Il Numero Perfetto

di Michan_Valentine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** È Femmina ***
Capitolo 2: *** A Prima Vista ***
Capitolo 3: *** Polpettine ***



Capitolo 1
*** È Femmina ***




Schiudo le palpebre e la luce dell’abatjour mi filtra dolcemente fra le ciglia.

L’ambiente è in penombra, salvo per la zona attorno al comodino. Le tende ondeggiano ai lati della finestra semiaperta, carezzate dalla brezza.

Devo essermi assopita per almeno quindici minuti, perché il sole è calato e il frinire dei grilli fa già da sottofondo a questa serata... particolare.

Rilascio un mugolio e mi stiracchio appena sul materasso, spingendo le iridi più giù, dove sento qualcosa avvolgermi calorosamente. E non si tratta delle coperte. Scorgo i ciuffi corvini adagiati sul mio ventre e mi accorgo che lui non si è spostato di un millimetro per tutto il tempo, disteso quietamente accanto a me.

Escludo che si sia addormentato anche lui quando gli sento mormorare qualcosa; ma il tono di voce è talmente basso che non riesco a capire di che si tratta. Non mi stupisco: dopotutto qui a Konoha Sasuke Uchiha è il campione indiscusso di “mugugno”. Lo sanno pure le facce di pietra degli Hokage! Una in particolare di sicuro…

Sorrido e allungo la mano da quella parte. Intreccio le dita fra le ciocche nere, fino a sfiorargli la cute in una carezza gentile. Di rimando Sasuke solleva appena il capo e mi guarda di traverso con i suoi bellissimi occhi, il rinnegan a sei tomoe che fa capolino tra i serici fili neri sempre pronti a nasconderlo.

Il mio cuore manca un battito, ma mi sforzo di non darlo a vedere. Sono inquieta e un po’ emozionata, perché averlo qui accanto, reale e tangibile, è ogni volta come un sogno che si avvera.

Il mio Sasuke, finalmente posso dirlo.

“Che cosa state tramando voi due?” chiedo, con la voce un po’ impastata dal sonno.

Lui batte le palpebre, colpito, e inarca il sopracciglio in quella sua maniera risentita e aristocratica che tanto fa irritare il prossimo.

“Tramando?” replica quindi.

“Tu e il bambino. Sangue Uchiha non mente,” insisto, pungolandolo un altro po’. “E poi ti ho sentito.”

“Hai sentito male,” insiste, col tono fermo di chi ha sempre ragione, anche quando si tratta di spudorate bugie. “Forse stavi sognando. Ti sei addormentata dicendo che ti scappava la pipì, che avevi una gran voglia di polpette di polpo e che le tutine rosa non ti convincevano. Ma io a tua madre non le riporto indietro, sia chiaro.”

Continuo a carezzargli la testa e lui non si scosta, né distoglie lo sguardo dalle mie iridi. Accetta il tocco come farebbe un gatto e si abbandona contro la mia mano.

Lo amo.

Scuoto leggermente il capo, assaporando quegli attimi rubati. Non so come abbia fatto, ma è riuscito a tornare a casa in anticipo. Così alle prime luci del tramonto l’ho trovato sull’uscio di casa, a mugugnare qualcosa sull’aver portato a termine la missione. Ma io so che non è questo il motivo che l’ha condotto qui stasera. E sotto sotto credo che sia soltanto preoccupato perché il gran giorno s’avvicina.

“È solo tua suocera. Non morde mica!” ribatto. “E vedo che non sei andato a comprarmi le polpette di polpo,” sottolineo, imbronciandomi un po’.

So che gli piace quando lo faccio. Anche se non lo ammetterebbe mai, nemmeno sotto tortura. Così come non ammetterebbe che la prospettiva di diventare padre lo terrorizza, fra le altre cose.

Al solito, questione di ottuso e ingombrante orgoglio Uchiha. E spero vivamente che l’esserino che mi si agita nel ventre non sia ostinato come il padre. Anche se quest’ultimo lo meriterebbe: questione di contrappasso.

“L’ho fatto. Ma poi le ho mangiate tutte prima che ti svegliassi,” dice; e arriccia adorabilmente gli angoli della bocca verso l’alto in un sorriso dolce e beffardo al contempo.

Che bugiardo, ma quando fa così proprio non riesco ad arrabbiarmi. Chi l’avrebbe mai immaginato che un giorno o l’altro il ragazzino tutto musi avrebbe imparato a rilassarsi?

Rilascio un sospiro e mi distendo maggiormente, gustando il suo tepore e la sua vicinanza, mentre lui mi accarezza la curva dell’addome in silenzio.

“Sei preoccupato?” chiedo d’un tratto; ma non aspetto risposta e soggiungo: “Non devi. Tsunade-sama ha detto che ci vogliono ancora dei giorni. Forse perfino delle settimane.”

Il silenzio si protrae. Non so di preciso cosa stia pensando, ma un’idea posso farmela. Dopotutto, come ho già detto, sangue Uchiha non mente! Basta conoscerlo come lo conosco io per capire che alcune delle sue razioni sono addirittura prevedibili. E adorabili, almeno per quanto mi riguarda.

Infatti trattengo il sorriso e aspetto che lui si schermisca, totalmente incapace com’è di ammettere a se stesso e agli altri le sue debolezze, per quanto piccole.

“Sakura,” esordisce infine, con la serietà di chi sta trattando questioni di stato, “ho tutto sotto controllo. Come ti ho già detto ho portato a termine la missione e sono rientrato prima. Tutto qui.”

Come volevasi dimostrare.

Fingo noncuranza e l’idea di pungolarlo ancora un po’ mi stuzzica la mente. Giusto per sperimentare quanto sotto controllo ha la situazione. Così mi porto la mano al ventre, sfodero un’espressione sofferente e sibilo di dolore, inarcandomi appena fra le coperte.

Lui sgrana gli occhi e mi fissa come fossi un alieno.

“Ahi, ahi. Forse Tsunade-sama si sbagliava,” accenno; e comincio a iperventilare.

Sasuke sbianca e solleva il busto dal materasso, squadrandomi da capo a piedi con aria allibita.

“Sul serio? Ora?!” domanda; e batte ancora le palpebre, praticamente impietrito. “T-tranquilla,” afferma poi, guardandosi attorno e cercando di fare mente locale, “allora… Ci penso io. Hai preparato la borsa con i ricambi, vero? Devo guardare nell’armadio? Meglio se prendo qualcosa pure per me… e… Forse è il caso che chiami tua madre, così…”

Non resisto e scoppio a ridere. Come dicevo? Ah, sì… A-do-ra-bi-le.

Afferro i lembi delle coperte e me li tiro fin sopra il viso, nascondendomi. Poi, lentamente, faccio capolino e lo spio da sopra l’orlo. È imbronciato e mi fissa di rimando con sommo biasimo. Biasimo alla Uchiha, naturalmente, di quello che schiaccia col proprio peso specifico.

Baka,” borbotta; e torna a raggomitolarsi attorno al pancione come un bambino offeso.

“Dovresti evitare questi termini, che cosa insegnerai al piccolo?” lo rimprovero scherzosamente; e riprendo a carezzargli i capelli, come fosse un micio troppo cresciuto. “E comunque il rosa non va bene. È un maschio, lo so,” persevero.

Sasuke abbassa lo sguardo, pensieroso, e lascia scorrere le dita sulla mia pancia.

“È femmina,” proclama quindi, quasi con solennità.

“Ti ricordo che quella non è una sfera di cristallo, perciò scrutarla a quel modo non ti darà la chiara percezione del futuro. Né potrà farlo il tuo Sharingan,” gli faccio notare, “e a giudicare dai calci che mi da è un piccolo ragazzaccio scalmanato. E forse anche un po’ dispettoso.”

“Considerando la madre è un parametro più che oggettivo per affermare l’esatto opposto,” osserva; e stavolta lo fa senza malizia, anche se ciò implica che per lui sono una donna… vigorosa, diciamo. “Già me la immagino, al grido di “Shannaro”, che pesta il suo sventurato compagno di accademia.”

Sì, certo. E ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti sono del tutto casuali. E comunque Naruto è ancora tutto intero, fino a prova contraria. M’imbroncio di nuovo, per fare scena, e sbuffo, tirandogli appena un po’ i capelli a mo’ di rimprovero.

