Felicity theStory

di BrendaLeeJ
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Telefonata ***
Capitolo 2: *** Frammenti ***
Capitolo 3: *** Al “The Brake” ***
Capitolo 4: *** Due sere prima ***
Capitolo 5: *** Il Bacio ***
Capitolo 6: *** Ricordi ***
Capitolo 7: *** Mano nella mano ***
Capitolo 8: *** A riveder le Stelle ***
Capitolo 9: *** Alla deriva ***
Capitolo 10: *** Onda d'urto ***
Capitolo 11: *** Pura Follia ***



Capitolo 1
*** La Telefonata ***


1- La Telefonata
 

Non poteva crederci, era stata tradita dalla sua stessa paura di lasciarsi andare e di essere felice, ritrovandosi ancora una volta con una manciata di polvere in mano. Detestava se stessa in quei momenti, quando tutto sembrava potesse prendere una piega inaspettatamente diversa, forse più bella, lei sapeva sempre come rovinarli. 
< Felicity sei un enorme testa di cazzo! > disse rivolta al riflesso apparso nello specchio.
Una ragazza dai lunghi e folti capelli ricci color miele rimase immobile a fissarsi, delle lunghe righe nere di mascara ed eye-liner sbavato le segnavano il viso, stranamente però non c'era nessuna traccia di lacrima nei suoi occhi. Eppure aveva pianto, aveva pianto così tanto da sentirsi profondamente svuotata, si era alzata dal letto per prendere un po' di carta dal bagno per soffiarcisi il naso, ma una volta passata davanti allo specchio si era bloccata. Non sopportava di sentirsi in quel modo, tanto meno quando a provocarlo era un suo stesso comportamento. In quel preciso istante nell'appartamento prese a squillare un telefono, Felicity si passò i palmi della mano sulle guance nel vano tentativo di pulirsi il viso prima di dirigersi in camera verso la borsa da cui proveniva il suono, come se il suo possibile interlocutore avesse potuto vederla. Fece scattare la clip che teneva chiuse le due estremità e raccolse dal taschino il cellulare.
< Pronto? >
< Ehi... >
Silenzio. Perché l'aveva chiamata?
< Come stai? > chiese un ragazzo dall'altra parte dell'apparecchio.
< ...bene. > mentì incerta.
< Guarda che ti aspetto sta sera al Pub, eh. > amichevole < Non fare la solita tira pacchi e vedi di venire. >
Come faceva a fare finta di niente, come se tutto fosse meravigliosamente ok? Felicity se lo domandava spesso, non trovando sistematicamente risposta. Lui era così, il contrario di lei, prendeva la vita con spirito e non si lasciava mai abbattere, almeno era quella l'idea che si era fatta di lui in tutti quei anni; eppure questa volta era sicura che sarebbe vacillato ed invece, solido come una roccia.
< Mmh... > indecisa, più che altro confusa < ma... >
< Dai, schioda il culo da quella cazzo di casa e vieni a divertiti una santissima volta! Non crepi se ogni tanto ti concedi una serata con noi, ne ho piene le palle di pregarti ogni volta. > schietto come solo lui sapeva essere.
< Va bene, ci vediamo sta sera. > arrendevole.
< Così mi piaci. > di nuovo amichevole < E' tutto ok. > l'interlocutore pose fine alla comunicazione.
Felicity rimase interdetta ad ascoltare per secondi interminabili il suono della linea caduta, sguardo fisso di fronte a se; fece poi scorrere lentamente il braccio che teneva il cellulare lungo il fianco, lasciando inconsciamente cadere l'apparecchio a terra aprendo la mano. Si sentiva così stupida, e anche stupita, aveva pianto tutta la notte al ricordo di quello che era successo due sera prima, convinta di aver rovinato tutto e di non poter più tornare indietro, ed invece sembrava che l'unica ad essere stata travolta da un treno in corsa fosse lei. Doveva aspettarselo infondo, altro che crollare, quella ad essere rimasta “fragile” fra i due era lei, incapace a gestire gli avvenimenti della vita e questa cosa le pesava tantissimo.
< Quindi “E' tutto Ok.” > ripeté ad alta voce.
Raccolse il cellulare da terra e lo posò sulla scrivania, prese le ciabatte posate di fronte alla cassettiera e andò in bagno. Una doccia, aveva bisogno di farsi una doccia e scrollarsi di dosso tutta quella amarezza. Qualche minuto dopo, mentre si frizionava lo shampoo sui capelli, si ritrovò a pensare a Marco e alla telefonata di poco prima. Certo che era strano quel ragazzo, o forse l'unica strana era lei che sapeva fare di ogni cosa una tragedia, ma non era poi così sicura che quello che era successo potesse non incidere nel loro rapporto.
Non ci pensare. Non ci pensare.” cercò di farselo entrare nella testa mentre sciacquava i capelli.
E' tutto ok ha detto, quindi farai meglio a far si che sia vero. Sta sera vai li, sorridi e ti diverti.” si convinse.

A quanto pareva ricevere uno schiaffo, in risposta ad un bacio, per Marco non era un fatto così rilevante tanto da intaccare la loro amicizia. Felicity continuava comunque ad avere qualche dubbio, soprattutto riguardo al fatto che fra di loro ci potesse essere solo amicizia. 

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Capitolo 2
*** Frammenti ***


2. Frammenti
 

Sono le 19.15 di un Sabato sera indefinito di Giugno, è una sera afosa in cui gli odori di campi adibiti a risaie inebriano prepotentemente l'aria con il loro intenso e pungente profumo di terra bagnata; una strada provinciale semi deserta si stende per chilometri nel panorama agricolo, adornata ai margini da graminacee dorate e papaveri spontanei, alternando tratti con piccoli paesi a tratti con grandi distese di terra coltivata. Una vecchia Panda nera sfreccia solitaria su una corsia in direzione Centro Provincia, dal finestrino abbassato dell'autista proviene a tutto volume una canzone dei Nirvana: “Smells like teen spirit”. Al volante una giovane ragazza, Felicity Greco, guida assorta, occupata a sostenere un silenzioso dialogo interiore con se stessa.
 
Felicity ha 25 anni, è sempre stata una ragazza formosa e robusta, alta quanto basta per essere considerata nella media. Ad incorniciarle il viso ed il busto dei lunghissimi ed arruffati capelli mossi, oramai le arrivavano fin sopra il sedere; aveva deciso di non tagliarli più da quando si era trasferita in quelle zone, sette anni prima, e benché li avesse portati sempre molto lunghi in breve tempo era riuscita a battere ogni suo precedente record. 
Quattordici anni prima era entrata in una casa famiglia chiamata “L'Arcobaleno”, dopo che il padre era stato arrestato per l'omicidio di sua madre e i suoi nonni materni, i paterni li aveva persi da tempo, si erano rifiutati di prendere in casa la “figlia dell'assassino”. Non fu semplice superare il trauma, ci vollero ben 3 anni prima che riuscisse a farsi aiutare dallo psicologo ed accettasse di condividere la propria esistenza con gli altri ragazzi della casa. Marco era uno di quelli, arrivato all'Arcobaleno dopo un travagliato tentativo di adozione andato a male; non le aveva mai raccontato del tutto la sua storia ma la cosa che più l'aveva colpita è come Marco sembrasse sempre il ragazzino più sereno del mondo pur avendo alle spalle una storia che non doveva poi essere così felice. Alla fine Felicity riuscì ad integrarsi, con non poche difficoltà, e strinse proprio con Marco una solida amicizia. L'unico in quella casa a comportarsi come se quella situazione abitativa fosse normale, l'unico a trattarla come una ragazzina qualunque della sua età e l'unico a trovare sempre il lato positivo e divertente di ogni cosa. Nulla riusciva ad abbattere la sua travolgente voglia di vita e quell'aspetto di Marco infondeva in lei un grande senso di pace perché al suo fianco, poteva esserne sicura, nulla sarebbe mai stato troppo difficile da affrontare. Aveva due anni in più di lei e la prese sotto la sua ala come fosse un fratello maggiore, fu difficile accettare che se ne andasse dalla casa quando compì 18 anni, ma le aveva promesso che sarebbe tornato a prenderla e così, quando anche Felicity spense 18 candeline sulla sua torta di compleanno, Marco tornò all'Arcobaleno e la portò con se in quella grande città.

Felicity spinse il freno, scalò la marcia e fece rallentare la macchina pochi metri prima di una rotonda. Aveva passato tutta la giornata a cercare di stendere un articolo per il Magazine on-line per cui lavorava, ogni tanto correggeva anche le bozze dei colleghi, non guadagnava molto ma al momento era l'unica occupazione che aveva trovato e che le consentisse di coprire tutte le spese. Quando poteva si prestava Freelance anche per altre piccole testate, arrotondando qua e la a fine mese. Amava scrivere, poteva chiudersi nel suo piccolo mondo a riflettere con tutta la calma di cui aveva bisogno e poi le piaceva lavorare da casa, non essere obbligata ogni giorno a dover avere a che fare con altre persone. Non le pesava quel lavoro, era brava con le parole quando si trattava di scriverle, in più le permetteva di ritagliarsi del tempo per occuparsi del suo recente progetto: la stesura di un racconto. Al momento era ancora ferma all'apertura del foglio di word, aveva scelto solo il titolo e rimaneva ore davanti allo schermo a scrivere pagine che, a fine giornata, cancellava completamente. Ciononostante Felicity non si scoraggiava, prima o poi ce l'avrebbe fatta ed era ogni volta un piacere nuovo iniziare una storia diversa. Avrebbe trovato l'ispirazione, l'aspettava senza ansia godendosi quella sua piccola libertà di reinventare ogni giorno fatti e persone.

 
La Panda nera entrò in città imboccando la strada che portava in centro, superò palazzi e semafori e si diresse verso il ponte per raggiungere la zona abitativa più esterna. Arrivò infine all'altezza di un piccolo parcheggio pieno di macchine.
Speriamo di trovare posto, maledizione!”
Felicity svoltò all'interno e rallentò, scorse infondo un posto libero e accelerò violentemente per non farselo rubare.
Si cazzo!” entusiasta, non le andava di farsela a piedi dall'altro parcheggio.
Tirò su il finestrino, spense lo stereo dell'auto e girò la chiave.
Arrivata.”
Di fianco a dove aveva lasciato la macchina lampeggiava un insegna dall'illuminazione neon fluo che recitava: “The Brake, dal 1980”. Tolse la chiave dal quadro e prese la borsa che aveva lasciato appoggiata sul sedile del passeggero, aprì la portiera e scese dell'auto richiudendola dietro di sé. Schiacciò il pulsante sulla chiave e il doppio lampeggiare delle quattro frecce l'avvisò della messa in sicurezza dell'abitacolo.
Coraggio.”
Si mise la borsa sulla spalla e si incamminò verso l'entrata in legno del Pub, fuori gruppi di ragazzi ridevano e fumavano divertiti scambiandosi battute e confidenze. Arrivata alla porta afferrò la maniglia, ed entrò.

