Bianchi.” Lui sorrise, facendo combaciare le loro fronti. “Te l'ho detto, io non sono come gli altri. Sono il più strano e contorto che esista sulla terra,” aggiunse, ridendo tra se e se. La bionda si accigliò, schioccando poi la lingua. “E poi quella presuntuosa sarei io? Fede, tu sei quasi peggio di me,” gli fece notare divertita. “Bè, forse proprio per questo ti piaccio,” ribattè il giovane sicuro. “Siamo simili.”
Ludmilla lo fissò per alcuni istanti, poi lentamente annuì. Era vero, loro due si somigliavano molto. Entrambi erano superbi, presuntuosi, sicuri di se, tra di loro era una continua sfida per la supremazia. Tacitamente sembravano essersi accordati per provocarsi, per tentare di prevalere sull'altro e proprio questo rendeva il loro rapporto più interessante, più unico. Istintivamente sorrise e quando Federico fece lo stesso, le si riscaldò il cuore. Possibile che fosse quello l'amore? Pensava di essere innamorata di Diego, che mai sarebbe stata felice con qualcuno che non fosse lui, eppure in quel momento Galindo era l'ultimo dei suoi pensieri; per lei esisteva solo Federico e tutte quelle emozioni che la sua sola presenza le suscitava. Sentiva che lui la guardasse davvero, che non si fermasse all'apparenza e che l'apprezzasse, tutte cose a cui non era per niente abituata. Federico abbatteva tutte le sue certezze e resistenze, facendola sentire vulnerabile, spogliata della sua stessa anima. In quel momento non era Ludmilla Ferro, ma solo Ludmilla, una ragazza completamente dipendente da quelle iridi castane che la ammaliavano come la più potente delle droghe e le forze per opporsi a ciò l'avevano abbandonata, lasciandola in sua completa balia. Pensava sarebbe stato il peggiore degli sbagli abbassare le proprie difese con qualcuno e invece mai si era sentita così bene. Voleva stare con Federico, solo quello le interessava. Al diavolo le differenze sociali, al diavolo il parere sicuramente contrario dei suoi ricchissimi genitori, in quel momento c'erano solo loro due. “Mi piaci, Ludmilla, non hai idea quanto,” sussurrò il ragazzo all'improvviso, guardandola intensamente e sottraendola dai suoi pensieri. Ludmilla. L'aveva chiamata Ludmilla. Era la prima volta che lo faceva e non poteva fare a meno di pensare che detto da lui il suo nome avesse un significato diverso. Sorrise perciò apertamente, un sorriso sincero senza alcuna traccia di presunzione o di malizia, era quel sorriso innocente e sinceramente colpito che una ragazza rivolgeva a colui che le piaceva, quel sorriso che aveva sempre invidiato alle altre e che finalmente aveva raggiunto anche il suo volto. Non sapeva dirlo con certezza, anche perché in passato già si era sbagliata, però lo stesso non poteva abbandonare l'idea che forse quello che provava per Federico era più forte di una semplice cotta. Lui le piaceva, le piaceva davvero tanto. “Anche tu mi piaci,” ammise perciò con un filo di voce, cogliendolo decisamente in contropiede. Il giovane infatti proprio non si aspettava da lei una dichiarazione così esplicita, credeva che mai lo avrebbe ammesso. Scosse il capo come a voler scacciare qualsiasi pensiero, poi lentamente poggiò le labbra sulle sue. Ludmilla corrispose prontamente al bacio, allacciandogli le braccia al collo, mentre lui le circondò la vita. Nonostante la tastiera facesse ancora da ostacolo tra di loro, continuarono a baciarsi in maniera sempre più appassionata coinvolgendo anche le loro lingue. Lena, che passava di lì proprio per cercare Bianchi, trovandolo impegnato con la Ferro, sorrise tra se e se. E dire che non avrebbe scommesso assolutamente nulla su quei due, quanto si era sbagliata. L'amore poteva davvero tutto e chissà che un giorno anche lei sarebbe riuscita a far innamorare Marco.



“La smetti di farti tanti problemi? Lo sanno tutti che l'amore non ha età, perciò va da lei e chiedile di uscire. Male che vada non avrai il rimpianto di non averci provato.”
Luca sapeva molto bene che Francesca avesse ragione, in fondo non c'era nessuna regola sulla differenza d'età per quanto riguardava l'amore e poi non era ancora così vecchio, aveva solo ventitré anni, sei più di Lara. Quella ragazzina era diventata per lui una vera e propria ossessione, non faceva altro che pensarla e quando lavorava si scopriva fin troppe volte a fissarla. Ormai era sicuro di conoscere ogni minimo particolare di lei, così piccola, dolce, innocente. Sentiva come il bisogno di starle accanto, di proteggerla, di fare di tutto affinché il sorriso risplendesse sempre sul suo volto. Sicuramente il sorriso di Lara era stata la prima cosa che lo aveva colpito di lei, mai ne aveva visto uno così luminoso, sincero, privo di qualsiasi malizia. Non credeva potesse piacergli una ragazza tanto diversa da Camilla, eppure ciò stava accadendo e faceva non poca fatica ad accettarlo. La Torres faceva parte del suo passato e se per molto tempo non aveva voluto rassegnarsi, ora se ne rendeva conto. Non era Camilla il centro dei suoi pensieri, ma Lara. Era la sorella di Leon colei che voleva stringere tra le sue braccia, erano le sue labbra che voleva baciare, era la sua voce che gli torturava la mente. Quanto poteva essere irrazionale e contorto l'amore? Credeva di volere al suo fianco una ragazza forte, che gli tenesse testa, che lo mandasse al diavolo per poi regalargli un bacio appassionato, eppure in quel periodo della sua vita cercava altro. Cercava un sorriso innocente, un dolce abbraccio, lunghe chiacchierate, serenità, dolcezza, stabilità, cercava insomma Lara e non poteva fare nulla per cambiare ciò. “Combattere i propri sentimenti è come tentare di afferrare l'acqua, impossibile,” gli aveva detto una volta Maxi Ponte, riferendosi alla cotta colossale che si era preso per Nata Alvarez, la ragazza che faceva parte di una delle sue squadre rivali per le olimpiadi di matematica. “Io e Libi abbiamo provato ad allontanare i nostri sentimenti per lei e per Andres Calixto, ma non è servito a niente. Non riuscivamo a smettere di pensarli e così abbiamo smesso di lottare.” Tante volte ora Luca vedeva Maxi e Nata e Libi e Andres felici e innamorati e quel pensiero bastò per infondergli ulteriore coraggio per ciò che stava per fare. Non voleva più torturarsi con i dubbi e le paure, voleva mettersi in gioco come Maxi e Libi e anche come sua sorella, che ora che aveva accettato i sentimenti che nutriva per Diego, non avrebbe potuto essere più felice. Luca voleva un amore come il loro ed era giusto che lottasse per averlo. Prendendo un profondo respiro perciò, appena vide che Lara si recava verso l'uscita sul retro del locale per gettare l'immondizia, si affrettò a seguirla. “Lara.” La ragazza, che stava per aprire il cassonetto dei rifiuti, sobbalzò al suono di quella voce. Troppo persa nei suoi pensieri, che avevano proprio come protagonista il suo capo, non lo aveva sentito arrivare. “Luca,” balbettò, lasciandosi sfuggire il sacchetto di spazzatura di mano, torturandosi nervosamente il labbro inferiore. “Devo fare qualche commissione?” Aggiunse confusa, dato che Luca non diceva una parola, limitandosi a fissarla apparentemente impassibile. Era da tutta la mattina che aveva notato che lui avesse un comportamento strano, era distratto, assente, addirittura aveva dovuto richiamarlo tre volte affinché si rendesse conto che dei clienti attendevano per pagare il conto, cosa che non era per niente da lui. Luca scosse energicamente il capo, sorridendo debolmente. “No, in realtà vorrei parlarti di un'altra cosa,” spiegò, facendo fatica a controllare il tono di voce. Possibile che fosse grande e grosso, ma che avesse paura ad invitare una ragazza a uscire? Quanto poteva essere patetico?
Lara annuì, pensando già al peggio. Forse voleva rimproverarla, o peggio licenziarla. Magari aveva combinato un disastro e nemmeno se ne era accorta.
“Ecco, io mi chiedevo se...bè, se non vuoi non c'è problema,” iniziò, facendola accigliare. Chiaramente non riusciva a seguirlo. “Insomma, io volevo chiederti se...Lara, io...ti andrebbe di uscire con me qualche volta?” Riuscì finalmente a balbettare, sotto lo sguardo stupefatto della ragazza. Era pronta a tutto, dal più pacato al più duro dei rimproveri, ma di certo non a quello. Ti andrebbe di uscire con me qualche volta? Davvero Luca voleva uscire con lei, o era solo frutto della sua mente? “Ehm...”
Luca scosse la testa. “Tranquilla, non devi sentirti costretta, se non vuoi...” provò lui, pensando che Lara essendo troppo educata non sapesse come dirgli di no, ma la giovane a sorpresa lo interruppe con un gesto della mano. “Non ho detto che non voglio, è solo che...bè, non me lo aspettavo,” ammise con il volto in fiamme. Un grande sorriso si distese sul volto del moro a quelle parole. “Quindi la tua risposta è si?” Lei annuì, sostenendo a fatica il suo sguardo. “Si, io voglio uscire con te.”
“Ti va bene domani sera?” Chiese lui, ora decisamente più sicuro di se e meno imbarazzato. Lara sorrise e annuì ancora. Quel sorriso ebbe come sempre l'incredibile potere di riscaldargli il cuore. “Puoi darmi mezza giornata? Sai, ho bisogno di tempo per prepararmi,” si azzardò a mormorare lei, a disagio. Non credeva avrebbe trovato il coraggio per chiedergli una cosa simile e visto lo stupore che attraversò lo sguardo di Luca, anche lui dovette pensarlo. “Certo, non c'è problema,” disse alla fine, sorridendo. “Ti passo a prendere prima di cena,” proseguì, avvicinandosi e sfiorandole una guancia con le labbra. “Va benissimo.” Nonostante il rossore che le colorò le guance per quel gesto improvviso e tanto dolce, riuscì a sussurrare quelle due parole. Sarebbe uscita con Luca. Ancora non le sembrava vero. Era così felice che si sarebbe messa a saltellare e a urlare per tutto il locale, ma a fatica si contenne. Il suo primo appuntamento, doveva essere tutto perfetto e...era normale che si sentisse così nervosa e agitata? Forse le conveniva chiamare Violetta, lei era più esperta in quelle cose e sicuramente avrebbe potuto aiutarla e consigliarla. Alla fine del turno lo avrebbe sicuramente fatto, ora però doveva tornare a lavoro, cercando di concentrarsi e di non pensare all'indomani. Più facile a dirsi che a farsi, ma doveva quantomeno provarci.




Ehilààà!!
Lo so che avevo detto che avrei postato il 31, ma poi non ho avuto proprio tempo di correggere il capitolo, queste festività non lasciano un attimo di tregua XD comunque, buon 2015 a tutti! :3 Venezia è stata reclamata a gran voce, tante sono state le supposizioni ed eccola qui, tirata in ballo da Leon a Pablo ed Angie, che vorrebbero tentare un viaggio di famiglia per appianare le divergenze tra Diego e Marco. Vilu sarà quindi coinvolta in questo viaggio, che in un certo senso porterà lei e Angie a confrontarsi con i ricordi di German e Maria. Nel frattempo abbiamo anche la prima uscita a sei Leonetta, Diecesca e Seba a Cami, che sono un gruppo sempre più unito :3 Ludmilla e Federico si confrontano con i forti sentimenti che iniziano a provare l'uno per l'altra e Luca prende coraggio, chiedendo a Lara di uscire awwwwww :3 come andrà a finire? Cosa significa la strana reazione di Camilla? Si andrà a Venezia?
Ringrazio di cuore tutti voi che leggete e recensite questa storia, un bacione :3
Trilly <3



 

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Capitolo 29
*** Non mollare mai ***





Leon fece le scale che lo separavano da casa Galindo quasi di corsa, mentre piccole goccioline di sudore gli inumidivano la fronte. Il Natale si avvicinava e di conseguenza le temperature erano salite drasticamente in Argentina, ma non era il caldo a farlo sudare piuttosto il nervosismo e quei brutti pensieri che gli martellavano la mente. Erano giorni ormai che non riusciva a chiudere occhio, con esattezza poteva dire quante fossero le crepe sul soffitto della sua camera e quale fosse la sequenza di programmi che davano in tv nel cuore della notte. Un senso di colpa violento e ossessivo nel frattempo, non lo abbandonava nemmeno per un attimo portandolo a provare ancora più disgusto per se stesso e per ciò che faceva. Suonò il campanello più e più volte con uno strano senso di affannamento, quasi dall'apertura di quella porta dipendesse la sua vita e forse era davvero così. Più che mai aveva bisogno di parlare con Diego, l'unico che sapeva lo avrebbe ascoltato senza giudicare e che mai lo avrebbe abbandonato. Continuò a suonare per quasi dieci minuti, ma incredibilmente nessuno venne ad aprirgli. Eppure era sicuro che l'amico fosse tornato a casa subito dopo le lezioni, stanco com'era dopo che Jackie lo aveva trattenuto più del necessario per alcune imperfezioni in una coreografia; perché allora non rispondeva? Ancora più agitato, recuperò il cellulare dalla tasca dei jeans e scorse la rubrica alla ricerca del numero dell'amico. Il telefono squillò a lungo, poi quando stava per arrendersi finalmente avvertì la voce di Diego e sembrava stranamente assonnata. -Pronto?-
-Diego, era ora. Sei a casa? Sono fuori alla porta di casa tua.- Seguì un lungo silenzio in cui Leon non seppe dire se l'amico fosse ancora in linea, poi si decise a parlare. -Cosa? Ehm...si, sono a casa e...ora ti apro.-
Quando Diego venne ad aprire la porta, al giovane Vargas fu tutto chiaro. L'amico infatti aveva i capelli scompigliati, indossava solo un paio di pantaloni corti e aveva chiaramente il volto di chi si fosse appena svegliato. “Leon.”
Lui ridacchiò, scrutandolo da capo a piedi. “Hai un aspetto orribile, sembri uno zombie.”
Di tutta risposta Galindo gli rivolse un'occhiata raggelante, strofinandosi poi gli occhi con vigore e lasciandosi andare a un sonoro sbadiglio. “Sei venuto per darmi fastidio? Perché se le cose stanno così, è meglio che te ne vai. Sono a pezzi a causa di quella cornacchia acida e basta poco per farmi saltare i nervi,” lo avvisò, incrementando l'ilarità dell'amico. “Potevi dirmelo che avevi le tue cose e...ok, la smetto,” aggiunse, sollevando le mani in segno di resa. L'occhiataccia assassina di Diego era stata più eloquente di qualsiasi parola. “Devo parlarti,” spiegò poi, facendosi improvvisamente serio cosa che non sfuggì al moro. “Che succede?” Leon scrollò le spalle, mentre l'amico lo invitava ad accomodarsi e gli faceva strada verso la cucina. “Io ho un aspetto orribile, ma nemmeno tu scherzi,” gli fece notare, recuperando dal frigo due lattine di birra e porgendogliene una. Vargas sospirò, poggiando i gomiti sul tavolo e prendendosi il volto tra le mani. “Sono giorni che non chiudo occhio,” ammise, mentre Diego si sedeva di fronte a lui e si scolava un sorso di birra. “Questo lo avevo capito, quelle occhiaie si vedono a chilometri di distanza. Qual è il problema?” Aggiunse, scrutandolo con fare apprensivo. Finalmente Leon sollevò lo sguardo, mostrando una disperazione che mai gli aveva visto, se si escludeva il periodo in cui lui e Violetta erano stati separati, ovviamente. “Sono nei casini, Diego e non so come uscirne.”
“Che genere di casini?” Chiese il moro, confuso. “Non è che per caso sei tornato nel vecchio giro.” Vargas rise amaramente. “Magari, amico, magari. Si tratta di mio padre,” continuò, spiazzandolo a dir poco. “Pensa sia arrivato il momento che prenda il suo posto e...è da un po' che mi sto occupando di alcuni traffici.” Diego sgranò gli occhi, stupito. “Con 'traffici', intendi...”
“Si,” confermò Leon. “Merce di contrabbando, droga e cose simili. Non so come uscirne, sto mentendo alle due donne più importanti della mia vita e...avevo promesso a Vilu che non avrei più fatto parte di quel mondo.” Abbandonò il capo tra le braccia, incapace di reggere ancora quella tensione. Suo padre gli assegnava un lavoretto quasi ogni sera e di conseguenza non poteva andare a prendere Lara da lavoro e né tantomeno passare a trovare la sua ragazza, tanto che era stato costretto a inventarsi le scuse più assurde. Quanto ci avrebbero messo le due a capire che non era stanco e che non covasse alcun tipo di influenza?
“Io amo mio padre, ma non voglio essere come lui,” deglutì, tornando a guardare l'amico. “Cosa devo fare, Diego?” Leon sentiva che tutta la sicurezza che aveva sempre avuto lo stesse a poco a poco abbandonando, tanto da ridursi a un guscio vuoto, debole, vulnerabile, inutile. “Sono un delinquente, un lurido, non merito Violetta, non merito nulla.”
“Leon.” Diego fece il giro del tavolo e lo prese per le spalle, costringendolo a guardarlo. “Tu non sei come tuo padre, ti stai solo comportando da bravo figlio. Lo farei anch'io al tuo posto,” aggiunse serio. “Il fatto che ti senti in colpa conferma quanto sei diverso da lui.”
“Si, ma questo non cambia le cose,” ribattè Leon, scuotendo energicamente il capo. “Ho la fedina penale sporca e per giunta sto tradendo la fiducia di Vilu.”
Il moro annuì, passandosi poi nervosamente una mano nei capelli. “Devi parlare con tuo padre e dirgli la verità. È in gioco anche la vita di mia cugina, non solo la tua,” gli fece notare e Leon non potè che concordare. “Tuo padre non smetterà di amarti solo perché non vuoi seguire le sue orme. D'accordo fumare uno spinello di tanto in tanto o intrufolarsi di nascosto a casa di Vilu, ma farsi coinvolgere in quei traffici equivale a rischiare la galera o peggio.” Non c'era bisogno che Diego aggiungesse altro affinché il ragazzo capisse che con 'peggio' intendeva la morte e così permise che il silenzio si diffondesse tra di loro, un silenzio carico di pensieri, ipotesi, supposizioni. Qualsiasi cosa andava bene, purché lo liberasse da quel maledetto senso di colpa che lo stava consumando come la più letale delle malattie. “Puoi ancora tirartene fuori, Leon, devi solo parlare con tuo padre,” riprese il moro, tornando a sedersi di fronte a lui. “Spiegagli le tue ragioni, ma fallo in fretta. Mia cugina non è stupida e soprattutto non lo è mia nonna.”
“Hai ragione,” annuì Leon, sorridendogli grato. “Devo parlare con mio padre e devo farlo subito. Non mi potrei mai perdonare di perdere la ragazza che amo, senza di lei non sono nulla.”
“Ma quanto sei sdolcinato,” lo prese in giro Diego, scoppiando in una fragorosa risata. “Se continui così mi farai venire il diabete.”
Vargas rise a sua volta, abbandonandosi con la schiena contro lo schienale della sedia. “Nemmeno tu e Francesca scherzate, amico. Violetta mi ha raccontato delle cose.”
Il moro ruotò gli occhi, ma poi non potè trattenere una risatina. “Touchè. Sei soddisfatto ora?” Leon annuì, divertito. “Si, molto.”



“Fran?”
La ragazza, che stava riponendo nell'armadio dei vestiti puliti, sobbalzò al suono della voce di suo fratello. “Fa rumore quando cammini, Luca, sennò mi farai venire un infarto.”
Luca ruotò gli occhi, ma non commentò e la cosa portò subito la sorella a guardarlo, preoccupata. Lui non le lasciava mai l'ultima parola, ribatteva fino all'infinito e se non lo aveva fatto doveva essere successo qualcosa di serio. “C'è Marco giù, vuole parlarti,” spiegò il ragazzo, confermando i suoi dubbi. “Marco? Ha detto che vuole?” Tutto si aspettava fuorché una visita del suo ex ragazzo, cosa poteva mai avere da dirle tanto da presentarsi a casa sua? Luca scrollò le spalle. “Ho provato a insistere un po', ma ha solo detto che è importante.”
Francesca annuì, torturandosi nervosamente il labbro inferiore. “Va bene, fallo salire.”
“Sicura?” Insistette il fratello e solo dopo la sua ennesima conferma, si affrettò a raggiungere Galindo al piano di sotto. Quei pochi istanti fino all'arrivo di Marco furono per la ragazza interminabili e il cuore non smise un attimo di battere frenetico. “Francesca.”
Eccolo. Sentiva la sua presenza alle spalle e non poteva più tirarsi indietro, era ora di affrontarlo. “Marco,” mormorò, voltandosi verso di lui. “Cosa ci fai qui?” Galindo esitò qualche istante, fissandola pensieroso, poi si affrettò a chiudere la porta. “Penso che noi due dobbiamo chiarire certe cose,” spiegò, spostando la sedia dalla scrivania e prendendovi posto. Francesca seguì i suoi movimenti con le braccia conserte e un sopracciglio inarcato, scettica. “Che genere di cose? Mi sembra che ci siamo già detti tutto.”
Lui scrollò le spalle, giocherellando distrattamente con il lembo della sua camicia. “Forse, ma se ci pensi bene non ci siamo detti un vero e proprio addio, ci siamo limitati ad allontanarci e la cosa mi è dispiaciuta.” Cogliendola di sorpresa, scattò in piedi e la raggiunse con pochi passi. “Io ti amo e mai avrei voluto che le cose tra di noi finissero così.” Fece per scioglierle le braccia dalla loro stretta, ma lei si sottrasse indietreggiando di un passo. “Marco, questa conversazione non ha senso. Per favore, vattene.” Gli indicò la porta, ma lui scosse la testa. “Non me ne vado finché non ti avrò detto tutto.” Francesca fece per ribattere, ma venne zittita con un gesto della mano. “Ho detto che ti amo e non solo. Francesca, io sono venuto per chiederti scusa,” spiegò, lasciandola a bocca aperta. “Sono stato duro con te, ti ho detto delle cose orribili, ti ho ferita e tu non lo meritavi.” Stavolta, essendo lei visibilmente sconvolta, riuscì a prenderle le mani, stringendole forte con le sue. “Perdonami per come ti ho trattata e...Lena non significa nulla per me, io amo solo te.” Provò ad aggiungere altro, ma Francesca scosse la testa. “Non hai niente da farti perdonare, semmai sono io che devo scusarmi con te,” sussurrò e Marco sorrise, rafforzando la stretta delle loro mani. “Ho causato tanti problemi a te e alla tua famiglia e mi dispiace tanto.”
“Per me è tutto dimenticato,” ribattè Galindo, con un grande sorriso. “Quello che provo per te è più forte. Ricominciamo,” aggiunse, sfiorandole una guancia con una leggera carezza. La ragazza sgranò gli occhi e quando lo vide farsi più vicino, lo respinse. “Marco, ti prego. Non costringermi a ferirti ancora.” Marco si fece di colpo serio, contraendo la mascella. “Che stupido,” sbottò alla fine, con un sorriso carico di amarezza. “In fondo l'ho sempre saputo, sin da quando abbiamo iniziato ad uscire lo sapevo.” Francesca corrugò le sopracciglia, confusa. “Che vuoi dire?”
“Parlo di lui, Diego,” mormorò il ragazzo, con una smorfia di fastidio nel dover pronunciare il nome di suo fratello. “Sei sempre stata pazza di lui, lo dicevano tutti a scuola, ma ho voluto lo stesso credere che mi avresti amato prima o poi.” La Cauviglia sbiancò di colpo a quella rivelazione. Davvero tutti erano a conoscenza della sua cotta per Diego? Ma soprattutto, Marco lo sapeva quando le aveva chiesto di uscire? “Avrei potuto tirarmi indietro, dopotutto se ti piaceva uno come Diego non potevi essere quella giusta per me, ma poi ti ho conosciuta meglio e...sei una ragazza speciale,” aggiunse, guardandola con occhi innamorati. “Le cose andavano bene tra di noi, mi sentivo il più felice della terra e credevo che anche per te fosse così. Ma poi lui è uscito dal carcere e tutto è cambiato.” Ora sul suo volto si era fatta strada una profonda amarezza. “Fino all'ultimo ho sperato che non provassi più nulla per lui e invece...non lo hai mai dimenticato, mai, nemmeno quando dicevi di amarmi.”
Francesca abbassò lo sguardo, a disagio. Anche lei lo aveva pensato e a fatica lo aveva accettato, ma sentirselo dire la colpì lo stesso come una gelida secchiata. “è per questo che non riesco ad odiarti,” continuò il ragazzo, prendendola per le spalle. “Io sapevo tutto, ma lo stesso ho deciso di credere in noi due e ci credo ancora.”
“Marco,” provò lei, ma lui la interruppe. “Per quanto ora pensi di essere felice, presto ti renderai conto che non è così. Lui non sa cosa significa amare con tutta l'anima e proprio per questo non riuscirà mai ad amarti come ti amo io.”


Al piano di sotto nel frattempo, il suono del campanello costrinse Luca ad andare ad aprire e la persona che si ritrovò di fronte, lo colse decisamente in contropiede. “Diego?”
“Luca,” ripetè il ragazzo, scrutandolo poi confuso, avendo notato la sua agitazione. “C'è Francesca?” Avvertendo il nome della sorella, Cauviglia sbiancò paurosamente, non sapendo proprio che dire. Doveva mandarlo via con una scusa, oppure dirgli di Marco?
“Allora?” Diego gli schioccò le dita davanti agli occhi, distogliendolo dai suoi pensieri. “Fran c'è o no?” Luca deglutì, poi non potè fare altro che annuire. “Si, ehm...è in camera sua con...”
“Con chi?” Lo incalzò Galindo, facendosi di colpo serio. “Marco.” Quello di Cauviglia fu un debole sussurro, ma il ragazzo lo carpì immediatamente e senza pensarci troppo, si fiondò verso la grande scalinata che portava alla camera di Francesca, prima che Luca potesse fare qualsiasi cosa per fermarlo. Trovare la porta chiusa lo rese ancora più nervoso, ma mai avrebbe immaginato che oltre di essa vi avrebbe trovato la mora e suo fratello abbracciati. Aveva aperto la porta con delicatezza per non farsi sentire e ora era lì a fissarli, mentre si stringevano in un forte abbraccio. Contrasse la mascella, infastidito. Perché si stavano abbracciando? Cosa si era perso?
“Voglio solo che tu sia felice,” sussurrò Francesca, sciogliendo l'abbraccio e sorridendogli dolcemente. Marco annuì, sorridendo a sua volta. “E io voglio lo stesso per te, te lo meriti.” Passarono ancora diversi istanti, poi inevitabilmente i due si accorsero di Diego, fermo sul ciglio della porta con le braccia conserte. “Non volevo disturbarvi,” mormorò gelido, mentre la mora impallidiva e Marco si limitava a fissarlo di rimando. “Se vogliamo parlare, non dobbiamo chiederti il permesso.” Il maggiore dei due sollevò un sopracciglio, incredulo. “Oh certo, infatti eravate molto loquaci,” commentò ironicamente, avanzando di qualche passo. L'altro ruotò gli occhi, ignorando quella provocazione. “Bè, io devo andare,” disse, rivolgendosi a Francesca. “Ci vediamo in giro.” Lei annuì, accompagnandolo alla porta. “Ciao, Marco.” Solo dopo essere tornata in camera ed essersi chiusa la porta della camera alle spalle, si voltò verso Diego, seduto sul bordo del suo letto. “Non mi aspettavo saresti venuto.”
“Non avevo dubbi,” ribattè lui acido, alzandosi dal letto e raggiungendola con pochi passi. “Mi devi dire qualcosa?” Francesca scosse la testa, spiazzata da quell'atteggiamento che mai le aveva rivolto. “Ti avrei chiamato appena Marco se ne fosse andato,” aggiunse poi, avvertendo come il bisogno di dovergli dare una spiegazione. “In un certo senso abbiamo chiarito. Forse non saremo mai amici, ma almeno non ci sarà odio tra di noi.”
Diego annuì, sentendosi come se si fosse liberato di un peso. Per un attimo aveva pensato chissà cosa su Francesca e Marco e invece stavano solo chiarendo, che stupido era stato. Chi lo avrebbe mai detto che anche lui un giorno sarebbe stato geloso di qualcuno? Sorrise, prendendole il volto tra le mani e baciandola con passione. La ragazza restò inizialmente sorpresa, anche perché aveva capito fosse arrabbiato, poi però gli allacciò le braccia al collo, ricambiando con il medesimo trasporto. “Sono contenta che sei venuto,” sorrise lei, appoggiando la fronte contro la sua. “Anch'io,” annuì Diego, circondandole la vita e attirandola ancora di più a se. “Mi sei mancata.” Si sorrisero dolcemente, per poi scambiarsi un altro bacio. “Cosa ti ha detto Marco?”
Francesca deglutì, prendendolo per mano e invitandolo a sedersi sul letto accanto a lei. Anche se un po' imbarazzata, si affrettò a raccontargli tutto, compreso il fatto che Marco nutrisse ancora dei sentimenti per lei. “Ha tentato di convincermi a tornare insieme, ma poi ha capito che era tutto inutile e che le nostre strade dovessero inevitabilmente dividersi.”
Galindo sospirò, intrecciando la mano con la sua. “Provi ancora qualcosa per lui?” Aveva bisogno di saperlo, doveva avere la certezza che qualsiasi legame tra la sua ragazza e suo fratello si fosse ormai spezzato, altrimenti non sarebbe mai riuscito a viversi quella storia serenamente. La mora sollevò lo sguardo, incrociandolo con il suo e poi scosse la testa. “Gli voglio bene, è stato il primo ragazzo ad avermi amata, ma il mio cuore appartiene a te,” ammise con il volto in fiamme, sua caratteristica quando si rivolgeva a Diego. Lui sorrise, sfiorandole le guance con delle dolci carezze. “Mi piaci quando arrossisci,” sussurrò e inevitabilmente le loro menti andarono a quando in un corridoio dello Studio lui le aveva detto quelle stesse parole, anche se il contesto era decisamente diverso. All'epoca pensava ancora di volerla conquistare per ferire Marco, che per lei provasse solo una forte attrazione, ora invece era sicuro di amarla con tutto se stesso. “Ti amo,” soffiò contro le sue labbra. Francesca sorrise, emozionandosi come ogni volta che lui le manifestava il suo amore. Credeva sarebbe stata sempre e solo una sua fantasia, che mai Diego l'avrebbe notata e invece ora era lì nella sua camera e le stava proprio dicendo di amarla. “Ti amo anch'io, Diego.”



“Perchè non me lo hai detto, eh?” Leon non fece nemmeno in tempo a voltarsi che un'euforica Violetta gli saltò letteralmente addosso, aggrappandosi a lui come un koala. Le braccia al collo e le gambe intorno alla vita. “I miei zii me lo hanno detto poco fa!” Esclamò ancora la giovane, stritolandolo forte. “Grazie Amore, grazie!” Gli schioccò una serie di rumorosi baci sulle guance e Leon la lasciò fare, limitandosi a reggerla in quella posizione e a sorridere tra se e se. “Andiamo a Venezia! Andiamo a Venezia!” Urlò ancora Violetta, facendo combaciare le loro labbra. Il loro bacio subito si fece profondo e appassionato, coinvolgendo anche le loro lingue. Queste si sfiorarono e si intrecciarono, dando vita a una danza appassionata. Le labbra nel frattempo si aggredivano e si mordevano con sempre più enfasi. I respiri si facevano a poco a poco più corti e affaticati, ma i due imperterriti continuavano a baciarsi e si aggrappavano l'uno all'altra quasi ne dipendesse la loro vita. Leon era felice. Pablo e Angie alla fine lo avevano ascoltato e avevano deciso di andare a Venezia, quella città così importante per la sua Vilu. Finalmente lei poteva affrontare il suo passato, quello che le impediva di viversi totalmente il presente ed era orgoglioso di essere potuto intervenire in tal senso. “Voglio che parti con me,” sussurrò Violetta all'improvviso, interrompendo il bacio e specchiandosi nei suoi bellissimi occhi verdi. “Non vado da nessuna parte senza di te,” aggiunse, quando lui fece per protestare. Per quanto avrebbe voluto, lui non poteva partire. Aveva ancora in sospeso la questione con suo padre e poi era sicuro che i Galindo non lo volessero, soprattutto se volevano far riappacificare Diego e Marco. Lui sarebbe stato solo un peso e odiava esserlo. Non andava da nessuna parte se non era gradito. Sapeva di avere un carattere difficile e di essere fin troppo orgoglioso, ma era fatto così. D'accordo decidere di intraprendere una strada diversa da quella di suo padre, ma da lì a cambiare radicalmente modo di essere ce ne passava. “Non posso venire,” disse perciò, mettendola giù e incamminandosi per il cortile posteriore dello Studio, quello dove dopo una dura lite erano finalmente tornati insieme. Violetta lo seguì, più confusa che mai. Credeva che Leon sarebbe stato felice di venire con lei a Venezia, non glielo aveva forse ripetuto un'infinità di volte? Perché allora era diventato all'improvviso così distante e pensieroso? “Leon, fermati!” Sbottò, piazzandosi di fronte a lui e impedendogli di proseguire oltre. “Mi spieghi cos'hai? Hai cambiato umore all'improvviso.”
Lui sospirò, scompigliandosi nervosamente i capelli. “Mi sentirei di troppo se venissi, riguarda te e la tua famiglia e...”
“Ma ti rendi conto delle assurdità che dici?” Lo interruppe la giovane, scuotendo energicamente il capo. “è da tanto che ne parliamo e ora che posso andarci tu non vieni? Leon,” lo prese per le spalle, costringendolo così a guardarla. “Sai quanto è importante per me che tu ci sia. Sei la mia famiglia esattamente come loro.”
Leon scosse la testa, liberandosi dalla sua stretta. “Non posso imporre ai tuoi zii la mia presenza,” spiegò, agitando freneticamente le braccia. “Già è troppo se mi hanno accettato allo Studio, non possiamo pretendere anche questo.” Si sedette poi sul muretto, passando distrattamente i polpastrelli sulla pietra irregolare. Violetta corrugò le sopracciglia, mentre la sua mente assimilava quelle informazioni. “Fammi capire, non vuoi venire perché pensi che i miei zii non ti vogliano?” Gli si sedette accanto, poggiando la mano sulla sua. “Perchè se lo pensi sei fuori strada,” aggiunse, lasciandosi andare a una fragorosa risata. “Sono stati proprio loro a dirmi di invitarti.” Vargas sollevò lo sguardo così di scatto da rischiare di slogarsi il collo, sconvolto. “Come?” Violetta ridacchiò. “Hai capito benissimo. Loro vogliono che tu venga, pensano che alla fin fine non sei così male e sono interessati a conoscerti meglio,” spiegò, aprendosi in un grande e luminoso sorriso. Leon fu quasi tentato di lasciarsi trasportare da quell'entusiasmo, ma il pensiero di suo padre tornò a tormentarlo, ricordandogli tutti i casini in cui si era immischiato per colpa sua. Per quanto avrebbe voluto, non poteva partire senza aver prima parlato con suo padre e avergli comunicato la decisione di intraprendere una strada diversa dalla sua, non avrebbe retto quel viaggio con un simile fardello addosso, consapevole tra l'altro di nascondere la verità a Violetta. “Quando vorrebbero partire i tuoi zii?”
Violetta si animò di colpo a quelle parole, convinta di essere finalmente riuscita a convincerlo. “Vedrai, ci divertiremo molto. Il nostro primo viaggio insieme e...sarà così emozionante.” Leon annuì, circondandole le spalle con un braccio e attirandola a se. Era sicuro che avesse ragione, quel viaggio insieme sarebbe stato meraviglioso. Lo avevano tanto sognato e ora sembravano poterne avere la possibilità. Fece scorrere distrattamente le dita nei suoi lunghi capelli, per poi lasciarle un bacio sul capo. “Quando partiamo, Amore?” Ripetè, sperando con tutto se stesso di avere abbastanza tempo per chiarire con suo padre e trovare anche degli eventuali rimpiazzi per quei traffici di cui desiderava non doversi occupare mai più. “La settimana prima di Natale,” sussurrò la ragazza, adagiando il capo contro il suo petto. Due settimane. Aveva esattamente due settimane per sistemare le cose. Poteva farcela. Sorrise istintivamente, stringendo maggiormente Violetta a se. “Verrò a Venezia con te,” promise, lasciandole tanti piccoli baci sulle tempie, mentre lei si lasciava sfuggire un gridolino emozionato. “Non posso lasciarti sola in un momento così importante per te.” Violetta sorrise, allacciandogli le braccia al collo e facendo sfiorare i loro nasi. “Avrò bisogno di te più che mai, tu sei la mia forza.”
“E tu sei la mia,” ribattè lui, facendo scorrere la mano destra lungo la sua schiena e adagiando la sinistra sulla sua guancia. “Te lo prometto, potrai sempre contare su di me, sono finiti i tempi delle sciocchezze. Ora voglio pensare solo a noi due e al nostro futuro.” Le accarezzò più e più volte quella pelle morbida e delicata, depositandovi poi una serie di baci che la fecero rabbrividire, soprattutto quanto si concentrarono sulla tenera carne del collo. Inspirò quel profumo inebriante, quello che lo aveva sempre stordito sin dalla prima volta che lo aveva avvertito e socchiuse gli occhi. Già da quel profumo si poteva capire la profonda innocenza di Violetta, un'innocenza che doveva essere protetta a tutti i costi e sperava davvero di poterci riuscire. La sua anima non avrebbe potuto essere più diversa da quella della ragazza che amava, si era macchiato di fin troppi crimini più o meno gravi ed era cresciuto con la convinzione che non fossero così sbagliati. Prima di conoscerla, Leon aveva tutto sotto controllo e sapeva quale sarebbe stato il suo futuro, accanto a suo padre in quel mondo tanto sbagliato. Lei appunto aveva messo a soqquadro tutte le sue certezze, portandolo a riconsiderare valori, idee, pensieri. Un Leon diverso, più umano e desideroso di costruirsi una vita onesta si era fatto strada, scalciando quello che era stato fino a quel momento, ma lasciando dei profondi sensi di colpa. Questi ultimi lo tenevano sveglio per notti intere, rammentandogli tutti gli sbagli che aveva fatto e quanto poco meritasse una ragazza meravigliosa come Violetta. Lui però voleva liberarsi di quei pensieri, voleva dimostrare a se stesso ma soprattutto alla ragazza che amava che valeva la pena stargli accanto, che quel buono che aveva visto esistesse davvero. Proprio per quello avrebbe parlato con suo padre e poi sarebbe andato con lei a Venezia per affrontare i fantasmi del passato. Diego aveva ragione, se amava Violetta e voleva davvero cambiare la sua vita, doveva lottare ed era più che mai determinato a farlo. Inspirò ancora quel profumo, poi risalì lentamente fino a raggiungere le sue labbra che baciò con ardore. Violetta gli morse il labbro e lui si sentì morire. Gli era sempre piaciuto quel suo lato passionale e deciso, faceva a pugni con quell'innocenza che si leggeva nei suoi occhi. Questo perché lei era un mix di emozioni e sensazioni, un vero e proprio uragano che lo aveva travolto con una tale imprevedibilità e decisione da spiazzarlo. Forse per quello l'amava tanto, lei aveva sempre saputo sorprenderlo e vivere senza di lei era la cosa che più di tutte temeva, persino più della reazione di suo padre alle sue scelte. “Farei qualsiasi cosa per te, qualsiasi,” sussurrò e lei sorrise, il sorriso più dolce e bello del mondo. “Non so cosa farei senza di te.” Violetta lo strinse forte e ancora quel profumo gli invase le narici. “Ti amo tanto.” “E io amo te, piccola mia.” Mai come in quel momento era stato più sicuro della decisione che aveva preso. Né suo padre e né tantomeno Angelica gli avrebbero fatto cambiare idea. Avrebbe lottato per lui e Violetta anche a costo di scontrarsi con il mondo intero, non aveva alcun dubbio. Solo insieme potevano essere felici.



Marco sapeva perfettamente che quello che stava per fare fosse sbagliato, egoista, crudele e tante altre cose, eppure non aveva potuto fare a meno di varcare quella porta e percorrere il lungo corridoio che portava alla sala teatro. A pochi passi di distanza, riuscì ad avvertire una serie di voci piuttosto animate. Senza pensarci troppo spinse la porta e subito si ritrovò di fronte uno spettacolo che aveva dell'incredibile. Non solo gli studenti della gara di matematica non stavano studiando bensì chiacchieravano animatamente, ma tra di loro oltre quelli di quel quartiere malfamato, c'erano anche i suoi stessi compagni. Maxi, Libi, Ana, Ludmilla, c'era persino Thomas e sembravano andare molto d'accordo con Federico e i suoi amici. Appena lo notarono però, i ragazzi si zittirono e si fecero di colpo seri, quasi si aspettassero un rimprovero da parte sua. Marco in ogni caso anche se sorpreso, non ci vedeva nulla di strano nel socializzare, l'importante era restare lucidi nel momento della gara. “Stavo cercando te.” Ignorando gli altri, si rivolse direttamente a Lena, l'unica che non lo aveva guardato negli occhi, probabilmente ancora a disagio per come era stata rifiutata l'ultima volta che avevano parlato. La bionda sollevò lo sguardo, decisamente sorpresa ma non tanto da mostrarglielo e per questo sbottò: “Cosa vuoi?”
“Parlare, solo questo,” spiegò Marco, mentre tutti gli altri li fissavano sorpresi. Lena esitò qualche istante, cercando poi con lo sguardo l'aiuto di Emma e Nata. La prima le fece segno di no con il capo e l'altra la imitò prontamente. Nessuna delle due si fidava molto di Galindo, erano convinte che volesse solo giocare con i sentimenti della loro amica. “Va bene,” disse alla fine Lena, anche se poco convinta, ma proprio non riusciva a dire di no a quegli occhi da cucciolo indifeso. Nonostante perciò l'incredulità delle sue amiche, seguì il ragazzo fuori dalla sala fino a raggiungere un corridoio isolato. “Lena,” iniziò lui, mentre la bionda lo fissava con le braccia conserte e l'espressione apparentemente impassibile. Cosa voleva Marco? L'ultima volta era stato chiaro, non provava nulla per lei. Perché allora l'aveva cercata? “Io credo di essere stato troppo frettoloso a dirti quelle cose, avrei dovuto rifletterci di più.” Lena corrugò le sopracciglia, confusa. “Non capisco.” Marco socchiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro. Poteva farcela. “Pensavo di provare ancora qualcosa per Francesca e per questo ti ho rifiutata, ma mi sbagliavo,” ammise a fatica. “Da quando ci siamo allontanati mi manchi e...Lena, ti prego dammi un'altra possibilità e vieni a Venezia con me.”
Lena sgranò gli occhi, mentre la sua mente tentava di registrare quelle parole. “Come? Io non... cosa c'entra Venezia?” Il ragazzo allora le raccontò del viaggio che la sua famiglia voleva fare per risolvere i problemi tra lui e Diego. “Credo che nemmeno un miracolo potrà farci chiarire, ma almeno voglio godermi la vacanza e mi piacerebbe averti al mio fianco.”
“Davvero?” Chiese lei scettica e quando Marco sorrise, non potè non credergli e prontamente si gettò tra le sue braccia. Mentre la rassicurava circa i suoi sentimenti e la baciava con trasporto, Galindo avvertì quella sensazione di disgusto per se stesso crescere a dismisura. Lena non meritava di essere ingannata così, semplicemente perché lui non poteva avere Francesca, era ingiusto, meschino, crudele. Ciononostante, continuò la sua recita di innamorato felice, ignorando quei pensieri e soprattutto il volto della Cauviglia, che continuava a tormentarlo, ricordandogli che purtroppo amava lei e che Lena era solo un ripiego.




Alloraaaa!!
Premetto che io amo questo capitolo :3 Leon è incastrato negli affari di famiglia e non sa come uscirne :( per fortuna c'è Diego, che gli consiglia di parlarne apertamente con il padre. Nel frattempo c'è un chiarimento tra Marco e Fran, dove emerge che lui ha sempre saputo che lei amasse Diego e proprio quest'ultimo, ha la sua prima reazione di gelosia da fidanzato :3 Marco allora cerca Lena e anche se non prova nulla per lei, le dice il contrario e la invita con lui a Venezia 0.0 e poi Leon va a Venezia! Awwwww sia Vilu che i Pangie lo reclamano a gran voce e lui non può che accettare, determinato ad affrontare suo padre circa il suo futuro e ovviamente ad essere accanto a Vilu in un viaggio così importante *________*
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, a presto
Trilly


 

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Capitolo 30
*** La magia dell'amore ***




“NO, NO E NO! NON SE NE PARLA!” Le urla di Angelica risuonarono in tutto il salotto, facendo letteralmente sobbalzare i presenti. Tutti erano consapevoli che una volta appreso del viaggio, l'anziana donna avrebbe reagito male, soprattutto se con loro fosse partito anche Leon, di cui continuava a non fidarsi, ma onestamente Pablo vedeva quella reazione comunque eccessiva. Violetta sarebbe stata con lui e Angie, non avrebbe corso alcun pericolo e poi di sicuro non li avrebbero fatti capitare in camera insieme, perché allora si preoccupava tanto? Insomma, loro erano delle persone responsabili, sapevano come cavarsela con i giovani ribelli, Diego ne era il chiaro esempio, no?
“VIOLETTA NON PARTE! FINE DELLA STORIA!” Urlò ancora la donna, fuori di se. Nessuno ebbe il tempo di dire qualsiasi cosa, perché Violetta scattò in piedi come una furia. “LO SAI QUANTO è IMPORTANTE PER ME! LO SAI!” Si morse il labbro e strinse forte i pugni, tentando di trattenere le lacrime. “Ti prego, nonna,” aggiunse con un filo di voce. “Ho bisogno di andare lì, ne ho bisogno da troppo tempo.”
“Mamma,” intervenne Angie, tentando di calmarla. “Stai tranquilla. Ci saremo io e Pablo con Violetta, non la perderemo d'occhio nemmeno per un istante, vero?” Aggiunse, guardando il marito, che si affrettò ad annuire. “Fidati di noi, Angelica, saremo i suoi bodyguards personali,” sorrise Galindo, ma nemmeno quello sembrò tranquillizzare la donna, che iniziò a camminare per il salotto come una trottola impazzita, tanto che i presenti furono quasi sicuri che di lì a poco sarebbe riuscita a fare un solco nel pavimento. “La mia bambina così lontano da casa...chissà in quanti pericoli potrebbe imbattersi e...come faccio a proteggerla? No, non posso,” mormorò tra se e se, facendo fatica a contenere l'agitazione. Angie le si avvicinò ancora, sussurrandole qualcosa all'orecchio e la stessa Violetta tentò di fare lo stesso. Leon e Pablo nel frattempo, restarono seduti sul divano piuttosto amareggiati, o almeno il giovane lo era, Galindo infatti era piuttosto pensieroso. Le parole di Angelica lo avevano colpito molto e avevano insinuato in lui una serie di dubbi. Nemmeno una volta la donna aveva parlato di Leon come motivo del suo dissenso, ma solo di lontananza e pericoli. Sembrava un genitore apprensivo che non voleva mandare la figlia a una gita scolastica e in un certo senso Pablo la capiva, ma comunque Violetta sarebbe partita con lui e Angie, mica con degli estranei?
“No, non insistete.” Angelica scosse energicamente il capo, scostando poi una sedia da sotto il tavolo e lasciandosi cadere su di essa, portandosi una mano al cuore. Mai Pablo l'aveva vista così nervosa e agitata, sembrava quasi terrorizzata e non riusciva a spiegarsi perché. Tra l'altro lei e Angie avevano iniziato a confabulare tra di loro, mentre Violetta era tornata a sedersi accanto a Leon. Cosa stava succedendo? Lui che era sempre stato un tipo molto razionale, non poteva fare a meno di porsi una serie di interrogativi, primo su tutti se sua moglie e sua suocera gli nascondessero qualcosa.
“Vieni, mamma.” Angie sollevò Angelica di peso, guidandola verso la cucina. “Andiamo a prenderci un bicchiere d'acqua.” Stupendo sia Galindo che i due ragazzi, madre e figlia si chiusero la porta della cucina alle spalle, come se volessero parlare in privato e forse era davvero così. “Lo sapevo che avrebbe reagito così,” commentò Violetta, lo sguardo rivolto sulle sue scarpe. “Ogni volta che le ho parlato del desiderio di partire ha sempre cambiato argomento, come se la cosa la disturbasse,” continuò, intrecciando le dita con quelle di Leon. Quest'ultimo sospirò, rivolgendo una mezza occhiata verso la porta della cucina e poi verso Pablo, che ricambiò nervosamente. “Forse non ne vuole parlare perché Venezia le ricorda sua figlia e...”
“Si, ma non ho detto che mi deve accompagnare lei, quindi non vedo perché deve comportarsi così,” ribattè la ragazza, esasperata. “Sono io che visiterò quella città, lei resterà qui a chilometri di distanza. Perché si comporta come se fosse la mia carceriera?” Leon non disse niente limitandosi a stringerla forte a se, Pablo invece si avvicinò alla finestra, poggiando i palmi delle mani sul davanzale e perdendosi a guardare il curato giardino di sua suocera con sguardo assente. C'era qualcosa che non gli tornava, ma non riusciva a capire cosa. Angelica aveva permesso a Violetta di frequentare Leon, addirittura accettava che uscisse anche con Diego, sembrava quasi concorde quando le avevano parlato del viaggio, ma era bastato il nome della città italiana a farle cambiare radicalmente opinione. Erano i ricordi di Maria a terrorizzarla? Eppure la donna e German non erano morti lì, perciò non poteva aver paura che alla giovane capitasse un destino simile. Era Venezia in se il problema? Scosse la testa, esasperato dai suoi stessi pensieri. Era ora di scoprirlo. Senza pensarci troppo, si incamminò verso la cucina e accostò l'orecchio alla porta. Se non si sbagliava di grosso, Angelica stava singhiozzando e ancora una volta Pablo si ritrovò a pensare che quella reazione fosse eccessiva. “Tranquilla, mamma,” mormorò Angie. “Vedrai che non accadrà nulla, sono passati tanti anni ormai.”
“Come puoi esserne sicura?” Singhiozzò la donna. “Violetta è così innocente e...non voglio venga coinvolta e...” Improvvisamente calò il silenzio e per questo Pablo si affrettò a raggiungere il divano facendo finta di niente, mentre Leon e Violetta lo fissavano tra l'incredulo e il divertito. Angie nel frattempo aveva spalancato la porta, sicura di aver avvertito una presenza oltre di essa, ma trovandoli tutti e tre seduti tirò un sospiro di sollievo. Aveva quasi temuto il peggio, per fortuna però nessuno di loro aveva sentito nulla.
“La nonna si è ripresa?” Chiese Violetta, che non si era accorta di nulla. La bionda annuì. “La camomilla le ha fatto davvero bene,” le spiegò con un sorriso luminoso, che però a Pablo parve quasi forzato. Conosceva molto bene sua moglie e sapeva che quello non fosse un sorriso che normalmente rivolgeva ai suoi familiari, piuttosto uno di circostanza per camuffare qualcosa. Forse era un dettaglio futile, ma anche il fatto che avesse parlato di camomilla quando prima aveva accennato all'acqua lo aveva fatto pensare. C'era qualcosa che non andava e quei dettagli uniti a quel frammento di conversazione che aveva origliato, glielo avevano confermato. In cosa Violetta non doveva essere coinvolta? Perché sua suocera era così spaventata? Solo dopo alcuni istanti, si rese conto che la ragazza fosse andata in cucina con la zia e la nonna, lasciando da soli lui e Leon. Vargas era a sua volta parecchio pensieroso e dal modo in cui lo guardò, comprese che avesse quasi i medesimi dubbi. “C'è qualcosa che non va,” mormorò il giovane tra se e se e lui non potè fare altro che annuire. Leon era un tipo sveglio, era sicuro che sarebbe giunto alla sua stessa conclusione. “Tu non ne sai nulla?”
Pablo scosse la testa. “Ne so quanto te.” Il ragazzo dagli occhi verdi gli rivolse un breve cenno del capo, ma non potè aggiungere altro perché le tre donne rientrarono in salotto. Angelica aveva smesso di piangere, ma era stranamente pallida e si sorreggeva alla figlia, che ostentava ancora quello strano sorriso. Violetta invece era mortalmente seria e subito tornò a sedersi accanto a Leon. “Tutto bene?” Lei scrollò le spalle, lasciando che la stringesse tra le sue forti braccia. “Non lo so.”
“Avanti, mamma,” sorrise Angie, facendo accomodare l'anziana sul divano. “Dì anche a loro quello che hai deciso.” Angelica sbiancò ancora di più, facendo scorrere lo sguardo da Pablo a Leon, soffermandosi poi su Violetta e seppur sembrasse poco convinta, forse ancora meno di quando aveva detto che accettava la storia tra sua nipote e Leon, finì per annuire, rassegnata. “Va bene, mi fido di voi.” L'urlo entusiasta di Violetta coprì tutte le altre voci e un attimo dopo, la giovane si era gettata tra le braccia della nonna, seguita prontamente da Angie e da Pablo, mentre Leon restò in disparte. Ovviamente il ragazzo era felicissimo che Angelica avesse cambiato idea, ma non era un tipo molto espansivo e perciò si sentiva un po' a disagio di fronte a tutti quei festeggiamenti. Se ne restò perciò seduto in un angolo, mentre tutti gli altri chiacchieravano allegramente intorno all'anziana donna. Fu a un certo punto, quando Violetta iniziò a parlare dei luoghi che voleva visitare a Venezia, che Leon notò uno strano lampo attraversare lo sguardo di Angelica. Era sicuro di conoscere quel guizzo, lo aveva visto spesso negli occhi dei ragazzini che aveva preso in giro e umiliato nel corso della sua adolescenza, lo aveva visto in genitori, insegnanti, tante di quelle persone che ormai aveva perso il conto e proprio per quello era sicuro di non sbagliarsi, quella era paura. Ma di cosa aveva paura la nonna della sua ragazza? Cosa c'era a Venezia da spaventarla tanto? Temeva che Violetta non fosse pronta ad affrontare i ricordi di German e Maria o c'era dell'altro? Non riusciva a capirlo, eppure sentiva che la verità fosse molto più ovvia di quanto pensava. Anche Pablo gli era sembrato che avesse gli stessi dubbi e non poteva essere un caso, di sicuro c'era qualcosa sotto e in un modo o nell'altro lo avrebbe scoperto.
“Leon?” Violetta gli scosse una spalla, distogliendolo a fatica dai suoi pensieri. “La vuoi una fetta di torta?” Tra le mani la giovane reggeva un piattino con una fetta di torta al cioccolato e alla panna davvero invitante, ma in quel momento il suo stomaco rifiutava qualsiasi cosa. “Ehm...no, grazie. Torno subito,” aggiunse, per poi fiondarsi in bagno senza attendere risposta. Quasi lo avesse chiamato, il suo cellulare iniziò a squillare. -Papà- rispose prontamente al primo squillo. -Leon, dove sei? Dobbiamo parlare di quella cosa che mi hai detto l'altro giorno- disse Fermando Vargas, apparentemente tranquillo, ma Leon avvertì lo stesso una nota di nervosismo. -Sono a casa di Violetta. Vuoi che ti raggiunga?-
-Si, sono da tuo zio Santiago, qui potremo parlare con calma- Il giovane si irrigidì a sentire il nome di suo zio. Proprio a casa sua dovevano parlare? Quell'uomo che un tempo forse aveva anche stimato, ora gli trasmetteva ansia. Era sicuro che non si sarebbe fatto scrupoli ad intromettersi nella conversazione tra lui e suo padre, era un tipo losco, disposto a tutto per ottenere ciò che voleva e per quello mai gli avrebbe permesso di chiudere con gli affari di famiglia. -Leon? Ci sei ancora?-
-Ehm, si- si affrettò a mormorare il giovane, facendo poi scorrere l'acqua nel lavandino così da coprire la sua voce. -Ascoltami, papà. Dobbiamo parlare di una cosa importante e non voglio che lo zio si intrometta.- Seguì un lungo silenzio durante il quale Leon temette che suo padre avesse attaccato, poi finalmente avvertì di nuovo la sua voce. -Ti aspetto fuori casa della tua ragazza tra dieci minuti.- Senza attendere risposta l'uomo riattaccò e Leon, una volta riposto il cellulare in tasca, iniziò a sciacquarsi freneticamente il volto con l'acqua fredda. Suo padre aveva capito tutto, era pronto a scommetterci. Quell'apparente freddezza era tipica sua quando sapeva che stava per ricevere una brutta notizia e in quello doveva ammettere si somigliassero molto, anche lui infatti tendeva a mascherare le sue emozioni, lo aveva sempre fatto. “Leon, tutto bene?” La voce di Violetta oltre la porta lo fece sobbalzare. Aveva quasi dimenticato di trovarsi a casa sua, troppo occupato a riflettere su Fernando. “Si, sto bene.” Si asciugò rapidamente il volto e aprì la porta, sicuro che se non lo avesse fatto lei si sarebbe insospettita. “Ehi,” sorrise la giovane, gettandosi tra le sue braccia. “Partiremo insieme, non sei contento?” Proseguì, poggiandogli le mani sulle spalle e guardandolo dritto negli occhi. “Sei scappato via senza dire niente.” Leon sorrise, accarezzandole dolcemente i capelli. “Certo che sono felice, non vedo l'ora di partire,” la rassicurò, lasciandole un piccolo bacio sul naso. “Dovevo rispondere, mio padre mi cercava,” spiegò poi e lei annuì. “Devi raggiungerlo?”
“Si,” confermò lui, continuando ad accarezzarle i capelli e il volto. “Stasera ti chiamo e ne parliamo con calma, te lo prometto.” “Sei sicuro che va tutto bene?” Insistette la giovane, fissandolo attentamente. “Sembri preoccupato per qualcosa.” Leon sospirò. Purtroppo Violetta lo conosceva troppo bene, le bastava poco per capirlo. “Credo che mio padre e Lara abbiano litigato ancora e devo aiutarli a chiarire.” Odiava mentirle, lo odiava con tutto se stesso ma purtroppo non aveva scelta. La strinse a se sempre più forte e lei ricambiò la stretta, facendolo sentire ancora peggio. Violetta gli aveva creduto, aveva creduto a quella squallida bugia. “Ti amo, piccolina. Ti amo così tanto,” le sussurrò all'orecchio. “Anch'io, Leon, tanto.” Un'altra pugnalata. Doveva resistere, ancora un paio d'ore e poi avrebbe potuto smettere di mentire, poteva farcela.



