Transient dreams di latour (/viewuser.php?uid=536723)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Akai one piece (Ruki) ***
Capitolo 2: *** Zakurogata no Yuuutsu (Reita, Ruki) ***
Capitolo 3: *** Namaatatakai Ame to Zaraitsuita Jounetsu (Aoi, Uruha) ***
Capitolo 4: *** Red MoteL (Kai, Ruki) ***
Capitolo 1 *** Akai one piece (Ruki) ***
Akai one piece
Titolo:
Akai one piece
Personaggi: Ruki
Pairing:
Reituki
Traduzione
della canzone:
Akai
one piece
Rating:
Arancione
Avvertimenti:
Crossdressing / Slash
赤いワンピース
Una passata di rossetto brillante sulla labbra sottili, un fine
strato di cipria bianca sul volto paffuto a mascherare ogni
inesistente imperfezione e le corte ciglia annerite e incurvate da
due pennellate di mascara. Se non si vuole sembrare troppo volgari, è
meglio non truccarsi troppo gli occhi quando già la bocca è tinta
di un intenso rosso simile a quello delle mele mature e lucide. Sul
piccolo comò della toeletta, insieme a svariate boccette di profumo
e ai cosmetici, si trovavano tutti i piccoli e inutili regali dei
suoi ammiratori: biancheria intima, peluches in miniatura,
braccialetti, collanine, orecchini e altri articoli del genere, di
ogni tipo e colore. Nonostante i ragazzi che flirtassero ogni giorno
con quella regina auto-proclamata, c'era qualcuno di speciale che era
riuscito ad entrare nel suo cuore egoista e senza regole; le sue foto
erano attaccate ai lati dell'enorme specchio ovale inchiodato al
muro, incorniciato da qualche fiore finto ora sciupato e da una serie
di lampadine tonde.
Ogni volta che il suo sguardo si soffermava su quelle immagini prese
di nascosto senza che nessuno se ne accorgesse, le sue labbra si
raddolcivano in un sorriso morbido, e i suoi occhi si facevano ancor
più scuri e acquosi di quanto già non fossero. Peccato che quel
ragazzo dall'animo arrogante e combattivo non degnasse neanche di uno
sguardo quel suo ammiratore che, nei panni di una ragazza, si
divertiva a far girare la testa a tutti gli studenti dell'istituto
maschile che entrambi frequentavano. Catturava le sue prede grazie al
suo fascino androgino e le ingannava, dalla prima all'ultima, senza
rimpianti. Sebbene riuscisse ad ottenere tutto ciò che desiderava
senza alcuno sforzo apparente, se doveva essere sincero, era
piuttosto inesperto quando arrivava il momento di separarsi dal suo
amato abito di pizzo rosso.
Quest'ultimo era il suo unico orgoglio, non riusciva ad uscire di
casa senza indossarlo – almeno quando non era costretto ad
indossare quell'orrenda uniforme scolastica di stoffa scura e rigida.
Indossandolo, riusciva a far irrigidire come dei cani anche i ragazzi
più difficili e inclini a far del bene, che tanto si vantavano di
certe avventure con tali ragazze che nessuno però aveva mai visto o
conosciuto. Chiunque venisse a casa sua, diventava suo schiavo totale
– il suo volto si macchiava sempre di una bellezza senza pari,
mista alla lussuria che ognuno di quei momenti intimi faceva grondare
dal suo corpo avvolto nell'abito rosso. Si faceva prendere dopo
essersi accertato che il suo partner occasionale fosse veramente ciò
che cercava e che non andasse a mettere in circolo voci tremende sul
suo conto. Quando poi questi gli domandava se avrebbe mantenuto il
segreto senza dir niente a nessuno, egli si limitava a cantilenare:
“Forse, forse, forse...!” mentre si sfilava lentamente
l'abito, rimanendo completamente nudo per poi accomodarsi bramoso sul
letto dalle lenzuola sfatte.
Ma quella non era l'unica cosa che usciva – abbastanza – bene al
ragazzo dal vestito rosso. Difatti, circa ogni venerdì o sabato
sera, lo si poteva incontrare in un locale della zona mentre cantava,
cantava con tutto se stesso ciò che le ultime esperienze gli avevano
lasciato impresso. I suoi capelli tinti di colori che andavano contro
le norme dell'istituto erano sempre acconciati in modo disordinato,
quasi a voler sottolineare la sua mente caotica e imprevedibile. Come
sempre, l'abito in pizzo rosso gli fasciava il corpo morbido e
pallido, arrivandogli fin sopra le ginocchia a lasciargli scoperte le
gambe nude e perfettamente lisce.
«Ti ho amato finché mi ha fatto male, ha fatto male, male male!»
Continuava a cantare con voce spiegata, facendo stridere di tanto in
tanto le corde vocali irrigidite dallo sforzo, lasciando che qualche
goccia di sudore gli bagnasse il volto e le tempie, scivolando lungo
il suo collo per poi finire nello scollo dell'abito. Quella sera,
però, era speciale rispetto a tutte le altre: difatti, la persona a
cui più teneva era lì a guardarlo, ai piedi del palco, con una
sigaretta fra le labbra e una bottiglietta di birra in mano. Uno dei
suoi piccoli occhi marroni lo scrutava intensamente, mentre l'altro
era coperto come sempre da uno spesso ciuffo di capelli biondi, di un
biondo così sporco e orrido da sembrar giallo canarino. Eppure,
nonostante quello, il ragazzo dall'abito rosso – o meglio, Takanori
per chi lo conosceva meglio – si sentiva irresistibilmente
attratto da lui, desiderandolo con tutto se stesso.
Finendo di cantare, si prese una pausa e, dopo un sorso di birra, si
concesse una sigaretta. L'accese e se la infilò fra le labbra,
inspirando un'abbondante boccata di fumo e schiudendo poi le labbra
con fare sensuale e malizioso, facendo sì che una lunga spirale di
fumo bianco salisse fino al soffitto, lasciandosi dietro un lieve
sentore di mentolo. Prima di avvicinarsi ancora al microfono, osservò
ancora per un po' la figura snella e slanciata del suo ragazzo
che si distingueva fra quella folla disordinata. Sentì il proprio
cuore perdere un colpo quando le loro iridi scure si incrociarono. Si
sentì fondere, il proprio corpo bruciare dall'interno. Quella
maschera di cera che s'era costruito nel corso della propria
esistenza stava per esser sciolta da quella fiamma che si faceva
sempre più intensa, mentre ancora i due si scrutavano negli occhi.
Per tutto quel tempo aveva finto di essere una regina, quando alla
fine era solo una “femmina” come tante altre.
