Il grande giorno

di Taila
(/viewuser.php?uid=41276)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Venerdì - Parte I ***
Capitolo 2: *** Venerdì - Parte II ***
Capitolo 3: *** Sabato - Parte I ***
Capitolo 4: *** Sabato - Parte II ***
Capitolo 5: *** Domenica - Part I ***
Capitolo 6: *** Domenica - Part II ***
Capitolo 7: *** Domenica - Part III ***
Capitolo 8: *** Domenica - Part IV ***
Capitolo 9: *** Domenica - Part V ***
Capitolo 10: *** Domenica - Part VI ***
Capitolo 11: *** Domenica - Part VII ***
Capitolo 12: *** Domenica - Part VIII ***
Capitolo 13: *** Domenica - Part IX ***



Capitolo 1
*** Venerdì - Parte I ***


Titolo: Il grande giorno
Autore: Taila
Fandom: Originale – Sentimentale
Genere: Generale, sentimentale, un pizzico erotico
Tipo: long-fic, slice of life, het
Rating: Arancione
Disclaimers: I personaggi presenti in questa ff sono tutti frutto della mia fantasia e maggiorenni, qualsiasi riferimento a fatti e persone realmente esistenti è puramente casuale.
Note: Non ci credo che l’ho fatto per davvero ^O^ Dei, progettavo questa cosa da un po’ ma, dato che avrebbe richiesto un enorme afflusso di materiale marysuesco non credevo che sarei mai stata in grado di scrivere questa cosa ^^’’’ Ma lasciamo da parte i miei sproloqui perché, prima di lasciarvi alla lettura, credo di dovere una piccola spiegazione sui personaggi presenti in questa ff: Charlene, Benedict, Abigail (Abby) e Drew sono un gruppo di personaggi originali che ho ideato per due mie long fic che ho scritto per il fandom di “Criminal Minds” e mi sono piaciuti così tanto che ho pensato di provare a scrivere un’original in cui loro sarebbero stati i protagonisti assoluti. Per fare questo ho approfittato di un piccolo particolare: in “Io porto la morte”, la seconda delle due long su CM, Charlene annuncia trionfante che Benedict le ha chiesto di sposarla e, quindi, eccomi qui a scrivere del matrimonio in pompa magna del nostro tenente Moore ^O^ Ogni particolare della cerimonia è stato esagerato volutamente, a tutto ho cercato di conferire un alone suesco e mi sono divertita un casino a farlo ^O^ Per l’occasione ai quattro protagonisti sopracitati ho affiancato altri due personaggi originali ^^ Spero che il tutto sia di vostro piacimento e vi strappi almeno un sorriso, di garantito c’è tutta la mia buona volontà e la voglia di divertirmi ^O^
Ringraziamenti: Ringrazio tutti coloro che leggeranno e/o lasceranno un commento a questo primo capitolo.
Adesso la smetto di blaterare e vi lascio alla lettura, al prossimo capitolo gente ^O^



Il grande giorno



Venerdì – Parte I

Charlene si spostò verso lo specchio rettangolare che le stava indicando la commessa e osservò soddisfatta il suo riflesso. Si era ridotta all’ultimo momento, visto che quella era l’ultima prova per il suo vestito e solo due giorni dopo si sarebbe sposata, ma l’abito le stava d’incanto. Si girò appena per studiare il suo riflesso di tre quarti e sorrise contenta nel notare come l’abito fasciasse perfettamente la sua silhouette. Quand’era ancora una ragazzina, aveva sognato che si sarebbe sposata con un vaporoso abito da principessa, simile a quello indossato dalla Cenerentola disneyana, ma con qualche aggiunta di suo gusto per renderlo davvero bello. Da adulta, invece, aveva fatto una scelta completamente diversa: il modello che aveva scelto era del tipo a sirena, di raso real color avorio e con un breve strascico, che dava una maggiore eleganza alla sua figura; il corpetto aveva la scollatura a cuore, un particolare che metteva in risalto il suo decolleté ed era decorato con applicazioni di cristalli Swarovski. Sui suoi capelli sciolti era stato fissato il velo bordato di merletto, che scendeva oltre le spalle e dava un’aria più delicata e dolce al suo volto. Era un abito da sposa extra lusso e costava quanto un anno del suo stipendio, ma non avrebbe acquistato niente di meno: era il giorno del suo matrimonio, il suo grande giorno e doveva essere bellissima. E, a giudicare dal riflesso che le rimandava lo specchio, lo era davvero, bellissima: i capelli rossi ricadevano in una cascata di boccoli sulle spalle, mettendo in risalto in suo incarnato pallido e incorniciandole il viso, rendendola ancora più bella del solito. Osservò il volto riflesso nello specchio e, rendendosi conto che anche i capelli sciolti e ricci stavano benissimo con l’abito da sposa, fu quasi tentata di chiamare il suo parrucchiere e dirgli che aveva cambiato idea; si morse appena il labbro inferiore indecisa, riflettendo per qualche attimo e poi si disse che no, non avrebbe cambiato la pettinatura: per il giorno del suo matrimonio non voleva essere solo bellissima, ma anche e soprattutto elegante, desiderava lasciare tutti a bocca aperta, ammaliarli e far dire loro che era la donna più bella che avessero mai visto. Sorridendo radiosa per il pensiero di tutti quegli occhi sgranati e colmi di meraviglia e dei bisbigli ricolmi d’ammirazione per lei che l’avrebbero circondata ed esaltato ancora di più il suo fascino, Charlene si girò dando le spalle allo specchio, per studiare l’espressione sul viso di sua madre e Veronica, sua sorella, che erano sedute sopra un divanetto bianco situato a pochi passi da dov’era lei. La madre aveva gli occhi lucidi dalla commozione, che tamponò con un fazzoletto di stoffa immacolato e annuì emozionata e felice con un cenno del capo, incapace di parlare, approvando la scelta della figlia a proposito dell’abito da sposa. Veronica invece aveva la stessa espressione di un condannato sul patibolo, come se avesse voluto essere ovunque tranne che lì: la sua sorellina era un tipo così ordinario, a voler essere generosi, tanto che spesso si chiedeva come potessero avere lo stesso patrimonio genetico, visto che non c’era niente che le accomunava né sul piano fisico né su quello caratteriale. Charlene aveva sempre desiderato avere una sorella minore con i suoi stessi gusti e il suo stesso temperamento, qualcuno con cui andare a fare shopping e scambiarsi facezie in bagno, mentre si preparavano per uscire con un ragazzo carino; invece, per una qualche strana beffa del fato, le era toccata quella sottospecie di nerd musona, scontrosa, sempre con il naso infilato in qualche romanzo e con un gusto nel vestire così orripilante, che da lei non si sarebbe fatta prestare nemmeno un paio di calzini di spugna. Aveva discusso a lungo con sua madre perché non voleva che sua sorella presenziasse alla prova definitiva dell’abito, perché non sapeva niente di cosa fosse l’eleganza nel vestire e la sua opinione sarebbe stata superflua e inutile, se non fuori luogo: peccato che sua madre non avesse voluto sentire ragioni e avesse deciso di non escludere la piccola di casa Moore. Quindi eccola lì, costretta a rimettersi al giudizio dell’unica persona a cui non avrebbe mai cercato consigli in materia di vestiario – sempre se si escludeva Lehmann, ovviamente.
- Allora, che ve ne pare?- chiese nonostante tutto, sorridendo e recitando la sua parte alla perfezione.
- Sei bellissima. – mormorò commossa la mamma, per poi soffiarsi il naso – Non sei d’accordo anche tu, Veronica?- domandò, lanciando alla figlia minore un’occhiata eloquente.
La ragazza arricciò per un attimo le labbra in una smorfia, prima di rivolgere alla sorella maggiore un sorriso entusiasta quanto falso e dirsi pienamente d’accordo con la madre – evidentemente le era stata promessa una qualche ricompensa, magari qualche nuovo romanzo da aggiungere alla sua già infinita collezione di libri, se avesse partecipato con un certo entusiasmo a quel rituale familiare, considerò la futura sposa. Compiaciuta come ogni volta che qualcuno sposava le sue idee senza porre alcuna obiezione, Charlene si volse verso la commessa.
- Avete fatto un ottimo lavoro: l’abito è perfetto e adoro il modo in cui sta addosso.- disse e le rivolse il miglior sorriso del suo repertorio.
Sopra ogni cosa, amava il pensiero di come sarebbero state invidiose le altre invitate nel vederla così. Se solo Lehmann avesse accettato l’invito e fosse venuta al suo matrimonio, sarebbe stata la celeberrima ciliegina sulla torta della sua vittoria: sarebbe stato divino vedere la sua carnagione assumere un colorito verde acido mentre si rendeva conto che al suo confronto era un vero fallimento come donna, visto che l’unico uomo che sembrava riuscire a sopportarne la vicinanza era il suo compagno di squadra. Charlene si guardò ancora una volta allo specchio, assaporando il modo in riusciva a farla sentire vedersi in quel modo, prima di seguire la commessa nel camerino per farsi aiutare a togliere l’abito. Mentre, con estrema attenzione, si sfilava di dosso il vestito e lo porgeva alla commessa, Charlene pensò che dopo la sua prova sarebbe seguito il momento più imbarazzante della storia dell’umanità: Veronica avrebbe dovuto indossare l’abito da damigella, per vedere come le stesse dopo le modifiche della sarta. Ancora non riusciva a capire che razza di trucco mentale avesse usato su di lei, ma in qualche modo sua madre l’aveva convinta a chiedere a sua sorella di farle da damigella e anche Veronica doveva aver subito la stessa manipolazione da parte della loro genitrice, perché le aveva riposto di sì immediatamente. All’inizio aveva trovato quell’idea assolutamente grottesca e sbagliata, il solo pensiero di poter vedere Veronica, ovvero miss indosso solamente jeans e felpe e scarpe da ginnastica, con addosso un vestito di tulle rosa e con il viso tutto truccato l’avrebbe fatta ridere a crepapelle, se soltanto il tutto non fosse andato a suo discapito: era il giorno del suo matrimonio, il suo grande giorno e avrebbe dovuto sopportare, senza potersene lamentare tra l’altro, la sua sorellina infagottata come uno spaventapasseri, che si trascinava barcollando pietosamente sui tacchi alti mentre la precedeva nella navata della chiesa. Quando si trattava di situazioni come quella, detestava il fatto che sua madre pretendesse che facessero per forza le cose come due sorelle che andavano d’amore e d’accordo.
Con di nuovo addosso i suoi abiti, Charlene ritornò nella sala principale e si diresse verso il divano dove sua madre e Veronica erano sedute, giusto in tempo per vedere la commessa avvicinarsi a sua sorella e chiederle di seguirla: la sua espressione indispettita e spaventata era qualcosa di spettacolare. Mentre si avvicinava al divano, le sfuggì una risatina di scherno, che sua sorelle dovette udire perché le rivolse un’occhiata tale che, se il suo sguardo ne fosse stato capace, l’avrebbe incenerita all’istante. Il sorrisino sulle sue labbra si ampliò e occupò il posto vicino alla madre che era stato di Veronica fino a pochi secondi prima.
- Dovresti smetterla.- le disse la donna a bruciapelo.
Charlene si girò a guardarla interdetta, non riuscendo a capire di cosa la stesse rimproverando.
- Di fare cosa?- replicò stupita.
- Di trattare tua sorella in quel modo, come se fosse una stupida.- rispose sua madre, seria.
Charlene avrebbe voluto ribattere che sua sorella era stupida, perché era un’ottusa sognatrice che viveva di romanzi e di storie fantastiche che le riempivano la testa di sciocchezze, che le facevano smarrire qualsiasi contatto con la realtà e le facevano perdere di vista le cose veramente importanti della vita: ovvero affermarsi socialmente con un ottimo lavoro e un buon matrimonio, erano questi i gradini che avrebbe dovuto scalare e che l’avrebbero portata a realizzarsi nella vita.
- Non è colpa mia: è lei che non si comporta in maniera normale.- esclamò, atteggiano poi le labbra in una smorfia disgustata.
- Veronica è una ragazza normalissima: avete solo due modi diversi di vedere le cose, non per questo una di voi ha ragione e l’altra no. Dovreste cercare di trovare un punto d’accordo.- ribatté la madre.
- Speri che facendo una così importante insieme come sorelle finiremmo per comportarci come tali? È per questo motivo che mi hai costretta a proporle di farmi da damigella, invece di chiederlo a Celia?- domandò arrabbiata, incrociando le braccia al petto e guardando sua madre indignata.
Celia Bradbury era la sua migliore amica fin dai tempi della scuola e insieme avevano spadroneggiato sugli altri studenti: erano le api regine di un alveare composto dalle ragazze più carine della scuola e avevano tenuto letteralmente in pugno il resto della scuola. Era stato come diventare la reginetta dell’istituto nei telefilm: tutti i maschietti erano innamorati di loro e le invitavano sempre a uscire con loro, tutte le ragazze le invidiavano e le detestavano, erano loro che decidevano cosa fosse di moda e cosa no, chi fosse un reietto e chi no; erano loro due quelle che ricevevano più rose e dichiarazioni a San Valentino. Le loro amicizia era durata anche oltre il diploma, nonostante non potessero vedersi spesso visto che abitavano in Stati diversi o, più probabilmente, era stata proprio la lontananza a permettere che il loro rapporto funzionasse così bene, perché Celia era la persona più simile se stessa che Charlene conoscesse, si assomigliavano sia riguardo alla mentalità che al carattere e, se avessero continuato a stare vicine, quasi certamente una delle due avrebbe cercato di far fuori l’altra per ottenere la corona, invece così ognuna aveva trovato un reame di cui diventare regina ed erano felici e soddisfatte così.
- Male non ti farà passare del tempo con lei, magari imparando a conoscerla capirai che essere diverse da te non è poi una cosa negativa.- replicò sua madre in tono determinato.
Charlene avrebbe voluto replicare che il cervello le sarebbe colato dalle orecchie se avesse trascorso ancora mezzo pomeriggio con Veronica, che la sua reputazione sarebbe finita a brandelli non appena le sue amiche avessero visto che razza di damigella d’onore avesse rimediato e il suo matrimonio invece di essere perfetto come lo aveva immaginato, si sarebbe trasformato in un’enorme barzelletta in cui lei avrebbe fatto la figura della stupida. Avrebbe voluto lasciarsi andare a un lungo sfogo di protesta, ma lo sguardo che sua madre le stava rivolgendo era implacabile e non ammetteva repliche. Sempre con le braccia incrociate al petto e una espressione di indignata superiorità in faccia, Charlene strinse le labbra e si voltò verso il piccolo palco sul quale anche lei aveva sfilato poco prima, ben decisa a fare l’offesa e non parlare più fino a quando sua madre non avesse mostrato un minimo di considerazione nei suoi confronti. Per questo non dovette aspettare poi molto, perché le bastava mostrare un’espressione appena ferita perché sua madre si sentisse subito in colpa e cercasse di fare la pace con lei. Infatti, dopo qualche minuto di silenzio, la donna sospirò e si mosse a disagio sui cuscini.
- Tesoro non volevo fare nulla che ti facesse arrabbiare, credimi. Desideravo soltanto che le mie figlie adorate andassero d’accordo. Se ho fatto qualcosa di male ti chiedo scusa.- disse la donna, parlando con un tono di voce mesto.
Essere la figlia preferita era davvero la cosa migliore del mondo, gongolò Charlene mentre cercava di lottare contro quel sorrisetto vittorioso che minacciava di incurvarle le labbra e poteva vanificare la sua opera. In passato aveva visto sua madre all’opera mentre rimproverava sua sorella e, se metteva a confronto la scena con quanto accadeva a lei, non c’era davvero paragone: quando Veronica faceva qualcosa per cui meritava di essere rimproverata, la loro madre non smetteva di essere adirata fino a quando la figlia non si scusava con lei, mostrandosi davvero pentita e promettendo solennemente di non rifarlo più; invece, quando toccava a lei di essere sgridata, le bastava mostrare per un po’ un’espressione abbattuta da cucciolo bastonato e la madre cedeva immancabilmente, in alcuni casi – come quello – arrivava perfino a scusarsi al suo posto. Charlene si prese una manciata di secondi per assaporare meglio la sensazione di vittoria e poi si girò verso la madre, in viso la sua migliore espressione dispiaciuta e prese la sua mano sinistra tra le proprie, stingendo appena per trasmetterle una sensazione di conforto.
- Non fa niente, mamma, davvero.- le disse e poi la baciò sulla guancia.
La donna ridacchiò, contenta di avere una figlia così dolce, gentile, speciale e poi mancavano pochi giorni al suo matrimonio, doveva essere particolarmente nervosa di fronte a quel cambiamento, quindi aveva tutto il diritto di agitarsi un po’. Un rumore di passi attirò la loro attenzione e, quando si voltarono, scoprirono che a produrli era Veronica che cercava di camminare senza cadere dalle scarpe con il tacco dodici che Charlene l’aveva costretta a indossare – la ragazza, sospettava, con lo scopo recondito che si rompesse una gamba e Celia, l’incubo peggiore di ogni adolescente normale e privo del tutto di manie narcisistiche e di protagonismo, finalmente potesse sostituirla; cosa che, tra l’altro, a Veronica sarebbe andata benissimo, perché non aveva mai avuto l’intenzione di prendere parte a quella stupida celebrazione della sorella che era stata travestita da matrimonio. Charlene riuscì a dissimulare a fatica un sorrisino divertito, mentre fissava la sua sorellina che si spostava a disagio sul palco per mostrare a lei e alla loro madre il vestito da damigella che avrebbe dovuto indossare: era un abito con la gonna lunga color rosa confetto, con il corpetto che aderiva al torace, non aveva le spalline e, almeno durante la funzione religiosa, le spalle sarebbero state coperte con una stola di organza di un paio di toni più scura dell’abito. Aveva già stabilito con il parrucchiere che avrebbe curato la sua acconciatura, che Veronica avrebbe avuto i capelli lisciati alla perfezione, lasciati sciolti sulle spalle: soltanto una forcina con brillanti avrebbe fermato le ciocche sopra l’orecchio destro. Non era male, considerò Charlene, ma se fosse stata più carina il risultato sarebbe stato migliore. Non si potevano pretendere miracoli se la materia prima non era di qualità, ma l’importante era che non l’avrebbe fatta sfigurare davanti agli invitati: aveva invitato anche il suo diretto superiore, il capitano Stroud, e voleva essere sicura che niente e nessuno avrebbero potuto metterla in ridicolo davanti all’uomo che comandava il dipartimento di polizia in cui lavorava e da cui dipendevano le sue future promozioni, nemmeno la sua goffa e sgraziata sorellina.
- Sembri quasi carina, sai? Ogni tanto dovresti abbandonare quel tuo stile da nerd e vestirti come una persona normale: gli altri comincerebbero a prenderti più sul serio.- commentò Charlene sarcastica, dopo averla squadrata da capo a piedi.
Veronica aprì la bocca per risponderle a tono ma un’occhiataccia ammonitrice di sua madre la fece desistere. Richiuse la bocca e stirò le labbra in un sorriso, ma lo sforzo occorso per farlo diede come risultato solamente un inquietante ghigno. Tra lei e sua sorella c’era sempre stata una forte tensione e i litigi erano praticamente all’ordine del giorno: non erano mai d’accordo su niente e avevano aperto una guerra che non si era chiusa neanche quando sua sorella era andata a vivere finalmente da sola, fatta di commenti al vetriolo, di taglienti frecciatine e di valanghe di sarcasmo. Il clima a casa si era fatto molto pensante anche perché Charlene era la cocca della loro madre che, per questo motivo, dava sempre ragione a lei. Quando sua sorella aveva dato il solenne annuncio del suo matrimonio – lei si era chiesta chi fosse l’allocco che aveva incastrato e, quando aveva incontrato per la prima volta Benedict, molte delle sue perplessità avevano trovato risposta – la loro madre aveva subito suggerito che fosse Veronica a farle da damigella e sia Charlene che lei avevano preso la proposta molto ma molto male. Immaginava che sua sorella avesse già candidato per il ruolo una di quelle arpie che aveva per amiche e che le avevano fatto passare un’adolescenza da incubo, sempre lì punzecchiarla con battute di dubbio gusto e che una volta erano arrivate a rubarle la biancheria intima e a spargerla nel campo di softball giusto per farsi due risate alle sue spalle – ovviamente la loro madre, quando lei le aveva riferito l’accaduto nella speranza di un po’ di sostegno, non aveva creduto neppure per un istante che Charlene, la sua perfetta figlia maggiore, fosse stata la mente di quell’azione che definire riprovevole era un eufemismo e, alla fine, aveva dovuto anche domandarle scusa. Per questi motivi, Veronica avrebbe preferito darsi malata piuttosto che fare da damigella a sua sorella e divenirne lo zimbello, tuttavia la loro madre non aveva voluto sentire ragioni, ovviamente: avrebbero fatto tutto in famiglia e loro due si sarebbero comportate come sorelle, mettendo da parte tutti i dissapori che le avevano divise in quegli anni. Non vedendo per sé alcuna via d’uscita da quella sgradevole situazione, Veronica si era fermamente aggrappata al pensiero che quelli sarebbero stati gli ultimi momenti in cui avrebbe dovuto avere a che fare con sua sorella, perché dopo il matrimonio sarebbe ritornata in Georgia dove lavorava e aveva comprato casa insieme al suo allocco, a troppi Stati di distanza per essere una presenza fissa nella sua vita e, se avesse deciso di tornare a casa per festeggiare in famiglia le feste comandate, avrebbe sempre potuto implorare i suoi amici del college di organizzare una gita per andare a sciare in montagna o a fare surf alle Hawaii. Solo questi pensieri le avevano dato la spinta per collaborare. Il suo compito era ingrato tuttavia, ripetendo come un mantra che, dopo quella pagliacciata che osavano chiamare matrimonio, avrebbe avuto a che fare con sua sorella ancora meno di prima, era riuscita a trovare il coraggio per percorrere quei pochi metri e salire sul palco, pronta a subire per un’ultima volta i commenti beffardi di Charlene, tanto di lì a qualche giorno sarebbe stato quell’allocco di Benedict – seriamente, esisteva al mondo qualcuno di più ottuso, noioso e inutile di quell’uomo? – a doversi sorbire i deliri di sua sorella e non lo compiangeva affatto. Veronica raddrizzò le spalle e lasciò che sua madre e sua sorella la esaminassero, giudicassero il modo in cui le stava l’abito e ordinassero alla sarta le ultime modifiche da apportargli: si sentiva un po’ come un animale venduto a una fiera, una cosa umiliante anche se non come si sarebbe di sicuro sentita il giorno delle nozze, ma il pensiero che fosse a un passo dal liberarsi di Charlene le dava la forza per sopportare qualsiasi cosa.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Venerdì - Parte II ***


Salve salvino gentili lettori e lettrici e ben ritrovati con un nuovo episodio del matrimonio più folle degli ultimi anni ed è tutto merito del nostro tenente Moore ^O^ In questo capitolo ci sarà un po’ di riflessione emo, ma spero sempre di riuscire nel mio intento di strapparvi almeno un sorriso ^^ Ringrazio Harryet e BlackCobra per aver lasciato un commento al precedente capitolo e di aver inserito questa long tra i preferiti. Ringrazio: Luceluce e orny81 per aver inserito questa long tra i seguiti. Ringrazio tutti coloro che hanno anche solo letto e tutti coloro che leggeranno e/o commenteranno questo capitolo.
Adesso la smetto di blaterare e vi lascio alla lettura, al prossimo capitolo gente ^O^


Venerdì – Parte II

Benedict prese il cappello a cilindro da sopra il comò e lo osservò mentre se lo rigirava tra le dita. Di lì a due giorni si sarebbe sposato. Quando aveva fatto la proposta alla sua fidanzata si trovava in un periodo della sua vita un po’ particolare: c’erano stati enormi cambiamenti per lui e Charlene e tutto era avvenuto con una tale rapidità che si era reso conto di cos’era accaduto solo quando si era ritrovato seduto alla sua scrivania, fresco di nomina e senza Charlene e Abby a fare da contrappunto alla sua vita. Si era sentito improvvisamente solo, lasciato indietro mentre le due donne lavoravano sodo per raggiungere i loro obbiettivi: invece lui cosa stava costruendo? Che frutti aveva dato? Aveva fatto scappare la donna che amava disperatamente il più lontano possibile da sé – tanto lontano che nemmeno sapeva dove si trovasse, visto che non rispondeva mai alle sue telefonate ed e-mail – e, contemporaneamente, si era legato in un modo che sembrava indissolubile a quella che era stata l’artefice della rottura tra lui e Abigail. Quando pensava ad Abby e a ciò che provava nei suoi confronti, si rendeva conto che era un sentimento chiaro e lineare, che lo lasciava felice e sorridente sotto il suo gradevole tepore. Per Charlene, invece, Benedict provava odio, rabbia, affetto e calore allo stesso tempo, era un sentimento confuso, difficilmente districabile e che, probabilmente, non sarebbe mai riuscito a capire fino in fondo. Un suo amico con cui si era confidato, raccontandogli tutta la faccenda e cercando di spiegargli lo strano triangolo che si era venuto a creare tra Charlene, lui e Abigail, aveva risposto che aveva sviluppato la sindrome di Stoccolma nei confronti della sua fidanzata e per questo non riusciva a staccarsi da lei.
Probabilmente aveva ragione.
Benedict osservò il riflesso della luce rincorrersi sulla stoffa lucida del cilindro e, improvvisamente, avvertì un peso gravargli sul petto, provocandogli una fastidiosa sensazione di claustrofobia. Quando aveva pensato di chiedere a Charlene di sposarlo gli era sembrata una buona idea. Nonostante tutto stavano insieme da un bel po’ di anni, erano arrivati a quel punto del loro rapporto in cui il grande passo era quasi obbligatorio, poi non doveva dimenticare che Abby era andata via senza nemmeno voltarsi indietro, senza degnarsi di dargli quella seconda possibilità che aveva praticamente implorato da lei. Aveva sommato tutte queste riflessioni e non gli era sembrata un’idea così pessima quella di domandare a Charlene di diventare sua moglie. E, preso dall’impeto della sua decisione, lo aveva fatto veramente. Peccato che l’effetto della sua proposta fosse stato vanificato e rovinato dal fatto che la sua fidanzata avesse risposto con l’impazienza e l’irritazione di chi aspettava già da tempo che una del genere accadesse.
Lui e Charlene avevano fatto tanti progetti per la loro vita insieme, ma gli erano sempre apparsi soltanto questo, dei progetti che si sarebbero concretizzati in un futuro non molto prossimo. Eppure, contro ogni sua aspettativa, il tempo era volato rapido e, nel volgere di battito di ciglia, si era ritrovato alle soglie del suo matrimonio. Gli pareva ancora una cosa incredibile se non irreale. Sospirò e rimise il cappello al suo posto, quindi si sedette sul bordo del letto, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa tra le mani. A quel senso di costrizione al petto si era unita anche una disperazione sorda, che lo aveva quasi portato sul punto di piangere. Si sentiva intrappolato in una cosa che non era sicuro di volere fino in fondo e non sapeva come venirne fuori. Era troppo tardi e troppo impantanato in quella storia per potersi tirare indietro. La donna che immaginava al suo fianco quando pensava alle sue nozze non era Charlene, ma Abby, la sua bellissima Abby, che vedeva venire verso di lui, avvolta in un abito da sposa bianco e con un delicato velo a coprirle il viso arrossato dal piacere e dall’imbarazzo, così meravigliosa da eclissare tutto ciò che non era lei, come una luce candida e accecante che annullava ogni cosa attorno a lei. Quando si perdeva in simili fantasticherie si sentiva contento come non lo era da tempo, perché riaveva con sé tutto ciò che bramava di più al mondo. Quand’anche avesse voluto tirarsi indietro e lasciare Charlene sull’altare, che cosa avrebbe potuto fare dopo? La donna che amava credeva che lui l’avesse tradita quando stava solo cercando di proteggerla e, per questo, detestava anche la sua sola vista, non voleva più avere nulla a che fare con lui e si stava ricostruendo una vita senza di lui. La sola idea della sua Abby tra le braccia di un altro uomo, forse proprio di quell’agente con cui faceva coppia ora, gli faceva rivoltare le interiora dalla rabbia.
Quando, quattro anni prima, Abigail se n’era andata da Sioux Falls a causa della sua promozione allo Fbi, Benedict l’aveva lasciata andare via senza nemmeno provare a fermarla, perché era troppo arrabbiata con lui per tutto ciò che le aveva raccontato e si trovava in un tale stato di rabbia che non voleva neanche ascoltare le sue parole. Non era il momento giusto per parlare, lo sapeva da solo, perché le sue parole sarebbero cadute nel vuoto. Aveva voluto darle tutto il tempo di cui aveva bisogno per sbollire la collera e riflettere a mente fredda su quanto accaduto, affinché comprendesse che l’aveva lasciata per Charlene perché l’amava troppo e non poteva sopportare che lei le rovinasse la vita con le storie che faceva girare su di lei. Voleva che Abigail capisse che tutto quello che aveva fatto, anche se aveva dubitato di lei, l’aveva ferita e a l’aveva trattata come una reietta, l’aveva fatto soltanto per lei e in non di quell’amore che provava per lei. Aveva sbagliato e ora lo aveva compreso, ma il prezzo che aveva pagato era stato fin troppo alto. I giorni erano lentamente diventati mesi e i mesi anni, mentre lui si trascinava da un giorno all’altro e la speranza di rivedere Abby si affievoliva sempre di più; per questo aveva finito per legarsi in quel modo a Charlene, perché era l’unica cosa che gli era rimasta che lo legasse ancora ad Abigail, anche se in un modo distorto e che non rendeva le sue giornate ripetitive e inutili, ma con uno scopo. Vittima e carnefice insieme, legati da un doppio filo rosso.
Se quel maledetto ingranaggio del destino non si fosse inceppato mandando in pezzi tutto quello a cui teneva davvero, se tutto fosse filato liscio come voleva lui a quest’ora starebbe aspettando agitato il giorno del suo matrimonio, avrebbe contato impaziente i minuti che lo separavano dal momento in cui lei sarebbe diventata sua e viceversa, iniziando la loro meravigliosa vita insieme. Invece tutto era andato a rotoli: cercando di proteggerla, aveva fatto una serie di stupide scelte e, invece di prendere tempo come aveva sperato, non solo aveva distrutto quello stupendo rapporto che aveva costruito con Abby, ma l’aveva perduta e si era ritrovato invischiato senza possibilità di scampo con l’unica persona al mondo che non avrebbe mai voluto al proprio fianco. Lo aspettavano una vita nuova accanto a una donna a cui, nel corso del tempo, aveva imparato a volere bene ma che non era quella che lui amava e un nuovo incarico lontano dal dipartimento di polizia di Sioux Falls, il posto che aveva visto nascere e consumarsi la sua storia con Abby e in cui ogni angolo le ricordava lei e gliela faceva sentire un po’ vicina.
Benedict sciolse la stretta sulla sua testa e raddrizzò la schiena, per poi allungare la mano destra verso il cassetto del comodino e tirare fuori un piccolo album fotografico in cui teneva le foto che aveva scattato nel periodo in cui aveva lavorato a Sioux Falls. Lo sfogliò fino a trovare quello che stava cercando: una foto che era stata scattata alcuni mese dopo che Abby era stata trasferita nel suo dipartimento, quando ormai loro due avevano superato le diffidenze iniziali, la loro partnership era ormai un meccanismo ben oliato e gli ingiusti pettegolezzi su di lei avevano già cominciato a girare, ma, a parte Frank e la sua cricca, nessuno in ufficio era ancora deciso a crederci senza prove. La foto in questione era stata scattata durante un’uscita di gruppo della loro squadra, avevano deciso di provare la birra di un pub irlandese che avevano aperto da poco: lui e Abby erano seduti così vicini che sembravano incollati l’uno all’altra e sorridevano mentre sollevavano il boccale verso l’obbiettivo nella simulazione di un brindisi. Erano insieme e felici in quella foto e la situazione tra di loro e in ufficio era precipitata un paio di settimane dopo che l’avevano scattata. Benedict osservò a lungo il volto della ragazza arrossato e sorridente nella fotografia, rendendosi conto una volta di più di quello che aveva perduto e che, forse, non avrebbe mai più riconquistato. Sospirò e richiuse di colpo l’album, rendendosi conto che non serviva a nulla torturarsi in quel modo. Si lasciò cadere all’indietro, sdraiandosi di schiena sul materasso e chiuse gli occhi: aveva perso Abby, ma si era anche legato a Charlene e, anche se non l’amava come lei voleva perché non era lei la donna della sua vita, nel corso del tempo aveva imparato a volerle bene e ad apprezzarla. Stava bene insieme a Charlene: nonostante il suo carattere forte e, a volte, duro sapeva essere anche dolce, lo amava e non mancava di dimostrarglielo e il sesso era fantastico. In definitiva, non doveva guardare a quel matrimonio come a un obbligo, ma come a una possibilità per essere felice insieme a una persona a cui voleva bene. La vita vissuta insieme a Charlene non poteva essere poi così male e, magari, col passare degli anni sarebbe anche riuscito a dimenticarsi della sua meravigliosa Abby.


§§§



Abigail fissava perplessa l’oggetto che aveva tra le dita, totalmente incredula che una cosa del genere fosse accaduta sul serio. Era un cartoncino rettangolare color avorio, l’estremità destra e il suo opposto erano stati decorato con eleganti svolazzi in rilievo; al centro, con caratteri eleganti e inchiostro dorato, era stato vergato il motivo per cui quella cosa era stata spedita: Benedict e Charlene stavano per sposarsi e quest’ultima aveva avuto la brillante idea di invitarla al matrimonio. Con un preavviso pressoché nullo, visto che la cerimonia si sarebbe tenuta di lì a due giorni… Probabilmente la donna credeva che lei fosse a sua completa disposizione o, più probabilmente, sperava che rifiutasse l’invito che tanto magnanimamente le aveva rivolto, in modo da avere l’occasione di sparlare della sua ingratitudine o di chissà cos’altro.
Abigail sbuffò e lanciò il cartoncino sul tavolo, facendolo cadere accanto alla busta da lettere in cui era stato spedito. Quando, un anno prima, Charlene le aveva annunciato, durante una breve pausa nel mezzo del caso di cui si stavano occupando, che si sarebbe sposata con Ben e che lei era invitata alle nozze, aveva preso atto ancora una volta della meschinità del suo ex fidanzato e creduto che non stesse dicendo sul serio, ma che il suo fosse solamente un espediente per farla ingelosire. Miseramente fallito, tra l’altro. Scosse la testa e, dopo essersi tolta la giacca, si diresse verso la stanza da letto: l’ultima cosa che voleva era andare a quello stupido matrimonio, rivedere Benedict e avere di nuovo a che fare con Charlene che, ne era certa, avrebbe sfruttato l’occasione per autocelebrarsi.
Arrivata sulla soglia della porta, Abby si fermò, affascinata dallo spettacolo che aveva davanti. Si appoggiò contro lo stipite della porta per osservare la schiena ampia di Drew che, impegnato a cercare qualcosa dentro l’armadio, non si era accorto della sua presenza. Incantata, studiò i muscoli che si contraevano e rilassavano a ogni movimento dell’uomo, mentre avvertiva una punta d’eccitazione incominciare a scorrerle nelle vene. Forse era perché stare con Benedict non l’aveva abituata ad avere a che fare con uomini simili, ma sempre si meravigliava dell’effetto che il suo attuale compagno aveva su di lei, anche se non faceva in concreto niente. Abby tossicchiò per attirare l’attenzione dell’uomo, all'improvviso consapevole della voglia cruda di avere i suoi occhi verdi su di sé, di ritrovarsi tra le sue braccia. Sorpreso, Drew si girò di scatto e, quando la vide, un sorriso ampio e dolce gli schiuse le labbra.
- Bentornata.- le disse mentre si avvicinava a lei, contento che fosse ritornata finalmente a casa.
Quando Drew le fu davanti, l’avvolse in un forte abbraccio mentre abbassava la testa per baciarla. Gli ultimi giorni erano stati un po’ difficili per loro: da quando Abigail era stata trasferita al GBI ed era finiti a lavorare insieme, Drew e lei avevano trascorso quasi tutto il tempo insieme, rinsaldando un rapporto che dalla stima professionale si era evoluto prima in amicizia e poi in amore; per questo, ora che Drew era stato scelto per un corso di aggiornamento di mese e lei, nel frattempo, era finita in squadra con un agente oramai prossimo alla pensione, era difficile stare lontani e ogni momento che riuscivano a trascorrere insieme quando tornavano a casa diventava prezioso.
- Non vedo l’ora che questa storia finisca e possa finalmente ritornare a lavorare con te: sono stanco di dover trascorrere il mio tempo con persone che non sono te, amore mio.- mormorò Drew accorato, la bocca a un soffio da quella della fidanzata.
Anche Abigail provava la stessa cosa: la sua assenza stava diventando mancanza e, per questo motivo, aveva il costante bisogno di toccarlo, di sentire i polmoni impregnati del suo odore, per avere la sicurezza che tutto quello fosse reale. Spinse la testa in avanti, baciandolo ancora, mentre con le braccia gli avvolgeva le spalle e sperava in quel modo di comunicargli quello che provava. Dopo, Drew posò la fronte contro la sua, mentre aspettavano che i loro respiri si regolarizzassero.
- Sai che cosa mi è arrivato per posta?- domandò poi Abby, nel tentativo di alleggerire almeno un po’ quel momento.
Drew si allontanò da lei quel tanto che bastasse per guardarla e i suoi occhi avevano un’espressione curiosa.
- La partecipazione al matrimonio tra Charlene e Benedict che si terrà tra due giorni. Il nostro adorato tenente mi ha fatto l’immenso onore di invitarmi… Me più uno, in realtà.- disse e nel tono della sua voce si sentiva una nota di sarcasmo.
- Davvero?- chiese l’uomo sorpreso e inarcò un sopracciglio.
Abby annuì con un cenno della testa, mentre si stringeva di più a lui.
- C’è la partecipazione sul tavolo della cucina, se non mi credi. Charlene mi aveva detto che stava per sposarsi con Benedict durante il caso che abbiamo seguito insieme a lei e mi aveva anche accennato che voleva invitarmi, ma pensavo che non stesse dicendo sul serio, che volesse soltanto provocarmi e stava facendo sul serio, invece.- sbuffò esasperata.
Drew la osservò per un po’ e Abby poteva vedere chiaramente che stava architettando qualcosa… Qualcosa che non le sarebbe piaciuta affatto, visto che c’era di mezzo il caro tenente Moore.
- Possiamo andarci, tanto siamo liberi entrambi.- disse lui alla fine della sua pausa di riflessione.
- Stai scherzando, vero?- chiese incredula Abigail.
Il verde delle iridi di Drew brillò di una luce maliziosa e le sue labbra si stesero in un sorriso divertito. Abby, nel vedere quell’espressione, si sentì presa in trappola perché non riusciva a resistergli quando lo vedeva in quel modo: era una cosa più forte di lei. Invece di risponderle, l’uomo abbassò di nuovo la testa per baciarla in un modo che le fece mancare la terra da sotto i piedi.
- No, non sto scherzando. Vuoi davvero perderti l’evento più pacchiano degli ultimi anni? Sono certo che sarà una cerimonia così esagerata che rimarrà negli annali: non possiamo perderci una cosa simile per nulla al mondo. Mi vedo già a raccontarlo ai nipotini al posto della favola della buona notte.- dichiarò Drew con gli occhi che gli brillavano per il divertimento.
- Non ho alcuna intenzione di buttare un giorno di vacanza per stare dietro a quei due.- replicò Abby contrariata.
- Vedi il lato positivo della situazione. – ribatté Drew suadente, mentre le infilava una mano sotto la camicia. La sua voce aveva una grana più vellutata e calda del solito e Abby si ritrovò a rabbrividire per quello e per il tocco della sua mano grande sulla pelle – Finanche uno come Benedict arriverebbe a capire l’antifone se ci vedesse al matrimonio insieme e potrebbe anche smetterla una volta per tutte di correrti dietro nella speranza che possiate ritornare insieme. E poi, particolare da non trascurare, vuoi mancare l’occasione di ridacchiare alle spalle della coppia più bella del mondo mentre danno una così bella mostra di sé?- domandò Drew sempre con quel tono di voce denso come cioccolata, le labbra contro la gola della sua fidanzata.
Abby semplicemente si ritrovò ad annuire, a promettere che sarebbero andati insieme a quel matrimonio e, in quel momento, nemmeno le interessavano le motivazioni che Drew le aveva elencato: tutto ciò che voleva era trascinarlo sopra il letto e fare l’amore con lui, di Benedict e Charlene non le importava niente. Drew la conosceva, sapeva quali tasti toccare per farla capitolare: le stava facendo perdere del tutto la testa e lei glielo stava permettendo con gioia. Per un trattamento come quello che le stava facendo, avrebbe potuto sacrificare una domenica, pensò mentre si aggrappava di più alle sue spalle e ricambiava il bacio con sempre maggiore passionalità.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Sabato - Parte I ***


