L'Appuntamento di Hoel (/viewuser.php?uid=86957)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Da Giovedì 22 Gennaio a Venerdì 30 Gennaio 1998 ***
Capitolo 3: *** Da Sabato 31 Gennaio a Lunedì 2 Febbraio 1998 ***
Capitolo 4: *** Da Martedì 3 Febbraio a Mercoledì 4 Febbraio 1998 ***
Capitolo 5: *** Giovedì, 5 Febbraio 1998 ***
Capitolo 6: *** Venerdì, 6 Febbraio 1998 ***
Capitolo 7: *** Scioglimento ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
B'soir!
Sebbene in
stra-mega-ritardo (oramai Halloween è bell'e passato da un pezzo) ecco una mia
nuova fanfiction horror. Non è lunghissima, prometto: se tutto va bene, ce la
caviamo con 5 capitoli!
Ringrazio
la mia amica giapponofila che m'ha lanciato la sua ennesima sfida: dopo l'Mpreg,
infatti, Hoel si cimenta nel Genderbender! So che avrei potuto usare dei
personaggi femminili dell'universo di "Naruto", ma ... ma la sfida consisteva appunto nel cambiare
sesso ad una, o più, coppie yaoi e ricamarci attorno una storia.
Spero che la
presenza del "Genderbender" non vi faccia storcere il naso: date una
possibilità a questa storia, please! T^T Inoltre, non essendo un'esperta di
cultura e società giapponese - malgrado le dritte della mia amica - mi scuso in
anticipo per eventuali errori, incongruenze o occidentalizzazioni presenti
nella storia. Mi appello alla licenza poetica. U__U
Come
sempre, quando necessario, ad inizio capitolo ci saranno gli avvertimenti e a
fine capitolo le note.
Vi auguro
una buona lettura e un ringraziamento in anticipo a chi deciderà di lasciare un
piccolo commento a questa fic.
H.
P.S. L'aggiornamento di "Stigma" avverrà a
breve, Hoel si scusa per questo abominevole ritardo, ma recenti avvenimenti le
avevano fatto perdere un poco l'ispirazione e non sapeva più come proseguire.
Adesso la vostra fedelissima è gasata al massimo e può continuare ad
aggiornare. Anche "Missing"
verrà aggiornata, dopo un inteso processo di re-editing.
****************************************************************************************************
The Appointment
or
The Water Child
“Baby Blue, Baby Blue / I know that thing she did to you ...
...”
(Urban Legend "Baby Blue")
Avvolta dalla soporifera semioscurità che precede l'alba,
la casa giaceva nel silenzio assoluto, condizione ottimale per dedicarsi ad
attività richiedenti una grande concertazione.
Quali, ad esempio, la scrittura.
Sebbene a malincuore -
ricordandosi dell'insistente sollecitudine del suo editore - Tobirama
s'accommiatò dal suo futon, nello specifico dall'abbraccio d'un dormiente
Izuna, che pur tuttavia prese a serrare con possessività i suoi fianchi, quasi
avesse intuito nella sua fase rem quel tentativo di fuga lavorativa. Avendo la
possibilità di scegliere, Tobirama di certo non avrebbe disertato così l'uomo:
che ridessero pure delle sue convinzioni all'antica, ma che morte e dannazione
potessero cadere sulla sua testa se mai avesse rinunciato al sacrosanto gioco
del cucchiaio e cucchiaino, dopo le libidinose coccole notturne!
E invece, per colpa di quel disgraziato dell'editore ...
Borbottando qualcosa d'intellegibile nel sonno, alla fine
Izuna abbandonò la sua salda presa, girandosi dalla parte opposta e scoprendo
così interamente la schiena nuda. Levandosi la piccola soddisfazione di baciargli
quantomeno la spalla, Tobirama gli scostò con la scaltra rattezza d'un ladro i
capelli dal collo, evitando che lo accaldassero ulteriormente. Izuna bofonchiò
ancora qualcosa, cacciò un profondo sospiro e riprese a russare lievemente,
strappando un muto risolino in Tobirama, nel frattanto che infilava una leggera
vestaglia, osservandolo con tenero divertimento.
Scivolando via dalla stanza e procedendo a passi felpati
lungo il corridoio, l'insonne (suo malgrado) raggiunse il piccolo studio,
sistemandosi sulla sedia e accendendo poi il computer.
Decisamente, da quando aveva incominciato a riscuotere
successo come horror writer, il suo editore non perdeva occasione di sollecitare il suo
cervello acciocché partorisse quanto prima storie e sceneggiature, tutte
rigorosamente horror, che comparivano pian piano anche sulle riviste di manga e
in sceneggiati, un traguardo notevole per la sua età. Il suo ultimo racconto
breve, "Il Maestro delle Bambole", aveva vinto perfino il prestigioso
Premio Akutagawa e ora si puntava al Premio Naoki. L'unico problema era il
marketing, su quel punto non si riusciva a trovare un accordo con la sua casa
editrice e i media. Tobirama infatti si rifiutava di rilasciare interviste:
dopo che i critici avevano eletto il suo albinismo a causa principale della sua
vulcanica creatività, aveva rifiutato di prestare la sua persona all'attenzione
morbosa dei media, dei recensori e dei fan, i quali poi avevano incominciato a
tartassare la sua famiglia con atti quasi di stalking e pretendendo di sapere
tutto sulla sua vita. Se all'inizio la sua reticenza a mostrarsi in pubblico
aveva giovato la sua fama di "Horror Writer", conferendo un'aura
misteriosa ed evanescente, alla lunga i media si stavano stancando, premendo ogni
membro dello staff della casa editrice affinché convincessero Tobirama a farsi
intervistare perlomeno alla radio. Di sapere almeno da dove trovasse
l'ispirazione. Ma Tobirama era irremovibile: non avrebbe ceduto a quel braccio
di ferro, tanto non scriveva per i soldi. "Né perché soffro di
albinismo", furono le uniche parole che concesse ad un giornalista tramite
lettera, ma soltanto perché questi si stava per buscare una broncopolmonite a
furia di aspettare alla porta di casa, in barba al meteo.
Intimamente, nel frattanto che cliccava la cartella "storie
horror- divers", maledì la sua decisione d'aver inviato il suo primo
racconto horror all'editoria: s'era trattato di una scommessa con suo fratello
Hashirama, non aveva mai avuto intenzione di scrivere per professione. Forse
per quel motivo aveva deciso di battere giù finalmente, dopo anni
d'indecisione, quella storia.
"Eh ... Se
non si può fare a meno di ballare, che si balli dunque!", disse e aprì un
nuovo file word, che nominò ...
L'Appuntamento
dalla
testimonianza di Naruko Namikaze
E schioccate le dita, incominciò a scrivere:
Tutto
accadde sei anni fa, quando ancora frequentavo il penultimo anno di università.
Sebbene il
mio atteggiamento dimostrasse il contrario, non stavo attraversando un periodo
chissà quanto felice: gli ultimi risultati accademici mi avevano molto
demoralizzata, alienandomi dalla stima dei miei professori e conseguentemente
dal loro supporto. Non ne conoscevo bene la ragione, ma una strana spossatezza
mi aveva pervasa negli ultimi tempi, immalinconendomi e spronandomi alla
ricerca di una qualsivoglia forma di distrazione, sia fisica che mentale, la
quale mi allontanava progressivamente dallo studio. Era come se avessi perso
ogni interesse, facendomi apparire ogni cosa grigia e asfissiante, una gabbia da
cui anelavo d'uscire quanto prima. Ma a nessuno importava, men che meno ai miei
professori, i responsabili della mia formazione intellettuale. Dall'alto della
loro saggezza, non riuscivano a figurarsi il motivo per il quale una valida studentessa di ventuno anni fosse
rimasta così, da un giorno all'altro, vittima dei “vapeurs anglais”. Tentai di
parlarne coi miei genitori, ottenendo purtroppo scarsi risultati. Talvolta
avevo l’impressione di non essere null’altro che una delusione, una figlia
ingrata che ripagava con la pigrizia i loro sforzi e sacrifici per aver
permesso anche a me di studiare esclusivamente nei migliori istituti onde
intraprendere una brillante carriera come docente universitaria. Solo Menma, mio fratello
maggiore e unico confidente, mi capiva senza giudicarmi.
E Sasuke, ovviamente,
il mio fidanzato.
Era stato
Menma-nii ad avermelo presentato, essendo egli infatti il migliore amico d'Itachi-san,
il fratello di Sasuke. All'epoca mi trovavo all'ultimo anno di liceo e, in
tutta onestà, mi era subito divenuto antipatico e la cosa fu reciproca,
avendomi Sasuke sempre rifilato commenti sferzanti e affatto gentili, dandosi
grandi arie d’aristocratico e statua di ghiaccio. Alas, chi disprezza compra,
mi ricordava la buonanima di mio nonno Jiraiya-ojisan e, puntualmente, col trascorre del
tempo il nostro mutuale sentimento di fastidio e avversione si era sostituito
ad uno d'affetto e di reciproco interesse. Quando avvenne il fatto, stavamo già insieme da un anno e mezzo,
sebbene con molte riserve da parte dei miei genitori (mia madre soprattutto) e
dei miei amici, giacché non vedevano di buon'occhio né Sasuke né la sua
famiglia.
Sinceramente,
non me ne calava un'emerita cippa. Quando stavo in sua compagnia, sulla mia
vita ritornava a cinguettare la primavera. La mia inspiegabile depressione
svaniva improvvisamente e le cupe ombre con lei. Sapevo che, sotto quella
facciata gelida e altera, Sasuke m'amava teneramente, anzi, talvolta gli
leggevo una lieve ma persistente ansia negli occhi, come se temesse in un mio
ripensamento. Si sbagliava, non lo avrei mai lasciato.
Mai.
Eppure ci
andai molto, troppo, vicina ...
To
be continued? |
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Capitolo 2 *** Da Giovedì 22 Gennaio a Venerdì 30 Gennaio 1998 ***
B'soir!
No, avevo affatto abbandonato questa fic! Diciamo che
avevo postato il capitolo in un momento di frenesia creativa, ma non avevo
un'idea ben precisa di come strutturare la storia. Inoltre, dovevo informarmi
bene su alcuni aspetti presenti in questa fic e raccogliere del materiale. Adesso
che tutto è pronto, potrò pubblicarla se non regolarmente, perlomeno senza
secoli di distanza!
Infatti, alternerò gli aggiornamenti di questa con
"Stigma", perché un po' per uno non fa male a nessuno (tranne
all'autrice che deve scriverle ...)
Avvertimenti!
1) In questo capitolo verranno trattati temi ancora molto
attuali per il Giappone, quali emancipazione femminile e parità dei sessi. Le
opinioni dei personaggi non corrispondono a quelle dell'autrice, come sempre
sono esseri a sé che si muovono in un dato contesto e reagiscono di
conseguenza. Anche le idee religiose qui espresse non sono mie, bensì del
personaggio.
2) Il cognome "Uchiha" è stato riportato come apposta "Uchiwa", la sua
variante "originale" per così dire, nonché presente nella traduzione
francese del manga di "Naruto." C'è un significato dietro, promesso!
3) Mi scuso in anticipo per eventuali occidentalismi e
inesattezze! Ho provato ad essere quanto più possibile coerente con l'ambientazione,
ma, da povera gaijin che sono, su qualcosa ho sicuramente toppato! T^T
Infine, un sentito ringraziamento a tutti i miei lettori
e recensori, in particolare a Imoto e
Angel_Darl_Light. Grazie anche a coloro che hanno messo questa storia tra
le seguite, ricordate e preferite.
Vi auguro una buona lettura,
H.
**************************************************************************************
Non era stato facile convincere Tobirama ad abbandonare
la reclusione nella quale si costringeva, ogniqualvolta incominciava la stesura
di un suo romanzo, o novella o sceneggiatura. A onor del vero, causa il tipo
d'educazione ricevuta durante l'infanzia, l'horror writer aveva sempre avuto
una certa tendenza a rintanarsi in casa, uscendo lo stretto necessario e non
perché appartenesse al genere "otaku", bensì per abitudine. Del
resto, l'albinismo non aveva giovato le sue capacità d'inserirsi, né di
stringere grandi amicizie. I suoi genitori avevano infatti preferito nascondere
piuttosto che aiutare ad accettare la sua condizione.
Perciò Izuna non aveva più di tanto obiettato l'unica condizione impostagli da Tobirama per
uscire assieme e camminare fino al parco. In altre parole: indossare un largo
cappello di paglia e degli spessi occhiali da sole, così da mimetizzarsi quanto
possibile tra la folla. Il caldo umido dell'estate giocava poi a suo favore,
poiché nessuno avrebbe trovato eccessivo quel suo impacciato tentativo di
camuffamento. Inoltre, avevano scelto un'ora fortunata per la loro innocente
scampagnata: un placido silenzio da tardo pomeriggio coccolava l'ambrato degli alberi,
intanto che un vento tiepido ne scuoteva indolente le fronde, associandosi al
ritmico scorrere della fontana a forma di scala, dalla cui cima zampillava più
gagliarda per poi zittirsi man mano che raggiungeva il sottostante laghetto
artificiale. Là i due "viandanti" s'erano appostati, sedendosi sulla
metà esatta della pomposamente stilizzata fontana, lasciandosi distrarre dagli
occasionali rumori di sandali sulla ghiaia, dai complici bisbigli, dall'eco
degli schiamazzi dei bambini ingaggiati in una guerra all'ultimo spruzzo
d'acqua. L'aria era pregna di un'insolita attesa per qualcosa d'indefinibile,
eppure desiderato al punto di rimpiangerlo prima ancora d'averlo perduto.
"Ti recavi spesso al parco a quest'ora, sedendoti in
compagnia di tuo fratello sul bordo della vasca della fontana. E ricordo che
immergevi i piedi e le mani fino ai polsi, quando il caldo diveniva
insopportabile."
"Ottima memoria. E tu, ritornando dal tirocinio, ti
fermavi e ti appoggiavi alla ringhiera, osservandomi timidamente indiscreto,
senza avere mai il coraggio di parlarmi."
"Non volevo apparirti insolente. D'altronde, tutti
coloro che t'avvicinavano lo facevano allo scopo di dileggiarti."
"Probabile. Anche se mi piacevi già allora",
sentenziò Tobirama con malcelata mestizia, alzandosi onde stiracchiarsi le
gambe indolenzite. Dopodiché, levati i sandali, avanzò dentro le strette vasche
della scala-fontana. E forse avrei dovuto
avere anch'io più coraggio e sceglierti per primo, invece di lasciarmi
abbindolare dalle false promesse di chi voleva solo giocare con la mia
ingenuità.
Alle sue spalle, Izuna l'osservava pensoso. Percepiva,
infatti, che Tobirama aveva intenzione di comunicargli qualcosa: di norma,
iniziava sempre con un poco attinente preambolo, per arrivare in seguito ad un
discorso totalmente diverso.
"Ho intenzione di concedere un'intervista",
disse infine l'horror writer, continuando a fissare i bambini che giocavano
qualche gradino più in basso.
Appunto.
"Ti hanno fatto ancora pressioni?"
Tobirama scosse il capo, liberando inconsapevolmente dal
capello delle arruffate ciocche nivee, le quali si arricciarono vezzosamente
sulle tempie inumidite da un lieve velo di sudore. "No, è una mia idea. Ma
questo solo dopo che avrò pubblicato la storia su cui sto lavorando."
"Allora, smetti di scriverla", fu il consiglio
d'Izuna, genuinamente preoccupato sugli effetti che quel racconto avrebbe
potuto avere sull'horror writer. "Non ti lasceranno in pace finché non
sapranno tutti i riferimenti!"
Tobirama si voltò, sorridendogli con affetto. "Sei
premuroso e te ne ringrazio. Tuttavia, devo farlo. Questa storia ... Voglio
dire, l'ho promesso a Naruko ... e a me."
"Naruko?", colmò la distanza Izuna, afferrando
Tobirama per la vita e appoggiando la guancia sulla sua spalla destra. "Si
chiama così?"
Le dita alabastrine dell'horror writer si confusero colla
pece dei capelli d'Izuna.
"Come avresti preferito che si chiamasse?"
***
L'Appuntamento
dalla
testimonianza di Naruko Namikaze
(segue)
Giovedì, 22 gennaio 1998
- mancano 15 giorni all'Appuntamento -
"Perché siete vestiti di nero? State andando ad un
funerale?"
Mia madre Kushina, appena ritornata dal supermercato, ci
aveva pizzicati proprio nel momento in cui ci stavamo infilando le scarpe per
uscire.
"Sì", rispose mio padre, Namikaze Minato.
"Siamo stati invitati al funerale di Fugaku-san."
"Il commissario Uchiwa-san?"
"Esatto. Fugaku-san è venuto a mancare la settimana
scorsa. Essendo Itachi-kun molto amico di Menma-kun e in qualità di sindaco di
Konoha, ho pensato adeguata la nostra
presenza al suo funerale", le spiegò brevemente Otōsan e in quel momento
lodai la sua diplomazia (senza dubbio acquisita facendo politica) per aver
abilmente glissato sul fatto che sussistevano altri legami con la famiglia di
Sasuke, al di là della mera amicizia.
Che frequentassi un Uchiwa lo sapevamo soltanto Menma,
lui ed io.
Perché, sebbene amorevole di natura, non ci fidavamo
troppo dell'apertura mentale di mia madre. L'essere divenuta stranamente
conservatrice dopo una gioventù piuttosto scapestrata pareva quasi un
contrappasso dantesco e di fatti, lei aveva
subito preso a guardarci sospettosa, avidamente alla ricerca di una falla nel
nostro alibi."Dovete proprio
andare?", disse infine, sibilando quasi.
"Perché no? Fugaku-san era una brava persona, gran
lavoratore ed esemplare padre di famiglia. E' stato lui a finanziarci la
campagna elettorale, in caso avessi dimenticato."
"Tutto quello che vuoi. Tuttavia lui è - era - un Kirisutokyouto [1] e sai quanto
l'atteggiamento ... anticonformista
suo e soprattutto della sua famiglia abbia spesso creato disagio tra gli altri
abitanti di Konoha."
Ancora quella storia.
"Beh, se si sono abituati ad avere per sindaco il figlio
di una Pan-Pan Girl, allora sopravvivranno all'idea di convivere con una
piccola comunità cristiana!", replicò stranamente bellicoso mio padre,
sistemandosi il cappotto e facendoci cenno di seguirlo.
"Era una Only,
non denigrare tua madre più del necessario!" [2]
Che se ne
scopasse uno o cento, sempre puttana degli yankee rimaneva, avrebbe
voluto rispondere Otōsan, il quale aveva subìto più lui della genitrice (la
quale s'era convenientemente suicidata nel '52, alla fine de facto dell'occupazione militare americana) l'umiliazione
d'essere un ainoko, un bastardo sangue misto. Non esistono giapponesi di sangue
puro con capelli biondi e occhi azzurri. Se non fosse stato per la buonanima di
quel filantropo riccone di Namikaze Jiraiya-ojii, che lo aveva adottato ed
educato allo scopo di riscattare le sue dubbie origini, di certo mio padre non
avrebbe tardato a seguire sua madre in fondo al fiume Naka con le tasche piene
di pietre. C'erano voluti molti anni, indubbiamente, ma infine aveva ripulito
la sua reputazione agli occhi di Konoha, divenendo un brillante avvocato. Tutti
adoravano Namikaze Minato-shi, dimenticando come in passato l'avessero additato
coi peggiori dei nomignoli, ainoko! bastardo! parassita! vattene da tuo
padre in America! Perfino quando li aveva scioccati sposandosi con quella
teppista di mia madre Kushina continuarono ad osannarlo, eleggendolo a simbolo
di un Giappone rinato. Non fiatarono sullo stile di vita poco consono ai valori
tradizionali dei suoi figli. Non smisero di amarlo neppure quando permise ai
Kirisutokyouto di costruirsi una chiesa su di un terreno destinato invece ad
essere occupato dal solito centro commerciale. Konoha ignorava infatti come mio
padre la stesse costantemente sfidando, sbeffeggiandola della sua ipocrisia e
al contempo la adulasse con false promesse di un "progresso
conservatore". Dietro i suoi sorrisi si nascondeva molto rancore e
amarezza, che mi lasciò in eredità assieme ai suoi tratti somatici. Ridendo,
Menma soleva appellarmi maschiaccio
perché a quindici anni avevo deciso di recidere quelle infamanti trecce bionde,
ma bionde naturali, che mi facevano passare per una diversa, una delinquente. In
particolare, oltre che per il taglio corto e arruffato, si burlava dolcemente
di me per la mia attitudine rissosa. Picchiavo forte, eggià, e mi rimproverava
per questo! Come no, e lui elargiva caramelle agli omofobi che lo chiamavano "vecchio
troione succhiacazzi"!
Ancora oggi non gli ho mai confidato che se menavo le
mani, era soltanto per difendermi. Gli ho confessato molte cose, ma con questa
ho sempre fallito. Come può d'altronde capirlo uno che ha avuto la fortuna di
nascere fisicamente giapponese in tutto per tutto? Meglio gay che gaijin, come
si suol dire.
Mah.
Forse per questi disparati motivi avevo deciso di
mettermi con Sasuke.
Tra diversi non
ci si sente fuoriposto.
~~~
La morte di Fugaku-san aveva colto tutti di sorpresa:
ricoverato d'emergenza la notte di Capodanno, era rimasto in ospedale fino a
metà gennaio, quando un secondo attacco di cuore lo divise per sempre dai suoi
disperati congiunti.
Seppi della sua dipartita solo il giorno dopo, sabato 17
gennaio, tramite Itachi-san e al momento ammetto che m'ero sentita piuttosto
delusa, se non offesa, nei confronti di Sasuke per questa
"ambasciata" da parte di suo fratello. Solo al funerale compresi
quanto il decesso del padre avesse sconvolto il mio povero fidanzato (segreto).
Dopo esserci
congedati da nostra madre, Menma, Otōsan ed io ci eravamo diretti verso il quartiere
dove abitavano gli Uchiwa.
Facemmo appena in tempo a raggiungere l'entrata
principale della loro casa addobbata a lutto, che la trovammo bloccata da una
piccola folla di amici, parenti e curiosi, impedendo al corteo funebre di
uscire. In mezzo, fissandosi vicendevolmente in cagnesco, la vedova Mikoto-san discuteva
animatamente con l'altrettanto alterato sacerdote del Tempio Nakano. Dai
frammenti della loro concitata discussione, apprendemmo che alla base di quel
diverbio teologico si trovava la testarda insistenza del bonzo e dei vicini
acciocché si celebrasse il rito funebre shinto-buddista, imposizione
tenacemente contestata dalla madre di Sasuke e, pian piano, anche dai suoi
correligionari. Malgrado la Restaurazione Meiji avesse introdotto e garantito
la libertà di professione di qualsiasi fede, il sospetto verso coloro che non
praticavano i riti tradizionali non era affatto svanito, anzi, i cristiani
sotto sotto venivano ancora considerati persone "bizzarre", se non
proprio egoiste e ottuse per loro intransigenza nel fregarsene altamente
dell'altrui opinione se non quella di seguire i dettami del loro Iesu Kirisuto-sama,
per il Quale erano capaci "di rinnegare se stessi e i loro genitori e
parenti". Non solo: essi condannavano severamente il suicidio (anche per
onore) e l'aborto, nonché si rifiutavano categoricamente di associare ai riti
cristiani i precetti shinto-buddisti su cui si scandiva la vita del tipico
giapponese. Gli appassionati delle teorie del complotto sostenevano che i
Kirisutokyouto fossero addirittura spie degli Occidentali. (Anch'io confesso
una mia gaffe dettata dalla mia iniziale ignoranza in materia, quando chiesi a
Sasuke se allora i cristiani si considerassero una sorta di semidei, visto che
si dicevano "figli di Dio". Ancora arrossisco al ricordo della sua
faccia contorta nel tentativo di non sganasciarsi dalle risate). Se nelle
grandi città si sorvolava tranquillamente su queste controversie religiose e
morali, nella più pettegola provincia al contrario scuoteva molte lingue, le
quali alludevano a sventure, a maledizioni e a persecuzioni di spiriti offesi
che prima o poi si sarebbero scatenate sulle dure cervici di quei mariuoli
semi-occidentalizzati. Non che i Kirisutokyouto fossero meno tenaci: piuttosto
che venire ad un compromesso, preferivano rinunciare al loro quieto vivere,
pronti a qualsiasi conseguenza. Non
erano sopravvissuti a quasi duecento anni di persecuzioni per lasciarsi
influenzare da chicchessia. Come adesso con gli Uchiwa e il sacerdote del
Tempio Nakano. Temendo quindi che l'affare terminasse con uno scontro fisico
tra i due credo, Itachi-san decise allora d'intromettersi e, condotta
delicatamente la madre verso Shisui-san, tentò con molta pazienza di far
ragionare il bonzo, ringraziandolo per il disturbo ma sostenendo che loro
stavano aspettando il loro prete cattolico per celebrare il funerale secondo la
loro dottrina. Il bonzo e i vicini, insensibili a questo spirito conciliatorio,
presero a tuonare che dovevano invece seguire le antiche usanze, al massimo
fare due cerimonie, altrimenti lo spirito di Fugaku-san non avrebbe mai trovato pace.
"Inoltre", aggiunse l'uomo, sventolando un dito
premonitore sotto lo scettico naso d'Itachi-san, "la vostra casa e la
vostra famiglia saranno maledette dalla sua anima tormentata!"
Fu allora che comparve Sasuke.
"Vecchio rincitrullito infarcito di merda!",
ululò, facendosi violentemente strada tra gli astanti. Con la forza di un toro
inferocito si scagliò contro il bonzo, pigliandolo per le vesti e
scaraventandolo in mezzo alla strada, urlando come un forsennato di non
insultare l'anima del defunto padre con le bugie dei kami shintoisti e del
Buddha. "Da morto ti permetterò di
dissacrare uno dei nostri sacramenti con simili fesserie da
superstiziosi!" e soltanto il provvidenziale placcaggio di Itachi-san gli
impedì di prendere a calci il bonzo fino al cimitero.
Inutile dire come rimanemmo tutti scioccati dalla sua
furia.
Non riconobbi in lui l'uomo un po' scorbutico e tuttavia
buono, del quale m'ero innamorata. Dinanzi a me s'era manifestata una persona
completamente diversa, feroce e inflessibile.
E disperata.
Con una scusa, mi allontanai discretamente dal corteo
funebre, dopo aver salutato velocemente Mikoto-san. Non osai prender parte alla cerimonia: per la
prima volta dall'inizio della nostra relazione, percepii come la diversità di
Sasuke, anche solo teologica, avesse creato un divario tra noi due. Avevo
infatti sperato di trovare in lui consiglio, di sottoporgli un problema che da
tempo m'angustiava per decidere assieme il da farsi.
Dopo quella scenata, già mi potevo immaginare la sua
risposta che io, stupida, non volevo per nulla al mondo condividere.
Domenica, 25 gennaio 1998
-
mancano 12 giorni all'Appuntamento-
Avevo appena cerchiato sulla mia agenda la data "venerdì, 6 febbraio" che il mio
cellulare prese a squillare di nuovo. Dieci minuti più tardi, Sasuke
m'aspettava sottocasa.
"Sono venuto per scusarmi", mi comunicò, prima
ancora di salutarci. Era la prima volta che lo rivedevo dal funerale di suo
padre e i segni del lutto ancora indugiavano sul volto del mio fidanzato, pallore e occhi cerchiati di rosso esasperati
dall'abito nero che avrebbe indossato, secondo le usanze dei Kirisutokyouto,
fino alla prima Messa di suffragio per l'anima del padre. Strascicava inoltre le
parole, neanche si fosse ubriacato di lacrime, il capo chino e concentrato
sulla neve fangosa sotto i suoi stivali. Mi parve molto vecchio e spossato.
"E per quale motivo?", giocai alla nesci,
malgrado sapessimo benissimo entrambi a cosa si riferisse.
"Giovedì, al funerale. Ti ho turbata col mio
atteggiamento. Ti ho deluso. Per questo te ne sei andata così presto, senza
neppure salutarmi."
D'un colpo trovai molto interessante la festa di
compleanno di mio padre, che avevo momentaneamente abbandonato per conferire
con Sasuke.
"Non fa niente. Succede."
"Non mentirmi." La voce del mio partner suonava
angosciata. "Io ... io spero che la tua freddezza nei miei confronti sia
dettata dalla figuraccia che ho fatto giovedì. Altrimenti, sul serio non riesco
a comprendere perché m'hai evitato così a lungo!"
"Non ci sentiamo da tre giorni, paranoico d'un
melodrammatico!"
"A me? Dico, ti fingevi la segreteria
telefonica!"
"Adesso mi fai il terzo grado? Mi controlli?", protestai
simulando indignazione, più che altro allo scopo di dirottarlo dal vero motivo
del mio effettivo allontanamento. Non potevo rivelarglielo.
Non avrebbe compreso.
"Va bene, va bene, non ti scaldare! In ogni modo,
stasera parto: m'assenterò da Konoha per un po' di tempo", mi comunicò
Sasuke tutto d'un fiato e sussurrando, quasi mi stesse confessando un chissà
quale segreto obbrobrioso. Di certo, non poteva competere col mio.
"Dove vai?"
"Ad Akita, al Santuario di Maria-sama [3]. Mia madre
vorrebbe trascorrervi un periodo di ritiro spirituale per trovare conforto e
forza, onde affrontare la vedovanza."
"E tu?"
"Io?", sorrise amaramente il mio compagno,
sistemandosi nervosamente una ciocca dietro l'orecchio. "Io rimarrò lì
qualche giorno. Per meditare sul mio gesto. Dopodiché mi recherò a Nagasaki per
un congresso e starò lì fino al 6 febbraio, per la commemorazione del martirio
di Pauro Miki-sama e degli onorevoli martiri [4]. Pensavo di cenare assieme
quella sera, al mio ritorno ben inteso, ti andrebbe? Nel frattempo, dovessi
aver bisogno di qualsiasi cosa, sai che la mia famiglia è la tua."
Mi massaggiai pensosa la radice del naso, incerta se
sentirmi sollevata o meno per quell'improvviso allontanamento. "Te ne vai in
un santuario ... Per fare penitenza?"
"Non proprio, direi piuttosto una riflessione sul
fatto che non devo cedere alla violenza, neanche quando dettata dalla
sofferenza", mi rivelò a malincuore e dal livore delle sue nocche, intuii
quanto quella decisione fosse costata a Sasuke, di solito sempre così irruento
e appassionato nelle sue convinzioni, anche sotto la facciata di granitico
stoicismo. "Vedi ... non trovo le parole adatte per spiegarti cosa mi sia
preso in quel momento. Non riesco ad elaborare neppure io un motivo esatto. Mio
padre ... malgrado le nostre divergenze, gli volevo molto bene, era sempre
stato il mio punto di riferimento. Alla sua morte mi sono sentito crollare il mondo
addosso, Naruko, non ... Ho smesso di ragionare lucidamente. Non accettavo la
sua morte. Neanche quando Itachi-nii mi confortava dicendomi che lui si trovava al
cospetto di Kami-sama, dove ci avrebbe aspettati per ricongiungerci. Ma ... ma
come poteva aspettarci, visto che era lì, rigido e freddo in una bara di legno?
Ho ... ho vacillato ... ho dubitato ... Quando poi quel vecchio pazzo ha
paventato che l'anima di mio padre, invece di trovare la beatitudine
ultraterrena, sarebbe stata maledetta come quella d'un malfattore soltanto per
non aver recitato degli incantesimi da superstiziosi ... Che Kami-sama mi
perdoni per il mio gesto, perché l'idea di domandare scusa al bonzo mi riesce
difficile ...", dichiarò in un sommesso borbottio, grato che il freddo gli
stesse arrossando le pallide gote, così da non dover giustificare quel rossore
generato invece da quella (secondo lui) imbarazzante confessione.
Contro ogni sua aspettativa, l'essersi sbottonato con me,
nonché l'avermi chiarito il perché dietro quell'atto violento, mi suscitò
un'onda di travolgente affetto nei suoi confronti, rendendomelo ancora più caro
e spronandomi ad afferrargli il braccio, serrandomi a lui.
Le nostre dita s'intrecciarono automaticamente tra di
loro.
"Di certo hai dimostrato, di non essere il tipico
Kirisutokyouto che porge l'altra guancia!", commentai giocosamente, affinché
non si fustigasse troppo per quell'attimo di crisi spirituale. Considerati i
miei numerosi scetticismi in materia religiosa, ero l'ultima persona cui Sasuke
poteva chiedere conforto e ciononostante non desideravo spargere sale sulle sue
ferite. Lui non mi aveva mai criticato
per le mie convinzioni né aveva tentato di convertirmi, rispondendo alle mie
domande come se stesse soddisfacendo più una curiosità intellettuale che
religiosa. Ed io lo rispettavo per questo, apprezzavo la sua delicatezza. Sarei
passata per una vera bastarda se ne avessi approfittato per farlo dubitare
della sua fede. Sasuke non si sarebbe mai permesso tale vigliaccata. Io
neppure. Anche se, a sua insaputa, gliene stavo preparando una ... una che non
riuscivo a ...
"E ti pare che ne debba andare fiero? Insomma, non vorrai
mica un rissoso per marito, spero?", scherzò Sasuke, fingendosi dapprima
accigliato per poi sciogliersi in uno di quei rari sorrisi pieni di fossette,
che provocavano innumerevoli batticuori nelle altre ragazze. Il mio compreso e
ne era a conoscenza, il delinquente.
Avrei dovuto ridere alla battuta.
Avrei dovuto rispondere all'abbraccio in cui mi
avviluppò, riscaldandomi.
Invece, mi venne una gran voglia di piangere.
Lunedì, 26 gennaio 1998
- mancano 11 giorni all'Appuntamento-
Era strano prendere il treno per Tokyo senza vedere
Sasuke salutarmi dal binario: mentre il veicolo acquistava man mano velocità
fino a scomparire alla prima curva; mi sembrava d'aver abbandonato l'ultimo
nostro rituale di coppia. In altre circostanze, avrei razionalmente
contestualizzato quell'assenza dicendomi che il mio fidanzato aveva preso
assieme a sua madre il superveloce per Akita. Invece, la mia parte più emotiva
piangeva un lutto ch'io per prima trovavo illogico, eppure preponderante nella
mia mente confusa. La mia decisione era presa e ciononostante non riuscivo a
trovare alcun conforto in essa. Anzi, più ci rimuginavo sopra, più i dubbi
m'assalivano.
Sospirai di sollievo quando finalmente raggiunsi
accompagnata da Menma la quiete del mio bilocale. Hinata-chan, la mia
coinquilina, m'aveva lasciato un post-it, spiegandomi come quella sera avrebbe
pernottato da Sakura-chan ed Ino-chan,
due nostre compagne di facoltà. Prima ancora che avessi il tempo d'obiettare,
mio fratello acchiappò immediatamente il telefono, invitando Gaara a pranzare da
noi. Non che nutrissi alcuna contrarietà, tuttavia mi pareva scorretto
organizzare pranzi senza aver prima consultato Hinata-chan. Nondimeno, alla
vista della zazzera rossa (tinta) del meco di Menma, accantonai ogni remora per
godermi invece i siparietti di quei due matti, sperando di distrarmi un poco. Mi
piaceva talvolta immaginare come sarebbe stata la mia relazione con Sasuke in
caso avessimo adottato la medesima complicità spensierata di Gaara e Menma,
arrivando sempre alla conclusione che sarebbe stato impossibile. Del resto,
malgrado il nostro burrascoso inizio, noi due non ci eravamo di certo
innamorati scambiandoci simili complimenti (Ma
quanto tamarro e rincoglionito sei da vestirti da Mika-chan di "Angel Sanctuary"? "Ha parlato il provincialotto di merda!"
) col risultato d'amour extrêmement fou. In ogni senso.
Meno male che Menma s'era trasferito a Tokyo in via
definitiva. Dubito che Gaara sarebbe sopravvissuto alla statica vita
provinciale offerta da Konoha, né che quest'ultima lo avrebbe accolto a braccia
aperte: il mio presunto cognato appariva troppo ... eccentrico per passare
inosservato e perfino mio padre aveva lasciato intendere che, per una cittadina
come la nostra, noi in primis le bastavamo già per fregiarsi dell'aggettivo
"tollerante." Meglio non tendere oltre la corda dello shamisen.
Un vero peccato perché mi sarebbe piaciuto avere mio
fratello più vicino. L'idea di rimanere a Tokyo non m'attirava più di tanto,
avevo sempre preferito ambienti più semplici e circoscritti rispetto alle
confusionarie metropoli. Ma del resto, che ci potevo fare? Non avevo alcun
diritto d'immischiarmi nella vita di Menma, non quando s'atteggiava in maniera
così rilassata e felice.
Spiandoli di sottecchi mentre indugiavano nei loro soliti
battibecchi ("Stamattina al lavoro
c'era la fiera della luna storta: chiedo ad un mio collega di passarmi alcun
prospetti e quello mi dice: "Ti vesti come una puttana!" "E
secondo me ha pure ragione: passi per i capelli tinti, ma dovevi pure metterti
l'eyeliner ora?" "E' kajal, idiota! Perché non mi difendi?
Stronzo!") non riuscii a trattenere un brivido d'invidia.
No, decisamente Sasuke ed io non saremmo stati così l'uno
con l'altra. Ecco la nostra verità: non avremmo mai vissuto il nostro rapporto
in maniera semplice, diretta. Non fintanto che non ci saremmo venuti incontro.
Ma come?
"E così ti ha chiesto di sposarlo?", cambiò
Gaara improvvisamente discorso, masticando vivacemente l'ennesimo gyoza e facendomi
sobbalzare dalla sorpresa. "Non ti preoccupa che tua madre crepi d'infarto
alla notizia?", aggiunse, sghignazzando assieme a Menma. Quanto a me,
rivolsi ad entrambi una pepata occhiataccia, specie a mio fratello, sulla cui
omertà avevo molto puntato.
"Io non la definirei proprio una proposta di
matrimonio, Gaara", replicai acidamente, preferendo riempirmi la bocca di
ravioli pur di non rispondere ad ulteriori domande indiscrete.
"Ah, no? La
mia famiglia è la tua e Non vorrai
mica un rissoso per marito, spero? Scusami tanto, Nacchan, ma a me suona
moltissimo come una dichiarazione bella e buona! Posso farti da testimone? Alla
fine della fiera, resto pur sempre il ragazzo di tuo fratello! Oh no, a quelli
là non piacciono i gay. Uhm, vabbè, mi limiterò a presentarmi come il tuo
migliore amico e basta!"
"Frena i cavalli, amichetto, e ficcati in quella zucca vuota che non sono cristiana.
Eppoi questa tua diceria non corrisponde interamente al vero: guarda ad esempio
Menma e Itachi-san, che sono così amici da far venire la carie!"
"E allora?", s'intromise Menma, stappando una
seconda bottiglia di birra, che prontamente rifiutai. "Non sei cristiana?
No problem, oggigiorno molti si sposano alla maniera dei Kirisutokyouto, eppure
non lo sono. Fa, come dire, romantico e fashion! La chiesetta ... l'abito
bianco e vaporoso ... il bouquet ..."
"Ti ci metti anche tu, brutto ramarro? Questo
funziona solo se la coppia è shintoista, buddista, quel che vuoi! Ma Sasuke è
un vero Kirisutokyouto e dubito che la prenda alla leggera, come fa la maggior
parte delle coppie!", ribattei fumante, perché, gira che ti rigira, era
quello il nodo gordiano di tutto quest'allegro bordello.
"Pfui, d'accordo ... che polemica ..."
"Esatto, così come dovete ammettere che Sasuke non
può avermi chiesto di sposarlo!"
"No, su quel punto non ritratto!", ci tenne a
precisare Gaara, fissandomi battagliero. "Che poi, non comprendo dove stia
l'inghippo! Insomma, se lui ti sposasse, risolveresti tutti i tuoi problemi,
non ti pare?"
Un incomodo silenzio s'impose tra di noi, perché sapevamo
d'aver toccato un nervo scoperto. Molto scoperto. Sensibilissimo. Era però
confortante apprendere come, malgrado tutto, entrambi si preoccupassero per me,
sostenendomi e prodigandosi per trovare insieme una soluzione. Mi faceva
sentire ancora degna di rispetto. Non mi giudicavano e di questo gliene ero
grata. Difficilmente avrei ricevuto un simile trattamento dalle mie cosiddette
"amiche". Chissà perché, ma talvolta le donne possono essere più
crudeli e intransigenti degli uomini.
"Ma la sua famiglia ...", tentai d'argomentare,
cercando di far comprendere il mio punto di vista a quei due testoni.
"... ti adora, inutile negarlo! E hai avuto un bel
signor culo, sai? Visto che quelli si sposano esclusivamente tra di loro!"
Su quel punto non avevo nulla contro cui ribattere.
Effettivamente, gli Uchiwa mi avevano accolta come una figlia, sebbene non mi
fosse sfuggita l'implicita ansia concernente la mia professione religiosa.
Anzi, stando ai racconti di famiglia, ero la prima "gentile" che un
loro membro frequentava da quasi duecento anni. Conoscendo la vita piena di
paranoia da Kakure Kirishitan durante il Periodo Edo [5], non ne ero rimasta
tanto sorpresa. Mi sentii al contrario onorata. Anche se ... "Resto
comunque una non-credente", dichiarai lapidaria, sorseggiando poco
elegantemente il latte dalla bottiglia.
"Embé, convertiti!"
"Sarebbe ipocrita da parte mia. Non ... non nutro
alcuna fede nei confronti del loro Iesu-sama ..."
"Secondo me, ci andresti invece a nozze!"
"E perché?"
"Perché i Kirisutokyouto sono gli unici che non ti
abbiano dato della "freak" per il tuo aspetto da massaia del
Kansas!", puntualizzò inclemente Menma, prontamente spalleggiato dal grave
annuire di Gaara.
Razza d'impenitenti levantini, consiglieri fraudolenti.
Quanto li odiavo, quei due, quando avevano dannatamente
ragione.
Mercoledì, 28 gennaio 1998
-
mancano 9 giorni all'Appuntamento-
"[...] Eppure
quest'esperienza insegnò qualcosa a Yuan Hsaio. Aveva realizzato che fintanto
che continuava a sussistere un desiderio conscio, esso avrebbe permesso ad ogni
forma di distinzione di esistere. Ma qualora ne avesse soppressa una, tutte
queste distinzioni si sarebbero dissolte e ci si potrebbe accontentare di bere
da un teschio così come da una ciotola. Tuttavia è questo ciò che più mi preme:
una volta che Yuan Hsaio è stato illuminato, potrebbe egli bere ancora dalla
stessa acqua, sicuro del fatto che sia pura e deliziosa? E non pensate che lo
stesso potrebbe essere vero anche per quel che concerne la castità? Se un
ragazzo è ingenuo, certamente può adorare una prostituta con la sincerità
dell'innocenza. Ma una volta realizzato che la sua donna è una sgualdrina e che
ha vissuto in un'illusione finalizzata a servire soltanto l'immagine della sua
stessa purezza, sarà egli capace di amare questa donna come prima, con la
medesima passione? Se ci riuscisse, non pensate che sarebbe meraviglioso?
Prendere i vostri ideali e su di essi modellarvi il mondo. Non corrisponderebbe
a un incredibile potere? Sarebbe come tenere in mano la chiave segreta della
vita stessa, non vi pare? [...]" [6]
Un indemoniato vagito di neonato interruppe la lettura
del romanzo su cui dovevo preparare un essay, così come pose fine allo studio
di Hinata-chan e delle nostre due amiche, le quali s'erano fermate da noi dopo
le lezioni pomeridiane.
Mué! Mué! Mué!
"Oh, per la misericordia della divina Kannon-sama,
quanta pazienza!", sbottò Sakura-chan, tappandosi le orecchie e
continuando ostinatamente a leggere i suoi appunti. "Quand'è stata
l'ultima volta che avete avuto un po' di silenzio in 'sta casa?"
"La vicina ...", provò Hinata-chan a difendere
la madre di quel piccolo Oni, prontamente zittita dagli strilli di
quest'ultimo. "Non dà molto fastidio ... Basta far finta di niente ... Vero,
Nacchan?"
Mué! Mué! Mué!
"Suppongo di sì", bofonchiai, accarezzandomi lo
stomaco gorgogliante. Mi servii spudoratamente dei biscotti portatici da
Ino-chan. "Alla fine ti ci abitui ... credo."
Mué! Mué! Mué!
"Sì, sì, come no! Non c'è bisogno di far finta di
niente! Si vede lontano un miglio che il mostriccio vi sta rubando il
sonno!", affermò sardonica Sakura-chan, chiudendo con enfasi il libro,
segno che, cause acustiche, il suo ripasso era stato definitivamente rimandato
a più tardi.
"Tu cosa suggeriresti? Ne abbiamo parlato cogli
altri condomini: sebbene tutti d'accordo, mica possiamo sbatterla fuori a
calci! E' una madre single, poverina, s'arrangia come può ..."
Sakura-chan non si commosse molto per quella debole
giustificazione. "Beh, lo stesso dovrebbe traslocare altrove! Questo
condominio non è fatto per i bambini piccoli: i muri sono troppo sottili! Non è
rispettoso infastidire così gli altri, quando ci sono tanti quartieri più
idonei per crescere marmocchi!"
Mué! Mué! Mué!
"Si è poi mai scusata, la tipa?", inquisì
Ino-chan, ritornando dall'angolo cottura con una teiera ricolma di fumante tea
verde. "Sarebbe il minimo da parte sua. Altrimenti, è davvero
un'irriconoscente!"
"Mi sa che hai ragione, purtroppo ..."
Mué! Mué! Mué!
"Lei non ne ha colpa", m'intromisi, sentendo
una leggera nausea serrarmi la gola. "Il bébé piange perché quello è il
suo unico modo per comunicare. Anche noi, da piccini, strillavamo dimenandoci
nella culla, svegliando i nostri genitori nel cuore della notte!", e sorrisi,
stupita io stessa della mia appassionata arringa. Da quando in qua mi stavo
trasformando in una sentimentalista? Colpa degli ormoni impazziti? O del senso
di colpa? E quale poi? Non avevo mai fatto nulla di male, io!
Mué! Mué! Mué!
"Ah, è la futura signora Uchiwa che sta parlando? Tu
e il baciapile avete già in mente il numero di pupetti da sfornare?"
Alzai la testa di scatto, decisamente piccata per quella
frecciatina che io sapevo benissimo provenire da una tacita invidia, che
Sakura-chan provava nei miei confronti: ancora vibravo di gelosia al solo
ricordo delle occhiatine languide e piene di promesse, che lei aveva osato
lanciare a Sasuke alla sua prima visita qui a Tokyo. Fortunatamente per me,
avevo accalappiato un uomo cresciuto con l'orrore per l'adulterio e per le
corna in generale. In ogni modo, non mi fidavo di lasciare quella disgraziata
troppo tempo da sola col mio meco.
"Se davvero Sasuke fosse un baciapile", sibilai
velenosa, "a quest'ora avrebbe già impalmato una sua correligionaria,
invece di frequentare la sottoscritta!"
Mué! Mué! Mué!
"Oh, ti vanti dunque di averlo indotto in
tentazione? Proprio te?", ridacchiò Sakura-chan, gli occhi che le
brillavano di sarcasmo e malizia. "Senti un po', ma allora è vero che i
Kirisutokyouto non usano mai il preservativo?"
Mué! Mué! Mué!
Meno male che ignorava le mie attuali condizioni e i miei
principi morali, altrimenti l'avrei assassinata sul posto.
Mué! Mué! Mué!
"Ma certo che mette il preservativo quando lo
facciamo! Le malattie veneree non sono un'opinione!", digrignai i denti,
trattenendomi all'ultimo dall'aggiungere un bell'idiota alla fine.
"Addirittura? E io che credevo che dovessero
arrivare vergini all'altare!"
"Sono cristiani, mica degli alieni! Eppoi, si tratta
di una leggenda metropolitana: infatti, guarda i loro correligionari
occidentali, ti pare che pratichino l'astinenza?"
"Uno a zero per Nacchan! Del resto, Sakura-chan, è
risaputo come gli uomini, qualsiasi sia il loro credo o nazionalità, ragionino
sempre e solo col loro amichetto ... ", si sentì Hinata-chan in dovere
d'intervenire e porre fine a questo nostro accapigliarci verbalmente, pena le
cervella di Sakura-chan sul tavolino appena comprato nuovo e sul tatami color
crema, ovviamente. "Ino-chan, dimmi, ti piacerebbe avere in futuro dei figli?"
Grata per quell'interruzione, la ragazza scosse
energicamente il capo. "E neanche ho in progetto di sposarmi! Voglio fare
carriera, io! Mica spadellare dalla mattina alla sera per dei mocciosi e un
ingrato che si crede mio marito e padrone! Col cavolo!"
"Hai intenzione di divenire quindi una di quelle,
che il sociologo Yamada-san definisce single
parassita?", la provocai sghignazzando.
Ino-chan rise di gusto a quel tipico caso d'anxiété
masculine. "Esatto! Altro che andare in giro cogli elmetti rosa! La mia
anima femminista troverà soddisfazione nel divenire senior manager di una
grande impresa e far conseguentemente mangiar merda a quei bastardi maschilisti
dei tuoi datori di lavoro! E magari mi candiderò pure per il Parlamento!"
"Dai, non esagerare!", sogghignammo complici.
"Un corno! Per trovare lavoro e vincere i concorsi
bisogna essere doppiamente più brave e sveglie dei nostri coetanei maschi! E se
abbiamo abbastanza culo che c'assumano in una posizione di prestigio dobbiamo
sudare sette camicie per non finire spodestate: per un uomo, quando questi
sgarra, potrebbero anche chiudere un occhio. Noi, al contrario, siamo del
gatto! E se non ci va bene, ci ritroviamo sottopagate e costrette a mansioni
davvero ridicole, manco fossimo intellettualmente inferiori rispetto agli
uomini. Beh, a mio parere siamo stupide a non assassinarli in culla, ecco!
Anzi, dovrebbero sottrarli da piccoli dalle famiglie e rieducarli al rispetto
per noi donne! Invece, ci sfruttano e ci privano di una qualsiasi forma di parità
sociale! Provate voi a rimanere incinte: fine della vostra carriera e Good night
Vienna! Ho letto di una tipa che ha avuto due aborti naturali, causa lo stress
per l'eccessiva mole di lavoro. Comunque, sapete come ha reagito il suo capo?
Quando questa poveraccia era ancora convalescente, le ha telefonato dicendole
se poteva evitare di tentare una terza gravidanza, perché la sua assenza stava
mettendo a disagio i suoi colleghi. Capito? Doveva vergognarsi della sua natura
e rinunciare ad avere figli per compiacere gli altri!"
"Mostruoso!"
"A questo punto", terminò Ino-chan la sua
focosa orazione, "se devo proprio ingoiare rospi e farmi chiamare
parassita, che io sia almeno libera di vivere la mia vita come mi garba, senza
doverla sacrificare in nome di una famiglia-carcere. Si risparmiano un sacco di
soldi restando a casa dei propri genitori e non si deve rendere conto di niente
a nessuno Perché, poi, mi devo per forza sposare se un tipo mi piace? Dove sta
scritto? Insomma, il matrimonio è soltanto un pezzo di carta, che valore ha? Nessuno,
tranne quello d'assoggettarti ad un bischero rincitrullito pieno di sé!"
In seguito a queste valide argomentazioni, se prima
nutrivo delle remore alla prospettiva di sposare Sasuke, adesso non solo
l'avrei rifiutato, ma anche preso a ceffoni.
"Hé, Ino-chan, se vuoi sfogarti contro il
matrimonio, chiedi consulenza alla qui presente Hinata-chan: lei sì che ne sa
qualcosa in materia!", appoggiò solidale Sakura-chan una mano sulla spalla
della mia coinquilina.
"Davvero? Come mai?", le domandò a bruciapelo Ino-chan,
per nulla avvezza a rimanere fuori da una conversazione per più di due minuti.
Mué! Mué! Mué!
"Ecco ... stando ad una soffiata di mia sorella
Hanabi ... Mio padre avrebbe ... avrebbe
trovato un candidato ..."
"No!"
"Bastardo!"
"E' orribile!"
D'accordo che la famiglia Hyuuga fosse all'antica, ma
parlare ancora di matrimoni combinati alla fine del ventesimo secolo? Ridicolo!
A cos'erano servite le proteste del movimento femminista, allora?
Hinata-chan sorrise timidamente, scuotendo rassegnata le
spalle. "Immagino che ci fidanzeranno non appena terminerò l'università.
Perlomeno mi risparmierò la seccatura di redigere curriculum vitae, no?",
la buttò sul ridere, nonostante le costasse un notevole sforzo. Dal canto
nostro, non accennammo a piegare neppure gli angoli della bocca. Se la mia
coinquilina era al settimo cielo alla prospettiva di sposarsi con uno
sconosciuto, hé, ebbene io avevo ogni chance di divenire il prossimo Primo
Ministro.
