Aspetterò per una notte fuori dalla finestra

di FireFistAce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La prima estate di Jack ***
Capitolo 3: *** Dopo la Bufera ***
Capitolo 4: *** Aspetterò per una notte fuori dalla finestra ***
Capitolo 5: *** La fine ***
Capitolo 6: *** Di nuovo un guardiano ***
Capitolo 7: *** Nero come la pece ***
Capitolo 8: *** Divertirsi costa poco ***
Capitolo 9: *** Un coniglio per carnevale ***
Capitolo 10: *** Il giorno in più ***
Capitolo 11: *** La festa dei troll ***
Capitolo 12: *** Forse un problema ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


ASPETTERO' PER UNA NOTTE FUORI DALLA FINESTRA

Prologo

Ormai erano passati quasi nove mesi da quando, durante quelle vacanze di Pasqua così strane, l'Uomo della Luna mi aveva nominato guardiano.
Spesso ancora stentavo a crederci, nonostante la mia nuova vita non fosse poi così diversa dalla precedente: Calmoniglio era sempre nervoso; Sandy andava avanti con il suo ruolo di protettore dei sogni e come sempre spesso si addormentava sul lavoro; Dentolina era sempre super indaffarata; Nord continuava imperterrito a fare i preparativi per il Natale, ormai alle porte.
E io?
Io passavo le mie giornate a portare il freddo in tutto il mondo, anche se ora non potevo più divertirmi con i bambini come facevo prima. Il mio ruolo mi impediva di perdere tempo, dovevo proteggere ogni luce accesa sul mappamondo di Nord e questo era, in effetti, molto faticoso.
Però non ero convinto della mia scelta, a nove mesi da quando avevo accettato l'incarico iniziavano ad arrivare i dubbi.
Anche se, in realtà, non era proprio così: i dubbi erano arrivati in un giorno ben preciso, d'estate, a poche settimane dal mio incarico, quando l'avevo vista correre su per le montagne.
Quei capelli così biondi da sembrare ghiacciati; gli occhi blu, come il cristallo; il sorriso mentre faceva un pupazzo di neve.
Da allora, non era passato nemmeno un giorno senza che io fuggissi per un po' dai miei impegni per volare là, in quel regno lontanissimo da casa mia, dove ero stato attratto da una bufera di neve.
Arendelle.

 
Ormai erano passati cinque mesi da quando avevo smesso di nascondermi al mondo intero e avevo deciso di essere me stessa e basta.
Cinque lunghissimi mesi in cui, per quanto l'amore di Anna e dei miei sudditi mi riempisse le giornate, sentivo che qualcosa dentro di me non andava.
Era come se aver scoperto finalmente il potenziale di cui disponevo avesse fatto scaturire dentro di me la voglia di conoscere sempre di più di quel potere che mi era stato donato appena nata. Non riuscivo a capire come usarlo, continuavo a far divertire le persone ma non aiutavo nessuno e, nonostante ormai sapessi come fare per controllarmi, c'era sempre una remota paura di fare lo stesso baglio di un tempo.
Di poter fare male a qualcuno.
Ormai il Natale era alle porte e, nonostante il castello fosse addobbato a festa e Anna e Kristoff si fossero divertiti a fare l'albero, mi sentivo un po' giù. Mi mancava la montagna, mi mancavano la neve e il palazzo di ghiaccio che io stessa avevo costruito.
Sentivo un richiamo lontano dentro di me che mi spingeva ad andare lassù, senza un motivo, senza una ragione particolare.
Fu per questo che una notte, mentre tutti dormivano, mi coprii con un mantello per non farmi riconoscere e uscii dal castello, diretta alla cima della montagna.

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Capitolo 2
*** La prima estate di Jack ***


La prima estate di Jack

Quando avevo accettato l'incarico di guardiano, non pensavo che controllare ogni giorno che sulla Terra fosse tutto perfetto potesse essere tanto faticoso. Vedevo che Nord, Dentolina, Sandy e Calmoniglio riuscivano a svolgere le loro mansioni senza togliere tempo al lavoro di guardiani, quindi credevo che anche io sarei riuscito a proteggere i bambini e portare l'inverno senza problemi. Invece controllare che Pitch non tornasse era un compito passato a me, dato che “Sei l'unico che non ha mai niente da fare, almeno guadagnati il ruolo di guardiano!”, come mi aveva gentilmente detto Calmoniglio.
Così viaggiavo praticamente solo di notte per le città di tutto il mondo, controllando sempre il mappamondo di Nord e usando il suo laboratorio come base operativa.
Comunque dubitavo fortemente che Pitch si sarebbe fatto vedere presto: gli incubi lo avevano portato via e non è facile fuggire dalle proprie paure, soprattutto se si è soli. Questo lo avevo imparato perfino io.
Noioso, come lavoro, ma mi sentivo utile a qualcosa e per la prima volta in vita mia qualcuno credeva in me e nelle mie possibilità.
Ogni tanto tornavo a casa, lì dove c'erano il mio lago e il luogo della mia nascita, e rimanevo per ore ad osservare la luna.
Una sera, mentre stavo finendo di fare il giro dell'Europa e stavo rientrando al Polo Nord, avevo sentito dentro di me che qualcosa non andava.
Non avrei saputo spiegarlo: era una sensazione strana, un formicolio fastidioso che partiva dalla testa e arrivava ai piedi.
Il primo pensiero che ebbi fu che Pitch era tornato, così volai più veloce che potevo verso casa di Nord, irrompendo nel laboratorio dove i suoi elfi stavano giocando con un trenino.
“Nord! Dov'è?” esclamai continuando a sentire quel fastidio in tutto il corpo.
Lo vidi arrivare dalla sala macchine pieno di oggetti tra le braccia.
“Jack! Che succede?” mi chiese affabile.
“Nord, sta succedendo qualcosa! Non so dirti cosa ma me lo sento dentro, nelle ossa!” gli dissi. Il suo volto si fece subito serio mentre passava i giocattoli a uno Yeti.
“Hai visto ombre oscure in giro?” mi chiese.
“No” risposi.
“Allora le luci si sono spente sul mappamondo” suggerì.
“Neanche! È stato qualcosa di più strano, come... non lo so!” esclamai.
Nord si accarezzò i baffi mentre mi osservava.
“Io non sa, Jack, è probabile che tu abbia ragione e che qualcosa non vada. Se lo senti in tua pancia, sicuramente è giusto!” commentò.
Mi passai una mano tra i capelli, cercando le parole giuste per spiegarmi.
“Ecco, è come un formicolio, ok? Una scossa che parte dai capelli e mi arriva fino ai piedi, è fastidiosa e mi sta mandando ai pazzi!” spiegai.
“Hai detto un formicolio?” domandò. Io annuii. “Beh, potrebbe essere un'intrusione” considerò.
“Una che?”
“Intrusione. Si tratta di quando qualcuno disturba il tuo campo di lavoro. È capitato a tutti almeno una volta: quando i genitori dei bambini hanno iniziato a non credere in me e hanno cominciato a comprare i regali che i figli chiedevano, togliendomi buona parte del mio lavoro, per esempio” spiegò.
“Ma... ma non è possibile! Io comando la neve e l'inverno, sono l'unica persona che può farlo! Gli esseri umani non possono far nevicare a comando!” esclamai.
Nord mi osservava confuso.
“È vero, Jack. Non so cosa dirti, posso solo consigliarti di fare un giro per vedere che sia tutto ok” mi disse.
“Ma ho finito adesso di pattugliare l'intero globo!” mi lamentai. Lui fece spallucce.
“È tuo compito, Jack. Sei un guardiano, devi farlo” commentò.
Sparì di nuovo dietro la porta della sala macchine, lasciandomi lì immobile.


Sei un guardiano, Jack. È tuo compito, Jack. Invece di riposarti, continua a girare intorno, Jack” dissi, scimmiottando Nord. Sbuffai mentre mi alzavo di nuovo in volo per controllare la causa di quel formicolio nel mio corpo.
Ero veramente infastidito dal comportamento dei miei colleghi, tutti e quattro senza distinzioni. Mi sentivo come un galoppino e perfino Nord, che era quello più comprensivo e dolce tra tutti, mi trattava come un bambino.
“Diventa un guardiano, vedi come ti divertirai dopo” dissi tra i denti “Sicuro. Come un pugno nello stomaco” commentai.
Stavo volando verso i fiordi, là dove al momento era estate, ma mi bloccai improvvisamente una volta arrivato sopra un paese.
“Che diavolo...”
Ero passato di lì poco più di due ore prima ma tutto era perfetto: l'acqua limpida, gli alberi fioriti, gli abiti leggeri delle persone. Potevo giurarci che era tutto in perfetto equilibrio con l'estate.
Adesso, invece, sembrava che il cielo si fosse aperto e avesse rovesciato tutta la neve e il ghiaccio di cui disponeva.
Ma questo non era possibile.
Ero io a comandare l'inverno, io e io solo, quindi che stava succedendo?
Planai in piazza, ben sapendo che nessuno poteva vedermi, e mi appollaiai sopra la fontana, completamente congelata.
Una donna stava prendendo delle coperte da un tizio elegante e gentile, che comunque non mi piacque.
“Grazie, Principe Hans. Senza di lei, con la bufera di neve che ha creato la Regina Elsa saremmo sicuramente morti” stava dicendo la donna. Il tizio le sorrise.
“Non si preoccupi, la Principessa Anna conta su di me, sono qui per voi” rispose.
“Ma mi dica: è vero che la Principessa ha seguito sua sorella sulla cima della montagna?” chiese la donna.
“Sì, è vero. Sono sicuro che la Regina Elsa scioglierà questo incantesimo in pochissimo tempo, non disperate”
Mi voltai verso la montagna, in cima alla quale c'era una nuvola bianca che poco prima non avevo notato.
Avevo ascoltato abbastanza: presi il mio bastone e mi diressi verso la cima, seguendo la scia di neve che si scaturiva da lassù.
Salii sopra alle nuvole e osservai, cercando un punto di riferimento per capire dove questa Regina si fosse rifugiata.
Col sole che stava sorgendo in lontananza, il palazzo di ghiaccio azzurro e viola era impossibile da non vedere: brillava nella luce, come se fosse una gemma preziosa.
Rimasi a bocca aperta, senza capire come potesse esistere un palazzo tanto splendido, fatto interamente di ghiaccio.
Chi diavolo era questa Regina? Probabilmente era pericolosa e temibile, proprio come la tempesta che aveva scatenato sul suo paese.
Un'amica di Pitch, magari?
Mi avvicinai con cautela, cercando di non fare rumore: nonostante sapessi che non poteva vedermi, non mi sentivo a mio agio.
Scrutai all'interno della costruzione cercando una strega, una vecchia, qualcuno che poteva risultare cattivo e malvagio.
Invece quello che vidi non fu proprio questo: seduta a terra, circondata solo da quel ghiaccio, c'era una ragazza.
I suoi capelli brillavano di tanti piccoli cristalli congelati, il suo vestito azzurro era fatto interamente di neve e i suoi occhi azzurri guardavano con tranquillità le pareti intorno a lei.
Ogni tanto muoveva una mano in qualche direzione per aggiungere un particolare alla stanza circolare in cui era seduta: un vaso; la ringhiera della terrazza; un pendente al lampadario.
Proprio come una bambina che scopre per la prima volta di saper camminare, quella Regina giocava con il suo potere in modo infantile, divertendosi e ridendo.
Mi avvicinai ancora di più alla finestra della terrazza, attratto da quella ragazza, simile a me eppure tanto diversa.
Per cominciare, lei era umana mentre io ero morto e poi resuscitato.
Ma poi lei sembrava così a suo agio con sé stessa, così calma e tranquilla da farmi quasi innervosire.
Stavo allungando una mano per aprire la porta della terrazza quando sentii una voce provenire dall'ingresso e l'incantesimo si ruppe.
Mi guardai le dita, incredulo, come se fosse stata colpa loro se stavo per rivelarmi, poi mi voltai e volai via da lì, lontano da quella Regina.
Ero confuso e stupito, ma anche incuriosito: sentivo la necessità di scoprire di più su quella ragazza. Tornai al laboratorio di Nord in silenzio, col cuore a mille.
“Ah, Jack! Come è andato tuo giro intorno al mondo? È tutto ok?” mi domandò lui.
Io feci una piccola risata e mi scompigliai i capelli, poi saltai sul mappamondo osservando le luci accese sopra.
“Sì, tutto ok. Probabilmente le mie ossa si erano solo un po' indolenzite per la fatica” minimizzai.
Lui rise tenendosi la pancia.
“Eh Jack, non preoccuparti: è stato difficile per tutti all'inizio, poi ti abitui” mi assicurò.
“Già, mi abituo” ripetei poco convinto.
Per il momento, avevo deciso, l'esistenza di quella ragazza doveva rimanere un segreto per tutti gli altri guardiani.

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Capitolo 3
*** Dopo la Bufera ***


Dopo la bufera

La vita, da quando avevo fatto pace con me stessa, scorreva tranquilla.

Ero improvvisamente diventata la Regina più amata e famosa che Arendelle avesse mai avuto: i bambini venivano da me a chiedermi di congelare le loro scarpe per pattinare, gli adulti venivano da me quando avevano bisogno di scappare dalla loro vita piena di impegni e volevano svagarsi.

Non avevamo più chiuso le porte del palazzo da allora e Anna era il ritratto della vita e della felicità: correva in paese, osservava le persone mentre lavoravano, andava in giro con Olaf e Sven e a sera, quando Kristoff smetteva di portare il ghiaccio, si mettevano tutti nel salone del camino e stavano lì a parlare e scherzare.

Inizialmente tutto questo mi aveva affascinata. Niente più solitudine, niente più freddo nella mia stanza, niente più porte chiuse. Avevo ritrovato mia sorella e non vivevo più nella paura di uccidere qualcuno.

Certo, il rischio c'era sempre e cercavo ogni giorno di allenarmi per qualche ora a comandare i miei poteri, ma ormai avevo il pieno controllo della neve.

Era una vita splendida, calma, tranquilla e serena.

Nonostante questo, ormai era da un po' di tempo che mi ritrovavo la notte da sola a fissare il cielo. Dentro di me era nato il bisogno di capire come mai io fossi l'unica con un potere simile, chi aveva deciso che io dovevo comandare il ghiaccio e soprattutto perché.

Ad Anna non avevo detto niente: non volevo preoccuparla senza motivo e le mie domande potevano tranquillamente rimanere senza risposta.

In fin dei conti perché rovinare quella vita che avevo sempre desiderato solo per delle curiosità che mi avrebbero portata solo a mettere in discussione la mia esistenza?

“Elsa, che stai facendo?” mi chiese Olaf una sera, raggiungendomi in camera. Avevo lasciato la porta aperta e lui era entrato, come faceva solitamente.

Ero accoccolata alla finestra aperta ad osservare la neve che scendeva fuori, rischiarata dalla luce della luna.

Gli sorrisi.

“Guardo il cielo” risposi.

Lui si arrampicò sul davanzale con me, con il suo modo di fare goffo e buffo.

“E cosa guardi nel cielo?” domandò.

“La luna” dissi.

“Oh, la luna. E perché guardi la luna?”

Mi venne da ridere: quando iniziava a domandare, Olaf non si fermava più.

“Perché mi piace ed è splendente. Mi mette tranquillità” spiegai.

Incantata da quel bagliore argenteo, roteai una mano nell'aria e feci apparire la figura cristallizzata di un fiocco di neve, che brillò davanti ai nostri occhi.

