Ragazzacci

di Shainareth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***





RAGAZZACCI - CAPITOLO PRIMO




Mi ero spesso chiesta come fosse quella sensazione di gioia che si prova quando hai la possibilità di dare il buongiorno al ragazzo che ami con un bacio. Lo scoprii quella mattina, quando, scesa di casa per andare a scuola, trovai Kentin ad aspettarmi davanti al parco.
   «Volevo farti una sorpresa», mi spiegò, passandomi un braccio attorno alla vita e chinandosi su di me per posare teneramente le labbra sulle mie. Aveva l’aria soddisfatta di chi è infine riuscito a raggiungere la meta tanto agognata. Lo capivo, perché io mi sentivo allo stesso modo. In più, non potevo fare a meno di pensare anche a quanto diamine fossimo stati imbecilli ad aspettare tutti quegli anni per arrivare a quel punto.
   «Già che c’eri, perché non ti sei fatto trovare proprio sotto casa?»
   «Col rischio che tuo padre mi prendesse a calci?» Risi, prendendogli la mano che mi porgeva e avviandomi con lui verso il parco, che avremmo attraversato per dirigerci al liceo.
   Dopo il nostro bacio del pomeriggio addietro, quando avevamo tacitamente stabilito di smetterla di rincorrerci e di scornarci come due amanti cocciuti, costretti a reprimere i propri sentimenti per semplice e nocivo partito preso, mi ero messa a piangere come una sciocca. Temendo perciò di aver osato troppo, Kentin era andato nel panico, ma lo avevo tranquillizzato subito: ero felice che fosse successo. Le lacrime che mi erano sgorgate dagli occhi non erano state altro che uno sfogo dovuto a tutte quelle emozioni contrastanti che sembravano volermi esplodere nel petto.
   Ad ogni modo, parlandone mentre mi riaccompagnava a casa, ci eravamo chiesti come avremmo dovuto comportarci davanti agli altri. Alcuni dei nostri amici sarebbero stati sicuramente felici per noi; altri, come Nathaniel e Alexy, meno. Pur sapendo che sarebbe stato inevitabile, non volevamo ferire i sentimenti di nessuno. Pertanto, anche per una sorta di scaramanzia personale, avevamo finito per riprometterci di mantenere la cosa solo per noi, almeno per il primo periodo. Tanto più che, a scuola, la maggior parte dei nostri compagni di classe aveva fatto il callo all’ambiguo rapporto che ci aveva sempre legati, e perciò non sarebbe dovuto apparire troppo strano, ai loro occhi, vederci insieme o bisticciare come bambini per una vaga, malcelata gelosia per colpa di Nathaniel, di Ambra o chissà chi altri.
   Una cosa, però, avevo preteso senza che Kentin potesse ribattere al riguardo: comunque fossero andate le cose fra noi, prima ancora che una coppia, avremmo dovuto continuare ad essere l’uno il migliore amico dell’altra. Senza se e senza ma. Dapprima Kentin aveva accettato di buon grado. Poi, però, mi era parso incerto, e quando gliene avevo chiesto il motivo, mi aveva confessato che, nelle sue intenzioni, non prevedeva di dover tornare affatto al vecchio stato di semplici amici.
   «Non sei mai stato un semplice amico, per me», gli avevo garantito, forte della consapevolezza che, adesso, potevo parlargli liberamente di tutto ciò che riguardava i miei sentimenti, presenti o passati che fossero. «In realtà, mi sei sempre piaciuto.»
   Lui aveva aggrottato le sopracciglia, guardandomi con aria confusa. «Anche prima che andassi alla scuola militare?»
   Nonostante tutto, non ero riuscita ad impedirmi di arrossire. «Credo di sì», avevo balbettato, fissandolo da sotto in su.
   Kentin aveva riso, forse istericamente, e si era fermato in mezzo al viale alberato per abbracciarmi. «Non saprei dire chi di noi due è più idiota.»
   Continuavo a chiedermelo anch’io.
   Quella mattina, comunque, ragionammo su quante possibilità ci fossero che gli altri intuissero la verità e giungemmo alla conclusione che l’unica persona capace di preoccuparci davvero fosse Rosalya, con quel suo maledettissimo intuito femminile che, a volte, funzionava meglio di un radar di ultima generazione.
