La Regina degli Ered Mithrin di Eruanne (/viewuser.php?uid=86788)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 1 *** Prologo. Capitolo uno. ***
LA
REGINA DEGLI ERED MITHRIN
PROLOGO
Lassù
l'aria era fredda e rarefatta benché l'estate fosse
avanzata, eppure
la sentinella parve non farci caso, continuando a puntare gli occhi
vigili verso ovest. All'udire l'ennesimo sbuffo scontento si
voltò,
trascurando il compito assegnatogli, e posò lo sguardo sul
corpo
intirizzito dell'altra vedetta: aveva posato la lancia a terra,
frizionandosi il corpo con le braccia, e batteva i denti sotto la
barba folta.
Era
giovane, molto più di lui, e si trattava del suo primo vero
incarico: era plausibile si comportasse così.
Nonostante
i numerosi anni trascorsi, ancora ricordava la sua prima notte di
guardia sul lato est degli Ered Mithrin: era inesperto ma
elettrizzato, poiché finalmente si rendeva utile per il suo
popolo e
il sovrano. Rammentò anche l'adrenalina crescente man mano
che le
ore si erano susseguite, ma mai una volta si era distratto,
concentrato com'era a scorgere ogni più piccolo particolare
che
l'oscurità gli celava. Il suo compagno – un
vecchio nano che da
tempo aveva raggiunto le Aule di Mandos – gli aveva battuto
affettuosamente una mano sulla spalla, mostrandosi fiero del suo
operato; disse inoltre che, finalmente, d'ora in avanti avrebbe avuto
un valido aiuto.
Il
petto gli si infiammò di calore e orgoglio proprio come
allora, e
batté un solo lieve colpo sulla roccia fredda con il manico
della
lancia, catturando l'attenzione del ragazzo.
<<
Ti chiedo perdono, Bemli >> esordì, sfregando
le mani tra loro
<< Penserai non sia molto efficiente, come sentinella.
Solo
che... non immaginavo ci fosse così freddo
>>.
Il
nano non poté fare a meno di ridacchiare di fronte
all'ovvietà,
scuotendo lievemente la testa coperta dall'elmo << Siamo
quasi
sul picco di una montagna, è assolutamente normale. Anche io
battei
i denti in quella gelida notte d'inverno, Tosur >>.
Il
ragazzo lo guardò sbigottito, non credendo fosse
sopravvissuto così
a lungo per raccontarglielo: lui non credeva nemmeno di resistere
altri venti minuti come ostaggio del vento sferzante! Ma Bemli era
uno dei veterani più esperti e capaci, dedito al lavoro e
terribilmente professionale, e ogni cadetto gli portava un profondo
rispetto; perciò, quando gli avevano comunicato che
l'avrebbe
affiancato, si era sentito soddisfatto e intimorito insieme.
I
numerosi giovani che l'avevano preceduto avevano descritto il vecchio
come silenzioso e burbero, qualche volta dispotico; nessuno si era
mai dato pena di parlarci più dello stretto necessario,
specialmente
dopo ogni tentativo a vuoto di conoscere il suo passato o i suoi anni
di guardia. Il sentirgli confessare quel breve e insignificante
dettaglio su una fredda serata di tempo prima - soprattutto la prima
di servizio - rese Tosur quasi orgoglioso.
Rimase
in silenzio per pochi minuti, non trovando parole adatte con cui
ribattere: tutte quelle che gli si affacciavano nella mente erano a
dir poco inutili e prive di peso.
La
mancata risposta impensierì il nano; forse aveva ferito la
sua
dignità, sminuendone l'operato confrontandolo col proprio?
Lo guardò
di sottecchi tra uno spostamento d'occhi verso l'orizzonte e l'altro,
concludendo che fosse semplicemente intimorito.
Non
poté impedirsi di sogghignare internamente, ricordando
centinaia di
espressioni altrettanto simili; pur così anziano era ancora
in grado
di mettere i novellini in difficoltà e in soggezione davanti
al suo
cospetto? Il suo smalto non si era scalfito né ingrigito,
dunque: al
contrario del suo corpo, ora meno scattante e allenato.
<< Non era mia
intenzione renderti muto come un
pesce, ragazzo >> disse bonario.
Tosur lo guardò
sbigottito, domandandosi dove fosse
finito il nano severo e silenzioso sempre descrittogli: i suoi amici
si erano burlati di lui fin dall'inizio, fornendo quell'informazione
falsa? Oppure era una sorta di esame architettato a suo discapito?
Doveva scoprirlo. E, perciò, avrebbe dovuto affrettarsi a
rispondere.
<<
Affatto, signore. Conservavo il fiato >>
aggrottò la fronte
subito dopo, ripensando alla stupida
risposta
data.
Bemli, stavolta,
lasciò che una bassa risata
fuoriuscisse dalle labbra secche << Parola mia,
è la prima
volta che sento una tale scusante! >>.
Continuò a
ridacchiare facendo sì che le orecchie di
Tosur andassero a fuoco, per sua gioia e maledizione: ma neppure
allora si scaldò a dovere.
Si
strinse nelle spalle e borbottò qualcosa che assomigliava a
“ Non
sapevo che altro dire
“ costringendo l'altro a guardarlo con un leggero sorrisetto.
<< Ecco, questa
verità l'apprezzo di più. E
posso anche intuire i motivi per cui non hai parlato: immagino che
molti ti abbiano messo in guardia da me, non è
così? >>.
Stavolta sarebbero state le
guance a divenire rosate, se
non ci fosse stato quel dannato vento a spazzare il calore. Per un
fugace momento fu tentato di propinargli una bugia, ma sapeva non
l'avrebbe accettata; inoltre, inimicarsi il proprio mentore la prima
notte di lavoro non era propriamente un buon modo di cominciare.
<<
Sì, è così >> ammise a
denti stretti,
preferendo osservare i confini da sorvegliare.
Bemli si era stupito della
facilità con cui aveva posto
la domanda, concludendo che oramai era troppo anziano per arrabbiarsi
o prendersela col ragazzo, unica vittima della situazione; pertanto,
sorprendendosi nuovamente, lasciò la sua postazione per
avvicinarsi
al tondo braciere di rame che li divideva. Tolse gli spessi guanti di
cuoio nero e sfregò le mani tra loro, non preoccupandosi del
colorito violaceo e dell'intirizzimento che le permeava; pose i palmi
ad una lunghezza ragionevole dalle fiamme, beandosi del calore delle
fiamme guizzanti e aranciate.
A dispetto della vergogna e
dell'imbarazzo, Tosur ne
seguì l'esempio facendosi scappare un lieve gemito appagato.
<<
Per tutti questi anni ho lasciato prevalere il senso del dovere, non
curandomi di essere costantemente affiancato da persone.
Buona
parte di colpa è soprattutto mia >>
esordì Bemli, spezzando
il silenzio << Non sono il mannaro feroce che credono e
di cui
ti hanno parlato: sei stato gabbato, giovanotto. Mi dispiace
>>
concluse, con un sorrisetto che la diceva lunga sul rammarico
provato.
<< Siamo stati
imbrogliati entrambi >>
concesse il ragazzo, con una scrollata di spalle << Anche
voi
non avete mai provveduto a parlare con le nuove vedette: forse le
avreste trovate piacevoli >>.
L'osservò
attentamente, e parve notare solo in quel
momento quanto le rughe sul suo volto fossero profonde; sembravano
scavare la pelle, grazie alla luce tremula del fuoco. Ancora, si
domandò se lui sarebbe stato in grado di perseverare nel suo
compito
così a lungo, e provò la medesima deferenza dei
giorni precedenti.
<<
Probabilmente. Ed è un vero peccato, se molti
di loro erano come te >> si permise di sorridergli
sinceramente, cogliendone la profonda confusione << Sei
un
bravo ragazzo, Tosur. Sarai una buona sentinella >>.
Il cuore del giovane nano
sobbalzò e si riempì di
gratitudine; buffo come sole poche frasi avessero sciolto la corazza
rigida del mentore! Però si sentì in dovere di
schernirsi,
seppellendo il piacevole sentimento d'orgoglio che pompava furioso in
egual misura al sangue.
<< Non penso
d'essere molto qualificato per questo
lavoro. Non vedo l'ora di rientrare e bere qualcosa di caldo!
>>
ammise, grattandosi il naso.
<< E' una
questione d'allenamento, tutto qui >>
disse, agitando una mano << Sapevi a ciò che
andavi incontro
quando l'hai scelto; presumo che nessuno ti abbia costretto
>>.
<< Nossignore.
Era la mia aspirazione fin da
bambino >>.
<< E il fatto di
possedere una buona vista ha
contribuito >>.
<<
Sì, signore >> fece un rigido cenno col
capo, esponendo nuovamente i palmi alle fiamme.
<< Sono
requisiti fondamentali, per una
sentinella. Non è un mestiere da prendere sottogamba; il
regno e
persino Sua Maestà ci sono molto riconoscenti
>>.
<< Sua
Maestà >> borbottò Tosur,
incupendosi << Al sicuro tra il tepore delle lenzuola
mentre
noi siamo qui fuori a tremare >>.
Il vecchio Bemli gli
scoccò un'occhiata di
disapprovazione, sentendo una sorda collera premere all'altezza dello
stomaco << Dorme sonni tranquilli perché sa
che noi osserviamo
e vegliamo >> sbottò seccamente, senza curarsi
di mandare in
malora ogni buonsenso << Fai parte di quel gruppo che
critica
il suo operato e la sua reggenza? >>.
Gli occhi del ragazzo
sfrecciarono allarmati attraverso
l'oscurità, alla ricerca di ombre o movimenti estranei: per
un
attimo gli parve che una tremolasse minacciosa, ergendosi alta e
imponente al di sopra delle altre, simile a una grande mano pronta ad
afferrarli e stringerli con lunghe dita sottili ma letali. Con un
brivido gelido che gli attraversò la schiena già
congelata, però,
constatò che non vi era nessun altro oltre loro due,
là. E sospirò
piano, sollevato.
Mantenendosi comunque cauto
capì che doveva porre
rimedio alla fese detta, sapendo d'essere stato frainteso
<<
Certo che no: apprezzo ciò che sta facendo per il regno e il
popolo.
Non volevo giudicare negativamente >>
sussurrò, voltando il
capo da una parte all'altra, nervoso.
Bemli rasserenò lo
sguardo, alzando le sopracciglia <<
Non c'è motivo di allarmarsi, giovanotto. Le guardie non
entreranno
da quella porticina con l'intento di prelevarti per rinchiuderti
nelle segrete; il tempo di quei gesti si è concluso secoli
fa >>.
Tosur
si morse l'interno guancia, non riuscendo a controllare le parole che
pronunciò immediatamente dopo con voce piatta e bassa
<< Non
sono loro
a preoccuparmi >>.
L'anziano nano si
adombrò, annuendo solamente. Era
stato sciocco da parte sua iniziare impulsivamente quel discorso, se
ne rendeva pienamente conto solo in quel momento. Se Tosur gli avesse
detto che, in realtà, faceva proprio parte dei contestatori,
si
sarebbe cacciato in un grosso guaio. Era da escludere che gli avesse
mentito: il modo in cui si era guardato attorno – spaventato
e
terrorizzato – l'aveva convinto della sua buona fede e, di
nuovo,
fu costretto ad ammettere che era sveglio e accorto, molto
più di
lui.
Si spostò dal
braciere, prendendo una torcia e
accendendola; camminò furtivo verso la porta di ferro
tenendo salda
la lancia tra le mani, sentendo un serpente di paura attorcigliargli
il cuore. Appoggiò l'orecchio alla ricerca di rumori
insoliti come
passi o respiri pesanti, ma non udì nulla; strinse la
maniglia e, di
scatto, abbassò e spinse aprendola con foga.
Illuminò meglio lo
stretto corridoio di pietra, osservando le crepe che percorrevano i
muri come se potessero fornirgli indicazioni rivelandogli se qualcuno
si era appostato a spiarli: ma nulla mostrò un passaggio
umano a
parte il loro, e ciò lo confortò lievemente.
Richiuse
la porta con un sospiro, e si sfregò stancamente la fronte;
ecco, forse era questo
il
motivo principale per cui non aveva mai dato confidenza ai novellini
presentatigli nell'ultimo anno. Il silenzioso sospetto
che aleggiava nel regno non giovava a nessuno di loro popolani, a
conti fatti: troppo presi dalla diffidenza evitavano di parlare
apertamente di certi argomenti, sentendosi al sicuro tra le mura
domestiche dove potevano permettersi il lusso di conversare anche in
piccoli gruppetti. Gli unici che traevano beneficio da quel timore
erano
le alte cariche, la maggior parte delle quali tramavano anche senza
troppi accorgimenti alle spalle del sovrano; non erano un mistero le
discussioni nella Sala del Consiglio, così come erano
risapute le ormai rade
e misteriose sparizioni di nani che avevano osato contestarli
apertamente. Sua Maestà aveva aperto immediatamente delle
indagini
ma le guardie reali non avevano scoperto nulla, e quelle sotto il
comando dei consiglieri – le responsabili di tali atti
– non
avevano collaborato. Era da loro che bisognava guardarsi
costantemente le spalle.
Sentendosi tremendamente
stanco e vecchio sospirò
nuovamente, rialzando lo sguardo da terra e facendolo vagare
sull'orizzonte, verso ovest: e fu allora che lo vide.
Non badò
all'occhiata perplessa di Tosur, procedendo
spedito verso il parapetto naturale della montagna; appoggiò
le mani
guantate sulla roccia, assottigliando lo sguardo nella notte.
Sentì
il suono di passi pesanti, e la figura più alta ma meno
massiccia
del ragazzo gli si affiancò. Lo udì trattenere il
fiato, e la
consapevolezza prese lentamente forma in lui: quei lontani e quasi
indistinti bagliori di fiamma che si scorgevano non presagivano nulla
di buono.
<<
Laggiù... c'è il Monte Gundabad, non è
vero
Bemli? >> gli domandò con paura sempre
più crescente.
Il
nano sentì la gola inaridirsi, e non badò alle
ventate sferzanti e
gelide; volse brevemente gli occhi da sentinella alla volta celeste
colma di stelle pallide, posandoli poi lungo la catena delle Montagne
di Angmar. Cercò di perforarle per arrivare al di
là, dove sapeva
esserci
la fonte di tale paura e sgomento.
<<
Esatto, ragazzo >> si ritrovò a sussurrare,
domandandosi
quando
avesse
concesso il permesso alle parole di fuoriuscire dalle labbra;
tremò,
ma non tanto per il freddo, e Tosur se ne accorse.
Fu solo capace di guardarlo
con occhi sgranati e colmi
di una verità che non voleva essere confermata.
Non disse nulla,
perciò l'arduo compito di tramutare i
pensieri in parole costernate toccò al vecchio
<< Quelle luci
non provengono dal Monte, ma dal di là: dalla Piana
>>.
Una folata a dir poco potente
sembrò accompagnare la
sua frase, gelida come la voce di Bemli; le fiamme delle torce si
spensero quasi all'unisono, rimase solo quella tremolante del grande
braciere. Nessuno dei due si voltò, poiché
trattenuti da una forza
invisibile verso occidente, ad osservare quell'orrore. I loro cuori
parvero battere in sintonia, aumentando i colpi potenti come martelli
su un'incudine con una velocità spaventosa.
Era da sciocchi illudersi
inutilmente: chiunque si
stesse preparando ad una marcia dalla Piana di Angmar costituiva un
serio e reale pericolo, in qualunque luogo si dirigesse.
Negli
anni, Bemli aveva pensato spesso alla fortuna di non aver mai provato
sulla pelle il significato del termine “attacco”,
e non avrebbe mai immaginato di doversi rimangiare tutto proprio
adesso, quando ormai la vecchiaia era già avanzata e il suo
tempo
stava per volgere al termine.
Rammentava bene l'anno
precedente, quando i fuochi
nemmeno troppo lontani a sud l'avevano fatto tremare e, d'altra
parte, confortare per non essere presente al massacro.
<< Non
è detto vengano verso di noi. Potrebbero
incamminarsi dalla parte opposta >> sussurrò
lentamente.
Tosur
si risvegliò dall'intontimento, notando il volto teso e
preoccupato
quanto il suo a dispetto della debole rassicurazione <<
Siamo
in tempo di pace >> ricordò, con un brivido
<< Però un
numero elevato
di torce può significare solo una cosa >>
concluse, la voce
strozzata.
<< Mi rammarica
concordare. Ciò che proviene da
quel luogo è maledetto e porta con sé solo morte
e distruzione >>.
Tosur deglutì a
vuoto, la lingua sembrava esserglisi
annodata << Cosa suggerisce, dunque? >>.
Bemli non ebbe bisogno di
pensarci: strinse solo i palmi
ora fin troppo sudati << Corri nella montagna, e avverti
il
Capitano delle Guardie di Sua Maestà >>.
CAPITOLO UNO
Il nano richiuse la pesante
porta di quercia decorata
con intarsi dorati con un tonfo sordo, e poggiò la torcia
accesa sul
sostegno di ferro attaccato alla roccia liscia.
Fu con immensa
difficoltà che si voltò e posò gli
occhi azzurri al centro della camera in penombra; prese un profondo
respiro tenendo le labbra serrate e, quasi per farsi coraggio,
portò
le braccia dietro l'ampia schiena. Mosse un primo passo lento e
restio, poi un altro, e un altro ancora, non potendo immaginare la
spontaneità meccanica con cui gli arti avevano eseguito
quell'ordine
impartito dal cervello.
Infine si fermò,
espirando pesantemente a bocca
socchiusa; uno sbuffo di fiato si disperse nell'aria, data la poca
temperatura presente. Quella zona era sempre stata piuttosto fredda
nonostante si trovasse in profondità, lo ricordava bene: le
poche
volte in cui vi era stato da ragazzo gli ritornarono nitide nella
mente.
All'epoca,
però, non avrebbe mai immaginato di provare una tale angoscia,
una
tale sofferenza,
come
accadeva da un anno a quella parte.
Posò la mano destra
sulla lastra di marmo freddo,
percorrendone la superficie con i polpastrelli finché non
raggiunse
le incisioni; anche l'altra mano si mosse a sfiorare una lastra
marmorea praticamente identica e a nemmeno un metro dalla prima,
compiendo gli stessi gesti nell'accarezzare quei segni dolorosamente
famigliari.
Gli
sfuggì un sospiro depresso, mentre il dolore minacciava di
invaderlo. Chiuse gli occhi con forza, ma le tanto odiate e note
immagini che vide lo afferrarono e trascinarono con violenza,
tentando di ghermirlo. Chinò il capo, le mani tremanti a
premere sul
piano in un inutile tentativo di poter ancora toccare,
e
abbracciare,
coloro
che riposavano all'interno di quelle tombe bianche.
Nulla sembrava più
avere un senso: né il suo ritrovato
regno, benché meno l'esserne il sovrano. Anzi, ora quel
ruolo gli
risultava anche troppo stretto, come un cappio attorno al collo; lo
soffocava, gli schiacciava il petto con una potenza inaudita al pari
delle grosse manacce fetide dei tre Troll, o delle fauci possenti del
bianco mannaro.
Il
pensiero di saperli morti per difenderlo,
poi, acuiva il suo stato d'animo. Ricordava indistintamente gli
ultimi atti della battaglia, così come i suoni che gli
avevano
riempito le orecchie facendole ronzare persino una volta che si era
svegliato. Eppure... eppure... immagini sfocate di stoffe turbinati,
lacere e sporche di sangue, premevano per uscire dalla voragine in
cui le aveva rinchiuse; bagliori di spada e suoni sibilanti di frecce
le accompagnavano, in un gioco mortale e perverso che l'avrebbe
condotto alla pazzia.
Ogni giorno si domandava
perché avesse permesso la loro
presenza nella Compagnia. Sua sorella era stata perentoria, e il suo
iniziale rifiuto ora gli risuonava troppo spesso come una dolorosa
ammissione di colpevolezza, una maledizione che difficilmente
l'avrebbe risparmiato.
Rammentava
bene i loro volti eccitati al pensiero della Riconquista di quel
regno che mai avevano avuto occasione di vedere, di quella casa
che
mai avevano sentito tale. Ripensandoci, non sarebbe stato in grado di
rifiutare il loro entusiasmo e la loro grande volontà. E
anche Dìs
l'aveva capito: per questo aveva acconsentito dopo innumerevoli
raccomandazioni e ammonizioni, facendogli promettere di prendersi
cura di loro come aveva fatto in tutti quegli anni da quando il
marito era morto.
Il giorno della Battaglia dei
Cinque Eserciti aveva
infranto quel giuramento.
Erano
stati loro a difenderlo, fino alla fine. Non lui.
Troppo impegnato
nella sua personale missione di vendetta, talmente cieco
da non accorgersi di altri nemici al di là del
più potente,
immensamente ottuso
per capire ciò che i suoi nipoti stavano sacrificando.
Era a causa sua se quelle due
giovani vite si erano
spezzate per sempre. Il rimorso non l'abbandonava mai, rendendogli
insopportabile ogni dannatissimo momento da quando era accaduta la
tragedia.
L'andare
nelle cripte ogni qual volta poteva era una sorta di punizione, un
tentativo alquanto misero di espiare i propri orrendi peccati: ma
tutto rimaneva statico, nulla mutava ogni qual volta tornava in
superficie. Ogni qual volta tornava alla vita.
Vita. Una parola ormai quasi
priva del suo significato.
La trovava tremendamente ingiusta, specie nei suoi riguardi: avrebbe
scambiato ogni singola moneta d'oro della Stanza del Tesoro per
tornare indietro nel tempo e salvarli entrambi.
Ma non sarebbe stato
possibile, né vi sarebbe stata
salvezza, per lui. La sua anima era marcia, sudicia del sangue dei
suoi nipoti: a volte, gli pareva di scorgere del liquido rosso cupo
sui palmi delle mani, e udiva il fastidiosissimo suono di piccole
gocce che si infrangevano sul pavimento di pietra.
Gli pareva di udirle anche in
quel momento.
Un rumore alle sue spalle lo
riscosse e, rapido, mosse
la testa verso l'entrata riconoscendo la figura della sorella, ancora
con le mani appoggiate al legno. Dìs si mosse piano,
respirando
l'aria umida e solenne della stanza, e gli si avvicinò;
lanciò una
rapida occhiata alle rune, distogliendo lo sguardo per timore di
venir sopraffatta dal tormento e dalle lacrime che le pungevano
già
gli angoli degli occhi.
Le dita della mano destra si
posarono su un braccio del
fratello, stringendo di poco la stoffa della camicia blu; a fatica,
Thorin staccò la sua dalla tomba di Kili, accarezzandogliela
in un
muto ringraziamento per il gesto: una mano tesa che l'avrebbe
riportato alla luce, un prezioso aiuto per allontanare la follia. Un
atto di solidarietà fraterna, e di chi aveva perso persone
fin
troppo importanti.
Dìs
l'osservò, notando quanto fosse invecchiato in poco
più di un anno:
i capelli grigi sembravano aumentati tra quelli neri, nuove e
profonde rughe scavavano il suo volto dai tratti induriti e stanchi;
gli occhi azzurri, un tempo ardenti di un orgoglio senza pari, erano
spenti e vuoti, oltre che sofferenti. Il portamento autorevole e
retto si era leggermente incurvato, come se un enorme peso invisibile
fosse sceso sulle spalle forti ed esse non fossero più in
grado di
sostenerlo. Le si strinse il cuore, non lo negò: da un lato
avrebbe
desiderato abbracciarlo e consolarlo finché non avesse
versato
anch'ella tutte le sue lacrime, ma dall'altro avrebbe voluto
scuoterlo, chiedergli di riprendersi e pensare a lei
che aveva perduto due figli,
non due nipoti. Il sangue del suo sangue. La carne della sua carne.
Li aveva protetti e nutriti per nove lunghi mesi, amandoli
visceralmente come solo una madre poteva amare, volendo donare tutta
se stessa per loro. Volendo sbucciarsi le ginocchia o i gomiti al
loro posto, come quando erano piccoli e le correvano incontro
singhiozzanti e sanguinanti. Volendo cullarli per tranquillizzarli
quando gli incubi li tormentavano non facendoli dormire. Volendo
addossarsi tutti i problemi e le responsabilità che la
crescita
comportava. Volendo offrirsi per quell'impresa gloriosa ma pericolosa
che li avrebbe allontanati da lei, e condotti bruscamente alla
mercé
di bestie immonde e luoghi insidiosi. Volendo morire,
per loro.
Deglutì e strinse
le labbra, ricordando il motivo del
suo viaggio tortuoso nelle viscere della Montagna Solitaria;
cercò
parole adatte con cui iniziare una qualche frase, riuscendo a parlare
seppur con tono roco.
<< Sei atteso
nella Sala del Consiglio, fratello.
Pare sia giunta una lettera di nostro cugino >>.
Non le rispose, limitandosi a
fissare con sguardo vacuo
i nomi di Fili e Kili; avrebbe voluto cadere in un oblio nero e
denso, ma la mente iniziò a lavorare e a chiedersi il motivo
di
quella missiva inaspettata, creando possibili congetture che
attendevano solo di essere smentite o confermate.
<< Thorin?
>>.
La voce bassa di
Dìs lo raggiunse, e respirò
pesantemente << Immagino tu non ne conosca il contenuto
>>.
Sua sorella scosse la testa
<< Ti attendevano >>.
<< Bene
>>.
Si scansò rudemente
dal suo lieve tocco, avanzando
spedito verso la torcia ancora accesa; l'afferrò, stringendo
convulsamente il legno tra le dita, e attese che Dìs lo
raggiungesse
per uscire. Ma lei non si mosse, donando un lungo sguardo a
ciò che
rimaneva dei suoi ragazzi: una semplice lastra bianca, e delle misere
rune incise.
<< Un genitore
non dovrebbe mai seppellire i
propri figli. Avrei voluto vederli invecchiare, almeno
finché non
avessi lasciato questo mondo >> sussurrò,
sapendo d'essere
stata udita.
Thorin
alzò lo sguardo da terra e lo posò sulla sua
schiena, vestita con
un abito nero a ricami geometrici argentati; i capelli erano
intrecciati e raccolti sulla nuca in segno di vedovanza, e mostravano
il collo sottile e bianco. Osservandola meglio, notò quanto
fosse
dimagrita: si chiese quando
fosse
accaduto, e se fosse stato ancora così cieco da non
accorgersene.
Evidentemente sì, dato che l'aveva appena appurato.
Un
vago sentore di rabbia,
il
primo da innumerevoli mesi, sembrò sprigionare una debole
scintilla
nel suo petto; non poteva rischiare di perdere anche lei, non
l'avrebbe sopportato.