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Capitolo 3
*** Al “The Brake” ***


3. Al “The Brake”
 

Girò il polso e tirò su la manica per controllare l'orologio, un vecchio Casio nero segnava le 19.40. 
E' in ritardo.” pensò, sistemandosi la maglia “Almeno spero, non vorrei che...” prese dalla tasca il cellulare per controllare di non avere chiamate perse o messaggi “Niente, arriverà” concluse, rimettendo via l'apparecchio.
Un ragazzo piuttosto alto, dai capelli corti color ebano, sedeva su una panca ad un grande tavolo in legno insieme ad un piccolo gruppo formato da un paio di amici. Portava dei Jeans scuri e una maglia a manica lunga color nera, lo scollo a giro adornato da tre bottoncini lasciati aperti sul davanti. Non era stata un'ottima idea vestirsi così, quella sera faceva piuttosto caldo e dentro al Pub non era certo meglio. Prese il bicchiere di fronte a se e diede un lungo sorso, una piccola goccia scese dal lato sinistro della bocca lungo tutto il collo. Poggiò il drink sul tavolo e si fermò ad osservare il bicchiere lì vicino. 
Vodka Lemon, il “suo” preferito.” 
Esattamente in quell'istante la campanella sopra la porta d'entrata del Pub risuonò, Marco girò di scatto la testa. 
Eccola!”
Una giovane donna dai lunghi capelli si fermò all'entrata, vestiva un un paio di Jeans stinti e una canotta nera liscia lunga, ai piedi delle vecchie All Stars nere. Un enorme tracolla viola in tela le pesava sulla spalla destra mentre degli orecchini romboidali pendenti, formati da diverse medagliette, scintillavano luminosi sotto ai fasci di luce dei faretti. Si guardava in giro alla ricerca di qualcuno, scrutando in lontananza i tavoli. 
< Ehi Felicity! Siamo qui, vieni. > Marco si alzò in piedi agitando la mano, cercando di richiamare la sua attenzione.
La ragazza gli fece cenno timidamente, arrossendo, ed iniziò ad avanzare nella sua direzione. Amava quel suo modo di essere, delicato e gentile, aveva l'impressione che in ogni luogo si trovasse si sentisse sempre in imbarazzo e questo smuoveva in lui una profonda tenerezza verso di lei. Amava Felicity, amava tutto di quella ragazza da oramai diversi anni, ma non aveva voluto affrettare le cose e quello che era successo due sere prima gli aveva solamente dato conferma, erano amici da troppo tempo per buttare tutto all'aria, uno importante per l'altro. Felicity non era pronta a lasciarsi andare, forse non sarebbe neanche stato giusto provare, doveva aspettare o meglio lasciar perdere e preservare il loro rapporto.
 

Felicity entrò e si fermò sulla porta, le batteva fortissimo il cuore, talmente tanto da sentirlo pulsare nelle orecchie. Cercò di rilassarsi, inutilmente, prendendo a cercare con lo sguardo qualche viso familiare. Il “The Brake” era un vecchio locale della Provincia, ben noto ai ragazzi che da sempre lo frequentavano assiduamente; non era male, si mangiava e beveva bene e mettevano sempre ottima musica. Era completamente arredato in legno, dalle pareti ai pavimenti, dal bancone ai tavoli e l'illuminazione fioca dei faretti donava al locale un atmosfera soffusa. Per quanto le piacesse non ci veniva spesso, soprattutto se si trattava del fine settimana, troppo caotico per i suoi gusti. Il gruppo di amici di Marco si incontrava sempre lì, era il loro punto di ritrovo preferito ed ogni Sabato prenotavano un tavolo per passare la serata. La invitavano spesso ma raramente lei accettava, si sentiva fuori luogo con quei ragazzi, pur conoscendoli da diversi anni non era ancora riuscita ad integrarsi totalmente. Non sapeva mai cosa dire e così quelle poche volte che si univa a loro passava l'intera serata in silenzio, ad ascoltare e sorridere alle loro battute. Non aveva l'impressione di stargli antipatica, anzi, cercavano sempre di renderla partecipe ma lei non riusciva lo stesso a sentirsi a suo agio.
Ad un certo punto da un tavolo infondo, nell'angolo destro della sala, un ragazzo si alzò in piedi e Felicity si sentì chiamare, riconobbe immediatamente la testa e la mano di Marco agitarsi in aria. Una vampata improvvisa le incendiò le guance, voleva sprofondare, non era ancora pronta ad affrontarlo dopo quello che era successo. Ci aveva pensato a lungo durante il tragitto preparandosi eventuali frasi di circostanza; avrebbe provato ad essere naturale, come sempre, se lo era ripromesso più volte in macchina ma tutti i buon propositi si erano malamente andati a far benedire nell'istante esatto in cui lo aveva visto. Gli fece cenno con il capo e si diresse verso il tavolo, ad ogni passo la testa le rimbombava, il cuore le batteva sempre più forte e...
< Ahi, ma che...!? > un ragazzo seduto al bancone venne travolto e buttato di colpo rovinosamente a terra.
< Oh scusami, scusami davvero tanto! > agitata e mortificata.
Felicity era inciampata in una stringa della scarpe che si doveva essere slacciata, cadendo addosso al ragazzo e buttandolo a terra insieme a lei.
< Perdonami, non l'ho fatto apposta. > doppiamente agitata e mortificata.
< E ci mancherebbe pure, dai spostati. > scocciato le diede una leggera spinta.
< Ehi stai calmo, non l'ha fatto apposta hai sentito? E' caduta anche lei. > Marco li aveva raggiunti, cercò di aiutare Felicity a rialzarsi lanciando occhiate di fuoco al ragazzo.
< Si, si va bene. Vedi di stare attenta la prossima volta, non siamo ad una partita di Rugby. > il ragazzo prese lo sgabello da terra e si rimise a sedere al bancone.
< Grazie Marco. > ora ad essere rosse non erano solo le sue guance.
< Figurati, piuttosto tutto bene? >
< Si, credo di si. > accennò un sorriso tirato.
 

Intanto dall'altra parte della sala, in un angolo coperto dalla semi oscurità di un paravento, un uomo seduto ad un tavolo sorseggiava da una bottiglia di vetro della birra. Beveva e li osservava. Aveva seguito la scena sin dall'entrata della ragazza nel locale, era scattato in avanti appena lei era inciampata per poi trattenersi e tornare a sedere. Era troppo presto, doveva aspettare.

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Capitolo 4
*** Due sere prima ***


4. Due sere prima



Il citofono suonò, Felicity corse verso la porta di casa e schiacciando il bottone sul dispositivo rispose all'avviso sonoro.
< Pronta! >
< Grande, ti aspetto qua giù allora. >
Tornò in camera per prendere la borsa, era contenta che Marco le avesse proposto un diversivo quel Giovedì sera, non aveva voglia di cucinare ed anche volendo il frigo era piuttosto vuoto. Sarebbero andati a mangiare al “Tex-Mex” e non vedeva l'ora di addentare le Fajitas, il suo piatto preferito. Marco lo sapeva che non avrebbe mai rinunciato ad un invito di quel genere e ne era contenta, l'astuzia dell'amico le avrebbe procurato finalmente un gustoso pasto caldo, pur cavandosela in cucina negli ultimi tempi non ne aveva avuta molta voglia e si era ridotta a consumare per lo più piatti freddi. Chiuse la porta dell'appartamento e scese per le scale, l'ascensore ci metteva sempre una vita prima di arrivare e quella sera non era minimamente predisposta ad aspettare. Arrivata all'ultimo gradino si trovò nell'androne della scala, aprì il portone e sbucò nel giardino interno del palazzo, Marco l'aspettava in piedi vicino al parcheggio.
< Meno male che ci sei tu con le tue geniali idee! > gridò andandogli incontro.
Arrivata vicino si lasciò cadere fra le sue braccia stringendolo in un lungo abbraccio che venne calorosamente contraccambiato.
< Addirittura!? Non pensavo che un invito a cena potesse essere geniale, finito le scorte in dispensa per caso? Piuttosto che andare al supermercato saresti capace di morire di fame. > la derise amichevolmente, oramai la conosceva bene e quella non sarebbe stata di certo la prima volta che le capitava. Si staccarono dal contatto e si diressero verso la macchina di Marco.
< Ma dai non è vero, quanto sei scemo! Solo non ho avuto tempo in questi giorni di andarci. > Felicity mentì anche a se stessa, in realtà era assolutamente vero che detestava andare nei supermercati, così come detestava andare in qualsiasi altro posto affollato, ma per luoghi come il Tex-Mex era ben felice di fare un eccezione, una prelibata eccezione.
< Ma certo, crediamoci! > le rispose ironicamente facendole l'occhiolino.
Entrarono nell'opel corsa grigia metallizzata dirigendosi poi in strada verso il ristorante.
< Allora che mi racconti? E' dalla scorsa settimana che non ci vediamo. > proseguì Marco.
< Mah tutto bene, le solite cose insomma, avevo delle consegne e fortunatamente sono quasi riuscita a rispettarle tutte, me ne mancano un paio ma è roba da poco. Adesso stavo vedendo se riuscivo a trovare qualche lavoretto extra, per il resto nulla di che. >
< Buono dai, anche questo mese ti sei portata la pagnotta a casa... se solo ti decidessi ad uscire per andarla a comprare. > la punzecchiò nuovamente.
Chiacchierarono lungo tutto il tragitto con Marco che non le risparmiava nemmeno una battuta, Felicity non se la prendeva, da anni era diventata la normalità fra loro e lo trovava divertente. Oggi toccava a lei, domani toccava a lui. Erano complici in questo gioco, un modo per fuggire dalle preoccupazioni o più semplicemente dai pensieri della vita quotidiana.
Arrivarono al ristorante verso le 20.30 e dopo una breve attesa un cameriere li fece accomodare ad un tavolo per due posizionato in un angolo del locale piuttosto appartato, Felicity ne fu contenta.
< Meno male dai, ci è andata bene, almeno non siamo in mezzo alla calca. >
Sapevo che ti avrebbe fatto piacere” Marco aveva richiesto appositamente un tavolo in una zona riservata, ma le lasciò credere che il caso avesse giocato in loro favore
< Visto? Abbiamo troppo culo! >.
< Dunque... come mai questo invito? > gli chiese.
< Dai, non ci credo che non te ne sei ricordata! >
Le sembrava stupito, eppure non le veniva in mente nessun motivo particolare che giustificasse la cena. Certo, non era poi così raro che uscissero soli, infatti non si era sorpresa quando Marco l'aveva chiamata per proporle il Tex-Mex, ma il più delle volte restavano a casa e a meno che non ci fosse qualche ragione particolare non andavano mai al Ristorante.
< Che giorno è domani? > la incalzò il ragazzo.
< Mah.. è Venerdì. >
< Si, va bene. Ma dico... che numero e che mese? >
Ci mise qualche minuto a connettere, quando finalmente si rese conto a cosa stesse alludendo si sentì stringere il cuore in petto, era il 21 Luglio, presa com'era dalle consegne non ci aveva fatto caso. Lui si accorse dell'ombra apparsa negli occhi di lei ma cercò di non darle peso, ignorò delicatamente quella reazione e senza aspettare una risposta continuò.
< E' il 21 Luglio ed esattamente quattordici anni fa ci siamo conosciuti, pensavo fosse carino uscire a festeggiare. Insomma, quel giorno ha reso possibile la nostra amicizia. > cercò ti mantenere un tono positivo.
Sapeva che non sarebbe stato semplice, aveva preferito essere lui a ricordarglielo prima che lo facesse lei da sola, aveva pensato che portarla un po' fuori le avrebbe facilitato la cosa e così aveva deciso di prendere quella scusa per invitarla a cena e non lasciarla sola. Il 21 Luglio di quattordici anni prima Felicity era arrivata all'Arcobaleno, da poco più di un anno aveva perso la madre e lottava disperatamente contro i propri fantasmi. Arrivare nella casa famiglia fu un nuovo punto di partenza per lei, inizialmente molto doloroso, il principio di un percorso che la portò con molte difficoltà a superare in parte quello che le era successo. Il padre condannato per la morte della madre e rinchiuso in carcere, il rifiuto dei nonni materni di prenderla con loro, da una parte la perdita e dall'altra l'abbandono. Avrebbe potuto fare finta di niente e sperare che non se ne ricordasse, ma gli anni precedenti gli avevano insegnato che era una vana speranza, Felicity se ne sarebbe prima o poi ricordata e benché facesse sempre finta di niente, per diversi giorni diventava cupa e melanconica. Questa volta avrebbe provato a giocare d'anticipo per evitare che perdesse il sorriso, per quanto potesse sembrare crudele voleva essere lui a dargli a suo modo la notizia, cercando di mostrarle anche il buono di ciò che aveva comportato arrivare nella Casa Famiglia.
< Ah già, è vero.. > accennò un sorriso tirato.
In quel momento il cameriere portò i Menù al tavolo, colsero entrambi l'occasione per distogliere lo sguardo l'uno dall'altro.
< Immagino che tu prenda i Fajitas. > suggerì Marco.
< Mmh buoni, direi proprio di si. >
L'idea di addentare quelle bontà aiutò l'umore di Felicity a risollevarsi, Marco era stato così carino ad invitarla fuori, si sarebbe sforzata di lasciare i brutti ricordi nel passato * Per sta sera solo cose belle * cercò di convincersi.
< Tu cosa prendi invece? >
< Non saprei, magari le prendo anche io. >
Ordinarono due piatti di Fajitas, una bottiglietta d'acqua minerale e una birra.

