Transient dreams

di latour
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Akai one piece (Ruki) ***
Capitolo 2: *** Zakurogata no Yuuutsu (Reita, Ruki) ***
Capitolo 3: *** Namaatatakai Ame to Zaraitsuita Jounetsu (Aoi, Uruha) ***
Capitolo 4: *** Red MoteL (Kai, Ruki) ***



Capitolo 1
*** Akai one piece (Ruki) ***


Akai one piece

Titolo: Akai one piece
Personaggi: Ruki
Pairing: Reituki
Traduzione della canzone:
Akai one piece
Rating:
Arancione
Avvertimenti:
Crossdressing / Slash


赤いワンピース



Una passata di rossetto brillante sulla labbra sottili, un fine strato di cipria bianca sul volto paffuto a mascherare ogni inesistente imperfezione e le corte ciglia annerite e incurvate da due pennellate di mascara. Se non si vuole sembrare troppo volgari, è meglio non truccarsi troppo gli occhi quando già la bocca è tinta di un intenso rosso simile a quello delle mele mature e lucide. Sul piccolo comò della toeletta, insieme a svariate boccette di profumo e ai cosmetici, si trovavano tutti i piccoli e inutili regali dei suoi ammiratori: biancheria intima, peluches in miniatura, braccialetti, collanine, orecchini e altri articoli del genere, di ogni tipo e colore. Nonostante i ragazzi che flirtassero ogni giorno con quella regina auto-proclamata, c'era qualcuno di speciale che era riuscito ad entrare nel suo cuore egoista e senza regole; le sue foto erano attaccate ai lati dell'enorme specchio ovale inchiodato al muro, incorniciato da qualche fiore finto ora sciupato e da una serie di lampadine tonde.
Ogni volta che il suo sguardo si soffermava su quelle immagini prese di nascosto senza che nessuno se ne accorgesse, le sue labbra si raddolcivano in un sorriso morbido, e i suoi occhi si facevano ancor più scuri e acquosi di quanto già non fossero. Peccato che quel ragazzo dall'animo arrogante e combattivo non degnasse neanche di uno sguardo quel suo ammiratore che, nei panni di una ragazza, si divertiva a far girare la testa a tutti gli studenti dell'istituto maschile che entrambi frequentavano. Catturava le sue prede grazie al suo fascino androgino e le ingannava, dalla prima all'ultima, senza rimpianti. Sebbene riuscisse ad ottenere tutto ciò che desiderava senza alcuno sforzo apparente, se doveva essere sincero, era piuttosto inesperto quando arrivava il momento di separarsi dal suo amato abito di pizzo rosso.
Quest'ultimo era il suo unico orgoglio, non riusciva ad uscire di casa senza indossarlo – almeno quando non era costretto ad indossare quell'orrenda uniforme scolastica di stoffa scura e rigida. Indossandolo, riusciva a far irrigidire come dei cani anche i ragazzi più difficili e inclini a far del bene, che tanto si vantavano di certe avventure con tali ragazze che nessuno però aveva mai visto o conosciuto. Chiunque venisse a casa sua, diventava suo schiavo totale – il suo volto si macchiava sempre di una bellezza senza pari, mista alla lussuria che ognuno di quei momenti intimi faceva grondare dal suo corpo avvolto nell'abito rosso. Si faceva prendere dopo essersi accertato che il suo partner occasionale fosse veramente ciò che cercava e che non andasse a mettere in circolo voci tremende sul suo conto. Quando poi questi gli domandava se avrebbe mantenuto il segreto senza dir niente a nessuno, egli si limitava a cantilenare: “Forse, forse, forse...!” mentre si sfilava lentamente l'abito, rimanendo completamente nudo per poi accomodarsi bramoso sul letto dalle lenzuola sfatte.
Ma quella non era l'unica cosa che usciva – abbastanza – bene al ragazzo dal vestito rosso. Difatti, circa ogni venerdì o sabato sera, lo si poteva incontrare in un locale della zona mentre cantava, cantava con tutto se stesso ciò che le ultime esperienze gli avevano lasciato impresso. I suoi capelli tinti di colori che andavano contro le norme dell'istituto erano sempre acconciati in modo disordinato, quasi a voler sottolineare la sua mente caotica e imprevedibile. Come sempre, l'abito in pizzo rosso gli fasciava il corpo morbido e pallido, arrivandogli fin sopra le ginocchia a lasciargli scoperte le gambe nude e perfettamente lisce.
«Ti ho amato finché mi ha fatto male, ha fatto male, male male!»
Continuava a cantare con voce spiegata, facendo stridere di tanto in tanto le corde vocali irrigidite dallo sforzo, lasciando che qualche goccia di sudore gli bagnasse il volto e le tempie, scivolando lungo il suo collo per poi finire nello scollo dell'abito. Quella sera, però, era speciale rispetto a tutte le altre: difatti, la persona a cui più teneva era lì a guardarlo, ai piedi del palco, con una sigaretta fra le labbra e una bottiglietta di birra in mano. Uno dei suoi piccoli occhi marroni lo scrutava intensamente, mentre l'altro era coperto come sempre da uno spesso ciuffo di capelli biondi, di un biondo così sporco e orrido da sembrar giallo canarino. Eppure, nonostante quello, il ragazzo dall'abito rosso – o meglio, Takanori per chi lo conosceva meglio – si sentiva irresistibilmente attratto da lui, desiderandolo con tutto se stesso.
Finendo di cantare, si prese una pausa e, dopo un sorso di birra, si concesse una sigaretta. L'accese e se la infilò fra le labbra, inspirando un'abbondante boccata di fumo e schiudendo poi le labbra con fare sensuale e malizioso, facendo sì che una lunga spirale di fumo bianco salisse fino al soffitto, lasciandosi dietro un lieve sentore di mentolo. Prima di avvicinarsi ancora al microfono, osservò ancora per un po' la figura snella e slanciata del suo ragazzo che si distingueva fra quella folla disordinata. Sentì il proprio cuore perdere un colpo quando le loro iridi scure si incrociarono. Si sentì fondere, il proprio corpo bruciare dall'interno. Quella maschera di cera che s'era costruito nel corso della propria esistenza stava per esser sciolta da quella fiamma che si faceva sempre più intensa, mentre ancora i due si scrutavano negli occhi. Per tutto quel tempo aveva finto di essere una regina, quando alla fine era solo una “femmina” come tante altre.
Akira. Un nome come tanti – tre sillabe, il numero della perfezione. Anche il suo cognome era dannatamente comune, ma che bisogno c'era di distinguersi da un numero indefinito di omonimi quando lui era quell'Akira? Il suo grande petto e quegli occhi diventavano solamente ferite e si fusero assieme al corpo di Takanori che, ancora sul palco con le gambe lievemente piegate e le ginocchia rivolte l'una verso l'altra, cantava con un trasporto tale da rimanerne quasi stordito. Da quanto tempo non gli capitava di cantare così bene, mettendoci tutto se stesso in ogni singolo verso? Voleva solamente essere felice, felice come non lo era mai stato. Ora che l'attenzione dell'unica persona che gli interessasse veramente era rivolta a lui, non chiedeva altro. Era fin troppo stanco di sentirsi dire cose dolorose e di cominciare lentamente ed inesorabilmente a disprezzare se stesso per ciò che non era.
Alla fine dello spettacolo, scese dal palco con di nuovo una sigaretta stretta fra le labbra. Passando davanti ad Akira, riuscì a sentire il suo odore mascolino – un misto di sudore e fumo. I loro occhi si incrociarono nuovamente, ma le loro bocche rimasero chiuse, senza emettere neppure un leggero sibilo. Dovevano aver entrambi capito che per il momento andava bene così. Takanori si pentì di non aver colto l'occasione di potergli parlare e di prendere finalmente ciò che gli spettava, ma da un lato era grato a quel ragazzo di non esserglisi neppure avvicinato. Ora che aveva catturato il suo interesse, non ci voleva nulla a cadere fra le sue braccia, anche solo per una notte. Così, se mai ciò fosse accaduto, avrebbe abbandonato quella sua vita straziante piena di inganni per dedicarsi unicamente a ciò a cui teneva di più oltre ad Akira: la musica.
Così, spegnendo la sigaretta contro il muro, il ragazzo dall'abito rosso lasciò solamente un leggero segno nero sulla parete e uscì dal locale, sparendo in poco tempo sotto gli occhi di tutti, solo e con una guancia rigata da delle tiepide lacrime di gioia.




