Magic Melody (Mordred’s Lullaby)

di elyxyz
(/viewuser.php?uid=108)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Ho cominciato questa fic quasi un anno fa

Ho cominciato questa fic quasi un anno fa. Ma, tra una cosa e l’altra, è rimasta ferma mesi a decantare.

Essa fa parte della mia personale sfida per riuscire a scrivere una fic su tutti i lavori/situazioni più comuni nelle AU, ma chiarirò l’elenco nelle note finali. Intanto, ecco il mio contributo alla Causa ‘scrittori’ e ‘musicisti’, due in uno!

 

Modern!au, Merthur, Leogana, baby!Mordred, zio!writer!Arthur, pianist!Merlin.

 

 

D’istinto, vorrei dedicare questa storia a Filippo, sperando di essere una zia un filino migliore di Arthur con Mordred.

E poi è dedicata a chi mi segue con costanza e affetto.

A chi si entusiasma per le mie bizzarre ispirazioni e mi sostiene con i suoi pareri.

Voi rallegrate le mie giornate!

Grazie.

 

 

 

 

Magic Melody (Mordred’s Lullaby)

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo I

 

 

“Guarda che io non abbocco!” sibilò Arthur, puntandogli un dito contro. “La tua faccia d’angelo non mi frega, piccolo demonietto!” rincarò con un ghigno. “Deve ancora nascere qualcuno che pensa di mettere nel sacco Arthur Pendragon!” completò spavaldo. “Quindi… a noi due!”

 

Mordred raccolse il guanto di sfida sputandogli il ciuccio contro.

 

“Ehi! Non vale usare armi!” s’indignò l’uomo, raccattando il succhiotto da terra. “Questo era un colpo basso!”

 

Per un istante, fu certo che il poppante avesse ghignato. E non gliene fregava un accidente se le guide pediatriche di mezzo mondo dicevano che nessun neonato poteva ghignare. Mordred poteva, eccome.

 

Digrignando i denti con rabbia, imprecò sottovoce contro il marmocchio e la sua genitrice.

 

Arthur ancora si chiedeva come avesse fatto ad acconsentire a quella follia.

Poi ricordò che, in realtà, lui non aveva detto sì ad un bel niente. Solo che Morgana non accettava un no come risposta. E così gli era toccata...

 

 

***

 

 

Il suo male era cominciato il giorno prima, quando (con un illecito doppione delle chiavi d’ingresso) la sua amata sorella gli era piombata in casa come un avvoltoio su un corpo ancora tiepido, mentre lui era nel bel mezzo di un punto decisivo a metà di un capitolo cruciale.

Giusto quando il suo protagonista rischiava di crepare, quell’arpia lo aveva distratto dalla vitale concentrazione nel salvare il suo pupillo di carta per parlargli del proprio, di pupillo, decisamente meno interessante per lui.

 

E così Morgana gli aveva chiesto – un tenero eufemismo per dire imposto – di fare da babysitter al piccolo mostro, mentre lei sospendeva temporaneamente il suo congedo di maternità.

 

“Siamo nel bel mezzo dell’acquisizione più grossa nella storia della Pendragon Company e la mia sostituta ha fatto un casino! E Leon dirige gli accordi dall’altra parte del mondo!” Al posto tuo!, sottintendeva il suo sguardo furente. “Devo rientrare in ufficio almeno questa settimana, o andrà tutto a puttane e chi lo sente, poi, nostro padre?!”

 

Era stato un colpo basso per lei nominare il vecchio Uther, e istintivamente Arthur sentì i peli del collo rizzarsi, al ricordo di quando aveva trovato finalmente il coraggio di dirgli che lui no, non era affatto intenzionato a prendere in mano le redini dell’azienda di famiglia (come ci si aspettava che facesse), e che lui amava scrivere, e fare lo scrittore era quello che voleva fare nella vita. Per poco, non aveva scatenato la Terza Guerra Mondiale e finire diseredato era stata giusto una bazzecola.

 

“E perché non lo lasci a lui? È in pensione e poi stravede per quel mo- mo-!” Mostriciattolo, avrebbe voluto dire, annuendo alla volta della carrozzina con dentro il problema, ma quando vide la sorella abbassare la mano ingioiellata verso una delle sue Manolo Blahnik, deviò saggiamente: “Mordred!”

 

Morgana si risistemò distrattamente la fibbia posteriore del sandalo, che aveva un tacco così lungo e appuntito che Arthur s’era già visto morto, crocifisso col cranio perforato, impalato contro il muro della sua bella casa, e Gana se la sarebbe cavata fingendo quattro lacrime con un po’ di depressione post-partum e tante grazie.

 

“Affideresti mai tuo figlio a nostro padre?!” gli aveva chiesto, in tono di sfida.

 

“Non ho figli”, aveva replicato lui, per puntiglio.

 

Arthur…”

 

“Ok, d’accordo. No.

Persino un branco di drogati strafatti sarebbe più affidabile di lui… E con più competenze di puericoltura, indubbiamente”.

 

“Perfetto. Almeno su una cosa siamo d’accordo!”

 

Perché sì. Uther adorava letteralmente il nipote come fosse stato una divinità pagana da venerare. Ma dal ricoprirlo d’oro all’accudirlo… ce ne passava di strada!

 

Quando Arthur aveva disertato i propri doveri di bravo figlio, era stata Morgana quella messa alle strette e col marito aveva scelto di portare avanti l’intera baracca Pendragon.

Quand’era nato il primo figlio – per giunta maschio! – Uther aveva preteso che prendesse il cognome materno, visto che quello scapestrato del suo primogenito si era, nel frattempo, dichiarato insanabilmente gay e con il vezzo di fare l’artista.

La stirpe dei Pendragon sarebbe dovuta continuare e il Vecchio Dragone aveva grandi aspettative sull’ignaro nipote.

Se Uther avesse saputo del problema attuale, la Terra avrebbe tremato per ore.

 

“E perché non assumi una babysitter?”

 

“Credi che affiderei il sangue del mio sangue alla prima bimbaminkia che passa?!”

 

“Ma… esistono Enti certificati, personale specializzato, referenze e…”

 

“Dove credi che troverei il tempo di eseguire i colloqui, verificare le raccomandazioni, fare delle prove di compatibilità caratteriale con il mio Puccino?”

 

“Puccino? Adesso lo chiami Puccino?” Arthur alzò la voce di un’ottava.

 

“Parla piano, cretino! Se si sveglia, ti taglio la gola!”

 

“Oh, vedo che l’istinto materno ti ha reso più amabile!” ironizzò lui, incrociando le braccia al petto.

 

“Arthur…” lo richiamò spazientita.

 

“E perché non Gwen?” suggerì lui, speranzoso. “È la persona più qualificata del mondo! Le affiderei la mia stessa vita!”

 

“Perché si dà il caso che Guinevere e Lancelot abbiano già tre figli a cui badare e lei sia al settimo mese di. Una. Gravidanza. Gemellare”, gli ricordò, scandendo le parole come se fosse stato un ritardato.

 

“Ecco, appunto! Ha praticamente in gestione un asilo, un bimbo in più o in meno non farà la differenza!”

 

Morgana scosse i folti ricci mori.

“Non ho cuore di caricarla di quest’incombenza…”

 

Ohmiodio! Hai finalmente ammesso di non avere un cuore! Lo sapevamo tutti, ma-”

 

“Ma la vuoi smettere?! Si tratta solo di qualche giorno, e tu sei l’unico con un sacco di tempo libero, tempo che passi inutilmente a zonzo per l’appartamento!”

 

“Ehi! Io lavoro a casa! Io scrivo!” si difese piccato.

 

“Sì, scrivi un sacco di pagine che poi cestinerai… l’uscita dell’ultimo libro è prevista per quando?”

 

Arthur tentennò, ma mentire non sarebbe servito. “La primavera prossima”, ammise poi, controvoglia.

 

“Ecco, appunto. Qualche giorno di pausa non ti ucciderà. E mi devi un favore, quindi…”

 

“No, non è vero!”

 

“Sì che lo è”, lo contraddisse Morgana, ghignando. “Un grande favore. Il nome ‘Mark’ ti dice niente?”

 

Arthur sbiancò.

Che bastarda! Come poteva rinvangare ora quel…

“Avevamo concordato che non ne avremmo più parlato”, le rinfacciò.

 

“Sì, beh... Tu lo hai deciso. Non io. Piacere per piacere, ricordi?”

 

“Questo è un ricatto!”

 

“Chiamalo come vuoi…” Morgana fece spallucce, mentre controllava il bimbo che si stava risvegliando. Lo prese in braccio, cullandolo piano nella speranza di prolungare il suo pisolino.

“Tata Mary verrà la mattina; il pomeriggio non può, per questo lo chiedo a te…”

 

“Tata Mary?!”

 

“Sì, idiota. Ma sei sordo?!”

 

“Papà ha mandato in pensione Tata Mary quando siamo andati al college! E aveva quasi ottant’anni allora!”

 

“Ne aveva settanta, idiota. Non esagerare… E comunque mi fido solo di lei…”

 

“Sì, finché non darà il biberon a quel topo del tuo chihuaua e non riempirà la ciotola di croccantini per Mordred!”

 

“Tata Mary è più in gamba di te!” lo contraddisse, perentoria, prima di trasformarsi istantaneamente, facendo facce buffe e parole dolci al suo bambino.

“Oh, Puccino-Puccino, guarda dove siamo? A casa di zio Artie!” declamò con allegria esagerata. “Di’ ciao a zio Artie!” l’incitò retorica.

 

Arthur roteò gli occhi, nauseato dalla colata di miele verbale. “Lui mi odia!”

 

“Stronzate! Sei il suo zio preferito!”

 

“Solo perché sono l’unico che ha! E non sono stronzate!”

 

“Arthur! Niente parolacce davanti al bambino!”

 

“Ma l’hai appena detta anche tu!”

 

“Una mamma può tutto…” filosofò Morgana al pari di un dogma, prima di stampare una serie di baci a schiocco sulla testolina semicalva del pupo.

 

“Sto per vomitare”, mugugnò l’uomo, osservando la dimostrazione di affetto con la faccia di uno che ha mangiato un limone.

 

“Il solito esagerato!” lo sgridò la sorella, liquidando la faccenda. “Ti aspetto domani, da me, alle due. Sii puntuale!” gli comandò, ticchettando con gli spilloni di Manolo sul pavimento, come a definire l’ordine.

 

E prima di sapere come, Morgana s’era magicamente volatilizzata e Arthur s’era ritrovato fregato.

 

 

***

Image and video hosting by TinyPic

 

 

Per un buon minuto abbondante, Arthur aveva seriamente ponderato di disertare. E ‘fanculo a tutto.

Ma Morgana, quando ci si metteva, sapeva essere davvero un dolore nel culo, una spina nel fianco e un calcio nelle palle tutto insieme.

Poi c’era stata la concreta minaccia di Mark e la possibile reazione di suo padre di fronte a un’altra diserzione di famiglia e lui aveva dovuto fare retromarcia.

Oh, che cazzo. Un paio di pomeriggi col marmocchio non avrebbero ucciso nessuno, no?

 

E poi avrebbe sempre potuto prendere quell’occasione per fare esperienza e poi usarla per un nuovo plot… sì, qualcosa su un bambino demoniaco, di certo.

 

Mentre guidava verso il quartiere residenziale dove abitava l’oggetto delle sue disgrazie, rifletté sul fatto che era anche colpa di Leon, che era figlio unico.

Se suo cognato avesse avuto fratelli, magari il peso dell’incarico non sarebbe toccato a lui!

Poi, però, Arthur ricordò che il parente più vicino ad una sorella per Leon era Elena, una tizia di buon cuore, ma che viveva costantemente sulle nuvole. Era così svampita che a volte si perdeva per strada e i vicini la riaccompagnavano a casa per pietà.

Ecco, beh… persino lui non avrebbe affidato Mordred ad una così.

 

Ma il punto era, secondo lui, che fosse ingiusto venir disturbato in virtù dell’essere uno zio vero in linea di sangue, solo perché quelli finti valevano di meno, quando si trattava di chiedere favori scomodi.

 

Arthur ripensò ai loro amici in comune.

Di sicuro anche quel fancazzista di Gwaine avrebbe potuto occuparsene, o quel randagio di Elyan, sempre in cerca di capire il senso della vita girando qua e là. Vivian no, perché era una poco di buono e avrebbe potuto abbandonare il bambino anche sul ciglio della strada, se un tizio qualsiasi le avesse dato retta. E poi Sophia… uhm, negativo. Da quando era entrata in quella strana setta che pretendeva di fare sacrifici animali… già, meglio evitare. E Mithan? Ah, nemmeno. Stava ancora in Rehab, rinchiusa in un Centro di disintossicazione…

 

Ma sicuramente quella strega di Morgana aveva altre amiche, no?

Perché, di tutti, era toccata proprio a lui?

 

Arthur parcheggiò, borbottando il proprio malcontento e suonò il campanello.

 

Tata Mary lo abbracciò forte, bloccandolo sulla soglia.

“Il mio piccolo Arthur!” lo vezzeggiò, tirandogli le guance come quando andava alle elementari. “Ma come sei cresciuto!” constatò, perché effettivamente la vecchina, gobba per l’età, gli arrivava appena sopra all’altezza dell’ombelico.

 

“È passato un po’ di tempo dall’ultima volta, Tata Mary…” le rispose imbarazzato.

 

La sua vecchia bambinaia si prese il tempo di sondarlo da capo a piedi, e parve approvare ciò che vide.

“Com’è che un ragazzo così bello non si è ancora sposato?” gli domandò poi, a bruciapelo, scrutandogli la mano sinistra libera da anelli.

 

“Ehm… Tata Mary, vedi… C’è una cosa che non sai…”

 

“Vuoi dire che tutti gli uomini d’Inghilterra sono diventati ciechi all’improvviso?” lo aiutò.

 

Arthur boccheggiò, al colmo dello stupore.

 

“Artie, piccolo mio. So che sei gay da quando avevi quindici anni…” chiarì, con un sorriso. “Chi credi nascondesse quelle brutte riviste che compravi di nascosto prima che Morgana ti ricattasse o le vedesse tuo padre?”

 

“Ehm… non… non era Malcom, il vecchio maggiordomo?”

 

L’anziana balia rise di gusto della sua ingenuità.

“Malcom se le sfogliava, ma toccava a me fare ‘il lavoro sporco’!” gli spiegò ammiccando. “E ora vieni dentro, dai…”

 

Arthur attraversò l’uscio e si aspettò quasi di vedere comparire sua sorella da un momento all’altro, ma la casa sembrava tranquilla ed, effettivamente, se fosse stata presente, lui non avrebbe avuto motivo di essere lì con quell’ingrato compito.

 

“Mordred è parecchio assonnato, è quasi ora della nanna pomeridiana”, lo informò la sua bambinaia, conducendolo alla culla dove il bambino piagnucolava. “Adesso te lo cambio, così sarai a posto finché non tornerà Morgana, ma poi devo scappare, mi dispiace. Il mio povero Charlie, sai… La sua testa non va più tanto… C’è la vicina adesso con lui, ma…”

 

“Non ti preoccupare, Tata Mary. Non mi devi spiegazioni”, la rassicurò, stringendole affettuosamente una spalla ossuta.

 

“Bravo il mio ragazzo!” lo lodò lei, prima di rivolgersi al neonato: “E dov’è il principino, qui? Fai vedere a zio Arthur quanto sei delizioso!”

 

Arthur non avrebbe mai, mai accostato il termine delizioso a suo nipote, ma preferì non recriminare.

 

“Vedi, si fa così…” lo istruì l’anziana balia, muovendosi con gesti veloci e precisi sul bambino per spogliarlo e cambiargli il pannolino e l’uomo seguì distrattamente il processo che, per lei, doveva essere un gesto abitudinario mai dimenticato.

 

Peccato che, dopo la prima zaffata proveniente da roba solida – Codice Marrone! Codice Marrone! Centrale, abbiamo un problema! –, Arthur era indietreggiato, sul punto di vomitare per davvero, scappando dalla stanza.

 

“Dovrai farci l’abitudine, sai?” gli rese noto la signora Mary, divertita dalla sua fuga, sventolandogli contro l’involucro della bomba nucleare, prima di avere pietà di lui e di smaltirla nei rifiuti tossici e radioattivi.

 

Col cazzo che si sarebbe impantanato in quello schifo!

 

“Nnh…” grugnì, però, in risposta.

 

“Gana ha detto che c’è un promemoria per te sul portatile e tutto l’occorrente per il pomeriggio, fino al suo ritorno. Se hai bisogno, non esitare a chiamarmi”, lo invitò, allungandogli un foglietto con dei numeri di telefono per i recapiti urgenti, strizzandogli poi una guancia affettuosamente. “Ciao, Artie…”

 

Arthur realizzò con suo sommo orrore che la vecchina non s’era neppure lavata le mani dopo il cambio del pannolino e prima di toccarlo. Ergo

Egli corse nel bagno del piano terra e cercò il disinfettante più potente che c’era in casa.

Alcool? Candeggina? Acido Muriatico?

 

Dopo un numero considerevole di lavaggi con tutti quei fottutissimi detergenti ‘per pelli delicate con crema idratante’ che quella strega di sua sorella si ostinava a comprare, Arthur decise che sarebbe sopravvissuto. Sì, però aveva bisogno di un tè.

