Olympus Chapter di SagaFrirry (/viewuser.php?uid=819857)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1- Maledizioni ***
Capitolo 2: *** II- incontri ***
Capitolo 3: *** III- prima che sorga il sole ***
Capitolo 4: *** IV- alleanze ***
Capitolo 5: *** V- fratelli ***
Capitolo 6: *** VI- crollo ***
Capitolo 7: *** VII- padri ***
Capitolo 8: *** VIII- amen ***
Capitolo 9: *** IX- famiglia ***
Capitolo 10: *** X- la bambina ed il drago ***
Capitolo 11: *** XI- ospiti ***
Capitolo 12: *** XII- questioni di sangue ***
Capitolo 13: *** XIII- dimostrare ***
Capitolo 14: *** XIV- scontro ***
Capitolo 15: *** XV- lealtà ***
Capitolo 16: *** XVI- sospetto ***
Capitolo 17: *** XVII- armonia e discordia ***
Capitolo 18: *** XVIII- cielo e terra ***
Capitolo 19: *** XIX- saggezza e vendetta ***
Capitolo 20: *** XX-prova ***
Capitolo 21: *** XXI- fedeltà ***
Capitolo 22: *** XXII- fulmini e sangue ***
Capitolo 23: *** XXIII- l'illusione ***
Capitolo 1 *** 1- Maledizioni ***
I
MALEDIZIONI
“È
questo il posto?” si chiese Atena,
camminando nel buio.
Non riusciva a
vedere nulla.
Camminava dietro ad Hermes, che cercava di illuminare la strada con una
piccola
lanterna. La Dea si avvicinò di più al Dio,
piuttosto spaventata da quel luogo
lugubre.
“Ci
siamo” parlò lui.
Dopo aver
attraversato diversi antri
dell’oltretomba, tre divinità raggiunsero
finalmente quel che cercavano. Atena
sussultò. Guardo verso l’alto, ammirando quella
statua scura.
“Loro
possono sentirmi?” domandò ad
Hades, che non sapeva che cosa rispondere.
Da sotto, lei
guardò in su. Ad
osservarla, le sembrava di percepire gli sguardi dei suoi cavalieri
d’oro,
imprigionati nella pietra. Puniti per aver osato infrangere il muro del
pianto,
se ne stavano immobili, uno accanto all’altro.
“Vuoi
risvegliarli tutti?” chiese il
Dio dell’oltretomba, trovando quella statua umana piuttosto
rivoltante.
“Certo.
Dovrei lasciare qualcuno qui,
secondo te?!” sbottò lei.
“Non
so. Sono affari tuoi”.
Hermes, quasi
annoiato, fece segno
alla sorella maggiore di darsi una mossa. Atena obbedì e
toccò la pietra con il
bastone di Nike. Subito una forte luce avvolse la statua, inondando le
tenebre
e riempiendo di crepe la superficie nera. Scricchiolando,
l’involucro si ruppe,
simile ad un uovo che si schiude. Con un boato, i cavalieri
d’oro imprigionati
caddero, accompagnati da pietra che si spaccava in pezzi quando toccava
terra.
“Cavalieri!”
chiamò Atena, impaziente
di lasciare quel luogo inospitale.
“Siete
liberi di andare dove volete”
si aggiunse Hades.
I saint, ancora
in terra, si
guardavano attorno senza capire quel che stava accadendo. Hades? Il Dio
li
richiamava di nuovo? Ma la voce femminile che avevano udito era quella
di
Atena! Che fosse in pericolo?
“Atena!”
chiamò più di qualcuno fra i
cavalieri.
Lei non
parlò. Sorrise, anche se
leggermente in imbarazzo, perché i suoi sottoposti erano
nudi. Furono avvolti
di nuovo dalla luce, emessa dal caldo cosmo della Dèa, e
lasciarono quel luogo
maledetto.
“A che
pensi?” stuzzicò Kanon, con
indosso l’armatura dei gemelli.
“A
niente in particolare” ammise
Saga, il gran sacerdote.
“Sei
sempre così serio. Eppure
dovresti essere bello rilassato. Da quando Atena ci ha liberati dalla
pietra,
non abbiamo avuto nemici o attacchi”.
“Mi
chiedo per quale motivo ci abbia
riportati qui, a volte”.
“E
perché te lo chiedi? Siamo in pace
e siamo liberi di fare quello che ci pare”.
“Vero.
Di fatti, sono stato via per
degli anni e nemmeno te ne sei accorto”.
“Non
se n’è accorto nessuno”.
I due gemelli si
fissarono solo per
qualche istante, in silenzio. Nella grande sala della tredicesima
dimora, i
cavalieri si stavano radunando. Atena li aveva richiamati e questo un
pochino
li metteva in ansia. Dopo quasi dieci anni dal loro ritorno al tempio,
era la
prima volta che la loro Dea li convocava tutti insieme. Saga, come
sempre
pessimista, pensò al peggio. Ma cercò di non
pensarci troppo. La porta si aprì,
facendo entrare l’ultimo cavaliere d’oro che ancora
non era presente: Ioria del
leone. Al suo fianco, Marin dell’Aquila. I due, da quando si
erano sposati,
dimoravano alla quinta casa ed avevano deciso di partecipare a quella
convocazione insieme.
“Benarrivata,
Marin” sorrise Shaina,
lieta di non essere l’unica donna.
