Celeste

di hopelessfever
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'incontro ***
Capitolo 2: *** Fever ***
Capitolo 3: *** Paura ***
Capitolo 4: *** Brividi ***
Capitolo 5: *** Toccami ***
Capitolo 6: *** Amore ***
Capitolo 7: *** E se non fosse vero? ***



Capitolo 1
*** L'incontro ***


Era una di quelle lunghe fredde notti d'autunno, il vento faceva sbattere le finestre, la pioggia scendeva lentamente, ne sentivo rimbombare il suono contro le tegole del tetto, era tutto così profondamente rilassante che mi addormentai dolcemente. La mattina seguente mi svegliai con i raggi del sole che filtravano dalla finestra, mi misi le pantofole e andai in cucina. I miei genitori erano seduti e stavano facendo colazione, non si guardavano neanche, erano tutti e due troppo presi dai loro apparecchi telefonici senza un apparente motivo, cercai di farmi notare muovendo le braccia e dicendo lievemente 'Buongiorno', ma nulla. Mi faci un caffè e mi sedetti sul divano a guardare nuovamente le solite serie televisive del mattino e pensai 'un giorno faranno delle nuove puntate, basta crederci', era una di quelle serie tv che pensano di far ridere ma in realtà non fanno mai ridere nessuno, tranne qualche assurda persona che probabilmente la sera prima si era presa una delle sbronze più grandi della sua vita, insomma, la solita americanata.
Mia madre improvvisamente mi parlò: -"Sophie, tra un po' preparati, andiamo a pranzo dai nonni."
Rimasi sconvolta. Non vedremo i nonni da sì e no, cinque mesi, francamente mi ero scordata della loro esistenza.

Un'ora dopo ero in auto, accanto a me la mia sorellina stava cercando in tutti i modi di uscire dal seggiolino, inutile direi, era legata peggio di un salame.
Arrivammo dai nonni che ci accolsero con un caloroso abbraccio, odio gli abbracci però mi sembrò così strano, sentì lievemente la pelle morbida di mia nonna ed il suo dolce profumo, sapeva di cannella, così dolce e delicata allo stesso momento. 
Mi fecero le solite domande che si pongono sempre in questo genere di occasioni: -"Come va a scuola Sophie? Il ragazzo sta bene? Tu stai bene?"
E naturalmente dovetti fingere che andasse tutto bene.
A scuola vado veramente male, non mi impegno minimamente, ogni giorno da quasi un anno esco di casa e vado in un bosco a fotografare ogni singola cosa che mi capita, mi rifugio in una piccola casetta abbandonata e sviluppo le mie foto in una camera oscura, è così rilassante. Tra l'altro, secondo me i professori non si sono accorti della mia assenza. Per quanto riguarda il ragazzo è inesistente, così come il mio star bene, sono entrambi svaniti nell'aria, un po' come la mia anima.
Dopo il momento delle 'chiacchiere' andammo nella sala da pranzo, la nonna aveva preparato del pollo arrosto e mi disse: -"Serviti pure tesoro!" -"Sono vegetariana.."
Vidi i suoi occhi spalancarsi, il suo dolce sorriso svanì, si mise quasi a piangere.
-"Tranquilla nonna, mangerò le verdure, giustamente non lo sapevi"
Ed il sorriso tornò sul suo volto.
Durante l'ora di pranzo la conversazione passò da me ed Angelica, al lavoro, ad un crociera, alla scuola, la società, per poi concludersi con un freddissimo "Alla prossima!", secondo me avrebbero dovuto dire "Ci vediamo tra altri cinque mesi!". Tornammo a casa e così con noi tornò anche la solita routine della domenica pomeriggio, starcene seduti sul divano ad interpretare la solita famiglia americana felice che guarda un film. Sembriamo la brutta copia di una brutta seria televisiva degli anni '50, eppure a noi va bene così.

 

I giorni passavano in fretta, i miei genitori erano sempre convinti che io andassi a scuola, ed ogni giorno mi inventavo delle storie su quello che avessimo durante la giornata e loro come sempre ci credevano. Un pomeriggio non appena tornai a casa allegra perché avevo scattato la foto ad un cervo vidi mia madre in cucina che piangeva, si avvicinò e mi abbracciò. Vidi le sue lacrime scorgerle il viso, qualcuna era finita sul mio maglione, aveva il trucco colato, dov'era finito il suo bellissimo sorriso?
-"Mamma che succede?"
Le parole non uscivano dalla sua bocca, solo piccoli gemiti.
Balbettando mi disse -"No-no-nna è morta."
In quel momento mi bloccai, non sapevo che fare, dovevo piangere? Dopo tutto non avevo mai passato tanto tempo con lei, la vedevo due volte l'anno, non avevamo il solito rapporto 'nipote-nonna', quasi non ricordo il suo nome. La presi e la strinsi forte.
Quei giorni furono tristi in casa Johnson. Mia madre non uscì mai dal letto fino al giorno del funerale, mio padre si occupò delle faccende di casa ed io rimasi chiusa in camera con Angelica, era troppo piccola per capire cosa stesse succedendo. Il sabato ci fu il funerale, non avevo mai visto tanta gente piangere per qualcuno, qualcuno che dopo tutto non conoscevo neanche. Un'anziana signoria fece un discorso lunghissimo e angosciante su come lei e mia nonna fossero amiche da 60 anni, si erano conosciute a scuola durante una litigata per una bambola a quanto pare. Una di quelle solite storielle da funerale che cercano di strapparti un sorriso senza successo. Successivamente mio nonno parlò del loro amore, un amore che lui definì come 'eterno'. Trovai il suo discorso interessante, parlò di come si fossero conosciuti, del loro primo appuntamento, del primo bacio, dei loro figli e di quanto li amassero, li consideravano delle 'creature perfette', erano sposati da 50 anni, mia nonna aveva 20 anni quando si sposò ed io non ne avevo la minima idea. Loro avevano il loro piccolo infinito, così come io ho il mio.