   «È per questo che detesto le femmine.»
   «Dovrei preoccuparmi, per questa tua dichiarazione?» mi sentii domandare in tono divertito, mentre giungevamo nei pressi della scuola.
   Pur controvoglia, sciogliemmo l’intreccio delle nostre dita e Kentin infilò entrambe le mani in tasca, mentre io strinsi le mie attorno alla tracolla della borsa dei libri. Per le successive ore, avremmo dovuto fingere che il nostro rapporto di stasi fosse ancora lì, ad incatenarci in un ruolo che ci stava sempre più stretto. Mi chiesi se ci saremmo riusciti. Probabilmente no, visto quanto eravamo impediti nel nascondere i nostri sentimenti e tutto ciò che ci passava per la testa. Dannata onestà.
   I gemelli erano già davanti agli armadietti a recuperare la loro roba e quando ci videro arrivare, ci salutarono allegramente. Tuttavia, Alexy non mancò di notare un particolare che a me, forse per via della felicità, era sfuggito. «Che brutte occhiaie», disse, osservando Kentin. «Non hai dormito, stanotte?»
   L’altro parve in leggero imbarazzo. «Certo che sì», balbettò quella che aveva tutta l’aria di essere una bugia. Dunque non ero stata l’unica, la sera prima, ad aver faticato a prendere sonno per le emozioni che si erano agitate per tutto il tempo nel mio animo innamorato. A volte, in effetti, la felicità sa essere deleteria quanto la tristezza.
   «Hai di nuovo fatto le ore piccole davanti alle sue foto?» domandò Armin, additandomi col pollice di una mano come se fossi un complemento d’arredo.
   Kentin avvampò. «Non dire idiozie!» sbottò, agitato. Non compresi quella sua reazione. O meglio, di certo è imbarazzante sentirsi presi in giro sui propri sentimenti per la persona che ti piace, soprattutto quando lei è presente; ma in quel caso, visto il chiarimento fra me e Kentin, trovai un po’ esagerato il modo in cui lui aveva ribattuto. Al contrario, se le insinuazioni di Armin fossero state vere, avrei persino trovato tenerissimo che lui avesse faticato ad addormentarsi perché incantato a guardare le mie foto. Certo, un po’ mi vergognavo, ma che male c’era?
   «Cosa?!» esclamò invece Alexy, indignato. «Semmai le foto erano mie! Vero?!» chiese conferma al diretto interessato. Che lo insultò di cuore, mentre Armin rideva divertito.
   Qualcosa non quadrava. Almeno nella mia logica.
   Fu allora che, dimenticata in un angolino, osai informarmi riguardo a ciò di cui stavano parlando. «Cosa ci sarebbe di male, scusate?»
   Non mi sono mai ritenuta un genio, soprattutto quando pronunciavo frasi fraintendibili senza neanche rendermene conto. Quella avrebbe potuto esserlo persino nella mia ottica, perché avevo implicitamente ammesso che non mi avrebbe causato problemi se Kentin avesse passato la notte sulle mie foto. A guardarle e basta, voglio dire.
   Loro, però, intendevano ben altro.
   Alexy mi guardò con tanto d’occhi, Kentin dovette aggrapparsi all’anta del proprio armadietto, nascondendo il volto contro l’incavo di un braccio, e Armin scoppiò a ridermi in faccia senza troppi riguardi.
   «Ti prego», cominciò poi, rivolgendosi a quello che, a conti fatti, ora era il mio ragazzo. «Insegnale qualcosa tu, prima che qualcun altro la traumatizzi.»
   «Ma…?» balbettai, non capendo ancora dove volesse arrivare. «Insegnarmi cosa?»
   «Posso dirglielo?» volle sapere Armin.
   «Non azzardarti!» replicò Kentin, quasi fra i denti. Sospirò, lanciandomi uno sguardo visibilmente imbarazzato. Corrucciai la fronte, cercando di interpretare quel silenzio, rotto solo dalla risatina divertita di Armin e da un borbottio contrariato di Alexy. Kentin sembrava sul punto di dirmi qualcosa, ma non fiatò. Forse non poteva farlo davanti ai gemelli, il che stava a significare che doveva trattarsi di qualcosa che riguardava soltanto me e lui.
