What about our promises?

di xmeinwonderland
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***






“Ma le tue promesse, i tuoi "resto, non ti abbandono", "mi manchi", "fidati di me", in quale marcio mondo sono andati a finire?“


Quella fredda mattina di dicembre- proprio qualche settimana prima del tanto atteso Natale, proprio qualche giorno prima del loro quarto mesiversario- Calum, ancora beatamente disteso sotto le calde coperte del suo tanto amato letto, aveva comunque trovato la forza di aprire un occhio per vedere se accanto a sé si trovasse Amanda. 
Quando peró non la vide, si alzó a sedere, stropicciandosi lentamente e ancora assonnato entrambi gli occhi, respirando a pieni polmoni'aria che circolava in quella stanza dalle pareti blu. Si alzó dal letto, e poi a piedi scalzi si avvió verso le scale, scendendole a passo lento- un po' per il sonno che in quel momento non decideva ad andarsene, un po' per l'idea che le era appena saltata in mente: spaventare la sua ragazza. 
Dunque si affacció alla porta del soggiorno, perlustrandolo molto attentamente con lo sguardo, ma non trovando alcuna traccia di lei. Cosí avanzò verso la cucina, strusciando i piedi nudi sul pavimento ghiacciato, che gli provocó qualche brivido. Entró dunque nella stanza, ma di Amanda nemmeno l'ombra. Portó quindi una mano a scompigliare i capelli corvini, mentre un piccolo sbuffo lasciava le labbra. 
Scosse la testa, e tornando nel salotto provó a bussare al legno marroncino della porta del bagno. Nessuna risposta.
Tiró verso il basso la maniglia, aprendo cosí la porta quel tanto che bastava per farsi sentire e «piccola?», la chiamó, con ancora la voce impastata dal sonno. Sbuffó, nuovamente, nel non sentire nessuna voce femminile. Si chiuse dietro alle spalle la porta, mentre a passo veloce saliva quella decina di scale -8. Erano otto scalini di un marroncino chiaro. Amanda li contava molto spesso, quando era chiusa nel suo piccolo mondo, pensando a chissà cosa. Poi finivano gli scalini, come da copione si girava verso il suo ragazzo e con il solito sorriso stampato su quel candido viso, gli urlava ”otto”.
Calum lo trovava stupido, il fatto che contasse le scale ovunque andasse. Ma alla fine non gli importava granché, perché la amava e amava anche tutte quelle piccole cose che la caratterizzavano.- Dunque tornó nella propria camera, prendendo al volo il telefonino lasciato sul comodino, mentre si buttava con un tonfo sul letto ancora disfatto. Lo accese, e chiuse gli occhi lasciandoli riposare, mentre il piccolo oggetto che teneva tra le mani mostró la foto di sfondo. Calum aprì gli occhi, cercando poi tra i contatti della rubrica, quello di Amanda. Appena lo trovó, trascinò verso destra il nome scritto sullo schermo, facendo partire la chiamata. Appoggió all'orecchio il cellulare, mentre impaziente aspettava la voce della sua ragazza. Tutto quello che udì fu la voce registrata della segreteria telefonica. Scocciato, buttó il telefono accanto a sé, tra le lenzuola del grande letto. Dunque ebbe l'idea di andarla a cercare lui stesso, pensando giustamente che la meravigliosa Chicago fosse la sua città natale, di cui conosceva ogni via principale, ogni via secondaria, ogni stradina isolata e soborgo. Si vestì in fretta, con quei soliti jeans scuri strappati -perché "mi fanno un'aria da duro, una vera rockstar" diceva sempre, con aria fiera e quel sorriso sghembo che aveva stampato sul viso quasi sempre- una maglietta nera con stampato sopra il logo di una delle sue band preferite, le vans nere, un cappotto preso di corsa dalla sedia adiacente alla scrivania e mentre di fretta si avviava verso il portone di casa, ricacció dalla tasca dei pantaloni il telefono, tentando di nuovo la chiamata.



Ehi, salve a chiunque fosse giunto fin qui:)
E' la mia prima storia nei 5 seconds of summer, però ho delle idee troppo okay per questa FF, quindi penso che la continuerò.
Strano..
Anyway, spero che recensiate, ma soprattutto che qualche buon'anima la lagga..
Presto la pubblicherò anche su wattpad, alla prossima!

-xmeinwonderland

   

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***







"Ovunque tu vada, sai che ti sto ancora aspettando."
 

Attraversó la strada, dopo aver aspettato impazientemente che il rosso acceso del semaforo, diventasse verde. Con le mani infilate nelle rispettive tasche del giacchetto pesante, camminava sul marciapiede a testa alta, guardandosi indietro di tanto in tanto, nella vana speranza che Amanda potesse apparire tutt'ad un tratto dietro di lui, magari anche spaventandolo a morte, giusto per sentire la sua piccola risata, e gli occhi castani che si chiudevano, e la testa portata delicatamente all'indietro, lasciando che i lunghi capelli anch'essi castani, potessero solleticarle la schiena.
Calum amava i capelli della ragazza.
Giró l'angolo, trovandosi subito dopo davanti all'entrata del locale che entrambi adoravano.
Pensó che lei fosse lì, al bancone seduta su uno sgabello a parlare con Derek, il propretario anziano che in quel quartiere tutti amavano perché il sabato offriva cappuccini e cornetti a tutti.
Pensò anche che magari lei stesse seduta su una di quelle sedie viola, ché lei amava davvero tanto quel colore, a bere il solito cappuccino bollente.
Pensó, e in quel preciso momento non poté fare a meno che stringere i pugni fino a quando le nocche non divennero bianche, che un qualche ragazzo sconosciuto, o a lui molto noto, stesse flirtando con lei.
Quindi spinse la grande vetrata, entrando nel bar e venendo subito inondato dal buon odore di cioccolata e caffé. Si guardò intorno, mentre svogliatamente camminava verso il bancone. E rimase sorpreso, quando vide Sophie armeggiare con le macchinette del caffé, intenta a servire i clienti, al posto del padre. Dunque, dopo aver notato con rammarico che Amanda non fosse neanche lì, si schiarì la voce, pensando bene di dover salutare la ragazza.
«Sophie!», esclamó, con un accenno di sorpresa, e con il sorriso stampato sul viso.
Lei alzó di scatto lo sguardo, incastonando i suoi meravigliosi occhi verdi, in quelli marroni di lui, dunque le piccole labbra di lei si schiusero in un grande sorriso, mentre faceva qualche passo in avanti per raggiungerlo, e con solo il lungo bancone a dividerli, si sporse quel tanto che bastava per spettinargli i capelli, ché il ragazzo amava scompigliarli alle persone, ma guai a chi si azzardava anche solo a pensare di toccare i suoi. Con una piccola risata a concludere la sua opera d'arte nella testa del moro, si tiró indietro e «Calum», lo salutó, continuando subito dopo «Come stai?». Lui inclinó di poco la testa, sbuffando mentre passava una mano tra i capelli e forse un po' troppo velocemente rispose «Bene bene. Tu invece, come stai? E Derek, com'é non é qui?» La ragazza alzó le spalle, indifferente, mentre dopo aver guardato per tutto il locale un qualche cliente che ancora aspettava la propria ordinazione, rispose «Io anche sto bene. Papà un po' meno; ha la febbre, e mi ha chiesto se avessi del tempo libero da passare quì. Ovviamente gli ho detto no, ma sai com'é fatto...» Sophie lasció che un triste sospiro attraversasse quelle labbra fine, e Calum non poté che annuire, afferrando senza problemi le parole che lei aveva lasciato in sospeso. Non che Derek fosse uno di quei genotori che costringeva i figli a fare il lavoro che avesse fatto lui, il padre, il nonno, il bisnonno, fino a finire all'australopiteco di quella famiglia. No, affatto, ma Sophie nel tempo libero, e nel tempo scolastico anche, adorava cacciarsi nei guai, con quella compagnia di persone poco affidabili e responsabili con cui usciva. Dunque era palese che un padre si preoccupasse per la figlia, non ancora maggiorenne.
«Mh. Hai visto passare per qui Amanda?» Calum ricordó improvvisamente il motivo per cui fosse andato lì, in quel bar, e attese la risposta di lei che non tardó ad arrivare «Mandy? No, non l'ho vista per niente oggi. Che c'é, te la sei persa?» Sophie non poté far altro che ridere alla domanda che lei stessa aveva posto, trovando divertente il fatto che Calum fosse uno di quei ragazzi altamente sbadati. Lui scosse la testa, con un accenno di sorriso ad incorniciare il viso, mentre con un veloce gesto del capo la salutava, allontanandosi ed uscendo dal locale.




EEEEHI!

Salve gente bella, ecco qui il capitolo 2.
So che è abbastanza corto, ma sia questo che il primo sono stati scritti sul telefono, quindi non mi sono regolata...
No apparte, grazie a coloro che hanno messo questa storia tra le seguite/ ricordata/ preferite
Non ricordo quale dei tre era..
Ma Amanda?
Sparita, poof.
Non si ritrova più.
To be continued..
Seria, nel prossimo capitolo si scoprirà ihihih
Oddio, sto scrivendo troppo in questo spazio autrice.
Mi piace il rosso e il carettere che sto usando quindi è per questo che continuo a scrivere ste cosine...
Ci emme qu... .. .. . . .. .
Al prossimo capitolo, ora vi saluto.
Sayonara!

((dovrei cambiare nome, scusate se nel precedente mi sono firmata con "xmeinwonderland" ma okay, aspetterò che cambi..))



 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***



 



"Per un po' abbiamo finto che non sarebbe mai finita, ma sapevamo entrambi che ci saremmo dovuti dire addio."
 

 
Una volta fuori dal bar, si guardò intorno sbuffando e si strinse nel cappotto che non riusciva a proteggerlo dal forte vento invernale.
Estrasse dalla tasca il proprio iphone, cercando velocemente l’icona di whatsapp nel menù e dopo averla aperta scrisse ad Amanda, mentre si dirigeva nella piazza, dove si radunava il gruppo di amici che lui e la sua ragazza frequentavano.
 
