Tutta colpa di un vestito

di Rubus idaeus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Fidanzarsi ***
Capitolo 3: *** Tutto per colpa di quello stupido vestito ***
Capitolo 4: *** E' solo l'inizio (parte 1) ***
Capitolo 5: *** E' solo l'inizio (parte 2) ***
Capitolo 6: *** Sur le pont d'Avignon ***
Capitolo 7: *** Ultimatum ***
Capitolo 8: *** La belette rouge ***
Capitolo 9: *** Fantasie improvvisate ***
Capitolo 10: *** Bonjour ***
Capitolo 11: *** Lione e vecchie conoscenze ***
Capitolo 12: *** Parigi è ancora lontana ***
Capitolo 13: *** Shall we dance? ***
Capitolo 14: *** Progressi ***
Capitolo 15: *** Avant, Avant, Lion le melhor ***
Capitolo 16: *** Di nuovo in carreggiata ***
Capitolo 17: *** Una notte movimentata ***
Capitolo 18: *** L'alba di un nuovo giorno ***
Capitolo 19: *** Tappa a Beaune ***
Capitolo 20: *** Vino dolce ***
Capitolo 21: *** Niente più imprevisti ***
Capitolo 22: *** Fin ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


6 luglio, da qualche parte in Francia.

La ragazza incrociò le braccia al petto sbuffando esasperata, mentre il moccioso e quel buzzurro del guidatore cantavano allegri una vecchia patriottica canzone in francese. Improvvisamente la macchina, se tale poteva essere definito quel maggiolino giallo scassato, sbandò paurosamente verso destra a causa di un fosso nella strada campagnola e il cuore di lei perse un battito. Si volse di scatto a sinistra lanciando verso il guidatore uno sguardo fulminante, ma il tipo incurante le strizzò beffardo l'occhio e continuò a cantare.

Lei strinse i pugni così forte da sentire le unghie penetrarle dolorosamente nel palmo della mano, non era mai stata così nervosa e vicina a compiere un delitto che negli ultimi due giorni. Quel tizio le aveva fatto passare le pene dell'inferno. Se lui non fosse stato la sua unica possibilità di raggiungere Parigi entro il 14 luglio, l'avrebbe assassinato insieme al seccante nipotino già da tempo. Espirò pesantemente cercando di mantenere la calma e volse lo sguardo oltre il finestrino.

Campi. Solo campi per chilometri e chilometri. Nemmeno l'ombra di un'abitazione. Solo qualche striminzito alberello spuntava timidamente dalle spighe alte e dorate che coprivano totalmente il terreno.

Si strofinò il viso con una mano e chiuse gli occhi. Come se non bastasse, c'era un'afa soffocante, non ricordava in tutta la sua vita un luglio più cocente, e sarebbe stato troppo chiedere l'aria condizionata in quella macchinina da quattro soldi. Il calore che saliva dal terreno sfocava il paesaggio e creava miraggi, come immaginarie pozzanghere d'acqua sull'asfalto davanti agli occhi.

Sto andando a sposarmi, sto andando a sposarmi. Si ripeté lei nella mente cercando in quelle parole la forza per sopportare quell'interminabile odissea. Abbandonò la testa indietro e senza neppure accorgersene cedette tranquillamente al sonno.





Ancora la storia in sé e per sé non è cominciata, questo è solo un assaggio di ciò che succederà più avanti.
Ho deciso di scrivere un'altra storia perchè sono in via di conclusione di un'altra. L'idea per questa è venuta improvvisamente, e sinceramente non ho ancora uno schema mentale preciso di come renderò lo svolgimento, quindi immagino che sia per me che per voi sarà un racconto denso di sorprese o comunque colpi di scena. 

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Capitolo 2
*** Fidanzarsi ***


Dunque, qui si inizia sul serio con la storia. Ho deciso di strutturarla un po' come se fosse un diario di viaggio, anche per rendervi le cose un po' più facili.

 


15 dicembre, New York, Empire State Building. 21:42 pm
 
-Vuoi sposarmi?
Non fu quasi affatto una sorpresa per lei, se lo aspettava da un momento all'altro da circa un mese. Era ormai da diverso tempo che provava ad immaginare come dove e quando sarebbe successo, anzi, era stata così piena di quell'idea, sognata fino alla fine, aspettata, per così dire, a denti stretti che in qualche modo ne rimase perfino delusa. 
Aveva immediatamente immaginato che quella sera il quarto dito della sua mano destra sarebbe stato cinto con un anello di fidanzamento, quando il suo ragazzo le aveva proposto un incontro all'ultimo piano dell'Empire State Building intimandole di vestirsi elegante e comunicandole che sarebbero stati presenti le loro famiglie e i loro amici più stretti.
E infine ecco che era giunto il tanto atteso momento.
Ci siamo.
Aveva pensato lei mordendosi le labbra, mentre guardava lui che si metteva in ginocchio. Il chiacchericcio che rimbombava nella sala era un veleno per l'atmosfera da sogno che ci sarebbe dovuta essere ed in più sentiva che gli occhi di tutti i presenti, anche chi non li conosceva affatto, puntavano insistenti verso di loro, il ché le parve piuttosto fastidioso. Ma gli occhi chiari del suo lui le fecero dimenticare qualsiasi altro sguardo che fosse rivolto a lei in quel momento. E quando finalmente lui aprì il prezioso cofanetto dell'anello, finse di essere stata colta di sorpresa, si portò una mano alla bocca per mascherare il falso sorriso commosso, fece un lieve gesto di assenso col capo e il gioco fu fatto.
I neo fidanzati si abbracciarono sorridenti e nella sala scoppiò un fragoroso applauso.
È sicuramente la sera più bella della mia vita.
Pensò lei osservando prima l'anello, poi lui, poi la gente e poi ancora l'anello.
Strinse i pugni per contenere l'entusiasmo. Era ufficialmente fidanzata. Fi-dan-za-ta. Alla faccia delle sue smorfiose amiche che fino a qualche anno prima le canzonavano che non avrebbe mai trovato uno straccio di uomo. E invece...
Beh, chi l'avrebbe mai detto? Aveva sempre creduto che non si sarebbe mai sposata e, in vero, l'idea di una vita libera e indipendente non la disgustava affatto. Eppure da quando aveva conosciuto lui, aveva subito pensato che saebbe stato uno spreco non tenerselo ben stretto.
Stringendo in un abbraccio sua madre e suo padre pensò che probabilmente tutte le donne del mondo avrebbero desiderato essere al suo posto e ricevere una proposta dieci giorni prima del proprio compleanno, con un Tiffany da sedicimila dollari, all'ultimo piano dell'Empire State Building, nel bel mezzo di un prestigioso ricevimento, davanti a centinaia di persone di rilievo. Poteva ritenersi soddisfatta.
-Congratulazioni Oscar, congratulazioni Hans!
-Felicitazioni, signorina Jarjayes! E anche a lei, signor Fersen, miss Jarjayes è uno splendore.
-Mi congratulo con entrambi!
Ognuno si accalcava per stringere loro la mano e per porgere le proprie congratulazioni. E quella fu la parte più torturante. Ma ben presto finì tutto e due ore dopo Oscar si ritrovò, più felice che mai, tra le robuste braccia di Hans sul divano del loro appartamento.

Il matrimonio si sarebbe svolto in Francia, a Parigi, luogo natale dei nonni di lei, e per la precisione a Notre Dame, il quattordici luglio, scelta patriottica da parte del padre.
A lei andava benissimo che sia i suoi che i futuri suoceri decidessero ogni cosa del suo matrimonio (invitati, cerimonia, ricevimento,...), in fondo della cerimonia le importava davvero poco, ma c'era un patto: l'abito lo sceglieva lei, punto. Non voleva sberluccichii, né pizzi, né fronzoli vari, voleva un liscio, semplicissimo e classico abito bianco col taglio a sirena, non troppo scollato e soprattutto comodo.
Per la scelta si era affidata al consiglio esperto delle inseparabili amiche Marie e Rosalie, e infine aveva optato per un meraviglioso vestito di seta color panna finemente ricamato d'argento sulla scollatura, leggermente accentuata ma elegante, e sul bordo della gonna. Era entrata nel negozio, l'aveva visto, l'aveva provato e non era stato necessario visionarne altri, quello era perfetto, anche se non c'era della sua taglia. Così l'aveva ordinato ben convinta dell'acquisto ed era uscita dal negozio sicura che sarebbe andato tutto alla perfezione.
Ma sarebbe stato tutto troppo facile se fosse andato come sperava.
Esattamente sedici giorni prima del matrimonio, quando ormai tutti si preparavano alla partenza verso la Francia, Oscar ricevette la telefonata del negozio d'abiti da sposa che con rammarico le comunicava che il suo vestito aveva avuto un ritardo di confezionamento e che sarebbe stato pronto solo dopo una settimana da quella data. Ovviamente lei non l'aveva presa affatto con filosofia, comunque fu costretta ad annullare il suo volo e a veder partire tutti gli altri, mentre lei restava a New York per aspettare che il vestito fosse pronto.

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Capitolo 3
*** Tutto per colpa di quello stupido vestito ***


Mattina del 4 luglio, New York, residenza Jarjayes.

 

Il meteo di quel mattino, come aveva fatto anche nei tre giorni precedenti, annunciò l'imminente arrivo di una tempesta tropicale che avrebbe interessato prima le coste americane e poi si sarebbe spostata verso l'Atlantico del nord. Una vera scocciatura per Oscar che, addentando una calda brioche al cioccolato, si era resa conto che l'uragano seguiva proprio la rotta degli aerei diretti nel nord Europa. Comunque, non poteva assolutamente rimandare la partenza e immediatamente dopo essere passata da Kleinfield per ritirare il suo vestito si era diretta seduta stante all'aeroporto.

Fu una vera fortuna che il suo volo non fu cancellato, anche se buona parte dei viaggiatori avevano preferito rimanere a terra per paura delle probabilmente plurime turbolenze. Così, essendo l'aereo praticamente vuoto, Oscar ebbe la possibilità di sedersi in un comodo posto nelle prime file, accanto al finestrino.

Il decollo avvenne con largo ritardo poiché la torre di controllo non ne voleva sapere di dare il consenso.

Finalmente l'aereo si staccò dal suolo cominciando a salire dolcemente. L'inizio sembrava presagire un volo tranquillo, ma appena l'aereo prese quota iniziò a traballare paurosamente, e sempre traballando si addentrò in una nuvolona nera e sinistra che sprizzava fulmini da ogni parte. Fu un viaggio da incubo, l'aereo prese più di tre vuoti d'aria, e Oscar riuscì a superare a mala pena il panico stringendo con tutte le forze i poggiabraccia dei sedili. Si era dimenticata a casa i calmanti e le hostess che sorridenti tentavano di mantenere i passeggeri calmi con delle pacche sulle spalle la innervosivano ancora di più.

Tutto per colpa di quello stupido vestito.

Si trovò a pensare digrignando i denti. Già, se solo quei caproni di stilisti avessero rispettato la data di consegna, lei a quell'ora sarebbe stata già con i piedi ben saldi sul suolo francese, mentre ora temeva che non ci sarebbe mai arrivata sana e salva.

Le ore passavano lentamente. Davanti ai suoi occhi, sul piccolo schermo da tredici pollici incastonato sullo schienale del sedile ante stante, erano stati trasmessi già due film, uno in francese, uno in americano, e stava giusto iniziandone un terzo, probabilmente in francese a giudicare dai titoli di casting, quando la visione fu interrotta d'improvviso e apparve un hostess che con voce gracchiante e tono costernato annunciava che il volo doveva deviare per Marsiglia.

-Marsiglia!?

No, quello era troppo. Oscar scattò in piedi dopo essersi tolta bruscamente la cintura di sicurezza e si diresse a passo di marcia, incurante del continuo ondeggiamento del mezzo, attraverso le file di sedili verso la cabina di comando. Un ufficiale, che molto tranquillamente prendeva il caffè davanti all'entrata della cabina, le intimò di tornare al suo posto, ma lei gli rovesciò la bevanda con una manata e a pugni serrati lo apostrofò:
-Siamo a trentacinque minuti da Parigi, come potete deviare? Devo andare a Parigi. Ah! Voi non vi rendete conto... Io mi sposo tra una settimana.

-Signora, si calmi e torni a sedersi, abbiamo provveduto a far venire un pullman all'aeroporto di Marsiglia apposta per voi passeggeri che vi condurrà a Parigi.

La ragazza sbuffò insoddisfatta e aprì la bocca pronta a ribattere, ma si rese conto che poteva fare ben poco salvo tornare a sedersi e aspettare pazientemente di toccare il suolo.

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Capitolo 4
*** E' solo l'inizio (parte 1) ***


È solo l'inizio, parte 1 (capitolo 3)

 

 

5 luglio, aeroporto di Marsiglia. 8:33 am.

 

Oscar fu la prima ad uscire da quell'aereo e quando finalmente appoggiò le sue comode Sneakers al suolo, si sentì come Cristoforo Colombo che dopo mesi di viaggio era sbarcato in America. Peccato che per lei fosse l'esatto contrario. Aveva abbandonato i suoi amatissimi Stati Uniti davvero a malincuore, ma il pensiero di essere sulla via del matrimonio la rasserenava.

Andare in Francia era stato per lei un po' come un ritorno alle origini: spesso i suoi nonni le avevano raccontato con occhi afflitti quanto era stato doloroso per loro lasciare la Francia per trasferirsi nella terra delle grandi opportunità. Ed effettivamente in America avevano fatto la loro fortuna aprendo un'orologeria a New York.

A proposito di orologi, Oscar si ricordò di dover mandare avanti l'ora sul suo Rolex.

Si sentiva stordita e disorientata: era letteralmente stata “fusa dal fuso”. L'attraversamento di così tanti meridiani era stato più duro del previsto da tollerare e le aveva sballato parecchio il suo orologio biologico, ma sapeva che le sarebbe voluto poco tempo per abituarsici. In più non aveva dormito per tutto il corso del viaggio e si sentiva assonnata, ma non si poteva assolutamente permettere di perdere quella corriera per Parigi andando a prendersi un caffè.

Si diresse per tanto verso la zona del ritiro valigie, dove già la maggior parte degli altri passeggeri attendevano pazientemente l'arrivo dei propri bagagli.

Le sfilarono davanti agli occhi enormi valigie di Louis Vuitton, Prada, Valentino e poi rudi borsoni da campeggiatori e ancora banali valigette di plastica non di marca tutte ammaccate e dai colori sfavillanti. Peccato però che la sua cara Fendi non sbucasse da sotto quelle lingue di plastica nere.

Finì che Oscar si ritrovò da sola ad attendere una valigia che non sarebbe arrivata. Infatti improvvisamente il rullo trasportatore si bloccò.

-No, no, no, no.

Incominciò a balbettare ansimante.

-Avanti! Gira! Portami la mia valigia, ti prego, stupido nastro trasportatore.

Esclamò battendo un pugno sul rullo, che, suo malgrado, non ripartì. La prima cosa che le venne in mente fu il pullman: avrebbe tranquillamente fatto a meno della valigia pur di prenderlo, in fondo non aveva portato molti vestiti con sé e in più la sua valigia era pure vecchia, ma lì dentro c'era il suo abito da sposa, undicimila dollari di stramaledetto abito da sposa!

Ringhiando e farfugliando ogni genere di imprecazione andò a domandare ad un addetto come avrebbe potuto fare per recuperare la sua valigia. Questi la squadrò da testa a piedi soffermandosi particolarmente a lungo sulla scollatura della sua maglietta con un sorrisino sfacciato stampato sul viso, poi le fece firmare una serie di fogli con i quali ella dichiarava lo smarrimento del bagaglio e scomparve in un ufficio. Ne riemerse qualche minuto dopo annunciando in un americano scadente che la valigia della signora si trovava a Londra. Oscar si mise le mani nei capelli e ripeté come in trans:

-A Londra...

-Non si preoccupi, tra due ore arriva un aereo da Londra, ho già chiesto a chi di competenza di far spedire anche il suo bagaglio.

La ragazza sembrò risvegliarsi improvvisamente dopo un incubo.

-Io non posso aspettare due ore!

L'addetto sollevò incurante le spalle e socchiudendo gli occhi con fare intrigante sussurrò:
-Posso farle compagnia io se vuole...

Ma Oscar gli aveva già voltato le spalle e si era incamminata verso le panchine maledicendo la maleducazione della gente e l'incompetenza degli aeroporti.

 

 

La valigia fece finalmente la sua comparsa sul rullo insieme alle altre squallide valigie inglesi due ore e dodici minuti dopo ed Oscar la agguantò con uno scatto felino. Aveva ormai perso la corriera, partita già da un ora e mezza e non erano valse a nulla le sue suppliche al conducente. Così aveva dovuto farsene una ragione e nell'attesa aveva ingannato il tempo girando come una trottola per tutto l'aeroporto nel tentativo di rilassarsi un po' facendo shopping in quei pochi miseri negozi da turisti. Ora aveva la sua valigia, ma nessuna idea di come fare a raggiungere Parigi.

Si sedette stanca e stressata su una panchina davanti alle vetrate che davano sulla pista e cominciò a riflettere, senza concludere un bel niente. Aveva bisogno di un consiglio.

Rovistò nella borsa agguantando il modernissimo cellulare e digitò il numero di Hans.

-Oscar! Ma dove sei finita?

-Sono a Marsiglia... ahh, è una lunga storia: hanno deviato la rotta dell'aereo e mi hanno smarrito la valigia, non so come fare per raggiungere Parigi.

-Io non posso venire a prenderti, tesoro, nessuno di noi ha una macchina e sono, anzi, siamo dannatamente impegnati con l'organizzazione della cerimonia e il resto. Non ci sono treni?

-C'è sciopero Hans.

-Aspetta, mi è venuta un'idea: perchè non telefoni alla vicina di casa dei tuoi? Marron, giusto? Ecco, se non sbaglio ha un nipote che abita a Marsiglia, potresti farti accompagnare da lui a Parigi, pagandolo per il favore ovviamente.

-Ottima idea.

Constatò lei e chiuse la chiamata con un sorriso: sentire la voce di Hans le aveva risollevato molto il morale. Quindi telefonò a Marron che con la sua solita esagerata cortesia le promise di informare il nipote e di farla venire a prendere al più presto. La ragazza sospirò sollevata e sentì i nervi sciogliersi: si sarebbe risolto tutto, l'indomani al massimo si sarebbe trovata a Parigi.






Buon inizio di Settembre, cari lettori. La scuola si appresta a cominciare, l'ansia inizia a ingarbugliare lo stomaco e l'estate ci saluta. Personalmente sono piuttosto impegnata a ripassare tutte le materie che negligentemente ho abbandonato durante le vacanze (vedi: greco), quindi tralascerò per un po' le mie storie. Sono satta rapida nell'aggiornare questi primi capitoli, ma d'ora in poi temo che le cose andranno un po' più per le lunghe, mi spiace. Comunque grazie a chi mi legge, ne sono molto molto fiera.

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Capitolo 5
*** E' solo l'inizio (parte 2) ***





5 luglio, aeroporto di Marsiglia, ora imprecisata tra le 10:00 e le 11:00 am.
 

 

 

Oscar appoggiò le labbra sul bordo del piccolo bicchierino sputato fuori dalla macchinetta del caffè e stillò un lungo e appassionato sorso di espresso fumante.

Dio benedica la caffeina.

Pensò avvertendo immediatamente l'effetto benefico della bevanda sui suoi poveri nervi stressati. Era proprio quello che le ci voleva. La stanchezza del viaggio e la situazione in generale l'avevano parecchio esasperata, ma fortunatamente era bastata una goccia di caffè per ritrovare un po' di sana energia.

-Bene.

Esclamò a se stessa in tono auto-incoraggiante strofinandosi le mani, dopo aver buttato nel cestino il bicchiere.

-Parigi, sto arrivando.

Afferrò la maniglia del proprio trolley e se lo trascinò dietro con sicurezza verso l'uscita del gate.

Mentre camminava a passo marziale sul lucido pavimento bianco, fece scorrere lo sguardo tra le persone che incrociava cercando insistentemente in ognuna una traccia che rimandasse a un parente di Marron. Invano.

È un bel ragazzo alto e moro con gli occhi verdi come i miei, lo riconoscerai subito di sicuro.

Aveva cinguettato Marron al telefono con classico tono spumeggiante della nonna che parla del proprio nipote.

Oscar era in un qualche modo curiosa di conoscere questo fantomatico “Andrè”: ragazzo libertino, incorreggibile, testa calda e sempre sorridente, stando alle ampie descrizioni della vicina di casa. Doveva essere un personaggio particolare e il fatto di incontrarlo la stuzzicava non poco.

La ragazza rise nella mente. Certo che effettivamente era stata un'interessante coincidenza il fatto che lui abitasse a Marsiglia, insomma una fortuna nella sfortuna per lei. Tanto meglio.

-Madame! Faire attention!

Risuonò d'un tratto una voce allarmata echeggiando in tutto l'aeroporto. Oscar non capì il significato di quelle parole, dato che nella sua famiglia, già dalla generazione precedente, l'uso del francese era andato degradandosi con la sostituzione radicale dell'americano, ma ebbe immediatamente la brutta sensazione che fossero rivolte proprio a lei e si girò istintivamente. Ebbe il tempo di vedere un paio di persone che la fissavano con gli occhi spalancati e men che non si dica si ritrovò distesa per terra con la vista oscurata.

Quando riacquistò i sensi, la prima cosa che vide Oscar fu una dozzina di occhi curiosi che la fissavano insistenti. La ragazza mosse le pupille intorno a sè realizzando di essere sdraiata su una panchina e circondata da un cospicuo gruppo di persone. Per un momento non ricordò nulla delle poche ore precedenti.

-Faire de la place, les gens, quittent l'esplace.

Un paio di braccia robuste aprirono un varco tra la folla e apparve un ragazzo, che tutto sorridente si sedette accanto a lei agitando le mani come un vigile per mandare via i curiosi.

-Tutto bene?

Le domandò in tono quasi materno appoggiandole una mano consolatoria sulla spalla. Oscar si sentiva stordita come se si fosse appena svegliata da un'anestesia e lo fissò con gli occhi socchiusi e sgranati come se fosse un angelo. Si rese conto solo dopo qualche istante di distaccamento dalla realtà e molto lentamente di provare un acuto dolore all'apice della testa. Gli rispose tramite un'altra domanda con un filo di voce.

-Cosa mi è successo?

L'uomo rise divertito.

-Sei scivolata sul pavimento bagnato.

Si scambiarono uno sguardo incolore, poi lui deviò gli occhi verso le proprie mani tentando invano di trattenere una nuova risata.

-È stato esilarante. La donna delle pulizie non la smetteva di borbottare che ti avrebbe fatto ripulire il pavimento e voleva pure denunciarti.

Chi era quel tipo? E come si permetteva di darle così tanta confidenza? Addirittura di ridere così scortesemente di lei.

Oscar rizzò la schiena indispettita aggrottando le sopracciglia.

-Beh grazie, ma ora devo andare, mi stanno aspettando.

Disse sollevando il naso con arroganza e scostandosi da lui con uno scatto.

-Ferma, Oscar, dove hai intenzione di andare?

Scherzò lui afferrandole il polso.

-Come sa lei il mio...?

L'uomo sorrise e alzò le spalle mentre lei con le labbra socchiuse lo fissava sconvolta.

-Lei è...

Mormorò insicura.

-È Andrè, il nipote di Marron?

-Esattamente!

Esclamò il ragazzo balzando in piedi ed esibendosi in un profondo inchino. Oscar avvertì il sangue defluire sulle sue guance e surriscaldarle il volto per l'imbarazzo.

Fantastico! Proprio una bella figura, Oscar...Cominciamo bene.

Si rimproverò lei nella mente battendosi un palmo sulla fronte e alzandosi lentamente.

L'uomo agguantò le valige di Oscar come un facchino e si avviò fischiettando verso l'uscita. Oscar barcollò un poco e scosse la testa per darsi equilibrio poi con un bel respiro gli andò dietro.

-Posso chiederle, signor Andrè, come ha fatto a riconoscermi?

-La valigia, mia cara.

Rispose lui con un sogghigno senza voltarsi verso di lei.

Certo, era ovvio, che domanda idiota, c'era il suo nome sull'etichetta della valigia. Oscar sollevò gli occhi al cielo e intimò a sé stessa di star zitta se non voleva che egli credesse che fosse stupida.

-Comunque,

Continuò lui rallentando il passo.

-Sai, non sei una che passa inosservata, anche in un aeroporto grande come questo. Mi è bastato chiedere ad un paio di persone e mi hanno indicato immediatamente dove ti avevano vista.

Le lanciò un occhiatina furtiva di sottecchi.

-E, per la cronaca, avevo già una vaga idea di come tu fossi, dato che mia nonna mi fa una testa così su di te ogni volta che mi telefona. Deve volerti bene.

Oscar sollevò debolmente un angolo della bocca in un sorrisino tra l'intenerito e il compiaciuto: sapere che Marron aveva parlato di lei al proprio nipote aveva incrementato di una tacca il suo orgoglio.

 

 

Varcarono la soglia dell'uscita ritrovandosi abbagliati da un sole raggiante e cocente. Oscar prese un grande respiro per fronteggiare il cambiamento climatico dalla gelida aria condizionata al torpore estivo. C'era un eccitante profumo di mare nell'aria.

-Bizzarro come cambia rapidamente il meteo.

Commentò Andrè con il naso volto verso il cielo.

-Già.

Mugolò Oscar di rimando guardando interdetta le nuvolone che l'avevano accompagnata durante il volo spostarsi verso nord.

-Non ti dispiace, vero, se viene con noi anche il mio nipotino? Cioè non è esattamente mio nipote, vedi è il figlio di mia sorella, che non è esattamente mia sorella, è la figlia della seconda moglie di mio padre... Comunque, sua madre sarebbe dovuta venire a prenderlo tra due giorni da me, ma visto che abita a Nevers e che Nevers è sulla strada per Parigi mi sono proposto di riportarglielo io.