 

“Un tè al latte mette a posto ogni cosa!” lo diceva sempre anche Tata Mary.

 

Ignorò il nipote che mugolava scontento nella culla e si diresse in cucina, mettendo su il bollitore e acchiappando una sana bustina di Earl Grey.

Poi rovistò in frigo alla ricerca del latte e agguantò una bottiglia di vetro. Morgana e la sua mania di latte fresco!

Beh, in verità era una cosa buona, per una volta. Lui era costretto a bere sempre quello conservato a lunga scadenza, perché era pigro e non voleva andare a comprarlo ogni giorno, ma gli era mancato il gusto del latte vero, quello di giornata, appena munto...

E visto che il lattaio, a lei, faceva direttamente la consegna a domicilio… perché non approfittarne?

 

Arthur non resistette e tracannò, con ingordigia, una lunga sorsata dalla bottiglia.

Bah… non sembrava essere particolarmente fresco… e, a dirla tutta, aveva pure un sapore un po’ strano… che fosse andato a male?

 

O forse la prima impressione era sbagliata ed era meglio ricontrollare… Quindi prese un secondo assaggio e se lo rigirò in bocca per farsi un’idea più precisa, mentre controllava, con la coda dell’occhio, la data di scadenza scarabocchiata sull’etichetta del vetro.

 

Prelievo M. ore 7.45  600 ml.

 

Nell’esatto momento in cui il suo cervello elaborò l’informazione, Arthur spruzzò d’istinto tutto il contenuto ovunque, sputandolo fino all’ultima goccia.

Cazzo. Cazzo. Cazzo. Era il latte di Morgana!

Che abominio!

Doveva assolutamente sciacquarsi con qualcosa di forte o sarebbe potuto morire avvelenato!

 

Arthur si diresse di corsa nell’armadietto che fungeva da bar, ma un urlo di Mordred lo distrasse dai suoi propositi.

 

No, no! Adesso no!

 

Eppure Mordred sembrava di tutt’altro avviso e riprese a strillare ancor più forte, stanco di venire ignorato da quel disgraziato del suo tutore improvvisato.

 

A malincuore, Arthur raccolse il bimbo e lo dondolò cercando di calmarlo, e – contemporaneamente – afferrò il biberon con dentro quella che, all’apparenza, sembrava camomilla.

 

Poiché peggio di così non poteva andare, s’arrischiò un assaggio. Era camomilla, sì. Grazie a Dio.

E la rubò al nipote fino a che non gli parve che l’orrido gusto del latte fosse scomparso dalle sue papille gustative.

 

“È tutta colpa tua!” brontolò poi, mentre il pupo si agitava infastidito, cercando di sgusciare dalla sua presa.

 

Arthur raddoppiò la stretta e toccò il mouse per togliere lo screensaver.

C’era una cartella col suo nome nel desktop e due file: un word con tutti gli orari in cui si presumeva abitualmente il neonato dormisse e mangiasse, l’altro era un video con la brutta faccia di sua sorella e la sua voce intimidente che lo minacciava di tagliargli le palle se non si fosse comportato bene ‘col suo tesoro’.

 

Arthur tentò un gesto scaramantico che per poco non gli costò la caduta del prezioso ‘tesoro’ e fece una smorfia mentre Morgana-registrata lo erudiva sul mondo segreto della comunicazione infantile:

 

“Se il Pupino fa ‘Uee-Uee-Uee’,” recitava il filmato, “significa che ha sonno. Se fa ‘Ueeeeeee-Ueeeeeee’ ha fame; se fa ‘Ue-ue-ue’ deve essere cambiato, e se fa ‘Uue-Uue-uue’ è solo annoiato, vuole coccole. Intesi?”

 

Arthur scrutò lo schermo del pc come se davanti a lui vi fosse stata una pazza.

Quella specie di Codice Morse per Poppanti che cavolo significava? Lungo lungo corto? Punto punto linea? Non aveva neppure fatto il militare, lui!

 

Li riascoltò tutti per buona misura, e se li registrò nel cellulare, ma dubitava fortemente che sarebbe mai riuscito a riconoscerli.

 

Il promemoria della strega terminava con un suggerimento:

“Se non dorme, vai a passeggio. Il movimento è soporifero. Mi raccomando di assicurarlo bene al passeggino!”

 

Arthur chiuse tutto e spense il pc con un gesto di stizza.

Successivamente, adagiò il nipote nella culla e tirò la cordicella di un carillon a penzoloni che emise all’istante una melodia lenta e agonizzante.

Egli sbuffò, odiando già quella nenia insopportabile e sperò solo che fosse idonea allo scopo.

Per buona misura, incominciò a dondolare il lettino, perché – se era vero quello che Morgana aveva detto – il movimento oscillatorio avrebbe dovuto favorire l’addormentamento.

 

Tuttavia, Mordred sembrava tutt’altro che bendisposto e, anche se aveva smesso di frignare (merito soprattutto del ciuccio che Arthur gli aveva quasi fatto ingoiare), sembrava nient’affatto benevolo ad accontentarlo.

 

 

***

 

 

Un’ora di supplizio.

Un’intera ora in cui Arthur si sarebbe dannato l’anima pur di scamparla.

Aveva dondolato, cullato, cantato, dopato la brutta bestia con tutta la camomilla reperibile in casa e aveva sinceramente meditato persino di fargli fare un giro ad aeroplanino sopra il gas aperto della cucina per narcotizzarlo un po’.

E poiché le buone maniere non era servite, le minacce non erano servite, né le suppliche o le urla e nemmeno le preghiere, zio e nipote erano giunti ad un punto di stallo, anche se sembrava che lo sgorbio fosse sempre in leggero vantaggio su di lui (non per niente era figlio di quella strega di Morgana, la cattiveria era ereditaria e anche la voglia di scassargli i marroni!).

 

Inspirando dal naso per contenere la rabbia, e cercando di fare l’adulto fra i due, Arthur acchiappò il neonato e lo adagiò nel passeggino, armeggiando mezz’ora con le bretelle e i ganci di protezione ad incastro.

Neanche gli astronauti durante il lancio dello Shuttle venivano legati così!, considerò, imprecando sottovoce perché le minacce di Morgana sulle parolacce potevano non essere fini a se stesse… Magari c’era qualche telecamera nascosta che lo stava filmando?

 

Sette camicie sudate e un numero imprecisato di minuti dopo, Pendragon Senior si sentì incredibilmente appagato nell’essere riuscito nella titanica impresa.

Non lo avrebbe mai staccato da lì, manco per cambiarlo! Poteva restare in quel cazzo di seggiolino fino alla morte, per quanto lo riguardava! Di sicuro fino alla laurea o al suo matrimonio!

 

Mordred, al colmo dell’insofferenza e col sonno dimenticato da tempo, masticava il ciuccio brontolando rabbiosamente e – Arthur ne era certo – se avesse potuto parlare gli avrebbe dato dell’idiota incompetente almeno cento volte.

 

Ma lui era sicuro che avrebbe vinto la battaglia fra loro e se quel mostriciattolo doveva dormire, avrebbe dormito! A costo di camminare a piedi fino alla fine del mondo!

 

 

***

 

 

Forse era vero che sarebbe finito a camminare per sempre.

Avevano raggiunto le Colonne d’Ercole e le avevano superate un sacco di tempo fa, ma ancora la peste non dormiva.

 

Quello che più faceva infuriare Arthur era che suo nipote – plagiatore seriale come sua madre – faceva gli occhi dolci a tutti, guadagnandosi un sacco di coccole, complimenti e moine da tutte le ovaie ambulanti che avevano incrociato per strada.

Qualcuna s’era pure azzardata a dispensare consigli indesiderati (che lui non avrebbe mai messo in pratica) e numeri di telefono (che lui non avrebbe mai richiamato).

Pendragon sapeva di essere – modestia a parte – un bell’uomo, francamente attraente; ma doveva riconoscere, altrettanto onestamente, che non aveva mai ricevuto così tanta attenzione dal gentil sesso in così poco tempo, cioè da quando si era messo alla guida di quel passeggino. E mai come adesso, Arthur era stato felice di essere gay.

 

I maschi che aveva incrociato per strada, invece, gli avevano lanciato varie occhiate di compatimento e commiserazione, qualcuno aveva arrischiato un sorriso di solidarietà – probabilmente perché era stato vittima di quella sofferenza prima di lui.

 

Ma il punto era uno solo: Mordred era il Male.

 

Dopo l’ennesima signorina conquistata, che per chinarsi e dargli un bacetto stava per far traboccare tutto il seno strizzato in un top minuscolo, Pendragon si sentì in dovere di mettere le cose in chiaro con quel pannolino manipolatore.

 

Era stato così che gli aveva diretto un dito addosso, precisando: “Guarda che io non abbocco!”

 

E poi le cose erano degenerate, e Mordred era finito a sputargli contro il ciuccio, dando inizio a una guerra senza esclusione di colpi e dall’esito alquanto incerto. Difatti, Arthur possedeva una sola, unica certezza…

Zio preferito, un cazzo.

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

Ugualmente, le immagini che ho scelto di inserire nei capitoli sono prese dal web e non mi appartengono.

 

Manuel ‘Manolo’ Blahnik Rodríguez è uno stilista spagnolo creatore di una nota casa di moda produttrice di scarpe da donna. Carrie di ‘Sex & the City’ ne va pazza.

 

Per curiosità, ecco le Tacco 11 indossate da Morgana: http://www.yoox.com/it/44481407WO/item?dept=women

Arthur ha ragione a dire che sono un’arma impropria. XD

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai e a Laura, che subiscono le mie paranoie. X°D

Note: Come ho anticipato, non imitate Arthur nelle sue scelte di babysitting: benché verosimili, non sono pedagogicamente corrette.

 

Ho appositamente evitato di dire il genere del libro di Arthur. Sarà chiarito al momento opportuno, per motivi di trama.

 

Le Colonne d’Ercole sono l’antico nome dello Stretto di Gibilterra. Indicavano, in passato, il limite estremo del mondo conosciuto.

 

Nell’intro ho accennato alla mia personale sfida per riuscire a scrivere una fic su tutti i lavori/situazioni più comuni nelle AU. Finora ho postato:

 

ü     Doctor!Merlin (beh, veterinario, ma va beh…)

ü     CEO!Arthur

ü     Writer!Arthur

ü     Pianist!Merlin

ü     Coffee shop!au

ü     Prof!Arthur e Student!Merlin (da postare)

ü     Cinema Hall!fic

ü     Mpreg!modernAU

ü     Beach!fic

ü     X-mas!fic

ü     Lunapark!fic

 

Mancano ancora una sacco di spunti e cliché, ma piano piano darò il mio contributo.

 

 

Vi metto un’anticipazione del prossimo capitolo:

 

Arthur stava per lasciarsi cadere sul solito scalino che aveva eletto a suo trono, quando la melodia cambiò di colpo in un pezzo nuovo – suadente e particolarmente accattivante – che si era aggiunto inaspettatamente al repertorio. Contro ogni buonsenso, egli si accostò un po’ troppo e arrischiò un’occhiata dentro. 

 

Dio.

Erano quelle, le mani che producevano una melodia così?

Erano davvero mani da pianista. Nella definizione più pura del termine.

Mani con dita lunghe e affusolate, che accarezzavano i tasti con riverenza e sensualità.

Mani agili e veloci, scattanti e sinuose, lente, cadenzate.

Mani che sembravano offrire piacere ai rettangoli d’avorio e trarne godimento a loro volta.

Mani che…

Dio, erano qualcosa di pornografico.

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

 

 

 

~ ~ ~ ~ ~

 

Ringrazio i 500 lettori che mi hanno inserita fra i loro autori preferiti.

Vi ringrazio della fiducia, e vi invito, ancora una volta, a lasciarmi qualche parere per sostenermi in questa passione che condividiamo. ^^

 

 


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:

 

Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.

Farai felici milioni di scrittori.

(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)


Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche costruttive.


Grazie (_ _)

elyxyz

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Modern

Modern!au, Merthur, Leogana, baby!Mordred, zio!writer!Arthur, pianist!Merlin.

 

 

D’istinto, vorrei dedicare questa storia a Filippo, sperando di essere una zia un filino migliore di Arthur con Mordred.

E poi è dedicata a chi mi segue con costanza e affetto.

A chi si entusiasma per le mie bizzarre ispirazioni e mi sostiene con i suoi pareri.

Voi rallegrate le mie giornate!

Grazie.

 

 

 

 

Magic Melody (Mordred’s Lullaby)

 

 

Image and video hosting by TinyPic

 

 

 

 

 

Capitolo II

 

 

I piedi gli facevano male. Persino nelle sue costossime scarpe italiane!

Poteva giurare di avere cento calli ad ogni estremità e le gambe pesanti come piombo.

Dopo quell’infinita scarpinata, avrebbe chiesto i danni morali e materiali alla vecchia strega, parola sua!

 

Arthur imprecò per l’ennesima volta, a quel pensiero, e decise che aveva inalato abbastanza smog anche per gli anni a venire, quindi deviò il percorso dal marciapiede, che costeggiava il viale, verso un piccolo parco che non aveva mai visto prima.

Attraversò il cancelletto e si mise a girare per i vialetti di ghiaia.

Anche se questo movimento gli costava molta più fatica, s’era accorto che quel disgraziato di suo nipote – perlomeno – aveva smesso di frignare e si intratteneva osservando in giro il panorama e rosicchiando ossessivamente il succhiotto.

 

Morgana lo aveva chiamato già due volte per sentire come procedevano le cose e sincerarsi che non avesse affogato il suo prezioso unigenito nel Tamigi e Arthur non aveva avuto il coraggio di ammettere la propria disperazione. Era un Pendragon, lui! Diseredato o non diseredato, era cresciuto a pane e orgoglio e col cavolo che avrebbe ammesso di essere in difficoltà! Men che meno con quell’arpia di sua sorella che lo avrebbe sfottuto da lì all’eternità!

 

Pupino e lo zio si divertono un sacco, Gana cara!” aveva ironizzato. “Stiamo per dare da mangiare alle ochette dello stagno!”

 

“Se ti azzardi a dar loro in pasto mio figlio, ti strapperò le palle col tagliaunghie!”

 

“Senti che brutte cose dice la mamma, Pupino bello?” recitò retorico. “Siamo in vivavoce, sorellina adorata!” mentì, perché in realtà temeva che, se il piccolo mostro avesse sentito la voce della sua Latteria, avrebbe iniziato a frignare per riaverla con sé.

Dopodiché chiuse la conversazione senza salutare e si rimise a spingere, controvoglia, il dannato mezzo di trasporto e il suo occupante.

 

Purtroppo per lui, l’attrattiva per la gita panoramica fu presto accantonata e Mordred si mise a piagnucolare sempre più scontento. Persino Arthur poteva capire quanto fosse – effettivamente – sfiancato e assonnato, ma anziché cedere alla stanchezza, quel malcontento lo frustrava sempre più, impedendogli di soccombere al riposino.

 

Fu per questo che l’uomo decise per un dietro-front strategico e una vergognosa ritirata verso casa. Avrebbe chiamato Tata Mary e l’avrebbe supplicata di addormentare il piccolo diavolo, poi avrebbe pagato per il suo silenzio, o forse, semplicemente, la donna di buon cuore avrebbe avuto pietà di lui.

 

Con questo proposito in mente e il dolore costante ai piedi, Pendragon si trascinò fino all’uscita del parco ma, giusto in prossimità del cancello d’entrata, si accorse di alcuni uomini, vestiti da operai, che vi armeggiavano attorno.

Quando chiese che problema ci fosse, gli fu risposto che, semplicemente, quella era ordinaria manutenzione e che il passaggio sarebbe rimasto bloccato per almeno un’ora – come indicato dall’avviso sul cartello che Arthur non aveva visto entrando.

 

Oh, perfetto!

Ci mancava solo dover ripercorrere un’altra volta tutto il sentiero ghiaioso spingendo quelle dannate ruote snodabili! E col cavolo che avrebbe usato l’altra apertura: si trovava diametralmente opposta a dov’erano adesso e rispetto alla strada verso casa!

Avrebbe atteso lì, pungolando i manovali, se necessario, e li avrebbe stressati minacciandoli col pianto del mostriciattolo, così forse si sarebbero dati una mossa!

 

Ma Mordred, ancora una volta, era di tutt’altro avviso e rimanere fermo impalato per così tanto tempo non era stato nei suoi programmi.

Dimenandosi ululando, rese chiaro allo zio la sua posizione a riguardo, costringendo l’uomo a inveire contro tutto e tutti e a trascinarlo altrove.

 

 

***

 

 

Arthur era certo di aver scavato un fossato intorno alla vasca circolare dei pesci rossi, a furia di girarci intorno.

Per questo – e per disperazione – prese uno dei piccoli sentieri meno battuti e si ritrovò a costeggiare la recinzione perimetrale. Quando trovò una delle poche panchine libere del parco, si sentì come se avesse incrociato un’oasi nel deserto e vinto la lotteria tutto in una volta.

Si accasciò, sfinito, sul duro legno umido e se ne infischiò.

Al diavolo i pantaloni chiari, al diavolo le macchie che non sarebbe mai andate via, al diavolo tutto!