   Quel pensiero, quello di noi due, mi rasserenò di colpo ed io decisi che potevo attendere la sua spiegazione, che sicuramente sarebbe arrivata dopo le lezioni.
   Nessuno parlò più della faccenda, anche perché fummo raggiunti da alcune nostre compagne di classe e ci avviammo in aula insieme a loro. Mi diressi al mio posto, mentre dalla prima fila sentii distintamente la voce allegra di Kim che esclamava al suo compagno di banco: «Ehi, cos’è quella faccia turbata e soddisfatta insieme?»
   Non riuscii a cogliere la risposta di Kentin, poiché in quel momento arrivò Rosalya che, dandomi il buongiorno, si sedette accanto a me. Ricordandomi del potenziale pericolo nascosto nella sua perspicacia, abbozzai un sorriso che di allegro aveva ben poco.
   «Che è successo?» mi domandò all’istante.
   L’ho già detto che odio essere tanto onesta?
   «Armin mi prende in giro», buttai lì, cercando un modo per svicolare. Per quanto fossi consapevole che di lei ci si poteva fidare, non le avrei detto di me e Kentin. Era una cosa soltanto nostra e volevo preservarla il più a lungo possibile. Come un piccolo tesoro segreto.
   «Alle solite, insomma», considerò Rosalya. Feci spallucce. «Riguardo a cosa, stavolta?»
   Cercai di non guardarla negli occhi con la scusa di tirare fuori dalla borsa l’occorrente per la prima ora di lezione. «Mah, non ho ben capito, a dire il vero», ammisi, tanto per rendere credibile la cosa. «C’entravano Kentin e delle foto mie. Lui s’è arrabbiato con Armin per qualcosa, ma non so dirti di più.»
   Non ottenni alcun commento. Strano. Rosalya tacque troppo a lungo perché io rimanessi impassibile. Alzai lo sguardo su di lei e la trovai intenta a fissarmi con una di quelle sue espressioni contrariate.
   «Che c’è?» chiesi con voce incerta.
   «Non ho ancora capito se tu ci sei o, piuttosto, ci fai», mi sentii rispondere.
   «In che senso?» cercai di indagare, non seguendo il suo ragionamento.
   La vidi stringere le labbra per qualche attimo, ma poi mi domandò a bruciapelo: «Hai una vaga idea di quello che fanno gli uomini sulle foto delle donne?» Il modo in cui aggrottai le sopracciglia la indusse a credere di no. Sospirò. Infine, me lo spiegò.
   Finalmente compresi le reazioni degli altri e mi sentii una colossale idiota. Tanto che non fui più in grado di spiccicare parola per diversi istanti.
   «È una cosa normale», stava continuando Rosalya, convinta che io riuscissi a darle la giusta attenzione. «Oltretutto, non è mica da escludere che Armin non stesse scherzando.»
   Kentin e le mie foto. Questo binomio avrebbe dovuto farmi adirare o, piuttosto, lusingarmi? Di sicuro mi imbarazzava da morire.
   «Comunque, ci sono molte donne che fanno la stessa cosa. Non io, visto che il mio Leigh mi soddisfa appieno.» Mi voltai a fissare Rosalya come se avesse parlato in lingua aliena e lei ridacchiò allegra. «Andiamo, perché credi che vendessi le foto dei ragazzi, prima?» mi rivelò, lasciandomi ancora più stordita di quanto già non fossi. «Vuoi farmi credere che ti sei soltanto limitata a contemplare come una scema quella di Nathaniel che ti ho regalato tempo fa? Che animo puro…»
   La foto di Nathaniel. Mi ero completamente dimenticata della sua esistenza e, oltretutto, non avevo la più pallida idea di dove l’avessi messa.
   «Confesso che sono rimasta stupita di non trovarla in bella vista in camera tua.» Ormai la voce della mia compagna di banco era diventata un sottofondo più o meno fastidioso ai miei lugubri pensieri. «Invece, a quanto pare, preferisci gli orsetti di peluche.»
   «Che hanno di sbagliato, gli orsetti di peluche?» m’impuntai, tornando improvvisamente in me. Nessuno poteva toccare il regalo di Kentin.