La sacerdotessa
dell’Ofiuco era
accanto a Death Mask, che la stringeva a sé. Il cavaliere
italiano, piuttosto
geloso, cercava sempre di mettere in chiaro che lei non era disponibile.
“Siamo
gli ultimi, scusate” si
inchinò leggermente Marin.
Non indossava
più la maschera,
essendo sposata. Sorrideva, imbarazzata. Alzò gli occhi,
rivolgendo lo sguardo
al gran sacerdote, e si fece seria.
“Sono
spiacente” riprese a parlare
lei “So che è da tanto che non passo per queste
stanze, e forse è del tutto
inappropriato dirlo ora, ma..”.
“Di
che parli?” la interruppe Saga.
“Vedo
l’anello che portate al dito.
Non sapevo foste vedovo. Condoglianze”.
Saga non rispose
subito. Si toccò
l’anulare, come in una sorta di reazione involontaria, e lo
rigirò. L’anello
nero brillò debolmente.
“Sei
l’unica che se n’è accorta”
riuscì poi a dire lui “Ad ogni modo, non ti
preoccupare. Sono passati un paio
di anni”.
“Come
si chiamava? Se posso
chiedere..”.
“Eleonore”.
Scese uno strano
silenzio, fra gli
sguardi interrogativi dei cavalieri che non sapevano bene che cosa
dire. Kanon
fece per aprire bocca, per chiedere delucidazioni, quando la tenda alle
spalle
del trono si mosse ed apparve Atena. Lei sorrideva.
“Che
musi lunghi” commentò “Non
temete: non vi porto brutte notizie. Anzi, tutt’altro! Siamo
invitati ad un
evento molto speciale”.
“Di
che si tratta?” domandò Milo,
senza riuscire a trattenere la curiosità.
Atena si
avvicinò al trono e Saga si
alzò, invitandola a sedersi. Lei scosse la testa, restando
in piedi.
“Dobbiamo
andare da Hades” parlò
ancora lei, facendo sobbalzare più di qualcuno.
“Come
sarebbe a dire? Hades ci
dichiara di nuovo guerra?” furono le parole di Ioria, in
allarme.
“No!”
si affrettò a rispondere Atena
“Non vi preoccupate. Ci sono tante cose che vi devo spiegare
e questo invito è
proprio l’occasione ideale. Vestitevi a festa”.
“A
festa? Per andare da Hades?”
borbottò Ioria “Per quale motivo?”.
“Sei
impaziente! Ogni cosa a suo
tempo..”.
“Possiamo
almeno sapere per quale
occasione?” insistette il leone.
“Che
differenza fa?! È una bella occasione,
vestitevi in modo elegante e non da lugubri esseri che vanno ad un
funerale.
Chiaro?”.
Atena continuava
a sorridere. Notò,
però, che nessuno dei cavalieri si dava una mossa. Si
accigliò leggermente e
fissò Saga, come a voler dire “fa
qualcosa!”.
“Avete
sentito?” sospirò il gran
sacerdote “Obbedite. La Dea vuole vederci eleganti e
sorridenti”.
“Vado
a prepararmi pure io. Domani
sarà una lunga giornata e voglio vedervi allegri e
rilassati. Niente nemici,
niente pericoli”.
Nessuno dei
saint sembrava convinto.
Al palazzo di Hades tranquilli e rilassati? La Dea, ignorando i loro
sguardi
perplessi, si congedò. Sparì di nuovo da dietro
la tenda e tornò alle sue
stanze.
“Che
fate ancora qui?” sbottò Saga
“Non sapete più obbedire? Tornate alle vostre
stanze, domani dobbiamo seguire
la Dea al palazzo di Hades”.
“Ma
è un suicidio!” protestò Shaka.
“Non
posso farci nulla. È quello che
lei ha ordinato”.
“Se
lei ti ordinasse di lanciarti dal
tetto della tredicesima, tu lo faresti?”.
“E tu?
Lo faresti?”.
Scese di nuovo
il silenzio.
“Insomma..”
si fece sentire Death
Mask, dopo qualche istante “..che problema
c’è? Se ci sarà da combattere, lo
faremo! Se ci sarà da far festa, lo faremo! Nessun
problema”.
“Sì,
alla fine saremo tutti uniti” si
aggiunse Aphrodite “Non ci dobbiamo spaventare”.
Anche se non
molto convinti, i saint
iniziarono a lasciare la sala. Non tutti, però, volevano
muoversi. Saga li
fissò, invitandoli cortesemente ad andare a dormire.
“Vorrei
prima parlare con te” ammise
Kanon.
“Di
cosa?”.
“Di
Eleonore”.
“Non
ho niente da dirti”.
“Perché
non me ne hai parlato?”.
Saga tentava
invano di allontanarsi
da gemello, ma questi continuava a bloccargli la strada. Il gran
sacerdote
sbuffò.
“Non
sono affari che ti riguardano,
Kanon. Ora, per favore, lasciami andare a letto. Sono stanco”.
“Sono
il tuo gemello!”.
“E
allora? A me non interessa la tua
vita privata”.
“Ma
non ti nascondo niente”.
“Sono
tue scelte. Ora lasciami in
pace. Lei è morta, non ha importanza quel che era o quel che
poteva essere.
Chiaro?”.
Kanon
alzò entrambe le braccia,
arrendendosi. Senza aggiungere altro, lasciò la stanza,
sbattendo la porta.