Senza contare, che il breve riferimento alla famiglia
d'Hinata-chan aveva rinfocolato un mio antico dubbio: gli Uchiwa acconsentivano
alla mia relazione con Sasuke appunto in quanto non vincolante? Avrebbero
tenuto lo stesso la bocca chiusa, qualora il mio meco si fosse ufficialmente dichiarato?
Oppure ci avrebbero ostacolato? O preteso la mia conversione? Mia madre sarebbe
esplosa di rabbia, mio padre se ne sarebbe fregato altamente, Menma si sarebbe
fatto una bella risata, ma ... cosa avrebbero detto gli Uchiwa su di un
matrimonio misto? Mi avrebbero accettata comunque? E Sasuke? Chi dei due
avrebbe scelto? A chi avrebbe dato la precedenza? E io? Sarei davvero stata
così meschina da costringerlo ad una scelta per lui assolutamente atroce? Così
come gli stavo nascondendo ...?
Mi ritrovai incapace di trovare una soluzione. Il mio
attuale stato non m'aiutava per niente a decidere saggiamente.
Mué! Mué! Mué!
"Oh, e finiscila, piattola!", sbuffò
Sakura-chan al limite di una crisi di nervi, sbattendo ritmicamente il pugno
contro il muro. "Fallo tacere una buona volta!"
Soltanto dopo una trentina di minuti, dall'altra parte
della parete il neonato smise di piangere.
Giovedì, 29 gennaio 1998
-
mancano 8 giorni all'Appuntamento-
"Moshi moshi?"
A giudicare dal tono gracchiante - seguito da uno verso
strano, forse un ibrido tra un Ouf! e
un Itai! - dovevo aver buttato giù
Sasuke dal letto. Testualmente.
"Stavi .. stavi dormendo?", cercai di rimanere
seria, immaginandomelo mentre, seduto, si massaggiava la fronte dolorante, dove
magari stava crescendo un bel bernoccolo.
"No, guardavo
il soffitto e, guarda caso, mi trovavo in pigiama. Sai che sono quasi le tre
del mattino, vero?"
Sasuke quando faceva del sarcasmo sbadigliando non lo si
poteva proprio prendere sul serio. "Oh, scusa, allora riattacco!", dissimulai
dispiacere, staccando l'orecchio dal cellulare.
"Lascia
perdere: se mi devi svegliare, sentiamone dunque il motivo. Dimmi tutto."
"Ecco ... No, niente. Avevo semplicemente voglia di
sentirti." Il che corrispondeva al vero: in seguito alla chiacchierata di
ieri con le mie amiche, sebbene assolutamente d'accordo con le loro idee non
riuscivo a togliermi dalla mente il desiderio di riascoltare la voce del mio
meco, giusto che capire che genere di reazione m'avrebbe suscitato, se gioia o ribrezzo.
Stranamente, né l'uno né l'altro, solo una grande malinconia.
"Lo vedo.
Altro?"
"Perché stai sussurrando? Sei ancora al
santuario?", aggrottai la fronte, incuriosita da quel tono da cospiratore.
Beh, non che io stessi cantando a squarciagola: mi rendevo infatti conto d'aver
scelto un'ora infelice - se non proprio tabù - per una telefonata, però Sasuke
bisbigliava talmente piano che faticavo ad isolare le sue parole.
"No, sono in una
cabina della carrozza letto. Ma lo stesso potrebbero aver sentito qualcosa e
non chiedo lavate di capo notturne!"
O beghe notturne, conoscendo il suo carattere polemico.
"Hai strillato peggio di una donnicciola
cadendo?", curvai le labbra, sforzandomi di rimanere seria e fallendo
miseramente, tant'era vero che Sasuke non c'impiegò molto ad accorgersene,
replicando umiliato e offeso:
"Mi rifiuto di
rispondere a questa domanda impertinente."
"Allora sei in treno?"
"Sì, fino a
prova contraria."
"Non avevi detto che ti fermavi al santuario fino a
stasera?"
Dall'altra parte, udii uno strofinio di lenzuola:
evidentemente, il mio fidanzato doveva esseri rinfilato sotto le coperte, causa
il freddo della cabina. A gennaio non nevicava per sport e la temperatura,
anche se mitigata dal riscaldamento, non doveva offrire un gran livello di
comfort. "Sono riuscito a soggiornarci
soltanto una notte, per rincasare subito dopo: il povero Tenmaku-kun è stato
ricoverato d'emergenza all'ospedale per via d'una appendicite acuta. Non vorrei
essere stato lì quando Itachi-nii gli ha eseguito la manovra di Blumberg per la
conferma, temo che i suoi ululati siano alla base dei capelli bianchi di
Shisui-nee. In ogni modo, mentre erano entrambi in ospedale per assisterlo dopo
l'operazione, qualcuno doveva pur badare alle pesti almeno per qualche notte.
Meno male che il congresso non inizia prima di domani, sennò apriti cielo ..."
"Ma sul serio non potevano rivolgersi a nessun
altro? Ai loro amici, o parrocchiani ... Ci tenevi molto a quel ritiro!",
obiettai, non comprendendo quel gesto così altruista nella sua impulsività.
Insomma, va bene che Sasuke fosse il parente più stretto, però arrivare ad
interrompe un'attività per lui molto importante? Non consideravano che anche
lui avesse la sua vita? Talvolta avevo l'impressione che dietro alla richiesta
di generosità si nascondesse solo una giustificazione per piegare gli altri
alle proprie esigenze.
"Nah, se non
altro mi sono reso utile. Itachi-nii avrebbe agito allo stesso modo, fossero stati i ruoli invertiti. Tra fratelli
ci si sostiene, no? Anche quando ci si rompe le scatole! Se non si può contare
neppure sulla tua famiglia, che ci resta? Però ammetto che i piccoli
delinquenti mi hanno piuttosto tartassato! Specie Saeko-chan: ha rubato il
sorriso di Mefistofele, giuro!"
Effettivamente,
l'unica nipote femmina di Sasuke metteva a dura prova la pazienza di
chiunque incrociasse: dai parenti agli insegnanti, tutti convenivano che
possedesse un cervello programmato all'unico scopo d'inventarsi burle e
dispetti ai danni del malcapitato di turno. Se non fosse stato per la sua
faccia d'agnellino e la battuta pronta, Saeko-chan non se la sarebbe cavata
soltanto con qualche rimbrotto, come finiva ogni sua impresa di briccona in
erba. Avere poi il suo fratellino Kiyoaki-kun in veste di suo fidatissimo
complice non l'aiutava certo né a migliorare il suo caratterino, né gli altri a
beccarla in fallo. Ciononostante, era impossibile non amare le due carognette.
"Poverino, chissà perché ma do ragione ai tuoi
nipoti!"
Infatti, io ero la
terza complice, alla faccia delle esasperate accuse d'infantilismo da parte del
mio moroso.
"Lo sapevo,
traditrice!", si lagnò melodrammatico, unendosi tuttavia alla mia
risata, forzatamente tenuta di molti hertz più bassa, affinché non svegliasse
nessuno, Hinata-chan in primis.
"Davvero non ti ha scomodato quel favore?"
"Aspetta, non
è che speravi che mi facessi prete lì al santuario?"
"Ovvio che no! Hai delle responsabilità nei miei
confronti!", eruppi con eccessiva veemenza, decisamente troppa per passare
inosservata. L'idea che Sasuke m'abbandonasse mi pareva ... malsana,
impossibile, mostruosa! Non doveva minimamente osare una tale porcata nei miei
confronti, non dopo quello ch'era successo, che stava ancora succedendo. Non
glielo avrei permesso! Io forse stavo commettendo un errore, però ... però lo
stesso non mi meritavo quell'ulteriore stilettata al cuore!
Sobbalzai alla replica lenta, circospetta e mortalmente
grave di Sasuke: "Ah, sì? E quali?",
inquisì ambiguo, impedendomi di capire se mi stesse dileggiando o se avesse
preso sul serio le mie parole. Cosa non avrei dato per avergli potuto parlare a
quattr'occhi, uno di fronte all'altra, così da studiare le sue espressione e
realizzare dove lui volesse andare a parare!
Resami conto d'aver gelato la previa atmosfera d'intima
connivenza, mi risolsi immediatamente a rifilargli una rapida frottola,
sperando che se la bevesse senza tante storie. "Ehm ... No, ecco ... ciò
che intendevo dirti è ... è che mi avevi
promesso di uscire a cena il 6 febbraio ... Non immaginavo tu fossi il tipo da
disdire un appuntamento!", dichiarai a voce un po' più alta, neanche avessi voluto auto-convincermi delle
mie medesime parole.
"Casomai
l'incontrario."
"Cosa?! Teme, io non ti ho mai dato bu- ..."
Dling-dlong.
"...-ca! Argh, visto?! Per colpa tua ho urlato e
adesso i vicini sono venuti per il mio scalpo!"
"Col
nido d'uccello che ti ritrovi in testa, dovranno accontentarsi di poco!"
"Teme ... ! Teme ...!", digrignai i denti,
appoggiando il cellulare da cui si sentivano le risate convulse di Sasuke e
procedendo imbufalita verso la porta, nel frattanto che elaboravo mille e più
insulti per quel disgraziato che si permetteva di burlarsi delle mie figuracce.
Tzé, aspetta di vedermi all'appuntamento!
Vedi come sentirai le tue, brutto macaco!, schiumai peggio d'un sifone di
seltz, togliendo il catenaccio e girando la chiave dalla parte opposta.
Dopodiché spalancai di malagrazia la porta, assumendo velocemente l'espressione
più contrita del mio repertorio facciale.
"Mi scusi, Reiko-san, per averla disturbata, ma sa,
il mio fidanzato ..."
M'interruppi, gelata e non per il freddo inverale di fine
gennaio. M'occorsero alcuni secondi per realizzare che mi stavo scusando col
vuoto: davanti a me non si trovava la figura tarchiata della mia vicina
Reiko-san, né di qualsiasi altro condomino disturbato alle tre del mattino. Il
corridoio esterno era deserto, ricoperto da un lieve strano di neve immacolata,
senza alcuna traccia d'impronte rivelatrici del passaggio di chicchessia.
Allungai il collo, mi guardai attentamente a destra e a
sinistra. Niente. Non c'era nessuno.
Chi aveva dunque suonato? Che me lo fossi immaginato?
Ma sì, si trattava dell'unica soluzione logica: a causa
della mia coscienza sporca per la mia impertinente violazione del regolamento
del condominio, m'ero autosuggestionata, figurandomi l'ovvia reazione del
vicinato, in caso m'avessero scoperta.
Beh, tutto bene quel che finisce bene, giudicai,
rientrando e massaggiandomi le braccia onde riacquistare un po' di calore:
nella mia fretta di rispondere, m'ero infatti dimenticata d'indossare almeno
una coperta di lana e ne stavo conseguentemente pagando le gelide conseguenze.
"Ma tu guarda se devo avere anche le allucinazioni
acust- ..."
Dling-dlong.
Adesso me l'ero davvero immaginato? Si trattava davvero di una
colpevole proiezione della mia mente?
Strinsi i pugni, girandomi lentamente verso la porta.
Dling-dlong.
Sobbalzai all'indietro, impaurita e indecisa sul da
farsi. Avrei dovuto aprire? Che stavolta fossero davvero i vicini?
Dling-dlong.
E se invece si trattasse di un malintenzionato? Se ne
sentivano ogni giorno di attacchi nelle case dove vivevano delle ragazze sole!
Dling-dlong.
Col cuore in gola, corsi alla porta, la chiusi
velocemente a chiave. No, dietro ad essa poteva aspettarmi l'imperatore stesso,
ma non l'avrei aperta neppure sotto tortura!
E nell'esatto momento in cui, con mano tremanti,
sistemavo il chiavistello, la maniglia si piegò all'ingiù in un sordo schiocco,
presto seguito da un rumore altrettanto secco e profondo.
Qualcuno dall'altra parte stava tirando, cercando
d'entrare con la forza.
Gridai e presi d'istinto a trattenere la maniglia nel
disperato tentativo d'impedire, che essa cedesse il passo a questo visitatore
notturno.
Invano.
Malgrado i miei sforzi, gli gelidi spifferi mi rivelarono
crudelmente come la serratura avesse già ceduto, lasciandomi a mo' d'ultimo
difensore il catenaccio.
"Hinata-chan! Hinata-chan!", ululai disperata,
pregando qualunque divinità a me nota, che la mia coinquilina non si trovasse
in una fase rem troppo profonda da non sentirmi, seguitando a dormire.
La catena scricchiolava, tesa come una corda di shamisen
per l'immane sforzo di rimanere attaccata ...
"Perché non
mi fai entrare?", mi domandò una voce petulante ... di chi? di che cosa?
da dietro la porta.
Urlai di nuovo,
fuori di me dalla paura, e senza accorgermene abbandonai la presa alla
maniglia, indietreggiando disordinatamente fino ad inciampare sulle nostre
scarpe.
E sarei molto probabilmente caduta di schiena, ferendomi,
se Hinata-chan non m'avesse afferrata al volo, sostenendomi.
"Nacchan! Che ci fai qui sola al buio? Cosa sta
succedendo?", m'interrogò sconcertata la ragazza, guardando
sconclusionatamente dal mio viso al minuscolo ingresso giacente nel caos più
assoluto. "Stai bene? Sei pallida come lenzuolo ..."
Staccandomi energicamente da lei, barcollai fino alla
porta, aprendola con la medesima fermezza di uno sull'orlo di una crisi di
nervi.
Vuoto.
Non c'era alcun segno d'anima viva sul corridoio. Niente
vicini, niente malvivente, niente, niente, nessuno! Neppure delle impronte!
Ma io avevo sentito suonare quel dannato campanello!
Avevo visto la maniglia piegarsi e la serratura forzata, avevo udito benissimo
quella frase appena appena coperta dal brusio del traffico: Perché non mi fai entrare?
Tutto questo non poteva appartenere alle chimere d'una
mente agitata! Non poteva!
"Nacchan ...?"
"Scusami, m-mi ... mi sono sbagliata. Devo ... devo
aver ... devo aver fatto un ... un incubo ... Scusa, ancora ...", scivolai
via da lei a capo chino, afferrando il cellulare e filando nella mia cameretta.
Una volta dentro al sicuro, mi nascosi sotto le coperte.
"Naruko,
cos'è successo? Perché gridavi?"
Merda m'ero dimenticata di chiudere la conversazione con
Sasuke!
"Niente ... niente ... un cane randagio s'era
intrufolato in casa ... che spavento! ..."
"Eh? Un
randagio?"
"Lascia perdere! ... Mi sono sbagliata! ... Ti
richiamo domani! ... Buonanotte! ...", ansimai in fretta, premendo
ansiosamente il tasto rosso e appoggiando celere il telefonino sul tatami.
Infine, mi raggomitolai in posizione fetale sotto il mio morbido e caldo
rifugio.
Perché non
mi fai entrare?
Quanto accadutomi era il frutto della mia immaginazione.
Perché non
mi fai entrare?
E basta.
Perché mi
rifiuti?
Non era successo niente.
Perché non
mi fai entrare?
Assolutamente niente.
"Nacchan? Tutto a posto?"
Moué! Moué!
Moué!
"Oh no, l'hai svegliato! E adesso come si fa?
Un'altra notte in bianco, no!"
Moué! Moué!
Moué!
I colpi al muro da parte dei vicini non tardarono ad accodarsi
ai vagiti del piccino.
"Fallo tacere!"
Moué! Moué!
Moué!
"Silenzio!"
Moué! Moué!
Moué!
"Non se ne può più!"
Moué! Moué!
Moué!
"Domani devo andare al lavoro, io!"
Moué! Moué!
Moué!
Che m'importava, ormai?
Dopo un'esperienza simile, non avrei più potuto lo stesso
addormentarmi.
Perché?
Venerdì, 30 gennaio 1998
-
mancano 7 giorni all'Appuntamento-
Causa un portentoso mal di testa, per poco non mi
dimenticai di firmare l'attestato di presenza a fine lezione e solo grazie al
tempestivo intervento d'Hinata-chan mi vennero risparmiati un sacco di disturbi
burocratici, primo fra tutti la caccia al
professore.
"Sei molto pallida, Nacchan. Sii sincera, stai sul
serio bene?", s'informò preoccupata la ragazza, reggendomi delicatamente
per il braccio, onde contenere il mio barcollare. "Vuoi andare in
infermeria?"
No, quella no.
"E' un po' di stanchezza, Hinata-chan, niente di
che. Qualche ora in letto e torno come nuova ...", mormorai, chiudendo gli
occhi feriti dalla fredda e tagliente luce invernale filtrata dalle ampie
finestre del corridoio. Necessitavo di buio e quiete.
Avevo infatti dormito male quella notte, tormentata da
una caotica e spaventevole sequenza di incubi nei quali tiranneggiava la
presenza di un bambino avvolto in un mantello blu. Il cappuccio, ben calato sul
viso ancora paffuto, glielo nascondeva, impedendomi di decretarne il sesso.
Tuttavia, questo non l'ostacolava dal ripetere in un'ossessiva cantilena: Perché non mi fai entrare? E quando
tentavo d'obbligare quell'onirica creatura a lasciarmi in pace o perlomeno di
rivelarmi che accidenti volesse da me, essa si liquefava in una pozza d'acqua,
la quale si trasformava in un'onda gigantesca che s'abbatteva con inaudita
ferocia su di me, trascinandomi via con sé fino ad annegarmi.
Non riuscivo a togliermi quelle immagini dalla testa. Più
forzavo il mio cervello a dimenticare, più questi mi riproponeva l'incubo con
inquietante nitidezza, associandolo crudelmente agli avvenimenti di ieri. Secondo
il mio strambo cervello, i due fatti erano legati da una loro misteriosa e
perversa logica.
A me pareva assurdo. Anzi, non sussisteva proprio alcun
collegamento. Perché doveva? Quello del 29 gennaio doveva essere stato uno
scherzo di cattivo gusto da parte di qualche buontempone d'un condomino. Altrimenti,
chi diamine poteva essere stato? I ladri non entrano di certo dalla porta ...
Non mi accorsi, tanto le mie speculazioni m'annebbiavano la
mente, d'aver camminato in stato pressoché sonnambolico fino all'uscita
dell'università. Mi sentivo infatti rallentata, come se mi avessero presa
pesantemente a ceffoni. La testa mi girava e anche la mia visuale si riempiva
di puntini neri e figure traballanti. Una vampata di calore m'accese le gote,
mentre una gelida mi scuoteva i muscoli e le gambe, costringendomi a sedere
sulla prima panchina disponibile.
Lentamente, estrassi dalla borsa una bottiglietta
d'acqua, agognando a rinfrescarmi. Sennonché, vuoi la stanchezza vuoi un'oscura
agitazione, essa mi scivolò dalle dita, rotolando via. Nella caduta il tappo,
per metà aperto, cedette completamente, riversando il contenuto della bottiglia
in una languida pozza sul pavimento immacolato.
Merda!, imprecai
mentalmente, estraendo un fazzoletto e adoperandomi subitaneamente ad asciugare
quel liquido macello. Sperando che nessuno s'avvicinasse nel frattempo ...
Tutt'ad un tratto m'irrigidii.
Non so spiegare cosa percepii in quel momento, ma il mio
corpo si bloccò come fulminato. Uno strano ronzio mi pulsava nelle orecchie,
accompagnato dal battito impazzito del mio cuore. La gola mi si seccò, i denti
presero a cozzare tra di loro.
Venni pervasa dal terrore più assoluto, quando, osando
levare perlomeno lo sguardo, notai poco distante dalla mia mano asciugatrice
due piedi.
Ma non di studenti. O di professori. O comunque d'un
individuo adulto.
No.
Dalle dimensioni ridotte e soprattutto dalle scarpette,
realizzai d'avere un bambino davanti a me, il quale se ne stava lì, in mezzo
alla pozza d'acqua, senza curarsi delle calzature bagnate né accennare di
volersi spostare da essa. Per quanto avessi gli occhi inchiodati per terra,
potevo percepire il suo sguardo indagatore sulla mia nuca.
Perché non
mi fai entrare?
Reagisci.
Perché non
mi fai entrare?
Reagisci!
Perché non
mi fai entrare?
Alzati!
Alzati! Ora!
Balzai in piedi di scatto, mulinando scompostamente le
braccia per mantenere l'equilibrio.
Un singhiozzo isterico mi scappò dalle labbra.
Il bambino era svanito. Sempre che ci fosse mai stato.
La pozza d'acqua giaceva ancora lì, grassa e intatta,
priva delle scie e sbavature di chi può averla calpestata.
Raccolsi tutto in fretta e me ne andai senza voltarmi.
~~~
Tale era il mio stato d'agitazione, che rinunciai a
servirmi dei mezzi pubblici per ritornare al mio appartamento, preferendo
invece camminare. Una sorta d'istinto segreto mi sussurrava, infatti, d'evitare
luoghi chiusi, là dove sarei stata "vulnerabile". Da cosa, da chi, ancora
non lo avevo ben definito, sebbene nutrissi già qualche teoria a riguardo,
scartandola subito dopo più per principio che per non crederci di per sé.
Dovevo riposarmi: l'unica spiegazione logica del mio
comportamento assolutamente isterico e irrazionale risiedeva sulla mancanza di
un adeguato riposo. I miei nervi a pezzi avevano poi aggiunto quel tocco di
cubismo perfetto per lasciarmi suggestionare da eventi risibili. Da mere
coincidenze.
L'incidente di ieri mattina? Uno scherzo.
I piedi del bambino misteriosamente scomparso?
Un'illusione ottica.
E basta.
Molto probabilmente avrei fatto meglio a ritornare a casa
per il weekend, conclusi mentre salivo per la scala esterna, così da meglio
prepararmi per l'appuntamento e presentarmi di conseguenza più calma e padrona
di me. Sarebbe stato increscioso da parte mia d'offrire un patetico
spettacolino di me.
"Fallo
tacere!", lessi casualmente, o piuttosto calpestai.
Levando il piede sul foglio di carta su cui poggiavo, mi
chinai per raccoglierlo.
Scritte a caratteri grossi e snervati su fogli
spiegazzati e inumiditi dalla neve, numerose repliche di quel Fallo tacere! giacevano come d'autunno
le foglie sui marciapiedi lungo l'intero corridoio esterno del mio pianerottolo,
creando una scia cartacea che terminava sulla porta della vicina.
"T'incoraggiano a sfornar figli e dopo si lamentano
se si comportano come i neonati che sono ...", udii una voce roca alle mie
spalle. Il piagnucolio di sottofondo dissolse ogni mio dubbio sulla sua proprietaria:
si trattava di Tenten-san, l'elusiva vicina nubile. Una madre molto giovane e
al contempo vecchia, come rimarcai dal viso estremamente infantile per quanto
sciupato da un intimo sfinimento e affanno. Venticinque anni dimostrati soltanto sul
passaporto.
"Tenten-san ...", la salutai incerta.
I suoi occhi scuri e cerchiati da profonde occhiaie si
posarono sul foglio che tenevo in mano.
"Ah! Non è mio! Non ... non sono stata io!",
protestai immediatamente la mia innocenza. "I vicini ..."
Ma la giovane donna non diede cenno d'avermi ascoltata;
al contrario, mi s'avvicinò trasognata, strappandomi di mano il pezzo di carta
con la rigidità d'un automa. Similmente, lacerò i suoi doppioni appiccicati
sulla porta.
"Senta ... Posso immaginare che non sia facile per
lei, viste ... viste le sue attuali condizioni di madre e single, però ... però dovrebbe far visitare il suo bambino da
un pediatra; insomma, non è normale che pianga così ..."
Le labbra della vicina si piegarono in una smorfia mista
di fierezza e disdegno. "E' solo un neonato! Cosa vuoi che faccia? Che lo ammazzi
per compiacervi? Per qualche notte di riposo in più?", strillò nevrotica,
abbracciando convulsamente il piccino, che gorgogliò qualcosa contro il suo
petto. "Bisogna eliminare qualsiasi essere vi dia fastidio, allora?",
aggiunse, sbattendo la porta.
Rimasi lì inebetita e sbigottita sul corridoio, le dita
ancora piegate come se stessero stringendo quel dannato foglio. Quando
finalmente mi decisi a muovermi, squillò il cellulare.
Sasuke.
Rifiutai di riflesso la chiamata, chiudendo a chiave la
porta e appoggiandomi sfinita ad essa.
Era questo il mio destino donna (per lo più giapponese)? Sposarmi, rinunciare
ad una carriera e avere figli che si dovevano comportare peggio dei robot,
giacché disturbavano? Sarei stata l'ennesima Hinata-chan o Tenten-san?
No, scossi il capo dinanzi allo specchio sull'ingresso.
Non mi sarei ridotta così.
Fatti forza, Naruko.
All'appuntamento risolverai tutto.
Decisi dunque di estrarre dalla tasca il cellulare per
telefonare a Menma, confermandogli di venirmi a prendere per rientrare assieme
a Konoha.
"Perfetto! Ci
vediamo alle quattro e mezza alla stazio- ... Naruko?"
La voce mi morì in gola.
Mi mancò il respiro.
Dallo specchio, inspiegabilmente, aveva iniziato a colare
acqua, la quale simil fontana scivolava lenta ma inesorabile lungo la
superficie liscia, raggiungendo i miei piedi in serpentini rivoletti.
Ricordo che la testa prese a girarmi vorticosamente.
Poi, il buio.
Perché non
mi fai entrare?
"Naruko!!"
To be continued ...
***************************************************************************************************************
E finalmente,
eccoci qua!
Dopo un inizio soft,
terminiamo col botto! XD
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, se avete domande,
perplessità e curiosità, fatemi sapere!
E magari un po' di feedback, ch'è sempre cosa buona e
giusta e gradita dall'autrice!
Alla prossima, ciao!
Un po' di noticine:
[1] Kirisutokyouto
= cristiano.
[2] Pan-Pan Girl;
Only = Onde evitare stupri di massa
- specie nei confronti delle donne di ceto medio-alto - il governo giapponese
instituì, durante l'occupazione americana, la RAA ovvero Recreation Amusement
Association. Sennonché, in seguito all'altissima diffusione di malattie veneree
nei bordelli, questi vennero chiusi nel 1946. Molte donne rimasero così senza
lavoro e finirono per prostituirsi per le strade assumendo il soprannome di Pan-Pan Girls, riconoscibili dallo
smaccato rossetto scarlatto, l'eterna sigaretta, calze di nylon e tacchi
altissimi. Le Only, invece, erano
quelle prostitute più fortunate che riuscivano a farsi mantenere da un solo
cliente, spesso militari di un rango più alto. Molti storici identificano le
"Pan-Pan Girls" e le "Only" come simbolo dell'umiliante
liberazione americana del secondo dopoguerra.
[3] Santuario di
Nostra Signora di Akita = Akita è il luogo della serie di apparizioni
mariane e lacrimazioni della statua raffigurante la Vergine dal 1973 al 1981.
La veggente era Suor Agnese Katsuko Sasagawa, dell'ordine delle "Serve
dell'Eucarestia", destinataria inoltre di tre messaggi da parte della
Madonna. Ad accertarsi della veridicità degli eventi ad Akita fu proprio Joseph
Ratzinger, allora cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della
Fede.
[4] San Pauro Miki
e i Martiri di Nagasaki = San Pauro (o Paolo) Miki fu il primo gesuita e
predicatore giapponese. A causa della persecuzione anticristiana in Giappone
indetta dallo shogun Hideyoshi, venne arrestato e crocifisso assieme a
venticinque compagni sulla collina di Tateyama presso Nagasaki, il 5 febbraio
1597. Proclamati santi da Papa Pio IX nel 1862, la loro memoria liturgica si
celebra il 6 febbraio.
[5] Kakure
Kirishitan del Periodo Edo = per sfuggire alle feroci persecuzioni, i
cristiani giapponesi adottarono metodi di camuffamento per praticare lo stesso
la loro religione, come ad esempio incidere una croce dietro la statua del
Buddha. Per questo motivo, vennero chiamati "Kakure Kirishitan"
ovvero "Cristiani Nascosti".
[6] Brano tratto dal romanzo "Haru no Yuki" (La neve di primavera) di Yukio Mishima, 1968,
il primo libro della tetralogia "Il mare della fertilità". |
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Capitolo 3 *** Da Sabato 31 Gennaio a Lunedì 2 Febbraio 1998 ***
Hello!
Con uno stacco di una
singola scena "L'Appuntamento" ha vinto la corsa contro
"Stigma" per l'aggiornamento! XD Beh, dai, vuol dire che non manca
molto alla pubblicazione del capitolo della seconda fic!
E parlando di capitolo!
Lo so, questo chappy si presenta piuttosto lunghetto, ma
sul serio non me la sentivo di tagliarlo a metà. Perdeva il suo senso! Quindi,
assicuratevi d'essere ben comodi quando lo leggete! ;-) Il prossimo capitolo
sarà più breve, promesso! Il fatto è che sto cercando di condensare la storia
in pochi capitoli - sette inclusi prologo ed epilogo - e non è facile! Il mio
essere prolissa si ribella! T^T
Avvertimenti!
1) Menzioni di non-con. Siccome non è il tema principale
della storia, non ho reputato opportuno aggiungerlo ai tags. Del resto, si
tratta di un accenno, non ci saranno né scene né riferimenti espliciti ad esso.
2) Forse vi sarete già chiesti, il perché dell'abbondante
uso dei suffissi di cortesia. Ecco, siccome la storia è narrata in prima
persona, ho voluto riportare elementi della lingua parlata, come se avessimo
appunto di fronte Naruko che ci racconta la sua testimonianza paranormale. Se
vedete i suffissi cambiare, dipende sia dal tipo di relazione tra i personaggi
sia il livello d'intimità tra di essi. Per esempio, se alterati, dei personaggi
anche se parenti stretti manterranno un certo linguaggio formale per
sottolineare il distacco "morale" dalla persona con cui
interagiscono.
3) Similmente, ci sono molti modi di dire
"papà" e "mamma" in giapponese. Le bambine, specie in
famiglie meno tradizionaliste, generalmente si rivolgono al padre chiamandolo
"papa", invece di "chichi" o "otōsan" o
"tou-san". Questo affinché non mi segnaliate un accento mancante! ;-)
4) La traduzione della canzoncina Tōryanse, tōryanse non è letterale, l'ho leggermente modificata per
creare la rima. Il significato, però, rimane quello!
Ulteriori note e commenti si troveranno a fine capitolo.
Infine, un sentito ringraziamento a tutti i miei lettori
e recensori, in particolare a Imoto, Lucrezia_Uchiha
e Jo95. Grazie anche a coloro che hanno messo questa storia tra le seguite,
ricordate e preferite.
Vi auguro una buona lettura,
H.
**************************************************************************************
L'Appuntamento
dalla
testimonianza di Naruko Namikaze
(segue)
Sabato, 31 gennaio 1998
- mancano 6 giorni all'Appuntamento -
Ricordo che quella mattina mi svegliai di soprassalto,
certa della presenza di qualcuno nella mia stanza.
Di nuovo avevo trascorso la notte in bianco: neppure l'essermi coricata relativamente
presto (le dieci e un quarto) giovarono alla mia mente sovraeccitata dai
recenti avvenimenti. Infatti, ogniqualvolta le mie palpebre, appesantendosi dal
sonno, si chiudevano, ecco che da ogni ombra della mia cameretta credevo di
scorgere la sagoma di quel bambino dall'impermeabile blu, che mi fissava da
sotto il cappuccio gocciolante d'acqua. Rinunciando ormai a scacciare quella
visione onirica, complice la stanchezza, mi ero limitata a nascondermi sotto le
coperte, rifiutandomi però di cedere alle paranoie del mio subconscio. Sicché
entrai in una sorta di dormiveglia, dove sogno e realtà si mescolavano
confusamente come nella tavolozza d'un pittore, alterando le mie percezioni
sensoriali e facendomi reagire da sveglia a ciò ch'io stavo in quel momento sperimentando
da dormiente. Nella mia testa udivo frasi pronunciate con tanta
verosimiglianza, che mi sentivo in dovere di rispondere. Vedevo persone
conferire con me, toccarmi, osservarmi e con esse tentavo d'interagire a
seconda dello stimolo da esse suscitatomi. Non capivo più nulla, ma volevo
ribellarmi a tutto.
Di conseguenza, non afferrai subito la veridicità di
quella presenza mattutina, liquidandola distrattamente come l'ennesima
proiezione chimerica della spossatezza. Soltanto il tiepido calore di una mano
che mi scostava delicatamente la frangia dagli occhi mi confermò, che non stavo
più sognando. All'inizio giurai trattarsi di Sasuke: lui soleva destarmi così
in quelle rare e preziose occasioni in cui riuscivamo, seppur clandestinamente,
ad addormentarci insieme senza dover rincasare di nascosto, peggio dei ladri.
E, cullata da quei dolci ricordi, per poco non commisi
l'errore di chiamarlo dinnanzi a mia madre, la vera responsabile del mio
risveglio.
"Ti sei agitata molto stanotte", dichiarò
sommessamente Okaasan, seguitando ad accarezzarmi il capo. Istintivamente
piegai il collo, seguendo la carezza: per un istante mi parve di ritornare
bambina, quando, spaventata dal temporale, potevo contare sulle coccole
consolatrici di mia madre, prima che l'età adulta e le mie scelte ci avessero
estraniate.
"Colpa dello stress", mi giustificai,
appellandomi al suo istinto materno acciocché mi sostenesse, invece di
giudicarmi e mantenere le distanze. Sapevo di essere una delusione di figlia,
però necessitavo lo stesso di un minimo di comprensione.
"Non è che ci hai ripensato?"
"No, decisamente no."
Mia madre mi circondò improvvisamente il viso con ambedue
le mani, fissandomi intensamente dritta negli occhi. "Nacchan, ti ricordi
cosa t'ha detto il rettore dell'università? Che ti concede un'ultima chance -
capito? - un'ultima chance per quell'Erasmus ad Oxford! O righi dritto, o il
prossimo anno ti scordi quel viaggio! Quindi, non ti puoi concedere il lusso di
finire fuori corso! Ne va della tua carriera! O hai abbandonato la tua
ambizione di divenire professoressa universitaria?!"
A stento trattenni un moto di stizza. "Me lo ricordo
benissimo! Non vedo perché tu debba preoccuparti tanto, visto che abbiamo
oramai sistemato la faccenda!", berciai, massaggiandomi snervata la radice
del naso, dopo essermi scostata bruscamente da lei.
Le gote di mia madre divennero anch'esse rosse dalla
crescente irritazione. "Perché te la prendi con me? Sono forse stata io
l'irresponsabile in tutto questo bailamme? Se tuo padre lo scoprisse, ne
morirebbe di vergogna!"
"Dubito! Lui dimostra di possedere molto più fegato
di te! Se ne strafrega di quel che pensano questi pettegoli di
provincialotti!", obiettai veementemente, balzando in piedi e camminando
imbufalita per la stanza. "Talvolta ti trovo più ipocrita di loro! Mi
biasimi per una cosa che sarebbe potuta succedere a chiunque; mi tratti peggio
di una merda, facendomi passare per una ... per una ... per la peggiore delle
disgrazie! Ma se si tratta di Menma, oh!, allora chiudiamo ambedue gli occhi!
Non l'hai mai rimproverato di nulla, l'hai sempre giustificato! Perfino quando
ci ha rivelato d'essere gay, non hai aperto bocca per criticarlo! Perché,
perché non puoi sforzarti di venirmi incontro per una volta e smetterla
d'avvelenarmi l'esistenza?", sputai velenosa, pentendomene però
immediatamente non appena notai come le ciglia di Okaasan si fossero abbassate
vergognose. Giurai d'aver pure scorto un umido luccichio nei suoi occhi. La sua stessa figura s'ingobbì, facendola
apparire più vecchia e fragile della sua vera età. Mi venne voglia
d'abbracciarla e d'implorarle perdono.
"Almeno ...", sussurrò lentamente la genitrice,
strascicando le parole. "Almeno m'assicuri che ... che quell'Uchiwa non ha
nulla a che fare ... che ... che si tratta veramente
di un incidente ... come ... come mi hai raccontato?"
La collera mi rimontò in petto con la medesima rattezza
della lava, che raggiungeva la bocca del vulcano, pronta all'espulsione. E di
fatti, esplosi: "Perché questa tua avversione nei confronti di Sasuke, eh?
Perché? Me lo spieghi?"
"E' palese il suo interesse nei tuoi confronti!
Tutta Konoha sa che gli piaci, che ti sta facendo la corte, che tu frequenti la
sua casa e la sua famiglia! Tu e quegli altri due cospiratori di tuo padre e
fratello m'avete forse preso per scema? O per cieca? A quando il lieto
annuncio?"
"Sasuke non ha intenzione di chiedermi di sposarlo!
E' un Kirisutokyouto! Ed io una gentile! La sua famiglia glielo proibirà!"
"Balle! Lui ti sposerà e tu ti convertirai! Perché
così finirà, vedrai!"
"Non è vero!", gridai, sentendomi le vene
pulsare sulle tempie e le mani tremare da quanto l'ira m'infuocava le vene.
"E mettendo caso che accadesse, dove starebbe il disonore in ciò? Dovresti
piuttosto sentirti orgogliosa d'avere una figlia anticonformista e open-minded
come lo eri stata tu in gioventù!"
"Oh ma taci, Naruko! Apri la bocca per
niente!", ribatté acida mia madre, alzandosi e accennando ad andarsene.
Tzé, come se glielo avrei permesso!
"D'accordo: non approvi Sasuke in quanto cristiano.
Va bene!", esclamai, chiudendo la porta scorrevole e impedendo ad Okaasan d'abbandonare
la mia cameretta. "Se ci tieni tanto alle apparenze, come mai ti sei
maritata con un ainoko? Con un reietto? Col figlio di una prostituta? Obasan
sarà anche stata una Only, però sempre a letto per soldi ci andava,
coll'ufficiale americano! Ammesso poi che Otōsan fosse stato per davvero figlio
di quest'ultimo e non di un qualche marines a caso, uno dei tanti che s'era
divertito con lei tra uno stupro e l'altro! L'unica ragione per la quale
Jiraiya-ojisan adottò mio padre sta nel fatto, che l'unico suo figlio ed erede
gli era saltato in aria ad Hiroshima e che, pur di non lasciare niente allo
Stato, avrebbe accolto anche l'ultimo dei miserabili se fosse stato il
caso!"
"Naruko, smettila ... Non sai quel che dici ... Sei
fuori di te! ... Non ti fa bene!", tentò di calmarmi mia madre, notando
apprensiva il mio crescente e incontrollabile stato d'agitazione.
"Viste e considerate le premesse, cosa trovi tu ora di
disprezzabile in Sasuke che, seguace a parte di un'altra religione, proviene
comunque da una famiglia rispettabile? Suo nonno Hikaku-san è stato ufficiale
della sanità in ambedue le guerre; suo padre Fugaku-san commissario di polizia
e lui è un eccellente oculista! Suo fratello Itachi-san è il miglior chirurgo
del distretto, se non proprio dell'intera prefettura! Lui e Sasuke hanno
clienti che vengono perfino da fuori pur di farsi visitare da loro! E sua
cognata Shisui-san, con tre figli e un quarto in arrivo, continua a lavorare
tranquillamente come professoressa al mio liceo! Ti pare questa una famiglia di
scalzacani, di inetti? Una famiglia di cui dovresti vergognarti, nella
remotissima ipotesi in cui Sasuke volesse sul serio sposarmi?"
Abbracciandomi disperatamente, Okaasan esclamò piena
d'angoscia: "Ma lo stesso verresti discriminata, tesoro mio!",
asserì, stringendomi al petto ancora più forte. "E non voglio che sparlino
ulteriormente di te, che ti facciano soffrire più del dovuto! Voglio che almeno
tu sia felice!", singhiozzò e confesso che mi riusciva arduo trattenere le
lacrime che mi pizzicavano gli occhi. Ma, per quanto mi costasse, desistetti
comunque dal piangere. "Tutto quello che dici corrisponde al vero, però io
contrariamente a te non ho mai avuto una scelta: quando conobbi tuo padre, la
mia reputazione era già stata infangata da tempo, nessuno m'avrebbe sposata!
Che aveva tuo padre da perdere nel prendersi della merce guasta, dal momento
che lui per primo veniva trattato alla stregua d'un lebbroso? I miei genitori
ringraziarono ogni kami in cielo, per essersi sbarazzati di me! Non hai idea
delle umiliazioni che ho subìto! Adesso tutti mi trattano con rispetto, ma solo
dopo anni e anni d'insulti! Se dovessi sposarti con Sasuke-san, anche tu finirai
moralmente isolata e ancora più di prima! Non solo! La gente incomincerà ad
insinuare che nessun altro t'ha voluta, perché, come tua madre, anche tu eri
tarata, marcia! Non posso accettare questo! Non per te! Con Menma mi sono
oramai messa il cuore in pace, ma con te no! Non riesco a sopportare l'idea di
saperti infelice!"
Ripeto: se lo scopo ultimo di mia madre puntava sul farmi
piangere peggio d'una fontana, hé, ammetto ci stava riuscendo. Tuttavia, le
poche e patetiche gocce che mi colarono sulle guance non avevano il gusto del
perdono né tantomeno del chiarimento: malgrado la mia gratitudine verso la
premura della genitrice (che avevo riscoperto volermi bene nonostante le nostre
divergenze) lo stesso non mi pareva d'aver trovato una soluzione al mio
problema. Casomai l'affare s'era ulteriormente complicato e sul serio non
sapevo più dove sbattere la testa.
"Ebbene ...?", borbottò Okaasan, soffiandosi il
naso e fissandomi speranzosa.
"Sasuke non ha nulla a che vedere in questa ...
storia. E' colpa mia. Ad una festa ... ho ... ho fatto la cretina ...",
dissi, lasciandomi avviluppare dall'ennesimo abbraccio consolatore di mia
madre.
"Andrà tutto bene, tesoro. Risolveremo assieme
questa brutta disgrazia. Sarà come se non fosse successo nulla!"
Le rivolsi un sorriso tremulo. "Certo, Okaasan
..."
Mi accorsi solo in quell'istante, posando a caso lo sguardo
verso la porta, che quest'ultima non solo era aperta, ma che all'uscio se ne
stava ritto e immobile mio fratello Menma, dalla cui espressione assolutamente
disgustata intuii aver udito se non proprio tutto, perlomeno una buona parte. E
decisamente aveva ben ascoltato l'ultima affermazione, come mi confermò quel
suo andarsene in silenzio, non senza avermi scoccato la peggiore delle
occhiatacce e insultandomi tramite labiale.
E dietro di lui, a rafforzare quell'ingiuria, intravidi
il bambino che mi sorrideva triste da sotto il suo cappuccio blu e grondante
d'acqua.
Domenica, 1 febbraio 1998
- mancano 5 giorni all'Appuntamento -
"Potresti spegnere la sigaretta, per favore?"
Menma mi guardò di traverso, stringendo malevolo gli
occhi e, ignorando bellamente la mia richiesta, aspirò profonde boccate di
fumo, per poi liberarle nell'aria in dense scie.
"Grazie", replicai sarcastica alla sua palese
scortesia, mentre mi coprivo il naso con la sciarpa e guadagnandomi una
risatina altrettanto beffarda da parte di mio fratello, il quale m'aveva
accuratamente evitata per tutta la giornata di ieri. Soltanto ora riuscivo a
parlargli da sola e a quattr'occhi, approfittando della sua abitudine mattutina
di vagabondare senza meta per Konoha.
"E di che? Tanto fra poco non farà più alcuna
differenza, vero?", disse, spegnendo la cicca nell'apposito cestino.
Dopodiché proseguì nella sua passeggiata solitaria, dandomi apposta le spalle.
Rapida lo raggiunsi, sbarrandogli la strada . "D'accordo!
Le ho mentito! E allora? Non posso avere tutti contro!", esclamai
frustrata, nella speranza che Menma la smettesse con quel suo atteggiamento da
fustigatore. Non aveva alcun diritto di giudicarmi: era facile per lui sparare
sentenze, quando non si trovava nella merda come la sottoscritta!
"Lo sai qual
è il tuo problema, Naruko?", incrociò battagliero Niisan le braccia
al petto. "Che ti complichi la vita per
niente. Non metto in dubbio la delicatezza della tua situazione;
ciononostante non mi pare che sia poi così disperata da eliminare il
"problema" alla radice, come tu stessa lo definisci!"
"Ah, no?", lo sfidai.
"Ah, sì! Diamine, se invece di rimbecillirti con
seghe mentali sul tuo destino d'eroina tragica, ti mettessi a ragionare da
persona matura, capiresti che c'è una soluzione alternativa! Una scappatoia che
non ti toglierà colui che ami!"
Sbuffai scettica. "Chi me l'assicura?"
"Ma non ti entra in quel cervello bacato, che Sasuke
non ti perdonerà mai questo tuo gesto? Anzi, ciò che Okaasan t'ha
suggerito di fare? Perché ci scommetto tre anni di stipendio, che questa
schifezza non è una tua iniziativa! Sei troppo codarda, imōto, anche solo per
chiamare il ...!"
"Come ti permetti?!", lo interruppi indignata,
stingendo i pugni e pronta ad usarli. Mai mi sarei aspettata un tale
voltafaccia da parte di mio fratello, mai! "Parli proprio tu!"
"E allora, perché le hai mentito?"
"Perché avrebbe biasimato Sasuke! Eppoi, necessito del
suo supporto!"
Menma cambiò peso da una gamba all'altra, passandosi
esasperato una mano tra i capelli corvini. "Tu hai bisogno di una persona
che t'apprezzi per quel che sei, non per quel che potresti essere! Per Okaasan
equivali a una comoda via per riscattarsi dal suo passato! Tramite te spera d'assaporare
quella vita, che per sua scelta o disgrazia non ha potuto vivere! E' questo che
vuoi? Vivere la vita di un'altra?"
"Resta comunque mia madre!", m'impuntai
testardamente, avvertendo un certo pizzicore agli occhi, l'ennesimo in meno di
ventiquattro ore. "Mentre Sasuke ...", mormorai, sedendomi su di una
panchina, essendomi divenuta la testa improvvisamente pesante. Mi girava
perfino.
Sospirando profondamente, Niisan m'imitò ben presto,
afferrandomi saldo e confortante per le spalle. "Imōto-chan, sii sincera:
tu lo ami?"
Tirai su col naso, asciugandomi le prime lacrime col
dorso della mano. Aprii la bocca per rispondere, ma non una parola ne
fuoriuscì: tale era la grandezza della mia affezione nei confronti del mio
fidanzato, che non riuscivo ad elaborarla a parole e un semplice "sì"
mi sembrava troppo svilente, per pronunciarlo ad alta voce.
"Devi scegliere, Nacchan", fu la pacata
sentenza di mio fratello, il quale aveva incominciato ad accarezzarmi la schiena.
"O Sasuke o nostra madre. Come dicono i Kirisutokyouto, non puoi servire
due padroni: o segui uno o lasci perdere l'altro! Ma accontentare entrambi, no,
non ti è umanamente possibile!"
"Che debbo fare, Menma-nii?"
"La scelta sta interamente a te, imōto-chan. In
questo frangente non posso decidere al posto tuo", dichiarò mesto Niisan,
appoggiando la sua fronte contro la mia. "Tuttavia, l'unica cosa che mi
auspico è che la soluzione venga da te e non da una terza persona!"
Assentii
impercettibilmente, reclinando poi il capo affinché riposasse sul petto di mio
fratello. Poco distante dalla nostra panchina, il semaforo aveva preso a
suonare la celebre warabe uta Tōryanse,
tōryanse.[1] Ridacchiai
nostalgica alla melodia, socchiudendo gli occhi e canticchiando tra me e me:
Passate
pure, passate suvvia.
Dite, dove
porta quest'oscura via?
Porta forse
al tempio di Tenjin il saggio?
Per favore,
concedici il passaggio!
Mi addormentai malgrado il mattutino freddo invernale,
molto probabilmente cullata dal regolare battito del cuore di Menma e dal
confortante calore da lui emanato. In quegli ultimi giorni, raramente avevo
sentito un tale senso di protezione da concedermi il lusso d'abbassare le mie
difese, rilassandomi.
Sognai.
Stranamente, non mi trovavo in un posto chissà quanto
lontano o fantasmagoricamente esotico. Invece, ai miei occhi si snodava la
medesima strada da cui m'ero congedata, mentre m'assopivo. Al centro di essa riconobbi la me stessa
bambina giocare a Tōryanse, tōryanse assieme
alla versione infantile di Menma. A stento trattenni un dolce sorriso,
scuotendo il capo: il numero minimo di giocatori corrispondeva a tre,
altrimenti il gioco era infattibile. E ciononostante, i due kodomo
s'intestardivano a proseguire, lasciando che sotto il loro ponte di braccia
passassero amici invisibili. Nel sogno mi apprestai ad avanzare verso di loro,
desiderando unirmi al loro svago e offrendoli così un compare in carne ed ossa.
La mia innocua iniziativa morì sul nascere, giacché ciò
cui assistetti mi pietrificò sul posto.
Coloro
senza una valida ragione di qui non passeranno.
Sbucando fuori dal nulla, il bambino dal mantello blu
attraversò ridendo il ponte creato dai suoi compagni, saltando poi in piedi e
trotterellando vittorioso verso di me, cantando:
Guardate,
di questo piccino è il settimo compleanno,
siam qui
per offrire il nostro o-fuda.
E come se si fossero d'un tratto accorti anche loro della
mia presenza, i due kodomo imitarono ben presto quell'altro, prendendosi
festosamente per mano. Il tempo di sbattere le ciglia e me li trovai tutti e
tre a qualche spanna dal mio naso, in particolare il bambino dal mantello blu,
le cui pingue gocce cascanti dal cappuccio mi bagnavano il viso, provocandomi
tremiti a causa della loro estrema freddezza. Pareva, infatti, che il loro
proprietario avesse nuotato in un lago ghiacciato.
L'andata è
facile, il ritorno fa paura!
Mi sussurrò e il suo fiato anch'esso gelato m'intirizzì
fino al centro dell'anima.
Ma fu nulla se comparato al terrore ch'io provai, quando
allungò una manina pallida e umida per toccarmi.
Fa paura e
sia,
però
passate, passate suvvia.
Gridai, destandomi di soprassalto e trascinando meco
Menma in questo frenetico e spaventato risveglio. Non solo: non appena riuscii
a focalizzare quanto mi circondava, a capire il come e perché di quella
situazione, m'imbattei, oltre che al viso assolutamente sorpreso di Niisan, nei
visetti incuriositi e al contempo confusi di Uchiwa Saeko-chan e Kiyoaki-kun, i
nipoti di Sasuke. Presumibilmente spaventato dal mio inaspettato e acuto
strillo, il maschietto si nascose prontamente dietro la schiena del padre,
Itachi-san, il quale s'era portato alla mia altezza, riflettendo sul suo viso
la stessa domanda che si stava ponendo in quel momento mio fratello.
"Nacchan, tutto a posto?", s'informò
preoccupato Niisan, tenendomi ben salda per le spalle. "Hai cacciato un
urlo ..."
Aprii la bocca per giustificarmi, arrossendo nel
frattempo furiosamente per l'imbarazzo. Accidenti, e adesso come avrei potuto
spiegarli la faccenda dell'incubo e del bambino dall'impermeabile blu, senza
passare per una pazza?
Meno male che Itachi-san intervenne, liberandomi
dall'impiccio. "Sei stata molto sgarbata, Saeko-chan", si rivolse
severo alla figlia, rimproverandola. "Hai terrorizzato la povera Naruko-chan!"
Piegando all'ingiù la bocca e aggrottando la fronte, la
bambina protestò la sua innocenza: "Ma stava cantando nel sonno! E'
strano!"
"Non è comunque una buona ragione, per infastidire
una persona che dorme. La spaventi e non è una bella esperienza. Ti piacerebbe se
lo facessero a te?"
La piccina abbassò il capo, bofonchiando. "No,
papa." Quand'ecco che, bellicosa, indicò il suo otōto. "Anche Kiyo-kun
l'ha toccata!"
Dalla sua sicura postazione, il minore le presentò una
regale linguaccia. "Non è vero!", piagnucolò indignato.
"Anche
Kiyoaki-kun si scuserà con Naruko-chan!", ribatté Itachi-san, alzandosi e
spingendomi delicatamente i bambini davanti, affinché mi porgessero le loro
scuse. Il che avvenne di fretta e piuttosto di malavoglia: secondo la loro
logica infantile, cantare nel sonno non conferiva uguali diritti rispetto ad un
dormiente "muto".
Non avevano tutti i torti, poverini.
"Siete appena ritornati dalla Messa?", cambiò
rapidamente discorso Menma, assumendo un tono vivace da controbilanciare il
broncio dei marmocchi.
"No, stamane prima della funzione è venuto il prete
a casa nostra per darci la comunione: Tenmaku-kun non può uscire finché non gli
leveranno i punti e sia Shisui che Kaa-san non lo perdono di vista neanche per
un secondo. Ed io nemmeno, se le due signore me lo permettessero", ci
spiegò brevemente Itachi-san.