L'affiancò,
circondandole le spalle con il braccio
libero; dopo qualche iniziale titubanza, Dìs gli
poggiò il capo
sulla spalla e si lasciò sfuggire il medesimo sospiro - che
molto
aveva in comune con un singhiozzo - che l'aveva scosso non appena era
entrato.
Rimasero così,
abbracciati, cercando conforto
nell'altro finché la frase del Re di Erebor non
riempì il silenzio.
<< Darei tutto
ciò che ho dolorosamente
conquistato per poter prendere il loro posto >>
confessò,
attirandola inconsciamente a sé.
Dìs
sentì qualcosa incrinarsi all'altezza del cuore e, in
risposta,
portò una mano al petto del fratello << Sai
che non lo
permetterei >> disse, rimproverandolo <<
Avrei preferito
avervi tutti e tre con me, però non possiamo cambiare
ciò che è
stato. Tu sei rimasto per governarci, Thorin. Devi tornare quello che
eri, e fare in modo che il sacrificio dei tuoi nipoti non sia stato
vano. La tua gente ha bisogno di te. Io
ho
bisogno di te, della tua forza e determinazione, del tuo intrepido
coraggio e fiero orgoglio >>.
Si guardarono, scavando a
fondo negli sguardi dell'altro
fino a raggiungere l'anima, dicendosi parole che non sarebbero
riusciti a pronunciare ma che aleggiarono e si depositarono sui loro
cuori. Dìs aveva ragione: si stava lasciando andare, aveva
perso la
sua vitalità. Ciò che lo fece ripugnare di
sé fu la dolorosa
constatazione che non la stava consolando come meritava né
che, per
quanto disperato, non sarebbe riuscito a riportarli in vita. Nulla di
tutto quello che stava patendo li avrebbe risvegliati; eppure, non
poteva fare a meno di autocommiserarsi, ripensando mille e
più volte
alle colpe che l'affliggevano.
<< Mi dispiace
>> mormorò, non riuscendo a
sostenere il suo sguardo << Ora mi risulta difficile
lasciarli
andare >>.
La
principessa gli lanciò un'occhiata truce, notando il suo
rifuggirle
<< Avresti dovuto pensarci prima,
ti pare? >> sibilò, malevola: si rese conto
troppo tardi del
significato della frase, e si rimproverò duramente; d'altra
parte,
però, si rese conto d'aver aspettato anche troppo tempo per
esternare i suoi reali
pensieri.
Ricevette attenzione, e un
paio di occhi chiari si
posarono sconcertati sul suo volto. Non attese altro, continuando
quell'imprevedibile sfogo.
<<
Ti avevo chiesto di non portarli con te, ti avevo pregato...
>>.
<< E' stata una
loro scelta >> l'interruppe,
brusco << Erano adulti, sapevano a cosa andavano
incontro...
>>.
<<
Erano solo dei ragazzi,
Thorin, partiti per seguire te!
>> il tono si alzò notevolmente, le guance si
imporporarono <<
A loro non importava nulla di Erebor, o del drago che custodiva un
inutile
tesoro!
>> inspirò violentemente, ma il tremore non
cessò; tacque per
brevi secondi e lo sguardo volò a terra, rialzandolo poi
lucido di
lacrime << Mi hai portato via i miei figli, per sempre. E
ora
sei qui a
compiangerti,
non adempiendo ai tuoi obblighi! Da quando permetti un tale
comportamento? >> scattò, furiosa.
Thorin schiuse le labbra e
aggrottò maggiormente la
fronte, attonito. Non disse nulla, e Dìs
abbandonò qualsiasi
razionalità: lo afferrò per le spalle,
scuotendolo così come era
scossa la sua anima; desiderava reagisse in qualche modo, perlomeno.
<<
Perché ti ostini a non voler vivere? Loro non
torneranno indietro, lo sai! >>.
Thorin scattò
veloce e le artigliò i polsi in una
morsa, gli occhi azzurri scintillanti: di rabbia o tristezza, non
avrebbe saputo dire.
Nel
frattempo, quelli di Dìs si riempirono di lacrime: prima che
potesse
anche solo tentare
di contrastarle, brucianti lacrime scesero sulle gote, e piccoli
singhiozzi scossero quel corpo un tempo florido.
<<
Così giovani...
così... >> non riuscì a completare
la frase, assoggettata dal
dolore che rischiava di farla precipitare nella stessa pazzia del
fratello. Ma, di nuovo, una forza inaspettata eruppe nel petto
facendole assottigliare lo sguardo, ora brillante di una luce
pericolosa.
<<
Sei stato tu
ad
ucciderli >> sibilò, pur pentendosene nel
profondo <<
Meriti di vivere nel rimorso, fratello, e meriterai qualsiasi
punizione vorranno infliggerti i Valar >> era spossata,
però
le braccia spinsero rudemente un silenzioso e sconcertato Thorin che
le teneva ancora fermi i polsi in una stretta via via sempre
più
flebile.
Ormai
fuori di sé, pronunciò quella frase dal sapore di
una condanna <<
Potrà perdonarti l'intera Terra di Mezzo. Potrai perfino
perdonarti
e trovare una sorta di felicità. Ma io
non
ti perdonerò mai
>>.
Sentì di soffocare
in quella cripta spaziosa e aerata;
il fiato le mancò improvvisamente, così come il
coraggio e la
disperazione con cui si era accanita. Rimase solo il tremore e
l'accompagnò un dispiacere tale da renderle opprimente la
vista del
corpo e dei tratti granitici del fratello. Come prima non disse nulla
né reagì, accrescendole l'impotenza e l'ira.
Doveva uscire, o le
sue azioni sarebbero state imperdonabili; si sciolse facilmente dalla
stretta e gli diede le spalle correndo fuori, tanto era il tumulto
interiore del cuore.
Il
re rimase solo coi fantasmi, udendo le frasi piene di dolore della
sorella come se gliele stesse urlando nuovamente. Non la biasimava.
Non poteva. Sapeva perfettamente che aveva ragione, e il senso di
colpa tornò più vivido che mai rendendogli
insostenibile qualsiasi
pensiero e la solitudine della sua anima. Strinse le mascelle e,
rabbioso, scagliò un pugno al muro scorticandosi le nocche;
un
fastidioso bruciore lo raggiunse ma era lontano, troppo
lontano dal mare d'ira in cui nuotava. Guardò distrattamente
le
piccole bolle di sangue sulla pelle, espirando rumorosamente dal
naso. Se ne andò, irrequieto, tornando in quel mondo di vivi
che
prima aveva tanto disprezzato: forse, stavolta, l'avrebbe accolto
quasi come una benedizione.
<< Dunque? A
cosa devo questa convocazione? >>
esordì burbero, sedendosi pesantemente sulla sedia del re.
Balin, alla sua destra,
estrasse da una tasca della
casacca un foglio ripiegato, porgendoglielo << E' giunta
una
lettera dai Colli Ferrosi, e il messo ha insistito perché ti
fosse
consegnata personalmente. Nessun altro avrebbe dovuto leggerla
eccetto te >>.
Thorin non
commentò, accigliandosi solamente per il
modo segreto con cui gli era stata inviata, e l'aprì con
movimenti
secchi e decisi; riconobbe la calligrafia arzigogolata e decisa del
cugino e, man mano che procedeva nella lettura, aggrottò le
sopracciglia fino a trasformarle in un'unica linea scura. I
consiglieri si guardarono tra loro, attendendo con impazienza di
conoscere il motivo di tanto turbamento; Dwalin, con le braccia
strette al petto, esternò i pensieri comuni.
<< Ebbene? Di
che parla? >> chiese, senza
neppure dargli il tempo di terminare la lettura.
Thorin non gli rispose,
arrivando finalmente alla firma
e al sigillo regale di Dain. Ancora stupefatto gliela tese, senza
parlare. Lo osservò scorrere silenziosamente le righe ed
assumere lo
stesso cipiglio che gli aveva percorso i tratti, per poi esternare il
suo pensiero tramite un verso incredulo.
<< Allora?
>> chiese Balin, innervosendosi.
<< Leggi tu
stesso >> borbottò il fratello.
Balin gli lanciò
un'occhiata in tralice e prese le
lenti: come gli altri arrivò alla conclusione, sbalordito
quanto
loro.
<< Per Mahal
>> borbottò.
<< Saremmo
curiosi anche noi, sapete >> si
intromise Bofur, alzando eloquente le sopracciglia scure.
Thorin si appoggiò
meglio allo schienale dell'alta
seggiola in attesa che il suo amico più fidato parlasse.
<< Questa
lettera giunge dai Colli: ci informano
che una colonna di orchi si sta muovendo a ovest e che, molto
probabilmente, si sta dirigendo qui >>.
Il silenzio scese sui
rimanenti membri della Compagnia,
e si osservarono preoccupati.
<< Non hanno
ancora imparato la lezione? >>
domandò sarcastico Oin, sistemandosi il corno acustico
accanto
all'orecchio.
<< A quanto pare
no >> commentò Thorin,
incrociando le dita sotto il mento << Ma c'è
dell'altro >>.
<< Che
può esserci? >> chiese petulante
Dori, scuotendo la testa.
<< Pare che in
tutti questi anni ci sia sfuggito
un Regno >>.
<< Sfuggito?
>> ripeté Nori << In che
senso? >>.
Balin sospirò
<< Avete mai sentito parlare del
Regno degli Ered Mithrin? >>.
<<
No, perché non c'è niente,
tra quelle montagne >>.
<< Qui ti
sbagli, Gloin. Dain ce l'ha confermato
proprio qui >> il vecchio nano picchiettò
sulla lettera ancora
spiegata << La richiesta d'aiuto non proviene dai Colli
Ferrosi, ma dagli Ered Mithrin: le loro sentinelle hanno notato
bagliori sospetti durante le scorse notti di pattuglia, e temono si
tratti di quei mostri; chiedono rinforzi in vista di una possibile
battaglia... >>.
<< Aspetta un
attimo >> si intromise Bofur,
con un cipiglio serio mai visto sul volto << Siamo sicuri
non
sia una frottola? Voglio dire... abbiamo sempre saputo che le
Montagne Grigie erano disabitate! >>.
<< Dubiti delle
parole di un Durin? >>
chiese Dwalin, stringendo battagliero un pugno.
Il giocattolaio scosse
frettolosamente la testa, e
Thorin decise di intervenire << Lascialo parlare. Le sue
domande sono lecite >>.
L'amico sbuffò
sprezzante, ascoltando la questione
successiva.
<<
Perché la lettera non è giunta dai diretti
interessati? >>.
<< Questo non lo
sappiamo, ma Dain scrive che non
può accorrere in loro aiuto, perciò l'ha inviata
a noi >>
rispose Balin, scoccando un'occhiataccia al fratello che aveva
roteato gli occhi al cielo, già impaziente e pronto per la
guerra.
<< Quanto tempo
ci rimane prima dell'invasione?
>>.
<< Il messaggero
è giunto stamattina partendo tre
giorni addietro dai Colli Ferrosi, mentre gli Ered avevano inviato un
corvo imperiale un paio di giorni prima >>.
<< Cinque giorni
>> borbottò Gloin,
lisciandosi la barba fulva << Possono essere
un'enormità >>.
<< Ammesso
partissimo domani, servirebbero altri
due giorni di marcia >> rincarò Bombur,
pensoso come mai gli
era capitato << Potremmo non arrivare in tempo
>>.
Molti annuirono d'accordo, e
numerosi borbottii invasero
la stanza finché non vennero quietati da una vocetta acuta.
<< Ma non sono
arrivati altri messaggi >>
obiettò Ori, parlando per la prima volta <<
Gli orchi – se
di loro si trattava – potrebbero aver preso un'altra strada
addentrandosi nel Reame di Angmar >>.
<<
Tu credi sia andata così? >> chiese Dwalin,
ben scettico <<
Abbiamo sbaragliato il loro esercito, ucciso il loro condottiero
più
feroce e ripresi il nostro regno. Sveglia, Ori: quelli
vengono per noi >>.
Il giovane scrivano
balbettò qualcosa e gli si
imporporarono le guance, facendo sì che Nori prendesse le
difese del
fratello minore << Stiamo valutando ogni
possibilità >>
disse calmo, benché gli occhi mandassero lampi di rimprovero
<<
Anche quelle che paiono meno probabili >>.
<<
Questa è
improbabile!
>> esclamò il guerriero << La
piana ai piedi delle
Montagne di Angmar è infestata solo da quelle odiose
creature; non
procederanno verso ovest perché là non vi
è nulla per cui valga la
pena di combattere. Come è certo che il sole spunta a est
avanzano
contro di noi, probabilmente per vendetta >>.
<< Poco
più di un anno è un tempo assai lungo
per meditare una rivincita >> borbottò Dori,
scuro in volto.
Dwalin sbuffò
<< Forse si sono riorganizzati
trovando un nuovo capo >> rispose, sarcastico
<< Non so
voi, ma non intendo scoprirlo quando ce li troveremo alle pendici
della Montagna. Prima partiamo e meglio è >>.
<< Concordo
>> disse Balin, annuendo <<
Se riusciremo a fermarli agli Ered Mithrin non tenteranno un'avanzata
e comprenderanno che i Nani sono ancora un popolo vigoroso che si
protegge a vicenda >> passò in rassegna i
volti dei compagni e
amici, fermandosi infine su quello cupo di Thorin <<
Dobbiamo
prendere una decisione, ragazzo, e in fretta. Il destino di un popolo
è appeso a un filo troppo sottile per attendere oltre
>>.
Undici teste si voltarono
verso il re, seduto a
capotavola; si massaggiò le tempie col pollice e l'indice,
cercando
una soluzione al dilemma che lo dilaniava: l'onore e la vendetta lo
stavano contendendo brutalmente, spaccandogli il cranio in mille
pezzi. Per quanto pensasse, però, rimaneva solo una
soluzione.
<< Erebor
risponderà >> decretò, con voce
vibrante e occhi scuri di rabbia << Rispediremo quel
lerciume
nel buco da cui è fuoriuscito >>.
Nonostante
la contentezza, i cuori si appesantirono al vivido ricordo dei
giovani eredi al trono morti in battaglia proprio a causa dello
stesso nemico e, a fatica, non posarono lo sguardo sulle due sedie
vuote all'altro capo del lungo tavolo di legno; Thorin, invece,
assecondò quell'impulso sentendo un desiderio di morte
e
sangue
premere sullo stomaco e propagarsi in ogni dove, tanto potente da
fargli stringere spasmodicamente le mani, nascoste a occhi
indiscreti.
<< Balin,
avrò bisogno della tua presenza qui:
Dìs non riuscirà a governare da sola. Dwalin,
avverti i soldati: li
voglio pronti entro domani mattina, anche se un contingente
rimarrà
a protezione del popolo e in caso di pericolo; decidi tu chi
partirà
o meno. Dori, Nori, Ori voi... occupatevi delle cavalcature: voglio i
pony più freschi e veloci per ogni membro di questo
Consiglio. Oin,
Gloin, procuratevi delle mappe del territorio. Bifur, Bofur e Bombur:
provvedete alle provviste e agli utensili per il viaggio: fatevi
aiutare da altri nani ad impacchettarle con cura. Alle prime luci
dell'alba vi voglio pronti a partire, o verrete lasciati indietro
>>.
Thorin era nel suo studio,
concentrato nello sfogliare
alcune vecchie carte e lettere del cugino o del precedente Signore
dei Colli Ferrosi alla ricerca di un qualche indizio su quel regno
misterioso e improvvisamente comparso dal nulla; ancora stentava a
credere alle parole vergare con l'inchiostro nero che l'informavano
di questa fantomatica richiesta d'aiuto.
Sbuffò quando
posò anche l'ultimo foglio; non vi era
alcuna informazione o menzione agli Ered Mithrin, ed era impensabile
prolungare la marcia fino ai Colli Ferrosi per richiedere una
spiegazione soddisfacente: perciò l'avrebbe ottenuta
direttamente
dal re del regno.
Incapace di star seduto a
lungo si alzò, percorrendo
con passi lunghi e pesanti l'intera stanza, le mani costantemente
dietro la schiena. Fu così che lo trovò Rella:
perso in complicati
e tortuosi pensieri a cui se n'erano aggiunti altri.
Aprì la porta
– lasciata socchiusa – facendola
cigolare un poco, e Thorin si fermò spostando il capo nella
sua
direzione; la fronte si spianò leggermente, ed un angolo
della bocca
si piegò di poco verso l'alto in un debole sorriso.
<< E' tardi, non
dovreste essere ancora alzata >>.
Rella gli si
avvicinò, posandogli una mano
sull'avambraccio << So perfettamente quando è
tempo di
ritirarmi. Tu, piuttosto, dovresti dormire >>.
<< Non vi riesco
>> mormorò, osservando il
gioco di luce e ombra sul volto della nana; le prese una mano tra le
sue, sospirando affranto senza vergogna: chi meglio di lei poteva
conoscerlo e comprenderlo?
<< Ho saputo
della lettera di Dain >> disse,
optando per tergiversare l'argomento di cui inizialmente voleva
parlare << Raccontami tutto >>.
Thorin l'accompagnò
alla poltrona accanto al focolare
acceso, e prese la sedia sulla quale si era seduto; si perse a
contemplare la mensola sulla quale stavano i suoi effetti personali
insieme a vecchi ricordi d'infanzia, e decise di raccontarle del
popolo degli Ered Mithrin.
<< Ne eravate a
conoscenza? >> domandò, una
volta che ebbe terminato.
Rella era semplicemente
sbalordita, ma lo nascose molto
bene sotto la solita maschera di compostezza che la
contraddistingueva << No. Certo che no. Se
così fosse stato te
ne avrei parlato immediatamente. Ciò che mi affligge
maggiormente,
però, è questo nuovo scontro imminente...
>>.
<< Ho deciso di
aiutare questo sovrano volendo
combattere nel suo regno piuttosto che qui, appunto per tenervi al
sicuro. Non dovete preoccuparvi >> assicurò,
stringendole le
dita con affetto.
La
nana scosse piano la testa, restituendogli la stretta <<
Non mi
preoccupo certo per me >> ribatté, severa
<< Sono
preoccupata per te
>>.
<< Non dovete
>> ribadì.
<< Non posso
perdere anche te, Thorin >>.
<< Madre...
>> tentò, ma lei lo interruppe.
<< No,
ascoltami. Sono contenta ti sia lanciato in
questa nuova impresa, benché pericolosa; ma, figlio mio, ho
paura
che la tua ira possa trascinarti in luoghi bui da cui non potrai
fuggire >>.
Nuove rughe si formarono sulla
fronte del nano e, senza
volerlo, si trovò a socchiudere minacciosamente le palpebre
<<
Più oscuri di quelli che sto percorrendo ora? Ne dubito
>>
ribatté, sprezzante.
Rella sospirò,
volendo trovare parole adatte con cui
scuotere quell'unico figlio che le rimaneva, quel forte e determinato
uomo diventato l'ombra di se stesso. Ma lei era nata dalla roccia,
temprata dalle preoccupazioni e sofferenze che l'avevano segnata nel
profondo; orgogliosa come poteva essere solo una giovane nana
promessa in sposa al futuro Re di Erebor, era divenuta prima fredda
Regina sotto la Montagna e poi severa madre dei Principi. Il
carattere duro era servito a renderli ciò che erano
attualmente, e
di questo era estremamente orgogliosa oltre che particolarmente paga:
Thorin, poi, le assomigliava più di Dìs, o del
povero Frerin morto
molti anni addietro. La vecchia Regina Madre aveva riposto tutte le
sue più accanite e devote speranze nel nuovo Re sotto la
Montagna;
finalmente aveva potuto assistere al ritorno in auge del loro potente
popolo grazie a quella dolorosa Riconquista che, d'altra parte,
l'aveva privata degli eredi diretti.
Questo era stato il prezzo da
pagare.
Una
minima parte dell'anima inorridì a quel pensiero, eppure non
fece
nulla per scacciarlo poiché giusto. Il Fato richiedeva sempre
delle
vite in cambio: Frerin e Thror nella Battaglia di Azanulbizar e di
conseguenza anche suo marito, fuggito chissà dove preda
della
pazzia; i nipoti nella Battaglia dei Cinque Eserciti, morti per
permettere a Thorin di sopravvivere e governare come indetto dai
Valar.
Purtroppo
però il loro sacrificio non portava frutti, al momento,
giacché suo
figlio non mostrava il benché minimo accenno a voler ricominciare
allontanando
il senso attanagliante di colpa. Per quanto gli avesse detto che non
c'entrava nulla con la tragedia continuava a rimuginarci senza sosta,
come in quel momento. Lo capì guardandolo in quegli occhi
così
diversi dai suoi per colore, ma non per profondità.
Così come comprese
che era accaduto qualcosa <<
Raccontami quel che ti angustia >>.
Thorin si mosse a disagio,
ricordando le parole della
sorella << Dìs >> disse
solamente, prendendo un profondo
respiro prima di continuare << Sostiene che sia
responsabile
della morte di Fili e Kili >>.
Rella
alzò gli occhi al cielo, stringendogli spasmodicamente la
mano <<
Sai che non è così! Sono stanca
di vederti in questo misero stato, Thorin: è pietoso per un
re, e lo
è ancor più per il Re sotto la Montagna
>> borbottò secca.
Il
nano si ritrasse dalla presa ferrea, gli occhi che mandavano lampi
furibondi << Ricordare i nipoti defunti è pietoso
per voi? >> domandò, contenendo a stento la
rabbia << Li
ho cresciuti come figli, rimproverandoli per la loro negligenza ma
riempiendomi d'orgoglio per gli uomini che erano diventati! Ora non
potranno godere dei privilegi che la loro posizione comporta,
né
potranno sposarsi né invecchiare perché si sono
battuti con
coraggio e sono deceduti difendendomi coi propri corpi! Come potete
dirmi che sono pietoso
ai vostri occhi? >> ripeté, calcando
volutamente l'aggettivo.
Rella non si scompose, o non
lo dimostrò com'era solita
fare. Le emozioni trovavano difficilmente accesso tra quei tratti
granitici e profondi come pietra. Thorin, invece, in quegli sporadici
scatti d'ira dimostrava anche troppo bene i suoi pensieri; incapace
di star seduto si era alzato con foga, portandosi ad alcuni metri di
distanza dalla madre, indignato e furente con la sua imperturbabile
freddezza.
<< Non vi
sconvolge saperli morti? >>.
La domanda accusativa la
sferzò con brutalità <<
Naturalmente >> rispose, abbassando il capo
<< Erano pur
sempre gli eredi al trono >>.
Thorin si lasciò
scappare un'amara risata << Gli
eredi al trono >> ripeté con un sussurro,
appoggiando
l'avambraccio sulla mensola del caminetto; i suoi occhi chiari si
persero tra le fiamme guizzanti, lungo quelle lingue di fuoco dalle
sembianze di asce, spade, vessilli e corpi contorti dal dolore.
<<
Dimenticavo che nulla vi importa al di fuori del potere
>>.
Rella sentì una
furia cieca montarle in petto e, senza
rendersene conto, si alzò avvicinandoglisi; accadde tutto
talmente
in fretta che nessuno dei due poté far niente per fermare il
corso
degli eventi: né la mano che, rapida, volò con
ferocia e uno
schiocco sonoro sulla guancia destra del Re.
Sbigottito, Thorin si
ritrovò col capo voltato di lato
dalla forza con cui era stato percosso e, lentamente, portò
la mano
sulla guancia offesa sentendola calda; la nana, invece, aveva
lasciato penzolare il braccio lungo il fianco senza mai distogliere
lo sguardo dal suo volto, benché l'addolorasse.
Però avrebbe
ripetuto il gesto un'altra volta se se ne fosse presentata
l'occasione.
<<
Il potere
che tanto disprezzi ti permette di sedere sul trono che era di tuo
nonno! Il potere
ti rende temibile e autorevole agli occhi della gente, e degno del
loro rispetto! La strada per ottenerlo e mantenerlo è irta
di
insidie e comporta inevitabilmente delle perdite, ma non per questo
bisogna scoraggiarsi. Un Re non si mostra
mai
debole.
Un uomo sì, ed è ciò che lo rende inferiore
>>.
Thorin espirò,
riconoscendo le frasi che udiva sin da
quando aveva memoria, anche se ora storpiate per enfatizzare le sue
convinzioni.
<<
Sei tenuto a rendere onore alla Casa dei tuoi Padri finché
non
esalerai l'ultimo respiro, Thorin Scudodiquercia. Se essi potessero
parlarti esprimerebbero la loro vergogna nel vederti in questo
momento >> sibilò, arrabbiata e... disgustata?
Così gli parve. << Perciò, marcerai
con convinzione e
combatterai con coraggio alzando al cielo lo stendardo dei Durin,
facendolo garrire al vento. Se la codardia
o qualsiasi altro sentimento inadeguato
prevarranno sul tuo cuore come accadde a tuo padre... >>
lasciò
volutamente la frase in sospeso, trafiggendolo con uno sguardo
rovente e ghiacciato insieme, acuendogli la sensazione dello stridere
di due lame tra loro << ...puoi risparmiarti la fatica
del
viaggio di ritorno, e morire sul campo di battaglia >>.
Per la seconda volta, Thorin
udì una sentenza tagliente
come la lama di un'ascia pendergli minacciosa sul capo: oscillava
pericolosamente di qua e di là, minacciando di staccarsi da
quel
sottile lembo che la sosteneva per conficcarglisi brutalmente sul
cranio, uccidendolo atrocemente. Al contrario di prima,
però, non
sarebbe rimasto in silenzio: l'orgoglio – o ciò
che ne rimaneva –
gli impedì di tacere e mostrarsi vile. Proprio quello che
Rella si
aspettava da lui.
<< Tornare o
morire sul proprio scudo. La scelta
mi pare facile >> constatò ironico, portando
meccanicamente le
mani dietro la schiena.
<< Dipende da te
>> replicò lei, con tono
più ammorbidito; gli diede le spalle, incamminandosi verso
la porta.
Prima di varcare la soglia, però, si fermò e lo
guardò un'ultima
volta, alzando di poco un angolo della bocca sottile <<
Sono
certa che sarai saggio e saprai trovare la risposta. Riposati,
figlio. Domani sarà un grande giorno per il popolo di Durin
>>
se ne andò senza riuscire a dirgli quanto, in
realtà, le
dispiacesse per le tremende perdite.
Non rivelandogli quanto le
sanguinasse il cuore a causa
delle pesanti parole dette. Non confidandogli quanto l'amasse, e
quanto temesse per la sua incolumità.
L'ultimo
lembo di seta dell'abito sparì in uno svolazzo nero come
pece. Come
quell'oblio che lui tanto anelava ma che avrebbe dovuto abbandonare.