Rimasto da solo, Saga si diresse verso le sue stanze. Pure lui non era
molto
tranquillo all’idea di andare al palazzo di Hades, ma doveva
obbedire alla sua
Dea. Diede un bacio all’anello nero e poi andò a
letto, spegnendo le ultime
candele accese del tempio.
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Capitolo 2 *** II- incontri ***
II
INCONTRI
Zeus
zittì tutti in sala, alzandosi.
Nel tavolo centrale stava seduto Hades, vestito elegante, con accanto
la moglie
Persefone e un’altra donna in abito da sposa. Il volto di lei
era coperto dal
velo bianco. Tutte le divinità olimpiche si erano radunate
per quell’evento
inaspettato, assieme ai loro cavalieri, giudici e generali. Zeus aveva
riportato il silenzio fra la baldoria, scusandosi.
“Innanzi
tutto..” iniziò a parlare,
con voce grave “..volevo fare i complimenti al mio caro
fratello maggiore
Hades. Sono davvero stupito di questa sua decisione e sono felice che
Persefone
sia entusiasta quanto noi all’idea di questo secondo
matrimonio. Evidentemente
ha visto negli occhi di mio fratello quella luce che..”.
“So
che non è di questo che vuoi
parlare!” sorrise Hades.
“In
effetti, è vero. Approfitto di
questo evento per spiegare a tutti quanti quel che sta succedendo. Vedo
tante facce
spaventate qui, fra i mortali. Segno che, evidentemente, non tutte le
divinità
sono state sincere con voi. Siamo in guerra, anche se non
sembra”.
“In
guerra?” ripeté più di qualcuno.
“Però
state tranquilli. Non siamo in
guerra fra noi. E questo è davvero incredibile”.
Molti dei
mortali si guardarono
attorno, cercando di capire quale divinità mancasse. Zeus, nel frattempo,
continuò a parlare senza
badarci. Ma al tavolo di Atena i mortali furono distratti.
“Dov’è
il tuo gran sacerdote?”
domandò Artemide, sfiorando la sorella Atena con le mani.
Atena
placò subito i cavalieri che la
accompagnavano, che si erano allarmati.
“Non
è una nemica!” spiegò la Dea
della saggezza “E non so dove sia il mio sacerdote.
Perché me lo chiedi,
sorella?”.
“Perché
devo parlargli. Temo che
qualcosa non vada in me”.
“E
come può aiutarti il mio
sacerdote?”.
“Voi
sapete chi è Eleonore,
immagino..” continuò Artemide.
“Vagamente”
ammise Atena.
“Eleonore
era la mia sacerdotessa.
Non la ricordi? Siamo venute al tempio insieme..”.
“Giusto!
È vero! Ti chiedo scusa. È
lei l’Eleonore che..?”.
“Che
ha sposato Saga. Sì. Ma fra di
voi vi parlate?! Non è questo, comunque, il problema. Il
problema è che io più
guardo la seconda sposa di Hades e più mi ricorda Eleonore.
E non credo che
questo abbia senso, però la mia mente non si toglie questo
pensiero dalla
testa”.
“Sorella,
è normale rivedere il volto
di persone che abbiamo perso ed a cui eravamo affezionati”.
“Lo
so. Per questo volevo parlare con
Saga. Così ci rassicuriamo a vicenda..”.
“Non
so dove sia” ammise Atena “Però,
se può farti sentire meglio, potresti parlare con me. Sono
tua sorella,
lasciamo da parte le ostilità”.
“Non
credo tu possa farci qualcosa,
scusa”.
“Però
vorrei sapere di più su questa
Eleonore. Saga non parla”.
Artemide
fissò la sorella, stupita.
Era perplessa, perché i suoi angeli e le sue sacerdotesse
non avevano segreti
per lei. Inoltre, non capiva come nessuno dei presenti si fosse posto
delle
domande, visto che Saga aveva trascorso molto tempo al tempio della
luna.
“Non
credo ci sia molto da dire”
borbottò la Dea Artemide “SI sono incontrati, si
sono piaciuti, si sono
completati e sposati. Poi lei è morta”.
“Ma
come è morta?” incalzò Aphrodite,
che amava le storie strappalacrime.
“È
stata uccisa”.
“E da
chi?”.
“Da
Diana. O meglio..dai suoi
cavalieri”.
“Diana?
Intendi il nome che i romani
hanno dato a te, Artemide?” si chiese Camus.
“No.
Diana ed io non siamo la stessa
persona. Siamo due entità distinte ma, con
l’avvento della religione romana,
ha preso il mio posto e le mie mansioni. Siamo
in guerra contro i romani e per questo siamo alleati”.
“Quindi
Diana ha ucciso Eleonore. E
perché?” riprese Atena.
“Non
c’è un perché. Quella notte era
luna piena e ci stavamo preparando a fare festa. Come ad ogni luna
piena,
Eleonore era bionda e bellissima e..”.
“È
bionda solo nella luna piena?” si
stupì Camus.
“Mutava
colore ed aspetto seguendo i
cicli della luna. Uno dei motivi per cui Saga era tanto attratto da
lei. Ma non
conta parlarne adesso. Stavamo per fare festa, e per più
ragioni. Lei, la mia
somma sacerdotessa Eleonore, aveva appena scoperto di essere incinta.
Per
festeggiare, Saga era in paese, assieme a molte mie guerriere, per fare
spese.