Oscar sollevò accondiscendente le spalle con poco entusiasmo senza aver esattamente capito che grado di parentela avessero lui e questo bambino.

Si ritrovarono così in un ampio e confusionario parcheggio pieno zeppo di macchine, dove un gruppetto di motociclisti in giacca di pelle nera, appoggiati bellamente alle proprie Harley-Davinson, accompagnarono l'arrivo di Oscar da un coro di fischi.

-Maleducati.

Ringhiò lei fulminandoli con lo sguardo.

 

-Ecco la sua limousine, madame.

Canterellò Andrè tendendo il braccio verso una BMW nera perfettamente lucida e scintillante parcheggiata sotto un albero in fondo alla stradina. Oscar vi si avvicinò con gli occhi che brillavano e appoggiò eccitata una mano sulla maniglia dello sportello.

-Ehm...

Egli le prese il mento e la fece dolcemente voltare verso un piccolo ammaccato maggiolino giallo, vecchio stile, proprio accanto alla BMW.

Le spalle di lei cedettero insieme a tutte le sue speranze di arrivare a Parigi sana e salva.

-Questa sarebbe “la mia limousine”? Un bidone dell'epoca preistorica?

Domandò con aria seccata.

-Ehi ehi, piano Jarjayes, questo “bidone” come lo chiami tu è un pezzo raro oggigiorno e se lo vendessi frutterebbe molto di più che quella stupida auto di lusso. E poi non permetto a nessuno di insultare la mia bimba. È perfettamente solida e raccomandabile. Salta su, avanti.

La incoraggiò lui battendo un colpetto affettuoso sul paffuto muso della macchinina.

 

Appena Oscar si sedette sul sedile sbiadito con uno sbuffo, mentre lui sistemava la sua valigia nel bagagliaio, avvertì il tocco di una manina sulla spalla.

-Ciao! Tu sei Oscar, vero? Io sono Joseph. Che belle le tue scarpe! Sono originali? Dove le hai comprate?

Per un momento la ragazza credette di essere sull'orlo di un infarto. Quel bambino era spuntato improvvisamente dai sedili posteriori come un folletto dei boschi.

-Avete già fatto conoscenza?

Chiese con un sorriso smagliante Andrè accomodandosi al posto di guida.

-Ok, ora parliamo d'affari.

Cominciò lui in tono serio inserendo la chiave senza mettere in moto.

-Mettiamo bene in chiaro una cosa: sono qui perchè ho bisogno di soldi, non certo per farti un favore. Quindi tu quanto saresti disposta a sborsare?

-Spari lei una cifra.

-Bene, considerando che io sono il tuo unico modo per raggiungere la capitale, che stai viaggiando su una macchina d'epoca e che sei in ottima compagnia, direi che siamo sui duecento euro.

-Dollari, vorrà dire. Comunque mi sembra ragionevole.

-Piano piano, bella, tu pagherai anche la benzina e l'autostrada.

-Il chè ammonterebbe a circa...?

-Pressochè dai cento ai duecento eur...dollari, esclusi i duecento già pattuiti. Prendere o lasciare.

Con un sospiro seccato Oscar non potè che accettare

-Oh e, Oscar...

Lei rispose con un mugolio.

-Dammi del tu.

E il rombo tuonante del motore segnò l'inizio di quel viaggio.







Premetto che questo capitolo non mi convince e credo che non mi convincerà mai, non riesco proprio a trovare quel dettaglio che non va. Ma lascio a voi il giudizio. Comunque non pensavo di aggiornare così rapidamente, anche se c'è da dire che non è un capitolo particolarmente lungo.
Riguardo le altre mie storie, avverto miei gentilissimi seguaci che ho intenzione di darmi una mossa in questi giorni e aggiornarle prima che la scuola cominci sul serio. Ringrazio tutti coloro che leggono, seguono, recensiscono etc. Siete adorabili, alla prossima.

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Capitolo 6
*** Sur le pont d'Avignon ***


5 luglio, Autoroute du Soleil, 13440 Cannabes, Francia, direzione nord. 12:04 pm

 

-Ti rendi conto che andremmo più veloci a piedi?

Sbuffò Oscar sarcastica dopo aver adocchiato con sconcerto sul contachilometri che la freccetta sostava traballando tra i 45 e i 50 chilometri orari.

-Non ti lamentare, stiamo già andando al massimo della velocità.

Fu la risposta accigliata di Andrè. Oscar buttò la testa indietro incontrando la durezza del vecchio poggiatesta privo di imbottitura e lasciò sfuggire dalle labbra un sospiro scoraggiato.

-Non arriverò mai a Parigi.

Piagnucolò scuotendo la testa.

Questa volta fu Andrè a sospirare. Sapeva bene che portarsi delle donne in macchina era abbastanza seccante, ma Oscar era una vera e propria esasperazione.

Cominciava a pentirsi di essersi fatto carico di accompagnarla per un viaggio così lungo. Ma era anche vero che quella smorfiosetta era piena di soldi da far schifo, come spesso gli aveva detto la nonna, e lui in quel momento ne aveva un più che disperato bisogno.

Mancavano quasi un migliaio di chilometri a Parigi, forse sarebbe stato saggio, perlomeno, tentare di allacciare una conversazione amichevole, che non sfociasse in uno dei suoi abusati “Non arriverò mai a Parigi”.

-Bene, Oscar, allora... Parlami del tuo fidanzato.

-Perchè ti interessa tanto?

Fredda come il polo nord d'inverno.

“Perchè mi chiedo quanto si sia fatto pagare per mettersi con una come te.”

Pensò Andrè tossendo.

-Oh, beh, credevo ti facesse piacere parlare di lui.

Le sorrise con uno sforzo tentando di mostrarsi cordiale.

-È l'uomo giusto.

Lo sguardo di Andrè si staccò un momento dalla strada e si rivolse a lei.

-Tutto qui?

Chiese perplesso. Che diamine di ragazza ad un passo dal matrimonio non si dilungava in particolareggiati e romanticissimi racconti su se stessa e il proprio "unico grande amore"? Lei si sistemò i capelli dietro le orecchie e annuì con sicurezza sollevando leggermente le spalle.

-Francamente mi aspettavo che tu cominciassi a parlarmi di lui con occhi sognanti.

-Non sono quel genere di ragazza.

Fu l'asettica risposta. Andrè riportò lo sguardo oltre il volante con aria poco convinta, notando in lontananza un piccolo puntino rosso sospeso in aria proprio in mezzo alla strada solo qualche centinaio di metri più avanti. Ma pur assottigliando lo sguardo per aguzzare la vista, non riuscì a capire di cosa si trattasse.

-Andrè! Ma sei cieco? Fermati, ci sono i vigili.

Esclamò lei. Andrè rallentò per poi inchiodare di colpo e la macchina emise un rantolo metallico preoccupante. Un vigile esageratamente alto si inchinò per infilare il naso dal finestrino del guidatore e Andrè lo salutò con un sorriso.

-Salute agente! Andavo forse troppo veloce?

I baffoni del poliziotto furono scossi da un fremito.

-Troppo veloce? Per Diana, no, andava troppo lento.

Oscar si accarezzò la fronte con tre dita con fare nervoso. Aveva voglia di scendere e implorare in ginocchio l'agente di lasciarli andare, peccato che lei non parlasse francese.

-Questo veicolo non può transitare sull'autostrada.

Borbottò l'agente scribacchiando con fare falsamente professionale sul suo taccuino giallognolo.

-Mi sta scrivendo una multa?

Domandò sinceramente preoccupato Andrè inclinando la testa come un passerotto.

-Non ne ho motivo, in fondo non ha infranto nessun limite, sto solo annotando la sua targa. Ora vada, ma esca alla prima uscita.

-Capisco, farò come dice. Buona giornata, agente.

Salutò Andrè infine disegnando in aria con due dita un accento immaginario a partire dalla fronte come un soldato al proprio comandante.

 

-Quel poliziotto sembrava lo sceriffo del film western di Tom e Jerry! L'ho visto al cinema la scorsa settimana.

Esclamò Joseph euforico tirando la manica della maglietta di Oscar, che scostò rapidamente la spalla.

-Cosa ti ha detto?

Chiese ansiosa al conducente non avendo compreso neppure una parola della loro conversazione puramente in francese.

-Che devo uscire alla prossima. Sai, questa macchina è troppo bella per viaggiare in autostrada.

Rispose lui volutamente ironico. Oscar ammiccò infoderando la testa nel collo e immobilizzandosi sconvolta.

-Dobbiamo uscire dall'autostrada?

Ripetè strabuzzando gli occhi. André rise come se lei gli avesse appena raccontato una barzelletta esilarante e non le rispose. Così la ragazza tornò ad accomodarsi sul suo sedile con uno sbuffo irritato, pensando che sarebbe stato inutile cercare di interagire con un francese così cocciuto e indisponente.

Tuttavia, le intenzioni di Andrè si fecero evidenti quando mancò volontariamente la prima uscita. Oscar gli rivolse uno sguardo interrogativo, ma non osò aprire bocca.

Proprio un ribelle.

Pensò lei con un sorrisino compiaciuto

Ma fu una brutta idea. Un paio di chilometri più avanti si ritrovarono imbottigliati in un traffico completamente bloccato.

Il sole iniziava a picchiare violentemente man mano che raggiungeva l'apice del cielo e sulle tre file di auto completamente ferme da ormai più di un'ora in autostrada incombevano i suoi raggi cocenti. Alla radio avevano annunciato che un incidente mortale aveva bloccato il traffico sull'A7 appena dopo l'uscita per Cannabes, il chè faceva presagire che le macchine non si sarebbero mosse per diverso tempo.

I tre, schiacciati nel piccolo maggiolino, stavano letteralmente soffocando dal caldo. I finestrini erano aperti, ma servivano a poco dato che non tirava neppure un soffio di vento.

Poi d'improvviso e molto lentamente le automobili davanti cominciarono ad avanzare e Andrè andò loro dietro alla lentezza di una tartaruga. L'ingorgo si stava pian piano sbloccando, ma sembrava che il forte rallentamento sarebbe durato altre diverse decine di chilometri.

-Sarà meglio uscire veramente dall'autostrada.

Costatò Andrè asciugandosi il sudore dalla fronte.

 

Appena furono fuori dall'autostrada, si sentirono tutti molto più sollevati. Oscar mise il naso fuori dal finestrino facendosi investire il viso dalle raffiche d'aria provocate dalla velocità. Ora capiva quale meravigliosa sensazione di refrigerio provano i cani quando si sporgono dal finestrino.

Procedevano spediti sulla tangenziale in direzione di Avignone, quando improvvisamente Andrè ebbe un'idea.

-Che ne pensate di fermarci a prendere qualcosa?

-Non starai dicendo sul serio... Non possiamo perdere altro tempo!

Esclamò Oscar sdegnata allargando le braccia. L'uomo non considerò minimamente il suo parere e chiese quello del nipote destando l'ira della ragazza.

-Tu che ne pensi Joseph?

-Voglio un gelato multi-gusto con la caramella gommosa dentro.

Rispose allegramente il bambino salterellando da una parte all'altra del sedile posteriore. Oscar diventò rossa in volto e mancava poco che non le uscisse fumo dalle orecchie, poi si voltò di scatto a rimproverarlo puntandogli un dito contro con aria minacciosa.

-Tu dovresti metterti la cintura di sicurezza e stare un po' buono.

-Ci fermeremo ad Avignone,

La interruppe Andrè.

-È una bella cittadina, sai, Oscar, ti piacerà.

-Non voglio vedere Avignone, voglio arrivare al più presto a Parigi. Non ti permetterò di prendere quell'uscita!

E afferrò il volante con l'intenzione di fargli mancare l'uscita, ma il risultato fu un fiasco e il maggiolino, dopo un lieve sbandamento, prese comunque la direzione per il centro città. Oscar affondò le unghie nel sedile per tentare di tenersi calma.

-Torna, immediatamente, in, tangenziale.

Scandì sull'orlo di una crisi isterica.

-Calmati, piccola, ci stiamo solo una mezz'oretta..

-Certo, una mezz'oretta, che sarà mai...

Ringhiò lei seccata agitando le mani in aria, mentre lui rideva vittorioso.

 

 

-Tieni Joseph, vai a prenderti un gelato e ricordati di chiedere per favore.

Disse Andrè dolcemente al marmocchio porgendogli una banconota da cinque euro. Poi alzò lo sguardo mentre il bambino correva via e osservò la donna che, dandogli le spalle, camminava avanti a lui sul famoso ponte di Avignone a passo militaresco, con la testa levata ad ammirare l'antico castello. Non potè far a meno di notare con quale accattivante sensualità quelle gambe snelle e affusolate si muovessero mentre lei camminava. Maledizione, era una favola.

Sorrise malizioso. Lui era un brevettato don giovanni, non poteva lasciarsi sfuggire una ragazza del genere, ne valeva del suo orgoglio di spietato ruba-cuori. Così si ripromise che prima di arrivare a Parigi l'avrebbe baciata. Sì, l'avrebbe baciata, che lei l'avesse voluto o no. Rise nella mente per la pateticità della scommessa che aveva fatto con se stesso e la raggiunse di corsa.

-Che ne pensi?

Domandò cortese lui appoggiandole una mano su un fianco.

-Davvero una deliziosa città.

Rispose fredda lei scostandosi con distinta superbia. Andrè rise, adorava quando le donne facevano le difficili con lui.

-Come ti ho già detto, Oscar, mia nonna mi ha sempre parlato moltissimo di te tanto che speravo sinceramente di conoscerti un giorno. È stata una vera sorpresa per me sapere che tu stessa sei venuta da me, non credi che possa trattarsi...del destino?
-Non credo nel destino.

Lo smontò lei con una freddezza degna di un blocco di marmo.

-Ehm, che lavoro fai, Oscar?

La ragazza lo fulminò con i suoi occhi di ghiaccio. I tentativi di quel ragazzo di instaurare una conversazione erano tanto irritanti quanto inconcludenti, ma in qualche modo Oscar sentiva che non si sarebbe arreso finchè lei non avesse iniziato a mostrargli confidenza.

-Tecnicamente sono una designer di interni e quando capita aiuto mio padre a gestire gli affari dell'orologeria di famiglia visto che sono laureata in economia.

-Io ho fatto un'anno di economia, poi ho cambiato indirizzo di studi.

Andrè infilò le mani nelle tasche dei jeans ed Oscar capì che aspettava che lei gli chiedesse qualcosa. Così domandò poco interessata:

-E tu che lavoro fai?

-Oh, beh, se per lavoro si intende qualcosa per cui sono stato regolarmente pagato, ho fatto diverse cosine qua e là. Attualmenre lavoro in una libreria, ma tra le cose che ho fatto posso vantare di essere stato il collaudatore di cellulari, il tecnico informatico di una ditta tessile, il supplente di matematica in un liceo classico per un anno, l'imbianchino, il barman in una discoteca anni '70 e il commesso di un negozio di camice.

-Caspita.

Fu la flemmatica risposta di Oscar che liquidò così l'argomento e gettò lo sguardo giù dal ponte. L'acqua che scorreva travolgeva le colonne del ponte con una violenza tale che la ragazza credette potessero cedere da un momento all'altro.

Doveva ammettere a se stessa che Avignone era stata una sosta piacevole, ma non l'avrebbe mai detto apertamente, le sarebbe costato troppo orgoglio. Si voltò verso di lui, il quale con le mani in tasca osservava rapito il cielo. C'era qualcosa in quell'uomo che la faceva sentire al sicuro. Era una strana sensazione per lei, una sensazione mai provata, sentiva che poteva fidarsi di quel testardo prepotente. Appoggiò gli avambracci al parapetto del ponte sporgendosi nuovamente sul vuoto, poi udì un fischio e si rivoltò.

-Siamo qui, Joseph!

Con le braccia alzate Andrè stava chiamando il bambino che correva verso di loro con il suo gelato in mano. Solo allora Oscar si rese conto della marcata evidenza di una fila di muscoli ben tesi e prominenti sulle braccia di lui. Assottigliò lo sguardo e notò un segno nero, forse una parte di un tatuaggio, spuntare timidamente dalla manica corta della sua camicia.

Approfittò del momento di distrazione del ragazzo per osservarlo, cosa che non si era ancora permessa, o piuttosto ricordata di fare a causa dello stress delle ultime ore. Un sorrisino furbetto le comparve spontaneo sulle labbra constatando che il corpo davanti ai suoi occhi non era affatto da buttare. Si leccò le labbra e se le morse, mentre l'angolo perverso della sua mente liberava fantasie non esattamente definibili innocenti.

-Ehi.

Quelle poche vocali la riportarono alla realtà.

-Si?

-Andiamo, o preferisci restare?

-Oh no, per carità, andiamo.



Capitolo troppo lungo? Questa volta ho voluto un po' esagerare, pardon.
Altro capitolo che non mi convince, mi sa che la mia è una maledizione. Ma è anche vero che leggerlo miliardi di volte senza concludere niente serve a poco e quindi ho deciso di pubblicarlo comunque, chiedo scusa in anticipo se lo avete trovato banale o male impostato. Probabilmente in futuro lo modificherò, soprattutto in base ai vostri pareri.
Parlando della trama.. Oscar è sempre più intrattabile, Andrè si denota sempre più un carattere ribelle e malizioso, mentre Joseph, beh, è il classico bambino tremendamente allegro e insopportabilmente curioso. Non mi sembra di dover sottolineare qualcos'altro di particolare in questo capitolo, è solo uno dei tanti episodi del loro bizzarro viaggio. Grazie a tutti quelli che hanno recensito e ancora a chi ha aggiunto questa storia tra preferite, seguite o ricordate. E' sempre un onore per me. 

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Capitolo 7
*** Ultimatum ***


N580, Saint-Laurent-Des-Arbres, Francia. 15:44 pm.



Oscar fissò la lancetta dei secondi del proprio Rolex compiere, con una lentezza inverosimile, un giro completo.

Non aveva con esattezza idea di quante ore fossero passate da quando avevano lasciato Avignone, ma le erano sembrate un'eternità.
Per tutto il tratto di statale percorso aveva assillato André, senza cattive intenzioni ovviamente, ogni poche centinaia di metri interrogandolo come un oracolo su quanto mancasse ad arrivare a Parigi. Sperava in una risposta esauriente, ma il responso era sempre vago e piuttosto insoddisfacente. Il più delle volte André, non sapendo esattamente definire quanti chilometri restassero da percorrere e esasperato dalla sua insoddisfazione, aveva sparato lì per lì una cirfa giusto per farla contenta, anche se lei continuava imperterrita a non compiacersi.
Erano passati già nove minuti dall'ultima volta che Oscar l'aveva interpellato e non riusciva più a trattenere la propria curiosità. Fissò André di sottecchi e dischiuse le labbra con l'intenzione di porgli la rituale domanda, ma qualcosa la bloccò. Improvvisamente si rese conto che forse stava facendo la parte della classica donnetta ossessiva e fastidiosa, cosa che era lungi da lei. Constató che fosse meglio starsene buona e zitta con il dubbio fisso, che dargli un'idea sbagliata di sé. Che buffo, non si era mai sentita tanto in difficoltà davanti ad una persona. La cosa cominciava a darle un certo fastidio.
Tic
Tac
Tic 
Tac
Contava i secondi, percependoli sempre più lenti, sempre più pesanti. Si mise a giochicchiare con le proprie unghie. Lei era una di quelle donne che se vogliono una cosa la ottengono. Una donna d'azione. Non poteva starsene lì buona a contare mentalmente i centimetri che percorrevano, avvertendo nel silenzio tombale dell'auto il ticchettio martellante dell'orologio. Sbuffò.
Andrè le lanciò un'occhiata stranita. Quella donna per lui era un mistero insvelabile...

Oscar aprì di scatto lo sportellino dello specchio sopra la sua fronte. I suoi occhi riflessi le fecero soggiungere un mini infarto: avevano tutta l'aria di appartenere un vampiro con l'insonnia. Le 30 ore in cui era stata costantemente sveglia avevano lasciato un segno deciso sotto i suoi occhi iniettati di sangue e le palpebre a mala pena riuscivano a tenersi sollevate. 
Si, ho un estremo bisogno di una dormita.
Pensò mordendosi il labbro.
Sorse però un nuovo dubbio amletico: dirlo o non dirlo? Avrebbe fatto meglio ad annunciare che stava per compiere un meritato riposino o doveva far finta di niente e chiudere gli occhi? Trovava inspiegabilmente imbarazzante la cosa.
Mentre si arrovellava su questi banali interrogativi Joseph procedette a salvare inconsciamente la situazione.
-Zio André, 
Chiamò sbadigliando.
-Io dormo un po'.
Andrè sorrise.
-Va bene Jo.
-Credo che dormirò anche io.
Si affrettò a comunicare lei avvertendo un involontario e insensato rossore sulle guance. André socchiuse gli occhi e le rivolse uno sguardo disinvolto:
-Tutto quello che vuoi, tesoro.
Oscar con un alzata di naso indispettita si voltò dall'altra parte e dedicò con piacere al suo riposino.

Guardò fuori dal finestrino e con sconcerto notò che percorrevano spediti la 125th strada per poi svoltare su Frederick Douglas Boulevard in direzione Central Park. Non capì perchè tutt'ad un tratto di trovassero a New York, ma non era mai stata così felice di attraversare le vie della sua Manhattan. C'erano luci ovunque e moltissima gente in strada, ma soprattutto neppure un minimo di traffico.
Sto sognando.
Pensò ridendo.
Il maggiolino prese la destra e Oscar si rese conto che non erano più a New York, piuttosto, avrebbe detto, lungo una caotica, ma elegante strada tipica di una città europea . Improvvisamente il maggiolino si bloccò davanti all'entrata di una maestosa chiesa Gotica a due torri. Oscar rimase qualche secondo ad ammirare col naso all'insù la candida facciata della cattedrale, trovandola tanto bella quanto incombente. E fu colta da un terrore irrefrenabile.
-Scendi, Oscar, devi andare a sposarti.
Oscar guardò lui poi abbassò gli occhi su di sè: da quando indossava l'abito da sposa?
-Non voglio sposarmi.
Gli disse scuotendo la testa. Lui sorrise rassicurante e le mormoró:
-Allora vai e dì che non vuoi sposarti. Io ti aspetto qui.
Oscar scese e si incamminò sui gradini inciampando nell'ampia gonna. Quello che indossava non era l'abito che aveva ordinato, era pomposo, largo, ingombrante. Perché era vestita così?
Bussó al portone, ma nessuno rispose. Era tutto muto e placido. Ebbe dunque l'insopportabile sensazione che se ne fossero andati tutti perchè era arrivata tardi. Scese le scale correndo.
-Non c'è nessuno! È colpa tua se siamo arrivati tardi! Vattene, non voglio più vederti!
Urló verso il finestrino aperto del maggiolino, che con un rantolo ripartì lasciandola sola su quei freddi gradini di granito a piangere.

-Oscar, Oscar!
Una voce, un paio di schiaffetti sulla guancia e Oscar riaprì di scatto gli occhi.
-Incubo?
Domandò Andrè con un sorriso sfacciatamente bello. Oscar si sentiva totalmente disorientata. Si stropicciò gli occhi senza rispondere.
-Dove siamo?
Erano fermi, accostati al ciglio di una strettissima stradina in mezzo ai vigneti. Il cielo era tinto di un rosa fluo accecante e uniforme. Oscar si sistemò sul sedile e si guardò intorno senza capire.
-Dove siamo?
Ripetè con voce rauca e ancora provata dal sonno agitato. André si grattò la nuca con un mugolio.
-In realtà non lo so..
Oscar riacquistò in un millesimo di secondo tutta la sua grinta vitale e drizzò la schiena esclamando:
-Che cosa significa che non sai dove siamo?
Avrebbe voluto picchiarlo, prendere un bastone e ammazzarlo a forza di botte. Aggrottò le sopracciglia.
Idiota.
Incompetente.
Truffatore.
Si morse le labbra per tenersi cheta.
Era quasi sera e loro erano dispersi in mezzo alla campagna francese senza sapere quale parallelo o meridiano stessero toccando. Se solo lei non si fosse addormentata, quel citrullo di un francese forse non avrebbe sbagliato strada.
-Andrè, dovresti comprati un navigatore.
Esaló con voce esausta.
Ma certo! Eureka!
La sua stessa affermazione le fece accendere la lampadina. Immerse subito le mani nella borsetta, per estrarne immediatamente dopo, con un'esclamazione trionfante, il proprio luccicante cellulare di ultimissima generazione.
André e Joseph si voltarono all'unisono verso di lei e la fissarono con aria confusa mentre le sue agili dita digitavano freneticamente qualcosa sul touch screen. D'un tratto dall'alto parlante del cellulare si levò una voce femminile dal tono meccanico ed elettronico, decisamente tutt'altro che amichevole :
-Proseguire per cinquecento metri, dunque svoltare a destra.
Andrè aggrottò le sopracciglia senza capacitarsi di come quel cellulare, oggetto scientificamente privo di vita, avesse magicamente favellato esattamente come un essere umano. Immerse il proprio sguardo in quello di Oscar cercando spiegazioni e lei, con un sorriso che pareva ispirato da una nike greca, gli mostrò lo schermo.
-Tutti i cellulari oggi hanno un GPS integrato.
Spiegò lei con tono da maestrina. Andrè scrolló le spalle e sollevò un sopracciglio con fare poco convinto.
-Personalmente non mi fido molto dei navigatori...
Mugugnò ripiegando svogliatamente la cartina aperta ingiallita che teneva sulle gambe ma quando riportò gli occhi su di lei si sentì accoltellato dal suo sguardo assassino. 
Come non detto.
Pensò soffiando dal naso. Quegli occhi azzurri parlavano chiari: o lui la assecondava o si sarebbe ritrovato due metri di terra sopra la testa prima di poter dire "Oui". 
Giró la chiave e mise in moto. Ma, a quanto pareva, persino la macchina era tanto reticente quanto lui ad accettare di buon occhio l'idea di viaggiare guidati da un aggeggio meccanico, perchè come una bambina capricciosa grugnì un poco e poi si spense di nuovo. Ci vollero ben tre tentativi per farla partire. 
Joseph si ritirò nei suoi spazi posteriori a giocare con la propria PSP e Oscar appoggiò il proprio telefono sul cruscotto in modo che la mappa della strada da percorrere fosse ben visibile ad Andrè.

