Love is a Laserquest

di Naokoo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Love is a Laserquest ***
Capitolo 2: *** Stuck on the puzzle ***
Capitolo 3: *** Too much to ask (January, 2003) ***



Capitolo 1
*** Love is a Laserquest ***


«Do you still feel younger than you thought you would by now
Or, darling, have you started feeling old yet?
Don't worry, I'm sure that you're still breaking hearts
With the efficiency that only youth can harness»

Aprí gli occhi, ritrovandosi a fissare l'intonaco bianco che ricopriva il soffitto. Quel fastidioso cerchio alla testa che lo ossessionava da giorni, comparve non appena si sforzó di uscire dal groviglio di coperte e lenzuola che durante la turbolenta notte precedente parevano averlo avvolto in una morsa. Da troppo tempo non si concedeva un bel sonno ristoratore- pensó tra sé- e nonostante il tour fosse finito da qualche giorno, non era ancora riuscito a recuperare le forze.
se vai avanti cosí tirerai le cuoia, amico. Ricordati che sei troppo vecchio per essere annoverato nel club dei 27, quindi vedi un po'
si portó a sedere sul letto, pesantemente, ricordando le parole che Matt gli aveva detto qualche settimana prima, preoccupato per il suo stato psico-fisico. Si trascinó a piedi nudi sul parquet del corridoio, spingendo pesantemente la porta del bagno con una spalla: il riflesso che gli offrí lo specchio, cosí tremendamente simile a quello di tanti anni fa, con i capelli scompigliati liberi dal gel e le occhiaie del ragazzino troppo magro di Sheffield lo riportó indietro, scatenando ricordi disordinati-avresti dovuto nasconderli meglio- si disse. Chissá se anche lei si sentiva ancora giovane, piú di quanto si sarebbe aspettata, arrivata a ventotto- ne aveva ventotto anche lei?- anni, o avresse giá iniziato a sentirsi vecchia? Sorrise amaramente mentre con l'asciugamani tamponava il viso, e con l'altra mano chiudeva il rubinetto. Lei aveva sempre avuto un' innaturale paura di invecchiare, parola che volentieri sostituiva a crescere mentendo a sé stessa, per evitare di risultare una Peter Pan capitata nella storia sbagliata.

«And do you still think love is a laserquest
Or do you take it all more seriously?
I've tried to ask you this
in some daydreams that I've had
But you're always busy being make-believe»


Erano due sognatori, loro, sospesi in una bolla di fanciullezza mista a disincanto, tipica della loro etá. L'amore é una battaglia Laser gli aveva detto, ad un certo punto di uno di quei pigri pomeriggio d'agosto, mentre erano stesi all'ombra di un albero enorme, Jamie che faceva le parole crociate, Matt che sonnecchiava ed un paio di altre compagne alla Stockbridge stese supine, le cuffie nelle orecchie. Lui l'aveva guardata con aria interrogativa, lei, gli occhi fissi su un filo d'erba, delusa da uno dei suoi primi amori, sfumato al caldo dell'estate, -poteva ancora ricordare la treccia bionda che le accarezzava delicatamente il collo mentre parlava- gli aveva spiegato.
Lui non aveva capito, ma annuiva complice. Forse non l'aveva mai capita davvero.
Deglutí un sorso di té, ma non riuscí a fare altrettanto con i suoi dubbi, le domande che in quello stato ibrido tra sonno e veglia, gli ronzavano dallo stomaco alle orecchie. Chissá se lei era ancora dello stesso parere, sull'amore-si era immaginato impegnato a chiederglielo, ma lei come sempre era distesa ad occhi chiusi sorrideva, o guardava il mare e il cielo e chissá cos'altro, ignorandolo beatamente.
Altre volte gli era capitato di percepire il momento esatto in cui i suoi occhi chiari perdevano contatto con la realtá e scappavano, privilegiati, oltre quel momento, oltre quella vita, per inseguire qualcosa, per poi tornare un istante dopo senza destare sospetti. Lui peró l'aveva capito, e si sentiva depositario, fiero detentore di un privilegio, nella sua ingenuitá.
Andando avanti avrebbe compreso la natura di quelle fughe temporanee, di quei black out volontari che la tormentavano, cercando di riportarla giú il piú velocemente possibile. Con il passare del tempo, aveva imparato a farla tornare, offrendole il suo petto per poggiare la testa ed accarezzandole le ciocche bionde scomposte sulle spalle.
A volte si perdeva nei suoi sogni, un po' come lui, del resto. Con la mano destra lisció il copridivano a motivi tirangolari, mentre con la sinistra continuava a tenere in bilico la tazza, ormai vuota. Si lasció cadere sul divano, affondando la testa in uno dei numerosi cuscini; un ricordo singolare lo inghiottí di nuovo.
Nella sua casa, a Sheffield, aveva una divano molto simile, color nocciola, gli sembrava di ricordare. Ogni volta che capitava a casa sua si lanciava letteralmente nel nocciola- o era beige?- e si sistemava un cuscino dietro la testa, poi aspettava che finisse di fare qualcosa di improrogabile, spesso finire un libro, dare l'ultima pennellata a un disegno, o vestirsi e fissava il soffitto panna godendo della morbidezza di quel divano, che ora sembrava qualcosa di cosí banalmente speciale da farlo ridere di se stesso.
Pensieri che per tanto tempo aveva accuratamente riposto sotto il tappeto assieme alla polvere, riemergevano disordinati e lui non poteva fermarli. Qualunque fosse stata la causa di quell'improvvisa sensazione di nostalgia mortale, quel tipo di nostalgia che crea un precipizio tra il pomo d'adamo e lo stomaco- area che nei teenager e anatomicamente preposta a contenere farfalle-, si ritrovó a pensare che forse aveva dato troppo peso a quella parte di passato, esagerando com'é tipico a coloro che, andando avanti con la proria vita, ricoprono con una patina di grandiositá le emozioni del passato, che si deteriorano, stagnati covano, per poi fuggire all'improvviso da qualche spiraglio e fagocitare i malcapitati.
In fondo lei era stata un'amore qualsiasi, forse era quel suo stato di malessere che lo induceva ad ingigantire le cose, ad amplificare le sofferenze, in una sorta di catarsi salvifica. Stava quasi per convincersi che quella doveva essere la spiegazione, quando, nell'ennesimo momento di debolezza di quella mattina, il ricordo di un profumo, gli riportó alla mente, come un novello Proust, un'immagine di quel tempo, ormai perduto.