Eccomi alla fine della prima song-fic della raccolta dedicata alle canzoni dei GazettE che ho deciso di scrivere. Spero vi sia piaciuta, anche se è proprio un piccolo inizio. Metto subito in chiaro che non saprò quando scriverò e pubblicherò il prossimo capitolo, né tantomeno su quale canzone su basi o quali personaggi contenga. Inoltre, non saprei neanche quanti capitoli avrà (in ogni caso, penso di non arrivare neanche alla decina, lol) – dipenderà tutto dall'ispirazione che mi prenderà, come sempre, nei momenti meno opportuni! Al momento, a chi potrebbe interessare, sto scrivendo un'altra raccolta di song-fic dedicata ai DIR EN GREY: potete trovarla qui!
Per ora direi di lasciare il rating arancione dal momento che non credo di scrivere cose troppo spinte, a meno che la mia mente malata non mi suggerisca di farlo... tenetevi pronti ad ulteriori modifiche o ad aggiornamenti del tutto improvvisi! Recensioni, commenti o critiche sono sempre ben accetti. Vi ringrazio in anticipo per il tempo che mi avete dedicato fin qui!
Alla prossima!

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Capitolo 2
*** Zakurogata no Yuuutsu (Reita, Ruki) ***


Zakurogata no Yuuutsu

Titolo: Zakurogata no Yuuutsu
Personaggi: Reita, Ruki
Pairing: Reituki
Traduzione della canzone:
Zakurogata no Yuuutsu
Rating: Giallo
Avvertimenti:
Slash / Tematiche forti