“Wow, Elsa, sei proprio brava!” esclamò Olaf, meravigliato. Feci esplodere il fiocco di neve in tanti piccoli fiocchi, che si posarono su di noi. Lui fece un gridolino e provò a prenderli con le mani, ridendo come un bambino.

“Dai, è tardi adesso. Vai a dormire, ok?” gli dissi subito dopo, facendogli una carezza sulla testa. Lui annuì.

“D'accordo! Buonanotte, Elsa” mi salutò, per poi correre fuori dalla mia stanza, verso quello che una volta era un ripostiglio e che io avevo adibito a cameretta per Olaf, con tanto di letto congelato, neve perenne che cadeva dal soffitto per raffreddare l'ambiente e armadio pieno di pantofole di ghiaccio.

Chiusi la porta, poi rimasi per un attimo sovrappensiero: da un po' di tempo, ormai, volevo tornare sulla cima di quella che era diventata la mia montagna, però sapevo benissimo di non poterlo fare di giorno. Non potevo lasciare Arendelle senza di me perché i miei sudditi avevano bisogno di una guida, e poi avrei fatto preoccupare Anna scomparendo senza motivo.

Appoggiai l'orecchio alla porta per sentire se c'erano rumori in corridoio ma era tutto completamente silenzioso. Strinsi le labbra, pensierosa per un secondo, poi sigillai la porta con il ghiaccio per impedire che qualcuno entrasse a disturbarmi.

Presi un mantello dall'armadio, me lo misi intorno alla testa per non essere riconosciuta e poi aprii la finestra. Feci comparire magicamente una soffice pedana di neve sotto al davanzale e ci saltai sopra, scivolando lentamente verso il basso e atterrando sul suolo ghiacciato senza fare rumore.

 

Quando lo vidi in lontananza sentii una felicità pervadermi, come se stessi tornando a casa dopo un periodo lunghissimo. Il mio palazzo, fatto interamente di ghiaccio. Salii la scalinata in cristallo osservando tutti i particolari che avevo costruito quell'estate, poi aprii il portone principale ed entrai nella sala d'ingresso.

“Let it go” canticchiai.

Poi mi misi a ridere e a volteggiare, allegra come non ero da un po', e cambiai il mio abito, che era tornato, da quando regnavo, ad essere quello del giorno dell'incoronazione.

Salendo felice la rampa di scale che portava al primo piano, stavo pensando al fatto che la pace che regnava in quel posto mi faceva sentire viva e libera, ma poi lo sentii.

Mi bloccai, cercando di capire cosa fosse: era una risata?

Mi avvicinai silenziosamente alla porta e la aprii leggermente. Intravidi le grosse gambe di Marshmellow che si muovevano in circolo, lo sentivo che ringhiava contro qualcosa che probabilmente gli volteggiava intorno.

Poco più in alto, leggermente sopra la sua testa, c'era un ragazzo. Un ragazzo che volava.

Solo per un secondo rimasi incredula (chi ero io, in fin dei conti, per pensare che volare fosse una cosa assurda? Costruivo palazzi interamente fatti di ghiaccio!), poi aprii la porta all'improvviso.

Il ragazzo si bloccò, sorpreso, dando la possibilità a Marshmellow di dargli un colpo sulla testa e farlo cadere.

Frenai la sua caduta rovinosa con un cumulo di neve per evitare che si facesse male e subito dopo la mia ghiacciata guardia del corpo lo prese per un piede, alzandolo come se fosse un salame.

“Ehi, lasciami andare! Ti ho detto di mollarmi, stupido cubetto di ghiaccio!” si mise a gridare, divincolandosi e cercando di colpire Marshmellow con un bastone di legno, ricurvo sulla cima, che aveva in mano. Per tutta risposta, lui gli ringhiò contro infuriato.

“Chi sei tu?” domandai sulla difensiva, pronta a congelarlo in caso di bisogno.

Lui mi fissò con uno sguardo strano, quasi come se non capisse.

“Tu... riesci a vedermi?” chiese. Rimasi senza parole.

“Non provare a distrarmi con domande inutili” risposi.

“No, no, scusami, non volevo... senti, ti giuro che non sono un tuo nemico, ok? Fammi mettere giù dal tuo amico e ti prometto che proverò a spiegarti. D'accordo?” propose.

Scossi la testa, allibita.

“Non se ne parla nemmeno! Sei a casa mia, nel mio palazzo! Se non ti muovi a dirmi chi sei giuro che ti congelo!” lo minacciai.

Sul suo viso pallido nacque un sorriso beffardo che mi fece salire il sangue alla testa.

“Ti assicuro che non funzionerebbe nemmeno se ci mettessi tutto l'impegno del mondo” disse.

“Stai tirando troppo la corda. Chi sei e perché sei qui?” domandai per l'ultima volta. Lui sospirò, poi si arrese.

“Io sono Jack Frost. Stavo svolazzando in giro per i fiordi e, mentre sorvolavo la montagna, ho visto questo palazzo, mi è piaciuto e mi sono avvicinato. Tutto qua” rispose.

Non ero sicura di credergli.

“Perché puoi volare?” chiesi ancora.

“Per lo stesso motivo per cui tu puoi comandare il ghiaccio, immagino” commentò.

Questo era un punto per lui, considerai.

“D'accordo, ascoltami faremo così: adesso Marshmellow ti lascerà e tu te ne andrai di qui. Chiaro?” proposi. Lui annuì.

“Va bene, ma fammi scendere. Ho il sangue alla testa!” esclamò.

Feci un cenno a Marshmellow, che aprì la grossa mano nevosa e lo liberò dalla sua stretta. Jack (si chiamava così, giusto?) si rimise in piedi subito, volteggiando fino a terra e atterrando con grazia.

Ora che lo guardavo bene, notai che doveva avere più o meno la mia età, ed era vestito in modo improponibile per uno che aveva planato sulle montagne innevate: una leggerissima felpa blu con le maniche lunghe, un paio di pantaloni marroni a pinocchietto e basta. Non aveva le scarpe, non aveva le calze, una sciarpa, un paio di guanti, niente.

Si passò una mano tra i capelli bianchi e mi guardò sorridendo.

“Ehi, complimenti alla guardia del corpo. L'hai creata tu?” s'informò indicando Marshmellow, che strinse pericolosamente gli occhi, già infastidito dal suo modo di fare.

“Ho detto che devi andartene. Non sei il benvenuto qui”

Jack alzò le mani in segno di resa, continuando a sorridere.

“Lo so, lo so. Mi dispiace, Regina Elsa, di continuare a disturbarla” disse con un inchino.

“Come sai il mio nome?” chiesi, già pronta a congelarlo di nuovo.

“La Regina dei Ghiacci. Sei famosa in tutto il mondo, sai?”

“Che cosa?”

Quella notizia mi lasciò basita: famosa in tutto il mondo? Di certo non era quello che volevo.

Jack mi guardò e il suo sorriso si spense un poco.

“Ehi, stavo scherzando. Non ti preoccupare” mi disse. Lo osservai.

“Se stavi scherzando allora come sai chi sono?” domandai.

“Non avrei potuto non saperlo. Ecco, lascia che ti mostri” rispose.

Continuavamo a rimanere sulla difensiva, io e Marshmellow, ma ora ero anche incuriosita.

Vidi Jack prendere il suo bastone e scattare in avanti, correndo lungo il pavimento. Un secondo dopo l'ampio spazio circolare che io stessa avevo creato si mutò e del disegno di un fiocco di neve con cui avevo abbellito il pavimento non rimase niente. Al suo posto, il ghiaccio divenne più bianco e si espanse sotto ai nostri piedi, decorato con piccole venature splendenti che mi incantarono. Al centro un enorme statua di neve, una perfetta copia di me e Marshmellow, si materializzò in un secondo, proprio come il mio palazzo quell'estate.

Mi caddero le braccia per lo stupore.

“C-cosa... tu...” balbettai. Ero incredula.

Chi diavolo era questo Jack Frost?

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Capitolo 4
*** Aspetterò per una notte fuori dalla finestra ***


Aspetterò per una notte fuori dalla finestra

 

Mi fermai leggiadramente accanto a Elsa e mi appoggiai al bastone, osservando la mia creazione. Mi feci i complimenti da solo.

“Ti piace, vero?” le domandai.

Lei non riusciva a chiudere la bocca e guardava stupita la statua.

“Come è possibile?” chiese. Poi mi guardò. “Tu sei come me?”

Alzai le spalle per minimizzare ma non sapevo davvero cosa rispondere.

Ci avevo pensato parecchio da quando avevo saputo dell'esistenza della Regina dei Ghiacci. Io e lei, per quanto simili, eravamo diversi: lei era un essere umano con un potere sovrumano; io ero morto e rinato come guardiano e, per questo, potevo controllare l'inverno. Ma non ero nato così, una volta ero un ragazzo normale. Certo, prima di finire congelato nello stagno, ma questa era un'altra storia.

“Diciamo che sono simile a te, sì” risposi.

Elsa si voltò verso di me e vidi i suoi occhi azzurri brillare mentre mi guardavano. Rimasi per un istante senza parole nel vederla così. Certo che era bella.

“Sai comandare il ghiaccio? Puoi farmi vedere come controllare i miei poteri?” mi chiese ammirata.

Io risi divertito e mi librai sopra di lei, aiutato dal vento.

“So comandare anche il vento. Io sono lo spirito dell'inverno, mia cara!” le spiegai.

Sembrava che la sua titubanza fosse passata, che col trucco della neve avessi fatto sciogliere ogni suo dubbio.

“Ti prego, voglio imparare, è la prima volta che trovo qualcuno come me!” esclamò.

“Be' se hai un po' di tempo posso provare a insegnarti qualcosa. Ma da quanto ho visto sei già brava senza di me” le dissi indicando il palazzo intorno a noi.

Elsa si guardò le mani, come se non credesse al fatto che le avevo fatto un complimento.

“So di avere un grande potere. Ho creato questo posto, ho creato Olaf e Marshmellow, sono riuscita perfino a congelare l'intero fiordo, Arendelle e questa montagna in poche ore. Ma purtroppo non conosco ancora bene il mio potere, non so come divertirmi con esso! Lo capisci?” mi spiegò.

Mi misi a ridere. Mi stava davvero chiedendo di farla divertire?

Le girai intorno osservandola.

“Cosa vorresti imparare quindi? Vuoi solo che usare il tuo potere ti faccia divertire?” chiesi.

“Sì” rispose.

Le porsi la mano.

“Dai, ti faccio vedere intanto quello che so fare” la invitai.

Mi guardò malfidata, senza capire di cosa parlassi.

“Che vuoi fare?” domandò. Allungò leggermente la sua piccola mano tremante. La afferrai con sicurezza, poi le feci l'occhiolino.

“Facciamo un giro, fidati di me” risposi.

“Che?” esclamò lei, poi il vento ci investì e ci librammo nell'aria.

Elsa gridò spaventata mentre la tiravo verso di me e la prendevo al volo. Si strinse al mio collo mentre io facevo aumentare il vento per portarci sempre più in alto, sopra alle nuvole.

“Ti prego, ti prego non farmi cadere ok?” mi implorò.

“Tranquilla. Prometto che non ti lascio” giurai. La sentii rilassarsi leggermente ma continuava a tendere i muscoli come se stesse per cadere ogni minuto.

“D'accordo, cosa ti interessa del mio potere? Cosa vuoi che ti mostri?” le chiesi.

Elsa mi guardò un po' incerta, sempre impaurita dall'altezza.

“Non lo so, tutto ciò che sai” mi rispose.

“Beh, intanto io posso comandare il vento. Tu questo puoi farlo?” mi informai.

“No. Però posso dare vita al ghiaccio”

“Sì, questo già lo so, ho conosciuto Marshmellow. A proposito, complimenti per la scelta del nome” considerai ridendo.

“Non sono stata io, è stato Olaf” mi informò.

“Chi?”

“Il mio pupazzo di neve”

La guardai.

“Hai dato vita a un pupazzo di neve?” domandai incredulo. Elsa annuì.

“Sì, senza volerlo sì” ammise.

Scossi la testa ammirato.

“Beh, nonostante tutti i miei anni di attività giuro che non sono mai riuscito ad animare niente per più di trenta secondi. Il tuo potere è molto più forte del mio” considerai.

Lei ridacchiò imbarazzata.

“Ma io non posso volare” ribatté.

“Per quello ci sono io, non preoccuparti” le assicurai.

Feci lo slalom in mezzo alle montagne innevate, girando su me stesso e impegnandomi perfino in un paio di giri della morte che la fecero gridare di paura.

Subito dopo il terrore di cadere, però, Elsa si mise a ridere divertita.

“Fallo ancora!” esclamò. Le sorrisi.

“Ne sei sicura? Non hai paura? E se ti lasciassi andare?” la sfidai.

“Voglio fidarmi invece” rispose stringendosi di più a me.

Avrei voluto farle un sacco di domande in quel momento.

Non hai freddo? Non sei stanca? Non vuoi tornare a casa?

Invece rimasi in silenzio e la accontentai, passando intorno a una nuvola conica che andava verso l'alto, girandole intorno e poi capovolgendomi per tornare verso il suolo a capo in giù.

Sentii le sue braccia stringermi il collo e il suo viso affondare nella mia spalla mentre cadevamo a velocità folle verso il basso.

“Hai paura?” chiesi preoccupato.

“No” mi rispose sicura.

Sorrisi e curvai dolcemente a pochi metri dalle cime degli alberi intorno al fiordo di Arendelle, atterrando poi su una roccia innevata.

La feci scendere a terra e la sorressi fino a che le sue gambe non ritrovarono stabilità, poi la osservai.

“Tutto ok? Stai bene?”

“È stato... stupefacente! Da lassù sembrava di poter governare il mondo, era bellissimo!” esclamò estasiata.

Sorrisi.

“Già, spesso ho pensato anche io che andare lassù mi facesse governare il mondo” ammisi.

Anche Elsa mi sorrise a sua volta e rimanemmo un secondo a fissarci senza parlare, poi lei si sedette a terra, in mezzo alla neve, il mantello azzurro che svolazzava al vento leggero delle prime ore del mattino.

“È bello conoscere qualcuno come me, per una volta. Ho sempre pensato di essere la sola ad avere dei poteri particolari, invece a quanto pare non è così” mi disse.

Mi sedetti anche io ad ascoltarla, appoggiandomi con le braccia a terra, rilassato.

“Questo significa che mi perdoni l'incursione al tuo palazzo?” domandai ridacchiando. Mi guardò male.

“Posso sempre aizzarti contro Marshmellow, non te lo dimenticare” mi avvertì.

Risi di gusto, poi mi sdraiai sulla neve con le mani dietro la testa.

Mi sentivo in pace con me stesso, in quel momento: anche se avevo deciso di non dirle che erano mesi che mi interessavo a lei e ai suoi poteri, mi sembrava che ora questo non avesse peso. Era stata una nottata divertente e lei una ragazza simpatica con cui condividevo lo stesso potere, niente di più.

Era da molto tempo che non stavo così bene, almeno da quando avevo rinunciato alla mia vita solo per diventare un guardiano.

Il sole iniziava a sorgere in lontananza, al di là delle montagne, dando un colore rosato alla neve bianca.

“Oh no. Oh no!” esclamò Elsa alzandosi in piedi.

“Che c'è?” domandai.

“Devo tornare a casa! Sono uscita in silenzio nella notte, se non sono in casa quando il palazzo si sveglierà tra poco, si preoccuperanno tutti quanti, soprattutto mia sorella!” mi rispose.