Salve salvino gentili lettori e lettrici e ben ritrovati ^O^ Ho tardato un po’ nell’aggiornare questa long perché, in questo periodo non trovo cinque minuti per mettermi al computer e lavorare un po’ a questa storia ç__ç Sono comunque riuscita fortunosamente a ricavarmi un pochino di tempo per correggere il nuovo capitolo e quindi eccomi qui ^.^’’’ Ringrazio BlackCobra e Harryet che hanno lasciato un commento al precedente capitolo. Ringrazio: BlackCobra, eppy, Harryet e perlanera che hanno inserito questa long tra i prederiti. Ringrazio: Luceluce e orny81 che hanno inserito questa storia tra i seguiti. Ringrazio tutti coloro che leggeranno e/o commenteranno questo capitolo.
Adesso la smetto e vi lascio alla lettura, al prossimo capitolo gente ^O^


Sabato – parte I

Charlene si guardava intorno annoiata, mentre aspettava che la commessa sbrigasse la cliente prima di lei e si decidesse a prestarle attenzione: quel giorno avevano tantissime commissioni da sbrigare e non poteva di certo perdere tempo prezioso a causa di quella ragazzina lenta e incapace. Intanto, sua madre si era accostata a uno scaffale e stava osservando con estrema attenzione le bomboniere che vi erano esposte sopra. Giusto per interrompere la noia di quell’attesa che sembrava infinita, le si avvicinò e rivolse lo sguardo verso quello che sua madre stava guardando: erano dei piccoli gufi di ceramica dall’aspetto buffo ed era il genere di cose che piacevano alla sua genitrice. Charlene arricciò il naso al pensiero che sua madre avrebbe voluto regalare animaletti ridicoli come bomboniere: aveva dovuto ricordarle che non erano per una festicciola da bambini, ma per il suo matrimonio, un’occasione importantissima per la quale aveva scelto qualcosa di originale e di artistico che avrebbe dato alla cerimonia un tocco di classe in più. Comunque, persino quei pupazzetti erano molto meglio della balzana idea avanzata da sua sorella: Veronica era dell’idea che i soldi per le bomboniere erano una spesa inutile e che potevano essere devoluti a una qualche associazione umanitaria o per la lotta contro qualche malattia genetica o incurabile; aveva asserito che al suo matrimonio non avrebbe speso soldi per comperare ninnoli inutili il cui unico scopo era ingombrare le mensole e riempirsi di polvere, ma avrebbe donato la somma corrispondente a una qualche ONLUS, facendo ritornare a casa gli invitati con in mano un mazzetto di fiori e frutta secca a cui avrebbe unito una pergamena arrotolata in cui avrebbe spiegato il suo progetto. Non che l’idea di sua sorella fosse stupida, ma era l’occasione scelta a essere sbagliata: gli invitati portavano regali più o meno costosi agli sposi e, quindi, meritavano di essere ripagati nello stesso modo. Per questo Charlene si era impegnata al massimo per scegliere una bomboniera che, ne era certa, le avrebbe fatto fare una splendida figura.
- Prego.- la voce della commessa annunciò che era il loro turno.
Finalmente! Sbuffò Charlene infastidita, mentre si accostava al bancone del negozio. Lei era una donna molto impegnata, aveva un lavoro di alto profilo e grande responsabilità e, per questi motivi, raramente riusciva a ritagliarsi del tempo libero e, di certo, era trascorso molto tempo dall’ultima volta che era riuscita ad andare in ferie. Mancava soltanto un giorno al suo matrimonio e di cose da sistemare ne aveva ancora a iosa, ancora qualche ora passata in modo frenetico e poi, insieme a suo marito, sarebbe volata alle Maldive dove avrebbe trascorso la luna di miele in un resort extralusso: aveva prenotato un bungalow a palafitta, da cui avrebbero potuto tuffarsi direttamente nell’acqua cristallina e, per due settimane, sarebbe stata servita a puntino sia dai camerieri che dal marito devoto che avrebbe avuto al suo fianco. Avrebbe dovuto mandare un paio di foto alla carissima Abby: era abbastanza sicura che l’avrebbe fatta morire d’invidia.
- In che cosa posso esservi d’aiuto?- chiese la commessa, mentre rivolgeva loro un sorriso tutto denti.
- Sono Charlene Moore e sono venuta a ritirare le bomboniere per il mio matrimonio.- annunciò tutta impettita.
La commessa alzò la cornetta del telefono che aveva poggiato accanto a sé e compose un numero, attese per qualche secondo e poi parlottò brevemente con la persona che le aveva risposto all’altro capo, il tutto sotto lo sguardo sempre più impaziente di Charlene.
- Il suo ordine è pronto, un commesso porterà subito gli scatoloni dal magazzino. Nel frattempo posso mostrarle come abbiamo impacchettato le bomboniere.- propose la ragazza sempre rivolgendole un sorriso entusiasta.
Il tenente Moore rivolse uno sguardo accigliato alla commessa, mentre si chiedeva che cosa avesse da essere tanto allegra, soprattutto visto il lavoro che svolgeva. Annuì con un cenno secco del capo e subito la ragazza prese dalla scaffalatura posizionata alle sua spalle una scatola rettangolare, abbastanza lunga e di colore bianco. La commessa poggiò con delicatezza l’oggetto sul bancone e davanti a lei e, piano, alzò il coperchio decorato con un nastro di merletto rosa zucchero. Charlene si sporse in avanti con la testa e, appoggiato sul panno di seta color avorio all’interno, c’era l’oggetto che le era piaciuto così tanto da sceglierlo come bomboniera per il suo matrimonio: era una tegola decorata e il soggetto, una coppia di sposi ritratti di spalle e che si tenevano per mano in un campo di fiori e davanti a un cielo azzurro, gli era parsa una cosa parecchio romantica e adatta al suo scopo. Che cosa più della metafora di una coppia di novelli sposi che osservano insieme e fiduciosi del loro legame la nuova vita che hanno scelto di percorrere insieme, poteva celebrare degnamente il giorno delle sue nozze? Non era abbastanza certa che tutti gli invitati sarebbero stati capaci di cogliere e apprezzare il significato profondo della sua scelta, ma era più che sicura che i suoi superiori avrebbero gradito quell’oggetto e il solo pensiero che quella tegola sarebbe stata appesa sopra una delle pareti del salotto del capitano, le fece tendere le labbra in un sorrisino compiaciuto. E Charlene era sicura che la cara Lehmann non avrebbe avuto mai un onore simile e la cosa le avrebbe bruciato enormemente.
- È soddisfatta della confezione, signorina Moore?- domandò la commessa strappandola alle sue rosee riflessioni.
- È perfetto. Dica al magazziniere di portare gli scatoloni nel parcheggio: lo aspetterò vicino alla mia automobile.- dichiarò decisa, per poi indicare con un cenno del capo a sua madre di seguirla fuori dal negozio.
Dare ordini le veniva naturale come respirare perché aveva l’acciaio nella voce, possedeva un’attitudine per il comando naturale e questo era solamente uno dei motivi che l’avevano fatta arrivare così giovane al grado di tenente e che l’avrebbero portata sempre più in alto.
- Tesoro cos’altro abbiamo da fare?- domandò la madre che le camminava al fianco.
Charlene ripassò mentalmente quali fossero le ultime commissioni da fare: le bomboniere erano sistemate e avevano ritirato il suo bouquet quella mattina, subito dopo essere uscite di casa, quindi rimaneva un’ultima cosa da fare prima del grande giorno.
- Dobbiamo andare al parrucchiere per la prova dell’acconciatura e chiedere alla truccatrice a che ora verrà a casa nostra.- replicò il tenente Moore prima di fermarsi accanto alla sua automobile.
Il magazziniere era in ritardo, ovvio, possibile che in quella stupida città nessuno avesse ancora compreso che lei di tempo da perdere non ne aveva?


§§§



- Ricordami perché dobbiamo andare a quello stupido matrimonio.- disse Abigail e la sua voce suonò un po’ assonnata e un po’ irritata.
Drew, seduto sulla sponda del letto, sorrise e si girò verso di lei, facendo scorrere uno sguardo sempre più affascinato sopra il suo corpo: la ragazza era sdraiata supina con solo un’estremità del lenzuolo a coprirle il corpo nudo, le gambe, libere dalla stoffa, erano stese sopra le coperte e lasciate completamente alla sua vista. Prese nella sua una delle mani della ragazza e la portò alle labbra per baciare il dorso delle dita, mentre studiava soddisfatto tutti i segni del rapporto che avevano consumato ancora ben visibili sul corpo di lei.
- Perché sarebbe scortese rifiutare l’invito di una tua ex collega.- rispose e le rivolse un piccolo sorriso.
Abby si girò, stendendosi sul fianco e ricambiò il suo sorriso; il lenzuolo era scivolato un po’ dal suo corpo, lasciandole il seno scoperto e l’uomo avvertì un brivido d’eccitazione nel vederla così.
- Quando me l’hai detto la prima volta, il tutto suonava molto più convincente rispetto a ora.- replicò lei e nella sua voce si udiva il suono della risata che stava trattenendo.
Il sorriso sulle labbra di Drew si ampliò, mentre lei lo stava tirando per la mano che ancora stringeva la sua, con l’intento di farlo stendere di nuovo accanto a sé.
- Davvero vuoi perderti la mirabolante cerimonia nuziale del tenente Moore? Potresti trascorrere la giornata a fare del sarcasmo sui novelli sposi insieme a me: potremmo sghignazzare sul modo in cui il nostro adorato tenente si pavoneggerà per tutto il tempo nel suo bell’abito bianco e, soprattutto, su quel disgraziato del tuo ex che scatterà a ogni minimo cenno per obbedire a puntino alla sua acida metà.- le spiegò con un ghigno, mentre faceva scorrere piano le dita della mano sinistra sul fianco scoperto di lei.
In realtà, Drew non aveva nessun interesse a partecipare al matrimonio del tenente Moore, sospettava che il tutto sarebbe stato una cerimonia pomposa e pretenziosa che lo avrebbe messo tremendamente al disagio e annoiato a morte. Il motivo per cui Drew stava premendo tanto per convincere Abby ad andarci, era che aveva un piano infallibile: sebbene l’agente Wyatt fosse praticamente un uomo sposato, aveva continuato a correre dietro a Abby nella speranza che loro due potessero mettere una pietra sopra al passato e ritornare insieme e la cosa non gli andava minimamente giù. Per questo aveva pensato di andare al matrimonio insieme, non come amici e colleghi ma come fidanzati e di farsi vedere dal novello sposo: una fede al dito, la moglie che si era scelto e la scoperta che la donna di cui si diceva ancora innamora non fosse più disponibile, avrebbero dovuto stroncare le sue speranza di un futuro insieme sul nascere… Altrimenti ci avrebbe pensato lui a mettere una pietra sopra al caro Benedict.
- L’idea del sarcasmo non è male: ridere alle spalle di Charlene potrebbe dare un senso a una giornata che butteremo letteralmente alle ortiche.- Abby diede il suo implicito assenso parlando in tono basso e roco, mentre si sporgeva verso il suo compagno.


§§§



Benedict agganciò al bordo dell’armadio le stampelle su cui era appeso il suo abito da sposo. Fece scorrere le dita sulla plastica opaca che lo rivestiva e si rese conto che non provava assolutamente niente. Aveva sempre creduto che, in vista del giorno delle sue nozze, si sarebbe sentito profondamente emozionato e spaventato per l’inizio di una vita nuova accanto a una persona che rappresentava la sua metà perfetta e, invece, sentiva come se il pulsante che governava le sue emozioni fosse stato premuto, spegnendo tutto. Stava per iniziare un nuovo capitolo della sua vita e non provava assolutamente niente, neanche quel senso di vuoto misto a una profonda nostalgia che aveva avvertito quando aveva chiesto di sposarlo a Charlene e non ad Abby. Non che il matrimonio fosse una cosa definitiva, esisteva pur sempre il divorzio, tuttavia sospettava che contrarlo con Charlene non lasciasse alcuna via d’uscita e si vergognava di pensare a una cosa del genere proprio il giorno prima delle sue nozze. Quando qualcuno bussò alla porta della sua stanza sospirò profondamente perché, in quel momento, non aveva voglia di vedere nessuno.
- Avanti.- disse comunque, mentre si allontanava dall’armadio e si avvicinava al letto per sedersi sulla sponda.
Il battente si schiuse e Ian, suo migliore amico dai tempi del liceo e suo testimone di nozze, entrò nella stanza con un ampio sorriso sulle labbra.
- Lo sposo non deve rimanere da solo il giorno prima del suo matrimonio. Potrebbe mettersi a pensare e farsi venire strane idee, come mollare tutto e scappare dall’altra parte del mondo.- scherzò mentre si avvicinava all’amico ancora seduto sul bordo del letto.
Benedict sorrise appena ben sapendo che non sarebbe andato da nessuna parte perché, se non avesse sposato Charlene, avrebbe trascorso davvero tutta la sua vita a cercare di riconquistare Abby, scontrandosi ogni volta contro il muro di gomma creato dalla indignazione e dalla rabbia che provava nei suoi confronti; avrebbe sul serio trascorso tutta la vita ad aspettare una donna che forse non voleva più saperne di lui e che, magari, aveva già voltato pagina ed era andata avanti senza di lui. Almeno, in questo modo, avrebbe avuto vicino una persona a cui voleva bene e che lo ricambiava. Sapeva che non era giusto nei confronti di Charlene, che il suo era un mero accontentarsi e non l’amore cocente che provava per la sua Abby, ma davvero non aveva alternative.
- Non potrei rinunciare per nulla al mondo a Charlene.- rispose poi, seguendo la linea dettata dai suoi pensieri.
- Sei proprio cotto della tua bella, lasciamelo dire. – dichiarò Ian divertito mentre gli sedeva accanto – Comunque, ero venuto a dirti che è tutto pronto, possiamo andare quando vuoi. Anche se, lasciami dire anche questo, trovo l’idea parecchio imbarazzante.- disse e inarcò entrambe le sopracciglia.
Nemmeno Benedict era entusiasta né convinto fino in fondo di quell’idea, però aveva comunque deciso che avrebbe fatto qualche cosa per la donna che era in procinto di sposare, come per ripagarla del fatto che non la amava quanto lei amava lui e poco gli importava che fosse una cosa stupida o imbarazzante: l’unica cosa che gli interessava era che lei fosse felice. Charlene aveva letto che in Italia c’era l’usanza di fare una serenata alla propria futura sposa il giorno prima delle nozze e ne era rimasta affascinata, per questo motivo Benedict si era organizzato e aveva reclutato alcuni amici che sapevano suonare qualche strumento, convinto a darle ciò che desiderava, sicuro che quello fosse un buon modo per inaugurare un matrimonio. Distolse lo sguardo e lo portò sulla finestra: la sera era incipiente e, visto che aveva letto che le serenate dovevano avvenire con il buio e che c’era parecchia strada da fare dal suo albergo alla casa della famiglia Moore, decise di non perdere altro tempo e di dare il via a quella cosa.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Sabato - Parte II ***


Salve salvino gentili lettori e lettrici e ben ritrovati ^O^ E così siamo arrivati al sabato sera, quindi dal prossimo capitolo si racconterà la cerimonia e il banchetto nuziale del nostro amato tenente Moore ^O^ Ma, prima di tutto, ringrazio BlackCobra: oltre a stare ad ascoltare i miei vaneggiamenti su questo matrimonio, la mia tesciora mi ha anche consigliato quale potesse essere la migliore bomboniere per Charlene; a lei quindi vanno i miei ringraziamenti e un abbraccio stritoloso *__* Ringrazio Harryet e BlackCobra che hanno lasciato un commento al precedente capitolo. Ringrazio: BlackCobra, eppy, Harryet e perlanera che hanno inserito questa long tra i preferiti. Ringrazio: Luceluce, orny81, romy2007 e vallinda che hanno inserito questa long tra i seguiti. Ringrazio tutti coloro che hanno anche solo letto e tutti coloro che leggeranno e/o commenteranno questo capitolo.
Adesso la smetto di chiacchierare e vi lascio alla lettura, al prossimo capitolo, gente ^O^


Sabato – parte II

Charlene era comodamente seduta sopra il divano della casa dei suoi genitori e ascoltava sua madre che canticchiava mentre preparava il completo che il marito avrebbe dovuto indossare il giorno dopo per portare la figlia all’altare; Veronica si era accomodata su una delle due poltrone posizionate ai lati del sofà e, giusto il tempo di sistemarsi i cuscini dietro la schiena, aveva aperto un libro enorme e si era tuffata nella lettura. Non che avesse voluto intavolare una conversazione con lei – ci teneva ancora alla sua salute mentale e non aveva proprio voglia di stare ad ascoltare le sue sciocchezze da nerd – ma aveva pensato che parlare con qualcuno avrebbe potuto stemperare quell’ansia che stava cominciando a provare. Non che avesse paura di sposarsi, il problema non era assolutamente quello, perché aveva tutta l’intenzione di fare carriera in polizia, di arrivare fino ai vertici della gerarchia di comando e, per questo, considerava il matrimonio una tappa fondamentale della sua scalata perché con esso avrebbe dimostrato di essere una persona stabile e assennata, qualcuno di cui potersi fidare visto che esisteva una persona che aveva deciso di dividere la vita con lei; rispetto a quelle single e dedite soltanto al lavoro, erano le donne sposate a fare carriera più rapidamente e, per questo, aveva accettato subito quando Ben le aveva fatto la proposta, sebbene non fosse nei suoi piani mettere su famiglia in così giovane età.
Charlene si guardò intorno in cerca di qualcosa da fare, fermò anche lo sguardo sulla copertina del libro che sua sorella stava leggendo, giusto il tempo di leggere il titolo e capire che si trattava dell’ennesimo romanzo fantasy e domandarsi che cosa ci trovasse di tanto interessante in quel genere: quando era più piccola aveva provato a leggere “Il Signore degli Anelli”, ma era stata una disfatta tale da non essere riuscita nemmeno a terminare il primo libro della trilogia. C’erano talmente tanti personaggi che si era perduta e non era riuscita mai a capire la differenza tra elfi e uomini e, infine, le descrizioni dell’autore erano troppo particolareggiate e risultavano terribilmente pesanti. Orripilata, era corsa a riporre il volume nella libreria di Veronica e, subito, lo aveva sostituto con un saggio sui poteri occulti che dominavano il mondo. Peccato che avesse avuto incubi su Mezz’Uomini, Elfi e Nani per le tre settimane successive.
Stava impegnando il suo tempo in quel modo, quando Charlene udì le prime note. Lì per lì pensò che, forse, la stanchezza per l’intensa giornata appena trascorsa le stesse giocando uno scherzo, ma continuava a sentire quel suono e anche sua sorella aveva distolto la sua attenzione dal libro e si era girata verso la finestra. Con un movimento elegante si alzò dal divano e si diresse verso gli infissi, decisa a scoprire chi fosse a suonare e perché, un modo come un altro per ovviare all’uggia di quella serata. Scostò le tende dai vetri e, nel giardino della casa dei suoi genitori e proprio in corrispondenza dalla finestra del salotto, c’era Benedict che, in piedi sull’erba, stava cantando accompagnato con le chitarre da un paio di suoi amici. Quella che aveva scelto era una delle sue canzoni preferite, She’s the one di Robbie Williams, e sentirla intonare dall’uomo che stava per sposare era un’emozione incredibile. Aveva allungato la mano per aprire la finestra e farsi vedere da lui, ma la voce di sua madre la fermò.
- No, non devi uscire troppo presto. Devi farti desiderare e aspettare almeno due o tre canzoni, prima di farti vedere. – la donna l’aveva raggiunta e aveva rimesso le tende a posto – Benedict è proprio un amore di ragazzo, così innamorato di te da fare una cosa del genere: non sono in molte la donne che possono vantare la fortuna di avere un uomo simile al proprio fianco.- squittì deliziata e si sporse in avanti per vedere le tre figure che si scorgevano nella trama sottile della stoffa.
Udendo le parole della madre, Veronica roteò gli occhi mentre arricciava le labbra in una smorfia nauseata: lei avrebbe usato altri termini per descrivere quel mentecatto che stava per impalmare sua sorella e nessuno di essi sarebbe stato positivo. Charlene, però, annuì con un cenno della testa, mentre un sorriso soddisfatto le piegava le labbra. Quell’uomo stava facendo tutto quello per lei, per compiacerla e in quel momento lei seppe di averlo completamente in pugno, perché le era bastato dirgli che quella era una cosa che le piaceva perché lui cercasse di esaudire il suo desiderio. Quel pensiero aveva il sapore dolce della vittoria, perché era Charlene la donna a cui Benedict stava dedicando una serenata, non certo Lehmann: per lei non aveva mai fatto niente di simile e questo voleva dire solamente che era riuscita a ottenere il dominio totale del cuore di quell’uomo che, fino a poco prima, sospirava ancora per Abigail. Quanto avrebbe voluto fare un video di quella scena e inviarlo alla cara Abby per farle vedere tutto ciò che riusciva a far fare a Ben, il modo in cui lo stava trasformando nell’uomo adatto per lei.
Intanto, Benedict aveva incominciato a cantare un’altra canzone e Charlene rimase sorpresa nel riconoscerla: era Everything I do, I do it for you di Brian Adams, sulle cui note avevano danzato insieme la prima volta che Ben era venuto a trovarla dopo il suo trasferimento a Miami, dopo la sua promozione a sergente: era passato tanto tempo da allora, così tanto che ora lei era stata nominata tenente e comandava la squadra omicidi del distretto Savannah, per questo era stupita del fatto che lui si ricordasse di una cosa simile avvenuta anni prima e, questo, andò a solleticare piacevolmente il suo ego. Veronica, ancora seduta sulla poltrona e impegnata nella stoica impresa di continuare a leggere nonostante tutto quel baccano, strinse gli occhi infastidita e incominciò a contare all’indietro da cento nel tentativo di calmarsi e di impedirsi di correre ad aprire la finestra per urlare a quell’idiota di andare a starnazzare altrove, perché non voleva impelagarsi nell’ennesima discussione con sua sorella, non con la loro mamma presente e pronta a trovare una scusa per schierarsi a favore di Charlene. In quel momento stava rimpiangendo sentitamente l’IPod che aveva lasciato in camera e che aveva riempito con tutte le sue canzoni preferite, anche se, in quel momento, gli sarebbe andato bene qualunque cosa pur di non continuare ad ascoltare la voce stonata di Benedict che stava massacrando bellissimi brani musicali. E le piangeva il cuore al pensiero che suddetti brani avessero fatto da colonna sonora alle melensaggini della sua acida sorellina e di quell’allocco del suo fidanzato. Sua madre aveva gli occhi lucidi di commozione quando fece segno a Charlene che adesso poteva uscire per farsi vedere dal suo corteggiatore; Veronica ebbe appena il tempo di innalzare una silenziosa preghiera di ringraziamento perché quella sofferenza fatta musica stava per avere termine, che sua madre la invitò a raggiungerla per vedere cosa stesse succedendo sul loro balcone. La ragazza sospirò esasperata, si ricordò che tutto quello era per una buona causa perché ancora un giorno e sua sorella sarebbe stata un donna sposata e sarebbe ritornata finalmente in Georgia, liberandola della sua ingombrante presenza e, per questi buoni motivi, si alzò dalla sua comoda poltrona e si avvicinò alla madre per osservare insieme quel ridicolo rituale di corteggiamento che era stato messo su per la somma e ulteriore soddisfazione di sua sorella. Sua madre si sollevò sulle punte e si sporse in avanti, per poi farle cenno di fare altrettanto: quando Veronica la ebbe imitata, vide che, in piedi nel loro giardino, Benedict stava tendendo un enorme mazzo di rose rosse verso sua sorella, mentre cantava Lips of an Angel di Hinder. La ragazza spostò lo sguardo su sua sorella che se ne stava sul terrazzo impettita, mentre guardava l’uomo che le stava facendo una serenata con un sorriso appagato: il rapporto tra quei due era davvero impari, ma per qualche strano motivo pareva funzionare benissimo: Charlene aveva l’idea fissa di essere la donna più bella, intelligente e in gamba del globo e, per questi motivi, pretendeva di essere ossequiata sempre e ovunque; Benedict sembrava essere del tutto privo di spina dorsale e votato completamente al totale compiacimento della sua donna. Una parte dominante e una dominata: le stava venendo la mezza idea di proporli al suo relatore come argomento di studio per la sua tesi, anche perché era quasi certa che il suo professore non avesse mai avuto sottomano degli esemplari simili da esaminare. Certo, sarebbe stata una fatica immane, ma avrebbe potuto ricavarci anche un voto alto.
Mentre Veronica si dilettava con simili, oziosi pensieri, la madre era scesa in giardino per salutare quello che di lì a poche ore sarebbe diventato suo genero – e per il bene della sua salute mentale, la ragazza non voleva assolutamente pensare che stava per imparentarsi con un simile beota – e recuperare il mazzo di rose rosse che aveva portato alla sua innamorata. Charlene, intanto, era rientrata nella stanza e aveva stampata in viso un’espressione soddisfatta e orgogliosa: Veronica era abbastanza sicura che sua sorella ritenesse che ricevere una serenata dal proprio fidanzato l’innalzasse di qualche gradino al di sopra del restante genere femminile. La vide spostare lo sguardo su di sé e un sorrisino sarcastico le schiuse le labbra: era assolutamente certa che avrebbe cercato di scoccarle una frecciatina al vetriolo prima che la loro madre rientrasse in casa.
- Lo vedi cosa ti perdi continuando a comportarti come se non sapessi di essere una donna? Il tuo viso bruttino e il tuo atteggiamento da nerd stralunata sono un deterrente naturale per gli uomini, ma se iniziassi a prendere esempio da me e a curarti almeno un po’, un uomo potresti rimediarlo perfino tu, sai? Come hai potuto vedere, non solamente ho trovato l’uomo adatto per me ma domani lo sposo. Se fossi intelligente ascolteresti quello che ti sto dicendo e lo metteresti in pratica.- Charlene dichiarò tutto quello convinta di quello che stava dicendo e con una buona dose di supponenza.
Veronica aveva ascoltato con irritazione crescente il discorso della sorella: aveva trascorso buona parte della sua esistenza a sentirsi denigrare continuamente perché non rispondeva agli standard qualitativi di Charlene e, non riuscendo più a sopportare l’atteggiamento tracotante di sua sorella, esplose.
- Fossi in te non mi vanterei che stai per sposarti con quello lì: è talmente tonto che, ci scommetto, non ha ancora compreso ciò che sta per fare. Personalmente preferisco rimanere da sola per tutta la vita, piuttosto che legarmi a uno che pare avere il cervello di un cinquenne, anche se capisco che cosa tu possa trovare in un tipo simile: è talmente tanto inetto che puoi comandarlo a bacchetta senza che lui cerchi di ribellarsi e l’obbedienza assoluta nei tuoi confronti riveste un enorme fascino per te, visto che la cosa va a stuzzicare il tuo smisurato ego. Quindi no, non seguirò mai i tuoi consigli e gradirei che la smettessi di sputare sentenze sulla mia vita e sul modo in cui la vivo.- replicò parecchio alterata.
Nell’udire la risposta della sorella, Charlene si accigliò: era una persona abituata a non essere mai contestata, neanche i suoi sottoposti si azzardavano a contraddirla, ma ascoltavano i suoi ordini e svolgevano i compiti che assegnava loro in silenzio, nel modo più efficiente e sollecito possibile. Nessuno si era mai azzardato a risponderle in quel modo irrispettoso, a parte Lehmann, ovviamente, visto che, essendo una selvaggia, non conosceva nemmeno i rudimenti della buona educazione. Charlene portò le mani sui fianchi, prendendo una posa che le piaceva particolarmente e con la quale riusciva sempre a intimidire il suo interlocutore.
- Dispensare a te i miei consigli da sorella maggiore è sempre stato fiato perso, ma negli ultimi tempi sei peggiorata tantissimo. Accusi me di avere un ego enorme, però sei tu che ritieni di essere tanto in alto da non dover accettare alcun consiglio. Senza dimenticare il fatto che ti sei messa a sparare dei giudizi negativi su Benedict e su di me, senza che tu conosca lui o il nostro rapporto. E pensare che Ben ha sempre avuto parole carine nei tuoi confronti: sei stata profondamente ingiusta nei suoi e nei miei confronti, quindi pretendo le tue scuse immediate. – vedendo che la sorella non voleva scusarsi, scosse la testa con aria di riprovazione – La mamma ti ha lasciato troppa libertà, facendoti diventare una persona davvero viziata e quei libri che leggi in continuazione ti hanno fatto venire in testa delle strane idee!- aggiunse e la sua voce trasudava di biasimo.
Udendo quelle parole, Veronica sentì crescere ancora di più la propria rabbia, perché non era stata lei quella che era stata viziata fin dalla più età: lei aveva dovuto conquistarsi tutto lottando con le unghie e con i denti, sempre a doversi confrontare con il modello della sua perfetta sorella maggiore e, per quanto lei facesse, non era mai abbastanza per sua madre. Non le importava che aveva promesso a sua madre di comportarsi bene e di non creare problemi, di fare in modo che quel matrimonio andasse nel modo più liscio possibile: per nulla al mondo avrebbe lasciato correre l’ennesima provocazione gratuita di sua sorella senza reagire. Per Veronica era ormai passato il tempo in cui ingoiava ogni umiliazione con accondiscendenza, era una donna adulta e acculturata e non si sarebbe lasciata più intimorire né scaraventare a terra da Charlene.
- Con quale coraggio osi dare a me della viziata? Eri tu quella che veniva esaudita sempre e in ogni occasione, perché bastava che facessi un’espressione afflitta perché mamma cominciasse a sentirsi in colpa e corresse ad accontentarti. Con me non ha mai fatto altrettanto. Tuttavia continui a sentirti in diritto di sputare sentenze su di me e, posso garantirti, che sei tu che non conosci né me né la vita che vivo. Non vedo l’ora che questa pagliacciata finisca e che te ne ritorni finalmente in Georgia, così che io possa riprendere la mia vita orrenda e dissipata senza nessuno pronto a giudicarmi a ogni passo.- sbottò furente.
Stranamente Charlene non rispose con qualche altre frase acida e tarata unicamente sull’obbiettivo di farle il più male possibile, ma guardò qualcosa oltre le spalle della sorella e un sorrisino compiaciuto le stirò lento le labbra. I passi che risuonarono nel salotto dissero a Veronica tre cose: sua madre era rientrata senza che lei se ne accorgesse, aveva ascoltato almeno in parte la discussione tre lei e sua sorella e, infine, era arrabbiata con lei per aver attaccato la sua figlia prediletta, presumibilmente senza alcun motivo. La donna si parò davanti a lei con le braccia incrociate davanti al petto, un’espressione carica di disapprovazione stampata in viso e, vedendola, Veronica si sentì fregata come un topo in trappola: ancora, dopo tanti anni, si chiedeva che razza di divertimento trovasse, sua sorella, nel metterla in situazioni come quella.
- So che non siete mai riuscite ad andare d’accordo, tuttavia ho davvero sperato che almeno in questa occasione avreste potuto stipulare una tregua. Possibile che non riusciate a stare nella stessa stanza per più di cinque minuti senza punzecchiarvi e provocarvi a vicenda?- chiese la donna esasperata.
Charlene spostò uno sguardo oltraggiato su sua madre perché, contro ogni sua previsione, quella volta non la stava difendendo a spada tratta a prescindere che avesse ragione o torto. Anche Veronica era stupita dalla reazione della loro madre perché, per quanto lei ricordasse, quella era la prima volta che non si schierava a favore della sua adorata figlia maggiore, ma la sua sorpresa durò davvero poco: indispettita, la donna scosse la testa, prima di riportare lo sguardo sulla figlia minore che la stava fissando ancora a bocca aperta.
- Credevo che fossi cresciuta, Veronica, lo credevo davvero, però da quello che ho appena visto debbo ricredermi, sfortunatamente. Possibile che tu non riesca mai a evitare di scatenare la solita guerriglia non appena in questa casa mette piede tua sorella? Possibile che tu non riesca mai a lasciar correre, senza trasformare tutto ogni volta in un affronto personale? Cerca di maturare, Veronica e di vedere le dichiarazioni di Charlene per quello che sono: innocui scherzi tra sorelle. Nel frattempo mi aspetto che domani vi comportiate da sorelle affiatate e che tutto fili per il verso giusto, mi sono spiegata?- chiese e rivolse alla figlia minore uno sguardo che non ammetteva repliche.
La ragazza aveva ascoltato le parole della madre con i denti così stretti tra di loro, sotto le labbra serrate, da farle male, mentre lo stupore e la rabbia iniziale avevano lasciato spazio alla solita rassegnazione; sua sorella, come sempre, le stava rivolgendo lo sguardo divertito e deliziato di chi ha appena ottenuto ciò che voleva.
- Come vuoi.- disse alla fine Veronica, consapevole che sua madre aspettava una risposta e che non la avrebbe lasciata in pace fino a quando non l’avesse ottenuta.
La donna annuì e, dopo aver rivolto un’ultima occhiata ammonitrice alla minore delle sue figlie, si allontanò per riprendere e finire quello che stava facendo prima che la serenata di Benedict la interrompesse. Le sue due figlie, però, non si mossero ancora da dove le aveva lasciate, mentre continuavano a confrontarsi in una lotta fatta di sguardi da cui, come ogni volta, uscì vincitrice il tenente Moore: mentre Veronica la scrutava in cagnesco, Charlene minò con le labbra un “uno a zero per me” particolarmente soddisfatto, prima di lasciare la sua sorellina ancora fumante di rabbia e andarsi a rinchiudere nella sua camera di quand’era una ragazza: la mattina successiva doveva alzarsi presto per prepararsi, quindi voleva assolutamente concedersi una lunga e ristorante notte di sonno perché voleva essere bellissima per il suo grande giorno. Magari Lehmann avrebbe potuto decidere di partecipare al suo matrimonio e non voleva perdersi la sua faccia verde d’invidia e di ira nel vederla stupenda come sarebbe stata di sicuro l’indomani.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Domenica - Part I ***


Salve salvino gentili lettori e lettrici e ben ritrovate ^_^ Chiedo venia per l’ennesimo ritardo, ma negli ultimi giorni sono stata un po’ impegnata. Ma ora eccomi qui di ritorno e con questo capitolo entriamo nel vivo degli eventi: da questo punto in poi, infatti, racconterò il tanto agognato giorno del matrimonio della nostra amata Charlene. Ringrazio: BlackCobra e Harryet che hanno lasciato un commento al precedente capitolo. Ringrazio: BlackCobra, eppy, Harriet e perlanera per aver inserito questa storia tra le preferite. Ringrazio: orny81, romy2007, Selvaggia Egle e vallinda che hanno inserito questa storia tra le seguite. Ringrazio tutti coloro che hanno anche solo letto e tutti coloro che leggeranno e/o commenteranno il prossimo capitolo.
Adesso la smetto e vi lascio alla lettura, al prossimo capitolo gente ^O^