“Intanto non ho mai pestato te,” rimbrotto.

“Perché evidentemente non me lo meritavo,” ribatte, e so che sta facendo dell’ironia.

“Il fatto è che sei sempre stato troppo carino,” dico con un sospiro sconsolato. “Ma a ben pensarci avrei dovuto adottare proprio quella tattica di corteggiamento. Magari con una o due botte in testa ci saremmo risparmiati un sacco di rogne,” soggiungo, strattonandolo per i capelli ancora un po’.

Lui replica con un borbottio incomprensibile e un chiaro e conciso “tsk”, senza sottrarsi. Sorrido.

“Ma sentiamo, nella tua perfetta e insindacabile…”

“È una femmina,” insiste; e si stringe un po’ più a me. E alla presunta lei.

“Dicevo… nella tua visione del futuro che nome hai dato alla nostra bambina?” concludo.

La domanda da cento milioni di ryo manda Sasuke in panne. Oh-ho! Questo non l’aveva previsto.

Abbiamo già affrontato il discorso, naturalmente, ma fra i tanti nomi a disposizione sembra quasi impossibile sceglierne uno soltanto. Probabilmente vorrebbe chiamarla Mikoto, come sua madre. Un bel modo di ricordarla, ma so già che eviterà di proporlo. In qualche modo credo che nutra una certa soggezione nei confronti della suocera. Come ogni genero che si rispetti, insomma. Deve essere una sorta di terrore viscerale e atavico che colpisce tutti i maschi con l’anello al dito. Anche se mia madre è solo un po’ troppo… espansiva, diciamo.

I suoceri non fanno mai eccezione, comunque; e da questo punto di vista Naruto Uzumaki potrebbe raccontarla assai lunga, alle prese con l’indole del Capo Clan Hyuga, sebbene Hinata affermi che la prospettiva di diventare nonno l’abbia ammorbidito parecchio.

Al solo pensiero di questi due grandi ninja messi alle strette dai genitori delle rispettive consorti mi porto la mano davanti alla bocca e trattengo una risata, mentre mi sistemo meglio sul cuscino e osservo mio marito di sottecchi. Quando aggrotta le sopracciglia e corruccia le labbra in quel modo mi ricorda il Sasuke dell’accademia, che se ne stava sempre a rimuginare per i fatti suoi.

“Che ne pensi di… Sarada?” risponde infine; e mi guarda dal basso.

Batto le palpebre. È carino. Ma trovo che sia ancora più carino che a proporlo sia stato lui, specie perché mi sembra inequivocabilmente imbarazzato.

“Sarada Uchiha,” dico, testandone il suono.

Di certo è una soluzione che non farebbe sentire esclusa mia madre. Non troppo, almeno. Perciò sorrido e vado a massaggiargli anche la cute, con le dita che affondano nella morbida massa color pece. I suoi capelli sono cresciuti un sacco ultimamente e i ciuffi che un tempo puntavano verso l’alto ora gli scendono sulla nuca, dandogli un’aria più composta e adulta.

“Mi piace,” rispondo quindi; e sono sincera. “Peccato che sarà un maschio,” soggiungo. “Un bel maschietto vivace. Rassegnati, dovrai riportare le tutine rosa a mia madre. Perché a ben pensarci mi scappa ancora la pipì. E sono andata in bagno solo un quarto d’ora fa. Perciò suppongo che sarebbe rischioso se tentassi di arrivare fino a casa dei miei, dato che a piedi sono almeno venti minuti.”

Sasuke non cambia espressione nemmeno messo faccia a faccia con la terribile prospettiva d’incontrare Mebuki Haruno – e d’incappare così in pizzichi e baci sulle guance. Indebiti, come li definisce lui. Invece schiude le labbra e fa per dire qualcosa con la solennità di un profeta.

Mando gli occhi al cielo e lo precedo.

“Sì, sì, ho capito. È una femmina. La tua piccola Sarada Uchiha,” dico, e mi concedo anche una scrollata di spalle. “Comincio a pensare che la tua fissazione sia una specie di mantra per non incontrare mia madre,” soggiungo; poi torno con gli occhi nei suoi e ammorbidisco l’espressione, “ma se fosse un maschio… che ne pensi di Itachi?”

La sorpresa illumina il suo sguardo e ciò me lo fa sembrare particolarmente tenero. Sì, Sasuke Uchiha sa essere tenero. E passionale, anche. E il fatto di essere l’unica a saperlo mi riempie di soddisfazione.

Sento l’emozione pervaderlo attraverso le dita che sostano sul mio ventre. Di rimando i battiti del mio cuore aumentano esponenzialmente. Le guance mi scottano e mi rendo conto di essere carica d’anticipazione, perché posso immaginare il modo in cui lui esprimerà il suo assenso. E non è mai stato particolarmente bravo a parole, specie quando ogni volta che apre bocca sembra colare soda caustica.

Non mi stupisco quando Sasuke solleva il busto, si protende verso di me e mi sovrasta per metà, l’unico braccio puntellato accanto a me. Per quanto gli è consentito allunga anche le dita e mi carezza l’ovale, i capelli, mentre io scivolo con lo sguardo dai suoi occhi alle sue labbra.

Mi sento sciogliere quando realizzo che quest’attimo è assolutamente perfetto: io, lui e lei. Non c’è niente che manchi…

Le labbra di Sasuke calano sulle mie, già dischiuse e in attesa di lui. Ci sfioriamo dolcemente, languidamente, assaporando ciascun istante con la dovuta calma. Mentre le nostre lingue si toccano lascio scivolare la mano sulla sua nuca e lo traggo maggiormente a me. Poi, improvvisa come un fulmine a ciel sereno, sento una sensazione di umido allargarsi sul materasso. E stavolta tocca a me sbiancare.

“Sasuke!” gli strillo a fior di labbra “Tsunade-sama si sbagliava!”

Mio marito si ritrae e inarca il sopracciglio alla solita maniera, trasudando biasimo da ogni poro della pelle.

“Per chi mi hai preso? Non ci casco una seconda volta,” proclama.

Ok, convengo che forse me la sono andata a cercare, ma non c’è tempo per disquisire sui dettagli. E mi accorgo che, a dispetto della sicurezza ostentata, io stessa sono terrorizzata dalla prospettiva di affrontare il parto e di diventare madre, anche se non mi va di ammetterlo ad alta voce. Perciò guardo Sasuke e ringrazio i Kami che sia qui, al mio fianco. Poi, vuoi per l’agitazione, vuoi per gli ormoni impazziti, l’agguanto per il bavero con ambo le mani e metto in chiaro giusto l’essenziale. Alla maniera degli Haruno.

“Shannarooo! Mi si sono appena rotte le acque, baka di un Uchiha! Quindi ora chiama mia madre, Tsunade-sama, la squadra Ambu al completo, i pompieri o chi cavolo ti pare, ma portami immediatamente all’ospedale!” 
 
Ssssalve. ^^' È davvero una vita che non scrivevo su Naruto, ma avevo davvero bisogno di un po' di fluff... ed ecco che questa cosuccia senza pretese ha preso vita da sé. Spero che il fluff sia piaciuto anche a voi.
È da un botto che non frequento la sezione e sono quasi certa che in molti avranno già scritto e riscritto sul fantastico trio. Per cui diciamo che questa è la mia versione. Quella brutta. Lol.
Per ora ho poco altro da dire, se non che vorrei trattare di piccoli stralci di vita da genitori. xD Il tutto nei toni della commedia, per cui si farà solo breve cenno ai drammi che furono. Lol. Anche perché ho l'abilità innata di tendere al demenziale. ^^''
Bene, per ora è tutto. Fatemi sapere che ne pensate! °A°
CompaH

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Capitolo 2
*** A Prima Vista ***




Piego la schiena, poggio il gomito sulle ginocchia e posiziono la mano sotto il mento, gli occhi fissi sulla porta della sala parto. Se potessi, ci scaverei un buco sopra. E intanto non riesco a stare fermo col piede, che continua mio malgrado a battere col tallone sul pavimento di linoleum.