   Rosalya scrollò le spalle, facendo oscillare i suoi bellissimi capelli attorno all’ovale del viso. «Niente, a parte il fatto che sono un po’ infantili.»
   «A me piacciono», affermai risoluta, facendola di nuovo ridere.
   La nostra conversazione fu interrotta dall’arrivo del professore ed io tornai a chiudermi in me stessa e nei miei terrificanti pensieri. Non tanto quelli che riguardavano l’uso improprio delle mie fotografie, perché su quello preferivo non soffermarmi – e poi, se Kentin non poteva farne a meno, tanto valeva che immaginasse me piuttosto che un’altra.
   Ciò che in realtà mi inquietava, in quel momento, era quella dannata foto di Nathaniel. Possibile che fossi stata così superficiale da aver dimenticato dove fosse? In realtà, quando Rosalya me l’aveva data, non avevo neanche saputo che farmene. Sì, all’epoca ero convinta che lui mi piacesse, ma mi imbarazzava l’idea di avere una cosa tanto personale che riguardava un ragazzo con il quale stavo ancora facendo amicizia. Inoltre, averla senza che lui ne sapesse nulla, mi sembrava ingiusto.
   Peggio ancora, alla luce degli ultimi avvenimenti, se fosse saltata fuori all’improvviso, magari proprio mentre ero insieme a Kentin… Beh, non volli immaginare le conseguenze di quell’infausta previsione. Dovevo trovarla. A tutti i costi.
   Cercai di ricordare cosa ne avessi fatto dopo che Rosalya me l’aveva data, ma proprio non mi tornò in mente. Provai a mettermi nei panni della me stessa di allora e l’unica cosa di cui mi convinsi era che, se l’avessi nascosta nell’armadietto, probabilmente avrei vissuto col terrore che Ambra o qualche altro impiccione, nel tentativo di farmi uno scherzo, ci avrebbe rovistato dentro e l’avrebbe trovata. Quindi forse dovevo averla portata a casa. Anche lì, però, avrebbe potuto essere facilmente saltata all’occhio vigile di mia madre, magari mentre rimetteva in ordine al posto mio qualcosa che avrebbe fatto meglio a lasciare dov’era.
   Per quanto mi sforzassi, non ricavai un ragno dal buco. L’unica cosa che riuscii a concludere, alla fine delle lezioni del mattino fu: Maledizione a Rosalya e alle sue idee assurde.












Non chiedetemi da dove è uscita questa roba. So solo che a volte mi impelago in imprese apparentemente contorte. Come i problemi dell'adolescenza e dei ragazzini che scoprono l'amore e la sessualità... Avrei dovuto fare l'educatrice per davvero, sigh.
A parte ciò... non so che altro dire. Cioè, prima che mi mettessi a scrivere queste righe avevo un mucchio di cose in testa, ma adesso, ovviamente, c'è il consueto vuoto. Va beh, poco male, non vi assillo oltre e vi do appuntamento al secondo capitolo, che dovrei postare comunque nel giro di un giorno o due.
Buona serata! :*
Shainareth





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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***





RAGAZZACCI - CAPITOLO SECONDO




Al suono della campanella, anziché seguire tutti gli altri in mensa, mi precipitai verso il mio armadietto e lo misi letteralmente a soqquadro, rispondendo a casaccio a chi mi chiedesse cosa diamine stessi facendo. Quando fu Kentin ad avvicinarsi per sapere se volevo seguire lui e gli altri in mensa, per poco non mi schiacciai una mano nell’anta nel tentativo di impedirgli di guardare fra la mia roba. Non che non volessi condividere con lui i miei segreti, anche perché in realtà aveva visto più di una volta il contenuto del mio armadietto, ma adesso che ero divorata dal sospetto di aver nascosto lì qualcosa che lo avrebbe mandato su tutte le furie, preferivo evitare che lo rifacesse.
   «Vi raggiungo fra poco», gli assicurai, cercando di essere il più convincente possibile.
   Non se la bevve, perché mi fissò con aria inquieta. «È per via di quella faccenda?» mi domandò, vincendo un’iniziale ritrosia.