Qualche giorno dopo mia madre si riprese e tornò a fare le sue solite faccende, tornò ad essere la madre distaccata di sempre ed io la solita figlia troppo stupida per andarmene di casa, tanto che ci rimango a fare? Non mi guarda nessuno.
Una mattina non appena arrivai nel bosco vidi la porta della casetta aperta, non sapevo se essere spaventata o se dovessi fregarmene e sfidare il presunto 'ladro' a mani nude, mi avvicinai comunque. Guardai al suo interno e vidi una ragazza. Aveva dei lunghi capelli rossi, le lentiggini sul volto, gli occhi verdi ed una pelle bianca e delicata come la porcellana.

-"Ciao!" mi disse.

-"Hey"

-"Mi dispiace essere entrata qui ed esserci rimasta, pensavo fosse abbandonata, ho notato le tue foto e sono voluta rimanere per guardarle un po'."

-"Mh, tranquilla."

-"Ah, piacere, Celeste."

Celeste, ma che diavolo di nome è Celeste? Chiamati Azzurra, Viola, Rosa, o che ne so, ma non Celeste. Non si può nemmeno considerare un colore il celeste, non è ne azzurro ne viola, è un misto trai due colori ma è pallido!

-"Piacere Sophie."

-"Hai un nome molto carino!"

-"Grazie, pure il tuo lo è." 

No, non è vero, mi fa abbastanza schifo.

-"Ti ringrazio, allora, come stai?"

-"Bene, tu?"

-"Bene, ti ringrazio."

-"Bene."

E dopo quel 'bene' la nostra conversazione finì.

 

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Capitolo 2
*** Fever ***


Celeste rimase con me tutta la giornata, non capisco cosa ci trovasse di interessante in quello che stava facendo ma so per certo che i suoi occhi seguivano ogni mio movimento, sembrava ipnotizzata, eppure era lì, con me.
-"Sei brava, mi piacciono le tue foto, mi trasmettono tante emozioni." mi disse. Aveva una voce così delicata, dolce come un'armoniosa melodia, mi metteva allegria. Risposi freddamente con un 'Grazie' e mi misi nuovamente al lavoro. Non avevo voglia di parlarle, non avevo voglia di parlare con nessuno, mi piaceva star da sola, amavo la solitudine, il silenzio era come una dolce ninna nanna e lei l'aveva spezzata e lo sapeva. Sapeva che volevo star da sola, eppure aveva deciso di rimanere.
-"Perché sei qui? Perché hai deciso di rimanere?"
Mi mise una mano sulla spalla e disse:
-"E tu perché sei qui? Conosco questa casetta sin da quand'ero piccola, conosco questi boschi come le mie tasche ed è da quasi un anno che ti osservo, ma ho deciso soltanto oggi di presentarmi."
Rimasi sconvolta come se fossi pietrificata.
-"Perché mi osservi?"
-"Non hai risposto alla mia domanda."
Iniziò ad essere fredda, più fredda del ghiaccio.
-"Non è una cosa che ti riguarda."
-"Vuoi sapere perché ti osservo? Perché ti trovo interessante, sei intrigante, sei quel genere di persona da scoprire che potrebbe lasciarti senza fiato e poi mi piace la tua attitudine della fotografia."
E a quel punto mi lasciò senza parole.
Non capisco cosa volesse ma so per certo che quella ragazza mi stava facendo uno strano effetto, mi sentivo come se fossi pietrificata, come se ogni più oscuro tratto del mio carattere non funzionasse con lei, non riuscivo ad allontanarla, mi sentivo sconfitta, allora contraccambiai le sue parole con un piccolo accenno di sorriso. Decisi di andarmene e lei rispose al mio "Ciao" con un "A domani!", sorrisi nuovamente. Durante il cammino pensai a lei, perché vorrebbe che ci vedessimo domani? Non la conosco minimamente, mi inquieta, mi trasmette delle strane emozioni, mi mette ansia, angoscia e terrore, è qualcosa di fuorviante. A cena mia madre non faceva altro che guardarmi, mio padre era troppo preso dal suo computer per accorgersi che avessi qualcosa, non sopportavo la mia famiglia, erano tutti troppo presi dalle cose materiali che dai veri valori della vita, dei sentimenti e quant'altro, saranno anni che non mi scambio un abbraccio con mia madre, saranno anni che non sorridiamo insieme o che non passiamo una bella giornata in famiglia, eppure loro si considerano 'normali'.
-"Sophie, amore mio, che succede?"
-"Niente, Ellen, è tutto okay."
E non mi disse più nulla. Se vi state chiedendo perché chiamo mia madre col suo nome di battesimo è per abitudine. Il nostro rapporto è basato solamente sui dei semplici sguardi, sorrisi e qualche freddo 'ciao', non penso di dover chiamare madre una donna così. Dopo cena andai in camera mia, Angelica dormiva ed io non facevo altro che pensare a lei, Celeste, non facevo altro che ripetere il suo nome a bassa voce, avevo in mente i suoi lunghi capelli rossi, le sue lentiggini, la sua mano sulla mia spalla ed i brividi che mi face provare il suo tocco così incredibilmente delicato e con quest'immagine mi addormentai.