Akira. Un nome come tanti – tre sillabe, il numero della
perfezione. Anche il suo cognome era dannatamente comune, ma che
bisogno c'era di distinguersi da un numero indefinito di omonimi
quando lui era quell'Akira? Il suo grande petto e quegli occhi
diventavano solamente ferite e si fusero assieme al corpo di Takanori
che, ancora sul palco con le gambe lievemente piegate e le ginocchia
rivolte l'una verso l'altra, cantava con un trasporto tale da
rimanerne quasi stordito. Da quanto tempo non gli capitava di cantare
così bene, mettendoci tutto se stesso in ogni singolo verso? Voleva
solamente essere felice, felice come non lo era mai stato. Ora che
l'attenzione dell'unica persona che gli interessasse veramente era
rivolta a lui, non chiedeva altro. Era fin troppo stanco di sentirsi
dire cose dolorose e di cominciare lentamente ed inesorabilmente a
disprezzare se stesso per ciò che non era.
Alla fine dello spettacolo, scese dal palco con di nuovo una
sigaretta stretta fra le labbra. Passando davanti ad Akira, riuscì a
sentire il suo odore mascolino – un misto di sudore e fumo. I loro
occhi si incrociarono nuovamente, ma le loro bocche rimasero chiuse,
senza emettere neppure un leggero sibilo. Dovevano aver entrambi
capito che per il momento andava bene così. Takanori si pentì di
non aver colto l'occasione di potergli parlare e di prendere
finalmente ciò che gli spettava, ma da un lato era grato a quel
ragazzo di non esserglisi neppure avvicinato. Ora che aveva catturato
il suo interesse, non ci voleva nulla a cadere fra le sue braccia,
anche solo per una notte. Così, se mai ciò fosse accaduto, avrebbe
abbandonato quella sua vita straziante piena di inganni per dedicarsi
unicamente a ciò a cui teneva di più oltre ad Akira: la musica.
Così, spegnendo la sigaretta contro il muro, il ragazzo dall'abito
rosso lasciò solamente un leggero segno nero sulla parete e uscì
dal locale, sparendo in poco tempo sotto gli occhi di tutti, solo e
con una guancia rigata da delle tiepide lacrime di gioia.
Eccomi
alla fine della prima song-fic della raccolta dedicata alle canzoni
dei GazettE che ho deciso di scrivere. Spero vi sia piaciuta, anche
se è proprio un piccolo inizio. Metto subito in chiaro che non saprò
quando scriverò e pubblicherò il prossimo capitolo, né tantomeno
su quale canzone su basi o quali personaggi contenga. Inoltre, non
saprei neanche quanti capitoli avrà (in ogni caso, penso di non
arrivare neanche alla decina, lol) – dipenderà tutto
dall'ispirazione che mi prenderà, come sempre, nei momenti meno
opportuni! Al momento, a chi potrebbe interessare, sto scrivendo
un'altra raccolta di song-fic dedicata ai DIR EN GREY: potete
trovarla qui!
Per
ora direi di lasciare il rating arancione dal momento che non credo
di scrivere cose troppo spinte, a meno che la mia mente malata non mi
suggerisca di farlo... tenetevi pronti ad ulteriori modifiche o ad
aggiornamenti del tutto improvvisi! Recensioni, commenti o critiche
sono sempre ben accetti. Vi ringrazio in anticipo per il tempo che mi
avete dedicato fin qui!
Alla
prossima!
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Capitolo 2 *** Zakurogata no Yuuutsu (Reita, Ruki) ***
Zakurogata no Yuuutsu
Titolo:
Zakurogata no Yuuutsu
Personaggi: Reita, Ruki
Pairing:
Reituki
Traduzione
della canzone: Zakurogata
no Yuuutsu
Rating:
Giallo
Avvertimenti:
Slash / Tematiche forti
ザクロ型の憂鬱
Eccolo giunto alla fine di un'ennesima crisi di pianto – l'ultima
di una lunga, interminabile serie. Non faceva altro da quanto era
stato ricoverato, senza troppe speranze, in quell'ospedale dalle
stanze asettiche e tutte uguali che odoravano di disinfettante. La
cosa sorprendente era che, dopo ognuno di quegli sfoghi violenti,
sulle sue labbra appariva sempre un sorriso – un bel sorriso
sincero e solare che sapeva mozzare il fiato e raddolcire anche il
cuore più duro, scacciando ogni ansia e preoccupazione. Akira
sorrideva perché, dopo ognuna di quelle manifestazioni di debolezza
e rassegnazione, il suo Takanori era lì al suo fianco, stringendogli
la mano e carezzandogli una ciocca di capelli disordinatamente posata
sul cuscino inzuppato di lacrime.
Un giorno, il sole mattutino che
filtrava delicatamente dalla finestra sembrava diverso dal solito, ma
Akira non realizzò immediatamente ciò che era successo. Era certo
che Takanori si fosse addormentato accanto a sé la sera prima,
com'era che ora il suo sguardo assonnato non riusciva a trovare la
sua piccola e gracile figura? Diede un'occhiata qua e là, ma del suo
amico neanche l'ombra. Doveva essere andato in bagno... o forse era
andato a prendere la colazione per entrambi. L'unico rumore che
echeggiava con fare monotono della stanza era il bip
acustico dell'elettrocardiografo
che, senza sosta, continuava indisturbato la sua attività. Sul
comodino erano posati dei fiori dai colori chiari, un segno di buona
guarigione da parte di qualche parente stretto e di Takanori stesso.
L'acqua ormai stava quasi finendo, e i poveri fiori sembravano
accartocciarsi su loro stessi mentre oscillavano sospinti dal vento
che entrava da uno spiffero della finestra appena schiusa. Non vedeva
l'ora che quei fiori appassissero... semmai ciò fosse accaduto,
avrebbe preso tutto e se ne sarebbe andato lontano, staccandosi anche
dall'amico adorato per evitargli inutili sofferenze. Fortunatamente, però, Takanori arrivò presto e cambiò l'acqua ai fiori per tenerli ancora un po' in vita, per poi mettersi a parlare insieme a lui, seduto sulla poltroncina rivestita di tessuto sintetico.
