Autore: Avalon9
Genere:
Introspettivo, Slice of
live, Missing Moments
Personaggi Principali: Roy Harper
Altri Personaggi: Jason Todd; Koriand’r
Rating: giallo
Prompt: #Indipendence
In proposito: “Indipendence” sorride, premendo per bene i
ricordi in un angolino della testa. “Come posso spiegartelo? Ecco. Hai presente
il 4 di luglio?”
“Quando gli uomini fanno festa?”
chiede Kori, stringendo gli occhi. “Quello che
abbiamo fatto noi quel giorno?”
“Sì!” sorride Roy. “Cioè. No. Non
proprio. Quello che hanno fatto gli altri. La gente comune, insomma.”
Disclaimer: i personaggi presenti sono proprietà di DComics
e dei loro creatori. L’idea no. È tutta mia.
Note: one shot; missing
moments
Cose: ho millanta cose in ballo. Una storia che, ormai, sta diventando un
reperto archeologico del forum. Qualche fandom che
può celebrare il mio funerale e una sanità mentale seriamente a rischio. Eppure
ricomincio. Con la premessa, chiara, che questa raccolta inizia ora e non ho
nessuna pallida idea di quando finirà. E che chi vuole è ben accetto. Perché ad
ogni personaggio, un genio della matita ha associato una caratteristica. E
sbizzarrirsi a declinarla, a volte, è un buon rimedio alla neuro. O almeno lo è
per me.
Non esiste una vera tabella; sono immagini presentate a cicli, dei buoni,
degli ambigui e dei villan. Però il gioco vale la candela.
Intanto, sono partita con Roy. E Jason e Kori. Chè dove c’è uno, ci sono gli altri. Con la loro carica
dissacrante e viva. Di chi davvero stritola l’esistenza; con tutti i suoi
aspetti. Da quelli entusiasmanti a quelli più squallidi. Sono una casistica
stupenda, questi tre.
E no. Non è quella storia cui sto lavorando da un bel po’. Ma, almeno, per
la gioia di qualcuno, qui di trapezisti non c’è traccia. Questa è nata di
getto, in un folle reale momento di odio viscerale contro lo schermo del
computer. E contro compiti multimediali che rasentano il parossismo.
Vabbè. Iniziamo. È
meglio, no?
Ah! Piccola nota: Buona Pasqua a
tutti! Piena di felicità, serenità, tanti coniglietti, pulcini e ovetti di
cioccolata!
A Francine.
Che mi ha fatto scoprire un
arciere.
Pazzo. E complicato. Ma stupendo.
Grazie!
# Indipendence
Kori è Kori.
Non
c’è altro modo per definirla. Perché Kori non la puoi
capire; Kori puoi solo viverla. Devi mandare a cagare
qualsiasi idea tu ti sia mai fatto su una donna, e ricominciare da capo. Perché
Kori ragiona come solo lei sa ragionare; perché con Kori le ovvietà, sì, quelle stupide cose che, cazzo, hai
sempre dato per scontato, all’improvviso non le capisci più e ti chiedi come
mai la terra non si decide a fare di te un boccone, così, giusto per evitarti
l’ennesima figura di merda.
Con
la tua ragazza.
Che
poi, a voler esser precisi precisi e scassare un po’
le palle, Jason ha il suo bel dire a ridacchiare in quel modo. Scommette che
nemmeno lui, ce l’avrebbe, una fottuta risposta a quella fottuta domanda. Ma cazzo no, non è Jason quello che è
rimasto con un toast imburrato in mano e la bocca spalancata. Che se apre
ancora un po’ gli si disarticola la mandibola e, signori, ecco pronta la nuova
Roy Harper Gallery.
E
per un istante, un lunghissimo dannato istante, Roy si chiede se forse, ma
proprio forse, non ha capito male. Perché non è che la stesse proprio a
sentire, in quel momento. Dio. Come fai ad ascoltare quello che una donna ti
sta dicendo, quando l’unica cosa cui riesci a pensare è che vorresti baciarla.
E scoprire se il sapore del pompelmo che ha bevuto le è rimasto in bocca. E che
gusto può avere, la pelle calda di Kori, con la
salsedine addosso e il gusto del pompelmo.