Volevano fare una sorpresa ad Eleonore, comprandole qualcosa di
speciale per il
lieto evento. Però, mentre erano via, Diana ha attaccato il
tempio con i suoi
sottoposti. Abbiamo combattuto, ovviamente, ma eravamo in poche e siamo
state
tutte ferite gravemente. Alcune delle mie guerriere hanno perso la
vita, ed
anch’io ho rischiato di non risvegliarmi. Eleonore ha perso
il bambino ed è
morta qualche giorno dopo. Volete altri dettagli o la vostra
curiosità morbosa
per stasera è soddisfatta?”.
Artemide non
amava parlare di quel
che era successo, probabilmente perché si sentiva in colpa
per quanto accaduto.
“Non
posso credere che nessuno di voi
abbia notato niente” riprese la Dea “Ma non me ne
stupisco più di tanto.
Nemmeno notavate quando cambiava personalità..”.
“Parli
di Saga?” furono le parole di
Kanon.
“Certo.
Lui al mio tempio sorrideva.
Ah, pareva un angelo quando lo faceva! Ma ora non lo fa mai”.
“Mio
fratello non è tipo molto
sorridente” scosse la testa Kanon “Non lo
è mai stato, se non in punto di
morte. I ghigni malvagi di Arles sono discorsi a parte”.
“Non
sono qui per parlare delle due
facce di tuo fratello..”.
“Esatto.
Anche perché Arles non
esiste più”.
Thanatos ed
Hypnos, assieme ad i tre
giudici di Hades, si erano un po’ allontananti dalla festa.
Vestiti in modo
piuttosto pomposo, ridevano raccontandosi accadimenti passati e si
stupirono
nel vedere, accanto al fiume Lete, una figura che non era alle
dipendenze di
Hades.
“Cosa
fai qui, tu? Il fiume Lete non
è raccomandato a chi non è ancora
morto” spiegò Thanatos.
“Come
se non lo sapessi!” sbottò
Saga, lanciando un sasso nell’acqua e facendolo rimbalzare.
“Ah,
sei tu!” lo riconobbe Radamante
“Che complotti? Tu e la tua Dea piagnucolosa..”.
“Siamo
alleati adesso, no? Quindi non
sto complottando niente. Semplicemente mi rompo le palle ai
matrimoni”.
“A chi
lo dici” annuì Aiaco.
“Bene!
allora, se la pensate come me,
non rompetemi i coglioni!”.
“Il
mio era solo un avvertimento”
storse il naso Thanatos “Fai quello che ti pare”.
“Siete
proprio carini vestiti da
sera” sfotté Saga.
“Ti ci
affogo nel Lete, coso!”
minacciò Hypnos.
“Ma io
ricordo che voialtri eravate
tutti morti..” riprese il sacerdote di Atena.
“Ricordo
la stessa cosa di voi gold”
rispose Minos “Ma siamo tornati. Questi sono i nostri veri
corpi mitologici,
visto che ad Hades servivamo e ancora non c’era fra i mortali
chi ci accoglieva”.
“E
Hades non aveva perso il corpo
mitologico? Ricordavo questo..”.
“No.
Non si può distruggere il corpo
di un Dio”.
“Quindi
noialtri cavalieri d’oro
siamo morti al muro per pianto per dar la possibilità ad
Atena ed i bronzetti
di uccidere Hades..per niente?!”.
“Esatto”.
“Bello..”.
Saga
lanciò un altro sasso.
“Bevici
su” sorrise Radamante,
porgendo una bottiglia al cavaliere.
“Non
bevo in servizio” si giustificò
Saga, rifiutando l’alcol, che fu passato agli altri generali.
“Sei
noioso, sacerdote”.
Saga non
rispose. Ignorò il
gruppetto, continuando a lanciare sassi nel Lete.
“Vado
io a cercarlo” si propose
Aphrodite, alzandosi dal grande tavolo di Atena.
Non fidandosi
molto delle creature
che vivevano in quel luogo, il cavaliere dei pesci
materializzò una delle sue
rose fra le dita.
“Che
bella rosa” si sentì dire.
Girandosi, vide
una donna, che si
avvicinò ed allungò una mano verso il fiore.
Subito il cavaliere indietreggiò,
impedendo alla sconosciuta di entrare in contatto con il veleno.
“Non
è saggio toccare le mie rose”
spiegò “Sono intrise di veleno mortale”.
“Io
vivo circondata dalla morte. Non
mi interessa”.
La donna,
ignorando l’avvertimento di
Aphrodite, sfiorò la rosa e sorrise. Ne gradì il
profumo e non riportò alcuna
conseguenza. Il cavaliere la fissò, piuttosto stupito.
“Ma
voi..siete Persefone, la prima
moglie di Hades!” la riconobbe, finalmente.
“Sì,
esatto. E voi siete il cavaliere
chiamato Aphrodite”.
“Non
è il mio vero nome, ma adoro
questo soprannome”.
“Capisco..dove
state andando? La
festa vi annoia?”.
“Sto
cercando un amico. E voi che
fate qui? Con quest’aria triste..dicono che siate
d’accordo con il secondo matrimonio
di Hades, ma il vostro viso dice tutt’altro”.
“Spero
comprendiate. Anche se Hades
mi ha rapita, aveva sempre delle attenzioni per me. Ora, invece, le
cose
cambiano. Finché si trattava di Pandora, non avevo nulla di
cui preoccuparmi.
Ma con questa donna è diverso”.
“Si
è innamorato per davvero?”.