Faceva
male vederlo così indaffarato ogni giorno, Akira vedeva chiaramente
che anche il piccoletto soffriva quanto lui. Si dava sempre da far
per incoraggiarlo, dicendogli che tutto andava bene e che non c'era
nulla di cui preoccuparsi, che sarebbe guarito presto e che qualcuno
gli avrebbe presto dato quell'importante cosa vagamente
somigliate ad un melograno che gli avrebbe permesso di vivere ancora
ed ancora. Continuava ad occuparsi di lui come se fosse la cosa più
naturale, rinunciando spesso ai suoi impegni pur di passare delle
giornate intere all'ospedale, accanto a tutto ciò che più
d'importante aveva. Il cuore di Takanori sobbalzava e fremeva ogni
volta che Akira si metteva a piangere; con tutte le proprie forze,
cercava ancora di tirarlo su di morale, prendendogli il volto fra le
mani e piazzandoselo davanti, sussurrandogli lentamente qualche dolce
parola e facendo qualche buffa smorfia col solo intento di
strappargli un sorriso. Non sembrava mai stanco di donargli un po' di
sollievo, per quanto breve e passeggero. Soddisfatto dopo esser
riuscito nel proprio intento, lo stringeva sempre delicatamente in un
abbraccio, aggrappandosi più che poteva al suo corpo malato e magro,
mormorando ancora qualcosa al suo orecchio. Solamente dopo avergli
confessato tutto ciò che sinceramente provava nei suoi confronti,
finalmente poteva abbandonarsi ad un lungo pianto liberatorio,
bagnandogli la stoffa del pigiama che gli copriva le spalle larghe e
ossute, singhiozzando rumorosamente senza badare al personale
dell'ospedale che percorreva avanti ed indietro il corridoio senza
mai fermarsi.
«Voglio
vivere...» ammetteva Akira di tanto in tanto, guardando Takanori
dritto negli occhi mentre gli stringeva una mano con tutte le forze
che aveva in corpo. Ogni volta che pensava di non voler morire, le
lacrime gli cadevano lungo le gote, rigandogli le guance e
incontrandosi infine sotto il mento, prima di scendere a bagnare le
lenzuola leggermente disordinate. «Voglio vivere... anche se non
posso fare niente per te...» gemeva ancora tra un singhiozzo e
l'altro, portandosi l'altra mano a coprirsi il volto, facendo
oscillare i lunghi tubicini che pendevano dagli aghi che aveva
infilati nella mano e nel braccio.
Gentilmente,
Takanori gli abbassò la mano, prendendolo docilmente per il polso e
baciandogli le lunghe dita scheletriche, dalle unghie corte e
squadrate. «Cosa stai dicendo...? Hai sempre fatto così tanto per
me... è giunta l'ora che anche io ricambi in qualche modo, no?» gli
disse con voce bassa e melliflua, intrecciando le dita ai suoi
capelli morbidi e chiari, appena arricciati sulle punte. «Adesso
sarà meglio che ti riposi... devi essere stanco.» annuì fra sé e
sé, tirandogli poi su le lenzuola, tirandole bene per i lembi per
non farle cadere dal letto. «Adesso devo andare a fare una piccola
commissione, però... tornerò presto, te lo prometto. Anche se ti
sveglierai e non sarò qui accanto a te, ricordati che per te ci sarò
sempre...» sorrise ancora, mentre un velo di lacrime gli offuscava
la vista, rendendo indistinti anche i lineamenti di Akira.
Avvicinandosi al suo volto, gli stampò un innocente bacio a fior di
labbra, staccandosi quasi subito e rimanendo a contemplare la sua
figura rannicchiata nel letto, fino a che non lo vide addormentarsi.
Quando
Akira si svegliò, fuori era già buio. Doveva aver dormito per un
bel po'... e, come annunciato, Takanori non era al suo fianco.
Rimaneva solamente il suo profumo, dolce e fresco come quello di un
fiore. Sarebbe dovuto tornare presto... sperava non ci mettesse tanto
tempo. Sulle labbra aveva ancora impressa la flebile sensazione di
quel bacio che si erano scambiati prima di separarsi; un certo
disagio si impadronì di lui, rimescolandoglisi nello stomaco e
accelerandogli il respiro. Quel bacio non era un semplice bacio
qualsiasi, Akira lo sapeva bene, ma Takanori lo sapeva ancor meglio.
L'ansia si posò come una cappa sul corpo del ragazzo steso sul letto
d'ospedale non appena si ricordò che sarebbe stato operato da una
settimana a quella parte. Voleva che Takanori rimanesse accanto a lui
anche in quel momento, fino all'ultimo. Voleva vedere ancora il suo
volto, sentire il suo profumo e toccare le sue guance morbide e
soffici. Prima di entrare in quella sala operatoria, voleva dirgli
tutto ciò che non era riuscito a confessargli in tutto quel tempo
trascorso insieme – voleva dirgli quanto lo amava, senza alcuna
esitazione.
Però,
i giorni passavano senza che Takanori tornasse. Akira piangeva
silenziosamente giorno e notte, venendo consumato dall'ansia e
rifiutando qualsiasi genere di visita che non fosse da parte del suo
caro amico. Ad un tratto, il mattino del giorno in cui avrebbero
dovuto operarlo, gli fu consegnato un piccolo foglietto con su
scritta una nota, senza dubbio di Takanori: la sua era una
calligrafia abbastanza piccola e ordinata, seppur ogni tanto calcasse
troppo alcuni tratti. Guardandolo meglio, Akira s'accorse che in
certi punti l'inchiostro era sbavato, come se delle gocce di pioggia
vi fossero cadute sopra poco dopo che i caratteri furono impressi
sulla carta.
“Mi
dispiace
D'esser
stato egoista
Volevo
solamente salvarti
Se potessi
morire per te,
Allora
questa sarebbe la mia felicità...”
Lo
rilesse più volte, cercando di mantenere la calma mentre le mani gli
tremavano violentemente, senza controllo. Il medico che gli aveva
consegnato il messaggio si avvicinò a lui, posandogli una mano sulla
spalla. Scosse lievemente la testa, chiudendo gli occhi con
espressione grave. «Non è l'unica cosa che ci ha lasciato...»
mormorò solamente, e solamente questo bastò ad Akira per esplodere.
Di fronte alla verità scritta in quella parole, rimase senza parole.
Scoppiando in lacrime, gridò più volte il nome dell'amato amico fino
a che, dopo un leggero pizzico al braccio, i suoi sensi cominciarono
a svanire uno dopo l'altro.
Ancora
una volta, non seppe esattamente quanto tempo rimase addormentato, ma
quando si svegliò, sentì una fitta all'altezza del petto, sulla
sinistra. Scostandosi un lembo del pigiama, vide una spessa
fasciatura e, inspirando profondamente, avvertì i punti tirargli la
carne. Non avendo più lacrime da versare, tutto ciò che riuscì a
fare fu un sorriso rassegnato e commosso. Si posò la mano sul petto,
realizzando ciò che era appena successo. Takanori l'aveva amato a
tal punto da averlo aiutato fino in fondo. “Il mio cuore è già
tuo, Akira, non capisco cosa ti costi dirmi qualche dolce parola una
volta ogni tanto” diceva spesso, imbronciando il suo grazioso
musetto chiazzato di rosso dall'imbarazzo. Ma Akira non pensava che
quelle parole un giorno sarebbero potute diventare realtà. Con il
palmo premuto sul petto, riusciva a sentire il cuore di Takanori
battere dentro di sé, freneticamente, dando vita alla melodia più
dolce che avesse mai ascoltato.