O forse avrebbe dovuto accoglierlo per impedire ad altro
di insinuarsi nel cuore eludendo le barriere alte e insormontabili.
Si risedette, appoggiando i
gomiti sul legno scuro della
scrivania, portando entrambe le mani a coprirgli il volto stanco e
dolente, lacerato e confuso, collerico e triste, impotente e
battagliero.
Proprio non riusciva ad
abbandonare gli ultimi dialoghi,
pur desiderando con tutta l'anima di dimenticarli. Di nuovo,
innumerevoli sentimenti esplosero nel cuore, confondendolo e
devastandolo: primi fra tutti, rabbia verso la sua condizione e
amarezza profonda per quel che non sarebbe mai cambiato. Non
indirizzò l'ira verso la madre poiché
ciò che aveva detto, per
quanto meschino e crudele, doveva servire unicamente per il suo bene,
per farlo tornare come un tempo. A modo loro, sia Dìs che
Rella
cercavano di aiutarlo. Ma lui in che modo poteva aiutarsi?
Non trovò risposte.
Rimase in quella posizione a
lungo, o forse gli parve
tale; improvvisamente, come quando un lampo bianco si scaglia a terra
durante un violento temporale, la soluzione gli apparve nitida e
chiara. Era talmente semplice che rimase qualche istante come
sospeso, immobile come la pietra che lo circondava.
E proprio come pietra
sarebbe dovuto diventare.
Permettendo a quel che lo
rendeva così debole di
indurirsi.
Riversando il suo furore e la
sua smania di vendetta
verso il nemico.
Immergendosi totalmente in
quella nuova impresa che
l'avrebbe sciolto dai propri spettri, dalle sue paure. O che
l'avrebbe ucciso. Sinceramente, non avrebbe saputo scegliere tra
l'una o l'altra; anzi, forse attraverso la morte avrebbe finalmente
riavuto la sua libertà.
Non gli importava vivere, o
morire.
Ciò che contava era
la vendetta. Solo questo. E,
per Durin, l'avrebbe ottenuta.
Tirò un ultimo
sospiro sentendo la stanchezza
martellargli insistentemente sulle tempie, decretando fosse giunto il
momento di coricarsi. Lo desiderava immensamente, e
ringraziò il suo
buon intuito per aver già preparato ogni fagotto per
l'indomani
all'alba.
Quando riabbassò le
mani, nessun sentimento traspariva
dal suo viso, né dagli occhi.
Se Rella avesse potuto vederlo
sarebbe stata fiera di
lui.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Buonsalveeeeeeeeeee!!!
Hahahahahaha, ero convinta di
rimanere fuori dai giochi per un po' di tempo, e invece mi sono
ritrovata impaziente di pubblicare questo primo capitolo con prologo
della nuova storia XD!!!
Che ne pensate, vi
è piaciuto ^^? Iniziamo già con
un'atmosfera pesante per tutti, dalle sentinelle ai nostri Durin
rimasti; chiedo umilmente perdono alle fans di Fili e Kili, non
potete immaginare il dolore provato nello scrivere questo capitolo
ç____ç: lo sapete, è dura che la vena
tragica mi abbandoni! Qui
abbiamo anche un Thorin devastato dalla perdita dei nipoti, con una
sorella che lo “odia” – comprensibile,
direi – e una madre
molto ambiziosa e forte. Secondo me quel povero nano non vede l'ora
di andarsene, anche se al momento accoglierebbe la morte con gioia
:'(! Ma ci pensiamo NOI a dargli l'ammmmore che vuole ;)))
Al momento non ho altro da
dire, perciò vi chiedo
gentilmente di farmi sapere i vostri pareri tramite le vecchie
recensioni ;))) ve ne sarò moooolto grata <3!
Alla prossima, un abbraccio a
tutti quelli che
commenteranno, leggeranno e decideranno di seguirmi :D!
Ciaooooooooooo
Anna <3
|
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Capitolo 2 *** Capitolo due ***
NOTE
DELL'AUTRICE: Questa canzone mi è parsa adatta al capitolo,
soprattutto riguardo il titolo “The Other World”;
buon ascolto e
buona lettura :) http://www.youtube.com/watch?v=4Nzq4UySA2Y
Dedicato
a tutti voi, per scusarmi del ritardo.
CAPITOLO DUE
La colonna di nani avanzava
ordinatamente e in silenzio
da lunghe ore, ormai; il sole aveva già iniziato la sua
discesa
verso l'orizzonte, pennellando il cielo di colori vivaci e caldi,
meravigliosamente roventi. Quasi tutti i membri della Compagnia
prestarono scarsa attenzione a quel meraviglioso fenomeno, tranne il
giovane Ori: cercava di annotarsi mentalmente le macchie di colore
rossastre, aranciate e violacee decidendo di voler inserire quel
particolare suggestivo nel suo piccolo diario, pronto per essere
riempito con pagine e pagine riguardanti la nuova avventura. Con una
stretta al cuore ricordò che non avrebbe più
menzionato Fili e Kili
raccontando del loro cacciarsi perennemente in guai più
grandi – e
forzuti - di loro. Sospirò gravemente senza accorgersi
dell'occhiata
curiosa lanciatagli da Dori e puntò lo sguardo verso la
testa della
fila, trovando immediatamente la figura di spalle del Re sotto la
Montagna. Non si era voltato nemmeno una volta com'era solito fare
abitualmente preferendo concentrarsi sui contorni indistinti degli
Ered Mithrin, via via meglio delineati.
Si agitò sulla
sella sentendosi stanco e dolorante, ed
emise un breve gemito; si domandò per quanto tempo avrebbero
continuato la marcia ma dedusse dovesse mancare poco, dato che il
sole era praticamente tramontato. Come in risposta alle sue domande,
Thorin tirò le briglie del pony fulvo facendolo girare
leggermente.
<< Ci
accamperemo qui per la notte! >>
annunciò tonante.
La lunga colonna si
fermò, e Ori poté udire diversi
sbuffi alle sue spalle; non indagò se i soldati fossero
felici o
meno di quella sosta, ma di una cosa era profondamente sicuro: era
impensabile procedere con l'oscurità imminente.
Thorin smontò dalla
cavalcatura e gli altri lo
imitarono, lieti di potersi sgranchire le gambe intorpidite; il
giovane scrivano faticò un poco nel ritrovare l'equilibrio
ma dopo
una manciata di minuti tornarono come nuove.
<< Ah, quanto
desidererei un bagno caldo e
rilassante! >> piagnucolò Dori, asciugandosi
il sottile velo
di sudore sulla fronte.
Se sperava di trovare manforte
sarebbe rimasto deluso,
giacché non era dello stesso avviso << Siamo
partiti solo
stamattina e già ne senti il bisogno? >>.
<< Tu non puoi
capire >> disse l'altro, ben
convinto << Voi giovani non ne sentite mai la
necessità >>.
<< Di cosa?
>> si intromise Bofur, gioviale
come sempre a dispetto della stanchezza. Aveva ancora le briglie del
pony strette tra le mani, e non vedeva l'ora di potersi finalmente
stendere tra l'erba alta con uno stelo giallastro tra i denti e il
colbacco calato sugli occhi.
<< Stavamo
parlando di un bagno caldo. Il genere
di cose che servirebbero adesso! >> riprese Dori, alzando
gli
occhi al cielo come se potesse trovarlo lassù.
Il
giocattolaio lo guardò compassionevole per poi stringersi le
spalle
<< Bé, proprio adesso
no, posso resistere un altro giorno. Siamo fortunati che il viaggio
finirà presto, quindi su con la vita, Dori! Potrai lavarti
domani a
questa ora >>.
Il
nano borbottò qualcosa che assomigliava vagamente a <<
Giovani! >>
e Bofur lo ringraziò per il complimento allontanandosi per
portare i
pony con gli altri, legati a vari alberi.
Una volta assicuratosi fossero
sistemati per bene corse
dal fratello e dai suoi aiutanti, già intenti a raccattare
il
necessario per la cena frugale.
La maggior parte dei soldati
era impegnata ad erigere
delle tende mentre i restanti, per ordine di Thorin, erano stati
mandati in avanscoperta alla ricerca di possibili minacce.
<< Due ore fa
abbiamo oltrepassato i confini di
Erebor. Siamo totalmente esposti a qualsiasi nemico >>
decretò
il Re con voce cupa, muovendo gli occhi azzurri lungo il paesaggio
poco rassicurante.
Anche Bofur si
affrettò a dare una rapida occhiata
attorno, giusto per precauzione << Le Terre Selvagge
sembrano
più inospitali, qui >>.
Dwalin, pochi passi
più in là, sentì ed annuì
<<
E lo saranno ancora di più verso la meta >>.
<< Non mi ero
mai avventurato da queste parti >>.
<< E' una
novità per tutti >> disse calmo
Gloin, allontanando la pipa dalle labbra << E non vedo
perché
preoccuparsi adesso. È quasi ora di cena >>
concluse, come a
voler porre fine alla questione col solo pensiero del cibo.
Ma Bofur non intendeva
demordere << Sulle mappe ho
notato che troveremo anche una Brughiera, più avanti
>>.
Fu sempre Dwalin a
rispondergli << Al centro della
catena montuosa, già >>.
<< Capisco
>>.
<< Se non ti
conoscessi abbastanza direi che sei
spaventato, amico >> lo canzonò Nori,
sistemandosi meglio con
la schiena addossata ad un masso per metà ricoperto di
muschio.
<<
Vedi, amico,
è
piuttosto normale >> lo rimbeccò, facendogli
il verso <<
soprattutto se parti per una battaglia verso un luogo sconosciuto non
sapendo se
e come
tornerai a casa >>.
L'istinto lo portò
a girarsi verso sud, dove in una
qualunque giornata di sole si sarebbe potuta scorgere la massiccia
linea della Montagna Solitaria e gli altri, loro malgrado, si
ritrovarono a seguirlo condividendone in parte i pensieri e timori.
Dopo la recente Battaglia dei
Cinque Eserciti era più
che naturale aver paura del futuro, perciò nessuno se la
sentì di
biasimare il solito scherzoso giocattolaio.
Chi avrebbe potuto
rassicurarli sulla buona riuscita
dell'impresa e sul rientro nella propria terra? In fondo, bastava
così poco per morire...
Fece per aggiungere altro
però venne interrotto da un
soldato, venuto ad informarli che l'accampamento era stato montato;
Thorin lo congedò con un cenno del capo e diede loro le
spalle,
perdendosi in chissà quali riflessioni. La Compagnia
scambiò una
lunga occhiata preoccupata mentre il silenzio aleggiava, carico di
parole che non sarebbero state pronunciate poiché erano
guerrieri e
nani rudi. O troppo intimiditi e giovani.
Perciò, lasciarono
che il chiacchiericcio dei soldati e
il sibilare del vento riempisse quell'opprimente vuoto, e a stento
udirono i passi di Bombur finché la sua voce non li
destò del
tutto.
<< La cena
è pronta! >> esclamò allegro,
cambiando espressione dopo averli visti in volto; si
avvicinò al
fratello e gli strattonò la manica della giacca marrone,
curioso <<
Che è successo? >> sussurrò,
scoccando qualche rapida
occhiata agli altri, che sfilarono loro accanto.
Bofur scosse la testa
amareggiato, ma tentò comunque di
mostrarsi sorridente << Nulla, Bombur. Forza, andiamo, o
non ci
lasceranno nulla! >>.
<< Oh, non devi
temere, ho già riempito le nostre
ciotole! >>.
L'altro lasciò che
l'ilarità scacciasse la tristezza
<< Te l'ho mai detto che, quando vuoi, sei un vero genio?
>>
scherzò, tirandogli la barba intrecciata.
<< Mi stai dando
dello stupido? >>.
<< No no
>>.
<< Ehi, stupido
a chi? Ci sarai tu! >>.
Avevano raggiunto gli altri
che, con un'alzata di occhi
verso il cielo, si erano già preparati a sorbirsi il loro
infantile
battibecco; Thorin tentava di mantenere una sorta di calma, ma i
nervi a fior di pelle causati dall'intera vicenda minacciavano di
fargli perdere il lume della ragione, specie nel sentirli berciare.
Si era giusto ritrovato ad aprire bocca per una sfuriata quando i
fratelli smisero per conto loro, dopo che il buon Bofur si era arreso
battendo una manata amichevole sulla schiena del fratello.
La cena si consumò
senza ulteriori intoppi e il momento
di ritirarsi giunse rapidamente; Dwalin rimase a sovrintendere i
turni di guardia dei soldati, disposti a coppie lungo i lati del
semplice quadrato formato dalle tende. Pochissimi bracieri
illuminavano il paesaggio brullo e molte discussioni si erano
sollevate in proposito, ma Thorin era risultato irremovibile:
chiunque avrebbe notato una marcia di quattrocento nani, e solo gli
sciocchi che cercavano di crogiolarsi in una chimera di instabile
sicurezza potevano permettersi il lusso di credere di passare
inosservati. Loro non lo erano di certo, quindi dovevano fare i conti
con quella realtà: molto probabilmente gli orchi li avevano
già
avvistati e, forse, li stavano seguendo o accerchiando. Era inutile
nascondersi. Certo, l'accortezza era sempre presente, ma nulla di
più.
Si era trovato immediatamente
d'accordo con questa
logica, non aveva obiettato. Anzi, se fosse stato per lui avrebbe
raccolto un manipolo di nani per correre a stanare quei maledetti
prima che loro potessero anche solo pensare all'idea! Invece l'aveva
scartata per la troppa avventatezza, oltre al fatto che Thorin non
sarebbe stato d'accordo; e se avesse acconsentito si sarebbe gettato
a capofitto senza pensarci due volte, incurante della sua vita.
In fondo Dwalin non aveva
cuore a proporre quel piano.
Era già abbastanza penoso – oltre che frustrante -
vedere il
proprio amico e fratello di armi in quello stato senza riuscire a far
nulla. Servirgli la morte su un piatto d'argento era assolutamente
disgustoso.
Salutò con un cenno
un soldato che conosceva bene
poiché figlio di un carpentiere di Erebor, e si
ritrovò a sbuffare
scocciato quando notò un'ombra irrequieta che camminava
nella tenda
del Re. Diresse i passi verso di essa e, dopo essersi annunciato,
entrò quasi con impeto scorgendo l'inconfondibile stazza di
Thorin,
con le mani intrecciate dietro la schiena.
<< Potresti
anche accendere una candela >>
borbottò, avviandosi verso la lanterna.
<< No, lascia
perdere. Preferisco così >>.
Il guerriero si
immobilizzò e si girò, rivolgendogli
uno sguardo truce che non venne colto dall'altro, anche se gli parve
d'intuirlo.
<<
Così non va bene, Thorin. Devi provare a
dormire >>.
Un
verso sprezzante seguì la sua frase, la voce tagliente e
roca del
sovrano giunse veloce << Non ricordo di essere ai tuoi
ordini. Decido io cosa è meglio per me >>.
Non si fece intimorire e, per
dimostrarlo, incrociò le
grosse braccia piene di tatuaggi e cicatrici al petto <<
Non mi
pare siano buone decisioni >>.
<< Attento,
Dwalin. Ti stai addentrando in un
terreno rischioso >> lo ammonì, minaccioso e
autoritario. Non
avrebbe tollerato oltre, ed era bene che l'amico ne venisse a
conoscenza.
<< Questo lo so
>> le labbra si piegarono in
un sorrisetto ironico che non riuscì a vedere
finché non udì il
tono con cui parlò << La Brughiera Arida
è un luogo davvero
pericoloso >>.
Thorin assottigliò
lo sguardo azzurro lasciando che una
tempesta di collera li adombrasse e riempisse il suo corpo facendolo
scattare in avanti di un passo << Non prenderti gioco di
me! Se
sei entrato per i tuoi commenti sarcastici puoi togliere il disturbo
e tornare al lavoro! >> sbraitò.
<< Stavo solo...
>>.
<< Non mi
interessa, vattene >>.
Dwalin sbuffò,
piuttosto contrariato << Thorin...
>>.
Nemmeno stavolta ebbe il tempo
di terminare << Non
hai sentito ciò che ho detto? >> l'interruppe,
secco.
Il guerriero strinse
maggiormente le braccia e cercò di
scorgere il volto teso e furibondo dell'amico, ma questi gli era
celato. Un silenzio greve piombò su di loro, opprimente come
l'oscurità che li circondava; fu questo a spingerlo ad
eseguire la
rabbiosa richiesta e, a malincuore, comandò ai piedi di
muoversi.
L'andatura rispecchiava appieno il suo animo poiché era
lenta e
pesante esattamente come percepiva il cuore, gravato da quei
sentimenti che nulla avevano in comune con la sincera amicizia che da
sempre aveva accompagnato la crescita di entrambi.
Una parte di sé gli
impose di disubbidire e lui, senza
riflettere, l'assecondò; quando lo affiancò,
trovandosi ad alcuni
centimetri dalla sua spalla sinistra, si fermò.
<< E' difficile
anche per tutti noi >>
sussurrò, cercando di trasmettergli quanto fosse vero.
Il Re serrò la
mascella e inspirò profondamente per
sopire la rabbia << Fuori di qui. Ora >>
scandì bene,
trapassandolo con sguardo gelido.
Dwalin dovette mordersi la
lingua per non rispondergli
sgarbatamente, evitando l'ennesimo diverbio. Già era
complicato
esprimergli i pensieri al riguardo, in più Thorin si
impegnava
particolarmente ad evitare qualsiasi confronto rimarcando la sua
autorità con ordini ai quali doveva sottostare. La
situazione non
era delle più rosee, eppure si ritrovava a sperare sempre in
un
qualche cambiamento che, forse grazie a quella missione, sarebbe
avvenuto.
Una volta che il lembo della
tenda tornò al proprio
posto e l'aria umida della notte gli sfiorò il viso stanco,
si
permise di sospirare impotente per l'ennesima volta; maledì
l'assenza di Balin, anche se, in fin dei conti, nulla sarebbe
cambiato. Nemmeno il fratello maggiore era riuscito a risollevare lo
spirito dolorosamente ferito e ingiustamente colpevole di Thorin, e
Mahal solo sapeva quanto questo lo scoraggiasse.
Scosse brevemente la testa per
recuperare lucidità e,
senza voltarsi, tornò alle proprie mansioni, certo solo di
una cosa:
quella notte difficilmente avrebbe chiuso occhio.
Ripartirono
non appena spuntò l'alba, dopo aver consumato una ben misera
colazione; inutile dire che il vecchio Bombur si lamentò
immediatamente e continuò per un bel pezzo fin quando non
intervenne
un irascibile Bofur, zittendolo malamente. Gli amici si scoccarono
occhiate stupite, dato che era un avvenimento a dir poco epocale: mai
avevano visto il giocattolaio perdere le staffe così
rapidamente.
Anzi, mai
l'avevano
visto perdere la pazienza! Attribuirono la colpa alla terra
straniera, sempre più spoglia e brulla; man mano che le ore
si
susseguivano, infatti, il suolo diveniva più secco, l'erba
sempre
più rada, le Montagne Grigie più vicine. Non
erano lontanamente
paragonabili alla fierezza della Montagna Solitaria o all'imponenza
delle Montagne Nebbiose, ed erano meno inquietanti ma non per questo
meno pericolose, poiché da qualche parte un esercito di
Orchi era
pronto a replicare l'attacco dell'anno precedente. Thorin fece
raddoppiare la sorveglianza e spedì un numero maggiore di
sentinelle, ma tutte riferirono che non vi era ombra di nemici;
ciò
aumentò l'irrequietezza nel gruppo e l'impazienza di
arrivare:
procedettero spediti senza abbandonare ogni prudenza però
nulla
mutò, tranne il paesaggio attorno a loro.
Le montagne ora erano un
gruppo possente, si stagliavano
per chilometri; pur non vedendola perché nascosta, i nani
sapevano
che dietro quella fila ve n'era un'altra, separata dalla temibile
Brughiera Arida. Più di una volta le lamentele dei compagni
riguardo
quel luogo si erano susseguite nel corso del pomeriggio terso e
afoso, rinfrescato solo sporadicamente da un alito di vento, ed erano
partite le immancabili scommesse: chi puntava sul doverla
attraversare tutta e chi, al contrario, affermava che si sarebbero
fermati ben prima di perdere il senno tra la terra arida e polverosa.
Tutti però erano d'accordo su un fatto: non conoscevano
l'esatta
ubicazione dell'entrata del Regno. Non era stata menzionata nella
lettera, né ne erano giunte altre. In sostanza procedevano
alla
cieca. E questo divenne ulteriore motivo di malumore per Thorin
Scudodiquercia, che si ritrovò a maledire per l'ennesima
volta il
momento in cui aveva accettato la richiesta d'aiuto. Non poteva certo
rischiare la vita dei suoi uomini marciando avanti e indietro senza
meta, per Durin! Ed era inammissibile perlustrare ogni minimo
anfratto o crepa lungo i versanti alla ricerca di una porta nascosta;
non intendeva ripetere alcuna esperienza passata.
Trattenne l'ennesimo ringhio
frustrato mentre numerosi
pensieri martellavano con insistenza nella sua testa, specie nelle
tempie pulsanti e doloranti. Non riusciva a darsi pace, soprattutto
se ripensava allo scontro con Dwalin; una piccola –
minuscola, in
realtà – parte dell'anima lo rimproverava
duramente, dato che
l'aveva aggredito senza motivo. La restante, invece, tentava di non
fargli pesare tale rimorso e lui, con vergogna, si accorgeva di
assecondarla; non voleva ammettere d'essere cambiato ma era la dura
realtà con cui conviveva da più di un anno a
questa parte.
Si
massaggiò la radice del naso e chiuse brevemente gli occhi,
cercando
un po' di riposo che ultimamente faticava a trovare. La bolla di
pensieri lo isolò dal resto: dal calpestio dei soldati a
quello dei
pony, dal vento che aveva iniziato a sibilare tra le
asperità della
roccia e da quel rumore strano,
come
di uno stridere di lama su pietra...
Riaprì gli occhi di
scatto e fece per urlare un
avvertimento quando una freccia sibilò pericolosamente
accanto
all'orecchio destro, talmente vicina che udì lo spostamento
d'aria;
caracollò giù dalla sella e sguainò
Orcrist, indietreggiando
finché non si ricongiunse con i compagni, scesi a loro volta
e
pronti a dar battaglia agli orchi.
<< Dove diamine
sono? >> domandò Dwalin a
voce piuttosto elevata, chiaro invito a mostrarsi.
<< E' arrivata
da sinistra, circa lassù >>
l'informò Thorin, indicandogli il punto col capo.
Nel frattempo i soldati si
erano schierati, alcuni
avevano levato gli scudi sopra le teste per evitare di essere colpiti
e si erano posizionati davanti alla Compagnia, a loro protezione. Con
grande stupore nessun'altra freccia lasciò il suo arco,
né si
mostrò qualche orrido orco; rimasero immobili a scrutare
dovunque,
non scorgendo nulla. Spazientiti, iniziarono a muoversi e alcuni
abbassarono le armi, ma la voce potente e autoritaria di Thorin li
fermò.
<< Non abbassate
la guardia! >> si azzardò
a guardarsi indietro, verso i soldati << Sono ancora qui
>>.
Ebbe
appena il tempo di terminare la frase che dei ringhi gutturali li
fecero scattare allarmati, i muscoli pronti e gli occhi vigili alla
ricerca della fonte: ed eccoli, tre Mannari comparvero alle loro
spalle, ringhiando e sbavando dalle fauci protese in avanti, pronti
ad azzannare le loro prede. Il sovrano dovette ricacciare un ordine
formatosi sulla labbra, perché non sarebbe stato eseguito:
aveva
quasi urlato a Kili di scoccare una freccia. Il cuore si strinse in
una lieve eppure dolorante morsa al ricordo del nipote morto e del
fratello maggiore ma non ebbe il tempo di pensarci a lungo, dato che
un altro latrato provenne da davanti. Dovette girarsi di scatto con
Orcrist saldamente in pugno, pronto ad affrontarli; ma ve n'era solo
uno e, ad un'occhiata più attenta, notò che non
era esattamente
un
Mannaro: possedeva più l'aspetto di un lupo, anche se la
stazza era
decisamente più grande del normale. Scosse la testa, non era
il
momento opportuno per pensarci; attese l'occasione giusta
però la
belva non avanzò, limitandosi solo a ruggire famelica.
<< Thorin
>> lo chiamò piano Gloin,
stringendo quasi convulsamente il manico della sua ascia
<< che
facciamo? >>.
<<
Perché non si muovono? >> proruppe
Dwalin, spazientito così com'era il sovrano.
<< Non saprei,
ma non mi pare il caso di aizzarli!
>> rispose Dori, nervoso.
<< Sembrano...
in attesa >> mormorò il
giovane Ori, abbassando di poco il braccio che reggeva la fionda.
<< Sicuro!
Stanno aspettando il momento adatto per
mangiarci! >> disse Bofur, sbilanciandosi un poco verso
destra;
la creatura che aveva di fronte abbaiò, e grosse gocce di
saliva
scesero a terra. Il giocattolaio tornò nella posizione
iniziale
senza pensarci due volte, temendo un balzo improvviso.
<< Silenzio!
>> intimò Thorin, rabbioso;
tentava febbrilmente di trovare una soluzione a quella situazione di
stallo, non riuscendoci col chiasso provocato dagli altri.
Tutti attendevano un suo
ordine, un cenno, e non aveva
intenzione di deluderli; ma d'altra parte aveva anche notato il
comportamento piuttosto sospetto delle bestie: non si decidevano ad
attaccare, chiaro segno che non appartenevano ad un branco selvatico,
o le lame avrebbero già assaggiato artigli e denti aguzzi.
No, erano
parte di un gruppo cresciuto in cattività, e chiunque li
aveva
addestrati non voleva nani morti. Per quale motivo?
Irritato ogni oltre misura
mandò alla malora qualsiasi
prudenza << Fatevi avanti, chiunque siate! Solo i codardi
osano
nascondersi! >> gridò a pieno polmoni, facendo
risuonare l'eco
tra la roccia dura e scura della montagna al loro fianco sinistro.
I lupi brontolarono feroci,
schioccando le fauci. Alcuni
mossero passi in avanti, altri indietro; erano terribilmente agitati,
frementi e desiderosi di colpire, lacerare, sbranare, mordere. I nani
percepirono chiaramente la tensione raggiungere un picco vertiginoso,
i cuori parvero sfondare la gabbia toracica e battere rumorosi e
rapidi, ma i loro volti mostrarono cocciuta determinazione unita allo
spirito battagliero tipico della loro razza. Li avrebbero affrontati
senza paura, persino a mani nude!