ザクロ型の憂鬱


Eccolo giunto alla fine di un'ennesima crisi di pianto – l'ultima di una lunga, interminabile serie. Non faceva altro da quanto era stato ricoverato, senza troppe speranze, in quell'ospedale dalle stanze asettiche e tutte uguali che odoravano di disinfettante. La cosa sorprendente era che, dopo ognuno di quegli sfoghi violenti, sulle sue labbra appariva sempre un sorriso – un bel sorriso sincero e solare che sapeva mozzare il fiato e raddolcire anche il cuore più duro, scacciando ogni ansia e preoccupazione. Akira sorrideva perché, dopo ognuna di quelle manifestazioni di debolezza e rassegnazione, il suo Takanori era lì al suo fianco, stringendogli la mano e carezzandogli una ciocca di capelli disordinatamente posata sul cuscino inzuppato di lacrime.
Un giorno, il sole mattutino che filtrava delicatamente dalla finestra sembrava diverso dal solito, ma Akira non realizzò immediatamente ciò che era successo. Era certo che Takanori si fosse addormentato accanto a sé la sera prima, com'era che ora il suo sguardo assonnato non riusciva a trovare la sua piccola e gracile figura? Diede un'occhiata qua e là, ma del suo amico neanche l'ombra. Doveva essere andato in bagno... o forse era andato a prendere la colazione per entrambi. L'unico rumore che echeggiava con fare monotono della stanza era il bip acustico dell'elettrocardiografo che, senza sosta, continuava indisturbato la sua attività. Sul comodino erano posati dei fiori dai colori chiari, un segno di buona guarigione da parte di qualche parente stretto e di Takanori stesso. L'acqua ormai stava quasi finendo, e i poveri fiori sembravano accartocciarsi su loro stessi mentre oscillavano sospinti dal vento che entrava da uno spiffero della finestra appena schiusa. Non vedeva l'ora che quei fiori appassissero... semmai ciò fosse accaduto, avrebbe preso tutto e se ne sarebbe andato lontano, staccandosi anche dall'amico adorato per evitargli inutili sofferenze. Fortunatamente, però, Takanori arrivò presto e cambiò l'acqua ai fiori per tenerli ancora un po' in vita, per poi mettersi a parlare insieme a lui, seduto sulla poltroncina rivestita di tessuto sintetico.
Faceva male vederlo così indaffarato ogni giorno, Akira vedeva chiaramente che anche il piccoletto soffriva quanto lui. Si dava sempre da far per incoraggiarlo, dicendogli che tutto andava bene e che non c'era nulla di cui preoccuparsi, che sarebbe guarito presto e che qualcuno gli avrebbe presto dato quell'importante
cosa vagamente somigliate ad un melograno che gli avrebbe permesso di vivere ancora ed ancora. Continuava ad occuparsi di lui come se fosse la cosa più naturale, rinunciando spesso ai suoi impegni pur di passare delle giornate intere all'ospedale, accanto a tutto ciò che più d'importante aveva. Il cuore di Takanori sobbalzava e fremeva ogni volta che Akira si metteva a piangere; con tutte le proprie forze, cercava ancora di tirarlo su di morale, prendendogli il volto fra le mani e piazzandoselo davanti, sussurrandogli lentamente qualche dolce parola e facendo qualche buffa smorfia col solo intento di strappargli un sorriso. Non sembrava mai stanco di donargli un po' di sollievo, per quanto breve e passeggero. Soddisfatto dopo esser riuscito nel proprio intento, lo stringeva sempre delicatamente in un abbraccio, aggrappandosi più che poteva al suo corpo malato e magro, mormorando ancora qualcosa al suo orecchio. Solamente dopo avergli confessato tutto ciò che sinceramente provava nei suoi confronti, finalmente poteva abbandonarsi ad un lungo pianto liberatorio, bagnandogli la stoffa del pigiama che gli copriva le spalle larghe e ossute, singhiozzando rumorosamente senza badare al personale dell'ospedale che percorreva avanti ed indietro il corridoio senza mai fermarsi.
«Voglio vivere...» ammetteva Akira di tanto in tanto, guardando Takanori dritto negli occhi mentre gli stringeva una mano con tutte le forze che aveva in corpo. Ogni volta che pensava di non voler morire, le lacrime gli cadevano lungo le gote, rigandogli le guance e incontrandosi infine sotto il mento, prima di scendere a bagnare le lenzuola leggermente disordinate. «Voglio vivere... anche se non posso fare niente per te...» gemeva ancora tra un singhiozzo e l'altro, portandosi l'altra mano a coprirsi il volto, facendo oscillare i lunghi tubicini che pendevano dagli aghi che aveva infilati nella mano e nel braccio.
Gentilmente, Takanori gli abbassò la mano, prendendolo docilmente per il polso e baciandogli le lunghe dita scheletriche, dalle unghie corte e squadrate. «Cosa stai dicendo...? Hai sempre fatto così tanto per me... è giunta l'ora che anche io ricambi in qualche modo, no?» gli disse con voce bassa e melliflua, intrecciando le dita ai suoi capelli morbidi e chiari, appena arricciati sulle punte. «Adesso sarà meglio che ti riposi... devi essere stanco.» annuì fra sé e sé, tirandogli poi su le lenzuola, tirandole bene per i lembi per non farle cadere dal letto. «Adesso devo andare a fare una piccola commissione, però... tornerò presto, te lo prometto. Anche se ti sveglierai e non sarò qui accanto a te, ricordati che per te ci sarò sempre...» sorrise ancora, mentre un velo di lacrime gli offuscava la vista, rendendo indistinti anche i lineamenti di Akira. Avvicinandosi al suo volto, gli stampò un innocente bacio a fior di labbra, staccandosi quasi subito e rimanendo a contemplare la sua figura rannicchiata nel letto, fino a che non lo vide addormentarsi.

Quando Akira si svegliò, fuori era già buio. Doveva aver dormito per un bel po'... e, come annunciato, Takanori non era al suo fianco. Rimaneva solamente il suo profumo, dolce e fresco come quello di un fiore. Sarebbe dovuto tornare presto... sperava non ci mettesse tanto tempo. Sulle labbra aveva ancora impressa la flebile sensazione di quel bacio che si erano scambiati prima di separarsi; un certo disagio si impadronì di lui, rimescolandoglisi nello stomaco e accelerandogli il respiro. Quel bacio non era un semplice bacio qualsiasi, Akira lo sapeva bene, ma Takanori lo sapeva ancor meglio. L'ansia si posò come una cappa sul corpo del ragazzo steso sul letto d'ospedale non appena si ricordò che sarebbe stato operato da una settimana a quella parte. Voleva che Takanori rimanesse accanto a lui anche in quel momento, fino all'ultimo. Voleva vedere ancora il suo volto, sentire il suo profumo e toccare le sue guance morbide e soffici. Prima di entrare in quella sala operatoria, voleva dirgli tutto ciò che non era riuscito a confessargli in tutto quel tempo trascorso insieme – voleva dirgli quanto lo amava, senza alcuna esitazione.
Però, i giorni passavano senza che Takanori tornasse. Akira piangeva silenziosamente giorno e notte, venendo consumato dall'ansia e rifiutando qualsiasi genere di visita che non fosse da parte del suo caro amico. Ad un tratto, il mattino del giorno in cui avrebbero dovuto operarlo, gli fu consegnato un piccolo foglietto con su scritta una nota, senza dubbio di Takanori: la sua era una calligrafia abbastanza piccola e ordinata, seppur ogni tanto calcasse troppo alcuni tratti. Guardandolo meglio, Akira s'accorse che in certi punti l'inchiostro era sbavato, come se delle gocce di pioggia vi fossero cadute sopra poco dopo che i caratteri furono impressi sulla carta.

Mi dispiace
D'esser stato egoista
Volevo solamente salvarti
Se potessi morire per te,
Allora questa sarebbe la mia felicità...”

Lo rilesse più volte, cercando di mantenere la calma mentre le mani gli tremavano violentemente, senza controllo. Il medico che gli aveva consegnato il messaggio si avvicinò a lui, posandogli una mano sulla spalla. Scosse lievemente la testa, chiudendo gli occhi con espressione grave. «Non è l'unica cosa che ci ha lasciato...» mormorò solamente, e solamente questo bastò ad Akira per esplodere. Di fronte alla verità scritta in quella parole, rimase senza parole. Scoppiando in lacrime, gridò più volte il nome dell'amato amico fino a che, dopo un leggero pizzico al braccio, i suoi sensi cominciarono a svanire uno dopo l'altro.