“Wow! Ti immagini a guidare un'auto del genere?” Esclamò Francesca entusiasta, seduta sul letto con le gambe incrociate e battendo le mani. Diego, sdraiato accanto a lei, ridacchiò. Quando la ragazza lo aveva invitato per vedere un film a casa sua, si aspettava una noiosa commedia romantica o al massimo un musical e invece lei lo aveva sorpreso con l'ultimo capitolo di Fast and Furious. Ebbene si, Francesca non solo ne capiva di auto e giocava alla play station meglio di chiunque avesse mai conosciuto, ma era anche patita di film prettamente maschili e cruenti come Fast and Furious. Nei suoi occhi castani c'era una vera e propria fiamma di emozione, tipica di chi non aspettava altro che vedere quel film, la stessa che in quel momento provava anche lui, da sempre amante dei film d'azione e di tutto ciò che riguardava le auto. Era la prima volta in assoluto che Diego si imbatteva in una ragazza che non si addormentava o sbuffava di fronte quel tipo di film e doveva ammettere che la cosa lo avesse colpito parecchio. Sentiva finalmente di avere qualcosa in comune con la ragazza che frequentava, un qualcosa che in un certo senso rafforzava il loro legame. “Quando andrò a lavorare mi comprerò un'auto enorme,” continuò Francesca, con gli occhi che luccicavano. “Certo, non potrò fare quelle acrobazie, ma almeno in autostrada posso correre, no?”
“Tu non corri da nessuna parte,” ribattè Diego divertito, mettendosi seduto e circondandole le spalle con un braccio. “Almeno non lo farai da sola,” aggiunse al suo orecchio, facendola rabbrividire. “Una volta lo zio di Leon mi ha fatto guidare una Ferrari, un'emozione unica. Avevo la pelle d'oca e poi l'adrenalina che scorreva a fiumi nelle mie vene. Da una parte il terrore di schiantarmi, dall'altra il desiderio di andare sempre più veloce...dovevi esserci, bambolina.” Francesca scosse la testa, sorridendo tra se e se. “Non avevi la patente, immagino.” Lui ridacchiò. “Immagini bene, avevo solo quindici anni.”
“Chissà perché non sono sorpresa,” commentò lei, rammentando che effettivamente da Leon Vargas e la sua famiglia ci si poteva aspettare quello e molto altro e che Diego non fosse di certo da meno. I due fratelli Galindo non avrebbero potuto essere più diversi. Marco a quindici anni probabilmente a malapena sapeva portare una bici, suo fratello invece era alla guida di una Ferrari. Ovviamente era a conoscenza del passato del suo attuale ragazzo che di certo non era da prendere in esempio, però se spesso lo aveva criticato allo stesso tempo ne era tanto affascinata. Anche lei avrebbe voluto guidare un fuoristrada a tutta velocità, seppur per pochi metri. “Non ho la macchina, però ho una moto e se vuoi qualche volta te la faccio portare,” propose Diego, interrompendo il flusso dei suo pensieri. “Davvero lo faresti?” Chiese la giovane, sorpresa. Lui si finse pensieroso, poi ghignò. “Se mi dai qualcosa in cambio, perché no.” Francesca incrociò le braccia al petto e sollevò un sopracciglio, scettica. “E cosa vorresti, sentiamo.” Continuando a sorridere, la guardò da capo a piedi con una certa malizia, poi accostò le labbra al suo orecchio. “Mmm...magari questo,” soffiò, lasciandole un bacio sotto l'orecchio. “O questo.” Le labbra si spostarono sul collo e lei mugugnò, girando il capo così da consentirgli maggiore accesso. Lentamente le abbassò la bretella della leggera maglietta che indossava, così da poter raggiungere anche la clavicola e la spalla in tutta la sua lunghezza. Ancora una volta Diego si ritrovò a pensare a quanto lei fosse diversa dalle altre. Una qualsiasi ragazza, una volta averlo invitato a casa sua, si sarebbe fatta trovare con un vestito sexy, super truccata e con una scia di profumo, ma Francesca no. Lei indossava una semplice canottiera azzurra e un paio di shorts, aveva un trucco appena accennato e l'unico profumo che avvertiva era quello del suo bagnoschiuma al talco, o forse di qualche crema e tutta quella semplicità lo stava letteralmente facendo impazzire. Avrebbe passato ore a baciare e ad accarezzare quella pelle, per lui era come una droga e avvertire quei dolci sospiri sfuggire dalle sue labbra, rendeva tutto più eccitante. Sin da quando l'aveva rivista nella cucina di casa sua e ancora non sapeva chi fosse, si era sentito terribilmente attratto da lei e ora che stavano insieme e che quindi poteva avere più approcci e libertà con lei, quell'attrazione si stava amplificando sempre di più ed era quasi tentato di farla stendere sul letto e di schiacciarla sotto il suo corpo. Dio solo sapeva quanto lo desiderasse, ma non poteva, non in quel momento. Francesca non era come le altre, non voleva che il loro rapporto si basasse sul sesso, voleva fare le cose con calma. Mai aveva fatto simili pensieri, ma con lei gli risultava spontaneo. Le piccole mani della ragazza si immersero nei suoi capelli, tirandoli leggermente e lui non potè evitare di lasciarsi sfuggire un sospiro. Senza pensarci troppo cercò le sue labbra, aggredendole con un certo trasporto. Intrecciare la lingua con la sua, esplorare la sua bocca, mordere quelle labbra, tutto gli fece desiderare di chiedere di più, di prendersi di più. Fece scorrere una mano lungo la sua schiena, mentre l'altra la immerse nei suoi capelli liberandoli del nastro che li teneva legati. Francesca nel frattempo aveva ancora le dita nei suoi capelli, ma aveva anche iniziato ad accarezzargli il collo e le spalle. Diego non sapeva quanto avrebbe retto senza perdere il controllo, tanto il loro tocco e il loro bacio era appassionato. Quando però il fiato iniziò a farsi corto e i pantaloni a stargli decisamente stretti, scattò in piedi come se avesse preso la scossa e borbottò qualcosa che suonava molto come 'bagno'. La ragazza lo guardò allontanarsi, visibilmente rossa in viso. Anche se non era molto esperta in quel campo, aveva capito perfettamente cosa fosse accaduto. Aveva avvertito qualcosa premere contro il suo corpo e ciò aveva suscitato in lei emozioni contrastanti. Da un lato c'erano la vergogna e la paura, dall'altro qualcosa che somigliava molto al piacere e quasi aveva sperato che quel contatto si facesse più profondo e deciso. Mai aveva temuto e provato tanto disagio per i suoi stessi pensieri, forse perché non ne aveva mai formulati di quel tipo, nemmeno con Marco. Erano normali tutte quelle strane sensazioni che provava? Mentre se ne stava accanto al lavello della cucina a bere un bicchiere d'acqua, non faceva che chiederselo. Cosa sarebbe accaduto se Diego non si fosse allontanato? E lei, era contenta così o avrebbe preferito scoprirlo? “Ehi.”
Sobbalzò, affrettandosi a riporre il bicchiere. Lui era lì sul ciglio della porta e come lei sembrava vagamente a disagio. “Ehi,” ripetè, raggiungendolo con pochi passi. “Vuoi un bicchiere d'acqua? Dovrebbe esserci anche una birra o...” Diego scosse la testa, prendendola per i fianchi e attirandola a se. “C'è una cosa che devo dirti da un sacco di tempo. Scusami.” Sotto il suo sguardo confuso, continuò. “Sono stato uno stronzo con te in passato, ti ho ferita, umiliata e...mi dispiace.” Francesca si accigliò, poi scrollò le spalle. “Accetto le tue scuse, ma non capisco cosa c'entra adesso.” “Bè, ancora dovevo scusarmi e mi sembrava giusto farlo,” spiegò lui con tranquillità. Lei sorrise, allacciandogli le braccia al collo. “Non ce ne era bisogno, ti ho già perdonato tempo fa.” Diego sorrise a sua volta, accostando il volto al suo. “C'è un'altra cosa che devo dirti, stavolta però è una proposta.” Un lampo attraversò il suo sguardo e la mora avvampò di colpo. Non aveva di certo rimosso l'episodio di poco prima. E se lui avesse voluto farle 'quella' proposta? Quasi le avesse letto nel pensiero, il ragazzo scoppiò a ridere. Certo, ammetteva di averci fantasticato su, ma aveva appunto deciso di andarci con calma, anche se non sarebbe stato facile visto l'effetto che lei aveva su di lui. “Che hai capito, la proposta è un'altra.” La prese per le spalle, continuando ad ostentare il suo solito ghigno, che però in quel momento non aveva assolutamente nulla di derisorio. “Sai il viaggio che hanno organizzato i miei genitori?” “Si,” confermò lei, confusa. “Vilu mi ha detto che andate a Venezia, non stava più nella pelle.” Diego annuì. “Sembra un bel posto, o almeno questo ho capito dal milione di foto che ha mostrato a me e a Leon. A proposito, sai che viene anche lui? Marco tra l'altro ha invitato la sua amica secchiona,” aggiunse, scrutando attentamente la reazione di Francesca. “Quella Lena? Lei viene con voi?” Chiese lei, stupita. Il minore dei Galindo le aveva chiaramente detto di provare ancora qualcosa per lei, allora perché aveva invitato la bionda? Si trattava solo di un ripiego? Scosse la testa, tornando a concentrarsi su Diego che non si era perso nessuno dei suoi gesti o espressioni. “Ti da fastidio?” La incalzò, serio. Francesca scrollò le spalle, senza pensarci troppo. “No, è libero di fare ciò che vuole. È solo che non me lo aspettavo, soprattutto dopo ciò che mi ha detto,” spiegò, facendo scorrere le mani sui suoi avambracci. “Mi dispiace solo per te che ti ritroverai tra due coppie più i tuoi genitori.” A quelle parole Diego ridacchiò, facendola accigliare. “Proprio di questo volevo parlarti. Vuoi venire a Venezia con me?” Aggiunse, lasciandola a bocca aperta. “Come?” Chiese lei, incredula. “Come hai detto tu, mi ritroverei da solo tra due coppie e poi...e poi non vorrei nessun'altra con me laggiù,” sorrise dolcemente il ragazzo, sfiorandole una guancia con una leggera carezza. “Vieni con me.” Francesca deglutì. Se Diego la guardava con quello sguardo, un mix di dolcezza e sensualità, non riusciva proprio a resistergli. Distolse allora il suo a fatica e gli voltò le spalle, poggiando i palmi delle mani sul tavolo e socchiudendo gli occhi. Lui non poteva dire sul serio, non poteva davvero averle chiesto una cosa simile. Il ragazzo la osservò attentamente per qualche istante, poi le si avvicinò circondandole la vita da dietro. “Sarebbe il nostro primo viaggio insieme e poi ci sono anche Violetta e Leon.”
“E ci sono anche Marco e i tuoi genitori,” ribattè lei, scuotendo il capo. “Con quale coraggio potrei presentarmi? Sai bene che mi odiano.” Diego le passò distrattamente le dita tra i capelli, poggiandole poi il mento sul capo. “Non è vero che ti odiano e se Marco può portare quella ragazza, io posso portare te.” Francesca si voltò verso di lui, mordendosi nervosamente il labbro. “Credimi, mi piacerebbe molto ma non voglio causare problemi. Mi sentirei a disagio e anche loro.” Fece per sorpassarlo, ma lui oppose resistenza prendendola per le spalle. “Fran, guardami.” Quando lei lo fece, proseguì. “I miei genitori non hanno nulla contro di te e anche se fosse, dovranno accettarti. Fammi finire,” aggiunse, quando lei fece per ribattere. “Se tu non parti, non parto nemmeno io.” Diego era così sicuro di ciò che diceva e Francesca non sapeva proprio che dire. Era lusingata di contare tanto per lui, ma non voleva che litigasse con i suoi genitori o con Marco per colpa sua. “Promettimi che ci penserai,” insistette lui. “Partiamo o restiamo a Buenos Aires, sei tu a decidere.” La ragazza sospirò, rassegnata. Sapeva che fosse inutile provare a ribattere, lui era troppo testardo e non sarebbe mai partito da solo. Senza dire una parola lo abbracciò e lui come al solito si irrigidì, poco abituato a quel genere di contatto, poi però ricambiò la stretta. “Pensaci,” ripetè ancora contro i suoi capelli. Seppur poco convinta, Francesca annuì. “Va bene, ci penserò.” Possibile che Diego avesse sempre tutto quel potere su di lei?



Camilla prese un profondo respiro, poi senza pensarci troppo seguì il ragazzo moro, che impegnato a parlare al cellulare con qualche fornitore sembrava non essersi accorto di nulla. Luca era sempre stato un tipo distratto, ricordava che tante volte quando stavano insieme lo aveva fatto sobbalzare. Era troppo divertente vedere la sua faccia sconvolta. Ora però non era in programma nessuno scherzo, sia perché non c'era più la confidenza di un tempo e sia perché dovevano parlare di una cosa abbastanza seria, o almeno lei voleva parlare. Lui magari non voleva stare ad ascoltarla, forse addirittura la odiava ancora, ma doveva comunque tentare. Luca chiuse di colpo la conversazione e una volta asciugatosi il sudore dalla fronte, si avvicinò alla ringhiera che costeggiava il lungomare di Buenos Aires, l'espressione assorta. Camilla esitò qualche istante, poi lo affiancò. “Ciao, Luca.” Il ragazzo si irrigidì, ma non si voltò continuando a guardare l'orizzonte. “Camilla.”
“Possiamo parlare?” Chiese lei, poggiando le braccia sulla ringhiera e continuando a guardarlo. “E di cosa dovremmo mai parlare?” Chiese lui, confuso. “Se cerchi mia sorella...”
“No, non cercavo lei, ma te,” lo interruppe la Torres, portandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio. “Ah si?” Ribattè Luca, visibilmente scettico. “Perchè?” Finalmente si voltò a guardarla dritto degli occhi e imprevedibilmente Camilla rabbrividì, ma si sforzò di non darlo a vedere. “Ho saputo di te e quella ragazza, Lara,” ammise con un filo di voce, abbassando lo sguardo. Cauviglia corrugò le sopracciglia, sicuro di aver capito male. Tutto si aspettava, ma non di certo quello. “Fammi capire, mi stai facendo una sorta di rimprovero?”
“Perchè non me lo hai detto?” Si infiammò lei, gesticolando come suo solito. “Io te l'ho detto quando ho iniziato ad uscire con Seba e...” Non riuscì ad aggiungere altro perché Luca scoppiò a ridere, una risata fredda, priva di allegria. “Ma ti senti quando parli? Tu me lo hai detto perché ci eravamo lasciati solo da due settimane e perché così potevi portarlo al Restò Band senza sentirti in colpa! Te ne sei fregata che io potessi soffrire, tanto la tua coscienza era a posto! Io però non sono come te!” Sbottò il giovane all'improvviso, facendole sgranare gli occhi e attirando anche l'attenzione di diverse persone, che si voltarono curiose. A Luca però non importava, per troppo tempo si era tenuto dentro quel peso ed era ora di cacciarlo fuori. “Io non ti devo nessuna stupida spiegazione, Camilla Torres. L'unica cosa che devi sapere è che il mio cuore non batte più per te e perciò non puoi ferirmi...mai più.”
Camilla incassò il colpo, abbassando lo sguardo. Lui aveva tutte le ragioni del mondo, mai come in quel momento se ne rendeva conto e non poteva fare a meno di sentirsi in colpa. Come aveva potuto essere così egoista? Con il suo comportamento aveva ferito moltissimo Luca e meritava tutto il suo astio. Perché gli aveva sbattuto in faccia la sua storia con Seba? Inconsciamente forse aveva sperato che lui le manifestasse la sua gelosia e la convincesse a tornare insieme, o almeno all'inizio era stato così. Di fronte alla sua apparente indifferenza, infatti, Camilla si era a poco a poco innamorata davvero di Seba e non si era resa conto di quanto in realtà Luca ci soffrisse. Ora era troppo tardi per cambiare le cose. Avevano avuto la loro occasione, ma gli ostacoli e le incomprensioni li avevano allontanati. Mai avrebbero saputo cosa sarebbe accaduto se avessero fatto scelte diverse e forse in fondo al loro cuore entrambi se lo sarebbero chiesti tutta la vita. Magari sarebbero rimasti sempre insieme, o forse si sarebbero lasciati lo stesso. In ogni caso però, anche se il loro era stato un grande amore, si rendevano conto che fosse ormai finito. Camilla amava Seba e anche Luca stava scoprendo un dolce sentimento per Lara, perciò era inutile rivangare sul passato, così come lo era portare rancore. Probabilmente per quello il ragazzo non se ne andò dopo quella sfuriata e al contrario restò lì in silenzio. Aveva sofferto moltissimo e odiato allo stesso modo, ma ora tutto faceva parte del passato, così come aveva smesso di amarla anche l'odio era andato via e non vedeva motivo di farle la guerra. “Mi dispiace, Luca,” mormorò Camilla, sollevando finalmente lo sguardo e mostrando gli occhi lucidi. “Ti ho fatto soffrire e tu non lo meritavi.” Tirò su col naso e gli poggiò una mano sul braccio. “Ti prego, perdonami.” Luca la guardò per alcuni istanti, poi scosse il capo. “Basta scuse, va bene così.” Lei fece per ribattere, ma glielo impedì, poggiandole un dito sulle labbra. “Ho sofferto e non te lo nascondo, ma ora sono felice, davvero,” aggiunse con un dolce sorriso. La ragazza annuì, sorridendo a sua volta. “Sono contenta, te lo meriti.” Si guardarono ancora, poi abbattendo ogni tipo di difesa o orgoglio si strinsero in un forte abbraccio, un abbraccio che metaforicamente metteva la parola fine a tutto quello che c'era stato tra di loro e anche se avvertivano un filo di malinconia, non avrebbero potuto essere più sicuri di stare facendo la cosa giusta. Si stavano ancora abbracciando, quando videro due figure familiari avanzare da sensi opposti: Seba e Lara. Il primo era visibilmente serio, quasi infastidito, mentre la ragazza era alquanto imbarazzata. “Bè, ehm...direi che le cose sono risolte, no?” Mormorò Luca, sciogliendo l'abbraccio. “Già,” concordò lei, facendo poi gesto a Seba di avvicinarsi. “Io e Luca abbiamo finalmente chiarito.” Il volto del ragazzo, che fino a quel momento era rimasto contratto, si rilassò e si aprì persino in un flebile sorriso. “Mi fa piacere.” Seguì un silenzio alquanto imbarazzante e per questo la Torres e Seba pensarono bene di congedarsi, avendo anche notato Lara avvicinarsi.
“Ciao,” sorrise Cauviglia, prendendole una mano e stringendola con la sua. “Ciao,” ripetè lei, sorridendo imbarazzata. “Tutto bene con Camilla?” Si azzardò a chiedergli, tentando di non far trapelare quel pizzico di gelosia che l'aveva colpita. La rossa in fondo era la ex di Luca e vederli abbracciati non poteva lasciarla indifferente. Il ragazzo annuì, aprendosi in un grande sorriso. “Non potrebbe andare meglio.” Senza aggiungere altro, fece una cosa che da troppo desiderava fare, una cosa che desideravano entrambi. Un bacio. Le diede un dolce e lungo bacio, il primo in assoluto per Lara, se si escludeva quello che le aveva dato Diego da ubriaco una volta ovviamente, che sorpresa ed emozionata iniziò a tremare da capo a piedi. “Ora ancora di più,” soffiò lui, per poi baciarla nuovamente e lei non avrebbe potuto essere più d'accordo. Finalmente la magia dell'amore aveva bussato anche alla sua porta e ne era davvero valsa la pena aspettare tanto. Ora era davvero tutto perfetto.






Hola!
Come prevedibile, Angelica prende malissimo la questione Venezia e Angie fa molta fatica a convincerla. Pablo e Leon nel frattempo iniziano ad avere dei sospetti sulla reazione dell'anziana, che secondo loro è terrorizzata da qualcosa. Sarà davvero così? Leon poi, prende coraggio e chiede un confronto con il padre, che sembra aver già capito qualcosa 0.0
Diego e Francesca sono sempre più uniti e complici, tanto che lui arriva a chiederle di andare a Venezia con lui. Fran accetterà?
Infine Luca e Camilla si concedono un confronto che era necessario da molto e finalmente chiariscono, a quel punto arriva Lara e anche l'atteso bacio tra lei e Luca :3
Ringrazio tutti coloro che leggono e recensiscono :3 un bacio,
Trilly
 

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Capitolo 31
*** Venezia ***





“Bè, siamo arrivati,” mormorò Fernando Vargas, parcheggiando la macchina a pochi metri dall'ingresso dell'aeroporto di Buenos Aires e voltandosi verso suo figlio. Leon sospirò, ricambiando quello sguardo apparentemente tranquillo, che però serviva solo a camuffare quella profonda tensione che da troppi giorni albergava tra loro. L'uomo ora era a conoscenza di quelli che erano i progetti di suo figlio e il fatto che non avesse avuto una vera e propria reazione, limitandosi ad annuire per poi rivolgergli a malapena la parola, non faceva altro che incrementare il nervosismo del ragazzo. Avrebbe preferito di gran lunga che gli urlasse contro, che lo prendesse a sberle, qualsiasi cosa ma non quella frustrante passività. Tra l'altro gli occhi verdi di suo padre erano completamente inespressivi e per questo non riusciva a capire cosa gli passasse per la testa. Era sempre stato così, o era in quella determinata situazione che l'uomo aveva deciso di camuffare tanto le sue emozioni? “Papà,” provò, voltandosi completamente verso di lui. Non poteva partire senza aver chiarito le cose con lui. Doveva sapere se lo odiava per la sua scelta, doveva sapere se era deluso, doveva insomma sapere qualcosa. Fernando scosse la testa, dandogli poi una pacca sulla spalla. “Sarà un viaggio interessante. L'Italia è un bel posto e...”
“Lo so,” lo interruppe il ragazzo. “Ma non è di questo che voglio parlare prima di partire. Ho bisogno di sapere se ti ho deluso.” L'uomo si irrigidì a quelle parole, mentre la conversazione che avevano avuto circa due settimane prima gli attraversava la mente. “Ti prego, papà, dimmelo e facciamola finita. Non ce la faccio più a reggere questa tensione.” Seguirono quelli che parvero lunghi minuti in cui non volò una mosca, poi a sorpresa Fernando sussurrò quattro semplici parole. “Sarebbe fiera di te.” Leon socchiuse gli occhi e strinse forte i pugni. Sapeva perfettamente di chi parlava, di lei, sua madre. Miranda più di tutto avrebbe voluto che lui e Lara non fossero coinvolti nella vita losca di Fernando, quindi sarebbe stata felicissima di sapere che il maggiore dei suoi figli se ne stava effettivamente tirando fuori. Dio solo sapeva quanto i due avrebbero voluto vederla anche un solo istante, con quel meraviglioso e dolce sorriso che l'aveva sempre contraddistinta. Impercettibilmente sorrisero, poi Fernando strinse forte suo figlio, lasciandolo a bocca aperta. Mai, nemmeno quando era uscito dal carcere, lo aveva abbracciato in maniera così calorosa. “Stai diventando un uomo, Leon, molto di più di quanto io sia mai stato.”
“Grazie, papà,” mormorò il giovane ricambiando l'abbraccio, emozionato. Solo ora che aveva ottenuto il suo appoggio si sentiva più leggero, più libero. Amava suo padre e il solo pensiero di deluderlo e quindi di perderlo, lo avrebbe fatto impazzire. “Su, ora vai,” sorrise l'uomo, sciogliendo l'abbraccio. “Divertiti e non tormentarti più. Accetto e rispetto la tua scelta, davvero.”
Leon annuì, abbozzando un mezzo sorriso. “Ti chiamo appena atterriamo. Dì a Lara di tenere il cellulare acceso, chiamerò anche lei.” Dopo essersi scambiati un ultimo abbraccio, il giovane si incamminò verso l'aeroporto trascinando il suo trolley. Essendo un ragazzo e trattandosi solo di una settimana, non aveva portato molte cose a parte l'equipaggiamento per affrontare l'inverno italiano. E pensare che a Buenos Aires faceva così caldo. “Leon!” Il ragazzo, che aveva quasi raggiunto le sedie di plastica all'interno dell'aeroporto, dove aveva intenzione di attendere Violetta e i Galindo, si voltò di scatto riconoscendo la voce di Francesca. La ragazza era in compagnia di suo fratello Luca e reggevano un trolley e una valigia. “Ciao, ragazzi,” sorrise il giovane Vargas, andando loro incontro. Luca salutò con entusiasmo il fratello della sua neo ragazza e stritolò Francesca in un forte abbraccio, per poi augurare loro buon viaggio un'infinità di volte, rammentando ovviamente di chiamarlo al momento dell'atterraggio. Una volta rimasti da soli, Leon si rese conto di quanto la ragazza fosse nervosa e agitata. “Ehi, va tutto bene,” tentò di rassicurarla, mentre la aiutava con le valige. “Non dovrei essere qui, mi odiano,” mormorò lei, seguendolo verso le sedie di plastica e sedendosi accanto a lui. “Diego non ha fatto altro che insistere e...”
“E non sei riuscita a dirgli di no,” concluse per lei, con un sorriso complice. “Lui e Violetta sono molto persuasivi, purtroppo.” La ragazza scrollò le spalle, giocherellando distrattamente con la cerniera del suo trolley. “Già so che me ne pentirò, ma non volevo deluderlo,” aggiunse con un sorriso imbarazzato, che portò Leon ad annuire comprensivo. “Lo ami molto.”
“Come tu ami Vilu.” Nonostante fosse visibilmente rossa in viso, Francesca abbozzò un piccolo sorriso, ricambiato prontamente dal ragazzo. In fondo loro due non erano tanto diversi, entrambi dovevano confrontarsi con l'ostilità della famiglia delle persone che amavano e per quello una sana alleanza non poteva che fare bene.
“Ma quanto siete lenti, forza!” Esclamò Angie, varcando l'ingresso dell'aeroporto con il suo fidato beautycase. Violetta e Lena, che a loro volta trascinavano due trolley dai colori vivaci, la seguirono prontamente. Poco dietro, c'erano Pablo, Diego e Marco, sommersi di bagagli e che procedevano a passo di tartaruga. “Ma non potrebbero darci una mano?” Borbottò tra i denti il maggiore dei due fratelli. “Siamo uomini, non muli da soma.” Marco annuì. “Non credevo lo avrei mai detto, ma ha ragione, papà. Non mi sento più le braccia.” Diego sgranò gli occhi, sorpreso che per la prima volta suo fratello la pensasse come lui, mentre Pablo ridacchiò. “Ragazzi, non siate maschilisti. Le donne devono essere trattate come regine.” Dicendo ciò, l'uomo guardò la moglie con un dolce sorriso, sotto lo sguardo scettico dei figli. Finalmente l'allegra famigliola individuò Leon e Francesca che chiacchieravano e li raggiunsero prontamente. Se Vargas si dimostrò più spavaldo e sicuro di se, la Cauviglia era palesemente a disagio e a fatica reggeva lo sguardo di Marco o dei coniugi Galindo. Pablo, come sempre più pacifico e diplomatico, fece di tutto per far sentire i ragazzi a loro agio, raccontando loro aneddoti sul suo primo traumatico viaggio in aereo e scatenando per questo le risate generali. Dopo aver fatto il check in e aver caricato i bagagli, seguirono la calca di persone per salire in aereo. Leon e Violetta si tennero per mano tutto il tempo, sussurrandosi parole all'orecchio. Davanti a loro, Pablo e Angie guidavano la fila con Marco e Lena, la bionda si stringeva forte al braccio del giovane e straparlava su chissà quale argomento, ben poco considerata dagli altri. A chiudere la fila c'erano Diego e Francesca, che però camminavano a distanza di sicurezza l'uno dall'altro, o almeno la ragazza lo faceva, dato che lui tentava in ogni modo di avvicinarla. In aereo se possibile la tensione salì, soprattutto quando Lena iniziò a sfidare con lo sguardo la Cauviglia e lei di tutta risposta, prese posto accanto al finestrino con lo sguardo basso. Subito Violetta l'affiancò, mentre Leon e Diego si sedettero di fronte a loro. I coniugi Galindo si accomodarono alle spalle delle ragazze e davanti a loro Marco e Lena. Ben presto calò la notte e per quello la maggior parte dei passeggeri si addormentò. Solo Lena resistette più degli altri, continuando a parlare per quelle che parvero ore e il povero Marco non sapeva più che fare per zittirla. Angie e Pablo si misero le cuffie alle orecchie e si addormentarono quasi subito, perciò non ebbero problemi a differenza del loro figlio minore. Nel frattempo i quattro giovani parlarono animatamente della vacanza che li aspettava, poi stremati si addormentarono a loro volta, non prima che Leon e Diego ebbero stampato un bacio sulle labbra delle loro imbarazzate ragazze. Quando l'aereo atterrò nell'aeroporto di Venezia, il sole splendeva alto nel cielo e i passeggeri erano ancora visibilmente intontiti. Le hostess li fecero disporre in fila indiana per scendere dall'aereo e tutto quel caos impedì loro di dire qualsiasi cosa. Una volta aver ritirato i bagagli, Pablo insistette per offrire a tutti la colazione e perciò si fermarono nel bar dell'aeroporto, che non avrebbe potuto essere più affollato. Da stralci di conversazione, compresero che effettivamente l'italiano non fosse molto diverso dall'argentino, anche se non erano tanto sicuri di riuscire a comunicare con facilità, tanto che Pablo si servì anche di gesti per farsi comprendere dall'uomo del bar, scatenando le risate degli altri. “La prossima volta prova a comunicare tu,” borbottò Pablo offeso, dato che Angie non smetteva un attimo di prenderlo in giro. Dopo aver fatto colazione e aver informato i familiari del loro arrivo a Venezia, chiamarono due taxi per farsi accompagnare in albergo e durante il tragitto si affacciarono ai finestrini per ammirare la città.
L'albergo prenotato da Pablo era molto grazioso e si trovava proprio nella zona più popolata. Magari non era il più costoso e in voga, però non si potevano lamentare dato che era abbastanza grande e curato e aveva persino la piscina interna e l'idromassaggio. Galindo senior fece per avviarsi verso la reception, ma prontamente Leon e Francesca lo affiancarono e insistettero affinché l'uomo gli permettesse di pagare la loro parte. “Accettare di portarci con te non significa che devi pagare per noi,” spiegò Vargas, porgendogli una serie di banconote. “D'accordo offrirci la colazione, ma l'albergo lo paghiamo noi.” La ragazza annuì, prendendo a sua volta il borsellino. “Leon ha ragione.” Pablo tentò ancora di ribattere, ma di fronte all'ostinazione dei due ragazzi non potè fare altro che accettare. “Va bene, ma non permettetevi di darmi i soldi della colazione.” Loro ridacchiarono, per poi raggiungere Violetta e Diego, che nel frattempo li fissavano divertiti. “Ho risparmiato abbastanza soldi come aiutante di Beto e poi mio padre ha aggiunto qualcosa,” spiegò il giovane Vargas, circondando le spalle della sua ragazza. “Anche io,” concordò Francesca, stringendo timidamente la mano di Diego. “Le serate al Restò Band sono state un successo e così mio fratello ha potuto pagarmi molto bene.” I quattro continuarono a parlare, seguiti dallo sguardo attento di Lena che di sicuro non si era persa una parola, così come Marco che faceva fatica a nascondere il suo umore nerissimo. Vedere Francesca e Diego insieme lo faceva impazzire e Lena che non la smetteva un attimo di parlare, non faceva altro che aumentare il suo nervosismo. Come gli era saltato in mente di invitarla? Perché non aveva pensato di restare a casa con Angelica? Ovviamente Angie e Pablo avevano notato la tensione che c'era tra i ragazzi, in particolare tra i loro figli che nemmeno si guardavano e poi c'era la Cauviglia, che sembrava quasi a disagio a stare accanto a Diego, tanto da starsene incollata a Violetta. Solo in quel momento Francesca e il maggiore dei Galindo avevano iniziato a tenersi per mano, ma appunto non erano per niente a loro agio, a differenza di Leon e Violetta che si scambiavano tenerezze senza alcun imbarazzo. Lena poi faceva di tutto per tenere d'occhio i quattro ragazzi e allo stesso tempo, stringersi al braccio di un Marco che non avrebbe potuto avere un umore peggiore. Non sapevano dire perché, ma i coniugi Galindo non si fidavano al cento per cento della bionda e non perché a differenza di Leon e Francesca non aveva per niente insistito per pagare l'albergo, piuttosto per il suo modo di guardare le persone, come se fosse in grado di leggerle dentro ed individuare anche i loro segreti più nascosti e la cosa era alquanto inquietante. Pablo distolse lo sguardo da Lena e dopo aver scambiato un'occhiata eloquente con la moglie, si avvicinò al banco della reception, dove una donna di bell'aspetto che non dimostrava più di trent'anni li accolse con un grande sorriso, indugiando in particolare su Galindo. La cosa ovviamente non sfuggì ad Angie, che si irrigidì. “Buongiorno, ehm... mi capisce?” Chiese l'uomo dubbioso, dato che conosceva ben poche parole di italiano. La donna sorrise ancora, sbattendo le lunghe ciglia. “Certo che la capisco, parlo molto bene lo spagnolo. Mi dica.”
“Ah, bene. Ho prenotato tre camere, una matrimoniale e due triple. Sono a nome di Pablo Galindo,” spiegò tranquillamente, non avendo notato che mentre sfogliava un grosso registro, la receptionist non facesse altro che lanciargli occhiate. “Si, eccola qui la vostra prenotazione,” ammiccò la donna. A quel punto Angie non resistette più e gettò le braccia al collo del marito, schioccandogli un bacio sulla guancia. Pablo avvampò di colpo, mentre la dipendente dell'albergo si fece di colpo seria e contrasse la mascella. Se prima si era mostrata molto cortese, al momento del pagamento e della consegna delle chiavi fu gelida come un iceberg e lanciò occhiatacce all'indirizzo di Angie, che ricambiò con pari intensità.
“State scherzando, spero,” sbottò Marco, incrociando le braccia al petto e guardando i genitori con un sopracciglio inarcato. I bagagli erano già stati portati nelle loro camere e solo in ascensore i Galindo avevano spiegato ai ragazzi la disposizione delle camere. “è l'unica opzione possibile,” sospirò Pablo, spostando lo sguardo dall'uno all'altro. “Tu dividerai la camera con Diego e Leon, mentre nell'altra alloggeranno Violetta, Francesca e Lena.”
Se Marco continuò a protestare, gli altri due ragazzi non dissero una parola. Vargas perché onestamente non aveva alcun problema a dividere la camera con il fratello del suo amico, mentre Diego appariva impassibile come se la cosa non lo toccasse. Per quanto riguardava le ragazze, Lena storse il naso indispettita, ma non si oppose. Stare nella stessa camera con Violetta e Francesca le poteva comunque tornare utile per tenerle d'occhio, soprattutto la Cauviglia che continuava a considerare una pericolosa rivale. In ogni caso, Pablo e Angie si dimostrarono intransigenti e perciò anche se contrario, Marco non potè fare altro che seguire Diego e Leon nella loro camera e la stessa sorte toccò alle ragazze.



Angelica si lasciò cadere sulle ginocchia contro le gelide e ingiallite mattonelle del cimitero di Buenos Aires, soffiandosi energicamente il naso con un fazzoletto di stoffa. Davanti a lei le lapidi con annesse foto di German e Maria sembravano osservarla, apprensivi. “Ho fatto tutto ciò che era in mio potere per fermarli...perdonatemi,” singhiozzò l'anziana donna, sfiorando le incisioni dei nomi della figlia e del genero, mentre calde lacrime le scorrevano lungo le guance. Sin da quando Angie e Pablo le avevano parlato di quel viaggio a Venezia, aveva sentito un dolore lancinante alla base del petto e sentimenti di puro terrore l'avevano sopraffatta. Quasi aveva sperato che scherzassero, che Angie acquisisse un po' di buon senso e invece no, lei aveva appoggiato quella folle idea. Come faceva a non capire quanto potesse essere pericolosa e distruttiva quella maledetta città? A nulla erano servite le lunghe conversazioni al telefono, sua figlia imperterrita era voluta partire e sembrava non rendersi conto del grande pericolo che correvano. Lì in quella città c'era il passato, quel terribile passato che avevano tentato in tutti i modi di dimenticare e metterci piede era come riaprire una ferita, permettere al dolore e alla sofferenza di riaffiorare. Angelica con tutta se stessa avrebbe voluto evitarlo esattamente come aveva fatto in quei cinque anni, ma ora...ora tutto le era sfuggito di mano. Angie, Pablo, Violetta, Diego, Marco. Tutta la sua famiglia ormai era in quella città, soggetti a chissà quanti pericoli e lei non poteva fare nulla per proteggerli. Si asciugò ancora le lacrime, poi tornò ad osservare i volti così giovani di Maria e German. “So di avervi fatto una promessa e credetemi, ho tentato di rispettarla ma...Angie è così testarda, non ha voluto ascoltarmi...io l'ho messa in guardia e...sono partiti lo stesso...” S'interruppe di colpo, mentre i suoi singhiozzi si facevano ancora più disperati. Quella notte non era riuscita a chiudere occhio, il pensiero della sua famiglia lì non l'aveva abbandonata un attimo. Sul letto di morte aveva promesso a Maria e a German che finché avesse avuto vita, avrebbe protetto tutti da quell'oscuro passato, Violetta in primis, ma ora come avrebbe fatto? Una cosa era mantenere il segreto a Buenos Aires, lontano chilometri dalla verità, un'altra decisamente diversa era riuscirci con loro lì. E se la situazione le fosse sfuggita di mano? E se il segreto che si portava dietro da anni fosse stato scoperto? Angelica rabbrividì al solo pensiero. Ciò che nascondeva era così importante e allo stesso tempo così terribile, che solo lei poteva reggere un peso tanto grande, gli altri non ci sarebbero mai riusciti, non aveva dubbi su quello e probabilmente nemmeno Maria. Ricordava ancora quando sua figlia maggiore era stata portata in ospedale in fin di vita e aveva subito chiesto di lei. “So che sto per morire e per questo devo chiederti una cosa importante,” aveva iniziato Maria a fatica, stringendole la mano. “Promettimi che tu e Angie proteggerete la nostra famiglia...soprattutto Violetta. Promettimelo, mamma. La verità deve morire con noi,” l'aveva supplicata con gli occhi lucidi e Angelica, che ormai piangeva a dirotto, glielo aveva promesso. Nessuno, a parte lei e Angie, avrebbe mai saputo nulla di quel terribile segreto e figli e nipoti sarebbero sempre stati al sicuro. Ora però la donna si sentiva colpevole, come se avesse rotto volontariamente quella promessa e non poteva fare a meno di disperarsi e scusarsi con le foto della figlia e del genero. “Spero davvero che Angie abbia ragione e che tornino sani e salvi, perché altrimenti non so cosa potrebbe succedere. La nostra famiglia ne uscirebbe devastata e sarebbe tutta colpa mia. Io avrei dovuto evitarlo, io avrei...” Singhiozzò ancora, facendo fatica a rimettersi in piedi. Lei non aveva mai creduto nel destino, pensava che tutto dipendesse dalle loro scelte, ma ora più che mai sperava di essere smentita e che il destino fosse clemente con lei, decidendo di intervenire per cambiare le cose. Lei da sola non ce l'avrebbe mai fatta, aveva un disperato bisogno di aiuto. “Vi prego,” sussurrò, congiungendo le mani e rivolgendosi a German e Maria. “Se potete sentirmi, vi prego aiutatemi. Io non posso proteggerli da qui, ma voi si. Fateli tornare a casa sani e salvi, vi supplico.” Esitò ancora per alcuni istanti, poi si incamminò verso l'uscita del cimitero. Il peso che avvertiva nello stomaco da quando la sua famiglia era partita, le gravava ormai come un macigno. Quella settimana per lei sarebbe stata un vero e proprio calvario, ne era sicura. Se non fosse morta in quel lasso di tempo di crepacuore, allora non sarebbe più accaduto. Come avrebbe fatto a condurre la sua vita normalmente non sapeva dirlo, già immaginava le notti in bianco e forti crisi d'ansia tormentarla giorno e notte. Perché accidenti Angie non le aveva dato ascolto e aveva voluto correre un rischio così grande? Possibile che lo avesse fatto solo per non far insospettire Pablo, o c'era dell'altro? Cosa spingeva sua figlia a sfidare così apertamente la malasorte? Onestamente non sapeva dirlo, sperava solo di non doversi pentire di averle dato fiducia.



“Non mi sembra vero che siamo qui,” mormorò Violetta entusiasta, affacciata al grande balcone della sua camera d'albergo, da cui aveva una perfetta visuale del centro della città. Francesca, che si stava allacciando le scarpe, sorrise. “Mi era mancata tantissimo la mia Italia. Essere qui è un'emozione unica.” Lena invece, che da quando si erano ritirate in camera non aveva detto una parola, si limitò a storcere il naso, sdraiata comodamente sul suo letto con un libro tra le mani. Anche a lei piaceva molto l'Italia, ma non lo avrebbe mai ammesso e questo perché non voleva iniziare alcun tipo di conversazione con le due ragazze. Odiava e temeva tantissimo la Cauviglia, essendo consapevole che Marco provava ancora qualcosa per lei e poi c'era Violetta, per cui aveva sviluppato un'antipatia a pelle. Avrebbe quasi preferito dividere la camera con quei due delinquenti di Diego e Leon piuttosto che con loro. Sperava comunque che quel viaggio le sarebbe stato utile per conquistare definitivamente il cuore di Marco, anche perché era l'unico motivo per cui aveva accettato. Le interessava solo lui ed era disposta a tutto per averlo, qualsiasi mezzo lo avrebbe considerato lecito.
Nella camera accanto alla loro nel frattempo, Leon si era chiuso in bagno per parlare al cellulare con suo padre e Lara, lasciando da soli in camera i due fratelli Galindo, che si ignoravano palesemente. Diego se ne stava stravaccato sul letto e armeggiava con il cellulare, mentre Marco sistemava ordinatamente i vestiti nella sua parte di armadio. Senza farsene accorgere però, di tanto in tanto si lanciavano delle occhiate. Ovviamente sapevano di essere proprio loro il motivo di quel viaggio e per quello non era un caso che fossero capitati nella stessa camera. I loro genitori volevano a tutti i costi che risolvessero quelle divergenze che ormai andavano avanti da anni e anche se in fondo al cuore li capivano, l'orgoglio prevaleva. Marco odiava profondamente suo fratello per l'inferno che gli aveva fatto passare durante l'infanzia e l'adolescenza e ora gli aveva persino soffiato la ragazza, come poteva anche solo pensare di perdonarlo? Era assurdo, impensabile. Per quanto riguardava Diego, il ragazzo era perfettamente consapevole che se si trovavano in quella situazione era tutta colpa sua e della sua maledetta gelosia. Troppo geloso della perfezione di suo fratello, aveva infatti iniziato ad odiarlo e a fargli e dirgli crudeltà di ogni tipo. Vederlo ferito e umiliato per un po' lo aveva fatto sentire bene e sicuramente l'appoggio di Leon, che in passato era molto meno raccomandabile, gli aveva fornito quello stimolo in più per distruggere tutto quell'alone di perfezione che caratterizzava Marco. Tutti lo preferivano, a partire dai loro genitori e da Angelica, fino ad amici e insegnanti. Diego sapeva che il suo carattere ribelle e irascibile fosse un handicap abbastanza determinante, eppure aveva voluto ignorare quel particolare preferendo dare tutta la colpa a Marco. Era lui che gli metteva tutti contro, lui lo voleva isolare, lo voleva vedere soffrire. Proprio quei pensieri avevano dato vita al ragazzo freddo, crudele ed egoista che era diventato e forse era stato quell'anno di carcere a salvargli la vita. Finalmente aveva capito che non poteva continuare in quel modo e che dovesse seriamente mettere la testa a posto. L'odio per Marco però non era sparito, era lì più vivido che mai e lo aveva portato a mettere in atto quel crudele piano: rubargli la ragazza. Era convinto che Francesca fosse abbastanza fragile e ingenua per manipolarla a suo piacimento e invece era stata proprio lei a fregarlo. Senza nemmeno rendersene conto, dalla semplice attrazione aveva finito per innamorarsene e solo dopo aveva saputo che lei lo amasse da sempre. Assurdo, tutti avevano capito che la ragazza avesse una cotta tranne lui. Francesca era l'unica ragazza che fosse riuscita a far sciogliere il suo cuore di pietra e oltre all'amore per lei, si era fatto strada in lui anche il senso di colpa per ciò che aveva fatto a Marco. Erano settimane ormai che si tormentava, chiedendosi se non dovesse fare qualcosa per rimediare. D'accordo che sembrava aver trovato una nuova ragazza, ma era chiaro che amasse ancora Francesca e non poteva dargli torto. Lei era speciale e per quello impossibile da dimenticare. A volte si era anche chiesto se per farsi perdonare da Marco avesse dovuto lasciare Francesca ed era quasi stato sul punto di farlo, ma poi appena aveva incrociato quei dolcissimi occhi scuri gli era mancato il coraggio. Come poteva lasciare l'unica ragazza che avesse mai amato? Come poteva pensare di andare avanti senza di lei? Tuttavia, nemmeno sapere che suo fratello soffrisse per colpa sua lo faceva sentire meglio. Cosa doveva fare allora?
“Siete pronti?” Sia Marco che Diego sobbalzarono, mentre Pablo apriva di scatto la porta della loro camera. “Tra quindici minuti sarà servita la cena,” continuò, proprio nel momento in cui Leon usciva dal bagno. “Le donne sono già scese al ristorante, manchiamo solo noi.”
“Bene, allora andiamo,” sorrise Vargas, recuperando il cappotto e affiancando Galindo. “Il mio stomaco non fa altro che brontolare.” Diego ridacchiò, raggiungendo i due. “Vilu dice che il cibo italiano è buono, speriamo sia davvero così.” Quando anche Marco fu pronto, i quattro presero l'ascensore che li portò direttamente nella hall dell'albergo e da lì svoltarono a sinistra, dove c'era l'ingresso della sala ristorante. Dovettero guardarsi intorno diverse volte prima di individuare Angie e le tre ragazze, sedute a un tavolo in fondo alla sala. Se Leon e Diego si recarono prontamente ai lati di Violetta e Francesca e Pablo raggiunse la moglie, Marco fu quasi tentato di chiedere al padre di scambiarsi di posto, poi però non potè fare altro che sedersi accanto a Lena, che subito gli si aggrappò al braccio. Alla fine, su suggerimento del cameriere ordinarono del risotto agli asparagi e un secondo a base di pesce. La cena fu abbastanza tranquilla, nonostante il ristorante fosse molto affollato ed era presente anche un'orchestra che accompagnava il pasto con un dolce e orecchiabile sottofondo. Fu a un certo punto, quando era ormai già stato servito il dolce, che a Violetta venne un'idea. L'ultima volta che era stata lì, lei e sua madre avevano cantato una canzone proprio nel ristorante dell'albergo e anche se non era lo stesso di allora, aveva una gran voglia di ripetere l'esperienza. “Ehi, Fran,” sussurrò perciò all'orecchio dell'amica. “La vogliamo fare una pazzia?” La mora la guardò, confusa. “Che genere di pazzia?” Violetta non rispose, limitandosi a scattare in piedi e a tirarla su afferrandola per un braccio. “Io e Fran dobbiamo fare una cosa,” annunciò agli altri e senza attendere risposta, trascinò l'amica verso la piccola orchestra. Dopo un lungo confabulare, dovuto soprattutto alla difficoltà di comunicazione e al fatto che Francesca fosse così sconvolta da essere poco collaborativa, le ragazze riuscirono a convincere l'orchestra a far cantare loro una canzone. “Tu sei pazza,” soffiò la mora, mentre salivano sul palco insieme all'orchestra. “Come ti è venuta quest'idea?” Violetta sorrise, stringendole forte la mano. “L'ho già fatto una volta con mia madre e avevo voglia di farlo ancora.” Francesca annuì, ora comprensiva, sorridendole di rimando. “Iniziamo allora.”
Su segnale delle due ragazze, l'orchestra riprodusse la base di 'En mi mundo' e subito iniziarono a cantare le prime note, continuando a tenersi per mano.
Tutta la sala, il loro tavolo in primis, le fissava ammirata. Pablo e Angie battevano le mani e ondeggiavano il capo a ritmo di musica e lo stesso facevano molte persone, colpite dalle voci così particolari delle due giovani. Lena era invece visibilmente indispettita e sbuffava sonoramente. Questo perché Marco si era voltato completamente verso il palco, rapito. Non ci voleva un genio per capire che tutta la sua attenzione fosse per Francesca e la cosa la mandava decisamente in bestia. Cosa aveva quella ragazza che lei non aveva? Anche Leon e Diego nel frattempo, ammiravano le loro ragazze sul palco e non potevano fare a meno di pensare a quanto fossero fortunati ad averle al loro fianco.
Quello che nessuno di loro sapeva, era che qualcun altro tra quel folto pubblico si fosse voltato di scatto e che ora fissasse Violetta profondamente colpito. Quasi non aveva notato che gli altri uomini d'affari seduti al suo tavolo avessero ripreso il discorso, in quel momento per lui esisteva solo quella ragazza. La sua voce, le sue movenze, il suo sorriso, tutto di lei lo incuriosiva e affascinava allo stesso tempo e proprio non riusciva a toglierle gli occhi di dosso.
Alla fine della canzone, seguì un fragoroso applauso e in un attimo Violetta si ritrovò stretta tra le braccia degli zii, mentre Diego raggiunse Francesca che era appena scesa dal palco. Entrambi furono quasi tentati di gettarsi l'uno tra le braccia dell'altro, ma poi non lo fecero limitandosi a fissarsi. Gli sguardi di Marco e Lena incombevano su di loro più insistenti che mai, facendoli sentire terribilmente a disagio. “Sei stata meravigliosa,” sussurrò il ragazzo, grattandosi nervosamente il capo. Già i sensi di colpa lo torturavano, se poi quei due non la smettevano di fargli radiografie, non poteva fare a meno di sentirsi ancora di più soffocare. A parte il bacio in aereo, lui e Francesca non avevano avuto nemmeno un momento per loro e quello perché si sentivano troppo giudicati e al centro dell'attenzione, cosa che entrambi detestavano. “G..Grazie,” balbettò lei con un sorriso imbarazzato. Seguì un lungo e imbarazzante silenzio, durante il quale si sentirono ancora una volta in trappola. Quanto potevano reggere tutta quella tensione?
Situazione completamente diversa era quella di Leon e Violetta, che a diversi metri dal palco si stringevano in un forte abbraccio. “Sono innamorato della tua voce,” soffiò il ragazzo al suo orecchio, sfiorandolo poi con le labbra. “Solo di quella?” Ammiccò lei, facendo scorrere le mani lungo la sua schiena. Leon ridacchiò, lasciandole un bacio sulla fronte. “Mmm...non direi. Amo anche il tuo sorriso, i tuoi occhi e le tue labbra e poi...” Sciolse di poco l'abbraccio, così da poterla guardare negli occhi con un sorrisetto malizioso. “E poi ci sono altre cose e se stanotte ci appartiamo da qualche parte, potrò elencartele con calma.” Violetta avvampò di colpo, ma allo stesso tempo un sorriso complice si distese sulle sue labbra. “Sai che mi sembra una buona idea, se sono tante cose abbiamo bisogno di tempo e di calma.” Gli allacciò le braccia al collo, facendo sfiorare i loro nasi. “è così, Leon?”
“Assolutamente si,” concordò lui, stringendola maggiormente a se e baciandola con passione. Pablo e Angie ancora una volta si resero conto di quanto avessero sbagliato a tentare di separare quei due ragazzi, che era evidente fossero l'uno la metà dell'altro e per quello sorrisero, tornando a sedersi al loro tavolo. Subito Marco li seguì, desideroso di mettere quanta più distanza possibile da Diego e Francesca e soprattutto da Lena, che ogni minuto che passava era sempre più una piovra. Come gli era saltato in mente di invitarla? Avrebbe potuto scegliere qualunque ragazza e aveva scelto la peggiore, che sciocco era stato. Ora non gli restava che sperare che quella settimana passasse il più velocemente possibile. Poco distante, il misterioso individuo non si era perso nessuno dei movimenti della giovane Castillo e al contrario continuava ad osservarla con grande attenzione, sicuro di non sbagliarsi. Il suo istinto era infallibile, non sbagliava mai un colpo e nemmeno quella volta lo aveva fatto.




E finalmente Venezia è arrivata! :P
So che è stato un capitolo fin troppo descrittivo e introspettivo, ma serviva da introduzione per Venezia, che come avrete capito nasconde molti segreti. La drammatica scena al cimitero di Angelica lo conferma, così come il misterioso individuo che ha notato Vilu. Chi sarà?
Nel frattempo Leon e suo padre hanno avuto il loro confronto e l'uomo ha accettato le scelte del figlio :3 Se nel quadrilatero Diego-Fran-Marco-Lena la tensione è alle stelle, tra Leon e Vilu le cose vanno a meraviglia, mentre Angie deve confrontarsi con la gelosia verso il suo Pablo :3 spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio di cuore voi che leggete e recensite la mia storia, siete dolcissimi :3
Trilly


 

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Capitolo 32
*** Ombre dal passato ***





“Mi sembra di stare vivendo un sogno!” Esclamò Violetta entusiasta, saltellando imperterrita nell'affollatissima piazza San Marco, che nonostante l'inverno inoltrato pullulava lo stesso di turisti. I ragazzi le corsero dietro, straparlando su tutte le magnificenze della città che avevano ammirato, mentre Pablo e Angie procedevano a passo più lento. “Penso di non aver mai camminato tanto in vita mia,” mormorò la Saramego, stringendosi al braccio del marito e lasciandosi sfuggire un lungo sbadiglio. L'uomo annuì, guardando distrattamente il gruppo di ragazzi che per la prima volta sembravano abbastanza compatti. “Abbiamo visitato così tanti musei, teatri, strade e chi più ne ha più ne metta. I ragazzi però mi sembrano felici, non trovi?” Aggiunse, guardandola con la coda dell'occhio. “è vero,” sorrise Angie, poggiando il capo sulla sua spalla. “Forse stiamo iniziando a fare progressi, chissà.”
In effetti Marco e Lena si erano uniti al gruppo, anche se si rivolgevano per lo più a Violetta e Leon e di tanto in tanto Marco guardava Francesca, ma per il resto la Cauviglia e Diego furono per lo più ignorati dai due. Se alla mora andava bene così, dato che così evitava situazioni di disagio, il ragazzo avvertiva un peso sempre più insostenibile alla bocca dello stomaco e non gli ci voleva molto per capire di cosa si trattasse. Si sentiva colpevole Diego, sapeva che tutte le sofferenze che Marco aveva e stava passando fossero colpa sua. Lo aveva ferito e umiliato senza pietà e non poteva biasimarlo se ora si comportasse come se lui non esistesse, chiunque lo avrebbe fatto al suo posto. Tra l'altro si rendeva conto di quanto Marco amasse ancora Francesca, senza farsi notare le lanciava degli sguardi che non potevano essere fraintesi, in quegli sguardi c'era amore e lui egoista e bastardo quale era sempre stato, glielo aveva portato via. Fino a che punto ci si poteva spingere per essere felici? Mentre pensava al suo amore per la Cauviglia e ai sensi di colpa che provava verso suo fratello, non poteva fare a meno di chiederselo. Era giusto continuare a stare con la ragazza che amavano entrambi, o per rispetto verso Marco avrebbe dovuto lasciarla? Se avesse chiuso con lei, sarebbe riuscito a farsi perdonare e ad andare avanti senza di lei?

Io ti amo, ma non ti chiederei mai di scegliere tra me e Marco. Sappi però che anche se deciderai di chiudere con me, io non tornerò mai con lui.”