Domenica – Parte I

Con gli occhi ancora gonfi di sonno, Veronica osservava sua madre muoversi in modo frenetico attorno a sua sorella, con l’unico obiettivo di renderla ancora più bella di quanto già non fosse. Quello era il grande giorno di entrambe e ambedue volevano che tutto fosse perfetto al millimetro, a cominciare dalla sposa. Ancora per metà addormentata, la ragazza spostò lo sguardo sull’orologio appeso a una delle pareti della cucina e scoprì che erano le sei e un quarto del mattino: forse era stata una cattiva idea leggere fino a tarda notte nonostante sapesse che il mattino successivo avrebbe dovuto alzarsi all’alba. La madre entrò in cucina, percorse la stanza spedita e poi uscì fuori il piccolo terrazzino; mentre sorbiva con tutta calma il suo caffelatte,Veronica la sentì rovistare per qualche minuto nel mobile che avevano lì fuori ed emettere un verso trionfante quando ebbe trovato ciò che stava cercando. La donna rientrò nella cucina, però, invece di proseguire, si fermò davanti la sua figlia minore, che era ancora tranquillamente seduta al tavolo e stava facendo colazione con tutta calma.
- Cerca di non addormentarti su quella sedia e di darti una mossa perché questa mattina c’è molto da fare. Devi ancora vestirti e tra poco il parrucchiere e la truccatrice saranno qui. Ti do un’altra decina di minuti per finire di bere quello che hai nella tazza, poi voglio vederti andare di filato in bagno.- le disse perentoria.
Veronica annuì con debole un cenno della testa, reprimendo a stento uno sbadiglio, mentre avvertiva le sue facoltà mentali risvegliarsi poco a poco grazie al caffè. Pochi minuti dopo in cucina entrò il padre con ancora addosso il pigiama e i capelli così arruffati che le punte sparavano in ogni direzione e, dopo aver riempito fino all’orlo la sua tazza con il caffè caldo, rivolse alla figlia minore un sorriso comprensivo.
- Tua madre si è fatta prendere dall’ansia dei preparativi perché questo è il primo matrimonio che ha organizzato e perché a sposarsi è Charlene: tutti e due sappiamo bene quanto sia legata a lei e, per questo, vuole che tutto sia perfetto. Cerca di sopportare ancora un po’ e di assecondarla, va bene?- il padre pronunciò quel discorso nel modo più convincente possibile.
Veronica sospirò e annuì, prima di bere un altro sorso di caffèlatte e suo padre, in risposta, le carezzò la testa, arruffandole ancora di più i capelli. La ragazza finì di fare colazione, si alzò e, dopo riposto la sua tazza nella lavastoviglie, si trascinò in bagno per lavarsi, sperando di togliersi di dosso gli ultimi rimasugli di sonno. Quel giorno avrebbe dovuto indossare quella specie di trampoli che sua sorella voleva far passare per un paio di sandali e le sarebbe servita tutta la cautela e l’autocontrollo di cui era dotata per poter arrivare a sera senza cadere e rompersi qualcosa.
Nel frattempo era arrivato il parrucchiere. La signora Moore era corsa ad aprire la porta, agitata come se già fossero in tremendo ritardo sulla tabella di marcia e che sarebbero arrivati di sicuro a cerimonia iniziata. La donna condusse il parrucchiere e la sua assistente, che si trascinava dietro diversi borsoni con gli attrezzi del mestiere, nella camera in cui sua figlia maggiore si stava preparando. Con l’aiuto della madre, Charlene aveva già indossato l’abito da sposa e ora stava sistemando la gonna in modo che cadesse nel modo giusto e il breve strascico non fosse tutto arrotolato. Sentendoli entrare, la futura sposa si girò verso di loro e sorrise all’indirizzo della madre. Vedendola con l’abito bianco indosso, la donna si commosse e sentì gli occhi riempiersi di lacrime: la sua bambina, quella che portava al parco e riusciva sempre a impersonare il ruolo della principessa quando giocava con le altre bambine, era cresciuta ed era diventata una splendida donna e, molto presto, sarebbe diventata anche una meravigliosa moglie e una mamma stupenda.
- Bene, se ha finito di sistemare l’abito può sedersi davanti la specchiera, miss Moore, in questo modo possiamo incominciare a occuparci dell’acconciatura.- disse il parrucchiere, prima di fare cenno alla sua assistente di posare le borse a terra.
Con un enorme sorriso a tenderle le labbra, Charlene si spostò, facendo attenzione a non inciampare nell’orlo del vestito, fino a sedersi dove le era stato detto. Quello era un aspetto del matrimonio che le piaceva tanto: avere delle persone che si prendevano cura di lei, che si impegnavano per farla sembrare ancora più bella di quanto già non fosse, scegliendo la pettinatura e il trucco migliore a questo scopo, la faceva sentire tanto una di quelle dame del passato che avevano stuoli di servitori ai loro ordini, pronti a farla apparire al meglio di loro stesse in vista di un importante ballo di gala al palazzo reale. Mentre si accomodava sullo sgabello che era stato piazzato davanti alla specchiera, sistemando la gonna e lo strascico in modo che non si sgualcissero, considerò che, se davvero fosse stata una nobildonna dei secoli passati, sarebbe stata la più bella di tutte, che sarebbe stata lei a dettare la moda alla reggia e che tutti i nobili si sarebbero innamorati di lei grazie alla sua bellezza, alla sua grande intelligenza e al suo spirito acuto e pronto; di sicuro sarebbe riuscita a conquistare anche il cuore dell’erede al trono e sarebbe diventata regina. Una regina tanto grande che, di sicuro, sarebbe passata alla Storia e a scuola si sarebbero studiate le sue gesta. Purtroppo però viveva in tutt’altra epoca e, quindi, doveva accontentarsi di una faticosa scalata verso i vertici di comando della polizia – non che avesse ancora rinunciato a entrare allo Fbi e, per questo, stava lavorando su più fronti.
Il parrucchiere le pettinò i capelli e li allargò a ventaglio sulle sue spalle, quindi chiese alla sua assistente di passargli un paio di pinzette per capelli e le ordinò di collegare la piastra alla corrente per farla riscaldare. Le mani dell’uomo si muovevano in modo preciso e professionale mentre separavano le varie ciocche prima di fermarne una parte con la molletta al lato della testa e di lisciare le altre con la piastra. Quando ebbe finito, i suoi capelli sembravano un manto di seta color rame. Il parrucchiere poi li fissò sulla nuca in uno chignon da cui escluse due piccole ciocche davanti alle orecchie che trasformò in due delicati e morbidi boccoli; concluse fissando il tutto con una generosa spruzzata di lacca. Charlene studiò il suo riflesso nello specchio e, vedendo il risultato, si disse che era davvero splendida.
Nel frattempo la madre era corsa in bagno per recuperare Veronica e, sotto il suo sguardo più severo, le fece indossare il suo abito da damigella. Quindi la trascinò nella camera di Charlene dove il parrucchiere la stava aspettando. Non sapeva cosa fosse preso a sua figlia minore quella mattina, pensò la donna mentre scrutava la ragazza che si era seduta su una sedia pieghevole che aveva posizionato accanto alla specchiera occupata dalla sposa, non l’aveva mai vista così recalcitrante a fare qualcosa: Veronica sapeva quanto quel matrimonio contasse per lei, quando bramasse che loro tre facessero tutto come una famiglia affiatata e amorevole, eppure la sua secondogenita stava facendo di tutto per farla arrabbiare, raddoppiando i tempi con cui normalmente faceva le sue cose. Se non fosse stato per la presenza di estranei, le avrebbe già fatto una lavata di capo memorabile. Il suono del campanello la distolse da quei pensieri e corse ad aprire: di sicuro era la truccatrice e, infatti, tornò pochi minuti dopo, seguita da una donna che portava a tracolla un grosso borsone rigido e rettangolare. La donna salutò i presenti e, dopo aver poggiato il suo borsone a terra, ne trasse fuori una enorme trousse che aprì e poggiò sul ripiano della specchiera.
- Beh, il mio lavoro è facilitato dal suo aspetto, miss Moore: ha un viso bellissimo già senza trucco e, quindi, mi limiterò a esaltare quello che le ha dato la natura.- le disse con un bel sorriso, dopo aver studiato il volto della sua cliente.
Charlene annuì entusiasta e compiaciuta e Veronica sbuffò nel vederle fare la ruota: sua sorella aveva un ego già abnorme di suo, non serviva che qualcuno lo gonfiasse ulteriormente cantando le sue lodi. Mettendo due dita sotto il mento, la truccatrice sollevò delicatamente verso di sé il volto della sposa, in modo di averlo in una posizione perfetta. Allungò una mano e recuperò dal ripiano della specchiera un flacone di fondotinta, che stese in uno strato lieve per dare un aspetto più omogeneo alla sua pelle. Quindi prese dalla trousse una matita per gli occhi.
- Adesso dobbiamo far risaltare il magnifico colore verde dei suoi occhi.- disse la donna tutta contenta mentre avvicinava la punta e, con l’indice dell’altra mano, tirava un po’ la pelle per avere uno spazio di lavoro migliore.
Dopo aver ricalcato i bordi delle palpebre con la matita nera, passò all’ombretto. Con il pennello sparse sulla pelle una generosa passata di color rame, con l’intento di far sembrare il verde degli occhi della donna molto più intenso. Poi sfumò un po’ di fard cremisi sulle guance e terminò passando un rossetto rosso ciliegia sulle sue labbra. Quindi si prese alcuni secondi per ammirare la sua opera.
- È perfetta, miss Moore.- sentenziò la truccatrice alla fine.
Tutta gongolante, Charlene si girò verso lo specchio e, dopo aver studiato il suo riflesso per qualche secondo, non poté non concordare con la truccatrice: era davvero bellissima. I suoi occhi parevano più profondi e più verdi, le sue labbra piene e il viso sembrava levigato come quello di una bambola di porcellana. Sperava che Lehmann avesse davvero accettato il suo invito a partecipare alle sue nozze, perché si sarebbe divertita a fare dei confronti tra di loro, tra la banale sciatteria della rivale e la sua indiscutibile bellezza ed eleganza: era una sfida da cui l’altra donna non sarebbe mai uscita vincitrice e, a quel punto, Ben avrebbe finalmente compreso che, delle due, lei era la migliore sotto ogni aspetto. Inoltre era abbastanza sicura che, se Lehmann avesse sul serio presenziato alle nozze, sarebbe venuta da sola e sarebbe stato molto appagante vederla fare tappezzeria per tutto il giorno, mentre lei sarebbe stata circondata da persone folgorate dalla sua avvenenza e desiderosi di essere in sua compagnia.
Veronica, che aveva finito di farsi pettinare pochi minuti prima, osservò la sorella e pensò che quel trucco era tutto fuorché perfetto, che era sgargiante e disturbante, ma badò bene affinché niente trasparisse dalla sua espressione: quella sarebbe stata una giornata difficile già di suo, non aveva bisogno di peggiorarla con ulteriori schermaglie con sua sorella. E la parte peggiore ancora non era arrivata. Spostò lo sguardo sull’orologio appeso al muro e vide che erano le otto e mezza: ancora tredici o quattordici ore e poi sarebbe finalmente stata libera.
In quel momento il campanello suonò di nuovo, sentirono dei passi e, dopo che la porta d’ingresso fu aperta, la voce del signor Moore accogliere il nuovo arrivato. Ancora un paio di minuti e, accompagnata dal rumore ritmico dei tacchi sul pavimento, nella stanza entrò una donna lunghi capelli biondi che le scendevano sulle spalle in una cascata di boccoli, che indossava un abito rosso lungo fino alle ginocchia e dei sandali bianchi; i suoi occhi azzurri erano stati evidenziati da uno strato trucco pesante e scuro e portava del rossetto rosso intenso e parecchio vistoso. Non appena la vide, Veronica si irrigidì e, in un riflesso condizionato dagli anni che aveva trascorso a cercare di sfuggirle, cercò di farsi il più piccola possibile in modo che lei non potesse vederla.
- Non avrei mai creduto che sarebbe arrivato il giorno in cui ti avrei visto con quello addosso.- esordì la nuova venuta con un sorriso appena accennato.
- Celia! Non vedevo l’ora che arrivassi.- la salutò Charlene, mentre si alzava e le andava incontro per abbracciarla.
Veronica osservò le due scambiarsi facezie e pensò che il suo peggiore incubo, ovvero riaverle di nuovo insieme e, potenzialmente, pronte a metterla di mezzo come quando era ancora una ragazzina, era fin troppo vicino a realizzarsi. Intanto, Celia aveva scostato un po’ da se la sua amica e la stava studiando con sguardo critico.
- Sei bellissima, non che fosse in dubbio la cosa. Spero che tuo marito sia consapevole del tuo valore e che lui sia alla tua altezza.- disse con una cerca enfasi e, sulle labbra della sposa, si aprì un sorriso malizioso, che sembrava sottintendere parecchie cose.
Veronica stava per rispondere che quell’ebete di Benedict non sapeva nemmeno se si trovava in piedi o seduto, figurarsi, quindi, se si rendeva conto in cosa si stava cacciando sposando sua sorella, ma, per sua fortuna, la madre parlò prima che lei potesse aprire bocca.
- Benedict è un ragazzo adorabile e intelligente, sa benissimo quanto vale Charlene altrimenti non le avrebbe mai chiesto di sposarlo.- dichiarò la signora Moore.
Charlene era consapevole che Celia la conosceva abbastanza bene da sapere che sposava Benedict perché era un uomo docile e malleabile, che avrebbe potuto plasmare a seconda delle sue esigenza e che non l’avrebbe mai ostacolata né messa in ombra. Infondo, Celia aveva provato a fare la stessa cosa qualche anno prima, ma non le era andata affatto bene: l’uomo che lei bramava portare all’altare alla fine si era stancato di essere trattato come un burattino e l’aveva mollata; Charlene, per fortuna, era più furba della sua amica e agiva in modo da far credere a Benedict che fosse stato lui a prendere la decisione in questione, quando, invece, era lei che lo portava doveva voleva con lunghi discorsi e giri di parole. Celia avrebbe dovuto imparare di più da lei, evidentemente.
Mentre le due amiche si scambiavano simili facezie, la signora Moore aveva lasciato la stanza: doveva finire di vestirsi prima di poter passare sotto le esperte mani della truccatrice e del parrucchiere e, inoltre, doveva anche controllare che suo marito non avesse indossato quell’orrenda cravatta viola a righe gialle che tanto gli piaceva. Approfittando della sua assenza, Celia decise di dedicarsi a un passatempo che l’aveva divertita molto in passato e che adesso, a causa della lontananza, non poteva più praticare. Dopo aver scambiato una rapida occhiata d’intesa con Charlene, fece scorrere lo sguardo sulla stanza fino ad arrestarlo su Veronica che, fino a quel momento, aveva sperato di non essere notata.
- Oh, ciao Veronica. Perdonami se non ti ho salutata prima, ma non ti avevo visto.- Celia cominciò con una gentilezza allarmante, mentre si avvicinava alla ragazza.
Veronica cercò di sorriderle ma riuscì soltanto a stirare le labbra in una smorfia: Celia aveva lo stesso modo di guardarla di sua sorella, la stessa espressione soddisfatta da gatta che era riuscita a mettere in trappola il topino e questa cosa la inquietava e non poco, soprattutto perché quello sguardo, insieme al suo gemello che capeggiava sul viso di sua sorella, era stato lo sfondo di tutte le peggiori esperienze che aveva avuto durante la sua adolescenza.
- E così sarai tu la damigella di Charlene. – disse, usando un tono di voce fin troppo casuale, mentre la stava esaminando da capo a piedi – È una cosa così adorabile, anche se non avrei mai immaginato che avresti accettato una cosa simile. Senza offesa, però quello della damigella della sposa è un ruolo più adatto a donne che hanno idea di cosa sia l’eleganza.- dichiarò e rivolse alla ragazza un sorrisone che sembrava più un ghigno rapace.
- È stata nostra madre a volere che fossi io la damigella.- ribatté Veronica, dopo che ebbe raccolto tutto il suo coraggio.
Celia assottigliò lo sguardo senza risponderle, per poi voltarsi verso Charlene che non si era persa un parola di quello scambio di battute. Il parrucchiere e la truccatrice avevano terminato di sistemare le due sorelle e si erano sposati nella stanza dove si trovava la madre per occuparsi anche di lei: avevano campo libero.
- Tua sorella è cresciuta tanto dall’ultima volta che l’ho vista. Me la ricordo benissimo: un bambinetta bassa, rotondetta, con le trecce e gli occhiali e l’apparecchio per i denti. – si fermò per fare una pausa a effetto prima di sferrare il suo colpo – Ti ricordi di quella volta nella mensa?- chiese alla sua amica.
Veronica avrebbe voluto sprofondare, sparire nel nulla, dissolversi come nebbia piuttosto che rammentare di che cosa le era accaduto quella volta. Quando sua sorella le aveva comunicato che al matrimonio anche Celia sarebbe stata presente, aveva sperato che in quegli anni fosse maturata abbastanza da aver perduto il gusto a tiranneggiare gli altri, ma a quanto sembrava si era clamorosamente sbagliata.
- No, non mi ricordo. È una cosa che accadde quando eravamo al secondo anno?- Charlene non aveva voluto perdere l’occasione di spalleggiare la sua amica, ovviamente.
- Noi due eravamo in quarta, mentre tua sorella in seconda. È una cosa successa nella mensa, durante la pausa pranzo prima delle lezioni pomeridiane: c’era quasi tutta la scuola, davvero non lo ricordi? – chiese Celia con ostentata sorpresa e un’espressione così candida che avrebbe ingannato chiunque – C’era questa ragazzina che si aggirava tra i tavoli con il vassoio pieno di cibo e in cerca di un posto a cui sedersi. Era goffa e cicciottella e aveva messo così tanta roba sul suo vassoio che spostarsi e non far cadere nulla era davvero difficile. – disse con un tono di voce flautato, poi l’espressione sul suo viso mutò, divenendo quella spietata che aveva imparato a conoscere così bene – Evidentemente lei stava già pensando al momento in cui avrebbe incominciato a ingozzarsi, altrimenti non si sarebbe azzardata ad avvicinarsi al nostro tavolo con l’intenzione di sedersi. Nessuno sfigato avrebbe dovuto nemmeno pensare una cosa simile e, per questo, abbiamo dovuto richiamarla all’ordine. Le abbiamo ricordato chi eravamo noi e chi era lei.- concluse Celia con un ghigno crudele.
- Oh, adesso rammento. Appena l’hai vista spostare la sedia per sedersi, le hai sfilato il vassoio con il pranzo dalle mani e glielo hai versato in testa. È dovuta andare in giro con i vestiti sporchi di cibo tutto il giorno. Sicuramente deve aver imparato chi comanda e chi obbedisce.- disse Charlene mentre fissava sua sorella con quello stesso guardo carico di spietato divertimento di allora.
Veronica strinse i denti mentre sentiva lo stesso dolore che aveva provato quel giorno, morderle il petto. Era sicura che avesse superato quella fase e che le parole e gli stupidi scherzi di quelle due donne non potessero più toccarla, invece scopriva di essere ancora la ragazzina spaventata che era stata tiranneggiata da loro ogni giorno della sua adolescenza. Momenti come quello le erano rimasti così impressi che non aveva nemmeno bisogno di concentrarsi per sentire ancora sulla pelle la sensazione del cibo che le colava sul viso, le cadeva a gocce sui vestiti macchiandoli e poteva udire ancora le risate del gruppetto di amiche di sua sorella e Celia e di quanti avevano assistito a quella scena, gli sberleffi dei suoi compagni quando la vedevano passare nei corridoi con i vestiti ancora sporchi. Veronica osservò quelle due donne che, nonostante fossero ormai adulte, continuavano a comportarsi come se fossero ancora le reginette della scuola. Aveva trascorso troppi anni a cercare di rimettere insieme la sua autostima per poter permettere loro di dominare ancora la sua vita.
- Ha imparato che persone del genere si accaniscono in gruppo contro chi è più indifeso perché sono troppo deboli e incapaci per sostenere un confronto diretto con coloro le sono pari o con chi è più forte di loro. Ha imparato che persone del genere sono soltanto vigliacche.- dichiarò Veronica e il suo tono di voce era sicuro, mentre fissava sua sorella negli occhi, per dimostrarle che non aveva più paura di loro due.
Charlene aggrottò le sopracciglia, indispettita e sorpresa dalla reazione della sorella minore: davvero non si aspettava da lei una reazione del genere. Celia si esibì, invece, in un sorriso di plastica: l’espressione sul suo viso faceva paura, tanto era contrariata dall’alzata di testa di Veronica.
- Guarda, guarda. La gattina ha tirato fuori le unghie.- disse Celia con feroce sarcasmo.
Veronica avvampò indignata: possibile che non la prendesse mai sul serio? Possibile che la considerasse una stupida ragazzina nonostante gli anni passati? Possibile che non riuscisse a farsi valere come l’adulta che era diventata? Stava per replicare quando sua sorella si alzò dalla sedia su cui era seduta e, sempre con quel suo sorrisino di superiorità mista a sarcasmo, si rivolse alla sua amica.
- Per quanto questo gioco mi diverta sempre, oggi è una giornata importante e ho bisogno che lei resti concentrata: l’ultima cosa che voglia è che, in preda al nervosismo, cada dai tacchi rovinando tutta la solennità della situazione. Questo è ciò che accade quando si è costretti a scegliere elementi che sono del tutto incapaci di ricoprire i ruoli a cui sono destinati: la mia sorellina ha passato tutta la sua vita a indossare stupide scarpe di ginnastica e adesso non sa fare neppure un passo con i tacchi e cammina come se stesse marciando in una parata militare.- asserì Charlene lanciando alla sorella un sguardo di fuoco.
Veronica strinse i genti fino a farsi dolere le gengive: la colpa era sua, ovviamente. Anche se, per una volta, si ritrovò a ringraziare mentalmente la decisione di sua madre di indicarla come damigella: era fuori dai radar di quelle due, almeno fino alla fine della cerimonia. Poi, se tutto fosse andato secondo i suoi piani, Charlene sarebbe stata troppo occupata con gli invitati al ricevimento per ricordarsi della sua presenza. E se Veronica fosse riuscita a sfuggire a Celia e a ricavarsi un angolino nascosto, avrebbe trascorso un felice pomeriggio di festeggiamenti per la tanto sospirata partenza di sua sorella.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Domenica - Part II ***


Salve salvino gentili lettori e lettrici e ben ritrovati ^__^ Chiedo venia per il ritardo con cui ho aggiornato questa long, ma sono stata assorbita da un altro progetto riguardante un’altra ship e, per un pochino, ho accantonato le mirabolanti nozze del nostro tenente ^O^ Ma eccomi qui di ritorno, siamo quasi giunti al momento catartico, quello che Charlene aspetta tanto spasmodicamente: ovvero, la cerimonia nuziale. Nel frattempo, possiamo ancora goderci, in questo capitolo, gli ultimi momenti da uomo libero del nostro Benedict ^O^ Ringrazio: Harryet e BlackCobra per aver lasciato un commento al precedente capitolo. Ringrazio: BlackCobra, Harryet e perlanera che hanno inserito questa long tra i preferiti. Ringrazio: Orny, RedMoon_, romy2007, Selvaggia Egle e vallinda per aver inserito questa long tra i seguiti. Ringrazio tutti coloro che hanno anche solo letto e tutti coloro che leggeranno e/o commenteranno questo capitolo **Tai si inchina** Adesso la smetto di blaterare e vi lascio alla lettura, al prossimo capitolo gente \O/

Domenica – Parte II

Abigail sospirò esasperata mentre si rendeva conto una volta di più che, se Drew glielo avesse chiesto, lei avrebbe fatto anche le cose più stupide per accontentarlo, come accettare di partecipare al matrimonio della donna che la odiava di più sulla faccia della terra e in una maniera tanto irriducibile quanto infantile. Fin dalla prima volta in cui aveva avuto in mano l’invito, aveva dichiarato che avrebbe preferito ritornare a lavorare per un mese al suo vecchio dipartimento a Sioux Falls e in coppia con Frank, piuttosto che andare a quella cerimonia e trascorrere una giornata a vedere Charlene pavoneggiarsi nel suo abito bianco. Peccato che Drew aveva deciso che sarebbe stato divertente partecipare al matrimonio e aveva usato moine e blandizie: in quell’occasione aveva scoperto che, quando si trattava del suo partner, la sua determinazione era forte quanto uno strato di ghiaccio sottile e, infatti, era bastato che lui la osservasse con quei suoi occhi verdi e le rivolgesse uno di quei suoi sorrisi scanzonati che tanto adorava, per ritrovarsi ad acconsentire a qualsiasi sua richiesta. Infatti eccola lì, infilata in abito lungo blu scuro e seduta sopra una delle panche di legno laccato di bianco e disposte ordinatamente in due file sul prato del giardino della vita d’epoca dove si sarebbe svolta la cerimonia nuziale. L’unica nota positiva di tutta quella storia era proprio Drew che, seduto accanto a lei, indossava un vestito classico, con la giacca, i pantaloni e la cravatta neri e la camicia bianca e stava stupendamente così.
Il sole di metà mattinata stava riscaldando l’aria in modo fastidioso e a peggiorare la situazione c’erano le orchidee che avevano usato per gli addobbi floreali: erano grandi, bianche e con una piccola pennellata di viola al centro di ogni petalo, erano state composte in mazzetti di tre, unite a piccole foglie di felci e legate alle estremità dei banchi con nastri dorati; le orchidee emanavano un forte profumo dolciastro che risultava molto sgradevole e l’unica fortuna degli invitati era che fossero l’aperto, perché se la funzione si fosse svolta in un luogo chiuso, sarebbero stati soffocati. Abigail osservò l’ora sull’orologio da polso e vide che mancava ancora mezz’ora alle undici, l’ora in cui la cerimonia sarebbe iniziata. Sbuffò annoiata, non vedendo l’ora che quella pantomina avesse termine. Era sicurissima che tutto si sarebbe risolto nell’autocelebrazione di Charlene in cui tutto, dagli invitati agli addobbi, sarebbe stato considerato un contorno con l’unica funzione di esaltare ancora di più il suo momento di trionfo. Inspirò dal naso irritata al pensiero di quanto avrebbe gioito la sua ex collega nel vederla far parte di quel corredo di oggetti messi lì a celebrare la sua persona e di tutto questo poteva ringraziare soltanto Drew e quel qualcosa che aveva in mente e di cui non aveva voluto parlarle. Non ancora per lo meno. Chissà se fosse riuscita a farlo confessare, minacciando di mandarlo in bianco per le due settimane successive. Il rumore di una serie di vetture che posteggiavano nel parcheggio davanti alla villa la distrasse da quei cupi pensieri.
- È arrivato lo sposo!- esclamò entusiasta una donna, avendo udito il chiacchiericcio allegro dei nuovi arrivati che stavano entrando nell’abitazione.
Era uno degli sparuti invitati che erano arrivati lì senza passare per casa della famiglia che li aveva invitati e aveva già preso posto stabile su uno dei banchi. Abby spostò lo sguardo su di lei e si chiese cosa avesse mai da essere così contenta dell’arrivo di Benedict: personalmente, avrebbe preferito essere lontana mille miglia da lì, magari nuda nel letto insieme a Drew per recuperare il tempo che avevano trascorso divisi, piuttosto che rivederlo. Quel che c’era tra di loro era finito molto presto e nel modo peggiore, tanto che nel volgere di pochi giorni l’amore che provava per era stato sostituito da un profondo rancore. C’era voluto tanto tempo e uno splendido uomo al suo fianco affinché riuscisse a voltare pagina e il risentimento cedesse il passo all’indifferenza. Adesso che aveva al suo fianco Drew e sapeva cosa volesse dire costruire passo dopo passo un rapporto imperniato sulla fiducia e sull’affetto reciproco con la persona che si amava, Abigail aveva la certezza matematica che tutto il dolore che aveva patito a causa di Benedict in realtà fosse stato la sua fortuna, perché, non solamente l’aveva resa una persona migliore, ma l’aveva messa sulla stessa strada di un uomo meraviglioso, che per chissà che scherzo della sorte, l’aveva accettata come compagna nella vita sia lavorativa che privata. E non poteva negare che si sentiva soltanto enormemente sollevata nel sapere che Ben si sarebbe sistemato finalmente con Charlene: magari avrebbe deciso di lasciarla in pace, ora che lei era felice con il suo compagno.
Quando si udì la voce di Benedict che, all’ingresso del giardino, stava salutando e ringraziando uno degli invitati per essere intervenuto al matrimonio, Drew alzò la sua mano destre e la chiuse intorno alla sinistra di Abby, congiungendo i palmi e intrecciando le loro dita, come per comunicarle che lui era lì al suo fianco e non l’avrebbe lasciata per nulla al mondo. Abigail sorrise, uno di quei sorrisi dolci e felici che riusciva a fare solo da quando quell’uomo era entrato nella sua vita, e si spostò sul banco in modo da potersi appoggiare contro la sua spalla.


§§§



Benedict camminava tranquillo e sorridente verso l’altare, salutando gli invitati che erano seduti sui banchi e cercando di essere il più possibile all’altezza della situazione. Quel giorno rappresentava una svolta nella sua vita, dall’indomani in poi avrebbe vissuto una vita nuova e sperava che questo avrebbe portato delle novità positive nella sua esistenza. Il suo ottimismo, comunque, non durò molto: era arrivato quasi a metà del suo percorso quando, voltandosi per salutare le persone seduti nei banchi disposti sul lato destro, vide Abby, la sua Abby, più bella di quanto ricordasse nel suo abito scuro. L’emozione che lo travolse quando incrociò i suoi occhi si coagulò nel fondo della sua anima e gli impedì di fare alcunché. La felicità di averla di nuovo davanti, così vicina che gli sarebbe bastato allungare la mano per toccarla, dopo così tanto gli diede alla testa e non gli fece capire più niente. Stava per aprire la bocca e dirle quanto gli fosse mancata e che era felicissimo di rivederla e mille altre cose, quando notò un particolare che prima non aveva visto: la sinistra di Abby era intrecciata a un’altra mano, più grande e maschile, mentre lei era mollemente appoggiata contro la spalla del suo accompagnatore, con una confidenza che parlava chiaramente di intimità. Un rigurgito acido gli risalì in gola quando l’uomo si girò verso di lui e vide che era Drew Kemble, il compagno di squadra di Abigail al Gbi. Un tic nervoso iniziò a far contrarre leggermente l’occhio sinistro di Benedict: quanto detestava quel bellimbusto! Ben sapeva che tra i due fosse nato del tenero, ma aveva sperato che quella storia non sarebbe durata molto e che nel giro di poco si sarebbero lasciati – e sì, gli scenari in cui accorreva dalla sua Abby per consolarla, per poi decidere di riprovare a far funzionare la loro storia, erano i migliori delle sue fantasie – ma se Abigail si era presentata lì con lui, voleva dire soltanto una cosa: che la loro relazione andava più che bene e che non c’era spazio per lui, almeno per il momento. Benedict odiava l’agente Kemble perché gli aveva strappato tutto ciò che aveva di più importante, precludendogli qualsiasi possibilità di riaverlo indietro. Vederli partecipare a quella cerimonia insieme, era come avere la conferma che lei avesse definitivamente voltato pagina. Eppure Ben sapeva, nonostante tutto quello che aveva pensato in quei giorni per convincersi ad affrontare quel matrimonio, di non essere ancora pronto a mollare, a smettere di amarla e di desiderare e immaginare un vita in cui Abby e lui sarebbero stati di nuovo felici e insieme. Per il momento Drew poteva ancora illudersi di aver vinto la battaglia, ma la guerra l’avrebbe vinta lui.
- Sono contento che abbiate accettato l’invito e sono sicuro che anche per Charlene sarà lo stesso.- Ben disse per rompere quella bolla di silenzio che si era creata tra di loro.
Osservò il viso di Abby nella speranza di trovarvi una traccia qualsiasi che gli rivelasse quanto la sua unione con Charlene la infastidisse, ma trovò soltanto un’espressione serena e pacata che non le aveva mai visto fare e che acuì la gelosia già feroce che provava nei confronti di Drew. Benedict era certo che quell’espressione tranquilla e così lontana da quella tormentata che ben conosceva, appartenesse al periodo in cui lei lavorava ancora a San Diego, a prima della sparatoria in cui era stata coinvolta con il suo supervisore e del periodo di instabilità emotiva che ne era seguito e del trasferimento a Sioux Falls dove aveva trovato un ambiente a lei ostile e tutt’altro che adeguato a guarire le sue ferite. Il fatto che il merito di quel cambiamento non fosse suo, ma di quell’uomo che gliel’aveva portata via, riusciva solo a rinfocolare la sua rabbia.
Abigail non sembrava intenzionata a parlare ma, in compenso, Drew si alzò in piedi, sempre con le dita della sua mano intrecciate a quelle della donna, e gli rivolse un sorriso franco ed entusiasta che, per qualche strano motivo, indispettì ancora di più Benedict.
- Non saremmo mancati per nulla al mondo.- dichiarò Drew in tono allegro e una scintilla maliziosa si accese per un attimo nei suoi occhi.
Benedict vide Abby alzare lo sguardo sul suo accompagnatore – si sarebbe rifiutato di chiamarlo in qualsiasi altro modo – e fissarlo per qualche istante come se avesse avuto qualcosa da ridire al riguardo, per poi scuotere piano la testa mentre un sorriso delicato le fioriva sulle labbra. La consapevolezza che, nemmeno nel breve periodo in cui erano stati insieme, Abigail gli avesse mai rivolto un’espressione simile, rese ancora più cruda e feroce la sua gelosia e, improvvisamente, si rese conto che, se non si fosse allontanato subito da quei due, avrebbe fatto qualcosa di irreparabile. Non poteva rovinare il suo matrimonio, era una cosa che doveva alla donna che stava per sposare, però dopo avrebbe avuto tutto il tempo per mettere in chiaro le cose con quel bellimbusto da strapazzo.
- Con il vostro permesso, adesso dovrei andare.- disse con fredda cortesia mentre toccava con la punta delle dita il bordo del cilindro e chinava appena la testa, per congedarsi.
Drew annuì con un cenno della testa e sempre con quell’irritante sorrisino sul viso, mentre Abigail si limitò a fissarlo come se niente in quell’incontro e in quel breve scambio di battute, durante il quale non aveva aperto comunque bocca, l’avesse interessata. Quell’atteggiamento lo ferì così a fondo che si allontanò velocemente, perché la sua Abby, quella che lui rammentava e di cui era follemente innamorato, non l’aveva mai guardato in quel modo, come se fosse fatto d’aria e non contasse nulla per lei.
Seduto al suo posto, Drew non represse il sorriso contento che sentiva incurvargli irresistibilmente le labbra: la prima parte del suo piano aveva dato esito positivo.


§§§



Charlene, sistemata di tutto punto, sorrideva raggiante all’obbiettivo del fotografo che doveva immortalare il suo grande giorno. Avvolta nel suo bell’abito da sposa bianco, se ne stava in piedi al centro del salotto che era stato addobbato con gigli bianchi intrecciati con rose rosse e felci ampie e verdissime, accanto al tavolo su cui era stato sistemato il rinfresco per gli invitati che sarebbero passati da casa dei suoi genitori, prima di partecipare alla cerimonia e lasciava che il fotografo svolgesse il suo lavoro, fermando nelle foto la sua sfolgorante bellezza. Mentre si faceva fotografare con i suoi genitori, pensò che avrebbe potuto mandarne una alla cara Abby, giusto per farle ribollire il sangue e un sorriso malevolo le scivolò sulle labbra per un attimo. Ma quando vide il fotografo fare cenno di avvicinarsi a qualcuno che si trovava sulla soglia della stanza, si girò per scoprire con chi ora sarebbe stata fotografata e, quando vide che si trattava di sua sorella, roteò gli occhi e increspò le labbra in una smorfia perché, di lì a poco, sarebbe incominciata la fiera del patetico. Charlene studiò con occhio critico sua sorella mentre le si avvicinava: era più carina di quanto avesse pensato ma comunque non era niente di eccezione, era solo una ragazzina impacciata e infagottata in abiti da donna adulta. Per lo meno sembrava che riuscisse a mantenersi in equilibrio abbastanza stabile sui tacchi e questo le faceva ben sperare che sarebbe riuscita ad arrivare fino alla fine della cerimonia senza sfracellarsi sul pavimento, il che era un risultato alquanto rimarchevole viste le belle premesse.
- Abbracciatevi e sorridete all’obbiettivo.- ordinò loro il fotografo quando Veroni si fu fermata accanto alla sorella maggiore.
Charlene passò una mano attorno alla vita di Veronica e la avvicinò a sé in un abbraccio. Mentre sfoderava il sorriso più entusiasta e spontaneo del suo repertorio, il tenente strinse la presa sul fianco della sorella, piantandole le unghie nella carne a mo’ di avvertimento: se avesse fatto qualsiasi cosa per mettere in ridicolo lei e rovinare il suo matrimonio, gliel’avrebbe fatta pagare cara. Veronica nascose la piccola smorfia di dolore dietro un sorriso più finto di quello di sua sorella, mentre aspettava che il fotografo scattasse loro alcune foto e, con la coda dell’occhio, notò che sua madre stava guardando verso di loro soddisfatta: di certo, una volta sviluppate, avrebbe fatto fare un ingrandimento di una di quelle foto e, dopo averlo incorniciato, lo avrebbe appeso in salotto per mostrare ai vicini e a chiunque fosse venuto a casa loro, che tesori di figlie avesse. Quando, finalmente, il fotografo dichiarò di essere a posto con le fotografie della sposa e della sua damigella, Veronica poté finalmente allontanarsi e ritornare nell’angolino che si era ricavata lontano dal centro della scena: non le piaceva trovarsi al centro dell’attenzione, era una cosa che la metteva parecchio a disagio. Nel brevissimo tragitto per tornare al proprio posto, la ragazza incrociò Celia, che stava dirigendosi verso il centro della stanza perché era arrivato il suo turno di farsi fotografare con la sposa: la donna, invece di passarle semplicemente accanto e proseguire oltre, urtò forte la sua spalla con la propria, come tante volte aveva fatto nei corridoi della scuola quand’erano ancora delle ragazzine.
- Ops! Sono così maldestra.- disse Celia in tono contrito, smentito totalmente dallo sguardo carico di malizia che stava rivolgendo alla ragazza.
Veronica stirò le labbra in una smorfia: conosceva abbastanza quella donna da sapere che quel gesto non era stato accidentale e che mirava soltanto a sbilanciarla sui tacchi per farla cadere e farle fare una brutta figura. Per quanto anche il comportamento di Charlene nei suoi confronti fosse stato sempre molesto, a essere molto generosi, paradossalmente era Celia quella che si era sempre accanita su di lei e con una crudeltà di cui non era mai riuscita a capire la causa scatenante. Per qualche tempo aveva creduto che si divertisse a tormentarla perché era la sorellina della sua migliore amica e aveva un modo di comportarsi e di essere agli antipodi del loro, ma poi aveva considerato che la spiegazione più plausibile era proprio quella che le aveva dato la stessa Celia una volta: esisteva. Veronica non aveva mai scoperto la causa di tanto odio nei suoi confronti e, almeno all’inizio, soffriva per questo e si era domandata spesso che cosa ci fosse di così sbagliato in lei da renderla il bersaglio preferito su cui l’altra poteva sfogarsi a piacimento, ma poi era giunta alla conclusione che non era lei il problema e che Celia semplicemente la detestava a pelle, senza alcuna ragione. Veronica scosse la testa per scacciare quegli inutili e dolorosi pensieri, quindi si diresse verso il tavolo su cui era stato allestito il buffet e prese una tartina al salmone e un bicchiere di aranciata, rimpiangendo che non ci fosse niente di alcoolico che l’avrebbe aiutata ad affrontare quella giornata. Si girò in tempo per vedere Charlene e Celia strette in un abbraccio affettuoso, che sorridevano contente mentre, guancia contro guancia, guardavano verso l’obiettivo. Almeno quelle due si stavano divertendo, visto che entrambe avevano la stessa ossessione di essere al centro della situazione.