In mezzo a quella confusione
non si accorsero dei nuovi
arrivati finché una nuova voce tonante e bassa non li
sorprese più
di quanto potessero ammettere.
<<
TIKHUZH!
>>.
Alla parola, pronunciata in
una familiare però ormai
pressoché dimenticata lingua aspra, lo sguardo di Thorin
saettò
incredulo verso l'alto; sulla parete, con i piedi ben saldi su uno
stretto passaggio roccioso, stavano delle tozze figure con gli archi
tesi, alcune con asce bipenni o balestre.
Cogliendo un movimento si
affrettò ad abbassare lo
sguardo, notando come le bestie si calmarono visibilmente all'ordine;
ridusse gli occhi a fessure e li riportò sospettoso verso i
nani –
perché di essi si trattava – ancora tesi e pronti
a scoccare dardi
e frecce al loro indirizzo.
<<
Chi
siete? >>
domandò colui che aveva parlato poco prima, dal volto
anziano
percorso da vecchie cicatrici, segno che in passato era stato un
valoroso guerriero; Thorin immaginò dovesse esserlo anche
adesso, e
che ricoprisse un ruolo di spicco all'interno della cerchia del re.
Comprese
che si sarebbe spazientito presto perciò fu lesto a
rispondergli in
Khuzdul, sperando di ricordarlo sufficientemente bene << Parli
al cospetto di Thorin figlio di Thrain figlio di Thror, Re sotto la
Montagna >>.
Il tono fiero e il portamento
regale furono ulteriori
prove per il nano: dopo un lungo esame alla sua figura e all'esercito
alle sue spalle, con un cenno della mano destra obbligò i
compagni a
rinfoderare le armi; anche Thorin fece altrettanto, senza mai
staccare gli occhi di dosso dai lupi, o dai nani sullo sperone
roccioso.
Lo straniero si rivolse a due
sottoposti che scomparvero
ben presto alla sua vista per ricomparire dopo pochi minuti dietro
alle belve: con un sonoro fischio le richiamarono e quelle,
obbedienti, girarono le spalle e andarono verso di loro; quelle alla
coda della fila sorpassarono i nani di Erebor senza degnarli di
un'occhiata e raggiunsero i compagni, mordendoli giocosi sul collo
ricoperto di pelo.
<<
Ubûnat,
khahith
>> disse uno dei due, un giovane nano dai lunghi capelli
castani, accennando un sorrisetto paterno verso i lupi;
batté una
pacca sul fianco di uno, alto e grosso quanto un pony e poi
tornò
serio stringendo distrattamente il manico dell'arma.
Dwalin si portò
alla destra di Thorin e mimò lo stesso
gesto sul manico di una delle sue due asce, lanciandogli un
sorrisetto sarcastico quando lo vide corrugare le folte sopracciglia
scure.
Il secondo nano, un soldato
nel fiore degli anni, si
issò sulla groppa di un lupo dal pelo grigio e bianco e gli
diede un
ordine; la bestia mosse il capo da una parte all'altra e
schioccò le
fauci mettendosi a correre subito dopo sparendo presto alla loro
vista.
<< Chi siete
voi, e perché intralciate il nostro
cammino? >> domandò imperioso Thorin nella
Lingua Corrente,
prendendo il comando della situazione; era rimasto in silenzio anche
troppo a lungo, e pretendeva delle risposte.
Il capo di quello strambo
gruppo di nani decise
finalmente di scendere e mostrarsi completamente; era più
basso e
tozzo di Thorin anche se il volto era austero quasi quanto il suo:
numerose rughe costellavano gli angoli degli occhi scuri e della
bocca severa, i capelli erano ingrigiti da tempo, le spalle erano
ancora larghe e salde come la roccia frustata dal vento fresco ai
piedi delle montagne. Non indossava abiti di gran foggia, il che
poteva far supporre fosse un nano vagabondo e quelli i suoi compagni
di ventura, ma poteva significare il contrario: sotto quella maschera
dismessa poteva benissimo nascondersi un nobile. O un Re.
<< Parlate in
fretta, poiché questo luogo non è
sicuro >> incalzò Thorin, gettando un rapido
sguardo ai
soldati e ai nuovi venuti.
Il nano lo osservò
attentamente per alcuni secondi,
dopodiché gli rispose in una Lingua Corrente piuttosto
incerta e
stentata, tipica di chi non è avvezzo a parlarla
<< Non vi è
da temere. I nostri confini sono sicuri >>.
<<
I vostri
confini?
>> ripeté Dwalin, parlando per la prima volta
da quella sorta
d'imboscata.
Lo straniero lo
squadrò da capo a piedi, e annuì <<
Siete nel Regno di Ered Mithrin, ora. Seguitemi, vi condurrò
a
palazzo >>.
<< Aspetta
>> lo fermò Thorin, prima che
gli voltasse le spalle << Ti ho detto il mio nome e sai
chi è
la mia gente, però non hai intenzione di appurarlo,
né ti sei
presentato. Dove si cela l'inganno? >> chiese,
già sul chi va
là e pronto a dar battaglia grazie all'esercito che stava
alle sue
spalle, in trepidante attesa.
Il
nano alzò un lato della bocca << E' vero, non
mi sono
presentato: Magan, Seconda Guardia del Re. Al vostro servizio
>>
aggiunse come di consueto, senza però inchinarsi
<< E ho avuto
il piacere
di
combattere al vostro fianco, sire >> concluse, trasudando
disprezzo da ogni parola.
Thorin strinse rabbiosamente
le mascelle e si chiese
come ciò fosse stato possibile, dal momento che solo
l'esercito di
Dain accorse in suo aiuto. Un altro mistero. Altre domande.
<< Se non vi
sono altre questioni... >>.
<< No. Andiamo
>>.
Magan
si voltò verso i suoi soldati ripetendo l'ordine in Khuzdul
<<
Ganag!
>>.
Immediatamente
gli si affiancò un grosso lupo dal pelo nero e si
abbassò,
permettendogli di montare in groppa senza alcuna difficoltà;
Thorin
dovette adeguarsi mentre il senso di non essere del tutto fuori
pericolo minacciava di fargli perdere la calma per lasciare il posto
all'irascibilità e al dubbio. Possibile fossero davvero
quei
nani che dopo secoli di assoluto silenzio si erano abbassati a
chiedere un aiuto esterno a causa delle circostanze? Stava nuovamente
mettendo a repentaglio la vita dei suoi amici e compagni, e dei suoi
soldati? Era una trappola architettata a loro discapito? Doveva
scoprirlo. Ed era necessario rischiare.
Sbuffò spazientito
quando ricordò il numero nettamente
superiore rispetto a quei nani dall'antica parlata: erano
quattrocento contro una decina. Di che doveva preoccuparsi? Con un
paio di poderosi fendenti sarebbe crollato anche quel Magan, riverso
in una pozza di sangue rosso brillante. Certo, sempre non ce ne
fossero altrettante centinaia nascosti tra le rocce, magari in
combutta con un numero altrettanto corposo di luridi orchi.
Questi furono i suoi costanti
pensieri mentre rimontava
in sella al pony ed alzava il braccio destro a catturare l'attenzione
delle file di soldati, e non lo abbandonarono mai, nemmeno quando il
fedele Dwalin lo affiancò.
<< Che te ne
pare? >> gli domandò il
guerriero a voce bassa, lanciando occhiate intimidatorie verso il
branco di lupi e rispettivi cavalieri.
<< Ci sono molte
faccende che non mi convincono
>>.
<<
Già, anche a me. Speriamo di ottenere qualche
informazione in più una volta raggiunto il palazzo reale
>>.
Thorin annuì,
stringendo le redini della cavalcatura
tra le dita appena tremanti di rabbia << Speriamo non sia
tutta
una messinscena >> sibilò, gli occhi azzurri
sempre più
furenti.
Gli occhi di Dwalin saettarono
un momento sul volto
scuro dell'amico e sovrano, ma si mostrò più che
d'accordo poiché
i suoi erano gli stessi sospetti; rimpianse l'assenza di Balin,
giacché il fratello maggiore era sempre stato portato per la
diplomazia. Ed aveva un fiuto particolare nel riconoscere una
menzogna, specialmente se ben nascosta come forse in quel caso.
<< Come sappiamo
che non ci tradirà? >>.
Thorin girò la
testa verso l'amico, non volendo
mentirgli << Non lo sappiamo >>.
Sorpassarono
le pendici delle Montagne Grigie e il panorama cambiò
notevolmente
lasciandoli stupiti e in un certo senso meravigliati. I loro occhi
non avevano mai veduto una tale terra martoriata
ed essi compresero il perché del nome: le belle vallate tra
i monti,
un tempo rigogliose, ora erano aride
e
secche, nulla vi cresceva. Profonde crepe segnavano il terreno e
numerosi sbuffi di polvere e granelli si alzarono in aria quando
cavalli, lupi e nani vi camminarono. Davanti e dietro di loro la
catena montuosa sembrava avvolgerli in un enorme semicerchio di dura
pietra grigia, fredda e inospitale. Morta
così come si erano pensati i suoi abitanti per centinaia di
anni.
Cavalcarono ancora, avanzando
finché non raggiunsero le
pendici delle altre grandi montagne, le cui cime erano ora nascoste
ai loro occhi; il vento sferzava i mantelli facendoli ondeggiare, ed
era fresco come se l'estate lassù non fosse sopraggiunta a
riscaldare ogni cosa. Ma le grandi ombre massicce lasciavano la
Brughiera in una sorta di penombra perenne, ed il sole difficilmente
trovava il suo spazio. Fu così – tremando
leggermente ed
avvolgendosi nei rispettivi mantelli che, per fortuna, avevano
portato appresso – che la compagnia di Erebor
seguì le loro guide
finché non si fermarono ai piedi di una parete rocciosa
difficile da
scalare; non vi erano appigli, né un accenno di sentiero.
Magan fece voltare il suo
lupo, ed accennò ai pony <<
Lasciateli qui. Non possono proseguire lungo il sentiero
>>.
<< Di quale
sentiero stai parlando? >>
domandò scettico Thorin, assottigliando gli occhi dato che
non ne
scorgeva alcuno.
Il
soldato puntò il dito davanti a sé e il Re sotto
la Montagna ne
seguì il percorso vedendo che effettivamente qualcosa
c'era,
seppur davvero poco visibile: infatti, nascosto ad occhi attenti, vi
era un percorso appena accennato a ridosso del fianco di un rilievo.
<< E dove
condurrai gli animali? >>.
<<
C'è un passo tra queste due montagne che si
collega ai livelli inferiori del Regno. Di solito vi portiamo i lupi
>>.
Thorin ponderò
velocemente la proposta, vagliando i
vari pro e contro; purtroppo per loro non vi erano alternative,
dovevano seguirli. Strinse brevemente l'elsa di Orcrist cercando di
riprendere un minimo di certezza e sospirò a fondo prima di
scendere
dal pony. Subito la Compagnia lo imitò e si portò
attorno al suo
sovrano dopo aver slegato i fagotti; la tensione era palpabile,
ciascuno attendeva un qualche segno, una mossa di entrambe le parti
per capire come dovevano comportarsi. In special modo, gli sguardi di
tutti erano concentrati su Thorin Scudodiquercia e Magan, i quali si
scrutavano guardinghi e diffidenti, tutt'altro che cordiali.
Dopo momenti di interminabili
silenzio la voce bassa e
profonda di Thorin ruppe il silenzio << I soldati
rimarranno
qui. Facci strada >> ordinò.
<< Thorin!
>> esclamò Oin, allarmato; gli
si avvicinò, agguantandolo per un braccio <<
Non possiamo! E
se fosse un trucco? >>.
<<
Già >> intervenne Dwalin, guardandolo di
sbieco << io non mi fido, lo sai bene >>.
<< No
>> li zittì il sovrano, alzando una
mano << Porteremo una decina di soldati, nulla di
più; i
restanti seguiranno le cavalcature, e basteremo >>.
Gli altri annuirono
soddisfatti e vennero date le
disposizioni adatte; in poco tempo furono scelti i soldati e
iniziarono così ad inerpicarsi verso l'alto tenendosi il
più vicino
possibile alla parete. Gli stranieri si muovevano con grande
sicurezza mentre i nani di Erebor cercarono di non mettere un piede
in fallo. Salirono a lungo e aggirarono l'intero versante fin quando
il sentiero non divenne uno spiazzo roccioso sufficientemente largo
dato dalla parete scavata e rientrante; una gigantesca porta li
attendeva, tanto imponente da togliere il fiato, su cui vi erano
incise rune naniche. Lì fuori li attendeva il nano che era
stato
mandato indietro da Magan; quando li scorse si precipitò dal
suo
comandante e gli parlò nella propria lingua facendo
sì che loro non
capissero alcunché. L'unico che riusciva a decifrare il
tutto era
Bifur, che iniziò a borbottare venendo immediatamente notato.
<< Un vero
peccato non conoscere il Khuzdul >>
bisbigliò Bofur, amareggiato << Potevamo
farcelo tradurre >>.
<< Non ce
n'è bisogno >> rispose Thorin a
denti stretti; si avvicinò a grandi e sicuri passi a Magan,
attirandone l'attenzione con voce autoritaria << Portami
dal
tuo sovrano, perché desidero conferire con lui. In fretta
>>
aggiunse, emanando un'aura tanto potente e che non ammetteva repliche
da far ammutolire i due.
Il soldato lo
guardò circospetto volgendosi poi verso
il superiore, chiedendogli spiegazioni con un'occhiata; egli protese
un braccio verso l'entrata ancora chiusa, mormorando un
<<
Seguitemi >> piuttosto secco.
La porta
scricchiolò e produsse un rumore roboante e
profondo quanto un potente tuono, quasi come un ruggito animalesco
che a Thorin ricordò per un assurdo momento quello di Smaug;
strinse
i pugni mentre seguiva la sagoma del nano all'interno della montagna,
e fu solo un caso se distolse la mente dai nefasti pensieri per
ammirare il lungo ed enorme corridoio dalle volte a crociera,
sostenute da imponenti pilastri lavorati in forme spigolose alla cui
base si trovavano nicchie con statue di pietra, probabilmente
antenati della famiglia reale. In alto, grandi lanterne dalle candele
quasi consumate e dal vetro impolverato illuminavano fiocamente il
luogo; i passi sulla pietra liscia e scura risuonavano e
rimbombavano, il silenzio era padrone. Percorsero il corridoio senza
incontrare anima viva, e ciò allarmò oltremodo la
Compagnia, poiché
non sapeva se pensare ad una trappola o meno; finalmente
però esso
lasciò il posto ad una finta porta a forma di arco a sesto
acuto e
al di là vi trovarono la sala regale: giganteschi arazzi
colorati
impreziosivano le pareti altrimenti fredde e spoglie, il fuoco dei
grossi bracieri accesi danzava in lingue rossastre ed aranciate
facendo scintillare il trono sopraelevato, posto quasi al termine
della stanza e arricchito d'intarsi d'oro. Ai suoi piedi vi erano dei
nani, posti in semicerchio e, su questo, stava seduta una figura dai
contorni indistinti; solo quando si avvicinarono riuscirono a
comprendere di chi poteva trattarsi e, con stupore, trattennero il
fiato. Thorin udì distintamente il suo migliore amico
sbuffare come
contrariato, ma non aveva certo il tempo di appurarne la causa, anche
se poteva intuirla.
Chi sedeva sul trono
parlò con voce limpida e chiara,
seppur guastata dalla difficoltà con cui si esprimeva nella
Lingua
Corrente << Non siete Dain, Signore dei Colli Ferrosi?
>>.
Thorin incontrò il
suo sguardo e alzò fieramente il
capo, muovendo due passi avanti << Siamo i Nani di
Erebor,
venuti a rispondere alla vostra richiesta di aiuto. Thorin
Scudodiquercia è il mio nome. Voi chi siete?
>>.
Gli
occhi nocciola si sgranarono appena ma rimasero freddi, le mascelle
si contrassero leggermente non appena capì chi si trovava al
suo
cospetto; le dita strinsero di poco i braccioli di pietra nera al
sentire la sfrontatezza nella voce del nuovo – eppure
indesiderato
- venuto. Non poteva crederci davvero, però sapeva che quel
nano non
mentiva perché non
era Dain.
Inghiottì con
difficoltà la bile che raschiava la
gola, e si accinse a parlare << La Regina di Ered Mithrin
>>.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Buonasera! Innanzitutto vorrei
scusarmi enormemente per
il ritardo con cui pubblico: so che vi avrò deluse e me ne
scuso
:'(. l'ispirazione se n'era andata e non sapete la rabbia nel
mettermi davanti al pc senza riuscire a scrivere nulla! Sono un
essere ignobile, e merito i peggio insulti :/ almeno spero possa
piacere questo secondo capitolo ^^, anche se non succede niente di
eclatante! Pazientate, dal prossimo dovrebbero iniziare i giochi veri
e propri ;)))
Ringrazio
le carissime Carmaux_95,
LadyDenebola, Eressea Manx, innamoratahobbit, Krystal91, LilyOok,
kenjina, Neryssa, lily75, Yavannah, MrsBalck90, pamagra, Lady of the
sea che
hanno speso tempo a recensire :))) che farei senza di voi???
Ringrazio coloro che hanno
inserito la storia tra le
Preferite, Seguite e Ricordate e grazie a chi legge soltanto :) :).
Inoltre vorrei ringraziare certe ragazze che col loro sostegno mi
hanno confortata, spronata ed aiutata ad andare avanti col capitolo:
SIETE FANTASTICHE e vi amo <3!
Un bacione grande, alla
prossimaaaaaa
Anna :*
|
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Capitolo 3 *** Capitolo tre ***
CAPITOLO TRE
Chi
siede sul trono parla con voce limpida e chiara, seppur guastata
dalla difficoltà con cui si esprime nella Lingua Corrente
<<
Non siete Dain, Signore dei Colli Ferrosi? >>
Thorin
incontra il suo sguardo e alza fieramente il capo, muove due passi
avanti << Siamo i Nani di Erebor, venuti a rispondere
alla
vostra richiesta di aiuto. Thorin Scudodiquercia è il mio
nome. Voi
chi siete? >>
Gli
occhi nocciola si sgranano appena ma rimangono freddi, le mascelle si
contraggono leggermente non appena capisce chi si trova al suo
cospetto; le dita stringono di poco i braccioli di pietra nera al
sentire la sfrontatezza nella voce del nuovo – eppure
indesiderato
- venuto. Non può crederci davvero, però sa che
quel nano non mente
perché non
è Dain.
Inghiotte
con difficoltà la bile che raschia la gola, e si accinge a
parlare
<< La Regina di Ered Mithrin. >>
Thorin
riduce gli occhi chiari in due fessure per poterla guardare meglio:
è
giovane, ma non così tanto da meritarsi l'appellativo di ragazzina.
Concorda che, probabilmente, può
essere coetanea di Fili.
Scaccia quel
doloroso fantasma e torna a concentrarsi sugli occhi che lo scrutano
minacciosi, gelidi come ghiaccio; paiono inghiottiti dal trucco nero
presente sulle palpebre, si perdono impedendogli di capire se sono
grandi oppure piccoli, se sono aperti o disgustosamente serrati.
L'aiuta solo il luccichio dato dalla luce ammaliante e spesso
ingannatrice dei bracieri. Non è la prima volta che vede una
nana
truccata, poiché rammenta ancora il giorno dell'unione di
sua
sorella con il marito: la giovane, spensierata ed affascinante
Principessa di Erebor aveva stregato parecchi nani rudi, quella
lontana mattina. La sua bellezza era stata sovente paragonata alle
gemme più luminose e preziose del Regno, e Thrain e Rella ne
erano
sempre stati oltremodo orgogliosi.
Per lunghi
attimi permette ai dolci ricordi di trascinarlo con loro, poi si
riscuote: non è il momento. Non è il luogo. Non
è lei.
Nota che sul
capo è posata una corona di oro e di quelli che paiono
rubini fusi
che creano intarsi geometrici sulla superficie liscia; constata che
non è massiccia quanto quella che gli appartiene,
perciò deduce sia
appartenuta alla precedente regina e risalga ai tempi in cui il Regno
di Ered Mithrin era molto più potente e ricco. Non si perde
in
ulteriori riflessioni, torna a concentrarsi sulla misteriosa donna; i
capelli scuri non sono liberi ma acconciati sulla nuca, tipico segno
di vedovanza: dunque è la Regina Reggente da quando il
consorte è
deceduto, non per altri motivi. Lo sbigottimento iniziale pare
scemare, e sa che anche i compagni la pensano allo stesso modo:
è
oltremodo insolito per una nana governare, e il sapere che
ciò ha
una causa e non è progettato dal principio li conforta.
Un'ombra
massiccia si muove ai suoi piedi catturando la sua attenzione:
sconcertato, punta gli occhi in quelli pericolosamente gialli e
affilati di una belva. Di un grosso Mannaro dal manto del colore
della notte più nera. Spalanca le fauci e sbadiglia, si
accorge di
quelle presenze estranee nel suo territorio, bassi ringhi salgono dal
suo stomaco e trovano compimento quando si infrangono sui denti
aguzzi, liberandosi nell'aria dannatamente statica, sospesa. Ognuno
attende, ognuno freme. La regina bisbiglia qualcosa e l'animale si
placa un poco, però Thorin non riesce a rilassarsi: per la
centesima
volta si domanda in quale assurda situazione si è cacciato,
in quale
strana e così
straniera circostanza
ha cacciato tutti loro. L'ostilità che lei emana nei suoi
confronti
è pari alla sua voglia di rimangiarsi ogni parola e
tornarsene a
Erebor: e, per Mahal e tutti i Valar, è un desiderio
veramente
allettante.
Il lupo si è
alzato e, dai gradini, troneggia maggiormente sull'assemblea; rimane
placido mentre la giovane gli allunga una breve carezza dietro le
orecchie, come farebbe una qualsiasi padrona nei confronti del suo
animale domestico. Eppure vi è qualcosa che non lo convince
del
tutto, se ne accorge troppo tardi: non è un gesto d'affetto,
ma un
comando sapientemente nascosto. Difatti, una volta staccatosi dal
contatto, inizia ad avanzare verso il basso mostrandosi in tutta la
sua spaventosa e maestosa grandezza; gli si avvicina, e a Thorin non
rimane altro che alzare fiero il capo senza mostrare vacillamento
né
timore. Si studiano, ogni muscolo è pronto a scattare, la
mano
sinistra indugia nello sfiorare il manico di Orcrist; il lupo lo
annusa e, lento, gli gira attorno, distogliendolo dalla figura seduta
sul trono che, malignamente divertita, finalmente decide di parlare.
<<
Dovete perdonarlo. Non è abituato ad estranei.
>>
<<
Nemmeno noi. >> borbotta Dwalin, stringendo i pugni nel
vedere
quella disgustosa e pulciosa bestia gironzolare attorno all'amico.
Dopo secondi
che paiono ore quella passa oltre, superando Thorin per dirigersi
verso gli altri.
<<
Posso immaginarlo >> si affretta a dire il Re di Erebor,
sperando di ricondurla da lui prima che il tutto precipiti e tentando
di rimediare alla schiettezza del parente << ma siamo
giunti
qui in pace, in risposta alla vostra richiesta d'aiuto. Gradiremmo
conoscere i dettagli il più presto possibile, e partecipare
all'organizzazione della difesa della montagna. >>
Ognuno dei
nani lo studia, sposta con discrezione lo sguardo verso la regina, in
muta attesa; lei inclina la testa di lato, schiude le labbra
<<
Non ora. >>
Thorin
stringe un attimo le labbra, preparandosi a ribattere con ferocia che
non c'è tempo da perdere e che, se vogliono salvare quel misero
regno e il suo misero
popolo, occorre agire in fretta perché gli orchi non
aspettano.
Lei capisce
il suo disappunto, ed un sentimento di fastidio e collera monta nel
petto; si costringe a calmarsi, perché così ha
promesso.
Perciò si
sbriga a terminare la frase, prima che l'ospite fraintenda
<<
Sarete miei graditi ospiti a cena, e allora discuteremo di ogni
dettaglio.
Ora verrete
scortati nelle vostre camere e sarete chiamati al momento stabilito;
nel frattempo vi consiglio di riposarvi. >>
Ad un suo
cenno con la mano destra alcuni servi e serve si mostrano, quasi come
comparsi per magia dalla profondità delle tenebre che
avvolgono il
luogo. Thorin però non ha ancora terminato e, caparbio,
muove
qualche passo in avanti; com'è prevedibile il lupo nero
inizia a
ringhiare feroce, un avvertimento che lo obbliga a malincuore ad
arrestarsi.
<<
Prima di congedarmi, mia signora >> inizia, accennando un
lievissimo inchino col capo che la donna interpreta come scherno
<<
intendo conoscere il nome di colei che mi ha convocato e desidero
sapere se i miei soldati sono stati condotti al riparo, negli alloggi
assegnati. >>
La frase la
spiazza, lo nota meglio ora che è più vicino al
trono, a pochi
passi dai suoi bassi gradini; la vede arrossire di rabbia e cercare
con lo sguardo una figura alla sua destra e, seguendola, nota un nano
anziano che annuisce impercettibilmente; di riflesso, si permette di
espirare.
<< I
vostri uomini sono già sistemati >> lo
informa, fredda <<
mancate solo voi. In quanto al mio nome, non vedo come possa
realmente
interessarvi; comunque parlate con Nora, sovrana del regno. E
adesso... >> lascia volutamente la frase in sospeso,
facendogli
intendere che non tollererà altre intrusioni.
Thorin
sbuffa contrariato, notando quanto sia particolarmente
affettuosa l'ospitalità di quei nani;
non le rivolge alcun
inchino, la sfida con gli occhi a redarguirlo finché segue
il servo,
finché non lascia la Sala del Trono alle spalle.
Solo allora
si permette di guardare Dwalin; si scambiano un'occhiata,
condividendo come sempre i medesimi pensieri e timori.
Devono stare
attenti.
Molto
attenti.
Espirò
pesantemente e portò una mano alla radice del naso,
massaggiando il
punto caldo che doleva da morire; lo sguardo cadde sulle cosce
coperte dalla stoffa rosso cupo finché non trovò
la forma solida
della corona. La sfiorò con la punta delle dita, provando un
immenso
sollievo nel sentire il metallo freddo al tatto; aveva bisogno di
pensare eppure, allo stesso tempo, era stanca. Non aveva fatto altro
da quando aveva congedato gli ospiti e i suoi consiglieri, rimanendo
sola nella grande Sala del Trono.
