University life.

di Betta7
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Persa. ***
Capitolo 2: *** Mutandine. ***
Capitolo 3: *** Diversa. ***
Capitolo 4: *** Progetto. ***
Capitolo 5: *** Rivelazioni. ***
Capitolo 6: *** Gossip. ***
Capitolo 7: *** Fantasmi dal passato. ***
Capitolo 8: *** Amici. ***
Capitolo 9: *** Obbligo o verità? ***
Capitolo 10: *** Totalmente e profondamente. ***
Capitolo 11: *** Just so you know... ***
Capitolo 12: *** Spalla su cui piangere. ***
Capitolo 13: *** La prima. ***
Capitolo 14: *** Confessioni. ***
Capitolo 15: *** You're beautiful. ***
Capitolo 16: *** Ti voglio. ***
Capitolo 17: *** Il meglio per te. ***
Capitolo 18: *** San Valentino. ***
Capitolo 19: *** Nuove prospettive. ***
Capitolo 20: *** Ps. I love you ***
Capitolo 21: *** Lontani. ***
Capitolo 22: *** Ritorno a casa. ***
Capitolo 23: *** Precipitare, insieme. ***



Capitolo 1
*** Persa. ***


CAPITOLO 1
PERSA
 
Pov Sana.
 
 

Ero scappata, ancora una volta. Ero scappata dalla mia vita e non me ne vergognavo. Avevo diciotto anni e tutta la mia esistenza mi aveva portato solo sofferenza. Tanta fama indubbiamente,visto che il mio lavoro di attrice di quella me n’aveva data abbastanza, a volte anche troppa, ma anche tanta sofferenza. Naozumi Kamura mi aveva spezzata il cuore, dopo tre anni e mezzo aveva magicamente deciso che la nostra storia non era abbastanza solida per poter continuare. Che significa poi che una storia deve essere solida? Io credevo che tutto si riducesse all’amore, che senza quello niente sarebbe potuto andare bene. Eppure Naozumi mi aveva dato come spiegazione un semplice ‘Ti amo, ma non possiamo stare insieme!’.
Non mi aveva più risposto alle chiamate, aveva cestinato i miei messaggi e ignorato le mie e-mail. Ad un certo punto avevo smesso di provare a contattarlo e, dopo un po’, avevo smesso proprio di esistere per lui. Fino ad allora c’ero riuscita abbastanza bene, non avevo di certo intenzione di farmi rovinare la mia esperienza universitaria dalla rottura con Naozumi Kamura.
Avevo scelto di eliminare per un po’ dalle mie priorità il mio lavoro: avevo soldi a sufficienza per pagare i miei studi, specializzazione inclusa, e per vivere serenamente per almeno cinque o sei anni dopo la fine dell’università. Insomma, non avrei dovuto preoccuparmi di lavorare per i successivi quindici anni. Alla mia età quasi nessuna star possedeva così tanti soldi ma dovevo ammettere che la mia carriera era stata piuttosto brillante. Fino ad allora, quindi, avrei studiato, mi sarei laureata, avrei rivoluzionato il mio mondo e sarei stata felice. Si, questo era il mio programma.
Ero arrivata al dormitorio dopo aver guidato per circa due ore verso la mia facoltà con in sottofondo ‘Accidentally in love’ dei Counting Crownes. Altro che ‘ accidentalmente in amore’, ci ero caduta con tutte le scarpe e pure di mia spontanea volontà. Sistemando la mia roba riflettevo un po’ sulla mia relazione con Kamura: eravamo due bambini quando ci spiavamo di nascosto dai camerini dei vari sceneggiati che interpretavamo insieme e siamo diventati grandi tra le mura di quegli studi televisivi che hanno conosciuto fin dall’inizio quello che io credevo fosse amore. Un vecchio proverbio diceva “Se qualcuno smette di esserti amico, allora significa che non lo è mai stato!”. Col tempo avevo capito che questo detto era applicabile anche ai fidanzati: se mi ha lasciato non era amore e di questo ero più che sicura.
Ma se avessi dovuto dare retta a tutti i proverbi e gli avvertimenti che anche mia madre si preoccupava di mettermi davanti allora non avrei mai vissuto nulla di tutte le cose meravigliose che Naozumi mi aveva fatto provare. Nulla che va oltre, ovviamente, ero ancora come mia mamma mi aveva fatta e di questo ero contenta: se fosse stato con Naozumi me ne sarei pentita e sicuramente sarei stata molto più male. Non che in quel momento sprizzassi felicità da tutti i pori ma almeno avevo la soddisfazione di non averla data al primo che mi aveva riempito di parole dolci e quelle, con Naozumi, non mancavano mai.
Qualche volta Naozumi me l’aveva anche chiesto ma io avevo sempre sviato il discorso; capivo benissimo quanto fosse infastidito ma ogni volta riuscivo a farmi perdonare con qualcos’altro. Era questo che mi piaceva di più di Naozumi: non sapeva arrabbiarsi con me e soprattutto non sapeva resistermi.
Mentre ero immersa nei miei pensieri e, soprattutto, nei miei vestiti la porta sbattè improvvisamente e nella stanza si fiondò una ragazza che avevo visto la prima volta che avevo fatto visita all’università: il giorno delle matricole. Che brutta parola è ‘matricola’, sembra quasi di essere diversi. Mi venne da pensare al liceo quando i ragazzi del primo anno, tra cui anche io, venivano chiamati 'quartini' perché frequentavano il quarto ginnasio. Poi, con gli anni, avevo dimenticato quanto fosse brutto essere etichettati in quel modo e anche io come gli altri avevo iniziato a riferirmi ai ragazzi più piccoli in quel modo.
La ragazza se ne stava zitta, imbarazzata da me probabilmente perché ero una celebrità; provai a parlarle ma l’unica risposta che ebbi fu un flebile ‘Piacere io sono..’ seguito da un nome che non riuscì a decifrare.
Dovevo ammettere che era proprio una bella ragazza, il totale opposto di me: alta, bionda e con gli occhi di uno stranissimo azzurro. Non era il solito celeste, somigliava piuttosto al colore che assumono le pietre sotto il mare, con tutte quelle sfumature sul turchese che ti lasciano senza parole.
Continuai a sistemare i miei abiti cercando di metterli in modo ordinato pur sapendo che il giorno dopo l’armadio sarebbe stato esattamente come non doveva essere: un completo disastro. Quando Arimi, la responsabile del dormitorio, venne a chiamarci per il raduno delle matricole finalmente la mia compagna di stanza parlò: «Scusami, ma tu sei Sana Kurata?» mi chiese nervosamente chiudendosi la porta alle spalle. Feci cenno di si, sorridendole per cancellare l’imbarazzo iniziale creatosi tra noi.
Cominciammo a conversare: era simpatica, non esageratamente spigliata come me ma, diciamolo, nessuno è perfetto.
Dopo averci spiegato le regoli generali del dormitorio, tra cui una che non capì ma a cui alla fine non diedi molto peso, andai in camera con Beth, così si chiamava la mia compagna di stanza, per prepararci alla festa di benvenuto per i nuovi arrivati.
Optai per un vestito a fiori semplicissimo e un paio di stivaletti sul beige senza tacco che mi avrebbero evitato un dolore atroce per i successivi tre giorni. Mentre aspettavo che Beth finisse di arricciarsi i capelli uscì in corridoio a vedere come procedeva la serata per le altre ragazze: la maggior parte era ancora indaffarata a prepararsi come la biondina in camera. Mi piaceva quella ragazza, nonostante l’approccio iniziale si era rivelata simpatica e socievole.
Beth uscì dalla camera con indosso un pantaloncino di jeans, un paio di stivaletti simili ai miei e questa lunga chioma di capelli biondi tutti arricciati. Era stupenda, non avrei potuto dire diversamente.
 
*
 

La festa procedeva calma: nessuna rissa, nessun ubriaco che ci provava spudoratamente, solo noi ragazze del dormitorio A facevamo un po’ di baldoria. Mentre chiacchieravo con Beth di quali corsi frequentasse oltre a quello di scrittura creativa che avevamo in comune si avvicinò a noi un gruppo di ragazzi. In prima fila un ragazzo moro, occhi scuri e un fisico che avrebbe spaventato chiunque. Dietro altri due molto simili a lui e infine, per ultimo, un biondino che attirò subito la mia attenzione.
Non feci in tempo a pensare che mi ritrovai quei ragazzi accanto intenti a chiedermi un autografo. Tutti tranne il biondino interessante. Chiesi i loro nomi e scrissi gli autografi sorridendo, ormai avevo imparato ad essere gentile con i miei fans, anche con chi non mi stava proprio molto simpatico.
Dopo che il gruppo ritornò da lui al bancone anche io mi avvicinai per prendere un drink e per staccarmi un po’ dalle ragazze che continuavano a farmi domande su Naozumi. Era così difficile capire che non avevo voglia di parlarne? A volte le donne, probabilmente anche io, sono terribilmente invadenti.
Ordinai una piňa colada e sorrisi al barista per farla arrivare velocemente. Era una tattica che usavo spesso e nonostante non ne capissi il motivo funzionava sempre.
« E’ forte la piňa colada, lo sai vero? ». Mi sentì osservata dall’altro lato del bancone: era il biondino a parlare.
« Reggo molto bene l’alcol.» risposi fredda. Dovevo ammettere che ero un po’ offesa e, d’altro canto stuzzicata, dal suo comportamento. Era stato l’unico a non interessarsi a me: bene o male tutti erano venuti a chiedermi qualcosa e a tutti avevo risposto alla stessa maniera, anche ai soliti sfigati che mi torturavano con mille domande.
« Dal tuo fisico non si direbbe, Kurata.» . Sorrise bevendo un sorso del suo drink. Sorrisi anche io cercando di non lasciar trapelare il mio fastidio.
«Non preoccuparti, mi conosco.» Presi il mio drink che nel frattempo era arrivato e tornai a posto dalle ragazze che cominciarono a riempirmi di domande.
«Quello è Akito Hayama, Sana.» mi sentì dire subito da Beth. Era arrivata nello stesso momento in cui ero arrivata io e conosceva già più gente di me? La cosa non andava affatto bene.
D’un tratto ricordai la terza regola del dormitorio: mai fare entrare Akito Hayama.
Addirittura una regola per tenere a freno quel bamboccio? Che assurdità. «Stai attenta, adesso che ti ha puntato non ti molla più.» disse un’altra ragazza di fronte a me.
Certo che erano facilmente disposte ad aprire le gambe lì se addirittura avevano messo una regola.
Decisi di non pensarci, quel ragazzo non avrebbe modificato di una virgola la mia permanenza all’università e se mai ci avesse provato avrei fatto io stessa in modo che non accadesse. Mentre giocavo a “ Non ho mai..” con le altre ragazze Hayama si avvicinò al nostro tavolo, prese uno shortino ed esclamò « Non ho mai.. ballato con una celebrità.» per poi mandarlo giù tutto d’un fiato.
Cos’era, un invito? Mi venne da ridere al pensiero che lui credesse mi sarei impressionata. Mi allungai per prendere un bicchierino.
«Non ho mai.. dato un calcio nella palle ad uno che le rompe con tanta insistenza.» Lo guardai e bevvi contemporaneamente. Mi sfidava? Io avrei accettato volentieri.
«Non ho mai.. rifiutato una sfida da una ragazza» . Il secondo shortino gli provocò sicuramente un solletico alla gola nonostante si vedesse che era abituato all’alcol.
«Non ho mai.. perso una sfida con un ragazzo.»
Tutti ci guardavano sconvolti per quel duello a base di vodka. Risi nel vedere le loro facce, cosa c’era di tanto strano? Poi sentì in sottofondo  delle ragazze che dicevano che Hayama non aveva mai prestato tanta attenzione ad una ragazza per più di dieci minuti se nel giro di quelli lei non si metteva in ginocchio per lui o accettava di portarlo nella sua stanza. Sarà anche stato così ma a me non importava: non avevo alcuna intenzione di mettermi in ginocchio davanti ad Hayama e che lui mi prestasse attenzione o meno non era il mio pensiero principale. Notai che ci pensò su prima di afferrare il successivo shortino.
«Non ho mai.. costretto una ragazza a ballare con me.» Certo, probabilmente erano proprio le ragazze a buttarsi ai suoi piedi e a supplicarlo di concedergli dieci minuti del suo prezioso tempo.
Risi, divertita dal gioco che si era instaurato nel giro di pochi minuti, e mi alzai per ordinare altri cinque bicchierini di vodka: il gioco cominciava a farsi interessante.
Lui voleva costringermi. Ma di sicuro, caro il mio Hayama! Immaginai che mille ragazze avrebbero voluto essere al mio posto: era bello, su quello nessuno poteva obiettare, ma cominciava in ogni caso a darmi la nausea.
Arrivarono gli altri cinque shortini e sia noi due che tutti gli altri curiosi venuti ad ammirare l’epico momento stavamo in silenzio. Mi alzai decisa a chiudere il sipario dello spettacolino e afferrai un bicchere.
«Non ho mai.. rifiutato un ballo da nessuno.». Lui sorrise, convinto che avessi proclamato bandiera bianca e che avrei accettato la sua proposta. Mi girai dopo due secondi e distrussi il suo momento di gloria.
«Ma c’è sempre una prima volta per tutto!». Me lo tolsi dai piedi così facilmente che le ragazze sedute attorno al tavolo rimasero a bocca aperta. Vidi Beth, accanto a me, ridere sotto i baffi per come avevo zittito quel presunto Dio dell’università. Se lui era il Dio dell’università io ero la Dea di tutto il mondo al di fuori di essa.
Feci per andarmene ma poi mi venne in mente un’altra cosa e tornai indietro, presi il bigliettino del conto e glielo porsi. A dire il vero non mi era ancora chiaro perché ad una festa universitaria bisognasse pagare il conto dei drink. Non avrebbe dovuto essere tutto offerto dal nostro caro rettore?
«Questo è tutto tuo!». Rimase sconvolto anche lui da tanto coraggio, probabilmente era abituato a ragazze stupide che non avrebbero mai fatto una cosa del genere per paura di non avere una possibilità con lui.
Girai i tacchi e mi diressi verso la pista da ballo assolutamente intenzionata a divertirmi. Beth mi seguì e insieme a lei anche alcune ragazze sedute al nostro stesso tavolo di cui ancora non avevo imparato i nomi.
Il disco suonava I know you want me di Pitbull e io mi muovevo a tempo scherzando con le ragazze che ballavano accanto a me. La musica mi entrava dentro, era da un secolo che non mi divertivo in quel modo e specialmente che non mettevo piede in una discoteca. Da quando il mio lavoro aveva preso una piega positiva, a volte anche troppo positiva, non ero più riuscita ad avere un momento per me o per le mie amiche: avevo perso quasi ogni contatto con le mie storiche conoscenze. Aya era stata accettata ad Harvard, l’università che aveva sempre sognato di frequentare, Fuka ovviamente aveva scelto Yale per il corso di legge migliore del mondo e per stare vicina a Takaishi, mentre Hisae aveva avuto uno sfortunato incidente di percorso col suo ragazzo e si era ritrovata a fare la mamma a diciassette anni. Il mio lavoro mi aveva tolto anche questo: la bellezza dell’amicizia, ecco perché non avrei permesso che interferisse ancora nella mia vita; avevo espressamente detto a Rei che non avrei lavorato per molto tempo e nessuno dei suoi imploranti discorsi erano serviti a cambiare la mia decisione. Tutto quello che volevo in quel momento era divertirmi e non pensare.
Naozumi, le mie amiche, la mia infanzia, mia madre.. erano solo alcune delle cose che la mia professione mi aveva costretto ad abbandonare.
Naozumi.. chissà che faceva. Se gli mancavo, se un po’ mi pensava. Mi rattristai per un momento per poi cercare di scacciare i cattivi pensieri e concentrarmi solo sulla musica che nel frattempo era cambiata.
Scream and shout, la mia canzone preferita. Ballavo incurante di ciò che accadeva alle mie spalle e quando me ne resi conto era troppo tardi. Due mani grandi, da uomo, avevano afferrato i miei fianchi e mi ritrovai un ragazzo, dire che fosse enorme era un eufemismo, che ballava contro il mio sedere convinto che ciò che stava facendo fosse fico. Provai un disgusto indicibile e cercai di staccarmi immediatamente ma con scarsi risultati. Mi avvicinai al suo orecchio e lui sorrise convinto che stessi per dirgli qualcosa di sconcio o di dolce, non sapevo quale fosse peggio.
«Il mio culo non è un appoggio per il tuo pene, lo sai vero?». Lui rise, probabilmente non capiva una parola di quello che stavo dicendo per le troppe canne della serata. Cominciai leggermente a spaventarmi, si stringeva sempre di più e tutti gli altri intorno sembravano non accorgersi di ciò che accadeva proprio sotto i loro occhi. Hei, Sana Kurata sta per essere violentata, a nessuno importa? Continuai a forzare per divincolarmi dalla sua presa ma non c’era niente da fare, ero troppo piccola per riuscire a staccarmi da quel bestione.
Mentre ancora ero impegnata a farmi prendere leggermente dal panico, improvvisamente non lo vidi più e smisi di sentire la presa sui fianchi, mi voltai e lo trovai per terra col labbro sanguinante.
Sorrisi alla vista di quel cretino che prima faceva lo spavaldo inerme come si meritava. Ciò che in realtà mi lasciò piuttosto scioccata fu chi aveva picchiato il bestione. Davanti a me Akito Hayama sorrideva come un bambino e si sistemava la camicia azzurra come se avesse appena vinto chissà quale premio. Sorrisi anch’io in segno di ringraziamento e mi voltai per dirigermi verso il mio dormitorio. Mi sentì di nuovo bloccare, che seccatura! Ma non avevano mai visto una ragazza?
Girandomi, però,  vidi che non era un ragazzo qualsiasi: era il tale Hayama che mi teneva per il braccio. Scoppiai a ridere divertita dalla situazione generale: la pista era diventata un cinema e a mancare erano solamente i pop-corn.
«Cos’è che ti diverte tanto?» mi chiese non capendo il motivo della mia così grasse risata. Pensai che fosse stupido, come faceva a non notare che tutti ci fissavano?
«Guardati intorno» risposi continuando a ridere. Lui fece come gli avevo detto e accennò un sorriso prima di attirarmi a se con forza. Mi allontanai leggermente ma non me ne andai perché nonostante tutto quel ragazzo mi attirava e poi, ammettiamolo, pur reggendo bene l’alcol ero piuttosto brilla. Non era un attrazione maliziosa, di storie finite male ne avevo avuto abbastanza con Naozumi e non avevo alcuna intenzione di ripetere l’esperienza a breve. Era attrazione, punto.
C’era qualcosa nel suo modo di fare, di parlare, di sorridere persino.
«Non vorresti concedermi nemmeno un ballo per ringraziarmi del salvataggio?» mi chiese avvicinando la sua bocca al mio orecchio. Nel frattempo il dj aveva cambiato disco, una serie di lenti risuonarono nella sala. Stranamente tutto era successo dopo che Hayama l’aveva guardato; coincidenze? Non credo proprio.
Sorrisi a quel pensiero, mi faceva proprio tenerezza. Pensava di poter cambiare la cattiva impressione che mi aveva fatto con un ballo? Non aveva idea di chi ero.
«Sto ballando, sei cieco?» risposi poco dopo. Ballavo, vero, ma non importava che mi avesse “salvato”, avrebbe potuto farlo chiunque e soprattutto se non fosse successo avrei trovato il modo di togliermi quel cretino di torno. O almeno lo speravo.
«Allora, la conosci la leggenda della vita, Kurata?». Il fatto che mi avesse chiamato per cognome mi fece piacere, almeno non si prendeva confidenze che non gli avrei concesso e mi risparmiava la fatica di doverglielo ricordare.
Scrollai la testa in attesa di risposta, notando con piacere che nel frattempo i curiosi avevano smesso di guardarci. «Illuminami.» dissi sarcastica infine, quando capì che non mi avrebbe spiegato se non gliel’avessi espressamente chiesto.
«Si dice che quando salvi la vita di qualcuno, quella vita ti appartiene.».
Nuovo modo di provarci con qualcuno?Adesso, davvero, mi faceva tenerezza.
Mi scostai i capelli da un lato e notai che quel gesto lo ipnotizzò. Sorrisi.
«Tecnicamente quindi adesso la mia vita sarebbe tua?».
Lui annuì, convinto al cento per cento che quel gioco mi divertisse tanto quanto divertiva lui. I suoi occhi ambrati mi fissavano insistenti e io cominciavo a sentirmi in imbarazzo. Sorrisi nervosamente cercando di non far notare quanto fossi in difficoltà.
«Esatto.» disse «Quindi, cosa vogliamo farne?».
«Potresti cominciare con il lasciarmi, mi stai soffocando.». La sua presa non mi permetteva di muovermi e standogli così vicina mi accorsi che il colore dei suoi occhi e dei capelli era abbastanza simile: un bel dorato, quasi miele.
«Sai bere, Kurata. Questo te lo concedo.» Lo guardai e appoggiai la mia mano sulla sua spalla per avvicinarmi al suo orecchio.
«Non hai ancora visto nulla» sussurrai maliziosa. Era divertente stuzzicarlo proprio perché lo facevo senza che me ne importasse molto, era un semplice ragazzo che ci provava con me, non era il primo e non sarebbe stato di certo l’ultimo.
Mi staccai il più velocemente possibile e mi avvicinai a Beth per avvertirla che tornavo in camera perché ero stanca. Notai che anche lui era tornato al suo gruppo e ridacchiava insieme al suo amico.
Non diedi peso a quella risata perché a dirla tutta non mi importava più di tanto di Akito Hayama e delle sue stupide chiacchiere, volevo solo allontanarmi dal casino di quella festa.
Non volevo più sentirmi come mi ero sentita nel momento in cui i suoi occhi color ambra si erano soffermati su di me. Mi ero sentita persa.
E io avevo bisogno di ritrovarmi, non di perdermi. 




Buonaseeeeeeera *O* bè, credo di dover delle scuse a tutte le persone che avevano cominciato a leggere la mia precedente storia che, da brava idiota quale sono, ho sospeso. Vi spiego immediatamente perchè così poi posso dedicarmi a questa nuova 'avventura' che ci attende, sempre che vogliate farla insieme a me. 
Ho bloccato quella storia per MANCANZA DI IDEE. Non l'ho eliminata, se ben avete visto, perchè ho buttato giù qualcosa e non sono ancora convinta di toglierla totalmente senza nemmeno provare a continuarla, quindi non disperate. (Magari nemmeno ve ne frega nulla, ma lo spiego ugualmente per chi la seguiva e sperava che la terminassi.) LA TERMINERO', SOLO NON ADESSO. 
Bene, andando a questa nuova idea balenatami in testa qualche settimana fa. I due ragazzi, come avrete capito, non si conoscono e il loro primo approccio non sarà particolarmente positivo ma neppure insignificante. Questi si chiamano... FUOCHI D'ARTIFICIO!!! *-*
Spero che vi piaccia e di ricevere taaaaante recensioni. Vi bacio tutti uno ad uno. :*
Akura.



Estratto dal prossimo capitolo:
«Mi stai sognando, Kurata?» La voce di Hayama risuonò intorno a me come una bomba. Alzai gli occhi al cielo e poi lo guardai, visibilmente infastidita. I capelli gli ricadevano morbidi sul volto e notai che quando sorrideva gli si formavano due fossette ai lati della bocca. Non avevo mai visto una bellezza così singolare prima di allora e mi ritrovai per forza di cose a fare un confronto con Naozumi. Non c’erano storie, Hayama era decisamente più bello. Tuttavia non potevo di certo fargli notare quei pensieri, per il mio stesso bene. 

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Capitolo 2
*** Mutandine. ***


CAPITOLO 2
MUTANDINE.

 
Pov Sana.
 
Non avevo idea di dove fosse l’aula di chimica e avrei preferito continuare ad ignorare quella notizia visto che la chimica, così come tutte le materie scientifiche, non era proprio una disciplina che mi andava a genio.
Girovagavo per l’edificio in cerca di una faccia amica che mi aiutasse a trovare il professor Micha e la sua aula ma nessuna delle ragazze del dormitorio era in giro e Beth era andata alla palazzina F per la sua lezione di psicologia cognitiva. Voleva fare la strizzacervelli per aiutare gli altri a combattere i loro mostri, così mi aveva spiegato la sera precedente. Avevo subito capito che probabilmente doveva allontanare i suoi mostri prima di quelli altrui.
Trascinata dai miei pensieri continuavo a girare a vuoto per i corridoi non sapendo veramente dove sbattere la testa, avevo chiesto aiuto a dei ragazzi della squadra di football ma si erano limitati a chiedermi l’autografo e a fare i cretini. Ero in ritardo di circa dieci minuti quando, finalmente, una ragazza era stata così gentile da spiegarmi dove fosse l’aula di Micha e l’avevo trovato fuori a parlare con uno studente.
La lezione non era ancora cominciata per fortuna e io cercavo di intrufolarmi tra lui e il ragazzo con cui stava amabilmente chiacchierando. Ero convinta di essere riuscita a scampare il peggio: non ero entrata platealmente  e nessuno si era accorto della mia presenza ma, non appena avevo varcato la soglia, il professore mi aveva ripreso per il mio ritardo ed io mi ero sentita una deficiente.
I venti minuti successivi furono piuttosto tranquilli - avevo tentato addirittura di prendere ordinatamente gli appunti anche se, lo ammetto, con scarsi risultati -  fino al momento in cui il professore era stato chiamato fuori dall’aula e la persona seduta dietro di me si era improvvisamente alzata per lasciare il posto a qualcun altro.
Sentivo le risate dietro di me e questo mi infastidiva parecchio soprattutto perché sapevo benissimo il motivo di tanta ilarità.
Percepivo la presenza di Akito Hayama dietro di me e non sapevo nemmeno il motivo per cui il fatto che lui fosse alle mie spalle mi provocasse tanto fastidio e al contempo attrazione. Ogni singola cellula del mio corpo era proiettata verso quella sensazione di odio e.. odio, si, che provavo nei confronti di quel ragazzo.
Mi sforzai di allontanare i miei pensieri e di concentrarmi sulla lezione appena ripresa. Il professor Micha stava spiegando la costruzione dei Sali e la mia attenzione era volta totalmente verso quel procedimento che sapevo benissimo non avrei capito senza averlo seguito perfettamente. Mi chiedevo come facesse a sembrare così sicuro di se nell’insegnare qualcosa che a me era incomprensibile.
Sbuffai, sconfitta dalla chimica, sentendomi stupida attorno a quei geni scientifici. Mi voltai ad osservare la classe piena: erano quasi tutti ragazzi, poche donne sane di mente avrebbero scelto chimica come corso extra, io l’avevo fatto perché era l’ostacolo meno alto tra le altre materie visto che mi ero ritrovata a scegliere tra fisica, biologia e matematica. La fisica non faceva assolutamente per me, peggio ancora della chimica. La biologia mi impressionava, studiare il corpo umano e roba del genere avrebbe potuto farmi svenire in tre secondi netti. E la matematica era proprio la materia che detestavo più di tutte, quindi la scelta era stata obbligata.
Dietro di me, intanto, sentivo una mano che si avvicinava alla mia schiena incerta sul da farsi. Stizzita, mi girai e per la prima volta in quella giornata incrociai gli occhi di Hayama.
Avete presente i film? Quelli che nel momento in cui i due protagonisti si guardano, il mondo si ferma?
Bè, scordatevelo. Io e quel cretino di Akito Hayama non eravamo i protagonisti di un film d’amore. Forse avremmo potuto esserlo di un film di guerra: spari e teste mozzate che vanno di qua e di la.
«Hai intenzione di rimanere lì a fissarmi o vuoi chiedermi qualcosa?» dissi incalzandolo e prendendolo alla sprovvista.
Mi rivolse un sorriso sghembo, quasi divertito dalle mie parole. Io non volevo divertirlo, volevo ucciderlo per un motivo che era oscuro anche a me, probabilmente per avermi sfidato qualche giorno prima e aver preteso un ballo che non gli avrei concesso nemmeno per un appuntamento con Orlando Bloom.
Oddio, forse per Orlando
«Allora?»  dissi vedendo che non aveva intenzione di rispondermi.
«Mi piaci Kurata, dovremmo essere amici.» Amici? Ma per favore! Non potrei mai essere amica di quest’individuo insulso con il sorriso da sciupa femmine. Okay, forse quest’ultimo commento avrei potuto evitarmelo.
«Non credo sia il caso.» risposi voltandomi di nuovo per ritrovarmi tre secondi dopo con la sua faccia nell’incavo del mio collo. A quel contatto il mio corpo si irrigidì, ero sicurissima che lui se ne fosse accorto e mi colpì l’impulso di ucciderlo all’istante.
«E potrei sapere il motivo?» chiese con fare innocente spostandomi i capelli per poter parlare direttamente dentro il mio orecchio. Sapeva benissimo l’effetto che quello sfiorarsi provocava in una ragazza e, in particolare, in me e sapeva come approfittarne. Dovevo ammetterlo: era bravo.
Questo però non gli dava il diritto di mettere una taglia sul mio letto perché avrebbe incontrato serie difficoltà ad attenderlo all’angolo. Mi girai di scatto consapevole di avvicinarmi pericolosamente alla piega delle sue labbra.
Il mondo stavolta sembrò davvero fermarsi; per questo, farlo ripartire fu ancora più divertente.
«Non verrò a letto con te, Hayama, quindi se questo è solo uno stupido tentativo per infilarti nelle mie mutandine allora puoi cominciare ad abituarti all’idea che no, quello che stai cercando di fare, non funzionerà.»
Terminai il mio discorso con aria soddisfatta mentre lui invece sorrideva come prima e la sua espressione non era cambiata di una virgola. Mi affrettai a ripetere il concetto per assicurarmi che avesse ben compreso.
«Hai capito Hayama? Le mie mutandine sono off-limits per te.»
Abbassò il viso e subito si preparò a rispondermi accostandosi ancora di più al mio orecchio, dicendo le parole in un soffio.
«Sai, Kurata? Non pronunciare mai le parole mutandine e off-limits nella stessa frase in mia presenza. Accresci solo l’eccitazione per la sfida.»
Detto ciò mi stampò un bacio sulla spalla scoperta a causa della t-shirt ribelle e fece per allontanarsi. Poi, di colpo, tornò a sedersi dietro di me e affondò di nuovo il suo viso tra i miei capelli per raggiungere l’orecchio.
«Ah… e, la prossima volta, mettiti una maglietta meno scoperta o non risponderò delle mie azioni. Hai delle spalle così belle.»
Ma che razza di complimento era? Assurdo, certo, peccato che mi aveva fatto avvampare da testa a piedi senza tralasciare un centimetro del mio corpo.
Intanto Hayama si era allontanato e io non avevo avuto il coraggio di girarmi e fare ciò che avrei voluto e dovuto fare – il dito medio, ovviamente – nel momento stesso in cui si era seduto dietro di me.
Finita la lezione, circa dieci minuti dopo, presi la mia borsa e la porta mi sembrò il traguardo del Tour de France: volevo allontanarmi, scappare da quel luogo che sapeva ancora del profumo troppo forte della colonia di Hayama. Mi odorai i capelli per sentire se quell’odiosa fragranza era rimasta attaccata anche lì, come in tutta l’aula.
Si, decisamente si. Lo odiai ancora di più in quell’istante: adesso il ricordo di quei pochi minuti mi avrebbe accompagnata per tutta la giornata.
I corridoi erano strapieni di ragazzi appena usciti dalle lezioni e tutti avevano un’aria totalmente assente, forse per la miriade di informazioni appena assunte. Chimica, biologia, storia, filosofia, inglese, psicologia e calcolo matematico avanzato: ogni ragazzo era alle prese con una materia in particolare che lo stressava e non poco.
Sorrisi nel ripensare ai tempi del liceo in cui le mie giornate erano piene di compiti in classe ma erano felici.
Non avevo più ripensato a Kamura da quando una settimana prima ero arrivata al campus; il periodo delle superiori era stato quello più bello passato con lui, eravamo una coppia appena formata e le cose andavano più che bene. Nonostante questo mancava sempre qualcosa che però non riuscivo a decifrare.
Il nostro rapporto era sempre ad un passo dalla perfezione ma ci si avvicinava solamente, senza mai arrivare a toccarla per davvero. Ripensandoci mi dispiaceva ammettere che in realtà la nostra relazione era piuttosto traballante e che forse Naozumi aveva ragione nel definirla poco stabile.
Camminavo per il campus in cerca di un po’ d’ombra per cominciare a scrivere la relazione di astronomia da consegnare la settimana successiva e, magari, anche per continuare a riflettere sulle infinite possibilità della mia rottura con Kamura. Ecco, astronomia era un corso che mi entusiasmava parecchio: da piccola passavo molto tempo sul tetto di casa mia ad osservare le stelle. Avevo imparato a riconoscere alcune costellazioni ma non ero mai riuscita a vedere la stella polare a dispetto della convinzione che sia il punto fermo del cielo.
Dopo essermi seduta vicino ad un albero chiusi gli occhi appoggiandomi al tronco. Stavo bene, nonostante tutto, e questo mi fece sorridere.
«Mi stai sognando, Kurata?» La voce di Hayama risuonò intorno a me come una bomba. Alzai gli occhi al cielo e poi lo guardai, visibilmente infastidita. I capelli gli ricadevano morbidi sul volto e notai che quando sorrideva gli si formavano due fossette ai lati della bocca. Non avevo mai visto una bellezza così singolare prima di allora e mi ritrovai per forza di cose a fare un confronto con Naozumi. Non c’erano storie, Hayama era decisamente più bello. Tuttavia non potevo di certo fargli notare quei pensieri, per il mio stesso bene.
«Piuttosto sarebbero incubi quelli.»
Alla mia risposta aveva sorriso di nuovo sedendosi accanto a me e spostando lo sguardo verso le ragazze di fronte a noi. Quello mi infastidì molto e non per gelosia – no! – ma perché se stava parlando con me fare il pesce lesso con qualcun’altra era decisamente scortese.
Può farlo solo con te il pesce lesso, eh? Urlò la mia vocina interiore che mi affrettai a rigettare nei meandri della mia anima. Stupida oca.
Storsi la bocca poggiando di nuovo la testa sull’albero dietro di me.
«Non essere cattiva con me, Kurata. Voglio solo esserti amico.»
Amico? Ma come avremmo potuto essere amici se era palese che stesse cercando di finire nel mio letto? Sorrisi a quel pensiero e lui ricambiò il sorriso a sua volta. L’avevo visto ridere poche volte sul serio, prima in aula di chimica e poi in quel momento, ma tutte le volte mi lasciava senza fiato.
«Di solito gli amici non tentano di infilarsi nelle tue mutande, mi pare di avertelo già spiegato.» Alzò gli occhi al cielo e quasi automaticamente io feci lo stesso, infastidita.
«Non sto cercando di infilarmi nelle tue mutande.». Si fermò un attimo e chiuse gli occhi. «Se fosse così, credimi, sarebbe già successo.». Che presuntuoso!
Scoppiai in una risata vera, una di quelle che non mi capitavano da un sacco.
«Non sono una delle tue puttanelle, caro. Anche se tu volessi, non accadrebbe.»
Sentendomi pronunciare quelle parole storse la bocca e prese a fissarmi insistentemente. Mi ero accorta di non riuscire a reggere il suo sguardo per più di dieci secondi non per paura ma perché, come avevo notato già alla festa, sembrava riuscisse a leggermi dentro ed era una cosa che non volevo facesse nessuno.
«Primo: non sono le mie puttanelle, altrimenti non sarebbero puttanelle. Secondo: perché non mi guardi mai in faccia? Ti metto in soggezione per caso?».
La rabbia prese a salirmi al cervello, come faceva ad accorgersi di ogni cosa? Girai lo sguardo incrociando il suo e per principio non lo distolsi.
«Ti piacerebbe mettermi in soggezione, così potresti manipolarmi.» risposi infastidita.
«Ma mi spieghi perché mi odi così tanto?»
«Io non ti odio, di per se sarai anche un bravo ragazzo, ma non voglio avere nessun tipo di rapporto con te.». Quelle parole mi uscirono quasi come un insulto, lo avevo trattato per tutto il tempo come un lebbroso e non era assolutamente la mia intenzione: non volevo sembrare l’attricetta che snobba tutti.
«E quale sarebbe il motivo?» mi chiese sinceramente interessato alla mia risposta.
Non sembrava cattivo, avrei anche potuto dargli una possibilità di essermi amico.
Ma no, no che non potevo!
«Conosco i tipi come te, Hayama. E non sono così stupida da farmi fregare con tanta facilità.».
Scoppiò a ridere, mi posò un bacio sulla guancia e si alzò.
«Sta tranquilla, Kurata, non voglio fregarti. Vieni con me.». Stese la mano verso di me e io la guardai titubante; accorgendosene mi rivolse un sorriso malizioso e prese a forza la mia mano.
«Avanti, fra due ore avrai ancora addosso le tue mutandine.» 




Lo so, il capitolo è piuttosto corto ma mi farò perdonare col terzo che invece sarà abbastanza lungo ma soprattutto.... narrato dal nostro sciupafemmine Akito!! :D
Spero che recensiate!!!
Bacino, Akura. :*

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Capitolo 3
*** Diversa. ***


CAPITOLO 3

DIVERSA

 
Pov Akito.
 
Aveva accettato – più o meno – di seguirmi senza neppure sapere dove volevo portarla. Alla faccia di quella che non voleva avere rapporti con me!
Mi camminava a fianco da circa cinque minuti e non aveva ancora detto una parola. La vedevo arricciare il naso ogni qualvolta passavamo accanto ad una coppia che si baciava e subito dopo spostare lo sguardo altrove. Mi venne da pensare che forse non adorava particolarmente veder fare certe cose in pubblico o, cosa ancora più probabile, aveva sofferto in un rapporto di coppia.
Meglio, pensai, le ragazze volubili sono le più semplici da conquistare.
Notai che al sole i suoi capelli assumevano sfumature particolari: dal rosso vivo al castano; mi piaceva la sua chioma e soprattutto mi piaceva il modo in cui le ricadeva sulle spalle nude visto che la bella giornata le aveva permesso di indossare un top senza spalline. Aveva delle belle spalle – gliel’avevo già detto a lezione–  e quasi invitavano a toccarle.
Era carina tutta impacciata al mio fianco, mi faceva l’impressione di una ragazzina al primo appuntamento.
Che ingenua, un appuntamento con me poteva solo sognarselo.
Eppure dovevo ammettere che mi urtava che mi considerasse uno stronzo, non perché fosse vero ma perché in un certo senso mi importava della sua opinione nonostante non sapessi il motivo. Arrivati davanti alla mia macchina capì quanta fatica avrei dovuto fare per far si che si fidasse di me. Non mi piaceva l’idea di fare qualcosa senza il suo consenso, principalmente perché non ero uno stupratore – tutte le ragazze che erano finite nel mio letto, o meglio nel loro con me addosso, lo avevano fatto in modo assolutamente consensuale – ma soprattutto perché volevo che fosse lei a chiedermelo. Questa nuova filosofia mi era assolutamente nuova e sapevo che sarebbe stata valida solo per Sana Kurata.
«Non salirò sulla tua auto, chissà quante ragazze ti sei scopato su quei sedili!». Mi guardò disgustata, posando velocemente gli occhi prima su di me e poi sulla macchina. Risi, divertito dalla sua espressione buffa.
«Il mio SUV è sacro, Kurata, come il mio letto. Non scopo con nessuno in questi due posti.».
Era vero, non avevo mai portato una ragazza nel mio appartamento ne tantomeno le avevo permesso di salire sulla mia macchina. Sana mi guardò con fare interrogativo così mi affrettai a precisare la situazione.
«Vuoi che mi metta una mano sul cuore e giuri?». Capì che mi credette sulla parola quando aprì la portiera e si accomodò sul sedile del passeggero.
«Non ho tutto il giorno, ti muovi Hayama?».
La seguì in macchina e misi in moto con un considerevole rombo. Notai il suo sguardo preoccupato e le consigliai di calmarsi perché non ci avrei provato fin quando non fosse stata proprio lei a supplicare.
Mi diede una gomitata spostandosi verso di me per poi tornare al suo posto. Dove la stavo portando? Ah si, a pranzare al Blitz.
Sperai di trovare un tavolo libero perché, solitamente, alle due era già tutto pieno e se fosse stato così avrei dovuto riaccompagnarla a lezione senza poter passare anche quel poco tempo insieme a lei.
Guidai per circa cinque minuti prima che si decidesse a parlare.
«Allora, dove stiamo andando?» mi chiese accennando un sorriso che catturò in un secondo la mia attenzione.
«A nutrirci con un pasto vero.»
«Ma non possiamo mangiare fuori dalla mensa!». Corrugò la fronte attendendo una mia risposta.
«Non preoccuparti, la signora Ryan se ne farà una ragione.»
Odiavo quella vecchia signora: era acida e poco collaborativa e soprattutto non mi dava mai ciò che le chiedevo a mensa perché era totalmente sorda riservandomi sempre quel cibo per cani che mi disgustava non poco.
Arrivammo al locale e dopo esserci accomodati all’unico tavolo libero della sala, Madison, la cameriera, ci portò i menù. Sana si sedette di fronte a me poggiando la borsa con i libri sulla terza sedia accanto a lei.
Cominciò a scorrere il menù e io invece mi ritrovai a pensare che se avesse ordinato un’insalata mi sarei alzato e l’avrei lasciata lì da sola.
Quando Madison era venuta a prendere l’ordinazione, invece, aveva ordinato un piatto di pasta. Pasta era uguale a carboidrati perciò quella ragazza mi piaceva sempre di più.
«Allora, vieni spesso qui?» mi chiese guardando la cameriera con aria disgustata. Era per caso gelosa? Quel pensiero mi fece sorridere come un idiota ma dovetti cacciare via immediatamente quell’espressione dalla mia faccia.
«Ogni tanto vengo qui con Tsu a farmi una birra.». Mi guardò come se avessi appena bestemmiato e mi affrettai a precisare. «Tsu, Tsuyoshi.. è il mio migliore amico.»
«Oh..» si limitò a dire lei.
Spostai la discussione su un altro fronte, non amavo parlare della mia vita.
«Allora Kurata, me lo vuoi dire il motivo del tuo odio nei miei confronti?». Alzò gli occhi al cielo, quanto odiavo quel gesto! Se non fossi stato un gentiluomo l’avrei presa a schiaffi stile Christian Grey.
No, non avevo letto quel libro, ma quando le tue compagnie sono principalmente femminili ti ritrovi a sapere certe cose. Ecco, io odiavo che le ragazze alzassero gli occhi al cielo tanto quanto lo odiava Mr. Grey sulla sua bella Anastasia.
«Ancora? Io non ti odio, semplicemente non mi piaci.»
Quella frase mi provocò non poco fastidio. Non capivo il motivo di tanto rifiuto verso di me: ero uno stronzo e su questo non c’erano dubbi ma non mi ero permesso nemmeno una volta di mancarle di rispetto e se l’avevo fatto non me n’ero reso conto.
Decisi, quindi, di metterla alle strette.
«Per questo sei venuta con me, perché non ti piaccio?».
Distolse lo sguardo e prese a fissare il tavolo davanti al nostro, probabilmente per non guardarmi negli occhi. Tutte le ragazze che avevo conosciuto non aspettavano altro che guardarmi in faccia per farmi vedere quanto fossero sfacciate e decise, ma lei no. Sana non riusciva a reggere il mio sguardo per più di cinque, sei secondi al massimo e questo mi affascinava.
Non era come le altre, questo l’avevo capito subito nel momento stesso in cui l’avevo stretta a me nel ballo di qualche sera prima, ma soprattutto non faceva nulla per farsi notare.
In realtà era strano perché essendo un’attrice avrebbe dovuto avere un carattere espansivo e invece si sentiva in imbarazzo anche solo guardandomi. Probabilmente non aveva avuto molte esperienze con il sesso maschile – e  con il sesso in generale.
«Sono venuta perché mi ci hai trascinato.» rispose seccata subito dopo.
«Si, infatti mi hai mollato un ceffone e sei andata via.».
Strinse le labbra e poi mi prese la mano che avevo poggiato sul tavolo. Il contatto con la sua pelle mi provocò un sussulto. Era morbida, proprio come la ricordavo.
«Senti Hayama, sono qui perché mi ci hai trascinato, te l’ho già detto. Non sono una persona maleducata ed è per questo che non ti ho dato uno schiaffo e sono andata via. E poi.. ero curiosa.»
«La curiosità uccide il gatto.» risposi stuzzicandola. Nel frattempo la cameriera stava posando sul tavolo il nostro antipasto.
«Peccato che io non sia un gatto.» rispose lei mordendo una patatina fritta e poi leccandosi le dita.
Qualcosa si mosse nei pantaloni e la maledissi mentalmente per quel gesto troppo provocante. Probabilmente non aveva nemmeno idea di quanto fosse sexy e questo mi fece sorridere.
Cercai di concentrarmi su qualcos’altro per evitare di alzarmi e sbatterla sul tavolo prima che potesse proferire parola.
«Come mai hai deciso di fare l’università? Pensavo che un’attrice non volesse mai mettersi sui libri.». Mi guardò infastidita, ma quella ragazza sorrideva mai?
«Mi sono ritirata dalle scene ormai. Il mondo dello spettacolo non fa più per me.»
Pronunciò quelle parole con malinconia, quella scelta la faceva soffrire e si vedeva lontano un miglio.
«So che sei brava, mia sorella ha una specie di adorazione per te.»
«Non me ne vanto» disse aprendo le braccia con fare quasi strafottente «ma si, sono brava.»
«Ho sempre pensato che gli attori fossero persone false e..»
«Luogo comune.» mi interruppe decisa. Capì che avevo toccato un tasto dolente quando abbassò gli occhi che avevano assunto una sfumatura triste che prima di quel momento non avevo mai visto.
Non volevo rattristarla ma volevo sapere qualcosa in più di lei, per un motivo che mi era sconosciuto. Prima di quel momento le uniche parole delle ragazze che mi interessavano erano quelle dette sul loro letto in momenti che potrebbero essere definiti poco casti mentre con Sana era diverso. Oddio, mi interessava quell’aspetto di lei ed era ancora il mio principale pensiero ma sentirla parlare sul serio era abbastanza piacevole e interessante.
«Cambiamo argomento: il tuo ragazzo è contento che tu sia venuta all’università?». Si incupì nuovamente e io mi maledissi per essere sempre così inopportuno.
«Non ho il fidanzato, Hayama. E se l’avessi tu saresti proprio un vero bastardo a provarci con una ragazza impegnata.»
Uno a zero per Kurata.
«Io non ci sto provando con te. Perché non riesci a capirlo?»
Ero bravo a discolparmi, lo facevo circa trenta volte al giorno quando Tsuyoshi mi accusava di essere uno stronzo e quando, una volta all’anno, sentivo mia sorella al telefono perché mi aggiornava sulle condizioni di salute di mio padre. All’età di diciassette anni, quando ero letteralmente scappato da casa mia, avevo ricevuto una sola telefonata in cui gli insulti non si potevano neppure contare.
Ai tempi, da ragazzino quale ero, avevo cercato più volte di dire un semplice mi dispiace ma, dopo averci riflettuto a lungo, avevo anche capito che non ne valeva la pena. Se la persona che avrebbe dovuto amarmi più di tutte mi riempiva di male parole, perché avrei dovuto chiedere scusa per qualcosa di cui non avevo colpa?
Tornai alla realtà quando Kurata mi pregò, nel vero senso della parola, di smetterla di parlare di lei. Sorrisi ammiccando.
«Per me sei il migliore argomento della giornata.»
Vidi un rossore depositarsi sulle sue guancie e sorrisi di rimando.
Uno a uno, cara Kurata.
«Parliamo di te.»
«Non c’è nulla da dire su di me.» risposi lapidario. «Tu piuttosto…»
«Ho detto che non voglio parlare di me.». Chiuse il discorso in maniera categorica e sapevo che non sarei riuscito a riprenderlo senza prima accontentarla un po’.
«Va bene, parliamo di me. Cosa vuoi sapere?»
«Mmm..» alzò gli occhi al cielo facendo finta di pensare alla domanda da pormi per poi tornare a guardarmi dritto in faccia e sputare la sua sentenza. «Perché al mio dormitorio c’è una regola sul non farti entrare?»
«Storia lunga.»
«E questa storia comprende il cuore spezzato di qualche ragazza lì dentro?». Spostò la bottiglia d’acqua di lato per guardarmi meglio negli occhi.
La ragazzina mi stava sfidando, notevole.
«La responsabile è una mia ex.» dissi secco. Ci avevo messo due mesi a liquidare Arimi perché era stata una delle poche ragazze per cui avevo provato pena. Si, pena. Non simpatia, non affetto, niente di niente. Non provavo nulla del genere per lei ma dovevo ammettere che a letto ci sapeva fare e l’unico motivo per cui l’avevo scaricata era lo stesso per cui lasciavo tutte le ragazze che mi scopavo: voleva di più. E io non ero nemmeno lontanamente capace di darglielo.
«Ex fidanzata?». Azzardò quella domanda accennando un sorriso prima di ravviarsi i capelli spostandoli dietro le spalle.
Quel gesto mi mandava in tilt, era così sexy nel compierlo che, quando le risposi, pensai che fossero passati secoli dalla sua domanda. Avrei potuto fissarla per l’eternità.
«No, ex…» mi fermai un attimo a rifletterci. «.. non saprei come definirla.» conclusi infine consapevole che quella risposta l’avrebbe disgustata.
«Credo che la definizione sia scopamica.». Mi lanciò un’occhiataccia che avrebbe potuto trafiggermi e da quel gesto compresi che in un modo o nell’altro le interessavo.
«No, non è così. La scopamica è qualcuno di fisso. Io non ho nessuno di fisso.».
Sicuramente mi stavo scavando la fossa da solo ma non riuscivo a mentirle veramente perché mi guardava con quegli occhi che imploravano verità. Occhi che di bugie e bugiardi ne avevano abbastanza.
«Evviva la sincerità.» disse sorridendo.
Non volevo che mi respingesse e, soprattutto, volevo che smettesse di guardarmi come se fossi un mostro. Quello sguardo, quel maledetto sguardo, l’avevo visto per tutta la mia vita prima dell’università ed ero stanco di essere considerato il diavolo solo perché ero quello che ero.
Era la prima persona, ovviamente dopo la mia famiglia, che mi trattava in quel modo: tutte le ragazze che avevo avuto sapevano che tipo ero e che cosa cercavo in una relazione quindi non avevano la presunzione di chiedermi nulla o pretendere qualcosa che sapevano benissimo non avrebbero ottenuto.
In ogni caso non avevo idea di come farle capire che volevo solo esserle amico; certo, avrei diligentemente evitato di dirle che volevo infilarmi nel suo letto ma quelli erano solo dettagli.
Finimmo di mangiare e ci avviammo alla mia macchina dopo aver litigato perché voleva pagarsi il pranzo e io invece, da gentiluomo, le avevo immediatamente ordinato di togliere quei soldi di mezzo.
Almeno quella era una cosa per cui non potevo lamentarmi: facevo due lavori, uno come barista e uno come insegnante di karate alla palestra cittadina. Ergo, potevo permettermi di pagare ciò che volevo a chi volevo e farlo per Miss lingua lunga non mi dispiaceva affatto.
L’avevo trascinata verso la macchina sentendola borbottare per poi passare davanti a me, gesto che apprezzai enormemente. Infatti questo mi permise di ammirare ancora meglio le sue forme e di convincermi che si, dovevo averla.
Ma non era come le altre. Per ottenere ciò che desideravo avrei dovuto sudare sette camicie – magari pure dieci – e quella prospettiva mi allettava. Non avevo mai combattuto per nulla, da quando ero nato la mia famiglia mi aveva sempre dato tutto ciò che volevo, tranne quello di cui avevo veramente bisogno, per non sentirmi neppure parlare e, arrivato al liceo e poi all’università, ogni cosa era stata semplice per me.
Ero bello, e non per mia convinzione ma quando hai centinaia di ragazze che pendono dalle tue labbra non puoi negarlo, simpatico, avevo imparato ad esserlo col tempo, e mi facevo accettare anche da chi non mi sopportava.
Tranne da questa maledetta attrice. Nessun discorso la imbambolava, nessun sorriso o apprezzamento le facevano cambiare atteggiamento e questo mi fece capire che, prima di tutto, non era stupida e, in secondo luogo, che non mi avrebbe dato vita facile.
Non sapevo nemmeno perché perdevo tempo dietro a quella ragazza. Probabilmente perché era la prima volta che mi sentivo nel posto giusto al momento giusto: accanto a lei, a nemmeno un metro di distanza, con il controllo della situazione perché per sua grande sfortuna e mio grande piacere, potevo portarla ovunque volessi.
Anche se, dovevo ammetterlo, l’unico luogo in cui avrei voluto portarla era il mio letto e nemmeno per possederla nel senso stretto del termine ma solo per affondare il viso tra quei capelli e per tenerla stretta a me.
Stavo diventando un pappamolle.
 
 
Estratto dal prossimo capitolo:
Era Hayama. Gli avevo dato il mio numero di cellulare perché era stato particolarmente insistente. Ora che eravamo amici – a detta sua – doveva avere il mio numero, quali amici non si scambiano il cellulare?
*
 Avrei dovuto chiamare l’impresa di pulizie Tsuyoshi per sistemare il casino di casa mia ma non me ne importava assolutamente nulla.
Tsuyoshi mi avrebbe aiutato, come sempre, e Kurata sarebbe finita nel mio letto in meno di un quarto d’ora dal momento in cui fosse entrata in casa mia.
 

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Capitolo 4
*** Progetto. ***


CAPITOLO 4
PROGETTO.
 
Pov Sana.


Come avevo fatto ad accettare di andare a pranzo con Hayama? Avevo trasgredito a tutte le regole che mi ero posta giorni prima e l’avevo fatto di mia spontanea volontà. Ero proprio una deficiente.
Passai la serata tra libri e ricerche di storia dell’arte che avrei preferito davvero evitare.
Mi ritrovai a pensare che il prof di arte si divertisse a torturarmi per puro edonismo. Mi aveva chiesto di fare una ricerca sul cinema e su ciò che muove l’immaginazione di uno sceneggiatore. Inizialmente avevo esultato trattandosi in un modo o nell’altro del mio mondo ma in quel momento pensai che avrei preferito una noiosa ricerca su un qualsiasi pittore d’epoca piuttosto che riportare alla mente ricordi di momenti che mi mancavano da star male.
Beth, a differenza mia, trascorreva quasi ogni sera nella biblioteca del campus perché, a detta sua, riusciva a concentrarsi solo nel silenzio più assoluto e, sempre a detta sua, io non collaboravo affatto in questo.
Certo, i suoi studi di psicologia necessitavano un’attenzione particolare rispetto ai miei. In realtà io non sapevo ancora in cosa mi sarei laureata, per questo avevo scelto almeno per il primo anno di frequentare corsi generici. Beth era il tipo di persona che sapeva cosa voleva fare della sua vita: mi aveva raccontato che inizialmente la sua prima scelta era stato il corso di laurea per il giornalismo ma che aveva deciso di fare la psicologa quando suo padre era morto. Sua madre era entrata in una sorta di depressione che aveva rovinato in parte ogni rapporto che avrebbero potuto avere. Ecco quali erano i mostri da allontanare, ecco perché aveva sempre addosso quello sguardo malinconico nonostante fosse una vera festaiola.
Pensai che avevamo molto in comune: mio padre, di cui non sapevo nulla, aveva lasciato la mia madre naturale ancora bambina con in grembo una creatura di cui non aveva voluto sapere nulla. Me l’aveva confessato proprio Keiko, quando mia madre aveva pubblicato il romanzo che mi aveva cambiato la vita per rintracciarla, raccontandomi tutta la sua storia.
La mia madre biologica, appunto, era comparsa e nello stesso modo in cui era arrivata, era andata via.
La mia mamma, quella stravagante donna che mi aveva cresciuto, voleva che andassi con lei perché era giusto, perché finalmente il libro su cui aveva lavorato per anni era servito a qualcosa, ma io mi rifiutai. Chi era quella donna per me? Nessuno, nonostante nelle mie vene scorresse il suo sangue.
In realtà c’erano tante cose che accomunavano me e Beth, non solo la nostra tragica mancanza di una figura paterna, lei per un motivo e io per un altro. Probabilmente era proprio per questo che ci trovavamo così in sintonia. Io non le avevo raccontato quasi nulla di me perché sapevo che la mia storia era stata su tutti i giornali per molto tempo e sarebbe stato inutile e poi perché non avevo voglia di rivangare il passato. Beth aveva capito, per questo mi piaceva.
Mi distrassi dalla ricerca di arte in atto e presi per un attimo il cellulare ormai sepolto da tutti i libri poggiati sul letto.
Avevo un messaggio non letto e mi affrettai ad aprirlo convinto che fosse mia madre preoccupata perché non rispondevo alle chiamate di Rei, il mio – ormai ex – manager.
Appena lo aprì il cuore fece un balzo nel petto.
 
Ho una notizia da darti…
Era Hayama. Gli avevo dato il mio numero di cellulare perché era stato particolarmente insistente. Ora che eravamo amici – a detta sua – doveva avere il mio numero, quali amici non si scambiano il cellulare?
Risposi in fretta e in maniera quasi telegrafica.
Sentiamo.
Te lo dico domani a lezione di chimica, dormi bene.
Che nervi! Aveva capito che ero una eprsona curiosa e cercava di sfruttare quella cosa a suo favore.
Va bene, ‘notte.
Nessuna emozione, pensai, così dovevo comportarmi.
Tieni strette le tue mutandine, ci sono tanti malintenzionati in giro. Sogni d’oro.
Non risposi, non perché mi sentissi offesa, anzi ero piuttosto divertita ma perché letteralmente non sapevo che controbattere. Dovevo ammettere che i nostri botta e risposta mi stimolavano non poco e che parlare con lui era piacevole.
Durante il nostro pranzo mi aveva raccontato di non avere buoni rapporti con la sua famiglia, ma non era andato a fondo nel discorso e io non avevo insistito.
Non che non mi interessasse, anzi volevo conoscere la sua storia e capire il motivo per cui era così… stronzo? Ma solamente perché avevo colto in lui un tono triste e, a differenza sua, io sapevo quando star zitta.
Stranamente con lui mi sentivo al sicuro e non avevo paura che potesse farmi del male in alcun modo. Avevo capito che era una bastardo – sentimentalmente parlando –  ma sotto sotto era un bravo ragazzo abbastanza simpatico da essermi amico.
Tolsi i libri dal letto e misi a prepararmi un tè alla cannella, il mio preferito tra migliaia di gusti; una volta avevo provato il tè alla banana e per poco non mi ero ritrovata con la testa china sul water.
La serata passò così, prima dell’arrivo di Beth che mi torturò per sapere cosa ci facevo nella macchina di Hayama prima di pranzo. Le raccontai vagamente ciò che era successo e mi parve troppo euforica per esserlo solo per il mio sciatto pomeriggio anche se in realtà era stata una delle giornate più belle che avevo passato da molto tempo. Mi affrettai a respingere quell’idea e ad indagare meglio su di lei.
«Beth, non sono stupida, cos’è successo?». Probabilmente attendeva solo che glielo chiedessi perché non appena glielo chiesi, cominciò a parlare a raffica.
«Ho conosciuto un ragazzo carinissimo, sembrava uno tutto precisino e invece è proprio un gran fico!». Si fermò un attimo e la mia curiosità si accese.
Poi lei continuò.
«Mi ha invitata a prendere un caffè per evitare che ci addormentassimo sui libri. Studia ingegneria ed è… perfetto!»
Ridacchiai. Aveva gli occhi a cuoricino e la invidiavo da morire perché anche io avrei voluto sentirmi in quel modo. Leggera e col cuore che ti scoppia di felicità.
«E come si chiama?» chiesi quasi istintivamente. Mi ritrovai a sperare che non si trattasse di Hayama, visto che anche lui frequentava quel corso di laurea. Ma Beth lo conosceva e sapeva benissimo di doversi tenere alla larga da lui, a differenza mia.
«Tsuyoshi.» rispose Beth mentre si pettinava i lunghi capelli biondi.
«Oh, carino.». Mi fermai per mettermi totalmente sotto le coperte. «Buona fortuna con questo Tsuyoshi.. e buonanotte.» sussurrai prima di ricevere un bacino sulla guancia da parte della meravigliosa compagna di stanza che mi era stata assegnata.
Mentre Morfeo stava per portarmi nel suo regno un pensiero mi balenò in testa.
Tsuyoshi? Tsuyoshi come il migliore amico di Akito Hayama?
O. Mio. Dio.
*
 
Mi sentii in preda ad un panico mai avuto quando Aiden Carter si avvicinò a me durante la lezione di antropologia. Stavo tranquillamente prendendo appunti - se così i miei scarabocchi potevano essere chiamati- e, ad un tratto, qualcuno si piazzò davanti a me con un disegno in mano e un sorriso stampato in volto.
Era il ragazzo messo in ultima fila che da qualche lezione si ostinava a fissarmi insistentemente. Inizialmente non gli avevo dato molto peso ma poi aveva cominciato ad infastidirmi parecchio.
Alzai lo sguardo e incrociai il suo, sorridendogli presi il foglio che mi aveva messo davanti alla faccia.
Era un mio ritratto.
Avvampai totalmente, ecco perché continuava a fissarmi, mi stava studiando.
«Scusami..» esordì «E’ che hai dei lineamenti così fini che non ho saputo resistere.»
Sulla carta avevo la mano appoggiata alla guancia e guardavo il foglio con aria pensierosa. Mi irrigidii di scatto quando notai i miei occhi, sembravano spenti.
«E’ bellissimo..» mi limitai a dire.
«E’ perché tu lo sei..» rispose immediatamente lui.
In quella frase rividi esattamente la mia vita passata: Naozumi, tutti i momenti meravigliosi che avevo passato con lui e il dolore che mi provocava incontrare qualcuno che mi ricordava qualcosa del mio ex fidanzato.  E Carter, in un certo senso, assomigliava molto a lui. Aveva il suo stesso modo di atteggiarsi, di parlare, di trattarmi. Solo Naozumi era capace di dirmi parole così dolci.
Ma, con mio grande dispiacere, rimanevano solo e soltanto parole perché di concreto alla fine non c’era nulla. Eppure lo avevo amato, forse lo amavo ancora.
E il suo ricordo mi perseguitava qualsiasi cosa facessi specialmente perché non avevo compreso a pieno il motivo della nostra rottura.
Un bel giorno Naozumi si era alzato, mi aveva guardata dritto negli occhi e mi aveva detto di andarmene. Così, senza un apparente motivo, senza darmi una spiegazione. L’unica frase che mi aveva detto era stata ‘Io ti amo, ma non possiamo stare insieme.’.
Ma se mi amava, se mi amava davvero, avrebbe dovuto almeno cercare di sistemare le cose.
Presa da quei pensieri non mi accorsi nemmeno che, a fine lezione, Aiden Carter mi stava accompagnando nell’aula di chimica.
Contento lui…
 
_____________________________________________________________________________________
Pov Akito.


Mi ero svegliato di cattivo umore, più del solito si intende. Avevo prese le prime cose che mi erano capitate sotto mano ed ero uscito di casa dopo aver urlato qualcosa a Tsu. I miei stivali producevano sui mattoni un rumore tanto fastidioso quanto rilassante. Si, molto coerente, lo ammetto.
In compenso era una bella giornata e decisi di prendere la moto piuttosto che la macchina perché volevo godermi quel bel sole. Quel giorno ci sarebbe stata la rivelazione per Kurata e quel pensiero mi fece sorridere, chissà come l’avrebbe presa.
La immaginai sbraitare e offendermi in quel modo buffo e disinibito con cui solo lei era capace di farlo e immaginai di zittirla fiondandomi sulla sua bocca invitante.
Oddio, quella ragazza mi avrebbe fatto impazzire.
Arrivai a lezione stranamente in anticipo e presi posto proprio accanto al banco che sapevo lei avrebbe occupato. Ogni qualvolta qualcuno cercava di sedersi intercettavo il suo sguardo e gli intimavo mentalmente di togliersi di torno.
Avevo smesso di fare a botte per cazzate, al liceo invece ogni scusa era buona per attaccare briga e Tsuyoshi ne sapeva qualcosa per quante volte aveva dovuto togliere le mie mani dal collo di qualcuno. La mia indole era sempre quella: mi capitava spesso di voler spaccare la faccia di gente che nemmeno conoscevo ma col tempo avevo imparato almeno a controllarmi.
Trattenermi mi parve la cosa più difficile al mondo quando la vidi entrare a lezione con un bamboccio che conoscevo fin troppo bene e una ragazza che invece non avevo mai notato nella classe di Micha.
Sorrideva, si comportava molto diversamente da come aveva fatto con me il pomeriggio precedente. In mia compagnia era piuttosto distaccata, con quel cazzone di Aiden Carter, invece, sembrava sentirsi a suo agio.
Una punta di gelosia mi invase ma cercai di contenermi perché se avesse visto la parte violenta di me non sarei mai riuscito a farmela. Si, in quel momento il mio unico pensiero era scoparla con noncuranza e trattarla come se fosse stata una delle tante, cosa che in realtà era.
Peggio per lei, non avrei mai piagnucolato come un coglione per una ragazza né tantomeno per un’attricetta da quattro soldi quale era Sana Kurata.
Si avvicinò al banco come previsto e  mi salutò con un cenno manco non fossi degno delle sue parole.
Sapevo però che, a breve, sarebbe saltata dalla sedia e non mi sarei perso per nulla al mondo quello spettacolo.
«Bene ragazzi…» incalzò il professor Micha. «.. fra due settimane dovrete presentare un progetto, naturalmente a coppie, sulle reazioni acido-base. Inventatevi qualsiasi cosa ma, vi prego, niente vulcano.»
Porse un foglio alla ragazza seduta in prima fila e le disse di farlo passare alla classe.
Non vedevo l’ora che arrivasse a Kurata, quanto avrei riso! Quando, finalmente, toccò alla nostra fila passò prima alle mie mani ma io non lo guardai nemmeno e lo porsi a lei.
Notai immediatamente il modo in cui drizzò la schiena sulla sedia e si portò la mano alla bocca. Mi sforzai di non prestarle attenzione per tutto il resto della lezione sentendo comunque che la temperatura accanto a me si faceva sempre più alta. Era furiosa, percepivo la sua rabbia anche alla distanza di un metro, e la cosa mi divertiva.
D’altra parte, però, dovevo ammettere che ero anche piuttosto infastidito perché non riuscivo a capire il motivo per cui mi detestasse tanto. Quando la lezione terminò mi affrettai ad uscire dall’aula per non conoscere i mille modi in cui Kurata avrebbe cercato di uccidermi ma evidentemente lei non era del mio stesso avviso.
Mi bloccò appena fuori dalla classe prendendomi per il braccio. Quel tocco mi provocò un sussulto che cercai di ignorare prima di rivolgerle un’occhiata piena di domande di cui in realtà conoscevo già tutte le risposte.
Fu lei la prima a parlare ed era fredda come il ghiaccio, come sempre.
«Era questa la sorpresa?» .
Io mi limitai ad annuire e sorridere come un cretino prima di sentirla imprecare per la prima volta davanti a me. Di solito non apprezzavo la volgarità nelle ragazze e sapevo che in realtà in Kurata non c’era nulla di volgare, ma quelle parole le davano un non so che di.. sexy.
Di molto sexy.
«Vorrei cancellare ogni traccia di soddisfazione dalla tua faccia di culo, Hayama.»
Scoppiai a ridere e lei fece lo stesso. In realtà non mi odiava, era evidente, e sicuramente non le ero indifferente ma si sforzava di tenermi alla larga. A mio parere, però, lo faceva più per controllare se stessa che me. Quel pensiero mi illuminò: allora le piacevo, in un certo senso.
«Come hai fatto a convincere Micha a metterci in coppia insieme?». Sembrava imbarazzata nel farmi quella domanda e io nel frattempo le indicai la porta della mensa per cercare di pensare ad una scusa plausibile che, però, non mi venne in mente. Come avevo fatto a non prevedere quella domanda?
«L’ho pagato.» sparai. Poi pensai di convincerla che fosse stato il destino ad unirci in quel progetto ma sicuramente mi avrebbe preso per uno scriteriato. Allora le dissi la verità che voleva sentirsi dire ma che non corrispondeva esattamente alla realtà dei fatti.
«Sto scherzando, Kurata. Siamo gli ultimi nell’appello e in ogni corso i professori non si scomodano mai a creare le coppie di testa loro quindi fanno tutto in ordine alfabetico. Sapevo che Micha ci avrebbe fatto fare un progetto e ho dedotto tutto.»
Quanto cazzo ero bravo a mentire? Avrebbero dovuto darmi il nobel come miglior racconta balle del mondo.
Lei sembrò credermi e, varcata la soglia della mensa, mi salutò con un cenno della mano accompagnato da un sorriso. Almeno non mi trattava più come un malato da cui tenersi lontana, era già una consolazione.
Tre secondi dopo avevo già in mano il mio Iphone per mandarle un messaggio.
Domani alle nove da me, ti va bene?
La risposta fu tanto immediata quanto breve.
Come, prego?
Sorrisi.
Per il progetto, stupida.
Avrei dovuto chiamare l’impresa di pulizie Tsuyoshi per sistemare il casino di casa mia ma non me ne importava assolutamente nulla.
Tsuyoshi mi avrebbe aiutato, come sempre, e Kurata sarebbe finita nel mio letto in meno di un quarto d’ora dal momento in cui fosse entrata in casa mia.
Mi ricordai mentalmente la signorina tanto graziosa che faceva da assistente a Micha.
Grazie, sconosciuta che ho palpeggiato per una giusta causa!!

*
 
Sbattei la porta gettando la tracolla al lato del divano. Tsuyoshi era a casa, le sue chiavi erano appese al solito ripiano vicino all’entrata. Odiavo la precisione quasi maniacale con cui si comportava ma in quel momento, pensando che avrebbe dovuto aiutarmi nell’impresa di rendere casa mia presentabile, sarei stato in grado di promettergli qualsiasi cosa.
Lo trovai in cucina intento a preparare la cena. Aprii lo sportello del frigo e tirai fuori una birra.
«Ho bisogno di un favore.» dissi bevendone un sorso.
«Sentiamo.» sbuffò lui rivolgendomi uno sguardo pieno di fastidio. Nemmeno avevo aperto bocca e già sognava di cospargermi di benzina e darmi fuoco.
«Devi aiutarmi a pulire casa, domani ho ospiti.»
«Fammi indovinare..» cominciò «Sana Kurata?». Inarcò le sopracciglia e sorrise compiaciuto di sapere già cosa volevo chiedergli. Lo odiavo quando facevo il saputello, cosa che accadeva per circa il novantanove per cento del tempo che passavamo insieme.
Tsuyoshi era sempre stato quello coi piedi per terra tra noi due, io invece ero sempre stato il cazzone. La cosa non mi dispiaceva più di tanto fino al momento in cui mi trattava come se fossi un minorato mentale.
«Da quando fai parte del comitato gossip dell’università?» chiesi poggiando la birra sul tavolo.
«Lo sai che non me ne fotte niente della tua vita sentimentale ma.. »
«Sessuale.» lo corressi.
«Eh?». Mi guardò studiando e riflettendo su ciò che avevo appena detto.
«Sessuale, Tsu. Sentimentale presuppone i sentimenti. Niente sentimenti, lo sai.»
«Ah.. si lo so, Akito.» Si girò per prendere il sale dalla dispensa e lo gettò sul ragù dentro la padella. Poi tornò a guardarmi e continuò. «Dicevo, non mi importa granchè della tua vita sessuale, lo so solamente perché ho invitato a cena la sua compagna di stanza, Beth Roberts, l’americana.»
Annuì, l’avevo vista insieme a Kurata la sera della festa di benvenuto e anche con Sana davanti a me non avevo potuto fare a meno di notarla. Era uno schianto, non avrei potuto essere più fiero del mio amico.
Sorrisi dandogli una gomitata e spostandomi vicino alla finestra per accendermi una sigaretta.
«Bene, faremo qualche uscita a quattro allora.»
«Contaci, Akito.» Mi guardò torvo.
Purtroppo, in passato, avevo avuto la cattiva abitudine di sedurre le ragazze che interessavano a Tsuyoshi ma non era mai stata mia iniziativa. Le troie, perché lo erano tutte, mi avevano infilato la lingua in bocca senza nemmeno presentarsi e se lui aveva la tendenza a rimorchiare tutte ragazze facili era forse colpa mia? E poi, gliel’ho sempre detto, le ragazze preferiscono il bad boy. Come me.
Lui non era affatto bad boy, anzi, era un angelo. Sotto certi aspetti avrei tanto voluto essere come lui perché nonostante la separazione dei suoi era riuscito a vivere benissimo la sua vita, a diplomarsi con il massimo dei voti e a condurre un’esistenza normalissima. A differenza mia.
«Conosco già la tua ragazza.» lo avvertì.« e se non c’ha provato con me tutte le volte che l’ho vista allora significa che non è interessata.»
Ascoltò attentamente la mia spiegazione e poi mi diede una pacca affettuosa sulla spalla.
«Va bene Akito.» Sperai che avesse veramente accettato ma Tsuyoshi sapeva essere più stronzo di quanto pensassi. «Ma se fai qualcosa per farti notare da lei, ti appendo per le palle dal lampadario in salotto.»
Dopo di che aveva lasciato la cucina e si era fiondato sul divano in soggiorno a fare zapping.
Io feci lo stesso, per la sera non avevo alcun programma anche se avrei potuto chiamare Sari e dirle di venirmi a trovare. Ma nel momento stesso in cui avevo preso l'agenda per contattarla Tsuyoshi mi aveva guardato malissimo e io avevo prontamente posato il telefono sul tavolino.
Non avevo di certo bisogno del suo permesso ma se volevo che mi aiutasse dovevo comportarmi bene, almeno fino alla sera dopo.
«Quindi…» cominciai «Come mai hai invitato quella.. Beth?» chiesi dubbioso sul parlargli o meno. Avevo la sensazione che volesse veramente uccidermi e non capivo davvero il motivo. Probabilmente era ancora terrorizzato dall’idea di vedere la sua ragazza provarci con me, per l’ennesima volta.
Scacciai quel pensiero, era il mio migliore amico e sapeva che, nel momento in cui avesse posto dei limiti, io li avrei rispettati.
Se questa Beth era un limite, io non l’avrei nemmeno guardata. E poi, a dirla tutta, ero troppo preso a far cedere Kurata quindi delle altre poco mi importava in quel momento.
«L’ho vista in biblioteca, le ho offerto un caffè e poi l’ho invitata, tutto qui.» Si girò verso di me e sorrise. «Le mie conoscenze non sono interessanti e catastrofiche come le tue.»
Scoppiai a ridere, ma ero disorientato dalle sue parole.
Non ero capace di costruire un rapporto solido con nessuno, ne con una ragazza ne con un amico. Tsuyoshi e io ci conoscevamo dall’asilo e solo grazie a lui era nata quest’amicizia perché se fosse stato per me avrei passato anche l’infanzia da solo. E invece no, lui aveva insistito e alla fine avevo accettato di essere suo amico solo per non sentirlo parlare più.
Da quel momento in poi eravamo stati inseparabili, era mio fratello.
«Domani sera dovrete uscire, lo sai no?»
«Era già in programma, sei stato solo fortunato.»
«Grazie mille, ma ora se non ti dispiace potresti andare in cucina? Non vorrei mangiare ragù bruciato.»
Sentendo la puzza di fumo si alzò e si precipitò in cucina a spegnere la fiamma.
Risi, sfottendolo all’inverosimile.
Anche lui stava diventando un pappamolle.
Ah, le donne, cosa non si fa per stare dieci minuti tra le loro gambe!


Eccomi qua :D Non vedevo l'ora di aggiornare, ma ho aspettato la recensione della mia carissima Dalmata per farlo, perchè ci tengo un sacco al tuo parere! 
Bene, questo capitolo è più che altro di transizione, che ci svela le intenzioni e i pensieri di entrambi. Akito così preso dalla sua 'sfida' come lui l'ha chiamata, e Sana ancora ferita dalla rottura con Naozumi Kamura, il bamboccio che odiamo così tanto.
Spero che la storia vi incuriosisca, e che le recensioni vengano incrementate il più possibile. 
Intanto ringrazio sia Miky che Dalmata che mi sono fedeli dalla mia prima storia :')
E ovviamente, anche tutte le altre che hanno recensito e anche chi legge silenziosamente la storia.
Bacino, vi lascio uno spoilerino qui sotto :*
 

Estratto dal prossimo capitolo:
«Hayama.» ricambiai il saluto altrettanto gelidamente prima di vederlo piegarsi per prendere qualcosa dalla sacca laterale della moto. Facendolo, gli rimase scoperta una parte del fianco e della pancia, in particolare la striscia di peli che partiva dall’ombelico fino ad arrivare al… NO! 
*
Non avevo alcuna intenzione di riportarla al dormitorio: avevamo passato le precedenti tre ore a parlare di un insulso progetto universitario e volevo rilassarmi in sua compagnia.
Be, rilassarsi con Kurata non era proprio la cosa più semplice da fare. Primo perché non smetteva mai di rispondermi di merda, anche quando non me lo meritavo per niente. E secondo, dato non meno significativo, mi bastava guardarla per sentire qualcosa che si muoveva nelle mie parti bassi. Ci siamo capiti.



 

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Capitolo 5
*** Rivelazioni. ***


CAPITOLO 5
RIVELAZIONI.
Pov Sana.