§§§



In piedi sotto l’arco di edera intrecciata a orchidee e gigli rossi, Benedict stava chiacchierando con Ian, il suo testimone di nozze. O, meglio, cercava di intrattenere una conversazione con il suo amico, ma non ci riusciva granché bene, perché la sua attenzione ritornava continuamente su Abby. Si era piazzato in modo da poterla guardare mentre discorreva con il suo amico e, ogni volta, la trovava che stava scambiando qualche battuta con l’agente Kemble, ancora mano nella mano e i loro visi così vicini che pareva che si stessero confidando a vicenda chissà quale segreto di Stato. A un certo punto a Benedict era sembrato che l’agente Kemble avesse guardato nella sua direzione, ma lo sguardo di quegli occhi verdi era stato così rapido che non ne era sicuro, di certo vide il federale chinarsi su Abby e darle un bacio breve e intenso che lasciò lei scombussolata per qualche attimo e fece vedere rosso Benedict. Dei, quanto avrebbe voluto andare lì, rompere il muso a quel bellimbusto con un pugno e scappare via con la sua Abby!
- Ehi amico, ti è venuta la stessa espressione di uno che ha mangiato un limone acerbo: non dirmi che all’improvviso ti sei reso che non vuoi sposarti e che stai progettando di lasciare la tua bella sposina sull’altare? – domandò Ian che aveva notato l’espressione contrariata che era comparsa sul viso dell’amico – No, perché mi sembra un tantino tardi per i ripensamenti.- gli disse e gli rivolse un’espressione che voleva significare: sei irrimediabilmente fregato.
Dal parcheggio della villa si sentiva provenire il rumore di un gruppo di auto che stavano posteggiando, subito seguite da uno scroscio di applausi ed esclamazioni festanti: era arrivata la sposa. Sentì qualcosa che si annodava dolorosamente nel suo petto al pensiero che, di lì a qualche momento, Charlene sarebbe arrivata con tutta l’intenzione di renderlo suo marito. A quel pensiero sentì un’ondata di panico riversarsi dentro il suo corpo e rivolse uno sguardo allarmato alla sua Abby, nella speranza che lei lo ricambiasse con uno in cui avrebbe potuto leggere il fastidio, la frustrazione e la rabbia che provava nel vedere che lui stava per sposare un’altra donna. A quel punto non gli sarebbe importato niente di mandare a monte quella stupida cerimonia e di ferire Charlene: sarebbe saltato giù da quell’altare e sarebbe scappato via insieme alla donna che amava. Peccato che, in quel momento, la sua Abby stesse guardando adorante l’agente Kemble che le stava dicendo qualcosa, prima che cominciasse a ridacchiare piano, in un modo dolce e sensuale che non le aveva mai visto fare e che lo lasciò ammaliato. Peccato doppiamente che il momento dei ripensamenti fosse definitivamente passato: proprio in quel momento, Charlene fece il suo ingresso nel giardino della villa, con il velo a celarle il viso, dando il braccio a suo padre, reggendo con la mano libera un bouquet a cascata che le arrivava quasi all’altezza delle caviglie, fatto di candidi gigli e di rose scarlatte intrecciate a foglie callose color verde scuro, mentre una giovane soprano, dalla voce limpida e delicata come cristallo, stava intonando l’Ave Maria di Schubert, accompagnata col violino che veniva suonato da un’altra ragazza: entrambe facevano parte della piccola orchestra del conservatorio cittadino che la signora Moore aveva ingaggiato per l’occasione.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Domenica - Part III ***


Salve salvino gentili lettori e lettrici e ben ritrovati ^O^ Mi scuso per l’ennesimo, smisurato ritardo nell’aggiornare questa long, ma ad agosto mi è stato impossibile mettermi al computer perché ho avuto il parentado a casa e il mio tempo libero era davvero esiguo. Comunque, eccomi di ritorno qui: siamo arrivati al momento clou del matrimonio, ovvero la cerimonia con relativo scambio dei voti tra gli sposi **Tai distribuisce pacchetti di fazzolettini di carta**, posso solo dirvi, per quanto riguarda Benedict, di ricordare tutto quello che ha pensato fino a qui, per quanto incoerente sia ^^’ Ringrazio: BlackCobra e Harryet che hanno lasciato un commento allo scorso capitolo. Ringrazio: BlackCobra, Harryet e perlanera che hanno inserito questa lonta tra i preferiti. Ringrazio: orny81, RedMoon_, romy2007, Selvaggia Eagle e vallinda che hanno inserito questa long tra i seguiti. Ringrazio tutti coloro che hanno anche solo letto e tutti coloro che leggeranno e/o commenteranno questo capitolo ^^
Adesso la smetto di blaterare e vi lascio alla lettura, al prossimo capitolo gente \O/


Domenica – Parte III

Charlene camminava sulla guida di colore bianco che era stata stesa sul prato all’inglese del giardino, mentre gli invitati, nei banchi, si erano alzati e la stavano osservando in un silenzio che lei giudicava ammirato. Spostò lo sguardo su Veronica, che la stava precedendo di un paio di passi e, nonostante camminasse con un passo lento che sapeva di cautela, poteva dire che non stesse sfigurando sopra quei tacchi che era stata costretta a mettere. L’incedere di Charlene era, invece, misurato, i suoi movimenti erano eleganti e aggraziati e, da sotto il velo che le copriva il viso, scrutava fisso l’altare e l’uomo che lì la stava aspettando per sposarla, facendole compiere un ulteriore passo avanti nella sua personale scalata al potere. Senza farsi notare, lanciò un’occhiata agli invitati e, con sua somma gioia, vide il capitano seduto al secondo scranno sul lato di destra, affiancato da una donna che doveva essere sua moglie. Una gioia feroce le infiammò per un attimo il petto perché, accettando l’invito al suo matrimonio, il suo superiore aveva dimostrato di tenerla in alta considerazione sul lavoro, che lei era ormai un membro del suo staff che considerava competente, di cui aveva riconosciuto i meriti e che era entrata a pieno titolo nella ristretta cerchia dei suoi collaboratori più fidati; inoltre, portando la sua consorte con sé, le stava comunicando implicitamente che aveva tutta l’intenzione di annoverarla nella cerchia dei suoi intimi. Nella sua mente si aprì un ventaglio di scenari e, in ciascuno di essi, lei sfruttava il rapporto d’amicizia che sarebbe riuscita a instaurare con il capitano, come passaporto per entrare in confidenza con personaggi che erano più in alto di lui e che, irretiti dal suo fascino e dalle sue spiccate doti intellettive, l’avrebbero aiutata ad arrivare ai vertici della scala gerarchica della polizia o, magari, non le avrebbero negato un posto di comando nello Fbi. A quel pensiero, Charlene sentì un sorrisino tenderle le labbra. Mentre procedeva verso l’altare, per caso notò che, in piedi davanti uno dei banchi al centro della fila, c’era Lehmann. Non poteva credere ai suoi occhi. La cara Abby aveva veramente accettato il suo invito: avere la sua rivale lì, era il coronamento del suo momento di trionfo, era una vittoria che aveva il sapore del miele e sarebbe stata ancora più dolce quando, dopo la cerimonia, le avrebbe sbattuto in faccia che Benedict era ormai suo e tutti i successi lavorativi che durante quell’ultimo anno, in cui non si erano viste, era riuscita a conseguire.
Intanto, Charlene era arrivata davanti all’altare e suo padre, dopo aver sfilato il braccio da sotto al suo, aveva appoggiato la sua mano su quella di Benedict, che si inchinò ed eseguì un elegante baciamano. Lui le sollevò il velo dal viso e le sorrise. Charlene ricambiò e, mentre si avvicinava all’altare mano nella mano con l’uomo che stava per sposare, fece scorrere uno sguardo critico su di lui: Ben stava abbastanza bene vestito con quel tight blu scuro e il cilindro aggiungeva una certa eleganza. Stava bene vestito in quel modo, anche se non così bene come aveva creduto e la infastidiva la consapevolezza che, se lei era bellissima nel suo abito da sposa, Ben non lo era altrettanto e temeva che questa disparità nel loro aspetto potesse attenuare l’effetto che faceva lei, facendola sfigurare davanti agli invitati. Il ministro che avrebbe officiato la loro cerimonia di nozze cominciò a parlare e Charlene spostò lo sguardo su di lui.
- Siamo oggi qui riuniti per festeggiare due anime innamorate che hanno deciso di legarsi attraverso i vincoli sacri e di trascorrere tutta la vita insieme.- esordì con voce solenne.
In piedi accanto a Benedict, Charlene ascoltava il ministro che stava pronunciando un breve discorso in cui parlava di loro due e del loro amore e, intanto, aspettava con ansia il momento in cui avrebbero pronunciato i loro voti nuziali: sperava davvero che il fotografo che stava riprendendo la cerimonia, nel momento in cui Ben le dichiarava tutto il suo amore e le giurava fedeltà perpetua, inquadrasse la cara Abigail, dandole così la possibilità di vedere che faccia avrebbe fatto la sua rivale nel rendersi conto che Benedict aveva scelto lei e solo lei. Di sicuro per Lehmann sarebbe stato un profondo smacco sentire l’uomo che aveva amato e per cui, forse, provava ancora qualcosa, proclamare il suo amore a lei. Un sorriso di perfido piacere le scivolò rapido sulle labbra, prima che ritornasse ad assumere quell’espressione gioiosa e un po’ confusa da ingenua sposina che pensa di trovarsi all’interno del suo sogno più bello, che aveva avuto fino a poco prima.
- Immagino che abbiate preparato le vostre promesse. – il ministro attese il loro assenso, poi proseguì – Allora, pronunciate i vostri voti nuziali.- e fece cenno allo sposo di procedere.
Un sorrisino compiaciuto incurvo le labbra rosse di Charlene: il momento per iniziare a prendersi la rivincita per tutte le umiliazioni che aveva patito a causa di Lehmann, fin da quando quella sottospecie di poliziotta aveva messo piedi al dipartimento di Sioux Falls, era arrivato.


§§§



Benedict si girò fino a trovarsi di fronte a Charlene e le prese le mani nelle sue. Soltanto per un attimo pensò ad Abby che, in quel momento era seduta a pochi metri da lui, insieme a un uomo che non era lui, che era andata avanti e una fitta di dolore acuto gli attraversò il petto. Ma poi gli bastò guardare la donna che gli stava davanti, bellissima nel suo abito da sposa e che lo stava fissando con i suoi occhi verdissimi e carichi di aspettativa e seppe ciò che era giusto fare, anche se era una cosa che non gli piaceva. Si schiarì la voce e cominciò a parlare.
- Ho preparato decine di discorsi per questo momento, volevo che fosse qualcosa di speciale con cui avrei detto al mondo quanto la donna che sto per prendere in moglie sia bellissima e speciale. Ma mi sono reso conto che niente di quello che potrei dire ora riuscirebbe a spiegare tutto quello che provo per te, perché l’amore che ti porto è troppo ampio perché possa essere racchiuso e spiegato da cose banali e limitate come le parole. Posso solo dirti che mi sento l’uomo più felice della Terra perché hai scelto di condividere il tuo destino con me. Giuro di amarti ed esserti fedele per tutti i giorni della mia vita, che niente e nessuno mi separerà da te, che resterò al tuo fianco in salute e in malattia e che farò qualunque cosa in mio potere per difenderti da tutto quello che potrebbe farti del male e ferirti, perché ti amo e questa è l’unica verità su cui si basa la mia vita.- Benedict disse, prima di chinare la testa e baciare i dorsi delle mani della donna, che ancora stringeva tra le sue.
Quando risollevò la testa e incrociò di nuovo lo sguardo di Charlene, sentì un peso gravare così tanto sul suo petto che gli sembrava di soffocare, perché mentre pronunciava tutto quel bel discorso non stava pensando alla donna che aveva davanti, ma ad Abby. Sempre e soltanto alla sua bellissima e irraggiungibile Abby.


§§§



Charlene fu piacevolmente sorpresa dall’eloquio di Benedict. Si era aspettata qualcosa di lungo, arzigogolato e tedioso: aveva letto più di un rapporto redatto da lui e conosceva bene il suo stile ampolloso, ridondante e caotico, che tendeva a far perdere il filo del discorso a chi leggeva. In quella occasione, invece, Ben era stato semplice, conciso ed efficace. Charlene era sicura che quel breve discorso non fosse opera sua, ma che fosse stato preparato da qualcun altro, probabilmente da uno dei genitori o dal testimone dello sposo. L’idea che anche Lehmann avesse ascoltato quella dichiarazione d’amore di Benedict per lei, aveva il sapore dolcissimo della vittoria: di certo, in quel momento la carissima Abigail doveva starsi rodendo il fegato perché non era al suo posto, ma sola e senza uno straccio di uomo disposto a sopportarla. Si prese un attimo per assaporare fino in fondo quel momento di trionfo, quindi assunse un’espressione ingenua e contenta e, sorridendo gaia ed emozionata a Benedict, si preparò a pronunciare i suoi voti nuziali.
- Io ho sempre saputo cosa volessi dalla vita. Fin da piccola ho pianificato il mio futuro nei più minimi dettagli, tuttavia in nessuno dei miei progetti era compreso l’amore. Pensavo di non averne bisogno, che fosse una cosa che non facesse per me e che sarei bastata a me stessa per tutta la mia vita. Poi ti ho incontrato e ho compreso di essermi clamorosamente sbagliata. Giorno dopo giorno tu mi hai insegnato cosa significhi essere amati e, soprattutto, amare qualcuno. Mi hai ricoperto di attenzioni e di affetto e, accanto a te, sempre mi sono sentita al sicuro. Stando insieme a te ho capito che essere in due è molto meglio che essere da soli, perché, se non ci fossi stato tu, la maggior parte dei momenti felici che hanno costellato la mia non sarebbero esistiti. Ti sei reso indispensabile e sei diventato una parte fondamentale della mia vita. Amo ogni aspetto di te, sia i pregi che i difetti e, per questo motivo, io giuro di amarti e di esserti fedele per tutti i giorni che mi resteranno da vivere, di essere al tuo fianco e sostenerti in ogni momento della nostra vita insieme, lieto o buio che sia e che soltanto la morte potrà separarmi da te, ma il mio amore per te continuerà a esistere per sempre.- dichiarò e strinse di più le mani di Ben con le sue, come per sottolineare e confermare tutto quanto avesse detto.
Un momento di silenzio seguì al suo discorso e Charlene sentì qualcuno che tirava su per il naso: era pronta a scommettere che fosse sua madre che si commossa. Mentre guardava Benedict negli occhi, non poté fare a meno di chiedersi se la pronuncia dei suoi voti nuziali avesse avuto l’effetto da lei desiderato. Aveva speso non poche ore per portare avanti quel compito, per buttare su carta tutte le idee che le erano venute in mente e dar loro l’aspetto che desiderava. Charlene voleva che il suo discorso fosse romantico ma non melenso, che riuscisse a trasmettere amore senza essere stucchevole e che fosse semplice ma raffinato. Auspicava che fosse tutto quello perché bramava fare bella figura con il capitano: pronunciando i suoi voti, voleva dimostrargli che sapeva parlare, che il suo eloquio era eccellente e accurato, che sapeva essere semplice e diretta, che era in grado di parlare sia con le persone che si trovavano ai vertici, che di comunicare con i civili che erano avulsi del tutto dal lessico e dalle attività pratiche degli organi di polizia. Tutto ciò perché ambiva a che le venisse assegnato anche l’ufficio delle pubbliche relazione: se avesse tenuto sotto controllo i media, avrebbe potuto controllare anche l’opinione pubblica e averla dalla sua parte, una volta supportata da essa, il capitano non avrebbe potuto esimersi dal promuoverla e, in questo modo, si sarebbe avvicinata di più al coronamento dei suoi grandiosi progetti. Voleva girarsi per vedere che effetto avessero avuto le sue parole sul suo superiore, ma dovette resistere alla tentazione perché quello non era il momento giusto. Ritornò, quindi, a concentrarsi sulla cerimonia perché non voleva mettersi in ridicolo mancando di rispondere alle domande di rito, perché era distratta a pensare a chissà cosa.


§§§



Benedict aveva seguito attentamente il discorso di Charlene e, a ogni parola da lei pronunciata, si era sentito sempre più meschino perché stava sposando una donna a cui voleva bene, ma che non amava, non come lei amava lui, per lo meno. Eppure, sapeva che quello era l’unico posto in cui dovesse essere in quel momento, che lei era l’unica opportunità per avere una vita normale, per quanto non fosse giusto. Mentre le infilava la fede al dito e ci lasciava sopra un bacio a suggello della loro unione, Benedict pensò che da quel momento lui doveva impegnarsi a fondo per dare a Charlene la vita coniugale che desiderava, in modo da ricompensarla almeno un po’ per ciò che le stava facendo.
- Vi dichiaro marito e moglie!- esclamò entusiasta il ministro, al termine dello scambio delle fedi.
Da quel momento in poi era definitivamente un uomo sposato, legato per sempre a una donna che non era la sua Abby e, per un attimo, si sentì schiacciato dall’enormità di quanto aveva appena fatto. Ma di nuovo gli bastò osservare il viso incantevole e raggiante della donna che da una manciata di secondi era diventata sua moglie, per riuscire a recuperare la calma e rammentare che una vita trascorsa accanto a quella donna era sempre meglio di un’esistenza randagia e solitaria passata a rimpiangere l’unica donna che amasse e che, forse, non avrebbe mai riavuto. Per questo la guardò nei suoi occhi verdi e cercò di rivolgerle il sorriso più luminoso che riuscisse a fare, per poi chinare la testa in avanti e baciarla. Per fortuna era un semplice bacio a stampo e non uno di quelli che Charlene era solita dargli quand’erano loro due da soli. Lei era aggressiva anche nel modo di baciare: gli mordeva le labbra fino a fargli male e una volta lo aveva pure tagliato con i denti, e poi gli afferrava i capelli forte e li tirava; senza dimenticare tutti i graffi che gli lasciava sulla schiena con le sue unghie lunghe mentre facevano l’amore. Per lui che era abituato ai baci dolci, morbidi e languidi di Abigail, era stato un po’ traumatico quel suo modo di fare, tanto che all’inizio non gli era piaciuto molto baciare Charlene, ma a lungo andare si era abituato e aveva capito che quell’aggressività era solo un altro aspetto della passionalità della sua donna. Dopo un attimo si allontanò dalle labbra di quella che ormai era a tutti gli effetti sua moglie e la fissò negli occhi, nel tentativo di resistere alla tentazione di girarsi e vedere quale reazione aveva avuto Abby alla vista di quel bacio.
Benedict venne scosso delle sue riflessioni dagli invitati che stavano applaudendo la loro unione. Stringendo ancora la mano sinistra di sua moglie, si girò per un attimo verso gli invitati insieme a lei, per ringraziarli per il loro affetto e la loro partecipazione. Subito dopo, i novelli sposi tornarono a prestare attenzione al ministro che aveva ripreso a officiare la loro cerimonia, pronunciando le ultime formule liturgiche. Quando il rito fu terminato, Ben rivolse un piccolo sorriso a Charlene e le porse il braccio, in modo che vi si aggrappasse con la mano libera, prima di scendere dall’altare e camminare lungo la guida. Gli sposi fecero appena in tempo a compiere un paio di passi che gli invitati, capitanati da una festante signora Moore, cominciarono a lanciare il riso su di loro e a gridare ogni possibile augurio di felicità per loro.
Con un’espressione radiosa in viso, Charlene si stringeva al braccio di Benedict e, mentre passava tra le due ali di scranni, rivolgeva agli invitati il sorriso più luminoso e gioioso che riusciva a fare, per dimostrare loro quanto fosse raggiante in quel momento. Quando gli sposi giunsero alla fine della guida, dovettero arrestarsi perché qualcuno aveva disegnato sull’erba un cuore con i confetti e con dentro le iniziali dei loro nomi. Era un cosa così infantile e melensa che la mente dietro quell’idea poteva essere solamente sua madre: sperava che le sue iniziative solitaria terminassero lì, perché desiderava che quel matrimonio seguitasse a essere la cerimonia elegante e raffinata che aveva organizzato lei e non si trasformasse in una festa per marmocchi. Mentre si sforzava di mostrarsi entusiasta verso quella sorpresa, dentro di sé pensava che al ricevimento avrebbe dovuto dare fondo a tutto il suo fascino per rimediare all’effetto puerile che, di sicuro, aveva avuto sul suo superiore quell’insulsa idea. Charlene aveva tutte le intenzioni di sfruttare il giorno del suo matrimonio per entrare nelle grazie del capitano: avrebbe sfoderato tutta la sua arguzia, la dolcezza di carattere di cui era stata dotata e il sorriso più accattivante che aveva nel suo repertorio e, per la fine del ricevimento, l’uomo sarebbe stato talmente ammaliato da non potere più fare a meno di lei e presto, grazie a lui, sarebbe riuscita a incontrare anche lo sceriffo e, magari, a diventare una dei suoi collaboratori. Vedeva già un avanzamento di grado nel suo futuro prossimo. E oh, non doveva dimenticarsi di andare a ringraziare personalmente la cara Abby e fece molta fatica a trattenere il ghigno che quel pensiero le aveva fatto nascere: aveva proprio voglia di divertirsi a metterla in imbarazzo perché si era presentata da sola al suo matrimonio, mentre lei poteva sfoggiare un marito che l’amava e che tutte le sere sarebbe ritornato a casa da lei, per stare con lei e non con Lehmann. La carissima Abigail poteva esibire il suo distintivo da federale quanto voleva, però non contava e non valeva nulla, come dimostrava il fatto che Ben non avesse scelto di sposare Lehmann ma lei. Per un attimo, sulle labbra le scivolò un sorriso spietato al pensiero che quello sarebbe stato il giorno del suo completo trionfo e già poteva sentire il sapore dolce della vittoria. Il momento successivo aveva di nuovo quel sorriso candido e gaio che, pensava, tanto si addiceva a una novella sposa.
- Io e Benedict vorremmo ringraziarvi per essere intervenuti al nostro matrimonio: questo è il giorno più bello della nostra vita e siamo contenti di poterlo condividere con tutte le persone a cui vogliamo più bene.- disse mentre faceva scorrere lo sguardo sui presenti che si erano accalcati attorno a lei.
Aveva cercato di rendere la sua voce un po’ tremula, come se stesse cercando di trattenere un’emozione così forte che, tuttavia, era riuscita a sfuggire in parte al suo controllo e sperava davvero di esserci riuscita perché l’umanità era una di quelle caratteristiche che venivano ricercate di più nelle persone che accedevano ai gradi più alti delle gerarchie della polizia. Le persone che si comportavano come se fossero automi senz’anima si rivelavano del tutto inadatte a ricoprire ruoli di potere, perché incapaci di compenetrare le situazioni che a mano a mano dovevano affrontare; ma anche persone fortemente empatiche non venivano scelte perché era matematico che si lasciassero guidare dalle emozioni e si lasciavano sfuggire di mano la situazione, creando problemi invece di risolverli. In definitiva erano da preferire le vie di mezzo: persone sensibili che, tuttavia, all’occorrenza sapevano mantenere il sangue freddo e prendere le decisioni più giuste. Era questa immagine che Charlene voleva trasmettere di sé al capitano e quale occasione più adatta del suo matrimonio, con tutta la sua carica emozionale difficile da gestire? Se tutto fosse andato esattamente nel modo in cui voleva lei, quel matrimonio avrebbe dato più di un frutto.
- Per ringraziarvi per la vostra cortese partecipazione, abbiamo organizzato un piccolo ricevimento al Palace: spero che ci farete l’onore di partecipare tutti.- intervenne la signora Moore, entusiasta.
Charlene non vedeva l’ora che iniziasse quel party, per poter cominciare a mettere in atto i suoi piani.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Domenica - Part IV ***


Salve salvino gentili lettori e lettrici e ben ritrovati ^O^ Chiedo venia per l’immondo ritardo con cui sto aggiornando, ma questo capitolo ha avuto bisogno di una revisione e di un bel taglia e cuci. Inoltre è un po’ lunghetto, ma non mi sembrava il caso di dividerlo a metà per un paio di pagine in più ^^’’’ Quindi, dopo la cerimonia religiosa, eccoci arrivati al momento del ricevimento: per stuzzichini e bevande seguite pure il cameriere ^_^ Facezie a parte, ringrazio Harryet e BlackCobra per aver lasciato un commento al capitolo precedente. Ringrazio: BlackCobra, Harryet e perlanera che hanno inserito questa long tra i preferiti. Ringrazio: dasli22, hurry, orny81, RedMoon_, romy2007, Selvaggia Eagle e vallinda che hanno inserito questa long tra i seguiti. Ringrazio tutti coloro che hanno anche solo letto e ringrazio tutti coloro che leggeranno e/o commenteranno questo capitolo ^__^
Adesso la smetto di blaterare e vi lascio alla lettura, al prossimo capitolo gente ^O^


Domenica – Parte IV

Il Palace era un albergo a cinque stelle che, oltre a offrire ai clienti camere extralusso e a un servizio degno di una residenza nobiliare, consentivano di organizzare ricevimenti di matrimonio nel loro giardino. Appena lo aveva visto – con il prato perfettamente curato e puntellato da alcuni gazebo bianchi sotto cui sarebbero stati sistemati i tavoli, il laghetto artificiale dall’acqua limpida e sulla cui superficie dondolavano dolcemente le ninfee e, infine, con siepi e roseti segnavano i bordi – Charlene aveva deciso che quello sarebbe stato il posto perfetto per ricevimento del suo matrimonio. Era un luogo spazioso, elegante e bastava un colpo d’occhio per comprendere che era anche molto costoso: il posto ideale per accogliere il capitano, insomma.
Quando gli sposi e gli invitati arrivarono, tutto era stato già approntato: i tavoli, coperti da tovaglie di cotone bianchissimo e con centrotavola di gigli rossi e bianchi, erano stati apparecchiati per il buffet e l’odore faceva venire l’acquolina in bocca; tavolinetti rotondi e laccati di bianco erano stati posizionati in modo fintamente casuale sul prato, per consentire agli invitati di mangiare comodamente seduti. Il piccolo gruppo di musicisti che avevano già suonato durante il rito religioso prese posto nell’angolo del giardino che era stato preparato apposta per loro, in modo da allietare gli invitati con un sottofondo musicale. I presenti si sparpagliarono nel giardino: alcuni si assieparono attorno ai gazebo per prendere qualcosa da mangiare e da bere, mentre gli altri si riunirono in piccoli capannelli per scambiare qualche chiacchiera; Charlene passeggiava tra gli invitati insieme a suo marito, mano nella mano, per ringraziarli di essere intervenuti.
Stava per aprire bocca per salutare una sorella di sua madre di cui a stento si ricordava, quando notò una cosa che migliorò ancora di più il suo già ottimo umore: poco distante da loro c’era Abigail Lehmann e stava parlando con qualcuno la cui visuale era coperta dalla figura di un altro invitato: probabilmente era riuscita ad attaccare bottone con qualcuno che, proprio come lei, si era presentato lì solo come un cane. Era arrivato il momento di andare da lei e sbatterle in faccia tutti i suoi fallimenti e la sua mediocre vita, considerò la sposa mentre un ghigno malevolo le incurvava le labbra, aspettava quell’occasione da quando le aveva inviato la partecipazione al suo matrimonio.
- Vogliate scusarci, ma ho appena visto una persona che desideriamo assolutamente salutare, è una cara amica che non vediamo da molto tempo.- la novella sposa disse per accomiatarsi da due invitati che neppure conosceva e che, era pronta a scommetterci, facevano parte del gruppo con cui padre giocava a poker.
Sempre trascinandosi dietro Benedict, Charlene si diresse verso il punto in cui si trovava Lehmann con tutta la velocità che gli consentivano i tacchi alti e il prato all’inglese. Dribblò un paio di invitati che desideravano congratularsi con gli sposi, promettendo loro che sarebbe ritornata il prima possibile e, finalmente, si trovò davanti alla sua rivale… e quel sorriso sardonico che aveva avuto fino a quel momento le morì sulle labbra. Lehmann non era venuta da sola, ma era insieme al suo partner al Gbi, l’agente Kemble. Da dove accidenti spuntava fuori quello stupido damerino? Charlene passò mentalmente in rassegna il momento in cui aveva camminato sulla guida alla cerimonia religiosa e, se ricordava il brutto muso di Lehmann, non poteva dire lo stesso del suo collega, quindi da dove era saltato fuori quell’idiota? Il tenente strinse i denti mentre faceva scorrere uno sguardo affilato su di lui e subito notò che Lehmann e l’agente Kemble si stavano tenendo per mano come due adolescenti impediti, mentre parlavano tra di loro con una confidenza equivoca per due semplici partner di lavoro, fin troppo vicini l’uno all’altro. Evidentemente dopo il caso su cui la sua unità e loro due avevano indagato il loro rapporto si era evoluto in una direzione romantica e questo significava una cosa sola: che il suo piano di far scoppiare la coppia era fallito. Abbassò di nuovo gli occhi sulle loro mani intrecciate e venne folgorata da una nuova idea: ovviamente anche il regolamento interno del Gbi vietava le relazioni tra colleghi e quei due erano stati così stupidi da presentarsi lì, al suo matrimonio insieme e di mettersi a fare i fidanzatini proprio sotto al suo naso: chissà che cosa avrebbe di questa cosa il loro diretto superiore? Il pensiero di avere ancora la possibilità di mettere nei guai la cara Abby, la fece riprendere subito della delusione appena subita. Avendo notato l’arrivo degli sposi, Drew si disse che era arrivato il momento di passare alla seconda fase del suo piano. Fino a quel momento si era tenuto in disparte, facendo in modo che quei due non lo notassero fino al momento giusto, quello in cui avrebbe potuto attuare la seconda parte della sua offensiva. Si girò verso di loro con un sorriso che andava da un orecchio all’altro, sicuro che, al momento giusto Abby, gli avrebbe retto il gioco: non vedeva l’ora di potersi divertire un po’ alle loro spalle.
- Tenente Moore, agente Wyatt stavo proprio dicendo ad Abby che dovevamo farvi assolutamente le nostre più vive congratulazioni. Non ho mai visto una coppia più innamorata e complice di voi: siete proprio fatti l’uno per l’altra.- disse Drew mentre tirava verso di sé la sua fidanzata e, dopo averle lasciato la mano, le passò un braccio attorno alla vita e le strinse possessivamente un fianco.
Il sorriso sul viso dell’agente federale si accentuò quando vide l’occhiataccia che Benedict stava lanciando in direzione della sua mano che stringeva il fianco di Abigail. Una di quelle cose che lui non poteva più fare. E nemmeno il tenente Moore aveva preso troppo bene il fatto che loro due stessero insieme, visto che aveva la faccia di una che sembrava aver appena mangiato un limone acerbo; anche se quella scintilla che le aveva acceso lo sguardo non prometteva nulla di buono. In ogni caso, l’agente Kemble non era affatto preoccupato delle possibili rappresagli del tenente: aveva ascoltato attentamente i racconti che Abby le aveva fatto della sua ex collega e poteva dire di averne imparato bene il modus operandi e, se avesse giocato bene le sue carte, sarebbe riuscito a prendere all’amo la cara Charlene.
- Grazie, siete molto gentili.- rispose la sposa mentre cercava di far passare la smorfia che le piegava le labbra per un sorriso.
- Lei e l’agente Wyatt siete stati così cortesi a invitarci, che questo è il minimo, non è vero amore mio?- chiese Drew mentre si girava verso la sua fidanzata.
Prima che lei potesse rispondergli, le prese il mento tra indice e pollice e le sollevò il volto verso il suo per baciarla. Abigail rimase così sorpresa da quell’atteggiamento che, sulle prime, non riuscì a fare niente. Drew non era mai stato un tipo plateale, perché il rapporto con la propria fidanzata era una cosa che considerava molto personale. Quando erano insieme ad altre persone, lui era affettuoso ma non esagerato e, quando infine ritornavano nell’intimità della loro casa, Drew si lasciava andare e si comportava in modo dolce, appassionato e tutte quelle cose che la facevano sciogliere come burro fuso. Per questo quell’abbraccio, quel chiamarla amore mio e quel bacio davanti a degli spettatori l’avevano un po’ presa in contropiede, ma quando si ricordò che il pubblico che stava assistendo a quelle effusioni era composto da Charlene e Benedict, intuì che il tutto doveva far parte dell’oscuro piano che il suo fidanzato aveva architettato ai danni dei novelli sposi. Al pensiero di potersi divertire un po’ alle spalle di quei due e rifarsi di quello che i due le avevano fatto passare, decise che avrebbe spalleggiato Drew in tutto il suo piano e, comunque, ci avrebbe guadagnato anche lei, considerò Abigail mentre faceva scorrere uno sguardo affascinato sul suo fidanzato.
- Sì, hai perfettamente ragione, amore.- rispose Abby sorridendo, mentre guardava dritto negli occhi il suo compagno e poi gli diede un bacio a stampo.
Drew sorrise, soddisfatto che la sua Abigail avesse deciso di reggergli il gioco. Dopo essersi allontanato dalle labbra della fidanzata, il federale riportò lo sguardo sugli sposi e gongolò parecchio nel vedere l’espressione di Charlene che era quella di una persona che ha appena morso un limone acerbo. Benedict invece gli stava rivolgendo uno sguardo pieno di ostilità e sembrava sul punto di saltargli addosso e strappargli via a morsi la mano che teneva sul fianco di Abby.
- Non sapevo che steste insieme. Quando abbiamo lavorato insieme sembravate solo buoni amici e colleghi.- constatò il tenente Moore, sforzandosi di pronunciare quelle parole in modo calmo.
L’agente Kemble era furbo, lo doveva ammettere, ma non quanto credeva e di sicuro non quanto lei. Si erano presentati al suo matrimonio come una coppietta felice, senza pensare alle conseguenze e consegnando nelle sue mani la prima delle prove che avrebbero portato alla loro demolizione. Adesso doveva trovare soltanto la falla nella sua difesa e infilzare la lama fino all’elsa.
- Oh, quel caso è stato un vero giro di boa per il nostro rapporto, perché ha gettato su di esso una luce nuova. Tuttavia non avremmo mai avuto il coraggio di farci avanti l’uno con l’altra senza il tuo aiuto Charlene, sei stata davvero un’amica.- disse Abby mentre le rivolgeva un bel sorriso e appoggiava la testa contro la spalla del suo fidanzato.
Non aveva alcun dubbio che Drew avrebbe colto il significato dietro quelle sue parole e l’avrebbe seguita senza esitare. Abigail stava cominciando a pensare che il suo fidanzato avesse avuto ragione, che partecipare a quel matrimonio non era stata proprio una perdita di tempo e che la conversazione che stavano avendo con i novelli sposi la stava ripagando in pieno di tutto il tedio della cerimonia religiosa – voti nuziali inclusi. Senza contare che si stava divertendo parecchio a prenderli in giro.
- Il suo contributo è stato provvidenziale, tenente Moore: Abby ha ragione. Se lei non mi avesse detto quelle cose sulla mia partner, non mi avrebbe spinto a farmi delle domande su di lei, a confrontarmi con lei e a rendermi conto che mi fidavo ciecamente di lei, che la sua presenza era fondamentale per me. Lei è stata il nostro cupido, tenente Moore.- disse Drew rivolgendo alla donna un sorriso grato.
Ben si girò di scatto verso sua moglie, fissandola con un’espressione a metà tra l’oltraggiato e il contrariato, perché quella era l’ultima cosa che si aspettava facesse Charlene e perché l’idea che fosse stata lei a spingere la sua Abby tra le braccia di quel bellimbusto da strapazzo gli rimescolava qualcosa nello stomaco. Per parte sua, Charlene si sentiva fremere per un senso di furia che a stento riusciva a domare e reprimere: non voleva assolutamente credere che un suo piano le si fosse ritorto contro in quel modo. Ricordava la conversazione a cui si era riferito l’agente Kemble, come ricordava anche che aveva recitato la sua parte per metterlo contro la sua partner sperando che la coppia sarebbe scoppiata, in modo da far naufragare nel nulla la loro indagine e poter così prendere lei i meriti della risoluzione del caso. Sul momento le era sembrato che il federale avesse abboccato e creduto alle sue storielle su Lehmann, allora come mai adesso quei due erano insieme e sembravano la più stomachevole e melensa raffigurazione di una coppia di fidanzatini? Sotto le sue labbra rivestite di rossetto rosso scuro e lucido, Charlene digrignò i denti fin quasi a sentire male. Possibile che ogni volta che si trovava in vantaggio e fosse sul punto di sferrare il colpo decisivo, Lehmann, proprio come lo scarafaggio che era, riusciva a trovare il modo non soltanto per uscirne indenne, ma anche di far fare a lei la figura della stupida?
- Sono contenta per voi. – disse sfoggiando un sorriso tanto felice quanto falso, mentre Ben rivolse uno sguardo offeso prima a lei e poi ai due fidanzatini – Ma come fate con il lavoro? La vostra è una partnership che avrebbe dovuto rimanere solamente nell’ambito professionale, come è stabilito dal regolamento interno degli organi di polizia. Benedict e io lavoriamo in due distretti differenti e, quindi, non siamo colleghi, voi invece non rischiate di finire nei guai con il vostro superiore?- chiese con il tono più preoccupato e l’espressione più candida che riusciva a fare.
Per niente al mondo avrebbe rinunciato a sferrare un attacco alla sua rivale e, in questo modo, Charlene le avrebbe fatto capire chiaro e tondo che aveva qualcosa con cui non soltanto avrebbe potuto colpirla, ma farla colare a picco. Finalmente aveva la sua antagonista stretta in pugno e non l’avrebbe mollata tanto facilmente, considerò il tenente mentre sentiva già il sapore della vittoria. Udendo quelle parole, invece dell’espressione guardinga e spaventata che lei si aspettava, Drew tese le labbra in un sorrisone che non prometteva nulla di buono, mentre stringeva di più a sé la sua fidanzata.
- So bene che, a causa dell’ordinamento interno, non eravamo legalmente a posto. Per questo motivo, la prima cosa che ho fatto dopo avere… come dire… ecco, ufficializzato le cose tra Abby e me, è stato andare a parlare con il nostro diretto superiore. Le ho spiegato la nostra situazione e lei mi ha detto che, visti i buoni risultati che abbiamo sempre riportato sul lavoro, avrebbe finto di non sapere nulla, a patto che ci saremmo comportati in modo professionale. – lui si fermò un istante per osservare l’espressione di rabbia a stento celata sul volto della sposa e decise che era arrivato il momento di calare il suo asso e al solo pensiero della faccia che avrebbero fatto quei due, quasi scoppiò a ridere – Forse adesso non è il caso visto che è il vostro grande giorno, ma lei, tenente, è stata la madrina del nostro amore e vedere oggi voi due innamorati e felici mi ha convinto che non troverei un giorno migliore di questo e di testimoni migliori di voi due per fare ciò che sto per fare.
Benedict aveva trascorso tutto il tempo di quel discorso a osservare contrariato il modo adorante e incantato con cui Abby stava fissando il suo partner. Non era per niente giusto! Era lui quello che lei avrebbe dovuto guardare in quel modo, non quel bellimbusto da strapazzo: ma che accidenti ci trovava in lui? Era solamente un bel faccino e nient’altro, non c’era nulla di interessante in lui, da nessun punto di vista. Charlene, invece, rivolse al federale uno sguardo sospettoso, perché l’ultima frase detta e il modo in cui l’aveva pronunciata parevano sottintendere qualcosa che, forse, non gli sarebbe piaciuta. Sotto i suoi occhi verdi, Drew sciolse delicatamente l’abbraccio con cui, fino a quel momento, aveva stretto a sé la sua fidanzata e, dopo averla fatta girare verso di sé, le prese entrambe le mani tra le sue, mentre la guardava dritto negli occhi. No, quello che stava accadendo sotto i suoi occhi non prometteva niente di buono, decretò Charlene mentre stritolava la mano di Benedict nel tentativo di reprimere quel moto di rabbia che stava crescendo dentro di lei.
- Non sono molto bravo a fare discorsi, lo sai, quindi spero che mi perdonerai se questo verrà fuori un po’ sconclusionato. – esordì rivolgendole un piccolo sorriso complice, che venne subito ricambiato – So che è banale, ma ti amo. Incontrarti ha dato un senso alla mia vita. Sei diventata importante per me, ti sei resa indispensabile e ormai non riesco più a pensare alla mia vita senza di te. So che questo potrebbe significare che non ci lasceranno più lavorare insieme, ma da quando noi viviamo insieme ho scoperto che tornare a casa e sapere che ci sei tu lì ad attendermi mi piace ed è un cambiamento della mia quotidianità che non ha prezzo e a cui non voglio rinunciare. – Drew lasciò la presa sulle mani della ragazza e si inginocchiò davanti a lei, quindi prese una scatolina da sotto la giacca e, dopo averla aperta, gliela porse mostrandole l’anello di fidanzamento che c’era dentro – Abigail vuoi sposarmi?- le domandò e nonostante il sorriso che le stava rivolgendo, era evidentemente emozionato.
Un soffuso rossore andò a colorare le guance di Abby, mentre si portava le labbra davanti al bocca e cercava di dominare quell’emozione che stava rischiando di travolgerla. Benedict osservava quella scena impietrito, senza sapere bene cosa fare e così disperato che sentiva distintamente un vuoto aprirsi là dove fino a poco prima c’era stato il suo cuore. La sua Abby non poteva farlo, non poteva accettare sul serio di sposare quel bellimbusto da strapazzo, perché lei era sua, solamente sua. Charlene, infuriata per essere stata presa in contropiede ed essere finita dritta nella trappola architettata da quel buffone munito di distintivo, distolse lo sguardo dalla scenetta stucchevole che si stava svolgendo davanti a lei e, con suo sommo sdegno, scoprì che gli invitati al suo matrimonio che si trovavano attorno a loro aveva assistito a tutta la scena e che ora stavano aspettando emozionati e col fiato sospeso la risposta di Lehmann. Un’ondata d’ira la investì, risalendo dalla punta dei piedi a quella dei capelli: come aveva osato quell’idiota fare una cosa del genere? Quello era il suo matrimonio, era il suo grande giorno, era lei quella che gli invitati avrebbero dovuto fissare in quel modo commosso, non quella piccola, patetica, insulsa ebete e il suo intrigante amante: come si erano azzardati a rubale la scena in quel modo? Era una cosa che non avrebbe perdonato mai a nessuno dei due. Con un moto di profondo disgusto, Charlene vide Lehmann annuire emozionata e l’agente Kemble rispondere con un sorriso che andava da un orecchio all’altro, per poi prendere l’anello dalla scatolina e infilarlo all’anulare sinistro della sua ormai promessa sposa. Non appena l’uomo si fu alzato, Abigail gli prese il visto tra i palmi delle sue mani e, dopo essersi alzata sulle punte, si sporse verso di lui per baciarlo. Il tenente Moore vide che i suo invitati stavano applaudendo estasiati a quella farsa di dubbio gusto, attirando l’attenzione anche di chi, fino a quel momento, non si era reso conto di nulla e che, una volta capito che cosa stava succedendo, si unì all’entusiasmo degli altri, facendola stizzire ancora di più. In un’occasione meno formale, in cui non avrebbe dovuto mantenere il giusto contegno, Charlene avrebbe iniziato a schiumare dalla rabbia, tanto la scenetta che si stava consumando sotto i suoi occhi l’aveva fatta infuriare, ma in quel momento, con tutti gli occhi degli invitati addosso poteva solo mostrarsi contenta e partecipe della cosa. Benedict invece era lì lì per svenire. Non riusciva e non voleva credere che la donna che amava, la sua adorata Abby, avesse deciso di sposare non solo un altro uomo, ma proprio quel damerino buono a nulla del suo partner. Ben chiuse gli occhi, immaginandosi mentre scioglieva la sua mano dalla stretta di quella della sua sposa e correva verso i due, per allontanare a spintoni quel damerino dalla sua donna e scappare poi via con Abby, per iniziare una nuova vita insieme da qualche altra parte. Peccato che avesse appena preso un impegno con Charlene e che per questo motivo non potesse fare niente, pensò Ben mentre riapriva gli occhi. Mordendosi forte l’interno della guancia destra, lo sposo pensò che, nonostante tutto, avrebbe dovuto allontanarsi da lì il prima possibile se non voleva fare qualche sciocchezza e rovinare il suo giorno speciale a Charlene.
- Che carini!- si costrinse comunque a dire la sposa, non potendo esimersi dal partecipare a quel futile e stupido scoppio di entusiasmo.
Intanto Drew si era voltato verso i novelli sposi, stringendo con la sua la mano di Abby al cui anulare aveva infilato l’anello di fidanzamento e, dopo essersi goduto per alcuni secondi l’espressione funerea di Benedict e quella carica di livore del tenente Moore, decise che erano cotti a puntino e che poteva sferrare il colpo finale. Era abbastanza certo che, dopo, nessuno dei due avrebbe avuto più la voglia di dare loro noie e che avrebbero potuto non solo godersi in santa pace quel ricevimento, ma anche un periodo di serenità che lui prevedeva essere parecchio lungo. Per questo motivo esibì il suo sorriso più luminoso e felice e si rivolse agli sposini.
- Tenente Moore senza di lei tutto questo non ci sarebbe stato e, per questo, Abby e io saremmo sul serio onorati se lei e l’agente Wyatt accetterete di partecipare al nostro matrimonio. È un po’ presto per parlarne, lo so, ma ci terremo davvero tanto perché il merito è tutto suo. La prego.- Drew disse tutto quello e poi rimase a fissare la donna con i suoi occhi verdi carichi di aspettativa.
Charlene avrebbe preferito lavorare per quattro settimana di fila, senza nessuna pausa e senza mai tornare a casa, piuttosto che andare a quel matrimonio e sorbirsi tutte le melensaggini di quei due e il cattivo gusto di Lehmann. Peccato che l’agente Kemble l’avesse messa praticamente con le spalle al muro: gli occhi di tutti gli invitati che si trovavano intorno a loro erano puntati su di lei, in attesa di sapere cosa avesse risposto e se il suo fosse stato un rifiuto, come tanto avrebbe voluto che fosse, avrebbe fatto la figura dell’ingrata e lei non aveva alcuna intenzione di sfigurare per causa di un inebetito come quello lì. Per questo motivo si sforzò di assumere l’espressione più entusiasta del suo repertorio, da rivolgere a quella coppia di scimuniti che aveva deciso di rovinare il suo grande giorno. Alla prima occasione avrebbe presentato il suo salatissimo conto alla cara Lehmann, poi avrebbe voluto vedere se si sarebbe divertita allo stesso modo.
- Io e Ben saremmo felici di partecipare al vostro matrimonio.- disse, tentando di modulare la voce per farla apparire il più naturale e melodiosa possibile.
Benedict era così scosso al pensiero che quello lì avrebbe preso il posto accanto alla sua Abby che sarebbe dovuto essere suo di diritto, che riuscì soltanto ad annuire con un cenno della testa. Drew e Abigail li ringraziarono per la loro risposta affermativa con sul viso dei sorrisi così entusiasti, che Charlene era pronta a scommettere che erano più falsi di una banconota da mille dollari.
- Per quanto ci piacerebbe restare qui e continuare a chiacchierare con voi, ci sono altri invitati che dobbiamo ringraziare per la loro partecipazione. Se volete scusarci noi adesso dovremmo andare.- dichiarò Charlene mentre tirava con malagrazia il braccio di suo marito per dirgli che doveva muoversi.
Il tenente diede loro appena il tempo di annuire, che si allontanò da loro due con un piglio che non riusciva a celare del tutto il suo essere indispettita, mentre si trascinava dietro con malagrazia suo marito che, dopo la notizia che la sua Abby avrebbe presto sposato un altro, era rimasto talmente sconvolto da non riuscire più a reagire in nessun modo e pareva quasi essersi trasformato in un fantoccio di pezza. Non appena i due sposi furono usciti dal loro campo visivo, Drew abbracciò forte Abigail, stringendola contro di sé e poggiò la sua fronte contro quella di lei, guardandola negli occhi in quel modo così ravvicinato e intimo.
- Vittoria.- le sussurrò sulle labbra, prima di rivolgerla un sorriso enorme ed entusiasta.
Abby gli passò le braccia attorno al collo e lo abbracciò per le spalle, sporgendosi contro di lui e un sorrisino le piegò le labbra.
- Vero, ma ciò non toglie che questa sera, quando torneremo a casa, dovrai ripagarmi lautamente per avermi trascinata qui.- gli disse e una sfumatura divertita andò a colorarle la voce.
- Contaci.- Drew rispose con tutta la malizia di cui fosse capace, mentre stringeva ancora di più a sé la donna e prima di baciarla ancora.
L’agente Kemble sorrise contro le labbra della sua fidanzata, nell’immaginare la faccia che avrebbero fatto i due novelli sposi se li avessero visti e sentiti in quel momento, per poi dimenticarsi di qualsiasi cosa non fosse Abby.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Domenica - Part V ***