Avevano percorso circa un quarto di chilometro quando improvvisamente si ritrovarono faccia a faccia con un laghetto artificiale che inghiottiva letteralmente la strada. Rimasero tutti un istante attoniti in silenzio a fissare l'asfalto che si confondeva con l'acqua, poi Andrè lasciò cadere la testa sul volante. Un mal di testa avvilente stava per impossessarsi del suo cranio, tra i brontolii seccati di Oscar, la voce elettronica e ripetitiva del suo cellulare e gli effetti sonori del videogioco di Joseph. Sentiva che il livello di ebollizione del sangue si stava innalzando paurosamente, fino a che non gli giunse alla testa facendogli definitivamente perdere la pazienza. Afferrò quel maledetto cellulare parlante che continuava a esortarlo a proseguire su quella strada e scese dalla macchina come un fulmine. Prese la mira, stile lanciatore di baseball, e lo fiondò con tutte le sue forze in acqua, gesto che sconvolse non poco Oscar. Risalito in macchina non perse tempo e fece marcia indietro abbracciando il proprio sedile e lanciando lo sguardo oltre il vetro posteriore. Oscar lo fissava con le labbra schiuse e gli occhi sgranati.
-Hai gettato il mio cellulare in quel lago...
Gli disse con voce roca e ancora scioccata cercando inutilmente il suo sguardo. Era rimasta assolutamente pietrificata, non si sarebbe mai aspettata nulla di simile da un tipo calmo come lui. Inutile dire che avrebbe voluto strozzarlo e poi buttare il cadavere nello stesso laghetto in cui ora giaceva il suo povero cellulare, ma al contrario non fiatò ulteriormente. Andrè arrabbiato faceva abbastanza soggezione, anche ad una tipa temeraria come lei. Preferì dunque evitare di innervosirlo ancora più di quanto già fosse, altrimenti avrebbe potuto ritrovarsi lei a far compagnia al suo cellulare.
Calò il silenzio. Lei incrociò le braccia sul petto mordendo si il labbro per la frustrazione, lui strinse con ambo le mani il volante, virando bruscamente al sinistra al primo incrocio. 
-Livello 12!
Esclamò d'un tratto Joseph. Oscar e André si voltarono verso di lui con occhi sadici per poi spostare lo sguardo su loro stessi. Le pupille di entrambi sprizzavano scintille furenti, era una evidente promessa di guerra.



I nostri eroi proprio non riescono a sopportarsi e anche André, che prima almeno provava ad essere cordiale, ha deciso di prendere le armi. Sarà guerra? Oh si, una guerra nucleare. Ma il viaggio è ancora lungo. E poi la Francia è la Francia dopotutto, paese magico, e la loro metà è Parigi, la città de l'amour.. Come sarà possibile che due caratteri così diversi, trovino l'uno nell'altro qualcosa di simile?
Ringrazio ancora una volta tutti coloro che continuano a leggere questa storia, spero di non annoiarvi e che vi piaccia.

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Capitolo 8
*** La belette rouge ***


5 luglio, nel bel mezzo della campagna francese. 20:49 pm

 

Il cielo era ancora vivacemente tinto di un rosso acceso, ma il manto scuro della notte anneriva già l'orizzonte ad oriente. Qualche timida stella cominciò a spuntare qua e là e a brillare pallida e tenue man mano che scendeva il crepuscolo. Infine il sole diede definitivamente la sua buonanotte al mondo e sulla volta celeste si disegnò il candido sorriso della luna nuova.

Il silenzio più assoluto regnava all'interno del piccolo maggiolino. Era un silenzio teso, pesante, e nessuno osava arrischiasi a pronunciare anche solo una sillaba.

Joseph si portò una mano sullo stomaco. Era la terza volta che il suo piccolo organo reclamava urgentemente cibo, ma il bambino non aveva intenzione di azzardarsi a proferir parola. Quei due davano l'idea di essere degli orologi troppo caricati che, se stuzzicati, avrebbero potuto esplodere. Così aveva deciso di trattenere a denti stretti quella fame smisurata e starsene muto, almeno finchè le acque non si fossero almeno minimamente calmate.

Oscar, dal canto suo, si era preparata tutta un bel sermone mentale da fare all'incompetente nipote di Marron. L'avrebbe accoltellato a parole, sepolto sotto un'ondata di accuse, l'avrebbe fatto amaramente pentire per tutto quello che le stava facendo passare. E si ripromise che avrebbe ottenuto una sanguinosa vendetta per ciò che lui aveva spudoratamente fatto al suo cellulare. Rise maleficamente nella mente.

Andrè allentò la presa sul volante provando a rilassare i nervi con un profondo sospiro. Il silenzio che era piombato in macchina aveva curato del tutto il suo pulsante mal di testa e ora si sentiva più tranquillo. Si era liberato di quell'antipatico cellulare e aveva fatto definitivamente zittire quella ragazza. Era fiero di aver brillantemente preso in mano la situazione: ora tutto andava secondo il suo volere. Sorrise rasserenato.

Procedevano lentamente e a velocità costante su quella stradina sterrata in mezzo a vasti campi di pomodori quasi maturi.

Joseph sbuffò incrociando le braccia sul petto. L'unica cosa commestibile che lo zio gli aveva permesso di comprare nelle ultime dieci ore era stato quel gelatino striminzito ad Avignone.

Jo era un bambino timido, certo, ma quando si parlava di cibo era il primo a farsi avanti. Grande buon gustaio e “buona forchetta”, ma non per questo spropositatamente goloso, già mirava ad un futuro lavorativo nel campo della ristorazione e detestava ritardare nei pasti, tanto meno saltarli del tutto.

Fissò a lungo le nuche dei due ragazzi, analizzando gli atteggiamenti di questi ultimi e tentando di cogliere il momento più adeguato per assumere una posizione e dichiararsi fermamente affamato.

Non ci vide più. Aveva così fame che avrebbe volentieri addentato la propria mano.

-Ho fame!

Esclamò dunque con tutta la voce che aveva in gola.

A quell'improvvisa e assolutamente inaspettata rivelazione Oscar sembrò risvegliarsi da un coma ventennario e Andrè inchiodò violentemente con la macchina. Il povero Joseph finì per ritrovarsi addosso ancora una volta i loro due malefici sguardi.

Ripartirono senza dare una risposta al poveretto.

-Per la cronaca, tuo nipote ha ragione.

Incalzò Oscar in tono di sfida, dopo qualche minuto, dando ad Andrè un colpetto provocatorio sulla spalla.

-Allora vorrà dire che ci fermeremo da qualche parte.

Ribattè lui avvertendo i filamenti dei nervi che cominciavano a tendersi come corde di chitarra.

-Bene.

-Bene.

-BENE.

Conclusero enfaticamente all'unisono. Con un ringhio Andrè tornò a concentrarsi sulla guida scaricando la tensione sul volante ed Oscar, con le braccia conserte, tornò a meditare con ancora più veemenza sulla sua vendetta.

 

“Agritourisme D'ORLEANS, La belette rouge.

200 m”

Annunciava una scritta semi-sbiadita su un cartello che spuntava a metà dalle folte fronte di un salice piangente sul ciglio della strada.

Joseph puntò con naso il cartello come un segugio e non vi staccò gli occhi di dosso finchè non lo doppiarono. Entusiasta come non mai si aggrappò ai due sedili anteriori canterellando di aver visto un cartello che annunciava la presenza di un agriturismo.

-L'abbiamo visto anche noi, Joseph.

Sbuffò stizzito Andrè ricacciando dietro il ragazzino con una dolce spinta della mano. Oscar, a quel “noi”, rabbrividì. Sentire quella frase le aveva provocato una strana sensazione alla bocca dello stomaco che interpretò come un moto di irritazione. Non esisteva nessun noi. Esistevano un “lui” e una “lei”, un Andrè e una Oscar, punto. Gli avrebbe fatto un discorsetto anche a riguardo, appena si fossero fermati.

 

L'agriturismo era un'enorme cascina evidentemente molto antica, probabilmente una villa nobialiare del tardo seicento, mal restaurata e non esattamente etichettabile come “ben tenuta”. L'interno aveva pareti riccamente decorate, ma quasi del tutto annerite, e travi a vista finemente dipinte con motivi azzurri e dorati rovinati dall'umidità. L'ambiente tutto, perfino il profumo dell'aria, rimandava molto all'epoca tardo-rinascimentale, anche se qua e là si riscontravano elementi estremamente rustici e grezzi che contrastavano aspramente con la frivolezza barocca dell'ambiente. Il pavimento, composto da mattonelle tanto vissute da essere persino lievemente incavate, dava l'idea di dover cedere da un momento all'altro mentre i tre si avvicinavano al bancone.

Un uomo alto e con i capelli brizzolati li accolse sorridente chiedendo, con una rozzezza quasi inadatta alla raffinatezza -perduta- del posto, cosa desiderassero.

-Stiamo vagando da ore per i campi e non sappiamo neppure esattamente dove ci troviamo. Credo che una sana mangiata e una buona dormita ci aiuterà.

Spiegò Andrè appoggiandosi al bancone con l'avambraccio.

-Molto bene signori, se volete seguirmi...

L'uomo sfoderò un sorriso sforzatamente aggraziato e tentando di atteggiarsi a gran signore, risultando al contrario ridicolo, li accompagnò in un salone, che probabilmente, a suo tempo, era stato una sala da ballo, dove li invitò ad accomodarsi ad un tavolo posto proprio accanto ad un bellissimo, anzi, magnifico pianoforte a coda color nocciola, dai tasti in avorio e ebano completamente impolverati.

-Bon Apetit.

 

Dopo quella frugale, ma gustosa cenetta da campagnoli, finalmente Oscar si era potuta ritirare in pace da sola nella sua camera. Stanzetta di pochi metri quadrati con un piccolo letto, un piccolo armadio, una piccola finestra e un piccolo comodino, di sicuro non una delle stanze più sfarzose della villa, molto probabilmente ricavata da quello che ai suoi tempi era probabilmente uno sgabuzzino.

Ho un disperato bisogno di una doccia.

Pensò sbadigliando pigramente.

Entrò in bagno lasciando dietro di sé una scia di vestiti sfilati. Girò le manopole dell'acqua e attese che si scaldasse sufficientemente, quindi lanciò una sbirciatina disinteressata allo specchio, rendendosi conto di indossare il completino intimo più... compromettente che possedeva. Inutile dire che lo trovasse di una scomodità ai limiti della sopportazione, con quei maledetti ferretti e le strette spalline e quel pizzo tutto rococò. Fece una smorfia. L'aveva messo solo perchè era un regalo di Hans e perchè credeva che quella sera sarebbe stata tra le sue forti braccia. Invece... Si immerse sotto l'acqua corrente con uno sbuffò seccato, pensando a tutti gli inconvenienti della giornata. Ma il rammentare a sé stessa che l'indomani sarebbe arrivata a Parigi la allietò. Non vedeva l'ora di raggiungere la capitale.

Infilò le dita tra i biondi capelli massaggiandosi la testa con lo shampoo. D'un tratto si bloccò, avvertendo che qualcosa si muoveva sulle sue dita anche se lei era immobile.

-Ma che cosa...?

Si guardò le mani terrorizzata. Sul dorso della destra era comodamente adagiato un magnifico esemplare di tarantola nera che contraccambiò il suo sguardo. Le pupille di Oscar si restrinsero al limite del possibile ed infine la ragazza emise un urlo tale da far vibrare il vetro delle finestre.

Uscì dalla doccia alla velocità della luce avvolgendosi rapidamente in un asciugamano e riversandosi come un'onda nel corridoio.

-Andrè! Andrè! Andrè!

Chiamò agitata tempestando la porta della sua stanza di pugni.

-Che c'è?

Mugugnò lui da dentro in tono annoiato poco prima di aprire.

-Ehi, Oscar, vedo che hai deciso di farti perdonare... Gentile da parte tua.

Sibilò languido con un occhiolino, rimpiangendo in cuor suo di non avere una vista a raggi X.

-Piantala di squadrarmi, vieni nella mia stanza e fai l'uomo.

Andrè rimase un secondo spiazzato, poi rise.

-Caspita, e io che pensavo che fossi una specie di suora.

Oscar inclinò la testa.

-Ma che hai capito? Devi uccidere un enorme, orribile, schifosissimo ragno.

Lei rabbrividì a ripensarci e lui rassegnato e un po' deluso, scompigliandosi i capelli, si diresse col passo da guerriero nella camera di lei.

 

-Defunto.

Annunciò uscendo dopo pochi minuti.

-Bene, grazie.

Concluse lei disinvolta, rientrando immediatamente nella stanza.

Andrè rimase a fissare la porta chiusa per diversi secondi, poi sogghignò. Donna bizzarra. Si passò due dita sugli occhi.

L'avrebbe baciata in modo così travolgente da farle perdere i sensi. Le avrebbe regalato un bacio da favola, un bacio che lei non avrebbe potuto immaginare neppure nei suoi sogni più vivaci. Sarebbe salita sull'altare con il suo sapore ancora sulle labbra.






 

Dopo due settimane ininterrotte di interrogazioni e verifiche, finalmente ho avuto un giorno libero per dedicarmi a questa storia. E così ecco a voi un nuovo aggiornamento (ma non aspettatevi tempi altrettanto brevi per il prossimo capitolo). Ho buttato giù le idee e le ho poi le ho rielaborate rapidamente. br /> Oscar invece sta tirando fuori il peggio di sè, insomma sta sfoderando una se stessa assolutamente odiabile, specialmente per il lettore (giusto?). Dopotutto noi la conosciamo in un modo diverso (indifferente, fredda e combattiva, del tutto lungi dalla tipica donnettina schizzinosa e isterica), voglio dire, lei è il personaggio di questa ff più rigorosamente corrispondente a quello originale e, fidatevi che questo suo comportamento insolito non le appartiene di norma, è dovuto a... Al destino? O forse più semplicemente alla frustrazione del viaggio... Forse con una buona dormita...
 

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Capitolo 9
*** Fantasie improvvisate ***


Dimenticate il capitolo precedente, cancellatelo dai vostri ricordi. Più l'ho riletto più mi sono resa conto di quanto non fosse affatto come io l'avevo immaginato, così ho pensato di sostituirlo radicalmente. E spero che questa volta ci abbia centrato. Grazie a tutti di leggere e recensire, è un piacere per me.
 

5 luglio, Agriturismo La belette rouge, 11:57 Pm.

Oscar si rivoltò vorticosamente nel letto alla ricerca di una posizione comoda e riposante, ma una molla del materasso si piantò dolorosamente nel suo fianco destro. Sbuffò infastidita riacquistando la posizione precedente mentre la rete del letto strideva sinistra e arcigna sotto il suo peso.
Oscar battè le mani sul cuscino per spimacciarlo e rivolse lo sguardo verso l'alto soffitto lasciandosi sfuggire un sospiro. Malgrado la stanza fosse male arredata e poco spaziosa, disponeva di decorazioni mozzafiato.
Oscar era un'amante non-praticante dell'arte e talvolta si dilettava a visitare mostre di quadri d'ogni genere e stile. Trovava disdicevole che quella bellissima villa fosse tenuta così male: gli affreschi che si allargavano magnificamente sulla volta del soffitto a cupola erano tanto semplici quanto degni della maestosità di una chiesa, eppure erano incredibilmente distrutti e trasandati, a mala pena si riusciva a coglierne lo splendore. Oscar non conosceva i personaggi che vi erano raffigurati, nè riusciva a capire chi fossero a causa delle crepe che sfregiavano quel capolavoro, ma rimase colpita, anzi, quasi ammaliata dalle loro espressioni sofferenti e i loro sguardi affranti. Era un dipinto molto elaborato e i colori, al loro tempo, dovevano essere stati sfavillanti, con una predominanza significativa del rosso porpora e del turchese.
La ragazza spostò lentamente gli occhi sugli angioletti dipinti di bianco che, uno ad ogni vertice del soffitto, suonavano flauti o cetre e aprivano la bocca come se stessero intonando una soavissima melodia. Oscar chiuse gli occhi e rivide quelle immagini nella sua mente, mentre la musica degli angeli accompagnava dolcemente i suoi pensieri. D'improvviso la bionda si rese conto che nell'aria risuonavano davvero delle note. Qualcuno stava suonando con mani abili un pianoforte. Tese l'orecchio e riuscì a cogliere l'armonia. Conosceva quella musica, era di Chopin, Fantasie improvvisate, se non sbagliava.
Rimase in ascolto, misurando perfino il respiro per non far troppo rumore.
Doveva essere un pianista esperto, perché malgrado la complessità strutturale ed esecutiva del brano, non incespicava mai.
Attratta da quella musica come da un incantesimo, scese dal letto e, indossato il proprio giubbino sopra il leggero pigiama di viscosa, uscì in corridoio.
Il suono continuo e imperterrito le fece strada fino al piano terra e poi verso la sala da pranzo.
Si affacciò sulla sala nella quale rimbombava la bellissima musica.
Un paio di signori canuti e dall'aria severa, con delle pipe d'avorio tra le labbra che sbuffavano ritmicamente nuvolette di fumo a seconda dell'andamento del pezzo, seguivano con interesse i movimenti del pianista che suonava le Fantasie con una naturalezza di velocità scioccante.
Oscar rimase in disparte sperando di non essere vista, osservando i capelli mori del pianista ondeggiare ad ogni movimento enfatico del capo.
La melodia giunse in breve al termine e i due venerandi signori applaudirono calorosamente offrendo al ragazzo, come ricompensa dell'intrattenimento notturno, una delle loro eleganti pipe.
André rise ad una battuta di uno dei due signori, accarezzando poi dolcemente la tastiera, come se stesse chiedendo grazie al pianoforte per quella musica sublime.
Oscar si sporse leggermente spinta dalla curiosità di udire le parole che i tre si stavano scambiando così allegramente, cadendo inevitabilmente in un passo falso.
Uno del due uomini avvicinò le labbra all'orecchio di Andrè e gli sussurrò:
-Hai fatto colpo con una ragazza, a quanto pare.
Il moro si voltò di scatto e il suo sorriso si allargò sarcastico fino alle orecchie.
-Ehi, dolcezza, non riesci a dormire?Vieni, ho qualcuno da presentarti.
Oscar dopo un breve secondo di disorientamento, si ritrovò costretta ad uscire allo scoperto.
Andrè la accolse scherzosamente soffiandole contro una nuvola di fumo. Lei tossicchiò un poco insultandolo nella mente e rispose al suo gesto con uno sguardo assassino.
-Questo distinto signore è il proprietario dell'Agriturismo, il signor Filippo d'Orleans.
Incalzò lui rivolgendo gli occhi alla pipa che teneva a penzoloni all'angolo nella bocca. Oscar accennò in saluto col capo sfoggiando un tiratissimo sorriso di cortesia verso il signor D'Orleans, che invece le rivolse uno sguardo lusingato. Gli avrebbe voluto rinfacciare il pessimo modo in cui teneva la sua proprietà, lasciando che le opere d'arte che decoravano le pareti si deteriorassero senza intervenire.
-Quest'altro signore è Guglielmo Chatier, cugino del signor D'Orleans.
Stessa rigida espressione, stesso cenno col capo. Oscar cercò di mostrarsi più rigida e distaccata possibile.
Che hanno questi da guardare?
Pensò assottigliando ferocemente lo sguardo. Si sentiva profondamente in imbarazzo avvertendo su di sé gli sguardi allupati di quei due.
André boccheggiò con la pipa assaporando ad occhi chiusi il tabacco prestigioso, quindi restituì la pipa al proprietario.
-Lei ha talento, signor Andrè.
 Andrè rise passando un braccio sulle spalle di Oscar.
-Non è talento, signore, è solo molto allenamento. 
Ribatté lui con falsa modestia.
Oscar in un primo momento non si era nemmeno accorta del gesto protettivo di André, ma ora sentiva il sul braccio pesarle fastidiosamente sulle giunture della clavicola. Ma preferì quella leggera tortura piuttosto che le avances implicite  lanciatele con lo sguardo da quei due uomini, infatti da quando lui l'aveva presa sotto la sua ala, gli sguardi dei due sessantenni si erano fatti più riguardevoli.
André soffiò all'insù per spostare un ciuffo che gli ricadeva sugli occhi.
-Beh, signori, noi andiamo a dormire. Grazie di avermi permesso di suonare questo meraviglioso strumento.
Con un sorriso da vero gentleman Andrè prese commiato trascinando Oscar con sé.

-Non sapevo che suonassi il piano.
Cominciò timidamente lei scrollandosi gentilmente di dosso il braccio di lui.
-Lo suono da quando avevo tre anni. È una delle mie passioni e mi sarebbe piaciuto farne una professione. Ho suonato in qualche locale blues-jazz occasionalmente a Marsiglia, ma generalmente preferiscono dare posti fissi ai musicisti diplomati.
-Sei molto bravo, comunque.
-Grazie.
Detto questo entrambi si rinchiusero nel proprio silenzio, ascoltando con finta attenzione il rumore dei propri passi sul pavimento di marmo. Giunti davanti alle camere, si salutarono con un rapido e distratto "Buonanotte".


Oscar si accomodò sotto le coperte tirandosi le lenzuola fin sopra il naso e si addormentò cullata dal dolce ricordo della melodia appena ascoltata.
Per Andrè invece prendere sonno non fu affatto facile. Morfeo non si faceva vivo.
Gli occhi lucenti di quella ragazza gli brillavano davanti come due zaffiri.
Si strinse con forza alcune ciocche di capelli.
Andrè, vecchio mio, riprenditi.
Cercò di pensare ad altro ma era inutile, ogni cosa gli ricordava i suoi occhi. Si alzò a sedersi.
Sei un uomo libero, innamorati e la tua bella vita gioconda avrà fine.
Prese un profondo sospiro trattenendo per alcuni secondi l'aria nei polmoni, poi espirò le lentamente. Si ripeté dieci volte a bassa voce il suo motto"Vodka, sex and Rock n roll" come fosse una preghiera, quindi si riadagiò sul materasso.


-André..
Il ragazzo aprì gli occhi di colpo spaventato. Era tutto buio intorno a lui eppure avvertiva una presenza.
-Che ci fai qui?
Domandò in un sussurro. Una risata leggera ed ironica gli risuonò nelle orecchie soavissima e irreale e lo fece rabbrividire, mentre due mani fredde si facevano largo sul suo petto accarezzandolo con sensualità.
-Che ci fai qui?
Ripetè sconvolto e inspiegabilmente intimorito. I biondi capelli di lei rilucettero all'improvviso folgore di luce lunare proveniente da chissà dove.
-Smettila.
Pregò lui chiudendo gli occhi per cercare di non farsi ammaliare dalla sua conturbante bellezza.
Silenzio.
Improvvisamente gli parve che lei si fosse dileguata come un fantasma. Non avvertiva più nè il suo respiro affannato nè le sue mani sul suo torace. La paura che se ne fosse andata lo pugnalò.
-Dove sei?
-Visto che mi vuoi?
Rispose la sua bellissima voce risorgendo dal buio, schioccandogli un bacio sul collo.
-Oddio, Oscar, ti prego ti devi sposare.
Da quando lui si faceva questi problemi? Si sentiva soffocare. Moriva dal desiderio, ma al pensiero di sedurre una donna già fidanzata lo faceva star male con se stesso. Cristo, ma era lei che lo stava seducendo! Lei era lì, maledizione, sopra di lui, superba e inafferrabile. Cedere o non cedere?
Al diavolo, si vive una sola volta.
Pensò abbracciandola con voga.

Riaprì gli occhi di botto, ritrovandosi da solo nel letto, con il fiato corto e il sudore che gli colava copioso dalla fronte.
Oh mio Dio, è stato solo un sogno.

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Capitolo 10
*** Bonjour ***


Nuovo capitolo, ma nulla di pariticolare, niente di impegnativo insomma. Chiedo scusa per la brevità, la prossima volta abbonderò. Ringrazio ancora coloro che leggono, seguono e/o recensiscono.



6 luglio, Agriturismo la belette rouge, 5:41 am.


Oscar aprì la finestra della propria camera inalando il meraviglioso profumo di lavanda che saliva dal giardino della villa. Fece scorrere lo sguardo lievemente offuscato, perché ancora provato dal sonno, attraverso i ciottolati che si intrecciavano tra l'erba e le aiuole del giardino e che finivano per congiungersi tutti nella monumentale fontana posta esattamente al centro. Alcune riproduzioni in miniatura di famose statue greche si susseguivano sul vialetto principale alternate a sciattissimi lampioncini ad energia solare che le illuminavano di fioca luce azzurrognola.
Si era svegliata da dieci minuti e non era più riuscita a riprendere sonno. Così si era alzata e aveva colto l'occasione per godere dello spettacolo dell'aurora che imperlava il cielo.
Il suo sguardo si perse oltre l'orizzonte aspettando che il sole facesse capolino. Adorava le albe. Erano così intime, così suggestive...
Ripensò a quella notte. André al pianoforte, la sua musica erano ricordi quasi surreali. Non sapeva dire se fosse accaduto davvero o fosse stato tutto un sogno. Lui era così...così adorabile.
Ehi, piano, Jarjayes, tu ti fai affascinare troppo dai musicisti.
Si morse le labbra. Il suo subconscio aveva dannatamente ragione: lei aveva un debole insanabile per i musicisti. La musica, secondo lei, era in assoluto la più alta forma d'arte, l'arte delle arti, e chi la padroneggiava era l'artista degli artisti, il che gli conferiva un fascino particolare.
Quando i primi raggi del sole squarciarono il cielo, Oscar chiuse la finestra e andò a sedersi sul letto con un sospiro.
Hans sarà preoccupato.
Pensò appoggiando gli avambracci sulle ginocchia. Ma mentre ciondolava distrattamente nel labirinto della propria mente immaginando nei dettagli il suo grande giorno, le tornò in mente ciò che quel francese aveva fatto al suo cellulare. Gliela doveva ancora far pagare.
La vendetta sarà dolce, caro il mio pianista.