Il momento che credevo – e speravo – non sarebbe mai arrivato stava invece bussando alla mia porta. Beth mi guardava prepararmi mentre se ne stava a letto contenta perché anche lei era stata invitata da Tsuyoshi.
«Niente sesso sul mio letto Beth, ti prego.» le chiesi speranzosa che avrebbe mantenuto la parola.
«E tu niente sesso in generale, Sana!».
Avevo detto a Beth di essere ancora… ancora vergine e il suo volermi proteggere era molto carino ma non ne avevo bisogno. Non sarei mai andata a letto con Hayama, per nessun motivo e in nessuna circostanza, mai e poi mai.
Ci eravamo messi d’accordo per vederci alla caffetteria appena fuori dal campus per poi dirigerci al suo appartamento visto che non sapevo – e non ci tenevo affatto a saperlo, in realtà – dove fosse. Nel buio lo vidi arrivare sulla sua moto enorme e cominciai davvero a preoccuparmi. Non avrebbe di certo preteso che io…? No, assolutamente.
«Ciao Kurata.». Fu freddo nel salutarmi ma lo preferivo a quando si comportava da coglione per mettermi in imbarazzo.
«Hayama.» ricambiai il saluto altrettanto gelidamente prima di vederlo piegarsi per prendere qualcosa dalla sacca laterale della moto. Facendolo, gli rimase scoperta una parte del fianco e della pancia, in particolare la striscia di peli che partiva dall’ombelico fino ad arrivare al… NO!
Non dovevo proprio pensare a quello, non su Hayama, non in un momento così incasinato della mia vita. Tornai alla realtà quando mi accorsi che mi stava porgendo qualcosa.
«Ti ho portato una giacca a vento, in moto fa freddo.»
«Non ne avrò bisogno, non salirò sulla tua moto.» dissi assolutamente decisa a non accettare.
«E com’è che vorresti arrivare al mio appartamento?»
«Potremmo rimanere nella mia stanza.» Mi pentì immediatamente di ciò che avevo detto.
«Per quanto l’idea sia allettante non vorrei assistere agli atti sessuali del mio migliore amico con la tua compagna di stanza.»
Perciò lui sapeva di Beth. Mi domandai come aveva fatto a non dirmelo immediatamente perché conoscendolo almeno un pochino sapevo perfettamente che avrebbe voluto sbattermelo in faccia già la mattina.
In silenzio, sconfitta, dovetti accettare di mettermi dietro di lui sulla moto. Hayama aveva pieno controllo su di me in quel momento e, se fosse stato un totale psicopatico, mi avrebbe portato chissà dove. Mi ritrovai a pensare che, stranamente, mi fidavo di lui pur conoscendolo da appena una settimana.
«Tieniti forte Kurata.». Tre secondi dopo stava già andando al massimo e se non mi fossi aggrappata alla sua schiena probabilmente sarei finita col culo per terra in più di un’occasione.
Arrivati a casa sua scesi immediatamente dalla moto e cominciai a sbraitare. Lui mi ignorò, mi condusse in casa e mi sembrò di entrare in un girone infernale.
L’appartamento non era male, tipico di uno studente come Hayama, era ordinato, probabilmente grazie a Tsuyoshi, e abbastanza pulito. Il salone a cui dava la porta era riempito solo da un enorme divano bordeaux e da una tavola tanto piccola da sembrare quasi sproporzionata rispetto a tutto il resto. C’erano le tende, ma non capii il colore perché non avevo notato che fosse tutto buio.
Ero rimasta ferma davanti alla porta, non so perché mi sentivo mancare il fiato lì dentro.
«Puoi entrare Kurata, casa mia non morde.». Le sue parole erano un sussurro contro il mio orecchio e fui percorsa da un brivido lungo tutta la schiena. Cosa ci facevo in quella casa? Ero andata ad infilarmi proprio nella tana del lupo, ma cosa avevo nel cervello?
Non parlai per un po’, quella situazione mi imbarazzava già abbastanza per aggiungere anche la vergogna per chissà quale frase inappropriata mi sarebbe uscita dalla bocca.
Mi tolsi la giacca a vento che Hayama gentilmente mi aveva portato e gliela poggiai sulla poltrona vicina al divano mentre lui era sparito in cucina a prendere qualcosa da bere.
Si presentò con due bicchieri di vetro pieni di un liquido giallastro che sembrava limonata e li poggiò sul tavolo da pranzo porgendomene poi uno dei due. Avrei potuto abituarmi a quell’Hayama gentile e premuroso ma sapevo che era tutta una tattica e questo mi rese quasi orgogliosa. Cercava di comportarsi meglio quando era in mia compagnia e io avevo sempre avuto un’indole da crocerossina che mi portava ad avvicinarmi alle persone problematiche.
Hayama però non sembrava problematico, era solo uno stronzo.
Sorseggiando la limonata che aveva un sapore strano mi passò per la mente che forse non avrei dovuto accettare nulla da uno sconosciuto che per di più voleva portarmi a letto, così la posai di nuovo sul tavolo e mi accomodai sul divano.
Notai l’espressione di Hayama e compresi di essere stata piuttosto scortese con quel gesto ma non mi importava: volevo che quella serata volgesse al termine e il prima possibile.
«Non ho intenzione di drogarti, Kurata. Quando finirai nel mio letto voglio che tu sia pienamente cosciente.». Sembrava mi avesse letto nel pensiero, ma come diavolo ci riusciva?
«Perciò, bevi.» mi ordinò e io non potei far altro che afferrare nuovamente il bicchiere e sbuffare sonoramente.
«E non sbuffare.». Stava cominciando a farmi innervosire, non avevo cinque anni e mai avevo permesso a qualcuno di darmi degli ordini.
«Si, papà.».
Mi fece strano – e non poco – dire quella parola, forse perché nella mia vita non avevo mai avuto la possibilità di chiamare qualcuno in quel modo. Mi incupii per un attimo ma la voce di Hayama mi riportò alla realtà – alla imbarazzante, orrenda e.. calda realtà.
«Okay..» incalzai vedendo che si era seduto vicino a me «cosa vogliamo fare?»
«Un’idea io ce l’avrei.» ghignò accennando un sorriso.
«Il progetto, Hayama. Cosa avevi pensato di presentare? Io faccio schifo in chimica.» ammisi infine buttando la schiena indietro sul divano.
«Intanto prendo qualcosa da mangiare e poi decidiamo.» disse alzandosi nuovamente.
Mi tolsi anche il maglioncino azzurro che avevo indossato perché stavo veramente morendo di caldo. Stava cercando un modo per farmi spogliare? Se non avesse abbassato il riscaldamento avrebbe ottenuto quel primo risultato.
Tornò poco dopo con delle patatine in una ciotola e un quaderno e in quel momento mi accorsi di non aver portato nulla con me, neppure una matita. Chissà cosa aveva pensato! Mi maledissi per essere sempre così distratta.
Mi passò una patatina e io l’accettai con un sorriso che si trasferì immediatamente sulla bocca di Hayama.
«Mmh?» chiesi con una smorfia.
«Briciola.» disse.
«Eh?».
Continuò a sorridere, poi allungò una mano e, velocemente, mi posò il pollice sul labbro inferiore.
Immediatamente ogni parte del mio corpo si irrigidì e mi ritrovai a sentire molto più caldo di quanto non avessi sentito tre secondi prima.
«Ecco fatto.» disse togliendo la mano.
Dire che stavo per morire era un eufemismo.
 
______________________________________________________________________________________
Pov Akito.
 
Avevamo scartato immediatamente ogni sorta di progetto che ci era venuto in mente per i motivi più disparati: troppo banale, troppo semplice, troppo difficile, troppo lungo, troppo corto e chi più ne ha più ne metta.
Alle undici di sera non avevamo ancora idea di cosa presentare la settimana successiva a Micha.
Tutto sommato però dovetti ammettere che ne era valsa la pena: la compagnia di Kurata mi entusiasmava, con lei riuscivo a parlare tranquillamente più che con molta altra gente. Avrei voluto che restasse ancora un po’– diciamo pure un po’ tanto– ma sapevo che non avrebbe mai accettato.
Un’ora prima avevo la mano sulla sua bocca e la sentivo tremante al mio tocco e invece in quel momento mi ritrovavo a un metro e mezzo di distanza con un quaderno sulle gambe. Non era stata, ovviamente, una mia scelta ma dovevo pur salvare le apparenze.
«Basta, non ce la faccio più!» sbuffò Kurata spingendo la schiena verso il divano.
La maglia le si alzò sul ventre e le lasciò scoperto l’ombelico. Dio, se non voleva che ci provassi con lei avrebbe dovuto vestirsi in maniera più decente in mia presenza.
Notando la mia espressione si tirò giù la maglietta e spostò lo sguardo verso l’orologio della tv accorgendosi dell’ora abbastanza tarda.
«Direi che è ora di andare.» disse alzandosi e stiracchiandosi davanti a me.
Avrei potuto prenderla in quel momento: era una ragazza ferita– nel frattempo infatti mi ero documentato e, come avevo previsto, era stata appena lasciata da un certo Kamura, anche lui attore. – quindi era piuttosto facile irretire le donne in un momento difficile della loro vita. Però Kurata meritava di più e per la prima volta da quando l’avevo conosciuta pensai seriamente di lasciar perdere i miei propositi ed esserle solo amico.
Ma come avrei potuto resistere a quella specie di Venere? Era bellissima, sotto ogni aspetto, e io volevo solo scoprire quanto fosse meravigliosa, preferibilmente senza vestiti.
Ero un mostro se desideravo averla? Ero un bastardo se desideravo che fosse mia, almeno in camera da letto?
Non volevo ferirla, ma dovevo farmela assolutamente o la tensione sessuale che si era creata tra di noi mi avrebbe fatto impazzire.
«Ti accompagno.» dissi avvicinandomi alla porta con la giacca in mano.
Lei annuì e mi seguì in silenzio. Non capivo se il suo atteggiamento fosse dovuto ad un’imposizione che aveva fatto a se stessa o ad un reale disinteresse nei miei confronti. Eppure poco prima avevo notato quanto fosse imbarazzata in mia presenza e come aveva tremato quando l’avevo appena sfiorata e quelli non erano reazioni di una persona indifferente.
Durante il tragitto verso il dormitorio mi si appiccicò come una ventosa alla schiena e io decisi di andare sempre più veloce per sentirla ancora più vicina. Era piccola, fragile e, soprattutto, sotto il mio pieno controllo così, quando eravamo quasi arrivati, cambiai strada e mi diressi verso il molo di Iridium, un posto che adoravo in città e che non conosceva quasi nessuno.
Avvertì appena le sue parole nel momento in cui si accorse che stavo facendo una deviazione e cominciai a sfrecciare tra macchine e moto senza curarmi del fatto che lei urlasse alle mie spalle.
Quando, finalmente, avevo accostato la moto vicino alla spiaggia lei era immediatamente scesa e aveva cominciato a inveire contro di me senza accorgersi del luogo in cui l’avevo portata.
«Hayama, riportami al campus.» mi aveva ordinato infine.
Non avevo alcuna intenzione di riportarla al dormitorio: avevamo passato le precedenti tre ore a parlare di un insulso progetto universitario e volevo rilassarmi in sua compagnia.
Be, rilassarsi con Kurata non era proprio la cosa più semplice da fare. Primo perché non smetteva mai di rispondermi di merda, anche quando non me lo meritavo per niente. E secondo, dato non meno significativo, mi bastava guardarla per sentire qualcosa che si muoveva nelle mie parti bassi. Ci siamo capiti.
«Portami al campus ho detto!»
«Sta’ zitta Kurata e guardati intorno.». Fece come le avevo detto e da quel momento calò il silenzio più totale.
Fissava ipnotizzata il mare come se si trovasse di fronte al più bello spettacolo che avesse mai visto.
Io feci lo stesso ma il mio spettacolo era lei.
Mi sforzai di scacciare quel pensiero per concentrarmi su… Cosa stavo dicendo? Oddio, quella ragazza mi stava friggendo il cervello!
«Come mai mi hai portata qui?» mi chiese rivolgendo il suo sguardo su di me e spostandosi i capelli per portarli dietro le spalle.
«Deve esserci per forza un motivo?» risposi vago.
«No.» concluse lei prima di togliersi le scarpe e cominciare a camminare a piedi nudi sulla sabbia.
La vidi inciampare e poi tornare dritta in meno di mezzo secondo e sorrisi notando quanto fosse buffa.
Non riuscivo a decifrare la sensazione che mi prendeva quando ero con lei, l’unica cosa che sapevo era che stavo bene. Per la prima volta in tutta la mia vita non c’erano ne sensi di colpa, ne rabbia, o nessun tipo di sentimento negativo e l’unica ragione era che lei era con me.
Scossi la testa, come se quel gesto avesse potuto liberarmi dalle pippe mentali che avevo in testa, e mi imposi di calmarmi perché Sana Kurata non era altro che una ragazza e non dovevo esaltarmi così tanto per qualcosa che conoscevo a memoria.
La raggiunsi senza sfilarmi gli stivali e la feci inciampare sui miei piedi perché sapevo che non si era accorta della mia presenza.
Scoppiò a ridere, sembrava ridesse davvero di cuore, e mi contagiò con la sua risata. Mi sedetti accanto a lei e non so per quanto tempo restammo lì, sulla sabbia a ridere, fin quando non cominciammo a parlare.
«Quindi Hayama..» disse guardandosi i piedi nudi sotterrati dalla sabbia. «Qual è la tua storia? Sei sempre stato così stronzo o la vita ti ha forgiato?». Pronunciò l’ultima parola mimando le virgolette con le mani.
«Credo sia una faccenda di famiglia.» . Era vero, mio padre era sempre stato uno stronzo menefreghista e mia sorella.. non ne parliamo! Sapevo l’odio che provava per me e mi tenevo a debita distanza da ben diciannove anni.
Come si fa a sentirsi di troppo all’interno della propria stessa famiglia? Eppure io mi sentivo sempre così e la mia vita avevo preso la giusta piega solo nel momento in cui ero uscito da quella casa degli orrori.
«Hai detto di non avere un buon rapporto con i tuoi familiari.».
Cavolo, si ricordava ciò che le avevo raccontato e voleva farmi credere che non le interessavo?
Puah.
Non sapeva nemmeno quanto bene conoscessi l’universo femminile.
«Già..» mi limitai a rispondere un attimo dopo.
«E come mai?» . Arricciò il naso come se per lei fosse la cosa più strana del mondo. Non poteva comprendere il mio punto di vista perché, a differenza sua, non avevo di certo avuto un’infanzia tutta rosa e fiori. Io ero stato costretto a vivere in una casa in cui darmi da mangiare era un obbligo e odiarmi un passatempo.
«Mia madre è morta.» risposi infine. Vidi la sua espressione cambiare dall’incuriosita all’impietosita e mi irrigidii automaticamente. Non volevo che provasse pena nei miei confronti soprattutto perché era la prima persona – oltre a Tsu, ovviamente– a cui dicevo la verità. Nessuno conosceva la storia di Akito Bastardo Hayama e me andava bene così perché quello di impietosire la gente non era il mio primo pensiero.
«Mi dispiace.» disse subito dopo. Appoggiò la testa sulla mia spalla e quel contatto bastò per mandarmi fuori di testa.
Se sono uno stronzo sempre arrapato? Si, lo sono. E allora?
La volevo con tutto me stesso ma.. cazzo, non avrebbe dovuto esserci nessun ma.
Ma, appunto, c’era qualcosa che mi frenava. Kurata era in gamba, era un angelo in mezzo ai tanti demoni della mia vita a cui potevo aggiungermi io stesso. E io, stronzo per quanto fossi, non avevo il coraggio di corrompere in nessun modo quella creatura così pura che mi stava accanto.
«Non preoccuparti.»
Da quel momento in poi per almeno venti minuti non parlammo, ci limitammo a fissare il mare come due nerd in piena depressione fin quando non mi decisi a farle io qualche domanda più intima. Sicuramente la sua vita non avrebbe potuto essere più incasinata della mia.
«E tu, Kurata? Raccontami la tua storia.». Sul suo volto comparve una smorfia che avevo imparato ormai a decifrare: era un misto tra fastidio e tristezza.
«Sono stata adottata.» fu la prima cosa che mi disse.
«Mmh..» le dissi invitandola a continuare.
«Un bel giorno la mia madre naturale si è fatta viva e ha chiesto che io andassi via con lei. Ovviamente non ho accettato.»
«E tua madre?». Mi affrettai a precisare. «Quella adottiva.»
«Mia madre è meravigliosa. Aveva deciso di lasciarmi libera ma sono stata io a rifiutare. Ho già una madre.»
Negli occhi di Kurata calò una tristezza che non le avevo mai visto addosso tanto da sembrare quasi stridente con la sua personalità. Eppure dietro quell’apparente forza si nascondeva tutto quel dolore che potevo comprendere benissimo.
Ritirai ciò che avevo pensato poco prima: anche la sua vita era piuttosto incasinata, per non parlare della delusione amorosa che aveva recentemente subito e di cui sapevo tutto nonostante lei non me ne avesse parlato.
La ammiravo, però. A dispetto della sua vita era stata capace di non chiudersi a riccio perché per quanto all’apparenza sembrasse una stronza, sotto sotto era una romanticona.
Gettai le spalle indietro e mi ritrovai pieno di sabbia tra i capelli.
Sana era titubante sul faro lo stesso e si guardava intorno cercando un modo per coricarsi senza la fare la mia stessa fine. Io con una scrollatina avrei fatto cadere tutta la sabbia, lei sarebbe stata costretta a lavarsi i capelli.
«Appoggiati qui.» dissi indicandole il mio petto. Sorrisi, aspettavo quel momento da quando, la settimana prima, l’avevo sentita vicina durante quello stupido ballo.
«No.» rispose lapidaria arricciando il naso per poi spostare i capelli su una spalla lasciando scoperto l’incavo del collo e la nuca. Alla luce della luna era ancora più bella.
Quel pensiero mi fece rabbrividire: era la prima volta che mi soffermavo così tanto ad osservare una ragazza da notare tutti quei particolari. E lei, di particolari da paura, ne aveva anche troppi.
«Avanti Kurata.» dissi tirandola su di me. «Non mordo.»
«Ti odio Hayama.». Mi diede una botta sulla pancia e io mi inarcai facendo finta che mi avesse fatto male.
«Sei un uomo mancato, Kurata.» la schernii.
«Vaffanculo.»
«Per averti addosso ho dovuto addirittura costringerti, ma da quale cerchio del paradiso sei scesa?»
Scoppiai a ridere e lei fece lo stesso poggiando la mano vicino alla sua bocca sfiorandomi involontariamente il petto.
«Non sono affatto un angelo, quanto si vede che non mi conosci.»
«Meglio, non mi piacciono tanto gli angeli.»
«Certo, meglio i demoni.»
Cominciai quasi meccanicamente ad accarezzarle i capelli. Notai subito che si era irrigidita quando l’avevo toccata.
Credevo di aver frainteso il linguaggio del suo corpo ma subito mi aveva spostato la mano.
«Hayama, che diavolo stai facendo?».
Rimisi la mano dov’era. «I tuoi capelli mi rilassano.» risposi sorridendo.
«Si ma io così mi addormento.»
«Meglio, sarai ancora più carina quando avrai la bocca chiusa.».
Mi beccai quasi istantaneamente un altro schiaffo. Stavolta, lo ammetto, mi fece un po’ male. Solo un po’.
Cazzo, quella ragazza picchiava davvero forte.
«Andiamo Hayama, Beth si starà chiedendo che fine ho fatto.»
«Beth sarà tanto impegnata da non accorgersi nemmeno del tuo ritardo.»
Scoppiai a ridere, sentendomi gonfio d’orgoglio per il mio amico.
«Oh..» disse lei poco dopo visibilmente sorpresa per qualcosa.
«Che?»
«Sento il tuo cuore.» . Bè, in realtà non avevo assolutamente fatto caso al fatto che battesse così velocemente fino a quel momento. Mi zittii per concentrarmi su quel ritmo.
«Anche io ne ho uno.»
«Strano, pensavo avessi una pietra al suo posto!» disse ridacchiando. Subito dopo si raddrizzò e mi diede una rapida occhiata. Io capii immediatamente e feci per alzarmi.
«Ho capito, ho capito.. ti riporto al campus!»
«Grazie.». Mi alzai e le porsi una mano per aiutarla a mettersi in piedi ma non calcolai bene la forza e me la ritrovai addosso.
Il profumo di vaniglia della sua pelle mi attraversò le narici e per un secondo, lo giuro, pensai di non riuscire a controllarmi.
«Hayama..» sospirò. «Non avvicinarti un centimetro di più.»
Tornai alla realtà quando la sua voce mi trapanò le orecchie. La mollai subito e lei si diresse a piedi nudi verso la moto.
«Non preoccuparti..» urlai «ti ho già detto che supplicherai.»
«Sogna, Hayama.» Poi mi rivolse il dito medio.
Risi come un’idiota.
Kurata era la donna dei miei sogni, davvero, e io non potevo averla, davvero. Per quanto la desiderassi, anch’io avevo una coscienza e per nessun motivo volevo essere la causa di una sua ulteriore sofferenza.
Sarei stato suo amico,  finchè non mi avesse supplicato…





Ed eccoci qua, la serata si è appena conclusa e tutto sembra andare per il verso giusto ma... e sottolineo MA (sono malefica *-*) devono succedere ancora troooppe cose. Giusto stamattina ho avuto un'ispirazione per una nuova situazione che non so a cosa porterà esattamente. 
Comunque, tornando al capitolo.. inanzitutto AUGURI DI BUONA PASQUA, in ritardo ovviamente come è nel mio stile.
Dicevo, i due cari giovincelli finalmente si sono aperti l'uno con l'altro e sembra che tra loro stia nascendo una bella amicizia. Hayama dice che sarà suo amico, Sana ormai lo considera tale.. ma l'amicizia esiste davvero? Può mai esserci amicizia in un rapporto del genere? ai ai ai... troppe domande a cui rispondere :')
Spero che continuerete a leggermi, spero di vedere sempre più recensioni e pareri perchè servono quelli per avere la voglia di continuare a scrivere. Spero di vedere sempre le mie due fedelissime (Dalmata e Miky).. e niente, di vedervi sempre presenti.
Al prossimo aggiornamento, vi lascio uno spoilerino qui sotto :*


Estratto dal prossimo capitolo:

«Ma che gli è preso?» chiesi a Tsuyoshi scioccata dal comportamento di Akito.
«E’ fatto così.» si limitò a dirmi lui. Era il suo migliore amico e non avrebbe parlato nemmeno sotto tortura ma sinceramente non sapevo se mi interessava davvero sapere cosa passava per la testa di Hayama.

 
*

Stavo per parlare quando lei mi battè sul tempo.
«Beth mi ha trascinata a questa festa con i suoi metodi e come se non bastasse il mio ex rag..» si fermò per un attimo e a me mancò l’aria nei polmoni per ciò che avevo appena sentito. Due secondi dopo continuò.
«Ma perché ti sto raccontando queste cose?» chiese corrugando la fronte. Quando faceva quell’espressione era troppo buffa ma mi guardai bene dal dirglielo, alterata com’era mi avrebbe dato una botta che avrebbe fatto sbandare l’auto.
«Non lo so Kurata, forse per il mio meraviglioso sorriso che infonde fiducia?». Le sorrisi mostrando tutti e trentadue i denti. 

 

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Capitolo 6
*** Gossip. ***


CAPITOLO 6
GOSSIP.
Pov Sana.
 
«Bene..» aveva detto spostando il peso da un piede all’altro.
«Buonanotte Kurata.» Mi rivolse un sorriso mozzafiato e io restai quasi imbambolata e un po’ spaesata alla vista di quella meraviglia. Lui se ne accorse e il suo volto si illuminò all’istante. Poi lo vidi corrugare la fronte.
«Che c’è?» chiesi.
«Di solito quando due persone si dicono Buonanotte si presume che una delle due vada via.» abbozzò un sorriso e poi continuò «Kurata, sei tu che devi rientrare. Buonanotte.» ripetè.
Gli feci un cenno con la mano e mi girai per entrare al dormitorio. All’improvviso mi sentii afferrare per un braccio e vidi Hayama avvicinarsi per lasciarmi un casto bacio sulla guancia.
«Sogni d’oro, Kurata.». Salì sulla moto e un secondo dopo era già andato via, mentre io non avevo la forza per muovermi, ed ero rimasta lì, immobile, con la mia mano posata proprio nel punto in cui Hayama aveva posato le sue labbra.
Dopo essermi ripresa a questo stato di trance, mi avviai verso la mia stanza e sospirando girai la chiave nella serratura della camera numero 27, la mia camera.
Cazzo, ma era anche la camera di Beth.. e Beth era con Tsuyoshi.. e Tsuyoshi era il migliore amico di Hayama.
Hayama.. per quanto tempo  ancora avrei fatto terminare ogni pensiero con quel nome?
Aprii la porta con cautela, terrorizzata di trovarmi davanti ad una scena piuttosto imbarazzante. Mi coprii gli occhi con le mani ed entrai.
«Giuro che non guardo ma se non l’avete ancora fatto, ricomponetevi!» urlai.
Ricevetti una botta che mi fece cadere sul letto. «Ahia!» esclamai.
«Sei una deficiente.». Aprii gli occhi, Beth era seduta sul letto e indossava il pigiama.
«Quanto sei dolce, cara compagna!». Le tirai un cuscino scoppiando a ridere. «E Tsuyoshi?» chiesi notando che non avevo assistito a nulla di sconcio.
«Sana, sono le tre e mezza del mattino. Se n’è andato solo un’ora fa perché aveva paura di interrompere qualcosa.»
«Le tre e mezza?» O mio Dio, non mi ero accorta di aver passato così tanto tempo insieme ad Hayama.
«Si, Sana. Le tre e mezza.» ripeté. «E tu sei proprio una deficiente.»
«Ancora? Ma perché?»
«Ho visto tutto, là fuori.» spiegò «Io gli sarei saltata al collo.».
Mi rivolse un’occhiata di sdegno che mi fece strano: nessuno mi aveva mai guardato in quel modo. Le tirai un altro cuscino.
«Non esiste, Beth.» Il cuscino tornò a me. Quel giochetto stava cominciando a stancarmi.
«Solo perché c’è qualcosa che ti blocca. La tua è solo paura.». Le ritirai il cuscino e mi misi sotto le coperte dopo essermi tolta i jeans e rimanendo in canottiera.
Nonostante fosse piuttosto tardi la mia mente cominciò a vagare più del dovuto. Quella sera avevo conosciuto una parte diversa di Akito Bastardo Hayama, un lato che non mi dispiaceva affatto. Non riuscivo a capire, però, perché si era confidato con me. Diedi per scontato che nessuno, oltre Tsuyoshi, sapesse di sua madre solo perché non sembrava un tipo che amava parlare di se e il fatto che avesse deciso di farlo con me mi lusingò particolarmente.
Mi girai su un fianco cercando di prendere sonno ma con scarsi risultati. Ero troppo, davvero troppo, in preda all’adrenalina per riuscire ad addormentarmi.
In quel preciso istante mi resi conto di essere perduta:Akito Hayama mi era entrato dentro.
Scostai le coperte e sbuffai sonoramente.
«Caldo, eh?»
«Piantala Beth!»
«C’è niente che vuoi dirmi?». Il cuscino che avevamo usato poco prima mi arrivò dritto in faccia.
«No, cretina.» . Le ritirai quell’affare. «E smettila di chiedere.»
«Allora smettila di farti preliminari mentali e dormi»
«Nessun preliminare, vaffanculo.» . Mi girai verso la parete e sperai di prendere sonno e stavolta per davvero.
*
 
La giornata procedeva piuttosto tranquilla, ero riuscita a stare alla larga da Hayama abbastanza da fargli capire che si, potevamo essere amici, e che no, non sarebbe finito nel mio letto.
Avevo davanti un pasto, se così poteva essere chiamato ciò che c’era nel mio vassoio, e giravo la forchetta tra le mani. Mi stavo annoiando a morte senza Beth che era stata invitata a pranzare da sola con Tsuyoshi nel tavolo in fondo alla sala. Mi girai automaticamente a guardarli e notai che Beth si rigirava i capelli tra le mani come faceva sempre quando era nervosa.
Tornai a guardare il mio piatto e scostai il vassoio dalla mia vista prendendo solamente la mela che mi era sembrata la cosa meno disgustosa.
«Meglio il Blitz, vero?». La sua voce mi trapassò le orecchie e mi fece sussultare. Hayama.
«Quando la smetterai di arrivare alle mie spalle?»
«Te l’ho detto, mi piacciono le tue spalle.». Mi fece una linguaccia e prese posto davanti a me. Indossava i soliti jeans e una maglia nera che faceva risaltare il biondo dei suoi capelli che erano tutti arruffati.
«Che vuoi Hayama?». Cercai di deviare i miei pensieri, altrimenti sarei stata capace di mettere una mano tra quei fili di grano.
Ero ridicola.
«Oggi dobbiamo scegliere il progetto quindi a meno che tu non voglia presentarti a mani vuote la prossima settimana dovrai venire da me oggi pomeriggio.»
«Di nuovo?»
«Di nuovo.» mi rispose con un tono cantilenante.
«Non potremmo andare in biblioteca?». Non potevo ritrovarmi di nuovo in una stanza da sola con lui, mi sentivo in imbarazzo davanti ai suoi occhi d’ambra e lui sapeva fin troppo bene come usare quelle sue qualità.
«Odio il silenzio che c’è in biblioteca. E poi non mi piace non poter parlare.»
«Io adoro quando stai zitto, pensa un po’.»
Strabuzzò gli occhi e fece una smorfia strana per poi scoppiare a ridere tirando la schiena indietro sulla sedia.
«Ah, quasi dimenticavo..» avvicinò la sua bocca alla mia mano e diede un morso alla mela, poi ripeté il gesto e arrivò fino alle mie dita, sfiorandole con le labbra, in un movimento impercettibile e sensuale. Avvampai fino alla punta dei capelli, ma cercai di nascondere il mio imbarazzo sistemando la frangetta che mi ricadeva leggermente sugli occhi. Ero quasi diventata brava a dissimulare l’effetto che quel ragazzo aveva su di me. «Stasera c’è una festa poco lontano da qui. Tsuyoshi ha invitato la tua amica. Ti vuoi unire?»
«Certo che vuole.» Beth si piazzò accanto a me insieme al suo carissimo fidanzato –  se così potevo chiamarlo. In realtà non avevamo ancora parlato della natura del loro rapporto ma, a quel punto, pensai che fosse evidente. Quando due ragazzi si fanno vedere in pubblico, insieme, se si comportano come Beth e Tsuyoshi, allora sono fidanzati.
«No Beth, non ci provare.». La guardai malissimo e quando stava per ribattere la fermai con un gesto della mano che le imponeva il silenzio. «Non verrò ad una festa con una coppia..» volutamente mimai le virgolette dicendolo, «e con un ragazzo con cui tutti credono che io vada a letto!».
Quando pronunciai quelle parole vidi gli occhi di Hayama infiammarsi. Gli faceva piacere che tutti mi considerassero la sgualdrina di turno perché poteva dire che ero alla sua altezza.
Idiota.
«E chi sarebbe il genio che ha parlato?». Beth si guardò intorno prendendomi in giro. «Dimmelo e lo faccio nero.»
Nel frattempo Hayama non aveva detto una parola e questo mi preoccupò leggermente.
«Seriamente, chi è stato?». Beth mi poggiò una mano sulla gamba con fare comprensivo, quasi materno. Avrei mai potuto trovare un’amica migliore di lei?
«L’ho sentito dire a lezione.» spiegai. «Kora Clausius, la studentessa americana della tua scuola, lo raccontava ad Arimi, proprio davanti ai miei occhi.»
Hayama si alzò di scatto e mi passò accanto come una furia dicendomi solamente «Ci vediamo dopo.».
Aveva aperto la porta della mensa ed era sparito in corridoio.
«Ma che gli è preso?» chiesi a Tsuyoshi scioccata dal comportamento di Akito.
«E’ fatto così.» si limitò a dirmi lui. Era il suo migliore amico e non avrebbe parlato nemmeno sotto tortura ma sinceramente non sapevo se mi interessava davvero sapere cosa passava per la testa di Hayama.
Valeva la pena prendersi anche i tormenti degli altri?
«E’ fatto proprio di merda allora.» conclusi.
*
«Non verrò alla festa, Beth. Nemmeno per sogno.». In realtà, potevo negare agli altri, ma non a me stessa, che non desideravo altro che andare a quella stupida festa, semplicemente perché ci sarebbe stato Hayama, anche se non lo avrei ammesso neanche sotto tortura.
La mia compagna di stanza se ne stava davanti all’armadio in preda all’indecisione: aveva provato almeno otto vestiti ed era ancora in biancheria intima e con i capelli legati alla meglio in uno chignon disordinato.
«Dai Sana, non devi per forza stare con Hayama. Ci sono tanti bei ragazzi nel campus.» ammiccò sistemandosi l’abito numero nove, color cipria, sui fianchi.
«Tipo?»
«Tipo.. Aiden Carter.»
Aiden Carter era il ragazzo che mi aveva fermato alla lezione di antropologia. Era americano, della Pennsylvania. Mi aveva raccontato di essersi trasferito in Giappone per scappare dalla sua ultima delusione amorosa, Kate. Aveva scelto il Giappone perché aveva sempre voluto visitarlo e, quando suo nonno era morto e gli aveva lasciato un’ingente somma di denaro da permettergli di vivere qui, aveva preso baracca e burattini ed era salito sul primo aereo.
«Non esiste, è un amico.»
«Gli amici non ti sbavano sul culo.»
Scoppiai a ridere come una cretina. Beth aveva la capacità di distrarmi da qualsiasi cosa. Ed era proprio quella la cosa che mi piaceva di più di lei.
«Aiden Carter non mi sbava sul culo.» ribattei divertita.
«Se non lo fa, la farà molto presto.» mi rivolse un sorriso compiaciuto e poi continuò. «Dai Sana, ti prego.» e lo faceva per davvero. Stava pregando in ginocchio davanti a me.
«Ti porterò la colazione a letto per una mese.». Mi guardò con quegli occhi da cucciola.
Come potevo resistere ai suoi occhi azzurro cielo?
«Si che lo farai.» cedetti infine. Prima di poter dire altro me la ritrovai addosso intenta a baciarmi dappertutto.
«Grazie, grazie, grazie, grazie..!». La cosa continuò per almeno dieci minuti finché me la tolsi di dosso e andai al mio armadio per scegliere cosa indossare, non prima di aver mandato un messaggio ad Hayama avvertendolo che non sarei andata da lui.
Mi aveva risposto dispiaciuto ma non aveva fatto obiezioni.
Maledetti occhi azzurro cielo.
__________________________________________________________________________________________

 
Pov Akito.

Ero furioso. Camminavo avanti e indietro per il vialetto del dormitorio C in attesa che quella deficiente di Arimi mi raggiungesse.
Le avevo scritto un messaggio chiedendole di muovere il culo e di incontrarci proprio dove la stavo aspettando. Da lontano vidi i suoi capelli scuri avvicinarsi sempre di più e quando mi fu davanti dovetti controllarmi per non darle un ceffone.
«Ciao Akito.» mi salutò sommessa. Sapeva che non l’avevo chiamata per una sveltina pomeridiana.
«Hai finito di fare gossip?» incalzai.
«Gossip?». Sgranò gli occhi e si appoggiò alla mia auto.
«Si, gossip. Con la tua cara amica Kora.»
Accennò un sorrisetto perché stava ricordando ciò che le avevo appena detto.
«Ho solo detto la verità, se la tua nuova troietta non vuole creare fraintendimenti dovrebbe evitare di starti tutto il giorno attaccata al pisello.»
Ma magari! Ma magari Kurata fosse stata attaccata al mio pisello!
«Non hai idea di che cazzate stai dicendo.». Stavo cominciando ad innervosirmi più del dovuto e la mia natura era quasi pronta per manifestarsi.
Mi ripetei più volte che Arimi era una donna e che se Kurata fosse venuta a sapere che avevo picchiato una ragazza non si sarebbe avvicinata mai più a me.
Indietreggiai per cercare di smontare la rabbia che invece cresceva dentro di me. In compenso si avvicinò lei e quindi ogni mio sforzo andò in fumo.
«Lo sanno tutti Akito. Si vede quando due persone vanno a letto insieme.»
La afferrai per un braccio e la spinsi verso il muretto che costeggiava il vialetto costringendola a guardarmi dal basso.
«Io e Kurata non andiamo a letto insieme, quindi ti pregherei di riferirlo a tutte le tue amiche spara cazzate.» sibilai. «Ci siamo capiti?».
Le strinsi ancora di più il braccio e lei fece una smorfia; vedendo che non aveva intenzione di rispondermi la strattonai.
«Ci siamo capiti?» urlai. Mosse il braccio con forza per staccarsi da me e io la lasciai fare.
«Si.» disse infine guardandomi dritto negli occhi.
Avrebbe solo dovuto cercare di sfidarmi ancora e le avrei rovinato la vita.
 
*
 
Dopo aver ricevuto il messaggio di Kurata mi rassegnai a dover passare la serata insieme a Tsuyoshi e Beth che, in realtà, non mi dispiaceva affatto. No, non avrei fatto nulla per portargliela via, Tsuyoshi era come un fratello per me e aveva stabilito che quella ragazza era un limite.
Facevo zapping tra i canali argentini della mia tv e aspettavo che Tsuyoshi muovesse il culo per cominciare ad andare verso il locale.
«Beth viene qui o passiamo a prenderla?» chiesi alzandomi dal divano per prendere la giacca di pelle.
«Passiamo?» ripetè Tsuyoshi. «Io passo a prenderla, tu vai con la tua auto.» mi spiegò.
Che gran figlio di…
«Certo, ora che c’è la tua nuova girlfriend ti scordi degli amici.»
«Mai, Hayama.». Prese anche lui la giacca. «Ma non voglio dovermene andare quando vorrai portare la tua prossima vittima da qualche parte.»
Mi tirò le chiavi della mia Quashqai e aprì la porta.
«Muoviti Hayama!» mi urlò quando era già per le scale.
Camminai dietro a Tsuyoshi per circa cinque minuti prima di arrivare al dormitorio delle ragazze. Fui tentato per un attimo di proporre a Sana di rimanere con lei in stanza ma poi pensai che quella sera avrei dovuto sfogarmi.
Era da una settimana e mezzo che, troppo preso da Kurata, non toccavo una donna e il cervello mi stava per scoppiare.
E non solo quello, se sapete cosa intendo.
Quando però arrivammo  davanti al dormitorio vidi  uscire dalla porta Beth e.. Sana! Aveva deciso di venire alla fine. Sul mio volto si allargò un enorme sorriso che non riuscivo assolutamente a mandare via. Dovevo sembrare un idiota.
Scesi immediatamente dalla macchina e mi affrettai a raggiungerla. Indossava un abitino – troppo, troppo, davvero troppo corto – color verde smeraldo; non aveva messo tacchi, avevo capito che li odiava, ma un paio di ballerine bianche che le lasciavano scoperte le caviglie. Dire che era bella sarebbe stato riduttivo.
«Kurata..» la salutai. Lei mi rivolse un sorriso meraviglioso e mi salutò con un cenno della mano.
«Tu vai con lui.».
In quel momento, per la prima ed unica volta, avrei voluto baciare Beth.
Sana scosse la testa e cominciò un piccolo battibecco tra le due amiche che si arenò in meno di due minuti con vincitrice la mia nuova migliore amica Beth. Aveva acquistato cento punti in due secondi netti, un record.
Mi ritrovai, quindi, in macchina con Kurata.
Girava nervosamente una ciocca di capelli tra le dita e guardava fuori dal finestrino; non disse una parola per cinque minuti buoni. Quanto mi faceva innervosire…
«Il gatto ti ha mangiato la lingua?» le chiesi subito dopo.
«Sono nervosa.» mi rispose seccata. Aveva lo sguardo fisso, c’era qualcosa in più del semplice nervosismo.
«E’ uno di quei giorni, eh?». Volevo smorzare un po’ i toni ma mi accorsi immediatamente che non c’era nulla da fare quando lei alzò gli occhi al cielo tirando ancora di più la ciocca che teneva tra le mani.
«No, Hayama. Sarebbe molto peggio in quel caso.» mi rispose.
Addirittura.
Stavo per parlare quando lei mi battè sul tempo.
«Beth mi ha trascinata a questa festa con i suoi metodi e come se non bastasse il mio ex rag..» si fermò per un attimo e a me mancò l’aria nei polmoni per ciò che avevo appena sentito. Due secondi dopo continuò.
«Ma perché ti sto raccontando queste cose?» chiese corrugando la fronte. Quando faceva quell’espressione era troppo buffa ma mi guardai bene dal dirglielo, alterata com’era mi avrebbe dato una botta che avrebbe fatto sbandare l’auto.
«Non lo so Kurata, forse per il mio meraviglioso sorriso che ispira fiducia?». Le sorrisi mostrando tutti e trentadue i denti.
«Semmai ispiri ses..» e si bloccò nuovamente. Avevo capito bene?
Mi voltai di scatto verso di lei. «Come, Kurata?» le chiesi.
«Niente!» concluse lei visibilmente imbarazzata.
La serata si faceva interessante. 



Buona sera, ragazzi/e, anche se credo che sarebbe il caso di dire RAGAZZE. :3
Prima di tutto, ho un ringraziamento da fare, molto importante, quindi.. vi pregherei di ascoltarmi con molta attenzione u.u
Voglio ringrazire assolutamente la mia
BETA, esatto, finalmente ne ho una anch'io (mi sento emozionata *w*). La mia nuova Beta è la mia cara Dalmata, che mi ha sempre seguito sin dalla prima storia! Mi ha aiutato a rivedere questo capitolo, ad aggiungere e togliere punti importanti, e quindi.. niente di più, Grazie! :)
Oltre a questo, so che questo capitolo è poco importante, che è piuttosto di transizione, il bello verrà nei prossimi due! **
Quindi, vi lascio un piccolo spoiler qui sotto, recensite, recensite!!! :*

Akura.

Estratto dal prossimo capitolo: 
Nello stesso momento un ragazzo, si avvicinò a me. Aiden Carter mi sorrise dolcemente e mi offrì la sua birra. Io la presi sorridendo e ne bevvi un sorso. «Grazie.» gli dissi.
Voltandomi notai l’espressione crucciata di Hayama che un secondo dopo mi strappò per la terza volta la bottiglia dalle mani e rivolse uno sguardo agghiacciante a Carter.
*
Lei sorrise e guardò Beth per avere sostegno morale. Vedendo che Sana non aveva alcuna intenzione di parlare, Beth poggiò i gomiti sul tavolo e cominciò a spiegare.
«Sana ha un appuntamento stasera.». Quelle parole mi gelarono il sangue e mi sembrò di essere diventato una statua di ghiaccio.
«E con chi?» chiesi fingendomi interessato. Si, ero molto interessato, ma per andare a cercare il ragazzo in questione e ammazzarlo di botte.
«Con… Aiden Carter!!». Beth scandì quel nome e la lentezza con cui lo pronunciò bastò per trafiggermi in punti che non credevo nemmeno di conoscere.

 

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Capitolo 7
*** Fantasmi dal passato. ***


CAPITOLO 7
FANTASMI DAL PASSATO.
Pov Sana

Parcheggiata l’auto, Hayama scese e mi porse la mano per aiutarmi a fare lo stesso. Pochi minuti prima mi ero quasi sputtanata da sola, per quanto cercassi di negarlo il fascino di Hayama non mi era per niente indifferente, anzi mi sentivo disperatamente attratta da lui e, per quanto mi sforzassi, non riuscivo più a dissimulare la cosa.
La fila per entrare al locale scorreva veloce e riuscimmo ad arrivare al bancone dei drink in meno di dieci minuti. Ordinai una Corona e mi affrettai a prendere posto su uno sgabello; vidi Hayama rivolgermi uno sguardo tutt’altro che amichevole.
«Bè?» chiesi sorseggiando la birra che nel frattempo era arrivata.
«Sei venuta qui per stare seduta?». Mi strappò la bottiglia di mano e bevve un sorso anche lui. Cercai di riprendermela, ma Hayama alzò il braccio e non sarei riuscita ad afferrarla nemmeno mettendomi sulle punte. Sbuffai sonoramente e gli diedi un colpo che gli fece quasi cadere la bottiglia dalle mani.
Una goccia di birra gli scivolò dalle labbra e finì prima sul collo e poi sul petto, lasciato leggermente scoperto dalla camicia . Desideravo ardentemente essere al posto di quella goccia, per poter sfiorare la sua pelle ma, subito dopo, un altro pensiero impudico si fece strada nella mia mente e considerai seriamente l’eventualità di avvicinarmi e leccargli via la goccia dalla pelle ma, fortunatamente, la  parte razionale del mio cervello mi fermò, prima che commettessi lo sbaglio più grande della mia vita.
«Alza le chiappe da quello sgabello e vieni a ballare» mi ordinò dopo essersi scolato tutta la birra e avermi restituito la bottiglia vuota.
«Non hai un’altra ragazza con cui andare a scopare nel cesso?». Mi guardò di traverso e poi mi prese per mano. Trasalii a quel tocco e, come sempre, Hayama se ne accorse e mi sorrise.
«Un’altra, Kurata?» mi chiese. «Tu e io scopiamo? Come mai non me ne sono accorto?».
Mi resi conto di aver fatto una gaffe assurda e alzai gli occhi al cielo, ma il contatto della mia mano con la sua mi fece morire il fiato in gola di nuovo.
Cacciai indietro quelle sensazioni e cominciai a farmi spazio tra la folla insieme a lui. La prospettiva che di lì a poco avremmo ballato insieme mi faceva rabbrividire, un conto era un semplice lento dove il contatto era al minimo, ma con la musica da discoteca era tutta un’altra storia.
Quando ci fermammo e incrociai il suo sguardo vidi che aveva un’espressione diversa, quasi seria. Cominciammo a muoverci a ritmo di musica e la sua espressione era sempre la stessa. Per un attimo mi preoccupai e tentai di dirgli che volevo andare a sedermi, ma un attimo dopo abbandonai quest’idea, difatti proprio in quel momento tre ragazze stavano cominciando a strusciarsi su Hayama e – anche se non saprei spiegare il motivo – la gelosia mi salì fino al cervello.
 Mi avvicinai a lui con fare provocante decisa a difendere il mio territorio, avrei lottato con le unghie e con i denti per difendere ciò che ritenevo mio. Hayama sorrise e mise le mani sui miei fianchi stringendomi ancora più a se.
Non appena vidi che le tre troiette – oops, ragazze – avevano abbandonato i loro propositi mi allontanai leggermente,  ma lui accostò pericolosamente la sua bocca vicino al mio orecchio per parlarmi.
«Gelosa, Kurata?». Lo guardai negli occhi per un attimo e poi scoppiai a ridere.
«Ti piacerebbe.» risposi per poi continuare a ballare.
Le mani di Hayama erano ovunque tranne che nei punti non accessibili, le mie invece viaggiavano sul suo petto. Sapevo che stava impazzendo e questo contribuiva a farmi sbellicare dalle risate. Era bello avere potere, era stupendo.
Hayama avvicinò il suo viso al mio e per un attimo pensai che volesse baciarmi. In una frazione di secondo mi chiesi se l’avrei fermato. Probabilmente no, non l’avrei fatto.
Il biondino però si scostò.
«Sei una stronza.» mi sussurrò. Io mi allontanai di colpo e lo lasciai in pista con quel sorrisino da ebete.
Al bar trovai Beth e Tsuyoshi che mi sorrisero offrendomi lo sgabello vicino al loro. Mi sedetti e sbuffai; cosa mi stava succedendo? Mi sentivo magneticamente attratta da Hayama e non potevo far nulla per far cessare quella perenne sensazione di vuoto allo stomaco quando ce l’avevo vicino. Ero catturata da lui, non potevo negarlo, ma allo stesso tempo c’era un abisso tra noi.
Lui era un cazzone che si metteva tra le gambe delle ragazze con la stessa frequenza con cui si lavava i denti, io ero una ragazza normale che, a differenza delle amiche di Hayama, non avevo mai aperto le gambe per nessuno.
«Akito ha esagerato?». Per la prima volta da quando l’avevo conosciuto qualcuno lo avevo chiamato per nome. Tsuyoshi mi rivolse un’occhiata preoccupata e io gli sorrisi di rimando. «No.» risposi. «Forse ho esagerato io…» dissi più a me stessa che a lui.
«Ah..».
Ordinai un’altra birra sperando che Hayama non arrivasse di nuovo a fregarmela ma, si sa, le speranze vengono sempre buttate nel cesso e lui arrivò alle mie spalle togliendomi di nuovo la bottiglia dalle mani.
«Mi lasci bere una fottuta birra in pace?» sbottai.
«Sei carina quando dici le parolacce.». Mi sorrise e io mi sciolsi, letteralmente. Stavo lentamente cedendo e questo non andava affatto bene.
«Vaffanculo.» gli risposi voltandomi verso il bancone. Volevo solo bere una birra senza essere disturbata, ci voleva tanto ad arrivarci?
«Accompagnami, se ci tieni.»
«No, grazie. Immagino che ti ci abbiano mandato così tante volte che ormai sarà diventato la tua seconda casa.» Gli sorrisi sarcastica e poi inarcai il sopracciglio. «Posso riavere la mia birra?» chiesi sbuffando.
Nello stesso momento un ragazzo, si avvicinò a me. Aiden Carter mi sorrise dolcemente e mi offrì la sua birra. Io la presi sorridendo e ne bevvi un sorso. «Grazie.» gli dissi.
Voltandomi notai l’espressione crucciata di Hayama che un secondo dopo mi strappò per la terza volta la bottiglia dalle mani e rivolse uno sguardo agghiacciante a Carter.
«Non lo conosci nemmeno.» ringhiò guardandomi dritto negli occhi.
«Non sono affari tuoi.» risposi a denti stretti.
«Sana ha detto che non vuole la tua compagnia. Deve ripetertelo?»
Aiden si intromise nella discussione e io pregai che Hayama non si scaldasse perché l’avrebbe pestato a sangue.
Carter era un ragazzo robusto ma non aveva la stessa prestanza fisica di Hayama ed era evidente che non c’era competizione.
«Ripetimelo tu, se hai il coraggio.» Hayama e Aiden erano vicini, troppo vicini, e le persone stavano già arrivando per godersi lo spettacolo intorno a noi. Tsuyoshi guardava Beth indeciso se intervenire o meno e io non sapevo come riuscire a staccare Hayama dalla faccia di Carter.
Poi, improvvisamente, mi venne in mente l’unico modo che conoscevo per distrarlo. Scesi dallo sgabello e lo presi per mano attirandolo a me. I nostri occhi si incrociarono e tutto si fermò in un attimo.
«Finiscila Hayama, andiamo.». Lui però tornò a rivolgere lo sguardo a Carter e io cominciai a spazientirmi. Lo strattonai ancora e, dopo aver borbottato qualcosa ad Aiden, rivolse di nuovo gli occhi a me.
Mi stritolò la mano e mi portò fuori dal locale sotto gli occhi di tutti. Mi preoccupai immediatamente quando incrociai il suo sguardo per un attimo: sembrava che volesse uccidere qualcuno da un momento all’altro.
Io ero la vittima prescelta.
________________________________________________________________________________________________
­­­­Pov Akito.

Stavo per scoppiare dentro. Quel coglione di Aiden Carter mi stava ad un centimetro di distanza e io avrei voluto davvero spaccargli la faccia. Le parole di Kurata mi sembravano solo suoni confusi e lontani a causa della rabbia che montava dentro di me. Non riuscivo a capire nulla di ciò che mi accadeva intorno, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era togliere il sorriso dalla faccia di quel cazzone.
Anche se non saprei spiegare come, dopo pochi minuti mi ritrovai fuori dal locale insieme alla causa di tutto quel trambusto. Avrei voluto picchiare anche lei ma mi fermai ripetendomi mentalmente che dovevo controllarmi: era una donna e non avevo mai nemmeno lontanamente pensato di sfiorare una ragazza con un dito. Quello che era successo con Arimi era stata una parentesi che non si sarebbe mai ripetuta.
Sana mi guardava poggiata al muro e io invece non riuscivo ad alzare la faccia per incrociare il suo sguardo. Mi piazzai davanti a lei e tre secondi dopo la mia guancia pulsava. Mi aveva schiaffeggiato.
«Non permetterti mai più di fare una scenata del genere.»
«Ma..» tentai di ribattere senza successo.
«Non m’interessa.». Incrociò le braccia sul petto e poi continuò. «Non sei in diritto di comportarti in quel modo.»
«Tu invece puoi strusciarti sul mio cazzo in quel modo e poi provarci con Aiden Carter?». Ero furioso, probabilmente mai nella mia vita ero stato così arrabbiato come in quel momento.
Sana rimase a bocca aperta e tentò di darmi un altro ceffone ma io le bloccai il braccio a mezz’aria prima che potesse colpirmi. Restammo in quella posizione per non so quanto tempo fino a quando lei mi abbracciò. Quel gesto mi spiazzò più di uno schiaffo improvviso e, inizialmente, non riuscii a ricambiare, poi la cinsi con le mie braccia e la strinsi a me. Avvertii immediatamente una sensazione di pace che mai avevo provato prima di allora.
«Sei un coglione, Hayama.». Sorrisi inalando totalmente il profumo dei suoi capelli.
«E tu sai di buono..» risposi. La sentii sorridere sul mio petto.
«Mai più come stasera o smetterò di essere tua amica.»
Amica.. mi soffermai per un po’ a riflettere su quella parola. Potevo considerarla un’amica? Lei non voleva saperne di me e poi in macchina aveva accennato al suo ex, Kamura.
Se non l’avessi considerata un’amica mi sarei fossilizzato a pensare più del dovuto al profumo della sua pelle ed al fatto che avrei voluto baciare ogni centimetro del suo corpo… e no, questo non era affatto salutare. Quindi si, potevo considerarla un’amica. Ma allora perché avevo sempre voglia di baciarla, di toccarla, di proteggerla? Il pensiero che potesse finire tra le lenzuola di Aiden Carter mi faceva impazzire. Mi costrinsi a considerarlo un semplice affetto fraterno, lei era la mia prima ed unica amica di sesso femminile, ed essendo io un bastardo patentato e, conoscendo bene la natura degli uomini, volevo evitare che venisse usata e buttata via come una cosa senza nessun valore. Ma perché mi preoccupavo tanto? Non mi ero comportato anche io così con tutte le ragazze con cui ero stato? Poi un pensiero semplice ed elementare si fece spazio nella mia testa: le altre ragazze non erano Kurata ed improvvisamente tutto mi apparve chiaro: io ero geloso.
«Prometti.» mi incalzò.
«Prometto.». Ma chi volevo prendere in giro?
Sarei andato all’inferno: nessun ragazzo – se non gay dichiarato o sosia di Tsuyoshi– sarebbe riuscito ad avvicinarsi a lei di mezzo metro.
*
 
Le cose tra me e Sana– ora mi permetteva di chiamarla per nome, anche se io preferivo il solito Kurata– andavano piuttosto bene. Tutta l’università conosceva il nostro rapporto e le voci di corridoio che circolavano durante le prime settimane erano ormai scomparse.
Da quella sera al locale nessuno aveva più cercato di avvicinarsi a lei anche se negli ultimi giorni notavo Beth e Kurata bisbigliare e ridacchiare come due adolescenti alla loro prima cotta e pensai ci fosse di mezzo qualche ragazzo.
Poco male, avrebbe trovato una salita ardua da affrontare.
«Novità, Kurata?». Lei mi rivolse un sorriso e mi avvicinò il suo vassoio. Ormai era tradizione: lei prendeva il cibo alla mensa e mangiava solo una mela, io fregavo il suo pranzo e mangiavo il doppio.
«Dovresti mangiare un po’ di più o morirai nel giro di un mese.». Presi un pezzo di pane e glielo ficcai in bocca sentendola ridere nello stesso momento.
«Hayama, ti odio!!» ne prese un altro pezzo e me lo tirò in faccia.
«Come no. Comunque…» volevo sapere cosa c’era da ridere. «Ti ho chiesto se ci sono novità, sei sorda?».
Lei sorrise e guardò Beth per avere sostegno morale. Vedendo che Sana non aveva alcuna intenzione di parlare, Beth poggiò i gomiti sul tavolo e cominciò a spiegare.
«Sana ha un appuntamento stasera.». Quelle parole mi gelarono il sangue e mi sembrò di essere diventato una statua di ghiaccio.
«E con chi?» chiesi fingendomi interessato. Si, ero molto interessato, ma per andare a cercare il ragazzo in questione e ammazzarlo di botte.
«Con… Aiden Carter!!». Beth,volutamente,  scandì quel nome con una lentezza quasi esasperante, e questo bastò per trafiggermi in punti che non credevo nemmeno di conoscere.
Guardai Sana che nel frattempo aveva dato una botta a Beth per intimarle di tacere. Vidi i suoi occhi brillare: evidentemente Carter le piaceva sul serio e, se lui aveva deciso di sfidarmi ancora, allora da parte sua doveva essere lo stesso.
«Carter? Sei seria?». Lei corrugò la fronte e mi fece una linguaccia.
«Mai stata più seria.» rispose subito dopo.
«Ma sembra un emo! Come Kamura!». Scoppiai a ridere e lei si alzò dal tavolo in direzione della porta.
«Ho detto una cazzata, eh?». Beth mi rivolse uno sguardo di assenso e poi mi fece segno di seguirla. Mi alzai anch’io e con una leggera corsa la raggiunsi afferrandola per un braccio.
«Non mi toccare!» urlò. Ogni singolo individuo dentro la mensa si girò a fissarci ma io la trascinai fuori a forza.
«Non eri tu quella che non voleva dare spettacolo?» chiesi sarcastico. Mi diede un colpo sul petto, poi un altro ancora e un secondo dopo vidi una lacrima rigarle il viso.
Le afferrai le braccia per fermarla e la costrinsi a guardarmi negli occhi alzandole il viso con la mano.
«Scusami..» dissi. Mi sembrò di aver pronunciato quella parola secoli prima. Forse non mi ero più scusato con qualcuno dall’età di undici anni e l’avevo fatto con una persona che non si meritava affatto che io mi sottomettessi in quel modo. Mia sorella mi aveva guardato sprezzante e Sana stava facendo lo stesso proprio in quel momento. C’era una differenza tra loro, che però colsi all’istante: Sana mi voleva bene e teneva a me, Natsumi mi odiava.
«Vaffanculo!» disse tra le lacrime.
«Smettila di piangere, non volevo ferirti! A volte apro bocca solo per darle aria.»
«L’importante è saperlo.»
Si staccò da me e corse via.
Si, avevo proprio detto una cazzata.
­­­________________________________________________________________________________________________
Pov Sana
3.09.2013
Ciao Sana,
so che probabilmente una mia e-mail è l’ultima cosa che vorresti leggere, ma avevo bisogno di parlarti senza che tu mi interrompessi o dicessi nulla, quindi la scrittura mi è sembrato il metodo migliore. E’ passato più o meno un mese da quando sei partita per l’università e per me sono stati trenta giorni d’inferno.
Non chiedermi perché, so che sono stato io a lasciarti, ma so anche che sei la persona più incline al perdono che io conosca. Quindi, ti prego.. Scusami!
Tuo Naozumi.
 
 
5.09.2013
Sana,
di nuovo io. Non hai proprio intenzione di rispondermi, eh? Comprensibile.. spero solo che cambierai idea.. io sono qui!

 
 
9.09.2013
 
Dai, Sana! So che mi ami ancora, rispondimi!!
 
 
11.09.2013
 
Spero solo che tu sappia cosa stai facendo.. Mi manchi!
 

Lessi quella sfilza di e-mail tutte d’un fiato e poi chiusi il computer. L’ultima risaliva alla sera in cui Hayama aveva quasi fatto a botte con Carter in quel locale.
Hayama.. avrei voluto ucciderlo! Era stato per colpa sua se avevo improvvisamente ripensato a Naozumi ed era sempre per colpa sua se ero titubante sulla mia scelta.
Prima di conoscerlo avrei sicuramente chiamato Naozumi e sarei tornata con la coda tra le gambe da lui, ma da quando ero diventata amica di Hayama avevo imparato ad avere il pugno di ferro. Probabilmente se non l’avessi usato con lui me lo sarei ritrovato nel letto in meno di mezz’ora.
Cosa avrei dovuto fare? Forse avrei dovuto scrivergli una sintetica e-mail in cui lo mandavo sinteticamente a fanculo; un anno fa non avrei mai immaginato la mia vita senza il bel Naozumi Kamura: avevo progettato ogni cosa con lui e in funzione di lui e quando mi aveva lasciato il mio mondo era andato in pezzi.
Solo da poco mi stavo riprendendo ma tra quelle e-mail e il suo nome pronunciato da Hayama mi ero sentita nuovamente schiacciata dalla situazione.
Mi abbassai poggiando la testa sul cuscino. Stava per esplodermi, nel vero senso della parola e la cosa si accentuò quando il telefono prese a squillare.
Miley Cirus cominciò a cantare e, nonostante amassi la sua voce, in quel momento mi parve insopportabile.
Beth, lessi sul display. Risposi velocemente ma al posto della mia compagna di stanza sentii una voce maschile. Era lui.
«Kurata..»
«Non voglio parlarti.» lo interruppi.
«Non riattaccare!» mi ordinò. «Mi dispiace..» Sembrava sincero, ma non potevo permettermi di essere debole.
«Non mi interessa.» sibilai, e chiusi la comunicazione.
Rivolsi il viso verso il muro e mi addormentai, esausta.
 
 *
 
Un rumore mi ridestò dal sonno e, soprattutto, dal mio sogno meraviglioso. Cercai di capire da dove provenisse e alla fine mi accorsi che veniva dalla finestra; scostai la tenda e mi trovai davanti la chioma bionda di Hayama.
Lo guardai innervosita e feci per rimettere la tenda a posto con l’intenzione di tornare a letto.
«Avanti Kurata, non fare la bambina.». Cominciò a battere colpi sul vetro perché sapeva che i rumori continuati mi infastidivano. Mi misi davanti alla finestra e lo guardai in faccia.
«Parla.»
«Preferirei entrare.»
«E io preferirei darti un calcio sui denti, come la mettiamo?»
Se ne stava lì, a fissarmi incredulo, con quell’aria da cane bastonato che avevo imparato bene a riconoscere.
Mi guardò un’altra volta, speranzoso che l’avrei fatto entrare, ma io rimasi ferma ad aspettare che dicesse qualcosa.
«Lo sai che mi dispiace..» esordì cinque minuti dopo. Quel breve lasso di tempo mi bastò per sbollire la rabbia, perché non riuscivo mai ad essere davvero incazzata con lui?
Quando lo guardavo negli occhi riuscivo a cogliere quasi sempre sincerità ed era questo che mi piaceva di lui. Ero contenta di averlo incontrato, nonostante le incomprensioni e le cazzate fatte. Era mio amico.
Lo guardai dritto negli occhi e aprii la finestra ritrovandomelo in camera in meno di tre secondi. Mi sorrise soddisfatto e mi abbracciò tanto forte da farmi male. Lo scansai e mi misi a letto, intenta a ritornare alla mia meravigliosa dormita.
«Bè? Facciamo pace e tu ti addormenti?» mi chiese spazientito.
«Ho sonno Hayama, se tu vuoi dormire c’è il letto di Beth.
«No grazie.» disse disgustato. «Chissà cosa c’è tra quelle lenzuola.»
Sentii un peso vicino a me e spalancai gli occhi trovandomelo accanto.
«Hayama, mi hai scambiato per un peluche?»
«Non ho intenzione di dormire in quel letto e sono troppo stanco per tornare all’appartamento. Ergo, dormo nel tuo letto.». Notai il sorriso sul suo volto e avrei voluto ucciderlo ma la sua presenza vicino a me mi aveva mandato in tilt e non riuscivo a pensare lucidamente dal momento in cui mi aveva poggiato una mano sul fianco.
«Se arriva Beth e ci trova così chissà cosa penserà!»
«Beth è a casa mia con Tsuyoshi, se non fosse per me dormiresti sola stanotte.». Lo sentii ridere e la mia rabbia ritornò per un secondo: aveva programmato tutto il bastardo.
«Se domani mi sveglio senza biancheria intima, ti cavo gli occhi.» dissi dandogli una gomitata.
«Te l’ho detto Kurata, sei mia amica.» mi rispose rimettendo la mano sul mio fianco. Avvampai e ringraziai Dio, o chi per lui, che fosse buio e che lui non potesse vedermi.
«Poi se proprio vuoi cominciare a supplicare…» ammiccò avvicinandosi al mio orecchio. Oh, se avrei supplicato…
«Buonanotte Hayama!» interruppi lui e i miei pensieri contemporaneamente.
«’Notte Kurata.». E con il suo respiro affannoso sul collo mi addormentai faticosamente.
Non riuscivo a rispondere del mio corpo quando lui era accanto a me, era come se quando lui mi parlava o mi sfiorava, la parte razionale del mio cervello andasse di colpo in tilt, ed io mi ritrovavo sempre più spesso ad ingaggiare la mia personale battaglia contro i miei sentimenti.
Finora avevo vinto il combattimento, ma iniziavo a dubitare che sarei stata in grado di vincere la guerra.


Finalmente eccoci qui col settimo capitolo!
Non voglio dilungarmi troppo, voglio solo ringraziare sempre la mia
Beta, Dalmata, che mi ha aiutato in questo capitolo più che mai. :)
Adesso vi lascio, come sempre, uno spoilerino qui sotto e mi scuso di non essere riuscita a rispondere alle recensioni ma purtroppo con l'inizio della scuola, ieri, non ho avuto molto tempo! Prometto che mi farò perdonare e ringrazio, ovviamente, tutti coloro che hanno recensito, in particolar modo, ovviamente, Miky :)
Bacino,
Akura.


Estratto dal prossimo capitolo:
Forse per questo mi ero imposto di non affezionarmi a lei, anche se in quel momento capii di aver totalmente mancato a quell’imposizione. Le volevo bene, ma ero anche profondamente attratto da lei in senso fisico.
Lei mi trattava come un amico e fino a che riuscivo a tenerla vicina a me potevo anche accontentarmi. Avvicinai il viso ai suoi capelli e inspirai profondamente l’odore di vaniglia che emanavano. 
*
Sentii vibrare il mio telefono dalla tasca e, dopo essermi scusata con Hayama, risposi senza guardare nemmeno chi mi stava chiamando.
«Ciao..». Mi irrigidii immediatamente al suono della sua voce e per poco non feci cadere il caffè che avevo davanti. 



                                                                                                                                                                 

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Capitolo 8
*** Amici. ***


CAPITOLO 8
Amici.
Pov Akito.

Guardai la sveglia accanto a Kurata: le 4:23. Non riuscivo a prendere sonno con lei accanto, non solo perchè non ero abituato a  dormire con una ragazza, ma soprattutto perché il semplice averla accanto e respirare il suo profumo mi faceva fare pensieri, di cui, io allo stesso tempo, mi vergognavo ed avevo paura.
Non era solo il fatto di volerla possedere fisicamente in tutti i luoghi possibili ed immaginabili, quello che mi terrorizzava veramente era il meccanismo che scattava nel mio cervello ogni qualvolta lei mi era vicino, oltre ad un senso di pace, mai sperimentato prima, era l’unica donna con cui avevo piacere di passare tutto il mio tempo libero, senza farci sesso.
Da quando Kurata era entrata nella mia vita, aveva riempito le mie giornate, e la mia unica priorità non era più passare da un letto a un altro ogni notte, ma non deluderla.
Non facevo neanche più caso agli sguardi ammiccanti delle matricole, né alle ragazze disponibili che lanciavano messaggi allusivi e maliziosi, più che eloquenti, ma mi limitavo ad avere un rapporto platonico con Sana Kurata, e la cosa disarmante era che a me andava bene così.
Basta! Dovevo smetterla con tutte quelle pippe mentali, altrimenti mi sarebbe scoppiato il cervello.
Mi voltai verso di lei, si era girata sulla schiena e i capelli le ricadevano morbidi sul cuscino. Presi in mano una ciocca e, girandola tra le dita, mi soffermai a guardarla mentre lei non poteva impedirmelo.
Indossava una t-shirt rossa e un semplice pantaloncino di tuta nero che le lasciava totalmente scoperte le gambe lunghe. Il suo respiro era regolare e il petto si alzava e abbassava con un ritmo perfettamente cadenzato.
La guardavo dormire e il mio cuore aveva preso a battere più velocemente del solito.
Le accarezzai prima il fianco e poi la guancia ma lei si mosse e ritrassi immediatamente la mano. Non avrei mai pensato di ritrovarmi in una situazione come quella, era il mio periodo di astinenza più lungo dall’età di diciassette anni e dire che stavo per impazzire era riduttivo.
Non sapevo nemmeno perché mi ostinavo a contenermi e ad evitare di infilarmi nella camera di qualche matricola disponibile.
Era lei che mi frenava: sapevo che mi avrebbe guardato in quel modo, come se fosse stata disgustata dalla mia esistenza, e non volevo che Sana mi vedesse come un mostro. Non lei.
Probabilmente, escludendo Tsuyoshi, era la persona a cui tenevo di più al mondo, perché era l’unica che, nonostante tutto, non mi aveva respinto.
Si, aveva fatto la stronza, inizialmente, ma solo perché non si fidava e non potevo di certo darle torto, vista la mia reputazione.
Dopo un po’ si era convinta che con lei non avrei fatto lo stronzo e aveva ceduto alla mia amicizia. Aveva giocato tanto a mio favore l’accoppiata nel corso di chimica, durante quella settimana avevamo passato per forza di cose un sacco di tempo insieme. Avevamo riso, scherzato, io l’avevo aiutata a riprendere le nozioni fondamentali della chimica e alla fine avevamo presentato un progetto da A+.
Quando Micha aveva dato il voto lei mi aveva abbracciato davanti a tutta la classe e io avevo visto gli sguardi pieni di invidia di ogni singolo studente di sesso maschile, veramente impagabile!
Sana si spostò ancora e mi ritrovai la sue curve appiccicate al corpo… Dovevo allontanarmi o la mattina dopo si sarebbe ritrovata davvero senza biancheria intima e io mi sarei ritrovato senza occhi.
Mi scostai leggermente quanto bastava perché non sembrassimo in un video porno, ma non così tanto da non ammirarla bene. Era proprio bella, anche senza un filo di trucco, cosa alquanto rara tra le ragazze dell’università.
Avrei dovuto allontanarmi da lei, lasciarle vivere la sua vita e magari lasciare che trovasse qualcuno che l’amasse abbastanza. Uno come il suo ex fidanzato, uno come Carter…  ma non riuscivo a trovare nessuno che potesse essere degno di lei.
Nemmeno io lo ero.
Forse per questo mi ero imposto di non affezionarmi a lei, anche se in quel momento capii di aver totalmente mancato a quell’imposizione. Le volevo bene, ma ero anche profondamente attratto da lei in senso fisico.
Lei mi trattava come un amico e fino a che riuscivo a tenerla vicina a me potevo anche accontentarmi. Avvicinai il viso ai suoi capelli e inspirai profondamente l’odore di vaniglia che emanavano.
Non mi sarei mai accontentato di lei, ma non potevo iniziare nessun tipo di relazione con Sana, c’era una quantità infinita di motivi ad impedirmelo.
Primo: lei non voleva. Era ancora tutta presa dalla delusione per Kamura, ed io probabilmente ero l’ultimo dei suoi pensieri. Secondo: non ero sicuro di essere disposto ad abbandonare il mio stile di vita solo per la prima ragazza diversa che avevo incontrato. Terzo – probabilmente quello era il motivo più importante– : io non ero capace di amare. Puah.. l’amore per me non era un sentimento nemmeno lontanamente contemplabile. L’unica persona per cui l’avevo obbligatoriamente provato era andata via ancora prima che io potessi sentire il suo.
Non potevo deludere Sana e – anche se mi costava fatica ammetterlo –  io ero capace di fare solo quello, deludere le persone.
Però, visto che era notte, che lei non se ne sarebbe mai accorta e che stavo per impazzire ad averla così vicina, una piccola soddisfazione potevo anche prendermela.
Mi chinai su di lei e la baciai sulle labbra, poi mi girai e poco dopo caddi nel sonno anch’io.
*
 
Allungai il braccio ma trovai il posto accanto a me vuoto. Fortuna che i letti dell’università erano abbastanza grandi per ospitare due persone, avevano pensato proprio a tutto, eh?
Cercai di aprire lentamente gli occhi in cerca della ragazza che aveva dormito – purtroppo, solo dormito– con me, ma non la vidi nei paraggi. Mi voltai facendo sprofondare il mio viso nel cuscino, emanava il profumo di vaniglia di Kurata. Scrollai la testa nervosamente per scacciare quell’odore e mi alzai per andarla a cercare. Prima ancora che poggiassi i piedi sul pavimento la vidi uscire dal bagno con addosso solo un asciugamano. Chi stava provocando chi ora?!
«Hayama! Che diavolo ci fai ancora qui? Pensavo te ne fossi andato!» urlò.
Io mi alzai e, quando fui abbastanza vicino da sentire ancora più forte quel maledetto profumo di vaniglia, le sorrisi ammiccando.
«Lo vedo.». Lei alzò gli occhi e vidi che era imbarazzata, così cercai di farla sentire ancora più a disagio. Avanzai ancora di più e lei indietreggiò fin quando non fu inchiodata tra me e il muro.
«Hayama..». Le sue parole erano un sussurro e io sentivo che quello era il momento. Mi avvicinai cercando le sue labbra.
«Dovrei vestirmi.» mi disse. Appoggiò le mani sul mio petto e cercò di spingermi via, ma notai che non mise tutta la sua forza nel farlo, quindi non voleva davvero staccarsi da me.
«Hayama, davvero, devo vestirmi.»
«Non è nulla che io non abbia già visto». Risposi avvicinandomi di nuovo.
«Hayama, basta! Spostati, sul serio.» Il tono era categorico e capii che la stavo spaventando perciò mi scostai, non prima di averle lasciato un bacio sulla fronte.
«Avanti, ti aspetto fuori mentre ti vesti.». Mi avviai verso la porta ma lei mi fermò e mi costrinse a guardarla negli occhi.
Si alzò sulle punte e mi baciò con foga prima di buttarmi sul letto e togliermi la maglietta. Ero rimasto interdetto, ma quella sua improvvisa iniziativa mi faceva più che piacere. Finalmente sarebbe stata mia.
La toccavo dappertutto e lei mi lasciava fare; Stavo per impazzire e tutto…
«Hayama.» .. tutto mi sembrava così perfetto da essere quasi irreale. Sana mi sorrise e prese a lasciarmi una scia di baci sul petto scendendo sempre più giù fino ad arrivare al mio…
«Hayama!» La voce di Kurata mi riportò sulla terra e non riuscii a non imprecare sotto voce. Stavo sognando ad occhi aperti, proprio davanti a lei che mi fissava con ancora addosso quel dannato asciugamano.
«Devi uscire, mi devo vestire!» ribattè lei spingendomi fuori.
«Ti aspetto fuori, ho capito!» urlai per fermarla. «Sbrigati, ti porto a fare colazione!»
______________________________________________________________________________________________

 
­­­­Pov Sana.

Mentre prendevo jeans e maglietta dall’armadio ripensavo alla notte appena trascorsa. Hayama aveva dormito accanto a me e si era comportato da perfetto gentiluomo. Cominciavo a fidarmi veramente di lui, perché per quanto fosse evidente che era attratto da me, non era mai andato oltre, ma si limitava a semplici battute allusive che, a volte, addirittura mi divertivano.
Hayama bussò due volte, intimandomi di sbrigarmi, ma io ero già con la mano sulla maniglia della porta, mi ero preparata a tempo di record, e tutto questo, perché avevo piacere di trascorrere del tempo con lui, anche se non ne capivo il motivo.
«Pronta!» e gli sorrisi chiudendomi la porta alle spalle.
Uscimmo dal dormitorio sotto gli occhi adoranti di tutte le ragazze che avevano appena perso la loro miglior preda. Era da un po’ che Hayama non usciva con una ragazza e volevo illudermi che fosse a causa mia.
Ci avviammo verso la sua moto e ormai sicura della sua guida salii dietro di lui, aggrappandomi alle sue spalle grandi. Mi appoggiai chiudendo gli occhi e avvertii una strana sensazione di pace che con Naozumi non avevo mai provato. Ah, maledizione! Dovevo smetterla di paragonarlo al mio ex fidanzato. Scacciai immediatamente quel pensiero e aspettai di sentire il rombo del motore che invece tardò ad arrivare.
«Non siamo ancora partiti e già sogni di andare verso il tramonto con me?». Scoppiai a ridere e gli diedi un colpo sulla schiena.
«Cammina, coglione, prima che me ne penta!». Accelerò improvvisamente e cinque minuti dopo eravamo in un bar.

 
*
 
«Kurata, pensi che smetterai mai di strafogarti come un uomo?». Hayama mangiava in modo estremamente elegante e probabilmente insieme sembravamo i protagonisti del film “Il principe e la sua schiava”.
«Io non mi strafogo.» spiegai mordendo un altro pezzo di croissant «Mangio con gusto, che è diverso.»
Hayama accennò un sorriso e prese a sorseggiare il suo cappuccino che gli lasciò una striscia di schiuma appena sopra il labbro superiore. Gliela indicai ridendo, ma lui non capiva, e io non riuscivo a smettere di sghignazzare, guardando la sua espressione buffa. Non ridevo così.. nemmeno ricordavo da quando! Di certo non avevo mai riso così con Naozumi.
Sentii vibrare il mio telefono dalla tasca e, dopo essermi scusata con Hayama, risposi senza guardare nemmeno chi mi stava chiamando.
«Ciao..». Mi irrigidii immediatamente al suono della sua voce e per poco non feci cadere il caffè che avevo davanti.
Akito mi guardava con aria sospettosa e io riuscivo a reggere i suoi occhi d’ambra meno tempo del solito. Chi è? Mi chiese muovendo solo le labbra. Io scossi la testa e mi rivolsi alla persona che stava all’altro capo del telefono.
«Che cosa vuoi?» chiesi infastidita.
«Voglio parlarti. Dio, Sana, ti ho scritto una decina di e-mail, è possibile che tu sia così infantile da negarmi pure una conversazione da persone civili e mature?».
Odiavo quando mi trattava in quel modo, come se stesse parlando con una bambina di due anni: mi faceva sentire stupida e questa era una cosa che non avevo mai tollerato.
Cercava di farmi sentire in colpa per ogni minima parola detta malamente perché, anche se non riusciva ad ammetterlo, lui voleva cambiarmi.
«Non ti nego nessuna conversazione civile, semplicemente non voglio nemmeno sentire la tua voce.» Naozumi sbuffò e Hayama quasi in contemporanea fece lo stesso. Aveva capito che si trattava di Nao e il suo sguardo rivelava tutta la sua gelosia. Tranquillo, lo calmai parlando a bassa voce.
«Sana lo so che mi ami ancora, perché vuoi negarlo?»
Mi infuriai all’istante e per poco non gli chiusi il telefono in faccia. Poi mi bloccai, perché non potevo dargli la soddisfazione di pensare, anche solo per un secondo, che avesse ragione. Raccolsi tutto il mio orgoglio, ripensai a tutte le volte che mi aveva umiliata anche sottilmente, alle parole che aveva usato per lasciarmi, a quanto dolore avevo provato in quel momento e cercai di catalizzare tutte le mie emozioni negative in quelle parole.
«Senti, Naozumi.. se pensi veramente che basti una frase del genere per tornare indietro, significa che non mi conosci affatto. E poi…» mi bloccai per un attimo e dissi la prima cosa che mi venne in mente. «e poi.. ora sto con un altro.».
Hayama strabuzzò gli occhi e vidi montare in lui una rabbia che non avevo mai avvertito prima di allora.
«E chi sarebbe questo fantomatico fidanzato?» mi chiese Kamura, aspettando che io vacillassi, per accusarmi di avergli mentito.
«Si chiama Akito. Akito Hayama.». Gli occhi di Hayama passarono dal panico, allo stupore, alla gioia pura. Poi tornò ad aggrottare la fronte e io lo ammonii con un gesto della mano.
«Bene.. sono sicuro allora che tu e il tuo fidanzato sarete felici di venire alla presentazione del nuovo film di Jun Ichikawa, la settimana prossima a New York.».
Mi pentii immediatamente di aver messo in mezzo Hayama, ma ormai il danno era fatto. «Se questa relazione è vera, non ci saranno problemi a presenziare con lui, no?» mi chiese Naozumi con tono di sfida.
«No, assolutamente. Per tua informazione avevo già prenotato il volo e avvertito Rei. Ci saremo sicuramente io e il mio fidanzato. Buona giornata Kamura.» e sbattei il telefono sul tavolino, maledicendolo in ogni modo possibile.
Hayama era rimasto immobile a fissare lo zucchero davanti a lui. Non sapevo come spiegargli ciò che avrebbe dovuto fare per me e, soprattutto, non sapevo se avrebbe voluto farlo.
«Dimmi che non mi pentirò di essere stato felice quando hai detto che sono il tuo finto fidanzato.». Poggiò la tazza vuota davanti a lui e mi guardò quasi disperato.
«Provami quanto mi vuoi bene!». Gli feci gli occhioni dolci e lui scoppiò a ridere, ma quel sorriso scomparve quando gli spiegai cosa sarebbe successo.
Per riassumere, ero proprio nella merda.
*
 
«Ti sei messa proprio nella merda!». Beth mi stava aiutando a deprimermi più di quanto già non avessi fatto da sola. Accettare la proposta di Naozumi era stato un suicidio, Hayama e io in un viaggio da soli avrebbe significato solo una cosa: CATASTROFE.
«E Hayama come l’ha presa?» mi chiese mentre stendeva perfettamente il rossetto sulle sue labbra carnose.
«Insomma, non è proprio al settimo cielo all’idea di fingere..» risposi io, che intanto stavo passando la piastra sulla frangia.
«Certo, lui vuole fare sul serio!». Beth era tremendamente convinta delle sue parole ed era proprio quello che mi spaventava.
«Non dire stronzate! Lui non vuole fare sul serio!». Staccai la spina dalla presa e mi sedetti sul letto aspettando che Beth finisse di prepararsi per andare a casa dei ragazzi dove avremmo passato la serata.
«Sana, io ho parlato con Tsu. Hayama non si è mai comportato così con nessuna ragazza!». Beth si guardò allo specchio un’ultima volta e prese la giacca dall’armadio.
«Lui mi vuole bene! Siamo amici.»
«Sana!!» mi urlò piazzandosi davanti a me. «Quando capirai che tu e Hayama siete tutto tranne che amici? Vuoi la prova?»
«Sentiamo!» risposi sarcastica uscendo dalla porta.
«Per caso ieri sera non avevi un appuntamento con un certo Aiden Carter?»
Cazzo! Avevo dimenticato l’appuntamento! Avevo passato la serata a letto con Hayama e mi era totalmente passato di mente.
«Questo non prova nulla!» dissi trattenendo le risate.
«L’hai voluto tu, allora!» cominciò chiudendosi la porta alle spalle per poi continuare a parlare mentre uscivamo dal dormitorio. «Hayama soffre di vertigini, non ha mai preso un aereo in vita sua. Lo prenderà per la prima volta solo per te!»
Okay, forse questo qualcosa la provava…




 Perdonatemi, davvero, chiedo umilimente scusa. 
So che nemmeno stavolta ho avuto tempo per le recensioni e giuro, mi dispiace da morire, ma il mio caro liceo mi porta via tutto il tempo che ho a disposizione. Riesco a malapena a scrivere la storia, e lo faccio perchè l'adoro e perchè adoro voi.
Mi dispiace davvero di non aver potuto rispondere, vorrei poterlo fare adesso ma purtroppo devo correre a studiare (maledetta maturità!!!) quindi, vi devo lasciare subito.
Il ringraziamento più grande, oltre che a tutte le ragazze che hanno recensito, va ovviamente alla mia Beta, Dalmata, che non mi lascia mai sola e che, anche quando l'ispirazione si prende una vacanza, provvede subito a farla tornare.
Molte delle parti che leggete in questo capitolo, sono proprio opera sua, quindi fate i complimenti anche a lei che, come le ho già detto, dovrebbe fare l'autrice e non la Beta.
Adesso, come sempre, un piccolo spoilerino qui sotto.
Al prossimo capitolo :*
Akura.