Tentò
di relegare in un angolo remoto la rabbia e il disgusto verso Thorin
Scudodiquercia preferendo concentrarsi sul problema degli orchi e
sulla possibile battaglia che, presto, si sarebbe scatenata ai piedi
del suo regno. Lo stesso regno che per numerosi secoli era rimasto
nascosto agli occhi di tutti, dimenticato, menzionato solo nelle
leggende e negli antichi e impolverati libri di storia.
Non
era pronta a rivelare all'intera Terra di Mezzo la sua esistenza.
Nessuno di loro lo era.
Ciò
che non riusciva a comprendere era perché avessero deciso di
attaccarli, in che modo ne erano venuti a conoscenza; e, fatto non
meno importante, perché Dain avesse deciso di negare il suo
aiuto
quando, al contrario, glielo aveva assicurato. La sua firma, nero su
bianco, ricordava il suo obbligo. Alzò un angolo della
bocca, ilare:
forse l'ultimo dubbio l'avrebbe fugato quella sera stessa grazie al
nuovo salvatore.
Entrambe
le mani strinsero con foga i braccioli lucidi e neri, tanto che le
nocche sbiancarono visibilmente; sentì di tremare e
s'accorse che il
lupo la stava fissando quasi riuscisse a leggerle l'anima. I suoi
occhi luminosi sembrarono ammonirla, ordinandole di respirare: e,
inconsciamente, eseguì.
Animale
e donna si guardarono negli occhi lunghi istanti, e solo dopo che lei
abbassò il capo per prima in ringraziamento quello
tornò ad
accucciarsi a terra. Vi era uno strano rapporto tra loro, non lo
negava; ma, in fin dei conti, ciò non capitava tra due
esseri che
non si appartenevano? Si erano trovati insieme a causa di circostanze
esterne ed estranee alla loro volontà; poco importava se si
conoscessero da lunghi anni, da che lei ne aveva memoria: non le era
mai appartenuto. Non era il Re. Una dolorosa morsa al cuore le
spezzò
il respiro, ma la scacciò quando udì rimbombare
dei passi e
l'inconfondibile tintinnio di una spada al fianco; indossò
la corona
e mutò espressione, tornando la regina imperscrutabile
conosciuta
all'interno di quelle mura.
Le
ombre danzanti presero forma di un giovane nano di bell'aspetto dalla
folta chioma color del grano; avanzò senza timore
finché non
raggiunse il lupo, rivolgendogli un rigido cenno col capo che
l'animale sembrò apprezzare. Poi si rivolse a lei:
portò la punta
delle dita a toccare le palpebre abbassate e allungò le mani
avanti
a sé, nella direzione della sua sovrana.
<<
Novità, Hagan? >>
<<
No, mia signora. Le sentinelle non hanno scorto nulla, e io con loro;
i fuochi sembrano spariti, inghiottiti dalla terra o dissolti nel
cielo >> l'informò cupamente.
<<
Non è confortante. Mi domando dove possano essersi rintanati
>>
sussurrò la giovane, afflosciando le spalle irrigidite
<< Tu
pensi abbiano lasciato perdere qualsiasi tentativo di conquista?
>>
domandò, una flebile speranza nella voce.
<<
Vuoi la verità? >>
<<
Non mi aspetto altro da te, Capitano. Dì quel che devi.
>>
Lo
sguardo di Hagan non vacillò mai, nemmeno di fronte a quella
brutale
verità che, tuttavia, le avrebbe aperto gli occhi
<< Credo si
stiano organizzando per la più imponente battaglia che gli
Ered
Mithrin abbiano mai visto. Dovremo essere pronti, perché
quando
arriveranno saranno brutali e spietati; non risparmieranno nessuno.
>>
Alla
frase, lo sguardo della giovane saettò sul suo viso e Hagan
poté
giurare di vederlo pieno di terrore. Sbatté
le palpebre per ritrovare il contegno perduto, ma i tremiti
incessanti e freddi che le percorsero il corpo furono ben difficili
da cacciare. Annuì più volte e si alzò
dal trono, scendendo i
bassi gradini che la separavano da lui; quando si ritrovò ad
un paio
di passi gli fecce cenno di alzare il capo, poiché impegnato
in un
profondo inchino.
<<
Il... Re di Erebor è assolutamente indispensabile, dunque.
>>
Il
tono disgustato non sfuggì alle orecchie del nano e, suo
malgrado,
si ritrovò ad annuire << Senza i suoi uomini
non abbiamo
speranze. I nostri soldati sono troppo pochi, e non possiamo chiedere
agli anziani o ai giovani di imbracciare le armi: non abbiamo
sufficiente tempo. >>
<<
Non l'avrei chiesto comunque, giacché alcuni hanno visto
troppi
inverni, altri troppo pochi. Gli orchi non sono nemici da
sottovalutare, ed ogni soldato impreparato equivale ad una loro
vittoria. Non posso permetterlo >> strinse
involontariamente i
pugni, ma il Capitano ebbe cuore a non commentare.
<<
Non accadrà >> ribatté fermamente
il nano, portandosi il
pugno destro al cuore << lo giuro sulla mia vita.
>>
La
sovrana alzò un angolo della bocca in un sorriso
riconoscente <<
Ti ringrazio, Hagan, ma spero non ce ne sia bisogno. >>
<<
Tu come stai? >> le domandò, dopo lunghi
attimi di silenzio in
cui entrambi si isolarono per riflettere.
Stavolta
il sorriso si fece più ampio << E' il Capitano
o l'amico che
lo vuol sapere? >>
Alla
risposta non poté far altro che imitarla, donandole un
sorriso
sincero seppur stanco << Entrambi, lo sai. Ma credo
più
l'amico >> concluse, strizzando l'occhio sinistro.
Si
lasciò sfuggire un pesante sospiro, e intrecciò
le dita delle
piccole mani << La testa pare scoppiarmi di dolore e sono
confusa, spaventata, arrabbiata. Molto
arrabbiata. >>
<<
Posso capirne il motivo >> si ritrovò a
mormorare, venendo
udito.
Strinse
la mascella e inspirò a fondo << Non erano la tua
famiglia,
Hagan >> sibilò,
furiosa.
<<
Nora - >> tentò di parlare ma non glielo
permise.
<<
Abbiamo finito di discutere. Ti attendo a cena, dove sarai presentato
agli ospiti e potremo discutere di una strategia di battaglia
>>
ordinò brusca, sorpassandolo per uscire dalla sala.
Hagan
volle raggiungerla, fermandola per un braccio, ma il lupo parve
capire le sue intenzioni perché si alzò di scatto
dal pavimento di
pietra mostrando le zanne scoperte e appuntite.
Nora
si voltò, guardandolo freddamente e con
superiorità: era tornata la
donna imperscrutabile a cui aveva giurato fedeltà un anno
addietro e
per la quale avrebbe dato la vita, se necessario; eppure nella sua
anima sapeva esserci ancora la principessa Nora. Ora, solo poche
persone potevano ritenersi così fortunate da vederla, e lui
non era
tra queste; lo era stato – e in rari momenti lo era ancora
– ma
era irrimediabilmente cambiata da quando era salita al trono. Erano
cambiati tutti con violenza, quel lontano giorno.
<<
Andiamo, Khael. >>
Il
lupo gli donò un ultimo sguardo guardingo con i suoi
pericolosi
occhi gialli e poi seguì la sua Regina, confondendosi tra le
ombre
nere.
E' immersa
nel mondo dei sogni. Non ricorda da quanto tempo non sogna la sua
infanzia, e si ritrova a commuoversi; inoltre, è da molto
tempo –
un anno e tre mesi, per la precisione – che non si sveglia
durante
la notte. Eppure, adesso, qualcuno la chiama e la scuote piano ma con
fermezza e viene strappata ai suoi sogni così vividi e belli
da
sembrare reali; oh, quanto vorrebbe fossero tali! Ma tutta la sua
vita è cambiata da un giorno all'altro e lei non
è riuscita a far
nulla; si è trovata a capo di un regno dovendo fare i conti
con i
sudditi e ciò che restava della sua famiglia.
<< Mia
signora! Mia signora! >>
Apre gli
occhi e scorge il volto di Gilla, la sua dama di compagnia; indossa
un mantello sopra la camicia da notte, e pare angosciata.
Ciò la
desta del tutto, e si affretta a chiedere cosa succede.
<< Il
Capitano Hagan è qui fuori, mia regina; chiede di vedervi,
dice che
è urgente. Molto urgente! >>
<<
D'accordo >> mormora, scostando le coperte dal corpo; si
siede
sul materasso e poi si alza in piedi, mentre il cuore inizia ad
accelerare i suoi battiti: se Hagan ha chiesto di vederla in piena
notte significa che è accaduto qualcosa di grave
<< Aiutami ad
intrecciarmi i capelli, non occorrerà una pettinatura
elaborata. E
portami la vestaglia e il mantello più pesanti che ho.
>>
<<
Sì,
mia signora. >>
Gilla fa
come richiesto e, dopo dieci minuti, è pronta per incontrare
il
soldato; lo trova nel salottino, davanti al focolare acceso mentre
è
intento a scaldarsi le mani. Indossa il mantello di pelliccia, il che
significa che è appena rientrato tra le mura calde del
palazzo dopo
aver trascorso del tempo all'aperto.
La sente
camminare verso di lui, si gira e inchina la testa frettolosamente,
salutandola poi con il rito proprio della loro gente.
<< Che
succede? >>
<< Mi
rincresce svegliarti, mia signora, ma devi venire con me.
C'è una
cosa che devi vedere, là fuori. >>
Lo stomaco
le si stringe doloroso, mentre uno spiacevole presentimento si fa
strada nel cuore; conosce molto bene il soldato, sa per certo che
deve trattarsi di una faccenda importante e delicata di cui,
giustamente, non vuol parlare lì. Le sue stanze sono sicure
– ella
stessa se ne preoccupa per prima – ma è sempre
meglio essere
prudenti, specie in quei tempi. Annuisce e si ritrova a seguirlo
lungo i vari corridoi e scale mal illuminati, salgono sempre
più
finché non raggiungono una porta di ferro. Prima di uscire,
Hagan
prende una lanterna e si volta a guardarla, illuminandole il volto
teso e pallido.
<<
Copriti bene, fuori il vento è pungente. >>
Non attende
risposta perché si volta, la mano stringe la maniglia e tira
verso
di sé, aprendola. Una raffica la raggiunge in pieno volto
facendole
lacrimare gli occhi e congelare il naso, però questo non la
ferma.
Deve sapere. Deve vedere. Esce, ed il paesaggio mozzafiato le toglie
il respiro; le stelle sono tantissime, puntini lontani e freddi
nell'oscurità più nera della notte. Riconosce il
Vecchio Astro e la
Vecchia Madre, uno accanto all'altra e più luminosi di tutte
le
altre stelle, ma poi dei movimenti attirano la sua attenzione: nota
due sentinelle, una anziana ben nota e una, giovane poco più
di lei,
che le rivolgono grandi inchini e mostrano un ossequioso rispetto.
<<
Perdonaci, maestà >> si scusa l'anziano, non
guardandola in
volto.
<< Non
hai nulla di cui scusarti, Bemli; non se è importante.
>>
<< Lo
è, signora. >>
Lei
annuisce, e gli rivolge un piccolo sorriso di incoraggiamento;
conosce Bemli da quando ne ha memoria ed è certa si tratti
di una
cosa importante quando nota la sua espressione seria e tesa, che le
smorza il sorriso sulle labbra rosee.
<<
Mostrami quel che devi. >>
<<
Osservate laggiù, verso ovest. >>
Nora segue
il percorso del dito e si blocca, schiudendo le labbra; una luce
flebile e aranciata si intravvede appena nella Piana di Angmar. Il
fiato le si spezza e per alcuni lunghi secondi non riesca ad
articolare nulla, nemmeno un pensiero; poi si rivolge ai due nani.
<<
Sono fuochi? >>
<<
Yar,
mia signora.
Pensiamo lo siano >> le risponde Bemli, grattandosi
pensieroso
la lunga barba grigia.
<< Lo
sono indubbiamente, maestà >> interviene
Tosur, indicando poi
il grande braciere alle sue spalle << I colori sono del
tutto
simili alle fiamme del fuoco. >>
Lei annuisce
greve << Da quanto tempo li avete notati? >>
<< Da
poco più di mezzora, e ho immediatamente mandato Tosur ad
informare
il Capitano. >>
<< E'
così >> interviene il suddetto, puntando lo
sguardo ai
bagliori << ma ora paiono essersi smorzati un poco; forse
si
sono diretti dalla parte opposta. >>
<< E'
quello che speriamo tutti. >> borbotta il più
anziano del
gruppetto, sconsolato.
Nora e Hagan
si scambiano un'occhiata, capendosi: nessun posto può essere
più
sicuro della vedetta per parlare di quell'argomento delicato.
<<
Avete fatto un buon lavoro, io per prima ve ne sono immensamente
riconoscente. Ora, sareste così gentili da lasciarci soli
qualche
minuto? >>
Bemli e
Tosur annuiscono, e dopo un breve inchino col capo se ne vanno
lasciando soli i due giovani; Nora si stringe inconsciamente nel
tepore del mantello mentre osserva quel cattivo presagio.
Rimangono in
silenzio a lungo, i volti concentrati e apparentemente persi ed
assenti finché non è lei a spezzare il silenzio
<< Verranno
qui, non è vero? >> sussurra, senza voltarsi
verso il viso del
nano.
Lui, al
contrario, sposta gli occhi verdi su di lei, soffermandosi sulla
treccia frettolosa – alcuni capelli sono sfuggiti e seguono
il
percorso del vento – attorcigliata alla nuca; gli occhi e le
palpebre non sono truccati mostrando chiaramente quanto quel viso sia
giovane, e anche la corta barba castana lo dimostra: le donne non
l'hanno folta quanto gli uomini, dato che alcune posseggono solo le
basette, altre un po' di pizzetto e altre ancora - come Nora
– un
leggero e sottile velo di peluria.
Conscio di
doverle rispondere, cerca di rimediare in fretta poiché sa
quanto
non ami attendere, specie se è una risposta tanto importante
<<
Non voglio mentirti quando dico che non ne sono certo. Forse, o forse
no. >>
<<
Allora dobbiamo scoprirlo; mandiamo dei ricognitori. Penserai tu al
numero e a chi inviare. >>
<< Come comandi. Ma credo
sia opportuno pensare già ad un piano di difesa e d'attacco,
in
questo caso; non possiamo permetterci di giungere impreparati, se
verranno. >>
<<
Dobbiamo convocare i consiglieri e discuterne immediatamente
>>
a dispetto del tono calmo, Hagan ne intuisce la scontentezza e non
può fare a meno di sogghignare.
<<
Saranno deliziati di un risveglio in piena notte. >>
Nora fa una
smorfia di scherno << Probabilmente raggiungeranno la
Sala del
Consiglio a mezzodì. Sempre se vorranno degnarmi
della loro presenza. >>
<<
Yar,
forse. Però
potrai sempre contare su mio padre, lo sai. >>
La regina si
permette un lieve sorriso << Garan potrebbe essere
l'unico a
presentarsi, già >> sbuffa e si friziona le
braccia con le
mani per scaldarsi << Non mi importa, devono essere
avvertiti
immediatamente tutti
quanti, dal
primo all'ultimo. Non accetterò rifiuti. >>
<< Mi
assicurerò che eseguano, mia signora. >>
<< Lo
so. Andiamo, sarà una lunga notte, e una ancora
più lunga giornata
ci attende >> distolse a fatica gli occhi nocciola dal
bagliore
lontano e, col cuore gonfio di pena e paura si incamminò da
dove
erano venuti, ascoltando i passi pesanti del soldato alle sue spalle.
Esattamente
un'ora dopo Nora e Hagan siedono nella Sala del Consiglio, attendendo
che i nani arrivino per essere ragguagliati; con immenso
compiacimento non devono aspettare molto perché ecco che,
dalla
porta, compare la figura bassa e tozza di Garan, padre del Capitano.
<< Mia
regina >> la saluta, inchinandosi << Figlio
>>
aggiunge, sedendosi alla sua destra.
<<
Benvenuto, Garan. >>
<< Dunque è vero? Si scorgono
bagliori a ovest? >>
<<
Precisamente, ma vorrei aspettare gli altri prima di raccontare:
preferirei parlare una volta soltanto. >>
<<
Come è giusto, mia signora >> un'altra voce,
untuosa e
sgradevole – al contrario di quella di Garan, profonda e dura
–
si aggiunge al trio; due figure fanno la loro comparsa, anche questi
padre e figlio.
Nora reprime
un moto di stizza nel vederli, ma non può far nulla: erano
consiglieri già prima che si insediasse, e senza una valida
motivazione non può cacciarli.
Li osserva
prendere posto, notando le facce stanche e tirate di chi è
stato
fatto scendere dal letto troppo presto, e sapere che lei ne
è
l'artefice la rinvigorisce; finalmente giunge l'ultima coppia di nani
e, ora che sono tutti seduti, a lei non resta che raccontare
ciò che
ha visto.
Man mano che
procede nel succinto racconto nota i loro volti farsi attenti, le
posture si irrigidiscono e le sopracciglia si corrugano; infine, cala
il silenzio.
<< Per
Mahal >> borbotta preoccupato Sisil, l'anziano
consigliere <<
Ciò è orribile! >>
<<
Suvvia, non significa nulla! >> interviene lo sgradevole
Fanus,
uno scintillio strano nei piccoli occhi acquosi neri come pece
<<
Non prova che stiano venendo qui. >>
<<
Potrebbero, mastro nano. >>
<< Mio
caro ragazzo >> continua, rivolgendo un sorrisino
compassionevole all'indirizzo di Hagan << nessuno, e
ripeto
nessuno, è
a
conoscenza della nostra presenza, e del regno. Di questo siamo
sicuri. >>
Hagan si sta spazientendo, Nora se ne accorge; e,
prontamente, decide di parlare << Potremmo esserci
sbagliati.
Eravamo convinti della nostra invisibilità, ci siamo
crogiolati
nella sicurezza troppo a lungo. Non vorrei dirlo, ma penso proprio
che dovremo prepararci al peggio, miei signori: gli Ered Mithrin non
sono più sicuri. >>
<<
Sciocchezze! >> esclama Fanus, ricevendo una dura
occhiata
dalla maggior parte delle persone presenti << E'
dall'anno 2570
della Terza Era che siamo nascosti come topi tra queste catene
montuose! È semplicemente inaudito che ora un gruppo di
orchi voglia
attaccarci! >>
Un borbottio
di assenso si leva dal gruppo ma stavolta è il giovane Hagan
a
prendere la parola << Dobbiamo vagliare tutte le
possibilità.
E una di queste prevede che vengano ad attaccarci >> dice
calmo, seppur gli occhi lo tradiscano.
<<
Dimmi, Capitano >> interviene un nano poco più
vecchio di lui,
seduto accanto a Fanus << hai provveduto a spedire dei
ricognitori? >>
<<
Certo, Doiran >> risponde glaciale il soldato,
assottigliando
lo sguardo verde << per ordine di sua maestà
la regina. Ne
sono stati inviati due a piedi e due a cavallo di lupi,
cosicché
possano battere meglio il territorio alla ricerca di tracce.
>>
<<
Siete soddisfatti? >> domanda ironica Nora vedendo che,
almeno
Doiran, mostra la decenza di abbassare gli occhi << Ora,
ipotizziamo che la minaccia diventi reale: come procederemo?
>>
chiede, volendo coinvolgerli.
Garan
stringe i pugni sul tavolo di pietra, combattivo <<
L'unica
soluzione è scendere in battaglia. >>
<<
Padre, non abbiamo sufficienti uomini, e i soldati non si
moltiplicano dal giorno alla notte. >>
Un silenzio
denso scende nella sala; ciascuno pensa a possibili soluzioni, una
più improbabile dell'altra, fino a quando non se ne staglia
una.
Nessuno la espone, o non subito: non ne hanno il coraggio. Hagan
raccoglie la sua determinazione, si gira verso la sovrana che, nel
mentre, ha giunto le mani sotto al mento, incurante dell'etichetta;
molto probabilmente è arrivata alla medesima soluzione, ed
è
comprensibile ne sia sconcertata tanto quanto loro.
<<
Servirà l'aiuto dei Colli Ferrosi. >>
Gli occhi
nocciola si sgranano di poco, sbatte le ciglia parecchie volte; si
gratta inconsapevolmente la pelle della mano sinistra come ogni
qualvolta è nervosa, ma nessuno se ne accorge: tutti
guardano il
soldato.
Lo
sbigottimento è palpabile, nessuno sembra raccapezzarcisi;
significherebbe la venuta di estranei
nel loro regno. Certo, i Colli Ferrosi sono a
conoscenza
della loro esistenza ma, come da patto, non hanno mai valicato i loro
confini. E ora si chiede non solo di passarli, ma addirittura di
insediarcisi?
<<
Assurdo, semplicemente assurdo >> borbotta Fanus e, per
la
prima ed unica volta, Nora si trova d'accordo col viscido
consigliere.
Eppure sa
anche lei che non vi è altra soluzione. È
lacerata, lo sente: da
una parte la lealtà al suo popolo, a suo padre e ai suoi avi
prima
di lui, che tanto hanno fatto per proteggere le Montagne Grigie da
altri indesiderati visitatori; ma, dall'altra, vi è la
distruzione
di tutto ciò che tanto hanno faticosamente ricostruito. I
piatti
della bilancia non sono equiparati, ne è consapevole.
Abbandonarsi
al passato o abbandonare il futuro?
Vorrebbe
chiedere consiglio, ma non può: è sola. Il
fardello della reggenza
grava sulle sue spalle come mai è successo; solo lei
deve
decidere.
E mentre
attorno alla sua figura china in se stessa si sta scatenando un
acceso dibattito, accoglie quella soluzione che potrà
salvarli. O,
almeno, spera.
<<
Sia.>>
Di nuovo
cala il silenzio, nessuno osa fiatare. Si sente trafitta da quegli
sguardi allibiti però non si mostra indecisa, tutt'altro:
alza il
mento, fiera, e guarda ciascuno dei nani soffermandosi su uno in
particolare.
<<
Spediremo una richiesta di aiuto, sperando venga accolta; nel
frattempo prepareremo delle strategie, qualsiasi mossa che possa
aiutarci. >>
Fanus sbuffa
forte per attirare l'attenzione, ci riesce << Mia signora
>>
comincia, fin troppo lusinghiero << non sappiamo neppure
se
siamo il loro obiettivo. >>
Una sorda
collera minaccia di infiammarle l'animo e, solo in parte, riesce a
contrastarla << Vuoi attendere che attacchino le Porte,
per
convincerti? Desolata, non aspetterò tanto. >>
<<
Pazienta finché i ricognitori non tornano, regina. Non
agiamo
incautamente. >>
Nora
assottiglia gli occhi verso Sisil, mentre sente gli eventi scorrere
troppo velocemente dalle dita << Ascoltatemi, tutti voi!
So
bene quanto questa idea non incontri il vostro favore,
perché i
dubbi che provate sono i medesimi che mi colgono. Per centinaia di
anni abbiamo mantenuto questo segreto, però adesso... adesso
si presenta una grave minaccia che, se non
arginata in
tempo, porterà tutti noi alla rovina. Pensate alle vostre
famiglie,
ai risultati ottenuti negli anni, a tutto quello che abbiamo
costruito con le nostre sole forze! Desiderate che tutto venga
distrutto? Volete rivedere questo posto lambito dalle fiamme come
l'ultima volta? >>
<<
Maestà, stavolta non si tratta di draghi,
bensì di meri orchi. Il regno è all'interno delle
Montagne, e le
Porte sono spesse e resistenti. Perché non barricarci e
attendere
che finisca l'assedio, se si arriverà a tanto?
>>
<< Ben
detto padre >> rincara Doiran << Non
riuscirebbero ad
entrare e noi saremmo salvi. >>
<< Sei
uno sciocco se pensi questo, Doiran >> lo rimprovera
Hagan,
lanciandogli un'occhiata di puro fuoco << Le Montagne
sono il
nostro rifugio, è vero, ma abbiamo anche bisogno della luce
del
giorno e di ciò che sta all'esterno; per questo usciamo coi
nostri
lupi. Gli orchi sono creature tenaci, un misero assedio potrebbe
diventare lungo e insopportabile per noi quanto per loro;
diverrebbero irascibili e farebbero di tutto per entrare:
troverebbero le altre porte nascoste – più sottili
e vulnerabili –
e le distruggerebbero. >>
<<
Nessuno conosce gli orchi quanto te, Hagan >> parla Nora,
ringraziandolo internamente per la solidarietà
<< Vorrei lo
capiste anche voi, e che pensaste essere l'unica soluzione.
Credetemi, se potessi trovare un altro modo piuttosto che chiamare
Dain qui... >>
<< Lo
attueresti. Lo sappiamo, maestà. >>
<< Ti
ringrazio, Garan. Dunque, qual è il vostro verdetto?
>>
<< Non
abbiamo altra scelta, dico bene? >> dice sprezzante
Sisil, uno
dei più anziani << Mi ripugna questa idea,
ma... per il bene
del Regno, accetto. >>
<<
Unicamente per il bene del Regno >> ripete Nora, cercando
di
non badare allo sguardo infuriato che le dona il nano.
<<
Accetto anche io. Per il Regno >> la voce burbera di
Malir si
aggiunge, non le rivolge alcuna occhiata accusatoria, per sua immensa
gioia.
Volta la
testa verso sinistra, cerca i volti di Doiran e Fanus; il cuore
sembra farsi strada attraverso il corpo, prega perché gli
altri non
sentano nulla tanto batte veloce. Le sembra di impazzire, vuole
gridare loro di prendere una decisione, di non indugiare inutilmente
in stupidi pensieri perché non v'è tempo.
Ed ecco,
quando ogni speranza sembra scemare, Fanus si muove a disagio
<<
Sia come dici, mia signora. >>
Immediatamente
dopo anche il figlio si mostra d'accordo; annuisce, non dice niente.
Nora non sa come interpretarlo ma si accontenta; non si aspetta una
dimostrazione plateale di lealtà, non da loro due. La
preoccupazione
torna, riesce a rinchiuderla in una cella della mente sperando vi
rimanga; sa che non accadrà, però le serve del
tempo per pensare
lucidamente.