Le parole che Francesca gli aveva detto tempo prima gli attraversarono la mente. Lei non sarebbe tornata con Marco se l'avesse lasciata, era stata chiara. Lei amava lui, lo amava davvero. Ogni volta che incrociava il suo sguardo, vedeva riflesso in esso il profondo sentimento che provava e non poteva fare a meno di amare e allo stesso tempo odiare ciò. Il fatto che lei lo amasse quanto lui amava lei, rendeva tutto ancora più difficile da gestire. Non voleva che soffrisse, ma non voleva nemmeno che soffrisse Marco.
“Ehi, Diego?” Leon gli schioccò le dita davanti agli occhi, riportandolo alla realtà. “Ti sei incantato? Sono dieci minuti che tento di attirare la tua attenzione. Le ragazze vogliono fare delle foto con la vista sul mare.” Il giovane sbattè diverse volte le palpebre, poi annuì poco convinto. “Ok.” Seppur scettico per lo strano comportamento dell'amico, Leon decise di non indagare oltre e si affrettò a raggiungere Violetta, che in quel momento si stava facendo una foto con Marco. Anche se il giovane Galindo aveva buoni motivi per avercela con la cugina, dato che aveva incoraggiato la relazione tra Francesca e Diego, le numerose scuse della ragazza, accompagnate dalla consapevolezza personale che purtroppo la mora non lo amasse più, lo avevano portato a metterci una pietra sopra. In fondo non era colpa di Violetta, lei si era semplicemente trovata in una posizione scomoda essendo coinvolti la sua migliore amica e i suoi cugini e proprio per quello aveva smesso di avercela con lei e di provare a riallacciare i loro rapporti. “Sorridi, Marco,” mormorò Violetta, schioccandogli un bacio sulla guancia. Lui lo fece e prontamente lei scattò la foto. “Guarda quanto siamo belli!” I due si fermarono ad ammirare la foto e subito dopo se ne fecero delle altre, ignorando completamente Lena che sbuffava, infastidita. “Che problemi ha?” Leon raggiunse il gruppo in quel momento, rivolgendosi a Francesca e indicando la bionda con un cenno. Lei scrollò le spalle, continuando a scattare foto alla piazza e alla facciata sul mare. “A quella lì non va bene nulla. Non fa altro che lamentarsi e lanciarmi occhiate assassine, è inquietante.” Vargas ridacchiò, esibendosi poi in una perfetta imitazione di Lena, che inevitabilmente portò entrambi a scoppiare a ridere. Ciò attirò l'attenzione non solo della diretta interessata, ma anche di Diego che si era avvicinato in quel momento e di Violetta e Marco. “Avete finito?” Sbottò Lena, inviperita. Era evidente che avesse capito che il motivo delle loro risate fosse lei. A quel punto lo capirono anche Violetta e Diego e per quello si unirono alle risate dei due, facendo letteralmente imbestialire la bionda. “Lo trovate divertente? Quattro contro uno, che squallore!” Strillò, cosicchè sentissero anche Angie e Pablo che accorressero, preoccupati. “Stavamo solo scherzando, Lena, non prendertela,” spiegò Violetta, facendosi di colpo seria. “Leon imita tutti, persino se stesso a volte.” Leon annuì, circondando le spalle di Violetta. “Dovresti vedere quando imito Diego davanti allo specchio, è più maniaco di una donna,” dicendo ciò, diede una leggera gomitata al moro, che sogghignò facendogli il verso. “Sta parlando mister modestia.” Stavano ancora ridendo, quando infine i coniugi Galindo li ebbero raggiunti. “Allora, che sta succedendo?” Esordì Angie, scrutandoli uno ad uno, sospettosa. Prima che qualcuno potesse ribattere, Marco fece un passo in avanti e i ragazzi temettero seriamente che potesse portare la spia e farli apparire come i mostri che non erano, o almeno Leon e Diego lo pensarono. Violetta e Francesca erano infatti sicure delle sue buone intenzioni, anche perché lo conoscevano molto bene. “Stavamo solo scherzando, nulla di cui preoccuparsi,” disse il ragazzo, spiazzando tutti i presenti, tranne appunto le due giovani che sorrisero soddisfatte. Sapevano che Marco non li avrebbe traditi, anche perché lui stesso aveva capito che non ci fosse nulla di crudele in quello scherzo. Che Leon imitasse qualcuno era all'ordine del giorno dopotutto. Pablo e Angie annuirono, seppur non pienamente convinti. “Va bene, lasciamo perdere,” disse l'uomo, sorridendo allegramente. “Che ne dite di una pausa gelato? Sono passate diverse ore da quel panino che abbiamo mangiato a pranzo.”


“Io e Leon ci sediamo davanti,” trillò la Castillo, stringendo forte la mano del suo ragazzo. Quel pomeriggio turistico di Venezia stava per concludersi e avevano pensato bene di farlo con un giro sulla famosa gondola. Dopo una lunga fila, finalmente era arrivato il loro turno e subito Violetta e Leon si avvicinarono al gondoliere, che li aiutò a salire sull'imbarcazione. “Non più di sei persone,” precisò l'uomo. Pablo e Angie allora decisero di salire su quella successiva e di riunire quindi tutti i ragazzi insieme. Marco e Lena presero posto dietro gli altri due, lasciando i posteriori a Diego e Francesca. La Cauviglia si aspettava un qualsiasi gesto o sguardo da parte del suo ragazzo, ma quando si vide ignorata ancora una volta, abbassò lo sguardo tristemente. Probabilmente Diego si sentiva a disagio data la presenza di Marco, ma possibile che non potesse nemmeno rivolgerle una mezza occhiata? Era per il fratello che non le prestava attenzione, o aveva perso interesse per lei? Da quando erano arrivati a Venezia, lo sentiva sempre più distante e doveva ammettere che la cosa la terrorizzasse. Lei non poteva stare senza Diego, lo amava troppo, dipendeva da lui in un certo senso. Non poteva però dimenticare il passato da playboy del giovane, magari la vita di coppia iniziava già a stancarlo e ora vedeva lei come una limitazione e... Avrebbe dovuto godersi quel giro sulla gondola come i suoi amici e invece non poteva fare a meno di pensare al fatto che Diego potesse essersi stancato di lei. Lo guardò con la coda dell'occhio e vide che fosse voltato quasi completamente, dandole in pratica le spalle. Un fidanzato normale e soprattutto innamorato, le avrebbe circondato le spalle o sussurrato dolci parole proprio come faceva Leon con Violetta, perché Diego non lo faceva con lei? Le sue paure erano fondate?
L'umore di Lena non era di certo migliore. La bionda, infatti, aveva tentato diverse volte di abbracciare o di baciare Marco, ma lui l'aveva prontamente respinta. Non poteva farci nulla, proprio non ci riusciva a fingere interesse o coinvolgimento per quella ragazza e nemmeno a godersi quel momento. Tutto quello che desiderava era scendere da quella maledetta gondola e rinchiudersi in camera. Per fortuna c'erano anche persone come Leon e Violetta, che se ne stavano abbracciati e si guardavano intorno emozionati. “La Laguna Veneta è più bella di quanto ricordassi,” sussurrò la ragazza, adagiando il capo sulla spalla del fidanzato. “Già,” concordò lui, facendo scorrere le dita tra i suoi capelli. “Ma mai quanto te.” Violetta sollevò il capo, incrociando il suo sguardo, emozionata. Fece per dire qualcosa, ma Leon l'anticipò stampandole un bacio a fior di labbra. “Mmm...” mugugnò poi, scendendo a lasciarle piccoli baci lungo la mascella. “Finalmente tu ed io siamo qui ed è meglio di quanto avessi immaginato,” proseguì, prendendole tra i denti il lobo dell'orecchio. Lei avvampò di colpo, temendo che il gondoliere si voltasse e li vedesse amoreggiare in quella maniera, ma allo stesso tempo non potè fare a meno di socchiudere gli occhi e di godersi quelle dolci attenzioni. Ogni volta che le labbra di Leon le sfioravano la pelle, si sentiva come se stesse andando a fuoco e ogni cellula del suo corpo sembrava spingerla a rendere quel contatto più profondo e appassionato. “Leon,” soffiò, mordendosi il labbro. Lui sorrise, mentre un lampo gli attraversava lo sguardo. Un attimo dopo la stava baciando con passione e Violetta corrispondeva con il medesimo trasporto, intrecciandogli le dita tra i capelli. In una gondola poco distante insieme ad altri turisti, c'erano Pablo e Angie, che abbracciati ammiravano il panorama intorno a loro. Di tanto in tanto la donna scattava foto, per poi tornare a stringersi al marito. “Tutto questo mi ricorda il nostro viaggio di nozze, c'è la stessa atmosfera di pace.” Galindo sorrise, lasciandole un dolce bacio tra la folta chioma dorata. “Io avverto pace dovunque sei tu,” ammise con così tanta semplicità e tenerezza, che Angie si emozionò e lo strinse forte a se. Suo marito era sempre stato molto diretto, non aveva problemi a manifestarle il suo amore, eppure ogni volta la sua incredibile dolcezza la sorprendeva. “Il mio Galindo,” sorrise, prendendogli il volto tra le mani e schioccandogli un bacio sulla guancia. “Mi fai commuovere sempre.”
“Ma davvero?” Ammiccò lui, accostando il volto al suo. “è per questo che sei arrossita?” Angie sgranò gli occhi, poi non potè nascondere un grande sorriso, sfiorandogli una guancia con una leggera carezza. “Scommetti che anche io sono capace di fare arrossire te?” Prima che Pablo potesse ribattere, lei fece congiungere le loro labbra, dando vita a un bacio profondo e appassionato. In quell'atmosfera così profondamente dolce e romantica per alcuni e così tesa e nervosa per altri, c'era qualcuno che se ne stava accanto al molo e li teneva d'occhio da lontano, soffermandosi ancora una volta sulla giovane Castillo. Ebbene si, era lo stesso uomo che già l'aveva vista nel ristorante dell'albergo ed essendone rimasto colpito, aveva seguito lei e la sua famiglia in quella gita turistica, desideroso di saperne di più.



Era da poco passata la mezzanotte, quando Francesca ricevette quello strano e impersonale messaggio. -Raggiungimi sul terrazzo, è importante- Diego non avrebbe potuto essere più freddo e i timori che non provasse più nulla per lei, si amplificarono. Probabilmente voleva lasciarla, ma pensava fosse più giusto farlo in un luogo appartato e lei onestamente non sapeva che fare. Da quindici minuti osservava il proprio riflesso nello specchio del bagno della camera che divideva con Violetta e Lena, il cellulare con il messaggio ricevuto da Diego era lì al suo fianco. Una parte di lei avrebbe solo voluto fare finta di niente e rimandare quella dolorosa conversazione, ma la razionalità le suggeriva che fosse giusto andare. Quanto poteva essere giusto però sapendo che ne sarebbe uscita con il cuore a pezzi?

Mi rendo conto di essere stata dura con te. I miei figli sono colpevoli allo stesso modo e... volevo dirti che mi dispiace. Non avrei dovuto dirti o pensare cose tanto brutte su di te, sei una brava ragazza e con il tuo comportamento degli ultimi tempi lo hai dimostrato.”

La mente di Francesca fu attraversata improvvisamente dalle parole che Angie le aveva detto proprio poche ore prima. La donna infatti, quando tutti si erano ritirati nelle loro camere, le aveva chiesto di fermarsi cinque minuti nel bar dell'albergo per scambiare due chiacchiere. Mai avrebbe immaginato che le avrebbe rivolto delle scuse e che addirittura avrebbe appoggiato la sua storia con Diego.

Non ho mai visto mio figlio così vivo come da quando sta con te. Tu hai tirato fuori il meglio di lui e per questo volevo ringraziarti. Continua a renderlo felice, ti prego.”

Ironia della sorte, proprio quando Angie aveva iniziato ad appoggiarli ecco che Diego aveva perso interesse per lei. E dire che credeva ancora così tanto in loro due, credeva che lui fosse quello giusto, che per lei stesse cambiando. “Sei un'illusa, Francesca, lo sei sempre stata,” sussurrò tra se e se, sciacquandosi il volto con una buona dose d'acqua fredda. Non poteva starsene chiusa in bagno tutta la notte, era ora di affrontare le sue paure. Con il cuore che le batteva a mille e un macigno al posto dello stomaco, Francesca uscì silenziosamente dalla camera e si incamminò nei corridoi bui, fino a raggiungere l'ascensore che l'avrebbe portata sul terrazzo. Sperava solo che Diego avrebbe avuto un po' di tatto e che soprattutto avrebbe fatto in fretta, non era sicura di riuscire a trattenere le lacrime ancora per molto. Finalmente l'ascensore si fermò e la giovane, prendendo un profondo respiro ridusse le distanze che la separavano dal terrazzo e dal suo cuore ridotto a brandelli. Spinse la pesante porta in ferro ed essa scricchiolò rumorosamente. In un attimo si ritrovò ad ammirare il cielo trapunto di stelle, che a quell'altezza appariva ancora più spettacolare. Normalmente si sarebbe fermata a guardarlo con il sorriso sulle labbra, ma in quel momento aveva cose più urgenti a cui pensare. Avanzò di qualche passo, guardandosi intorno nervosamente alla ricerca di Diego. Non fece in tempo a fare altro che le sue orecchie furono invase da un suono che le sembrava familiare. Di sicuro era una chitarra. Un attimo dopo una figura nell'ombra si fece avanti e allora lo vide. Era Diego con la sua chitarra. Il ragazzo le rivolse un grande sorriso, continuando a suonare. Fu allora che riconobbe la canzone, Te Creo. Lei e Violetta l'avevano composta l'anno prima, proprio nel periodo in cui finalmente avevano chiarito ed erano ritornate amiche. Tra l'altro lui l'aveva anche adattata al suo timbro vocale, rendendola ancora più bella, o forse semplicemente il motivo era che Diego qualsiasi cosa cantasse lo faceva divinamente. Amava la sua voce. Mentre cantava non le staccava gli occhi di dosso, sorridendole dolcemente e lei lo fissava, immobile. Credeva che lui volesse lasciarla, se ne era quasi fatta una ragione e invece...
Diego le si avvicinò, continuando ad intonare Te Creo e a guardarla con un misto di dolcezza e malizia e a quel punto lei non riuscì a trattenere le lacrime per la commozione. Altro che lasciarla, le aveva appena fatto una sorpresa, una sorpresa dolcissima. “Lo so, non è proprio il mio genere, ma appena Violetta me l'ha mostrata ho pensato a te e ci tenevo a fartela ascoltare,” mormorò Diego a disagio, una volta aver eseguito le ultime strofe. Francesca lo guardò in silenzio per alcuni istanti, poi fece una cosa che lo spiazzò. Gli diede un ceffone in pieno viso. “Sei un idiota, Diego Galindo. Mi hai spaventata a morte, lo sai?” Prima che potesse anche solo ribattere, gli tolse la chitarra di mano e gli saltò addosso a mo di koala. “Un idiota sei, un idiota,” ripetè, per poi prendergli il volto tra le mani e baciarlo con passione. Seppur sorpreso, Diego la tenne stretta tra le sue braccia, ricambiando il bacio con il medesimo trasporto. “Questo però non cambia niente!” Sbottò Francesca, staccandosi dalle sue labbra e guardandolo torva. “Mi hai fatto credere che volessi lasciarmi.”
“Come?” Chiese lui, confuso. “Come ti è saltata in mente una cosa simile?” Lei ruotò gli occhi, fingendosi pensierosa. “Bè, per iniziare mi ignori da quando siamo qui, nemmeno mi guardi. Poi mi hai mandato quel messaggio così apatico, dimmi tu cosa dovevo pensare,” sbottò stizzita e Diego non potè fare altro che annuire, comprensivo. “Hai ragione, mi sono comportato da imbecille. Il fatto è che i sensi di colpa mi stanno uccidendo e...”
“E perché accidenti non me ne parli?” Lo interruppe lei, facendo per scendere dalle sue braccia, ma il ragazzo glielo impedì stringendola più forte. “Diego, io non posso leggerti nella mente, se non mi dici come stai e cosa ti tormenta, come faccio a starti vicino? Fidati di me,” aggiunse, guardandolo seria. “Io mi fido di te,” ribattè lui, scuotendo il capo. “è solo che non sono abituato a sentirmi in colpa, né tantomeno ad aprirmi tanto con qualcuno.” Sembrava così turbato e allo stesso tempo sincero, che Francesca non riuscì più a tenergli il broncio e si aprì in un grande sorriso. “Lo sai che ho parlato con tua madre prima? Non indovinerai mai cosa mi ha detto.” Sotto lo sguardo stupefatto del ragazzo, proseguì raccontandogli ogni particolare di quella conversazione con la Saramego. “Lei ci appoggia, Diego, capisci?” Lui annuì, abbozzando un mezzo sorriso. “Wow, non me lo sarei mai aspettato da mia madre. Credevo mi avrebbe diseredato,” continuò, facendola scoppiare a ridere. “Dovresti darle più credito, lei ti ama.” Il giovane ridacchiò, strofinando il naso contro il suo. “Lo so e anch'io amo lei, ma avrei capito se mi avesse odiato. Sto sbagliando tutto con Marco e...”
“A proposito di lui,” lo interruppe Francesca, seria. “Dovresti parlargli. Tua madre ci appoggia, ma mi ha anche fatto capire che tu dovresti fare un passo verso di lui. È ora di risolvere i vostri problemi.” Diego annuì, pensieroso. “Devo farlo assolutamente, non possiamo continuare così. Credi che gli piaccia davvero quella Lena?” Aggiunse, visibilmente scettico. “Voglio dire, come può amare lei dopo aver amato te? C'è una bella differenza.” Dicendo ciò, accostò le labbra al suo orecchio e iniziò a lasciarle una serie di baci proprio sotto di esso. “Tu sei unica nel tuo genere,” mugugnò, scendendo a baciarle il collo. Lei arrossì, mordendosi il labbro. “Dovresti ricordartelo più spesso,” lo provocò, facendolo sogghignare. “A proposito, mi hai fatto una sorpresa meravigliosa,” proseguì, stringendolo forte a se. “Non dovrei dirtelo perché potresti montarti la testa, ma la tua voce quando canti è ancora più sexy.”
“Ma davvero?” Ghignò Diego, mentre lei assumeva la tonalità di un pomodoro. “E ancora non mi hai sentito parlare in italiano. Ho imparato certe parole così...” Si avvicinò al suo orecchio e le sussurrò qualcosa, facendola imbarazzare ancora di più. “Diego! Non essere volgare.” Lui ridacchiò. “Non sono volgare, sono sincero.” Un lampo di malizia gli attraversò lo sguardo e Francesca non riuscì a trattenere una risatina. In fondo la lusingava che il suo ragazzo l'apprezzasse tanto. “Ti amo, Diego.” Il moro sorrise, arricciandosi una ciocca dei suoi capelli intorno all'indice. “Non pensare mai più che potrei lasciarti, ok? Ti amo e voglio stare con te, solo con te.” Si sorrisero dolcemente, poi si lasciarono andare a un bacio carico di passione e amore, mentre lui la faceva indietreggiare spalle al muro e scorreva le mani lungo i suoi fianchi. Francesca nel frattempo aveva intrecciato una mano nei suoi capelli, mentre con l'altra gli accarezzava il collo e le spalle. E pensare che era convinta la aspettasse una brutta sorpresa. Incredibile come una giornata iniziata in maniera pessima si stesse invece concludendo meravigliosamente e tutto quello grazie al suo Diego. Lui non aveva pensieri tanto diversi dai suoi. Certo, i sensi di colpa erano ancora lì, ma aveva anche capito che non poteva rinunciare all'unica ragazza che avesse mai amato. Stare lontano da lei ancora una volta era come essere stato sottratto del proprio ossigeno e per niente voleva ripetere l'esperienza. Ora doveva solo risolvere i problemi con Marco e poi finalmente tutto sarebbe stato a posto. Poteva farcela, soprattutto se aveva al suo fianco la sua dolce italiana.



Angie sospirò, continuando a spazzolarsi i capelli seduta davanti alla specchiera della sua camera d'albergo, lo sguardo assente. Troppi pensieri le affollavano la mente ed avevano un'unica origine, Angelica e quel grande segreto che condividevano. Da quando erano arrivati a Venezia la donna l'aveva già chiamata un centinaio di volte, manifestando le sue ossessive paure tanto che ormai lei stessa ne era stata contagiata. Se aveva accettato di partire, lo aveva fatto soprattutto per non fare insospettire ulteriormente Pablo e dimostrargli così che i suoi dubbi fossero infondati, ma tutta quella sicurezza che aveva all'inizio iniziava lentamente ad abbandonarla. E se sua madre avesse ragione e il passato si fosse ripresentato? Sarebbe riuscita a proteggere la sua famiglia e allo stesso tempo a tenerli all'oscuro di tutto? Maledette bugie, le aveva sempre odiate. Era così facile dirle sul momento, ma così difficile portarle avanti e lei non era sicura di avere un autocontrollo sufficiente, considerato la grande portata del segreto che custodiva. Per fortuna durante il giorno riusciva a fingere che andasse tutto bene e la sua famiglia sembrava aver abboccato, ma se i problemi si fossero presentati sul serio avrebbe mantenuto il sangue freddo per affrontarli?
“Ah, eccoti qui.” Pablo varcò in quel momento la porta della camera, facendola sobbalzare. Sperava ardentemente che suo marito fosse così stanco da mettersi a letto e che quindi non notasse il suo turbamento, ma già in partenza sapeva fosse impossibile. A Pablo Galindo non sfuggiva praticamente nulla, di sicuro sarebbe potuto essere un ottimo agente dell'FBI. Difatti, anziché deviare verso il letto, l'uomo avanzò verso di lei, scrutandola attentamente. “Tutto bene, Tesoro? Non hai una bella cera.” Colpita e affondata. Angie deglutì, sforzandosi di sorridere. “Certo, sono solo stanca. È stata una giornata molto faticosa.” Ripose la spazzola e scattò in piedi con la chiara intenzione di andare a letto e mettere fine a quella conversazione, ma lui le si piazzò di fronte, ostruendole ogni possibile via d'uscita. “Ti prego, dimmi che non hai discusso con Francesca.” La bionda si bloccò di colpo, sorpresa. “Pablo, cosa...?” “Vi ho viste parlare nel bar dell'albergo e considerato cos'è successo l'ultima volta che vi siete trovate di fronte, non vorrei che...” Lei scosse la testa, divertita. “No, tranquillo. In realtà abbiamo chiarito e...sai, forse se Marco e Diego chiariscono dovremmo proporle di tornare allo Studio.” Pablo la guardò a bocca aperta. Mai avrebbe pensato che sua moglie sempre così testarda e risoluta avrebbe cambiato parere sulla giovane Cauviglia. “Ero convinto che avresti continuato a farle la guerra onestamente.” Angie scrollò le spalle, sedendosi poi sul bordo del letto. “Mi ha dimostrato di amare davvero Diego e di essere pentita per come sono andate le cose con Marco.” Lui annuì, sedendolesi accanto e poggiando una mano sulla sua. “I problemi tra i nostri figli esistono da molto prima e credo che l'origine sia una sola.” Notando di avere la piena attenzione della moglie, proseguì. “La gelosia, Angie. Sono sempre stati gelosi l'uno dell'altro. Marco è il figlio perfetto, l'orgoglio di tutti noi, mentre Diego è la pecora nera che riscuote un grande successo con le ragazze. Invidiano le qualità dell'altro, non hanno fatto che questo, non rendendosi conto di essere prima di tutto fratelli e credo che la colpa sia anche un po' nostra. Non avremmo dovuto metterli tante volte a confronto, anche perché non potrebbero essere più diversi.” La bionda non potè che concordare. In effetti il discorso di Pablo non faceva una piega. Troppo spesso avevano fatto dei paragoni tra i loro figli e il risultato era stato aumentare la rivalità che già si stava formando, accompagnata da un astio sempre più aspro. “Si sono sempre sentiti in dovere di eguagliare e superare l'altro e l'unico modo era danneggiarlo.” Pablo non disse nulla, ma rafforzò la stretta delle loro mani, lo sguardo perso nel vuoto. “Credo che Marco abbia invitato Lena per dimostrare che ora sta bene e non soffre più per Francesca,” disse poi all'improvviso, tornando a guardare Angie. “Gli ho parlato, a Marco intendo e mi fatto capire questo, oltre al fatto che non da la colpa a lei, ma a...” “La da a Diego,” concluse per lui la bionda, sospirando amaramente. “Se solo si decidessero a parlare apertamente, si renderebbero conto che hanno gettato al vento tanti anni per una stupida e infondata gelosia.” Pablo annuì, circondandole le spalle con un braccio e attirandola a se. “Vedrai, Angie, le cose si sistemeranno. Ora dividono la camera e presto si rivolgeranno anche la parola.”
“Lo spero, Pablo, lo spero,” mormorò lei pensierosamente, giocherellando con l'orlo della sua camicia da notte. Proprio durante la loro conversazione di quella sera, aveva suggerito a Francesca di tentare di mediare tra i suoi figli, chissà che l'italiana fosse riuscita dove loro avevano fallito. Magari poteva far ragionare Diego, in fondo il ragazzo sembrava abbastanza coinvolto da lei per ascoltarla, no?
“Che mi dici di tua madre?” La voce di Pablo così vicina al suo orecchio la fece letteralmente sobbalzare, o forse furono proprio le sue parole a far scattare in lei un campanello d'allarme. Perché suo marito le chiedeva di Angelica così all'improvviso quando un attimo prima stavano parlando dei loro figli? “Ho notato che chiama abbastanza spesso e che subito dopo sei sempre nervosa, preoccupata quasi,” spiegò lui, quasi le avesse letto nel pensiero. “Che problemi ha tua madre con questa città?” Angie sbiancò paurosamente, sentendosi come se le avessero sottratto la terra da sotto i piedi. Lo sguardo di Pablo non la lasciava un attimo, scrutandola con così tanta attenzione quasi fosse dotato di poteri telepatici. “Angie,” continuò, prendendola per le spalle. “Non sono stupido, ho capito che Angelica non voleva che venissimo qua. Quello che non so, è perché. Ha persino accettato Leon e ciò significa che c'è qualcosa che le fa più paura. Cos'è, Angie, dimmelo.” Angie deglutì, abbassando lo sguardo. Avrebbe dovuto immaginarlo. Suo marito era un maestro con gli interrogatori. Le aveva fatto abbassare la guardia parlando dei loro figli, poi quando meno se lo aspettava era tornato alla carica con le sue domande. E ora che gli diceva? Poteva riuscire a convincerlo del contrario con qualche bugia? Forse aveva ragione sua madre, non dovevano rischiare tanto. A furia di giocare con il fuoco si rischiava seriamente di restare bruciati.
“Angie, guardami.” Pablo le sollevò il mento, costringendola a guardarlo negli occhi. “Cosa mi stai nascondendo?” Lei scosse la testa, imperterrita. Non poteva dirgli la verità, lo aveva promesso. “Lo sai com'è mia madre. Da quando Maria non c'è più si sente come se fosse lei la madre di Vilu. È ansiosa, terrorizzata al solo pensiero che possa accadere qualcosa anche a lei, tutto qui.” Tentò di essere il più convincente possibile e per rincarare la dose, gli rivolse anche un dolce sorriso, sperando di ammorbidirlo. Lui in ogni caso si fece visibilmente pensieroso, anche se l'ombra del dubbio non abbandonò il suo sguardo nemmeno per un attimo. Stava decidendo se crederle o no, era evidente. “Sei sicura che non c'è altro?” Insistette, ma lei scosse la testa. “Se ci fosse te lo direi, tranquillo. Sono le solite preoccupazioni di una madre,” lo rassicurò, scompigliandogli teneramente il ciuffo corvino. “Mia madre ha sempre avuto la capacità di trasmettermi le sue ansie, ma davvero va tutto bene.” Pablo esitò ancora qualche istante che per lei sembrò un'infinità, poi finalmente sorrise e per Angie fu come ritornare a respirare. Almeno per il momento aveva superato la prova, poteva definirsi soddisfatta ma non di certo tranquilla. Lui sarebbe tornato alla carica, ne era sicura. In quel momento però non voleva pensarci, voleva solo godersi il dolce tepore che le trasmetteva lo stare stretta tra le braccia del suo Pablo. Odiava mentirgli, lo odiava con tutta se stessa, purtroppo però non aveva scelta. Una promessa le gravava nel cuore, una promessa che per lei aveva un valore inestimabile e che non voleva per nessun motivo tradire. Chissà, magari il destino sarebbe intervenuto in loro soccorso e quell'enorme castello di carte costruito con le sue bugie avrebbe retto. Lo sperava ardentemente. Mentre si metteva a letto insieme all'uomo che amava, quei pensieri non l'abbandonarono un istante, ma per fortuna erano al buio e perciò Pablo non avrebbe in alcun modo potuto notare qualcosa di diverso nel suo sguardo. A conferma di ciò, lui le fece poggiare il capo sul suo petto e prese ad accarezzarle i capelli, facendola assopire a poco a poco. Ormai la sua era diventata un'abitudine. L'unico modo per addormentarsi era tra le braccia di Pablo e perciò quando litigavano se ne stava ad occhi sbarrati per ore, senza riuscire a fare altro che fissare il soffitto. Incredibile quanto lei apparentemente così forte, dipendesse tanto da suo marito. Se glielo avessero raccontato quando era solo un'adolescente non ci avrebbe creduto, ma forse alla fine era vero che l'amore creava dipendenza.




Alloraaaa!
Capitolo apparentemente tranquillo, se così si può definire. Il tanto richiesto giro in gondola è arrivato e ci sono scleri folli per i Leonetta e i Pangie *__* Se le tensioni tra Lena e il resto del gruppo sono sempre più evidenti, Marco appare decisamente più pacifico e lo stesso vale per Angie, che finalmente chiarisce con Fran e dà la sua benedizione alla Diecesca, oltre ovviamente a chiederle di mediare tra Diego e Marco. Diego cancella ogni timore di Fran organizzandole una dolce sorpresa e su suo consiglio, ha deciso che è ora di affrontare Marco. Angie nel frattempo è tormentata da quel segreto che condivide con Angelica, ma con un Pablito così astuto si fa sempre più difficile mentire. Tra il discorso su Diego e Marco e quello su Angelica, Angie riesce stavolta a cavarsela, ma la prossima?
Vi ringrazio per il vostro costante affetto e spero che questo capitolo vi sia piaciuto :3 alla prossima! Trilly
 

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Capitolo 33
*** Brividi ***





“Mmm,” mugugnò Diego, chiudendo la porta del bagno con il piede e facendo aderire la schiena di Francesca contro le fredde mattonelle, per poi iniziare a lasciarle una serie di piccoli e infuocati baci sul collo. Le mani che scorrevano dai fianchi alla schiena della ragazza, mentre lei gli accarezzava il collo e i capelli. Proprio il giorno prima avevano finalmente chiarito e appena Francesca aveva visto che tutti fossero scesi a colazione tranne il suo ragazzo, subito era corsa a cercarlo nella sua camera così da poter passare un po' di tempo insieme. Lentamente Diego risalì fino a raggiungere le sue labbra, coinvolgendola in un lungo e appassionato bacio. Amava le sue labbra, era così dolci, invitanti e soprattutto innocenti. La Cauviglia aveva quell'aria innocente che lo attirava come una falena, portandolo a bramare un contatto sempre più profondo, più deciso. Più la baciava, più la accarezzava, più inspirava il suo profumo e più ne sentiva il bisogno. L'istinto gli suggeriva di prenderla lì in quel bagno, così da soddisfare quel bisogno impellente, ma il cervello opponeva resistenza. Francesca non era e non doveva nemmeno essere lontanamente paragonata alle altre, lei era diversa, lei era colei che amava. Quella che sapeva sarebbe stata la sua prima volta, non poteva avvenire in maniera così squallida, doveva essere speciale, unica. “Diego.” Il basso sussurro della ragazza al suo orecchio lo risvegliò dai suoi pensieri. Ora lo guardava dritto negli occhi, mentre un dolce sorriso le illuminava il volto. “Ancora non mi sembra vero che tu ed io siamo qui, insieme,” ammise, mordendosi nervosamente il labbro. “Credevo avremmo viaggiato sempre su strade parallele, che mai ci sarebbe stato un punto di incontro.” Diego annuì, scostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio. “Lo credevo anch'io. Non sei mai stata il tipo di ragazza che potesse interessarmi, o più semplicemente non ho mai creduto nell'amore e quindi cercavo solo avventure.” “Anche con Ludmilla era così?” Si azzardò a chiedere la mora, rimembrando il periodo in cui lui frequentava la Ferro. “Sembravate tanto affiatati e...” A quelle parole lui scosse il capo, divertito. “Affiatati a letto forse, ma per il resto il nulla più assoluto. Non è una cattiva ragazza, ma siamo sempre stati troppo diversi. Anche se non sembra, a me piace molto parlare, confrontarmi con chi ho di fronte e tu sei l'unica con cui sono riuscito a farlo oltre Violetta, ma lei è mia cugina perciò non è la stessa cosa.” Dicendo ciò, la strinse forte a se, facendole poggiare il capo contro il suo petto. “Credo che tu abbia in qualche modo tirato fuori il meglio di me, un meglio che non pensavo esistesse e a cui non voglio rinunciare. Capisci cosa intendo?” Soffiò tra i suoi capelli, sfiorandoli poi con una leggera carezza. Francesca annuì, ora decisamente più rilassata. Il passato di Diego era la sua peggiore paura, troppo spesso era stata tormentata dalla possibilità di non essere abbastanza provocante o seducente rispetto alle ragazze che lui aveva frequentato precedentemente e quelle rassicurazioni erano proprio ciò di cui aveva bisogno. Lentamente fece scorrere le mani sulla sua schiena, inspirando il dolce e intrigante profumo emanato dalla pelle del ragazzo. Mai si era sentita così bene tra le braccia di qualcuno, lui la faceva sentire piccola, ma allo stesso tempo sicura, protetta. In lei si stavano poi facendo strada anche sensazioni nuove, che prima di stare con Diego non aveva mai provato. Sentiva come il bisogno di conoscerlo più a fondo, un bisogno che quella volta nella sua camera aveva raggiunto il culmine. Allora aveva avvertito chiaramente l'erezione del ragazzo premere contro di lei e non era stata l'unica volta, tante altre ne erano susseguite ma puntualmente Diego si allontanava, comportandosi come se nulla fosse accaduto. Forse per imbarazzo non lo avrebbe mai ammesso esplicitamente, ma le sarebbe piaciuto qualche volta impedirgli di allontanarsi per vedere cosa sarebbe accaduto. Con Marco si era sempre rifiutata di spingersi oltre i baci, ma con Diego la cosa non la spaventava tanto, al contrario si rendeva conto di quanto lo desiderasse. Violetta e Camilla le dicevano spesso che fosse normale quando si amava tanto una persona, perché allora lei non riusciva a dimostrare ciò a Diego? Perché si vergognava così tanto? Sollevò il capo dal suo petto quel poco che bastava per specchiarsi nei suoi occhi e quando le sorrise, non potè non ricambiare. Ci teneva a lei, lo percepiva, così come percepiva che non doveva avere paura ad esternare ciò che provava. Prendendo coraggio avvicinò le labbra al suo collo e vi lasciò un piccolo bacio. Diego sussultò, colto decisamente di sorpresa, ma il lampo che gli attraversò lo sguardo le fece capire che non gli fosse dispiaciuto e così gli diede altri baci. Sentirlo gemere e sapere che fosse per i suoi baci, emozionò irrimediabilmente la ragazza, che prese a lambirgli il collo con sempre più decisione. Diego gemette ancora, stringendola maggiormente a se. Era la prima volta che lei prendeva l'iniziativa in quella maniera e quel suo modo di fare così dolce e allo stesso tempo appassionato, lo stava facendo letteralmente impazzire. “Non fermarti, bambolina, non fermarti.” E lei non lo fece, alternando ai baci anche dei piccoli morsi. Diego e Francesca non avrebbero mai saputo come sarebbero proseguite quelle loro tenerezze, questo perché la porta del bagno si aprì all'improvviso, portandoli ad allontanarsi quasi avessero preso la scossa. Di fronte a loro con un sorrisetto impertinente stampato in faccia c'era Lena, poco dietro di lei sconvolto e pallido come un cadavere c'era Marco. “Hai visto?” Esclamò la bionda, sforzandosi di nascondere l'immenso divertimento che provava. “Te lo avevo detto che questi due traditori si fossero nascosti per fare i loro porci comodi.”
“Come scusa?” Sbottò Diego stizzito, facendo un passo verso Lena. “A parte che non ci chiami 'questi', non ti abbiamo dato tutta questa confidenza e secondaria cosa, quello che facciamo non è affare tuo.” La ragazza non si scompose, al contrario il sorriso sul suo volto si accentuò. “A tuo fratello però delle spiegazioni le dovresti dare, non credi?” Tutti i presenti guardarono Marco, che anche se aveva ripreso il suo colorito naturale, sembrava essere dovunque tranne che lì. “Dovresti vergognarti, che razza di fratello si comporta così?” Continuò la bionda, indispettita dal fatto che il minore dei Galindo non desse segno di voler appoggiare la sua crociata. “Ma si può sapere che vuoi?” Esplose Francesca, prima che il moro potesse ribattere e cogliendo tutti di sorpresa. “Cosa vuoi dimostrare con questa sceneggiata?” Lena sorrise, arricciandosi una ciocca di capelli intorno all'indice. “Semplice, Marco deve rendersi conto di che esseri disgustosi e perversi sono suo fratello e la sua ex ragazza.” La Cauviglia e Diego si scambiarono un'occhiata, non sapendo proprio che dire. Sin da quando l'avevano conosciuta avevano diffidato di lei e ora avevano la conferma di aver fatto bene. Sembrava quasi che la bionda avesse un piacere perverso nel creare contrasti tra le persone che la circondavano. “Ma guardatevi, prima lo ferite e poi senza nemmeno scusarvi vi fate trovare in bagno a fare porcherie e...”
“Basta! Lena, smettila!” Marco, ignorando quelle tre paia di occhi puntati addosso, si rivolse alla ragazza, strattonandola per un braccio. “Stai esagerando.”
“Che cosa?” Esclamò lei, incredula. “Non puoi dire sul serio, hai visto anche tu quello che stavano facendo...” Non riuscì ad aggiungere altro perché il ragazzo le intimò di tacere. “Si, l'ho visto e non mi interessa. Sono salito per prendere il mio orologio non per litigare, non ne ho voglia,” concluse con voce atona, evitando di guardare gli altri due. “Come sarebbe a dire non ti importa? Si stanno prendendo gioco di te, ti stanno umiliando, come puoi restare indifferente?” Insistette Lena, prendendolo per le spalle. “Guardali, non sono pentiti nemmeno un po' per quello che ti hanno fatto e che ti stanno facendo tuttora.” Marco finalmente alzò lo sguardo, incrociando prima quello di Francesca, poi quello di Diego. Indugiò qualche istante di troppo sul fratello, poi scosse la testa. “Stanno insieme, non mi aspettavo altro.” I due sgranarono gli occhi, stupiti dal comportamento quasi passivo di Marco, mentre Lena si fece rossa dalla rabbia. “Se le cose stanno così, perché continui ad essere così distaccato? Mi avevi detto che sentivi qualcosa per me, ma non fai altro che dimostrarmi il contrario.”
Prima che Marco potesse dire qualsiasi cosa, sopraggiunsero anche Leon e Violetta, entrambi visibilmente preoccupati visti i soggetti interessati. “Che sta succedendo qui?” Chiese Vargas, guardandoli uno ad uno. “Perfetto, ora non manca più nessuno,” sbottò Lena stizzita, incrociando le braccia al petto. Leon corrugò le sopracciglia, cercando lo sguardo di Diego e di Francesca, che si limitarono a ruotare gli occhi. “Datti una calmata, biondina, nessuno mi parla così,” ci tenne a precisare, ottenendo però di farla ridere, incredula. “Perchè tu chi saresti? Tra te e il tuo socio non so chi è più arrogante. Non sei il padrone dell'universo.” Un lampo attraversò lo sguardo del messicano a quelle parole. Non era un tipo che incassava senza ribattere, era sempre stato istintivo e il più delle volte nemmeno pensava, ma in quei mesi era davvero cambiato, o almeno così credeva. “Tu non hai idea con chi stai parlando,” sibilò con un tono così minaccioso da far rabbrividire tutti i presenti. “Non ti conviene provocarmi, io non sono uno qualsiasi. Chiedilo in giro se non mi credi.” Lena deglutì e abbassò lo sguardo, facendo fatica a controllare il tremore che l'aveva colpita. Quel ragazzo le incuteva timore sin nelle viscere dalla prima volta che lo aveva visto, ma non credeva sarebbe arrivato a minacciarla. “è ora di andare, gli zii ci staranno aspettando.” La voce di Violetta mise fine a quel silenzio carico di tensione che si era diffuso tra i presenti, che annuirono. Diego e Francesca furono i primi a dileguarsi, seguiti da Marco e a poca distanza da Lena, che tentava disperatamente di attirare la sua attenzione, probabilmente per rimproverarlo perché non l'aveva difesa. Leon fece a sua volta per lasciare la camera, ma Violetta gli strinse il polso costringendolo a voltarsi. “Non era necessario essere così duro,” lo rimbeccò, vagamente infastidita. “Per quanto Lena possa essere insopportabile, non puoi attaccarla come se si trattasse di un tuo amico, è comunque una ragazza.” Vargas ruotò gli occhi, poi annuì rassegnato. “Ok, forse sono stato un tantino duro.” “Forse? Un tantino?” Ripetè lei, scettica. “Diciamo pure che l'hai terrorizzata, se l'è data proprio a gambe.” Di tutta risposta Leon scoppiò a ridere e Violetta scosse la testa, rassegnata. Chiaramente certe abitudini erano davvero difficili da abbandonare.



“Queste ciambelle sono proprio buone.” Leon e Violetta si erano allontanati dal gruppo per fare una passeggiata da soli per le strade della città veneta e ne avevano approfittato per comprare due grandi e fumanti ciambelle, che ora stavano addentando con gusto mentre si destreggiavano da una vetrina all'altra. “Qualche volta dobbiamo provare le pizze,” annuì Vargas, facendo ondeggiare le loro mani intrecciate. “Ho sentito dire che la pizza italiana non la batte nessuno.” Lei si illuminò al solo pensiero. Aveva sempre amato la pizza e assaggiarne una tanto rinomata le faceva venire l'acquolina in bocca, nonostante stesse mangiando già una ciambella che tra l'altro era un dolce. Forse aveva ragione Leon, se lui era un ingordo, lei faceva degli assurdi accostamenti tra dolce e salato che avrebbero fatto passare la fame a chiunque. “Secondo te Diego e Marco chiariranno prima o poi?” Violetta, che ormai fantasticava su pizze di tutte le dimensioni, si bloccò di colpo a quella domanda stranamente preoccupata di Leon. Non pensava che gli stesse a cuore la questione dei due Galindo, a volte aveva avuto la sensazione che addirittura gli fosse indifferente, eppure nei suoi occhi verdi vedeva tutto tranne quel sentimento. Il suo ragazzo ci teneva davvero, allora. “Non lo so,” ammise, scrollando le spalle. “Marco avrebbe tutte le ragioni del mondo per avercela con Diego, ma d'altro canto nemmeno il suo comportamento è stato corretto.” Vargas annuì distrattamente, fermandosi a gettare nell'immondizia l'involucro ormai vuoto della sua ciambella, per poi attirarla tra le sue braccia e riprendere a camminare. “Orgoglio,” borbottò tra se e se. “Si sono feriti a vicenda e ora è solo l'orgoglio a tenerli lontani. Non si odiano più, è evidente.” In effetti lui non aveva tutti i torti, anche Violetta aveva notato che i due fratelli non facessero più nulla per mettersi i bastoni tra le ruote, al contrario si comportavano come se l'altro non esistesse, o almeno Marco lo faceva. Diego era tormentato dai sensi di colpa e quindi per quello tentava di evitarlo, mentre Marco sembrava non avere più interesse a punirlo e addirittura aveva smesso di assecondare Lena, preferendo isolarsi. Quel viaggio doveva rappresentare un modo per riavvicinare i due fratelli e forse dei miglioramenti appunto c'erano stati, ma erano ancora troppo distanti. “Credo che dovremmo fare qualcosa per aiutarli.” “Si, lo penso anch'io,” concordò Leon, guidandola verso una svolta alla loro sinistra, dove non le sembrava ci fossero negozi. “Dove stiamo andando?” Chiese confusa. Il ragazzo però non rispose, limitandosi a ridacchiare. “Leon! Parla, ora!”
“Stasera ne parleremo anche con Francesca e vediamo cosa possiamo fare,” continuò il giovane con assoluta calma, quasi lei non avesse proprio parlato e la cosa la mandò in bestia. Odiava quando la ignorava, la faceva sentire un idiota. “Sono sicuro che riusciremo ad inventarci qualcosa.” Violetta chiuse gli occhi e strinse i pugni, tentando di contenersi. Non conosceva quella strada, nemmeno quando era venuta lì con la sua famiglia l'aveva mai percorsa, ne era sicura. Dove la stava portando allora Leon? “Leon?”
“Siamo quasi arrivati, un attimo di pazienza,” sbuffò lui, guardando di tanto in tanto qualcosa sul cellulare. Se non si sbagliava di grosso era l'applicazione del navigatore satellitare, ma non ne era tanto sicura dato che ogni volta che tentava di sbirciare lui allontanava il braccio. “Ormai ci siamo,” annunciò finalmente il ragazzo, dopo quasi un quarto d'ora di cammino. Ben presto si ritrovarono in una sorta di piazza, dove capeggiavano una serie di trattorie e ristoranti, ma sopratutto una grande e imponente struttura bianca come la neve. Violetta si bloccò di colpo al centro della piazza, fissando quella particolare costruzione a bocca aperta. Leon nel frattempo, guardava lei con un grande sorriso. Sfogliando insieme l'album di nozze di Maria e German, la giovane gli aveva rivelato di quell'importante teatro veneziano dove i suoi genitori erano andati a vedere l'opera ed erano rimasti tanto colpiti. “Quando ci sono venuta da grande non abbiamo potuto visitarlo perché era in ristrutturazione, ma spero un giorno di andarci. Il sogno di mia madre era esibirsi lì, un sogno che ormai non potrà più realizzare.” Era poi scoppiata in lacrime e Leon l'aveva consolata, promettendo a se stesso di portarla in quel posto e così aveva fatto. Tramite il suo cellulare aveva trovato la collocazione del famoso Gran Teatro La Fenice e con la complicità di Diego e Francesca che li avevano coperti con Pablo e Angie, aveva fatto quella sorpresa alla ragazza che amava. “Vilu,” provò, ma non riuscì ad aggiungere altro perché lei si gettò tra le sue braccia. “Oh Leon,” singhiozzò, stritolandolo sempre più forte. “Mi hai p..portata qui...grazie, Amore, grazie...” Lui sorrise, scostandole teneramente delle ciocche di capelli dal volto umido. “Lo sai, farei qualsiasi cosa per te,” le disse a un soffio dalle sue labbra. “Vogliamo entrare?” Aggiunse, indicando il teatro con un cenno. “Possiamo?” Chiese lei confusa. “Voglio dire, è pomeriggio e non ci sono rappresentazioni, no?” Leon ridacchiò, circondandole le spalle con un braccio. “Dimentichi che io sono Leon Vargas e nulla può fermarmi.” Prima che potesse ribattere, lui l'aveva già condotta verso il teatro. Salirono i gradini di pietra quasi di corsa, fermandosi accanto ai grandi pilastri che troneggiavano la struttura, dove diversi uomini in divisa parlavano animatamente in una lingua a loro sconosciuta, probabilmente era il dialetto del luogo. “Aspettami qui,” sussurrò Leon, lasciandole un bacio sul capo e avvicinandosi alle guardie. Violetta lo vide mentre tentava di farsi comprendere da quegli uomini e più volte la indicò, quasi volesse convincerli e probabilmente era proprio così. A sconvolgerla fu però vedere il suo ragazzo prendere il portafoglio e porgere alle guardie alcune banconote. Cosa voleva fare Leon? Possibile che...? Non riuscì nemmeno a completare il suo pensiero, che Vargas le fece segno di avvicinarsi. “Questi gentili signori hanno accettato di concederci una piccola visita turistica,” le spiegò con un sogghigno, mentre due dei tre uomini intascavano le banconote e un terzo recuperava dalla tasca un grande mazzo di chiavi. “Mi raccomando, non più di mezz'ora,” precisò quest'ultimo, con una perfetta padronanza della lingua spagnola. “Non sarebbe legale e potremmo finire nei guai.” “Stia tranquillo,” lo rassicurò Leon, dandogli una pacca sulla spalla che lo lasciò interdetto. “Io e la mia ragazza vogliamo solo visitare il teatro, nient'altro.” L'uomo annuì, poi iniziò ad armeggiare con le numerose chiavi, aprendo prima la pesante grata in ferro e poi il successivo portone. Violetta si guardò intorno incantata, seguendo i due verso una grande doppia porta in fondo al corridoio rivestito in legno lucido. “Questa è la sala dove si tengono gli spettacoli. Restate solo qui dentro e non rompete nulla.” Una volta che i due ebbero annuito, la guardia aprì la porta e azionò il meccanismo di accensione delle luci. Dopo un ultimo cenno del capo, l'uomo li avvisò che li avrebbe tenuti d'occhio, per poi lasciarli soli. Lentamente Violetta si incamminò tra la moltitudine di poltroncine rosse, divise ordinatamente per numero e per fila, gli occhi fissi sul grande palco in fondo alla sala, nascosto da un telo nero. Proprio lì sua madre sognava un giorno di esibirsi in una performance canora. A casa aveva numerose registrazioni degli spettacoli di Maria e spesso, quando temeva di non riuscire a ricordare la sua voce, li rivedeva sdraiata sul letto e con le cuffiette alle orecchie. Quanto le mancava sua madre, quanto le mancava stringersi tra le grandi braccia di suo padre e assistere a un suo spettacolo. Ormai non poteva fare più nessuna delle due cose e come ogni volta, si ritrovò a pensare che la vita fosse stata ingiusta con lei. In fondo non aveva mai preteso nulla, si era sempre accontentata di poco, l'unica cosa che contava per lei era la sua famiglia, quella che le era stata strappata via nella maniera più spietata e incomprensibile. “Ehi.” Leon le circondò la vita da dietro, poggiando il mento sul suo capo. “Va tutto bene, piccolina.” Violetta tirò su col naso, intrecciando le dita con le sue. “Anche mia madre e mio padre avrebbero dovuto essere qui, non è giusto che non ci siano,” singhiozzò, facendo saettare lo sguardo su ogni angolo della sala, soffermandosi sui numerosi palchetti disposti a varie altezze, così da poter permettere la vista della rappresentazione da qualsiasi angolazione. “Lo so,” annuì il ragazzo, strofinando il volto tra i suoi capelli. “Loro dovrebbero essere qui per proteggerti e amarti come meriti. La vita fa schifo.” Seguì poi un lungo silenzio, rotto solo da qualche singhiozzo della ragazza, che non era più riuscita a contenere le lacrime. “Se avessi saputo che ti avrebbe fatta stare male, non ti ci avrei portata,” mormorò Leon all'improvviso, facendola voltare e stringendola forte a se. “Doveva essere una cosa bella.” Violetta però scosse la testa, asciugandosi le lacrime con i dorsi delle mani. “E lo è. Tutto questo è...meraviglioso,” aggiunse, sorridendogli dolcemente. “Saresti piaciuto ai miei genitori, ne sono sicura.” Mentre gli diceva quelle parole gli accarezzava una guancia, continuando a sorridere. “Sei tutto ciò che avrei potuto mai desiderare. Tu mi rendi felice e sei l'unico che riesce a colmare quel vuoto lasciato da loro,” singhiozzò, lasciandosi ancora una volta avvolgere dalle forti braccia di Leon. “Ci sarò sempre per te, Amore, sempre,” promise lui, accarezzandole la schiena e i capelli. “Insieme riusciremo a superare tutto e i tuoi genitori saranno ancora più fieri di quanto già sono,” continuò, prendendole il volto tra le mani e lasciandole un piccolo bacio sulla fronte. “Te lo prometto.” Violetta annuì, sorridendo oltre le lacrime. “Ti credo, Leon, ti credo.” Poggiò poi le mani sulle sue spalle e si sollevò sulle punte, accostando il volto al suo. Inizialmente fu un semplice sfiorarsi di labbra, poi a poco a poco il loro bacio si fece più intenso e appassionato. Nonostante entrambi avvertissero il sapore salato delle lacrime di lei, continuarono a baciarsi stringendosi forte l'uno all'altro. Quel giorno era stato molto duro per loro. Violetta aveva affrontato i fantasmi del suo passato e Leon dal canto suo, l'aveva ascoltata e sostenuta cercando di farle sentire più che mai la sua presenza, quella presenza che le aveva promesso non sarebbe mai mancata. In un certo senso quella per loro era stata una prova, la prova per dimostrare quanto il loro legame fosse forte e maturo e potevano sicuramente definirsi soddisfatti dei risultati. L'avevano superata a pieni voti. “Grazie per avermi portata qui,” sussurrò Violetta, accostando la fronte alla sua. “Avevo bisogno di affrontarlo e...e ora sto meglio.”
“Sicura?” Le chiese premuroso, facendo scorrere la mano lungo tutto il suo braccio. “Se c'è qualche altra cosa me lo puoi dire.” Lei ci pensò qualche istante, poi annuì. “In realtà una cosa ci sarebbe.” Gli prese la mano e lo condusse verso le prime file. Confuso, Leon prese posto sulla poltroncina accanto alla sua. “I miei genitori si sono seduti proprio qui,” spiegò la ragazza, con un sorriso malinconico. “Erano così giovani e innamorati e io ero solo un puntino nella pancia di mia madre.” Emozionato, Vargas le accarezzò il volto con la punta delle dita, quasi temesse di romperla. “Il mio meraviglioso puntino,” soffiò, lasciandole un piccolo bacio sul naso. Lei sorrise, poggiando il capo sulla sua spalla. Anche se vedere quel posto tanto importante per i suoi genitori le aveva fatto molto male, sentiva allo stesso tempo di essersi liberata di un peso che da troppo tempo la opprimeva ed era felicissima che ci fosse Leon al suo fianco. Il suo grande amore, l'unico che aveva sempre voluto e che sapeva esserle indispensabile per poter essere finalmente davvero felice.



Angie sbuffò sonoramente, sedendosi sul bordo della vasca da bagno e scuotendo nervosamente il capo. Con la scusa di aver dimenticato qualcosa in camera, si era fiondata lì per rispondere all'ennesima chiamata ansiosa di sua madre. Non ne poteva davvero più di rassicurare Angelica, anche perché ormai stava condizionando persino lei con le sue paranoie e di conseguenza, non riusciva più a pensare lucidamente. Il solo pensiero che i pessimisti presagi di sua madre si avverassero le faceva venire i brividi fin nelle ossa. Pablo non era stupido, anche se non le faceva domande aveva notato come la tenesse costantemente d'occhio, quasi si aspettasse di coglierla in fragrante da un momento all'altro e lei non era sicura di riuscire a reggere quella tensione ancora a lungo. Se così facendo non avesse alimentato ancora di più i dubbi di suo marito, senza dubbio gli avrebbe proposto di tornare a Buenos Aires, a chilometri da quella città infernale. Dopo essersi guardata allo specchio sperando di non avere un'espressione troppo sconvolta, si decise ad uscire dal bagno. Non poteva far attendere ulteriormente gli altri. Una volta in camera però, si rese conto quasi subito che qualcosa non andasse. La porta, che aveva chiuso quando era entrata, ora era leggermente socchiusa e una luce fioca illuminava la camera, una luce che era sicura di non aver acceso. Sbattè diverse volte le palpebre, credendo che la sua vista le stesse giocando un brutto scherzo, ma lo scenario era sempre lo stesso. Qualcuno era chiaramente entrato nella sua stanza. “Pablo, sei tu?” Chiese, guardandosi nervosamente intorno, ma del marito nessuna traccia. “Diego? Marco?” Ripetè, sempre più nervosa e agitata. Se quello era uno scherzo non le piaceva per niente. “Acqua, Angela, acqua.” Una figura nell'ombra, nascosta dietro alla grande lampada si fece avanti, cosicché la fioca luce prodotta dalle abat-jour disposte ai lati del letto lo illuminasse. Angie deglutì. Era sicura di conoscere quella voce apparentemente tranquilla, ma fredda come un iceberg e con quel velo di inquietudine. Troppo tempo era trascorso dall'ultima volta che l'aveva sentita, anche se essa continuava a tormentarla nei suoi peggiori incubi. “Sorpresa di vedermi?” Continuò il misterioso individuo, ostentando un sorrisetto che la fece rabbrividire. “Sono trascorsi tanti anni.” Fece un passo verso di lei, che istintivamente indietreggiò. “Cosa ci fai qui?” Riuscì a mormorare con un filo di voce, sforzandosi di camuffare il fatto che fosse terrorizzata. L'uomo sorrise, sedendosi sul bordo del letto e iniziando a sfiorare distrattamente i merletti del copriletto. “In realtà dovrei essere io a porgerti questa domanda, Angela. Cosa ti ha portato qui?”
“Non ti riguarda e ora vattene,” sbottò lei, guidata più dalla paura che dal coraggio. Voleva solo che se ne andasse, che sparisse dalla sua vita e smettesse di tormentarla. Lui però non battè ciglio, al contrario il suo sorriso si accentuò. “Ammetto che ti ricordavo più cordiale, o almeno così sembri quando sei con la tua famiglia.” Si alzò improvvisamente in piedi, costringendola ad indietreggiare fino a ritrovarsi spalle al muro, in trappola. “Hai una bella famiglia, Angela,” soffiò, poggiando i palmi delle mani sulla parete ai lati della sua testa, bloccandole ogni via di fuga. “Siete venuti per una gita?”
“Stai alla larga da loro!” Strillò la Saramego, spingendolo lontano e correndo a recuperare una delle abat-jour dal comodino, per poi brandirla come un'arma. “Mi hai sentito? Devi sparire dalle nostre vite e lasciarci finalmente in pace!” Ciò incredibilmente accrebbe l'ilarità dell'uomo, quasi stesse assistendo a una commedia teatrale. “Sei sempre stata così battagliera, o è un modo per nascondere la tua paura?” La provocò con un sorriso maligno. “Mi temi, so che è così e fai bene.” “Vattene,” ripetè Angie imperterrita, minacciandolo con il lumetto. “Non ho paura di usarlo.” Lui ridacchiò, sollevando le mani in segno di resa e incamminandosi verso la porta. “Ora me ne vado, ma ricorda: il passato presenta sempre il suo conto.” Solo quando si fu chiuso la porta alle spalle e fu sicura che si fosse allontanato abbastanza, Angie ripose l'abat-jour e si lasciò scivolare sul pavimento, prendendosi il volto tra le mani. Non poteva essere vero, non poteva. Le lacrime ormai scorrevano a fiumi, accompagnate da dei forti e incontrollabili singhiozzi. Credeva davvero che fosse finita, che quel viaggio non sarebbe stato un incubo come diceva sua madre e invece Angelica aveva capito tutto. Il passato era lì più vivido che mai e nelle sembianze dell'uomo che più di tutti aveva e continuava a temere. Cosa doveva fare? Poteva proteggere la sua famiglia senza dover per questo rivelare loro quel terribile segreto?