Estratto dal prossimo capitolo:
«Posso farti una domanda?» mi chiese subito dopo, tornando a stendersi vicino a me. Durante la cena si era raccolta i capelli in una coda di cavallo ma, evidentemente, una volta sdraiata doveva esserle stata d’intralcio, perché aveva deciso di scioglierla, liberando la sua chioma rossiccia vicino a me.
Di nuovo quel maledetto odore di vaniglia…
«Certo.»
«Non ti è mai importato di nessuna?». 
*
«Per quanto ancora dovrà continuare questa sceneggiata?» Era di nuovo davanti a me, mi sbarrava la strada e tutti i ragazzi nei corridoi ci fissavano come se stessero assistendo ad un film.
«Fin quando ammetterai che ho ragione io.» risposi immediatamente sfidandolo con lo sguardo.

 

 

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Capitolo 9
*** Obbligo o verità? ***


CAPITOLO 9
OBBLIGO O VERITA’?
Pov Akito.
 
Le ragazze stavano per arrivare ed io ero nervoso in un modo mai successo. Avevo già considerato tutte le opzioni per scampare al viaggio in aereo, ma avevo anche capito che non c’era modo di evitare quel supplizio. Tsuyoshi stava preparando la cena, mentre io ero buttato sul letto in preda a tutti i miei pensieri.
Non sapevo nemmeno cosa aspettarmi da quel viaggio, ma sapevo che non sarei riuscito ad ottenere niente da Sana. Mi sarei dovuto accontentare di fingermi il suo ragazzo per quel poco tempo in cui me l’avrebbe permesso e nient’altro. In realtà però, più ci pensavo, più mi entusiasmavo all’idea di poterla baciare ogni volta che volevo, perché davanti a tutti non avrebbe di certo potuto ritrarsi o la sua sceneggiata sarebbe stata scoperta.
Sentii la porta aprirsi e arrivò alle mie orecchie la voce delle ragazze che salutavano Tsuyoshi, e dopo essere entrate ed aver notato la mia assenza, chiedere incuriosite, dove mi trovassi. Mi alzai dal letto e feci per andargli incontro ma poi mi fermai di colpo quando sentii Sana e Beth dire a Tsuyoshi che si sarebbero appartate un attimo perché dovevano discutere.
Uscii dalla camera dirigendomi in salotto e, sicuro del fatto che la loro chiacchierata sarebbe durata delle ore, decisi di sedermi per aspettare comodamente, ma nonostante cercassi di distrarmi, pensando ad altre cose, la curiosità quasi mi stava divorando e, per un attimo, mi venne quasi in mente di alzarmi per andare ad ascoltare la loro conversazione.
«Non ci pensare nemmeno.». La voce di Tsuyoshi mi risvegliò dallo stato di trance in cui ero caduto e cercai di far finta di nulla ma, per mia sfortuna, il mio amico mi conosceva troppo bene.
«A cosa?» chiesi alzandomi dal divano e poggiandomi sulla porta della cucina ad osservarlo mentre cucinava. Mi ricordava un po’ Mrs.Doubtfire e, mentre immaginavo Tsu con quell’assurda tuta da donna, cercavo di trattenere le risate.
«A fare quello che stavi per fare, Akito. Sento i tuoi pensieri da qui.» mi rispose subito dopo il mio breve flash in cui lo vidi bruciarsi le tette sui fornelli.
«Non so di cosa tu stia parlando.». Mi allontanai nuovamente e, quando stavo per tornare a buttarmi sul divano, vidi uscire le ragazze dal bagno. Sana indossava un paio di jeans e una maglia che le lasciava scoperta la spalla. Probabilmente lo faceva di proposito.
«Buonasera, fidanzata!» esclamai mentre mi avvicinavo a lei per abbracciarla. Dovevo ammettere che il contatto con la sua pelle mi rilassava sempre e, in particolar modo, adoravo il modo in cui mi trattava: era come se fosse sempre felice di vedermi. Mi abbracciò per circa dieci secondi, che a dire il vero mi parvero troppo pochi, e poi mi superò andando verso il divano con un’espressione che non mi convinceva affatto.
Non mi aveva nemmeno detto qualche parolaccia per come l’avevo chiamata e neppure mi aveva dato le attenzioni che di solito mi riservava. La discussione con Beth, allora, era stata seria e l’argomento probabilmente l’aveva messa a disagio.
Avrei voluto indagare ma non volevo metterla alle strette, in fondo avrei avuto un intero week-end per parlarle. Mi avvicinai a lei e, sedendomi, le misi un braccio sulla spalla spostandola verso di me; non le dispiacque quel contatto e si accovacciò sul mio petto come una bambina indifesa. C’era davvero qualcosa che non andava se si comportava in quel modo, non che di solito si staccasse da me ma non aveva mai cercato un contatto fisico tanto evidente come in quel momento.
«C’è qualcosa che non va?» le sussurrai nell’orecchio stringendola ancora di più a me. Qualche settimana prima, in quella stessa situazione, sarebbe stata capace di uscire un martelletto dalla tasca e spaccarmelo in testa, mentre in quel momento sembrava non volesse staccarsi da me. Ne approfittai, attimi come quelli non erano frequenti, dandole un bacio sulla guancia prima di incrociare il suo sguardo.
«No, niente di importante.» rispose evitando i miei occhi. Stava mentendo, ne ero più che certo, ma evitai di insistere perché non volevo metterla in difficoltà in un momento in cui sapevo che non era al massimo della spensieratezza; quell’idiota di Kamura l’aveva turbata davvero e io non sapevo come fare per risollevarle il morale.
Quando Tsuyoshi ci avvisò che era pronto, ci alzammo e prendemmo posto a tavola. Beth e il mio amico si scambiarono occhiate piuttosto eloquenti per tutta la serata e, una volta terminata la cena, ci spostammo tutti in salotto per guardare un film.
«Le pagine della nostra vita è assolutamente da escludere.» borbottai io prendendo posto accanto a Sana che non aveva detto una parola per tutto il tempo. Che diavolo le aveva detto Beth per farla stare così male?
«Hayama, come ti permetti?». Beth mi tirò un cuscino e poi si sistemò vicino a Tsu. «Allie e Noah sono perfetti!»
«Si, per un lametta party quando la tua ragazza ti lascia!» esordì il mio amico dandole un bacio sulla testa. Beth e Sana si girarono a guardarsi e, contemporaneamente, dissero: «Uomini!», per poi scoppiare a ridere, mentre io e Tsu le guardavamo perplessi. Mi chiedevo come facessero le ragazze a credere a simili sciocchezze. Davvero, un uomo sano di mente non aspetterebbe mai sette anni per stare con la donna che ama, ne tantomeno le costruirebbe una casa, sapendo che lei se n’è andata dimenticandosi di lui. Come se non bastasse, quando lei è vecchia e malata, trascorre il tempo accanto a lei leggendole la storia della loro vita, nella speranza di farle rivivere, anche se per pochi attimi, il loro amore.
Mi veniva la nausea solo a pensarci.
In compenso però pensai di aver trovato in Beth una vera amica e, nonostante i suoi gusti in fatto di film, non mi dispiaceva la sua compagnia. E poi, dovevo ammetterlo, mi serviva farmela amica visto che, per quello che avevo potuto cogliere, lei tifava per me.
Tsuyoshi invece aveva trovato in Beth la sua lei, non avevo chiesto al mio amico se fosse veramente innamorato di quella ragazza ma tutto mi faceva supporre che fosse così. Io e Sana invece, cos’eravamo? Non potevamo definirci una coppia, assolutamente, ma di certo non eravamo semplici amici. Eravamo più che amici, ma non una coppia. Quei pensieri mi stavano consumando nel profondo, quindi mi sforzai di scacciarli e di concentrarmi su ciò che stava succedendo accanto a me.
Durante il film, infatti, Beth e Tsu avevano preso a baciarsi in modo abbastanza intimo, perciò non appena i titoli di coda invasero lo schermo presi Sana per mano e la portai in camera mia. Inizialmente aveva fatto resistenza, ma poi si era coricata accanto a me poggiando la testa sulla mia spalla e ci eravamo ritrovati a fissare il soffitto senza parlare.
«Devo ritenermi speciale?» chiese di punto in bianco interrompendo il silenzio che era calato non appena l’avevo abbracciata.
«Eh?»
«Quando ci siamo conosciuti hai detto che non porti mai le ragazze in casa tua. Io sono riuscita addirittura ad arrivare al tuo letto.» si fermò un attimo per spostare lo sguardo dai miei occhi e poi continuò «Devo ritenermi speciale?» ripeté infine.
Era speciale? Me l’ero chiesto tante volte e, tutte le volte, mi ero risposto semplicemente che era un’amica e che, non avendone mai avute, non ero in grado di valutare obiettivamente la cosa. In realtà non potevo continuare a mentire agli altri e soprattutto a me stesso: lei era più che speciale, ma non ero sicuro che fosse davvero il caso di esprimere quel lato del mio carattere.
«Potresti..» mi limitai a rispondere. Non volevo illuderla, non volevo che si affezionasse in un certo modo a me, per poi farla soffrire, perché non riuscivo a darle ciò che veramente voleva. Volevo che fosse felice, volevo che stesse bene con me quanto io stavo bene con lei, ma per il momento niente di più.
«Posso farti una domanda?» mi chiese subito dopo, tornando a stendersi vicino a me. Durante la cena si era raccolta i capelli in una coda di cavallo ma, evidentemente, una volta sdraiata doveva esserle stata d’intralcio, perché aveva deciso di scioglierla, liberando la sua chioma rossiccia vicino a me.
Di nuovo quel maledetto odore di vaniglia…
«Certo.»
«Non ti è mai importato di nessuna?». Domanda difficile a cui davvero non sapevo come rispondere. Era mai successo? Forse con Arimi, si, qualche volta mi ero convinto di provare qualcosa per lei, ma poi, quando fuori dal letto vedevo la sua vera natura da stronza, scacciavo immediatamente quella convinzione. Avevo provato pena quando l’avevo scaricata, ma niente di più.
«Mmm..» mugugnai per prendere tempo. Dio, ci doveva pur essere stata una ragazza in tutta la mia vita che mi avesse fatto provare qualcosa oltre la semplice attrazione fisica! Improvvisamente la mia mente materializzò un volto e, senza alcuna sorpresa da parte mia, era proprio quello della ragazza che mi stava accanto. Sana mi aveva fatto provare qualcosa ma non gliel’avrei mai detto o avrei rischiato di rovinare tutto.
«Probabilmente no, fino ad ora.»
«Fino ad ora?» mi diede una botta sul petto mettendosi poi a pancia in giù per guardarmi negli occhi. «C’è una nuova fiamma di cui non so niente?». La sua improvvisa vicinanza mi provocò un sussulto nel petto, e non solo, e mi alzai mettendomi a sedere per allontanarmi un po’.
«Diciamo di si.» risposi mettendo le mani dietro la testa e chiudendo gli occhi con fare strafottente.
«Wow..». Aprii gli occhi e vidi che lei nel frattempo aveva abbassato lo sguardo fissando le mie lenzuola rosse. «Secondo te cosa staranno facendo quei due?» mi chiese subito dopo ammiccando.
«Vuoi una dimostrazione pratica?»
«No Hayama, ti ringrazio!». Scoppiò a ridere e improvvisamente mi venne in mente di stuzzicarla un po’.
«Ti va di fare una cosa?» le chiesi sorridendo. Visto che la settimana successiva avremmo passato il week-end praticamente appiccicati avevo bisogno di sapere fin dove potevo spingermi e cosa aspettarmi da lei. Sapevo bene che, in realtà, da Sana non mi aspettavo nulla, perché mi bastava la sua presenza a rallegrarmi la giornata, quando c’era lei la mia vita era più luminosa, ma comunque avevo bisogno di conoscere qualcosa in più sulla sua personalità che a volte non era così facile da interpretare.
«Dipende..» mi rispose visibilmente imbarazzata.
«Niente di sconveniente, tranquilla.» la rassicurai immediatamente. «Vorrei fare un piccolo gioco con te.»
«Tipo?» . Corrugò la fronte e si spostò la frangia dagli occhi. Avrebbe dovuto accorciarla un po’, ma non mi sembrava il momento di mettermi a discutere sui due centimetri in più dei suoi capelli, avevo intenzione di rendere la serata il più interessante possibile, se lei me l’avesse permesso.
«Tipo.. hai presente obbligo o verità?». Sana alzò gli occhi al cielo e subito dopo sbuffò.
«Frena l’entusiasmo eh!». Le diedi un leggere colpo sulla testa facendola sbilanciare verso destra, lei rise e annuì, dicendomi che avrebbe giocato.
Avrei potuto chiederle qualsiasi cosa: se le piacevo, se aveva mai pensato a me in quei termini, se qualche volta aveva pensato di considerarmi qualcosa di più di un semplice amico, ma probabilmente il mio buon senso in quel periodo era fin troppo prevalente e mi limitai a iniziare con una domanda semplice.
«Film preferito?». Dovevo sciogliere il ghiaccio e quello era più o meno il modo migliore che mi era venuto in mente. Se avesse detto, come Beth, Le pagine della nostra vita l’avrei uccisa all’istante.
«Moulin Rouge, in assoluto.» rispose immediatamente. Potevo sopportare una storia strappalacrime, in cui il protagonista è un cretino e la protagonista una stronza, ma non una storia ugualmente strappalacrime con tanto di canzoncine a seguito.
«Il tuo?» mi chiese subito dopo indicandomi.
«Jurassic Park.». Dovevo ammettere che un po’ mi vergognavo a dirlo ma, che volete, adoro i dinosauri!
«Jurassic Park? Scherzi, vero?» mi canzonò dopo essersi messa a sedere davanti a me. La guardai per un attimo e pensai che era la prima donna che metteva piede nella mia stanza. Considerai l’idea di modificare le mie regole e farmi le ragazze in casa mia ma, subito dopo, quando notai quanto bene Sana si adattasse a quel letto, scartai immediatamente quel pensiero. Sana era perfetta per la mia stanza. Dio, se qualcuno avesse ascoltato i miei pensieri mi avrebbe considerato uno psicopatico arredatore preso da un attacco di nervi.
«Adesso passiamo alle domande più interessanti…» cominciai io. L’atmosfera stava cominciando a scaldarsi, io volevo sapere di lei e, anche se Sana non lo ammetteva, moriva dalla curiosità di sapere qualcosa in più su di me. Eccoti accontentata, Kurata.
«Primo bacio?» le chiesi sorridendo. Sapevo benissimo che mi avrebbe risposto abbassando gli occhi per l’imbarazzo. Non avevo mai conosciuto una ragazza così pudica, anche se non mi aveva proprio fatto quest’impressione quando in quel locale si era praticamente buttata addosso a me, prima della mia memorabile litigata con Carter.
«All’età di dodici anni». Sorrise anche lei e poi rigirò la domanda a me.
«Nemmeno me lo ricordo, con tutta sincerità.». Quella risposta avrei anche potuto risparmiarmela, si sa che le donne amano gli uomini che ricordano ogni singola data e ogni singolo stramaledetto anniversario o ricorrenza, ma io, non ero uno di loro, ricordavo solo le cose importanti. Per esempio, ricordavo benissimo la sensazione che mi aveva trasmesso Sana la sera in cui l’avevo conosciuta, alla festa di benvenuto. Ricordavo, ancora più nitidamente, il brivido che mi aveva provocato dormire nello stesso letto con lei, semplicemente toccandole i capelli. Ecco, quelle cose, le cose davvero importanti, io le ricordavo.
«Adesso posso fare io la domanda?» Incrociò le gambe e la sua espressione cambiò di colpo, come se volesse chiedermi qualcosa che non era davvero sicura di voler sapere. Ad ogni modo, annuii e lasciai che mi domandasse tutto ciò che voleva, in fondo era per quello che avevo cominciato quel gioco demenziale.
«Perché tratti le ragazze in quel modo? Insomma, sei una persona stupenda, Hayama..». Quelle parole mi fecero gonfiare il petto di gioia, lei mi considerava una bella persona, nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere. «Se ti sforzassi di mostrare quello che hai da offrire ad una persona, invece di concentrarti solo sull’aspetto esteriore, potresti facilmente trovare una ragazza che sia degna di stare con te, ed essere felice.»
«Mi trovi bello?». Sana sorrise e alzò gli occhi al cielo.
«Non sono mica cieca!» rispose subito dopo spingendomi verso il cuscino dietro di me. «Seriamente, perché lo fai?». Il suo viso tornò ad assumere un tratto serio e i suoi occhi presero a scrutare intorno a me come se volessero indagare. Non sapevo se sarei stato disposto ad aprire totalmente la mia anima ad una ragazza che, nonostante adorassi, conoscevo appena. Poi però, guardandola, mi venne quasi spontaneo farlo e sapevo che non me ne sarei pentito, nemmeno per un secondo.
«Perché.. è semplice.». Probabilmente quella era l’unica spiegazione che avrei potuto darle. Andare a letto con le ragazze, fare lo stronzo e tutto il resto, era qualcosa che mi riusciva abbastanza facile e perché abbandonare qualcosa di così estremamente elementare per andare ad impelagarmi in qualcosa di tanto complesso come l’amore? Mi sembrava da pazzi.
«E a te piacciono le cose semplici?» mi chiese sempre con quell’aria seria che ormai non la abbandonava da più di cinque minuti.
«E’ sempre stato più facile per me comportarmi in maniera distaccata e scostante piuttosto che andare ad incasinarmi come fa sempre Tsuyoshi.» mi bloccai per un attimo titubante sul da farsi e, quando stavo per continuare a parlare, lei mi interruppe.
«Quindi tu non credi nell’amore?». La sua domanda era così ingenua, sarebbe bastato dire si e allora mi avrebbe considerato un ragazzo profondo che utilizzava solo una facciata da duro e, d’altro canto, sarebbe bastato dire no per bruciarmi ogni singola possibilità che avevo con lei. La cosa più importante, però, era che in realtà non lo sapevo nemmeno io. Credevo al fatto che due persone, a un certo punto della loro vita, si trovassero e magari volessero condividere la loro vita ma, all’amore eterno, proprio no, non ci credevo. Nessuno vorrebbe stare con la stessa persona per tutta la vita a meno che non sia innamorato perso o completamente pazzo.
«No, credo di no.» risposi infine, sapendo di aver premiato la sincerità, ma consapevole anche di essermi bruciato la possibilità di avere Sana. «Insomma, non credo a tutte quelle puttanate della serie rimango vergine perché aspetto l’uomo della mia vita, quale donna sana di mente, escludendone qualcuna estremamente  ingenua o sognatrice, crederebbe ancora al principe azzurro? Credo piuttosto che il sesso appaghi la gente senza incasinargli il cervello.»
Notai l’espressione di Sana cambiare passando dalla serietà alla furia cieca. Si irrigidì immediatamente e mi scrutò con gli occhi infuocati di chi si sente fortemente toccata nel vivo.
«Quindi pensi che chi preservi la propria verginità per qualcuno di speciale, sia stupida?»
«Non stupida, ma folle.». La mia sentenza la lasciò sgomenta, se avessi immaginato che l’avrebbe turbata in quel modo mi sarei cucito la bocca dopo averla cosparsa di colla.
«L’amore non è da folli, e nemmeno la verginità. Tante ragazze sono vergini e aspettano quello che tu chiami principe azzurro, eppure sono felici.». Anche il suo tono era sentenzioso e non lasciava repliche alle sue parole.
«Le vergini non sanno cosa si per..» Improvvisamente un pensiero mi balenò nella mente e mi bloccai.
Sana Kurata era vergine?!
«O mio Dio..» esclamai subito dopo aver capito dove stava il problema.
Una vergine! Per poco non scoppiai a ridere e, lo giuro, dovetti trattenermi parecchio per non farlo.
«Penso che dovrei andarmene.» Sana si alzò e si fiondò in direzione della porta, ma io mi misi in mezzo e non la lasciai passare. Ora che sapevo la verità non avevo alcuna intenzione di lasciarla uscire da quella stanza tanto facilmente.
«Mi stai dicendo forse che tu.. tu non hai mai..» Non riuscivo nemmeno a considerare quell’ipotesi, in fondo era stata fidanzata con Kamura per quanto, sei anni? E mai, mai, lui aveva tentato di portarsi a letto quella specie di Dea? Doveva essere proprio un coglione.
Sana abbassò lo sguardo e la risposta fu evidente senza che lei dicesse nulla.
«Pensi di essere migliore di me?» mi chiese con un tono minaccioso. Era incazzata e io non capivo neppure il motivo. «Pensi davvero che il fatto che tu abbia scopato ti renda una persona migliore?»
«Non migliore, ma più felice si.» risposi lapidario. Ne ero convinto al cento per cento: il sesso aiuta la gente ad essere felice. E non lo dicevo solo io, gli scienziati hanno appurato che durante un rapporto sessuale il corpo produce serotonina, l’ormone della felicità. Come una barretta di cioccolato o una enorme vaschetta di gelato, ma più in grande.
«Ti sbagli di grosso.» Si girò per prendere la sua roba e poi tornò a rivolgere lo sguardo a me. «E adesso, togliti.» mi ordinò puntandomi l’indice contro. Era furiosa, ed era bellissima.
«No.»
«Hayama togliti, o giuro che ti uccido.».
Mi spostai appena ma, prima di uscire, si avvicinò a me.
«Non morire senza aver provato la meraviglia di scopare con amore, cerca l’autore, forse comincerai a capirci qualcosa!».
Sbuffai sonoramente e mi gettai a letto. Anche le frasi filosofiche adesso!
Non avrei mai cercato l’autore, né tantomeno ci avrei pensato.
Peccato che alle cinque del mattino, esattamente quattro ore dopo che Kurata se n’era andata sbattendo la porta, stavo ancora fissando il soffitto e pensando a quella maledetta frase.
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Pov Sana.
 
Guidavo come una furia verso il dormitorio e, solo quando arrivai davanti alla mia camera, mi ricordai di aver lasciato Beth a casa di Hayama. Poco male, nemmeno si sarebbe accorta della mia assenza e il giorno dopo sarei andata a riprenderla evitando accuratamente di vedere quella faccia di culo bionda che non aveva fatto altro che umiliarmi la sera prima.
Mi affrettai a infilarmi sotto le coperte con tutta l’intenzione di dormire ma, evidentemente, Hayama non era del mio stesso avviso. Presi il cellulare dal comodino. Sette chiamate perse, scherziamo?
Spensi il telefono, non volevo essere raggiungibile per nessuno quella sera. Né per Hayama, né per Beth, né per mia madre, né per Rei, né tantomeno per Naozumi, che ultimamente aveva preso l’abitudine di chiamarmi di notte . Volevo solo che calasse il silenzio attorno a me, che nessuno si permettesse di giudicarmi, come invece Hayama aveva fatto continuamente da quando avevo messo piede nella sua stanza.
La sua stanza.. non ci aveva mai fatto entrare nessuno oltre me e, come se non bastasse, aveva detto che ero speciale per lui. La cosa comunque non mi sorprendeva, chissà quante altre ragazze avevano creduto alle sue belle parole per finire poi col cuore spezzato, e io ero consapevole che avrei fatto la loro la stessa fine, se non avessi avuto il coraggio di allontanarmi. Per quanto Hayama potesse comportarsi da bastardo, era sufficiente una sua frase, un semplice gesto o il suo sguardo, che aveva la capacità di leggermi nel profondo, a spiazzarmi completamente e a farmi sentire perduta o, forse sarebbe più corretto, a farmi sentire viva.
Il sabato successivo ci sarebbe stata la prima di quel maledetto film e Akito avrebbe dovuto accompagnarmi. Pensai di chiedere a Tsuyoshi di prendere il suo posto, fingendosi Hayama, ma poi immaginai Beth diventare una furia solo all’idea. No, non potevo farle una cosa del genere.
Quindi, riassumendo, sarei stata costretta a passare tre giorni in un albergo con una persona che avrei volentieri soffocato nel sonno e che mi considerava una stupida.
Anch’io, a volte, mi sentivo una cretina a pensare alla mia verginità, ma continuavo ad essere del parere che non fosse una cosa da regalare a chiunque, ma solo ad una persona veramente speciale.
Hayama non poteva capire certe cose, per lui contava solamente la carne, e il cuore non era neppure da prendere in considerazione.
Il sesso appaga la gente senza incasinargli il cervello, aveva detto. Ma che razza di ragionamento era?
Il sesso, anche se è un atto puramente fisico, unisce due persone, le rende intime. Come faceva a non comprendere? Probabilmente non aveva mai provato nulla del genere e di certo non potevo essere io ad insegnarglielo visto che, con mia grande felicità, ero ancora come mamma mi aveva fatto.
Per un attimo, per una sola frazione di secondo, mi balenò nella testa l’idea che forse Hayama aveva ragione. Magari sarei stata più felice se, per una volta, mi fossi concessa a qualcuno, eliminando il problema verginità dalla lista dei motivi per cui ero una fallita. Magari quel qualcuno sarebbe potuto essere proprio lui..
No! Assolutamente no. Se Hayama mi faceva un certo effetto senza averlo mai neppure toccato più del dovuto, figuriamoci a finirci a letto. No, non potevo assolutamente. E poi avrebbe significato dargliela vinta e questo, più di tutto, non ero disposta a sopportarlo.
Avrei affrontato il viaggio con la maturità della mia età – ma chi volevo prendere in giro, dovevo ancora compiere diciannove anni e non ero affatto matura – e sarei riuscita a controllare la situazione come la donna adulta che (non) ero.
*
 
«Svegliati!». Da circa dieci minuti Beth mi urlava nelle orecchie di alzarmi e io, per i totali dieci minuti, avevo lasciato che gridasse senza darle la minima attenzione.
Dopo almeno un altro quarto d’ora buono la accontentai e andai a chiudermi in bagno per prepararmi alla nuova giornata che mi attendeva. Beth era arrabbiata con me, la sera prima me n’ero andata senza avvisarla, e nemmeno spiegandole che avrei voluto evitare di interromperla in un momento particolare riuscii a farla calmare.
«Akito stamattina era di pessimo umore..» cominciò lei mentre si vestiva davanti all’armadio. Aveva indossato i soliti jeans ma, quel giorno, indossava una camicia sul viola che faceva risaltare il biondo dei suoi capelli. Ad ogni modo, di Hayama non m’importava più di tanto, avrei evitato di incontrarlo fino al giovedì sera, quando avremmo passato molto tempo insieme sull’aereo – ebbene circa tredici ore. Mi si rizzarono i capelli, come se avessero avuto vita propria, tutto quel tempo insieme ad Hayama mi avrebbe uccisa.
«Non m’interessa Beth, davvero. Non voglio parlare di lui.»
«Ma almeno vuoi spiegarmi cosa è successo?» mi chiese lei, sinceramente preoccupata. La rabbia era svanita e aveva lasciato posto ad un interesse affettuoso che caratterizzava quasi sempre la mia amica.
«Nulla di importante.. mi ha solo preso in giro.»
Beth strabuzzò gli occhi. «E tu fai tutta questa tragedia, solo perché ti ha presa in giro?»
«Mi ha presa in giro sul fatto che sono vergine, Beth. Penso che anche tu avresti fatto una tragedia.»
Spalancò la bocca in un’espressione a dir poco spaventosa, assomigliava a quei clown del circo che, a mio parere, erano stati inventati per terrorizzare i bambini.
«Tu gliel’hai detto? Ma sei impazzita?»
Non capivo cosa ci fosse di così disgustoso nell’essere vergini, manco avessi avuto qualche malattia infettiva.
«Non gliel’ho detto, Beth. L’ha capito.»
«Ah..» concluse lei.
La sentivo borbottare dal bagno, avvertivo tutto il suo astio e stavo cominciando ad innervosirmi.
«Beth, parla o ti verrà un infarto.» dissi entrando nella stanza e vedendo che era seduta sul letto con gli occhi fissi sul comodino.
«Sana, te l’ho detto, Akito ci tiene a te..»
Ancora questa storia? Mi sembrava di aver esaurito l’argomento la sera prima.
«Beth, ascoltami, Akito tiene a me come un’amica. Un’amica. Okay? E adesso basta parlare di lui, non voglio sentirlo nominare fino a giovedì.»
Chiusi immediatamente il discorso, Beth comprese che non avevo voglia di parlarne e io mi preparai per andare a lezione di chimica dove, purtroppo, sapevo avrei incontrato la causa di tutta quella rabbia mattutina.
Indossai i primi vestiti che vidi nei cassetti e, dopo aver salutato Beth che invece aveva la mattinata libera, mi avviai verso l’aula del professor Micha. Non avevo alcuna voglia di vederlo, non dopo che aveva scoperto la mia condizione.
Comunque non potevo saltare la lezione, avevo già fatto due assenze qualche settimana prima per svignarmela allegramente con Hayama, e non era il caso di rischiare una bocciatura inutile.
«Buongiorno.» Mentre ero ancora immersa nei miei pensieri – i mille modi per togliere la vita ad Akito Hayama parte prima – proprio la sua voce mi arrivò alle orecchie.
«Adesso non lo è più.» risposi sarcastica.
«Hai mangiato yogurt scaduto?» mi chiese, piazzandosi davanti a me, poco prima di raggiungere la classe. Avrei voluto riempirlo di parolacce, avrei voluto spaccargli la faccia, ma il mio buon senso ebbe la meglio e mi limitai a superarlo senza dire una parola.
«Per quanto ancora dovrà continuare questa sceneggiata?» Era di nuovo davanti a me, mi sbarrava la strada e tutti i ragazzi nei corridoi ci fissavano come se stessero assistendo ad un film.
«Fin quando ammetterai che ho ragione io.» risposi immediatamente sfidandolo con lo sguardo.
«Non succederà mai.» Bene, mai? Allora la sceneggiata sarebbe durata a lungo.
«Va bene, Hayama.» cominciai «Ci vediamo giovedì per andare all’aeroporto. Non azzardarti ad avvicinarti a me prima di allora, o giuro su quello che ho di più caro al mondo che ti cambio i connotati. Chiaro?»
«Cristallino.»
Notai la delusione sul suo viso e, per un secondo, mi sentii quasi in colpa per essere stata così dura. Chi ero io per costringerlo a cambiare il suo stile di vita? A lui era sempre andato bene così e non sarei stata di certo io a mutare le sue idee. Lui non credeva nell’amore, io si.
La tristezza che mi invase in quel momento mi lasciò sconvolta: eravamo troppo diversi e forse nulla avrebbe potuto modificare quella differenza che ci separava. In compenso però, le cose che ci tenevano legati erano molte di più, e io avrei lottato per quelle. Ad ogni costo, avrei vinto la mia guerra.



Un nuovo capitolo, piuttosto di transizione anche questo, ma che cela importanti svolte. Sana ha finalmente confessato, suo malgrado, la sua condizione ad Hayama. E lui si è proprio comportato da stronzo, dobbiamo ammetterlo. 
Vedremo come andrà nel prossimo capitolo. 
Intanto, come sempre, mi scuso per le recensioni, ma la scuola, COME SEMPRE, mi perseguita e se vi facessi vedere come sono incasinata la prossima settimana piangereste, ve lo assicuro.
Ringrazio, ovviamente, la mia meravigliosa Beta
Dalmata, che mi aiuta, sempre, e che è pronta a consigliarmi su tutto!
Adesso, vi lascio un piccolo spoiler per il prossimo capitolo, spero di vedervi più numerosi.
Ps: ci terrei che, anche chi legge semplicemente la storia, lasciasse almeno una recensione, così, per farmi sapere se c'è qualcosa da cambiare, qualcosa secondo loro da aggiungere. Potete anche contattarmi via messaggio privato, non preoccupatevi! :)
Bacio, 
Akura. 


Estratto dal prossimo capitolo:

Controllavo l’orologio circa venti volte al minuto nella speranza che accadesse qualcosa. Mi convinsi che, forse, aspettavo, trepidante, una chiamata da parte di Hayama che, dopo la discussione avuta in corridoio, non si era fatto vivo nemmeno con un messaggio. Era ormai sera e, anche se sapevo che il giorno dopo ci saremmo visti ugualmente, ero un po’ arrabbiata e, in parte, anche delusa. Avevo sperato fino alla fine che cambiasse idea e mi chiamasse chiedendomi scusa, ma se non era successo dopo ventiquattro ore perché sarebbe dovuto accadere in quel momento?
*
Era così piccola che, se avessi voluto, avrei potuto fare ciò che volevo di lei. Il solo pensiero mi fece rabbrividire, non avrei nemmeno potuto immaginare di farle del male. 

 
 

 

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Capitolo 10
*** Totalmente e profondamente. ***


CAPITOLO 10.
TOTALMENTE E PROFONDAMENTE.
Pov Sana

Non riuscivo a non pensare a quello che era accaduto in camera di Hayama, mi aveva guardato come se fossi stata una specie rara, a rischio di estinzione. Per la prima volta in vita mia mi ero sentita umiliata. Come si permetteva di giudicarmi, solo perché non la davo via come se non fosse mia, come tutte le sgualdrine che era abituato a portarsi a letto?
Ma come potevo pretendere che Akito capisse la  mia scelta? Lui non vedeva l’amore come un sentimento che unisce due persone, per lui era una sorta di impulso volto a soddisfare i propri istinti, una sana scopata, come l’avrebbe definita lui, per me una fusione non solo di due corpi, ma anche di due anime.
Per distrarmi avevo già cominciato a pensare a cosa indossare alla prima e, con mio grande rammarico, mi ricordai di dover dire ad Hayama di portarsi almeno lo smoking. Si, come se Hayama avesse uno smoking. Magari Tsu…
Nonostante non facesse freddo, era da un paio di ore che pioveva a dirotto e io, buttata sul letto della camera che condividevo con quella che ormai non era più la mia compagna di stanza, – Beth passava più tempo a casa di Hayama in compagnia del suo ragazzo che non al dormitorio – facevo mentalmente la lista delle cose da portare con me. Il vestito verde, l’abito che avrei indossato alla prima, gli stivaletti beige...
Controllavo l’orologio circa venti volte al minuto nella speranza che accadesse qualcosa. Mi convinsi che, forse, aspettavo, trepidante, una chiamata da parte di Hayama che, dopo la discussione avuta in corridoio, non si era fatto vivo nemmeno con un messaggio. Era ormai sera e, anche se sapevo che il giorno dopo ci saremmo visti ugualmente, ero un po’ arrabbiata e, in parte, anche delusa. Avevo sperato fino alla fine che cambiasse idea e mi chiamasse chiedendomi scusa, ma se non era successo dopo ventiquattro ore perché sarebbe dovuto accadere in quel momento?
Mentre ero concentrata sul dubbio amletico delle scarpe da mettere insieme al vestito scelto per l’evento sentii bussare alla porta e, sbuffando, mi dovetti sottrarre alla mia comodissima posizione da universitaria nullafacente.
Aprendo mi trovai davanti un ragazzo, sembrava un cameriere, che mi consegnò un pacco e un biglietto. Lo ringraziai e poggiai la scatola sulla piccola scrivania posizionata vicino all’entrata, incerta se aprirla o meno. Il biglietto era anonimo, quindi chiunque l’avesse scritto voleva far leva sulla mia curiosità, sapeva bene che se volevo conoscere il mittente, sarei stata costretta a leggere il messaggio. Chi poteva mandarmi un regalo? Dall’odore che emanava quell’involucro doveva essere sicuramente un dolce o qualcosa di simile.
Esaminai tutte le possibilità e alla fine mi convinsi che potevano essere state solamente due persone: Beth, per farsi perdonare degli screzi che avevamo avuto negli ultimi giorni, o Naozumi, per rompermi le palle più di quanto già non avesse fatto. Quasi immediatamente scartai la seconda ipotesi, Kamura era un bastardo, ma conservava ancora qualche dote da gentiluomo, non mi avrebbe mai cercata così apertamente senza aver prima appurato che la mia relazione fosse solo una farsa.
Quindi, presa dalla convinzione assoluta che fosse Beth il mittente, aprii il biglietto con un sorriso amaro sul volto.
Visto che non mi rivolgi più la parola, non rispondi alle mie chiamate e ai miei sms, ho pensato che l’unica soluzione era mandarti le mie scuse. Non era mia intenzione ferirti…
Spero che questo gesto di pace riesca ad addolcirti un po’…
Hayama.
Ps: sono fuori dalla finestra e, l’ultima volta che ho controllato il meteo non prometteva nulla di buono, mi fai entrare?


 
Chiusi immediatamente il pezzo di carta che avevo tra le mani e sbuffai. Era impossibile che Hayama fosse lì, impossibile che avesse mandato quel biglietto, ma comunque aprii la scatola per vedere cosa c’era dentro. Vidi una torta, rigorosamente al cioccolato, decorata con la scritta: SORRY.
Se non lo avessi odiato, l’avrei sposato.
Presi il dolce e mi misi a letto accendendo solo la luce flebile del lume sul comodino. Staccai un pezzo e lo assaggiai. Continuavo a ripetermi che dovevo allontanarmi da lui, ma la verità era un’altra: io volevo disperatamente che lui mi cercasse, perché volevo illudermi che quelle attenzioni erano il suo modo per farmi capire che ai suoi occhi ero diversa, che ero importante. Alcune volte mi ero ritrovata  a pensare che il fatto che lui non mi avesse mai sfiorata, non fosse da attribuire al fatto che mi rispettasse, ma forse al fatto che non ero abbastanza per lui.
Fui tentata di andare alla finestra a controllare se Hayama avesse detto la verità, se fosse veramente sotto la pioggia ad aspettare che io mi decidessi a parlargli. Scelsi di non cedere a me stessa, perché se lui fosse stato lì o meno non doveva importarmi, ero arrabbiata e non dovevo dargliela vinta.

Chissà cosa penserà quando capirà che non lo farò entrare...
 
Dopo aver mangiato metà della torta al cioccolato, continuai a sistemare la mia roba per la partenza. Con gli anni, anche se non sembrava, il mio lato da ritardataria stava cominciando a modificarsi: non volevo rischiare di dover fare tutto all’ultimo minuto quindi cercai di portarmi avanti con il lavoro.
Non avrei mai creduto che, abbandonando il letto, ben un’ora e mezza dopo, scostando le tende per controllare il tempo, l’avrei trovato lì, ad aspettarmi. Hayama era seduto sulle scale antincendio – la mia camera si trovava infatti al primo piano – totalmente fradicio tanto che la leggera maglietta bianca gli aderiva perfettamente sui pettorali scolpiti. Dovetti contenermi alla vista di quella specie di Adone per non gettarmi su di lui stringendolo a me. Mi limitai ad aprire la finestra, anche se non avrei mai voluto cedere alle sue scuse, ma non ero così crudele da lasciarlo lì, sotto il diluvio universale.
«Ce ne hai messo di tempo, Kurata!». Si girò a guardarmi e, nello stesso momento in cui i suoi occhi incrociarono i miei, mi resi conto che non avrei mai voluto stare lontana da lui. Ma, esattamente un secondo dopo, capii che era proprio quello che avrei dovuto fare. Lui era il tipo di ragazzo che temevo, che non avrei mai voluto al mio fianco ma, allo stesso tempo, c’era qualcosa – un filo invisibile e indistruttibile – che mi teneva legata a lui in una stretta impossibile da nascondere. Io lo volevo, volevo che fosse mio, perché continuare a negarlo?
Per salvarti il cuore, Sana!
La vocina nella mia testa tornò prepotentemente a farsi sentire e io non riuscii a zittirla perché in fondo, dentro di me, sapevo anche io quanto avesse ragione.
«Hai intenzione di rimanere lì fuori ancora per molto?» chiesi innervosita più dai miei stessi pensieri che dalla sua presenza. Non riuscivo neppure per un attimo a non usare la parte razionale del mio cervello come una specie di scudo, forse perché era l’unico modo che conoscevo per essere immune al dolore. Temevo che, se avessi abbassato anche solo per un attimo le mie difese, mi sarei ritrovata con il cuore frantumato. La mia era una squallida scusa, la verità era una sola: io avevo paura di lascarmi andare con lui. Paura di non essere all’altezza, di deludere, di essere impacciata e soprattutto paura di non essere abbastanza. Qualsiasi donna, conoscendolo meglio, avrebbe capito che, oltre a quello che nascondeva sotto i pantaloni, Hayama aveva anche ben altro da offrire, era intelligente e brillante, ed io ero solo una timida ed impacciata ragazza, che non poteva di certo competere con le abituali frequentazioni di Akito.
Hayama acquisì un’espressione cupa ma poi tornò a mostrarmi uno dei suoi meravigliosi sorrisi. «Mi hai perdonato?» chiese spostando un ciuffo di capelli da un lato all’altro del viso. Una serie di goccioline gli incorniciavano il volto e avrei voluto avvinarmi e scacciarle con qualche bacio ma, nuovamente, la vocina nella mia testa mi fermò prima che lo facessi. A volte tornava davvero utile.
«Ho scelta?» risposi sarcastica facendogli cenno di entrare.
«Non metterò piede in quella stanza finché non mi avrai detto che non sei più arrabbiata.»
«Ti ho già perdonato, muoviti!»
«Devi esserne sicura, non devi farmi nessun favore.». Abbassò lo sguardo e sembrò che stesse cercando di organizzare i suoi pensieri per riuscire a dirmi ciò che provava. Poi, improvvisamente si avvicinò al mio viso e sussurrò: «Mi dispiace..»
Come potevo non accettare delle scuse così? Lo afferrai per la maglia e lo costrinsi ad entrare in camera trascinandolo, senza mai staccare gli occhi da quelle pietre color ambra che mi ipnotizzavano. Gli feci cenno di accomodarsi sul letto e lui fece come gli avevo detto dopo aver lasciato un po’ di gocce sparse sul pavimento e sul comodino.
«Non ti sto facendo nessun favore, ti ho perdonato sul serio.» dissi con un filo di voce sedendomi vicino a lui. Non lo avevo mai visto così vulnerabile e non volevo che fosse così a causa mia, preferivo di gran lunga il ragazzo forte e determinato che avevo conosciuto mesi prima.
Dovetti ammettere però che, d’altra parte, ero entusiasta di vedere che, anche se in parte, ero riuscita a cambiarlo.
«Ma eri furiosa fino a qualche ora fa.»
«Si lo ero. Ma ora, non lo sono più.» Mi bloccai per un attimo combattuta sulla frase successiva che speravo lui avrebbe smentito. «Che diritto ho di chiederti di cambiare il tuo stile di vita?»
Aspettai con ansia che dicesse qualcosa ma non lo fece. Guardai fuori dalla finestra e notai che aveva smesso di piovere, le nuvole stavano cominciando ad allontanarsi e i raggi della luna avevano cominciato prepotenti a filtrare attraverso le tende rosa confetto che Beth aveva insistito per avere. Mi distraevo pensando al tempo ma non riuscivo a concentrarmi su nulla che non fosse Hayama.
«Avanti.» cominciai «Andiamo da te a prendere qualche vestito asciutto e poi esigo che mi offri la cena.»
«Ma è mezzanotte!» ribatté lui.
«Non m’importa.» lo zittii. «Vuoi essere totalmente perdonato? »
«Non ti è bastata la torta, vuoi ancora cibo! Sei una grassona!».
Cosa?! Hayama mi guardava sorridendo mentre era ancora seduto sul mio letto; non feci in tempo a girarmi, che lui fu più veloce di me e, delicatamente mi attirò a sé, e io mi ritrovai seduta sulle sue gambe. Sprofondò il viso nell’incavo del mio collo e dovetti fare appello a tutto il mio autocontrollo per non lasciare che andasse oltre, anche se mi fidavo ciecamente di lui e sapevo che non l’avrebbe mai fatto senza un mio incoraggiamento. Il problema era proprio quello, volevo incoraggiarlo.
«Mi dispiace..» ripeté per l’ennesima volta.
«L’hai già det...» mi interruppe immediatamente dicendomi di star zitta.
«Lasciami parlare una volta tanto!» cominciò con il viso ancora coperto dai miei capelli. «Non volevo prenderti in giro, Kurata. Ero solamente.. stupito! E, per la cronaca, non mi ritengo migliore di te. Io, in fondo, ho solamente scelto la strada meno complicata. Tra i due sei tu quella che ha avuto più coraggio. Sei una ragazza speciale Kurata, non permettere che nessuno dica il contrario. L’uomo che ti avrà sarà molto fortunato.»
Si bloccò per un attimo e cercò il mio sguardo per poi aprire le labbra in un sorriso. «Dio, ma che diavolo mi stai facendo? Non ho mai parlato così tanto nemmeno con Tsu.»
Mi sentii investire da un’ondata di felicità che mai avevo provato, tante volte avevo detto di essere felice – ricordo notti intere di telefonate con Fuuka, la mia ormai ex migliore amica, a parlare di quanto la mia vita fosse perfetta – ma quel momento cancellò totalmente qualsiasi cosa avessi mai provato.
Seduta sulle gambe di Hayama, con il viso vicino al mio e il cuore che mi batteva all’impazzata, ero felice.
*
 
Mentre andavamo in macchina verso casa sua il silenzio ci stava consumando e mi sentivo una morsa allo stomaco, avrei potuto rimettere da un momento all’altro. Il nostro rapporto aveva superato un confine invisibile e, nonostante lo negassimo, sapevamo che non potevamo più considerarsi amici.
Avevo il terrore di arrivare a casa di Hayama e trovarmi sola con lui, avevo già sperimentato la sua influenza su di me e non era il caso di cedere proprio in quel momento.
Quando spense il motore si girò a chiedermi se preferivo aspettarlo in macchina ma, pur essendo presa dal panico, decisi comunque di entrare con lui.
Lo guardavo cercare una maglia pulita nel cassetto e, anche se non c’era molta luce, notai che aveva gli occhi lucidi e le guancie arrossate. Mi alzai avvicinandomi a lui e gli poggiai una mano sulla fronte.
«Ma tu scotti!»
«Non è nulla, Kurata. Dovrei cambiarmi, ma se vuoi rimanere a goderti lo spettacolo, sei ben accetta!»
Mi fiondai sulla porta e girai la chiave nella serratura.
«Stai cercando di provocarmi?» chiese accennando un sorriso malizioso.
Dio, che spettacolo...
«No! Sto cercando di essere ragionevole.» risposi scostando le coperte «Hai la febbre, non puoi uscire visto che domani sera dobbiamo prendere un aereo.»
Fece una smorfia subito dopo avermi ubbidito ed essersi disteso.
«Non nominare l’aereo, mi viene già la nausea.»
Piegai le labbra in un sorriso e mi coricai vicino a lui; doveva avere la febbre piuttosto alta perché nonostante ci dividessero le coperte sentivo il calore che emanava il suo corpo.
Dopo dieci minuti circa il suo respiro si fece pesante e capii che si era addormentato, così, presa dalla stanchezza, cercai di prendere sonno anch’io.
 
*
 
Anche se ero in dormiveglia riuscii a sentire la mia pelle toccare qualcosa di fastidiosamente bagnato. Cercai di ignorarlo il più possibile, ma non riuscivo più ad addormentarmi, quindi, dopo cinque minuti di inutili sforzi, mi voltai e mi accorsi che era Hayama ad essere bagnato. La sua fronte era imperlata da goccioline di sudore e i capelli erano attaccati al viso.
Avvicinai la bocca alla sua testa per controllare la temperatura e, anche senza termometro, mi resi conto che era salita sensibilmente. Pensai per circa cinque minuti a come farla scendere in fretta e poi ricordai che mia madre, da bambina, mi faceva sempre le spugnature fredde e, anche se volevo tenermi alla larga dal corpo di Hayama – come no! – il giorno dopo saremmo dovuti partire quindi dovevo farmi coraggio.
Lo spogliai, togliendogli prima i pantaloni della tuta e poi la maglia, e mi ritrovai ad ammirare il suo addome piatto e i muscoli della braccia. Adesso capivo il vero motivo per cui tutte le ragazze dell’università volevano andare a letto con lui, uno con un corpo del genere – che mi ero imposta di non guardare – chissà come sarebbe stato a letto.
Smettila Sana! Ancora lei, la mia vocina interiore che mi rimproverava per i miei pensieri. Ma cosa potevo farci se Hayama era così maledettamente perfetto?
Mi precipitai in cucina e poi in bagno alla ricerca di un secchio e qualche asciugamano, dopo tornai in camera e raccolsi tutto il mio coraggio e autocontrollo: potevo farcela!
Insomma, avevo visto tanti ragazzi mezzi nudi, anche se sempre per lavoro, quindi Hayama non doveva mettermi in imbarazzo.
Ma tutti quei ragazzi non erano lui...
Immersi un panno nell’acqua fredda e cominciai a passarglielo prima sul viso e poi, scendendo dal collo, su tutto il petto. Ripetei l’operazione circa quattro volte, e ogni volta rimanevo estasiata a fissare quelle meravigliose fossette alla fine della pancia.
«Kurata...». Hayama mormorò il mio nome e mi affrettai a controllare che dormisse ancora prima di posargli un leggero bacio sulla bocca.
Mi sembrò di aver già toccato quelle labbra e di riconoscere il suo sapore, un misto di cioccolato e limone, ma io e Hayama non c’eravamo mai baciati.
E allora perché mi sembrò tutto così familiare?
Scacciai in fretta quella sensazione e cercai di calmarmi: quel contatto mi aveva fatto sussultare il cuore nel petto.
«Mamma...» gemette lui agitandosi. L’ultima volta che gli avevo sentito pronunciare quella parola stavamo seduti su una spiaggia e non eravamo assolutamente così legati e vicini come in quel momento.
Non sapevo cosa si provasse a crescere senza una madre, nonostante non avessi alcun rapporto di sangue con Misako Kurata, l’avevo sempre considerata l’unica persona al mondo che mi avesse mai amato.
Hayama non mi aveva ancora raccontato la sua storia dettagliatamente, dovevo assolutamente estorcergli qualche informazione.
Avrei voluto che avesse conosciuto l’affetto di una madre e che avesse coltivato un rapporto con suo padre e la sorella; sapevo che, nonostante la facciata da duro, stava male davvero per quel mancato affetto.
Avrei voluto che non avesse mai sofferto.
Improvvisamente la mia mente fu attraversata dall’immagine di un Hayama bambino, ignorato da chi avrebbe dovuto amarlo, abbandonato dalla donna che lo aveva messo al mondo, solo. Le lacrime cominciarono a depositarsi sui miei occhi per poi scendere sulle guance come fiumi.
Fu in quel momento che, scossa dai singhiozzi, dissi a me stessa che non avevo più scuse per nasconderlo: ero totalmente e profondamente innamorata di Akito Hayama.
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Pov Akito.

Mi svegliai di colpo a causa di un maledetto incubo e mi accorsi di essere nel mio letto, con la faccia zuppa di sudore e i capelli in uno stato pietoso. Ero senza vestiti, a parte i boxer, e sentivo le gambe di gelatina. Le braccia poi avevano perso la loro solita forza lasciando spazio ad una debolezza che non mi apparteneva affatto.
Sentii un respiro affannoso vicino a me e, voltandomi verso la porta, la vidi.
Sana era scompostamente seduta sulla poltrona di pelle rossa vicina al mio letto, dormiva con la testa appoggiata su un bracciolo e aveva la bocca semi aperta. La maglietta rossa che indossava le lasciava scoperta la curva del seno e una parte della spalla, aveva i capelli scompigliati legati in una cosa disordinata che le scendeva sul lato destro del viso. Era bellissima anche in quel modo, assurdo.
Accanto a lei, un secchio colmo d’acqua e un paio di asciugamani bagnati completavano lo scenario da ospedale che si era venuto a creare nella mia camera.
Soffocai una risata, era rimasta con me per farmi passare la febbre e aveva pensato bene di spogliarmi mentre non ero cosciente?
Si mosse leggermente e una ciocca di capelli le cadde vicino alla bocca. Era così vulnerabile, così fragile che avrei potuto distruggerla con un solo gesto eppure aveva più forza di qualsiasi persona avessi mai conosciuto.
Guardai la sveglia appena sopra la mia testa, il sole sarebbe sorto di lì a poco ma non me ne importava assolutamente nulla. Fra qualche ora sarei dovuto salire su un aereo e probabilmente avrei avuto un attacco di panico davanti alla ragazza che amavo ma, ancora una volta, non mi importava.
Scostai le coperte e, seduto sul letto, ripercorsi attentamente ciò che avevo appena pensato. Davanti alla ragazza che amo. Amo. Amo?! Per un attimo mi sembrò di aver usato un termine inappropriato e mi alzai, anche se ancora traballante, per avvicinarmi a lei.
Quando le fui davanti, riuscii ad alzarla senza alcuno sforzo, anche se ancora mi sentivo debole e la portai a letto con me.
Mugugnò qualcosa ma, avendomi assistito per tutta la notte, doveva essere esausta, quindi non si svegliò.
La abbracciai cingendole totalmente la vita e pensai a una di quelle frasi da romanzo rosa, che tanto mi facevano vomitare, ma che mi sembrò la più adatta per descrivere ciò che provai.
Il suo corpo sembrava essere stato creato per incastrarsi col mio. Ed era vero.
Era così piccola che, se avessi voluto, avrei potuto fare ciò che volevo di lei. Il solo pensiero mi fece rabbrividire, non avrei nemmeno potuto immaginare di farle del male.
Quando si strinse ancora di più a me affondai il viso nel suo collo e le diedi un leggero bacio per sentire il suo sapore. Sapeva sempre di pesca e frutti di bosco, un gusto così dolce, che mi faceva venire voglia di morderla in qualsiasi momento.
Le diedi un altro bacio e, quando alzai lo sguardo e la vidi così indifesa, desiderai di poterla proteggere per sempre.
Alla fine rivalutai le parole che avevo usato poco prima e mi resi conto che non erano affatto inappropriate.
Ero totalmente e profondamente innamorato di Sana Kurata.


Okay, mi rendo conto di essere una m**** perchè non vi rispondo alle recensioni, e vi giuro, lo farei volentieri se avessi mezzo secondo libero per farlo!!!!!
Non vedo l'ora che finisca questa maledetta scuola, ho appena il tempo per entrare, aggiornare e SCAPPARE!!! T.T
Quindi, anche se faccio schifo, anche se sono imperdonabile, anche se vi annoiate a morte a sentire le mie lamentele, ogni volta, vi prego di perdonarmi... (Ho detto che sono imperdonabile e vi chiedo di perdonarmi, lol) (da questo si vede quanto sono sclerata ç______ç)
Come sempre ringrazio la mia Beta, Dalmata, perchè senza di lei, questa storia sarebbe andata allo sbando in meno di cinque capitoli. 
Ovviamente, un MEGA ENORME SUPER grazie, va a tutte le ragazze che hanno avuto la pasienza di leggere e recensire volta per volta, rimanendo sempre senza una risposta che spero sempre di riuscire a dare e per cui invece non ho mai tempo.
Spero che saprete perdonarmi, e ora vi lascio un piccolo spoiler, come sempre.
Bacio, Akura.


Estratto dal prossimo capitolo:


Però Sana aveva quell’espressione così strana.. non riuscivo a decifrare nessuno dei suoi pensieri e la cosa mi innervosì. Ero sempre stato abituato ad avere il controllo su tutto: le donne, il denaro, il sesso. Tutto era sempre stato nelle mie mani e il fatto che, adesso, le cose fossero cambiate mi metteva in difficoltà.
*
Non avevo idea di come gestire i miei sentimenti per lui, anche solo pensare di allontanarmi da lui, dopo il viaggio, mi faceva venire i brividi. Eppure, probabilmente, era proprio quello che avrei dovuto fare. 


 
 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Just so you know... ***


CAPITOLO 11
JUST SO YOU KNOW...
Pov Akito.

Aprii lentamente gli occhi cercando di abituarmi alla luce del sole che mi stava per distruggere la retina e mi girai verso Sana che dormiva a fianco a me. Allungai la mano per scostarle una ciocca di capelli dal viso e la accarezzai, seguendo la curva della mandibola, arrivando fino al mento.  Non avevo notato, prima di quel momento, quanto fossero lunghe le sue ciglia. Poi mi soffermai ad osservare la forma delle sue labbra: un perfetto cuore rosso.
Quelle labbra per me erano magnetiche, desideravo costantemente assaggiarle, sfiorarle, mordicchiarle, baciarle.. e la cosa mi lasciava interdetto. Avevo sempre evitato di baciare le ragazze che mi portavo a letto, perché lo consideravo un contatto troppo intimo, che implicasse un coinvolgimento sentimentale.
Avevo sempre pensato che l’amore fosse per le persone deboli, ma poi nella ma vita era arrivata Kurata ed aveva stravolto tutte le mie certezze.
Mi soffermai a pensare che quasi tutte le ragazze con cui ero stato, avevano tentato di cambiarmi, e l’unica che era riuscita nell’impresa, forse, non l’avrebbe mai saputo. Ormai non mi sorprendevo neanche più dei miei stessi pensieri. Risi di me stesso, ero veramente un caso disperato. Avevo basato, fino ad allora, tutta la mia vita sul sesso, avevo scopato ogni notte con una donna diversa, ma davanti a Sana mi sentivo come un adolescente alla prima cotta.
Quando sentii Sana muoversi e capii che stava per svegliarsi, chiusi automaticamente gli occhi, forse perché avevo paura di affrontarla, e avevo timore che lei potesse leggere nei miei occhi il mio turbamento. Da brava infermiera si era subito preoccupata di verificare che la temperatura fosse scesa, poi la sentii lasciare una lieve carezza sul mio volto e avvertii il suo respiro solleticarmi, segno tangibile che si era fatta vicina, avvicinò le sue labbra alle mie, quasi a sfiorarle, per poi ritrarsi improvvisamente. Sospirò profondamente e dopo aver passato la mano tra i miei capelli si alzò.
Continuavo a fingere di dormire, ma di sottecchi, avevo intravisto che si era rannicchiata sulla poltrona, e aveva l’espressione tipica di chi è intenta a pensare profondamente. La guardai di nascosto, mentre cercava di domare la chioma rossiccia con le mani e, per quanto sapessi che forse non avevo alcuna possibilità, per quanto il nostro week end ci avrebbe avvicinato solamente per una finzione, quella mattina la mia speranza tornò ad accendersi.
Però Sana aveva quell’espressione così strana.. non riuscivo a decifrare nessuno dei suoi pensieri e la cosa mi innervosì. Ero sempre stato abituato ad avere il controllo su tutto: le donne, il denaro, il sesso. Tutto era sempre stato nelle mie mani e il fatto che, adesso, le cose fossero cambiate mi metteva in difficoltà.
Ovvio, non erano difficoltà tali da farmi desistere dal proposito di conquistarla, ma sensazioni particolari che rendevano la cosa più difficile del previsto. Non solo per il rifiuto di Sana, nonostante fosse la cosa che mi frenava di più, ma perché io stesso non riuscivo a sentirmi adatto a lei.
Era un’attrice, anche se non lo dava mai a vedere, e quella prossima esperienza in un mondo che non mi apparteneva mi aveva fatto capire che c’era un abisso tra di noi che, probabilmente, non sarebbe potuto essere colmato nemmeno con tutto l’amore che provavo per lei.
Sana sbuffò e io sentivo che le cose mi stavano sfuggendo di mano. Dovevo fare qualcosa ma, a dire la verità, non avevo la più pallida idea di come comportarmi per farla sentire a suo agio.
Stavo per impazzire.
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Pov Sana.

E così era accaduto, non lo credevo minimamente possibile, ma mi ero innamorata…
Per molto tempo ero stata convinta che per stare insieme ad una persona fosse sufficiente condividere le stesse passioni. Così mi ero crogiolata nel fatto che stare insieme a Nao fosse la cosa più giusta, condividevamo lo stesso lavoro e gli stessi sogni. Ma se ero così sicura che Kamura fosse l’uomo della mia vita, perché avevo sempre glissato sull’argomento sesso?
Analizzandolo con il giusto distacco, il nostro stare insieme era l’unico modo che conoscevamo per andare avanti in un ambiente in cui eravamo, costantemente, sotto esame.
Poi avevo deciso di abbandonare, almeno momentaneamente, il mondo dello spettacolo, per dimostrare, più a me stessa che agli altri, che Sana Kurata non era solo una bambola da copertina, ma era soprattutto una ragazza con un cervello. Ed improvvisamente tutto il mio mondo era stato sconvolto da due occhi color ambra… il ragazzo più irritante, egocentrico e narcisista che avessi mai conosciuto, era diventato tutto il mio mondo.
Ma poi tornavo alla realtà e mi rendevo conto che non potevo avere la benché minima speranza con Hayama. Al campus era considerato una specie di dio, il numero delle ragazze con cui era stato e con cui aveva sperimentato ogni tipo di gioco erotico, era avvolto nel mistero. Venerato dalle donne perché era una vera e propria macchina da sesso, ammirato dagli uomini perché scopava in ogni dove con qualsiasi essere vivente di sesso femminile 90-60-90.
L’impressione di essere osservata mi ridestò dai miei pensieri, e difatti Hayama era in piedi davanti a me, in tutta la sua bellezza, facendo bella mostra dei suoi addominali perfetti.
Sentii le guance avvampare e per evitare qualcuna delle sue battute mi alzai velocemente, decisa  a raccogliere in fretta le mie cose, per tornare al dormitorio.
Ma Akito mi bloccò, dicendomi che il minimo che poteva fare per ringraziare la sua infermiera personale, era accompagnarla al campus, non prima di aver fatto una doccia veloce.
«Ci metto un attimo»  disse chiudendosi in bagno. «Fai come se fossi a casa tua!».
Non avevo idea di come gestire i miei sentimenti per lui, anche solo pensare di allontanarmi da lui, dopo il viaggio, mi faceva venire i brividi. Eppure, probabilmente, era proprio quello che avrei dovuto fare.
Avrei potuto tornare a casa, trasferirmi in un’altra università, volevo scappare da quel ragazzo e dall’effetto che provocava su di me. Il mio cuore non sembrava della stessa opinione, dal momento in cui avevo smesso di sentire la presenza di Hayama vicino a me, era calata una tristezza nel mio animo che nemmeno quando Naozumi era lontano per settimane avevo mai provato.
Se stavo così male, mentre lui era a solo pochi metri da me, figuriamoci a chilometri di distanza.
No, non potevo allontanarmi da lui. Se non mi voleva – e la cosa mi sembrava alquanto probabile – avrei potuto stargli vicino da amica. Ma sarei riuscita a sopportare la vista di tutte le ragazze che avrebbe frequentato?
Si. Dovevo sopportarlo, perché Hayama non era mio e, molto probabilmente, non lo sarebbe mai stato.
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Pov Akito.

La riportai al dormitorio salutandola davanti alla sua camera e dicendole che sarei passato a prenderla per andare all’aeroporto, ma lei mi fermò.
«Dobbiamo discutere di alcune cose, entra.»
Mi trascinò nella sua stanza, rigorosamente vuota perché Beth era con Tsuyoshi a fare colazione, e mi accomodai sul letto.
«Vado a fare una doccia veloce.». Si avvicinò e aprì un cassetto del comodino da cui estrasse un paio di mutandine nere con dei nastrini rossi e un reggiseno in pizzo dello stesso colore degli inserti. Alla vista della sua biancheria intima qualcosa si svegliò in basso, e nella mia mente iniziarono a sovrapporsi immagini di Sana in lingerie.
Lei si accorse solo dopo di avermi involontariamente mostrato la sua biancheria intima, e dopo aver assunto un colorito che comprendeva le varie tonalità del rosso, si fiondò in bagno,  non prima di avermi chiesto «Mi aspetti?» con un filo di voce.
Le feci cenno di si con la testa e, non appena si chiuse la porta alle spalle, non resistetti alla tentazione di sbirciare nel suo cassetto. Pizzi, nastrini e fiocchi la facevano da padroni, aveva della biancheria intima…notevole, che rispecchiava  alla perfezione la sua personalità: sensuale, ma non volgare.
Per scacciare dalla mia mente l’idea di entrare in bagno ed insaponarla tutta, decisi di impegnare diversamente il mio cervello, soffermandomi a riflettere  su ciò che mi aveva detto due sere prima: “Non morire senza aver provato la meraviglia di scopare con amore”.
Adesso che mi ero reso conto di essere innamorato di lei potevo comprendere ciò che Gabriel Maria Marquez volesse dire: andare a letto con Sana sarebbe stata tutta un’altra cosa. Mi sarei soffermato ad adorare ogni centimetro del suo corpo, l’avrei fatta sentire speciale e soprattutto mi sarei ripetuto migliaia di volte quanto fossi fortunato, considerato anche il fatto che non era mai stata con nessuno.
Avrei sentito il cuore scoppiare, ogni sensazione sarebbe stata amplificata dal fatto che era lei a regalarmela e si sarebbe sentita così tanto amata da piangere dalla felicità.
Ero consapevole che questo mio desiderio sarebbe rimasto solo un sogno…
Sana uscì dal bagno con addosso una maglia bianca che lasciava trasparire il reggiseno sotto di essa e un pantaloncino di jeans con le cuciture rosse. «Hai intenzione di partire vestita così?» le chiesi sarcastico mettendomi a sedere.
«La maggior parte degli abiti sono in valigia, credo che metterò un paio di jeans.» rispose seria. Non aveva colto il senso delle mie parole, stavo per costringerla a cambiare anche la maglietta troppo trasparente per i miei gusti, ma lei mi fermò prima che potessi parlare.
«Dobbiamo concordare il nostro.. fidanzamento.», mimò l’ultima parola con le virgolette e, anche se cercai di nasconderlo, quel gesto mi provocò una fitta allo stomaco.
«Ci siamo conosciuti all’università.» cominciò «.. siamo usciti insieme qualche volta tramite Tsu e Beth e poi.. poi è iniziato tutto.». Si alzò, mettendosi davanti a me, per poi cominciare a camminare avanti e indietro per la stanza.
«Pensi che Kamura sia così intelligente da mettersi a chiedere tutte queste cose?» chiesi stendendomi di nuovo con le braccia dietro la testa.
«Naozumi è un bastardo, ed è furbo. Si farebbe staccare un braccio pur di provare che sto mentendo.»
«Addirittura. Più che bastardo mi sembra un po’ psicopatico.», mi bloccai facendole una smorfia. «.. oppure troppo innamorato.» conclusi infine con la nausea nello stomaco.
Non avevo considerato la possibilità che, dopo quel viaggio, lei potesse decidere di tornare dal suo ex ragazzo e, in quel momento, la paura di poterla perdere mi investì come una doccia fredda. Mi ero ormai abituato alla sua presenza, alla sua risata e al suo modo di allontanarmi quando la situazione si faceva troppo imbarazzante, oppure alla sua fame perenne per cui ero costretto a sborsare centinaia di yen. Il solo pensiero di allontanarmi da lei mi faceva provare un senso di oppressione al petto che non avevo mai conosciuto.
«Non m’importa se è innamorato..» rispose incerta lei. Sapevo che stava mentendo, lo notavo dalla ruga che le si formava sempre al centro della fronte quando diceva una bugia.
«Andrà tutto bene, Kurata.» la rassicurai afferrandola per le braccia cercando di fermarla, mi stava facendo venire il mal di mare. «Kamura non capirà nulla e noi torneremo al campus così in fretta che la nostra storia ti sarà sembrata solo un sogno meraviglioso.». Le sorrisi ma, nel dire quelle parole, mi sembrò di aver inghiottito del veleno e la sua espressione non era migliore della mia.
«Ti sei dichiarato dopo due settimane, mi hai portato a vedere Le pagine della nostra vita durante la rassegna cinematografica dei film d’amore, per dirmi che mi amavi..». Mi guardò e poi scosse la testa come se avesse capito di aver detto una stupidaggine ma, ovviamente, non era così. «No, no.. meglio Moulin Rouge, lui sa che è il mio film preferito.» terminò infine sollevando impercettibilmente le sopracciglia.
«Kurata, smettila!» urlai. Mi dava sui nervi il fatto che fosse così spaventata all’idea di vedere Kamura e, ancora di più, il fatto che non riuscisse a gestire quei sentimenti, avrebbe dovuto essere disgustata da lui, non temerlo.
«Scusami..» disse sospirando. «Kamura non farà altro che chiedere e non voglio che abbia modo di pensare che stiamo fingendo.»
Sana deglutì e poi cercò il mio sguardo imbarazzata.
«Riuscirai a sembrare il ragazzo più innamorato del mondo?».
La feci sedere e la abbracciai sforzandomi di non guardarla negli occhi perché sapevo che avrei ceduto, baciandola.
«Sarà più facile di quello che pensi.» le risposi infine stringendola ancora di più a me.
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­­­Pov  Sana
Era arrivato il momento, Hayama portava la mia e la sua valigia tra le mani e dalla maglia a maniche corte si notavano i muscoli tesi per lo sforzo. Spostai lo sguardo e avanzai per raggiungere l’imbarco, notando l’espressione di terrore sul suo volto. «Stai bene?» gli chiesi trattenendo le risate.
«Mai stato meglio.» mi rispose serio. Volevo rassicurarlo, fargli capire che non c’era nulla di cui preoccuparsi ma le parole mi si bloccarono in gola quando sentii, improvvisamente, il suo petto sulla mia schiena. Il gate infatti stava cominciando ad affollarsi e Hayama si era avvicinato un po’ troppo facendomi sussultare. Lo sentii sorridere dietro di me e, nonostante l’imbarazzo, fui felice di averlo fatto distrarre anche se per poco.
Dopo circa venti minuti eravamo seduti ai nostri posti e le hostess stavano cominciando a fare tutti quei gesti per spiegare i termini di sicurezza. Mi voltai a vedere in che condizioni fosse Hayama e lo trovai con gli occhi chiusi e un espressione che mi faceva presagire che non sarebbero state ore facili.
Certo, non aveva mai preso l’aereo e io l’avevo costretto ad affrontare un volo di tredici ore.
«Stai male?» chiesi stringendogli la mano. Hayama sussultò, non so se perché stava davvero per vomitare, o per la sensazione che il mio gesto gli provocò, e si voltò a guardarmi.
«Eh, insomma..» gemette gettando di nuovo la testa indietro. Gli strinsi ancora di più la mano e la portai sulla mia gamba, sapevo che quel gesto avrebbe provocato in lui un’emozione diversa dal terrore che stava provando in quel momento, e volevo fare tutto il possibile perché si sentisse meglio.
«Posso fare qualcosa per distrarti?». Anche se aveva gli occhi chiusi, il viso deformato da una smorfia di dolore e qualche goccia di sudore sulla fronte, allargò le labbra in un sorriso malizioso e io non potei fare a meno di essere contagiata da lui.
«Effettivamente, qualcosa ci sarebbe..» rispose subito dopo cominciando a disegnare dei piccoli cerchi sul dorso della mia mano. Gli diedi un pizzicotto e lui scoppiò a ridere.
L’aereo intanto era decollato e Hayama non se n’era neanche accorto, risi al pensiero che probabilmente doveva essere stato nervoso tutto il giorno per quel momento e che, invece, non aveva capito nulla di ciò che era successo.
Lo guardavo, e più lo facevo, più mi rendevo conto di quanto fosse importante per me che lui fosse lì. Aveva accettato di seguirmi in una pazzia come quella, senza dire una parola, e assecondandomi in tutto. Perché?!
Non riuscivo a dare risposta a quella domanda. Forse perché ero la sua migliore amica, l’unica ragazza che era stata capace di andare oltre la facciata dell’Akito Hayama circondato da donne, e non l’avevo guardato come quel mostro che la sua famiglia vedeva.
Volevo sapere, volevo conoscere il motivo per cui lo odiavano tanto. Volevo sapere la ragione per cui, l’unico ragazzo che avevo amato, era stato costretto a vivere una vita da emarginato nella sua stessa casa, con il sangue del suo sangue. Le lacrime tornarono a farsi strada sui miei occhi ma le scacciai immediatamente, Hayama aspettava ancora una mia risposta e io mi ero limitata a fissarlo
«Guarda, Hayama!». Volevo fargli vedere che sotto di noi c’era l’oceano, un’immensa distesa d’acqua di un azzurro meraviglioso ma, quando lo guardai, capii che sarebbero state tredici ore molto lunghe.

 
*
 
Alzai il viso dalla spalla di Hayama su cui, probabilmente, mi ero appoggiata prima di addormentarmi. Alzai il polso per guardare l’orologio, erano le dieci e mezza di sera e, considerato il fuso orario, quando saremmo arrivati a New York sarebbero state circa le nove e trenta del mattino. Il jet-leg mi stressava sempre ed ero sicura che anche Hayama non sarebbe stato felice di rivivere lo stesso giorno da capo.
Guardai Hayama, aveva messo le cuffie e sembrava totalmente assorto nella musica; gli rubai un auricolare e me lo infilai, sentendo la stessa canzone che aveva accompagnato il mio arrivo all’università: Accidentally in love dei Counting Crowns.
Quasi senza rendermene conto cominciai a cantare e chiusi gli occhi.
« So she say what’s the problem, baby? What’s the problem, I don’t know, well maybe I’m in love. Think about it every time, I think about it. Can’t stop thinking about it! »
Sorrisi pensando al significato delle parole che stavo dicendo e, voltandomi, vidi che Hayama stava facendo lo stesso.
«Che c’è?» chiesi continuando a sorridere. Appoggiai la testa sulla sua spalla e lui mi accarezzò la guancia con la mano. Ogni volta che Hayama mi sfiorava, sentivo un brivido attraversarmi tutta la schiena e una strana sensazione alla bocca dello stomaco, non riuscivo a controllare quelle emozioni anche se cercavo disperatamente di arginare il fiume che avevo dentro.
«Niente.» rispose evasivo lui.
«Hai sonno?». Spostai lo sguardo prima sulla collana che portava, poi sulla sua bocca, rimanendo bloccata ad osservare la danza che producevano le sue labbra ai miei occhi. Avrei voluto baciarlo, più di ogni altra cosa, ma la solita vocina che mi aveva salvato tante volte, arrivò puntuale nella mia testa dicendomi che sarebbe stato un errore madornale.
Purtroppo dovetti concordare con lei, Hayama mi vedeva solo come un’amica e, anche se mi avesse considerato qualcosa di più, non avrebbe funzionato ugualmente perché non ero abbastanza per lui. Era abituato a ragazze intraprendenti, esperte, che sapevano usare il proprio corpo in modo da farlo impazzire. Io, al massimo, sapevo farlo ridere, ed era già tanto che ci riuscissi.
«No.» rispose subito dopo cambiando canzone.
«Jesse McCartney? Sul serio?» chiesi, scoppiando a ridere. Aveva dei gusti musicali... particolari.
«E’ l’unica canzone che mi piace...» rispose subito dopo. «Ascolta..».
Mi soffermai attentamente su ogni parola e, quando la canzone terminò, dovetti trattenermi per non piangere.
Just so you know,
this feeling is taking control of me 
and I can't help it!

[. . .]
I tried my best to let go, of you 
but I don't want to.

[. . .]
It's getting hard to be around you, 
there's so much I can't say! 
Do you want me to hide the feelings 
and look the other way?

 “ Solo perché tu lo sappia, queste emozioni stanno prendendo il controllo su di me e non posso farci niente. [. . .] Ho provato a fare del mio meglio per lasciarti andare ma non voglio farlo. [. . .] Sta diventando sempre più difficile starti vicino, ci sono così tante cose che non riesco a dire, e vuoi che io abbia delle emozioni e che guardi dall’altra parte?
Quella canzone descriveva esattamente il modo in cui mi sentivo, cercare di negarlo mi sembrò totalmente inutile, quindi cedetti e abbracciai Hayama che mi guardò dubbioso. Le lacrime stavano per assalire i miei occhi, ma le cacciai indietro, determinata a non far pesare ad Hayama anche i miei tormenti.
Non capiva il motivo per cui mi stavo comportando in quel modo, io invece avevo ascoltato in quattro minuti la storia della mia vita.
Non poteva scegliere canzone più inopportuna.

 
*
 
«Bello, eh?». Hayama posò i bagagli e osservò la stanza. Gli lanciai un’occhiata distrutta e lui mi guardò perplesso; mi buttai sul letto vicino alla finestra e Hayama si avvicinò per togliermi le scarpe.
«Sono morta.» gemetti io togliendomi la giacca, con la faccia ancora schiacciata sul cuscino.
«Ti ricordo che io ho passato dieci delle tredici ore, se non tutte e tredici, con la nausea. Non ti lamentare.». Si trascinò anche lui verso il suo letto e vi si gettò a peso morto, distrutto come me da quel viaggio interminabile.
Presi a guardare la camera che mi parve troppo piccola per ospitare me e Hayama per tre notti. Probabilmente qualsiasi posto, con lui, sarebbe stato troppo stretto. Me lo sarei ritrovato svestito da tutte le parti, avrei dormito a meno di un metro da lui, ma dovevo cercare di mantenere il controllo.
Avevo prenotato la Madison Suite al St. Regis, a Manhattan(*), e la stanza era abbastanza bella. Aveva uno stile antico, gli arredi erano piuttosto vintage ma aveva un non so che di magico. Le pareti erano, per metà, ricoperte da marmo e i letti avevano una enorme testata color oro che illuminava tutta la stanza.
L’albergo era stata una mia iniziativa, Hayama aveva anche insistito per pagare ma lo avevo fermato dicendogli che era per me che si trovava a New York e che io avrei provveduto a tutto. Mi aveva guardato storto e insultato in ogni modo possibile, poi aveva ceduto.
Era abbastanza vicino al teatro in cui sarebbe stata trasmessa la prima del film. Di solito odiavo quegli eventi mondani, anche quando si trattava dei miei film, perché avevo il terrore di come la critica avrebbe accolto il mio lavoro. Probabilmente per ogni attore era così, il mio non era sicuramente un mestiere in cui gestire le emozioni era semplice. Avevo affrontato critiche, delusioni, rifiuti e insulti ma, ogni volta che ricevevo un complimento, sentivo che ne valeva la pena.
Mi mancava recitare e, probabilmente in futuro, sarei tornata a lavorare nel mondo dello spettacolo ma, in quel momento, non ne avevo alcuna intenzione.
«Kurata?». Hayama si voltò verso di me, i capelli gli ricadevano sul viso e aveva gli occhi stanchi.
«Mmh?» mugugnai guardandolo.
«Vieni qui.» mi disse per poi aprire le braccia verso di me.
Avevo bisogno di lui, del contatto col suo corpo, del calore del suo petto che mi calmava sempre, quindi mi alzai per distendermi vicino a lui. Mi allungai un attimo verso il bottone accanto al comodino e spensi la luce, poi tornai a rannicchiarmi tra le braccia di Hayama.
Cullata dal ritmo del suo cuore contro la mia schiena, mi addormentai.
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Pov Akito.
Non appena notai che Sana si era addormentata, mi tranquillizzai anch’io e mi rilassai, affondando il viso tra i suoi capelli. Non riuscivo comunque a dormire, forse troppo preso dall’adrenalina, o per la troppa felicità di essere lì con lei, quindi dopo circa dieci minuti decisi di alzarmi e cominciai a disfare le valigie.
Sistemai lo smoking, che avevo noleggiato, nell’armadio di legno bianco della suite, e mi ritrovai a pensare, che nonostante Sana, fosse una persona semplice e non amante del lusso, poteva sicuramente permettersi uno stile di vita ampiamente al di sopra della media.
Quello, tra di noi, era sicuramente un altro ostacolo che non avevo considerato, forse perché non l’avevo mai vista come un’attrice o un personaggio celebre, per me lei era solo Sana, la ragazza riservata, modesta e per alcuni versi insicura, che mi aveva fatto scoprire di avere un cuore.
Mi feci una doccia per scacciare via la stanchezza e i brutti pensieri e, quando uscii dal bagno con addosso solo l’asciugamano, la trovai ancora addormentata. Quando guardavo Sana dormire – mi era capitato più di una volta, e ogni volta era sempre meglio – trovavo sempre una sensazione di pace dentro di me e il cuore si faceva sempre più leggero, eliminando totalmente tutte le preoccupazioni che mi accompagnavano in ogni attimo della mia vita.
«Mmm... ehm..». Si stava svegliando e io mi avvicinai a lei schizzandole un po’ d’acqua sul viso per farle aprire gli occhi del tutto. Si lamentò un po’ e poi comincio a stiracchiarsi.
«Ma quanto ho dormito?» chiese con la voce ancora impastata dal sonno.
Mi voltai verso di lei e le sorrisi. «Un po’.». La vidi alzarsi dal letto – il mio letto – , dal riflesso dello specchio davanti a me.
«Ti prego, mettiti qualcosa addosso, Hayama.». Aggrottai la fronte e poi sorrisi, comprendendo il senso delle sue parole: le faceva effetto vedermi mezzo nudo; quel pensiero mi rallegrò non poco e cominciai a canticchiare la canzone che avevamo ascoltato sull’aereo.
« Just so you know, this feelings taking control of me.. »
«Smettila di cantare quella canzone.» mi rimproverò Sana uscendo dal bagno. Avevo dimenticato la reazione che aveva avuto nel sentirla, mi aveva abbracciato e, anche se non ero del tutto certo, avrei scommesso che stesse per piangere. Non capivo perché si fosse comportata in quel modo; riflettendoci, però, esclusi che si trattasse di nervosismo a causa di Naozumi, perché la canzone aveva un significato più profondo che non poteva essere associata a lui.
«Vado a fare la doccia, poi usciamo.», si fermò prima di aprire la valigia e tirare fuori dalla valigia un altro dei suoi completino che quella mattina, o la mattina prima – il fuso orario mi stava facendo sclerare –, mi avevano fatto quasi dimenticare anche il mio nome.
Si chiuse in bagno e dalla doccia cominciò ad urlare. «Non ti stai vestendo, Hayama! Non sento i tuoi movimenti!»
«Mi controlli, Kurata?» urlai anch’io.
«No! Vestiti, voglio farti girare un po’ della Grande Mela!»
Ero elettrizzato all’idea di passare tutta la giornata con lei perché, alla fine, ci saremmo ritrovai nella stessa stanza, a dormire insieme. Non desideravo nient’altro che guardarla di nuovo mentre era immersa nei suoi sogni e speravo che, in almeno uno di essi, ci sarei stato anch’io.
 