<< Se
tutto procede come programmato domani al massimo avremo qualche
notizia dagli esploratori, e se entro sera non si faranno vivi
invieremo lo stesso un corvo imperiale a Dain Piediferro. Ora
occupiamoci di una linea difensiva. >>
Il giorno
successivo giunge, e così anche la sera; dei quattro
ricognitori ne
tornano due, uno a piedi e malridotto e uno in groppa ad un lupo,
ferito malamente alla gamba da artigli affilati. Nora viene subito
informata, si presenta ella stessa alla Casa di Guarigione, posta
ancora più in profondità nella montagna. Non
appena i due nani la
riconoscono tentano di alzarsi in piedi, ma le ferite non lo
permettono, e nemmeno lei; ordina loro di sdraiarsi, e li esorta a
raccontarle l'accaduto. Tenta di mantenersi distante e fredda, senza
successo: sentire dell'imboscata e della brutalità con cui
sono
stati attaccati la paralizza, le mozza il respiro. Ascolta
dell'uccisione disumana di cui sono stati partecipi, e le pare di
figurarsi la scena: accerchiati, sono costretti a inginocchiarsi; il
capo di quelle disgustose creature parla nella sua lingua raschiante
e aspra, vuol sapere che fanno lì. Non ricevendo risposta
decide di
passare ai fatti: ordina che vengano trucidati solo due nani, gli
altri servono come monito perché tornino da dove sono venuti
e
dicano che gli orchi si stanno muovendo, stanno venendo a prenderli.
Ciò che
accade in seguito è un insieme di lame che cozzano e
feriscono, di
denti che dilaniano e inghiottono, di sangue che cola come un
ruscello.
Nora
desidera tapparsi le orecchie e fuggire, invece chiude gli occhi e
respira lentamente per calmarsi.
Li ringrazia
e si dispiace per i compagni deceduti e perché hanno
rischiato la
vita; i due le sono riconoscenti, necessitano di cure e lei li lascia
alle sapienti mani dei guaritori.
Fa chiamare
Hagan, è il momento di attuare il piano; tra le mani regge
due
foglietti di carta piegati con cura e pronti per essere spediti. Non
attende molto tempo che il Capitano compare nella Sala del Trono, e
insieme si avviano verso una terrazza scavata nel fianco della
montagna, dove li attende un nano anziano incaricato di badare ai
grandi e antichi corvi neri. Ne inviano due, per sicurezza; e mentre
li osserva volare verso la destinazione prescelta, Nora si ritrova a
pregare come mai in vita sua. Tutto dipende da loro, ormai. Si augura
non incappino nei nemici.
Sono passati
alcuni giorni, giorni nei quali Nora non è mai risultata
più
agitata e irrequieta; non prova piacere nel cibo, né sente
il
bisogno di dormire allontanando un attimo i pensieri che vorticano
senza sosta. Come può riuscirci se, non appena chiude gli
occhi,
immagina orrendi scenari di morte, desolazione e paura? Nemmeno la
sua famiglia riesce a distrarla, il che la demoralizza. Pensa
costantemente ai corvi, a Dain, ai bagliori che paiono spariti ma che
sa essere ancora presenti, da qualche parte là fuori.
Tamburella
le dita sul marmo freddo del trono; non si è tolta la
corona, gesto
che compie ogni qualvolta si ritrovi sola. Il mal di testa la
tormenta, stringendola nelle sue soffocanti spire; a stento ode i
ringhi sommessi di Khael, così come a stento si accorge del
soldato
fermo ai piedi del trono, inginocchiato a terra e con la mano destra
al petto.
<< Mia
signora, i soccorsi sono arrivati. >>
Nora alza la
testa di scatto, la speranza brilla come una delle fiammelle attorno
a lei; ringrazia Mahal e tutti gli dei per questo dono inatteso,
però
quel che ode subito dopo la fa ripiombare nell'apprensione.
<<
Purtroppo non si trattano dei Nani dei Colli Ferrosi. >>
<<
Come sarebbe a dire? >> domanda, iniziando ad
infervorarsi <<
Parla in fretta, te lo ordino! >>
Il giovane
alza timoroso gli occhi alla sua figura per poi riabbassarli
contrito, incerto se continuare o meno: ma la sua regina glielo ha
ordinato, lui deve obbedire anche se non la renderà felice
<<
Thorin Scudodiquercia si presenta come salvatore. >>
Di certo ha
capito male, deve esserci uno sbaglio. Il Re di Erebor?
Aggrotta la
fronte e stringe le mani a pugno, la rabbia monta prepotente: Dain ha
infranto il patto e ha inviato il cugino, fautore della sua
sofferenza e della sua dannata condizione. E ora lei dovrebbe
accoglierlo a braccia aperte? Ah!
D'improvviso
il pensiero del pericolo in cui verte la sua gente squarcia la
cortina di dolore e ira; pur non volendolo ammettere lei ha bisogno
di lui, e della asce e spade che porta. Di certo
i suoi
soldati sono in numero nettamente maggiore a quelli presenti negli
Ered Mithrin, e questo può rappresentare un notevole
vantaggio
contro gli orchi.
Ripensa a
Thorin Scudodiquercia e alla sofferenza che ha provocato tra quelle
mura, alla disperazione che ne è seguita e che è
presente ancor
oggi, come un fantasma che non vuol abbandonare i propri carnefici e
gli affetti che ama.
Si riscuote
ricordandosi dell'uomo che attende una sua parola <<
Bene,
portalo qui. Quanti nani ha al seguito? >> chiede, fredda
come
l'inverno più rigido.
<<
Quattrocento, mia signora. >>
Un numero
sbalorditivo, constata sorpresa. Solo i soldati di Scudodiquercia
sono pari all'intera popolazione sotto il suo comando.
<< E'
solo? >>
Il giovane
la guarda perplesso, non comprendendo immediatamente la domanda; poi
però scuote la testa << Viene con la sua
Compagnia, e sono in
dieci. >>
<<
Capisco. Vai, torna laggiù. >>
Esegue e,
una volta rimasta sola, chiama le serve affinché preparino
le varie
stanze; poco prima di congedare l'ultima, però, cambia
repentinamente idea << Il sovrano di Erebor
starà più comodo
nella stanza dell'arazzo dorato. >>
La nana si
inchina << Come comandi. >>
Oh
sì pensa, tornando a sedersi sullo
scranno in attesa
dell'arrivo dei consiglieri e degli ospiti decisamente
più comodo.
Il
nano che lo condusse alla sala da pranzo si presentò in
perfetto
orario, e Thorin non poté far altro che seguirlo lungo quei
corridoi
fiocamente illuminati; si girò indietro numerose volte, e la
sensazione d'essere costantemente osservato
non gli piacque nemmeno un po', anche se lo reputò sciocco e
privo
di fondamento. Non vi erano che loro, e le ombre delle fiamme sui
muri un tempo affrescati e ricoperti di arazzi ora sbiaditi.
Si
stava lasciando suggestionare da quel luogo che sapeva di antico e
desolato, tutto qui. E ciò era dovuto in buona parte alla
totale
assenza di nani: a parte qualche sporadico domestico – e i
consiglieri che aveva avuto il piacere
di conoscere – non vi era nessun altro, lì. Fatto
che lo preoccupò
più di quanto potesse esprimere.
Riuscì
a calmarsi parzialmente quando Dwalin li raggiunse, vestito nel suo
abito da cerimonia migliore; nonostante l'aspetto nobile, trasudava
la caratteristica forza e durezza che Thorin apprezzava. Anche senza
le sue asce o i tirapugni incuteva comunque soggezione, e
ciò li
avrebbe aiutati enormemente durante il corso della serata.
Non
parlarono, per timore che il servo ascoltasse e riferisse tutto alla
sua signora; non appena formulò quel pensiero fu inevitabile
soffermarsi a pensare a quella nana così misteriosa,
così fredda e
autoritaria come ogni sovrano che si rispettasse. Lo incuriosiva, non
lo negava: non tanto come nana in sé,
avrebbe
solo voluto dei chiarimenti riguardo il suo popolo e il suo regno del
quale non avevano mai sentito parlare. Come erano sopravvissuti alla
terribile devastazione operata dai Draghi del Nord? Come erano
riusciti a ristabilirsi lì e a convivere con la Brughiera
Arida e il
luogo ostile? Quali tecniche avevano adoperato per sopravvivere
finora?
Dubitava
fortemente di riuscire a relegare l'orgoglio per chiederglielo, e
sospettava che lei non volesse rispondergli; aveva inteso chiaramente
che non era ben accetto, anche se il motivo gli era sconosciuto. Vi
aveva pensato a lungo e a fondo, mentre passeggiava avanti e indietro
nella stanza assegnatagli, però non era giunto a nessuna
conclusione; come poteva essere responsabile di qualcosa che mai
aveva commesso? Come poteva suscitare odio profondo in una persona
mai vista prima? Forse il suo aspetto le rammentava un personaggio
sgradevole con cui aveva avuto a che fare... no, troppo campato in
aria, lo sentiva. C'era una spiegazione più tortuosa e
nascosta, che
rifletteva in qualche modo ciò che rappresentava per lui
quella
nana: era sfuggente quanto il fumo che si cerca invano di tenere tra
le dita.
Talmente
perso nei meandri della mente si accorse a malapena che l'ambiente
sembrò rischiararsi e, in effetti, ora ai muri vi erano
appese più
lanterne dalle candele quasi consumate; svoltarono un'ultima volta a
destra e dopo alcuni metri una porta dorata con due guardie dal
mantello rosso cupo sopra la corazza sbarrarono loro la strada. Il
servo non parlò né le degnò di una
occhiata, limitandosi ad aprire
l'ingresso per condurli in una stanza ampia e ben illuminata, segno
ch'era frequentata abitualmente. Thorin – dovette ammetterlo
- si
era aspettato un banchetto numeroso e sontuoso, segno che la giovane
regina voleva impressionarli, ma venne nuovamente sorpreso. Sette
persone lo attendevano, inclusa lei, già seduta a capotavola
di un
lungo tavolo di legno; c'era molto cibo, notò, la maggior
parte del
quale composto da prodotti della terra come grossi tuberi e verdure
che mai aveva visto.
La
regina si alzò venendo imitata dai sudditi e, con un gesto,
gli
indicò il posto vuoto alla sua destra, fermandolo per
presentargli
un giovane nano seduto a sinistra.
<<
Questi è Hagan, Capitano delle mie guardie personali. Sono
certa che
sarà la persona più indicata con cui parlare di
strategie. >>
I
due si squadrarono a lungo, e Thorin mostrò più
che volentieri il
disappunto nel trovarsi invischiato in quella situazione e in quel
luogo assolutamente estraneo da ogni logica; Hagan, d'altra parte,
palesò il suo fastidio verso quel nano e la sua gente in
modo più
che diretto, tanto che Thorin si ritrovò a sogghignare
malignamente
avendolo compreso.
Non
si sedettero subito poiché Nora si allontanò
dando loro la schiena;
si diresse ad un tavolino d'argento e prese tra le mani una coppa
colma di cibo, dirigendosi poi in fondo alla stanza, dove sorgeva un
altare di pietra che Thorin non aveva scorto quando era entrato.
Appoggiò con estrema delicatezza la ciotola sul piano
orizzontale, e
successivamente si inchinò chinando la testa adorna di
trecce; pur
non vedendola in volto intuì che si portava le dita agli
occhi
chiusi per poi indirizzare le mani in avanti, coi palmi ben tesi
verso la pietra. Con stupore di entrambi i Durin la giovane
iniziò
ad intonare una canzone in Khuzdul che il sovrano sotto la Montagna
interpretò come ringraziamento alla dea Yavanna, dispensatrice
di frutti. Purtroppo
non capì
le parole, poiché non parlava molto bene l'idioma antico;
lui
conosceva il Neo Khuzdul, benché parlasse la Lingua
Corrente. I nani
austeri presenti si aggiunsero alla salmodia e la imitarono, tuttavia
senza prostrarsi; Dwalin incrociò il suo sguardo, facendogli
capire
quanto li considerasse anormali, e
Thorin dovette trattenersi dal ridere forte. Passata
l'ilarità della
situazione, però, ammise di non aver mai assistito ad un
rito tanto
arcaico, considerandolo affascinante a dispetto della stranezza.
Durò
poco, la voce limpida della giovane disperse le ultime note
nell'aria, spegnendosi del tutto; solo allora si rialzò e si
risedette, aprendo il banchetto dopo essersi servita per prima.
Venne
fatta qualche domanda di circostanza, ma per il resto tutto si svolse
nel più completo silenzio: gli ospiti non erano di certo
avvezzi a
conversare amabilmente con altre persone, e i residenti non erano
abituati a intrattenere invitati.
Ciascuno
fremeva per il momento successivo al pasto, quando avrebbero
finalmente parlato; fu naturale mangiare in fretta, e persino Nora si
ritrovò a sbrigarsi, conscia solo di voler porre fine a
quella lunga
giornata e a quel periodo pressoché interminabile.
Quando
anche l'ultima briciola fu spazzolata e l'ultimo goccio di birra
densa – incredibilmente deliziosa, pensò Dwalin
– sparì nelle
loro gole, per Nora giunse il momento di iniziare la riunione.
<<
Se volete seguirmi, dovremmo spostarci nella stanza adiacente.
>>
Thorin
si morse la lingua, onde evitare uscite inopportune e scorbutiche;
era stanco di tutti questi misteri e faccende nascoste: era troppo
chiedere di palare chiaramente, senza ricorrere a inutili
indovinelli?
Non
esternò alcun pensiero, limitandosi a seguirla con le
braccia
incrociate al petto; giunsero in una stanza poco più
piccola, una
specie di anticamera di uno studio sul cui tavolo era stata spiegata
con cura una mappa della zona. Ora sì che si iniziava a
ragionare
davvero!
<<
Dunque, come immagino sappiate alcuni giorni fa abbiamo scorto dei
bagliori sospetti verso ovest, al di là del Monte Gundabad
>>
Nora indicò il punto picchiettando con l'indice sulla
cartina <<
Probabilmente si erano radunati nella Piana di Angmar. >>
<<
Naturale >> commentò Dwalin, passandosi una
mano sulle
mandibole.
<<
Per precauzione abbiamo inviato quattro ricognitori, e solo due sono
tornati indietro, raccontando di orde di orchi bardati di tutto punto
e pronti a dar battaglia. Speravamo avessero preso un altro cammino,
purtroppo non è stato così: pare si stiano
dirigendo qui, e non ne
conosciamo il motivo >> concluse, amareggiata.
<<
Non credo sia importante quanto, piuttosto, pensare ad arginare
qualsiasi loro attacco >> replicò Thorin,
rivolgendole
un'occhiata profonda.
Nora
si ritrovò a non sostenere gli occhi azzurri, e
tornò a
concentrarsi sulla mappa per ritrovare sicurezza.
<<
Ho notato che la Porta Principale non è molto sicura in
alcuni
punti: presenta delle crepe, e si rischia di rovinarla ancora di
più
solo muovendola. Come prima ristrutturazione potremmo partire da
lì,
e– >>
<<
Sono state ricostruite dopo l'avvento dei draghi, e sono
perfettamente in grado di respingere degli orchi >> lo
interruppe Nora, accigliandosi.
Thorin
strinse gli occhi, ed una lieve ombra di sorriso sarcastico gli
dipinse le labbra sottili << Temo d'essere in disaccordo.
Se
non sono mai state controllate – e presumo d'aver ragione
–
presenteranno delle falle. Non è così, Capitano?
>>
L'interpellato
lo guardò serio, per poi rivolgere una breve occhiata di
scuse alla
sua signora; si ritrovò ad annuire, e Nora represse a stento
un
verso scontento << Yar. Purtroppo non
abbiamo mai
pensato ad un lavoro di riparazione, ma credo sia giunto il momento.
>>
Thorin
sogghignò, piuttosto gaio nell'aver avuto ragione anche
stavolta <<
Abbiamo sufficienti nani per un lavoro rapido eppure efficace.
>>
<<
Non sappiamo neppure se abbiamo tempo, potrebbero arrivare da un
momento all'altro >> Fanus si affrettò a
contestare, scuotendo
la testa.
Dwalin
e Thorin si guardarono sconcertati, constatando quanto poco sapessero
di battaglie – eccetto Hagan, che si premunì di
rispondergli con
pazienza e calma.
<<
Le vedette e altri ricognitori saranno in grado di avvertirci di
qualsiasi pericolo imminente; nel frattempo agiremo come stabilito.
>>
<<
D'accordo >> mormorò Nora, catalizzando
inevitabilmente
l'attenzione su di sé << se questo
sarà in grado di
fermarli... ben venga. >>
<<
Saranno una protezione in più, ricordatelo >>
i loro occhi si
incontrarono di nuovo, e stavolta Thorin poté rimirarli a
lungo
scorgendovi ansia e paura, celati nella profondità di quegli
specchi
nocciola << Nessun muro vi metterà mai al
sicuro. Un muro è
solido solo quanto i nani che lo difendono >> si
ritrovò a
sussurrare, non badando ad altro che a lei, così vicina
eppure così
distante.
La
giovane schiuse le labbra, e sbatté le palpebre una volta
soltanto,
ritrovando il consueto tono di voce << Non nutro dubbi
sul
valore dei miei sudditi >> almeno, per la
maggior parte di
essi.
Il
Re di Erebor si ritrovò a sorridere un poco, meravigliandosi
della
fiducia che la regina nutriva verso il suo popolo; per uno stupido
attimo si chiese se il sentimento fosse reciproco, ma
preferì
cambiare i suoi pensieri << Immaginavo >>
disse
semplicemente.
Nora
non seppe come interpretare quella risposta, se di biasimo oppure di
convinzione, e non volle appurarlo. Al momento le importava
praticamente molto poco di quel che Thorin Scudodiquercia poteva
pensare di lei e della sua gente; ciò che contava era solo
il suo
aiuto, niente altro. E poi, se i Valar avessero voluto, se ne sarebbe
tornato alla sua Montagna Solitaria e ai suoi tesori.
Si
impose di calmarsi giacché la rabbia parve rinforzarsi
brutalmente,
alimentata da quelle considerazioni.
Hagan
prese la parola, con sua immensa gratitudine <<
Divideremo i
nani tra la riparazione di fortuna della Porta e la forgiatura di
nuove armi e armature. >>
<<
Non avrei saputo dirlo meglio >> intervenne Dwalin,
cercando
con gli occhi il volto dell'amico e re << Sei d'accordo?
>>
<<
Assolutamente. Dovremo agire in velocità senza tralasciare
l'accuratezza; un minimo errore o disattenzione e tutto
risulterà
vano. >>
<<
Non accadrà, mio signore >> disse convinta
Nora << I
miei fabbri e muratori sono persone competenti. >>
Lo
sfidò con lo sguardo a ribattere il contrario, chiedendogli
silenziosamente se anche i suoi nani fossero all'altezza delle
aspettative e del compito delicato che si prospettava loro; e Thorin
raccolse la provocazione senza riflettere << I miei
compagni
non sono da meno, e io con loro, se ve lo state domandando.
>>
Si
accorse d'aver indovinato poiché la vide arrossire un po'
sotto il
suo sguardo glacialmente calmo.
<<
Allora faremmo meglio a sbrigarci. Gli orchi non attenderanno i
nostri comodi >> passò in rassegna i volti dei
consiglieri,
rimasti in silenziosa attesa durante quello scambio di battute; si
angosciò, chiedendosi perché non fossero
intervenuti col loro
parere: erano contrari ad ogni idea ma non avevano intenzione di
confessarglielo, preferendo agire alle sue spalle come sempre? No, si
rassicurò. Solo la lealtà di due di loro era
incerta, ma gli altri
si erano professati più di una volta dalla sua parte e
d'accordo con
lei in ogni decisione; sperò col cuore che anche questa
occasione
fosse così.
<<
Naturalmente no, mia regina >> Fanus – proprio lui
–
parlò per tutti, inchinando il busto in riverenza
<<
Provvederemo subito a scegliere gli uomini più adatti.
>>
<<
Molto bene; se è tutto, per stasera possiamo ritirarci.
Domani
mattina appena dopo l'alba dovranno essersi formate le varie squadre.
Affido a voi consiglieri la direzione dei lavori: i nani
risponderanno a voi, ma pretendo di venire informata per ogni
più
piccola questione. >>
I
sei si inchinarono a confermare il proprio assenso e, per un lungo
attimo, Nora si tranquillizzò; forse questa situazione
d'emergenza
avrebbe appianato ogni dubbio sulla sua reggenza, ed ogni bisbiglio
alle sue spalle si sarebbe affievolito in nome della pace e della
protezione verso la loro casa. Lo sperò con tutta se stessa.
Così
come si augurò di non perdere le staffe nei confronti
dell'ospite,
anche se di questo dubitò fortemente più di una
volta. Non se
l'avesse avuto costantemente accanto a rammentarle ogni spiacevole
fatto.
<<
Bene, buonanotte a tutti voi, e grazie per la partecipazione
>>
con questa ultima frase li congedò e, rapida, si diresse
verso
l'uscita; mai come ora necessitava di una lunga dormita.
<<
Bé, è andata bene, no? >> chiese
Dwalin, una volta giunti
alla porta della stanza di Thorin << Mi aspettavo
un'imboscata
e un giretto nelle segrete di questo orrido posto, a dirti la
verità.
Però sono lieto d'aver concordato un piano d'azione, questo
sì.
>>
Thorin alzò una mano, guardandosi velocemente attorno
<<
Parla piano, Dwalin. Non mi fido di queste mura, benché meno
dei
suoi abitanti. >>
Il
guerriero si adombrò, muovendo la testa calva sia a destra
che a
sinistra << Pensi che ci tengano d'occhio?
>> sussurrò
circospetto.
L'altro
alzò le sopracciglia, mostrandosi convinto <<
Non siamo
propriamente bene accetti, anche se non ne capisco il motivo. Persino
i ricognitori che ci hanno portati qui trasudavano disprezzo, e la
regina ne è stata l'apoteosi. Non so, non mi sento
tranquillo;
vorrei che tutto si concludesse in fretta per poter ritornare al
sicuro. >>
<<
Sono ben strani, te lo concedo >> sentenziò
l'amico << E
sento che molte cose sono state omesse; d'altronde, però,
stiamo
aiutando la piccola reginetta a salvare il regno: un minimo di
ringraziamento non sarebbe male, alla fine. >>
<<
Piccola reginetta? >> chiese scherzoso
Thorin,
lasciandosi scappare un mezzo sorriso.
In
risposta, l'altro scrollò le possenti spalle
<< Chiamala come
ti pare, persino col suo nome, ma trovo che questo le calzi a
pennello; certo, se preferisci “vedova” non
mi opporrò di
certo! >>
<<
Ah, non sarò certo io a ricordarglielo, grazie. Preferisco
conservare quel minimo di rispetto che prova nei confronti del mio
titolo, non certo della mia persona >> d'improvviso
cancellò
qualsiasi traccia di divertimento, tornando serio; gli occhi azzurri
furono percorsi da un guizzo scuro mentre si accingeva a parlare
<<
Prima di coricarti ti chiedo un ultimo favore, Dwalin: avverti gli
altri, saranno in pensiero oltre che curiosi. >>
<<
Era proprio ciò che volevo chiederti. Consideralo
già fatto. >>
<<
Ti ringrazio. E dì loro di presentarsi qui domani mattina
poco prima
dell'alba; dovremo discutere sul da farsi, e questa camera sembra la
scelta migliore almeno finché non troviamo un altro luogo
più
appartato. >>
<<
Certo, vado subito. Vedi di riposarti per bene, non hai una bella
cera. >>
Thorin
incrociò le braccia al petto, alzando ilare un sopracciglio
<<
Senti chi parla. >>
Ridacchiarono
brevemente, poi Dwalin lo salutò con una pacca sulla spalla
sinistra
e si incamminò verso gli alloggi dei compagni, meno sfarzosi
dei
loro poiché non appartenenti alla stirpe di Durin; Oin e
Gloin si
erano lamentati parecchio, ma dopo che Thorin ebbe sedato ogni
protesta imponendosi duramente si erano calmati ed avevano accettato
quel piccolo smacco al loro grande orgoglio.
Scosse
la testa al ricordo, e si permise un lungo sospiro spossato
poiché
il corpo necessitava di riposo senza la costante presenza di
pensieri; fece vagare lo sguardo verso destra, dove si scorgevano
altre porte di legno massiccio e si bloccò, riconoscendo la
figura
posizionata di spalle della giovane regina; si era fermata non appena
si era accorta di altre due decisamente più basse che le
correvano
incontro e senza pensarci due volte si era accucciata allargando le
braccia, accogliendovi un piccolo nanetto che aveva iniziato a
tempestarla di parole pronunciate in Khuzdul. Avevano iniziato a
ridere e lei gli aveva scompigliato i corti capelli biondi per poi
allungare il braccio libero verso un'altra sagoma – stavolta
una
bambina poco più grande – che si era rifugiata
senza indugio
nell'abbraccio rassicurante della sovrana. O madre,
in quel
caso.
Thorin
provò una strana sensazione che non riuscì a
spiegarsi, che non
riuscì a nominare; rimase nascosto furtivo dietro l'angolo
del
corridoio ad osservare quel terzetto, felice di essersi ritrovato
dopo una estenuante giornata lontani l'una dagli altri, e un pensiero
lo attraversò rapido radicandosi nell'animo.
Prima
che tutto fosse finito avrebbe tentato di capire il motivo di tanto
odio. E, se possibile – si ritrovò a pensare
scioccandosi di sé –
avrebbe cercato di rimediare al torto inconsapevolmente causato.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Non
posso credere d'averlo concluso, ommamma O.o! E non posso credere
d'averci messo così tanto (di nuovo -.-''); sto prendendo
una gran
brutta abitudine, ma l'ispirazione e il tempo hanno deciso di
mettersi contro di me :'(, dannati maledetti! Come detto da Vera76...
ho aggiornato proprio per San Valentino XD hahahahahah! Ho quasi
paura dei tuoi poteri soprannaturali, caspita O.o! XP Bene, che ne
pensate? L'entrata di Nora è di vostro gradimento ;)? E
quella dei
consiglieri? So che molto probabilmente tutto sarà confuso e
poco
chiaro, ma sapete come sono fatta: mica pretendete che tutto si
spieghi subito, no? Dove sarebbe il bello, altrimenti ^^? Intanto
spero che questo capitolo vi sia piaciuto, anche per come è
stato
impostato e per i sentimenti che spero d'aver trasmesso, e mi scuso
ancora per il ritardo, sigh. Ah, piccola nota: il nome del lupo,
Khael,
in
Khuzdul significa “il lupo dei lupi”; nome
appropriato per il
lupo della regina, vi pare ;)?
Ringrazio
le carissime Carmaux_95,
LadyDenebola, Eressea Manx, innamoratahobbit, Krystal91,
Lady_Daffodil, Vera76, lily75, Yavannah, MrsBalck90, Lady of the sea
che
hanno speso tempo a recensire :))) che farei senza di voi???
Ringrazio coloro che hanno
inserito la storia tra le
Preferite, Seguite e Ricordate e grazie a chi legge soltanto :) :).