"Aspetta, aspetta: t'hanno sbattuto fuori coi
pargoli?"
"No, sono scappato io! Quando incominciano a
romperti le scatole, non la finiscono più ... Sembra che muoiano se non ti
tarmano!", si lagnò scherzosamente l'Uchiwa e roteò drammatico gli occhi,
provocando una feroce risata in mio fratello. "Adesso che Shisui è
ufficialmente in maternità, possiede ancora più tempo libero per dare a Kaa-san
del filo da torcere!"
"Ma sembravano andare così d'accordo!",
m'intromisi.
"E tuttora ci vanno. Il problema, Naruko-chan, è che
da quando Tou-san è morto (pace all'anima sua)", e qui il volto
d'Itachi-san s'incupì, mentre rapido eseguiva quel curioso gesto d'inizio
preghiera tipico dei cristiani "gli equilibri famigliari ne hanno molto
risentito. A peggiorare le cose, Kaa-san insiste nel voler ad ogni costo badare
alla casa, a Ojisan e a Tenmaku-kun per non affaticare Shisui; figurarsi, se la
mia tsuma non aveva da ridire a riguardo, cogli sbalzi d'umore a causa degli
ormoni diventa doppiamente polemica e aggressiva, dopodiché piange disperata asserendo
che non la amo e che la tradirò con una donna più giovane e bella ... Kaa-san le dà della melodrammatica ... Lei
risponde per le rime ... Si accapigliano ... Donne testarde ... E si sfogano
poi con me, giustamente!"
"Fatti coraggio, amico mio!", gli batté
solidale Menma la schiena. "Speriamo che la situazione non peggiori, in
caso tua madre dovesse acquistare una seconda nuora!"
Per quanto m'augurassi di sbagliarmi, non mi sfuggì
affatto la furtiva occhiata lanciatami di soppiatto da Itachi-san, non appena
mio fratello pronunciò la parola "nuora". Né mi rassicurò il modo
decisamente analitico con cui l'uomo mi
aveva squadrata dalla testa ai piedi, quasi mi stesse valutando come uno dei
suoi pazienti, e non nascondo che panicai parecchio alla prospettiva che
Itachi-san avesse intuito il mio segreto. A meno che Menma non glielo avesse già
spifferato, visto e considerato lo stretto legame d'amicizia che li legava. Distolsi
quindi velocemente lo sguardo, concentrandomi su Saeko-chan e Kiyoaki-kun, i
quali stavano giocando con le cards dei Pokémon. Stava vincendo ovviamente la
maggiore poiché il più piccolo, non conoscendo le vere regole del gioco,
sottostava docile a quelle fasulle della sorella, atte a favorirla
costantemente.
"Sarà quel che Iesu-sama vorrà", sentenziò
ambiguo Itachi-san, abbracciando il figlioletto quando questi, stizzito per
l'ennesima sconfitta, si rifugiò piangendo tra le sue braccia. "Piuttosto,
avete qualche progetto per questo pomeriggio?"
Prima che potessi tappare la bocca a quel pappagallo di
mio fratello, questi m'anticipò, rispondendo entusiasta: "Certo che no! I
nostri ryōshin si sono recati ad Uzushio in visita, non ritorneranno prima di
stasera!"
"Perfetto! Vi piacerebbe allora venire a prendere il
tea a casa nostra? Non ricordo l'ultima volta, che ci avete onorati di una
vostra visita e Kaa-san ve ne sarebbe molto grata!"
"Chi siamo noi per rifiutare un favore alla cara
Mikoto-san? Vero, Nacchan?"
Un giorno, mi ripromisi mentalmente, avrei tagliato la
lingua a Menma.
Period.
~~~
Effettivamente, Mikoto-san si dimostrò davvero entusiasta
della nostra visita. Se non fosse stato per il mofuku kimono che indossava [2] e
per il viso tirato dell'insonne, non la si sarebbe detta in lutto per la morte
del marito. Addirittura mi ringraziò con un raggiante sorrisone, quando, dopo i
convenevoli, le porsi la torta al tea verde, l'unico dolce ch'ero in grado di
preparare. Non sia mai che mi presentassi senza niente, anche se invitata
all'ultimo momento [3]. Sciorinandosi in ulteriori ringraziamenti per il mio
dono, la vedova ci invitò a seguirla in
casa.
Deglutii un acido conato di vomito, sentendomi più in
colpa che mai.
L'abitazione dove Sasuke e la sua famiglia vivevano non
presentava chissà quali varianti da una qualsiasi casa tradizionale giapponese:
avevo sempre immaginato, infatti, che i Kirisutokyouto avessero adottato a
prescindere uno stile occidentale o comunque diverso da quello nazionale.
Invece, salvo alcuni particolari, nulla di strano saltava all'occhio. Al
contrario, alcuni dettagli ornamentali tipici della religione shintoista e
buddista erano sì stati mantenuti, però al contempo riadattati ai dettami cristiani,
sfatando quelle leggende metropolitane che li associavano un bizzarro e
decadente mélange tra Gothic e ottocento vittoriano, miti rinfocolati dalla
recente fascinazione dei manga verso questa religione. Ad esempio, gli Uchiwa
possedevano come noi un altare di famiglia, ma, al posto di esporvi i simboli
dei kami shintoisti, sul loro kamidana troneggiava innanzitutto un Crocefisso,
affiancato poi da un ritratto di Maria-sama col Bambino; di Miki Pauro-sama, di
Mikaeru-sama e di un Gaijin dal buffo cappello che mi spiegarono essere il loro
Kyōkō, Nidaime Yohane Pauro-sama. Alla
mia domanda se l'avessero mai incontrato di persona, Sasuke m'aveva risposto
negativamente, asserendo tuttavia che suo nonno Hikaku-san aveva fatto
letteralmente carte false pur di recarsi a Roma per partecipare al Giubileo del
1950. Non voleva morire, così s'era giustificato, senza aver visto la Città
Eterna e il Kyōkō-dono almeno una volta
e magari, già che c'era, ringraziare d'essere scampato alla morte in ambedue le
guerre mondiali. E a proposito dell'anziano patriarca, lo trovammo guarda caso
in preghiera proprio davanti alla versione cristiana del butsudan, là dove ci
osservavano annoiati tutti gli antenati e parenti del mio fidanzato,
fotografati ora in bianco e nero, ora a colori. Circondata da fiori e dal
nastro nero, la foto di Fugaku-san risaltava tra i volti antichi dei suoi
predecessori e anche in quel frangente seguitava a mantenere un'espressione
seria e affatto socievole.
"Incazzato fino all'ultimo", fui sicura d'aver
sentito l'anziano genitore borbottare, mentre accendeva un incenso votivo per
il defunto figliolo. "O il fotografo era un pezzente incapace ..."
Fin dal nostro primo incontro avevo nutrito molta stima
per Uchiwa Hikaku-san, ultracentenario, sordo come una campana, quasi cieco, piccolo
e rinsecchito ma dalla mente sorprendentemente ancora agile e arguta, forse più
attiva di quella di molti suoi concittadini più giovani. Non potevo esimermi
dal non rispettare quell'uomo adesso fragile e avvizzito, che tutto aveva perso
durante il secondo conflitto mondiale ma che, superando la disperazione, s'era imposto
di vivere e di ricostruire la famiglia distrutta. Quando Sasuke mi aveva
raccontato che Fugaku-san rappresentava l'unico superstite di sette figli, non
gli avevo dapprincipio creduto. Ma ora, osservando i volti sulla versione
cristiana del butsudan, compresi quanto quel posto fosse pieno di ricordi per
quell'anziano patriarca e quanto doloroso dovette essere stato per lui
ricominciare da zero assieme all'allora adolescente figliolo.
"Chichi!", lo chiamò ad alta voce Mikoto-san,
inginocchiandosi presso di lui. "Guarda chi è venuto a trovarci!"
"Eh?", fece l'anziano, tendendo lo scarno collo
rugoso verso la nuora.
"Guarda. Chi. E'. Venuto. A. Trovarci!"
"Cosa?"
"NAMIKAZE MENMA-KUN E NARUKO-CHAN SONO VENUTI A
TROVARCI!!", fu costretta a gridare Mikoto-san, arrendendosi di fronte
alla palese sordità del vecchio suocero.
"Oh, i kodomo di Minato-shi?", esclamò
deliziato Hikaku-san, ponendosi difficoltosamente in piedi, sorretto da Mikoto-san,
arrivandole a malapena alle spalle, tanto era curvo.
Ben presto ci accorgemmo che il nostro nome non soltanto
aveva rallegrato il bisnonno Uchiwa, ma che aveva richiamato da chissà quale
angolo oscuro della casa o del giardino i suoi bisnipoti più giovani, i quali
si presentarono a rapporto con Itachi-san che chiudeva quel rumoroso
corteo. Osservando di sottecchi come le
due belvette avessero accerchiato mio fratello, giunsi alla conclusione che il
fratello di Sasuke, benché cristiano, non aveva perduto il suo spirito
pragmatico e calcolatore: invitandoci per il tea aveva trovato un espediente
per dirottare altrove l'inesauribile energia dei suoi figlioli, permettendo
così alla moglie di vegliare indisturbata sul giovane ammalato. Non che la cosa
ci dispiacesse, tutt'altro! Sebbene estremamente vivaci, Saeko-chan e
Kiyoaki-kun rimanevano due creaturine davvero amabili. Quando li raggiunsi, la
bambina prese a raccontarmi euforica come la sua Obasan le stesse preparando
l'abito per la sua Prima Comunione.
"Indosserò uno shirokakeshita!", mi rivelò
orgogliosa. "Però non come una vera sposa, quindi non potrò mettermi lo
shiromuku uchikake e neppure il watabashi ... [4] La mia mama ha detto che mi
metterà piuttosto una bella spilla tra i capelli! E dei fiori! Non vedo l'ora
che arrivi maggio!"
"Si preparasse a questo santo sacramento, impiegando
il medesimo entusiasmo con cui parla del vestito ...", commentò il suo
bisnonno, facendomi l'occhiolino e appoggiando la mano avvizzita sopra la mia.
Di riflesso gliela strinsi, meravigliandomi quanto la sentissi leggera, come se
stessi tenendo un pulcino.
Ridacchiai sommessamente.
"Non è vero! Sto studiando, Hikaku-hiijiji! Non
manco mai a nessuna lezione di catechismo! Chiedilo a papa!", protestò
vivacemente la bambina, guardandomi poi speranzosa. "Verrà anche lei, Naruko-obaasan,
alla mia Prima Comunione?"
"Se il tuo Otōsan vorrà invitarmi", sorrisi
malinconica. Mi ripresi in fretta, impedendo alla piccina di cogliere quel mio
attimo di cupezza. "E comunque, non chiamarmi "zia"! E dammi del
tu!"
Gli occhioni scuri di Saeko-chan divennero ancora più
grandi dalla sorpresa. "E come ti
dovrei chiamare?"
"Naruko-nee oppure Oneesan. Non sono la tsuma del
tuo Ojiisan!"
"Ah no?", s'inserì Kiyoaki-kun, sbucandomi da
sotto il tavolino. "Ma voi due vi date tanti baci!"
Avvampai per l'imbarazzo. Grande osservatore, il poppante!
"Oh!", s'illuminò il volto di sua sorella.
"Anche tu allora aspetti un bambino! La sensei ci ha detto, che quando
papa e mama si vogliono tanto bene e si danno tanti baci, la pancia di mama
cresce e cresce finché non viene fuori un bambino! Così!", mi spiegò,
gesticolando le dimensioni di un pancione da vacca gestante, più che da essere
umano. Il suo Otōto la imitò prontamente, giusto per rafforzare il concetto.
"La mia mama aspetta pure lei un bébé, perché papa le ha dato tanti, tanti
baci!"
"Tanti, tanti baci!", ripeté il suo fratellino
peggio d'un pappagallo e con la medesima serietà.
"Mikoto-san!", mi rivolsi con voce leggermente
acuta ed isterica alla padrona di casa, grata di vederla entrare col tea e la
torta, così da fornirmi una chance per svignarmela con comodo. "Vado a
chiamare i due fuggitivi!", mi offrii volontaria per recuperare Menma e
Itachi-san, i quali se l'erano svignata alla prima distrazione del duo malefico
per discorrere dei fatti loro.
Prima ancora che la donna potesse replicare, ero già
uscita dalla stanza, respirando a grossi singulti.
Calmati,
calmati ... Va tutto bene ... Sono soltanto dei bambini ... Parlano a vanvera
... Ignorano il significato delle proprie parole ..., ribadii
queste verità come in un mantra allo scopo di rilassarmi e di ritornare in me.
Non appena mi reputai pronta per affrontare di nuovo il mondo, partii
genuinamente alla ricerca dei due uomini, che scovai in giardino.
Entrambi esibivano delle espressioni sospettosamente
gravi, parlottando fitto e a bassa voce.
"... e in ogni modo, il dottore ha confermato essere
una bambina", terminò Itachi-san il discorso, che supposi concernere sua
moglie e il nascituro.
Menma fissò a lungo il suo amico, prima di chiedergli con
sconcertante serietà, troppa per quel lieto evento: "E tu? Ne sei
contento?"
"Sì, perché?", sbatté confuso le ciglia
l'altro, malgrado la sua mimica facciale tradisse una notevole comprensione dei
vari sottotesti ivi contenuti.
Mio fratello abbassò il capo, come se stesse cercando le
parole più diplomatiche per un discorso altrettanto delicatissimo. "Itachi,
so che la vostra religione v'impone di perdonare e d'amare anche il vostro
nemico, tuttavia ... potrai mai tu sul serio amare un figlio che potrebbe non
essere tuo?"
Smisi di respirare. Avevo inteso bene? Shisui-san ...
Shisui-san stava aspettando la creatura di un altro uomo? Come ... com'era
possibile? E ... e perché Itachi-san continuava a rimanerne talmente impassibile?
E come faceva Niisan a sapere queste cose? Nessuno a Konoha ne aveva mai
spettegolato a riguardo ... Figurarsi se non ne avessero approfittato per
sparlare allegramente degli Uchiwa! Che diamine stava succedendo?
"Su questo punto ti sbagli, Menma, la bambina è mia.
Potrebbe - chi lo sa - non esserlo biologicamente, ma lei è tanto mia quanto di
Shisui. Le circostanze del suo concepimento sono irrilevanti. La piccina
crescerà in questa casa con tutti gli onori di figlia, porterà il mio cognome e
non tollererò che una colpa di cui non può giustificarsi le avveleni
l'esistenza!", dichiarò bellicoso Itachi-san, raddolcendo subito dopo i
lineamenti del suo viso. "D'altronde, anche tuo padre è stato adottato,
quindi capirai cosa significhi l'amore al di là dei vincoli di sangue!",
"Touché", ammise Menma suo malgrado, studiando
la neve cadere dai rami spogli degli alberi. "Avete avuto molto coraggio e
soprattutto pietà nei confronti della creatura. Il vostro comportamento è
davvero ammirevole", commentò ed io fui assolutamente d'accordo con lui.
Itachi-san scosse il capo, schermendosi. "Non
adularci, abbiamo pure noi le nostre colpe
... Vista la situazione ... ti confesso che ci avevamo pensato ..."
Cosa? Avevo compreso bene?
"E' comprensibile."
Avevano sul serio contemplato di ...?
"Shisui alla fine non ha voluto", proseguì
imperterrito Itachi-san, lasciando vagare gli occhi ovunque per il giardino,
impedendo che Menma vi leggesse il turbamento in essi. Non avrei mai immaginato
che tale sciagura potesse abbattersi sulla loro famiglia e di nuovo Sasuke non
m'aveva detto niente, forse per rispetto verso la cognata. Oppure per non fare
paragoni, poiché io ... No, lui non sapeva nulla. Però io sì, sapevo ora tutto.
E la vergogna mi stava mangiando viva. "Quando ... quando l'assicurai che
non l'avrei mai rimproverata della sua decisione, che se non ce la faceva a
sopportare questo fardello l'avrei capita, ecco ... Shisui mi rivelò che se
fosse stata sicura al 100% della paternità della creatura, allora avrebbe anche
considerato d'abortire; siccome però lei per prima non sapeva con chi l'avesse
concepita, preferiva tenerla. Una tempistica perfetta! Povera Shisui: alla
mattina fa l'amore col marito e alla sera violentata da ... uno sconosciuto."
"Hai dei sospetti, vedo."
"Nessun sospetto. Certezza. E lui lo sa."
"Cosa?!"
L'aria vibrava dalla collera a malapena tenuta a freno da
Itachi-san. Decisamente, mai come in quel momento la sua parentela con Sasuke
trovava la sua conferma: per quanto manifestassero i loro sentimenti in maniera
diversa, lo stesso i due fratelli possedevano un carattere sulfureo al limite
del distruttivo quando si trattava di proteggere i loro cari.
"Shisui non desidera denunciarlo. Dice che non vuole
più averci a che fare, che il solo guardarlo la nausea. L'ha perdonato, ma affrontarlo
in tribunale ... Non se la sente. E io
rispetto la sua decisione. Questo però non m'ha impedito di chiarire due o tre
cosette con quel maledetto, ovvero che se si sarebbe riavvicinato a mia moglie
o alla mia famiglia in generale, l'avrei sottoposto alle medesime torture
subìte dai miei antenati!"
A differenza però di suo fratello minore, che possedeva
la rabbia esplosiva, Itachi-san esibiva invece la sua controparte implosiva.
Pareva che non se la prendesse per niente; al contrario, si segnava mentalmente
tutti i torti subìti per fartela pagare più tardi e cogli interessi.
"Non molto cristiano da parte tua ...", notò
giustamente Niisan.
"Talvolta la croce che portiamo diventa troppo
pensante per noi e cadere sotto il suo peso può capitare. Non fingiamo
ignoranza: le percentuali delle molestie e violenze sul lavoro che colpiscono
le donne appaiono agghiaccianti da quanto sono alte, però ... però sempre le
consideri a te aliene ... distanti ... finché non ti capitano ... E ti
colpevolizzi per non averlo impedito."
"Da molto tempo la molestava?"
"Asseriva che lei stesse flirtando con lui."
"E gli hai creduto?"
"Affatto. Nutro una fiducia assoluta in Shisui. Se
lei m'ha confessato di non averlo mai incoraggiato, io non ho motivo di
dubitare della sua parola. E comunque, flirt o non flirt, un no rimane sempre un no e non giustifica la
schifezza da lui compiuta."
Appoggiai la fronte sulla porta scorrevole, la testa che
mi girava a causa di sentimenti contrastanti: confusione, stizza, imbarazzo,
tristezza e indignazione. Il petto mi stava scoppiando dalla voglia d'urlare,
di scappare via lontano, d'invocare aiuto e consiglio, ma sinceri, non
interessati.
"Naruko-chan?", avvertii la presenza di
Mikoto-san alle mie spalle, imbattendomi poi nel suo viso preoccupato. "Maria-sama,
sei pallida come un lenzuolo ... Ti senti bene? Vuoi qualcosa?", mi
condusse verso la cucina tenendomi il braccio, là dove mi fece accomodare,
porgendomi un bicchiere d'acqua fresca. "Che tu abbia la febbre?"
"E' solo stanchezza, Mikoto-san. Non è nulla",
mentii debolmente, stringendo con esasperata forza il bicchiere, manco fosse
mia intenzione di frantumarlo. "Non sarei dovuta venire qui, ecco."
La donna s'inginocchiò davanti a me, afferrandomi
delicatamente le mani. "E' successo qualcosa di brutto, Naruko-chan?"
Mi tremò il labbro inferiore. "No, Mikoto-san."
"Sasuke s'è comportato male con te?"
Casomai il contrario. "No."
Mikoto-san sospirò, lasciandomi ad intendere che aveva
compreso benissimo il significato inverso delle mie risposte. Ovvio che mi fosse
successo qualcosa di brutto, ovvio che avesse a che fare con Sasuke, anche se
lui non ne aveva colpa. "Se vuoi parlarne, t'ascolto."
Negai veementemente col capo. "Dubito che ... che lei
potrebbe comprendere ..."
"Comprendere cosa?"
Sobbalzammo colpevoli alla vista di Menma e Itachi-san
sull'uscio della cucina.
"Quanto sia difficile sopportare quei rompiscatole
dei professori!", mi venne in soccorso Mikoto-san, balzando in piedi e
rassettandosi il kimono. "Stanno veramente tartassando la povera
Naruko-chan: che barbari!", esclamò gioviale e, raggiunto il figlio
maggiore, gli suggerì: "Pensi che Ten-kun sia in grado di potersi unire a
noi? Povero caro, sempre confinato nella sua stanzetta!"
"Basterà fare attenzione che non faccia movimenti
strani", dichiarò professionale Itachi-san, guardando tuttavia oltre la
madre. Puntava me coi suoi occhi,
lanciandomi di nuovo lo sguardo.
"Perfetto! Vai tu
prenderlo? Così Shisui si potrà rilassare anche lei, poverina ...",
disse, seguendo/spingendo il figlio fuori della cucina.
Rimanemmo soli Menma ed io.
"Glielo hai spifferato, vero?"
"Cosa?"
"Quello!", accusai velenosa mio fratello.
"Come fa altrimenti a saperlo? Non dirmi che Itachi-san può leggere nella
mente! Perché mi metto a ridere!"
Niisan abbozzò ad una smorfia incredula. "Stai
diventando paranoica, adesso!", asserì impietoso.
"L'hai fatto apposta a portarmi qui!"
"E se anche fosse? Cos'è? Ti morde la
coscienza?"
Strinsi il pugno. "Teme ...", digrignai i
denti, pronta a sfigurarlo a suon di mazzate. "Come ti permetti ...?"
Mio fratello scrollò incurante le spalle. "Datti una
calmata, femmina isterica!", mi sbeffeggiò, chiudendo la porta scorrevole
della cucina, non senza avermi rifilato l'ennesimo sorrisetto di sufficienza,
confermando i miei sospetti circa una sua natura bipolare. Non poteva
dimostrarsi dolcissimo e stronzo nell'arco di nemmeno ventiquattro ore. Non
poteva.
Sbuffando, m'alzai dalla sedia e mi riempii un secondo
bicchiere d'acqua.
Sentii dietro di me la porta aprirsi nuovamente.
"Ancora? Le vuoi proprio prendere, eh,
bastardo?", mi preparai alla pugna, certa d'imbattermi nel brutto muso di
Menma.
Invece, mi ritrovai davanti quello perplesso di
Shisui-san.
Indossava anche lei mofuku kimono, sebbene a cingerle la
vita fosse una fascia bianca al posto dell'obi nero, acciocché non strizzasse
troppo il pancione che, a sei mesi, già rotondeggiava orgogliosamente.
Abbassai lo sguardo, memore della conversazione origliata
tra suo marito e mio fratello. Come avevano potuto farle una cosa del genere?
Ad una madre di famiglia con già tre pargoli a casa? Che senso aveva
quell'umiliazione? Non si poteva neanche dire che Shisui-san avesse provocato
il suo aggressore, visto che teneva i capelli corti come i miei e si vestiva in
maniera molto sobria. Flirtare? Si truccava a malapena! Non risaltava proprio
in mezzo alle altre donne! Si vociferava perfino che si fosse fatta mettere
incinta apposta da Itachi-san, in modo da costringerlo a sposarla visto che
nessuno si capacitava che un bell'uomo come lui avesse scelto per sposa una donna
dalla bellezza così modesta!
Inoltre, come poteva amare il bambino che le cresceva nel
ventre? Come faceva a sopportare ogni giorno la vista del suo pancione senza
sovvenirsi di quell'orribile esperienza e soprattutto a convivere con la possibilità
che non fosse del marito?
Come?
"Naruko-chan, ti stanno aspettando per il tea",
mi comunicò Shisui-san, la voce serena e fresca come lo zampillare di una
fontana. Non le importava, conclusi tra me e me, non le importava della
paternità della sua creatura. Se sotto i suoi occhi ombreggiavano delle
occhiaie, era per l'ansia derivata dalle condizioni di salute di Tenmaku-kun.
Dei suoi piccini e del marito. Era stata certamente oltraggiata ma non
distrutta.
Mi sentii intimidita dalla forza spirituale di quella
donna. E provai un immenso flusso d'odio scorrermi nelle vene, incerta se
indirizzarlo a me stessa o a lei.
Chiusi il rubinetto e mi apprestai a seguirla, ma la sua
espressione sconcertata m'impedì di proseguire nel mio intento.
La fissai stralunata.
Shisui-san era infatti impallidita improvvisamente,
facendo degna concorrenza alla fascia stretta in vita. I suoi grandi occhi
scuri ricambiavano il mio sguardo inquisitore con altrettanto stupore e paura,
neanche mi fossi trasformata in Sadako [5].
Istintivamente, la sua mano corse a mo' di protezione sul suo ventre,
indietreggiando cauta di qualche passo, le iridi ora dilatate e guardinghe.
Rimasi spiazzata da quel repentino cambio d'umore.
"Shisui-san?"
Per tutta risposta lei girò sui tacchi, disertandomi
senza degnarmi di una spiegazione.
Avvertii d'un tratto qualcosa di freddo e di umido sotto
i miei piedi.
Una pozza d'acqua cristallina.
Capii immediatamente.
Lunedì, 2 febbraio 1998
- mancano 4 giorni all'Appuntamento -
Menma ed io seppellimmo l'ascia di guerra a colazione. Succedeva
il più delle volte così: litigavamo, ci tenevamo un signor broncio per tutta la
sera e il mattino seguente, dopo aver mangiato, appianavamo le nostre
divergenze.
Rimasi comunque turbata e al contempo commossa quando, accompagnandolo
alla stazione dei treni, Niisan si scusò col cuore in mano, dandomi ragione
riguardo alla visita agli Uchiwa: aveva accettato la proposta di Itachi-san per
il mero gusto di farmi un dispetto. L'avermi però vista uscire dalla cucina d'un
bianco cadaverico, gli aveva instillato un profondo senso di colpa, il quale lo
aveva tarmato fino alle prime luci dell'alba. Però no, non aveva rivelato nulla
ad Itachi-san circa le mie attuali condizioni e se questi sospettava qualcosa,
lo doveva al suo allenato occhio medico.
"Spero che Shisui-san non sia stata troppo dura con
te!"
Strabuzzai gli occhi, cascando dalle mie elucubrazioni.
"Scusa?"
"Shisui-san", ripeté sbuffando Menma,
"ieri pomeriggio vi siete parlate, no? Dopodiché siete entrambe uscite
dalla cucina con certe facce ... Eravate, come dire, sconvolte. E non vi siete più rivolte la parola fino alla fine
della nostra visita. Insomma, cos'è successo tra voi due? Vi siete
accapigliate?"
"No!", scossi il capo vivacemente in diniego,
più che altro per levarmi dalla mente il ricordo dell'acqua fredda lambirmi le
caviglie. "Sono sicura che Shisui-san stesse ancora soffrendo per la paura
presa a causa dell'appendicite di Tenmaku-kun!", asserii con tale
convinzione, che il volto di mio fratello si rilassò, rassicurato dalla mia
logica spiegazione.
"Ah, ecco! Meno male!", esclamò
soddisfatto. Accortici dell'arrivo del
treno, sospirammo entrambi il tipico Beh,
eccoci qua dunque a congedarci. "Sul serio non cambierai idea?"
"Menma-nii ... Ne abbiamo già parlato ...",
borbottai petulante, cambiando peso da una gamba all'altra.
"D'accordo, d'accordo. Mi cucio la bocca. Purché tu
non te ne penta in seguito."
"Non accadrà. Starò bene", gli sorrisi
incoraggiante, sebbene tremassi interiormente all'avvicinarsi
dell'appuntamento.
Menma m'abbracciò forte, scompigliandomi i capelli.
"Ricordati di fare un'offerta a Jizō-sama, eh?", mi ricordò,
circondandomi il viso con le mani e stampandomi un bacio sulla fronte.
Lo colpii giocosamente sul braccio. "Sparisci,
pidocchio!", gli intimai, salutandolo quando salì sulla carrozza.
Osservando il treno partire in direzione di Tokyo, al
posto di sentirmi sollevata per la partenza di mio fratello (uno in meno contro
l'appuntamento) provai un senso d'abbandono molto forte. Come ... come se avessi
perduto più un alleato che un nemico.
Con simili pensieri mi diressi verso casa, passando per
l'incrocio principale che collegava tutte le vie di Konoha. Aspettai
pazientemente il verde e con esso la melodia Tōryanse, tōryanse.
Controllai il cellulare: 8 chiamate perse. Numero: Sasuke.
Mi morsi colpevole il labbro inferiore, rinfilando celere
il telefonino in tasca.
Finalmente scattò il verde e mi apprestai ad attraversare
sulle strisce pedonali.
Passate
pure, passate suvvia.
Dite, dove
porta quest'oscura via?
Porta forse
al tempio di Tenjin il saggio?
Per favore,
concedici il passaggio!
Coloro
senza una valida ragione di qui non passeranno.
Guardate,
di questo piccino è il settimo compleanno,
siam qui
per offrire il nostro o-fuda.
L'andata è
facile, il ritorno fa paura!
Fa paura e
sia,
però
passate, passate suvvia.
Ma ecco, che la mia visuale incominciò appannarsi, mentre
la testa prese a girarmi come impazzita, stordendomi. Venni improvvisamente
colta da inspiegabili vertigini, facendomi barcollare peggio di un'ubriaca. Le
mie gambe si rifiutavano di collaborare, le mie ginocchia si piegavano in
avanti, pronte alla caduta. L'intero mio corpo era percorso da questo sinistro
torpore e rimanere lucida mi costava un immane sforzo.
Finché non crollai a terra.
Passate
pure, passate suvvia.
Dite, dove
porta quest'oscura via?
Porta forse
al tempio di Tenjin il saggio?
Per favore,
concedici il passaggio!
Coloro
senza una valida ragione di qui non passeranno.
Guardate,
di questo piccino è il settimo compleanno,
siam qui
per offrire il nostro o-fuda.
L'andata è
facile, il ritorno fa paura!
Fa paura e
sia,
però
passate, passate suvvia
Ignoro se si fosse trattato di un malore o ... o di
altro. Ricordo solo che mi sentivo come incollata al cemento, incapace di
spostarmi di un solo centimetro in avanti.
Furono secondi atroci.
Passate
pure, passate suvvia.
Dite, dove
porta quest'oscura via?
Porta forse
al tempio di Tenjin il saggio?
Per favore,
concedici il passaggio!
Coloro
senza una valida ragione di qui non passeranno.
Guardate,
di questo piccino è il settimo compleanno,
siam qui
per offrire il nostro o-fuda.
L'andata è
facile, il ritorno fa paura!
Fa paura e
sia,
però
passate, passate suvvia
Più mi sforzavo a muovermi, più un'invisibile presa
ghiacciata mi costringeva per terra.
L'andata è facile, il ritorno fa paura!
Scalciai. Mi dimenai.
Niente.
Non avanzavo d'un millimetro.
Fa paura e
sia,
però
passate, passate suvvia
Il rosso sostituì il verde.
Udii in lontananza il motore di una macchina che
s'avvicinava pericolosamente all'incrocio ...
A me ... bloccata in mezzo alle strisce pedonali ...
Sobbalzai alla vista dei fanali accesi. Al clacson
suonatomi contro a mo' di monito.
Sarei dovuta scattare in piedi e correre via.
Se solo ... se solo mi fosse stato concesso ...
Invece, rimasi lì, cosciente e terrorizzata similmente ad
una vittima sacrificale.
L'auto era sempre più vicina.
Urlai, preparandomi all'impatto.
Il terrore mi privò dei sensi.
Il buio inchiostro.
Stridore di freni.
Il volo e l'atterraggio.
Silenzio.
Quando riemersi dallo shock, non mi trovavo spalmata
sotto la vettura. No, la prima cosa che avvertii furono delle braccia circondarmi
forte, proteggendomi. Aprii lentamente gli occhi, incrociando lo sguardo
certamente scosso eppure clinico d'Itachi-san, il mio soccorritore a giudicare
dai palmi delle mani sbucciati e sanguinanti. Dietro di lui stava il guidatore,
dalla cui espressione dedussi essere più sconvolto della sottoscritta.
Il fratello di Sasuke aprì la bocca per comunicarmi
qualcosa; ciononostante, non riuscivo a sentire nulla. Tutto mi appariva
surreale. Molto probabilmente stavo tremando, perché Itachi-san si levò il
cappotto e, in barba al clima invernale, me lo pose addosso, issandomi in piedi
e continuando a muovere le labbra nel suo muto monologo. Smarrita, mi guardavo
attorno, cercando di capire cosa stesse accadendo. L'unica certezza stava nella
salda presa del braccio dell'Uchiwa, a cui mi stavo aggrappando disperata.
Ero ... rintronata, ecco. Come se mi avessero
sbatacchiato dentro una campana.
Pertanto, non m'accorsi subito dello squillo del
cellulare. Fu Itachi-san ad estrarmi l'apparecchio dalla tasca del cappotto,
mostrandomi insistente il numero apparso sullo schermo, quasi mi stesse
domandando il permesso di rispondere al posto mio.
Sasuke mi stava telefonando. La nona chiamata.
Feci per replicare, ma, al posto d'un semplice sì , dalla mia bocca fuoriuscì
un'agghiacciante sequela di grida e singhiozzi.
Presi a pugni il petto d'Itachi-san, letteralmente fuori
di me.
Non m'accorsi di quel che mi diceva o di quel che gli
ululai. Fino all'ultimo non seppi
neppure che mi stava nel frattempo conducendo a casa sua.
~~~
Il tragitto dall'incrocio all'abitazione degli Uchiwa
avvenne similmente ad una trance: di fatti, serbo ricordi molto sfocati. Di
sicuro mi sfogai contro la persona d'Itachi-san, sorreggendomi tuttavia ad
essa, timorosa di cadere, non fidandomi appunto della saldezza delle mie gambe
assai incerte. L'espressione del chirurgo doveva essere stata molto seria e
determinata, giacché nessuno dei suoi familiari ci disturbò con domande. Venni
accompagnata dolcemente fino alla camera degli ospiti, là dove Itachi-san mi
squadrò per bene, assicurandosi che non riportassi lesioni gravi. Dopodiché,
portatomi da bere qualcosa di caldo, mi consigliò di coricarmi un poco.
Piombai in un sonno da morto.
Al mio risveglio s'era già fatto buio. Avevo
presumibilmente dormito fin quasi alle quattro e mezza del pomeriggio, se non
di più: a quanto pareva, la mia cognizione del tempo era andata a farsi
benedire. La mia fame no, come mi suggerì invece l'offeso grugnito del mio
stomaco.
Lentamente mi puntellai sui gomiti, socchiudendo gli
occhi onde evitare che le vertigini mi provocassero l'ennesima nausea. Non
appena mi giudicai abbastanza lucida da non svenire di nuovo e di manovrare
discretamente il mio corpo, mi posi seduta, sbadigliando alla stregua d'un
ippopotamo. Avevo dormito infatti malissimo.
Un rumore di passi attirò la mia attenzione, specie
quando questi si fermarono dietro alla mia porta. I loro proprietari
bisbigliavano circospetti tra di loro, tuttavia intuii lo stesso trattarsi di
Mikoto-san e di suo figlio, da poco rientrato dalla clinica e subito accorso ad
informarsi sul mio stato di salute.
"E' stata la mano di Kami-sama ad averti portato a
quell'incrocio!", sussurrò turbata la donna. "Davvero, se stamattina
tu non ti fossi recato alle poste prima di timbrare il cartellino ... Oh,
Maria-sama! Non oso immaginare come avrebbe reagito il povero Sacchan alla
notizia! La sua morte l'avrebbe devastato!"
"Adesso non esagerare, Kaa-san. Non nego che sia
stata una fortuna, però il guidatore aveva già scorto Naruko-chan da lontano e
aveva frenato, quando l'ho portata in salvo sul marciapiede!"
"Ma cos'è successo realmente?"
"Naruko-chan era caduta in mezzo alla strada e non
accennava a rialzarsi. Ho controllato eventuali distorsioni o fratture, ma non
presentava alcuna lesione. Era semplicemente paralizzata, presumibilmente dalla
paura. Quando è rivenuta era sotto shock, ha preso a piangere e a
colpirmi."
"Perché non l'hai portata al pronto soccorso?"
"Non ha voluto, anzi, ha urlato che si sarebbe
buttata giù dalla finestra, in caso avessi chiamato un'ambulanza!"
Corrugai fronte, sconcertata. Davvero avevo detto questo?
Cielo, chissà come debbo averlo spaventato! E cosa avrà pensato di me?! Una
pazza, figurarsi!
Da dietro la porta udii Mikoto-san sospirare affranta.
"Ita-kun, secondo te, dovremmo informare Sacchan di
questo? Sono seriamente preoccupata per quella ragazza. Non ... il suo
atteggiamento non è normale! Qualcosa non va in lei, è evidente!"
"Per il momento sarebbe consigliabile lasciare fuori
Sas'ke-kun da questa storia. Sai come s'agita non appena si menziona
Naruko-chan, sarebbe capace di correre fin qui a piedi da Nagasaki! Inoltre,
potrei sbagliarmi, però lei ha avuto una crisi isterica proprio quando ha visto
sullo schermo del suo cellulare il numero di mio fratello. Lì per lì ho pensato
ad uno scoppio ritardato dello shock, ma poi ... non noti anche tu come
Naruko-chan impallidisca o cambi velocemente discorso, ogniqualvolta si
menziona il nome del mio otōto?"
"Certamente, come poteva sfuggirmi? E vorrei che la
piccina si sbottonasse con me, liberandosi di qualsiasi fardello essa stia
portando. Sicuro, che è accaduto qualcosa tra loro due, mi ci gioco la
testa!"
"Possibile. Tuttavia, è un affare privato, che
riguarda soltanto mio fratello e Naruko-chan e noi non dobbiamo assolutamente
immischiarci!"
"Ma avrai i tuoi sospetti, vero?"
"Sì, ma come detto prima, non ci concerne!"
"Umphf, se la
poverina versa in questo pietoso stato d'agitazione per colpa di Sacchan ...
Guarda, giuro che gli cambio i connotati a furia di sberle!"
"Kaa-san ..."
"Embé, scusa! Per una volta che mi porta a casa una
brava ragazza, poi me la strapazza così? Mica va bene! Che razza di barbaro ho
allevato, sennò?"
"Kaa-san, dai, andiamo a preparare la merenda per i
bambini ..."
"Se soltanto Sacchan si decidesse a sposarla ...
Morirei felice ..."
"Kaa-san, per favore ..."
"Eh, ma che rompipalle che sei! Non mi permetti
manco più di fantasticare un poco? Non diventarmi mica come la buonanima di tuo
padre, sai? O mi chiudo in convento! Non scherzo!"
Itachi-san non replicò, limitandosi a ridacchiare indulgente,
dirottando la borbottante genitrice verso la cucina finché non li persi
definitivamente dal mio campo uditivo.
Mi massaggiai la radice del naso: e così il mio
atteggiamento non era passato inosservato, istillando anzi il dubbio nella
famiglia di Sasuke circa la nostra relazione. Stranamente, Mikoto-san pareva
più propensa a colpevolizzare il figlio al posto della sottoscritta, provocandomi
un feroce rossore per quell'ingiustizia poiché l'unica da biasimare ero io.
Itachi-san, al contrario, doveva aver capito tutto e malgrado ciò s'ostinava a
non interferire. Avrebbe potuto parlarmene, tentare di dissuadermi o informare
il suo otōto. Invece taceva, preferendo lasciarci la libertà di discuterne
assieme, Sasuke ed io. Come una coppia.
Discutere? No, io avevo già preso la mia decisione, non c'era nulla su
cui discutere! Nulla!
Barcollai fuori dalla stanza, risoluta a non abusare
oltre dell'ospitalità degli Uchiwa. Sennonché venni catturata dai due pestiferi
marmocchi, che mi avevano fino a quel momento aspettata ben celati nel loro
nascondiglio segreto.
"Ti sei svegliata! Ti sei svegliata!",
esultarono in coro, saltando peggio di scimmie sotto caffeina. "Sei
davvero qui! Allora Tenmaku-nii non ci stava raccontando balle!"
"Io, contrariamente a voi due, non racconto mai
balle!", s'intromise il sopramenzionato fratello maggiore, uscendo
inviperito dalla sua stanza e raggiungendoci, le braccia poste bellicosamente sui
fianchi. Per uno cui avevano asportato l'appendice d'emergenza, pareva pieno
d'energie.
Rispetto ai suoi fratelli minori, Tenmaku-kun
assomigliava in maniera impressionante alla madre, coi suoi ricci ribelli e gli
occhi scuri grandi ed espressivi, dalle ciglia lunghe quasi femminee. Aveva
dodici anni però la sua aria matura e autorevole - senza dubbio ben coltivata
dal suo ruolo di oniisan - lo invecchiava di almeno due o tre anni, per il
sommo chagrin del padre che l'avrebbe preferito più bambino. Similmente allo
zio Sasuke e al nonno Fugaku-san, anche lui tendeva a manifestare un carattere
sostanzialmente saturnino, tranne quando gli giravano i famosi cinque minuti,
in cui si prevedeva l'eruzione vulcanica-collerica tipica degli Uchiwa. Esattamente
come in quel momento.
"Naruko-nee, non vieni a giocare con noi a Tōryanse, tōryanse?"
Rabbrividii al sentir menzionata quella canzoncina,
associandola rapidamente all'incidente. E al bambino col mantello blu.
"Ovvio che no!", mi salvò Tenmaku-kun in
extremis. "Naruko-san ha avuto un malore, ergo si deve riposare!"
Prima che i due pargoli avessero l'occasione di
protestare, Mikoto-san ci chiamò per la merenda. Irrimediabilmente prigioniera
dei mini-Uchiwa, rinunciai ad ogni tentativo di fuga e mi lasciai trascinare
fino alla tavola.
"Che bello rivederti così presto, Naruko- ojōsan",
mi salutò l'anziano Hikaku-san, raggomitolato come un gatto sotto la sua
coperta. Arrossii fino alla punta delle orecchie al sentirmi dare della
"figlia" (seppure di un altro: se avesse usato "musume",
cioè figlia nostra, sarei schiattata sul colpo, altroché!). A complicare la mia
già precaria situazione, s'aggiunse anche il divertito risolino d'Itachi-san.
Se non era una carogna, quell'uomo! Si divertiva a torturarmi colle sue
allusioni! Si capiva adesso perché si trovasse bene con Menma-nii: similis cum
similibus, tzé!
"A proposito", dirottai altrove il discorso.
"Mikoto-san, ancora non m'ha detto il motivo del suo rientro anticipato da
Akita. Sasuke aveva parlato di un ritiro spirituale lungo due o tre
settimane!"
"Lo so", ammise la donna, sospirando
melodrammatica mentre appoggiava il vassoio sul tavolino. "Però dopo aver
appreso del ricovero di Ten-kun, non potevo rimanermene lì senza far niente.
Insomma, già Sacchan, ehm, Sasuke era stato così gentile da offrirsi volontario
per badare qualche giorno ai bambini, poi doveva partecipare a quel congresso e
non potevamo chiedergli di rinunciarvi. Sicché ne ho discusso col mio padre
spirituale e lui m'ha confermato che sì, certamente pregare è giusto, ma
altrettanto fondanti sono le opere pie. Dunque, eccomi qua!"
"Secondo me, avresti fatto meglio a startene ad
Akita!", commentò spassionatamente il bisnonno, guadagnandosi
un'occhiataccia velenosa da parte della nuora per il divertimento dei
bisnipoti, che sghignazzarono impuniti. "Tu e Shishi-musume vi beccate
come galline!"
"Chichi, hai per caso dimenticato di prendere le
pastiglie?"
Traduzione: chiudi il becco o altro!
"Nah, oramai a che vuoi che mi servano! Fra meno
d'un anno sarò al cospetto di Kami-sama!", disse e una densa aria carica
di mestizia e rassegnazione calò sulla stanza. In particolare, i bambini
parvero i più affetti dalla triste costatazione, che molto presto il loro
bisnonno li avrebbe lasciati per sempre. Alla veneranda (e incredibile) età di
centootto anni, ogni giorno, ogni ora corrispondeva ad un dono del loro
Kami-sama.
"Non dica questo, Hikaku-san", esclamai,
soffocando il groppo in gola formatomisi. "Lei vivrà ancora per
anni!"
L'anziano patriarca mi sorrise indulgente, certo della
smentita. I suoi occhi velati si posarono su di me, teneri e rassicuranti. E un
pizzico malandrini. "Non ti preoccupare, figliola! Kami-sama mi concederà
di non tirare le cuoia fintanto che non avrò visto nascere i miei due
bisnipoti!"
Spalancai incredula gli occhi. Come accidenti ...?
"Sul serio Iesu-sama ti parla, hiijiji?",
inquisì altrettanto stupefatto Kiyoaki-kun.
"Sicuro, da quando mi salvò da ambedue le
guerre!", dichiarò serissimo l'ultracentenario. Se non lo conoscessi a
fondo, l'avrei tacciato del peggior caso di demenza senile dell'intero
Giappone.
"Avremo quindi due sorelline?", lo incalzò
Saeko-chan.
Tenmaku-kun s'esibì in una smorfia esasperata.
"Speriamo di no, altrimenti siamo fregati!", borbottò.
"Il dottore non ha accennato a dei gemelli
...", si rivolse invece Mikoto-san al figlio, il solo a non aver perduto
la calma dinanzi a quell'affermazione piuttosto ... profetica.
"Talvolta un gemello si nasconde dietro l'altro e
sfugge all'ecografia fino all'ultimo", suggerì egli la sua teoria, seguitando
però a guardarmi intensamente. "Capita."
Deglutii penosamente.
"Ma ..."
Il pesante rumore della porta scorrevole interruppe
l'obiezione di Mikoto-san.
"Sono a casa!", udimmo una chiara voce
femminile provenire dall'entrata. Immediatamente, Saeko-chan e Kiyoaki-kun
abbandonarono i loro posti, correndo incontro alla madre. Itachi-san li imitò
ben presto.
Memore del nostro incontro il giorno precedente, mi
apprestai a battere in ritirata, adducendo una qualunque scusa pur di
svignarmela. Se dapprincipio mi sentivo un poco a disagio, adesso che
Shisui-san era rientrata, l'ansia mi rodeva lo stomaco.
"Mikoto-san, temo di dover andare ... si è fatto
tardi e ...", ma la donna non mi badò, voltando subito il capo non appena
la nuora entrò nella stanza.
"Ah, eccoti qua finalmente! Il tea si stava
raffreddando!"
Tra le braccia di suo marito, Shisui-san s'irrigidì al
solo scorgermi e il sorriso le morì sulle labbra. Il petto ansante s'alzava e
abbassava forsennatamente. Tremando impercettibilmente, s'esibì in un buffo
movimento che tradiva la sua indecisione se indietreggiare o proseguire per il
corridoio. Nondimeno, mai aveva smesso di fissarmi coi suoi occhi scuri, grandi
e spalancati, come se ella vedesse
ciò che sfuggiva agli altri.
Ciò cui anch'io potevo assistere.
E questo segreto condiviso ci rendeva complici e al
contempo sospettose l'una dell'altra. Ciononostante, non comprendevo in quale
maniera Shisui-san avesse acquisito la facoltà di visualizzare quella presenza,
quando io per prima non mi capacitavo del motivo di quella persecuzione. Desideravo
moltissimo poterne discutere a riguardo, però dalla postura rigida e sulla
difensiva della donna appurai, che mi sarebbe stato impossibile cavarle la
benché minima informazione.
Che diamine!
"Shisui-musume, come sta tua madre?", ruppe il
ghiaccio Hikaku-san, facendole segno di accomodarsi accanto a lui. A malincuore
la donna esaudì la sua richiesta, poiché significava doversi sedere vicino a
me.
"Molto bene, Hikaku-ojisan. Ti manda i suoi
saluti!"
Hitomi-san, oltre ad essere la madre di Shisui-san, era
la cugina seconda di Hikaku-san, figlia di un suo cugino primo emigrato in Perù
in cerca di fortuna. Suo "zio" l'aveva accolta in casa alla fine
della Seconda Guerra Mondiale, poiché l'unica sopravvissuta della sua famiglia,
dopo che il governo peruviano aveva ceduto all'alleato americano tutti gli
immigrati e oriundi giapponesi, deportandoli in massa negli infernali campi di
detenzione sparsi lungo la West Coast. Hitomi-san,
una nisei o seconda generazione,
venne separata dai genitori, entrambi issei,
e ciò le risparmiò il dolore di vederli morire o di malattia o per i
maltrattamenti subìti. Non lo seppe mai né si curò si conoscere la causa del
loro decesso. In ogni modo, Hikaku-san l'aveva cercata e aveva ottenuto il suo
affidamento. Non la voleva sapere in un orfanotrofio peruviano, men che meno
yankee. Così la ragazzina ritornò nella sua patria d'origine, di cui nulla
sapeva e che per colpa della quale era stata crudelmente perseguitata. Hitomi-san
non superò mai il suo trauma, rendendo amara la vita sua e degli altri, dello
"zio" specialmente, vai a sapere perché. Una volta maggiorenne scappò
di casa, ricomparendo brevemente per scaricare la neonata Shisui-san ad
Hikaku-san, sparendo di nuovo per anni. Così l'anziano patriarca dovette
rassegnarsi a crescere la cugina terza assieme ai suoi nipoti, grato della
posatezza e fortitudo morale dimostrate da quest'ultima. Soltanto di recente,
Hitomi-san pareva aver trovato un certo equilibrio interiore, continuando però
a vivere alla stregua d'una reclusa e rifiutandosi di frequentare chicchessia.
La figlia, evidentemente, era l'eccezione che confermava la regola.
"Perché mi hai tenuto nascosto, che ti recavi in
visita da tua madre?", la rimproverò velatamente Itachi-san. "Ti
avrei accompagnato, non mi va che prendi da sola l'autobus! Non nelle tue
condizioni!"
"Muovermi di tanto in tanto giova alla bambina!
Eppoi, la gravidanza non fa di me un'invalida!", ribatté tenace eppure
amabile sua moglie.
"In ogni modo, devi considerare che le strade sono
ricoperte di neve e di ghiaccio! Pensa a cosa potrebbe accadere a te e alla
piccina, in caso scivolassi!"
Avendo origliato inavvertitamente la conversazione tra
lui e mio fratello, in realtà capivo molto bene il vero motivo dietro la
paranoica protettività d'Itachi-san nei confronti della sua tsuma.
Shisui-san gli tappettò discretamente il polso con la
punta delle dita, segno che la conversazione finiva lì. Il suo consorte storse
la bocca imbronciato, ma non insistette oltre. Non poteva palesarsi meglio il
grande ascendente, che la moglie esercitava sul marito. Ed io che avevo
stoltamente creduto, che lei l'avesse sposato in segno di gratitudine per le
cure ricevute dallo "zio" o per la pietà suscitata nel cugino di
terzo grado. Itachi-san era seriamente innamorato perso della sua tsuma, lo si
leggeva negli occhi, dal modo in cui seguiva ogni suo movimento, contemplandola
perfino quando respirava.
Conoscevo bene quello sguardo. Quante volte Sasuke me
l'aveva offerto, permettendo di specchiarmici? Ai nostri primi appuntamenti mi
spiava sotto le ciglia con tale amorevolezza, da chiedermi cosa ci trovasse di
prezioso in me. Mi aveva corteggiata con calma, senza fretta e al contempo
persistente, impedendomi la ritirata. Non come quegli sciocchi arrapati dei
miei coetanei, che mi consideravano alla stregua d'una vagina pensante.
D'accordo, Niisan mi aveva sempre punzecchiata, sostenendo che considerata la
mia mentalità "antiquata" mi sarei giocoforza presa un uomo più
vecchio di me (mica un matusa, eh!, tra Sasuke e me ci separavano nove anni);
tuttavia non avevo colpa se mi prudevano le mani, quando intravedevo la
lussuria negli occhi di coloro con cui uscivo. Perché non vedevano me, bensì il
mio corpo. Nudo, se possibile. Lo trovavo disgustoso. Similmente, mi veniva
voglia di sputarli in faccia quando, udendo Scusa,
ma non sono una di quelle che te la dà al primo appuntamento, vi leggevo la
cocente delusione. Ancora ridevo al ricordo delle espressioni
sconvolte/scandalizzate di Sakura-chan e Ino-chan, il giorno in cui le rivelai
come fossi andata a letto con Sasuke sei mesi dopo esserci messi ufficialmente
insieme.
Inutile negarlo: Sasuke m'adorava, mi rispettava, spesso
lo sentivo fantasticare assieme al fratello su di un nostro futuro.
Mi accarezzai furtivamente il ventre, ripensando alle
parole di Menma.
Il mio meco
m'avrebbe di nuovo guardata pieno d'amore, se avesse scoperto il mio progetto?