Chiudendo
gli occhi, pensò a lui, alle sue parole, al suo volto imbronciato,
alle sue gote chiazzate di rosso. Gli angoli della bocca gli si
incurvarono in un sorriso; aprì lentamente gli occhi, gettando
un'occhiata fuori dalla finestra. Il sole del mattino splendeva
radioso come sempre, e la brezza marina soffiava dalla finestra
appena aperta. Sentendosi ancora debole, Akira serrò gli occhi e,
cullato dal delicato suono del cuore di Takanori che batteva nel
proprio petto, si addormentò rapidamente, cadendo in un sonno
stranamente profondo, nella densa oscurità che lo avvolgeva. Tu-tum,
tu-tum, tu-tum.
«Anche
se non ci sveglieremo, che importa? Ora siamo insieme... ed è questo
ciò che conta.»
Ehilà!
Come
potete immaginare, sono stata colta da un attacco di ispirazione
improvvisa (?) e mi sono trovata a scrivere questa seconda song-fic
tutta d'un fiato... non uccidetemi, davvero, anche perché sarà già
morta tre volte a scrivere quest'atrocità immane.
Lo
so che sto scrivendo praticamente quasi tutto dedicato alla Reituki,
però... sono una coppia troppo bella, ok? Ce li vedo praticamente
bene in ogni genere di situazione, specialmente nelle più delicate.
Sembrano così attaccati anche nella vita reale... comunque, non
picchiatemi davvero ;; Prima o poi tornerò ancora con una Aoiha,
devo cercare la canzone giusta! E poi mi piacerebbe anche farne
qualcuna introspettiva con un solo protagonista... beh, ci lavorerò
appena l'ispirazione arriverà ancora! In ogni caso, spero tanto che
questa vi sia piaciuta, anche se so che è triste... perdonatemi
errori/orrori vari, ma la mia vista continua a far schifo, e il
correttore automatico di OpenOffice ancor di più!
Commenti,
recensioni e critiche sono ben accetti. Come sempre, vi ringrazio in
anticipo del tempo che avete dedicato a questa piccola raccolta,
spero di poter tornare presto a deliziarvi (?) con un'ennesima
song-fic deprimente come poche, lol.
Alla
prossima, e grazie ancora!
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Capitolo 3 *** Namaatatakai Ame to Zaraitsuita Jounetsu (Aoi, Uruha) ***
Namaatatakai Ame to Zaraitsuita Jounetsu
Titolo:
Namaatatakai Ame to Zaraitsuita Jounetsu
Personaggi: Aoi,
Uruha
Pairing:
Aoiha
Traduzione
della canzone: Namaatatakai
Ame to Zaraitsuita Jounetsu
Rating:
Arancione
Avvertimenti:
Slash / Tematiche forti / Non per stomaci delicati
生暖かい雨とざらいついた情熱
Yuu non riusciva a dimenticare il soggetto di quella fotografia
rovinata – quell'unico tesoro che gli era rimasto da quando le loro
strade si separarono definitivamente. Per quanto duramente provasse a
rimuoversi dalla testa quell'immagine dai contorni fin troppo nitidi
e perfetti, ecco che la ferita al proprio cuore tornava a farsi
sentire più dolorosa che mai, così come i ricordi taglienti che
ancora lo facevano sanguinare giorno e notte, senza dargli pace. La
piccola stanzetta in cui era rinchiuso puzzava di muffa e di marcio.
Non si sarebbe mai perdonato ciò che aveva fatto. Si raggomitolò su
se stesso in un angolino della piccola stanzetta, mettendosi a
canticchiare una canzone triste, nostalgica, che gli portava alle
mente quei bei giorni in cui l'amore gli permetteva di vivere, allo
stesso modo in cui la gravità gli teneva saldamente i piedi ancorati
al suolo duro e polveroso. Era solamente una questione di tempo, poi
tutto sarebbe svanito senza lasciar traccia. L'amore, il dolore, i
ricordi, il sangue e i dolci baci... i tramonti che tingevano il
cielo di rosso, la pioggia che bagnava l'asfalto, i colori caldi e
sgargianti delle foglie morte... tutto. Senza eccezione. Anche lui
sarebbe sparito, cancellandosi da quel mondo una volta per tutte.
Chissà, magari sarebbe riuscito a rivederlo... a rivedere lui,
che tanto aveva amato fino all'ultimo. Ricordava fin troppo bene il
suo incarnato livido, il suo corpo bagnato dalla pioggia fredda, i
suoi polsi aperti, le sue labbra dal colorito violaceo e il momento
in cui la luce aveva abbandonato per sempre i suoi occhi di un caldo
e scuro color caramello, terrorizzati come quelli di un cerbiatto
davanti ai fanali di un'auto.
Silenziosamente, Yuu si mise a piangere, poggiando la fronte sulle
ginocchia unite e piegate. Pianse amaramente, fino a che l'aria non
venne a mancargli. Recuperò quanto fiato possibile e riprese a
singhiozzare, lasciando che i suoi lamenti si spandessero nell'aria
intorno come tanti piccoli insetti velenosi e letali. Sapeva che
sarebbe morto affogando nella sua stessa sofferenza in quel buco
maleodorante e buio. Dopotutto se lo meritava.
Era autunno inoltrato, e un cupo cielo grigio caratterizzava quella
giornata particolarmente fredda e ventosa. Presto sarebbe piovuto, di
questo si poteva essere certi. Yuu e Kouyou passeggiavano fianco a
fianco, sfiorandosi di tanto in tanto la spalla. Il moro sapeva che
il compagno gli stava nascondendo qualcosa, qualcosa che avrebbe
solamente fatto del male ad entrambi; finalmente quest'ultimo s'era
deciso a confessargli tutto, ma prima voleva assicurarsi che non
fosse udito da nessun altro che da lui. Andarono al parco pubblico,
mettendosi sotto un albero che creava un certo rifugio dalle prime
goccioline di pioggia, nonostante gran parte delle foglie fossero già
cadute a creare un tappeto dai colori caldi sull'erbetta verde.
Kouyou si mise dinnanzi a Yuu e gli prese le mani, guardandolo dritto
negli occhi e mordendosi timidamente il carnoso labbro inferiore che
tanto caratterizzava quel suo volto angelico e dolcissimo. Quando
faceva così il moro sapeva che c'era qualcosa che non andava.