Andrè si rivoltò nel letto.
-Il sole splende, André!
Una soavissima voce, accompagnata da un bagliore accecante e improvviso, per un momento gli diede l'illusione di trovarsi al cospetto di un essere divino. La sagoma sublime di questa dea si pose ritta e fiera accanto al suo letto e con un gesto rapido e conciso...
-Mon Dieu! Sei completamente impazzita? 
In un istante aveva avvertito una tremenda ondata di freddo alla faccia e subito dopo la fastidiosa sensazione di umido.
-Consolati,
Rise sarcastica lei.
-Pensa che mio padre mi sveglia in questo modo tutte le mattine da ventisette anni. È un ottimo metodo, però.
André si asciugò il viso con il lenzuolo e strinse con vigore le mascelle. Che donna insopportabile. E lui si era persino sognato di... Ma come gli era potuto venire in mente? Quella ragazza era un caso perso.
Non osava immedesimarsi nei panni del povero disgraziato che l'avrebbe sposata.
La fissò con furore mentre lei gli lanciava di malo modo addosso i vestiti.
-Vestiti e datti una mossa, ho intenzione di arrivare a Parigi al più presto. Intanto andrò a cercare un telefono.
Il ragazzo la ignorò stropicciandosi gli occhi e lei uscì con la stessa sveltezza e  discrezione di quando era entrata.
Andrè scansò le coperte e si infilò con malavoglia i jeans.
Che paradossi nella vita!, pensò. Oscar era la donna più bella e accattivante che avesse mai visto e allo stesso tempo la più intrattabile e irritante. Perchè allora si sentiva sulla soglia dell'estasi quando lei gli era vicino?
 Le altre erano tutte dolci, timide, insicure, romantiche, credulone. Lei no, lei era l'eccezione alla regola per eccellenza. Desiderata e indesiderata. Una di quelle che bisogna imparare ad amare ma che danno le vere soddisfazione della vita.
Tirò su la zip.
Ad lui piacevano le donne, ma più delle donne gli piacevano le sfide e nulla gli dava più gradimento di una sfida in cui centrasse una donna. Il punto era che al suo cospetto tutte si trasformavano in burro sciolto ad un suo schiocco di dita e non gli davano la possibilità di godere del piacere sopraffino di una nobilissima provocazione.
Infilò le braccia nelle maniche della camicia e iniziò a infilare i bottoni nelle rispettive asole.



Il signor D'Orleans stava addentando voracemente una brioche alla crema mentre dava le istruzioni ai camerieri su come preparare le tavole per la colazione dei clienti. La ragazza gli si avvicinò.
-Mi scusi, posso usare il telefono?
L'uomo la fissó per un momento come se non avesse compreso la domanda, quindi indicó con l'indice sporco di crema la reception.
-Grazie.

-Hans, sono Oscar.
-Oscar! Santo Cielo, grazie a Dio. Come stai? Dove sei? Ho provato a chiamati...
-Sono nei pressi di Saint Antoine, sto bene ma ho perso il cellulare. Non preoccuparti, per stasera sarò da te.

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Capitolo 11
*** Lione e vecchie conoscenze ***


Tanti auguri, care lettrici (e anche lettori). Oggi finalmente ho avuto il tempo per aggiornare. Tra film degli anni cinquanta e caramelle al limone ho sfornato un nuovo capitolo fresco fresco. E mentre noi festeggiamo il Natale, Oscar, Andrè e Joseph si godono il caldo sole di luglio. Personalmente, però, non li invidio troppo....



LIONE E VECCHIE CONOSCENZE

6 luglio, strada di campagna, direzione Lione. 9:30 am



-Bonnes gens du matin, aujourd'hui est une belle journée pour voyager.
Canterellò allegramente il tizio della radio con voce rauca ma molto chiara. Oscar non aveva capito altro che le parole "belle journée" e "voyager", ma le erano bastate per cogliere il significato dell'intera frase. Avrebbe preferito però non capirlo, perché subito sentì i nervi a fior di pelle. "Una bella giornata per viaggiare". Aveva più che altro il gusto del malaugurio, così con una rapida e precisissima mossa spense la radio.
Guardò fuori dal finestrino ammettendo a sé stessa che obiettivamente quella era una giornata splendida. Ma era stanca, anzi, esausta di viaggiare. Non era mai stata una grande amante dei lunghi viaggi, in particolare di quelli in macchina. Erano noiosi, monotoni e assolutamente stancanti.
Osservando André di soppiatto con la coda dell'occhio si chiese cosa lo avesse spinto a farle un simile favore. Non si conoscevano nemmeno. Per i soldi? Possibile, anzi, probabile. Quel ragazzo aveva tutta l'aria dell'artista squattrinato. E forse era proprio questa sua caratteristica a dargli un fascino particolare.
Per un millesimo di secondo, proprio per un istante brevissimo, Oscar ebbe un ripensamento sul proprio matrimonio. In quella minima frazione di tempo il suo cervello aveva messo a confronto André e Hans e aveva concluso che tra i due...
Joseph fece un balzo euforico sul sedile posteriore causando un drastico ondeggiamento della macchina. A giudicare dalle sue esclamazioni di trionfo, era presumibile che avesse vinto a quel suo sciocco giochino elettronico.
Tanto meglio per lui.
Pensò Oscar con amarezza.
Almeno c'è qualcuno qui che si diverte.

Andrè si sentiva particolarmente rilassato quella mattina malgrado il brusco risveglio. Forse era la bella giornata o forse era il fatto di aver suonato il piano dopo tanto tempo o forse perché Oscar era inspiegabilmente zitta. 
Sentiva che nulla avrebbe potuto turbare il suo lieto umore.
Tranne forse il pensiero che, una volta arrivati a Parigi, avrebbe dovuto dire addio a quella arrogante, viziata, insopportabile americana.
 Avrebbe voluto schiaffeggiarsi. Sbattere la testa contro un muro e ricordare a sé stesso a suon di craniate che quella ragazza era off limits. 
Non rientrava assolutamente nei suoi parametri farsi una ragazza già impegnata. Certo c'erano state delle eccezioni in passato , ma nessuna di queste aveva già prenotato una chiesa.

Oscar guardò distrattamente l'orologio e quando rialzò gli occhi, lanciando lo sguardo fuori dal finestrino, si accorse che una capretta trotterellante nel pascolo che costeggiava la strada teneva tranquillamente il passo con il maggiolino giallo. Oscar fece scattare le giunture del collo ruotando il viso in una frazione di secondo verso il contachilometri. Le sue iridi azzurre si infuocarono di ira quando vide che la soglia di velocità era di 30 km/h.
-Guido io.
Annunciò come una furia già pronta ad agguantare il volante. André rise di cuore.
-Te lo scordi.
Istintivamente strinse la presa sul volante.
-Non permetterò mai ad nessuna donna di guidare la mia bambina.

10 minuti dopo.

Andrè incrociò le braccia sul petto mordendosi le labbra mentre Oscar trionfante cambiava marcia con fare da professionista. Era stato costretto a dargliela vinta altrimenti quella avrebbe messo un broncio intollerabile. Così ora la biondina giocava all'auto scontro con il suo adorato maggiolino. Erano due minuti contati che guidava e aveva già beccato tre buche che per Andrè erano stati tre mini infarti.
D'un tratto la macchina prese una buca decisamente profonda e il brusco rimbalzo provocò un crack sospetto agli ammortizzatori. André piagnucolando accarezzò dolcemente lo sportello come a voler rassicurate la propria auto. Ma il povero maggiolino non resistette per molto. Un rantolo, uno sbuffo, un sinistro stridore e la macchina si piantò in mezzo alla strada e si spense.
-Mi hai assassinato la macchina!
Ruggì lui fuori di sé.
-Tu hai annegato il mio cellulare!
Ribatté lei aggrottando le sopracciglia con fare arrogante.
-In ogni caso...
Riprese André aggiustandosi nervosamente il colletto della camicia. 
-Ci conviene darci una mossa e spingere la macchina fino al primo paese.
Oscar era già pronta a lamentarsi ma valutò essere migliore tacere. Dopotutto era colpa sua. Una bella seccatura, certo.
-Avanti, anche tu, Joseph.
Scesero tutti, zitti e irritati. Una parola e si sarebbero uccisi a vicenda.

Spinsero la piccola auto per quasi due chilometri. Il calore del sole che solcava il cielo si faceva sempre più intenso, sempre più insopportabile. Fu una via crucis.

Quando finalmente raggiunsero l'officina, un garage dall'aria di non aver più visto un'automobile da una decina d'anni, erano così stanchi che non avevano nemmeno le forze per parlare. A giudicare dall'altezza del sole doveva essere quasi mezzogiorno.
-Ho bisogno di un bicchiere d'acqua.
Esalò Oscar tra un sospiro e l'altro appoggiando la schiena allo sportello del bagagliaio.
Joseph e André concordarono con un lieve gesto del capo.
-Che cosa abbiamo qua?
Domandò retorico il macchinista avvicinandosi a passi cadenzati e togliendosi i guantoni unti di grasso.
André alzò a fatica lo sguardo da terra come se anche quel gesto gli costasse uno sforzo immenso e spalancò gli occhi quasi folgorato. Quindi entrambi i due uomini scoppiarono in una risata appassionata e calorosa e si abbracciarono come dei fratelli.
-Alain! Vecchia volpe! Cristo, ma che ci fai qua?
-Potrei farti la stessa domanda, brutto bastardone. È dall'università che non ci si vede.
Il carrozziere lanciò un occhiata obliqua ai compagni di André.
-Vedo che te la passi bene, amico.



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Capitolo 12
*** Parigi è ancora lontana ***


6 luglio, Carrozzeria Soissont, 13:23 Pm.


 André diede una pacchetta affettuosa sul fanale sinistro del maggiolino.
-È grave, dottore?
Chiese preoccupato guardando il vecchio amico che smanettava allegramente nel motore.
-No, Dedé, tranquillo, il danno è abbastanza innocuo.
André sorrise rincuorato giochicchiando con il proprio portachiavi.
Che bizzarro scherzo del destino rincontrare Alain così d'improvviso.
Un piacevole scherzetto.
Ripensò ai bei vecchi tempi, alle innumerevoli bravate che lui e Alain avevano combinato. Anni d'oro. Nessun pensiero, nessuna preoccupazione, milioni di sogni, altrettanti progetti e tutta una vita davanti a sé per realizzarli.
Ricordava le serate all'insegna del blues, delle belle donne e del Rhum. Una vita con la V maiuscola.
Alain svitò un bullone e se lo rigirò tra le mani a lungo, tanto che André credette che se ne fosse innamorato.
-Non vedevo bulloni simili da quando smontai la macchina di mio nonno.
-Lo prenderò per un complimento.
Scherzò Andrè strappandogli di mano il pezzetto ottagonale di ferro arrugginito.
-Sai, non immaginavo che un tipo come te mettesse su famiglia così presto.
Incalzò in tono tagliente Alain indirizzandogli uno sguardo volpino.
Conosceva Andrè, o almeno credeva. Non era tipo da "vivere per sempre felice e contento" con una fede al dito e un marmocchio attaccato alla sottana.
C'era qualcosa che non gli tornava in quel trio così bizzarro. Lei non aveva l'aria di una madre, il bambino non assomigliava a nessuno dei due presunti genitori ed André si preoccupava più della macchina.
Chi erano? E che ci facevano insieme?
André sollevò perplesso un sopracciglio. Era davvero quella l'impressione che davano? L'impressione di una famiglia?
Il suo pomo d'adamo si sollevò e si riabbassò rapidamente. La sola idea di sembrare sposato e sistemato agli occhi del proprio ex migliore amico gli dava la nausea.
-No, Alain, non siamo una famiglia.
Per carità.
Gli venne in mente di aggiungere. Ma si trattenne.
-Joseph è mio nipote e Oscar è... Beh la sto accompagnando a Parigi, si sposa tra pochi giorni.
Lo sorriso malizioso di Alain lo fece sentire obbligato a puntualizzare:
-Ma non con me.
-Te la sarai un po' lavorata, dico bene?
-Ma figurati, dai, che stronzo sarei? 
Per qualche misterioso motivo, le sue parole scatenarono nell'amico una risata così potente che riecheggiò in tutta l'officina.


Oscar si sedette con uno sbuffo annoiato su un'enorme e infangata ruota di camion abbandonata ad un angolo del circoscritto piazzale davanti all'officina.
Si fissò le mani senza saper cosa pensare, senza avere idea se essere arrabbiata con sè stessa o con Andrè o se non essere arrabbiata affatto. Ma su una cosa era certa, non si sarebbe potuta gettare tra le braccia di Hans nemmeno quella sera. Nella sua mente Parigi ormai aveva assunto la forma di una meta irraggiungibile.
Si passò una mano sulla fronte. Là fuori, sotto il sole, il caldo era a dir poco soffocante, ma preferiva arrostire lentamente sotto i raggi ultravioletti che assistere alle volgari chiacchierate di quei due.
Alzò gli occhi e si mise a seguire con lo sguardo quella piccola peste giocare spensieratamente tra i rottami di un paio di Kombi Volkswagen, uno con la fiancata dipinta di azzurro e rosso e l'altro ricoperto di stampe che riproducevano i loghi di alcuni gruppi musicali degli anni Settanta.
La ragazza analizzò attentamente quei simboli, soffermandosi con particolare attenzione sull'immagine della famosissima linguaccia dei Rolling Stones. Senza accorgersene sorrise mentre passava in rassegna nella mente ognuna delle loro meravigliose canzoni. Le conosceva tutte a memoria, tutte. Amava quel gruppo, amava Mick Jagger, amava il loro stile, amava la loro musica. 
In casa sua le loro canzoni erano sempre state severamente vietate. Già, perché suo padre era un affermato Beatlesiano e non poteva sopportare che la sua unica figlia venisse spudoratamente deviata dalla musica di quei pagliacci svitati. Ma da vera anima ribelle, Oscar aveva continuato a comprare i loro Album e ad ascoltarli senza sosta. I Beatles erano troppo perfettini per lei, non erano abbastanza scatenati.
Istintivamente si mise a canticchiare a bassa voce Satisfiction, il capolavoro dei capolavori, battendo il piede sulla ruota a ritmo.
Improvvisamente al rumore metallico di ferraglia che proveniva da garage, si sostituì una risata sonora e sfacciata e subito dopo un succulento e euforico "Porca puttana!". Oscar sollevò gli occhi verso il cielo. Uomini.


Alain smise di ridere a fatica e quando ci riuscì tirò giù una lunga sfilza di parolacce che sapevano tanto di congratulazioni quanto di presa in giro.
-Da quando André Grandier si fa tutti questi problemi con le donne? Mi sembra di ricordare che al liceo non ti sei fatto scrupoli a fregarmi la ragazza.
-Andiamo, Alain, era un tantino diverso. E poi vi eravate mollati.
Il carrozziere trattenne una nuova risata e si rimise a lavorare.
-Oscar sta per sposarsi.
Continuò sommessamente Andrè.
-E poi, ci sono tante altre belle donne in giro.
Ma mentre lo diceva si sentì la gola stretta in una morsa e lo stomaco comprimersi. Lo invase una sensazione di impotenza come mai prima gli era capitato. Alain probabilmente se ne accorse, perché, sfilatosi uno dei guantoni, gli appoggiò una mano sulla spalla.
-Ti capisco, vecchio mio. Tu sei come la volpe che vuole prendere l'uva, ma il grappolo è troppo in alto, così se ne va tentando di convincersi che gli acini erano acerbi.
André non era troppo sicuro di aver afferrato il concetto, ma annuì comunque.
-Senti, Alain...
Il macchinista gli porse l'orecchio.
-Ti va di aiutarmi?

Oscar si legò i capelli a coda di cavallo.
Quanto mancava? Era passata ormai più di un'ora da quando erano arrivati on quel luogo desolato e abbandonato da Dio. Che il danno alla macchina fosse così grave? Meglio andare a fare una piccola supervisione.
Si alzò molto lentamente -non aveva voglia di ritrovarsi con la testa a mo' di giostra- e si incamminò a passo deciso all'interno del garage. Si annunciò con un colpetto di tosse e in men che non si dica si ritrovò addosso le due paia di occhi dei diretti interessati.
-Come procede?
Non ottenne risposta, solo un sospiro disperato. Si avvicinò per dare un'occhiata di persona da vicino.
-Manca il pezzo di ricambio, è un modello che non fanno più oggigiorno, o perlomeno lo fanno raramente.
Spiegò Alain strizzando rapidamente l'occhio ad André.
-Dovrete aspettare almeno fino a domani. Tecnicamente dovrebbero arrivare i ricambi nuovi in questi giorni.
Oscar si sentì mancare. Un altro giorno perso. Un altro giorno lontana da Hans e dalla sua famiglia.
Si morse le labbra.
E di chi era la colpa di tutto? Non sua, certamente, nemmeno di Andrè, poveretto. Era di quel maledetto vestito, ovviamente. Se le fosse stato consegnato in tempo, in quel momento lei sarebbe stata seduta al tavolino di un café sulla Rive Gauche a gustare macarons e a bere champagne leggendo una rivista.
Fissò diritto in faccia quel meccanico da quattro soldi. Gli avrebbe volentieri spaccato il naso con un pugno. Com'era possibile che una buca nella strada avesse causato un simile danno irreparabile? Il suo sesto senso le diceva che era tutta colpa dell'incompetenza di quell'uomo.


Alain fece loro strada su per la scala a chiocciola che portava al suo appartamento al piano di sopra. Fischiettando aprì la porta e li fece accomodare.
-Cognac?
Chiese aprendo lo sportello di un mobiletto tutto tarlato.
-Si.
Fu la pronta e secca risposta di Oscar. Aveva bisogno di bere qualcosa, ma più di tutto aveva bisogno di un po' di sano alcool per tirarsi un po' su.
Si scolò da sola mezza bottiglia -bottiglia da 1 litro e mezzo- e finì per sentirsi decisamente meglio.
Inutile dire che la sua sete destò parecchio stupore nei due uomini. Ma lei non aveva mai avuto tanta voglia di liquore come in quel momento.
In vita sua non si era mai ubriacata, non tanto perché non beveva, anzi, piuttosto perché il suo fegato era un filtro davvero eccezionale. Poteva bere due litri di Whisky e non avere nemmeno un minimo giramento di testa.
Appoggiò la testa al poggiatesta del divano di Alain e ascoltò passivamente il suo ospite e il suo accompagnatore che le raccontavano euforicamente come si era conosciuti e che cosa avevano fatto in gioventù. Talvolta riuscirono a strapparle un sorriso e allo stesso tempo le fecero luccicare gli occhi. Lei aveva vissuto un'adolescenza da suora, sempre chiusa in casa.
Ma al di là della tirannia dei genitori, non aveva mai conosciuto gente disposta a divertirsi con lei, a fare follie con lei.
Invidiò molto le bizzarre avventure di quei due.

Alain aveva un inglese che lasciava davvero molto a desiderare e spesso e volentieri inventava le parole. Finì che la ragazza scoppiò a ridere. Forse grazie al cognac o forse grazie agli strafalcioni del carrozziere o forse grazie alle spiritose battute di André, si sentì felice e spensierata. Si dimenticò completamente di Parigi, di Hans, del suo vestito, del suo cellulare, del suo matrimonio. In quel momento c'erano solo lei, André, Alain, Joseph e una bottiglia di scadente cognac. E non avrebbe voluto trovarsi in nessun'altro luogo al mondo.
Dopo aver maledetto tante volte il destino, cominciò a credere che il Fato le avesse voluto farle un favore.






Ecco il mio personale regalo di fine anno dopodiché non assicuro di aggiornare prima di un altro mesetto. Mi perdonerete?
Questa volta il capitolo è un tantino più lungo, ma non è troppo elaborato, come al solito dopotutto; avrete capito mi piace fare le cose con semplicità.
André e Alain complottano contro Lady Freddezza e lei si scioglie con un goccio di Cognac.
Ma sarà solo colpa del cognac? Si, decisamente, non illudetevi troppo, Oscar avrà anche un fegato di ferro, ma mezzo litro di cognac darebbe alla testa a chiunque.
Buon anno e buone feste, a presto. 

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Capitolo 13
*** Shall we dance? ***


Oscar incrociò le braccia sul petto e accavallò le gambe con fare indispettito. Come avevano fatto quei due a convincerla ad andare con loro in quella sudicia e tenebrosa taverna dell'epoca di Luigi XIV? Ovunque, da qualunque parte ella si girava, vedeva davanti a sé il simbolo del "soleil" o una caricaturata immagine del re Sole.
D'improvviso una luce blu abbagliante la accecò per una frazione di secondo lasciandole la vista appannata. Subito dopo lo stesso effetto glielo fece una luce bianca ancora più intensa. Si voltò sbuffando per impedire che i fanali rotanti le abbagliassero gli occhi per l'ennesima volta, era già abbastanza difficoltoso riuscire a distinguere le sagome delle persone in quella strana penombra di quello strano locale, non aveva intenzione di perdere un paio di decimi.
Incrociò le dita e appoggiò le mani sul tavolo.
Tra le tante voci petulanti nell'atmosfera antica del locale si facevano largo quelle di un paio di cantanti pseudo-folk che sul palchetto si esibivano in monotonissime e noiosissime canzoni soul-folk-country. Cantavano bene, questo doveva ammetterlo, ma il loro entusiasmo e la loro capacità di coinvolgere il pubblico erano pari a zero.
Oscar si rivoltò per osservarli in viso. Non erano più molto giovani -avranno avuto sì e no una cinquantina d'anni- inoltre gli abiti colorati e stravaganti, che si erano scelti evidentemente per il solo scopo di dare un tocco giovanile alla propria persona, rendevano più l'idea che avessero una forte nostalgia degli anni ottanta. Tenevano così saldamente in mano le proprie chitarre rivestite di adesivi che quasi sembrava temessero che qualcuno d'improvviso arrivasse e le portasse loro via. I loro sguardi chiari e persi -come si conviene agli artisti sognatori- erano rivolti verso il cielo e le loro voci salivano verso l'alto rimbombando dal soffitto.
Oscar prese in mano il bicchiere col cocktail alla fragola che le aveva offerto Alain.
Le aveva detto che era il drink migliore del locale, ma il palato di Oscar non era d'accordo. Il sapore esageratamente zuccheroso e il forte aroma di fragola le ricordava molto il tanto odiato sciroppo che prendeva da piccola per la tosse. Fatto stava, però, che quella sera l'unica via per divertirsi poteva solo essere quella di ubriacarsi.
Mandò giù due grandi sorsi l'uno appresso all'altro senza respirare, ma sapeva che sarebbero serviti molti altri drink.
Andrè e Alain erano andati a chiacchierare con un paio di ragazze morettine. Da quanto Oscar aveva potuto capire dalle poche parole che le erano giunte all'orecchio, le tipe dovevano essere amiche di Alain e da quel che aveva potuto vedere erano particolarmente interessante ad Andrè.
Sentì che le dita le prudevano. Buttò giù un altro sorso.
-Oscar, non fa bene bere tanto, sai?
La vocina angelica del piccolo Joseph le risuonò nell'orecchio come un avvertimento divino. Si girò verso di lui lentamente.
Il bambino sedeva in ginocchio sulla sedia giochicchiando con il cucchiaino della sua coppa di gelato. Oscar socchiuse gli occhi. Avrebbe voluto rispondergli che da lì a dieci anni anche lui l'avrebbe pensata diversamente, ma cercò di trattenersi. Non aveva intenzione di deviare dalla retta via quel piccolo cherubino di undici anni. Così appoggiò il bicchiere ubbidientemente e tornò a dedicarsi alla contemplazione passiva dei cantanti folk.

André lanciò una ennesima sfuggevole occhiatina a Joseph per controllare che non se ne fosse sgattaiolato a giocare da qualche parte, ed inevitabilmente si ritrovò con le pupille incollate ai capelli della ragazza. Era voltata verso il palchetto e sembrava magneticamente attratta dagli accordi stonati delle chitarre di quei due cantanti bizzarri.
Riportò a forza lo sguardo sulle due ragazze che cercavano in tutti i modi possibili e concepibili di estorcergli il numero di telefono. Erano passate da fare gli occhi dolci a lanciargli spudorati occhiolini.
Alain raccontava entusiasta tutte le avventure che loro due avevano vissuto, ma le ragazze avevano perso l'interesse per quella storia già da diversi minuti. Andrè si accarezzò il labbro con il pollice e sorrise tra sé. Era abituato a scatenare nelle ragazze certi comportamenti, ma ogni singola volta era sempre uno spasso. Erano così patetiche. Ma la cosa che più gli stimolava la risata era quando tiravano in dentro la pancia e gonfiavano il petto come oche. Pensando da scicupadonne, ammise a se stesso che quelle due non erano affatto tanto male e dopotutto, accidenti, lui non era mica un santo. Avrebbe volentieri preso a braccetto Colette e portata a fare un giro nel paese delle meraviglie, ma dovette constatare che non ne aveva possibilità. Doveva badare a Joseph e, beh, anche ad Oscar. Pazienza, Colette forse sarebbe rimasta delusa, ma quella notte niente danze.
Tornò al tavolo con una scusa banale e si sedette accanto alla bionda.
-Balliamo?
Si ritrovò a domandarle in un sussurro vicino al suo orecchio. Oscar si giró verso di lui schifata.
-Nemmeno se fossi ubriaca.
Andrè si ritrasse sulla sedia e incrociò le braccia sul petto arrendendosi al suo fallimento. Quella donna era impossibile, manco le avesse chiesto di sposarlo!



Joseph si era addormentato con il faccino tra le braccia incrociate sul tavolo. Oscar era arrivata al traguardo del sesto drink e finalmente iniziava a sentirsi stordita. Era quasi sul punto di nausearsi con tutti quei cocktail alla fragola, ma c'era quasi ormai, uno ancora o due e sarebbe scoppiata dalle risate senza motivo dando un senso a quella serata spompa.
Andrè aveva assaggiato solo un mezzo bicchierino di Rhum e Alain... Beh all'incirca un litro di Martini e sedeva agonizzante davanti a lei sobbalzando per il singhiozzo.