O meglio, il risultato della mia decisione, presa senza consultarlo? In fin dei
conti, una parte di responsabilità ce l'aveva anche lui ... Lo amavo, sì, lo
amavo più di me stessa e ciononostante rabbrividivo all'idea di legarmi a
Sasuke per sempre. Perché? Per motivi religiosi? Già di mio ero poco
praticante, non mi avrebbe fatto né caldo né freddo cambiare religione, però
... Non potevo fingere. Questi cristiani di frontiera praticavano con fervore
la loro fede, contrariamente alla tiepidezza e laissez-faire dei loro
correligionari europei, che da secoli non sperimentavano più discriminazioni né
persecuzioni. Per quanto gli Uchiwa non appartenessero alla categoria dei bigotti,
anzi l'avermi accolta testimoniava la loro apertura mentale, comunque ad un
certo punto avrebbero preteso una mia decisione. Sasuke poteva sposarmi col
rito civile, ma ... i figli? A quale credo sarebbero stati allevati? Avrei
interpretato la parte dell'egoista, in caso avessi screditato ulteriormente
Sasuke davanti alla sua comunità. Sposato senza la benedizione della chiesa. I
figli non battezzati. A me non importava niente, però sarei stata crudele a
negargli i riti con cui lui era cresciuto, per cui i suoi antenati avevano
affrontato coraggiosamente il martirio.
Egoista, stupida
carogna!
"Itachi ha ragione, tesoro", puntualizzò
Mikoto-san, porgendo alla nuora una tazza di tea. "Considera che non hai
più la stessa età di quando hai avuto Ten-kun! Devi prestare attenzione, o
potresti ...", e lì si trattenne, spiando furtivamente i nipoti con la
coda dell'occhio "... farti male", terminò, evitando la parola tabù,
che avrebbe turbato quelle giovanissime testoline, già di loro tristi per la
dipartita del nonno Fugaku-san.
"Come Naruko-nee!", cinguettò Saeko-chan,
servendosi dell'ennesimo biscotto.
Shisui-san per poco non si soffocò con la bevanda,
tossendo rumorosamente e chiazzandosi il viso di macchie rossastre. Itachi-san,
velocissimo, le batté vigorosamente dietro la schiena, porgendole un fazzoletto
acciocché si asciugasse gli occhi umidi.
"Come, prego?", gracchiò.
"Essì mama, Naruko-nee è scivolata oggi sulle
strisce pedonali!", spifferò la bambina tutto d'un fiato alla madre.
"Se non fosse stato per papa, la macchina l'avrete schiacciata ... così: splat!" e batté perfino il palmo
della mano sul tavolo, facendo tremare le tazze e i piatti.
"Saeko-chan!", la riprese severo il padre,
riservandole l'occhiataccia.
"Ma è vero!", corse Kiyoaki-kun
cavallerescamente in sua difesa. "Tenmaku-nii ha detto che piangeva ...
piangeva ..." e guardò il fratello maggiore in cerca del vocabolo, che la
sua lingua cinquenne non riusciva a pronunciare.
"Esagitata", gli suggerì il suo Oniisan
sottovoce.
"Esagitata, sì! Piangeva esagitata quando papa l'ha
portata qui!", concluse.
"Di sicuro Naruko-chan è caduta per via del
ghiaccio", fu la spiegazione meno tragica di Itachi-san alla moglie, che
seguitava ad ascoltare la vicenda al limite dello sconcerto. "E lo
spavento l'ha stordita, impedendole di rialzarsi. L'ho soltanto aiutata a
scansarsi, la vettura s'era già fermata. Vero, Naruko-chan?"
"Verissimo!", convenni energica, sperando di
far ritornare un po' di colore nelle gote smunte di una sempre più inquieta
Shisui-san. "Non è successo nulla di che."
"Allora, perché ti sei rifiutata di giocare a Tōryanse, tōryanse coi miei
fratellini?", mi domandò Tenmaku-kun di bruciapelo, studiandomi con la
medesima intensità di suo zio, quando voleva ad ogni costo cavarmi fuori di
bocca la verità.
"Tenmaku, lasciala in pace!", lo avvertì
perentorio il suo Otōsan.
Testardo, il ragazzino proseguì. "Se non erro, la
canzoncina che si sente al semaforo è appunto Tōryanse, tōryanse. Ti sei irrigidita quando Sae-chan e Kiyo-kun
l'hanno menzionata. Tipico caso di un nascente PTSD!"
Annaspai in cerca di una spiegazione, assolutamente
impreparata dinanzi allo spirito d'osservazione, collegamento e deduzione di
quel marmocchio. Non per niente quel piccolo sacripante era il primo della
classe; non si comportava come un adulto, ragionava pure come tale! Diamine!
"Tōryanse, tōryanse,
hai detto?", s'inserì inaspettatamente il bisnonno, uscendo dai suoi
pseudo-torpori e catturando l'attenzione dei bisnipoti. Sospirai sollevata.
Tenmaku-kun si beccò a mo' di punizione uno scappellotto da parte del padre.
"Naturale che a Naruko- ojōsan non piaccia. Si tratta di una triste
canzoncina, anzi, paurosa!"
I visetti ancora paffuti dei più piccoli s'illuminarono
deliziati dall'aspettativa. Perfino Tenmaku-kun aveva abbandonato la sua
espressione seria per una più infantilmente curiosa. Itachi-san e Mikoto-san,
invece, ascoltavano benevoli ma non particolarmente interessati. Quanto alla
sottoscritta e a Shisui-san, attendavamo apprensive il racconto dell'anziano
patriarca.
"Perché, hiijiji?"
Raddrizzando un poco la sua curva e fragile figura,
l'uomo s'inumidì le labbra avvizzite, incominciando il suo racconto:
"Molto tempo fa, c'era della gente talmente povera che non poteva
permettersi neppure una ciotola di riso. Non avendo quindi nulla con cui
sfamare i propri figlioli, gli sfortunati genitori spesso decidevano di
sopprimerli, piuttosto di vederli morire di fame! Tōryanse, tōryanse è la triste canzone di quelle madri sventurate
che accompagnavano i loro figlioletti nella foresta per lì ucciderli!"
La nuora sobbalzò allarmata. "Chichi! Non credo che
siano storie da narrare ai bambini!"
"Uhm?"
"Quindi, hiijiji, per questo motivo la filastrocca
canta L'andata è facile, il ritorno fa
paura?"
Il bisnonno annuì enigmatico. "Ma ahimè, non si
riferisce ai poveri piccini assassinati!"
"No? E a chi?", lo spronarono i bisnipoti,
avidi di conoscere la fine della storia.
"Alla madri", sentenziò solenne l'uomo. "A
quelle sciagurate madri che tornavano dalla foresta. Da sole!", proseguì,
guardandoci severo uno alla volta. "O così esse credevano", aggiunse
malizioso, squadrando Shisui-san, la quale non osava neppure respirare.
"In realtà, si erano sbarazzate solamente del resti mortali dei
figlioletti, poiché il loro spirito sarebbe rimasto invece con loro ...",
e guardò infine me con estrema serietà "... per sempre!"
Un sinistro silenzio calò sulla stanza, gelandoci tutti
sul posto. Nessuno s'azzardò a fiatare alcunché, né ad accennare un
qualsivoglia movimento.
Trasalimmo violentemente - Mikoto-san cacciò perfino un
urletto - quando il telefono squillò all'improvviso.
"Non è che adesso moriamo fra sette giorni?",
sussurrò preoccupata Saeko-chan all'orecchio del fratello maggiore, che sbuffò
il suo evidente scetticismo.
Senza degnarsi di disciplinare la pargola, Itachi-san si
diresse verso il telefono, rispondendo con voce leggermente instabile.
"Moshi moshi?" Il suo viso si rilassò notevolmente non appena scoprì
l'identità del mittente di quella chiamata. "Otōto! ... Che piacere
sentirti! ... Come? Ah no, no, sto bene ... E' il nonno ... sì, ci stava
raccontando una delle sue storie dell'orrore ... Non giocare al figo, te la saresti fatta addosso anche tu, il
vecchio ci sa fare ... un attore nato ... Come? Naruko-chan?" e, coprendo
il ricevitore, mi domandò col labiale: Vuoi
che te lo passi? Gli feci concitatamente segno di no col capo. "Sì,
l'ho vista brevemente ieri pomeriggio ... Sì, sì sta bene per quello ... Non so
perché non ti risponde, che sono, la vostra balia? ... No, tu te ne resti lì a
Nagasaki! ... No, non ... Sasuke! Non
fare il testardo! ... Naruko-chan ha ventun anni, se la sa cavare da sola, è
una donna adulta! ... Uffa, che ... Sì, se la vedo le riferisco di telefonarti
... D'accordo ... Stammi bene ...", e riattaccò. "Che tipo
ansioso!", commentò tra sé e sé, massaggiandosi le tempie.
"Cosa voleva Sasuke-ojiisan?", inquisì subito
Saeko-chan.
"Niente d'importante. Vi saluta tutti e dice che
tornerà questo venerdì come previsto!", riassunse conciso Itachi-san,
glissando su molti particolari. Dopodiché, controllando l'orologio, mi domandò:
"Sono le sei meno cinque, Naruko-chan, ho promesso a Minato-shi di
riportarti a casa per le sei e venti. Te la senti di camminare o andiamo in
macchina?"
Il suo tono d'un tratto allegro e pragmatico mi frastornò
per qualche manciata di secondi. "Un po' d'aria fresca mi farà
bene!", affermai in fretta, rimettendomi in piedi.
"Vado a prenderti il cappotto!", esclamò con
forzata solerzia Shisui-san, uscendo dalla stanza con inaudita rapidità.
"Ma che le piglia?", arcuò il sopracciglio
Mikoto-san, interdetta dal comportamento della nuora.
Il bisnonno fece spallucce. "Ormoni di donna
gravida", disse, punzecchiando dispettoso il fianco di Kiyoaki-kun, che
gli rispose con una regale linguaccia.
Una volta finalmente soli all'ingresso, mi sentii in
dovere di ringraziare Itachi-san per la sua premura e generosa ospitalità.
"Figurati", liquidò egli la questione, come se
agisse così con chiunque s'imbattesse a Konoha. "E' bello aggiungere una
tacca alla lista dei favori, che Menma e Sasuke mi debbono
contraccambiare!", scherzò poi perfido, facendomi l'occhiolino.
Sorridemmo complici e forse per quest'empatia tentai di
confidarmi con lui, sperando di togliermi quell'atroce peso dal cuore.
"Itachi-san ...", esordii, sperando di non
suonare troppo pateticamente disperata.
Ma il chirurgo mi zittì con un deciso gesto della mano.
"No", mi prevenne dal parlare. "Puoi comunque fidarti di me, non
lo rivelerò ad anima viva. Nondimeno, Sasuke ha il diritto di sapere. Ammesso
che ..." e qui le sue iridi scure rifulsero di un bagliore scarlatto
"... la responsabilità sia sul
serio anche sua."
"Non mentirei a riguardo. Men che meno con te."
"Questo mi basta", addolcì Itachi-san lo sguardo,
appoggiandomi una mano sulla spalla. "Andrà tutto bene, Naruko-chan."
"Non lo so più!", tirai su col naso,
scansandomi la frangia dagli occhi. "Non so più che pesci pigliare
..."
"Confidati con Sasuke, non escluderlo! Che poi ...
d'accordo, sotto certi aspetti si comporta da pirla, ma non tanto scemo da non
accorgersi che stai soffrendo e lo fai stare peggio quando gli tieni nascoste
le cose! Non è così rigido come pensi, sai?"
Annuii poco convinta.
"Su, via quelle lacrime!", mi porse Itachi-san
un fazzoletto. "Soffiati il naso,
infilati le scarpe, andiamo a casa, ceni, ti fai un bel bagno rilassante e
dormi. E domani ti parrà ogni cosa più chiara, sì?", m'incoraggiò,
accarezzandomi il capo. "Ti aspetto fuori, va bene? Non metterci troppo, o
tuo padre fa piangere me! E ne è capacissimo!"
Non potei trattenermi dal ridacchiare all'idea.
Soddisfatto dell'esito ottenuto dalla sua battuta, Itachi-san uscì dall'abitazione.
Mi sedetti pesantemente sul gradino di legno
dell'ingresso, rimuginando su quando di recente dettomi e accadutomi. Il seme
del dubbio stava maturando in me: forse sì, forse stavo sbagliando tutto ...
forse mi stavo lasciando guidare dalle mie paure e non dal mio amore verso il
mio fidanzato ... forse ...
Il cappotto mi comparì improvvisamente davanti al naso.
"Scusami se ci ho impiegato tanto. L'ho cercato
erroneamente nella stanza di Sasuke-kun", si coprì Shisui-san il capo di
ceneri, rimanendo tuttavia a debita distanza dalla sottoscritta, neanche temesse
che le attaccassi la varicella.
"Non importa, grazie ugualmente", dissi,
afferrando l'indumento, che contemplai in silenzio per qualche minuto, prima di
voltarmi verso di lei. "Shisui-san ... qualsiasi cosa tu ... tu abbia
visto ... voglio che tu sappia che non è colpa mia!", ci tenni a
precisare, incapace di sopportare oltre il suo sguardo.
La donna si fermò, dandomi le spalle, dalla cui tensione
appurai quanto rimanere nella medesima stanza le stesse costando parecchio del
suo autocontrollo.
O peggio.
Come se si stesse trattenendo dal dirmi qualcosa.
Ma cosa?
Infine, Shisui-san si voltò di scatto, sedendosi accanto
a me, un'espressione determinata sul viso cinereo. "Tenmaku-kun affermava dunque
il vero? Sei svenuta in mezzo alla strada? All'incrocio?"
Corrugai confusa la fronte, chiedendomi dove volesse
condurmi col suo ragionamento. "Sì, non mentiva ... Però non sono svenuta:
al contrario ero cosciente, malgrado le iniziali vertigini!", specificai,
sperando di chiarire.
"E dimmi ... hai avuto la sensazione che qualcosa ti stesse afferrando per la
caviglia?"
Sbiancai.
"Come fai a saperlo?", boccheggiai sbigottita,
la gola subitaneamente secca.
Shisui-san non mi badò, allungando invece la mano sul
bordo dei miei jeans. "Questa caviglia?"
"S-sì ..."
La donna sollevò lentamente l'indumento, denudando la
pelle sottostante.
Sulla mia caviglia scoperta s'intravedevano dei lividi.
Congiungendoli, formavano cinque dita.
Una mano.
Una mano piccina ma forte, tanto da tenermi ferma con la
forza e vanificare ogni mio disperato tentativo di liberarmi dalla sua presa
ferrea.
Era la mano di un bambino.
***
"C'è qualcosa che non va, Gengetsu-san? Ho come
l'impressione che la storia non le stia piacendo."
L'editore , preso di contropiede dall'impertinente
schiettezza di quella domanda, si massaggiò incerto il collo. "Ecco ...
non saprei come spiegarglielo senza che s'arrabbi, Tobirama-sensei, ma ... non
so ... perfino io ho capito che
Naruko ..."
"Se lei pensa che io abbia speso le scorse tre
settimane a concepire una storia atta al banale intrattenimento dei lettori,
beh, allora lei non ha capito un bel niente né dello scopo ultimo di
quest'opera né della natura del mio mestiere: scrivo horror non gialli, è
diverso!", l'interruppe Tobirama con spaventosa glacialità. "E se mi
punzecchia ancora con ulteriori baggianate, può scordarsi l'intervista!"
Dinanzi a quel palese ricatto, il volto già palliduccio
dell'editore Hōzuki divenne più grigiognolo della neve sporca. "Non mi
faccia del bullismo, Tobirama-sensei! Si controlli!"
"Posso sottoporla a ben di peggio che a del
bullismo, caro il mio editore!", strinse gli occhi l'horror writer, abbozzando
ad un sorriso carnivoro. "Così diamo credito alle voci, che gli albini
equivalgono al male personificato!", e rise appunto con perfido gusto per
rafforzare il concetto.
Dal canto suo l'uomo ritenne assai più ragionevole non
stuzzicare oltre gli umori maligni dell'horror writer; già quell'altro Yōkai (al
secolo Izuna) lo aveva assassinato tre volte di fila con lo sguardo per aver
ceduto alla lusinga della tanto agognata intervista, invece di allearsi con lui
per far desistere Tobirama dalla sua idea. Figurarsi se ci si metteva pure
detta e assodata peste bubbonica a rendergli impossibile la vita. No, meglio
non aprire bocca e sopportare in silenzio.
"Piuttosto, sensei, ancora non m'ha indicato un nome
per l'intervista! Ha delle preferenze in particolare o posso scegliere io il o
la giornalista?"
"Se la sbrogli lei, mi fido del suo giudizio. Purché
non mi porti un cretino!", fece spallucce Tobirama, servendosi una tazza
di tea.
"Uhm ... una donna, magari? Viste e considerate le
tematiche trattate ...", suggerì Hōzuki Gengetsu, studiando attentamente i
lineamenti dell'horror writer, che di nuovo rispose con estrema noncuranza:
"Se proprio insiste."
L'editore annuì, seguitando a scorrere meditabondo i
primi capitoli del manoscritto. In tutta onestà non riusciva a comprendere quel
voler mettere -quasi - subito le carte in tavola da parte di Tobirama: sapeva,
infatti, quanto amasse stupire il lettore con impensabili colpi di scena. Qual
era il suo vero obiettivo?
"Non dico che non sia bello, perché lo è. Davvero",
confessò infine l'uomo, infilando nella cartellina i fogli.
"Semplicemente, si discosta molto dal suo marchio di fabbrica, ecco."
"Mi condanna per questo?"
"Per carità! Si trattava, la mia, di un'innocua
osservazione. Lei conosce bene quanto poco positivamente i lettori reagiscano
ai cambiamenti. Inoltre, noto che lei descrive amaramente salace alcuni aspetti
della nostra società, forse un po' troppo per essere giapponese ..."
Tobirama sogghignò birbante. "Dice? Curioso!"
"Cosa, prego?"
"M'hanno bollato come scherzo della natura, m'hanno
bollato come fuori di testa, ma nessuno m'ha mai bollato come giapponese. Devo
considerarlo un buon segno?"
Gengetsu sbuffò
esasperato. "Io ci rinuncio! Mi domando come faccia il suo partner a
sopportarla!"
"Mi sopporta, mi sopporta", lo rassicurò
l'horror writer, fissando l'altro di traverso e sornionamente. "Abbiamo
finito?"
"Ah, no! Questa volta non mi scappa, sensei!",
s'impuntò l'editore. Poiché gli aveva concesso un'intervista, avrebbe fatto
ballare quella testa matta alla sua musica, costasse quel che costasse! E quel
favore glielo doveva proprio, dannazione! "Lei m'assicura che questa
storia sia tratta da vicende realmente accadute?"
"Uffa, sì! Che noia! Quante volte glielo devo
ripetere?!"
"Quindi mi conferma che Naruko Namikaze esiste
davvero? D'accordo, Konoha è un luogo fittizio e questo lo reputo assolutamente
giustificabile, ma la protagonista è sul serio una persona in carne ed
ossa?"
"Certo!"
"Quindi", gli occhi neri di Gengetsu
s'allargarono pieni di speranza e di visioni di yen sonanti, "la porterà
all'intervista?"
Fu il turno di Tobirama d'allargare la bocca in un osceno
e insano ghigno.
"Ovvio!", rispose.
To be continued ...
**************************************************************************************************
Il personaggio di Hikaku è ispirato alla mia tenace pro-prozia,
deceduta alla veneranda età di centoquattro anni. Come lui, anche lei era un
tipetto ostinato e allegro, piena di voglia di vivere e dispettosa peggio di
una scimmia. Pace all'anima sua.
Molto probabilmente, leggendo, vi sarete detti quanto Naruko
sia logorroica. Beh, per coloro che hanno letto i manga Shōjo (ma con la S
maiuscola) di sicuro ad un certo punto ci siamo resi conto di quante pippe
mentali si facessero i protagonisti. Tanto che alla fine non contestavamo più,
lasciando trasportare passivamente dagli eventi! Della serie Vabbè, prima o poi si metteranno assieme!
Ora non so bene la storia del DNA, però mi pare che i
test sulla paternità dei bambini non fossero così precisi come oggigiorno. Ecco
perché non li ho menzionati ... Comunque, per coloro che conoscono i miei
(bizzarri) gusti in fatto di coppie, di certo hanno indovinato l'identità
dell'aggressore di Shisui. Che in questa
fic è una donna. Perché? Hé, dopo aver scritto una Mpreg con Itachi gravido mi pareva giusto restituirgli un
po' di mascolinità ...
E così eccoci al terzo capitolo! Wow, siamo quasi a metà
storia! Evvai!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere il
vostro parere!
Alla prossima, ciao!
Un po' di noticine:
[1] Warabe uta
"Tōryanse, tōryanse" = è una filastrocca per bambini, nonché un
gioco molto simile a "London Bridge".
[2] Mofuku kimono
= kimono da lutto, nero ovunque (obi compreso) tranne che per cinque kamon
bianchi.
[3] Non sia mai
che mi presentassi senza niente ... =
in Giappone è molto scortese non portare un dono ai tuoi anfitrioni,
quando questi t'invitano a casa loro.
[4] Shirokakeshita,
shiromuku uchikake, watabashi =
fanno parte del tradizionale abito nuziale giapponese. Shirokakeshita è un
kimono bianco, lo Shiromuku uchikake una sorta di cappotto bianco senza cintura
e il watabashi è l'ampio copricapo ovaloide.
[5] Sadako =
si riferisce a Sadako Yamamura, la celebre ragazza demone del romanzo " Ringu" di Koji Suzuki (1991) da cui
è stato tratto l'omonimo film di Hideo Nakata e remake statunitense "The
Ring." |
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Capitolo 4 *** Da Martedì 3 Febbraio a Mercoledì 4 Febbraio 1998 ***
Heilà!
Finalmente riusciamo ad aggiornare questa storia,
accidenti, dopo una settimane d'aggiornamenti (Stigma, Kuchiyose e questa fic)
c'è stata una calma piatta davvero sospetta!
In ogni modo, vi annuncio che abbiamo raggiunto lo zenit
della storia. I prossimi due capitoli saranno gli ultimi, concludendo in
bellezza (?) con un epilogo. Sette è il mio numero fortunato, ecco perché!
Avvertimenti!
Tematiche delicate e un pochino di lime, giusto perché
non si dica in giro che Hoel sia una moralista in incognito. :-P
Ulteriori note e commenti si troveranno a fine capitolo.
Infine, un sentito ringraziamento a tutti i miei lettori
e recensori, in particolare a Imoto.
Grazie anche a coloro che hanno messo questa storia tra le seguite, ricordate e
preferite.
Vi auguro una buona lettura,
H.
**************************************************************************************
Martedì, 3 febbraio 1998
- mancano 3 giorni all'Appuntamento -
Non riuscivo a togliermi dalla mente le parole di
Shisui-san.
Anche dopo che suo marito m'aveva riaccompagnato a casa;
anche dopo la doccia; anche dopo aver cenato; anche nel mio stesso futon; anche
al sospirato mattino dopo una notte costellata d'incubi, anche molti
"dopo", la sua espressione e le sue parole seguitavano a tormentarmi.
Non cessavo di domandarmi, infatti, quanto lei sapesse
riguardo al misterioso bambino dal mantello blu. E soprattutto, in che
circostanze avesse appreso della sua esistenza. I suoi quesiti erano stati
troppo diretti e sicuri, per una persona avente una conoscenza superficiale od
occasionale. Shisui-san, per motivi a me oscuri, s'era già imbattuta in quella
creatura persecutrice. Come nello specifico, però, lo ignoravo.
Guardai afflitta da fuori la finestra. Dal cielo plumbeo,
coperto da rabbiosi cirri grigi, cadeva languida una fitta neve, volteggiando
indiavolata nell'aria fino a depositarsi sui tetti, sui rami degli alberi
spogli, per terra. La ormai consolidata spossatezza mi sconquassò le ossa,
portandomi ad appoggiare la testa sul cuscino e a studiare con stanca
indifferenza il soffitto. La casa era silenziosa e fredda. I miei genitori
erano entrambi usciti presto, quel mattino. Mi raggomitolai, troppo sfinita per
intraprendere qualsiasi azione. Desideravo dormire, ma il sonno tardava a
sopraggiungere, tenendomi sadicamente sveglia e in uno stato di perenne
allerta, come se il mio subconscio temesse un attacco non appena avessi
abbassato le palpebre.
Feci bene a fidarmi.
Fu il suono del campanello a farmi balzare seduta, tesa
come una corda di shamisen. Rapida, controllai l'orologio: le dieci e mezza. Se
la mia memoria non si sbagliava, mia madre non sarebbe rientrata prima di
mezzogiorno, mentre mio padre addirittura alla sera.
Chi ... chi poteva essere?
Ma sì, il postino!, scossi il capo, dandomi della
sciocca. Decisamente, mi ero lasciata troppo influenzare dai vaneggiamenti di
Shisui-san. C'erano mille modi per giustificare razionalmente la presenza di
quei lividi. Sempre che ci fossero mai stati. Infatti, controllando la sera
precedente, prima di coricarmi, la caviglia, avevo notato come fossero
scomparsi. Molto probabilmente a causa della caduta s'era gonfiata, ecco, e
alla scarna luce del corridoio parevano i segni di una mano. E Shisui-san, cui
chissà come stavo un pelino antipatica, aveva voluto giocarmi quello scherzo di
cattivo gusto.
Già, doveva essere andata esattamente così.
Mi sentii immediatamente meglio.
Il campanello suonò di nuovo, stavolta più impaziente.
"Sto arrivando!", esclamai colpevole, correndo
trafelata al pian terreno dopo aver acchiappato la mia vestaglia. Aprii la
porta. "Mi scusi, non volevo farla aspet- ..." (Déjà vu)
Nessuno. (Déjà vu)
Davanti a me non c'era nessuno. (Déjà vu)
Assolutamente nessuno. (Déjà vu)
Serrai la mascella, dominando la paura crescente che, dalle
viscere profonde, mi stava risalendo acida e prepotente fino ad annodarsi alla
gola, premendo per uscire. "Non è divertente!", strillai agli invisibili
teppisti che la mia mente, disperata d'appigliarsi a qualsiasi logica
spiegazione che non comprendesse quel dannato bambino, aveva evocato come fautori di quella beffa. Suonare al
campanello e poi scappare. Tipico.
Sbuffando, chiusi in fretta e furia la porta col
catenaccio e mi recai altrettanto celere in cucina per prepararmi del latte
caldo. Quello m'avrebbe tranquillizzata.
Dling-dlong.
Il mio cuore smise di battere, cadde nel mio stomaco e
rimbalzò al suo posto. Tanto mi tremavano le mani, da versare del latte sul
tavolo. Rimasi lì imbambolata a contemplarlo, la mente in panne, incapace di
coordinare un qualsiasi pensiero che non contemplasse l'urlare a squarciagola.
Dling-dlong.
No.
Dling-dlong.
Basta.
Dling-dlong.
Finiscila!
Dling-dlong.
Quand'ecco che un'idea m'attraversò il cervello. In punta
dei piedi, lasciando che il campanello suonasse, mi diressi furtiva verso la
finestra della cucina. Scostando appena la tenda, spiai l'identità del
visitatore, mentre ancora s'attendeva una risposta - vana - da me.
Trattenni il fiato.
Sulla soglia di casa, ritto come un soldatino, il bambino
dal mantello blu indugiava persistente. Benché il suo indumento fosse
letteralmente zuppo d'acqua, la neve non lo scalfiva né si depositava su di
esso. Le sue gote non si tingevano del rossore provocato dal gelido vento
invernale. Non rabbrividiva in esso. Imperterrito, pazientava ch'io gli
aprissi.
Col cavolo! Mai e poi mai!
Dling-dlong.
Neanche m'avesse ascoltata, la figura del diabolico
piccino si scosse dalla sua innaturale immobilità, o meglio si voltò verso di
me, fissandomi dritta negli occhi.
Mi sorrise.
Dling-dlong.
Indietreggiai spaventata, chiudendo con forza la tenda.
Dling-dlong.
La porta vibrò sotto i suoi colpi. La maniglia si mosse violentemente,
strattonata.
Dling-dlong.
Caddi in ginocchio, tappandomi le orecchie, terrorizzata.
Dling-dlong.
"Nacchan? Nacchan, puoi per favore aprirmi? Ho
dimenticato le chiavi di casa! Nacchan! Ci sei?"
Stupefatta, spalancai gli occhi, incapace di credere a
quanto stessi udendo. Un sorriso isterico mi contorse il viso e, traballando,
mi rialzai, aprendo la porta a mia madre, la quale m'aspettava intirizzita
sotto la neve.
"Nacchan!", esclamò gioviale Okaasan, chiudendo
l'ombrello. "Finalmente! Brrr, mi pareva di morire assiderata lì fuori!
Hai dormito ancora male? Che occhiaie!", notò preoccupata, accarezzandomi
la guancia.
"Come mai così presto?", m'informai, aiutandola
a levarsi il cappotto, nel frattanto che lei si toglieva le scarpe inzaccherate
di fango.
"Ho ricevuto una chiamata da parte dei tuoi
nonni", mi spiegò concitata mia madre, sorpassandomi per salire
velocemente in camera sua. La imitai prontamente, seguendola. "Starò da
loro fino a giovedì", disse, incominciando a fare la valigia in un
vertiginoso andirivieni.
"Otōsan ne è al corrente?"
"Ma certo!", sbuffò ella, scostandosi una
ciocca ribelle dalla fronte umida. "L'ho subito informato, non appena tuo
nonno m'ha raccontato del malore di tua nonna! Non ti preoccupare, però: non è nulla
di grave!", mi consolò, elargendomi un giocoso buffetto.
Abbozzai ad un sorriso forzato, focalizzando la mia
attenzione sul pavimento. Malignamente provai ad immaginare la faccia
dell'altera avia, in caso l'avessi informata della mia condizione. Altro che malore,
sarebbe schiattata!
"Bene!", chiuse soddisfatta Okaasan il borsone,
caricandoselo su di una spalla. "Se mi sbrigo, forse faccio in tempo a
prendere la corriera delle undici! Posso fidarmi d'affidarti la casa, senza
trovarmi una discarica al mio ritorno?"
Un mese addietro avrei ribattuto scherzosamente indignata
a quella battuta. Ma non quel giorno.
"Lo prometto."
Mia madre mi fissò a lungo, meditabonda.
"D'accordo", convenne, infilandosi stavolta gli stivali. "Ah,
Nacchan!", si ricordò all'ultimo momento, fermandosi e girandosi verso di
me. "Che sia l'ultima volta, che ti vedo in compagnia d'Itachi-san,
chiaro?"
Le mie labbra rimasero sigillate.
~~~
Dling-dlong.
"Moshi moshi?"
"Otōsan ... come va il lavoro? Ne avrai ancora per
molto? Non ... non potresti tornare a casa?"
Dling-dlong.
"Te l'ho già
spiegato, fra dieci minuti devo presenziare ad un meeting, non posso filarmela
all'inglese!"
"Però, Otōsan ..."
"Nacchan, non
dirmi che adesso hai paura di rimanere da sola in casa! Sei grande, mica una
bambina ... Ma stanno suonando al campanello?"
Dling-dlong.
"Otōsan! Per favore! Torna a casa alla prima
occasione disponibile, d'accordo?! Se ... se non hai nulla d'importante,
almeno! Ti supplico!"
Dling-dlong.
"E va bene,
frignona, non iperventilarmi! Sarò da te fra un'ora, va bene?"
"Sì! Sì! Va benissimo! Grazie! Grazie di tutto
cuore!" e riattaccai.
Dling-dlong.
Mi appiattii ulteriormente al muro, stringendo
convulsamente al petto il telefono, neanche avesse potuto proteggermi.
Quel ... quel bambino dal mantello blu m'aveva cinto
d'assedio, imprigionando a casa e mi guardava insistente dalla finestra, le
mani appoggiate sul vetro, gli occhi così spalancati che le sue iridi si
vedevano appena, rimpicciolite dal bagliore dei candidi bulbi oculari. Sempre
sorridente.
In seguito alitò, scrivendo sulla condensa:
Vieni a giocare con me ...
Corsi in preda al panico in camera mia, sbattendo la
porta e tirando le tende. Mi sedetti sul mio futon portandomi le ginocchia
sotto il mento, dondolando impaurita e pregando qualsiasi esistenza divina di
accelerare il ritorno di mio padre.
Dling-dlong.
Lacrime di stizza presero a colarmi sulle guance.
Dling-dlong.
~~~
A cena riuscii a persuadere Otōsan a farmi dormire in
camera sua.
All'inizio egli n'era rimasto sinceramente sorpreso,
levando interrogativamente gli occhi dal suo piatto: infatti, avevo smesso di
avanzargli simili richieste da quando avevo incominciato le elementari, su mia
stessa iniziativa, poi. Per le emergenze potevo sempre ricorrere a Menma-nii.
Siccome però in quel momento non ero più una bambina e mio fratello si trovava
a Tokyo col suo meco, non mi rimaneva altra soluzione che affidarmi alla bontà
d'animo di mio padre, il quale accettò pur domandandone il motivo.
Inventare una panzana risultò difficile. In tutta onestà,
non mi riusciva di spiegargli esaustivamente il mio intimo terrore, circa il
dormire da sola in camera mia. Non mi sentivo sicura da nessuna parte, in
quella casa, non fintanto che sarei rimasta da sola. Forse quel maledetto
bambino si sarebbe fatto un baffo di mio padre, però non avrebbe osato
avvicinarsi a me in sua presenza. Sperai nella validità del mio ragionamento.
In caso contrario ... Ignoravo come avrei reagito. Non bene, comunque.
La serata trascorse in fretta, scandita dagli
aggiornamenti di Otōsan circa i nuovi progetti per Konoha. Lo ascoltai
distrattamente, rimanendo però avvinghiata al suo braccio e, dal luccichio
nelle sue iridi celesti nonché le fuggevoli occhiate lanciatemi, percepii la
sua contentezza per quella mia inaspettata regressione infantile. "Sei
cresciuta talmente in fretta, Nacchan, che mi pare ieri di averti accompagnata
al tuo primo giorno di scuola", mi confidò ad un certo punto, mentre si
serviva della tisana. "Ancora m'è arduo rassegnarmi all'idea, che presto
uno spasimante ti porterà via da me ..."
Affondai il viso nel maglione di mio padre, respirando a
pieni polmoni la sua rassicurante Eau de
Cologne. "Non ti preoccupare, non avverrà in un futuro tanto
immediato!", lo rassicurai.
Otōsan mi studiò dolcemente, accarezzandomi il capo.
"Nacchan", esordì, il tono divenuto d'un tratto
serio. "In seguito alla nostra telefonata, ho provato più volte a richiamarti
sul cellulare, ma risultavi costantemente irraggiungibile. Perché l'hai
chiuso?"
"Forse m'erano finite le batterie ...", mi
giustificai, grata che la penombra nel salotto celasse la mia menzogna.
"Ah!", sbadigliò egli, stiracchiandosi sul
divano. "Pensavo che l'avessi fatto per evitare Sasuke-kun ..."
Mi si contorsero le budella.
Numero di
chiamate perse: 20.
"N-no ... perché dovrei?"
Mio padre si pizzicò la radice del naso, sospirando
profondamente. "Non star a badare a tua madre, Nacchan. A modo suo ti
vuole molto bene e cerca d'aiutarti, ma questa è la tua vita e devi fare le tue
scelte, non viceversa. Non puoi permettere che lei o chiunque altro scelga per
te. Non sei più una bambina, anche se la cosa mi rattrista grandemente",
disse, puntandomi contro quegli schietti occhi cerulei che avevo ereditato.
"Mi rendo conto che a lei Sasuke-kun stia simpatico quanto un riccio di
mare sotto il piede; ciononostante non la giudico una valida ragione per essere
sgarbata con lui, specie se non se lo è meritato."
"Come fai a sapere che lo sto evitando?"
"Tesoro", sogghignò complice Otōsan, "è
dai tempi d'Izanami-sama e Izanagi-sama che voi donne utilizzate la fuga, per maltrattare
quei poveracci che vi corteggiano!"
A stento trattenni un risolino, rifugiandomi nell'abbraccio
sicuro e forte di mio padre.
Quella notte non feci incubi; dormii al contrario
talmente bene e di gusto da riacquistare il controllo su di me e sulle mie
facoltà mentali. Il bambino dal mantello blu m'appariva distante, alieno,
giustamente relegato nel dimenticatoio. Sembrava che una spugna l'avesse
letteralmente spazzato via dal mio cervello e rimasi sorpresa della mia
stupidità per essermi lasciata influenzare al punto da morirne di paura, o
quasi.
Mi sentivo euforica, piena d'energia, come se niente e
nessuno m'avrebbe mai più spaventata né costretta a riconsiderare le mie
decisioni.
La giornata del 4 febbraio si presentava soleggiata,
limpida, apportatrice di serenità.
Sicuro.
La calma prima della tempesta.
***
"Certo che la gente non sa proprio farsi gli affari
propri!", protestò vivacemente Tobirama, lasciandosi cadere sulla sedia.
"Se dico che voglio quattro ciambelle farcite al cioccolato, vuol dire che
voglio quattro ciambelle farcite al cioccolato e magari senza le tue opinioni del cazzo! Pago e pretendo!" e
prese a bere il suo latte caramellato, un'espressione decisamente imbronciata
sul suo viso alabastrino.
Aveva giudicato - scioccamente purtroppo, visti i
risultati - che lasciarsi invitare da
Hashirama a colazionare da Starbucks avrebbe distratto la sua mente
dall'imminente intervista. Pia speranza. Adesso, nutriva più stizza e
insofferenza di prima.
"Che ha combinato stavolta quel povero
barista?", inquisì placido Hashirama, affatto scioccato dalla boccuccia di
rosa dell'horror writer. La sua lingua lunga e il caratteraccio pungente erano
una realtà alla quale s'era da molto tempo rassegnato, eppure non comprometteva
il suo affetto nei suoi confronti.
"Quando ho fatto le ordinazioni, m'ha guardato come se
avesse davanti un'orca assassina! Insomma, le pago quelle ciambelle, mica
gliele ho chieste gratuitamente! Cosa mi va a commentare che potrebbero essere
un po' troppe?", berciò.
Il castano annuì, comprensivo. "E' normale avere
paura, Tobirama. E comunque non sei un'orca assassina. Sei una balena."
"Eh?", cascò dalle nuvole l'adesso decisamente
irritato cetaceo antropomorfo. "Vuoi che ti meni?"
Ignorando l'ultimo commento, il maggiore espresse il suo
modesto parere: "Domani il romanzo verrà ufficialmente distribuito nelle
libreria e l'intervista avrà luogo dopodomani. E' logico sentirsi agitati e
innervosirsi per un nonnulla!", afferrò poi Hashirama la mano dell'horror
writer con estrema dolcezza. "E tu hai sempre mangiato alla stregua d'un
maiale, quando l'ansia ti coglie!", aggiunse birbante.
Tobirama sbuffò, grattandosi la nuca. "Non è proprio
quello il motivo ...", ammise a malincuore.
"Ah, no?"
"No."
Un vivace luccichio vagò negli occhi del più anziano dei
due. "Ah ... Ma non mi dire ... "
"Eggià."
"Ti prego, non uccidermi Izuna! E' l'unico che
riesce a sopportarti senza volersi suicidare, dopo aver interagito con te per
cinque minuti!"
"Oh, farò di meglio ... Promesso!"
I due fratelli sorrisero furbescamente complici.
"A proposito, ho saputo che sarà Terumi Mei-san ad
intervistarti. Ti garba?", riprese il Senju il discorso, sorseggiando il
suo caffè.
"Non mi dispiace. Per informarmi su di lei, ho
leggiucchiato dei suoi articoli. Interessanti, lo ammetto. La donna dev'essere
stata un elmetto rosa, ai tempi dell'attivismo per la legalizzazione della
pillola anticoncezionale."
"Chi meglio, dunque, per recensire L'Appuntamento?"
L'horror writer annuì senza particolare entusiasmo.
"Già", commentò seccamente. "Hōzuki Gengetsu-bastardo-san m'ha incastrato per bene ..."
***
Di norma, Tobirama non si faceva mai prendere dall'ansia
alla vigilia della pubblicazione di un suo romanzo. Che si trattasse di
eccessiva presunzione o confidenza nelle sue capacità, nutriva una cieca
fiducia sull'esito positivo delle sue opere.
Ma non questa volta. Non per L'Appuntamento.
Era ... come dire,
una storia troppo intima.
I commenti, poi, dei suoi fan su Facebook, Twitter, blog
e forum di certo non l'aiutavano. Alcuni giuravano all'horror writer eterna
fedeltà, qualsiasi cosa avesse pubblicato. Altri giuravano un'orribile morte
(la sua), in caso avesse deviato dal suo solito stile.
Ma
vaffanculo!, grugniva mentalmente, mordicchiando irascibile prima
l'unghia e in seguito la pellicina, facendo sanguinare quest'ultima.
Lo schermo scomparve all'improvviso dai suoi occhi, su
cui era calata una tiepida oscurità.
"Adesso basta, non ti fa bene", avvertì l'alito
caldo d'Izuna solleticare la sua nuca. Un vago ma persistente profumo di
bagnoschiuma corteggiava il suo olfatto, avvolgendo la sua persona nella
frescura di chi s'era appena congedato da una doccia serale.
"Sto benissimo, invece!", si tolse l'horror
writer le mani del compagno dagli occhi, sennonché queste ripiegarono sulle sue
spalle, impedendo la fuga.
Il moro arcuò scettico il sopracciglio.
"D'accordo, forse un po' bene."
Gli occhi d'Izuna si strinsero in due fessure.
"Uffa! Me la sto facendo sotto dalla fifa,
contento?", sbuffò petulante l'horror writer, appoggiando la guancia sul
palmo della mano. "Se dapprincipio avevo grandi certezze su questo
romanzo, adesso non so proprio più cosa pensare. Insomma, non è ancora stato
pubblicato, che già mi minacciano di morte! Mi domando chi abbia fatto la spia,
spifferando che L'Appuntamento si
scostava dalle mie solite storie ... Che palle ..." e mirò puerilmente
infelice il suo compagno, che invece ricambiava intensamente il suo sguardo.
Izuna aveva più volte sperimentato le scene madri di
Tobirama che, similmente a tutti gli artisti, soffriva di acute crisi di
divismo, tartassando il prossimo con le sue infinite e assurde fisime.
Stavolta, però, poteva leggere in quelle acute iridi scarlatte del genuino
timore e incertezza, come se la determinatezza (o testardaggine) che v'abitava
all'inizio vi avesse affogato. D'altronde se l'aspettava: l'aveva detto sin dal
principio, che il rischio era grosso, ma figurarsi se Tobirama rinunciava ad
una sua idea, quando questa l'appassionava. Diveniva uno tsunami. E poi
dicevano che fosse una persona insensibile e apatica. Pah. Nondimeno, ciò non
avrebbe dissuaso il moro dal continuare a sostenere quella testa matta (e
geniale) fino alla fine. Non si sarebbero scelti, altrimenti, come compagni.
"Lascia che gracidino simili ai rospi che
sono!", dichiarò bellicoso, inginocchiandosi alla sua altezza. "E che
s'azzardino pure a sfiorarti! Non avranno più dita per scrivere le loro
stronzate, né occhi per leggerglieli!", l'assicurò e si ripromise di
mantenere ogni parola appena pronunciata.
Mica scherzava. In passato era già accaduto che qualche
fan, anzi fanatico, avesse
infastidito pesantemente l'horror writer o per un finale non gradito; o per lo
sviluppo di certi personaggi o per le pause che di tanto in tanto si prendeva,
tra una pubblicazione e l'altra. La parola "moderazione" proprio non
sussisteva nel loro vocabolario. Peccato che la impararono a loro spese, quando
uno di questi squilibrati osò pedinare Tobirama fino a casa sua, allungando
perfino le zampe. Fu fortunato che quel giorno Izuna fosse stato di buon umore
abbastanza da limitarsi di riempirlo di ceffoni e prenderlo a pedate fino alla
strada, spaventandolo a tal punto da fargli definitivamente passare la voglia
di cimentarsi in atti di stalking ai danni dell'horror writer.
Ci erano voluti anni per esorcizzare i fantasmi di
Tobirama. E che Izuna fosse dannato per l'eternità se qualcuno osava
rievocarli, provocando una ricaduta nel suo prezioso bijou. Si erano perfino
trasferiti lontano, ricominciando da zero.
"Non temere di loro, non ti feriranno. Ci sono io
tra di voi, dovranno prima passare su di me. E sai come sono delicato con chi
t'infastidisce ...", mormorò, massaggiando le spalle, il collo e lo scalpo
della sua "dolce" (= polemica, cervellotica, arrogante, intelligente)
metà. "... tanto quasi un carro armato ..."
Tobirama fremette, respirando pesantemente dal naso, le
nari dilatate.
Adorava quando Izuna entrava in mode macho-alfa-iperprotettivo.
L'arrapava da morire. Assieme a lui ogni cosa era fattibile; si sentiva
invincibile, intoccabile. Al sicuro. Al contempo però, per quanto lusinghiere
fossero codeste considerazioni, non gli avrebbe mai confessato questo suo
segreto: il moro si sarebbe troppo gasato, approfittandone vigliaccamente.
Nondimeno vederlo così combattivo e devoto per amor suo, agitava pensieri poco
casti nel suo petto. Tradotto: lo voleva. Sì, voleva per sé e soltanto per sé
quel fiero, generoso, appassionato e possessivo masnadiere. Tobirama mai come
in quel momento desiderò così follemente il suo uomo. Lo reclamava tra le sue
cosce, ora, subito, senz'indugi. Imperativo categorico.
E ciò che Tobirama esigeva, Tobirama otteneva.
Ma questo giocando sporco, ovviamente.
"Ah! Prima che mi dimentichi", assunse infatti
il tono di voce più casuale e innocentino del suo repertorio. "Devo dirti
una cosa molto importante!"
"Sentiamo."
Con espressione furbetta, l'horror writer gli fece cenno
col dito d'avvicinarsi. Una volta avuto il compagno più presso, gli sussurrò
rapidamente qualcosa all'orecchio.
Gli occhi del moro si spalancarono, dilatandosi e
scurendosi selvaggiamente. Impallidì, scostandosi bruscamente e guardando
stralunato Tobirama, che annuì grave. Sicché l'uomo assunse una smorfia ferina,
non dissimile a quella del pazzo cui viene dato credito. Esattamente quella che
l'horror writer desiderava contemplare.
"Perciò", proseguì solenne "per punizione,
dovrai farmi l'amore per tutta la notte. E ho grandi aspettative a riguardo.
Che ne dici? Accetti la sfida?"
Punto sul suo intrinseco orgoglio virile, Izuna raccolse
il guanto, passando all'azione. Non se lo fece proprio ripetere due volte:
caricatosi sulle spalle quell'impertinente, si recarono spediti in camera da
letto, pronto alla pugna amorosa. Anche se ambedue sapevano che non ci
sarebbero stati alla fine né vinti né vincitori ma due innamorati esausti e
appagati. "Ottima idea, la tua, di dare una vacanza anticipata alle
belvette", dichiarò il moro, mentre appoggiava il suo fardello sul futon.
"Meravigliosa, brillante e caparbia creatura ..."
"Mio ...", ansimò Tobirama, tirando a sé
l'amato, affinché l'avvolgesse nel suo abbraccio. "Mio Izuna .. mio ...
soltanto mio ..."
"Esatto. E non dubitarne mai!"
Per tutta la notte, i loro corpi non cessarono mai di
cercarsi e di amarsi, gioiosamente, sfrenatamente.
Izuna venerò con dovizia Tobirama, baciando insaziabile
la sua bocca fine, il suo collo niveo, il suo petto ansante, i suoi fianchi
tentatori. E non si poté dire che Tobirama non avesse ricambiato con
altrettanta avidità, accogliendo Izuna dentro di sé con tale passione da
oltrepassare la divisione concreta tra il prendere e l'essere presi. Che
importava? Stupidi sofismi della biologia.
Si amavano e questo era sufficiente.
Il resto? Irrilevante.
Quando i due
furono troppo stanchi per seguitare a fare l'amore, s'accontentarono di
trascorrere abbracciati gli ultimi sgoccioli notturni prima dell'alba,
dilettandosi nella loro posizione preferita, quella del cucchiaio e cucchiaino.
Izuna fu il primo ad addormentarsi, indugiando con la
mano destra sul ventre di Tobirama, mentre con la sinistra intrecciava le sue
dita con quelle dell'horror writer, offrendo lo stesso braccio come cuscino. Il
suo respiro solleticava dolcemente la nuca bianchissima, scostando qualche
riccio umido.
L'horror writer si lasciò cullare, ascoltando il forte
battito del cuore del compagno.
Domani ci sarebbe stata la pubblicazione del romanzo.
Dopodomani l'intervista.
Poi, sarebbe finito tutto.
***
Mercoledì, 4 febbraio 1998
- mancano 2 giorni all'Appuntamento -
Dopodomani sarebbe finito tutto.
O così m'illudevo.
Trascorsi l'intera mattinata vagabondando pigramente per
il centro di Konoha, guardando annoiata le vetrine, cogitando su cosa cucinare
per mezzogiorno.
La mattina del 4 febbraio si presentava bella, frizzante,
appena sfiorata dal gelido vento del nord. Un limpido e schietto sole brillava
gioioso sul suo trono, un cielo incredibilmente privo di nuvole, azzurrissimo.
Una di quelle rare e miracolose mattinate- conoscendo infatti la plumbea incostanza
del clima invernale - la cui dolcezza e serenità propiziavano null’altro che la
tanto sospirata pace interiore, dove il corpo e lo spirito riuscivano
finalmente ad essere entrambi felici ed appagati. L’aria bellicosamente fresca,
pulita, pregna del sentore cristallino della neve e degli abeti umidi,
accarezzava l’odorato assieme all’acre profumo della legna bruciante nei camini
e l’anima con la sua fragranza gelida eppure inebriante. Normale era, quindi,
bere quell’aria a grandi sorsate (con la bocca bene aperta) la quale
s’attaccava birichina sulla gote arrossate, s’infilava tra le vesti, pungente e
delicata allo stesso tempo. Nulla a che vedere con le cupe giornate precedenti,
le quali di sicuro avevano influenzato negativamente i miei nervi già di loro
scossi, ingannandomi con sciocche apparizioni.
Andava tutto bene.
Ero calma e in pace con me stessa.
Allora, come mai mi rifiutavo di rispondere a Sasuke, il
cui numero di chiamate perse era montato a trentacinque? Sebbene avessi
riaperto il cellulare, premevo di riflesso il tasto rosso non appena lo sentivo
vibrare, prima ancora di permettere alla suoneria di sconquassarmi il sistema
nervoso subdolamente allerta. Non calcolai, invece, la musichetta riservata
agli sms.
Strano, chi poteva essere? Forse Menma, giacché il mio
meco si dimostrava relativamente allergico a messaggiare il suo prossimo,
preferendo telefonare.
Contrariamente alle mie supposizioni, lessi col cuore in
gola il messaggio.
Sas'ke
→ Me (11:45 am)
Che cosa ti
ho fatto?
Un brivido freddo mi percorse la schiena: dovevo averlo
messo sul serio alle strette, per costringerlo ad inviarmi degli sms al posto
d'inutili chiamate senza risposta. Mettendolo in silenziatore, decisi
d'ignorare anche quel tentativo (disperato e infruttuoso) di conversazione.
Peccato, che non ci fosse nulla contro le vibrazioni.
Sas'ke
→ Me (11:57 am)
Perché non
rispondi?
Fissai indecisa lo schermo: replicare o meno? E che cosa
avrei mai potuto scrivergli? Ogni parola mi suonava falsa, fuori luogo. Non ce
la facevo. Le mie dita rimanevano immobili sull'apparecchio.
Sas'ke
→ Me (12:05 am)
D'accordo,
non mi vuoi parlare. Però almeno puoi riferirmi tramite Itachi-nii se stai bene
o meno? Sono preoccupato, Naruko, non è da te quest'atteggiamento!
Ringhiando la mia snervata frustrazione, feci per
chiudere il cellulare, facendo contemporaneamente dietrofront e talmente in
fretta da non guardarmi attorno. Di conseguenza, non dovetti sorprendermi se
collisi con chi stava camminando nella direzione opposta. "Oh, mi scusi,
non l'ho fatto apposta ...", bofonchiai velocemente, piegandomi per
raccogliere il telefonino, sennonché lunghe e delicate dita guantate mi
anticiparono, conducendomi al viso del loro proprietario.
"Ora si spiega, perché Sasuke-kun ci sta
perseguitando con le sue chiamate: e io che pensavo si trattasse di nostalgia
di casa!", commentò freddamente Shisui-san, restituendomi il maltolto.
"Gli stavo per rispondere", mentii velocemente.