La
pelle di Kori. Così calda che lo può bruciare ogni
volta che lo tocca, ogni volta che fanno l’amore. Ma, Dio, sa benissimo che
morirebbe felice, se potesse farlo fra le sue gambe, mentre la guarda e. E vorrebbe
non aver altro da fare, in tutta la vita.
Quindi
sì. Spera, crede, di aver capito male.
Perché
nemmeno Kori, nemmeno la sua principessa con tutta quella confusione che può fare fra parole e
lingue, nemmeno lei può avergli chiesto una cosa del genere. Che, diciamocelo,
non avrebbe senso. Nessun fottuto senso.
“Roy”
lo richiama Kori. “Mi stai ascoltando?”
No.
No
che non la sta ascoltando. E che cazzo. Come può stare ad ascoltarla mentre
invidia una fragola. Quella fottuta fragola rossa che Kori
si sta passando sulle labbra, con l’aria più innocente del mondo. Quella
fragola che sta sfiorando con la lingua leggera. Quella fragola che.
Cazzo.
Le
opzioni sono due: o Kori s’è ficcata in testa di
farlo impazzire, letteralmente, e lui sta considerando l’idea di caricarsela di
peso in spalla e trascinarla a letto, e fanculo a
Jason e a qualsiasi cosa avesse in testa per quel giorno; oppure è seria.
Fottutamente seria. Nel caso, Roy spera che la sua ragazza non abbia sviluppato
qualche potere telepatico durante la notte. O lui è fottuto. E cazzo no; non in quel senso.
“Certo!”
Ha
voglia di strangolare Jay. Lo odia; soprattutto perchè
ha la faccia del gatto che si è appena pappato l’uccellino. E no, quella volta
non è lui ad esser finito nelle fauci di un maledetto gattaccio rognoso. Dio.
Non che Kori sia rognosa; e nemmeno un gattaccio.
Anzi. Kori sembra più una pantera; o una tigre. O
qualsiasi altra cosa arancione appartenga alla stirpe dei felini. La sostanza
non cambia: Kori è una che ha gli artigli. E non manca
di ricordarglielo, quando fanno l’amore. Dio. Fra scottature e scorticature,
Roy non sa se esce più malconcio da uno scontro o da una sessione di sesso con
la sua ragazza. L’unica differenza, forse, è che il secondo caso è decisamente
più piacevole. E non c’è altro da aggiungere.
“Ma.
Ecco. Vedi” farfuglia, e sa che vorrebbe essere da qualsiasi parte, ovunque,
anche nella fogna che gli aveva procurato Crock,
piuttosto che lì, in quel momento. Con Kori che lo
fissa e lui che non sa cosa dire. Non ha una fottuta idea di cosa cazzo dire.
E
l’uccellino, lì, ai fornelli, sta per piegarsi in due, tanto fa fatica a non
scoppiare a ridere. Dio. Dio.
Fanculo Jay. La prossima volta il culo, io, non te
lo salvo.
“Non
lo sai?”
“Certo
che lo so!” si affretta a precisare, strozzandosi quasi con la sua voce. Perché
Kori ha socchiuse le labbra e si è avvicinata. Lei e
il suo seno appena coperto da quel minuscolo costume. Cazzo. Dovrebbe esserci una legge. Una legge che vieta alle pupe
aliene mozzafiato di andarsene in giro mezze nude prima delle undici di
mattina. C’è la sua sanità mentale, a rischio. E l’integrità dei suoi
attributi, se non riesce a trovare una risposta decente in cinque microsecondi.
Qual era, la domanda?
Ma
perché non c’è mai una cazzo di emergenza, quando ti serve? Non potrebbe
scoppiare una bomba, da qualche parte? Una bomba piccola piccola,
senza tanti morti o feriti. Va bene anche senza morti e feriti. Giusto qualche
detrito qua e là e fumo. Tanto fumo. Così tanto da non vedere a un palmo dal
naso. O non potrebbe evadere uno di quei super-cattivoni
psicopatici che ultimamente hanno aiutato a spedire in prigione? Gli altri
giorni sembra che ci sia la lotteria. Gente,
ehi, forza, chi ha vinto un tentativo di evasione? Su. Avanti. Non siate
timidi. Roy rantola un respiro. E Kori. Dio. Kori ha degli occhi fantastici. E una scollatura da urlo. E
lui fissa quel toast con disperazione, l’unica ultima barriera fra la sua
ragazza. Che non si è fatta molti problemi ad addentarlo. Che quasi gli stacca
un dito, con quel morso.