 
Trovo un momento per aggiornare, prima di tornare alla mia bella letteratura greca che mi attende a braccia aperte!
Voglio, inanzitutto, scusarmi.. so di non essere particolarmente presente, né con le recensioni né con gli aggiornamenti costanti, ma ormai mancano pochi giorni al mio esame e anch’io avrò finito questa tappa della vita, che si supera una volta sola, e devo mettercela tutta.
Proprio per questo, ormai mi sa che ci rivedremo ad esami conclusi, cioè tra circa una settimana. Mi dispiace “lasciarvi” così, ma vi giuro che, se dovessi trovare un secondo libero (come in questo momento) la prima cosa che farò sarà aggiornare.
Come sempre, mi soffermo a ringraziare la mia Beta, Dalmata, che non sento da quasi tre settimane a causa di questa scuola infernale, e tutte le persone che hanno letto la mia storia fino ad ora.
Oggi, in particolare, voglio ringraziare una ragazza che mi ha lasciato una recensione. Mi ha scritto ‘Ogni tua storia mi è entrata dentro come una freccia che colpisce il cuore’. Devo ammettere che sono rimasta per un attimo a fissare il pc, incredula, perché è forse il complimento più bello che mi abbiano mai fatto. Quindi, ti ringrazio Love kodocha, perché è proprio grazie a certe parole che la voglia di scrivere non mi abbandona mai!
Un bacino a tutti :*
Akura.

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Capitolo 12
*** Spalla su cui piangere. ***


CAPITOLO 12
SPALLA SU CUI PIANGERE.
Pov Sana.

«Avanti, Hayama.». urlai voltandomi indietro. «Non abbiamo tutto il giorno!».
Akito si era fermato e guardava incantato una coppia di ragazzi che combattevano proprio al centro della piazza principale di Manhattan, notai subito come il suo sguardo rapito seguiva, con attenzione, ogni loro singolo movimento, ma improvvisamente i suoi occhi divennero tristi e malinconici, come se quella visione gli procurasse dolore. Mi aveva raccontato della sua passione per le arti marziali, che da piccolo aveva preso lezioni, ma non mi aveva spiegato il motivo per cui poi alla fine aveva abbandonato. Immaginai che fosse stato per colpa di suo padre e della sorella, ma non mi azzardai a chiederglielo direttamente perché sapevo che sarebbe stato difficile per lui darmi una risposta.
Hayama aveva subito un trauma che, se non avesse affrontato, si sarebbe rivelato dannoso per lui e anche per me. Per lui, perché vivere con un peso sul cuore come quello non rendeva di certo le cose facili, in quanto a me, non avrei sopportato ancora per molto di vedere la persona più importante della mia vita soffrire in quel modo.
Dopo essere tornata indietro e aver fatto gli occhi dolci per riguadagnare la sua attenzione, continuammo a camminare per le strade di New York e mente ero intenta ad ammirare l’ennesima vetrina, notai Hayama che timidamente avvicinava la sua mano alla mia per poi intrecciare le nostre dita. Non mi dispiaceva quel contatto, probabilmente la gente ci avrebbe scambiato per una coppia e, se ci fosse stato qualche giornalista nei paraggi, in meno di ventiquattro ore la mia foto sarebbe finita sulla copertina di un giornale con qualche titolo che annunciava la mia nuova relazione.
Non m’importava assolutamente, anzi, desideravo che i giornalisti ci vedessero insieme, non perché la gente pensasse che avevo dimenticato in fretta Naozumi, ma perché volevo vedere la reazione di Akito ad un’eventuale nostra foto pubblicata in prima pagina.
«Per quanto tempo hai fatto karate?» gli chiesi vedendo che aveva ancora un’espressione estasiata dopo aver visto quei ragazzi. Hayama mi rivolse un’occhiataccia, consapevole del fatto che il mio solito giro di domande stava per iniziare, sbuffò e poi mi rispose. «Sei anni, più o meno.»
«Ma è un sacco di tempo!» esclamai sorpresa. «E perché non sei riuscito a prendere la cintura nera?».
La sua espressione cambiò immediatamente, ma evitò la domanda dicendomi che non aveva voglia di parlarne. Non insistetti, non mi sembrava giusto forzarlo a parlare di qualcosa che lo feriva, ma ero così curiosa.
«D’accordo, non hai voglia di dirmelo..» conclusi io sbuffando.
«Non sono cose di cui parlo volentieri, Kurata. E poi non mi va di annoiarti.». Smise di guardarmi, come se fosse stato infastidito dalla mia intromissione e, mio malgrado, dovetti riconoscere che aveva ragione. Non avevo diritto di costringerlo a tirare fuori i suoi scheletri, quando non ero nessuno per chiederglielo.
Quella consapevolezza mi fece comprendere ancora di più quanto, purtroppo, non lo conoscessi. Sapevo che era irascibile, impulsivo, riservato, sapevo che mi voleva bene e che si sarebbe gettato nel fuoco per me, ma non sapevo nulla di lui in realtà. Non conoscevo i suoi tormenti, non si era mai aperto con me come aveva sicuramente fatto con Tsuyoshi, mentre io avevo affidato quasi tutta me stessa a lui, specialmente in quel viaggio.
Se Hayama non avesse accettato di fingere, mi sarei ritrovata con un bel problema tra le mani, avrei dovuto affrontare Naozumi da sola e sapevo che non ne sarei stata capace. Non perché non ero abbastanza forte da contrastarlo ma perché, negli anni in cui eravamo stati insieme, avevo sviluppato una tendenza di sottomissione davanti a lui. Qualsiasi cosa facessi, per lui non andava bene, e io mi ritrovavo sempre a chiedermi cosa gli piacesse di me.
Mi faceva sentire sbagliata, inappropriata al nostro ambiente, aveva la faccia tosta di dirmi che mi amava ma, in realtà, non me lo dimostrava mai.
Guardandomi indietro, a dispetto di quanto avevo sofferto quando mi aveva lasciata, avrei dovuto ringraziarlo, se non l’avesse fatto non avrei mai conosciuto l’amore vero. Anche se con Hayama non avevo alcuna speranza, anche se io e lui non saremmo mai diventati un noi, non potevo pentirmi di averlo incontrato. Mi aveva ridato la gioia, in tutti i sensi. Prima di lui non avevo mai conosciuto nulla che non fosse legato al mondo dello spettacolo, e il fatto che lui non ne facesse parte mi piaceva ancora di più.
«Lo sai che non mi annoi, comunque.» conclusi io dandogli un buffetto sulla guancia. Mi sorrise e, in quel sorriso, ritrovai la serenità che avevo appena perso pensando a Naozumi.
Ci avviammo verso la stazione della metropolitana per raggiungere Coney Island, ci avevano dato indicazioni precise di prendere la metro F, la più veloce nell’arrivarci.
Il viaggio durò circa un’oretta, che passammo a ridere e scherzare come due bambini. Non mi accorsi nemmeno del tempo che era trascorso, con Hayama ogni volta mi sembrava che il tempo passasse troppo velocemente e il motivo era semplicemente perché con lui stavo così bene... non mi era mai capitato con nessuno, neppure con Fuka, di sentirmi così a mio agio. Con Hayama era tutto naturale, non semplice perché avevo sempre il terrore di fare qualcosa di sbagliato, ma totalmente privo di finzione.
Quando arrivammo a Coney Island, sulla mia testa dominava l’enorme ruota panoramica, simbolo del luogo. Volevo fare un giro per vedere il paesaggio dall’alto, ma sapevo che Hayama non sarebbe stato altrettanto entusiasta, quindi eliminai immediatamente quella possibilità, accontentandomi di qualche giochetto in cui lui avrebbe vinto, ovviamente, e in cui io invece avrei fallito miseramente ritrovandomi ad essere presa in giro all’infinito.
«Non pensare nemmeno che salirò lì sopra.» ringhiò lui notando il mio sguardo estasiato alla vista della ruota. «Non ne avevo intenzione.» risposi sorridendo.
Entrammo al Luna Park, tenendoci sempre per mano, e cominciammo a cercare qualche attrazione da provare. Hayama iniziò con il tiro al bersaglio, vinse, ovviamente, e mi regalò un pupazzetto a forma di pipistrello.
«È bruttissimo!» esordii io ridendo. Nel darmelo, Hayama mi sfiorò involontariamente le dita e il mio cuore sussultò.
«Ovvio, altrimenti non sarebbe tuo.» rispose spostandosi con un sorriso. Quel commento mi rattristò, e mi portò a convincermi ancora di più di quanto fossi inappropriata ai suoi occhi. Come potevo pensare di competere con quelle specie di Barbie a cui era abituato?
Hayama mi guardò perplesso, sbuffò e poi sorrise, avvicinandosi a me e prendendomi per i fianchi. Il mio corpo rispondeva ad ogni suo tocco e mi maledissi per quello, mi sentivo di gelatina sotto le sue mani, ma non volevo che si accorgesse del mio turbamento perché, dopo quella frase infelice, non sarei stata in grado di sopportare nessuna delle sue battute.
Si avvicinò ancora di più a me e mi posò un bacio sulla guancia che assunse subito un colorito vivace, poi sorrise allontanandosi ma senza staccarsi da me. «Lo sai che sei bellissima.» concluse infine, accarezzandomi il fianco lasciato nudo dalla maglia troppo corta.
Le sue parole mi strapparono un sorriso, non sapeva nemmeno quanto mi interessasse ciò che diceva. Non avrei mai creduto che mi sarebbe importato così tanto dell’opinione di un uomo, ero sempre stata riempita di complimenti per la mia bellezza particolare diversa dalla solita giapponese, ma nel momento in cui Hayama mi aveva detto il contrario, mi ero convinta che fosse vero.
Continuammo a girare il Luna Park, ogni volta che proponevo qualcosa ad Hayama lui mi rispondeva con un ghigno e proseguiva per la sua strada lasciandomi indietro.
«Kurata, vieni qui!» mi urlò mentre lo raggiungevo. Avanzai velocemente, ritrovandomi davanti all’attrazione che avevo volutamente evitato per tutto il tempo: la casa degli orrori.
Prima ancora che potessi rifiutarmi, Hayama pagò i biglietti e mi ritrovai seduta al suo fianco in una specie di doppio sedile piuttosto scomodo.
«La pagherai per questo.» sibilai accostandomi a lui. Era buio, non riuscivo a vederlo in faccia ma percepii immediatamente che si era fatto vicino e che stava spostando i miei capelli per parlarmi nell’orecchio.
«Oh, non vedo l’ora...» sussurrò.
Bastardo, pensai, l’avrei ucciso non appena avessimo messo piede fuori da quel tunnel infernale.
«Aaah!» urlai. Uno scheletro era sbucato dal nulla ed era finito su di noi mentre in sottofondo si sentiva una risata terrificante. Volevo uscire, cominciava a mancarmi l’aria e non avevo alcuna intenzione di avere un attacco di panico davanti a lui.
Hayama scoppiò a ridere e solo dopo mi accorsi di essermi involontariamente buttata su di lui, aggrappandomi stile koala al suo petto, come se lui potesse salvarmi dal pericolo inesistente.
Lui non si lamentò, non fiatò neppure, e rimanemmo in quella posizione per un po’. Percepivo la vicinanza della sua bocca al mio collo e il suo respiro che mi solleticava appena dietro l’orecchio.
Non riuscivo a controllarmi, volevo abbandonarmi agli impulsi e baciarlo, toccare quelle labbra così morbide che avevo già assaporato di nascosto e mantenere quel contatto all’infinito, senza allontanarmi mai.
Akito era l’inferno e, come ogni dannato che si rispetti, aveva un fascino che non poteva portare nulla di buono. Era tossico per me ma, come una droga, non riuscivo più a farne a meno e ne volevo sempre di più. Ero dipendente da Akito Hayama.
Pensai di non poter sopportare un minuto di più la sua vicinanza, la mia parte razionale stava per cedere lasciando campo libero a quella che invece cercavo di reprimere in ogni momento. Mi voltai di scatto e mi ritrovai a pochi centimetri dalla sua bocca. Il respiro mi si mozzò in gola e lui allargò le labbra in un sorriso sfacciato che mi fece innervosire e contorcere allo stesso tempo.
«Puoi baciarmi, se vuoi.» disse tutto d’un fiato.
«Se avessi voluto, l’avrei già fatto.» risposi stizzita.
Sapeva riconoscere ogni mia reazione e decifrare ogni mio comportamento, probabilmente mi conosceva meglio di quanto conoscessi me stessa, mentre per me lui rimaneva un mistero.
Non capivo mai il motivo delle sue azioni, le sue parole mi lasciavano sempre mille dubbi addosso perché aveva un non so che di ambiguo che non lasciava trasparire ciò che veramente voleva dire.
«Dovrei crederti?» sussurrò avvicinandosi.
Cinque centimetri... quattro centimetri... tre centimetri.... due centimetri... un centimetro...
La distanza tra noi stava per essere colmata e il mio cuore cominciò a battere troppo rapidamente. Stavamo per baciarci, eravamo così vicini, ma di nuovo il mio buon senso ebbe la meglio e minimizzai quel gesto sorridendo e poggiando la bocca sulla sua guancia, come per scusarmi.
Avevo la sensazione che il mio corpo andasse a fuoco, e che la bocca fosse il punto d’esplosione. Mi concentrai solo su ciò che stavo provando, senza badare troppo ai pensieri che si fecero strada nella mia testa, pensieri che avrebbero potuto privarmi di quel contatto immediatamente, ma che non vinsero.
Non volevo pensare. Se l’avessi fatto non mi sarei goduta il momento, se solo avessi riflettuto un po’ su quello che stavo facendo, mi sarei resa conto che avrei sofferto per un cedimento. Il nostro rapporto – quella specie di amicizia, che poi amicizia non era – era deleterio per entrambi ma nessuno dei due riusciva veramente a mettere un punto a quell’assurda situazione.
L’avrei messo io, se fosse stato necessario.
Se solo lui si fosse staccato, se avesse messo fine a quell’agonia...
Hayama si allontanò un attimo e mi accarezzò dolcemente i capelli, in un gesto affettuoso e comprensivo.
Avrei tanto voluto baciarlo, era la cosa che desideravo di più, ma non potevo comportarmi come una stupida e rovinare l’unico rapporto vero che avevo avuto nella mia vita.
No, il mio cuore non avrebbe vinto. Era il cervello che dovevo seguire, e così avrei fatto.
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Pov Akito.

Le labbra di Sana erano più morbide e invitanti di quanto ricordassi e, più la sua bocca rimaneva attaccata alla mia guancia, sulla soglia delle labbra, più sentivo che stavo perdendo il controllo.
La allontanai delicatamente e l’abbracciai, comprendendo che non potevo chiederle altro perché per lei era troppo.
Avrei voluto che quel giro non finisse mai, il buio mi regalava qualche momento di completo potere su di lei, avrei potuto baciarla, ma non sapevo se davvero lei volesse. Certo, dopo che si era avvicinata in quel modo, dubitavo che avrebbe rifiutato, ma non potevo giocarmi quella carta e poi fallire miseramente.
Alzai lo sguardo, per la prima volta nella mia vita esitante, per cercare i suoi occhi. Quando li incontrai, vidi due meravigliose stelle scure che mi fissavano, anche loro dubbiose sul da farsi.
Per un attimo il panico mi investì, anche lei aveva capito le mie intenzione e mi ero esposto così tanto a lei che quasi me ne vergognavo. La guardavo mentre cercava di assimilare ciò che era appena successo. In realtà nulla, le nostre bocche non si erano che sfiorate e non c’era stato alcun vero contatto, ma il fatto che fosse agitata era piuttosto evidente. Aveva il fiato corto, il suo petto si alzava e abbassava freneticamente e i suoi capelli erano scompigliati a causa delle mie mani... non l’avevo mai vista più bella di così!
Un sorriso, quasi involontario, si fece spazio sul mio viso, avrei voluto parlare, chiederle come si sentiva, spiegarmi, ma il mio cervello non mi aiutava affatto, non riuscivo a mettere insieme le parole per quanto fossi intenzionato a mettere regole e limiti a quel rapporto.
Un suono assordante ci avvisò che il giro stava per terminare, era durato meno di cinque minuti eppure credevo che il tempo si fosse fermato.
In quel momento, Sana Kurata era diventata il mio mondo, il mio spazio e il mio tempo che avrei voluto fosse infinito. Gli sorrisi, facendola scendere delicatamente dalle mie gambe, e subito dopo tornammo a vedere la luce del sole che stava per tramontare.
Sana era imbarazzata, sembravamo tornati al nostro primo pranzo insieme, mi camminava a fianco con gli occhi bassi e si torturava le mani sfregandole l’una con l’altra. Non riuscivo a comprendere cosa provasse, sembrava che cercasse di nascondere il suo stato d’animo, proprio come i primi tempi. Non capivo se fosse solo imbarazzo quello che provava, o se fosse arrabbiata perché alla fine aveva ceduto alle mie lusinghe.
D’istinto, mi sarei avvicinato a lei e l’avrei fermata, rassicurandola, ma in un attimo la rabbia prese a montare dentro di me.
Mi aveva quasi baciato – perché era stata lei ad avvicinarsi troppo! – e adesso aveva pure il coraggio di avercela con me?
«Sei arrabbiata?» le chiesi quando cominciammo a dirigerci verso l’uscita del Luna Park. Lei mi guardò dubbiosa, come se stesse ponderando la risposta, per poi distogliere gli occhi dai miei.
«No..» rispose titubante. Cominciò a vagare con lo sguardo, prima fissò la mia collana, poi inclinò leggermente la testa per guardare dietro di me, da dove provenivano risa di bambini, poi tornò a concentrarsi sulla piega della mia giacca.
Intravidi da lontano un locale, avevo già letto da qualche parte il nome ma non ricordavo per quale motivo. Quando ci avvicinammo, il cartello accanto all’insegna Da Nathan’s, mi fece tornare alla mente l’articolo di Wikipedia: “ FIRST HOT DOG. DO YOU WANT? ”.
«Vieni.» dissi a Sana vedendo che non accennava a muoversi. «Andiamo a mangiare.» conclusi trascinandola verso di me. Lei mi seguì senza dire una parola, quel suo atteggiamento dimesso cominciava a darmi sui nervi, ma non volevo turbarla ancora di più.
Non capivo perché si comportasse in quel modo, potevo accettare la paura di tuffarsi in una relazione nuova dopo una delusione nuova, ancora di più perché la relazione era con me, il presunto dio del sesso che aveva avuto decine di ragazze ai suoi piedi. Potevo comprendere che non volesse darmi nessuna possibilità, che volesse solamente la mia amicizia, ma non potevo accettare che mi estromettesse dalla sua vita, anche da amico.
Avevo bisogno di lei, come avevo bisogno dell’aria, e anche se mi era difficile anche solo pensarci, non potevo acconsentire alla sua totale mancanza di senno. Non avrebbe potuto distaccarsi da me, nemmeno se avesse voluto, perché io sarei stato sempre lì, a ricordarle che non c’era solo lei in quel rapporto incasinato, e che senza di lei sarei tornato ad essere il vecchio me, quel bastardo che ormai mi sembrava così lontano.
Ordinammo in fretta e, dopo aver preso i nostri hot dog, ci avviammo verso la spiaggia da cui si poteva ammirare un meraviglioso tramonto.
Non c’erano panchine, ci accontentammo della sabbia e per un momento ebbi la sensazione di aver già vissuto quel momento, poi ricordai della piccola deviazione che avevo fatto dopo il nostro incontro per parlare del progetto.
Forse, a pensarci bene, era stata proprio quella la sera in cui avevo capito di provare qualcosa per lei che andasse oltre la semplice attrazione fisica. Avevo sentito una strana morsa allo stomaco, e anche solo stare sdraiato lì, con lei, mi era sembrata la cosa più giusta da fare. A quel punto, non volevo più possederla, volevo averla. Potrebbero sembrare due sinonimi, in realtà per me non lo sono mai stati.
Avevo posseduto così tante ragazze che quasi avevo perso il conto, se avessi dovuto fare una lista probabilmente avrei combinato un casino, ma non avevo mai avuto nessuna di loro. Avere una persona significava lasciare che questa ti entrasse dentro in un modo in cui nessun’altro avrebbe potuto farlo.
Sana mi era entrata dentro dal primo istante, anche se mi ero sforzato di reprimere quella sensazione. In una sera avevo confessato più cose a lei, che a tutte le persone – i cosiddetti amici – di cui mi circondavo all’università. Tsuyoshi era l’unica persona, tra tutte, che c’era sempre stato, ma quando avevo incontrato Sana anche il mio rapporto con lui aveva preso una piega diversa.
Lui mi capiva, mi aiutava, e mi voleva bene, tutto ciò che un buon amico dovrebbe fare. Sana mi capiva, mi aiutava, mi voleva bene, ma cosa più importante.. esisteva. Il solo fatto che lei ci fosse, che lei respirasse, per me era un motivo per sorridere.
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Pov Sana.

Cercavo di mantenere il contatto visivo con il mio hot dog, stava per diventar il mio nuovo migliore amico, rimpiazzando Hayama, che mi stava seduto a fianco aspettando che parlassi.
Sapevo che, anche se non diceva nulla, era in attesa di una mia reazione e il fatto che non ce ne fosse stata nemmeno una, lo mandava in agitazione. Lo sentivo, percepivo la sua frustrazione e la sua delusione ma, purtroppo, non potevo farci assolutamente nulla.
Non potevo lasciarmi coinvolgere da lui, per quanto fossi consapevole che era l’unica cosa che davvero desideravo, non potevo legarmi ancora di più ad Hayama per poi rimanere col cuore spezzato tra le mani. Ero incoerente, lo sapevo perfettamente, perché ero stata io ad avvicinarmi in quel modo, ma d’altra parte la mia incoerenza mi permetteva di stargli vicino, quindi non mi dispiaceva affatto.
La vista dalla spiaggia era meravigliosa, il cielo era coperto di sfumature che andavano dal rosso al rosa, in un intreccio di colori che lasciavano senza fiato. Avevo letto, su internet, che da Coney Island si poteva ammirare un tramonto stupendo, ma non mi era sembrata una fonte così attendibile – persino da casa mia il tramonto è meraviglioso – ma dovetti ammettere che, chi aveva riportato quella notizia, aveva proprio ragione.
Luci e ombre si rincorrevano in modo da far sembrare tutto così armonioso, così in pace... a differenza del mio animo che non sapeva neppure il significato di quella parola.
Da quando avevo conosciuto la parola amore, invece, il mio mondo era andato in pezzi. Avevo giocato a testa o croce con il destino e, come sempre, avevo perso penosamente.
Il mio amore per Hayama, se fosse stato ricambiato, avrebbe potuto rivelarsi come la cosa più bella a noi mai accaduta, poteva renderci felici e cambiarci in meglio, ma d’altra parte avrebbe potuto anche uccidermi. Avrei potuto scoprire, come avevo sempre pensato, che per Hayama ero stata prima una sfida e poi una sua grande amica e allora sarei stata distrutta, annientata dall’amore.
E non avrei sopportato quel dolore, non un’altra volta. Se avevo sofferto per Naozumi di cui – me ne resi conto solo in quel momento, pensando a quanto dolore avrei provato se avessi perso Akito – non ero mai stata innamorata veramente, figuriamoci per la persona che amavo davvero.
«Quello che è successo...» cominciai cercando di spiegarmi, di fargli capire che non era lui il problema, ma che ero io.
«Dimentichiamolo.» sibilò lui, lasciandomi interdetta. «Fai come se non fosse mai successo. Non ti vedo come una ragazza da conquistare, Kurata. Sei mia amica.» concluse lapidario.
Il mio cuore fu travolto da una serie di emozioni che non riuscivo a spiegare. Mi aveva appena detto che tra di noi non ci sarebbe mai stato nulla, che non avevo alcuna speranza con lui, perché ero sua amica.
Al diavolo l’amicizia! Come avrei sopportato altri due giorni, con lui, in quello stato?
Avrei voluto solo chiudermi in me stessa e piangere, ma se l’avessi fatto Hayama avrebbe scoperto ciò che veramente provavo e non volevo affatto che ciò succedesse.
Ero stata io a volerlo, io avevo deciso deliberatamente di scostarmi, di non baciarlo, quindi non potevo lamentarmi se lui aveva preso una decisione.
La giusta decisione.

 
*
 
Arrivammo in albergo quando ormai eravamo allo stremo delle forze, Hayama mi aveva tenuta sveglia per tutto il viaggio in metro, ma i miei occhi erano di tutt’altra opinione. Anche lui era stanco, dalla conversazione avuta in spiaggia aveva avuto sempre la stessa espressione sul volto, identica alla mia.
Io soffrivo, soffrivo da matti, lui probabilmente era semplicemente infastidito.
Non avrei dovuto chiedergli di venire con me, di assecondarmi in una situazione paradossale come quella, ma era l’unica persona in grado di sorreggermi quando ne avevo bisogno. A dire il vero, da quando l’avevo conosciuto, non aveva fatto altro.
«Vado a fare una doccia..» dissi io chiudendomi in bagno. Quando chiusi la porta a chiave, mi lasciai cadere per terra e strinsi le gambe tra le braccia, misi la testa in mezzo a queste e chiusi gli occhi.
Il dolore mi strinse il cuore, quelle parole mi avevano ferito nel profondo, ma non potevo lasciare che quello mi distruggesse. Non ero una ragazza debole. Si, ero scappata dal mio mondo rifugiandomi in quell’università solo per colpa di Naozumi, ma non ero debole, non lo ero mai stata. Nonostante lui fosse un vero bastardo, ero sempre riuscita a tenergli testa e, a volte, anche a dominarlo totalmente.
Non mi sarei fatta intimidire dal dolore, non per Hayama, che era la cosa più vicina alla famiglia che avevo da tre mesi a questa parte.
Se non mi amava, pazienza, avrei sopportato finché non avrei trovato qualcuno che avesse apprezzato ciò che lui non vedeva.
Un singhiozzò squarciò il silenzio che era caduto nella suite. Sperai che non mi avesse sentito, ma non ero così fortunata come avrei voluto.
«Kurata, ma stai male?». La sua voce fu come una doccia fredda, mi svegliò dal torpore in cui ero caduta poco prima. Mi limitai ad alzare il viso e a rispondergli, attraverso la porta, che non era nulla.
«Non dire cazzate, apri questa porta!» urlò lui abbassando la maniglia con tutta la forza che aveva.
Avevo già pensato a quello, chiudendo la porta a chiave, in modo che non potesse entrare. Avevo bisogno di stare da sola, per riordinare i miei pensieri e per rinchiudere i miei sentimenti nella gabbia in cui li avevo tenuti per i mesi addietro.
«Non ho nulla, Hayama, vai a letto.»
«Non vado a letto finché non apri questa maledetta porta.»
«Non ho voglia di parlare.» ringhiai io mentre mi alzavo faticosamente dal pavimento, ricomponendo i pezzi di me stessa che sembravano distrutti.
«Io si invece.» ribattè lui. «E’ per Naozumi?»
Possibile che non capisse, che fosse così convinto del mio amore per Naozumi?
Forse era anche per quello che non voleva farsi coinvolgere, magari anche lui aveva paura, anche se Akito Hayama spaventato non era affatto quello che conoscevo io.
Respinsi quell’ipotesi, Hayama non poteva aver paura dell’amore, lui non sapeva nemmeno cosa fosse, e non sarei stata di certo io a farglielo conoscere.
«Naozumi non c’entra..» risposi infine.
«E allora per cosa? Giuro su Dio che per qualunque cosa sia, ucciderò chiunque ti faccia stare male.»
Quelle parole confermarono ancora di più ciò per cui stavo piangendo, ero solo un’amica, una sorellina minore da proteggere e per cui si sarebbe fatto ammazzare, ma nulla di più.
Non ero la donna per lui, non avrei mai potuto esserlo, anche se ci avessi messo tutta la volontà del mondo.
Probabilmente eravamo anche fatti per stare insieme, anime gemelle, ma non eravamo nel mondo perfetto in cui avrei voluto vivere.
In un mondo perfetto, appunto, fatto di rose e sole, saremmo stati felici, lui sarebbe cambiato e avrebbe visto in me ciò che io vedevo in lui. Ma quello non era un mondo perfetto, e nessuna di quelle cose sarebbe successa, a meno che non ci fossimo trovati in uno dei miei sogni.
«Va’ a letto, Hayama. O sono io che uscirò da questo bagno per ucciderti.»
Da quel momento in poi, solo silenzio. Sentii un tonfo provenire dalla camera adiacente, quella dove c’erano i nostri letti, e capii che si era messo a dormire. Uscii dal bagno, dopo essermi calmata e me lo trovai davanti.
Merda...
«Ora mi vuoi dire cos’hai?» chiese infastidito incrociando le braccia. Avevo sempre saputo che era alto, molto alto, ma in quel momento la sua figura mi sovrastava totalmente e io mi sentivo troppo vulnerabile ai suoi occhi, più di quanto non fossi già.
«Non potresti limitarti ad abbracciarmi e dirmi che andrà tutto bene, come fanno i buoni amici?» incalzai io sbuffando sonoramente.
«Se è questo che vuoi..». Si avvicinò a me, cingendomi con le braccia e stringendomi sempre più forte, come se avesse paura di lasciarmi andare.
«Guarda che non vado da nessuna parte..» sussurrai io. Lui prese ad accarezzarmi i capelli.
«Se hai voglia di piangere, vieni da me. Io sarò sempre pronto a consolarti e a offrirti la mia spalla.»
Quelle parole mi annullarono, mi sentivo inutile tra le sue braccia e le lacrime tornarono prepotenti a risalire in superficie.
Scoppiai di nuovo a piangere e, cullata da lui, ci dirigemmo verso il suo letto dove ci coricammo e dove lui mi strinse ancora più forte.
Ma come potevo piangere sulla sua spalla?!
Era proprio lui il motivo delle mie lacrime. 


Per farmi perdonare per la mia assenza, vi posto in totale anticipo il capitolo 12, che è solo un assaggino rispetto al 13, che non vedo l'ora che leggiate.
NON SO COME RINGRAZIARVI PER LE MERAVIGLIOSE RECENSIONI. 
Grazie, davvero, siete voi il motivo di tutto!!!
Ringrazio, come sempre, la mia Beta che adesso potrà ricominciare a sopportarmi!!
Ps: GLI ESAMI SONO FINITIIIIII!!!!!!!! Sono diplomata, ed è la sensazione più bella che abbia mai provato in 18 anni di vita.
Vi mando un bacino, ci rivediamo fra una o due settimane! :*

Estratto dal prossimo capitolo:

Quando arrivai in albergo, la signorina alla reception mi informò che Sana era già di sopra ad aspettarmi, quindi presi immediatamente l’ascensore e mi diressi al sedicesimo piano, dove c’era la nostra suite.
Passai la carta magnetica sulla porta e, quando entrai, il respiro mi si bloccò e sentii il cuore fare le capriole, fermarsi, e poi ricominciare a battere all’impazzata.
*
Probabilmente si sentii osservato perché, subito dopo, si voltò a guardarmi e sgranò gli occhi, sollevando le labbra lentamente in un sorriso di stupore.
«Che hai da guardare?» chiese continuando a sorridermi.
«Nulla..» risposi evasiva io. Lui fece spallucce e si avvicinò, improvvisamente, con un movimento così veloce che non mi lasciò neanche il tempo di riflettere su ciò che stava accadendo.

 

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Capitolo 13
*** La prima. ***


CAPITOLO 13
LA PRIMA.

 
Pov Akito.

Non riuscivo a pensare a nulla, solo alle lacrime di Sana della sera precedente. Aveva pianto ancora, dopo che ci eravamo messi a letto, stringendosi di più a me come se stesse per perdermi. Vederla in quello stato mi faceva impazzire, ero certo che fosse colpa di quel dannato Kamura e, durante la notte, avevo pensato ad almeno mille modi per spaccargli la faccia, ma dovevo frenare i miei istinti, per lei.
Non mi avrebbe mai perdonato se avessi fatto del male al suo prezioso Naozumi e io non avrei sopportato di perderla o di metterla in imbarazzo davanti a centinaia di persone.
L’evento era fissato per le cinque del pomeriggio e la proiezione del film sarebbe stata seguita da un ricevimento per pochi selezionati ospiti in uno dei ristoranti più chic della città. Se avessi potuto, mi sarei risparmiato quello strazio, chiudendomi in albergo con Sana e passando la serata in sua compagnia, ma eravamo partiti con l’intento di distruggere le false speranze di Naozumi, ed era quello che avremmo fatto.
Non ero particolarmente preoccupato di ritrovarmi in una sala con centinaia di attori, la cosa che invece mi angosciava era trovarmi faccia a faccia con il suo ex ragazzo, perché mi conoscevo abbastanza bene da sapere che sarebbe stato difficile per me controllarmi.
Avevo stretto Sana tutta la notte tra le mie braccia, nella speranza di calmare il suo sonno agitato, ed ora che finalmente dormiva serena, decisi di alzarmi per mettere un freno ai miei pensieri.
La vicinanza di Kurata oltre a farmi provare una sensazione di totale benessere, riusciva  a far venire fuori un nuovo Akito, forse quello vero, che avevo sempre tentato di mettere a tacere, per paura di apparire troppo debole.
Protetto dall’oscurità, senza nessuno che riuscisse a vedere i miei turbamenti, era più facile venire a patti con le mie paure, senza avere il timore di sembrare fragile o di essere giudicato. Non riuscivo a togliermi dalla mente quella maledetta frase, che avevo letto in un libro in camera di Sana.

 
 “L'amore non si manifesta col desiderio di fare l'amore (desiderio che si applica a una quantità infinita di donne) ma col desiderio di dormire insieme (desiderio che si applica ad un'unica donna)”.
 
Risi di me stesso, da quando in qua indugiavo in simili riflessioni?
Decisi che era giunto il momento di svegliare Sana, così mi stesi di nuovo vicino a lei, mi avvicinai al suo orecchio e cominciai a chiamarla dolcemente.
Sana mugugnò qualcosa di incomprensibile, poi si girò a guardarmi stropicciandosi gli occhi.
«Smettila di svegliarmi così...». Ma la sua suonava proprio come una debole protesta, tanto che subito dopo mi abbracciò, cominciò ad accarezzarmi i capelli e ogni suo leggero tocco per me era un brivido, poi si scostò e notai che era arrossita. «Ma che gusto ci trovi a guardarmi dormire?» chiese poi, chiudendo gli occhi e gettando indietro la testa.
«Mi piace..» risposi stringendola. «Lo faccio spesso.. sei sempre calma, emani pace.».
Sana aprì gli occhi improvvisamente e, come se avesse voluto fuggire da me, si alzò dal letto mentre io rimasi nella stessa posizione in cui ero prima che lei si allontanasse.
Quella ragazza continuava ad essere così criptica e io non riuscivo quasi mai a capire davvero i suoi comportamenti. Mi accorgevo di quando era arrabbiata, ma non ne scoprivo mai il motivo, avvertivo la sua tristezza, ma i suoi occhi mi ingannavano sempre, nascondendosi da me.
Mi alzai anch’io e, spostandomi nella camera adiacente, la trovai seduta sul divano di velluto che la faceva sembrare piccolissima.
Stringeva le gambe tra le mani, e aveva un’espressione diversa da quella che avevo sempre visto in lei, sembrava che i suoi occhi fossero spenti. Non potevo sopportare che Sana stesse così male e, ancora di più, il fatto che io non potessi fare nulla.
«Alzati.» le ordinai. «Devi uscire per prepararti!». Lei sollevò lo sguardo, sfidandomi, ma io non avevo alcuna intenzione di cedere. Nonostante gli sbuffi e i borbottii di fastidio, fece come le avevo detto e si chiuse in bagno, rimanendovi per un po’ prima di uscire vestita alla buona, con un paio di jeans e una maglietta troppo larga per lei.
Fece tutto di fretta, prese la borsa e, anche se avevo insistito per accompagnarla, dopo avermi dato un bacio sulla guancia, era uscita, lasciandomi da solo nella suite.
Come sempre, non la capivo, ma in quel momento mi rassegnai al fatto che, nemmeno con tutti gli sforzi del mondo, ci sarei mai riuscito.
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Pov Sana.

Ero dovuta scappare da quella camera, sapevo che non sarei riuscita a mantenere il mio personaggio ancora per molto, avevo recitato per tutta la mattina perché, ironia della sorte, nonostante fossi una bravissima attrice, non riuscivo mai a mentire.
Ancora una volta, ero fuggita, perché la compagnia di Hayama, la sua voce, il suo tocco mi facevano tornare in mente quelle maledette parole dette sulla spiaggia.
Dimentichiamolo.
Ma come facevo a dimenticarlo? Il solo pensiero che lui ci riuscisse mi faceva mancare il fiato e mi provocava un senso di vuoto mai sperimentato.
Continuavo a camminare per le strada di Manhattan, dirigendomi verso il centro estetico dove avevo prenotato il parrucchiere e il truccatore. Non era lontano, avevo attraversato appena due isolati, ma ci arrivai almeno mezz’ora dopo. Era ancora presto e io avevo bisogno di stare da sola, di pensare a come comportarmi quella sera e a come affrontare Naozumi senza crollare.
La ragazza che si occupava della mia acconciatura mi parlava, emozionata di avermi lì, ma io non riuscivo a seguire il suo discorso, non solo perché il mio inglese non era esattamente perfetto, ma soprattutto perché la mia testa era in preda alla confusione.
Per come mi sentivo in quel momento, Kamura avrebbe potuto distruggermi così facilmente e velocemente che io non me ne sarei neanche accorta. Non avevo mai pensato di essere così debole, non lo credevo neppure possibile. Così mentre i miei capelli venivano torturati, continuavo a pensare che non dovevo permettere a Nao di avere un tale potere su di me. Tra i due ero sicuramente io la più forte, mentre lui si crogiolava a vivere una vita falsa, senza chiedersi cosa ci fosse oltre la fama e il denaro, io avevo avuto il coraggio di rifiutare ingaggi milionari, per ritrovare me stessa.
Dovevo essere fiera di me, perché avevo avuto la fermezza di mettere in discussione le mie scelte e la mia vita, per vedere cosa ci fosse oltre il patinato mondo delle copertine. E avevo trovato l’unica cosa per cui vale la pena di vivere: l’amore.
Sicuramente in futuro sarei tornata a recitare, ma l’avrei fatto con la consapevolezza che il mondo dello spettacolo era una parte della mia vita e non la vita stessa.
Forte di aver trovato finalmente il mio equilibrio, non mi ero resa conto che il supplizio a cui erano sottoposti i miei poveri capelli era terminato, ma una voce mi riportò alla realtà
«Signorina..». Mandy – così si chiamava la parrucchiera – mi fece spostare da una stanza a un’altra per passare al trucco , dopo circa un’ora, anche la tortura del trucco terminò e dopo aver pagato una cifra esorbitante, uscii dal centro estetico. Nonostante mancassero circa due ore alla proiezione, me la presi comoda, decidendo di fare un giro per i negozi.
Continuai a camminare, resistendo all’impulso di comprare qualsiasi cosa mi piacesse e, improvvisamente, la mia attenzione fu attirata da qualcosa nella vetrina del negozio in fondo alla stradina in cui mi trovavo.
Mi avvicinai velocemente e, dopo essere rimasta circa dieci minuti lì davanti per decidere, entrai.
Dovevo farmi perdonare per la serata d’inferno che gli avevo fatto passare e, nel momento di decidere se comprare o meno quel regalo, nella mia mente passò subito l’immagine di Akito nel riceverlo. Sarebbe impazzito di gioia, quindi non ebbi dubbi. Passai la carta di credito al cassiere e uscii dal negozio con il pacchetto tra le mani.
Non vedevo l’ora di arrivare in albergo.
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Pov Akito.

Nel momento in cui Sana mi aveva lasciato da solo in albergo, avevo vagliato ogni possibilità per evitare di rimanere ore lì, senza far nulla, aspettando che lei tornasse. Il fatto che fosse uscita da sola mi faceva già impazzire, se non avessi trovato qualcosa da fare, le sarei andato dietro per evitare che le succedesse qualcosa. Da quando la conoscevo, avevo sempre il terrore che qualcuno la ferisse, avevo sviluppato un senso di protezione verso di lei e sarei stato capace di uccidere chiunque le si fosse avvicinato nel modo sbagliato. Il giorno prima, durante il nostro breve giro turistico, avevo rischiato di picchiare almeno due ragazzi per averle messo le mani addosso mentre lei non sapeva distinguere un semplice fan da un pervertito.
Decisi quindi di uscire, anche se non conoscevo la città, avevo visto che vicino al nostro albergo c’era un parco enorme dove avrei potuto rilassarmi con una corsa, quindi infilai i pantaloni della tuta e lasciai la stanza, portando la chiave alla reception.
Comincia a correre, finalmente ero libero di sfogarmi, senza dover per forza ammazzare di botte qualcuno, e potevo riflettere su quello che stava succedendo tra me e Sana.
Eravamo ormai lontani dalla definizione di amici, ma ancora più lontani da quella di coppia, quindi non mi restava che aspettare ancora che lei capisse che le mie attenzioni non erano quelle di un qualunque amico quale lei mi considerava.
Correvo.. correvo e non mi resi conto di quanto mi ero allontanato dall’albergo, ma non credevo che quel parco fosse così vasto. Sapevo come tornare all’hotel ma mi ritrovai in una via piena di negozi in cui, nemmeno dopo un milione di anni, mi sarei potuto permettere di acquistare qualcosa. Così mi avvicinai alle vetrine, limitandomi a guardare.
Dietro un bracciale di diamanti però, quasi coperta da tutto il resto, vidi una cosa che attirò la mia attenzione e che immaginai subito addosso a Sana. Entrai e, senza preoccuparmi di chiedere, dissi alla commessa di volere quella, poi uscii dalla gioielleria e comincia a correre verso l’albergo, sperando di aver scelto la cosa giusta.

 
*
 
Quando arrivai in albergo, la signorina alla reception mi informò che Sana era già di sopra ad aspettarmi, quindi presi immediatamente l’ascensore e mi diressi al sedicesimo piano, dove c’era la nostra suite.
Passai la carta magnetica sulla porta e, quando entrai, il respiro mi si bloccò e sentii il cuore fare le capriole, fermarsi, e poi ricominciare a battere all’impazzata.
Sana era di fronte a me, avvolta in un vestito blu elettrico che le fasciava perfettamente il corpo e faceva risaltare tutti i punti giusti. Il seno perfetto era stretto in un corpetto monospalla e la fascia era ricoperta da piccoli Swarovski e, probabilmente per questo, non portava alcuna collana, mentre alle orecchie aveva due semplici punti luce.
I capelli le ricadevano morbidi sulla spalla sinistra, in una treccia abbastanza lunga, e delle piccole ciocche arricciate si posavano leggere sulle guance. La gonna lunga dell’abito era piuttosto aderente, sembrava che stesse per soffocare lì dentro, ma era perfetta sulla sue curve.
Al tunnel degli orrori avevo pensato che fosse bellissima e che non l’avrei mai vista più di bella di quel giorno ma, in un attimo, dovetti ricredermi.
Era la creatura più bella che avessi mai visto in vita mia.
Chiusi la porta alle mie spalle e mi ci poggiai con gli occhi fissi sui suoi.
«Wow..» riuscii a dire mentre nascondevo il pacchetto dietro la schiena.
«Ti piace?» mi chiese, abbassando lo sguardo per un attimo.
Che domande! Come poteva non piacermi?
«Wow..» ripetei ancora, estasiato, senza smettere di guardarla. Lei mi sorrise e, solo in quel momento, mi accorsi che aveva sulle labbra un rossetto rosso fuoco, e dovetti trattenermi per non avvicinarmi e toglierglielo totalmente con un bacio.
Le feci segno di fare una giravolta, lei mi obbedì immediatamente.
Mi diede il colpo di grazia.
La sua schiena era quasi nuda, coperta solo da un incrocio di due fili sottilissimi che partivano dai lati del vestito.
«Wow!» continuai a dire. Il cervello non riusciva a rimettersi in funzione e a formulare pensieri di senso compiuto.
Più la guardavo, più la desideravo, e più la desideravo, più il mio controllo cominciava a vacillare, e non potevo permettere che questo accadesse. Se solo mi fossi avvicinato un centimetro di più, se avessi anche solo sfiorato quel collo perfetto, non sarei riuscito a fermarmi.
«Ho capito, ti piace!» disse lei trattenendo le risate.
Continuai ad annuire e sorridere come un idiota, concentrandomi sulla curva del seno lasciata scoperta dal vestito, ma quello non mi aiutava affatto a rimanere lucido.
«Sei bellissima, Kurata.» dissi infine. Lei mi sorrise, compiaciuta per il mio complimento, e allo stesso tempo imbarazzata, per poi assumere un’espressione seria e quasi scocciata.
«Che c’è?» le chiesi spostandomi dalla porta e avvicinandomi a lei.
«C’è che è tardi, Hayama. Sono le quattro, e tu ancora non sei nemmeno vestito! La limousine ancora non è arrivata, devo chiamare immediatamente la ditta.». Stava cominciando a straparlare, come faceva sempre quando era nervosa.
«La limousine? Andiamo in limousine?» chiesi io sorpreso dalla novità.
«Si, Hayama. Che ti aspettavi, il taxi?».
Scossi la testa sorridendo, e mi diressi verso il bagno per prepararmi. Feci una doccia veloce, mentre sentivo che Sana si muoveva nella camera accanto con i tacchi, che non le avevo visto per la lunghezza del vestito, e che dovevano essere vertiginosi.
Dopo essere uscito dal bagno, presi a vestirmi. Camicia, pantaloni, giacca e, per completare il tutto, papillon.
Mi sentivo ridicolo, ma se dovevo fare la figura del fidanzatino perfetto, dovevo essere vestito di tutto punto, proprio come lo sarebbe stato Naozumi.
Finii di indossare lo smoking e, dieci minuti dopo, stavo ancora riflettendo se darle o meno ciò che le avevo comprato ma, quando tornai nella camera e la vidi di nuovo, ogni dubbio svanì. Presi il pacchetto che avevo nascosto tra i vestiti e rimasi un secondo a riflettere sul modo giusto in cui darglielo.
Non c’era un modo giusto, dovevo farlo e basta. Pregai che le piacesse, che apprezzasse il fatto che avevo pensato a lei.
«Sana..»
«Se mi chiami Sana c’è da preoccuparsi.» rispose lei ridendo. Mi raggiunse nella camera da letto, e si mise davanti a me, aspettando che parlassi.
Io non dissi nulla, le diedi il pacchetto e le sorrisi. Non volevo parlare, non ero proprio bravo a mostrare ciò che provavo, men che meno con lei, che mi aveva sconvolto totalmente.
In quel regalo avevo messo tutto ciò che provavo con lei, le mille emozioni vissute in due mesi, che potevano sembrare pochi, ma che mi erano bastati per innamorarmi follemente. Non riuscivo ormai a concepire la mia vita senza di lei, il mio appartamento senza le sue risate sarebbe stato maledettamente vuoto, e si stava avvicinando il momento in cui avrei potuto perderla.
Quel regalo urlava Non lasciarmi, la mia bocca invece rimaneva chiusa per paura di dire qualcosa di sbagliato.
Notai che, nel prenderlo, le si illuminarono gli occhi, e il mio cuore si riempì d’orgoglio, l’avevo fatta sorridere, dopo una giornata d’inferno, di lacrime di cui non sapevo il motivo.
Avrei voluto farla sorridere per sempre, il mio unico desiderio era renderla felice, anche se questo avesse significato starle lontano.
Se lei avesse scelto Kamura, se avesse capito che era lui ciò che voleva, mi sarei fatto da parte, lasciandola libera. Avrei sofferto da matti, probabilmente non mi sarei più innamorato, ma non m’importava.
«Non dovevi..». Aprì la scatola e prese tra le mani la piccola cavigliera in oro bianco, impreziosita da piccole coccinelle pendenti.
Non avrei saputo spiegare il motivo per cui, non appena l’avevo vista, avevo pensato a lei. Era fine, delicata, proprio come Sana, e non ero riuscito a resistere pensando a quanto le sarebbe piaciuta.
 Le lacrime la inondarono e, prima che io me ne rendessi conto, mi abbracciò affondando il viso sulla mia spalla.
«Hai la lacrima facile, eh?» dissi io per sdrammatizzare la situazione.
«E’ meravigliosa..» sussurrò lei. «Grazie, Hayama..». Alzò gli occhi e mi sorrise, e avevo già ottenuto la ricompensa migliore.
«Permetti?» le chiesi togliendole di mano la cavigliera, e abbassandomi per mettergliela.
Quel momento mi aveva perseguitato per tutta la giornata, non ero un feticista, ma avevo un debole per i tacchi alti, e Sana quella sera portava dei tacchi incredibilmente alti. Erano un paio di sandali, color argento, con un tacco quasi esagerato, che le si allacciavano sul tallone e le fasciavano perfettamente il piede.
Alzando la gonna – più del dovuto, ma non mi dispiacque –, le rimase scoperta anche una parte del polpaccio, e toccarle la caviglia, cercando disperatamente di allacciare il gancetto, mi provocò un fremito che ormai sapevo riconoscere e che mi capitava solo con lei.
«Consideralo un portafortuna, un modo per dire.. sono con te.»
«Non c’era bisogno del regalo per sapere questo..» ripeté lei quando tornammo a guardarci negli occhi. «Ma.. anche io avrei qualcosa per te.»
Quello proprio non me l’aspettavo, e credevo mi stesse prendendo in giro, fin quando non mi ritrovai anch’io con un pacchetto tra le mani. Ero impaziente di aprirlo, il suo pacco era più consistente del mio, ma non sembrava nulla di particolarmente costoso a giudicare dalla busta. Aveva una forma strana, allungata, e inizialmente mi preoccupai di trovarci dentro chissà quale cose stravagante ma poi conclusi che non m’importava cosa mi avesse regalato, il solo fatto che avesse pensato a me, mi riempiva il cuore.
Dalla confezione di carta, tirai fuori un morbido cuscino a forma  di T-Rex e un portachiavi a forma di dinosauro, con dei piccoli inserti di pietre al posto degli occhi.
Non avrei potuto ricevere regalo migliore, si era ricordata della mia passione per i dinosauri, e aveva trovato il tempo di comprarmi qualcosa.
Non ero abituato a ricevere dei regali – a meno che non provenissero dalle ragazze, e quelli non erano esattamente oggettini carini da esporre in casa – quindi il fatto che lei, la donna che amavo, fosse stata così premurosa, mi aveva lasciato di stucco.
Mio padre e mia sorella, nonostante ricordassero perfettamente il giorno del mio compleanno – era lo stesso giorno in cui la loro vita era stata rovinata – non si erano mai presentati da me, neppure da bambino, con un regalino, anche insignificante. Inizialmente non riuscivo a comprenderne il motivo e ne soffrivo, poi, avevo capito che non valeva la pena stare lì a cercare di comprendere il comportamento di qualcuno che voleva solamente allontanarmi.
«Questo è per farmi perdonare, scusa se ti ho fatto passare una pessima serata ieri..»
Non riuscivo più ad essere padrone di me, non capivo i miei sentimenti, l’unica cosa che sapevo era che volevo stringerla a me e non lasciarla mai andare. Volevo baciarla, ne sentivo il bisogno, proprio nel centro dello stomaco, come una sensazione profonda di fame.
Avevo fame, una maledetta fame di lei.
«Grazie..» dissi a bassa voce, passandole il pollice sul labbro inferiore. Per un attimo sembrò che il tempo si fosse fermato, al mondo c’eravamo solamente io e Kurata, in quella stanza d’albergo.
Non c’era Kamura, non c’era la prima di un film, non c’erano i suoi mille problemi sulla mia reputazione, ne io che facevo il coglione con altre mille ragazze. Non c’era nulla di sbagliato, solamente le mie dita sulla sua bocca e i suoi occhi fissi sui miei.
Il cervello tentava di convincermi che era una cattiva idea fare ciò che invece il mio cuore mi ordinava, ma io gli intimai di tacere.
Improvvisamente, il telefono della camera prese a squillare, e il momento fu rovinato.
Imprecai sotto voce, poi, vedendo che Sana era ancora immobile, mi avvicinai per rispondere.
«La limousine è qui sotto, andiamo..»
Comincia lo spettacolo.

 
*
 
Il viaggio in limousine fu silenzioso, nessuno dei due riusciva a dire nulla, eravamo troppo nervosi per parlare. Sana era preoccupata, lo notavo dai suoi occhi, e le presi la mano, stringendogliela, per cercare di calmarla.
«Sta tranquilla, Kurata. Sarò un fidanzato impeccabile.» le sorrisi e mi sistemai sfacciatamente il papillon, ma lei non cambiò espressione e si limitò a sospirare sonoramente, come se le mie parole l’avessero turbata.
«Qualsiasi cosa succeda, se Naozumi dice qualcosa, lascia che me ne occupi io.»
«Neanche per sogno, Kurata. Se devo fare il fidanzato, fammelo fare bene.» ribattei io, e non ammettevo repliche.
Anche se non ero il suo ragazzo, se solo Naozumi avesse provato a metterla in imbarazzo, sarei finito in prigione per aggressione e, anche se sapevo perfettamente che avrei dovuto contenermi, non sapevo quanto la cosa sarebbe stata facile, conoscendo il mio carattere.
Non ci mettemmo molto ad arrivare, il teatro non era lontano dall’albergo, ma il ristorante in cui avremmo dovuto partecipare al rinfresco si trovava piuttosto distante, quindi mi preparai psicologicamente ad un altro viaggio in macchina, nel silenzio più assoluto.
Sapevo che quella sera le cose sarebbero cambiate, il problema era scoprire che direzione avrebbero preso. Mi ritrovai, per l’ennesima volta, a considerare la possibilità di perderla, e questa eventualità mi faceva provare un senso di vuoto e, per la prima volta, durante la mia esistenza, ebbi la certezza assoluta di avere un cuore, perché sentii chiaramente che si stava spezzando.
«E’ il momento.» fece lei, poco prima che l’autista venisse ad aprirci lo sportello. La guardai sorridente e le presi la mano, consapevole del fatto che fuori dalla limousine avremmo trovato decine di fotografi pronti ad immortalare la nuova conquista di Sana Kurata. Avrei fatto di tutto per far sembrare la nostra relazione il più vera possibile, ma lei doveva lasciarmi fare, se si fosse allontanata bruscamente da me, chiunque avrebbe potuto immaginare che si trattava di una finzione.
«Tranquilla.» le sussurrai, posandole un bacio sulla guancia. «Lascia fare a me.»
Nello stesso momento, lo sportello si aprì e io pensai di aver perso totalmente l’uso della vista, tanti erano i flash che mi accecarono.
Sana mi guardava, supplichevole, come se volesse pregarmi in ginocchio di essere convincente, quindi le cinsi la vita con un braccio e l’avvicinai a me, mentre lei salutava con la mano la calca di persone e giornalisti che affollavano l’esterno del teatro.
Sana mi sorrise, mantenendo perfettamente la sua espressione raggiante, quella che conoscevo, ma che sapevo non essere vera in quel momento.
Così, dopo aver eluso le domande dei giornalisti, entrammo. Era fatta, ero il fidanzato – finto, ma questo lo sapevamo solo io e lei – di Sana Kurata, e niente, nemmeno la guerra scoppiata in chissà quale parte del mondo, avrebbe smontato la mia gioia.
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Pov Sana.

L’entrata in scena era stata a dir poco perfetta, Hayama si era comportato da perfetto gentiluomo, accompagnandomi all’ingresso del teatro con un braccio attorno alla vita che, anche se non lo davo a vedere, mi aveva fatto ribollire il sangue nelle vene.
Per la mia salute mentale decisi che non era il caso di indugiare oltre sul potere che il suo tocco aveva su di me, altrimenti avrei rischiato l’autocombustione, e ripreso il controllo di me stessa, riuscimmo ad entrare indenni nella sala in cui sarebbe stato proiettato il film. Insieme alla conferma della mia partecipazione, mi era stata spedita anche l’ubicazione del mio posto e di quello del mio fidanzato, quindi mi affrettai a cercarlo e a sedermi accanto a lui.
Mi faceva effetto chiamarlo in quel modo, anche quando gliel’avevo sentito dire in macchina mi aveva fatto quasi salire un groppo alla gola, e la cosa si accentuò ancora di più quando Hayama, stringendomi la mano, cominciò a disegnare dei piccoli cerchi nel mio polso, facendomi rabbrividire.
Ancora una volta, non feci nulla che potesse fargli notare il mio sussulto, quindi dovevo provare a sembrare calma anche per tutto il resto della serata, anche se sapevo che non ci sarei riuscita.
Continuavo a guardarmi intorno, terrorizzata di vedere arrivare Naozumi, ma prima o poi anche quel momento sarebbe giunto a tormentarmi, quindi mi rassegnai e poggiai la schiena sulla poltrona, stando attenta a non rovinare la treccia.
«Smettila di torturarti le mani.» mi intimò Hayama, che continuava a fissarmi da quando eravamo entrati.
Guardai in basso, notando che aveva ragione: stavo sfregando le mani in maniera quasi isterica, ma io non me n’ero assolutamente resa conto. Capivo che, dal di fuori, dovevo sembrare proprio patetica.
Non ero preoccupata per il confronto con Naozumi, piuttosto attendevo l’istante in cui gli avrei sbattuto in faccia la mia felicità – anche se finta, ma questo lui non poteva saperlo – e lui si sarebbe ritrovato a mordersi le mani per la rabbia.
«Scusami..» risposi sospirando. «E’ che sono un po’ nervosa..».
«Lo vedo, ma smettila.». Hayama afferrò la mia mano, e la intrecciò con la sua, poi fece lo stesso con l’altra. Ci guardammo un attimo negli occhi, e mi sembrò che tutto fosse reale in quel momento, come se la finzione non c’entrasse nulla, come se finalmente avessimo ceduto a quella dannata attrazione che ci consumava.
«Ciao Sana..». Dietro di me sentii la sua voce, quella voce che avrei tanto voluto non ascoltare per il resto della mia vita ma che, nonostante tutto, non riusciva a lasciarmi in pace.
Il momento fu improvvisamente spezzato e, con aria stizzita, mi girai verso Kamura.
«Kamura.» lo salutai.
«Addirittura adesso sono diventato Kamura? Complimenti, Sana.»
«Volevi qualcosa?»
«Si, conoscere il tuo... ragazzo.». Pronunciò l’ultima parola con aria disgustata, facendo una smorfia che sapevo stava facendo irritare Hayama, percepivo la sua rabbia anche se non lo stavo guardando in faccia.
«Akito Hayama, potrei dire che è un piacere ma, in realtà, non lo è affatto.».
Akito fece tutto da solo, senza lasciarmi neppure parlare, e silenziosamente lo ringraziai, perché non riuscivo ad aprir bocca in quel momento, come se tutta la mia determinazione fosse stata improvvisamente cancellata.
Naozumi lo fulminò con lo sguardo ma Hayama fece altrettanto, e sembrava che stessero per picchiarsi. Se fosse successo, senza ombra di dubbio, era Akito quello che ne sarebbe uscito vincitore e il fatto che fosse mio – bè, non esattamente... – mi riempì d’orgoglio.
«Potevi almeno procurarti uno dotato di buone maniere.».
«Ciao Kamura, è stato un dispiacere rivederti.»
«Non è finita qui, Sana.. non credere che sarà così facile.», con quelle parole si allontanò e lasciò me e Akito in preda ad una rabbia nera.
Io ero furiosa perché, ancora una volta, avevo permesso a qualcun altro di agire al posto mio, lasciando ad Akito il compito di difendermi da Kamura.
Akito invece, lo notavo, era a dir poco fuori di se, non respirava affannosamente come invece stavo facendo io, ma aveva negli occhi una strana luce che, da quando c’eravamo conosciuti, non avevo mai visto.
Era come se stesse cercando disperatamente di trattenersi, come se stesse provando a resistere all’impulso di alzarsi e spaccare la faccia a Naozumi una volta per tutte.
«Giuro su Dio che se si avvicina di nuovo a te..». Lo zittii, posandogli l’indice sulle labbra, e poi lo abbracciai, sotto gli occhi degli altri attori e giornalisti che intanto stavano affollando la sala.
Non m’importava, anche se fossi stata coinvolta in chissà quale scandalo, perché due uomini avevano appena litigato per me, l’unica cosa che contava in quel momento era calmare Akito, perché non commettesse una sciocchezza e perché capisse che, anche se non potevo esplicitamente dirglielo, ero totalmente sua.
«Saprò gestire la cosa. Questo era solo il primo round.» dissi io, scherzando, e aggiustandogli il papillon.

 
*
 
Il film era iniziato da circa un quarto d’ora, non mi stavo esattamente annoiando, piuttosto deprimendo. Era la storia di un amore impossibile – ovviamente – tra due ragazzi, a causa delle convenzioni sociali e della differenza di ceto. Lui nero, lei asiatica. Lui coinvolto in un giro di gioco d’azzardo, lei pronta a farsi ammazzare e ad abbandonare la sua ricca famiglia di Tokyo per il suo amore.
Lui stupido, lei ancora di più.
Non che non adorassi le storie d’amore, anzi, se il mio film preferito era Moulin Rouge c’era un motivo, ma non mi piacevano esattamente quella storie così improbabili da sembrare finte.
Insomma, quale ragazza asiatica, vissuta in una buona famiglia, rigida quanto basta, avrebbe mai preso in considerazione una storia d’amore con un ragazzo di colore?
Smisi di sforzarmi a concentrarmi sul film, e presi a focalizzare la mia attenzione alla sensazione delle mie mani tra quelle di Hayama, che si muovevano piano, accarezzandomi.
Presi a fissarlo, mentre lui invece era attento a seguire il film, e mi soffermai a guardare la linea morbida della sua mascella, i capelli biondi che gli ricadevano sul viso, come se fossero perennemente spettinati, e quella smorfia costante sulla sua bocca, di noia e allo stesso tempo attenzione.
Non riuscivo a trovargli un solo difetto, aveva tutto ciò che una ragazza potesse desiderare, ma lui non aveva accettato di aiutare nessuna delle ragazze che gli andavano dietro, era stato vicino a me, quella che lo aveva respinto e giudicato sin dall’inizio.
Anche se non gliel’avrei mai detto, sapevo perfettamente di aver avuto dei pregiudizi iniziali, che poi lui mi aveva tolto mostrandomi quanto potesse essere dolce. E lo era, lo era così tanto che a volte mi sembrava anche strano, però non si dimostrava mai appiccicoso e stressante come invece lo era stato Naozumi.
Era semplicemente perfetto, ed era al mio fianco, in un meraviglioso smoking nero, pronto a folgorare ogni ragazza o donna che avesse incontrato.
Probabilmente si sentii osservato perché, subito dopo, si voltò a guardarmi e sgranò gli occhi, sollevando le labbra lentamente in un sorriso di stupore.
«Che hai da guardare?» chiese continuando a sorridermi.
«Nulla..» risposi evasiva io. Lui fece spallucce e si avvicinò, improvvisamente, con un movimento così veloce che non mi lasciò neanche il tempo di riflettere su ciò che stava accadendo.
«Trovi che mi stia bene questo smoking?». Le sue parole erano un sussurro contro le mie labbra, impercettibili a chi era vicino a noi, ma per me era come se fossero un urlo.
Cercai di articolare al meglio le parole, ma il risultato non fu proprio quello sperato. «Cre.. credo di.. credo di si.» Si, decisamente non fu quello sperato.
Sembravo una cretina, immobile, come una statua, mentre lui invece si faceva sempre più vicino. Non volevo scansarmi, volevo che mi baciasse, aspettavo quel momento da quando eravamo saliti su quel maledetto aereo e finalmente stava per accadere.
«SIGNORI E SIGNORE L’INTERVALLO DURERA’ CIRCA DIECI MINUTI. VI PREGHIAMO, AL TERMINE, DI RIPRENDERE I POSTI A VOI ASSEGNATI. GRAZIE PER LA PARTECIPAZIONE.»
Quella. Maledetta. Voce.
Akito si spostò repentinamente da me, e io credetti di sentire il mio cuore uscire dal petto, con un battito al di sopra della normale media.
Sarebbe stata una serata molto lunga.

 
*
 
Eravamo in limousine, in una strada che dava sul mare, per raggiungere il ristorante per il rinfresco. Il film era stato tutto sommato accettabile, ma dubitavo altamente che la critica lo avrebbe accettato, e tantomeno che avesse successo nel pubblico.
Io e Akito parlavamo tranquillamente, come se il momento più imbarazzante della mia vita – dopo quello dentro il tunnel degli orrori – non fosse mai accaduto, e mi convinsi che a me andava bene così.
Non avrei di certo ripreso l’argomento per sentirmi dire nuovamente Dimentichiamolo, eppure non riuscivo a capire il suo comportamento. Mi si buttava addosso ventitre ore su ventiquattro, e se non lo faceva era perché io lo bloccavo, quindi che senso aveva il suo affetto fraterno? Non era affetto fraterno, né un affetto amichevole, Akito mi desiderava, tanto quanto io desideravo lui.
L’unico problema, il più importante, era sapere se dietro a tutta questa maledetta passione, ci fosse anche qualcos’altro, ma avevo la sensazione che non sarebbe stato semplice scoprirlo.
Arrivammo al ristorante circa venti minuti dopo, appena in tempo per l’inizio della cena, che non sarebbe stata di certo abbondante come avrei sperato, e come anche il mio stomaco supplicava.
Prima di entrare Hayama mi prese la mano e intrecciò le sue dita con le mie, facendomi balzare ancora una volta il cuore, e io lo assecondai, stringendomi ancora di più a lui.
Se l’unico modo per stargli vicina, era fingere di voler portare avanti la nostra recita, allora ne avrei approfittato, senza esagerare ovviamente.
Lui doveva prendere l’iniziativa e baciarmi, ma probabilmente non lo aveva ancora fatto per paura di una mia reazione esagerata.
Ci ritrovammo in una sala, imbandita come se si trattasse di un matrimonio, ma abbastanza chic e raffinato da ottenere i miei consensi. Non era grandissima, ma bastava per accogliere un centinaio di persone, quanti erano gli invitati al ricevimento.
Cercai immediatamente il nostro tavolo, trascinando Hayama, come un pupazzo, per mano. Alla fine mi fu indicato da una cameriera e ci accomodammo, non prima che io avessi controllato dove fosse il tavolo di Kamura e a quanta distanza fosse dal mio.
Non riuscivo ancora a vederlo, ma sapevo perfettamente che sarebbe spuntato all’improvviso, per finire ciò che aveva iniziato. Io non attendevo altro, volevo liberarmi di lui così in fretta, da non avere neppure il tempo di ricordarmi il suo nome dopo averlo fatto.
Con mio grande stupore, mi ritrovai ad ammettere che ormai per me non contava più nulla. Era stato il mio ragazzo per così tanto tempo, avevamo passato la nostra vita praticamente attaccati, eppure, in quel momento, per me non rappresentava più niente di speciale, con il suo comportamento aveva cancellato ogni ricordo bello che serbavo di lui.
Non ero arrabbiata tanto per il fatto che mi avesse lasciato, anzi, come avevo già pensato, avrei dovuto ringraziarlo piuttosto, ma lo ero per il modo in cui lo aveva fatto, per le parole che aveva usato, per l’umiliazione che mi aveva fatto provare.
Mi aveva detto di amarmi, ma che la sua carriera aveva bisogno di una svolta e che la nostra relazione gli era solo d’intralcio. Io, la sua fidanzata, ero d’intralcio.
Era questo che non riuscivo a perdonargli, il fatto che avesse sminuito in quel modo ciò che c’era stato tra di noi, con una superficialità disarmante.
«A che pensi?» Hayama interruppe le mie riflessioni, facendomi la domanda più complicata di tutte.
«A quanto sono felice che tu sia qui.» risposi d’istinto io. Non avrei dovuto dire ciò che avevo detto, ma il mio cuore, per un attimo aveva preso il sopravvento, e non ero riuscita a controllarlo.
Akito mi sorrise, e io mi persi in quel sorriso. Non avrei desiderato essere in nessun altro posto, se non lì con lui, perché improvvisamente nulla ebbe più importanza. Né il nostro strano rapporto, né i sentimenti contrastanti che provavo, né quelli che provava lui, e soprattutto non mi importava che Naozumi si stesse avvicinando, con un’aria minacciosa, che mi faceva venire i brividi.
«Sana.. potrei scambiare due parole con te?». Il suo tono era strano, non volevo rimanere sola con lui, non se mi parlava in quel modo.
«Non abbiamo nulla da dirci.» risposi tornando a guardare Hayama.
«Io credo di si.»
«Hai bisogno della sedia a rotelle.». Hayama serrò la mascella, era scuro in volto e sembrava stesse per trascinare Naozumi in un angolo per picchiarlo a sangue. Kamura non colse il senso delle parole di Akito, in realtà anche a me c’era voluto un secondo per capire, e gli rivolse un’occhiata sbalordita, aspettando una spiegazione. «Cammino abbastanza bene.» rispose infine.
«Ancora per poco.» replicò Hayama, incrociando le mani e avvicinandole alla bocca, subito dopo si alzò e si parò davanti a Naozumi, sfidandolo.
Mi alzai anch’io e presi Akito per il braccio, sussurrandogli all’orecchio di lasciar fare a me, prima di allontanarmi seguendo Naozumi nella sala attigua alla nostra, con il cuore in subbuglio.
Avevo immaginato tante volte quel confronto, tempo addietro gli avrei rinfacciato tutto il dolore, tutte le lacrime versate per lui ma, in quel momento, non avevo alcuna intenzione di farlo. Naozumi mi guardò dritto negli occhi, aspettando una mia parola che invece non arrivò.
«Pensi veramente di poter stare con un come quello? Dio, Sana! Non fa nemmeno parte del nostro mondo!» sospirò appoggiandosi alla parete. «Non ti saprà mai dare ciò di cui hai bisogno.» esclamò beffardo.
«Lo amo proprio per questo, proprio perché non fa parte di questo mondo finto.» ammisi sinceramente sfidandolo con lo sguardo. «E poi ti ricordo che sei stato tu a lasciare me e non il contrario.».
Si protese verso di me e, con un passo largo, mi cinse la vita con le braccia e mi attirò a se, stringendomi. Il suo tocco mi fece trasalire, ma non nel modo in cui lo faceva Hayama, in un modo diverso, estremamente disgustoso.
«Naozumi.. lasciami.» gli ordinai. Lui mi ignorò, continuò a starmi attaccato, stringendomi ancora di più.
«Lasciami.» ripetei, ma ancora senza successo.
«Non puoi chiuderla così.» La sua voce era dura, perentoria, era come se quella dalla nostra relazione dipendesse la sua vita. «Io ti rovino, Sana. Renderò la tua esistenza un inferno.»
Un secondo dopo, senza neanche accorgermene, Naozumi era dall’altro lato della stanza, Akito davanti a lui, con gli occhi infuocati dalla rabbia.
Kamura era terrorizzato, e anch’io. Non avevo paura di Akito, sapevo che si stava comportando in quel modo solo per proteggermi, ma piuttosto di ciò che sarebbe successo.
Se non fermavo Hayama, avrei assistito ad una morte in diretta, quindi mi avvicinai e gli afferrai il braccio, allontanandolo da Kamura.
Nel momento in cui lo toccai, i suoi occhi incrociarono i miei e notai qualcosa che avrei voluto non vedere. Era furioso, non l’avevo mai visto in quello stato, nemmeno quando aveva litigato con Carter. Aveva gli occhi fissi nel vuoto, sembrava assente e allo stesso tempo sembrava che non riuscisse a togliersi dalla mente l’idea che Naozumi stava per farmi del male. Probabilmente non l’avrebbe mai fatto, lo conoscevo abbastanza bene – o almeno credevo di conoscerlo – da sapere che non era un violento, ma non sapevo cosa aspettarmi da lui ormai.
«Hayama, andiamo.» gli ordinai. Sembrò non ascoltarmi, ma si allontanò ugualmente, tirandomi per il braccio.
«Te ne pentirai, Sana!» urlò Naozumi alle nostre spalle. Hayama si staccò da me e tornò davanti a lui, afferrandolo per il colletto.
«Non osare nemmeno pensare di minacciare la mia ragazza, o ti assicuro che avrai davvero bisogno della sedia a rotelle.». Stavolta non intervenni subito, speravo che Hayama non superasse i limiti che gli avevo posto, anche se in quel momento li stava oltrepassando tutti.
Naozumi lo guardò con un sorriso ironico, strinse le labbra e poi lo squadrò da testa a piedi, come se fosse disgustato da lui.
«Tu non sarai mai degno di lei. Sana è un attrice, tu un poveraccio, non potrai mai renderla felice o capirla. Lei è una star di fama mondiale, tu non sei altro che un ragazzo qualunque condannato a sentirsi inadatto e inadeguato, perché presto o tardi ti renderai conto che qualsiasi cosa tu faccia per sorprenderla o stupirla non sarà mai abbastanza…»
Kamura era cattivo, lo era sempre stato, ma io non me n’ero mai resa conto prima di allora. Hayama sembrò esitare, poi gli si avvicinò per parlargli all’orecchio.
«Potrai anche essere stato con lei per anni, ma quanto si vede che non la conosci affatto.»
Akito lo lasciò e tornò da me, prendendomi per il braccio e portandomi di nuovo nella sala principale. Nessuno si era accorto di nulla, la cena proseguiva tranquilla, mentre io avevo la sensazione che Hayama stesse per esplodere. Riuscivo a percepire la sua furia, anche se lui non diceva nulla.
«Hayama..»
«Zitta.». Si prese la testa tra le mani mentre tornavamo a sederci al nostro tavolo.
«Ma..» cercai di ribattere.
«Zitta, ho detto.». Non parlai più, mi limitai a guardare le varie coppie che si avvicinavano alla piccola pista da ballo, al centro della sala.
«Vuoi ballare?» mi chiese Akito, vedendo il mio sguardo sognante.
«Tu vuoi?»
«Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda.» precisò alzandosi e porgendomi la mano. «Andiamo.»
Gli presi la mano, la intrecciai con la sua e, con il cuore a mille, lo seguii tenendo gli occhi bassi.
Quando mi prese tra le braccia, una sensazione ormai familiare si impossessò di me, e quando le luci si fecero soffuse, pensai di essere in paradiso e di aver conosciuto un angelo. Trattenni il respiro, nella penombra i suoi occhi sembravano pietre preziose che brillavano come il sole.
Chiusi gli occhi, appoggiando il viso sulla sua spalla, beandomi di quel contatto. Mi sentivo in pace col mondo, come se tutto ciò che Naozumi aveva detto e fatto non importasse, come se sulla terra ci fossimo io e lui.
«Non fare mai più una cosa del genere.». Le sue parole mi sembrarono una doccia fredda, mi risvegliarono dal sogno meraviglioso che stavo vivendo.
«Eh?»
«Se ti avevo detto di non andare con lui, perché l’hai fatto?»
«Perché avevo bisogno di cancellarlo dalla mia vita, una volta per tutte.»
«E ci sei riuscita?». Alzò un sopracciglio sarcasticamente e mi strinse ancora di più a lui.
«Ho capito che l’avevo già fatto prima ancora di parlare con lui.» confessai mentre mi concentravo a guardare il suo papillon, proprio davanti ai miei occhi.
Era bellissimo nel suo vestito scuro e, d’un tratto, mi sentii ancora inadeguata a lui. Scacciai quella sensazione quando lo vidi sorridere e avvertii la sua mano disegnare dei piccoli cerchi sulla mia schiena nuda.
«E quando sarebbe successo questo miracolo?» chiese curioso lui.
«Un po’ di tempo fa.» mi limitai a rispondere, eludendo la domanda.
Continuammo a muoverci lentamente, come trasportati dalla musica, Hayama mi accarezzava la schiena dolcemente e io avrei voluto che non finisse mai.
«Come bravo fidanzato..» cominciò «.. adesso dovrei baciarti.»                                         
La sua voce era un sussurro contro il mio orecchio, e io avrei voluto abbandonarmi alle mille sensazioni che presero a scorrermi su tutto il corpo. Stavo per farlo, quando avvicinai la bocca alla sua, in attesa che avvenisse ciò che avevo sperato per tutto il tempo e che, allo stesso tempo, avevo evitato.
Quando le nostre labbra erano lì, a nemmeno un centimetro di distanza, la magia finì.
«Signorina Kurata, una foto per la pubblicità eventi!».
Un fotografo si piazzò davanti a noi, entrambi ci girammo a guardarlo come se avessimo voluto ucciderlo, ma alla fine ci mettemmo in posa per quella maledetta foto.
Addio bacio.
 
 
 
E finalmente rieccomi qui, con il tredicesimo capitolo che, vi avevo anticipato, sarebbe stato abbastanza lungo e denso di emozioni. Che ve ne pare? J
Bè, ho visto che la storia è stata aggiunta tra le preferite, le seguite, le ricordate, recensita dai più fedeli e da alcuni nuovi arrivati e, GIURO, non so come ringraziarvi! Siete la gioia degli autori, ve lo posso assicurare.
Allora, per quanto riguarda il quattordicesimo, è stato un parto ma, finalmente, è finito. Adesso mi sto dedicando al quindicesimo perché non voglio farvi aspettare tanto. In ogni caso, la storia non può essere ancora conclusa, ci saranno ancora un bel po’ di cose da affrontare. Spero che abbiate la pazienza di seguirla ancora, che non vi annoi, che vi piaccia sempre.
Sempre grazie alla mia Beta meravigliosa!


Piccolo avvertimento: il prossimo capitolo sarà interamente POV AKITO. Non odiatemi per aver lasciato fuori Sana, ma il motivo sarà evidente.

Vi bacio uno ad uno :*
Akura.


Estratto dal prossimo capitolo:

Improvvisamente Sana pigiò un pulsante, quello che abbassava il vetro divisore tra noi e l’autista. Si avvicinò all’uomo – una fitta si espanse per tutto il mio petto. Adesso cominciavo anche ad essere geloso, ero ridicolo – e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Sgranai gli occhi e cercai di capire cosa gli stesse dicendo, ma Sana aveva messo la mano davanti alla bocca e quindi non riuscii neppure a leggere il labiale.
Impiegò qualche minuto prima di tornare a sedersi al mio fianco, totalmente raggiante nella sua nuova veste da donna libera e misteriosa. Mi sorrise, consapevole del fatto che mi stava facendo innervosire – odio non avere le cose sotto controllo, lo ammetto – e poi spostò lo sguardo fuori dal finestrino, ignorandomi.

 

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Capitolo 14
*** Confessioni. ***


CAPITOLO 14.
CONFESSIONI.
Pov Akito.