Avrebbe dovuto mantenere la calma assoluta qualsiasi cosa gli avesse
detto, anche se non ne era tanto sicuro. Già immaginava le parole,
quindi cominciò a prepararsi al peggio, sentendosi lo stomaco
ribollire dall'ansia e dalla rabbia.
«È solo... è solo... che non voglio tenerti neanche un segreto.
Voglio che tu capisca e, solo una volta, che tu chiuda gli occhi alle
mie disperate menzogne, e che tu mi stringa.»
Le labbra di Yuu tremarono e le pupille si contrassero violentemente.
Lo sapeva. Lo sapeva che Kouyou lo stava tradendo. L'aveva visto quel
giorno con un altro ragazzo, aveva visto come si tenevano per mano,
come si sorridevano l'un l'altro. Li aveva visti baciarsi.
Aveva visto quelle labbra, quelle labbra che gli appartenevano,
posarsi su quelle di un altro e premere su quella bocca che, se solo
avesse potuto, avrebbe tumefatto con dei pugni ben piazzati. Ma
ovviamente non aveva fatto nulla di tutto ciò. Non l'aveva fatto
perché amava troppo il suo piccolo Kou, teneva davvero troppo a lui
per fargli del male. Come da lui chiesto, lo strinse forte a sé,
sentendo il suo corpo scosso da dai leggermi fremiti. Lo sentì
piangere contro la propria spalla, mentre ancora lo stringeva con
tutta la forza che aveva in corpo. Lo cullò con tutta la tenerezza
che riusciva ancora a provare nei suoi confronti, infilando le dita
nei suoi capelli fini e chiari, anche se dentro di sé stava venendo
consumato dalla gelosia.
Passarono un paio di giorni. Come sempre, si diedero appuntamento nel
loro posto speciale – nel parco in cui il loro amore aveva avuto
inizio e in cui sarebbe presto andato incontro alla sua fine. Yuu lo
stava già aspettando, in piedi in uno degli angolini più sperduti
di quella verde distesa umida. Pioveva, e già cominciava a perdere
ogni speranza. Infradiciato fino alle ossa, cominciò ad allontanarsi
con le mani affondate in tasca; quella destra toccò qualcosa di
freddo e duro, dannatamente rilassante e rassicurante. Le gambe gli
tremavano a causa del nervosismo accumulato, ma cercò di non farci
troppo caso. Non poteva tirarsi indietro, non ora. Chissà perché
Kouyou tardava tanto... qualcosa gli diceva che era meglio andarsene
prima di incontrarlo. Eppure, non poteva non vederlo. Doveva farlo,
almeno per un'ultima volta.
Maledicendosi, corse indietro fino a ritornare nel parco, fino a che
non ebbe più fiato nei polmoni. La pioggia lo colpiva ancora senza
sosta, facendolo ghiacciare. Non gli ci volle molto prima di tornare
nel posto in cui lo stava aspettando. Ed eccolo lì in piedi sotto
l'enorme albero, il loro albero. Kou sorrise timidamente;
sembrava così perso e intimorito che per qualche istante la pioggia
sembrò cessare del tutto. Yuu era così felice di vederlo... ma gli
bastò avvicinarglisi un poco per far sì che il proprio cuore perse
un battito. Cos'era quella macchia quasi violacea perfettamente
visibile sul collo niveo della sua unica ragione di vita? Cos'era
quel morso che gli marchiava il labbro inferiore, roseo e
tremendamente invitante? E quell'espressione impaurita e imbarazzata?
«Probabilmente non mi perdonerai, vero?»
La sua voce terribilmente sensuale e bassa fu come una coltellata in
pieno petto per Yuu. Una fitta lo fece indietreggiare, nelle sue vene
la rabbia ribolliva furiosamente. Senza dir nulla, affondò i pungi
in tasca e si allontanò in fretta, tenendo il volto alzato verso il
cielo e lasciando che la pioggia tergesse le lacrime che stillavano
copiosamente dai suoi occhi scuri come l'ossidiana. La camicia era
appiccicata al suo corpo, e dentro si sentiva consumare lentamente ma
inevitabilmente. Una voce familiare lo invitò a voltarsi, ma non ce
la fece. Continuò a camminare per la strada deserta, sentendo il
proprio calpestio perdersi nell'asfalto duro e bagnato, mescolandosi
con la dolce voce proveniente dalle proprie spalle.
Ad un tratto, delle braccia gli si strinsero intorno al busto. Si
fermò, rimanendo immobile per qualche attimo che parve infinito. Le
sue braccia gentili, la sua presa delicata, il suo profumo delicato
mescolato a quello forte della pioggia... si voltò, incontrando i
suoi occhi scuri. Lo abbracciò a sua volta, rimanendo ad ascoltare
il valzer dell'asfalto e della pioggia. Gli sorrise con tutta la
sincerità possibile, avvicinandosi a lui finché le sue labbra non
si scontrarono con le sue. Lo baciò dapprima con tutto l'amore di
cui era capace, ma poi la gelosia prese ancora il sopravvento. Con
una mano gli afferrò il mento, tirandolo prepotentemente verso di
sé; scrutò i suoi occhi sgranati dal terrore farsi sempre più
acquosi. Con l'altra mano, impugnò saldamente l'oggetto che avrebbe
posto fine alle sofferenze di entrambi.
Con sua grande sorpresa, la lama affilata affondò fin troppo
facilmente nella carne morbida del suo ventre. La spinse fino in
fondo, fino a che il manico non toccò il suo corpo. Sentì il sangue
gocciolare sull'asfalto, ma forse erano solo delle altre gocce di
pioggia... ormai non riusciva neanche a distinguere l'uno dall'altra.
Un rantolo roco salì dalle labbra di Kou, infrangendosi sulla bocca
di Yuu, ancora premuta contro la sua. Quando il moro si staccò da
lui, gli fece scorrere una mano dietro i lombi e lo fece sdraiare sul
terreno, estraendo il coltello dal suo corpo. Il sangue rimasto sulla
lama scivolò via con estrema facilità. I peccati odoravano di
ruggine, ma per fortuna venivano lavati via facilmente sotto la
pioggia.
«Darlyn... ho perso tutta la gelosia che provavo nei tuoi
confronti...»
La lama gli aprì il polso destro. Yuu non immaginava neanche che un
corpo umano, minuto e grazioso come quello di Kouyou, potesse
contenere tanto sangue. E non riusciva a credere che quest'ultimo
fosse così rosso, denso e caldo. Rosso come la passione.
Denso come l'amore. Caldo come i loro corpi che si muovevano insieme
tra le coltri vaporose del letto, intrecciandosi e incastrandosi alla
perfezione l'uno contro l'altro.
«Ora sono l'unico che hai nel cuore?»