La cosa m’irrita non poco; e più di quanto non sia già irritato. Complicazioni. Una parola che dice tutto e non dice niente. E intanto mi hanno sbattuto fuori, ad aspettare in questo corridoio, su di una scomoda e stupida sediolina di plastica; mentre lì dentro potrebbe succedere di tutto.

Serro la mandibola e poggio la bocca contro la mano, ora chiusa a pugno. Abbasso leggermente il capo e assottiglio pericolosamente le palpebre, fissando con maggior intensità la porta bianca dirimpetto.

Potrei sempre infischiarmene ed entrare. Sarei proprio curioso di vedere chi avrebbe il coraggio di mettersi in mezzo. Quella vecchia di Tsunade, probabilmente. Tsk! E poi perché a lei hanno permesso di restare? È in pensione e con un piede praticamente nella fossa!

Digrigno maggiormente i denti, mentre l’attesa continua a stiracchiarsi e l’istinto mi suggerisce di fare a modo mio… e di buttare direttamente giù la porta per aprirmi la strada fino a loro.

Gli ammonimenti striduli di Sakura mi tornano in mente, esattamente come me li ha urlati nell’orecchio mentre mi stritolava la mano e iperventilava per via delle doglie, e resto col sedere incollato alla sedia.

“Tu, tieni a posto Rinnegan e Sharingan e comportati bene! Shannarooooo, che dolore! Questa è la prima e ultima volta che faccio una simile follia! Giuro che m’infilo un tappo dove non batte il sole, piuttosto!”

L’ultimo punto stride terribilmente col proposito di ripopolare il Clan Uchiha – da lei stessa millantato in lungo e il largo con aria spavalda dipinta in volto e un sorrisino malizioso sulle labbra. Sul momento ho evitato di contraddire una donna carica d’ormoni e in pieno travaglio. Una strategia perdente in partenza. E i suoi pugni spaccano la roccia, non devo mai –mai – dimenticarlo.

Trattengo il piccolo sbuffo che mi è salito alle labbra e continuo a puntare la porta come se fosse la mia nemesi, pestando inesorabilmente il tallone a terra. Accanto a me il signor Kizashi Haruno si muove nervosamente avanti e indietro per l’ampiezza del corridoio.

Una presenza che calcolo appena, intrappolata sulla coda dell’occhio. Di quel passo scaverà un solco a terra, comunque.

“Maschio o femmina fa’ lo stesso. Maschio o femmina fa’ lo stesso. Basta che la mia bambina stia bene. Aaaah, fa’ che stiano bene! Preferirei un maschietto, ma fa’ lo stesso, l’importante è che stiano bene entrambi e che questo supplizio finisca in fretta, sì.”

L’incessante farneticare di mio suocero contribuisce alla mia suprema irritazione; quasi non me ne accorgo, ma il mio piede prende un ritmo più incalzante. Il sopracciglio, poi, mi schizza direttamente verso l’alto: il nascituro è una femmina. Lo so.

Un tocco inaspettato si posa sulla mia mano. Senza cambiare espressione dirigo lentamente lo sguardo da quella parte e incappo nella signora Haruno – Mebuki, la donna che ha dei seri problemi per il rispetto dell’altrui fisicità. La mia fisicità, in particolare. Da piccola doveva essere molto simile alla figlia. E intanto aspetto che mi agguanti per le guance da un momento all’altro, nemmeno fossi un bambino di tre anni e non un ex nukenin di livello S.

Istintivamente m’irrigidisco, sulla difensiva. Invece la donna mi sorride, mi prende per mano e mi adagia l’arto sul bracciolo della sedia.

“Andrà tutto bene, vedrai. Tsunade-sama è con lei. E la mia bambina è una donna forte, ormai. E per quanto riguarda Kizashi… beh, è un tipo rumoroso! Ignoralo.”

Il suo sorriso si fa più dolce, più comprensivo.

“Scoprirai presto che figli e preoccupazioni vanno a braccetto per noi genitori,” dice, come se mi avesse letto nel pensiero.

Sciolgo appena la morsa dei denti e arresto il piede. Questa non me l’aspettavo. Beh, non che io abbia bisogno di… rassicurazioni? Ho la situazione sotto controllo, so perfettamente quanto ostinata e forte sia mia moglie e di certo qui il problema non sono io, ma quelli che hanno avuto la brillante idea – e l’audacia – di mettersi tra me e la mia famiglia. A partire da quella stramaledetta porta bianca. Tsk!

Faccio lo sforzo di annuire e di non sfuggire al contatto della donna. Magari per oggi – o meglio, per il tempo che mi resta da aspettare in sala d’attesa – posso concedere a Mebuki una piccola tregua e un po’ di sostegno. Posso avvertire dalla mano che sosta sulla mia quanto in realtà sia tesa, nonostante cerchi di dimostrarsi forte. Anche in questo mi ricorda Sakura…

Il solo pensare a mia moglie mi fa sentire nuovamente fuori posto, soprattutto in questo momento, e miei occhi tornano automaticamente alla porta della sala parto.

Tendo le orecchie ai rumori e cerco di captare qualcosa, qualsiasi cosa possa aiutarmi a capire cosa stia succedendo all’interno, ma tutto ciò che riesco a sentire sono i passi di mio suocero e i suoi vaneggiamenti. Ok, adesso basta, o faccio irruzione o ficco il vecchio in un genjutsu!

Poi, d’improvviso, come se avesse percepito i rischi corsi dal nonno e dalla struttura ospedaliera in generale, dalla sala parto irrompe il poderoso vagito di un neonato. Mia figlia.

Drizzo il collo, le spalle e mi alzo automaticamente dal sedile, mentre considero che in quel lamento si percepisce chiaro e forte il disappunto. Disappunto alla Uchiha, come direbbe mia moglie, di quello che schiaccia col suo peso specifico; e quasi arriccio le labbra verso l’alto in un moto d’orgoglio.

Voglio entrare. Voglio vedere con i miei occhi. Eppure resto incollato con i piedi lì dove sono per attimi che sembrano addirittura infiniti, senza che sappia spiegarmi il perché di questa improvvisa esitazione.
Che sia…

È di nuovo Mebuki a scuotermi. Mi affianca e mi sorride. Sarà perché è una madre, perché mi ricorda Sakura o perché quando non mi riempie d’attenzioni – e tiene la bocca ermeticamente chiusa – la sua presenza non è troppo noiosa, ma quando la porta bianca si apre la sensazione fastidiosa è passata. Sono pronto.

A uscirne è Tsunade. Con l’espressione seria ci squadra a turno; e mio suocero si è praticamente scapicollato da questa parte quando l’ha vista sulla soglia. Le vado incontro e faccio per sorpassarla senza degnarla di ulteriore attenzione, ma la vecchiaccia mi agguanta per la spalla.

Il suo tocco è deciso, ma non perentorio. Le mie iridi si spostano da quella parte.

“È una femminuccia,” mi dice, evidentemente compiaciuta.

Lo sapevo. Arriccio appena le labbra, le riservo un cenno del capo e proseguo dritto verso la meta. Alle mie spalle, eccitata come una ragazzina, Mebuki mi fa eco strillando ai quattro venti che era certa fosse una bambina.

Sarada Uchiha.

Sento il petto gonfiarsi, ma non aspetto di decifrare la sensazione che mi sta nascendo dentro. Né mi soffermo ad ascoltare le spiegazioni circa il parto di cui Tsunade sta disquisendo con i miei suoceri, tra sofferenza fetale e cordoni ombelicali attorno al collo. L’unica cosa che m’interessa è che la bambina sia sana. E che mia moglie stia bene.

La stanza mi si apre innanzi, ricolma di apparecchiature disposte sui lati, ma mi concentro nel mezzo, dove c’è il lettino su cui sta sdraiata Sakura, illuminata dalla lampada scialitica.

Ha il viso stanco, provato. Le occhiaie sono marcate, i capelli scomposti le si attaccano alla pelle umida e il pallore risalta particolarmente sotto la luce intensa. Ciononostante è serena e le sue labbra sono piegate in un sorriso che fa scomparire tutto il resto. E i suoi occhi colmi di lacrime puntano verso il basso, al fagottino che tiene fra le braccia e di cui appena distinguo le braccine, che fanno capolino dalla stoffa.

I flebili versetti che sento mi danno l’impressione di qualcosa di piccolo e indifeso. Eppure so già che ha due polmoni forti e sani con cui farsi ascoltare e farci passare le notti in bianco.