“amo, posso sapere dove sei, oppure ti disturba?”
 
Bloccò il telefono, riponendolo nella tasca posteriore dei jeans neri e camminando a passo veloce verso la fermata dell’autobus, che distava qualche metro da dove si trovava lui.
Portò le mani nelle rispettive tasche del giubbotto, mentre tamburellava ad un ritmo inesistente la punta del piede contro l’asfalto del marciapiede. Salutò un paio di persone che gli erano passate avanti, liquidandole con un semplice “ciao”, prima di salire frettolosamente sul mezzo pubblico.
Le porte si chiusero dietro le sue spalle, e nel momento in cui adocchiò un posto libero, cautamente si avvicinò alla ragazza che occupava quello vicino, e con un gesto del capo lo indicò

<< E’ libero? >> Inclinò lentamente il capo su un lato, mentre attentamente guardava la ragazza girarsi verso lui, scuotendo energicamente la testa, tanto da far sì che qualche ciocca bionda dei lunghi capelli, le ricadesse davanti al viso, quindi con un piccolo sorriso rispose, raggiante << oh sì sì, siediti. >>
E Calum non poté far altro che ricambiare il sorriso, mostrando l’arcata superiore dei propri denti perfettamente allineati, sedendosi nel sedile vuoto e richiamando l’attenzione della ragazza subito dopo, con un semplice << Grazie. >> Lei, dal canto suo, ormai troppo annoiata di stare seduta in quell’inferno, decise di continuare la conversazione, perché Calum le sembrava già un ragazzo simpatico. Dunque, << Comunque piacere, io sono Allison. >> tentò lei, alzando il proprio braccio a mezz’aria e porgendogli la mano, che lui strinse saldamente, facendole oscillare.
<< Piacere mio, Calum. >> Sciolse la presa, e lei intanto staccò gli auricolari dal telefono, riponendo tutto nella borsa a tracolla che aveva con sé.
<< Beh Calum, questa è la mia fermata, spero di rivederti presto. >>
<< Lo spero anch’io, Allison. >>
Calum si alzò dal suo posto, facendo passare la ragazza, che uscì dalle porte anteriori. Poi si sedette nuovamente, ma questa volta nel posto vicino al finestrino, ricordandosi improvvisamente di Amanda. Tirando fuori l’iphone dai pantaloni, rimase alquanto deluso dal fatto che lei non gli avesse ancora risposto. Neanche visualizzato. Dopo altre tre fermate, finalmente l’auto giunse alla piazza, dove il ragazzo scese, percorrendola tutta, fermandosi sotto ad uno degli alberi di pino, dove si trovavano i suoi amici.
Luke lo vide, perciò si alzò dalla panca dove era scomodamente seduto e si avvicinò al suo migliore amico, circondandogli calorosamente le spalle.
<< Cal, finalmente. Ti stavamo aspettando. >> Il biondo annuì, avviandosi insieme al moro verso una panchina ancora libera, e dunque sedendocisi.
Calum accennò ad una piccola risata, dopo aver guardato l’ora dal suo orologio, e scrollò le spalle, indifferente << Ero a cercare Amanda. >>
<< E l’hai trovata? >> Luke scoppiò in una fragorosa risata, ma si azzittì nel momento in cui l’amico ebbe parlato. << In realtà, no. >>
Si sorprese, Luke, ché Calum ed Amanda erano come un tutt’uno e non si lasciavano neanche se dovevano andare in bagno.
Dunque si avvicinò a loro Emily, che appoggiò titubante una mano sul braccio del moro, catturando la sua attenzione, dunque parlò << Devo dirti una cosa, Cal. >> E il sorriso sul volto del ragazzo sparì, vedendo l’espressione malinconica della ragazza. Si guardò attorno per una frazione di secondo, riportando immediatamente lo sguardo sugli occhi marroni di lei. Si alzò in piedi mentre annuiva, lasciandosi portare dalla ragazza lontano dal gruppo, verso un chioschetto abbandonato e mal ridotto ai confini della piazza, proprio prima che si estendesse il lungo prato verde.
Entrarono lì, ed Emily estrasse dalla tasca del giacchetto un pacchetto di Chesterfield blu, prendendone una e poi porgendo il cartoncino quasi vuoto al ragazzo, che senza farselo ripetere due volte ne prese una e la portò alle labbra.
L’accese con il proprio accendino azzurro, ché ormai sapeva che Emily li accendini non li portava mai con sé. Dopo aver lasciato che il fumo uscisse dalle sue labbra screpolate, la ragazza si decise a parlare. << Mandy se n’è andata a Londra. >> Lei abbassò in fretta la testa, trovando improvvisamente più allettante un sassolino sotto la suola delle proprie converse bianche, mentre Calum schiuse le labbra lasciando che il fumo velocemente uscisse da queste, e portò entrambe le braccia lungo i fianchi, non sapendo come prendere la situazione.
Poi scosse la testa e chiuse gli occhi per una frazione di secondo, aggrottando le sopracciglia, sperando che lei stesse scherzando.
<< Come? >> Chiese infatti il moro, notando solo in quel momento l’espressione triste della ragazza davanti a sé, che dopo aver portato il filtro alle labbra tristemente piegate verso il basso, trovò la forza di guardare lui negli occhi, parlando lentamente << Hai capito bene, Cal. Amanda ha lasciato Chicago proprio questa mattina. Erano tipo le sei, forse? – Scosse subito la testa, non ricordando affatto l’ora in cui l’amica avesse preso l’aereo per un altro Paese, un altro continente, addirittura. – Semplicemente, non se la sentiva più di restare qui. >>
Chiuse il discorso con una scrollata di spalle, come se non sapesse altro, come se non le importasse realmente della migliore amica.
E Calum lo sapeva, che prima o poi lei lo avrebbe lasciato.
Che prima o poi lui l’avrebbe lasciata.
Lo sapeva, davvero, che loro due non sarebbero durati per sempre.
Ché alla fine erano giovani, spensierati, lui perennemente attaccato alle altre ragazze, e lei costantemente persa nel suo piccolo mondo, un po’ come i bambini.
Ma si amavano, tanto, e lui gliel’aveva sempre dimostrato.
Che poi lui non era neanche tanto bravo in questo genere di cose.
Non era uno di quelli che il ti amo lo urlava alla prima che le capitava sotto, ché forse Amanda era l’unica che quel dannato cuore di ghiaccio era riuscita a scioglierlo.
E aveva paura che qualcuna migliore di lei, potesse portarglielo via.
E glielo ripeteva ogni volta che adocchiava una qualche ragazza, e lui le diceva semplicemente che ciò non sarebbe potuto accadere, perché solo uno stupido poteva lasciarsi andare una ragazza come lei.
E che Calum era uno stupido, era certo a tutta Chicago.
Ma nessuno si sarebbe mai aspettato che Amanda partisse, lasciandolo lì, forse senza neanche tornare più.
Dunque il ragazzo buttò a terra, fuori dalla porticina malandata del chiosco, l’ormai finita sigaretta, iniziando una risatina isterica, quasi nervosa, mentre ad ogni parola alzava sempre di più il tono della voce << Non se la sentiva di rimanere qui, cosa? Perché se n’è andata, cazzo? Perché non me l’ha detto, poi? >> E Emily dovette socchiudere gli occhi, perché in quella piccola stanzina le parole di Calum rimbombavano più forti, e non se la sentiva proprio, di continuare a parlargli, ma glielo doveva, ché Amanda si era assicurata affinché lo facesse, che codarda com’è, lei non ne aveva avuto il coraggio.
<< Non riusciva a rimanere ancora qui a Chicago, Cal. Non lo so il perché, non mi ha mica detto tanto. Solo, voleva cambiare città, voleva andarsene dalla massa di gente americana che pensa tutta allo stesso modo, chiusi come siamo. Sai meglio di me com’è fatta, no? >>
E Calum proprio non capiva, e in quel momento era certo che no, la sua ragazza non sapeva neanche minimamente come fosse fatta.
Perché sì, lei voleva andarsene dagli Stati Uniti, ma lo volevano un po’ tutti in quel Paese. Così come tutti gli inglesi volevano andarsene dal Regno Unito.
Così come tutti i tedeschi volevano andarsene dalla Germania. Così come tutti gli italiani volevano andarsene dall’Italia.
E mai avrebbe pensato che lo facesse davvero, a insaputa di lui, ad insaputa di tutti gli amici.
Lasciandolo poi lì, da solo, mentre i pensieri lo spingevano sempre di più verso il buio, dove l’uscita non l’avrebbe trovata tanto facilmente.
Guardò Emily, e poi non capì come avesse potuto dire tutto a lei, e niente a lui, che, cazzo, era il suo fidanzato.
Alzò frustrato le braccia in alto, mentre un pugno arrivò dritto al muro malridotto alla sua sinistra, e una sfilza di bestemmie arrivarono dritte alle orecchie della ragazza, che seguì poi con lo sguardo Calum, mentre usciva dal chiosco e passava davanti al gruppo di amici che frequentavano.




UE BELLA GENTE

Salve a tutti, ecco il capitolo 3^__^
E qui si scopre la fine che ha fatto Amanda -interpretata dalla bellissima Amanda Steele, aggiungerei.
Dunque, spero sia di vostro gradimento davvero..
Recensite, ditemi cosa ne pensate e quant'altro boh(:
Dovevo aggiungere una cosina, ma l'ho dimenticata aiuto..
Btw, ora pubblicherò il primo capitolo anche su wattpad, quindi passate a leggerla che ne sarei felice;)
  wattpad 


Cliccate su quel "wattpad" in alto prima di questa riga, che si aprirà il mio profilo. [Magia ihihih]
Che poi ho dovuto anche crearne uno nuovo, perché con quello che avevo prima ho avuto dei problemi con l'email e bla bla bla. Tutte a me certe cose, oh!
Gente, alla prossima


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***








"Sarebbe una bugia, se te lo dicessi, che perderti era una cosa che potevo gestire."