Gli occhi grandi e scuri della donna si strinsero in due
linee scettiche, tipiche del docente che fiuta la bugia dell'alunno, circa il
perché non abbia svolto i compiti per casa. "Allora sbrigati, non
lasciarlo aspettare", mi suggerì, non accennando tuttavia a muoversi di un
solo centimetro, neanche avesse voluto assicurarsi che lo facessi sul serio e
non per finta.
"Adesso non ho tempo; ma quando sarò a casa
..."
"Se hai intenzione di troncare con Sasuke-kun,
perché non glielo dici apertamente, invece di tormentarlo nel dubbio coi tuoi
silenzi da codarda? Non lo troveresti più onesto?", m'interruppe
bruscamente Shisui-san, inchiodandomi con lo sguardo.
Mi ribellai. "Non sono codarda!", proruppi
violentemente, punta sul vivo. Perché aveva ragione. La verità bruciava peggio
dell'acido.
"Non lo sei?", soffiò lei, implacabile. Portò
il suo viso a qualche spanna dal mio naso, obbligandomi ad indietreggiare onde
mantenere l'equilibrio. "Oramai è evidente che lui non t'interessa più;
perché altrimenti lo eviteresti? A meno che, a spronarti non sia il senso di
colpa per aver ..."
"Shisui-chan! Finalmente ti ho trovata! Non devi
correre così, alla mia età non riesco a starti dietro!", boccheggiò Mikoto-san,
raggiungendoci dall'altra parte della strada. Poi, notandomi, mi salutò
allegra: "Ah, Naruko-chan! Che piacere vederti! Come stai? Hai visto oggi
che bella giornata? Che ne diresti di prendere assieme un tea?"
Feci velocemente segno di no col capo. "Mi dispiace
Mikoto-san, ma mio padre rientra presto oggi e devo ancora preparare il pranzo.
Buona giornata!", mi congedai altrettanto in fretta, correndo quasi verso
casa e tuttavia cosciente del peso dello sguardo di Shisui-san dietro di
me.
~~~
Respirai più liberamente non appena misi piede a casa.
Chiusa la porta a doppia mandata, mi abbandonai per
terra, appoggiando la fronte sulle ginocchia e realizzando in quel momento,
quanto la previa serenità non fosse altro che un'ingannevole apparenza, un
subdolo meccanismo di difesa della mia mente contro lo stress generato
dall'inesorabile avvicinarsi dell'appuntamento. Le parole di Shisui-san avevano
completamente infranto questa mia fragile barriera d'ottimismo, lasciandomi
crudelmente degli inutili frammenti cui appigliarmi.
La verità? Ero sfinita. Non ne potevo veramente più.
Avevo scioccamente creduto che risolvere questo problema sarebbe stato semplice, lineare. Quante mi avevano
preceduto, facendo ricorso a questa soluzione? Non ero la prima e non sarei
stata l'ultima. Eppure, man mano che trascorreva il tempo, l'ansia e un infido
senso di colpa mi opprimevano il petto, istillandomi l'atroce dubbio sulla mia
scelta. (L'andata è facile, il ritorno fa
paura.) Non che l'avessi mai fin
dall'inizio presa sottogamba, tuttavia ... non m'immaginavo tutte queste
complicazioni. (... il ritorno fa paura
...) Incominciando da quel dannato bambino
che traeva un meschino diletto a tormentarmi con la sua sinistra presenza. ( ... fa paura ...) Se solo fossi riuscita
almeno a domandargli, che accidenti volesse da me!
Con un grande sospiro, mi rimisi in piedi, avanzando in
stato pressoché sonnambolico verso la cucina, auspicandomi di rimettermi in
fretta dal mio sconforto: non volevo, infatti, che Otōsan mi beccasse in quello
stato pietoso.
Sennonché, il mio piede destro scivolò su qualcosa di
freddo e umido, facendomi per poco perdere l'equilibrio. Di riflesso
m'aggrappai al corrimano della scala, rimanendo bloccata per una manciata di
secondi, incapace di metabolizzare quanto accadutomi. Solo quando mi reputai
abbastanza padrona di me, osai staccarmi dal mio appiglio di fortuna, valutando
perplessa la situazione.
Una piccola pozza d'acqua.
Ecco cosa m'aveva per poco fatto ruzzolare.
Una stramaledetta pozzangheretta d'acqua.
Ma da dove veniva? Dal soffitto? Dalle tubature? Da
qualcuno che aveva appoggiato l'ombrello bagnato in mezzo corridoio? Dal
borsone dei surgelati?
Oppure, che Otōsan fosse rientrato in anticipo, bagnando
il pavimento? Strano, le sue scarpe non si vedevano in entrata.
Scrollai le spalle. Poco importava, non era nulla che non
si potesse rimediare con una bella passata di straccetto. Mentre mi piegavo ad
asciugare, sogghignai amaramente sarcastica tra me e me a causa di
quell'ironico (e scampato) incidente: perché mai m'ero così agitata per non
cadere? Non si sarebbe risolto tutto, se avessi battuto per terra? Non mi sarei
neanche dovuta incolpare, giacché si sarebbe trattato appunto di una disgrazia
...
Terminato la mia incombenza, m'apprestai a rialzarmi e
riporre lo straccetto in cucina. Quand'ecco che, posando casualmente l'occhio
là dove avevo asciugato, m'accorsi con mia somma confusione come il pavimento
fosse ancora bagnato. La pozza d'acqua se ne stava lì, riflettendo malignamente
sorniona la mia espressione disorientata. Circospetta, passai di nuovo il
panno, studiando ogni singolo mio movimento.
Ecco fatto, asciugata.
La mia vittoria fu di breve durata.
Neanche sotto il parquet si trovasse una sorgente, dalle
sue fessure riemerse l'acqua, spandendosi nella ormai nota forma della
pozzangheretta, non un centimetro in più, non un centimetro in meno.
Esibendo un'esasperata smorfia, l'asciugai con maggior
fervore rispetto a prima.
Niente. Ritornava.
Ancora, passai nervosamente lo straccetto.
Invano. Come se non l'avessi mai fatto.
Imponendomi di non cedere alla montante isteria, corsi in
cucina ad afferrare il mocio e il secchiello.
"Lo vedremo", ringhiai bellicosa contro
un'identità a me stessa sconosciuta, "lo vedremo chi si stancherà
prima!" e nettai violentemente quella pozza, facendo pressione sul
pavimento, manco fosse mia intenzione spaccarlo.
Ma, similmente all'Idra dei miti greci, più m'ostinavo a
far scomparire quella pozzangheretta, più essa ricompariva, finché non prese ad
espandersi per tutto il corridoio. Inutilmente cercavo di raccogliere quanta
più possibile acqua: il tempo appena di scorrere il mocio e si ricominciava
daccapo. Era ... incontrollabile.
Plick. Plick.
M'irrigidii peggio d'un rigor mortis. Da dove veniva quel
gocciolare? Da dove?
Indietreggiai, mi guardai attorno, l'orecchio teso onde
captare la fonte di quel rumore.
Plick. Plick.
Serrai la mascella.
Plick. Plick.
I gradini delle scale gocciolavano. No, sul serio. Non
ero vittima d'allucinazioni. Gocciolavano. Neanche ... neanche si fossero
trasformati in una grottesca fontana.
Snervata, li passai tutti col mocio, digrignando i denti
alla vista dell'acqua riaffiorare tra le sue treccine. Vi applicai quindi dei
fogli di giornali vecchi e altri strofinacci, sperando che assorbissero quel
dannato liquido. Fu allora che, dopo un raro istante in cui sembrava che fossi
riuscita nel mio intento, la scala conducente al piano superiore si trasformò
in un mini-ruscello, costringendomi a scendere velocemente, prima che mi
facesse rotolare dabbasso, tanto era divenuta sdrucciolevole e pericolosa. Inavvertitamente
cozzai contro il mobiletto d'ingresso, balzando spaventata non appena constatai
come dalle fessure dei cassetti colasse dell'acqua. Similmente, i vetri si
presentavano rigati da scie di pingui gocce.
In nemmeno dieci minuti, l'intero corridoio si
trasformava in un minuscolo laghetto, venato addirittura da minuscole
increspature.
In trappola, questo fu il mio primo pensiero.
Prigioniera.
E sapevo benissimo, ora, di chi.
"Lasciami in pace! Vattene via!", gridai al bambino dal mantello blu, che mi fissava
da in cima alle scale e il cui sorriso
s'allargò oscenamente al mio tentativo d'intimidazione. "Questa non è casa
tua! Sparisci!", gli indicai la porta, obbligandomi a suonare quanto più
determinata e minacciosa possibile.
Ma la mia voce tremava. Il mio dito tremava. L'intero mio
corpo tremava di una paura folle, assoluta, che si sperimenta soltanto in punto
in morte.
"Perché?", mi
domandò innocentino il pargolo, comparendo all'improvviso al mio fianco. Sussultai
terrorizzata, allontanandomi di riflesso da lui (o lei?, il mantello m'impediva
d'identificarne il sesso e la voce stessa suonava troppo neutra per
determinarlo). Sennonché questi m'anticipò, afferrandomi per il braccio. Una
presa d'acciaio. Gelida. Sentii il sangue ghiacciare nelle mie vene. "Perché non vuoi giocare con me? Sei
cattiva. Io voglio solo un po' di compagnia!", cinguettò,
indietreggiando d'un passo. Poi di un altro. E un altro ancora, costringendomi
a seguirlo.
Mi stava trascinando via.
Senza neppure concedermi il tempo di riflettere, ghermii
lo stipite della porta, obbligando i miei muscoli ad eguagliare la
sovrannaturale forza del piccino, la quale stava mettendo a dura prova la mia
resistenza fisica.
"Mi
annoio! Mi annoio da morire! Giochiamo, Naru-tan! Giochiamo!", cambiò tono
quella creatura, per assumerne uno più petulante. "Giochiamo! Ora!", mugghiò lagnoso, strattonandomi
violentemente. Caddi sulle ginocchia e poi sul fianco, bagnandomi dalla testa
ai piedi non appena il mio corpo toccò il pavimento. "Ho aspettato abbastanza!", disse, trainandomi ora
facilmente verso ...
... il butsudan?
"Chi sei?", gli gridai, sperando di guadagnare
tempo ma al contempo genuinamente incuriosita dal suo interesse verso l'altare
di famiglia. "Cosa vuoi da me?"
Ma il bambino non rispose. Si bloccò invece
all'improvviso, allerta, come quando le sue controparti "reali"
vengono beccate con le mani nella marmellata. E, a giudicare dalla sua
espressione colpevole e indispettita, mai paragone fu più azzeccato.
"Sei un bambino davvero maleducato ed
insistente", lo rimproverò severa una voce a me conosciuta alle mie
spalle. "Agli adulti si ubbidisce senza discutere! Fila in punizione,
canaglia!"
Piegando la bocca in una smorfia piagnucolosa e facendo
una regale linguaccia, il pargolo si voltò, prese la rincorsa e si ... (vi scongiuro: credetemi!) ... si buttò
nel butsudan, il quale si chiuse inaspettatamente, benché lo avessimo lasciato
sempre aperto, tranne per alcuni giorni di precetto.
Un malsano e pesante silenzio cadde nel salotto.
Non osavo muovermi, sussultando quando percepii delle
dita stringersi incoraggianti alle mie spalle. Riconobbi subito la fede nuziale
all'anulare sinistro.
"S-Shisui-san ...?"
La donna annuì gravemente, aiutandomi a ripormi in piedi
quel tanto d'accompagnarmi al divano, dove mi sedetti intontita, quasi
m'avessero pesantemente malmenata.
"Come ti senti?", s'informò incolore,
congiungendo le mani all'altezza del pancione.
"Come ... come hai fatto ad entrare?", controbattei.
"La porta era aperta."
"No!", negai animosamente. "Non è
possibile, io ... io l'ho chiusa a chiave ...", mormorai, passandomi una
mano sulla fronte, guardandomi scoraggiata attorno alla disperata ricerca di
una logica spiegazione, d'un brandello di lucidità in quella situazione tanto
assurda quanto ... "Perché sei venuta?"
Shisui-san non mi degnò d'una risposta. Invece, levatasi
il cappotto e lanciatolo sulla poltrona, raccolse il mocio e il secchiello,
iniziando ad asciugare energicamente. Quel giorno non indossava il mofuko
kimono, bensì un vestito di lana lungo fino alle ginocchia, che accentuava il
suo stato di gravidanza. Malgrado ciò, non appariva sgraziata, anzi, puliva con
la medesima professionalità di una donna delle pulizie.
"Shisui-san?", provai ad attirarla in un
chiarimento, desiderando infatti apprendere come fosse riuscita ad entrare e
soprattutto cosa l'avesse spinta a recarsi a casa mia. "Shisui-san, potrei
sapere ...?"
La donna scaraventò con tale subitanea forza il mocio per
terra, che feci un balzo all'indietro, spalancando gli occhi e bocca alla
stregua d'un pesce morto sul bancone della pescheria. "Pensavi si
trattasse di uno scherzo da parte mia, vero?", ringhiò, fulminandomi coi
suoi grandi occhi scuri. "Pensavi che ti stessi pigliando per i fondelli?"
"Non capisco ..."
"Taci! Sai benissimo a cosa mi riferisco! Quei
lividi ... Credi che non abbia già sentito storie simili alla tua? Non aiuta
essere professoresse dell'ultimo anno di liceo ...", esclamò indignata e
per un attimo venni colta dal dubbio se fosse stato per la mia decisione o per
non aver dato il giusto peso alle sue parole. "Quante ragazze più giovani
di te hanno cercato in me conforto, confessandomi in lacrime come non avessero avuto altra
scelta che quello, come il rimorso le
stesse perseguitando ... L'andata è
facile, il ritorno fa paura ..."
Impallidii, abbassando vergognosa il capo. Questo
spiegava molte cose. Ma non completamente.
"Dunque, non m'ero sbagliata, Naruko-san",
sentenziò e la sua formalità mi afflisse maggiormente. Tuttavia, raccolsi
abbastanza coraggio da domandare la fatidica conferma a quanto da me assistito
negli ultimi giorni:
"Shisui-san, anche tu lo puoi vedere?"
La donna congedò la mia curiosità con un nervoso svolazzo
della mano. "Ovvio, sono incinta. Prima del parto la sorte del feto è
sempre oscura e questo mi rende piuttosto sensibile a certe visioni ... O mi
sbaglio?", aggiunse maligna, accennando col capo ricciuto al mio ventre,
ancora così piatto rispetto al suo.
Non trovai alcuna parola adatta per obiettare,
limitandomi a riabbassare lo sguardo e reprimendo per l'ennesima volta di
piangere. Soltanto ... non ci riuscii. Manco avessi aperto un rubinetto, piansi
indecentemente, rumorosamente, senza curarmi della persona che avevo dinnanzi,
tanta era la pena e l'imbarazzo che provavo per me stessa. Mi coprii la bocca
con la mano, cercando inutilmente di soffocare i miei ingolati singhiozzi. La
mia prostrazione dovette commuovere Shisui-san, o perlomeno ammansirla, giacché
la sua espressione s'addolcì e, preso posto accanto a me, mi circondò con le
sue braccia, cullandomi mentre mi accarezzava la schiena fino al capo, che
tenevo appoggiato al petto. Mi sfogai finché non terminai le lacrime (che
comunque scesero assai copiose), afferrando supplice un lembo del
maglione-vestito di Shisui-san. Mi sentivo assolutamente smarrita, simile ad
una bambina perdutasi nel bosco, di notte.
"Posso comprendere ciò che provi, Iesu-sama ne è
testimone. Alla fine, siamo sempre noi donne che paghiamo per gli errori degli
uomini ... Per questo motivo dobbiamo imparare ad essere moralmente più forti
di loro", mi sussurrò, seguitando nelle sue carezze consolatrici. Qualcosa
mi disse che non parlava a vanvera, che le sue parole provenivano da
un'esperienza dieci volte più dolorosa della mia. Shisui-san si staccò un poco
da me, costringendomi a guardarla dritta negli occhi. "Non ti giudico,
Naruko-chan, ma questo non significa che io approvi ciò che hai fatto. E ciò che stai tuttora facendo a Sasuke",
dichiarò, frugando nella borsetta un fazzoletto, che fissai interdetta. Notando
la mia muta esitazione, la donna mi domandò piano se ci fosse qualcosa che non
andasse.
"E' proprio questo il punto!", esclamai
sconvolta, ma più di ogni altra cosa ansiosa di convincere Shisui-san della mia
sincerità. L'afferrai esagitata per le spalle, scotendola leggermente. "Io
non ..." e presi fiato, risolvendomi infine a pronunciare quel verbo tabù,
che per settimane non avevo avuto addirittura il coraggio di pensarlo. "Io
non ho abortito! Non ancora almeno ... Devo ... è fissato per dopodomani!
Devi credermi! Non sto mentendo!"
Le raccontai in fretta ogni cosa.
Ogni singolo avvenimento, senza edulcorare la pillola,
senza alcun tipo di censura. Mi sbottonai completamente con lei, giacché la
reputavo l'unica in grado di ascoltare e analizzare razionalmente quanto da me
passato, tralasciando biasimi e moralismi. Del resto, stando alla conversazione
tra Menma e Itachi-san, anche lei aveva per un folle istante contemplato
l'aborto. Quindi, sapeva come ci si sentisse durante il processo in cui si
decideva se concedere o meno al feto di vivere. Sperai di non sbagliarmi, di
aver riposto saggiamente tutta la fiducia che in quell'istante provavo per quella
donna.
Al termine del mio
frenetico racconto, fu il turno di Shisui-san d'assumere un'espressione
sbigottita. "Allora, se ancora non hai ancora abortito ... Come mai?",
chiese più a se stessa che alla sottoscritta, la quale non capiva oramai più
niente di quel grottesco vaudeville.
"Cosa?"
La cognata di Sasuke si appoggiò allo schienale della
poltrona, la fronte corrugata e massaggiandosi meditabonda il pancione. "Se
tu mi giuri che ancora non hai abortito ... Come mai sei perseguitata da un
Mizuko?", si voltò verso di me, cercando d'estrapolare dalla mia faccia
una risposta, che io per prima non ero in grado di fornirle.
Al contrario, ne uscii più stordita che mai. "Un ...
che?", squittii la mia palese
ignoranza in materia.
Shisui-san aprì la bocca per rispondere, sennonché venne
bruscamente interrotta dallo scatto della serratura e il commento perplesso di
Otōsan: "Ma chi ha lasciato la porta aperta?" E raggiuntomi in fretta
in salotto, aggiunse: "Nacchan, ti sei dimenticata di chiu - ... Oh,
buongiorno Shisui-sensei, non ...
ignoravo che Nacchan ti avesse invitata a pranzo!", s'inchinò
frettolosamente, gesto ben presto imitato dalla donna.
"Minato-shi, il piacere è tutto mio di rivederla.
No, temo che non mi tratterrò a pranzo. Naruko-chan ed io stavamo giusto
cicalando, ma ora mi sa che termineremo una prossima volta."
Levandosi il
cappotto e la sciarpa, mio padre scosse vivacemente il capo. "Oh no, per
favore, finite pure ciò che vi stavate raccontando!", ci concesse
bonariamente, attaccando gli indumenti all'appendiabiti in entrata. "Se
volete qualcosa, mi trovate in cucina e ... Nacchan? Hai chiuso tu il
butsudan?", si rivolse sorpreso a me, squadrandomi con la medesima
curiosità.
Per tutta risposta, mi lasciai cadere sul divano,
coprendomi il viso con le mani e mettendo a dura prova le coronarie di Otōsan,
che spostando angosciato gli occhi ceruli da Shisui-san a me e viceversa, si
portò al mio fianco, cingendomi per le spalle. "Nacchan, che ti prende?
Perché piangi? E' successo qualcosa a Sasuke-kun?"
Ululai frustrata, artigliandomi i capelli neanche avessi
in progetto di strapparmeli e aumentando così il livello di preoccupazione di
mio padre, che, non sapendo più che pesci pigliare, decise d'invocare una
spiegazione dall'unica fonte disponibile e abbastanza calma lì presente.
"Shisui-sensei ... che ... che accidenti sta succedendo? Che vi siete
dette per ridurre Nacchan in questo stato?"
La donna si sedette di fronte a noi, incrociando le mani
sulle ginocchia. "Naruko-chan, posso riferire io al tuo chichi quanto mi
hai raccontato?", mi domandò il permesso.
Spiandola attraverso la fessura delle mie dita, annuii
senza un attimo d'esitazione, intimamente sollevata per averle delegato
quell'incombenza.
Shisui-san ripeté quindi con accuratezza quanto da me
confessatole, glissando tuttavia sulla questione del Mizuko, evidentemente per
non farci passare per due isteriche gestanti.
Un boato sconquassò la casa dalle fondamenta.
"Che cosa?!
Quel figlio di ...!"
"Minato-shi, se vuole insultare Sasuke-kun faccia
pure, ma la prego d'astenersi dal denigrare la povera Mikoto-san, la quale è
assolutamente estranea alla faccenda!", lo ammansì prontamente la cognata
del - secondo mio padre - gaglioffo, acciocché non peggiorasse ulteriormente la
situazione con minacce di morte e melodrammi sull'onore perduto e figlie ingravidate
alle spalle d'ignari genitori.
"Giusto", convenne Otōsan, bloccandosi prima di
pronunciare cose di cui si sarebbe in seguito pentito. Nondimeno, balzò giù dal
divano, avanzando in cerchio per il salotto più nervoso di una tigre in gabbia.
"Quell'infame, seduttore, fedifrago, bugiardo, ipocrita, criminale è un
uomo morto! Come si è permesso di mettere incinta mia figlia? Razza di porco
pedofilo!"
"Tou-san, ho ventun anni, sono ormai
maggiorenne!", m'ersi a difesa del mio meco. "Inoltre, l'età del
consenso in Giappone è a tredici anni, quindi non vedo ..."
"Come?", si strangolò per poco mio padre con la
sua medesima saliva, interrompendo il suo snervato andirivieni. "Vai a
letto con lui da quando avevi tredici anni? Depravato d'un approfittatore!"
Shisui-san si pizzicò imbarazzata la radice del naso,
mentre io arrossivo alla stregua d'un pomodoro. "Otōsan, cosa dici?"
"Ma ... ma come è stato possibile? Tu ...
incinta?"
"Minato-shi, desidera proprio conoscere anche i
dettagli più scabrosi?"
L'espressione infinitamente sconsolata di mio padre ci
suggerì di non elargirgli quell'immeritato coup de grâce.
"Diventerò nonno ... Ad appena cinquantadue anni
verrò chiamato Minato-ojisan ...",
bofonchiò stralunato il pover'uomo, cadendo pesantemente sulla poltrona e reggendosi la testa con le mani. Disertato
il mio posto, lo raggiunsi, passandogli consolatrice una mano sulla schiena
ricurva.
"Suvvia, Minato-shi! Non la prenda così male
...", lo rincuorò dolcemente Shisui-san. "Pensi che Mikoto-san hanno
incominciato a chiamarla Obasan a quarantadue
anni!"
Otōsan mugolò qualcosa di non ben definito.
Shisui-san ed io ci guardammo rassegnate, attendendo che
mio padre si riprendesse dallo shock.
"Perché è così, vero Nacchan?", si rianimò il
genitore, uscendo dal suo attimo di paterno sconforto. E dinanzi al mio sguardo
confuso, egli mi spiegò serissimo: "Che cosa hai intenzione di fare? Non
hai ancora finito l'università, progettavi inoltre di partecipare a
quell'Erasmus ad Oxford ... ", pretese di sapere, afferrandomi il polso
onde impedirmi una fuga strategica. "Insomma, terrai o meno il bambino?",
inquisì inflessibile, studiando attentamente prima la sottoscritta poi
Shisui-san, che sospirò, lanciandomi anch'ella una significativa occhiata:
"E quanto tutti noi vorremmo sapere ..."
Compreso il Mizuko.
To be continued ...
******************************************************************************************************
Ebbene sì, adesso possiamo confermarlo, Naruko è incinta.
Ma questo non significa che i misteri terminano qui,
anzi, quello era solo il primo di
una punta d'iceberg di rivelazioni! Diciamo il più facile! Quindi se pensate di
terminare qui la vostra lettura, hé, non saprete mai come finirà per davvero!
;-)
Naruko non ha mai pronunciato le parole "gravidanza"
o aborto perché lei per prima si rifiutava di accettare il suo stato e per
scaramanzia (i giapponesi sono piuttosto superstiziosi, quanto gli italiani
direi) non ha voluto neppure accennare alla questione dell'aborto. Siccome il racconto è in prima persona, ci
dobbiamo accontentare degli svarioni del narratore/protagonista! ^^
Inoltre, vorrei precisare che io non voglio fare
moralismi con questa storia, ovvero se sia giusto o meno abortire. Questa è una
storia basata su di una credenza giapponese. Quale? Hehehehee, si saprà nei
prossimi aggiornamenti! Ormai non manca molto alla fine!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Alla prossima,
ciao! |
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Capitolo 5 *** Giovedì, 5 Febbraio 1998 ***
Heilà!
Arriva il weekend e arriva l'aggiornamento! Siccome
mancano solo due capitoli per terminare la storia, ho deciso che per il momento
mi focalizzerò più su questa che sulle altre. Se gli astri me lo concedono, gli
ultimi aggiornamenti arriveranno sicuramente prima di maggio! Quindi, prima di
allora la fic sarà conclusa, yeah!
Avvertimenti!
Capitolo molto movimentato, dove ci saranno gesti, parole
e pensieri davvero poco politically correct. Il solito, insomma, per chi mi
segue da tempo e sa cosa aspettarsi nelle mie fic ...
Ulteriori note e commenti si troveranno a fine capitolo.
Infine, un sentito ringraziamento a tutti i miei lettori
e recensori, in particolare a Imoto, Lucrezia_Uchiha
e Jo95. Grazie anche a coloro che hanno messo questa storia tra le seguite,
ricordate e preferite.
Vi auguro una buona lettura,
H.
**************************************************************************************
La situazione si stava dimostrando meno drammatica, di
quanto s'aspettava Tobirama.
Ovviamente, quella mattina le librerie erano state prese
d'assalto non appena aprirono le porte, dopo che i commessi avevano giusto
finito di sistemare in maniera inutilmente artistica lo scaffale d'onore,
creando gradite code alla cassa. Essendo L'Appuntamento
un romanzo relativamente breve - ma non abbastanza da essere definito una
novella - già alla sera incominciavano a fioccare i primi commenti, i quali,
malgrado le classiche divergenze bello /
brutto; piaciuto / non piaciuto, concordavano all'unisono quanto
l'argomento trattato fosse ... inaspettato, spiazzando i lettori.
ultronHR
scrive:
Tobirama-sensei
starà sicuramente passando un periodaccio! =_=' Ma che tema ha scelto?!
sungbook
scrive:
Forse è a
corto d'idee ...
xing-hotkat
scrive:
Aborto?! E
da quando in qua è un tema da storia horror?! O.o
bettybonkers
scrive:
Ricorda un
poco gli horror spagnoli, mi piace!! *_* E voi due - ultronHR & xing-hotkat
- siete proprio degli zotici che non
capite niente!
mugen1209
scrive:
Sebbene sia
un argomento che tocca molto la sfera femminile, mi ha molto emozionato!
bettybonkers
scrive:
Sì, è vero:
ha descritto molto bene ciò che si prova! ^^
intrareeds717
scrive:
Beh, adesso
è ufficiale: ogni volta che passerò sulle strisce, mi verrà in mente il Mizuko!
XD
foxbattTIA
scriva:
Mai viste
tutte 'ste donne in un suo romanzo! I personaggi maschili li ha tutti messi in
secondo piano!
sweet-hollybush97
scrive:
Baka!
Quando mai gli uomini rimangono incinti?
nagy-nana
scrive:
Sì, ma
Naruko-chan poteva parlarne con Sasuke invece di confidarsi con Shisui-san, no?
sweet-hollybush97
scrive:
Perché voi
maschi ascoltate una donna che contempla l'aborto?
nagy-nana
scrive:
Hey, guarda
che io non sono un maschio!
E via discutendo.
In fin dei conti, Tobirama trovava questi battibecchi
relativamente "dolci". Mostrava un attaccamento dei lettori alle sue
opere, le quali avevano raggiunto il loro scopo, ovvero far parlare di sé,
istigando il dibattito e conseguentemente animando delle coscienze intorpidite.
Molto intorpidite, a giudicare da certe scemenze postate.
In ogni modo, L'Appuntamento necessitava di una terza
voce, quella del pubblico, per confermare se l'horror writer avesse o meno
optato per la scelta più idonea. Izuna e Hashirama avevano più volte espresso
la loro contrarietà circa la sua pubblicazione, mentre Tobirama e Naruko erano
invece d'accordo, quest'ultima in particolare, la quale aveva spesso insistito
affinché le fosse concesso finalmente di sfogarsi per il torto subìto e trovare
pace. Tobirama non poteva esimersi da quest'obbligo morale nei suoi confronti.
Massaggiandosi gli occhi stanchi, l'horror writer si
ritrovò a girovagare in giro per il salotto, toccando distrattamente i mobili,
i vasi, le foto ... Una in particolare la colpì, manco si ricordava di averla
mai tirata fuori ... La studiò: che taglio orribile aveva quand'era più
giovane! Tenere i capelli lunghi, bleah! Pareva davvero idiota! Meno male che
se li era tagliati ... Guardò l'orologio: le sei e mezza. Uff, quando si
decideva quel delinquente d'Izuna a rincasare?
"Moshi moshi?", rispose immediatamente Tobirama
al telefono sia in quanto felice per
quell'interruzione alla sua noia cosmica, sia per impedire che le sue povere
orecchie dovessero soffrire ulteriormente per quell'immeritato martirio:
detesta invero quella stridula suoneria! Avrebbe riferito ad Izuna di cambiarla
quanto prima, altroché! "Ah, sei tu anija!"
(si divertiva troppo a chiamare suo fratello con quel termine arcaico,
possedeva davvero un animo dispettoso)
"Heilà!
Allora, i fans ancora non t'hanno preparato il rogo?"
"No, e non contarci tanto presto!"
"Beh, dai,
sono contento che sia finita bene! Forse, abbiamo un po' esagerato, Izuna ed
io, preoccupandoci per niente ... HEY, E' USCITO UN SEI DAL DADO, QUINDI AVANZI
DI SEI CASELLE, CHIARO?!"
Tobirama spalancò gli occhi. "Che succede?"
A rispondere fu Madara: "Stiamo giocando a Malefix e, come puoi ben immaginare, ci stiamo
accapigliando. Di nuovo. Per la quinta volta in un'ora e mezza. A quanto pare, Naori-chan
sta imbrogliando sfacciatamente pur di bloccare Hashirama. Uff ... che
stressanti che sono ... Adesso al complotto s'è aggiunto Akira-kun e Kagami-kun
non aiuta, anzi, s'è perfino coalizzato con suo cugino pur di bloccare me, capito?,
me! Screanzato ... Basta, io li accoppo tutti. Posso?"
"Certo che no!", rise l'horror writer. Ovvio
che l'uomo scherzasse: sotto sotto adorava in realtà quelle piccole pesti.
Inoltre, più cagnara c'era e più
Hashirama regrediva allo stadio infantile e quindi l'infame compito di
babysitter spettava a Madara, suo valido supporto morale e spalla su cui
piangere da quando la buonanima di Mito era deceduta quattro anni addietro di
tumore al seno. "Piuttosto, posso parlare con mio fratello, quando avrà
smesso di litigare con dei bambini?"
"Okay, gli do
un pungo in testa per calmarlo e poi te lo mando..."
"Aspetta un attimo, Madara! Ho un'altra chiamata in
linea! Non riattaccare, eh?, torno subito!", l'avvertì Tobirama,
infastidendo l'avviso di una seconda telefonata il suo orecchio ipersensibile.
"Moshi moshi?"
Beep-beep-beep.
Aggrottando la fronte, l'horror writer ripeté:
"Moshi moshi?"
Beep-beep-beep.
"Vabbè ... si sarà trattato di uno sba- ..."
"Sarebbe stato
meglio saperti orizzontale in una bara, che assistere a questa tua pubblica
umiliazione!"
Tobirama sbiancò.
"Cosa?"
"Sei una
disgrazia, un fallimento, uno scherzo della natura. Perché ci hai denigrati
così? Dovresti vergognarti! Dopo tutto quello che abbiamo passato per causa
tua, che abbiamo fatto per aiutarti, così ci ripaghi?!"
L'horror writer deglutì male la saliva. "Ch-chichi
...?"
"Vai
all'inferno!"
Beep-beep-beep.
"Moshi moshi?
Scusa se ti ho fatto attendere! Ma Naori-chan stavolta l'ha sul serio combinata
grossa ... Tobirama? Stai bene?"
Tobirama sbatté violentemente la cornetta del telefono,
interrompendo in maniera troppo brusca la conversazione. Si portò una mano alla
bocca, pensando furiosamente sul da farsi.
Corse a chiudere le finestre in cucina, tirando le tende
sia lì che in salotto. Dopodiché serrò a doppia mandata la porta di casa,
appollaiandosi sul divano ad operazione terminata, le mani congiunte come in
preghiera e appoggiando la punta delle dita sotto il mento.
Come ... come accidenti avevano fatto ad ottenere il suo
numero telefonico? Anni a proteggere la sua privacy e adesso invece ... Che avessero contattato l'editoria? Possibile
... Quel deficiente di Gengetsu-san, non sospettando nulla, li avrà di sicuro
aiutati a rintracciare un suo recapito
... Che nervi! Che rabbia!
Avrebbe mai
trovato requie da loro?!
Abbracciandosi le ginocchia e tamburellando nervosamente
le dita, Tobirama sperò solo che Izuna si sbrigasse a tornare quanto prima a
casa, prima che si mettesse a gridare la sua
frustrazione, strappandosi i capelli e mordendosi i polsi.
***
L'Appuntamento
dalla
testimonianza di Naruko Namikaze
(segue)
Giovedì, 5 febbraio 1998
- manca 1 giorno all'Appuntamento -
"Tutto questo è ridicolo, Tou-san", borbottai, massaggiandomi
imbarazzata le tempie e affondando il viso nella sciarpa. "Non siamo più
nel medioevo!"
"E con ciò? Cosa vorresti dimostrare?", replicò
bellicoso mio padre, controllando il telefonino. "E' una questione di
principio, mosume! Siccome hai voluto coinvolgermi, adesso ho il diritto di conoscere
tutta la verità e di prendere i giusti e sacrosanti provvedimenti!"
"Ma perché coinvolgere il povero Itachi-san?! Che
t'ha fatto, scusa?"
"Tzé, adesso è lui il capofamiglia, ora che
Fugaku-san è morto. Ergo, risponderà lui delle stronzate di suo
fratello!"
"Eh?"
"Inoltre, data la sua professione, se ci sono ulteriori informazioni circa il tuo stato da rivelare al tuo povero, ignaro e ingannato
babbo, ben venga vista l'omertà da Yakuza che vige in casa mia ..." e
l'occhiataccia che mi rifilò non mi diede alcuna forma di conforto. Non era che
Otōsan se la fosse presa solo per la questione della mia gravidanza, bensì per
il fatto che gliel'avessi tenuta nascosto per quasi due mesi, similmente a
Menma e a mia madre.
"Informazioni? Itachi-san non è un ginecologo, ti rendi
conto delle cavolate che stai sparando?"
"Comunque è un dottore: avrà sicuramente riconosciuto
i segni!", s'intestardì il
genitore.
"Ma, Tou-san! Io per prima me ne sono accorta neanche
tre settimane fa! Lo sai che ho sempre
avuto il ciclo molto irregolare!"
"Sì tesoro, ne sono al corrente! O hai già dimenticato
il povero fesso, che si recava al convenience store alle due del mattino per
comprarti gli assorbenti?! E l'ibuprofene, dato
che ti contorcervi dal dolore peggio di una posseduta?"
"Sh! Zitto! Non urlarlo in giro!", lo zittii
prontamente, guardandomi attorno circospetta: non fosse mai che qualcuno stesse
origliando i fatti nostri.
"Beh, non mi pento!" e mi mise su un signor broncio
da premio Oscar.
Dopo lo shock iniziale, mio padre aveva trascorso l'intero
pomeriggio di ieri a tarmare me e Shisui-san con una sfilza interminabile di
domande sulla mia gravidanza, tormentandoci per apprendere nel dettaglio i come,
dove e perché, chetandosi soltanto al provvidenziale arrivo di Itachi-san,
certamente indirizzato da sua madre alla ricerca della moglie
"scomparsa". Da lì l'idea assolutamente ... sciovinista di Otōsan di
organizzare questo incontro tra le due "famiglie", onde fare il punto
della situazione. Come se ce ne fosse stato il bisogno! E ad aggiungere al
danno la beffa, Itachi-san aveva
accettato senza porre alcuna resistenza, addirittura aveva stabilito l'ora e il
posto per discutere tranquillamente, senza compromettere nessuno.
Ecco spiegato come mai mio padre ed io ci trovassimo alle
due del pomeriggio nel gazebo del parco pubblico di Konoha, discutendo
animatamente alla stregua di due babbuini drogati di caffè.
"Ah, finalmente! Sono giunti!", balzò in piedi il
genitore, neanche avesse fiutato a distanza gli Uchiwa, i quali si unirono a
noi sfoderando un granitico aplomb, o meglio, Itachi-san si dimostrava il più flemmatico
di tutti, mentre sua moglie mi sembrava leggermente preoccupata. Mikoto-san,
invece, ci guardava con la medesima cristallina freschezza di chi non sa niente
di niente. Mi fece una pena immensa.
"Spero che non sia nulla di grave", esordì la
donna, sedendosi dalla parte opposta rispetto a noi due. "Ho dovuto
chiedere alla mia vicina di casa di vegliare sui piccini e su Ojisan!"
Non mi sfuggii come mio padre venisse vigliaccamente
pugnalato alle spalle da un minuscolo e traditore senso di colpa: la povera
donna sfoderava invero un'espressione genuinamente apprensiva e, in seguito al
recente lutto, non corrispondeva proprio ad una grande carineria vituperarle il
figlio con ... beh, inutili accuse. Ma quell'istante di mea culpa venne ben
presto relegato nel dimenticatoio del suo cervello. "Mikoto-san, non era
necessario che si fosse disturbata a venire ... Se vuole, può rincasare ... Ho
soltanto bisogno di conferire con suo figlio Itachi-kun."
"Mia madre ha tanto insistito ad accompagnarci,
Minato-shi, e visto che è ormai qui, lasciamola restare ... Insomma, nulla che
ci stiamo per raccontarci rimarrà a lungo segreto, o mi sbaglio?", gli
confessò sornione Itachi-san. Tradotto: se s'ha da fare uno psicodramma, che
sia portato avanti con tutti i crismi! Ciak, azione!
"Piuttosto, non dovevamo parlare di Sasuke e di
Naruko-chan?", c'incalzò Mikoto-san, gli occhi scuri che le brillavano
d'aspettativa. Oh, intuivamo dove la matriarca volesse andare a parare! In fin
dei conti, quello era ciò cui mirava anche mio padre. E, sotto sotto, anche
Itachi-san.
"Non potremmo al contrario discuterne, dopo che uno
dei diretti interessati è rientrato da Nagasaki?", tentò di negoziare
Shisui-san, il cui sesto senso percepiva più aria di tempesta, che di lieti
imenei.
"Per me va bene", le diedi manforte, annuendo
convinta.
"Tu stai zitta!", replicò perentorio Otōsan.
"Effettivamente, la questione riguarda anche noi. In
parte, però ci riguarda."
"Ma ... ma ..."
"Itachi-anata", insistette testarda sua moglie,
richiamando con un breve cenno della mano l'attenzione del marito. "Non
credi che stiamo esagerando? E' una questione che devono regolare da soli! Tu
stesso fino a ieri concordavi con me!"
"Ti pare? Se siamo arrivati a questo punto,
significa che hanno proprio bisogno di un sano calcio nel ..." e
Itachi-san s'interruppe, non appena si accorse di come lo stessimo fissando
interdetti, non aspettandoci un tale raffinato sermo da parte sua. "...
volevo dire, un sano stimolo per svegliarsi e prendere in mano la situazione!
Nevvero, Minato-shi?"
Quel masnadiere che avevo per genitore assentì solenne.
"Assolutamente sì, Itachi-kun! E ora di mettere le carte in tavola!"
"Giustissimo!", esclamò Mikoto-san,
elettrizzata.
"In aggiunta, non dobbiamo preoccuparci per
Sas'ke-kun", ci annunciò Itachi-san, sorridendo d'un tratto perfidamente.
"Visto che ci sta raggiungendo dalla stazione!"
Shisui-san ed io spalancammo poco elegantemente la bocca,
fulminate dalla notizia. Credo che in quel momento mi fosse cascato il cuore
nello stomaco, paralizzandomi nel peggior vivente rigor mortis della storia
medica. La moglie di Itachi-san, al contrario, sembrava sul punto
d'esplodere.
"Lo hai fatto venire apposta da Nagasaki?!",
sbraitò puntualmente la donna, illividendo fino al nero inchiostro e solo il
cielo sapeva come Itachi-san facesse a perseverare nel suo stoicismo, poiché
Shisui-san, da arrabbiata, rasentava l'orrore più assoluto. Aggiungeteci gli
ormoni e diveniva una belva assetata di sangue. "Ti sei rincitrullito, per
caso?! E il congresso?! Insomma, arrivare a ...!"
"Calmati, moglie, non fa bene né a te né alla
bambina!", la fece ragionare il marito, provocando invece un ulteriore
arrossamento nelle gote di Shisui-san, per essere apostrofata in maniera così
paternalista. Dal nervoso tic alle dita, si stava trattenendo dal prenderlo a
ceffoni qui davanti a noi. "E' stato mio fratello ad avermi riferito del
suo ritorno anticipato. Infatti, l'ultimo speaker ha avuto un malore e quindi
il congresso è terminato giusto stamattina. L'Otōto mi ha soltanto chiesto un consiglio:
se rimanere lo stesso a Nagasaki (visto che la camera è già pagata) oppure se
rincasare."
"E tu gli hai subdolamente suggerito di rientrare!",
terminò sarcastica Shisui-san, promettendo al consorte le pene dell'inferno,
una volta a casa. "Perché non ti conosco, sai! Consigliere
fraudolento!"
"Beh, domani è il vostro anniversario, vero
Naruko-chan? Speravo di fare una buon'azione, consigliando a Sas'ke-kun di
ritornare prima, così da festeggiarlo appropriatamente!", si difese
impunito quella faccia tosta d'un Uchiwa, osando perfino sorridermi
angelicamente, mentre boccheggiavo nella vana ricerca di una replica.
Avevo completamente scordato di quella data. Sasuke ed io
ci eravamo messi assieme esattamente il 6 febbraio: adesso comprendevo perché
mi volesse portare a cena dopo il suo ritorno da Nagasaki. E io avevo preso
appuntamento dal medico proprio quel giorno!
Mi venne da ridere istericamente e di fatti mi coprii la
bocca col dorso della mano, soffocando quegli inappropriati risolini. Soltanto
Shisui-san se ne accorse, appoggiando brevemente la sua mano sul mio ginocchio,
un duplice invito a calmarmi e consolarmi.
"E se prendessimo qualcosa di caldo nel
frattempo?", ci suggerì la donna, seguitando a fissarmi complice.
"Così nel frattempo voi cicalate di quel che volete e Naruko-chan ed io ci
sgranchiamo un po' le gambe ..."
Mikoto-san fece per alzarsi, ma la nuora bloccò questa
sua iniziativa sul nascere. "Sicure che non avete bisogno che v'accompagni?"
"No, Mikoto-haha", la rassicurò Shisui-san con
un deciso gesto della mano. "Naruko-chan mi basta, vero?"
"Sì, come cameriera sono un vero fenomeno!", mi
vantai, balzando dalla panca e raggiungendo in fretta la mia
"cognata".
Percorremmo in silenzio in bel tratto del sentiero
innevato, senza voltarci né indagare su cosa gli altri stessero facendo nel
gazebo. Solo quando raggiungemmo il chiosco di ristorazione, osammo finalmente
rivolgerci la parola.
"Dopo che ci siamo congedate, ieri pomeriggio, hai
ancora avvistato il Mizuko?", s'informò dolcemente Shisui-san, studiando
distrattamente l'elenco delle bevande.
"No, per fortuna", sospirai di sollievo.
"Credo ... credo che avendo accettato la mia condizione e soprattutto
capito la natura di quel bambino, forse questi non mi perseguita più ..."
"Dunque, hai deciso di proseguire con la tua
gravidanza?"
"Non ho detto questo. Ancora non lo so."
Shisui-san annuì, sebbene indovinai dal modo in cui
serrava le labbra, quanto non fosse soddisfatta della mia risposta.
"Senti ... Posso farti una domanda?"
"Avanti."
"Tu puoi vedere il Mizuko soltanto perché sei
incinta?"
La donna abbassò la testa, socchiudendo afflitta gli
occhi. Nel momento in cui rialzò lo sguardo, vidi come essi fossero umidi.
"Anni addietro, tra Tenmaku-kun e Saeko-chan, ho perduto un figlio."
Mi si serrò il cuore in petto all'udire quella sofferta
confessione, in particolare al vedere quanto dolore la donna stesse ancora
provando al ricordo. "Shisui-san, mi dispiace ..."
L'interpellata scosse il capo ricciuto. "All'epoca
ancora ignoravo d'essere incinta. Si trattò di una disgrazia: correndo per
prendere la corriera, scivolai sul ghiaccio e, ruzzolando, mi ferii. Di conseguenza
...", il suo tono di voce era ritornato flemmatico, quasi stesse leggendo
un copione. Tuttavia, i suoi occhi seguitavano a mantenere quel luccichio liquido,
che tradiva l'emozione ivi contenuta. "Da allora, posso vedere il Mizuko.
Non il mio personale, no, perché gli dedico ogni sera le mie preghiere,
affinché ritorni nelle mani di Kami-sama. I Mizuko, o i bambini-acqua, che vedo
sono i feti abortiti dalle mie alunne o da altre donne di Konoha, figli non
desiderati non in quanto frutto di "distrazioni", ma ..." e lì
lasciò cadere il discorso, non preferendo addentrarci in un dominio molto più
oscuro e tremendo dell'aver concepito per mancanza di protezione.
"Ritornano comunque, se tu non li rendi giustizia. Per questo temo
d'essere stata eccessivamente aggressiva con te e me ne rincresce. D'altronde,
non potevo credere che anche tu, tra tutte, arrivassi a tanto. Stando alle
descrizioni di Sasuke-kun, parresti la più giudiziosa e sensibile ragazza di
tutto il Giappone. Quindi, rifiutavo di saperti caduta nel medesimo errore,
specie avendo un compagno che sarebbe più che contento d'assumersi le sue
responsabilità."
Sì, ogni parola di Shisui-san corrispondeva al vero.
Sasuke sarebbe letteralmente schiattato di gioia alla notizia. "Se però
non ho abortito, perché il Mizuko mi perseguita? Cosa vuole da me?"
"Forse vuole un Mizuko kuyō e un'offerta a
Jizō-sama, visto che sei shinto-buddista ... Oppure convincerti a tenere tuo figlio
o ..." e qui il colore sparì per un istante dalle guance della donna.
"Oppure avvertirti che perderai comunque il piccino ..."
Di riflesso mi portai una mano al mio ventre, deglutendo
di traverso la saliva. "Non ... vuoi dire che ...?"
"Fanno 1.250 yen per favore ."
Fissai sbigottita l'inserviente al bancone del chiosco,
che mi stava porgendo un vassoietto di carta contente le bevande calde. Sbattei
confusa le palpebre: quando Shisui-san aveva avuto il tempo di fare le
ordinazioni?
Non volendo fare ulteriori brutte figure (anche per
scusarmi in parte per il teatrino imbastito da Otōsan), frugai concitatamente
nella mia borsetta, assicurando la mia accompagnatrice della mia solvibilità.
Sennonché un braccio si estese oltre la mia spalla,
cedendo all'uomo una banconota da duemila yen e ricevendo il resto.
"Grazie mille, buona giornata." Lentamente, seguii la mano fino alla
sua meta finale, la tasca del cappotto dove lasciò cadere le monete.
Né Shisui-san né io fiatammo, limitandoci a sgranare
incredule gli occhi, la sottoscritta in particolare, la quale perse qualche
battito cardiaco e anno di vita.
"Beh, cosa sono quelle facce? Dico, sembra che
abbiate visto un fantasma!", scherzò Sasuke, spiandoci tuttavia
attentamente di sottecchi. Dovetti
mordermi il labbro inferiore per non gridare la mia sorpresa o in generale
blaterare assurdità. Cosa non avrei dato, in quel momento, per sprofondare
comodamente sottoterra.
Shisui-san fu la prima a riprendersi dal nostro torpore
cerebrale. "Toh, parlando del diavolo ...
Com'è andato il viaggio?"
"Bene, bene, sono appena sceso dal treno ...",
le riferì in fretta Sasuke, sebbene continuasse a tenere lo sguardo inchiodato
su di me, analizzandomi dalla testa ai piedi, neanche stesse vagliando ogni
possibile "danno" alla mia persona, da giustificare il mio lungo e
ostinato silenzio. Aveva domande, oh se le aveva!, e il modo in cui
picchiettava l'indice al pollice mi rivelò la sua impazienza. "Come mai vi
siete incontrate al parco? Ignoravo che foste divenute amiche!"
"Ignoravo che tu fossi così ficcanaso!"
"Ciò che riguarda Naruko, concerne anche me!",
ribadì bellicoso Sasuke, arrossendo un poco e provocandomi una dolorosa
capriola allo stomaco. In un altro contesto ne
sarei rimasta lusingata, ma ora ...
"Perfetto!", esclamò imperturbabile sua
cognata, battendo le mani. "Allora, porta tu il vassoio, visto ch'era il
compito di Naruko-chan!", gli intimò, offrendogli decisa il portavivande,
che il mio fidanzato accettò con un divertito broncio.
"Schiavista!", protestò petulante, sorridendo
però e tutta la sua figura parve rilassarsi, mentre ci incamminavamo verso il
gazebo. La sua espressione assunse ciononostante una fuggevole tinta d'intima
delusione, quando Shisui-san si pose strategicamente tra lui ed io, gesto di
cui gliene fui grata, visto che non riuscivo a guardare Sasuke negli occhi
senza voler scoppiare a piangere.
"Non ci racconti niente di Nagasaki? Novità sul
fronte della medicina?"
"Euh?", cascò l'uomo dalle nuvole, avendo
infatti cercando un contatto visivo con la sottoscritta, invece di ascoltare le
parole della cognata. "Ah sì, ecco ... durante le pause tra un congresso e
l'altro, il direttore dell'ospedale di Kyōto ha detto che stanno cercando degli
oculisti per il suo reparto e date le mie capacità, accennava perfino ad una
mia futura promozione a primario del reparto. Mi lisciava, ovviamente."
Shisui-san fischiò impressionata. "Non è vero! Sei
il migliore del tuo campo, in dieci anni potresti sul serio divenire primario! Hai
accettato?"
"Si trattava di una proposta, Shisui-nee, nulla di
che", fece spallucce Sasuke, sennonché il modo in cui arricciava la bocca
tradiva quanto invece fosse tentato dall'offerta.
La donna rise. "Suvvia, devi accettare! Contrariamente a tuo fratello, non hai mai sopportato
la provincia, ammettilo!"
"E' che mi mancherà la mia famiglia: Kyōto non è
molto vicina ..."
"Pah, vorrà dire che te ne farai una tua!", gli
suggerì candidamente Shisui-san e sia Sasuke che io assumemmo una bella tinta
scarlatta. "Eppoi, coi superveloci di oggigiorno, potrai venirci a trovare
quando vorrai!"
"D'accordo, però lo stesso non spifferare niente ad
Itachi-nii, fintanto che non avrò preso
una decisione, non desidero che ci ricami su quali progetti! Kaa-san in
particolare: lei è famosa per i suoi voli con la fantasia!"
"Non fiaterò!", gli promise la cognata.
"Questo lo prendo io: ormai siamo arrivati", aggiunse, togliendogli
il vassoio di mano.
"Ma sei sicura? Non rischi di ...?"
"Se te lo lascio per altri cinque minuti, ci
ritroveremo un bel niente da bere: stai versando tutto!", gli fece notare
maligna Shisui-san, staccandosi da noi tramite quattro belle falcate: malgrado
la gravidanza, non aveva perduto la sua camminata veloce né tantomeno peccava
di mancanza d'agilità.
Ignoro se Shisui-san avesse agito così di proposito o
perché stufa di contemplare la faccia da cane bastonato di Sasuke: fatto stava
che adesso eravamo rimasti soli, lui ed io.
"Non m'aspettavo che ritornassi tanto in
fretta!", asserii senza rifletterci sopra, giusto per colmare
quell'incomodo silenzio insinuatosi tra noi.
"Ti dà fastidio?", domandò invece lui,
mordicchiandosi ansioso il labbro inferiore.