Ancora una volta, non seppe esattamente quanto tempo rimase addormentato, ma quando si svegliò, sentì una fitta all'altezza del petto, sulla sinistra. Scostandosi un lembo del pigiama, vide una spessa fasciatura e, inspirando profondamente, avvertì i punti tirargli la carne. Non avendo più lacrime da versare, tutto ciò che riuscì a fare fu un sorriso rassegnato e commosso. Si posò la mano sul petto, realizzando ciò che era appena successo. Takanori l'aveva amato a tal punto da averlo aiutato fino in fondo. “Il mio cuore è già tuo, Akira, non capisco cosa ti costi dirmi qualche dolce parola una volta ogni tanto” diceva spesso, imbronciando il suo grazioso musetto chiazzato di rosso dall'imbarazzo. Ma Akira non pensava che quelle parole un giorno sarebbero potute diventare realtà. Con il palmo premuto sul petto, riusciva a sentire il cuore di Takanori battere dentro di sé, freneticamente, dando vita alla melodia più dolce che avesse mai ascoltato.
Chiudendo gli occhi, pensò a lui, alle sue parole, al suo volto imbronciato, alle sue gote chiazzate di rosso. Gli angoli della bocca gli si incurvarono in un sorriso; aprì lentamente gli occhi, gettando un'occhiata fuori dalla finestra. Il sole del mattino splendeva radioso come sempre, e la brezza marina soffiava dalla finestra appena aperta. Sentendosi ancora debole, Akira serrò gli occhi e, cullato dal delicato suono del cuore di Takanori che batteva nel proprio petto, si addormentò rapidamente, cadendo in un sonno stranamente profondo, nella densa oscurità che lo avvolgeva.
Tu-tum, tu-tum, tu-tum.
«Anche se non ci sveglieremo, che importa? Ora siamo insieme... ed è questo ciò che conta.»



Ehilà!
Come potete immaginare, sono stata colta da un attacco di ispirazione improvvisa (?) e mi sono trovata a scrivere questa seconda song-fic tutta d'un fiato... non uccidetemi, davvero, anche perché sarà già morta tre volte a scrivere quest'atrocità immane.
Lo so che sto scrivendo praticamente quasi tutto dedicato alla Reituki, però... sono una coppia troppo bella, ok? Ce li vedo praticamente bene in ogni genere di situazione, specialmente nelle più delicate. Sembrano così attaccati anche nella vita reale... comunque, non picchiatemi davvero ;; Prima o poi tornerò ancora con una Aoiha, devo cercare la canzone giusta! E poi mi piacerebbe anche farne qualcuna introspettiva con un solo protagonista... beh, ci lavorerò appena l'ispirazione arriverà ancora! In ogni caso, spero tanto che questa vi sia piaciuta, anche se so che è triste... perdonatemi errori/orrori vari, ma la mia vista continua a far schifo, e il correttore automatico di OpenOffice ancor di più!
Commenti, recensioni e critiche sono ben accetti. Come sempre, vi ringrazio in anticipo del tempo che avete dedicato a questa piccola raccolta, spero di poter tornare presto a deliziarvi (?) con un'ennesima song-fic deprimente come poche, lol.
Alla prossima, e grazie ancora!

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Capitolo 3
*** Namaatatakai Ame to Zaraitsuita Jounetsu (Aoi, Uruha) ***


Namaatatakai Ame to Zaraitsuita Jounetsu

Titolo: Namaatatakai Ame to Zaraitsuita Jounetsu
Personaggi: Aoi, Uruha
Pairing: Aoiha
Traduzione della canzone:
Namaatatakai Ame to Zaraitsuita Jounetsu
Rating: Arancione
Avvertimenti:
Slash / Tematiche forti / Non per stomaci delicati


生暖かい雨とざらいついた情熱



Yuu non riusciva a dimenticare il soggetto di quella fotografia rovinata – quell'unico tesoro che gli era rimasto da quando le loro strade si separarono definitivamente. Per quanto duramente provasse a rimuoversi dalla testa quell'immagine dai contorni fin troppo nitidi e perfetti, ecco che la ferita al proprio cuore tornava a farsi sentire più dolorosa che mai, così come i ricordi taglienti che ancora lo facevano sanguinare giorno e notte, senza dargli pace. La piccola stanzetta in cui era rinchiuso puzzava di muffa e di marcio. Non si sarebbe mai perdonato ciò che aveva fatto. Si raggomitolò su se stesso in un angolino della piccola stanzetta, mettendosi a canticchiare una canzone triste, nostalgica, che gli portava alle mente quei bei giorni in cui l'amore gli permetteva di vivere, allo stesso modo in cui la gravità gli teneva saldamente i piedi ancorati al suolo duro e polveroso. Era solamente una questione di tempo, poi tutto sarebbe svanito senza lasciar traccia. L'amore, il dolore, i ricordi, il sangue e i dolci baci... i tramonti che tingevano il cielo di rosso, la pioggia che bagnava l'asfalto, i colori caldi e sgargianti delle foglie morte... tutto. Senza eccezione. Anche lui sarebbe sparito, cancellandosi da quel mondo una volta per tutte. Chissà, magari sarebbe riuscito a rivederlo... a rivedere lui, che tanto aveva amato fino all'ultimo. Ricordava fin troppo bene il suo incarnato livido, il suo corpo bagnato dalla pioggia fredda, i suoi polsi aperti, le sue labbra dal colorito violaceo e il momento in cui la luce aveva abbandonato per sempre i suoi occhi di un caldo e scuro color caramello, terrorizzati come quelli di un cerbiatto davanti ai fanali di un'auto.
Silenziosamente, Yuu si mise a piangere, poggiando la fronte sulle ginocchia unite e piegate. Pianse amaramente, fino a che l'aria non venne a mancargli. Recuperò quanto fiato possibile e riprese a singhiozzare, lasciando che i suoi lamenti si spandessero nell'aria intorno come tanti piccoli insetti velenosi e letali. Sapeva che sarebbe morto affogando nella sua stessa sofferenza in quel buco maleodorante e buio. Dopotutto se lo meritava.