-Balliamo?
André credette di esserselo immaginato. Le rivolse uno sguardo stranito, come  per chiederle di ripetere.
-Balliamo.
Ordinò lei con un sorriso smarrito afferrandogli la giacca e trascinandolo con sé in pista. Andrè non era ancora riuscito a focalizzare bene la situazione. Che solo quel poco Rhum fosse stato capace di mandargli in palla il cervello? La lasció fare quando lei, probabilmente per un giramento di testa, si attaccò al suo petto appoggiandovici sopra la testa e chiudendo gli occhi.
-Doveva esserci roba forte in quel cocktail, per ridurmi così.
Biascicó lei seguendo malamente a ritmo la musica con i passi.
-Ne hai bevuti sei tutti da sola, ringrazia che non sei andata in coma etilico.
-Non temere, mio cavaliere, ho un fegato d'acciaio.
Detto questo esplose in una fragorosa risata e finì per barcollare all'indietro. André la afferrò prontamente passandole un braccio dietro la schiena prima che perdesse del tutto l'equilibrio e la riaccostò a sé, quasi involontariamente. Oscar si fece seria, quasi melodrammatica, e con un sospiro mormoró:
-Non stringermi troppo, Andrè Grandier. Potrei finire per innamorarmi di te.

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Capitolo 14
*** Progressi ***


Potrete mai perdonarmi questo immenso ritardo? Ho avuto una specie di blocco dello scrittore unito distruttivamente all'assoluta mancanza di tempo. La tappa di questo capitolo è Lione, niente di rilevante, il viaggio continua. Spero che la storia continui ad incuriosire, a presto.




7 luglio, Ruote de Vienne, 69360 Soilaze, Francia. Circa a venti chilometri di distanza da Lione. 11:36 am.


L'ultima cosa che ricordava nettamente era il suono malinconico delle chitarre, poi praticamente nient'altro. Nella foschia che le annebbiava la mente emergevano solo alcuni vaghi ricordi, come rimasugli soffusi di un sogno. Non le sembrava di essere andata totalmente fuori di testa la sera prima, ma a quanto pareva qualche cavolata l'aveva combinata. Già. Oscar si massaggiò le tempie. Le due aspirine che aveva ingurgitato come colazione non avevano del tutto fatto il loro dovere e si sentiva ancora la testa sulle nuvole.
Erano in macchina da poco più di un'ora e proseguivano rapidamente -se così si poteva definire una mediocre velocità di 47 km orari- sulla tangenziale semi deserta in direzione di Lione. A detta del guidatore la città sarebbe spuntata al l'orizzonte da un momento all'altro e Oscar si sforzava di tenere gli occhi aperti, pur con il sole del primo mattino che le batteva contro prepotentemente a sinistra.
Si udì un grugnito e il sedile di Oscar vibrò molleggiando in avanti. Si voltò già pronta a sfoderare il suo infallibile sguardo fulminante. Ma quell'omone sembrava immune alle sue occhiate pungenti. Alain tentò nuovamente di aprire uno dei finestrini posteriori con uno strattone rischiando quasi di spaccare la manovella. 
-Che caldo bestia!
Sbraitò abbassando rapidamente il vetro. Joseph rise a quell'espressione e Oscar tornò con uno sbuffo a volgere lo sguardo all'orizzonte in attesa di scorgere il luccichio dei tetti di Lione.

Quella mattina si era svegliata all'alba e si era ritrovata distesa a pancia in giù sul divano, con una gamba che penzolava a terra, un braccio appoggiato sulla spalliera, con i capelli alla Einstein, due elegantissime borse sotto gli occhi arrossati e un tremendo mal di testa. Non si era curata del via vai di Alain e di André e aveva immediatamente chiesto un'aspirina. Si era resa conto solo quando il mal di testa aveva smesso di pulsare che armeggiavano animatamente con delle valigie.
-Grazie dell'invito, cherié.
Le aveva canticchiato Alain mentre contava rapidamente le numerose chiavi che teneva in mazzo.
Non le era stato subito tutto chiaro. Si era limitata a rimuginarci sopra e a non obbiettare niente, a non aprire proprio bocca. Si sentiva la gola troppo secca e la lingua quasi farinosa. E poi non aveva intenzione di far la pessima figura di non capire cosa stesse succedendo, preferì scegliere la via del silenzio per non rischiare di demolire la sua fama di donna sveglia e intraprendente.
Era ancora sotto l'effetto del post sbornia, una sbornia considerabilmente pesantuccia, e conoscendosi sapeva che il cervello avrebbe impiegato almeno un'oretta a collegarsi. Ma nemmeno quando le capacità cognitive si erano riattivate era riuscita a illuminarsi le idee. Così fu costretta a chiedere spiegazioni.
Ebbene, le dissero che da ubriaca aveva invitato allegramente tutti al suo matrimonio.
Il "tutti" l'aveva spaventata parecchio, avendo pensato di aver esteso l'invito a tutti i presenti al pub, ma Alain e André l'avevano immediatamente tranquillizzata precisando che si era limitata a loro due.

-Saremo a Lione tra poco.
Annunciò André con il suo solito sorriso da rubacuori.
Oscar spalancò gli occhi e si sporse in avanti aguzzando la vista. Finalmente comparvero le prime case e poi i primi palazzi e si sentì invasa da uno sciame di endorfine: Lione era una tappa significativa, finalmente sentiva che la speranza di arrivare a Parigi  di lì a poco si era rinnovata.
Le uscì uno spontaneo "wohoo" di trionfo. 
-Che ne dite se ci fermiamo a Lione per il pranzo?
Propose gioiosa voltandosi verso i passeggeri posteriori. Ottenne facilmente il consenso di tutti, specialmente del baby buongustaio.
-È una buona occasione per te, dolcezza, di assaggiare le prelibatezze della cucina francese. Conosco dei posticini che fanno roba absolument magnifique.
Asserì convinto Andrè già pregustando il succulento sapore del suo piatto preferito: le escargot con Bordeaux e coriandolo fresco. Sul faccino di Joseph si aprì un largo e smagliante sorriso. Conosceva bene i gusti gastronomici dello zio Andrè e li condivideva a pieno, nulla poteva renderlo più felice che sapere di essere in rotta per un pranzo con i fiocchi.

Il ristorante dava terribilmente l'idea di essere minuscolo rispetto alla grandezza dell'albergo che lo ospitava.
Varcata la soglia, peró, la percezione cambiava e ci si ritrovava avvolti da un'atmosfera accogliente ed elegante, il profumo di spezie e di carne era così inebriante che quasi stordita, eppure era piacevole. André si fiondò con sicurezza verso il bancone all'ingresso e con un impeccabile francese chiese un tavolo. Il maître sollevò altezzoso il mento e li scansionó accuratamente uno per uno soffermandosi con particolare insistenza sulla figura di Oscar. La ragazza assottigliò gli occhi pronta a voltare i tacchi e dire addio al Côté Cuisine se quel cafone non si decideva a levare gli occhi di dosso. Ma poco dopo l'uomo le sorrise accondiscendente e con un inglese piuttosto azzardato chiese:
-Lei è per caso parente di Antoine De Jarjayes?
La ragazza rimase sconvolta da quella domanda. Quell'uomo conosceva suo nonno? Inclinó la testa da un lato e aprì la bocca senza riuscire a emettere un suono. Infine annuì lentamente. Il ristoratore si batté le mani davanti al viso sghignazzando e ripentendo tra sé e sé "Mon Dieu, ne c'est pas possible."
-Lei deve essere la figlia, oh no pardon, probabilmente la nipote. Antoine era mio grande amico prima che partisse per l'America. Oh, che sorpresa! Come sta Antoine?
Oscar tossicchiò. Doveva davvero dirgli che era morto d'infarto sette anni prima dopo aver visto un film dell'orrore? Meglio evitare, era una storia che preferiva non elargire.
-Bene.
Rispose secca abbassando lo sguardo.
-Oh tres bien, venite con moi. 
L'uomo aggirò il bancone e ondeggiando goffamente come un'anatra fece loro strada nella sala.
Era tutto un luccichio. Tende di seta bianca e blu si incrociavano sull'unica grande vetrata e la luce le attraversava rendendole brillanti e lucenti. L'atmosfera era moderatamente retrò e molto molto raffinata. Il rumore di posate, piatti e voci si dissolveva nell'aria, così che la tipica fastidiosa confusione delle sale affollate era praticamente assente.
Il maître con un sorriso euforico li condusse al tavolo numero 7, accompagnando la sedia di Oscar quando lei si sedette.
-Bon apetit.
Augurò ritraendosi con un inchino un po' troppo formale.
-Chi si sarebbe mai aspettato di trovare qui un amico di mio nonno?
Scherzò Oscar guardandosi ammirata introno. Tra il centinaio di persone presenti, almeno ottanta erano donne. Signore letteralmente ricoperte di gioielli e avvolte in vestiti sfacciatamente sofisticati. Oscar si sentì improvvisamente una stracciona. Indossava un paio di jeans - strappati per di più - e una semplicissima maglietta nera a maniche corte. L'unico gioiello che contava sul suo corpo era l'anello col brillante. Maledizione, non era nemmeno minimamente truccata!
Sospirò, avvertendo un'impeto di tensione.
Sospirò fissando prepotentemente gli occhi sul menù. Tentò di non sollevare lo sguardo sul lusso sfrenato che la circondava, di non farci troppo caso, ma si sentiva ugualmente investita da sguardi biasimanti.
Balzò in piedi esasperata.
-Devo andare in bagno. Andrè, ordina tu per me.
Annunciò rapidamente dirigendosi senza ulteriore indugio verso la "toilette".
André, Alain e Joseph si scambiarono degli sguardi straniti, quasi scioccati, consolandosi in silenzio a vicenda con un'alzata di spalle sul fatto che da uomini non avrebbero mai potuto capire le strampalate esigenze del gentil sesso.
 
11 minuti dopo...
Oscar riapparve attraversando speditamente la sala come se qualcuno la stesse inseguendo e si lanciò sulla propria sedia dopo essersi assicurata che gli occhi impiastrati di ombretti Dior e mascara Chanel non la stessero scrutando.
-Ebbene, cosa si mangia?
Chiese sottovoce ad Andrè sporgendosi verso di lui.
-È una sorpresa, ti piacerà.
La bionda si ritrasse e pensò bene di dedicarsi ad osservare le proprie unghie per il resto del tempo.
I cinque minuti che seguirono le sembrarono infiniti, ma finalmente il cameriere servì i piatti.
Il primo impatto per Oscar fu un momento di smarrimento. Indugiò ad osservare incredula e smarrita quei cinque gusci marroni disposti ordinatamente nel piatto e immersi in un brodo giallognolo.
Lumache?
Sollevò gli occhi sui suoi tre compagni di viaggio che sembravano apprezzare. Inarcò le sopracciglia e storse la bocca. Odiava fare la schizzinosa, ma se c'era una cosa che proprio non si aspettava di trovarsi nel piatto erano degli animali viscidi e mollicci.
-E così sarebbe questa la grande cucina francese?
Commentò schifata.
Andrè, Alain e Joseph bloccarono la masticazione e la fissarono sgranando gli occhi; il cameriere che stava passando accanto al loro tavolo rallentò e le lanciò un'occhiata sprezzante; un paio di clienti si voltarono verso di lei.
Come non detto.


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Capitolo 15
*** Avant, Avant, Lion le melhor ***


7 luglio, Lione, Francia. Quasi le 14:30 Pm.



Era stata una fortuna per Oscar che il paffuto ristoratore fosse un vecchio amico di suo nonno. Infatti le fece gentilmente rimpiazzare il piatto di esgargot senza far storie con un succulento hamburger (un po' insipido per i suoi gusti americani) gratis. Inoltre aveva addirittura procurato loro una mappa di Lione appositamente per turisti che indicava tutte le maggiori attrazioni.
E così avevano pensato bene di fare un giretto nei dintorni.

Avant, Avant, Lion le melhor
Lione era interamente infestata da striscioni e manifesti e alle finestre e sulle ringhiere dei terrazzi sventolavano bandiere tricolore. Si avvicinava il 14 luglio oramai e lo spirito patriottico dormiente nel cuore dei francesi iniziava a schiudere gli occhi e a risvegliarsi.
Oscar liberò lo sguardo sull'immensa e ricchissima facciata della cattedrale di Saint Jean rimanendo letteralmente senza fiato. Non aveva mai visto niente di più sbalorditivo. Non dal vivo per lo meno... Dalle immagini che le era capitato di vedere su Saint Jean non si notava la raffinatezza delle decorazioni, l'abbondanza di dettagli, le proporzioni equilibrate. Il gotico era uno stile davvero interessante.
Gli imponenti campanili annunciarono con riluttanza lo scoccare delle tre e istintivamente André volse lo sguardo su Oscar. Al contrario di quanto si fosse aspettato non rintracciò nemmeno un sottile segno di tensione o ansia sul suo bel volto. Sorrise compiaciuto. Minuto dopo minuto Oscar si stava trasformando sotto i suoi stessi occhi: da creatura irascibile e impaziente, aveva assunto l'aspetto e il carattere di una normale ragazza americana, sveglia, affascinante, silenziosa e scostante. Il ragazzo si sbottonò il primo bottone della camicia. 
Ricorda la scommessa, Grandier.
É una cosa stupida, meglio rinunciare.
Il don giovanni che é in te sta soffrendo.
Al diavolo, lei non è affatto il mio tipo, non riesco ad immaginarmi mentre la bacio.
Ma se non pensi ad altro che alle sue labbra?

Andrè zittì la discussione tra i due poli della sua coscienza con una scrollata di testa e tornò alla realtà, mettendo nel cassetto, per il momento, la questione.
Vagarono a lungo per i vicoli del rinascimentale cento storico tra file di case in laterizio, negozi di souvenir e lampioncini arabescati in ferro battuto. 
Inutile dire che Oscar non fosse affatto abituata ad un ambiente simile. Non era il suo mondo eppure sentiva che una parte di sé riconosceva nel romantico e antiquato stile francese le radici del proprio essere.
La città era totalmente priva di grattacieli, non si udiva il chiassoso strombazzare dei clacson di centinaia a di taxi intasati nel traffico newyorchese. Ma il trambusto della Grande Mela non le mancava più di tanto.
Camminando per le strade del centro storico si avvertiva un intenso profumo di Passato. Lo stesso indescrivibile profumo che si sente aprendo un vecchio libro: l'odore delle pagine impregnate del sapore di migliaia di secondi, centinaia di ore, decine di anni. 
Patrimonio dell'umanità. Un cartello dorato lo annunciava orgogliosamente ai turisti in quattro lingue diverse sul muro vicino ad una scalinata. Un esiguo ma compatto gruppo di giapponesi vi rovesciò sopra un'ondata di flash.
Le quattro e due minuti. Non era troppo tardi, ma Parigi chiamava. Così la "allegra brigata" decise unanimemente di volgersi sulla strada del ritorno e raggiungere il maggiolino parcheggiato in una strada non troppo distante dal ristorante. Alle strette stradine di sassi si sostituirono pian piano larghe strade d'asfalto frequentate da piccole e agili macchine da città.
André estrasse dalla tasca dei jeans le chiavi della macchina e se le rigirò tra le mani.
-Quanto manca alla macchia?
Mugugnò Joseph con la testa bassa.
-Non credo manchi molto.
Rispose André scompigliandogli amorevolmente i capelli.
-Uff, sono stanco. Abbiamo camminato tantissimo, almeno per venti chilometri.
Alain ghignó falsamente divertito a quella infantile battutina, constatando tra sé e sé che effettivamente il marmocchio aveva ragione. Naturalmente non aveva intenzione di ammettere davanti a due tipi così atletici che quella lunga passeggiata l'aveva affaticato parecchio. Era sicuro di poter affermare che non sentiva più le gambe.
Sono più arrugginito dei miei rottami.
Pensò con amarezza.
-Ecco,
Annunciò Andrè sorridente protendendo il braccio verso l'incrocio tra la strada che stavano percorrendo e la sua perpendicolare.
-Svoltiamo l'angolo et voilà: il mi... Ma... Cosa?
Niente maggiolino. Solo un posto vuoto tra due berline di lusso. Tutti e tre trattennero il fiato.
-Sei sicuro che fosse qui?
Domandó Oscar con una punta di sarcasmo.
-Certo.
Affermò Andrè di rimando. Lei sbuffò seccata e alzò gli occhi al cielo, così che casualmente il suo sguardo finì per incrociare un cartello che diceva: RISERVATO AI CLIENTI DELL'ALBERGO.
Si voltò repentina verso André.
-Genio, non hai visto il cartello? Nemmeno le righe gialle?
Sbottò appoggiando le mani sui fianchi. André non controbatté. Si sentiva già più sollevato ora che era quasi sicuro che non gli avessero rubato la macchina ma solamente sequestrata. 
Solamente.
Già, quanto avrebbe dovuto cacciare fuori di sanzione?
Sbuffò battendo nervosamente il piede a terra.
-Conviene chiedere all'amico di tuo nonno, Oscar.

Presto fatto.
Il vecchio maître li riaccolse nel suo ristorante ormai vuoto con un sorriso sinceramente compiaciuto.
-Che posso fare per voi?
-Mi hanno sequestrato la macchina.
Piagnucolò André grattandosi il collo con un dito.
-Quel maggiolino giallo, intende?
Domandò il ristoratore prendendosi in mento tra due dita.
-Esattamente.
 -Oh, beh, temo che non riuscirà a riaverlo prima di domani.
Oscar si premette due dita sugli occhi. Non poteva andarle peggio di così.
-Non posso aspettare un altro giorno, maledizione.
Il maître sembrò pensoso poi con tono di ovvietà fece la sua proposta:
-Posso prestarvi la mia macchina.
Oscar tirò un enorme sospiro di sollievo. Ora rivedeva la luce in fondo al tunnel.
-Sarebbe molto gentile da parte sua.
E sorrise grata. Non credeva che i francesi potessero rivelarsi generosi a tal punto con degli estranei.
-La ringrazio di cuore, signore,
Si intromise con voce timida Andrè.
-Ma non posso prendermi questa responsabilità. Aspetteremo fino a domani.
Oscar desiderò di saltargli addosso e chiudergli quella stupida bocca con il nastro adesivo.
-André, io ho un matrimonio da organizzare.
Ma alla parola matrimonio le sovvenne immediatamente in mente che il suo abito da sposa era nella sua valigia che era nel bagagliaio del maggiolino che era in una qualche stazione di polizia stradale. Si batté la fronte con la mano.
Che casino. Quel maledetto vestito era la sua dannazione.
Alain intanto si appoggiò al bancone e prese a sgranocchiare arachidi da una ciotolina. A lui era indifferente andare o restare, ma l'idea di affrontare il resto del viaggio su un'auto che non fosse stata il piccolo scomodo e lento maggiolino di André gli piaceva di più. Se solo la valigia di Oscar non si fosse trovata ancora nel maggiolino...
Un destino tragicamente avverso.
Pensò mentre masticava allegramente un'arachide saporita.
-Forse non è tutto perduto. Se chiediamo gentilmente ai vigili ci consentiranno almeno di riprenderci la tua valigia, Oscar.
-Provo a telefonare.
Disse il maître poco prima di afferrare la cornetta del vintage telefono a rotella. Attesero tutti in trepidante silenzio per pochi attimi fin quando il volto del maître non si illuminò con un sorriso di convenienza
-Bonjour, je sois le maître d'hôtel de le Côté Cuisine...
La telefonata durò a lungo a intervalli regolari di silenzi e conversazioni animate.
La voce pacata e in qualche modo sofisticata del maître e il suo accento morbido erano il prototipo più diffuso della parlata francese. La erre cadenzata, il tono lievemente nasale. Oscar sorrise pensando che i suoi genitori, per quanto masticassero un po' di francese, non fossero minimamente vicini alla lingua originale, con tutte le sue piacevoli sfumature di tonalità.
Quando la cornetta fu finalmente riappoggiata al suo posto, il ristoratore con un sorriso soddisfatto annunciò che alla centrale li stavano aspettando per restituire loro la valigia. Quindi diede loro le chiavi della propria macchina assicurando che era in ottime condizioni e che li avrebbe portati a destinazione quanto più rapidamente sarebbe stato possibile.

Alla centrale dei vigili c'era un affollamento inusuale. Diverse persone sbraitavano con i poliziotti agli sportelli. Oscar capì poco e niente delle motivazioni che spingevano quei tizi ad arrabbiarsi così tanto, ma riuscì ad afferrare parole palesemente non troppo gentili che le fecero rapidamente svanire dalla mente l'idea di pacatezza e raffinatezza dei francesi.
Quando fu il loro turno, André si avvicinò allo sportello 2 e parlò attraverso il vetro spesso e unticcio con quanta più gentilezza gli riuscì.
-Mi scusi, dovrei ritirare una valigia.
Il vigile dai capelli ricci e spettinati alzò gli occhi con aria annoiata.
-Per chi ci ha preso, per il terminal di un aeroporto?
André lo fissò con malcelato rancore. Detestava i gradassi, specialmente se si trattava di gente che dovrebbe essere gentile e disponibile con i cittadini.
-Avete sequestrato un maggiolino giallo oggi e nel suo bagagliaio c'è una valigia che dobbiamo assolutamente recuperare subito.
-Signore, quando le verrà restituita la macchina potrà riavere la valigia.
Concluse l'uomo con un tirato sorriso, lasciando capire ad André che doveva lavarsi al più presto dai piedi.
-Ebbene?
Incalzò Oscar guardando con occhi da cerbiatto André che tornava da loro sconfitto.
-Non hanno voluto sentire ragioni.
Si scusò abbassando la testa. Oscar aggrottò le sopracciglia. Ma come si permettevano di negarle il suo bagaglio? strinse i pugni e assunse la sua aria combattiva.
-Bene, ci parlo io.
E a passo di marcia si diresse allo sportello 2. Battè le nocche sul vetro e ringhió:
-Se non mi restituite la valigia, giuro che vi denuncio.
Il vigile alzò gli occhi dallo schermo del computer e vedendola sgranò gli occhi come se avesse visto un'apparizione celeste.
-Mi ha sentito? Esigo avere immediatamente la mia valigia. Il maître della Côté Cuisine  ha telefonato una buona mezz'ora fa. Non so con chi ha parlato, ma gli è stato detto che se fossi venuta mi sarebbe stato restituito il bagaglio.
Il vigile però non accennava a mutare la sua espressione inebetita nè a proferire una sola sillaba. Oscar lo fissò con gli occhi che sprizzavano scintille, finché la sua pazienza non resse più.
-Io vi denuncio.
Esalò scandendo con una cattiveria sopraffina ogni parola. L'uomo si alzò dalla propria sedia di scatto e abbozzando un sorriso rammaricato si scusò.
-Mi.. Mi dispiace per la mia diseducazione, mademoiselle, vado immediatamente a parlare con il mio capo.
E sparì con passo rapido dietro uno scaffale zeppo di fascicoli e portfolii dai colori pastello. Tempo cinque minuti e riapparve dalla porta di servizio venendole incontro timidamente con la valigia in mano.
-Prego.
Mormorò arrossendo.
-Mercì.
Rispose lei con rigido distacco, mentre i suoi tre compagni di viaggio la guardavano ammirati.
-Aspetti...
-Mi dica.
-Posso offrirle un caffè?
-No, grazie, devo andare.
Il vigile sporse leggermente il labbro inferiore come un bambino imbronciato e Oscar gli riservò una rapida occhiata disgustata. Cosa credeva di fare? Ahh, gli uomini.
André si avvicinò e cavallerescamente prese sulla propria spalla la valigia della ragazza.
-Ci dica una cosa signor...
Assottigliò lo sguardo e lesse il nome del vigile sulla targhetta che teneva attaccata alla divisa.
-...Girodelle: quale strada devo prendere per imboccare l'autostrada per Parigi?
-Posso accompagnarvi io!
Esclamó quello ritrovando improvvisamente una straordinaria vitalità. Si affondò la mano nella tasca dei calzoni ed estrasse le chiavi della volante facendole penzolare soddisfatto davanti agli occhi della bionda.
-Vi farò strada con le sirene accese, così eviteremo il traffico di quest'ora.
E lanciò un sorriso smagliante in direzione della ragazza sperando che questa ricambiasse. Ma gli occhi di lei erano solo per il morettino che le stava accanto. Così, palesemente deluso, Girodelle fece loro strada nel parcheggio.

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Capitolo 16
*** Di nuovo in carreggiata ***


7 luglio, Lione, Francia. 17:49 Pm. 