Nel frattempo i ragazzi erano con Pablo nel ristorante dell'albergo, dove stavano assistendo all'esibizione di una giovane e promettente band del posto. “Perchè mamma ci mette tanto?” Chiese Marco, guardando di tanto in tanto verso l'ingresso del ristorante. Galindo senior scrollò le spalle, visibilmente agitato. “Non lo so, non è da lei.”
“Io e Fran possiamo andare a dare un'occhiata,” propose Violetta e la mora annuì. “Giusto per accertarci che vada tutto bene.” Pablo fece cenno di si con il capo, allora le due giovani si allontanarono, seguite dallo sguardo disgustato di Lena, che ormai aveva sviluppato una sorta di insofferenza verso le due ragazze. Erano troppo perfette e ipocrite per i suoi gusti, infatti alla fine frequentavano dei ragazzacci e perciò non avevano proprio nulla di cui vantarsi. Il fatto che Marco poi continuasse ad ignorarla, non faceva altro che peggiorare il suo pessimo umore. Il giovane Galindo prediligeva trascorrere del tempo con Violetta o con i suoi genitori piuttosto che considerare la bionda, che ormai si sentiva sempre di più un'estranea. Tutti la odiavano, tutti la escludevano, cosa restava quindi a Lena se non desiderare di tornare a casa il prima possibile? Leon e Diego nel frattempo, parlavano sottovoce e ogni tanto il moro lanciava delle occhiate verso il fratello, che però lo ignorava palesemente. Ancora una volta Vargas si ritrovò a pensare che non poteva lasciar correre, doveva aiutarli a chiarire in un modo o nell'altro.
“Mi aspettavo di incrociarla qui in corridoio e invece sembra essersi volatilizzata,” commentò Violetta, mentre in compagnia di Francesca si incamminava nel lungo corridoio del terzo piano dell'albergo, quello dove si trovavano le loro camere. “Anch'io, che strano,” annuì la mora, affrettando il passo così da poter affiancare l'amica. Quando svoltarono l'angolo, per poco non furono investite da un uomo che veniva dal senso opposto. Se Francesca si scansò e borbottò qualcosa a proposito della maleducazione delle persone, Violetta si bloccò di colpo al centro del corridoio. Incredibilmente, le era sembrato che quello strano individuo vestito completamente di nero avesse un qualcosa di familiare. Non sapeva dire dove o quando, ma lo aveva già visto e non perché fosse un cliente dell'albergo. Perché le era così familiare? Dove lo aveva già incontrato? Tra l'altro non riusciva a scacciare dalla mente quegli occhi neri, che anche se solo per alcuni istanti, l'avevano scrutata attentamente, come se lui la conoscesse. Era stato tutto frutto della sua immaginazione, o era davvero così?
“Vilu? Andiamo?” La voce di Francesca la riportò alla realtà, allontanando almeno per il momento quelle strane sensazioni. “Certo,” si affrettò ad annuire, ignorando lo sguardo indagatore dell'amica. Ora doveva solo accertarsi che sua zia stesse bene, poi avrebbe pensato al resto anche perché il suo sesto senso non sbagliava mai, chiaramente c'era qualcosa che non andava e lei lo avrebbe scoperto, costi quel che costi.




E ora le vostre ipotesi le voglio conoscere! In questo capitolo, oltre agli scleri Leonetta e Diecesca, si aggiungono dei particolari sull'uomo misterioso. Se da una parte abbiamo Fran, che superate le sue insicurezze grazie alle rassicurazioni di Diego, si rende conto di voler approfondire il rapporto con lui *_______* dall'altra c'è una Lena sempre più desiderosa di creare scompiglio tra i fratelli Galindo, ma ancora una volta Marco non l'appoggia e addirittura la ragazza viene anche intimorita da Leon XD
Proprio Leon, ha deciso di fare una sorpresa a Vilu, portandola in quel teatro tanto importante per German e Maria e qui condividono un momento molto toccante *_____*
Nel frattempo, Angie riceve una visita a sorpresa. L'uomo misterioso e la Saramego sembrano conoscersi e condividere un passato, di cosa si tratterà? E Vilu? Davvero lo ha già incontrato e non lo ricorda, o la sua è solo una sensazione?
Grazie infinite a tutti voi! :3 fatemi sapere cosa ne pensate :P
Trilly


 

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Capitolo 34
*** Brutti presentimenti ***




Violetta si rigirò per l'ennesima volta tra le coperte, sbuffando sonoramente. La sveglia sul suo comodino segnava le due del mattino, eppure non riusciva a prendere sonno. Poteva dire il numero preciso dei respiri di Francesca e Lena e persino con quale frequenza il suo cuore battesse, tutto quello perché il suo cervello era più sveglio che mai e nulla sembrava assopirlo. Aveva provato con una camomilla, aveva ascoltato quasi tutta la playlist del suo cellulare ed era quasi stata tentata di mettersi alla ricerca di un sonnifero, ma era stato tutto inutile. Proprio non riusciva a scacciare dalla mente il volto arrossato di sua zia Angie e le sue assurde giustificazioni. Prima che lei e Francesca arrivassero la donna stava piangendo, ne era convinta, il motivo però era un mistero. Tra l'altro c'era anche quello strano individuo che aveva incrociato nei corridoi e che era sicura di aver già visto. Certo, lei stranamente lo ricordava più giovane, come se lo avesse conosciuto in passato, ma non rimembrava come e quando. Quell'uomo sembrava a sua volta conoscerla dato che l'aveva studiata con fin troppo interesse, ma chi era? Perché se la conosceva non aveva mostrato alcun cenno di saluto? Non sapeva dire perché, ma sentiva che le sue non fossero solo paranoie, c'era qualcosa che non andava, qualcosa...
Esasperata, si tolse le coperte di dosso e si mise seduta al centro del materasso, lo sguardo perso nel vuoto. Angie nascondeva qualcosa e anche da molto, per non parlare di Angelica e delle sue assurde paure. Qualcosa collegava tutti quei pezzi, ma non riusciva a capire cosa. Senza rifletterci molto, recuperò l'album di nozze dei suoi genitori da sotto il letto e si fiondò in bagno, facendo meno rumore possibile. Di solito guardare le foto dei suoi genitori la tranquillizzava, chissà che non ci sarebbero riuscite anche in quel momento. Raggomitolata ai piedi della vasca da bagno perciò, iniziò a sfogliare l'album, analizzando ogni minimo particolare di German e Maria in quel giorno così speciale. Era stato un matrimonio in grande, avevano partecipato davvero tante persone e molte nemmeno le aveva mai viste. I suoi nonni erano ancora quattro ed erano emozionatissimi. Angie e Pablo erano così giovani e Diego, un piccolo marmocchio in braccio al padre, sembrava già un diavoletto. Continuò a scorrere le foto, riconoscendo altri amici e parenti, finché non si bloccò di colpo davanti a quelle della cerimonia. Come sapeva, la testimone di sua madre era sua zia Angie, ma chi non conosceva era il testimone di suo padre. Era un uomo non troppo alto ma robusto e quegli occhi neri le erano così familiari, così... Impiegò diversi minuti per mettere insieme i pezzi del puzzle. Era lui, l'uomo che aveva incrociato nei corridoi. Chiaramente nella foto era più giovane, ma non avrebbe mai potuto confondere quei due pozzi senza fondo che erano i suoi occhi. I suoi genitori conoscevano quell'uomo e anche molto bene dato che aveva fatto da testimone a suo padre, ma chi era? Perché non gliene avevano mai parlato? Confusa, continuò ad analizzare quella foto per poi verificare se lui apparisse anche in altre e ciò incrementò ancora di più il suo turbamento. Quell'uomo non era un estraneo, era sempre presente tra gli invitati. Quello che non capiva era perché non lo avesse mai conosciuto e perché quando l'aveva vista in corridoio, l'aveva guardata come se la conoscesse ma non le aveva detto nulla. Poteva quell'individuo essere collegato a sua zia Angie e al fatto che stesse piangendo? Cosa stava succedendo o era già successo, che lei non sapeva?
“Vilu, che stai facendo?” La ragazza sobbalzò, notando Francesca ferma sul ciglio della porta. Anche se aveva i capelli scompigliati ed era ancora assonnata, sembrava abbastanza lucida. Violetta si morse nervosamente il labbro, poi sussurrò: “Vai a svegliare Leon, ti prego.”
“Come?” Esclamò la mora, sicura di aver capito male. “Lo sai che ore sono? Mi ammazza se lo sveglio e...” Lei scosse la testa, poggiando l'album a terra e raggiungendola con pochi passi. “è importante, Fran, molto importante,” le spiegò, stringendole le mani con le sue. “Ne ho bisogno assolutamente. Portalo qui, ti prego.” Francesca la fissò per alcuni istanti, indecisa, poi notando qualcosa che non le piaceva per niente negli occhi dell'amica, si affrettò ad annuire. “Torno subito.” La Castillo l'abbracciò di slancio, rischiando seriamente di soffocarla. “Grazie, Fran, grazie.” La mora si limitò ad annuire, lasciandosi andare a una smorfia di dolore, poi in punta di piedi si avviò verso la porta. I corridoi erano bui e silenziosi ed era una fortuna che la camera dei ragazzi fosse proprio accanto alla loro, anche perché il solo pensiero di avventurarsi la faceva rabbrividire. Cosa doveva fare? Bussare o intrufolarsi? Se lo stava ancora chiedendo, quando la porta si aprì di colpo, facendole fare un salto all'indietro per la paura. “Fran, sei tu?” Francesca tirò un sospiro di sollievo, riconoscendo la voce assonnata di Diego. “Mi hai fatto prendere un colpo.” Il ragazzo corrugò le sopracciglia, confuso. “Cosa ci fai qui fuori? Volevi farmi una sorpresa?” Aggiunse maliziosamente, prendendola per la vita e attirandola a se. Fece per baciarla, ma lei gli poggiò le mani sul petto, respingendolo. “Sono venuta a cercare Leon, Vilu ha bisogno di lui.” Anche se palesemente deluso per quel mancato bacio, il ragazzo annuì. “è successo qualcosa?” Chiese, ora decisamente preoccupato. Lei scrollò le spalle. “Non lo so,” ammise e lui annuì ancora. “Vado a svegliarlo.” Non riuscì però a fare una passo che Francesca lo fece voltare e gli stampò un bacio a fior di labbra. “E ora chiama Leon.” Diego ghignò, passandosi la lingua sulle labbra. “Ai tuoi ordini, bambolina.”

“Amore, che succede?” Un preoccupatissimo Leon si fiondò in bagno, chiudendosi subito la porta alle spalle. Violetta, seduta esattamente dove Francesca l'aveva lasciata, si limitò a porgergli il famigerato album di nozze dei Castillo. Il ragazzo fissò l'oggetto, confuso. “Cosa dovrei farci?” Lei ruotò gli occhi, stizzita. “Prendilo e basta, Leon!” Sbottò, lasciandolo basito. Perché lo aveva fatto svegliare nel cuore della notte solo per maltrattarlo e porgergli quell'album? Se non fosse stato sicuro che fosse impossibile, avrebbe pensato che la sua ragazza avesse fumato qualche allucinogeno. In ogni caso, prese l'album e sollevò un sopracciglio. “Allora, mi dici che ti prende?” Violetta sbuffò, raggiungendolo e iniziando a sfogliare l'album in maniera frenetica, finché non trovò ciò che cercava. “Quest'uomo,” disse indicandogli un individuo in smoking accanto a German. “è stato il testimone di mio padre ed è lo stesso che io e Fran abbiamo incrociato in corridoio stasera.” Leon corrugò le sopracciglia e si massaggiò il mento, pensieroso. La ragazza gli aveva accennato di un uomo che le era sembrato familiare, ma pensava si trattasse solo di una sensazione, non poteva essere davvero lo stesso della foto. “è lui, Leon, ne sono sicura,” insistette lei, sventolandogli l'album davanti agli occhi. “Fammi vedere.” Glielo prese di mano e osservò più attentamente il testimone di German. Improvvisamente un ricordo vecchio di tanti anni prima gli tornò alla mente e sbiancò paurosamente. Non poteva essere vero, non poteva e basta. Forse gli somigliava ma non era lui, forse si stava facendo condizionare dalle paranoie della sua ragazza. Posò l'album a terra e voltò le spalle alla ragazza, prendendosi il viso tra le mani e strofinandolo con vigore. Un terribile presentimento si stava facendo strada nella sua mente e più tentava di scacciarlo e più esso diventava insistente. Possibile che quell'uomo fosse davvero chi pensava? Che collegamento poteva mai avere con la famiglia di Violetta? Ma soprattutto, era un caso che si trovasse a Venezia?
“Leon.” Violetta lo scosse per un braccio, costringendolo a voltarsi. “A cosa stai pensando? Sai chi è quell'uomo?” L'agitazione e l'impazienza erano piuttosto evidenti sul volto della ragazza e sentendosi un grande codardo, Leon non riuscì a fare altro che stringerla forte a se. “Va tutto bene, Amore, tranquilla,” la rassicurò, accarezzandole dolcemente il capo. Violetta in quel momento gli appariva ancora più piccola e fragile e il solo pensiero che qualcosa potesse farle del male, lo mandava in bestia e allo stesso tempo lo terrorizzava. Non poteva esporle i suoi dubbi, doveva proteggerla e ovviamente indagare, scoprire se ci fosse un fondo di verità e agire di conseguenza. Forse avrebbe dovuto parlarne con Diego, anche se non era tanto sicuro di volerlo coinvolgere. Il suo amico alla fin fine era un bravo ragazzo, non aveva mai frequentato tanto a fondo il suo sporco mondo e voleva che le cose restassero così. Doveva proteggerli, sia lui che Violetta. “Leon,” riprovò la ragazza, ma lui scosse il capo, continuando ad abbracciarla e a cullarla come si faceva con i bambini. “Ti stai facendo troppe paranoie, pensiamo a goderci questa vacanza, ok?” La ragazza non rispose, stringendogli maggiormente la vita e strofinando il volto contro il suo petto. Amava stare tra le braccia di Leon, lui le trasmetteva sicurezza, tranquillità, protezione e le faceva dimenticare qualsiasi problema l'affliggesse. Ricordava che spesso quando litigavano, lui l'abbracciava e puntualmente dimenticava perché ce l'avesse con lui. Aveva sempre avuto tanto potere su di lei, la confondeva, la rendeva vulnerabile e dipendente. A volte si chiedeva se non fosse sbagliato che il suo ragazzo la condizionasse con tanta facilità. Sua nonna addirittura più volte aveva insinuato che la manipolasse a suo piacimento. Sollevò di poco il capo, così da potersi specchiare nei suoi meravigliosi occhi verdi. Le stava sorridendo e in essi poteva vedere riflesso il grande amore che provava per lei. Angelica si sbagliava, il suo Leon non l'avrebbe mai manipolata, lui l'amava davvero. “Ehi,” sorrise il ragazzo, accarezzandole teneramente una guancia. “Se ti fa stare meglio, posso indagare su quest'uomo e vedo cosa riesco a scoprire.” Violetta si illuminò di colpo a quelle parole. “Davvero lo faresti?” Lui annuì, lasciandole un piccolo bacio sul naso. “Non stai bene e io non posso vederti così. Farò di tutto per toglierti questi dubbi,” le promise, stringendola ancora a se. Un grande sorriso si distese sul volto della ragazza. Come poteva anche solo aver pensato che Leon potesse gestirla a suo piacimento? Sua nonna sbagliava e anche di grosso. Vargas avrebbe fatto qualsiasi cosa per farla stare meglio, qualsiasi, non doveva più dubitarne. “Grazie Leon, non sai quanto questo sia importante per me,” soffiò contro il suo petto. Lui sorrise, prendendole il volto tra le mani. “Potrai sempre contare su di me, ricordalo.” Detto ciò la coinvolse in un dolce e profondo bacio, che lei ricambiò con trasporto. Leon l'avrebbe aiutata a scoprire la verità, ne era sicura.



“Devo parlarti.” Francesca, che stava risistemando l'armadio, si voltò di scatto alle parole di Lena. La bionda era già vestita di tutto punto e la fissava con le braccia conserte. Violetta doveva essere scesa a fare colazione, perciò in camera erano rimaste solo loro due. “Di cosa dovremmo parlare?” Chiese scettica, avvicinandosi al letto e recuperando altri vestiti da sistemare. L'altra la seguì con lo sguardo, apparentemente impassibile. “Davvero non lo immagini? Di Marco, ovviamente,” aggiunse, piazzandolesi di fronte. “Smettila di tenerlo legato a te.” Francesca sgranò gli occhi, sicura di aver capito male. “Io non sto facendo assolutamente nulla.” Fece poi per sorpassarla, ma Lena le bloccò il polso. “Invece si. Per colpa tua Marco non riesce ad andare avanti, non riesce ad amarmi!” Sbottò frustrata, rafforzando la presa intorno al suo polso. “Lasciami,” ribattè la mora con una smorfia di dolore. “Se hai problemi con Marco non dipende da me.” Si liberò poi della sua stretta con stizza e riprese il cammino verso l'armadio come se nulla fosse accaduto. “Io invece direi proprio di si.” Lena la raggiunse con pochi passi e la costrinse a voltarsi. “Sei una gatta morta. Passi da un fratello all'altro, tenendoli appesi a un filo e questo non è giusto. Dovresti vergognarti!” Nella sua voce c'era così tanto astio e disprezzo che normalmente Francesca si sarebbe sentita ferita o umiliata, ma l'assurdità delle sue parole la lasciava piuttosto interdetta. “Io dovrei vergognarmi?” Esplose, perdendo il poco autocontrollo che le restava. Non ne poteva più di tenersi tutto dentro. “Io ho fatto la mia scelta, sei tu che fai di tutto per causare problemi! Non ti sopporto più! Sei sempre pronta ad attaccarmi e a screditarmi, senza renderti conto che questo non solo non ti aiuterà a conquistare Marco, ma sta solo peggiorando il rapporto tra lui e Diego!” Lena fece per ribattere, ma ormai Francesca non voleva sentire altro. “Mi rendo conto di aver inciso nei loro problemi, ma io e Diego stiamo facendo di tutto per non far pesare la cosa a Marco. A malapena ci guardiamo quando lui è presente, tu però non perdi occasione per causare discordie. Che senso aveva trascinarlo in bagno sapendo che noi eravamo lì? Se sei tanto innamorata di lui, perché non fai qualcosa per farti apprezzare anziché rovinare il rapporto tra lui e suo fratello? Sei tu che dovresti vergognarti, non io.”
“Come osi?” La bionda digrignò i denti, fronteggiandola. “è colpa tua se io e Marco abbiamo dei problemi. Questo viaggio doveva servire per permettergli di dimenticarti, ma tu sei venuta anche qui e...fai tanto la santarellina, ma sei la peggiore. Il fratello del tuo ex ragazzo che per giunta stava con Ludmilla Ferro, ma ti rendi conto di quanto sei squallida? Sei una poco di buono e...”
“BASTA, STAI ZITTA!” Urlò Francesca, spintonandola lontano da se. “TU NON SAI NIENTE DI ME, NIENTE! NON TI PERMETTERE DI GIUDICARMI E LASCIAMI IN PACE!”
Le urla della ragazza giunsero fino in corridoio, tanto che Marco e Diego che si stavano recando nella loro camera, accorsero immediatamente, preoccupati. Lo spettacolo che si trovarono di fronte aveva dell'incredibile. La mora sembrava fuori di se, urlava e allo stesso tempo piangeva, mentre Lena era furiosa, anche se un mezzo sorrisetto di soddisfazione le increspava le labbra. “La verità fa male, eh Francesca?” La derise la bionda, non avendo notato i due Galindo alle sue spalle. “Mi rendo conto che accettare di essere una poco di buono non è facile, ma...”
“Taci.” Lena si interruppe di colpo al suono di quella voce così fredda e allo stesso tempo minacciosa. Solo allora notò Diego e Marco fermi sul ciglio della porta. A parlare era stato il maggiore dei due, che faceva non poca fatica a contenere la rabbia. “Pensavo di essere stato chiaro, devi smetterla di dare fastidio.”
“Tu non mi dici cosa devo fare, ancora di più se dico la verità. Tu e Francesca state facendo una cosa orribile a Marco, dovreste vergognarvi di voi stessi e...”
“Questa ragazzina sta iniziando a farmi saltare i nervi!” Sbottò Diego, avanzando di qualche passo, fino a fronteggiarla. “Te lo dirò una sola volta, poi non sarò più clemente,” la avvertì, agitandole l'indice sotto il naso con fare minaccioso. “Importuna ancora la mia ragazza, insultala o qualsiasi cosa ti passi in quel cervellino e giuro che sarà l'ultima cosa che farai nella vita, mi sono spiegato?” Lena anziché intimorirsi come il ragazzo si aspettava, si lasciò sfuggire una risatina di sfida, spostando lo sguardo da lui agli altri presenti. “Sembra che tu e Vargas ci troviate gusto a minacciare le ragazze indifese.” A quelle parole Diego e Francesca si scambiarono un'occhiata, facendo fatica a restare seri. “Tu, indifesa?” Chiese l'italiana, incredula. “Ma se non fai altro che attaccare.”
“Giusto,” concordò Galindo. “Sembri una predatrice assetata di sangue, un'arpia e non posso dare torto a Marco se ti allontana.” Dicendo ciò guardò il fratello, che ricambiò l'occhiata senza battere ciglio. Impossibile dire cosa stesse passando in quel momento per la testa del ragazzo, era una maschera di impassibilità. Lena invece era tutto tranne che impassibile, era fumante di rabbia. “Non ti permetto di parlarmi così!” Strillò, agitando le braccia e allo stesso tempo facendo ondeggiare la chioma dorata. “E tu non dici niente per difendere me, o quantomeno te stesso?” Continuò, rivolgendosi a Marco, che socchiuse gli occhi per alcuni istanti, per poi sbottare. “Basta, Lena, non ne posso più di questa storia. Dimmi cosa devo fare per farti stare zitta e giuro che la farò.”
“C..come?” Se Lena era sconvolta, Diego lo era ancora di più. Si aspettava da un momento all'altro l'attacco di suo fratello e invece anche lui sembrava stanco di quella guerra. “So difendermi da solo, non ho bisogno di una balia che mi faccia passare per idiota,” continuò Marco, con un tono calmo e pacato, quasi inconsapevole di aver colto i suoi interlocutori di sorpresa. “Mi stai soffocando, Lena, anziché aiutarmi peggiori solo la situazione. È come stuzzicare continuamente una ferita in via di guarigione, non si rimarginerà mai se ti ostini a staccare la crosta, capisci cosa intendo?” Per la prima volta la bionda era senza parole e aveva lo sguardo basso, incredibile quanto il giovane Galindo la rendesse vulnerabile. “I problemi non si risolvono così.” Marco distolse lo sguardo da lei per posarlo prima su Francesca e poi su Diego, scuotendo il capo. “Vado a fare colazione.” Detto ciò, voltò loro le spalle e se ne andò, seguito a ruota da Lena, che a quanto pareva non considerava ancora conclusa quella conversazione tra di loro. A quel punto restarono solo l'italiana e il maggiore dei Galindo, anche se quest'ultimo non faceva altro che fissare la porta dove il fratello era appena uscito, come ipnotizzato. “Diego.” Francesca gli si avvicinò, poggiandogli una mano sul braccio. “Sono un pessimo fratello,” mormorò lui, lo sguardo ancora rivolto verso la porta. “è colpa mia se si sente tanto ferito e umiliato, gli ho rovinato l'esistenza.” Si andò poi a sedere sul bordo del primo dei tre letti, accanto al balcone e che corrispondeva a quello di Violetta, prendendosi il volto tra le mani. La mora lo affiancò prontamente, adagiando una mano sul suo ginocchio. “Sai che non è così. Avete avuto dei problemi, ma siete ancora in tempo per recuperare.” Diego rise, incredulo. “Mi odia, perché mai dovrebbe voler chiarire?”
“Ti sbagli.” Francesca lo costrinse a togliere le mani dal volto, così da poterlo finalmente guardare negli occhi. “Hai sentito ciò che ha detto? Hai visto come ti ha guardato?” Gli chiese, facendolo accigliare. “Prima esprimeva solo ostilità, ora non più. Marco sarebbe disposto ad ascoltarti, ne sono sicura,” insistette, entusiasta. “Non è tutto perduto, capisci? Forse questo viaggio sta davvero facendo la sua parte e ora tocca a te. Parla con lui.” Diego deglutì, irrigidendosi improvvisamente. “Lo credi davvero?” Da troppo era tormentato dai sensi di colpa e dal bisogno di parlare finalmente apertamente con suo fratello, ma pensava che sarebbe stato tutto inutile, che non lo avrebbe mai ascoltato e anche se non lo avrebbe mai ammesso, era proprio il pensiero di un suo rifiuto ad aver scoraggiato ogni tentativo di approccio. Lui non era un codardo, non lo era mai stato, però era anche vero che non aveva mai sbagliato tanto con una persona come con Marco e ammettere i propri sbagli non era facile, così come non era facile riuscire a farsi perdonare, poteva riuscirci? Poteva mettere da parte l'orgoglio e scusarsi? “So che in fondo ci tenete l'uno all'altro,” sorrise incoraggiante la mora, stringendogli le mani con le sue. “Parlagli, Diego, digli tutto quello che fino ad ora ti sei tenuto dentro.” Diego abbozzò un mezzo sorriso, sfiorandole il dorso della mano. “Come fai ad essere sempre così forte?” Le chiese e lei scrollò le spalle. “Lo sai che non è così. Ho permesso a troppe persone di ferirmi e...” “Ma non ti sei mai arresa,” insistette il ragazzo, accarezzandole una guancia con la punta delle dita e facendola per questo rabbrividire. “Io e Marco ci siamo comportati male con te e tu sei lo stesso qui a mediare tra di noi, un'altra persona non lo avrebbe fatto.” Un lampo gli attraversò lo sguardo mentre le diceva quelle parole e Francesca avvertì uno strano calore diffondersi in tutto il suo corpo, un calore terribilmente piacevole e rassicurante e che lui era sempre in grado di farle provare quando la guardava in quella maniera, come se la considerasse la cosa più importante e preziosa. “Ma tu non sei una persona qualsiasi,” continuò il ragazzo, accostando il volto al suo. “Sei la mia dolce bambolina,” le soffiò con voce calda all'orecchio, lasciandole poi un bacio proprio sotto il lobo. “Tu mi rendi migliore e non smetterò mai di esserti grato per questo.” Fece per baciarla, ma lei gli poggiò un dito sulle labbra. “Aspetta.” Prima che potesse fermarla, era già corsa verso la porta e l'aveva chiusa. “Così nessuno ci disturberà,” sorrise ammiccante, lasciando che lui le stringesse le mani e la conducesse a sedersi sulle sue gambe. Anche se un po' a disagio, dato che era la prima volta che ciò accadesse, allacciò lo stesso le braccia al suo collo, mentre lui faceva scorrere le mani lungo la sua schiena. Un attimo dopo si stavano baciando con passione, alternando ai baci anche dei piccoli morsi. A poco a poco Diego rese il loro bacio più profondo, stringendola maggiormente a se e scendendo ad accarezzarle i fianchi e poi le cosce con una certa enfasi. Francesca rabbrividì, avvertendo ancora quel calore propagarsi in tutto il suo corpo. Ogni singola zona che le mani del ragazzo esploravano, sembrava ardere come se fosse stata esposta sui carboni ardenti e un desiderio incontrollabile si fece strada in lei. Voleva che rendesse quelle carezze più decise, più intime, voleva sentire il contatto dei loro corpi, voleva lui. Quella consapevolezza la fece avvampare di colpo, troppo era l'imbarazzo per i suoi stessi pensieri. Cosa le stava accadendo? Mai aveva desiderato un contatto tanto profondo con qualcuno e la cosa la spaventava ed emozionava allo stesso tempo. Per quanto riguardava Diego, in lui dominava tutto tranne l'imbarazzo o la paura. Ogni giorno era sempre più consapevole dell'intensità dei sentimenti che provava per Francesca e il desiderio di lei era ormai diventato una fissazione. La desiderava sin da quando aveva incrociato il suo sguardo nella cucina di casa sua e man mano che l'aveva conosciuta, tutto si era amplificato, finché all'attrazione non si era aggiunto anche l'amore e ciò aveva inevitabilmente messo in difficoltà il suo autocontrollo. Mai aveva amato una ragazza con cui desiderava fare l'amore e resistere stava diventando sempre più insostenibile. Una parte di lui avrebbe solo voluto assecondare i suoi più bassi istinti e da come la mora lo accarezzava e lo baciava, era sicuro che lo desiderasse anche lei, ma appunto qualcosa ancora lo frenava. Aveva la sensazione che non fosse ancora arrivato il momento giusto, che prima ci fossero delle cose da chiarire e avevano tutte a che fare con Marco. Doveva chiarire con suo fratello, accertarsi che ci fosse ancora un modo per rimediare ai suoi sbagli e solo allora lui e Francesca sarebbero stati liberi di seguire il loro cuore. Convinto di ciò, interruppe il bacio e la strinse forte a se, avvertendo ancora quelle piccole mani tra i suoi capelli. “Ti amo tantissimo,” sussurrò la ragazza contro il suo petto. Lui sorrise, poggiando il capo sul suo. “Ti amo anch'io.”



Leon fece scorrere lentamente le dita lungo la schiena nuda di Violetta, beandosi dell'intensa morbidezza della sua pelle, quella pelle che per lui era una vera e propria droga e di cui anche dopo averla accarezzata e assaporata per ore, non ne aveva mai abbastanza. Era notte fonda, solo la debole luce dei lampioni all'esterno illuminava la camera, altrimenti buia. Quella sera si era abilmente procurato la chiave di una stanza che sapeva essere libera e con la complicità degli amici che li avevano coperti, aveva invitato Violetta a passare la notte lì. Entrambi avevano più che mai bisogno di concedersi un momento tutto per loro, soprattutto dopo che la ragazza era rimasta tanto turbata, prima per il teatro e i relativi ricordi che le aveva suscitato e dopo per la questione di quel misterioso individuo. Quell'ultima questione, era quella che occupava maggiormente la mente di Leon. Stava facendo davvero di tutto per distrarre Violetta e non farle pensare a quel maledetto uomo, ma non sapeva per quanto ci sarebbe riuscito senza farla insospettire. Se quella persona era davvero chi credeva, la sua ragazza non doveva averci assolutamente nulla a che fare. Non poteva esporle i suoi dubbi, sia perché appunto non ne aveva la certezza e poi non poteva rischiare di spaventarla o peggio metterla in pericolo. Tante volte durante il giorno si guardava intorno alla ricerca di quell'uomo, sicuro che se fosse davvero chi credeva li tenesse sotto controllo perennemente, ma fino a quel momento era stato piuttosto sfortunato. Mai, nemmeno una volta lo aveva visto anche solo per sbaglio, perciò le possibilità erano due, o si stava solo facendo condizionare dalle paranoie di Violetta, o quell'uomo era molto bravo a passare inosservato. Sbuffò sonoramente, scuotendo il capo e continuando a stringere contro il suo petto la ragazza profondamente addormentata. I lunghi capelli castani gli procuravano un leggero solletico e lo stesso accadeva con il suo respiro basso e regolare, segno che fosse ormai sprofondata nel sonno. Una delle cose che amava di più era osservarla dormire, in quei momenti era ancora più bella ed esprimeva una profonda dolcezza e sensualità. Leon non si considerava un sentimentale, di quelli che eccedevano con parole o gesti sdolcinati e alquanto diabetici, al contrario era insofferente a quelle cose, eppure era innegabile che amasse quella ragazzina con tutto se stesso. Violetta era il suo opposto, era quella dolcezza e quell'innocenza che lui non aveva mai avuto e allo stesso tempo era tanto forte e paziente, molto di più di quanto credeva. Solo quello poteva averle permesso di restargli accanto e sopportare i suoi mille difetti, perché nessuno aveva più difetti di Leon Vargas. Era testardo, orgoglioso, egoista, poteva diventare spietato, era geloso, prepotente, insistente, istintivo e chissà ancora cos'altro. Senza contare che fosse cresciuto in una famiglia di delinquenti, con la convinzione che tutto gli fosse dovuto e in caso contrario dovesse prenderselo con la forza. Lui non era il principe azzurro che le ragazze o i genitori sognavano per le proprie figlie, probabilmente nemmeno lui stesso avrebbe voluto che una sua ipotetica figlia frequentasse un tipo del genere. Ciononostante, Violetta aveva deciso di credere in lui e di amarlo e sperava davvero di meritare tutta quella fiducia. Mai si sarebbe perdonato se le fosse successo qualcosa per colpa sua e dello squallido mondo da cui proveniva. Suo padre gli aveva garantito che rispettava le sue scelte, che era libero di intraprendere una strada diversa, ma lui era davvero libero? Cosa gli garantiva che lui e Violetta non sarebbero mai stati coinvolti in qualche regolamento di conti come era accaduto a sua madre? Ma soprattutto, perché ci stava pensando proprio in quel momento in cui avrebbe dovuto godersi quella notte di passione con la ragazza che amava? La possibile presenza di quell'uomo poteva turbarlo così tanto da portarlo a mettere in discussione tutte le sue certezze?
“Leon.” Il basso mugugno di Violetta lo fece sobbalzare, distogliendolo dai suoi pensieri. Le accarezzò dolcemente il capo, rendendosi conto che stesse ancora dormendo, forse lo stava sognando. Istintivamente sorrise, lasciandole un bacio tra i capelli. Finalmente la vedeva rilassata, come se non ci fosse nulla a turbarla, ma Leon sapeva che non fosse così. La Castillo era ancora convinta della sua tesi e nulla le avrebbe fatto cambiare idea, era una gran testarda. Francesca gli aveva detto che non faceva altro che sfogliare l'album di nozze dei suoi genitori e più volte lui stesso l'aveva colta in flagrante. Violetta era sicura che quell'uomo che aveva visto in albergo fosse lo stesso che era presente al matrimonio di German e Maria e il solo pensiero che prima o poi potesse affrontarlo e chiedergli spiegazioni, lo terrorizzava. Chissà cosa avrebbe potuto dire o fare alla sua ragazza e... Scosse la testa, come se ciò potesse bastare per cancellare quella paura che lo attanagliava. Doveva parlare con quell'uomo prima che lo facesse Violetta, doveva scoprire la verità e proteggerla a tutti i costi. Con delicatezza la fece adagiare accanto a lui, per poi sgusciare fuori dal letto e recuperare i vestiti. Se quell'uomo era davvero in albergo lo avrebbe trovato e lo avrebbe fatto parlare, non poteva lasciarsi sfuggire quell'occasione. La ragazza dormiva, perciò non avrebbe notato la sua assenza. In meno di mezz'ora già sarebbe tornato a coricarsi accanto a lei. Prima di andare, si fermò ancora accanto a Violetta e le accarezzò una guancia. “Risolverò questo problema, Amore mio, te lo giuro,” sussurrò, lasciandole un delicato bacio a fior di labbra. Una volta aver chiuso la porta a chiave, si incamminò nel lungo corridoio illuminato solo da una tenue luce rosata. Nemmeno lui sapeva dove iniziare a cercare, si stava semplicemente lasciando guidare dalle sue gambe che lo stavano conducendo verso gli ascensori. In un attimo si ritrovò al piano terra, nella grande e buia hall dell'albergo. Anche se all'apparenza sembrava non esserci nessuno continuò ad avanzare, mentre il rumore dei suoi passi gli rimbombava nelle orecchie più e più volte. L'istinto gli diceva che la strada fosse quella giusta, che il suo obiettivo si stesse facendo sempre più vicino e di solito era infallibile, proprio per quello non ci pensò due volte a dargli ascolto, guardandosi nervosamente intorno.
“Ti stavo aspettando.” Leon sussultò, notando una figura uscire dall'ombra e procedere verso di lui. “Mi chiedevo quanto ci avresti messo a cercarmi.” Solo quando lo ebbe raggiunto, il giovane potè vederlo bene in volto e deglutì. I suoi peggiori timori erano confermati. “Sei cresciuto, ti ricordavo un ragazzino,” continuò l'uomo con un sorrisetto di scherno. Leon sospirò, tentando di mettere ordine nella sua mente. Era ora di indagare, non aveva tempo per restare come un pesce lesso. “Cosa ci fa lei qui? Cosa vuole?”
L'uomo di tutta risposta ridacchiò. “Nulla, sono a casa mia.” Il ragazzo corrugò le sopracciglia, confuso. “Che significa che è a casa sua?”
“Sono nato e cresciuto qui, semplice,” ribattè l'altro con un tono ovvio. “Sono italiano più di tutte le persone di questo albergo. Ah, la mia Venezia,” aggiunse allargando le braccia come a voler abbracciare tutto intorno a se. Bastarono quelle parole per rendere tutto chiaro nella mente del giovane Vargas. Ecco perché Angelica non voleva che partissero, il motivo era lì di fronte a lui. “Stia lontano da Violetta, chiaro?” Sbottò, lasciandolo interdetto. “Lei non è una qualsiasi, è la mia ragazza.” Dopo un attimo di stupore, l'uomo sollevò le mani come a volerlo placare. “Calma, ragazzo. Non ho alcuna intenzione di farle del male.” Leon sollevò un sopracciglio, scettico. “E allora la smetta di spiarla, l'ho vista eccome.” Senza attendere risposta se ne andò con un solo pensiero in testa: doveva assolutamente parlare con suo padre. Troppe cose non gli erano chiare e troppi erano i brutti presentimenti che avevano iniziato a tormentarlo, primo su tutti che la sua Violetta fosse in serio pericolo e doveva fare il possibile per proteggerla.




Ed eccoci qui al capitolo clou. Un bel po' di indizi sull'identità dell'uomo misterioso sono stati distribuiti e alcune cose iniziano ad essere chiare. Ammetto che sapendo io la verità, non so cosa si capisce e cosa no, perciò sono curiosa di sapere cosa ne pensate voi. Per quanto riguarda la parte più leggera, se così si può definire, Lena è sempre più una spina nel fianco, mentre tra Diego e Marco inizia ad esserci un positivo scambio di sguardi, tanto che Fran incoraggia un confronto tra i due. Abbiamo poi un dolce momento Diecesca e Leonetta e infine il confronto tra Leon e l'uomo misterioso 0.0
Vi ringrazio per il vostro costante affetto, siete dolcissimi :3
un bacione, Trilly


 

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Capitolo 35
*** I fantasmi di Angie e Leon ***




“è andato a fare un giro in piazza, perché?” Pablo e Angie stavano facendo tranquillamente colazione al loro tavolo, quando Diego li aveva raggiunti facendo loro quell'incredibile domanda. Mai, nemmeno nelle più rosee aspettative avrebbero pensato che il ragazzo avrebbe chiesto loro dove avrebbe potuto trovare Marco. Lui si grattò nervosamente il capo, mentre alle spalle dei due coniugi, Leon, Violetta e Francesca gli facevano gesti di incoraggiamento. Poteva farcela, doveva solo avere fiducia. Prendendo un profondo respiro perciò, mormorò: “Ho bisogno di parlare con lui.” Un lampo di puro stupore attraversò lo sguardo di Pablo e Angie, sostituito poi da un sorriso speranzoso. “Allora vai,” lo spronò la Saramego, scattando in piedi e stringendolo in un forte abbraccio. “Lui non aspetta altro.”
“è uscito da poco, perciò non avrai difficoltà a raggiungerlo,” aggiunse Pablo, quando Angie finalmente liberò il figlio dalla sua morsa. “Vado,” annuì il ragazzo, abbozzando un sorriso nervoso. Non credeva che lo stesse davvero per fare. Sapeva che probabilmente fosse una delle poche decisioni giuste che aveva preso nella sua vita, eppure non poteva fare a meno di avvertire una certa ansia. Avrebbe voluto prepararsi un discorso, scriverlo quantomeno, ma niente, la sua mente sembrava essersi bloccata rimandandogli il vuoto più assoluto. L'unica cosa che gli restava da fare perciò era improvvisare e sperava solo di non combinare disastri a causa della sua lingua biforcuta.
“Ehi, Diego.” Leon, Violetta e Francesca lo raggiunsero davanti all'ingresso dell'albergo con dei grandi sorrisi stampati in faccia. “Andrà tutto bene, vedrai,” sorrise la Castillo, avvolgendogli le braccia al collo. “Stai facendo la cosa giusta.” Diego ricambiò l'abbraccio, facendo non poca fatica a contenere il nervosismo e per quello cercò lo sguardo di Leon e di Francesca. Vargas intuì subito dato che lui stesso si era ritrovato in una situazione simile, a dover chiedere scusa per i suoi comportamenti sbagliati e gli diede una pacca sulla spalla. “Vedrai come ti sentirai meglio dopo,” gli disse saggiamente, strizzandogli l'occhio. Diego annuì, spostando poi lo sguardo sulla Cauviglia, che gli si era avvicinata allacciandogli le braccia intorno alla vita e poggiando il capo contro il suo petto. “Tranquillo,” sussurrò, scompigliandogli teneramente i capelli. “Marco ti ascolterà, tu parla solo con il cuore.” Il moro si limitò ad annuire, stringendo forte a se la ragazza e ringraziando con lo sguardo l'amico e la cugina. “Farò del mio meglio,” promise poi, incamminandosi verso l'uscita. “Pregate per me,” sghignazzò, scatenando l'ilarità degli altri tre.
“Diego.” Aveva appena varcato l'uscita e si apprestava a scendere gli scalini di marmo, quando Francesca lo raggiunse. “Sono fiera di te,” sorrise, prendendogli il volto tra le mani e lasciandogli un dolce bacio sulle labbra. Lui la strinse prontamente a se, approfondendo il bacio. “è ora di dimostrare a tutti chi è il vero Diego,” riprese la mora alla fine del bacio. “Lo farò,” promise Diego, facendo combaciare le loro fronti. “Per me, per te e per noi.” A quel punto non potè più rimandare e così dopo un ultimo bacio con Francesca, intraprese la strada che lo avrebbe portato verso Marco e quelle numerose incomprensioni che albergavano tra di loro. Non ci mise molto a trovarlo, il ragazzo infatti era proprio in piazza dove gli avevano indicato i genitori, affacciato a una ringhiera che dava direttamente sul canale. Prendendo un profondo respiro, Diego lo raggiunse prontamente mentre il cuore gli martellava nel petto così forte da provocargli un dolore atroce. Il suo stomaco poi sembrava essersi stretto in una morsa e improvvisamente si sentiva accaldato, nonostante fosse inverno inoltrato e le temperature fossero decisamente rigide. “Marco.”
Il giovane Galindo sobbalzò letteralmente al suono della sua voce. Lo guardò inizialmente sorpreso, poi confuso, accigliato e infine quasi indifferente. “Diego,” mormorò, tornando a guardare verso il canale, le mani ricoperte da dei grossi guanti al sicuro nelle tasche del pesante cappotto.
“Ho bisogno di parlarti.” Diego non sapeva dire dove trovò la forza per far uscire quelle quattro parole dalla sua bocca, difatti era quasi più sorpreso del fratello, che ora lo fissava a bocca aperta. Dopo alcuni istanti in cui si fissarono senza dire una parola, Marco scosse la testa e distolse lo sguardo. “Non ho niente da dirti,” biascicò con voce fredda e incolore, ma il modo in cui le sue mani si artigliarono alla ringhiera in ferro tradì il suo nervosismo. Forse Francesca aveva ragione, forse per loro due c'era ancora una possibilità.
“Tu non devi dire niente, sono io che devo farlo,” disse perciò il maggiore, determinato ad ottenere la sua attenzione. “Possiamo andare in un posto tranquillo?” Ancora una volta il minore dei due si prese diversi secondi prima di dare una risposta e stavolta fu un semplice cenno del capo, un cenno che portò Diego a tirare un sospiro di sollievo. In silenzio si incamminarono fino a raggiungere un bar all'aperto, prendendo posto a un tavolo isolato, lontano dal chiacchiericcio della clientela. Gli occhi neri di Marco ora scrutavano il fratello attentamente, quasi lo stessero studiando, cosa che per la prima volta in vita sua lo fece sentire in soggezione. Forse il punto era che in tutti quegli anni non lo aveva mai guardato davvero, limitandosi solo a progettare gli infiniti modi per ferirlo. Diego lo riconosceva, aveva fatto di tutto per farsi odiare dal suo consanguineo e solo per una stupida ed incontrollabile gelosia. Non credeva che un sentimento potesse essere tanto devastante e distruttivo, eppure lo era stato, manipolandolo e portandolo a tirare fuori il peggio di se. Prima di andare in carcere quel sentimento aveva ancora tantissimo potere su di lui e solo dopo che era uscito e aveva conosciuto Francesca, aveva iniziato a rendersene conto. Aveva invidiato tutto a Marco e solo ora capiva quanto lo avesse ferito con il suo comportamento infantile, dispotico ed egoista. “Mi dispiace,” sussurrò. Ed era vero, il senso di colpa ormai era diventato il suo fedele compagno di viaggio. Era al suo fianco quando andava a letto e lo ritrovava quando si svegliava, a poco a poco lo stava consumando. “Ho permesso alla gelosia di avere tanto potere su di me, non rendendomi conto della realtà,” continuò, lo sguardo rivolto verso il tavolo. Non riusciva a capire perché, ma gli mancava la forza di guardarlo mentre gli confessava ciò che si era tenuto dentro per tanto tempo.
“Gelosia?” Marco era incredulo, stupefatto. Tutto si aspettava tranne delle scuse e di certo non pensava c'entrasse la gelosia. “Fammi capire, tu eri geloso di me?” Diego finalmente sollevò lo sguardo e annuì. “Tu eri il figlio perfetto, obbediente, tranquillo, bravo a scuola. Tutti ti adoravano, tutti ti cercavano, mentre io ero solo la pecora nera. Un ragazzo irrequieto con cui era meglio avere poco a che fare. Era impossibile eguagliarti, qualsiasi cosa facessi anche se era giusta, tu la facevi sempre meglio e così i miei tentativi nessuno li notava.” Non credeva sarebbe riuscito a tirare fuori tutte quelle cose che per anni aveva covato dentro, nemmeno Violetta e Leon che lo conoscevano meglio di chiunque altro, potevano immaginare che il suo disagio fosse stato tanto profondo e radicato, arrivando persino a condizionare la sua intera esistenza. La cosa positiva era che sicuramente ora si sentiva più leggero, come se si fosse liberato di un peso insostenibile e forse era davvero così. Lui aveva bisogno di dire quelle cose a Marco e da come lo guardava il ragazzo, capì che anche lui avesse bisogno di sentirsele dire. Il minore infatti non era più rigido, freddo o scettico, era decisamente stupefatto e non faceva nulla per nasconderlo. “Incredibile,” mormorò, per poi lasciarsi andare a una lunga risata, che confuse non poco Diego. Notandolo, Marco tornò di colpo serio, giocherellando con una bustina di zucchero lasciata lì da qualche cliente. “Per anni ho invidiato il tuo carattere diretto, sveglio, polemico e poi il successo che riscuotevi nelle ragazze e ora vengo a sapere che proprio tu eri geloso di me. Tutto questo è assurdo,” aggiunse tra se e se. A quelle parole il maggiore dei due sgranò gli occhi, poi a sua volta si ritrovò a ridacchiare. “Quindi abbiamo perso tanti anni ad essere gelosi l'uno dell'altro?”
“A quanto pare si,” commentò Marco, scuotendo il capo.
“Mi dispiace,” riprese Diego, tornando di colpo serio. “Sono stato un pessimo fratello, ero io quello problematico e ho finito per condizionare anche te.” L'altro scrollò le spalle, abbozzando un mezzo sorriso. “Io non ti ho di certo facilitato le cose, non ho fatto altro che farti terra bruciata intorno. Devo essere stato insopportabile,” aggiunse, facendolo scoppiare a ridere. “In effetti sono stato seriamente tentato di strozzarti, ma alla fine me lo meritavo. Sono uno stronzo.” Marco ridacchiò. “Nessuno è più stronzo di te, su questo non c'è dubbio.”
Diego sollevò le mani, divertito. “Non posso darti torto e bè...mi dispiace, Marco. Mi dispiace per tutto.” Il minore dei due si irrigidì improvvisamente a quelle parole, mentre il sorriso spariva dal suo volto. “Ti dispiace anche di avermi rubato la ragazza?” Nella sua voce non c'era ironia, al contrario non avrebbe potuto essere più serio e forse proprio per quello Diego si sentì colpito con un'intensità ancora più devastante. “So di avere le mie colpe,” continuò Marco, prima che lui potesse dire qualsiasi cosa. “Ma tu sin dall'inizio avevi progettato di farla innamorare di te e non ti sei fermato davanti a nulla.”
“Ti sbagli,” ribattè l'altro, scuotendo il capo. “Ho fatto di tutto per contrastare i sentimenti che provavo per lei, ho anche provato ad uscire con altre ragazze. Il senso di colpa continua a logorarmi, ma...” si interruppe, incapace di proseguire, ma Marco sembrava aver capito lo stesso, difatti mormorò: “Ma non puoi fare a meno di amarla, non è così?” Diego sbiancò di colpo, non sapendo proprio che dire. Poteva essere sincero, o così facendo lo avrebbe ferito? “Te lo leggo negli occhi,” continuò l'altro, quasi avesse compreso i suoi pensieri. “Non ti ho mai visto guardare una ragazza come guardi Francesca e anche lei ama te, tanto.” Nella sua voce c'era amarezza, ma anche consapevolezza, cosa che portò l'altro a rabbrividire. Non credeva si sarebbe mai trovato a parlare dei suoi sentimenti per Francesca proprio con lui e onestamente non sapeva come comportarsi. “Non c'è bisogno che lo neghi, anche un cieco se ne accorgerebbe,” riprese il più giovane, sollevando un sopracciglio. “Lei ha sempre amato te, lo sapevo quando ho iniziato ad uscirci e lo so adesso.” Diego sospirò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli. “Mi dispiace Marco, non avrei voluto che le cose andassero così. So di non meritare il tuo perdono, ma ci tenevo lo stesso a scusarmi.” Marco annuì. “Non credevo lo avremmo fatto davvero, parlare intendo,” spiegò con un mezzo sorriso. “Tra di noi ci sono sempre stati problemi.”
“Problemi causati da me,” concluse per lui Diego con un tono carico di amarezza. “Con Francesca poi ho superato me stesso. Forse se le fossi stato lontano ora...”
“Ora niente,” scosse energicamente il capo il ragazzo. “Io e Francesca ci saremmo lasciati lo stesso. Non mi ha mai amato come io ho amato lei, nel suo cuore ci sei sempre stato tu.”
“Marco,” provò il maggiore, ma ancora una volta l'altro lo interruppe. “Le cose stanno così, lo devo solo accettare.” Fece poi per alzarsi, ma la voce di Diego lo bloccò. “Hai ragione, io la amo e... Marco, ho bisogno di sapere se un giorno potrai mai perdonarmi.” Marco esitò per alcuni istanti, a metà tra lo stare seduto e l'alzarsi, poi tornò ad incrociare il suo sguardo. “Abbiamo sbagliato entrambi, non sei il solo a doversi scusare.”
“Quindi?”
“Quindi credo che possiamo riprovarci.” Un grande sorriso si distese sul volto di Diego a quelle parole. Con tutto se stesso aveva desiderato sistemare le cose con suo fratello e finalmente lui gliene stava dando la possibilità, non poteva lasciarsela assolutamente scappare. A sorpresa anche Marco sorrise. “Ho bisogno di tempo per abituarmi a voi due, però se ho chiarito con lei non vedo perché non dovrei farlo con te. Siamo fratelli in fondo,” aggiunse e il ragazzo annuì. “Si, siamo fratelli.” Si guardarono per alcuni istanti, poi seppur con ancora un filo di disagio si strinsero la mano. Forse era ancora presto per un abbraccio o per ammettere quanto in fondo tenessero l'uno all'altro, ma quella stretta di mano e soprattutto le cose che si erano detti, erano un grande passo in avanti per mettere insieme i residui di un rapporto che per colpa delle gelosie e delle incomprensioni non era mai esistito del tutto, ma che ora essendo più maturi e consapevoli aveva buone possibilità di concretizzarsi.