   «Quale faccenda?» domandai, questa volta senza aver bisogno di mentire circa il mio stato d’animo. Kentin arrossì, spostando il peso del corpo da un piede all’altro, in evidente stato di disagio. Quella reazione indusse il mio povero neurone a girare come un criceto nella ruota impolverata che si trovava nella mia scatola cranica ed io finalmente compresi il suo imbarazzo. «Ah…» balbettai, non sapendo bene dove posare lo sguardo. «Rosalya mi ha illuminata al riguardo», spiegai. «Sono proprio senza speranza, eh?» tartagliai, con un vago sorriso sulle labbra.
   «Se può farti star meglio», prese a dire lui, pur con voce malferma, «non faccio quelle cose.»
   Cos’era, un santo?
   Si morse un labbro. «Beh, non sulle tue foto», aggiunse per amor di onestà.
   Aggrottai pericolosamente la fronte e, nonostante la vergogna che mi stava divorando, piantai gli occhi nei suoi. «Usi le foto di qualcun’altra?» non mi trattenni dal chiedergli.
   L’espressione che mi regalò Kentin in quel momento fu epica. Sul serio, vorrei aver avuto la prontezza di agguantare il cellulare e scattargli una foto. Magari avrei persino puntato ad un selfie.
   «Ma ti pare?!» mi ringhiò contro, all’apice dell’imbarazzo. E poiché si rese conto di aver alzato troppo la voce, si passò una mano sulla faccia nel tentativo di darsi una calmata. «Non dire scemenze», riprese dopo un attimo, con maggior pacatezza, mentre anch’io cercavo di scacciare la rabbia e la gelosia che mi avevano offuscato la ragione.
   Compresi che stavamo per inoltrarci in un discorso troppo delicato e personale. Anche se adesso stavamo insieme e prima o poi certi argomenti avremmo dovuto affrontarli, non potevamo certo discuterne lì, nel bel mezzo del corridoio della scuola.
   Abbassai lo sguardo, mortificata. «Scusa.»
   «No, scusami tu», bofonchiò lui, lasciandosi andare ad un sospiro. «Noi maschi siamo piuttosto…»
   «Non fa niente, davvero», lo interruppi, risparmiandogli la ricerca di una parola che potesse descrivere l’idea che aveva in testa. «Va bene, è una cosa naturale.»
   A dispetto della maturità con cui accettai la faccenda, mi resi conto di essere sul punto di morire per la vergogna. Sperai di potermi fare due risate insieme a lui, una volta immagazzinata a dovere quella verità troppo audace per il mio povero animo innocente.
   «Lo sapevi che anche le ragazze fanno certe cose?» mi venne spontaneo domandargli a quel punto, nel tentativo di smorzare la tensione.
   Kentin mi guardò perplesso. «Immagino di sì…» balbettò, stupito da quella mia osservazione.
   «Io invece non ne avevo idea», ammisi, quasi imbronciata con me stessa per la mia totale ignoranza in materia.
   Lui ridacchiò, forse intenerito dalla mia ingenuità. «Andiamo?» mi esortò, preferendo accantonare del tutto l’argomento in favore di una bella mangiata in mensa. Non che il cibo fosse sempre ottimo, lì, ma a quell’età eravamo capaci di ingurgitare qualsiasi cosa.
   Quando fummo in mensa ci eravamo già dimenticati di tutto – beh, per lo meno l’intenzione di farlo c’era da entrambe le parti. Il guaio accadde quando, cercando i soldi nella borsa e non trovando alcuni spiccioli, mi accorsi di un taschino interno, invisibile a primo acchito, del quale difatti mi ero persino dimenticata. Pensando di poterci trovare qualche monetina, vi frugai dentro, ma tutto ciò che ne ricavai fu quello che credetti essere un foglio di carta lucida. Quando lo tirai fuori, per di più sotto al naso di Kentin che stava facendo la fila insieme a me davanti al bancone della mensa, mi si rizzarono i peli sulla nuca: era la foto di Nathaniel. Mi tornò in mente che l’avevo messa lì in attesa di stabilire a quale fine destinarla, senza però riuscire mai a prendere una decisione in merito e rimuovendone completamente l’esistenza dalla testa.
   «Che diavolo è?» fu l’ovvia domanda che mi sentii porre un nanosecondo dopo, mentre Kentin mi scippava la foto di mano per osservarla meglio.