Il sole declinava lentamente verso occidente e le strade si popolavano di macchine frenetiche e impazienti. Scortati dalla volante del bizzarro agente della polizia francese, riuscirono a evitare file interminabili di auto in coda ai semafori e agli incroci. Lione prendeva vita con agitazione come un leone che si sveglia e i rombi delle auto parevano il suo possente ruggito.
Alain e Joseph avevano accettato con entusiasmo la proposta di salire sulla volante di Girodelle; Alain mosso dalla curiosità di meccanico e Joseph dalla curiosità di appassionato di fumetti.
Dall'altro lato, Oscar si era accomodata sul sedile dell'Audi del maître con un sospiro di genuina felicità. Non le mancava per niente lo sferragliante maggiolino giallo. La sua gratitudine per l'immensa generosità del maître era a sua volta immensa. Non riusciva a capacitarsi di come si fosse potuto fidare così ciecamente di un gruppo di perfetti sconosciuti e avesse potuto prestare loro una macchina, una signora macchina tra l'altro.
Oscar poteva dirsi soddisfatta dall'improvvisa rotazione della ruota della fortuna e cominciò seriamente a credere che la sorte iniziasse a sorriderle benevola dopo tanti poco simpatici scherzetti.
André dal canto suo non era affatto contento della piega che avevano preso le cose.
Prima di tutto, per quante assicurazioni gli avesse dato Girodelle, l'idea di abbandonare il suo maggiolino in una stazione di polizia lionese gli faceva prudere le dita. Ma soprattuto non gli quadrava bene tutta la faccenda della cortesia estrema di quel maître. Fin da quando erano entrati in quel ristorante e aveva riconosciuto in Oscar la nipote di un suo vecchio amico non era stato troppo convinto della sincerità del tipo.
Inserì la prima e accese il motore dell'elegantissima a4 nera con riluttanza e un certo cattivo presentimento. Avrebbe volentieri aspettato il giorno dopo, quando il suo maggiolino sarebbe stato rilasciato. Più guidava quella berlina, più non si sentiva tranquillo. Ma la biondina in parte a lui si era già troppo affezionata al comodo sedile per volersene separare e così si vide costretto a tentare di fare buon viso a cattivo gioco e accantonare i suoi malsani sospetti. 
Pensa positivo, André.
Tra i tanti lati negativi che la sua mente di natura titubante trovava, riuscì a coglierne uno pallidamente positivo che lo fece sorridere tra sé e sé: era la prima volta che portava una donna su una macchina così lussuosa. Tese i muscoli del braccio con cui teneva il volante e appoggiò l'avambraccio nel vano del finestrino. Doveva ammettere che quel gioiellino si lasciava guidare che era una meraviglia. Filava via liscia come un treno e le ruote seguivano la direzione del volante con una scioltezza straordinaria.
Oscar sembrava calma, o per lo meno serena. Era evidente che fosse abituata a quel genere di macchine e che in mezzo a tanta impeccabilità di ingegneria meccanica e aerodinamica si trovasse davvero a suo agio. La guardò osservandone i lineamenti rilassati. Inaspettatamente lei si girò sfoderando uno spontaneo sorriso. Le sue labbra si aprirono come un sipario su una fila di denti bianchissimi e perfetti, ordinati su gengive curate e rosse come ciliegie. Sembravano candidi semini di fragola.
Un frutto esotico succulento e provocante, quelle labbra.
Il ragazzo riportò lo sguardo sulla strada allargando con un dito il colletto della camicia. Inghiottì un groppo di saliva con fatica, sperando con tutta l'anima che lei non si fosse resa conto di quella sua improvvisa agitazione. Le lanciò un occhiatina rapida e constatò dalla sua apparente indifferenza che, se l'aveva notato, non ci aveva dato troppo peso.
Superarono un manifesto pubblicitario sul 14 luglio raffigurante il famoso quadro di Delacroix La libertà guida il popolo. Oscar lo esaminò con sguardo attento fin che fu a portata del suo sguardo, poi rivolse gli occhi ad André.
-Ho letto tanti libri sulla Rivoluzione Francese.
Cominciò con un tono così sommesso che sembrava stesse parlando da sola.
-È il mio periodo storico preferito.
Concluse rapidamente. André le lanciò un altro sguardo rapido. Sembrava quasi fremere dalla voglia di parlare di quel l'argomento. Le sue mani congiunte in grembo gli diedero l'idea che ella lo pregasse di assecondarla.
-Anche il mio.
Agganciò lui cambiando marcia e dando una leggera spintarella all'acceleratore. Oscar non parve sorprendersi, ma domandò comunque:
-Davvero?
Il ragazzo annuì inumidendosi le labbra.
-Credo che ogni francese che si rispetti apprezzi particolarmente il diciottesimo secolo.
-Mi sono sempre piaciute le storie e le leggende che si riferiscono a quel periodo.
-Concordo.
Lasciò cadere lui con morbidezza. Calò il silenzio. Entrambi si concentrarono a evitare di rivolgersi reciprocamente l'attenzione e quasi contemporaneamente cominciarono ad aver nostalgia della confusione e dell'allegria di Joseph e Alain.
Le luci delle strade si accesero improvvisamente all'unisono mentre il sole, rosso come una ciliegia matura, ormai aveva raggiunto l'orizzonte.
Il solo rumore all'interno della macchina era il tintinnio dato da un gingillo di metallo appeso allo specchietto retrovisore.
Oscar guardò rapidamente l'orologio, senza però notare l'ora. I suoi nervi che inizialmente sembravano aver trovato pace in quella macchina, avevano ricominciato a tendersi quando la mano di lui aveva accidentalmente sfiorato la sua gamba per cambiare marcia. Non vedeva l'ora che i due casinisti tornassero in macchina con loro. Per la prima volta nella sua vita, il silenzio, che di solito le era tanto caro, le sembrava tremendamente fastidioso.
Finalmente raggiunsero l'uscita per l'autostrada e Alain e Joseph, ancora elettrizzati per l'entusiasmante esperienza, si ricongiunsero ad Oscar e André, per il grande sollievo di questi ultimi.
Girodelle scese dalla volante e si affacciò al finestrino di Oscar. I suoi occhi verde-vetro la fissarono con una tristezza da cucciolo appena sgridato.
-Buon viaggio, mademoiselle Jarjayes, cioè, volevo dire, Oscar... E molti auguri...
Mugugnò frettolosamente e con incertezza per poi lanciare un generico e distaccato "arrivederci" a tutti gli altri. Si allontanò dall'Audi con la testa bassa e la seguì con lo sguardo entrare in autostrada e confondersi con le altre automobili che si affollavano verso il casello. Non aveva mai visto una ragazza più bella di Oscar de Jarjayes. Era stato fulminato dal suo sguardo e più lei gli era stata vicina più aveva sentito le sue dita tremare e la gola rinsecchirsi.
Si lasciò sfuggire un sospiro denso di angoscia e risalì in macchina. Non aveva nemmeno messo in moto che la roca voce del suo commissario -resa ancora più rauca e petulante dalla bassa definizione del suono della radio- borbottò una comunicazione urgente alla ricetrasmittente.
-A tutte le unità. È stata avvistata dirigersi verso l'autostrada l'Audi a4 nera di targa **** rubata venerdì scorso. La pattuglia più vicina si volga all'inseguimento. Le telecamere hanno notato un bambino a bordo dell'auto, può essere un ostaggio.

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Capitolo 17
*** Una notte movimentata ***


7 luglio.  Autoroute du Soleil 11:45 Pm.


Bastò un rapido clic sul pulsante "On/Off" della sofisticata autoradio e l'abitacolo dell'auto si riempì della voce squillante e angelica di Whitney Houston. Le note della sua canzone d'amore per eccellenza si librarono soavi e leggere nell'aria e tutti, senza rendersi conto del come e del perché, si ritrovarono a mormorarne il testo tra i denti.
La strada scorreva rapida sotto le robuste ruote dell'auto. Oscar aveva definitivamente assunto un'espressione gentile e rilassata, André aveva riacquisto il suo abituale sorriso malizioso e intrigante, Joseph aveva ritrovato la passione per i propri videogiochi e Alain, beh, Alain aveva perso la lingua. André fu il primo ad accorgersi dell'insolito mutismo dell'amico e lanciandogli un'occhiata dallo specchietto retrovisore confermò i suoi sospetti vedendolo scrutare con sguardo vuoto il paesaggio notturno fuori dal finestrino. Alain era triste. Il moro staccò una mano dal volante e cambiò marcia dando una spinta dinamica a quel gioiellino.
-Hai sonno Alain?
Chiese simulando disinteresse. Oscar scattante si voltò verso i sedili posteriori a constatare la veridicità del dubbio di André e Alain si riscosse ricambiando il suo sguardo curioso e cristallino con un'occhiata intimorita e spaesata. Oscar gli sorrise, ma si rivolse ad André:
-Secondo me un po' sì.
Alain immerse il suo sguardo in quello infinito e inebriante di lei e qualsiasi parola gli morì in gola. Che strano effetto aveva iniziato a fare su di lui quella donna. Per la prima volta nella sua vita si sentiva attratto fatalmente verso una ragazza al di sotto della terza. Forse la sua straordinaria bellezza stava nella sua aggressività, o forse nel modo in cui camminava, o forse nei suoi occhi color cielo.
Spezzó bruscamente quello scambio di sguardi e tornò ad ammirare le luci scintillanti di chissà quale paese all'orizzonte nella campagna francese.
Aveva fatto una promessa ad André. Il giorno in cui lui, lei e quel biondo bambino erano apparsi all'ingresso della sua officina; quando André con i suoi ammalianti occhi da lince, gli stessi occhi che, quando erano giovani studenti, scioglievano il cuore di tutte le ragazze dell'università e persino ai professori, era venuto a chiedergli un piccolo, sciocco favore:
"Fingi di non avere i pezzi di ricambio, Alain, ti prego. Questa ragazza ha qualcosa di straordinariamente attraente, non capisco cosa, ma so che non voglio nemmeno pensare di doverle dire addio tanto presto."
Come poteva dire di no al suo migliore amico ritrovato? 
Ah, accidenti a lui e alla sua maledetta capacità di persuasione. Se gli avesse detto di no, non si sarebbe ritrovato lì in quel momento a tentare di evitare ogni contatto con quella bionda, a far finta di non vedere che quando Oscar non guardava André la fissava e vice versa.
No, lo sbaglio era stato accettare l'invito al matrimonio. Avrebbe dovuto vedere Oscar sposata e André in pena, e sopportare tutto dimostrando la più totale apatia.
Appoggiò la fronte al finestrino e si lasciò sfuggire un sospiro che appannò leggermente il vetro.
Era innamorato. Si, decisamente innamorato. Non sarebbe stato capace di spiegare quel suo strano stato d'animo altrimenti. Non era mai stato davvero innamorato, quindi non ne poteva essere sicuro, eppure qualcosa gli faceva credere che quella fosse la volta buona. Peccato che la destinataria del suo sentimento avrebbe indossato la fede al dito di lì a pochi giorni ed inoltre era evidente che tra lei e André ci fosse del tenero. Insomma, non aveva speranze: anche se lei avesse rinunciato al suo matrimonio, l'avrebbe fatto per quel moro belloccio e carismatico e non certo per il rozzo macchinista francese.
Accidenti a Cupido!

Avevano appena superato Chalon-sur-Saone e procedevano ad una rispettabile velocità di 112 km/h verso Beaune sulla Route de Soleil. Il pensiero comune era "Domani saremo a Parigi", tuttavia nessuno guardava tanto felicemente a quella prospettiva.
Joseph si era addormentato da cinque minuti e Alain gli aveva rubato dalle mani il videogioco con la speranza di distrarre la sua mente. Oscar aveva trovato sotto il cruscotto una serie bel fornita di CD di musica rock e per la sua gioia aveva notato che due di essi erano dei suoi idoli. Allora non aveva perso tempo e, dopo aver bruscamente interrotto una delle ultime canzoni del CD di Whitney Huston, inserì il CD dei Rolling Stones che ritenne contenesse le canzoni migliori. Si irritò visibilmente quando si trovò costretta ad abbassare il volume per non disturbare Joseph quando il bambino prese il sonno.
Procedettero ancora. L'autostrada diventava sempre meno frequentata e gli autogrill e i rari motel raccoglievano nei parcheggi tutte le macchine dei viaggiatori.
-Hai bisogno di riposare, André?
Chiese premurosamente lei.
-No, grazie.
-Se vuoi posso guidare io.
A questa affermazione André scoppiò in una sonora risata.
-Non ho intenzione di farti rovinare anche questa macchina. Devo forse ricordati cosa è successo alla mia bambina quando ti ho permesso di guidarla?
-Ehi, volevo solo essere gentile.
-Beh, grazie del tentativo, ma sappi che sono perfettamente abituato alla vita notturna. Sono un gufo. Vivo di notte, anche e soprattutto perché la caccia è più fruttuosa.
Oscar decise con un sospiro seccato di non far caso all'allusione di quello sgarbato e tornò a concentrarsi sulle note di Start me up. Nel frattempo Alain sogghignò: era incredibile come apparentemente sembrassero ostili come cane e gatto.
D'improvviso un lampo rosso e azzurro incominciò a balenare con intermittenza sugli specchietti retrovisori accompagnato dal sonoro suono di una sirena. André battè un pugno sul volante.
-Che cazzo vogliono adesso questi? Non ho superato nessun limite.
Ringhiò accostando.
-Vous êtes en état d'arrestation!
Gridó un poliziotto aprendo con impeto lo sportello del guidatore e prendendo Andrè per il colletto della camicia per trascinarlo fuori. Alain, Oscar e Joseph -svegliatosi per l'improvviso trambusto- si fiondarono fuori dalla macchina mentre il poliziotto teneva fermo André contro l'auto con le mani dietro la schiena. Un altra coppia di poliziotti sopraggiunse e riservò lo stesso trattamento ad Alain.
-Ma che succede?
Urló Oscar, ma nessuno le prestó troppo ascolto.
Alain e André si dimenavano sconvolti e furiosi cercando di tener testa a quegli energumeni in divisa. Oscar chiese disperatamente a Joseph di tradurle quello che stavano dicendo, anzi, sbraitando e il bambino, non meno sconcertato di lei, le disse che i poliziotti volevano portare Alain e André in prigione perché credevano che avessero rubato la macchina.
-Ma è assurdo! Agente! Non abbiamo rubato la macchina, ci è stata prestata! Dev'esserci un enorme malinteso!
Uno dei poliziotti si girò verso di lei e appoggiandole le mani sulle spalle disse:
-Ne vous inquiétez pas. Maintenant vous êtes sauvé.
-Cosa ha detto?
Chiese rapidamente Oscar a Joseph.
-Ha detto che non dobbiamo preoccuparci e che ora siamo salvi.
-Senta, noi non siamo mai stati in pericolo e i due che avete preso non sono ladri.
Evidentemente l'uomo non capiva l'inglese perché la guardò stranito.
È incredibile, tutti parlano inglese al giorno d'oggi!
Pensò Oscar sollevando gli occhi al cielo..
I poliziotti infilarono a forza André e Alain in una delle loro due macchine e poi fecero salire Oscar e Joseph sull'altra. Joseph se ne stava intimorito e tremante attaccato come una cozza ai jeans si Oscar che cercava in tutti i modi di far capire a quei francesi poco svegli che loro due non erano ostaggi e che i presunti ladri di automobili erano i loro innocentissimi compagni.
Arrivarono alla questura di Beaune all'una e cinque. L'atmosfera era quieta e piuttosto inospitale e le luci al neon e le pareti verdastre rendevano il tutto ancora più malinconico. Andrè e Alain furono portati in cella, mentre Oscar e Joseph furono portati dal capo della polizia, un tale Dagout.
Il commissario se ne stava spaparazzato sulla sua poltrona di pelle girevole e aveva tutta l'aria di chi era stato appena svegliato dopo un bel pisolino.
-Signor Dagout, spero lei capisca l'inglese, perché io non parlo francese e il bambino è troppo spaventato per farmi da interprete.
-Non si preoccupi. Parlo discretamente bene l'inglese. Sedete.
Oscar tirò un gran sospiro di sollievo e intimó Joseph a staccarsi dai suoi jeans.
-Ebbene, dichiarate di essere stati obbligati da quei due uomini a salire sull'auto contro la vostra volontà?
Chiese con il tono canzonante di chi ripete la stessa frase di routine.
-No.
Fu la secca risposta della bionda.
-Prego?
Domandó il commissario massaggiandosi la fronte.
-Mi ha capito. Non siamo ostaggi. Il signor Grandier e il signor Soissons sono stati ingiustamente accusati.
-Mi fornisca il suo nome, signorina, per favore.
La interruppe Dagout soffiando con naso con fare seccato.
-Oscar Francois de Jarjayes.
L'uomo la guardò di sottecchi ma non fece commenti.
-Il bambino?
-Joseph...
-Joseph?
-Non conosco il suo cognome.
-Splendido. Signorina, mi stava dicendo che non siete stati costretti con la forza a salire sull'Audi.
-Esattamente.
-Devo dedurre che siate loro complici.
-Signor Dagout!
Sbottò Oscar aggrappandosi con le unghie ai poggiabraccia della sedia.
-Il 14 luglio mi sposo a Parigi. Sarei dovuta partire dieci giorni fa dall'America, ma per il ritardo di consegna dell'abito da sposa ho dovuto rinviare la partenza per Parigi, peró a causa del maltempo sono atterrata a Marsiglia esattamente tre giorni fa. Ho viaggiato con questo bambino e suo zio, André Grandier, su un maggiolino giallo per le strette e sterrate stradine della campagna francese, abbiamo fatto tappa ad Avignone, una volta ripartiti ci siamo persi e io ho smarrito il mio cellulare con il navigatore integrato, così abbiamo chiesto indicazioni in un agriturismo dove abbiamo pernottato; siamo ripartiti, ma, lo ammetto, per colpa mia la macchina ha subito un guasto e ci siamo fermati nell'officina del signor Soissans; casualmente il signor Grandier ha riconosciuto nel signor Soissans un vecchio amico, così siamo usciti la sera insieme e io mi sono ubriacata, siamo ripartiti il giorno dopo, siamo arrivati a Lione, il maître d'hotel della Cotè Cuisine ha dichiarato di aver conosciuto mio nonno (perchè io ho origini francesi), poi siamo andati in giro per la città e, quando siamo tornati al parcheggio, il maggiolino era stato portato via dai vigili che hanno dichiarato di non potercelo restituire che il giorno seguente, così il maître d'hotel ci ha prestato la sua macchina, ma io mi sono accorta che la mia valigia-con il mio vestito da sposa- era nel bagagliaio del maggiolino, quindi siamo andati alla centrale per farci ridare la valigia, l'agente Girodelle si è preso una cotta per me e dopo avermi restituito la valigia ci ha accompagnati all'entrata dell'autostrada. È sufficiente il resoconto?
Dichiarò Oscar tutto d'un fiato. Il commissario sembrò quasi spaventato dalla furia con cui quella ragazza aveva dato rapporto dei fatti. Rimase senza parole per alcuni istanti, poi agguantò il telefono e vi borbottò dentro poche e concise frasi in francese che sapevano di ordini indiscutibili. Poi riportò l'attenzione su Oscar.
-Può provare tutto questo?
-Naturalmente, chiami pure a Parigi il signor Hans Axel von Fersen, o il proprietario dell'agriturismo in cui ci siamo fermati, o la compagnia aerea con cui ho viaggiato o ancora il signor Victor Girodelle della polizia di Lione, confermeranno la mia storia. 
-Cosa mi dice che queste persone non siano suoi complici e la sua storia una ben costruita menzogna?
-Mi sta accusando di aver rubato l'auto?
-Non sto accusando nessuno.
Sbuffò il commissario protendendo i palmi aperti davanti a sé. 
-Sto solo dicendo che ho bisogno di prove.
-Ebbene,
Attaccó lei frugando nella propria borsa.
-Eccole il biglietto dell'aereo. Vede? La destinazione è Parigi, ma ahimè l'aereo è stato deviato per Marsiglia, per il brutto tempo, come le ho detto. Poi, 
Continuò aprendo la valigia.
-Qua dentro c'é il mio costoso vestito da sposa, consegnatomi, come posso farle vedere sul cartellino, in ritardo rispetto alla data stabilita.
-Molto bene, signora. È in stato di fermo.
-Come?
Gracchiò lei con voce roca per la sorpresa. Dagout premette un pulsante blu accanto al telefono e in pochi minuti entrarono dalla porta due agenti dall'aria assonnata.
-Interrogheremo i due presunti ladri e vedremo se confermeranno la sua versione. Se ha detto la verità, non ha nulla da temere. Buonanotte.
Concluse l'uomo con un sorriso beffardo.





Quando tutto sembrava andar finalmente bene, ecco che la sfortuna fa nuovamente capolino. Un bel grattacapo quest'ultimo. Ma come diceva il Candido di Voltaire "Tutto è predisposto per il meglio". Buonanotte, cari lettori.

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Capitolo 18
*** L'alba di un nuovo giorno ***


8 luglio, Questura di Beaune, 4:03 am

Oscar e Joseph erano rimasti seduti in silenzio in una sorta di sala d'attesa sigillata grigia e squallida per più di mezz'ora. Poi Dagout e i due poliziotti che li avevano condotti in questura erano entrati nella stanza come delle apparizioni sovrannaturali avvolti nelle soffuse nuvole di fumo delle loro sigarette.
-Abbiamo appena finito di interrogare i vostri due amici.
Incalzò con noncuranza il commissario tra un'aspirata e l'altra.
-Pare che le versioni coincidano. Quei due sono innocenti.
Concluse rapidamente sbuffando fumo dalle narici.
-Grazie al Cielo, quindi ci lascerete andare.
-No, non esattamente.
Continuò il commissario avvicinandosi ad Oscar.
-Mentre interrogavo i sospettati, Edmond...
Ed indicò con un cenno del capo il poliziotto alla sua sinistra.
-...ha fatto delle ricerche e ha scoperto un paio di cose molto interessanti riguardo la sua famiglia, signorina.
Oscar si alzò in piedi e lo guardò con ferocia. Cosa centrava ora la sua famiglia? Per quale insensato motivo quel insulso commissario di vecchio stampo tirava in ballo la sua famiglia?
-Si sieda, la prego.
Le consigliò con falsa condiscendenza Dagout.
-Suo nonno, Antoine de Jarjayes, faceva parte di una -comment dites-vous?- gang (?)... Oui, una gang di malavita.
Oscar aggrottò le sopracciglia.
-Fin tanto che gli affari sono andati bene se l'è spassata, poi quando ha capito che la polizia gli era alle calcagna, ha mollato tutto ed è fuggito in America facendo perdere le sue tracce.
Oscar lo fissò per diversi minuti negli occhi attraverso le sottili lenti dei suoi occhiali poi cominciò a ridere.
-Mio Dio, non credevo che i francesi fossero così spiritosi.
Il commissario si portò la sigaretta alle labbra e aspirò con piglio nervoso ed esausto. 
-Non è uno scherzo. Abbiamo delle prove che confermano tutto ciò, signorina. Antoine de Jarjayes era un malavitoso, è innegabile. Tuttavia le leggi tutelano i suoi parenti e le sue proprietà, anche se sono state estorte. Era giusto che lei lo sapesse, ma non si preoccupi, la notizia non verrà diffusa, non interessa più di tanto dato che la persona in questione è morta. Non deve temere per la reputazione della sua famiglia.
Oscar si risedette con una mano sul petto. Suo nonno un gangster ricercato e spietato? Non riusciva a crederci. Si figurava davanti agli occhi la faccia simpatica e spiritosa di suo nonno seduto dietro la cassa della sua amata orologeria a dare la carica ad un vecchio cucù del 1800. Non poteva essere stato un mafioso, era impossibile.
-In ogni caso,
Continuò impassibile il commissario.
-Lei ci ha detto che il maître d'hotel della Côte Cuisine di Lion ha dichiarato di aver conosciuto suo nonno, giusto?
Oscar annuì lentamente.
-Allora è lui che vi ha incastrati. Ma è stata una mossa poco saggia.
Ringhiò infine battendosi un pugno sul palmo della mano.
-Dovrà farci un identikit di quell'uomo, mademoiselle.


L'identikit fu una pratica lunga e noiosa. Il commissario scrutava dall'alto della sua considerevole altezza i lenti progressi con aria severa e insofferente ed Oscar, seduta scomodamente davanti al computer, si sforzava di ricordare più nitidamente possibile i tratti del maître in modo da concludere al più presto quel supplizio. Il poliziotto Edmond le mostrava con pazienza inverosimile sullo schermo del computer tutte le possibilità di volti ed espressioni immaginabili ed infine giunsero molto vicini alla soluzione.
-Gli assomiglia parecchio ora, mi sembra.
Osservò Oscar voltandosi verso il commissario Dagout. Egli assottigliò gli occhi per osservare quella figura sullo schermo e la fece mandare in stampa. Quando ebbe il foglio di carta tra le mani analizzò meglio il volto stampatovi sopra.
-Potrebbe essere Pierre Lumiere... Un po' più vecchio e un po' più magro.
Commentò come se parlasse tra sé. Poi ordinó qualcosa in francese ad Edmond che si mise subito a smanettare con la tastiera del computer.
-Ora vi porto dai vostri compagni.
Mugugnò spegnendo la sigaretta in un posacenere di ceramica.

Alain e André avevano subito un'ora di prigionia e un'altra ora di interrogatorio, dopo di ché erano stati sbattuti in un grande ufficio con ampie finestre, illuminato da una luce al neon intermittente che stava per fargli venire mal di testa. Improvvisamente un poliziotto era entrato insieme a Joseph e aveva bruscamente spedito il bambino tra le braccia dello zio. Da Joseph avevano appreso dove si trovava Oscar, ma ottenuto solo poche informazioni chiare di quanto stava accendendo.
Non rimaneva che aspettare che qualcuno si facesse vivo. 
Andrè si prese la testa tra le mani e si scompigliò animosamente i capelli. Era così nervoso ed irritato che avrebbe voluto strapparsi manciate di ciocche o spaccare qualche cosa. Era un istinto che aveva sempre avuto. Gli avevano detto che era nell'indole maschile, ma lui credeva che fosse un suo problema patologico. Quando era arrabbiato, era propenso alla distruzione e in casi estremi perfino all'autolesionismo. Esempio eccellente era il ricordo della triste fine del cellulare di Oscar.
Battè un pugno sulla sedia di metallo su cui era seduto così forte da sbucciarsi le nocche, ma non si curò del dolore, i suoi nervi erano troppo tesi.
Alain, tentando di pensare a qualcosa che non fosse Oscar o la loro attuale spiacevole situazione, tentava con un forzato sorriso di riportare alla memoria dell'amico i bei vecchi tempi cercando di coinvolgere anche Joseph nella conversazione, ma André era di scarse parole. Così Alain decise di zittirsi.
André poteva essere la persona più buona, controllata e disponibile sulla faccia della Terra, ma quando si scaldava diventava intrattabile ed era meglio lasciarlo cuocere nel suo brodo e non stuzzicarlo.
Finalmente, ad un'ora imprecisata tra le cinque e le sei, quando alcuni raggi di sole cominciavano a far impallidire il cielo, Oscar e il commissario Dagout fecero il loro ingresso nell'ufficio e annunciarono che erano liberi di andare.
André si sentì subito inspiegabilmente meglio appena vide Oscar: la sua sola presenza lo aveva toccato beneficamente.
-Ho telefonato al distretto di polizia di Lione e mi sono fatto assicurare che qualche agente conduca fin qui la macchina del signor Grandier. Vi abbiamo trattenuto abbastanza.
Comunicò con tono stranamente gentile Dagout, chiudendo la frase con un sorriso.
-Mademoielle, i miei più sentiti auguri per il suo matrimonio.
-La ringrazio, commissario.
Mentre i quattro uscivano in fila indiana, l'uomo si portò una nuova sigaretta alle labbra e dopo averla accesa richiamò la loro attenzione con un colpo di tosse.
-Qui vicino c'è un bar, potete fermarvi lì ad aspettare il vostro veicolo.
-Mercì.
Rispose André stirando le labbra in un pallido sorriso di cortesia.