La mattina seguente feci colazione velocemente e andai di corsa alla casetta. Mi fermai qualche metro prima e la vidi lì, mi aspettava davanti alla porta, non sapevo cosa fare 'vado o non vado?', continuavo a ripetermi queste parole, mi rimbombavano nella mente quasi da farmi male. Decisi di rimanere lì, continuai ad osservarla mentre mi aspettava, batteva un piedi a terra, quasi come se dovesse tenere il tempo di una canzone, eppure l'unico rumore che si sentiva era quello delle foglie che cadevano. Continuava a spostarsi i capelli e si guardava intorno, eppure io ero lì, ferma e non sarei mai andata da lei. Per sbaglio feci rumore e lei si voltò immediatamente nella mia direzione, mi accucciai dietro ad un albero -"maledizione!", dissi a bassa voce. I secondi, minuti, le ore passavano lentamente, iniziai a sentirmi in colpa, eppure avevo paura di lei, quasi senza un apparente motivo, sapevo soltanto che era in grado di farmi sentire diversa, aveva trafitto la mia corazza inviolabile. Poi ad un certo punto la vidi andar via, ed io me ne andai con lei, nella direzione opposta.

Per qualche giorno rimasi a casa, finsi di essere malata, dovevo rimanere in un luogo sicuro a pensare e pensare a ciò che Celeste volesse da me, ma non seppi darmi alcuna risposta. Il lunedì seguente decisi di uscire, andai alla casetta e la trovai lì, davanti alla porta, le gridai: -"Cosa vuoi da me?" Il suo sorriso sul suo volto sembrò angelico, sorpreso, ma al tempo stesso fu come un pugno nello stomaco, terribilmente inquietante.
-"Non voglio niente, voglio solo conoscerti. Non volevo farti paura, avevo immaginato che non volevi più vedermi, ti ho messo paura, mi dispiace. Rincominciamo?"
-"Sssi." Mi tese la mano e mi disse di prendere la macchina fotografica. Mi portò lungo la riva di un ruscello, non avevo mai saputo della sua presenza, eppure andavo in quel luogo da un anno.
-"Mi faresti una fotografia?"
Scossi la testa, sistemai l'obbiettivo e scattai una fotografia. Era così bella, i raggi del sole di prima mattina le illuminavano il viso ed i capelli, i suoi occhi parevan esser ancor più verdi ed il suo sorriso era incredibilmente bello.
-"Vieni qui con me, facciamo una foto insieme!"
In quel momento sorrisi, le sue parole mi riempirono il cuore di gioia, eppure il mio essere profondamente distaccata mi fermò.
-"Non sono per niente fotogenica mi dispiace, se vuoi continuo a fotografarti sei un bel soggetto, sei interessante."
Si avvicinò, mi scostò i capelli e mi sussurrò all'orecchio -"Non mentirmi, sei bellissima, dammi la macchina." Iniziò a scattarmi un sacco di foto, la maggior parte inaspettatamente, ero così imbarazzata. Ad un certo punto si mise accanto a me, mi fece il solletico e ci fece una foto, entrambe sorridevamo, sembravamo così naturali e felici. Guardò l'orologio, mi guardò e tristemente disse -"Devo andare, scusami, ci vediamo domani?"
Annuì e la vidi andarsene.
Non volevo che se ne andasse, non volevo lasciarla andare, avrei voluto correrle dietro e dirle di rimanere, eppure rimasi seduta per terrà, mi sentivo una stupida, ero così felice, eppure svanì tutto nell'aria.

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Capitolo 3
*** Paura ***


I giorni seguenti li considerai come i più belli della mia vita. Io e Celeste passammo ogni momento delle nostre giornate insieme. Andammo in centro, sulla London Eye, nei piccoli borghi di Londra, come ad esempio andammo a vedere il quartiere di Notting Hill, al Big Bang, alla National Gallery, da Starbucks, penso che andai da Starbucks più volte in quelle settimane che in tutta la mia vita. Era tutto così bello, il mondo insieme a lei sembrava la cornice perfetta di una fotografia di un mondo che rasentava la perfezione, io e lei avevamo il nostro piccolo infinito e facevamo invidia all'universo.
Come ogni mattina Celeste veniva sotto la mia finestra e mi lanciava dei sassi contro il vetro, giusto per farmi capire che fosse lì ad aspettarmi, ma quella mattina non mi presentai. Era un martedì mattina, come ogni mattina da 17 anni andai in cucina a fare colazione, stesso posto, stessa colazione. Stranamente i miei genitori non erano seduti al cellulare, mi stavano aspettando sul divano.
-"Siediti Sophie."
Mio padre aveva una voce più struggente del solito. Mi accomodai sul divano. -"Come va a scuola cara?"
-"Bene."
-"Ne sei del tutto certa? Perché non leggi qua."
Mia madre mi diede una lettera.

Cari Signori Johnson, volevamo informarmi che vostra figlia Sophie è da più di un anno che non si presenta a scuola, probabilmente potrebbe anche essere stato un errore d'ufficio nel caso in cui non ci avessero informati di un qualche ritiro da scuola avvenuto nell'anno 2013, se così non fosse ci piacerebbe ricevere delle sue notizie.
A presto.
Cordiali Saluti,
Il preside Tomphson.