«When I'm pipe and slippers and rocking chair
Singing dreadful songs about summat
Will I have found a better method
Of pretending you were just some lover?
»

Magari un giorno-si disse- sarebbe riuscito a dimenticarla.

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Capitolo 2
*** Stuck on the puzzle ***


C' era stato un uomo, un filosofo, che secoli prima aveva evidenziato come la percezione di un dato fenomeno, secondo categorie comuni all'intera specie umana, non corrispondesse in realtá al noumeno in sé. Era certo di averlo studiato ai tempi del Liceo, anche se al momento non gli sovveniva il nome di tale filosofo.
In linea con tale pensiero, dunque, l'odore che gli solleticava le narici poteva non essere realmente presente. Ma tra il vivido ricordo di un odore e l'odore stesso, c'é poi davvero differenza?

Dall'ultima fila di banchi, le parole della maestra arrivano ovattate. Il bambino, come una spugna, assorbe ogni sillaba emessa durante la lezione: ha da poco imparato a scrivere, e si stupisce ancora delle forme nere, lucide e un po' goffe che la sua mano incide sulla carta quadrettata. Ogni tanto nei corridoi sente i bambini di quinta parlare giá d' Amore, e la classe scoppia a ridere quando, alla proposta della maestra di esprimere cosa pensano della nuova facoltá che hanno acquisito, con la voce bassa e rosso in volto per la vergogna, ammette di essersi innamorato delle parole. O forse dice di essersi innamorato della scrittura, ma le risa dei compagni sono talmente fragorose che non riesce a sentire fino in fondo ció che ha appena detto.
La sua compagna di banco peró, non ha riso. Anzi, ha detto agli altri di smetterla di ridere, ché da ridere non c'é proprio niente. Nel voltarsi rapidamente verso di lui, la trecce lunghe fino al petto, si sono mosse, sprigionando un forte profumo di balsamo per capelli, odore di vaniglia.

Un odore di vaniglia che lo riporta all'infanzia, fatta di corse a perdifiato, torte al limone e risate. Una nostalgia dolce, di vaniglia, che lo fa sorridere per la seconda volta in quella strana mattinata, disteso solotario sul divano del soggiorno, nel suo appartamento al terzo piano di uno sky scraper a New York.
Non serve voltarsi indietro per vedere che Julia, qualsiasi cosa accadesse, era sempre lí, con quell'aspetto tutto occhi e capelli che la rendeva troppo simile ad un uccellino in procinto di spiccare il volo, prima, e dotata di quella inconsapevole ed arrogante bellezza tipica dell'adolescenza, poi.
La rivedeva, ora, mentre correva con le ginocchia sbucciate nel tentativo di fare tana libera tutti, o in una di quelle notti alcoliche e fumose, abbracciata a qualcuno, con qualcuno, che non era lui al centro della sala. Sentiva ancora la sensazione che aveva provato quando si era lasciata sfiorare per la prima volta, quel calore al centro del petto, tanto forte da liquefare la gabbia toracica e, con il cuore ridotto ad un mucchio di polvere, il cielo scuro come melassa nera, amarsi per la prima volta, incondizionatamente.
Ricordava perfettamente il suo profilo nel backstage, in quella prima folle impresa all'Astoria e a Glastonbury poi, dimenarsi a tempo e lanciargli ampi sorrisi, va tutto bene cercava lui di farle capire, di rimando, mentre cantava di fronte a bagni di folle urlanti, assetate di musica.