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Capitolo 5
*** Il Bacio ***


5. Il Bacio

 

La serata passò velocemente, arrivate le porzioni di Fajitas non ci fu più molto tempo per parlare, Felicity si butto a capofitto sul piatto e Marco la guardò mangiare addentando di tanto in tanto una delle sue. Quella sera era proprio bella, si era raccolta i capelli in una crocchia morbida e i riccioli più corti le ricadevano leggeri sul viso, indossava un pantalone da tuta nero aderente stretto alle caviglie e un top fasciante senza spalline grigio lungo sui fianchi, ai piedi le solite All Star nere. Semplice, perfetta, le piaceva soprattutto così, quando sembrava non aver perso troppo tempo a cercare vestiti nel guardaroba. Quando uscivano o rimanevano insieme soli lei sembrava sentirsi a suo agio e non badava troppo ai convenevoli, se per altri poteva essere una mancanza, per lui era un bellissimo segno di quella intima confidenza che erano riusciti a raggiungere negli anni. Era complicato starle accanto nascondendo il sentimento che da tempo provava per lei, le voleva un bene profondo e sentiva di non poterla perdere e poi non voleva ferirla, sapeva che oramai era diventato per lei un punto fermo, forse l'unico nella sua vita. Per quanto fosse difficile ammetterlo a se stesso, la cosa valeva anche per lui. Il rischio di rovinare tutto non lo voleva nemmeno prendere in considerazione, ma era sempre più difficile reprimere ciò che provava anche se nascondere i propri sentimenti era ciò che da sempre gli riusciva meglio. Ricordava talmente bene quando tutto era cambiato, il giorno preciso, l'istante esatto in cui guardandola non vide più semplicemente un'amica, la piccola Felicity per cui aveva provato istinto fraterno, ma la donna che voleva al suo fianco per tutta la vita. Non amava ripercorrere quel pensiero, rendeva tutto ancora più fottutamente difficile, ma era un ricordo che tornava spesso a dargli il tormento.
< Mamma mia, troppo buone ! > Felicity aveva finito di mangiare e si ripuliva la bocca col tovagliolo. Era rimasta silenziosa dopo l'ultimo scambio di parole, Marco non riusciva a capire se fosse turbata o meno, dopo un esitazione iniziale ora le sembrava stranamente tranquilla. Continuò dunque a comportarsi normalmente.
< Alla faccia avevi proprio fame, eh?! >
< Eh.. direi proprio di si. Te invece non sembri molto affamato, sono ancora tutte nel piatto. >
Marco guardò il proprio piatto e si accorse che effettivamente non aveva mangiato poi molto, si era perso nei propri pensieri mentre la osservava.
< Uh.. no beh sono buonissime è che.. > non sapeva cosa dire.
< Me ne dai una? > innocente.
< Cosa?! > meravigliato.
< Si dai, dammene una. Tanto tu non sembri avere fame. >
Marco scoppiò in una risata fragorosa e mentre ancora sorrideva le disse < Sei impossibile Felicity, davvero! Prendine una, tieni > cercò di passarle una Fajitas prendendola con le posate < domani vado io a farti la spesa, se no la prossima volta mi mangi anche le gambe del tavolo. >
La ragazza arrossì < Grazie >
Finita la cena divisero come di consueto il conto a metà e lasciarono il locale, decisero di tornare in macchina verso casa di lei. Per tutto il viaggio Felicity rimase in silenzio rivolta verso il finestrino, lasciava scorrere il paesaggio urbano sotto ai propri occhi mentre nella testa ripercorreva fatti e persone del passato. Aveva fatto finta di niente fino a quel momento, cercando di reprimere tutto in un angolo remoto della sua mente, era felice di tutte le cose belle che l'Arcobaleno le aveva donato ma quelle non riuscivano a cancellare il resto. Marco era stato gentile a voler festeggiare, ma lei non era come lui, non riusciva a sorridere alla vita nonostante tutto. Ogni anno era sempre la stessa storia, le immagini della sua adolescenza le passavano davanti come in un film, ed ogni volta era come ricevere una pugnalata al petto.

Furono circa le 22.00 quando arrivarono, Marco entrò nel parcheggio interno del palazzo e si infilò nel primo posteggio vuoto, finita la manovra spense la macchina.
< Marco... > non riusciva più a trattenere dentro tutto quel peso.
< Dimmi. > il silenzio di lei lo aveva già insospettito.
< ..io.. > silenzio.
< Tutto bene Feli? > era preoccupato, ma almeno lui era lì, questa volta c'era, non l'avrebbe lasciata sola a combattere col suo passato.
< Ss.. > avrebbe tanto voluto dirgli di si, essere forte e dimostrargli che anche lei era cresciuta, ma l'unica cosa che riuscì a fare fu scoppiare a piangere, pervasa da convulsi singhiozzi.
< Ehi.. vieni qui, dai. > staccò le due cinture di sicurezza e prendendola fra le braccia la tirò a se < non piangere, ci sono qua io adesso > prese ad accarezzarle il capo, teneramente.
Stretta al petto di lui si lasciò andare, come un fiume in piena che travolge le sponde iniziò a tirare fuori tutto quello che aveva dentro.
< ..perché.. > singhiozzò < ..perché non riesco a dimenticare? Perché mi sento in colpa? > silenzio < Mi spiace così tanto Marco, volevi fare una cosa carina e io sto rovinando tutto.. ma.. ma io non ce la faccio più a far finta di niente. Odio mio padre, i miei nonni..eppure mi mancano da morire > era come se non riuscisse a respirare, la gola sempre più chiusa < Ogni mattina il viso di mia madre mi appare sempre più sfocato, ricordo solo le urla, le botte.. il sangue.. le loro spalle di fronte a me ed io non capivo, non potevo, non volevo. Cosa può capirne una bambina? Io.. io rivolevo solamente indietro mia madre, la mia famiglia. Cosa ho fatto per meritarmi di sentirmi rifiutare? Io non ho ucciso nessuno, non ho fatto niente, eppure non mi hanno voluta, loro mi detestavano glielo leggevo negli occhi. Non sono riuscita a portare la pace tra i miei.. nemmeno una figlia li ha aiutati ad amarsi. Perché non si amavano? Perché non amavano me, Marco? Perché mi hanno lasciato sola? Chi potrà mai amarmi adesso? >
Era straziante ascoltare tutto quel dolore e non poter far niente, si sentiva così impotente di fronte a ciò che era accaduto all'amica, le parole gli uscirono di bocca senza che potesse fare nulla per fermarle, fu una frazione di secondo, nemmeno il tempo di pensare..
< Ti amerò io Felicity > seguì il gelo, entrambi immobili.
Marco rimase sospeso nell'attimo con gli occhi spalancati, che cosa glie era saltato in mente? Perché aveva detto quella frase? Il tempo sembrò fermarsi per poi riprendere a rallentatore, il respiro diventò pesante, il cuore iniziò a battergli violentemente ...bum..bum bum..
Sentì le braccia diventargli molli, non poteva crederci di averlo detto, ed ora cosa sarebbe successo? Per la prima volta, dopo tanti anni, non sapeva come gestire le sue emozioni, era totalmente spiazzato da se stesso. Felicity rimase interdetta, cosa intendeva Marco con quel “ti amerò io” ? Sentirlo l'aveva fatta sussultare, alzò il capo raddrizzando il busto e lo guardò negli occhi, non disse nulla. Dopo minuti che sembrarono ore chiuse gli occhi per pensare, lo sguardo di lui era così penetrante da mandarla fuori di testa, fu in quell'istante che sentì le labbra di Marco avvicinarsi alle sue, non trovo le forze e la volontà per rifiutare, si abbandonò totalmente a lui. Il corpo le fu invaso da un calore violento, iniziò a sentirsi intorpidita, cosa stava succedendo? Perché si sentiva così? Marco.. Marco era un amico, era il “suo” amico, l'unico ad essere per lei la cosa più vicina ad una famiglia..
..cosa stiamo facendo? No..No..NO!“
Felicity raccolse le forze rimastele in corpo, lo spinse indietro con le braccia, lo fissò per qualche istante dritto negli occhi.
Perché? “
Non sapeva darsi una risposta a quella domanda, la mano le si mosse da sola infrangendosi violentemente sulla guancia di Marco. Se ne pentì immediatamente.
< Scusami.. io.. non volevo scusami. > era mortificata, era successo tutto così in fretta che nemmeno se ne era resa conto, non avrebbe mai voluto dargli quello schiaffo. Lui sembrava non reagire, non si muoveva, non parlava, le sembrava di impazzire. Non avrebbe dovuto baciarla, allora perché desiderava tanto tornare indietro?
Marco apparve tornare in sé, gli si distese leggermente il volto e infine finalmente le parlò.
< No, scusami tu. Volevo solo starti vicino, consolarti ma.. ho fatto un casino. Lascia stare sono un cretino. >
< Ma.. > non poteva essere solo così.
< Veramente, adesso è meglio che vada. Domani mattina inizio a lavorare presto, quel bastardo del capo non perde occasione per fare lo stronzo e farci sgobbare con turni improponibili. > sospirò sorridendole, un sorriso assai poco convincente.
Marco, cerca di riprendere il controllo.. Cazzo! “
Felicity non disse nulla, aprì la portiera e scese richiudendola dietro di sé, lo guardò rimettere in moto nervosamente la macchina per poi muoversi e sparire oltre la cancellata. Rimase in piedi nel parcheggio per diversi minuti. Ma che diavolo era successo?