C’è anche Shizune nella stanza, me ne accorgo soltanto quando percepisco un fruscio e un lieve spostamento d’aria.

“Congratulazioni Sasuke-kun. La piccola è sana e forte!”

Ovvio, si tratta di mia figlia! Ed è una Uchiha. E intanto Shizune mi guarda di sottecchi. Come se non bastasse nel passarmi accanto mi riserva un sorriso malizioso e vagamente divertito; e solo allora mi accorgo di essermi imbambolato come un cretino a guardare la scena di mia moglie e di mia figlia strette l’una all’altra.

Il ninja medico esce dalla stanza ma l’orgoglio mi brucia lo stesso. Eppure, per quanto stupido io mi senta in questo momento, non riesco a distogliere l’attenzione da quanto mi si profila innanzi, almeno finché Sakura solleva lo sguardo su di me e mi riserva lo stesso, luminoso sorriso che poco fa era tutto per il fagottino.

“Sarada Uchiha,” me la presenta con orgoglio; e torna a puntare verso il basso.

“È bellissima, più di quanto potessi immaginare. Pesa circa tre chili e mezzo, è sana come un pesce… e strilla che è un piacere! E… forse è un po’ presto per dirlo, ma ti somiglia moltissimo! Ha il tuo stesso broncetto!”

Broncetto… io? Inarco il sopracciglio e sollevo di poco il mento. Se lo dice così mi fa sembrare un bambino capriccioso, altroché. Per farmi prendere sul serio devo forse assaltare un altro summit dei kage?

La mia espressione è… severa, ecco. Questo termine è decisamente più adatto a un adulto.

Tralascio la questione e torno con l’attenzione alla piccola. Dalla mia posizione riesco appena a vedere i ciuffi neri che spuntano dalle fasciature.

Deglutisco involontariamente; poi mi avvicino e mi pongo di fianco al lettino, riscoprendomi stranamente impacciato. Per fortuna Sakura è così presa dalla pupa da non essersene accorta, altrimenti mi avrebbe già preso in giro. Per poi proseguire vita natural durante, temo.

In compenso allunga il braccio e mi prende per mano. Le dita le tremano un po’; deve essere emozionata. Io agisco di rimando e stringo. Infine mi affaccio per osservare di persona la nuova arrivata.

Alla vista mi si presenta un rospetto tutto rosso e rugoso, con gli occhietti chiusi, i pugnetti stretti al petto e una zazzera nera sulla sommità del capo.

Non mi assomiglia per niente.

Anzi, a giudicare da come strilla so già che è tutta sua madre. E gli “shannaro” si sprecheranno. E dato che c’ho azzeccato col sesso, significa che ho proprietà da veggente più sviluppate di quanto credessi. Perciò, fra madre è figlia, i miei timpani sono già belli che spacciati, posso affermarlo con certezza. Ciononostante sollevo gli angoli della bocca verso l’alto, mentre constato che è talmente piccola da starmi in una mano.

“Vuoi prenderla in braccio?”

La domanda improvvisa quasi mi schiaffeggia. Qui la faccenda si fa seria.

Forse spiazzata dalla prospettiva almeno quanto me, Sarada si appoggia col faccino al petto della madre, piega la bocca in una smorfia tutt’altro che entusiasta e si lascia scappare un lungo, stridulo mugolio di disapprovazione. Ok, in effetti mi assomiglia un po’…

Sakura continua a fissarmi dal basso, tutta speranzosa. Passo con lo sguardo da lei a mia figlia e improvvisamente mi ricordo che non ho ancora comprato quelle sacrosante polpette di polpo.

Sicché mia moglie s’acciglia e mi blocca sul nascere; ogni tanto si riscopre veggente anche lei, specie per quel che mi riguarda.

“Fermo lì. Non ci pensare nemmeno,” esordisce col piglio degli Haruno; e stringe maggiormente la presa.

Era uno scricchiolio quello che ho sentito? Forse dovrei ricordarle che quella è l’unica mano che mi resta…

“Non mi sono mosso,” ribatto, espressione imperturbabile.

“Sì, ma hai fatto quella cosa.”

Batto le palpebre, senza capire di che diavolo sta parlando. Lei manda gli occhi al cielo, come se avesse a che fare col bambino capriccioso di cui sopra. Capriccioso e anche un po’ scemo, a dirla tutta. Il che mi mette maggiormente sulle mie; e infatti mi acciglio, sfoderando il fatidico broncio.

“Hai arricciato gli angoli del naso, caro mio. Sei prevedibile! Un po’ come quando t’arrabbi e tiri fuori lo Sharingan senza accorgertene. E poi dici che sei tranquillissimo,” precisa, sospirando e scotendo la testa. “E poi… Hai idea della fatica che ho fatto? Perciò ora comportati da uomo, da padre soprattutto, e prendila in braccio. Non morde mica!”

Sull’ultimo punto non ci metterei la mano sul fuoco. E cosa farei io con lo Sharingan? Bah! Dev’esserselo inventato di sana pianta in questo momento. Rilascio il fiato sotto forma di sbuffo e torno a guardare il rospetto rosso.

Prendo fiato e mi riscopro rigido come un pezzo di legno, mentre Sakura riprende a sorridere e mi allunga il fagotto con delicatezza. Cerco di assecondarla e tendo il braccio da quella parte, ma sebbene sia sempre stato abile nel maneggiare shuriken, katana e kunai, in questo caso non ho la più pallida idea di come approcciarmi a qualcosa di così… innocente.

La definizione mi colpisce e per la prima volta mi rendo conto del perché di tutta questa esitazione. Non voglio toccarla. Il braccio, le dita che la sfiorerebbero e perfino le iridi con cui la sto guardando in questo momento sono stati abili strumenti di dolore. Non posso toccare qualcosa di così prezioso con questa mano…

È un attimo soltanto, comunque, perché c’è Sakura e in men che non si dica è troppo tardi per i ripensamenti e mi ritrovo goffamente a contatto con mia figlia. M’irrigidisco ancora un po’, quasi possa cadermi da un momento all’altro.

“Mettile la mano sotto la testa, sì… così…” mi guida Sakura con voce gentile.

I polpastrelli incappano nella consistenza della seta; ed è così leggera, morbida e liscia da togliermi il fiato.

Il rospetto non deve aver gradito molto il cambio repentino di abbraccio, perché mugola e increspa la faccia, piega la bocca e si porta le manine alle gote, spremendosi tutta. Per un attimo non so che fare e mi immobilizzo, quasi la più piccola sollecitazione possa scatenare un putiferio di urla e pianti.

Tuttavia Sarada si limita a schiudere le piccole labbra e a saettare con la linguetta rosa fra di esse, come se stesse ciucciando. Infine mi si stringe al petto e si abbandona sul mio braccio, respirando piano.

È tenera, completamente indifesa. E a dispetto di tutto ha bisogno di me.

In quello stesso momento sento la gola stringersi e il petto gonfiarsi a dismisura. Perfino gli occhi mi pungono, mentre delineo con lo sguardo ciascun dettaglio del suo faccino. E realizzo che mi sono appena innamorato di lei a prima vista.

Sakura sembra percepire la mia emozione, perché si porta la mano alla bocca e trattiene un singhiozzo.

“Adesso puoi confessare, no? Che cosa le hai detto?” mi chiede, col tono incrinato.

Deglutisco e riporto alla memoria il momento in cui eravamo sdraiati sul letto. Ricordo la brezza e il frinire dei grilli, il respiro di Sakura e il suo viso rilassato dal sonno, la curva morbida delle sue labbra; e quanto ho sussurrato alla piccola peste, prima che ci catapultasse fuori di casa in piena notte: non vedo l’ora d’incontrarti.

“Mpfh,” esordisco, fingendo indifferenza, “Stavamo tramando. E gli Uchiha non condividono i propri piani.”

Sakura scuote il capo e scoppia in lacrime senza preavviso.

Baka,” dice fra un singhiozzo e l’altro, “ma, qualsiasi cosa stiate confabulando alle mie spalle, deve essere di vitale importanza se la piccola aveva così tanta fretta d’incontrarti.”