Il gentile invito era rivolto anche al paffuto demonietto che sembrava fulminarlo dalla sua postazione. Arthur lo ignorò e, gemendo con soddisfazione, lasciò ciondolare la testa all’indietro e si sfilò i mocassini per dare requie ai suoi piedi martoriati, arieggiandoli.

 

La pace durò poco – giusto un paio di secondi – quando il neonato si mise a piangere, disperato, e Arthur, bruciando il suo attimo di paradiso, fu costretto a saltar su e a prenderlo in braccio per confortarlo, ottenendo l’effetto contrario e urla ancor più disumane.

 

Quel pianto ossesso l’avrebbe fatto arrestare!

Ecco, ecco! Da un momento all’altro sarebbe spuntato qualche Bobby e lo avrebbe sbattuto in gattabuia per maltrattamento di animali!

Oh, Dio! E Mordred strillava come se lo stessero scuoiando vivo!

Che aveva mai fatto di male, lui, per sopportare una tale piaga?!

E come cazzo avrebbero ripercorso la strada di casa con il piccolo rospo in piena crisi?, Manco se l’avesse sgozzato o torturato!

 

Arthur aumentò il ritmo del dondolio (e le suppliche, le preghiere, le minacce), ma fu tutto vano.

Il nipote si mise a lamentarsi ancor più forte e a dimenarsi come al culmine di una crisi epilettica.

 

Poi, di colpo, com’era iniziata, cessò.

Arthur scrutò il bambino in braccio, incredulo, temendo che fosse svenuto per l’eccessivo scuotimento, ma notò che l’attenzione del pupo era tutta per una lenta melodia, gli occhietti puntati in cerca di qualcosa: il suono di un pianoforte che proveniva da una delle case oltre il recinto.

 

Senza pensarci due volte, Pendragon scavalcò la recinzione, avvicinandosi alla fonte del suono, senza smettere di cullare il nipote.

A mano a mano che si avvicinavano, poteva vedere le palpebre di Mordred farsi sempre più pesanti.

Giunto davanti alla portafinestra da cui fuoriusciva la musica, poteva esser certo che il piccolo obbrobrio stava quasi dormendo – lo testimoniavano il respiro lento e il movimento del ciuccio, divenuto consolatorio e non più nevrastenico.

Alla seconda canzone, che il suo personale angelo custode stava suonando, il diavoletto era certamente caduto nel girone dei sogni infantili infernali.

 

Arthur, ancora incredulo, ringraziò quella botta di culo e girò sui tacchi, per tornare al passeggino e dirigersi verso casa ma, come fece per allontanarsi da lì, il nipote spalancò un occhietto sornione, vigilando sul suo operato.

 

“D’accordo, hai vinto tu, piccolo bastardo”, sibilò allora fra i denti, finendo per sedersi sui gradini di fronte alla residenza del suo salvatore, preferendo di gran lunga quella sosta forzata al terribile piagnisteo di poc’anzi.

 

Per sua fortuna, il pianista sembrava in procinto di regalargli una lunga sessione d’allenamento.

 

 

***

 

 

Il giorno successivo, con suo enorme disappunto, le cose non andarono affatto meglio.

Morgana aveva giurato e spergiurato che Mordred non aveva mai ascoltato un brano di musica classica nella sua (pur breve) vita, e che quella del dì addietro era stata solo una fortuita coincidenza. A parer suo, l’adorato Pupino era semplicemente crollato, sfinito, e non era stata certo la strimpellata di qualcuno a favorirne l’addormentamento.

 

Arthur, tuttavia, essendo di diverso parere – e a priori in contrasto con le idee di sua sorella –, aveva caricato sull’impianto Home Theater della strega ogni pezzo di musica classica per pianoforte che aveva trovato reperibile, ogni ninnananna, dalla più celebre alla più bizzarra.

 

Avrebbe persino suonato le Trombe dell’Apocalisse se fossero servite allo scopo.

Eppure, non aveva funzionato.

 

A malincuore (e con tanto mal di piedi), Arthur si ritrovò davanti alla casa del giorno precedente, pregando fervidamente ogni divinità, conosciuta e non, che la botta di culo si ripetesse.

Qualcuno, da lassù, doveva volergli bene, perché – giusto quando stava per perdere la speranza e Mordred la pazienza – il suono della medesima sinfonia gli arrivò come un canto soave ed egli fu lesto a dondolare l’infame nipote per aiutarlo a decollare verso il mondo dei sogni.

 

 

***

 

 

Il terzo giorno non fu diverso.

Beh… c’era stata l’aggravante dell’incidente innominabile, però.

 

Tutto era cominciato quando Tata Mary era dovuta scappare all’improvviso, dopo una telefonata, perché suo marito non si era sentito bene, ed ovviamente l’uomo aveva scelto il momento peggiore – ossia al cambio del pannolino – per rischiare di andare all’altro mondo, e la vecchia bambinaia aveva lasciato Mordred alle cure dello zio nel bel mezzo del pit stop – ovvero gambe all’aria e culetto al vento.

Arthur, mentre racimolava il coraggio necessario per compiere l’ingrata operazione, s’era chiesto come il poppante potesse puzzare tanto. Sembrava una discarica che eiettava il triplo di quello che mangiava. E ancora mangiava solo il latte di Morgana!

E di colpo il suo cervello autolesionista s’era figurato l’immagine della strega che allattava, e Arthur aveva chiuso gli occhi stretti, anche quelli mentali, certo che sarebbe potuto diventare cieco per lo shock se avesse visto le tette di sua sorella.

 

In compenso, mentre lui era distratto, Mordred aveva pensato bene di rimarcare la propria virilità con una zampillante fontana di pipì che aveva colpito esattamente la camicia preferita di Arthur al centro del petto ed era venuto giù un diluvio di bestemmie.

Poi, neanche mezz’ora dopo, c’era stata la cosa del vomito sui pantaloni nuovi – Mordred aveva rigurgitato il latte appena succhiato – latte che era fuoriuscito dalle tette di sua sorella. Dio!, Dio, che abominio!

E il povero Arthur, traumatizzato, aveva dovuto prendere in prestito un cambio completo dal guardaroba di Leon.

 

Tutti questi incidenti – oltre che a guastargli l’umore – avevano altresì fatto accumulare un discreto ritardo sulla loro abituale tabella di marcia, così Arthur (anche su sentito suggerimento dei suoi piedi) aveva caricato in auto il seggiolino e il nipote e si erano diretti al loro consueto appuntamento per ascoltare la vitale serenata.

 

Dopo esser giunti nei pressi della loro meta, furono costretti a parcheggiare e, sistemato Mordred nel passeggino, a percorrere l’ultimo tratto di strada nella zona a traffico limitato.

 

Con un sospiro grato, Pendragon si accorse che il suo angelo custode si stava già esercitando, quindi la bestiaccia si sarebbe addormentata in fretta e, con soddisfazione, si lasciò cadere sugli usuali gradini davanti alla portafinestra, approfittando del momento di tranquillità, anche se la curiosità cominciava a stuzzicarlo...

 

Il primo giorno aveva solo dato corda al sollievo.

Non gli importava l’esecuzione di chi e di cosa. Non riconosceva nessun brano. E l’esecutore poteva essere un professionista o un pivello, era il risultato a contare – ovvero che Mordred si fosse calmato ascoltando.

Anche il secondo giorno non ci aveva fatto caso.

Ora, però, che la tragedia era stata meno marcata, poteva godersi il concerto privato.

Non conosceva i nomi dei brani, perché non era un intenditore, ma iniziavano ormai a diventargli familiari, perché ogni giorno venivano eseguiti più e più volte, alcuni passaggi difficili venivano ripresi e rielaborati – più lenti o veloci – e Arthur cominciava ad anticiparne la melodia nella sua testa.

Lui, proprio lui! Che, fin da piccolo, aveva fatto di tutto per rimanere lontano dalla musica classica e aveva rifuggito ogni offerta paterna di imparare uno strumento!

L’unica cosa che sapeva suonare era il campanello di casa!

E adesso Mordred lo costringeva a quella tortura quotidiana!

 

Uhm. No. In realtà no. Accantonando l’acredine verso il rospetto, e restando sincero per un istante… non poteva francamente dire che quello fosse davvero un supplizio.

 

Poteva andargli anche molto peggio – poteva ritrovarsi con un nipote patito di jazz! – e non doveva lamentarsi davvero.

Chiunque fosse dentro a quella casa, ci metteva devozione e impegno – un sentimento che traspariva nota dopo nota e aveva colpito persino lui.

 

Chissà che faccia aveva la persona dietro a quel pianoforte? Chissà se era giovane o vecchia? Chissà se era un maschio o una femmina?

 

Forse avrebbe dovuto mandare un mazzo di fiori al suo salvatore ignaro – uomo o donna che fosse, gli artisti amavano sempre gli omaggi floreali, giusto? – per ringraziarlo del suo aiuto insperato.

                           

O forse avrebbe sbagliato e sarebbe stato peggio. Forse il pianista si sarebbe sentito spiato, depredato di un momento tutto suo – quelle delle esercitazioni, quello degli errori fatti in privato, dei pezzi provati e riprovati, delle imprecisioni e delle gaffe. Forse, anziché essere compiaciuto di quei fans abusivi, si sarebbe arrabbiato e li avrebbe cacciati, mettendo Arthur nei guai per i giorni a venire…

 

Per questo, Pendragon decise che lo stallo era la cosa migliore.

Avrebbe continuato a tacitare la sua curiosità e non avrebbe inviato un bel niente. Quando, poi, qualora il suo compito di babysitter gentilmente costretto fosse finito, allora… allora avrebbe potuto sdebitarsi con un biglietto e un regalo e magari vedere in faccia chi lo aveva salvato.

 

 

***

 

 

I suoi buoni propositi fallirono il giorno seguente quando, arrivati come di consueto, trovarono la portafinestra più socchiusa del solito e il vento agitava le tende bianche immacolate che solitamente impedivano la visuale interna.

Dopo essere rimasto, per un tempo infinito, a guardarle muoversi come ipnotizzato – sembrava quasi che danzassero a ritmo con la melodia – Arthur non riuscì ad impedirsi una sbirciata, una sola, promesso!, una veloce veloce.

 

Intuì solamente un profilo indiretto, di riflesso sul vetro, perché la penombra dentro casa impediva di cogliere qualsiasi altro particolare.

Non era riuscito a intravedere nulla più del suo ignaro salvatore, così etereo e misterioso.

Arthur sbuffò deluso, pronto a rinunciare, e rinfilò in bocca il ciuccio che Mordred stava perdendo. Fece una smorfia quando le sue dita incontrarono la bava del nipote e si sedette sulle scale in paziente attesa.

 

 

***

 

 

Il giorno dopo, la portafinestra era molto più aperta e no, non era colpa del vento, ma della giornata particolarmente calda per quella fine di maggio. Anche la tenda era più accostata e la musica proveniva dall’interno piacevole e familiare.

 

Arthur stava per lasciarsi cadere sul solito scalino che aveva eletto a suo trono, quando la melodia cambiò di colpo in un pezzo nuovo – suadente e particolarmente accattivante – che si era aggiunto inaspettatamente al repertorio. Contro ogni buonsenso, egli si accostò un po’ troppo e arrischiò un’occhiata dentro. 

 

Dio.

Erano quelle, le mani che producevano una melodia così?

Erano davvero mani da pianista. Nella definizione più pura del termine.

Mani con dita lunghe e affusolate, che accarezzavano i tasti con riverenza e sensualità.

Mani agili e veloci, scattanti e sinuose, lente, cadenzate.

Mani che sembravano offrire piacere ai rettangoli d’avorio e trarne godimento a loro volta.

Mani che…

Dio, erano qualcosa di pornografico.

 

Arthur deglutì a vuoto, sognando quelle mani su di sé. Indietreggiò, stordito dall’intensità di quel desiderio e si lasciò cadere a peso morto accanto al passeggino di un Mordred addormentato.

Realizzò solo in quel momento che erano mani d’uomo.

 

 

***

Image and video hosting by TinyPic

 

 

L’aveva sognato, quella notte.

Il tizio misterioso, senza volto, dal profilo sinuoso e dalle mani ossessionanti.

 

Arthur aveva sprecato una serata intera di lavoro infruttuoso sul dodicesimo capitolo, piantato a metà. Non si era smosso di una riga, perché era impossibile inserire un personaggio nuovo – a quel punto del romanzo – solo per dare sfogo a quell’improvvisa smania che gli prudeva dentro e che, al contempo, gli impediva di seguire la scaletta prefissata.

 

Dopo aver scritto e tagliato un’infinità di frasi, era crollato addormentato quasi all’alba e – e quelle mani, Cielo, quelle mani!, avevano generato sogni o incubi? – si era svegliato eccitato, frustrato e irrimediabilmente in ritardo (era già passato da un pezzo mezzogiorno) ed era corso a casa di Morgana senza neppure fare colazione o pranzare, per dare il cambio a Tata Mary.

 

Rimasto solo, ad onor del vero, aveva fatto man bassa della dispensa di sua sorella, ma lo considerava solamente un lecito risarcimento per il disturbo che doveva subire e, quando l’amato nipote si mise a frignare assonnato e di malumore, valutò che il suo indennizzo avrebbe dovuto essere molto più cospicuo di un brunch sgraffignato.

Poi, elencando mentalmente ciò che avrebbe chiesto a Morgana come rimborso personale – cosa che lo rese alquanto euforico –, si avviò col prezioso pargolo verso il loro appuntamento pomeridiano.

 

Quando arrivò a destinazione, la portafinestra era chiusa, la tenda completamente velata.

 

D’accordo, era un po’ presto rispetto al solito, si disse, controllando l’ora, ma il tempo passò e nessuna musica iniziava.

E Mordred si stava spazientendo.

 

Arthur si mise a girare in tondo, trascinando il passeggino per tutto il vialetto davanti alla casa, impensierito da quell’inconveniente e dal fatto che il neonato fosse sempre più irrequieto, minuto dopo minuto.

Dove diamine era finito quello strimpellatore da strapazzo?!, imprecò mentalmente, nel momento in cui la fonte dei suoi problemi si mise a strillare a squarciagola.

Era disposto persino a pagarlo per suonare. Per disperazione. Sì, l’avrebbe fatto.

Un altro pensiero lo colse, dandosi dell’idiota da solo: perché, cavolo, non aveva mai pensato di registrare i suoni e di usarli comodamente a casa del marmocchio?!

Sarebbe bastato accendere il cellulare in uno dei giorni precedenti e questa disgrazia avrebbe avuto una facile soluzione!

Poi, però, considerò che no, con la sua dose di sfiga personale e la bastardaggine congenita del piccolo mostro, anche se ci avesse pensato per tempo, non avrebbe funzionato. Probabilmente l’orecchio assoluto del Pupino non avrebbe gradito niente di meno che una esecuzione in diretta per soddisfare le sue esigenze musicali ed, effettivamente, i cd che gli aveva propinato non erano serviti a niente, perché, evidentemente, per il palato fine di Mordred, la Ninnananna di Brahms era troppo proletaria e commerciale. !!!

 

 

Sarcasmo a parte, la situazione stava degenerando a un ritmo vorticoso, tanto che presto la si poté paragonare alla disperazione del primo giorno.

Indeciso se suonare il campanello e offrire una sfacciata, lauta mancia per un’esecuzione immediata o propendere per un’umiliante ritirata a casa, da Tata Mary, Arthur bestemmiò a mezza voce contro il suo pianista dalle mani porno ritardatario. Poi lanciò uno sguardo supplice alla portafinestra, come se dal nulla il suo desiderio si potesse esaudire e, successivamente, ricontrollò il quadrante dell’orologio. Solo allora si accorse di un piccolo, fondamentale particolare: era domenica. Cazzo.

 

Non gli era neppure passato per l’anticamera del cervello che fosse un dì festivo!

 

Anche se il Padre Celeste si era riposato al settimo giorno, le transazioni economiche non guardavano in faccia le ricorrenze comandate e Morgana stava lavorando a pieno regime, come un qualsiasi altro giorno dell’anno.

Per lui, invece, scrivere era un impiego 24/7, perché – quando l’ispirazione (o la scadenza) bussava, bisognava aprirle e darle completa attenzione, fino a che non avesse deciso lei di andarsene.

A volte, quando il sacro fuoco lo colpiva, lavorava ininterrottamente fino allo sfinimento, senza mangiare né dormire.

Due anni addietro, per esempio, il colpo di genio gli era venuto il 23 dicembre e si era concluso il 2 gennaio, quando una squadra di vigili del fuoco gli aveva buttato giù la porta di casa, su segnalazione di una Morgana preoccupata dalla mancanza di risposte sia di messaggi che di telefonate. A suo dire, lei aveva temuto di trovarlo morto, un cadavere già decomposto e puzzolente.

Puzzolente lo era stato davvero, perché non si era lavato per più di una settimana e dovette riconoscere che, com’era conciato – con la barba lunga, gli occhi spiritati, l’odore da capra – non era stato certo una bella visione.

D’altra parte, mentre le parole scorrevano come fiumi in piena nel suo cervello e le mani volavano sopra la tastiera quasi che avessero avuto vita propria, non poteva staccarsi neppure un momento dal suo portatile, nemmeno se ne fosse andato di mezzo la sua vita. Essere scrittori era così, prendere o lasciare.