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Capitolo 6
*** Ricordi ***


6. Ricordi

 

Già. Ma che diavolo era successo?
Marco guidava completamente assente, percorreva strade ed incroci senza porvi la minima attenzione, quello che era accaduto l'aveva totalmente mandato in tilt. Non riusciva a capire cosa gli fosse preso, aveva perso il controllo e si era lasciato andare, per la prima volta aveva agito d'impulso senza pensare, senza imporsi razionalmente mille barriere. Non era da lui. No.
Merda..merda..merda! “ preso dalla rabbia iniziò a sbattere forte le mani contro il volante.
Oramai era andata così, non si poteva tornare indietro. Dentro di lui cresceva la consapevolezza che da quel momento in poi le cose difficilmente sarebbero potute tornare come prima, qualcosa si era inevitabilmente incrinato tra di loro, glielo aveva letto negli occhi. Poteva fare finta di nulla e comportarsi come sempre, inventarsi altre mille giustificazioni e sperare che lei non desse troppo peso a quello che era successo quella sera, a quel bacio, a quel “ ti amerò io”.
Palle! Come puoi non dare peso ad una cosa del genere? Quanto sono stato cretino dannazione!”
Va bene, aveva solamente due alternative, o farsi definitivamente avanti e giocarsi il tutto e per tutto rischiando di perdere l'unica persona che in tutti quegli anni lo aveva fatto sentire realmente bene, l'unica persona che sentiva di avere mai amato ma soprattutto l'unica che lo aveva fatto sentire amato in tutta la sua vita, oppure tornare sui suoi passi e fare finta di nulla, sperare che Felicity fosse disposta a seguirlo e a lasciar perdere, sacrificare le proprie emozioni pur di non perderla, in caso avrebbe deciso poi se mettere definitivamente una pietra sopra ai propri sentimenti... oppure no!
E se invece anche Felicity provava qualcosa per lui al di là dell'amicizia? Perché non prendeva mai in considerazione questa possibilità? Marco aveva imparato ben presto a non aspettarsi nulla dalla vita, era una protezione, non poteva rimanere ferito se non aveva aspettative. Lasciava che le cose andassero come dovevano andare, lo accettava, andava bene così, era più facile lasciarsi trascinare dalla corrente e seguire il corso degli eventi piuttosto che andarvici contro o lamentarvisi. Non che non ci stesse lo stesso male ma cercava di razionalizzare ogni cosa, ogni sentimento, se tutto era sotto controllo nulla poteva disorientarlo. Poteva sembrare un atteggiamento freddo e passivo ma in realtà era semplicemente il suo modo per sopravvivere, per non soffrire, la sua forza contro le sue debolezze, si era costruito il suo presente senza aspettarsi niente in cambio e così era riuscito a non annaspare nel dolore, nelle mancanze, nei ricordi. Felicity una volta glielo aveva chiesto come facesse ad essere sempre così sereno, senza pensieri, sempre col sorriso sulle labbra. La realtà era che sereno infondo non lo era mai stato, ma lasciarsi andare alle cattive emozioni non aveva senso se non quello di farlo stare ancora peggio e non gli sembrava di certo la cosa migliore da fare. Di cose negative ne aveva vissute fin troppe, aveva deciso di dare importanza solo alle positive, al resto non permetteva di toccarlo... almeno in apparenza.

Arrivato a casa si accasciò sul letto, non si svestì nemmeno, rimase immobile a guardare il soffitto per minuti interminabili.
Tic..tac..tic..tac.. la sveglia sul comodino scandiva instancabilmente i secondi, la sentiva rimbombare nelle orecchie, quella notte sarebbe stato difficile addormentarsi. La testa piena di pensieri, parole, attimi. Ricordava quel momento come fosse ieri...

< E' carina! >
< Cosa? >
< Si dai, Felicity dico, è carina. Mi piace. >
Stefano e Marco erano seduti sul divano di fronte ad un monitor 24 pollici, le dita di entrambi schiacciavano freneticamente i tasti dei joypad nel tentativo di gestire un combattimento splatter tra soldati ed alieni. Alessio ed Andrea aspettavano il loro turno seduti al tavolo, nell'attesa si erano messi a trafficare con il portatile di Alessio nel tentativo di ripristinare la patch di un programma.
< E da dove ti è uscita questa adesso!? > Marco distolse per un attimo lo sguardo dallo schermo per guardare stupito Stefano.
< Mah, da nessuna parte, l'ho sempre trovata una bella ragazza. Perché tu no? Aha, attento! Ti sei fatto ammazzare. >
Il personaggio di Marco era stato centrato e decapitato da un tentacolo gigantesco di un altrettanto gigante alieno a tre teste.
< Porca miseria, te e le tue stronzate, adesso devo aspettare che arrivi ad una base per rientrare. > ripose l'attenzione sul gioco per poi alzare lo sguardo in direzione delle ragazze.
< Non sono stronzate! > contestò nel frattempo Stefano.
Dall'altra parte della sala una porta aperta dava sulla cucina, Felicity stava aiutando Serena a pulire i piatti. Chiaccheravano o meglio, Serena parlava animatamente mentre Felicity timidamente ascoltava annuendo. Marco non poté fare a meno di sorridere, erano una strana coppia insieme quelle due, diverse come il giorno e la notte. Tornò poi a guardare il televisore < Si beh, non si può dire certo che sia brutta, quello no. >
< Base! Dai riparti.. > Stefano avvisò l'amico che riprese a giocare < ..brutta per nulla. All'inizio non riuscivo bene ad inquadrarla, era sempre sulle sue, ma adesso che partecipa un po' di più alle uscite del gruppo devo dire che non mi dispiace. >
< E sentiamo, cos'è che ti piace di lei? > Marco iniziava a sentirsi infastidito da quella conversazione.
< Inanzi tutto ha un bel fisico, proporzionato, formoso, ha tutto al posto giusto e non dirmi che non l'hai notato se no inizio a pensare che hai qualche problema all'uccello > sorrise sarcastico < e poi ha una bella testa, il ché non guasta mai. Hai letto i suoi articoli? >
< Si, certo. > ora era molto infastidito.
< Beh allora concorderai con me, poi tu la conosci anche da molto più tempo quindi. Salta, dannazione! Salta! > questa volta fu Stefano col suo personaggio a dover fronteggiare un tentacolo gigante < Fiù, per un pelo! Dicevo.. scrive delle cose interessanti e per quel poco che ci ho parlato mi incuriosisce parecchio. Vorrei chiederle di uscire da soli. >
Ok, ora Marco era dannatamente infastidito < Uscire? > si rivolse perplesso all'amico.
< Dai Marco, svegliati, va bene che per te è come una sorella, ma sembra quasi che ti stupisca che a qualcuno possa interessare in altra maniera. Destra! Destra! Gira a destra! > il gioco si faceva sempre più concitato.
< Giro giro, ma tu coprimi le spalle se no mi ammazzano di nuovo.> lasciò cadere il resto del discorso, non sapeva cosa dire, effettivamente non aveva mai visto Felicity da quel punto di vista, non l'aveva mai considerato e non perché non la trovasse bella, semplicemente perché... era Felicity.
< Beh io comunque la trovo attraente. Io ci provo! > aggiunse Stefano.
Il discorso si chiuse così, in quel momento le ragazze raggiunsero i ragazzi nel salone, avevano finito di sistemare le stoviglie.

A ripensarci non ce l'aveva mai avuta con Stefano per quella faccenda, lo conosceva bene, era suo amico ed era un bravo ragazzo. Eppure quello che gli aveva detto aveva mosso dentro di lui qualcosa. Quando quella sera se ne andarono tutti Felicity fu l'unica come sempre a trattenersi ancora un po'. Era stanca e non aveva voglia di prendere la macchina per tornare a casa, chiese se poteva dormire lì quella notte come aveva fatto già tante altre volte. Non ci fu motivo di rifiutare...

< Ma certo che problema c'è!? Ti vado a prendere una mia maglia larga così ti cambi e dormi più comoda. > in realtà quella sera un problema c'era, non riusciva a guardarla senza ripensare a quanto gli aveva detto l'amico. Questo complicava un po' le cose.
< Grazie Marco > Felicity sbadigliò lanciandosi sul divano in preda alla stanchezza.
Quando tornò in sala si era già appisolata, rimase a fissarla qualche secondo in piedi con la maglia in mano. Si, era decisamente bella. Si avvicinò lentamente per poi chinarsi e sussurrarle affettuosamente < Ehi Feli, vieni andiamo di là a dormire, dai. >
< Portami tu, sono stanca. > mugugno nel dormiveglia.
Erano abituati a dormire nello stesso letto insieme, non ci avevano visto mai nulla di male, e di male non c'era mai stato di fatto nulla. Erano come fratelli.
< Mi aiuti? Non ho la forza. > alzò le braccia sedendosi sul bordo del letto suggerendo all'amico di levargli la t-shirt.
Nulla di male. Mai. Non c'era mai stato nulla di male” continuava a ripeterselo, non c'era mai stato bisogno di metterlo in chiaro ma le parole di Stefano gli rimbombavano prepotentemente nella testa.
< Dai, vieni qui > le sfilò il capo aiutandola poi ad indossare la sua maglia.
E' vero, aveva un bel corpo, era attraente.”
< Mi togli anche le scarpe? >
< E poi? > la canzonò cercando di smorzare la tensione.
Nulla di male. Mai. Non c'era mai stato nulla di male.”
Felicity mugugno qualcosa di indecifrabile, si tolse distrattamente le scarpe e i jeans e si rigirò nel letto per dormire.
Prima di raggiungerla Marco andò in bagno a prepararsi per la notte: si lavò i denti, si sciacquò la faccia, si tolse i vestiti per mettersi più comodo come aveva fatto l'amica; era solito dormire in boxer ma quando c'era lei indossava sempre una maglia e un pantaloncino per rispetto. Tornato nella stanza da letto si sdraiò su lato sinistro rimasto libero, Felicity dormiva ora profondamente. Era girata sul fianco verso di lui, nel semi buio poteva vederla respirare, lentamente. Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso.
Si, Stefano aveva ragione, aveva proprio una bella testa, era una persona interessante, intelligente. Con i suoi difetti per carità, nessuno è perfetto, ma di lei apprezzava anche quelli perché la rendevano ancora più autentica. Sapeva cosa aveva dovuto passare e non le rimproverava nulla, ogni suo lato aveva dietro un perché, a volte anche doloroso, e lui lo sapeva.
Bel fisico, proporzionato, formoso..se non l'hai notato inizio a pensare che hai qualche problema all'uccello.”
Le gambe le erano rimasta scoperte, la pelle liscia illuminata da una flebile luce proveniente dal lampione fuori dalla finestra. Aveva un paio di lividi sulla coscia sinistra, chissà come se li era fatti, provò l'istinto di sfiorarla in quei punti ma si fermò a pochi cm da lei. L'accarezzò col pensiero, più e più volte e no, decisamente “li sotto” tutto gli funzionava correttamente. Si girò dall'altro lato cercando di farsi uscire dalla testa tutti quei pensieri.
Stefano ti strangolo, dannazione! Te e le tue uscite del cazzo!”

Cambiò tutto da quel momento: come lui vedeva lei, ciò che provava. Forse era sempre stato così ma non si era mai fermato a pensarci seriamente, forse aveva dato per scontato troppe cose e nel momento in cui Stefano gli aveva mostrato una Felicity diversa da quella a cui era abituato si era trovato spiazzato perché infondo, quello che gli aveva detto, si era ritrovato a pensarlo anche lui.
L'amico poi ci aveva veramente provato rimediando solamente un educato due di picche, non ci rimase troppo male < Eh vabbé, peccato! Spero solo che adesso non si senta troppo in imbarazzo ad uscire con noi. > e Marco si era ritrovato a fare un sospiro di sollievo.
Un poco di imbarazzo lo aveva effettivamente provato Felicity le volte dopo, glielo aveva confidato al telefono, ma Stefano era stato così in gamba da non farle pesare niente, si comportò da galantuomo e la trattò bene come sempre aveva fatto e in poco tempo nessuno dei due diede più peso alla cosa. Di tutto quello che era successo, l'unico ad esserci rimasto “sotto”, era stato lui.
Si addormentò così quella notte, tra un ricordo e l'altro.