Salve salvino gentili lettori e lettrici e ben ritrovati ^__^ Anche questa volta sono in vergognoso ritardo nell’aggiornare e me ne scuso, ma scrivere questo capitolo è stato un pochino stressante, perché mi sono dovuta infilare nella testa di un certo personaggio e la cosa non stata piacevolissima ^^’’’ Credo di aver avuto comportamenti ben strani durante la scrittura di questo capitolo ._. Forse questo capitolo sembra uscito dritto dritto da un teen drama, quindi spero di non aver esagerato ^^’’’ Tornando alla storia, ringrazio BlackCobra e Harryet che hanno lasciato un commento al precedente capitolo. Ringrazio: BlackCobra, Harryet e perlanera che hanno inserito questa long tra i preferiti. Ringrazio: dasli22, hurry, orny81, RedMoon_, Selvaggia Egle e vallinda che hanno inserito questa long tra i seguiti. Ringrazio tutti coloro che hanno anche solo letto e tutti coloro che leggeranno e/o commenteranno questo capitolo.
Prima di lasciarvi alla lettura, un ultimo avvertimento: chi volesse antiacidi o calmanti per poter affrontare al meglio questo capitolo, può chiedere alla signorina in fondo alla stanza. Grazie ^^
Adesso la smetto davvero di blaterare e vi lascio alla lettura, al prossimo capitolo gente \O/


Domenica – Parte V

Veronica era seduta a uno dei tavolinetti di metallo, con davanti un aperitivo analcolico di un preoccupante colore verde acido e un vassoio pieno di tramezzini al salmone e un ampio assortimento di rustici e biscotti. Aveva tutta l’intenzione di strafogarsi, quel giorno. Il ricevimento era appena incominciato e già non ne poteva più: dato che non aveva potuto invitare nessuno dei suoi amici (sua sorella era stata categorica sul fatto che non gradisse una torma di nerd straniti a zonzo per il suo ricevimento di nozze, una già bastava e avanzava per abbassare il livello d’importanza della cerimonia e questo per lei era stato un brutto colpo perché aveva già progettato di passare insieme a loro il tempo a ridere come una matta sulla sposa e sul suo consorte), quindi ora si stava annoiando a morte perché non conosceva nessuno lì visto che erano tutti amici e conoscenti dei suoi genitori e di Charlene, le facevano male i piedi dopo aver dovuto camminare su quei tacchi che l’avevano costretta a indossare e, ultima ma non per importanza, il solo pensiero di poter incontrare di nuovo Celia le faceva venir male. Voleva sfogarsi e desiderava una gratificazione per se stessa visto tutti gli sforzi che sua madre e sua sorella l’avevano costretta a fare quel giorno e, per questo motivo, si era buttata sul cibo – anche perché l’alcool non sarebbe stato una soluzione: essendo astemia, se avesse bevuto si sarebbe sentita male e basta, andando a peggiorare una situazione già pessima di suo. E, anche se non voleva ammetterlo neppure con se stessa, non desiderava dare a Charlene e a Celia nessun pretesto per dare loro modo di ricominciare a prenderla in giro: le era bastato quello che le avevano fatto passare da adolescenti. Veronica diede un morso rabbioso a un calzone ripieno di patate lesse, wurstel e mozzarella, mentre il pensiero di tutto quello che aveva subìto da sua sorella e dal suo piccolo gruppetto arpie tornava a tormentarla. A scuola, Charlene era una specie di ape regina ed era continuamente circondata da tutte quelle ragazze che volevano crearsi una reputazione e farsi notare, perché pensavano che essere popolari sarebbe stata per loro la scelta migliore e avrebbe reso più facile la loro vita a scuola, e che si affaccendavano attorno a lei nel tentativo di compiacerla per essere ammesse nel suo gruppo di amiche. Amiche. Mai definizione era stata meno indicata per descrivere quel gruppo di adolescenti, Charlene inclusa, che si facevano ininterrottamente la guerra tra loro, studiandosi vicendevolmente per trovare un punto debole e darsi di continuo coltellate tra i denti, nel tentativo di emergere, di essere la più popolare e ammirata, quella che i ragazzi guardavano con l’acquolina alla bocca e le ragazze disdegnavano apertamente ma che di nascosto cercavano di imitare. E come dimenticare la guerriglia in stile vietcong che si era scatenata nel gruppo alla fine del quarto anno, quando Charlene finalmente era riuscita a diventare capobranco e le altre avevano iniziato a farsi in quattro per farsi notare da lei? Sì, perché sua sorella aveva avuto la brillante idea di dare un taglio con il passato – a suo dire – e creare un ristrettissimo gruppo di ragazze a lei fedeli, le quali avrebbero costituito un’elite dominante nel già limitato gruppo delle ragazze più popolari della scuola: loro sarebbero state quelle che avrebbero dettato davvero legge nella struttura sociale della scuola, mentre tutto il resto del gruppo sarebbe rimasto semplice manovalanza, limitandosi a obbedire ai capricci di Charlene e del suo gruppetto di intime e a svolgere i compiti che loro non volevano fare. Era stato un vero miracolo che non ci fosse stata una carneficina tra le adolescenti che miravano a ottenere uno dei pochissimi posti messi in palio dalla sua carissima sorella. Il bagno di sangue invece c’era stato tra i ragazzi, lei compresa, che erano considerati i reietti dell’istituto perché bravi nello studio o perché qualcuno, forse per divertimento, aveva appiccicato loro addosso una reputazione che non era più riuscito a scollarsi di dosso. Tutti loro erano divenuti un bersaglio nel gioco al massacro che quelle megere avevano messo su per farsi notare Charlene – Veronica ricordava che, in quel periodo, era corsa voce che le ragazze che sua sorella aveva già scelto per il suo circolo esclusivo, Celia in primis, avevano creato una specie di lista con gli studenti da considerare obbiettivi e con i relativi punti che si sarebbero guadagnati nel prenderli di mira, rendendo ancora più pesante e crudele quello stupido svago e, infatti, ricordava che, tra quei studenti che secondo la voce avrebbero fruttato più punti, alcuni non avevano retto fino alla fine dell’anno e si erano ritirati, preferendo diplomarsi in un’altra scuola. Non sapeva se quelle voci fossero vere o no, tuttavia, visto che c’era di mezzo Celia, la cosa diventava molto più che un semplice sospetto; inoltre il periodo con le prepotenze peggiori che le amiche di sua sorella le avevano fatto passare, coincideva proprio con quello in sui Charlene aveva aperto la sua Barbie-lotteria. Ovviamente sua sorella era uscita da quella situazione non le mani pulite perché materialmente non aveva fatto niente e lei non poteva essere ritenuta responsabile del comportamento di altre studentesse. Sua madre aveva dato di matto quando il preside, che l’aveva convocata nel suo ufficio, aveva suggerito che, verosimilmente, la maggiore tra le sue figlie, insieme alla sua amica del cuore, era la mente dietro quell’improvvisa ondata di soprusi che stavano accadendo all’interno del suo istituto: la madre aveva sostenuto senza cedimento alcuno che Charlene e Celia erano delle ragazze d’oro, diligenti e a cui, magari, piaceva fare qualche scherzo del tutto innocuo, ma che non avrebbero mai fatto del male intenzionalmente a qualcuno; erano le figlie perfette, insomma, quelle che ogni genitore avrebbe voluto avere. Lei non si era sorpresa nemmeno un po’ del fatto che la madre avesse difeso a spada tratta e col massimo dell’indignazione la figlia maggiore.
Veronica bevve un sorso d’aperitivo e pensò che roba del genere era troppo persino per i serial televisivi per adolescenti. Eppure era accaduto proprio a lei, poggiò il bicchiere sul tavolo e prese in mano un sandwich al salmone e lo addentò con ira, e l’incubo peggiore della sua adolescenza si trovava proprio insieme a lei, di nuovo in coppia con sua sorella e, come aveva visto quella mattina, entrambe erano pronte a ricominciare con i loro vecchi passatempi.
- Le vecchie abitudini sono dure a morire, eh?- disse la familiare voce fuoricampo di Celia e, per la sorpresa, Veronica quasi si strozzò con il pezzo di tramezzino che aveva appena addentato.
La ragazza sollevò lo sguardo sull’altra donna e, con orrore, vide che aveva spostato la sedia dall’altro lato del tavolino, quella giusto davanti a lei e che si stava sedendo. No, quella cosa non prometteva niente di buono per lei, perché Celia non sarebbe mai andata a cercarla spontaneamente senza avere qualcosa in mente e, soprattutto, mai si sarebbe seduta al suo stesso tavolo perché considerava degradante farsi vedere insieme alla plebaglia e dividere qualche cosa con uno di loro, fosse anche la mensa: ergo stava architettando qualche cosa ai suoi danni. Veronica masticò con tutta calma quello che stava mangiando, utilizzando quel tempo cercare di capire se avesse una possibilità di fuga o no, però in quel mucchio di sconosciuti suddivisi in capannelli che parlavano tra loro animatamente, non c’era nessuno che potesse aiutarla. Sconfortata, deglutì il boccone e si preparò ad affrontare quel confronto, sperando di non uscirne troppo a pezzi.
- È un ricevimento di nozze, questo. Generalmente questi eventi vengono organizzate per permettere agli ospiti di mangiare e bere.- replicò con calma.
Da adolescente ed essendo la migliore amica di sua sorella, Celia frequentava quotidianamente casa Moore e questo le aveva permesso di scoprire che Veronica aveva un debole per le cose dolci, dagli snack ipercalorici ai frullati di yogurt cioccolata e crema mou e, per questo motivo, aveva cominciato a prenderla in giro per i chili in più che aveva: non aveva mai compreso il perché, ma quella donna aveva l’idea che le persone che valevano si vedevano innanzitutto dal loro aspetto esteriore, magro e curato, mentre avere qualche chilo in più era indice di bassa considerazione di se stessi e, quindi, una plateale ammissione di non valere nulla; Veronica era consapevole di non essere una modella, ma comunque stava bene con se stessa, non aveva mai fatto un dramma che non potesse permettersi la taglia quarantadue e l’unica causa di stress erano proprio le sue nemesi. In mensa, Celia aspettava che lei riempisse il suo vassoio con il pranzo e, nel momento in cui le passava accanto, non perdeva mai occasione per chiamarla a voce alta Palladineve, come il maiale de “La Fattoria degli Animali”, perché, secondo lei, era grassoccia e pallida. Veronica non aveva mai saputo come Celia fosse venuta a conoscenza del nome del personaggio del romanzo di Orwell, visto che era noto che, proprio come Charlene, riteneva una perdita di tempo la lettura di libri di narrativa, ma l’effetto sugli altri di quel nomignolo era sempre assicurato: tutto il gruppo di megere scoppiava a ridere ogni volta come se fosse la prima ed era seguito a ruota dai soliti imbecilli che volevano far colpo su di loro e da tutti quelli che non volevano inimicarsele, che non desideravano entrare nel loro mirino e diventare un bersaglio a loro volta e speravano di poter continuare a rimanere nel loro rassicurante anonimato.
- Ma i ricevimenti vengono organizzati anche per permettere agli invitati di socializzare tra di loro. – Celia la contraddisse e poi abbassò lo sguardo sul cibo che la ragazza aveva preso per se – Tu invece come al solito ti sei concentrata soltanto sul cibo. Proprio come quand’eravamo a scuola.- disse e una smorfia le piegò le labbra lucide e rosse per il rossetto.
Veronica rimase immobile, senza sapere cosa rispondere e limitandosi a fissare la donna seduta davanti a lei. Non riusciva a capire dove volesse andare a parare con quel discorso: era troppo colloquiale, non c’era nulla di tagliente o affilato con cui poterle fare del male e questo la preoccupava non poco. Non sapeva se era una cosa che dipendesse dalla sua interlocutrice, ma riusciva solamente a preventivare il peggio da quella loro chiacchierata. Celia sollevò i suoi occhi azzurri su di lei e Veronica represse a stento un brivido.
- È una cosa che mi ha sempre disgustato profondamente di te. Ti fiondavi nella mensa come se fossi stata un animale affamato, avventandoti sul cibo come se fossi stata a digiuno da settimane e non rialzavi la testa fino a quando non avevi ripulito tutto. Mi sei sempre parsa più una pattumiera che un essere umano.- dichiarò e le sue labbra si tesero in un ghigno.
Fin dall’inizio Veronica aveva saputo che la discussione avrebbe preso quella piega, però ciò non significava che non le facesse comunque male. Strinse i denti mentre ricordava a se stessa che non era più una ragazzina spaurita, ma che era una donna adulta consapevole di se stessa, che non voleva più essere succube di quella donna che per chissà quale motivo la detestava e che, se pure ne fosse uscita sconfitta, si sarebbe battuta fino all’ultimo, dimostrandole così che le dinamiche tra di loro erano mutate. Veronica alzò le mani con cui stava ancora stringendo il tramezzino, le portò all’altezza della bocca e, senza mai distogliere lo sguardo da quello della sua antagonista, diede un generoso morso al tramezzino e poi incominciò a masticarlo con ostentata soddisfazione, senza mai distogliere lo sguardo da lei, in un gesto che voleva essere di sfida per dimostrarle che non la temeva più. Celia aggrottò la fronte e la smorfia sulle labbra divenne più acida.
- Mi domando come tu non possa provare vergogna verso te stessa. Al tuo posto, io non riuscire mai a convivere con quello che sei. Sei soltanto un’insulsa, patetica mocciosa che non sarà mai nulla di più del microbo che è ora.- disse la donna e le rivolse quello sguardo affilato e gelido che era fin troppo familiare.
Veronica inspirò lentamente, nel tentativo di calmarsi: non doveva dire niente fuori posto, altrimenti quella strega sarebbe corsa subito da Charlene a raccontarle tutto ed entrambe a loro volta avrebbero coinvolto sua madre, raccontandole chissà quale versione distorta di quella chiacchierata in cui lei avrebbe recitato di certo la parte della cattiva che perseguitava le due povere fanciulle buone e dolci, aizzandogliela contro.
- Come fai a dire questo? Non sai niente di me.- disse, ricacciando indietro a forza tutti gli insulti che bruciava dalla voglia di riversarle addosso e quelle parole suonarono patetiche anche a lei stessa.
Il ghigno sulle labbra della donna bionda si tese ancora di più.
- Il solo fatto che non ti renda conto di quanto tu sia penosa, è una prova evidente della cosa. – Celia si sistemò più comodamente contro lo schienale della sedia, spinse dietro le spalle una ciocca di capelli che era scivolata sul davanti e accavallò le gambe e continuò a fissarla con superiorità – A scuola non solo non sei mai riuscita a emergere, ma fin dal primo anno sei stata classificata nel gruppo dei nerd. Non che fossi poi così diversa da loro: grassa, trasandata, con gli occhiali sul naso e l’aria stordita quando camminavi nei corridoi. E poi la ciliegina sulla torta: sei entrata a far parte della squadra di sillabazione della scuola. Hai la benché minima idea di quanto sia stato imbarazzante per Charlene venire a sapere che sua sorella si era impegnata con uno dei club più degradanti, quello che forse era superato solo dal club di geografia, ma che era in ogni modo uno di quelli che gridavano secchie a un chilometro di distanza?
Veronica finì di mangiare il tramezzino sotto lo sguardo carico di disapprovazione dell’altra donna, mentre le ritornavano in mente le settimane d’inferno che aveva dovuto passare a causa di sua sorella dopo che era venuta a sapere in quale gruppo si era iscritta: non voleva in alcun modo che il suo nome venisse associato al club che per tutti era sinonimo di secchioni nel senso più dispregiativo del termine, perché in questo modo anche la sua reputazione di ragazza più popolare dell’istituto sarebbe stata intaccata; aveva lavorato molto per arrivare dov’era ora, perché aver avuto una buona reputazione a scuola sarebbe stato un ottimo biglietto da visita per il mondo lavorativo e in nessun modo voleva che tutta la fatica fatta andasse in fumo per causa sua. Charlene era arrivata a coinvolgere anche la loro madre, sicura che, come ogni altra volta, avrebbe dato man forte a lei e, infatti, la mamma aveva iniziato a pressarla perché scegliesse un club sportivo e non uno in cui sarebbe rimasta ad ammuffire sui libri di grammatica e dizionari. Era stato l’intervento provvidenziale del padre, che aveva chiarito che lei era libera di fare la scelta che preferiva e che nessuno poteva imporle niente e che era stanco dei continui litigi che c’erano negli ultimi tempi in casa, a risolvere la situazione a suo favore, almeno per una volta. Veronica doveva ammettere che la faccia sdegnata e oltraggiata che aveva fatto la sua sorellina in quell’occasione, era uno dei momenti migliori della sua vita.
- Da quello che hai detto si evince che sono una persona studiosa e questo dovrebbe fare di me una nullità. La tua è una teoria interessante, perché la quasi totalità della gente pensa l’esatto opposto. Infatti sono stati i miei voti alti a permettermi di accedere a una università prestigiosa.- disse la figlia minore di casa Moore, prima di bere un sorso del suo aperitivo.
Celia piegò le labbra in una linea che trasudava indignazione e fece un cenno secco con la mano destra.
- Non sono i voti che si prendono a scuola che fanno una persona, dovresti saperlo bene. Anch’io sono sempre stata molto brava nello studio: mi sono diplomata quasi con il massimo dei voti e mi sono laureata a Princeton. Adesso sono un avvocato affermato e faccio parte di uno degli studi legali più importanti di San Francisco. Charlene era la studentessa migliore del nostro anno, i suoi voti erano così alti che è stata scelta per pronunciare il discorso d’apertura durante la cerimonia di diploma e si è laureata in legge nella mia stessa università; la sua bravura è indubbia, infatti ha il grado di tenente e comanda una squadra della omicidi, nonostante la giovane età. Eravamo studentesse modello, ma avevamo anche una vita sociale attiva, ci piaceva divertirci e lo facevamo. – Celia si fermò un attimo e l’espressione sul suo viso divenne all'improvviso dura – Tu eri brava a scuola esattamente come noi, tuttavia ti è sempre piaciuto darti un tono, passare per quella che studiava veramente a differenza di noi e il tuo vero scopo era quello di dare fastidio a tua sorella e me. Invece di essere comprensiva nei confronti di Charlene e di cercare di sostenerla nella sua carriera scolastica, non hai fatto altro che crearle un problema dietro l’altro. Non te n’è mai fregato niente di noi, agivi come più ti piaceva e senza mai pensare alle conseguenze, come se al mondo esistessi solo tu e in questo modo mettevi in imbarazzo lei e me.- concluse e le rivolse un’espressione rabbiosa.
Veronica rimase così interdetta per quella dichiarazione, che rimase immobile a fissarla senza sapere né cosa dire né cosa fare. Davvero Celia aveva appena detto che la colpa di tutto era solamente sua, perché aveva pensato a vivere la sua vita e non quella della sorella? Quella era la cosa più surreale che avesse mai sentito. Si chiese se quella donna non fosse ubriaca, ma dopo un esame sommario le sembrò perfettamente lucida. Se lucida era la parola giusta da usare dopo quel discorso che definire bizzarro era dir poco.
- Non vi interessava niente di me, perché avrebbe dovuto importare a me di te o Charlene e di quello che vi succedeva? Voi due mi avete reso la vita impossibile, quand’ero una ragazzina. Quindi è inutile che accampi scuse così assurde sperando che io mi senta in colpa per aver pensato solo a me stessa e non a gonfiare l’ego già ipertrofico di mia sorella e tuo.- replicò Veronica, con la fronte aggrottata e la bocca piegata in una linea dura.
Dire che le avevano reso la vita impossibile da adolescente, era utilizzare un blando eufemismo, perché sua sorella, invece di controllare e gestire le ragazze che facevano parte del suo gruppo, gliele aizzava contro in un continuo tormentarla e ridere delle sue reazioni. Quindi perché avrebbe dovuto essere comprensiva con quelle due e spalleggiare la loro patetica scalata sociale? Celia aveva forse dimenticato quella volta che le avevano preso la giacca a vento che aveva lasciato nell’armadietto e l’avevano gettata nell’inceneritore della mensa, perché avevano pensato che fosse troppo divertente vederla andare in giro sotto la pioggia e in pieno novembre senza niente che la proteggesse dal freddo? E visto che, a causa del loro scherzo idiota, si era presa un bel raffreddore con tanto di mal di gola, si era pure dovuta sorbire le loro prese in giro perché pareva che parlasse come un citofono. Oppure Celia preferiva parlare di quella volta in cui, durante la pausa pranzo, l’avevano rinchiusa nello sgabuzzino degli attrezzi perché la sua adorata sorellina aveva detto alla sua amica del cuore che lei soffriva di claustrofobia e tutte e due avevano concordato che ci sarebbe stato da ridere nel sentirla urlare spaurita e implorare di farla uscire da lì dentro? L’avevano trovata un’ora dopo terrorizzata a morte e solo perché al professore di chimica era sembrato strano che avesse disertato la sua lezione, visto che, dall’inizio dell’anno scolastico, non aveva perso una sola ora della sua materia. Era inutile dire che la madre non le aveva creduto affatto quando aveva accusato sua sorella e Celia per quella bravata, anzi: si era arrabbiata parecchio perché aveva usato ciò che le era stato fatto per colpire quelle due adorabili ragazze che erano assolutamente incapaci di fare del male a chicchessia, citandola fedelmente. Inoltre, quando lei era stata rinchiusa in quello sgabuzzino, Charlene e Celia si trovavano ancora nella mensa e c’erano dei testimoni, se proprio non voleva crederci: era altrettanto inutile specificare che i testimoni erano tre ragazze del secondo anno che stavano facendo i salti mortali per farsi notare da sua sorella e che, per farsi ammettere nel suo prestigioso gruppo, avrebbero giurato mano sul cuore di averle visto spuntare un paio d’ali angeliche sulle spalle e lanciarsi in picchiata dal tetto per andare a spaventare le ragazze della squadra di baseball.
- Le mie non sono scuse, ma la pura verità. – replicò indignata Celia – Non hai mai mosso un dito per noi, però hai sempre pensato soltanto a te stessa, perché sei sempre stata una egoista a cui non è mai fregato niente degli altri. Sei la sorella minore e avresti dovuto occuparti di tua sorella, essere al suo fianco per aiutarla e sostenerla in ciò che stava costruendo con tanta fatica ed essere indulgente con lei. Invece hai reso le cose sempre più difficili con questa tua ostinazione da mulo recalcitrante. Ti sei convinta di essere un’eroina che combatteva strenuamente contro la perfidia di chi desiderava rovinarle la vita, ma non ti sei mai resa conto che è l’esatto contrario perché il nocciolo del problema non sei tu, non lo sei mai stata. Il fulcro della questione eravamo tua sorella e io e quello che stavamo costruendo per il nostro futuro. Non te n’è mai fregato nulla di quanto fosse importante per noi che tu ci spalleggiassi, che le altre studentesse vedessero quanto ti operavi per supportarci, in modo che anche loro seguissero il tuo esempio: se Charlene non aveva dalla sua parte la sorella minore, allora per quale motivo avrebbero dovuto seguirla delle perfette estranee? Avresti dovuto essere la nostra prima alleata, ma hai pensato soltanto a te stessa, fregandotene delle ripercussioni che le tue azioni avevano su di noi. Per esempio, ti sarebbe costato molto ascoltare per una volta i consigli di chi ne sapeva più di una bambinetta e iscriverti al club di ginnastica artistica, come volevano Charlene e la tua mamma non due estranee che non desideravano il tuo bene, invece di perseverare con il club di sillabazione? Tua sorella è stata presa in giro per una settimana per questa tua scelta sconsiderata.- concluse la donna con livore.
Quello che Celia aveva accuratamente omesso di dire, era che a ridere alle spalle di sua sorella era stato un gruppetto di studentesse del primo anno a cui non piaceva il fatto che fosse sua sorella a dettare legge nella scuola e sostenevano la sua avversaria (proprio come in ogni teen drama che si rispettava, anche sua sorella aveva una rivale e anche piuttosto agguerrita: era una delle ragazze che facevano parte del gruppo di intime di Charlene – lei l’aveva voluta il più vicino possibile per controllarla meglio – e aspettava solo il momento giusto per pugnalarla alle spalle e sottrarle la corona di reginetta della scuola). Quando Charlene era venuta a sapere da chi fossero partite quelle prese in giro sul suo conto, la sua collera era raddoppiata, perché, per lei, era stato semplicemente vergognoso che a ridere alle sue spalle fossero un pugno di mocciose del primo anno perché, comportandosi in quel modo, avevano dimostrato a tutti che non avevano paura di lei e, visto che disubbidienza era una cosa contagiosa e che il suo primato non poteva essere messo in discussione, si era occupata personalmente di insegnare loro a rispettare gli studenti più grandi e lei in particolare. In questo modo aveva dato l’esempio tutti gli altri studenti che lei non era disposto a cedere il suo ruolo egemone all’interno della scuola e che chiunque avesse osato sfidare la sua autorità, ne avrebbe pagato lo scotto. Ma non era quello il punto di quella discussione. Veronica smise di pensare alle peripezie scolastiche di sua sorella e tornò a concentrarsi su quello che le aveva appena detto Celia. Non poteva ancora crederci, ma il succo del suo allucinante discorso era che si era meritata tutto quello che lei e la sorella le avevano fatto passare, perché agli occhi dell’intero istituto non si era dimostrata essere la loro fan numero uno. No, quella conversazione non era nemmeno surreale, era… era… Le mancavano perfino le parole per poter descrivere quello che le stava accadendo. Però, se lo scopo di Celia era quello di farla sentire in colpa nei suoi confronti, aveva fallito miseramente perché, al pensiero di tutte le angherie che quelle due le avevano fatto, desiderava solo di poter dare finalmente sfogo a quell’ammasso ribollente dentro di lei che le suggeriva di riversare su quella donna tutta la rabbia che covava dentro da anni e che le parole di Celia stavano solo alimentando. Ma la parte razionale di lei sapeva che fare una cosa del genere sarebbe stato controproducente perché, se solo si fosse azzardata a scatenare una rissa – anche soltanto verbale – al ricevimento di nozze di sua sorella e con la sua carissima amica del cuore, rovinandole così la piazza, si sarebbe trovata subito a essere il bersaglio della collera della madre e di Charlene e questa era l’ultima cosa che desiderava. Inspirò a fondo un paio di volte e solo quando si rese conto di essere abbastanza calma, si azzardò a parlare.
- Hai perso di vista il fatto che anch’io avevo la mia strada da seguire. Non si trattava di egoismo, ma stavo semplicemente pensando al mio di futuro. Anch’io ho i miei sogni e le mie aspirazioni, non soltanto voi due e ho fatto e sto facendo tutto ciò che devo per realizzarli. Sto investendo molto su questo e sto studiando sodo per potermi laureare presto e con il massimo dei voti. Come vedi non c’è alcuna differenza tra me e voi.- Veronica si fermò e si morse il labbro inferiore, perché anche alle sue stesse orecchie quelle parole suonavano come una giustificazione.
Udendo quella patetica replica, Celia assottigliò lo sguardo e piegò le labbra rosse in un sorriso sprezzante. Quella discussione era durata più a lungo di quanto avesse prospettato quando aveva deciso di tormentare un po’ quella marmocchia, senza contare che stava diventando una inutile e lagnosa rievocazione dei tempi in cui loro tre andavano a scuola, un periodo oramai sepolto che accettava di rivangare solamente quando dall’altra parte c’erano persone del suo livello, con cui poteva rammentarne i fasti e ridere di tutto ciò che avevano fatto alle spalle della massa di inetti: parlarne con quella ragazzina ottusa era vano perché lei non avrebbe mai capita cosa avesse rappresentato la scuola per persone come lei e Charlene. Inoltre non era sua abitudine farsi vedere insieme alla plebaglia e, in quella occasione, lo aveva fatto per fin troppo tempo e non voleva che qualcuno potesse cominciare a pensare che fosse amica di quell’inetta. Quindi era arrivato il momento di chiudere quell’amichevole chiacchierata e voleva farlo nel modo più adeguato possibile, perché, in questo modo, Veronica non soltanto avrebbe ricordato quel’era il suo posto al modo, ma non si sarebbe dimenticata tanto presto di lei.
- Ti sbagli: tra di noi c’è una differenza abissale. Nel tuo caso lo studio e l’università sono uno spreco sia di tempo che di denaro, perché, per quanto ti possa dibattere e impegnare, tu sei una cosa che non varrà mai nulla nella vita. Sei soltanto un mare di chiacchiere vuote e niente di quello che farai darà mai un frutto come quello che abbiamo dato io e tua sorella. Rassegnati: in confronto a noi sei una nullità, lo sei sempre stata e sempre lo sarai.- dichiarò convinta.
Celia rimase un attimo ancora a osservare l’effetto che le sue parole avevano sulla ragazza e soltanto quando si ritenne soddisfatta, si alzò dalla sedia. Veronica rimase ferma al suo posto, le mani strette forte a pugno e un dolore sordo che le pulsava nel petto. Lo aveva saputo fin dall’inizio che sarebbe finita in questo modo, si ripeté, ma faceva male comunque, perché Celia e sua sorella le avevano ripetuto per anni e di continuo che, al loro confronto, era un’incapace e questo aveva minato a fondo le sue sicurezze. Le ci erano voluti anni per uscire da quel tunnel in cui quelle due l’avevano fatta cadere e la discussione che aveva appena avuta con Celia minacciava di ricacciarla di nuovo in quel buio. No, si disse dopo una pausa di indecisione, non avrebbe più commesso gli stessi errori: ci sarebbe stato ancora un lungo lavoro da fare, ma la prossima volta che avrebbe dovuto avere a che fare con Celia – ed era certa che sarebbe stata molto presto, perché ora che aveva riformato con la sorella la vecchia coppia di amiche del cuore, era sicura che sua madre non avrebbe mai mancato l’occasione di riavere di nuovo insieme sotto il proprio tetto il duo di ragazze che aveva sempre adorato – sarebbe stata ancora più forte di com’era in quel momento e le sue parole l’avrebbero ferita ancora di meno di come avevano fatto quel giorno.
Era una promessa che Veronica faceva a se stessa.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Domenica - Part VI ***


Salve salvino gentili lettori e lettrici e ben ritrovati ^O^ Chiedo nuovamente venia per il ritardo con cui ho aggiornato questa long, ma sto alternando la scrittura di questi capitoli con quella di ff su un paio di ship slash che mi hanno presa molto ultimamente e, poi, ho un nuovo progetto in ballo ^^ Tornando a questa long, ammetto che mi sono divertita parecchio a scrivere questo capitolo: dopo l’intermezzo con Celia e Veronica, Charlene torna a essere padrona della scena e, in più, conosceremo un po’ di più un paio di persone che finora sono state solo figure sullo sfondo. A questo proposito, una piccola precisazione: la barzelletta che ho inserito in questo capitolo, l’ho letta su un giornale di puzzle, ma è stato fatto sparire prima che potessi ricopiare numero e anno. Ringrazio BlackCobra e Harryet che hanno commentato il precedente capitolo. Ringrazio: BlackCobra, Harryet e perlanera che hanno inserito questa long tra i preferiti. Ringrazio: dasli22, hurry, onry81, RedMoon_, romy2007, Selvaggia Egle e vallinda per aver inserito questa long tra i seguiti. Ringrazio tutti coloro che hanno anche solo letto e tutti coloro che leggeranno e/o commenteranno questo capitolo.
Adesso la smetto di chiacchierare e vi lascio alla lettura, al prossimo capitolo gente \^O^/