A quelle parole il mio cuore si contrae nel petto un po’ più impetuosamente rispetto a prima. Così mi chino sul lettino, metto al sicuro il rospetto fra le braccia della madre e sull’impulso del momento recapito sulla fronte della donna che amo un lungo, intenso bacio.

Le sono grato; per un mucchio di motivi diversi. E ha ragione Mebuki: è forte. E coraggiosa, anche. Ed io sono orgoglioso di lei.

Mentre la guardo asciugarsi le lacrime, con nostra figlia fra le braccia, l’unica cosa cui riesco a pensare è che è questo ciò che voglio proteggere. A qualunque costo.

Qualcuno si schiarisce la voce e sollevo lo sguardo in direzione dell’ingresso, dove Tsunade e i miei suoceri ci stanno guardando con soddisfazione. Shizune ha ancora quel sorrisetto malizioso sulle labbra, noto. E ciò mi pungola. Non quanto le parole di quella vecchia isterica di Tsunade, però.

“Ma che carino il nostro neo papà! Si vede che è commosso! Chi l’avrebbe ritenuto possibile? A quanto pare Sakura è riuscita ad addomesticare l’Uchiha selvatico!”

Kizashi scoppia a ridere alla maniera rumorosa degli Haruno – e aggiunge qualcosa a proposito di quanto belle siano Sakura e Sarada assieme. Per contro io sento qualcosa pulsare sulla mia fronte.

Passino le confidenze che si è presa mia suocera – in quanto tale ogni tanto devo per contratto venirle incontro. E le mie guance già urlano vendetta per i pizzichi indebiti. Passino pure le occhiatine e i sorrisini di quella zitella di Shizune. Ma questo è semplicemente troppo; e mi sento fremere da capo a piedi.

Prima che io possa dire o fare alcunché – giusto per far capire al branco di spioni che li voglio fuori dai piedi – Sakura interviene e mette i puntini sulle “i”; ma non nella maniera che mi sarei aspettato: “Sasuke! Lo Sharingan! Metti via lo Sharingan!”

Ops! Non me ne sono accorto!
 
 
Rieccomi dopo un sacco di tempo, scusatemi ma il fato mi è avverso ultimamente e i problemi piovono dal cielo come fiocchi di neve. E difatti vi lascio questo capitolo Sasukoso e mi congedo dicendovi che ci risentiremo fra un po', dacché ho un trasloco fra i piedi e non credo avrò il tempo di scrivere. >-< 
Per ora... smammo! E spero che la vena di follia che sarà presente in questa storia non vi dispiaccia poi troppo. xD Purtroppo la mia anima demente non riesce a stare buona... °A°
A presto! **
CompaH

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Capitolo 3
*** Polpettine ***




È un attimo, la porta si apre e la quiete si rompe. Due individui fanno il loro ingresso, quasi accapigliandosi per chi debba passare per primo dalla porta.

Ciò mi conduce piacevolmente indietro nel tempo, ai giorni dell’accademia ninja, quando il Team 7 stava per formarsi e io e la mia migliore amica avremmo fatto di tutto pur di sederci accanto a Sasuke.

Beninteso che il mio piede passò per primo, checché Ino continui a ribadire. Ma questa è un’altra storia.

Dal letto d’ospedale vengo praticamente investita al suono di “c’ero prima io” e di “togliti di mezzo”. Naruto e Ino mi si parano davanti con le bocche spalancate e gli occhi grandi di sorpresa, coprendomi per intero la visuale della stanza. Peraltro già coperta dalla moltitudine di palloncini e fiori che spiccano un po’ ovunque – perfino gli inservienti e alcuni pazienti dell’ospedale di cui mi sono occupata si sono sentiti in dovere di congratularsi.

Corro con lo sguardo dall’uno all’altra dei miei migliori amici, quasi intimorita da tanto entusiasmo e mi ritrovo a sbattere più volte le palpebre, col mio prezioso fagotto stretto al petto che se la dorme beatamente dopo la poppata.

“Waaaah!” strilla Ino, portandosi le mani al viso come se avesse visto la cosa più adorabile del mondo. “Una bimba! Una piccola e deliziosa principessina Uchiha tutta da mangiare di coccole! È bellissima, Sakura, complimenti alla mamma!”

“Grazie, Ino,” rispondo; e ridacchio, crogiolandomi nelle lusinghe con le guance che mi scottano dall’emozione.

“Beh, sì, tenera è tenera, però ha anche la testa grande, è praticamente pelata ed è raggrinzita come una vecchina di almeno cent’anni,” soggiunge Naruto con il tatto di un elefante, mentre si alliscia il mento con due dita e si piega maggiormente sul letto per studiare la piccola Sarada da vicino.

La neonata non fa una piega, soddisfatta fra le braccia della sua mamma.

Io invece – la mamma in questione – sento qualcosa prendere forma sulla fronte e pulsare, gli occhi ridotti a due pericolose fessure che già preannunciano la mia reazione in perfetto stile… Haruno. Tant’è che pure la mano comincia a prudermi e si chiude automaticamente a pugno, il metodo più giusto e immediato per spiegare a Naruto un paio di concetti alla solita, vecchia maniera. 

Shannaroooo! Come osa, Sarada è il mio fiorellino di campo appena colto col sudore della mia spaziosa fronte!

Non faccio in tempo a fare alcunché, comunque, perché dal fondo della stanza, oltre le sagome di Ino e Naruto che mi fanno ostruzione, perviene un lugubre mugugno d’insofferenza che dice assai più delle parole. E perfino dei cazzotti!

L’irritazione scema immediatamente e scoppio a ridere, mentre Ino si volta con aria sorpresa in quella direzione e fra tutti Naruto sembra appena essersi ingoiato un rospo… delle dimensioni di Gamabunta.

“Sa… sasu… !” balbetta l’Uzumaki, voltandosi di scatto anche lui.

“Sasuke-kun! Ci sei anche tu!” soggiunge Ino, decisamente più entusiasta all’idea. “Non ti avevamo proprio notato, caro il nostro paparino!”

Si crea uno scorcio fra i due e riesco finalmente a vedere il proprietario del mugugno e paparino di cui sopra, che se ne sta esattamente lì dove l’avevo lasciato, col bacino poggiato alla scrivania, il braccio attorno alla vita, il sopracciglio inarcato e lo sguardo torvo da “alla prima mossa sbagliata mi parte direttamente il Susanoo”.

“‘tebayo, che impressione, sei peggio di un fantasma! Mi hai fatto prendere un colpo,” protesta Naruto, “si può sapere che fa lì in disparte col muso lungo in un giorno come questo, paparino?”

Un rigonfiamento pulsante prende forma anche sull’accigliata fronte di mio marito, ora, e io devo quasi mordermi le labbra per non scoppiare a ridere una seconda volta.

“Uh? Che c’è, che ho fatto?” domanda ancora l’ingenuo Uzumaki, voltandosi freneticamente da una parte all’altra per chiedere lumi anche a noialtre signore, per poi tornare sull’Uchiha selvatico, come direbbe Tsunade. “Sasuke! Perché mi guardi così?”

“‘sta zitto, dobe,” replica mio marito; e stizzito si gira dall’altra parte.

Ino si porta elegantemente la mano davanti alla bocca e si concede una piena risata anche per me, accomodandosi sulla sedia lì di fianco al letto. Anche dopo la gravidanza può dire di aver conservato un fisico mozzafiato, noto, e mi domando se per me sarà lo stesso, fra smagliature, chili di troppo e cambiamenti fisiologici vari ed eventuali.

Il lato positivo è che la taglia di reggiseno è aumentata di due.

“Naruto, sei veramente un cretino,” osserva intanto la Yamanaka, con aria quasi solenne. “I neonati sono tutti così, chi più chi meno. Quando è nato, Inojin aveva la testa allungata come quella di un alieno,” spiega. “Te ne accorgerai quando Hinata raggiungerà il suo termine. Manca poco, no?”

Alla menzione Naruto scatta sull’attenti e si porta la mano fra i capelli. Le guance del mio migliore amico si fanno rosse come un peperone, ma l’enorme sorriso che gli si apre sul viso confuta l’imbarazzo e conferma che si tratta di pura e semplice emozione.