“Roy”
gli soffia Kori, ripassando la lingua sulle labbra
appena sporche di marmellata. Di albicocca. Dio. Adesso la bacia. Fanculo a tutto e la bacia. Almeno finirà in cenere
contento.
“Roy.”
Ok. Niente bonus evasione.
Roy
stira un sorriso, un mezzo ghigno isterico, e pensa che sì, sarà una morte
assurda. Il grande Arsenal che schiatta in mutande.
Se lo avesse saputo, almeno avrebbe scelto un paio di boxer più di classe.
Magari quelli con scritto I’m sexy.
Piano di riserva?
“Oh,
insomma, Roy” lo richiama Jason. Ha in mano una spatola e fa rigirare nella
padella i donuts come fosse uno chef professionista.
E si sta divertendo come un matto. “Non lo vedi che è curiosa? Cosa ti costa
dirle cosa significa Indipendence?”
Jay. Ti amo.
Jason
ride e Roy sa di avere la faccia dell’idiota. Del perfetto idiota. Ma, ehi,
mettetevi nei suoi panni. Non vuole mica deludere la sua ragazza, e dirle che
il suo cervello, alla mattina, non carbura bene prima di aver macinato almeno
tre tazze di caffè non è proprio quello che gli assicurerà una giornata
tranquilla. Kori è vendicativa; soprattutto se pensa
di essere ignorata. E lui non ha la minima intenzione di ignorarla.
Roy
affonda la mano nella massa scomposta che in testa. Devo tagliarli. Prima o poi devo tagliarli considera, ma poi pensa
a Kori. A come Kori ami
tirargli i capelli, ami stringerli la testa e di come rida, quando lui si mette
d’impegno per cercare di domare quella chioma rossa che si è trovato al posto
dei capelli.
Meglio dopo. Anzi: meglio mai.
“Indipendence. Eh”
Roy
sospira con un mezzo sorriso, la mano a grattare la guancia e la barba di due
giorni che inizia a dargli fastidio. Anche se non gli manca, affatto, la
necessità di farsela ogni mattina. Con Jason è diverso. È tutto diverso. E chissenefrega se una volta non hai voglia di rifare il
letto o se ti trascini per casa come uno zombie
per tre giorni, dopo che avete festeggiato qualcosa. Qualsiasi cosa. E
festeggiato come si deve, con la effe maiuscola.
Fanculo al fatto che, quello più vecchio, è lui e forse, ma
proprio forse forse, dovrebbe dare un po’ di esempio.
Col cazzo. Jason non ha bisogno di
modelli. Jason è un fottuto bastardo di vent’anni che prima di spara nelle
palle e poi ti chiede se hai qualcosa da dirgli. Jason è quel deficiente che
lui si è messo a rincorrere in giro per il mondo e che tira fuori dai casini
ogni volta che ci si ficca. O almeno ci prova. Chè,
se la matematica non è un’opinione, due mezze seghe di eroi, assieme, non hanno
mai fatto un eroe completo.
Jason
è uno stronzo.
Un
fottuto stronzo di merda che lui ha il coraggio di proclamare il suo migliore
amico. Da rimbambito coglione di merda qual è, certo. Ma non lo cambierebbe con
niente al mondo.
“Roy.
Allora?”
Kori ha arricciato le labbra in quella smorfia deliziosa
che le riesce bene solo quando è incazzata. Ma davvero davvero
incazzata. E lui non può certo resistere a quelle labbra.
“Ai
tuoi ordini, principessa.”
Roy
è sempre stato un gran chiacchierone. Fin da piccolo, quando arco e frecce le usava
alla riserva Navajo. E anche dopo, con Oliver. Ha sempre parlato tanto. Forse
fin troppo, a volte. Sembrava una radio ambulante. E, se dovesse ricorrere a
uno strizzacervelli, forse gli direbbe che lo faceva per non sentirsi solo.
Perché, cazzo, quando ti trovi a dover crescere fra estranei, hai solo due
opzioni: o ti chiudi a riccio e diventi muto oppure apri la bocca e non smetti
mai di ridere come un idiota.