Mi alzai a mia volta e le tesi la mano.

“Posso darti un passaggio, se non hai troppa paura” le proposi.

Mi guardò sorridendo divertita.

“No, non ho paura”

 

La feci scendere direttamente nella sua camera, dove entrò in punta di piedi per evitare di fare confusione.

Appoggiò l'orecchio alla porta ma dedussi che doveva esserci silenzio al di là perché poi passò le mani sulla maniglia, liberandola dal ghiaccio, e si affacciò nel corridoio.

“Bene, dormono ancora tutti quanti” disse sollevata.

Nel frattempo io mi ero appollaiato sul davanzale della finestra, il bastone appoggiato in terra per sorreggermi.

“Direi che allora è arrivato il momento che io me ne vada” considerai.

Elsa si voltò verso di me e mi sorrise, poi si avvicinò. Era tornata ad essere composta come una regina di tutto rispetto, le mani intrecciate sulla pancia, l'espressione matura e controllata.

“Bene, Jack Frost, ti ringrazio per quest'avventura notturna. Mi ha fatto molto piacere conoscerti” mi disse.

Mi trattenni a stento dallo scoppiare a riderle in faccia.

“Quanta formalità!” la presi in giro. Lei arrossì.

“Una Regina deve comportarsi in un certo modo nel suo palazzo, sai?” mi fece presente.

“Allora preferisco incontrarti fuori da qui. Non pensi che sia più divertente?” domandai. La vidi trattenere a stento un sorriso.

“Penso che potrei imparare molto da te. Da un po' di tempo nutro il desiderio di fortificarmi e imparare a controllarmi e credo che tu possa aiutarmi molto. Certo, se questo non ti disturba” disse.

“Oh no, affatto. Avere un'allieva? Potrebbe essere uno spasso!” ammisi.

Mi dette una lieve spinta con la mano.

“Sei troppo pallone gonfiato per i miei gusti, ma se non mi viene offerto niente di meglio mi accontenterò” commentò con un sospiro.

Risi e rimasi a guardarla per un momento. Dovette notarlo perché le sue guance bianche si tinsero di rosso.

“Che c'è?” chiese.

“Niente. Stavo pensando che mi piacerebbe rivederti” risposi.

Rimase interdetta per un attimo mentre registrava le mie parole e in quei pochi secondi di silenzio perfino io rimasi stupito da ciò che avevo detto.

“Anche a me farebbe piacere ma purtroppo devo badare ad Arendelle. Non posso allontanarmi molto spesso, il mio ruolo non me lo permette” considerò.

“Allora vediamoci di nuovo di notte. Vengo a prenderti io e andiamo ad allenarci con i tuoi poteri. Che ne pensi?” le proposi di slancio.

Ci rifletté per qualche secondo e in lontananza si sentirono le prime porte aprirsi e i primi rumori riempire l'aria mattutina.

“Non lo so. Non posso uscire ogni notte, ho bisogno di dormire” mi disse. Mi sporsi un po' verso di lei.

“Ascolta, parliamone di nuovo questa notte, ok? Ti aspetterò fuori dalla finestra fino all'alba, se non verrai significherà che non ti interessa imparare qualche trucco” proposi.

Stava per ribattere quando qualcuno bussò alla sua porta.

“Vostra altezza, svegliatevi è mattina!” dissero dall'altro lato. Si girò per un istante.

“Sì, arrivo subito mi preparo!” rispose. Tornò a concentrarsi su di me. “D'accordo, questa notte. Ci sarò” promise.

“Perfetto” le risposi sorridendo. Mi voltai e presi di nuovo il volo, sapendo che nessuno poteva vedermi. Sentii chiudere la sua finestra mentre mi allontanavo da Arendelle per tornare da Nord, e il pensiero di rivederla quella sera, per qualche motivo, mi faceva sentire felice.

Ma quella sera lei non si presentò e quando la rividi non era più la stessa.

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Capitolo 5
*** La fine ***


La fine
 

Non ho ricordo di cosa è successo da quando ho salutato Jack Frost a quando mi sono risvegliata. Mi sembrava di aver dormito per un periodo di tempo lunghissimo e di risvegliarmi emergendo da un abisso oscuro.

La prima cosa che vidi fu la luna piena, splendente nel cielo, al di là degli alberi; subito dopo riconobbi la mia stanza, anche se non riuscivo a capire come mai fosse completamente ricoperta di ghiaccio nero. Ero sdraiata a terra, con la faccia rivolta verso il pavimento.

Sentivo il mio nome che risuonava nell'aria, come se mi chiamasse qualcuno, ma non c'era nessuno intorno a me.

“Hai ancora un compito da svolgere, Regina dei Ghiacci”

Mi alzai in piedi senza capire cosa stava succedendo, poi sentii la porta spalancarsi con un enorme botto e Anna apparve sulla soglia.

“Anna! Che succede?” le chiesi vedendola arrivare così di corsa, ma invece di rispondermi lei lanciò un grido spaventoso che mi fece gelare il sangue nelle vene.

Mi spaventai pensando che stesse male e le corsi incontro mentre si accasciava a terra, le mani premute sugli occhi che iniziavano a riempirsi di lacrime.

“ANNA!” esclamai, ma non appena mi inginocchiai accanto a lei capii che qualcosa non andava.

Le mie mani, che avevo allungato verso di lei per aiutarla, le passarono precisamente attraverso. Mi ritrassi spaventata.

“Ma che...”

In quel momento arrivarono correndo Kristoff, alcune cameriere e il maggiordomo capo. Sentii tutti quanti trattenere il fiato mentre guardavano nella mia camera.

“Oh mio Dio” sussurrò Kristoff, affiancando Anna e abbracciandola. Lei si strinse nel suo maglione continuando a singhiozzare.

“Qualcuno mi dice che sta succedendo?” gridai nel panico, ma non mi fu data nessuna risposta.

Perché non potevo toccare mia sorella? Perché tutti quanti stavano piangendo in silenzio guardando in camera mia? Ma soprattutto, perché mi sentivo così angosciata nel girarmi per capire cosa stessero fissando?

Il maggiordomo capo entrò nella mia stanza, passandomi accanto senza praticamente vedermi, per fermarsi pochi passi dopo. Mi voltai molto lentamente.

Trattenni il respiro, sentendomi male. Davanti all'uomo c'era un corpo, disteso a faccia in giù, le braccia aperte, gli occhi sbarrati e una pozza di sangue intorno.

Era il mio corpo.

“No. Oh no” sussurrai coprendomi le mani con la bocca.

Non era possibile, ero sicura che non fosse possibile. Io ero ancora lì, li stavo vedendo tutti quanti, potevo muovermi, potevo parlare, respiravo.

Ero viva, non poteva essere altrimenti.

“Anna. Anna, guardami, ti prego, Anna sono qui” iniziai a chiamarla e a scuoterla ma le mie mani non la toccavano ed ero sicura che lei non mi vedesse.

La mia voce si incrinò.

“Anna... ti prego. Io sono qui” implorai, ma era tutto inutile. Non mi poteva sentire.

Mi strinsi le braccia al petto mentre la verità si faceva strada dentro di me: ero morta. Per qualche ragione che non riuscivo a ricordare, io ero morta e adesso ero in un limbo da cui non riuscivo ad andarmene.

Ma la cosa peggiore era che dovevo essere spettatrice del dolore di chi mi aveva amata.

Come in un sogno vidi il mio corpo che veniva portato via dalle guardie del castello e poi la mia stanza tornare silenziosa.

Il ghiaccio ancora brillava alla luce della luna, con i suoi riflessi neri come la pece.

Sfiorai con la punta delle dita una parete congelata, cercando conforto almeno lì dove lo avevo sempre trovato, ma stavolta non lo trovai.

Non so bene dopo quanto tempo mi alzai. Dovevo cercare Anna, anche in quel modo dovevo starle vicina. Avevo promesso di proteggerla e rimanerle accanto sempre. Era mia sorella in fondo!

Barcollai fino alla porta della sua camera, che trovai chiusa. Fuori c'era Kristoff che bussava.

“Anna, fammi entrare, ti prego” le stava dicendo, ma lei non rispondeva, proprio come avevo fatto io una volta molto tempo prima.

Olaf non c'era, notai, ma forse era con Sven.

“Anna, per favore. Non stare da sola adesso” ripeté Kristoff, ma da mia sorella non ci fu risposta.

Controllai che la mia mano passasse attraverso la porta, visto che riuscivo a passare attraverso le persone, poi entrai in camera di Anna.

Era sdraiata nel letto, raggomitolata al centro come quando eravamo bambine, e stava piangendo. Stringeva a sé il cuscino come se fosse un'ancora di salvezza. Mi avvicinai per guardarla meglio.

“Anna. Anna mi vedi? Anna...” provai di nuovo, ma la voce mi si spezzò.

Non potevo fare altro che sdraiarmi accanto a lei e far finta di poterla toccare, abbracciare come facevo quando eravamo piccole e lei aveva paura del buio.

“Elsa” sussurrò, e quasi pensai che mi avesse sentita. “Elsa, si è svegliato il cielo, dobbiamo fare un pupazzo di neve, te lo ricordi?” disse.

“Me lo ricordo, Anna” risposi.

Si raggomitolò ancora di più, il volto inondato dalle lacrime.

“Non puoi andartene. Non puoi farlo proprio adesso che ci eravamo ritrovate, che avevamo finalmente aperto le porte” sussurrò singhiozzando.

Posai una mano sulla sua, anche se non potevo nemmeno sfiorarla, sperando che percepisse che ero lì, che non me ne ero andata.

Aprì gli occhi e guardò attraverso di me, verso la finestra. Poi si mise a cantare.

“Ed ora che farò? Sono sola ormai. Quale conforto avrò? Ora tu mi manchi troppo”

Il mio cuore si spezzò.

 

Guardai da lontano il mio funerale, senza poter fare niente per diminuire il dolore di mia sorella e di tutti gli altri.

Era straziante rimanere ferma ad osservare tutte quelle persone soffrire per causa mia, ma ancora più straziante era non ricordare niente.

Avevo provato a farmi tornare in mente il momento in cui ero morta, uccisa o altro, ma l'ultimo ricordo che avevo di me in vita era l'istante in cui avevo salutato quel tipo, Jack Frost.

Che c'entrasse lui con tutto questo?

Quando finì il funerale tornai indietro fino al castello ma sapevo che lì non potevo far niente.

Non potevo parlare con nessuno, non riuscivo a sopportare quel dolore, non sapevo cosa fare.

Forse fu per questo che mi allontanai dal corteo, diretta verso il fiordo; camminai sulla lastra ghiacciata attraversandolo e poi decisi di andare fino al mio palazzo.

Là sarei stata sola, avrei potuto rimettere in ordine le idee. Anche se non c'era molto da mettere in ordine: ero morta. Punto.

Quel pensiero mi fece bloccare in mezzo alla neve e mi fece sentire incredibilmente sola. Ero morta ed ero rimasta sulla terra come... cosa? Un fantasma? Uno spirito? Cosa ero diventata?

Ripresi a camminare ma mi sentivo perduta, ero stanca e mi bruciavano gli occhi dalle lacrime.

Poi mi resi conto che ero per strada da troppo tempo.

Mi fermai e mi guardai intorno: il mio palazzo avrebbe dovuto essere comparso già da un po'.

Perché non c'era?

“Ti stavo aspettando” disse qualcuno dietro di me.

Mi voltai spaventata.

Il bastone piantato a terra, lui seduto sopra... Jack Frost mi stava guardando con un'espressione seria in viso, il cappuccio calato sulla testa e un braccio appoggiato sul ginocchio destro.

Non capii subito che stava parlando con me, almeno fino a che non mi atterrò leggiadramente davanti e si tolse il cappuccio.

“Mi dispiace per quello che ti è successo” disse con voce lugubre.

“Come puoi vedermi?” domandai. Tra tutte le cose che avrei potuto chiedere, quella era l'unica che mi era venuta fuori, ma alla fine era probabilmente il punto d'inizio di tutta quella situazione paradossale.

“Ti ricordi che ti avevo detto che eravamo simili? Che non eravamo uguali?” mi chiese.

“Sì, me lo ricordo” risposi.

“Be', ora lo siamo. Ora siamo uguali” spiegò.

Lo fissai inizialmente senza capire.

“Tu sei morto?”

“Sì, sono morto e poi sono rinato. Proprio come te” confermò.

Si stava lentamente avvicinando a me, ma non volevo.

“Ti prego, stammi lontano” dissi. Si bloccò come scottato.

“Devi venire con me. Sono venuto a prenderti” mi assicurò.

“Come posso sapere che questa non è colpa tua? Come puoi anche solo pensare che io ti creda?” lo aggredii.

Jack Frost distolse lo sguardo e fissò la valle in fondo alla montagna, là dove c'era Arendelle.

“Non posso pretenderlo, hai ragione. Ma non è cambiato niente dalla settimana scorsa, da quando ti ho promesso di insegnarti a comandare i tuoi poteri” rispose.

“Io non ti credo. Non posso credere a te e a tutta questa situazione assurda!” gridai tra le lacrime.

Non bastava che avessi avuto addosso una maledizione in vita, adesso dovevo averla anche da morta. Perché la mia intera esistenza doveva essere un susseguirsi di sofferenze? Perché, se proprio avevo dovuto morire, non potevo riposare in pace?

“Elsa, ascoltami d'accordo? Non so perché sei morta, ti giuro che non lo so. Ti ho aspettato fuori da quella finestra per ore e non ti sei presentata all'appuntamento. Allora mi sono affacciato nella tua stanza ma ti ho vista riversa a terra, piena di sangue, e ho capito che non c'era più niente da fare” mi disse. Mi misi le mani sulle orecchie per non sentire. Non volevo ascoltare.

Jack si avvicinò a me e mi strattonò i polsi.

“Quando sono tornato a casa, l'Uomo della Luna mi ha detto di venirti a prendere, che sei anche tu una guardiana adesso. Che tu lo voglia o no, la tua vita è questa da ora in poi”

“Smettila! Non voglio!” urlai.

Caddi a terra sentendo le forze abbandonarmi, chiedendomi se per caso non stessi finalmente morendo, stavolta davvero.

Ma sapevo che non era così, me lo sentivo.

Vidi il viso di Jack Frost davanti al mio che lentamente si sfocava e sentivo la sua voce sempre più lontana.

“Te l'ho promesso una volta, te lo ricordi? Io non ti lascio cadere” mi sussurrò prima che perdessi coscienza.

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Capitolo 6
*** Di nuovo un guardiano ***


Di nuovo un Guardiano

Presi Elsa tra le braccia e poi chiamai il Vento.

“Portami da Nord” dissi.

Mi librai nell'aria con Elsa stretta tra le mani, diretto verso il laboratorio di Nord, in Finlandia.

Ancora non riuscivo bene a capire cosa fosse successo: avevo aspettato fuori da quella finestra per tutta la notte ma lei non si era fatta vedere, così mi ero affacciato, troppo incuriosito per trattenermi. Volevo capire se semplicemente mi aveva ignorato oppure se non era potuta uscire.

Così avevo visto le pareti ricoperte di ghiaccio, nero come la pece e spesso come non ne avevo mai visto, e lei era lì, a terra, ricoperta di sangue.

Se mi passate il modo di dire, mi si era gelato il sangue nelle vene.

Ero rimasto immobile a fissarla attraverso il vetro senza riuscire a concepire il fatto che fosse stata uccisa. Ma poi da chi?