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Capitolo 7
*** Mano nella mano ***


7. Mano nella mano
 

Tutto il locale si era girato a guardare, voleva sprofondare.
< Ecco, tieni la borsa. Vieni andiamo al tavolo. > Marco l'aiutò a ricomporsi e la portò con se verso il tavolo dove Stefano, Serena, Andrea ed Alessio li stavano aspettando.
< Tutto bene Felicity? > Stefano glielo domandò appena si fecero più vicini.
< Si grazie, tutto ok. Non è successo niente. > magari non fosse successo niente, non bastava il sentirsi in imbarazzo per Marco, c'era voluta anche quella figuraccia a metterla ancora più in agitazione.
< Che stronzo quel tipo! Certa gente l'educazione la lascia a casa sotto al cuscino insieme al cervello il mattino. > Serena non mancò di far sapere la sua < Se rispondeva così a me gli tiravo un pugno sul muso, quel cretino! >
< Cos'è che facevi? > Alessio era scoppiato a ridere.
< Gli tiravo un pugno, hai capito bene. Cosa c'hai da ridere? Guarda che te lo tiro anche a te se non la smetti. > replicò indispettita.
Felicity colse al volo il bisticcio dei due per distogliere l'attenzione da se, si sedette vicino a Marco visto che era l'unico posto disponibile e si fece piccola piccola. Prese a scorrere il Menù del locale alla ricerca di qualcosa da ordinare, in realtà non aveva voglia di niente ma sperava che il fingersi occupata le evitasse altre domande. Con la coda dell'occhio vide Marco porgerle un bicchiere di Vodka Lemon, alzò leggermente lo sguardo incrociando il suo.
< L'ho preso per te, ho pensato ti facesse piacere trovare già qualcosa da bere al tavolo. >
Accettò il drink ringraziandolo con un leggero sorriso, tornò poi a scrutare la lista senza parlare. Decise di prendere gli Onion Rings visto che le piacevano tanto, segnò una porzione sul blocchetto numerato e ripose il menù al centro del tavolo.
< Se hai ordinato porto il foglio al bancone. > Stefano si propose dal posto di fronte a lei.
< Se non ti è di disturbo > rispose.
< Ma no figurati, mi sono offerto io. > le fece cenno con le dita sul capo e si alzò per andare a portare l'ordinazione al cameriere.
Anche dopo che aveva rifiutato il suo invito ad uscire, Stefano aveva continuato a comportarsi gentilmente con lei. All'inizio le aveva fatto un po' strano ricevere quell'attenzione da parte di un amico di Marco, declinò più per timore che per vera mancanza di interesse, ma poi non ci aveva più pensato e la cosa era finita li. Stefano era un bel ragazzo, non le dispiaceva affatto, ma sentiva che al di là di quello non poteva esserci niente.
Il ragazzo tornò qualche secondo dopo e riprese posto di fronte a lei < Fatto! Tra un po' te li portano. >
< Grazie > lentamente sentì l'ansia scivolare via, era seduta al solito tavolo, con i soliti amici, nel solito locale. Tutto iniziava a prendere la solita piega e questo la faceva sentire più tranquilla. I ragazzi parlavano e lei li ascoltava da dietro il suo bicchiere da cui sorseggiava di tanto in tanto. Durante la serata si trovò più volte a scrutare Marco di nascosto, distoglieva lo sguardo ogni volta che si girava dalla sua parte. Il suo atteggiamento le sembrava normale, iniziò seriamente a domandarsi se non si fosse fatta inutilmente delle paranoie per quanto successo qualche sera prima. Più lo guardava però, più non poteva smettere di pensare a quel bacio, le era piaciuto, decisamente. Era stato pieno di tutte quelle premure e quell'affetto che da sempre lui le mostrava, era stato così intenso seppur breve, così pieno di loro. Provò l'irrefrenabile voglia di riceverne un altro e dovette mandare giù un bel sorso di vodka per smettere di pensarci. Quando arrivarono gli Onion Rings li dividette con gli altri, ne offrì uno anche a Marco e sussultò quando passandogli il piatto sfiorò involontariamente la sua mano, lui sembrò non accorgersi di niente. Chiacchierò poi un po' con Serena, in realtà fu più Serena a parlare che lei, voleva convincerla a tutti i costi ad andare a vedere un film al cinema, uno di quei film assolutamente smielati che non incontravano minimamente i suoi gusti. Cercò di non essere sgarbata e prese come scusa le consegne del lavoro per rifiutare.
< Lavoro.. lavoro.. lavoro. Guarda che devi pensare anche a divertiti. Stai sempre a scrivere su quel Pc ma la vita è qua fuori. > la rimproverò come già altre volte aveva fatto < Ah ma prima o poi riuscirò a convincerti a venire fuori con me. Ah se ci riuscirò, si si. > quello che disse dopo non lo sentì nemmeno, Serena partì con le sue solite disquisizioni sull'importanza della vita sociale. Bla bla bla. Felicity gliele aveva sentire dire un milione di volte quelle cose, fece finta di ascoltare assorta nei suoi pensieri intanto che finiva di mangiare gli anelli di cipolla che le erano rimasti. Non era antipatica quella ragazza, ma quando attaccava bottone non la finiva più. Fu Alessio a salvarla da quella situazione.
< E dai basta Sere, lasciala in pace. Sei una chiavica! >
< Cosa sono io? > Serena strabuzzò gli occhi, inutile dire che ripresero a litigare.

L'uomo continuava a guardarli, da quella posizione non riusciva a vederla bene, si era seduta dalla parte del tavolo che rimaneva nascosta dal bancone. Non aveva apprezzato il mondo in cui quel ragazzo le si era rivolto prima, era stato sgarbato e qualcuno avrebbe dovuto farglielo notare con maniere più forti di quelle usate dallo spilungone. Prese ad accarezzarsi le nocche per poi prendere in mano la birra e mandare giù un altro sorso. Non era il momento di fare cazzate, non nella sua posizione, e poi lo preoccupava di più quell'altro. Non gli piaceva affatto la confidenza che aveva con lei.

La serata proseguì senza ulteriori intoppi, il gruppo decise di spostarsi in centro per fare un po' di movida. Si divisero in due macchine: sulla Nissan di Andrea salirono Serena e Stefano, mentre sulla Opel di Marco presero posto Alessio e Felicity. Fu un sollievo avere un po' di pace dalla parlantina di Serena.
< Quella ragazza ha bisogno di un modo per sfogarsi, ma l'avete sentita? Non sta zitta un secondo porca miseria! > Alessio esausto esortava i due amici a dargli ragione.
< Perché non glielo offri tu l'antistress Alessio? > Marco gli suggerì maliziosamente una “soluzione”. Felicity non poté fare a meno di trovarlo divertente.
< Che scherzi? Sarebbe capace di parlare pure mentre facciamo sesso! >
Scoppiarono tutti e tre a ridere e continuarono a prenderla in giro finché non raggiunsero il parcheggio appena fuori dal centro.
Non c'era uscita a cui aveva partecipato Felicity in cui Alessio e Serena non avessero bisticciato, secondo lei si piacevano e anche tanto e quello era il loro modo per stuzzicarsi. Marco la pensava esattamente come lei e non perdeva occasione per molestare l'amico con le sue solite insinuazioni. Povero Alessio, non aveva scampo. Da una parte Serena che non gliene lasciava passare nemmeno una e dall'altra Marco che buttava legna da ardere sul fuoco. Era estremamente divertente vederla dal di fuori però.

Erano talmente presi a scherzare tra di loro che nessuno si accorse che l'uomo li aveva seguiti a bordo di una vecchia macchina sbiadita color verde bottiglia. Era uscito qualche istante dopo di loro dal locale, aveva aspettato di vedere in che direzione andassero e poi si era messo in moto dietro le loro macchine. Li aveva raggiunti al parcheggio e si era mantenuto a distanza spegnendo le luci.

Il gruppo di amici prese a camminare per i viali unendosi al flusso di giovani che animavano il centro. Felicity rimase volontariamente indietro, non si sentiva a suo agio in mezzo a tutta quella gente, cercò di mettersi in disparte seguendo lentamente gli altri. Marco era qualche metro più avanti, rideva e scherzava con Stefano, rimase a guardarlo mentre procedevano sulla strada ciottolata della via principale. Perché le aveva detto quelle parole? Voleva veramente solo consolarla o c'era qualcosa di più? Ma perché poi avrebbe voluto volere qualcosa di più da lei? Si conoscevano da tempo, erano cresciuti parte della loro vita insieme, lui sapeva tutto di lei. Perché adesso e non prima? No, certamente Marco aveva solo voluto consolarla, aveva preso le parole utilizzate da lei per cercare di dirle una cosa carina. Era stato con delle belle ragazze, non poteva minimamente paragonarsi a loro, come sarebbe potuta piacergli? Lui era un ragazzo allegro, spigliato, sempre pronto a stare in compagnia e a dare il meglio, lei invece era tutto il contrario. Marco l'aveva vista nelle situazioni peggiori e con il peggio di lei, lui, ci aveva avuto spesso a che fare, pensare anche solo che potesse provare un certo interesse per una persona come lei le sembrava assurdo. No, non era possibile. Non credeva minimamente in sé stessa ed era convinta di non avere nulla di buono da poter offrire a nessuno, tanto meno a Marco. E allora perché? Perché quelle parole, quel bacio? Iniziò a venirgli un forte mal di testa. Ok, forse aveva frainteso tutto, era ovvio che fosse così, almeno le pareva. Ma ora lei? Lei cosa provava? Perché non poteva smettere di pensarci? Se non si fosse tirata indietro quella sera cosa sarebbe successo? Marco le piaceva? Provava solo bene fraterno per lui o c'era qualcosa di più?
Felicity fece un grosso respiro. Almeno sembra non avercela con lei per quello schiaffo.
Scese con lo sguardo sulla mano sinistra di Marco, ciondolava libera vicino al suo fianco. Aveva voglia di sentirlo vicino, di stringerla, sentire che lui era lì, come sempre, che nulla sarebbe cambiato. Aveva bisogno di lui, della sua presenza, di sapere che non l'avrebbe mai abbandonata e che almeno di lui poteva continuare a fidarsi. Marco era l'unico di cui si fidava, l'unico in grado di tirare fuori il meglio di lei, l'unico a cui avrebbe mai permesso di entrare nel suo cuore.
Si sentì avvampare, la testa le scoppiava. Aveva bisogno di farlo, adesso! Non si rese conto di quello che stava per fare, non capì nemmeno dove trovò il coraggio. Incominciò ad aumentare l'andatura, passo dopo passo si avvicinò sempre di più a Marco. Lasciò cadere la mano destra dalla presa della borsa. Le gola le si seccò, deglutì. Cosa stava facendo? Arrivata dietro di lui restò per qualche metro al suo fianco, sentiva il respiro diventargli pesante, il sangue pulsargli nelle vene. Raccolse tutte le forze che aveva in corpo lottando contro i propri blocchi, d'improvviso si fece avanti, gli prese la mano, la strinse forte. Marco si girò di scatto, aveva l'espressione di chi non capiva cosa stesse succedendo, si guardò intorno e poi la fissò perplesso per qualche istante. Felicity rimase immobile a guardare la strada di fronte a sé. Sentì solo ricambiare la presa, stringere altrettanto forte la sua mano.

In quel momento l'uomo fece scattare d'impulso la lama del coltellino che teneva nella tasca del giacchino. Non gli piaceva affatto ciò che stava vedendo.

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Capitolo 8
*** A riveder le Stelle ***


8. A riveder le Stelle
 

La volante si fece strada tra la folla che occupava la zona pedonale, non era insolito vederne passare il Sabato sera, pattugliavano il centro assicurandosi che la quiete pubblica non venisse disturbata oltre il limite consentito. Appena l'uomo la vide arrivare fece riscattare la lama dentro il serramanico, aveva già tentato la fortuna troppe volte quella sera, non era il caso di rischiare ulteriormente. Decise di tornare verso la macchina, avrebbe aspettato lì il loro ritorno.