Domenica – Parte VI

Charlene era furibonda perché, per quanto si impegnasse a fondo per metterla in difficoltà, Lehmann, come il perfetto scarafaggio che era, riusciva sempre a cavarsela e a rivoltare la situazione a suo favore, facendole fare ogni vola la figura della stupida. Quella era una cosa inumana e le faceva perdere le staffe. E ora Lehmann aveva anche un alleato a darle man forte. Charlene stirò le labbra in una piega dura, mentre continuava a camminare a passo di marcia e ignorando Ben che, appena dietro di lei, le stava chiedendo di rallentare o, almeno, di lasciargli la mano, perché non riusciva più a starle dietro. No, non doveva lasciarsi turbare in questo modo: lei valeva quattro volte, se non di più, quei due e, quindi, non avrebbero mai potuto impensierirla. Doveva procedere un passo dopo l’altro e, come sempre accadeva, sarebbe riuscita a raggiungere l’obbiettivo desiderato. Quello era il suo grande giorno e doveva pensare solo a goderselo, poi, con calma, avrebbe cominciato a dare una caccia spietata ai due idioti e li avrebbe fatti pentire amaramente non solo di essere nati, ma anche di aver pensato di potersi mettere contro di lei. A quel pensiero, l’umore plumbeo di Charlene si rasserenò e un piccolo sorriso fiorì sulle sue labbra.
Peccato che quel buon umore durò soltanto fino a quando vide il capitano che, insieme alla sua consorte, era fermo poco distante da lei e stava parlando con suo padre. Il tenente Moore non riusciva a credere a tanta sfortuna tutta insieme e, dopo un attimo in cui si era pietrificata per la sorpresa, si precipitò verso il gruppo, sempre trascinandosi dietro Benedict, con la scusa di salutare e ringraziare il suo superiore e sua moglie di essere intervenuti al loro matrimonio, ma con lo scopo celato di limitare i danni ed evitare che l’uomo fosse sommerso dalle fatue chiacchiere del suo genitore, vanificando così tutto il piano che aveva architettato minuziosamente. Suo padre e Veronica erano uguali: condividevano idee e interessi, entrambi erano capaci di trascorrere un intero pomeriggio stesi sul divano a leggere o di sparire per andare a vedere una qualche maratona cinematografica di un regista che creava polpettoni difficilmente digeribili e che i critici osavano considerare una colonna portante della storia del cinema; quei due parevano essere una coppia di nerd entusiasta di ogni scempiaggine intellettualoide in circolazione. Lei invece non era mai riuscita a entrare a far parte di quel ristrettissimo gruppo, anzi né suo padre né sua sorella avevano mai pensato di coinvolgerla nelle loro attività insieme e, per questo, avendo sempre sentito più affine sua madre, che l’aveva sempre sostenuta nei suoi progetti e l’aveva sempre incoraggiata ad ampliare e mettere a frutto i suoi innumerevoli talenti, aveva fatto di sua madre la propria alleata. Era come se in seno alla famiglia avessero creato due gruppi distinti, suo padre e Veronica da un lato e lei e sua madre dall’altro, che non riuscivano a trovare un punto d’accordo tra loro. All’inizio questa cosa a Charlene non era andata a genio perché avrebbe voluto entrambi i genitori dalla sua parte, ma quando aveva scoperto quali fossero i passatempi di suo padre, aveva arricciato il naso scontenta al pensiero di trascorrere i suoi pomeriggi liberi con Veronica ed era stata lieta che almeno sua madre fosse una persona normale. Charlene scosse la testa: l’unica cosa importante in quel momento era salvare il capitano da suo padre e, di conseguenza, la sua carriera. Con orrore vide suo padre dire qualcosa al capitano e poi scoppiare a ridere: di sicuro si era appena esibito in una delle sue insopportabili battute. Suo padre, nonostante ciò di cui era convinto, non aveva alcuna vena comica e, quando desiderava fare lo spiritoso, gli venivano fuori della battute o delle freddure così orripilanti, che Charlene si sentiva annegare nella disperazione. E, se pensava che in quel momento suo padre stava dando il peggio di sé proprio con il suo superiore, sentiva la collera e l’angoscia ribollirle dentro. Doveva porre rimedio alla cosa prima che fosse troppo tardi e che la sua reputazione fosse del tutto compromessa, prima che suo padre nuocesse a qualsiasi sua promozione futura, rifletté a denti stretti mentre marciava verso il punto dove si trovavano il capitano e suo padre, continuando a trascinarsi dietro Ben come se fosse un peso morto e ignorando a bella posta le sue proteste. Era ormai arrivata di fronte ai due uomini, quando vide suo padre dire ancora qualcosa, di sicuro una delle sue amenità vista la faccia perplessa che il capitano aveva fatto e Charlene già si sentiva come se la sua reputazione fosse stata brutalmente assassinata, quando il suo superiore scoppiò a ridere di gusto. Allibita, rimase a fissare quei due che ridevano insieme.
- Congratulazioni a entrambi.- esclamò la moglie del capitano quando la vide e, in questo modo, attirò anche l’attenzione dei due uomini.
Suo padre e il suo superiore si voltarono verso di lei, con ancora la risata sulle labbra e Charlene li fissò come se avesse perduto qualche tassello della storia.
- La mia piccolina sempre imbronciata.- l’accolse suo padre con un sorriso e una vena di tenerezza nella voce.
Charlene strinse i denti mentre si chiedeva per quale motivo doveva esserle toccata una simile sciagura: non bastava Lehmann a rovinarle la vita? Suo padre doveva per forza uscirsene con simili, moleste ridicolaggini il cui unico scopo era metterla in imbarazzo, altrimenti non era contento. Inspirò piano dal naso nel tentativo di recuperare la calma e si girò verso la moglie del capitano, con un piccolo sorriso sulle labbra.
- La ringrazio molto, signora Conrad. Io e Benedict siamo onorati che lei e suo marito abbiate accettato l’invito per le nostre nozze, non è vero tesoro?- chiese, girandosi verso il neomarito.
- Certo. Non ci saremmo mai aspettati un simile onore da parte vostra.- concordò Ben, rivolgendo un sorriso galante alla donna.
Charlene avrebbe voluto dargli un gomitata nelle costole. Possibile che non riuscisse mai a farne una giusta? Sarebbe bastato dire che sì, erano onorati per la loro partecipazione, niente di così difficile, invece lui aveva voluto metterci il metterci il carico, con il solo risultato di farli sembrare dei poveracci che razzolavano sul fondo della piramide sociale e che avevano ricevuto un dono inaspettato e immeritato da chi era più in alto di loro. Con due parole, Ben era riuscito a far parere entrambi non all’altezza del capitano. Adesso che erano sposati, Charlene avrebbe dovuto fare al suo carissimo marito una lezioncina su come ci si comportasse in occasioni simili, perché non era disposta a rischiare tutto per la sua inesperienza e la sua bocca troppo larga. Sforzandosi di sorridere, riuscendo neanche lei sapeva come a tirare fuori il suo migliore sorriso, si girò verso suo padre che le stava ancora fissando con un’espressione innocente che la irritò ancora di più.
- Papà vedo che stai intrattenendo il capitano.- disse, cercando di usare un tono morbido che coprisse quello aspro che avrebbe voluto in realtà adoperare.
- Ho pensato che fosse giusto che facessi io gli onori di casa, visto che tua madre ora è impegnata a chiacchierare con zia Carla e, conoscendole, ne avranno per un pezzo.- le rispose il padre mentre il sorriso sul suo volto diventava più ampio.
La sposa strinse i denti così forte, che quasi stridettero: le aveva espressamente chiesto di tenere a bada suo padre per timore che accadesse una cosa come quella e, invece, sua madre si era lasciata coinvolgere da quella pettegola senza cervello di sua zia. Sperando che non avesse combinato un casino, studiò con più attenzione suo padre: sembrava un bambino contento di essersi comportato bene mentre il genitore non c’era, Charlene considerò caustica. Mentre serrava più forte la presa della sua mano che ancora stringeva quella di Benedict – tra l’altro provocandogli anche un certo dolore, a giudicare dalla smorfia che lui fece – sperò almeno che suo padre non fosse andato a ripescare tra gli aneddoti della sua infanzia: non che ci fosse chissà cosa da nascondere visto che era sempre stata una bambina bella e tranquilla, ma suo padre aveva l’incredibile capacità di tirare fuori cose imbarazzanti anche dove non ce n’era traccia.
- Suo padre è bravissimo a raccontare le barzellette, tenente.- disse il capitano con un sorrisone che gli andava da un orecchio all’altro.
Charlene fissò il suo superiore a occhi spalancati, non credendo a quello che aveva sentito.
- Oh, senta questa. – esclamò il signor Moore tutto contento, per attirare l’attenzione dell’altro uomo – Due amiche si incontrano. “Allora, sei riuscita a prendere la patente?” chiede una all’altra. “Sì, ce l’ho fatta! Ieri ho addirittura fatto dieci chilometri in macchina. Oggi voglio provare a farli di nuovo, ma questa volta aprendo gli occhi”.
Sotto lo sguardo sbigottito della sposa, i due uomini scoppiarono a ridere di gusto. Non riusciva a capire che cosa stesse succedendo: non pensava che al mondo esistesse una persona in grado di apprezzare le storielle di suo padre e, soprattutto, non avrebbe mai creduto che questa fosse il suo diretto superiore.
- Mio marito adora le barzellette e le freddure, passa le ore a ridere su quelle che trova sui settimanali di enigmistica. E ora che ha trovato un compagno di giochi, immagino che trascorrerò il ricevimento ad ascoltare battute e a sentirlo ridere e non mi concederà nemmeno un ballo.- commentò la moglie del capitano alzando gli occhi al cielo esasperata.
Charlene impiegò qualche secondo per processare quell’informazione, ma alla fine cominciò a rendersi conto che quella situazione era senz’ombra di dubbio vantaggiosa: se fosse riuscita a far diventare amici suo padre e il capitano, avrebbe potuto sfruttare la cosa per entrare nella cerchia dei suoi intimi e, quando ci sarebbe stata la possibilità di una promozione, certamente il suo superiore avrebbe pensato per prima a lei e avrebbe avuto un occhio di riguardo, facendo pendere la bilancia a suo favore. Velocemente, il tenente Moore passò in rassegna tutti i benefici che avrebbe potuto trarre da quella amicizia, non ultimo quello di ottenere infine la sua vendetta su Lehmann e di farle rimpiangere amaramente tutti gli smacchi che aveva subito a causa sua. Charlene immaginò il colorito verde e l’espressione frustrata che avrebbe avuto la carissima Abby, quando le avrebbe mostrato il suo distintivo da capitano scintillante. A quel pensiero si disse che valeva certamente la pena sopportare le pietose battute di suo padre e di incoraggiare un’amicizia tra lui e il capitano – anche se avesse portato a tristissime serate in cui, non solo avrebbe dovuto ascoltare idiotissime barzellette, ma avrebbe dovuto anche ridere e condividere il divertimento di quei due ebeti – se ciò avrebbe dato i frutti che lei sperava. Rimise a fuoco la moglie del suo superiore e si disse che di certo non avrebbe nuociuto a lei né ai suoi progetti entrare nelle grazie della donna: era sicura al cento per cento che sarebbe rimasta incantata dal suo fascino, dal suo acume e dalla sua mitezza di carattere.
- Allora che ne dice di andare a cercare mia madre? Sono sicura che insieme potrete trovare un modo per risolvere la cosa, visto che condividete il problema.- propose, usando un tono gentile e morbido e rivolgendole un sorriso delicato e dolce.
In un’altra occasione non si sarebbe mai fidata a lasciare il capitano da solo con suo padre e con Benedict, ma non doveva essere un uomo particolarmente intelligente, se apprezzava simili scemenze che avrebbero fatto ridere solo quella decerebrata di Lehmann. Era certa che, insieme a suo padre e a Benedict, il suo superiore si sarebbe sentito tra simili e, quindi, a suo agio. La moglie, invece, a Charlene sembrava fatta di tutt’altra pasta rispetto al marito e il suo sesto senso le diceva che, per arrivare al marito, doveva conquistare la sua donna. Un’impresa questa che non era affatto complicata, non per lei: era sicurissima della sue capacità, che avrebbe vinto lei quella partita. La donna sembrò rifletterci un attimo e poi annuì con un cenno della testa.
- Andiamo. Almeno non rimarrò qui a farmi sanguinare le orecchi a causa loro.- sospirò, irritata da quella situazione.
- Va bene. – le sorrise, ancora più dolce e lasciò la mano a Ben, poi si girò verso suo padre – La signora Conrad e io andiamo a cercare la mamma. Lascio Ben con te: sono certa che ormai si sarà stancato di seguirmi per salutare e ringraziare gli invitati. Stare per un po’ lontano da me e insieme agli uomini, gli farà solo bene.- disse con un ampio sorriso.
Sperava di aver trasmesso di sé in questo modo l’immagine di una moglie dalla mentalità aperta, che era sì innamorata del suo compagno di vita, che però non avrebbe piantato un casino nel caso in cui avesse deciso di passare una serata con i suoi amici. Sperava che al capitano fosse giunto il messaggio che voleva inviargli: che Benedict era libero di entrare nella sua cerchia di amici.
- Il ragazzo starà benone qui con noi, tranquilla.- esclamò il signor Moore ridendo e battendo un paio di pacche sulla spalla destra del genero.
Benedict rivolse a Charlene un sorriso incoraggiante e un po’ teso, visto che quella era la prima volta che suo suocero lo coinvolgeva in qualcosa da fare insieme, che lei ricambiò con uno sguardo implacabile, con cui gli intimava di non combinare sciocchezze. Prese in considerazione l’idea di procurare a suo marito un bel po’ di quelle barzellette e freddure che piacevano tanto al capitano e fargliele imparare tutte a memoria, ma non era poi così sicura che poi sarebbe stato anche capace di raccontarle senza sembrare un merluzzo impedito e, quindi, scartò subito quell’idea.
- Allora noi andiamo a cercare la mamma.- disse il tenente Moore in segno di commiato.
- L’ultima volta che le ho viste, tua madre e zia Carla stavano parlando fitto fitto davanti al buffet che è accanto alla postazione del gruppo musicale.- la informò il padre.
Immagino di cosa stiano parlando fitto quelle due”, pensò Charlene sarcastica, mentre salutava ancora una volta il padre e il capitano, “staranno sicuramente spettegolando su Violet, la figlia della zia Molly, visto che hanno iniziato a indicarsela a vicenda non appena arrivate al ricevimento”. Era talmente sicura di questo, che sarebbe stata disposta a scommettere la sua mano dominante. Non riusciva a capire come sua madre avesse potuto perdere tempo dietro a quell’insulsa mocciosa di Violet – che aveva suscitato interesse solo perché aveva avuto il coraggio di presentarsi al suo matrimonio con i capelli di tinti di azzurro e con delle meche rosa shocking e aveva un nuovo piercing al labbro superiore e… dei, preferiva non pensare al sacco della spazzatura che si era messa addosso per venire al suo matrimonio (era stata tentata di dire agli addetti alla hall che non la conosceva, che si era imbucata al ricevimento e che dovevano sbatterla fuori… Si era trattenuta soltanto perché zia Molly e zio Alan avrebbero piantato un casino enorme e lei non voleva che il suo matrimonio fosse rovinato da quei tre zoticoni) – invece di badare a lei e ai suoi interessi.
- Va bene. – e, poi, si girò verso la moglie del capitano – Se vuole, possiamo andare, signora Conrad.-disse alla donna sfoggiando l’educazione che le era stata impartita e rivolgendole sempre lo stesso sorriso morbido e delicato.
- Oh, ti prego: chiamami Liza e dammi pure del tu. Tutte queste formalità mi stanno facendo sentire fin troppo vecchia.- esclamò la donna mentre già si avviava verso il gazebo che era stato indicato loro dal signor Moore.
- È un onore.- replicò Charlene raggiante, mentre si affiancava alla donna.
- Affatto. Se mi perdonerai la franchezza, te ne spiegherò il motivo. – la sposa annuì, incuriosita dalla piega che stava prendendo quella discussione – Quando Greg è tornato a casa con la partecipazione al tuo matrimonio, ho pensato subito che fossi la solita arrivista che cerca di fare la carina con il suo superiore per il proprio tornaconto. Ne ho viste fino alla nausea di persone simili e posso assicurare senza tema di smentita, che le riconosco alla prima occhiata ormai. L’anno prossimo uno dei membri del consiglio direttivo del dipartimento, il vicecapitano Lou Burgh, andrà in pensione e ci sarà un rimpasto nel gruppo, quindi ho pensato che mirassi solamente a entrare nell’entourage di Carl e ad avere un posto di comando. – Charlene dovette fare forza su se stessa per mantenere l’espressione innocente e calma che aveva avuto fino a quel momento, perché quella donna l’aveva capita meglio di quanto pensasse – Ma poi mio marito, parlandomi di te, mi ha detto che a trentadue anni hai già il grado di tenente e che comandi la squadra omicidi. Mi ha parlato di te come una persona in gamba, capace, più intelligente della media dei suoi collaboratori e da cui si aspetta grandi cose. – e, sentendo tutti quei complimenti che il suo superiore le aveva rivolto, il tenente Moore resistette a stento alla tentazione di fare la ruota, ma si rese anche conto che, se il suo superiore aveva parlato di lei in quei termini, allora voleva dire che lo aveva in pugno – Mi ha raccontato anche di quello che ti è accaduto e che hai avuto una menzione al merito per come ti sei distinta durante l’indagine sui Cacciatori della Georgia. Mi sono incuriosita e ho deciso di accettare l’invito perché volevo conoscerti di persona, dovevo vedere se eri come ti avevo immaginato e sai una cosa? – sul viso paffuto della donna si aprì un sorriso caldo – Hai superato ogni mia più rosea aspettativa. Ti ho osservato dalla cerimonia religiosa e ho compreso subito che sei una donna brillante, gentile, dolce ed educata. Se è vero quello che Greg mi ha detto su di te, sei anche una persona forte, determinata e intelligente. – Liza si fermò di colpo e si girò verso la sposa, per guardarla dritto in viso – Ora ascolta attentamente ciò che sto per dirti, perché è proprio così che andranno le cose. Sei troppo giovane e hai troppa poca esperienza come tenente per poter prendere essere già promossa: per questo ci vorrà ancora qualche anno, tuttavia sono sicura che saprai impiegare al meglio questo periodo e, quando verrà il tuo momento, nessuno potrà ignorarti. Quando Burgh andrà in pensione, al suo posto verrà nominato Terence Robb, che è il più anziano tra i tenenti, ciò vuol dire che i vari componenti del consiglio verranno riassegnati in base al loro grado e all’anzianità di servizio. Ma significa anche che rimarrà un posto vacante e che potrebbe essere occupato da una giovane tenente che ha tutte le qualità e le carte in regola per fare grandi cose.- Liza rivolse alla sua interlocutrice uno sguardo inequivocabile.
Charlene sentiva il cuore batterle velocissimamente nel petto. Aveva desiderato che potesse accederle una cosa del genere, ma nemmeno nei suoi sogni più audaci era mai successo in modo così facile. Quando aveva saputo che il vicecapitano Burgh era prossimo al pensionamento, si era subito messa in modo per trovare il miglior modo entrare nel consiglio direttivo del dipartimento. Aveva pensato che invitare al matrimonio il capitano sarebbe stato il primo passo verso quell’obbiettivo, soltanto un’occasione per imprimersi bene nella mente del suo superiore e, per questo motivo, non avrebbe mai pensato che sarebbe accaduta una cosa del genere, che la moglie del capitano non solo l’avrebbe presa sotto la sua ala protettrice, ma avrebbe anche fatto pressioni sul marito per farla entrare nel consiglio direttivo del distretto. Certo, lei aveva creduto che sarebbe subentrata direttamente al posto di Burgh e non come la novellina del gruppo, visto che Robb era palesemente un idiota e gli altri componenti del gruppo di certo non erano da meno e visto che lei li superava tutti di gran lunga in intelligenza, capacità di comando e per titoli. Ma comunque non poteva negare che quella era sempre una grossa opportunità e poi era più che certa che, una volta che avessero cominciato a lavorare gomito a gomito, il capitano si sarebbe reso conto che lei valeva più di ogni singolo idiota che sedeva nel consiglio unicamente che aveva ottenuto il proprio grado di tenente grazie a una raccomandazione o all’anzianità di servizio. Lei era una risorsa enorme e presto anche il capitano Conrad se ne sarebbe reso conto. E poi lei comandava la squadra omicidi che, notoriamente, era la più importante del dipartimento e questo un peso doveva pur averlo. Il suo superiore non l’aveva inserita nel consiglio perché era l’ultima arrivata e aveva preferito che fosse quell’impedito di Burgh, che non sapeva distinguere una macchina da un autobus, a sovrintendere le operazioni della squadra omicidi, della sua squadra al suo posto, con la patetica scusa che era appena arrivata ad distretto e, prima di inserirla nel gruppo diretto come accadeva a ogni tenente di quello stupido distretto, doveva prima valutare le sue capacità e lei era stata costretta a fare rapporto per ogni minuzia a quel beota che la trattava come ogni volta come una bambolina priva di cervello solo per il suo sesso e per il suo aspetto. Ma adesso quell’umiliazione stava per avere termine e, finalmente, stava per ottenere i riconoscimenti che le sarebbero spettati di diritto da tempo, soprattutto dopo la storia dei Cacciatori della Georgia.
- Signora… Liza non so cosa dire, davvero.- disse alla fine di quella riflessione, cercando di mostrarsi il più sorpresa e modesta possibile.
La moglie del capitano Conrad sollevò e scosse la mano sinistra, come per dire che non era importante.
- Non devi dirmi nulla. Devi soltanto promettermi che ti impegnerai e non deluderai la fiducia che ho riposto in te. Solo questo.- replicò la donna e le rivolse un gran sorriso.
- Grazie, davvero. Non ti deluderò, lo prometto.- esclamò Charlene e il suo volto si aprì in un ampio sorriso entusiasta e sincero.
- Bene. – Liza Conrad ricambiò il sorriso della sposa con uno aperto – Ora però sarà meglio rimandare simili discorsi al momento adatto, perché adesso è il tempo di divertirsi. E poi sono proprio curiosa di sapere quale metodo usa tua madre per tenere a bada le freddure e le barzellette di tuo padre.- e il suo sorriso assunse una piega scherzosa.
- Sono certa che la mamma faccia sparire da casa le riviste di enigmistica prima che mio padre riesca a metterci le mani su, o almeno è quello che faceva quando vivevo a casa. Ma magari, nel frattempo, è riuscita a trovare un nuovo metodo. – disse con un tono leggero e poi cominciò a guardarsi intono – Eccola lì.
Sua madre era ancora dove l’aveva lasciata suo padre, ma non era più soltanto con la zia Clara: ora al duo di pettegole si era unita Doreen, sua cugina, e Beatrix, la migliore amica di sua madre, e tutte e quattro stavano perdendo tempo a spettegolare. Certo, non le dispiaceva farsi vedere insieme alla moglie del suo capitano, di colui che comandava il suo distretto, perché così avrebbero compreso che lei era una persona importante, ma aveva la necessità di allontanarle e di avere sua madre da sola: aveva sistemato il capitano con suo padre e ora voleva che Liza e sua mamma facessero amicizia. Era vero che la signora Conrad le aveva assicurato la sua protezione, ma la sua parola non bastava: i sentimenti umani erano estremamente mutevoli e, per questo motivo, non poteva garantire che di lì a qualche mese Liza avrebbe provato gli stessi sentimenti positivi nei suoi confronti, perché sarebbe bastato un inezia, magari un collega invidioso che voleva rovinarla, perché la situazione si rivoltasse a suo sfavore. Per questo aveva bisogno di una rete di sicurezza, che il capitano e sua moglie diventassero amici di famiglia: senza dubbio alcuno avrebbero difeso con più fermezza una persona che conoscevano di persona, che il subordinato che non era altro che un nome nella firma dei documenti.
Mentre si incamminava per raggiungere sua madre, e sempre con Liza accanto, Charlene pensò che presto la sua strategia avrebbe dato i frutti sperati e non vedeva l’ora di dimostrare a Lehmann quanto valesse più di lei. La piccola Abby aveva pensato che sarebbe bastato presentarsi al suo matrimonio insieme al suo collega e mettere su quella ridicola sceneggiata per poter dire di averla battuta. Non negava che potessero aver messo a segno un punto a loro favore, in ogni caso sarebbe stata lei a vincere le battaglie importanti e, presto, avrebbe vinto anche la guerra.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Domenica - Part VII ***


Salve salvino gentili lettori e lettrici e ben ritrovati ^_^ Chiedo venia per l’immondo ritardo, ma, in questo periodo, ho avuto la testa da tutt’altra parte: mi mettevo al computer, scrivevo due righe e, poi, mi fermavo. Per fortuna, questa fase è superata: sono riuscita a finire questo capitolo e anche a riprendere in mano una long… di cui la mia tessora adorata penso sarà molto contenta, quando la finirò e comincerò a postarla ^O^ Comunque, dopo questo intermezzo di pubblicità occulta, passiamo ai ringraziamenti ^.^ Ringrazio: BalckCobra e Harryet che hanno lasciato un commento allo scorso capitolo. Ringrazio: BlackCobra, Harryet e perlanera che hanno inserito questa ff tra le preferite. Ringrazio: dasli22, hurry, orny81, RedMoon_, romy2007, Selvaggia Egle e vallinda che hanno inserito questa ff tra le seguite. Ringrazio tutti coloro che hanno anche solo letto e tutti coloro che leggeranno e/o lasceranno un commento a questo capitolo.
Adesso la smetto di chiacchierare e vi lascio alla lettura, al prossimo capitolo, gente \O/


Domenica – Parte VII

Mentre si avvicinava alla madre, Charlene scoppiava di contentezza.
Aveva fatto un ulteriore passo avanti per il coronamento del suo sogno, grazie alla sua strategia che aveva avuto un successo completo. Certo, doveva ancora pazientare prima di poter ricoprire incarichi veramente importanti, ma era assolutamente certa che in capo a un anno sarebbe riuscita a ottenere un posto di potere all’interno della gerarchia del dipartimento. Poi, a quel punto, la sua carriera avrebbe preso il volo in modo definitivo e niente e nessuno avrebbe potuto fermarla. D’altronde aveva dalla sua parte Liza, la moglie del capitano, che, a quanto sembrava, aveva un notevole ascendente sul marito e, visto che l’aveva presa sotto la sua ala protettrice, non dubitava che le cose sarebbero andate esattamente come da lei prospettato. Per un attimo si domandò se Lehmann sarebbe stata capace di fare una cosa simile, ma si rispose subito che no, non ne era assolutamente in grado, visto che non aveva le doti intellettive necessarie per mettere su una simile strategia. Ergo, sarebbe rimasta sempre ferma al punto di partenza, un patetica gregaria che per tutta la vita avrebbe preso ordini da altri, invece di darli; a differenza di lei che, molto presto, sarebbe diventata il capo della polizia di una città veramente importante, come Atlanta, New York o Washington.
Intanto lei e Liza erano arrivate accanto al quartetto di cui faceva parte sua madre. Non appena la videro, le tre donne che erano con sua madre iniziarono a emettere gridolini eccitati, mentre le facevano i complimenti e le rivolgevano sorrisi a trentadue denti. Charlene le lasciò fare per un po’, cercando di dimostrarsi contenta per tutte quella esaltazione, perché non voleva dare alla moglie del suo superiore l’impressione di essere una persona altera e con una spiccata inclinazione all’antipatia. Quei pochi detrattori che non era ancora riuscita a schiacciare, continuavano a spargere pettegolezzi velenosi alle sue spalle, in cui la dipingevano in questi toni. Però stava per ultimare il piano con cui avrebbe fatto colare a picco tre di loro, facendogli rimpiangere atrocemente ogni singola parola che avevano detto contro di lei e sperava che, dopo questa dimostrazione di forza, tutti gli altri si sarebbero dati una calmata e ridotti al silenzio. Tuttavia quello non era il momento per pensare ai suoi problemi lavorativi, ma quello in cui avrebbe portato definitivamente Liza dalla sua parte.
- Vi ringrazio tutte e sono davvero onorata di avervi qui, oggi.- disse la sposa affabile e con il suo più bel sorriso sulle labbra.
In realtà Charlene aveva dovuto costringersi a pronunciare quelle parole e a sorridere come se fosse davvero contenta che fossero presenti al suo matrimonio. Se fosse dipeso unicamente da lei, quelle tre donne che ora la stavano osservando felici e soddisfatte non sarebbero mai state invitate, perché l’ultima cosa che avrebbe voluto era sapere che quelle tre intriganti erano in giro per il suo ricevimento di nozze, spettegolando sugli altri invitati e, magari, coinvolgendo anche il capitano Conrad e sua moglie. L’ultima cosa che desiderava era che Liza e suo marito l’associassero a simile gentaglia e, per questo, decidessero che non valesse la pena perdere tempo con lei. Per questo motivo doveva liberarsi di quelle tre prima che facessero qualche danno. Ora, però, l’unico problema era allontanarle senza dare l’impressione a Liza che le stava cacciando via. Si prese un paio di minuti per riflettere, mentre fingeva di ascoltare le idiozie che Doreen stava dicendo ad Amalia e zia Carla e, alla fine, le venne l’idea giusta: avrebbe fatto leva sulla loro ingordigia di pettegolezzi.
- Non dovrei dirlo ma, visto che siete state così carine con me, farò un’eccezione. – cominciò a dire con un’aria cospiratoria per catturare l’attenzione delle tre pettegole e loro abboccarono subito – Vedete l’ultimo gazebo che c’è a destra? Il catering ha deciso di mettere su un chiosco particolare solo per gli sposi, pieno di leccornie ed è quello. Vi siete meritate qualcosa di veramente speciale.
Le tre donne si volsero nella direzione indicata loro e Charlene represse a fatica un sorriso compiaciuto. Non era stato un caso che lei aveva indicato loro proprio quel gazebo: accanto a esso in quel momento c’era Violet che stava litigando animatamente con la madre e avevano attirato l’attenzione degli invitati che si trovavano a loro più vicini – come aveva già getto, quella era una famiglia di zotici e ancora non si capacitava che sua madre fosse riuscita a convincerla a invitarli al suo matrimonio. In ogni caso, il tenente Moore era pronta a scommettere qualunque cosa che quei tre primati non sarebbero più stati nella pelle per la curiosità di sapere il motivo di quella litigata (poiché in Violet non c’era nulla che potesse essere anche soltanto lontanamente interessante, quel litigio doveva essere nato per l’ennesima sciocchezza, come quella volta che lei e zia Molly avevano rovinato una cena della Vigilia di Natale, per altro tristissima visto che la notizia più interessante era che Veronica era stata ammessa al college, con una furibonda discussione sul fatto che Violet aveva sedici anni e la madre l’aveva beccata a fumare). Infatti, le tre donne si guardarono negli occhi e, dopo essersi scambiate a vicenda uno sguardo d’intesa, si scusarono e si allontanarono con la scusa di assaggiare le ghiottonerie che la sposa aveva promesso loro. Questa volta Charlene non riuscì a non sorridere: era stato fin troppo facile e quelle tre erano fin troppo prevedibili. Ma adesso che finalmente si era liberata di loro, poteva presentare Liza a sua madre e fare in modo che avesse un’amica alla sua altezza.
- Mamma ti presento Liza, la moglie del capitano Conrad, il mio diretto superiore.- disse nel tono più educato e formale che potesse fare, scandendo bene le parole per far capire chiaramente a sua madre l’immenso valore della persona che le stava presentando.
- È un piacere conoscerla, signora Conrad.- disse la madre e Charlene quasi sospirò di sollievo visto che non aveva squittito deliziata come suo solito.
- Il piacere è tutto mio, signora Moore e, per favore, mi chiami pure Liza.- ribatté l’altra donna con un sorriso franco e aperto.
- E lei può chiamarmi Rosemary e darmi del tu.- disse ancora la signora Moore, ricambiando il sorriso.
- Solo se anche tu farai lo stesso.- replicò Liza.
Charlene osservò impaziente le due donne scambiarsi quei convenevoli. Sapeva ci sarebbe voluto un po’ di tempo e che avrebbero dovuto tastare il terreno prima di entrare in confidenza, ma davvero non vedeva l’ora che le cose cominciassero ad andare come desiderava lei.
- Mamma, Liza voleva conoscere il tuo trucco per tenere a bada papà e le sue freddure.- intervenne il tenente Moore cercando di spostare la conversazione verso una zona più personale.
Sentendo le parole della figlia, Rosemary roteò gli occhi e sbuffò esasperata, strappando un sorriso a Liza.
- Non dirmi che anche tu hai lo stesso problema?- chiese alla moglie del capitano.
- Sì, anche mio marito è appassionato di battute e freddure, gli piacciono quelle più terribili.- rispose la donna e increspò le labbra in una smorfia sdegnata.
- Anche Alan, mio marito, è così: più sono brutte, più gli piacciono e poi mi corre dietro per tutta casa per raccontarmele e si aspetta pure che io rida.- disse Rosemary esasperata.
- Anche Greg fa così. Non appena legge qualcosa che lo fa ridere, comincia a seguirmi come un’ombra per tutta casa, ripetendomi la battuta e, finché non rido, mi sta tra i piedi mentre sbrigo le faccende domestiche. Per non parlare di quando si mette a leggere le barzellette che ha letto sulla Settimana Enigmistica mentre sto guardando “Passione Selvaggia”: mi vien voglia di strangolarlo!- Liza esclamò indignata.
Udendo l’ultima parte della frase pronunciata dalla signora Conrad, il viso di Rosemary si illuminò. - Guardi anche tu “Passione Selvaggia”? È la mia soap opera preferita.- esclamò entusiasta.
Liza rise contenta per aver trovato una nuova persona con cui parlare del programma televisivo che in quel periodo più l’appassionava.
- Hai visto la puntata di questa settimana? Io sono ancora in fibrillazione perché finalmente Ovidio si è dichiarato a Valery, ma non sa ancora che lei è incinta di Dimitri, il figlio della terza moglie di Ovidio. Secondo me scoppierà il finimondo nella prossima puntata, quando lo verrà a sapere, perché quella serpe di Karin racconterà tutto a Ovidio, per farlo rompere con Valery e poter prendere il suo posto nel suo letto.- disse Liza e concluse la frase con un certo astio.
- Sì, penso anch’io che Ovidio sarà messo in mezzo da Karin: a lei interessano solo i soldi e lui ne ha tanti. Speriamo che oltre che ricco non sia anche un babbeo.- replicò Rosemary altrettanto irritata.
- Ovidio ha già dimostrato ampiamente di essere un emerito idiota: si è lasciato soffiare via da sotto il naso Laurel, l’unica che lo amava di per se stesso e non per i soldi, proprio il giorno prima delle loro nozze, da Alejandro.- replicò Liza con un certo cipiglio e incrociando le braccia al petto.
- Verissimo. E poi hai visto che finaccia ha fatto Laurel? Alejandro l’ha mollata poche settimane dopo, non appena si è stancato di lei ed è comparsa Jocelyn sulla scena. Per la disperazione, Laurel aveva deciso di farsi suora, però, poco prima che prendesse i voti definitivi, ha incontrato Rodrigo e hanno avuto una notte di passione. Lui però si è dileguato e lei ha scoperto di essere incinta ed è dovuta scappare dal convento.- raccontò la signora Moore con tono dispiaciuto.
Sentendole parlare così infervorate di una soap opera, il sorriso sulle labbra di Charlene si fece incerto. Mai avrebbe immaginato che la moglie del suo capitano fosse una fan di queste cose. Aveva sempre pensato che le soap opera piacessero a persone come sua madre, però non avrebbe mai creduto che anche una donna come Liza potesse appassionarsi a un programma televisivo che si intitolava “Passione Selvaggia”. Charlene, per usare un blando eufemismo, non aveva mai avuto una buona opinione delle soap opera. Fin da piccola aveva visto sua madre piazzarsi sopra il divano dal primo pomeriggio e divorare una puntata dietro l’altra, mentre fissava incantata lo schermo del televisore. In un paio di occasioni aveva provato a guardare insieme alla madre le soap opera di turno, tuttavia, fin da subito, si era resa conto che quella roba non faceva per lei: era troppo intelligente per roba simile. Ma ora, lì davanti a lei, c’era la moglie del suo diretto superiore che, entusiasta, confrontava le sue opinioni con quelle di sua madre sulla soap opera che seguivano.
Charlene rimase a fissare le due donne per una manciata di minuti, riuscendo a celare a fatica il disgusto che stava cominciando a provare. Aveva provato molte volte a immaginare quale sarebbe stato il risultato nel far conoscere al capitano Conrad i suoi genitori, ma mai, nemmeno una volta, aveva pensato che sarebbe finita in questo modo. Certo, aver trovato dei punti di contatto tra loro le aveva fatto risparmiare tempo e fatica, ma si sentiva male al pensiero che, quando sarebbero passati agli inviti per pranzi o cene, lei avrebbe dovuto passare il tempo a sentire suo padre e il capitano che si scambiavano orribili barzellette e Liza e sua madre che discutevano delle nuove puntate di “Passione Selvaggia”, fingendo di star divertendosi e con Ben come suo unico alleato. A pensarci bene era un futuro plumbeo, ma per la sua carriera valeva qualsiasi sacrificio.
Forte di questa sua convinzione e intuendo che lì non era più necessaria perché sua madre e Liza avevano legato benissimo, Charlene si guardò intorno in cerca di un nuovo obbiettivo e vide che accanto al tavolo del buffet vicino a quello dov’era lei, c’era Celia. Bene. C’era un’altra cosa che voleva ottenere prima della fine del ricevimento e la sua amica era lo strumento migliore per ottenerla.
- Signore scusatemi, ma c’è una persona che vorrei salutare.- disse per congedarsi.
Però Charlene non era così sicura che le due donne l’avessero davvero ascoltata, visto che annuirono con un cenno distratto della testa, mentre continuavano a discutere animatamente di Ovidio che era andato a letto con la sua prima moglie, nonostante fosse sposato con Valery, la sua quarta sposa. Scosse la testa come per liberarla da quei futili discorsi e, ripetendosi che tutto quello era necessario per la sua carriera, si allontanò dalle due donne e si diresse verso la sua amica del cuore.
- L’aspic con carote e piselli è ottimo: te lo consiglio.- disse la sposa quando fu arrivata alle spalle della sua amica.
Celia, colta di sorpresa, si girò di scatto, ma si ricompose subito e sfoggiò il suo miglior sorriso.
- Congratulazioni. – esclamò mentre abbracciava la sposa – Durante la cerimonia eri così bella e felice e i tuoi voti così intensi e sentiti che mi sono commossa.
Charlene sorrise mentre ricambiava l’abbraccio: era facile fare effetto a una come Celia, ma le faceva sempre piacere sapere di essere riuscita a impressionarla. Quando sciolse l’abbraccio, il tenente mise su quel broncio che faceva sempre quando voleva spingere le ragazze a scuola a fare quello che voleva lei – e di solito voleva divertirsi un po’ alle spalle della sorella – facendo credere, però, loro che era stata un’iniziativa loro.
- Il giorno del suo matrimonio, una sposa dovrebbe essere raggiante. Hai tempo da domani in poi per essere di cattivo umore e hai pure un marito su cui sfogarti. Quindi, dimmi: che cosa ti è successo?
Charlene amplificò il suo broncio, mentre dentro di sé si sentiva parecchio compiaciuta: nonostante fossero passati anni dai tempi del liceo, era ancora fin troppo facile far fare a Celia ciò che voleva lei e senza che lei nemmeno se ne rendesse conto.
- Ho invitato una mia ex collega al matrimonio, anche se lei non mi ha mai sopportata e ha sempre cercato di mettermi i bastoni tra le ruote. Anche oggi è stata così: ha cercato di rovinare il giorno più bello della mia vita.- la sposa spigò con finta riluttanza.
- Il mondo è pieno di idioti che non capiscono quanto sia fantastico averti per amica. Ne hai incontrata parecchia di gente simile e non ti è mai importato. Dovresti fare lo stesso anche ora, perché questa è gente che non ti merita.
- Hai ragione. – Charlene disse perché era consapevole che doveva concederle una gratificazione una volta ogni tanto, per continuare a farla essere fedele a lei – Però mi secca che lei sia venuta con il suo fidanzato con il solo scopo di rovinarmi il matrimonio.- disse arricciando il naso come se qualcosa la disgustasse.
- Lo so e ti capisco. Ma tu sai benissimo che in questo momento non puoi fare niente. Quando tornerai dalla luna di miele potrai incominciare a occuparti di quei due: sono certa che saprai trovare il modo migliore per far rimpiangere loro ogni cosa ti abbiano fatto e, se mai avessi bisogno di me, chiamami subito. – Charlene annuì e le rivolse un sorriso grato, mentre dentro di sé esultava per essere riuscita ancora una volta a coinvolgere Celia nelle sue battaglie personali – Ma adesso hai bisogno di rilassarti e di ritrovare il sorriso, visto che una sposa non può andarsene in giro così incupita e si da il caso che conosca proprio il metodo giusto per farti tornare il buonumore.
- Andiamo, allora.- disse Charlene già sorridendo.
Perché non vedeva l’ora di sfogarsi e di divertirsi un po’.