"Non blaterare cacche di piccione!", esclamai
indignata. "Tu non mi dai mai fastidio!"
"Dunque perché hai ignorato le mie chiamate?"
Eccolo là il nocciolo della questione, schiaffatomi in
faccia senza tanti giri di parole: invero diplomazia e Uchiwa Sasuke non
facevano rima.
"Avevo dei problemi, va bene? Non ... non stavo
attraversando un bel periodo!"
"Questo mi pare evidente. Però potevi
parlamene!"
"E disturbarti? Neanche per sogno!"
"C'era sempre mio fratello! Potevi lasciarmi un
messaggio tramite lui!"
Sbuffai esasperata. "Itachi-san non è la nostra
balia, ha la sua famiglia cui pensare! Diamine, talvolta sei più asfissiante di
un boa constrictor!", berciai, pentendomi subito di quanto pronunciato non
appena vidi l'espressione dell'Uchiwa, non dissimile da quella di uno che ha
appena ricevuto un crudele manrovescio. "Mi dispiace ... non volevo
..."
Il viso di Sasuke s'indurì. "Mi biasimi perché mi
preoccupo per te? Non dovevi mica telefonarmi tutti i giorni, sai? Bastava che
tu m'avessi risposto per una sola volta
e mi sarebbe bastato! Invece, mi hai tenuto col fiato sospeso per una fottuta settimana! Avrò il diritto di informarmi
di tanto in tanto come sta la mia fidanzata,
no? Oppure la nostra relazione si basa soltanto sul sesso? Una scopata ogni
tanto e grazie mille per la partecipazione, alla prossima puntata?"
Rimasi sopraffatta
dal veleno e disgusto contenuti nelle ultime frasi: ovvio che per lui il nostro
rapporto significasse tanto, sempre lo aveva coltivato colla massima
delicatezza e dedizione, neanche si trattasse di un fragile fiore da
proteggere. Ma a mia discolpa neanche io l'avevo mai preso alla leggera e mi
feriva sentirmi rivolgere parole sì crudeli. Che mi meritavo, s'era per quello.
Però comunque mi piagavano l'animo.
Avvertii un improvviso abbraccio riscaldarmi e le mani
guantate di Sasuke accarezzarmi i capelli. "Sei preziosa per me, koibito, più
di qualsiasi cosa al mondo. Ho il terrore di perderti, che ti succeda qualcosa
di brutto. Tu, la prima con cui sia riuscito a legare, l'unica che mi abbia
amato senza mai pretendere nulla in cambio", mi confessò, staccandosi
lentamente da me. Il suo sguardo s'era immalinconito. Sospirò a fondo,
tremante, prima di proseguire col cuore in mano: "Se tu però non vuoi più
continuare a ... a vederci, sai che sei libera di troncare e non te ne farei
mai una colpa ..."
Gli posi delicatamente una mano sulla bocca,
interrompendolo. "Baka", mormorai piano, "non mettermi in bocca
concetti, che non penso assolutamente!", gli ordinai perentoria,
sorridendogli tuttavia.
Sasuke m'afferrò la mano, baciandone velocemente le dita.
"Cos'è successo in questi giorni?" Figurarsi se desisteva dal suo
proposito! Testardo d'un Uchiwa!
"Magari te lo racconto, quando mio padre non sta
cercando di staccare la testa a tuo fratello, d'accordo?", sviai il discorso,
contemplando divertita il modo in cui il mio fidanzato si voltò di scatto,
quasi a controllare (seppur a distanza) il livello d'incolumità d'Itachi-san,
il quale ero sicura se la sarebbe cavata comunque egregiamente, anche contro un
Otōsan bramoso di soddisfazione.
"Promesso?", mi scrutò sospettoso Sasuke,
riconcentrando la sua attenzione su di me.
Annuii. Mi rincresceva enormemente dovermi atteggiare
così con lui (da omertosa gatta morta, puah!), però sul serio non sapevo come
dirottare altrove la sua giustificata curiosità. Nella speranza che se ne
scordasse, accantonando tutto nel dimenticatoio.
"Ah! Ho qualcosa per te!", si ricordò
all'improvviso Sasuke, frugando nella tasca del cappotto e porgendomi un
pacchettino piuttosto sgualcito se non proprio semi-mangiucchiato da ...
"Mi si è aperta la boccetta dell'acqua benedetta in valigia ...", mi
spiegò imbarazzato.
"Tu viaggi con la boccetta dell'acqua santa?"
"Embé? Una volta in valigia t'ho vista piazzare dei
talismani tra le mutande e non mi pare d'avertelo mai fatto notare!",
replicò giocosamente perfido il mio fidanzato.
Ridacchiai a mo' di scusa (avevo completamente rimosso
quell'episodio), estraendo dal pacchettino uno di quei braccialetti-magneti che
ultimamente andavano tanto di moda. Arrossii di piacere misto a sorpresa:
ignoravo che Sasuke mi avesse sul serio ascoltata
quando m'ero lagnata con lui, accusandolo
d'essere l'unico fidanzato in Giappone a non avermelo regalato.
"Spero che non si sia rovinato ... L'acqua l'ha
investito in pieno, visto ch'erano vicini ...", borbottò Sasuke,
sistemandomi il braccialetto al polso, dopo essersi levato i guanti, e
approfittandone così vigliaccamente per accarezzarmi la pelle esposta.
"In quel caso, te ne ritorni di filato a Nagasaki
per ricomprarmene un altro!", sentenziai falsamente solenne, sciogliendoci
subito entrambi in una risata complice.
In quel momento, realizzai quanto bene stessi con lui,
quanto ogni mia parola, azione ed espressione mi venisse naturale, senza che
dovessi sforzarmi ad adattarla alle altrui aspettative. Mi stupii della mia
previa reticenza ad incontrarmi con Sasuke: perché? Che avevo temuto fino ad
adesso?
Ci abbracciammo forte, unendo altrettanto gioiosamente le
nostre labbra, il cuore che ci balzava felice nel petto. Un'ondata d'euforia e
fiducia mi pervase l'animo, tanto da
persuadermi a rivelare a Sasuke ciò che lui aveva il diritto di
conoscere.
M'anticipò lui, invece. "Naruko ... forse sarebbe
più consono chiedertelo domani, visto che è il nostro anniversario, ma ... ma
vorresti ...?"
Un improvviso e
violento spintone gli impedì di continuare, facendolo indietreggiare malamente,
non abbastanza da cadere però gli fu comunque difficile mantenere l'equilibrio.
Scattò in avanti per fronteggiare il suo assalitore, bloccandosi tuttavia sul
posto quando riuscì ad inquadrare il suo volto. Lo stesso equivalse per la
sottoscritta: istintivamente m'ero lanciata per soccorrere il mio fidanzato,
sennonché venni tirata in disparte e lontana da lui. Solo allora vidi chi ci
aveva separati così bruscamente.
"Tu ...", sibilò mia madre, puntando feroce il
dito contro un impassibile Sasuke e frenandolo dal ricongiungersi a me.
"Ti avevo ben avvertito, quanto poco gradissi la tua presenza vicino a mia
figlia!"
Non immaginavo che Okaasan sarebbe rientrata così presto
dai nonni. Se soltanto Otōsan si fosse deciso una buona volta a raggiungerci
... magari l'avrebbe calmata ... Era
furiosa. Impazzita, quasi. Sperai che Sasuke non la provocasse o non sapevo
come sarebbe finita. Il cielo ce ne scampasse che s'arrivasse agli insulti e
alle mani. E a giudicare dall'espressione terribile di mia madre, era
esattamente quello cui aspirava.
Il mio fidanzato strinse i pugni, trattenendosi però da
gesti convulsi solo perché davanti ad una donna e soprattutto davanti a mia
madre. "Sua figlia", ribatté glaciale "è abbastanza grande da
frequentare chi vuole! Non ha il benché minimo diritto di ordinarle alcunché!"
"Okaasan", m'intromisi, tirandola per un
braccio. "Okaasan, sei stanca, torniamo a casa! Ne riparliamo più tardi
..."
"Taci tu, screanzata! Mi avevi giurato che non
l'avresti mai più frequentato!"
"Non è vero! Non l'ho mai fatto!", protestai
energicamente, prima che Sasuke elaborasse quanto farneticato da mia madre.
"Okaasan, per favore, andiamo a casa ... Onegai ... te lo supplico, non
complichiamo ...!"
Venni spintonata via. Per fortuna che una panchina si
trovava dietro di me, altrimenti sarei finita per terra a gambe all'aria.
"Bugiarda e pure sgualdrina! Bella figlia che mi ritrovo!"
"Da che pulpito viene la predica!", le gridò
dietro Sasuke, imporporandosi per lo sdegno suscitatogli da quella malagrazia e
apprestandosi a raggiungermi. "Tutta Konoha sa che l'unica baldracca qui
presente è lei!"
Fu un attimo. Un
battito di ciglia. Quando focalizzai bene la mia vista incredula, notai con
orrore del sangue cadere dal naso e dal labbro di Sasuke. Sarà anche stato un
uomo, ma beccarsi un cazzotto da impreparati doveva lo stesso aver sortito il suo effetto. Mi
augurai che non gli si fosse rotto niente.
"Okaasan ...!"
Sasuke si nettò la mano insanguinata sui pantaloni, gli
occhi scuri che rifulgevano di una a stento repressa smania assassina.
Ma mai equiparabile a quella di mia madre. "Non
permetterò che mia figlia si rovini la vita per della feccia come te! Hai
capito?!"
"Senta lei ..."
"Hai capito?!", strillò isterica Okaasan,
levando la mano pronta al bis. "O te la faccio passare io la voglia, di
molestare la mia Nacchan!"
"GIU' LE ZAMPE DA MIO FIGLIO, STRONZA!!!", ci
assordò il ruggito di Mikoto-san, corsa come un'indemoniata fino a noi. Non
concesse a mia madre neanche il tempo d'accorgersi del suo arrivo, che la
matriarca Uchiwa la prese a borsettate, spingendola lontano dal suo
secondogenito.
La reazione di Okaasan non tardò a giungere. "Ma va'
via, sporca!", le intimò, gettandole in faccia una pingue palla di neve.
"Udite, udite: la casta fanciulla!"
"Meglio d'una ipocrita baciatonache!"
"Sapessi cosa baci tu!"
"Parla lei, parla!"
"Vedrai come parlerai tu, dopo che t'avrò strappato
la lingua!", ululò Mikoto-san un agghiacciante grido di battaglia,
avventandosi su mia madre e buttandola in un tonfo per terra e prendendola a
sberle. "Nessuno tocca i miei figli! Men che meno una cagna come te!"
In un battibaleno le due contendenti s'afferrarono per i
capelli, rotolandosi nella neve, graffiando, mordendo e soffiando alla stregua
di gatte inferocite, urlandosi ogni genere d'ingiuria a loro, alla famiglia,
agli antenati. Okaasan era sempre stata molto forte nella lotta, però dovetti
concedere che Mikoto-san le stesse dando non poco filo da torcere, anzi! Le
piazzò una gomitata sui reni che le diede il vantaggio di sedersi a cavalcioni
su di lei, menandola con gusto.
Sennonché, Sasuke le impedì di prenderci troppo la mano,
afferrando la madre per la vita e la issò via con la forza, trascinandola
indietro, distante dalla sua rivale. La quale invece approfittò della
situazione per correre dall'altra, rifilando sia a lei che al figlio dei
confusi manrovesci. Mikoto-san, livida per quell'affronto, prese a calciarla,
sgusciando via da Sasuke in quel turbinio di braccia, mani e gambe e
riprendendo la pugna con maggior vigore.
"Che diavolo state facendo voialtre?"
Grazie al cielo, sopraggiunse Itachi-san a dare a
manforte al fratello, ognuno gettatosi sulle due lottatrici e afferrandole e
strattonandole dalla parte opposta, nel difficile tentativo di separarle:
Okaasan teneva infatti i denti ben piantati nell'avambraccio di Mikoto-san e
questa aveva ghermito la sua capigliatura col fermo intento di renderla calva
anzitempo.
"Basta, voi due! Basta! Ci stanno guardando tutti,
non vi vergognate?!", le rimproverò un furibondo Otōsan, i quale s'era
messo a suo rischio e pericolo in mezzo a quel nodo di carne, districandolo tra
un graffio e una sberla, affinché gli altri due uomini riuscissero nel loro intento
di porre fine a quell'ignominioso spettacolino.
Mi coprii la faccia, incapace d'assistere oltre.
"Tu parli di rovinare la vita altrui, eh?",
ansimò feroce Mikoto-san oltre la schiena di Itachi-san, trattenuta a viva
forza nel frattempo da Sasuke.
"Kaa-san, basta!"
"Tu rovinasti la vita di mio fratello!
Scrofa! Impestata! Vacca bastarda! Puttana d'una puttana!", si lanciò in
avanti, mulinando le braccia onde colpire Okaasan, ma Itachi-san glielo impedì,
ergendosi a scudo umano. "Non osare fare a noi la morale, troia!"
"Haha, silenzio!", ringhiò Itachi-san con un
tono talmente minaccioso e severo, che sua madre non solo tacque, ma abbassò
perfino lo sguardo, seguitando però a tenere la sua smorfia aggressiva.
"Non è né il luogo né il momento per rinvangare certi episodi del passato!
E adesso, se hai mantenuto ancora un po' di giudizio, permetterai a mia moglie
di riaccompagnarti a casa, dove ti pulirai il viso e reciterai qualche Confiteor per il tuo atteggiamento poco
consono alla nostra fede!"
E voltandosi a noi: "Quanto a lei, Kushina-san, se
vengo a sapere che ha messo ancora le mani addosso a mio fratello, mi vedrò
costretto a denunciarla, anche se questo mi addolora enormemente, considerata
la grande stima e amicizia che mi lega a suo marito, a Menma-kun e
Naruko-chan!"
"Che m'importa! Purché lui stia lontano da mia figlia!"
"Naruko ed io siamo entrambi maggiorenni e liberissimi
di frequentare chi ci pare e piace! Non vedo nulla di criminale in questo!",
protestò Sasuke veementemente. "La smetta di trattare la mia famiglia e il
sottoscritto alla stregua d'una masnada di malviventi!"
" Non voglio un emarginato nella mia di famiglia! Né tantomeno un
miscredente che adora un vagabondo giustiziato come i fuorilegge!"
Gli Uchiwa illividirono, affatto contenti di quella
vituperazione del loro credo.
Mio padre, intuendo la piega disastrosa che stava
prendendo la situazione, decise di impedire il peggio e afferrò Okaasan per le
spalle, traendola in disparte. "Ne riparliamo un'altra volta,
Kushina", dichiarò, forzandola a guardarlo dritto negli occhi. "Itachi-kun
ha ragione: stavolta hai davvero oltrepassato ogni limite!"
"Anche tu mi tradisci? Sei dunque dalla loro
parte?"
"Kushina, per favore ...", l'avvertì perentorio
mio padre.
"Tanto a te che t'importa? Non ti sei mai curato
dell'avvenire dei tuoi figli! Ma io sì !", esclamò, sciogliendosi rabbiosamente
dalla presa del marito. "E tu, tu non l'avrai mai! Nacchan non ti sposerà mai! Capito? Mai! Lei non è tua, non è e
non sarà mai tua! Domani abortirà quel parassita che tiene in corpo, che per la
cronaca non è manco figlio tuo!"
Lo strappo. Il punto di non ritorno era stato
oltrepassato.
Mi sentii mancare e magari smisi anche di respirare, costringendomi
un violento capogiro a barcollare all'indietro, cercando a testoni la panchina
onde sedermi prima di cascare per terra, morta. Fu Otōsan ad afferrarmi in
tempo, intercettandomi. D'istinto nascosi il viso sul suo petto.
Sasuke non aveva accolto la novità meglio di me: pareva
l'avessero pugnalato in pieno petto.
Impallidì fino al cadaverico, sgranando gli occhi e le sue mani si
staccarono di riflesso da sua madre. Gli tremava il labbro inferiore, mentre
con lo sguardo mi supplicava di giustificarmi in qualsiasi modo, di dirgli
qualsiasi cosa tranne l'orrore che aveva appena udito.
Shisui-san mi lanciò un'occhiata compassionevole,
scuotendo il capo. Giurai d'aver sentito imprecare Itachi-san tra i denti. La
matriarca, invece, ridacchiò ostile.
"Tale madre, tale figlia!", sentenziò piena di
sarcasmo. "E il bello che la stavamo per accogliere in casa! Che nuora di
merda, mi sarei trovata!"
Shisui-san le cinse le spalle, interrompendo la sua
sequela d'insulti. "Mikoto-haha, non giungere a conclusioni affrettate. Si
tratta di un malinteso, te l'assicuro", le sussurrò calma, conducendo
discretamente la suocera verso la loro casa.
Un pesante silenzio s'impose tra di noi. Non sapevamo più
che dirci, né tantomeno osavamo guardarci in faccia. Trovammo la neve ai nostri
piedi più degna d'attenzione. L'unica che si stava godendo il momento era
Okaasan. Mai come in quell'istante avrei desiderato ammazzarla, in barba alle
sue giustificazioni che stava agendo per il mio bene. Mi aveva annientata. E
inveii contro me stessa per averle rifilato quella bugia, invece di raccontarle
sin dal principio la verità.
Tutto mi si stava ritorcendo contro.
E ora avevo perduto Sasuke.
Sciogliendo le braccia tenute fino a poco fa conserte al
petto, Itachi-san si schiarì la voce. "Temo che non abbiamo null'altro da
dirci, Namikaze-shi", annunciò, inchinandosi profondamente e obbligando
suo fratello ad imitarlo tramite un colpetto al braccio. "Auguro a lei e
alla sua famiglia un buon proseguimento di giornata."
"Sono desolato per quanto avvenuto,
Uchiwa-san", rispose a tono mio padre, ricambiando l'inchino. "Lo
stesso vale per voi: buona giornata."
Ci incamminammo ognuno nella direzione opposta, senza
lanciarci un'ultima occhiata alle nostre spalle.
~ ~ ~
Una volta giunti a casa, si scatenò l'inferno.
Benché mi fossi
ritirata in camera mia, rifiutandomi di pranzare, potevo benissimo sentire i
miei genitori discutere animatamente in
salotto, Otōsan in particolare che, nonostante il tono di voce calmo, vibrava
di collera.
"Si può sapere che cosa credevi di fare in quel
momento? Che ti è passato per quella testa? Umiliare così tua figlia dinanzi ad
una delle poche famiglie rispettabili in questo puttanaio di città! Gli Uchiwa
sono stati gli unici a non avermi sbattuto la porta in faccia, quando ancora
non contavo niente! Mi pareva ovvio, se non proprio garbato, ricambiare la loro
amicizia e disponibilità favorendo l'unione tra Nacchan e Sasuke-kun! Ti rendi
conto, che adesso non la vorranno manco più vedere dipinta, figurarsi
frequentarla?! Anche se il loro Iesu-sama predica il perdono, mica lo applicano
sempre, sai, i suoi seguaci! E di certo non lo faranno con noi!"
Un improvviso tonfo mi suggerì come avesse sbattuto il
pugno sul tavolo, la sua usuale valvola di sfogo. "Io davvero non ti
riconosco più, Kushina. Una volta, non ti saresti abbassata a queste
obbrobriose scenate, certo, avresti messo su un epico broncio, m'avresti
tarmato per un mese o due, ma tant'era! Non mi pare che tu abbia preso a pugni
Gaara-kun, il giorno in cui Menma-kun ce l'ha presentato come suo partner! E
poi, cos'hai contro gli Uchiwa? Se non erro, a scuola tu e Mikoto-san eravate
migliori amiche, che accidenti insomma ti sta prendendo?"
Lentamente scivolai dal mio letto, posizionandomi in
punta di piedi in cima alle scale.
"E' inutile che tenti di spiegartelo, Minato: sei
prevenuto. Non ragioni obiettivamente. Innanzitutto, io ho soltanto riferito
ciò che Nacchan stessa m'ha detto, né una parola di più né una parola di meno.
In secondo luogo, gli Uchiwa sono una
famiglia d'attira-disgrazie, tutti a Konoha li guardano storto per le loro
eccentricità. Inoltre, Sasuke è troppo vecchio per lei, mi fa ribrezzo il suo
interesse per Nacchan, la quale deve ancora finire l'università e farsi una
carriera e ..."
"Sii sincera: chi vuoi veramente evitare? Sasuke-kun
o sua madre?"
"Come prego?"
"Quale torto facesti al fratello di
Mikoto-san?"
Silenzio.
Allungai il collo per origliare meglio la conversazione.
"Non sono affari che ti riguardano", dichiarò
infine Okaasan in un borbottio aggressivo. "Tu stesso affermasti, come non
t'importasse nulla di quanto avvenuto prima del nostro matrimonio!"
"Dici il vero. Non me ne frega niente. Ma
incomincerò ad interessarmene, in caso dovesse questa essere la ragione per
la quale tu t'ostini ad immischiarti nella vita sentimentale di nostra figlia!"
"Cosa?", esclamò sconvolta mia madre.
"Kushina, te lo dirò un'ultima volta: basta così.
Nacchan e Sasuke-kun si amano. E' un dato di fatto. Non puoi renderli infelici
per un tuo egoistico capriccio né per un tuo errore del passato: è inumano e
insensato da parte tua! Che ti piaccia o meno, nostra figlia si sposerà con
quell'Uchiwa e avrà quel bambino! Scommetto poi che è stata una tua idea,
quella dell'aborto!"
"Che altro avrei dovuto fare? Lasciare che
partorisse il bastardo di chissà quale sconosciuto?"
"Pah! Tu hai voluto credere a questa bugia, perché
ti conveniva! Ma entrambi sappiamo che solo Sasuke-kun può essere il padre
della creatura! Ma tu hai spaventato a tal punto Nacchan, da costringerla a
mentirti!"
"Non è vero!"
"Invece è così. E la questione finisce qui. Anzi, ti
conviene abbassare il capo e chiedere scusa ad un bel po' di gente, tua figlia
in primis, se non vuoi perderla per sempre!" e dal rumore delle sedie
intuii come la discussione fosse giunta al suo termine.
Rientrai di filato in camera mia, non appena avvertii i
passi di mio padre farsi più vicini, segno che stava salendo anch'egli al piano
superiore.
Mi distesi sul letto a pancia ingiù, raggomitolandomi,
colta da un'improvvisa sensazione di freddo interiore, il quale mi gelava
perfino le ossa.
Incominciai a battere i denti.
Strinsi le lenzuola.
E, mordendo il cuscino, cacciai uno sconquassante urlo
ingolato.
In nessuna delle mie più arzigogolate congetture ero mai
riuscita a figurarmi, quanto dolore m'avrebbe provocato la separazione da
Sasuke. Anche se non era nulla di ufficiale, sarebbe stato da idioti sperare
che ancora volesse avere a che fare con me, in seguito ad una rivelazione del
genere. Nella mia indecisione e stoltezza, avevo rovinato tutto, allontanando
una persona che m'amava sinceramente. Avevo rifiutato la soluzione più logica e
naturale e per cosa in cambio? Per cosa? Per la carriera universitaria? Per un
futuro lavoro? Sarebbero comunque arrivati in seguito!
Cretina, cretina, cretina che non ero altro!
Avevo avuto tra le mani un'occasione d'oro per essere
felice e l'avevo gettata sui rovi!
Mi meritavo quanto accadutomi, buon pro mi facesse! Così
imparavo!
Chissà cosa stava pensando Sasuke di me. Se m'andava bene, mi
commiserava come suo fratello. Altrimenti, mi avrebbe insultata tra sé e sé,
complimentandosi poi della sua fortuna per non essere stato inguaiato da una
donnaccia come la sottoscritta. Magari si sarebbe pure dato dello stolto per
avermi amato, lasciandosi abbindolare da una stupida illusione. L'avrei poi mai
più rivisto? Oppure si sarebbe trasferito a Kyōto per dimenticarmi? E una volta
lì? Avrebbe trovato un'altra compagna, certo che doveva essere così, non sarebbe
rimasto celibe per sempre, si sarebbe sicuramente maritato con un'altra,
probabilmente una Kirisutokyouto come lui, una brava donna, insomma, non una
che l'aveva fatto soffrire come un cane, abortendo suo figlio. Sempre che lui
lo considerasse come tale: se aveva creduto alla bugia di mia madre, alla mia bugia ... Già me lo immaginavo nella
sua nuova casa, assieme a sua moglie e forse pure con un pargolo appresso ...
lui rideva, completamente dimentico di me ...
E se avessi tenuto il bambino? Sarebbe stato l'ultimo
legame con Sasuke ... Sarebbe stato costretto
anche solo a vedermi per amore della creatura ... A meno che ... non me lo portasse via. Ma no,
non poteva, non avrei permesso che venisse allevato da quella stronza di sua
moglie! Ancora (perché si trattava di una questione di tempo) ancora non
conoscevo il volto di quella smorfiosa, ma già sentivo di detestarla fino
all'ultima fibra della mia persona. Lei non poteva avere Sasuke! Nessuno
l'avrebbe avuto! Neanche per sogno!
Mi passò per la mente un malsano pensiero ... Se non per
il bambino, se non per me ... Piuttosto che perderlo, l'avrei ammazzato, sì,
l'avrei ammazzato e poi avrei ucciso me stessa. Così saremmo rimasti assieme!
Per sempre!
Scattai seduta, tremando dalla testa ai piedi. Fissai
sbigottita il mio sconvolto riflesso allo specchio.
Ma che accidenti stavo pensando? A quale follia mi stavo
abbandonando?
Come avevo potuto anche per un secondo contemplare
qualcosa di sì orribile, egoista? Un omicidio! Battei un pugno sulla fronte,
intimandola a tacere, a non suggerirmi simili vigliacche atrocità.
Invece, afferrai il cellulare, componendo rapidamente il
numero di Menma. Avevo bisogno di sfogarmi, anche di sentirmi dare della
deficiente, ma sulla spalla di qualcuno dovevo pur piangere.
"Moshi moshi?"
"Menma-nii!", singhiozzai senza ritegno, non
concedendogli neppure il tempo di pronunciare il tipico Come stai? di cortesia.
"Nacchan?
Maledizione, Imōto! Ma ... ma stai piangendo? Cos'è successo?"
"Lo sa! Lo sa! Sasuke lo sa!"
"Aspetta ... Sasuke
sa della tua gravidanza? Gliel'hai detto? Finalmente, era ora!"
"Non proprio ...", pigolai, tirando su il naso
e, benché ambigua, mio fratello fu subito in grado di cogliere il significato
recondito della mia frase.
"Un momento!
Non è che il bastardo si rifiuta di riconoscere il bambino, eh? Perché lo
ammazzo come un cane!"
Beh, non proprio.
"No, Niisan! Non è così! Okaasan gli ha spifferato
della gravidanza ... Ha ... ha detto che domani avrei abortito e ... e che ...
e che non è figlio suo ... E questo ... davanti a ... a S-Sasuke e ... e a
tutta la sua famiglia ..."
Sentii mio fratello sospirare profondamente, snervato.
"Merda",
fu di fatti il suo esauriente commento, sebbene ebbi il sospetto che avesse
bofonchiato altre intellegibili carinerie tra sé e sé.
"Non mi vorrà più vedere!"
"Ascolta Imōto,
adesso fai un bel respiro e calmati! Non ti fa bene agitarti così! Rilassati e
cerchiamo di ragionare assieme. Per prima cosa, devi contattare subito
Sasuke, devi raccontargli subito tutta la verità, la tua verità! Non potete
troncare per una bugia!"
Scossi il capo energicamente."Non servirà a niente!",
mormorai sconfitta.
"Ma
almeno tenta, maledizione! Io intanto chiamo suo fratello per sentire la sua
opinione: se lui non ha creduto alla balla di Okaasan, vedi che riuscirà a
mettere un po' di sale in zucca a Sasuke!"
"E se Itachi-san la pensasse invece come il suo otōto?"
"Allora mi
rivolgo a sua moglie. O a chiunque possa ascoltarmi. Non gettiamo la spugna,
capito? Non quando questo malinteso si basa su di una crudele menzogna! Il
piccino è suo, punto! Altrimenti è un coglione per cui non vale la pena
perderci la salute!"
Convenni tra incerti singulti, ansimando qualche sì con
voce tremula.
"Si
risolverà tutto, Imōto. Non ti preoccupare: su di me puoi sempre contare, sì?
Me ne sbatto se m'insultano, per te questo e altro!"
Mi asciugai gli occhi col dorso della mano.
"G-grazie, Menma-nii ..."
"Vai a
sciacquarti il viso e mangia qualcosa. Poi, quando ti senti più calma, telefona
pure a Sasuke. Per allora, avrò parlato con qualcuno. Mi raccomando, eh? Stai
tranquilla! Al resto ci penso io!"
"D'accordo ..."
"Ti richiamo
più tardi, ma tienimi comunque aggiornato!"
"Sì ...", lo rassicurai, chiudendo la chiamata.
Intrecciai le mani sul grembo, prendendo tre o quattro respiri profondi nel
tentativo di rilassare i miei nervi sovraeccitati e domandandomi come me la
sarei cavata senza il supporto di mio fratello. Mio padre, per quanto
amorevole, era una presenza che andava e veniva nella mia vita; con mia madre s'altalenava
un rapporto d'amore/odio ... No, l'unica costante s'era sempre rivelato Menma
... Mi ripromisi in futuro di comportarmi meno scorbuticamente con lui.
Con questa risoluzione m'alzai, dirigendomi verso il
bagno.
Aprii il rubinetto dell'acqua fredda, accingendomi a
pulire via dal viso i rimasugli delle lacrime e di quel poco di mascara che
avevo applicato sulle ciglia, avendomi trasformato il previo pianto in una
brutta copia di Pierrot. Sennonché la mia attenzione si concentrò su di una
macchia rossa stagliatasi sul bianco del lavandino. Ne seguì presto un'altra. E
un'altra ancora. Interdetta, le sfiorai coll'indice, percependo subitaneamente
una vischiosa umidità bagnarmi il labbro superiore. Vi passai titubante la
lingua, le cui papille gustative vennero punte da un famigliare sapore ferroso.
Sangue.
Levai bruscamente il capo, studiandomi affannosamente
allo specchio: un pingue rivoletto di sangue mi stava colando dal naso,
sorpassando e aggirando il gibboso ostacolo della bocca, per scivolare in lente
gocce dal mio mento.
Come galvanizzata, unii le mani a coppa e mi nettai la
parte inferiore del volto, sfregando alacremente onde rimuovere la benché
minima traccia di quella copiosa epistassi. Ben presto il lavabo da bianco
divenne scarlatto, aumentando la mia frustrazione e vanificando i miei
tentativi di contenere quello sfogo nervoso, che fin da piccola mi aveva
tormentato ogniqualvolta mi trovassi particolarmente sottopressione. Viso,
polsi, lavandino, il sangue macchiava dappertutto e non voleva scomparire.
"Vai via ... Che diamine, vai via ...",
ringhiai, passando piccata la mano sulla ceramica imbrattata. "Vai via
..."
"Ti
piacerebbe, vero?"
I capelli sulla mia nuca si rizzarono.
Dietro alle mie spalle, il Mizuko mi sorrideva malevolo
allo specchio. "Avanti, rispondi:
ti piacerebbe, vero?"
Mi voltai di scatto, pronta ad affrontare quel maledetto
bambino una volta per tutte. Tanta era la mia afflizione e rabbia per quanto
accadutomi quella mattina, che non m'importava oramai di niente.
Rimasi basita: quel dannato era sparito!
Ma dove ...?
Quand'ecco, che mi ritrovai improvvisamente scaraventata
verso il muro e, nella fretta di porre avanti le mani onde mitigare l'impatto,
persi l'equilibrio, cadendo bocconi per terra.
"Che triste,
quando vieni rifiutato da chi ti ama. Dico il vero, Naru-tan?", mi provocò
il Mizuko, i cui piedi si confondevano con l'acqua raccolta dal lavabo, mentre
quella dal rubinetto s'aggiungeva, aumentandone pericolosamente il livello fino
a farlo lentamente strabordare.
"Non ti ho abortito! Quindi lasciami in pace!",
gli intimai, stufa marcia di sorbirmi quelle sue sentenze sibilline. Mi posi traballando
in piedi; purtroppo, il bambino dal mantello blu m'anticipò, dandomi un calcio
proprio all'addome.
Ansimai di dolore, stramazzando per terra di schiena.
Subito, quelle piccole mani gelide s'avvinghiarono al mio
collo, premendo con forza assassina. Le gocce colanti dal suo cappuccio blu mi
bagnavano il viso in un lento stillicidio.
"Tu mi ordini
di lasciarti in pace? Io non lascerò mai questa casa, Naru-tan, mai,
finché non mi accetterete!", sibilò, applicando maggiore pressione
sulla mia povera gola.
Mi uccide! , cogitò la
mia mente presa dal panico, mentre la vista mi si offuscava per la mancanza di
ossigeno. Vuole ammazzare me e il
piccino!
"Che ci fai tu qui?"
No!
"Mi lasci passare!"
Non voglio!
"Come ti permetti?! Questa è una violazione di
domicilio!"
Mio figlio
deve vivere!
"Kushina, che accidenti sta succedendo?"
Mio figlio
deve vivere!
"Minato-shi, per cortesia, mi faccia parlare con
Naruko!"
DEVE
VIVERE!!
Appellandomi alle mie ultime energie rimaste, coordinai
un pugno trasverso in faccia al Mizuko, colpendolo proprio col polso ornato dal
braccialetto di Sasuke, sperando che gli spigoli dell'accessorio provocassero
maggior dolore a quel disgraziato d'un bambino.
Inaspettatamente, funzionò: neanche l'avessero ustionato
col ferro incandescente, il Mizuko strillò alla stregua d'un porco sgozzato,
indietreggiando e tenendosi la fronte ferita. Senza concedergli il tempo di
riprendersi scattai in piedi e corsi fuori dal bagno, ma sfortunatamente quel
maledetto m'afferrò per il maglione, strattonando violentemente onde
trattenermi. M'aggrappai allo stipite della porta, tirando con la forza della
disperazione, fino a strapparmi un pezzo dell'indumento, il cui sinistro rumore
segnò la definitiva separazione tra me e il Mizuko, il quale scomparve con un grido
rabbioso nel pavimento, mimetizzandosi con la pozza d'acqua sorta per colpa del
rubinetto aperto.
Quanto a me, finii sbilanciata in avanti e con tale
velocità da non avere neanche il tempo di puntare i piedi e fermarmi. Riuscii
soltanto a girarmi, giusto per vedere mio padre correre angosciato verso di me,
stendendo il braccio per afferrarmi. Mancò di qualche centimetro la mia mano.
Capii all'ultimo momento che mi trovavo sul bordo delle
scale, pronta a scendervi ruzzolando fino al pianterreno.
Era finita.
Per il mio bambino era finita. Non sarebbe sopravvissuto
a questa caduta.
Il Mizuko aveva vinto.
Chiusi gli occhi, preparandomi alla dolorosa collisione.
Nel buio della paura più nera, udii grida, un tonfo, un
sofferente gemito, passi concitati e
soprattutto due forti braccia che, serrandomi fino a soffocarmi, avevano
attenuato l'urto per me.
Dopodiché, tra quel marasma di suoni, distinsi con
chiarezza la prepotente sirena dell'ambulanza.
Infine, non seppi più nulla.
Next chapter, the end ...
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In un momento d'estrema pigrizia mentale e creativa, Hoel
era quasi tentata di porre la parola fine
durante l'incontro con Naruko e Sasuke al parco. "Massì, facciamo che si chiariscono e poi baci, baci, un po' di fluff e
caliamo il sipario." Dopodiché, la vostra fedelissima si mise a ridere
sadicamente: "Seeee, col cavolo!
Devono soffrire! Muhahhahah!!" E così vi toccherà sorbirvi un altro
capitolo per sapere come finirà tra Isso, Essa e il Pupo più un secondo per la
conclusione di tutta la storia! La quale, devo ammettere, dopo lo confusione
iniziale è davvero scivolata via! Manco ci credo che stia per finire! XD
Se in questo capitolo avete avuto l'impressione che
Naruko abbia avuto atteggiamenti da schizzoide drama queen, beh, sappiate che
così un po' lo sono i giapponesi. Guardando certi film, sono rimasta davvero
spiazzata da alcuni loro gesti che manco nelle tragedie shakespeariane s'era
arrivati a simili livelli di melodrammaticità. Come ad esempio di donne che
ricattano gli ex col suicidio. Eppoi, ammettiamolo: la povera Naruko è capitata
in una situazione più grande di lei e non sa come uscirne, senza commettere un
errore dietro l'altro. Direte che è un'immatura e lo è, che colpa ne ha?
Avessimo tutte le risposte della vita a ventun anni! XD La sua situazione
famigliare, poi, non l'aiuta di certo, anzi, la rende doppiamente insicura e
bisognosa di sostegno, che tuttavia teme di chiedere per non essere rifiutata e
soprattutto giudicata. La mia non è una giustificazione del personaggio, anzi!,
a me piace descrivere apposta di personaggi sbagliati, grigi, umani e se riesco
a scatenare reazioni e dibattiti su di loro, meglio! ^^
Comunque, ho finalmente realizzato il mio sogno segreto
di descrivere una scazzottata tra donne ... Solo perché Fugaku è un nato
incazzato, non significa che Mikoto sia sempre la cara moglie angelica e
comprensiva, dolce, cara, buona e farina farosti ...
Detto questo, non
ci resta che attendere gli ultimi due aggiornamenti, no?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Alla prossima,
ciao!
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Capitolo 6 *** Venerdì, 6 Febbraio 1998 ***
Heilà!
Mi scuso per il ritardo con cui giunge questo capitolo,
di solito tento di mantenere un ritmo di almeno "ogni due settimane"
nel weekend. Ma alas, la pigrizia primaverile m'ha ghermita, aggiunta al fatto
che sono sempre stanca! A momenti m'addormento alla fermata dell'autobus alla
mattina! XD
Comunque, eccoci qua, dai, ad un capitolo dalla fine!
Sinceramente, essendo io allergica ai finali, non so come
sia venuto questo capitolo, speriamo bene! In realtà questo non è un finale,
-ale, -ale, l'epilogo spiegherà ciò che qui manca.
Perché? Perché sono dispettosa! ;-P
Avvertimenti!
Capitolo fiume. Sul serio, il Nilo ha straripato! Mettetevi
comodi, con una bella tazza di tea/cioccolata calda / latte / caffè, un cuscino
dietro la schiena e ... enjoy! Questo
per lavarmi le mani, in caso d'errori di battitura! Ihihihi .... XD Un pochino poi
di lemonade, perché siamo in vacanza.
Ulteriori note e commenti si troveranno a fine capitolo.
Il prossimo aggiornamento arriverà dopo Pasqua. Hoel va
in letargo primaverile, eggià!
Infine, un sentito ringraziamento a tutti i miei lettori
e recensori, in particolare a Imoto, Lucrezia_Uchiha
e Jo95. Grazie anche a coloro che hanno messo questa storia tra le seguite,
ricordate e preferite.
Vi auguro una buona lettura e ...
BUONA
PASQUA 2015!!!
H.
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L'Appuntamento
dalla
testimonianza di Naruko Namikaze
(segue)
Un breve intermezzo
Difficilmente
ci si dimentica del giorno in cui si diventa una coppia a tutti gli effetti. La
gioia sperimentata in quel momento appare tanto intensa, da cicatrizzarsi nella
pelle, nella memoria, in ogni molecola del proprio essere. Anche nel caso di
una rottura, non si può non ricordare con un certo malinconico affetto il
sorriso del rispetto partner quando, alla domanda: "Allora, stiamo sul
serio assieme?", si risponde dementi: "Certo che sì!"
Sasuke ed
io non avevamo programmato fin dall'inizio di metterci insieme, non
ufficialmente almeno. Avevamo preso a frequentarci in maniera discreta, quasi
sospettosa, ognuno valutando le reali intenzioni dell'altro in un subdolo
quanto intrigante gioco di strategia. Il primo passo consistette
nell'accantonare definitivamente quel ridicolo disprezzo ostentato in maniera,
a detta di terzi, invero "pacchiana". Una volta quindi smesso di
comportarci alla stregua di macchiette decerebrate, instaurammo una sorta di
amichevole patto di non aggressione, ben presto seguito da un innocuo
cameratismo che divenne sempre meno neutrale fino a cambiare in un sentimento
più profondo, ambiguo.
Intanto, trascorsero
sei mesi. Per alcuni forse pazzesco, ma per noi necessario affinché i poli
estremi dei nostri mondi s'incontrassero e si congiungessero dopo aver trovato
una solida base comune. Avevamo infatti tacitamente compreso e accordato, che
tra noi due non ci sarebbe mai stato il famoso refrain "è solo
sesso". Da parte mia, giudicavo rapporti simili un chiaro segno d'aridità
di spirito. Ridurre un atto così intimo a della mera ginnastica? Vai piuttosto
in palestra e sfogati con le flessioni! Quanto a Sasuke, appariva sinceramente
disgustato all'idea. Dalle informazioni estrapolate su di lui dalle infermiere
del suo reparto, scoprii come avesse vissuto le sue previe relazioni con grande dedizione. "Tuttavia",
m'aveva fatto l'occhiolino Yuugao-san, la capo-infermiera del dipartimento di
oftalmologia "non l'ho mai visto così sbarellato come con te! L'hai
colpito ed affondato!"
Pertanto,
recandomi nel suo ambulatorio quella sera del 6 febbraio 1997, non mi stupii di vederla salutarmi
maliziosamente raggiante, neanche si fosse trasformata in chissà quale mezzana.
Ciononostante, dovevo a lei la mia presenza nella clinica, giacché se non fosse
stata per quella sua soffiata, non mi sarei decisa a riportare a casa Sasuke se
non tirandolo per le orecchie, perlomeno con l'allettante promessa di camminare
assieme fino alla sua abitazione.
"Dottore
Uchiwa-san, dico alla paziente d'accomodarsi?", s'informò la donna,
bussando leggermente alla porta semichiusa, non appena raggiungemmo il suo
studio.
Sasuke,
impegnato a leggere degli aggiornamenti medici, alzò confuso la testa,
controllando l'orologio. "Alle otto e mezza di sera? Non ho preso
appuntamenti ..." e il suo sguardo assunse una tinta d'indignazione mista
a timida felicità quando mi scorse dietro alle spalle della capo-infermiera.
"Allora?
La faccio entrare o si decide a rincasare?", lo incalzò Yuugao-san,
avanzando verso il suo superiore. "Questi può finirli tranquillamente
domani. Insomma, che razza di fidanzato orribile è lei, da abbandonare la sua
povera gonzesse in sala d'aspetto?"
Udendo
quell'ultima dichiarazione, Sasuke ed io ci affrettammo a chiarire: "Non
siamo una coppia!", esclamammo in coro un poco imbarazzati, l'Uchiwa in
particolare, dal modo in cui riponeva disordinatamente i fogli nel cassetto
della scrivania, ficcando a casaccio della roba nella sua ventiquattrore e
spegnendo malamente il computer. Yuugao-san, ineffabile, s'accertò che si fosse
ben deciso a seguirmi, controllandolo con amorevole severità mentre s'infilava
il cappotto. Pareva quasi una sorta di sorella maggiore. Avevo saputo da fonti
molto indiscrete (l'ospedale, in fin dei conti, è un alveare di pettegolezzi)
come la donna avesse preso il giovane oculista sotto la sua
"protezione", quando questi era entrato nel dipartimento in veste di
kohai di dottori molto più avanti negli anni e nell'esperienza. L'aveva aiutato
ad inserirsi in un ambiente molto rigido e severo e a non scoraggiarsi per
l'iniziale mancanza di fiducia dei pazienti verso il nuovo arrivato.
Similmente, Sasuke a sua volta le era stato di molto conforto, se non proprio
l'unica spalla su cui Yuugao-san avesse potuto piangere, quando le morì il marito Hayate-san di cancro
polmonare. Il mio personale processo di rivalutazione dell'Uchiwa era
incominciato esattamente il giorno in cui lo intravidi al funerale del fu
Hayate-san, il solo partecipante al di fuori della vedova e del suocero di lei.
Eppure, malgrado l'intesa tra i due, non riuscivo a provare alcuna gelosia nei
confronti di Yuugao-san né la consideravo una minaccia. Del resto, lei stessa
si burlava di me, affermando quanto Sasuke "puzzasse troppo di latte"
per avanzargli proposte indecenti. Nondimeno, ero contenta che qualcuno al di
fuori della famiglia vedesse in lui al di là della sua immeritata facciata di
"bello, gelido e stronzo".
Consegnatomi
dunque il mio uomo dalla sua inflessibile capo-infermiera, lo ricondussi a
casa, brontolando giocosamente sulla sua brutta abitudine di rincasare tardi,
in quelle occasioni in cui sia Itachi-san che i suoi genitori si trovavano
altrove. "Che poi", gli chiesi, "dove esattamente sono andati
tutti quanti?"
"A
Nagasaki", rispose lui, aggrottando la fronte dinanzi alla nota
lasciatagli dalla povera donna, che doveva badare al suo pestifero e
ultracentenario nonno quando nessuno era disponibile. "Si sono presi tre
giorni di vacanza. Ieri e oggi per noi corrispondono all'anniversario liturgico
del martirio di Miki Pauro-sama e dei suoi ventisei compagni. Molti dei miei
correligionari si riuniscono lì, sulla collina, a pregare dinanzi al monumento
commemorativo."
Annuii
attenta e, senza rendermene conto, lo seguii dentro casa invece di fare
dietrofront e ritornare dalle mie bande, come da me programmato prima di
dirigermi all'ospedale. "Come mai non ti sei unito a loro? Mi pare di
capire che per voi sia un rito molto importante ..."
Sasuke fece
spallucce. "Qualcuno doveva pure badare ad Hikaku-ojiisan ... Eppoi, ho
preso la Messa delle sette del mattino. Infatti ..."
"Sacchan?
Sacchan sei tu?", lo interruppe una stridula voce assai irritata. "Oh,
finalmente sei arrivato! E' tutto il giorno che cerco di capire come funziona
questo cacchio d'aggeggio, ma nessuno me lo spiega! Quella pazza d'una
pescivendola isterica m'ha detto che telefonare col cellulare m'affatica! Ma
dico, se voglio chiamare quel disgraziato di mio figlio, avrò no il diritto di
scassargli le scatole quando e come mi aggrada, o mi sbaglio?"
L'Uchiwa
più giovane mi sorrise a mo' di scusa e in quel momento realizzai, quanto poco
lo facesse e soltanto in mia presenza. "Piuttosto, Ojiisan, hai cenato? Non
credi che sia ora di coricarsi?"
"Eh? Ma
va' a cagare, poppante! Io a letto non ci vado ...!"
Molti
minuti e moine dopo, in totale disprezzo verso le sue volontà, il nonno fu rifocillato
e spedito senza tanti complimenti a dormire.
Ad operazione terminata, Sasuke ed io ci ritirammo sfiniti e sbuffanti in
cucina, là dove consumammo in silenzio una cena leggera, la quale terminò
tuttavia con una vivace sequela di lamentele da parte mia, ciascuna indirizzata
contro quella vecchiaccia odiosa della mia affittacamere. All'epoca, infatti,
ancora non m'ero trasferita assieme ad Hinata-chan e vivevo da una signora
anziana la quale, nonostante l'aspetto innocuo e affabile, era in realtà una
vipera bell'e finita e tirchia fino all'ossesso. "Un giorno mi verrà un
esaurimento nervoso!", mi sfogai ad un certo punto, nel frattanto che
pulivamo assieme la cucina. "Non posso fare niente, ma proprio niente! Sto
sempre fuori o all'università o con le mie amiche, ma ancora ha di che lagnarsi,
la vacca! Per esempio, sai come ogni tanto mi vengono i crampi, specie se
studio per ore nella stessa posizione. Ecco, per qualche salto che faccio per
aiutare la mia circolazione a ripartire, mi bussa alla porta e mi abbaia dietro
non so che stronzate, aggiungendo poi "E comunque, hai lasciato i fornelli
sporchi", quando invece li pulisco sempre una volta terminato di cucinare
e in ogni modo mai più lerci di come li lascia lei! Anzi, con la scusa che ceno
sempre tardi per via delle lezioni, lascia la cucina apposta sporca, la
bastarda, così da costringermi a pulire al posto suo! Ma non mi permette di
usare i suoi detersivi, devo per forza provvedere da me! Insomma, m'ha preso
per Paris Hilton, che ha anche fin troppi quattrini da spendere? No, perché se
fosse stato il caso, mica andavo a vivere da lei, mi affittavo un monolocale
tutto per me! Oh, ti ho raccontato come mi scotenna, se le sposto qualcosa? No?
Beh, non sai che lavate di capo, se mi porto in stanza una tazza di tea, per
bermela mentre studio! Tutto deve essere esattamente come lo trovato, nella
medesima posizione! Argh!"
Sasuke
m'aveva ascoltata in partecipe silenzio, senza mai interrompermi. "Non ci
pensare, Naruko. Non prendertela. I vecchi sono fatti così: hanno le loro manie
e non c'è nulla, che tu possa fare per persuaderli a cambiare atteggiamento. Fidati, parlo per esperienza diretta. Se la
tua padrona di casa fa la tirchia, stai attenta che non si allarghi troppo,
togliendoti alcune cose che invece sono comprese nel contratto: non sia mai che
ti metta, ad esempio, in conto il riscaldamento come extra, quando invece è già
compreso nel prezzo d'affitto. Ah, e che non te lo alzi prima dello scadere del
contratto. E se la tua locatrice fa la bulla con te, dicendo che non troveresti
altrove un posto migliore e che dovresti essere grata di avere una stanza così,
etc. etc., tu replicale calma che certo, può avere tutti i locatari che vuole,
ma che non tutti sono gente tranquilla e degna di fiducia ..."
"Da
come me la racconti, anche il tuo locatore doveva essere stato uno stronzo
..."
"Non
era una persona molto piacevole con cui trattare", ammise Sasuke. "Piuttosto,
non hai considerato di trasferirti da tuo fratello? O di dividere un appartamento
magari con qualche amica? Se hai bisogno d'un anticipo, te lo posso dare io,
non mi crea alcun fastidio ..."
"Nah,
e sorbirmi lui e Gaara che fanno i piccioncini? Meglio sotto i ponti a questo
punto!", risi imbarazzata dalla sua offerta, sistemando i piatti nella
credenza così da celare il mio rossore. "E a te com'è andata invece la
giornata?", cambiai velocemente discorso, prima d'addentrarci in un campo
minato.
"Bene",
fu la concisa replica di Sasuke, mentre si sistemava in una posizione più
composta, sfogliando distrattamente una rivista abbandonata lì dal nonno.
Mi morsi
frustrata il labbro inferiore, sbuffando intimamente irritata. Ogni cosa a
Sasuke andava "bene", anche quando in realtà si trattava del
contrario. La sua ferrea introversione talvolta m'inquietava. Contrariamente al
giudizio superficiale di chi non lo conosceva bene, Sasuke non era uno stronzo
orgoglioso: possedeva invece un carattere sostanzialmente buono e affettuoso,
talvolta sorprendentemente generosissimo e disponibile verso amici e parenti
stretti. Purtroppo, però, simili qualità venivano distorte dal suo apparire
così selvatico, inavvicinabile. Sebbene ancora non me lo avesse confidato
apertamente, sospettavo che gli fosse accaduto qualcosa di assai grave, da
renderlo poco fiducioso nel suo prossimo. La mia personale teoria era che il
suo aspetto attraente e un notevole
talento sia nello studio che nel suo lavoro, gli avessero creato non poche
antipatie da parte di colleghi e conoscenti. La cosa mi mandava in bestia,
reputandola ingiusta: sicuro, Sasuke eccelleva spesso in qualsiasi cosa si
cimentasse, ma in quanto sgobbone. Durante i suoi anni di studente di medicina,
al posto di gironzolare cogli amici, dedicava al pronto soccorso o in
ambulatorio il suo tempo libero, facendo pratica di quanto appreso durante le
lezioni. Ammetto che all'inizio anch'io lo avevo un pochino invidiato (corso di
studi brillante, famiglia presente e amorevole, ...), per poi cessare quando
realizzai a che punto Sasuke ci soffrisse silenziosamente. Gli dava fastidio
essere invidiato, specie per risultati che anche gli altri, impegnandosi,
avrebbero potuto ottenere. Risultati che poi non gli erano cascati dal cielo,
bensì frutto di duri sacrifici. Sasuke però si teneva caparbiamente dentro
questo suo malessere, celandolo dietro una gelida indifferenza e alterigia. E
col tempo compresi le sue ragioni, giacché anch'io sotto sotto mi nascondevo
dietro una maschera di bugie, sebbene essa apparisse più allegra ed estroversa
rispetto alla sua.
"Bene
per davvero o per finta?", lo provocai, porgendogli una tazza di tisana e
sedendomi accanto a lui.