-Leon, ne sei sicuro?- La voce di Fernando Vargas risuonò nelle orecchie del ragazzo dopo interminabili secondi silenzio, nervosa e agitata come mai l'aveva udita. L'incontro con quell'uomo nella hall dell'albergo gli aveva lasciato addosso una certa ansia e bruttissimi presentimenti avevano preso il sopravvento, perciò dopo aver trascorso la notte in bianco non ci aveva pensato due volte a chiamare suo padre e a informarlo della situazione. Se si aspettava di essere rassicurato in qualche maniera, aveva sicuramente dovuto ricredersi. Fernando infatti lo aveva ascoltato in silenzio per tutto il tempo e solo quando stava per chiudere la conversazione convinto che fosse caduta la linea, gli aveva posto quella domanda. -Voglio dire, sei sicuro che stia pedinando Violetta?- Ripetè l'uomo, tradendo una certa ansia. -Si, papà. L'ho beccato diverse volte e in più anche lei inizia ad avere dei dubbi.- Ancora una volta le sue parole furono seguite dal silenzio, un silenzio che gli fece ghiacciare il sangue nelle vene. -Papà, quell'uomo può essere pericoloso, vero?- Si azzardò a chiedergli, sforzandosi di apparire calmo e disinvolto. Fernando esitò ancora qualche istante, poi mormorò: -Ascoltami Leon, devi stargli alla larga, non voglio che prendi più iniziative stupide e istintive. Tu non hai idea di cosa è capace di fare,- lo ammonì, quasi più nervoso di prima e per quello il giovane non potè che concordare. Mai suo padre gli aveva fatto avvertimenti di quel tipo, convinto che fosse in grado di cavarsela in qualsiasi situazione, perciò se lo stava facendo in quel momento doveva trattarsi per forza di qualcosa di serio. Deglutì rumorosamente, sedendosi sul bordo della vasca da bagno e scompigliandosi nervosamente i capelli con la mano libera. -è stato il testimone di nozze del padre di Violetta e forse ora la pedina, come faccio a non intromettermi?- Sbottò, profondamente avvilito. Mai si sarebbe perdonato se fosse accaduto qualcosa alla sua ragazza, a costo di mettere in pericolo la sua stessa vita avrebbe fatto di tutto per proteggerla. -Ti ho detto che devi stargli lontano, Leon!- Ora Fernando sembrava decisamente alterato, cosa che lo portò ad allontanare il cellulare dall'orecchio, temendo che potesse rompergli un timpano. -Quell'uomo appartiene alla peggior specie e se dovesse arrivare a considerarti un problema, potrebbe ucciderti. Lo vuoi capire o no?-
-Si, papà, lo capisco perfettamente,- mormorò, sbuffando sonoramente. -Non sono un incosciente, so bene di cosa sono capaci quelli del nostro ambiente, ma stiamo parlando della donna della mia vita. La proteggerò, costi quel che costi.-
-Parlare con te è come parlare a un muro!- Ribattè Vargas senior, stizzito. -Io lo conosco bene, abbiamo concluso diversi affari in passato e mettersi contro di lui equivale a una condanna a morte. Io ho degli uomini che mi guardano le spalle, tu sei lì da solo, solo Leon, solo. Non posso difenderti da laggiù.- Leon ruotò gli occhi, sforzandosi di restare calmo. Non si era mai trovato a discutere con suo padre, di solito la pensavano quasi allo stesso modo e in caso contrario assecondava il genitore, ma ora non poteva proprio. -Io non ti sto chiedendo nulla, ti sto solo informando e al massimo vorrei sapere se tu sai che collegamento potrebbe esserci tra quell'uomo e la famiglia della mia ragazza. Angelica non voleva che partissimo e credo che il motivo sia proprio lui.-
-Aspetta, pensi che tormenti in qualche modo la famiglia di Violetta?- Chiese Fernando stupito. -Ti rendi conto di cosa questo potrebbe significare? La situazione potrebbe essere peggiore di quanto immaginiamo e... vedo cosa riesco a scoprire, ma tu giurami che non farai gesti avventati. Giuramelo, Leon.-
-Si, papà, te lo giuro,- sbuffò il ragazzo, esasperato da tutte quelle raccomandazioni a cui era ben poco abituato. -Tu però fammi sapere al più presto.-
Prima che Fernando potesse rispondere, la porta del bagno si aprì di scatto mostrando una sorridente Violetta. Leon sbiancò di colpo, ma si affrettò a camuffare il tutto con un sorriso. -Ora devo andare, ci sentiamo stasera. Ciao, papà.-
-è arrivata Violetta, vero?- Intuì l'uomo. -Stasera ti chiamo e ne riparliamo. A più tardi.-
“Tutto bene?” Chiese Violetta preoccupata, avanzando di un passo quando lo vide riporre il cellulare. “Certo,” sorrise lui, raggiungendola e stringendola prontamente tra le sue braccia. “Mio padre voleva solo sapere se andasse tutto bene, nulla di cui preoccuparsi.” La ragazza annuì contro il suo petto e come gli accadeva puntualmente in quel periodo, Leon si sentì un vero schifo. Non faceva altro che mentirle e anche se sapeva che era per proteggerla, la cosa non lo faceva sentire meglio. Doveva risolvere quella situazione il più in fretta possibile e per farlo, doveva sperare che suo padre gli fornisse delle informazioni degne di nota su quell'uomo. “Andiamo a fare una passeggiata?” Propose a Violetta, sperando così di farla distrarre e distogliere l'attenzione da lui. Anche se stranamente passiva, lei accettò e insieme si incamminarono per le strade di Venezia. Dopo alcuni tentativi di portare avanti una conversazione, un lungo e teso silenzio si diffuse tra loro. Leon non riusciva a smettere di pensare alla conversazione avuta con suo padre e Violetta, dal canto suo, era sicura che lui le stesse nascondendo qualcosa. Più tentava di farlo parlare però, e più le ripeteva che andasse tutto bene e che fosse solo stanco. “Leon,” sbottò alla fine, piazzandoglisi di fronte e poggiando le mani sui fianchi. “Io ti conosco, so quando c'è qualcosa che ti turba e ora è uno di quei momenti.” Vargas si irrigidì paurosamente a quelle parole, ma soprattutto furono quei grandi occhi nocciola a preoccuparlo. Loro erano sempre riusciti a leggergli dentro, a capirlo e sentiva che anche quella volta le possibilità erano molto alte. “Parlami, Leon,” insistette lei, avvicinandosi di un passo e guardandolo dritto negli occhi. “Si tratta di quell'uomo, non è così? Hai scoperto qualcosa?” Violetta era così agitata, così fragile e probabilmente mille brutti pensieri le stavano attraversando la mente e non poteva accettarlo. Lei era venuta lì per affrontare i ricordi dei suoi genitori, non per combattere le guerre di qualcun altro e Leon doveva utilizzare qualsiasi arma a disposizione per proteggerla, anche a costo di mentirle e poi sentirsi un mostro. Sotto il suo sguardo confuso perciò, le prese il volto tra le mani e la baciò. Violetta tentò di scostarsi, determinata e farlo parlare, ma lui rafforzò la presa intorno al suo volto e la baciò con più decisione, mordicchiandole il labbro inferiore. Leon si odiava per quello che stava facendo, ma non aveva scelta. Continuò a stringerla e a baciarla con sempre più forza, poi finalmente la ragazza iniziò a ricambiare il bacio, aggrappandosi ai suoi avambracci con le piccole mani. Mentre i loro petti si scontravano, lui poteva sentire i loro cuori che battevano come dei forsennati e nonostante un mugolio di protesta per averle morso il labbro con troppa irruenza, prolungò quel bacio e la fece indietreggiare sempre di più fino ad intrufolarsi in un vicolo isolato. Ciò gli fece tornare in mente i primi tempi in cui lui e Violetta si frequentavano ed erano costretti a farlo in segreto, quante cose erano cambiate da allora. Prima era un ragazzo con gli ormoni in subbuglio che cercava solo un posto dove amoreggiare con la sua ragazza, ora invece non era solo quello, ora c'era anche quel disperato bisogno di saperla al sicuro e l'unico modo era che fosse tenuta all'oscuro di tutto. Violetta fece aderire la schiena al freddo muro di pietra e gli allacciò le braccia al collo, sorridendo ammiccante. “Ma quanto sei appassionato oggi,” lo provocò, strofinando volontariamente il corpo contro il suo. Fino a un attimo prima era convinta che Leon le nascondesse qualcosa, ma a quanto pareva aveva solo bisogno di un po' di intimità e cosa c'era di male nell'approfittare di quel momento lontano dagli occhi vigili di Pablo e Angie? Il ragazzo ridacchiò, avvolgendole la vita con il braccio sinistro e facendo così combaciare i loro petti. “E questo ti piace molto, non è così?” Soffiò maliziosamente al suo orecchio, per poi lasciarvi tanti piccoli morsi. “Ammettilo che non desideri altro che le mie appassionate attenzioni,” continuò, scendendo a dedicarsi al suo collo, che cosparse di baci infuocati. Violetta rabbrividì, mordendosi il labbro inferiore, ma lo stesso non riuscì a trattenere un sospiro di piacere. Leon sghignazzò, risalendo a baciarle la mascella. “Mmm...qualcuno qui è eccitato.”
“Leon!” La ragazza avvampò di colpo, guardandosi nervosamente intorno. Se fossero stati al sicuro in una delle camere lo avrebbe anche assecondato, ma fino a prova contraria erano in un vicolo dove chiunque avrebbe potuto vederli o sentirli. “Forse dovremmo aspettare a quando saremo in albergo,” tentò di convincerlo e seppur contrariato lui annuì, non prima però di averle strappato un lungo e appassionato bacio. Mentre si incamminavano mano nella mano verso l'albergo, Violetta era raggiante e non faceva altro che canticchiare e schioccargli baci sulle guance. Leon non avrebbe potuto avere un umore più diverso. Si sforzava di sorridere e assecondarla, ma dentro di se si sentiva uno schifo per come l'aveva raggirata. Vigliaccamente aveva rigirato la situazione a suo favore e ora avrebbe anche ottenuto dei momenti di paradiso con lei, cosa che per le sue bugie non avrebbe assolutamente dovuto meritare. Se però il fine giustificava sempre i mezzi come si diceva, lui stava facendo la cosa giusta, no? Voleva proteggerla da un uomo che chissà quali dolori avrebbe potuto causarle, ma perché allora si sentiva lo stesso così in colpa?



Pablo si avvicinò per l'ennesima volta alla grande porta a vetro che dava sull'esterno dell'albergo, grattandosi nervosamente il mento. Erano passate diverse ore ormai da quando Diego era uscito per parlare con Marco e non vederli tornare gli metteva una certa ansia. E se avessero finito per litigare e ricorrere alle mani? E se li avessero arrestati per atti violenti in luogo pubblico? In quel caso sarebbe stato avvisato, no? Scosse il capo, tentando di calmarsi. Forse si stava preoccupando inutilmente, forse i suoi figli stavano ancora parlando. Il fatto però che Lena lo avesse fermato diverse volte chiedendogli perché Marco non rispondesse al cellulare, non abbandonava un attimo la sua mente. Credeva davvero che le cose tra i due ragazzi potessero risolversi, li aveva visti entrambi più che disposti, eppure il timore che potesse esserci una ricaduta era sempre lì. Fino a poco prima anche Angie era lì con lui parecchio in ansia, ma poi aveva ricevuto una chiamata ed era sparita. Sembrava che tutta la sua famiglia fosse sparita. Francesca e Lena erano chiuse in camera, Leon e Violetta erano ancora in giro e lui era da solo e in ansia. Perché non poteva mai avere un attimo di pace?
“Zio, tutto bene?” Pablo sobbalzò, vedendo la Castillo e Vargas venire verso di lui, decisamente accigliati. “Si,” si affrettò a mormorare, scompigliandosi nervosamente i capelli. “Avete visto Diego e Marco? Ancora non sono tornati.” I due scossero il capo. “Tranquillo, Pablo, avranno molte cose da dirsi,” lo rassicurò Leon, dandogli una pacca sulla spalla. “Ci sono tanti anni da recuperare in fondo,” aggiunse Violetta con un grande sorriso. “Questa città ci sta davvero insegnando che tutto può succedere.” Euforica, corse verso gli ascensori e Leon fece per seguirla, quando lo vide seduto a una poltrona in un angolo della hall. Ancora una volta l'uomo aveva lo sguardo fisso sulla Castillo, uno sguardo che non gli piaceva per niente. Istintivamente strinse i pugni e contrasse la mascella, gesti che a Pablo non sfuggirono. “Leon,” provò, ma lui lo interruppe con un gesto della mano. “Devo andare.” E prontamente seguì la sua ragazza, evitando accuratamente di guardare ancora quel maledetto uomo che da troppo tormentava la sua mente. In ogni caso, Galindo era troppo in ansia per capire il motivo del repentino cambio di atteggiamento del messicano e così tornò ad affacciarsi all'ingresso, in attesa dei suoi figli. Fu quando era al limite della sopportazione, che gli arrivò un messaggio di Marco. Preoccupato si affrettò ad aprire quella piccola letterina che lampeggiava.

Papà, io e Diego restiamo fuori ancora per un po'. Tu e la mamma state tranquilli, ci sono tante cose di cui dobbiamo parlare.

Istintivamente si aprì in un grande sorriso. Allora era accaduto, i suoi ragazzi avevano messo da parte le divergenze e avevano finalmente chiarito. Emozionato, ripose il cellulare e si fiondò nel primo ascensore. Doveva assolutamente informare Angie, avevano un grande evento per cui gioire. Probabilmente se avesse saputo ciò che lo aspettava, ci avrebbe pensato due volte prima di entrare nella camera sua e della moglie in punta di piedi e senza nemmeno bussare. Angie era in bagno, ma dato che la porta era aperta, potè chiaramente sentirla parlare al telefono. “Tranquilla, mamma,” stava dicendo la bionda, tradendo una certa ansia. “Ho tutto sotto controllo, Pablo e i ragazzi non sanno nulla.”
Galindo si bloccò di colpo a quelle parole. Di cosa parlava sua moglie? Cos'è che non sapeva?
“Ora devo andare,” proseguì Angie. “Se non mi vedono tornare, potrebbero insospettirsi, soprattutto Pablo. Ci sentiamo domani, mamma.”
Appena la bionda uscì dal bagno e notò il marito immobile al centro della camera, sgranò gli occhi e assunse la tonalità di un cadavere. “Pablo, quando sei arrivato?” Gli chiese con un filo di voce, pregando tutti i santi del paradiso affinché non avesse sentito nulla. L'uomo sospirò, tornando poi a guardarla, serio. “Sono arrivato proprio nel momento in cui dicevi a tua madre che io e i ragazzi non sappiamo nulla. Cosa significa?”
“Pablo,” provò Angie, ma lui la interruppe scuotendo il capo. “Non provare a negarlo, ci sento perfettamente.” Con pochi passi la raggiunse, incrociando le braccia al petto. “Sei mia moglie, Angie,” riprese, scrutandola attentamente. “Ti conosco e so quando menti.”
Lei abbassò lo sguardo afflitta, portandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Doveva aspettarselo che prima o poi Pablo avrebbe capito, in fondo era un tipo sveglio e attento, impossibile nascondergli qualcosa. “Perchè tua madre non voleva che venissimo qui?” Insistette Galindo, prendendola per le spalle e costringendola a guardarlo negli occhi. Fino a quel momento non aveva insistito molto su quella domanda e al contrario le aveva lasciato i suoi spazi, ma ora aveva sopportato fin troppo e voleva delle risposte. “Perchè hai così paura?” Aggiunse, notando come il corpo di sua moglie tremasse sotto il suo tocco e come quegli occhi smeraldo evitassero i suoi. “Angie,” la scosse. “Che sta succedendo?”
La bionda chiuse gli occhi per alcuni istanti, sperando di trovare nella sua mente una disperata soluzione a quella situazione che non le giovava per nulla. Aveva promesso di mantenere il segreto, non poteva permettersi di tradire la fiducia della sua famiglia, nonostante si trattasse comunque dell'uomo che a sua volta rappresentava per lei una famiglia. “Io non ti sto nascondendo niente,” mormorò alla fine, tornando a specchiarsi nei suoi occhi scuri. “L'unica cosa è che mia madre non riesce a trovare pace, teme che Violetta possa avere una ricaduta e che lei non possa essere qui ad aiutarla, capisci?” Si aggrappò alle sue braccia, tirando su col naso. Normalmente Pablo si sarebbe fatto impietosire da quegli occhi lucidi, ma in quel momento non ci riusciva. Quelle parole che aveva origliato si ripetevano continuamente nella sua testa e assumevano significati sempre diversi, significati che però si distanziavano molto da ciò che sosteneva Angie. Gli stava mentendo ancora una volta, era sicuro che fosse così. “Perchè continui a mentirmi? Perché?” Esplose, allontanandola e agitando le braccia. “Pensi che sia stupido? Sono giorni che sei strana, taciturna, ti chiudi in bagno. Ti ho lasciato il tuo spazio, ma ora non posso più. Basta bugie, dimmi la verità.”
Angie però scosse la testa, imperterrita. Per quanto avrebbe voluto dirgli la verità, in fondo si fidava di Pablo come di nessuno, non poteva coinvolgerlo in quella terribile storia. A tutti i costi doveva proteggere lui e la sua famiglia. “Mi dispiace, Pablo, ma io non posso,” singhiozzò con un filo di voce. “Ho promesso di mantenere il segreto.”
“Come?” Chiese Galindo, sicuro di aver capito male. “Fammi capire, mi stai dicendo che hai intenzione di non dirmi nulla?” Era incredulo, stupefatto. Sua moglie aveva praticamente ammesso che ci fosse qualcosa che gli stesse nascondendo, ma non voleva dirgli cosa. Lei, sconvolgendolo ancora di più, annuì. “Fidati di me.” Gli prese le mani, stringendole con le sue. “Risolverò questo problema e poi tornerà tutto come prima, te lo prometto.”
Pablo però scosse la testa, liberandosi della sua stretta con stizza. “Se è uno scherzo, non è per niente divertente,” sbottò. “Tra di noi dovrebbe esserci fiducia e dovremmo condividere tutto, ma qui sembra che fai tutto da sola.”
“Pablo.”
“No, Angie, non ho intenzione di farmi abbindolare dalle tue bugie,” la interruppe lui, esasperato. “Anzi, sai che ti dico? Ti lascio da sola a riflettere sulle tue assurde azioni e chissà che finalmente non capirai qual è la cosa giusta da fare.” Furioso, ma anche ferito e deluso, Galindo lasciò la camera sbattendo forte la porta. Perché la sua Angie non si fidava di lui? La cosa gli faceva male, un male atroce e incontrollabile. La Saramego nel frattempo si raggomitolò sul letto, lasciandosi andare a un pianto disperato. “Mi dispiace Pablo, ma non ho scelta,” singhiozzò. “Devo proteggere la mia famiglia e questo è l'unico modo.”




Holaaa!!
Eccoci qui al capitolo dei tormenti, in particolare quelli di Angie e Leon, che si ostinano a mentire alle persone che amano. Se Vilu nonostante i dubbi, finisce per assecondare Vargas, Pablo al contrario si scontra duramente con Angie, profondamente ferito :( in tutto questo abbiamo un Fernando Vargas decisamente preoccupato e l'uomo misterioso che continua a controllare Vilu, che ansiaaaa 0.0
In compenso c'è finalmente il confronto tra Diego e Marco e arriva anche l'atteso chiarimento, con il proposito di ricostruire il loro rapporto *_______*
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio infinitamente per il vostro costante supporto :3
Trilly


 

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Capitolo 36
*** Un pò di noi ***




Violetta si chiuse la porta della camera alle spalle, incamminandosi nel lungo corridoio. Era convinta che una volta in albergo, lei e Leon avrebbero passato un po' di tempo insieme a farsi le coccole e invece lui dopo qualche bacio fugace, le aveva detto che doveva chiamare Lara e l'aveva lasciata con Lena e Francesca. La prima non faceva altro che lanciare a lei e alla mora occhiatacce al di sopra del libro che stava leggendo sdraiata sul letto, la seconda invece guardava continuamente l'orologio, probabilmente preoccupata che Diego e Marco non fossero ancora tornati. Inizialmente Violetta aveva tentato di intavolare un discorso con l'amica, poi però si era inevitabilmente ritrovata a pensare allo strano comportamento di Leon e così era in un certo senso evasa da quella camera e si era messa alla sua ricerca. Ad alimentare i suoi dubbi, il fatto che il ragazzo non fosse nella camera che divideva con i fratelli Galindo come si aspettava e al contrario essa era vuota. Non trovandolo poi nemmeno giù al bar dell'albergo, dove invece c'era uno stranamente sconsolato Pablo, aveva iniziato seriamente a preoccuparsi. Dove si era cacciato Leon? Lo cercò in ogni angolo dell'albergo, finché come per ultima spiaggia non si recò sul terrazzo; non lo avesse mai fatto. Vargas era lì, affacciato al muretto. Le braccia conserte e lo sguardo perso sul panorama che si vedeva da quell'altezza e non era solo. Al suo fianco c'era un uomo poco più basso di lui, vestito molto elegantemente e... Violetta si aggrappò alla porta più forte che poteva, sforzandosi di trattenere il respiro. Era lui, era l'uomo che aveva incrociato in corridoio, il testimone di nozze di suo padre. Ora che lo rivedeva, aveva la certezza che si trattasse della stessa persona, ma cosa ci facevano lui e Leon insieme? Da quella distanza, nascosta dietro la grande porta in ferro, li poteva vedere chiaramente parlare, ma non riusciva a sentire nulla. Sapeva che Leon le avesse promesso che avrebbe indagato e quant'altro, ma non credeva che avrebbe cercato addirittura un confronto con quell'uomo e che non glielo avesse detto. Da una parte avrebbe voluto raggiungerli, ma il suo sesto senso sembrava bloccarla e addirittura metterla in allarme. Quell'uomo era pericoloso? Violetta non sapeva dirlo, ormai era sempre più confusa. Magari era solo un caso che lui fosse in quell'albergo, ma perché lei non lo conosceva se era tanto legato alla sua famiglia da fare da testimone? E poi c'era anche sua nonna, che non faceva altro che chiamarla e chiederle se andasse tutto bene. Angelica non voleva che partissero, persino suo zio Pablo era rimasto spiazzato dalle sue giustificazioni, che c'entrasse quell'uomo in qualche maniera? Egli poteva essere pericoloso anche per Leon? Confusa e allo stesso tempo preoccupata, indietreggiò di pochi passi facendo il più piano possibile, poi però iniziò a correre e non si fermò finché non raggiunse la sua camera. Con il fiato corto e il cuore in gola, recuperò l'album dei suoi genitori dal cassetto del comodino e si fiondò in bagno, ignorando lo sguardo curioso di Lena e non notando l'assenza di Francesca. Iniziò a sfogliare quell'album che ormai conosceva a memoria in maniera sempre più nervosa e frenetica, finché non trovò la foto che cercava, ossia quella dove c'era anche l'uomo misterioso. Si fermò ad osservare quel volto attentamente, memorizzandone ogni particolare. Erano trascorsi quasi vent'anni da quella foto, eppure Violetta era sicura che fosse lui. La stessa corporatura, gli stessi lineamenti e poi quegli occhi; due pozzi senza fondo nei quali si era specchiata solo per pochi secondi, ma che erano stati capaci di farle rizzare ogni singolo pelo. “Chi sei? Perché sento che c'è qualcosa che devo scoprire?” Sussurrò tra se e se, continuando a fissare la foto.
“Violetta.” La voce di Lena dall'altra parte della porta la fece sobbalzare, tanto che l'album le sfuggì di mano e cadde a terra provocando un lieve tonfo. “Stai bene? Avevi una faccia strana quando sei entrata.” Anche se la bionda sembrava preoccupata, Violetta non si fidava molto. Probabilmente era solo curiosità per placare la noia, in fondo era sicura di non starle molto simpatica, perciò perché mai avrebbe dovuto preoccuparsi per lei?
“Si certo, sto bene, tranquilla,” mormorò, avvicinandosi alla porta e girando un paio di volte la chiave nella toppa. Non aveva voglia di affrontare la ragazza e il suo sguardo indagatore, non aveva voglia di vedere nessuno. Dopo alcuni istanti, sentì i passi di Lena allontanarsi e tirò un sospiro di sollievo. Raccolse poi l'album da terra e si accorse che un po' di carta si era staccata dalla rilegatura in cartone dell'ultima pagina. Tentò di farla di nuovo aderire, ma al tatto avvertì una strana consistenza, come se ci fosse qualcosa sotto il foglio. Confusa, tirò un po' di più il lembo e solo allora notò un piccolo foglio di carta a quadretti piegato ordinatamente e lo tirò fuori. Sembrava preso da diario o un'agenda. Lo spiegò, mettendo a fuoco una calligrafia piccola e ordinata, che le appariva vagamente familiare.
“Mamma,” sussurrò, addentandosi il labbro inferiore quasi a sangue. Il cuore iniziò a martellarle nel petto, mentre con gli occhi lucidi scorreva quelle parole così inaspettate e allo stesso tempo tanto dolorose.

Caro diario,
non so per quanto tempo riuscirò a sopportare questa situazione e tu sei l'unico con cui posso parlare. Io, German e Violetta siamo arrivati a Venezia da diverse ore ormai e l'unica cosa che vorrei in questo momento, è salire sul primo aereo per tornare a casa. Odio questa maledetta città, la odio con tutta me stessa e fingere il contrario diventa sempre più faticoso. So quanto è importante per mio marito e mia figlia essere qui e per questo faccio il possibile per assecondarli, ma appena chiudo gli occhi ecco che gli incubi tornano a tormentarmi, impedendomi di dormire. Ho delle occhiaie così profonde che ho bisogno di strati e strati di fondotinta per nasconderle e ho paura che presto German e Violetta possano accorgersene. Una settimana resteremo qui, una settimana che per me si preannuncia un inferno. E se dovessimo incontrarlo? E se cercasse un confronto con noi? Diario, il solo pensiero di incrociare di nuovo quel maledetto sguardo mi fa tremare di paura e poi...e poi ho solo voglia di rintanarmi in un angolo e piangere fino ad addormentarmi. Tutto stava andando bene, credevo di aver superato il passato e poi German ha avuto quell'idea, tornare nel luogo del nostro viaggio di nozze. Lui qui ha solo bei ricordi che ha trasmesso a Vilu con un numero infinito di racconti e aneddoti, per me invece rappresenta il periodo peggiore della mia vita, quello che vorrei solo cancellare ma che purtroppo continua a perseguitarmi. Vorrei che mia madre e Angie fossero qui, loro capirebbero e saprebbero farmi sentire al sicuro, cosa che tramite il telefono è un po' difficile. Ora German e Vilu sono andati a comprare un dolce per la cena e anche se dovrei essere a cucinare, sono sul mio letto e non riesco a smettere di piangere. Ho paura di rivederlo, diario, una paura così immensa che mi sta dilaniando. Non so...


A quel punto le parole si interrompevano e le ultime erano molto sbavate, sicuramente a causa delle lacrime, quelle che ora inumidivano anche le guance di Violetta. Sua madre odiava Venezia, lì aveva sofferto tanto a causa di un uomo e probabilmente per quello Angelica si era dimostrata tanto contrariata per la loro partenza. Perché a lei non era mai stato detto nulla? Chi era quell'uomo? Poteva essere lo stesso del matrimonio, quello con cui stava parlando Leon? Se si, cosa aveva fatto a sua madre per farla soffrire tanto? A ciò si aggiungeva anche la consapevolezza di essere stata una pessima figlia. Come aveva fatto a non capire nel loro ultimo viaggio nella città italiana che sua madre stesse soffrendo tanto? Lei avrebbe dovuto capire che fingesse e anche suo padre avrebbe dovuto capirlo e invece nulla. Maria aveva sopportato quel fardello da sola, con il solo sostegno telefonico della madre e della sorella. Pensando a quelle ultime due, Violetta non poteva fare a meno di chiedersi perché non le avessero mai detto nulla e perché nonostante tutto, Angie si fosse convinta a partire. Cosa aveva fatto quell'uomo da scatenare tanto terrore in sua madre e in sua nonna? A distanza di anni, si era tutto risolto o c'era ancora un serio pericolo? Il fatto che Leon non le avesse detto che avrebbe affrontato quell'uomo e che sua nonna chiamasse sua zia con tanta frequenza, la rendeva decisamente inquieta e le faceva pensare che ci fosse qualcosa che non andasse, pensiero che già da alcuni giorni aveva e che la pagina di diario di sua madre aveva solo confermato. Raggomitolata ai piedi della vasca con quella pagina stretta tra le mani, Violetta piangeva sempre più forte. Aveva paura per lei, per la sua famiglia, per Leon, per tutte le persone a cui teneva, ma non sapeva cosa fare. Era giusto indagare per scoprire la verità, sapendo che avrebbe potuto provocarle ancora più dolore, o era meglio continuare a restare all'oscuro e proteggere quindi se stessa e gli altri?



Francesca si avvicinò titubante alla grande piscina al chiuso situata sul retro dell'albergo, inginocchiandosi e sfiorando il bordo dell'acqua con la punta delle dita. A quell'ora e in quel periodo dell'anno, quel luogo era deserto a parte qualche turista in determinati giorni della settimana e perciò la ragazza ne aveva approfittato per rintanarsi lì in attesa di Diego. Il moro le aveva mandato un messaggio dicendole che appena avrebbe finito di chiarire con Marco, l'avrebbe raggiunta per stare un po' da soli e lei aveva pensato di proporre quel posto. Lì nessuno li avrebbe disturbati e avrebbero potuto godersi un po' di intimità.
Sospirando, si rimise in piedi torturandosi il labbro inferiore. Era convinta che mai come in quel periodo ci fossero buone possibilità di chiarimento per Diego e Marco, ma lo stesso non poteva fare a meno di avvertire una certa ansia. E se le cose fossero precipitate? E se...?
“Pss.” Francesca sobbalzò, voltandosi di scatto. Diego era appoggiato pigramente al ciglio della porta con le braccia conserte, un debole sorriso gli increspava le labbra. “Starei ore a fissarti,” ammise, avanzando verso di lei. “Sei così bella, bambolina mia.” L'italiana arrossì, ma si aprì comunque in un grande sorriso, andandogli incontro e allacciandogli le braccia al collo. “Com'è andata con Marco? Avete parlato?” Lui annuì, affrettandosi a raccontarle ogni particolare di quella giornata trascorsa con il fratello. “Non credevo sarebbe mai accaduto e invece lo abbiamo fatto. Ci siamo detti tante cose, Fran,” continuò, prendendola per mano e conducendola verso il bordo della piscina, dove entrambi presero posto a gambe incrociate. “Abbiamo parlato di cose che prima forse nemmeno abbiamo mai pensato e...sono così felice,” ammise, accarezzandole il dorso della mano che ancora stringeva con la sua. “Ora la mia vita è praticamente perfetta.”
“Oh, Diego!” Francesca gli sorrise dolcemente, stringendolo in un forte abbraccio. “Sono così felice per voi, dopo tutto quello che è accaduto ve lo meritate.” Diego annuì, ricambiando l'abbraccio e lasciandole un bacio tra i capelli. “Tu mi stai cambiando, quasi non mi riconosco,” soffiò, prendendole il volto tra le mani e specchiandosi nei suoi occhi scuri. “All'inizio questo mi faceva paura, ma ora mi rendo conto che questo nuovo Diego mi piace. Voglio che resti accanto a me e che mi aiuti a migliorarmi ancora.” La ragazza sorrise emozionata, sfiorandogli una guancia con una leggera carezza. “Non ho intenzione di andarmene, qui ho te e non potrei desiderare altro.” Diego intrecciò la mano con la sua e ridusse le distanze tra di loro, dando vita a un bacio profondo e appassionato, ma allo stesso tempo lento. Sentivano il bisogno di gustarsi ogni singolo istante, quasi fosse la prima volta che si baciassero e quindi non conoscessero ancora bene l'altro. Continuando a baciarsi, si resero però conto di stare un po' scomodi in quella posizione e proprio per quello Diego interruppe il bacio, guardandosi intorno. Non c'erano lettini in vista, ma in compenso in piscina c'era un canotto così grande che avrebbero potuto sdraiarsi in tutta comodità. Sorrise ammiccante, indicandolo poi alla ragazza. “E se ci mettessimo lì sopra?” Francesca sgranò gli occhi sorpresa, poi però accettò la mano che lui le porgeva per aiutarla a rimettersi in piedi. “Non ti propongo di farci un bagno perché fa un pochino freddo, a meno che tu non lo voglia,” ammiccò, beccandosi una gomitata. “Quell'acqua non mi ispira per niente, preferisco il canotto.” Diego allora avvicinò il gommone, così da permettere alla ragazza di salirci per poi seguirla. Si sdraiarono uno accanto all'altra, guardando distrattamente il soffitto. “Si sta bene qui,” mormorò lei dopo alcuni minuti di silenzio. “Non fa freddo e nemmeno caldo, è perfetto.” Il moro si voltò verso di lei, osservandola attentamente. “Si, è tutto perfetto.” Le sfiorò dolcemente il volto, facendola rabbrividire e portandola a sistemarsi a sua volta su un fianco. I loro occhi si specchiarono e restarono incatenati per quelli che parvero lunghi minuti, poi Francesca si fece più vicina facendo sfiorare i loro nasi. “Diego, io...” Lui scosse la testa, poggiandole un dito sulle labbra. “Non dire nulla.” Dopodiché l'attirò a se e la baciò con passione, facendo scorrere le mani lungo la sua schiena. La Cauviglia intrecciò le dita nei suoi capelli, tirandoli leggermente e addentandogli il labbro inferiore. Sorpreso da quell'iniziativa della ragazza, Diego le sollevò una gamba e se la portò intorno alla vita. Fece poi pressione contro le sue labbra, così da poter ottenere l'accesso a quella bocca che tanto lo faceva impazzire. Francesca lo assecondò prontamente, permettendo alle loro lingue di dare vita a una danza sensuale e appassionata. In poco tempo il ragazzo capovolse le posizioni, cosicché lei si ritrovò schiacciata tra il canotto e il suo corpo. Seppur imbarazzata dato che era la prima volta che i loro corpi avevano un contatto così intimo, continuò a baciarlo e a stringerlo a se. Diego dal canto suo, aggrediva quelle labbra con sempre maggiore intensità e al contempo faceva scorrere le mani lungo i suoi fianchi. Una parte di lui iniziava a pentirsi di aver proposto quel canotto e non perché quella situazione non gli piacesse, al contrario non desiderava altro che diventare una cosa sola con la ragazza che amava. Da troppo tempo bramava quella giovane, bramava quella che sarebbe potuta essere una prima volta per entrambi. Mai prima di quel momento aveva provato per qualcuna ciò che provava per Francesca e perciò era sicuro che fare l'amore con lei sarebbe stato qualcosa di diverso, di unico, ma lei era pronta? Era proprio questo a tormentarlo, lui la desiderava e ora che aveva risolto le questioni con Marco si sentiva davvero libero di inseguire quel desiderio, non sapeva però se per lei fosse lo stesso. Forse avrebbe dovuto fermarsi, forse... “Diego.” Francesca gli morse ancora il labbro, accarezzandogli il collo e le spalle. Inevitabilmente al ragazzo sfuggì un gemito e non riuscì più a contenersi. Con uno scatto si liberò della giacca, per poi scendere a baciarle il collo. Amava quella pelle così morbida e profumata, amava sentire quell'innocente sospiro risuonargli nelle orecchie. Continuò a lambirle ogni centimetro di pelle, ma quando si trovò ostacolato dal suo maglioncino, risalì fino a raggiungere l'orecchio che prese a mordicchiare. La mora sospirò ancora, socchiudendo gli occhi e godendosi quelle dolci attenzioni. Nonostante tutto non poteva negare di aver fantasticato spesso su un momento del genere e se prima si erano sempre fermati, stavolta non aveva alcuna intenzione di farlo. Ora loro due non avevano più alcun ostacolo e se pensava alla sua prima volta, pensava unicamente a Diego. Lui era il suo primo amore, per quel ragazzo il suo cuore batteva da sempre e non desiderava altro che sentirsi sua. Gli prese il volto tra le mani e lo coinvolse in un bacio appassionato, che lui assecondò prontamente. All'improvviso l'atmosfera si fece decisamente incandescente e per quello Diego si liberò del maglione, aiutando poi la ragazza a sfilarsi la giacca. Ritrovarselo a petto nudo a pochi centimetri dal suo corpo, la fece avvampare di colpo ma allo stesso tempo non potè fare a meno di osservare quel fisico asciutto, quella spalle larghe e quelle braccia possenti. Era bello il suo Diego, così bello che lei si sentì decisamente inferiore. Chissà quante ragazze avevano visto e accarezzato quel corpo prima di lei, magari erano molto più belle e intraprendenti e... “Ehi.” Il ragazzo sorrise, accarezzandole una guancia. “Te l'ho mai detto che quando arrossisci mi fai impazzire?” Strofinò il naso contro il suo, lasciandovi poi un bacio. Ciò ebbe il potere di far rilassare la giovane, che gli allacciò le braccia al collo e lo baciò. Rossa in volto prese ad accarezzargli le spalle e rendendosi conto dell'effetto che il suo tocco aveva su di lui, Diego infatti socchiuse gli occhi e si lasciò sfuggire un gemito, rese le sue carezze più decise e vi alternò anche dei piccoli baci. Quella pelle era così calda, sembrava di fuoco ed era anche così sconosciuta e allo stesso tempo intrigante e... non riusciva a smettere di sfiorarla e né di baciarla. I gemiti di Diego si fecero più rochi e decisi e man mano che quelle mani e quelle labbra lo toccavano, il piacere che provava si amplificava. La baciò ancora e ancora e quando lei sollevò le braccia in una muta richiesta, non ci pensò due volte ad assecondarla e a toglierle il maglione. Ora era lui quello incantato ad osservarla. Sapeva già che la pelle di Francesca fosse chiarissima, ma ammirarla con solo un grazioso reggiseno a pois aveva tutto un altro effetto. Tutto in lei richiamava sensualità, ma allo stesso tempo innocenza. Era bella, molto di più di quanto credeva, ma sembrava non rendersene conto dato che evitava improvvisamente il suo sguardo e aveva assunto la tonalità di un pomodoro maturo. Quello che Diego non riusciva a spiegarsi, era come facesse a non notare l'effetto che suscitava su di lui. Di certo l'unica cosa che non era mai mancata era l'attrazione, sin dalla prima volta che aveva incrociato quello sguardo l'aveva avvertita e con il tempo era cresciuta sempre di più. Le sollevò il mento, costringendola a guardarlo negli occhi, poi le lasciò un bacio a fior di labbra. “Sei bellissima,” soffiò e lei arrossì ancora di più. Senza attendere oltre, tornò a lasciarle una scia di baci infuocati sul collo. “Mmm...” mugugnò, scostandole la bretellina del reggiseno, così da poter continuare il suo percorso fino alla spalla. “Diego,” sospirò la ragazza, artigliandosi alle sue spalle. Lui sorrise, spostandosi verso l'altra spalla. I suoi baci si facevano sempre più caldi e appassionati e quando con lo sguardo le chiese il permesso di toglierle il reggiseno, Francesca si limitò ad annuire inarcando di poco la schiena, così da permettergli di raggiungere l'abbottonatura. Nemmeno il tempo di rendersi conto di essere con il seno nudo di fronte a lui, che il ragazzo già era lì a riempirla di baci e dolci attenzioni. Uno, due, tre sospiri. Una sensazione di calore sempre più insistente e quel desiderio di amplificare il tutto. Lo voleva, voleva che Diego continuasse a baciarle e ad accarezzarle il corpo, voleva che la facesse sentire viva e soprattutto sua. Mai come in quel momento avvertiva il bisogno di appartenergli e tutto quello paradossalmente superava la sua paura, quella di dire addio alla Francesca bambina e accogliere quella donna, colei che voleva solo essere la donna di Diego.
“Fran.” Il moro si fermò di colpo, il fiato corto e i muscoli tesi. “Te lo devo chiedere,” mormorò con un filo di voce, incrociando il suo sguardo. “Vuoi che ci fermiamo?” Francesca corrugò le sopracciglia, sorpresa da quell'improvvisa indecisione. Diego temeva che lei non fosse pronta, ma era così? Voleva davvero fermarsi? Scosse la testa. Aveva un po' paura, ma era maledettamente sicura di volerlo, voleva fare l'amore con lui. “Voglio essere tua, Diego,” ammise, mordendosi nervosamente il labbro. Lui la fissò un attimo sorpreso, poi annuì. “Sei sicura? Io posso aspettare.” La ragazza sorrise, accarezzandogli una guancia. “So che lo faresti, ma non ce ne è bisogno. Sono pronta.” Dettò ciò lo baciò e dopo aver esitato ancora un istante, Diego si ritrovò a ricambiare con trasporto, facendo scorrere le mani lungo il suo corpo. In poco tempo si liberarono degli ultimi indumenti rimasti e per la prima volta si ritrovarono pelle contro pelle. Francesca era rossa in volto, ma non distoglieva lo sguardo da quello del ragazzo, che nel frattempo non poteva fare a meno di osservarla, rapito. Avrebbe voluto continuare a guardarla, ma allo stesso tempo sentiva il desiderio di lei farsi sempre più incontrollabile. “Diego.” La mora prese ad accarezzargli le spalle, sorridendo imbarazzata e come ogni volta che sentiva il suo nome sussurrato da quelle labbra, Diego avvertì la razionalità abbandonarlo e si ritrovò a baciarla e a stringerla a se con sempre maggiore decisione. Unire i loro corpi in un unico individuo fu per loro la cosa più naturale del mondo, essi combaciarono perfettamente quasi fosse stato destino che dovessero ritrovarsi così. Francesca tremava, aveva le lacrime agli occhi e si artigliava alla sua schiena sempre più forte, ma assecondava comunque i suoi movimenti. Per Diego non era di certo la prima volta, sapeva esattamente cosa fare eppure lo stesso si sentiva un perfetto idiota. Non era abituato ad avere tanto a cuore la ragazza con cui faceva l'amore, non era mai stato un tipo premuroso, ma con lei sentiva di doverlo essere. La accarezzava e la baciava continuamente, sussurrandole dolci parole e riuscendo a poco a poco a farla rilassare, finché in lei non sopraggiunse il piacere. A quel punto nella sala risuonarono i gemiti di entrambi, mentre stretti l'uno all'altra assecondavano in maniera sempre più appassionata, l'intenso e profondo amore che provavano e che li spingeva a voler raggiungere il massimo piacere. Un attimo prima che raggiungessero l'apice si guardarono negli occhi, lei aveva ancora gli occhi lucidi ma erano anche velati di piacere e gli sorrideva, un sorriso così dolce da scioglierlo, tanto che non potè non ricambiarlo. “Ti amo,” sussurrò contro le sue labbra. Il sorriso di Francesca si accentuò, mentre si aggrappava sempre più forte alle sue spalle. “Ti amo anch'io.” A quel punto il piacere li travolse completamente e stanchi e appagati crollarono uno accanto all'altra. Subito Diego l'attirò a se, facendole poggiare il capo sul suo petto e così si assopirono. Erano esausti, ma allo stesso tempo felici, euforici. Entrambi avevano fantasticato spesso sulla loro prima volta, ma mai avrebbero pensato che sarebbe stata così meravigliosa. Ora erano ancora più uniti e consapevoli che il loro amore fosse molto più forte di quanto avevano sempre pensato e avevano assolutamente intenzione di viversene ogni istante.




Angie si sedette stancamente sullo sgabello davanti al bancone del bar dell'albergo e dopo aver ordinato un tè, iniziò a sorseggiarlo distrattamente. La sua mente era affollata da così tanti pensieri che ormai aveva un mal di testa perenne. Angelica la chiamava a tutte le ore e le metteva addosso un'ansia assurda, a ciò si aggiungeva il terrore che quell'uomo potesse avvicinarsi alla sua famiglia e lo strano comportamento di Pablo. Galindo infatti, da quando avevano discusso la evitava come la peste. Saliva a dormire sempre dopo di lei e spariva prima che si svegliasse, mentre durante i pasti evitava accuratamente di rivolgerle la parola e persino lo sguardo. Sapeva di averlo ferito profondamente quando gli aveva detto di non potergli dire la verità, glielo leggeva negli occhi quanto stesse male e si odiava per quello. Pablo era un uomo straordinario, non meritava di soffrire o di essere messo da parte. Avrebbe tanto voluto rifugiarsi tra le sue braccia e raccontargli ogni cosa, ma non poteva. Purtroppo aveva fatto una promessa sia a sua madre che a Maria e non poteva tradirla. Pensava che sarebbe riuscita a reggere quel fardello, che mai avrebbe dovuto preoccuparsi dato che il passato era ormai passato e invece quei fantasmi si erano ripresentati sotto forma di quell'uomo, che a tutti gli effetti poteva definire il peggiore dei suoi incubi. Se ripensava a quando se l'era ritrovato nella sua camera, le risultava spontaneo rabbrividire e le sembrava quasi che il sangue le si ghiacciasse nelle vene. Perché l'aveva affrontata? Cosa intendeva dire quando le aveva detto che il passato presentava sempre il suo conto? Voleva forse dire la verità alla sua famiglia? Deglutì, torturandosi nervosamente una ciocca di capelli. Loro non dovevano assolutamente essere coinvolti in quella terribile storia, a tutti i costi doveva proteggerli. Non c'entravano nulla con il passato e con le scelte che erano state fatte, non dovevano pagare colpe che non fossero loro. L'unica cosa che spingeva Angie a continuare a tacere era proprio quella, la consapevolezza di dover proteggere le persone che amava e per farlo doveva evitare di coinvolgerle. Esasperata, ripose la tazza di tè sul bancone e si voltò, guardandosi intorno. Una parte di lei quasi si aspettava di veder sopraggiungere Pablo, che con quel dolce sorriso che tanto amava la invitava a rifugiarsi tra le sue braccia. Stupida illusa. Suo marito era l'uomo più dolce e premuroso del mondo e proprio per quello, quando si rendeva conto che le persone per cui avrebbe donato la vita non lo ricambiavano con la stessa intensità, soffriva il triplo rispetto a chiunque altro. Probabilmente in quel momento era rintanato in un angolo a chiedersi dove avesse sbagliato, perché lui era convinto che fosse sempre colpa sua e tutto quello la faceva sentire ancora peggio di come già non si sentisse. Odiava l'idea che il suo dolcissimo Pablo potesse soffrire e ancora di più se era per colpa sua. Stava ancora pensando a suo marito, quando vide due persone parlottare a un tavolo in un angolo della sala. Uno dei due era sicuramente Leon, mentre l'altro... Angie sgranò gli occhi e sbiancò improvvisamente. No, non poteva essere. Deglutì rumorosamente, stropicciandosi poi gli occhi, ma lo scenario non cambiava. Cosa ci faceva Leon con quell'uomo? Come si conoscevano? Sconvolta, scattò in piedi e sgusciò fuori dalla sala sperando di non essere notata. Si appiattì contro la parete a diversi metri dalla porta del bar e recuperò il cellulare, con cui mandò un messaggio proprio al giovane Vargas. Volente o nolente, quel ragazzo le doveva delle spiegazioni.
Attese diversi minuti, poi vide finalmente Leon comparire sul ciglio della porta e senza pensarci troppo, lo afferrò per un braccio e lo spinse in uno stanzino delle scope. “Che stai combinando?” Sbottò, una volta aver chiuso la porta e fulminandolo con i suoi grandi occhi verdi. Il giovane corrugò le sopracciglia, confuso. Di certo non si aspettava di essere rapito dalla zia della sua ragazza e nemmeno di vedersi porgere una simile domanda. “Perchè eri con quell'uomo? Come lo conosci?” Leon esitò qualche istante, confuso, poi però si fece improvvisamente serio. “Perchè me lo chiedi? Lo conosci?” Era sicuro che la Saramego sapesse perfettamente chi fosse quell'uomo, d'altronde non poteva non essere coinvolta in quella sorta di mistero che Angelica custodiva con tanta determinazione. A conferma di ciò, la donna impallidì di colpo e iniziò a torturarsi una ciocca di capelli. “Assolutamente no, io non so chi è,” balbettò, ottenendo l'effetto di farlo ridacchiare. “Si, come no. Allora perché mi hai praticamente sequestrato in uno sgabuzzino per interrogarmi?” Indicò il luogo dove si trovavano con dei gesti delle mani, scrutandola divertito. “Io non sono stupido,” continuò, facendosi di colpo serio. “Ho capito perfettamente che tu e tua madre nascondete qualcosa che riguarda Venezia e quell'uomo. Quello che non capisco, che legame c'è tra voi e lui?”
“Nessuno!” Ribattè prontamente Angie, facendo per voltarsi, ma lui le afferrò il polso. “Stai mentendo,” sibilò contro il suo orecchio. “So perfettamente chi è lui e cosa è in grado di fare. Hai dimenticato da quale ambiente provengo? Lì ci conosciamo tutti.” Le lasciò poi il polso di botto e finalmente la bionda tornò a respirare. Non lo avrebbe mai ammesso esplicitamente, però quel ragazzo nonostante tutto continuava ad inquietarla. Lo guardò dritto negli occhi e leggendovi tutta quella determinazione e arroganza, si sentì non poco a disagio. “In che casino vi siete messi?” Insistette Vargas, incrociando le braccia al petto. “Con tipi come quello non si può scherzare.”
“Credi che non lo sappia?” Sbottò Angie stizzita, facendolo sobbalzare. “Il solo pensiero che sia nel nostro stesso albergo, non mi permette di chiudere occhio e l'unica cosa che vorrei è tornare a casa! Odio questa maledetta città!” Si tappò poi la bocca, rendendosi conto di essersi lasciata sfuggire più del necessario e il lampo che attraversò lo sguardo di Leon glielo confermò. “Avevo ragione allora. Quell'uomo c'entra con Venezia e con la tua famiglia, ma perché? Cosa vuole?” Angie scosse la testa, facendo ondeggiare i lunghi boccoli dorati. “Non posso dirtelo, Leon, ho giurato che non lo avrei detto a nessuno.”
“Cosa? Ma perché?” Insistette il giovane, confuso. “Ti rendi conto di quanto quell'uomo può essere pericoloso? E se facesse del male a Violetta, Diego o chiunque altro della famiglia?”
“è proprio per questo che non posso parlare, devo proteggere tutti voi,” spiegò la bionda, agitando le braccia. “Meno sapete e meglio sarà. Stai lontano da lui,” aggiunse, puntandogli un dito contro. “Deve continuare a pensare che nessuno di voi sa nulla e forse non vi farà del male.” Leon rise incredulo. “E tu pensi davvero che potrei starmene buono dopo quello che mi hai detto? Se prima ero preoccupato, ora lo sono molto di più.”
Angie ruotò gli occhi, esasperata dalla cocciutaggine di quel ragazzo. “Bene, così la prossima volta ci penserai due volte prima di fraternizzare con il diavolo in persona. Buonanotte.” Prima che Leon potesse fermarla, lei era già uscita dallo sgabuzzino, più nervosa e agitata che mai. Ci mancava solo che un tipo sveglio come Vargas sospettasse qualcosa, sperava che almeno avesse il buon senso di tacere e di lasciar fare a lei. Ma se avesse fatto di testa sua come temeva? Poteva fare qualcosa prima che la situazione degenerasse?




Ehilàààà!
Ci avviciniamo sempre di più all'epilogo, infatti dopo questo mancano esattamente cinque capitoli, quindi tranquilli, i pezzi del puzzle stanno ormai venendo fuori tutti e potrete liberarvi di me e delle mie follie XD
La lettera di Maria è fondamentale, lì ci sono tutte le risposte, quelle che poi saranno rivelate per bene nei prossimi capitoli, in cui sapremo anche l'identità del misterioso uomo 0.0
in mezzo a tutta questa ansia, abbiamo per fortuna un momento da scleri per la prima volta di Diego e Fran! Sono dolcissimiiii!! awwwwww :3
per quanto riguarda i Pangie, purtroppo continuano a non parlarsi, anche se Angie sente molto la sua mancanza e soffre non potendogli dire la verità :(
E Leon con l'uomo misterioso cosa confabula? 0.0 non ha ascoltato suo padre quando gli ha detto di stargli lontano, ma ascolterà almeno Angie? Incrociamo le dita ;)
Grazie a tutti, un bacione!! <3
Trilly
  

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Capitolo 37
*** Lui ***




Il legno lucido che rivestiva il pavimento della grande sala, scricchiolò leggermente sotto il passo pesante di un uomo dall'aspetto sicuramente distinto. Molte persone si voltarono nella sua direzione, rivolgendogli cenni col capo e saluti più o meno amichevoli, ma ci furono anche tanti altri che finsero di non vederlo. Egli in ogni caso corrispose ogni saluto, ostentando un grande sorriso. Dall'alto della sua esperienza era abituato ad ogni tipo di accoglienza, sapeva di essere rispettato quanto temuto e disprezzato, faceva tutto parte della fama che in tanti anni si era costruito con orgoglio e grandi sacrifici. La vita non regalava nulla, sin da piccolo aveva dovuto imparare quella dura lezione e perciò non c'era da sorprendersi se fosse diventato un uomo tanto cinico e crudele. Se voleva qualcosa se la prendeva, poco importava se i mezzi non fossero propriamente legali e ormai tutti lo avevano imparato, tanto che cercavano in lui un prezioso alleato o prendevano le distanze. Non c'era persona in tutta Venezia che non sapesse il suo nome, lui era nato e cresciuto in quei vicoli e da bambino sognatore era diventato un uomo forte e determinato, che non permetteva a nulla di ostacolare il suo cammino. Mentre continuava a proseguire nel suo abito scuro di alta sartoria, una voce melodiosa gli giunse alle orecchie, una voce che era sicuro di conoscere. Si voltò allora di scatto, notando solo in quel momento un grande pianoforte al centro di quella che era la sala da tè dell'albergo. Davanti ad esso vi era seduta una giovane dai lunghi capelli castani, che accarezzava quei tasti con dolcezza e maestria. I suoi occhi erano chiusi per la concentrazione e un grande sorriso le increspava le labbra. In quel momento era nel suo mondo ed era impossibile non bloccarsi a guardarla incantati e lui non faceva distinzione. Sin dalla prima volta che l'aveva sentita cantare era rimasto colpito dalla sua voce, una voce così particolare, avvolgente, una voce che non si poteva dimenticare. Mai avrebbe pensato che quella ragazzina potesse un giorno avere una voce così potente ed era sicuro che anche il suo carattere avrebbe potuto sorprenderlo, non per nulla era cresciuta con persone come Angelica, Maria e German, che di carattere ne avevano da vendere. In ogni caso ne aveva abbastanza di fare ipotesi e di studiarla, era ora di mostrarsi e doveva farlo prima che qualcuno dei familiari della ragazza venisse a rompergli le uova nel paniere. Con passo lento le si avvicinò, ma lei troppo concentrata con la canzone, nemmeno se ne accorse. “Hai una voce meravigliosa.”
La ragazza sobbalzò, smettendo di colpo di suonare. Ora lo guardava dritto negli occhi, sorpresa ma allo stesso tempo spaventata. “Come?” Balbettò, facendo fatica a controllare il tono di voce. Lui istintivamente sorrise. Faceva a tutti lo stesso effetto, incredibile. “Dicevo che hai una meravigliosa voce, Violetta, giusto?” Proseguì, facendola irrigidire e avvampare di colpo. “Ehm...grazie. Come fa a sapere il mio nome?” Violetta era nervosa, agitata, ogni suo gesto e sguardo glielo confermava, cosa che lo divertiva a dir poco. Probabilmente il suo ragazzo l'aveva messa in guardia in qualche maniera, peccato però che in quel momento non fosse nelle vicinanze. Ostentando un grande sorriso che voleva essere rassicurante, le si sedette accanto, gesto che la fece irrigidire. “Sei la figlia di German e Maria, no? Sei identica a loro.” La giovane, anche se per niente a suo agio e desiderosa solo di scappare, annuì. “Ha conosciuto i miei genitori?” Ancora una volta lui sorrise. “Eccome se li ho conosciuti, German era mio fratello.”
“CHE COSA?” Violetta sgranò gli occhi, sconvolta. Chiaramente si aspettava tutto, ma non di certo che lui e suo padre potessero essere fratelli. “Fratellastri in realtà,” precisò, quasi incurante dello shock della ragazza. Era sicuro che in famiglia non glielo avessero mai detto, tipico loro, tendevano ad insabbiare le verità scomode. “Abbiamo lo stesso padre. Io sono figlio di secondo matrimonio.” La giovane lo fissò per lunghi e interminabili istanti, poi lentamente annuì. “Era presente alle nozze dei miei genitori, ha fatto da testimone a mio padre.” Violetta era sveglia, molto di più di quanto credesse. Era chiaro che sapesse chi lui fosse ancora prima che l'affrontasse. “Si,” confermò. “Nonostante appartenessimo a due famiglie diverse, io e tuo padre siamo cresciuti insieme e lui ha scelto subito me come testimone. A proposito, non ti ho detto il mio nome. Mi chiamo Emilio, Emilio Marotti.” Le tese la mano destra e dopo un attimo di esitazione la ragazza la strinse. “Perché non ci siamo mai visti prima d'ora?” Si azzardò a chiedere, desiderosa di togliersi quel dubbio che l'assaliva. Marotti si irrigidì, non sapendo se fosse il caso di essere sincero o meno. Lei non sapeva nulla e perciò doveva pesare bene le parole. “Diciamo che io e tuo padre abbiamo avuto delle divergenze e abbiamo impiegato anni per risolverle,” spiegò, sistemandosi più comodamente sulla panca e accavallando la gamba destra sulla sinistra. “Se poi ci aggiungi che io non metto piede a Buenos Aires da anni, puoi comprendere ancora di più.” Violetta annuì, ma quando fece per ribattere qualcosa, lui l'anticipò. “Ti ho riconosciuta dalla voce, è uguale a quella di tua madre. Era una grande cantante.” Sorrise malinconicamente, cosa che fece anche la ragazza. La mente di entrambi fu attraversata dal ricordo ormai sbiadito della maggiore delle sorelle Saramego e la Castillo non riuscì a trattenere una lacrima ribelle. “Ti manca, non è così?” L'uomo poggiò una mano sulla sua, gesto che la fece sussultare, ma non si sottrasse. In quel momento Violetta non avrebbe potuto essere più fragile e vulnerabile, ne era cosciente e ciò gli provocò una strana stretta allo stomaco. Non era mai stato presente nella sua vita dato che viveva a chilometri di distanza, eppure man mano che scorrevano i minuti avvertiva una sorta di legame formarsi tra di loro. Quello sguardo, quel sorriso, quelle lacrime, ogni particolare di lei gli ricordava German e Maria e istintivamente, senza nemmeno sapere come o perché si ritrovò ad abbracciarla. Forse era un gesto avventato, in fondo per lei era solo un estraneo e avrebbe potuto spaventarsi. Violetta però non fece nulla per respingerlo, al contrario si aggrappò a lui e scoppiò a piangere. “Tanto, mi mancano tanto sia lei che papà.” Emilio non disse nulla, continuando a stringerla. Sapeva perfettamente cosa si provava, come lei si era ritrovato da un giorno all'altro a dover affrontare prima la morte di suo padre e poi quella di sua madre. L'incidente di German e Maria lo aveva distrutto definitivamente. In quegli anni era quasi stato tentato di tornare a Buenos Aires per cercarla, per sapere come stesse, ma non lo aveva mai fatto. Le sue scelte di vita lo avevano portato a conquistarsi l'odio e il disprezzo della famiglia di Maria e perciò sapeva che non lo avrebbero accolto bene, l'incontro con Angie nella sua camera lo confermava. Certo, riconosceva di aver commesso tanti sbagli, alcuni davvero irrimediabili, ma Violetta era la sua famiglia e ora che l'aveva rivista aveva tutta l'intenzione di lottare per conquistarsi il suo affetto. “Va tutto bene, tranquilla. Ora ci sono io con te,” la rassicurò, o almeno credeva di esserci riuscito, difatti la ragazza sciolse all'improvviso l'abbraccio e si asciugò le lacrime con i dorsi delle mani. “Mi dispiace, io...non so che mi è preso,” balbettò, scattando in piedi. “Siamo due estranei in fondo e...io, io devo andare.” Fece per andarsene, ma lui le afferrò il polso, costringendola a voltarsi. “Violetta, aspetta. Ci sono tante cose di cui dobbiamo parlare.” Lei scosse la testa, liberandosi dalla sua stretta. Era troppo presto, tutte quelle informazioni non erano ancora state registrate pienamente dalla sua mente. Aveva bisogno di tempo per stare da sola e riflettere, molteplici erano le emozioni che provava e su tutte dominavano l'incertezza e la paura. “Ora no, non ci riesco,” disse perciò, prima di scappare via. Marotti sospirò, tornando a sedersi sulla panca e prendendosi la testa tra le mani. In fondo lo sapeva che sarebbe andata così, Violetta non era pronta, doveva darle il tempo di razionalizzare la cosa e chissà che poi non avrebbe cercato lei stessa un confronto. Doveva solo avere fiducia.
Nel frattempo, una sconvolta Angie aveva assistito a tutta la scena da un angolo in fondo alla sala, dove si era intrattenuta per un tè insieme a delle signore che aveva da poco conosciuto, anche se ormai erano diversi minuti che non partecipava alla conversazione. Non poteva crederci, il peggiore dei suoi incubi si era avverato. Marotti aveva affrontato Violetta, lo aveva fatto davvero. Quasi senza rendersene conto, scattò in piedi e corse fuori dalla sala, incurante delle voci che la richiamavano. Doveva fare assolutamente qualcosa per proteggere Violetta, non poteva permettere che quel mostro la circuisse con uno dei suoi tranelli. Ma cosa poteva fare? Immediatamente la risposta le lampeggiò nella mente a caratteri cubitali. Non aveva altra scelta. Probabilmente Angelica si sarebbe arrabbiata e chissà cos'altro, ma era sicura che Maria avrebbe capito, doveva dire la verità a Pablo. Solo suo marito poteva aiutarla, lui che era sempre così intelligente e che non si lasciava mai prendere dal panico. Più che mai aveva bisogno della sua roccia, senza di lui si sentiva persa. Veloce come un fulmine si fiondò nel primo ascensore in cui si imbatté, schiacciando forte il tasto del piano dove alloggiava. Ora o mai più, doveva essere coraggiosa e allo stesso tempo rimediare ai suoi sbagli ed evitare una catastrofe, poteva riuscirci? Prima che potesse aprire la porta della sua camera, essa fu aperta dall'interno e in un attimo si ritrovò di fronte il volto di Pablo. Senza pensarci due volte, si gettò tra le sue braccia, lasciandosi andare a un pianto disperato. Galindo, nonostante fosse ancora palesemente ferito per il suo atteggiamento, non esitò a stringerla a se, guidandola poi dentro la camera e chiudendo la porta alle loro spalle.