La tenera passione traboccava dalle sue braccia esangui, riversandosi
senza sosta sull'asfalto. Yuu sentì delle sirene avvicinarsi –
neanche nei loro ultimi istanti erano riusciti a trovare una certa
intimità che avvolgesse unicamente loro due. Gli occhi di Kou
rimasero aperti anche nel suo ultimo istante; prima che il suo corpo
diventasse privo di vita e terribilmente freddo, alzò una mano verso
il moro, carezzandogli una guancia con la punta delle dita,
sporcandolo di sangue. Volendolo confortare in quel momento
transitorio, Yuu cominciò a canticchiare con dolcezza la loro
canzone, fino a che non vide la luce spegnersi nei suoi occhi puntati
nei propri. Le lacrime scorrevano a rigargli le guance senza che
neanche se ne accorgesse – il dolore era troppo intenso perché
potesse ferirlo. Tenendogli la testa sulle gambe, si abbassò a
baciargli la fronte incredibilmente pallida. I capelli bagnati gli
incoronavano il viso smorto e ceruleo, facendolo sembrare bellissimo
anche in quell'occasione. Chissà dove si trovava ora... sicuramente
tanto, troppo lontano da Yuu che solo in quel momento si rese conto
d'aver perso colui che ancora non riusciva a smettere d'amare.
Delle persone si avvicinarono ad entrambi. Caricarono Kou su una
barella nell'istante in cui ammanettarono il moro, tenendogli una
pistola puntata alla nuca e il viso premuto contro il suolo. Le sue
labbra e le sue narici erano immerse nella pioggia tiepida mescolata
al sangue brillante e sporco di quello che sarebbe stato per
sempre il suo compagno. Il suo amore. Venendo strattonato, si alzò
sulle proprie gambe giusto in tempo per vedere Kouyou che veniva
caricato a bordo dell'ambulanza: in quell'attimo, la sua espressione
sembrò più rilassata e tranquilla che mai. Yuu sorrise commosso,
sentendo il sangue rattrappirglisi sulla guancia.
«La prossima volta che ci incontreremo, se piove ti presto il mio
ombrello.»
Holà!
Finalmente, come promesso, sono riuscita anche a scrivere la Aoiha
che tanto aspettavate! E non mi sono risparmiata per quanto angst e
cose varie... ve la siete cercata! Questa fic la dedico specialmente
alla mia cara AnnaH, visto
che Namaatatakai è una delle sue canzoni preferite! ♥
In
ogni caso, spero abbiate apprezzato anche questa terza song-fic della
raccolta! Come già avevo detto, gli aggiornamenti non saranno
tanto
frequenti e, soprattutto, non saranno regolari, quindi mi scuso in
anticipo se andrò a rilento. Ho tante belle cose (?) in serbo
per
voi! Non saprei che altro aggiungere perché non ho molto da
dire...
spero davvero vi sia piaciuta! In caso contrario, siete pregati di
uccidermi nel più lento e doloroso dei modi possibili!
L'interpretazione dell'ultima frase della fic sta a voi, comunque! So
che è bastarda, ma ho già le mie teorie!
Recensioni,
commenti e consigli sono sempre ben accetti, non siate timidi! Mi fa
piacere poter conoscere i vostri pareri. Chissà a chi toccherà
nella prossima song-fic... bah, vedremo quando l'ispirazione si
deciderà a farsi sentire ancora!
Alla
prossima!
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Capitolo 4 *** Red MoteL (Kai, Ruki) ***
Red MoteL
Titolo:
Red MoteL
Personaggi: Kai, Ruki
Pairing:
//
Traduzione
della canzone:
Red
MoteL
Rating:
Arancione/ROSSO
Avvertimenti:
Tematiche
forti / Violenza / Tematiche sessuali / Linguaggio forte
Red MoteL
“Red Motel”. Un
nome piuttosto anonimo e scontato, visto il colore accattivante che
tinge sia le pareti esterne, sia quelle interne dell'edificio.
Edificio che, tra l'altro, del motel non ha granché. Sembra più una
casa, un'enorme villa a più piani arredata in maniera soffocante e
spocchiosa – elegante, certo, ma in perfetta contraddizione con le
attività che si svolgono al suo interno. In giro per Tokyo di case
di piacere non se ne vedono molte, ma il Red MoteL è una di quelle,
la più famosa e ricercata. Le ragazze e i ragazzi che vi lavorano
sono i migliori di tutto il quartiere a luci rosse, per questo mi
sono recato qua. Non mi accontento di comuni giovani, voglio solo il
meglio. Per quello ho pernottato per un giro indimenticabile con la
cosiddetta “regina del quartiere a luci rosse”. In pochi la
conosco, in meno ancora possono permettersela – o permetterselo,
se vogliamo essere precisi.
Con un sorrisetto
compiaciuto mi reco al bancone d'accoglienza, vedendo la mama
di mezz'età che mi accoglie a sua volta con una smorfia compiaciuta.
«Nome e ricevuta.» disse con distacco, allungando una mano rugosa
dalle unghie volgarmente dipinte del medesimo colore che
caratterizzava l'intero complesso.
Senza dir nulla, le
allungo la ricevuta sulla quale è riportato il necessario. La legge
attentamente e, con un fiammifero, le dà fuoco, dopo averla
accuratamente posata in una ciotola in terracotta già colma di
cenere e carta bruciata. «Pagamento anticipato, deve solamente
versare la cauzione di 15.000 yen.» aggiunse la donna. Come
richiesto, le consegno anche quella misera somma – misera in
confronto a ciò che avevo pagato per concedermi una nottata con la
“reginetta” – e mi faccio dare la chiave. Stanza numero 17,
quale sfortunata coincidenza.
«Terzo piano, in
fondo al corridoio. Sulla porta c'è una targhetta con inciso il
numero, ma penso che ormai lo sappia già, Kai-san.»
sibila freddamente la mama
chiamandomi
col mio soprannome identificativo, sistemandosi meglio una forcina
nei capelli tinti di un nero ancor più scuro ed intenso di quello
dei suoi piccoli occhietti penetranti e infossati dal tempo.
Le abbozzo un
gentile inchino e, stringendo la piccola chiave d'ottone nel palmo
della mia mano, mi dirigo su per le scale, sentendo l'eccitazione
salire gradino dopo gradino. Primo piano... secondo piano... terzo
piano. La moquette rossa è priva di macchie; sembra che nessuno vi
abbia mai camminato sopra – forse l'hanno cambiata da poco. Con
passo lento mi trascino fino alla porta situata in fondo al corridoio
silenzioso. Le altre camere sembrano tutte vuote, ma ciò non fa
scemare la mia eccitazione che, man mano che mi avvicino alla stanza
in cui è nascosta l'affascinante puttana che mette le mani sui soldi
altrui, si fa sempre più prepotente e intensa, facendomi salire
degli strani mugolii rochi dalla gola.