Quel ghiaccio nero mi faceva pensare solo a Pitch e un'inquietudine crescente si impossessò di me, facendomi quasi tremare.

Mi ero voltato ed ero tornato di corsa al laboratorio di Nord, che non era molto distante da Arendelle, ma quando ero arrivato lì la situazione non era affatto migliorata.

C'erano tutti: Dentolina, Calmoniglio e perfino Sandy. Stavano solo aspettando che arrivassi io.

“Ah Jack! Finalmente ti sei degnato di farti vedere” mi aveva accolto Calmoniglio. Li avevo guardati tutti quanti.

“Che succede? Perché siete qui?” avevo domandato. Nord si era fatto avanti.

“A quanto pare, l'Uomo della Luna ha qualcosa da mostrare” mi aveva risposto.

In quel momento la luce della luna aveva colpito la piattaforma da cui una volta era uscita anche la mia immagine.

Eravamo rimasti tutti col fiato sospeso mentre aspettavamo una risposta, ma ero stato io, poi, quello più sconvolto.

Era comparsa l'immagine di Elsa, col suo vestito fatto di neve, la treccia ricoperta di cristalli di ghiaccio e il sorriso docile che aveva di solito, come se non pensasse di meritarsi di sorridere.

“Chi è questa ragazza qui?” aveva domandato Dentolina, vibrando di eccitazione. “Io non la conosco. Voi la conoscete? Oh mio Dio, una ragazza! Finalmente un'altra ragazza guardiano!” aveva detto.

“Io non conosce lei. Sandy?” aveva aggiunto Nord. Per tutta risposta, Sandy aveva semplicemente scosso la testa.

“Non è possibile che nessuno di noi la conosca. Che l'Uomo sulla Luna abbia sbagliato?” aveva proposto Calmoniglio, con la sua solita... calma.

“Io la conosco” mi ero intromesso. Calmoniglio aveva riso.

“Tu la conosci? E come fai a conoscerla tu se non la conosciamo noi?” mi aveva sbeffeggiato.

Inspiegabilmente ero arrossito, come se mi avessero preso con le mani nel sacco e io avessi combinato qualcosa di terribile.

“L'ho conosciuta ieri, è una ragazza umana” avevo spiegato. Dentolina mi era volata davanti.

“Come mai una ragazza umana poteva vederti? Jack non hai combinato qualcosa di strano stavolta, vero?”

“Grazie mille per la fiducia, dico davvero. È bello sapere che ti fidi di me” avevo commentato amaramente.

“Però Dentolina ha ragione. Perché hai conosciuto una ragazza umana?” si era aggiunto Calmoniglio.

Io avevo fatto spallucce.

“Tempo fa, ad Arendelle, c'era stata una bufera di neve che non avevo creato io, così, appena ho avuto il tempo di farlo, sono andato a vedere. Ho scoperto che lì viveva una Regina col potere di comandare il ghiaccio e mi sono incuriosito, tutto qua. Solo che, probabilmente perché condividiamo lo stesso potere, lei poteva vedermi anche se non credeva in me” avevo spiegato, minimizzando tantissimo. Nord si era accarezzato i baffi.

“Ma se è una umana, perché l'Uomo della Luna...”

“Non lo è più” lo avevo interrotto. Si era voltato a guardarmi.

“Mh? Cosa?”

“Non è più un'umana. È per questo che sono corso qui, non sapevo che vi eravate dati

appuntamento. Stanotte qualcuno l'ha uccisa e tutto ciò che so è che nella sua stanza le pareti erano ricoperte di spesso ghiaccio nero. Vi ricorda qualcosa?”

Dentolina aveva trattenuto il fiato.

“Pitch! Pensi che sia tornato?”

Avevo fissato serio l'immagine di Elsa davanti al mappamondo, leggermente trasparente e sfocata.

“Non lo so”

 

Arrivato da Nord avevo fatto portare Elsa in una camera che il vecchio le aveva preparato per il suo arrivo.

Dentolina era andata con lo Yeti che la trasportava per cercare di attutire un po' lo shock del risveglio e magari il fatto che lei fosse una ragazza avrebbe aiutato un po' Elsa.

Io mi ero trascinato accanto a una finestra, abbastanza confuso e senza sapere come comportarmi.

Cosa potevo dirle, una volta che si fosse svegliata? Come avrei potuto aiutarla?

Sentii dietro di me i passi di Nord, che mi affiancò e mi mise una mano sulla spalla.

“Tu conosceva questa Elsa molto bene?” mi domandò. Scossi la testa.

“No, in realtà ci siamo parlati solo una volta. Mi aveva raccontato qualcosa del suo potere e io le avevo parlato del mio ma niente di più” risposi.

“Ho capito. E pensi che sarà un bravo guardiano?”

“Sinceramente non so dirtelo. Non sono convinto che voglia farlo, in fin dei conti ha appena assistito al suo funerale. Non è una cosa che si supera in fretta, non so se mi spiego” considerai.

Nord mi guardò in un modo strano che non riuscii a decifrare.

“Jack, non è che lei piace te?” mi chiese. Arrossii prepotentemente.

“Nord, ma sei scemo? Certo che no, ci ho parlato una volta sola!” esclamai. Sentii Calmoniglio ridermi alle spalle e mi voltai infuriato.

“Ce l'hai con me, Canguro Pasquale?” domandai. Lui cambiò espressione.

“Come mi hai chiamato, Igloo?” disse minaccioso avvicinandosi.

“Hai voglia di litigare, Canguro Pasquale? Sono disposto a farti nero quando vuoi, anche se mi dispiacerebbe per quell'adorabile codina pelosa che ti ritrovi” commentai con un sorriso beffardo.

Calmoniglio strinse gli occhi e mi fulminò.

“Tu, razza di moccioso, arrogante...” e chissà quante altre cose sarei stato se Nord non si fosse messo in mezzo.

“Via, via, siete due guardiani ormai! Pensavo che aveste superato queste vostre faide da un po' ormai” ci sgridò. Tornai sbuffando a guardare fuori dalla finestra.

“È colpa sua” commentai.

“Colpa mia? Sei tu che mi chiami Canguro! Nord diglielo che è stato lui!” esclamò Calmoniglio.

“Dai, calmiamoci tutti quanti. Adesso dobbiamo solo stare tranquilli per aiutare la nostra nuova ospite ad ambientarsi” rispose il vecchio.

Stavo per controbattere ma voltandomi vidi arrivare Dentolina, seguita da una triste Elsa.

Mi alzai di scatto e mi trattenni a stento dal correre verso di lei e abbracciarla.

Con un sorriso un po' titubante, Dentolina si rivolse a Elsa.

“Ecco, vedi? Loro sono Nord, Calmoniglio, Sandy e... be', Jack lo conosci, dico bene?” le chiese. Per tutta risposta, lei annuì, gli occhi rivolti a terra.

Nord si tirò su pantaloni e fece un sorriso splendente alla nostra ospite.

“Benvenuta, Regina Elsa! Jack ci ha raccontato che sei nuova, tra i nostri, e mi rendo conto che puoi sentirti un po'... come dire... confusa. Ma sono sicuro che ti troverai benissimo con noi!” l'accolse.

La ragazza continuò a fissare il pavimento, senza avere l'intenzione di parlare. Dentolina, dietro di lei, mi faceva segno di dire qualcosa ma ero senza parole.

Mi schiarii la gola.

“Elsa, mi rendo conto che per te questo è un momento difficile ma noi siamo qui per aiutarti. L'Uomo sulla Luna ti ha eletta guardiano non appena sei... insomma...” mi passai una mano tra i capelli, imbarazzato.

“Morta. Non appena sono morta. Puoi dirlo” mi venne in aiuto Elsa.

Quant'ero stupido? Ero durato due minuti prima di ricordarle che era morta e che aveva appena assistito al suo funerale.

“Sì, ehm... esatto” convenni fissando un punto indefinito della mia felpa.

Cadde il silenzio tra noi sei, rotto solo dai rumori del laboratorio di Nord, dove gli Yeti stavano finendo di impacchettare i regali per il giorno di Natale, che sarebbe stato l'indomani.

“Sentite, questo Uomo sulla Luna di cui mi avete parlato tanto, sì insomma... sarebbe possibile parlarci?” domandò Elsa con voce flebile, rompendo il silenzio.

Nord scosse la testa.

“No, mia piccola fanciulla, mi dispiace. Uomo sulla Luna è inarrivabile, lui decide per noi e non si può discutere sue decisioni” le rispose.

“Sì me ne rendo conto ma temo che abbia fatto un errore a scegliere me” controbatté Elsa.

“Non è possibile, l'Uomo sulla Luna non fa mai errori” si inserì Dentolina.

“Secondo me invece sì” continuò Elsa, caparbia. Ammiravo questa sua cocciutaggine, mi piaceva.

“Perché pensi questo, fanciulla?” la interrogò Nord.

Lei si guardò le mani, che le tremavano leggermente.

“Voi tutti, credo di capire, avete dei poteri, giusto?” chiese.

“Sì, tutti noi” confermammo.

“Esattamente. Io non ne ho più” commentò lasciando cadere le braccia inermi lungo il corpo.

Quell'informazione ci mise un secondo a penetrare nei nostri cervelli.

“Che significa che non hai più potere? Jack ci ha detto che comandi il ghiaccio!” esclamò Calmoniglio.

“Sì, infatti è così. Avevo un potere, quando ero in vita, ma adesso sono una semplice persona” spiegò. Strinse le mani a pugno. “L'ho capito quando ho visto che il mio palazzo e Marshmellow non c'erano più e Olaf era sparito e non era rimasto accanto ad Anna durante il mio funerale” aggiunse.

Per la prima volta alzò su di noi lo sguardo e i suoi occhi blu risultavano arrossati e gonfi. Aveva pianto ancora, dopo che si era svegliata?

“Mi dispiace, vi siete dati tanta pena per farmi arrivare qui quando io vi sono inutile. Vi chiedo scusa” disse.

Noi ci scambiammo sguardi confusi. Non era mai successo che un guardiano non avesse poteri, era contro la stessa figura di leggende che ci distingueva.

Per cui cosa ci sfuggiva?

“Ascolta fanciulla, se vuoi intanto puoi fermarti da me a stare. C'è tanto posto e gli Yeti ti daranno una camera per riposarti” propose Nord.

“Sì, esatto, poi quando ti sarai riposata ti aiuteremo a capire cosa succede, va bene?” aggiunse Dentolina, col suo sorriso calmo e tranquillo.

Elsa li guardò, le braccia di nuovo strette intorno al corpo. Fece un sorriso leggero, quasi inesistente.

“Certo. Grazie mille” accettò.

Nord la prese galantemente sottobraccio e la scortò lungo gli infiniti corridoi del suo rifugio. La vidi sparire dietro una porta e rimasi lì imbambolato, sentendomi ancora un idiota.

Calmoniglio si fece avanti.

“Be', devo dire che per essere una con i poteri del ghiaccio è piuttosto gentile, tranquilla e dolce. Credevo che fossero tutti come te e mi ero quasi spaventato” considerò.

Sbuffai, poi me ne andai via seccato, uscendo dalla finestra in volo e salendo su una delle torri fuori dal laboratorio.

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Capitolo 7
*** Nero come la pece ***


Nero come la pece

Non mi ricordo quanto tempo sono stata chiusa in quella camera. Avevo sbarrato la porta una volta che quella specie di ragazza-uccello era uscita dalla mia stanza ed ero rimasta lì, in silenzio, seduta

a terra con le ginocchia al petto, a piangere.

Se mi concentravo riuscivo a risentire la risata di Anna, il saluto di Olaf, i litigi di Kristoff e Sven; potevo percepire il profumo dei dolci di Natale che stavano facendo qualche giorno prima che la mia vita precipitasse; riuscivo perfino a immaginare che davanti a me ci fosse tutta la mia famiglia riunita, mamma e papà, morti ormai da quasi quattro anni, Anna e il suo sorriso contagioso, Olaf e la sua dolcezza...

Quei pensieri mi facevano sentire sempre più triste e il mio cuore sprofondava ogni minuto di più in un abisso infinito.

Ogni tanto qualcuno veniva a bussare alla porta ma anni e anni di esperienza mi avevano insegnato come ignorare i visitatori. Certo, in quel momento, mi pentivo amaramente di aver ignorato così tanto la mia sorellina: adesso che non potevo più abbracciarla sentivo la mancanza di ogni minuto passato con la porta chiusa, in camera mia, nella solitudine più cupa invece che ad aprirmi a chi mi amava e mi aspettava.

Adesso tutto questo se n'era andato, sostituito da una vita come “guardiano”. Ma poi, cosa potevo mai fare, io?

Più continuavo a pensarci e più non riuscivo a capire come fossi morta.

Sapevo che quel ghiaccio oscuro che era alle mie pareti c'entrava qualcosa ma non ricordavo niente. La sensazione di aver dimenticato qualcosa di importante mi attanagliava e nei momenti in cui la disperazione non aveva il sopravvento cercavo di focalizzare qualche immagine per far chiarezza.

“Vi trovate bene, nella vostra nuova vita, mia Regina?”

Quella voce sbucò dall'oscurità senza preavviso e un'ombra silenziosa comparve nella mia stanza.

Un uomo, o quello che credevo fosse un uomo, si materializzò al centro della mia camera e io gridai spaventata.

“No, no, non spaventatevi. Non sono qui per farvi del male” mi disse. Aveva una voce profonda e lenta, calcolata, ma sembrava che venisse da un posto lontano. Faceva raggelare il sangue.

“St-stammi lontano, hai capito?” balbettai.

Lui scivolò verso di me, ancora seduta a terra accanto alla porta, ma si tenne a una lieve distanza. Fece un profondo inchino e mi sorrise, un sorriso obliquo e fatto di denti irregolari e gialli.

“Volevo porgerle i miei ossequi e farle i miei complimenti per essere diventata una guardiana a poche ore dalla sua nascita, mia Regina” disse.

Lo fissai sempre impaurita.

“Come sai che sono una guardiana? Chi sei tu?” chiesi.

“Oh, io non sono nessuno” minimizzò con un gesto della mano. “Mi chiamo Pitch. Al vostro servizio” si presentò con un inchino.

Quasi scivolando, mi alzai in piedi per essere pronta a correre in caso di bisogno.

“Pitch” ripetei. Lui si raddrizzò.

“Esattamente, è il mio nome. Oh, non fate caso a tutte le storie su di me che sicuramente avrete sentito, non sono così cattivo” mi disse. Poi sorrise maligno e, con una voce che sembrava provenire direttamente dall'inferno più nero, aggiunse “Sono molto peggio”.

Prima che potessi urlare, lui si lanciò contro di me, allungandosi e ingrandendosi fino a che il suo corpo non fu altro che un ammasso di oscurità che mi catturò.

Rimasi nel buio, ferma.

“Dev'essere difficile, vero?” la sua voce risuonava intorno a me.

“Riportami subito nella mia stanza!” gridai nel panico.

“Ritrovarsi da soli ad osservare la propria morte” continuò ignorandomi. Mi guardavo intorno ma non c'era niente a cui potessi aggrapparmi.

“Anche se non c'è niente di più bello dell'oblio della morte, non credi? Un enorme ammasso di oscurità che ti porta giù e ti intrappola lì, sul fondo. Disperazione. Tristezza. Solitudine. Rabbia. Che

poesia!” disse estasiato.

Mi comparve di fronte e provai a lanciargli addosso la magia del ghiaccio, ricordandomi solo dopo che non avevo più poteri.