Lui
ha scelto la seconda opzione. Ed è andata a finire com’è andata: chè ormai non riesce più a chiuderla nemmeno quando
dovrebbe, la bocca. Oh, ma in fondo chissenefrega? Ha
smesso di fare il bravo ragazzo da così tanto tempo che una parola in più o in
meno, ormai, che vuoi che cambi?
Però,
il modo di parlare di Kori è quello che preferisce.
E ringrazia
Dio che abbia una scusa del genere per baciarla ogni volta che ne ha voglia.
Altro che potere psichico. Quello è
da vero orgasmo. Baciarla e farle capire tutto quello che gli passa per la
testa. Dio. Kori è l’unica che sia riuscita zittirlo;
e gli argomenti che ha usato sono stati davvero convincenti.
Ecco
perché, quando si trova la mano di lei artigliata alla sua faccia, gli sembra
di essere precipitato da diecimila metri di altezza e per un secondo, solo un
microsecondo, gli passa per la testa l’idea che quella sia un’idea di Jason.
Una fottuta idea di Jason per vendicarsi della settimana prima. Di quando lo ha
mollato in quel bar senza nemmeno avvisare e se n’è andato in gita romantica.
Dimenticando di riferirgli il particolare che quello era proprio il bar in cui
Dick aveva dato appuntamento a Tim e Barbara. Misteri di Gotham.
“Non
così” sbuffa Kori.
“E
perché?”
Kori si mordicchia un labbro, e lancia un’occhiata a Jason.
E Roy ha la conferma che sì, in qualche modo, lui c’entra con quella irritante
novità. Spera solo, con tutto il cuore, che quello stupido uccellaccio non
abbia messo in testa alla sua ragazza qualche altra idea del genere.
“Perché
voglio sentirtelo dire” riesce a replicare Kori, e la
sua espressione è così innocente e così seria, che Roy non riesce nemmeno a
ribattere. E accetta di capitolare.
“Sentirmelo
dire, eh?” ridacchia, massaggiandosi il naso. “Ok. Ok. Ma guarda che non sono
mai stato un granchè con le definizioni, io.”
Kori scrolla le spalle, e incrocia le mani sotto al mento.
Cristo. Sembra Liam. Sembra Liam
quando aspettava che lui le raccontasse qualcosa. Qualcosa che per lei sarebbe
stata la verità assoluta, una certezza incrollabile.
Idiota.
Perché
pensarci non serve a niente. Fa solo male. Cazzo se fa male. E allora è meglio
lasciar perdere. Lasciar perdere tutto e dimenticare. O almeno cercare di
farlo.
“Roy?”
Jason.
È la
voce di Jason a riconnetterlo al presente, a riportarlo in quella cucina,
nell’odore di donuts appena fatti e di sale che viene
dalla finestra aperta. E c’è Kori.
“Indipendence”
sorride, premendo per bene i ricordi in un angolino della testa. “Come posso
spiegartelo? Ecco. Hai presente il 4 di luglio?”
“Quando
gli uomini fanno festa?” chiede Kori, stringendo gli
occhi. “Quello che abbiamo fatto noi quel giorno?”
“Sì!”
sorride Roy. “Cioè. No. Non proprio. Quello che hanno fatto gli altri. La gente
comune, insomma.”
E
chi se lo ricordava più, che loro il 4 di luglio lo avevano passato a ridurre
in poltiglia verdastra qualche orda di parademoni in un luogo dell’universo di
cui non riusciva nemmeno a pronunciare il nome, figuriamoci ricordarselo?
Quando Jay si era fatto coinvolgere, e loro con lui, in una di quello bat-missioni del cazzo in cui l’unica cosa che era
assicurata era che c’era da menare le mani. E che ci si poteva rimettere la
pelle.
In
una parola? Una figata.
“La
festa?”
“Esatto.
La festa.”
“Indipendence vuol
dire fare festa?”
“Oddio.
No” gesticola Roy. Ma come cazzo ci è finito in quel casino? “Non fai festa
perché è indipendence.
Lo fai perché sei contento di esserlo. È una sensazione, Kori.
Qualcosa che senti qui” sottolinea portandosi una mano al petto.
“Sai
quello che provavi quando volevi essere libera?” prova ancora, perché
l’espressione di Kori è impassibile, e sembra volerlo
pigliare per il culo. Sembra goderci a metterlo in quel casino, a farlo
scervellare per farle capire una cosa che non puoi capire. Che la puoi solo
provare. “Hai presente quella sensazione?”