 

 
Calum corse verso la propria casa, sorprendentemente impiegandoci solo una decina di minuti, perché alla fine a lui neanche piaceva correre.
Si buttò sul letto, lasciando che un piccolo sospiro frustrato uscisse dalle labbra rosee, riprendendo poi quel telefonino che in quella giornata non aveva fatto altro che inviare messaggi e chiamate ad una persona che non avrebbe mai risposto.
Portò una mano a scompigliare i capelli, chiudendo poi gli occhi mentre sperava che tutto quello fosse solo frutto della sua immaginazione.
Sperava con tutto se stesso che stesse solo sognando, oppure che alla fine uscisse un cameraman da chissà quale angolo oscuro e remoto di quella stanza, mentre ridendo gli avrebbe urlato “Ti abbiamo fatto tutti uno scherzo, ora sorridi!”
Si sarebbe arrabbiato un po’ con tutti quelli che erano lì, si sarebbe arrabbiato con Amanda, e le avrebbe sicuramente urlato che gli aveva fatto prendere un mini infarto, che sarebbe potuto morire prima dei cento anni, poi sarebbe uscito dall’appartamento e avrebbe corso fino a chissà dove, e se ne sarebbe andato lui, alla fine, altro che la sua ragazza.
Avrebbe riso, davvero tanto, ché a lui gli scherzi sono sempre piaciuti.
Eppure in quel momento non riuscì a far comparire neanche l’ombra di un piccolo sorriso.
Si alzò a sedere, e riprovò a chiamare Amanda.
Ma come successe in tutta quella mattinata, il ragazzo sentì solo la voce robotica della segreteria telefonica.
Pensò che fosse stato meglio per lei se non gli avesse più risposto alle chiamate, ché Calum non era affatto un ragazzo calmo, e le avrebbe davvero urlato contro le peggio parole.
Però prese un grande e lungo respiro, perché alla fine non sapeva realmente quale fosse il motivo della scomparsa di lei, sperò che ci fosse altro, nonostante quello che Emily gli avesse detto.
Chè alla fine, ce ne vuole di coraggio ad andarsene a soli diciassette anni, lasciando gli amici, il ragazzo, la scuola..
Calum sgranò gli occhi, improvvisamente ricordandosi del fatto che –okay, come ogni altra persona senza vari problemi –lei avesse una famiglia.
Ci avrebbe fatto un salto, dopo, a casa di lei, per parlare con i genitori.
Ammesso che non se ne siano andati anche loro, ovvio.
Riprese in mano il cellulare, iniziando a pensare a cosa digitare, mentre piano piano, sulla tastiera scriveva un messaggio
 
Perché te ne sei andata?
 
E rimase a fissare la domanda per un tempo indeterminato, fino a quando si risvegliò dal suo stato di trance scuotendo la testa, ritrovandosi a fissare lo sfondo del blocco schermo, in cui ritraeva un Calum sorridente ed una Amanda che poggiava le labbra sulla guancia di lui, in un tenero bacio.
L’avevano scattata due settimane prima, ché a lei piaceva tanto farsi le foto, e Calum aveva voglia di cambiare l’immagine.
Lui si ritrovò a pensare da quanto tempo Amanda avesse programmato la fuga.
Se in quella giornata di due settimane prima, lei apparentemente felice, non lo fosse neanche dentro. Perché dai, chi poteva assicurargli che la sua ragazza fosse davvero contenta? Che non nascondesse qualche segreto? Che non progettasse di andarsene?
Il telefono non produsse la tipica suoneria impostata dalla apple, con tanto di vibrazione, dunque Calum capì che nessuno l’avesse cercato, né risposto.
Era arrabbiato in quel momento, con il viso rosso e la vena sul collo ben visibile, mentre urlando scagliava il telefonino addosso ad un mobile lì vicino.
Non si preoccupò nemmeno se il suo iphone fosse morto dopo quella sfuriata, anzi, a passi veloci si diresse al piano inferiore, per uscire dalla propria casa e dirigersi a tre isolati da lì.
Camminò a passo svelto, con le mani nelle rispettive tasche dei jeans e la testa china a guardare l’asfalto del marciapiede sotto la suola delle vans oramai rovinate.
 
 
 
Emily era tornata da un po’, infiltrandosi come se nulla fosse successo nel discorso che il resto della combriccola stava intraprendendo.
Ma gli angoli delle labbra piegate verso il basso, gli occhi lucidi che a stento riuscivano a trattenere le lacrime, il continuo giocherellare con il braccialetto che portava al polso, non sfuggirono ad i suoi amici, tanto meno a Luke che cautamente spostò il braccio che circondava la spalla della sua ragazza mentre si alzava, avviandosi lentamente verso la castana.
Le diede un’innocente spinta su una spalla, che neanche la fece smuovere più di tanto, prima di iniziare a parlare
<< Ehi Emily, cos’è successo? >> Il biondo inclinò di poco la testa su un lato, ritirando la mano e portandola sulle proprie cosce, mentre si accomodava vicino a lei.
La ragazza scosse la testa, trattenendo per pochi secondi il respiro, mentre guardava gli altri che avevano finito di parlare e che le stavano degnando l’attenzione, avendo capito che qualcosa andasse storto.
<< Nulla, solo che.. –Le parole le morirono in gola, perché okay che nessuno era morto, ma Amanda era la loro migliore amica, e faceva male saperlo e diglielo così. Quindi chiuse gli occhi, mentre affievolendo la voce, dava loro risposte anche del perché Calum se ne fosse andato via in quel mondo – Mandy se n’è andata in Inghilterra.
Ed abbassò la testa, riaprendo gli occhi nel momento in cui Luke strinse forte le mani in un pugno, più per confusione che per rabbia o altro.
Ashton spezzò il silenzio creatosi con un colpo di tosse, incredulo da tali parole, poi mentre scuoteva la testa con forza, si decise a porre una domanda.
<< Per quanto tempo? >>
E sì che ad Emily Ashton piaceva da impazzire, ma in quel momento lo trovò stupido ed irritante, perché non poteva davvero averle fatto una domanda del genere.
Con un scattò si alzò in piedi, aprendo le braccia e lasciandole a mezz’aria, iniziando a gesticolare mentre buttava fuori tutta la rabbia
<< Cazzo che idiota che sei! Se n’è andata, non tornerà più. Pensi che se fosse davvero andata lì per una stupida vacanza da due settimane o poco più, non ce l’avrebbe detto? Ma lei è stupida, lo è così tanto. Ed è una fifona, cazzo. Non ha avuto il coraggio neanche di dirlo a Calum.
Giusto a me, che poi mi ha solo scritto un messaggio alle 4.00 di mattina, dicendomi che tra poche ore avrebbe preso l’aereo per Londra.
Neanche a spiegarmi il perché di ciò, ché quella crede che il mondo giri nel verso sbagliato solo a lei. Mica si preoccupa degli altri, è una tale egoista che mi chiedo ancora come abbia fatto a trovare un ragazzo e dei veri amici. Perché noi le vogliamo bene e lei ci ha semplicemente abbandonato, di sicuro perché i suoi le hanno sequestrato le chiavi della macchina. >>
Parlò velocemente, ma si liberò di tutto quello che pensava.
Cercò di calmare il respiro, ritornando a sedersi vicino al biondo, che la guardava ancora più confuso di prima.
Ma aveva ragione, questo lo pensavano tutti.
<< Scusate >> La voce di Emily era poco più che un soffio, e lì fecero fatica un po’ tutti a sentirla.
Ma annuirono, anche se di scusarsi ne poteva fare a meno, poiché non ne aveva motivo.



 

SPAZIO ME


Salve gente^___^
Ma tipo che poco fa ho notato che il banner non si vedeva
Trauma
Comunque, non so cosa dire, aiut....
Avete capito un po' quello che è seccusso, no?
Poveri amici:'(
Ho pensato che per questa storia il titolo "getaway" si addicesse di più.
Però è carino anche "What about our promises?", insomma, per tutta le promesse che si sono fatti e poi? Dove cazzo sono andate a finire?
Tipo al "Non fare promesse che sai di non poter mantenere."
...
Okay dai, al prossimo capito.

Recensite ihih <3


Ah, grazie comunque a voi che leggete(;




 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***











“Poteva essere tutto perfetto, ma la vita non è una fiaba.”
 