"Bene
per davvero", rispose con nonchalance, sorseggiando placidamente la
bevanda. "Perché sei venuta a prendermi all'ospedale. M'ha fatto
piacere", mi confessò.
Come tutti
i medici, Sasuke sapeva essere molto pignolo su queste piccolezze (o
carinerie).
"Non prenderci
troppo gusto: lunedì ritorno a Tokyo, lo sai."
L'uomo
annuì col capo, gli occhi offuscati da una lieve malinconia. "Potrei
venire a trovarti qualche finesettimana ...", mi suggerì speranzoso,
provocandomi un piccolo sobbalzo nello stomaco: pur di sottrarlo dalle avances
di Sakura-chan, gli avevo suggerito di non visitarmi a Tokyo a meno che non
fosse strettamente necessario. Mi vergognavo a confessargli questa mia intima
insicurezza, in quanto sospettavo quanto lo avrebbe offeso, indirettamente accusandolo
di essere un potenziale adultero. Nondimeno, non me la sentivo di rischiare,
gettandolo in pasto a quella famelica leonessa.
"E
dove pernotteresti esattamente?", ribattei scettica. "A casa mia con
la vecchia?"
Un lampo
birbante rischiarò le iridi carbone dell'Uchiwa. "Beh, visto che è tanto
dolce e accogliente ... Diamole una vera ragione per lamentarsi, stavolta ..."
"Saltiamo
in due sul futon?", sogghignai perfida, per poi schiaffeggiarmi
imbarazzata la fronte. Mi ero infatti accorta soltanto cinque secondi più tardi
del mio involontario doppio senso.
Arrossii di
nuovo violentemente.
"Non
solo: ci prendiamo pure a cuscinate! E sporchiamo i fornelli di salsa chili
coll'ananas, che s'appiccica peggio della colla e non la levi manco con un
esorcismo! Ovviamente, non puliremo alcunché, adducendo a mo' di scusa che non
avevamo i soldi per comprare né la spugna né il detersivo per piatti e
fornelli!", contenne Sasuke la mia "gaffe", intuendo il motivo
dietro il mio impappinamento. Il quale peggiorò, quando egli m'afferrò la mano,
cullandola tra le sue e baciandone furtivamente le dita, il tutto senza
malizia, anzi, con un giocoso e disarmante candore.
"Allora,
ti dovrò invitare più spesso!", sentenziai in apparenza stando il gioco,
in realtà nervosa da una non ben definita ansia. Mi sciolsi incomoda dalla sua
presa e balzando in piedi. Prontamente, a mo' di specchio, Sasuke m'imitò.
Confusa, sbattei le palpebre: "Perché ti alzi?"
"Non
ti stavi preparando per tornare a casa?", reclinò il capo un altrettanto
disorientato Uchiwa, aggrottando perplesso la fronte. "I tuoi genitori non
ti staranno aspettando? A meno che ..." e lasciò sospesa la frase,
socchiudendo gli occhi e arcuando perentorio il sopracciglio. "Li hai
rifilato la famosa balla dell'amica?"
"Beh,
non è proprio una balla, avevo sul serio intenzione di andare a trovare Ayako-chan
...", presi a rigirare colpevole il bordo del mio maglione. Non desideravo
che misinterpretasse la mia giustificazione: non era perché mi vergognassi di
lui, casomai non volevo complicazioni con mia madre, la quale si sarebbe
agitata peggio d'un tacchino, tampinandomi di domande sui miei spostamenti.
Sasuke
sospirò, massaggiandosi la tempia. "Ti riaccompagno a casa. A quest'ora
non mi garba, che te ne vai a zonzo da sola", dichiarò stancamente,
apprestandosi ad uscire dalla cucina così da pigliare il suo cappotto.
"Mi
cacci via?", gli chiesi senza riflettere, suonando inspiegabilmente
agitata. Sin da quando avevo varcato la soglia di casa Uchiwa, un bizzarro e al
contempo famigliare languore mi aveva gradualmente liquefatto le vene,
ammollendomi le gambe e rendendo leggera la testa, come quando si beve troppo. Sasuke
ed io avevamo trascorso appena due orette assieme; ciononostante, mi sembravano
una vita, quasi avessi sperimentato sprazzi di quotidianità di una me stessa
proveniente da un futuro neanche troppo lontano né chimerico ...
Ero
affascinata e al contempo intimorita dalla naturale complicità con cui mi relazionavo
con Sasuke. E viceversa, sicuro. Quasi c'avessero stampati uno per compensare
l'altro. "Vuoi che me ne vada?"
In un
battibaleno avvertii le mani dell'Uchiwa afferrare le mie, stringendomi in modo
tale da impedirmi la fuga, ma senza tuttavia imporsi su di me. Mani piccole ma
forti. Mani da medico. "Se dipendesse da me ...", sussurrò
leggermente roco, scivolando le agili dita dai miei polsi fino al mio viso,
incorniciandolo. "Non ti permetterei mai di lasciare questa casa ... Però
non sarebbe giusto nei tuoi confronti", aggiunse, scuotendo il capo. Affondai
le mani nei suoi capelli corvini, stavolta io che trattenevo lui , appoggiando
la mia fronte contro la sua. "Se c'è qualcosa che mi auguro (dire
"voglio" è azzardato), sarebbe di poter un giorno riuscire a buttarci
alle spalle quanto avvenuto in passato tra di noi e prima di noi e ricominciare
daccapo, assieme", mi rivelò Sasuke con sincerità disarmante,
solleticandomi l'orecchio col suo respiro. Abbassai languidamente le palpebre,
poggiando la testa sull'incavo della sua spalla, intrecciando ora le nostre
dita, mentre la pelle della mia schiena rabbrividiva ipersensibile alla lieve
pressione della mano dell'Uchiwa. I nostri petti, premuti ora uno contro
l'altro, sincronizzavano il battito sempre più accelerati dei loro cuori.
Timidamente,
m'azzardai a levare lo sguardo, imbattendomi in un paio d'iridi nere,
nerissime, liquide e dilatate, che m'avvolgevano amorevoli, trascinandomi però
al contempo in un abisso da cui non sarei mai più riuscita emergere né loro me
l'avrebbero d'altronde permesso.
Li concessi
di catturarmi, firmando la mia volontaria prigionia in un bacio cauto,
discreto, un lieve contatto più di prova che d'appassionato trasporto. Vedendo
che non rifuggivo al suo tocco e che anzi il mio corpo si rilassava, abbandonandosi,
al tenero abbraccio, Sasuke m'accarezzò dolcemente la guancia col pollice,
congiungendo nuovamente le nostre labbra, stavolta con maggior decisione ma comunque
senza bruciare le tappe. Ci viziammo con una lenta scoperta delle rispettive
bocche, gote, palpebre, fino a scendere giù lungo il collo, scoprendo,
annusando, accarezzando, mordicchiando. Ci riempiemmo l'un l'altro del rispetto
sapore, odore e calore, rubandoceli e mischiandoceli.
Entrambi
perdemmo il giudizio, annegando in un'arcana euforia, permettendo che essa
azzerasse ogni pensiero razionale, accantonandolo, per concederci l'ardente
temerarietà di infrangere le ultime barriere rimaste. Mi lasciai condurre nella
stanza di Sasuke e fu in quel momento che l'entusiasmo iniziale si raffreddò,
sostituendosi ad una paura folle d'apparire ridicola o brutta o goffa, di
sbagliare, di deludere. Arrossii di vereconda anticipazione mentre, baciandoci,
ci spogliavamo a vicenda, imparando a conoscere i nostri corpi nella loro forma
più semplice, intima.
E
nonostante i miei timori, non credo d'aver mai provato tanto amore verso il mio
partner come in quegli istanti. Il mio sentimento per lui mi squarciava il
petto e gli avrei offerto il mondo intero, se solo me l'avesse chiesto. Risi di
cuore, stringendolo al petto, quando lessi negli occhi di Sasuke la mia stessa
appassionata emozione.
O forse
piansi di gioia, chissà, poiché Sasuke - sopra di me, dentro di me - a sua
volta sorridendomi dolcemente mi asciugava piano gli occhi, baciandomi le
palpebre, la fronte, la punta del naso.
Sei il mio
tutto.
Dopodiché
... fu solo il delirio di fare l'amore.
Sfrenato.
Sconvolgente. Tirannico.
Prendemmo e
ricevemmo.
Conquistammo
e capitolammo.
Legandoci
indissolubilmente, come tralci di vite.
"Allora,
adesso siamo sul serio una coppia?"
"Certo
che sì!"
***
Come convenuto via e-mail, Terumi Mei incontrò Tobirama
nel cortile del tempio dedicato a Jizō, il bodhisattva [1] protettore dei
bambini. L'horror writer se ne stava lì, in piena solitudine mattutina, a
contemplare le statuette rappresentanti i feti commemorati durante il Mizuko
kuyō, accarezzando con lo sguardo quelle sciarpine e cappellini rossi, assieme
ai biberon e ad altri oggetti legati ad un neonato, i quali conferivano un che
di malinconico a quella pingue fila di sorridenti e immobili soldatini.
La giornalista, che fino a quel momento aveva nutrito
qualche scetticismo circa la scelta del luogo per l'intervista, dovette
ricredersi, giudicando ora più che mai sensata l'insistenza dell'horror writer.
Non avrebbe potuto indicarle un posto migliore, specie considerando il tema
trattato ne L'Appuntamento. Forse
l'artista peccava un po' d'eccessiva teatralità, ma era anche possibile che si
fosse trattata di una specifica richiesta della protagonista del romanzo, la
quale aveva specificatamente optato per il tempio come rendezvous. In tutta
onestà, Mei fremeva dall'aspettativa sia d'intervistare Tobirama (la cui
riluttanza a certe pratiche pubblicitarie era oramai divenuta leggendaria) sia
di vedere Namikaze Naruko in carne ed ossa. Sebbene convinta elmetto rosa [2] e
attivista, alla donna quella ragazza non era risultata totalmente antipatica,
anzi, in alcuni punti aveva provato una forte empatia nei suoi confronti,
giacché costretta a subire pesanti conflitti interiori frutto di una società
ancora fortemente maschilista. Sotto alcuni aspetti, benché non avesse del
tutto approvato la sua scelta finale, la rispettava. Togliendo poi l'elemento
"horror", andava sottolineato come ciò che Naruko aveva passato,
altre giovani e meno giovani donne lo avevano in antecedenza sperimentato (e ancora lo stavano sperimentando) rendendo
di conseguenza la giovane ancora più umana e vicina ai lettori, senza però idealizzarla
nella sua trasposizione da persona reale a "personaggio".
"Buongiorno, Senju-sensei", fu il cortese
saluto della giornalista, mentre s'inchinava dinanzi all'horror writer, che si
rialzò in piedi, cessando la contemplazione di una particolare statuetta.
"Buongiorno a lei, Terumi-san", ricambiò,
inchinandosi a sua volta. "Ci ha impiegato molto a venire qui? L'autobus
era puntuale?"
"Non si preoccupi, si è trattato di una mezzoretta
assai piacevole!", sorrise incoraggiante la donna, la quale,
effettivamente, ad un certo punto aveva temuto d'essersi sul serio persa tra
quelle stradine strette, sterrate e male indicate della provincia profonda. Non
era stata una saggia decisione quella di affidarsi ai mezzi pubblici ...
"Piuttosto, la volevo ringraziare per la sua disponibilità e per avermi
accettata come sua intervistatrice!"
"Si figuri", si schermì Tobirama.
"Leggendo i suoi articoli, m'è subito risultata simpatica."
Mei arrossì di circostanza. "Lei m'adula,
Senju-sensei ..."
"No, affermavo semplicemente il vero", venne
corretta dall'horror writer, nel frattempo che si dirigeva verso l'uscita del
tempio. La giornalista partì immediatamente e d'istinto al suo inseguimento,
guardandosi però indietro disorientata.
"Mi scusi, ma non dovevano aspettare Namikaze-san
per ...?"
"Non ancora", tagliò corto Tobirama, sedendosi
alla prima panchina e invitando Mei a fare lo stesso. "Quando entreremo in
discorso, ritorneremo al tempio e lì saprà tutto ciò che vuole su Naruko."
La donna convenne lentamente, reclinando il capo e
socchiudendo gli occhi in una linea sottile.
E' dubbiosa, notò
l'artista con una nota di malevola malizia, e
anche molto sospettosa circa una bidonata concepita a sue spese. Meglio,
contraddire gli scettici risultava tra i suoi passatempi preferiti. Non a caso,
come professione, aveva eletto un genere che molti consideravano per default
"assurdo", "impossibile", "fantastico". E non
sbagliavano, il più delle volte. Ma in quelle rare eccezioni, tuttavia, in cui
s'affermava il vero ...
"Dunque", si schiarì la voce la giornalista,
tirando fuori un mini-registratore e un block-notes. Vecchia scuola. Tobirama
sospirò di sollievo. I giornalisti super-tecnologici avevano sempre suscitato
nel suo cervello un'ansia da cataclisma. "Innanzitutto, vorrei scusarmi in
anticipo se non rispetterò una struttura nelle domande. E' il mio metodo: non
..."
"... non vuole che io mi costruisca delle risposte
in anticipo, una volta compreso il "pattern". D'accordo."
La signorina Terumi non si fece di certo intimidire da
quella prontezza nel ribatterle a tono. "Perfetto! Incominciamo, allora,
che ne dice?", proseguì con studiato entusiasmo. E, dinanzi al grave cenno
affermativo dell'horror writer, si schiarì la voce, formulando la prima
domanda: "Non ho potuto evitare di notare un'incongruenza temporale nel
romanzo: Namikaze-san parla infatti di vicende avvenute "sei anni fa", pertanto lei starebbe
in teoria narrando in un ipotetico 2004. Invece, il romanzo è stato pubblicato
solo quest'anno, nel 2008, ergo dieci anni più tardi considerando il 1998 come
data di riferimento. La mia domanda è: Namikaze-san le ha in pratica raccontato
la sua testimonianza nel 2004 e non quest'anno, come dichiarato nel prologo? Se
è così, per quale motivo, l'ha trascritta
adesso e non prima?"
Tobirama incrociò le braccia al petto, roteando gli occhi
in alto quasi cercasse nelle fronde degli alberi le risposte più esaustive.
"Ha ragione, Terumi-san, le date non coincidono. Il fatto è che già nel
2004 avevo gettato giù una prima bozza de L'Appuntamento.
Ma poi l'ho accantonata, in quanto ignoravo se fosse o meno il caso di
pubblicare qualcosa di sì privato e sofferto, offrendolo ad un pubblico magari
non particolarmente ricettivo. Tuttavia, di recente sono successe alcune cose
che mi hanno instillato una lunga e accurata riflessione, circa le potenzialità
di questa storia. Naruko stessa ha insistito a riguardo. Per questo motivo, ho
voluto mantenere la data originale."
"Namikaze-san e lei sembrate possedere un rapporto
molto stretto, quasi esclusivo. Il modo in cui ha descritto i suoi pensieri ...
Talvolta vanno al di là di un semplice resoconto: l'immedesimazione è
straordinaria!", rimarcò Mei. "Il suo partner non ne sarà per caso
geloso?", scherzò, indicando con la testa Izuna, il quale li stava
osservando da lontano, appoggiato col dorso della schiena sulla macchina.
L'horror writer gli aveva chiesto il favore di venire seco all'intervista, a
mo' di sostegno morale. Izuna s'era dimostrato un poco riluttante, non gradendo
infatti frequentare simili luoghi, in particolare dove si posavano le statuette
per i Mizuko. Ma aveva ceduto con la promessa d'aspettare distante e in
disparte. Da lì quel compromesso.
"No, non nutre alcuna gelosia, si fida ciecamente di
me. E comunque, non è soltanto un compagno, lui ed io siamo sposati."
"Davvero? Ma il suo cognome ..."
"Lo esclusivamente per firmare i miei romanzi, anche
se ammetto che, alas, pochi mi chiamano col cognome di mio marito. Abbiamo
condotto ogni cosa discretamente, non ci piace fare pubblicità sulla nostra
vita!"
"Lo trovo assai comprensibile. Essendo voi due
coniugi, come dire, fuori dal comune, avrete sicuramente rotto molti usi e costumi,
no?"
"Dipende dal punto di vista", scrollò le spalle
Tobirama. "Noi ci consideriamo una semplice coppia, né più né meno."
"Quindi lei ha conosciuto quando Namikaze-san? Prima
o dopo il suo matrimonio?"
"A dire il vero, la conosco da una vita ...", e
qui l'horror writer s'interruppe, ridacchiando. "Mi perdoni il tono
melodrammatico. Non ho saputo resistere. No, seriamente, Naruko ed io ci
conosciamo da quando avevo quattordici / quindici anni ..."
***
Venerdì, 6 febbraio 1998
- il giorno dell'Appuntamento -
Che strano rammentare le dinamiche che ci portarono a
divenire una coppia, proprio ora che Sasuke ed io sembravamo destinati a
lasciarci, guarda caso il giorno del nostro anniversario.
Ma ancora più bizzarro era stato il modo assolutamente
particolareggiato, con cui avevo rivissuto quell'evento, neanche fossi stata lì
presente in veste di protagonista attiva, invece di limitarmi all'umile ruolo
di mera spettatrice. Evidentemente, il mio cervello stava tentando d'elargirmi
gli ultimi istanti di felicità condivisa con il mio fidanzato, prima della
rottura definitiva. Oppure, il disgraziato mi stava vilmente tormentando,
presentandomi perfido ciò a cui avevo rinunciato a causa della mia stupidità.
Intontita dai farmaci e dallo spavento preso il giorno
precedente (sì, a giudicare dalle pareti d'un bianco clinico e dalle lunghe e
scure ombre del mobilio spartano dovevo aver trascorso almeno una notte in
ospedale), abbandonai forzatamente ogni riflessione su quanto stesse per
accadermi. Oramai, poco o niente m'importava sul serio, se non la salute del
mio bambino. Il terrore provato durante il mio scontro col Mizuko e la tremenda
consapevolezza, che quella creatura volesse la morte di mio figlio, furono il
brusco risveglio di cui necessitavo. Basta coi consigli, cogli altrui pareri.
Il piccino doveva vivere, il resto non mi toccava più.
Ma - e qui la dolorosa questione - in seguito a quella
caduta giù per le scale, a quale sorte era andato incontro? Era sopravvissuto?
Pregai che fosse così. D'altronde, avevo percepito come l'impatto fosse stato
attutito da qualcosa (o qualcuno, chi però?), ciononostante rimanevo scettica
dell'efficacia di quel gesto. Occorreva un nonnulla per provocare un indesiderato
ed accidentale aborto, bastava
considerare quanto successo a Shisui-san.
Un doloroso groppo in gola mi si formò al pensiero di
come quel davvero banale incidente - uno scivolone! - avesse invece sottratto
alla donna il suo effettivo secondogenito.
Tirai su col naso.
Curioso come io ora desiderassi ardentemente la vita di
un essere, del quale avevo in precedenza progettato la morte.
Era colpa mia. Soltanto mia.
Avevo voluto mio figlio morto e forse ero stata
accontentata. Il Mizuko aveva provveduto prima del medico.
Mi strinsi le braccia al ventre, scorrendovi affranta le
mani all'inutile ricerca della presenza della minuscola creatura che se n'era
rimasta lì indisturbata per quasi due mesi. Guardando il soffitto, permisi a
copiose lacrime d'offuscarmi la mia già poco affidabile vista.
Venni travolta violentemente dalla disperazione più nera,
ancora più tremenda rispetto a quella sperimentata il giorno prima, e digrignai
i denti, mordendomi la lingua pur di non gridare.
Mi sentii talmente persa e devastata, da invocare un
soccorso a me totalmente estraneo, se non proprio incomprensibile. Un mese
addietro mi sarei data della folle, nel vedermi così fiduciosa in un qualcosa
in cui nemmeno credevo né ero mai stata educata a farlo. Ma in quel terribile
momento, non riuscivo a trovare alcuna fonte di consolazione se non quella,
l'ultima e più inaspettata spiaggia.
Maria-sama
... mi rivolgo a Te perché mi ricordo
d'averti sempre vista raffigurata con un Bambino, che se non erro dovrebbe
essere Iesu-sama da piccolo ... In ogni modo, in quanto madre, di sicuro
capirai la mia situazione. Non mi sto giustificando, anzi, ammetto le mie
colpe ... Quel che voglio dire è che
certamente Tu potresti intercedere presso Tuo Figlio per far vivere il mio. Non
oso chiederlo direttamene a Lui, manco m'ascolterebbe. Cosa gliene dovrebbe
importare di una miscredente come la sottoscritta? Si metterebbe a ridere,
dicendomi di andare a rompere le scatole colle mie richieste al Buddha o chi
altro ... Ma forse Tu potresti metterci
una buona parolina, sei Sua madre in fin dei conti, i figli ascoltano sempre i
genitori, no? Ecco ... se il piccino dovesse sopravvivere, prometto d'amarlo
con tutta me stessa, più ancora di quanto già non lo ami adesso, e di crescerlo
da bravo Kirisutokyouto! Sposerò suo padre! E ... e mi convertirò pure! Lo
faccio! Però, per favore Maria-sama, Te lo chiedo da madre a madre (se lo sono
ancora), fai che il mio bambino possa nascere! E se non per me, fallo per
Sasuke! Non merita questa cattiveria, anche se io per prima gliela stavo per
fare, alle sue spalle per giunta! Salva mio figlio! Te lo supplico! Salva mio
figlio!
Farfugliai mentalmente questa preghiera, tappandomi la
bocca singhiozzante e, piangendo forte la mia infinita afflizione, mi
raggomitolai ironicamente proprio in posizione fetale, sperando in una
qualsiasi forma di conforto e soprattutto di conferma, che la mia richiesta
aveva trovato ascolto.
In corridoio, nel frattanto, s'alternavano sussurri e
discussioni soffocate, le quali sortirono il benvenuto effetto di cullarmi poco
a poco in un torpore profondo, senza sogni.
Fu verso la tarda mattinata che, entrando in una sorta di
dormiveglia, riuscii a captarne dei frammenti.
"Ti vedo un po' rattoppato, Sas'ke, però mi consola
che tu stia bene. Ma dimmi un po', Itachi, non è eticamente scorretto operare
uno di famiglia? Non violate il giuramento d'Ippolito?"
"Casomai sarà d'Ippocrate e comunque no, si è soltanto
trattato di un banale scivolone ... Niente di che ... La colpa è tutta di questo
bischero che come al solito ha voluto fare la primadonna, insistendo di
medicarmi di persona! Tzé, se non fossi stato mezzo in deliquio l'avrei fermato
..."
"Primadonna un corno: intanto, hai battuto la testa,
quindi in stato decisamente confusionario; dopodiché, ti sei beccato tre punti
vicino all'occhio destro, roba da dialisi a momenti! Dulcis in fundo, ti sei slogato
il polso con annessi lividi ovunque! Mi
devi dieci anni di vita, stronzetto!"
Era stato lui? Era stato dunque Sasuke ad avermi impedito di ruzzolare giù
per le scale?
Perché avrebbe dovuto farlo dopo quanto udito da mia madre?
Perché?
Non mi odiava? Non mi disprezzava per la mia decisione d'abortire?
"Grazie, Itachi-nii, per questa tua lista esaustiva
ed inutile."
"Dovere, stupido fratello. Insomma, anche se
professionalmente non molto appropriato, t'ho pur sempre ricucito io! E,
modestie a parte, con ottimi risultati: adesso sei più figo di prima, assomigli
alla versione maschile di Sally di "The
Nightmare Before Christmas"! O mi sbaglio, Sacchan bello-bello di
Niisan? Chi t'ha ricucito, eh? Chi t'ha ricucito? Pucci- pucci!"
"Ma tu chi sei? Non ti conosco, razza di pagliaccio
rincoglionito! Pussa via!"
"Eh? Mi vai in mode Pīta-sama ora? Mi rinneghi?"
"Chi ti credi di essere, balengo blasfemo? Iesu
Kirisuto-sama?"
"Ehm, cambiando discorso ... Sas'ke, insomma, come
mai ti trovavi a casa mia?"
Silenzio.
"Menma, sai tu perché Naruko non mi ha chiamato in
questi ultimi giorni?"
"Uhm ... no!"
Bugiardo.
"Perché oggi doveva abortire. Voleva disfarsi di un
bambino avuto da un altro ... Hé, ti ho già detto che oggi è anche il nostro
anniversario?"
No.
Non spargere sale sulle ferite.
Anche se ne avresti ogni diritto.
"Senti, Otōto, guarda che non è vero niente e chi
sostiene il contrario è una gran carogna!"
"E se fosse invece così, Itachi-nii? Chi m'assicura?"
"Ma no, scemo! Quella è una balla di mia madre! E mi
sorprende che tu ci creda! Quella paperotta della mia imōto che ti fa le corna?
Ma quando? Ma dove? Nei film di
fantascienza, forse! Se non ha occhi che per te! Ieri m'ha telefonato
piangendo, mezza matta, alla sola idea che tu la potessi scaricare!"
"E allora, perché tutto questo teatro?! Perché
tacermi del bambino?!"
Perché avevo stupidamente paura, che tu mi volessi solo a causa sua.
Che tu mi legassi a te.
Non sapevo, che ci appartenevamo l'un l'altro prima ancora del suo
concepimento.
"Hé ... la paura ... l'incertezza ... nostra madre
... La povera Nacchan si è trovata a gestire una situazione più grande di lei!
... Senti, Sas'ke, levati un po' d'immondizia
dalla testa e ragioniamo da persone adulte: lei ti ama, ti è sempre stata
fedelissima, il piccino è tuo,
punto!"
"Concordo con Menma-kun: Otōto, assumiti le tue
responsabilità e basta con l'onanismo mentale!"
"Ma se davvero Naruko m'ama così tanto, se davvero
il bambino è mio, perché farmi questo?! Perché non ha voluto confidarsi con me?!"
"Donne, mio caro, donne! Ragionano col mestruo e ...
Ahia! Moglie! Quello faceva male! Ohiohi ..."
"Suvvia, Sasuke-kun! Posso immaginare quanto la
mancanza di fiducia da parte di Naruko-chan ti abbia ferito, perciò sii tu più
maturo e concedile la tua!"
"Ad una che mi evita come la peste? Eh, Shisui-nee?
A lei dovrei concedere fiducia, quando ..."
"Uffa, che testone! Se non c'arrivi, te lo spiego io:
allora, mia sorella ...!"
"No, Menma! No! Che sia Naruko a raccontarmi la
verità! Lei sola! Sono stufo di questa sfilza di balle, mica-balle, mezze-balle
rifilatemi da voialtri! Specialmente tu, Itachi-nii! Sei un infame sporcaccione!"
"Io? E cosa t'avrei fatto io, adesso?! Ciò, ti pigli
tre sberle, sai?"
"Mi tieni nascoste le cose! Omertoso! E io che ti
telefonavo sperando in un tuo aiuto!"
"E te ne accorgi soltanto ora che ti rifilo panzane?"
"Piuttosto, se Naruko-chan ti confessasse ogni cosa,
le crederesti? E, se fosse il caso, la perdoneresti per aver progettato
d'abortire?"
Come mai quell'attimo d'esitazione, Sasuke?
Bruciava troppo la ferita con cui ti avevo straziato il cuore?
Non ti avrei biasimato, in caso m'avresti serbato rancore ...
"Può anche darsi di sì, Shisui-nee, potrei ... No, non potrei ... la perdonerò, come posso non perdonare quella
delinquente? Basta che mi guardi mesta e contrita con quegli occhioni azzurri e
le casco ai piedi peggio d'una pera cotta ..."
Eppure ...
Tu ...
"ARGH!!! Maledizione, lo sapevate tutti ch'era
incinta! Proprio tutti! E mi avete fatto passare per il gonzo di turno! Dannati
cospiratori! Vi odio!"
"Tecnicamente, caro il mio Baka-chan, non lo
sapevano neppure Kaa-san, Ojiisan, i tuoi nipoti, Minato-shi, la coinquilina e le
amiche di Naruko-chan, mezza Konoha, la facoltà di lettere, l'intera Tokyo
..."
"Itachi-anata?"
"Sì, tesoro?"
"Non stai aiutando il tuo otōto."
"Non è neanche mia intenzione farlo. Anzi, ci tengo
pure ad aggiungere che Sas'ke-kun, oltre ad essere un grullo, è pure cieco. O
guercio, viste le sue attuali condizioni. Insomma, pirla! Come hai fatto a non
accorgerti della gravidanza della tua fidanzata? Mi fallisci nella ostetricia
di base? Vergogna!"
"Naruko ha sempre avuto il ciclo irregolare! Eppoi,
mica compare una scritta col neon, sai?"
"Secondo me, non te ne saresti ugualmente reso
conto! Cosa mi posso aspettare, d'altronde, da uno che ha preso
un'insufficienza nella verifica sull'apparato riproduttore e sulla gravidanza?"
Risolini.
"Ancora con quella storia?! Frequentavo le
elementari, dannazione! E tu non mi aiutavi, ridacchiando come un babbuino
mentre ripassavo a voce alta!"
Divertiti grugniti a malapena soffocati.
"Mi biasimi? Avevo tredici anni, gli ormoni a palla,
a Shisui incominciava ad ingrandirsi il seno e tu giravi saltellando per casa
ed elencavi tutti i componenti degli organi genitali con una tale espressione
concentrata, ch'era impossibile non ridere! Chiudevi perfino gli occhi!"
Ruggito di risate.
"Ma tu non puoi andare a cagare, Itachi?!"
"Quando mi verrà lo stimolo, terrò a mente il tuo
consiglio."
"Sempre parole dolci vi riservate voi due, eh?"
"Tutti i giorni della settimana e due volte alla
domenica!"
"Se non avessi il polso destro fasciato, vedi con
che dolcezza ti rifaccio il naso!"
"Suvvia, Sacchan, così si tratta il tuo fratellone
che ti cambiava il pannolino?"
" Certo che la conversazione qui sta raggiungendo
tali livelli di maturità ..."
"Tu hai dei seri problemi mentali ... Se non fosse
per Shisui-nee, t'avrei fatto levare secoli addietro la patria potestà sui tuoi
figli ..."
"Tsk, ne riparleremo quando nascerà il tuo di
figlio, Otōto , anzi, Otōsan ! Ihihihi!!"
"Itachi, mi fai paura ..."
"Fai bene ad averne!"
"Invece, Sasuke-kun, dai retta a tua cognata e chiarisciti
con Naruko-chan. E' imperativo per entrambi, sarebbe stupido da parte
vostra troncare senza neppure una
spiegazione! Altrimenti, al prossimo incontro di Taizé ti costringo a cantare
tutta la sera! E in swahili! Hai capito?"
"Avrei preferito di no ..."
"Pardon?"
Non mi pervenne la replica di Sasuke. Molto
probabilmente, mi ero di nuovo riaddormentata, troppo spossata per dare una
qualsivoglia considerazione a quanto mio malgrado origliato. Sperai soltanto
che Sasuke seguisse il consiglio del fratello, della cognata e di Menma-nii,
concedendomi almeno un'ultima confessione.
Le mie labbra tuttavia s'incurvarono in un tremulo
sorriso e una tiepida sensazione di sicurezza sui prossimi eventi mi riscaldò
nel profondo il cuore, confortandomi che forse non tutto era perduto, che forse
invero la speranza era sempre l'ultima a morire.
~~~
Confesso che, al mio risveglio definitivo, rimasi
leggermente delusa nell'imbattermi in Shisui-san, invece del mio fidanzato. Avevo
in effetti romanticamente sperato di vederlo lì, magari mezzo-addormentato, in
attesa che mi destassi, pronto al confronto. Sua cognata, che se ne stava
placidamente seduta al posto suo accanto al mio letto, ricambiò imperturbabile
il mio poco entusiasta saluto con uno dei suoi usuali sorrisi sibillini.
"Sasuke-kun ti ha vegliato fino adesso", mi
rivelò serafica, neanche m'avesse letto nei pensieri. "S'è soltanto
assentato per andare al gabinetto e ovviamente tuo fratello e mio marito l'hanno
seguito con la scusa d'assisterlo, in realtà per sfotterlo ulteriormente."
Dietro al bicchiere gentilmente offertomi, ridacchiai
impunita.
"Non immaginavo che Itachi-san potesse dimostrarsi
così ... infantile e dispettoso nei confronti di Sasuke ..."
"Oh, non lo è di solito", mi rassicurò
Shisui-san, arrotolandosi leziosamente un ricciolo al dito. "Mio marito si
comporta da totale idiota soltanto quando deve scaricare un grave stress
emotivo. Una valvola di sfogo, ecco, e sempre ai danni di suo fratello,
ovviamente. In ogni modo, non so quanto tu ti rammenti di ieri, ma sia tu che
Sasuke-kun siete venuti all'ospedale in ambulanza. Le tue condizioni non
apparivano molto gravi, invece mio cognato aveva battuto malamente la testa e,
siccome Itachi aveva appena rimesso piede in ospedale, ha insistito per
assisterlo di persona dopo averlo scorto in barella. Non avrebbe dovuto e spero
che il primario non gli scassi le scatole a riguardo, ma tu conosci gli Uchiwa
... hanno il legno al posto del cervello, non li schiodi da un loro proposito
manco a morire!"
Annuii stancamente, appoggiando la schiena sui cuscini.
"Che motivo c'era di ferirsi così per una poco di
buono come me?", commentai infelice. "Sciocco d'un Sasuke-teme
..."
Sua cognata appoggiò la sua mano sulla mia spalla,
scuotendo il capo in diniego. "Ci tiene a te. Può imbastirti un broncio
epico ed interpretare il ruolo dell'acido bastardo, ma sotto-sotto egli ti ha
posto su di un piedistallo d'oro e non avrebbe mai permesso che ti ferissi o
che perdessi il bambino."
"Anche se di un altro?"
"Suvvia, Naruko-chan, non prendiamoci in giro",
mi chetò seccamente Shisui-san.
Mi passai sospirando una mano sulla fronte, massaggiando
in seguito la radice del naso.
"D'altronde", riprese la donna, sistemandosi
meglio sulla sedia, dolendole infatti un poco la schiena per via del pancione,
"adesso che Sasuke-kun sa della tua gravidanza, lo farebbe doppiamente
soffrire la consapevolezza che tu abbia deciso in via definitiva
d'abortire."
"Doppiamente?", inquisii confusa.
Il volto di Shisui-san assunse un'espressione
malinconica, che neanche quel suo mezzo sorriso poté mitigarla. "Quando
persi il mio bambino scivolando, stavo correndo verso la fermata della
corriera. Ricordi?"
Le feci cenno di sì.
"Stavo accompagnando Sasuke-kun a prendere il
pullman. All'epoca era ancora uno studente di medicina. Lui si lanciò
immediatamente in avanti per affermi, mancandomi però di qualche centimetro.
Quando seppe dell'aborto, si biasimò per molto tempo, sostenendo che fosse
colpa sua se avevo perduto il bambino, visto che aveva insistito affinché ci
recassimo assieme a prendere la corriera. Ovviamente, nessuno era da incolpare
se non il ghiaccio e la neve, ma in quel momento eravamo tutti molto scossi
e arrabbiati. Ci dicemmo cose poco
piacevoli e occorse del tempo, prima di perdonarcele. Oramai è acqua passata,
ma sospetto che Sasuke-kun ancora se ne
voglia grandemente ..."
Questo spiegava molte cose, in primis il pallore
cadaverico sul suo viso quando aveva udito da mia madre la mia decisione
d'abortire. Lì per lì avevo creduto trattarsi dello shock dovuto ad una altrui
paternità, ma ora comprendevo che il suo turbamento era riconducibile alla
spiacevole esperienza capitatagli.
E malgrado la sua intrinseca tristezza, non riuscii a
trattenere un sogghigno amaro, ben presto imitato dalla mia interlocutrice.
"Sei davvero una manipolatrice nata, Shisui-san. Stai usando ogni tua
risorsa pur di non farmi abortire?"
"Esatto e aggiungerei pure in maniera spudorata.
Voglio inculcarti quanti più possibili sensi di colpa", dichiarò ella giocosamente
bellicosa. "Ciò che ti ho raccontato corrisponde tuttavia alla realtà. Non
mentirei mai su questo genere di cose", ritornò subito seria,
inchiodandomi coi suoi grandi occhi scuri.
"Non m'azzarderei mai, anzi, penso d'aver finalmente
capito molte cose su di Sasuke", ribadii altrettanto onesta.
"Comunque ti devo ringraziare."
Shisui-san sbatté le ciglia perplessa.
"All'inizio credevo che tu non mi sopportassi ...
Poi però ho compreso la tua apprensione circa la mia scelta, specie se ho
involontariamente rievocato in te dei tristi ricordi ... Mi ha aiutato molto a
riflettere."
In particolare riguardo al Mizuko: giunsi infatti alla
conclusione, che doveva essere appunto quel figlio mai nato d'Itachi-san e
Shisui-san, il quale, per vendetta, aveva deciso di perseguitare lo zio,
l'indiretto responsabile della sua prematura morte. Non potevo spiegarmelo
altrimenti: perché sia io che sua madre riuscivamo a vederlo e non gli altri?
Perché tormentarmi così, arrivando quasi ad uccidermi? A provocare il decesso del
suo "cugino"? Sebbene Shisui-san fosse convinta della pace eterna
ottenuta dall'anima del piccino, questi al contrario era ben lungi dall'aver
perdonato Sasuke, arrivando a colpirlo là dove più gli faceva male, ovvero suo
figlio e me, la cui morte l'avrebbe devastato e al contempo avrebbe pareggiato
i conti tra lui e il nipote.
Questa consapevolezza non mi diede alcuna consolazione, sebbene
non mi provocò lo stesso alcuna forma d'agitazione. Piuttosto, avendo scoperto
infine l'identità del Mizuko, mi sentii doppiamente determinata nel mio
proposito di far nascere il mio bambino.
"Vi disturbo?", bussò Sasuke alla porta,
rimanendo rispettoso mezzo fuori e mezzo dentro alla stanza.
Sua cognata ed io ci voltammo; dopodiché la prima si pose
goffamente in piedi, dirigendosi caracollante verso di lui. "No, figurati.
Sai a proposito dove posso trovare tuo fratello?"
Il mio fidanzato divenne scarlatto. "Lo trovi
assieme a Menma in sala d'aspetto. Minato-shi ci ha appena raggiunti e quei tre
non la smettono di pigliarmi per i fondelli ..."
"Rassegnati, Sasuke-kun: questo è solo l'inizio.
Vedrai a che livelli arriveranno i loro sfottò quando ...", ma qui la
donna s'interruppe, scoccandomi una significativa occhiata. "Vi lascio da
soli. Avvertitemi tramite l'infermiera se necessitate di qualsiasi cosa",
si congedò da noi, uscendo dalla camera e chiudendo saggiamente la porta.
Un incomodo silenzio scese tra Sasuke e me, nel frattanto
che guardavamo ovunque, tranne i nostri visi. Sennonché il mio fidanzato,
sbuffando a mo' di incoraggiamento, si sedette alquanto sgraziatamente sulla
sedia disertata dalla cognata, congiungendo nervoso le mani prima sul grembo,
poi sul letto, a qualche spanna dal mio fianco.
Dal canto mio, lo spiavo avidamente di sottecchi,
sanguinandomi infatti il cuore dinanzi allo stato pietoso in cui versava.
Ciocche disordinate di capelli corvini gli fuoriuscivano dalle strette bende
alla testa e Sasuke teneva l'occhio destro semichiuso, illividito dal colpo e
raggrinzito a causa dei tre cerotti sterili atti a coprire i punti. Si
massaggiava con evidente disagio il polso destro, anch'esso fasciato,
umettandosi il labbro spaccato dal pugno di mia madre; lo sguardo solitamente
fiero era abbassato, colpevole e infelice, come quello d'uno scolaretto
pizzicato mentre marinava la scuola. Pareva assai evidente come avesse preso in
pieno l'impatto della caduta, attenuando la mia fin quasi a non farmi sentire
praticamente nulla. Le macchioline rossicce di sangue sul colletto della
camicia ne fungevano da chiari testimoni.
Allungai di riflesso la mia mano per afferrare e
stringere la sua (quella sana), sussultando di perversa gioia nel sentire
ricambiato quel mio timido gesto.
"Il dottore", si decise a parlare Sasuke,
"mi ha riferito che ... che il bambino ... insomma, che non hai perduto la
creatura."
La sua mano prese a tremare leggermente, inumidendosi
appena appena di un sottile strato di sudore.
Il mio cervello, invece, cantava a squarciagola ringraziamenti
al cielo e sotto le coperte, di nascosto, mi accarezzai rincuorata il ventre,
salutando così quel piccino che già dall'utero dimostrava di possedere la
rinomata testardaggine degli Uchiwa. Mi era stata concessa una seconda chance
per amarlo, per rimediare alla mia avventata e sciocca decisione.
Sorrisi segretamente tra me e me, confondendo di
conseguenza Sasuke, il quale dimostrava al contrario un'aria afflitta da cane
bastonato. Povero caro, temeva che, col
suo gesto, m'avesse fatto un grosso dispetto. e dovetti reprimere a viva forza il
desiderio d'abbracciarlo forte e di baciarlo, rassicurandolo dell'opposto. Tuttavia,
non ebbi il tempo di replicare, che subito egli m'imbastì uno dei discorsi più
sconclusionati che avessi mai ascoltato (almeno provenienti da lui) sbrodolando
agitato dall'inizio alla fine:
"Naruko ... so
che non ne avrei il diritto, sei tu la madre ma ... ecco, io ... quando ti ho
afferrata per le scale, non avevo pensato solo alla salute del bambino, cioè
... sì, forse un poco, ma .... volevo che entrambi non vi feriste e non ... sia
tu che lui (o lei) siete importanti e
... A che ora hai l'appuntamento? ... E' oggi? Ascolta, io vorrei tanto che tu
decidessi di tenere il bambino, per me avere un figlio da te sarebbe come
realizzare un sogno tabù però ... se proprio vuoi andare fino in fondo, permettimi
almeno di restarti accanto!"
Se non avessi avuto la certezza della sua identità, di
certo non avrei mai collegato quel giovane balbettante coll'altero Uchiwa
Sasuke, colui che tutti additavano come una gelida carogna, uno stronzo
patentato. Dinanzi a me si trovava una persona confusa, ferita e ciononostante
disposta ad un pur sofferto compromesso, tutto pur non di perdermi.
Che avevo combinato di tanto onorevole, per meritarmi siffatto
riguardo?
"Sasuke ... io ..."
"Non m'importa, Naruko!", berciò Sasuke a voce
forse eccessivamente alta, più che altro per convincere se stesso e non la
sottoscritta della veridicità di parole decisamente aliene ai precetti della
sua religione. E di fatti, rendendosene conto, tentò goffamente di rimediare alla sua gaffe: "Cioè sì,
m'importerebbe in realtà: se la cosa dipendesse da me, non ti permetterei
d'abortire il piccino. Anche qualora non fosse stato figlio mio. Nondimeno, per
amor tuo, mi sforzerò sia di capire sia d'accettare le tue ragioni. Ti amo,
Naruko, sono disposto ad ingoiare questo rospo pur di non perderti. Al costo di
farmi trattare alla stregua del tuo zerbino!", e vedendo come me ne
rimanessi zitta e muta, s'accalorò ulteriormente, agitandosi sulla sedia.
"Non ti basta?! Che altra prova vuoi da me per convincerti della sincerità
dei miei sentimenti?! Che non t'imporrei niente, che ti rispetto in tutto per e
tutto?!", sbottò esasperato, mulinando con foga la mano destra e ottenendo
di conseguenza la giusta retribuzione da parte del suo polso ferito tramite
un'infida fitta di dolore.
"Sasuke, potresti ...?"
"Ti avevo avvertito che non t'avrei mai abbandonata,
né che avrei rinunciato a te, passasse quel che passasse. Chiamami masochista,
se l'affare ti diverte, ma getterò la spugna soltanto quando tu mi dirai che
non ne puoi più di me! A te la scelta, Naruko!"
Storcendo il viso sofferente per aver sforzato
imprudentemente il polso, il mio fidanzato si vide costretto a calmarsi, attenendo
bellicoso la mia replica e stizzito sì, per quella confessione. S'era
totalmente umiliato per me, accantonando ogni forma d'orgoglio e concedendomi
una libertà assoluta, fino al punto d'annullarsi come seconda metà in un
rapporto a due.
Non l'avrei costretto a tanto. Per quanto allettante, non
desideravo avere una passiva ameba per consorte, bensì il mio compagno di vita,
il mio Sasuke-teme, così com'era sempre stato, con ciascuna delle sue paturnie
e dolcezze.
"Tutto questo è molto carino da parte tua, koibito,
però se mi lasciassi finire il discorso ...", gli ricordai soave,
riuscendo una buona volta a terminare la frase.
Il mio fidanzato si grattò colpevole la testa fasciata.
"Scusa", bofonchiò, giocherellando imbronciato col bordo delle
lenzuola.
Puntellandomi sui gomiti, mi sporsi fino a raggiungerlo, sfiorandogli
leggermente la tempia con le mie labbra. "Ho disdetto
l'appuntamento", gli sussurrai all'orecchio, sogghignando amorevolmente
perfida alla reazione dell'uomo, il quale balzò all'indietro, totalmente
sconvolto.
"Cosa?", ansimò, spalancando la bocca neanche avesse avuto intenzione di mostrarmi
le sue tonsille. Perfino l'occhio sano era divenuto più grande del solito e in
quel momento mi rammaricai di non aver portato con me una macchina fotografica,
onde immortalare la più pura ed esauriente rappresentazione dello stupore, se
non proprio la sua stessa incarnazione.
"Nostro figlio, Sasuke. Lo tengo. Quando ... ",
e tacqui per un istante, sopraffatta da quei ricordi orribili. Il gelo dell'acqua. Di quelle manine
d'acciaio. L'impatto contro il muro. La frizione della carne e il bruciore ai
polmoni, per l'aria che tardava a venire ..."quando stavo per cadere, ho
desiderato ardentemente che sopravvivesse. Tanto da ... Non mi rimangio tale desiderio, ecco!",
dichiarai solenne, sciogliendomi immediatamente in un sorriso più conciliante.
"Diventerai un chichi, Sasuke! Non sei contento?"
Per tutta risposta, il mio fidanzato si gettò su di me,
abbracciandomi talmente forte da levarmi per qualche istante il respiro.
"Mi rendi felice, Naruko! Non sai quanto ...!", gli tremò la voce,
baciandomi ardentemente la bocca e le guance, ridendo assieme a me alla stregua
di due beoti.
"Anche tu mi rendi felice, Sasuke", mormorai,
afferrandogli le spalle. "Ti amo tanto ..."
Rimanemmo così abbracciati per un lasso indefinito di
tempo, dondolandoci in sincronia perfetta, permettendo che i nostri cuori si
sincronizzassero e che i nostri respiri si mischiassero, divenendo un tutt'uno.
Ventiquatt'ore addietro non avrei mai potuto immaginare tale gioioso scenario,
dove Sasuke ed io incominciavamo a camminare sul serio uniti come una coppia e
non a venire di tanto in tanto in contatto,
similmente a quanto accaduto per un anno e mezzo. Finalmente avremmo
vissuto assieme, lui ed io ... e il piccino.
"Mi dispiace di averti fatto perdere la Messa
commemorativa", gli rivelai, scorrendo le mani sulla testa fasciata.
"Ma soprattutto, per averti costretto a questo vaudeville. Sono stata una
sciocca."
"Non finirò all'inferno per questo. Sono sicuro che
Miki Pauro-sama comprenderà il motivo dietro la mia assenza. Insomma, una dobe
come te mica è facile da gestire: l'ho capito fin dal giorno in cui t'ho
conosciuta, che m'avresti fatto vedere i sorci verdi!", mi confessò
Sasuke, indugiando con la sguardo sul mio grembo semi-coperto dalle lenzuola. "Ti
rendi conto che d'ora in avanti la strada sarà tutta in salita?", domandò,
studiando attentamente ogni mia espressione, trovandovi però solo determinatezza
e fiducia.
Sicuro che fuori dall'ospedale, nella vita reale, non
c'attendeva un finale roseo, con uccellini canterini, bolle luccicanti e
l'approvazione universale di amici e parenti. Ci sarebbe al contrario toccato d'affrontare
parecchie magagne famigliari, lavorative e religiose, incominciando
innanzitutto con un giro di scuse, mea culpa, proschinesi e ojigi con la fronte
per terra onde fare ammenda degli insulti lanciatici e vecchi rancori malamente
seppelliti. Tuttavia, per quanto i problemi da sormontare si presentassero
molteplici e insidiosi, essi non mi parevano così minacciosi e impossibili come
prima. Non con Sasuke dalla mia parte, non con la certezza che ci saremmo
sostenuti l'un l'altro.
"Finché potrò averti accanto, va bene così",
gli confermai quanto da me previamente asserito. Non avrei mai più dubitato di
lui, né avrei mai più permesso a chicchessia d'influenzarmi o ancora peggio, di
separarmi dal mio compagno. "A proposito, koibito ..."
"Uhm?"
"Il bambino è tuo. E' sempre stato tuo. Non ti
cornificherei manco a morire! Solo con la forza mi possono costringere ad
andare a letto con un altro!", dichiarai con orgogliosa veemenza,
afferrandogli il viso con ambedue le mani. Non potevo sopportare che Sasuke
accettasse il piccino per partito presto, poiché figlio mio. Questi era anche
sangue suo e doveva considerarlo come tale, fino all'ultima cellula. "Credo
che quella notte, ehm, ti fossi ... ti fossi messo male il ... insomma, hai
capito! O forse si è bucato!", balbettai, affatto a mio agio di parlare a
voce alta delle nostre attività più intime. Specie se sussisteva la possibilità
che quei beceri dei nostri parenti si fossero accampati dietro la porta ad
origliare. In ogni modo, non riuscivo lo stesso a definire con precisione le
dinamiche del mio concepimento. Sasuke ed io non avevamo fatto nulla di strano
in quell'occasione, nel senso, nulla fuori dalla ben conosciuta routine amorosa
... Avevamo gusti semplici, in fin dei conti ...
"Lasciami indovinare, adesso dovrei dire: "Oh, mannaggia, tesoro, quanto mi dispiace!"
? No, perché neanche sotto tortura lo faccio!", reiterò Sasuke, ora
più che mai interessato alla mia pancia, "Non mi pento d'averti messa
incinta! Sicuro, è stato un caso, però ..."
"Teme! Ringrazia Iesu-sama che sei più rattoppato
d'un paio di pantaloni vecchi, sennò ti prenderei a sberle fino ad indurti al
coma profondo! Come sarebbe a dire che non ti penti d'avermi ingravidata?
Maiale sfacciato!"
"... però grazie per avermi confermato la mia
paternità. In ogni modo, ne ero già al corrente."
"Eh?"
"Mentre ti riposavi, Shisui-nee ed io abbiamo avuto
una lunga conversazione a riguardo, in cui m'ha a grandi linee spiegato il
motivo dietro la tua reticenza a confidarti con me; dopodiché Itachi-nii s'è
sentito in dovere d'aggiungere che, in caso non t'avessi creduto, m'avrebbe
incoronato re dei coglioni e sbattuto fuori casa a calci nel deretano.
Concludendo poi con tuo fratello Menma, che m'ha afferrato per il bavero, minacciandomi
di una morte lenta e dolorosa e di darmi in pasto ai maiali, in caso mi fossi
rifiutato di riconoscere il piccino. Ah, e tuo padre ha aggiunto che gli dà
manforte, sebbene ancora non mi sia chiaro se nella prima o seconda fase del
mio omicidio. E mi sarei pure messo a ridere, se quei tre non me avessero avuto
certe facce serie ..."
"Citandoti: Lasciami
indovinare, adesso dovrei dire: "Oh, mannaggia, tesoro, quanto mi
dispiace!"?"
"Dire proprio di sì! Ho davvero temuto per la mia
vita!"
"Teme!", protestai petulante, allontanandomi da
lui ed incrociando offesa le braccia al petto. "Non fare adesso la
vittima! Non è colpa mia se alla tua età non sai metterti bene il ...!"
Avanzando a gattoni su per il letto e riacchiappandomi
altrettanto felino, Sasuke ridacchiò perfido e mi baciò a lungo, euforicamente impetuoso. Assaporammo
ambedue le rispettive intimità boccali, con frenesia, fino a provocarci un
leggero capogiro per la mancanza d'ossigeno. Le nostre fronti s'incontrarono,
similmente alla punta dei nostri nasi. "Allora, mi sposi?", mi
domandò Sasuke a bruciapelo, guardandomi col medesimo entusiasmo del pazzo
furioso e di fatti le sue iridi carbone rilucevano di una fiamma antica, la
medesima che scorgevo quando lui si gettava animo e corpo in una qualsivoglia
impresa, sia fisica che intellettuale. "Ebbene? Il gatto t'ha mangiato la
lingua?"
Sì, un grosso micione nero di nome Uchiwa Sasuke.
"Vuoi divenire la mia tsuma sì o no?"
Sbiancai peggio d'un canovaccio.