“Già, non sto più nella pelle,” ammette, grattandosi la testa; poi ridacchia, si china nuovamente sulla piccola Sarada e le sfiora la guancia con una delicatezza impensabile, se riferita a quel goffo uragano di Naruto Uzumaki. “Ho sempre desiderato una famiglia tutta mia. Perciò non so dirvi quanto io sia contento per voi in questo momento. Tutti e tre insieme mi riempite gli occhi, siete un quadro bellissimo. Accidenti! Sono così contento che quasi quasi mi viene da piangere, dattebayo!”

Naruto si ritrae e si passa il dorso della mano sul margine delle palpebre. Ha davvero gli occhi lucidi e ciò rende lucidi i miei in men che non si dica. Sono commossa e questo zuccone in particolare riesce sempre a sorprendermi.

Dal fondo della stanza, Sasuke ha smesso di puntare l’orizzonte oltre la finestra ed è tornato con lo sguardo al suo migliore amico. Negli occhi ha una luce diversa, stavolta. Una sfumatura mite e calorosa che in pochi sanno cogliere e che esprime in pieno la sua capacità di essere toccato nei sentimenti, a dispetto dell’austera facciata Uchiha. Soprattutto quando si tratta di Naruto.

Perciò sono io a dar fiato alla bocca e ad esprimere il concetto per entrambi.

“Grazie infinite, Naruto,” dico; e la voce mi trema un po’. “Anche noi siamo felicissimi per te, non sai quanto.” 

Le lacrime adesso stanno per uscirmi direttamente dagli occhi. Potrei piangere a dirotto, altroché, e Naruto mi sembra piuttosto intenzionato ad accompagnarmi, almeno a giudicare dal labbro tremulo.

“Che invidia, Sakura,” interviene Ino con aria sconsolata, “quando è toccato a me Shikamaru non ha fatto altro che lamentarsi tutto il tempo, salvo per tirare un sospiro di sollievo quando ha scoperto che il pupo non era una pupa. Meno seccature, sai. In compenso Choji è stato così tenero da regalarmi quasi tutta la sua collezione di patatine in edizione limitata!”

La mia amica mi sorride gentilmente e io ricambio, improvvisamente libera dal magone. Anche Naruto ridacchia, si passa una seconda volta il dorso della mano sul margine delle palpebre e riacquista il solito atteggiamento allegro e sbruffoncello. Dopodiché inizia a disquisire di Choji, di patatine e della piccola Chocho.

L’unica eccezione è la macchia nera sul fondo della stanza che se ne sta zitta e ferma come al solito, ovviamente. Ma a me non la fa: se la ride sotto i baffi, il fesso, certo di essere lo shinobi più tenebroso e imperscrutabile del mondo. Quando fa così, lo trovo irrimediabilmente tenero. Per questo mi piace lasciargliela credere…

Da che Sarada è venuta al mondo, poi, dubito che abbia mai lasciato l’ospedale. A dirmelo è il velo di barba e il vestito del giorno precedente, dacché in proposito non si è mai espresso. Ne andrebbe della sua reputazione, dopotutto. Inoltre ogni volta che mi sono svegliata, vuoi per la poppata, vuoi per i controlli, vuoi per le continue visite, l’ho trovato lì a vegliare su di noi.

Scuoto la testa. In effetti sarebbe più onesto dire: a guardare storto tutti quelli che entravano e uscivano senza distinzioni, tra personale ospedaliero, parenti e amici vari.

“Sakura ha bisogno di riposare,” interviene infatti dopo un po’; e il tono deciso della sua voce s’interpone tra il chiacchiericcio di Ino e Naruto, che tacciono di conseguenza. “Perciò se avete intenzione di continuare a starnazzare in questo modo potete anche andarvene.”

Ino s’imbroncia. Naruto invece solleva il pugno per aria e fa per protestare – o starnazzare ancora, come dice mio marito. Ciononostante dalla porta d’ingresso arriva un pronto e completamente inaspettato intervento che ci spinge tutti a guardare di là.

“Non fare il paparino possessivo e scorbutico, Sasuke, sono appena arrivato per salutare la mia nipotina e non ho nessuna intenzione di andarmene,” dice la nota voce dell’hokage.

“Kakashi-sensei!” strilliamo tutti in coro.

Tutti eccetto uno, naturalmente, che ne approfitta per puntualizzare.

“Non è tua nipote,” dice, “e quel nomignolo comincia a darmi sui nervi, soprattutto se a pronunciarlo siete voi. Vi siete messi d’accordo?”

“Può darsi, paparino,” risponde serafico l’hokage, mentre si avvicina al letto.

Rido assieme ai presenti. Sasuke invece torna con lo sguardo alla finestra, stizzito, e mugugna fra sé e sé da bravo paparino scorbutico – ops, comincia a venire naturale anche a me!

Ma le sorprese non sono finite, perché assieme a Kakashi-sensi fa il suo ingresso anche Sai, che spinge il passeggino del piccolo Inojin.

“Alla buon’ora,” protesta Ino, incrociando le braccia al petto.

“Gomen,” esordisce Sai, “sei scappata via di corsa e Inojin non voleva saperne di addormentarsi. Poi ho incontrato l’hokage-sama per il corridoio e ci siamo persi in convenevoli,” spiega, prima di rivolgere l’attenzione a noialtri. “Salve a voi, novelli genitori,” dice, col solito sorriso pulito stampato in faccia, “avete delle facce sbattute. Davvero orribili, sì. Ma immagino che valga per tutti noi, ultimamente. Congratulazioni!”

Sai continua a sorridere come se dalla sua bocca fossero uscite solo rose, mentre il gelo pervade un po’ la stanza e i presenti. A questo punto non oso immaginare la natura dei “convenevoli” che ha scambiato con Kakashi-sensei!

Sai si avvicina e anche da sdraiata posso vedere la testolina di Inojin che spunta dal passeggino. Il piccolo è amorevolmente avvolto da copertine azzurre e tiene le manine strette a pugno come Sarada, non fosse che la peluria sulla testa è bionda come il grano.

“Oh, Ino, si è fatto più paffuto e più adorabile!” esclamo, quando noto le guanciotte color pesca di Inojin che fanno capolino da sotto le coperte.

Naruto mi fa eco, aggiungendo che è la fotocopia sputata di Sai. Di rimando la mia migliore amica sfodera un sorriso sicuro e compiaciuto, orgogliosa del proprio pargolo. Adesso anche le sue guance hanno preso colore e ricordano due pesche belle mature, facendola apparire ancora più bella.

“Questo è niente,” interviene invece il marito della mia amica, “dovresti vedere Chocho, lei sì che è grassoccia. Akimichi al cento per cento. La vostra invece è mingherlina, pelata e raggrinzita come una vecchina di cent’anni.”

E siamo a due nel giro di nemmeno mezz’ora; e la venuzza sulla mia fronte riprende a pulsare come e più di prima. Anche la destra mi prude nuovamente dalla voglia di dispensare… virtute e canoscenza. Dopotutto, come l’Uzumaki, nemmeno Sai è così estraneo alle solite, vecchie maniere…

Shannarooooo! Ma ce li hanno gli occhi ‘sti maschi, Sarada è bellissima, una principessa Uchiha tutta da mangiare di coccole!

Il mugugno sempre più lugubre – e minaccioso – di mio marito interviene nuovamente a chetare gli animi – il mio – e a ribadire all’ultimo arrivato di essere in territorio ad alto rischio di… Susanoo. Lo stadio successivo allo Sharingan automatico.

“M-ma quando sono appena nati è normale, normalissimo,” soggiunge Sai, forse per via del suggerimento implicito, “anche Inojin all’inizio non era un granché, tutto congestionato. Sembrava un alieno. O una specie di melanzana…”

“Tesoro, non stai migliorando la tua situazione, forse è meglio se stai zitto,” dice quindi Ino, che sulla fronte ha sviluppato anche lei un rigonfiamento pulsante e sospetto da che il marito si è riferito al frugoletto Yamanaka in termini di melanzana.

Scoppiamo a ridere. La maggior parte di noi, almeno.

Dal suo angoletto riservato il capofamiglia Uchiha si limita a scuotere leggermente la testa e a rilasciare il fiato. Uno sbuffo divertito più che un sospiro.