Calum suonò al campanello dell’abitazione, in cui, tra l’altro, era entrato tante di quelle volte da aver perso anche il conto. Venne ad aprire una signora, sulla cinquantina, vestita con un semplice paio di jeans e una maglietta bianca, che squadrava il ragazzo davanti a lei con un velo di malinconia negli occhi chiari. Calum schiarì la voce, poi, prendendo un grande respiro, iniziò a parlare, facendo comparire sul viso un sorriso tranquillizzante.
<< Salve, scusi se l’ho disturbata. – il moro inclinò impercettibilmente la testa verso il lato destro, aspettando che la signora gli facesse un qualche gesto. E, come previsto, lei scosse la testa, accompagnando il tutto con un movimento negativo della mano; mentre velocemente apriva di più la porta, accogliendo il ragazzo dentro.
Lui, una volta al caldo della casa, mormorò un semplice “permesso”, perché sì che quella era la casa della sua non-si-sa-se-ex-o-ancora ragazza, ma era un tipo educato, anche se non lo dimostrava spesso.
Quindi continuò la sua parlantina, accomodandosi verso uno dei divani rossi, dove troneggiava Mia, la gattina arancione che Amanda trovò un giorno sulla strada, tutta dolorante.
<< Sa il motivo per cui sono venuto qui, giusto? >> Calum sperava che Samantha annuisse, perché non aveva il coraggio di continuare a parlare. Era andato lì semplicemente per delle risposte, non voleva fare domande, né tanto meno tornare a casa sua con ancora più domande di prima.
Samantha, dal canto suo, lasciò fuoriuscire dalle proprie labbra un piccolo sbuffo, mentre annuiva e sfregava freneticamente le mani sul tessuto chiaro dei pantaloni.
<< Ragazzo, so che sei qui per sapere come mai Amanda sia andata via. Ed io sono sua madre, e come tale so le ragioni. Però capiscimi, quando tua figlia ti dirà “papà, promettimi di non dirlo a nessuno”, tu lo prometterai e cercherai di mantenere la promessa. E’ quello che sto facendo io, sto mantenendo la promessa fatta a mia figlia. Perché non importa che abbia cinque anni, dodici, diciannove o quaranta, noi i nostri figli li aiuteremo sempre. Ed io aiuterò sempre la mia Amanda. >>
Il moro prese a coccolare distrattamente Mia, mentre cercava di capire il punto del discorso. Scossa la testa, parlando lentamente e in modo chiaro, e ciò lasciò un po’ sorpresa la signora davanti a lui.
<< Non riesco a trovare un collegamento con tutto ciò che mi ha detto.
Io non credo avrò mai dei figli, quindi mi spiace, ma non capisco a pieno le sue parole. >> Scrollò le spalle, facendo girovagare gli occhi scuri per tutto il salotto. Poi li riportò su Samantha, quando parlò
<< E perché no? Hai tanto da offrire, e secondo me saresti un buon padre. >> E Calum non poté più trattenersi, scoppiando in una fragorosa risata. << Io, padre? No, lei non mi conosce bene, allora. Poi, io detesto i bambini. Cioè una volta dissi ad Amanda, mentre scorrevo le immagini del suo telefono, che i bambini lì erano carini e che mi sarebbe piaciuto averne uno. Lei annuì, dicendo che ci avremmo pensato in seguito, ma comunque mi era scappato, non ero serio e non lo pensavo appieno. >> Gli occhi chiari della signora si sgranarono a quelle parole, presa un attimo da un attacco di.. maternità? Cercò di scacciare dalla mente le immagini limpide della sua piccolina tra le mani di quel ragazzo, mentre facevano chissà cosa, magari proprio sul divano dove in quel momento era seduta lei. Sperò vivamente che Amanda avesse, in seguito, ripulito tutto. I suoi pensieri osceni vennero interrotti da una domanda, posta da due occhi terrorizzati e da un viso sbiancato all’improvviso << Mi dica che non ho messo incinta sua figlia, la prego. E si scordi tutto quello che ho detto sui bambini. >>
Lei scosse la testa, alzando gli occhi al cielo, per poi riportarli frettolosamente sul giovane viso del ragazzo, abbozzando un sorriso.
<< Calum, sei così tanto un ragazzo simpatico. Mandy no, non aspetta bambini. Anche perché non l’avrei lasciata andare da sola a Londra, e ti avrei costretto a rimanere affianco a lei. Sai, lei mi ha raccontato molte “vicende” della vostra relazione. Se devo essere sincera, caro, non sei il tipo che avrei voluto per mia figlia. Forse è per via dei vari tatuaggi, ti danno un’aria da cattivo ragazzo. O forse è il fatto che canti nei garage canzoni rock e punk con i tuoi amichetti. Ma lei era davvero tanto contenta di averti, ed il suo sorriso mi tranquillizzava. Chiedi a lei, perché se n’è andata lì. Vorrei dirtelo, perché mi spiace vederti in questo stato. Si vede che l’ami tanto, e anche lei ti ama tanto ma, davv- Calum non la lasciò finire, pensò di aver sentito abbastanza, e ritenette finalmente che quello fosse il momento giusto per interromperla.
Dunque si alzò in piedi, bruscamente, spaventando persino la povera Mia, che ormai era corsa all’angolo del muro del salone, per rifugiarsi nella sua cuccia rosa.
<< Sul fatto che io la ami, stia tranquilla, che non ci sono problemi. Ma sul fatto che lei mi ami, o che lei mi abbia amato, avrei tanti di quei dubbi. Lei avrebbe potuto avere tutte le ragioni del mondo per andarsene, d’accordo, ma avrebbe anche potuto avvertirmi. No, di questo ne sono sicuro: non mi ama. A lei non interessa proprio niente. Niente di nessuno. Altrimenti a qualcuno dei suoi tanti amici l’avrebbe detto. Lei si confidava con tutti, forse diceva più cose a loro che a me. Ma a nessuno ha detto che se ne sarebbe andata. Io non andrò da lei, non la inseguirò. Come lei ha deciso di cancellarmi dalla sua vita, che sia momentaneamente o per sempre; come lei ha deciso che non le sarebbe più importato di nessuno; come lei ha stupidamente deciso che la scelta giusta a qualsiasi suo problema sarebbe stato scappare; io ho deciso altrettanto. E non sarà facile cancellarla dalla mia vita, anzi, non lo è per niente. Ma provarci non costa nulla, e mi impegnerò affinché ci riesca. >> Era rosso in viso, mentre velocemente sputava fuori tutte quelle parole. E gesticolava, come faceva sempre quando era agitato, nervoso, o arrabbiato. E non smise di guardare in volto la signora, che ora si era alzata in piedi e lentamente si stava dirigendo verso la porta d’ingresso, per aprirla.
<< Gli scrittori non dicono “Lascia andare chi ami”? >>
Calum si diresse verso l’uscita, girandosi poi verso Samantha per guardarla.
<< Gli scrittori dicono anche che per ognuno ci sia un lieto fine. Eppure, per me, non lo vedo. >>
 
 
 
Una volta arrivato nella sua stanza, Calum corse verso il suo telefono. Buttato in quell’angolo per colpa di una sfuriata. E quel piccolo oggetto, ne ha pagato le conseguenze. Lo schermo era conciato in un modo disastroso, e passandoci sopra il dito, gli si formò un nodo in gola, notando tutte quelle crepe.
Si sedette sul letto e portò la testa tra le mani, scuotendola freneticamente e lanciando un urlo, che rimbombò tra le pareti blu della camera.
Era incazzato.
Per Amanda.
Per sua madre.
Per i suoi discorsi filosofici, quando invece persino il criceto in prognosi riservata che si ritrovava sua figlia dava maggiori soddisfazioni.
Per se stesso.
Per il telefono.
Il telefono. Era già altamente incazzato di suo, ci mancava l’iphone.
Cercò di calmarsi, perché sapeva che così non avrebbe risolto nulla.
Voleva la sua ragazza. Lì. In quel momento. Con lui accanto.
Era colpa di Amanda, se ora si fosse ridotto a piangersi addosso.
Perché quella ragazza l’aveva semplicemente conosciuto in uno di quei momenti in cui la vita ti riserva solo il peggio. E lei l’aveva aiutato. Aiutato a sorridere. Aiutato a vivere, di nuovo. Ed ora stava ricadendo. Ma non l’avrebbe permesso, perché era un tipo forte, lui.
Accese il telefono, mentre a bassa voce borbottava insulti contro se stesso, e contro lei.
“Coglione. Coglione che ti sei innamorato. Coglione che ti sei innamorato della ragazza meno adatta. Coglione che ti sei innamorato della ragazza meno adatta che non smetteva di ridere. Coglione che ti sei innamorato della ragazza meno adatta che non smetteva di ridere e di guardarti. E, cazzo, la sua risata era forse ciò che di più bello avesse mai sentito. –Poi scosse la testa, perché non poteva pensarlo davvero. Non in quel momento. Senza farci caso aprì i messaggi ed iniziò a digitare. –E stupida. Stupida lei che si era avvicinata. Stupida lei che gli chiese il nome. Stupida lei che accettò di uscire con lui per una passeggiata. Stupida lei che ricambiò il bacio al bar, alla loro seconda uscita da soli. Stupida lei che gli chiese cosa fossero diventati. Stupida lei che, alla fine, accettò di essere la sua ragazza. Stupida.”
 
“Ti amo.”
 
Ed inviò. 






 

SPAZIO ME


Salve a chiunque sia giunto fino a qui.
Scusate per il colossale ritardo... ma ora ho finalmente aggiornato.
Comunque va beh, Calum va a casa di Amanda, ma non riesce a trovare risposte alle sue tante domande.
La odia, c'è un piccolo spazio ai momenti passati insieme,  e lui le scrive quello che prova.
Che sì, la odia, ma non è propriamente così.
Nel senso che ci vuole del tempo, affinché il sentimento che aveva provato, sparisca del tutto.
Secondo vuoi qual è il motivo che ha spinto Amanda ad andarsene?
Ora vado, voi RECENSITE, RECENSITE, RECENSITE che ve se ama;)
Alla prossima, belli!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***







Sembra che il tempo la felicità te la faccia assaggiare, per poi riderti in faccia e dirti “Vattela a cercare”.
 

 
Luke camminava con la sua ragazza, verso gli alberi del chioschetto; il ritrovo della combriccola. Aveva un braccio intorno alla minuta spalla di Acacia, la mano dell’altro braccio infilata nella rispettiva tasca del giubbino, e una sensazione strana all’altezza dello stomaco.
Non erano farfalle, cicloni, o tutte quelle sciocchezze che si inventano gli innamorati.
Non era neanche la fame.
Era qualcosa come comprensione, mista ad un po’ di tristezza e malinconia.
Si lasciò guidare verso una panchina dalla ragazza castana al suo fianco, troppo preso dai pensieri per tornare alla realtà.
Alla fine, uno schiocco delle mani da parte di Michael, lo fece tornare tra loro.
Iniziarono a parlare della scuola, che ormai loro ultimamente non stavano più frequentando. Passarono poi a chiedersi dove avrebbero trascorso le vacanze di natale, e dal nulla, Luke diede voce a ciò che pensava quando prima era in strada.
<< Devo andare da Calum. >> Detto questo si alzò, lasciò un sonoro bacio sulle labbra di Acacia, e velocemente si diresse verso la fermata dell’auto; ‘ché a nessuno andava di fare tutta quella strada a piedi.
 