“Sì.”
“Ecco.
Quella è indipendence.”
“Avevi
detto che si chiamava vendetta.”
Cazzo.
Ma perché le donne devono essere sempre così meticolose? E perché non può
ricorrere a quella fottuta possibilità di baciarla? Magari gliela farebbe anche
dimenticare, quella stramaledetta parola, e l’alternativa sarebbe decisamente
molto, ma molto più interessante.
“Sì.
Sì” annaspa. “Quella è vendetta. Ma per poterlo fare. Ecco. Tu. Tu dovevi.
Devi. Insomma: quando hai indipendence puoi fare quello che vuoi. Anche vendicarti.”
Come
spiegazione fa schivo.
È la
peggiore delle peggiori spiegazioni che potesse dare, e Kori
non ci avrà capito nulla. Se fosse al suo posto, nemmeno lui ci avrebbe capito
nulla. E si chiede per quale stramaledetto motivo Jason non sia già rotolato a
terra ridendo come un matto.
E
poi si dice che non gliene frega nulla.
Perché
Kori lo sta baciando. E, Dio, ci sta mettendo tutta
la passione e la soddisfazione che può comunicargli. Forse non ha capito nulla,
ma almeno ha apprezzato il suo sforzo. E Dio benedica l’esuberanza di quella
ragazza, che non ha ancora chiari i confini dell’inappropriato e
dall’appropriato e che se lo vuole baciare se ne frega di tutti e lo bacia.
Dio. Sono in paradiso.
E
continua a pensarlo, anche quando Kori si allontana.
Con quella cascata di fuoco che ha per capelli che gli lasciano addosso una
sensazione eccitante di calore e di desiderio. Cristo. Ha bisogno di una
doccia. Una bella doccia gelata prima di infilarsi arco e frecce e salire sulla
navicella. Chè hanno non ricorda più quale assurda missione
in quale assurda parte del mondo. Ma lui ha tanta energia da scaricare che non
riesce nemmeno a concepirla, l’idea di restarsene ancora seduto su quella
sedia.
Salvo
poi restarci pietrificato.
Cosa cazzo…?
Forse
si è perso qualcosa. O ha bisogno dei sottotitoli. O ha fatto un salto nel
tempo, è stato sbalzato in un universo parallelo, è morto e il mondo si è
capovolto. Perchè davvero non riesce a capire per
quale fottuto motivo Kori si sia messa a baciare
Jason. E lo stronzo se la sta godendo pure, il coglione.
Migliore amico un cazzo.
“Kori” riesce a rantolare.
“Kori” sussurra Jason, la voce roca e gli occhi in alto, sul
viso sorridente di Kori. Se l’è ritrovata alle spalle
senza darci peso; se l’è ritrovata contro lo schienale della sedia e gli ha
rovesciato la testa, stampandogli quel bacio che lo ha lasciato senza respiro.
“Perché…?”
“Perché
hai ragione tu” gli sorride, con l’aria di chi ha appena fatto la scoperta più
importante della sua vita. “E io ne volevo essere sicura” gli sussurra, prima
di andarsene ondeggiando come una top model e
annunciando che ha voglia di farsi una lunga nuotata.
Lasciandoli
lì, due idioti che non sanno se guardarsi in faccia, mettersi a ridere o
prendersi a cazzotti. E forse la terza opzione sarebbe la più logica. Ma
pestare la faccia di quello che, comunque, Roy si ostina a considerare il suo
migliore amico non è la soluzione migliore. Tanto più che, lo sa, Kori ragiona con la sua testa. E non è la prima volta che
bacia Jason. Dio. Ci è anche andata a letto, con Jason.
Ma questo era prima.
Prima
che si mettesse con lui. Prima che creassero assieme quel rapporto speciale che
è solo loro. Non è mai stato geloso di Jason; un po’ invidioso, forse sì. Ma
mai geloso. Perché, se avesse iniziato ad essere geloso di Jason, avrebbe
dovuto iniziare ad esserlo anche di Dick. E di un sacco di altri particolari
che aveva deciso che appartenevano solo al passato. E lui non aveva voglia di
andare a rimestare nella merda che era il suo passato, tirandoci fuori tutto lo
schifo che lo avrebbe fatto sentire più idiota, coglione e deficiente che mai.