Era autunno inoltrato, e un cupo cielo grigio caratterizzava quella giornata particolarmente fredda e ventosa. Presto sarebbe piovuto, di questo si poteva essere certi. Yuu e Kouyou passeggiavano fianco a fianco, sfiorandosi di tanto in tanto la spalla. Il moro sapeva che il compagno gli stava nascondendo qualcosa, qualcosa che avrebbe solamente fatto del male ad entrambi; finalmente quest'ultimo s'era deciso a confessargli tutto, ma prima voleva assicurarsi che non fosse udito da nessun altro che da lui. Andarono al parco pubblico, mettendosi sotto un albero che creava un certo rifugio dalle prime goccioline di pioggia, nonostante gran parte delle foglie fossero già cadute a creare un tappeto dai colori caldi sull'erbetta verde. Kouyou si mise dinnanzi a Yuu e gli prese le mani, guardandolo dritto negli occhi e mordendosi timidamente il carnoso labbro inferiore che tanto caratterizzava quel suo volto angelico e dolcissimo. Quando faceva così il moro sapeva che c'era qualcosa che non andava. Avrebbe dovuto mantenere la calma assoluta qualsiasi cosa gli avesse detto, anche se non ne era tanto sicuro. Già immaginava le parole, quindi cominciò a prepararsi al peggio, sentendosi lo stomaco ribollire dall'ansia e dalla rabbia.
«È solo... è solo... che non voglio tenerti neanche un segreto. Voglio che tu capisca e, solo una volta, che tu chiuda gli occhi alle mie disperate menzogne, e che tu mi stringa.»
Le labbra di Yuu tremarono e le pupille si contrassero violentemente. Lo sapeva. Lo sapeva che Kouyou lo stava tradendo. L'aveva visto quel giorno con un altro ragazzo, aveva visto come si tenevano per mano, come si sorridevano l'un l'altro. Li aveva visti baciarsi. Aveva visto quelle labbra, quelle labbra che gli appartenevano, posarsi su quelle di un altro e premere su quella bocca che, se solo avesse potuto, avrebbe tumefatto con dei pugni ben piazzati. Ma ovviamente non aveva fatto nulla di tutto ciò. Non l'aveva fatto perché amava troppo il suo piccolo Kou, teneva davvero troppo a lui per fargli del male. Come da lui chiesto, lo strinse forte a sé, sentendo il suo corpo scosso da dai leggermi fremiti. Lo sentì piangere contro la propria spalla, mentre ancora lo stringeva con tutta la forza che aveva in corpo. Lo cullò con tutta la tenerezza che riusciva ancora a provare nei suoi confronti, infilando le dita nei suoi capelli fini e chiari, anche se dentro di sé stava venendo consumato dalla gelosia.


Passarono un paio di giorni. Come sempre, si diedero appuntamento nel loro posto speciale – nel parco in cui il loro amore aveva avuto inizio e in cui sarebbe presto andato incontro alla sua fine. Yuu lo stava già aspettando, in piedi in uno degli angolini più sperduti di quella verde distesa umida. Pioveva, e già cominciava a perdere ogni speranza. Infradiciato fino alle ossa, cominciò ad allontanarsi con le mani affondate in tasca; quella destra toccò qualcosa di freddo e duro, dannatamente rilassante e rassicurante. Le gambe gli tremavano a causa del nervosismo accumulato, ma cercò di non farci troppo caso. Non poteva tirarsi indietro, non ora. Chissà perché Kouyou tardava tanto... qualcosa gli diceva che era meglio andarsene prima di incontrarlo. Eppure, non poteva non vederlo. Doveva farlo, almeno per un'ultima volta.
Maledicendosi, corse indietro fino a ritornare nel parco, fino a che non ebbe più fiato nei polmoni. La pioggia lo colpiva ancora senza sosta, facendolo ghiacciare. Non gli ci volle molto prima di tornare nel posto in cui lo stava aspettando. Ed eccolo lì in piedi sotto l'enorme albero, il loro albero. Kou sorrise timidamente; sembrava così perso e intimorito che per qualche istante la pioggia sembrò cessare del tutto. Yuu era così felice di vederlo... ma gli bastò avvicinarglisi un poco per far sì che il proprio cuore perse un battito. Cos'era quella macchia quasi violacea perfettamente visibile sul collo niveo della sua unica ragione di vita? Cos'era quel morso che gli marchiava il labbro inferiore, roseo e tremendamente invitante? E quell'espressione impaurita e imbarazzata?
«Probabilmente non mi perdonerai, vero?»
La sua voce terribilmente sensuale e bassa fu come una coltellata in pieno petto per Yuu. Una fitta lo fece indietreggiare, nelle sue vene la rabbia ribolliva furiosamente. Senza dir nulla, affondò i pungi in tasca e si allontanò in fretta, tenendo il volto alzato verso il cielo e lasciando che la pioggia tergesse le lacrime che stillavano copiosamente dai suoi occhi scuri come l'ossidiana. La camicia era appiccicata al suo corpo, e dentro si sentiva consumare lentamente ma inevitabilmente. Una voce familiare lo invitò a voltarsi, ma non ce la fece. Continuò a camminare per la strada deserta, sentendo il proprio calpestio perdersi nell'asfalto duro e bagnato, mescolandosi con la dolce voce proveniente dalle proprie spalle.
Ad un tratto, delle braccia gli si strinsero intorno al busto. Si fermò, rimanendo immobile per qualche attimo che parve infinito. Le sue braccia gentili, la sua presa delicata, il suo profumo delicato mescolato a quello forte della pioggia... si voltò, incontrando i suoi occhi scuri. Lo abbracciò a sua volta, rimanendo ad ascoltare il valzer dell'asfalto e della pioggia. Gli sorrise con tutta la sincerità possibile, avvicinandosi a lui finché le sue labbra non si scontrarono con le sue. Lo baciò dapprima con tutto l'amore di cui era capace, ma poi la gelosia prese ancora il sopravvento. Con una mano gli afferrò il mento, tirandolo prepotentemente verso di sé; scrutò i suoi occhi sgranati dal terrore farsi sempre più acquosi. Con l'altra mano, impugnò saldamente l'oggetto che avrebbe posto fine alle sofferenze di entrambi.
Con sua grande sorpresa, la lama affilata affondò fin troppo facilmente nella carne morbida del suo ventre. La spinse fino in fondo, fino a che il manico non toccò il suo corpo. Sentì il sangue gocciolare sull'asfalto, ma forse erano solo delle altre gocce di pioggia... ormai non riusciva neanche a distinguere l'uno dall'altra. Un rantolo roco salì dalle labbra di Kou, infrangendosi sulla bocca di Yuu, ancora premuta contro la sua. Quando il moro si staccò da lui, gli fece scorrere una mano dietro i lombi e lo fece sdraiare sul terreno, estraendo il coltello dal suo corpo. Il sangue rimasto sulla lama scivolò via con estrema facilità. I peccati odoravano di ruggine, ma per fortuna venivano lavati via facilmente sotto la pioggia.
«Darlyn... ho perso tutta la gelosia che provavo nei tuoi confronti...»
La lama gli aprì il polso destro. Yuu non immaginava neanche che un corpo umano, minuto e grazioso come quello di Kouyou, potesse contenere tanto sangue. E non riusciva a credere che quest'ultimo fosse così rosso, denso e caldo. Rosso come la passione. Denso come l'amore. Caldo come i loro corpi che si muovevano insieme tra le coltri vaporose del letto, intrecciandosi e incastrandosi alla perfezione l'uno contro l'altro.
«Ora sono l'unico che hai nel cuore?»
La tenera passione traboccava dalle sue braccia esangui, riversandosi senza sosta sull'asfalto. Yuu sentì delle sirene avvicinarsi – neanche nei loro ultimi istanti erano riusciti a trovare una certa intimità che avvolgesse unicamente loro due. Gli occhi di Kou rimasero aperti anche nel suo ultimo istante; prima che il suo corpo diventasse privo di vita e terribilmente freddo, alzò una mano verso il moro, carezzandogli una guancia con la punta delle dita, sporcandolo di sangue. Volendolo confortare in quel momento transitorio, Yuu cominciò a canticchiare con dolcezza la loro canzone, fino a che non vide la luce spegnersi nei suoi occhi puntati nei propri. Le lacrime scorrevano a rigargli le guance senza che neanche se ne accorgesse – il dolore era troppo intenso perché potesse ferirlo. Tenendogli la testa sulle gambe, si abbassò a baciargli la fronte incredibilmente pallida. I capelli bagnati gli incoronavano il viso smorto e ceruleo, facendolo sembrare bellissimo anche in quell'occasione. Chissà dove si trovava ora... sicuramente tanto, troppo lontano da Yuu che solo in quel momento si rese conto d'aver perso colui che ancora non riusciva a smettere d'amare.
Delle persone si avvicinarono ad entrambi. Caricarono Kou su una barella nell'istante in cui ammanettarono il moro, tenendogli una pistola puntata alla nuca e il viso premuto contro il suolo. Le sue labbra e le sue narici erano immerse nella pioggia tiepida mescolata al sangue brillante e sporco di quello che sarebbe stato per sempre il suo compagno. Il suo amore. Venendo strattonato, si alzò sulle proprie gambe giusto in tempo per vedere Kouyou che veniva caricato a bordo dell'ambulanza: in quell'attimo, la sua espressione sembrò più rilassata e tranquilla che mai. Yuu sorrise commosso, sentendo il sangue rattrappirglisi sulla guancia.
«La prossima volta che ci incontreremo, se piove ti presto il mio ombrello.»