 
Calum era a dormire, come sempre a quell’ora della mattina.
Luke stava suonando al campanello, aspettando pazientemente l’amico.
Calum intanto, si era rigirato nel letto, turbato da chissà cosa.
Luke suonò un’altra volta, convinto che il moro si trovasse in casa.
Calum bofonchiò qualcosa nel sonno, mentre il cervello gli mandava un suono continuo.
Luke si era ormai attaccato al campanello, non smettendo di farlo suonare.
Calum aprì un occhio, e accorgendosi finalmente che il suono provenisse dalla realtà, lentamente si alzò dal suo comodissimo letto.
Scese le scale, mentre il campanello non smetteva più di trillare, e si domandò chi potesse essere il coglione che si stesse divertendo così.
Il biondo, fuori dalla casa, sbuffò, mentre ormai, senza più pazienza, aveva preso ancora più insistentemente, se possibile, a suonare.
Calum, con la voce ancora impastata dal sonno, mormorò un qualcosa come “e che cazzo, sto arrivando.” Non uscì una frase di senso compiuto, né uscì proprio una frase, troppo preso a imprecare mentalmente per chiunque lo avesse svegliato. Aprì la porta d’ingresso, e strizzando gli occhi, riconobbe l’amico davanti a lui, che aveva appena inarcato un sopracciglio e allargato le braccia << Diamine, ce l’hai fatta ad alzarti da quel letto >>
E il moro, ancora stanco e desideroso di tornarsene a dormire, si passò una mano sul viso, per poi farla salire tra i capelli, scompigliandoli un po’
<< Che vuoi? >>
<< Mh, mi fai entrare o preferisci che rimaniamo così? >>
Calum guardò oltre Luke, notando gente camminare sul marciapiede, macchine sfrecciare nella strada, vicini annaffiare il loro prato, diede un’occhiata al cielo; prometteva pioggia.
Poi scrollò le spalle, e tornando a guardare i suoi occhi celesti, rispose
<< Beh, te lo meriteresti; mi hai svegliato. Però fa abbastanza freddo, quindi entriamo dentro. >>
Il biondo abbozzò un sorriso, oltrepassando l’amico e dandogli una confortevole pacca sulla spalla, mentre si sbracava comodamente sul divano.
Calum chiuse il portone dietro di sé, e si diresse in cucina.
Afferrò una brioche dalla credenza e preparò il caffè, ché lui era sveglio per metà, ma sapeva che non sarebbe riuscito a riprendere sonno.
<< Vuoi qualcosa, Luke? >> Luke, nel mentre, aveva acceso la tv, rispondendo con un veloce << Una birra >>, e lasciando cadere il telecomando nel tappeto rosso sotto di lui, certo ormai che quel piccolo aggeggio non sarebbe potuto più morire, avendo fatto un volo di almeno sei metri e uscendone intatto. Calum arrivò con il proprio cibo, offrendo poi la bottiglia fredda e già stappata all’amico, che ingurgitò da subito una buona quantità del liquido.
<< Cosa ti porta qui? >> Chiese il moro, afferrando dal tavolino in vetro davanti alla poltrona dove si era seduto, la tazzina contenente il caffè.
<< Semplicemente, il fatto che l’ultima volta che ti ho visto, non avevi stampato in faccia l’espressione della persona più felice su questa terra. >> Poi scrollò le spalle, e sapendo che così Calum non avrebbe detto nulla, non che ci fosse qualcosa da dire, o almeno qualcosa che il biondo non sapesse già, aggiunse << Una partita a FIFA? >>
E senza dire nulla, Calum si avvicinò alla tv, inserendo il gioco e passando un joystick all’amico, iniziando così uno di quei pomeriggi –in questo caso mattinate- ai vecchi tempi.
 
 
 
 
 
Il mattino seguente, un nuvoloso martedì di dicembre, nella stanza di Calum risuonò “Oh love” dei Green Day, facendo così svegliare il ragazzo di soprassalto. Spense la sveglia, e si rigirò dalla parte opposta del letto.
Lo sguardo gli cadde sull’orologio appeso alla parete, che segnava “7.30”.
Strinse in un pugno il piumone, e se lo portò su fino a coprire anche la testa, rannicchiandosi poi per bene, e stringendo il cuscino.
Calum, è martedì. I tuoi genitori.”
All’improvviso capì perché Pinocchio volesse sbarazzarsi del Grillo Parlante.
Sbuffando, come ormai era di routine, e abbattuto, come ormai ogni qualvolta che dovesse dire addio al suo amato letto, si alzò in piedi.
Dirigendosi verso l’armadio, lo spalancò, frugandoci dentro per qualche secondo e tirandone poi fuori una tuta grigio scuro, la felpa dello stesso colore e le blazer.
Dopo essersi lavato e vestito, si avviò velocemente verso l’ingresso, indossando un giubbino e prendendo le chiavi della propria auto.
Una decina di minuti dopo, stava parcheggiando davanti al bar “Tre archi”, quello di fronte all’istituto dove lui studiava.
Entrando, lanciò un’occhiata al locale, e intravedendo alcuni suoi amici, si diresse verso il bancone, dove ordinò un cappuccino e un cornetto al cioccolato, che una delle cameriere si sarebbe poi occupata di portargli al tavolo.
Intanto si diresse verso la sua compagnia, sedendosi di fronte a Michael, e salutando poi tutti.
<< Hai degnato finalmente la scuola della tua presenza, Calum? >> Lo incalzò Acacia, che era seduta accanto a lui.
<< Per forza; i miei genitori rientrano oggi dal lavoro, non potevo farmi trovare a casa. >>
Ashton posò la tazza di the, ormai finito, sul tavolino, e poggiando un gomito su quest’ultimo, e il mento sulla mano, assunse un’aria pensierosa, mentre si rivolgeva all’amico.
<< Lo sai che ancora mi sto chiedendo come tu possa essere uscito da loro, persone di alto livello, con una certa intelligenza, persino con una laurea, cosa che a te non appare neanche nei sogni? >>
Calum tirò un sorriso, scocciato dal fatto che tutti pensassero che lui sarebbe dovuto essere tale e quale ai genitori. Semplicemente, a lui non interessava nulla della scuola.
Sapeva parlare la propria lingua, un discreto francese, sapeva fare 2+2 e una volta era arrivato a contare fino a duemila, giusto perché stava facendo le flessioni. Certo, aveva fatto qualche pausa nel mentre. Sapeva tutti e cinquanta gli stati del proprio Paese, e con quali altre nazioni e oceani confinasse. Sapeva i continenti, qualche altro Paese, e anche dove le città più importanti si trovassero. Sapeva qualche avvenimento passato nella storia dell’America e alcuni presidenti.
Sinceramente, secondo lui sapeva abbastanza, e proprio non capiva a cosa gli potesse servire continuare ad andare a scuola. Ma, ormai, l’aveva quasi terminata.
Voleva diventare un calciatore, e per questo non gli sarebbe di certo servito ciò che sapeva. D’altro canto, aveva due avvocati come genitori, che portavano ognuno a casa un alto stipendio, e questo, sicuramente, gli sarebbe perfino bastato per entrare in una squadra di calcio.
Fino a quel momento, i soldi dei suoi genitori erano bastati per far sì che ogni suo desiderio o sogno ipoteticamente lontano, diventassero realtà.
Loro lo accontentavano, ogni volta che lui chiedeva qualcosa, perché la maggior parte del tempo non erano a casa, ma in giro per l’America per lavoro, e l’affetto nei confronti del ragazzo lo mostravano così.
 