Un bacione grande, alla
prossimaaaaaa
Anna :*
P.S.
Mi sono accorta che non ho risposto a tutte le recensioni
<.
|
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Capitolo 4 *** Capitolo quattro ***
PREMESSA:
Siccome è passato un po' di tempo di sicuro non ricorderete
molto
che è capitato negli scorsi, quindi eccovi un piccolo
riassunto.
Thorin,
ora reggente ma distrutto per la morte dei nipoti, accetta di
rispondere alla richiesta di aiuto di un regno di cui nessuno era a
conoscenza: quello degli Ered Mithrin, guidato dalla giovane e
orgogliosa Nora. Ella si aspettava Dain, non certo Thorin, del quale
non ha molta simpatia; si trova quindi a dover accettare il suo aiuto
anche perché la minaccia degli orchi incombe sempre
più e bisogna
rafforzare le difese e pianificare un attacco. Aiutata dal fedele
Hagan e dagli altri consiglieri – il viscido Fanus e il
figlio
Doiran, Sisil, Malir e il padre di Hagan, Ganar – Nora espone
la
situazione a Thorin e Dwalin. Nessuna delle due parti sembra fidarsi
dell'altra, però per il bene dei rispettivi regni saranno
costretti
ad aiutarsi. Inoltre Thorin, percepita la rabbia nei suoi confronti,
promette a se stesso di scoprire il motivo e cercare di rimediare.
Credo
sia tutto, buona lettura!
A
chi mi ha aiutato e dato idee per questo capitolo ^^
CAPITOLO
QUATTRO
«Mia
signora, stamattina preferite l'abito blu o quello verde?»
«Nessuno
dei due, prendi quello nero. Fai in fretta con l'acconciatura, non ho
molto tempo.»
Gilla
si affaccendò ad eseguire l'ordine dettato seccamente,
sbirciando
più di una volta la schiena della giovane sovrana mentre le
sfilava
la lunga camicia da notte bianca; mantenne lo sguardo basso,
imbarazzata come ogni qualvolta la sapeva nuda, e si impose di
rivestirla velocemente dapprima con la sottoveste di raso e poi
facendole indossare il vestito prescelto. Le allacciò il
corpetto
con dita agili, pregando non cambiasse repentinamente idea
desiderando cambiarsi; fortuna volle che i pensieri pressanti le
tenessero compagnia, e si dispiacque di quel vago senso di sollievo
nel saperla troppo impegnata per notare altro – nella
fattispecie
il suo operato.
Una
volta terminato attese si sedesse davanti alla toeletta di legno, e
riprese ad occuparsi della lunga e folta chioma castana in cuor suo
sempre invidiata. Raccolse la spazzola passandola sulla lunghezza
delle ciocche, trattenendo il labbro inferiore tra i denti quando
incontrava nodi particolarmente ostici da sbrogliare; ammirò
la
compostezza della sovrana durante quel lungo rituale, e trattenne
qualsiasi commento quando la vide ancora assorta. Poteva quasi
percepire il frastuono dei pensieri vorticanti nella sua regale
testa, ed azzardò un'occhiata al riflesso nello specchio
tondo
appeso alla parete. Lo sguardo era perso in un punto indefinito, ed
era più che certa stesse pensando ai nuovi venuti.
Il
loro arrivo era passato di bocca in bocca e tutti gli abitanti degli
Ered Mithrin ne erano ormai a conoscenza, anche se molti non avevano
avuto il privilegio di notarli; lei, invece, era riuscita a spiarli
dalla porta che separava l'ala della servitù da quella
nobile, ed
era rimasta affascinata e intimorita da quel gruppo di estranei,
giacché era da lunghi anni che il palazzo non ospitava
qualcuno.
Terminò
anche la più piccola delle trecce preparandosi a
raccoglierle sulla
nuca come di consuetudine e sospirò pianissimo pensando alle
sue,
davvero misere e poche come suggeriva la sua posizione sociale.
Non
mentiva a se stessa quando diceva di essere gelosa della sua regina,
lo era stata fin dall'infanzia. L'una, principessina che giocava
lungo i corridoi del palazzo e l'altra, figlia di un cuoco e di una
serva; era praticamente facile indovinare il loro destino. Eppure si
era scoperta smaniosa di conoscerla, parlarle anche per poco. Non
pretendeva d'esserle amica – non era così
sciocca
–, voleva solo non risultare una sconosciuta ai suoi occhi.
Perciò
era entrata presto a servizio, colpendo talmente tanto la precedente
regina da vedersi affidare il compito di affiancare la figlia.
Ricordava molto bene la felicità ogni qualvolta si svegliava
e
ripensava all'immenso privilegio capitatole. Le sue poche amiche non
erano state altrettanto fortunate, ed alcune avevano dovuto ripiegare
sul matrimonio pur di trovare qualcuno che badasse al loro
sostentamento; lei poteva ancora permettersi di rimanere sola, anche
se era stata corteggiata da qualche ragazzo.
Non
sono certo brutta, pensò,
rimirandosi per lunghi secondi allo specchio mentre appuntava delle
lunghe forcine perché la pettinatura reggesse. Sorrise un
poco a
quel momento di vanità, ma era pienamente comprensibile
quando si
aveva a che fare con una padrona come la sua: ogni abito la fasciava
alla perfezione e il viso era incantevole benché non fosse
di
particolare bellezza; inoltre, qualsiasi gioiello indossasse
–
purtroppo pochi, anche se comprendeva la ragione della sua riluttanza
– le donava un portamento ancor più elegante e
regale.
La
porta alle loro spalle si aprì e per poco non le cadde il
pettinino
di tartaruga tempestato di smeraldi, tanto era stato lo spavento; si
girò frettolosamente e si inchinò, attendendo
qualche secondo prima
di rialzarsi.
Nora,
d'altro canto, rimase seduta e volse lo sguardo allo specchio
seguendo la figura finché non le si posizionò
quasi alle spalle, ad
un paio di passi dalla serva.
«Puoi
andare, Gilla»
comandò la nuova arrivata «posso
terminare io.»
La
giovane l'osservò titubante, indecisa di risponderle che no,
non le
avrebbe mai permesso di completare quel lavoro poco nobile;
si trattenne,
girandosi verso la
regina a cercare conferma. Quella invece la congedò con un
gesto, e
non le rimase che lasciarle dopo essersi profusa in un altro inchino.
«Come
desidera, mia signora»
percorse la stanza e si chiuse la porta alle spalle, espirando. Per
alcune ore si sarebbe potuta considerare libera.
Una
volta sole la nuova venuta si avvicinò maggiormente, posando
le mani
sulle spalle della regina «Queste
occhiaie non ti donano molto, mia cara. Hai avuto difficoltà
a
dormire?»
«Non
ho proprio chiuso occhio.»
Le
strinse affettuosamente una spalla, accarezzando la pelle col pollice
«Trovi
indecoroso che mi
occupi di rifinirti le trecce e ti posi il pettinino tra i capelli?»
domandò, preferendo cambiare argomento quando si accorse
della
risposta un poco frettolosa.
Nora
scosse la testa, sorridendole «Affatto.
Ricordo che quando ero bambina lo facevi spesso.»
«Finché
non sei divenuta una vera donna era mio compito. Mi mancava, lo
confesso»
le arrotolò una
piccola treccia sulla nuca ed aggiustò una forcina sul lato
destro.
Allungò
le dita sulla toeletta prendendo in mano il pettinino d'oro con
piccole gemme preziose incastonate, rigirandoselo tra le dita «E'
meraviglioso»
sussurrò con tono affettuoso «Un
dono degno di una regina.»
La
ragazza annuì, deglutendo per scacciare il groppo alla gola «Quando
me lo donasti non potei capacitarmene, poiché ne eri molto
legata.»
«Così
come tua nonna si dispiacque quando me lo regalò»
ammise, posizionandolo con estrema cura appena sopra la treccina «ma
è un passaggio necessario, tramandato da madre a figlia.»
Nora
dapprima sorrise e poi si accigliò, poiché si
rese conto d'aver
quasi terminato quei minuti di calma.
«Immagino
tu non sia qui solo per pettinarmi. C'è altro di cui devi
parlarmi
prima che vada?»
La
Regina Madre assottigliò gli occhi, contenta d'essere giunta
dritta
al punto; Nora era sempre stata piuttosto perspicace, una
qualità
indispensabile per la sovrana di un regno.
«Sai
cosa ti chiedo, ne abbiamo già parlato.»
«Passo
forse per una persona orribile se rimango me stessa?»
«Sì»
disse, aumentando la pressione sulla spalla sinistra «Sono
ospiti. Abiteranno
sotto il nostro tetto mangiando il nostro pane e il nostro sale. Devi
ricordartelo.»
Nora
si voltò, aggrottando la fronte e stringendo le labbra «Rammenti
chi
è a capo dei nani
nostri ospiti?»
sibilò arrabbiata.
«In
fondo non è stata colpa sua.»
La
guardò allibita, schiudendo la bocca mentre una rabbia
prepotente la
infiammava veloce «Se
non si fosse scatenata quella battaglia loro sarebbero
ancora qui!»
«Ne
sono consapevole, ma ormai è passato più di un
anno.»
«E'
troppo poco tempo, non ho ancora finito di piangerli. Al contrario di
te»
sbottò furiosa. Non poteva credere davvero alle parole
ascoltate.
Era inaudito.
Finalmente la corazza composta e calma della madre
si incrinò «Credi non li
pianga? Amavo tuo fratello più della mia stessa vita. E tuo
padre...»
respirò
pesantemente per ritrovare la calma e continuò «Tu
parli ancora come la giovane principessa che eri, non come la regina
che sei. Devi pensare al bene del tuo popolo, e per questo dovrai
moderarti accanto a Scudodiquercia. Non possiamo permetterci se ne
vada prima del tempo.»
«Questo
lo so»
ammise sconfitta, passandosi il palmo della mano destra sulla fronte
«però
non posso prometterti
nulla.»
Parve
invecchiare, e ciò accrebbe la morsa al cuore della
genitrice, che
non trovò parole di conforto.
Non
stavolta. Lei era anziana – benché non volesse
ammetterlo – e il
rancore non faceva più parte del suo essere. Nora, al
contrario,
aveva ancora molto da imparare. Doveva accantonare il pregiudizio,
infantile o meno, e pensare solo al futuro. La fiamma della vendetta
e del risentimento bruciavano con assurda facilità nel suo
cuore,
così come ogni altro potente sentimento. L'amore provato nei
riguardi del padre e del fratello non le avrebbe permesso di
dimenticare il giorno infausto del passaggio di reggenza.
Vi
sarebbe stato altro tempo per ulteriori predicozzi – di
questo era
fortemente convinta – poiché conosceva bene
l'animo della sua
bambina e, certo come la sua vita, sapeva che la convivenza con gli
stranieri sarebbe stata complicata per entrambe le fazioni. Poteva
almeno sperare di placare gli attriti sul fronte della propria
famiglia e, con l'aiuto dei Valar, Thorin Scudodiquercia avrebbe
fatto la sua parte per non infrangere quel patto d'aiuto.
Inoltre,
avrebbero certamente iniziato col piede giusto se Nora si fosse
presentata in tutto il suo giovane splendore «Copriti
quelle occhiaie, tesoro»
le disse «l'aspetto
di una vera e forte regina va curato nei minimi dettagli. Ed
è
proprio indispensabile il vestito nero?»
Per
un momento, ecco tornare la Nora adolescente; alzò gli occhi
al
cielo, trattenendo uno sbuffo «Certo.
Non intendo cambiarlo.»
Così
aveva deciso, e non avrebbe mutato idea nemmeno per tutto l'oro del
mondo. Non solo riguardo lo stupido abito.
«Sei
in ritardo.»
Così
un irascibile Dwalin accolse il povero Nori non appena questi
varcò
la soglia della stanza assegnata a Thorin; il nano guerriero
stringeva le braccia muscolose al petto possente, ed il solito
cipiglio era maggiormente accentuato dalla scontentezza. Se c'era
qualcosa che non poteva sopportare erano i ritardatari, specie in
quel frangente tanto delicato e instabile.
«Di
pochi minuti, per tua informazione»
lo rimbeccò il ladro della Compagnia, rivolgendosi poi verso
il suo
sovrano «Scusami,
Thorin.»
Quello
agitò una mano con scarsa convinzione «Non
importa, ma ora che siamo tutti qui preferirei parlare in fretta,
dato che tra poco dovremo trovarci per iniziare i lavori.»
Prese
fiato, raccontando dell'incontro e di quel che avevano concordato;
nessuno parlò finché non terminò e
solo allora Gloin espresse il
suo parere.
«Tutto
questo mi puzza di imbroglio. Troppe incognite, troppi raggiri e
segreti!»
«Sono
d'accordo con te, fratello.»
«E
che proporreste? Di tirarci indietro e fuggire?»
«Sarebbe
una decisione saggia, Bofur.»
«O
molto sciocca, invece»
ribatté il giocattolaio, infervorandosi «abbiamo
dato la nostra parola e io non intendo rimangiarmela passando per
bugiardo!»
«Non
torneremo a Erebor»
chiarì Thorin, ponendo fine al battibecco «manterremo
la promessa perché è giusto.
Se
le parti fossero invertite non vorremmo sapere della fuga dei
soccorritori.»
«Da
quel che ho capito non siamo ben visti»
Dori prese la parola, guardandosi attorno nervoso «Questo
non vi fa pensare ad una soluzione... diversa?»
«Non
scapperemo»
scandì il re, stringendo i pugni «Non
mi importa cosa pensano, onoreremo il patto anche se non sarebbe
compito nostro! Lei aspettava Dain ma sono sorte delle complicazioni.
E' una nana intelligente, comprenderà e accetterà
le conseguenze.»
«Non
è tanto lei a
preoccuparmi, forse»
borbottò Dwalin, grattandosi il mento.
Come
sempre, l'amico capì «Intendi
i consiglieri?»
«Un
po' tutto, a essere sincero. Ad esempio, dove sono gli abitanti?
Perché non li abbiamo visti?»
«Parla
per te.»
Dwalin
girò il capo tatuato verso Nori «Cosa
significa?»
«Quel
che ho detto! Li ho visti durante il mio giretto di perlustrazione.
Ci sono abitazioni appena oltre le grandi sale, separate dal palazzo
tramite un gigantesco arco di roccia.»
«Sei
uscito?»
«Diciamo
sgattaiolato... ma non mi ha visto nessuno!»
esclamò veloce, notando lo sguardo carico di rimprovero di
Thorin
«Sono
stato attento.»
«E
come sono?»
gli domandò il fratello minore, curioso.
Si
strinse nelle spalle «Come
noi, che credevi? Che avessero tre braccia e fossero senza barba?»
Ori
arrossì e abbassò il capo, permettendo a Nori di
continuare «Hanno
abitazioni modeste che hanno visto tempi migliori, ma i nani sembrano
abbastanza nutriti e in salute, anche se non molto ricchi.»
«Non
vi è sfarzo, qui. Non più»
sussurrò Thorin «Hai notato
altro?»
domandò poi interessato, nonostante l'azione avventata del
compagno.
«Sono
strani. Molto
silenziosi e circospetti nonostante vi siano molti bambini. Come se
avessero timore anche solo di parlare.»
«Visto?
Sono altamente sospetti! Andiamocene finché possiamo!»
«Gloin!»
Il
nano dai capelli fulvi borbottò indignato.
«I
loro problemi non devono riguardarci»
disse duramente il capo della Compagnia «però
agiremo comunque con cautela. Non desidero problemi di sorta durante
la permanenza.»
«Giusto»
asserì Dwalin.
Il
resto annuì partecipe, e Oin prese la parola «Come
ci divideremo?»
«Decidete
ciò che più vi aggrada. Non vi è molta
scelta, dopotutto.»
«D'accordo,
Thorin.»
«Molto
bene, credo sia stata detta ogni cosa. Andiamo, non facciamoli
attendere; non sono nani molto pazienti, specialmente la sovrana.»
Si
incolonnarono e superarono la soglia, ma il Re ne richiamò
due
«Nori,
Ori, aspettate un
attimo.»
I
due si guardarono, perplessi, ma non dissero nulla attendendo fosse
lui a compiere la prima mossa.
«Nori,
ho bisogno delle tue capacità: perlustra gli Ered Mithrin
senza
farti scoprire. Intendo conoscere questo luogo, se non avrò
occasione di farlo personalmente.»
«Certo,
come vuoi.»
«E...
Ori?»
Il
giovane scrivano spostò timidamente lo sguardo sul volto del
suo
signore, col fiato sospeso.
«E'
tempo di rispolverare un po' di Khuzdul.»
La
giornata era trascorsa anche troppo in fretta. Dopo un primo momento
di sospetto e diffidenza i nani dei due regni si erano rimboccati le
maniche in vista di riparazioni di fortuna e forgiatura di armi;
certo, non parlavano granché limitandosi all'essenziale
– specie i
residenti, terribilmente guardinghi –, eppure era
già qualcosa.
Thorin si ritrovò a lavorare fianco a fianco col giovane
tirapiedi
della sovrana, laggiù nelle fucine; queste erano molto
diverse da
quelle di Erebor – più piccole e rozze, segnate
dal tempo
impietoso. Dimostravano chiaramente quanti secoli avevano passato,
quanti nani avevano lavorato nella fabbricazione di armi ed oggetti
comuni.
Quando
il Capitano – Hagar, Hanag o qualcosa del genere –
si era fermato
dicendogli che era quasi ora di pranzo si era limitato a scoccargli
una fredda occhiata, asserendo fosse il caso di rimanere a lavorare,
data la scarsità di tempo a disposizione. Il nano l'aveva
squadrato
con un'occhiata stranita chiedendosi forse se stesse scherzando, ma
lo escluse e sentenziò che, dunque, avrebbe dovuto
informarne la sua
signora perché – certamente
– li stava attendendo. Lui aveva scrollato le spalle ed aveva
continuato il suo lavoro insufflando aria col mantice finché
non era
scesa proprio lei. Era
stata coraggiosa, dovette ammetterlo, e quasi lo divertì il
lieve
battibecco con cui annunciò la sua aggraziata presenza.
Ascoltò
le sue rimostranze, dato che “Siete un
re e mio ospite,
non mi sarei aspettata lavoraste con gli altri.”
“Avrete pur
bisogno di mangiare qualcosa o vi nutrirete di aria?”
Quando
le fece notare – gentilmente, sia chiaro. Solo un po' seccato
–
che l'aiuto di un paio di braccia in più poteva creare la
differenza
ed accorciare i tempi così da risultare leggermente
più preparati
ad ogni eventualità, allora tacque. Si limitò a
guardarlo mentre ci
pensava, convenendo avesse ragione. Così lo
lasciò tornare al suo
lavoro, dicendogli – meglio, ordinandogli
– di fermarsi almeno quando un servo gli avesse portato il
pasto;
e, ultima non meno importante faccenda, la sera avrebbe presenziato a
cena.
Poté
anche concederglielo, assicurandole una perfetta puntualità.
Dovette
ricredersi quando capì di essersi perso.
Gli
altri avevano terminato poco prima ma lui aveva perso la concezione
del tempo come ogni qual volta si ritrovava a lavorare; tutto
svaniva, rimanevano lui e gli attrezzi, suoi fedeli compagni. Si era
estraniato e, per sua immensa sfortuna, avrebbe dovuto prestare
più
attenzione per scorgere quale cunicolo avessero imboccato gli altri
nani.
Illuminava
il cammino con la lanterna come unica fonte di luce, gettando uno
sguardo di pura sufficienza alle ombre danzanti e minacciose.
Sembrava volessero prenderlo per portarlo con loro nella
profondità
della montagna, come carcerieri desiderosi di occuparsi del
più
infimo dei prigionieri; lui glielo avrebbe concesso volentieri, se
non fosse stato così impegnato ad imprecare e
contemporaneamente
tentare di ricordare la strada. Si fermò, stizzito,
stringendo con
spasmi rabbiosi il manico della lanterna; annusò l'aria alla
ricerca
di un sentore di frescura, ma l'umidità laggiù
spadroneggiava al
pari del peggiore dei tiranni facendogli capire di stare inoltrandosi
piuttosto che star risalendo. Stavolta l'imprecazione si
sparpagliò
lungo i corridoi e le sale buie, accompagnandolo finché non
si
spense.
Forse
sarebbe dovuto rimanere alle forge, così che gli altri
avessero
potuto trovarlo; ma lui, cocciuto, aveva erroneamente fatto
affidamento al suo senso d'orientamento dimenticando di perdersi con
estrema facilità . Dopotutto, un paio di anni prima aveva
trovato
Casa Baggins dopo due tentativi andati a vuoto!
Anche
tornare indietro era fuori discussione, poiché aveva
svoltato così
tante volte da confondersi. Stava decisamente invecchiando.
D'improvviso
notò la sagoma di un gigantesco arco di pietra proprio
davanti a lui
e si avvicinò, pensando d'essere giunto in un luogo
quantomeno
familiare, anche se di una tale struttura avrebbe avuto memoria.
L'aria divenne quasi più pulita e numerosi spifferi
arrivarono a
scompigliargli alcuni capelli scuri.
I
pilastri a sostegno dell'arco erano in realtà due
gigantesche
sculture di nani – talmente grossi che per circondarli
sarebbero
servite quindici persone, se non una ventina –. Quello di
sinistra
era raffigurato in ginocchio, col volto affaticato coperto dalla
lunga barba come se dovesse reggere il peso anche dell'altro, posto
in piedi. Dalla corona di quest'ultimo – come una sorta di
capitello – partiva l'arco rialzato, su cui campeggiavano
spesse
rune incise.
Erano
invocazioni a Mahal, constatò senza particolare entusiasmo,
poiché
non era raro trovare edifici con quelle preghiere; in questo caso si
chiedeva di proteggere l'integrità dei sovrani che si
sarebbero
succeduti nel tempo e di preservare quel luogo sacro in cui la
storia era rappresentata.
Stese
il braccio e puntò la lanterna in alto cosicché
illuminasse un poco
di più l'ambiente circostante, senza successo. Era troppo
vasto e
quella insufficiente. Cauto, decise comunque di inoltrarsi e
curiosare, perché era cresciuto in lui un senso di
aspettativa in
ciò che si trovava al di là. Dopo pochi passi si
accorse, ad
esempio, che il suolo era mosaicato e riconobbe con stupore il nome
di un villaggio nelle vicinanze degli Ered Luin.
«La
mappa della Terra di Mezzo» si ritrovò a
bisbigliare, sgranando gli
occhi.
Continuò
ad avanzare e ammirare il pavimento ricco di dettagli e luoghi
–
alcuni non esistevano più o avevano mutato nome –
quand'ecco
mostrarglisi l'imponente sagoma di un'altra colonna. Possibile fosse
già finita? Cercò di illuminare meglio che
poté per capire se ci
fosse una porta o un passaggio che l'avrebbero condotto fuori, invece
illuminò il nulla. Il buio assoluto lo inghiottiva. Decise
comunque
di avanzare fermandosi quasi subito quando scorse il fregio istoriato
sulla lunghezza dell'intera colonna; ne seguiva l'andamento tortile e
gli parve di riconoscere alcune scene di battaglia e, più
giù –
appena sopra la base –, si celebrava una vittoria. Si
inginocchiò
illuminando quel particolare e sfiorando le forme ruvide, appena
abbozzate, in bassissimo rilievo; la maggior parte erano rovinate,
presumibilmente dal tempo, quindi ne dedusse dovessero essere molto
antiche.
Quali
altre opere si celavano lì dentro?, si
chiese. Una parte di lui gli rammentava di tornare indietro, o
perlomeno tentare, piuttosto di rimanere imbambolato ad ammirare
quell'insolito tesoro; dall'altra, bé, la
curiosità premeva per
essere assecondata.
Solo
qualche altro passo, poi basta.
Nora
odiava immensamente camminare laggiù. Era semplicemente
inaudito, lo
sapeva bene: un nano che aveva timore di scendere sottoterra?
Praticamente un affronto.
Eppure
era angoscia quella
che l'attanagliava il cuore, che la sospingeva a ribellarsi e
ripercorrere la strada per tornare ai suoi alloggi. Si sarebbe
rintanata in camera fino al suono della lugubre campana della cena e
poi sarebbe uscita come se nulla fosse successo. Si torturò
le
labbra mordendole con foga mentre si voltava per scoprire se qualcuno
la stesse seguendo, ma il buio non le permetteva di scorgere
alcunché. Inspirò per darsi coraggio e
ripuntò la lanterna avanti,
tremando perché l'umidità aveva raggiunto le
ossa. Il cigolio
prodotto fu l'unico suono tanto forte da spezzare il silenzio, tanto
forte da fermarla – ancora –, da farle riguardare
il percorso
appena compiuto – di nuovo.
Calmati,
non essere sciocca, ripeté
mentalmente, è il tuo regno. Lo
conosci come il tuo corpo.
Poteva
asserire di conoscere altrettanto bene i suoi
abitanti?
Se qualcuno si fosse rintanato in un anfratto buio – e ve
n'erano a
bizzeffe – con l'intento di aspettarla per ribellarsi e
mettere a
frutto il piano di detronizzarla?
Non
oserebbero. Non ora, così vicini alla guerra.
Ad
alcuni non importerebbe.
Le
ombre parevano più minacciose, lunghe, dagli artigli ricurvi
come
quelli di un rapace, sguainavano asce, spade, pugnali affilati.
Respira.
Andrà tutto bene, nessuno ti ucciderà oggi.
Sei
sicura?
Udiva
sghignazzare, sibilare la vittoria, il suo nome sputato con astio
privato della musicalità e del significato.
Sì!
Riprese
il cammino, gli occhi fissi sul passaggio ancora da percorrere, piena
di pensieri fino a quando non scorse il gigantesco arco del tempio.
Gli antenati la scrutavano coi loro occhi scavati e privi di pupilla,
sembravano porle quella difficile domanda: “Cosa
ci fai
tu, qui? Non è il tuo posto.” “Chi sei
per entrare?” e
anche lei, muta e ferma come loro, se lo chiedeva. Non aveva ancora
adempiuto il suo principale dovere, ed era reggente da un anno e
mezzo; eppure, ogni qual volta giungeva lì riuscendo perfino
ad
entrare il coraggio vacillava, l'infelicità e
l'incapacità la
racchiudevano. E dunque tornava indietro, sconfitta e amareggiata
nell'orgoglio, sentendo sulla schiena gli sguardi severi e ammonitori
dei sovrani che, ancora una volta, aveva disonorato.
Come
poteva dichiararsi sovrana se non riusciva nemmeno ad assolvere quel
compito, gravoso per lei?