“Non
lo so. Cambiando argomento..che
amico state cercando?”.
“Saga”.
“Mi
è sembrato di scorgerlo assieme
ai giudici”.
Aphrodite,
allarmato, accelerò il
passo. Persefone, annoiata, lo seguì.
“Saga!
Eccoti!” lo chiamò il
cavaliere dei pesci, raggiungendolo “C’è
Artemide che ti cerca”.
“Artemide?
E per quale motivo?”
rispose il sacerdote, senza capire.
“Ha le
visioni e vuole che la aiuti a
darsi una calmata”.
“Le
visioni? Ma che ci posso fare
io?”.
“Dice
che vede nella sposa di Hades
la sua vecchia somma sacerdotessa”.
“Eleonore?”.
“Esatto”.
“Ma
è Eleonore” dissero, in coro, Persefone
e Minos.
“Che..?”.
Aphrodite rimase
un pochino in
silenzio, sconcertato. Lo stavano prendendo in giro?
“Dal
giorno in cui l’ho giudicata..”
spiegò Minos “..subito Hades ha mostrato interesse
per lei. E poi è risultata
un’ottima cosa, visto che ora siamo tutti alleati”.
“Quindi
lei è..” riprese Aphrodite.
“..la
ex moglie del tuo sacerdote,
sì” ammise Minos, con naturalezza.
“Del
resto..” si intromise Thanatos
“..è finché morte non vi separi. E lei
è morta. Quindi non c’è alcun problema.
Inoltre le anime, quando giungono qui, dimenticano quel che
è successo loro in
vita, perciò non sa nulla del precedente matrimonio. Ricorda
di essere stata a
servizio di Artemide, perché Hades lo ha voluto, ma
nient’altro”.
“Questo
è ingiusto!” protestò il
cavaliere dei pesci, ma Saga non sembrava darci troppo peso.
“E
poi..” insistette Aphrodite “..tu
eri a conoscenza del casino contro
gli
olimpici con nome romano? Sapevi che c’è una
guerra imminente!”.
“C’è
sempre una guerra imminente!”
rispose Saga “Ogni sacerdote sapeva la verità
prima che Zeus la spiegasse a
tutti. Ma dovevamo attendere il momento opportuno, senza allarmare
tutti prima
del tempo”.
“Ma..perché?
Credevo fossimo amici, e
invece mi hai nascosto un sacco di cose”.
“Non
sono mai stato molto eloquente”.
Saga cercava di
cambiare argomento,
ma far demordere Aphrodite era molto difficile. Innervosendosi, il
sacerdote si
morse un labbro per non perdere il controllo. Nonostante questo, i suoi
occhi
iniziarono a mutare di colore. Fortunatamente, si udì un
latrato ed un grosso
lupo interruppe la conversazione, fiondandosi in mezzo al gruppo. Saga,
d’istinto, bloccò l’animale prima che
questi si gettasse nel fiume. La bestia,
ben più grossa del normale, ringhiò e
provò a ribellarsi. Il sacerdote non
mollò la presa ed attese che il padrone lo raggiungesse. Un
uomo dallo sguardo
celato da un pesante elmo, correva trafelato per raggiungere il lupo e
tirò un
sospiro di sollievo quando vide che non era successo nulla di
irreparabile.
“Vi
ringrazio” parlò, calmando l’animale
con la mano “Mi è sfuggito”.
Alzò
lo sguardo, incrociando quello
di Saga, ancora velato di rosso, e non disse nulla.
“A
quanto pare..” sorrise Hypnos
“..il matrimonio annoia pure i cani!”.
“Lui
è un lupo. Ed è di mio padre. Se
dovesse succedergli qualcosa, sarei nei guai”
spiegò l’uomo accanto alla
bestia, che ringhiò rivolto ad Hypnos e gli altri.
“Forse
è meglio se rientriamo tutti”
propose Persefone.
“Avete
ragione, signora” annuì Aiaco.
Lentamente,
tutti tornarono alla
festa, anche se controvoglia. Kanon, a braccia incrociate, attendeva il
fratello con aria di rimprovero.
“Che
cosa c’è?” sbottò Saga,
infastidito da quello sguardo.
“Mi
preoccupo per te” rispose il
gemello.
“Non
dovresti. Ho tutto sotto
controllo”.
“Sei
sicuro?”.
“Certo..”.
“Hai
gli occhi rossi”.
“Sta
tranquillo. Lo sai perché Shun è
ancora al tempio? Non certo perché combatte, cosa che non
vuole più fare da
anni, ma bensì perché ha studiato medicina. E mi
aiuta a mantenere la
situazione gestibile”.
“In
che senso?”.
“Non
serve che tu sappia tutto..”.
“Non
so niente, infatti. Sono il tuo
gemello, e non ti conosco affatto”.
“Le
cose sono cambiate rispetto a
quando eravamo piccoli. La medicina è progredita ed ora
esiste il modo di
tenere a bada i miei problemi”.
“Intendi
dire che Shun ti fa da
psichiatra?”.
“Fratello,
senza determinate
medicine, mi sarei già sparato in testa da tempo. Ora, se
non ti dispiace,
vorrei andare a mangiarmi una fetta di torta nuziale”.
“È
per questo che sei così?”.
“Smettila,
Kanon!”.
“È
per colpa delle medicine che sei
così? Pare che non ti importi nulla, anche se la tua defunta
moglie sta
mettendo la lingua in bocca al re degli inferi. Dovresti almeno dire
che..”.