 

Ma magari il suo pianista, la domenica, non suonava! Oddio, oddio! E come avrebbe fatto?

 

Qualche altro minuto gocciolò via e – mentre le cose si stavano sfracellando, con Mordred ormai fuori di sé e Arthur pronto al peggio – il miracolo avvenne.

 

Una ninnananna dolcissima, mai sentita prima, si espanse nell’aria.

 

Arthur girò il collo così velocemente che sentì un distinto ‘crack’ e, quasi con le lacrime agli occhi, vide la porta socchiusa e la tenda un po’ tirata.

 

Dio doveva benedire quell’anima buona, sospirò Pendragon, al colmo della gratitudine. Un momento dopo, infatti, la piccola peste stava già cedendo alla nenia fatata, come un topolino incantato dal Pifferaio Magico.

 

 

***

 

 

Il lunedì si era aperto con un cielo plumbeo che si era riversato a catinelle, verso mezzogiorno, sul suolo londinese.

Quello sì che era un problema, brontolò Arthur, osservando il diluvio scrosciante al di fuori della finestra della nursery, preferendo ignorare il malcontento di Mordred. Il passeggino era fuor di questione, accidenti!

Ma lui non si sarebbe lasciato frenare da due fottute gocce di pioggia!

 

Per questo, corse nel ripostiglio e agguantò il vecchio impermeabile di Leon – un pezzo d’antiquariato dal colore improponibile. Sembrava una segnaletica stradale! Seriamente, suo cognato aveva un gusto nel vestire pari allo zero assoluto. Come diamine faceva a vivere con Morgana, che di secondo nome faceva VivoAllaModa?!

 

Poi si infilò un paio di stivali (che avevano visto la guerra) e infine acchiappò anche il nipote e un marsupio porta-bebè – bontà divina! Chi avrebbe mai indossato quella schifezza con i panda disegnati e gli orsetti a pois? Doveva esserci una legge, da qualche parte, che ne vietava il commercio! Andavano contro la pubblica decenza! – e uscì di casa.

 

 

***

 

 

Non si sarebbe lasciato frenare da due fottute gocce di pioggia. Ma forse, da un nubifragio, sì.

 

Arthur parcheggiò al solito posto e cercò di raccattare un po’ di coraggio e di masochismo per decidersi a lasciare la sua calda, asciutta e confortevole vettura in favore di una bella scarpinata – anzi, sfacchinata! – sotto ad un acquazzone torrenziale vestito come un idiota (nel caso migliore) o come uno appena scappato dal manicomio (ad essere più realistici).

 

Nella sua testa, la lista delle cose per cui avrebbe chiesto risarcimento si allungò a dismisura e intanto infilò un recalcitrante Mordred dentro la tortura-porta-enfant che si era legato addosso e, fissata l’imbracatura, si avviò verso la casa del suo salvatore.

 

Due cose erano possibili: o lui stava invecchiando, o (più probabilmente) suo nipote era obeso, perché Arthur arrivò a destinazione col fiato corto e con la certezza che sarebbe morto di lì a poco per lo sforzo sovrumano.

Senza ritegno, si lasciò cadere sul suo scalino abituale, incurante di bagnarsi i vestiti e, raddrizzato l’ombrello che li avrebbe coperti alla meno peggio, si rassegnò all’attesa…

Perché quell’anima buona avrebbe suonato anche oggi, no?, pregò, col naso all’insù, rivolgendosi spiritualmente a qualunque essenza divina in ascolto. Iu-huu… c’era qualcuno lassùùù?

 

“Ehi… amico!” si sentì apostrofare. “Sì, dico a te, lì sotto…”

 

Arthur trasalì impreparato, sgranando gli occhi. Stava forse avendo una crisi mistica?

 

“Scusa, non volevo spaventarti”, riprese la stessa voce, Il Tizio Dalle Mani Porno, gesticolando mentre sbucava dalla portafinestra accanto a dove erano appollaiati zio e nipote.

 

Arthur scansionò l’uomo da capo a piedi e fu tentato di darsi un pizzicotto, come in quei romanzi Harmony di bassa lega, per vedere se stava sognando o meno. Ma si trattenne.

Dio, e quel sorriso? Chi gli aveva dato delle mani e un sorriso così?!

 

“Piove…” riprese lo sconosciuto salvatore. Arthur guardò in alto, come se non avesse notato prima quel tempaccio da lupi. Ed ebbe la decenza di arrossire.

 

“Ehm… ti va di entrare?” si sentì offrire.

 

Sarebbe mai esistita un’alternativa più ragionevole?

E fu dentro prima ancora di sapere come.

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

Ugualmente, le immagini che ho scelto di inserire nei capitoli sono prese dal web e non mi appartengono. Idem per le canzoni.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai e a Laura (che ha reso presentabile la mia gif orrenda), che subiscono le mie paranoie. X°D

Note: Come ho anticipato, non imitate Arthur nelle sue scelte di babysitting: benché verosimili, non sono pedagogicamente corrette.

 

Devo confessare una cosa: la bozza di questa fic è nata molto prima di mio nipote, ma alcune cose si sono rivelate tragicamente profetiche, quindi molte disgrazie di Arthur sono di stampo autobiografico. Forse Arthur si è vendicato su di me per averlo maltrattato, o Mordred è in realtà Phily. >__<

 

Mentre immaginavo Arthur ascoltare Merlin che suonava, avevo tre pezzi che mi giravano in testa e a suo modo mi hanno ispirata.

 

1) Christina Perri - A Thousand Years (Piano Cover)

Credo sia superfluo dire quanto questa canzone sia l’emblema del merthur; è la loro canzone, punto.

Trovate testo e traduzione qui: http://www.rnbjunk.com/traduzione-testo-a-thousand-years-christina-perri-362/

E se volete piangere, ascoltate questa (Piano/Cello Cover): https://www.youtube.com/watch?v=QgaTQ5-XfMM

 

Ci sono cover diverse del brano, allo stesso modo in cui Merlin avrebbe potuto esercitarsi diversamente nell’eseguirlo.

Quella col cinguettio di sottofondo è forse la meno gradevole, ma è la più realistica con il canto degli uccelli del parco accanto ad Arthur.

 

http://www.youtube.com/watch?v=FeOH0st4iQ4

 

http://www.youtube.com/watch?v=5jJh8p3-4LE (la mia preferita)

 

http://www.youtube.com/watch?v=XfkffghZsTM

 

http://www.youtube.com/watch?v=Q-BPccPCntY

 

Ouran High School Host Club - Sakura Kiss for Piano

 

http://www.youtube.com/watch?v=yBP0tEsCT8I

 

Lullaby di Edward per Bella - Twilight.

 

http://www.youtube.com/watch?v=HQkBbK0AXwI

 

DevinCarnes ha immaginato baby!Mordred così. Non è puccioso?

http://media-cache-ak0.pinimg.com/236x/94/b7/b1/94b7b1669ab795d651504ea923e510f1.jpg

 

 

 

Vi metto un paio di anticipazioni del prossimo capitolo:

 

“In realtà… Il fan è lui”, dichiarò, indicando il nipote.

 

Il tizio dalle mani porno alzò un sopracciglio scetticamente.

“Un neonato?”

 

“Sì, lui!” insistette con enfasi.

 

“E tu ti apposti, da giorni, davanti a casa mia perché…?”

 

“Perché sei soporifero!”

 

Oh, cazzo. Oh, cazzo.

Troppo tardi, Arthur s’era accorto d’aver detto la cosa sbagliata.

Bene. S’era bruciato ogni possibilità.

 

Già il primo impatto non era stato dei migliori. A colpo d’occhio, doveva sembrare un poveraccio.

(Era stato visto abbigliato peggio di un clochard. Col più infimo abbinamento al mondo! Probabilità di cuccare? Meno all’infinito.

Certo. C’entrava di mezzo la sua sfiga leggendaria! Proprio oggi, che era vestito male, l’altro si faceva vivo?!)

E adesso… quest’uscita infelice avrebbe polverizzato ogni infinitesimale chance di rimonta.

 

Vedeva già il titolo a caratteri cubitali del suo prossimo libro: “Come fottersi ogni possibilità con l’uomo che ti piace (10 figure di merda in 10 minuti)” a cura di Arthur Pendragon.

 

(…)

 

Che Merlin possedesse una copia del suo libro lo aveva reso incredibilmente euforico.

Non avrebbe mai pensato che un tipo come lui leggesse quel tipo di romanzi!

Ed era meraviglioso che avessero questo punto di contatto! Magari… magari era anche un suo fan!

 

Quando Emrys tornò con il vassoio del tè, vide il suo ospite assorto con un grosso tomo che non faticò a riconoscere.

 

“Odio Arthur De Bois!” esordì allora, facendolo sussultare, impreparato, a tal punto che il volume cadde a terra, sul tappeto. Arthur sbiancò, e l’altro uomo ridacchiò, scusandosi. “Perdonami, non volevo spaventarti!”

 

N-no, è che…” farfugliò incoerente. “Forse non ho capito bene…”

 

Merlin si chinò a raccogliere il testo e ne spazzolò la copertina, poi lo ripose nello scaffale con tutti gli altri.

“Ho detto che odio Arthur De Bois e i suoi dannati libri!”

 

*evil smile*

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

 

 

 

~ ~ ~ ~ ~

 

Ringrazio i lettori che hanno inserito questa fic nei preferiti/ricordate/seguiti.

Vi ringrazio della fiducia, e vi invito, ancora una volta, a lasciarmi qualche parere per sostenermi in questa passione che condividiamo. ^^

 

 


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:

 

Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.

Farai felici milioni di scrittori.

(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)


Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche costruttive.


Grazie (_ _)

elyxyz

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Modern

Modern!au, Merthur, Leogana, baby!Mordred, zio!writer!Arthur, pianist!Merlin.

 

 

D’istinto, vorrei dedicare questa storia a Filippo, sperando di essere una zia un filino migliore di Arthur con Mordred.

E poi è dedicata a chi mi segue con costanza e affetto.

A chi si entusiasma per le mie bizzarre ispirazioni e mi sostiene con i suoi pareri.

Voi rallegrate le mie giornate!

Grazie.

 

 

 

 

Magic Melody (Mordred’s Lullaby)

 

 

Image and video hosting by TinyPic

 

 

 

 

 

Capitolo III

 

 

Appena oltrepassata la soglia, il pianista lanciò ad Arthur uno sguardo di sbieco da sopra la spalla, prima di esordire con una punta di ironia: “Spero che tu non sia uno stalker. Perché, onestamente… saresti il peggior stalker del mondo, lo sai? Cioè, intendo dire… se usi tuo figlio come palo…

 

“Non è mio figlio!” si discolpò subito, ricevendo un’occhiata a metà tra il sorpreso e il preoccupato.

Vo-voglio dire… è mio nipote”, si giustificò.

 

“Un nipotino?”

 

“Nipotino, sì”, corroborò Arthur, con ansia. “Non desidero condividere più geni del necessario con questa cosa qua”, e indicò il bimbo sbavante nel marsupio e nel farlo si perse il grande sorriso del suo ospite.

 

“Beh, meglio così… Perché non è mia consuetudine introdurre in casa degli sconosciuti ogni giorno”, riprese l’altro, soddisfatto, prima di accorgersi di una cosa. “Potresti, ehm… darmi il soprabito?”

 

Arthur vide la pozza che stava creando sotto ai piedi e arrossì ancor di più, vergognandosi come un ladro.

Non solo era vestito peggio di un senzatetto, ma stava facendo la figura integrale dell’idiota!

 

Con un certo impaccio, si sfilò l’impermeabile e glielo consegnò.

 

“Mettiti comodo, mentre lo porto via…” gli fu offerto.

 

Oh, comodo un cazzo!

 

Arthur si guardò rapidamente intorno in cerca di qualsivoglia indizio. Perlustrò avidamente l’ampio salottino… tuttavia, c’erano solo un bel divano e una poltrona in un angolo, poi numerosi scaffali traboccanti libri; ma il protagonista indiscusso era un enorme, maestoso pianoforte a coda al centro della stanza.

 

Senza dare nell’occhio, si avvicinò alla porta che dava sul corridoio dove era sparito l’altro uomo.

Nella penombra, poteva vedere un sacco di targhette di riconoscimenti e premi vari. Vi era persino una teca con delle coppe e statuette esposte, ma da lì non riusciva a leggere il nome inciso.

 

Rapidamente, si sfilò il cellulare per fare un rapido controllo su quale artista abitasse in questa zona, ma l’oggetto della sua ricerca tornò troppo presto ed egli fu costretto a nascondere il telefonino prima di scatenare qualche malinteso. Ci mancava solo che l’altro pensasse ad uno spionaggio a suo danno!

 

“Allora… uhm… tu…”

 

“Arthur”, gli venne incontro lui, dondolando un Mordred stranamente silenzioso, forse incuriosito dal nuovo scenario.

 

Arthur”, ripeté il pianista, con un sorriso. “Dai tuoi appostamenti, deduco che sei un mio fan”.

 

Ehmmm. No”, lo smentì, iniziando a sudare freddo. “Veramente no”.

Come poteva dirgli che non sapeva neppure chi fosse?

 

“Ah, no?” gli fece eco l’altro, stupito.

 

“In realtà… Il fan è lui”, dichiarò, indicando il nipote.

 

Il tizio dalle mani porno alzò un sopracciglio scetticamente.

“Un neonato?”

 

“Sì, lui!” insistette con enfasi.

 

“E tu ti apposti, da giorni, davanti a casa mia perché…?”

 

“Perché sei soporifero!”

 

Oh, cazzo. Oh, cazzo.

Troppo tardi, Arthur s’era accorto d’aver detto la cosa sbagliata.

Bene. S’era bruciato ogni possibilità.

 

Già il primo impatto non era stato dei migliori. A colpo d’occhio, doveva sembrare un poveraccio.

(Era stato visto abbigliato peggio di un clochard. Col più infimo abbinamento al mondo! Probabilità di cuccare? Meno all’infinito.

Certo. C’entrava di mezzo la sua sfiga leggendaria! Proprio oggi, che era vestito male, l’altro si faceva vivo?!)

E adesso… quest’uscita infelice avrebbe polverizzato ogni infinitesimale chance di rimonta.

 

Vedeva già il titolo a caratteri cubitali del suo prossimo libro: “Come fottersi ogni possibilità con l’uomo che ti piace (10 figure di merda in 10 minuti)” a cura di Arthur Pendragon.

 

“Ehi, asino pomposo!” s’indignò infatti il suo interlocutore, strappandolo alla sua autocommiserazione. “Come ti permet-

 

“No, no!” s’agitò Pendragon, interrompendolo. “Hai frainteso! Guarda…” incespicò, alzando le mani a mezz’aria, come a frenarlo. “Intendevo dire che solo la tua musica lo calma e riesce a farlo addormentare. È magica!” considerò, meravigliato. “Ho provato di tutto, ti giuro! Stavo impazzendo l’altro giorno, e per caso sono capitato qui davanti, mentre ti esercitavi, e di botto si è assopito e-

 

E allora l’altro sorrise.

“Ho ricevuto tanti pareri nella mia carriera, ma nessuno mi aveva mai definito ‘soporifero’”, considerò, come se fosse stato il più bel complimento. “E sicché… quest’adorabile angioletto ha la passione per la musica classica, eh?” domandò retorico, accarezzando una delle sue manine paffute.

 

Arthur era sul punto correggerlo sull’appellativo incredibilmente sbagliato. In nessun universo le parole ‘Mordred’ e ‘angioletto’ potevano essere accostate nella stessa frase.

Ma quando aprì la bocca per smentirlo, e chiarire quanto fosse in realtà terribile suo nipote, quanto incarnasse il Male Assoluto, il neonato si mise a gorgheggiare sorridendo al pianista, in un evidente – perverso – tentativo di conquistarselo.

Purtroppo per Arthur, l’ignaro salvatore cadde nelle sue trame maligne senza via di scampo. E fu perduto.

 

Cosa gradiresti sentire adesso, cucciolino?” domandò infatti, pendendo dalle labbra bavose di Mordred.

 

“Un pezzo vale l’altro”, intervenne Arthur, sentendosi in dovere di dare una qualche risposta, ma rendendosi conto – ancora una volta – che probabilmente aveva toppato la scelta. “Ma la ninnananna di ieri era sublime!” precisò allora, cercando di raddrizzare il tiro (o di salvare il salvabile).

 

“Oh, sì. È decisamente adatta allo scopo…” ne convenne l’uomo, andando verso il pianoforte. “Anche se l’ho composta solo due giorni fa e non è ancora la versione definitiva. Devo confessare che mi ha colpito il modo in cui cullavi tuo nipote, passeggiando qua davanti mentre piangeva”, ammise sincero, preferendo ignorare il rossore alle guance che sentiva fiorire.  

 

Arthur non nascose la sorpresa. E pensare che credeva di averla fatta franca!

 

“Mi dispiace, non volevo disturbare le tue prove”, si rammaricò.