   In preda al panico, non potei far altro che capitolare e raccontargli di come Rosalya me l’avesse regalata per averla aiutata a riconciliarsi col suo ragazzo e che non mi era stato possibile rifiutarla in alcun modo. Precisai anche che non ci pensavo più da una vita e che non mi interessava nella maniera più assoluta, ma il silenzio di Kentin ed il suo sguardo adombrato, che ancora fissava l’immagine di Nathaniel appisolato sui libri di scuola, mi indussero a credere che lui non fosse affatto convinto della verità che gli avevo appena rivelato.
   Al momento di pagare, s’infilò la foto in tasca e saldò il conto anche per me. Quindi, tenendo il vassoio in bilico su una mano sola e trascinandomi lentamente per il polso verso il tavolo a cui erano già accomodati i gemelli, mi domandò: «Se non la volevi, perché non l’hai buttata via?»
   Era una curiosità più che legittima. Meno sensata fu la mia risposta, che pure fu onesta. «Mi dispiaceva fare un torto a Nathaniel», pigolai, inducendolo a fermarsi di botto e a guardarmi con aria irritata. Sia il mio che il suo vassoio, in precario equilibrio, rischiarono di rovesciarsi in terra. «Insomma, di solito si buttano o si strappano foto di persone che non contano niente, per noi, o verso le quali siamo arrabbiati, no?» cercai di spiegargli, sentendomi in trappola nonostante avessi la coscienza pulita. «Nathaniel non c’entra nulla, è tutta colpa di Rosalya.»
   «Avresti potuto restituirgliela», mi fece notare Kentin, ancora visibilmente infastidito.
   «Ci ho provato, ma è scappata come un fulmine per raggiungere Leigh.»
   «Allora avresti potuto darla a Nathaniel stesso.»
   La trovai un’idea ridicola. «Non potevo certo andare da lui e dirgli: Ehi, guarda! C’è qualcuno che ti fa le foto di nascosto e poi le rivende o le regala ad amiche e conoscenti!»
   «Sarebbe stato più onesto.»
   «Ma anche più imbarazzante, perché magari mi avrebbe chiesto perché anch’io ne avessi una.»
   «Sarebbe stato troppo difficile inventarti di averla ottenuta per vie traverse?» Nel momento stesso in cui lo disse, Kentin scosse il capo e sbuffò, ben sapendo che non sarei mai stata in grado di fornire una spiegazione convincente.
   «Mi dispiace…» mormorai, temendo seriamente che la nostra neonata relazione amorosa potesse essere minata sin da subito da uno stupidissimo equivoco.
   Mi lanciò un’occhiata paziente e riprese a camminare, conducendomi con sé verso il tavolo dal quale Armin e Alexy ci facevano segno da lontano.
   Più che mangiare con appetito, divorai il pranzo per colpa del nervosismo. Adesso Kentin sapeva tutto e, in aggiunta, mi aveva sequestrata la foto. Non che mi importasse della fine che le avrebbe riservato, ma non potevo fare a meno di torturarmi al pensiero che tutto il nostro sogno rosa, fatto di amore, fiducia e tante altre cose zuccherose e sbaciucchiose, fosse già sul punto di svanire a causa di quel brutto, traumatico risveglio.
   La pausa pranzo finì troppo in fretta, per i miei gusti, ma a giudicare dal tempo che si prese Kentin per alzarsi da tavola, assicurando ai nostri amici che ci avrebbe raggiunti subito in aula, supposi che per lui i minuti non erano affatto volati come per me. Armin e Alexy si accodarono a tutti gli altri studenti e pian piano la mensa iniziò a svuotarsi.
   «Non vai con gli altri?» mi domandò Kentin, vedendomi ancora seduta accanto a lui. Se ne stava abbandonato svogliatamente sulla sedia, con un gomito sul tavolo e la guancia sorretta dalla mano chiusa a pugno.
   «Preferisco rimanere con te, se non è un problema», risposi, non sapendo esattamente cosa aspettarmi da quel suo comportamento.
   Non mi spiegò nulla, ma volle sincerarsi di un’altra cosa. «Perché proprio la foto di Nathaniel?»
   A quel punto non aveva davvero più senso che gli mentissi. «Come sai, mentre eri alla scuola militare, io e lui abbiamo fatto amicizia.»