“Smettila,
Kanon..”.
Sistemandosi la
cravatta, il
sacerdote rientrò in sala. Ad attenderlo, c’era
una grossa fetta di torta con
la panna ed un bicchiere di champagne.
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Capitolo 3 *** III- prima che sorga il sole ***
III
PRIMA CHE
SORGA IL SOLE
Era da molto che
al tempio non si
festeggiava, perciò i cavalieri non erano per niente
abituati a fare tardi e
bere. Il giorno dopo nessuno si stupì se le dodici case
risultarono pressoché
deserte fino al tardo pomeriggio. Con l’emicrania di molti,
c’era silenzio.
“Milo?”.
Il cavaliere,
che dormiva beatamente,
cercava di recuperare la notte insonne.
Ma quella vocina fastidiosa continuava a chiamarlo.
“Milo!”.
Lo scorpione
aprì un occhio, cercando
di capire che ore fossero. Era buio pesto.
“Ma
chi è?” biascicò, rigirandosi
“Non è nemmeno sorto il sole, sparisci!”.
“Milo!”
sbottò una voce diversa.
Camus?
Il cavaliere
addormentato si scosse,
senza capire cosa stesse succedendo. Quando si fu abituato al buio,
vide che a
fissarlo stavano Camus ed Atena.
“Qualcosa
non va?” chiese il padrone
di casa.
Camus sembrava
essersi vestito di
corsa, aveva i capelli spettinati e lo sguardo assonnato. Atena, a
contrario,
era sempre divina e composta.
“Speravo
che almeno tu fossi sveglio”
ammise Atena “Non è un’emergenza. Solo
che..mi servirebbe una mano per
controllare una cosa”.
“Mia
Dea..” iniziò Milo, sbadigliando
“..ho sonno, non parlate complicato. Ditemi semplicemente
quel che volete,
senza giri di parole”.
“Dopo
tutti i discorsi che ha fatto
Artemide, ho deciso di tenere un po’ più
sottocchio i miei cavalieri, specie il
gran sacerdote”.
“Io
non sono il gran sacerdote,
grazie al cielo” borbottò lo scorpione, volendo
dormire.
“Ogni
mattina, appena prima
dell’alba, il gran sacerdote si sveglia per svolgere
determinati rituali.
Questo avviene ogni mattina..”.
“Che
vitaccia” interruppe di nuovo
Milo.
“Il
punto è..che è dalla notte del
matrimonio che questo non avviene”.
“Signora..ieri
sera sarà stato
distrutto come tutti quanti noi e quindi avrà dormito. Oggi
sarà lo stesso
oppure è a meditare da qualche parte. Non mi sembra il caso
di preoccuparsi”.
“Dici?
Non so. Mi agito inutilmente.
Ho chiesto a Seiya di controllare, ma lui ha risposto che non vuole
vedere le
stanze private di quel cavaliere”.
“Ha
ragione. Nessuno ha il permesso
di entrare nelle sale private del gran sacerdote!”.
“E
allora che dovremmo fare? Speravo
che qualcuno mi potesse aiutare, ma state ancora dormendo tutti
quanti!”.
“E che
pretendete? È prestissimo!”.
“Vi
facevo più attivi e mattinieri!”.
“Andate
a rompere le palle a Kanon.
Anche se fra gemelli si ammazzano, non sarebbe una
novità!”.
“E
svegliare tutti i cavalieri fino
alla terza casa?!”.
“Siete
arrivata fino all’ottava,
no?”.
Milo si
rigirò nel letto, pronto a
tornare a dormire. Atena si accigliò, aspettandosi
più obbedienza. Camus cercò
di far ragionare il collega, che però lo ignorò.
Saga, tornato
dal matrimonio, non
vedeva l’ora di togliersi quell’abito da sera
fastidiosissimo e tornare alla
sua solita tunica. Appena cambiato, non riusciva a stare tranquillo e
quindi
scelse di ritirarsi sullo Star Hill. Quello era l’unico luogo
dove poteva
godersi il silenzio. Nel buio, cercò di rilassarsi. Poi
qualcosa attirò la sua
attenzione.
“Sei
venuto ad uccidermi?” domandò.
“Ucciderti?”
rispose la voce.
“Qui
è dove ho ucciso il mio
predecessore, Shion. Immagino che, per karma, sia questo il luogo dove
debba
morire pure io”.
“Può
essere, ma non sono qui per
questo”.
Saga si
voltò. Alle sue spalle, due
uomini stavano in piedi, con il viso coperto da un elmo rosso.
“Sei
quello del lupo..” riconobbe uno
dei due il gran sacerdote.
L’uomo
annuì. In realtà i due erano
pressoché identici.
“Come
siete arrivati fino a qui?” insistette
Saga.
“Se ci
sei riuscito tu, che sei un
mortale, quanto credi che sia difficile per noi, che siamo
Dèi?”.
“E che
volete? Scusate, ma ne ho
abbastanza per oggi di divinità e discorsi. Voglio solo
riposare”.
“Devi
venire con noi” parlò, con
severità, uno dei due intrusi.
“Non
se ne parla. Lasciatemi in
pace”.
“Non
hai molta scelta..”.
Uno dei due
tolse l’elmo e guardò
negli occhi Saga. il sacerdote non abbassò lo sguardo e lo
sconosciuto sorrise.
Con le iridi circondate dal rosso, come il sangue, l’intruso
ghignò.