“Prima
che ti spacchi la faccia” minaccia, stringendo i pungi. Perché forse non lo
farà, ma per una volta, una fottuta volta, vorrebbe davvero che Jay lo
prendesse sul serio. Più sul serio di quanto lo prenda quando lo prende davvero
sul serio. “Vuoi spiegarmi cosa significava quello?”
“Nulla.”
“Nulla?”
ripete, sbattendo le palpebre. “Jay. Cazzo. Ti ha baciato. La mia ragazza ha appena baciato il mio migliore amico. E tu dici che non
significa nulla!?”
“Esatto.
Non significa nulla” sorride Jason, prendendo un lungo sorso di succo e
godendosi la rabbia di Roy. Dio. È da bastardi; è da stronzi bastardi.
Soprattutto dopo che uno così, uno come Roy, uno che ti è venuto a raccontare
la merda dalla quale è riuscito a tirarsi fuori, uno che ti ha detto in faccia
che, se tu non ci fossi stato, lui sarebbe crepato; dopo che uno così ti chiama
il mio migliore amico.
“Roy.
Davvero” riprende Jason. Ed è serio questa volta. Stramaledettamente serio.
“Non significa nulla. Voleva solo sapere cosa ne pensavo. Tutto qui.”
“Su indipendence?”
“Sì.
Su indipendence.”
“E
non poteva chiedertelo?”
Cazzo.
A
lui, però, non l’aveva mica permesso di spiegarsi baciandola. Lui aveva dovuto
fare i salti mortali lessicali per cercare di farsi capire, e con scarsi
risultati anche. A Jay invece era bastato un bacio. Della sua ragazza. E la
bella figura era stata assicurata.
“Guarda
che me lo aveva già chiesto. E no” puntualizza, addentando l’ultimo pezzo del donuts. “Non mi era fatto baciare, per spiegarglielo.”
“Ah.
Ok” mastica Roy, incrociando le mani davanti alla bocca e restandosene cinque
minuti buoni a fissarlo mentre finisce con tutta calma di fare colazione.
“Cosa
le avevi detto?” sputa alla fine, masticando un acino d’uva. “Cosa le avevi
detto per spiegarle cos’è indipendence?”
Perché
era sicuro che Jay le avesse detto qualcosa. Qualcosa che aveva tirato in ballo
lui e che lo aveva ficcato in quel casino di situazione. Facendolo precipitare
dalle stelle alla seduta di quella fottuta sedia a quel stramaledetto tavolo a
decidere se risparmiargli la vita o innescare la terza guerra mondiale.
Jason
sospira, sistema i piatti nell’acquaio e si risiede grattandosi la testa.
Perché con Kori era stato così maledettamente facile,
quasi automatico, darle quella risposta? E perché adesso si sente come un
ragazzino, come un bambino che è costretto ad ammettere la cosa più
imbarazzante al mondo?
“Allora?”
lo incalza Roy. “Cosa le hai detto che significa indipendence?”
“Tu”
sputa fuori alla fine, piantando gli occhi sul tavolo, a due centimetri da dove
Roy tiene le braccia. Ha optato per il confronto diretto, come fa sempre quando
si trova nei casini. E ha caricato a testa bassa.
“Io?”
Jason
annuisce, una smorfia che vorrebbe essere un sorriso.
“Le
ho detto che se vuole sapere cosa significa indipendence deve pensare a te. A
Roy Harper” prova a spiegare.
“E
perché?”
“Come
perché?” ride Jason. “Quanti altri conosci che hanno mandato a cagare il
proprio mentore e ne sono anche orgogliosi?”
“Uno
lo avrei in mente” sorride Roy. “Un certo pettirosso con la passione per le
armi da fuoco.”
“Nah!” scrolla le spalle Jason. “Altra storia. Davvero. Tu hai mandato ‘fanculo
Qeen e tu
ti sei tirato fuori dalla merda. Quindi: se devo pensare a indipendence mi vieni in mente
tu. Uno scemo.”
“Grazie
eh!”
“Uno
scemo e un figlio di puttana dicevo” riprende Jason. “Che però ha i coglioni
per fare quello che ritiene giusto, anche se è la cosa più sbagliata al mondo.”