Fu la vibrazione del cellulare proveniente dalla stanza da letto a salvarlo da quei ricordi. Si alzó per rispondere e sparí dietri la porta della camera.

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Capitolo 3
*** Too much to ask (January, 2003) ***


The eyes are getting heavier
and wether they are asleep or awake
There’s a mystery
would a kiss be too much to ask
When you fit me as sunday’s frozen pitch
fits the thermos flaska


La brina di un dicembre ormai dimenticato, scricchiola al vento di una pigra mattinata di gennaio. Il sole, che pare essersi dimenticato di Sheffield, pudìcamente nascosto dietro una spessa coltre di nuvoloni grigi, si rifiuta di ricordare agli abitanti che é ormai pomeriggio fatto.
《Come ti senti oggi?》
Penny accarezza la fronte del figlio con un gesto affettuosamente materno, nonostante sappia che ormai suo figlio sia grande per queste cose e perfettamente capace di rimettre la sveglia autonomamente, come le ricorda sempre suo marito.
Il figlio, con un mugugno simile a un latrato, tanto la voce gli si é fatta roca, cerca di farle capire che vuole essere lasciato in pace.
《Hai visite, Alexander, alzati su. Sono le tre del pomeriggio.》
intima la donna, con un tono vagamente perentorio, seppur con quell'immancabile nota d'affetto che caratterizza la sua voce ogni volta che ha a che fare con il figlio
《Se é Matt, fallo salire》
Ribatte Alex, il volto rigato dai segni del lenzuolo, rimasti impressi sulla pelle chiara. Ma la madre é giá uscita dalla stanza, sente il rumore dei tacchetti delle ciabatte giú per le scale; ancora rumore, e con uno scricchiolio leggero, la porta della sua camera lascia entrare l'ospite.
Morning principessa》
lo prende in giro la ragazza che, appena entrata, si libera del pesante piumino gettandolo a casaccio sulla sedia di fronte alla scrivania, in un fallimentare tentativo di non far cadere il giacchino in terra.
《Ciao, stupida》
ribatte lui, ridendo, portandosi una mano davanti al viso, tanto gli è insopportabile la luce sprigionata con un fzzz dal lampadario di cui Julia ha appena premuto l'interruttore.
《beh? Come stai oggi?》
la osserva chinarsi a raccogliere il piumino, flettersi velocemente ed appenderlo alla sedia, poi risponde che va meglio, ma mente, dicendo che la febbre gli é passata: non vuole che se ne vada
Lei finge di credergli, nonostante vede gli occhi lucidi di lui e senta la sua voce, cosí roca, consumata dalla tosse. Non vuole andarsene
《Ehy Alex...》
la sua faccia si é fatta improvvisamente scura, gli occhi azzurri adombrati lo scrutano, non come al solito, piú intensamente, febbrili
《Se io morissi, ti dispiacerebbe?》
gli chiede, mentre si tortura il laccetto nero con cui é fissata l'estremitá dei suoi capelli, raccolti in una treccia
《Ma che cazzo di domande fai? L'unico che puó rischiare di morire, al momento, sono io.》
ironizza lui, sorridendole. Ma vedendo che lei non sorride di rimando, tenta di continuare
《È ovvio, mi mancheresti.》
é spaventato da quel suo sguardo, nel quale riconosce troppo il suo. Quella domanda lui, se l'é posta mille volte, in quei diciassette anni. E piú cerca di giustificare la propria vita, di darle un senso, un dettaglio che lo renda necessario a questo mondo, piú si semte una nullitá, confinata all'oblìo. É forse questo senso di vuoto eterno che li spinge a cercarsi, che alimenta la loro necessitá di essere vicini
《Vieni qua, dai》
le dice, facendo battere il palmo sul plaid verde, nella zona del letto non occupata da lui. Julia si toglie gli stivali con un movimento rapido, per poi stendersi di fianco a lui, sotto le coperte.
Alex si spaventa quando un vago senso di infinito gli si insinua a partire dal petto, dove Julia ha poggiato la testa stanca di pensieri, e raggiunge il cuore sottoforma di calore.

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