Kakashi-sensei invece ci osserva con serenità alla stregua di un genitore. Ha il viso coperto, ma a tradirlo è lo sguardo sereno e sorridente che si sposta su ognuno di noi come una carezza gentile, fino a posarsi sulla piccola Sarada che se la dorme della grossa fra le mie braccia.

“Mi sembra ieri che vi allenavate per salire sugli alberi,” commenta l’hokage, tradendo la propria nostalgia. “E come avete chiamato questo piccolo concentrato HarunoUchiha? Guarda il broncetto, è identico a quello del padre!”

A Kakashi-sensei non sfugge proprio niente; e mi tocca mordermi la bocca per non ridere del mio amato marito.

In compenso, mentre i presenti non si lasciano sfuggire l’assist per commentare in coro “tale padre, tale figlia”, Sasuke borbotta il proprio dissenso – giusto per mantener fede al titolo di campione indiscusso di “mugugno” – e pone fine alla questione con un sonoro, conciso e superiore “tsk”.

“Sarada,” annuncio quindi per entrambi, sotto gli sguardi attenti dei miei amici. “Sarada Uchiha.”

Istintivamente stringo il fagotto al petto – la mia bambina, la nostra bambina – e distendo le labbra in un sorriso pieno, sereno ed estremamente orgoglioso.

“È stato Sasuke a sceglierlo,” rivelo infine.

La sorpresa si delinea sul volto dei presenti, in particolare su quello di Naruto e di Ino. Quest’ultima, poi, fa in fretta a entrare in agitazione. Si fa scappare un versetto stridulo e batte le mani, eccitata come una bambina.

“Daiii,” sottolinea, “che cosa carina! Non ce lo facevo proprio il nostro Sasuke-kun, si vede che è cotto della bimba!”

“Silenzio,” sbraita il paparino cotto a puntino, “e tu non hai da fare? Sei l’hokage, tornatene alla tua scrivania.”

“Oh,” esclama Kakashi-sensei, come se si fosse appena ricordato di una questione di poco conto, “non ti preoccupare, ho lasciato un manichino al mio posto. Prima che se ne accorgano passeranno almeno altri venti minuti.”

Un sorrisino nervoso mi si disegna sul viso: e questo è l’hokage, signori! Naruto invece caccia direttamente un verso stridulo che comprende anche una domanda implicita di spiegazioni cui Kakashi-sensei replica con una scrollata di spalle, passandosi con nonchalance la mano fra i capelli.

“Posso prendere la piccola? Non resisto, è troppo tenera,” interviene Ino con le braccia già protese, concentrandosi su ben altre questioni.

Alla menzione, prima ancora che possa anche solo prendere in considerazione il da farsi, l’Uzumaki si dimentica dell’hokage, del torvo rapace appollaiato sulla scrivania e probabilmente perfino di respirare e del suo amato ramen. Semplicemente balza sul posto, si punta l’indice contro e con espressione decisa si premura di far valere i propri diritti.

“Ehi! Ti ricordo che il mio piede è passato dalla porta per primo,” afferma, “perciò la piccola la prende il qui presente zio Naruto. Daiii, Sakura, fammela prendere in braccio,” sottolinea, sordo alle proteste di Ino; e quasi si getta sul letto d’ospedale.

Una mano si stringe improvvisamente sulla spalla di Naruto e lo trae a sé, prima ancora che io possa dargli il fatidico pugno in faccia – giusto perché la sua irruenza ha fatto aristocraticamente increspare le sopracciglia e la boccuccia della pricipessina in questione.

Sollecitato dalla stretta l’Uzumaki si volta e si trova inaspettatamente a fronteggiare il suo migliore amico – che per l’occasione si è addirittura scomodato dalla sua postazione di supervisore per intervenire in prima persona.

Naruto,” il tono di Sasuke dice già tutto. “Vai fuori.”

La pronta risposta è un “ma Sasuke” strillato a pieni polmoni mentre viene gentilmente trascinato fuori per la collottola. Sicché ne approfitto per passare la pupa ad Ino, che compiaciuta – e vittoriosa – se la sghignazza senza pudori.

La mia amica è precisa e delicata, semplicemente è una mamma e il suo modo di prenderla e tenerla fra le braccia è forse addirittura più esperto del mio. Ciononostante il cambio d’abbraccio, di calore e di odori fa immantinente schiudere gli occhietti alla principessa. E non solo quelli…

Sarada apre la bocca e caccia un mugugno Uchiha che suona più o meno come “chi ha osato” e, subito dopo, uno strillo più acuto e disperato – un preludio – che sembra voler dire a tutti i presenti “chiunque disturbi il mio sacro riposo dovrà dire addio ai propri timpani”.

“Ho capito, ho capito,” risponde subito Ino col sorriso sulle labbra, mentre Sarada agita i pugnetti per aria e minaccia fulmini e lapilli, “ti riporto subito dalla mamma, va bene?”

Appena mi adagia la pupa fra le braccia, la piccola Uchiha cambia espressione e, soprattutto, chiude la boccuccia. È sempre imbronciata, non deve aver digerito l’affronto, non ancora, ma almeno ha risparmiato i suddetti timpani ai presenti.

Kakashi-sensei ne approfitta immediatamente per recapitare una fugace carezza sulla testolina della piccola, mentre la sistemo più comodamente nella piega del gomito.

“Percepisco del contrappasso nell’aria,” commenta, col sorriso celato dalla maschera ma perfettamente intuibile dalle rughette che gli arricciano i margini degli occhi. “Ci sarà da divertirsi.”

“Non dirlo nemmeno per scherzo, Kakashi-sensei,” rimbrotto; e stavolta sono io a imbronciarmi – dopotutto adesso sono Sakura Uchiha, no? “Una volta basta e avanza, non posso passare la mia vita a rincorrere Uchiha selvatici e testardi.”

“Tu passi troppo tempo con quella vecchia acida di Tsunade,” è il commento di mio marito – direttamente dal corridoio, lì dove è ancora intento ad accapigliarsi con Naruto, come se da quando erano bambini non fosse trascorso nemmeno un giorno; e adesso lui e l’Uzumaki si tengono amorevolmente per il bavero, da quel poco che riesco a capire. “E l’orario di visite è praticamente finito, perciò andatevene tutti a casa. Soprattutto tu, perdigiorno di un hokage.”

Nessuno replica, ma ci scambiamo uno sguardo e ridiamo sotto i baffi: non deve aver gradito molto né il selvatico – come dice sempre Tsunade-sama – né il contrappasso millantato da Kakashi-sensei.

“Dai, Sasuke-kun, non essere scontroso, siamo venuti qui apposta per vedere il vostro piccolo concentrato Haruno-Uchiha,” protesta Ino, incrociando le braccia al petto, “e devo ancora darvi il nostro regalo! Con questo la vostra piccina sarà ancora più carina. Quando l’altro giorno è arrivata la notizia stavo giusto facendo spese per Inojin, così… Oh, ma dove l’ho messo? Accidenti.”

Ino fruga nella borsa e poi si gira da una parte all’altra alla ricerca di qualcosa, mentre la mia curiosità aumenta e mi protendo automaticamente da quella parte.

Da che Sarada è venuta al mondo i regali di benvenuto si sono sprecati, l’intera stanza d’ospedale ne è piena e altrettanti pacchi ci aspettano a casa, pronti per essere scartati. I miei genitori, poi, sono praticamente impazziti, ricoprendoci di copertine, pannolini, fasciatoi e chi più ne ha più ne metta – nonché una quantità esagerata, e immonda come aggiungerebbe il diretto interessato, di pizzicotti e pacche di congratulazioni al genero.

È Sai a bloccare l’agitarsi di Ino. Estrae dalla borsa del passeggino un piccolo fagotto giallo e lo passa tranquillamente alla moglie.

“Cercavi questo?” dice.

Ino si calma, tira un sospiro di sollievo e lo ringrazia dolcemente. Dopodiché sotto gli occhi incuriositi di tutti – compresi i due che si affacciano dal corridoio cercando di dissimulare – afferra il fagottino giallo e lo dispiega.

“Tadaaaan!” dice, tutta contenta, sciorinandomi il dono sotto il naso.

Si tratta di una tutina gialla piccola piccola, con le estremità inferiori che terminano in due calzini per piedini a dir poco minuscoli che solo a guardarli mi fanno venire voglia di strillare dall’emozione e spupazzarmi la piccolina che ho tra le braccia.