Il gruppo di amici si spostò verso il lato destro della strada per far passare la macchina della polizia. Felicity ebbe un tremito nel vederla, le riportò alla mente quella mattina di quindici anni fa quando su due macchine identiche gli agenti portarono via prima suo padre, poi lei. Rimase a guardarla sovrappensiero per qualche istante lasciando andare la presa di Marco. Si strinse le braccia al petto assumendo una di quelle poche posizioni che la facevano sentire protetta; le raccolse come si increspano le foglie secche in Autunno, richiudendole su se stessa.
< Perché non scendiamo giù al fiume? > fu Andrea a proporlo.
< Si dai, si può fare. > rispose Stefano.
< Possiamo andare difronte al Navio così se qualcuno vuole prendersi qualcosa da bere siamo già lì vicino. > concluse Alessio.
L'Apogeo attraversava gran parte della città, era uno dei fiumi più grandi della regione e le sue profonde acque lambivano le sponde di tutto il centro storico. Oltre ai moli e alle piccole barche degli abitanti locali vi si erano insediate sugli argini alcune grandi imbarcazioni, molte delle quali erano state adibite a Bar e Ristoranti. Il Navio era una di queste.
< A te và Feli? > Marco si rivolse all'amica, aveva notato la reazione che la macchina aveva suscitato in lei, cercò di distrarla.
< ..mh..cosa? > Felicity si voltò confusa, non aveva sentito nulla di quello che si erano detti gli amici.
< Navio. Di scendere giù al fiume difronte al Navio. > si intromise Serena.
< Ah.. si certo, va bene. > rispose in modo freddo e automatico, senza reale interesse per quello che le era appena stato proposto.
< Su su, un po' di entusiasmo, vorrei solo ricordarti che al Navio lavora il barista più figo e simpatico di tutto il paese. Quant'è carino! > Serena le si parò davanti e prese a stropicciarle le guance pizzicandogliele con le dita.
Tutta quella confidenza non le andava proprio di sopportarla quella sera, le spostò le mani dal viso e le ribatté d'istinto < Sarà pure il più carino del paese, ma se lo è anche.. “fatto”.. mezzo paese! >
Nell'incredulità generale Alessio fu il primo a scoppiare a ridere < Felicity che ribatte a tono, a Serena poi, questa me la devo segnare. > gli altri lo seguirono a ruota iniziando a ridacchiare.
Serena arricciò il naso < Oh beh, di qui non è ancora passato sfortunatamente. > prese Felicity a braccetto e la portò con se più avanti < E comunque guarda che siamo le uniche due femminucce in questo branco di zoticoni > lanciò uno sguardo maldisposto in direzione di Alessio < non devi fare queste battute se no poi prendono spunto e non ci lasciano più in pace, dobbiamo supportarci a vicenda. >
Era stata decisamente un'idea infelice uscirsene con quella frase, Felicity se ne rese conto troppo tardi quando oramai Serena l'aveva braccata nuovamente con una delle sue ramanzine.
< E' strana Felicity sta sera, non trovi?! > con discrezione Stefano si affiancò a Marco.
< Dici? > gli domandò lui falsamente di rimando, certo che lo aveva notato e conosceva esattamente anche il perché di quella sua stranezza.
< Si.. più del solito direi. >

Arrivato alla macchina l'uomo prese posto al suo interno accendendosi una sigaretta, dal taschino interno della giacca tirò fuori una foto polaroid resa ingiallita dal tempo. Guardandola non poté fare a meno di pensare a quanto le assomigliasse. Era successo tutto per caso, un giorno un suo compagno venne e gli mostrò una copia stampata di una pagina di un giornaletto on-line locale di una città vicina pensando gli potesse interessare, e in effetti era così. La scritta non lasciava dubbi, era lei, Felicity Greco, ed insieme al nome dell'autore stampato a fondo articolo c'era anche la sua foto. Fu strano rivederla dopo tutto quel tempo, era così cresciuta, così diversa. Ci aveva pensato spesso a lei, ma ritrovarla diventata già donna gli lasciò addosso una profonda amarezza, più grande di quella che già non avesse provato in passato. Voleva vederla, doveva rivederla. Studiò per mesi come renderlo possibile e alla fine si buttò in quella pazzia. Infondo, sapeva benissimo di non avere più nulla da perdere, e così eccolo lì. Aspirò un tiro dalla sigaretta e ripose la foto all'interno della tasca.

Il Navio ondeggiava lievemente sulle acque dall'Apogeo illuminando con le sue luci le zone immediatamente adiacenti all'imbarcazione, piccole onde si infrangevano sul lato inferiore della barca luccicando sotto ai riflessi della Luna. Il Navio era un piccolo traghetto di colore bianco dalle rifiniture blu cobalto e rosso cremisi, dei fili di lanterne luminose e colorate erano stati posti sul ponte superiore da cui andavano poi a calare fino a quello inferiore. La zona chiusa della barca, che una volta era stata utilizzata per le cabine, era stata svuotata per lasciar spazio al locale principale del bar dove avevano trovato posto bancone e tavoli, sul ponte aperto erano state invece sistemate lateralmente un paio di panche con dei tavolini. Un piccolo ponte metallico consentiva il transito dalla banchina all'imbarcazione e quella sera sembrava che molti avessero avuto la stessa idea di Andrea ed Alessio, il Navio brulicava di gente e molti avevano deciso di rimanere fuori dal bar bivaccando sui margini erbosi del fiume.
< Dove ci mettiamo? > domandò Stefano.
< Caspita non pensavo fosse così pieno! > constatò Alessio.
< Eh.. cosa ti aspettavi? Alla fine è sabato. > osservò Andrea.
Decisero di sistemarsi nella zona più alta del prato che scendeva leggermente scosceso fino al fiume.
< Qualcuno vuole qualcosa giù al bar? > Serena non stava più nella pelle.
< Oh cielo, qualcuno le dica di si e la porti a vedere il bellimbusto. > Alessio alzò gli occhi al cielo.
< Dai vengo io! E pensare che sei stato pure tu, Alessio, a lanciare l'idea di venire qua davanti.. > Marco sorridendo si propose di accompagnare la ragazza, quanto meno per far smettere ai due amici di punzecchiarsi.
< Sicura Feli che non vuoi venire tu? > l'amica le fece l'occhiolino.
< No vai tranquilla, c'è troppo caos al bar, preferisco rimanere qui. >
Marco e Serena presero a mente le ordinazioni e scesero giù verso il Navio. Felicity decise di aspettare il loro ritorno stesa sull'erba, si tolse la borsa a tracolla per utilizzarla come poggia testa e si sistemò vicino agli altri. Li ascoltava discutere su quale fosse la meta migliore per quell'estate, avevano deciso di passare le vacanze insieme ma ancora non erano riusciti a trovare un posto che mettesse d'accordo tutti quanti. Il cielo limpido era bellissimo quella sera, sembrava un grande foulard di seta nero decorato da centinaia e centinaia di stelle piccole e luminose che brillavano alla luce della luna come gemme preziose. Rimase ad osservarle cercando di svuotare la mente da tutti quei pensieri che, fino a pochi istanti prima, le avevano dato tormento. Riuscì per qualche istante a provare sollievo, come se di fronte a quella infinita vastità tutti i suoi problemi fossero soltanto delle minuscole e insignificanti particelle, per un po' quella sensazione la fece sentire meglio.
< C'è qualcosa che non va Feli? > Stefano la raggiunse sull'erba stendendosi vicino al suo fianco, anche lui rivolto con lo sguardo verso il cielo.
< No.. perché? > la ragazza girò leggermente il capo verso l'amico.
< Mah così, mi sembri un po' strana sta sera. >
< No è tutto apposto. > mentì, mentre con gli occhi tornava a guardare le stelle.
< Bene, se è così mi fa piacere. Comunque.. > questa volta fu lui a girare il capo leggermente verso di lei < ..sappi che tenere tutto dentro non è una buona idea, non voglio obbligarti a parlare con me, però a volte tirare fuori le cose fa sentire meglio. >
Felicity sospirò girando la testa verso Stefano, incrociò i suoi occhi < Tu come fai a capire quando una persona ti piace? > si sentiva stupida a chiederglielo ma le era uscito così, di getto, senza pensarci.
< Intendi quando mi interessa una ragazza? >
< Si. >
< Beh non è che ci sia proprio un modo, sono cose che si sentono. Sai la curiosità vero l'altra persona, la voglia di passarci del tempo insieme. Insomma ti piace, semplicemente. Perché? >
Felicity fece spallucce < No beh era così, tanto per parlare. > e mentre lo diceva si sentì arrossire. Distolsero entrambi lo sguardo, lei per imbarazzo lui per delicatezza. In quel momento Andrea ed Alessio si allontanarono di pochi metri per salutare un amico.
< Già solo chiederselo significa che infondo qualcosa evidentemente c'è, se no non ti porresti nemmeno il problema. > Stefano riprese l'argomento < C'è qualcuno che ti piace, non è così? > gelo < E' per Marco? Ho visto come lo guardavi al Brake e gli tenevi la mano prima.. >
Felicity rimase impietrita, ma perché diavolo aveva iniziato quella discussione? Non poteva starsene zitta come faceva sempre? Non gli rispose, non sapeva cosa dire.
< E' per Marco.. > sospirò il ragazzo tirandosi su a sedere, per un breve momento aveva ingenuamente sperato di avere sbagliato ed essere lui l'oggetto del suo interesse < Non ti devi sentire imbarazzata, non c'è nulla di male. Dovresti dirglielo, lui è cotto di te da una vita. >
Quell'ultima frase la mandò completamente in tilt < Eh? C.. cos.. cosa? > si mise a sedere di scatto rimanendo a fissarlo sbigottita.
Stefano rispose senza guardarla < Non te ne sei mai accorta? Prova a pensarci, tutte quelle gentilezze nei tuoi confronti, quelle attenzioni. All'inizio non ne ero sicuro, penso non se ne rendesse conto nemmeno lui, solo per quello ti ho chiesto di uscire, se avessi avuto la certezza che era interessato a te non lo avrei mai fatto. Ma poi deve essergli scattato qualcosa e ultimamente è diventato abbastanza palese che gli piaci.> la voce prese un inclinazione ironica < E non certo solo come amica. >.
L'unica cosa che la ragazza riuscì a farsi uscire dalla bocca fu un misero <..ahm..> si sentiva così cretina. Lei non si era mai accorta di niente e poi come faceva ad esserne così sicuro lui? Che Marco gli avesse forse detto qualcosa?
< Diglielo! Vedrai.. poi dopo ti sentirai meglio. Ah guarda, stanno tornando! > Stefano indicò con un cenno del capo Marco e Serena, risalivano il prato portando in mano un paio di bicchieri di plastica colmi di birra.

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Capitolo 9
*** Alla deriva ***


9. Alla deriva

 
< Dai, andata per Isola d'Oro! >
< Guardiamo bene gli orari dei traghetti però eh, perché se troviamo traffico e arriviamo tardi come l'altra volta va a finire che ci tocca aspettare ore prima di prenderne un altro. >
I ragazzi erano seduti scompostamente sul prato, alla fine Isola d'Oro l'aveva spuntata diventando destinazione delle loro prossime vacanze.
< Tu non ci sei mai stata giusto Feli? > domandò Andrea.
< No, mai. >
< Vedrai ti piacerà, ha delle spiagge bellissime. >
< Ma, non so se verrò. >
< E perché? > si aggiunse alla conversazione Alessio < Dai vieni, ti porti il computer se è per il lavoro. >
< No è che.. >
< E' che cosa? > la interruppe Serena.
< Niente, dai ci penso e vi faccio sapere. > tagliò corto, in quel momento l'ultima cosa che voleva fare era mettersi a discutere delle vacanze.
Risalito dal Navio Marco aveva distribuito le birre e si era seduto vicino a lei, non era riuscita a guardarlo nemmeno per un istante, era rimasta voltata dalla parte di Stefano facendo finta di niente. Si sentiva tremendamente in imbarazzo e l'unica cosa che avrebbe voluto fare in quel momento era sprofondare metri e metri sotto terra. Non ce la faceva più a rimanere seduta li, altri minuti passati così e sarebbe esplosa. Scattò in piedi, prese la prima scusa che le veniva in mente < Vado in bagno! > ed iniziò a scendere verso il Navio. Doveva uscire da quella situazione.
< Ti accompagno, aspetta. > Serena fece per alzarsi.
< Tranquilla, non c'è bisogno vado da sola. > le rispose senza voltarsi facendole cenno con il braccio destro mentre aumentava l'andatura.
Marco rimase a fissarla fino a che non scomparve inghiottita dal flusso di ragazzi che entrava e usciva dal locale. Non l'aveva più guardato in faccia da quando era tornato, le sembrava fredda, si domandò di cosa stessero parlando lei e Stefano pochi momenti prima che lui e Serena tornassero. Li aveva visti da lontano, Felicity si era girata nella loro direzione per qualche secondo e poi indifferenza. Aveva cercato si guardarla in viso, le si era seduto accanto nel vano tentativo di avere un contatto ma lei le si privava. 
< Stefano > richiamò l'attenzione dell'amico.
< Si dimmi >
< Senti.. > Marco abbassò la voce cercando un po' di discrezione dal resto del gruppo < ..ma.. > fece cenno verso  l'imbarcazione.
< Feli? >
< Si >
< Feli fossi in te le andrei a portare la borsa che ha lasciato qui, magari le serve qualcosa. > sorrise e fece cenno col capo indicandogli la tracolla che distrattamente la ragazza aveva lasciato sul prato < Non so magari ha bisogno di un fazzoletto o magari le squilla il telefono per lavoro. > Stefano gli fece l'occhiolino e si voltò nuovamente verso gli altri per continuare la conversazione da cui era stato distolto.