Il bar era piccolo e scomodo. Ricordava vagamente le tavole calde nei film americani degli anni settanta. Le finestre che davano su una piazzola spoglia erano sudicie e impolverate e i tavolini tutti rigati. Ognuno ordinò un paio di caffè a testa, mentre Joseph si accontentò di un succo d'arancia e una brioche alla crema. Si scambiarono qualche raro sguardo spento tra di loro, poi ognuno si concentrò sulla propria bevanda.
Oscar girava lentamente il cucchiaino nel caffè riflettendo su ciò che le avevano rivelato quella notte. Suo nonno era davvero stato un gangster? Pensandoci bene effettivamente non aveva mai saputo come la sua famiglia potesse essere diventata così ricca solo grazie ad un'orologeria, ma non aveva nemmeno mai avuto voglia di indagare a riguardo. Aveva immaginato che i nonni avessero messo da parte un gruzzolo di risparmi o che avessero ereditato tanto denaro da qualche lontano parente. Di certo non immaginava che erano arrivati in America già ricchi. Illegalmente ricchi.
Sollevò istintivamente gli occhi su André che le stava di fronte e si ritrovò i suoi occhi verdi addosso. Entrambi deviarono lo sguardo immediatamente.
Hans sarà preoccupato.
Fu la prima cosa che le venne in mente. Eppure non sentiva più la necessità di telefonargli. Ormai stava accettando il bizzarro gioco dell'oca in cui il destino l'aveva lanciata come pedina e non sapeva cosa aspettarsi. Sarebbe arrivata a Parigi quel giorno o sarebbe successo qualcos'altro? Optò per la seconda, con un amaro sorriso sulle labbra. Tuttavia rise nella mente, constatando che quel viaggio così infinito e ricco di sorprese sarebbe stato un'interessante storia da raccontare a tavola agli amici.

Giunsero alla fine del secondo caffè e le loro membra stanche cominciarono a rianimarsi.
-Quanto manca a Parigi?
Domandò Oscar appoggiando i gomiti sul tavolo. Fu una pugnalata in pieno petto sia per André che per Alain, che per qualche ora erano riusciti a dimenticarlo.
-Trecento chilometri, metro più metro meno.
Rispose André dopo aver consultato attentamente la cartina.
-Dovremmo essere lì in poco più di quattro ore.
Concluse rapidamente. Oscar annuì, convinta pessimisticamente che la previsione non si sarebbe avverata.
D'un tratto un tipo sui trent'anni, piuttosto alto, con i capelli scuri e la barba incolta si fermò davanti al loro tavolo. Aveva l'aria da disperato e gli occhi rossi come un drogato.
-Tutto bene?
Azzardò Alain squadrandolo.
-Je suis désolé...
Cominciò con aria titubante.
-Je vous ai vu sortir de la station de police...
-Cosa sta dicendo?
Chiese Oscar ad Andrè in un bisbiglio.
-Oh, americani?
Si intromise l'uomo sentendo Oscar.
-Solo io, e non capisco il francese.
Rispose lei.
-Ah... beh, dicevo che vi ho visti uscire dalla questura poco fa... Vedete, io sono un giornalista...
E tirò fuori dal portafogli una tessera che lo riconosceva come tale.
-...e ho un disperato bisogno di notizie. Qualsiasi genere di notizia, di cronaca, possibilmente. Il mio nome è Bernard Charlet... Mi trovavo da queste parti e ho pensato che di solito quando trattengono in questura qualcuno di notte è per un buon motivo (dato che solitamente preferiscono starsene sulla loro poltrona a sonnecchiare). Vi sembrerò invadente, ma vi posso chiedere se è successo qualcosa di rilevante? Non importa se non si tratta di qualcosa di grosso, mi andrebbe bene anche un furto di bicicletta.
Aveva lo stesso tono supplichevole che si può attribuire ad un uomo che dopo giorni nel deserto trova sulla sua via una carovana di mercanti molto probabilmente forniti di acqua. Oscar, André, Alain e Joseph si scambiarono degli sguardi sorpresi e straniti.
-Beh, non abbiamo nulla da nascondere.
Commentò Oscar verso i compagni sollevando le spalle. 
Bernard si sedette accanto ad Alain con un sorriso riconoscente, sfoderando ad una velocità inverosimile un taccuino e una biro dalla tasca dei pantaloni.
-Ebbene?
Domandò smanioso.
Oscar cominciò a raccontare, dopo di ché si aggiunsero André e Alain ed infine Joseph. Il giornalista prendeva appunto di tutto ciò che gli sembrava degno di essere annotato, mormorando brevi commenti in francese del tipo: "Magnifique", "Interessant".
Quando il racconto si concluse, sollevò gli occhi soddisfatto.
-Verrà un bell'articolo e vi prometto che non verrete nemmeno menzionati, così manterrete la privacy.
Oscar si era ben guardata dal riferire qualcosa su suo nonno. Conosceva l'animo logorroico e infido dei giornalisti e non ci teneva a far sapere quella storia a tutta la Francia. Non le importava più di tanto se il suo nome fosse comparso su un giornale cittadino, ma preferì sapere che non ci sarebbe stato.
Sorrise a Bernard e, sentendo che in qualche modo gli avevano salvato la carriera, gli offrì un caffè.

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Capitolo 19
*** Tappa a Beaune ***


8 luglio, Beaune. 10:43 am


Bernard sembrava qualsiasi cosa tranne che un giornalista. Addentando voracemente un croissant aveva raccontato tutta la sua poco brillante carriera fin dagli esordi, ricordandosi di specificare frequentemente quanto la sua natura di persona onesta e leale avesse gravato sul suo mestiere.
-Bisogna essere degli insensibili senza principi e senza scrupoli per fare i giornalisti.
Affermò scolando l'ultimo sorso di caffè.
Il solo motivo per cui non era stato ancora buttato in strada era che il suo direttore era un uomo profondamente devoto ai sacri principi della Rivoluzione, affermò Bernard convinto, ma Oscar sospettò che il direttore non lo avesse licenziato per pura pietà.
-Per quanto sia una persona magnifica e generosa,
Continuò Bernard.
-mi ha dato un ultimatum. E così eccomi qui ad aggirarmi come un vagabondo affamato di notizie intorno alla questura e alle prigioni.
Lasciò cadere sospirando appassionatamente.
-Ma la verità è che in questa stupida cittadina ci sono troppi giornalisti e troppi pochi fatti. Così che gli altri, essendo dei furbastri ingannatori, riescono a beccare prima di me le notizie migliori.
Tra un caffè e una brioches, Bernard era riuscito rapidamente a buttare giù una bozza dell'articolo sul suo taccuino. Senza menzionare nessuno dei coinvolti, aveva dato forma ad una storiella niente male, di cui però non sembrava andare molto soddisfatto. Con un sorriso aspro sulle labbra chiuse il taccuino e sospiró con aria demoralizzata.
-Appena ci consegnano la macchina, dovremmo trovare un posto in cui riposare, è stata una lunga notte.
Mormorò Alain passandosi una mano tra i capelli arruffati. Tutti concordarono con un ondeggiante gesto del capo, Bernard invece parve illuminarsi.
-Vi posso ospitare a casa mia, non credo che trovereste alberghi che vi diano una camera durante la giornata.
Oscar si dondolò sulla sedia aspettando che qualcun altro rispondesse per lei. I suoi due compagni di viaggio (escluso Joseph, si intende) titubarono, ingurgitarono e si guardarono tra di loro nervosamente. La ragazza aveva cominciato ad avere l'impressione che quei due non avessero davvero intenzione di portarla a Parigi tanto presto.
-Accettiamo volentieri.
Sbottò all'improvviso lei sorridendo riconoscente a Bernard.
-Splendido, splendido!
Passarono cinque minuti di teso silenzio, poi André diede per caso uno sguardo disinteressato fuori dalla vetrata sul piazzale e notò l'arrivo di un carro attrezzi.
-Il mio maggiolino!
Proruppe scattando in piedi appena il carro attrezzi fu abbastanza vicino, pronto ad andare in contro alla sua adorata macchina. Tutto il gruppo si mosse simultaneamente con lui fuori dal locale.
-Oh che sorpresa...
Ringhiò Oscar sarcastica tra i denti vedendo comparire niente di meno che Girodelle in persona. Questi, d'altro canto, sorrise così tanto che tutti i muscoli della sua faccia contrassero al limite del possibile, rendendo il suo viso vagamente simile alla statua di un mascherone su una fintana che Oscar aveva visto a Lione o forse a Avignone. Per questa ragione quasi non scoppiò a ridergli in faccia, ma il suo ferreo autocontrollo fortunatamente glielo impedì.
-I colleghi mi hanno informato di tutto.
Esordì Girodelle senza smettere di sorridere ampliamente.
Gli verrà una paralisi.
Pensò Oscar tra il preoccupato e l'ironico.
Un paio di firme su una serie di noiose scartoffie burocratiche e la macchina tornò in loro possesso.
-Il mio piccolo amoruccio...
Sussurrò languido André accarezzando i piccoli specchietti retrovisori.
-Ok, ora facciamo rotta per casa mia.
Cinguettò Bernard danzando, letteralmente, verso lo sportello anteriore di destra e accomodandosi senza troppi complimenti all'interno dell'auto.
-Un tipetto decisamente dingue! O come dite voi, svitato.
Commentò Alain dando una gomitata amichevole ad Oscar che stirò le labbra un aspro sorriso.
Ancora una volta il povero Girodelle dovette guardare la bionda più affascinante che avesse mai incontrato sfuggirgli dalle mani e dileguarsi in macchina. Ma non riusciva a sopportare che quello fosse un addio...


Il viaggio fu, effettivamente parlando, breve, ma a nessuno, tranne probabilmente all'entusiastissimo Bernard, parve tale. Furono una manciata di chilometri tremendamente sofferti: Oscar si era ritrovata tra Alain e Joseph, schiacciata come una sardina in scatola, per non dover aggiungere che odiava stare seduta dietro. Alain e Joseph si erano invece ritrovati schiacciati contro i finestrini, che per giunta si erano inceppati cosicché i tre soffrirono un caldo inimmaginabile. André, invece, dovette sopportare la cantilenante voce di Bernard che gli spiegava come raggiungere il suo appartamento.
Finalmente apparve la meta e tutti poterono tirare un sospiro di sollievo.

Oscar trascinò sbuffando la propria valigia per quattro piani di impervie e anguste scale, sorprendendosi di come la galanteria non fosse più in uso. 
Rimpiango l'etichetta del 1700.
Pensò lanciando occhiatacce bieche verso i suoi baldanzosi compagni di viaggio che avevano tranquillamente raggiunto l'ultimo piano senza preoccuparsi troppo di lei.
"Grazie, grazie tante" sembrava dire il suo sguardo furente quando dopo tanta fatica li raggiunse. Solo allora André, sorridendo con quel suo modo di fare sfacciato e misterioso, le prese la valigia e la portò dentro, lasciando la bionda in muta contemplazione delle sue spalle che varcavano la soglia.
A volte, pensava Oscar, André sembrava davvero che si divertisse a prendersi gioco di lei.
Entrò anche lei. Ebbene, era il tipico appartamento dello squattrinato medio: pochi mobili, probabilmente di seconda mano, poche finestre, pavimenti consumati, pareti macchiate dall'umidità e assoluta assenza di gusto negli arredamenti. Oscar storse la bocca, essendo nel campo del design, ma non si pronunciò, il suo pensiero si era fissato su una sola cosa: dormire almeno un paio d'ore.
Bernard allargò le braccia con un sospiro sonoro:
-Benvenuti nella mia tana, so bene che non è niente di speciale e vi chiedo di non far caso al disordine.
André fece oscillare la mano facendogli capire che non doveva preoccuparsi per quello e appoggiò nell'ingresso la valigia di Oscar.
-Il tuo abito da sposa pesa come un blocco di marmo. Mi chiedo come tu sia riuscita a portare questa valigia da sola su per le scale.
Commentò passandosi una mano tra i capelli. Oscar lo guardò e sentì la pelle d'oca, ma lo interpretò come una reazione alla sua naturale repulsione al sarcasmo.
Ad Alain fu assegnato il divano, a Joseph il divanetto piccolo, ad André la poltrona allungabile e ad Oscar il letto (allora la galanteria in parte esiste ancora!).
-Là c'è il bagno...
Disse Bernard indicando una porta bianca in fondo ad un piccolo corridoio
-Sogni d'oro, amici.
Concluse rinchiudendosi in cucina a guardare una partita di campionato.
Furono sicuramente sogni d'oro per Oscar. Non fece fatica a prendere sonno-era a dir poco esausta- e dormi così profondamente che il sogno le parve assolutamente reale.

Il soffitto della chiesa aveva un'altezza smisurata, quasi non se ne vedeva la fine. Oscar percorreva la navata principale quasi correndo, abbagliata dalla luce colorata che proveniva dalle enormi vetrate sparse tutt'attorno, sorprendendosi oltremodo che non ci fosse nessuno. I fiori rosa che ornavano i banchi erano stati spezzati e giacevano a terra calpestati e malridotti. Oscar aveva l'oppressiva sensazione che chiunque fosse stato lì se ne fosse andato da tanto, tanto tempo. Era in ritardo, lo sapeva, ma non credeva che tutti se ne fossero già andati. Si sentiva tremendamente sola e abbandonata.
Ma forse non era troppo tardi. Il suo obbiettivo era l'altare, forse Hans non se n'era ancora andato, forse la stava aspettando disperatamente. E infatti lo vide: era di spalle, in smoking nero, con i capelli biondo cenere pettinati all'indietro come piaceva a lei. Ritto e immobile pareva una statua. Il contorno della sua figura snella si distingueva a mala pena per l'atmosfera offuscata d'incenso e di luce. 
-Sto arrivando!
Esclamò udendo la propria voce ripetuta infinite volte in un'eco sinistra e mistica. Hans non si voltò, né diede segni di vita.
Sto arrivando, sto arrivando. Ripeteva l'eco. Ma la navata era sconfinata e Oscar sentiva che le forze la abbandonavano. Lacrime calde cominciarono a scenderle da sole sulle guance mentre si avvicinava all'altare. Hans non udiva la sua voce disperata, lei lo sentiva distante anche se lo stava ormai raggiungendo. Era terribilmente distante da lei, dal suo cuore.
Sto arrivando.
Hans, non te ne andare.
C'era quasi, lo stava raggiungendo, ancora pochi passi... Improvvisamente quella figura silenziosa e immobile si voltò verso di lei.
-Sei arrivata giusto in tempo per il bacio alla sposa.
-André! Dov'è Hans?
-Se n'é andato insieme a tutti gli altri, ma non ti preoccupare, ci sono io con te.
In quell'istante Oscar provò un misto di felicità, spensieratezza ed entusiasmo travolgente. Prese il collo di André tra le mani, accarezzandogli la mascella ben delineata con i pollici.
-Posso baciare la sposa?
Chiese lui con quella sua voce morbida e avvolgente.


Poi Oscar udì lo squillo dirompente di un cellulare e il suo sogno si dissolse come fumo. André non era più davanti a lei, non erano più soli e insieme nella grande chiesa infestata di luce.
Bernard piombò nella camera balbettando una serie di scuse per aver dimenticato il cellulare acceso.
-Torna pure a dormire, Oscar.
Ma non sarebbe stato più così facile. 

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Capitolo 20
*** Vino dolce ***


9 luglio. Tangenziale, appena fuori da Beaune, direzione Parigi. 9:43 am


Avevano deciso abbastanza unanimemente di ripartire da Beaune il 9 luglio. Il giorno prima, malgrado una dormita che era durata gran parte della giornata, si erano resi conto che erano ancora troppo stanchi per riprendere quel viaggio estenuante.
Oscar era rimasta a dir poco scioccata di fronte allo smascheramento della reale e subdola identità del proprio adorato avo. Si era ripetuta più volte che doveva essere un malinteso, ma pur rovistando freneticamente nei suoi ricordi d'infanzia non era riuscita a trovare una prova a sostegno della sua tesi. Sicuramente, tuttavia, l'assurdo e irreale sogno che le aveva tormentato il sonno, l'aveva aiutata a concentrarsi più che altro sul problema "Matrimonio" e sul problema "André". Non ne sapeva molto di psicologia ma aveva letto alcuni libri che spiegavano ai principianti la complessa natura dei sogni e, per quanto alcune teorie fossero un po' incredibili e vagamente mistiche, tutti concordavano sulla massima freudiana che i sogni svelassero gli enigmi del subconscio.
Ebbene, subconscio, cosa vuoi dirmi con questo?
Punto primo. Sapeva perfettamente di essere in enorme ritardo sulla tabella di marcia, ma non se ne preoccupava più di tanto ormai, aveva imparato negli ultimi giorni a confidare in Hans, che in verità era la sua unica speranza. In fondo era un ragazzo pratico e amante della precisione come lei. A quell'ora aveva sicuramente già predisposto ogni cosa al meglio e organizzato cerimonia e ricevimento senza tralasciare alcun dettaglio.
Ma non era esattamente quello il punto dolente.
Ecco il punto secondo. Oscar sapeva che nel suo sogno non ci sarebbe dovuto essere Andrè.. Sull'altare.. Al posto di Hans. 
E le sue parole? Le ripeté nella mente mordendosi le labbra. Poi arrossì e abbassò il viso quasi come se si vergognasse dei propri pensieri.
Se solo il cellulare di Bernard non avesse interrotto...
Cosa? Interrotto cosa? Avanti, Oscar, ammettilo. Hai sognato di essere in procinto di baciare André.
Le sue mani avevano davvero sfiorato le sue mascelle, o almeno così le era parso. Talmente realistico, talmente intenso che le era parso di poter davvero sentirne il calore sulla pelle.
Era solo un maledetto sogno, certo. Ah, perchè rimuginarci sopra così tanto? Tutta colpa di stanchezza, esasperazione, impazienza, stress, e chi più ne ha più ne metta. Tutte scuse, naturalmente, e il suo maliozioso subconscio lo sapeva e la minacciava di rivelarle ancora una volta quella verità amara che non riusciva ad accettare.
Una cotta per André?
Ecco. Era riuscita ad ammetterne l'idea. Gli lanciò un'occhiata stralunata: guidava con la stessa nonchalance di James Bond a bordo di una delle sue fighissime berline nere piene di gadget improbabili.
Riflettendoci era plausibile prendersi una cotta per una testa calda come lui, non solo per il suo considerevole aspetto fisico, ma anche per quella acutezza mentale e quella moderatezza di atteggiamento che da subito Oscar aveva etichettato positivamente. Oh, ma di difetti ce n'erano. Pensò la sua parte più testarda.
E mentre Oscar si ritrovava a scovare e classificare nella propria mente ogni minimo difetto dell'interessato, nel tentativo, poi rivelatosi vano, di autoconvincersi dell'insensatezza della sua "cotta", nella zona posteriore del veicolo il bambino-buon-gustaio, il macchinista senza grazia e il giornalista sull'orlo del fallimento tentavano di disputare una partita a carte.
Ebbene, alla folle spedizione si era unito anche Bernard. Affamato di notizie e desideroso di allontanarsi dalla sua fin troppo pacifica cittadina, aveva fatto valigie in quattro e quattr'otto appena i quattro viaggiatori gli avevano accennato la proposta di venire con loro.
Oscar aveva già avvertito Hans, tramite il telefono di Bernard, stesso che ci sarebbero stati degli invitati in più. Nessun problema di liquidità, né di organizzazione, aveva risposto accondiscendente Hans.
Una telefonata che le era sembrata troppo fredda e distaccata per due sposini che non si vedevano da settimane. Soprattutto si era sorpresa della propria freddezza, ma non ci diede peso.

Erano in tangenziale da poco più di un quarto d'ora, quando Bernard lanciò in aria il proprio mazzo di carte e si spalmò sul finestrino ansimando e gridando come se avesse visto un fantasma:
-Esci alla prossima André!
Il moro, per riflesso, svoltò bruscamente e si inserì in una strada statale completamente dritta che attraversava campi sterminati di vigneti.
-Perché mi hai fatto uscire qui, Bernard?
Chiese André ancora un po' scosso dal brusco cambiamento di direzione
-Non posso farvi passare per la Borgogna e non farvi assaporare i nostri vini. Conosco un tipo che produce il miglior Beaujolais di Beaune.
Oscar si aggiustò sul sedile e sbuffò seccata. Era proprio necessario ora fermarsi a bere vino? Per Bernard, sembrava fosse assolutamente vitale.
E va beh, che sarà mai, dopo tutto quello che abbiamo passato?

La cascina era un enorme edificio candido, interamente ristrutturato, ma la pianta e la struttura di base assomigliavano a quelle della Belette Rouge. La si raggiungeva tramite un viale sterrato attraverso ampi vigneti di Gamay colmi di grappoli brillanti, ma ancora acerbi.
Un tipo alto e secco con barba incolta e leggermente brizzolata seduto su un muretto scrostato seguì con lo sguardo il maggiolino che saltellava buffamente sui ciottoli mentre si avvicinava alla villa. Andò loro incontro con fare circospetto, ma quando dalla macchina apparve Bernard, sul suo volto dai tratti severi si aprì uno stretto ma largo sorriso.
-Bernard! Amico!
I due si abbracciarono calorosamente e si scambiarono qualche pacca sulla spalla.
-Maximilien, che piacere ritrovarti! Ti trovo bene.
-Qual buon vento?
-Speravo che tu avessi una bottiglia speciale per i miei amici. Specialmente per Oscar. È americana, ma ha origini francesi, eppure scommetto che non ha mai assaggiato il vero vino francese.
Oscar stirò le labbra in un sorriso di cortesia, mentre Maximilien le tendeva la mano.
-Conservo ancora da una decina di anni una scorta di bottiglie del più profumato e aromatico Beaujolais degli ultimi cinquant'anni. Per te, mio caro Bernard, sarò lieto di stapparne quante bottiglie vorrete. 
Maximilien sorrise con genuina cortesia e, dopo le presentazioni, fece subito strada al gruppo all'interno della sua cantina.
Il padrone della villa li introdusse nel "merveilleux monde du vin" attraverso ricche spiegazioni riguardo al suo lavoro, all'uva e alla qualità del vino, scendendo spesso in terminologie tecniche che Oscar, già faticando a seguirlo, non comprendeva.
Quando giunsero davanti ad un enorme scaffale in legno scuro che conteneva un numero inclassificabile di lucide bottiglie, Maximilien si fermò e fece scorrere lo sguardo sulle bottiglie.
-Sono 1789, in tutto.
Commentò sfoderandone una e osservandola con attenzione alla fioca luce di una lampada a gas.
-Voilà! È proprio quello che cercavo.
Oscar sorrise, Maximilien era un personaggio di un carisma eccezionale, non ché assolutamente simpatico.
-Un bel tipo Maximilien.
Sussurrò ad André che le stava accanto mentre il padrone di casa si incamminava su per delle ripide scale in pietra.
-Gestisco io questa attività da quando mio padre è morto.
Spiegó Maximilien mentre stappava la bottiglia.
-Prima- e parlo di quasi una quindicina di anni fa- facevo l'avvocato, ma ero così disgustato da quell'ambiente che ho preferito allontanarmene.
Cominciò a versare il vino nei calici di vetro.
-La mia vita ora è molto più serena. Mia moglie dice che dedicarmi alla viticoltura e all'enologia mi ha reso una persona molto migliore.
Oscar gli sorrise e lui contraccambiò con gentilezza. André assottigliò lo sguardo, Alain afferrò con impeto uno dei bicchieri già riempiti.
-Al vostro viaggio, amici, e al tuo matrimonio, Oscar.
Esclamò Maximilien sollevando lentamente il calice e guardando la bionda attraverso il vetro concavo del calice.
Un vino sublime.
Fu il pensiero comune appena le labbra di ognuno di furono bagnate di quel dolce nettare color porpora scuro.
Joseph guardò i bicchieri scintillanti dal basso dei suoi 145 centimetri di altezza e sospirò. Un giorno ancora lontano anche lui avrebbe potuto degustare quello che nella sua mente inesperta appariva come una specie di bevanda degli dei. E magari avrebbe avuto un vigneto, così come il gentilissimo Maximilien.

Bastarono pochi bicchieri per far allargare i sorrisi sui volti stanchi dei viaggiatori e, un po' come in una terapia di gruppo, ognuno si divertì a raccontare qualcosa della propria vita. Si scoprì che Maximilien e Bernard si erano conosciuti quando Bernard aveva fatto causa contro i suoi vicini a causa di alcune infiltrazioni in casa. Avevano scoperto di avere molti interessi in comune -specialmente politici, dissero- e avevano cominciato a frequentarsi.
Ad un certo punto una donna chiamò a gran voce Maximilien dal piano di sopra, questi si alzò, si scusò e propose agli altri di fare un giro nella vigna mentre lui andava a vedere cosa comandava la sua "regina".
Bernard e Oscar si incamminarono per i vialetti sterrati mentre André seguiva Joseph nell'umida cantina.
Inutile dire che Alain preferì la compagnia assai gradevole della bottiglia.
-Joseph, non correre, peste!
Esclamò André tenendolo d'occhio tra le botti e gli scaffali di legno scricchiolanti.
Deve essere legno bello vivo per fare così tanti scricchiolii.
Pensó accarezzando una mensola vuota.
-Vado fuori zio André, Bernard dice che mi vuole far vedere una vite secolare.
Annunciò euforico Joseph tornandogli incontro a saltelli. André annuì e gli sorrise e quello corse via ridendo.
Il silenzio calò all'interno della cantina. Solo il legno vivo gli faceva compagnia. Si sedette su una botte vuota e fece scorrere lo sguardo sul basso soffitto a volta. Osservò la precisione con cui erano state incastonate le varie pietre e pensò che l'atmosfera di una cantina e il profumo del vino davano l'idea sd un luogo trascendentale.
Così immerso nella sua dimensione di riposo dei sensi, non si accorse di una presenza estranea.
-Avevo visto posti simili solo nei film. E non credevo potesse essere un posto così rusticamente delizioso.
Commentò quella stessa estranea facendoglisi vicino con la stessa grazia e discretezza di un fantasma. André scattò in piedi, per spavento, ma più che altro per istinto, e in pochi attimi si ritrovò delle dita sottili ma incredibilmente forti che gli stringevano lembi di camicia.. e qualcosa di caldo e morbido che giocava con la propria bocca.
Sapeva di che si trattava e lo accolse con tanto fervore quanto riguardo: un paio di labbra tremendamente dolci e gustose. Due piccole, soffici ciliegie.
Ah, il sapore del Beaujolais...
Un momento, che accidenti sta accadendo?