Non avendo aperto bocca nei restanti sette minuti al bar, ma godendosi solo la colazione, aveva ancora qualche altro minuto prima che la campanella dell’istituto suonasse. Dunque si alzò in piedi, e congedando gli amici con un semplice “io vado, ci si vede dopo”, andò a pagare ed uscì dal locale.
Prima, mentre mangiava il cornetto, aveva visto la ragazza bionda dell’autobus, quindi in quel momento si stava dirigendo verso lei, che stava sola sotto un albero, armeggiando con il cellulare.
Si sedette accanto a lei, che alzò velocemente la testa, avendo notato qualcuno vicino.
<< Ehi, Calum >> Lo salutò lei, stendendo le labbra in un sorriso.
Lui ricambiò, mostrando l’arcata superiore dei denti << Ehi... >>
Non ricordando il nome della ragazza, aveva lasciato la frase a metà, sperando in un aiuto da parte di lei. Un aiuto che non arrivò, perché la bionda aveva alzato un sopracciglio, e aveva iniziato a ridere, attirando l’attenzione di alcuni studenti.
Non aveva intenzione di dirglielo, dunque << Spremi le meningi, Calum. >> gli disse deridendolo.
Il moro sbuffò, ma non avendo nulla da perdere, e purtroppo, nulla da prendere, non rifiutò la piccola sfida che la ragazza, silenziosamente, aveva posto.
<< Brooklyn, Bridgit... –La bionda continuava a ridere, e Calum pensò che forse non si stava neanche lontanamente avvicinando al nome –Gioia, Felicity, Astra, Abigail, Susan? >>
<< No, no. Sei in alto mare >> Scuoteva la testa, cercando di trattenersi dal ridere, di nuovo.
<< Non sono bravo a decidere un nome, figuriamoci a ricordarlo. Non potresti aiutarmi? >>
La ragazza sembrò pensarci, poi sospirando disse << Inizia con la “a”. >>
E Calum scosse energicamente la testa, perché sì che i nomi sarebbero diminuiti, ma lui non conosceva molti nomi che iniziassero con la lettera “a”.
<< Abigail? >> provò, sperando ardentemente fosse esatto.
<< No, e poi già l’hai detto. >> La ragazza riprese a ridere, e Calum pensò che quella fosse una risata davvero odiosa.
<< Anjelina, Asia, Alli, Azure, Am –Stava contando i nomi sulle dita di una mano, poi la voce della ragazza lo interruppe, e lui la guardò speranzoso, credendo di aver indovinato il nome.
<< Eccolo! Cioè, ci sei vicino >>
Il moro inclinò di poco la testa su un lato, mentre in mente riprendeva i nomi che poco fa disse, ma già li aveva dimenticati.
<< Tipo Azurine? >> Azzardò, ma la bionda riprese a ridere.
<< Ma che razza di nome è “Azurine”? No, io intendevo si avvicinasse ad “Alli”. >>
Calum scrollò le spalle, non sapeva neanche se qualcuno avesse quel nome, e alla fine non era neanche tanto male. Poi pensò a quale nome potesse avvicinarsi ad “Alli”, e, schioccando le dita, esclamò << Allison! >>
La bionda finalmente annuì, accompagnando il tutto con un applauso, mentre la campanella della scuola dietro di loro, suonava l’inizio delle lezioni.
<< Che razza di nome è “Allison”? >> Le fece il verso, mascherando il tono divertito con uno serio e un po’ schifato.
La ragazza gli fece la linguaccia, mentre si alzava dal prato dirigendosi verso le porte aperte, seguita da Calum.
<< E’ sempre meglio di “Azurine.” >> Si diressero verso l’armadietto di lei, e il moro tirò fuori dal proprio zaino –per giunta anche vuoto, se non per qualche penna buttata sul fondo e un quaderno –il foglio con le lezioni, cercando il martedì, per sapere quale materia dovesse sopportare alla prima ora.
<< E’ il nome di mia madre. >> Sbuffò, e Allison non capì se per la figura di merda appena fatta a causa del nome, o per la lezione che lui avrebbe avuto.
<< Oh, io non lo sapevo, scusa >> Chiuse l’armadietto, abbassando lo sguardo mentre in mano prendeva i libri che le sarebbero serviti.
La risata cristallina di Calum le fece alzare il volto, e le guance presero a colorarsi di rosso.
<< Hai fatto una faccia che oddio, sto morendo. Scherzavo, mia madre non ha un nome del genere >> Continuava a contorcersi per le risate, e lei non sapendo cosa dire, si limitò solamente a camminare. Pensò che stessero dirigendosi verso l’armadietto del ragazzo, anche se la sua aula, cioè quella di letteratura inglese, si trovasse da tutt’altra parte.
Calum intanto stava smettendo gradualmente di ridere, o forse combatteva affinché ciò accadesse, e come previsto da Allison, aprì il proprio armadietto, afferrando svogliatamente il libro di matematica.
<< Che palle, matematica. Ciò vuol dire la Anderson, ed io davvero, con quella voce da cantante funebre, non posso sopportarla. >>
La bionda parve non capire l’affermazione di Calum, perché lo guardò alzando un sopracciglio, per poi socchiudere gli occhi verdi. Non sapeva, comunque, che esistessero dei cantanti funebri.
<< Azurine è un bel nome; lo darò al mio gatto, quando lo avrò. O al mio cane, quando lo avrò. O comunque, a qualsiasi altro animale che in un futuro vicino, avrò >>
Allison ascoltava il ragazzo parlare, e lo trovava strano. Diceva strane cose, e pensò che Calum dovesse essere uno di quei ragazzi che non fanno altro che parlare e che a volte si perdono, dicendo cose senza senso.
Si lasciarono lì, perché il moro aveva l’aula a qualche passo da dove si trovavano, e lei ne avrebbe dovuti fare un bel po’, per arrivare alla sua.












UE AMIKI

Salve gente, e buon ferragosto. Spero lo stiate passando nei migliori dei modi.
Io, purtroppo, sono rimasta a casa perché è tipo bruttissimo tempo e tuona e piove come mai quindi,,,
Comunque
Odd, forse Allison e Calum <3<3<3
Mh, lo terrò in considerazione(;
Calum è un pochino strano..,,...,,.,

Ciao gentaglia, alla prossima!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***








“Te vonno sorridente tra ‘sta gente finta.”

 

Allison era entrata nella mensa dell’istituto, e dopo aver fatto la fila per prendere il cibo, che quel giorno consisteva in un ammasso di fili rossi tutti appiccicati che chiamavano “spaghetti al sugo”, e una fettina, si guardò intorno, cercando il tavolo dei suoi amici.
Una mano che si contorceva, attirò la sua attenzione.
Era Calum, seduto al solito tavolo lungo, sotto alla grande vetrata, che le stava facendo cenno di unirsi per pranzare con loro.
Allison pensò bene di passare prima al tavolo dei suoi amici, che consistevano in tre persone, per avvertirli del fatto che avrebbe mangiato con altra gente, dunque andò verso il moro, sedendosi a qualche sedia più a destra, rispetto a dove si trovasse Calum.
<< Ragazzi, lei è Allison. >> La presentò il ragazzo, mentre la bionda abbozzava un timido sorriso e ricambiava il saluto a tutti.
Poi partirono ovviamente le presentazioni, iniziando da un tizio davanti a lei, castano e riccio, con gli occhi verdi, tanto diversi dai suoi quanto belli, che si chiamava Ashton. Il ragazzo dai capelli bianchi, con una frangia nera, accanto a lei, si chiamava Michael, poi si presentò la ragazza alla sua sinistra, Acacia, poi una castana vicino a Calum, Emily, una rossa, la quale aveva trattenuto i suoi lunghi capelli in una coda alta, Louise.
<< Allison.. Parks, vero? Facciamo educazione fisica insieme, se non sbaglio. >>
La bionda annuì, dando così ragione ad Acacia.
<< Dunque, hai diciassette anni >> Constatò Michael, dopo aver sentito che andasse in classe con Acacia.
Anche qui Allison annuì, troppo impegnata a mangiare quella poltiglia per poter parlare.
<< Da quant’è che frequenti questa scuola? >> Alla domanda posta da Calum, Allison dovette per forza rispondere.
<< Da settembre. >> Prese una caraffa d’acqua dal tavolo, versando un po’ del liquido nel proprio bicchiere.
<< Perché io non ti ho mai visto? >> Il moro sembrava più che stesse parlando con se stesso, che con lei, quindi Allison pensò che non dovesse rispondere proprio alla domanda.
Il pranzo andò avanti per una mezz’oretta, dove Allison non fece altro che rispondere alle domande che loro le ponevano.
 
 
 
Dopo altre quattro ore di lezione, Calum poté finalmente uscire da quel manicomio e dirigersi verso la sua Audi nera.
Prima che salisse, notò Allison qualche metro avanti a lui, che aveva tutta l’aria di avviarsi verso la fermata dell’auto.
<< Allison, vuoi un passaggio? >> Dunque la chiamò, perché non sapeva cosa pensasse la ragazza degli autobus, ma a lui non piacevano per niente.
La bionda corse verso Calum, annuendo freneticamente, dopo aver urlato da lontano un “Grazie.”
Si allontanarono da lì, e dopo aver svoltato la prima curva, Calum si rese conto effettivamente di non sapere dove abitasse.
<< Che deficiente che sono; dove abiti? >>
Allison scoppiò in una fragorosa risata, dicendogli la via e dandogli indicazioni su cui arrivarci. A quel punto il moro la interruppe, facendola arrossire per la seconda volta quel giorno.
<< Ferma, ferma, so dov’è. Sono diciannove anni che vivo qui. >> Le mostrò uno dei migliori sorrisi che avesse mai fatto, e lei bofonchiò uno “Oh, scusa.”, iniziando poi a torturarsi le mani dall’imbarazzo.
<< E’ lontano da questo liceo, perché non ne hai scelto uno vicino casa tua? >>
Il ragazzo, che odiava il silenzio, in generale, pensò bene di dover dire qualcosa, mentre Allison scrollò le spalle << Mio padre è un professore, e l’hanno ammesso lì, quindi ho pensato di andarci anche io. >>
<< Oh, e cosa insegna? >>
<< Biologia. >>
Calum annuì, non era una delle sue materie preferite –aveva, almeno, una materia preferita? –ma il professore Parks non era un suo insegnante; lui aveva una donna, ad insegnargli biologia.
<< Non lo conosco >> Infatti disse.
<< Beh, non mi aspettavo lo conoscessi, in fin dei conti, è qui solo da tre mesi. >>
Calum si incuriosì, anche perché lui era già abbastanza un ragazzo curioso di suo, dunque le porse un’altra domanda.
<< Da quanto ho capito, non sei di Chicago. >>
Allison scosse la testa << No, prima abitavo a Denver. >>
<< Denver.. ci sono andato in vacanza tipo all’età di dieci anni, magari ci siamo anche incontrati. >> Il ragazzo rise, seguito dalla bionda, che scosse subito la testa, di nuovo.
<< Ne dubito, io a quell’età abitavo ancora a Canberra. >>
<< Quindi, sei Australiana? >>
Allison annuì, e Calum non aveva ben capito dove lei fosse nata, ma non volle comunque più tornare su quel discorso, o si sarebbe rincoglionito ancora di più.
Alla fine, dopo una quarantina di minuti, era di ritorno a casa, e stava attraversando il vialetto della sua abitazione.
Ovviamente i genitori erano tornati, perché lui prima di uscire aveva chiuso le persiane del salotto, mentre ora erano aperte.
Suonò al campanello, e qualche minuto dopo aver sentito urlare un uomo con “arrivo subito”, finalmente la porta si aprì.
Calum mostrò un sorriso spontaneo, alla vista del padre, che lo fece entrare dentro, salutando con un << Le chiavi signorino, non si portano dietro? >> Poi anche lui ricambiò il sorriso, felice di rivedere il figlio.
Gli diede una pacca sulla spalla, e in quel momento comparve dalle scale la signora Hood, che sentendo il marito parlare, era corsa al piano di sotto.
Si diresse verso il figlio, appena lo vide, stringendolo in un materno abbraccio che Calum ricambiò.
<< Ciao, mamma. >> Bofonchiò, cercando di non morire soffocato.
La donna dovrebbe essersene accorta, perché mormorò un “Oh”, e sciolse la presa.
<< Festeggiamo la rimpatriata con un’uscita di famiglia, d’accordo? >>
E se Calum sorrise, per la strana frase con cui il padre se ne fosse appena uscito, la madre assunse un’aria di rimprovero, con tanto di mani poggiate sui fianchi e i tacchi a picchiettare sul pavimento del salotto.
Rise di gusto, ‘chè alla fine i genitori gli erano mancati, e salì in camera sua, catapultandosi nel bagno e infilandosi velocemente nella doccia.
Quando Calum scese in cucina, una ventina di minuti dopo, i genitori erano alle prese con la strana “uscita di famiglia”.
Il signor Hood era seduto sulla sedia bianca, sporto in avanti, con le braccia sul tavolo di marmo, mentre la signora Hood, era compostamente seduta e con la schiena appoggiata allo schienale.
Bisticciavano tra la pizzeria, scelta eccellente da parte dell’uomo, e un’affascinante ristorante, scelta elegante da parte della donna.
<< Io opterei per il Mc, mh? >> Si intromise il figlio, e il padre lo guardò felice e orgoglioso di lui.
Mentre la madre, con aria scioccata aggiunse << No, no. Io non so neanche cosa sia, il mc >>
E Calum si lasciò scappare una risata, travolgendo anche il padre, avviandosi verso la madre e prendendola per il braccio, facendola così alzare.
<< Beh, è più o meno come il ristorante di cui prima parlavi. >>
E il moro, notando lo sguardo confuso della donna, sicuramente per il suo “più o meno”, si affrettò ad aggiungere << Però ha anche qualcosa da pizzeria, capito? >>
 