Non riuscivo a non pensare alle parole che Kamura mi aveva detto.
Tu non sarai mai degno di lei. Sana è un attrice, tu un poveraccio, non potrai mai renderla felice o capirla. Lei è una star di fama mondiale, tu non sei altro che un ragazzo qualunque condannato a sentirsi inadatto e inadeguato, perché presto o tardi ti renderai conto che qualsiasi cosa tu faccia per sorprenderla o stupirla non sarà mai abbastanza…
Quel bastardo l’aveva fatto di proposito, per allontanarci, per mettermi in testa che io e Sana non avevamo alcuna speranza. In realtà, analizzando bene la situazione, era davvero così: non avevo nulla che potesse essere degno di Sana. Lavoravo, avevo un buono stipendio, all’università ero abbastanza brillante, ma niente di tutto ciò era lontanamente paragonabile a ciò che avrebbe potuto dargli lui.
Lei meritava tutte quelle cose, meritava la vita lussuosa a cui era abituata, meritava che qualcuno si prendesse cura di lei, come io non avrei mai potuto fare. La sensazione di vuoto mi attanagliò lo stomaco.
Decisi di non pensarci, dovevo godermi quelle ultime ventiquattro ore che avrei passato da solo con lei, e niente, neppure le insinuazioni di Naozumi Kamura, avrebbero potuto rovinarmi quel momento.
Nessuno l’avrebbe amata quanto l’amavo io. Nessuno avrebbe adorato la curva dolce della sua mandibola, quando se l’accarezzava riflettendo troppo su qualcosa. Nessuno avrebbe adorato le sue mani, piccole e delicate quanto basta, ma forti e dure quando c’era da picchiare qualcuno. Nessuno avrebbe adorato il suo sorriso, così contagioso, che faceva ridere anche me. Nessuno avrebbe adorato il suo collo, esile e fine, o le sue spalle, o i suoi occhi... oh, i suoi occhi...
Mi voltai a guardarla, aveva sciolto la treccia e in quel momento i capelli le ricadevano disordinatamente sul volto, incorniciandoglielo come un’opera d’arte. Il vestito le stringeva ancora di più sul seno, fasciando perfettamente ogni centimetro del suo decolté, e io desiderai immediatamente di accoccolarmi su di lei, anche senza far nulla, anche senza provare a baciarla, così, per averla vicina.
Fu esattamente ciò che feci. Mi avvicinai, eliminando la distanza tra di noi, le alzai un braccio e mi appoggiai sul suo petto, come fanno di solito i bambini con la loro mamma.
Io non avevo mai conosciuto quella sensazione.
«Mi spieghi cosa stai facendo?» chiese lei, trattenendo le risate. «Non mi sembra di avere un cuscino al posto delle tette.»
«No, infatti, sono piuttosto scomode.». Risi anch’io, poi alzai gli occhi per guardarla. «Posso?»
«E me lo chiedi dopo averlo già fatto?». Mi diede un buffetto sulla testa e poi prese ad accarezzarmi dolcemente. «Volevo ringraziarti...» disse poi. La sua voce era un sussurro, ma riuscivo a sentire il battito del suo cuore e mi concentrai su quel ritmo.
«E per cosa?»
«Per tutto... se non ci fossi stato tu, a quest’ora Naozumi penserebbe che lo amo ancora e che mi sto crogiolando nel dolore.»
«E non è così?»
«Ti sembro una che si sta crogiolando nel dolore?»
«Intendevo.. l’altra cosa.»
«Se lo amo?»
«Esatto.»
«No. Non più.»
Quelle parole mi bloccarono il fiato in gola. Lei non l’amava, ma adesso non avevo la minima idea di ciò che sarebbe successo, né di ciò che ci avrebbe riservato il futuro, ma sapevo che Sana era la donna che volevo, anche se non la meritavo, anche se non ero io quello giusto per lei.
«Quindi non lo ami più?», chiesi di nuovo, per averne la certezza assoluta.
«No Hayama, vuoi che lo urli fuori dal finestrino?»
«Non sarebbe una cattiva idea.» dissi io, sfidandola. La vidi sorridere, i suoi occhi brillavano di una nuova luce, di una nuova Sana. Aprì il tettuccio della limousine e, mentre scorrevamo nel traffico di New York, lo urlò.
«NON AMO PIU’ NAOZUMI KAMURA!!!». Tornò a sedersi vicino a me. «Contento adesso?»
«Non sai quanto..» mi limitai a rispondere. Mi sentivo sollevato, come se la mia speranza fosse tornata ad accendersi. Se non fosse stata mia, avrei sofferto da matti, ma me ne sarei fatto una ragione solo nel momento in cui l’avrei saputa felice, accanto a qualcuno degno di lei.
Improvvisamente Sana pigiò un pulsante, quello che abbassava il vetro divisore tra noi e l’autista. Si avvicinò all’uomo – una fitta si espanse per tutto il mio petto. Adesso cominciavo anche ad essere geloso, ero ridicolo – e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Sgranai gli occhi e cercai di capire cosa gli stesse dicendo, ma Sana aveva messo la mano davanti alla bocca e quindi non riuscii neppure a leggere il labiale.
Impiegò qualche minuto prima di tornare a sedersi al mio fianco, totalmente raggiante nella sua nuova veste da donna libera e misteriosa. Mi sorrise, consapevole del fatto che mi stava facendo innervosire – odio non avere le cose sotto controllo, lo ammetto – e poi spostò lo sguardo fuori dal finestrino, ignorandomi.
«Potrei sapere dove stiamo andando?» chiesi notando che l’autista stava cambiando strada, inoltrandosi in vicoli che non riuscivo a ricordare nel viaggio d’andata.
«E’ una sorpresa.» rispose evasiva lei.
«Sai che odio le sorprese.»
«Questa ti piacerà.» asserì lei, sorridendo ancora.
Quando arrivammo a destinazione, Sana si avvicinò nuovamente all’autista e gli disse di non aspettarci e che saremmo tornati a piedi in albergo. Lo congedò porgendogli una busta, probabilmente dei soldi, e nuovamente mi sentii inadeguato a lei, ma cercai di scacciare immediatamente quel pensiero. Ora che lei poteva essere mia, non avrei lasciato che le mie insicurezze rovinassero tutto.
Non avevo idea di cosa avesse organizzato e mi sentivo nervoso e allo stesso tempo eccitato, come un bambino la prima volta al parco giochi. Prima ancora di uscire dalla macchina, Sana mi poggiò le mani sugli occhi.
«Che diavolo stai facendo?» chiesi scettico, cercando di toglierle le mani dalla mia faccia. Lei fece resistenza e mi intimò di stare zitto. Obbedii, non potevo non farlo se me lo diceva in quel modo.
Sentivo l’odore dell’erba, quello della terra bagnata e tentai di ricordare dove l’avessi sentito prima. Ripercorsi attentamente il nostro soggiorno a New York e l’immagine del parco vicino all’albergo mi assalì immediatamente. Eravamo in un parco, ma non era quello in cui avevo corso la stessa mattina.
Quando Sana mi tolse le mani dal viso, non potei fare a meno di sorridere. Una enorme pista di pattinaggio la faceva da padrone, e capii subito che eravamo a Central Park.
«Come ci sei riuscita?» chiesi esterrefatto dalla vista di quella meraviglia.
«Ho le mie conoscenze..» disse lei alzando gli occhi al cielo.
Io sorrisi, le porsi la mano e subito arrivarono da noi due uomini con in mano due paia di pattini. Sgranai gli occhi, non sarei mai salito su quella pista, mai e poi mai.
«Non lo farò mai.» dissi io, capendo ciò che aveva organizzato.
«Si che lo farai.» rispose lei, porgendomi i pattini. «Thank you, sir.» disse poi in un perfetto inglese ai due uomini, che intanto si allontanavano.
«Avanti, Hayama. Non abbiamo tempo da perdere.». La luna illuminava perfettamente il suo viso, i capelli le scendevano ai lati del viso, tutti arricciati dalla treccia che aveva fino a poco prima. Tentava di tenere su il vestito per mettere i pattini – non avevo idea di come sarebbe riuscita a stare sulla pista, con quella gonna così lunga – ma dovetti aiutarla a farlo, perché l’abito la intralciava.
Quando, dopo infinite lamentele, mi convinse a raggiungerla sul ghiaccio, non feci in tempo ad avvicinarmi che lei era già caduta. L’aiutai ad alzarsi, ma Kurata mi trascinò a terra con lei, ridendo come una bambina di due anni. Risi anch’io, contagiato dal suo buon umore, perché se c’era una cosa che amavo di lei – oltre al fatto che fosse meravigliosa, ma quelli erano dettagli – era che mi infondeva tranquillità. Stando con lei, non avevo bisogno di tutte le cose che mi erano servite fino a qualche mese prima – donne, divertimento, serate a bere come una spugna – perché la sua sola presenza bastava a sistemare il casino che avevo sempre avuto in testa.
«Quindi..» cominciò lei, accarezzandosi delicatamente il vestito ormai totalmente fradicio. «Ti è piaciuta l’immersione nel mio mondo?».
«Potrei quasi decidere di fare qualche provino.» scherzai io, alzandomi da terra.
Le porsi la mano, lei la prese e ci ritrovammo a pochi centimetri l’uno dall’altra. Avrei preferito troncare quell’inutile discussione lì, le parole ormai si sprecavano, ed ero stanco di confessioni infinite che alla fine non portavano a nulla. Lei minimizzò il gesto, voltandosi dall’altra parte e allontanandosi da me, facendo una giravolta sui pattini.
«Allora devo stare attenta, mi ruberai la scena!». La sentii ridere, e pensai che non ci fosse nulla di meglio che ascoltare il suono della sua risata.
«Il fidanzato di Sana Kurata sbarca ad Hollywood. La giovane attrice si ritira!» imitai il titolo di un giornale, mimandolo anche con le mani. «Lo vedo già, Kurata!». Chiusi gli occhi, gustandomi il mio immaginario momento di gloria.
Lei tornò vicino a me, tentò di darmi una botta sul braccio, ma io mi spostai così velocemente da farle perdere l’equilibrio e farla cadere, di nuovo.
Si piegò in due per le risate e, distratto dal suo sorriso, non mi accorsi che intanto mi stava facendo lo sgambetto. Normalmente, con l’occhio vigile che avevo sempre, mi sarei accorto che tentava di farmi cadere, ma quella ragazza aveva la maledetta capacità di farmi perdere totalmente la concentrazione.
In meno di due secondi, mi ritrovai per terra, con il viso affondato nei suoi capelli. Inspirai a fondo, l’aroma era sempre lo stesso, ma non smetteva per un attimo di farmi quell’effetto. Ogni volta che Sana Kurata si avvicinava a me, una scarica mi percorreva la schiena e mi lasciava totalmente interdetto. Non volevo che mi facesse quell’effetto, mi sentivo così debole a causa sua, ma d’altra parte era l’unica persona a cui avrei permesso tanto e che mi faceva provare quelle cose, quindi perché negarlo?
Dopo svariati giri di pista, in cui lei cadeva e io l’aiutavo a rimettersi in piedi, ci spostammo su una panchina vicina alla distesa di ghiaccio. Non faceva particolarmente freddo, piuttosto l’aria era pungente e fastidiosa.
«Allora, che pensi di fare quando torneremo a casa?» chiese lei, poggiando la testa sulla mia spalla. Le accarezzai i capelli, e sospirai. Cosa avrei fatto?
Potevo tornare alla mia vecchia vita o continuare ad esserle amico, aspettando che lei capisse i miei sentimenti.
«Potrei abituarmi a questa storia del fidanzamento, in effetti.» scherzai io.
«Non vorrei mai farti sfigurare davanti alle tue ragazze.»
Sinceramente non riuscivo a capire queste sue paranoie, all’università non c’era nessuna ragazza che si avvicinasse alla sua bellezza e al suo fascino, praticamente tutti i ragazzi, ogni volta che la vedevano, facevano pensieri poco casti su di lei, per dirla breve era il sogno erotico di ogni uomo, e lei non se ne rendeva neanche conto.
«Sei tu la mia ragazza.» dissi continuando ad accarezzarle i capelli. Avrei potuto rimanere in quel modo per tutta la vita, stringendomi a lei come se avessi il diritto di farlo, quando in realtà non ce l’avevo affatto.
«Che cosa significa questa frase?» chiese puntando i miei occhi.
«Significa che se non vuoi che i giornalisti smascherino la nostra montatura, bisogna continuare la farsa anche al campus. La notizia del fidanzamento sarà arrivata anche all’università, non puoi pensare che appena tornati possiamo comportarci come se niente fosse, non dobbiamo destare dubbi o sospetti.» spiegai tranquillamente io. Intanto Sana mi guardava come se stessi parlando di chissà quale stranezza, con gli occhi sgranati e lo sguardo che aveva sempre durante le lezioni di chimica, quando non capiva qualcosa, il che accadeva praticamente sempre.
«Alcune volte mi domando come tu abbia fatto a conservare questa tua ingenuità lavorando in mezzo a quegli squali. Non dirmi che non ci avevi pensato.»
«A dire il vero...» esitò, portandosi l’indice alla bocca, torturando le labbra. «No, non ci avevo pensato.»
«Dovrai sopportarmi ancora per un po’...» azzardai io. «Ora che abbiamo esaurito l’argomento fidanzamento, posso chiederti una cosa?»
Kurata mi guardò perplessa, annuendo.
«Dimmi.». La sua voce assunse un tono nervoso. «Avanti!» mi incitò.
«Io ho.. ho un amico.» cominciai. Le cose si mettevano piuttosto male se si iniziava a parlare di ipotetici amici che hanno ipotetici problemi, ma non trovavo il modo per parlarle senza avere paura di un suo rifiuto.
«Un amico..?» chiese lei, trattenendo le risate.
«Si, un amico.» la zittii io. «Un amico che.. che è innamorato.»
«Mhm..» fece lei.
«E’ innamorato, o almeno crede di esserlo, visto che non è mai successo.. però.. teme che le loro diversità siano un ostacolo troppo grande.»
«In che senso?» chiese incuriosita.
«Nel senso che lei non è il tipo di ragazza che lui è solito frequentare, lei è… diversa, lui l’ha definita.. pura.». Non potevo trovare aggettivo migliore. «Lui invece è un po’... un ragazzo difficile, diciamo.» spiegai nervosamente.
«Praticamente mi stai chiedendo se questo tuo amico che colleziona ragazze come fossero francobolli,  potrebbe essere preso sul serio da questa ragazza senza uscirne con il cuore infranto?».
La risposta a quella domanda avrebbe potuto cambiare radicalmente la mia vita, avrei potuto trovare nelle sue parole un filo di speranza, che sarebbe bastato a farmi andare avanti ma, nel peggiore dei casi, avrei potuto invece avere la certezza che lei non volesse avere nulla a che fare con me.
«Non ti ho detto che colleziona ragazze come francobolli.»
«Hai detto che è un tuo amico, basta questo per capire il genere. Comunque per rispondere alla tua domanda, penso che se ci tiene veramente deve rischiare.»
«Il problema è che non sa proprio da dove cominciare, diciamo che è il classico tipo che è abituato ad avere tutto senza dover chiedere.»
«Bè... c’è sempre una prima volta nella vita, se vuole avere qualche chance la deve corteggiare.»
«Hayama?» disse poi, voltandosi a guardare gli alberi vicini a noi.
«Mhm?»
«Continui a non credere all’amore?»
Che domanda. Avevo appena conosciuto quel sentimento, non sapevo quasi nulla di esso, ma distinguevo immediatamente quel senso di vuoto al centro dello stomaco, quando Sana si avvicinava. Avevo imparato che amare qualcuno significava anteporre la sua felicità alla tua, che Sana era la persona più importante per me, che avrei sacrificato tutto per lei.
Quando frequentavo il corso di lettere e filosofia, un giorno il professore aveva detto che Platone definiva l’amore come un demone. Un demone che cerca costantemente ciò di cui ha bisogno, ma che non lo trova mai, e che di conseguenza diventava mancanza. Riflettendoci, aveva pienamente ragione. Chi aveva torto marcio invece, era proprio chi d’amore aveva cantato fino allo sfinimento. Il caro Dante, si, proprio lui, non aveva capito un cazzo dell’amore.
Lui diceva che, nel momento in cui tu ami qualcuno, questa persona non può che amarti a sua volta, perché l’amore non tollera le ingiustizie. Ecco, questo concetto, era assolutamente sbagliato. La storia è piena di amanti non ricambiati, e non è mai protagonista di sole storie a lieto fine. Semplicemente Dante, parlava di ciò che non aveva mai conosciuto, perché la cara Beatrice era una stronza e non aveva fatto altro che prenderlo in giro.
Prendiamo una coppia ipotetica, dettata dal caso... io e Sana. La nostra non era di certo una storia che sarebbe finita con un vissero per sempre felici e contenti, perché, lo sapevo bene anche io, seppure sarei riuscito ad averla, avrei trovato un modo per rovinare le cose e allontanarla da me, perdendola.
Però, nonostante questo, amavo Sana, davvero, con tutto me stesso, come non avevo mai amato nessuno, e avevo cominciato a crederci nel momento in cui l’avevo incontrata, tanto da chiedermi come avessi fatto prima di conoscerla.
«Non lo so..» mentii infine. «Non è che non ci credo, è che è.. complicato.» confessai, quando capii che non mi sarei liberato facilmente di quella domanda se non le avessi dato una risposta esaustiva.
«E a te piacciono le cose facili...» sussurrò lei, ricordando le parole che avevo usato io, quando avevamo affrontato la prima volta l’argomento, finendo col litigare.
«No, non mi piacciono le cose facili.». E di questo poteva esserne più che certa, se ero innamorato di lei che era proprio lontana dalla definizione di facile. «E’ che dovresti vedere la cosa da anche da un’altra angolazione. Per te io sono un mostro che gioca con i sentimenti, in realtà tutte le ragazze con cui sono stato non erano diverse da me. Non ho mai costretto nessuna, sapevano che era l’avventura di una notte, e a loro andava bene così. A nessuna è mai interessato di capire chi fosse veramente Akito Hayama. E poi.. diciamo che sono bravo ad allontanare le persone quando cominciano a scavare troppo in fondo.»
Sana mi guardò perplessa, spostandosi i capelli da un lato all’altro del collo, accarezzandoli nervosamente. «Allontanerai anche me?» chiese con un filo di voce, come se la risposta potesse distruggerla.
«Mi pare di averti già fatto capire che tu non hai niente a che vedere con le altre.» risposi lapidario.
Avevo sempre cercato di trattarla in modo diverso, rivolgendole attenzioni che le altre potevano solo sognare, ma evidentemente non era bastato, se mi faceva una domanda come quella.
«Non ti allontanerò mai, Kurata. Non vorrei mai darti questo dolore.». Lei scoppiò a ridere, ma notai immediatamente che non si stava veramente divertendo, sembrava più che altro una risata isterica, quasi come se fosse terrorizzata. Infatti, un attimo dopo, tornò seria.
«Ho davvero paura di perderti.» disse abbassando lo sguardo, imbarazzata.
Sorrisi compiaciuto da ciò che mi aveva detto e, vidi le sue guance diventate rosse per la vergogna.
«Non succederà.» la rassicurai.
«Sarai così impegnato con le tue ragazze, che ti dimenticherai della tua unica amica, comune mortale.»
«Non ho intenzione di avere alcuna... ragazza quando torneremo a casa.» confessai io, convinto al cento per cento di ciò che le stavo dicendo. Non volevo avere nessuna che non fosse lei, perché con un’altra non sarebbe stato lo stesso. Se solo avvicinarmi troppo a lei mi mandava in autocombustione, non osavo immaginare come sarebbe stato fare l’amore con lei. Non dovevo pensarci, non potevo pensarci, avrei rischiato di saltarle addosso in quello stesso momento, rovinando davvero tutta la fiducia che aveva riposto in me. Se solo l’avessi toccata, se solo lei si fosse avvicinata troppo a me, se solo l’avessi baciata... non ero sicuro che sarei riuscito a fermarmi.
Lei mi guardò perplessa, sgranò gli occhi e le si formarono delle piccole rughe intorno a questi.
«Che significa che non hai intenzione di avere nessuna ragazza?»
«Prima di tutto, non ho intenzione di tradire la mia ragazza. Seconda cosa, aspetto la persona... giusta.».
Le feci l’occhiolino e lei sorrise, capendo che stavo parlando di ciò che lei mi aveva detto, la sera della nostra discussione. «Infine...», mi bloccai all’improvviso, non potevo dirle che da quando l’avevo conosciuta non avevo più toccato nessuna ragazza
«Lo fai di proposito a lasciare tutte le frasi in sospeso?»
Ero combattuto se rivelarle questo particolare, ma poi pensai che potevo giocarmi la carta della curiosità per cercare di scoprire cosa si nascondesse dietro la perenne inadeguatezza e insicurezza di Sana.
«Ti svelerò il segreto solo dopo che tu avrai risposto alle mie domande..»
La presi per mano e, convinto del fatto che certi discorsi era meglio affrontarli da soli, e non dove qualsiasi giornalista – con Sana avevo imparato che i paparazzi erano sempre in agguato – avrebbe potuto sentirci, mi diressi verso il nostro albergo. La strada non fu particolarmente lunga, piuttosto imbarazzante, nel silenzio assoluto.
Non avevo il coraggio di parlare, perché sarei stato capace di dire cose di cui mi sarei pentito, quindi mi limitai a tacere per tutto il tempo.
Quando arrivammo in hotel, non riuscivamo quasi a reggerci in piedi tanto eravamo stanchi, ma cercai ugualmente di rimanere sveglio più tempo possibile, come a voler prolungare quella giornata per paura che, la mattina dopo, mi sarei svegliato e l’avrei persa.
Mi ero già tolto lo smoking, Sana era in bagno a struccarsi, mentre io ero disteso a letto, davanti alla tv, aspettando che lei venisse a dormire. Ero titubante sul discorso che avremmo affrontato di lì a poco, avrei dovuto rivelare a Sana che, nel momento in cui avevo incrociato i suoi occhi color nocciola, non avevo più messo le mani su nessuna ragazza, che conoscerla, capirla, viverla, mi aveva profondamente cambiato e che non ero più lo stesso ragazzo che aveva conosciuto mesi prima.
«Quindi.. me lo sveli questo segreto?». Sana era poggiata alla porta della stanza da letto, indossando un semplice pantaloncino e una maglia troppo larga per lei. Le piaceva proprio provocarmi, eh?!
«Siediti..» le dissi, indicandole il mio letto. Lei fece come le avevo detto, incrociando le gambe come una bambina, e aspettando che io parlassi.
«Prima di.. svelare questo fantomatico segreto, voglio farti alcune domande. Altrimenti addio mistero.» la minacciai, calcando la mano sulla sua curiosità. Sapevo che voleva conoscere ciò che le stavo nascondendo, quindi ero sicuro al cento per cento che avrebbe risposto a tutte le mie domande.
«Perché dici sempre con tanta convinzione che le altre ragazze siano migliori di te?».
Avvertii il suo imbarazzo, abbassò gli occhi e continuava a mordersi  il labbro, torturando quella povera bocca come se fosse la colpevole del suo disagio.
«Non vorrei essere indiscreto Sana ma.. non penso che tu sia ignara della tua bellezza.» Quelle parole uscirono dalla mia bocca come un fulmine, non me ne accorsi nemmeno.
«A volte la bellezza non è tutto, Hayama.»
«Ma tu ne hai da vendere, quindi non vedo il motivo di tali insicurezze.»
Sana mi guardò, perplessa dalle mie parole, come se non si aspettasse un complimento da parte mia. «Che c’è?» le chiesi, visto che continuava a sgranare gli occhi, incredula.
«Niente..» si limitò a rispondere lei, abbassando nuovamente lo sguardo, quasi timorosa di incrociare il mio. «E smettila di calare lo sguardo, mi spieghi il motivo di tanti complessi?» le chiesi poi, consapevole del fatto che senza una domanda esplicita non mi avrebbe mai risposto seriamente.
«E’ che..» si bloccò, continuando a mordersi il labbro. La bloccai, mettendole un dito sulla bocca, temendo anche che si sarebbe fatta uscire il sangue da un momento all’altro.
«Io.. sai, le tue amiche..» cominciò ravviandosi i capelli dietro le spalle, cercando un modo per nascondere il suo imbarazzo. «Le tue amiche.. sono.. piuttosto esperte, diciamo.»
«In che senso?» le chiesi, sapendo già dove voleva andare a parare.
«Andiamo, Hayama, hai capito, non farmelo dire, ti prego.»
«Sul sesso?» azzardai, sogghignando. «Sono più esperte sul sesso?»
«Si..» sussurrò lei, nascondendo il viso tra le mani, rossa di vergogna. Sorrisi, imbarazzato anch’io. Non avevamo più affrontato l’argomento sesso da quando avevamo finito per litigare e io avevo cercato prontamente di evitarlo, per paura che capitasse ancora. Provai comunque a rimediare al disastro che avevo combinato. «Dai, Sana.. non è mica la fine del mondo!»
«Ah no?! E allora perché hai riso quando hai saputo che.. si, insomma.. io..». Non riusciva nemmeno a guardarmi negli occhi e mi ritrovai quasi a scoppiare a ridere, poi mi trattenni, sicuro che non sarebbe stato carino metterla in imbarazzo più di quanto già non si ci sentisse.
«Ho riso perché... si, insomma, da una ragazza bella come te, famosa come te, non me l’aspettavo. Tutto qui.» conclusi io, spegnendo subito dopo la luce.
«Ma che fai?» mi chiese con la voce quasi spaventata.
«Certe confidenze si fanno meglio al buio, almeno non sarai costretta a guardarmi negli occhi.»
Percepii che sorrise, quindi il mio me interiore mi fece un applauso che io accettai di buon grado. Ogni tanto anch’io ne facevo una giusta.
«Quindi...?» la incalzai io. Volevo che si aprisse a me, rendendomi partecipe anche dei suoi timori più intimi. «Hai paura?» le chiesi accarezzandole i capelli.
«Sarebbe meglio che questi discorsi li facessi con Beth, non pensi?»
«No, non penso. Sono il tuo migliore amico, giusto?»
Indugiò un attimo prima di rispondermi. «Lo sei, Hayama, ma questo non vuol dire che...». La zittii posandole l’indice sulle labbra.
«Amicizia, lezione numero uno: gli amici si raccontano tutto.»
Sentivo la sua diffidenza nel modo in cui muoveva le labbra sotto il mio dito e sorrisi di rimando. Era un sorriso amaro però, perché ancora non riusciva a fidarsi al cento per cento.
«Parla, Kurata.». Sbuffò un attimo, ma poi parlò.
«Non c’è molto da dire, credo si possa riassumere in poche parole...»
«Stai divagando, Kurata.». Conoscevo troppo bene quel trucchetto, l’avevo inventato io.
«E va bene!» sbuffò ancora. «Ho semplicemente paura, ti basta come spiegazione?»
«Paura di che?» le chiesi, ormai incuriosito.
«Ti prego Hayama, finiamola qui, tanto tu non potresti capire..»
«Mettimi alla prova, magari potrei stupirti.»
Fece un respiro profondo e raccolse tutta la sua forza per confidarmi ciò che provava.
«E’ difficile per me parlarne senza sembrarti paranoica, ma dopo aver passato una vita ad aspettare il principe azzurro ed a fantasticare su noi due, temo di rovinare tutto a causa della mia insicurezza e della mia goffaggine, e ho il terrore di rendergli l’esperienza talmente deludente da spingerlo ad andare via».
«Quindi hai paura di essere scaricata solo perché non hai mai fatto sesso?»
«Grazie per la tua delicatezza, ma si. Il concetto è quello.»
Stavolta scoppiai davvero a ridere, quasi involontariamente, ma non riuscii a trattenermi. Ma come le veniva in mente una cosa del genere?
«Kurata, nessuno si sognerebbe di perdere una ragazza come te, e non parlo solo del fatto che sei bellissima. Credo che il problema sia che tu tenda a razionalizzare troppo la cosa. Per quello che ne so, nell’amore non esiste logica, per viverlo bene bisogna solo abbandonarsi.»
«Per te è semplice, sei stato a letto con tutte le ragazze del campus!»
«Bhe, non proprio con tutte…  ma se può tranquillizzarti neanche io ho mai fatto l’amore.»
Sapevo che mi stavo inoltrando in un discorso un po’ complicato per me e sapevo anche quanto lo fosse per lei, ma quelle parole mi erano venute spontanee perché avrei voluto che capisse che le sue paure erano infondate.
Fece per alzarsi, lanciandomi un’occhiata che avrebbe potuto trafiggermi, ma io l’afferrai per il polso trascinandola di nuovo a letto con me. «Fammi spiegare: quello che volevo dire è che c’è un enorme differenza tra fare sesso e fare l’amore.»
«E tu la conosci questa differenza?»
La sua domanda mi colse alla sprovvista, non sapevo cosa risponderle perché in realtà non la conoscevo affatto, ed ero consapevole del fatto che se non fosse stato con lei, allora non avrei mai saputo in cosa consistesse la differenza.
«Spero di conoscerla presto. Comunque, in base alla mia esperienza, posso dirti che il sesso è la strada più semplice da percorrere, nessun legame, nessun dolore. Fare l’amore, sicuramente, sarà abbandonarsi totalmente a quella persona, regalandogli la completa fiducia che nulla potrebbe intaccare il vostro rapporto.» conclusi infine, continuando ad accarezzarle i capelli. «Adesso dormiamo, domani si fanno i bagagli.»
Sana si avvicinò e mi sussurrò a fior di labbra: «Buonanotte, Hayama.», prima di circondarmi il petto con il braccio e addormentarsi. Quella ragazza mi avrebbe fatto impazzire!




Bene, eccomi qui anch'io, con un nuovo aggiornamento. Sono alla stesura del sedicesimo ormai, e ci saranno dei grandi colpi di scena. Non potete nemmeno immaginare quanti ce ne saranno. 
Intanto, come sempre, vi ringrazio per tutte le recensioni, tutti i preferiti, ricordati, seguiti, e tutto il resto. Siete meravigliose!!! 
Vi lascio una piccola anticipazione, come sempre. 
Bacino, 
Akura.


Estratto dal prossimo capitolo:

«Che stai facendo?» gli chiesi toccando la benda e notando che non riuscivo a vedere nulla, nemmeno una minima luce.
«Ricambio il favore di Central Park.» si limitò a rispondere. Sorrisi, imbarazzata da morire, ma piena d’entusiasmo. 
*
Provavo un migliaio di sentimenti diversi, da un lato la volevo vicina il più possibile, dall’altro invece avrei voluto allontanarla perché non si facesse male o perché non mi facessi male io, le possibilità erano due. In entrambi i casi avrei sofferto, quindi tanto valeva averla accanto. 
 

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Capitolo 15
*** You're beautiful. ***


CAPITOLO 15.
You’re beautiful.
Pov Sana.

Non era una bella giornata, dovevo ammetterlo. Mi ero svegliata tardissimo e, dopo essermi vestita a tempo di record, ero uscita dal dormitorio senza un velo di trucco. Sentivo le labbra attaccate l’una all’altra, le braccia indolenzite perché ero stata per tutta la notte in una strana posizione e, come se non bastasse, la testa mi stava scoppiando. Cercavo disperatamente di arrivare in orario, sotto insistenza di Beth che mi aveva fatto un’infinita ramanzina, la sera prima, sul fatto che ormai non ero più a New York e che avrei dovuto abituarmi nuovamente agli orari universitari. Aveva ragione, ma non glielo avrei mai detto.
Ormai erano circa quattro giorni che avevamo fatto ritorno al campus, ed era stato abbastanza strano, almeno inizialmente. Io e Hayama cercavamo di comportarci nella maniera più naturale possibile ma, a volte, l’imbarazzo aveva la meglio e io evitavo di farmi abbracciare o stringere troppo. Non perché mi dispiacesse, anzi, avrei voluto rimanere attaccata a lui per tutto il tempo, ma perché non volevo che pensasse male. Se avesse solo minimamente immaginato che i miei sentimenti andavano ben oltre l’amicizia, tutto sarebbe stato rovinato in partenza e non potevo assolutamente permettermi di perderlo.
Arrivai con sette minuti precisi di ritardo, ma tutti i ragazzi erano ancora per i corridoi quindi cominciai a cercare Beth che era uscita prima di me perché aveva appuntamento con Tsuyoshi. Intravidi la sua chioma bionda da lontano, comincia ad accelerare il passo per raggiungerla e, non appena fui abbastanza vicina, notai che insieme a lei e Tsuyoshi, c’era Hayama. Cominciai ad entrare nel personaggio della fidanzata perfetta, forse il peggiore interpretato in vita mia, ma l’unico che avrei voluto non fosse una finzione.
«Buongiorno, tesoro!». Dissi ad alta voce per far si che ci sentissero tutti. Non appena Hayama mi vide, si fiondò sulla mia bocca, baciandomi a fior di labbra. Avrei voluto sprofondare all’istante, non l’aveva mai fatto da quando eravamo tornati dalla Grande Mela, ed era un gesto assolutamente inaspettato. Quando riuscii a riaprire gli occhi, incontrai le iridi d’ambra di Hayama e, in quel momento, avrei voluto che il tempo si fermasse. Il sorriso di Hayama era un paesaggio meraviglioso, dove avrei voluto perdermi per tutta la vita, anche se forse non ero all’altezza di una persona del genere.
«Ciao, amore!» Sottolineò l’ultima parola, alzando anche lui la voce di un tono per farsi sentire. Mi cinse la vita con un braccio e prendemmo a camminare per i corridoi sotto gli occhi ancora stupiti di tutti. In realtà non avevano totalmente torto ad essere sconvolti, la coppia Hayama-Kurata non stava esattamente in piedi da sola, sembravamo più una caricatura di una coppia che una coppia vera e propria. Eppure eravamo carini, non eccessivamente mielosi come Beth e Tsuyoshi, ma abbastanza da salvare le apparenze. Se solo Naozumi fosse venuto a sapere, per vie traverse, che era stata solo una finzione, mi avrebbe rovinato la reputazione che, purtroppo, dovevo mantenere al meglio essendo un personaggio pubblico.
Negli ultimi giorni avevo considerato più volte la possibilità di tornare a recitare, magari non in tv, ma a teatro. Non ne avevo ancora parlato con nessuno, l’ultima volta che avevo sentito mia madre le avevo raccontato ciò che Naozumi aveva fatto e come Hayama mi aveva difesa. Voglio conoscerlo, questo principe azzurro!  Mi aveva detto al telefono. Se solo avesse saputo che era tutt’altro che un principe azzurro. Non avevo perso tempo a spiegarle che la nostra era una relazione puramente inventata e che mi ritrovavo sempre più spesso a fantasticare su noi due e sul fatto che avrei desiderato che questo sogno diventasse realtà. Hayama mi distolse dai miei pensieri contorti, che stavano decisamente diventando troppo ingombranti nella mia testa.
«Stasera si festeggia il ritorno a casa, visto che non l’abbiamo fatto prima. Cenetta da me, Tsu e Beth escono, quindi saremo soli!». Il suo tono era squillante, si sentiva felice come una pasqua, a differenza mia che invece mi chiedevo quando sarebbe finita quella recita. Avremmo sicuramente dovuto architettare qualcosa anche per la nostra finta rottura, e già la cosa mi metteva in agitazione. Chi avrebbe lasciato chi? Chi si sarebbe umiliato di più? Questa storia mi avrebbe fatto uscire di testa. Comunque, l’invito di Hayama non mi dispiaceva, avrei preferito che ci fossero anche i nostri amici, ma pazienza, non potevo costringerli a rimanere con noi, anche se avrei potuto minacciare Beth...
No.
Ora che la sua relazione con Tsuyoshi andava più che bene, non mi sembrava il caso di rovinarle la serata, mettendola in mezzo ai drammi della mia finta coppia.
«Va bene, Hayama. Basta che non mi avveleni.» dissi prendendolo in giro. Non sapevo se avrebbe cucinato lui, o se avremmo ordinato la pizza come al solito, ma non m’importava. La cosa essenziale, che oscurava tutto il resto, è che saremmo stati soli.
Avrei potuto confessargli i miei sentimenti, mettendo fine a questa lenta agonia, ma dopo almeno cinque minuti di buona riflessione, l’idea non mi parve più così buona. La nostra amicizia – e finta relazione – sarebbe stata compromessa, e non potevo permettermi assolutamente di perdere quel meraviglioso ragazzo dagli occhi color miele che mi illuminava la vita. Il nostro rapporto andava bene così, lui doveva continuare ad andare dietro a tutte quelle ragazze e io dovevo continuare con la mia vita, perseverando nel ruolo della migliore amica e, da poco, finta fidanzata.
Ci sarei riuscita, in un modo o nell’altro.

 
*
 
Quando Akito passò a prendermi la situazione sembrò piuttosto imbarazzante. Nessuno dei due in macchina diceva nulla, e io stavo cominciando a sudare freddo. Dal nostro ritorno da New York le cose si erano fatte piuttosto fredde, se così si possono definire, e io non riuscivo più ad essere con lui come ero prima di salire su quell’aereo. Forse perché gli avevo aperto me stessa, gli avevo raccontato così tante cose di me che adesso il solo fatto di parlare ancora mi metteva a disagio. Non facemmo in tempo ad arrivare a casa sua che mi ritrovai bendata sul sedile dell’auto, poco prima di svoltare l’angolo.
«Che stai facendo?» gli chiesi toccando la benda e notando che non riuscivo a vedere nulla, nemmeno una minima luce.
«Ricambio il favore di Central Park.» si limitò a rispondere. Sorrisi, imbarazzata da morire, ma piena d’entusiasmo.
Mi aiutò a scendere dalla macchina, mi guidò verso la porta e, quando fummo dentro, l’odore di incenso mi inondò le narici.
«Pronta?» sussurrò al mio orecchio mentre mi slegava la benda. Sorrisi ancora, la situazione cominciava a farsi intrigante e quell’odore mi stava quasi stordendo.
«Si.» risposi poco dopo.
Quando mi tolse la benda, vidi l’appartamento totalmente diverso. Era pieno di cuscini esotici, Akito aveva spostato l’enorme tavolo che occupava quasi tutto il salone e lo aveva sostituito con uno di quei tavolini che si usano per mangiare per terra. C’erano candele profumate – anche troppo, aggiungerei – e tutto aveva un’atmosfera quasi.. quasi da appuntamento.
«Ti piace?». Hayama mi si parò davanti, con quegli occhi speranzosi della mia approvazione. Anche se non mi fosse piaciuto, come avrei potuto dirgli no?
«È tutto.. meraviglioso.» dissi poi, continuando a guardarmi intorno. Aveva pensato ad ogni minimo dettaglio, al colore dei cuscini, aveva comprato il vino, che vedevo sul tavolo, c’era la musica di sottofondo, una canzone che conoscevo ma di cui, in quel momento – forse per il troppo stupore – non ricordavo il titolo.
Era tutto perfetto.
«Sono contento che ti piaccia, c’ho messo una vita a sistemare tutto. Quindi, ora siediti..». Mi tolse il copri spalle in jeans e lo poggiò sulla poltrona vicina a lui. «.. e goditi la serata.»
Mi rivolse un sorriso smagliante, contagioso e io non potei fare a meno di sorridere a mia volta. Mi fece accomodare sul cuscino, poi si dileguò in cucina. Tornai a guardarmi intorno, pensare che avesse preparato tutto quello per me mi dava una sensazione strana, quasi come se tutto fosse irreale. E lo era, altroché se lo era. Akito Hayama, entrato di diritto nell’albo d’oro dei ragazzi più desiderati della Sophia University, l’università più prestigiosa del Giappone, che con un semplice sguardo riusciva ad avere tutti ai suoi piedi, le ragazze che avrebbero fatto carte false per stare sotto di lui e i ragazzi che avrebbero fatto di tutto per essere come lui, che si ritrova a preparare una cena per Sana Kurata, l’anonima attricetta che si è trasferita qui per scappare dai suoi problemi e per allontanarsi dal mondo dello spettacolo che tanto la faceva soffrire. Suonava così cinematografico.
«Ed ecco a te, la mia specialità.»
Akito arrivò alle mie spalle con due piatti in mano, uno dei quali mise davanti a me.
«Pasta?» dissi sorridendo. «Non sapevo fossi un cuoco.»
«Le mie qualità vanno scoperte poco a poco, cara Kurata.». Mi rivolse un sorriso sghembo, uno dei suoi soliti sorrisi mozzafiato che potevano ucciderti se non facevi attenzione a mantenere calmo il cuore. Il mio non voleva saperne di calmarsi, continuava a martellare dentro al petto così forte che, se solo Hayama avesse abbassato il volume della musica, avrebbe sentito il suo battito.
Mentre mangiavamo – e dovevo ammettere che Hayama era davvero uno chef provetto – notai che, nonostante io cercassi di tenere viva la conversazione, lui continuava a rivolgermi sorrisi forzati, come se ci fosse qualcosa che voleva dirmi ma che non trovava il coraggio di rivelarmi. Volevo indagare a fondo, ma anche io temevo che la discussione sfociasse in argomenti a cui avrei saputo rispondere a stento. Eravamo complicati da gestire, insieme potevamo essere una forza della natura, ma eravamo anche capaci di distruggerci a vicenda.
«Posso chiederti cos’hai?» dissi posando la forchetta al lato del piatto, come ogni libro del Galateo avrebbe vietato. «Perché continui a giocherellare col cibo, invece di goderti la serata?»
Alzò lo sguardo, capendo di essere stato scoperto.
«Parla, Hayama.»
Esitò un attimo, poi parlò. «Ho organizzato tutto questo per passare la serata con te, convinto che fosse solo una cena per augurarci il ben tornati, ma mi sembra più una cena d’addio.»
Posò anche lui la forchetta e incrociò le mani davanti al viso, nascondendolo. «E’ come se, giunta al tuo scopo, io non ti servissi più. Tanti cari saluti, Hayama!» Mimò le ultime parole con le mani, celando il dispiacere dietro ai suoi soliti gesti idioti. Non era affatto così, anzi, ma lui continuava a fissarmi con quell’espressione da cane bastonato che mai gli avevo visto sul volto.
«Sai che non è così.» cominciai io, spostandomi i capelli dal viso per guardarlo meglio negli occhi. «Non chiuderò questo... questo rapporto perché la storia di Naozumi è finita. Non sono una persona del genere, e se lo pensi, credo che tu non mi conosca affatto.»
Le mie parole dovettero turbarlo particolarmente, si ravviò i capelli portandoli indietro in un gesto nervoso, e continuando a respirare affannosamente, come se non riuscisse a parlare. Vedendolo in quello stato non potei fare a meno di volerlo vicino, quindi mi alzai e, girando attorno al tavolino, mi gettai praticamente su di lui, mettendomi sulle sue ginocchia. Affondai il viso nell’incavo del suo collo, e l’odore di muschio mischiato al suo odore naturale così piacevole, mi travolse. Avrei voluto baciarlo, senza preoccuparmi delle conseguenze, senza dover per forza pensare a ciò che sarebbe accaduto dopo o in che modo lui avrebbe interpretato la cosa. Che poi, come avrebbe dovuto interpretarlo un bacio? C’è solo un modo, nel mio mondo.
«Che stai facendo?» mi chiese cominciando ad accarezzarmi i capelli.
«Ti dimostro che hai torto.» risposi io, avvicinandomi ancora di più a lui.
«Allora perché ho la sensazione che non ti rivedrò più?».
Non seppi cosa rispondere, sentii che sospirò e allora, allontanandomi per un attimo dal suo collo, lo guardai negli occhi. Presi ad accarezzargli la mascella, visibilmente tesa al mio tocco, e mi sentii quasi in colpa, nonostante non avessi fatto assolutamente nulla. Non capivo perché dovesse comportarsi così, come se solo lui stesse soffrendo per quella maledetta situazione, come se io non provassi nulla. Probabilmente era proprio quello che pensava.
Chiusi gli occhi e mi avvicinai per baciarlo sulla guancia, ma lui si girò e finii per baciarlo sulla bocca. Per un attimo il tempo sembrò fermarsi, quasi come se il mondo avesse premuto il tasto pausa e si fosse messo a guardarci. Rimasi interdetta, a dire la verità. Non riuscivo ne a staccarmi ne tantomeno a ricambiare il bacio. Nessuno dei due chiuse gli occhi, ci guardavamo, forse perché le cose avevano preso una piega che nessuno dei due si aspettava. Non sapevo cosa fare, ero in preda al panico assoluto, ma trovai ugualmente il modo di uscire dall’imbarazzo, staccandomi da lui – che fu probabilmente la cosa più difficile che avessi fatto da quando avevo messo piede in quell’università – e sorridendogli, quasi a voler minimizzare il gesto.
Era tutto già così complicato con la nostra finta relazione, che non avevo voglia di aggiungere veri problemi sentimentali alla mia vita anche se, da quando conoscevo Hayama, i problemi sentimentali erano stati all’ordine del giorno. Quel ragazzo mi aveva sconvolto la vita, e io non sapevo se doverlo ringraziare oppure maledirlo fino a perdere la voce.
«Andiamo, ti riporto al dormitorio...» sussurrò poco dopo, quasi sbuffando. Non volevo dormire con Beth quella sera, volevo averlo vicino, volevo stringerlo come avevo fatto a New York, quando dormivamo abbracciati praticamente ogni sera. Non avevo voglia di ritrovarmi nel letto da sola, senza di lui ad accarezzarmi la schiena, senza sentire il suo respiro vicino a me.
Mi scostai leggermente, tornando a guardarlo negli occhi. «Non potrei rimanere qui, per stanotte?» gli chiesi in un filo di voce. Il tempo che impiegò per rispondermi mi parve un’eternità, fin quando non lo vidi allargare la bocca in un sorriso, e abbracciarmi nuovamente.
«Si..» mormorò mentre ancora mi stringeva.
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Pov Akito.

Il bacio che le avevo rubato aveva cambiato le cose, me lo sentivo proprio al centro della pancia, come un meraviglioso presentimento di felicità. Sana esitò per un po’ sulle mie labbra, quasi scioccata dal mio gesto, notai che aveva avuto una reazione meno esagerata all’università, quando l’avevo baciata davanti a tutti. Probabilmente aveva pensato che fosse normale che lo facessi in pubblico, per tenere in piedi la nostra recita, ma che da soli, le cose fossero diverse. Io mi sentivo ugualmente fidanzato, in entrambi i momenti.
Rimasi un po’ a bearmi del profumo dei suoi capelli, simile ai frutti di bosco, e, quando capii che stavo lentamente cedendo, decisi che era ora di riaccompagnarla.
«Andiamo, ti riporto al dormitorio...» bofonchiai, quasi sbuffando. Lei si scostò nuovamente e tornò a guardarmi negli occhi. Quando guardavo le sue iridi scure, non capivo mai cosa dicessero. A volte vi leggevo una profonda paura, specialmente da quando mi aveva raccontato i suoi timori, altre volte frustrazione, altre volte gioia pura che io non avevo mai sperimentato. Spesso la invidiavo. Lei era capace di provare mille emozioni, anche tutte insieme, e non le rinnegava, anzi, il più delle volte le mostrava, orgogliosa. Io ci riuscivo raramente e, tutte le volte che lo avevo fatto, era stato grazie a lei.
«Non potrei rimanere qui, per stanotte?» mi chiese poco dopo, arrossendo visibilmente, ma rimanendo ugualmente seria. Non sapevo se credere alla sua richiesta, pensavo mi stesse prendendo in giro, così, per puro sadismo. Stavo quasi per scoppiare a ridere quando invece capii che non scherzava affatto, mi stava chiedendo di dormire insieme.
Tentennai un attimo, non sapevo se sarei riuscito a controllarmi con lei accanto una notte intera. A New York avevo sempre trovato un diversivo per allontanarmi, nonostante fossi sempre io a proporre di dormire nello stesso letto. Le opzioni erano due: o mantenevo il controllo, non sapevo come, ma dovevo comunque provarci e la mia ricompensa sarebbe stata poterla stringere tra le braccia una notte intera, oppure le dicevo di no perché ero così stupido da non riuscire a tenere le mani a posto. Ovviamente, optai per la prima. Niente avrebbe potuto allontanarmi da una nottata in sua compagnia.
«Si.» dissi infine, dopo aver ponderato bene la scelta.
La presi per mano e la portai in camera, probabilmente quella sarebbe stata l’occasione della mia vita, ma sapevo anche che non dovevo illudermi perché Sana non era il tipo di ragazza da venire a letto con me, semplicemente perché aveva deciso di rimanere a dormire. Temevo che quella richiesta fosse un modo carino e dolce per darmi il ben servito. Non potevo pensarci, non riuscivo a pensarci in realtà. Solo provando a farlo il mio petto cominciava a comprimersi, e sentivo una strana sensazione agli occhi. No, non potevo piangere. Avrebbe visto un lato di me che non volevo condividere con nessuno, nemmeno con lei, che mi era stata tanto vicino, come mai nessuno aveva fatto. Eppure c’era ancora qualcosa che ci allontanava, e non si trattava né della mia assoluta tendenza a rovinare le cose e neppure della sua naturale tendenza a scappare da me. Era qualcosa che mancava tra di noi, in lei più che altro. La fiducia. Sana non riusciva a lasciarsi andare semplicemente perché non si fidava al cento per cento di me, perché temeva che avrei distrutto tutto, portandomi a letto una matricola qualsiasi. No, non l’avrei fatto, eppure per uno strano motivo, lei ne era ancora convinta, nonostante negli ultimi tre mesi non mi avesse mai visto con nessuna, ma di certo non potevo neppure dirle che da quando l’avevo conosciuta, quella sera alla festa, per me le altre erano magicamente sparite.
Ci mettemmo a letto insieme, in silenzio, come se le parole potessero danneggiare la magia che si era venuta a creare. Come se fossero superflue, e in realtà lo erano davvero.
«Io.. io non..». Le misi un dito sulla bocca per zittirla, le parole non servivano davvero, non m’importavano i motivi che l’avevano portata a chiedermi di restare, la cosa importante era che fosse lì, vicino a me, che non fosse fuggita. Se mi voleva o meno, quello sarebbe stato il destino a deciderlo, ma in quel momento l’unica cosa che davvero ritenevo essenziale era lei.
La vidi accoccolarsi sul cuscino, sorridermi e poi lentamente addormentarsi mentre le accarezzavo i capelli. Non successe assolutamente nulla, ma fu probabilmente la prima volta in cui mi sentii veramente ricambiato, anche se preferivo non costruirmi troppi sogni, visto che non era una situazione facile. Forse avrei dovuto chiedere consiglio a Beth, o a Tsuyoshi. Non avevo idea di cosa fare, continuavo a scervellarmi sul modo per conquistarla definitivamente, senza più nulla a mettersi tra di noi, ma Sana era una persona complicata, non sapevo mai come avrebbe reagito ad un mio comportamento. Avrei dovuto trovare qualcosa, e in fretta, altrimenti tutto sarebbe crollato come un castello di carte. L’ultima carta, però, doveva essere quella vincente.

 
*
 
Il mio risveglio fu decisamente insolito, mi trovavo avvinghiato ad una ragazza che non sapevo chi fosse. O mio Dio, ti prego, fa che non mi sia portato a letto qualcuno, ti scongiuro! Mi alzai su un gomito per controllare meglio e il profumo della ragazza sconosciuta mi fece tranquillizzare. Non era affatto sconosciuta, era Sana. Ricordai immediatamente tutto: mi aveva chiesto di rimanere a dormire, dopo la nostra cena che non sapevo se classificare come un appuntamento. No, in realtà non lo era stato, ma che importava. Io ormai mi sentivo totalmente impegnato, il fatto che lei non lo sapesse erano solo dettagli.
Provavo un migliaio di sentimenti diversi, da un lato la volevo vicina il più possibile, dall’altro invece avrei voluto allontanarla perché non si facesse male o perché non mi facessi male io, le possibilità erano due. In entrambi i casi avrei sofferto, quindi tanto valeva averla accanto.
Sentii che si muoveva nel sonno, agitata. Tutte le volte che avevamo dormito insieme non avevo mai sentito che parlasse, eppure mugugnava qualcosa che però non riuscivo a capire. Mi avvicinai per ascoltare meglio ma lei smise di parlare, quindi feci strada verso il salone dove sapevo avrei trovato uno Tsuyoshi furioso per il casino che avevo combinato la sera precedente.
Infatti, le mie previsioni erano azzeccate.
«No, dico, ti sembra il caso di rivoluzionare l’appartamento così, senza avvisare?»
Di prima mattina sapeva benissimo che non era il caso di articolare discorsi troppo difficili da comprendere, eppure ogni volta si ostinava, pensando che io lo ascoltassi.
«Fino a prova contraria è anche casa mia, o sbaglio?» dissi sedendomi sul divano e accendendo la tv. «E poi» continuai «in realtà è più casa mia che tua, visto che ormai non ci vivi neppure più.»
«Ho di meglio da fare, Akito.» Mi rivolse uno sguardo eloquente e cominciò a rovistare nel frigo in cerca di qualcosa da mangiare.
«Dimmi che non hai usato anche l’ultima cosa commestibile che c’era qui dentro.»
«Ho preparato la cena, ieri sera. Come credi che abbia cucinato?» risposi io, già infastidito.
«Capisco, fratello, capisco. Hai preparato la cena, eh?» disse ammiccando. Lo odiavo quando faceva così.
«Si, ho preparato la cena. E, prima che tu lo chieda, era per Sana.» Continuavo a fare zapping non trovando nulla d’interessante, e stavo cominciando ad innervosirmi. Perché la televisione non trasmetteva mai nulla di buono quando volevo sfuggire ai discorsi paranoici di Tsuyoshi?
«Non avevo dubbi, amico.» Si gettò insieme a me sul divano, rubandomi il telecomando dalle mani e abbassando il volume. «Stasera si esce, e sarà la tua occasione. Ho già avvisato Beth di stare buona, quindi non avrai alcun problema con la mia ragazza, non ti minaccerà di morte.»
«Fantastico, non temerò per le mie palle allora.»
«Esatto, saprà stare al suo posto.» Fece per alzarsi, ma poi si sedette di nuovo accanto a me. «Akito, parliamone seriamente.. ne sei innamorato?»
Non ero preparato ad un interrogatorio, mi aspettavo piuttosto che me lo avrebbe chiesto in un modo diverso e, di certo, non in quel momento, con Sana a pochi metri da noi.
Riflettei per un attimo, non sapevo nemmeno perché ero così titubante nel dirlo, visto che me n’ero accorto già da un bel po’. Forse perché ammetterlo davanti al mio migliore amico significava dare a questo rapporto delle aspettative, aspettative che potevano essere facilmente deluse. Alla fine cedetti comunque.
«Si vede tanto, eh?» dissi cercando di sdrammatizzare la situazione.
«Oh, se si vede! Quando sei vicino a lei, smetti di essere il bastardo che sei sempre stato e diventi la persona che tua madre avrebbe voluto che fossi.»
Tsuyoshi non nominava mai mia madre, si guardava bene dal farlo perché sapeva che era un argomento delicato per me, che avrebbe potuto mandarmi su tutte le furie. In realtà, anche se mi costava ammetterlo, aveva ragione. Mia madre non avrebbe voluto che io fossi come ero prima di conoscere Sana, anche se in realtà la colpa era anche un po’ sua, e di quei due demoni che aveva avuto come marito e figlia. Tsuyoshi mi fissò interrogativo, cercando di decifrare i miei pensieri dopo la sua frase ad effetto. Non provavo granché, potevo solo riconoscere che avesse ragione, perché alla fine, non conoscevo nulla di mia madre. Il signor Hayama – ormai mi limitavo a chiamarlo così, papà era una parola di cui non conoscevo neppure il significato – non mi aveva mai raccontato molto di lei, e io non avevo mai chiesto per paura di peggiorare le cose tra di noi. Ma peggio di così, non poteva di certo andare.
«Si, va bene.» chiusi il discorso.
«Vabbè.. vado di là a farmi una doccia.» disse alzandosi dal divano, poggiandomi una mano sul ginocchio.
«Fai piano, Sana ancora dorme.» gli dissi come se fosse la cosa più naturale del mondo. E in realtà, per me lo era. Non trovavo nulla di strano nel fatto che Sana dormisse a casa mia, ma evidentemente Tsuyoshi non era dello stesso parere.
«Sana?!» chiese sbigottito. «Sana è qui? Sta dormendo nel tuo letto?»
Mi voltai e trovai i suoi occhi infuocati. Ma come, un attimo prima aveva fatto la predica sul mio intento di conquistarla, e ora si arrabbiava se lei aveva dormito qui?
«Si, Tsu, sta dormendo nel mio letto. E allora?»
«Se l’hai toccata, e sono sicuro che sia così, Beth ti ucciderà con le sue stesse mani.» Si toccò i capelli nervosamente. «Anzi, prima ucciderà me!»
Io continuai ad essere più che tranquillo. «Non l’ho toccata, se proprio vuoi saperlo. E poi è stata lei a chiedermi di restare, non io.» dissi liquidando la discussione. Ero stanco delle inutili gelosie di Beth, sapevo che se si comportava così era solo per proteggerla, ma la cosa stava già cominciando ad infastidirmi. Io non ero un nemico, mi sarei fatto ammazzare per renderla felice, ed era ora che Beth lo capisse. Era stata proprio lei ad incoraggiarmi, tempo fa, a mettercela tutta per avere Sana, ci aveva aiutati ad organizzare la partenza per New York, e ora faceva la gelosa? Le donne!
Mi alzai dal divano, dirigendomi in cucina, per evitare che la discussione continuasse e che io avessi dovuto prendere a pugni il mio migliore amico. Quando si ci metteva era proprio da pestare a sangue, quel cretino.
«È stata lei?» Alzò un sopracciglio con fare dubbioso, e me lo ritrovai a pochi metri, poggiato sulla porta della cucina.
«Si, è stata lei. La vuoi finire con questo terzo grado?» sbottai aprendo il frigo, ricordandomi solo dopo che non c’era nulla da mangiare.
«Va bene, va bene...» sbuffò Tsuyoshi dirigendosi verso il bagno e lasciandomi da solo. Finalmente, avrei aggiunto.
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Pov Sana.
Il mio letto non era di certo così grande. Continuavo a rigirarmi sul materasso, pensando a dove mi trovassi, ma in realtà non capivo nulla. Ero ancora troppo nel mondo dei sogni per rendermi conto della realtà. Continuai a fissare le pareti fin quando non riconobbi il quadro di fronte a me e ricollegai tutto ciò che era successo la sera precedente.
«Non potrei rimanere qui, per stanotte?»
O mio Dio. Avevo chiesto ad Hayama di dormire con lui, nel suo letto. Bene, adesso potevo anche scomparire per sempre. Peccato che il mondo attorno a me non fosse proprio della stessa idea, infatti sentivo Tsuyoshi che parlava al telefono con Beth, raccontandogli che ero lì e che stavo ancora dormendo. Immaginavo già i commenti della mia amica, già pronta ad assalirmi con mille domande non appena avessi rimesso piede al dormitorio. Le cose stavano cominciando a sfuggirmi di mano, decisamente. Mi alzai, decisa a sgattaiolare via prima che Tsuyoshi potesse vedermi conciata in quel modo, e prima che Hayama uscisse dal bagno e mi trovasse ancora lì. Che imbarazzo!
Cercai la mia borsa ma l’avevo gettata chissà dove nella camera e la ricerca fu inutile. Ero nel panico, quindi decisi di fare ciò che ogni ragazza ragionevole e con un pizzico di buon senso avrebbe fatto. Oltretutto, io non avevo commesso alcun crimine, non ero nemmeno andata a letto con Hayama, quindi perché avrei dovuto nascondermi?
Uscii dalla stanza con disinvoltura, cercando di domare i miei capelli che ormai avevano vita propria. Arrivai in cucina e Tsuyoshi incrociò immediatamente il mio sguardo, squadrandomi da testa a piedi.
«Buon giorno, Sana.» disse sorridendomi e porgendomi un bicchiere di succo d’arancia. «È l’unica cosa che ho trovato, ieri Hayama ha combinato un bel casino per cucinare.». Sorrise di nuovo, indicandomi la sedia e io ricambiai il sorriso, facendo come diceva lui.
«E.. Hayama dov’è?» chiesi imbarazzata.
«Di là a fare la doccia, voleva andare a comprarti la colazione prima che ti svegliassi per farti una sorpresa, ma la sorpresa gliela farai tu, non appena vedrà che sei sveglia.»
Sorrisi di nuovo, convinta che la conversazione stesse per prendere una piega che non mi avrebbe fatto piacere.
«Senti Sana...» cominciò, cercando la mia approvazione per continuare.
In quel momento Akito sbucò fuori dal corridoio, interrompendo la discussione con Tsuyoshi, grazie a Dio. Vedendomi il suo volto si fece scuro, effettivamente voleva davvero andare a comprare la colazione. Io invece gli sorrisi, quasi scusandomi.
«Buon giorno, Kurata. Dormito bene?»
Annuii, avevo dimenticato come si faceva a parlare, dal momento che Hayama era entrato in cucina con addosso solo un asciugamano. Okay, a New York lo avevo visto nelle stesse vesti, ma per me era sempre un colpo trovarmelo davanti in quel modo.
Hayama capii e sorrise divertito. «Scusami, non sono abituato ad avere donne in casa.»
«Come no..» scherzai io, avvicinandomi per abbracciarlo. Il gesto lo dovette cogliere di sorpresa perché ci mise un po’ prima di ricambiare l’abbraccio. Mi staccai quasi subito, ricordando che c’era anche Tsuyoshi nella stanza, e mi voltai proprio verso di lui.
«Quindi, cosa volevi dirmi?» chiesi curiosa.
Bevve un sorso di succo e, divagando, cominciò a spiegarmi della serata che avremmo passato. Niente di meglio di una sana uscita con i miei amici per scrollarmi di ‘dosso tutti i pensieri. Quella mattina non avevo lezioni, Hayama e Tsuyoshi invece erano decisamente in ritardo a storia, quindi li avvisai dell’orario e li vidi fiondarsi in camera a vestirsi. Rimasi da sola, aspettando che uscissero per farmi accompagnare al campus, e per tornare finalmente alla mia vita. Il fatto che, non appena mi separai da Hayama, mi sentii terribilmente vuota, non voleva dire assolutamente nulla. No, assolutamente nulla.

 
*

«Su i bicchieri, giù i pensieri, si dice dalle mie parti!!». Beth era decisamente ubriaca, e non si preoccupava nemmeno di nasconderlo. Io stavo cominciando a perdere il controllo, mi girava la testa e ridevo un po’ troppo. Non che di solito fossi Miss Musone, come Hayama, ma stavo diventando eccessiva. Non me ne preoccupai, non avevo alcun fidanzato a cui rendere conto, e Hayama aveva bevuto esattamente quanto me. L’unico sobrio era Tsuyoshi, in quanto guidatore. Io non ero ancora ubriaca, ma mancava poco.
«Ragazzi, domani direi che è il caso di saltare le lezioni.» dissi cercando di riacquistare la lucidità.
«Kurata, domani è domenica.» rispose prontamente Hayama, dandomi una gomitata. Scoppiammo tutti a ridere, compreso Tsuyoshi che era un po’ nervoso per le condizioni in cui versava la sua ragazza. Aveva litigato con sua madre poco prima che i ragazzi passassero a prenderci, una lite furiosa di cui io non le avevo chiesto nulla per non forzarla. Mi avrebbe raccontato tutto lei, se avesse voluto. Capivo come si sentiva, ma Beth era una persona talmente forte che vederla distruggersi per me era una botta al cuore, avrei voluto fare qualcosa per aiutarla ma sapevo che niente avrebbe potuto tirarle su il morale. Era stato già un miracolo convincerla ad uscire, non volevo infierire.
«E comunque» esordì Tsuyoshi. «Domani è venerdì.» Un’altra risata generale colpì il nostro gruppo. Non riuscivamo neppure più a distinguere i giorni della settimana, interessante.
«Ed ora, signori e signore, ecco a voi un coraggioso cavaliere che vuole dedicare una canzone alla sua ragazza.». Il proprietario del locale dove avevamo cenato stava sul palco indicando un ragazzo che invece era seduto poco lontano dal nostro tavolo. Era diventato arancione nel momento stesso in cui l’uomo l’aveva chiamato a salire sul palco, probabilmente non se l’aspettava.
Cantò la sua canzone, in maniera a dir poco orrenda, ma ci divertimmo tutti a prenderlo in giro. Hayama continuava a fissare il palco pensieroso, poi si voltò verso Tsuyoshi e gli fece segno, sorridendogli.
Tutto accadde in un attimo, un secondo prima Hayama era seduto vicino a me con della vodka tra le mani e un secondo dopo era sul palco, con un microfono.
«Bene, signori e signore!» continuò il proprietario. «Ecco un altro fortunato ragazzo. Cosa ci canti?»
Hayama rimase zitto per circa cinque secondo, pensandoci, poi afferrò il microfono. «You’re beautiful, di James Blunt.»
Mi voltai verso Beth che sorrideva, non avrei saputo dire se fosse per ciò che stava accadendo o perché era ubriaca fradicia, ma anche Tsuyoshi sorrideva, e lui non aveva bevuto un goccio d’alcol quella sera.
«Ma cosa fa?» chiesi a Tsu, non riuscendo comunque a smettere di sorridere.
«Oh bè.. gli è sempre piaciuto cantare.» ridacchiò Tsuyoshi tornando a sorseggiare la sua acqua tonica. Tornai a fissare Hayama, che stava sistemando il microfono, in attesa che partisse la base. Aveva l’aria di uno che non ha mai messo piede su un palco in vita sua, ma guardarlo sudare freddo era divertente, dovevo ammetterlo. Che poi, perché buttarsi in una cosa del genere se stare al centro dell’attenzione era la cosa che gli riusciva peggio? O per lo meno, stare su un palco gli riusciva proprio malissimo.
«My life is brilliant, my love is pure. I saw an angel, of that I’m sure.» Quando cominciò a cantare, il resto delle persone all'interno del locale sparirono. Cantava bene, si doveva dire, non era stonato e non sbagliava le note. Certo, magari non gli avrebbero proposto un contratto discografico, ma la consolazione era che non avrebbe fatto una figuraccia.
I suoi occhi, ad un tratto, incrociarono i miei e stavolta davvero tutto sparì. Potevo sentire i commenti dei clienti accanto a me, ma erano solo un suono lontano. Tutto per me si riduceva a quelle pietre color ambra che stavano a pochi metri dal mio tavolo.
«She smiled at me on the subway. 
She was with another man. 
But I won't lose no sleep on that, 
'Cause I've got a plan. 

You're beautiful. You're beautiful. 
You're beautiful, it's true. 
I saw your face in a crowded place, 
And I don't know what to do, 
'Cause I'll never be with you. 

Yeah, she caught my eye, 
As we walked on by. 
She could see from my face that I was, 
Fucking high,
And I don't think that I'll see her again, 
But we shared a moment that will last till the end. 

You're beautiful. You're beautiful. 
You're beautiful, it's true. 
I saw your face in a crowded place, 
And I don't know what to do, 
'Cause I'll never be with you. 

You're beautiful. You're beautiful. 
You're beautiful, it's true. 
There must be an angel with a smile on her face, 
When she thought up that I should be with you. 

But it's time to face the truth…»


Rimasi bloccata per tutto il tempo in cui cantò, quasi rapita sia dalla sua voce che dai suoi occhi che, pur non capendo il perché, non si erano mai staccati dai miei.
«I will never be with you..» . Pronunciò l'ultima frase abbassando lo sguardo e poi tornando a fissarmi, come se avesse voluto mandarmi un messaggio.
Non potrò mai stare con te. 
Ma che diavolo stava cercando di dirmi, che non avevamo alcuna speranza? Che alla fine di questo calvario, dopo tutti i casini successi, dopo che l'avevo presentato al mondo come il mio ragazzo, non avremmo mai avuto un'occasione?
No, sicuramente non c'era alcun riferimento a me. Mi accorsi di tutte le ragazze che, sotto di lui, urlavano e applaudivano come se avessero visto un divo di Hollywood. Ecco perché quella canzone non poteva essere riferita a me. Ecco perché ciò che stava facendo era una semplice esibizione di karaoke, con una canzone che forse gli era piaciuta particolarmente quando l'aveva ascoltata. Ecco perché io e Akito non avremmo mai potuto avere alcuna chance.
Le ragazze continuavano a fare le oche e Hayama le guardava malamente, gettandogli occhiate di sdegno. Io non riuscivo a capire come si potesse avere così poca stima di se stesse, da comportarsi come se non avessero mai visto un bel ragazzo in vita loro.
Hayama tornò al tavolo canticchiando e, quando si sedette di nuovo vicino a me, mi fece avvicinare, trascinandomi con tutta la sedia. Beth mi rivolse uno sguardo ammiccante e io roteai gli occhi, intimandole mentalmente di smetterla.
«You're beautiful... you're beautiful... you're beautiful, it's true!» sussurrò Hayama contro il mio orecchio, facendomi arrossire.
«Smettila di fare il deficiente.»  dissi togliendogli la birra dalle mani. «Mi sa che hai bevuto abbastanza per stasera.»
Hayama sorrise, sintomo perfetto di sbornia, mentre io ero tornata lucida nello stesso momento in cui aveva iniziato a cantare.
«Non sono ubriaco, Kurata. Dovresti preoccuparti se lo fossi.» disse poggiando il braccio sullo schienale della mia sedia.
«Si, Sana, dovresti.» intervenne Tsuyoshi, riportandomi sulla terra. In realtà, tre secondi dopo, ero tornata nel mondo dei sogni, o mondo Hayama, che per me non faceva alcuna differenza.

 
*

«Sana, non pensi che sia ora di mettere le carte in tavola?». Le parole di Hayama mi colsero alla sprovvista, mentre ero a lezione di chimica. Lui stava seduto accanto a me, sorridendo come sempre, e non prendendo appunti, come sempre.
Non feci caso al suo abbigliamento, ma la cosa fu piuttosto strana perché, improvvisamente, portava addosso lo smoking. E in aula eravamo soli, persino il professor Micha se l'era data a gambe. Molto strano, effettivamente.
«Io penso che dovremmo smetterla di comportarci come ragazzini. Sappiamo entrambi cosa proviamo.» continuò Hayama. Ma di che diavolo stava parlando?! Cominciavo ad innervosirmi.
Un tonfo mi fece sobbalzare, guardai la porta dell'aula, ma nessuno entrò. Tornai a rivolgermi verso Hayama, ma lui non parlò.
Di nuovo quel tonfo. La cosa cominciava ad essere inquietante.
Kurata!
Qualcuno mi chiamava da lontano, urlando il mio cognome. Però, l'unico che mi chiamava per cognome, era Hayama. E lui era proprio davanti a me e, a meno che non fossi impazzita di colpo, non mi stava affatto chiamando.
Kurata!
Un altro tonfo, e un'altra volta il mio nome. Credevo di stare impazzendo sul serio.
Kurata!!
D'un tratto mi ritrovai nel mio letto. Hayama non era assolutamente accanto a me e i banchi erano totalmente spariti.
«Kurata!!». Stavolta il mio nome lo sentivo chiamare da vicino. Mi avvicinai alla finestra e, scostando le tende, lo trovai lì. E il mio sogno era appena iniziato.
__________________________________________________________________________________
 
Pov Akito.

L'espressione di Sana nel vedermi fu impagabile, era un misto tra stupore, shock, e felicità.
Aprì la finestra e notai che addosso portava solo una canottiera, alquanto trasparente, e un pantaloncino che lasciava ben poco spazio all'immaginazione. Era pieno inverno, almeno nel mio mondo, e lei si ostinava ad andare a letto come se fosse luglio? Da quello che ricordavo, gli alloggi del campus non erano nemmeno muniti di riscaldamenti particolarmente efficaci, quindi come diavolo faceva a non avere freddo?
Distolsi lo sguardo dal suo corpo – mi costrinsi a farlo a dirla tutta – e la guardai negli occhi. Era ancora abbastanza assonnata, quindi non le dissi immediatamente il motivo per cui ero lì, anche perché non l'avrebbe capito. Le feci cenno di spostarsi, ed entrai nella stanza con un lieve balzo. Mi piacevano quelle irruzioni notturne nella sua camera, mi sentivo come nei film in cui gli adolescenti fuggono dalle finestre per andare alla festa del tipo x.
Beth non c'era, probabilmente si era alzata presto ed era andata in biblioteca a studiare per la sessione straordinaria che era stata indetta da quel bastardo del rettore. Quello mi fece ricordare che anche io avrei dovuto mettermi sui libri, così come avrebbe dovuto farlo Sana, e storsi il naso solo al pensiero. Pur essendo un anno avanti a loro, la sessione straordinaria era stata estesa a tutti i corsi di studio, quindi non potevo avvalermi nemmeno del mio privilegio di non essere una matricola.
«Ti rendi conto che mi hai lasciata qui esattamente...» guardò l'orologio per darmi l'ora esatta. «Tre ore e dieci minuti fa?». Si, me ne rendevo conto pienamente, ma non avevo resistito all'impulso di vederla, dopo aver visto che Tsuyoshi aveva comprato il preparato per la cioccolata calda. Ne avevo cucinata un po', messa nel thermos e, dopo aver raccattato una o due coperte, ero scappato in macchina lasciando Tsu a casa da solo, nel pieno della notte.
«Si, Kurata, ma ora non è il momento. Vestiti.» gli ordinai, aprendo i suoi cassetti e tirando fuori un maglione che sembrava abbastanza pesante.
«Frena, frena, frena!» urlò lei togliendomi il maglione dalle mani. «Dove dovremmo andare?»
«Non posso dirtelo, Kurata. E' una sorpresa.» dissi sorridendole, cercando di sfoderare tutto il mio fascino. Ma lo sapevo, con lei non attaccava.
«No, Hayama. Sono le cinque del mattino, io domani ho lezione, non ho alcuna intenzio..»
La zittii, prima che cominciasse a straparlare come faceva di solito, prendendola in braccio e portandola in bagno, sentendo le sue urla non appena l'avevo alzata da terra di un centimetro.
«Zitta, o sveglierai tutto il dormitorio!» le dissi dandole due colpetti sul sedere. Non avevo immaginato che, quando avrei toccato quei due bei glutei sodi, l'avrei fatto in un momento del genere. Erano perfetti, per la cronaca.
«Maniaco, mettimi giù!». Continuava ad urlare come una dannata e aspettai che la smettesse prima di metterla giù, ridarle il maglione e dei jeans che nel frattempo avevo trovato proprio lì dentro, e intimarle di vestirsi in fretta.
Chiusi a chiave la porta del bagno, non sarebbe sfuggita a Mr. Hayama nel suo momento di puro romanticismo.
Non ci mise molto a vestirsi per fortuna e, quando riaprii la porta, la trovai col solito visino imbronciato che mi faceva tenerezza ogni volta che lo vedevo. Ero perso per quella ragazza, e non sapevo come ritrovare quel poco di autocontrollo che mi aveva tolto negli ultimi mesi.
No, in realtà non mi importava dell'autocontrollo. Io volevo lei e, in un modo o nell'altro, l'avrei avuta.

 
*

Se il tentativo della canzone non aveva funzionato questo, al contrario, l'avrebbe stesa. Eravamo in macchina da poco, circa dieci minuti, e la sua smania di sapere dove stavamo andando era palpabile nell'aria. Avevo fatto in modo che non vedesse né le coperte né il thermos con la cioccolata calda, e non le avevo detto una parola per tutto il tempo. Mi conoscevo, sarei stato capace di spifferarle tutto in meno di cinque secondi se solo avessi aperto bocca.
Imboccai l'uscita che mi portò alla salita della montagna, non eravamo tanto distanti dal campus, ma per me già solo allontanarmi da quel piccolo mondo contaminato era un bene. Lì ero Akito bastardo Hayama – sapevo benissimo il nomignolo che mi avevano dato le ragazze – mentre con Sana, anche a pochi metri, ero solo Akito Hayama, quel ragazzo che stava facendo carte false per conquistare la donna dei suoi sogni.
Sana continuava a guardare la strada, rapita dal verde fuori dall'auto, e non riusciva a non mangiarsi le unghia. Le tolsi le dita dalla bocca e, inavvertitamente, le toccai le labbra. Morbide, calde, proprio come le ricordavo.
«Smettila, Kurata. O ti ritroverai senza dita a fine giornata.»
Lei si guardò le mani e poi le poggiò sulle cosce, coperte da quei maledetti jeans che le avevo detto di mettersi. Ma faceva freddo fuori e se non si fosse coperta, si sarebbe presa una polmonite.
Quando arrivammo a destinazione le dissi di chiudere gli occhi, inizialmente sbuffò ma poi lo fece. Scesi dalla macchina e, facendo il giro, le aprii la portiera, aiutandola a scendere. Mi sembrò di rivivere la sera precedente, quando l'avevo fatta entrare a casa mia bendata. C'era qualcosa di estremamente stuzzicante e allo stesso tempo profondo in quel gesto. Chiudendo gli occhi lei si abbandonava totalmente a me, dimostrandomi piena fiducia. La stessa fiducia che le mancava quando gli occhi, al contrario, li teneva aperti.
Continuai a dirle di tenerli chiusi, ridendo più del dovuto forse, ma la cosa era alquanto divertente. Presi le coperte e il thermos dal cofano, le poggiai per terra, e poi chiusi velocemente la macchina, perché era già quasi ora.
Mi avvicinai a lei, probabilmente la presi alla sprovvista perché sobbalzò facendo un piccolo passo indietro e finendo praticamente addosso a me che ero alle sue spalle.
Il suo odore di vaniglia mi travolse come un uragano, ancora, e io non avrei desiderato altro che prenderla, lì, in quel momento. Dovetti però controllare i miei istinti e sorrisi, minimizzando il gesto e aiutandola a sedersi per terra. L'erba era morbida, fresca, appena bagnata dalla rugiada che però non dava alcun fastidio. Il sole stava per sorgere, dovevo sbrigarmi.
«Posso aprire gli occhi?» disse gettando la testa all'indietro.
«Non ancora!» urlai. Versai la cioccolata in due bicchieri termici e, non appena mi sedetti anch'io a fianco a lei, presi un bel respiro. Indugiai un attimo, scrutandola da vicino. Non era solo bella, c'era qualcosa in lei di estremamente affascinante, che andava al di là della bellezza in se. Era magnetica. Le sue labbra, così perfette, si schiusero come quando sei sul punto di baciare qualcuno e la tentazione fu forte. Anche stavolta, dovetti resistere.
«Puoi aprire gli occhi, Kurata.» dissi tutto d'un fiato.
Quando vidi le sue iridi color nocciola, notai una scintilla nuova. Sana aveva gli occhi innamorati, di chi non sapevo dirlo, ma era innamorata. E se non fossi stato io?!
Non volevo nemmeno pensarci, perché poi la verità era proprio quella. Lei non era innamorata di me, probabilmente si sentiva lusingata dalle mie attenzioni, mi voleva sicuramente molto bene, ma niente di più. E io non sapevo come portarla verso di me, come farle capire che facevo sul serio, che per me era tutt'altro che un gioco.
In quello stesso istante il sole arrivò a far capolino davanti a noi, e Sana si voltò a guardarmi, con le lacrime agli occhi.
«E'... è meraviglioso Hayama!» disse gettandomi le braccia al collo. «Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere per me.. non so davvero cosa dire.»
«Devi ringraziare la signora Natura, io ho dato solo un piccolo contributo.» dissi indicandole la cioccolata calda. Poi presi anche una coperta e gliela misi addosso, io non avevo freddo.
«Hai pensato proprio a tutto..». L'aveva notato, almeno. Mentre guardavamo il sole sorgere, notai che i suoi capelli avevano preso delle sfumature stupende. Ormai avevo visto Sana sotto tutte le luci possibili: il tramonto a Coney Island, al chiaro di luna la notte che l'avevo portata in spiaggia, e infine l'alba, in quel momento. Non avrei saputo dire quale fosse stato il momento migliore dei tre. In tutti avevo provato qualcosa, in tutti Sana mi aveva trasmesso qualcosa che nessuna ragazza era stata capace di darmi.
«Sana io...» . Ero partito, convinto che fosse il momento giusto per confidarle i miei sentimenti, e lo era. Cazzo, se lo era!
«No, prima io!» mi interruppe lei. «Grazie, Hayama. Questo significa molto per me e, anche se so che per te è solo un gesto verso un'amica, io ti ringrazio lo stesso. Nessuno si era mai preso cura di me come fai tu, nessuno mi aveva mai capita come fai tu. Sei la persona più bella che abbia mai conosciuto, sei il mio rifugio. La mia ancora.».
Ciò che aveva appena detto mi lasciò interdetto, non solo perché mi aveva riempito di parole dolci, definendomi la sua ancora, ma principalmente per quella frase assolutamente sbagliata.

Per te è solo un gesto verso un'amica...

Sana era proprio di coccio. «A volte mi chiedo se mi ascolti.» dissi sorridendo. Decisi di far cadere il discorso lì, non volevo affatto litigare, non in quel momento che avrei voluto ricordare per sempre.
«Che vuoi dire, Hayama?» chiese lei, appoggiandosi al mio petto. La accolsi tra le mie braccia, come sempre, ma con la consapevolezza che avrei dovuto farle cambiare idea. Non potevo permettere che pensasse certe cose.
Sana Kurata si sarebbe accorta di quanto potevo essere romantico, assillante e petulante. Mi avrebbe avuto intorno venticinque ore su ventiquattro, se fosse stato necessario.
Avrebbe capito quanto l'amavo, costi quel che costi. 


Ve l'avevo detto che ci sarebbero stati dei colpi di scena!
Ho finito il sedicesimo capitolo, sto iniziando il diciassettesimo, quindi non mi vedrete aggiornare per almeno un paio di giorni. Spero che il capitolo vi piaccia, che non vi annoi, che a forza di aspettare un loro contatto non vi siate addormentate sulla sedia :3
Vi lascio un piccolissimo spoilerino, come sempre. 
Akura.