   «E lui ti piaceva», concluse per me, atono, gli occhi nei miei.
   Mi strinsi nelle spalle. «Credevo di sì.»
   «Che vuol dire credevo?» ribatté, accigliandosi. «Oltretutto appena ieri mi hai detto che sono io, quello che ti è sempre piaciuto», ci tenne a ricordarmi, lievemente stizzito all’idea che potessi avergli detto una bugia.
   «È vero», gli garantii con decisione. «Me ne sono resa conto solo dopo, quando sei tornato.»
   «Perché ho tolto gli occhiali e sono diventato più alto e muscoloso?» m’accusò Kentin, risentito.
   Quelle parole mi ferirono molto più di quanto si aspettasse. «Mi credi davvero così superficiale?» replicai, spazientendomi a mia volta. «Se è così che la pensi, mi spieghi per quale dannato motivo ti piaccio?» non potei fare a meno di chiedergli. «Tanto vale che tu ti metta con una come Ambra, che almeno è bella e piena di soldi», aggiunsi prima che riuscissi a controllare la gelosia ed i complessi di inferiorità che, almeno sotto un punto di vista estetico, ben sapevo di avere nei confronti di una ragazza avvenente quanto lei. Senza contare che tempo prima Kentin l’aveva anche baciata, e quella consapevolezza bruciava ancora da morire.
   Eravamo davvero una coppia di stupidi.
   Vergognandomi di ciò che avevo detto, mi alzai di scatto e cercai di guadagnare l’uscita il più velocemente possibile. Kentin mi fu subito dietro e tornò ad agguantarmi per un braccio, facendomi rallentare. «Vieni», mi disse soltanto, accompagnandomi lui stesso fuori e costringendomi a seguirlo verso il corridoio d’ingresso della scuola.
   Non mi opposi né fiatai, reputando molto più importante chiarire le cose con lui piuttosto che arrivare puntuale alla lezione successiva. Tanto, ormai, la mia condotta scolastica era stata più volte compromessa dalle diavolerie di Ambra e delle sue amiche – per non parlare della parentesi Debrah, che mi aveva persino messa contro tutti i compagni di classe.
   Mentre Kentin mi trascinava via con sé, faticai a stento a reprimere le lacrime. Stava accadendo proprio ciò che avevo temuto. La nostra amicizia sarebbe sopravvissuta a quella discussione? Non volevo litigare con lui, non volevo neanche essere inutilmente gelosa per un qualcosa che non esisteva, visto che ero certa di ciò che Kentin provava per me. E lui, invece, era consapevole che il mio non si limitava ad essere un semplice interesse, ma era piuttosto un’emozione molto più forte e intensa, e che lui era capace di condizionare il mio umore soltanto con uno sguardo, un sorriso o una parola?
   La campana della ripresa delle lezioni suonò, eppure Kentin non cambiò direzione. Ci fermammo nei pressi degli armadietti e si guardò intorno, in attesa di qualcosa che non potevo immaginare. Quindi, il corridoio andò gradualmente svuotandosi e lui si avvicinò furtivo all’armadietto di Nathaniel. Mise una mano in tasca e ne estrasse la foto, che iniziò ad infilare in una fessura dell’anta chiusa, cercando al contempo di non rovinarla. Osservai i suoi movimenti senza fiatare, stupita e incapace di capire. Questo avrebbe certamente risolto la questione della foto, ma noi, invece, come saremmo rimasti?
   Quando il ritratto di Nathaniel scomparve all’interno dell’armadietto, Kentin si allontanò da lì e tornò da me, guardandomi con espressione sorniona. «Non ci voleva poi molto», mi fece notare.
   Misi il muso come una mocciosa. «D’accordo», borbottai, intrecciando le braccia sotto ai seni. «Sei più intelligente di me, e allora?»
   Lui rise e, senza che riuscissi ad anticipare le sue mosse, mi passò un braccio attorno alle spalle per attirarmi a sé e baciarmi sulla bocca. Nonostante la semplicità di quel gesto apparentemente innocente, fu capace di comunicarmi tutta la passione e la tenerezza che sentiva per me. Lo fissai meravigliata e lui, senza distogliere gli occhi dai miei, dichiarò: «Non azzardarti mai più a dubitare di questo.»