“Angie, non ce la faccio a vederti così, mi stai spaventando.” Pablo aveva fatto accomodare la donna sul letto, per poi andare a prenderle un bicchiere d'acqua e quando se l'era ritrovata raggomitolata e singhiozzante, non aveva potuto non preoccuparsi. Cosa stava succedendo a sua moglie? Era da dopo la morte di Maria che non la vedeva così disperata. Le si sedette accanto, accarezzandole dolcemente la schiena, ma lei continuò a piangere quasi non avvertisse il suo tocco. Trascorsero lunghi e interminabili minuti, finché a poco a poco Angie non si tranquillizzò e accettò di buon grado il bicchiere che le porgeva. Ella si scolò il contenuto tutto di un sorso, poi finalmente lo guardò dritto negli occhi. Pablo notò che quelli della moglie fossero rossi e gonfi a causa del precedente pianto, ma fu qualcos'altro a sconvolgerlo: negli occhi di Angie vi era riflesso l'unico sentimento peggiore della paura, il terrore. “Angie.” Le scostò una ciocca di capelli dal volto umido e lei lo lasciò fare, poggiando poi la mano sulla sua e facendo intrecciare le loro dita. “Scusami, Pablo, scusami,” singhiozzò, iniziando a mordersi freneticamente le unghie della mano libera. “Pensavo di fare la cosa giusta...volevo proteggervi, ma...non so più che fare...” A quel punto scoppiò di nuovo a piangere e Pablo l'accolse prontamente tra le sue braccia. “Stt, Amore, tranquilla, va tutto bene,” la rassicurò, accarezzandole il capo. “Ci sono io qui con te, puoi fidarti.” Angie annuì, stringendosi forte a lui e continuando a piangere. “Non posso più tenermelo dentro.” Sotto lo sguardo confuso dell'uomo sciolse l'abbraccio e si asciugò i residui delle lacrime. “Riguarda Maria e German,” spiegò, torturandosi nervosamente il labbro inferiore. “Mia madre all'inizio era contraria alla loro storia come lo è a quella di Vilu e Leon.” Pablo annuì, stringendole le mani con le sue. “Si, ricordo qualcosa. Mi sembra che non andasse d'accordo con la sua famiglia, giusto?” Erano anni che non tornava alla luce l'argomento della famiglia di German, anche perché nonostante l'astio iniziale Angelica aveva poi accettato il genero, quindi non riusciva a capire perché ora ne stessero parlando. “Più o meno...mia madre aveva tanti motivi e li ha tuttora. Leon e German non potrebbero essere più simili,” aggiunse la bionda con un filo di voce e a quel punto lui capì. “Leon e German? Angie, mi stai dicendo che...?” Lei annuì. “Anche German proveniva da una famiglia come quella di Leon. Suo padre faceva parte di un clan malavitoso molto importante e proprio come Leon, se ne è voluto tirare fuori dopo aver conosciuto Maria.” Pablo corrugò le sopracciglia, confuso. “Non capisco perché me lo stai dicendo proprio adesso, è successo qualcosa che...?” Angie socchiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro. Era ora di essere completamente sincera, l'uomo che amava meritava delle risposte. Tornò perciò a guardarlo dritto negli occhi, seria ma anche terribilmente agitata. “Castillo senior non la prese benissimo e tentò di fargli cambiare idea, cosa che fece anche suo fratello, Emilio.” Galindo si irrigidì di colpo. Nonostante lo avesse incontrato solo poche volte, aveva perfettamente impresso il volto di quell'uomo. Il fratello minore di German, figlio di secondo matrimonio, non avrebbe potuto essere più diverso dal suo consanguineo. Freddo, algido, ambiguo, inquietante. Ricordava di aver pensato spesso che facesse parte di un brutto giro, ma non credeva fosse coinvolto anche German. “Emilio è qui a Venezia, Pablo, me lo sono ritrovato in camera l'altro giorno.” Angie proseguì raccontandogli ogni dettaglio di quella sera, lasciandolo sempre più sbigottito. Non sapeva che Marotti vivesse proprio lì e né tantomeno pensava che quell'uomo suscitasse tanto terrore nella sua famiglia. D'accordo, era un tipo losco e a differenza di German aveva intrapreso la strada del defunto padre, ma da lì a temerlo tanto ce ne passava. Era sicuro che ci fosse ancora qualcosa che non sapeva, ma cosa? “Che significa che il passato presenta sempre il suo conto?” Nel raccontargli la vicenda, la donna aveva citato anche quella frase che aveva incrementato non poco i suoi dubbi. “Marotti ha fatto qualcosa alla tua famiglia in passato? E ora? Come accidenti ha fatto ad entrare nella nostra stanza? Perché non me lo hai detto prima?” Come una mitraglietta si lasciò sfuggire tutte quelle domande, stringendo forte a se la moglie. Il solo pensiero che quell'uomo potesse averle fatto del male lo faceva impazzire. “Dov'è? Se me lo trovo di fronte lo uccido, giuro che lo faccio!” Continuò fuori di se. Angie allora gli prese il volto tra le mani e lo accarezzò, sperando di tranquillizzarlo. “In passato si e tanto, ma ora no.” Gli raccontò allora di come lo avesse visto parlare sia con Leon che con Violetta. “Leon non sa molto, ma Vilu non lo so. Credo che stia cercando di manipolarla e portarla dalla sua parte, glielo dobbiamo impedire.” Continuò poi a straparlare di cose senza senso, troppa era la paura che provava e per quello Pablo la prese per le spalle e la scosse. “Angie, calmati. Cosa vuole quell'uomo da Violetta? Cos'ha fatto in passato?” Angie abbassò lo sguardo, mentre nuove lacrime le inumidivano le guance. “German non poteva lasciare il suo mondo erroneo senza pagare un pegno,” confessò con un filo di voce. “Maria ha dovuto farlo per entrambi.” La bionda si lasciò cadere tra le braccia del marito a peso morto, scossa da forti e incontrollabili singhiozzi. Il segreto che per troppi anni lei e Angelica si erano tenute dentro, gravandole come un macigno, ora stava venendo fuori ma anziché sentirsi meglio, sembrava che stesse crollando ancora di più nel baratro. Il dolore alla base del cuore era insostenibile, le facevano male persino le ossa. “Che cosa le ha fatto quell'uomo, Angie?” Il cervello di Pablo stava a poco a poco mettendo insieme tutte quelle informazioni e ciò che gli suggeriva ora la mente, era così terribile che si rifiutava anche solo di considerarlo. Non poteva essere vero, non poteva. Quando però si specchiò nei grandi occhi verdi di sua moglie, la peggiore delle sue supposizioni fu confermata. “Non potevo d..dirtelo...avevo p..promesso a mia madre e a Maria che...che ce lo saremmo portato n..nella tomba, ma ora...ora non potevo più tacere. Ho paura faccia del male anche a Violetta,” singhiozzò disperata tra le braccia di Pablo. “Era disposto ad uccidere German e tutti i suoi affetti se Maria non lo avesse assecondato.” A quel punto non c'era bisogno di aggiungere altro, quel quadro tanto tragico era perfettamente chiaro nella mente dell'uomo. Maria era stata costretta a vendere se stessa al fratellastro di suo marito, per salvagli la vita e permettergli di voltare pagina con lei. Un forte senso di disgusto lo colpì alla bocca dello stomaco, facendogli desiderare di vomitare anche l'anima. Gli sembrava assurdo che potessero esistere persone così ripugnanti, così animali. Se solo lo avesse avuto di fronte, lo avrebbe fatto a pezzi. Ora capiva tutto, l'opposizione di Angelica verso Leon e verso la loro partenza, lo strano comportamento di sua moglie, tutto era dovuto al passato, quel terribile passato che aveva ripreso a perseguitarle più crudele che mai. Chissà come doveva essere stato difficile per le due tenersi dentro un simile fardello e poi la povera Maria... Mai come in quel momento, Pablo si era sentito più in colpa. Come aveva fatto a non rendersi conto che Angie soffriva? Lui più di tutti avrebbe dovuto proteggerla, rassicurarla e invece aveva permesso che affrontasse tutto da sola. Lentamente accostò il volto al suo, raccogliendo con le labbra quelle lacrime che inumidivano il suo bellissimo volto. Aveva promesso a se stesso di renderla felice e proprio per quello non poteva sopportare che stesse male. Lei gli sorrise debolmente e ciò fece accelerare i battiti del suo cuore. “Risolveremo tutto, Angie, te lo prometto. Quell'uomo non farà più del male a nessuno.” Lei annuì, strofinando il viso contro il suo collo. Si lasciò sfuggire ancora qualche singhiozzo e infine si rilassò, lasciandosi cullare dalle sue braccia. Ora finalmente quel peso non le gravava più così tanto, così come nemmeno il senso di colpa di dover tenere nascosto qualcosa a suo marito, si sentiva decisamente meglio. Pablo sapeva sempre cosa fare e cosa dire per farla sentire sicura, per cancellare ogni dolore ed era convinta che anche quella volta ci sarebbe riuscito. Lui era la sua forza, la sua roccia e insieme potevano affrontare qualsiasi cosa, persino Emilio Marotti. Ora che era al sicuro tra le braccia di Pablo, sentiva nascere in lei una forte consapevolezza, quella che prima di parlare con lui le era sempre mancata: potevano sconfiggere quel terribile passato, insieme potevano riuscirci davvero.



“Avremmo potuto intrattenerci di più, sono sicuro che nessuno avrebbe notato la nostra assenza,” soffiò maliziosamente Diego all'orecchio di Francesca, mentre con due grandi buste di souvenir entravano in ascensore. Lei sorrise, scompigliandogli affettuosamente i capelli. Avevano trascorso il pomeriggio in giro per i negozi della città, alla ricerca di qualche regalo da portare ad amici e familiari e ne avevano approfittato per concedersi del tempo tutto per loro, anche se ovviamente sembrava non bastare mai. Dopo ciò che era accaduto nella piscina dell'albergo, i due erano ancora più uniti. Ciò che avrebbe potuto portarli a stancarsi l'uno dell'altra, aveva invece rafforzato di parecchio il loro rapporto, rendendoli sempre più dipendenti. “Bè, magari altri cinque minuti ce li possiamo concedere.” Prima che Francesca potesse fermarlo, il ragazzo aveva già schiacciato il tasto di arresto, bloccando di fatto l'ascensore. “Così va meglio,” sogghignò, togliendole la busta di mano per poi attirarla a se. In un attimo la ragazza si ritrovò schiacciata tra il lucido legno delle pareti dell'ascensore e il rovente corpo di Diego. Le labbra si cercarono fameliche, dando vita a un bacio profondo e appassionato, mentre le mani scorrevano dovunque. Poco importava se qualcuno stesse disperatamente aspettando il suo ascensore, se amici e familiari si stessero chiedendo dove fossero, in quel momento c'erano solo loro due e il profondo desiderio di godersi ogni istante insieme. “Da quando ti ho vista nella cucina di casa mia, non ho mai smesso di pensare a te,” sussurrò Diego all'improvviso, lambendole e mordicchiandole l'orecchio. Francesca rabbrividì, mentre le sue guance assumevano la tonalità di un pomodoro. “Nemmeno io,” ammise con un filo di voce. “Pensavo di averti dimenticato, ma non è accaduto. Sei sempre stato tu.” Si specchiarono l'uno negli occhi dell'altra per un tempo che parve infinito, un grande sorriso illuminava i loro volti. La Cauviglia lo aveva capito per prima che tra loro due fosse destino e ora anche lui ne aveva la certezza. Non era vero che non fosse predisposto all'amore, semplicemente non lo aveva mai riconosciuto nel dolce volto di quella ragazza che per tanti anni aveva deriso e considerato una nullità. Quanto era cambiato, poco o nulla era rimasto in lui del vecchio Diego ed era tutto merito della sua bambolina. Sorrise ancora, accostando la fronte alla sua. “Farò di tutto per meritarti.” La ragazza sorrise a sua volta, sfiorandogli una guancia con una leggera carezza. “Lo stai già facendo. Tu mi fai sorridere, mi fai stare bene, solo tu ci riesci.” Si scambiarono un altro dolce bacio, poi anche se a malincuore dovettero sbloccare l'ascensore e raggiungere così la loro destinazione. Mano nella mano, varcarono la porta della camera che il ragazzo divideva con Leon e Marco e a sorpresa, vi trovarono all'interno non solo i due ma anche Violetta e tutti e tre, avevano delle espressioni che non promettevano nulla di buono. Imbarazzati, gli ultimi arrivati si affrettarono a sciogliere la stretta delle loro mani, per poi chiudersi la porta alle spalle. “è successo qualcosa?” Chiese il maggiore dei fratelli Galindo, spostando lo sguardo dall'uno all'altro, accigliato. Leon e Marco scrollarono le spalle, indicando poi Violetta, seduta con le gambe incrociate sul letto centrale. L'album delle nozze di Maria e German era ordinatamente posato sul suo grembo. “Vilu.” Francesca prontamente la raggiunse, stringendola forte tra le sue braccia. Fu a quel punto che la ragazza sembrò riprendersi da quella sorta di trance che l'aveva colpita e che aveva spaventato tanto Vargas e il minore dei Galindo, scoppiando a piangere disperatamente. In quelle ore in cui si era rifugiata in camera, non aveva fatto altro che ripensare alle parole di quell'uomo, Marotti. Le aveva detto di essere suo zio e poi tutti quegli aneddoti sul passato e le strane sensazioni che la sua presenza le aveva suscitato. Da una parte si era sentita in un certo senso legata a lui, ma dall'altra aveva avvertito timore fin nelle viscere. In quegli occhi così neri e profondi sembravano esserci nascoste un numero infinito di verità, peccato che a lei ne avesse rivelate solo alcune. Emilio Marotti non era ciò che le aveva mostrato, era molto di più e per esperienza sapeva che non poteva essere assolutamente nulla di buono. Il chiaro esempio era Leon, che ora era tanto cambiato per amore suo, ma prima non avrebbe potuto essere più oscuro e pericoloso. Magari era proprio per quello che Marotti e German avevano avuto delle divergenze in passato, forse quell'uomo aveva un passato inquietante da nascondere. Se poi si aggiungeva quella lettera di Maria e il terrore e la sofferenza che trasparivano da quelle righe, Violetta se ne convinceva ancora di più, suo zio era pericoloso. Probabilmente Angelica e Angie per quello non volevano partire, per proteggerla da lui. Quella città che pensava rappresentasse una sorta di paradiso per lei e i suoi genitori, nascondeva un segreto che aveva tutta l'aria di essere terribile persino per degli adulti, figurarsi per una ragazzina di appena diciott'anni come lei. Mentre singhiozzava aggrappandosi forte alle spalle dell'amica, non poteva fare a meno di chiedersi quando sarebbe crollata. Tutti prima o poi raggiungevano il limite di sopportazione, cosa sarebbe accaduto quando avrebbe raggiunto il suo? “Va tutto bene, Vilu, ci siamo noi con te,” tentò di rassicurarla la mora, cullandola come si faceva con i bambini. Non era la prima volta che si ritrovava a consolare Vilu, ma mai l'aveva vista così devastata e la cosa la spaventava. Nemmeno i tre ragazzi sembravano tanto tranquilli. Leon camminava avanti e indietro per la camera, scompigliandosi nervosamente i capelli. Marco era appoggiato con la schiena contro l'armadio e non staccava gli occhi dalla cugina. Diego si era seduto dall'altro lato di Violetta e le aveva sottratto l'album, decisamente afflitto. Chiaramente era convinto che la ragazza stesse pensando ai suoi genitori e a quanto le mancassero e quello doveva essere il pensiero anche di Marco, ma Francesca era sicura ci fosse dell'altro. Se si trattava di semplice dolore, perché Leon non stava consolando la sua ragazza preferendo fare una sorta di solco nel pavimento? Cosa stavano nascondendo? “Vilu.” Dopo averle lasciato il tempo necessario per sfogarsi, decise che era ora di indagare. “C'è qualcosa che vuoi raccontarci?” Violetta tirò su col naso, sciogliendo di poco l'abbraccio così da poterla guardare dritto negli occhi. “Non so cosa devo fare, Fran,” ammise con un filo di voce. “Tutto sta crollando.” Ancora una volta l'italiana notò la differente reazione dei Galindo e di Leon. I primi erano confusi, mentre Vargas si era irrigidito paurosamente. Ora ne aveva la certezza, lui sapeva. “Che significa? Ci stai spaventando.” Diego intervenne, stringendo una delle mani della cugina con la sua. “Cosa sta succedendo, Violetta?”
“Diego ha ragione,” concordò Marco, avvicinandosi a sua volta al letto. “Vi state tutti comportando in maniera strana, mamma, papà, tu, Leon. Cosa c'è dietro?” A quelle parole tutti guardarono Leon, che ruotò gli occhi e sospirò, per poi incrociare lo sguardo di Violetta. “è una decisione tua, per me va bene tutto.” La ragazza annuì, poi invitò tutti a sedersi accanto a lei. Vargas la fece accomodare tra le sue braccia, mentre Marco prese posto accanto al fratello. Dopo averli guardati uno ad uno per alcuni istanti, soffermandosi in particolare sui cugini che finalmente erano uniti, prese coraggio e raccontò loro ogni cosa. Pensieri, paure, dubbi, supposizioni, scoperte, dolore, lacrime, tutto questo faceva parte di quella drammatica storia e loro l'ascoltarono in silenzio, sconvolti, preoccupati, spaventati. Fino a quel momento Angelica era sempre apparsa ai loro occhi come una nonna fin troppo apprensiva e talvolta soffocante, ma ora si rendevano conto di quanto il suo comportamento fosse motivato. Emilio Marotti, un solo nome per far accapponare la pelle a tutti loro. Perché aveva litigato con German? Perché Maria e poi anche Angelica e la stessa Angie ne erano tanto terrorizzate? Chiaramente Castillo non sapeva nulla visto che aveva programmato un secondo viaggio a Venezia con Violetta adolescente, o forse lo sapeva ma trattandosi di suo fratello aveva chiuso un occhio? “C'è qualcosa che mi dice di non fidarmi di lui, ma allo stesso tempo so che c'è una verità che devo scoprire,” mormorò la Castillo, strofinando il volto grondante di lacrime contro il petto di Leon. Quest'ultimo continuava a stringerla forte a se, anche se la sua mente era altrove. Aveva saputo da suo padre del legame di sangue tra German ed Emilio proprio quel pomeriggio, poco prima che Violetta lo informasse, ma ovviamente aveva finto di non saperlo per non doverle rivelare che stesse facendo delle ricerche e quindi farla preoccupare. Tuttavia, si rendeva conto di non poter più tacere. La sua ragazza non doveva assolutamente avvicinarsi più a quell'uomo, ne tantomeno per soddisfare una stupida curiosità. Forse era troppo crudo o insensibile, ma era convinto che ciò che era accaduto in passato doveva restare appunto passato, non aveva senso scoprirlo per poi soffrirci inevitabilmente. Lui stesso avrebbe potuto indagare sul nome di chi aveva ordinato la morte di sua madre e fargliela così pagare, ma ciò non lo avrebbe fatto sentire meglio e non gli avrebbe di certo restituito la donna che lo aveva messo al mondo. Era convinto che la verità, qualunque fosse, avrebbe potuto devastare la sua Violetta, d'altronde non ci si poteva aspettare altro da un tipo come Marotti e l'unico modo per farla desistere era dirle la verità. “Stai lontana da quell'uomo.” Sotto lo sguardo accigliato di tutti i presenti, continuò: “Ho parlato con mio padre, a quanto pare hanno concluso degli affari in passato.”
“Che?” La Castillo sgranò gli occhi, sicura di aver capito male. Allora era come pensava, Marotti era... “Se mio padre è losco, lui lo è molto di più,” confermò il messicano, facendo scorrere distrattamente le dita nei suoi capelli. “Pensate che mio padre mi ha ordinato di stargli lontano, a me che so come cavarmela e perciò sei avvisata.” Prese Violetta per le spalle, costringendola a guardarlo negli occhi. “So che vorresti sapere qualcos'altro su di lui, ma ti ordino di non cercarlo. Amore, ti prego, dammi retta,” aggiunse, quando lei fece per dire qualcosa. “Dimentica questa storia, non ha senso rievocare vecchi fantasmi, godiamoci questi ultimi giorni di vacanza e...”
“Ma che diavolo dici?” Sbottò Diego all'improvviso, scattando in piedi ed agitando le braccia. “è vero, Vilu deve stare lontana da quell'uomo, ma non puoi pretendere che faccia finta di nulla dopo aver saputo che c'è qualcosa sulla sua famiglia che non sa! Lei deve sapere.” Leon rise incredulo, scostando dolcemente la ragazza da se per poter raggiungere l'amico. “Quindi secondo te dovrebbe mettersi a cercare una verità che potrebbe distruggerla?” Il moro sbuffò, esasperato. “Non sta a te decidere. Tu non sei suo padre, sei il suo ragazzo e come tale devi permetterle di scegliere.” Vargas fece per ribattere, ma a sorpresa Marco si intromise nella conversazione. “Violetta non deve rivolgersi a quell'uomo per sapere la verità, nostra madre potrà darle tutte le risposte se le vorrà.”
I due fratelli si scambiarono un cenno di intesa, mentre Leon scuoteva energicamente il capo. Come potevano Diego e Marco non rendersi conto delle sofferenze in cui avrebbe potuto incorrere Violetta? Possibile che lui fosse l'unico che volesse proteggerla? “Voi siete pazzi,” mormorò, fulminando entrambi con lo sguardo. “Volete davvero che si rovini la vita? Violetta merita di essere felice e non lo sarà di certo mettendosi a giocare a fare la detective.”
“Si sta parlando dei suoi genitori, Leon, i suoi genitori,” insistette Diego, puntandogli l'indice contro. “Io vorrei sapere la verità anche a costo di restare scottato.”
“Violetta non è una bambina,” aggiunse Marco, affiancando il fratello. “Se vuole sapere, non glielo puoi impedire.” Leon rivolse loro l'ennesima occhiataccia, poi si voltò verso la Castillo, che ricambiò lo sguardo stretta tra le braccia di Francesca. “Non dargli ascolto, non si rendono conto della gravità della situazione.” Entrambi i Galindo tentarono di ribattere, ma Violetta fece loro gesto di tacere. “Hai ragione,” annuì, asciugandosi il volto dai residui di lacrime. “La verità potrebbe farmi male, ma ho bisogno di saperla e tu questo lo devi accettare e soprattutto capire.” Il ragazzo si irrigidì e contrasse la mascella, ma non disse una parola. Non riusciva a credere che Violetta potesse essere tanto irresponsabile, chissà quell'uomo cosa avrebbe potuto farle, chissà... “Ma tu vuoi chiedere spiegazioni ad Angie, giusto?” Intervenne Francesca, che fino a quel momento non aveva detto una parola. “Certo,” convenne Violetta. “Sono sicura che può darmi le risposte che voglio.” A quel punto anche l'italiana si dimostrò favorevole, cosa che indispettì non poco Leon. Non voleva che Violetta sapesse, ne avrebbe sofferto troppo. Sperava almeno che Angie riuscisse a scoraggiare quell'assurda curiosità, perché davvero non osava pensare cosa sarebbe potuto accadere altrimenti.




Allora, la verità è venuta fuori tutta, o quasi. Mancano alcuni dettagli, ma per quello ci sarà tempo. L'uomo misterioso non è altro che Marotti ed è il fratellastro di German e ora sappiamo anche la sua storia. Alcuni di voi avevano indovinato certe cose, ma ovviamente non potevo dirvelo, ora però posso e...bravissimi! :P che altro dire su questo capitolo, ho avuto tanta difficoltà a farlo e lo avrò modificato un centinaio di volte. Spero che si sia ben compreso ogni cosa, anche perché la vicenda è un po' complicata, colpa della mia testa malata XD ora capiamo perfettamente le paure di Angelica, ma anche quelle di Angie, senza dimenticare il legame di Marotti con German e Maria e la grande voglia di sapere di Vilu, che davvero potrebbe rappresentare un'arma a doppio taglio 0.0
A presto, un bacione
Trilly


 

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Capitolo 38
*** Remember me ***





“Cami, ti posso chiedere una cosa? Però non arrabbiarti come tuo solito e permettimi di spiegare.” La Torres, che fino a quel momento stava parlando fitto con Francesca al cellulare, rimase sorpresa di fronte alle parole di un agitato Seba. In effetti erano giorni che lo vedeva strano, distratto quasi, ma pensava fosse per stress dato che non facevano altro che provare con quella dittatrice di Jackie. Con l'assenza di Pablo e Angie, la Saenz aveva trasformato lo Studio in una sorta di caserma militare e li lasciava in pace solo a pomeriggio inoltrato, quando erano ormai privi persino del respiro. “Seba, che succede?” Chiese la rossa, sedendosi sui gradini ai piedi del palco nella sala teatro e lui prontamente l'affiancò, guardandosi nervosamente intorno. A parte loro c'erano anche Ludmilla e Federico che parlavano di astronomia facendosi gli occhi dolci, Maxi che tentava di fare colpo su Nata, Andres e Libi che non facevano altro che guardarsi e arrossire e poi incredibilmente Thomas in compagnia di Emma. Heredia non avrebbe potuto essere più imbarazzato, mentre le raccontava qualche aneddoto sullo Studio.
“Si tratta di Luca,” buttò lì Seba, rassicurato dal fatto che fossero tutti troppo impegnati per prestar loro attenzione. “Luca?” Ripetè lei, sicura di aver capito male. L'altro annuì. “Da quando lui e la sorella di Leon hanno iniziato ad uscire insieme, tu sei strana e...insomma, sembra che la cosa ti infastidisca. Non aggredirmi per favore,” si affrettò ad aggiungere, prima che lei potesse ribattere. “è una sensazione che ho, tutto qui.”
Camilla lo fissò per alcuni istanti, poi non potè fare altro che sospirare. Normalmente si sarebbe arrabbiata per una simile insinuazione, ma in fondo sapeva che Seba non avesse torto. L'idea che Luca avesse smesso di amarla l'aveva spiazzata, non perché fosse così egocentrica da credere che lui l'avrebbe pensata per sempre, piuttosto perché iniziava a rendersi conto di quanto Cauviglia dovesse aver sofferto per colpa sua. Quanto era stata egoista nel mostrarsi insieme a Seba in passato, sapendo che lui non l'avesse ancora dimenticata? Non lo aveva rispettato, se ne era fregata dei suoi sentimenti e solo ora lo capiva. Voleva ancora tanto bene a Luca, era stato il suo primo amore e per un certo periodo aveva addirittura pensato di amarlo ancora, tanto da allontanarsi da Seba e fargli quindi venire quei dubbi, ma ora era tutto passato. Passando del tempo da sola e parlandone con Francesca, aveva avuto modo di fare chiarezza e capire a chi appartenesse il suo cuore. Sicura di ciò, sollevò il capo e sorrise, poggiando una mano sulla sua. Seba si irrigidì, ma non si sottrasse. “Hai ragione,” iniziò lei, torturandosi nervosamente una ciocca di capelli con la mano libera. “Ho avuto dei dubbi, non lo nego.” Il ragazzo annuì, facendosi improvvisamente serio. “Lo avevo capito, in fondo il primo amore non si scorda mai,” commentò amareggiato. “Francesca e Violetta ne sono il chiaro esempio.” Diego e Leon non erano forse i ragazzi per cui il cuore delle due batteva da sempre? Nel caso di Camilla si trattava invece di Luca, e Seba iniziava seriamente a pensare che forse le cose non fossero cambiate. Magari lui era stato solo una sbandata, una passione del momento e ora che Cauviglia aveva trovato un'altra, lei lo aveva capito, altrimenti come spiegare l'improvviso allontanamento della rossa? Si alzò in piedi, considerando quella conversazione chiusa. Aveva bisogno di tempo per riflettere e in un certo senso accettare di non aver mai posseduto il cuore della ragazza che amava. Triste, umiliato, devastato, ecco come si sentiva.
“Seba, aspetta.” Camilla lo seguì fuori dalla sala e poi accanto a una delle grandi finestre che affacciava sul cortile dello Studio. Per fortuna i corridoi erano deserti, così nessuno li avrebbe disturbati o avrebbe origliato. “Non è come pensi.” Lui ruotò gli occhi, poggiando i palmi delle mani sul marmo gelido del davanzale e sollevando poi il capo al cielo. Tutti sapevano che quelle quattro parole di norma non portavano a nulla di buono e non ci teneva proprio a provarlo sulla sua pelle. Non aveva mai amato una ragazza come amava Camilla, lei era il suo raggio di sole, la sua pazza squilibrata, la sua complice e tante altre cose e la sola idea di sentirle dire che amasse un altro, lo faceva impazzire. Odiava i giri di parole, che lei lo lasciasse in pace e basta, non c'era bisogno di rigirare il coltello nella piaga.
“Ho amato Luca e non lo nego,” riprese lei, poggiandogli una mano sul braccio. “Ma ora è finita. Quello che c'è stato tra noi fa parte del passato, devi credermi.” Finalmente il ragazzo si voltò a guardarla, dubbioso. Più di tutto voleva crederle, ma aveva paura. E se volesse continuare a stare con lui perché non poteva avere più Luca? Quasi gli avesse letto nel pensiero, Camilla sorrise sfiorandogli una guancia con una leggera carezza. “Sei tu l'unico che voglio, tu e nessun altro.” Accostò la fronte alla sua, continuando a sorridergli. “Guardami negli occhi, loro non possono mentire.” E Seba lo fece, si specchiò nei suoi occhi nocciola e quello che vide lo destabilizzò. C'era amore, un amore potente, devastante ed era tutto per lui. “Ti amo, Seba.” Un grande sorriso si distese sul volto del ragazzo, che a quel punto vedeva tutti i suoi dubbi dissolti. Senza esitare ulteriormente, la strinse forte a se facendole poggiare il capo contro il suo petto. “Ti amo anch'io, Cami.” Le prese poi il volto tra le mani, baciandola dolcemente. “Sono stato un idiota a dubitare di te.” Lei scosse la testa. “Io con il mio comportamento non ti ho di certo aiutato, ma la cosa importante adesso è che è tutto chiarito.”
“Assolutamente si,” concordò Seba, prendendole una mano e lasciandole un bacio sul dorso, facendola arrossire. “La sola idea di poterti perdere mi avrebbe fatto impazzire.”
“Oh Seba!” Camilla gli saltò letteralmente addosso, stritolandolo in un forte abbraccio. “Ti amo così tanto!” Si baciarono ancora e ancora, promettendosi che quel pomeriggio sarebbe stato solo loro, dopotutto avevano tanto tempo da recuperare. Ogni dubbio era stato finalmente spazzato via, lasciando solo il grande e profondo amore che li legava.



“Ho prenotato i biglietti, partiremo subito dopo pranzo.” Un nervoso Pablo entrò nella camera d'albergo sua e di Angie, annunciandole prontamente ciò che aveva appena fatto. Lei annuì, mentre gettava oggetti alla rinfusa nelle due grandi valigie disposte sopra il letto. Dopo le sconvolgenti rivelazioni su Emilio Marotti, i coniugi Galindo avevano preso una decisione molto importante. Non potevano restare lì e permettere che Violetta potesse scoprire la verità e per quello dovevano tornare a Buenos Aires il prima possibile. “Cosa diremo ai ragazzi?” Chiese la bionda, mettendo in valigia ciò che restava del suo guardaroba e sedendosi sopra per poterla chiudere. Pablo sospirò, avvicinandosi al balcone e guardando distrattamente oltre di esso. “Gli diremo che allo Studio hanno bisogno di noi e che per questo dobbiamo partire subito.” Angie annuì, scendendo dalla valigia a raggiungendolo. “E se Violetta non volesse partire? Non ho avuto il coraggio di chiederle cosa lui le avesse detto.”
“Tranquilla,” la rassicurò l'uomo, stringendola dolcemente a se e accarezzandole la schiena. “Sono sicuro che non le ha detto niente, altrimenti lo avremmo capito.”
Lei deglutì, facendo fatica a trattenere un singhiozzo. “Odio questa maledetta città, la odio.”
“Tra poche ore saremo in aereo e tutto questo sarà solo un brutto ricordo,” le promise, prendendole il volto tra le mani, così da portarla ad incrociare il suo sguardo. “Fidati di me.” Angie abbozzò un mezzo sorriso, seppellendo poi il volto contro il suo petto. “Non so cosa farei senza di te.”
Si stavano ancora abbracciando, quando la porta si aprì di scatto e Diego e Marco fecero il loro ingresso. “Cosa dovevate dirci?” Chiese il maggiore, notando poi le valigie sul letto. “E quelle?”
“Ho appena ricevuto una chiamata di Antonio,” spiegò Pablo, facendo un passo verso i figli. “C'è stata un'emergenza e dobbiamo tornare subito a casa.”
“Che strano,” commentò Marco, confuso. “Ho parlato sia con Thomas che con Ana, ma non mi hanno detto nulla.” Angie sbiancò paurosamente, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa che avrebbe potuto far capire la verità ai ragazzi, Pablo l'anticipò. “Antonio ha pensato di non dire nulla ai ragazzi per non farli preoccupare e ora su, andate ad avvisare gli altri e fate le valigie.” Nè Marco e né Diego però fecero un solo passo. Lo strano nervosismo della Saramego, il fatto che Galindo senior volesse quasi cacciarli dalla camera e poi quella partenza improvvisa. Ai loro occhi tutto faceva presagire una fuga. “Che sta succedendo?” Chiese perciò Diego, incrociando le braccia al petto e guardando attentamente i genitori. “Perchè siete tanto nervosi?”
“Andate a fare le valigie, ora!” Sbottò Pablo, spingendo i figli verso la porta ed ignorando quelle parole. Loro opposero ancora una volta resistenza e Marco chiuse accuratamente la porta, come a voler far capire che non se ne sarebbero andati finché non avessero avuto delle risposte e probabilmente era proprio così. “Peccato che dobbiamo andarcene proprio ora,” commentò il minore, tra se e se. “Violetta aveva appena conosciuto suo zio.” Quelle parole dette furbescamente dal ragazzo, furono un'autentica doccia fredda per Pablo e Angie. I loro figli sapevano allora. Se il primo riuscì a mantenere il sangue freddo e a non lasciar trapelare alcuna emozione, la bionda assunse la tonalità di un cadavere e si portò la mano al petto. “Maledetto,” singhiozzò, sbigottendo tutti i presenti. “Lurido.”
“Angie.” Pablo le si avvicinò, prendendola per le spalle. “Tranquilla, va tutto bene.” Lei però scosse la testa, imperterrita. “Si sta insinuando nelle nostre vite, ti rendi conto? I miei ragazzi,” aggiunse, guardando i figli con le lacrime agli occhi. “Violetta. Pablo, dobbiamo proteggerli da lui.” Galindo annuì, stringendola a se. “E lo faremo, Angie, te lo prometto.”
I due ragazzi restarono a fissarli in silenzio, poi Diego avanzò di un passo, confuso. “Chi è quell'uomo? Violetta ci ha raccontato delle cose, ma anche lei ha dei dubbi e...”
“è un mostro, ecco cos'è!” Sbottò la bionda, liberandosi dalla stretta del marito e agitando le braccia. “Dovete stare a chilometri da lui, chiaro?”
“Ma ha detto di essere il fratello dello zio German,” provò a dire Marco, ma Angie lo interruppe scuotendo il capo, incredula. “Fratellastro, casomai. Hanno lo stesso padre.”
“Cos'ha fatto a zia Maria? Perché era tanto terrorizzata da lui?” Pablo e Angie si voltarono di scatto verso Diego, che aveva posto all'improvviso quella domanda con un filo di voce. “Leon ci ha detto che quell'uomo ha collaborato con suo padre e poi la pagina di diario della zia, che Violetta ha trovato e...” S'interruppe, poiché il padre si era irrigidito di colpo e aveva invitato con un gesto della mano tutti a sedersi sul letto. “Che cosa sapete di Marotti?” Chiese poi, stringendo la mano di una sempre più nervosa Angie. Marco e Diego si scambiarono un'occhiata, decidendo di raccontare ai genitori ciò che avevano scoperto e relativi dubbi. Paura e sconcerto attraversarono lo sguardo dei due adulti, che a quel punto non poterono fare altro che mettere a conoscenza i ragazzi della verità.
“Ora capite perché vogliamo andare via con tanta insistenza?” Chiese Pablo, spostando alternativamente lo sguardo dall'uno all'altro. Marco, che non avrebbe potuto essere più pallido e sconvolto, si limitò ad annuire, scattando poi in piedi e avvicinandosi alla porta. “Vado a fare le valigie.” Quando il ragazzo fu sparito, l'attenzione si spostò su Diego, che ancora non aveva avuto una vera e propria reazione. Ora gli era tutto chiaro. Ecco spiegato il terrore di Maria, Angelica, dei suoi stessi genitori e forse addirittura la reazione accesa di Leon. Che Vargas fosse a conoscenza di quei particolari? In ogni caso, a tutti i costi Violetta non doveva più avere a che fare con quell'individuo e l'unico modo era andare via. Convinto di ciò, annuì e si alzò a sua volta. “Violetta non deve saperlo, non potrebbe sopportarlo.” Mai avrebbe pensato che la verità potesse essere così brutale, sua cugina doveva essere protetta, aveva già sofferto abbastanza e una simile rivelazione avrebbe potuto distruggerla. Pablo e Angie tirarono un sospiro di sollievo. Sapevano che i ragazzi avrebbero capito, in fondo erano sempre stati molto intelligenti e ora che finalmente si stavano sforzando di costruire un rapporto, lo erano ancora di più. Dopo aver lanciato loro un'ultima occhiata, anche Diego lasciò la camera con un solo pensiero in testa, andare al più presto via da quella maledetta città.
Quello che né lui e né i Galindo potevano immaginare, era che Violetta, giunta da pochi minuti oltre la porta, avesse sentito chiaramente l'ultima frase del cugino.

Violetta non deve saperlo, non potrebbe sopportarlo.

Turbata, la ragazza scappò nei lunghi corridoi, facendo fatica a contenere le lacrime. Possibile che tutti sapessero la verità tranne lei? Perché le mentivano e la tenevano all'oscuro? Credeva che almeno Diego e Marco l'appoggiassero e invece anche loro avevano finito per ingannarla. Quella verità riguardava la sua famiglia, lei meritava di saperlo. Non era più una ragazzina che doveva essere protetta, ora era cresciuta e dopo tutte le sofferenze che aveva dovuto patire, era sicura di poter sopportare qualsiasi cosa, ancora di più se riguardava i suoi genitori. Ne aveva abbastanza di persone che volessero decidere per lei e che la soffocassero con le loro paure, aveva il diritto di prendere in mano la sua vita e poter finalmente scegliere. Quasi senza rendersene conto, iniziò a correre sempre più velocemente e la vista annebbiata dalle lacrime, le impediva di mettere a fuoco dove stesse andando. Probabilmente fu per quello che non vide una figura venire dal senso opposto e quasi la travolse. Due braccia la bloccarono di slancio, impedendole una brutta caduta. “Violetta, tutto bene?” La ragazza sussultò, al suono di quella voce. Subito si asciugò gli occhi e mise a fuoco il volto preoccupato di Emilio Marotti. “Ma tu stai piangendo,” constatò l'uomo, scrutandola attentamente. “Chi ti ha ferita?” Sembrava davvero interessato al suo stato d'animo, non c'era traccia in lui del mostro decritto nella pagina di diario di Maria, ma allora qual era la verità? “Tu non dovresti mai piangere,” continuò lui, asciugandole le lacrime con i pollici. “Tua madre vorrebbe che tu fossi felice.” Era così premuroso, le sorrideva, le parlava di sua madre. Qualcosa si sciolse nel cuore di Violetta, che come quella volta accanto al pianoforte si gettò tra le sue braccia. Le lacrime scorrevano a fiumi sul suo volto, il corpo era scosso dai singhiozzi. Emilio la strinse forte a se, accarezzandole il capo. “Va tutto bene, ci sono io con te.” E lei gli credette. Forse stava sbagliando, forse lui stava approfittando della sua vulnerabilità, forse se ne sarebbe poi pentita, in ogni caso accettò di seguirlo nella sua camera. Davanti ai suoi occhi si materializzò una vera e propria suite. Dovunque guardava c'erano mobili in legno laccato dall'aria costosa, quadri di artisti importanti, divani in pelle, un maxi schermo e comodità di ogni tipo. “Ti porto un bicchiere d'acqua,” le disse, facendola accomodare su uno dei grandi divani in pelle nera. Era davvero morbido e per alcuni istanti si concesse di chiudere gli occhi, per poi riaprirli quando Emilio le si sedette accanto, porgendole un bicchiere d'acqua ghiacciata che lei scolò a piccoli sorsi. “Grazie,” sussurrò alla fine, lasciandosi sfuggire un lungo sospiro. Lui annuì, sfiorandole una mano con una leggera carezza. “Va meglio? Vuoi un altro bicchiere?”
“No, grazie. Va bene così,” sorrise debolmente lei, riponendo il bicchiere ormai vuoto sul tavolino ai loro piedi. “Sei il fratello di mio padre, eppure parli sempre di mia madre. La conoscevi bene?” Si azzardò a chiedergli, non rendendosi conto che per la mia volta gli stesse dando del tu. Lui in ogni caso dovette accorgersene e per quello sorrise, per poi annuire. “Ero molto legato ad entrambi, anche se avendo madri diverse io e tuo padre non abbiamo potuto crescere insieme. German era un grande uomo, sempre disposto ad aiutare il prossimo e per questo amato da tutti. Tua madre invece aveva uno dei sorrisi più belli e contagiosi che abbia mai visto in vita mia, impossibile non restare abbagliati da lei.” Una strana luce gli attraversava lo sguardo mentre diceva quelle parole, una luce che a Violetta era molto familiare. L'aveva vista negli occhi di suo padre, in quelli di Leon, di Pablo e ultimamente anche in quelli di Diego. Possibile che...?
“Eri innamorato di lei? Di mia madre, intendo.”
Marotti si irrigidì paurosamente, facendosi di colpo serio. “Violetta,” provò, ma lei scosse il capo, sorridendogli rassicurante. “Tranquillo, non te ne faccio una colpa. Mia madre era una persona meravigliosa, impossibile non innamorarsi di lei.” Lui scrollò le spalle, a disagio. “Non è una cosa bella, stava con mio fratello e...io amavo entrambi.” Parlava con un filo di voce ed evitava il suo sguardo, di colpo tutta la sicurezza che aveva ostentato fino a quel momento sembrava essersi dissolta. A Violetta ricordò tanto Diego, anche lui si era innamorato della ragazza di suo fratello. Improvvisamente le tornò però anche in mente la famosa pagina di diario di Maria. “Mia madre lo sapeva?” Emilio la fissò per alcuni istanti, colto in contropiede, poi annuì. “Ho finito per confessarglielo da ubriaco. Era la festa di fidanzamento dei tuoi ed io ero disperato. La stavo perdendo e...volevo bene a German e sapevo che lui la meritasse, ma faceva tanto male,” confessò, lo sguardo perso nel vuoto. “E poi? Lei che ha detto?” Gli chiese la giovane, poggiandogli una mano sul braccio come per confortarlo. Lui rise amaramente. “Ovviamente mi ha rifiutato. Mi ha detto che le dispiaceva, ma amava German e che dovevo dimenticarla. Inutile dire che non ci sono riuscito.” Si alzò in piedi, raggiungendo la grande vetrata, da cui si poteva scorgere una veduta meravigliosa, in contrasto con la profonda malinconia che gli attraversava lo sguardo. Restò lì immobile senza dire una parola per diversi minuti e Violetta rispettò il suo silenzio, convinta che meritasse di prendersi del tempo per se, poi lo raggiunse, torturandosi nervosamente una ciocca di capelli. Cosa poteva mai dirgli? Inizialmente voleva delle risposte da lui, ma vedendolo in quello stato non sapeva se fosse giusto costringerlo a riaprire vecchie ferite. Quasi l'avesse letta nel pensiero, lui riprese a parlare. “Abbiamo provato ad essere amici, lei mi ha presentato qualche sua amica e...Violetta, io mi sento così in colpa, ma è anche il periodo in cui sono stato più felice.” Si voltò completamente verso di lei, facendo fatica a sostenere il suo sguardo. “è accaduto solo una volta ed è stato meraviglioso, ma Maria si è subito pentita e mi ha ordinato di starle lontano. Mi evitava, ignorava le mie chiamate, fingeva che non esistessi e...” si interruppe, lasciandosi sfuggire un singhiozzo. “Non avrei dovuto...sono stato un pessimo fratello, ma l'amavo.” Violetta sgranò gli occhi, mentre la sua mente assimilava quelle parole. Quindi sua madre non aveva paura che lui potesse farle del male, ma che potesse tentare un nuovo approccio. Tra loro due c'era stato qualcosa. Le sembrava tutto così assurdo, non credeva che Maria potesse tradire German, pensava che il loro amore fosse solido ed indistruttibile e invece... “C'è una cosa che devi sapere, Violetta.” La disperazione aveva lasciato posto a un'espressione che non avrebbe potuto essere più seria e allo stesso tempo nervosa, cosa che la preoccupò a dir poco. Aveva la sensazione che qualsiasi cosa fosse, non le sarebbe piaciuta per niente. “Sediamoci.” Ecco, ora voleva anche che si sedessero. Violetta non aveva alcun dubbio, stava per ricevere una pessima notizia. In ogni caso lo seguì sul divano, mentre il battito del suo cuore accelerava paurosamente. “Non te lo direi se non ne fossi assolutamente sicuro,” iniziò lui, a disagio. “Avrei preferito tacere e custodire questo segreto, ma se il destino ci ha fatti incontrare, deve pur significare qualcosa,” si interruppe di colpo, mentre la ragazza lo fissava, decisamente confusa. Cosa stava cercando di dirle? “Violetta.” Le prese una mano, stringendola con la sua. “Sono sicuro che tua nonna si è presa cura di te, ma è giusto che tu sappia la verità così da poter scegliere.” Attese che lei annuisse, poi proseguì. “Sono la persona più sbagliata del mondo, ho commesso tanti errori e non dovrei pretendere niente, però...però è giusto che tu sappia. Violetta, io sono tuo padre.”
Nella stanza calò un silenzio di tomba. Emilio fissava la ragazza, in attesa di una reazione che tardava ad arrivare. Violetta infatti era sotto shock. Quell'ultima frase si ripeteva più volte nella sua mente, ma lei non riusciva a darvi un senso. Era tutto così assurdo, non poteva essere vero, non poteva. Era German suo padre. “Violetta.” La voce di Marotti la richiamò, ma lei non rispose. In realtà non riusciva a fare nulla, era troppo sconvolta, troppo... Era quella la verità che la sua famiglia non voleva che sapesse? Era da essa che volevano proteggerla? “Violetta, ti prego, ascoltami.” Incrociò lo sguardo agitato dell'uomo, che le aveva ora poggiato le mani sulle spalle. “L'ho scoperto poche settimane dopo la tua nascita. I conti tornavano e poi... e poi il fatto che tua madre mi impedisse di vederti o di prenderti in braccio...evitava le mie chiamate e...i miei erano solo dubbi, ne ho avuto la certezza quando avevi sei anni. Eri caduta dalla bici e ti eri rotta un braccio. Tramite delle conoscenze, sono riuscito ad ottenere un tuo prelievo di sangue e così ho potuto fare il test del DNA. Se non mi credi, qui ho le prove,” aggiunse, raggiungendo una cassettiera posta in un angolo della grande camera e recuperando un foglio da una cartellina. Quando glielo porse, la ragazza si rese conto che avesse l'aria ufficiale. C'era la firma del medico e anche un timbro. Deglutì, tornando a guardare Emilio. Lui era suo padre, il suo vero padre. Ora capiva il terrore di Angelica, di Angie e prima ancora quello della pagina di diario della madre. Emilio Marotti era un delinquente, peggio del padre di Leon e forse per quello la sua famiglia non voleva Vargas al suo fianco, temevano che si rivelasse uguale ad Emilio. Maria aveva tradito German. Lei era frutto di quel tradimento. Ecco perché nessuno glielo voleva dire, volevano evitarle tutto quello. Quasi senza rendersene conto iniziò a piangere. Le lacrime le bagnavano le guance e lei se ne stava immobile, incapace di fare altro. Pensava di poter sopportare qualsiasi cosa e invece...invece non avrebbe potuto sentirsi più devastata. Tutte le certezze che aveva, erano state spazzate via come un castello di carte. Si era ripromessa che lei avrebbe avuto un amore puro e profondo come quello dei suoi genitori e ora scopriva che era tutta una menzogna. Sua madre aveva rovinato tutto, cedendo alle lusinghe del cognato. Lei, il suo modello, non era altro che una bugiarda adultera. German era stato tradito e ingannato e lei era il risultato di quello schifo. Mai si era sentita più persa, vuota. Chi era davvero Violetta? Pensava di saperlo, ma ora nulla aveva più senso. Tutta la sua vita era stata fondata su una bugia, su un'illusione. Violetta non esisteva davvero, era solo un'identità che le era stata attribuita per non farle scoprire la verità. Ora però quella maschera era caduta e non restava altro che un involucro vuoto...lei era quell'involucro vuoto. “Violetta, dì qualsiasi cosa, ti prego.” Ancora una volta però non disse nulla...non c'era nulla da dire. Lei non era Violetta, quella ragazza non esisteva. Lei era solo la dimostrazione materiale che quell'intenso amore che pensava esistesse tra i suoi genitori non era altro che una bugia, un'orribile e squallida bugia. “Violetta.” Emilio la chiamò nuovamente e stavolta lo guardò, ma era uno sguardo assente, vuoto e lui se ne accorse subito, difatti si preoccupò ancora di più. “Non pensare male di me e di tua madre, noi...”
“Non voglio sapere nient'altro,” lo interruppe con voce fredda, quasi metallica. Nemmeno un'emozione vi trapelava. Prima che potesse fermarla scappò via, via da quella verità che le aveva appena provocato la peggiore ferita della sua vita, sconvolgendola nel corpo e nell'anima. Decisamente la ragazza che stava fuggendo da quella camera, travolta dalle lacrime e dai singhiozzi, non era la stessa che vi era entrata, ma solo il suo pallido spettro. Violetta Castillo si era frantumata in tanti piccoli pezzi.



“Lei non c'è, non c'è!” Francesca spalancò la porta della camera dei ragazzi, il volto grondante di lacrime e il corpo scosso dai singhiozzi. Leon, Diego e Marco smisero di colpo di riempire le valigie e si fiondarono verso di lei, spaventati. “Che succede?” Chiese Vargas, pallido come un morto. La ragazza non rispose, gettandosi prontamente tra le braccia di Diego, il volto sepolto contro il suo petto. Lui la strinse a se, accarezzandole il capo. “Ehi, tranquilla,” tentò di rassicurarla, ma lei non smetteva di singhiozzare. “Violetta, lei...lei non è in camera...non è da nessuna parte.” I tre ragazzi si scambiarono un'occhiata, sconvolti. Dov'era finita Violetta? Possibile che...?
“Io lo ammazzo!” Sbottò Leon fuori di se, digrignando i denti. Aveva promesso a suo padre di non commettere sciocchezze, ma se quell'uomo aveva anche solo sfiorato Violetta, lo avrebbe ucciso. Velocemente raggiunse la sua valigia e iniziò a rovistarci, finché non trovò ciò che cercava. “Ma che..?” Marco, Diego e Francesca lo fissavano a bocca aperta, mai avrebbero immaginato una cosa simile. “Che vuoi fare con quella?” Chiese il maggiore dei Galindo, lo sguardo fisso sulla pistola che l'amico impugnava. Aveva già visto in passato quella pistola, ma non credeva che Leon se la portasse dietro o che potesse anche solo pensare di usarla. L'altro scrollò le spalle, considerando quella domanda alquanto ridicola, non era forse evidente? “Vado ad estirpare il problema alla radice. Nessuno fa soffrire la mia Violetta e la passa liscia.” Fece per avviarsi verso la porta, ma i tre gli bloccarono la strada. “Non dire idiozie, posa quella pistola,” lo ammonì Diego, mentre Francesca se ne stava rannicchiata dietro di lui, terrorizzata alla sola vista dell'arma. “Ascoltalo, maledizione,” intervenne Marco, pallido come un lenzuolo. “Violetta sarà uscita a fare una passeggiata, non è detto c'entri lui. Magari ci stiamo preoccupando per nulla.” Diego annuì. “Andiamo a cercarla, poi decidiamo il da farsi. Manteniamo la calma.” Leon rise incredulo. “La fai facile tu. È la mia ragazza ad essere sparita, la tua è qui al sicuro,” accennò a Francesca, che a poco a poco si stava tranquillizzando. “E questo che c'entra?” Sbottò Marco, prima che il fratello potesse ribattere. “Violetta è nostra cugina, ci importa eccome di lei! Non sei l'unico ad averla a cuore!” Mai prima di quel momento si era rivolto con quel tono a qualcuno, men che meno a Leon Vargas, che sempre aveva temuto, eppure gli era venuto così spontaneo. Gli altri tre lo fissarono stupefatti, poi Vargas contrasse la mascella, infastidito. “Nessuno mi parla così.” Fece un passo verso di lui, ma Diego si mise in mezzo spintonandolo lontano. “Tu mio fratello non lo tocchi, chiaro?”
Leon sgranò gli occhi, rendendosi conto che l'amico facesse sul serio, stava davvero spalleggiando quello sfacciato di Marco. “Sembri un pazzo, datti una calmata,” continuò Galindo, esasperato. “Posa quella cavolo di pistola e andiamo a cercare Violetta, muoviti.” Quelle parole sembrarono scuoterlo, difatti ripose la pistola dove l'aveva trovata e seguì gli altri verso la porta. “Qualcuno deve avvisare Pablo e Angie,” sussurrò Francesca all'improvviso, quando erano già a metà corridoio. “Potrebbero preoccuparsi se non ci trovano.”
Prima che potessero dire qualsiasi cosa, sopraggiunsero proprio i coniugi Galindo. “Cosa fate tutti in corridoio?” Chiese Pablo, contando mentalmente i ragazzi. Sapeva che Lena fosse in camera, l'aveva vista prima, ma mancava comunque qualcuno. “Dov'è Violetta?” La Saramego li spinse tutti di lato, aspettandosi quasi di vedere spuntare la ragazza, ma non trovandola si allarmò decisamente. “Dov'è Violetta?” Ripetè, alzando il tono di voce. “è sparita,” spiegò Marco, notando che nessuno si decidesse a rispondere. “Stiamo andando a cercarla.” A quelle parole, Angie si portò una mano al cuore e se non svenne fu perché Pablo prontamente la sostenne. “Siete sicuri di non sapere dove sia? Avete provato a chiamarla?” Francesca annuì. “Ha il cellulare staccato e...” si interruppe di colpo. Stava per nominare Marotti e la possibilità che fosse con lui, ma si era poi ricordata di non averne mai parlato con loro, senza contare che dopo quello che era accaduto con Marco e Diego, non avevano più tutta quella confidenza. “Dobbiamo trovarla e subito,” intervenne Leon, nervoso e agitato come mai in vita sua. Pablo concordò, reggendo ancora una Angie sotto shock. “Dividiamoci e il primo che la trova avverte gli altri, ok?” Tutti annuirono, pronti a prendere direzioni differenti, ma la voce dell'uomo li bloccò. “Mi raccomando, non commettete sciocchezze e se la trovate con lui...” Non ci fu bisogno di aggiungere altro, avevano capito perfettamente. Nel caso ci fosse stato Marotti con lei, dovevano avvisare lui e Angie immediatamente e lasciare risolvere a loro la situazione.
Leon decise di cercare Violetta all'esterno dell'albergo. Non sapeva dire perché, ma il suo sesto senso gli diceva che se lei era sparita, era perché aveva ottenuto le risposte che voleva e che perciò si era rifugiata da qualche parte a piangere. Anche senza conoscere la verità, si era fatto delle idee su quale potesse essere e nessuna era confortante. Ricordava ancora la conversazione con Angelica nel giardino di casa e poi quelle con suo padre e con Marotti, ed era sicuro che in qualche modo potessero essere legate e portare a una sola terribile verità. Con tutto se stesso aveva sperato di sbagliarsi, che i suoi fossero solo dubbi senza fondamento, ma ora si rendeva conto che ancora una volta il suo intuito avesse fatto centro. Tutto combaciava, l'iperprotettività di Angelica e dei Galindo, l'ostilità verso di lui e verso la città italiana, Marotti che li pedinava e ancora, la pagina di diario di Maria. Come aveva fatto a non capirlo prima? Come avevano fatto i familiari di Violetta a portarsi dentro un segreto così grande? E Violetta, lei ci sarebbe riuscita a sopportarlo? Leon non sapeva che fare, che pensare. Anche lui aveva un padre non proprio esemplare, ma Fernando non era nemmeno lontanamente paragonabile a Marotti. Diego gli aveva raccontato ciò che aveva fatto a Maria, una cosa così orribile che gli faceva ribollire il sangue nelle vene. Le donne non si toccavano, suo padre glielo ripeteva da tutta la vita, tanto che era divenuta una legge ormai e lui l'aveva sempre seguita a dovere. Marotti invece non aveva limiti, era una bestia senza un briciolo di umanità. Dopo aver distrutto Maria e un inconsapevole German, con quella confessione aveva attentato anche l'anima innocente della sua Violetta e quello non poteva sopportarlo. Doveva trovarla e subito. L'istinto gli diceva che la ragazza si fosse diretta al Gran Teatro La Fenice, quel luogo che era stato tanto importante per German e Maria e che probabilmente era l'unica certezza che le restava. Nonostante il cuore in gola e il fiato corto, fece tutta la strada di corsa non fermandosi nemmeno un attimo. La gente lo fissava, chi con confusione, chi con curiosità, qualche clacson gli rimbombò nelle orecchie, ma ignorò tutti. Il suo unico pensiero era Violetta. Finalmente, dopo un tempo che gli parve infinito, giunse nei pressi del teatro. Guardandosi intorno, individuò una piccola figura rannicchiata sui gradini di marmo davanti all'ingresso. Era lei. Con le ultime energie rimaste, la raggiunse. “Violetta.” Nemmeno il tempo di poterla guardare in volto per capire come stesse, che lei si gettò tra le sue braccia. Il suo piccolo corpo tremava ed era scosso dai singhiozzi. La strinse forte, come a volerla proteggere e rassicurare e in fondo era davvero così. Doveva proteggerla...salvarla da se stessa.