“Andiamo”
parlò ancora.
“No”
scandì bene Saga.
“Come
vuoi”.
I due uomini
identici si mossero,
pronti ad attaccare. Il sacerdote reagì, respingendo il
primo colpo. Che
seccatura! Si alzò, lasciando perdere la
meditazione, e respinse ancora i due nemici. Purtroppo per lui, contro due Dèi e prima
dell’alba non era facile.
Nonostante fosse sempre stato un cavaliere piuttosto forte, i due
nemici
mostrarono subito una notevole ferocia. Stanco ed intontito, Saga non
riuscì a
contrastare la forza di quei due e perse i sensi, dopo
l’ennesimo colpo a pugni
chiusi dei suoi nemici.
Kanon, svegliato
da Aphrodite
isterico perché preoccupato per il sacerdote, non vedeva
l’ora di mettere a
tacere tutto il santuario. Risalì di corsa le scale, senza
badare al fatto che
più di qualcuno gradiva ancora dormire. Ignorò
del tutto Milo, Camus ed Atena
ed andrò oltre. Pedinato da Aphrodite, che voleva sentire e
vedere tutto quel
che accadeva, Kanon entrò alla tredicesima, nel salone del
trono. Lì il
fratello non c’era, ma questo se lo aspettava. Nel buio,
lasciò perdere la sala
e salì le scale per raggiungere le stanze private. Con molta
poca delicatezza,
spalancò la porta della camera del gemello.
“Giù
dal letto, principino!” esclamò,
ma capì subito che lì il fratello non
c’era.
Continuò
a cercarlo, fra la sala con
la grande vasca e le altre stanze della tredicesima.
“Non
c’è?” domandò Aphrodite.
“Se
non ha imparato ad essere
invisibile..” rispose Kanon, sarcastico.
“E
dov’è?”.
“Aphrodite,
non sono la sua ombra! Sarà
a mignotte!”.
“Ma
che dici?!”.
Tornando nella
sala del trono,
ritrovarono Atena, Milo e Camus. Si guardarono in modo interrogativo.
“Sarà
allo Star Hill” azzardò Milo “E
lì non ci possiamo proprio andare”.
“Spero
sia così” annuì Atena
“Però..”.
Saga gemette. Si
toccò la testa,
ancora dolorante.
“Dove
sono?” protestò, capendo di non
essere in un luogo familiare.
“Chiedo
perdono da parte dei miei
fratelli” gli rispose una voce femminile.
Alzando lo
sguardo, e cercando di
rimettersi in piedi, il sacerdote vide che a parlare era stata una
donna in
abiti da guerriera.
“Sono
degli idioti” riprese lei “Non
rientrava nei piani che qualcuno ti picchiasse. Scusa”.
“E voi
chi sareste?” domandò Saga,
indicando i presenti.
“Io
sono Mirina” spiegò la donna.
“Ah,
giusto. Sei la somma
sacerdotessa di Ares” la riconobbe il cavaliere di Atena.
“Sì.
Sono la sua somma sacerdotessa
nonché sua figlia maggiore. L’altra donna che vedi
è Pentesilea, la regina
delle amazzoni e mia gemella. I due cretini che ti hanno picchiato sono
Phobos
e Deimos”.
“Tutti
figli di Ares..”.
“Esatto.
Purtroppo l’irruenza è una
caratteristica di famiglia”.
“Cosa
ci faccio qui?”.
“Te lo
spiegherà mio padre”.
Ares, il dio
della guerra, entrò
nella grande sala nera e rossa, preceduto da due grossi lupi. Questi
erano
minacciosi ma non ringhiarono contro Saga. La cosa stupì il
loro padrone, che
però non disse nulla. Si avvicinò al sacerdote e
lo osservò. Tolse l’elmo,
mostrando gli occhi iniettati di sangue. Camminando, il lungo mantello
rosso
faceva da strascico. In armatura, il Dio aveva lo stesso sguardo
minaccioso dei
suoi lupi. Con i lunghi capelli neri legati con un nastro, si
riuscivano ad
intravedere alcune cicatrici fra i ciuffi e sul viso, sotto il pizzetto.
“Se
volevate parlare con me, in quanto
sacerdote di Atena, bastava chiederlo” protestò
Saga, sostenendo anche in quel
caso lo sguardo del suo interlocutore.
“L’idea
è stata di mio figlio Phobos”
ammise Ares “Vi conoscete già”.
“Sì,
è il tizio del lupo. Giusto?”.
“Esatto.
Mi ha riferito delle cose ed
ho voluto verificare di persona”.
“Quali
cose?”.
Ares
continuò a girare attorno al
sacerdote. Si passò fra le dita un ciuffo dei capelli blu di
Saga, che storse
il naso, infastidito.
“Sei
sicuro di quello che hai visto,
Phobos?” parlò ancora Ares.
“Sì.
Assolutamente” annuì l’uomo.
Ora tutti
fissavano Saga, con gli
stessi occhi rossi. Il sacerdote iniziava a scocciarsi.
“Non
ti spaventa il nostro sguardo?”
domandò Phobos “Io sono il Dio della paura, e
nessun mortale è in grado di
sostenere la vista dei miei occhi senza tremare. Lo stesso vale per gli
sguardi
dei miei fratelli, delle mie sorelle ed ovviamente di padre
Ares”.
“Perché
dovrei avere paura di un Dio
con una brutta congiuntivite?” sbottò Saga.