Non poteva nascondersi dentro quel bagno per sempre, sconsolata prese qualche strappo di carta e vi ci si soffiò il naso, si alzò dalla tavoletta e vi lanciò dentro la carta stropicciata tirando poi l'acqua, le sembrava così di dare almeno un senso al suo essersi chiusa li dentro. Uscita si sciacquò le mani, più per abitudine che per esigenza, e si avviò verso la porta che dava nel locale. Aprendola se lo ritrovò davanti.
< Marco! > si sentì avvampare il viso.
< Ehm.. ti ho portato la borsa, l'avevi lasciata sull'erba e.. penso di aver sentito suonare il telefono, ho pensato fosse per lavoro.. però non sono sicuro, magari non era il tuo.. però sai.. ehm.. per sicurezza. >
Rimasero a guardarsi finché una ragazza si fece spazio tra loro per entrare nel bagno < Permesso > era abbastanza scocciata. 
Felicity si spostò di lato afferrando timidamente la borsa < Grazie >.
Marco si accostò dall'altro lato grattandosi la testa nervosamente, “Idiota!” pensò fra se “Perché non riesco a controllarmi?”.
La ragazza controllò il telefono ma non vi era nessuna chiamata o messaggio “Strano!” < Non era il mio, ti devi essere sbagliato. >
< Ah.. eh.. si.. bho magari avevano la tua stessa suoneria. > “Bugiardo”
Rimasero entrambi in piedi senza sapere cosa fare, fu Marco alla fine a prendere in mano la situazione.
< Beh oramai che son qui ti va se ci prendiamo qualcosa da bere prima di salire? Fa caldo sta sera! >
< Si va bene. >
Attraversarono l'interno del Navio spostandosi verso il bancone del bar, non si scambiarono molte parole, entrambi presero un cocktail analcolico alla frutta e si diressero verso l'uscita. Proprio in quel momento un paio di persone bloccarono la passerella, ad un ragazzo erano cadute le chiavi tra le grate, insieme agli amici cercava disperatamente di recuperarle prima che finissero in acqua.
< Qua si fa lunga, ti va se lo beviamo sul ponte? >
Avrebbe preferito tornare al prato e non restare da sola con lui, ma le sembrò  meglio uscire all'aria aperta che rimanere li in piedi tra il caldo e la folla.
< Conviene >
Le panche erano tutte piene, oltrepassarono i tavoli e si appoggiarono alla ringhiera sul lato sinistro della barca, vicino alla punta. Felicity si era girata verso il fiume chinata in avanti, guardava i riflessi dell'acqua assorta nei suoi pensieri,  Marco restò di spalle in attesa. 
< Come mai non vuoi venire con noi quest'estate? > fu il ragazzo ad un certo punto ad interrompere il silenzio.
< Non è che non voglio.. lo sai. > la ragazza continuò a guardare l'acqua.
< Io so solo che ti isoli sempre, eviti di stare con gli altri, ma non credo ti faccia bene. > mandò giù un sorso.
< Son fatta così > alzò le spalle.
< Si può cambiare Felicity, nella vita si cambia. Ti farebbe bene staccare un po' la spina, evitare di rimanere sempre sola con i tuoi pensieri. > altro sorso.
< Vuoi farmi una ramanzina come Serena? Ti prego, mi bastano già le sue.. > appoggiò a terra il bicchiere inchinandosi poi nuovamente sulla ringhiera, prese a giocare con una ciocca di capelli, non era irritata semmai arresa.
< Serena ha il suo modo esagerato di dirti le cose, ma non sbaglia del tutto. >
Marco si girò a guardarla, l'acqua non era l'unica a riflettere i bagliori della luna, gli orecchini di Felicity luccicavano sotto i suoi raggi illuminandole il voto “Bella, anche così imbronciata.”.
< Non è sfuggendo dalla vita che risolvi i tuoi problemi. > aspettò una sua reazione, sapeva di aver toccato un tasto delicato.
Felicity sospirò, si voltò col capo dalla sua parte incrociando il suo sguardo, chiuse gli occhi per qualche secondo alzandoli poi verso il cielo.
< Ognuno di noi ha il suo modo di sopravvivere, non credi? Forse il mio non è poi così giusto ma è quello che mi fa sentire meno peggio. >
< Solo perché rifiuti sempre quello che potrebbe farti sentire meglio. > non voleva riferirsi a quello che era successo la sera prima, ma nell'esatto momento in cui lo disse non poté fare a meno di pensarci, si sentì ingiusto. Distolse lo sguardo.
Felicity invece trovò quella frase tremendamente vera, così tanto da farle salire le lacrime < Probabile >.
Marco cercò di recuperare < Vabbe, comunque era per dire che io ho piacere se vieni, e penso ti divertiresti anche tu. Insieme.. a noi. >
< Ci penserò. > si tirò su e raccolse il bicchiere da terra < Saliamo? > fece per incamminarsi.
< Aspetta! > Marco la trattenne per un braccio.

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Capitolo 10
*** Onda d'urto ***


10. Onda d'urto
 
< Aspetta! >
Ed ora cosa voleva? Era stanca, desiderava solo salire dai ragazzi, finire quella serata e tornarsene a casa. Aveva la testa che le doleva, quello scambio di parole le aveva fatto salire le lacrime. Aveva ragione, Marco aveva ragione su tutto e le costava fatica ammetterlo senza sentirsi in colpa con se stessa, in colpa con lui. Ci provava sempre Marco a tirarla dentro a scuoterla ma lei non reagiva, almeno non come lui avrebbe voluto. Seguiva la corrente Felicity, si limitava a seguire la corrente inerme come un ramo nell'acqua, ad ogni onda un urto, ad ogni urto una ferita e poco le importava se vicino c'era la riva, la sfiorava con la mano lasciando scorrere i granelli di sabbia fra le dita finché la corrente la trascinava di nuovo via.
< Che c'è? > era esausta e lo lasciò trapelare dalla sua voce. Quello che era successo sere prima l'aveva travolta come un'onda, ma questa volta era un'onda a cui lei  non era abituata, a cui non era pronta. Stefano le aveva aperto una varco nell'acqua, l'aveva avvicinata alla riva lasciandole intendere che questa volta sarebbe potuta andare diversamente, che forse su quella spiaggia questa volta ci sarebbe potuta restare ma lei non ne era capace, lo sapeva e non voleva rischiare di toccare terra e sentire cosa si provava per poi essere rigettata in mare. Non l'avrebbe sopportato. Ora Marco la tratteneva come per non farla scivolare via, non sapeva dare un nome a quello che provava, rifuggiva da quella sensazione da quella speranza, era solo un illusione come solo il sole era capace di creare illuminando coi suoi raggi i ciottoli del fondale rendendoli beffardamente coi suoi riflessi pietre preziose. Non voleva raccoglierle, avrebbe stretto nei pungi solo ghiaia.
< Niente.. torniamo su. > Marco la superò e si diresse verso l'uscita.
Onda, urto, ferita. Un'altra volta. Nulla più. Era dura reprimere le lacrime.

“Perché l'ho fermata? E adesso che le dico?” pensò Marco dopo averle afferrato il braccio “Non andartene, rimani qua? Certo.. così farei di nuovo la figura dello scemo! E poi?” e poi non avrebbe avuto il coraggio di dirle niente. Cosa le aveva detto Stefano? Perché lei era così fredda, così amareggiata? Capiva perché volesse evitarlo ma era davvero in questo che si era trasformato il loro rapporto dopo quel bacio? Sguardi negati, imbarazzo e silenzi? Eppure gli aveva stretto la mano prima mentre camminavano per il centro, lei lo aveva cercato e gli era sembrato che tutto potesse ripartire da li, da quel semplice gesto. Ma probabilmente non era così, si era sbagliato. Gli dispiaceva un sacco vederla in quel modo, si sentiva in colpa, ma ancora di più si sentiva male all'idea di aver rovinato la loro amicizia, era proprio di quello che aveva sempre avuto paura... perderla. Forse era solo troppo presto, non poteva nemmeno pretendere che nulla cambiasse dopo averle detto quelle parole, dopo averla baciata. Doveva lasciarle del tempo, forse prima o poi le cose sarebbero tornate come prima, era più una speranza che una certezza ma doveva comunque almeno provarci, lo doveva soprattutto a lei dopo aver fatto tutto quel casino. E pensare che Giovedì gli aveva chiesto di uscire per non farla stare da sola, per evitare che si scontrasse di nuovo contro i suoi fantasmi, per evitare che stesse male.
< Niente.. torniamo su.> superò Felicity e si diresse verso la passerella che nel frattempo era stata liberata.

Stefano vide tornare i due amici e dalle loro espressioni capì che le cose non dovevano essere andate bene. Per il resto della serata non si rivolsero molto la parola, se fosse possibile Felicity era ancora più taciturna del solito e Marco non cercava minimamente di tirarla dentro nel gruppo come sempre cercava di fare. Quando decisero di tornare alle macchine lei chiese ad Andrea se poteva salire sulla sua e a Stefano risultò veramente insolito, Feli saliva sempre con Marco ma non gli sembrò il caso sottolineare la stranezza di quella richiesta. La ragazza fece scambio di auto con Serena sedendosi nei sedili posteriori della Nissan di Andrea, durante il breve tragitto di ritorno Stefano l'osservò dallo specchietto retrovisore, fissava il paesaggio fuori dal finestrino con aria assente.
< Allora Feli non è che hai cambiato idea nel frattempo? >
< Mh? > la ragazza trasalì sentendo la voce di Andrea.
< Vacanze intendo. >
Stefano rimase ad ascoltare.
< No.. cioè, a dire il vero non è che abbia deciso qualcosa. >
< Beh noi prenotiamo tra un paio di settimane lo sai, non manca moltissimo e già sarà un'impresa trovare posto da qualche parte senza spendere troppo. Facci sapere, sarebbe un peccato se decidessi di non venire. > fece una pausa, non ricevendo risposta aggiunse < Ci faresti anche un grande favore ad unirti, se ci sei tu almeno ci scolli di dosso Serena se no quella è capace di darci il tormento per tutta l'estate. >
Stefano tirò una gomitata all'amico < Eddai > disse in tono ironico < Così è sicuro che non viene. > risero entrambi.
Felicity non aveva voglia di ridere ma accennò un sorriso tirato giusto per non sembrare scortese, Stefano si accorse della reazione poco convinta e decise di rassicurarla.
< Ovviamente scherzava eh?! >
< Massì certo figurati! > si affrettò a chiarire Andrea.
< Si avevo capito, tranquilli. > tornò a guardare fuori dal finestrino.
Stefano fece cenno ad Andrea di lasciar perdere, l'amico seguì il consiglio senza fare domande. Ma che cavolo aveva combinato Marco?