Non potevo crederci, non sapevo come reagire, mi sentivo disorientata ed avevo un enorme fuoco dentro di me. Fuori c'era la ragazza più bella che avessi mai visto ad aspettarmi ed io ero rinchiusa qui dentro, mi sentivo come se fossi all'interno di una scatola dalla quale non sarei mai più potuta uscire.
-"Allora, sentiamo le tue scusanti."
Cosa le avrei potuto dire? Non voglio andare a scuola perché non mi sento me stessa? Perché non posso essere me stessa? Perché non mi piace? Avrei dovuto semplicemente chiedere scusa? No, non era da me.
-"Mamma, non saprei cosa dirti, eppure senza troppi giri di parole ti direi che secondo me non ho sbagliato. E' vero ti ho mentito, ma potresti comunque considerarla una bugia lecita."
-"Una bugia lecita?" si mise a gridare -"Dimmi che stai scherzando? E' da più di un anno che non vai a scuola e vorresti persino la mia compassione? Non voglio più vederti! Non sei mia figlia, sei un mostro!"
-"Anche se mi dici che non mi guarderesti più non mi importerebbe, è da 17 anni che non mi guardi."
I suoi occhi erano freddi come il ghiaccio, la sua bocca era serrata, c'era un'odore di rabbia nella stanza, era contrastante con la mia freddezza.
-"Sophie non puoi trattarmi così sono tua madre, non puoi permetterti di trattarmi come se fossi uno zerbino da quattro soldi!"
-"E tu non puoi permetterti di dirmi che sono tua figlia, che sono un mostro o quant'altro, io non sono niente, per te N I E N T E!"
Scandii bene le parole, magari il concetto le sarebbe rimasto in testa più a lungo.
-"Hai ragione tu, non sei niente. Sei solo quell'essere che è uscito dalla mia pancia, eri così carina una volta, ora ti sei trasformata in una di quelle cretinette da quattro soldi che vengono nella tua scuola. Ah no, scusa, tu non vai a scuola da quasi un anno, ormai."
-"Sai che ti dico? Me ne vado! Mi fai schifo, non sei una madre, non so nemmeno perché tu abbia voluto esserlo, per fortuna che non danno un diploma per esserlo, avresti fallito, come stai fallendo attuale nel tuo ruolo."
-"Brava vattene complimenti, si risolvono così i problemi!"
Non volevo più ascoltarla, andai in camera mia, presi qualche vestito e tutto ciò che mi serviva e successivamente uscì dalla porta d'ingresso. Guardai dietro di me, la porta non si aprì, era ufficiale che non sarebbe mai venuta a cercarmi, non mi importava più di tanto, crescere senza la mia famiglia mi sarebbe stato utile, sarei maturata, avrei potuto dimostrate quello che ero veramente senza aver paura del giudizio della gente.
Vidi Celeste, era lì ad aspettarmi, come suo solito aveva un enorme sorriso stampato sul viso, ed io contraccambiai. Andai da lei e la strinsi forte tra le mie braccia.
-"Posso venire da te?" le sussurrai dolcemente nell'orecchio.
-"Si."

Ci dirigemmo verso il bosco, percorremmo la stradina fino alla casetta e scendemmo lungo il fiume dov'eravamo state qualche settimana prima, al di là del fiume si trovava un enorme casa tutta in legno.
-"Vedi quella casa? Ecco io abito là."
Ma va? Non l'avevo capito, dissi tra me e me.
Casa sua era enorme, al suo interno c'era un grande salone contornato da delle finestre in vetro che davano la vista sul lago, c'erano diverse stanze per ogni tipologia di svago, dalla musica, una sala giochi e quant'altro. Le camere da letto erano situate sul secondo piano, c'erano la camera dei suoi, quella di Celeste ed una per gli ospiti, una più bella e grande dell'altra. Non avevo mai visto niente di più bello ed accogliente.
-"Mamma, papà lei è Sophie, l'amica di cui vi parlo molto spesso."
Odio parla spesso di me, chissà cosa dice.
-"Ciao cara, è un piacere per noi conoscerti, Celeste ci ha detto così tante belle cose sul tuo conto!"
-"Salve signori, è un piacere anche per me!"
-"Cel, perché non andate a prepararvi è quasi ora di pranzo."
E così andammo nelle nostre stanze.

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Capitolo 4
*** Brividi ***


Celeste qualche minuto dopo venne nella mia stanza, si guardò intorno, mi guardò, e sorrise
-"Non è bellissima vero?"
-"Sì è proprio bella, a dire il vero casa tua è meravigliosa."
-"Meravigliosa come te, vorresti dire."
Quella frase mi fece arrossire, se ne accorse e fece un sorriso malizioso a tal punto che sentì dei brividi percorrermi la schiena. La trovai una situazione eccitante e al tempo stesso inquietante, insolita.
-"Sai è il caso che tu mi dicessi le cose che hai detto ai tuoi genitori sul mio conto, così per sapere se sono corrette e se magari ti sei inventata qualche baggianata."
-"Tranquilla ho solo detto quel poco che so su di te. Che ti piacciono la fotografia, l'arte, i boschi, i fiumi, i cappuccini, il nero e che sei bellissima."
-"Dovresti smetterla Celeste."
-"Come scusa?"
-"Dovresti smetterla di riempirmi di complimenti, di dirmi che sono bellissima, non mi sento a mio agio in queste circostanze."
-"Appunto per quello te lo dico, vedo come ti irrigidisci ogni volta che pronuncio quella parola, ogni volta che associo il tuo nome ad ogni singolo complimento, è eccitante."
Ed in quel momento rimasi sconvolta, pietrificata, mi sentivo nuda di ogni mia emozione, intimità, non riuscivo più a sentirmi a mio agio col mio corpo, la mia anima sembrava come se fosse svanita.
-"Ragazze a tavola!" Gridò il padre di Celeste, aveva una voce soave, bellissima.