Eccoci qui! Ammetto che se lo scorso capitolo per me è stato difficile, questo lo è stato ancora di più, ha subito un numero di modifiche incredibile e spero davvero sia tutto comprensibile. Abbiamo prima una parte più soft che riguarda il chiarimento di Seba e Cami e poi ansia e rivelazioni a Venezia 0.0 la famiglia Galindo ha deciso di andare via prima che Vilu possa sapere la verità, peccato che lei sente tutto e scappa via, confusa, ma anche delusa e ferita. Marotti approfitta della sua vulnerabilità per condurla nella sua camera e raccontarle la sua versione dei fatti circa German e Maria. E qui apprendiamo ciò che molti avevano già ipotizzato e cioè che Vilu è figlia di Marotti 0.0 sconvolta dalle rivelazioni, la ragazza scappa via, preoccupando non poco la sua famiglia. Per fortuna però, Leon la trova fuori il teatro, ma le sue condizioni sono preoccupanti :(
Vi ringrazio per il vostro sostegno e affetto e spero che questo capitolo vi sia piaciuto :3
a presto! :P
  

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Capitolo 39
*** Juntos somos mas ***




Un vento gelido sferzava contro i volti di Angie e Violetta, facendo ondeggiare le loro chiome e portandole per quello a rabbrividire. Tuttavia, il freddo era l'ultimo dei loro pensieri. Sedute su un telo in uno dei grandi parchi della città, le due sapevano quanto quella conversazione fosse importante e necessaria, oltre ovviamente che tanto complicata. Probabilmente non esisteva un modo per renderla più sopportabile e anche se ci fosse stato, Angie era fin troppo nervosa e tormentata per pensarci su. Come poteva dire alla sua nipotina quelle cose così terribili che inevitabilmente le avrebbero condizionato la vita? Già in quel momento mentre la osservava, si rendeva conto di quanto fosse smarrita, ferita, assente quasi, mai l'aveva vista in quello stato e la cosa le faceva paura. Poteva quella ragazza che già aveva sofferto così tanto nella sua vita, reggere una simile verità? Socchiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro. Era ora di dirle tutto, non poteva più tacere e né permettere che Marotti la manipolasse. “Violetta.” Poggiò una mano sulla sua e finalmente la ragazza la guardò, risvegliandosi da quella sorta di apatia in cui si era rifugiata fino a quel momento. I suoi occhi però erano spenti, privi di emozione, cosa che spaventò ancora di più la bionda. Cosa le aveva detto quel mostro per ridurla in quello stato? “Io non so cosa lui ti abbia detto, ma ti prego di permettermi di spiegare,” iniziò con un filo di voce. Violetta sospirò, ricambiando la stretta delle loro mani. “Mi ha detto di essere mio padre...lui e la mamma, loro... hanno tradito papà,” balbettò, con gli occhi lucidi. “C..come?” Angie sgranò gli occhi, sicura di aver capito male. Ecco perché sua nipote era così devastata, lui la aveva fatto credere che... Scosse il capo, non riusciva nemmeno a pensarci. Come poteva quell'uomo essere così squallido e disgustoso? Una lacrima sfuggì al suo controllo e lei la lasciò scorrere lungo la guancia, avvertendo un dolore sempre più insostenibile alla base del cuore. “è vero,” ammise a fatica. “Lui è il tuo vero padre, ma le cose non sono andate come ti ha detto.” Un lampo attraversò lo sguardo, fino a quel momento vuoto, di Violetta. “Che vuoi dire? Solo perché è tua sorella, non significa che devi giustificarla o...”
“Basta, smettila!” Esplose Angie, lasciandola a bocca aperta. “Maria non ha mai tradito German, lei lo ha amato fino al suo ultimo respiro. Su questo posso metterci la mano sul fuoco.” La ragazza la fissò, scettica. “Lo hai detto tu stessa, Marotti è mio padre.”
La Saramego si asciugò le lacrime con il dorso della mano, sforzandosi di riprendere la calma. Avrebbe dovuto immaginarlo che Emilio avrebbe costruito una sua versione distolta per poter manipolare Violetta, perciò non doveva sorprendersi tanto. Lui, nonostante fossero passati tanti anni, non era mai cambiato, era sempre lo stesso squallido uomo disposto a tutto per ottenere ciò che voleva e in quel momento voleva sua figlia. Angie però avrebbe fatto tutto ciò in suo potere per salvare sua nipote e non si sarebbe arresa finché non ci fosse riuscita. “Ti sei mai chiesta perché io e tua nonna fossimo tanto contrarie alla tua storia con Leon?” Violetta corrugò le sopracciglia, confusa. Proprio non riusciva a capire perché la zia le avesse posto quella domanda, in un contesto in cui c'entrava poco o nulla. “Leon ci ricorda tanto tuo padre, German,” spiegò la bionda, lasciandola a bocca aperta. “La famiglia Castillo e la famiglia Vargas non sono molto diverse tra di loro, un tempo facevano affari insieme e di certo non erano affari leciti. German ne era coinvolto esattamente come Leon.”
Lo stupore più totale attraversò lo sguardo della giovane. “Quindi papà...?”
“Si,” confermò la bionda. “Come Leon, anche lui si è innamorato di una brava ragazza ma aveva tanti scheletri nell'armadio. Tu non hai conosciuto tuo nonno, lui era esattamente come il padre di Leon, aveva accettato che suo figlio volesse cambiare vita per la donna che amava, ma Marotti no. Ti ha detto di essere nato dal secondo matrimonio di tuo nonno, giusto?” Quando Violetta annuì, lei proseguì. “Emilio era quello più coinvolto negli affari di famiglia e...e credo si fosse infatuato di tua madre, ma lei non lo ha mai ricambiato, mai.”
“Zia,” la interruppe lei, confusa. “Non capisco dove vuoi arrivare con questo discorso. Cosa...”
Angie la interruppe, scuotendo il capo. “Non pensavo che ne avrei mai parlato con qualcuno, ma dopo averlo detto a Pablo è giusto che anche tu sappia.” Tacque per alcuni istanti, specchiandosi negli occhi nocciola della nipote. “Violetta, tutti noi abbiamo in passato sottovalutato Marotti e la cosa ci si è ritorta contro, perciò ti prego, non permettergli di insinuarsi nella tua vita. Tutto ciò che ha toccato lo ha distrutto e non esiterebbe a farlo anche con te.” Violetta annuì, tirando su col naso. Era nervosa, spaventata da ciò che la zia poteva raccontarle, ma doveva saperlo assolutamente. Se c'era anche solo una minima possibilità di ripristinare l'idea che aveva di sua madre prima di parlare con Marotti, doveva tentare anche a costo di uscirne con il cuore a pezzi, tanto ormai ci era abituata. “Ti prego, zia, raccontami tutto.” Dio solo sapeva quanto la bionda avrebbe voluto scappare via ed evitare quella conversazione, rievocare quei ricordi le faceva troppo male, ma non poteva permettere che Marotti distruggesse il ricordo che sua nipote aveva di sua madre. Intrecciò la mano con la sua, lo sguardo fisso nel vuoto. “Forse Leon te lo ha detto, spesso quando uno di loro vuole uscire da quell'ambiente deve pagare una sorta di pegno e...Marotti lo ha preteso da tua madre.” Quasi con timore guardò la ragazza e ciò che vide nei suoi occhi, era la confusione più totale. “Un pegno? Zia, cosa...?” Si interruppe all'improvviso, incapace di aggiungere qualsiasi cosa. Nella sua mente non facevano altro che ripetersi quelle parole e a poco a poco assumevano un significato preciso, peccato che fosse anche il più terribile e impensabile, l'unico che mai aveva preso in considerazione. “Ti prego, dimmi che non l'ha costretta...dimmi che...” balbettò, avvertendo le lacrime scorrerle a fiumi lungo le guance. La verità non poteva essere quella, non poteva a basta. Gli occhi di Angie, a loro volta velati di lacrime, furono però più eloquenti di qualsiasi risposta e Violetta avvertì chiaramente la terra mancarle sotto i piedi, oltre a una sensazione di vuoto propagarsi in ogni cellula del suo corpo. “Ha minacciato di uccidere German e qualsiasi altra persona a cui tenesse,” soffiò la donna, in seguito a un singhiozzo. “Lei si è sacrificata per proteggere tutti noi. Violetta, noi volevamo tenerti al sicuro per questo non te lo abbiamo detto prima. Tua madre voleva solo che tu fossi felice, ignara di questo schifo,” singhiozzò ancora, sfiorando la guancia della nipote con una leggera carezza. Lei deglutì, poi si gettò tra le sue braccia. In pochi istanti, entrambe si ritrovarono a piangere, strette l'una all'altra. “Ora capisci perché io e la nonna non volevamo dirti nulla?” Le chiese Angie, continuando a cullarla a se. “è tutto così orribile e volevamo evitarti questa sofferenza. Tua madre avrebbe voluto così.” Violetta annuì, tirando su col naso e sforzandosi di fermare il corso delle lacrime. “Per questo aveva così paura di lui...poi tu e la nonna...papà...quell'uomo è un mostro.” Abbandonò ancora il volto contro il petto della zia, lasciandosi sfuggire altre lacrime. Come aveva potuto pensare male della sua dolce mamma? Come poteva essersi fatta abbindolare da Marotti in quella maniera? Che razza di figlia ingrata era? Lei avrebbe dovuto capire che le stesse mentendo, così come avrebbe dovuto comprendere il motivo del terrore di Maria in quella pagina di diario. Come aveva fatto a non arrivarci prima? Lei non era frutto di un tradimento, ma di un ricatto, di una molestia...la sua povera mamma aveva passato le pene dell'inferno per colpa del fratellastro di suo marito. Paradossalmente aveva trovato pace quando quel maledetto incidente aveva stroncato la sua vita e quella di German. Chissà quante volte Marotti l'aveva tormentata, quante volte lei aveva rivissuto quel terribile momento e quanto esso l'aveva condizionata. Il calvario che Maria aveva dovuto passare si poteva solo immaginare e ancora una volta Violetta si sentì in colpa, non solo per non averlo capito, ma anche per averla giudicata nella sua mente dopo la conversazione con Emilio. Non avrebbe dovuto dubitare di lei, né tantomeno lasciarsi manipolare da quell'uomo. Avrebbe dovuto chiederla ad Angie e Angelica la verità, loro erano la sua famiglia e le uniche che mai le avrebbero fatto del male. Che stupida ingenua era stata. Mentre se ne stava raggomitolata tra le braccia della zia, un altro pensiero attraversò la sua mente. Lei somigliava a quel mostro? A sua madre era mai accaduto di vederlo riflesso nei suoi occhi? E German? Come era riuscita a non crollare mai davanti al marito? Quanto poteva essere stata forte Maria Saramego?
“Zia.” Sollevò di poco il capo, specchiandosi negli occhi della bionda. “Tu e la nonna quando lo avete saputo?” Angie allora le raccontò di quel giorno dopo il viaggio di nozze della sorella maggiore e poi in ospedale, quando era in fin di vita. “Per anni mi sono chiesta come abbia fatto Maria a sopportare un simile fardello. Io ne sono tuttora tormentata, tanto che la sera devo prendere sempre una tisana per riuscire a dormire e da quando siamo qui, le cose sono anche peggiorate.”
“Povera la mia mamma,” sussurrò Violetta, perdendosi a guardare le persone che passeggiavano per il parco a diversi metri da loro. “Cosa ha dovuto passare e tutto per colpa di quel mostro.” Angie annuì, scostandole una ciocca di capelli dal volto umido. “A volte avrei solo voluto procurarmi una pistola o un coltello e fargli assaggiare la nostra stessa sofferenza,” ammise, per poi tacere di colpo. Perché non pensava prima di parlare? Come le era saltato in mente di dire una cosa del genere di fronte a una Violetta ancora tanto vulnerabile? La ragazza però non disse nulla, al contrario scrollò le spalle e socchiuse gli occhi, facendo ondeggiare le loro mani intrecciate. “Tu credi che la pagherà mai per quello che ha fatto?” Buttò lì, scrutando la zia con la coda dell'occhio. Sapeva che denunciare un tipo come Marotti sarebbe stato inutile esattamente come lo sarebbe stato in passato, d'altronde non avevano prove concrete e poi sicuramente lui aveva tante conoscenze che lo avrebbero salvato o vendicato, ma un minimo di giustizia doveva pure esserci, no? Angie sospirò, circondandole le spalle con un braccio e attirandola a se. “Lo spero, è l'unica cosa che in questi anni mi ha permesso di andare avanti.” A quel punto lasciarono che il silenzio prendesse il sopravvento, continuando ad abbracciarsi e a lasciarsi sfuggire qualche lacrima carica di amarezza. Sentivano addosso quanto quella conversazione tanto temuta avesse inevitabilmente portato le sue conseguenze. Qualcosa era cambiato, sia Violetta che Angie se ne rendevano conto, così come sapevano che non sarebbe stato facile ricominciare come se nulla fosse accaduto e proprio per quello, necessitavano del sostegno l'una dell'altra, un sostegno che sapevano non sarebbe mai mancato. Insieme potevano farcela. Pablo lo ripeteva sempre durante le sue lezioni, Juntos somos mas e loro avevano a tutti i costi bisogno di crederci.



Diego varcò la porta che conduceva alla piscina al chiuso dell'albergo, mentre un accenno di sorriso increspava le sue labbra. Tra le mani reggeva un sacchetto di carta, su cui era inciso il nome di un noto bar del posto. Francesca era lì, seduta su una delle sedie di plastica che costeggiavano la piscina, impegnata in una fitta conversazione al cellulare con Camilla. Da quando Violetta e Angie erano tornate, la Castillo era chiusa in un mutismo profondo, nemmeno una parola di ciò che si era detta con Marotti e con la zia era stata proferita, cosa che aveva suscitato una certa preoccupazione in tutti loro, soprattutto nella Cauviglia. Diego la vedeva nervosa, agitata, inquieta e più volte aveva tentato di convincerla ad aprirsi con lui, ma non c'era riuscito. Con Camilla invece parlava sottovoce freneticamente, sembrava un vero e proprio sfogo, anche se da quella distanza non riusciva a capire cosa dicesse. Prese un profondo respiro, poi avanzò di qualche passo, appoggiandosi con la schiena contro uno dei tavoli di plastica accanto alla porta e nascondendo il sacchetto dietro di lui. Lo sguardo nel frattempo saettava sulla ragazza, scrutandone ogni particolare. I lunghi capelli corvini erano raccolti in una treccia sulla spalla sinistra, alle orecchie portava dei piccoli orecchini d'oro. Continuamente si torturava l'orlo della camicetta a fiori che indossava e si mordeva il labbro inferiore. Era tormentata, ogni suo gesto lo confermava e sperava davvero che l'idea che aveva avuto per risollevarle l'umore funzionasse. Non era un grande esperto in materia, da quando stavano insieme si era spesso sentito un idiota e aveva avuto bisogno di molti consigli, quelli di Leon e Violetta in primis, ma ora per la prima volta se l'era cavata da solo e temeva seriamente di fallire. E se Francesca lo avesse ancora una volta allontanato?
“Diego.”
Sussultò, rendendosi conto che la ragazza fosse in piedi a pochi passi da lui, sorpresa. “Da quanto sei qui?” Lui scrollò le spalle, abbozzando un mezzo sorriso. “Qualche minuto. Volevo passare un po' di tempo con te, ma eri al telefono e perciò ho preferito aspettare.” Lei annuì, riponendo il cellulare nella tasca dei jeans. “Non mi va di parlare di Violetta o di quell'uomo, te l'ho già detto,” mormorò, facendo per superarlo, ma lui le prese il polso costringendola a voltarsi. “Non volevo parlare di loro, ma di noi. Sembra che tu abbia innalzato un muro e non riesco ad abbatterlo.” Francesca lo guardò dispiaciuta, poi però annuì. “Hai ragione,” ammise con un filo di voce. “Il fatto è che non ho mai avuto tanta paura in vita mia e...sapevo che la verità potesse essere terribile, ma non credevo lo sarebbe stata così tanto...Diego, io mi sento così inutile, impotente. Vorrei aiutare Violetta, ma non so come...” Tirò su col naso, tentando di contenere le lacrime, ma i suoi occhi scuri erano già lucidi. Diego le prese le mani e la tirò a se, facendole poggiare il capo contro il suo petto. Ecco cosa tormentava Francesca, si sentiva inetta di fronte al dolore della sua amica, come aveva fatto a non capirlo? “Ehi, va tutto bene,” la rassicurò, accarezzandole il capo. “So cosa provi, anche io vorrei fare qualcosa, ma al momento non possiamo fare nulla. Possiamo solo aspettare.” Lei non disse nulla, limitandosi a stringersi maggiormente a lui. “Cosa c'è in quel sacchetto?” Chiese però all'improvviso, mentre un sorriso carico di curiosità le increspava le labbra. Diego si voltò di scatto, afferrando la busta di carta e nascondendosela dietro la schiena. “Mmm...una sorpresa,” sogghignò. “Ma te la faccio vedere solo se mi fai un sorriso.” Francesca si accigliò, poi lo accontentò aprendosi in un grande sorriso. A quel punto lui le porse il sacchetto, che lei aprì emozionata. Subito un profumo delizioso le invase le narici. Erano due grandi brioche al cioccolato e sembravano appena sfornate. “Un tipo mi ha detto che sono le più buone della città.”
“Wow,” commentò lei, stringendo a se il sacchetto e inspirandone il profumo. “Amo le brioche, potrei vivere di esse. Grazie,” aggiunse, sorridendo dolcemente e schioccandogli un bacio sulla guancia. Lo prese poi per mano e lo condusse verso la piscina, indicandogli il grande canotto dove era avvenuta la loro prima volta. Dopo essersi scambiati uno sguardo complice, si sdraiarono su di esso e recuperarono dal sacchetto le invitanti brioche. Iniziarono a mangiarle con gusto, mentre qualche goccia di cioccolato colava inevitabilmente sulle loro mani. Se Francesca tentava di ripulirsi con un fazzoletto, Diego ridacchiava progettando un nuovo gioco per farla innervosire. Diventava ancora più carina quando si arrabbiava e poi così si sarebbe distratta almeno qualche minuto dal tormento di non poter aiutare Violetta. Si girò su un fianco, poi senza pensarci troppo le sporcò il naso di cioccolato. “Diego!” Esclamò lei, sconvolta. “Ops,” ghignò il ragazzo, facendo per sporcarla ancora, ma fu ricambiato con la stessa moneta con uno schizzo dritto in faccia. Da lì partì una vera e propria lotta a suon di risate e cioccolato e terminò solo quando rischiarono di finire in acqua. “Che disastro,” rise Francesca, notando i loro volti e i loro vestiti tutti macchiati. Lui ridacchiò, racimolando dei fazzoletti per pulirsi. “Forse cadere in acqua non sarebbe stato così male, siamo tutti appiccicosi.” Si guardarono per alcuni istanti, poi scoppiarono a ridere. “Sei carina anche così,” mormorò Diego all'improvviso, sollevandole il mento con due dita e specchiandosi nei suoi occhi scuri. “Anzi, forse lo sei ancora di più.” Fece sfiorare i loro nasi, addentandole poi il labbro inferiore. “Mmm...profumo di cioccolato, gustosa,” soffiò maliziosamente, prima di coinvolgerla in un bacio appassionato. Francesca gli allacciò le braccia al collo, ricambiando il bacio e attirandolo ancora di più a se. Si stavano ancora baciando, quando avvertirono chiaramente qualcuno schiarirsi la voce. Imbarazzati, si voltarono di scatto verso la porta, mettendo a fuoco la figura di Marco. Il ragazzo a sua volta sembrava a disagio, ma poi abbozzò un sorriso. “Ehm, non volevo disturbarvi. Dobbiamo terminare di fare le valigie, papà ha detto che partiamo tra un paio d'ore.”
“Oddio!” Francesca saltò subito giù dal canotto, allarmata. “Ho ancora un sacco di cose da mettere a posto e devo anche farmi una doccia.” Diego la raggiunse prontamente, non potendo fare a meno di ridere. “Sembriamo delle esche per formiche.”
“Tutta colpa tua, sei un selvaggio,” ribattè lei divertita, raggiungendo Marco accanto alla porta. “Hai parlato con Violetta?” Lui scosse la testa. “è rimasta tutto il tempo in camera con mia madre.” La ragazza si limitò ad annuire e dopo aver salutato i due, corse in camera lasciandoli soli.
“Lei ti rende felice.” Diego, che stava recuperando le ultime cose, si bloccò di colpo alle parole del fratello. “Hai una luce negli occhi che non ti ho mai visto prima,” continuò il minore, avanzando verso di lui e dandogli una pacca sulla spalla. “E anche Francesca, si vede che ti ama tanto.” L'altro annuì. “E io amo lei. È la cosa migliore che mi sia mai capitata.”
“Si,” concordò Marco con un sorriso malinconico. “È una ragazza speciale.” Si perse poi a guardare un punto indefinito ai suoi piedi e Diego comprese chiaramente che suo fratello provasse ancora qualcosa per l'italiana. “Marco, mi dispiace...non avrei dovuto parlare di lei...” iniziò, ma il ragazzo lo interruppe scuotendo il capo. “Sono io che l'ho nominata e se l'ho fatto, è perché inizia a fare meno male, davvero.” Il fratello corrugò le sopracciglia, guardandolo attentamente. “Non devi mentirmi e nemmeno sentirti costretto a farmi da confidente, sappiamo entrambi quanto faccia schifo come persona.”
“Non è così,” ribattè Marco. “Voglio davvero costruire un rapporto con te e ripeto, se fino ad ora non ci siamo riusciti è per colpa di entrambi.” Diego gettò nella spazzatura i fazzoletti sporchi di cioccolato, gesto più che altro per prendere tempo. Nonostante tutto, continuava a pensare di aver sbagliato molto più di suo fratello e il fatto che ora Francesca stesse con lui lo confermava. “Hai finito di colpevolizzarti?” Sbottò il minore all'improvviso, costringendolo a voltarsi verso di lui. “Lo sapevo fin dall'inizio che non avrebbe funzionato tra me e lei, ci sei sempre stato tu nel suo cuore.”
“Marco,” provò, ma l'altro lo interruppe. “L'unica cosa che mi interessa adesso è recuperare il rapporto con mio fratello. Le ragazze vanno e vengono, il legame di sangue resta. Proviamoci, Diego, proviamo a far funzionare le cose.” Diego lo guardò per alcuni istanti, poi annuì. Se l'ultima volta era mancato il coraggio, in quel momento fu la cosa più spontanea del mondo stringersi in un forte abbraccio. Mai avrebbero pensato che sarebbe accaduto o che ne avrebbero tanto sentito il bisogno, forse dopotutto quella città non era solo fonte di dolore; per Marco e Diego rappresentava un'occasione, quella di ricominciare tutto daccapo e di essere finalmente ciò che non erano mai stati l'uno per l'altro... dei fratelli.



Leon fece tintinnare i cubetti di ghiaccio nel suo bicchiere più e più volte, mentre seduto comodamente su un pregiato divano in pelle nera, attendeva. Prima di decidere il da farsi si era interrogato a lungo, considerando i pro e i contro e alla fine si era ritrovato lì, convinto che fosse l'unica cosa giusta da fare. Forse se ne sarebbe pentito, forse le conseguenze sarebbero state devastanti, ma a lui non importava. Il fine giustificava i mezzi in ogni caso ed era pronto a pagare qualsiasi pegno, non era di certo il tipo che si tirava indietro lui.
“Che diavolo ci fai tu qui?”
La porta si spalancò all'improvviso, rivelando l'elegante figura di Emilio Marotti. “Come hai fatto ad entrare?” Leon ridacchiò, riponendo sul tavolino di cristallo il bicchiere ormai vuoto. “Mi delude. Dovrebbe saperlo che non esistono posti dove un Vargas non possa entrare.” L'uomo contrasse la mascella, pronto a ribattere qualcosa, poi però ci ripensò e chiuse la porta, raggiungendolo con pochi passi. “Vedo che ti sei già servito,” commentò, riempiendosi un bicchiere di whisky e indicando con un cenno quello riposto poco prima dal ragazzo. Vargas si passò la lingua sulle labbra, facendola in seguito schioccare sotto il palato. “Ho notato la credenza dei liquori e non ho resistito. Spero non le dispiaccia,” aggiunse con un sogghigno.
“Affatto,” ribattè l'altro, anche se dal suo sguardo era evidente che la cosa lo avesse infastidito. “Come mai sei venuto?” Riprese, sedendosi sulla poltrona alla sua sinistra, anch'essa rivestita in pelle nera. Sembrava così tranquillo, rilassato, forse solo un po' curioso e la cosa accrebbe ancora di più la rabbia di Leon. Come poteva comportarsi in maniera tanto disgustosa e poi fingersi un'anima innocente? Lo detestava con ogni fibra del suo essere e avrebbe solo voluto strangolarlo. Aveva però imparato a sue spese, che solo chi aveva pazienza e un gran sangue freddo ne usciva vincitore e proprio per quello, abbozzò un sorriso tirato. “Forse può immaginarlo, si tratta di Violetta,” spiegò, scrutando attentamente la reazione dell'uomo. Egli si irrigidì, ma in un attimo camuffò il tutto con un sorriso. “Oh, la mia nipotina. È una ragazza davvero in gamba,” commentò, scolandosi un lungo sorso di liquore. Ancora una volta Leon avvertì il desiderio di aggredirlo. Stava lottando con tutto se stesso per mantenere la calma, ma se lui continuava con quell'atteggiamento, non avrebbe resistito a lungo. “Curioso,” mormorò, prendendo la bottiglia di whisky, ormai piena per metà e riempiendosi il bicchiere fino all'orlo. Consapevole di avere addosso lo sguardo dell'uomo, si concesse un lungo sorso, per poi continuare. “A quanto si dice in giro, lei non è semplicemente uno zio per Violetta, o sbaglio?” Emilio sbiancò paurosamente, tutta la sicurezza che aveva ostentato fino a quel momento svanì di colpo. Leon Vargas sapeva la verità, ne era sicuro. In quel momento in quegli occhi verdi l'uomo vedeva riflessa ogni sua singola colpa, cosa che prima di allora gli era accaduta solo con il nonno del ragazzo. Era un Vargas fino in fondo, non c'erano dubbi. Chissà come c'era finito con una brava ragazza come Violetta, stentava a credere che Angie e Angelica non si fossero opposte, considerati poi i precedenti con lui, Maria e German. “Violetta è sua figlia, non è così?” Riprese il giovane, contraendo la mascella. L'uomo chiuse gli occhi e sospirò, cercando di riprendere il controllo. “Se lo sai già, perché me lo chiedi?” Sbottò, non potendo evitare di far trapelare un accenno di stizza. Leon ruotò gli occhi, sorridendo divertito. “Sentirselo dire ha tutto un altro significato. Quello che non capisco è come può Maria Saramego essere finita con uno come lei. Senza offesa, ma non è che ispira molta fiducia,” gli fece notare, sollevando un sopracciglio. Emilio sorrise. “Potrei farti la stessa domanda. Cosa ci trova Violetta in te? Sei un delinquente della peggior specie e chissà quanti scheletri nell'armadio hai.” Il giovane non si scompose, al contrario il suo sorriso si accentuò. “Ha ragione, non sono un santo e mai lo sarò, ma sto facendo del mio meglio per rimediare. Lei può dire lo stesso?”
“Parla chiaro, di cosa mi stai accusando?” Abbandonata qualsiasi forma di autocontrollo, Marotti scattò in piedi, agitando freneticamente le braccia. “Non ho tempo da perdere con i tuoi giochetti, perciò lasc...”
“Ha costretto Maria a concedersi a lei perché non ricambiava i suoi sentimenti. L'ha ricattata, lo ammetta,” lo interruppe Leon, alzandosi a sua volta. “Ha minacciato di uccidere German e chiunque altro della sua famiglia e ha fatto anche in modo che restasse incinta.” L'uomo si irrigidì, ma non battè ciglio quasi la cosa non lo riguardasse. “Sono tutte sciocchezze, non sai quello che dici. Io e Maria ci amavamo,” sentenziò tranquillamente, cosa che fece scoppiare a ridere il ragazzo. “Non secondo le informazioni che ho raccolto in giro.” Facendolo sembrare un gesto incurante, si sfiorò la tasca dei pantaloni, cosa che a Marotti non sfuggì. “Tu non sai niente.”
“Se ne è così sicuro, perché sembra tanto preoccupato?” lo derise Leon, continuando ad accarezzarsi lo scomparto dei jeans. “è incredibile quante informazioni si possono ottenere quando sono pagate profumatamente.” Emilio deglutì, voltandogli poi le spalle e avvicinandosi alla credenza dei liquori, su cui fece adagiare la fronte e i palmi delle mani. “è vero,” ammise dopo lunghi minuti di teso silenzio. “Ho costretto Maria a concedersi a me e ho fatto in modo che rimanesse incinta. IO L'AMAVO, L'AMAVO!” Aggiunse, fuori di se. “Per lei esisteva sempre e solo German, non capiva quanto contasse per me. Ho pensato che se avessimo avuto un figlio nostro, lei avrebbe scelto me e invece... anche quando sono andato da lei con quel test del DNA, ha continuato a rifiutarmi e ha detto che la bambina fosse di German, ti rendi conto? Ha minacciato di dire la verità al marito, a mio padre e chissà a chi altro, allora sono tornato a Venezia e ho tentato di dimenticarla e di rifarmi una vita, ma è stato inutile. Quando German mi ha detto che era qui in Italia con lei e Violetta, ho pensato che fosse una grande occasione per me e...ma non sono arrivato in tempo! Ero in Spagna per degli affari e quel maledetto aereo ha avuto un ritardo, un ritardo! Erano già andati via quando sono arrivato, ho perso l'occasione di vedere mia figlia e la donna che amavo e non potevo accettarlo, così li ho raggiunti a Buenos Aires. Maria mi ha rifiutato ancora e...era sempre più diffidente e spaventata. Non riuscivo a sopportarlo. Perché non poteva amarmi? Perché non potevamo formare una famiglia? Si, ero stato crudele con lei, ma lo avevo fatto per amore. Tu puoi capirmi, no? In fondo veniamo dallo stesso ambiente, per noi è...”
Si interruppe di colpo, impallidendo paurosamente. Alle sue spalle non c'era solo Leon, ma anche Pablo e quest'ultimo reggeva tra le mani una videocamera. Entrambi avevano un sorrisetto soddisfatto stampato in faccia. “Cosa? Come? Che sta succedendo?” Balbettò Marotti, sconvolto. Gli avevano estorto una confessione con l'inganno, il ragazzo e Galindo, lo avevano fregato. “Ero nascosto in bagno,” disse il marito di Angie, spegnendo la videocamera. “Sapevamo di non avere prove per denunciarti e così ce le siamo create.” Leon annuì, dando all'uomo una pacca sulla spalla. Emilio però non si infuriò come si aspettavano, al contrario scoppiò a ridere, una risata fredda e crudele. “Avete dimenticato chi sono io? Se mi denunciate, i miei amici mi tireranno fuori e ve la faranno pagare.”
Vargas e Galindo si scambiarono un'occhiata, poi il giovane sorrise. “Se i suoi amici sapessero che ha toccato una donna, non penso che sarebbero così collaborativi. Sappiamo entrambi che per quelli del nostro ambiente le donne non si sfiorano nemmeno.”
Per alcuni istanti Marotti non disse nulla, poi iniziò a correre verso la porta, ma quando la spalancò si ritrovò di fronte due poliziotti. “Lei non va da nessuna parte, è in arresto,” disse uno dei due, mentre l'altro lo immobilizzò per poi ammanettarlo. “Ora la portiamo in centrale, ha molte cose da dirci.” L'uomo tentò di ribellarsi, urlando frasi sconnesse, ma gli agenti riuscirono a tenerlo a bada, facendosi consegnare da Pablo la videocamera. “Avete fatto un ottimo lavoro. Abbiamo prove sufficienti per tenerlo dentro molto a lungo.” Galindo annuì, stringendo la mano ai due poliziotti. “Finalmente sarà fatta giustizia.”
“Aspettate.” Avevano quasi varcato la porta, quando la voce di Leon li costrinse a voltarsi. “Cosa c'è, ragazzo?” Chiese il primo agente. Lui non rispose, lo sguardo fisso su Marotti. “Marcisca all'inferno,” sbottò, cogliendo tutti di sorpresa e colpendolo con un violento pugno in pieno naso. Se l'uomo non finì a terra, fu perché era sostenuto dai poliziotti. Il sangue nel frattempo, iniziò a scorrergli lungo il mento. “Leon!” Lo rimproverò Pablo, mentre il giovane si massaggiava le nocche indolenzite. “Sei impazzito?” Si scusò poi con i poliziotti e trascinò Vargas fuori dalla camera. Leon si sedette sui gradini di pietra che costeggiavano l'ingresso del hotel e Galindo lo affiancò, facendogli una mezza ramanzina, ma lui non lo stava ascoltando. Non faceva altro che pensare a Marotti, allo stupore che gli aveva attraversato lo sguardo quando lo aveva colpito e poi quel sorrisetto fastidioso. Che accidenti aveva da sorridere? Era stato incastrato e si era anche beccato un pugno, perché allora rideva? Gli era sembrato quasi che dietro quel sorriso e quello sguardo ci fosse nascosto un messaggio.

Tu puoi capirmi, no? In fondo veniamo dallo stesso ambiente.

No, lui non era come Marotti, lui era diverso. Non avrebbe mai fatto a Violetta quello che lui aveva fatto a Maria. Eppure le loro famiglie erano molto simili, erano cresciuti con gli stessi valori. In un attimo gli tornò in mente la conversazione con Angelica nel suo giardino. L'anziana donna lo aveva messo in guardia, temeva che la nipote potesse incappare nello stesso destino della figlia. Leon Vargas ed Emilio Marotti, erano davvero così simili? Credeva di essere migliore, di poter davvero rendere felice Violetta, ma ora le paure che aveva avuto precedentemente erano tornate a ripresentarsi. E se, come German, anche lui avesse avuto un Marotti nella sua famiglia che avrebbe potuto fare del male a Violetta?
“Leon?” Pablo lo scosse diverse volte e a quel punto non potè più ignorarlo. “Se non lo avessi colpito tu, lo avrei fatto io,” sorrise l'uomo, lasciandolo a bocca aperta. “Ho sbagliato a giudicarti, sei un bravo ragazzo in fondo.” Sembrava così convinto delle sue parole e Leon non potè fare a meno di chiedersi se non stesse sbagliando. Galindo era un uomo intelligente, non gli avrebbe mai detto quelle cose se non fosse stato convinto, no? Quasi gli avesse letto nel pensiero, Pablo gli circondò le spalle con un braccio. “In questi mesi hai dimostrato a tutti noi di meritare l'amore di Violetta, perciò benvenuto in famiglia, Leon.” A quel punto lo abbracciò, gesto che gli fece sgranare gli occhi, ma allo stesso tempo gli riscaldò anche il cuore. Lo zio di Violetta, uno dei suoi principali oppositori lo aveva accolto in famiglia. Incredibile. Sorrise, ricambiando l'abbraccio. Avrebbe fatto di tutto per meritare quella fiducia, era una promessa.




Ciao a tutti! :P
Con questo capitolo si conclude in un certo senso la questione delle rivelazioni. Vilu finalmente apprende la verità su sua madre e ora vuole solo giustizia. Diego si sta dimostrando un buon fidanzato, sostenendo e distraendo Francesca e poi abbiamo l'atteso abbraccio tra lui e Marco awwwww :3 infine Leon e Pablo con un tranello fanno confessare Marotti, che finalmente viene arrestato olèèèèè e non dimentichiamo che Galindo ha anche accettato il nostro Vargas in famiglia! *__________*
Vi ringrazio tutti di cuore per sostenermi sempre :3 a prestissimo,
Trilly


 

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Capitolo 40
*** Confrontarsi con la realtà ***





Pablo ripose con cura i documenti nella tasca della giacca, raggiungendo poi la sua famiglia nella zona di attesa dell'aeroporto di Venezia. Violetta era praticamente incollata ad Angie, lo sguardo fisso nel vuoto. Diego era seduto tra Marco e Francesca e parlavano fitto fitto di chissà quale argomento. Leon sembrava tormentato, non faceva altro che lanciare occhiate verso la Castillo, venendo puntualmente ignorato. A chiudere il gruppo c'era Lena, impegnata a scrivere sul suo tablet, anche se non poteva fare a meno di volgere il capo verso Marco con un lasso di tempo quasi calcolato. Di lì a poco sarebbero saliti sull'aereo che li avrebbe riportati a Buenos Aires e l'atmosfera non avrebbe potuto essere più tesa. Li aveva lasciati in quella posizione per andare a fare il check-in e così li aveva ritrovati. In particolare erano Angie, Violetta e Leon a preoccuparlo. La Saramego non si staccava un attimo dalla nipote, che sembrava caduta in una sorta di apatia, cosa che stava avendo delle conseguenze anche su Leon. Era sicuro che il giovane avesse tentato di avvicinarla e fosse sempre stato respinto, il modo in cui cercava il suo sguardo lo confermava. Violetta si era chiusa in se stessa, non parlava e non guardava nessuno, solo Angie era riuscita ad ottenere qualche risposta e si vedeva lontano un miglio che fosse seriamente preoccupata per lei, forse si sentiva addirittura in colpa per ciò che era accaduto con Marotti. Pablo non poteva sopportare di vedere la sua famiglia così sofferente, doveva risolvere le cose in un modo o nell'altro. “Angie,” mormorò, rivolgendosi alla moglie. “Posso parlarti un momento?” La bionda annuì, ma quando fece per alzarsi, Violetta le artigliò il braccio dicendo parole sconnesse. Il puro terrore le attraversava lo sguardo. “Tranquilla,” la rassicurò Angie, accarezzandole il capo. “Cinque minuti e sono di nuovo qui con te.” La ragazza annuì, anche se poco convinta. “Fai presto.” Si mise poi le cuffie alle orecchie, scoraggiando l'ennesimo tentativo di approccio di un amareggiato Leon.
Angie e Pablo si incamminarono nell'affollato aeroporto, fermandosi solo alle spalle della grande edicola. Fu allora che guardandola dritto negli occhi, lui si rese conto di quanto lei fosse vulnerabile e che il sorriso che mostrava in presenza di Violetta fosse solo una maschera. “Angie.” La donna sospirò, abbassando lo sguardo, esausta. “Non ce la faccio più, Pablo.” Si lasciò sfuggire un singhiozzo, gettandosi poi tra le sue braccia. Galindo la strinse forte a se, sentendosi irrimediabilmente in colpa. Quella che doveva essere una vacanza, un modo per staccare la spina, si era trasformata in un incubo ed era tutta colpa sua. Avrebbe potuto portare la sua famiglia dovunque e invece aveva scelto quella maledetta città. Se solo avesse dato retta ai timori di Angie e Angelica, ora sua moglie e sua nipote non si sarebbero ritrovate in quello stato.
“Ho una sorpresa per te,” sussurrò all'improvviso all'orecchio di Angie. “Davvero?” Chiese lei curiosa, sollevando di poco il capo. “Che sorpresa?” La disperazione di poco prima era stata sostituita da un sentimento più genuino e spensierato, quel misto di interesse e divertimento tipico dei bambini, che aveva sempre caratterizzato sua moglie da ragazzina e che gli fece accelerare di tre volte il battito cardiaco. Forse stava facendo la cosa giusta, Angie aveva bisogno di distrarsi, di sapere quanto fosse importante per lui e che avrebbe fatto qualsiasi cosa per vederla felice. “Allora? Dov'è questa sorpresa?” Insistette lei con un sorriso malandrino. Eccolo, il sorriso di cui si era innamorato, quello che lo aveva tenuto sveglio ore intere a fantasticare quando era giovane e che ora aveva ancora lo stesso effetto su di lui. Lentamente fece scorrere la mano nella tasca della giacca, recuperando una piccola scatolina di velluto blu notte. Sotto lo sguardo stupito di Angie, l'aprì. Si trattava di un anello d'oro bianco, che presentava tre piccoli diamanti incastonati. “Sono stato ore a sceglierlo,” ammise Galindo, imbarazzato. “La commessa a un certo punto voleva cacciarmi e così mi sono fatto dare qualche consiglio.” La bionda però non lo stava ascoltando, troppo occupata ad ammirare quel meraviglioso anello. Sin da piccola era sempre stata un tantino vanitosa e possedeva un numero spropositato di orecchini, collane e anelli, ma non aveva mai visto nulla di più bello. Non era un gioiello troppo lavorato o appariscente, al contrario era molto semplice e allo stesso tempo elegante e rappresentava perfettamente la donna che era diventata da quando si era innamorata di Pablo, una persona che di certo preferiva di gran lunga rispetto a quella frivola di un tempo. Sorrise emozionata, sfiorando i contorni dell'anello con l'indice. “Se non ti piace, siamo ancora in tempo per cambiarlo,” riprese Pablo, convinto che il silenzio della moglie fosse motivato dal fatto che non gradisse il regalo. Angie sorrise, scuotendo il capo. “Al contrario, è bellissimo.” Euforico, lui le prese la mano sinistra e le infilò l'anello sopra la fede. Le calzava a pennello, un meraviglioso contrasto con la sua pelle candida. Il sorriso della bionda si accentuò, mentre a sua volta ammirava il regalo del marito. “Oh Pablo,” mormorò con le lacrime agli occhi. “è...è perfetto, grazie.” Pablo sorrise, scostandole una ciocca dorata dalla fronte, per poi stringerla in un forte abbraccio. “Perfetto come te,” le sussurrò dolcemente all'orecchio, facendola rabbrividire. “Ti amo, Angie e farei qualsiasi cosa per vederti felice.” Lei annuì, strofinando il volto contro il suo petto. “Lo so, è così da quando ci siamo conosciuti. Ci sei sempre stato per me. Sei un uomo meraviglioso e non capisco cos'ho fatto per meritarti.” Pablo ridacchiò, anche se aveva assunto la tonalità di un pomodoro. “E io allora? Senza sapere perché, ho la moglie più bella di questo mondo.”
“Ma quanto siamo sdolcinati oggi,” sorrise Angie, sollevando il capo così da specchiarsi nei suoi occhi neri. “E ti dirò, questo mi piace. Mi fa sentire di nuovo un'adolescente, anche solo per qualche minuto.” Lui sollevò un sopracciglio, divertito. “Hai parlato al singolare, quindi io continuo a sembrare un vecchio?” Assunse un'espressione offesa, che la fece scoppiare a ridere. “Se ti può consolare, sei il mio vecchio preferito,” lo prese in giro, facendo però poi sfiorare le loro labbra. “Ti amo, vecchio.” Seppur ancora offeso per quel 'vecchio', Pablo le prese il volto tra le mani e la coinvolse in un dolce e profondo bacio e in quel momento qualsiasi preoccupazione era accantonata. Non c'era nessun Emilio Marotti, non c'erano sensi di colpa, non c'erano preoccupazioni e tutto era perfetto esattamente come quando si erano sposati. Tanti anni erano trascorsi da quel giorno così importante, eppure per loro non era cambiato nulla, continuavano ad amarsi profondamente e a vedere nell'altro l'unico posto sicuro dove rifugiarsi. “è tutto finito, amore, lui non sarà più un problema,” mormorò Pablo alla fine del bacio, sorridendole rassicurante. Lei annuì, sfiorandogli una guancia con una leggera carezza. “Ancora una volta ci sei stato e non solo per me, ma anche per Vilu.” La mente di entrambi andò a Marotti, chiuso ormai nel carcere della città grazie alla confessione che Galindo e Leon gli avevano estorto e non poterono fare a meno di pensare che nonostante tutto, giustizia era stata finalmente fatta. Certo, nulla avrebbe potuto restituire loro Maria e German e cancellare tutte le sofferenze che quell'uomo aveva causato, ma almeno era stato punito e ciò riduceva anche solo di poco il vuoto in fondo alla loro anima. “è tutto finito,” ripetè Pablo, accarezzandole il capo. Angie deglutì, sforzandosi di sorridere. “Spero solo che Vilu riesca a superarlo, mi spaventa vederla in quello stato.” Lui annuì. “è stato un duro colpo per lei, la sua reazione è normale. Ha bisogno di tempo per assimilare e accettare la cosa, ma poi vedrai che si riprenderà. L'importante è che non le facciamo mai mancare il nostro sostegno.” Come al solito era sicuro, tranquillo e Angie si sentì in un certo senso contagiata da tutto quell'ottimismo. Pablo era la persona più forte che avesse mai conosciuto, nemmeno una volta lo aveva visto scoraggiato e voleva credere che anche quella volta avesse ragione. Solo loro, con affetto e pazienza, potevano aiutare Violetta a superare il trauma, era ciò che avrebbero voluto Maria e German, che si prendessero cura della loro bambina e lo avrebbero fatto, a qualsiasi costo. “Hai ragione,” annuì perciò lei alla fine, allacciandogli le braccia al collo e rivolgendogli un grande sorriso. “Solo noi possiamo aiutare Violetta e non dobbiamo arrenderci finché non ci riusciamo.”
“Esatto,” sorrise lui, accostando la fronte alla sua. “Ha bisogno di tempo e affetto, cose che nella nostra famiglia non sono mai mancate, ce la faremo.”
“Ce la faremo,” ripetè Angie, intrecciando la mano con quella del marito, mentre si incamminavano verso i ragazzi. Quella conversazione aveva fatto bene ad entrambi. Pablo aveva visto alleggerirsi i suoi sensi di colpa per quel viaggio, mentre Angie si sentiva più sicura e determinata e aveva detto addio allo sconforto degli ultimi giorni. Un pensiero su tutti li accomunava, la consapevolezza che insieme fossero più forti e che potevano davvero farcela.



Diverse ore erano trascorse da quando l'aereo era decollato, ormai erano già molto lontani dal territorio italiano e la stanchezza iniziava a farsi sentire, o almeno per la maggior parte dei passeggeri. Se all'andata Violetta si era seduta insieme a Leon e Diego e accanto a Francesca, più felice ed emozionata che mai, ora aveva preferito prendere posto accanto a Lena con le cuffie alle orecchie. Pablo e Angie, di fronte alle due ragazze, la fissavano di sottecchi, preoccupati. Non c'era niente da fare, nessuno di loro era riuscito ancora ad estorcerle una parola e l'atmosfera si faceva sempre più tesa e insostenibile.
Leon, seduto accanto a Francesca, sbuffò per l'ennesima volta, scompigliandosi nervosamente i capelli. Diego e Marco, disposti di fronte a loro, si scambiarono un'occhiata, afflitti. Sapevano quanto il ragazzo fosse tormentato per l'indifferenza di Violetta, ma proprio non sapevano cosa fare per aiutarlo. La Cauviglia dal canto suo, aveva riflettuto molto in quelle ore e forse era giunta a una conclusione. Violetta evitava tutti perché stava soffrendo e non riusciva ad esternarlo, mentre Vargas si era convinto di avere davvero delle colpe. Entrambi erano in difficoltà, entrambi avevano bisogno di aiuto. “Non è colpa tua,” sussurrò perciò all'improvviso, attirando su di se l'attenzione dei tre ragazzi. “Quello che sta passando Violetta non dipende da te,” proseguì, sotto lo sguardo confuso di Leon, che poi scosse il capo. “Teme che io possa essere come German o Marotti, inizia a vedere le cose per come sono, evidentemente,” commentò amareggiato, lo sguardo rivolto sulle sue scarpe. “Ma tu non sei come loro!” Sbottò l'italiana, attirando anche l'interesse dei fratelli Galindo, che ora spostavano lo sguardo dall'uno all'altra, curiosi. “Violetta sapeva chi eri quando ha deciso di stare con te, sapeva che ci sarebbero state delle complicazioni e ti ha scelto lo stesso. Ha bisogno di riflettere, ma ciò non significa che ha chiuso con te, dalle tempo.” Gli poggiò una mano sul braccio e gli sorrise rassicurante, lasciandolo a bocca aperta. Le cose tra di loro erano migliorate molto nell'ultimo periodo, ma non credeva che Francesca sarebbe mai stata una sua fan. “In passato ti ho giudicato male e mi dispiace. Tu la ami davvero.”
Leon spostò lo sguardo su Diego e Marco, aspettandosi da un momento all'altro che scoppiassero a ridere, ma nessuno di loro lo fece, al contrario si limitavano a concordare alle parole della ragazza. “Dalle tempo, ma non arrenderti.”
“Ascoltala, lei ha sempre ragione,” annuì Diego, strizzandole l'occhio. “Violetta ti ama e lo farà sempre.” Vargas scosse la testa, alternando lo sguardo dall'uno all'altra. “Si, ma ora è cambiato tutto. Probabilmente mi vede come lui, oppure teme che qualcuno della mia famiglia possa farle del male come è accaduto a sua madre.” L'ultima volta che Leon era apparso tanto insicuro e demotivato, era stato quando Violetta lo aveva lasciato e Diego lo sapeva molto bene. Guardò Francesca, come a voler ottenere la sua approvazione, poi quando lei annuì tornò a rivolgersi all'amico. “Leon.” Si sporse verso di lui, abbassando di poco il tono di voce. “Tu non hai niente a che vedere con mio zio o con Marotti, chiaro? Te ne sei tirato fuori e tuo padre lo ha accettato, non hai nulla da temere. Tuo padre è dalla tua parte, tutti noi siamo dalla tua parte,” aggiunse, accennando a Francesca e Marco che annuirono. “Siamo una squadra ora,” sorrise la Cauviglia. “Incredibile, ma vero,” concordò il minore dei Galindo, anche se palesemente a disagio, dato che non sapeva se effettivamente fosse stato accettato nel gruppo. Certo, ora lui e Diego erano uniti e aveva anche chiarito con Francesca, ma Vargas cosa ne pensava? Lo avrebbe mai accettato o mostrato un minimo di rispetto? Il fratello gli diede una pacca sulla spalla, facendogli sentire il suo sostegno e anche la ragazza gli sorrise. Leon invece non si mosse di un centimetro, continuando a scuotere il capo, perso in chissà quali pensieri. Proprio in quel momento, Diego vide Violetta scattare in piedi ed incamminarsi verso il bagno. Non poteva lasciarsi scappare quell'occasione.



Violetta si chiuse alle spalle la porta del piccolo e angusto bagno, avvicinandosi poi al lavandino e sciacquandosi ripetutamente il volto. Le lacrime nel frattempo le bagnavano le guance, confondendosi con l'acqua. Il cuore le batteva così forte da provocarle dolore e nel suo stomaco si era formata una voragine. Ogni singolo muscolo le doleva come se stesse prendendo fuoco. L'unica cosa che avrebbe voluto in quel momento era lasciarsi andare, crollare nella sua disperazione e davvero non sapeva cosa glielo impedisse. Non riusciva a smettere di pensare a Marotti e a tutto quello che era accaduto in quella città. Quell'uomo, il peggior individuo che avesse mai incontrato, era in realtà suo padre. Tutto il dolore e la sofferenza che aveva provocato a Maria, il clima di terrore che avevano vissuto Angelica e Angie in quegli anni, il modo in cui German se ne era andato senza sapere nulla. Violetta non sapeva che pensare di se stessa. Era figlia di un mostro, un mostro che aveva anche tentato di manipolarla, di farle dubitare della sua stessa famiglia e lei lo odiava. Odiava colui che aveva scoperto essere il suo vero padre, ma allo stesso tempo lo temeva. Sarebbe mai riuscita a superare quelle rivelazioni? Sarebbe mai tornata la ragazza di prima? Se German avesse saputo, l'avrebbe ancora considerata sua figlia o l'avrebbe disprezzata? Un singhiozzo più forte dei precedenti le sfuggì dalle labbra e dovette sostenersi sul bordo del lavandino per non cadere sulle ginocchia. Poteva sforzarsi quanto voleva, ma la verità era che nella sua vita sarebbe inevitabilmente cambiato tutto e lei doveva solo accettarlo.
“Violetta.” Un leggero bussare alla porta, seguito dalla voce di Diego, la fece sobbalzare. “Apri, per favore.”
“Vattene,” ribatté prontamente lei, asciugandosi il volto con della carta. Il ragazzo sbuffò sonoramente, continuando a bussare, imperterrito. “Non puoi evitarci per sempre.”
“Ti ho detto di andartene!” Urlò quasi la ragazza, prendendo il rotolo di carta igienica e gettandolo contro la porta. Per un attimo credette che Diego se ne fosse andato, ma a sorpresa tornò alla carica. “Quello che stai passando non è colpa nostra, chiaro? Smettila di farci pesare questa situazione!” Quelle parole colpirono Violetta peggio di una coltellata. Davvero stava ferendo tanto le persone a cui teneva? Lentamente si avvicinò alla porta e la spalancò, rifugiandosi poi tra le braccia del cugino. Non seppe dire quanto tempo trascorse, sapeva solo che non riusciva a smettere di singhiozzare e Diego, pazientemente, la stringeva a se senza dire una parola, probabilmente perché non sapeva che dire. D'altronde cosa si poteva mai dire in una situazione del genere? “Vilu.” Il ragazzo le prese il volto tra le mani, così da potersi specchiare nei suoi occhi, preoccupato. “Mi dispiace per tutto questo, mi dispiace davvero.” Lei annuì, tirando su col naso. “Io non ce la faccio, fa troppo male.” Scoppiò poi di nuovo a piangere, scossa da rumorosi singhiozzi. “Non sarò mai più quella di prima.” Diego le permise di dare sfogo a tutto il suo dolore, riflettendo nel frattempo su quelle parole. Sapeva che sua cugina stesse soffrendo, ma non credeva l'avrebbe trovata tanto devastata. “Sono figlia di un mostro, Diego,” soffiò la ragazza contro il suo petto. “Un mostro che ha distrutto la vita della mia mamma...papà poi, lui mi ha sempre voluto bene e...non sapeva...” aggiunse altre frasi sconnesse di cui si comprendeva poco o nulla, ma il giovane Galindo non aveva bisogno di spiegazioni. Nessuno poteva capire fino in fondo come dovesse sentirsi, in fondo aveva visto spazzate via tutte le sue certezze e ora le restava solo un'amara verità da digerire. Quante cose sarebbero cambiate, quanti rimpianti e quante colpe ci sarebbero state e chissà quanto tempo avrebbe impiegato quel dolore a colmarsi. Starle vicino sarebbe bastato per aiutarla? “Ti aiuteremo noi ad uscirne, vedrai,” tentò di rassicurarla, ma lei scosse il capo. “Se solo avessi ascoltato la nonna, lei ha sempre avuto ragione su tutto.” Si appoggiò poi con la schiena contro il muro, lasciandosi scivolare sul pavimento e portandosi le ginocchia al petto. “Lei ha tentato in tutti i modi di proteggermi,” continuò, lo sguardo perso nel vuoto. Diego si inginocchiò davanti a lei, prendendola per le spalle. “Forse la nonna aveva ragione su molte cose, ma non su tutto. Lo sapevi che la verità avrebbe potuto essere terribile, ma l'hai voluta sapere lo stesso.” Violetta incrociò il suo sguardo, incredula. “Che vorresti dire con questo?” Sbottò, tradendo una traccia di stizza. “Solo perché lo sospettavo, non significa che non dovrei soffrire!” Diego ruotò gli occhi, esasperato. “Lo so e lo capisco, ma non puoi farlo pesare a Leon, non è giusto! Lui non c'entra nulla con Marotti!” La Castillo tutto si aspettava ma non che suo cugino l'aggredisse in quella maniera. Cosa ne sapeva lui di cosa stava passando? “Tu non hai idea,” iniziò, ma il ragazzo la interruppe, scuotendo il capo. “Hai ragione, non lo so cosa stai provando, ma di una cosa sono sicuro. Ti stai convincendo che la storia potrebbe ripetersi e per questo allontani Leon.”
“Non è vero!” Ribattè Violetta, spingendolo lontano. “E allora perché non gli permetti di avvicinarti?” Violetta incassò il colpo, abbassando lo sguardo. Dopo che Vargas l'aveva ritrovata fuori al teatro e si era gettata tra le sue braccia, lo aveva evitato come la peste seguendo solo il suo istinto, ma qual era il motivo? Quello che diceva Diego poteva essere vero? “La nonna aveva ragione su Venezia,” riprese il ragazzo, rimettendosi in piedi. “Ma la tua storia con Leon non è come quella dei tuoi genitori. Non c'è nessun Marotti e non c'è nessuna tragedia in agguato. Non permettere a tutto questo di distruggere quello che c'è tra te e Leon, ti prego.” Le tese le mani e lei dopo un attimo di esitazione gliele strinse, permettendogli di aiutarla a rialzarsi. “Diego,” provò, ma lui ancora una volta le impedì di continuare. “Sta soffrendo molto per questa situazione, sai quanto ci tiene a te. Ha fatto di tutto per dimostrartelo. Si è trovato un lavoro, ha chiuso con gli affari di famiglia e ha anche fatto arrestare Marotti. Non puoi non tenere conto di questo.” Violetta lo guardò per lunghi istanti, confusa. Sapeva che Diego avesse ragione su tutto, ma allo stesso tempo aveva paura che la storia potesse ripetersi e che lei, come sua madre, potesse uscirne devastata. E se anche nella famiglia di Leon ci fosse stato un Marotti? E se anche lei e Vargas avessero sofferto come Maria e German? Quasi le avesse letto nel pensiero, Diego mormorò: “Tu e Leon potreste essere felici come potreste soffrire, tutto è in mano al destino, ma se non corri il rischio non saprai mai come sarebbe potuta andare. Ti ricordi cosa mi dicevi sempre?” Aggiunse con un sorrisetto complice. “In amore vince chi corre il rischio. Se non fosse stato per te e Leon, io e Francesca non staremmo insieme e perciò ora ti dico la stessa cosa. Lotta per la vostra relazione, fallo fino alla fine.” Violetta ricambiò il sorriso, stampandogli poi un bacio sulla guancia. “Ti prometto che farò la cosa giusta.” Ed era vero, le parole di Diego l'avevano colpita e l'avevano portata a riflettere. Forse aveva preso una decisione troppo affrettata, forse avrebbe dovuto pensare di più ai suoi sentimenti e a quelli di Leon. Avevano lottato tanto per il loro amore e non poteva distruggere in quella maniera un sentimento tanto puro e profondo. Lei e Leon avevano senso solo se stavano insieme, era sempre stato così. Come poteva aver dimenticato un dettaglio così importante? Il suo sorriso si estese e Diego lo ricambiò prontamente, sicuro di aver finalmente scosso qualcosa nel cuore della cugina. Eccola la vera Violetta, quella che da troppo tempo non vedeva e che aveva temuto di non rivedere più. “Andrà tutto bene, tu e Leon ce la farete.” Lei annuì, abbracciandolo di slancio. “Grazie Diego, avevo bisogno di questa scossa.”
“Lo so,” ribattè lui, strizzandole l'occhio. “In questo sono il migliore.”