Arrivati al parcheggio del The Brake Felicity saluto rapidamente gli amici e si incamminò verso la macchina felice di tornarsene a casa, Marco rimase a guardarla mentre andava via, si sentiva un nodo alla gola. 
Stefano si avvicinò in quel momento mettendogli un braccio intorno alle spalle.
< Ehi amico, rimani ancora  o vai anche tu? >
< Non lo so, te che fai? > rispose senza perdere di vista la panda nera ferma al semaforo.
< Mah vanno via tutti, però pensavo che potevamo farci due chiacchiere io e te se non sei stanco. >
L'auto girò all'incrocio a segnale verde e scomparve in strada seguita da una macchina sbiadita color verde bottiglia.
< Perché no?! > sospirò.
Una volta che Alessio, Andrea e Serena se ne furono andati, Marco e Stefano presero due birre al locale e decisero di farsi due passi nella via.
< Allora come è andata? > iniziò Stefano a parlare.
< Cosa? >
< Dai, come cosa? Felicity >
Entrambi bevvero un sorso delle loro birre, il barista gli aveva lasciato la bottiglia di vetro, solitamente era vietato portare fuori dal locale alcolici se non in bicchieri di plastica, ma per loro aveva fatto un eccezione visto che li conosceva abbastanza bene essendo clienti fissi.
< Scusa, come doveva andare cosa? > domandò.
Stefano gli rispose con tono sarcastico e di sfida < Da quanto ci conosciamo io e te Marco? > guardò l'amico < No perché pensavo che dopo tutti questi anni avessi capito che non sono scemo. >
Marco rimase  intontito per qualche secondo < E' così palese? >
< Diciamo che per quanto ti affanni a nasconderlo si, almeno per me è abbastanza palese. > gli diede una pacca sulla spalla < Ma vai tranquillo, non sono tutti svegli come me. >
< Di cosa parlavate tu e Felicity mentre io e Serena eravamo giù al Navio? > Marco colse l'occasione per chiederglielo e togliersi finalmente quella curiosità.
< Niente di che, lei mi ha chiesto una cosa e io gli ho dato il mio parere. >
Non era soddisfatto di quella risposta < Sicuro? A me è sembrata abbastanza restia nei miei confronti quando sono tornato. >
< Sicuro, io l'ho trovata più scossa dopo che siete risaliti voi due insieme dal Navio. > l'amico cercò di riportare il discorso sulla sua prima domanda.
< Aahh.. lasciamo stare. > scosse la testa < Giù al Navio non è successo un bel niente. >
< Ma mi dici quale è il problema? Ti piace e allora? Vi conoscete da una vita, e forse la cosa più naturale che possa succedere fra di voi! > Stefano era irritato e stupito al contempo dal comportamento del suo amico, forse non sopportava il fatto che sprecasse quell'occasione, almeno lui che poteva averla < Provaci almeno no?! >
< E chi te lo dice che non lo abbia fatto? > si fermarono entrambi < Forse ne ho concluso non ne valesse la pena. >
Il vuoto ad un tratto riempì la loro conversazione, Marcò si lasciò cadere su una panchina ed iniziò a giocare nervosamente con l'etichetta della birra. Stefano aspettò qualche minuto prima di sedersi vicino a lui.
< Cos'è successo? >
< Cosa vuoi sapere? Come gli ho detto come un pirla che l'amavo o dello schiaffo che ho ricevuto in risposta dopo averla baciata? > continuò a giocare con le dita.
< COOOSA? > l'amico rimase di pietra < Non glielo puoi aver detto davvero. Ma quando? >
< Eh..si, giovedì. >
< Merda! >
< Già.. merda. >
< Dio mio Marco, va bene esporsi ma così mi pare un po' troppo, ci credo che ti ha tirato uno schiaffo, si sarà presa male. >
< Lo so, ma mi è uscito. E' stato più forte di me. > era demoralizzato.
< Cazzo, capisco ora perché è spaventata! > esclamò Stefano di rimando.
< Spaventata? > Marco alzò repentinamente lo sguardo.
< Ma si, più che altro forse confusa. >
< Allora ti ha chiesto di questo prima al prato.. >
< Non proprio. > sorso < Non mi piace raccontare in giro le confidenze che mi fanno gli altri, quello che ci siamo detti io e lei rimane tra me e lei. > altro sorso < Però se vuoi un mio parere.. per lei ne varrà sempre la pena. >
< Ho già fatto abbastanza casini così. No Stefano.. non posso rischiare di nuovo. Non vedi che non mi guarda nemmeno più in faccia? > mandò giù anche lui un po' di birra.
< Ho notato la freddezza di entrambi, ma solo dopo il Navio, prima al The Brake e per il centro non mi sembrava così. E forse non è nemmeno per il motivo che credi tu... >
< Cioè? > 
< Cioè non dare per scontato che non abbia interesse per te in un modo che possa essere diverso dall'amicizia. >
< Cosa intendi? >
< E' solo un mio parere, vacci per gradi con lei, ma non lasciare perdere. > Stefano si alzò sgranchendosi la schiena < Aaaah ma perché ho degli amici così coglioni? Te ed Alessio avreste bisogno di un corso accelerato sulle donne. >
Marco buttò giù la poca birra rimasta alzandosi dalla panchina < Parla lui, non mi pare tu abbia la fila di donne dietro.. >.
Presero a scherzare mentre risalivano la via.

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Capitolo 11
*** Pura Follia ***


11. Pura Follia
 

Era da venti minuti ferma sotto casa, non riusciva a decidersi ad uscire dalla macchina, quella situazione era totalmente assurda e lei si sentiva intrappolata. Si era accorta di non voler salire, forse perché infondo quella casa sapeva anche un po' di lui e finché non era arrivata sotto al palazzo non ci aveva pensato, ora che se ne era accorta non sapeva che fare se non rimanere li con le mani in mano a fissare il quadro spento della macchina.

L'uomo aveva parcheggiato fuori dal cancello per non destare sospetti e si era avvicinato a piedi alla Fiat della ragazza, era rimasto nell'ombra, l'osservava immobile mentre i minuti scorrevano silenziosi. Ad un certo punto vide la portiera finalmente aprirsi e una chioma bionda uscire dall'abitacolo, ebbe uno slancio incontrollato e in pochi secondi si trovò dietro di lei.

Si sentì stupida, non poteva rimanere li tutta la notte, non poteva non tornare a casa. Sarebbe salita, cambiata, avrebbe letto la casella email del lavoro e poi sarebbe andata a letto. Aprì la portiera e scese dall'auto. D' improvviso sentì una presenza dietro di sé, si girò di scatto senza capire, una mano le bloccò la bocca e la spinse verso la macchina. Cercò terrorizzata di liberarsi aggrappandosi tesa al braccio di quella figura che la sovrastava.
< Non avere paura, sono io. > un ombra indefinita le bisbigliò.
Fu allora che Felicity sgranò gli occhi, nella penombra del parcheggio le era impossibile riconoscere chi aveva davanti ma quella voce, anche a distanza di anni, quella voce era per lei impossibile da dimenticare. Lasciò deboli le braccia e anche l'uomo a quel punto allentò la presa liberandole la bocca. Rimase qualche secondo intontita a guardare quel volto scuro, invecchiato, ma che ora man mano che i secondi passavano le sembrava sempre più familiare. Come era possibile? Stupita e intimidita lasciò che quel poco fiato che le era rimasto in corpo dopo lo spavento si tramutasse in un filo di voce.
< Papà? >

 

< Se vuoi puoi sederti > Dante Greco accolse il gelido invito della figlia e si accomodò sul divano.
Le aveva chiesto se abitava da sola e al cenno di assenso della ragazza gli chiese se potevano salire, voleva stare con lei senza doversi guardare in continuazione le spalle. Feli non aveva proferito parola, era rimasta in silenzio per un po' forse a riflettere, ad un certo punto aveva chiuso la macchina facendo poi strada fino al portone, su per le scale, fino davanti la porta d'entrata dell'appartamento.
Nel momento stesso in cui Felicity chiuse la porta di casa sentì di aver fatto una cazzata, era li, sola con un padre che al posto che essere in quella sala avrebbe dovuto trovarsi in una cella a scontare una pena che non si sarebbe dimostrata mai sufficientemente severa per chi ha tolto una vita, per chi ha strappato una madre alla propria figlia. Non avrebbe dovuto farlo salire, ma in quel momento non aveva capito più niente.
< Perché sei qui? > la testa di Feli era un turbinio di domande a cui non riusciva a dare forma.
< Per vedere mia figlia, mi mancavi > rispose teneramente l'uomo cercando il suo sguardo, ma non lo trovò. Rigida e silenziosa la ragazza fissava il pavimento sistemando nervosamente le chiavi fra le mani. Anche a lei mancavano tante cose, ma a differenza di lui lei non aveva potuto scegliere, in quella situazione ci si era trovata, sentì salirle dentro una grande rabbia.
< Come hai fatto a.. no.. anzi no, non mi interessa. > per tutti quegli anni le era mancato così tanto, ma non era quell'uomo ciò che le mancava, ora capiva che era solo l'innocente ricordo che aveva di lui a darle il tormento. Quello che un tempo era una parte importante della sua vita ora era per lei un immenso vuoto in cui si rese conto di non voler più guardare. Provava solo profonda amarezza < Vattene > e in quell'istante si accorse di provare anche odio.
L'uomo si alzò facendola indietreggiare.
< Voglio che te ne vai > alzò il capo guardandolo ora fisso negli occhi < non voglio sapere come hai fatto, se ti hanno fatto uscire, se sei evaso, come mi hai trovato.. non mi interessa niente. Voglio solo che te ne vai. Non chiamerò nessuno, ma lasciami in pace. > le costò lacrime.
< Per favore Felicity, lascia almeno che.. > la raggiunse e l'abbracciò, fu come ricevere una pallottola in pieno petto, come se quelle braccia che un tempo la cullavano ora fossero solo in grado di farle male. Quell'abbraccio le diede la scossa e rivisse dentro di se quel dolore, quella scena, e sentì sotto pelle tutte quelle coltellate come se le avesse date anche a lei quel giorno, oltre che a sua madre.
Si divincolò furiosa < No! >
< Non ho fatto tutto questo per sentirmi dire un no! > Dante si stava spazientendo < Sono tuo padre e nessuna galera lo cancellerà > le strappò le chiavi di mano.
< Tu non sei più niente per me > non fece in tempo a dire quella frase che la mano di lui si alzò sopra di lei e la colpì facendola cadere a terra.
Quand'è che la sua piccola e tenera Felicity era diventata così insolente? Non sopportava gli venisse mancato di rispetto, non lo tollerava, lo mandava fuori di testa.
< E' così che facevi con la mamma eh? > piangeva, piangeva quasi senza respirare < Non ci hai già fatto abbastanza male? Come hai potuto? > iniziò a singhiozzare.
< Non potrai mai capire > le lacrime della figlia lo fecero ammorbidire < dammi solo la possibilità.. >
< Anche la mamma l'avrebbe voluta, la possibilità di vivere, di scegliere. Ma tu gliel'hai tolta. > l'accusò.
< Tu non sai! Non sai... > il tonò di lui si fece di nuovo duro.
< Cosa non so papà? Cosa? C'è forse qualcosa che giustifica ciò che hai fatto? >
Il peso di quelle parole era insostenibile per Dante, sapeva che non c'era risposta a tutto ciò, che non vi era in realtà giustificazione. Aveva dovuto farci i conti tutti quegli anni con se stesso, con quella parte dentro di sé più simile ad una bestia che ad un uomo. Si sentiva colpevole, ma allo steso tempo non riusciva ad accettare quel rifiuto, si sentiva diviso a metà come quella volta, quando non poté accettare che una parte della propria vita se ne andasse lasciandolo solo. Era stato più forte di lui, aveva lasciato che quel mostro venisse fuori e divorasse fino all'ultimo brandello ciò che era rimasto di loro, di lei. Ci ripensava spesso a Caterina, la madre di Felicity. L'amore a volte può essere così strano, è come una malattia che ci fa impazzire e a cui non vi è cura. Pura follia.

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