Ci volle un bel po’ per costringere Lana, affinché salisse sulla loro auto e partisse con loro verso il Mc Donald's.
Ma ci riuscirono, entrambi gli uomini, ed in quel momento erano proprio davanti alla porta di vetro, con Calum che la spingeva, ed entrava nel locale.
Lo seguì la madre, che alla vista dei tavolini ripieni di cibo spazzatura, Calum pensò potesse svenire lì.
Non successe quello, ma a passo lento, si diresse dietro al figlio fino al bancone, con la sciarpa rossa tirata fin sotto al naso, perché proprio non sopportava quell’odore.
Ordinò tutto il moro, per la propria famiglia, e si diressero verso un tavolo libero.
Lena fece scivolare il suo sguardo severo e ripugnante sui tre vassoi in legno, indicando poi un contenitore bianco << E’ coca- cola? >>
Il signor Hood, che fino a quel momento era rimasto in disparte, deridendo nel pensiero la moglie, si decise ad intervenire << Lena, quello che tu chiami “cibo spazzatura”, non ti ucciderà. Poi, a maggior ragione se fosse la prima volta. Ed ora fai la persona seria, che ci stanno guardando male. >>
La donna si guardò attorno, non trovò nessuno a guardarli, e lanciando un’occhiata al marito, che sembrava dire “sono io quella che tra un po’ ucciderà te”, portò indietro le spalle, e avvicinando a sé un vassoio, dicendo << Io sono una persona seria. >>
Calum scosse la testa, ridacchiando a bassa voce per non farsi sentire dalla madre. Trovava strani i genitori, e proprio non capiva come due persone del genere fossero finite a sposarsi.
 
 
Il giorno dopo, un mercoledì piovoso, Calum fu svegliato dai propri sogni, e riportato bruscamente alla realtà, da una voce che era tutto, fuorché melodiosa e rassicurante.
<< Sì mamma, guarda, sto già in piedi. >> Il ragazzo, dopo essersi ripreso dal mini infarto dovuto dalle grida della signora, si era alzato velocemente.
Sbuffando, dopo che la madre uscì dalla stanza, si vestì per poi correre in bagno a lavarsi i denti.
Salutò i genitori e si avviò frettolosamente verso la proprio auto, accendendo il mal ridotto telefono per sapere l’ora.
Si sedette nel posto guida, e quasi non gli venne un infarto vero, leggendo sul display l’orario: 7.26.
Di solito lui postava la sveglia alle 7.30, e quella mattina, pensandoci bene, non fu svegliato dalla voce del suo idolo.
Gliel’avrebbe fatta pagare, alla madre.
Ma purtroppo, non poté far nulla, se non accendere l’audi, e partire verso l’istituto.
Quel giorno ci mise un po’ più del dovuto, causa strade trafficate e il maltempo che formava code chilometriche.
Parcheggiò al solito posto, entrò nel solito bar, ma non trovò i soliti amici.
Ordinò un cappuccino e un cornetto al cioccolato, come di routine, e lo mangiò al bancone, senza occuparsi di andare in un tavolino.
Scese dall’alto sgabello, e pagò alla cassa, salutò e uscì dal locale.
Il suo umore migliorò un pochino, notando un biondo e un riccio correre verso di lui, con i vestiti bagnati e il cappotto mal messo sopra la testa, per coprire i capelli immacolati.
I due lo fulminarono e si catapultarono al caldo e all’asciutto, facendo scivolare il cappotto da sopra i capelli, e scompigliandoli un po’.
Facevano un po’ tutti gli stessi gesti, in quella combriccola.
Si sedettero nel primo tavolo trovato libero, e Luke, sprofondando nel comodo divanetto, brontolò un << Ciao. >> a Calum.
Il moro sorrise loro, e li salutò con un cenno della testa, ancora divertito dalla scenetta che gli si era posta davanti.
I due sembrarono capire, perché entrambi bofonchiarono qualche parola poco capibile, di cui Calum comprese “vaffanculo” e “idiota.”
Scoppiò in una fragorosa risata, alla quale dopo qualche secondo si aggiunsero Luke ed Ashton.
<< Oggi è il secondo mercoledì del mese >> Disse il riccio, facendo scivolare lo sguardo su entrambi gli amici, che annuirono all’unisono e il biondo precedette la seguente affermazione dell’amico
<< Pomeriggio a casa di Michael, ovvio. Allora, ci vediamo alle 18.00 lì? >>
E se Ashton quasi spontaneamente disse “sì, io ci sono”, a Calum ci vollero alcuni secondi di riflessione. Non aveva mai rifiutato un pomeriggio a casa dell’amico tinto, ma allora era diverso, e molte cose dal mese precedente erano cambiate. Iniziando con Amanda. Finendo con Amanda.
Ma rispose comunque con un accenno affermativo della testa, non preoccupandosi minimamente del fatto che gli altri due stessero avendo una conversazione fitta sull’ultimo gioco acquistato da Michael, e dunque non l’avessero degnato di uno sguardo. Ma sapevano tutti e tre che nessuno di loro avrebbe potuto rifiutare un pomeriggio del genere. 









Spazio a me


Buonasera, gente. 
Spero siate tutti vivi e vegeti, come me - scusate, orribile citazione in "hunger games e il canto della rivolta"; ho appena finito di rividere il film, okay.
Non c'entra nulla, lo so......
D'accordo, passando ai nostri eroi della Fanfiction, aspetta loro un fantastico pomeriggio da Clifford, waoh.
La frase ad inizio capitolo che c'è qui è bellissima, la amo proprio tanto tanto.
((Viva il romano))

Ma la serata di famiglia? Oddio, che carini. Mi sarebbe piaciuto se anche io avessi avuto dei genitori così, sono strambi e boh, li amo anche se non sono reali.
Detesto il fatto che efp non riesca a mantenere lo stesso carattere su questo spazio, quindi sto scrivendo con caratteri diversi perché sono i primi su cui clicco. Sono strana anche io, vero.

Quindi, alla prossima<3

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. ***







Se ci penso, mi manchi.
Ma se ci penso meglio; vaffanculo.”

 
 

Erano le 17.52 quando Calum uscì dalla porta della propria abitazione, avviandosi verso l’auto.
Arrivò qualche minuto più tardi, a casa di Michael.
Dopo aver suonato al campanello, un ragazzo poco più basso di lui aprì il portone, schiudendo le labbra in un grande sorriso alla vista del moro.
<< Eccoti, dai su entra! >> Lasciò spazio necessario per far entrare l’amico, spostandosi di lato, per poi avviarsi verso il salone, dove erano presenti già Luke, Acacia e Emily.
Calum salutò tutti con un cenno del capo, al quale loro risposero con dei “Buonasera”, “ciao”, “Siediti, su, Calum”, molto animati.
Il ragazzo, ormai abituato alla loro e propria routine, si sbracò sul divano libero, prendendo in mano una delle bottiglie di birra sul tavolino basso davanti a lui.
<< Ashton? >> Aprì bocca Calum, notando che all’appello del pomeriggio mancasse qualcuno, o più di uno.
Michael scrollò le spalle, armeggiando con il proprio telefono << Nessuna chiamata persa da parte sua, arriverà, credo. >>
<< Beh sì, stamattina aveva detto che sarebbe venuto >> Luke indicò con l’indice prima se stesso e poi Calum, sottolineando il fatto che parlò con loro due.
Scrollarono entrambi le spalle, mentre il tinto, sbuffando, si diresse verso la propria tv, inserendo il videogioco e dando i due joystick agli amici.
<< Noi iniziamo, poi si unirà quando verrà >> E detto questo si sedette sulla poltrona bianca, mentre Acacia lo guardava con un sopracciglio alzato << Credo sia ovvio, non può unirsi a voi se è ancora per strada. >>
Luke diede una leggera spinta alla propria ragazza, come a dirle di stare zitta, e quest’ultima sbuffò pesantemente, alzandosi dalle gambe del biondo e sedendosi a terra, accanto all’amica castana.
 
Erano le otto di sera quando decisero di smettere di giocare a FIFA.
O meglio, erano le otto di sera quando qualcuno suonò al campanello: il ragazzo delle pizze. E i tre ragazzi decisero che avrebbero continuato dopo, non potendo resistere al profumo proveniente dai tre cartoni.
Alla fine, come sempre, non toccarono il joystick per il resto della serata, troppo impegnati in una di quelle stupide e insensate conversazioni.
 