Marco aveva appena finito di parlare al cellulare con Ana, che lo aveva informato di come stavano andando le cose in loro assenza, aggiungendo tra l'altro di sentire molto la sua mancanza, cosa che lo aveva spiazzato ma allo stesso tempo gli aveva anche fatto piacere. Erano sempre stati grandi amici loro due, insieme ridevano, scherzavano, condividevano pene d'amore e per molto anche il suo odio per Diego. Proprio per quello, non si aspettava che Ana gioisse tanto nel sapere che lui e suo fratello avessero finalmente messo da parte le loro divergenze. “Sono così felice per voi,” gli aveva detto. “Tutto quell'odio vi stava solo facendo del male, ma adesso avete l'occasione per ricominciare daccapo.” Reazione totalmente opposta aveva avuto Lena, che lo aveva rimproverato ricordandogli che Diego non avesse rispetto per lui e che sicuramente lo avrebbe ferito ancora. “Quelli come lui non cambiano, hai dimenticato ciò che ti ha fatto passare?”
Marco aveva ascoltato entrambi i pareri, fermandosi a riflettere poi in un secondo momento. Era chiaro ormai che Lena provasse un piacere perverso nel causare scompiglio e davvero non ne poteva più di sopportarla, era una fortuna che quel viaggio fosse finalmente finito così si sarebbe liberato della sua presenza ossessiva. Era vero, lui e Diego avevano avuto tanti problemi, ma la colpa era da entrambe le parti e lo avevano ammesso, perciò non aveva senso continuare ad odiarsi. Ora che avevano chiarito si sentiva più leggero, come se si fosse liberato di un peso opprimente e non avrebbe potuto essere più soddisfatto. Lentamente attraversò lo stretto corridoio che separava le varie file di poltrone, fino a raggiungere il suo posto. Diego e Francesca non c'erano, ma in compenso c'era Leon. Fu quasi tentato di tornare indietro, dopotutto loro due non avevano mai avuto un buon rapporto. Parlavano civilmente certo, ma non si consideravano più di tanto. Tra l'altro, dopo che Diego lo aveva praticamente difeso di fronte a lui, era sicuro che lo odiasse. Vargas, fino a quel momento impegnato a guardare un film sul suo tablet, lo notò con la coda dell'occhio e gli rivolse un cenno del capo. Marco allora prese coraggio e si rimise al suo posto, proprio di fronte al ragazzo. “Diego e Francesca?” Chiese, tentando di mettere fine a quel teso silenzio. Leon scrollò le spalle. “Diego è andato a parlare con Violetta. Francesca credo dovesse chiamare i suoi.” All'apparenza Vargas sembrava tranquillo, ma in realtà a sua volta era molto nervoso. Sapeva di aver fatto passare le pene dell'inferno a quel ragazzo, sapeva quanto lo avesse odiato e temuto e in un certo senso si sentiva in colpa. Raramente aveva provato dispiacere per coloro che aveva ferito, ma ormai gli accadeva fin troppo spesso e sapeva che fosse per colpa di Violetta. Lei aveva un grande potere su di lui, lo rendeva una persona migliore. “Marco, senti,” iniziò, scuotendo il ragazzo dai suoi pensieri. Galindo infatti, stava pensando a suo fratello e a Francesca, che probabilmente si sarebbero incontrati nel corridoio e se un tempo la cosa lo avrebbe infastidito o ferito, ora si rendeva conto che non gli facesse alcun effetto. A poco a poco l'amore che aveva provato per la mora si stava dissolvendo ed era felice che ora lei amasse Diego. Suo fratello prima della mora non aveva idea di cosa fosse l'amore, mai lo aveva visto tanto vivo e il merito era tutto di Francesca, incredibile quanto lo stesse cambiando, quasi non lo riconosceva e forse era vero anche il contrario. La Cauviglia non aveva mai sorriso così tanto come da quando stava con suo fratello. Quando si guardavano, i loro occhi erano attraversati da una luce così potente da accecarlo. Erano perdutamente innamorati l'uno dell'altra, solo uno sciocco non se ne sarebbe accorto. In ogni caso, le sue considerazioni furono interrotte da Leon. “Penso che abbiamo iniziato con il piede sbagliato.” Sembrava quasi a disagio, cosa che sorprese il giovane Galindo ancora di più delle sue parole. “Non sono stato sempre molto carino con te e...bè, non è una cosa di cui vantarsi, ecco.”
“Stai cercando di scusarti?” Chiese Marco, corrugando le sopracciglia, scettico. Vargas si irrigidì e contrasse la mascella. Mai avrebbe pensato che si sarebbe ritrovato a scusarsi con il ragazzo che aveva sempre preso in giro, quasi non si riconosceva. “Non farmelo ripetere,” sbottò in ogni caso, stizzito, facendolo ridacchiare. In effetti aveva già ottenuto tanto da Leon Vargas, più di quanto avrebbe mai immaginato. “è stato Diego a chiedertelo? Di parlare con me, intendo.” Gli sembrava strano che di punto in bianco lui gli chiedesse scusa, soprattutto quando non aveva mai mostrato il benché minimo interesse a conoscerlo meglio. Di sicuro suo fratello doveva averci messo la buona parola. A sorpresa però, Leon scosse il capo, divertito. “Ammetto che Diego ci ha aggiunto del suo, però è stato soprattutto il tuo comportamento a portarmi a rivalutarti. Sei un bravo ragazzo e una persona corretta.”
“Oh, ehm...grazie,” balbettò il moro a disagio. “Anche tu non sei male, un po' pazzo, ma per il resto sei a posto.” Vargas sorrise, sistemandosi più comodamente sulla sua poltrona. “Credo che la pazzia sia un gene dei Vargas ed è una fortuna che Lara non lo abbia ereditato.” Si guardarono per alcuni istanti, poi scoppiarono a ridere. “Sei il ragazzo giusto per Violetta, ora lo so.” Un lampo di stupore attraversò lo sguardo di Leon. Prima Pablo e ora Marco. I Galindo gli avevano in pratica dato la loro benedizione, incredibile. La cosa ovviamente lo lusingava e sperava davvero di poter risolvere i problemi con Violetta. Sarebbe stato paradossale se lei avesse voluto chiudere proprio ora che avevano tanti sostenitori. “Grazie,” sorrise, tendendogli la mano. Marco lo fissò per alcuni istanti, sorpreso, poi però gliela strinse, abbozzando un mezzo sorriso. Se un giorno qualcuno gli avesse detto che lui e Leon Vargas avrebbero parlato civilmente, avrebbe pensato si trattasse di un folle utopico e invece stava accadendo davvero. Tutte le ostilità, le paure, l'odio, sembravano appartenere ad un'altra vita, lasciando il posto a dei giovani che ormai erano cresciuti e maturati ed erano pronti a ricominciare, sotterrando definitivamente l'ascia di guerra.



Francesca ripose il cellulare nella borsetta e poi uscì dal bagno con un luminoso sorriso stampato in faccia. Aveva parlato a lungo sia con i suoi genitori che con Luca e non poteva negare che le mancassero un sacco. Una settimana lontano da loro sembrava un'eternità. Per un attimo era stata quasi tentata di dire a sua madre che in quel viaggio era diventata una donna a tutti gli effetti, ma poi l'imbarazzo l'aveva frenata. Alla sua genitrice aveva sempre detto ogni cosa, ma parlargliene per telefono non le era sembrata la cosa giusta. Era un discorso importante, delicato e perciò glielo avrebbe detto una volta a casa, magari durante la maratona dei film strappalacrime che erano solite organizzare il mercoledì.
“Ehi.” La ragazza sussultò, notando Diego procedere verso di lei. Sapeva che avrebbe tentato di parlare con Violetta e visto che usciva proprio dal bagno delle donne, si poteva ben sperare sull'esito. “Com'è andata con Vilu?” Gli chiese, osservandolo appoggiarsi pigramente contro la parete al suo fianco. “Non riesco a sopportare di vederla in quello stato.” Abbassò lo sguardo, ma subito Diego la costrinse a risollevarlo, sfiorandole una guancia con una leggera carezza. “Mentirei se ti dicessi che va tutto bene,” soffiò, con un sorriso carico di amarezza. “Vilu è devastata, ha perso tutte le sue certezze, ma non è perduta.” Ci tenne a precisare, facendole tirare un sospiro di sollievo. Aveva più che mai bisogno di quella rassicurazione. “Si è aperta con me, mi ha confessato le sue paure e ha promesso che combatterà, ma noi dobbiamo aiutarla.”
“E lo faremo,” annuì la mora, lasciando che lui la stringesse forte a se facendole poggiare il capo contro il suo petto. “Povera Vilu, ha già sofferto tanto e...farò di tutto per starle accanto, tutto.”
“So che lo farai,” sorrise Diego, accarezzandole la schiena. “Sei un'amica meravigliosa, la migliore.” Le prese poi il volto tra le mani, facendo sfiorare i loro nasi. “Grazie al nostro sostegno ce la farà, vedrai.” Francesca si morse nervosamente il labbro, sforzandosi di ricambiare il suo sorriso. “Abbracciami Diego, ti prego.” Lui la avvolse prontamente tra le sue braccia, lasciandole un bacio sul capo. “Voglio solo che lei stia bene, solo questo.”
Fu lo stesso Galindo, dopo quelli che parvero lunghi minuti, a sciogliere l'abbraccio così da poterla guardare negli occhi. “Allora, mia bella bambolina, come vanno le cose tra Lara e il mio cognatino?” Sghignazzò, alludendo alla conversazione che sapeva la ragazza avesse appena sostenuto con i genitori e il fratello. “Più che bene,” rivelò la mora, euforica. “Non potrebbero essere più innamorati e domenica a pranzo, Luca la presenterà ai miei genitori.”
Diego fischiò ammirato, facendola ridacchiare. “Lara lo sa che sta per entrare nella tana del lupo?” Francesca si finse offesa, incrociando le braccia al petto. “Bè, non potrà mai essere peggio che affrontare tua madre.”
“Che?” Galindo era stupefatto, non si aspettava una risposta del genere, anche se in effetti non poteva darle torto, Angie era stata terribile con lei. Si lasciò perciò trascinare dalla sua ilarità, facendo poi congiungere le loro labbra. “Sei perfida.”
“Ho avuto un buon maestro,” ribattè Francesca, allacciandogli le braccia al collo. Si specchiarono l'uno nello sguardo dell'altra, sorridendosi dolcemente. “In pratica io ti ho resa perfida?” La stuzzicò, facendola scoppiare a ridere. “Se ti può consolare, io ti ho trasformato in un bravo ragazzo, perciò siamo pari.”
Diego si fece di colpo serio, poi cogliendola di sorpresa la baciò con passione. Niente di più vero. Era grazie alla Cauviglia se finalmente era diventato una persona migliore, quello che aveva sempre voluto essere e non avrebbe potuto esserle più grato. “Ti amo,” soffiò contro le sue labbra, facendola sorridere e arrossire, emozionata. “Anche io, Diego, tantissimo.” Si baciarono ancora, poi la mora tornò a fissarlo con un improvviso nervosismo. “Diego, stavo pensando una cosa...ovviamente non sei costretto, ma...mi piacerebbe che ci fossi anche tu a pranzo dalla mia famiglia domenica. Vorrei che loro ti conoscessero, ma...se non sei pronto, io...” Diego sgranò gli occhi, non se lo aspettava proprio. Per un attimo fu quasi tentato di dire di no, ma poi si rese conto che non sarebbe stato quello che voleva davvero. D'accordo, un po' la cosa lo spaventava, non era il tipo che andava a pranzo dai suoceri, però era anche vero che era cambiato tanto grazie all'unica ragazza che avesse mai amato. Ora era un Diego diverso, un Diego che voleva viversi fino in fondo la sua relazione con Francesca e perciò si, era pronto. “Aggiungete un posto a tavola,” sorrise perciò, facendola illuminare di colpo. “Oh Diego!” Lei gli avvolse le braccia al collo, euforica e Galindo subito ricambiò la stretta con il medesimo trasporto. Era felice e convinto delle sue scelte, mai prima di quel momento lo era stato tanto e il merito era tutto della sua Francesca.


Ed eccoci qui al penultimo capitolo, dopo questo solo l'epilogo :P
Allora, non mi ammazzate se non c'è stata la scena del chiarimento Leonetta, ma visto ciò che ha dovuto affrontare Vilu, la cosa sarebbe apparsa un po' frettolosa, ma nell'epilogo ci rifaremo, promesso :3
in questo capitolo abbiamo una Vilu sempre più apatica e chiusa nel suo dolore, mentre una preoccupatissima Angie viene rassicurata dal suo dolce marito Pablito, che le regala un anello awwwwww :3 nel frattempo, abbiamo due importanti confronti che riguardano Leon, il primo con Fran e il secondo con Marco, che lo fanno sentire sempre più accettato in famiglia :3 Finalmente Vilu esterna il suo dolore e lo fa con Diego, che oltre ad offrirle il suo sostegno, mostra il suo animo Leonetta *_______* infine, il nostro Galindo si dimostra una roccia anche per la sua Fran e accetta l'invito dai suoceri :3
L'unica cosa che posso fare ora è ringraziarvi, senza di voi non sarei arrivata fin qui, siete meravigliosi! Grazie! :3 ci vediamo giovedì con l'epilogo!!
besos


 

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Capitolo 41
*** Attimi ***




Esattamente un mese era trascorso da quel viaggio a Venezia, un mese non di certo facile. I brutti pensieri e gli incubi avevano tormentato non solo Angie e Violetta, ma anche Angelica, che quasi si aspettavano di rivedere spuntare Marotti da un momento all'altro. Possibile che il loro incubo fosse davvero finito? Tutte e tre le donne erano state chiamate a testimoniare al processo contro l'uomo, così come Pablo e Leon, quindi avevano la certezza che ormai fosse in carcere, eppure lo stesso non riuscivano a trovare pace. La notte era per loro il momento peggiore della giornata, servivano diverse camomille per prendere sonno e il più delle volte era un sonno tormentato. Un mese era ancora troppo poco per pensare di poter tornare alla normalità. Quella domenica mattina in ogni caso, Angelica e Violetta pensarono bene di trascorrerla al cimitero. Era passato troppo tempo dall'ultima volta che erano andate da German e Maria, soprattutto a causa dello shock dovuto alle ultime vicende, senza contare i tempi per il processo contro Marotti, ma ora si sentivano decisamente pronte.
“Penso che solo adesso tuo madre abbia trovato pace,” commentò l'anziana donna, mentre varcavano i cancelli del cimitero. “Già,” concordò Violetta, stringendosi maggiormente al braccio della nonna. “Ora che colui che ha rovinato le nostre vite sta finalmente scontando le sue colpe.” Lentamente raggiunsero la zona del cimitero dove si trovavano le tombe di German e Maria. Chissà se da lassù li stavano osservando, se stessero tirando un sospiro di sollievo nel sapere che fossero ormai al sicuro. “Vorrei tanto averli qui,” sussurrò la giovane, inginocchiandosi davanti alle tombe e sfiorando quelle foto ingiallite dal tempo con la punta delle dita. “Forse dovremmo cambiare le foto.” Angelica annuì, poggiandole una mano sulla spalla. “Magari possiamo sfogliare i vecchi album e sceglierne delle altre.”
“Si,” sorrise Violetta, accostando la guancia alla mano della nonna. “Su in soffitta ce ne sono tantissimi e sono sicura che troveremo le foto giuste.” Con un piccolo sforzo, Angelica si inginocchiò accanto alla nipote, prendendola per le spalle. “Vilu, tesoro, ascoltami.” La giovane sollevò il capo, così da incrociare il suo sguardo, allora lei proseguì. “Quello che hai scoperto, non ha cambiato in alcun modo le cose. German era e resta tuo padre. Lo sai, vero?” Violetta si sforzò di annuire, ma non sembrava pienamente convinta e perciò la donna riprese prontamente il discorso. “è German che ti ha visto nascere, c'era lui quando hai imparato a camminare e a parlare, lui ti ha educata e ti ha cresciuta. Tutto questo significa essere padre, il vincolo di sangue è solo un dettaglio. Lui ti amava, ti considerava la sua principessa.” Alcune lacrime iniziarono a scorrere lungo le guance della ragazza. La sua mente era attraversata da numerosi ricordi di quando era bambina. German che le rimboccava le coperte e poi le raccontava la favola della buonanotte. Maria che le chiedeva di aiutarla a preparare i biscotti. Loro tre insieme al parco giochi. Gli abbracci, le risate, l'amore. “Sei una Castillo, nipotina mia. Lo eri e lo sarai sempre, nonostante tutto,” le sorrise dolcemente Angelica, accarezzandole il capo. Violetta annuì, tirando su col naso e gettandosi tra le sue braccia. Una serie di singhiozzi le sfuggirono dalle labbra, attutiti contro il petto della nonna. Ne aveva bisogno, disperatamente bisogno di sentirsi dire quelle cose. Per troppi giorni si era tormentata, convinta di non meritare la vita che aveva vissuto, di non meritare un padre come German. Lei era figlia di un mostro, ma non era come lui, lei era diversa. Solo un vincolo di sangue li legava, per il resto era cresciuta secondo gli ideali di German, suo padre era German. Sua nonna, i suoi zii, tutti non facevano altro che ripeterglielo e a poco a poco anche lei iniziava a rendersene conto. Aveva vissuto diciotto anni come una Castillo, quella rivelazione non poteva cambiare le cose. Angelica aveva ragione, il sangue era solo un dettaglio, erano i momenti insieme quelli che contavano davvero e di momenti con German ne aveva tantissimi da ricordare. “Se loro fossero qui ti direbbero la stessa cosa,” riprese la donna, continuando a stringerla a se. “Non è cambiato nulla, Vilu, tu sei sempre tu. La mia nipotina e la figlia di Maria e German, quell'uomo non c'entra niente con te, capito?” Violetta sciolse di poco l'abbraccio per poterla guardare negli occhi, poi lentamente annuì sorridendo con un angolo della bocca. “Grazie nonna, avevo bisogno di sentirmelo dire,” ammise con un filo di voce. “Lo so,” sorrise Angelica, asciugandole le lacrime con i pollici. “Erano troppi giorni che ti vedevo tormentata e non sapevo come affrontarti, ho sbagliato già tanto con te.” Lei scosse la testa, stringendole le mani con le sue. “Non è vero. Tu ti sei presa cura di me e non mi hai mai fatto mancare nulla. Se sono quella che sono è grazie a te, davvero.” La donna sospirò, scrollando le spalle. “Forse si, ma ho permesso al passato di condizionare le nostre vite. Leon non ha niente a che vedere con quell'uomo o con tuo padre, solo ora l'ho capito.” Un singhiozzo le sfuggì, stupendo non poco la ragazza. Aveva sentito bene? Sua nonna aveva cambiato idea su Leon? “Quel ragazzo ti ama davvero ed è disposto a tutto per te, ma io travolta dalla paura non l'ho capito e...mi dispiace così tanto.”
“Oh nonna!” Esclamò Violetta, stringendola forte a se. “Non hai nessuna colpa. Avevi ragione, quando ho iniziato a frequentarlo, Leon non era la persona giusta, lo è diventato dopo. Non hai nulla da rimproverarti, volevi solo proteggermi. Sei la nonna migliore del mondo.” Si sorrisero, emozionate, per poi abbracciarsi con ancora più enfasi. Restarono ancora un po' accanto alle lapidi dei coniugi Castillo, raccontando aneddoti e facendo preghiere con le lacrime agli occhi, finché non furono avvisate che il cimitero stesse per chiudere e perciò si incamminarono verso la macchina della donna con il cuore più leggero. Entrambe in quei giorni avevano avvertito un peso opprimente alla base del cuore, di cui pensavano non si sarebbero mai liberate, ma poi era bastato mettere piede in quel cimitero e parlarsi finalmente apertamente per avvertire una sensazione di leggerezza che da troppo le aveva abbandonate. Certo, il passato era impossibile da dimenticare e le loro ferite non si sarebbero mai rimarginate del tutto, ma quando ormai non ci speravano più avevano ottenuto giustizia e perciò in loro si era fatta strada la speranza, quella di poter ricominciare senza più tormenti o rimpianti. Davanti ai loro occhi ora c'era solo il futuro e avevano più che mai intenzione di percorrere quella strada, con la consapevolezza di essere finalmente pronte e determinate.



“Forza ragazzi, seduti! Un po' d'ordine e di disciplina, non siete scimmie da rodeo!” Gregorio Casal si aggirava come un avvoltoio tra la moltitudine di persone accorse per assistere alle tanto attese olimpiadi di matematica, alle quali sarebbe poi seguito lo show preparato dai ragazzi dello Studio. Il preside del liceo di Marco, e Antonio, proprietario dello Studio, dopo aver collaborato tutto l'anno dato che quest'ultimo aveva affittato alcune aule per preparare le olimpiadi, avevano pensato che sarebbe stato perfetto unire i due eventi. Quindi non c'era da sorprendersi se il grande cortile dello Studio era stato allestito con due palchi. La maggior parte delle persone si aggirava intorno al palco dove si sarebbero svolte le olimpiadi, dato che si sarebbe iniziato con la competizione e ovviamente nessuno prestava ascolto al sempre più isterico e intrattabile Casal. “Dovrebbe darsi una calmata, manca ancora mezz'ora all'inizio,” gli fece notare Pablo, indicando l'orologio sul suo polso. Gregorio storse il naso, borbottando cose che suonavano come 'fastidioso e sapientone', per poi sparire tra la folla e mollarlo lì da solo. Quando Angie raggiunse il marito appostato sul lato destro del palco, lo trovò a ridacchiare tra se e se. “Sei impazzito?” Si azzardò a chiedere, accrescendo la sua ilarità. “Hai visto Casal?” Le indicò l'uomo, che stava imprecando contro l'ennesimo gruppo di persone che non si decideva a prendere posto. “Avrebbe bisogno di un calmante, non si è zittito un attimo.” Quando le urla di Casal raggiunsero anche le loro orecchie, facendo voltare sconvolti almeno la metà degli invitati, anche la bionda si unì alle risate del marito. “Quell'uomo ha perso il senno, semmai lo ha posseduto.” Stavano ancora ridendo, quando videro passare un agitatissimo Marco, che troppo occupato a ripassare mentalmente le numerose nozioni per la gara, non li aveva proprio scorti. “Marco, tesoro.” Lo richiamò Angie, agitando la mano. Il ragazzo sussultò, affrettandosi poi a raggiungerli. “Non ho mai avuto tanta ansia come quest'anno,” mormorò, passandosi nervosamente una mano nei capelli. “Andrà bene, vedrai,” lo rassicurò Pablo, dandogli una pacca sulla spalla. “Per quanto ne so hai studiato tutti i libri della biblioteca della città.”
“Già,” concordò la bionda. “In queste settimane ti ho praticamente costretto a fermarti per i pasti. Ormai hai la faccia di un libro.” I tre si guardarono per alcuni istanti, seri, poi scoppiarono a ridere, stringendosi in un caloroso abbraccio di famiglia.
“Ehi, vi siete dimenticati di me?” Un divertito Diego sbucò da un gruppo di ragazzi dello Studio, raggiungendo la sua famiglia e unendosi all'abbraccio.
“Stupirai tutti come sempre, non abbiamo alcun dubbio,” continuò Pablo, circondando le spalle dei due figli, emozionato di vederli finalmente tutti riuniti. “Siamo orgogliosi di te,” aggiunse Angie, avvicinandosi al ragazzo e schioccandogli un bacio sulla guancia. “Mamma,” si lamentò lui, rosso in volto, mentre Pablo e Diego scoppiarono a ridere. “Non davanti ai miei amici.” Thomas, Ana, Maxi e Libi infatti, li osservavano a pochi metri di distanza con un sorrisetto stampato in faccia. La Saramego ruotò gli occhi, offesa. “Come se fossi l'unica madre che bacia suo figlio. Prima ho visto anche i tuoi amici con i genitori e non erano tanto diversi da me.” Se Marco sollevò un sopracciglio, scettico, Galindo e il figlio maggiore si scambiarono un'occhiata palesemente ironica. “Scusa tesoro, ma converrai con me che nessuno è più 'affettuoso' di te.” L'ilarità di padre e figli stizzì ancora di più la bionda, che fu seriamente tentata di cercare qualche piatto in giro per colpirli. “Bene, vorrà dire che d'ora in avanti non ci sarà più 'affetto' per voi tre ingrati.” Girò poi i tacchi e se ne andò, ignorando i loro richiami. “Dite che si è offesa?” Chiese Marco, preoccupato. Pablo scosse il capo, abbozzando un mezzo sorriso. “Se la conosco bene, sta cercando di farci sentire in colpa.” Diego ridacchiò, dando una pacca sulla spalla al padre e al fratello. “Essere l'unica donna di casa l'ha resa un po' egocentrica.”
“Un po' è dire poco,” concordò il minore, divertito. “Non mi sorprenderei se ci riservasse pane e acqua per tutta la settimana.” Galindo annuì, lasciandosi coinvolgere dalle risate dei figli. “Non diteglielo però, altrimenti ci lancia qualche oggetto.”


Nel giro di venti minuti, tutti presero posto sulle sedie di plastica sistemate di fronte al palco e la fase finale delle olimpiadi di matematica potè avere inizio. Le squadre rimaste in gara erano quella di Buenos Aires composta da Marco, Thomas, Ana, Maxi e Libi e quella del piccolo quartiere limitrofo, che comprendeva Federico, Lena, Nata, Andres ed Emma. La tensione era a mille, i ragazzi non facevano altro che ripassare e guardarsi nervosamente intorno, sapendo quanto vincere fosse fondamentale, soprattutto per la seconda squadra che aveva bisogno di liquidi per ricostruire il tetto della palestra della loro scuola. Difatti, la cosa che si notò sin da subito, furono le maggiori motivazioni degli ospiti, che tennero testa ai campioni in carica fino all'ultimo. L'ultima domanda, scandita chiaramente dal presentatore scelto per l'occasione, con la tensione come sottofondo, fu seguita da attimi di silenzio assoluto. Le due squadre confabulavano, annotando una serie di calcoli su un foglio, il tempo nel frattempo scorreva sempre più velocemente. Se nessuno avesse dato una risposta subito, sarebbe stata formulata una nuova domanda. Quando ormai il presentatore era già pronto per lo spareggio, Federico sollevò di scatto il braccio destro, attirando l'attenzione di tutti i presenti. Con un sorriso sicuro, annunciò quella che era la risposta esatta, seguita da dei fragorosissimi applausi. Incredibile, proprio i ragazzi provenienti da quel piccolo e degradato quartiere alla fine avevano vinto. Gli sconfitti, sportivamente applaudirono e strinsero la mano ai vincitori, lasciando poi il palco tutto per loro.
“Quello è il mio fidanzato!” Un'entusiasta Ludmilla salì sul palco ancheggiante, fino a raggiungere Federico, che aveva appena ricevuto la coppa. “Sono così orgogliosa,” trillò, applaudendo freneticamente. Il ragazzo sorrise, accarezzandole una guancia e baciandola poi con trasporto. Fischi di ammirazione si levarono nelle loro orecchie, facendoli ridacchiare. “Hai visto, mia Supernova? Te lo avevo detto che avrei vinto,” si vantò, sollevando la coppa al cielo, per poi cederla a Lena, che non aspettava altro che averla tra le mani. Ludmilla sorrise, allacciandogli la braccia al collo. “Ora potete ricostruire il tetto della palestra e soprattutto, puoi aiutare la tua famiglia.” Federico annuì, arricciandosi una delle sue ciocche dorate intorno all'indice. “Non vedo l'ora di dare loro la notizia, saranno felicissimi.” I genitori del ragazzo infatti, non avevano potuto permettersi i biglietti del treno per venire ad assistere alla gara, ma ora le cose sarebbero finalmente cambiate. Mentre scendeva dal palco, stringendo forte a se Ludmilla, il giovane ne era sempre più convinto, la sua vita stava avendo una svolta.


“è stata una bella gara alla fine, no?” Ana raggiunse Marco in una delle aule dello Studio, trovandolo impegnato a mettere in ordine un cumulo di fogli e appunti. “Certo, potevamo vincere, ma...”
“Ma va benissimo così,” sorrise lui, voltandosi e facendole gesto di abbandonare l'ingresso e di raggiungerlo. “Ci siamo impegnati e ci abbiamo creduto molto, ma in fondo loro lo meritavano di più. Sono stati davvero bravi e poi hanno bisogno di quei soldi.”
“Già,” annuì la bionda, aiutandolo a racimolare i fogli e a riporli in delle cartelline colorate. “Spero che la vincita basti per risolvere i problemi della loro scuola. E se tipo facessimo una colletta per aiutarli?” Propose all'improvviso, facendo di colpo voltare il moro, sorpreso. Ana non stava scherzando e nemmeno lo stava dicendo così per dire, sembrava convinta, determinata, desiderosa di fare qualcosa per quei ragazzi e senza sapere nemmeno perché, il giovane avvertì il suo cuore accelerare i battiti. “Mi sembra una bella idea,” mormorò, incapace di distogliere lo sguardo dai grandi occhi della sua amica. Era carina lei, per la prima volta sembrava rendersene conto, eppure la conosceva da anni, come aveva fatto a non notarlo prima? “Marco, va tutto bene?” Ana gli si avvicinò preoccupata, poggiandogli una mano sul braccio. “A cosa pensi? A Francesca?” Si azzardò a chiedere lei, abbassando poi lo sguardo. A Galindo non importava di aver perso la gara, perciò ai suoi occhi solo uno poteva essere il motivo del suo turbamento, Francesca. Non l'aveva dimenticata. “Provi ancora qualcosa per lei?”
Marco sgranò gli occhi, scuotendo poi prontamente il capo. “Come ti viene in mente una cosa simile? Le voglio bene, ma ormai il mio cuore non appartiene più a lei.” Ed era vero. Da tempo ormai aveva smesso di pensare alla Cauviglia in quella maniera, per lui ora era solo un'amica, la ragazza di suo fratello. “Sicuro?” Insistette la bionda. “Perchè sei così strano allora? Cosa ti turba?”
Il giovane Galindo non rispose, limitandosi a fissarla. Come poteva dirle che stesse pensando a lei? Che iniziasse a vederla non più come un'amica ma come una ragazza? Con Ana stava bene, lei sapeva sempre dire la cosa giusta, era forte, determinata, allegra e poi era bella, il suo sorriso lo abbagliava e... Era giusto pensare ciò della persona che aveva sempre considerato sua amica? “Marco?”
La bionda gli sventolò una mano davanti agli occhi, palesemente divertita. “Ehi, bello addormentato, se non fossi sicura del contrario penserei che ti piace un'altra ragazza.” Lo disse sorridendo, eppure quelle stesse parole le fecero male. Ci teneva a Marco e voleva che fosse felice, ma l'idea che potesse esserci di nuovo una persona tra di loro non le piaceva per niente. Ne aveva abbastanza di soffrire Ana, di vederlo innamorato di qualcuno che non fosse lei. Per non perderlo aveva sempre messo da parte i suoi sentimenti, ma per quanto poteva continuare così? “In realtà è proprio così,” ammise Marco imbarazzato e per la ragazza fu peggio di una pugnalata. Stava accadendo ancora, il suo amico si era innamorato e lei doveva accettarlo e incoraggiarlo. Quando si amava una persona bisognava lasciarla libera.
“Sono contenta,” mormorò, mordendosi il labbro inferiore quasi a sangue per contenere le lacrime. “Vado a vedere se gli altri hanno bisogno di aiuto.” Non avrebbe resistito un altro minuto senza piangere, ne era sicura.
“Ana.” Prima che potesse poggiare la mano sulla maniglia della porta, Marco la raggiunse costringendola a voltarsi. Ora o mai più, doveva mettere le cose in chiaro una volta per tutte. “La ragazza di cui parlavo, bè...sei tu,” balbettò, vedendola avvampare di colpo. “Marco,” provò, incapace di aggiungere altro. Davvero piaceva al suo amico? Se era un sogno non voleva essere svegliata. “Se non provi lo stesso, lo capisco e...scusami...”
Ana scosse la testa, costringendolo a zittirsi. Cogliendolo poi di sorpresa, gli prese il volto tra le mani e lo baciò. “Anche tu mi piaci, tanto,” ammise con il volto in fiamme. Il ragazzo sorrise imbarazzato, grattandosi nervosamente il capo. “Davvero?”
“Davvero, davvero,” confermò lei, lasciandosi coinvolgere in un nuovo bacio, quello che sanciva l'inizio di una svolta per entrambi, che dopo aver sofferto tanto erano pronti a concedersi e godersi finalmente l'amore, insieme.



Podemos pintar, colores al alma,
Podemos gritar iee eê
Podemos volar, si tener alas…
Ser la letra en mi canción…
Podemos pintar, colores al alma,
Podemos gritar iee eê
Podemos volar, si tener alas…
Ser la letra en mi canción…
Y tallarme en tu voz.”


Il pubblico applaudiva e univa la voce a quella dei due ragazzi al centro del palco, entusiasta. Leon e Violetta si erano tenuti per mano tutto il tempo, incapaci di distogliere lo sguardo dall'altro. I cuori battevano forte, i sorrisi si accentuavano sempre di più ad ogni nota. Le loro voci si combinavano alla perfezione come accadeva ogni volta che cantavano insieme. Se poi si trattava di Podemos, la loro canzone, il risultato poteva essere solo ancora più straordinario. Con le ultime note, l'applauso si fece più fragoroso e loro, emozionati, rivolsero al pubblico un lieve inchino. Lo spettacolo dello Studio, così come le olimpiadi di matematica si stava rivelando un vero successo. Non c'erano solo genitori e amici ad assistervi, ma anche molti cittadini e diverse case discografiche, contattate da Antonio nella speranza che decidessero di investire su quei giovani talenti. I discografici occupavano le prime file e non avevano fatto altro che confabulare tra di loro, senza lasciar trasparire alcuna emozione. Quale fosse il loro parere, per il momento restava un mistero. Nel frattempo, anche gli altri ragazzi avevano raggiunto Leon e Violetta sul palco, così da poter chiudere lo spettacolo con la canzone finale. Al momento di ringraziare il pubblico, Pablo, Angie, Beto e Jackie si unirono agli alunni, Antonio invece, restò accanto ai discografici, sperando di riuscire ad ottenere qualche parere.
“Quei tipi mi mettono ansia,” commentò Camilla, mentre insieme al resto dei ragazzi scendeva dal palco e prendeva posto sulle sedie disposte lì per loro. “Sono d'accordo, io non riesco a smettere di tremare,” annuì Libi, aggrappandosi al suo braccio. “Naaaaa,” ridacchiò invece Leon, circondando le spalle di Violetta. “Fanno tanto i duri, ma scommetto che sono degli idioti, non è vero Dieguito?” Galindo, che fino a quel momento stava parlando sottovoce con Marco, rivolse lo sguardo verso i discografici e sorrise. “Vogliono tenerci sulle spine, ma hanno già le idee chiare, non ho dubbi.”
“Questo ci tranquillizza molto, davvero,” ironizzò Seba, aiutando Maxi a portare l'attrezzatura giù dal palco. “Speriamo che almeno uno di noi venga ingaggiato,” commentò Ponte, a sua volta molto nervoso. “Non dico che devono farci incidere subito un cd, ma almeno accettarci in qualche accademia per migliorare.”
“Ragazzi.” Un trafelato Antonio li raggiunse, ostentando un grande sorriso. “Ho una grande notizia. Hanno fatto alcuni nomi.” I giovani si guardarono uno ad uno, lasciandosi poi sfuggire gridolini entusiasti e abbracciandosi calorosamente. “Siete pronti?”
“Assolutamente si!”



“Ciao,” sorrise Violetta, raggiungendo Leon davanti all'ingresso dello Studio. Dopo la conversazione con Diego in aereo, tutto le era stato finalmente chiaro e aveva capito che non poteva e non voleva rinunciare al grande amore della sua vita. Lo aveva scelto quando era il meno raccomandabile dei pretendenti ed era convinta non sarebbe mai cambiato, come poteva perciò allontanarlo dopo tutto quello che aveva fatto per lei? Quell'intenso amore che si professavano da tempo immemore aveva cambiato entrambi, li aveva resi più forti, consapevoli, felici, non poteva rinunciare a ciò solo per paura. Diego e Angelica avevano ragione, lei era nata e cresciuta come una Castillo e sempre come tale si era innamorata di Leon. Voleva forse dare a Marotti la soddisfazione di vederla infelice e disperata? Assolutamente no, lei voleva ricominciare a vivere, voleva essere felice e poteva esserlo solo con il suo Vargas. Era ora di mettere da parte il passato.
Il ragazzo, che se ne stava appoggiato pigramente a una delle pareti dell'edificio, le rivolse un cenno del capo, allungando poi una mano verso di lei. La ragazza la strinse prontamente, permettendogli di tirarla verso di se. I loro petti si scontrarono e gli sguardi si intrecciarono, un sorriso più intenso increspò le loro labbra. “Ho ricevuto una borsa di Studio per un'accademia di musica fuori città,” sussurrò lei, allacciandogli le braccia al collo. Leon annuì. “Lo so, tu sei un talento straordinario. Nessuno lo merita più di te.” Le sorrise dolcemente, sfiorandole una guancia con una leggera carezza. Violetta poggiò la mano sulla sua, abbassando però lo sguardo. “Sono felice, lo sognavo da sempre, ma poi penso che sarebbe troppo lontano dalla nonna e...da te.” Il ragazzo sospirò, sollevandole il mento con due dita così da portarla a guardarlo negli occhi. “L'accademia è a sole due ore da qui, troveremo il modo di vederci e poi... e poi è la tua occasione, non puoi lasciartela sfuggire.”
“Tu dici?” Chiese lei, scettica. Era felicissima di aver ottenuto quella borsa di studio, ma temeva troppo la lontananza. Come avrebbe fatto senza vedere sua nonna e Leon ogni giorno? E loro, ce l'avrebbero fatta senza di lei? “Vilu, amore, ascoltami.” Il ragazzo le prese il volto tra le mani, accostando la fronte alla sua. “Io e tua nonna siamo grandi e vaccinati, possiamo cavarcela da soli e comunque non andrai dall'altra parte del mondo.”
“Si, ma,” provò a protestare lei, ma lui la interruppe scuotendo il capo. Violetta non glielo aveva detto apertamente, forse perché temeva di ferirlo, ma lui aveva capito lo stesso. Pensava che lontano da lei non fosse in grado di comportarsi bene, pensava che sarebbe ricaduto nei vecchi sbagli, magari svolgendo qualche affare per suo padre. Istintivamente sorrise. Forse un tempo davvero ci sarebbe potuto essere un simile rischio, ma ora era cresciuto, gli eventi e l'amore di Violetta, che aveva seriamente rischiato di perdere, lo avevano cambiato. Ora sapeva quali fossero le cose davvero importanti, ora sapeva cosa voleva dalla vita e non di certo essere un criminale perennemente a rischio di essere arrestato. Anche lui, come la sua ragazza, aveva ricevuto una borsa di studio ma aveva deciso di rinunciarci. La musica gli piaceva, però non la vedeva nel suo futuro. Si era iscritto allo Studio per amore di Violetta, non era un sognatore come tutti quei ragazzi, lui era un realista e come tale si immaginava a svolgere un buon lavoro per costruirsi una vita con colei che amava, lontano da quello che era il destino scelto da suo padre e dai suoi amici. Leon Vargas aveva capito finalmente chi era davvero, ora aveva un'identità e tutto grazie all'amore di quella giovane dagli occhi nocciola, che gli aveva mostrato che la strada che aveva scelto non era quella che voleva davvero, piuttosto quella che gli era stata imposta dalla sua famiglia. “Tranquilla,” la rassicurò, accarezzandole il volto. “Ho parlato con mio padre, gli ho spiegato che il mio futuro non è al suo fianco e ha capito.”
Un sorriso speranzoso increspò le labbra di Violetta. “Dici davvero?” Lui annuì. “Tra l'altro ho una piccola sorpresa per te.” Sotto lo sguardo curioso della giovane, recuperò una busta dalla tasca dei pantaloni. “Guarda qui.” Le mostrò quello che si rivelò essere un contratto di lavoro in una fabbrica di automobili. “Hai un lavoro!” Trillò emozionata lei, stringendolo forte a se. Leon ridacchiò, accarezzandole il capo. “Dai un'occhiata all'indirizzo, amore mio.”
Violetta rilesse quel foglio una decina di volte, stupefatta. “è a meno di un chilometro dalla tua accademia. Affitterò un appartamento e...praticamente ci vedremo ogni giorno.”
“Oh Leon!” Violetta gli saltò letteralmente in braccio, non potendo fare a meno di lasciarsi sfuggire un singhiozzo. “Staremo sempre insieme.”
“Te l'ho promesso,” annuì lui, accarezzandole dolcemente una guancia. “Voglio essere una persona migliore e posso esserlo solo accanto a te.”
La giovane sorrise tra le lacrime, stampandogli un bacio a fior di labbra. “Ti amo da morire, Leon Vargas.”
“E io amo te, Violetta Castillo,” soffiò Leon, prima di coinvolgerla in un lungo e profondo bacio che sigillò quella dichiarazione. Erano finiti i tempi delle incomprensioni e dei dubbi, ora sapevano cosa volevano davvero, quanto fossero profondi i loro sentimenti e avrebbero lottato per essi ogni giorno che sarebbe seguito e che avrebbero trascorso inevitabilmente insieme. Perché per loro due era sempre stato destino e ora ne avevano la certezza.



Francesca rilesse per l'ennesima volta la lettera che aveva ricevuto quella mattina, quella che per tutto il giorno l'aveva tormentata. Ormai la luna splendeva nel cielo, lo spettacolo era finito e tutti erano radunati accanto al buffet allestito per la serata. Aveva provato a mangiare qualcosa, ma poi si era rintanata nel cortile alle spalle dello Studio, persa nei suoi pensieri. Aveva due opzioni, entrambe le avrebbero potuto stravolgere la vita in positivo e forse per quello non riusciva a scegliere. Lei che di solito aveva sempre avuto le idee chiare o che al massimo si era accontentata, per la prima volta doveva scegliere e la cosa la terrorizzava. Né i suoi genitori e né Luca le avevano espresso un parere, si erano limitati a dirle che dovesse essere lei a decidere, peccato che fosse così confusa. Cosa doveva fare? “Ehi.” Diego, apparso dal nulla, procedeva verso di lei reggendo un piatto con degli invitanti profiteroles. “Cosa fai qui tutta sola?” Le chiese, sedendosi sul muretto accanto a lei. Francesca scrollò le spalle. “Pensavo.” Lui si accigliò, lanciando un'occhiata alla lettera che reggeva tra le mani. Un simbolo in particolare attirò la sua attenzione. “Quella è...?”
“Si,” confermò la ragazza. “è la risposta alla domanda per il college che feci tempo fa, mi hanno accettata.”
“Ma tu non sei felice,” constatò Diego, scrutandola attentamente. “Perchè?”
“Perchè ho ricevuto anche la borsa di studio per l'accademia di musica,” ammise, abbassando lo sguardo. “E non sai quale delle due scegliere,” concluse per lei il moro, poggiando una mano sulla sua. Francesca non rispose, non ce ne era bisogno. Era chiaro come il sole che avesse colto in pieno il problema.
“Cosa devo fare, Diego?” Sbottò all'improvviso, mentre gli occhi le si facevano lucidi. “Tu cosa faresti al mio posto?” Mai Francesca gli era apparsa tanto smarrita e bisognosa di una roccia a cui aggrapparsi, ma lui poteva essere la sua? “Io sceglierei la cosa che mi renderebbe più felice,” sussurrò, sperando di esserle in qualche modo di aiuto. Essere una coppia significava anche essere un sostegno l'uno per l'altra e lei lo era sempre stata per lui, in qualche modo doveva essere vero anche il contrario. Convinto di ciò, rafforzò la stretta delle loro mani. “Dimentica tutto il resto e pensa solo a te. Cosa ti renderebbe davvero felice? Il college o l'accademia?” La mora sollevò finalmente il capo, specchiandosi nei suoi occhi verdi. Di una cosa era sicura, Diego la rendeva davvero felice. Ora però non si trattava di quello, ma del suo futuro professionale. Cosa voleva fare? I suoi genitori probabilmente si aspettavano che andasse al college, dopotutto aveva sempre avuto una media scolastica molto alta, ma era quello che voleva anche lei? “Io ehm...io credo di voler andare all'accademia, la musica è sempre stata il mio sogno.” Diego sorrise, mangiando un pezzo del dolce. “Vedi, Bambolina? Non è così difficile scegliere.” Lei sorrise a sua volta. “No, non lo è.” Si guardarono per alcuni istanti e i loro sorrisi si accentuarono. In fondo accadeva sempre così da quando Diego era entrato nella sua vita, ogni dubbio spariva e restavano solo certezze. “Verrò all'accademia, con te.” Galindo le accarezzò la guancia con la mano libera, continuando a sorridere. “Passeremo ancora più tempo insieme.”
“Sarà fantastico,” sussurrò lei, facendo sfiorare i loro nasi. Lentamente le loro labbra iniziarono a sfiorarsi, dando vita poi a un bacio profondo e appassionato. Le mani della ragazza si immersero nei suoi capelli, tirandoli leggermente. Quelle di lui invece le accarezzavano la schiena, stringendola ancora di più a se. “Sei un villano,” soffiò la ragazza divertita, alla fine del bacio, dandogli una leggera spinta. “Perchè? Che ho fatto?” Chiese lui confuso. Francesca indicò il piatto con i profiteroles che ancora teneva in grembo. “Sei venuto a cercarmi e non me ne hai portato nemmeno un po', hai pensato solo a te,” gli fece notare, offesa. Diego ridacchiò, mangiando di proposito un altro pezzo. “In realtà pensavo potessimo dividere questi.” Le porse la forchetta e lei subito iniziò a mangiare, lasciandolo a bocca aperta per tanta ingordigia. “Piano, lasciane un po' anche a me,” ridacchiò, beccandosi una pernacchia. “Mmm...panna e cioccolato, delizioso.” Francesca avvicinò la forchetta con un pezzo di dolce alle labbra del ragazzo, ma quando lui aprì la bocca per mangiarlo, lei ritrasse il braccio, scoppiando a ridere. “Ops, lo mangio io.”
Diego si finse offeso, ma poi non potè fare a meno di lasciarsi coinvolgere dalla sua ilarità. La risata di Francesca era uno dei suoni più piacevoli che avesse mai sentito ed esserne la causa gli trasmetteva una sensazione di benessere, che prima di incontrarla non sapeva nemmeno cosa fosse. Lentamente le tolse il piatto di mano e lo poggiò sul muretto, stringendola poi a se. Seppur sorpresa, lei ricambiò l'abbraccio, socchiudendo gli occhi. E pensare che all'inizio Galindo si irrigidiva sempre quando la ragazza cercava quelle dimostrazioni di affetto, ora invece era lui stesso a proporle. Quante cose erano cambiate.
“Questo non cambia le cose,” rise in ogni caso Francesca al suo orecchio. “I profiteroles sono miei, tu ti arrangi.” Diego sciolse di poco all'abbraccio, sollevando un sopracciglio, divertito. “Ah si? E se tipo ora dessi un calcio al piatto?” La provocò, facendole sgranare gli occhi. “Non oseresti.”
“Mettimi alla prova.” Si sfidarono con lo sguardo per quelli che parvero lunghi minuti, poi non riuscirono più a trattenersi e scoppiarono a ridere. “Ti amo tantissimo, Diego,” ammise la ragazza, rossa in volto, mordendosi nervosamente il labbro. “Ti amo anch'io, Bambolina,” mormorò lui, facendole poggiare il capo sul suo petto. Alla fine anche uno come Diego Galindo che mai aveva creduto nell'amore, aveva finito per cedere a quel sentimento e se avesse potuto tornare indietro, avrebbe rifatto ogni cosa. Francesca non la pensava tanto diversamente. Aveva commesso tanti sbagli, ma se non li avesse fatti, non avrebbe mai conquistato il cuore del suo primo grande amore. Insomma, non erano per niente pentiti. Grazie all'altro avevano imparato cosa fosse l'amore e quanto potesse essere devastante e imprevedibile e allo stesso tempo, renderli immensamente felici.



“Sono esausto.” Pablo aprì la portiera della macchina e si abbandonò sul sedile, strofinandosi stancamente gli occhi. “A chi lo dici,” concordò Angie, prendendo posto accanto a lui e chiudendo lo sportello. “Non so come mi è saltato in mente di offrirmi per i preparativi, ho sgobbato come un mulo.” Mentre diceva ciò, si massaggiava le braccia che non avrebbe potuto avvertire più pesanti e indolenzite. “Non vedo l'ora di andare a casa.”
Pablo annuì, socchiudendo gli occhi. “Mi sembra quasi di sentire ancora le imprecazioni di Gregorio, proprio non riesce ad accettare di essere stato battuto.”
“Quell'uomo è troppo sicuro di se,” commentò la bionda, scuotendo il capo. “Qualcuno dovrebbe spiegargli cos'è la modestia.” Poggiò poi il capo sulla spalla destra del marito e lui la strinse a se, strofinando il volto nei suoi capelli. “Marco non l'ha presa male, la sconfitta intendo,” soffiò Galindo, dopo alcuni minuti di silenzio. Angie sorrise. “Ci teneva alla gara, ma ancora di più voleva essere accettato al college. Non mi sorprenderei se facesse incorniciare quella lettera.” Un debole sorriso increspò le labbra di Pablo, ma quasi subito si dissolse. “E che mi dici di Francesca? Credi l'abbia superata?” Chiaramente l'uomo si riferiva al sentimento che aveva legato Marco alla Cauviglia, che però appunto ora faceva coppia fissa con il loro figlio maggiore. Angie sollevò il capo, così da poterlo guardare dritto negli occhi. “Tranquillo,” lo rassicurò, accarezzandogli una guancia. “Se ci fossero ancora dei problemi, lui e Diego non avrebbero chiarito. Hai visto quanto sono complici e affiatati i nostri ragazzi ora? E poi, non so se te ne sei accorto, ma nostro figlio sembra interessato a un'altra ragazza,” sorrise maliziosamente la bionda, facendogli sgranare gli occhi. “Davvero? Chi? Come ho fatto a non accorgermene?” Non era da lui, di solito non gli sfuggiva nulla, soprattutto se si trattava di sua moglie e dei suoi figli. “Ana. Credo che tra lei e Marco inizi ad esserci del tenero.”
Un grande sorriso si distese sul volto dei due. Il minore dei loro figli aveva sofferto molto per Francesca e sapere che stesse superando la cosa, gli riempiva il cuore di gioia. “Ana è una brava ragazza, mi piace. Spero possa renderlo felice.”
Restarono abbracciati ancora per un po', mentre una leggera brezza penetrava attraverso i finestrini aperti per metà, facendoli leggermente rabbrividire. “Marco andrà al college, Diego e Vilu all'accademia. Diego e Francesca si sono innamorati. Leon ha messo in discussione i suoi ideali per amore di Vilu. Marotti l'ha pagata per tutto il male che ha fatto,” soffiò Angie contro il petto del marito. “Lo avresti mai detto che sarebbero successe tutte queste cose?” Pablo sorrise, accarezzandole teneramente il capo. “E noi due siamo ancora qui, più uniti che mai.” Le prese il volto tra le mani, specchiandosi nei suoi grandi occhi verdi. “Quanto è forte il nostro amore, eh?” Angie sorrise, poggiando le mani sulle sue. “Più forte di qualsiasi cosa e così sarà sempre. Sei la mia roccia, Pablo.” Continuando a sorridersi, si scambiarono un dolce bacio. “Non so cosa farei senza di te, Angie.” Ed era vero. Tutta la sua forza e determinazione derivavano da quell'angelo che da ragazzo gli aveva rubato il cuore e man mano che passava il tempo, quell'amore sembrava amplificarsi e renderlo ancora più dipendente. Ancora una volta lei sorrise, abbagliandolo completamente e facendolo sentire un perfetto idiota. Possibile che continuasse a fargli lo stesso effetto? Angie nel frattempo si chiedeva la medesima cosa. Sin dalla prima volta che lo aveva visto, aveva pensato che Pablo fosse l'uomo più dolce e meraviglioso del mondo e ogni giorno ne aveva la conferma. Lui era in grado di farla sentire protetta e importante, cose che da piccola data l'assenza di una figura paterna le erano sempre mancate, creando un vuoto nel suo cuore. Quando aveva conosciuto suo marito, tanto diverso da suo padre e da qualsiasi ragazzo avesse mai incontrato e che aveva colmato quel vuoto, aveva capito di aver finalmente trovato la persona giusta, colui che la completasse. Il vero amore e l'anima gemella non erano solo fantasie o illusioni, esistevano davvero e a volte poteva volerci un vita per trovarli, ma lei era stata fortunata, il suo Pablo era entrambe le cose e insieme stavano vivendo la loro meravigliosa favola. Certo, avevano incontrato molti ostacoli, ma quelli facevano parte della vita e poi avevano permesso al loro amore di rafforzarsi e perciò non avrebbe potuto essere più soddisfatta. Mentre se ne stavano in macchina stretti l'uno all'altra a guardare il cielo trapunto di stelle, Pablo e Angie pensavano che non avrebbero potuto essere più felici e che ne era valsa la pena affrontare tanti problemi se poi il loro lieto fine era quello. Loro due, sempre e comunque insieme.




Ed eccoci giunti alla fine di questa storia. Non so bene cosa provo, da una parte sono felice per essere riuscita a concluderla, ma allo stesso tempo sono anche tanto triste :( se non fosse stato per tutti voi che mi avete incoraggiata e sostenuta non sarei mai arrivata fin qui e per questo vi ringrazio infinitamente. Insieme abbiamo riso, sofferto, sclerato, abbiamo tenuto il fiato sospeso e poi... e poi bè, con il vostro affetto mi avete anche fatto commuovere tanto e non vi ringrazierò mai abbastanza. Sin dalla mia prima apparizione in questo fandom mi sono sentita come a casa, siete meravigliosi. Ringraziarvi uno ad uno sarebbe troppo complicato, anche perché mi dispiacerebbe dimenticare qualcuno, perciò il mio sarà un ringraziamento generale. Grazie a tutti voi che mi siete stati accanto capitolo dopo capitolo e che mi avete emozionata con le vostre meravigliose recensioni. Grazie a chi ha messo la mia storia tra le preferite, le seguite o le ricordate e grazie anche a chi ha semplicemente letto. Sono felice di aver affrontato questa avventura insieme a voi, siete unici *_______*
ok, ora basta sennò mi metto a piangere XD
un bacione grande a tutti e ancora grazie!! :3
Trilly
 

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