Durante il pranzo i genitori di Celeste mi fecero le solite domande che si fanno non appena si vuole avere l'onore di conoscere qualcuno, ma ero solo in grado di rispondere con dei "Sì" o "No", ero ancora sconvolta per le parole che qualche minuto prima mi erano state dette dalla loro figliola. Dopo il favoloso arrosto, la madre di celeste ci portò una buonissima torta, pareva torta di mele o giù di lì, era così soffice, ad ogni morso sembrava di mangiare una nuvola. Il pranzò finì verso le due e successivamente i genitori di Celeste uscirono mentre io e lei rimanemmo in casa.
-"Cosa ti piacerebbe fare?"
-"Non lo so, che cosa mi proponi Celeste?"
-"Non chiamarmi col mio nome è snervante quando lo fai."
-"Ti sei offesa per prima? Se anche così fosse mi hai lasciata di stucco, ero pietrificata, sto ancora cercando di capire che cosa vuoi da me."
-"Voglio te, non mi sembra così difficile da capirlo, sei una buona amica."
-"Sembriamo più che amiche."
-"Smettila Sophie, non essere così spregiudicata."
In quel momento si avvicino a me, non faceva altro che cercare di incrociare il suo sguardo con il mio, ed io cercavo costantemente di non permetterglielo, non mi sentivo a mio agio ma non potevo fare a meno di guardarla. I suoi occhi mi trasmettevano tranquillità, eppure ad ogni suo tocco mi irrigidivo sempre di più. Ma ad un certo punto cedetti, era più forte di me. Mi mise la mano tra i capelli, continuava a fissarmi e a sorridermi, io rimasi impassibile come se fossi un tronco di legno, ed in quel momento come se fosse un attimo fuggente mi diede un bacio, uno di quei baci talmente veloci da non essere assimilati eppure così vivi da avere un significato più profondo di tanti altri.
E poi si allontanò per chiudersi in camera sua.

Rimasi ferma in mezzo al salone, sentivo gli uccelli cinguettare, qualche scoiattolo era sui boschi che circondavano la casa, ero lì, ferma, come se fossi uno stoccafisso che continuava a toccarsi le labbra, era il mio primo bacio, e fu stato così insignificante. Da piccola me l'ero sempre immaginato come uno di quei baci lunghi e passionali che solitamente si vedono in ogni film d'amore, dove l'uomo va di corsa dalla sua amata per baciarla, eppure non fu così. Mi sentivo come baciata dalla sfortuna. Ero talmente scossa che quasi mi parve di aver perso la cognizione del tempo, e successivamente mi risvegliai da un coma durato qualche istante. Andai di corsa verso camera sua, bussai freneticamente alla porta e mi aprì
-"Perché l'hai fatto? Perché mi hai baciata? Perché mi hai lasciata lì come se fossi una povera idiota?"
-"Perché mi andava di farlo."
-"Tu non puoi permetterti di trattarmi così Celeste, non puoi baciarmi ed andartene, non puoi farlo. Ah e so quanto ti dia fastidio che ti chiami per nome ma io continuerò a farlo, Celeste, Celeste, Celeste!"
-"La vuoi smettere?"
-"No, non la voglio smettere. Come tu non la smetti di tormentarmi, di distruggermi, di rendermi felice e di trattarmi come se fossi la prima cretina che incontri per strada."
E mi baciò di nuovo, ma non fu come prima, questo fu più intenso, fu come come lo immaginai, fu il bacio tanto atteso, quello di una vita, quello per cui vale la pena di aspettare.
- - - -
Non riuscì più a trattenere le mie emozioni, scoppiai a piangere e la buttai sul letto, avrei voluto picchiarla senza un particolare motivo eppure il bene che le volevo andava oltre qualsiasi altra emozione. Mi strinse forte tra le sue braccia e non fece altro che dirmi che sarebbe andato tutto bene, avrei dovuto solamente fidarmi di lei, il problema è che io mi fidavo di lei ma questo, mi faceva male, male da morire. Eppure provate a pensare a quel senso di angoscia che una persona possiede per non averci mai provato, ecco non è snervante? Io volevo provarci davvero, volevo starle vicina anche se tutto ciò avrebbe potuto distruggermi interiormente, ma almeno avrei saputo di averci provato e mi sarei resa conto del mio fallimento se avrei commesso un errore. Mi sarei potuta sbagliare quanto avrei voluto, ma in quel momento io volevo solo lei al mio fianco. E tra questi pensieri struggenti mi addormentai tra le sue calde braccia, con le lacrime agli occhi che pian pian scendevano lungo il mio viso.