 

“Non ti scusare, anzi! Dovrei essere io a ringraziarti, perché è la prima volta, da molto tempo, che l’ispirazione è tornata così in fretta e così prepotente!” s’accalorò entusiasta. “Ora ho qualcosa su cui lavorare, e forse riuscirò anche a comporre un brano inedito per il Giubileo di Diamante!”

 

Arthur sbatté le palpebre come un gufo.

 

“L’anniversario dell’incoronazione della nostra Regina, il 2 giugno… ti dice niente?”

 

“Oh! Oh, sì. Certo!” rispose allora, facendo mente locale. “Ma…”

 

“Mi è stato chiesto di suonare ad una cena informale della famiglia Windsor”, spiegò in un misto di orgoglio e apprensione.

 

“Oh, mio Dio! Ma allora sei uno famoso!” esclamò Arthur, facendo sobbalzare Mordred per lo spavento.

 

“Tu… davvero non sai chi sono?” domandò allora il pianista, francamente scettico.

 

“Senti…” Pendragon si passò una mano fra i capelli in un gesto nervoso. “Non voglio offendere il tuo ego o il tuo talento…” premise, decidendo per la cruda verità. “Ma davvero, davvero, non me ne intendo di musica classica. E poi il tuo accento mi dice che non sei di Londra, il che non mi aiuta ad identificarti; quindi… sì, onestamente, ignoro chi ho davanti!”

 

“Sono Merlin, Merlin Emrys”, si svelò l’uomo, allungando amichevolmente una mano che Arthur strinse d’istinto e che poi dovette lasciare contro la propria volontà (dannate mani porno!).

 

Merlin Emrys!

Il prodigio! Il Mago del pianoforte!

Per forza quella vecchia mummia della Regina lo voleva al suo ricevimento!

Persino Arthur, nella sua ignoranza in materia, sapeva che quel concertista si era esibito in tutti i continenti. Il suo tour mondiale durava da anni! E, dannazione, ecco il perché di tutti quei riconoscimenti nel corridoio!

 

E lui adesso era lì, davanti ad una star, vestito come un allocco, senza sapere cosa dire.

Era ovvio che lui non potesse prendere una sbandata per l’ultimo strimpellatore al mondo, uno qualunque, uno anonimo che, magari, avrebbe potuto anche ricambiarlo...

No, ovvio che no. La Signora Sfiga concorreva in perfidia solo con la sua editor, Morgause, ed entrambe godevano un mondo nel farlo soffrire.

 

Ma Merlin non sembrava del tutto indifferente, stando a quando diceva il suo vecchio gaydar, sempre se non si fosse arrugginito… o era solo una falsa speranza, la sua?

 

Fu a quel punto che Mordred, per rompere le uova nel paniere (o il momento catartico allo zio), decise di ricordare ai due adulti la sua presenza e il motivo per cui erano lì.

 

Merlin fu lesto ad accomodarsi sullo sgabello davanti al piano e, dopo un istante di raccoglimento, la sua melodia prese vita conducendo il neonato al suo riposino.

 

 

***

Image and video hosting by TinyPic

 

 

Il giorno successivo, il sole splendeva alto in cielo, ma avrebbe potuto anche piovere a dirotto e l’umore di Arthur non sarebbe cambiato di una virgola.

 

Fischiettando allegramente, raccolse tutto il necessario dalla casa di Morgana e guidò senza essere infastidito (come accadeva sempre) dal traffico e dalle deviazioni obbligatorie. Arrivato al solito parcheggio, estrasse il nipote dall’auto e si affrettò a raggiungere l’abitazione del suo pianista.

 

Una volta arrivati, come concordato, egli suonò il campanello e furono introdotti nel medesimo salotto del dì addietro, perché Merlin lo aveva invitato a tornare, giurando all’infinito che la presenza di zio e nipote non avrebbe turbato i suoi esercizi al piano.

 

Arthur accolse quest’offerta come un segno positivo da parte dell’altro uomo e non s’era fatto pregare, anzi. Aveva monitorato il passare del tempo mattutino in sofferente attesa, finché non era venuto il momento dell’incontro, anche se – a tutti gli effetti – non si erano detti poi molto benché fossero stati nella stessa stanza.

Dopo essersi scambiati i convenevoli, Merlin gli aveva voltato le spalle e si era immerso nella sua esecuzione e Mordred si era presto assopito.

Questo non aveva affatto scoraggiato Arthur che, da bravo scrittore, aveva occupato il tempo lasciando galoppare la fantasia nei prati della sua mente, scrutando di tanto in tanto il profilo assorto del suo pianista dalle mani porno.

 

 

***

 

 

Arthur, il dì seguente, si presentò con due pacchi appresso: il nipote e un generoso vassoio della migliore pasticceria di Londra che, d’accordo, gli era costato un occhio della testa, ma lui era certo che ne valesse la pena.

 

In fondo, chi poteva resistere a tanto bendidio?, s’era detto con un ghigno speranzoso.

In realtà, se – anziché passare buona parte della notte a scrivere un nuovo capitolo (perché Morgause stava diventando impaziente e quella strega non andava mai irritata) e cercare foto di Merlin su tutto il web, per poi sbavarci sopra – egli fosse effettivamente andato a leggere una biografia completa dell’artista, si sarebbe reso conto che aveva fatto un madornale errore.

 

Merlin, anima bella, gli sorrise raccogliendo fra le mani il dono, suggerendo che avrebbero potuto mangiare in una pausa, più tardi, facendo magari due chiacchiere davanti ad un buon tè, mentre Mordred avrebbe schiacciato il suo pisolino.

 

Quando però effettivamente il momento arrivò, Arthur rimase abbastanza deluso dal fatto che il padrone di casa avesse guardato il vassoio scartato senza particolare entusiasmo, mangiucchiando a malapena mezzo dolcetto fra tutti quelli che lui aveva portato (e non erano pochi).

 

Ovviamente, il giovane Pendragon cercò di non far trasparire il fallimento che sentiva, ma probabilmente non doveva essere stato così bravo ad ingannare l’altro, perché alla fine – e a malincuore – Merlin posò la tazza di tè che stava centellinando da mezz’ora e ammise, in breve, che non avrebbe assaggiato altri pasticcini.

 

“Senti, mi dispiace, davvero. Ma sono intollerante ad un sacco di alimenti, che sono contenuti in ogni dolcetto. Praticamente, mi uccideresti, se rendessi onore al tuo regalo”, spiegò e cercò di sdrammatizzare con un bellissimo sorriso, ma ottenne l’effetto opposto e Arthur, sentendosi colpevole, iniziò a balbettare una caterva di rammarico.

 

“Io… io… Scusami, non lo sapevo! Davvero, cioè… Magari ti fa schifo anche solo vederli! Nascondili! O buttali via, se vuoi!” propose, arraffando l’elegante incarto per affrettare i tempi. “Ti giuro che- Oh, Dio! E pensare che questo voleva essere un gesto gentile per ripagarti della tua ospitalità!”

 

“Arthur…”

 

“E per poco non ti mandavo all’ospedale!” continuò l’altro, in una mezza crisi isterica.

 

La sua voce fece mugolare Mordred che dormiva nel passeggino lì accanto e Merlin fu lesto a dondolarlo, affinché non si destasse, mentre con l’altra mano chiuse la bocca del suo ospite.

 

“Arthur, smettila!” sussurrò poi, con inflessione perentoria, ma l’uomo davanti a lui era andato in blackout, quando le sue labbra erano finite contro le dita pornografiche del suo pianista.

 

“Arthur?” fu richiamato.

 

“Oh, sì…” ansò, apparendo stordito. “Co-cosa stavo dicendo?”

 

“Che ti dispiaceva…”

 

“Oh, sì, mi disp-

 

“Abbiamo già superato quella fase, ok?” l’interruppe Merlin, puntandogli un indice contro. “Tu non lo sapevi, ed effettivamente io ho apprezzato il gesto. D’accordo?”

 

“Se lo dici tu…” borbottò scettico.

 

“Certo che lo dico io, asino testardo!” ridacchiò l’altro, facendosi perdonare l’insulto con uno dei suoi sorrisi da infarto.

 

Per questo, effettivamente, Arthur ci mise un po’ a cogliere l’insolenza.

“Oh, sì, hai ragio- Ehi!” s’indignò. “Asino a chi? Strimpellatore dei miei stivali!”

 

“Vostra Maestà vuol sempre averla vinta, mh?” considerò, allungando però la teiera per offrirgli un’altra tazza di tè, come proposta di pace.

 

“Qualcosa mi dice che avrò pane per i miei denti…” valutò Arthur, accettando l’armistizio e una generosa dose di Earl Grey. E un’altra. E un’altra ancora.

 

Fu così che venne a sapere alcune interessanti aspetti della vita del suo interlocutore. Per esempio, l’accento di Merlin aveva origini irlandesi, (ora mescolate alla parlata americana), perché l’uomo aveva passato gli ultimi anni all’estero e, anche se oramai viveva negli Stati Uniti in pianta stabile, talvolta fuggiva a Londra, nella vecchia casa che lo aveva ospitato, anni addietro, all’inizio della carriera. L’aveva scelta perché amava perdersi nella natura del parco di fronte. Era – a suo dire – una fonte inesauribile di energia e ispirazione.

 

“Tuttavia, nessuno sa che vivo qui”, precisò poi, lasciando sottintendere un ammonimento velato. “Altrimenti i giornalisti e i fans non mi darebbero più tregua!”

 

“Oh, sì, ti capisco! Non temere”, si affrettò a tranquillizzarlo Arthur. “Mi porterò il tuo segreto nella tomba!”

 

“Hai una strana propensione per il melodrammatico, eh?” tirò ad indovinare Emrys, sorridendo divertito.

 

Arthur, suo malgrado, arrossì.

Ma non poteva smentirlo, perché un po’ era vero.

Perciò infilò in bocca un dolcetto e si finse occupato a masticare, per salvare il salvabile.

 

Successivamente, fu il suo turno di parlare di sé ma, non potendo rivelare in cosa consistesse il suo lavoro, per una serie di ragioni che ovviamente erano altrettanto segrete, Arthur deviò la conversazione su Mordred e Morgana e sull’acquisizione dell’azienda Pendragon e inevitabilmente sul perché si fosse fatto incastrare in quest’assurdità di babysitting.

 

Quindi… tu sei Arthur Pendragon!” si lasciò sfuggire Merlin, mettendosi una mano dinanzi la bocca, perché era evidente che lo scandalo che lo aveva colpito era rimbalzato persino oltreoceano.

 

“Il figlio diseredato di Uther Pendragon, sì”, ammise l’altro, con un ghigno colpevole. “Ma, anche se sembrerebbe il contrario, posso giurarti che non vivo per strada!” scherzò, per sdrammatizzare. “Conduco un’esistenza più che decorosa e poi c’è sempre l’eredità che mi ha lasciato mia madre…

 

“Beh, io credo che ognuno dovrebbe vivere la vita a modo suo”, filosofò Merlin, guadagnandosi l’altrui gratitudine.

 

Il resto del pomeriggio volò fin troppo in fretta e, a malincuore, si separarono con la promessa di rivedersi l’indomani.

 

 

***

 

 

Arthur stava cadendo dal sonno.

Con uno sforzo sovrumano, spalancò le palpebre e represse l’ennesimo sbadiglio per non sembrare maleducato.

Merlin gli aveva anche offerto un caffè, quando lui aveva spiegato che no, l’effetto soporifero della sua melodia non era diventato contagioso e che, semplicemente, non aveva dormito la notte precedente e quindi era in carenza di riposo.

 

Merlin era stato gentile con lui, e gli aveva concesso la poltrona per rilassarsi mentre si esercitava.

E, anche se era stato un pensiero amabile, il suo… Quella dannata poltrona era troppo comoda e avvolgente! E lui non voleva addormentarsi! Che figura avrebbe fatto? Quella del poppante che imitava Mordred!

 

…Arthur aprì gli occhi di colpo.

S’era appena appisolato, giusto? Giusto?!

Quanto poteva aver dormito? Un secondo o due?

 

Ma un attimo prima c’era la musica e ora non più. Combattendo il desiderio di risprofondare nell’oblio, si risollevò, guardandosi attorno e vide Merlin di spalle, che stava cullando Mordred, chiacchierando con lui sottovoce e il neonato gorgogliava felice.

 

Ovvio. Quel leccapiedi se lo stava ingraziando!, doveva esser stato il suo primo pensiero, e invece rimase lì, stranamente affascinato dal momento, dall’intimità di quel quadro che non avrebbe dovuto essere così caldo e accogliente. Non doveva essere familiare, ma lo era.

 

Quando Emrys si accorse che era desto, lo salutò.

“Ehi, ben svegliato!” esordì, dondolando il neonato che sembrava gradire un mondo quelle attenzioni.

 

Arthur vide distintamente il ghigno di Mordred (anche se, ancora una volta, gli specialisti di mezzo mondo giuravano e spergiuravano che era troppo presto per un’espressione intenzionale di tale tipo… lui era certo del contrario. Il mostriciattolo poteva, poteva eccome!) ed era un peccato che, rivolto verso la poltrona com’era, si sottraesse alla vista del loro ospitante, altrimenti lo avrebbe assoldato come testimone. Ma il piccolo demone era troppo furbo per lasciarsi scoprire!

 

Merlin, ignaro dello scambio occorso fra i Pendragon, gli si avvicinò, protendendo il bimbo affinché lo prendesse in braccio (quell’anima ingenua di Emrys non aveva ancora capito che, meno zio e nipote avevano contatti, più felici erano entrambi).

 

“Mi sono permesso di sostituirgli il pannolino, c’era un cambio nella sacca del passeggino…

 

Arthur lo guardò sconvolto. Quelle erotiche mani da pianista infangate con

 

Merlin fraintese la sua espressione di raccapriccio, perché fu lesto ad aggiungere: “Ma posso assicurarti che è andato tutto bene! So come si fa! Con tre nipoti, credimi, ci ho preso la mano!

 

“Oh, non è per questo… cioè, mi fido di te! Ma non eri obbligato”, ci tenne a ribadire l’altro, dominando i pensieri perversi. “Ad ogni modo, grazie. Sei stato gentile…” riconobbe, riconoscente, prima di rimbrottarlo. “Però dovevi svegliarmi!”

 

“Dormivi così bene…” gli sorrise, ammiccando, e gli zigomi spuntarono in rilievo un po’ di più.

 

Arthur deglutì a vuoto.

E per ricomporsi distolse lo sguardo, fingendo di riannodare il bavaglino del piccolo mostro.

“È che proprio non ho dormito…”

 

“Perché?” domandò l’uomo, incuriosito.

 

A malincuore, Arthur preparò la risposta preconfezionata che dava a tutti i nuovi conoscenti.

“Di solito, lavoro tutta la notte, e recupero il sonno al mattino. Ma oggi non ci sono riuscito, quindi sono un po’ assonnato, ecco tutto”, sdrammatizzò.

 

“Ah, capisco… Non dev’essere facile lavorare di notte…” rifletté il pianista, comprensivo.

 

Ad essere sinceri, l’ho scelto io. Potrei anche farlo di giorno, ma la notte mi è più congeniale”.

 

“Non ti credevo un’anima notturna!” ridacchiò Emrys. “Ma ammetto che ero curioso di chiederti qualcosa sulla tua occupazione…

 

Arthur non avrebbe voluto mentirgli, ma c’era un contratto firmato col suo sangue che lo obbligava al silenzio.

A volte si sentiva come il povero, sprovveduto Pinocchio, raggirato dal Gatto e la Volpe, ovvero da Cenred e Morgause, il suo agente e la sua editor, che un po’ furfanti lo erano per davvero.


Difatti, quando Arthur aveva pubblicato il primo libro, quei due lo avevano spinto a scegliere di usare uno pseudonimo che lo affrancasse dalla Famiglia e dall’Impero Pendragon – un nome famoso, quanto scomodo – ed era stata la decisione migliore.

Tuttavia, il fatto che mancasse la sua foto in terza copertina e che il suo fosse un nom de plume, aveva generato una curiosità considerevole tra i suoi lettori; curiosità che era stata una benedizione (o una condanna) che Cenred, Morgause e la casa editrice avevano in mente di sfruttare fino all’ultimo penny.

Arthur aveva giurato di non rivelare a nessuno – tranne pochi, selezionatissimi amici che avevano letto a priori il suo primo manoscritto – la propria identità.

E ora, forse per la prima volta, si era pentito di aver fatto quell’accordo.

Ma il massimo che poteva offrire era una mezza verità…

 

“Lavoro… nel campo dell’editoria. Diciamo che vendo parole per vivere… parole stampate su fogli puzzolenti…

 

“Ah, capisco!”, esclamò Emrys, fraintendendolo. “Dev’essere interessante contribuire a diffondere le informazioni in qualche modo… Certo, escono un sacco di quotidiani caldi di stampa, ogni mattina, perciò ci deve essere qualcuno che li produce di notte!”

 

Quindi… Merlin pensava che lui fosse un semplice operaio addetto alla riproduzione dei quotidiani?

Anche se sembrava meschino, decise di lasciarglielo credere, almeno per il momento. E, se le cose fossero avanzate fra di loro, avrebbe corretto il tiro.

 

 

***

 

 

Qualche altro giorno passò e Arthur cominciava a sentire che la fine della tortura stava arrivando, perché la conclusione delle pratiche di acquisizione era vicina e, conseguentemente, Morgana avrebbe ripreso il suo congedo di maternità.