§§§



Veronica era così annoiata che sentiva tutte le ossa del corpo dolerle. Seduta ancora allo stesso tavolino, osservava gli invitati divisi in capannelli che chiacchieravano, ridevano, mangiavano e si muovevano attorno a lei come se non esistesse. Sbadigliò fino a sentire la mascella scricchiolare e le lacrime inumidirle gli occhi. Fin dall’inizio aveva saputo che per lei sarebbe finita in quel modo: da sola, con l’unica compagnia della noia e solamente il cibo come unico rimedio per ammazzare il tempo. Avrebbe dato qualsiasi cosa perché quella pagliacciata terminasse all’istante e di poter tornare a casa sua, tra i suoi libri e dai suoi amici, finalmente. Nonostante Violet fosse di umore plumbeo perché, a quando le aveva detto, anche lei era stata trascinata a forza a quel matrimonio (e, piuttosto che essere lì, avrebbe preferito trascorrere quel fine settimana a studiare trigonometria), Veronica era riuscita a scambiare qualche parola con lei, prima che la madre la trascinasse nell’ennesima lite perché si era fatta beccare con una cameriera nello sgabuzzino dei cappotti. Quando le aveva chiesto perché lo avesse fatto, visto che sapeva benissimo come sarebbe andata a finire, sua cugina le aveva risposto che era sempre molto spassoso far impazzire e arrabbiare Charlene e che non vedeva l’ora di vedere la sua faccia quando avrebbe saputo cosa aveva fatto al suo ricevimento di nozze. La piccola di casa Moore non poteva negare di aver sorriso divertita alla risposta di Violet, ma lei aveva vissuto troppo a lungo con Charlene per non sapere che non era mai un bene provocarla e sfidarla, perché non si sapeva mai quale sarebbe potuta essere la sua reazione: per non finire al centro del suo mirino, era molto meglio cercare di passare il più possibile inosservati. Era un comportamento da vigliacchi, ma era anche il miglior rimedio di autoconservazione che conoscesse. Veronica allungò la mano sinistra verso il tavolino e prese una tartina al paté di olive e, mentre l’addentava, ragionò che per il resto della giornata avrebbe potuto stare tranquilla, visto che aveva già avuto la sua bella chiacchierata chiarificatrice con Celia. Stava pensando di raccontare ciò di cui lei l’aveva accusata a una sua amica che studiava psicologia, per scoprire se lei avesse potuto soffrire di un disturbo o di una qualche patologia, perché, se fosse stato così, si sarebbero spiegate molte cose.
- Guarda un po’ chi se ne sta sola soletta nell’angolo più nascosto del giardino.- esordì all’improvviso la voce fuoricampo di Charlene.
Veronica strinse i denti e si costrinse a girarsi verso il punto da cui era giunta la voce, trovandosi davanti la materializzazione del suo incubo peggiore: sua sorella e Celia di nuovo insieme e con la stessa espressione di quando, ai tempi della scuola, volevano divertirsi a sue spese. Evidentemente entrambe pensavano che non l’avessero tormentata abbastanza quel giorno e che, prima che il ricevimento terminasse, era meglio sfruttare ogni occasione possibile.
- Almeno è stata abbastanza intelligente da cercare un posto riparato per non far vedere la sua faccia agli altri invitati.- commentò Celia con le labbra rosse di rossetto tese in un ghigno.
- Ma la sposa non dovrebbe avere cose più importanti da fare al suo ricevimento?- chiese Veronica.
E sì, le sue parole suonavano tremendamente ingenue anche a lei stessa, perché era la prima a dover sapere che, quando quelle due azzannavano un osso, non mollavano la presa fino a quando non si erano stufate. E quando c’era di mezzo lei, allora l’indice del divertimento non calava mai.
- Più importanti di passare un po’ di tempo con la mia adorata sorellina? – Charlene scostò la sedia che si trovava dall’altro lato del tavolinetto e si sedette – Visto che vivo e lavoro in un altro Stato, noi due non ci vediamo spesso e vorrei approfittare di questa occasione per recuperare un po’ del tempo che abbiamo perso stando lontane.- dichiarò sorridendole.
Veronica conosceva quelle due fin troppo bene perché un campanello d’allarme non incominciasse a suonare a tutto volume nella sua scatola cranica. Spostò lo sguardo sospettoso da sua sorella a Celia, che aveva preso una sedia dal tavolino accanto e si era seduta accanto alla sua amica. Quasi non riusciva a contare le volte in cui Charlene le si era rivolta con quel tono affabile, per poi finire in qualche situazione poco piacevole per lei e, grazie a questo, aveva imparato a non fidarsi di quelle due. Il problema era cosa rispondere perché, se avesse detto loro ciò che voleva davvero, sarebbero corse dalla mamma e la sua situazione, per quel giorno e i successivi, sarebbe nettamente peggiorata. Inspirò e si preparò ad affrontare quella situazione, cercando di uscirne alla meno peggio, come aveva sempre fatto.
- Non ci siamo mai comportate esattamente come sorelle e ormai viviamo vite separate e indipendenti. Non vedo cosa ci sia da recuperare.- rispose, sperando di non scatenare una tempesta su di sé.
- Dai, non fare sempre la difficile. Voglio passare un po’ di tempo insieme alla mia sorellina e alla mia migliore amica. Quale momento migliore di questo in cui siamo tutte e tre insieme al ricevimento del mio matrimonio?- domandò e rivolse alla sorella il sorriso migliore del suo assortimento, quello che le dava un’espressione sincera e genuina a cui era impossibile non credere.
Veronica sospirò stancamente, perché ormai era sicura di non potersi scrollare di dosso il terribile duo, non fino a quando non sarebbero state soddisfatte.
- Va bene. Allora che volete sapere?- domandò, sperando che non andassero a rivangare i tempi di quando andavano ancora a scuola.
La piccola di casa Moore fece appena in tempo a vedere le labbra della sorella piegarsi in un sorriso che non prometteva nulla di buono, che si era già girata verso Celia.
- Hai visto che carina? Non avevo mai visto prima Veronica comportarsi in modo così docile. Chissà a cosa è dovuta questa bella novità.- Charlene chiese alla sua amica.
- Poco fa io e tua sorella abbiamo avuto una piccola conversazione. Evidentemente ha meditato su ciò che le ho detto e capito che è inutile ribellarsi al guinzaglio che da anni le abbiamo messo al collo.- Celia disse, guardando la ragazza che era seduta davanti a lei in modo insistente e, nonostante stesse sorridendo in modo cordiale, era chiaro che fosse serissima.
- Se fosse davvero così, questa sarebbe la giornata delle sorprese. – commentò la sposa con un ghigno – Comunque è un vero peccato che una cosa simile non sia capitata quando andavamo a scuola.
- Già, ci saremmo risparmiate parecchie seccature.- le diede corda Celia.
Veronica fissava sbigottita quelle due donne adulte che continuavano a comportarsi come se fossero i cliché delle peggiori reginette dei teen drama. Perplessa, si chiedese se fossero consapevoli che l’adolescenza era terminata da parecchi anni, ma, vedendole con stampato in faccia lo stesso ghigno compiaciuto di se stesse di quando camminavano per i corridoi della scuola, si disse che sotto quel punto di vista erano rimaste ferme a quando avevano diciassette anni.
- Ma ci saremmo perse anche buona parte del divertimento.- disse Charlene e, dal tono esagerato che aveva usato, sembrava che quella fosse una scena che avevano provato e riprovato.
Il sorriso sulle labbra di Celia si accentuò: si stava divertendo più di quanto si fosse aspettata nel riprendere a giocare a quel vecchio gioco. Ed era anche compiaciuta che, nonostante non si vedessero più tanto spesso, la sua intesa con Charlene era quella dei tempi del liceo, quando erano il vertice della piramide sociale della scuola e tutti le trattavano con timore e rispetto e ogni loro parola era legge.
- Oh, questo mi fa tornare in mente una cosa. – Celia disse e Veronica strinse i denti, preparandosi al colpo, perché stavano riproponendo la stessa scena di quando si erano incontrate a casa, prima che la cerimonia iniziasse – Ti ricordi di Darah?
- E come potrei dimenticarmi di lei? Era una delle ragazze più attive e interessanti della nostra cerchia e, grazie a lei, abbiamo sempre avuto di che divertirci.- rispose Charlene sogghignando.
Veronica inspirò lentamente per il naso nel tentativo di calmarsi. Ricordava anche lei Darah ed era una delle ragazze più attivamente bastarde del gruppetto di Barbie messo su da sua sorella. Quando andavano ancora a scuola, l’aveva studiata a lungo e si era fatta l’idea che Darah vivesse per essere popolare, per quel posto al sole che le dava far parte del gruppo di sua sorella e, per essere ammessa nella cerchia delle sue elette, aveva fatto davvero di tutto, arrivando a compiacere Charlene in ogni cosa perché sapeva che bastava una sua sola parola perché finisse a mangiare da sola al tavolo degli sfigati. Molti ragazzi a scuola erano ossessionati dal fatto che sedersi in compagnia in mensa era una questione importantissima, perché definiva il posto di uno studente all’interno della scala sociale della scuola, soprattutto quando le persone con cui si stava dividendo il tavolo erano quelle universalmente ritenute popolari. A Veronica era sempre sfuggita la logica dietro tutta questa ossessione, anzi non le dispiaceva pranzare da sola perché così poteva leggere in santa pace. Ma sua sorella, invece, aveva compreso perfettamente i meccanismi dietro a quella fisima e aveva sfruttato in tutti i modi la cosa a suo esclusivo vantaggio. Il caso di Darah era emblematico in questo senso: bastava che sua sorella accennasse a una cosa che voleva e lei si faceva in quattro per esaudirla nel più breve tempo possibile, nel timore di dover tornare a mangiare da sola, al tavolo degli sfigati. Di solito era sempre lei quella che finiva nel mirino di Darah, per ordine della sua adorabile sorellina, ovvio. Per un attimo, Veronica si chiese quale episodio, imbarazzante per lei e divertente per loro due, che coinvolgeva Darah, stessero per raccontare, ma poi si rese conto che, qualunque esso fosse, per lei sarebbe stato come spargere sale su una ferita.
- Vero. Le altre ragazze si impegnavano, facevano del loro meglio, ma Darah aveva una marcia in più. – concordò Celia e poi si girò verso Veronica, un luccichio malizioso a illuminare l’azzurro delle sue iridi – Anche tua sorella deve ricordarsi bene di Darah: è stata lei a farle lo scherzo dell’armadietto. Te lo ricordi?- chiese, rivolta questa volta a Charlene.
- E come posso dimenticarmene? Abbiamo riso per almeno una settimana, dopo.- replicò la sposa e le sue labbra rosse si socchiusero in un ghigno malevolo, mentre fissava la sorella, divertita dalla sua reazione.
Neanche Veronica aveva dimenticato quello scherzetto, anche perché rientrava nella lista dei più molesti che avesse subìto dalla sorella e dal gruppetto delle sue amichette. Quando frequentava il terzo anno, all’uscita dall’ultima lezione della mattina, come ogni giorno, prima di andare in mensa, si era diretta verso il proprio armadietto per posarvi dentro i libri e si era trovata davanti una sgradevole sorpresa. L’esterno dell’anta era stato ricoperto con delle scritte fatte con vernice rossa. Veronica aveva avuto bisogno di parecchi secondi per comprenderne il significato, visto che all’inizio riusciva a vedere soltanto un’accozzaglia di lettere senza un senso, mentre un folto gruppo di ragazzi si era fermato nel corridoio e commentava e ridacchiava, formando un fastidioso brusio di sottofondo. Quella scritta sul metallo dell’armadietto era una composizione in rima in cui la si prendeva in giro per il fatto che le piaceva mangiare e la si paragonava a un maiale che era messo all’ingrasso. Il tutto era stato completato con il disegnino stilizzato da un porcellino, con tanto di codina a ricciolo e una sorridente faccia paffuta. Udendo le risatine degli altri studenti, Veronica si era sentita le guancie bruciare per l’imbarazzo e un fastidioso pizzicore agli occhi, per quell’ingiustificata messa alla berlina. Si era guardata intorno e, sullo sfondo, oltre il cerchio che i suoi compagni di studio avevano creato attorno a lei, aveva visto Charlene, Celia e Darah che si stavano godendo la scena e sghignazzavano. Quando era arrivato anche il preside, che era stato chiamato dal bidello che lavorava in quel piano, aveva rivolto a Veronica una rapida occhiata comprensiva, segno che sapeva di chi fosse la mano dietro a quello scherzo, ma che era anche consapevole che senza una prova non poteva avviare azioni disciplinari contro un gruppo di studentesse che, almeno sulla carta, erano irreprensibili, oltre che le migliori della scuola. Poi si era voltato verso gli studenti che si erano assiepati nel corridoio e aveva domandato loro se qualcuno avesse visto il responsabile di quella burla di dubbio gusto: la sola risposta che aveva avuto era stato un pesante silenzio, perché naturalmente Darah era stata vista mentre imbrattava il suo armadietto, ma nessuno studente avrebbe detto una parola, perché non desideravano finire nel mirino di sua sorella e delle sue amiche: sarebbero state capaci di rendere la scuola un inferno a chiunque avesse aperto bocca. Alla fine a Veronica, armata di secchio d’acqua calda e detersivo e spugna, era anche toccato ripulire il suo armadietto, tanto per unire al danno la beffa.
- Al posto vostro mi sarei posta seriamente delle domande, visto che avete riso per uno scherzo che non avrebbe divertito nemmeno dei bambini delle elementari.- non riuscì a impedirsi di commentare con un tono acido.
Charlene e Celia si voltarono all’unisono verso di lei e la fissarono in un modo che non prometteva nulla di buono. Veronica strinse i denti e si preparò alla tempesta.
- E io che ero convinta che, con la nostra chiacchierata di poco fa, avessi preso atto e riflettuto sulla tua arroganza.- Celia commentò, aggrottando le sopracciglia.
- Se fosse accaduta una cosa del genere, sarebbe venuto giù il diluvio. Ma il solo splende e questo vuol dire che la mia cara sorellina ha la presunzione di credere di essere perfetta. Oramai si è messa sul piedistallo e, dalla sua postazione elevata, ci guarda tutte dall’alto in basso, giudicandoci.- continuò Charlene e, sotto il rosso scuro del rossetto, il biancore dei suoi denti risaltò, mentre sogghignava.
- Già. Avrebbe bisogno proprio di una lezione di umiltà.- Celia concordò e corrugò le sottili e chiare sopracciglia.
Udendo quell’ultima frase, Veronica trasecolò. Se lei avesse avuto bisogno di una lezione di umiltà, allora di che cosa avrebbero necessitato quelle due? Loro che erano l’emblema stesso dell’arroganza? Quella frase fu la classica goccia che faceva traboccare il vaso. Tutto ciò che aveva subìto senza fiatare negli ultimi giorni, sommato a quello che aveva patito in passato e che stava sopportando quel giorno a causa della sua adorata sorellina e della sua migliore amica, la fecero esplodere. In un impeto di rabbia, Veronica scattò in piedi e le fissò davvero dall’alto in basso, rivolgendo loro uno sguardo infuocato.
- Voi due che vi siete messe da sole sul piedistallo più alto, che pensate che la sola cosa importante su questa Terra siate voi e che credete che il mondo non possa girare senza il vostro beneplacito, venite a dire a me che ho bisogno di una lezione di umiltà? – era talmente arrabbiata in quel momento, che non si rese conto della strana occhiata complice che si scambiarono sua sorella e Celia, né del cenno che la seconda fece alla prima per annuire – Pensate di essere le persone più intelligenti e capaci che ci sono al mondo, ma non vi rendete conto che siete soltanto un cumulo di arroganza che si basa sul nulla. Siete soltanto due palloni gonfiati.- concluse e si fermò a guardare le due sedute davanti a lei e con il respiro appena accelerato.
Fu soltanto in quel momento che Veronica realizzò che qualcosa non andava. Charlene e Celia non solo non avevano detto una parola dopo la sua sfuriata, ma erano rimaste ferme, sedute al loro posto e la stavano fissando con l’espressione più falsamente colpita e sbigottita che avesse mai visto fare. Solo per un attimo, Celia le rivolse un rapido sorriso compiaciuto, mentre sollevava appena il suo cellulare in modo che potesse guardarlo da sopra il bordo del tavolo e, sul display che si andava oscurando, riuscì a vedere che un sms era stato inviato, poco prima, forse quando si erano sedute al tavolino, a sua madre. Veronica riuscì a inghiottire un gemito afflitto prima che le sfuggisse, perché non voleva dar loro anche quella soddisfazione, mentre si dava mentalmente della stupida per essere caduta di nuovo in quel tranello. Si morse il labbro inferiore e si disse che la colpa era tutta sua se era caduta nella loro trappola, perché le conosceva da troppo tempo e sin troppo bene, per non farsi venire almeno il dubbio che stessero tramando qualche cosa di più, oltre che prenderla semplicemente in giro.
Veronica sentì il rumore del battere ritmico di un piede contro il terreno, appena attutito dall’erba e, per un attimo, socchiuse gli occhi, avvilita. In quel momento, avrebbe voluto essere mille miglia lontano da lì, perché, dal rumore che stava facendo, la mamma aveva sicuramente sentito lei che urlava contro Charlene e Celia, ma non loro due che le avevano dato il tormento per farla esplodere. Erano troppo accorte e facevano simili pantomime da troppi anni, per potersi far scoprire così facilmente. Veronica si girò lentamente e vide, proprio alle sue spalle, la madre con le braccia incrociate davanti al petto e che la stava fissando con un’espressione torva. Sì, era decisamente nei guai fino al collo.
- Sei impossibile, Veronica. – sbottò Rosemary dopo ancora un attimo di pesante silenzio – Io non so più che cosa fare con te: non solo non riesci a lasciare in pace tua sorella neppure durante il giorno del suo matrimonio, ma hai aggredito anche la povera Celia. No! Non azzardati a dire una sola parola! – ordinò, puntandole contro un dito in segno di ammonizione, quando vide che la figlia minore aveva aperto la bocca e stava per replicare qualcosa in sua difesa – Ti avevo chiesto un’unica cosa, quella di comportarti bene almeno oggi e di non rovinare tutto, ma non hai nemmeno provato a far funzionare le cose. Sei stata recalcitrante tutta la settimana, hai sbuffato di continuo e ogni volta che ti chiedevo di fare qualcosa per tua sorella, era come se ci stessi facendo un’enorme concessione. Se riflettessi sul comportamento che hai tenuto negli ultimi giorni, ti renderesti conto che l’arrogante qui sei solo tu. – mamma Moore si fermò un attimo, stringendo l’una contro l’altra le labbra, ricoperte di rossetto fucsia, formando una sottile linea che grondava riprovazione. – Per tua fortuna, questo non è né il luogo né il momento adatto per questa discussione, ne riparleremo con la dovuta calma nei prossimi giorni, a casa. Ma ritieniti comunque in punizione da domani in poi: non andrai in vacanza a New York con i tuoi amici del college e, invece, ci aiuterai con il trasloco di tua sorella dalla vecchia alla nuova casa, così lei e Ben troveranno tutto pronto al ritorno della luna di miele.- dichiarò, guardando la figlia con uno sguardo che non ammetteva repliche, mentre attendeva che annuisse.
Veronica non riusciva a staccare lo sguardo dalla madre, la fissava allibita e a bocca aperta, senza sapere cosa dire né cosa fare. La settimana successiva a quella del matrimonio, sarebbe dovuta partire per una vacanza di pochi giorni con i suoi amici: la progettavano da tantissimo tempo e per quattro mesi, ogni fine settimana, aveva lavorato in un fast food per guadagnare i soldi necessari e non chiederli ai genitori e aveva fatto la prenotazione dell’albergo già da quasi un mese. Era il suo premio per quello che aveva passato a causa di sua sorella e del suo matrimonio e ora volevano toglierglielo? Stava per aprire la bocca e dire che quella era un’ingiustizia bella e buona e che non avrebbe mai aiutato con lo stupido trasloco di sua sorella, ma qualcosa nell’espressione che aveva la madre la bloccò, perché le dava la sensazione che avrebbe solo peggiorato la situazione. Al momento, poteva solo annuire e sperare nell’aiuto del padre. Dopo aver fatto quanto sua madre voleva, si voltò verso sua sorella e, senza alcuna sorpresa, vide che la stava fissando con un’espressione molto soddisfatta. Solo allora comprese che quello era il suo obbiettivo fin dall’inizio e ora, grazie a Celia e alla loro madre, l’aveva ottenuto. Era semplicemente una cattiveria gratuita, perché Charlene le aveva fatto volutamente del male e senza alcun motivo logico, ma solo per il gusto di farlo. Strinse i denti e ricacciò indietro quello che avrebbe voluto dirle davvero, perché non era salutare pronunciare simili parole con sua madre presente, destinate alla sua figlia preferita.
- Tesoro ti stavo cercando perché tra poco si inizierà a ballare ed è la sposa che deve aprire le danze. – Rosemary disse e, nel riferirsi alla primogenita, la sua espressione era ritornata a essere gentile – Su, dobbiamo andare: ho intenzione di chiedere un ballo al capitano Conrad. – dichiarò con un sorriso e poi si girò verso la migliore amica di sua figlia – Vieni anche tu Celia, sono sicurissima che ci divertiremo un mondo. Il testimone di Benedict è molto, molto carino. – aggiunse come se fosse una confidenza tra di loro. Mentre le due donne si alzavano in piedi, Rosemary si girò verso la figlia più piccola, in viso di nuovo un cipiglio cupo, che lasciava intendere che era ancora parecchio arrabbiata con lei – Mi aspetto di vedere anche te lì e di vederti ballare e divertirti come si conviene alla sorella e damigella della sposa.- le disse col tono di chi non ammetteva un no come risposta.
Veronica inspirò ed espirò lentamente, senza dire o fare nulla, visto che, a quanto pareva, tutto era già stato deciso in sua vece e non aveva voce in capitolo. Charlene, mentre si allontanava, sottobraccio alla sua amica del cuore, per seguire la madre fino al punto dove era stata allestita la pista da ballo, si girò verso la sorella minore e le sorrise con quella sua espressione da gatta che è appena riuscita a intrappolare un topo: qualche volta le piaceva assecondare dei desideri che non avevano nulla a che fare con i suoi complicati e ingegnosi piani per ottenere dalla vita il meglio, ma che riguardavano tutti il mettere in difficoltà la sorella più piccola e vendicarsi di tutte le volte che l’aveva messa in imbarazzo, in ridicolo o difficoltà quand’erano ragazzine. Perché, a differenza della mamma che aveva sempre fatto di tutto per aiutarla, Veronica non aveva mai fatto nulla per supportarla, ma al contrario aveva sempre pensato soltanto a se stessa e alla sua patetica carriera scolastica. Nemmeno quando era stata coinvolta nei preparativi per il suo matrimonio aveva fatto qualcosa per supportarla, anzi, al contrario aveva fatto di tutto per dimostrare che tutta quella storia era un’enorme seccatura per lei. Per questo, quando la madre le aveva detto che Veronica sarebbe partita la settimana dopo il suo matrimonio per una vacanza, aveva pensato che non fosse giusto, che non lo meritasse e si era messa subito a pensare a un modo per ricordarle che, anche se lontane, lei sarebbe rimasta sempre sotto il suo tallone, che poteva rovinarla con un semplice schiocco delle dita e che non doveva avere l’arroganza di ritenersi superiore a lei.
Charlene sorrise mentre archiviava questa sua piccola vittoria personale e proiettava la sua mente già al momento successivo, a quando avrebbe aperto le danze, sotto lo sguardo degli invitati, ammirati dalla sua bellezza, eleganza e bravura. Aveva trascorso parecchie nottate sveglia per perfezionarsi anche in questo campo e sperava che anche Ben avesse lo stesso, perché l’ultima cosa che voleva era sfigurare a causa sua e davanti al capitano e sua moglie. A quel punto, un altro pensiero le venne in mente: di sicuro anche la cara Abby e il suo fidanzatino avrebbero ballato e, ricordando com’era sgraziata e quasi mascolina la sua collega nel modo di camminare e di muoversi, altrettanto sicuramente ci sarebbe stato da ridere… e dal farla morire di vergogna nel paragonare la sua ridicolaggine alla propria classe.
Perché Lehmann non sarebbe mai stata alla sua altezza.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Domenica - Part VIII ***


Salve salvino gentili lettori e lettrici e ben ritrovate ^^ Chiedo venia per l’immondo ritardo con cui ho aggiornato questa ff, non mi ero dimenticata della nostra Charlene e del suo grande giorno, però una long su una slash ship che amo, mi ha davvero monopolizzata ^^ Questo capitolo è tutto per la mia tessora adorata Black, perché è stata a lei a suggerirmi l’idea, con un a frase della recensione che ha lasciato al precedente capitolo: attenta a Charlene sis, perché potrebbe inseriti nella sua lista nera dopo questo ^O^ Ringrazio: BalckCobra e Harryet che hanno lasciato un commento al precedente capitolo. Ringrazio: BlackCobra, Harryet e perlanera che hanno inserito questa long tra i preferiti. Ringrazio: dasli22, hurry, orny81, RedMoon_, romy2007, Selvaggia Egle e vallinda che hanno inserito questa long tra i seguiti. Ringrazio tutti coloro che hanno anche solo letto e tutti coloro che hanno letto e/o lasciato un commentino al precedente capitolo. Adesso la smetto di chiacchierare e vi lascio alla lettura, al prossimo capitolo gente \O/

Domenica – Parte VIII

Quando il gruppo arrivò nella parte del giardino in cui era stata allestita la pista da ballo, Charlene non stava più nella pelle. Nonostante tornasse sempre a casa stanca per il lavoro, non aveva esitato a trascorrere molte notti insonni per imparare a ballare il valzer e il minuetto. Aveva studiato da autodidatta, seguendo i video su quei balli che aveva trovato su internet e ripetendo i passi fino alla nausea. Era stato un lavoro snervante, lungo e tedioso, ma davanti alla prospettiva di poter dimostrare al capitano e alla sua signora che lei era una persona non solamente colta e intelligente, ma anche raffinata ed elegante, non si era tirata indietro ed era diventata talmente tanto brava da poter partecipare a concorsi a livello mondiale e vincere il primo premio a occhi chiusi.
L’unica incognita era e rimaneva Benedict.
Non appena aveva cominciato a organizzare il matrimonio, Charlene aveva iniziato a dirgli e ripetergli di prendere lezioni di valzer, visto che l’unico ballo a cui aveva partecipato era stato quello di fine anno prima del diploma e, a quanto le aveva detto, non lo aveva certo trascorso a ballare con la sua accompagnatrice, ma rinchiusi nel ripostiglio ad amoreggiare. A parte la pessima scelta del posto in cui Benedict aveva trascorso del tempo in compagnia della sua fidanzatina di allora – lei non avrebbe mai messo piede in un posto buio, sporco, umido e puzzolente come quello e si chiedeva che genere di ragazza fosse quella che aveva accettato di trascorrervi ore dentro – Charlene gli rimproverava il fatto che, non avendo danzato, non era stato preso in considerazione come possibile candidato alla corona di Mr. Liceo e riteneva questo una mancanza nei suoi confronti. A differenza di Ben, lei non solo era stata in cima alla lista delle candidate, ma aveva anche vinto la corona di Miss Liceo, stracciando tutte le sue avversarie. Charlene era stata votata per tre anni consecutivi anche Reginetta di Primavera – in base a una regola non scritta del suo liceo, le studentesse delle prime classi potevano candidarsi ma non venire elette, perché quella corona era un privilegio che spettava alla ragazza più popolare della scuola e le novelline, che sapevano ancora di scuola elementare, erano ritenute da tutti i ragazzi che frequentavano il liceo, delle perfette signor nessun. Lei però era stata l’unica studentessa nella storia del suo liceo a essere eletta e pure a maggioranza dei voti, quando ancora non frequentava gli ultimi due anni e questo la diceva lunga su di lei e sulla sua popolarità. Al primo anno di liceo, si era dovuta accontentare di essere un nome senza importanza nel mucchio di coloro che erano candidate alla corona e, mentre osservava Sandra Dayton, la ragazza più popolare della scuola, prima del suo arrivo ovviamente, vestita con quel ridicolo abito color oro vecchio e bianco avorio e i capelli neri annodati in modo assolutamente ridicolo, aveva giurato che fino al giorno del diploma nessuna sarebbe mai più riuscita a surclassarla e che avrebbe imperato incontrastata. Non appena era iniziato il secondo anno e per liberarsi di Dakota Epstein, che Sandra Dayton aveva indicato come sua erede prima di diplomarsi, Charlene si era messa subito all’opera: aveva cominciato a farsi notare prima per i suoi voti, poi perché lei non era solo brava nello studio ma anche bella e alla moda, dopo che era entrata a far parte dell’insieme delle studentesse più popolari, aveva incominciato a crearsi un suo gruppo di compagne, che pian piano si era ingrandito e, partendo dalle ragazze che razzolavano sullo sfondo e arrivando alle sue fedelissime, aveva inglobate tutte coloro che, fino a poco prima, erano state amiche di Dakota. In meno di un anno, Charlene era riuscita a prendere il suo posto come ragazza più popolare della scuola, continuando a tenerla vicino a sé e trattandola come la migliore delle sue amiche, per controllarla meglio e impedire che cercasse di farle ciò che aveva fatto a lei e, soprattutto, per apparire agli occhi delle sue amiche come una vittima tradita e pugnalata alle spalle, nel caso in cui Dakota le si fosse rivoltata contro. Quello era stato l’ultimo anno in cui aveva visto qualcuno che non era lei venire eletto Reginetta di Primavera, perché già dall’anno successivo, il terzo, la corona era stata sua e quello era stato un momento particolarmente glorioso della sua vita: sua madre teneva ancora incorniciato e appeso al muro del corridoio un ingrandimento della foto che le era stata fatta quel giorno, immediatamente dopo essere stata incoronata.
Quella vittoria era stata solo il primo passo per lei: per i due anni successivi, era stata sempre lei a essere eletta Reginetta di Primavera, nessun’altra studentessa del suo liceo veniva presa in considerazione per venire scelta e questo perché lei era la più bella della scuola. D’altronde aveva dimostrato ampiamente questo venendo eletta al ballo di fine anno, che si svolgeva una settimana prima della cerimonia di diploma, Miss Liceo. Come se ci fossero stati dubbi in merito. Del suo accompagnatore, il quarterback della squadra di football come da migliore tradizione, ricordava solo che era uno scimmione zotico e petulante che mirava soltanto a trascinarla nello sgabuzzino delle scope per diversi un po’. Come se lei avesse potuto fare una cosa del genere, una cosa che si addiceva più a quella rozza di Lehmann che a una persona fine come lei. Quello che Charlene rammentava meglio di quel ballo, era stata la sensazione di trionfo che aveva provato quando avevano poggiato anche quella corona sul suo capo: aveva avuto una sola rivale a contenderle quel titolo, le altre candidate erano lì solo per fare scena. La sua avversaria era una ragazzetta che si era trasferita nella loro scuola per frequentare lì l’ultimo anno, da quello che era riuscita a sapere di lei, nella sua vecchia scuola era stata lei l’ape regina e, quindi, aveva creduto di poter venire a dettar legge anche nella sua scuola. Per tutto l’anno scolastico aveva sfidato apertamente Charlene, tuttavia, con un’abile campagna diffamatoria nei confronti della rivale, lei era riuscita non solo a rimetterla al suo posto, ma anche a spedirla a razzolare tra gli sfigati, senza più possibilità di tornare tra le persone che veramente contavano. Indossare la corona dei Miss Liceo davanti alla sua rivale, che aveva giurato e spergiurato davanti a tutta la scuola che sarebbe stata lei a indossarla al posto di Charlene, era stato il coronamento della sua vittoria.
- Tesoro tocca a te e Benedict aprire le danze.- la voce della madre la distolse dai suoi piacevolissimi pensieri.
Cercando il punto in cui suo marito si trovava, Charlene osservò la pista da ballo davanti a cui si era fermata – un’ampia pedana appena rialzata, rivestita con grosse piastrelle bianco perla e con il bordo laccato di nero, il tutto illuminato dalla tenue luce aranciata del tramonto – e si disse che quello era il massimo che Benedict avrebbe potuto fare, che non poteva aspettarsi più di così e che doveva essere sollevata che perlomeno non se n’era uscito con una qualche mostruosità talmente kitsch, da poter star bene solo nel matrimonio di una dal gusto estetico pessimo come Lehmann. Ancora con il naso arricciato in una smorfia, Charlene vide che la carissima Abby era a bordo pista, ovviamente mano nella mano con il suo fidanzatino, mentre continuavano a parlarsi con i volti a un centimetro l’uno dall’altro, fissandosi negli occhi e sorridendosi adoranti. A parte la scena patetica e rivoltante, doveva ammettere che quello era davvero un bel colpo di fortuna: oltre a fare una figura incantevole con il capitano e sua moglie, avrebbe insegnato a quella blatta priva di qualsivoglia senso estetico di Lehmann cosa fosse la vera eleganza.
Mentre progettava quella piccola vendetta ai danni della sua ex collega, Charlene vide venire verso di lei suo marito, sul suo volto campeggiava un piccolo sorriso. Benedict le si fermò davanti e, mentre nell’aria si stava iniziando a diffondere la melodia che la piccola orchestra aveva cominciato a suonare, le fece un inchino e le tese la mano destra per invitarla a danzare. Piacevolmente sorpresa per il fatto che Ben avesse fatto tutto nel modo corretto e che non fosse parso impacciato né goffo, la sposa prese la mano che lui le stava porgendo e si lasciò condurre al centro della pista da ballo. Gli appoggiò l’altra mano sulla spalla e lui le strinse un fianco con la mano libera, poi cominciarono a ballare. Charlene si rese subito conto che Benedict non era molto a suo agio con il minuetto, quindi ne dedusse che non le aveva dato retta e non era andato al corso come gli aveva detto di fare o, nella migliore delle ipotesi, non era andato oltre le prime lezioni. Sotto la facciata contenta che si era obbligata a mantenere, la sposa sentì una scintilla di irritazione sfrigolare dentro di sé nel rendersi conto che non le aveva dato retta proprio riguardo a un’occasione così importante e delicata per lei e per la sua carriera: ora poteva soltanto fare buon viso a cattivo gioco e cercare di limitare i danti, ma quando sarebbero stati da soli, gli avrebbe fatto capire che sarebbe stato un bene per lui se avesse incominciato a seguire lei e i suoi consigli.
L’unica cosa che sperava in quel momento, era di essere riuscita comunque a impressionare Lehmann e farle venire un bel colorito verde nel vederla muoversi elegante e leggiadra nel suo abito bianco, consapevole che una persona rozza e primitiva come lei non sarebbe mai nemmeno riuscita ad avvicinarsi al suo livello di assoluta perfezione.


§§§



Drew osservava i due sposini danzare e si disse che quella era un’occasione troppo ghiotta per sprecarla. Non appena il loro ballo d’apertura terminò e la pista cominciò a riempirsi con gli invitati che volevano ballare, si girò verso Abby e le diede un bacio sulla guancia sinistra, per attirare la sua attenzione.
- Mi concedi l’onore di questo ballo?- le chiese con voce zuccherina e rivolgendole uno dei suoi sorrisi irresistibili.
Non aveva alcuna voglia di fare una figura barbina davanti a Charlene, che, tra l’altro, stava aspettando sicuramente questo, ma Abigail sapeva che non sarebbe riuscita mai a dirgli di no, soprattutto quando il suo fidanzato usava contro di lei le sue debolezze – e non pensava che qualcuno avrebbe potuto condannarla, trovandosi al suo posto e con davanti quell’uomo mozzafiato – tuttavia doveva quantomeno fare finta di brontolare un po’, altrimenti non avrebbe mai più avuto voce in capitolo in niente con lui.
- Non so ballare.- replicò, consapevole lei stessa che una risposta così futile non sarebbe mai riuscita a fermarlo.
- Andiamo, non devi mica vincere una gara di ballo.- ribatté lui e il sorriso sul suo volto si ampliò e si fece più luminoso.
Mentre si domandava come un essere umano potesse diventare più affascinante semplicemente sorridendo, Abby si rese conto che stava già cominciando a seguirlo verso la pista, senza neppure pensare di opporre un minimo di resistenza perché, quando si trattava del suo partner, lei aveva la stessa resistenza di una lastra di ghiaccio sottilissima e vicina a una forte fonte di calore.
- No, ma c’è comunque la giuria.- rispose lei e indicò Charlene che stava volteggiando in mezzo agli altri invitati, osservando tutto e tutti come un falco.
Mentre cominciava a muoversi piano sulla pista da ballo e portando Abby con sé, Drew passò un braccio attorno alla vita della sua fidanzata e se la strinse contro, piano avvicinò il viso al suo, assaporando ogni centimetro che li aveva separati e che man mano spariva, fermandosi solo quando sentì le labbra sfiorare quelle di lei. Sapeva benissimo quale effetto aveva sulla sua fidanzata e non perdeva occasione per stuzzicarla, perché gli piaceva vederla reagire alla sua vicinanza e, più spesso di quanto avesse programmato, Abby trovava sempre un modo per rifarsi di questo, quando erano a letto insieme. Per questo motivo non vedeva l’ora di poter tornare a casa e vedere in quale modo si sarebbe vendicata di lui, per tutto quello che le stava facendo passare quel giorno. Uno o due scenari davvero bollenti gli si formarono in testa, ma decise di accantonarli, almeno per il momento, altrimenti avrebbe trascinato la sua fidanzata nel primo posto chiuso e disponibile.
- Non preoccuparti di lei. Devi solo rilassarti, seguire i miei movimenti e rimanere concentrata su di me.- le disse, accarezzandole le labbra con le sue a ogni parola pronunciata, con voce simile a miele caldo e guardandola dritta negli occhi.
Questo posso farlo, pensò Abby affascinata e annuì con un piccolo cenno della testa, mentre inconsciamente già seguiva i movimenti leggeri dell’amato, prima di annullare l’esigua distanza tra i loro visi e baciarlo, perché era impossibile averlo così vicino e resistere, non farlo. Avvertì le labbra di Drew piegarsi per un attimo in un sorriso, prima di socchiuderle contro le sue. Mentre si stava perdendo nel sottile piacere che quel bacio le stava dando, avvertì le mani del suo compagno guidare le sue braccia affinché lo cingessero per il collo e poi lui la strinse per i fianchi, stringendosela contro, mentre la conduceva in piccoli passi di danza. Dopo, con la fronte appoggiata contro quella di Drew e il cuore che le batteva impazzito nelle orecchie, Abby aprì gli occhi e si ritrovò subito immersa nello sguardo verde del suo fidanzato, che le stava sorridendo irresistibilmente.
- Ti amo.- gli disse in un morbido sussurro, come se quello fosse un segreto che nessun altro, oltre lui, doveva conoscere.
- Ti amo anch’io.- rispose Drew e, nel pronunciare quelle semplici parole, la sua voce si era fatta densa e calda come cioccolato fuso.
Abigail ricambiò il suo sorriso con uno altrettanto ampio e luminoso, mentre continuava a farsi condurre dal suo amato in quella danza lenta: improvvisamente non le importava più di nient’altro e di nessun altro, oltre l’uomo fantastico che la stava stringendo a sé, che le stava sorridendo e parlando con il volto contro il suo e che sembrava aver cristallizzato quel momento perfetto nell’ennesima bolla dorata che li aveva avvolti.


§§§



Con la schiena tesa in una linea rigida e tenendo un pugno di stoffa della gonna del vestito con la mano che non teneva posata sulla spalla di suo marito, Charlene continuava a volteggiare sulla pista da ballo, cercando di sopperire alle carenze di Benedict e mostrarsi leggiadra ed elegante come aveva immaginato che sarebbe stata, quando stava preparando quel matrimonio. Era sicurissima che nemmeno una ballerina di professione sarebbe riuscita a farla sfigurare, in quel momento e che tutti gli ospiti erano deliziati e affascinati da lei e dalle sue movenze feline.
- Non sono adorabili?- domandò all’improvviso una voce femminile alle spalle della sposa.
- Sicuro. Non ho mai visto due persone tanto innamorate, prima.- rispose la voce di un’altra donna.
Charlene per un attimo corrugò la fronte perché la bellissima immagine mentale che, nei mesi precedenti, si era creata riguardo a quel momento, in cui tutte le coppie avrebbero ballato al margine della pista in modo ordinato e lasciando il centro della scena a lei e Ben, quasi come se fosse stato un fermo immagine del celebre Ballo delle Debuttanti, era andata in frantumi non appena la musica che aveva accompagnato il loro ballo di apertura si era fermata e tutti gli ospiti che volevano danzare si erano riversati sulla pista come cavallette, in modo caotico e lei e Ben, pur essendo gli sposi, avevano dovuto mischiarsi loro: si era resa subito conto che non c’era più niente di come lo aveva organizzato lei e che gli invitati si stavano divertendo a saltellare come volevano loro. L’attimo dopo, però, Charlene decise che era meglio spostare la sua attenzione dalle due donne che stavano ballando insieme, alle parole che avevano detto: stava davvero dando l’immagine di sé che voleva.
- Li invidio da morire.- continuò a dire la seconda voce.
- A chi lo dici? Sono anni che mio marito non mi guarda più in quel modo.- sospirò scontenta la prima donna.
- Non che lei lo guardi in modo meno adorante. E io la capisco, eccome se la capisco: con un uomo del genere al fianco, non riuscirei mai a staccargli gli occhi di dosso.- ridacchiò la seconda donna, subito imitata dall’altra.
A queste parole, il sorriso sul volto di Charlene si ampliò: erano tutti ammaliati da lei, proprio come era certa che sarebbe accaduto. Con un movimento improvviso, costrinse Benedict a piegare verso sinistra, in modo che lei si sarebbe trovata dalla parte opposta a quella in cui si trovava prima e poter così vedere chi erano le donne che, in quel momento, stavano parlando in quel modo devoto di lei. Avrebbe provveduto poi a ringraziarle. Mentre gli sposi si spostavano, le due donne continuarono il loro discorso.
- E neanche le mani gli staccherei di dosso.- continuò la prima donna, ridacchiando maliziosa.
La seconda donna concordò con quanto detto dall’amica con una risata altrettanto furba e Charlene arricciò il naso infastidita dalla trivialità delle due: era pronta a scommettere che fossero state invitate dalla madre e, magari, appartenevano pure all’infimo circolo del bingo che frequentava ogni giovedì sera.
- Visto come sono avvinghiati l’uno all’altra, nemmeno loro due riescono a staccarsi a vicenda le mani di dosso.- la seconda proseguì sempre con lo stesso tono, facendo ridere l’altra.
A questa battuta, Charlene batté le palpebre, non riuscendo a comprendere a cosa si stessero riferendo quelle due oche. Lei e Ben non erano avvinghiati, stavano tenendo una perfetta postura da ballerini – a essere sinceri lei aveva quella postura, lui stava semplicemente cercando di imitarla – quindi davvero non riusciva a capire come avessero potuto pensare una cosa simile di loro due. Quando finalmente giunse nella posizione desiderata, la sposa guardò le due donne – che, proprio come aveva previsto, erano amiche di sua madre che lei ricordava vagamente – e, quando realizzò cosa quelle due e altri invitati accanto a loro stavano fissando, si bloccò di colpo, perché non erano lei e Ben. Un’ondata di furia la investì da capo a piedi, quando seguì col proprio lo sguardo adorante delle due donne e scoprì che stavano fissando Lehmann e il suo fidanzato idiota, che stavano davvero ballando aggrappati l’uno all’altra, come una melensa coppietta di adolescenti sfigati al ballo di fine anno, che si guardavano l’un l’altra come se non esistesse nient’altro al mondo e si sorridevano con espressioni rincretinite.
Non. Poteva. Essere.
Charlene si rifiutava di credere a quanto stava accadendo, perché la situazione si era fatta davvero grottesca e paradossale. Era lei la sposa e i suoi invitati avrebbe dovuto guardare lei in quel modo, rapiti dal suo fascino, dalla sua bellezza e grazia, estasiati perché, insieme a suo marito, doveva apparire ai loro occhi come l’archetipo della coppia innamorata e felice. Era la sposa che doveva catalizzare gli sguardi di tutti gli invitati, soprattutto se la sposa in questione era la quintessenza della beltà e dell’eleganza com’era lei stessa. Invece, per la sua smania di protagonismo, Lehmann continuava a mettersi di mezzo, a sottrarle quel posto sotto i riflettori che spettava a lei e a lei solamente. Quando vide altri invitati girarsi per guardare, con un insulso sorriso intenerito in viso, la coppietta di intriganti che adesso si stava baciando come se fossero da soli nella loro camera da letto e non in mezzo ad altre persone, strinse i denti talmente tanto forte che, se fosse stata la protagonista di un film, avrebbe sentito di sicuro il sapore del sangue in bocca.
Mentre continuava a fissarli furibonda, pensando a quale sarebbe stato il modo migliore per far pagare lo scotto di quello che le stava facendo a quello sgorbio, Charlene vide Lehmann bisbigliare qualcosa, di sicuro rivoltante, sulle labbra dell’agente Kemble, mentre lo fissava adorante e lui risponderle qualcosa nello stesso modo, prima di baciarla di nuovo; la stretta del federale sulla vita della sua partner si era fatta più salda, mentre si toccavano l’un l’altra come se non esistesse nient’altro oltre la persona amata. Quei due erano talmente tanto melensi e stucchevoli, da risultare praticamente indecenti. Ma si rendevano conto che si trovavano al suo ricevimento di nozze, in un luogo pubblico e pieno di gente? O magari pensavano davvero che ai presenti facesse piacere vederli avvinghiati l’uno all’altra in quel modo, come se fossero una cozza (sì, si riferiva proprio a Lehmann) incollata a uno scoglio?
- Sono adorabili. – ridacchiò una voce femminile che non apparteneva a nessuna delle due donne che stavano commentando prima – Era da parecchio tempo che non vedevo una coppia così innamorata. - Vedendoli, ti rendi conti che il vero amore esiste davvero.- dichiarò un’altra donna, prima di esibirsi in un sonoro sospiro deliziato.
No. Quello era davvero troppo. Charlene digrignò i denti sotto le labbra serrate in una linea dura, decidendo all’istante che avrebbe posto fine a quella scenetta rivoltante, ricordando ai presenti che la sposa era lei e che, quindi, era a lei che avrebbero dovuto dire cose come quella e lo avrebbe fatto immediatamente. Ignorando a bella posta Benedict, che, comunque, sembrava essersi imbambolato come un ebete, visto che era da quando avevano smesso di ballare che non aveva più detto o fatto qualcosa (tanto che non pareva nemmeno essersi reso conto che gli aveva piantato le unghie nella pelle della mano che ancora stava stringendo con la sua), si girò verso la madre e, con un gesto secco, le fece il segno che avevano concordato per quando sarebbe arrivato il momento per chiudere le danze e passare finalmente al taglio della torta. Era stata lei in persona a sceglierla e, per questo motivo, era sontuosa ed elegante proprio come tutto in quel matrimonio: era certa al cento per cento che avrebbe riportato l’attenzione degli ospiti su di sé e li avrebbe lasciati a bocca aperta per la meraviglia.
Charlene vide sua madre annuire e scattare subito ad avvertire la piccola orchestra di fermare la musica. Al pensiero di avere di nuovo gli occhi di tutti, Lehmann e il suo amante compresi, su di sé e di ritornare a essere la protagonista indiscussa della scena, un sorriso le ammorbidì la linea delle labbra, che aveva tenuto contratte fino a quel momento.