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Capitolo 5
*** Toccami ***


Da quel giorno in poi mi svegliai con Celeste al mio fianco, non voleva che dormissi da sola, aveva paura che mi sarei potuta far del male, voleva proteggermi sotto la sua ala, metaforicamente è ovvio. Lei era la mia ancora, con lei al mio fianco sapevo che non sarei mai crollata.
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Era da qualche settimana, ormai, che vivevo sotto il suo stesso tetto, ero una della famiglia, a tal punto che George e Courtney mi consideravano una seconda figlia. Non c'era più alcun genere di imbarazzo, gente che entrava e usciva dal bagno lasciando la tavoletta alzata, il bagno sporco, mutandine e reggiseni di qua e là, era come se mi sentissi a casa, ma non la mia casa, la mia Vera casa, con la V maiuscola.
Un giorno mi svegliai, Celeste non era accanto a me, in quel momento mi sentii mancare il fiato. Mi vestii velocemente, avevo paura che le fosse successo qualcosa, corsi in salone e la vidi lì, in cucina mentre stava preparando la colazione. La mattina è ancora più bella illuminata dai leggeri raggi del sole.
-"Buongiorno dolcezza!" mi disse raggiante, penso che sia stato il miglior risveglio della mia vita.
-"Su accomodati, è pronta la colazione, non vorrai farmi aspettare ancora eh?"
-"No no per carità di Dio, ho una fame!"
-"E come si sul dire, rimbocchiamoci le maniche e mangiamo tutto questo ben di Dio!"
Aveva preparato del bacon, uova, latte e cereali, caffè e dei toast, quella ragazza voleva farmi ingrassare sicuramente.
-"Come mai hai deciso di prepararmi la colazione?"
-"I miei sono usciti molto presto, verso le sei, dovevano andare da qualche parte, non so dove allora ho deciso di far qualcosa di carino per la ragazza che occupa il mio letto e che non fa altro che darmi i calci durante la notte. Dovresti amarmi sai Sophie?"
-"Io non ti do i calci, non si dicono le bugie!"
E ci mettemmo a ridere come se fossimo due bambine.

Le settimane passavano velocemente, avrei voluto che quei momenti fossero infiniti, ogni giorno con Celeste era costantemente una sorpresa. Avevo sempre trovato magico ogni istante con lei, dal più piccolo al più grande, lei aveva quel che gli altri non hanno, quel qualcosa in più che è difficile da esprimere a parole. Un giorno, nella tiepida mattina di Febbraio i suoi deciso che da lì a pochi giorni sarebbero partiti per fare una vacanza e decisero di portare anche me. Ero così agitata quel giorno prima di partire, la destinazione era Dublino, sinceramente non c'ero mai stata, la famiglia di Celeste ci andava da parecchi anni e francamente mi sentivo un po' in imbarazzo a non conoscere nulla su quel posto, ma dentro di me sentivo che quella settimana sarebbe stata magica.

La casa di Celeste era situata nei pressi della St.Patrick's Cathedral, non dimenticherò mai quella Cattedrale. Così imponente, immensa, ricordo che mi dissero che è la cattedrale più grande d'Irlanda, ma ad ogni modo, questo non ha importanza. La casa era situata in un quartiere carino, ricordo che non appena entrai vidi un'immensa libreria, c'erano libri di Jonathan Swift, Oscar Wilde, Samuel Beckett, Bram Stoker, tutti scrittori irlandesi, rimasi colpiti dell'immensa vastità di libri che si potevano trovare in quella casa, avrei voluto prenderli e lasciarmi il tempo dietro alle spalle, leggerli, senza pensare più a nulla. Dopo esserci sistemati nelle rispettive stanze i genitori di Celeste decisero di andare a fare la spesa, e noi rimanemmo in salotto a guardare la televisione. Non potevo fare a meno di non guardare con quanta attenzione stesse guardando il programma che stavano facendo, era così dolce nella sua serietà, ma non appena mi guardò distolsi lo sguardo.
-"So che mi stavi guardando" mi disse con la sua solita disinvoltura.
-"Scusa" le risposi balbettando. Iniziai a sentirmi le guance calde, sapevo che da lì a poco sarebbero diventate rosso fuoco, l'effetto che mi faceva era assurdo.
Con lei mi sentivo debole, ma era una sensazione che mi piaceva. Iniziò ad avvicinarsi a me, non sapevo che fare, ero rigida, agitata, avrei voluto andarmene ma qualcosa mi tratteneva, mi prese la mano e sentì dei brividi scorrermi lungo la schiena, si avvicinò sempre di più e mi diede un bacio. Un piccolo e dolce bacio, per poi allontanarsi. Così presi e me ne andai. Mi chiusi in camera, la testa mi scoppiava e le lacrime non facevano altro che scorrermi sul viso, volevo solo piangere, urlare, capire, eppure me ne stavo in mobile ad osservare il muro davanti a me. Quel muro bianco mi faceva dannatamente arrabbiare, era spoglio, bianco, maledettamente bianco, maledettamente solo come me. Ad un certo punto bussarono alla porta, mi sistemai velocemente cercando in un qualche modo di essere presentabile, era lei.
-"Che c'è?" le dissi con tutto il senso di rabbia che potevo usare.
-"Nulla, volevo sapere perché te ne fossi andata, posso entrare?"
-"Si, accomodati."
-"Dobbiamo parlare, prima parlo io dopo parli tu."
Annuì.
Odiavo stare sotto i suoi comandi, ma era più forte di me, lei non era altro che il mio tutto, il mio mondo e neppure lo sapeva.
-"Sophie, guardami negli occhi ci sono delle cose che devi sapere."
Bum bum, il battito del mio cuore iniziò ad accelerare.
-"Sophie, sai di essere maledettamente bella? Mi dispiace averti baciata prima, so che non l'hai presa bene eppure volevo farlo, avevo bisogno di farlo perché tu, beh tu mi piaci Sophie, da morire ed io…"
E la baciai.