Estratto dal prossimo capitolo:
Quando fui sotto casa sua, suonai con insistenza e, poco dopo, Hayama aprì la porta. Aveva un mazzo di fiori tra le mani. Fiori che, sicuramente, non erano per me.
*
«Hayama, cosa vorresti ricevere per Natale?».
Mi vennero in mente una o due cose che avrei voluto avere come regalo, tutte iniziavano con Sana e finivano con Kurata, ma mi guardai dal dirglielo, sicuro che si sarebbe imbarazzata. 


 

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Capitolo 16
*** Ti voglio. ***


CAPITOLO 16.

Ti voglio.

 

Pov Sana.

Stavo per tirare tutti i libri per aria, sul serio. Quei maledetti esami mi stavano facendo uscire di testa. Il rettore dell'università aveva indetto dei colloqui straordinari che precedevano le vacanze di Natale, così, tanto per farmi venire un'ulcera. Da più di mezz'ora stavo davanti gli esercizi di chimica, in vista dell'esame che Micha ci avrebbe fatto sostenere, ma non riuscivo a capirci nulla. Sali, basi, acidi, idrocarburi, carbonati, cloruri.... Oddio!

La porta della mia camera si aprì con un tonfo e Beth arrivò facendo svolazzare la sua chioma bionda. «Buon giorno, compagna!» disse gettando sul mio letto una scatola.

«E questa cos'è?». La presi e me la poggiai sulle gambe, poi la portai vicino all'orecchio e la agitai, ma non faceva particolarmente rumore.

«L'ho trovata fuori dalla porta e, a meno che io non abbia cambiato nome in Sana Kurata, credo proprio che sia per te.». Sorrisi alla mia amica, che intanto stava preparando l'occorrente per andarsene in biblioteca, come sempre.

«Avanti, aprila!» disse sedendosi sul mio letto, mettendo in disordine tutte le fotocopie che, con pazienza, io avevo diviso per argomento. L'avrei uccisa, prima o poi.

«Sorvolerò su ciò che hai appena fatto.» esordii riprendendo la scatola tra le mani e cercando l'apertura e, quando la trovai, mi vidi davanti un tripudio di cioccolato. Con le nocciole, con le arance, con l'uvetta, al latte, fondente, extrafondente, extralatte. Qualsiasi tipo di cioccolato esistesse, era in quella scatola.

«C'è un bigliettino.». Beth mi passò il foglio di carta, e io lo aprii sorridendo, perché in realtà dentro di me sapevo già chi mandava quel regalo. O, per lo meno, lo speravo.

Kit di sopravvivenza per gli esami:

- Cioccolato

- Cioccolato

- Cioccolato

- Tanta calma.

Gli esami sono una noia, lo so, ma con me ti saranno sicuramente meno insopportabili.

Goditi il cioccolato, ho preso più latte che fondente, spero di aver azzeccato.

Tuo,

Hayama.


Senza dire nulla passai il biglietto a Beth che, leggendolo, cominciò a fare commenti piuttosto pungenti.

«Non capisco come abbiate fatto fino ad oggi senza saltarvi addosso. Ti prego, spiegamelo!» disse unendo le mani, come se stesse davvero pregando.

«Credo che sia perché siamo... amici.» risposi io, nascondendo il mio sdegno nel dire quella parola.

«Amici?». Alzò un sopracciglio con fare scettico. «Voi due siete tutt'altro che amici. Andiamo Sana, ha scritto tuo sul bigliettino. Nessun ragazzo si prende la briga di dire che è tuo, se non è pazzo di te. E poi, dico, l’hai sentita o no la canzone che ti ha dedicato l'altra sera?».

«La canzone che mi ha dedicato?! Spero che tu stia scherzando. L'ha cantata semplicemente perché gli piaceva, non perché l'ha dedicata a me.»

Beth si alzò dal letto e si diresse alla porta. «Continua a vivere nel mondo dei sogni. Quando rinsavisci, fammi un fischio.» Così dicendo, uscì, lasciandomi sola. Non proprio sola, i miei composti chimici erano esattamente lì, a farmi compagnia.
 

*
 

Attendevo con impazienza che lo studente prima di me terminasse l’esame con Micha, continuavo a camminare avanti e indietro per i corridoi, volevo togliermi quel peso e godermi le mie vacanze finalmente. Avevo già dato l’esame di scrittura creativa la stessa mattina, insieme a Beth, e quello di chimica era l’ultimo che mancava, poi la libertà.

Quando mi sedetti, stavo già cominciando a sudare freddo.

«Buon giorno signorina Kurata.»

«Buon giorno professore.» risposi io, sorridendogli nel modo più finto che avessi mai potuto sperimentare.

Non mi fece molte domande, entro dieci minuti ero già fuori dall’aula con un meraviglioso 28 nel mio libretto universitario, pronta per le mie vacanze natalizie.

Natale era sempre stata la mia festa preferita, escludendo il mio compleanno. C’era sempre quell’aria di gioia che nulla potrebbe rovinare, anche con mille problemi alle spalle. Era uno di quei giorni che si dovrebbe passare con le persone che ami, e io non vedevo l’ora di passarlo con i miei amici. Non avevo intenzione di tornare a casa, mia madre era già stata avvertita e, nonostante un po’ di lamentele perché non mi vedeva da un secolo, alla fine aveva ceduto. Quello più difficile da convincere fu Rei che continuava a propinarmi idee per rigettarmi nel mondo dello spettacolo. L’avevo bloccato immediatamente, non era il caso che tornassi sotto i riflettori dopo quello che era successo alla prima del film, appena pochi giorni prima. E poi, a dirla tutta, non mi andava proprio di tornare a fare un lavoro per cui avrei dovuto abbandonare tutto, ancora.

Non appena uscii dall’aula cercai di rassicurare i ragazzi che avrebbero sostenuto l’esame dopo di me, ma me ne andai quasi subito, con l’intento di passare da Hayama per ringraziarlo. Senza i suoi cioccolatini non ce l’avrei mai fatta. Passai prima al dormitorio a cambiarmi, poi corsi immediatamente a casa sua con la mia auto che non usavo da chissà quanto tempo. Ormai l’unico modo che usavo per spostarmi era il suv di Hayama, quindi la mia macchina era superflua. Non che fosse peggio della sua, andiamo, era una meravigliosa Volvo, ma nella macchina di quel cretino mi sentivo protetta, ed era la sensazione che cercavo quasi ogni giorno.

Quando fui sotto casa sua, suonai con insistenza e, poco dopo, Hayama aprì la porta. Aveva un mazzo di fiori tra le mani. Fiori che, sicuramente, non erano per me. In un attimo il mio mondo crollò, come un castello di sabbia. Sorrisi ugualmente, nascondendo il fatto che avevo perso ogni speranza proprio in quel momento.

«Kurata, ciao.» mi accolse freddo, come se la mia presenza lo disturbasse. Mi fece cenno di entrare e ripose i fiori sul tavolo del soggiorno, non degnandoli più di uno sguardo. «Cosa ci fai qui?» chiese poi, dirigendosi in cucina.

Continuai a fissare i fiori, erano bellissimi. Un meraviglioso mazzo di camelie e dalie, di colori diversi, ma che formavano uno stupendo incrocio di sfumature. Dovevano essere per qualcuno di molto speciale. Qualcuno che non ero io.

«Sono venuta per ringraziarti.» Tornato dalla cucina, con in mano una lattina di pepsi, mi guardò con fare interrogativo. «Per i cioccolatini, ricordi?» precisai io.

«Ah, si, certo che ricordo. Ti sono piaciuti? A proposito, come è andato l’esame?» chiese entusiasta.

«Bene..» risposi. «Abbastanza bene.»

Percepivo il suo nervosismo come se fosse il mio, e in realtà un po’ lo era. Cercai, quindi, di sdrammatizzare la situazione. «E questi fiori? Sono per la nuova conquista?» chiesi sperando che la risposta fosse tutt’altro che positiva. Non ero un’egoista, se Hayama avesse amato qualcuno gli avrei dato carta bianca e non mi sarei di certo intromessa, e il fatto che si premurasse di portarle dei fiori era segno che gli piacesse sul serio, ma farlo lì, proprio davanti ai miei occhi, mi parve un atto di crudeltà di cui lui, però, non aveva alcuna colpa.

«No, nessuna conquista.» disse cupo. E allora per chi diavolo erano?

«Hai deciso di dichiarare il tuo amore a Tsuyoshi?» chiesi allora io, ridendo.

«Nemmeno. Vuoi accompagnarmi in un posto?». Restai interdetta da quella domanda, non sapendo davvero cosa rispondere. Annuii semplicemente, allora Hayama mi tolse la lattina dalle mani, mi trascinò fuori e si chiuse la porta alle spalle. Un attimo dopo eravamo già in autostrada.

«Allora, mi vuoi dire dove stiamo andando?»

«Al cimitero.» rispose subito. Rimasi pietrificata. L’unica persona che immaginavo potesse andare a trovare era...

«Oggi è il compleanno di mia madre. È l’unico giorno dell’anno in cui metto piede in quel posto.»

«E hai deciso di andarci con me?» chiesi, con le lacrime agli occhi. Mi stava rendendo partecipe di una cosa così personale che non riuscivo davvero a credere che la persona che avevo accanto fosse proprio Akito Hayama, lo stesso ragazzo che mi era stato vicino per tutto quel tempo.

«Sei l’unica persona di cui io mi fidi. L’unica con cui.. con cui condividerei una cosa del genere.» rispose lui, senza togliere gli occhi dalla strada. «Vuoi conoscere la storia del problematico Hayama?» mi chiese poi, voltandosi a guardarmi.

«No, se tu non vuoi raccontarmela.». In realtà volevo sapere, volevo davvero sapere cosa gli fosse successo, ma desideravo soprattutto che lui me lo dicesse senza forzature, solamente perché aveva voglia di farlo.

«Ti ho già detto che sei l’unica persona di cui mi fido, oltre a Tsuyoshi naturalmente. Sei anche l’unica che voglio sappia tutto di me.». Le sue parole mi lasciarono senza fiato, poi gli feci cenno di cominciare a parlare, sorridendogli.

«Mia madre era una donna piena di vita, o almeno così mi hanno raccontato alcuni suoi conoscenti, visto che la mia famiglia, se posso chiamarla così, non mi ha mai detto nulla su di lei.» Strinse i pugni sul volante, come se la rabbia montasse dentro di lui. «Si chiamava Koharu, e con mio padre, ai tempi dell’università, avevano fatto un sacco di cose. Avevano sperimentato la vita hippie, quella dark, fino a quando lui non le chiese di sposarlo. Quasi subito nacque mia sorella, Natsumi, e mia madre aveva già una salute abbastanza cagionevole. Quando sono nato io, circa sei anni dopo, mia madre non ha resistito, ed è morta... dandomi alla luce.».

Tutte le mille riserve che aveva avuto, tutti i suoi comportamenti, ogni singolo atteggiamento, ora mi era chiaro. Akito si sentiva in colpa.

«Subito dopo la mia nascita mio padre ha cominciato a dedicarsi al lavoro in maniera maniacale, lasciandomi sempre più spesso con mia sorella che, come immaginerai, non era ben felice di accudirmi. All’età di undici anni, cominciai a capire che la mia famiglia non era una vera famiglia, e che tutto ciò che di brutto c’era capitato, era successo per colpa mia.». Sembrava che le parole gli uscissero di bocca in modo così naturale, come se se le fosse ripetute miliardi di volte nella testa. Si era autocondannato per la morte di sua madre, non capendo che non aveva alcuna colpa. «Quindi, Natsumi ha cominciato ad incolparmi, a dirmi che ero figlio del diavolo, che non meritavo di vivere e che se non fossi nato sarebbe stato molto meglio.»

Sorrise amaramente, e scorsi nei suoi occhi un barlume di cedimento. Stava per piangere, ma non si sarebbe mai sognato di farlo davanti a me, perciò ricacciò dentro le lacrime e continuò. «Per anni ho creduto che avesse ragione, che davvero fossi io il problema, ma quando ne ho avuto l’occasione, ovvero due anni fa, al mio diciassettesimo compleanno, ho preso le mie cose e me ne sono andato di casa. Sono andato a vivere da Tsuyoshi, sua madre mi vuole bene, per davvero, e dovresti vedere sua sorella!» Stavolta il sorriso fu sincero, ricordare i momenti con la famiglia che lo aveva accolto lo aiutava, ma non cancellava il dolore di una vita passata a cercare di farsi accettare da quella che era la sua vera famiglia.

«Ho creduto per tutta la mia vita di essere una persona orribile, e a volte mi chiedo se non sia davvero così..» concluse poi, guardandomi per un attimo negli occhi e tornando a guardare la strada un secondo dopo.

«No..» sussurrai io, non sapendo in realtà cosa dire. «Non sei una persona orribile, sei forse la persona più incredibile che io conosca. La tua famiglia è stata segnata da un grande dolore, ma ciò non significa che la colpa sia tua. Tu non hai nessuna colpa.»

Hayama fermò la macchina, eravamo arrivati al cimitero e io non me n’ero neanche accorta. Ero troppo presa ad ascoltare la sua storia, e ora che la stavo metabolizzando, tutto il suo dolore mi arrivò addosso come una doccia fredda. Quanto aveva sofferto, quante notti insonni doveva aver passato, mentre io me ne stavo comodamente nella mia teca di cristallo. Io non avevo avuto un padre, ma avevo avuto una madre fantastica, che mi aveva aiutato e consigliato, e non mi aveva mai lasciata da sola. Lui non sapeva cosa significasse ne l’affetto di una madre ne quello di un padre. Avrebbe potuto sperare in quello della sorella ma anche quello non gli era stato concesso.

Scese dalla macchina e, da perfetto gentiluomo, venne ad aprirmi la portiera. Prese poi i fiori e ci incamminammo. Mi venne naturale prendergli la mano, per fargli capire che io ero lì, se mi voleva al suo fianco. Mi guardò per un attimo, perplesso dal mio gesto, ma poi la strinse e continuò a camminare come se anche le sue mani avessero trovato il loro posto.

Andammo avanti, accolti da un prato verde che non metteva affatto tristezza nonostante fossimo in luogo che ne emanava tanta. Hayama non mi lasciò la mano neanche quando poggiò i fiori sulla tomba di sua madre. Guardai quel pezzo di marmo, freddo, insignificante. Mi chiesi perché dovessero accadere cose simili a persone che non se le meritano affatto. Mi chiesi il perché della morte di gente innocente, come la madre di Hayama. Cosa aveva portato la sua morte? Solo sofferenza, aveva distrutto una famiglia e soprattutto aveva distrutto la persona più importante della mia vita. Stavo per piangere, persa in quelle riflessioni. Hayama invece continuava fissare la lapide, con quello sguardo che ormai conoscevo bene. Era un ragazzo arrabbiato, pieno di risentimento e dolore, un ragazzo a cui sarebbe bastato un solo gesto d’affetto per tornare a vivere davvero.

«Lei..» disse d’un tratto, rompendo il silenzio che si era creato. «Lei è morta a causa mia, capisci cosa significa?».

«Tu vivi una situazione difficile, ma non devi pensare che sia colpa tua.» Gli lasciai la mano e lo abbracciai, gettandogli le braccia al collo. Lui mi prese per la vita e mi sollevò. «Tua madre ti ha voluto bene ancora prima che nascessi, ti ha dato la vita per amore.» sussurrai poi, vicina al suo orecchio.

Prese ad accarezzarmi i capelli, come per ringraziarmi, e io gli stampai un bacio sulla guancia. Stavo per avvicinarmi alla bocca, ma davanti a me arrivò una ragazza, che sembrava esattamente la copia femminile di Akito.

«Hayama...» dissi incitandolo a girarsi, sciogliendo l’abbraccio. Fece come gli avevo detto e lo vidi irrigidirsi immediatamente.

«Akito..». Era la prima ragazza che lo chiamava per nome da quando lo avevo conosciuto e immediatamente capii che si trattava di sua sorella.

Lui si voltò nuovamente a fissare la lapide di sua madre, non degnando la sorella di uno sguardo. Lei intanto si piazzò accanto a noi, posò anche lei dei fiori sul marmo e poi incrociò le mani, come se stesse pregando. Rimanemmo in silenzio per un po', sentivo la tensione che si era creata tra quei due e mi sentivo impotente. Avrei voluto che parlassero, che avessero almeno un confronto, ma nessuno dei due era della mia stessa opinione.

Guardai la sorella di Hayama, gli assomigliava moltissimo, ma i capelli erano diversi. Lei li aveva scuri, probabilmente li aveva presi dal padre, mentre Akito era decisamente uguale alla madre. Gli stessi occhi, colore dell'ambra, gli stessi lineamenti, morbidi ed eleganti.

«Ma tu sei Sana Kurata!» disse lei, rivolgendomi uno sguardo stupefatto.

Le rivolsi un sorriso, poi le strinsi la mano. «Si, sono io.» dissi infine, avvicinandomi ancora ad Hayama. Non mi sentivo a mio agio, eppure cercavo di non far trasparire affatto il mio malessere per evitare che Hayama stesse peggio di me. «Tu devi essere Natsumi.» dissi poi, cercando di iniziare una conversazione.

«Esatto, proprio io.». Mi voltai a guardare Hayama, era visibilmente teso e nervoso. E sembrava quasi che non riuscisse a respirare. Io trattenevo il respiro insieme a lui.

«Volevo chiederti, non è che potresti farmi un autogr...» esordì poco dopo, cambiando totalmente atteggiamento.

«Natsumi che cosa vuoi?». Hayama si intromise alla discussione, raggelando ancora di più l'atmosfera. «Niente, Akito, stavo solo scambiando quattro chiacchiere.»

«Bene, ora che vi siete conosciute, è ora di andare.» Si rivolse a me, mi prese di nuovo la mano e mi trascinò via quasi di forza.

«Ciao Akito...» sussurrò sua sorella, evidentemente provata dalla presenza di Hayama.

Ci incamminammo verso la macchina, Akito non smetteva di stringermi la mano, stava quasi per staccarmela, ma non mi lamentavo. Sapevo che era il suo modo per sfogarsi e lo lasciai fare, senza dire una parola.

«Non credi che sia il caso di parlarle?» chiesi poi, quando eravamo in macchina. Hayama non aveva messo in moto, aveva il fiato corto e gli mancavano le parole. Non riuscivo a credere che si fossero incontrati e che non si potesse fare nulla per sistemare le cose.

«E per quale motivo? Lei non ha mai voluto parlarmi, perchè dovrei farlo io?» disse non guardandomi nemmeno.

«Perchè è tua sorella, ecco perchè!» risposi io, quasi urlando. Poi mi venne in mente l'impensabile, qualcosa che avrebbe smosso davvero le cose tra di loro. «Ah, aspetta, vado a fare l'autografo a Natsumi, stava per chiedermelo ma poi tu l'hai zittita.»

«Kurata, se entro cinque minuti non sei qui, vado via.»

«Ci metto un attimo, aspettami.»

«Sbrigati!» urlò. Cominciai a correre, pregando che Natsumi non se ne fosse andata e, quando la raggiunsi, era anche lei in macchina, con le mani appoggiate sul volante, senza aver messo in moto.

«Natsumi!» urlai, attirando la sua attenzione. Lei si voltò a guardarmi, mi sorrise e mi invitò a salire in macchina. Feci come aveva detto e, nel momento in cui incrociai davvero i suoi occhi, lei scoppiò a piangere.

«Credo che tu sappia perché sono qui..» dissi io, porgendole un fazzoletto. «Tu e Akito dovreste cercare di mettere da parte le vostre divergenze. Dovreste iniziare a parlarvi, invece di attaccarvi.»

«Non conosci mio fratello, evidentemente.» Quella frase mi fece infuriare.

«No, sei tu che non lo conosci! Non sai quanto ha sofferto, non sai quanto dolore ha dovuto sopportare in tutti questi anni. Non sai assolutamente nulla di lui, non ti è mai importato saperlo.».

Natsumi mi guardava con aria sofferente, come se le parole che le avevo appena detto fossero state una coltellata al cuore, ma non avevo tempo di dare spazio ai convenevoli: doveva capire. Doveva rendersi conto che l’atteggiamento che lei e suo padre avevano assunto non aveva portato altro che sofferenza.

«E tu credi che io non abbia sofferto?! Dio, ho sofferto da matti. Io ho perso mia madre, avevo appena sei anni. Come credi che una bambina possa reagire a tutto questo?»

«E tu come credi che Akito abbia reagito a questo?! Si è incolpato per anni di qualcosa che non è accaduto a causa sua. Tu, tuo padre, avreste potuto aiutarlo, invece di colpevolizzarlo. Lui si è chiuso in se stesso, non ne ha mai parlato con nessuno. Lui crede davvero di aver ucciso sua madre, e voi non gli avete dato modo di cambiare idea. Vi siete comportati come due menefreghisti, verso un bambino! Gli avete negato anche la possibilità di avere un suo ricordo, Akito mi ha raccontato di lei attraverso cose che gli avevano detto amici di tua madre. Non avrebbe dovuto conoscerla così, avresti dovuto essere tu a parlargli di lei. Tu e tuo padre, dovevate esserci.»

«Sai, credevo che prima o poi questo discorso me l’avrebbe fatto Tsuyoshi, e invece è dovuta arrivare la celebrità più amata in casa mia per aiutarmi a capire. Ho fatto soffrire mio fratello, la persona che avrei dovuto amare più di me stessa. Sono consapevole di non essere stata una bella persona, ma voglio rimediare. Ho bisogno di rimediare.». Si asciugò le lacrime e mi sorrise, e io mi convinsi che fosse ora di proporle ciò che volevo davvero accadesse.

«Perché non vai da lui? Mi sta aspettando in macchina, mi ha detto anche di fare presto, ma credo che, se provi a parlargli, non ti respingerà di certo. Sono anni che aspetta solo questo momento.»

Natsumi mi guardò perplessa, aggrottò la fronte ma poi distese il viso in un sorriso. Fece un bel respiro e scese dalla macchina, incamminandosi verso l’auto di Akito. Cominciai a pregare. Conoscevo Hayama, il suo carattere non era certo dei migliori, ma non avrebbe negato una possibilità a sua sorella. O almeno, lo speravo.

____________________________________________________________________________________

Pov Akito.

Cominciai a considerare l’ipotesi di andarmene sul serio e lasciare Sana lì, ma come minimo mi avrebbe staccato un braccio se solo mi fossi azzardato quindi, volendo mantenere intatti i miei arti e tutto il resto, decisi che fosse meglio aspettarla. Ci stava mettendo un po’ troppo, però.

Accesi la radio, cercando di distrarmi, ma continuavo a guardare fuori dal finestrino, sperando di vederla arrivare. Volevo andarmene da lì, l’incontro con Natsumi mi aveva alquanto destabilizzato e l'unica cosa che desideravo era tornare alla mia normalità, con Sana.

Il mondo non era dello stesso parere, visto che appena un minuto dopo vidi la figura esile di Natsumi venire incontro alla mia macchina, con gli occhi gonfi, come se avesse pianto, ma un sorriso stampato in volto. Wow, sapeva anche sorridere allora.

«Posso?» disse mettendo una mano sulla maniglia dell'auto. Io feci cenno di si, ma non la guardai. Continuavo a fissare un punto, in fondo, proprio davanti a me, dove le montagne si incontravano e il cielo si divideva in due. Cercavo di non mettermi a pensare, sarebbe stato un vero casino. Fu lei a parlare per prima, io non mi sognavo nemmeno di rivolgerle la parola.

«Quindi.. stai con Sana Kurata.» cominciò. «E' una brava ragazza, sono contenta.»

«Si, lo so, non avevo di certo bisogno della tua approvazione.» risposi io, pungente.

«Senti Akito...». Cominciò a sfregarsi le mani nervosamente. «So di non poter vincere il premio come migliore sorella del mondo ma... si, insomma, mi dispiace.»

Sentire quelle parole mi parve un miraggio, mai avrei pensato che Natsumi fosse capace di dirle, o che ne conoscesse anche lontanamente il significato. Continuai a non guardarla, mantenendo lo stesso atteggiamento di sempre, per non darle a vedere che in realtà stavo per scoppiare. Vide che non accennavo a darle risposta quindi continuò a parlare.

«Non dovevo colpevolizzarti, renderti il capro espiatore dei miei dolori. Tu... tu non hai alcuna colpa per la morte della mamma. Era così che doveva andare, ma io.. papà.. ci siamo comportati da egoisti. Non avremmo dovuto trattarti in quel modo, non te lo meritavi. Non l'hai mai meritato. .»

Non risposi, distolsi lo sguardo dall'orizzonte e presi a fissarmi le scarpe.

«Sono incinta.» disse tutto d'un fiato. «Papà ancora non sa nulla ma.. io vorrei che questo bambino, o bambina, conoscesse lo zio. Ci terrei davvero..».

La rivelazione sul bambino di mia sorella mi smosse il cuore, dovevo ammetterlo, ma non demorsi. Però aveva dimostrato, seppur a parole, che era dispiaciuta e che voleva rimediare, in un modo o nell'altro. Per anni avevo chiesto al cielo solo una cosa: la mia famiglia. E, in quel momento, che c'era una luce in fondo al tunnel, ero disposto a gettare tutto via, così, senza pensarci?

«Capisco che non vuoi parlarmi, quindi vado. Se avessi voglia di sapere come sta tuo nipote, qui c'è il mio numero..». Tirò fuori dalla tasca un biglietto da visita, dove lessi che era diventata una psicologa, ecco perchè aveva rivalutato il nostro rapporto, se di rapporto si poteva parlare.

Aprì la portiera dell'auto e, in un solo istante, vagliai tutte le ipotesi. Avrei potuto lasciarla andare, e perdermi tutto quello che un legame con mia sorella avrebbe potuto darmi, oppure fermarla e lasciare che si avvicinasse a me. Non avevo nulla da perdere, conoscevo già ciò che si provava a non avere nessuno e, se le cose fossero andate male, non avrei di certo sofferto.

«Natsumi... .»dissi poi, afferrandola per il polso. Lei si voltò, mi guardò e il suo viso si illuminò, e per la prima volta in vita mia scorsi in lei un pizzico di emozioni umane. L'avevo sempre considerata una specie di robot, una che non sapesse voler bene a nessuno, ma in quel momento tutte le mie riserve nei suoi confronti caddero, e mi ritrovai a desiderare un suo abbraccio.

«Fammi sapere se è maschio o femmina.»dissi infine, facendole capire che avevo intenzione di far parte della vita di questo bambino. Non l'abbracciai, non era ancora il caso, ma quello sguardo bastò per avere tutto quello di cui avevo bisogno. Natsumi scese dall'auto e, arrivata a metà strada, si voltò a sorridermi ancora e, anche se non l'avrei mai detto, gli sorrisi anch'io.
 

*
 

Il viaggio di ritorno vicino a Sana fu particolarmente imbarazzante, sapevo che era stata lei a far venire Natsumi da me, ma non aveva ancora avuto il coraggio di parlarmi. Se ne stava lì, in silenzio, con la mano sotto il mento a guardare il panorama. Dovevo farle capire che non ero arrabbiato, anzi, non sapevo come ringraziarla. Mi aveva ridato almeno un po' di serenità, e lo aveva fatto in modo totalmente disinteressato, e questo faceva aumentare ancora di più il mio amore per lei. Dio, quanto l'amavo.

Quando arrivammo a casa mia non vi trovai nessuno, solo un biglietto di Tsuyoshi che mi avvertiva che non sarebbe rientrato a dormire, lui e Beth dovevano festeggiare i loro trenta agli esami. Non feci in tempo a mettere piede dentro l'appartamento che Sana aveva già cominciato a riempirmi di discorsi inutili. Non avevo ascoltato una parola di ciò che aveva detto, fin quando non si mise a pregarmi di accompagnarla al centro commerciale. Sarei finito a fare il facchino, ma la cosa non mi dispiaceva affatto, mi bastava stare con lei.

Uscimmo a piedi, il centro commerciale era vicino al mio appartamento, quindi lasciai la macchina a casa, sotto insistenza di Sana. Durante il tragitto non dicemmo una parola, ma i nostri sguardi furono meglio di mille parole.

Dopo aver comprato il regalo per sua madre, il suo manager, Tsuyoshi e Beth, Sana si fermò a fissare gli scaffali con lo sguardo di chi stava dimenticando qualcosa.

«Hayama, cosa vorresti ricevere per Natale?».

Mi vennero in mente una o due cose che avrei voluto avere come regalo, tutte iniziavano con Sana e finivano con Kurata, ma mi guardai dal dirglielo, sicuro che si sarebbe imbarazzata.

«Non ho bisogno di regali, Kurata. Ho già tutto quello di cui ho bisogno.»

Mentivo, mentivo spudoratamente, non avevo assolutamente tutto quello di cui avevo bisogno, perchè la mia felicità dipendeva tutta dall'avere lei, ma in parte era la verità, anche solo averla vicina mi rendeva una persona migliore.

«L'unico regalo che potresti farmi è sbrigarti, voglio tornare a casa.»

«Come sei petulante!» disse lei facendomi una linguaccia.

Quando arrivammo all'uscita, ci bloccammo entrambi davanti alle porte girevoli, guardando il temporale che si era appena scatenato fuori. La maledissi mentalmente per avermi costretto a lasciare la macchina a casa, poi mi voltai a guardarla e la trovai a trattenere le risate. Guardai la sua maglietta, totalmente bianca. Risi sotto i baffi, mi avvicinai e mi misi dietro di lei.

«Lo porti il reggiseno, vero Kurata?» le sussurrai all'orecchio. Dal vetro delle porte mi accorsi che sgranò gli occhi e poi sorrise.

«Perchè dovrei dirlo a te?»

«Mi pare di averti detto, una volta, che non si risponde ad una domanda con un'altra domanda.»

«In questo caso, non sono affari tuoi.» rispose poi, incrociando le braccia al petto.

«Bè.. io credo che lo saranno visto che, se non lo porti, sto per vedere le tue tette in diretta.»Scoppiai a ridere e cominciai a correre, uscendo. Sana mi rincorse, bagnandosi totalmente e, come avevo previsto, non portava affatto il reggiseno. Continuava a coprirsi con le braccia mentre io, scherzando - in realtà ero più che serio, ma non gliene feci accorgere-, le dicevo di non farlo, o l'avrei lasciata fuori casa. Ridemmo tanto, più di quanto avessimo mai fatto, e arrivammo a casa mia in pochissimo, data la corsa che, non l'avrei mai detto, Sana fece al mio passo che, dovevo ammetterlo, era tutt'altro che lento.

Sana era fradicia, e anch'io.

«Posso farmi una doccia?» mi chiese mentre andavo in bagno a prendere qualche asciugamano. Se me lo diceva con quel tono, non potevo di certo dirle no.

«Avrei bisogno di qualche vestito, non hai una tuta da prestarmi?». Si piazzò davanti a me, con quella maledetta maglietta totalmente bagnata e, se non fosse stato che ormai avevo sviluppato un fortissimo autocontrollo, le sarei saltato addosso.

«Una mia tuta ti... ti verrebbe troppo grande. Posso prestarti una maglietta, sarà come un vestito per te.». In realtà una tuta per lei ce l'avevo eccome, ma vederla girare per casa con una mia maglietta sarebbe stato troppo bello per non gustarmi quel momento.

Le poggiai la maglia in bagno, poi le dissi che Beth di solito lasciava della bianchieria pulita in un camera di Tsuyoshi, per le sere in cui rimaneva a dormire e poi aveva lezione il giorno dopo. Trovò subito ciò che cercava e si fiondò in bagno.

«Non chiuderti a chiave!»le dissi ridendo. «Non ho intenzione di violentarti.»

«Non mi sarei chiusa a chiave. Ormai ho smesso di avere paura di te.»rispose lei, facendomi una smorfia. Io tornai serio, aveva avuto paura di me? Decisi di accantonare quel pensiero e le sorrisi anch'io, mentre si chiudeva in bagno. «Dovresti invece, dovresti»

Sana si chiuse la porta alle spalle e sentii che aveva aperto l'acqua. Avevo giurato a me stesso che non avrei atteso molto prima di rivelarle i miei sentimenti, eppure in quel momento la paura prese il sopravvento su di me. Ero terrorizzato dall'idea che potesse conoscere anche quell'ultima parte di me, nonostante fosse forse la persona che sapeva tutto di me.

Volevo fare qualcosa che potesse farle finalmente capire che l'amavo, che per me non si trattava più solo di un'amicizia, e che l'amavo ancora di più dopo quello che aveva fatto per me.

Ma come farglielo capire?

Mi avvicinai alla porta del bagno, sentii che cantava sotto la doccia e sorrisi. Era proprio una bambina. Se fossi entrato, non se ne sarebbe neanche accorta. Aprii lentamente la porta e feci in modo che non mi vedesse. La mia doccia era circondata da dei pannelli trasparenti, ma non riuscii a vedere nulla perchè lì dentro si era creata una cappa di vapore assurda.

Guardai lo specchio, totalmente appannato, e pensai di scriverle qualche battutina stupida prima che mi venisse in mente quello che, probabilmente, avrebbe cambiato la nostra serata e, in entrambi i casi, la mia vita.

Lo scrissi lì, su quel vetro che poteva contenere tutta la mia felicità o la mia disperazione, lasciando fare al destino. Sana avrebbe potuto accorgersene, far finta di nulla e continuare a mantenere la vita di sempre. Nel migliore dei casi, quello che speravo accadesse avrebbe reso la mia vita perfetta.

Dopo aver scritto quelle due paroline sul vetro, uscii lentamente, temendo che avrei potuto fare qualche rumore. Le riguardai lì, mentre perdevano consistenza.

Ti amo.

E non c'era più nulla d'aggiungere.

_____________________________________________________________________________

Pov Sana.

Uscii dalla doccia e mi accorsi che il bagno si era riempito di vapore, Akito mi avrebbe uccisa se non avessi ripulito tutto e in fretta. Mi infilai la sua maglietta che era davvero come un vestito per me, e poi presi a frizionarmi i capelli davanti allo specchio.

La giornata che avevamo passato era stata estenuante e, come se non fosse bastato, non sapevo come avrei trovato il coraggio di uscire da quel bagno indossando solo quella maglietta. Sorrisi guardandomi riflessa, i miei occhi erano lucidi, qualcosa in loro era cambiato. Da quando avevo conosciuto Hayama le cose erano diverse in me. Mi sentivo più me stessa, avevo preso più consapevolezza di chi ero e tutto grazie a lui.

Non ero sicura di ciò che avevo appena visto. Non ero sicura nemmeno di come mi chiamavo in quel momento. Con il phon tra le mani, per sbaglio lo avevo puntato verso il vetro e, asciugandosi, era spuntata una scritta. Non troppo grande e poco marcata, stava lì, davanti a me, a ricordarmi che il mio cuore c'era ancora, visto che per un attimo aveva smesso di battere.

Non avevo sentito Hayama entrare, eppure ero sicura che non l'avrebbe potuto scrivere nessun altro, visto che eravamo da soli. Che l'avesse scritto Beth per Tsuyoshi?

La guardai meglio e, quasi subito, riconobbi la scrittura di Hayama.

Ti amo.

E non c'era più nulla d'aggiungere.

Aprii immediatamente la porta e corsi verso il salotto. Akito era seduto sul divano, con la testa tra le mani, e quasi tremava.

Il cuore stava per scoppiarmi quando lui alzò lo sguardo e incrociò i miei occhi.

«Ti amo anch'io.». Pronunciai quelle parole come se fossi esterna al mio corpo, come se non mi appartenessero davvero dette ad alta voce. Le avevo pensate tante volte, quando Akito mi diceva che mi voleva bene e, tutte le volte, le avevo ricacciate dentro, perchè lui non sapesse.

Akito si alzò dal divano e mi corse incontro. Il cuore mi martellava nel petto quando mi prese il viso tra le mani e mi baciò, premendo le sue labbra sulle mie con dolcezza. Non avrei saputo descrivere la sensazione che provai, mi sentii pervadere da un senso di completa felicità, come se avessi trovato il mio posto nel mondo, come se tutti quei mesi di infinite attese, di sofferenze, di paure, non fossero mai esistiti.

Staccò le mani dal mio viso e mi prese per i fianchi, avvicinandomi a lui. E mille sapori si mischiarono: la mia bocca di vaniglia e la sua di limone. Due sapori che in realtà non starebbero così bene insieme ma che, se si incontrano nel modo giusto, trovano il loro equilibrio. E io e Hayama trovammo il nostro proprio in quel momento, in un bacio così desiderato che non avrei potuto riceverlo nel modo migliore.

«Dio...» mormorò staccandosi dalle mie labbra e poggiando la sua fronte sulla mia. Sorrise, e io mi sentii un'altra. Sentii che il mio cuore stava andando più avanti, si stava superando, come se volesse vincere una corsa che io avevo appena iniziato. In quel bacio mi ritrovai a realizzare davvero cosa significasse amare qualcuno. Quando ami qualcuno, non ti fai troppe domande. Non dai spiegazioni sul perchè ciò accade, semplicemente difendi quel sentimento da tutto e tutti, lo proteggi, cerchi di farlo crescere ogni istante con pensieri, gesti, momenti condivisi che ti danno qualcosa in più. Quando ami qualcuno ti fai mille promesse di non tradire mai quella felicità, ci vogliono coraggio e allegria per portare avanti un rapporto.

Io allegria ne avevo da vendere, ma coraggio? Quello, forse, un po' mi mancava. Ma ero certa che Hayama me ne avrebbe dato tanto, come sempre.

Continuammo a baciarci ancora, non avrei saputo dire per quanto tempo rimanemmo in quella posizione. Io, con addosso solo una maglietta, e lui davanti a me, con le labbra incollate alle mie, come se staccarsi avesse significato perdere l'ossigeno.

Hayama mi prese in braccio e io gli avvolsi la vita con le gambe. Eravamo ormai separati solo da pochi strati di vestiti. Non volevo fermarmi, volevo andare fino in fondo, volevo essere sua. Mi baciò con passione, finimmo sul divano e il tonfo ci fece scoppiare a ridere. Lui era su di me, mi sovrastava con quelle sue spalle grandi. Prese ad accarezzarmi le gambe, sentii che anche lui mi voleva, ma in quel momento mi accorsi che non desideravo che accadesse in quel modo. Volevo che fosse speciale. Come se mi avesse letto nel pensiero, Akito si staccò dalle mie labbra e mi sorrise, accarezzandomi la guancia con fare premuroso.

«Io... ferma..».

«Perchè?.». Sperai solo che non fosse stato solo un sogno. Pregai.

«Perchè, se non ti fermi, non riuscirò a fermarmi nemmeno io.» rispose ansimando, come se fosse stato doloroso anche per lui. Soprattutto per lui.

Gli sorrisi e gli gettai nuovamente le braccia al collo, convinta che Hayama fosse esattamente la persona con cui avrei voluto fare quel passo. Ma lui, voleva fare quel passo con me? Forse si era allontanato perchè non mi desiderava abbastanza, perchè non ero abbastanza per lui.

Il solo pensiero che ciò fosse vero mi provocò una fitta di dolore al petto, il mio cuore stava per scoppiare di felicità e di terrore nello stesso momento.

«Cos'hai?» mi chiese, notando la mia espressione aggrottata. Io non risposi, mi limitai a fissarlo, cercando nei suoi occhi qualcosa che mi dicesse che non avevo ragione.

Akito sbuffò. «So cosa stai pensando, Kurata. Smettila assolutamente.»

«Non lo sai, credimi...» sussurrai io, sfoderando un sorriso finto.

«Si che lo so.». Si alzò dal divano, lasciando su di me il vuoto. Si toccò nervosamente le tempie e poi tornò a guardarmi. «Tu stai pensando che io non ti voglia. Stai pensando che io mi sia fermato perchè non sei alla mia altezza.».

Non sapevo come avesse fatto, non lo sapevo davvero, ma aveva ragione. Non riuscii a sostenere il suo sguardo, quindi abbassai gli occhi guardandomi le gambe nude.

«Stai scherzando?! Stiamo insieme da un minuto e mezzo e già cominci a crearti inutili complessi?.». Si avvicinò a me, prendendomi il viso tra le mani e costringendomi a guardarlo. «Non ho fatto altro che volerti dalla sera della festa, non ho fatto altro che desiderarti per tutto questo tempo. Ti ho detto che ti amo, come puoi anche solo pensare che io non ti voglia?! Ti voglio in un modo che nemmeno so spiegare. Ti voglio, totalmente e incondizionatamente. Non dubitare nemmeno per un attimo che io ti voglia.»

Le sue parole quasi mi fecero piangere, non avrei mai creduto che fosse vero, che lui, nonostante la mia inesperienza, mi amasse sul serio. Eppure era così, e non sapevo chi dover ringraziare per quell'immensa fortuna. Perchè avevo lui, e lui era tutto ciò di cui avevo bisogno. Mi presi il viso tra le mani ma, appena un secondo dopo, gli mostrai il mio miglior sorriso. Non ero mai stata così felice in tutta la mia vita.
 

*
 

«Pensi davvero che ora che sei mia ti lascerò andare così facilmente?». Hayama mi attirò a se', prendendomi per il braccio e trascinandomi sul divano. Avevamo ordinato una pizza che avevamo diviso a metà, e stavamo guardando la tv come una normalissima coppia. Anche solo il fatto di definirci una coppia mi faceva venire i brividi. La mia unica esperienza come fidanzata l'avevo avuta con Naozumi, ma la nostra non era mai stata una relazione vera e propria.

«E chi aveva intenzione di andare via?» risposi immediatamente.

Mi voltai a guardarlo, sorridendo, e lo baciai, finalmente convinta del fatto che niente e nessuno avrebbe potuto rovinare quel momento.

Evidentemente mi sbagliavo perchè, in quel preciso istante, qualcuno bussò alla porta. Ci guardammo meravigliati e, subito, Akito si alzò sbuffando per andare ad aprire. Ero convinta che fossero Beth e Tsuyoshi, tornati prima dalla loro notte folle.

Quando Akito aprì la porta, mi resi conto che il mio abbigliamento era alquanto inappropriato. Lo vidi contrarre la mascella, scioccato e allo stesso tempo furioso per quella visita.

«Ciao Akito...». La voce roca del padre di Hayama mi colse alla sprovvista, risvegliandomi dallo stato di trance in cui ero appena caduta. Accanto a lui c'era Natsumi che, vedendomi, sorrise. «Possiamo entrare?».

Akito si spostò per farli entrare e, non appena suo padre posò gli occhi su di me, avrei voluto sprofondare. «Tu devi essere Sana, la ragazza di mio figlio. Piacere di conoscerti.". Mi porse la mano e io gliela strinsi, riconoscendo nella sua presa la stessa di Hayama. Poi si voltò nuovamente per rivolgersi a lui. «Possiamo parlare in privato?».

Hayama sorrise amaramente e mi prese la mano. «Lei sa tutto, quindi rimane qui, se vuoi parlare.»

«Posso lasciarvi soli, non preoccuparti..» sussurrai io. Hayama però non accennava a lasciarmi la mano.

«No, ti voglio qui.»

Il signor Hayama puntò i miei occhi e io gli feci cenno di sederci sul divano, dove poco prima stavo godendomi il mio ragazzo. Natsumi continuava a sorridermi, mi aveva accennato durante i dieci minuti che avevamo passato insieme che aveva intenzione di far chiarire Akito anche con suo padre, ma non mi aspettavo lo facesse lo stesso giorno.

Dopo esserci seduti, Hayama incrociò le mani insieme alle mie. Mi sentivo totalmente parte di lui in quel momento.

«Io...» cominciò il padre di Akito sfregandosi i baffi con le mani. «Sono venuto qui per scusarmi. So di non averti mai dato il mio affetto, ero troppo preso da me stesso. Sono stato un padre orribile..». Vidi scendere dai suoi occhi una lacrima, non avrei mai immaginato che avesse mostrato così tanto il suo dolore.

Akito distolse lo sguardo da suo padre, voltandosi verso di me, come se cercasse aiuto. Un aiuto che io non avrei potuto dargli. Volevo essere lì, per lui, ma non ero io che dovevo affrontare quella situazione, lui e suo padre dovevano chiarirsi senza le mie interferenze.

«Sono certo che tu sia diventato una persona meravigliosa, anche senza di me. Non ho la pretesa di riacquistare la tua fiducia immediatamente ma, se mi permetterai di rientrare a far parte della tua vita, spero che ritroveremo quel.. quel rapporto che non abbiamo mai avuto.»

Poi si rivolse a me. «Sono felice che tu ci sia, non ti conosco ma a casa mia sei amatissima. So che sei una persona degna di stare con mio figlio.»

Gli sorrisi, rendendomi conto del fatto che tutto dipendeva da Akito che invece non aveva aperto bocca, fino a quando non si staccò delicatamente da me e sospirò.

«Credi che, dopo tutto questi anni, sia semplice mettere da parte tutto?».

Suo padre guardò Natsumi, poi tornò a fissare il figlio. «No, sono certo che non sia semplice, e che non sarà semplice. Ma potremmo provarci, che ne dici?».

Akito esitò, sospirando più volte. Mi guardò un attimo negli occhi e io gli sorrisi, dandogli il mio incoraggiamento. Non era così semplice come sembrava, aveva vissuto senza il suo affetto e quello lo aveva reso una persona fondamentalmente chiusa. In quel momento, quel padre su cui aveva riversato tutto il suo dolore, gli stava chiedendo di dimenticare tutto. «Non so se posso riuscirci..» sussurrò infine, con la voce rotta. Si alzò dal divano, lasciandomi la mano, ma io non avevo alcuna intenzione di abbandonarlo. Mi alzai anch'io e lo seguii in cucina, dove si era rifugiato. Gli presi il viso tra le mani e lo costrinsi a guardarmi negli occhi.
«Puoi farcela.» gli dissi. «Non lasciare che il tuo orgoglio, la paura.. rovinino ciò che potresti avere.»
«E cosa potrei avere, un uomo che magicamente si è ricordato di avere un figlio?». Il suo tono era duro, perentorio, e in parte aveva ragione. Per anni suo padre avrebbe potuto rimediare, cancellare con un gesto tutto il male che aveva fatto, ma non gli era importato.
«Tuo padre non è esattamente la persona più buona del mondo, lo ammetto. Ma è tuo padre. Non devi per forza diventare il figlio prediletto da un momento all'altro. Potresti solo conoscerlo."
Akito mi guardò titubante, si passò una mano sul viso sfiorando le mie dita e poi tornò a guardare suo padre e sua sorella seduti sul divano del salotto. Nei suoi occhi leggevo confusione, eppure vi trovavo anche tanta convinzione. Lui sapeva di voler portare avanti questo rapporto. Io gli avevo dato solo una spinta in più.
«Avanti..»lo incitai io, baciandolo sulla fronte.
Akito tornò in salotto, si sedette di nuovo sul divano e guardò suo padre dritto negli occhi. In uno sguardo gli fece comprendere che non ci sarebbero state altre possibilità, che per una volta nella sua vita avrebbe dovuto comportarsi da padre. Gli porse la mano e poi disse: «Potremmo provarci, magari.»

Gli occhi del signor Hayama si illuminarono e, nonostante sapessi che non l'avrebbe mai ammesso, anche quelli di Akito. Ero così fiera di lui. Il mondo aveva ritrovato il suo equilibrio, finalmente. Akito mi prese di nuovo la mano e riprovai la stessa sensazione di poche ore prima. Le mie e le sue mani avevano trovato il loro posto.

Quella sera, quando Natsumi e il signor Fuyuki se n'erano già andati da un po', guardai fuori dalla finestra e ringraziai la stella più luminosa del firmamento. Grazie Koharu.


Ebbene, siamo arrivati al momento sconvolgente!!!
Inanzitutto, devo ringraziare, come sempre, la mia Beta che, oltre ad aver ideato la
DICHIARAZIONE AL VAPORE, mi ha fatto anche da consulente universitario, consigliandomi come solo una persona speciale potrebbe fare.
Comunque, oltre a questo, siete contente? Finalmente i nostri Sana e Akito hanno parlato chiaramente, senza più riserve. Spero che vi piaccia e, ovviamente, grazie per tutte le meravigliose recensioni. Grazie a chi ha messo in preferiti/ricordate/seguite ma anche a chi legge in silenzio.
Adesso vi mando un bacio, al prossimo capitolo.
Akura.

 

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Capitolo 17
*** Il meglio per te. ***


CAPITOLO 17.

Il meglio per te.

Pov Akito.

Per me il Natale era sempre stato sinonimo di malinconia, forse perché non avevo ricordi dell’infanzia legati alla magia di quei giorni di festa. Quell’anno invece avevo vissuto per la prima volta il Natale e, contagiato dall’entusiasmo di Sana, mi ero lasciato stupire dalle illuminazioni e dai colori per le strade, mi ero lasciato coinvolgere nell’addobbo dell’albero e nel piacere di stare riuniti intorno a un tavolo e mi ero commosso davanti al regalo di mio padre, una scatola piena di vecchie foto e filmini di mia madre. Quando la frenesia di quei giorni passò mi trovai a riflettere sul fatto che io e Sana non avevamo ancora passato del tempo da soli, soli per davvero, quindi non appena vidi quella meravigliosa offerta sul sito annunci per un week-end, nei giorni di Capodanno, in uno chalet di montagna, mi fiondai subito a prenotarlo.

Tsuyoshi mi aveva consigliato di non affrettare i tempi, visto che stavamo insieme da poco più di tre settimane, ma avevo veramente bisogno di passare del tempo solo con lei, per poterci dedicare a noi senza il rischio di essere interrotti. Lui e Beth stavano insieme da circa tre mesi, eppure lui non si era fatto scrupoli a farle conoscere la madre durante il periodo natalizio.
Dopo aver chiamato il proprietario dello chalet, mi misi sul divano e composi il numero di Sana.

«Alla buon'ora, Hayama!» rispose lei, senza nemmeno salutarmi.
«Buon giorno anche a te, amore.». Sentii la sua risata, la mia giornata era già di gran lunga migliorata. Com'era possibile che da una persona dipendesse totalmente la mia vita? Avevo sempre allontanato la gente prima che diventasse troppo importante, per non soffrire e privarmi di ogni emozione, positiva o negativa che fosse. Con lei invece era diverso. Forse era l'amore a renderlo un'altra cosa.
«Mi stai distraendo dal pomeriggio tra ragazze che ha organizzato Beth, credo che stia per tirare fuori un fucile o qualcosa del genere.»
«Conosco molti altri modi per distrarti, se ti interessa..» ammiccai prima di tornare serio. «Senti, volevo dirti.. non è che passeresti da me, stasera? Ho una sorpresa.». Feci leva sulla sua inguaribile curiosità, provocandola.
«Mmm..» fece lei, facendomi rabbrividire. «Che tipo di sorpresa?».
«Una bella sorpresa. Tu vieni, al resto penso io.». Quando pronunciai quella frase avvertii immediatamente che l'aria si era raffreddata, perché non rise come avrei voluto. «Non nel senso che pensi tu, cretina. Vieni e basta, e non preoccuparti.» mi affrettai a precisare.
«Ok..» rispose lei quasi automaticamente. «Alle nove sono da te.». Poi chiuse il telefono.

Il fatto che lei temesse ancora che ogni mia gentilezza avesse un secondo fine, un po' mi infastidiva. Io avrei aspettato, avrei aspettato per tutto il tempo che lei mi avesse chiesto, eppure era ancora convinta che avrei forzato la mano. Desideravo fare l’amore con lei, non potevo negarlo, ma sarebbe accaduto solo quando anche lei l’avesse voluto con la stessa intensità…
Preparai tutto per il suo arrivo e, quando Sana bussò alla mia porta, avevo appena finito di apparecchiare. La accolsi abbracciandola, affondando subito il viso nell'incavo del suo collo per sentire il suo odore.
Le nostre labbra si incontrarono e, non appena incrociai il suo sguardo, la mia bocca si allargò in un enorme sorriso e, immediatamente, anche la sua.
«Ciao Kurata..» sussurrai vicino al suo orecchio.
«Dovrei stare più spesso lontano da te, se l'accoglienza è sempre questa.». Ricambiò il mio bacio sorridendo e, immediatamente, la condussi in cucina dove avevo apparecchiato per noi due, soffermandomi su ogni dettaglio. Non avrei saputo spiegare cosa mi avesse fatto, ma quella ragazza aveva cambiato il mio essere in modo radicale, quasi come se avesse riassemblato i pezzi della mia anima.
Passammo la cena in tranquillità, ridendo come facevamo di solito, e prendendoci in giro. Lei continuava a dirmi che, quando mi sarei laureato, avrei dovuto lasciarla lì un altro anno e che la cosa mi avrebbe fatto impazzire. Non sapeva nemmeno quanta ragione avesse, ma il fatto che pensasse ad un futuro con me mi riempì il cuore di gioia. Allora per lei non era solo una storiella passeggera, una di quelle in cui non metti particolari aspettative. Allora, probabilmente, prima o poi si sarebbe sentita pronta per fare l'amore con me. E, se mi avesse dato tanta fiducia, forse il cuore mi sarebbe scoppiato del tutto.
Mi accorsi solo poco dopo che, mentre io ero preso dai miei pensieri, lei continuava a mordersi il labbro nervosamente, come se il fatto di guardare un film, stando abbracciati nello stesso letto la mettesse a disagio. Le passai il pollice sul labbro inferiore e la costrinsi a guardarmi negli occhi. «Smettila, Kurata.» dissi infine, sporgendomi per baciarla. Le sue labbra erano morbide, calde, e mi facevano rabbrividire ogni volta. La sentii sciogliersi tra le mie braccia ma, non appena il bacio sembrò farsi più serio, tornò ad essere rigida. Non riuscivo a capire il suo atteggiamento, sentivo il suo trasporto e il suo desiderio, ma poi, all’improvviso, c’era qualcosa che la frenava.
«Mi vuoi dire cosa c'è che non va?» le chiesi, scostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Lei mi sorrise, minimizzando la cosa, e poi mi accarezzò la mascella. «Nulla, è tutto perfetto.» e mi baciò ancora. Sapevo perfettamente che mentiva ed ero sicuro di conoscere anche il motivo di tutto quel turbamento e, anche se facevo di tutto per cercare di evitare il problema, ero sicuro che non avremmo potuto rimandarlo per sempre e che presto o tardi ci saremmo trovati a fare i conti con il fantasma che aleggiava da sempre tra noi e che, da quando stavamo insieme, era diventato una presenza costante.

Decisi di non pensarci, che avremmo affrontato la questione se e quando si sarebbe posta, ma non potevo nascondere a me stesso che questo suo modo di fare mi feriva profondamente, mi faceva male pensare che per quanto mi sforzassi di dimostrare che grazie a lei ero cambiato nel profondo c’era ancora una piccola parte di Sana per cui ero un bastardo, l’ Akito che cambiava una donna a notte per il semplice gusto di aggiungere una tacca sulla spalliera del letto…
«Ho una sorpresa per te!» le dissi per riprendere in mano la situazione, cercando di farla sorridere. Lo fece, e il mio mondo si illuminò di nuovo.
«Si, me l'hai già detto!» disse lei, mettendosi bene a sedere. «Avanti, vediamo questa sorpresa!». Era entusiasta, questo riuscivo a leggerglielo negli occhi. Per smorzare la tensione le proposi una mini caccia la tesoro, avrebbe avuto il suo premio solo se fosse riuscita a trovarlo, nascosto nella mia stanza… La mia camera sembrava uscita dalla terza guerra mondiale, ma la ricerca di Sana fu decisamente fruttuosa.
«Un weekend tutto per noi?». Mi gettò le braccia al collo e io l'afferrai per i fianchi, coricandomi sul letto e mettendola su di me. Sorrisi ammiccando, e la baciai di nuovo. Le sue labbra premettero sulle mie con una forza che non avevo mai sperimentato e che mi stupì, ma quasi subito si staccò da me. «Non ci sarà nessun'interruzione, nessun amica che rompe le palle e nessun amico che fa la morale.» scherzai, giocando con i suoi capelli. Annuì e sorrise mentre tornava a baciarmi. Passammo la serata così, tra un bacio e l'altro, organizzando la partenza.

 

*
 

La nostra stanza era piuttosto piccola, dalle foto sul sito avevo notato che la maggior parte dello spazio lo occupava il letto matrimoniale. Ecco, era proprio quel letto a preoccuparmi non poco. Non avevo detto nulla a Sana, ma era ovvio che speravo che la nostra relazione passasse al livello successivo. Volevo essere un tutt'uno con lei, davvero, senza nessuno ad impedirlo. Volevo conoscere la sensazione che si provava a fare l'amore con qualcuno per cui daresti la vita. Doveva essere una cosa meravigliosa...
Mi voltai a guardarla, i capelli le ricadevano sul viso a causa del vento, e lei sembrava godersi a pieno quei momenti di tranquillità. Fuori faceva piuttosto freddo ma lei aveva insistito per tenere i finestrini aperti, perchè le piaceva sentire il vento sul viso. Quando arrivammo in paese la portai al ristorante che avevo trovato sulla guida online, facemmo un giro del paese e la serata fu piacevole, anche solo perchè eravamo noi due, finalmente insieme.
Mentre camminavamo mano nella mano per le stradine del paese, mi venne spontaneo sorridere. Era da tanto che non provavo tutta quella felicità. Anzi, a dire il vero, non l'avevo mai provata.
«Cos'è quella faccia?» mi chiese lei, notando la mia espressione estasiata.
«Quale faccia?», feci finta di niente.
«Quella faccia.» ribattè lei, fermandosi davanti a me.
«Sono felice..». Lei mi sorrise, poi si alzò sulle punte e mi mise le braccia al collo, stringendomi forte. Erano quelli i momenti che mi facevano comprendere quanto l'amassi, quanto tempo avessi sprecato dietro a cose e persone futili, senza rendermi conto che c'era qualcosa di più importante nella vita. Quando avevo incontrato lei, tutto, anche il mio animo, era stato prepotentemente modificato, e non avrei saputo come ringraziarla per ciò che aveva fatto per me. Lei mi aveva salvato, in tutti i modi in cui una persona può essere salvata.
L'albergo non era lontano e non ci mettemmo molto ad arrivare e, non appena chiusi la porta della camera alle mie spalle, Sana si voltò a guardarmi con fare malizioso. Ero sicuro che volesse ciò che volevo io, ne ero certo al cento per cento. Mi avvicinai a lei e le cinsi la vita con le mie braccia, accostandomi al suo viso per baciarla. Chiuse gli occhi ancora prima che toccassi le sue labbra. «Stai aspettando un bacio?» sussurrai, cercando tutta la forza necessaria per non fare nulla. «Si, qualcosa del genere..» rispose lei, sorridendo, ma continuando a tenere gli occhi chiusi. Quando le nostre bocche si toccarono, fu come ricevere un pugno allo stomaco. Un tonfo, al centro del petto, che mi fece mancare il fiato.
«Ho altri progetti per stasera..». La feci voltare, delicatamente, e le tolsi il cardigan azzurro che avevo sognato di sfilarle da tutto il giorno. La sentii immediatamente irrigidirsi, e la cosa mi turbò. Sembrava esattamente consapevole di ciò che stava facendo, ma forse la paura l'aveva conquistata di nuovo. Così mi allontanai, dirigendomi verso la mia valigia, dove avevo messo un costume, comprato proprio il giorno prima per lei. Le porsi il pacchetto. «Indossalo» le dissi semplicemente, e un secondo dopo era già chiusa in bagno.
Dopo aver messo anch'io il costume, l'attesi fuori dalla porta, aspettando che uscisse. Attraverso essa riuscivo a sentire ogni sospiro, ogni parola volutamente trattenuta, e per un attimo quasi mi venne da ridere. Mi allontanai leggermente dalla porta, facendo in modo che lei non si accorgesse che ero stato lì per tutto il tempo e, quando uscì, mi manco il fiato. Il costume che le avevo comprato le veniva alla perfezione, era verde, perfettamente in tinta con la sua carnagione chiara e i suoi capelli rossi che erano legati in una coda di cavallo. Le sorrisi e mi avvicinai, lentamente.
«Mi piacciono di più, così..» sussurrai al suo orecchio, sciogliendole i capelli. Lei sussultò, e io sorrisi, felice del fatto che la mia presenza le provocasse quelle sensazioni. La presi per le spalle e, in silenzio, la condussi alla nostra terrazza coperta, dove ci aspettava la jacuzzi. Non appena la vide, il suo volto si contrasse leggermente ma evitai di soffermarmi troppo su ciò che mi mostrava il suo viso. Volevo che lei mi parlasse, che mi spiegasse, ma non disse una parola. Entrammo nella vasca e, immediatamente, la presi per la vita e la trascinai verso di me, facendola mettere in mezzo alle mie gambe. Finalmente la sentii rilassarsi, mentre io stavo cominciando ad andare su di giri.
Sana alzò il viso e si accorse che si vedevano le stelle, sorrise e poi finalmente mi baciò. «Grazie..» sussurrò subito dopo, accarezzandomi il viso con la mano sinistra. Io le posai un leggero bacio sulle labbra e poi mi allontanai, sorridendo.
«Sono mesi che sogno di poterti baciare quando mi pare, credo che Babbo Natale abbia fatto avverare i miei desideri tutti insieme.». Lei non disse nulla, si limitò a baciarmi di nuovo, per poi tornare a guardare le stelle. «Sai, quand'ero piccola, il sette luglio, durante la festa del Tanabata, pensavo sempre che alzando gli occhi al cielo avrei visto Orihime e Hikoboshi abbracciarsi.».*
Accennò un sorriso, e io la immaginai da bambina, con le codine sempre penzolanti e mille magliette di colori diverse. «Pensavo sempre che, non appena avessi calato lo sguardo, avrei trovato gli occhi della mia anima gemella. Pensavo che avrei provato un tonfo al cuore, come se non ci fosse nessuno attorno a noi. Quando avevo sedici anni, andai a quella festa con Naozumi.». Il solo sentire pronunciare il suo nome mi dava il voltastomaco, ma feci tutto il possibile per non farglielo capire e annuii, invitandola a continuare. «Quando ho abbassato il viso, e ho incrociato gli occhi di Naozumi... non ho provato nulla. Ho semplicemente creduto al fatto che, essendo lì con me, fosse la mia anima gemella.». Sentirle raccontare quella storia da un lato mi faceva piacere, cominciava a fidarsi davvero di me e la cosa mi lusingava, ma d'altro canto mi dava anche molto fastidio. Aveva avuto un passato, in cui io non ero contemplato, un passato in cui Naozumi Kamura era l'indiscusso protagonista. Non potevo sopportare che lui l'avesse toccata, che l'avesse baciata, che avesse avuto il privilegio di dire che era sua. E che tutto ciò fosse accaduto prima che io la conoscessi. Prima che io potessi dire che era mia.
«Poi, col tempo...» continuò «mi sono resa conto che forse non avrei mai trovato l'anima gemella». Quella frase mi spezzò il cuore. Fu come sentire che, da un momento all'altro tutto quello che avevamo passato, avrebbe potuto non significare più nulla.
«Finchè.. finchè non ho conosciuto te» concluse infine. La paura mi aveva paralizzato, per un attimo avevo temuto che, se avessi anche solo respirato, avrei potuto svegliarmi da un sogno meraviglioso. Per la prima volta nella mia vita, avevo provato il terrore puro.
«Non hai nemmeno la minima idea dell'effetto che mi fai, vero?». La abbracciai ancora più forte, stringendola a me e cullandola dolcemente, in quel momento avrebbero potuto chiedermi di rinunciare all'ossigeno, ma non di lasciarla andare.
«Evidentemente no.» rispose lei, ammiccando.
Se avessi potuto fermare il tempo, in tutta la mia vita, probabilmente avrei scelto quell'attimo. Perchè un attimo qualunque della vita può trasformarsi a un tratto nel momento più importante, quello che si ricorda per sempre, quello che segna il passo per strade che si percorreranno poi. Di attimi perfetti nella vita io non ne avevo avuti molti, anzi forse nessuno, ma quello vinceva assolutamente il primato. Era il nostro momento perfetto.
Dopo un paio d'ore, non appena lei cominciò a lamentarsi del freddo, la presi in braccio e la feci uscire dalla vasca, portandola di nuovo nella stanza. Mentre l'avevo tra le braccia cominciò a darmi una serie di baci sul collo, e per la prima volta nella mia vita pensai di non avere più il controllo di nulla.
«Non dovresti..». sussurrai io, sospirando. «Vai a farti una doccia, ti aspetto qui..» dissi poi, cercando di raccogliere tutta la mia forza di volontà per allontanarla da me. E ce ne volle tanta, di forza di volontà.
Non appena si chiuse in bagno, attuai il mio piano. Mi fiondai sullo zaino e tirai fuori le candele, accendendole una per una. Le posizionai per tutto il perimetro della stanza, poi aprii il pacchetto dei petali rossi e li gettai sul letto, creando un'atmosfera a dir poco perfetta.
Ma, quando Sana uscì dal bagno, la sua espressione non fu esattamente quella di una ragazza innamorata. Nei suoi occhi vidi solo disgusto, e nei miei invece si sarebbe potuto scorgere solo dolore.
«E questo.. questo cosa sarebbe?» mormorò lei, guardandosi intorno.
«Non ti piace? Io.. pensavo...». Non riuscivo neanche più a parlare, il dolore al petto si espanse in meno di due secondi a tutto il corpo. Sentivo lo stomaco attorcigliarsi, come se qualcuno avesse preso un coltello e lo avesse conficcato lentamente dentro di me. Mai mi ero sentito in quel modo prima di allora, mai nella mia vita avevo provato tanto dolore.
«So benissimo cosa hai pensato» disse lei, sorridendo sarcastica. «Tu hai pensato che, non appena io avrei abbassato la guardia, avresti potuto organizzare una cosa del genere per.. per portarmi a letto, come hai sempre fatto con tutte. Notizia flash, Hayama: io non sono tutte.»
Quelle parole furono il colpo di grazia. Per me non c'era stata nessun'altra, e lei aveva anche il coraggio di dirmi che la colpa era mia.
«Kurata, ma cosa dici?». Avanzai, ma mi bloccai quando lei arretrò, allontanandosi da me. Nei suoi occhi, scorsi un'espressione mista di paura a confusione. La paura fu quella che mi fermò. Non le avevo dato modo di aver paura di me, eppure quell'espressione aveva chiarito ogni dubbio. «Non ho intenzione di discutere di una cosa del genere.». Andai verso la porta ed uscii, lasciandola lì da sola. Il tonfo della porta che sbatteva, sicuramente, fece più male a me che a lei.
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Pov Sana.

Quando capii che non sarebbe tornato indietro, sentii il mio cuore frantumarsi in infiniti minuscoli pezzi. Avrei potuto seguirlo, corrergli dietro per fermarlo, ma non lo feci, perchè lo conoscevo abbastanza da sapere che non sarebbe servito a molto. Mi appoggiai alla porta, accasciandomi a terra e prendendomi il viso tra le mani. Volevo sprofondare. Avevo appena ferito l'unica persona al mondo che avessi mai amato, e lo avevo fatto solo perchè ero una codarda. Mi rannicchiai con le ginocchia al petto. Le lacrime cominciarono a scorrermi sulle guance, non sapevo come fermarle e non volevo che si fermassero. Mi meritavo di piangere, perchè sapevo quanto male avevo fatto ad Akito e, inconsapevolmente, sapevo anche che non potevo rimediare finchè non avessi affrontato i miei mostri. Avevo appena cacciato via l'unica persona in grado di aiutarmi a farlo. Avevo appena perso qualcosa che avevo faticato a conquistare, per cui avevo lottato. L'avevo lasciata andare, per paura. Mi resi conto immediatamente di quanto fosse stupido, perchè ero consapevole del fatto che sarebbe bastato un mio gesto, anche un sussurro, per fermarlo. Sapevo che si sarebbe fermato, mi fidavo ciecamente di lui. Il problema stava nel fatto che non mi fidavo altrettanto di me stessa.
Non sapevo cosa pensare, avrei potuto chiamarlo, erano passate già diverse ore e lui non era ancora tornato. Per un attimo mi attraversò la mente il pensiero che non sarebbe tornato affatto, che mi avrebbe lasciata lì, da sola, per il resto del week-end. Avrebbe fatto bene, in fondo. Non ero stata capace di renderlo partecipe dei miei sentimenti, gli avevo detto che l'amavo, ma forse il mio non era amore.
Il senso di colpa mi stava distruggendo lentamente, come un silenzioso boia che arriva per toglierti tutto. Ma il boia ero io. Io stessa, mi ero abbandonata. Mi avvicinai alla finestra, mentre ancora le lacrime non accennavano a fermarsi, e guardai fuori. La aprii, cercando di sentire l'odore della terra bagnata, della neve appena sciolta, e del freddo pungente che accarezzava tutto. Non riuscivo più a pensare con lucidità, era come se avessi perso anche la minima consapevolezza di me stessa. Lui non c'era più, se n'era andato a causa mia, e io non potevo far nulla per rimediare. Se solo avessi potuto, se solo il mio corpo avesse accompagnato ciò che la mia testa e il mio cuore urlavano, avrei potuto dargli ciò che voleva. Ma, una volta, lessi su un libro che il corpo sa cosa fare. E il mio corpo mi aveva suggerito, nel momento stesso in cui avevo visto quelle candele, che non era il momento. Non ero pronta.
E non si trattava nemmeno di pregiudizi su Akito, il fatto che lui fosse il sex symbol dell'università non mi toccava minimamente. Ero io il problema, perchè non riuscivo a lasciare che corpo e mente si mettessero d'accordo. Tra loro c'era una continua lotta, e io non ero esattamente a mio agio nello stare in mezzo. Non potevo credere di avergli detto delle parole tanto orrende. Lo avevo accusato di avermi trattato come tutte le altre, gli avevo urlato contro che io non ero disposta a farmi trattare così. Lui era stato così dolce, così premuroso, e io invece non avevo saputo cogliere il bello di ciò che mi stava offrendo.
Io lo amavo, mai avevo amato così tanto qualcuno, avrei potuto sentire il mio cuore scoppiare da un momento all'altro per quanto amore mi tenevo dentro. Eppure, nonostante quello, ero fuggita. Non mi sentivo all'altezza, non mi sentivo abbastanza per lui. Non avrei potuto dargli piacere, perchè non sapevo cosa significasse. Non avrei potuto renderlo felice, perchè io stessa non ero capace di esserlo. Improvvisamente quel pensiero mi distrusse. Forse mi ero illusa, pensando che sarei riuscita a competere con la sua vita passata. Pensando che, nonostante tutto, lui avrebbe potuto amarmi. Ma io, io avrei potuto amarlo come lui desiderava? O il fantasma di tutte le donne che mi avevano preceduto avrebbe continuato ad aleggiare su di noi?
Intanto non riuscivo a smettere di piangere, il mio petto era scosso da tremiti, e sentivo che sarei impazzita se non avessi tenuto a bada quel dolore. Cercai di calmarmi, inspirando ed espirando, proprio come insegnano ad ogni buon corso di gestione dell'ansia, ma nulla. Nemmeno la respirazione funzionava. In realtà, niente avrebbe funzionato, il dolore non se ne sarebbe andato.
Ad un tratto mi gettai a letto, avvicinai le gambe al petto, in posizione fetale e, come se il mondo si fosse posato sui miei occhi, mi addormentai, mentre ancora le lacrime scendevano lente.
Nella mia testa, una sola domanda. Tornerà?

 

*
 

Un tonfo mi risvegliò dal sonno. In effetti, non ero riuscita a dormire bene, ma mi ero sforzata di farlo perchè, se avessi pensato ad Akito un minuto di più, avrei dovuto raccogliere i pezzi di me stessa che stava andando in frantumi. Il rumore della doccia mi fece riprendere lucidità del tutto. Era tornato. Mi alzai in fretta e, prima di avvicinarmi al bagno, ci pensai mille volte. Cosa avrei potuto dirgli? Come avrei potuto scusarmi? Ogni parola, ogni frase, mi sembrava banale e poco appropriata. Volevo che capisse quanto l'amavo, anche se non mi sentivo pronta per essere veramente sua. Io sentivo di appartenergli, anche senza quel legame fisico, ma ero consapevole del fatto che, prima o poi, anche quello sarebbe arrivato e che il mio corpo non avrebbe più obbiettato.
Un passo dopo l'altro arrivai davanti alla porta del bagno, sicura del fatto che lui fosse lì, sotto la doccia, magari per non pensare. Magari per lavare via tutto il dolore che io stessa gli avevo causato. Quando mossi la porta, quest'ultima fece rumore e lui si girò di colpo, guardandomi. Non lo avevo ancora visto in quel modo, completamente nudo, eppure il mio corpo non fuggì, non era spaventato, ne turbato. Lui non disse nulla, ma i suoi occhi mi parlarono ugualmente. Mi insultavano, anche se si trattenevano. Mi maledicevano e poi tornavano ad amarmi. Ed era questo che più volevo di lui. Era questo suo desiderio incondizionato che mi attraeva e che mi faceva rendere conto del fatto che, innamorarmi di lui, era stata la cosa migliore che mi fosse mai successa. L'acqua gli scivolava sul petto perfettamente scolpito, e i capelli gli ricadevano pesanti ai lati del viso. La bocca carnosa cercava di scacciare le gocce mentre le ciglia catturavano ogni singola stilla. Era una visione, e io ero fortunata. Non solo perchè era evidentemente bellissimo, ma anche perchè aveva dimostrato di essere esattamente il ragazzo che desideravo al mio fianco.
Mi avvicinai lentamente al box doccia, senza distogliere mai gli occhi da lui. Mi bruciavano ancora, a causa del pianto della notte prima, ma non m'importava. Se era davvero certo del suo amore per me, avrebbe dovuto conoscere anche quel lato di me. Il lato fragile, insicuro e totalmente opposto a quello che invece mostravo a tutti.
«Sei tornato..» dissi con un filo di voce. Anche se non mi sentivo pronta, ciò che vedevo non mi lasciava di certo indifferente.
«Sono tornato.» ribattè lui, mandandosi indietro i capelli che, un momento dopo, gli ricaddero prepotenti sul viso. Fece per uscire dalla doccia ma io lo fermai, mettendomi davanti a lui e sbarrandogli la strada. «Non voglio che tu lo faccia, Kurata. Non voglio niente da te, se non lo vuoi anche tu.» disse poi, fraintendendo il mio gesto. Non volevo fare l'amore con lui, non in quel momento almeno, ma volevo sentirlo vicino. Volevo sapere che mi amava, nonostante la mia evidente follia. Volevo sapere che non era deluso, anche se probabilmente lo era eccome.
«Mi dispiace...» mormorai, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo. Di certo era una situazione atipica, lui era nudo mentre io, completamente vestita, tentavo di farmi perdonare.
«Non c'è nulla per cui tu debba dispiacerti.» rispose serio lui. La freddezza che udii nelle sue parole bastò per farmi scoppiare di nuovo in lacrime. Lo abbracciai ancora più forte, cercando di fargli capire che non volevo ferirlo.
«Perdonami, davvero... Io.. io ti amo, ti amo in un modo che non credevo fosse possibile. Ti amo così tanto che mi consuma, che quasi mi fa male. Ti amo a tal punto da avere paura. Ho paura che, vedendomi per ciò che sono, una patetica ragazzina che non ti sa dare ciò che tu vuoi, ti allontanerai da me e mi lascerai. Tu potresti distruggermi, lo capisci? Potresti uccidermi con uno schiocco di dita e io.. io ho paura».. Pronunciai quelle parole come se fossero l'unico modo per fargli capire ciò che veramente provavo. Io ero terrorizzata, non avevo semplicemente paura.
Akito abbassò lo sguardo e, con un solo gesto, mi avvolse completamente tra le sue braccia. In quel momento mi sentii in pace col mondo.
«Non ti farei mai del male, non ti costringerei mai a fare qualcosa che tu non voglia fare esattamente quanto me.». Mi prese il mento tra indice e pollice e mi costrinse a guardarlo. «Ascolta, io ti amo e, anche se tu non vorrai fare l'amore con me per altri due, tre, quattro anni, io ti amerò ugualmente. Non sono ipocrita, non posso dire che non ti voglio. Io ti voglio come non ho mai voluto nessuna, in un modo così incondizionato che a volte mi stupisce. Ti voglio dal primo momento che ti ho vista, e da quel momento non ho più toccato nessuna ragazza. Non ci riuscivo, perchè non eri tu. Ho desiderato fare l'amore con te immediatamente e, anche se l'attesa mi farà impazzire, io aspetterò. Aspetterò tutto il tempo che tu mi chiederai, aspetterò perchè sono certo che ne varrà la pena. Tu ne varrai sempre la pena.».
Il mio cuore perse un battito nel momento in cui realizzai che lui non era più andato a letto con nessuna da quando mi aveva conosciuta. In ogni caso, dovetti comunque richiederglielo, per esserne sicura al cento per cento. «Tu.. tu non sei più stato con nessuna?». La mia domanda lo fece sorridere, come se fossi una bambina incredula.
«No, nessuna.» rispose fermo lui. Quello per me bastava. Bastava a colmare ogni dubbio, ogni singola preoccupazione che mi aveva tormentato. Era l'esatta conferma di ciò che avevo sempre pensato.
Lo baciai intensamente e, quasi automaticamente, gli cinsi la vita con le gambe. Il contatto con la sua pelle nuda mi provocò un attimo di esitazione ma, quasi subito, lo scacciai per concentrarmi sul momento. Akito Hayama era mio, e mio sarebbe stato per sempre.
Per la troppa foga che avevo messo in quel bacio, ci ritrovammo improvvisamente sotto il getto della doccia e, in un secondo, i miei vestiti erano zuppi. La camicia da notte che avevo indossato cominciò ad aderire al mio corpo, diventando sempre più trasparente.
Akito si bloccò per un attimo ma io lo baciai di nuovo, dicendogli con i gesti che non lo avrei fermato. Le sue mani scesero lentamente sul mio fianco, per poi arrivare alla coscia. Mi alzò la camicia già bagnata e mi accarezzò lentamente la gamba. La sensazione del suo corpo sul mio mi faceva venire i brividi. L'acqua continuava a scendere su di noi e, non appena mi liberai per un attimo dalla sua bocca, tornai a reggermi sulle mie gambe. Brutta mossa, visto che erano molli e senza forze, ma volevo guardarlo, volevo sentirlo ancora più vicino.
Come se mi avesse letto nel pensiero Akito prese ad avvicinarsi, premendo il mio corpo tra il suo e la parete. Ero in trappola, ma mi sentivo così maledettamente bene. Sentivo che mi desiderava, lo vedevo, e la cosa non poteva che rendermi euforica. Io, che avevo sempre pensato di non aver nulla di affascinante, stavo facendo impazzire il ragazzo che tutte le donne avrebbero voluto. In quel momento il mio corpo urlava di si. Si, avrei voluto disperatamente fare l'amore con lui.
Alzai lentamente le braccia, permettendogli di togliermi l'ormai inzuppata camicia da notte. Poco prima mi ero sentita così sicura di non volerlo, e invece in quel momento avrebbe potuto chiedermi qualsiasi cosa e io l'avrei fatta senza fiatare. Ero in balia di Akito Hayama e non mi dispiaceva affatto esserlo. Avrei voluto passare tutta la vita in balia sua.
Quando mi ritrovai solo con gli slip davanti a lui, la vergogna si impossessò di me. Lui mi guardò, con la scintilla negli occhi, e mi sorrise, avvicinandosi per baciarmi e per coprirmi col suo corpo.
«Sei così bella..» mi sussurrò quando la sua bocca fu vicina al mio orecchio. Mi sciolsi in un attimo e lo baciai, di nuovo. «Non.. non farò nulla che tu non voglia. Quindi dimmi, ti faccio paura?». La sua voce era un sussurro, quasi un ringhio soffocato. Paura? Come poteva farmi paura? Era così premuroso, così attento, così meraviglioso.
«Rispondi, Kurata.. ti faccio paura?». Ma davvero aveva bisogno di una risposta?
«No..» sussurrai poi, certa al cento per cento che fosse vero. «Non mi fai paura.».
Ed era vero, nel mio cuore non c'era un briciolo di terrore in quel momento. Ero sicura di voler essere sua.
«Non farò l'amore con te, così.» disse poi, distruggendo ogni mia immaginazione, mentre le sue mani continuavano a disegnare piccoli cerchi sulla mia gamba, per poi risalire in alto. «Voglio che sia speciale, per te. Voglio il meglio per te, sempre..».
Quelle parole furono la mia rovina. Lo amavo, e me ne accorsi pienamente solo in quel momento, quando i suoi occhi mi guardarono come se fossi fatta di porcellana e avessi potuto rompermi da un momento all'altro. Lo amavo e lui amava me, di questo ero più che certa.
Mi strinsi ancora di più a lui, nel momento in cui la consapevolezza di ciò che provavo mi investì come un treno.