Holà! Finalmente, come promesso, sono riuscita anche a scrivere la Aoiha che tanto aspettavate! E non mi sono risparmiata per quanto angst e cose varie... ve la siete cercata! Questa fic la dedico specialmente alla mia cara AnnaH, visto che Namaatatakai è una delle sue canzoni preferite! ♥
In ogni caso, spero abbiate apprezzato anche questa terza song-fic della raccolta! Come già avevo detto, gli aggiornamenti non saranno tanto frequenti e, soprattutto, non saranno regolari, quindi mi scuso in anticipo se andrò a rilento. Ho tante belle cose (?) in serbo per voi! Non saprei che altro aggiungere perché non ho molto da dire... spero davvero vi sia piaciuta! In caso contrario, siete pregati di uccidermi nel più lento e doloroso dei modi possibili! L'interpretazione dell'ultima frase della fic sta a voi, comunque! So che è bastarda, ma ho già le mie teorie!
Recensioni, commenti e consigli sono sempre ben accetti, non siate timidi! Mi fa piacere poter conoscere i vostri pareri. Chissà a chi toccherà nella prossima song-fic... bah, vedremo quando l'ispirazione si deciderà a farsi sentire ancora!
Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Red MoteL (Kai, Ruki) ***


Red MoteL

Titolo: Red MoteL
Personaggi: Kai, Ruki
Pairing: //
Traduzione della canzone:
Red MoteL
Rating:
Arancione/ROSSO
Avvertimenti:
Tematiche forti / Violenza / Tematiche sessuali / Linguaggio forte