Una frazione di secondo.
Una scintilla di fuoco e poi una secchiata gelida:
-Scusami, ma dovevo farlo e credevo che non ci sarebbe stata un'altra occasione.
Poche parole, ma taglienti come un rasoio.
André era rimasto paralizzato, né si era reso conto di cosa era successo davvero.
Era successo davvero?
Lei l'aveva baciato?
Lei!
Questo significava aver perso la scommessa con se stesso o averla stravinta?
Si passò un mano tra i capelli senza saper cosa dire, senza il coraggio di sfidare il suo sguardo, perfino. Si sentiva a terra, anzi, si sentiva distrutto come se dopo aver passeggiato per qualche istante in Paradiso, fosse precipitato da una nuvola e qualche voce immateriale gli avesse ricordato che dopo quel piccolo assaggio prelibato sarebbe dovuto tornare alla realtà e rimanerci incatenato. La dura realtà nella quale Oscar si stava per sposare con qualche belloccio americano e straricco.
Ma allora perché quel gesto?
Alzò lo sguardo e scoprì che anche lei non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi.
-Situazione imbarazzante, lo so.
Commentò lei quasi ridendo, senza staccare gli occhi da terra.
-Mi dispiace, davvero, credo che sia solo colpa del vino.
E forse era davvero così da un lato.

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Capitolo 21
*** Niente più imprevisti ***


9 luglio, da qualche parte in Tangenziale, direzione Parigi. 14:32 pm


Erano ripartiti subito dopo un lauto pranzo e Maximilien, molto generosamente, li aveva riempiti di bottiglie del suo più pregiato Beaujolais come regalo per il matrimonio.
La decisione di Oscar di volersi sedere dietro sconvolse un po' tutti, tranne André che si mostrò stranamente indifferente, anzi, quasi perfino sollevato.
-Voglio solo divertirmi un po' a carte.
Aveva dichiarato lei, senza riuscire a convincere molto. Ma Alain in fondo si rese conto di non aver desiderato altro per tutto il viaggio e le cedette subito il posto. Non gli sembrava vero di potersi sedere comodamente davanti e poter distendere -relativamente, certo- le gambe e avere una visione panoramica della strada.

Macinarono chilometri e chilometri. La lentezza del maggiolino non disturbava più nessuno e ci si era ormai rassegnati al costante cigolare della marmitta.
Oscar, Bernard e Joseph passarono in rassegna tutti i giochi di carte che conoscevano poi abbandonarono le carte e ognuno si dedicò a riflettere sui propri pensieri. Il silenzio primeggiava su qualche occasionale chiacchierata, ma si avvertiva palesemente un clima di tensione. 
Alain si voltò verso André per chiedergli di fermarsi da qualche parte perché la natura chiamava, ma non pronunciò una sillaba quando notò la rigidità delle braccia di André che teneva saldo il volante e vide il suo viso contratto in un espressione agitata. Intuì chiaramente che fosse successo qualcosa e in quel preciso momento si sentì davvero uno straccio, non era mai stato così poco in forma. In genere lui era il cabarettista della situazione e se vedeva che animi dei suoi compagni erano spenti, riusciva a tirarli su con il suo fare solare e scherzoso. Ma in quel frangente, sentiva che lui stesso avrebbe avuto bisogno di qualcuno che lo tirasse su.
Dopo due ore e tre quarti di macchina, Oscar era riuscita a filtrare ed assimilare il ricordo del fatidico bacio e si era scoperta a non pentirsene affatto, anche se il modo di fare di André da quel momento la insospettiva.
In senso negativo, però. Già, perché sembrava piuttosto che lei gli avesse dato uno schiaffo. Davvero non credeva che un banale gesto potesse averlo sconvolto così tanto. Insomma, non si addiceva ad un dongiovanni che si rispetti, come egli si reputava.
Per lei, invece, era stata una sorta di liberazione. Aveva combattuto contro se stessa fin da quella notte alla Belette Rouge, che ora sembrava tanto lontana, e finalmente aveva affrontato la battaglia decisiva contro di lui. E poteva dire di aver ottenuto un soddisfacente successo, se non fosse per lo sguardo stranito e sconvolto che quel ragazzo aveva assunto subito dopo.
Ah, al diavolo. Si disse.
Appena si sarebbero fermati -ed era assolutamente sicura che prima o poi qualcos'altro avrebbe ancora bloccato temporaneamente il loro viaggio- avrebbe sistemato ogni cosa. Gli avrebbe spiegato che era stato solo un impulso totalmente istintivo che tuttavia le aveva dato la certezza di non essersi innamorata scioccamente di lui. Hans era il solo, l'unico.

Tutti, in realtà, si aspettavano una ruota bucata, un incidente, uno scoiattolo che attraversava la strada, una pioggia di meteoriti, insomma qualsiasi cosa che impedisse loro ancora una volta di raggiungere la capitale. Ma si sbagliavano.
Intorno alle 17:00, apparve Parigi. Bella e vaga come un miraggio, sotto il sole ancora caldo del tardo pomeriggio. I cuori si fermarono per un attimo e i respiri si sciolsero in un sospiro di meraviglia.
-Oh mio Dio, è splendida.
Mormorò Oscar.
-Sarà la mia dannata fortuna.
Si aggiunse Bernard.
-Chissà quanti ristoranti pluristellati.
Commentò Joseph.
-Mi sembra incredibile.
-Anche a me, amico.
Conclusero André e Alain.
-Farò una bella sorpresa ad Hans! 
Esclamò Oscar sorridente, mentre guardava le prime case della città che si avvicinavano man mano che procedevano verso il centro.
-Prendi l' uscita per il centro città.
Consigliò Oscar ad André, rivolgendogli la parola per la prima volta da quando erano ripartiti da Beaune. Egli annuì, poi con voce rauca chiese:
-Come si chiama l'albergo?
-Hotel des Academies et des Arts.
-È la prima volta che ti sento pronunciare delle parole in francese! Si sente che ce l'hai nel sangue.
Disse Bernard sorridendo. Poi d'improvviso il suo volto si incupì e i suoi occhi si fecero lucidi e tondi come due biglie.
-Mi mancherete tantissimo, amici.
A stento tratteneva le lacrime.
-Lo so che ci conosciamo da poco, ma voi mi avete dato una grande possibilità. Vi voglio bene.
Passò le braccia intorno al collo di Oscar e Joseph e li strinse a sé con impeto.
-Bernard, non ci stiamo dicendo addio.
Lo apostrofò Alain, seccato da quelle scenate e già abbastanza turbato di suo. Fortunatamente l'intervento di Alain calmò Bernard che evitò di soffocare con le braccia le due inermi vittime del suo pathos. Una volta ripresa compostezza, rispose:
-Hai ragione Alain, è che a volte mi lascio trasportare dall'emozione. Oscar! Che giorno è il tuo matrimonio?
-Il 14.
-Oh, manca poco! Devo comprarmi un abito decente. Dove si svolgerà la cerimonia?
-Notre Dame.
-Ah, fai proprio le cose in grande!
-I miei genitori e la famiglia di Hans ci tenevano che fosse un matrimonio di tutto rispetto. A me in realtà non importavano molto tutte queste sciocchezze, infatti ho lasciato fare tutto a loro, in linea di massima.
-Non vedo l'ora di vederti in abito bianco, sarai una favola.
-Spero che non si sia spiegazzato troppo in valigia.
Alain e André intanto avvertivano i nervi a fior di pelle. Sentire parlare di matrimonio li angosciava. Il solo pensiero che da lì a cinque giorni Oscar sarebbe diventata a tutti gli effetti la signora Fersen, era una tortura. Per entrambi.
La cosa peggiore era la certezza che dopo il matrimonio lei sarebbe tornata in America mentre ognuno di loro avrebbe continuato la propria malinconica e monotona esistenza. André sarebbe tornato a Marsiglia e avrebbe continuato a vivere instabilmente trovando lavori d'occasione qua e là come musicista in qualche locale notturno con una paga misera; Alain si sarebbe ritrovato nuovamente tra i ferri vecchi della sua officina e avrebbe ricominciato ad aggiustare catorci arrugginiti in un paesino sperduto nella campagna francese.
André sospirò profondamente tentando di ignorare le chiacchiere tra Oscar e Bernard e fermò il maggiolino di fronte ad un semaforo rosso.
In quei brevi istanti ripensò a tutto quello che era successo negli ultimi giorni e provò un senso di profonda tristezza.
Si susseguirono nella sua mente le immagini ancora nitide di ogni singolo avvenimento fin dal principio: lo scivolone plateale di Oscar all'aeroporto; il poliziotto con i baffoni che li aveva fermati perché andavano troppo lenti in autostrada; la rilassante passeggiata ad Avignone e quella stupida promessa con se stesso; l'annegamento di quel inquietante aggeggio elettronico plurifunzionale che Oscar chiamava cellulare; la Belette rouge, la notte a suonare il meraviglioso pianoforte d'ebano e avorio e a condividere le eleganti pipe d'osso dei proprietari dell'agriturismo; la buca sulla strada che gli aveva sfasciato la macchina; l'incontro con Alain; Oscar ubriaca; Lione e il maître d'hotel che li aveva fregati; la stazione di polizia con quel fesso di Girodelle che si era preso uno svarione colossale per la bella bionda; il comodo viaggio con il macchinone del maître e poi l'enorme malinteso che li aveva costretti ad una nottata in questura a Beaune; l'incontro con Bernard e la sua generosa ospitalità; il vino di Maximilien Robespierre e quel bacio sconvolgente. Ogni scena gli scorreva davanti agli occhi come un film e non poteva credere di averne davvero fatto parte. 
Sarà una bella storia da raccontare ai miei nipoti, perlomeno.
Pensò sorridendo amaramente mentre ingranava la prima per partire appena fosse scattato il verde.

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Capitolo 22
*** Fin ***


9 luglio, Aeroporto di Parigi. Ore 18:33


Oscar camminava trainando la propria valigia sulla superficie di lucido marmo bianco dell'aeroporto Charles de Gaulle e non riusciva a concentrarsi su niente. Niente che non fossero gli ultimi scioccanti, imprevisti, inaspettati avvenimenti.
Stringendo nella mano destra il biglietto per l'aereo intercontinentale che avrebbe dovuto riportarla a New York, raggiunse il gate e si sedette da sola sulle fredde sedie di metallo in attesa della chiamata per l'imbarco. Guardò la sua valigia accanto a lei e sospirò. Non era nemmeno stato necessario disfarla. Il vestito non aveva mai visto la luce del sole da quando lei era sul suolo francese e probabilmente non avrebbe mai svolto la sua funzione addosso a lei.
Che bizzarra situazione! Le sembrava di essere la sfortunata protagonista di una stupida telenovela per casalinghe depresse.
Un po' si sentiva vuota: alcuni pezzi di lei si erano persi irrimediabilmente, e tutto per colpa del destino o forse proprio per colpa sua. Eppure non si sentiva in colpa, era solo profondamente delusa. Non amava che le cose non andassero come aveva previsto, ma il peggio era il non riuscire a capire se davvero quella drastica svolta le fosse piaciuta o no. Forse era proprio ciò che il suo subconscio ultimamente aveva iniziato a desiderare. Ma non riusciva a concentrarsi su questo interrogativo; in quel momento si sentiva solo spaccata in due.
Guardandosi le mani po' sentiva nostalgia dello scintillio del suo anello sull'anulare e le mancava anche l'ansia di arrivare a Parigi che l'aveva accompagnata fin dall'arrivo a Marsiglia e che aveva perduto solo poche ore prima. Le mancava non aver vissuto il suo sogno di sposarsi, anche se non era nemmeno più sicura che quello fosse davvero un sogno. L'avrebbe definito piuttosto un assurdo progetto che, a ben pensarci, non sarebbe mai potuto finire bene.
Il suo istinto più feroce le suggerì di trovare un colpevole per quella sua assurda situazione e sfogarsi con lui. E quale colpevole più adatto del suo fatidico vestito?
Aprì la valigia e si fermò a guardare con il respiro sospeso quell'ammasso di seta candida. Stupido, stupido vestito. L'avrebbe strappato a brandelli se non le fosse costato una fortuna.
Chiuse la valigia e si costrinse a stare calma e a riflettere sul da farsi.
Era scappata da Parigi in fretta e furia, senza pensarci troppo, e aveva deciso sul momento di andare a prendere un aereo e tornare a casa per poter finalmente mettere una pietra sopra a tutta quella storia. Rosalie le aveva promesso che si sarebbe occupata della sospensione della cerimonia e del pagamento ad André, quindi non aveva niente di cui preoccuparsi. Poteva ben fidarsi di Rosalie, lei sì che era sempre stata una sincera amica, altro che Marie. Che troia, come aveva osato infangare così la loro amicizia e scoparsi Hans cinque giorni prima del matrimonio? Oscar lo sapeva bene che quei due erano stati insieme ai tempi dell'università e aveva spesso sospettato che la simpatia tra loro non si fosse mai estinta, ma di certo non pensava che entrambi le avrebbero affondato un coltello arroventato nella schiena appena ci fosse stata una buona occasione per farlo. Li aveva colti in flagranza di tradimento, quindi non solo non aveva nessun dubbio sulla loro infedeltà, ma ne aveva avuto persino la prova. Ah, che disgusto! Le venne la pelle d'oca a pensarci.
Un vero e proprio incubo. Che era iniziato esattamente a quando aveva varcato la soglia della suite d'albergo in cui Hans e Marie si stavano tanto divertendo. Si rese conto solo in quel momento di essere stata un vero pezzo di marmo. Li aveva osservati con disappunto per dieci secondi contati, poi aveva tossito volontariamente e allora era scoppiato il delirio. Oscar aveva voltato le spalle in silenzio ed era uscita. Hans si era rivestito alla bell'e meglio e l'aveva rincorsa per il corridoio con le lacrime agli occhi -piuttosto patetico, effettivamente- gridando il suo nome, mentre Marie, vestita di lenzuola singhiozzava con le mani sul viso sulla soglia della porta. Tutto il piano dell'albergo era uscito dalle proprie camere per vedere che succedeva e i due colpevoli quasi si scioglievano per l'imbarazzo. Oscar invece era rimasta impassibile, intoccabile e inesorabile, mentre Hans le chiedeva perdono. L'unica cosa che gli disse fu:
-È meglio se ti riprendi l'anello.
Niente di più, niente di meno, poi dopo averlo freddato così, si era voltata e si era lasciata indietro tutti. Aveva giusto rallentato il passo per sentire che cosa dicevano quelli che erano usciti dalle rispettive camere, tra i quali anche Rosalie, che dopo aver dato cordialmente della "puttana" a Marie, aveva raggiunto Oscar di corsa.
-Os, sono felice di vederti.
Le aveva detto abbracciandola.
-Non sai quanto sono sconvolta.
E aveva cominciato a piangere, cosa che non era troppo strana per una tipa come lei. Allora Oscar le aveva detto che in fondo andava bene così e che se non fosse successo quello che era successo avrebbe comunque annullato il matrimonio perché non si sentiva più sicura di ciò che voleva.
-Ho bisogno di tornare negli Stati Uniti. Più sto in Francia, più mi sento soffocare, rivoglio la vita che avevo prima. E se non ci sarà Hans, penso che sarà lo stesso.
Aveva aggiunto riabbracciando Rosalie.
-Ci penso io, Oscar. Annullo io tutto e avverto io gli invitati. Tu ora pensa a te stessa.
Ma l'unica cosa a cui riusciva a pensare, là seduta all'aeroporto, era quel paio di occhi verdi, che probabilmente non avrebbe mai più rivisto.

L'unica cosa a cui riusciva a pensare era "levatevi di mezzo, cazzo". Il maggiolino non era abbastanza scattante e agile per fare slalom tra i veicoli che intasavano il traffico parigino. Per giunta era l'ora x in cui tutta la città prendeva la macchina per tornare a casa da lavoro. André ce la metteva tutta a non infrangere il codice stradale e fare ugualmente in fretta, ma era assolutamente inutile. Prese un paio di semafori rossi, tagliò la strada a una decina di macchine, non rispettò nemmeno una precedenza e calcolò di avere in lista almeno tre multe.
-Al diavolo, devo raggiungere quella ragazza prima che prenda quel maledetto aereo.
Ringhiava sterzando violentemente come un automobilista di corse.
Si sentiva un pazzo, ma doveva fermare Oscar a tutti i costi.
Aveva lasciato Alain, Joseph e Bernard nelle mani di quella ragazza con la faccia da angioletto che insisteva per dargli i soldi che Oscar gli doveva per il viaggio. Aveva preso la macchina al volo e si era buttato nel traffico sperando in un miracolo
Non aveva idea di quando sarebbe partito il suo aereo, ma sperava che gli aerei intercontinentali per NewYork fossero abbastanza rari da permettergli di raggiungerla entro un'ora al massimo.
-Sto arrivando, sto arrivando.
Sussurrava a se stesso come se parlasse con lei.

-Attenzione, il volo per l'aeroporto JF Kennedy di New York ha subito un leggero ritardo.
Annunciò dai microfoni una voce metallica mentre Oscar aveva appena finito il check-in. Lei guardò la sua valigia venire inghiottita dalle lingue nere di plastica sul nastro trasportatore e sospirò seccata. Pazienza, voleva dire che avrebbe girovagato senza meta per l'aeroporto per tutti i seguenti 90 minuti, con un caffè in una mano e una rivista in francese nell'altra.
Un po' era delusa che nessuno si fosse preso il disturbo di seguirla e cercare di fermarla. Né i suoi genitori, né Hans, né Marie, nemmeno André. Ma perché indugiare su questi sogni assurdi?
Oscar!
Non si trovava in un film, nessuno sarebbe venuto da lei, tanto meno André.
Oscar!
Com'era stata stupida a pensare che sarebbe potuto succedere che lui foss...
Oscar!
I suoi pensieri si annebbiarono all'istante quando si rese conto che qualcuno chiamava il suo nome. Ed era certa che non ci fossero molte altre Oscar lì in quel momento.
Quando si voltò fu sorpresa, ma più che altro felice di vedere André che le correva incontro. 
-André?
Sibilò quando lui fu abbastanza vicino. Il ragazzo non decelerò e mentre le si avvicinava sempre di più, appena prima di afferrarla e stringerla a sé come un peluche, disse con voce ferma e supplichevole:
-Non serve fuggire, Oscar. 
E per essere più persuasivo accompagnò quelle quattro semplici parole con un bacio che -mamma mia- neanche Jack Dawson di Titanic e Christian Grey di Cinquanta sfumature messi insieme. Quasi le mancò il respiro, ma sarebbe morta volentieri in quel momento, tra quelle braccia. 
Sicuramente si era ben convinta a non partire, ma mentre strappava, sorridendo, il biglietto davanti agli occhi raggianti e soddisfatti di André, le venne in mente come un fulmine in pieno giorno la sua valigia e in particolar modo il suo contenuto.
-Cristo.
Con il biglietto dell'aereo ormai in frantumi col cavolo che quegli stupidi francesi perfettini ed indisponenti le avrebbero permesso di recuperare la sua valigia.
Ecco, proprio la ciliegina sulla torta.
-Ehi, Oscar, penso che quel vestito ti abbia causato già abbastanza problemi.
Disse André ridendo, facendole passare un braccio intorno al collo.
Stretta in quel abbraccio consolatorio Oscar finalmente si rilassò.
-Hai ragione, chissà che possa servire a qualcun'altra ragazza... André, perché sei venuto?
André alzò le sopracciglia sorpreso. "Mi sembra evidente." pensò arrossendo leggermente.
-Non potevo permetterti di lasciare Parigi senza vedere la Tour Eiffel di notte. È uno spettacolo che ogni singolo essere umano dovrebbe vedere.
E presale la mano la trascinò con sé fuori dall'aeroporto fino al grande parcheggio.
-La sua limousine, madame.
Ironizzò aprendole galantemente lo sportello del maggiolino. Oscar rise pensando a come solo pochi giorni prima quella frase le fosse sembrata il campanello di inizio di un incubo. L'ironia del destino.

-Ti prego dimmi che non sto sognando.
Sussurrò languida sfiorando la mano di André mentre afferrava la manopola del cambio per inserire la terza.
-Sai mi sto chiedendo la stessa cosa.
Rispose lui con un filo di voce avvertendo dei brividi alla schiena. Non aveva mai desiderato tanto come in quel preciso momento quella bionda franco-americana che gli stava seduta accanto. 
Intanto, mentre la sera iniziava a scurire il cielo, Parigi prendeva vita con tutte le sue luci magiche.
-Come mai conosci così bene le strade di Parigi?
Chiese Oscar notando che André non si serviva di cartine per raggiungere la Tour Eiffel.
-Ci sono nato e cresciuto a Parigi.
"Come ti è saltato in mente di lasciare questa stupenda città?" Pensò Oscar alzando le sopracciglia.
-So cosa stai pensando. Parigi è Parigi, ma da quando i miei genitori sono morti, ha iniziato a starmi stretta. E inoltre è diventata una città solo per turisti e per gente che ha abbastanza soldi da spendere, io posso permettermi al massimo Marsiglia anche se non c'è confronto. Sai,
Disse voltandosi a guardarla.
-Dicono che Parigi sia la città degli artisti, ma in realtà gli artisti fanno la fame più qui che in qualsiasi altro posto. La gente che ci abita ne ha abbastanza degli artisti e di presunti tali e poi i turisti non vengono sicuramente a Parigi per sentire un mediocre pianista di blues in qualche squallido localino malfamato di quartiere. Non che a Marsiglia stendano tappeti rossi davanti a noi liberi professionisti, ma almeno ci tollerano. Ecco guarda.
Esclamò puntando l'indice verso l'imponente sagoma nera della Tour Eiffel che si stagliava sopra i tetti delle case mentre costeggiavano la Senna.
-È meravigliosa.
Ammise Oscar in un sospiro estasiato. Proprio in quell'istante la Tour Eiffel si accese di luci colorate rosse, blu e bianche come i colori della bandiera francese e Oscar rimase letteralmente senza fiato. Quel magnifico monumento celebrava al meglio tutta la magnificenza della Francia con lo stile e l'eleganza tipici del suo Paese. In un baleno, nella mente di Oscar, Times Square o l'Empire State Building persero ogni fascino. Sentiva che l'atmosfera di Parigi le era entrata nelle vene come una dose di purissima eroina. E non ne avrebbe mai più potuto fare a meno.
Amava New York, ma sentiva che Parigi era la sua vera casa. E guardando André ne fu totalmente convinta.

Due ore dopo sentì di essere molto più che convinta. Era determinata, nel modo più assoluto. Ciò che le aveva dato Parigi nell'arco di una giornata, non gliel'avrebbe mai potuto dare New York in tutta una vita. Non se ne sarebbe mai più andata, lasciare quel paradiso terrestre era fuori discussione. 
-Ti chiedo scusa per il disordine e per la polvere, non vengo qui da secoli. 
Mormorò André accendendosi una Lucky Strike. 
-Nessun problema.
Rispose lei mentre seduta a gambe incrociate guardava fuori dall'immensa vetrata panoramica che si spalancava come un sipario davanti al piccolo letto.
-Non ti da fastidio, vero?
Domandò lui aspirando e mostrandole la sigaretta.
-No, affatto.
Disse ritornando ad ammirare il panorama da cui spiccava tutta scintillante nel suo vestito patriottico la Tour Eiffel.
-Penso che potrei trasferirmi qui.
Sospirò lasciandosi cadere di schiena sul materasso. La mano di André le accarezzò dolcemente i capelli ma lui non disse nulla. Oscar sentiva solo il suo respiro profondo e regolare e vedeva in aria gli sbuffi di fumo che si disperdevano diffondendo un piacevole ma pungente profumo di tabacco nella stanza. Ripensò ad ogni singolo attimo dell'ultima ora, cioè da quando avevano varcato la soglia di quel piccolo appartamentino di tre stanze ad allora. Non una parola, non un verso. Avevano attraversato il buio dell'ingresso in silenzio, urtando mobili, scatoloni o roba simile e infine avevano raggiunto una piccola stanza quadrata con un'immensa finestra che dava su Parigi. Allora lui l'aveva spinta su un materasso che a quel primo impatto le sembrò fin troppo morbido. Da quel preciso istante aveva perso la concezione del reale, ma si ricordava distintamente le mani esperte di André che di destreggiavano abilmente con i suoi vestiti e i suoi occhi verdi con quello sguardo erotico all'inverosimile che la fissavano senza mai interrompere il contatto visivo.
E in men che non si dica si era ritrovata vittima e carnefice allo stesso tempo. 
Ora, distesa a fissare il soffitto, ancora invasa dall'estasi, pensava solo a quanto si sentisse bene. Sentiva solo le labbra indolenzite per quante volte se le era morse. O forse quei denti voraci erano stati quelli di André? Che importava? Non avrebbe potuto sperare in un lieto fine migliore. In fondo il destino, per quanto fosse sembrato divertirsi a prendersi gioco di lei, le aveva fatto un grande, grandissimo favore. 

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