§§§



Benedict era così disperato da sentirsi incapace di fare il più piccolo gesto. E del tutto inabile a formulare il benché minimo pensiero.
Tutto quello che riusciva a fare, era rimanere lì, immobile come una statua di sale, a fissare la sua Abby tra le braccia di uno che non era lui. Dei, non riusciva nemmeno a trovare le parole adeguate per definire quanto male gli facesse, vedere la sua amata così innamorata di quel bellimbusto da strapazzo. Ben non riusciva neanche a ricordare l’ultima volta in cui la sua Abby l’aveva guardato in quello stesso modo ed era desolante quella realizzazione. Fin da quando se l’era ritrovata davanti alla cerimonia nuziale, Benedict aveva capito che Abby non era più disponibile, ma solo ora in cui la guardava mentre ballava con l’agente Kemble e lo fissava come se al mondo non esistesse altro che lui, si era reso conto di quanto questa sua impressione fosse vera. E gli veniva da piangere di fronte al solo pensiero, all’idea che non c’era più spazio per lui, che quel pagliaccio gli aveva sottratto la cosa più importante per lui.
Lo stato depressivo in cui Benedict era stato gettato, ebbe però vita brevissima: gli basto vedere la sua Abby che baciava quello scimunito del suo accompagnatore, perché l’angoscia lo pungolasse tanto a fondo e tanto dolorosamente, da riscuoterlo del tutto, dandogli la sensazione che era stato percorso da una scossa elettrica e lo fece tornare presente a se stesso. Ben inspirò piano e profondamente per potersi calmare. No. Non si era mai arreso con Abby e non avrebbe incominciato di certo ora. Anche se pareva essersene momentaneamente dimenticata, Abby era sua e neppure quel cialtrone minuto di un bel faccino e di nient’altro che si potesse definire anche solo interessante, avrebbe potuto farlo desistere. Neanche il fatto che aveva sposato un’altra donna avrebbe potuto cambiare il fatto che nel suo cuore esisteva solo la sua Abby e nessun’altra. Benedict era consapevole che il delicato meccanismo che aveva unito lui e Abby la prima volta si era rotto per causa sua, perché le aveva mostrato il suo amore nel modo sbagliato, quindi era sua responsabilità rimettere al loro posto le cose tra di lui e la sua amata, anche se gli ci sarebbe voluta una vita intera per poterlo fare.
La musica cessò di colpo e, lentamente, tutti coloro che si trovavano sulla pista si fermarono, anche Abby e il suo partner, anche se sembravano essere del tutto incapaci di allontanarsi più di qualche centimetro l’uno dall’altro. Non sopportando più di vederli insieme in quel modo, né la consapevolezza che, se non si fosse messo di mezzo quel bellimbusto da strapazzo, ci sarebbe stato lui a flirtare in quel modo con Abigail, Ben si voltò verso quella che era ormai sua moglie, che lo stava tirando bruscamente per il braccio.
- Dobbiamo tagliare la torta.- gli ordinò lei e la voce le uscì tesa.
Benedict le sorrise e le annuì con un cenno del capo. Per il momento avrebbe accantonato il pensiero della sua Abby: lei era troppo concentrata su quel tacchino impagliato che si era portata dietro per poter pensare a chiunque altro e ancora troppo arrabbiata con lui per poterlo prendere in considerazione di nuovo. Avrebbe lasciato correre ancora un po’ di tempo, sperando che le servisse a svaporare e a rendersi conto che solo lui poteva renderla davvero felice, prima di farsi avanti di nuovo con lei. Ora si sarebbe concentrato, invece, su Charlene, sulla donna che aveva preso in moglie, cercando di darle tutto quanto poteva per compensarla di quanto le stava facendo, perché l’aveva sposata per riempire il vuoto gelido creato dentro di lui dall’assenza della donna che amava realmente.
- Andiamo.- le disse, pronto a recitare anche quell’atto di quella dolorosa pantomima.


§§§



Drew si stava godendo quel ricevimento di nozze molto più di quanto avesse immaginato.
Mentre faceva scivolare le mani sulla vita di Abby, stringendosela contro quanto la decenza nei confronti di un pubblico gli permettesse e chinava la testa per baciarla ancora e ancora, si appuntò mentalmente di fare in modo di ballare più spesso con lei, possibilmente quand’erano da soli nella loro casa, visto che erano riusciti a creare attorno a loro un’atmosfera così intima e languida, da indicare come finale per loro due solamente la camera da letto. Peccato che in quel momento non potesse fare niente di quello che voleva davvero e si rese conto che, forse, quello era l’unico neo nel suo piano altrimenti perfetto, considerò mentre sentiva le forme morbide del corpo della sua fidanzata, modellarsi voluttuosamente contro le proprie.
Quando la musica si fermò, Drew si staccò svogliatamente dalla bocca Abby, però non si allontanò molto da lei: le passò un braccio attorno alla vita e la tenne contro di sé, lei semplicemente lo lasciò fare e si poggiò mollemente contro il suo fianco, le dita della sua mano destra intrecciate a quelle della mano che lui teneva sul suo fianco. Approfittando di quel momento di stasi, il federale si guardò intorno e a stento riuscì a non mettersi a ridere, quando trovò il suo obbiettivo. I due novelli sposi si trovavano poco lontani da loro, si stringevano mano nella mano ed entrambi stavano guardando nella loro direzione. Drew non riuscì del tutto a soffocare la risata che gli stava gorgogliando in gola, quando fece scorrere lo sguardo sul tenente Moore: la dolce sposa era rigida come se avesse ingoiato un manico scopa, ma la parte migliore era la sua espressione oltraggiata e inviperita, con le sopracciglia aggrottate e la bocca, lucente per quel terrificante rossetto rosso che portava, contratta in una smorfia contrariata. Sembrava sul punto di implodere. Quella era una reazione impagabile e sperava che il fotografo la immortalasse in quello stato: allora avrebbe dato qualsiasi cosa per vedere la faccia del tenente quando, sfogliando l’album per controllare che tutto fosse stato fatto secondo i suoi ordini, si sarebbe trovata davanti una sua foto con quell’espressione in viso, come se avesse appena bevuto un succo di limone acerbo e senza zucchero. Il tenente Moore avrebbe di sicuro conservato un vivido ricordo delle sue nozze, ma non sarebbe stato necessariamente piacevole, come dimostrava l’espressione di furia che stava reprimendo a fatica.
Tossicchiando per nascondere lo sbuffo di risata che non riusciva più a tenere sotto controllo, Drew rivolse la sua attenzione a Benedict e, dal modo in cui lo stava fissando, sembrava essere sul punto di azzannarlo alla gola: vederlo in quello stato per causa sua, era ancor più inestimabile dell’espressione che campeggiava sul viso della sua dolce metà. Proprio per questo, non riuscì a resistere all’impulso di provocare ancora un altro po’ quel babbeo, di fargli vedere cosa si era perso a comportarsi come l’emerito idiota che era stato. Ma più di ogni altra cosa, Drew voleva che quel mentecatto la smettesse di essere così ostinato e capisse finalmente che Abigail non era più disponibile: non lo era mai stata prima, in realtà e ora lo era meno che mai. Il federale fece scorrere ancor più in avanti la mano con cui stringeva il fianco della sua fidanzata, percorrendole l’addome e andando poi a chiudere le dita sull’altro fianco, stringendole così la vita in abbraccio e, quindi, dopo averle messo sotto il mento le dita piegate della mano libera e alzato il viso verso il suo, Drew la baciò. Un bacio tanto breve quanto intenso e che le fece diventare le gambe molli. Dopo e per un lungo istante, lui e Abby si ritrovarono a rivolgersi uno sguardo innamorato e a sorridersi a vicenda, entrambi avevano scritto in viso quanto desiderassero essere a casa loro, in quel momento.
Drew si girò a guardare il punto in cui ancora si trovavano i due sposini e, questa volta, non riuscì proprio a non mettersi a ridacchiare: l’espressione del tenente Moore era diventata ancora più acida e furibonda, mentre il carissimo Benedict lo stava fissando con la rabbiosa impotenza di chi sa che, almeno per il momento, non può fare nulla di quello che desidera fare per davvero. L’attimo dopo, Drew vide Charlene, con uno strattone molto poco gentile, fare segno al marito di seguirla fuori dalla pista da ballo.
Drew aveva il sospetto che Benedict non si sarebbe mai arreso con Abigail, nemmeno davanti alla più nitida evidenza dei fatti. La sua unica consolazione era che, anche se purtroppo solo per il momento, era riuscito a mettere una pietra sopra le ambizioni che il novello sposo nutriva verso la sua fidanzata. Forse era riuscito anche a mettere una momentanea pietra sullo stesso sposo e a essere tranquillo per un po’ di tempo.
Peccato che si trattasse solo di pietre metaforiche e non reali.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Domenica - Part IX ***


Salve salvino gentili lettori e lettrici ^_^ Rispunto dopo un altro mostruoso ritardo nell’aggiornare, ma a mia discolpa posso dire che, oltre alle vacanze natalizie con parentado allegato, ci sono stati un paio di ship che mi hanno un po’ monopolizzato. Comunque, ritornando al nostro amato tenente Moore, confesso che con questo capitolo mi ha davvero fatto impazzire: siamo arrivati a un momento clou dei ricevimenti matrimoniali e ho dovuto fare un bel po’ di ricerche su siti per spose e su google immagini per poter accontentare i gusti raffinati e gli alti standard qualitativi di Charlene _ _’’’ Per il resto, la nostra adorabile sposina darà il meglio (o il peggio, dipende dai punti di vista ^^’’’) di sé anche in questo capitolo. Ringrazio: BlackCobra e Harryet che hanno lasciato un commento allo scorso capitolo. Ringrazio: BlackCobra, Harryet e perlanera che hanno inserito questa long tra i preferiti. Ringrazio: dasli22, hurry, orny81, RedMoon_, romy2007, Selvaggia Egle e vallinda che hanno inserito questa long tra i seguiti. Ringrazio tutti coloro che hanno anche solo letto e tutti coloro che leggeranno e/o lasceranno un commento a questo capitolo.
Adesso la smetto di chiacchierare e vi lascio alla lettura, al prossimo capitolo gente \O/


Domenica – Parte IX

Ancora mano nella mano con Ben e decisamente impaziente, Charlene osservava i due camerieri, che erano stati assegnati a quell’operazione dal direttore di sala del ristorante dell’hotel, preparare il più speditamente possibile il tavolo su cui sarebbe stata appoggiata la sua torta di nozze. Era così snervante dover attendere che quelle due lumache facessero un lavoro tanto semplice e lo era ancora di più all’idea che, per causa loro, lei stava facendo una figura barbina con il capitano e sua moglie: una volta tornata dal suo viaggio di nozze, si sarebbe occupata anche di quei due, non solo di Lehmann e dell’idiota con cui s’accompagnava. E pensare che aveva progettato fin nei minimi particolari quel momento: dagli altri matrimoni a cui era stata invitata, aveva appreso che il classico taglio della torta si trasformava, immancabilmente, in un momento in cui alcuni invitati facevano insensati scherzi agli sposi, che aveva come unico risultato quello di rendere grotteschi sia gli uni e che gli altri. Per questo, Charlene era stata fermamente determinata a evitare che tali ridicolaggini andassero a macchiare anche il suo matrimonio (al ricevimento di nozze di Sharon, una delle sue amiche intime del liceo, i due testimoni del marito avevano regalato alla sposa un fallo di cioccolato e due tavolette di cioccolato al latte su cui erano stati riprodotte, con decorazioni in cioccolato bianco, alcune posizioni del kamasutra: non appena li aveva visti, Sharon aveva iniziato a emettere urletti striduli, tre le risate generali. Lei, al contrario, non riusciva a trattenere un moto di ribrezzo ogni volta che ricordava la grettezza di quella scena) e aveva pensato al taglio della torta come a un momento sobrio, di classe ed eleganza, che andasse a esaltare lei e la sua raffinatezza, come del resto aveva fatto e avrebbe dovuto fare ogni singolo dettaglio di quella giornata così particolare.
Charlene represse a stento l’impulso a mettersi a battere un piede sul terreno, perché quei due deficienti dei camerieri sembravano essere davvero decisi a mettere alla prova la sua pazienza: dopo aver spostato un tavolino rettangolare al centro del giardino, lo avevano ricoperto con una tovaglia lunga fino a terra e di lucido raso rosa antico, in mezzo al quale doveva essere posta la torta su un piccolo piedistallo di legno laccato di nero. Peccato che il meraviglioso dolce che aveva scelto non fosse stato ancora esposto agli sguardi ammirati degli invitati, perché quei due impediti stavano ancora costruendo la piramide di coppe per lo champagne – erano arrivati appena a metà della torre – sopra il lato destro del ripiano. Se Charlene ripensava a tutta la fatica che aveva fatto per trovare una torta nuziale che fosse all’altezza sua e del suo ricevimento, le veniva voglia di mettersi a urlare, perché quei due ebeti stavano rischiando di vanificare tutti i suoi sforzi: sentiva gli invitati, che si trovavano alle sue spalle, parlottare tra loro, probabilmente commentando quella vergognosa attesa a cui li stava costringendo… e non voleva nemmeno pensare che tra di loro c’erano pure il capitano e Liza. La colpa di tutto quello era di Lehmann, sua e del bamboccio con cui era venuta al suo matrimonio: se quei due non si fossero messi a pavoneggiarsi in quel modo mentre ballavano, se non si fossero messi in mostra in quel modo indecente davanti agli invitati, lei non avrebbe reagito in modo così repentino e imprevidente, ma i due rintronati dei camerieri avrebbero avuto tutto il tempo di lavorare, mentre loro si divertivano.
Quella era un’altra delle cose che avrebbe inserito all’istante nella sua infinita lista nera e per cui la carissima Abby avrebbe pagato un conto salatissimo. Come meritava, d’altronde. Charlene avrebbe fatto in modo che Lehmann rimpiangesse finanche il giorno in cui aveva deciso di venire a lavorare nel dipartimento di Sioux Falls, con quello che le avrebbe fatto: non avrebbe avuto nessuna pietà. Finalmente i due camerieri finirono la piramide di coppe e si diressero verso l’entrata dell’albergo, per poter prendere la torta dal frigo del ristorante e portarla all’esterno. Charlene non vedeva l’ora di ritornare al posto che le spettava, ovvero sotto gli sguardi carichi di meraviglia degli invitati, per dare mostra ancora una volta di più della sua bellezza e dalla sua grazia. I camerieri tornarono con la torta nuziale e, mentre partiva dagli invitanti un applauso scrosciante, la deposero delicatamente sul piedistallo, che era già stato predisposto sul tavolo. La sposa osservò il dolce con soddisfazione, perché era davvero degno dell’apprezzamento che stava ricevendo dagli invitati. Infondo era stata lei a sceglierlo: non poteva certo essere altrimenti. La torta nuziale era stata una delle prime cose che aveva scelto. Se avesse potuto, sarebbe andata da sola a sceglierla e ordinarla nella migliore pasticceria della città, ma sua madre aveva insistito che coinvolgesse anche Ben, perché dopotutto lui era sempre lo sposo e doveva dargli delle responsabilità, non poteva pretendere che facesse tutto lei. Sua madre si era trovate in una di quelle sue fasi in cui non sentiva le ragioni di nessun altro, oltre le sue ed era riuscita a prenderla per sfinimento e a convincerla a portarlo con sé all’appuntamento col maestro pasticcere. Alla fine aveva avuto ragione lei, a non volerlo coinvolgere a priori. Al solito, Benedict aveva dimostrato che lui e il buon gusto viaggiavano su binari paralleli e che non si sarebbero mai neanche sfiorati, visto che si era subito invaghito di una torta che sarebbe stata bene solo al compleanno per i sedici anni di un’adolescente dai gusti terribilmente kitsch: un dolce a tre strati di misura decrescente man mano che si procedeva verso l’alto, rivestiti di pasta di zucchero verde scuro, su cui erano stati applicati dei fogli di cioccolato ricoperto di colorante dorato, a formare delle decorazioni romboidali che, sul piano più basso e, quindi, che era anche il largo, erano semplici linee dorate incrociate a formare una simile trama e si infittivano sul secondo piano, dove erano dei veri e propri rombi accostati l’uno all’altro, lasciando l’ultimo e il più piccolo strato privo di decorazioni dorate. Certo, era sempre meglio della torta a piani sbilenchi color bronzo e pesca, che brillavano come se fossero ricoperti di brillantini, che Benedict aveva adocchiato dopo che lei aveva bocciato e senza possibilità di negoziazione, il primo dolce. Se non fosse intervenuta in prima persona, Charlene nemmeno osava pensare a cosa si sarebbe trovata davanti per il giorno del matrimonio.
La torta nuziale che lei aveva scelto, invece, era di tutt’altro livello. Non era solo bella da vedere, ma anche di classe e si inseriva nel delicato mosaico del suo matrimonio, formando un unico, armonioso quadro. Il dolce in questione era formato da cinque piani, rappresentazione dell’infinito, rivestiti di pasta di zucchero bianco ghiaccio che era stata disposta su ogni strato come se questo fosse avvolto da un piccolo drappo, completo di pieghe e scivolava sempre un po’ oltre il bordo. Ogni velo era fermato sul bordo del piano superiore con cinque rose, sempre fatte con la pasta di zucchero, di colore bianco con il bordo di ogni petalo sfumato appena di rosso, prima di continuare verso lo strato successivo. Tutta la composizione terminava sopra il quinto piano, che era anche il cilindro di pan di spagna più piccolo, dove era stata posta una coppia di colombe affrontate, scolpite anch’esse con la pasta di zucchero, una delle quali, che sarebbe dovuta essere il maschio, teneva le ali aperte ai lati del corpo e tese appena verso l’altro uccello, come se volesse abbracciarlo. La sua torta era di sicuro impatto visivo, senza dimenticare che trasmetteva anche un’aura di romanticismo e rendeva bene la loro immagine di coppia innamoratissima.
Charlene represse a fatica un ghigno, al pensiero che, in quel momento, anche Lehmann stava ammirando a bocca aperta la sua torta nuziale, consapevole che, quando sarebbe stato il suo turno, non sarebbe mai stata in grado di mostrare ai suoi invitati una tale meraviglia e per due motivi: per prima cosa, aveva un gusto che rasentava l’orrido, quindi non sarebbe mai riuscita a presentare qualcosa che fosse, anche solo lontanamente, di classe e poi il maestro pasticcere che aveva realizzato quella torta era un nome nel suo campo ed era sua ferrea norma non realizzare mai due dolci uguali. La sposa dovette ammettere che la sua scelta era ricaduta su di lui anche per quel motivo, perché così nessuno avrebbe mai potuto copiarla e la sua torta sarebbe stata per sempre stupendamente unica e ripetibile.
- Forza, forza. Andate dietro il tavolo.- Rosemary ordinò loro, indicando il tavolino con gesti bruschi delle mani e cercando di usare un tono basso, in modo che soltanto i due sposi la udissero e fallendo miseramente, visto che la voce le era uscita abbastanza alta che gli invitati più vicini l’avevano sentita ugualmente.
Charlene non riuscì proprio a evitare di piegare le labbra in una smorfia che trasudava tutto l’imbarazzo e la stizza che stava provando in quel momento, a causa di quegli atteggiamenti popolareschi della madre. Ma si ricordava ancora che, tra gli invitati, c’erano anche il capitano e la moglie? Che cosa avrebbero pensato di lei vedendola comportarsi in quel modo? Che era cresciuta in una casa di zotici, com’era quella di sua cugina Violet? Avrebbe dovuto intervenire presto e smussare quel lato del carattere di sua madre, considerò la sposa con un cipiglio irritato. Charlene espirò lentamente dal naso, cercando di calmarsi perché doveva ritrovare il suo sorriso più radioso, che il fotografo avrebbe immortalato, scattando loro tutta una serie di foto mentre tagliavano la loro torta di nozze e mostravano a tutti quanto fossero felici e innamorati. Poteva già sentire le persone che le avrebbero viste, elogiare la sua bellezza e grazia e quale delizioso quadretto formava con Ben. Fermandosi a riflettere su questo punto, si disse che, magari, avrebbe anche potuto regalare una di quelle foto, contornata con una cornice di argento finemente decorata, a Liza: era sicurissima che avrebbe apprezzato moltissimo il suo dono e l’avrebbe esposta su una delle mensole del salotto di casa, forse proprio accanto alla bomboniera del suo matrimonio.
Riemergendo da quelle piacevoli prospettive a occhi aperti, Charlene trascinò Benedict dietro il tavolo e così sperando che la madre smettesse quegli atteggiamenti inopportuni, che stonavano nella classe generale del suo matrimonio. Una volta che furono al posto che era stato indicato loro da Rosemary, una accanto all’altro e dietro la torta, la sposa notò con sollievo che la madre si era infine calmata ed era ritornata al suo posto accanto al marito. Charlene ebbe appena il tempo di notare questo particolare, che tutti gli invitati iniziarono ad applaudire e inneggiare agli sposi e il pensiero che tra di essi si trovasse anche Lehmann e che anche lei la stesse acclamando, fece diventare più abbagliante il suo sorriso. E rendeva tutto ancora più dolce di com’era di suo. Sentendosi di nuovo al centro dell’attenzione degli invitati, la protagonista indiscussa di quella scena che aveva curato fin nei minimi dettagli per mesi, il tenente Moore si rese conto una volta di più di quanto le convinzioni della sorella fossero puerili e ridicole. Mentre discuteva con la madre su come desiderava che sarebbe stata la sua torta nuziale, Veronica se n’era uscita con un’altra delle sue balzane idee alternative: per il suo matrimonio aveva deciso che non ci sarebbe stata nessun dolce nuziale, ma avrebbe fatto preparare per ogni invitato una mini torta, formata da due cupcake impilati uno sopra l’alto, la base più grande e il piano superiore più piccolo, rivestiti di pasta di zucchero bianca decorata con fiorellini di color glicine fatti con lo stesso materiale. La sua sorellina detestava l’idea di trovarsi sotto i riflettori – e visto il suo aspetto mediocre non poteva darle completamente torto su questa sua fisima – e aveva pensato che questo fosse un’alternativa divertente al classico, e nel suo caso tragico, momento del taglio della torta. Quando l’aveva sentita esporre questa sua ennesima bizzarria, Charlene non era riuscita a credere a tanta stoltezza: come poteva, Veronica, anche soltanto pensare di poter rinunciare a un momento del genere, in cui tutti gli occhi erano puntati su di lei e tutti pendevano dalle sue labbra, attendendo col fiato sospeso di vedere quello che avrebbe fatto? Ma, cosa ancora più importante, come poteva credere che gli invitati sarebbero stati pienamente soddisfatti con un paio di tristi cupcake, invece che con una succulenta torta che non era solamente meravigliosa da vedere, ma anche incontestabilmente squisita? A volte il tenente Moore si domandava davvero cosa aveva mai fatto nella sua vita, per essersi meritata come sorella una simile sciagura, che, tra l’altro, non si rendeva conto che, con le sue scemenza controcorrente, trascinava nell’imbarazzo pure lei?
Charlene scosse appena la testa per scacciare quelle facezie, dando l’impressione come se stesse scacciando dalla fronte un ricciolo ribelle che era sfuggito dall’acconciatura, cercando di nascondere l’esasperazione che provava nei confronti della sorella visionaria e irragionevole che si era ritrovata e di ritornare a concentrarsi su ciò che stava accadendo attorno a lei, cosa per altro molto più importante delle assurdità con cui Veronica si era riempita la testa. Mentre il fotografo faceva loro segno di avvicinarsi e mettersi in posa per scattare una foto, il tenente Moore ne approfittò per fare una panoramica degli ospiti e sondare le loro emozioni rispetto a quel momento: sua madre li stava guardando con gli occhi colmi di lacrime che, di tanto in tanto, tamponava con il bordo di un fazzoletto, mentre il padre stava sorridendo nella loro direzione ma con quell’espressione stralunata che aveva ogni volta che la sua attenzione era attratta da quelle stramberie da intellettualoide con cui amava riempire il suo tempo libero; Veronica invece se ne stava in disparte, imbronciata e incupita e, di sicuro, dolorante perché era la prima volta che indossava dei tacchi così alti e per una giornata intera, pensò la sposa cercando di soffocare un sorrisino compiaciuto perché, per quanto riguardava la sua sorellina, quel giorno era stato parecchio produttivo, visto che era riuscita a ricordarle chi era quella che comandava tra di loro era e sarebbe sempre stata lei. Fece scorrere lo sguardo oltre e una smorfia disgustata le arricciò per un attimo le labbra quando vide che nemmeno in quel momento Lehmann e l’agente Kemble avessero trovato la decenza di staccarsi un po’ l’uno dall’altro e parlottavano fitto tra loro: l’intrigante agente del GBI stava dicendo qualcosa alla sua insulsa metà mentre le indicava la sua torta e quello scarafaggio di Lehmann gli rispondeva ridendo, senza staccare gli occhi da essa. Una vampata di rabbia attraversò la sposa da capo a piedi al solo pensiero che stessero ridendo del dolce: sei quella coppia di inebetiti aveva la spudoratezza di mettersi a criticare la sua bellissima torta nuziale, la tempesta con cui aveva giurato di investirli per averle rovinato il suo grande giorno, sarebbe parsa loro solo una leggera e piacevole brezza, al confronto di ciò che gli avrebbe fatto allora.
- Discorso!- gridò Rosemary dopo che il fotografo ebbe scattato un’altra foto agli sposi, strappandola ai suoi foschi pensieri di vendetta.
Charlene si guardò intorno con un sorriso pago, mentre gli invitati si univano mano a mano alla richiesta di sua madre e si disse che quello era un ottimo momento per fare ancora una volta bella mostra di sé agli occhi del capitano e della moglie: doveva sfruttare al meglio ogni occasione che le si presentava, anche quella che pareva essere la più banale, se voleva fare la sfolgorante carriera che aveva sognato da sempre per se stessa. Anche se quella volta il capitano era totalmente dalla sua parte, Savannah era soltanto un misero distretto provinciale appena più grande di Sioux Falls e, a causa di questo, non era assolutamente all’altezza delle sue alte ambizioni: era nient’altro che un trampolino di lancio che l’avrebbe portata al comando di un distretto di una città veramente importante, di quelle che contavano davvero e che erano conosciute ovunque. In nome di tutto ciò e della sua carriera, Charlene si armò del sorriso più dolce e delicato del suo repertorio e, dopo che ebbe assunto un’aria compita e profondamente emozionata, incominciò il suo discorso decisa a usare tutte le sue doti da affabulatrice per fare un altro passo avanti nelle grazie del suo superiore.
- Io e Benedict siamo profondamente grati a tutti voi per essere intervenuti qui oggi: questo è il giorno più importante della nostra vita e avervi accanto, avere vicino tutte le persone a cui teniamo di più è il regalo più grande che potessimo avere. – la sposa si fermò un attimo, battendo le palpebre un paio di volte, come per ricacciare indietro le lacrime per non scoppiare a piangere e deglutendo, come se stesse facendo di tutto per evitare alla commozione del momento di sopraffarla – Scusatemi. – disse poi e la voce le tremò un pochino, Benedict portò la sua mano, che ancora stringeva con la propria, alle labbra per baciarne il dorso e farle coraggio facendole sentire la propria vicinanza e lei si girò verso di lui per ringraziarlo con un piccolo sorriso. Un applauso partì spontaneo dagli invitati e il sorriso della sposa, nel ritornare a girarsi verso di loro, si fece più radioso – Grazie, grazie di cuore a tutti voi per il profondo affetto con cui ci avete circondati oggi, rendendo per noi questo giorno, già così speciale di suo, ancora più prezioso. Non parlo soltanto dei nostri familiari a cui siamo legati da un’affezione profonda e reciproca, ma anche e soprattutto ai nostri amici che, partecipando a questa cerimonia, hanno dimostrato, più che con gesti evidenti, l’amicizia che provano nei nostri confronti. E, se Ben e voi tutti me lo permettete, vorrei rivolgere un grazie particolare al capitano Conrad e a Liza, sua moglie, che mi hanno fatto l’immenso onore di accettare l’invito al nostro matrimonio e, con questo piccolo, grande gesto che hanno compiuto nei miei confronti, hanno commosso infinitamente Ben e me. – Charlene si girò per guardare dritta negli occhi il suo superiore e la sua consorte – Grazie di cuore, davvero.- disse con un tono di voce intenso, che tremava appena per l’emozione che stava cercando di trattenere.
Un applauso scrosciante partì di nuovo dal gruppo degli invitati e Charlene riuscì a stento dal trattenersi dal mettersi a fare la ruota di pavone, compiaciuta come non mai nell’avvertire tutto quell’apprezzamento per il suo discorso e nei suoi confronti. Come avrebbe voluto vedere la faccia di Lehmann in quel momento e rendersi conto con i propri occhi di quanta invidia stesse provando nei suoi confronti, perché era stata così abile da riuscire a catalizzare l’attenzione generale su di sé grazie al suo discorso semplice, efficace e sentito, conquistando ancora più punti con il capitano e la moglie, mentre lei non sarebbe mai stata capace di fare una cosa simile. Girando il viso di lato, per celarlo agli invitati mentre fingeva di tamponare le lacrime che le inumidivano gli occhi e mostrare, così, un atteggiamento schivo e timido, la sposa per un attimo si concesse un rapido sorriso compiaciuto.
- Amore tagliamo la torta, ok?- Benedict disse e la sua voce era bassa e carezzevole.
Lui portò nuovamente la sua mano alla bocca e le lasciò un altro piccolo bacio sul dorso delle dita piegate e ancora intrecciate con le sue, appena uno sfioramento pelle contro pelle per richiamare la sua attenzione. La sposa si volse verso l’uomo che era appena diventato suo marito e gli sorrise in un modo che trasmettesse a chi li stava guardando quanto innamorata fosse di lui, perché era l’uomo che aveva era riuscita a strappare a Lehmann, quello che teneva ben fermo al suo fianco perché era come un trofeo, la testimonianza vivente di come era riuscita a battere la sua rivale, perché lui era l’unico uomo che voleva avere al suo fianco e a cui non avrebbe mai rinunciato. L’effetto sui presenti doveva essere stato decisamente ottimo, visto che immediatamente cominciarono a chiedere un loro bacio. Ben ricambiò il suo sorriso e, poi, si chinò su di lei e la baciò, solo un piccolo bacio a stampo, niente di troppo spinto, ma riuscì a strappare lo stesso versi deliziati alle signore presenti. Solo qualche settimana prima, Charlene si sarebbe domandata di quale tonalità di verde si era colorata la pelle di Lehmann nel vederla baciare Benedict, ma visto che ormai anche quello scarafaggio si era trovata (e il come avesse fatto, trascendeva le sue facoltà razionali) un bellimbusto e sembravano ben decisi a passare il tempo a sbaciucchiarsi come due adolescenti imbarazzanti, era abbastanza sicura che quella scena le avrebbe fatto effetto solo perché, quella volta, sotto i riflettori non c’era più lei e non poteva soddisfare le sue manie di protagonismo, come aveva fatto prima sulla pista da ballo.
Dopo il bacio, gli sposi impugnarono insieme il manico finemente decorato a sbalzo di un coltello d’argento e con esso tagliarono la classica, simbolica prima fetta della torta nuziale, mentre il fotografo continuava a far loro una foto dietro l’altra, in una cascata di clic e flash. Charlene pensò che era un peccato distruggere un capolavoro simile, tuttavia si consolò pensando che comunque era stata immortalata in una fotografia e con essa avrebbe continuato a fare invidia alle sue amiche e colleghe che non erano potute venire al suo matrimonio. Mentre finivano di tagliare la fetta di dolce, il tenente Moore pensò che avrebbe potuto mandare una foto della sua torta (mascherandola magari in una cartolina ricavata da una fotografia in cui c’erano anche lei e Ben insieme al dolce) a Mikaela, una collega di quando aveva lavorato a Miami, con cui aveva legato fin da subito (forse perché le ricordava molto Celia e le amiche che aveva frequentato quando andava al liceo) e con cui, anche dopo il trasferimento, era rimasta in ottimi rapporti. L’amica si era sposata due anni prima, con un avvocato dell’ufficio della procuratore (anche lei lo conosceva bene, perché avevano lavorato a stretto contatto spesso: era un tipo carino, sempre curato nel vestirsi e nel presentarsi, educato nei modi e così bravo nel suo lavoro da avere ampie prospettive davanti a sé, si vociferava anche che nel giro di pochi anni sarebbe stato promosso lui stesso procuratore) e, poiché era stata così carina da invitarla, era andata al matrimonio insieme a Benedict. La cerimonia era stata molto semplice e graziosa, ma niente a che vedere con la raffinatezza della sua, peccato che il tutto fosse stato rovinato dalla torta: una mostruosa torre di dodici piani di pan di spagna, ognuno separato dall’altro e appoggiato sul ripiano tondo di un struttura di sostegno come se fosse una torta a se stante, con i bordi ricoperti di granella di nocciole e la parte superiore spalmata di panna e con ciuffi della stessa sostanza disposti lungo tutta la circonferenza, mentre la superficie era ornata con la scritta “Viva gli Sposi” con una gelatina che a tratti era verde e a tratti rossa e, più sotto, erano stati disegnati con la polvere di cacao due cuori intrecciati; ricordava perfettamente che il pan di spagna era così impregnato di rum e umido, che bastava pressarlo appena un po’ con la forchetta che il liquore scorreva fuori in rivoli: era sottinteso che lei non si era arrischiata nemmeno ad assaggiare una briciola di quella schifezza. Charlene per poco non si era sentita male davanti a tutto quel pessimo gusto e alla faccia tutta orgogliosa della sua amica per quell’orrore: era alquanto convinta che, spedendole una copia di una fotografia di loro due con la torta, la sua amica avrebbe finalmente compreso cosa fosse davvero il buon gusto e quale infima figura avesse fatto al suo matrimonio con quella torta faraonica e assolutamente kitsch… per poi rodersi il fegato nel rendersi conto, col confronto che ne sarebbe inevitabilmente seguito, quanto invece la sua torta fosse sobria, elegante e un perfetto ornamento del suo perfetto matrimonio.
Dopo un’altra rapida serie di foto scattata mentre gli sposi versavano lo champagne a cascata dalla bottiglia e sulla torre di coppe di cristallo, per riempirle e avere accettato i calici che il cameriere aveva recuperato per loro dalla cima della struttura (con una cautela esagerata, forse perché avvertiva su di sé lo sguardo da falco della sposa che scrutava ogni suo gesto, anche il più piccolo, per vedere se faceva qualcosa di sbagliato), Ben e Charlene brindarono all’inizio di quella nuova vita insieme. Una vita che, a ogni giorno trascorso, sarebbe stata assolutamente perfetta, pensò la sposa mentre beveva un sorso di champagne, in un impeto d’orgoglio. Adesso che aveva conquistato il capitano e sua moglie e li aveva ambedue portati dalla sua parte, il tenente Moore si sentiva come se tutti i suoi sogni e le sue aspirazioni fossero a portata della sue mani. Lei era una donna troppo concreta e razionale per perdersi dietro di deliri romantici con cui le altre donne ricoprivano il matrimonio: per lei era soltanto un’altra tappa della vita sociale di una persona, per poter vivere e integrarsi totalmente nel gruppo di persone che la circondavano. Era semplicemente qualcosa che tutti si aspettavano che facesse, perché era qualcosa che quasi tutte le donne facevano e che le apriva porte che ai single erano precluse. Inoltre, agli occhi degli altri e soprattutto dei suoi superiori e di coloro che dovevano decidere delle sue promozioni, il fatto che fosse sposata denotava una stabilità emotiva e un forte equilibrio mentale, visto che esisteva qualcuno che era disposto a starle accanto per tutta la vita. Questa differenza tra donne sposate e single era un qualcosa che rientrava nell’immaginario della società (anche da single, infatti, lei era stata una funzionaria affidabile, diligente e incline a lavorare sodo, proprio come lo era stata da quando Benedict era entrato nella sua vita), ma, visto che quella visione faziosa del mondo andava a suo vantaggio, che male c’era ad assecondarla? A quel pensiero, Charlene nascose un sorriso compiaciuto dietro il bordo della coppa, da cui bevve un sorso di champagne e lo assaporò come se fosse il dolce nettare della vittoria che già sentiva di stare stringendo tra le dita.
Una vittoria a cui sarebbe seguita sicuramente la sconfitta definitiva di Lehmann.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3086270