Macosa inaudita! – non sapeva se esserne felice o meno (e non certo per un improvviso e malsano amore parentale verso il nipote). Era perché, molto più prosaicamente, non avrebbe più avuto il pretesto buono per andare da Merlin ogni giorno, se Mordred non era con lui.

 

Certo. Se il suo interesse per il genio del pianoforte fosse stato in qualche modo ricambiato, non gli sarebbero più serviti motivi pretestuosi per frequentarlo, ma Arthur non sapeva esattamente come e quanto spingere con lui.

Gli pareva di sentire in sottofondo qualcosa, ma non era sicuro se poteva rischiare già un approccio con Merlin, perché i messaggi che aveva ricevuto in cambio erano stati alquanto contradditori.

E se si fosse sbagliato del tutto?

 

Arthur preferì accantonare quel cruccio e godersi il pomeriggio. Mordred già sonnecchiava accoccolato sulla poltrona del salotto e Merlin era andato a procacciare loro una tazza di buon tè.

 

Per ingannare l’attesa, il giovane Pendragon si mise a sbirciare i libri sugli scaffali, cercando di indovinare, dai titoli, i gusti letterari del padrone di casa.

Fu a quel punto che, nascosto sotto ad un fascicolo di spartiti di Beethoven, egli riconobbe il proprio romanzo, l’ultimo che aveva scritto – il cui seguito stava attualmente rubando le sue notti.

 

Arthur accarezzò la copertina con devozione e affetto (aveva sputato sangue perché non fosse cambiata e Morgause l’aveva torturato per giorni e giorni, ma alla fine aveva vinto lui!).

Amava il suo lavoro, amava i suoi libri – li amava alla stregua di figli, perché li aveva generati con fatica e dolore, e immensa soddisfazione, una volta che avevano visto la luce… beh, la stampa.

 

Che Merlin possedesse una copia del suo libro lo aveva reso incredibilmente euforico.

Non avrebbe mai pensato che un tipo come lui leggesse quel tipo di romanzi!

Ed era meraviglioso che avessero questo punto di contatto! Magari… magari era anche un suo fan!

 

Quando Emrys tornò con il vassoio del tè, vide il suo ospite assorto con un grosso tomo che non faticò a riconoscere.

 

“Odio Arthur De Bois!” esordì allora, facendolo sussultare, impreparato, a tal punto che il volume cadde a terra, sul tappeto. Arthur sbiancò, e l’altro uomo ridacchiò, scusandosi. “Perdonami, non volevo spaventarti!”

 

N-no, è che…” farfugliò incoerente. “Forse non ho capito bene…”

 

Merlin si chinò a raccogliere il testo e ne spazzolò la copertina, poi lo ripose nello scaffale con tutti gli altri.

“Ho detto che odio Arthur De Bois e i suoi dannati libri!”

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

Ugualmente, le immagini che ho scelto di inserire nei capitoli sono prese dal web e non mi appartengono.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai e a Laura, che subiscono le mie paranoie. X°D

Note: Come ho anticipato, non imitate Arthur nelle sue scelte di babysitting: benché verosimili, non sono pedagogicamente corrette.

 

Il Giubileo di diamante della Regina è stato nel 2012. Ho deciso quindi di ambientare in quell’anno la storia, giusto per pignoleria, ma ai fini narrativi non cambia nulla.

 

Ho volutamente evitato di chiarire il genere di libri scritti da Arthur, più avanti dirò il perché.

 

Gaydar è il diminutivo di Gay Radar, e si riferisce alla presunta capacità di capire se un’altra persona sia etero o no.

 

Il nom de plume è il modo in cui si definisce lo pseudonimo specifico di uno scrittore. Per il resto del mondo, è nickname o nome d’arte.

Lo pseudonimo che ha scelto Arthur penso che si capisca subito, ma sarà spiegato in un pezzo di un capitolo, quindi non mi dilungo oltre.

 

 

Vi metto un paio di anticipazioni del prossimo capitolo:

 

E fu così che, pian piano, quella strana routine prese piede e, nei giorni in cui non c’era Mordred di cui occuparsi, Arthur e Merlin finivano comunque per vedersi, anche al di fuori di quel salottino col pianoforte.

Era stato Arthur a suggerire l’idea di un caffè all’aperto – sempre che Merlin non fosse allergico anche a quello, o che essere visto gironzolare per Londra non fosse un problema per lui.

 

Il pianista aveva riso di quei dubbi, apprezzando tuttavia la sua preoccupazione.

E da un caffè erano passati per una cena, poi ad un cinema e infine ad un bacio sotto casa, rubato sotto un cielo stellato, al quarto appuntamento.

 

Fosse stato per Arthur, avrebbero potuto approfondire l’argomento in camera da letto già al primo rendez-vous ufficiale, ma Merlin non sembrava il tipo da una scopata e via, e lui voleva capire se, effettivamente, sarebbe potuto nascere qualcosa di serio fra loro (sempre ammesso che le sue bugie non avessero rovinato tutto anzitempo).

 

(…)

 

Arthur sapeva che, a lungo andare, questa ‘felice ignoranza’ era una via minata da percorrere ma, parallelamente, si diceva che dandosi tempo – dando alla loro relazione appena nata del tempo per consolidarsi – dava anche modo a Merlin di conoscerlo meglio come una persona semplice, un uomo buono e sinceramente innamorato di lui.

Sarebbero stati i suoi gesti, il suo affetto, la quotidianità condivisa a dimostrare l’onestà delle sue intenzioni, più delle parole, nel momento della verità.

O, almeno, così sperava…

 

La bolla, invece, esplose un mercoledì sera, tre giorni prima dell’ultimo concerto di Merlin.

 

*evil smile*

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

 

 

 

~ ~ ~ ~ ~

 

Ringrazio i lettori che hanno inserito questa fic nei preferiti/ricordate/seguiti.

Vi ringrazio della fiducia, e vi invito, ancora una volta, a lasciarmi qualche parere per sostenermi in questa passione che condividiamo. ^^

 

 


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:

 

Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.

Farai felici milioni di scrittori.

(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)


Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche costruttive.


Grazie (_ _)

elyxyz

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Modern

Modern!au, Merthur, Leogana, baby!Mordred, zio!writer!Arthur, pianist!Merlin.

 

 

D’istinto, vorrei dedicare questa storia a Filippo, sperando di essere una zia un filino migliore di Arthur con Mordred.

E poi è dedicata a chi mi segue con costanza e affetto.

A chi si entusiasma per le mie bizzarre ispirazioni e mi sostiene con i suoi pareri.

Voi rallegrate le mie giornate!

Grazie.

 

 

 

 

Magic Melody (Mordred’s Lullaby)

 

 

Image and video hosting by TinyPic

 

 

 

 

 

Capitolo IV

 

 

“Odio Arthur De Bois e i suoi dannati libri! Odio Arthur De Bois e i suoi dannati libri! Odio Arthur De Bois e i suoi dannati libri!”

 

L’eco rimbombò nella testa di Arthur come uno sparo, mentre il suo piccolo castello di speranze si sgretolava inesorabilmente.

Quasi a rallentatore, osservò Merlin chinarsi a raccogliere il libro e spazzolarne la copertina, per poi riporlo nello scaffale con tutti gli altri. Con… tutti gli altri?

Solo in quel momento Arthur si accorse che il realtà c’era la collezione completa delle sue opere.

 

“In verità, lo amo!” riprese Emrys, dandogli le spalle, e Arthur sussultò un’altra volta, ma l’altro non se ne accorse. “Adoro – ti giuro, adoro! – come scrive De Bois”, ammise, voltandosi. “Se solo non avesse quel dannato vizio di finire sempre con un cliffhanger! Ogni volta! Ma ne vale la pena e lo si perdona, perché ha uno stile coinvolgente, una prosa accattivante e un realismo che ti cattura, e le sue trame e gli intrecci… per non parlare dei suoi colpi di scena! Oh, hai mai letto niente di suo?” domandò retorico, prima di continuare la sua lode. “In ogni libro che sforna, credo che non riesca a superarsi, e invece lo fa. Questo, per esempio, l’ho divorato! Ma sul più bello ci strappiamo i capelli, per non poter sapere come prosegue! Hai idea di quante volte ho riletto questo volume per ammazzare l’attesa? E il prossimo capitolo della saga – si dice che forse sarà l’ultimo! – non uscirà prima di… di… Dio solo sa quando!

 

“Il prossimo marzo, se l’editor non-”

 

Merlin sgranò gli occhi. “E tu come lo sai?”

 

“Ehm… perché, ehm…” temporeggiò, incerto se dire la verità o raccontare una bugia.

Emrys era quasi uno sconosciuto. E quello che sentiva per lui era così acerbo, ancora, come uno stadio larvale di sentimento. Cosa sarebbe successo se la persona davanti a lui si fosse invaghita solo dello scrittore e non di lui, come uomo, come Arthur?

Inghiottendo a vuoto, osservò lo sguardo stranito di Merlin, la stessa persona che lo aveva sconvolto con un sorriso, e accolto in casa anche se era un estraneo e adorava quell’idiota di suo nipote. Per un istante, fu lì per dirlo.

“Tra tipografi, sai… gli addetti del mestiere si passano le informazioni…” mentì invece, sentendo la colpa strisciare in gola.

 

“Oh, beh… certo. Voglio dire… immagino di sì”, ammise l’altro.

 

Ma è un segreto!” lo ammonì.

 

“Naturalmente!” s’affrettò a confermare il pianista. “In marzo, eh?” Gli occhi gli luccicavano di anticipazione, anche se mancavano quasi nove mesi – praticamente una gestazione.

“Non vedo l’ora di averne una copia tra le mani!” gioì Merlin, rivelando inaspettatamente una sfaccettatura del carattere alquanto prolissa ed espansiva. “Cioè… due copie!” si corresse svelto, indicando lo scaffale dietro a lui. “Una copia da leggere e una da conservare…

 

“Eh?”

 

“Sai… a furia di rileggere, il libro si sgualcisce un po’…” motivò arrossendo, quasi a scusarsi.  

 

“Francamente non pensavo che qualcuno si prendesse una tale briga”, ammise Arthur, a metà fra sconcerto e compiacimento.

 

“A dire il vero, del primo romanzo ne ho tre copie…” confessò Merlin, lanciando un’occhiata affettuosa alla zona dove la preziosa reliquia sostava. “Sono riuscito a farmelo autografare, con dentro addirittura una dedica personale!”

 

In tutta sincerità, Arthur non rammentava di aver firmato alcunché per il famoso pianista, ma non avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco, semplicemente perché – durante le sessioni organizzate degli autografi – lui finiva per nascondersi dietro un paravento, per non farsi vedere, e Cenred gli dettava alla velocità della luce nomi e frasi che lui copiava in gran fretta, senza neppure ricontrollare. Alla fine, si ritrovava sempre coi crampi alla mano e un’emicrania allucinante, ma sapeva di aver reso felici i suoi fans.

 

Vedendo la faccia entusiasta di Merlin davanti a lui, Arthur realizzò quanto, in realtà, avesse perso fino a quel momento: l’eccitazione palpitante che lui raccoglieva sempre e solo filtrata da terzi.

 

Come suo agente, Cenred gli consegnava regolarmente le lettere e i regali dei suoi ammiratori; e nei suoi profili c’erano un sacco di messaggi entusiasti, che spuntavano ogni giorno come funghi… Ma nascondendo la sua identità, Arthur si perdeva la gioia sincera e istantanea di chi amava le sue storie, le strette di mano e le convention, il bello e il brutto di tutto quello che, nel suo piccolo, significava essere un personaggio conosciuto.

 

“Arthur?” lo richiamò Merlin, facendolo uscire dalle sue riflessioni. “Perdonami se ho monopolizzato la discussione…” si scusò, chiudendo la questione, offrendogli il tè che era andato a preparare prima che lui facesse la grande scoperta.

 

 

***

 

 

Nei giorni seguenti, nulla cambiò molto fra loro, anche se il peso della menzogna – Arthur la chiamava omissione, per acquietarsi la coscienza – gli pesava sempre più e ogni volta che rivedeva il sorriso sincero di Merlin si sentiva sempre un po’ più indegno e bugiardo.

Ma, allo stesso tempo – e forse egoisticamente – non voleva rinunciarvi, perché se ne stava innamorando.

 

L’altra cosa sconcertante fu che, in un impeto di pazzia (come altro chiamarla?) Arthur si era offerto di portare Mordred a passeggio dal suo concertista privato anche quando Morgana ebbe finito col suo lavoro di emergenza.

La settimana prevista inizialmente erano diventate due e, alla fine, semplicemente Pendragon non aveva più smesso.

 

Certo… Suo nipote rimaneva comunque un Serpeverde. Sì. Viscido e scaltro.

Ed era nato per ucciderlo. Pannolino dopo pannolino. A colpi di pappette. Lo sapeva...

Sapeva che il suo compito era stato quello di rendergli la vita un inferno, ma era divenuto un inferno sopportabile, se la sua ricompensa era poter rimanere un pomeriggio in compagnia del suo pianista.

 

Ad onor del vero, sua sorella lo aveva torchiato per bene, perché quest’inusitata generosità puzzava fin da lontano… ma, una volta appurato che il Pupino non sarebbe divenuto la vittima sacrificale di qualche maniaco e che il Prezioso Unigenito era felice di quelle sortite, ella fu ben lieta di concedergliele.

 

 

***

 

 

E fu così che, pian piano, quella strana routine prese piede e, nei giorni in cui non c’era Mordred di cui occuparsi, Arthur e Merlin finivano comunque per vedersi, anche al di fuori di quel salottino col pianoforte.

Era stato Arthur a suggerire l’idea di un caffè all’aperto – sempre che Merlin non fosse allergico anche a quello, o che essere visto gironzolare per Londra non fosse un problema per lui.

 

Il pianista aveva riso di quei dubbi, apprezzando tuttavia la sua preoccupazione.

E da un caffè erano passati per una cena, poi ad un cinema e infine ad un bacio sotto casa, rubato sotto un cielo stellato, al quarto appuntamento.

 

Fosse stato per Arthur, avrebbero potuto approfondire l’argomento in camera da letto già al primo rendez-vous ufficiale, ma Merlin non sembrava il tipo da una scopata e via, e lui voleva capire se, effettivamente, sarebbe potuto nascere qualcosa di serio fra loro (sempre ammesso che le sue bugie non avessero rovinato tutto anzitempo).

 

Dopo giorni e giorni di ripensamenti, fu per questo che, accoccolati sul divano davanti ad un film, una sera Arthur prese finalmente il coraggio di essere sincero con lui.

 

“Merlin?” bisbigliò, smettendo di baciarlo.

 

Mh?” rispose l’altro, fermando la mano che gli stava accarezzando i capelli in un gesto d’intimità.

 

“C’è… ehm… c’è una cosa che devo assolutamente confessarti…” dichiarò mortalmente serio, separandosi da lui.

 

“Hai una moglie da qualche parte e Mordred è davvero tuo figlio?” tirò a indovinare l’altro, impallidendo.

 

“Oh, Dio, no! No! Non lo pensare neppure!” esclamò, schifato.

 

“Ah, beh… se non è questo, niente può turbarmi…

 

“Una moglie? Un figlio?? Sono più gay di un melo a maggio!” continuò Arthur, imperterrito. “E per inciso: Mordred e il sottoscritto siamo incompatibili e ci va benissimo così!”

 

“D’accordo, ho capito!” lo rassicurò Merlin, sorridendo. “Sono pronto ad ascoltare il tuo sporco segreto!”

 

Giusto in quel mentre, il telefono di Arthur squillò, interrompendoli. Vedendo il nome di Morgause sullo schermo, Pendragon rabbrividì, istantaneamente memore del suo accordo. Tuttavia, egli non rispose, perché non poteva parlarle liberamente davanti a Merlin. Le inviò un messaggio di scuse, promettendole che l’avrebbe richiamata più tardi, poi rimise in tasca il cellulare.

 

“Dov’eravamo rimasti?” domandò, come diversivo, soffocando il disagio e fingendo interesse per il film che avevano ignorato tutta la sera.

 

“Ehi! Mi stavi per rivelare il tuo segreto!” gli ricordò l’altro, annuendo curiosamente per incitamento.

 

Arthur sentì freddo lungo la colonna vertebrale.

“È che… senti… io… io devo andare in bagno!”

 

“Cosa?! È tutto qui, il tuo gran mistero?”

 

“Sì, mi dispiace; mi sento in imbarazzo, ma è urgente!” esclamò, sollevandosi in piedi con gran fretta.

 

Merlin gli lanciò un’occhiata basita, prima di concedergli il permesso, nascondendo a malapena la propria perplessità per educazione.

 

 

***

 

 

Le cose cominciarono ad andare male dopo la metà di giugno.

Il concerto privato per la Regina era stato un successo e, sull’onda di quell’entusiasmo, Merlin aveva regalato ad Arthur due biglietti per la penultima esibizione che avrebbe tenuto a Londra.

 

“Puoi portare con te chi vuoi!” gli aveva detto, ma l’altro si era dimostrato titubante nel farsi accompagnare da qualcuno e, alla fine, si era presentato alla Royal Albert Hall da solo.