   «Lo stesso vale per te», affermai un attimo dopo, pur sentendomi ancora in imbarazzo per quel genere di effusioni che ancora mi sembravano così strane per noi due. Diamine, stavo con il mio migliore amico e ancora non riuscivo a metabolizzare la faccenda, benché l’avessi sognato per tanto tempo.
   L’eco di due colpi di tosse si propagò per il corridoio deserto e noi sussultammo, allontanandoci rapidamente l’una dall’altro e osservandoci attorno guardinghi. Qualcuno ci aveva visti? Poco più in là, da un corridoio laterale, spuntò il nostro professore, ma sembrava non averci neanche notati. Era in ritardo anche lui, a quanto pareva, per cui ci affrettammo a raggiungerlo, a salutarlo al volo, e a proseguire rapidamente verso l’aula.
   Anche se non scambiammo più una parola, prima di entrare in classe, Kentin mi riservò uno sguardo ed un sorriso che mi rasserenarono al punto che tornai a sedermi accanto a Rosalya con il cuore più leggero e un’espressione allegra in volto.
   Lei mi guardò stupita e non poté fare a meno di osservare: «Siete arrivati tutti e due in ritardo.»
   «Dovevamo parlare di una cosa», risposi vaga.
   «Sai», iniziò Rosalya dopo un attimo, mentre il professore entrava in aula e si scusava per l’attesa, «mi stavo chiedendo se non dovessi tornare a mettermi in affari.» E al mio sguardo interrogativo rispose: «Non ho foto di Kentin: vendendole ad Alexy, ci farei una fortuna.»
   Ringraziai la tosse del nostro insegnante che, venendo fuori proprio in quel momento, coprì la sonora imprecazione che sbottai all’indirizzo della mia compagna di banco, facendo scoppiare a ridere tutti, meno che il professore, che ci guardò confuso, tentando di capire cosa fosse accaduto di così divertente mentre era impegnato a tossire.
   Ragionandoci su, continuando con tutte quelle battute da parte degli altri e quelle scenate di gelosia che da sempre rischiavano di incrinare l’armonia del nostro rapporto, sarebbe stato difficile nascondere a lungo la relazione fra me e Kentin. Tuttavia, quando mi aveva baciata di nascosto nel corridoio, pochi minuti prima, avevo avvertito un brivido inaspettato che mi aveva fatto scoprire quanto potesse essere eccitante il rischio di essere scoperti da qualcuno.
   Santo cielo, ponderai fra me, ignorando quel povero professore raffreddato che aveva iniziato la sua spiegazione. Sto diventando una ragazzaccia!












Sto ancora cercando di capire se la mia Dolcetta è tremendamente ingenua, tremendamente bacchettona o tremendamente cretina. Propendo per quest'ultima ipotesi, ma pazienza. *Le fa le carezzine*
Confesso che, quando ho iniziato a scrivere questa storia, avrebbe dovuto essere una shot; solo che poi è venuta fuori più lunga di quanto credessi, e così l'ho divisa in due parti.
Confesso anche che non mi aspettavo che questi due imbecilli arrivassero (per colpa di altri) a dirsi cose tanto private così in fretta. Okay, sono amici da anni (in un'altra shot ho scritto che si conoscono dalle medie), ma personalmente non ho mai fatto questo genere di confidenze al mio migliore amico (che dopo dieci anni di conoscenza è diventato il mio ragazzo, lol).
Tornando alle mie storie, non è la prima volta che mi capita che i personaggi decidano di muoversi e di parlare da soli, senza che io faccia nulla. Mi era già successo con la shot in cui Kentin e la Dolcetta si sono baciati per la prima volta, e anche con l'ultima che ho postato, quella sull'intervista di Peggy: lì doveva essere lei a prendere in giro lui e basta, e invece quel disgraziato s'è preso la rivincita nel finale. Good! Pare che anche ChinoMiko abbia affermato che Kentin ha deciso da sé che è ghiotto di biscotti al cioccolato. È inquietante, 'sta cosa. :'D
Basta, la smetto qui, ché se no continuo a scrivere a vanvera per ore.
Buona giornata e grazie a tutti i lettori! ♥
Shainareth





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