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Capitolo 6
*** Amore ***


La mattina seguente mi svegliai con lei al mio fianco, era così bello guardarla dormire, aveva una ciocca di capelli che le scendeva lungo le guance, le sue guance così pallide, ricordavano vagamente la porcellana. Mi alzai e cercai di non far rumore mentre mi preparavo per scendere a prepararle la colazione. Andai in camera e lei era lì che mi guardava.
-"Buongiorno, ti ho portato la colazione, brioche e thè, la tua preferita."
-"Buongiorno, grazie.."
-"C'è qualcosa che non va?"
-"No, stavo ripensando a stanotte, è stato bello, abbiamo fatto l'amore, non avevo mai fatto nulla con tanto sentimento."
-"Già." E le diedi un bacio.

Il tempo voleva, sembrava che volesse finire, ma a differenza sua non volevo che questi momenti finissero. Passammo tutto il pomeriggio al Temple Bar, un quartiere situato nel centro di Dublino, è il ritrovo di parecchi artisti di strada. Passammo tutto quel pomeriggio fregandocene della gente che ci guardava, lei baciava me come io baciavo lei. Ci facemmo tante foto ed io non facevo altro che sorridere e stavolta quel sorriso era vero, niente e nessuno poteva impedirmi di sorridere con tanta sincerità. La sera tornammo nel quartiere, l'aria si stava facendo sempre più fredda e Celeste fremeva dalla voglia di divertirsi, era così spensierata, piena di vita ed io al contrario suo non capivo nulla di tanta voglia di vivere, ma lei mi faceva star bene ed io appoggiavo ogni sua idea. Andammo in un locale, di cui non ricordo il nome, si muoveva bene in mezzo alla gente, mi piaceva guardarla era così viva e sapeva ballare davvero bene. Tutti i ragazzi le stavano addosso ma non ero preoccupata sapevo che lei era mia e che voleva me.
Ma poi svanì.
La persi di vista per qualche minuto e la ritrovai al bancone, stava parlando con una ragazza, pareva interessata ed iniziai a sentire un fuoco vivo che mi bruciava dentro.
-"Celeste."
-"Oh ciao Sophie, lei è Kristal la ragazza che lavora qui, le stavo chiedendo una cosa"
-"Cosa?"
-"Nulla di importante davvero, non preoccuparti."
-"Certo, certo, beh buona conversazione."
Presi e me ne andai, uscì sbattendo la porta del locale fregandomene dell'immenso boato che aveva creato.
-"Sophie che stai facendo?"
Mi girai e per la prima volta qualcuno mi vide piangere, non me ne vergognavo, stavo piangendo per amore, per il suo amore.
-"Che cosa le hai chiesto? Non intendo ripeterlo un'altra volta, voglio sapere cosa succede e se le vuoi prenditela, ma non prendere in giro me."
-"Sophie, non volevo dirti cosa le avevo chiesto perché non ti sarebbe piaciuto. Le ho chiesto dove avrei potuto trovare un po' d'erba, giusto per sballarmi un po'.. Non ti prenderei mai in giro."
-"Oh.."
Ed in quel momento la presi per mano, mi misi a chiedere ad ogni passante se sapeva dove avrei potuto trovare un po' d'erba. Un giovane ragazzo mi disse il nome di uno spacciatore si chiamava Jimmy qualcosa, non ricordo bene, mi ha detto che avrei potuto trovarlo qualche vicolo più in la, insomma, non era tanto lontano dal locale. Il caro buon vecchio Jimmy, dai capelli biondi e gli occhi non del tutto normali ci diede un po' d'erba, qualche cartina e filtrino, sinceramente non sapevo di che cosa stesse parlando ma vedere Celeste così sicura del tutto mi faceva star bene e mi faceva sentire protetta. Andammo in un campo vicino a casa di Celeste, "non preoccuparti" mi disse nell'orecchio, "andrà tutto bene" queste sue parole mi rimbombavano nella testa al solo pensiero che i suoi avrebbero potuto vederci. Accese la 'canna' come la chiama lei e nell'aria si sparse un odore d'erba, pareva buono, leggero, leggermente pungente, ma pur sempre buono.
-"Buono, mi piace, vuoi provare?"
-"Sì, perché no?"
Feci qualche tiro seguendo ciò che aveva fatto lei, non ero abituata a queste cose tanto è vero che la testa iniziò a girarmi, la sentivo così leggera non pensavo più a nulla ed ero in pace con me stessa. Le presi la mano e dissi -"E' così bello il cielo questa notte."
-"Però non è bello come te, ci sono così tante stelle in cielo ma se guardi attentamente ce n'è una che brilla di più e quella stella ha il tuo nome."
Non capivo se stesse dicendo quelle cose perché era strafatta o quant'altro so soltanto che mi aveva fatta sorridere, ed era questo quel che contava.
-"Dio Sophie, sarò anche fatta e voglio un'altra canna che dopo questo discorso mi fumerò ma ci sono così tante cose che devi sapere. Non parlare, non pensare, ascoltami per piacere. So di essere una ragazza incredibilmente complicata, effettivamente sono una grandissima stronza eppure tu dopo tutto questo tempo sei comunque rimasta e mi sono sempre chiesta il perché. Sapevo sin dall'inizio di piacerti, me lo sentivo, vedevo come mi guardavi, i tuoi gesti, sentivo il tuo respiro che si faceva sempre più affannoso non appena mi avvicinavo a te, ogni singola cosa dalla più stupida alla più importante me l'aveva fatto capire e anche tu mi piacevi. Mi piaci tutt'ora, in realtà mi fai impazzire, mi fa impazzire il fatto che tu sia così timida e delicata, sembri un fiore, il fiore più raro che ci sia, al tempo stesso mi ricordi un'Orchidea, il mio fiore preferito, si perché tu lo sei, sei la cosa che preferisco e la cosa più rara che ci sia. Non hai la minima idea di tutte le cose che vorrei fare con te, vorrei portarti in giro per il mondo, in America, in Canada, Francia, Spagna, non mi importa dove basta che ci sia tu e a me va bene tutto. Vorrei svegliarmi con te accanto ogni mattina come stamattina e vorrei dirti che ti amo ogni singolo attimo della tua vita, perché io ti amo incredibilmente tanto e francamente non potrei chiedere di meglio dalla mia vita che te."
Stavo per aprire bocca quando lei mi disse -"No, non dire nulla ti prego." ed iniziò a baciarmi dolcemente, i nostri respiri si unirono in un unico respiro dal dolce suono, ed i nostri corpi formavano un tutt'uno. Le nostre mani si muovevano all'unisono ed i nostri corpi con loro. Mi piaceva mettermi su lei e baciarle il collo, morderlo, prenderla lungo i fianchi e stringerla sempre più a me, mi piaceva sentire la sua pelle sotto le mie mani ed insieme a lei i suoi brividi che ad ogni tocco diventavano sempre più potenti, sempre più carichi di voglia e passione. Sentire il suo piacere mi provocava emozioni incredibili e così anche ogni suo bacio, avrei voluto fare l'amore con lei tutta la notte, sentire le sue unghie dentro la mia carne, sentire i suoi orgasmi e udire lievemente il mio nome, sapere che il suo piacere è provocato grazie a me e tutto il resto. E poi toccava a lei, ogni suo tocco era così delicato, sobrio, allettante, mi piaceva farmi toccare da mani tanto esperte, per poi venire ed addormentarmi con lei tra le mie braccia. Ogni volta fare l'amore era stupendo, ed io non volevo che finisse mai.