 

L’esecuzione era stata perfetta, il pubblico aveva ricoperto di applausi ilMago del pianoforte’ – che, ancora una volta, aveva dimostrato di meritarsi pienamente quel soprannome – e Arthur si era sperticato in elogi infiniti, quando finalmente aveva potuto avvicinarlo.

E lui era arrossito per la profusione di lodi e per le allusioni su come fosse sexy con quell’espressione un po’ selvaggia e gloriosa. Poi aveva rimirato a sua volta quanto un completo elegante (un taglio su misura, indubbiamente) giovasse su quello che ormai considerava il suo uomo, ma non aveva potuto non notare l’evidente assenza di compagnia e, come sempre, Pendragon aveva accampato un paio di scuse e lo aveva distratto con una pomiciata ben piazzata.

 

La questione era che, mentre Merlin non si era fatto scrupoli a presentargli i suoi amici – niente cose formali, ma almeno quelli trovati nel suo pub preferito e nelle zone abituali, per strada –, Pendragon non gli aveva ancora permesso di incontrare nessuno dei propri e, anzi, in un’occasione o due avevano persino deviato percorso per non dover incrociare quelli che Arthur definiva ‘logorroici seccatori’.

 

Per esempio, c’era stato un tale che avevano urtato mentre curiosavano dentro una libreria e, quando l’uomo aveva apostrofato Arthur con un: “Ehi, Artie, com’è che non saluti il tuo Cenred? Dovevi richiamarmi, sai?”, Arthur era letteralmente fuggito da lì, senza neppure acquistare il libro che aveva appena scelto di prendere.

Poi, aveva borbottato qualcosa su quel tizio, definendolo subdolo, squilibrato e dalla lingua lunga; ed il pianista, vedendolo alquanto seccato, aveva preferito accantonare la faccenda.

 

 

***

Image and video hosting by TinyPic

 

 

Ma c’erano tante cose che Merlin non conosceva su Arthur.

 

Non era mai andato a casa sua, neppure una volta, da che si frequentavano. A ben vedere, non sapeva neppure dove l’altro abitasse, con precisione.

Era sempre Arthur a passare a prenderlo e a riaccompagnarlo, in un paio di avvenimenti dormendo da lui, ma mai il contrario.

Quello che Merlin non poteva immaginare era che il rischio, per Arthur, sarebbe stato troppo grosso.

Non si vergognava assolutamente della propria casa, anzi. Viveva in un bel quartiere di Londra e aveva un’abitazione di tutto rispetto.

Ma dentro il suo appartamento c’erano il suo computer e i suoi libri, appunti sparsi dappertutto, dove prendeva tracce e spunti, le sue documentazioni. C’era il suo mondo creativo in bella vista – con tanto di premi e riconoscimenti vari, come il Booker Prize vinto l’anno prima – ed era troppo pericoloso portarcelo.

 

Ogni volta che Merlin aveva suggerito la cosa – più o meno scherzosamente – Arthur aveva glissato, inventando le scappatoie più assurde: un buco di casa in completo disordine, la donna delle pulizie ammalata, un lontano cugino in visita, che dormiva sul divano… Per essere uno scrittore affermato, Pendragon aveva una pessima capacità di inventarsi scuse su due piedi…

E probabilmente fu quello a segnare il punto di svolta. Quello, assieme ad altri piccoli indizi.

 

Giorno dopo giorno, il coraggio per rivelargli la verità veniva sempre meno.

Arthur aveva capito di amare Merlin e, proprio per questo, temeva che – con l’essere sincero – avrebbe rotto lo splendido equilibrio che c’era fra loro.

Come avrebbe reagito, Merlin? E se si fosse arrabbiato per avergli nascosto la propria reale identità? Se l’avesse presa come scarsa fiducia nei suoi confronti o, peggio, come un gioco di cui ridere alle sue spalle? Cosa sarebbe successo se…?

Mille dubbi gli stringevano lo stomaco, facendogli mancare il respiro.

E questo lo fermava ogni volta che prendeva coraggio e stava per vuotare il sacco.

 

Arthur sapeva che, a lungo andare, questa ‘felice ignoranza’ era una via minata da percorrere ma, parallelamente, si diceva che dandosi tempo – dando alla loro relazione appena nata del tempo per consolidarsi – dava anche modo a Merlin di conoscerlo meglio come una persona semplice, un uomo buono e sinceramente innamorato di lui.

Sarebbero stati i suoi gesti, il suo affetto, la quotidianità condivisa a dimostrare l’onestà delle sue intenzioni, più delle parole, nel momento della verità.

O, almeno, così sperava…

 

 

***

 

 

La bolla, invece, esplose un mercoledì sera, tre giorni prima dell’ultimo concerto di Merlin.

Arthur avrebbe dovuto essere al lavoro – o così aveva detto, quando era venuto a casa sua con Mordred, quel pomeriggio – e il pianista, accompagnato dal suo migliore amico Will, aveva deciso di visitare una galleria d’arte che era stata appena inaugurata.

 

Mentre aspettava l’arrivo di William nel punto di ritrovo concordato, anche se era buio, Merlin riconobbe quasi subito la zazzera bionda di Arthur, all’altro lato della strada, in attesa come lui.

Come mai era lì, invece che al lavoro?, si chiese d’istinto, certo che l’altro non avesse la serata libera – perché gli aveva detto esplicitamente che sarebbe stato occupato a guadagnarsi il pane.

 

Mentre le ipotesi più disparate si affollavano nella sua mente, Merlin rammentò un piccolo, insignificante particolare che aveva liquidato troppo in fretta, realizzando, con sommo sconcerto, che forse era già la seconda volta che succedeva.

Un paio di giorni prima, infatti, la sua amica Freya gli aveva detto di aver incrociato Arthur in un orario in cui, teoricamente, l’uomo doveva lavorare e Pendragon, vedendola, aveva finto di non riconoscerla.

Merlin ci aveva riso sopra, scherzando sulla sbadataggine del suo ragazzo, o sul fatto che forse, invece, Freya – che non era un’accanita fisionomista – avesse davvero confuso qualcun altro con lui.

 

“Beh, meglio così”, aveva detto la ragazza, chiudendo la faccenda. “Anche perché non era da solo!”

 

Ma ora non c’erano dubbi. Quello era certamente Arthur. Il suo Arthur.

 

Merlin stava per chiamarlo, perché l’altro uomo non si era ancora accorto della sua presenza, quando era sopraggiunta una persona.

Emrys impiegò qualche secondo a ricordarne il nome: Cenred, aveva detto di chiamarsi.

Sì, era lo stesso tizio che avevano visto nella libreria, e da cui il suo ragazzo era praticamente fuggito con fastidio... Solo che, in quel momento, Arthur sembrava tutt’altro che infastidito, mentre si lasciava abbracciare da quel Cenred, che aveva modi fin troppo amichevoli.

Buon Dio!, Merlin deglutì a vuoto, sentendosi gelare. Il tipo stava palpeggiando il culo del suo uomo! E Arthur glielo lasciava fare!

 

Fu Will a salvarlo da una crisi di nervi, arrivando giusto in quel momento.

“Ehi, Merls! Sei bianco da far spavento, amico! Hai per caso visto un fantasma?” scherzò, dandogli una fraterna pacca sulla spalla e Merlin barcollò, impreparato.

 

William fu lesto ad acchiapparlo, sostenendolo.

Ma che succ-?”

 

“Andiamo via, Will. Per favore”, lo supplicò, perché l’ultima delle sue intenzioni era quella di fare una scenata in pubblico, anche se si sentiva rimescolare le viscere.

Solo quando furono a distanza di sicurezza, raccontò quello che aveva visto e, come prevedibile, William s’era infervorato.

 

“Vuoi che torni là e gli spacchi il muso?!” propose, facendo scrocchiare le dita delle mani. “Così impara la lezione, quel bastardo traditore!”

 

Ovviamente no, Merlin non voleva un regolamento di conti con tanto di urla e nasi rotti, ma Will aveva ragione a chiamare Arthurtraditore’, perché questo lui era.

Lo aveva tradito, vedendo di nascosto quel viscido di Cenred.   

Lo aveva ingannato, mentendogli quella sera, e chissà quante altre volte, e su quante altre cose…

Lo aveva imbrogliato, probabilmente, in un sacco di momenti.

E questo spiegava come mai Arthur restasse sempre sul vago in mille occasioni e non volesse mai fargli conoscere i suoi amici, o vedere la sua casa!

Oh, Cielo! Forse viveva con Cenred ed era Merlin l’amante inconsapevole! Forse conduceva una doppia vita… altro che cugino sul divano!

 

Merlin sentì gli occhi bruciare, ingoiando un singhiozzo, mentre il fedele Will lo trascinava a casa, a leccarsi le ferite.

Tradito e usato, ecco come si sentiva. E col cuore spezzato, a dirla tutta.

 

Perché Arthur non era stato sincero con lui? Perché?!

 

Dopo un paio di sonniferi, William lo aveva messo a letto, offrendosi di restare, in caso di bisogno; ma lui aveva rifiutato, pregandolo di lasciarlo da solo.

 

L’indomani mattina, Merlin ignorò i messaggi di buongiorno che Arthur gli aveva mandato e, col cuore pesante, fece l’ultima cosa per confermare i propri sospetti.

 

Due ore dopo, l’ennesima voce gentile e professionale al telefono, dall’Ufficio Risorse Umane, gli confermò che nessun signor Pendragon aveva mai lavorato lì. Né lì né in qualunque tipografia, stamperia, o-dove-diavolo uscissero i giornali e le riviste che poi venivano venduti a Londra.

 

Merlin ringraziò, riattaccando. Poi, esausto, nascose il viso fra le mani.

Quindi… Arthur gli aveva mentito anche sul suo lavoro.

 

Ma perché? Diamine, perché?!, imprecò mentalmente, raccogliendo i cocci della sua vita affettiva.

L’unica cosa buona era l’aver scoperto tutto adesso, mentre erano ancora agli inizi della loro relazione. Anche se, in quel momento, Merlin dubitava che fosse stata persino quello. Forse era stata tutto un gioco, uno svago, un capriccio per far perdere la testa al famoso Emrys

 

Chissà quanto si era vantato per quella conquista! E per la recitazione da Oscar e la sua faccia da schiaffi!

Merlin era caduto nella sua rete di tranelli con tutte le scarpe, ma ora aveva capito l’inganno e ne sarebbe uscito, in qualche modo.

Sì, aveva fatto male a fidarsi di quel bastardo... Ma non avrebbe più commesso lo stesso errore.

Di certo, non rivoleva nella sua vita un bugiardo seriale.

 

Tuttavia… c’era ancora una piccola parte di lui, quella non ancora soffocata dal dolore, che gli sussurrava di dare ad Arthur una possibilità. Di inchiodarlo con le spalle al muro, se fosse servito, ma che almeno fosse stato sincero con lui davvero, del tutto, per mettersi il cuore in pace e chiudere per sempre la questione. Che si spiegasse, perdio!

Ma quella piccola parte razionale era troppo debole, e per la confusione, la rabbia, il dolore e la delusione fu facile zittirla.

 

 

***

 

 

All’Horchard Hall i biglietti erano tutti esauriti già una settimana prima del concerto e Merlin si sentì onorato per l’accoglienza calorosa che il Giappone gli aveva riservato, lì a Tokyo, e in tutte le sedi che il suo tour asiatico avrebbe toccato.

 

Era fuggito da Londra in fretta e furia saltando sul primo volo, la mattina dopo la scoperta, chiamando la sua manager e annullando l’ultima esibizione con la scusa di una dolorosa (ma non grave) tendinite e si era rifugiato là, dall’altra parte del mondo, sperando – forse ingenuamente – che oceani e continenti di distanza avrebbero giovato.

 

La verità era che solo il lavoro lo avrebbe distratto dalle sue disgrazie di cuore; ma, sebbene andasse contro la sua etica irreprensibile, poteva permettersi di indulgere, per una volta, nella sua miseria ed essere un po’ egoista.

 

Non importava che Arthur avesse cercato di contattarlo, riempiendolo di messaggi e di chiamate nella segreteria, perché finivano inesorabilmente cancellati ancor prima di essere letti o ascoltati.

Alla fine, Merlin aveva cambiato numero, rendendosi irreperibile, e la persecuzione era finita.

 

Sì, sarebbe finita. Anche se in quel momento faceva male da morire.

Anche se il suo cuore – anch’esso traditore! – sussultava ogni volta che Merlin intravedeva per strada una zazzera bionda.

Anche se Arthur Pendragon gli era entrato sottopelle... sarebbe finita.

 

Tempo tre mesi, e sarebbe tornato a casa, negli States, e quel delirio sarebbe sbiadito, diventando solo un sogno strambo.

 

 

- Fine -

(Prima di essere picchiata, rendo noto che ci sarà un epilogo).

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

Ugualmente, le immagini che ho scelto di inserire nei capitoli sono prese dal web e non mi appartengono.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai e a Laura, che subiscono le mie paranoie. X°D

Note: Il Giubileo di diamante della Regina è stato nel 2012. Ho deciso quindi di ambientare in quell’anno la storia, giusto per pignoleria, ma ai fini narrativi non cambia nulla.

 

Ho volutamente evitato di chiarire il genere di libri scritti da Arthur, più avanti dirò il perché.

Un cliffhanger, per chi lo ignora, è un espediente narrativo usato in letteratura, nel cinema, nelle serie televisive e in altre forme di fiction, in cui la narrazione si conclude con una interruzione brusca in corrispondenza di un colpo di scena o di un altro momento culminante caratterizzato da una forte suspense. In genere, un cliffhanger conclude un episodio (per esempio di una serie televisiva, o di una storia a fumetti o romanzo a puntate), con l’intento di indurre nel lettore o nello spettatore una forte curiosità circa gli sviluppi successivi (e quindi il desiderio di acquistare il prossimo volume o di guardare la prossima puntata).
Letteralmente, l’espressione inglese ‘cliffhanger’ indica chi ‘rimane appeso a un precipizio’, una situazione che rappresenta uno stereotipo della suspense nei film e telefilm d’azione.
In questa stessa fic, per esempio, il salto tra il cap. 3 e 4 è un cliffhanger.

Ho scritto nel capitolo che Arthur vinto un Booker Prize.

Il Booker Prize è uno dei più prestigiosi premi letterari inglesi.
Il Man Booker Prize for Fiction, più conosciuto come Booker Prize, è un premio letterario istituito nel 1968 e assegnato ogni anno al miglior romanzo, scritto in inglese, da un cittadino del Commonwealth delle nazioni, dell’Irlanda o dello Zimbabwe.

Al vincitore del Booker Prize sono generalmente assicurati fama e successo internazionale, e per questo motivo il premio è di grande importanza per il mercato dei libri. È un segno di distinzione per gli scrittori venir nominati nella rosa dei finalisti.

La Royal Albert Hall (o, per esteso, Royal Albert Hall of Arts and Sciences) è una sala da concerti di Londra, nell’esclusivo quartiere di South Kensington, in un’area nota anche come Albertopolis.

 

L’Horchard Hall di Tokyo è una famosissima sala di concerti, soprattutto per musica classica.

 

(Tutte le info succitate sono prese da Wikipedia).

 

 

Visto che siamo alla fine, metto un’unica anticipazione per non rovinarvi la sorpresa:

 

 

 

Image and video hosting by TinyPic

 

 

 

*evil smile*

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

 

 

 

~ ~ ~ ~ ~

 

Ringrazio i lettori che hanno inserito questa fic nei preferiti/ricordate/seguiti.

Vi ringrazio della fiducia, e vi invito, ancora una volta, a lasciarmi qualche parere per sostenermi in questa passione che condividiamo. ^^

 

 


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:

 

Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.

Farai felici milioni di scrittori.

(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)


Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche costruttive.


Grazie (_ _)

elyxyz

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Epilogo ***


Modern

Modern!au, Merthur, Leogana, baby!Mordred, zio!writer!Arthur, pianist!Merlin.

 

 

D’istinto, vorrei dedicare questa storia a Filippo, sperando di essere una zia un filino migliore di Arthur con Mordred.

E poi è dedicata a chi mi segue con costanza e affetto.

A chi si entusiasma per le mie bizzarre ispirazioni e mi sostiene con i suoi pareri.

Voi rallegrate le mie giornate!

Grazie.

 

 

 

 

Magic Melody (Mordred’s Lullaby)

 

 

Image and video hosting by TinyPic

 

 

 

 

 

Epilogo - Otto mesi dopo.

 

 

Febbraio era gelido, quell’anno, ma Londra era magica sotto la neve e a Merlin era mancata un sacco.

Era la prima volta che rimetteva piede in Gran Bretagna dopo la fuga da Arthur, e – anche se gli piaceva pensare il contrario – sapeva che non era servito poi a molto.

Certo… il dolore non era più così opprimente, come i primi giorni. Col tempo, era diventata una pena con cui convivere, pungeva ancora sottopelle, come un prurito che non andava mai via, ma Emrys aveva cercato di continuare la sua vita.

 

Di lì a un mese, sarebbe iniziato un nuovo tour per tutta l’Inghilterra e lui era lì per esercitarsi in pace e magari per riuscire a comporre qualche nuovo brano, traendo spunto ed energia dal parco che tanto amava.