* La festa del Tanabata in Giappone è una ricorrenza davvero romantica, che ha destato subito la mia attenzione. Viene chiamata anche Festa delle stelle innamorate. La leggenda narra che Hikoboshi e Orihime, vittime di un matrimonio combinato, furono così fortunati da innamorarsi follemente non appena si conobbero il giorno delle nozze. Furono talmente presi dal profondo sentimento che provavano l’un per l’altro che dimenticarono completamente i loro doveri, il loro lavoro e gli altri Dei. La loro unica ragione di vita sembrava essere diventata l’amore e la passione. I due allora vennero separati, per far si che tornassero alle loro occupazioni abituali, Hikoboshi infatti era un pastore e Orihime una tessitrice molto abile, ma il risultato non fu quello sperato. I due, infatti, pensando continuamente alla mancanza l'uno dell'altro, continuavano a non lavorare. Allora si cercò un'altra soluzione: i due sarebbero stati divisi un anno intero, avrebbero dovuto continuare a lavorare come sempre, e si sarebbero ritrovati ogni anno, alle sponde del Fiume celeste, una volta soltando nella notte del settimo giorno del settimo mese dell'anno. Entrambi, speranzosi di poter rivedere l'altro, tornarono ad occuparsi dei loro doveri. Da quel momento in poi infatti, dopo un anno di lavoro e fatica i due ogni 7 luglio attraversano il Fiume Celeste e nel cielo stellato si incontrano.
Ogni 7 luglio, quindi, gli innamorati alzano gli occhi al cielo nella speranza di vedere Hikoboshi e Orihime riabbracciarsi.
Questa leggenda, come dicevo, mi ha incuriosito particolarmente perchè ho visto in questi due innamorati propro i nostri Sana e Akito, due anime gemelle pronte a sfidare tutto pur di stare insieme.

Bene, il capitolo è terminato, ma peril diciottesimo dovrete aspettare un po' perchè l'ispirazione mi sta un po' abbandonando :(
Spero torni presto, ma sono sicura che sarà così, non mi ha mai lasciata in diciott'anni, perchè dovrebbe accadere ora?
Per questo non posso lascarvi alcuna anticipazione del prossimo capitolo, spero possiate perdonarmi!
Un bacio, Akura.
PS: Vi ringrazio infinitamente per tutti i complimenti, le belle parole, mi riempite il cuore di gioia davvero. Questo per me non è solo un divertimento, o un modo per passare il tempo. Vorrei che fosse il mio lavoro, un giorno, vorrei vivere grazie alla mia penna, anche se ho scelto un'università che poco c'entra con tutto ciò. Quindi, il fatto di sapere che ho già dei 'fan' (ovviamente non mi permetterei mai di chiamarvi così, è solo una piccola mia illusione per sognare ancora un po') mi fa sentire estremamente speciale.

 

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Capitolo 18
*** San Valentino. ***


CAPITOLO 18.

SAN VALENTINO.

Pov Sana.

Sapevo che ciò che avevo in mente sarebbe stata una strada a senso unico, dovevo solo scegliere: dentro o fuori? Il mio cervello non era molto incline ad aiutarmi e il mio cuore invece sembrava troppo indirizzato su una strada che io non ero sicura di voler percorrere. Non c'era molto su cui riflettere, il 14 febbraio era alle porte e io avevo bisogno di far capire ad Akito che lo amavo, lo amavo davvero. Non volevo più avere paura, volevo che il mio terrore facesse i bagagli e mi lasciasse in pace. Volevo che fosse lui il primo. Volevo che fosse anche l'ultimo.
Non avevo fatto altro che programmare quella giornata nelle ultime settimane. Dopo che eravamo tornati dal nostro week-end apocalittico mi ero ripromessa di non deluderlo più, di mostrarmi sempre sicura del fatto che fosse lui quello giusto per me. E io lo pensavo davvero, lui era davvero quello giusto per me. Lo sentivo dentro ogni volta che mi sfiorava, anche inavvertitamente, quando mi guardava con quegli occhi d'ambra, profondi come l'oceano, quando la sua bocca si incurvava per regalarmi uno dei suoi sorrisi. Lo percepivo, era l'amore a farmi sentire in quel modo.
Ero certa di ciò che lui provava per me, solamente un uomo innamorato avrebbe potuto aspettare tanto prima di avere la propria fidanzata tra le lenzuola, e ormai erano quasi tre mesi che attendeva in silenzio, senza forzarmi, fermandosi quando glielo chiedevo, con un sorriso, come se non soffrisse da morire. Io, d'altro canto, non sapevo come fargli comprendere che le mie paure erano scemate, che ero sicura di voler affrontare questo passo con lui.
Avevo contattato Natsumi, il motivo non lo sapevo, ma le avevo chiesto aiuto, pregandola di trovare un modo di distrarre suo fratello e per allontanarlo da casa per quel giorno. Natsumi mi aveva detto che sapeva già cosa inventare, mi aveva salutato e mi aveva promesso la sua collaborazione. Non sapevo cosa pensare di lei, per tutto il tempo l'avevo considerata un mostro, per lo meno per come l'aveva dipinta Akito, ma mi rendevo conto sempre di più che in realtà era stata solo una ragazza immatura, con un dolore troppo grande per essere spiegato. Il giorno prima mi sentivo emozionata come una bambina alla vigilia di Natale, le carezze di Akito mi facevano rabbrividire sempre di più e non sapevo come controllare tutta quella agitazione.
«Natsumi ieri mi ha chiamato...» disse mentre eravamo comodamente distesi sul divano, a goderci la nostra tranquillità. Mi sembrava di vivere la vita di un'altra, era tutto troppo piatto, tutto troppo calmo e felice per essere la vita di Sana Kurata. Mi voltai a guardarlo, alzando il mento verso di lui e posandogli un leggero bacio sul mento. «E cosa voleva?», lui mi guardò torvo, aggrottando le sopracciglia e rivolgendomi uno sguardo pensieroso. Era ancora combattuto sul rapporto con la sorella, e per un attimo mi pentii di averle chiesto aiuto, ma probabilmente sarebbe stata anche quella un'occasione per vederli uniti.
«Mi ha chiesto di accompagnarla dal medico domani.. Deve fare la prima ecografia e suo marito non può esserci». Lo guardai per un attimo, mettendo il broncio per reggere il gioco. «Ma domani è San Valentino e io le ho detto di no.» disse subito lui, notando il mio sguardo. Io risi, mettendogli un dito sulle labbra. «Chiamala e dille che accetti. E' tua sorella e devi assolutamente esserci.». Lui mi rivolse uno sguardo interrogativo, incerto sul da farsi ma, alla fine, lo convinsi a chiamarla. Per un attimo avevo temuto che avrebbe rifiutato, gettandomi nel panico più assoluto perchè non avrei potuto trovare un altro pretesto per allontanarlo da casa sua.
«Ma ne sei sicura?». Annuii lentamente, stringendomi a lui in modo da sentire il battito del suo cuore. Era forte, sicuro, meravigliosamente armonioso e non volevo che un altro cuore battesse così per me. Mi concentrai su quel ritmo, beandomi della sua vicinanza e del suo calore. Volevo passare in quel modo tutta la mia vita, perchè nonostante il mondo sotto i riflettori fosse meraviglioso, niente valeva come quei momenti.

 

*
 

Quando me ne andai, spinta più dall'eccitazione che dalla paura, dovetti faticare molto per non rivelare ad Hayama i miei progetti. Il giorno dopo, a quell'ora, sarei già stata sua e non avrei più avuto paura. La paura è per i perdenti, mi dissero un giorno a scuola di recitazione. E avevano ragione, non avrei dovuto temere nulla, non con Akito.
Continuavo a convincermi mentalmente che la mia scelta fosse quella giusta, probabilmente non avrei potuto trovare altre ragioni per farlo e non volevo trovarne. Desideravo fare l'amore con lui e, anche se non ci fossero stati motivi razionali a spingermi tra le sue braccia, non avrei fatto altro che andare avanti col mio progetto. Sentivo dentro di me che era ora di mettere da parte tutto e di dedicarmi solo a pensare a cosa volevo davvero. E, l'unica cosa che desideravo più di ogni altra, era fare l'amore con Akito, fino a far fondere i nostri corpi per crearne uno solo…
Quando, il giorno dopo, Akito uscì di casa per raggiungere la sorella, non prima di avermi dato una scatola di cioccolatini e un bacio meraviglioso, il mio cuore stava per scoppiare.
Preparai tutto, in ogni minimo dettaglio, proprio come aveva fatto lui durante il nostro week-end. Avevo tenuto lontano Tsuyoshi, chiedendo a Beth di portarlo da qualche parte, perchè volevo la casa tutta per me e Akito. Misi le candele, rigorosamente alla vaniglia, visto che aveva imparato a riconoscere il mio odore, e posizionai ogni singolo petalo al centro del letto, formando un cuore. Per l'occasione avevo comprato un completino intimo nuovo, non uno dei soliti, ma qualcosa di speciale, con tanto di autoreggenti. Volevo essere speciale, per lui. Questo suo strano modo d'amarmi mi sorprendeva ogni giorno, voleva che prendessi più consapevolezza di me stessa, lui me lo aveva insegnato, standomi accanto e aiutandomi a credere nelle mie capacità. Provai per un attimo a immaginare la mia vita senza di lui, in un futuro che in quel momento mi parve così vicino, e sentii improvvisamente che il mio cuore stava accellerando il suo ritmo. Di quello, avevo una paura matta. Di svegliarmi, fra qualche mese, e comprendere che tutto quell'amore, tutto quel desiderio, tutta quella voglia di stare insieme, fossero andate via lasciandomi da sola. Immaginai per un attimo che non avrei più incontrato quegli occhi ambrati, maliziosi e dolci allo stesso tempo, e riuscii a stento a trattenere le lacrime. No, non sarebbe successo, non lo avrei permesso. Mentre torturavo me stessa con quei pensieri, mi misi ai fornelli, cercando di abbozzare una cena più o meno commestibile per noi due per poi preparare la tavola, con un tocco di eleganza tutta femminile. Indossai la mia gonna preferita, le scarpe col tacco appena comprate e una camicia di seta che ricadeva morbida sui miei fianchi appena in evidenza. La gonna a tubo fasciava perfettamente il mio corpo, lasciando poco spazio all'immaginazione, e per la prima volta nella mia vita mi sentii estremamente seducente. Sciolsi i capelli, sapevo che lui li preferiva liberi da qualsiasi acconciatura e andai nella sua camera per guardarmi allo specchio. Si, ero decisamente seducente.
Mi voltai a controllare che fosse tutto perfetto, allineai per bene gli oli profumati che volevo usare come preludio per la serata, cimentandomi come massaggiatrice. Tornai in cucina, guardai l'orologio. Sarebbe stato lì a momenti. Una sensazione sconosciuta mi invase lo stomaco, mettendolo in subbuglio e dimostrandomi che tutto ciò che avevo fatto, aveva avuto un'influenza assolutamente positiva su di me. Tornai a guardare le lancette. Tic, tac, tic, tac. Ogni rumore nella mia mente era fortemente amplificato, e mi sentii quasi sopraffatta da quello che stavo provando. L'attesa era estenuante. Ma, come diceva qualcuno, l'attesa del piacere è essa stessa il piacere.

 

*
 

Quando sentii la porta dell'appartamento aprirsi, il mio cuore perse un battito, e lo recuperò solamente nel momento in cui gli occhi ambrati di Akito si posarono su di me, con quella sfumatura di soddisfazione che mai li abbandonava. Gli sorrisi mentre si avvicinava a me, in silenzio, e mentre le sue labbra erano sulle mie un brivido mi percorse la schiena. Chissà se immaginava, anche lontanamente, ciò che avevo in mente.
Guardò la tavola, perfettamente apparecchiata per due, e la cena nei piatti e l’ odore non lo lasciò sicuramente indifferente. Non ero di certo una brava cuoca, le cose che mi riuscivano senza dover per forza ricorrere agli estintori erano poche, ma avevo messo in quel cibo tutto l'amore e tutta la dedizione possibile.
«A cosa devo tutto questo?» chiese mentre si toglieva il giubbotto di pelle marrone e lo poggiava su una sedia in salotto. Il rumore dei suoi stivali sul pavimento mi fece risvegliare dal mio personale momento di riflessione e, quando tornò in cucina, lo guardai e sorrisi. «Devo ricordarti che oggi è San Valentino?».
«No, non ce n'è bisogno..». Si avvicinò, mi posò un premuroso bacio sul naso e poi mi fece cenno di avvicinarci alla tavola. Tentavo in tutti i momenti di resistere, di non lasciare che l'emozione prendesse il sopravvento su di me, ma era difficile farlo se lui continuava deliberatamente a provocarmi, anche senza volerlo. Mi riscoprii molto più lasciva e impudica di ciò che avrei mai pensato ma la cosa non mi turbò. In fondo, era quello per cui avevo aspettato così tanto tempo, un tempo così lungo se pensavo al fatto che Akito era sempre stato lì, anche quando non lo conoscevo. Era quella la sensazione che mi dava, io credevo al destino e il fatto che i suoi occhi avessero incrociato i miei, quella sera al bancone dell'open bar, era sicuramente un segno.
«Come è andato il pomeriggio in famiglia?» chiesi, cercando di scacciare ogni pensiero inappropriato dalla mente. Un bambino era sicuramente un argomento neutro, candido e puro, come fra poco io non sarei stata più. Contieniti... disse la mia vocina interiore, che mi fece ricordare il luogo in cui ero. La terra.
«Bene.. Natsumi mi ha detto che non vuole sapere il sesso del bambino, vuole che sia una sorpresa.». Che bella cosa, pensai. Non avevo ancora pensato alla possibilità di vedermi madre, un giorno, eppure sentivo già che avrei amato quel ruolo. Non in quel momento, avevo pur sempre diciannove anni, ma magari in futuro, dopo la laurea, quando le cose sarebbero state più semplici per entrambi. Sorrisi al pensiero che avevo già dato per scontato il fatto che sarebbe stato lui il padre dei miei figli.
«Cos'hai da ridere?» chiese poi, notando la mia espressione indecifrabile. «Mi trovi divertente?»
«Un po', se devo essere sincera. Sono contenta che tra te e tua sorella le cose vadano meglio.». Guardai il suo piatto, vuoto, la cena era finita e il mio cuore non stava quasi più nel petto.
Mi alzai dalla sedia, facendo il giro del tavolo, e mi sedetti sulle sue gambe, circondandogli il collo con le braccia. Lui sospirò mentre lo abbracciavo e, quando mi allontanai leggermente per baciarlo, i suoi occhi avevano una luce nuova, un brivido mai conosciuto che mi lasciò senza fiato. Gli accarezzai leggermente il viso, perdendomi dentro quegli occhi d'ambra. «Sei..». Non riuscivo nemmeno ad esprimere quello che vedevo, ciò che sentivo.
«Sono...? »mormorò, incitandomi a finire la frase.
«Bello...», fu l'unica parola che riuscii a pronunciare. Mi faceva sentire... eterna. «Ti dispiace se faccio una cosa?» chiesi poi, alzandomi e andando a prendere la benda, comprata apposta per l'occasione. Quando la vide, aggrottò le sopracciglia. «Non voglio ucciderti e tagliarti a pezzettini.» risposi alla sua domanda non posta.
«Non mi stavo preoccupando, Kurata. Non mi spaventi, se è quello è che pensi.» ghignò, alzandosi in piedi anche lui. Si abbassò leggermente, ma poi guardò giù, vide i tacchi e tornò dritto. Senza dire nulla, gli misi la benda sugli occhi e poi lo baciai, piano e con calma, allontanandomi sul più bello.
«Stronza..» sussurrò lui, con un mezzo sorriso. Lo guidai verso la sua camera, non prima di averlo disorientato leggermente portandolo in altre stanze.
«Dove siamo?». Cominciò a stringermi la mano con forza, attirandomi a se. Io sorrisi, divertita dal suo atteggiamento.
«Non pensi che dovresti semplicemente goderti il momento?» risposi io, senza dargli la possibilità di dire nulla. Lo portai verso il letto, accarezzandogli le mani lentamente. Guardai le mie mani, cercando di dargli un contegno visto che avevo cominciato a tremare come una foglia. Non capivo cosa provasse lui, ma leggevo in lui la stessa paura che c'era in me. Non era lo stesso terrore che avevo provato in quella camera d'albergo, ma più una paura legata all'emozione.
Il mio cuore stava scoppiando per la gioia di essere lì, con lui, per lui. Perché tutto quello che avevo fatto nella mia vita, in un modo o nell'altro, mi aveva portato a quel momento. Avevo aspettato, temporeggiato e avevo evitato quel passo fino a ritrovarmi lì, davanti ad Akito Hayama, l'uomo che desideravo avere, in tutto e per tutto. Gli tolsi la benda, accarezzandolo ai lati del viso. Lo guardai per un attimo, era bello da mozzare il fiato, con la camicia appena aperta sul petto e gli occhi abbaglianti. Gli sorrisi, infondendogli la fiducia che stavo riponendo in lui. Si alzò piano, senza staccare gli occhi dai miei, e in lui vidi non solo la sicurezza di sapere ciò che stava per fare, ma soprattutto la paura di far qualcosa di sbagliato. Aveva paura con me, per me.
Mi sfiorò piano la guancia, scendendo fino al mento.
«Fermami...» sussurrò lui, a pochi millimetri dalla mia bocca. Alzai lo sguardo, finalmente consapevole della mia volontà.
«E perché dovrei?». I suoi occhi erano due fiamme ardenti, mi immobilizzavano e non lasciavano spazio a nient'altro attorno a noi.
«Perché si, se non vuoi che vada avanti...» rispose lui, guardandomi la bocca. Feci un sorriso sghembo, lo baciai di nuovo e poi dissi: «E chi ti dice che io voglia fermarti?». Le mie parole dovettero convincerlo perché, non appena le pronunciai, il suo sguardo cambiò. Non aveva più paura, anche se continuava a trattarmi come un oggetto prezioso, che temeva si sarebbe rotto.
Invertì le posizioni e mi spinse verso il letto; per un attimo mi venne in mente che mi avrebbe gettato sul materasso, ma non lo fece. Continuò a guardarmi, impaziente e allo stesso tempo attento ad ogni movimento, e io mi sentivo sprofondare. Sentivo che il mio cuore, ad ogni suo sguardo, perdeva un battito, e quella sensazione mi faceva paura e allo stesso tempo mi attraeva. Se avessi dovuto dare un nome a quella sensazione che mi attanagliava lo stomaco non avrei esitato a definirlo desiderio, desiderio di toccare e di essere toccata. Lo volevo, lo desideravo più di ogni altra cosa. Senza che io me ne accorgessi, si abbassò leggermente e prese tra le mani la cerniera della mia gonna, tirandola giù. Essendo una gonna a tubo fece resistenza ma, quasi subito, cadde per terra. Mi aiutò ad uscirne prendendomi per mano, io abbassai lo sguardo imbarazzata ma lui prese il mio viso e mi costrinse a guardarlo negli occhi. Tutto intorno a me sembrò sparire, c'eravamo solo io e lui e io capii di aver trovato davvero quello che avevo sempre cercato. In quei due occhi, così freddi all'apparenza, avevo scoperto un abisso di dolcezza e amore che non era riuscito a donare a nessun altro. Non riuscivo a credere che avesse scelto me, che l'amore che aveva tenuto nascosto per tutto quel tempo, fosse tutto per me. Una lacrima mi rigò il viso, non me ne accorsi neanche, ma Akito sgranò gli occhi e piegò la testa di lato, mentre mi baciava delicatamente la guancia, portando via quella goccia salata che manifestava tutto ciò che provavo in quel momento. «Perché piangi?»mi chiese, quasi terrorizzato da se stesso, come se si incolpasse anche di questo.
Mi sforzai di sorridere, e gli accarezzai il viso. «Sono felice, tutto qui..» risposi poi, tornando a concentrarmi su di lui. Mi avvicinò lentamente a se e mi baciò, prima delicatamente e poi con furia, come se avesse bisogno di quel contatto bruciante. Io risposi al suo bacio come se per me non esistesse nient'altro al mondo, e in realtà era così che mi sentivo. Mi sentivo sopraffatta da lui, da quello che stavamo per fare e mi sembrava che il mio cuore stesse per scoppiare.
Con un gesto delicato mi fece sedere sul letto, spostandomi poi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Mi fece sdraiare, piano, senza fretta, si avvicinò al mio viso e prese a baciarmi. Iniziò ad aprire bottoni della mia camicia, uno ad uno, accarezzandomi ogni volta che le sue dita incontravano la mia pelle nuda. L'amore spacca il cuore, lo capii esattamente in quel momento, perchè mi stavo lentamente sgretolando sotto le sue mani, eppure non volevo sottrarmi a tutto quell'amore, a tutta quell'attenzione. Non avrei saputo descrivere la sensazione che si irradiò in me – nel mio petto, nelle mie gambe, nella mia pancia... nel mio cuore – quando le sue mani presero a sfiorarmi prima con gentilezza, poi con urgenza.
Mi fece voltare, dandogli le spalle e prese ad armare coi gancetti del mio reggiseno. Mi sentivo profondamente in imbarazzo, eppure non era come pensavo sarebbe stato. Non c'era orrore, non c'era furia, c'era solo una profonda intimità che mi legava a lui come mai a qualcun'altro. Mi tirò indietro i capelli, esponendo la mia gola alle sue labbra e cominciò a lasciarmi una scia di leggeri baci sul collo, intanto con la sua mano arrivò al mio seno e dopo aver trovato il capezzolo prese a strofinarlo con i polpastrelli, poi lentamente sostituì la mano con la bocca, poggiò le labbra sul mio capezzolo ed iniziò ad accarezzarlo con la lingua. Gli affondai le dita tra i capelli, avvicinandolo ancora di più a me, per poi sporgermi a baciarlo con passione, per fargli capire che anche io lo volevo, che lo volevo disperatamente.
«Io...» cercai di parlare, per contenere la mia emozione, ma lui mi posò un dito sulle labbra per zittirmi. Continuò a svestirmi, molto lentamente, troppo lentamente. Io mi concentrai sulla sua camicia, quasi aperta ma non abbastanza. Mi sembrò di precipitare in un baratro senza fine quando, dopo pochi minuti, me lo ritrovai nudo davanti. La prima volta, in albergo, mi era sembrato una visione, qualcosa di etereo che non avrei mai avuto il privilegio di possedere davvero. In quel momento, invece, sentivo il legame totale che ci univa, come qualcosa che non dipendeva ne da me ne da lui, ma da noi, insieme.
Si mise su di me, con delicatezza, e mi sorrise, accarezzandomi piano la guancia prima di avventarsi di nuovo sulle mie labbra.
«Sei sicura?» chiese, sforzandosi di mostrarsi il più controllato possibile, anche se tutto il suo corpo diceva il contrario. Annuii, spiegandogli con il viso ciò che le parole non riuscivano a far capire. Il suo petto si rilassò, i suoi muscoli cominciarono a stendersi uno ad uno e io cominciai ad accarezzargli il petto. Lui mi baciò e, contemporaneamente, portò le mani sui miei fianchi, afferrando le mie mutandine e tirandole giù, togliendomele totalmente un attimo dopo. In quel momento ero completamente esposta a lui, completamente in balia di Akito Hayama e la cosa non mi disturbava affatto, anzi. Non aspettavo altro che lui, con me.
Mi rivolse uno sguardo pieno di preoccupazione e io sorrisi. «Non aver paura tu, adesso. Io sto bene. Voglio che questo accada... con te.». Le mie parole mi sembrarono quasi lontane, come se non fossi stata io a pronunciarle, come se guardassi la scena dall'esterno. Amavo follemente quel ragazzo, in un modo che mi era sempre stato sconosciuto, e non avevo alcuna intenzione di perderlo. Non avevo più paura, volevo solo che accadesse, finalmente.
Quando, in un gesto così carico di desiderio e di premura, lui iniziò ad entrare dentro di me, mi sentii quasi sopraffatta dall'amore che provavo per lui. Mi sentii svuotata, non perchè lui era lì, imponente e totalmente mio, ma perchè sentivo la mia assoluta felicità. Tutto per me era stato racchiuso nell'attesa di quell'attimo per così tanto tempo che, all'improvviso, la paura per ciò che quello avrebbe comportato, mi investì come un treno. Le lacrime tornarono a cogliermi di sorpresa e mi meravigliai di quanto potere potesse avere lui su di me. Ero sua, finalmente, appartenevo a qualcuno, e il fatto che quel qualcuno fosse lui, il mio meraviglioso ed ex donnaiolo ragazzo, mi riempiva il cuore di gioia. All'improvviso lui si fermò, spostandomi i capelli che, nel frattempo, erano ricaduti sui miei occhi.
«Stai bene? Ti prego, dimmi che stai bene.. se vuoi che smetta io, io.. smetto...». La sua voce sembrava rotta da una profonda tristezza e, il fatto che lo turbasse tanto avermi e provare la paura di perdermi, mi faceva sentire la persona più importante del mondo.
«Sto bene.. benissimo!» esclamai accarezzandogli il braccio accanto al mio viso. Si teneva saldo sul letto – quel letto che non aveva mai accolto nessuna ragazza – e mi faceva sentire protetta, finalmente amata.
Annuì, baciandomi di nuovo per nascondere i miei gemiti e io mi sentii improvvisamente il centro dell'universo, il centro del suo universo. Senza dubbio, lui era il centro del mio, anche se non me n'ero mai resa conto prima di quel momento. Mi sembrava di andare veloce come un uragano, intorno a lui che era il mio punto fisso. Sentivo la sua gioia, traspariva da ogni punto del suo corpo, il mio invece era totalmente in tensione. Non per la paura, ne per il dolore che, in realtà, non era nemmeno così insopportabile, ma solo per la preoccupazione di dargli un dispiacere. Non mi sentivo ancora adatta a lui, che aveva avuto migliaia di esperienze, molte delle quali lo avevano aiutato ad arrivare a me.
Lui si alzò leggermente, fissandomi con le sue iridi d'ambra. Mi osservò per almeno un minuto buono, mentre io mi sentivo sempre meglio sotto il suo sguardo.
«Sei mia..» sussurrò poi, tornando a dedicarsi al mio collo, scendendo poi verso il seno.
«Non credi di essere un po' troppo prepotente?» risposi io, provocandolo un po'. Lui mi rivolse un sorriso sghembo, tipico di Hayama, e poi poggiò i suoi occhi di nuovo sui miei.
«Non lo sono, spero che sia così...». Cominciò a dare delle piccole spinte, tanto forti e allo stesso tempo tanto delicate da mandarmi in paradiso. Eravamo lì, occhi negli occhi, bocca contro bocca, pelle contro pelle, continuavamo ad infiammarci il sangue. E, nello stesso momento in cui diede l'ultima spinta, così lentamente da farmi impazzire, crollammo uno sull'altro, senza vergogna o paure. Solo perchè, in quel modo, eravamo così vicini da poterci sentire, in due respiri così lenti che sembravano uno soltanto. Noi due, insieme, in quel modo. Non avrei potuto essere più felice.

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Pov Akito.

Quando Natsumi mi aveva chiamato per chiedermi di accompagnarla dal medico, inizialmente mi era sembrato uno scherzo. Le cose tra noi si erano sistemate, ma non abbastanza da permetterle di rovinare il mio primo San Valentino con Sana. Non ero mai stato un fanatico di quella festività, avevo sempre pensato che fosse da stupidi festeggiare l'amore in un solo giorno dell'anno, perchè per me andava mantenuto vivo giorno per giorno. Quelli erano semplicemente miei pensieri, alla fine Sana sembrava tenerci abbastanza, quindi non mi importarono i miei dilemmi esistenziali su cosa fosse giusto o meno fare. Se a Sana avesse fatto piacere, avrei fatto si che ogni giorno fosse San Valentino. Dicendolo a Sana, lei mi aveva consigliato – quasi imposto – di accettare l'invito e accompagnarla a fare l'ecografia. Non era esattamente il modo in cui avevo pensato di trascorrere quella giornata, ma sapere che dentro Natsumi cresceva una vita, un minuscolo esserino che aveva il mio stesso sangue, mi fece sentire improvvisamente felice. Non amavo moltissimo tutte quelle cose, mio padre e mia sorella mi avevano sempre dato una visione negativa di ciò che era la maternità, eppure grazie a quel bambino le cose in me erano cambiate. Non provavo più disgusto nel vedere un pancione - e quello di mia sorella cresceva a vista d'occhio - ne mi infastidiva comprare tutine per neonati, tutte cose che prima di allora avrei considerato sgradevoli. Tutto grazie a Sana, come sempre.
Dopo il pomeriggio passato con Natsumi arrivai al mio appartamento per l'ora di cena. Credevo di non trovarci nessuno, e avevo già in mente di andare a trovare Sana per rimediare al San Valentino passato lontani. Invece, come sempre, fu lei a sorprendermi. Non appena aprii la porta l'odore di qualcosa come un arrosto mi invase le narici. Sapevo che non poteva essere Tsuyoshi, visto che mi aveva avvertito la stessa mattina che avrebbe portato fuori Beth, quindi immaginai immediatamente che avrebbe potuto essere lei. Mi avvicinai lentamente verso la cucina e quando, entrando, incontrai gli occhi di Sana, capii immediatamente che era stata lì, tutto il pomeriggio, a cucinare per me. Indossava una gonna a tubo e una camicia di seta, ai piedi dei tacchi vertiginosi e i capelli sciolti sulle spalle le incorniciavano il volto che era già un'opera d'arte. Dopo averla abbracciata e averle posato un leggero bacio sul naso, guardai la tavola, apparecchiata per noi due. Si era soffermata su ogni dettaglio, mi faceva commuovere quasi.
Mi tolsi la giacca di pelle e la posai sulla poltrona in salotto, poi tornai in cucina e la guardai interrogativo. «A cosa devo tutto questo?» chiesi sorridendo e indicando la tavola.
«Devo ricordarti che oggi è San Valentino?».
Mi accigliai per un attimo, pensando al fatto che non avevo passato la giornata con lei, come ogni coppia avrebbe dovuto fare. Poi, per evitare di rovinare anche la serata, le sorrisi. «No, non ce n'è bisogno.». Ci sedemmo davanti ai nostri piatti pieni, mangiammo in silenzio per la maggior parte del tempo. Percepivo la tensione in ogni suo respiro, in ogni sguardo, come se non sapesse come comportarsi.
Tutto ciò che accadde dopo fu così veloce che quasi farei fatica a spiegarlo. Mi ritrovai bendato, senza sapere bene dove fossi. Improvvisamente Sana mi tolse la benda e la vidi. Era bella in tutto il suo splendore, così rossa in viso, probabilmente si sentiva in imbarazzo per ciò che stava facendo. Adoravo quel suo modo di essere, era dolce, era pura nell'anima.
Lei mi sorrise, e io ricambiai il sorriso accarezzandole la guancia e avvicinando la mia fronte alla sua. Quando fummo occhi negli occhi mi sembrò che il mio mondo si fosse fermato, dandomi la possibilità di scegliere. Avrei dovuto andare fino in fondo, mostrandole una parte del mio mondo, quello che avevo sempre usato come un'arma per addescare le ragazze disponibili, oppure dovevo lasciare che scegliesse lei? Probabilmente sarebbe stato meglio se fosse stata lei a guidarmi, se avessi messo tutto il potere nelle sue mani. Si, era giusto che fosse così.
«Fermami..» sussurrai, prima di baciarla.
«E perchè dovrei?» rispose lei, guardandomi decisa. Temevo la sua determinazione, era semplice che si trasformasse in pochi secondi in puro terrore. Lo avevo sperimentato più volte, eppure in quel momento vidi nei suoi occhi qualcosa che prima non c'era mai stato. Era desiderio. Lei mi desiderava, ma non ne ero ancora certo, quindi non cedetti subito.
«Perchè si, se non vuoi che vada avanti..» mormorai. Lei mi diede un leggero bacio e poi rispose sorridendo: «E chi ti dice che io voglia fermarti?». Quelle parole furono la mia rovina, in ogni senso. La trascinai lentamente verso il letto e, quando fummo davanti ad esso, mi abbassai leggermente per toglierle quella gonna così ingombrante. Le stava maledettamente bene, ma volevo sentire la sua pelle sotto le mie mani. Abbassai piano la cerniera, temendo che ogni secondo che passava avrebbe potuto essere l'ultimo. La gonna le cadde delicatamente sui fianchi, finendo sul pavimento. La presi per mano, l'aiutai ad uscirne e mi accorsi degli autoreggenti che portava. Dovetti fare una gran fatica per non buttarmi su di lei in quel momento. Lei abbassò lo sguardo, imbarazzata. Odiavo quell'insicurezza, la costrinsi a guardarmi alzandole il viso con le dita. Immediatamente mi saltò all'occhio una lacrima che le scendeva leggera sulla guancia. Perchè piangeva? Si era pentita? In un attimo il terrore mi travolse come un uragano. Non solo paura che tutto potesse finire, ma soprattutto paura di averle fatto del male. Mi avvicinai al suo viso e con la bocca scacciai quella goccia salata, così leggera ma allo stesso tempo portatrice di un peso enorme.
«Perchè piangi?» chiesi con la voce rotta. Temevo che si allontanasse da me, invece mi mostrò uno dei suoi sorrisi più belli e scosse la testa.
«Sono felice, tutto qui...». Per un attimo mi preoccupai, pensavo che mentisse e che stesse facendo tutto quello solo per compiacermi, ma il suo sguardo mi incoraggiò così la feci sedere sul letto, poi la feci sdraiare e cominciai a slacciare i bottoni della sua camicia di seta. Il tessuto frusciava sotto le mie mani, e ogni tocco mi accendeva sempre di più. Ogni bottone aperto rappresentava la mia lucidità che andava perduta. La feci voltare per slacciarle anche il reggiseno e, quando anche quello fu sul pavimento, capii che non voleva che mi fermassi. Le tirai piano i capelli indietro e le baciai il collo. Mi presi un momento per ammirare quell'opera d'arte in tutta la sua bellezza, non avevo mai visto nulla di così perfetto. Dovette accorgersi che ero ancora completamente vestito perchè si voltò per togliermi la camicia e io l'aiutai con i jeans troppo stretti. Lei aveva addosso ancora gli slip, ma evitai di toglierglieli subito per non metterla in imbarazzo. La guardai per un attimo, quello era il momento della verità. Doveva dirmi ciò che voleva davvero, altrimenti il nostro rapporto sarebbe finito in quell'istante.
«Sei sicura?» chiesi prima di andare fino in fondo. Lei annuì. Avevo il terrore di farle male, di deluderla... ma la volevo, di questo ne ero certo al cento per cento. Le posai le mani sui fianchi e afferrai l'orlo delle sue mutandine. Le abbassai lentamente, incerto sul da farsi. La guardai, pregandola mentalmente di dire qualcosa per fermarmi, se avesse cambito idea.
«Non aver paura tu, adesso. Io sto bene. Voglio che questo accada... con te.» sussurrò subito dopo. Non sapevo se piangere dalla felicità o mettermi a ridere. Mi sistemai tra le sue gambe e, con delicatezza, cominciai ad entrare dentro di lei. Il suo viso si contrasse, probabilmente per il dolore, e io provai una sensazione di vuoto dentro. La stavo ferendo, le stavo facendo male. Mi sentii quasi mancare. L'ultima cosa che volevo era farle male.
Lei mi baciò con foga, soffocando il dolore in quel contatto che mi sembrò il più intimo che avessimo mai avuto. Stava accadendo, lei era mia, e io non avrei potuto desiderare niente di meglio. La amavo.
«Sei mia..» sussurrai, quasi come se la mia mente parlasse da sola. Non avrei voluto dirlo, non volevo metterle ancora più pressione addosso. Non capii molto di ciò che mi rispose, sentivo dentro di me quella sensazione ormai familiare. L'avevo già provata tante volte, ma con lei... con lei era tutta un'altra cosa. Quando stavo per arrivare al culmine mi sembrò di impazzire, guardai lei e, nei suoi occhi, vidi che era nella mia stessa situazione. Mi sembrò strano, essendo la prima volta, ma sapevo riconoscere occhi come quelli.
Eravamo lì, a scambiarci anima e pelle, ossa e muscoli. Lì, l'uno dentro l'altro, mossi dallo stesso piacere, dallo stesso amore.
In quel momento, quando tutto intorno a me sparì improvvisamente, la sentii sussurrare il mio nome. Io feci lo stesso.

«Akito...»
«Sana...»

Era proprio vero che, quando si ama una persona, il sesso acquistava un valore diverso: non era più solo piacere fisico ma era un’esplosione di emozioni. Quando ci abbracciammo, sfiniti, mi venne in mente la frase che mi aveva tormentato per una notte intera.

Non morire senza aver provato la meraviglia di scopare con amore.

Si, Sana aveva proprio ragione. La guardai per l'ultima volta prima di cadere in un sonno profondo. Aveva i capelli scompigliati dopo aver fatto l'amore, il viso rosso e la bocca dischiusa. Non l'avevo mai vista più bella di così. La annusai per un secondo. Sapeva di amore, di vaniglia e... di me. Non c'era odore più bello al mondo. Sana era mia. E, anche se ammetterlo mi era costato tanto, io ero suo.








Non saprei cosa dire per farmi perdonare la mia lunga assenza. Davvero, ho avuto casini su casini. In realtà sono anche stata in vacanza *___* Scusatemi, veramente, ma anche la mia ispirazione aveva fatto le valigie e per scrivere questo capitolo ci sono volute settimane. Mi scuso principalmente con coloro che hanno seguito assiduamente la mia storia e colgo l'occasione per ringraziarvi tutte quante, una per una, per le meravigliose parole che mi avete riservato. Mi soffermo a rispondere a due ragazze, adesso non ricordo benissimo chi, che mi hanno detto che Akito è molto Ooc. Avete indubbiamente ragione, non siamo abituati a vedere Akito Hayama comportarsi come un ragazzo dolce e premuroso, ma dovete anche riflettere sul fatto che la storia non segue quella originale, per quanto i personaggi siano pressocchè quelli. Che Akito sia Ooc è vero, ma ho semplicemente immaginato un ragazzo che non è stato aiutato da Sana da bambino, ha dovuto allontanarsi dalla sua famiglia perchè quest'ultima lo disprezzava, e ha vissuto nel pieno la sua gioventù. Akito, dentro, è sempre quel ragazzo taciturno e restio ad aprir bocca, ma fuori, nell'involucro esteriore, ha dovuto mettersi alla prova nella vita, ha dovuto usare l'arma con cui sapeva destreggiarsi meglio (in questo caso, il sesso) per andare avanti. Non vedetelo come un ragazzo inventato di sana pianta, perchè non lo è. Akito è diventato così nel momento in cui si è reso conto che Sana non era più una semplice amica, perchè vorrei ricordarvi che, ogni volta che Sana gli faceva una domanda di più, lui si chiudeva nuovamente a riccio (vedi l'episodio di New York e, ancora prima, quello della spiaggia). Perciò, vi ringrazio comunque per le recensioni, perchè non sarei una 'scrittrice' se non mi aspettassi anche delle critiche, ma ho voluto spiegarvi il mio punto di vista.
Detto ciò, ho più volte chiesto scusa, dicendo anche di essere stata criticata perchè la mia storia appariva lenta e magari troppo meticolosa. A mia difesa dico che ho una Beta fantastica che mi ha aiutato in tutti questi mesi, correggendo e tirandomi fuori dai momenti vuoti con una bravura mai vista quindi dico subito che la lentezza è stata una cosa assolutamente VOLUTA.
Adesso vi lascio, scusatemi per il poema ma sentivo il bisogno, per una volta, di dire ciò che penso. Non prendetela come un autoelogio, perchè non lo è affatto, ma semplicemente come farvi vedere ciò che penso. Torno a ringraziarvi dal profondo del cuore per tutte le bellissime parole, i complimenti,
ANCHE PER LE CRITICHE, perchè senza di esse non si può crescere. Vi saluto, ci vediamo alla prossima storia.


C'eravate cascate?? Ahaha!! No, assolutamente, non è ancora finita qui. Ci vediamo al prossimo aggiornamento bellissime!!!!  Tanto amore per tutte!!! <3
Akura.

 

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Capitolo 19
*** Nuove prospettive. ***


CAPITOLO 19.

Nuove prospettive.


Pov Sana.
 

Non credevo che un giorno mi sarei ritrovata a presentare un fidanzato a mia madre o a Rei. Avevo sempre dato per scontato che il mio futuro sarebbe stato Naozumi Kamura, invece quella mattina mi dovetti preparare per affrontare il mio incubo peggiore: mia madre. L'amavo, con tutta me stessa, ma temevo il suo giudizio per quanto lei cercasse di lasciarmi libera in tutte le mie decisioni. Giocherellavo con i capelli, in attesa che Akito mi venisse a prendere al dormitorio, per andare a pranzo a casa mia. Erano mesi che non tornavo a casa, avevo sempre declinato le offerte di mia madre e, ancora di più, quelle di Rei che continuava ad insistere perchè mi riconciliassi con Naozumi. Sapevo anche che, anche se non me l'avevano detto, sia mia madre che lui avevano già visto Akito in tv, in occasione della presentazione a New York. C'erano giornalisti da tutto il mondo, mi sarei stupita se fosse stato il contrario. Non sapevo cosa pensare, ero nervosa in modo quasi imbarazzante e sapevo anche che Akito lo era, quindi avrei dovuto cercare di rassicurarlo, almeno un po'.
Quando arrivò mi fiondai in macchina, gettandogli le braccia al collo. Mi salutò con un bacio, e sentii dentro di me la familiare scossa di emozione che mi attraversava ogni volta che mi sfiorava. Ed era vero che, quando ti unisci davvero a qualcuno, anima e corpo, anche un minimo gesto era fatale. Era come elettricità, che si muoveva dentro e non mi lasciava mai in pace. Non ero mai sazia di lui.
«Ciao..» sussurrai a pochi centimetri dalle sue labbra. Lui mi sorrise e mi strinse ancora più forte, sporgendosi e allontanandosi dal volante.
«Ciao!» rispose lui, mettendomi una mano dietro la nuca e avvicinandosi ancora di più a me.
Akito cominciò a far strada, dirigendosi nei quartieri alti di Tokyo, dove avevo vissuto fino a qualche mese prima.
«Allora... dammi qualche aiuto con cui fare colpo. Tua madre è un tipo riservato o...». Scoppiai a ridere ancora prima che potese terminare la frase. Mia madre, riservata? Era tutto fuorchè quello.
«No" risposi «mia madre è un tipo molto... bizzarro." conclusi infine, sicura che fosse l'unica parola che avrebbe potuto descriverla.
«Bizzarra nel senso che è estroversa, o bizzarra nel senso che devo aver paura?» chiese lui preoccupato sul serio. Io sorrisi, felice di sentirlo così nervoso perchè significava che voleva far buona impressione.
«Tutte e due..» gli dissi infine, voltandomi a guardare fuori dal finestrino. «L'unico consiglio che ti do è di stare attento a Rei.»
«Rei?». La sua voce salì di un'ottava quando pronunciò il nome del mio manager e mi venne da ridere anche solo per quel pizzico di gelosia che mostrava.
«Rei è il mio manager. Era un barbone quando l'ho incontrato. Gli ho dato una casa, un lavoro, una famiglia nel periodo più nero della sua vita. Eppure sento di essere io a dovergli tutto.» dissi infine. Akito mi guardò con aria sognante, spostando lo sguardo prima sul mio viso e poi sul mio seno. Mi sentii rabbrividire di nuovo, come pochi secondi prima, quando ero entrata in auto. Non ero vestita in modo eccessivamente provocante, eppure mi rendevo conto che Akito mi riservava sempre sguardi languidi, che però non mi disturbavano affatto. Ero contenta che mi trovasse bella.
«E.. questo Rei, odia qualsiasi essere vivente maschio che ti gira intorno?». Instintivamente mi venne di rispondere con un si secco, ma non volevo metterlo in difficoltà ancor prima di trovarsi sotto lo sguardo inquisitore di Rei.
Casa mia era una struttura impotente, anch'io mi rendevo conto di quanto sembrasse maestosa da fuori, ma dentro in realtà non era poi così lussuosa. Prima di entrare strinsi forte la mano di Akito, sorridendogli e cercando di infondergli tutta la mia fiducia.
«Non sono molto bravo nel conoscere i genitori...» disse poi, mostrandomi tutta la sua fragilità. In quel momento rividi quel bambino smarrito che era stato per così tanto tempo. Cercai in tutti i modi di rassicurarlo, quindi suonai alla porta e aspettai che venissero ad aprire. Furono i dieci secondi più lunghi della mia vita.

Pov Akito.

Venne ad aprirci una vecchia governante che, non appena posò gli occhi sulla mia ragazza, mostr un enorme sorriso e le si gettò addosso.
«Signora Shimura!!» urlò Sana, felicissima di vederla. Evidentemente era cresciuta con quella donna attorno, aveva addirittura avuto la donna di servizio, ma che razza di mostro della recitazione era?
C'era anche da dire che la madre faceva la scrittrice da sempre, e i suoi libri erano stati dei veri e propri successi editoriali. Ricordai per un attimo che mia sorella una sera aveva in mano uno dei suoi romanzi. Si intitolava Io e mia figlia, probabilmente parlava di Sana e io avrei dovuto leggerlo il prima possibile. Porsi la mano alla signora, presentandomi educatamente e lei mi abbracciò come aveva fatto con Sana. Non ero abituata a simili dimostrazioni d'affetto, ma non mi ritrassi perchè quella signora mi faceva proprio simpatia.
Davanti a noi si aprì un corridoio immenso, silenzioso e tutto di legno. Mi sentivo a disagio in quella casa, quasi giudicato senza nemmeno aver parlato una volta con la madre. Lì tutti amavano Sana, e tutti temevano che soffrisse, probabilmente anche a causa di ciò che le aveva fatto Naozoumi. Cominciarono a prudermi le mani, nonostante lo avessi apertamente affrontato circa un mese prima, avevo ancora voglia di pestarlo a sangue e, ogni volta che Sana lo nominava, mi sentivo morire dalla voglia di ucciderlo con le mie stesse mani. Da bambino avevo avuto qualche problema a gestire la rabbia, ma li avevo scacciati in poco tempo, concentrandomi sul karate e sulla disciplina che esso comportava.
Sana mi strinse la mano quando la signora Shimura ci fece accomodare in salotto, mentre aspettavamo che la madre si facesse vedere.
Non ero nervoso perchè temevo il suo giudizio, alla fine quella donna non contava nulla per me. Ma contava infinitamente per Sana e io volevo fare una buona impressione. Intanto continuavo a stringerle la mano, mentre passavo l'altra sul jeans perchè stavo sudando in modo imbarazzante.
«Stai tranquillo..» sussurrò lei contro il mio orecchio, e già quelle poche parole bastarono per risvegliare in me un istinto che invece dovevo assolutamente tenere addormentato. Non potevo rischiare che la madre di Sana mi trovasse con i pantaloni gonfi sul davanti. No, proprio non potevo.
«Questo deve essere il famoso Akito...!» urlò la signora Kurata, guardandomi dritto negli occhi. Aveva lo stesso sguardo di Sana, nonostante non fosse la sua vera madre. Era una donna apparentemente spensierata, eppure in lei vedevo qualcosa che non mi convinceva. Portava dei copricapi estrosi, che si vedevano a distanza, ma non aveva nessuno scintillio negli occhi. Era... spenta. Eppure non lo dava a vedere, solo chi come me aveva sempre cercato di tenere nascoste le sue emozioni avrebbe potuto accorgersene.
«La mia fama mi precede?» chiesi scherzando. «E' un piacere conoscerla.»
Le porsi la mano, come avevo fatto poco prima con la signora Shimura, e lei me la strinse come avrebbe fatto un vero uomo. Quella donna sapeva il fatto suo.
Mi fece cenno di accomodarmi di nuovo sul divano, mi sorrise e poi cominciò a parlare con la figlia.
«Tesoro, finalmente hai trovato un uomo tutto d'un pezzo! Non ce la facevo più a vederti con quel damerino di Naozumi.». Cento punti alla signora Kurata, tutti in un solo colpo.
Sana rise e automaticamente lo feci anch'io. «Grazie mamma, appoggi sempre le mie scelte!
»disse sarcastica. Mi strinse la mano, chiedendomi aiuto, ma non sapevo come intervenire.
«Naozumi è il passato, mamma. Akito per me è il futuro.».
Quelle parole mi diedero alla testa. Avevo sempre pensato che, alla fine dei conti, il damerino, come lo aveva chiamato sua madre, avrebbe avuto sempre il posto in prima linea. Era stato il suo primo amore, il ragazzo con cui aveva condiviso tutto, l'infanzia e l'adolescenza. Il ragazzo con cui aveva fatto le sue prime esperienze. Mi venne poi da pensare che lei però non era mai andata fino in fondo con lui, e questo doveva pur significare qualcosa. Se mi aveva concesso tanta fiducia, allora io ero al primo posto per davvero, anche se mi risultava difficile crederlo.
Sua madre mi squadrò da testa a piedi un'altra volta e poi mi sorrise. Si alzò e lasciò un attimo la stanza, io mi voltai a guardare Sana che intanto aveva assunto un'espressione triste.
«Cos'hai?» chiesi spostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Lei scrollò il capo e mi sorrise. «Niente, adesso arriva il peggio. Mia madre è andata a chiamare Rei.».
Improvvisamente mi sentii nervoso come mai nella mia vita. Quell'uomo doveva significare molto per Sana, probabilmente le aveva fatto da padre in tutti quegli anni.
Quando lui entrò nella stanza, tutto sembrò diventare più spigoloso. Mi sentii messo sotto torchio, anche se non riuscivo a guardarlo negli occhi perchè portava gli occhiali da sole.
«Salve, signor Hayama..» disse lui, porgendomi la mano. Gliela diedi anch'io, cercando di mostrarmi il più tranquillo possibile, anche se dentro avevo un vulcano.
Lui si tolse gli occhiali e finalmente vidi i suoi occhi. Erano verdi, profondi. Doveva averne passate tante, anche lui.
Quando ci ritrovammo a tavola, il mio umore stava lentamente cambiando. La madre di Sana mi guardava con affetto, il suo manager un po' meno, ma non mi sentivo a disagio, anzi, mi sembrava di essere all'interno di una vera famiglia.
«Allora Akito, in cosa ti stai laureando?». Gli occhi erano puntati su di me e il manager di Sana continuava a riempirmi di domande. Cercai di accennare un sorriso e lui ricambiò.
«Medicina. Fisioterapia, per la precisione.» risposi, mentre la signora Shimura ci serviva la cena.
«Oh, quindi vuoi diventare un fisioterapista. Interessante...» osservò lui. Annuii, e Sana mi guardò fiera di me. «La tua media scolastica?
». Ma perchè gli interessava tanto dei miei studi? Che c'è, pensava che non fossi all'altezza di Sana?
«Ha una media piuttosto alta, Rei.» rispose Sana per me. «Smettila di fargli l'interrogatorio.»
«Non fa niente..» ribattei. «Ho la media del nove, in alcune materie anche del dieci. Conto di laurearmi con il massimo dei voti.».
Sembrò impressionarsi di fronte alle mie parole, fece un cenno di approvazione e tornò a guardare il suo piatto.
«Sana, devo darti una notizia.». Rei la guardò, e Sana gli sorrise, come solo lei sapeva fare. Mi chiesi per un attimo se avrei sopportato tutto quello per un'altra ragazza. No, non l'avrei fatto, non per qualcuno che non fosse la meravigliosa rossa seduta al mio fianco. La guardai con aria sognante e sua madre se ne accorse, rivolgendomi uno sguardo divertito.
«Qualche giorno fa mi ha chiamato una grossa casa cinematografica...». Quelle parole mi provocarono la nausea, e cominciarono a prudermi le mani dal nervoso.
«Ho ricevuto una proposta molto vantaggiosa per un film in uscita nel 2016, pensi che potrebbe interessarti?».
Mi raggelai. Non avevo più riflettuto sul fatto che Sana fosse una celebrità e soprattutto non avevo più pensato al fatto che avrebbe potuto tornare a lavorare. Nella mia mente ormai Sana era semplicemente la mia ragazza, e di certo non quell'attrice di fama mondiale che tutti volevano ingaggiare. Lei mi strinse la mano sotto il tavolo, e io intrecciai le dita alle sue, per farle capire che ero lì, che non me ne sarei andato.
«E chi sarebbero gli altri attori del cast?». Sana sembrava nervosa, come se temesse di sentire ciò che anch'io desideravo non sapere.
«Bè.. molti attori conosciuti come Yumi Adachi, Meiko Kaji, Shintaro Asanuma(*) e...»
Ti prego, non dirlo...
«Naozumi Kamura..» concluse infine. Mi sembrò che il mondo attorno a me perdesse colore, come se quella notizia avesse potuto cancellare tutta la felicità che avevo provato fino a quel momento. E se avesse accettato? Sarei rimasto da solo, senza di lei, per chissà quanti mesi. E lei sarebbe stata con quel dannato Kamura.
Sana si accorse che mi irriggidii e strinse ancora più forte la mia mano.
«Non credo sia il caso che io lavori a contatto con Naozumi, ma grazie Rei.».
«Non pensi di essere un po' troppo precipitosa? E' una proposta sensazionale, con un cast di attori più che famosi. La tua carriera farebbe un salto di qualità che non immagini nemmeno!».
In realtà aveva ragione, persino io conoscevo gli attori che avrebbero preso parte al film, quindi erano piuttosto famosi. Chi ero io per precluderle un'occasione come quella?
«Mi dispiace Rei, ma veramente non ne voglio parlare. Naozumi mi ha ferito troppo, come farei a stare con lui per mesi sul set di un film? E sentiamo, immagino che i personaggi siano predisposti in modo che io faccia coppia con lui.». Sentii nella sua voce una traccia di nervosismo, avrei voluto dirle di calmarsi, che in ogni caso Naozumi non l'avrebbe potuta ferire mai più. Ma rimasi in silenzio.
«Saresti la donna contesa tra lui e suo fratello. Non ti nego che potrebbero esserci scene che risulterebbero imbarazzanti per te, ma non pensi di dover superare questa cosa? Sei un'attrice, diamine! E gli attori lavorano anche con gente che odiano da sempre. Perchè per te dovrebbe essere diverso?». Occhialidasole si stava innervosendo, la vena del collo cominciò a pulsare. Nel frattempo la madre aveva smesso di mangiare e ascoltava la discussione con attenzione. Anche lei avrebbe voluto intervenire, ma capii che non voleva intromettersi nelle decisioni della figlia. Faceva bene, neanch'io volevo condizionarla in alcun modo.
«Perchè prima di essere un'attrice, io sono una persona. E da persona, ti dico che non ho alcuna intenzione di lavorare con l'uomo più meschino che io conosca.».
Quelle parole mi riempirono d'orgoglio, fino a pochi mesi prima avrebbe detto che, nonostante tutto, Naozumi era la persona migliore che avesse mai incontrato. Invece, finalmente, riconosceva ciò che lui le aveva fatto.
«Sana, quando crescerai? Devi farlo. Devi mettere da parte il tuo risentimento e andare avanti. Adesso hai un ragazzo in gamba accanto, molto più in gamba di quanto non fosse Naozumi. Quanto ancora ti farai condizionare da quel ragazzo? Non accettando, gli farai capire che vederlo ti infastidisce. Nella vita, la miglior arma è l'indifferenza.».
Occhialidasole si sistemò di nuovo sulla sedia, riprendendo a mangiare come se nulla fosse successo. Sana, intanto, non disse più niente. Sicuramente, non ero stato l'unico ad essere rimasto colpito da ciò che aveva detto. Aveva perfettamente ragione.

Pov Sana.

Rei era un guastafeste. Quando avevo sentito il nome di Naozumi mi era quasi venuta la nausea, ero decisa al cento per cento a non accettare. Eppure in quel momento, mentre ero in macchina di ritorno al campus, la mia mente vagava in cerca di una risposta. Cosa c'era di giusto nelle parole di Rei? Forse tutto. In realtà non ero nemmeno riuscita a pensarci davvero, perchè la mia mente era totalmente occupata da cosa ne avrebbe pensato Akito. Mi voltai a guardarlo e vidi la sua espressione corrucciata, come se aspettasse di sentire una mia parola. Aveva una mano sul volante e una intrecciata alla mia, anche se gli avevo sempre detto che era pericoloso guidare in quel modo. Non mi aveva mai dato ascolto.
Alla radio passava una canzone fastidiosa, quindi mi allungai per spegnerla.
«Che c'è, ora anche la musica ti da sui nervi?».
«No.. ho semplicemente mal di testa.». Non sapevo come giustificare il mio repentino cambio d'umore, eppure sapevo che Akito avrebbe capito. Mi conosceva troppo bene.
«Di solito questa scusa non si usa per quando le donne non vogliono fare sesso?».
Scoppiai a ridere, incapace di trattenermi nonostante il pessimo umore. Akito riusciva con poco a farmi sentire di nuovo bene ed era forse quella la cosa che più apprezzavo in lui.
Si voltò a guardarmi e i suoi occhi mi fecero capire quanto anche lui fosse nervoso. Eppure non me lo faceva pesare, era capace di rimuginare da solo, senza per forza dovermi trascinare con lui.
Si scompigliò i capelli che gli erano finiti davanti al viso a causa del vento. Il mio ragazzo era proprio bello, non c'era nessuno che avrebbe potuto dire il contrario.
Avvicinai la mano al suo viso, accarezzandolo lentamente. Lui si voltò di nuovo e mi sorrise. Io mi avvicinai ancora di più e cominciai a baciargli il collo. Lo sentii irrigidirsi e stringere il volante tanto che le nocche gli diventarono bianche.
All'improvviso cambiò strada. Non stavamo andando più al dormitorio ma chissà dove. Non riuscivo a capire dove mi stava portando e lo torturai per tutto il tragitto chiedendoglielo. Quando arrivammo compresi che non avevo riconosciuto la strada semplicemente perchè la prima volta che l'avevo percorsa ero bendata.


 

*
 

Akito mi posò un leggero bacio sulla fronte, aiutandomi a scendere dall'auto e mostrandomi la bellezza del cielo stellato sopra di noi. Io gli sorrisi, aggrappandomi a lui come a una roccia. Si, Akito era la mia roccia, il mio sostegno, e sapevo per certo che senza di lui sarei crollata in un secondo.
Mi guardai intorno, stupita da quanto fosse bello quel posto anche di sera. Quando, quella mattina, avevamo guardato l'alba insieme, tra me e Akito non c'era ancora una storia. Eravamo solo amici, che poi amici non erano. Sorrisi al pensiero di quanto eravamo stati stupidi, quanto tempo avevamo sprecato prima di trovarci. Mi sembrò di non aver mai vissuto davvero prima di incontrarlo.
Ci sedemmo sul prato, dopo che Akito mise una coperta per terra, uno accanto all'altro, prendendoci per mano. Mi venne un brivido per la schiena e Akito se ne accorse, quindi mi porse la sua giacca e io fui investita dal suo profumo.
Inalai tutto il suo odore, che quasi mi diede alla testa. Cercai di non farlo notare e mi sdraiai di nuovo accanto a lui.
Akito alzò un dito e mi obbligò a seguirlo. «Guarda, quella è la Stella Polare..» Indicò un punto, lì, nel cielo e io annuii, sorridendo. Sapevo che mi aveva portato lì per un motivo preciso, ma non sapevo ancora quale. Lui sembrava irrequieto, voleva parlarmi ma non riusciva a farlo, quindi fui io a prendere l'iniziativa.
«Grazie...» dissi semplicemente. Mi avvicinai di più a lui, appoggiando il viso sul suo petto. Cominciò ad accarezzarmi la schiena, e io sentii un'improvvisa fitta al bassoventre.
«E per cosa?»
«Perchè mi salvi sempre...» sussurrai a pochi centimetri dalle sue labbra. Sentivo il mio desiderio salire sempre di più, come un motore che cominciava ad accelerare. Prima che mi decidessi a baciarlo, la sua bocca si fiondò sulla mia con foga, togliendomi il respiro. Il mio cervello andò in fiamme, così come il mio corpo. A un tratto mi ritrovai sotto di lui, alzai una gamba e gliela strinsi in vita, mentre lui mi accarezzava con forza. Portavo una gonna a balze, quindi Akito arrivò subito a toccare la mia pelle nuda, notando con piacere che portavo le autorreggenti.
«E queste?» chiese, sfiorandomi lentamente.
«Dovevano essere un regalo ma.... sorpresa!» risposi sorridendo, prima di sentire il suo sorriso sulla mia bocca mentre tornava a baciarmi.
Ansimai, senza fiato, e sentii Akito fare un verso gutturale, prima di scendere a baciarmi il collo. I suoi capelli mi solleticarono il naso e le mie mani scivolarono tra quei fili d'oro, attirandolo sempre di più a me.
«Forse non dovremmo...» sussurrò, poi mi diede un bacio. «Qui..». Lo zittii con un altro bacio, una parte di me era convinta che Akito avesse ragione, chiunque avrebbe potuto vederci, ma l'altra parte di me non voleva che smettesse.
«Non mi interessa.».
Akito tornò a concentrarsi sul mio collo, scendendo verso il seno. Poi sentii la sua mano che, contemporaneamente, sfiorava il bordo delle mie mutandine, togliendomele e avvicinandosi al punto più caldo di tutto il mio corpo. Era come se ci fosse una tensione inesplosa, tutta concentrata in quell'esatto punto che in quel momento Akito stava sfiorando. Inarcai la schiena, cercando di concentrarmi su quella sensazione meravigliosa. Da quando avevo scoperto davvero cosa significava unirsi a una persona con anima e corpo, avevo pensato mille volte a com'era la mia relazione prima di quel passo. Era meravigliosa, su quello non c'erano dubbi, ma mancava sempre qualcosa. Mancava quel rapporto intimo che solo noi due conoscevamo. Mancava la completa fiducia che ci regalavamo in quegli attimi.
Akito aggredì la mia pelle come se gli avesse fatto qualche sgarbo personale e volesse vendicarsi, ma la sua era una vendetta meravigliosa.
Improvvisamente riprovai la sensazione di averlo dentro di me. Era come un gioco di memoria. Inizialmente il mio corpo sembrava quasi averlo dimenticato, come se fosse di nuovo la prima volta. Ma poi, in un secondo, il mio corpo ricordò tutto. E, in quel preciso momento, la sensazione diventò sempre più forte. Amavo quel ragazzo più di quanto amassi la mia carriera, e non avrei accettato quel lavoro per niente al mondo. Era quella la vita che desideravo. Per sempre.

Pov Akito.

Ogni volta che, nella mia vita da ragazzo universitario, avevo fatto sesso ero rimasto sempre insoddisfatto. Non fisicamente parlando – almeno in quel senso ero stato fortunato – ma mentalmente. Non avevo capito cosa significasse davvero essere parte di un'altra persona fin quando non ero stato dentro Sana. Quello era il posto in cui avrei voluto stare per il resto dei miei giorni.
Sana mi afferrò i capelli, tirandoli un po', e facendomi sorridere. L'avevo trasformata in una maga del sesso, e in quel momento aveva tutto il potere tra le mani. Era lei la regina. Era lei ad avere il controllo. Della mia vita, del mio cuore, della mia anima.
«Io... ti... amo...» dissi sospirando, ogni volta che la sentivo più vicina. Lei mi sorrise, baciandomi prima il petto e poi la pancia. Io non osavo chiederle nulla, ma lei era recettiva al cento per cento. Non avrei mai immaginato che si sarebbe chinata su di me, quella ragazza che fino a qualche settimana prima arrossiva al solo pensiero.
Tornai subito dentro di lei e, poco dopo, il mio corpo reagì nell'unico modo che conoscevo. Le carezze di Sana erano un afrodisiaco, il suo respiro mischiato al mio mi sembrava un sogno. La sua anima, unita alla mia, era ciò che sentivo in quel momento.
E milioni di scheggie si gettarono su di me, onde che mi travolsero in un attimo. Aprii gli occhi, guardando Sana sotto di me. La luce della luna le illuminava il viso, le stelle erano piccolissimi punti sul suo viso. Era meravigliosa, in ogni senso, ed era mia, in ogni senso.
I suoi occhi erano gettati all'indietro, in preda anche lei del desiderio. Amavo guardarla in quei momenti.
Improvvisamente si fiondò sulle mie labbra, come se fossero le uniche a poterle dare l'ossigeno. E gliel'avrei dato, se me l'avesse chiesto. La baciai, non ero mai sazio di lei.
L'amore che provavo era troppo grande, più della gelosia, della paura. Amavo quella ragazza più di ogni altra cosa al mondo e, per quello, l'avrei convinta ad accettare quel lavoro. Indipendentemente da tutto, lei doveva essere felice, e non sarebbe stata la mia gelosia ad impedirglielo.





(*)
Yumi Adachi, Meiko Kaji, Shintaro Asanuma sono tre attori realmente giapponesi, non li ho inventati ma ho usato la magia di Wikipedia per informarmi. Sono piuttosto famosi in Giappone, adesso non ricordo le loro età, ma in ogni caso sono anche abbastanza giovani, tutti più o meno coetanei di Sana.

Beeeeeene, sono qui, con un nuovo capitolo dopo molte settimane di assenza. Lo so, mi vorrete fucilare, ma purtroppo tra il blocco mentale che ho avuto, che non mi ha permesso di scrivere per un bel po, tra gli impegni universitari (test, graduatorie, immatricolazioni, aspetto l'inizio delle lezioni e poi posso dire davvero di essere un'universitaria :'( ) non ho avuto davvero tempo di scrivere. Spero che possiate perdonarmi, e che questa scena un po' hot dei nostri due cari ragazzi vi faccia dimenticare le settimane di silenzio totale.
Comunque, come vedete, la nostra Sana ha ricevuto un'offerta di lavoro abbastanza interessante. Akito vuole convincerla ad accettare, anche se in realtà la vorrebbe tenere sempre accanto, mentre lei è assolutamente decisa a rifiutare. Chi la scamperà dei due?! Chissà! E poi... pensavate di esservi liberati finalmente di Naozumi?! Eeeee..... NO!
Lo rivedrete ancora.
Vi anticipo una cosina, visto che non posso lasciarvi alcuno spoiler per il prossimo capitolo, in quanto è ancora in fase di stesura. All'inizio del prossimo capitolo, succederà qualcosa, che non riguarderà Sana e Akito, che non vi aspettavate davvero. Detto ciò, rimango muta come un pesce e vi aspetto per le recensioni. Inoltre, vorrei ringraziarvi tutte, una per una, per riempirmi sempre di parole così dolci *____* e di complimenti che spero di meritare!
Adesso vi lascio, ci rivediamo al prossimo aggiornamento...... non odiatemi, please :*
Akura.

 

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Capitolo 20
*** Ps. I love you ***


CAPITOLO 20.

PS. I LOVE YOU.

 

Pov Akito.

Non sapevo davvero come far capire a Sana che, se avesse accettato quella proposta di lavoro, non avrei avuto alcun tipo di problema. A patto che Kamura le stesse lontano per tutto il tempo fuori al set. Non ero sicuramente entusiasta all'idea di vederli vicini, né che lui dovesse per forza di cose metterle le mani addosso - a meno che non avesse fatto la parte del mutilato, e dovevo ammettere che l'opzione mi allettava abbastanza, soprattutto se fossi stato io a staccargli le braccia - ma ancora meno mi faceva piacere che lui avrebbe potuto parlarle e, se era stronzo per come lo ricordavo, addirittura ferirla. Decisi comunque di non pensarci, perchè il mio obiettivo era convincere Sana a chiamare il suo manager e accettare quel dannato ruolo. Sarebbe diventata famosissima, più di quanto non fosse già, e io non potevo impedirle di coronare i suoi sogni, solo per una stupida gelosia. Mi rendevo conto anche che, oltre al fatto che non voleva infastidirmi, c'era ancora una parte di lei che temeva la vicinanza di quel maledetto, quindi quella sarebbe potuta essere l'occasione per tagliare i ponti una volta per tutte.
Mi voltai a guardarla, era sdraiata sul mio letto, con quel completino intimo che aveva comprato per me qualche giorno prima. Dormiva ancora, la bocca leggermente schiusa e bagnata, i capelli rossicci abbandonati sul cuscino. Era meravigliosa, in un modo che non avevo mai nemmeno immaginato. Ripensai alla mia vita prima che arrivasse lei a sconvolgerla. Sana aveva cambiato la mia prospettiva, il mio modo di ragionare e di vivere le emozioni. Lei mi aveva cambiato dentro, nell'anima, e mi accorsi che le dovevo tutto.
Le accarezzai dolcemente il viso, cercando di imprimermi quel momento nella memoria, come qualcosa di profondamente epico, che non si sarebbe più ripetuto. Sana fece un movimento brusco e io mi alzai per lasciarla dormire in pace. Mi infilai un paio di boxer e andai in cucina, sperando che, a pancia piena, avrei trovato una soluzione immediata al piccolo problema che si era presentato. Come facevo a farle accettare quella proposta, quando sapevo perfettamente che lei era restia a farlo? In realtà avrebbe dovuto essere lei a scegliere, come aveva sempre fatto, eppure mi sentivo in obbligo di aprirle gli occhi. Se non avesse accettato, Naozumi si sarebbe sentivo in diritto di dire che era stato per lui. Non volevo che quel damerino potesse avere la possibilità di parlare male della mia ragazza. In più, come se non bastasse già il casino che si era creato, avrei dovuto dire a Sana che dovevo frequentare un tirocinio in uno studio di riabilitazione. Non sapevo come avrebbe preso la cosa, passavamo già moltissimo tempo separati a causa dell'università, e se lei avesse accettato il ruolo avremmo finito per non vederci praticamente mai. Comunque ero fiducioso, sapevo che la nostra relazione avrebbe potuto tutto quello e ben altro. Se ero riuscito a farle dimenticare quel damerino, allora potevo sopportare qualsiasi cosa.
Sentii dei rumori provenire dalla camera di Tsuyoshi e, con la mia tazza di caffè fumante, mi diressi verso la sua porta. Non credevo che Beth fosse così... passionale.
Bussai piano e, non ricevendo risposta, aprii la porta trovandoli addormentati. Probabilmente me li ero semplicemente immaginati. Avevo il cervello in autocombustione, pensavo di andare a fuoco da un momento all'altro. Dovevo parlare con Sana.

 

*
 

Mi sedetti accanto a lei, a fissarla mentre dormiva. Se si fosse svegliata in quel momento, mi avrebbe gridato di smetterla, odiava essere guardata mentre dormiva. Be, in realtà lei odiava essere guardata sempre, eppure per me era come un antidepressivo, mi aiutava a finire la giornata senza dare di matto. Qualche giorno prima avevo sentito mia sorella, mi aveva detto che la gravidanza procedeva bene e le avevo promesso di andarla a trovare in uno di quei giorni, insieme a Sana. Le guardai la pancia, appena scoperta, e immaginai di vederla col pancione. Incinta di un bambino mio e suo. Fino a quel momento non mi erano mai venuti pensieri del genere, non ero solito essere particolarmente attratto dalle donne incinte, anzi il più delle volte me ne tenevo alla larga, ma con Sana era diverso. Sarebbe stata mia, senza più modo di tornare indietro. Sarebbe stato come una prigione, ma non ero sicuro che lei si sarebbe lamentata. Certo, una gravidanza avrebbe interferito con il suo lavoro e, per quello, non potevo chiederle di fare un passo più lungo delle nostre due gambe messe insieme. E poi ci conoscevamo da così poco. Ci amavamo, veramente, ma non era comunque ora di pensare a un bambino. Magari in futuro, dopo un bel matrimonio. Oddio, stavo divagando. Lei non accennava a svegliarsi e io non riuscivo a farle da sveglia, mi piaceva troppo osservarla mentre era indifesa. Mi feci forza, cercando con tutto me stesso di prepararmi un minimo di discorso nella mente, obiettivo miseramente fallito, ovviamente.
«Sana...» la chiamai, accarezzandole piano l'addome. Era un punto sensibile per lei, quindi sapevo che avrebbe fatto effetto.
«Mmmmm...». Si stava svegliando.
«Avanti Sana, alzati e risplendi!». Mi gettai su di lei e presi a farle il solletico. Lei si svegliò immediatamente e cercò di scappare, ma l'afferrai senza sforzo e la immobilizzai sotto di me.
«Questo sarebbe il tuo buongiorno?». Scoppiò a ridere e cercò di nuovo di fuggire, ma io rafforzai la stretta e lei fu costretta a rimanere lì.
«Perfetto, ora che ho la tua attenzione dovrei comunicarti due cose.». Il suo corpo divenne immediatamente rigido sotto il mio. Doveva essere preoccupata.
«La prima: in vista della laurea dovrò partecipare a un tirocinio. Il professore che mi segue nella stesura della tesi mi ha consigliato un buon centro di riabilitazione quindi da domani dovrò cominciare ad andarci.».
La sua espressione cambiò immediatamente, nei suoi occhi si irradiò una felicità pura. Quella ragazza era così sfiancante. Un momento era in preda ad una gioia inverosimile, il momento dopo aveva le lacrime agli occhi.
«Ma questa è una notizia meravigliosa!!». Cercò di abbracciarmi ma non ci riuscì perchè aveva le mani bloccate dalle mie. Mi fiondai sulle sue labbra e le stampai un bacio che sembrò lunghissimo.
«Sono felice che tu sia entusiasta!».
«Bene, la seconda notizia?».
«La seconda notizia non è una vera e propria notizia.». Non sapevo come dirglielo, alla fine decisi che il modo più semplice era anche quello più efficace. «Devi accettare il ruolo in quel film.» affermai deciso. Era stato facile, con sette parole una dietro l'altra ero riuscito a dirglielo, ma dalla sua espressione capii immediatamente che lei non ne aveva intenzione.
«Akito, no.». Fu tutto quello che disse, mentre io volevo che parlasse, che si spiegasse.
«Se mi ami, lo farai.». Distolse lo sguardo, girandosi dall'altra parte. Poi cercò di divincolarsi di nuovo. «Non vai da nessuna parte, finchè non mi dirai che accetterai quel ruolo.». Io ero serio, nonostante tutte le mie insicurezze sapevo che era giusto che anche lei seguisse le sue aspirazioni. Ma lei non sembrava della stessa opinione.
«Non accetterò quel ruolo, mettitelo in testa e lasciami in pace.».
«Testarda!» gridai, lasciandole le mani.
«Sarò anche testarda, ma almeno mi risparmio mesi e mesi di notti in bianco per il nervosismo. Non ho intenzione di accettare quel ruolo, semplicemente perchè la vita cinematografica non m'interessa più. Troppa pressione, troppo stress. Io voglio una vita tranquilla.».
Le sue parole non ammettevano repliche, quindi decisi di non insistere ancora perchè avremmo finito col litigare seriamente e quella era l'ultima cosa che volevo. La nostra relazione andava a gonfie vele, almeno da quando eravamo arrivati in terza base, se così può essere chiamata, quindi non vedevo il motivo di creare problemi inutili.
In fondo, avevo ancora qualche settimana prima che i registi ritirassero la loro proposta, quindi mi serviva solo trovare il modo di convincerla e, anche se nessuno lo avrebbe mai detto, ero proprio bravo a farle fare ciò che volevo.

 

*

 

Stavo correndo come un matto verso quel maledetto studio di riabilitazione, già il primo giorno ero in ritardo e, se il mio professore lo fosse venuto a sapere, mi avrebbe spezzato tutte le ossa, così anch'io sarei finito a fare qualche seduta riabilitativa.
Entrai di corsa e la ragazza che accoglieva i pazienti mi squadrò da testa a piedi, come se avesse visto chissà quale mostro mitologico. Decisi di non farci caso e mi avvicinai per chiederle a chi rivolgermi per il tirocinio. Aveva i capelli più lunghi che avessi mai visto, più di quelli di Sana, anche legati le arrivavano quasi ai polpacci. Mi domandai come facesse a vivere con una quantità così esagerata di capelli. Era una bella ragazza, aveva degli occhi particolari, tra l'azzurro e il grigio. Mi colpirono più di tutto il resto, anche se la ragazza era ben messa sotto tutti i punti di vista. Un bel corpo, non le si poteva trovare un difetto.
Scacciai quei pensieri, ripensando al profumo di Sana, e il mio mondo si ridimensionò, tornando a girare sull'asse giusta.
«Posso aiutarti?» chiese la ragazza, vedendomi un po' disorientato.
«In realtà, si.». Sfoderai il sorriso che riservavo alle donne e lei fu immediatamente conquistata, come tutte le altre. A volte pensavo che le ragazze fossero quasi tutte senza cervello, e se Sana mi era sembrata diversa dalla massa, c'era un motivo preciso. Lei non si scioglieva per un mio sorriso, guardava ciò che c'era dentro, non l'involucro.
«Dimmi di cosa hai bisogno e sarò ben felice di aiutarti.»
Non ne dubito...
Sorrisi di nuovo. «Oggi comincia il mio primo giorno di tirocinio qui, mi ha mandato il professor Yoshimi. Sono in un ritardo mostruoso, ti dispiacerebbe dirmi dove devo dirigermi prima che venga cancellato dall'elenco dei tirocinanti?». La ragazza mi sorrise compiacente e, se fossi stato il vecchio Akito, quel sorriso si sarebbe trasformato in qualcos'altro. Ma, fortunatamente, ero un nuovo Akito, e non mi sarei mai sognato di tradire Sana con quella ragazza.
«Seguimi.» disse poi, indicandomi la stanzetta dove accedeva solo il personale. Mi fece accomodare, mi disse di mettermi il camice e di andare direttamente da un paziente che aspettava il fisioterapista. La cosa mi parve un po' strana, ma feci come mi era stato detto, dirigendomi immediatamente verso la stanzetta.
L'odore di oli profumati che vi trovai dentro per poco non mi stordì, odiavo tutto quel profumo. La ragazza che mi aspettava nella stanza privata era coperta solo da uno striminzito asciugamano bianco, che in ogni caso le lasciava scoperta la schiena. Deglutii, tutte le pazienti erano così... avvenenti? Immaginai di essere all'interno di una puntata di The client list, telefilm che avevo visto solamente per la presenza di quella meraviglia di Jennifer Love Hewitt, e che da un momento all'altro mi sarei ritrovato a dovermi spogliare per qualcuno. Scacciai quel pensiero e mi ricomposi, avvicinandomi alla paziente.
«Ciao, io sono Akito.». Le porsi la mano e lei si sollevò dandomi la mano libera, mentre l'altra teneva fermo l'asciugamano su quelle tette che sembravano stare per scoppiare. Doveva portare almeno una quinta. Ok, dovevo smetterla, quello non ero più io, e i miei pensieri non mi piacevano per niente.
«Ciao, Akito. Io sono Amy.». Non era giapponese, sembrava inglese o qualcosa del genere, ma il suo accento mi piaceva.
«Allora, vediamo un po'...» bisbigliai, visionando la sua cartella clinica. Aveva i trapezi infiammati, quindi doveva provare molto dolore anche solo quando la sfioravano con un po' più di forza. Di solito la procedura non era quella, un tirocinante non era sicuramente la persona più adatta a mettere le mani su un caso del genere, ma evidentemente in quel centro le cose andavano diversamente. Sapevo cosa fare, a lezione avevamo provato mille volte ad intervenire. Posai le mani sotto il suo collo e lei sussultò. «Ti faccio male?».
«Mmm.. un po'.». La sua voce sembrava davvero spezzata dal dolore, quindi cercai di fare più piano. Presi a fare le manovre di routine, poi pressai e lei mugugnò qualcosa di incomprensibile. Subito dopo, mise una mano sulla mia e mi bloccò.
«Se vuoi vado a chiamare il dottore, così puoi continuare con lui.». Pensavo di non essere all'altezza, infatti arretrai visibilmente e mi appoggiai al tavolino accanto alla lettiga. Lei si alzò di colpo e i suoi occhi scuri incrociarono i miei immediatamente.
«No, non voglio il dottore, non provo dolore alla schiena.»
«E dove provi dolore? Nella tua cartella clinica c'è scritto...»
«So benissimo cosa c'è scritto nella mia cartella. Ma a me... fa male qui.» Indicò un punto sul suo petto, all'altezza del cuore, e pensai che avesse un infarto in atto. Non c'era altra spiegazione per il dolore al petto. Mi sentivo stordito. «Vuoi che chiami un'ambulanza?». Che domanda stupida.
«No, non voglio un ambulanza.». Scese dalla lettiga, avvicinandosi a me con gli occhi fissi sui miei. In quel momento capii. Quelli erano gli occhi delle ragazze che avevo scopato prima di conoscere Sana. Quella ragazza voleva venire a letto con me, non c'erano dubbi.
«Credo che tu sia troppo vestito...» sussurrò alzandomi la maglietta, spostando contemporaneamente il camice. Io la fermai, scioccato da ciò che stava succedendo. Non avevo nemmeno messo piede lì dentro e già le cose di erano complicate notevolmente. Dovevo andarmene da lì.
«E io credo che tu sia fuori di testa. Toglimi le mani di dosso.». Mi scostai velocemente, aprendo la porta e indicandole l'uscita. Lei non mi ascoltò e andò a richiuderla di nuovo.
«So che mi desideri, ti conosco. Conosco il tuo passato. So che in questo momento muori dalla voglia di scopare con me.». L'asciugamano scivolò lentamente sul suo corpo e rimase nuda davanti a me. Il suo sguardo era carico di provocazione, mi faceva vomitare.
Chiusi gli occhi, non ero eccitato nemmeno un po', e la cosa mi provocò un risolino.
«Non mi convincerai mettendoti con le tette al vento. Se abbiamo scopato una volta e vuoi il bis, mi dispiace proprio deluderti, ma ho una ragazza già da un bel po' di mesi.». Mi abbassai a raccogliere l'asciugamano e glielo porsi. Lei lo prese e lo gettò indietro, nel frattempo si avvicinò di nuovo a me e spostò i capelli da un lato, lasciando totalmente scoperto il seno. Avrebbe potuto mettersi completamente nuda e sventolarmi il culo in faccia, non l'avrei toccata nemmeno con un dito.
«Rimettiti i vestiti e vattene.» Non ebbi nemmeno il tempo di muovermi che me la ritrovai addosso, con una mano sul mio cazzo e l'altra sulla mia nuca per spingermi verso la sua bocca. Quando mi baciò provai solo disgusto, non eccitazione o altro, ma disgusto.
La allontanai immediatamente, probabilmente con troppa forza visto che un secondo dopo la ritrovai a terra. La afferrai per un braccio, alzandola senza sforzo, e nel frattempo presi la maglietta che aveva lasciato su una sedia e gliela buttai addosso.
«Vestiti, e poi sparisci.»
«Non sarà così semplice, questi dieci minuti ti rovineranno la vita.». Detto questo, infilò la maglia e i jeans velocemente ed uscì, insieme alle sue parole criptiche.