Mi sorrise beffardo.

“Senza ghiaccioli, mia Regina? Deve sentirsi disperata, adesso” commentò. Mi guardai le mani, rendendomi veramente conto per la prima volta in vita mia del fatto che non avrei mai più potuto evocare la neve. Il mio respiro accelerò.

“La sente? Aaah, che bella sensazione, vero? Disperazione più oscura, fino in fondo al baratro” disse.

Mi misi le mani sulle orecchie.

“Smettila. Ti prego, smettila” sussurrai.

Mi affiancò.

“Sa, mia Regina, io conosco il suo segreto. So com'è morta e so anche che Arendelle, in questo preciso momento, è in pericolo. Dovrebbe andare a vedere piuttosto che rimanere seduta in un angolo a piangersi addosso” mi disse all'orecchio, a filo di voce.

Rabbrividii al pensiero di Arendelle: in pericolo? Perché? Che cosa stava succedendo?

Pitch si allontanò da me con un ghigno, poi si inchinò.

“È stato bello fare la vostra conoscenza, mia Regina. Prometto che tornerò a trovarla, non dubiti” mi salutò.

L'oscurità parve venire risucchiata dal suo corpo e tornai di colpo nella mia stanza. Stavo tremando.

Sentii bussare alla porta e sobbalzai spaventata.

“Elsa, che succede? Ho sentito delle voci, va tutto bene?” mi chiese Jack Frost dall'altra parte.

Afferrai la maniglia con urgenza e spalancai la porta; mi guardò stupito.

“Sei sconvolta, che è successo?” domandò. Lo presi per un braccio e iniziai a scuoterlo.

“Ti prego, devi portarmi ad Arendelle. Un tipo mi ha detto che sta succedendo qualcosa là, ti scongiuro, io... io...”

Il suo sguardo si fece serio.

“Un tipo? Chi?”

“Non lo so, sembrava un'ombra... ha detto di chiamarsi Pitch” risposi.

“Pitch? Quel verme ha osato tornare qui?” esclamò. Si voltò. “Dobbiamo avvertire Nord e gli altri, non...”

“NO! Devi portarmi ad Arendelle! Devi portarmi subito là!” gridai disperata.

Anna era in pericolo, me lo sentivo, e con lei i miei sudditi.

Jack mi guardò.

“Tu forse non capisci bene chi è Pitch e quanto sia grave il fatto che sia tornato” mi disse.

“No, non lo capisco, ma so di dover tornare a casa. Se non hai intenzione di aiutarmi giuro che ci vado da sola a piedi” minacciai nella disperazione.

Sulla sua faccia vidi l'indecisione. Tentai il tutto e per tutto.

“Devo controllare che vada tutto bene, che mia sorella stia bene. Ti prego, dopo non ti darò più nessun problema, se volete diventerò un guardiano o quel che è, ma ora portami da Anna”

Jack Frost sospirò e si passò una mano tra i capelli.

“Va bene, ma solo per dieci minuti, poi torniamo qui di corsa” concesse.

Chiudemmo la porta di camera mia e spalancammo la finestra, poi Jack mi prese tra le braccia e volammo verso Arendelle.

 

Doveva essere passato più tempo del previsto perché ad Arendelle erano state tolte tutte le decorazioni natalizie e ci si preparava per la festa di Carnevale.

Ormai, quindi, erano almeno sei settimane che ero morta.

“Sembra tutto tranquillo qui. Non pensi?” mi chiese Jack.

Io mi guardavo intorno in maniera ossessiva, come se quel “pericolo” di cui mi aveva parlato Pitch potesse trovarsi in mezzo ai banchi del mercato o tra i bambini che giocavano nella piazza.

Mentre passavamo e andavamo verso il castello nessuno pareva notarci, anche se volavamo a bassa quota sulla folla.

“Posso farti una domanda?” chiesi impensierita. Lui annuì.

“Certo, dimmi”

“Ecco, perché noi siamo vivi? Come mai loro non ci vedono?” domandai.

“Noi siamo pochi eletti, rinati come spiriti protettori. Come hai visto, ognuno di noi ha un potere che serve, in un modo o nell'altro, a portare speranza nel mondo e a proteggere le persone dall'oscurità. Di solito solo i bambini possono vederci perché i grandi, dopo un po', smettono di credere in noi e non ci pensano più. Gli adulti sanno essere veramente molto ottusi e spesso non si accorgono di ciò che hanno davanti al naso” rispose con un sorriso.

“E quel tipo, quel... Pitch. Lui chi è?” chiesi. Jack tornò serio.

“È l'uomo nero. Lui porta incubi e disperazione. Sguazza nelle cattive emozioni come un pesce nel mare e si nutre di negatività e paura” spiegò.

Con me, allora, aveva vita lunga. Al momento ero un concentrato di qualsiasi emozione negativa esistente.

Atterrammo nella piazza del castello, dove la fontana era spenta e le bandiere ancora a mezz'asta con il nastro nero del lutto.

Corsi all'interno del castello ma era tutto tranquillo.

“Non c'è niente” dissi. Ero sollevata: allora Pitch mi aveva mentito. Per fortuna.

Jack indicò in fondo al corridoio.

“Ehi, guarda quel tipo strano col cappuccio marrone” disse. Mi voltai e la figura di cui stava parlando stava andando verso la sala del trono.

Ma io la riconobbi.

Ebbi un flash, un ricordo fugace della sera della mia morte: ero in piedi con la finestra aperta ad aspettare di uscire quando quella figura era entrata dalla porta, non ancora chiusa a chiave, e aveva parlato.

Mi misi le mani sugli occhi mentre cercavo di ricordare.

“Tutto ok?” domandò Jack.

“Quella persona... quella persona...” balbettai.

Spalancai gli occhi e un secondo dopo stavo correndo verso la sala del trono per raggiungerla. Jack mi fu subito accanto.

“Che ti succede?” chiese infastidito.

“Mi ha uccisa lei! Quella persona mi ha ucciso!” esclamai.

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Capitolo 8
*** Divertirsi costa poco ***


Divertirsi costa poco

Prima ancora che Elsa finisse la frase ero scattato in avanti, sapendo di essere più veloce di lei, ed ero corso dietro alla persona che mi stava indicando.

Purtroppo, però, avevo avuto poca fortuna: appena girato l'angolo, si era parato davanti a me un enorme ammasso di gente che andava verso la sala del trono e chiunque si celasse sotto al mantello marrone si era appena nascosto in mezzo alla folla.

Elsa mi raggiunse ma anche lei si rese conto che non saremmo mai riusciti a ritrovare il tizio col mantello marrone, le persone intorno a noi erano decisamente troppe.

Tornammo sconsolati al laboratorio di Nord, dove spiegammo al signore del Natale ciò che era appena successo.

Lui ci guardò accarezzandosi i baffi.

“Be', direi che dobbiamo chiamare Sandy, Dentolina e Calmoniglio e dire loro la situazione. Ma

mentre aspettiamo che arrivino, penso che Elsa dovrebbe stare ad Arendelle, dove pare che Pitch sia intenzionato a combattere” ci disse.

Io lo guardai preoccupato.

“Non penso che Elsa dovrebbe stare là da sola. Non ha più poteri, non sarebbe in grado di fare niente se arrivasse Pitch a minacciare il regno” considerai.

Nord, con una grossa risata, mi dette una pacca sulla spalla.

“Io non ha mai detto che lei deve andare sola. Tu va con lei, Jack!” esclamò. Mi massaggiai la spalla mentre Elsa mi guardava.

“Penso di potercela fare, non importa che tu venga con me. Davvero” mi rassicurò titubante.

Fissai lei, poi fissai Nord e cercai di pensare a una soluzione.

Non era in grado di badare a sé stessa: non aveva poteri, non aveva difese, era psicologicamente instabile e soprattutto era emotivamente compromessa. Se ci fosse stato bisogno di fare qualcosa, non sarebbe mai stata in grado di agire.

Dovevo andare con lei, non c'era discussione. Ma come dirglielo senza che se la prendesse?

“Io credo che sia meglio se vengo anche io. Posso proteggerti” provai a dire, imbarazzato. Elsa arrossì.

“Non ho bisogno di essere protetta, posso cavarmela da sola” considerò.

“Magari contro Pitch è meglio se c'è uno di noi. Giuro che intervengo solo in caso di bisogno, altrimenti me ne rimango da una parte in silenzio ad osservarti” promisi. La vidi lottare con sé stessa per un po', poi Nord si inserì.

“Elsa, noi lo diciamo per tuo bene: sei senza poteri, ora, e finché l'Uomo sulla Luna non si decide di farti vedere cosa sai fare, sei un bersaglio facile. Jack viene con te solo per tuo bene” le disse.

Lei sospirò, poi si accarezzò la treccia, come se fosse un'ancora di salvezza.

“D'accordo. Jack puoi venire con me” acconsentì.

Quasi non ci credevo.

“Oh. Beh, ehm, intendevo dire che, certo che posso venire con te! Mi sembra logico!” commentai.

Nord ridacchiò, divertito, e lo fissai male.

“Allora andate, forza. Arendelle ha bisogno di guardiani” ci spronò.

Elsa si voltò verso la porta di uscita e si avviò verso di essa. Io mi trattenni un secondo di più, il tempo di scatenare contro di Nord una nuvola piena di neve.

“JACK!” gridò infuriato. Feci spallucce, come se non fosse colpa mia.

“Scusa Nord, ma lo sai come funziona: le tempeste possono sorprenderti in ogni momento” gli dissi, per poi librarmi in aria e prendere Elsa tra le braccia.

 

Atterrammo nella pizza della fontana, di fronte al castello, dove avevamo deciso di metterci ad osservare che andasse tutto bene.

Elsa si sedette sulla piattaforma di pietra e si mise a guardare i passanti, in silenzio. Io non sapevo che fare, così l'affiancai senza dire niente.

Rimanemmo a guardare i passanti senza proferire parola per non so nemmeno quanto tempo; so solo che dopo un po', annoiandomi, mi misi a fare piccole palle di neve che lanciavo tra la folla per distrarmi un po' e divertirmi.

Alla quarta palla lanciata a un signore che aveva dato la colpa ai bambini, Elsa ridacchiò.

“Certo che tu ti diverti con poco” fu il suo commento. Io mi strinsi nelle spalle.

“Be', diciamo piuttosto che mi piace far confusione. Troppo ordine mi fa venire il mal di testa, ho bisogno di caos per vivere” risposi.

“Ah, scusami. Caos. E un po' di pace e tranquillità non è meglio?” mi chiese. Feci comparire una palla di neve nella mia mano e la feci galleggiare in aria un paio di secondi. La guardai divertito.

“Affatto. Senza divertimento perché mi avrebbero dato questo potere? Perché l'Uomo sulla Luna mi avrebbe fatto diventare un guardiano, altrimenti?” risposi.

Stava per aprire bocca ma le lanciai dritto per dritto la palla di neve addosso. Rimase con la bocca spalancata, in una frase mai detta, i capelli pieni di neve e il viso coperto di ghiaccio.

Scoppiai a ridere senza riuscire a trattenermi.

“Oddio, scusami!” dissi continuando a ridere “Ma vederti conciata così è troppo divertente! Dovresti vederti!” esclamai.

Elsa si tolse dal volto la neve, poi mi fulminò.

“Malefico ragazzino” sussurrò, per poi prendere della neve da terra e lanciarmela contro. La bloccai con il bastone e saltai in cima alla fontana.

“Tanto non mi prendi!” la sfottei.

“Sta' fermo, Signore del Ghiaccio! Vieni qui se hai coraggio!” mi richiamò ridendo.

Mi lanciò un'altra palla e un'altra ancora, ma riuscii a fermare entrambe.

“È tutto qui quello che sai fare, Regina delle Nevi? Guarda che...” non riuscii a finire la frase che una palla di neve grossa quanto il pugno di un bambino mi arrivò dritta dritta in faccia. Ne ingoiai più di metà, iniziando a tossire come un matto.

Elsa scoppiò a ridere.

“Cosa stavi dicendo, Signore del Ghiaccio? Anche io so farmi valere, sai?” mi prese in giro, facendo la linguaccia.

“Brutta smorfiosa. Ora sei morta!” esclamai lanciandomi verso di lei.

Con un gridolino Elsa si lanciò da un lato, scansando per un pelo le mie mani.

“Forse, raggiungimi!” mi sfidò, correndo via.

Divertito, le andai dietro, stando attento a non essere troppo veloce o troppo brusco, volando a slalom in mezzo alla folla.

Era divertente giocare così, non mi divertivo così tanto da quando ero venuto via da casa mia e mi ero trasferito da Nord.

Senza bambini non era la stessa cosa.

Elsa si lanciò in mezzo a due signori che stavano parlando dell'aumento del prezzo delle patate e io mi destreggiai passando sopra di loro, girandogli intorno e raggiungendola dall'altra parte, dove fece un gridolino sorpreso quando la bloccai per le spalle.

“Presa!” esclamai.

Dalla sorpresa lei scivolò in terra, dove trascinò anche me. Mi misi a ridere a crepapelle mentre rotolavamo tra la neve, fino a tornare ai piedi della fontana. Perfino lei rideva divertita.

“Ti... ti odio!” disse alla fine tra una risata e un'altra. Aveva le lacrime agli occhi e anche io.

“Sei uno spasso! Rifacciamolo!” esclamai affamato di divertimento.

Elsa aprì le braccia in mezzo alla neve e sorrise beata.

“Dio, quanto mi manca il mio potere! Ricordo che una volta imbiancai il salone da ballo di neve e iniziai a giocarci dentro, rotolandomi qua e là e facendo pupazzi di neve!” mi raccontò muovendo le braccia e le gambe in su e giù.

Si alzò e a terra lasciò l'impronta di un angelo.

“Io e Anna avevamo fatto tanti angeli, all'epoca! Ti sarebbero piaciuti, avresti dovuto vederli!” mi disse estasiata.

Mi appoggiai al bastone a fissarla e mi ritrovai a pensare che fosse davvero bella. Era meglio di qualsiasi altra ragazza io avessi mai conosciuto.

“E poi fu allora che creammo Olaf! Oddio, il piccolo Olaf! Ti sarebbe piaciuto pure lui, era alto un metro ed era un concentrato di dolcezza e amore!” mi raccontò.

Si voltò verso di me e il suo sorriso ebbe un attimo di incertezza.

“Che c'è? Perché mi guardi?” mi domandò sempre ridendo. Sobbalzai preso in contropiede e mi schiarii la voce.

“Oh, ehm, niente. Non ti stavo guardando” risposi.

Elsa ebbe per un secondo un'espressione strana in viso, come se volesse dirmi qualcosa e poi ci avesse ripensato.

“Sei sicuro? Avevi un'aria strana” commentò.

“Sicurissimo. Pensavo solo che avrei voluto conoscere questo Olaf di cui parli tanto” spiegai.

Elsa guardò verso il castello.

“Era il nostro pupazzo di neve! Ci salutava sempre dicendo Ciao io sono Olaf e amo i caldi abbracci!, e la sua stagione preferita era l'estate! Amava i fiori, come Anna, e le persone, come

me!” mi raccontò.

Si sedette di nuovo sulla fontana, ora più tranquilla.

“E pensare che l'avevo perfino creato per sbaglio!” aggiunse ridendo. Poi il suo viso tornò serio e una lacrima scese dai suoi occhi.

“Che scema... senza neanche accorgermene!” disse. Subito dopo scoppiò a piangere e nascose il viso tra le mani.