Tra un mese, poi, sarebbe uscito anche il nuovo libro di Arthur De Bois, e questo – se non altro – sarebbe stata un’iniezione di entusiasmo sincero, perché moriva davvero dalla curiosità. Quello poteva essere l’ultimo volume di una saga che durava da anni, quindi la tensione (per lui e per tutti gli altri fans) era davvero alta.

 

In aggiunta a questo, l’autore – stranamente – non aveva rilasciato alcun aggiornamento sulla situazione del suo lavoro.

Di solito, durante i lunghi mesi di lavorazione, De Bois twittava lo stato di avanzamento del romanzo; nel suo blog personale infilava qualche curiosità e, per i più impazienti, metteva persino qualche piccolo spoiler che, a onor del vero, più che sfamare faceva solo aumentare i livelli di curiosità fra i suoi estimatori, Merlin per primo.

 

E invece… invece erano passati mesi e mesi di assoluto silenzio.

L’ultimo tweet risaliva al giugno scorso – Merlin lo ricordava bene, perché sapeva esattamente come ci si sentisse in quel momento – in cui De Bois, per la prima e unica volta, aveva parlato di sé e non del suo lavoro.

 

 

Image and video hosting by TinyPic

 

 

Il messaggio era crudo e lapidario. E poi il romanziere era sparito nel nulla più assoluto.

 

Merlin si era dimostrato solidale con quei sentimenti, e forse capiva meglio di tutti che il silenzio mediatico del suo autore preferito era un modo come un altro per rattoppare un animo lacerato.

 

Ma ora, a distanza di tempo e con l’imminente uscita del tanto atteso epilogo della saga, anche Emrys doveva confessare che non passava giorno senza fare una capatina sul sito del suo idolo e scorreva le pagine di twitter per prima cosa, ogni mattina facendo colazione, per scoprire eventuali novità.

Invariabilmente, rimaneva deluso e frustrato dall’assenza di qualsivoglia segni di vita, quindi era ormai lecito presupporre che no, marzo non sarebbe stato il mese effettivo della pubblicazione – ammesso che Arthur non avesse mentito di proposito anche su quello, pensò amaramente, con una stretta al cuore –, perché non era ancora stata rivelata nessuna data ufficiale per il lancio e febbraio non sarebbe durato in eterno. Rimaneva la primavera, però. Perché almeno in quello Pendragon ci aveva azzeccato, quando – contemporaneamente alla sua soffiata – erano trapelate le prime indiscrezioni sul timing del rilascio.

 

Merlin si versò una tazza di tè, accendendo il portatile per la sua ronda quotidiana, e scorse velocemente i vari tweet, prima di sentire il fiato mozzarsi in gola, e per poco non cadde dalla sedia.

 

C’era! C’era un tweet di Arthur De Bois!

 

 

Image and video hosting by TinyPic

 

 

Merlin aveva letto e riletto quel messaggio decine di volte, mangiandosi le mani perché era stato scritto addirittura la sera precedente, e lui non se n’era accorto. Ma poi, razionalmente, si disse che era stato meglio così, altrimenti non avrebbe chiuso occhio tanta era l’agitazione che sentiva dentro.

 

Riguardò lo schermo, come se – ad un’ennesima occhiata – potesse scoprire qualcosa che prima gli era sfuggito, qualche impercettibile, vitale informazione.

Il tè era diventato freddo nel frattempo, ma non se ne curò.

Cosa significava quel tweet? Che riguardasse il libro? Oppure… era una cosa personale, una specie di sfogo?

 

Per le due ore successive, il pianista tentò inutilmente di esercitarsi, ma si perdeva nelle note del pentagramma, perché quella manciata di parole criptiche lo avevano scombussolato completamente.

Perché dire questo – proprio questo – dopo mesi di silenzio? Che significato aveva?

 

Era così concentrato nella riflessione che, quando il campanello di casa suonò, trasalì spaventato.

Dopo aver controllato per scrupolo dallo spioncino, aprì la porta e il postino gli porse un piccolo pacco. Firmò la ricevuta, stupito, e richiuse il portone dietro di sé.

 

Era strano ricevere posta, perché praticamente nessuno sapeva che lui era tornato a Londra.

Per di più, all’apparenza, non c’era neppure il mittente.

 

Merlin si diresse in salotto e, sedutosi sul divano, aprì l’incarto che – sorpresa delle sorprese – conteneva un libro.

 

Oh, Buon Dio!” esclamò allora, afferrando con le dita tremanti il tomo. “Oh, Buon Dio!”, ripeté, col cervello in blackout.

 

La copertina non aveva un aspetto familiare; ma, in alto, con un’elegante grafia dorata, campeggiava il nome di Arthur De Bois.

Come poteva avere fra le mani un libro che sarebbe stato dato al mondo solo un mese dopo?

 

Certo, Emrys non era così sciocco da non sapere che esistevano delle copie approntate prima della diffusione ufficiale, ma...

Ma perché darne una a lui?

Che… che fosse soltanto uno scherzo di cattivo gusto?

 

Respirando con difficoltà, Merlin rimase cinque minuti buoni solo a fissare il nome dell’autore e poi il titolo stampato nello stesso carattere: Magic Melody. Questo era il titolo che chiudeva la saga.

 

Con un sospiro tremante, sfogliò le prime pagine, e fu a quel punto che raggiunse la dedica.

 

 

Al mago,

che ha liberato il drago dal bosco.

E lo ha incantato, con i suoi sorrisi,

rubandogli il cuore.

Con le sue mani, intesse arcana soavità,

magica melodia che commuove anche gli angeli.

 

 

Merlin sbatté le palpebre, stranito.

No. Non poteva essere, non… Chiuse gli occhi e li riaprì, ma la dedica non cambiò. Doveva esserci qualche malinteso, una coincidenza, qualcun altro che… che… Arthur De Bois non poteva riferirsi a lui!

Con un colpo secco e il cuore in gola, chiuse di scatto il volume e, in quel gesto brusco, spuntò dal tomo un foglio piegato.

Con una morsa allo stomaco, sfilò il pezzo di carta e lo distese, riconoscendo all’istante la calligrafia.

 

 

Mio caro Merlin,

immagino di aver perso la prerogativa di chiamarti così, e so che non dovrei permettermi di cominciare in questo modo la mia lettera, ma ti chiedo di pazientare.

In nome di tutto ciò che è sacro, voglio solo cinque minuti del tuo tempo e poi, poi potrai scegliere di ignorarmi o di odiarmi per sempre. Okay?

 

Non so esattamente come iniziare (e per uno che si guadagna il pane scrivendo, credimi, non è molto lusinghiero), perché, vedi, ho provato e riprovato a scriverti, nella mia testa, un’infinità di volte, e tutto filava liscio; ma puntualmente, ora, qualcosa non va e so che probabilmente dimenticherò qualche parte fondamentale… e poi non so nemmeno se sei ancora lì, o hai già fatto a pezzi questo foglietto.

Potrei cominciare chiedendoti scusa – scusarsi è sempre un bel modo per iniziare un dialogo –, ma non credo che mi staresti a sentire.

Perciò, mi limiterò a dirti la verità: la verità tardiva che non hai voluto ascoltare a suo tempo, quella stessa verità che non potevo dirti quando ci siamo conosciuti.

 

Per quel che vale – credimi, Merlin – non ho mai voluto farti del male.

Speravo, forse ingenuamente, che tutto sarebbe andato a posto nel momento in cui ci saremmo chiariti, e invece ho mandato tutto a puttane. Ho rovinato la cosa più importante che avevo.

 

Nel caso te lo stessi chiedendo, il libro che hai sulle ginocchia non è un modo per rabbonirti e comprare il tuo perdono. È tutt’altro.

È il motivo per cui ti ho perso.

Questo è il “figlio” di cui non sono riuscito a parlarti quella famosa sera.

 

Sì, Merlin. A questo punto, spero di non offendere la tua intelligenza confermando che, dietro allo pseudonimo del tuo autore preferito, ci sono io.

 

De Bois è il cognome da nubile di mia madre, e l’ho scelto perché non volevo né il peso né i favoritismi che il nome della famiglia Pendragon mi avrebbe portato.

Volevo farmi strada da solo, volevo che il mio ardore divenisse talento senza aiuti… Volevo che il meraviglioso uomo che mi ha accolto in casa sua, anche se ero bagnato come un gatto fradicio, mi amasse semplicemente perché ero Arthur. Non il famoso scrittore, non il suo idolo. Arthur e basta.

 

Stavo per dirtelo, sai? In mille occasioni ci ho provato, ma – oltre alle mie paure – c’era un contratto che mi obbligava al silenzio. E ora quel contratto non esiste più. Non appena il libro sarà uscito, verrò alla luce con lui, perché ho capito di aver pagato un prezzo troppo alto, perdendoti.

 

L’altra enorme cosa di cui mi rammarico sono questi otto mesi buttati via nell’amarezza.

Una parte di me spera che tu sia andato avanti con la tua vita, relegandomi nel passato, senza più penare.

Ma credo che entrambi abbiamo patito troppo in tutto questo tempo – con questa enorme questione irrisolta fra noi – e se tu non fossi scappato, ce lo saremmo risparmiati.

Non posso fartene una colpa, non ne ho nessun diritto: lo considero solamente un dato di fatto.

Se ci fossimo chiariti all’indomani, forse tu mi avresti perdonato, oppure mi avresti chiuso fuori dalla tua vita, ma ci saremmo risparmiati tutto questo.

 

Sappi che ti ho cercato, ti ho aspettato, ho bussato ad ogni ora alla tua porta; e quando ho capito che avevi abbandonato la tua casa di Londra, sono andato da Will per chiedergli dove fossi, per chiarire tutto quanto.

Lui mi ha cacciato via – ci ho quasi rimediato un bel cazzotto, ma lo meritavo – sbraitandomi contro tutto quello che pensava: che non ero degno di te (vero), che ero un bugiardo (vero), che dovevo tornare da quel Cenred con cui ti avevo tradito (falso).

Non penso che mi abbia creduto – non so nemmeno se ti abbia riferito di questo nostro incontro –, ma non ti ho mai tradito con nessuno: credimi, Merlin.

 

Cenred è il mio agente e il marito della mia editor, Morgause; lui è un cretino troppo espansivo, a cui piace dispensare abbracci e fingere di provarci con tutti.

Purtroppo, è ancora il migliore nel suo campo, ed è anche grazie a lui se sono diventato così famoso: questo è il motivo per cui lo sopporto tuttora, anche se vorrei licenziarlo un giorno sì e l’altro pure.

Ma dal tuo punto di vista… vedermi con lui dev’essere stato uno shock, e lo capisco.

Di nuovo, mi rammarico che non ci siamo detti le cose in quel momento… e poi, poi era semplicemente troppo tardi, no?

 

Comunque sappi che ho smesso di cercarti, ma non di amarti.

Ho capito che avevi bisogno dei tuoi spazi, del tuo tempo. Ma i sensi di colpa non mi hanno mai abbandonato, né lo hanno fatto i miei sentimenti per te.

So di aver sbagliato. Ho sbagliato su ogni fronte. E non mi perdonerò mai per il dolore che ti ho causato, anche se – davvero, lo giuro – non ho mai voluto che tu soffrissi.

 

Ti prego, non credere che volessi prendermi gioco di te.

Oppure che non ti reputassi abbastanza degno per presentarti ai miei amici, o che per me non fossi così importante da fidarmi di te.

Mi sono scavato la fossa da solo, a colpi di menzogne. Ma il mio amore per te era sincero – è sincero!

Ho amato ogni momento che abbiamo condiviso, e vorrei ancora amarti per il resto della mia vita.

 

Ecco. In questo momento, ammesso che tu abbia ancora in mano il foglio, ti starai chiedendo come potresti mai fidarti ancora di un bugiardo come me.

Se ti ho mentito su questo, chi può garantire che non risuccederà?

Potrei giurare e spergiurare che la mia buonafede è sincera. Che, in un modo contorto e sbagliato, ho cercato di agire per il meglio.

Forse ti sembrerò solo egoista, Merlin – a volerti ancora nella mia vita, o anche solo a pretendere il tuo tempo, adesso, dopo tutto il male che ho causato.

E probabilmente avresti ragione. (Senza il probabilmente).

 

C’è un’altra cosa che dovrei confessarti: non sono abituato alle espansioni di gioia dei miei ammiratori.

La mia doppia vita ha sempre richiesto di sacrificare anche questo, ma non mi sono mai accorto di quanto mi perdevo, prima di conoscere te.

Ogni volta che nominavi Arthur De Bois e i suoi libri… mi riempivi il cuore.

Il modo in cui ti si illuminavano gli occhi, mentre parlavi delle mie creature… Dio, Merlin! Non riesco neppure a descriverlo! 

Il tuo entusiasmo genuino, la passione che mi trasmettevi… è stato questo, questo che mi ha fatto andare avanti nei mesi scorsi.

Ho finito il libro pensando a te, alla tua attesa impaziente, alla fedeltà che mi avevi riservato come fan, all’amore che non meritavo, ma che avrei voluto ricambiare con tutto il cuore.

Mi sono sforzato di scrivere – giorno dopo giorno –  anche se dentro mi sentivo morire.

E pensavo a te. A te, a quest’ultimo legame, che ci teneva ancora uniti, appesi per un filo.

A costo di sembrare ridondante, posso affermare con certezza che questo libro è anche un po’ tuo. È nato anche grazie a te.

 

Vorrei dirti ancora molte cose, ma so che finirei per ripetermi più di quanto abbia già fatto.

Il punto è che ti amo. E vorrei il tuo perdono.

E ricominciare da zero sarebbe fantastico – questo direi che riassume bene il tutto –, ma più ancora dei miei bisogni, meritavi di conoscere la verità.

 

Bene. Mi rassegnerò a chiudere qui, senza patetici indugi.

Non mi aspetto una risposta. In realtà, non mi aspetto niente, sai?

Era un atto dovuto e l’ho assolto.

 

Con amore,

 

                 Arthur

 

 

Merlin ripiegò la lettera e soffocò l’ennesimo singhiozzo, mentre la vista si sfocava completamente in grossi goccioloni cadenti.

Oh, dannazione a quell’idiota!

 

Dopo aver lasciato sedimentare il tutto, prese il cellulare e cercò nella rubrica il contatto che non aveva mai avuto il coraggio di cancellare, neppure quando aveva cambiato scheda per causa sua.

Conosceva il numero a memoria, in realtà, ma non si fidava delle mani che gli tremavano.

 

“Pronto?” aveva detto Arthur, all’altro capo della linea, esitando per l’utente sconosciuto. “Chi parla?”

 

Merlin aveva intenzione di picchiarlo, di insultarlo, di punirlo.

 

“Ti aspetto a casa mia fra mezz’ora”, ordinò perentorio, prima di riattaccare.

 

E poi lo avrebbe baciato fino a farlo svenire.

 

 

- Fine -

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

E a Laura, che si sciroppa le anteprime con un entusiasmo che mi commuove.

Note: Ed eccoci al momento di salutare anche questa fic.

Ad onor del vero, ho un paio di bozze che potrei sviluppare e postare come raccolta a parte, ma ho come l’impressione che la storia abbia perso interesse per voi lettori, quindi vorrei capire se sareste interessati o no, ad un possibile seguito, perché altrimenti mi dedicherò ad altro.

 

Per rispondere ad alcuni commenti: sì, sono stata cattivella… ma dovevo farli soffrire un po’, e stavolta usare Arthur con un segreto invece che Merlin, e con un Merlin, per una volta, un po’ egoista che se ne va seguendo il suo dolore. Quanta gente sarebbe effettivamente disposta a dare retta ad un bugiardo appena conosciuto, che probabilmente ti sta pure tradendo? Anche se Merlin ha sbagliato, non so se si possa biasimare del tutto…

 

Precisazione (forse inutile): so che nella lettera ci sono ripetizioni di concetti, ma è voluto, come se Arthur avesse buttato fuori, in modo spontaneo e caotico, quello che si è tenuto dentro per tutti quei mesi.

Volevo darvi l’idea di un Arthur che l’ha scritta di getto e che, se l’avesse riletta, si sarebbe pentito e forse l’avrebbe cestinata di nuovo.

 

Nella dedica del libro, c’è un richiamo al soprannome di Merlin (Il mago del pianoforte), al cognome Pendragon (=Testa di drago) e al nickname di Arthur: per chi non sapesse il francese “De Bois” vuol dire “Di Bosco”.

 

Secondo la tradizione arturiana, la madre di Arthur, Ygraine, faceva di cognome De Bois.

 

Il genere scritto da Arthur è volutamente non specificato per non fuorviare il lettore.

Da questo ultimo capitolo, si può intuire che sia un genere fantasy, ma in realtà ogni lettore può immaginare ciò che vuole.

 

~ ~ ~ ~ ~

 

 

Ringrazio i 17 utenti che hanno messo la fic fra i ‘preferiti’, i 7 ‘da ricordare’ e i 63 ‘seguiti’.

Visto che siamo alla fine, mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate, soprattutto da parte di chi ha sempre seguito silenziosamente la storia.  ^_=

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

 

 

 


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:

 

Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.

Farai felici milioni di scrittori.

(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)


Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche costruttive.


Grazie (_ _)

elyxyz

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2905175