 

*
 

 

Dopo la giornata estenuante che avevo passato, volevo solo buttarmi tra le braccia di Sana e perdermi dentro di lei. Dopo la ragazza psicopatica mi erano capitati un vecchietto con l'artrite e un braccio rotto appena guarito, una donna di mezza età con problemi alle anche - e non era stato proprio un bel vedere - e, dulcis in fundo, un bambino abbastanza vivace, che non voleva essere sfiorato. Pensai per un attimo che la carriera che avevo sempre immaginato faceva proprio schifo. Aprii la porta del mio appartamento velocemente e mi ritrovai davanti la mia meravigliosa fidanzata, tutta sorridente e in ghingheri. Mi saltò al collo con troppo entusiasmo e la mia stanchezza cominciò a farsi sentire in tutti i muscoli del mio corpo.
«Ehi!» urlai quando me la ritrovai addosso.
Beth e Tsu osservavano la scena dal divano, quindi gli feci un cenno e tornai a guardare Sana.
«Va a farti una doccia, ho prenotato un tavolo in un ristorante bellissimo, vicino al centro.». Lei sorrise, e io come un'idiota continuavo a non capire.
«Piccola, sono esausto...» mormorai, sbuffando sonoramente. Lei aggrottò le sopracciglia, poi la rabbia prese il sopravvento. Chiuse gli occhi, fece un respiro profondo. Allarme rosso.
«Dimmi che non hai dimenticato che giorno è oggi.». La mia mente vagava, ma non riuscivo a ricordare. «Dimmi che non hai dimenticato che oggi sono tre mesi che stiamo insieme.»
Cazzo! Era il nostro mesiversario e io l'avevo completamente rimosso, le avevo promesso che le avrei organizzato qualcosa di speciale e invece l'avevo dimenticato. In compenso, però, le avevo comprato un regalo che non avevo avuto la possibilità di darle, quindi il mio culo poteva ancora essere salvato.
«No, Sana.» affermai, sperando che mi credesse. «Non l'ho dimenticato, ti ho anche comprato il regalo.» Ero bravo a mentire, anche se, in realtà, non era proprio una bugia, ma più che altro un'omissione della verità. «Avevo solo scordato della cena fuori...» ammisi infine, vedendo che in fondo non era poi così arrabbiata. Infatti, due secondi dopo, mi scoccò un bacio sulla guancia. «Perdonato, adesso vai a lavarti. Puzzi!». Risi e lei rise con me, e in quel momento capii che non avrei mai potuto tradirla, la amavo troppo. Amavo il suono della sua risata, il suo odore, la piccola ruga che le spuntava sulla fronte quando era arrabbiata o troppo concentrata. La amavo in ogni sua sfaccettatura.
Mi lavai e vestii in fretta e furia, poi la portai al ristorante e, al secondo bicchiere di vino, decisi che era ora di darle il mio regalo. Non lo avevo comprato per quell'occasione ma lei non l'avrebbe mai saputo, anche perché ero sicuro che le sarebbe piaciuto. Non era niente di impegnativo, ma ero sicuro che lei l’avrebbe guardato come l’oggetto più prezioso del mondo, adoravo il suo sguardo sognante quando le regalavo qualcosa, mi ricordava un bambino che riceve il giocattolo dei suoi sogni…
Oh, vorrei fare l'amore con lei proprio ora, proprio qui...
«O. Mio. Dio.» fu tutto quello che riuscì a dire.
Lo scartò con una cura quasi maniacale e, non appena aprì la scatoletta, rimase di sasso.
Sapevo che non era proprio una cosa tradizionale, ci conoscevamo da soli tre mesi e quindi si trattava di qualcosa di abbastanza prematuro, ma quando lo avevo visto in vetrina non avevo saputo resistere. Il mio portafoglio, in realtà, aveva cercato di trattenermi ma io ero stato più forte. Tirò fuori dalla scatolina un ciondolo in acciaio noto come la chiave del mio cuore, per ricordarle che solo lei era stata in grado di aprire il mio cuore e che le sarebbe sempre appartenuto. Notai immediatamente una lacrima scenderle sulla guancia. Poi non riuscì più a trattenere il pianto quando notò su un lato della scatolina la chiave del mio appartamento.
«E'... è bellissimo.. io.. ma come?». Sembrava che il filtro cervello-bocca le si fosse bloccato, non riusciva a mettere due parole di senso compiuto in fila, ma io la trovavo adorabile.

 

*
 

«Ci pensi mai al futuro?». Sana era sdraiata accanto a me, mi solleticava il petto con le unghia e, se avessi spostato leggermente il viso mi sarei ritrovato a un centimetro dalla sua bocca. Mi voltai, la baciai piano e poi tornai a guardare il soffitto.
«Ogni tanto, anche se preferisco di gran lunga il presente. Soprattutto se questo presente contempla te nuda nel mio letto!». Risi di gusto e anche lei, mi diede una botta sulla pancia e io le bloccai le mani. Adoravo tenerla prigioniera, fosse stato per me l'avrei legata da qualche parte e non l'avrei mai più fatta uscire. Odiavo condividerla con chiunque e, anche solo il fatto che qualche suo compagno di corso avesse potuto rivolgerle la parola, mi faceva ribollire il sangue. Eppure avevo accettato che prendesse parte a quel maledetto film, anche se lei ancora non aveva detto di sì. Questione di tempo.
«Sei un cretino! Intendevo.. come ti vedi tra dieci anni?».
Bella domanda, come mi vedevo tra dieci anni? Non ne avevo idea. Magari sposato davvero con Sana, con uno studio tutto mio.
«Non lo so.. mi vedo.. più vecchio.» risposi infine, racchiudendo in quelle parole tutte le mie preoccupazioni. Ero davvero sicuro di ciò che dicevo? Volevo davvero una vita così?
«Io.. io mi vedo con te.». Si, volevo davvero una vita così, perchè non avrei desiderato niente di più al mondo se avessi trovato Sana ad aspettarmi la sera e a darmi il buongiorno la mattina. Tutta la mi vita iniziava e finiva con quella ragazza dai capelli rossi.

 

*
 

All'inizio non caddi in preda al panico, non era la prima volta che Sana si alzava prima di me e mi lasciava dormire mezz'ora in più. Quindi, quando mi alzai e non sentii il rumore della doccia, pensai che fosse in cucina a fare colazione. Andai a controllare, e di lei nemmeno l'ombra.
Esattamente in quel momento il panico mi investì come un treno.
«Sana?» chiamai, senza ricevere risposta. Andai in camera di Tsuyoshi, ma niente nemmeno lì. Ero solo come un cane, dove cazzo erano tutti?!
Pensai a miliardi di cose, tutte opzioni che non mi piacquero per niente ma, quando arrivai in salotto e trovai la tv col fermoimmagine, per poco non mi venne un infarto. Un giornale era buttato sul divano, lo afferrai e la prima cosa che vidi fu la ragazza che ieri ci aveva provato con me al centro. Alzai lo sguardo, premendo Play. E lì c'era tutto. Ogni secondo che avevo passato con quella tipa, circa venti fotografie di me e lei in atteggiamenti ambigui. Volevo sprofondare.

 

Sembra che l'ormai noto fidanzato di Sana Kurata non le sia stato molto fedele ultimamente. In esclusiva per voi gli scatti più compromettenti dell'incontro del ragazzo con la sua amante, una ragazza straniera che lo ha raggiunto al suo posto di lavoro per una sveltina. Oops, è una parolaccia?
Che Sana abbia perso di vista il suo boyfriend in vista del nuovo film che le è stato proposto? Intanto godiamoci il nuovo triangolo amoroso. Quale coppia uscirà indenne?

 

Tirai il telecomando da qualche parte e la rabbia cominciò a montare dentro di me con un mostro. Quando le lacrime presero a bruciarmi gli occhi, presi la televisione e la buttai in mezzo al salotto. Andò in mille pezzi, facendo un sacco di scintille. Mi voltai, presi i cuscini del divano e li strappai completamente, facendo diventare casa mia un ritrovo per piume d'oca. Distrussi tutto quello che mi capitava sotto tiro, non me ne fregava un cazzo. Lei aveva frainteso tutto.
Questi dieci minuti ti rovineranno la vita.
Le parole di quella puttana mi risuonarono nel cervello. La volevo morta. Volevo morto ogni giornalista al mondo.
Volevo morire anch'io perchè, senza di lei, niente aveva più senso.

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Pov Sana.

Tornare al dormitorio fu strano. Non ci avevo più messo piede se non per prendere qualche vestito da portare a casa di... a casa sua. Non riuscivo nemmeno a pronunciare il suo nome. Avevo pianto per sei ore di fila tra le braccia di Beth, poi mi ero alzata, le avevo imposto di lasciarmi da sola, e mi ero diretta alla mia stanza per preparare le valigie. Avevo deciso di partire, a dispetto di ogni mio discorso precedente, la parte nel film mi avrebbe aiutato a dimenticare. Dimenticare che cosa, poi? Che il mio ragazzo mi aveva tradito? No, forse quello non avrei mai potuto dimenticarlo. Però, col tempo, con tutta la mia determinazione, avrebbe potuto fare meno male.
Ma chi volevo prendere in giro? Crollai sul mio letto, e risentii l'odore ormai lontano di quelle lenzuola. Ripensai alla notte che avevamo dormito su quello stesso letto, fuori il diluvio, e noi due stretti in un abbraccio ancora acerbo. Gli avevo dato tutto, gli avevo dato davvero tutto. Ma non era stato abbastanza. Lui aveva altre esigenze. Esigenze che io non avrei mai potuto assecondare. Mi ero presa per stupida almeno un milione di volte. Come avevo anche solo potuto pensare che sarebbe potuta finire diversamente?
Avrei voluto stare da sola, invece mi ritrovai a dover fingere davanti a Rei, dicendogli che accettavo la proposta di lavoro. Lui era al settimo cielo, io avrei voluto sprofondare. Comunque, ero brava a ricostruire la mia vita dopo una rottura. Ero stata brava con Naozumi, ero stata brava con tutte le mie amiche, che mi avevano voltato le spalle senza un motivo ben preciso. Ero stata brava con mia madre, la mia vera madre, che si era presentata da me pretendendo che le volessi bene. Il fatto era che io, nel profondo, le volevo davvero bene, e il fatto che lei avesse rinunciato a me non faceva altro che aumentare la mia delusione. Mi misi seduta, guardandomi attorno per cercare di imprimere nella memoria quella stanza. Le serate con Beth, i consigli, le risate, i litigi per via di.. oh, non riuscivo neanche a pronunciare quel nome, di nuovo.
Aprii il cassetto del comodino, presi qualche completo di biancheria intima e lo infilai nel borsone. Poi andai all'armadio e, con un solo gesto, presi tutti i vestiti che erano lì e feci lo stesso. Non avevo alcuna intenzione di tornare all'appartamento a prendere il resto. Sapevo che ci avrei trovato lui, sapevo anche che mi stava cercando, viste le ventitrè chiamate perse che avevo trovato sul cellulare. Non potevo sentire la sua voce, probabilmente mi avrebbe convinto che era tutto falso e, anche se le cose erano molto evidenti, mi sarebbe bastato sentire da lui che mi stavo sbagliando e avrei ceduto. Ma non potevo, non potevo davvero.
Mi sentivo devastata. Era come se mi avessero strappato il cuore, il dolore cominciava a farsi ancora più intenso e insopportabile. Non riuscivo quasi a respirare.
Recuperai un foglio di carta e una penna.

Amica mia,
so che non ti aspetti che io ti saluti con una lettera, o quello che queste poche parole potrebbero essere. Prendile come un arrivederci, non come un addio, prima o poi sono sicura che ci riabbracceremo. Voglio dirti solo che sei stata la migliore amica che abbia mai avuto, che senza di te non avrei vissuto i mesi più belli della mia vita. Voglio anche ringraziarti, perché ci sei sempre stata per me, da quel primo giorno in cui ci siamo ritrovate nella stessa camera. Ricordo la tua cascata di capelli biondi e i tuoi occhi azzurri così brillanti. Sappi che ti voglio un bene infinito, e che non sentirai tanto la mia mancanza. Ci sentiremo presto, te lo prometto.

Sana.

Ero indecisa, Beth era l'unica a meritarsi un mio saluto? Presi altri due fogli e, mentre scrivevo, cominciai a pentirmi della mia decisione.

Tsuyoshi,
so che magari non ti aspetti un mio saluto, ma non volevo andare via senza chiederti qualche favore. Tu sei il suo angelo custode, quindi so che lo terrai al sicuro. Non fargli fare sciocchezze, non lo abbandonare, anche se mi ha distrutta è una persona meravigliosa e si merita tutto il meglio che la vita possa donargli.
Grazie, di tutti i consigli di questi mesi... grazie perchè sei stato un po' anche il mio angelo custode.
Sana.

Non riuscivo a scrivere, mi sentivo paralizzata. Avrei voluto andare da lui e urlargli tutto il mio dolore, ma non potevo. Non dovevo. Avrei dovuto chiuderla molto tempo prima, ma ero stata cocciuta. Ero convinta che le cose potessero cambiare, invece ero stata solo una stupida.

Caro Akito,

sei diventato la parte migliore di me, il mio mondo, semplicemente il mio tutto e sono certa che continuerai ad esserlo per sempre ma, forse, l’unico modo per essere felici è dirci addio.

Non sai quanto dolore provo nel dirti questa parola ma, appunto, perché ti amo ho deciso di fare la scelta giusta per entrambi, ti lascio libero di vivere la tua vita.

Ho capito che non posso renderti felice perché tu hai bisogno di qualcosa di diverso, spero troverai qualcuno che sappia darti tutto ciò di cui hai bisogno.

Voglio solo ringraziarti, perchè mi hai regalato i momenti più belli della mia vita, e non mi pento di averti dato tutta me stessa. Sei l'unico uomo che io abbia mai amato…
Addio...

Sana.

Ps. Ti amo... e probabilmente ti amerò per sempre.

Piegai tutti e tre i fogli e li lasciai sulla scrivania, poi afferrai la valigia e uscii. Mi fermai per un attimo a guardare la porta della mia stanza chiusa, dissi addio anche a lei e mi diressi al parcheggio. Niente avrebbe potuto colmare quel senso di vuoto, ma la lontananza mi avrebbe aiutato, ne ero certa.




Ancora una volta, chiedo scusa per la mia assenza prolungata ma... è iniziata anche per me l'esperienza universitaria e tra lezioni e tutto il resto non ho avuto molto tempo per scrivere.
Sarò sincera, ci sono rimasta un po' male di non aver trovato neanche una recensione per il capitolo precedente. La storia vi sta annoiando? Spero di no, perchè questo mi dispiacerebbe davvero un sacco.
Comunque... siamo di nuovo ad un punto di non ritorno per i nostri due amatissimi ragazzi, ma io non dispererei così tanto...
Spero che mi facciate l'onore (perchè lo è, ve lo assicuro) di sapere cosa ne pensate.
Un bacio grandissimo :*
Akura.

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Capitolo 21
*** Lontani. ***


CAPITOLO 21.
LONTANI.

Pov Sana.

Una settimana. Una settimana e ancora il mio cuore era in piena agonia. Dopo infinite conferenze stampa, avevo avuto il privilegio di rincontrare quella meraviglia del mio ex ragazzo. Anche quella, un'agonia vera e propria. Mi maledissi circa cinquanta volte al giorno per aver accettato quel ruolo perchè, non solo stavo soffrendo come un cane perchè Akito mi aveva tradita, ma dovevo anche sorbirmi la presenza di Naozumi ventiquattro ore no stop. Avevo prenotato un biglietto solo andata per l'inferno senza neanche accorgermene.
Akito aveva provato a chiamarmi un miliardo di volte ma ogni telefonata finiva allo stesso modo. Avevo impostato una suoneria speciale per il suo numero e, ogni chiamata, era un altro colpo al cuore.
You're beautiful... you're beautiful... you're beautiful, it's true.
Già, e la cosa buffa era che non riuscivo nemmeno a cambiarla, tanto mi piaceva quella canzone. Anche Beth mi aveva chiamata, sperando che la mia lettera non fosse stata davvero un addio, ma anche lei aveva dovuto fare i conti con la triste realtà e convincersi che  non avrei più messo piede in quell'università.  Avevo cercato di rifarmi una vita, pensando che il ruolo da studentessa mi si addicesse, pensando che avrei potuto davvero allontanarmi dal mondo dello spettacolo. Avevo fallito su tutti i fronti.
La storia del tradimento di Akito ormai era l'argomento preferito di ogni programma di gossip, e le immagini di quel pomeriggio mi passavano davanti almeno tre volte al giorno. Mi ero imposta di non piangere più, l’impresa non era risultata poi così difficile, anche perché avevo esaurito il quantitativo di lacrime anche per tutti gli anni avvenire. Ma quando stringevo tra le mani la chiave del suo appartamento un dolore tornava a schiacciarmi il petto e mi maledicevo per essere stata così ingenua e per avergli permesso di farmi del male. Quante belle parole, quante promesse... un futuro insieme, mille progetti, e alla fine? Puff, tutto sparito, come per magia.
Eppure nonostante il tradimento, il dolore e l’umiliazione  non riuscivo a portargli rancore, forse  perchè ancora lo amavo. E lo amavo così tanto, da desiderare che avesse trovato davvero in quella ragazza ciò che in me mancava. Beth lo aveva sicuramente riempito di insulti, maledicendolo ogni secondo per ciò che mi aveva fatto, ma io non riuscivo nemmeno a provare un briciolo d'odio nei suoi confronti. Forse per immunizzarmi dal troppo dolore, ormai non riuscivo più a provare niente. Non mi dava nemmeno più di tanto fastidio il fatto che Naozumi non mi staccasse gli occhi di dosso per un secondo. Ero indifferente a qualsiasi cosa.
Rei bussò al mio camerino un attimo dopo che finii di prepararmi, io mi voltai a guardarlo e per un attimo quasi sperai che non fosse lui. Era stato un attimo, e il mio cuore era di nuovo punto e a capo.
«Sana, dobbiamo andare. Penso che il regista voglia fare una chiaccherata con te, Naozumi e Shintaro. Ha riunito tutti in aula conferenze.»
Mi alzai, cercando di recitare il più possibile la parte della ragazza felice e spensierata, anche se sapevo che lì tutti mi trattavano con riguardo perchè erano a conoscenza di ciò che era successo. Tranne Naozumi, lui non mi rivolgeva la parola - cosa che non mi dispiaceva, anche se in ogni caso sentivo i suoi sguardi a chilometri di distanza- ed ero grata ad ogni Kami dell'universo per quel suo comportamento.  Seguii Rei che mi fece strada e mi accomodai in una delle enormi sedie rosse che costeggiavano l'altrettanto enorme tavolo di legno al centro della stanza.
Il regista, a capo tavola, prese a spiegarci quale sarebbero stati i nostri ruoli, mettendo in evidenza le paure, i pregi, i difetti di ogni personaggio. Il mio, Akane, era una donna sicura di se', che nella vita aveva dovuto affrontare così tanti drammi, che ormai non era capace di provare amore per nessuno. Allora si dilettava a fare la cosìdetta mangiauomini fino all'arrivo di Yuki, il personaggio di Shintaro, che la cambiava nel profondo. Però - perchè nella vita c'è sempre un però - contemporaneamente alla loro storia d'amore, si ripresenta in città il fratello di Yuki, Hiraki, che non appena vede la fidanzata di suo fratello, se ne innamora immediatamente e da lì si da il via al triangolo amoroso. Alla fine, come una cretina, Akane sceglie Hiraki, proprio per far si che io e Naozumi ci riunissimo con una dichiarazione strappalacrime. Dannazione!
Maledissi mille volte Rei, per avermi proposto un ruolo così complicato da gestire. Mi voltai a guardarlo e, per un attimo, mi persi nei miei pensieri. Ci conoscevamo da sempre, mai avevo pensato che potesse tradirmi, mai avevo voluto allontanarmi da lui perchè era stato la mia ancora di salvezza. Amavo mia madre, più di qualsiasi altra cosa al mondo, ma con Rei c'era sempre stato quel rapporto che solo con un padre si può avere. Nonostante tutto, lui era proprio quello per me. In ogni caso, non potevo addossargli i miei problemi, sia perchè mi era sempre stato accanto, senza pretendere nulla in cambio e soprattutto perchè non volevo condividere con lui la mia sofferenza, anche se sapeva benissimo quanto io stessi male.
Non appena il regista finì il suo discorsetto introduttivo, mi alzai e me ne andai, stanca della tensione accumulatasi durante la giornata. Salutai tutti e mi congedai, lasciandoli seduti a quel tavolo, a discutere di dettagli che non mi importavano.
Rei si sarebbe incazzato a morte, stavo dimostrando poco interesse nei confronti del lavoro che mi avevano offerto, ma non mi preoccupavo di essere licenziata. Ero perfetta per quel ruolo, e non avrebbero scelto nessun'altra.
Quando arrivai al mio albergo, circa venti minuti dopo, pagai il taxi e salii alla mia stanza, la 368. Entrando, non notai subito che c'era qualcosa di strano, solo accendendo la luce mi resi conto che, in quella camera, c'era qualcuno che non era di certo un dipendente dell'hotel.


*

«Ciao, Sana.»
Tsuyoshi mi fissava dal divanetto posto davanti al letto, con gli occhiali tra le mani e un'espressione indecifrabile sul volto. Rivederlo era una pugnalata, mi ricordava tutto ciò che avevo avuto e poi perso. Tutta la felicità che il suo migliore amico mi aveva regalato, e che poi mi aveva prepotentemente strappato dalle mani.
«Ciao, Tsuyoshi. Cosa ci fai qui?». La mia voce era calma, sembrava quasi impassibile, ma dentro stavo lentamente crollando. Sarei scoppiata a piangere da un momento all'altro.
«Sono venuto ad implorarti, se implorare può bastare.». Non mi aspettavo di sentirlo parlare in quel modo, né  tantomeno che si presentasse nel mio albergo per chiedermi qualcosa. Il viaggio da affrontare non era poi così lungo - io risiedevo a Hirosaki, mentre loro erano a Tokyo - e, se avesse voluto, anche Akito sarebbe potuto venire. Ma, ovviamente, non ne valeva la pena, non per me.
«Implorarmi?  E per cosa?»
«Devi tornare. Non è una richiesta. Devi farlo, perchè altrimenti Akito uscirà di testa, se non è già successo.»
«Non credo si stia disperando più di quanto lo stia facendo io, te lo assicuro.»
«Ha distrutto l'appartamento, Sana. E' stato denunciato, ha passato una notte in galera per disturbo della quiete pubblica. Stava per uccidere me e, se non mi fossi messo in mezzo, avrebbe aggredito anche Beth, la mia ragazza e la tua migliore amica!». Aveva alzato la voce, si sentiva il suo nervosismo e la sua preoccupazione. Io ero nel panico, se Akito aveva combinato tutti quei casini doveva essere veramente distrutto. Ma lo era semplicemente perchè aveva perso il suo giocattolo, ciò che era sicuro per lui. Lui amava il controllo, in ogni cosa che faceva, e il non avermi comportava la perdita di una sicurezza che io invece gli avevo dato. Non riuscivo neanche ad immaginarlo mentre distruggeva casa sua, eppure sapevo che Tsuyoshi non mentiva.
Cosa avrei dovuto fare? Correre da lui, come avevo sempre fatto, facendo finta che nulla fosse successo? Mi aveva tradita, non era una cosa da poco, eppure dentro di me sapevo perfettamente che avrei dovuto essere con lui in quel momento. Me lo diceva il mio istinto, e il più delle volte non sbagliava mai, ma non potevo comunque seguirlo. Sarei arrivata lì, e magari mi sarei ritrovata di fronte quella sgualdrina da due soldi. No, non potevo.
Guardai Tsuyoshi cercando di darmi un tono, misi su quell'espressione che mi usciva fuori solo pensando a Naozumi, un misto di disgusto e rabbia, e poi mi avvicinai a lui.
«Io non tornerò al campus, quindi hai sprecato il tuo tempo. Dì al tuo amico che non saranno i suoi piagnistei a farmi cambiare idea, anzi, niente potrà farmi cambiare idea. Quindi, per favore, vattene.». Non volevo ferire i suoi sentimenti, Tsuyoshi non se lo meritava affatto, ma non potevo farmi vedere debole o indecisa, perchè avrebbe trovato un modo per convincermi.
Lui abbassò lo sguardo, sentendosi sconfitto, e poi fece un sorriso. «Va bene, non insisto più. Solo.. pensaci, io sarò in città fino a domani. Se cambi idea, il mio treno parte alle due del pomeriggio.»
Mi superò, mi baciò in guancia e poi uscì dalla mia camera, in silenzio.
Nello stesso momento in cui la porta si chiuse, caddi in ginocchio e scoppiai in lacrime. Quello era il mio bivio.

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Pov Akito.

Casa mia era un casino. Non sapevo nemmeno come avevo fatto a ridurla in quello stato, avevo distrutto persino il frigo. Non credevo di avere una forza così spropositata, invece mi ero sottovalutato. Trovando quel maledetto biglietto, la prima cosa che avevo avuto a portata di mano era stata la tv, quindi l'avevo presa e l'avevo scaraventata in mezzo al soggiorno.
Tornai in camera, guardai tutte le nostre foto appese alle pareti. Mi sembravano una gran presa per il culo, quindi le strappai una ad una. Come aveva potuto credere a quello che dicevano i giornali? Se solo fosse rimasta, se solo mi avesse dato la possibilità di spiegarmi. Quella maledetta ragazza. L'avrei trovata e l'avrei uccisa con le mie mani.
Questi cinque minuti ti rovineranno la vita...
Cazzo, quanto aveva ragione! Non capivo come potesse essere così sicura di ciò che sarebbe successo, ma non gli diedi troppo peso. Sana mi aveva lasciato perchè, fondamentalmente, non si fidava di me, quello era certo. Il fatto era però che io non le avevo mai dato modo di pensare che potessi tradirla, ne farle del male. Il solo pensiero che lei stesse soffrendo almeno un quarto di ciò che stavo soffrendo io mi fece venire i brividi.
L'avevo chiamata un milione di volte durante quella settimana, tutte chiamate senza risposta, e non riuscivo a non pensare a lei. Volevo correre da lei, volevo che capisse che non ero affatto come lei pensava, ma intanto mi sentivo paralizzato. Ero paralizzato dal terrore di vederla felice, anche senza di me, nonostante sapessi che non era così. Mi aveva scritto che mi amava, che mi avrebbe amato per sempre. Ma potevo davvero credere a quelle parole, lasciate su un pezzo di carta che poteva racchiudere qualsiasi falsità? Non lo sapevo, volevo crederci comunque, perchè senza quell'amore sarei stato perso.
Provai di nuovo a chiamarla, mentre ero disteso sul divano come un deficiente, ma al secondo squillo scattò la segreteria telefonica. Non le avevo lasciato nessun messaggio, era una settimana che non sentiva la mia voce e che io non sentivo la sua. Chiusi gli occhi e immaginai il suo sorriso, una fitta mi attraversò il petto. Non avevo mai provato niente di simile, non sapevo cosa fosse. Dolore, fastidio, ribrezzo. Non lo sapevo. Ma faceva dannatamente male.
Decisi di lasciarle un messaggio in segreteria, non poteva e non doveva finire così, non dopo tutto quello che avevamo passato.
«Sono io... so che non vuoi ascoltare, e so anche che probabilmente cancellerai il messaggio dopo aver sentito i primi dieci secondi, ma adesso ho bisogno di parlare. Non lo faccio mai, quindi non prendermi in giro se non sarà chissà che.». Risi, cercando di nascondere la mia disperazione. «So perchè sei andata via, almeno conosco il motivo apparente. Quel dannato servizio. Il fatto è che è tutto un malinteso, e tu non mi hai dato neanche il tempo di spiegarmi, come sempre. Devi smetterla di saltare alle conclusioni. Comunque, Sana... giuro su Dio che non so neanche chi sia quella ragazza, è tutto un maledetto casino. Dove sei Sana? E' una settimana che non ho tue notizie, e ho bisogno di sapere che stai bene, anche se sono certo che non è così. Io non sto affatto bene, per niente, non dormo da giorni e mi sento... vuoto. Bè, comunque... per quello che vale, io ti amo. E non ho intenzione di rinunciare a te. Mai.»
Chiusi la conversazione, certo che non avrebbe mai ascoltato il messaggio fino in fondo. La conoscevo abbastanza bene da sapere che in quel momento provava un odio così profondo nei miei confronti che anche sentire la mia voce le avrebbe dato il vomito.
Non sapevo come uscire da quella situazione, e di certo rimanere sul divano come un vegetale o combinare casini a destra e a manca non avrebbe aiutato. Deciso a rimediare, mi alzai e mi diressi in bagno, feci una doccia bollente e il calore lavò via la rabbia, lasciando spazio solo alla tristezza. Non andava affatto meglio, anzi possibilmente mi sentivo peggio di prima, ma se volevo riconquistare Sana dovevo per lo meno evitare di puzzare.
Quando finii di rasarmi, la porta si spalancò di colpo ed entrò Beth, incazzata nera. Bene, la giornata si prospettava peggio di quanto mi aspettassi.
«Che cos'hai?» chiesi avvicinandomi a lei, mentre apriva il frigo per prendere un po' di succo d'arancia, probabilmente l'unica cosa non ancora andata a male che poteva trovare in frigo.
Lei mi fissò sconvolta, poi sorrise debolmente e bevve un sorso. «Ti sei lavato, a cosa dobbiamo quest'onore?».
«Sto partendo.». Lo decisi nello stesso momento in cui glielo comunicai. Sarei andato da Sana e le avrei spiegato, anche se non avevo idea di dove si trovasse. Pensai a come rintracciarla, allora pensai immediatamente a sua madre.
«Partendo? E dove vorresti andare?»
«Da Sana.». In quelle due parole c'erano racchiuse tutte le mie speranze, ogni mia aspettativa.
«Mi sa che sei arrivato tardi.». La fissai incredulo. Che cavolo significava?
«Le hai parlato?»
«No, ci ha pensato il tuo caro amico Tsuyoshi, senza avvertirmi tra l'altro. Sta rientrando proprio adesso, alle due ha il treno da Hirosaki.»
Se lui stava tornando e non aveva chiamato, significava che lei non stava tornando con lui. La consapevolezza di averla persa, e stavolta per sempre, mi invase totalmente. Mi gettai di nuovo sul divano, come se ogni convinzione antecedente avesse perso importanza. Eccolo lì, un ragazzo distrutto da chissà quale malattia misteriosa. Sapevo benissimo qual era il suo nome, eppure non riuscivo più a pronunciare quella parola da quando Sana era andata via, da quando era finito tutto. Comunque, la pensai, ed eccola lì, anche lei, a prendermi per il culo dall'alto della sua importanza. Era l'amore, che aveva trasformato quel ragazzo sicuro di se e pieno di donne, in un ammasso di cellule morte su quel divano del cazzo.
Ma Beth non era di certo della mia stessa opinione, si piazzò davanti a me, togliendomi la visuale della tv e mi guardò dritta negli occhi.
«Il piano di Tsuyoshi non ha funzionato? Bene, non hai idea di cosa possa fare una donna incazzata.». Detto ciò, uscì dall'appartamento e mi lasciò finalmente da solo.  
Si prospettava un'altra settimana di merda.

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Pov Sana.

Erano le due meno cinque, il treno di Tsuyoshi stava per partire e io ero nella mia stanza d'allbergo. Non riuscivo a respirare, ma il dolore ai polmoni era nulla in confronto a ciò che stava provando il mio cuore. Tsuyoshi mi aveva dato una possibilità, qualcosa a cui aggrapparmi, se Akito stava davvero così male qualcosa doveva pur significare e, per quanto il mio dolore fosse incommensurabile, non potevo lasciare che la mia vita andasse in pezzi per nulla. Non sapevo più a cosa aggrapparmi, forse semplicemente non volevo credere al tradimento di Akito, forse quella settimana lontana da lui era stata sufficiente per capire che no, non potevo perderlo per nulla al mondo. Ma se mi avesse tradito sul serio? Dopo aver ascoltato quel messaggio mi ero sentita di nuovo invasa da una speranza. Io ti amo... aveva detto, e sentivo nella sua voce la purezza della verità. Niente avrebbe potuto scalfire il sentimento che ci legava, niente avrebbe potuto allontanare le nostre anime eppure io avevo permesso che accadesse. Probabilmente però era giusto così, non era corretto legarlo a me contro la sua volontà. Volevo mettermi a correre, mancavano esattamente due minuti alla partenza del treno e, per quanto avrei voluto raggiungere Tsuyoshi e partire insieme a lui, le mie gambe rimanevano comunque ferme, immobili.
Mi guardai intorno, la mia stanza d'albergo mi sembrava così vuota e non riuscivo neanche a pensare lucidamente. Quasi senza pensarci composi il numero di Akito, dentro di me speravo che non rispondesse, sentire la sua voce mi avrebbe sicuramente destabilizzato e non sapevo come avrei reagito.
Il telefono squillò per almeno quattro volte, poi scattò la segreteria. In un secondo dovetti scegliere se lascare un messaggio o meno e la voglia di fargli sapere ciò che provavo ebbe la meglio.
«Ciao.. bè, forse siamo diventati i maghi dei messaggi lasciati in segreteria. Tsuyoshi mi ha raccontato dei casini che hai combinato, sei proprio uno stupido, non dovevi. E' una settimana che non ci sentiamo, non ti ho risposto e mi dispiace... ma avevo bisogno di tempo, e l'ho avuto. Forse non avrei dovuto prendere una decisione così repentina, forse avrei dovuto aspettare una tua spiegazione, ma dopo aver  visto quelle foto... non ho pensato. Ora non è ancora il momento di incontrarci, vorrei solo girare il film e poi tornare al campus. Avremo modo di parlarci, te lo assicuro.
Stammi bene.. ciao Akito.»
Chiusi la chiamata e gettai il telefono sul letto, stanca più mentalmente che fisicamente. Avevo praticamente rimesso in mano al destino la mia vita e, per quanto fossi fiduciosa, sapevo che il destino spesso si dimenticava di me.
Magari gli invio un biglietto, chissà che non recuperi la memoria...


Lo so, scusatemi... un ritardo infernale. Chiamasi BLOCCO DELLO SCRITTORE, o come cavolo volete :') 

Mi scuso veramente  tantissimo per questo ritardo, mi scuso ancora per non aver risposto alle recensioni, e mi scuso anche perchè il capitolo non è di certo della solita lunghezza. Spero comunque che vi piaccia e che basti per aspettare il prossimo capitolo. Una cosa che tengo a fare è ringraziare in modo particolare la mia meravigliosa Beta, Dalmata, che riesce sempre a tirarmi fuori da questi blocchi. GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE!!!
Ci vediamo al prossimo capitolo :*

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Capitolo 22
*** Ritorno a casa. ***


CAPITOLO 22.
RITORNO A CASA.
Pov Akito.

Avevo cercato di chiamarla milioni di volte, ma sapevo perfettamente che sarebbero state tutte chiamate senza risposta. Cominciai a pensare che il messaggio in segreteria fosse stato solo un modo per tenermi buono, per evitare che mi intromettessi ancora nella sua vita, più di quanto non avessi già fatto. Probabilmente prima di conoscermi Sana aveva tutto, nonostante la delusione amorosa che quel damerino le aveva procurato. Era forte, sarebbe riuscita a superarlo, anche se avesse dovuto combattere contro milioni di giornalisti e fan che chiedevano risposte. Ma questo? Un tradimento, seppur non veramente accaduto, avrebbe potuto superarlo? Nessuno le avrebbe dato la certezza che le mie parole fossero vere, ne tantomeno avrebbe potuto rintracciare quella sgualdrina che aveva architettato tutto questo casino, quindi l'unico modo che aveva per uscirne era fidarsi di me o, nel peggiore dei casi, allontanarmi per sempre.
Avremo modo di parlarci, te lo assicuro... aveva detto in quel messaggio. Tuttavia ancora niente. Non sapevo cosa fare per riconquistarla. Ogni cosa mi sembrava banale e non riuscivo a pensare ad altro se non al fatto che le avevo consegnato le chiavi della mia casa e che, alla fine, le cose erano andate in modo totalmente opposto.
A proposito di casa, qualcuno entrò sbattendo la porta, quindi mi alzai dal letto per andare a controllare chi fosse così incazzato, più incazzato di me, per comportarsi in quel modo. Quando arrivai in cucina trovai Beth intenta ad accendere il suo pc.
«Oh, Hayama! Sei qui. Benissimo, possiamo metterci a lavoro.».
La guardai, sembrava una pazza isterica, probabilmente non mangiava da un paio di giorni, e i suoi capelli erano davvero improponibili. Certo, non ero una femminuccia e non le avrei urlato di trovarsi un hair-stylist ma, ragazze, dovete pur capire che i vostri capelli sono forse la cosa più sexy che possedete! Mi allontanai dai miei pensieri barra consigli da parrucchiere, per concentrarmi su ciò che Beth voleva farmi fare.
«Mi fai paura, B. E non sto scherzando..»
Cercai di farla sorridere, se ero condannato all'assenza di Sana, dovevo pur passare il tempo con qualcuno. Prima di lei avere un'amica donna non mi era mai interessato, le ragazze per me avevano sulla fronte un cartello col tempo che ci avrebbero messo a finire sul mio letto, e l'unico amico che avevo me lo portavo dietro dall'asilo, quindi di certo non ero il candidato migliore per quello che poteva essere un rapporto con Beth. Non mi sarei mai permesso di provarci con lei nemmeno prima di capire che Sana era l'unica che desideravo, ancor di più adesso che ero a conoscenza dei miei e, cosa ancora più importante, dei suoi sentimenti. Beth era una ok. Aveva sempre cercato di spingere Sana ad aprirsi con me, a non avere timore e, se io e Kurata avevamo passato dei momenti meravigliosi insieme, probabilmente lo dovevamo anche a lei.
«Caro Hayama, mentre tu eri qui a fare... come si dice? Nulla, io investigavo e, so che sarai fiero di me, sono riuscita ad avere il contatto della tua amichetta sgualdrina..»
Sgranai gli occhi, quanto potevo adorare quella ragazza?!
«E come diavolo ci sei riuscita?.».
«Ho i miei mezzi, dear..» Non l'avevo mai sentita parlare in inglese, ma quella parola aveva il suono della vendetta e, soprattutto, profumava di Sana.
«Per ora non ti dico nulla ma sto lavorando per te, quindi ringraziami. Saprai tutto a lavoro completato.»
«Beth, ti prego, smettila di parlare come se fossimo nel prossimo film di 007.». Le tirai un pezzo di biscotto che prese al volo, ridendo, e che finì dritto nella sua bocca. Poi tornò seria e alzò lo sguardo verso di me.
«Non sto facendo questo lavoro per poi scoprire che quella ragazza diceva la verità, vero?»
Inizialmente mi sentii offeso dalla sua domanda, poi capii che non potevo pretendere che la gente cambiasse opinione su di me dall'oggi al domani. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, si dice. Bè, io avevo perso entrambi e, insieme a loro, anche la donna che amavo. Cosa potevo perdere di più?
«No, Beth. Te lo giuro, è tutta una montatura.» Lei annuì e chiuse il computer, lasciandomi da solo con i miei pensieri.
Poi mi venne il lampo di genio.
«Hei B, posso usare il tuo pc per un attimo? Devo mandare un'email importante.»
Beth tornò in cucina e me lo diede, raccomandandomi di non inviare video porno o chissà quale altra porcheria.
«Sono un gentiluomo, ricordi?»
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DUE MESI DOPO...

Pov Akito.

Nessuna delle mie e-mail aveva ricevuto risposta, per quanto ne sapevo Sana non aveva voluto parlarmi, o vedermi, ne farmi avere sue notizie. Sapevo solo che era tornata in città, per riprendere i suoi studi al campus dopo aver finito di girare il suo film, in uscita nei mesi successivi. Ormai mi ero rassegnato, se la sua scelta era stata quella di allontanarmi, non potevo costringerla ad accettare qualcosa che nessuno poteva confermarle. Beth aveva continuato il suo lavoro da spia, come se fossimo in una puntata di Veronica Mars, ma ancora niente di concreto era saltato fuori. Su ogni giornale che mi capitava tra le mani veniva pubblicata una fotografia di Sana con Naozumi Kamura, spesso lei rideva, altre volte semplicemente parlavano come due conoscenti. Nulla di compromettente, ma comunque abbastanza per mandarmi il cervello in modalità terminator. Non sapevo cosa sarebbe successo quando lei avrebbe rimesso piede al campus, l'unica cosa che sapevo era che non avremmo potuto non incrociarci, frequentavamo troppe lezioni insieme, nonostante io fossi in procinto di uscirmene da quel covo di vipere. L'università non era di certo il posto che mi ero sempre aspettato, anche se mi ero piuttosto divertito avrei solo voluto scappare via in quel momento. Chi l'avrebbe mai detto che Akito Hayama, la matricola più amata negli ultimi anni, avrebbe potuto soffrire per una ragazza.
Solo la laurea e l'inizio del mio lavoro avrebbero potuto salvarmi dall'essere distrutto da me stesso. Non facevo altro che pensare a cosa sarebbe successo se non fossi stato un perfetto coglione prima di conoscere Sana. Magari lei mi avrebbe creduto, magari mi avrebbe semplicemente perdonato e io non mi sarei ridotto a mandarle un'email ogni giorno con pezzi di poesie solo per avere in risposta un bel nulla.
Molti la chiamano ironia della sorte, altri karma, io adoro chiamarla puttana. E' la vita, signori, e chiunque viene fottuto.

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Pov Sana.

Nel momento stesso in cui avevo rimesso piede al campus, avevo sentito che l'aria lì era cambiata. Avevo saputo da fonti attendibili - è incredibile quanto possa fare la fama e qualche domanda ben posta - che Akito non aveva più fatto stragi di cuori, molte ragazze mi avevano detto che io l'avevo cambiato e che dopo che avevo lasciato l'università era diventato il perfetto studente, quello che ogni professore avrebbe voluto. Non pensavo fosse una bugia, ma si sa, le voci spesso raccontano una verità amplificata delle cose e, finchè non l'avessi visto coi miei occhi, ogni cosa era relativa. Ciò che sapevo era che non l'avevo più sentito dopo l'ultimo messaggio che avevo lasciato in segreteria, che non avevo ricevuto nessuna risposta, e che mi ci era voluto parecchio tempo per accettare il fatto che la nostra storia era finita. Naozumi aveva cercato di riacchiapparmi nella sua rete ma niente, assolutamente niente, sarebbe riuscita a farmi desistere dall'idea di allontanarlo per sempre da me. Quel ragazzo era stato la mia rovina e, quando pensavo di aver trovato la persona giusta, anche quella era stata solo un'illusione. Avrei dovuto abituarmici.
Camminavo per i corridoi verso quella che era stata la mia stanza per molto tempo, la stanza che avevo condiviso con una ragazza meravigliosa, forse l'unico errore che avevo fatto era stato allontanarmi anche da lei che mi era stata sempre accanto. Dovevo ammettere che, inizialmente, l'avevo anche un po' incolpata. Non del tradimento di Akito, ovviamente, ma di avermi sempre spinto verso di lui. Poi, col passare dei giorni, avevo capito che Beth voleva solo vedermi felice e, anche se odiavo dirlo ad alta voce, Hayama era stato la mia felicità, anche se per poco tempo.
Sulla porta ancora la lavagnetta con tutte le nostre scritte.


Ho la compagna di stanza più rompipalle dell'universo ma nessuno è come lei. H.B. my deary... anche se non sei qui per festeggiarlo con me ma davanti ad una camera da presa.

Questa era stata aggiunta da poco, per il mio compleanno. Beth mi mancava, mi era mancata per tutto il tempo che ero stata sul set, e non vedevo l'ora di rivederla, per riavere almeno la mia migliore amica.
Entrai nella nostra stanza e la prima cosa che mi saltò all'occhio fu che non era cambiata di una virgola. Ogni cosa era rimasta esattamente per come l'avevo lasciata mesi fa e quello mi diede un senso di pace che non provavo da un bel po'. La mia amica mi aspettava e, un paio di secondi dopo, la vidi uscire dal bagno con addosso solo un asciugamano. Non disse una parola vedendomi, corse solo ad abbracciarmi, facendomi cadere la borsa e alcuni pacchi che avevo tra le mani.
Ricambiai l'abbraccio e, anche se nessuno l'avrebbe mai saputo, mi scese qualche lacrima che asciugai velocemente per evitare che Beth se ne accorgesse.
«Quando sei tornata? Perchè non mi hai chiamato? Sarei venuta a prenderti... bè, non so, ovunque!».
Sorrisi, ero a casa. Beth e le sue infinite domande... si, finalmente ero a casa.


*
Avevo appena finito di raccontare a Beth la mia esperienza cinematografica e, per un attimo, avevo persino dimenticato che avrei dovuto affrontare qualcosa di molto peggio degli interrogatori della mia migliore amica.
Corsi verso l'ascensore, speravo di passare la serata a rilassarmi per prepararmi alla giornata successiva che ero sicura sarebbe stata esaustante. Sarebbero iniziate le lezioni e, nonostante Akito stesse per laurearsi e quindi fosse meno presente nel plesso universitario, avendo saputo del mio ritorno, sapevo me lo sarei ritrovato da qualche parte.
Mi sbagliavo, non avrei dovuto aspettare il giorno dopo per vederlo. Era proprio accanto a me, dentro quell'ascensore e, non appena mi voltai per guardarlo negli occhi, il mio cuore perse un battito.
E' proprio vero che, quando meno ce lo aspettiamo, la vita ci mette davanti delle carte che non avremmo mai potuto prevedere. E si, delle volte, quelle carte, sono proprio la mano che avresti voluto evitare.

______________________________________________

Pov Akito.

Rivederla fu strano. Inizialmente la mia mente cominciò a produrre migliaia di possibilità di come sarebbe andato quel breve tragitto in uno spazio approssimativamente di cinque metri per lato. Non temevo un confronto, piuttosto lo desideravo, ero sicuro della mia verità, anche se lei non era sicuramente della stessa opinione. Ormai era primavera inoltrata, niente a che vedere col freddo che avevamo dovuto affrontare durante il nostro viaggio a New York. La guardai da testa a piedi, indossava una gonna che le arrivava appena sopra il ginocchio, di un colore che andava sul verde militare, una camicetta di jeans e un paio di sandali che non le regalavano neppure un centimetro di altezza. Ci guardammo per un paio di secondi, poi l'ascensore si aprì e salirono un paio di ragazzi, intenti a parlare dell'esame che avrebbero sostenuto dopo qualche ora. Aspettavo solo che scendessero, per poter fare la mia mossa. Dovevo solo sperare che lei non scendesse con loro, solo per evitarmi.
Le porte si aprirono di nuovo e lei rimase esattamente dov'era, quindi senza che lei se ne accorgesse premetti il pulsante di alt e l'ascensore si bloccò. Finsi di essere sorpreso quanto lei.
«Ma che diavolo...?» fece lei, allontanandomi dalla barra dei tasti per trovare cosa non andava. Non si accorse nemmeno che l'ALT era pigiato, probabilmente il nervosismo le annebbiò la vista.
«Dobbiamo uscire da qui!»cominciò ad urlare, mentre io me ne stavo in silenzio ad aspettare che il momento crisi passasse per poterle parlare faccia a faccia.
«Stai tranquilla» le dissi «Ho premuto l'allarme. Fra un paio d'ore al massimo saremo fuori.»
Lei sgranò gli occhi, facendomi quasi sorridere. Adoravo quell'espressione.
«Un paio d'ore? Spero che tu stia scherzando.» La guardai facendole capire che no, non stavo scherzando. «Evidentemente no.»Si calò sulle pareti, sedendosi sul pavimento e sbuffando.
«Avevi qualche impegno importante?» chiesi per sondare il terreno. Non sapevo cosa aveva pensato delle mie email, probabilmente le aveva semplicemente cestinate senza leggerle neppure o, ancora peggio, le aveva lette e le aveva derise dalla prima fino all'ultima. Comunque, speravo davvero che non avesse nessun flirt all'orizzonte, perchè non avrei sopportato di vederla con qualcun altro. Non sotto i miei occhi.
«Non che siano affari tuoi, Hayama.»
Mi aveva chiamato di nuovo per cognome, aveva sancito la distanza, quella che avevamo eliminato totalmente nei nostri mesi insieme.
«Non che mi importi.» Si, io ero tornato lo stronzo di sempre o, per lo meno, tentavo di esserlo, perchè se avessi veramente mostrato come mi sentivo in quel momento probabilmente mi sarebbe venuto un infarto. E, anche se stavo soffrendo come un cane, avevo ancora il mio orgoglio da uomo.
«Okay, no, non è vero... mi importa.». Già, bè... evidentemente non avevo proprio un orgoglio da far paura.
Finalmente mi guardò negli occhi, come se avesse finalmente capito di non poter più scappare. Forse non immaginava di affrontare l'argomento proprio lo stesso giorno in cui era tornata, ma un'occasione così non mi si sarebbe più presentata.
«Si, come no.»
Mi misi a sedere accanto a lei, mostrandole la mia disperazione. Non sapevo più come convicerla a credermi.
«Cosa posso fare per farti capire che ti sbagli?».
Sorrise, un sorriso amaro, che non avrei voluto vedere mai sul suo viso. Era un sorriso rassegnato. Non c'era niente che potessi fare.
«Avresti potuto cercarmi, avresti potuto combattere se davvero la tua era la pura verità.».
«Cercarti?! Dio, Sana, ti avrò scritto un centinaio di email!! E mai, dico mai, ho ricevuto risposta. Che c'è, eri troppo impegnata a girare il tuo prezioso film per degnarmi di una tua parola?!».
La vidi disorientata, come se non sapesse di che cosa stavo parlando, ma non potevo credere al fatto che non le avesse ricevute o che, in due mesi, non aveva mai aperto la posta elettronica.
«Non... non ho mai controllato...».
Lo sapevo. Lo sapevo!
«.. ma se avessi voluto sentirmi, avresti potuto chiamarmi! Perchè non mi hai chiamato?! Perchè non l'hai fatto?»
L'avevo fatto. L'avevo chiamata ogni giorno per gli interi due mesi e lei non aveva mai risposto. Non avevo rinuncito a lei, al nostro amore, avevo solo aspettato che la scelta fosse sua, e che la prendesse nella piena consapevolezza della sua decisione.
«Ti ho chiamata, ogni giorno... ma non ho mai ricevuto risposta.»
La mia voce sembrava un sussurro, mi meravigliavo di me stesso, perchè non pensavo che avrei retto così tanto prima di distruggere qualcosa. Ciò che stavo distruggendo era me stesso e, finchè i pezzi non si fossero visti all'esterno, non avrei fatto una piega. Sarei andato avanti.
«Non so se crederti... mi hai raccontato troppe bugie.».
Basta. Avevo concluso. Non potevo andare dietro ai capricci di una ragazzina che si comportava in quel modo solo per torturarmi. Mi alzai, pigiai il pulsante di reset e l'ascensore ripartì, aprendosi finalmente al mondo esterno.
«Sei libera, io e le mie bugie ti lasciamo in pace.»
Uscii dall'ascensore, lasciandola seduta per terra. Non mi voltai indietro, stavolta era finita.


Ragazze... rieccomi finalmente!  Come vi avevo detto nello scorso capitolo purtroppo il blocco dello scrittore mi ha colpita e non ho potuto fare altro che fermarmi. Solo ieri sera qualcosa mi ha preso e ne è uscito questo e anche gran parte del capitolo successivo, quindi aspettatemi presto.
Detto ciò, sono davvero sorpresa di essere ancora seguita da voi, mi dimostrate giorno per giorno che ciò che scrivo vi piaccia e questa è l'unica cosa che mi interessa!
Ci vediamo presto, e spero di sentire i vostri pareri.
Un bacio :*
Akura.

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Capitolo 23
*** Precipitare, insieme. ***


CAPITOLO 23.
PRECIPITARE, INSIEME.

-Epilogo-

Pov Sana.

Dopo la nostra discussione non avevo più incrociato Akito per i corridoi, e di colpo l'università mi sembrava così vuota. Sapevo che, dopo un paio di giorni, mi sarebbe sembrata ancora più vuota, perchè la sua laurea era vicina e con lei anche la fine di tutto. Ero stata io a volerlo allontanare e, quando avevo visto la sua espressione quel giorno, mi ero rassegnata ad accettare ciò che era successo. Ero libera. Ma, come dice una famosa frase, se nessuno ti aspetta, se nessuno ti da attenzioni, se torni a casa e nessuno ti sorride, come la chiami: libertà o solitudine?
*

Il giorno della laurea di Akito era vicino, e io non ero certa di cosa avrei fatto. Beth mi aveva spiegato che, per l'evento, Akito e Tsu avevano deciso di dare una festa e lei avrebbe voluto che io partecipassi, ma non ne avevo alcuna intenzione. Temevo che non sarei mai riuscita a lasciarlo andare. Fondamentalmente ero un'egoista, perchè lo amavo così tanto da volerlo vicino ma, allo stesso tempo, lo odiavo così tanto da non voler stare con lui. Non riuscivo neanche o a capirmi, eppure nella mia testa avevo tutto chiaro. Il problema, in realtà, non era la mia testa perchè era facile zittirla, il problema stava poco più in basso e il mio cuore, al contrario, non era capace di tacere. Io avrei voluto solo che i miei pensieri fossero spariti, che tutto si fosse spento perchè stavo per impazzire.
Mentre studiavo, poi, quei pensieri non erano di certo d'aiuto e, allo stesso modo, non fu d'aiuto Beth che spalancò la porta della nostra stanza urlando come se avesse appena visto un fantasma.
«Tu... hai... fatto...» aveva il fiatone, i capelli totalmente scompigliati e il viso aveva preso un colore vicino al rosso del suo maglione.
«Hei B, rilassati, che succede?». Ripresi a guardare il mio libro di storia del teatro, avevo un esame da lì a poco e, anche se ne avevo fin troppe, non potevo permettermi distrazioni.
«Tu hai fatto... un grandissimo errore!» urlò infine. Quale altro errore avevo fatto oltre agli ultimi mille?
«Sentiamo...». Mi girai a guardarla e lei si buttò sul mio letto, legandosi i capelli in una coda di cavallo nel frattempo.
«Hayama...»
«No. Non voglio sentire un altro discoro sulla sua festa d'addio.». Mi voltai di nuovo verso il mio libro e sperai che Beth capisse l'antifona e accantonasse l'argomento ma, ovviamente, non sarei stata così fortunata.
«Tu non capisci! Quella ragazza, quella per cui è successo tutto questo casino... è un'attrice! E' stata assunta per sedurre Hayama!».
Il mondo mi cadde addosso in un millesimo di secondo.
Tutto.
Avevo perso tutto per un'attricetta da quattro soldi.
Guardai Beth e mi sembrò di stare per svenire.  Cercai di calmarmi, mi ripetevo di inspirare ed espirare, perchè il mio corpo non reagiva più ai miei comandi.
«Che cosa vuol dire che è stata assunta?». Ma soprattutto...
«Chi l'ha assunta?!». Provai ad analizzare ogni possibilità, ogni ragazza che avrebbe voluto rovinarmi la vita che avrebbe voluto distruggere Akito, ma nessuno mi sembrava capace di una cosa del genere. Pensai ad Arimi, la ragazza che Akito aveva allontanato quando eravamo diventati amici, ma era stata quasi buttata fuori per una bravata all'interno del dormitorio, non avrebbe fatto qualcos'altro per cacciarsi nei guai. Non mi veniva in mente nessun altro.
«Sei sicura di volerlo sapere?». Mi preoccupai immediatamente, perchè doveva essere qualcosa di molto vicino a me. Annuii e feci un respiro profondo per prepararmi alla notizia.
«Naozumi.»
Non avevo parole. Non riuscivo a trovare una frase che racchiudesse il mio stato d'animo. Non potevo crederci. Come aveva potuto farmi una cosa del genere?
«Lo devi uccidere, lo sai vero? Lo devi distruggere.»
Non prestavo attenzione alle parole di  Beth, stavo cercando di collegare ogni frase incompresa durante le riprese del film, ed improvvisamente fu tutto chiaro.
Aveva organizzato tutto non solo per farmi soffrire ma soprattutto perchè, senza la mia partecipazione, il film non sarebbe stato finanziato, quindi avrebbe di certo perso il lavoro. Mi veniva la nausea a pensare che mi aveva ripetuto mille volte quanto avesse avuto ragione su Akito e spesso gli avevo anche creduto. Che stupida che ero stata, ero caduta nella sua trappola senza neanche accorgermene. Quante volte Akito aveva provato a spiegarmi, quante volte io l'avevo respinto senza neppure dargli la possibilità di parlare.
«Akito lo sa?».
«Si, era lì quando Ashley lo ha confessato. Sono mesi che cerco di diventare sua amica per capire cosa l'ha spinta a fare una cosa del genere e anche perchè volevo vendicarmi al posto tuo. Solo oggi lei mi ha spiegato, pensava di confidarsi con la sua più cara amica, quando Akito è sbucato fuori dalla sua stanza stava per svenire. Lui voleva ucciderla, ma credo abbia spostato il suo obiettivo su un ragazzo con gli occhi azzurri.»
Akito lo avrebbe ammazzato davvero, e tutto per colpa mia. Scattai in piedi e cominciai a correre verso la mia auto, non avrei perso tutto senza neppure aver provato a rimediare.
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Pov Akito.

«Tsu, hai finito di chiamare gente? E' la festa per la mia laurea, non il mio funerale.». Erano giorni che Tsuyoshi non si staccava dal telefono, aveva invitato almeno cento persone alla mia festa, mentre io ero quasi indeciso sul cancellarla totalmente.
Non avevo voglia di festeggiare, nonostante avessi sudato veramente per quella laurea; per di più aveva appena scoperto di aver perso Sana senza un motivo reale e solo per colpa di quel coglione di Naozumi Kamura. Lo avrei ucciso, avevo anche pensato ad un modo per far sparire il cadavere. Mi venne quasi da ridere, mi dispiaceva per lui, non avrebbe dovuto mettersi in mezzo. Mi buttai a letto, con l'intenzione di rivedere la tesi dopo aver riposato un po', ma un ciclone vero e proprio piombò nella mia camera nel momento stesso in cui avevo chiuso gli occhi. Li riaprii immediatamente, perchè il suo profumo di vaniglia invase la stanza.
Sana era in piedi, proprio davanti alla porta della mia camera. Il petto le si alzava ed abbassava con un ritmo velocissimo, e la vena del collo le pulsava in un modo che non avevo mai visto prima.
«Ciao..» sussurrò. Beth le aveva sicuramente detto cosa avevamo scoperto. Mi guardò come se fosse stupita e io le feci un cenno per ricambiare il saluto.
«Pensavo di trovare casa tua distrutta.»
«Ho superato quella fase quando mi hai lasciato, non preoccuparti.». Volevo ferirla, non perchè volessi vederla soffrire ma semplicemente perchè volevo farla sentire come mi ero sentito io.
«Beth mi ha raccontato tutto...»
«E ora sei venuta qui a fare cosa?». Lei sgranò gli occhi, non si aspettava di certo di trovare il vecchio Akito ad aspettarla.
«Sono venuta qui per scusarmi, tutto qui. Mi dispiace di non averti creduto, mi dispiace di non essermi fidata di te.».
Cominciai a battere le mani, consapevole che si sarebbe infuriata. «Un'interpretazione da Oscar, veramente. Mi dispiace, non ho una statuetta d'oro per premiarti, prova a vedere se Kamura è più fortunato.»
Non avrei voluto dirle quella frase ma, per un attimo, il filtro cervello-bocca era andato a farsi fottere. L'avevo pensato e, immediatamente, l'avevo detto.
«So che perdonarmi sarà difficile, e so anche che non è colpa tua... ma non è nemmeno mia.»
«Tu non ti sei fidata! Tu non hai avuto fiducia in me. Hai lasciato che i tuoi dubbi rovinassero tutto.»
Anche solo guardarla in quel momento mi dava la nausea, perchè non riuscivo a concepire come avesse potuto lasciarsi condizionare dal passato, quando le avevo sempre dimostrato quanto le cose fossero diverse con lei.
«Hai ragione, non mi sono fidata. Ma non posso tornare indietro e cambiare le cose... posso solo chiederti scusa, e aspettare che ti passi.»
«Allora credo che dovrai aspettare molto.».
Il suo sguardo si posò prima sulla nostra fotografia sul mio comodino e, immediatamente dopo, sulle mie mani. Non capivo cosa stava provando, sicuramente neanche la sua era una posizione facile, ma di certo non poteva pretendere che io dimenticassi da un momento all'altro. L'avrei perdonata, l'amavo fin troppo per poter immaginare una vita senza di lei, ma non riuscivo a farlo in quel momento.
«Aspetterò... non ho alcuna fretta, non sarà di certo il tempo a spaventarmi.». Mi sorrise, aprii la porta e, dopo aver salutato Tsuyoshi, lasciò casa mia.
Quanto era difficile amare qualcuno?!
________________________________________________
Pov Sana.

Non avevo più sentito Akito dal giorno in cui mi ero presentata a casa sua, avevo saputo da Beth che non aveva intenzione di uccidere Naozumi, ma io non ero altrettanto magnanima. Avevo chiamato Rei, chiedendogli di procurarmi anche il peggiore dei giornalisti per un'intervista, in cui avrei rivelato tutti i casini orditi da Naozumi. Molti fan l'avrebbero presa come una ripicca per l'essere stata mollata, ma non mi importava, chi mi amava avrebbe saputo che ciò che dicevo era la verità.
L'articolo era appena uscito e, stranamente, nulla era stato distorto o modificato e la storia della rottura tra me e Akito era finita in prima pagina. Probabilmente si sarebbe innervosito, odiava mettersi al centro dell'attenzione ma, superata la fase iniziale, avrebbe capito che era un gesto come un altro per farmi perdonare.
Beth era preoccupata per me, era piena di dubbi, mentre io ero relativamente tranquilla. Akito mi avrebbe perdonata, ne ero certa, non sapevo ne quando ne come, ma l'avrebbe fatto. E io avrei aspettato, avrei aspettato tutto il tempo possibile per lui, perchè era l'unico per cui ne valesse la pena.
Mancavano tre ore alla festa di laurea e Beth continuava ad insistere perchè io andassi con loro. Ma come potevo? Presentarmi lì, a quale titolo? Io e Akito avevamo spesso persino di essere amici, non avevo alcun diritto di festeggiare con lui. E poi, cosa avrei dovuto festeggiare? Avrebbe abbandonato l'unico luogo che ancora ci teneva legati, che mi permetteva di averlo ancora vicino. Non riuscivo a sopportare l'idea di perderlo e guardare Beth andare alla festa sarebbe stata una tortura, quindi presi le chiavi della macchina e decisi di andare a fare un giro. Guidare mi avrebbe calmato e speravo che mi avrebbe anche schiarito le idee, altrimenti la serata si preannunciava disastrosa.
*

«Una birra, per favore.». Il barista continuava a chiedermi cosa ci facesse una ragazza come me in un locale come quello, di venerdì sera.
Non avevo voglia di parlare, ne di ricevere alcun consiglio dallo sconosciuto di turno, ma quel ragazzo continuava ad insistere.
«Allora» cominciò allungandomi la birra. «Di quale esemplare maschile stiamo parlando?».
Sorrisi. Perchè era così chiaro che si trattasse di un uomo?
«Nessun esemplare maschile, cosa te lo fa pensare?».
Presi il bicchierino, ma lui posò la mano sul mio polso e mi bloccò per un secondo.
«Sono un maschio, capisco quando una ragazza ha problemi con uno stronzo.».
Quella discussione mi sembrava surreale, come se stessi intepretando un personaggio di un film che si ubriaca perchè il suo ragazzo l'ha lasciata, anche se di solito quella parte veniva lasciata agli uomini. Ubriacarsi per un ragazzo non era di certo la cosa più femminile del mondo.
«Avanti... non c'è bisogno di negare, so già che parlerai.».
Guardai il suo cartellino, si chiamava Toshio e la sua foto di riconoscimento rivelava il suo cambio di look. Nella foto aveva dei semplicissimi capelli neri, mentre davanti a me c'era un ragazzo con la cresta verde e con un enorme tatuaggio sul braccio.
«Toshio... allora... ho combinato un disastro.». Alzai la testa e lasciai che un sorso di birra mi scivolasse lungo la gola.
«Ho lasciato che il mio ex ragazzo pazzo si intromettesse nella storia col mio ragazzo, facendomi credere che lui mi avesse tradito.»
«E ti ha tradito davvero?»
«Ovviamente no. Ma io ci ho creduto, e l'ho lasciato, e pochi giorni fa ho avuto la prova che era stato tutto un malinteso e sono tornata da lui...»
«E lui, ovviamente, non ti ha perdonata...».
«Esatto... stasera c'è la sua festa di laurea e io sono qui, a parlare con un barista sconosciuto.»
Buttai giù un altro sorso  e cominciai a riflettere sul fatto che la sensazione che ti invade la gola quando bevi, che sia birra o un superalcolico, fosse come il sentimento che provi quando perdi qualcuno. Inizialmente il dolore è pungente, ti sembra di non poterlo controllare ma dopo comincia ad affievolirsi, fino a diventare quasi indifferenza. Non era il mio caso, pensai. Se avessi veramente perso Akito per sempre, l'indifferenza non avrebbe mai fatto parte di me, avrei dovuto combattere ogni giorno con un perenne groppo in gola, che non mi avrebbe lasciato scampo.
«Posso darti un consiglio?». Toshio prese a pulire i bicchieri che gli ultimi clienti gli avevano lasciato sul bancone. «Vai alla festa. Se davvero ti ama come dici e se davvero tu lo ami come dici, non ci metterà molto a perdonarti sul serio.»
Mi sorrise e mi incitò ad alzarmi. «E tu sei un esperto dei meccanismi del perdono, vero?».
«Puoi scommetterci, Sana Kurata.». Lo guardai incredula, era la prima persona che mi riconosceva e che non mi chiedeva un autografo, che mi stava ad ascoltare senza mettere l'attrice prima della ragazza.
«Certo che so chi sei, se è questo che ti stai chiedendo. So tutto anche della tua storia con Akito Hayama.».
«E pensi che mi perdonerà?»
«Penso che siete la coppia più strana che abbia mai visto. Che posso dire? Sono un appassionato di gossip!».
Scoppiai a ridere e mi alzai di colpo dallo sgabello del bar, prendendo alla lettera il consiglio del barista.
In un modo o nell'altro, Akito mi avrebbe ascoltato. Oppure lo avrei perseguitato per il resto della sua vita.
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Pov  Akito.

La festa per la mia laurea non era di certo come me l'ero immaginata mesi prima, quando Sana era entrata prepotentemente nella mia vita, costringendomi a cambiare ogni opinione che avevo sulle cose. Il locale che Tsuyoshi aveva affittato per la festa era strapieno, e quasi tutti quelli che mi incrociavano mi facevano mille complimenti e terminavano la frase con qualche allusione al fatto che Sana non fosse presente. Si, lo sapevo anch'io. Ero perfettamente consapevole di essere solo alla mia festa, e il fatto che tutti me lo facessero notare non aiutava per niente.
Mi avvicinai al bancone, ordinai qualcosa da bere, mentre Tsuyoshi e Beth cercavano di tenere a bada i ragazzi delle confraternite che non facevano altro che combinare casini.
Tanto per farmi sprofondare ancora di più nella disperazione, il dj decise che fosse ora che le coppie avessero il loro momento di gloria, quindi mise un lento e, non appena tutti cominciarono ad abbracciarsi, il senso di nausea mi pervase completamente.
Dissi al barista di passarmi una bottiglia di Jimmy Bean e mi diressi verso l'uscita, sperando che nessuno notasse la mia assenza. Alla mia festa. Come potevo anche solo pensare di mancare per cinque minuti senza che il comitato anti depressione, con unici membri Beth e Tsuyoshi, non venissero a cercarmi?
Andai fuori, mi accesi una sigaretta, ma non la fumai, mi piaceva solo guardarla mentre si consumava.
Mi sembrava di vedere la mia vita in quella sigaretta, che lentamente si era consumata a causa di una bugia. Rientrai, cercando di nascondere i miei pensieri bui e mi misi a parlare con alcuni giocatori della squadra di calcio dell'università.
Mentre discutevamo su una delle ultime partite del campionato la voce di Sana risuonò in tutta la stanza.
Il mio cuore perse un battito, mi voltai e la vidi sul palco che cercava di prendere in mano il microfono.
La musica si fermò e cominciarono le lamentele delle coppiette che stavano perdendo il loro momento romantico. Tutti continuavano a darmi pacche sulle spalle e a sorridermi, convinti che Sana stesse per fare chissà quale discorso epico che avrebbe risolto le cose tra di noi. Io non ne ero certo, non riuscivo neanche a pensare in quel momento.
«Scusate... scusate ragazzi. Mi dispiace interrompere il vostro ballo, ma ho bisogno della vostra attenzione per qualche minuto.»
Tremava come una foglia, si sosteneva grazie all'asta del microfono, mi venne quasi da ridere vedendo che un'attrice di fama mondiale non riusciva a stare su un palco, davanti a tutti, senza imbarazzarsi. Mi venne d'istinto avvicinarmi al palco, nel caso avesse avuto bisogno di me, ma dopo averci riflettuto mi bloccai a metà strada, aspettando che dicesse qualcosa.
Si avvicinò al dj, gli disse qualcosa all'orecchio e poi riprese il microfono.
«Akito...».
Quando disse il mio nome mi mancò il fiato. Nessuno all'università mi chiamava in quel modo e il fatto che lo facesse lei, davanti a tutti, mi fece sentire strano.
"Non c'è niente che io possa dire... però ecco qui, questa è per te."
La musica iniziò e le gambe cominciarono a tremarmi. Nessuno aveva mai cantato per me. Nessuno aveva mai fatto nulla per me, prima di lei.
Rimasi fermo ad ascoltarla, a sentire quelle parole che mi entravano nelle vene, e mi sentii morire capendo che l'unica cosa che avrei potuto fare fosse perdonarla.


I used to cry myself to sleep at night
But that was all before he came.
I thought love had to hurt to turn out right
But now he's here, it's not the same, it's not the same.


Mi addormentavo sempre piangendo la notte,
ma questo era prima che arrivasse lui.
Pensavo che per esser giusto, l'Amore dovesse far soffrire
ma ora lui è qui, e non è più lo stesso, no, non è lo stesso...

He fills me up, he gives me love
More love than I've ever seen
He's all I've got, he's all I've got in this world
But he's all the man that I need!

Lui mi riempie, lui mi da Amore,
Mi da più Amore di quello che io abbia mai visto.
Lui è tutto ciò che ho, è tutto quello che ho avuto in questo mondo,
Ma lui è proprio l'uomo di cui io ho bisogno...

Ero ipnotizzato dalle sue parole, non riuscivo a credere che stesse facendo tutto quello, che si fosse esposta così, per me. Quel gesto mi ricordò la canzone che le avevo cantato io la sera del karaoke e capii che la sua scelta non era stata casuale.
Si stava scusando, di non aver capito prima.
Quando finì di cantare si avviò verso le scale per scendere dal palco, ma io non mi mossi. Tutti attorno a me mi fissavano in attesa di una mia mossa, ma io non riuscivo a far nulla.
Nella mia testa la confusione regnava sovrana, come potevo fidarmi di lei, quando lei aveva pensato che io avrei potuto non amarla?
Non avevo scelta, dovevo prendere una decisione, quindi vagliai tutte le possibilità. Avrei potuto lasciarla andare, decidere di andare avanti nella mia vita, senza di lei.
Ma, d'altra parte, avrei potuto rischiare, mettermi in gioco e scegliere di essere felice.
Tra tutti i dubbi che avevo in testa, l'unica cosa certa che avevo e che rischiarava ogni indecisione era il mio amore per lei.
Le mie gambe cominciarono a muoversi da sole, finchè non mi ritrovai davanti al palco e la vidi. Le corsi incontro e la presi tra le braccia. Quando toccai la sua guancia, notai che stava piangendo, quindi le asciugai le lacrime e la baciai.
Sembrò che tutto si fosse fermato. La festa, la musica, in quel momento tutto sparì e c'eravamo solo io e lei.
«Tutto è iniziato esattamente così, con un ballo del genere e con mille persone che ci fissavano... pensi che sia un segno del destino?».
«Penso che tu sia la persona più pazza che io abbia mai conosciuto, Sana. Andiamo a casa». Le sorrisi e poi, vedendo che non riusciva a stare in piedi senza un appoggio, le misi le mani sotto le ginocchia e la presi in braccio.
«Casa mia o casa tua?».  Dissi la prima cosa che mi venne in mente.
«Casa nostra.».
Se mi avessero detto che sarei finito con l'innamorarmi di un'attrice di Hollywood e che lei mi avrebbe amato a sua volta, probabilmente avrei preso per pazzo chiunque lo avesse fatto.
Sana era entrata nella mia vita come un ciclone, aveva scombussolato tutto e aveva reso le cose migliori.
Molti mi avevano detto che a volare troppo in alto si rischia di farsi male cadendo... probabilmente era vero. Ma quello che avevo visto lassù, valeva il rischio di soffrire, di mettersi in gioco, valeva ogni dolore ricevuto quando, per un momento, ero precipitato a terra.
Quando arrivammo a casa mia, riflettei sul fatto che le cose erano andate un po' troppo velocemente, non avevamo parlato, non avevamo chiarito assolutamente nulla. Non avrei potuto non abbracciarla, non stringerla, dopo ciò che aveva fatto. Sapevo quanto le costasse, sapevo quanto aveva sofferto in passato perchè la sua vita era stata continuamente messa ai quattro venti. Stavolta aveva fatto lei qualcosa per mostrarsi, non si era nascosta più dietro ad uno dei suoi personaggi. Aveva smesso di essere un'attrice ed era stata Sana Kurata, la donna.
La stessa donna che mi aveva fatto innamorare, che non avrei cambiato per nessuna, con le sue paure e insicurezze, con la sua infinita mania del controllo, con il suo essere assillante e petulante. Io l'amavo, anche se mi aveva fatto soffrire, anzi forse l'amavo soprattutto perchè mi aveva fatto soffrire. Mi aveva fatto capire che anche io potevo tenere a qualcuno tanto da star male, tanto da sentirmi morire se lei non c'è. Mi aveva insegnato ad amare.
Lei continuava a fissarmi dal divano, mentre io mi nascondevo in cucina, cercando di evitare l'argomento. Avevo paura di un confronto, temevo che le parole avrebbero potuto rovinare tutto, come avevano sempre fatto. Sana, però, non era dello stesso parere.
«Mi hai chiesto perchè ho creduto a quella storia, no?»
Io alzai lo sguardo e incrociai i suoi occhi, annuii e lei si alzò, avvicinandosi a me.
«Io ti amo... non lo vedi? Non lo capisci? Tu pensi che io abbia creduto a quella storia perchè non mi fidavo di te. Ti sbagli.»
Una lacrima le rigò il viso e io allungai la mano per asciugargliela. Odiavo vederla piangere, detestavo anche solo il pensiero che potesse soffrire per qualcosa. Lei prese la mia mano tra le sue e la trattenne sulla sua guancia, come se l'avessi accarezzata.
«Io ci ho creduto perchè non ha alcun senso che tu sia innamorato di me. Io sono una ragazza maldestra, distratta, troppo loquace, una ragazza che non ha nulla di perfetto... tu, invece, sei la persona migliore che io abbia mai conosciuto. Io ci ho creduto perchè era più semplice pensare che tu volessi lasciarmi, che io non fossi adatta a te, piuttosto che rendermi conto del tuo amore per me.
Non posso obbligarti a credermi... posso solo dirti ciò che provo, e io non ti lascerò mai andare. Tu sei l'amore della mia vita. Non perderò la mia unica occasione di felicità.»
Le sue parole mi lasciarono interdetto.
Io, perfetto?
Non lo ero affatto. E forse, proprio perchè non lo ero, potevo capire come si sentisse.
Era stata semplicemente insicura. Insicura di se stessa, non di me.
«Io non sono perfetto, neanche un po'. Non perderai la tua unica occasione di felicità, Sana, perchè io non ho intenzione di perdere la mia..»
La avvicinai a me e la baciai, e quel bacio mi sembrò quello più intenso che avessi mai dato.
Prima di incontrare Sana perdevo tempo a chiedermi cosa fosse l'amore, cosa fosse la felicità. Li avevo conosciuti solamente quando, quella sera al bar, avevo incrociato i suoi occhi.
Mi voltai a guardarla, lei mi sorrise.
Non avevo bisogno di nient'altro.





Questa storia nasce su un aereo, il 4 febbraio di un anno fa. Mi trovavo su un volo che mi avrebbe portato a Bruxelles e, mentre scrivevo pensieri sconnessi sul mio cellulare, questa storia mi ha colpito. Ho iniziato tutto così, per caso, per un momento di noia che non avrei mai pensato mi avrebbe portato a questo. 23 capitoli. 23 capitoli di vita, soprattutto mia, che non pensavo di poter tirare fuori. Questa storia mi ha accompagnato per un anno e cinque giorni, è stata un po' accantonata a causa dei miei esami di maturità, ma l'ho sempre tenuta nel mio cuore. Holiday è il mio primo amore, quello che non si scorda mai(come lo Stelena), ma cavolo.... questa storia è un po' come il Delena (chi è appassionato di The vampire diaries capirà le allusione), un amore che non ti aspetti ma che ti colpisce.
Avrei mille persone da ringraziare, mille parole da usare, mille momenti in cui ho scritto che vorrei raccontarvi, ma vi annoierei a morte, quindi mi limito a ringraziarvi tutti. Nessuno escluso, ringrazio tutti quelli che hanno recensito la mia storia, sopportando il fatto che non avrebbero ricevuto una risposta a causa dei miei miliardi di impegni e il mio pochissimo tempo. Mi dispiace, vi chiedo scusa, risponderò a tutti coloro che vorranno commentare questo finale che spero vi sia piaciuto.
C'è, però, una persona che devo ringraziare. Questa persona è stata così gentile da esserci sempre quando ne ho avuto bisogno, quando il blocco che mi è preso così tante volte si presentava puntuale alla mia porta. Questa persona è la mia Beta, che sul sito si chiama Dalmata. Bè... di lei so molto poco, ma credo di sapere le cose più basilari. E' sempre stata disponibile, sempre pronta ad aiutarmi, a consigliarmi, anche su qualcosa  che non riguardava esattamente la storia, è stata la persona che mi ha aiutato a comprendere quale facoltà avrei dovuto scegliere e a darmi il coraggio di decidere che si, a settembre andrò lì senza alcun rimorso o rimpianto.
Quindi grazie, mia carissima Beta, sei stata preziosa, per tutto!
Bene.... credo che i ringraziamenti siano terminati qui. Ringrazio tutti voi, tutti... e vi dico già da adesso di non sedervi sugli allori, credendo che mancherò per molto in questo sito o in questa sezione. Miei cari ragazzi... ho già qualcosa nel cassetto, quindi è solamente un Arrivederci.
Un bacio enorme,
Akura.

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