Mi trovai in difficoltà, non essendo abituato a dare aiuti e consigli, così le detti una piccola pacca sulla spalla.

“Su, non è niente” le assicurai impacciato.

Mi guardavo intorno nervosissimo, senza sapere che fare, mentre Elsa continuava a piangere.

“Ricordo che Anna mi aveva chiesto per mesi di fare insieme un pupazzo di neve ma non volevo esporla a nessun pericolo, così la ignoravo e rimanevo da sola, chiusa in camera, mentre lei usciva a giocare in solitudine. Ogni volta la osservavo dalla mia camera e lei faceva sempre un pupazzo di neve e lo vestiva e truccava come Olaf, lo riconoscevo anche da lontano” mi raccontò mentre io continuavo a darle pacche imbarazzate sulla spalla.

“Sono stata così stupida a credere di poterla salvare sempre, e ora che l'avevo appena ritrovata io... io... sono morta” concluse disperata.

Mi guardai intorno, poi sospirai e mi avvicinai a lei.

Strinsi Elsa tra le mie braccia, un'Elsa piccola e singhiozzante come una bambina. Le passai una mano tra i capelli ghiacciati.

“Su, su. Stai tranquilla. Ci sono io con te” le sussurrai in un orecchio mentre lei continuava a piangere.

Si aggrappò alla mia felpa come se non ci fosse altro appiglio.

“Sc-scusa per vedermi sempre così. Giuro che... che non sono solo questo” balbettò disperata.

“Lo so. Davvero lo so, so che sei una ragazza forte e indipendente. In questo momento hai solo bisogno di un amico che ti stia accanto e io sono qui, per qualsiasi cosa” le assicurai.

Elsa tirò su con il naso, poi alzò leggermente il viso.

Mi guardò con i suoi occhi blu come il ghiaccio.

“Grazie” sussurrò timidamente.

Era così bella.

Le sorrisi.

“Non c'è di che” risposi.

Rimanemmo a fissarci per un tempo che non saprei contare, rapiti in qualcosa che non ammetteva estranei. Sarei potuto rimanere a fissarla per sempre, se ne avessi avuta la possibilità. Con lei sembrava che le cose andassero nel verso giusto, nonostante tutto quel casino in cui eravamo finiti ero sicuro che niente sarebbe mai andato storto.

Mi sentivo vivo, mi sentivo libero con lei.

Le accarezzai una guancia, forse sfiorandola più del necessario.

“Elsa...” sussurrai incantato.

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Capitolo 9
*** Un coniglio per carnevale ***


Un coniglio per Carnevale.

Era buffo come, nonostante tutto quello che stavo passando, fossi quasi felice, in quel momento, di stare con Jack. Aveva la mano calda e rassicurante e gli occhi, di un grigio-azzurro, mi fissavano in modo strano. Era una sensazione curiosa ma mi piaceva.

“Interrompo qualcosa?” sentimmo chiedere.

Mi staccai velocemente da Jack, imbarazzatissima, e distolsi lo sguardo. Calmoniglio ci stava osservando a braccia incrociate, gli occhi stretti e cattivi.

Ops.

“Che ci fai qui, Calmoniglio?” chiese Jack, con poco tatto.

“Mi manda Nord, ha pensato che fosse meglio darsi il cambio. Ti vuole al laboratorio” rispose lui,

sempre a braccia incrociate.

“E doveva mandare proprio te? Non poteva mandare Dentolina?”

“Ti disturbo, forse, Frost?”

Io mi misi a fissare le persone, sentendomi incredibilmente imbarazzata.

“Tu che dici, Canguro?” ribatté Jack.

Li guardai di soppiatto, leggendo nei loro occhi sfida e odio reciproco. Mi schiarii la voce.

“Ehi, ehm... quindi dobbiamo tornare da Nord?” domandai cercando di spezzare la tensione. Calmoniglio rispose senza distogliere lo sguardo omicida da Jack.

“Tu no, solo Frost”

Dal canto suo vidi Jack che stava per ribattere, ma gli misi una mano sulla spalla e sorrisi.

“Dai, ci vediamo dopo” lo salutai. Se fosse rimasto lì un solo secondo di più ero sicura che si sarebbero lanciati addosso chissà cosa, quindi preferivo che se ne andasse subito piuttosto che restare per me. E poi allontanarmi da lui mi avrebbe fatto bene, ero ancora un po' confusa per quello che era successo pochi minuti prima.

Jack sbuffò, poi prese il bastone.

“D'accordo, ci vediamo più tardi. Fai per bene, Canguro malefico” ci salutò per poi volare via.

“Non sono un Canguro!” ribatté Calmoniglio, urlandogli contro. Jack gli fece la linguaccia da lontano e poi scomparve in mezzo alla foresta.

Era la prima volta che rimanevo sola con quel coniglietto pasquale un po' troppo cresciuto. Mi sentivo incredibilmente in soggezione di fronte a lui e così strinsi le mani in grembo, seduta sulla fontana, e rimasi immobile ad aspettare.

Non tenevo quella posizione severa e controllata dal giorno dell'incoronazione ed era stranissimo.

“Insomma, tu e Frost eh?” disse Calmoniglio, rompendo il silenzio.

“Cosa?” chiesi presa alla sprovvista. Mi sorrise malizioso, scuotendo la testa.

“La Regina dei Ghiacci e il Signore dell'Inverno. Che coppia” commentò. Io arrossì.

“Non siamo una coppia, signor Calmoniglio” specificai contenendomi. Lui rise.

“Certo, e io sono un Lepricano” ribatté.

“Un Lepriche?”

“Senti, Regina dei Ghiacci, a me non interessa se tu e lui volete fare un sacco di ghiacciolini insieme, mi va più che bene, però evitate di tubare con me intorno”

“Ghiacciolini?” domandai infastidita.

Sbuffai, poi incrociai le gambe e le braccia.

“Senta, signor Calmoniglio, io non voglio fare proprio niente con nessuno. Jack è un caro amico e in questo momento difficile mi sta accanto e mi aiuta. Se lei è geloso io non so che farci ma di certo non è un problema mio!” esclamai. Calmoniglio arrossì sotto al pelo grigio.

“Io non sono certamente geloso!” ribatté.

“Be', direi che quello che fa vedere è molto diverso” considerai, felice di averlo colpito nell'orgoglio.

“Senti, ragazzina, non fare l'arrogante con me, hai capito? Devi portarmi rispetto, sono più anziano di te!”

“Se lei porta rispetto a me, signore, io lo porto a lei!” dissi.

Boccheggiò un paio di volte, poi mi indicò.

“Senti, razza di piccola...”

“Ehi, fermati!” lo interruppi, alzandomi di scatto. Di nuovo quella figura incappucciata mi era passata davanti e questa volta dovevo seguirla, dovevo scoprire chi fosse.

Ero sicura che mi avesse uccisa lui, o lei, ma non ricordavo il suo volto. Sapevo solo di doverlo raggiungere.

Corsi a perdifiato fino a dentro il castello, dove la figura stava andando di nuovo, ma le persone che c'erano in mezzo alla piazza erano troppe, non riuscivo più a vedere niente.

“Che succede?” mi chiese Calmoniglio quando mi fermai senza fiato.

“C'era di nuovo... era la persona che secondo me metterà in pericolo Arendelle” risposi.

“Dove, dov'è?” domandò girandosi intorno.

“Non lo so. Ogni volta scompare in mezzo alla folla e non riesco mai a raggiungerla. È snervante” commentai.

Mi ero fermata nel cortile del castello, dove un paio di cameriere stavano riportando dentro la spesa.

Senza volerlo, ascoltai il loro discorso.

“Lo so, è strano vero? La Principessa Anna era l'unica che avrebbe tenuto le porte aperte sempre, e ora non si vede più da quel giorno. Ormai le persone sono stanche di non avere un regnante”

“Penso che dovresti dire la Regina Anna. Senza più la Regina Elsa, è diventata lei la sovrana”

“Sì ma se non si decide ad uscire dalla sua camera non può prendere il ruolo di Regina. Che Arendelle sia destinata a rimanere senza sovrano?”

Poi le loro voci si mescolarono al caos del posto e non riuscii più ad afferrare altro.

Anna, piccola e dolce Anna... si era chiusa in sé stessa, come avevo fatto io tanti anni prima. Guardai nostalgica verso il castello, verso casa mia.

“Anna...” sussurrai con la voce rotta.

 

“Dobbiamo trovare modo per far tornare te memoria!” esclamò Nord quella sera. Sandy e Calmoniglio pattugliavano la notte di Arendelle, poi Dentolina e Nord avrebbero dato loro il cambio più tardi.

“Perché non usiamo i denti di Dentolina? Con me hanno funzionato” propose Jack.

“I denti... di Dentolina?” chiesi confusa. Lei scosse la testa.

“Mi spiace, Jack, avrei dovuto dirvelo prima: ad Arendelle non credono i me, non credono in nessuno di noi, quindi io non ho i denti di Elsa. Sono desolata” rispose.

I miei denti?!

Nord si accarezzò i baffi.

“Dobbiamo trovare qualcuno che possa far tornare te memoria. Qualcuno di magico” commentò. Io ebbi una fugace visione di una me bambina che avanzavo al trotto verso la radura.

“Potremmo provare con i Troll di pietra” commentai sovrappensiero.

“Chi?” chiese Dentolina.

“Sono dei Troll che vivono al di là del fiordo, ad Arendelle. Quand'ero piccola hanno aiutato mia sorella a dimenticarsi della magia, loro sanno fare degli incantesimi per agire sulla memoria delle persone. Forse potrebbero aiutarmi” dissi.

“Sì, ma nessuno ci assicura che possano vederti. Ricordi? Solo chi crede in te può vederti” commentò Jack. Io feci spallucce.

“Lo so ma tentar non nuoce. Magari, dato che loro hanno la magia, possono vedermi e spiegarmi perché ho perso i miei poteri” ribattei.

Nord ci pensò su un attimo, poi batté le mani.

“Be', non vedo alternativa, no? Io dico di provare, poi vediamo come va!” esclamò. Era sempre propositivo nonostante tutto, mi metteva allegria. Gli sorrisi.

“Grazie, Nord” dissi. Lui mi mise una manona sulla spalla e mi sorrise a sua volta.

“Di niente, Regina dei Ghiacci. Sono felice di aiutare una persona buona” commentò.

Dentolina mi volò accanto.

“Sappiamo che per te questo è un momento molto difficile, ma siamo felici di averti con noi. Davvero” mi disse.

“Sul serio?” chiesi colpita. Per la prima volta fui attraversata dal pensiero che quella gente non era male, che forse avrei dovuto apprezzarli molto più di quanto stavo facendo. Avevano sempre cercato di non farmi sentire sola anche se io gli avevo sbattuto la porta in faccia, proprio come

avevo fatto con Anna, e ora erano disposti ad aiutarmi a riprendermi i ricordi rubati.

“Certo, sul serio. Vero Jack?” chiese Dentolina, sorridendo ingenua.

Jack sobbalzò, probabilmente preso in contropiede, poi guardò altrove facendo spallucce.

“Certo, sì, come vi pare” commentò vago.

Quasi ci rimasi male, per quella risposta così fredda e distaccata.

“Avanti Jack, noi sa che sei felice!” lo riprese Nord. Lui non rispose e invece si mise a giocare con un folletto che passava di lì, infastidendo il suo campanellino.

“È felice, davvero, è solo imbarazzato” mi assicurò Dentolina, ridendo allegra.

“Non lo sono!” ribatté Jack senza smettere di giocare con l'elfo.

Io mi misi a ridere.

 

Decidemmo di aspettare Calmoniglio e Sandy prima di partire per andare dai Troll, almeno avremmo aggiornato anche loro sulla situazione.

“Dato che andiamo tutti verso Arendelle, prendiamo mia slitta!” aveva commentato Nord, così qualche ora dopo eravamo tutti e quattro stipati sulla slitta, io, Jack, Dentolina e Nord, in partenza per Arendelle.

Era divertente, quasi come andare a cavallo, e poi la slitta volava!

Una volta partiti mi affacciai fuori dal ripiano di legno per vedere sotto di me la natura che passava.

“Tenetevi forte, apro il portale!” gridò Nord, lanciando per aria una palla tonda che ci risucchiò al suo interno. Era stranissimo: era come venir presi da un aspirapolvere e poi sputati fuori di botto. Comparimmo sul castello buio un istante dopo, sbandando leggermente e atterrando con un gran tonfo. Io rimbalzai sul legno, prendendo una bella culata.

Ahia.

“Siamo arrivati” commentò Nord, con il suo accento buffo.

Scendemmo tutti e quattro un po' barcollanti, io dovetti appoggiarmi alla cappa del camino per recuperare stabilità.

“Allora, ci ritroviamo davanti al castello, d'accordo? Alla fontana” disse Dentolina a me e a Jack. Noi annuimmo.

“Certo. Faremo il prima possibile” promisi.

“State attenti” si raccomandò.

Jack si voltò verso di me e mi tese la mano.

“Sei pronta?” mi chiese. Strinsi le labbra, un po' titubante.

Ero pronta? E se la risposta non mi fosse piaciuta? Se il mio assassino si fosse rivelato Kristoff, ad esempio?

Avevo una paura incredibile ma sapevo che non potevo salvare Anna se non andando dai Troll di pietra a chiedere aiuto.

Alla fine annuii.

“Sì, sono prontissima”

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Capitolo 10
*** Il giorno in più ***


Il giorno in più

Ero un fascio di nervi, avevo addosso un'ansia mai provata prima, nemmeno quando dovevo essere incoronata e ancora non avevo la padronanza dei miei poteri.

Mi accomodai sulla roccia, sentendo la mancanza del calore della mano di Jack, e respirai a fondo.

“Adesso entriamo nella sua testa e vediamo cosa c'è” disse Gran Papà.

Mi mise una mano sulla fronte e poi la fece scorrere su di essa, trascinandosi dietro una nuvola colorata, che si aprì di fronte a noi tutti, nella radura.

Al di là c'ero io, impegnata a rivestirmi dopo essere tornata a casa di notte. Avevo sul viso un sorriso che non mi riconoscevo e mi imbarazzò moltissimo il fatto che quella cosa la potessero vedere tutti quanti.

“Sto arrivando!” avevo gridato a qualcuno al di là della porta. Velocemente mi ero vestita ed ero uscita in corridoio, aggiustandomi la crocchia sulla nuca.

“Ah, Elsa! Buongiorno!” mi aveva salutato Anna, raggiante. Forse notandolo perché ormai sapevo del bambino, vidi che aveva una mano sulla pancia e la accarezzava con naturalezza.

“Buongiorno Anna!” avevo ricambiato, abbracciandola con slancio.

Ci eravamo salutate con affetto, cosa che non facevamo quasi più da più di dieci anni, e riconoscevo nei miei occhi quell'amore che per molto tempo mi ero ero proibita di provare per qualsiasi persona.

I miei ricordi erano di una giornata come un'altra: avevo svolto il mio lavoro da Regina, avevo ascoltato le lamentele, fatto un paio di conferenze, pranzato con Kristoff, Anna, Olaf e Sven e avevo letto le varie relazioni.

Rispetto al solito notai una maniacale ed ossessiva ricerca dell'orologio: avevo chiesto almeno trenta volte che ore fossero.

Avevo quasi paura a domandarmi come mai, anche se la risposta era ovvia.

A fine giornata, durante la cena, fui più veloce del solito a mangiare. Mi ero alzata dopo dieci minuti cronometrati, congedandomi.