Mi fermo davanti a
quella dannatissima porta. Il pomello dorato sembra anch'esso nuovo.
Infilo la chiave nella toppa e la giro una, due volte, finché non
sento la serratura scattare con un suono sordo. All'interno della
camera, sento qualcosa muoversi; un frusciare di coperte, un
tintinnare vitreo.
Entro nella stanza.
I miei occhi impiegano solamente pochi secondi ad abituarsi alla
penombra.
La luce fioca e
tremolante delle candele illumina maldestramente la figura che, con
comportamento smagliante, si stende sul letto dalle lenzuola pulite
color cremisi. L'odore dell'acqua di colonia è soffocante e forte,
quasi da farmi venir la nausea.
Sul letto, la
reginetta si dimena. Danza coi bronzei capelli arruffati. Danza per
me, per colui che, schifoso, ha pagato con soldi sporchi. Mi chiudo
la porta alle spalle, girando ancora la chiave nella toppa. Ora siamo
solamente io e lui.
Io e il giovane ragazzo dall'aspetto efebico che ha conquistato i
cuori di parecchi altri uomini simili a me. Sotto il babydoll in
pizzo trasparente riesco a vedere chiaramente ciò che si cela fra le
sue gambe e non posso far altro che sorridere divertito.
«Come minimo ti
aspettavo già eccitata per me...» gli dico, riferendomi a lui con
fare femminile. Questa è la regola del Red MoteL – tutti coloro
che ci lavoravano sono da considerarsi ragazze.
«Ma come,
chichi-san...»
cinguetta abbassandosi a prendere qualcosa che si trovava ai piedi
del letto. «Sono tua fino a domani mattina, perché non ce la
prendiamo comoda?» continua con quel suo tono fastidiosamente
confidenziale e volgare, ammiccandomi con le lunghe ciglia fini. Fra
le piccole mani pallide, tiene una bottiglia di vino rosso. Mi
avvicino a lui e gliela sfilo dalle dita, recandomi poi al mini-bar
per versarne in dosi uguali in due bicchieri. Senza farmi notare,
mentre lui mi assilla con le sue stupide parole scoccianti e
monotone, estraggo dalla tasca della mia lunga giacca pesante una
piccola boccettina. Rido quando leggo ciò che ho scherzosamente
scritto su quella piccola fiala di vetro: “Sogni
d'oro”.
Verso il contenuto in uno dei due bicchieri, osservando una piccola
schiuma color violetta formarsi per poi dissiparsi completamente nel
giro di poco, senza lasciare alcuna traccia se non un impercettibile
alone violaceo sulle pareti del bicchiere.
Ripongo la boccetta
vuota nella mia tasca e, prima di avvicinarmi alla reginetta con i
bicchieri in mano, mi libero dal cappotto e dagli stivali pesanti.
Delicatamente, mi siedo sul bordo del letto accanto a lui,
passandogli il suo
bicchiere i vino mentre una delle sue piccole mani scivola fra le mie
gambe.
«Oh chichi-san,
sei così contento di vedermi? Sei già duro come la roccia... non
vedo l'ora di mangiarti a partire dal basso.» ghignò lui con quella
sua vocina fastidiosa che probabilmente mi avrebbe perseguitato per
un bel po'.
«Non credere che ci
andrò piano... ti farò del male, ti farò urlare... e ti farò
sanguinare.»
Brindiamo. Lui,
ingenuamente, si beve il bicchiere di vino tutto d'un fiato. È solo
questione di pochi secondi prima che la droga faccia effetto.
Infatti, mentre le mie mani carezzano ogni centimetro di quella pelle
candida e nivea, sento il suo corpo avvampare e il suo fiato farsi
sempre più corto. Mi guarda con due occhi liquidi e languidi,
facendomi venir voglia di lacerargli quel bel musetto con le mie
stesse unghie. La rabbia mi assale improvvisamente e, senza
accorgermene, mi ritrovo con una mano stretta contro la sua gola, le
dita che premono contro la sua carne con una violenza che neppure
sapevo di possedere. Lui annaspa in cerca di aria ma, tutto sommato,
sembra divertito da quel trattamento che gli sto riservando.
«Più forte... più
forte... più forte...»
Quei suoi rantoli
giungono più che chiaramente alle mie orecchie e, come richiesto,
stringo ancor di più la morsa contro la sua gola delicata,
sentendola quasi sul punto di spezzarsi. Una lacrima sfugge dai suoi
occhi e la sua bocca si sta riempiendo di schiuma e di saliva. Per
lui non provo compassione, né tantomeno pietà... solamente pena. E
ribrezzo.
Proprio quando il
suo colorito sembra farsi di un cupo color cenere, stacco le mani dal
suo collo, osservando con piacere come le dita della mia mano vi si
siano impresse. Tossisce convulsamente in cerca d'aria e rigetta
maldestramente parte del vino che ha bevuto, lasciando che l'odore
della sua bile si mescolasse a quello dell'alcool e dell'acqua di
colonia. Ormai non riesco più a trattenermi. Mi disfo della camicia
e della cintura, slacciando i pantaloni e abbassandomi l'intimo
solamente per liberare la mia virilità dolorante e gonfia oltre
misura.
La vedo riprendersi
mentre si avvicina sensualmente a me nonostante il rossetto sbavato e
le labbra ancora impregnate dei suoi succhi gastrici. Sorrido
mestamente, afferrandogli con violenza i capelli castani fino a che
non sento la punta del mio membro affondare nella sua gola stretta e
accogliente. Lo vedo ansimare e dimenarsi, mentre i suoi occhi resi
opachi dalla droga si fanno ancor più umidi e colmi di lacrime. Il
“filtro d'amore” sta facendo il suo bel lavoretto, a giudicare
dai suoi umori che, copiosamente, vanno a macchiare le lenzuola. Non
riuscendo a resistere oltre, mi libero fra le sue labbra e, senza
dargli il tempo di recuperare, mi muovo dentro di lui con due dita,
mettendomi a cavalcioni delle sue gambe magre e pallide. Il mio seme
cola dalla sua bocca oscenamente tinta di rosso e il suo sguardo
perso mi fa irrigidire ancora una volta.
L'aria nella stanza
s'è fatta pesantissima. Insieme all'odore dell'acqua di colonia e a
quello del vomito s'è unito quello dello sperma e dell'urina che
quella piccola cagna s'è lasciata sfuggire. Senza accorgermene,
vengo ancora una volta mentre fisso i suoi occhi impauriti. Ormai
doveva aver capito quali intenzioni avevo.