Un urletto mi scappa davvero quando mi accorgo della cresta ricamata che sta sulla schiena della tutina: il ventaglio Uchiha in tutto il suo splendore. È semplicemente perfetta!

“Questa l’ho ricamata da me, non ne fanno mica già confezionate!” afferma Ino, orgogliosa del risultato. “Sapessi quante volte mi sono bucata le dite con l’ago! Naturalmente è gialla perché non sapevo ancora se sarebbe stata una principessa. O un principe, in effetti. Così…”

“Oh, Ino, è perfetta davvero,” dico con le lacrime agli occhi, mentre allungo il braccio libero da quella parte e la stringo in un abbraccio.

“Ehi, ehi!” urla Naruto, cercando di attirare l’attenzione in direzione della porta. “Anch’io ho un regalo. Hinata mi ha raccomandato di portarvelo con i suoi migliori auguri, purtroppo non può lasciare il letto e…”

L’Uzumaki, accuratamente trattenuto dal migliore amico, si fruga nelle tasche, poi si guarda intorno; infine si porta entrambe le mani alla testa e urla.

“L’ho dimenticato sul tavolino all’ingresso! Hinata mi ammazzerà, dattebayo!”

“Sei fortunato che è allettata,” commenta Kakashi.

“Usuratonkachi,” soggiunge Sasuke.

I restanti, me compresa, preferiscono ridere di gusto e godersi quei due che continuano a dare spettacolo per il corridoio. Infine la domanda giunge fatidica e inaspettata, calamitando l’attenzione dei presenti sul secondo protagonista della scena.

“E tu Sasuke? Che cosa hai regalato a Sakura?” getta Sai con nonchalance, sorriso pulito stampato in faccia.

Silenzio di tomba.

“Fiori?” suggerisce Ino.

“O magari dei cioccolatini,” le fa eco il marito.

Altro silenzio.

“Immagino che tu le abbia scritto almeno un biglietto di congratulazioni,” asserisce invece Kakashi-sensei, inarcando il sopracciglio.

Il silenzio perdura e diviene, se possibile, ancora più pesante.

“Teme?” interviene Naruto, che fra tutti è quello che sembra essere appena caduto dalle nuvole e non capisce da cosa derivi l’imbarazzo, soprattutto quello del silenzioso interpellato – cui, per la cronaca, sta per esplodere una venuzza sulla fronte.

Prima che possa molto diplomaticamente spedirci in un genjutsu di massa giusto per togliersi d’impaccio – per poi fuggire chissà dove a fare l’eremita – mi premuro di chiarire il concetto che ritengo più importante.

“Il regalo più bello che potesse farmi ce l’ho stretto fra le braccia,” dico e scendo con iridi colme d’amore sul visino che si delinea tra i morbidi lembi della copertina.

È perfetta, penso mentre ne descrivo i lineamenti rilassati nel sonno, per poi sollevare lo sguardo dirigerlo sull’uomo che amo da sempre. E mi sembra di cogliere un guizzo in quegli occhi che farebbero paura ai più.
Prima che, naturalmente, torni a puntare i presenti con evidente ostilità.

“E adesso fuori dai piedi, impiccioni,” conclude con la raffinatezza e il tono sferzante che lo contraddistinguono da sempre.

Il coro di “Awwwh” che si era sollevato alle mie puntualizzazioni viene sostituito immediatamente da un sonoro e congiunto “Buuhh” dei presenti; ma quando arriva l’infermiera per riportare Sarada in pediatria capisco che l’orario delle visite è effettivamente terminato – con buona pace dell’Uchiha arruffato e selvatico.

“Vi pregherei di uscire,” dice infatti l’infermiera. “La mamma e la bimba devono riposare e l’orario delle visite termina fra dieci minuti esatti.”

Kakashi-sensei è il primo ad andare. Lancia un’occhiata compiaciuta al neo papà, mi rivolge un ultimo sorriso e subito dopo scompare alla vista – dopotutto ci sono cose che un manichino non può svolgere al posto dell’hokage, giusto?

Seguono Ino e Sai, sotto lo sguardo diligente dell’infermiera. Ino si prende il tempo di recapitare a Sarada una carezza e di redarguirmi a dovere su come lavare la tutina e a quale temperatura.

“Sì, sì,” le dico, accondiscendente; dopodiché la mia amica si avvia all’uscita assieme al marito, dove entrambi si soffermano per salutare Sasuke.

L’Uchiha ricambia con un cenno del capo cortese, anche se forse un po’… solenne. Li guardo allontanarsi e il cuore mi si scalda: uno di fianco all’altra, col passeggino di Inojin davanti, sembrano una famiglia felice e unita. Semplicemente bellissima.

“Allora ci vediamo presto, Sakura-chan,” dice anche Naruto, affacciandosi oltre la porta e sbracciandosi come al solito. “Devo ancora portarti il regalo di Hinata, vedrai che ti piacera!”

Poi ci pensa su e soggiunge mogiamente, quasi borbottando fra sé: “Se sarò ancora vivo, dattebayo…”

“A presto, Naruto,” rispondo; e gli faccio “ciao” con la mano. “Salutami Hinata.”

Rimasti soli mi lascio andare sui cuscini e mi accorgo di quanto effettivamente io mi senta stanca. Ciononostante quando l’infermiera mi toglie Sarada dalle braccia sento in me risvegliarsi una sorta d’apprensione, colta da una miriade di preoccupazioni. E se al nido dovesse avere bisogno di me? E se piangesse e nessuno le prestasse attenzione? E se avesse fame o si sentisse semplicemente sola?

Vorrei tenerla sempre accanto a me e i versetti di disappunto che le sento emettere mentre l’infermiera l’adagia nella culla pediatrica non mi aiutano a tranquillizzarmi. Tuttavia quando Sasuke si avvicina e allunga la mano da quella parte per sfiorare la piccola, Sarada si tranquillizza e lo faccio anch’io di rimando.

Sarà che mio marito sembra pronto a imprigionare la poveretta in un Chibaku Tensei al primo sgarro, ma se c’è lui nei dintorni mi sembra di poter abbassare la guardia e che niente possa andare per il verso sbagliato.

Mi rilasso di conseguenza fra le coltri del letto d’ospedale e le palpebre cominciano a diventarmi così pesanti… così pesanti che riesco a seguire a tratti quanto accade. L’infermiera si allontana con la culla, portandosi via la mia adorata principessa. Dietro di lei s’incammina Sasuke. Poco ma sicuro, la scorterà fino al nido e si assicurerà che dorma beata.

Il sorriso mi si delinea sulle labbra a dispetto della stanchezza e penso che questo preciso istante non potrebbe essere più perfetto di così. Non faccio in tempo a metabolizzarlo che noto sul comodino un piccolo contenitore col logo del mio chioschetto di cibarie preferito. Il mio cuore aumenta i battiti: sono le polpette di polpo che tanto desideravo!

Non c’è bisogno d’interrogarsi, so chi le ha messe lì sopra, approfittando dei miei innumerevoli momenti di dormiveglia. Piccole, squisite ed estremamente preziose, quasi invisibili fra i doni più ingombranti ed eclatanti.

Prendo la scatola e ne mangio subito una. Una sola non può farmi male, dopotutto. Ed è buonissima.
 
Dopo un'infinità torno a pubblicare. Chiedo venia a chiunque aspettasse il seguito di questa fic, purtroppo gli impegni in real life sono diventati talmente tanti e pressanti che ormai mi sento fortunata se di tanto in tanto trovo cinque minuti per chiudere gli occhi e poltrire! çOç
Coooomunque, dato che sono riuscita a ritagliarmi del tempo, ne ho approfittato anche per rivedere i primi due capitoli (un ringraziamento a Giropizza per le dritte!). E intanto da "missing moment" la fic è diventata giustamente una "what if", con Sasuke e Sakura che possono godersi - più o meno - in pace il matrimonio e la piccola frugoletta Uchiha! xD
Per ora e tutto. Spero di non far passare un altro anno per il quarto capitolo. oo' Alla prossima!
CompaH

PS: Le date di nascita dei bambini non si trovano col canon, lol, ma non ho tempo per modificare e riscrivere. Gomen.

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