“Elsa, va tutto bene? Oggi sei così strana, sei... impaziente” mi aveva detto Anna. Io mi ero schiarita la voce imbarazzata.

“Io? Tutto benissimo” avevo risposto, ma ero arrossita e avevo distolto lo sguardo. Anna, fissandomi, si era avvicinata.

“Sei sicura? Sai che con me puoi parlare di tutto?” mi aveva chiesto. E riuscivo a leggere sul mio viso la lotta interiore. Ero così poco abitata a fidarmi delle persone che mi risultava difficile aprirmi, anche dopo che Anna si era dimostrata così aperta con me, tanto da salvarmi la vita.

Avevo sospirato, poi un enorme sorriso si era dipinto sul mio volto.

“Si tratta di un ragazzo!” avevo ammesso emozionata. Anna mi aveva preso le mani e aveva saltellato.

Quella parte mi stava incredibilmente mettendo in imbarazzo, quindi guardai di soppiatto Jack, accanto a me, che fissava divertito la scena.

Cavoli.

“Chi è? Lo conosco? Come l'hai conosciuto?” mi aveva tempestata di domande Anna, e io mi ero messa a ridere.

“Non lo conosci, non emozionarti. È un tipo... buffo. Prima di parlartene voglio conoscerlo” le avevo detto. Si era subito spenta, delusa.

“Ma così non vale! Io ti ho detto subito di Hans e poi di Kristoff!” si era lamentata.

“Anna, volevi sposare Hans dopo tre ore! Tu non fai testo!” l'avevo presa in giro. Mi aveva dato una leggera spinta mentre ridevo.

“Va bene, forza vai dal tuo fidanzato segreto. Però promettimi che appena capisci se ti piace vieni a dirmelo!” si era raccomandata.

Io l'avevo abbracciata, poi avevo annuito.

“Te lo prometto” avevo detto.

Fortunatamente quella parentesi imbarazzante finì e io ero entrata in camera, chiudendo chiaramente la porta a chiave.

Avevo sciolto la crocchia, cambiato l'abito, mi ero guardata allo specchio almeno sedici volte prima di essere felice. No, continuava nonostante tutto ad essere imbarazzante.

“Ti stavi preparando per me?” mi chiese Jack, sfottendo.

“Sta' un po' zitto” risposi infastidita.

Avevo aperto la finestra e guardato fuori. Riuscivo, solo adesso, a ricordare vagamente il senso di eccitazione provato nel sapere che stavo uscendo per un appuntamento, o qualcosa di molto simile.

All'improvviso avevo sentito un rumore dietro di me e mi ero voltata sulla difensiva, le mani davanti già pronte a congelare chiunque.

“Mia Regina, i miei più sentiti saluti” aveva detto l'ospite da un punto indefinito. Io mi avvicinai all'immagine, sentendo il cuore accelerare. Stava per arrivare il momento.

“Chi parla?” stavo dicendo nel ricordo. Un'ombra mi era passata davanti, proiettata sul muro, per poi spuntarmi da dietro. Mi ero voltata sempre sulla difensiva.

“Le porgo i miei ossequi, mia Regina. Il mio nome è Pitch” mi stava salutando lui. Era apparso sulla parete e ne era uscito fuori come il peggiore degli incubi.

Io mi ero preparata ad attaccare.

“Come sei entrato qui? Cosa vuoi?” lo avevo interrogato. Lui si era messo le mani dietro la schiena ed aveva iniziato a passeggiare tranquillamente per la stanza. Seguivo le sue mosse attentamente.

“Immagino che si stia preparando ad uscire. Bel ragazzo, Jack Frost, una mia vecchia conoscenza. Le faccio i complimenti per la scelta” mi aveva detto.

“Ti ho fatto una domanda. Cosa vuoi?” avevo ripetuto. Lui si era fermato di fronte alla finestra e mi aveva fissata con un sorriso inquietante sul volto.

“Sono venuto qui per conto di un amico. Mi ha chiesto di fargli un favore e quindi sono venuto. Ma lo sa che è molto più bella di quanto mi avevano raccontato, mia Regina?” mi aveva risposto. Poi aveva fatto un movimento che non ero riuscita a capire e, nel dubbio che potesse attaccarmi, avevo lanciato un getto di ghiaccio contro di lui.

Saltando, lo aveva scansato.

“Oh, suvvia Regina. È così che tratta gli ospiti?” mi aveva sbeffeggiato dal soffitto, a testa in giù. Gli avevo lanciato un altro getto di neve ma aveva scansato anche quello e pure quello dopo e quello dopo ancora.

Era troppo veloce per me.

“Non si fa, non si fa. Davvero, mia Regina, pensavo che fosse più educata di così. A comportarsi in modo così scomposto mi ricorda veramente quel Frost. Anche lui è una testa calda, se mi passa il gioco di parole” mi aveva detto.

“Chiunque tu sia, vattene” lo avevo minacciato.

Il ghiaccio ricopriva interamente tutte le pareti della mia stanza.

Pitch si mise di nuovo contro la finestra, la luce della luna era oscurata dalla sua presenza mortifera. Perfino da fuori, come spettatrice, sentivo l'ansia e l'angoscia crescermi dentro.

Mi aveva sorriso per un istante.

“Ricorda che le avevo detto di dover fare un favore a un amico?” mi aveva domandato. Non avevo risposto ma avevo tenuto lo sguardo fisso su di lui.

“Be', avrei dovuto distrarla. Addio, mia Regina” mi aveva detto, per poi saltare fuori dalla finestra. Non avevo fatto in tempo a sentirlo, troppo occupata a fissare Pitch, ed ero stata lenta a voltarmi. Gridai mentre vedevo me stessa trafitta da una spada lunga e lucente da un uomo col cappuccio. Vidi il mio stesso stupore mentre mi accasciavo a terra, incredula di quello che stava succedendo, incapace di capirlo.

Mi avvicinai ancora all'immagine del mio ricordo e mi osservai fissare il cappuccio del mio aguzzino, cercando una spiegazione, un qualche modo per riconoscere chi si trovava al di là di quel mantello.

La figura si era abbassata, poi mi aveva preso per il mento mentre stavo cercando l'aria che non c'era più, mentre stavo esalando gli ultimi respiri della mia vita da umana.

E poi gli era caduto il cappuccio.

Trattenni un grido, là nella radura dei Troll, mentre quella faccia si piantava di fronte ai miei occhi, indelebile, un incubo che stava tornando indietro. Un terrore cieco si impossessò di me.

“Se solo tu e quella stupida di tua sorella non aveste rovinato tutto, non sarei dovuto arrivare a tanto. È solo questione di tempo, poi penserò anche ad Anna. Povera, pensa quanto sarà vulnerabile ora che sua sorella è morta ed è rimasta sola. Avrà bisogno di una spalla su cui piangere, non credi? E chi ci sarà a chiedere scusa per il passato e ad aiutarla?” mi aveva detto. Poi aveva sorriso.

“Lunga vita alla Regina, mia cara Elsa”

Mi aveva lasciata lì a respirare affannosamente, il sangue che se ne andava dal mio corpo ferito. Si era rimesso in testa il cappuccio e se n'era andato, mentre il ghiaccio intorno a me si trasformava, scuriva fino a diventare nero come la pece. Nero di morte.

Il ricordo terminò e l'immagine nell'aria scomparve. Nella radura eravamo tutti in silenzio e io sentivo il fiato mancare, le mani tremare e il poco calore che avevo nel corpo sparire.

Non era possibile, era il ritorno di un incubo.

Dopo non so quanto tempo passato in silenzio, Jack mi si avvicinò.

“Lo conosci? Sai chi è quel tipo?” mi domandò.

Boccheggiai senza riuscire a parlare, sentivo che pronunciare il suo nome ad alta voce avrebbe concretizzato la sua minaccia.

Ecco perché l'avevo visto al castello, ecco perché era lì! Cercava di avvicinarsi ad Anna, la mia Anna, per farle del male, per uccidere anche lei.

Non potevo permetterlo.

Mi alzai e sentii nella mia voce la sicurezza che poche volte avevo avuto nella mia vita, una sicurezza da Regina.

“Dobbiamo tornare ad Arendelle. Subito” annunciai. Mi voltai verso Gran Papà.

“Tu puoi vedermi. Devo fare in modo che Anna riesca a vedermi. Come posso fare?” gli chiesi. Lui scosse la testa.

“Se lei non crede in te non può vederti. Mi dispiace” commentò. Sospirai ma non mi persi d'animo: avrei dovuto avvertirla in altro modo, se possibile.

“D'accordo, non importa. Jack riportami indietro, torniamo da Nord e Dentolina” gli dissi. Lui annuì senza discutere e mi prese in braccio. Mi girai un'ultima volta verso i Troll.

“Grazie, grazie di tutto! Mi ricorderò della vostra gentilezza!” li salutai.

Dopo due minuti di volo la radura era già invisibile ai nostri occhi, dispersa in lontananza in mezzo agli alberi. Jack mi fissò.

“Elsa, che succede?” domandò. Lo guardai.

“Hans, Principe delle Isole del Sud, è tornato per vendicarsi di mia sorella”

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Capitolo 11
*** La festa dei troll ***


La festa dei Troll

Vidi un sacco di movimento, in lontananza, in mezzo a una radura.

“Ecco, è lì!” mi disse Elsa, indicando il punto preciso da cui arrivava ora un sacco di frastuono.

Planai gentilmente fin sopra ad una roccia, poi la feci scendere a terra. Intravidi le gambe nivee attraverso il tessuto ghiacciato del suo vestito e subito avvampai. Distolsi immediatamente lo sguardo.

Elsa scivolò fino alla radura, poi mi guardò.

“Vieni?” chiese. Io annuii e la seguii fino al centro della radura.

Tanti piccoli esserini pietrosi stavano correndo qua e là, come dei matti, con in mano festoni fatti di foglie e lucine buffe e colorate.

“Ehi, che sta succedendo?” provai a chiedere a uno di loro, ma sembrava che non mi potessero vedere.

Mi misi in mezzo per fermare un esserino pietroso bambino ma quello mi passò precisamente attraverso, come se non esistessi nemmeno.

Il mio cuore accelerò: se non potevano vedere me, allora...

Mi voltai verso Elsa, che stava osservando con gli occhi sgranati tutti gli esserini. C'era il panico nel suo volto e mi precipitai da lei.

“Ehi, no, non ti preoccupare. Troviamo quel tipo di cui ci hai parlato prima, sono sicura che lui può vederci” le dissi, mettendole una mano intorno alle spalle. Mi guardò impaurita.

“E se non ci vedesse? Se non riuscisse a vedermi che farei?” mi chiese impanicata.

“Non preoccuparti. Sono sicuro che ci vedrà. Ti fidi di me?” domandai. Annuì impercettibilmente e io le sorrisi.

“Allora non pensarci troppo, troviamo questo tizio e facciamo sì che ti restituisca i ricordi” la spronai. Feci per staccarmi da lei ma mi trattenne per una mano.

Mi voltai incuriosito e vidi le sue guance albine tingersi di un lieve rossore.

“P-per favore, non lasciarmi andare, ok? Ho paura di perdermi se non stringo qualcosa” sussurrò. Arrossii anche io, sorpreso.

“Oh, ehm. Certo, posso tenerti la mano!” acconsentii.

La cosa mi imbarazzava non poco ma tra le mie dita sentivo la sua manina tremare. Strinsi forte e la guardai con un sorriso.

“Dai, cerchiamo di capire almeno che succede qui” la spronai.

Seguimmo il flusso di Troll fino al centro della radura, dove si stavano ammassando le decorazioni e le persone.

Una Troll particolarmente autoritaria stava impartendo ordini.

“Quelli vanno messi lì! No, non vicino ai festoni gialli, non vedi che con il blu accanto stanno male?” esclamò infuriata. Scese dalla pietra enorme su cui stava e strappò di mano a un altro Troll alcune luci, che piazzò di fronte alla stessa pietra.

Poi guardò il lavoro soddisfatta, le mani sui fianchi.

“Ecco, vedi come si fa? Deve essere tutto perfetto per l'arrivo di Kristoff, capito?” disse al Troll a cui aveva tolto le decorazioni.

“Quando arriva, quando arriva?” domandò quello, eccitato.

“Domani, dopo il lavoro. Ovviamente non sa niente della festa a sorpresa, per cui dobbiamo essere bravissimi!” rispose lei.

“Certo, certo, è giustissimo! Torno a fare il mio lavoro allora!” le disse l'altro.

Lei batté le mani, facendo un gran fracasso.

“Ooooh, un nipotino! Che bell'evento!” esclamò.

Le dita di Elsa si strinsero attorno alle mie e io mi voltai.

“Che succede?” domandai preoccupato.

“U-un nipotino significa che... che... Kristoff diventerà padre” commentò. Io feci spallucce.

“E quindi?”

“Kristoff è il fidanzato di Anna! Mia sorella! Oddio, sto per diventare zia!” esclamò.

Io mi misi a ridere.

“Zia Elsa! Suona bene” la presi in giro. Mi dette una piccola spinta.

“Cretino” disse.

Stavo per ribattere quando tra i Troll si aprì un varco e un'enorme roccia rotolò verso di noi. Si fermò ai miei piedi, poi si aprì fino a diventare il Troll più grosso tra tutti quelli che erano intorno a noi.

Ero più che sicuro che potesse vederci perché piantò i suoi occhi neri su di Elsa e poi si inchinò.

“Vostra Altezza, che bello rivederla!” la salutò. Tutti gli altri Troll si fermarono ad osservarlo.

“Con chi sta parlando Gran Papà?” chiese un Troll bambino.

Lui si voltò, poi indicò noi due.

“Signori miei, anche se non mi crederete sappiate che la nostra Regina Elsa è qui con noi” annunciò.

“Elsa?”

“La Regina?”

“Ma non era morta?” si sentì dire.

“Vi prego di credermi, amici miei. Se mi crederete allora potrete vederla anche voi” gli spiegò.

Il Troll Bambino fissò Gran Papà, poi si voltò verso di noi.

“Io ci credo” disse chiudendo gli occhi. Quando li riaprì spalancò la bocca.

“Ehi, è vero! È vero!” si mise a gridare.

Uno ad uno, tutti gli altri Troll fecero la stessa cosa e tutti quanti poi batterono le mani, felici.

“La Regina è tornata! È viva!” fu un coro di voci e grida di giubilo a cui Elsa non doveva essere molto abituata, a giudicare dal rossore sulle sue guance.

“Grazie, grazie. Non dovete” disse timidamente.

Io neanche per un momento staccai le mie dita dalle sue.

“Ma ditemi, mia signora, perché siete venuta qui da noi?” chiese Gran Papà. Elsa mi guardò impacciata e le feci segno di star tranquilla. Prese un grosso respiro.

“Io sono morta, sono stata uccisa” iniziò. Tutti trattennero il fiato, colpiti. “E, ecco, io... non ricordo chi mi abbia ucciso. Ho bisogno di scavare nella mia memoria” spiegò.

Gran Papà annuì.

“Sì, immaginavo fosse una cosa del genere. Non è difficile ritrovare i ricordi perduti ma sarà difficile affrontarli. Se questo per lei non è un problema, posso farle vedere ciò che è successo” acconsentì lui.

Il respiro di Elsa aumentò considerevolmente e ebbi paura che andasse in iperventilazione. Mi feci avanti io.

“E lei sa cosa è successo? Sa dirci perché Elsa è diventata una guardiana?” domandai. Gran Papà sospirò.