«Dovrei carezzarti
brutalmente e farti venire fino allo sfinimento, dolcezza?» gli
domando affettuosamente, carezzandogli quel suo visino accartocciato
dal terrore. Neanche m'ero accorto che era già venuto una volta,
sporcandosi il bacino piatto. Lo guardo dall'alto, rimanendo a
cavalcioni sulla sua esile figura. Sul rosso, rosso letto...
«Sei il mio
animaletto domestico, Taka-chan.»
I suoi occhi da
cucciolo si sgranano, diventano ancor più grandi e impauriti.
Mettendosi le mani davanti al volto, cerca in tutti i modi di
coprirsi per sfuggire da me. Rido a pieni polmoni, afferrandogli i
polsi per poter osservar meglio il suo viso. Mi avvicino alle sue
labbra e catturo la sua bocca in un bacio, trattenendo i conati che
mi salgono dallo stomaco a causa del sapore acre che gli è rimasto
impresso addosso. Intreccio la lingua alla sua, catturandogliela
infine fra i denti. Senza pensarci due volte, gliela mordo
violentemente, sentendo il sangue caldo riversarglisi in bocca. Un
urlo gli sale dalla gola, simile ad un rantolo colmo di straziante
agonia.
Mi stacco da lui,
tenendo le ginocchia affondate nel materasso morbido. È
completamente bagnato e sta piangendo con occhi vacui. L'ho
pietosamente violato nel nostro gioco osceno e, senza requie, sta
ancora piangendo, senza aver capito il motivo di questo mio coltello
sfoderato. La lama brilla cupamente alla fioca luce incerta delle
candele che si stanno consumando; è fredda e, a contatto con la sua
pelle morbida e rovente, sembra ghiaccio a giudicare dai suoi spasmi.
Seppur sia drogato a dovere, s'è reso conto della situazione in cui
è piombato. Mi implora, mi insulta e ancora mi supplica di non
fargli del male. Con un sorrisetto, mi accorgo che, nonostante tutto,
la sua eccitazione non è ancora scemata. Il suo piccolo sesso è
pulsante ed eretto, il suo corpo attraversato da dei violenti tremiti
e madido di ogni sorta d'umori. Fa per dirmi qualcosa, ma è troppo
tardi. Le sue labbra si contraggono spasmodicamente in un'espressione
di dolore misto a sorpresa. Sul rosso, rosso letto...
«Il mio animaletto
domestico puzza di sangue...»
Le mie parole
vibrano nell'aria pesante. Non ottengo nessuna risposta, solo un
macabro gorgoglio. Il coltello scintilla, affondato in quella gola
morbida che tanto bramo. Il sangue si riversa a fiotti sulle
lenzuola, confondendosi col loro colore cremisi. Infine, mi decido a
liberarmi dagli ultimi indumenti che indosso. Così, senza grazia, lo
prendo e lo faccio mio, sentendo la sua vita spegnersi mentre ancora
affondo nel suo corpo che si fa man mano più freddo e rigido. Le
labbra hanno un colore livido e violaceo e gli occhi sono spenti,
come se una leggera patina li ricoprisse.
Riverso il frutto
del mio piacere dentro il suo corpo ancora tiepido. Lo guardo con
dolcezza, gli carezzo il volto. Proprio come lui, ho tanti sostituti
quanti ne desidero... peccato che la mia corsa non sia ancora giunta
al termine.
Con le mani sporche
del suo sangue, cerco una sigaretta. Me la accendo fra le labbra,
rimanendo sdraiato vicino a lui nel letto sfatto e sporco. Ci
vorrebbe un miracolo per pulire tutto questo disastro... per fortuna
che ho tempo di spassarmela fino a domani mattina, quindi per ora non
ha senso preoccuparmi del dopo. Intanto nessuno sarebbe venuto a
cercarci. La mama
sorriderà col suo solito fare compiaciuto non appena verrà a
conoscenza del mio impeccabile lavoro. Forse si lamenterà delle
lenzuola sporche e di tutto il resto, ma... poco importa, ora sono
così stanco che vorrei solamente dormire. Penso che dormirò in
bagno, nell'ampia vasca ad angolo, visto che il corpo della reginetta
comincia a puzzare. Tutto quel sangue, poi, mi fa letteralmente
girare la testa... non credevo che un corpo tanto minuto potesse
contenerne tanto.
Prima di andare a
lavarmi, però, gli sistemo i capelli; il piccoletto sembra dormire
pacificamente col dorso affondato nelle lenzuola e le gambe ancora
aperte. Avvolgo il suo corpo lenzuolo, dandogli poi un bacio sulla
fronte gelida. Casualmente, il mio sguardo scivola sull'orologio che
teneva sul comodino. Pensavo fosse passato più tempo, invece ci ho
messo meno del previsto... sorrido, affondando una mano in quei
capelli morbidi e profumati. Anche mentre dorme, sa essere
accattivante e meraviglioso. Mi chino ancora a baciargli la fronte,
inspirando il profumo della sua pelle. Infine, avvicino le labbra al
suo orecchio, raddrizzando meglio la lama del coltello che squarciava
la sua gola.
«Addio, mio dolce
tesoro...»
Ecco
che appaio quando meno ve l'aspettate.
Pensavate
che avessi lasciato perdere questa raccolta, vero...? E INVECE NO.
Quando l'ispirazione viene sotto la doccia e si ha il pomeriggio
libero, meglio cogliere l'occasione mettersi a scrivere subito.
Ancora mi chiedo perché certe idee mi vengano sempre sotto la
doccia... forse dovrei smettere di lavarmi una volta per tutte – ma
ovviamente non lo farò per ovvie ragioni che non sto neanche ad
elencarvi. Comunque, sto parlando da sola.
Ehm...
non saprei davvero come giustificarmi per aver scritto una cosa del
genere. La colpa è della doccia, giuro. Avevo già in mente di
scrivere una song-fic legata a Red MoteL, ma non pensavo di scegliere
proprio Kai e Ruki... e non pensavo di poter arrivare a scrivere
tanto. Non ho messo il rating rosso per tener la raccolta accessibile
a tutti, ma l'ho comunque messo negli avvertimenti. Spero di non
avervi turbato troppo, anche perché mi sentirei in colpa
altrimenti...
Inizialmente
avevo pensato a Uruha e Aoi come personaggi principali, ma mi sarebbe
troppo dispiaciuto far finire una delle OTP nel sangue! E alla
fine... beh, Kai e Ruki mi sono sembrati perfetti. Non chiedetemi il
perché, non saprei rispondervi. Uhm... chiedo venia per eventuali
errori o imprecisioni. E per tutta questa violenza gratuita. Sappiate
che vi voglio bene, gne.
Alla
prossima (anche se non so quando, lol)!
-
g.
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