A mezzanotte circa, ci pensò Luke a porre fine alla serata.
<< Comunque, a parte Ashton, manca ancora qualcuno. >> Il biondo guardò i presenti, passando il proprio sguardo su tutta la figura di ognuno di loro, assottigliando gli occhi mentre pensava a chi mancasse.
Poi, come un’illuminazione proveniente da una lampadina rotta, Luke scattò, quasi urlando << Mandy! >>
Ritrovando subito il motivo per cui lei non fosse lì con loro, scosse velocemente la testa, amareggiato << Ah, è vero >>
E Calum si alzò in piedi, trovando pesanti gli otto occhi puntati contro i suoi, annunciando il suo ritorno a casa << D’accordo, allora io vado, che si è fatto tardi. >> In silenzio, prese il proprio giubbino dall’attaccapanni vicino alla porta d’ingresso, infilandolo e controllando se nelle tasche ci fosse tutto, poi tirò in basso la maniglia del portone, aprendolo e prima che se lo potesse richiudere dietro, la voce bassa di Emily lo fece girare verso il salone.
<< Avuto sue notizie? >> Una nota di speranza era pienamente udibile nella voce della castana e negli occhi degli altri tre.
Speranza che vacillò nel momento in cui Calum scosse la testa, seguito da un << No, che andasse a fanculo. >>
Sbatté la porta, dirigendosi verso la propria auto per tornare a casa.
 
E forse quella sera nessuno di loro se ne accorse,
Nessuno di loro ci fece caso,
O, ancor più semplicemente, nessuno di loro volle staccare quel pensiero assillante dall’angolo della testa dove lo avevano riposto.
 
Di solito i loro secondi mercoledì del mese passati a casa di Michael, erano i migliori, ma parecchie cose quella sera fecero capire a tutti e cinque che la loro tanto amata routine, stesse andando a farsi fottere.
Cominciando con la mancanza di Ashton.
Continuando con le inesistenti interruzioni da parte delle due ragazze.
La mancanza di lei.
Finendo con l’andarsene di tutti quanti, ‘ché di solito, anzi, perché sempre tutti rimanevano a dormire in quella casa.
 
Il giorno dopo, comunque, nessuno fece più caso a quei cambiamenti, continuando con la routine del secondo giovedì del mese, ossia: essere troppo stanchi per la serata precedente, da andare a scuola.
Ovviamente, valeva per tutti tranne che per Acacia, che a scuola ci sarebbe andata anche con un quaranta di febbre.
 
E se Michael in quel momento stesse ancora dormendo, come d’altronde anche Emily, Luke e Ashton, Calum fu svegliato di soprassalto, tanto da farlo cadere giù dal letto.
Aprì gli occhi lentamente, e con la stessa lentezza, si alzò dal pavimento freddo.
Si massaggiò il braccio dolorante per la caduta, e si ributtò sul letto.
Il rumore assordante fece sì che il ragazzo portasse la testa sotto il cuscino, dove il suono fu attutito, ma rimase comunque insopportabile all’udito.
Sbuffando, si alzò dal comodo materasso, uscendo poi dalla camera e dirigendosi verso la cucina, dove mise il latte a scaldare sui fornelli.
Prese una ciambella con lo zucchero da una bustina di carta, e versò il latte caldo nella tazza.
Mentre faceva colazione, irruppe nella stanza il padre, rosso in viso, mentre una sfilza di imprecazioni uscivano dalle sua labbra.
Calum inclinò di poco la testa su un lato, mentre seguiva con lo sguardo i movimenti dell’uomo, e incuriosito chiese << Cos’è successo? >>
Il padre si voltò verso di lui, poggiando entrambe le mani sul freddo marmo del tavolo << Giuro che non ho mai odiato i vicini quanto oggi. >>
Altre imprecazioni raggiunsero le orecchie di Calum, e molto probabilmente anche di qualcun altro, dato che si sentì urlare “Caro, modera i termini”.
<< No Lena, quando ci vuole, ci vuole. –Intanto Calum aveva capito quanto prima, cioè nulla, ma aspettò pazientemente che il padre si sedesse nella sedia avanti alla sua, continuando il racconto – La patente ai vecchi va tolta, perché quel lurido ce l’ha ancora? >>
<< Guarda che ha solo sette anni più di te. >> Lo interruppe la moglie, entrata nella cucina per ascoltare.
L’uomo, dal canto suo, fece segno alla donna, con una mano, di tacere, e questa sbuffò, roteando gli occhi.
<< Figliolo, metto nelle tue mani il compito di sterminare quella famiglia. Quei buoni a nulla, cos’hanno fatto per meritarsi di vivere >>
Calum scoppiò in una risata, mentre Lena fulminò il marito con lo sguardo.
<< Sai cos’hanno fatto, Calum? –il ragazzo scosse la testa, mormorando un poco udibile “è per questo che te l’ho chiesto.” –Bene, allora te lo dico io. Ma guarda tu, è incredibile. Gli Smith sarebbero dovuti crepare già tempo fa. Ero andato un attimo dalla signora Evans, non so se hai presente, quella graziosa anziana che abita dall’altra parte della città, sua nipote dovrebbe andare nella stessa tua scuola. –Calum annuì, anche se non conosceva nessuna “graziosa signora Evans”, né tanto meno la nipote –Avevo finito la commissione da fare, ed ero di ritorno. Dico io, quel figlio di una buona donna doveva uscire dal garage proprio in quel momento. Mi ha tamponato, Dio mio, ha tamponato la mia bellissima auto. Sono sicuro che l’abbia fatto apposta, di solito una persona, uscendo di retromarcia dal parcheggio, guarda se passa qualcuno. E’ sceso dall’auto, urlandomi che avrebbe chiamato la polizia e che io avrei dovuto ripagargli quel catorcio. Gli ho detto che se la colpa fosse stata la mia, avrei potuto comprargli persino un porche, magari anche migliore della mia. Ma, purtroppo, la colpa è sua. E ora dovrà sborsare un bel po’ di soldi. >>
 
La mattinata continuò più o meno nello stesso modo: il signor Hood che imprecava contro il vicino, la signora Hood che rimproverava il marito per le parolacce, e Calum che si sbellicava dal ridere.
Il pomeriggio, invece, cambiò radicalmente. Calum decise che fosse giunto il momento di farsi una passeggiata, così uscì dall’abitazione, diretto al parco.
Notò con gioia che nei balconi di alcune abitazioni fossero già stati messi i piccoli pupazzi di Babbo Natale e le luci colorate.
Forse avrebbe dovuto chiedere ai propri genitori di iniziare anche loro a farlo.
Amava il Natale, perché trasmetteva allegria, la città si illuminava di lucette soffuse e avrebbe avuto delle lunghe vacanze.
Una folata di vento gelido lo colpì in pieno viso, e il ragazzo dovette stringersi nel cappotto pesante e girare la testa verso un lato, rabbrividendo per il freddo.
Notò nel marciapiede opposto a quello dove lui camminava, una figura bionda familiare.
Strizzando gli occhi, riuscì a riconoscerla, dunque la chiamò, sovrastando il suono del vento tra gli alberi. << Allison >>
La ragazza si girò, cercando tra le persone che la circondavano, un qualcuno che conoscesse.
Trovò Calum, e non avendo la certezza che l’avesse chiamata lui, inclinò la testa su un alto, schiudendo lievemente la bocca. Il moro le fece segno con la mano di raggiungerlo, e Allison capì che sì, quasi sicuramente era stato lui.
<< Ciao >> La bionda lo salutò con un sorriso, mentre ripresero a camminare
<< Dove stai andando? >> Continuò, e Calum avrebbe voluto dirle che non erano affari suoi, che lui l’aveva chiamata, è vero, ma per salutarla, non per farla impicciare nei propri impegni. Ma si limitò a scrollare le spalle, guardando la strada davanti a sé.
Allison, comunque, aveva tutta l’aria di una che non se ne volesse andare, e un po’ Calum si diede la colpa, perché poteva anche non salutarla. D’altronde, si vedevano ogni giorno a scuola.
Camminavano in silenzio, e il ragazzo non si accorse che se la stesse portando al parchetto. E lei avrebbe voluto fare conversazione, parlare, quel silenzio la opprimeva, ma pensò che fosse meglio così, perché lo sguardo di Calum, perso in chissà quali pensieri, l’avrebbe notato chiunque.
Mano a mano che le voci dalle panchine sotto agli alberi raggiunsero le loro orecchie, Calum si risvegliò dal suo stato.
Arrivò dai suoi amici, e li salutò con un cenno del capo, mentre loro smisero di parlare, portando la loro attenzione sul moro, che salutarono di rimando.
Lui si sedette su una panca ancora vuota, e a sua volta prese posto vicino a lui Allison, che imbarazzata ricambiò i saluti che le erano stati posti.
La bionda imparò a conoscerli meglio, in quelle due orette passate lì. Le stavano simpatici, ma se proprio avesse dovuto dirla tutta, trovava strani quei ragazzi. C’era qualcosa, in loro, che non era presente in tutte le altre persone. Non che lei fosse una cartomante, una veggente, o chissà chi, no, affatto. Semplicemente, aveva capito ciò dal loro comportamento.
Emily non faceva altro che sbloccare il proprio telefono, poi, affranta, lo riponeva nella tasca dei jeans.
Luke rideva, una risata forzata, che non coinvolgeva anche lo sguardo.
Acacia teneva in una stretta poco salda, la mano del proprio ragazzo.
Michael sembrava fosse diventato un robot, le sue risposte erano solo “sì” e “no”.
Calum era indifferente a tutto ciò. Dava le spalle al gruppo, e fissava un punto indefinito davanti a sé. E Allison poté scommetterci quanto di più caro possedesse, che lui stesse vivendo di ricordi, lontani e sfumati.
Si chiese cosa avesse potuto portare l’intera combriccola a tutto ciò, poi però scosse la testa; immaginando che magari il vero motivo fosse il fumo, ‘ché loro la faccia da drogati un po’ ce l’avevano, e comunque, di quei giorni si drogavano tutti.






SPAZIO ME

D'accordo, un nuovo capitolo, ed un nuovo banner.
Ah, adoro. 
Comunque, Calum che si scoccia di Allison ma alla fine se la deve portare dietro..
Mi fa ridere questo pezzo, perché mentre scrivevo mi ero immaginata la scena, e Calum che sbuffava e boh, è tanto adorabile quanto buffo.
Buona fortuna a chi, come me, domani inizia la scuola e non ne ha proprio voglia. 
Non biasimo tutti quelli che l'hanno iniziata oggi, invece.
Mi dispiace, per tutti. Dunque, alla prossima!

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