D'improvviso
scorse un bagliore di fiamma, come un aranciato fuoco fatuo, e si
spaventò. Sentì il cuore battere all'impazzata e
le mancò il
respiro pensando fossero gli antenati risaliti dalle Aule di Mandos
solo per punirla e maledirla fino alla fine dei suoi giorni. Provava
un freddo innaturale, certamente era impallidita, lo percepiva;
avrebbe voluto scappare o inginocchiarsi e supplicare di
risparmiarla, di concederle altro tempo. Promise silenziosamente alla
luce sempre più vicina che avrebbe svolto presto il suo
dovere, che
mai nessun'altra paura avrebbe intaccato la sua persona. E quando
comprese che nessuno spirito l'avrebbe condannata ma che invece
mostrava fattezze naniche allora, solo allora, si rilassò
visibilmente; persino quando riconobbe la figura di Scudodiquercia
provò un inaspettato sollievo sfociante quasi in gioia,
nonostante
sapesse bene di doverlo redarguire.
Lui
non impiegò molto tempo a riconoscerla ed entrambi si
studiarono
attentamente, ad alcuni passi di distanza; i volti mostrarono un
insieme di sentimenti turbinanti che mai avevano provato e mai si
sarebbero ripresentati. Su tutti trasparì del
conforto, il
sapere di non essere soli
in quell'immensa oscurità desolante e fredda.
Ma
anche quel momento statico, sospeso – per quanto potesse
essere un
balsamo per le loro anime perdute – finì.
Toccò
proprio a Nora l'onere di tornare alla realtà, e di
riportarci anche
l'ospite sgradito «Cosa ci fate voi qui?»
Parlò
con timbro talmente flebile che se lui fosse stato anche solo due
passi indietro avrebbe faticato ad udirla; per un attimo
pensò di
raccontarle la verità, però si ravvide in tempo.
«Passeggiavo.»
«Non
dovevate avvicinarvi» disse seria, scoccandogli un'occhiata
di
fuoco.
Grazie
alla luce delle due lanterne Thorin vide gli occhi nocciola brillare,
le ombre e le luci impegnate in una danza al loro interno. Per
qualche secondo si perse ad ammirarli, tralasciando il tono pregno di
rimprovero con cui gli si era rivolta, come se dovesse sgridare un
bambino a cui era stato proibito qualcosa.
Fu
questo, probabilmente, a farlo rinsavire e sbottare «Nessuno
me lo
aveva detto. E le rune non specificano sia vietato visitare questo
luogo, qualunque sia.»
Nora
abbassò appena gli occhi. Era vero, né lei
né altri l'avevano
menzionato perché, sinceramente, non si aspettavano
riuscissero a
trovarlo. Quella gigantesca sala era per gli abitanti ancor
più
preziosa di qualsivoglia Stanza del Tesoro.
«Perché
nascondere una tale bellezza?» si ritrovò a
chiedere il nano, suo
malgrado. Ricordava piuttosto bene il pavimento e le colonne
scoperte, e non si capacitava dell'oscurità che, a suo
parere,
doveva essere bandita.
«Non
lo nascondiamo. Chiunque sa del tempio, ma non ci entra.»
«E'
un luogo sacro?»
Lei
annuì, umettandosi appena le labbra «Talmente
antico da esserlo. I
re vi dimorano, e noi cerchiamo di disturbarli il meno
possibile.»
«Si
tratta di un cimitero? Non ho visto sarcofagi» chiese,
aggrottando
le sopracciglia.
«Il
Tempio dei Re non è
un cimitero, poiché là tutto finisce. Qui invece
inizia e si
perpetua» notò la confusione sul volto del nano di
Erebor e,
dilaniata internamente, decise di affidarsi all'istinto riguardo la
mossa successiva.
Lo
superò, muovendosi verso destra finché non
incontrò il grosso
braciere sospeso, attaccato al soffitto tramite una spessa catena
d'acciaio. Lanciò la lanterna, il vetro infranto come suono
solitario ad accompagnarli, e l'attimo successivo una potente fiamma
arse seguita da molte altre, altri bracieri collegati al primo
mediante uno stretto passaggio percorrente il muro.
Ben
presto l'intero tempio scacciò le ombre per far posto alla
luce
calda e avvolgente che delineò il vasto perimetro in
un'immagine
difficile da dimenticare, per Thorin. Credeva d'aver visto
praticamente tutto nella sua lunga vita, ma dovette ricredersi. La
meraviglia di quel luogo ora illuminato lo lasciava senza fiato
perché ora poteva ammirarlo in tutta la sua interezza e con
i dovuti
criteri; la colonna che prima l'aveva convinto della fine della
stanza in realtà era una fra le tante che si intervallavano
a
distanza di svariati metri fino al termine del tempio. Ciascuna era
riccamente adornata di fregi e diversa dalla precedente e dalla
successiva: vi erano quelle a spirale, quelle lisce, quelle scanalate
e altre a cui non avrebbe saputo dare una descrizione, una gerarchia.
Sapeva soltanto ch'erano molte, e dividevano lo spazio in tre larghe
navate totalmente decorate. Le volte a botte del soffitto parevano
abbassarsi minacciose, fortunatamente sostenute. Ma più di
ogni
altra cosa furono le nicchie a colpirlo; spezzavano la
staticità del
muro e dei rilievi in esso raffigurati ospitando una statua diversa.
Le più lontane non erano nemmeno riconoscibili.
Capì
d'essere rimasto con le labbra leggermente socchiuse quando si
ricordò di respirare; lanciò un'occhiata al volto
di Nora –
poteva leggerle compiacimento e orgoglio nel bagliore degli occhi
pesantemente truccati – e si avvicinò.
«Questa
è la storia del mio popolo dagli albori, mio signore. Da
quando
Mahal decise di crearci in nome di Eru e ordinò ai suoi
figli di
abitare gli Ered Mithrin.»
Si
girarono verso l'arco a tutto sesto e Nora continuò
«Il nano
inginocchiato è Bagnar il Costruttore
che, per primo, decise di ideare e creare il tempio. Secondo la
leggenda impiegò trent'anni per costruirlo e morì
prima di vederlo
compiuto. Gli succedette il figlio, Kagnus il
Paziente.
Il piccone che tiene in mano diede l'ultimo colpo alla pietra
finale.»
Cambia
atteggiamento quando parla di queste cose, si
ritrovò a pensare Thorin. In effetti, Nora aveva abbandonato
il
cipiglio serio e gravoso per uno appassionato, e le parole trovavano
facile accesso in lei poiché partivano dal cuore; non le era
mai
capitato di spiegare a qualcuno il significato del tempio e delle sue
statue intimidatorie, però le risultò
estremamente facile: doveva
soltanto lasciarsi trasportare dall'amore per la storia e per l'arte,
di cui erano da sempre stati padroni.
Nessuno
parlò finché non raggiunsero la prima nicchia,
dalla quale
partivano dei bassorilievi – grandi quasi ad altezza naturale
–
fino alla successiva, dove si fermavano e ne cominciavano altri.
Thorin
si avvicinò a li osservò «Sono scene di
vita quotidiana.»
«Ogni
lastra rappresenta un momento importante della vita dei re. La
costruzione di nuove ali del palazzo, l'ideazione delle serre, scambi
commerciali con altri popoli, la venuta dei grandi Draghi del Nord e
la conseguente distruzione delle vallate seguita dalla cacciata dei
miei avi» strinse le labbra, conducendolo in
profondità.
I
pannelli tra le nicchie mutarono notevolmente in base
all'abilità
del realizzatore; da bassorilievi divennero alti, altissimi rilievi
in cui alcune parti delle figure – ora elaborate finemente,
talmente lisce da essere lucide – sporgevano completamente,
emergendo dalla linea del piano di fondo in movimenti in alcuni casi
concitati. Il periodo di maggior importanza degli Ered Mithrin era
attestato dall'inserimento di inserti d'oro o di ferro nel caso di
armi, oppure legno, argilla, osso, avorio nei primi fregi.
Ad
un certo punto il nano si bloccò, costringendo anche la
giovane
accompagnatrice ad arrestarsi e puntare gli occhi verso l'alto; sul
muro rovinato campeggiavano segni di lunghi e larghi artigli. Non gli
fu difficile intuire il colpevole di tale crudeltà.
«Draghi»
spiegò Nora, con una voce stranamente tranquilla «Per
fortuna non danneggiarono altro quaggiù, al contrario
dell'intero
regno. Come potete vedere sono presenti solo questi graffi. I Valar
protessero il nostro tesoro più prezioso» gli
lanciò un'occhiata
sfuggente che lui non notò, troppo occupato a maledire
quell'immonda
razza di bestie perché avevano causato tanto dolore e
scempio
«Sembra così irreale, eppure calcarono gli stessi
ambienti che vedo
ogni giorno, che conosco da quando ho memoria.»
«Ne
parlate quasi con ammirazione» disse, secco «Vi
ricordo che
uccisero molti vostri compaesani.»
«Questo
lo so benissimo, ma è innegabile provare una sorta di
timore...
reverenziale. So che non siete d'accordo» ribatté,
quando udì lo
sbuffo contrariato di Thorin «e pensate pure ciò
che volete. Ma
questi giganteschi e astuti
animali
vissero qui per un
periodo e–»
«Se
eravate così tanto curiosa di vederne uno potevate recarvi a
Erebor;
fino all'anno scorso il mio regno era l'abitazione di un
drago.»
Il
silenzio calò come una pesante cappa, solo il crepitio dei
fuochi
scandiva i secondi interminabili in cui Nora contenne a malapena una
rabbia inaudita. La tranquillità si frantumò di
fronte alla frase
sarcastica e la giovane si pentì d'avergli dato confidenza,
di
avergli mostrato il cuore delle Montagne Grigie. Il desiderio di
rispondergli sgarbatamente e lasciarlo marcire in uno dei contorti
corridoi prese il sopravvento.
«Il
vostro regno ha già causato abbastanza sofferenza al
mio» si
ritrovò a sibilare, mordendosi subito le labbra.
Thorin
assottigliò gli occhi mentre faville bruciavano negli occhi
blu;
avanzò qualche ipotesi puramente campata in aria, forse
arrivando
nelle vicinanze della verità che giusto il giorno prima
aveva
promesso di scoprire. Ora non ne era tanto certo dato che, molto
probabilmente, l'addentrarsi in questo campo li avrebbe portati al
punto di rottura.
«E'
molto lontana la fine di questo tempio?»
Nora
sbatté le palpebre all'udire il cuore riprendere a battere
normalmente; aveva galoppato talmente rapido da schizzarle via dal
petto. Accolse con gratitudine quel cambio d'argomento anche se non
lo dimostrò, scuotendo appena la testa bruna.
«Qui
è dove riposa l'ultimo antenato e là, addossato
alla parete di est,
si trova l'altare.»
Da
una tasca nascosta nella gonna nera prese un rametto di lavanda; il
profumo aleggiò brevemente nell'aria, e Thorin
ritornò con la
memoria a vasti campi violacei ai piedi delle Montagne Azzurre,
quando il suo popolo era esiliato e distrutto nell'orgoglio.
Ricordò
lunghe passeggiate in mezzo ai fiori, inebriato e stordito da quella
dolcezza che era riuscita ad accantonare per poco la rabbia e il
desiderio di rivalsa. Rivide i bambini rincorrersi e ridere coi
capelli scompigliati dal vento per poi raccogliere mazzolini da
portare alle madri; udì la voce di Dìs mentre
richiamava Fili e
Kili perché rincasassero e loro la pregavano di aspettare
ancora un
poco “finché il sole non fosse caduto del
tutto”.
Anche
Nora era persa nei suoi pensieri; aveva bruciato il rametto e l'aveva
posato ai piedi della scultura di gesso talmente ben levigata nei
punti lisci e sbozzata nelle vesti da risultare quasi reale e
palpabile, da non rendersi conto delle lacrime pronte a scendere
sulle guance. Chiese molte cose a suo nonno, quel nano burbero che
aveva avuto la fortuna di conoscere e capire, dei cui racconti si
beava prima d'andare a letto e delle scene ricreate con i fratelli
quando decidevano di giocare insieme – quelle rare eppure
indimenticabili volte.
A
lui domandò consiglio nei riguardi del regno ma soprattutto
degli
stranieri, così diversi nonostante
l'appartenenza alla medesima razza. Lo guardò negli occhi
alla
ricerca di un segno, ma il volto spigoloso dai tratti severi e
marcati rimase immobile, tristemente muto. Sospirante, chinò
il capo
in segno di rispetto e portò le dita a sfiorare le palpebre
abbassate per poi fletterle in avanti; solo allora rialzò la
testa e
incrociò lo sguardo curioso di Thorin.
«Che
significa quel gesto?»
«E'
un saluto. Vuol dire che vedo nel tuo cuore, nella tua anima, e tu
puoi fare altrettanto se mosso da buone intenzioni.»
«Trovo
sia molto appropriato» disse, cercando di capire se fosse
l'aggettivo corretto «Se ogni sovrano ha scolpito ci saranno
sicuramente anche delle vostre opere.»
Il
silenzio aleggiò a lungo, o così parve a Thorin.
La
giovane regina era impallidita e puntava lo sguardo ovunque tranne
che sul suo viso; strinse le labbra e le umettò prima di
rispondere
con un esile «Non ancora.»
Le
sembrò piena di vergogna e, per un momento, volle quasi
rassicurarla. Ma l'attimo successivo, quando piantò gli
occhi
nocciola sui suoi, non scorse traccia di negatività; era
tornata la
donna imperscrutabile ostentata con tanto impegno, come fosse una
maschera protettiva contro il resto del mondo. Doveva aver lottato a
lungo per mantenersi sul trono e forse ancora adesso non era
pienamente accettata dai sudditi.
Così
giovane ma così provata, pensava
il nano. Non provava pena – era sicuro che Nora l'avrebbe
aborrita
– eppure gli si strinse il cuore.
Lentamente,
senza alcuna fretta, lasciarono il tempio e i re alle loro spalle
perché, come gli confidò, non era bene attardarsi
a lungo per
non disturbare il loro riposo.
Non ci furono parole, nemmeno quando la regina riaccese l'unica
lanterna rimasta e gliela porse; solo quando oltrepassarono l'arco
dei costruttori – la sala alle loro spalle ancora illuminata
–
venne formulata un'altra domanda.
«Prima
avete detto che i re vivono nel
tempio. Esattamente che intendevate dire?»
«Voi
cosa avete intuito?» gli rispose invece, curiosa di udire la
sua
risposta.
«Parlavate
dei loro spiriti.»
«Non
solo. I re vivono davvero
laggiù. O meglio, i loro corpi.»
Thorin
ancora non capiva.
«Le
sculture furono realizzate col gesso fuso sui loro sudari.»
Il
volto del nano esplorò una vasta gamma di emozioni, su tutti
lo
sbigottimento «Sono all'interno?»
«È
tradizione per i re adornare il Tempio con il proprio corpo divenuto
statua. Non ci sono tumuli per loro, al contrario degli altri
abitanti. Da voi non è usanza?»
«No.
Ognuno ha il suo sarcofago in una grande cripta nel cuore della
montagna.»
Nora
annuì, assimilando l'ennesima diversità.
Svoltarono in un corridoio
mai calcato prima e Thorin pensò fosse una scorciatoia;
d'improvviso
sentiva il bisogno di risalire e tornare nelle stanze assegnategli
poiché non avrebbe retto ad altre scioccanti rivelazioni su
cadaveri
e sculture.
«L'ultima
statua... era vostro marito?»
Nora
si fermò di colpo, gli occhi sgranati «No. No, non
sono sposata.»
Per
l'ennesima volta le sopracciglia si aggrottarono
«Perdonatemi, devo
aver frainteso. È che la vostra pettinatura lascia intendere
siate
vedova»
Stavolta
fu il turno della ragazza di mostrarsi perplessa «Non
capisco.»
«La
nostra tradizione spiega che una nana è vedova se porta i
capelli
raccolti sulla nuca, come i vostri.»
«Per
noi è una questione di rango, anche se la leggenda non
è dello
stesso parere. Maggiori sono le trecce maggiore è la tua
importanza;
le serve solitamente ne portano una arrotolata, anche perché
non
posseggono abbastanza fermargli ed hanno poco tempo per acconciarli
come si conviene. In ogni caso non c'entrano... con il
matrimonio»
terminò in un sussurro, le guance rosate; se per
indignazione o
pudicizia non avrebbe saputo dire.
Thorin
non poté impedire alle labbra di piegarsi leggermente verso
l'alto
in una specie di sorriso, anche quando notò un grande arazzo
sulla
parete sinistra; lo catturò il colore rosso scuro, sbiadito
così
come le rune nere e dorate tra le quali spiccava il nome di Nora alla
sua fine.
«Il
vostro albero genealogico?»
Quando
la vide annuire si avvicinò per studiarlo meglio, stupendosi
sempre
più delle sue azioni; in quella mezza giornata si era
lasciato
incantare dalle decorazioni del palazzo, vedendolo sotto una luce
diversa. Ancora non capiva quel popolo, né le sue tradizioni
o
credenze, ma era indubbio ne apprezzasse l'arte, come in quel
particolare caso: l'arazzo non era nulla di sfarzoso o complicato
–
solo nomi e linee arzigogolate che li univano –
però gli parve
estremamente bello e particolare.
«Avete
preso il posto di vostro padre?»
Per
la seconda volta la rabbia schiumò ad una
velocità impressionante
«Siete molto curioso.»
«Voi
non lo siete nei miei confronti?»
«No»
rispose furiosa, muovendo alcuni passi nella speranza che la seguisse
e la smettesse d'impicciarsi di affari che non lo
riguardavano. Né adesso né mai.
A
quel punto fu impossibile anche per lui mantenere la pazienza imposta
«Quale azione ho compiuto per meritare un simile
disprezzo?»
Ecco,
era giunto il momento tanto atteso. Ogni minuto della precedente
stramba e inaspettatamente calma conversazione era stato un
accumularsi di minuti in preparazione a quella determinata
conversazione.
«Davvero
non lo capite?»
«No.»
La
regina trattenne a stento un fiume di parole in Khuzdul «Una
certa
battaglia non vi dice nulla?»
Thorin
schiuse la bocca mentre i pezzi iniziavano a combaciare uno per volta
anche se alcuni punti erano ancora oscuri; ad esempio, come era stato
possibile se solo Dain e i suoi soldati erano arrivati in loro
soccorso? Il cugino non aveva mai menzionato l'aiuto dei nani degli
Ered Mithrin dopo la Battaglia. Bé, nemmeno i reciproci
contatti
durante gli anni precedenti.
«Vostro
padre ha combattuto.»
Non
una domanda, ma una semplice e concisa constatazione alla quale Nora
non riuscì a rispondere a causa del groppo formatosi in gola
e
talmente stretto da risultare doloroso. Ebbe appena la forza di
chiudere gli occhi mentre una miriade di ricordi sgomitavano per
mostrarsi e, quando li riaprì, deglutì per
ritrovare una parvenza
d'umanità.
«Sarebbe
reggente, ora, così come mio fratello sarebbe il suo
erede.»
Tutti
abbiamo perso qualcuno quel dannato giorno.
Glielo
disse, ma la risposta tagliente gli penetrò il cuore
colpendolo con
una punta affilata e invisibile.
«Non
sarebbe successo se non fosse stato per causa vostra.»
A
questo, Thorin davvero non
seppe come replicare.
Quando
Nora chiuse la porta degli appartamenti alle spalle emise un sospiro
talmente straziante da sembrare un singhiozzo. L'altra nana presente
nella stanza le si avvicinò preoccupata, allungando una mano
nella
direzione di Nora, che l'afferrò senza indugiare e strinse
cercando
di calmarsi, cercando di sbattere velocemente le palpebre per
ricacciare le lacrime.
«Per
favore, almeno tu dimmi che faccio bene a comportarmi così
con gli
estranei. Per favore» pregò di nuovo la reggente,
stravolta.
Ancora
ricordava il precedente dialogo con Scudodiquercia, e più ci
ripensava più concordava col fatto che sfiorasse l'assurdo;
non solo
l'aveva condotto alla scoperta di un luogo normalmente precluso
persino agli abitanti, troppo spaventati per scendere ad onorare gli
antichi sovrani, ma aveva lasciato che la rabbia le afferrasse il
cuore rivelando più di quel che avrebbe dovuto.
Dèi, aveva persino
parlato del padre e del fratello!
Chiuse
gli occhi e gemette, sconsolata come mai in vita sua. L'altra nana la
condusse verso una sedia e le porse un corno di legno perché
si
dissetasse e calmasse con un po' d'acqua.
«Cosa
è capitato, Nora?»
«I
bambini dove sono?»
«Non
temere per loro» la rassicurò con un sorriso «Sono
con
Garan a studiare i primi re.»
La
regina bevve lentamente e appoggiò il corno in grembo,
seguendo le
linee che lo adornavano sia con gli occhi sia con l'indice, decidendo
in parte di mentirle perché non sapeva come avrebbe potuto
reagire
se le avesse raccontato del tempio.
«Non
potrò sopportare Scudodiquercia ancora a lungo. Ha chiesto
come sono
diventata regina, ha menzionato papà.»
«Ha
visto l'arazzo?»
«Sì.
Probabilmente si era perso perché fino al tardo pomeriggio
era alle
fucine. Deve averlo trovato per caso.»
«Capisco.
Cosa gli hai risposto?»
Le
raccontò in breve lo scambio di battute e attese in silenzio
una
replica, ma l'altra taceva «Maera, cosa devo
fare?»
«Buon
viso a cattivo gioco, sorellina.»
«E'
un assassino.»
«Lo
so» concordò Maera, stringendole una mano «ma
abbiamo
bisogno di lui. Sopportalo fino allo scontro.»
«Se
ci sarà» studiò quel volto simile al
suo anche se tra loro
intercorrevano sei anni e si sentì rigenerata nel notare un
luccichio rabbioso; anche lei non aveva ancora dimenticato i
famigliari e il periodo buio che ancora adesso le perseguitava ma, al
contrario di Nora, non era sola ad affrontarlo perché si era
creata
una nuova famiglia.
A
stento riuscì a sorriderle, riuscì a sentirsi
più leggera non
appena si tolse la corona dal capo e la poggiò sul tavolino
alla sua
sinistra.
«Ti
senti meglio?»
Nora
annuì e chiuse gli occhi quando Maera le baciò
una guancia «Credi
deciderà d'andarsene?» chiese in un soffio,
timorosa anche solo di
dirlo per paura di concretizzare il pensiero. Sarebbe scoppiato il
finimondo in quel caso.
«Non
pensare a lui ora. Cerca di concentrarti sui lavori e su te stessa;
non hai una bella cera.»
«Sono
stati giorni impegnativi, e le notti non sono state da meno. Ma hai
ragione, devo occuparmi delle difese.»
«A
quelle possono sempre pensarci i consiglieri, lo sai.»
«Preferisco
partecipare.»
«Lo
so» ribatté la maggiore senza dar peso al tono
improvvisamente
secco quando accennavano ai nani; e come biasimarla?
D'un
tratto le porte si aprirono rivelando la presenza di Doiran; non
appena si accorse della sua regina chinò il capo e
mostrò un
accenno di sorriso al di sotto dei baffi castani
«Maestà. Non
credevo di trovarti qui.»
«Non
è raro trovarmi in compagnia di tua moglie, vista la
parentela»
rispose sarcastica.
Si
alzò e guardò il figlio di Fanus raggiungere
Maera e donarle un
bacio a fior di labbra per poi servirsi con un boccale di birra.
Infine si sedette e la guardò, ragguagliandola sugli ultimi
sviluppi.
«Grazie
ai nani di Erebor la manodopera non ci manca, anche se stiamo
procedendo come se avessimo i mannari alle calcagna! Non dico sia un
male» si affrettò ad aggiungere, notando le
sopracciglia di Nora
scattare verso l'alto in un muto rimprovero «Finiremo
certamente
prima.»
«Hai
coordinato i lavori?»
«Certo,
mia cara» trangugiò un sorso di birra e si
pulì la bocca con il
dorso della mano «e ho conosciuto meglio i nuovi venuti.
Trovo siano
nani molto capaci, non è così Nora?»
L'interpellata
strinse di più le braccia al petto e cercò di
capire quali pensieri
si nascondessero dietro gli occhi scuri del cognato, troppo stanca
per riuscirci.
«Non
l'ho mai dubitato, Doiran. Dopotutto sono figli di Durin. Se volete
scusarmi, ora vi lascio; domani mattina dovrò alzarmi presto
per
parlare con Hagan del lavoro alla forge.»
«Parla
anche con mio padre» la fermò il nano, posando una
mano sulla
spalla destra di Maera come a volerla proteggere – da chi,
poi?
Nora provò quasi disgusto – e le sorrise di nuovo,
di un sorriso
sinistro e sbilenco, o così le sembrò
«Si trova a capo della
ristrutturazione di una delle porte segrete.»
Sulle
labbra le si dipinse un falso sorriso cordiale che non raggiunse gli
occhi «Non temere, so perfettamente quali sono i miei
compiti. Sono
pur sempre la regina.»
L'aria
divenne pesante, l'improvvisa voglia di uscire più forte;
recuperò
la corona e si avviò sicura verso la porta, aprendola. Prima
di
uscire del tutto si girò verso la sorella
«Salutami i bambini e dì
loro che in tarda mattinata mi raggiungano nello studio.»
«Certo.
Buonanotte Nora, vedi di dormire questa notte.»
«Buona
notte mia regina» aggiunse Doiran, inchinandosi
profondamente.
Nora
annuì appena e chiuse la porta, tornando a respirare. Di una
cosa
era assolutamente certa in quel momento: sarebbe stato difficile
dormire con tutti quei pensieri.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Buona
Pasquetta a tutti voi e Buona Pasqua in ritardo! Ebbene sì,
non
posso crederci di essere tornata a pubblicare! Sembra che
l'ispirazione – almeno per questo capitolo – sia
tornata; scusate
se è lungo, ma volevo concedere un po' di spazio al
confronto tra
Nora e Thorin e volevo introdurre altri due personaggi: la madre e la
sorella della regina. Oltre ad uno scorcio su Gilla e Doiran.
Inoltre
come vedete non ho aspettato chissà quanti capitoli per
rivelarvi il
motivo della rabbia nei confronti di Thorin, e qui si spiega, anche
se non ho detto tutto ;).
Vorrei
ringraziare dal profondo del cuore tutte le ragazze che mi hanno
sostenuta, spronata, aiutata e che ho avuto la fortuna di conoscere
il mese scorso *.* <3 E' stato meraviglioso,
sapevatelo XD!
Alla
prossima, sperando di non metterci troppo tempo!
Intanto
mando un grossissimo bacione a tutte, vostra
Anna
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