Red MoteL


Red Motel”. Un nome piuttosto anonimo e scontato, visto il colore accattivante che tinge sia le pareti esterne, sia quelle interne dell'edificio. Edificio che, tra l'altro, del motel non ha granché. Sembra più una casa, un'enorme villa a più piani arredata in maniera soffocante e spocchiosa – elegante, certo, ma in perfetta contraddizione con le attività che si svolgono al suo interno. In giro per Tokyo di case di piacere non se ne vedono molte, ma il Red MoteL è una di quelle, la più famosa e ricercata. Le ragazze e i ragazzi che vi lavorano sono i migliori di tutto il quartiere a luci rosse, per questo mi sono recato qua. Non mi accontento di comuni giovani, voglio solo il meglio. Per quello ho pernottato per un giro indimenticabile con la cosiddetta “regina del quartiere a luci rosse”. In pochi la conosco, in meno ancora possono permettersela – o permetterselo, se vogliamo essere precisi.
Con un sorrisetto compiaciuto mi reco al bancone d'accoglienza, vedendo la
mama di mezz'età che mi accoglie a sua volta con una smorfia compiaciuta. «Nome e ricevuta.» disse con distacco, allungando una mano rugosa dalle unghie volgarmente dipinte del medesimo colore che caratterizzava l'intero complesso.
Senza dir nulla, le allungo la ricevuta sulla quale è riportato il necessario. La legge attentamente e, con un fiammifero, le dà fuoco, dopo averla accuratamente posata in una ciotola in terracotta già colma di cenere e carta bruciata. «Pagamento anticipato, deve solamente versare la cauzione di 15.000 yen.» aggiunse la donna. Come richiesto, le consegno anche quella misera somma – misera in confronto a ciò che avevo pagato per concedermi una nottata con la “reginetta” – e mi faccio dare la chiave. Stanza numero 17, quale sfortunata coincidenza.
«Terzo piano, in fondo al corridoio. Sulla porta c'è una targhetta con inciso il numero, ma penso che ormai lo sappia già,
Kai-san.» sibila freddamente la mama chiamandomi col mio soprannome identificativo, sistemandosi meglio una forcina nei capelli tinti di un nero ancor più scuro ed intenso di quello dei suoi piccoli occhietti penetranti e infossati dal tempo.
Le abbozzo un gentile inchino e, stringendo la piccola chiave d'ottone nel palmo della mia mano, mi dirigo su per le scale, sentendo l'eccitazione salire gradino dopo gradino. Primo piano... secondo piano... terzo piano. La moquette rossa è priva di macchie; sembra che nessuno vi abbia mai camminato sopra – forse l'hanno cambiata da poco. Con passo lento mi trascino fino alla porta situata in fondo al corridoio silenzioso. Le altre camere sembrano tutte vuote, ma ciò non fa scemare la mia eccitazione che, man mano che mi avvicino alla stanza in cui è nascosta l'affascinante puttana che mette le mani sui soldi altrui, si fa sempre più prepotente e intensa, facendomi salire degli strani mugolii rochi dalla gola.
Mi fermo davanti a quella dannatissima porta. Il pomello dorato sembra anch'esso nuovo. Infilo la chiave nella toppa e la giro una, due volte, finché non sento la serratura scattare con un suono sordo. All'interno della camera, sento qualcosa muoversi; un frusciare di coperte, un tintinnare vitreo.
Entro nella stanza. I miei occhi impiegano solamente pochi secondi ad abituarsi alla penombra.
La luce fioca e tremolante delle candele illumina maldestramente la figura che, con comportamento smagliante, si stende sul letto dalle lenzuola pulite color cremisi. L'odore dell'acqua di colonia è soffocante e forte, quasi da farmi venir la nausea.
Sul letto, la reginetta si dimena. Danza coi bronzei capelli arruffati. Danza per me, per colui che, schifoso, ha pagato con soldi sporchi. Mi chiudo la porta alle spalle, girando ancora la chiave nella toppa. Ora siamo solamente io e
lui. Io e il giovane ragazzo dall'aspetto efebico che ha conquistato i cuori di parecchi altri uomini simili a me. Sotto il babydoll in pizzo trasparente riesco a vedere chiaramente ciò che si cela fra le sue gambe e non posso far altro che sorridere divertito.
«Come minimo ti aspettavo già eccitata per me...» gli dico, riferendomi a lui con fare femminile. Questa è la regola del Red MoteL – tutti coloro che ci lavoravano sono da considerarsi ragazze.
«Ma come,
chichi-san...» cinguetta abbassandosi a prendere qualcosa che si trovava ai piedi del letto. «Sono tua fino a domani mattina, perché non ce la prendiamo comoda?» continua con quel suo tono fastidiosamente confidenziale e volgare, ammiccandomi con le lunghe ciglia fini. Fra le piccole mani pallide, tiene una bottiglia di vino rosso. Mi avvicino a lui e gliela sfilo dalle dita, recandomi poi al mini-bar per versarne in dosi uguali in due bicchieri. Senza farmi notare, mentre lui mi assilla con le sue stupide parole scoccianti e monotone, estraggo dalla tasca della mia lunga giacca pesante una piccola boccettina. Rido quando leggo ciò che ho scherzosamente scritto su quella piccola fiala di vetro: Sogni d'oro”. Verso il contenuto in uno dei due bicchieri, osservando una piccola schiuma color violetta formarsi per poi dissiparsi completamente nel giro di poco, senza lasciare alcuna traccia se non un impercettibile alone violaceo sulle pareti del bicchiere.
Ripongo la boccetta vuota nella mia tasca e, prima di avvicinarmi alla reginetta con i bicchieri in mano, mi libero dal cappotto e dagli stivali pesanti. Delicatamente, mi siedo sul bordo del letto accanto a lui, passandogli il
suo bicchiere i vino mentre una delle sue piccole mani scivola fra le mie gambe.
«Oh
chichi-san, sei così contento di vedermi? Sei già duro come la roccia... non vedo l'ora di mangiarti a partire dal basso.» ghignò lui con quella sua vocina fastidiosa che probabilmente mi avrebbe perseguitato per un bel po'.
«Non credere che ci andrò piano... ti farò del male, ti farò urlare... e ti farò
sanguinare
Brindiamo. Lui, ingenuamente, si beve il bicchiere di vino tutto d'un fiato. È solo questione di pochi secondi prima che la droga faccia effetto. Infatti, mentre le mie mani carezzano ogni centimetro di quella pelle candida e nivea, sento il suo corpo avvampare e il suo fiato farsi sempre più corto. Mi guarda con due occhi liquidi e languidi, facendomi venir voglia di lacerargli quel bel musetto con le mie stesse unghie. La rabbia mi assale improvvisamente e, senza accorgermene, mi ritrovo con una mano stretta contro la sua gola, le dita che premono contro la sua carne con una violenza che neppure sapevo di possedere. Lui annaspa in cerca di aria ma, tutto sommato, sembra divertito da quel trattamento che gli sto riservando.
«Più forte... più forte... più forte...»
Quei suoi rantoli giungono più che chiaramente alle mie orecchie e, come richiesto, stringo ancor di più la morsa contro la sua gola delicata, sentendola quasi sul punto di spezzarsi. Una lacrima sfugge dai suoi occhi e la sua bocca si sta riempiendo di schiuma e di saliva. Per lui non provo compassione, né tantomeno pietà... solamente pena. E ribrezzo.
Proprio quando il suo colorito sembra farsi di un cupo color cenere, stacco le mani dal suo collo, osservando con piacere come le dita della mia mano vi si siano impresse. Tossisce convulsamente in cerca d'aria e rigetta maldestramente parte del vino che ha bevuto, lasciando che l'odore della sua bile si mescolasse a quello dell'alcool e dell'acqua di colonia. Ormai non riesco più a trattenermi. Mi disfo della camicia e della cintura, slacciando i pantaloni e abbassandomi l'intimo solamente per liberare la mia virilità dolorante e gonfia oltre misura.
La vedo riprendersi mentre si avvicina sensualmente a me nonostante il rossetto sbavato e le labbra ancora impregnate dei suoi succhi gastrici. Sorrido mestamente, afferrandogli con violenza i capelli castani fino a che non sento la punta del mio membro affondare nella sua gola stretta e accogliente. Lo vedo ansimare e dimenarsi, mentre i suoi occhi resi opachi dalla droga si fanno ancor più umidi e colmi di lacrime. Il “filtro d'amore” sta facendo il suo bel lavoretto, a giudicare dai suoi umori che, copiosamente, vanno a macchiare le lenzuola. Non riuscendo a resistere oltre, mi libero fra le sue labbra e, senza dargli il tempo di recuperare, mi muovo dentro di lui con due dita, mettendomi a cavalcioni delle sue gambe magre e pallide. Il mio seme cola dalla sua bocca oscenamente tinta di rosso e il suo sguardo perso mi fa irrigidire ancora una volta.
L'aria nella stanza s'è fatta pesantissima. Insieme all'odore dell'acqua di colonia e a quello del vomito s'è unito quello dello sperma e dell'urina che quella piccola cagna s'è lasciata sfuggire. Senza accorgermene, vengo ancora una volta mentre fisso i suoi occhi impauriti. Ormai doveva aver capito quali intenzioni avevo.
«Dovrei carezzarti brutalmente e farti venire fino allo sfinimento, dolcezza?» gli domando affettuosamente, carezzandogli quel suo visino accartocciato dal terrore. Neanche m'ero accorto che era già venuto una volta, sporcandosi il bacino piatto. Lo guardo dall'alto, rimanendo a cavalcioni sulla sua esile figura. Sul rosso, rosso letto...
«Sei il mio animaletto domestico,
Taka-chan
I suoi occhi da cucciolo si sgranano, diventano ancor più grandi e impauriti. Mettendosi le mani davanti al volto, cerca in tutti i modi di coprirsi per sfuggire da me. Rido a pieni polmoni, afferrandogli i polsi per poter osservar meglio il suo viso. Mi avvicino alle sue labbra e catturo la sua bocca in un bacio, trattenendo i conati che mi salgono dallo stomaco a causa del sapore acre che gli è rimasto impresso addosso. Intreccio la lingua alla sua, catturandogliela infine fra i denti. Senza pensarci due volte, gliela mordo violentemente, sentendo il sangue caldo riversarglisi in bocca. Un urlo gli sale dalla gola, simile ad un rantolo colmo di straziante agonia.
Mi stacco da lui, tenendo le ginocchia affondate nel materasso morbido. È completamente bagnato e sta piangendo con occhi vacui. L'ho pietosamente violato nel nostro gioco osceno e, senza requie, sta ancora piangendo, senza aver capito il motivo di questo mio coltello sfoderato. La lama brilla cupamente alla fioca luce incerta delle candele che si stanno consumando; è fredda e, a contatto con la sua pelle morbida e rovente, sembra ghiaccio a giudicare dai suoi spasmi. Seppur sia drogato a dovere, s'è reso conto della situazione in cui è piombato. Mi implora, mi insulta e ancora mi supplica di non fargli del male. Con un sorrisetto, mi accorgo che, nonostante tutto, la sua eccitazione non è ancora scemata. Il suo piccolo sesso è pulsante ed eretto, il suo corpo attraversato da dei violenti tremiti e madido di ogni sorta d'umori. Fa per dirmi qualcosa, ma è troppo tardi. Le sue labbra si contraggono spasmodicamente in un'espressione di dolore misto a sorpresa. Sul rosso, rosso letto...
«Il mio animaletto domestico puzza di sangue...»
Le mie parole vibrano nell'aria pesante. Non ottengo nessuna risposta, solo un macabro gorgoglio. Il coltello scintilla, affondato in quella gola morbida che tanto bramo. Il sangue si riversa a fiotti sulle lenzuola, confondendosi col loro colore cremisi. Infine, mi decido a liberarmi dagli ultimi indumenti che indosso. Così, senza grazia, lo prendo e lo faccio mio, sentendo la sua vita spegnersi mentre ancora affondo nel suo corpo che si fa man mano più freddo e rigido. Le labbra hanno un colore livido e violaceo e gli occhi sono spenti, come se una leggera patina li ricoprisse.
Riverso il frutto del mio piacere dentro il suo corpo ancora tiepido. Lo guardo con dolcezza, gli carezzo il volto. Proprio come lui, ho tanti sostituti quanti ne desidero... peccato che la mia corsa non sia ancora giunta al termine.
Con le mani sporche del suo sangue, cerco una sigaretta. Me la accendo fra le labbra, rimanendo sdraiato vicino a lui nel letto sfatto e sporco. Ci vorrebbe un miracolo per pulire tutto questo disastro... per fortuna che ho tempo di spassarmela fino a domani mattina, quindi per ora non ha senso preoccuparmi del dopo. Intanto nessuno sarebbe venuto a cercarci. La
mama sorriderà col suo solito fare compiaciuto non appena verrà a conoscenza del mio impeccabile lavoro. Forse si lamenterà delle lenzuola sporche e di tutto il resto, ma... poco importa, ora sono così stanco che vorrei solamente dormire. Penso che dormirò in bagno, nell'ampia vasca ad angolo, visto che il corpo della reginetta comincia a puzzare. Tutto quel sangue, poi, mi fa letteralmente girare la testa... non credevo che un corpo tanto minuto potesse contenerne tanto.
Prima di andare a lavarmi, però, gli sistemo i capelli; il piccoletto sembra dormire pacificamente col dorso affondato nelle lenzuola e le gambe ancora aperte. Avvolgo il suo corpo lenzuolo, dandogli poi un bacio sulla fronte gelida. Casualmente, il mio sguardo scivola sull'orologio che teneva sul comodino. Pensavo fosse passato più tempo, invece ci ho messo meno del previsto... sorrido, affondando una mano in quei capelli morbidi e profumati. Anche mentre dorme, sa essere accattivante e meraviglioso. Mi chino ancora a baciargli la fronte, inspirando il profumo della sua pelle. Infine, avvicino le labbra al suo orecchio, raddrizzando meglio la lama del coltello che squarciava la sua gola.
«Addio, mio dolce tesoro...»