“L'Uomo nella Luna. Quante volte mi sono ritrovato a parlare con lui di notte, mentre facevo le mie divinazioni! È una persona quanto mai strana e... lunatica direi che è il giusto aggettivo. Ha un suo piano preciso per il futuro e per noi che viviamo quaggiù ma non lo spiega a nessuno e spesso agisce come se non ci fosse un senso ma sono sicuro che se la Regina Elsa è diventata un guardiano ci sarà un motivo. Probabilmente legato ai suoi poteri di ghiaccio” commentò.

“Ma Elsa non ha più poteri” dissi.

Lui la guardò incuriosito, poi le mise una mano sulla fronte.

“Ma sì che li ha. Sono tutti qui dentro, bloccati nella sua testa, dove lei stessa li ha chiusi. Sono sigillati da qualcosa di potente, qualcosa che nemmeno io posso comandare purtroppo” rispose.

“E da cosa?” chiesi infervorato. Quindi Elsa non aveva perso i poteri, poteva ancora reagire!

“Dalla paura e dalla disperazione. Queste sono due cose che i miei poteri non possono sconfiggere, solo lei potrà farlo” spiegò.

Elsa staccò la sua mano dalla mia e guardò entrambi i palmi, come se potessero risponderle o aiutarla in qualche modo.

“E non c'è modo per sbloccarsi?” chiese.

“Purtroppo no, ma sono sicuro che nel momento del bisogno saprà come reagire, mia Regina. Ho visto il suo potere, so cosa può fare. Io credo fermamente in lei e nelle sue potenzialità” le assicurò.

Lei sorrise timidamente e si passò una mano sul braccio.

“Senta, prima che ritrovi i miei ricordi io avrei un'altra domanda. Se non disturbo, chiaro”

“Lei non disturba mai, Regina” commentò Gran Papà, galante.

“Stavate... stavate parlando di una festa. Qualcuno che nasce. Ecco, io manco da casa da un po' di tempo e vorrei capire chi... chi è che aspetta un bambino?” domandò.

La Troll autoritaria di prima si mise in mezzo.

“Ma la Principessa Anna! È al quarto mese di gravidanza!” esclamò. Tutti i Troll intorno a lei si misero ad applaudire e gioire a quella notizia. Elsa invece sgranò gli occhi e mi fissò.

“Quattro mesi? ma... io sono morta solo da due! Perché non me l'ha detto prima?” si chiese tristemente.

“Forse l'ha fatto e tu non lo ricordi. Hai detto di avere un intero giorno di buco nei tuoi ricordi, magari in quel giorno ti aveva detto qualcosa” supposi.

“Sì, però...”

“Ascolta, intanto cerchiamo i tuoi ricordi, ok? Poi pensiamo al resto” le proposi. Mi guardò incerta, poi annuì.

“Ok, Gran Papà, sono pronta. La prego di aiutarmi a ritrovare i miei ricordi” disse.

Lui annuì, poi la prese per mano e la fece sedere su una roccia.

“Adesso si rilassi, mia Regina, penso a tutto io”

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Capitolo 12
*** Forse un problema ***


Forse un problema

Atterrammo davanti alla fontana del castello con grazia e Elsa fu subito pronta a correre.

“Dobbiamo andare da Anna!” esclamò, ma io mi ero resa conto di un'altra cosa. Mi guardai intorno preoccupato, sentendo uno strano formicolio alla testa.

“Dove sono Nord e Dentolina?” chiesi. Non vedevo la grossa slitta rossa di Nord, né le piume verdi iridescenti di Dentolina. Dov'erano finiti?

Lo sentii prima ancora di vederlo. Mi lanciai in avanti spingendo via Elsa quando percepii quel fruscio sinistro che mesi prima avevo imparato ad associare a un attacco di Pitch.

“Attenta!” gridai. Le spinsi via e sentii l'aria che si spostava accanto al mio orecchio. L'avevo scansato di pochissimo.

Rotolammo a terra, finendo per battere con la schiena contro gli scaloni dell'ingresso. Mi si mozzò il fiato in gola.

“Sempre pronto a tutto, Frost. Bravo” disse una voce melliflua. Aprii un occhio con un po' di fatica, sentendo il punto in cui avevo battuto pulsare di dolore.

“Tu viscido come sempre, Pitch” risposi. Lui mi fu accanto e mi alzò di peso, tenendomi per il collo. Iniziai a sputacchiare, mi mancava l'aria nei polmoni.

“Jack!” gridò Elsa, lanciandosi poi contro di noi. “Lascialo andare, maledetto!” esclamò, ma Pitch le sguinzagliò contro i suoi incubi, i cavalli neri, che la accerchiarono.

“Ti sei fatto la ragazza, Frost?” mi sbeffeggiò.

“Va'... al... diavolo...” riuscii a dire. Strinse gli occhi e mi scaraventò a terra. Un'esplosione di luci colorate davanti agli occhi mi fece perdere il senso della realtà; avevo battuto la nuca.

Era un dolore tremendo, che non avevo mai provato prima di allora.

“Sei un moccioso e un arrogante come sempre, vero Jack? Non cambi mai!” gridò Pitch, in preda all'ira. Mi lanciò contro quella sua sabbia scura e mi sentii soffocare.

Dovevo cambiare tattica, stavamo perdendo rovinosamente.

Tossendo alzai la faccia e lo guardai in viso.

“Come ti sei liberato di tutti quegli incubi?” domandai. Lui sorrise beffardo.

“Oh, è stato difficile. Per colpa vostra i miei piccoli incubi stupendi mi avevano intrappolato. Sono rimasto chiuso nell'oscurità per un tempo infinito, a covare il mio odio per i guardiani e per i bambini pieni di sogni fiabeschi. Bleah!” disse. “Ma poi ho sentito un richiamo lontano. Un suono così dolce e piacevole. Era il suono dell'odio, della vendetta e della rabbia. Poco a poco, nutrito da quell'odio, mi sono liberato dagli incubi, che però diventavano sempre più forti e sicuri. Non capivo cosa fosse, un potere simile non l'avevo mai sentito scorrere nelle mie vene. E, seguendo quel richiamo, ho trovato lui” spiegò.

Una figura incappucciata si fece avanti, la stessa che aveva ucciso Elsa. Quel tipo, Hans qualcosa, si mostrò a noi, liberandosi il viso dal mantello.

“Tu! Maledetto mostro!” gridò Elsa, lanciandosi in avanti per afferrarlo, ma fu scaraventata indietro dai cavalli neri.

“Sì. Io. E vedo che anche tu sei ancora viva” rispose lui, con una nota di rimprovero nella voce.

“Di certo non grazie a te, essere viscido e...”

“Via, via, questo modo di parlare non si addice a una Regina. Anche se, in effetti, credo che tu non sia più tale, dico bene?” considerò.

Io ero confuso.

“Come può vederci? Cosa hai fatto, Pitch?” domandai. Pitch fece spallucce.

“Io niente. È stato lui a vedere me per primo, io gli ho solo dato una mano ad osservare bene la realtà circostante” mi rispose.

“Hai modificato la sua capacità di vederci? Ma non si può fare!” esclamai.

“Io posso farlo, a quanto pare, e l'ho già fatto. Hans adesso è dalla mia parte, nelle mie mani, e questo potere meraviglioso che grazie a lui mi scorre nelle vene mi ha fatto capire che finora ho sbagliato tutto. Non devo agire sui bambini: l'odio degli adulti è più che sufficiente per potenziarmi” commentò.

“Maledetto!” gli gridai contro, per poi lanciarmi su di lui, il bastone alla mano pronto a colpirlo.

Lui si scansò e mi lanciò addosso un'enorme montagna di sabbia oscura, che illuminai col ghiaccio e bloccai col bastone.

Mi sembrò di tornare a mesi prima, quando ci eravamo battuti in cima a una montagna.

“Sei troppo debole, Jack. Ormai ho un potere che non avevo allora, un potere che può schiacciarti!” mi disse.

Vidi un'enorme ammasso di sabbia nera venirmi incontro e mi voltai per fuggire. Subito dopo per me ci fu l'oscurità completa.

 

Quando ripresi i sensi sentivo Elsa accanto a me che piangeva. Aprii gli occhi e la vidi inginocchiata a terra, il mantello ghiacciato sparso intorno a lei, le mani premute sugli occhi.

Avevo un mal di testa incredibile, sembrava che mi avessero preso a bastonate sul cranio per ore e ore.

“C-che cosa... cosa...” provai a dire, ma avevo la nausea. Quando si rese conto che mi ero ripresa, Elsa mi prese il viso con le sue mani calde.

“Sei vivo!” esclamò, per poi affondare con la faccia nel mio petto.

“Ouch! Elsa, ti prego... ahia!” mi lamentai. Sentivo un dolore continuo, tutto il mio corpo era un livido.

Lei si alzò, ancora lacrimante, e mi guardò. Poi si mise di nuovo a singhiozzare.

“Mi dispiace!” disse disperata.

“Per cosa? Che cosa è successo?” domandai.

“I-io ho provato... ho provato ad evocare la neve, o qualche mostro o una cosa simile, ma non ce l'ho fatta. Quel tipo, Pitch, e Hans si sono messi a ridere e mi hanno scagliata a terra, dove sono rimasta bloccata per colpa di quella sabbia oscura. Se ne sono andati con Nord e Dentolina stretti tra le braccia. Pitch... lui... ha detto che se li vogliamo rivedere vivi dobbiamo andare al laboratorio di Nord, al Polo” mi spiegò.

Strinsi per un attimo gli occhi, in preda al panico: e ora? Era di nuovo tutto nelle mie mani?

“Va bene, allora andiamo” decisi. Mi alzai un po' barcollante, ma col bastone riuscivo a muovermi abbastanza bene. Guardai Elsa e le tesi la mano.

“Forza” la spronai, ma lei rimase inginocchiata a terra, gli occhi bassi, le spalle ancora sussultanti.

“Mi dispiace...” sussurrò.

“Non ti preoccupare, possiamo aggiustare tutto” dissi. Si voltò di poco verso di me, sempre evitando di guardarmi.

“No, non possiamo. Tu puoi, io devo rimanere qui”

La guardai stralunato.

“Che cosa? Stai scherzando?” domandai. Stavolta mi guardò, gli occhi pieni di lacrime.

“Jack, mi dispiace, sul serio, ma io che posso fare? Non ho più poteri, non posso venire con te lasciando Anna da sola! Se devo scegliere se rimanere qui a vegliare su di lei mentre un pazzo assassino si aggira per Arendelle o venire con te al Polo, preferisco stare qui!” commentò.

“E cosa pensi di fare da sola? L'hai appena detto tu che non hai più poteri!” ribattei piccato.

“Ma potrei comunque farmi vedere da Hans, se tornasse! Hai pensato alla possibilità che sia una trappola? Che in realtà Pitch voglia che noi ci allontaniamo dal castello entrambi?”

“E una volta che ti ha visto che pensi di fare? Di fargli le boccacce per dissuaderlo?”

“Jack, ti prego, ti scongiuro, cerca di capirmi. Non posso lasciare Anna da sola”

“Io devo capirti?” chiesi sconvolto. “IO? Due dei miei amici sono appena stati rapiti perché un pazzo scatenato ha un potere mai visto prima e io dovrei capire te?”

Elsa si asciugò le lacrime, poi si voltò. Intravidi per un istante il suo viso, adesso su di esso aleggiavano tristezza e dolore.

“Mi dispiace Jack, ma penso che le nostre strade si dividano qui. Io ho i miei cari da proteggere e tu i tuoi. Scusami” disse con la voce che tremava. Corse dentro al castello, il mantello svolazzante e le braccia strette al petto.

“Elsa, aspetta... ELSA!” gridai, ma non si fermò, non si voltò. La vidi sparire al di là della porta senza poter fare niente per recuperarla.

Ero stravolto.

Per un istante valutai l'opzione di andarle dietro ma sapevo che sarebbe stato tutto inutile: se Hans e Pitch erano andati verso il Polo, sicuramente nessuno sarebbe stato dentro al castello, quindi la paura di Elsa era infondata e stupida. Sì, sicuramente era così.

“Vento, portami da Nord!” esclamai saltando in mezzo a una brezza gelida e scivolando verso il laboratorio.

Dentro di me sapevo, in una parte remota della mia mente, che Elsa poteva avere ragione e che, al suo posto, mi sarei comportato alla stessa maniera. In realtà, quando c'era stato bisogno di me mi ero comportato anche peggio.

Nonostante questo, il fatto che avesse lasciato Nord e Dentolina in balia di quell'essere mi faceva imbestialire.

Anzi no.

Mi faceva arrabbiare il fatto che avesse lasciato me da solo per sua sorella.

Scossi la testa, rimproverandomi per quei pensieri: ero un egoista fatto e finito.

Avevo capito già da un po' che Elsa mi piaceva, ma ragionare così era veramente da bambini, e io non potevo permettermi dubbi o esitazioni in quel momento.

Arrivai al laboratorio entrando dalla finestra.

“Calmoniglio, Sandy!” chiamai.

Un secondo dopo fui buttato a terra con forza e la mia testa, già ferita, esplose di dolore.

“JACK!” sentii gridare da quella che dedussi essere Dentolina, ma non ne potevo essere certo. In qualche modo quella voce impanicata mi fece ricordare mia sorella.

“Ben arrivato, Jack. Non credevo che saresti venuto così in fretta visto che la tua fidanzata è rimasta ad Arendelle” disse Pitch.

Mi voltai supino e provai a metterlo a fuoco, ma il dolore era troppo forte.

“C-come lo sai... che...” stavo per svenire.

Un'ombra nera (Pitch?) si avvicinò a me, abbassandosi sul mio viso.

“Sai, ho dei modi per contattare i miei sottoposti” commentò.

“I tuoi... sottoposti?” chiesi.

Ci fu una risata lunga e malvagia, poi Pitch sparì dalla mia vista.

“Esattamente, mio caro Frost! I miei sottoposti! Non penserai mica che consideri quell'inetto del Principe un mio pari? Se fosse stato per lui niente di tutto questo sarebbe accaduto!” commentò da qualche parte lontano da me.

“Smettila, vile codardo! Usare umani adulti è una cosa deplorevole!” disse Nord.

“Sinceramente non mi interessa che ne pensi tu. Per quanto mi riguarda, il potere è la cosa più importante” considerò Pitch.

“C-cosa dicevi a proposito... di Hans...” domandai a mezza voce.

Di nuovo l'ombra nera apparve di fronte al mio viso.

“Stavo dicendo che quello è solo un mio sottoposto, niente di più. L'ho lasciato ad Arendelle a compiere la sua vendetta sulla nuova Regina, per voi basto io”

Ci volle un secondo affinché le parole di Pitch arrivassero al mio cervello, poi le registrai.

“Oh no. Elsa” sussurrai comprendendo ciò che mi stava dicendo. Lui rise.

“Esattamente. Elsa. La Regina di Ghiaccio, la nuova guardiana. Sai, credevo che sarebbe stata un problema, quando è morta e l'Uomo sulla Luna ha deciso che dovesse risorgere, ma scoprire che non ha più i poteri mi ha tranquillizzato. Era inutile tanto da viva quanto da morta e, a mio parere, è stato uno spreco di vite umane ucciderla, ma Hans la odiava così tanto” raccontò.

Elsa era sola al castello con quell'essere.

Ero stato uno stupido, era logico che fosse una trappola. Aveva avuto ragione lei.

E io l'avevo abbandonata.

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