"Così? Su due piedi? Senza anello e lunga e
romantica dichiarazione?", farfugliai, tentando una poco onorevole fuga,
sennonché il mio compagno mi teneva saldamente ancorata al letto.
"Al diavolo queste scemenze, donna! Mi hai
letteralmente umiliato oggi, per te ho rinunciato alla mia dignità virile,
riducendomi ad una barzelletta vivente, all'uomo-zerbino! Inoltre, m'hai fatto sadicamente patire due settimane
d'inferno! Questa è la mia giusta vendetta! E comunque, col cazzo che
chiameranno mio figlio bastardo e non
per via d'un eventuale caratteraccio!"
"Ma ... ma ...", m'afflosciai sul materasso,
affondando nel frattempo sotto le coperte. La paternità sul serio sortiva un
brutto effetto sulla psiche degli Uchiwa. Il mio meco si stava dimostrando
troppo ... contento a riguardo, insomma, m'aspettavo che sarebbe sì impazzito
ma dal dolore di "perdere" la libertà, non di acquisire una moglie e
un pupetto in un sol colpo!
Decisamente mi sarei affiliata ad una famiglia di matti.
Ciononostante, chissà come mai, non mi lagnavo dinanzi a quella prospettiva.
"La risposta, Nacchan!
Ora!"
Sorridendo timidamente, annuii infine tra il contento e
l'apprensivo, augurandomi ferventemente che il bambino prendesse tutto da me e
niente da suo padre, almeno per quel che concerneva il carattere.
Ma poi, avvolta nuovamente nelle sue braccia, baciata e
coccolata dal mio tenero e innamorato delinquente, conclusi che forse non
sarebbe esattamente nato un piccolo mostro, in caso nostro figlio avesse deciso
di assomigliare un pochino al suo Tou-san.
Appostati dietro la porta, i nostri famigliari avevano
già incominciato a far scommesse sul suo sesso.
~~~
Mentirei se
ora affermassi, che vivemmo tutti "felici e contenti."
Innanzitutto,
mio padre e Mikoto-san dovettero esibirsi in un'infinita serie d'inchini e
richieste di scusare il loro previo comportamento da vandali, prostrandosi con
tale fervore nel loro ojigi, da ripulire il tatami e provocarsi perfino un
bernoccolo sulla fronte. Otōsan invocava il perdono di Mikoto-san per la
violenta reazione di Okaasan ai danni di Sasuke, sottolineando la mia
estraneità a vizi quali l'adulterio pre-matrimoniale (vizio che s'inventò al
momento) e la mia inattaccabile reputazione di giovane donna virtuosa. La
matriarca Uchiwa si dispiaceva per gli insulti rivolti a me e a mia madre,
nonché per le ciocche strappate a quest'ultima. Entrambi decisero per il bene
dei due futuri sposi di accantonare le divergenze del passato, focalizzandosi
invece nel, per loro, imminente imeneo.
Contrariamente
alle loro aspettative, Sasuke ed io dovemmo attendere marzo prima di sposarci perlomeno
col rito civile, cioè quando finii l'anno universitario.
Durante il
colloquio coi miei professori, mentre li mettevo al corrente del mio proposito di
rimandare di un anno il proseguimento dei miei studi, potei leggerli negli
occhi la loro intima disapprovazione, nonché commiserazione, dandomi in cuor
loro della fallita. Similmente, anche altri miei conoscenti mi additarono come una
scema e una perdente, in particolare Sakura-chan e Ino-chan, ciascuna per
ragioni diverse. Come se non bastasse, la mia decisione finale di tenere il
bambino e di sposarmi con Sasuke m'aveva gravemente allontanato da mia madre e se
non in via definitiva almeno per un lungo periodo, in cui lei si rifiutò di
vedermi e di rivolgermi la parola, usando Otōsan come intermediario. Da qui la
mia scelta di trasferirmi da mio fratello fino al termine degli esami. Inutile
aggiungere come Gaara mi viziò spudoratamente per l'intera durata del mio
"squatting", avvolgendomi in seta e piume ed esaudendo instancabile
ogni mio capriccio. Al weekend Sasuke ci veniva a trovare, o meglio, a
controllare che i suoi cognati si comportassero bene con me, visto che il look
anticonformista di Gaara non gli ispirava molta fiducia circa le sue capacità
di can da guardia. Una volta marito e
moglie, Sasuke ed io vivemmo per un breve periodo da mia suocera.
Anche lì
non fu facile abbattere l'iniziale muro d'imbarazzo, che ancora sussisteva tra
Mikoto-san e me. Primo, perché levarle il suffisso di cortesia suonava alieno
alla mia lingua; secondo, in quanto lei tuttora mi rimproverava velatamente di
averle tenuta nascosta la mia gravidanza, optando inoltre per l'aborto.
Malgrado
ciò, quel periodo d'affollata convivenza a casa Uchiwa si rivelò molto utile
per me.
Grazie a
mia suocera affinai le mie doti di padrona di casa, mentre imparavo il concetto
di pazienza facendo da babysitter ai Tenmaku-kun, Saeko-chan e Kiyoaki-kun,
essendo infatti la loro madre sempre più stanca e indisposta a causa
dell'appropinquarsi della nascita del
bebè. Inoltre, la Prima Comunione di Saeko-chan equivalse per me ad
un'eccellente occasione per mettersi a studiare seriamente il Cristianesimo,
visto che avevo promesso a Maria-sama di convertirmi. Non avevo però
considerato quanto potesse essere dura la strada fino al battesimo, con nozioni
assai complicate d'assimilare, se non proprio astruse. Come le virtù teologiche
e cardinali. O i doni del Seirei-sama. O semplicemente segnarsi correttamente,
nel verso giusto, con la mano giusta e recitando nell'ordine giusto il " Chichi to Ko to Seirei no mina ni yotte"
[3]. E mica la scampavo facilmente:
zelante e implacabile, il prete m'interrogava ogni tot di giorni, valutando i
miei progressi e la mia determinazione di catecumena. Mi vergognai parecchio
quando gli confessai, che non avevo recitato la "Megumi afureru sei
Maria-sama",[4] quando m'ero rivolta per la prima volta alla Kami no Haha.
Gli chiesi preoccupata se si fosse offesa. "Non sapevo che ci fossero
preghiere fisse!", mi ero infatti tirata i capelli allarmata. Ridacchiando
benevolo, Padre Mori mi consolò asserendo che no, di sicuro Lei non se l'era
presa per così poco. In ogni modo, riuscii ad ottenere il battesimo, comunione
e cresima alla Vigilia di Pasqua dell'anno successivo, nel 1999. Ancora oggi
faccio però confusione su alcuni concetti, specie quelli in cui sono previste
parole latine, lingua a me assolutamente simpatica quanto un'orticaria.
Nel
frattanto, prima d'allora e tra una lezione e l'altra di teologia, legai
ulteriormente con Shisui ( fu più facile con lei rivolgermi senza onorifici), divenendo
pressoché inseparabili e coese nel tenere a bada i nostri uomini, ma soprattutto assistendola
negli ultimi mesi della gravidanza e dopo il parto: mi sentii estremamente
onorata di poter tenere per prima in braccio la piccola Sakuya-chan, una copia
in miniatura di Itachi, il quale si beccò una caterva di manate sulle spalle a
mo' di congratulazioni da ciascuno dei suoi colleghi, assieme alla
raccomandazione di sperimentare altri svaghi con sua moglie, pena l'arrivo di
un quinto pupetto. Tanta era la loro contentezza per il lieto evento, che sia
lui che Shisui parvero aver dimenticato momentaneamente l'aggressione subita da
quest'ultima, aggressione che aveva parzialmente oscurato con atroci dubbi
quasi tutto il periodo di gestazione. Sakuya-chan era del resto un vero piccolo
tenshi, una tranquilla dormigliona che dove l'appoggiavi, se ne stava serafica,
suggendo indisturbata il pollice. Inutile elencare le premure con cui la
coprivano Tenmaku-kun e Saeko-chan, contenendosela però ferocemente tra di loro
e riempiendo di conseguenza la casa coi loro strilli imbufaliti. L'unico che ne
se doleva un poco, rimanendosene in disparte, era Kiyoaki-kun, il quale si
vedeva "rubata" l'attenzione dei suoi genitori e della sua obaasan. Più
volte l'avevo scorto correre a piangere da suo zio, chiedendogli disperato se
anche lui avrebbe smesso di giocare assieme, una volta natogli il figlio.
Accarezzandogli la schiena, Sasuke lo rassicurava, consigliandogli di
pazientare.
E così
giunse infine il nostro turno di aggiungere numeri al clan: non programmato,
dapprincipio non desiderato, perseguitato da uno spirito vendicativo e da esso
quasi ucciso ma salvato per il rotto della cuffia grazie al coraggio di suo
padre, il 16 agosto 1998 nasceva il nostro primogenito, Akito-kun, o Acchan
come venne immediatamente ribattezzato dai suoi cugini, ai quali non pareva
vero di trafficare con ben due neonati. Mentre noi adulti rischiavamo un cortocircuito
per via delle esigenze dei due poppanti (al contrario di sua cugina
Sakuya-chan, Acchan strillava petulante voglio-e-pretendo peggio d'un ossesso,
tutto suo padre) quelle tre pesti sembravano trarre energia dal gioioso
bordello, che divenne ben presto casa Uchiwa.
Per fortuna,
dissipando i timori del medico che mi seguiva e dei miei familiari, non soffrii
di maternity blues. Certo, mi venne vietata ogni attività apportatrice di
stress, poiché, per coloro che non sapevano del Mizuko, doveva essere stato
proprio un grave crollo nervoso ad avermi portata a gettarmi a momenti giù dalle
scale. Non avvenne però niente di tutto questo, anzi, l'unico forse ad aver
sofferto di depressione post-parto fu il mio povero marito, completamente
schiavizzato alle mie voglie di donna gravida, e le cui gote ancora diventano
scarlatte al ricordo di come mi si ruppero le acque durante la Messa
dell'Assunzione, fatto che mi aveva portato ad urlare sconvolta fino a
trapanargli le orecchie un isterico: "Oh, Maria-sama! Sta uscendo?!",
interrompendo la funzione e concentrando l'attenzione dell'intera assemblea su
di noi. E dire che quella era la prima Messa cui partecipavo in assoluto,
passando dalla fase 1 di solitario studio teologico alla fase 2, della
partecipazione alla vita collettiva. Beh, collettivamente parlando, dodici ore
più tardi la piccola comunità s'era ritrovata un futuro Kirisutokyouto in più,
il mio adorato piccino dagli occhi ostinatamente blu, altrimenti pure lui
uguale in tutto e per tutto al suo Tou-san, perfino quando mi teneva un regale
e stizzito broncio perché aveva fame. Lo fissavo ipnotizzata e in adorazione
mentre, allattandolo, il mio figlioletto mi ricambiava altrettanto
intensamente, aprendo e schiudendo le manine tra una poppata e l'altra. Manine
che si divertivano a stringere qualsiasi cosa, dalle mie dita ai capelli di suo
zio materno, per la somma goduria di Sasuke, al quale non era affatto garbato
come Menma-nii e Gaara se la fossero quasi fatta addosso dalle risate non
appena li avevo raccontato l'aneddoto riguardante la nascita d'Acchan. Rimasi
inoltre sorpresa nello scoprire quanto quella simpatica carogna del mio niisan sapesse
dimostrarsi tenero coi bambini, che aveva sempre dichiarato di non amare
particolarmente. Molto probabilmente Acchan, sangue del suo sangue,
corrispondeva alla famosa eccezione che confermava la regola.
Ricordo
però che il momento più commuovente in assoluto, più ancora del tardivo
battesimo, fu quando presentammo Acchan per la prima volta al suo bisnonno
Hikaku. L'anziano patriarca, ormai ridotto ad un fragile foglia avvizzita, era
relegato da tempo in sedia a rotelle, uscendo purtroppo raramente di casa.
Tuttavia, i suoi occhi velati s'illuminarono di una gioia indescrivibile alla
vista dei suoi bisnipoti appoggiatigli accanto sul tatami. Il suo dito ossuto e
distorto dall'artrosi sfiorò appena in segno di benedizione la fronte prima di
Sakuya-chan e in seguito di Acchan, ringraziando tra sé e sé Kami-sama per aver
vissuto abbastanza a lungo da assistere alla rinascita della sua famiglia, dopo
lo sfacelo della Seconda Guerra Mondiale. Sapeva che oramai gli rimaneva poco
tempo, ciononostante aveva sempre avuto fiducia in quella "promessa",
che tanto m'aveva turbata a febbraio. Hikaku-ojiisan ringraziò sia Shisui che
me per l'impegno presoci come madri, ritirandosi poi a pregare dinanzi
all'altare di famiglia, là dove oramai trascorreva la maggior parte delle sue
giornate. Il nonno non visse a lungo, purtroppo: se ne andò sereno,
addormentandosi, assistito dalla nuora. A onor del vero, un pronto ricovero
avrebbe ipoteticamente posticipato la sua dipartita, ma l'anziano patriarca
stesso s'era opposto, intimando ad Itachi e a Sasuke d'assisterlo in veste di
nipoti e non di medici. Hikaku-ojiisan ci lasciò l'ultima raccomandazione di
vivere senza rancori né invidie, di perdonare noi stessi e gli altri e al
contempo d'imparare dai nostri errori, senza aver timore d'ammetterli. "Siamo
umani, perciò destinati all'errore. Ma questo non significa che siamo indegni
di perdono", ci disse, guardando in particolare Sasuke e la sottoscritta,
neanche avesse indovinato quanto avvenuto tra noi due.
La morte
del nonno segnò la fine della nostra permanenza nella casa natale di Sasuke.
Infatti, benché a priori il benvenuto, mio marito considerava inappropriato
condividere la medesima abitazione del fratello, la cui famiglia necessitava
dei suoi spazi ma soprattutto, era giunto il momento di stabilirci in via
definitiva e di vivere indipendentemente. Sicché, quando Acchan compì un anno,
m'impegnai a riprendere con vigore gli studi interrotti, laureandomi con buoni
risultati. Dopodiché, Sasuke poté contattare il direttore dell'ospedale di
Kyōto, accettando la sua offerta di trasferirsi nel suo dipartimento.
A Kyōto
nessuno ci conosceva, offrendoci una concreta occasione per ricominciare da
zero. Niente gossip, niente ripicche, disinteresse totale per la nostra vita
privata, l'ideale per lasciarci il passato alle spalle. Comprammo dunque la
nostra casa, stringemmo nuove amicizie e scoprii di possedere un certo talento
per il giornalismo, in particolare per le rubriche letterarie, nuovo interesse
che mi spinse ad approfondire all'università di Kyōto le mie - lo ammetto -
confuse e raffazzonate idee sul quinto potere. Credo che sconvolsi parecchia
gente, i miei professori in primis, alla prima lezione, quando portai con me
Acchan in aula. Li mandai allegramente a
quel paese, non appena m'intimarono di assumere una babysitter, se in casa non
c'era nessuno a vegliarlo. O di aspettare che Acchan andasse all'asilo, prima
di ritornare all'università. Meno male che il direttore della rivista per la
quale tuttora lavoro era di vedute meno rigide, permettendomi spesso di scrivere
in santa pace a casa. Il mio obiettivo,
oltre che a dare un senso di relativa realizzazione alla mia vita, consisteva
nel sollevare dalle spalle di Sasuke l'intero peso finanziario della casa;
conoscevo la sua ambizione di divenire il futuro primario del dipartimento di
oftalmologia, ciononostante non desideravo che mi schiattasse sul lavoro, onde
realizzare quanto prima questo suo progetto. In quel caso, altro che
compiangerlo, avrei sputato sulla sua tomba!
Eh ...
Certo,
riguardando indietro, talvolta rimpiango
di non aver conseguito il mio sogno di divenire professoressa
universitaria. Ma non per questo mi do - né permetto ad altri di farlo - della
fallita. Rimpiangere progetti mai implementati è normale, chi non se ne lamenta
almeno tre volte al giorno? Affermare però che mi sia rovinata la vita? Esagerato
e di poco gusto.
Ho
dirottato altrove il mio destino, acquisendo e smarrendo durante questa
inaspettata sterzata familiari, amici, conoscenti, cose e occasioni. Il
bilancio finale rimane comunque identico, ovvero che alla fine sono
genuinamente contenta e soddisfatta di ciò che possiedo: mio figlio, mio
marito, la mia casa e il mio lavoro, tutti componenti di un unico grande
mosaico, di cui difficilmente di stancherò d'apprezzare.
E forse potrei
terminare qui il mio racconto.
Potrei
terminare asserendo che solo rischiando di perdere le persone che m'amavano sul
serio ho scoperto, quanto esse fossero importanti per me, aiutandomi ad uscire
dal mio guscio d'ottusa cecità e imparando a confrontarmi con chiunque volesse
offrirmi la sua opinione, serbando però l'ultima parola. Divenendo sul serio
una persona adulta, padrona del mio destino e pronta ad accoglierne
serenamente, con responsabilità, il brutto e il bello.
Potrei sì, potrei
davvero concludere così.
Ma non lo
farò.
Infatti,
c'è ancora qualcosa che debbo spiegarvi, prima di congedarci definitivamente.
Il Mizuko.
Se
quest'anno il mio Akito-kun festeggia il suo sesto compleanno, è anche merito
suo. Mi pare quindi giusto lasciargli l'ultima parola e poi ...
E poi
basta, finalmente.
Next chapter, the epilogue ...
**********************************************************************************************************
E meno uno alla conclusione di questa storia!
L'intermezzo iniziale è stata un'aggiunta un po'
last-minute, diciamo per creare una circolarità nella relazione tra Naruko e
Sasuke, ma soprattutto per descrivere meglio il loro rapporto. Ma in sostanza,
l'intero capitolo è stato impostato con un tono sereno, giacché Naruko ha ormai
preso la sua decisione e tutti in coro ci aggiungiamo al "Era dannatamente
ora!"
Ma il Mizuko ritornerà, promesso ... ehehheheheh ...
Il brutto dei finali, è che vorresti scrivere ancora di
più, dire tutto dei personaggi. Ormai, ci stiamo staccando da loro e mi
dispiace, questa allegra famiglia m'era tanto simpatica!
E parlando di famiglia!
Se avete notato l'assenza di Minato e Kushina, è cosa
voluta: ho deciso di lasciare loro posto all'epilogo, così come più spazio
verrà dato a Tobirama & Co.
Inoltre, mi sono rifiutata per amore della musicalità di
chiamare il figlio di Sasuke e Naruko come uno dei loro canonici. Sorry, non
accettiamo lamentele.
Piuttosto, il mio è un piccolo omaggio al personaggio
d'Akito Hayama, il protagonista maschile de "Il giocattolo dei
bambini", o "Rossana"; il mio primo manga. Diciamo che i due
sono accomunati da una storia gestazionale piuttosto movimentata, ecco!
Bien, spero di non aver dimenticato niente!
Per eventuali dubbi e curiosità, contattatemi pure via pm! ^^
Ci si vede all'epilogo, ciao!
Un po' di noticine:
[1] Bodhisattva = "Creatura illuminata"
[2] Elmetto rosa = parola gergale per "femminista". In
Giappone, infatti, le femministe, durante le loro manifestazioni, erano solite
indossare un elmetto rosa.
[3] Chichi to Ko to Seirei no mina ni yotte = Nel nome del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo
[4]
Megumi afureru sei Maria-sama / Kami no Haha= Ave Maria / Madre di Dio. |
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Capitolo 7 *** Scioglimento ***
Heilà!
Chiedo venia per questo mio ennesimo e obbrobrioso
ritardo: purtroppo, ho avuto un incidente che m'ha messo fuori uso la mano per
un bel po' di tempo e ancora oggi dopo un po' di ore a battere al computer mi
dà fastidio. Non contiamo poi che, lavorando nel settore degli eventi, l’estate
non è un bel periodo per scrivere in tutta tranquillità.
Ciliegina sulla
torta, quando questo tanto agognato epilogo era lì lì per essere pubblicato,
cos'è successo? La mia chiavetta è andata in gloria. Impossibile aprirla.
Kaputt ohne Hoffnung. Risultato? Ho perso il capitolo e l'ho dovuto
riscrivere. Duh. Un’impresa titanica e spero che questa versione sia buona lo
stesso.
Ma in fin dei conti meglio tardi che mai e voilà la
conclusione di questa fic: evvai! Ce n'è voluto di tempo, ma scrivere gli
ultimi capitoli è sempre triste, perché ci si accomiata da personaggi divenuti
"cari", di cui vorremmo sapere sempre di più, rimanendone però delusi
per motivi di trama.
Adesso vediamo di proseguire con le altre storie, “Stigma” in primis ...
Nel frattempo, prima di lasciarvi al capitolo e alle note
finali, un sentito ringraziamento ai miei lettori e recensori, in particolare
ad Imoto e Jo95. Grazie davvero, miei cari recensori sia degli ultimi
aggiornamenti che dell'intera fic, per il vostro supporto e per il tempo
dedicato a leggere e condividere i vostri pensieri su questo mio sghiribizzo.
Merci!
Ringrazio poi: Glaucopide
Atena26; Monaco e Paola DP per aver messo questa storia tra le preferite.
Ed infine, ringrazio: Aulica; Babynaru90; Braveheart_99; Camelia _Calliope; ChibiRoby;
Clarisse44; Giulia_Cullen;Isangel; Krikka86; Luffy_chan; Lululove2; Mekbul;
Reika701; Thera e Trouble00 per averla messa tra le seguite.
Se qualcuno avesse voglia di lasciare una piccola
recensione di commiato, faccia pure, siamo aperti 24/7! XD
Ci vediamo brevemente dopo il "the end" per
l'ultima comunicazione di servizio ...
Buona lettura,
H.
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Scioglimento
Sfogliando le ultime pagine del libro, Terumi Mei prese a
leggere ad alta voce, nel frattempo che lei e l'horror writer deambulavano nel
cortile del tempio.
Avevo
già menzionato come né mia madre né io ci fossimo più rivolte la parola in
seguito alla mia decisione di continuare la gravidanza e di sposare Sasuke e vi
confesso che all’inizio non diedi il giusto peso a questo nostro bellicoso
accordo: forse perché avevo mio padre che ci faceva da mediatore; forse perché giostrandomi
tra casa, lavoro e famiglia non avevo materialmente il tempo di meditarci
troppo sopra. Qualunque fosse il motivo non mi diedi alcuna pena di
riallacciare il nostro rapporto guastatosi così scioccamente.
Fu
soltanto nel 2004, poco prima di decidere di raccontarvi questa mia esperienza,
che volli ricostruire i ponti bruciati con Okaasan.
Sasuke,
ovviamente, aveva storto il naso a riguardo, ma non ebbe più di tanto da
obiettare dinanzi alla mia iniziativa: se essa avesse potuto in qualche modo
giovarmi ad affrontare con maggior serenità il futuro, allora che quell’ultimo
confronto avesse pure inizio. Diciamo che la notizia del prossimo arrivo del
nostro secondogenito l'aveva assai ammorbidito. Con mia madre la questione si
rivelò più ostica: a lungo ella ignorò le mie telefonate e le conseguenti
ambasciate tramite Otōsan e Menma-nii, ma alla fine cedette. Sapevo che dietro
alla sua maschera d’orgoglio ferito, anche Okaasan desiderava poter interagire
sul serio col suo unico nipote, al di là dei bigliettini di circostanza che ci
si scambiava durante le feste di precetto. Mio padre si riferiva a lui con tale
entusiasmo di Ojiisan da suscitarle un persistente e dispettoso interesse, che
le s’ingrossava perfido in petto col trascorrere degli anni alla stregua del ventre di un rospo gracidante.
Sicché,
dopo mesi di trattative, riuscii finalmente a fare breccia nel suo animo che
portò Acchan e la sottoscritta a ritrovarsi a scampanellare alla porta di casa
dei miei genitori in un umido tardo pomeriggio di pien'estate […]
"Devo ammettere che, rispetto alle sue altre storie,
L'Appuntamento è la meno ...
sorprendente, ecco."
L'horror writer arcuò il sopracciglio, più per curiosità
che per irritazione. "In che senso, prego?"
"Non fraintenda, Tobirama-sensei. Le vicende sono
appassionanti come sempre e anche le atmosfere suscitano inquietudine e
terrore, come si confà al genere horror. Tuttavia, non so, l'effetto sorpresa è
mancato: molti lettori hanno dichiarato d'aver subito capito come Naruko-san
fosse incinta. Di conseguenza, l'opinione generale fattasi da parte del
pubblico è che la trama appare piuttosto banale e talvolta prevedibile!"
Tobirama annuì senza scomporsi. "E secondo lei, è
banale e prevedibile per una futura madre la scelta d'abortire il suo
bambino?", domandò tranquillamente, rivolgendo alla giornalista un sorrisetto
grondante di compatimento, provocando per sua intima delizia una mezza sincope
nella donna, la quale si affrettò a spiegarsi meglio onde evitare uno
spiacevole malinteso:
"No, no, certamente no, ma dal punto di vista
tecnico ..."
[…] “E’
come la ricordavi?”
Col naso
all’aria, gironzolai distrattamente per la mia cameretta, bevendo tuttavia ogni
dettaglio, permettendo che i ricordi della mia infanzia m’avvolgessero.
“Sì, non è
cambiato nulla”, commentai con un mezzo sorriso, fermandomi al centro della
stanza. “Grazie, Okaasan”, mormorai sincera, colmando di un poco la distanza
tra noi due. M’irrigidii però al notare come mia madre avesse indietreggiato di
qualche passo. “Sai quanto significhi per me. E per Acchan”, aggiunsi.
Okaasan
annuì in silenzio.
“E’ un
bravo bambino”, borbottò poi, allontanandosi verso il corridoio. “Ho aggiunto
degli asciugamani in bagno. Le lenzuola sono pulite, ovviamente. Dimmi se ti
serve qualcos’altro.”
Mi servirebbe che tu mi guardassi dritto negli occhi, volevo dirle, ma tacqui. “Va bene così,
Okaasan.”
“D’accordo.”
Una volta
uscita mia madre mi sedetti sul futon, passandomi una mano sulla fronte madida
di sudore. Forse la mia era stata una pessima idea. Non sarei dovuta venire a trovarla.
Forse avrei fatto meglio a telefonare a Sasuke, comunicandogli la mia decisione
di prendere il primo treno per Kyōto e
di rincasare al più presto.
In ogni caso, ero grata che Acchan se ne fosse stato in
salotto col nonno, evitando d’assistere a simili scene. Sperai inoltre che il
sonno mi portasse consiglio sul da farsi.
In un certo senso, andò esattamente così.
"L'Appuntamento
non è stato concepito allo scopo d'intrattenere i lettori, bensì di farli
riflettere. Lo si potrebbe definire un "horror filosofico", uno snap-shot
della nostra società, che invece di promuovere la prevenzione favorisce l'eliminazione
d'un problema, sia questi un feto o il traffico. Non a caso la storia è stata
ambientata nel 1998, l'anno precedente alla legalizzazione in Giappone della
pillola anticoncezionale."
"Quindi lei è pro-vita?"
Fu il caldo
a destarmi quella notte. Tale era l’umido, da non trovare neppure nelle ore
notturne un poco di refrigerio dalla canicola estiva. Dopo molti anni lontana
da casa m'ero scordata della terribile afa estiva di Konoha. In aggiunta,
Acchan, come tutti i bambini, emanava un calore da piccolo termosifone,
incrementando conseguentemente la mia agonia.
Giunta
quindi allo zenit della mia sopportazione, dopo molto inquieto e incessante
rigirarsi nei limiti concessimi dal crescente pancione, decisi di scendere giù
in cucina e di servirmi d’un bel bicchierone d’acqua ghiacciata.
La mia mano
fece appena in tempo ad appoggiarsi sulla porta che un famigliare gelo m’invase
le viscere.
Tap-tap-tap.
Avevo udito
quei passi troppe volte per sbagliarmi sull’identità del loro creatore.
"Non prendo posizioni pro o contro l’aborto.
Semplicemente, in questo romanzo volevo far capire il peso delle nostre azioni,
su come esse coinvolgano non soltanto noi stessi ma anche chi ci circonda, nel
bene e soprattutto nel male."
"Rappresentate appunto dal Mizuko."
"Esatto. Il rancore di una vita che non è potuta esistere
e magari più meritevole di vivere di
quella che l’ha terminata anzitempo", Tobirama sospirò, il viso contorto
in un’espressione talmente affranta, che Mei avvertì un insistente impulso di
appoggiare a mo’ di conforto la mano sul suo braccio. “E talvolta … non sempre
è colpa della madre …”
Malgrado il
terrore che gradualmente mi stava paralizzando, per amore d’Acchan e del
bambino che portavo in grembo mi sforzai a non
urlare né di svenire o comunque dar segni di cedimento dinanzi a
quell’entità persecutrice, qual era il Mizuko.
Invece,
appoggiai l’orecchio alla porta, cercando di capire quanto distante fosse da
noi quell’essere. Perché mi perseguitava ancora? Dopo sei anni! Non volevo mica
abortire il mio piccino! Che ce l’avesse ancora con Sasuke, dopo tutto questo
tempo ancora voleva vendicarsi per quell’incidente?
Tap-tap-tap.
Con mio
sommo orrore, scoprii come il Mizuko si stesse facendo sempre più vicino alla
mia stanza. Avrebbe mai avuto una fine quest’assurdo carosello di vendetta?
Tap-tap-tap.
Strinsi le
labbra, pronta ad affrontarlo. Se voleva nuocere ai miei due tesori, sarebbe
prima dovuto passare sul mio cadavere.
Tap-tap-tap.
Lanciai
un’ultima occhiata ad Acchan, il quale seguitava a sognare ignaro di tutto,
cullato nel suo dolce mondo onirico.
Tap-tap-tap.
Potevo
quasi percepire il gelo dell’acqua del Mizuko scivolare da sotto la porta e
lambirmi i piedi …
Tap-tap-tap.
Eccolo …
Tap-tap- ta … “Kawa-chan!”
Eh?! Come?!
Si era fermato?!
“Kawa-chan!
Lascia Naru-tan in pace! Vieni qui, Kawa-chan!
Tap-tap-tap ma nella
direzione opposta, distante dalla mia stanza. Il Mizuko si stava allontanando.
“Vieni, Kawa-chan! Vieni da Kaa-san!”
Tap-tap-tap.
Smisi di
respirare.
Tap-tap-tap.
Caddi in
ginocchio, priva di forze, proteggendo il mio crescente pancione con ambedue le
braccia e tremando dalla testa ai piedi.
Tap-tap-tap.
Sussultai
violentemente al timido contatto di una manina sulla mia spalla. “Kaa-san?”,
farfugliò Acchan con voce impastata, strofinandosi assonnato l’occhio destro.
“Perché stai piangendo? E’ successo qualcosa ai nonni? A Tou-san?”
L’abbracciai
d’impeto. “Ti voglio tanto bene, anima mia”, singhiozzai. “Tanto bene …”
“Stando al finale, il Mizuko, nei confronti di
Naruko-san, può dunque essere definito un’entità positiva a negativa?”
"Entrambe. Premetto, che l'idea che desideravo che
il lettore si facesse di Naruko è quella di una giovane donna certamente
intelligente, ma molto insicura se affermare la sua individualità o se
adeguarsi alla comunità per il quieto vivere. Il Mizuko quindi è una sorta di
grillo parlante, rappresenta la sua coscienza, ecco, la quale la sprona a
prendere una decisione non per compiacere gli altri, bensì per essere in pace
con se stessa. E’ difficile infatti
convivere da soli. Seppure, come avrà
sicuramente letto nell'epilogo, il Mizuko non è pacifico né è spinto da nobili
motivazioni, al contrario, esiste per riversare tutto il suo odio e la sua
tristezza nella persona che sta per commettere, a suo giudizio, la medesima
azione che gli ha impedito di vivere. I conflitti interiori non sono mai teneri
e piacevoli, non a caso li chiamiamo appunto “conflitti” e spesso alla fine ci
si porta appresso molte cicatrici. L’importante è uscirne sulle proprie gambe,
vincitori. Altre domande?"
Presi in
disparte mia madre soltanto dopo la colazione, quando Otōsan e Acchan uscirono di casa per recarsi a
trovare la sua nonna paterna e gli zii. Non fu difficile, la trovai in salotto
intenta a passare l’aspirapolvere e dovetti schiarirmi più volte la gola per
attirare la sua attenzione, cosa che non avvenne nell’immediato e quando chiuse
quell’infernale aggeggio ella si voltò verso di me con deliberata lentezza.
“Sì,
cara?”
Raddrizzai
il collo, abbozzando ad un tirato sorrisino, giusto per non lasciarle ad
intendere la mia intima agitazione.
“Kaa-san
... ieri notte …”, iniziai impacciata, cercando le parole più adatte onde
affrontare quel discorso che, ad orecchie profane, poteva suonare ridicolo se
non folle.
“Uhm…?”,
m’incoraggiò distrattamente mia madre, riprendendo il lavoro interrotto.
“Ecco
… ho sentito dei rumori ...”
Okaasan non parve particolarmente impressionata.“Oh,
davvero?”
“All'inizio
ho pensato trattarsi di Tou-san, ma poi ...”
“Poi?
Nacchan, ti sbrighi o continui a parlarmi a puntante? Devo sbrigarmi con le
pulizie, ho il pranzo da preparare, sai!”
Annuii
velocemente e m’umettai le labbra secche, torcendomi le dita sul mio ventre
sempre più rotondo.“Kaa-san ... chi è Kawa-chan?”
Okaasan
cessò d’aspirare per terra, pietrificata.
"Ne avrei molte, Tobirama –sensei, ma una in
particolare sta tormentando i lettori da molto tempo! Il romanzo incomincia con:
Dalla testimonianza di Namikaze Naruko e
lei ha confermato che le vicende narrate sono assolutamente vere."
"Sì, sebbene un poco romanzate e ingentilite, poiché
avrebbero potuto offendere la sensibilità delle persone coinvolte."
"Indubbio. La domanda che ne consegue è questa:
dov'è Naruko-san? Lei aveva promesso di portarcela per l'intervista, ma ... ma
non abbiamo ancora avuto modo d'incontrarla. Per caso ha avuto dei
ripensamenti? Oppure il suo è un alias per proteggere la sua privacy?"
Meccanicamente,
mia madre si erse dritta, continuando tuttavia a fissare il pavimento, incapace
( o non desiderosa) d’incrociare i nostri sguardi. I suoi occhi, dal poco che
riuscii a scorgere, mi parvero più opachi e vuoti d’un cadavere.
Nascosi
a stento un brivido.
“A che
mese sei, Nacchan?”
Mi
rifiutai di risponderle. Qualcosa dentro di me urlava di allontanarmi quanto
prima da lei, dal salotto, dalla casa, dalla stessa Konoha. Percepii un vuoto
allo stomaco e chissà se anche il mio
piccino stava sperimentando quel malessere. “Cosa c'entra?”, mi risolsi a ribattere,
suonando falsamente annoiata da quella domanda.
Ancora,
mia madre non diede cenno di volermi guardare dritto in faccia e fu meglio
così, considerato il tono gelido, da automa, che impregnò la sua spiegazione.“E'
meglio che tu non ritorni in questa casa fino al parto.”
Indietreggiai,
colta da un'improvvisa realizzazione.
"No, nessun ripensamento. Vede, Mei-san, lei ha già
conosciuto Naruko."
"Sì nel romanzo, però io intendevo di persona
..."
"Appunto."
"Prego?"
Plick-plick-plick.
In
lontananza, nel silenzio mortifero sceso in salotto, udii il famigliare
gocciolio dell'acqua scendere pingue e
lenta giù dalle scale ...
Plick-plick-plick.
M’appoggiai
sullo stipite della porta a mo’ di sostegno, mancandomi per un istante l’aria,
di nuovo in neanche ventiquattrore. Al diavolo i doveri figliali. Appena
rincasati dalla loro visita agli Uchiwa, avrei pigliato Acchan per recarci
immediatamente alla stazione.
Plick-plick-plick.
"Kaa-san
...”, ansimai, avvertendo gocce di sudore freddo scendermi lungo le tempie. “Kawa-chan
… è il mio ...?"
Seguii
con lo sguardo la pozza d’acqua che univa mia madre e la sottoscritta,
arrivando alla fonte di tale scia, come una lumaca che lascia la bava ovunque
si sposti. E di fatti, aggrappato alla sua gonna, il Mizuko mi sorrideva
ambiguo, trionfo, un ghigno che, ammorbidito da una più genuina benevolenza,
avevo già visto su di un altro volto.
Quello
di Mikoto. O meglio, del suo defunto fratello.
Plick-plick-plick …
L’horror writer indicò una delle molte statuette di
bambini accostate l’un l’altre nel cortile del tempio.
"Mei-san, lei ha qui davanti Naruko."
Se
Izuna o Hashirama lo avessero saputo, si sarebbero arrabbiati moltissimo,
Tobirama ne era al corrente. Ciononostante, non poteva rimanere passivamente a
casa, sorbendosi per l’ennesima volta la visione del Mizuko senza capire perché
accidenti la perseguitasse ancora, dopo anni trascorsi dalla prima
manifestazione. La prima volta poteva anche comprendere, sì, aveva considerato
l’opzione dell’aborto ma ora, che senso aveva? Era sposata con Izuna, avevano
avuto un secondo figlio, come mai quello stronzetto d’un fantasma perseverava
nella sua persecuzione? Credeva che scrivendo il libro il Mizuko si sarebbe
placato, invece …
Perciò,
complice anche la telefonata quasi provvidenziale, la scrittrice s’era recata
alla casa paterna, dove aveva giurato anni addietro di non metterci mai più
piede.
Le
venne ad aprire la donna delle pulizie, ignara della tacita faida tra lei e suo
padre, Senju Butsuma. In seguito alla morte della madre in un incidente
stradale, il rapporto tra lui e i figli s’era bruttamente incrinato, solo che
Tobirama, contrariamente a suo fratello Hashirama, era sempre stata più abile
nelle sottigliezze, nel dare la carne al padre non ribellandosi apertamente
bensì tramite della subdola manipolazione. Finché non era arrivato anche per
lei il punto d’ebollizione.
Butsuma
s’era immediatamente accorto della sua presenza in salotto, ma non diede cenno
d’averla riconosciuta né di rivolgerle lui per primo la parola. Tobirama non
cedette a quella senile provocazione, limitandosi a schiarirsi più volte la gola onde attirare l’attenzione
del padre, cosa che non avvenne nell’immediato e quando chiuse il giornale,
sbuffando, egli s’arrese a quella silente ostinazione della figlia e si voltò
verso di lei con deliberata lentezza.
“Ebbene?
Che c’è? Hai già finito di firmare autografi?”
La
scrittrice raddrizzò il collo, abbozzando ad un tirato sorrisino, giusto per
non lasciargli ad intendere la sua intima agitazione, specie in seguito a
quelle spiacevoli telefonate.
“Mi
hai contattato spesso ultimamente e quindi pensavo di venirti a visitare, visto
che sembravi così impaziente di risentirmi, soprattutto dopo la pubblicazione
del mio ultimo romanzo”, iniziò l’albina freddamente, cercando le parole più
adatte onde affrontare quel discorso che, ad orecchie profane, poteva suonare
ridicolo se non folle.
“Uhm…?”,
l’incoraggiò distrattamente suo padre, riprendendo la lettura interrotta. “E
che me ne dovrebbe importare? Credevo che tu possedessi un po’ d’amor proprio
per evitare tale sputtanamento pubblico tuo e della tua famiglia.”
“Certo,
se chi lo legge ha la coscienza sporca ...”
Butsuma non parve particolarmente impressionato.“Oh,
davvero? Sentiamo: perché dovrei sentirmi preso in causa?”
“All'inizio
non avevo collegato la tua rabbia iniziale riguardo il mio desiderio di
sposarmi con Izuna, ma poi, diciamo che alcune tue affermazioni mi hanno fatta
riflettere ... Così come la tua particolare devozione a Jizō-sama.” E il nome
su quella statuetta con la sciarpina rossa nel cortile al tempio a lui
dedicato.
“E
allora? Tobirama, ti sbrighi o continui a parlarmi a sciarade e indovinelli? Non
ho tutto il giorno da perdere dietro le tue idiozie, sai!”
L’interpellata
annuì velocemente e s’umettò le labbra
secche, torcendosi le dita sul ventre ancora piatto.“ Otōsan... al tempio di
Jizō-sama … accanto a te in questo stesso momento … chi è Kawa-chan?”
Butsuma
cessò di leggere definitivamente il giornale, guardando fisso davanti a sé,
pietrificato.
Terumi Mei sembrò quasi sul punto di schiattare lì, in
mezzo al cortile, strabuzzando un paio d’occhi tondi quasi come delle palline
da golf. "Quindi ... quindi L'Appuntamento
è la sua autobiografia?", boccheggiò stordita e guardando al limite
dello sconcerto la statuetta, Tobirama e la copia del libro e non esattamente
nell’ordine sopracitato.
L’albina accompagnò dolcemente la giornalista alla prima
panchina disponibile, lasciandole abbastanza tempo e spazio per riprendersi da
quella rivelazione decisamente inaspettata. D’altronde, non si poteva dire che
Tobirama avesse dischiuso molte informazioni circa il suo passato e solo dopo
essersi più volte consultata col fratello e con il marito (omettendo però il
Mizuko) s’era decisa a rivelare almeno parzialmente quell’episodio fondante
della sua vita.
"Un'autobiografia
camuffata, sì. Namikaze Naruko è il
nom de plume che usavo sia da ragazzina, quando scrivevo da dilettante, sia da giornalista d’inchiesta, prima di dedicarmi
esclusivamente ai romanzi. Infatti, ricevendo spesso minacce da parte delle
“vittime” dei miei articoli, ho sempre giudicato opportuno difendere la mia
identità e la mia privacy. Non può figurarsi la soddisfazione di smettere di
indossare parrucche e lenti a contatto onde passare inosservata. Malgrado ciò,
al momento di scegliere il nome della protagonista, non ho resistito
all’impulso, anzi al dovere, di usare Naruko: glielo dovevo, dopo intensi anni
di collaborazione lavorativa”, le spiegò semplicemente la scrittrice,
intrecciando le dita sul grembo. “Ma non per questo quanto narrato nel libro
deve essere preso alla lettera: le dinamiche ne L’Appuntamento non si snodano esattamente come vengono lì descritte.
Mori, dove sono nata, è divenuta Konoha e Kagami-kun nacque d’inverno, non
d’estate. Non condividevo la casa con le mie compagne di corso all’università,
mi consideravano troppo stramba per i loro gusti. Il funerale iniziale era di
mia suocera, non di mio suocero. I dialoghi col bisnonno e coi bambini non hanno mai avuto luogo, sono una mia invenzione. Mia madre è morta, giusto per citare il
rapporto Naruko-Kushina, ma come quest’ultima anche lei s’era divertita
parecchio prima e dopo il matrimonio con mio padre, che di sicuro non era
comprensivo come Minato né tantomeno sindaco. Hashirama ed io siamo stati cresciuti
dalla nostra matrigna, da cui è nato
Itama, il nostro fratellastro.
Né tutti i personaggi corrispondono per filo e per segno
ai miei parenti e conoscenti, del resto. Ad esempio, mio fratello non è omosessuale
anzi ha pure un figlio appresso; mia
cognata Mito – poverina e pace all’anima sua – ha cambiato sesso ed è divenuta
Gaara. Quanto a mio cognato Madara non sì è mai sposato, figurarsi se ha cinque
figli! Ma come Itachi e Menma, lui e Hashirama sono legati da una profonda
amicizia, sebbene Madara possegga un carattere ben più … problematico rispetto
ad Itachi. Shisui è una mia cara amica per la cui privacy non rivelerò il nome.
Insomma, ho preso
le loro personalità e le ho scisse, rimescolate, creando nuove identità, ho
addolcito alcuni aspetti, ma alla fine il succo della storia non cambia ... Sì,
lo ammetto: rimasi incinta del mio primo figlio, Kagami-kun, appena ventenne e
all’epoca, non sicura di come mio marito Izuna avesse potuto reagito alla
notizia, avevo considerato d’abortire. Ma poi desistetti dal mio proposito e,
chiaritici, decidemmo di sposarci.”
“Quindi il Mizuko non esiste? Espediente narrativo?”
“Uhm … sì, diciamo di sì …”
“E … sua madre …?”
Il volto di Tobirama s’oscurò all’improvviso.
Meccanicamente,
suo padre s’alzò dal divano, continuando tuttavia a studiare rigido il
pavimento, incapace ( o non desideroso) d’incrociare i loro sguardi. I suoi
occhi, dal poco che la donna riuscì a scorgere, le parvero più opachi e vuoti
d’un cadavere.
Tobirama
nascose a stento un brivido.
“A che
mese sei, musume?”
L’albina
si rifiutò di rispondergli. Qualcosa dentro di lei urlava di allontanarsi
quanto prima dall’uomo, dal salotto, dalla casa, dalla stessa Mori. Percepì un
vuoto allo stomaco e chissà se anche il
suo piccino stava sperimentando quel malessere. “Cosa c'entra?”, si risolse a ribattere,
suonando falsamente annoiata da quella domanda.
Ancora,
suo padre non diede cenno di volerla guardare dritto in faccia e fu meglio
così, considerato il tono gelido, da automa, che impregnò la sua spiegazione.“E'
meglio che tu non ritorni in questa casa fino al parto.”
Tobirama
indietreggiò, colta da un'improvvisa realizzazione. S’appoggiò sullo stipite
della porta a mo’ di sostegno, mancandole per un istante l’aria, di nuovo in
neanche ventiquattrore. Al diavolo i doveri figliali. Appena ottenuta la
dolorosa conferma, sarebbe corsa immediatamente alla stazione e avrebbe pigliato
il primo treno per rincasare.
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In
lontananza, nel silenzio mortifero sceso in salotto, udì il famigliare
gocciolio dell'acqua scendere pingue e
lenta giù dalle scale ...
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"
Otōsan...”, ansimò, avvertendo gocce di sudore freddo scenderle lungo le
tempie. “Kawa-chan … è il mio ...? Quando Kaa-san è morta ...? Eravamo in due?"
Plick-plick-plick …
“La mia vera madre perì in un incidente in macchina e
assieme a lei il mio fratello gemello, Kawarama, all'inizio del settimo mese di
gravidanza. Mi salvai per puro miracolo." O almeno questa era la versione
ufficiale inculcatale volente o nolente da suo padre. Ma il dubbio – il dubbio!
– le sorgeva ogniqualvolta si guardava allo specchio, ogniqualvolta parlava con
Hashirama, non riflettendosi nei suoi tratti somatici … “Se ci fosse stato un Mizuko
sarebbe sicuramente stato Kawarama, il quale mi avrebbe punito e al contempo
conceduto una seconda opportunità per meglio riflettere riguardo la mia volontà
d’abortire Kagami-kun.” Peccato che non
sussistesse alcun “se”, ma Tobirama non gradiva condividere certe esperienze
con chiunque, soprattutto se c’era la possibilità d’accusarla di pazzia.
Figurarsi se la gente credeva sul serio all’esistenza dei fantasmi.
Un lungo silenziò s’insinuava intanto tra le due donne,
rendendole stranamente unite in quel segreto tuttavia ben compreso dalla
giornalista, che, sospirando profondamente, commentò sincera:
"Lei è stata molto coraggiosa, Tobirama-sensei. Non
molti scrittori avrebbero avuto il fegato d’esporsi così, raccontando vicende
così dolorose anche se … edulcorate e camuffate in un romanzo."
"O sventata, Mei-san. Ho tagliato i ponti con la mia
famiglia, tranne ovviamente con mio fratello maggiore. Solo di recente, dopo
aver concluso il romanzo, ho tentato di ... No, lasci perdere questo punto."
Meglio glissare sull’ultima conversazione avuta con Butsuma.
Mei fece cenno di sì col capo, comprensiva. "Quindi
Uchiwa Sasuke è suo marito? Uchiha Izuna?"
La tensione scomparve in parte dal viso della scrittrice,
rilassandolo. "Sì, quand'era giovane e sciocco come me."
"Kirisutokyouto anche lui? Medico?"
"Esatto. Veda un po' lei com'erano contenti i miei genitori,
mio padre in particolare, quando appresero come la loro reclusa-albina-freak
d'una figlia se l’intendesse con una di quelle strane creature, rimanendone
perfino incinta e questo praticamente sotto il loro naso! Fu grazie alla
complicità di Hashirama se potei scappare di casa e sposarmi con Izuna: mi
avevano praticamente messa sottochiave fino all’appuntamento col medico …”,
Tobirama s’interruppe, ridacchiando un poco imbarazza. Se non fosse stata tanto
terrorizzata dal Mizuko, avrebbe all’epoca
giudicato tutto quel gioioso bordello alla stregua d’una pessima trama da
romanzetto rosa.
La giornalista si coprì con la mano la bocca, stringendo
caparbia le labbra onde reprimere un sorrisetto divertito. "Beh, in questo
caso non mi resta che porgerle i miei più vivi complimenti per la sua terza
gravidanza e per la felice pubblicazione del suo romanzo!”
“Grazie, è molto gentile da parte sua.”
“Immagino suo marito sia molto contento?”
“Moltissimo e così anche Kagami-kun e Naori-chan sono
entusiasti all’idea di avere un fratellino o una sorellina.”
“Un'ultima domanda: è stato per caso celebrato un Mizuko
kuyō e fatta un'offerta a Jizō-sama per il suo fratellino?"
"No, questo romanzo è la sua cerimonia funebre”,
parziale, avrebbe voluto aggiungere Tobirama, ma tacque. Dopo aver finalmente
regolato i conti e appresa la verità, forse il Mizuko non l’avrebbe mai più
infastidita. Forse. “Mi sono convertita, tali riti non hanno più senso per me. Non
è un caso che il Mizuko abbia lo stesso nome del mio fratellino."
"Anche lui ... figlio dell’adulterio?"
"Così m’è stato suggerito dagli avvenimenti."
"Un momento! Non vorrà mica insinuare ...?",
sgranò gli occhi Mei, abbandonando scioccata la penna sul block-notes. “Che lei
e … e suo fratello siete figli di …?”
"Chi può dirlo?"
Tobirama
seguì con lo sguardo la pozza d’acqua
che univa lei e suo padre, arrivando alla fonte di tale scia, come una lumaca
che lascia la bava ovunque si sposti. E di fatti, aggrappato ai pantaloni, il
Mizuko, o Kawarama, le sorrideva ambiguo, trionfo, un ghigno che, ammorbidito
da una più genuina benevolenza, lei aveva già visto su di un altro volto.
Nel
suo, fosse stata maschio, ma non certo in quello di Butsuma. Né d’Hashirama.
O
della sua defunta madre.
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"Perché
me l’hai tenuto nascosto? Perché farmi abortire quando già abbiamo un Mizuko in
casa? Eravate tanto ansiosi di averne un secondo?!", prese a tremare
Tobirama e stavolta di rabbia, stringendo i pugni fino a ferirsi i palmi con le
unghie. Dinanzi al cocciuto silenzio del padre, ella digrignò i denti,
resistendo a malapena all’impulso d’afferrare l’abat-jour e di fracassargliela
in testa. “O magari, ti dispiace proprio che io per prima sia sopravvissuta
all’incidente?!”
"Bisognava
mantenere il segreto."
"Quale?"
Silenzio.
"Non
chiedermi questo."
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“… ovvio che no, Mei-san. Ovvio che no. Ma è così bello
vendicarmi tramite il romanzo, facendoglielo credere.”
E Tobirama rise perfida.
***
“Baby
Blue, Baby Blue ,
I know that
thing t’was done to you ...
... You
killed your baby!”
- The End -
************************************************************************************
Scioccati? Incavolati? Mi dispiace, non si accettano
minacce di morte! ^^
Ebbene sì: se non lo avevate già capito, il tag “Genderbender”
non si riferiva solo a Naruto, bensì anche a Tobirama! Infatti, rileggendo,
noterete come abbia insistito sui capelli corti di Naruko, quando invece nel
manga ha le codine alla Sailor Moon. Inoltre, occhi a parte, un poco si
assomigliano. Ma soprattutto, complice anche l’affermazione del nostro Shodai
preferito, Sasuke e Izuna sono pressoché identici e quindi il “parallelo” ci
stava.
Infine, avete notato come non avessi mai usato né
aggettivi declinabili né tantomeno pronomi personali riferiti al sesso di
Tobirama? E' stata un'agonia grammaticale, davvero! Ma ne è valsa la pena,
buahahahhaha!!!
Dunque siamo arrivati veramente alla fine: è stato
divertente scrivere questa storia, nonostante i temi trattati, e ne sono
relativamente soddisfatta.
Se volete lasciare qualche commento o se avete alcune
curiosità sulla storia, non esitate a lasciarmi o una recensione o un pm!
Rispondiamo – quasi – subito! ;-P
Grazie ancora a tutti voi che mi avete seguito fino al
The End!
Alla prossima storia!
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