Ecco che appaio quando meno ve l'aspettate.
Pensavate che avessi lasciato perdere questa raccolta, vero...? E INVECE NO. Quando l'ispirazione viene sotto la doccia e si ha il pomeriggio libero, meglio cogliere l'occasione mettersi a scrivere subito. Ancora mi chiedo perché certe idee mi vengano sempre sotto la doccia... forse dovrei smettere di lavarmi una volta per tutte – ma ovviamente non lo farò per ovvie ragioni che non sto neanche ad elencarvi. Comunque, sto parlando da sola.
Ehm... non saprei davvero come giustificarmi per aver scritto una cosa del genere. La colpa è della doccia, giuro. Avevo già in mente di scrivere una song-fic legata a Red MoteL, ma non pensavo di scegliere proprio Kai e Ruki... e non pensavo di poter arrivare a scrivere tanto. Non ho messo il rating rosso per tener la raccolta accessibile a tutti, ma l'ho comunque messo negli avvertimenti. Spero di non avervi turbato troppo, anche perché mi sentirei in colpa altrimenti...
Inizialmente avevo pensato a Uruha e Aoi come personaggi principali, ma mi sarebbe troppo dispiaciuto far finire una delle OTP nel sangue! E alla fine... beh, Kai e Ruki mi sono sembrati perfetti. Non chiedetemi il perché, non saprei rispondervi. Uhm... chiedo venia per eventuali errori o imprecisioni. E per tutta questa violenza gratuita. Sappiate che vi voglio bene, gne.
Alla prossima (anche se non so quando, lol)!

- g.

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