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Capitolo 7
*** E se non fosse vero? ***


All'alba di un nuovo giorno mi sentivo una ragazza nuova, così dannatamente e follemente innamorata della mia storia con Celeste e al tempo stesso così dannatamente infreddolita per la notte nel campo. Celeste era accanto a me che dormiva, era così bello guardarla dormire, intravedere il suo sorriso tra la folta chioma di capelli, sembrava ancora una bambina epura era una donna, la mia donna. L'alba era dannatamente bella, la brina sull'erba veniva illuminata dai tiepidi raggi del sole e l'aria fredda mi faceva rabbrividire, Celeste si sveglio, mi prese la mano e col il debole suono della sua voce mi disse
-"Torna a dormire, amore."
Amore, mi aveva chiamata amore, un tuffo nel cuore mi sovrastò e dei leggeri brividi mi percorsero la schiena, ero il suo amore e lei era il mio.
Verso le undici tornammo a casa
-"Dove diavolo siete state? Vi abbiamo cercate tutta la notte, nemmeno una chiamata, niente. Eravamo così preoccupati!"
-"Scusa mamma eravamo sul campo, ci siamo addormentate.. Mi dispiace.."
E sprofondarono in un dolce abbraccio. Quel giorno dovevamo tornare a casa, avrei voluto rimanere a Dublino per sempre, i giorni passarono così in fretta che avrei voluto godermi ogni istante con Celeste ancora un attimo di più, eppure non fu così.

Dal nostro ritorno non vidi più Celeste.
Per quasi un mese andai ogni giorno alla casetta in montagna, a casa sua. La madre mi salutava sempre col suo dolce sorriso, mi fermai svariate volte a chiederle dove fosse finita Celeste, eppure lei non mi diede risposta, svanì, così, nell'aria. Per due mesi non feci altro che rimanere chiusa in camera a piangere.
Marzo

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Aprile

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Passai, 62 due giorni a piangere, a guardare fuori da quella stra maledetta finestra se lei passasse di lì, non c'era bisogno che si fermasse, bastava anche soltanto il cenno di un saluto, un sorriso, ma nulla. Come se non bastasse si aggiunse la scuola, quella sera a cena, non ricordo nemmeno che giorno fosse madre mi disse:
-"Non so quali siano i tuoi problemi, non so perché tu stia così male ma non puoi andare avanti così, non puoi passare le tue giornate a piangere, da domani torni a scuola e lo faccio per il tuo bene."
Scossi la testa, mi alzai e andai a dormire.
A scuola nessuno si ricordava di me, mi guardavano come se fossi la nuova ragazza arrivata gli ultimi mesi di scuola senza un vero motivo, eppure ero, ero Sophie, ma a quanto pare a nessuno importava chi fossi. Mi guardavano dalla testa ai piedi straniti, come se fossi una sorta di alieno, di mostro, ma come mio solito andavo avanti a testa alta fregandomene di quello che potesse pensare la gente. Quel giorno le mie ore scolastiche si suddividevano in: Storia, letteratura, scrittura creativa, matematica e quant'altro, io non vedevo l'ora che arrivasse l'ora di pranzo. Era straziante e del tutto strano per me stare in una classe. All'ora di pranzo mi sedetti in un tavolo vicino al campo da calcio, le persone non facevano altro che fissarmi, lo sentivo, mi sentivo tutti gli occhi puntati su di me, eppure io cercavo lo sguardo di un'unica persona. D'un tratto il mio sguardo puntò qualcuno, lei era lì, era lì davanti a me, Celeste era davanti a me. Volevo gridare, volevo scappare ma rimasi immobile. Troppi pensieri iniziarono ad invadermi la testa, avevo bisogno di andarmene, ma non riuscivo ad alzarmi, volevo correre, piangere e poi la vidi, tra le braccia di un'altra e sorrideva, sorrideva davvero.
Ed io svenì.

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