Ares trattenne
una risata, mentre i
suoi figli un pochino si offesero.
“Il
mio ragazzo ha visto lo stesso
sguardo in te” spiegò Ares “Ed
è per questo che sei qui”.
“Ah,
comincio a capire” sospirò Saga
“Deve aver visto gli occhi di Arles. Chiedo perdono, quando
mi capita di
perdere il controllo poi appare lui. Ho un problema di doppia
personalità, non è
un tentativo di imitare la vostra famiglia”.
“Arles?”
alzò un sopracciglio Ares.
“Sì,
chiedo perdono anche per il
nome. Non l’ho scelto io”.
“Doppia
personalità? Curioso.
Normalmente non si cambia di aspetto, quando si cambia
personalità. O mi
sbaglio? Qualche altro Dio ha mai visto questo tuo lato?”.
“Atena,
ovviamente. Artemide..”.
“Qualche
guaritore?”.
“Mi
state chiedendo se mi sto
curando? Sì, prendo dei farmaci. Anzi, ora che ci penso,
dovrei rientrare a
casa mia. È tardi e devo prendere le mie
pastiglie”.
“Quanti
anni hai?”.
“La
smettiamo con l’interrogatorio?”.
Saga,
leggermente nervoso, si sentiva
molto a disagio. Inoltre, era piuttosto stanco ed i pugni di Phobos e
Deimos
iniziavano a farsi sentire. Senza contare che il suo umore era
decisamente
pessimo, dopo aver visto Eleonore che appena iniziava ad accettare come
morta.
“Voglio
andare a casa” ammise, non
sapendo molto bene che altro fare.
Non erano
nemici, stando alle parole
di Zeus. Quindi non poteva mostrarsi più di tanto ostile,
anche perché erano
più forti e più numerosi.
“A
casa? Da Atena?” domandò Ares.
“Sì,
alla tredicesima. Voglio solo
riposare e spegnere il cervello finché il tempio me lo
concede. Di sicuro, non
passerà molto tempo prima che qualcuno mi venga a stressare,
ma..”.
“Vorrei
prima sfatare ogni dubbio e
verificare alcune cose” spiegò Ares
“Perciò abbi un po’ di pazienza, se ne
hai”.
“Non
ne ho molta. Mai avuta”.
“Lo
sospettavo”.
Il Dio sorrise,
divertito. Saga non
rispose a quel sorriso. Iniziava a fargli male la testa, e non era un
buon
segno.
“Sai..”
parlò ancora Ares “..anche
mia sorella è come te. Eris, Dea della discordia,
è la mia gemella ed ha due
volti. Uno è terribile mentre l’altro è
benevolo. Anche lei, come te, cambia
aspetto”.
“La
cosa non so perché dovrebbe
riguardarmi”.
“Era
tanto per parlare. Ma immagino
preferisca altri argomenti. Per esempio..chissà come si sta
divertendo adesso
Hades, con la sua nuova mogliettina. La prima notte di
nozze..”.
“Preferirei
non parlare proprio,
grazie”.
“Meglio
menare le mani, vero?” ghignò
Ares.
“No,
meglio farsi gli affari propri”.
“Sono
affari miei. Hades è mio zio ed
è sempre strano vederlo organizzare feste. Poi quella donna
è davvero uno
schianto. Non certo come la bellissima Dea Aphrodite, ma ci va vicino.
Me la
sbatterei volentieri. Beato Hades”.
“Che
sia beato, ne dubito. Non nel
vero senso del termine. Ma preferirei parlare di altro”.
“Lo
immagino. Però hai visto che era
vestita di bianco? Ma di bianco non vanno le vergini?”.
Saga non
rispose. Un lato della sua
bocca si muoveva a scatti, come in uno strano tic nervoso.
“Quanto
tempo siete stati sposati
prima che crepasse?” insistette ancora Ares.
Nessuna risposta.
“I
problemi sentimentali non li ho
mai capiti” continuò il Dio “Io mi
faccio la mia amante fissa, vado con chi mi
pare e la mia vita scorre liscia come l’olio”.
“Che
ci devo fare io..” protestò
Saga, guardando un punto fisso imprecisato, sforzandosi di non perdere
il
controllo.
“Certo,
magari lui ora avrà quella
femmina sempre vicino e, quando vorrà farsi una bella
scopata, dovrà solo
andare a prendersela. Io, invece, devo
stare attento e non sempre la mia Dea è
disponibile. Sarà per quello..”.
Il Dio
osservò il sacerdote, con un
mezzo sorriso. Aveva un certo autocontrollo quel mortale!
“Non
mi rispondi, eh?” stuzzicò
ancora “Peccato. Volevo
sapere come era
a letto..”.
“Meglio
di quella gran troia di tua
madre e quella vacca di tua sorella” sibilò Saga.
Aveva iniziato a
cambiare colore,
mostrando il lato di nome Arles. Il Dio della guerra osservò
la scena,
compiaciuto.
“Non
offendere mamma Era, che se si
arrabbia sono guai” commentò poi “E le
vengono quegli occhi rossi, tipici della
famiglia”.
“Non
mi interessa” gracchiò Arles
“Voglio solo tornare a casa mia, poggiare il culo nel letto e
dormire. Magari
affogando i dispiaceri con qualche sostanza proibita”.
“Non
capisci? Questi occhi sono un
segno distintivo. Il sangue non mente”.
“Non
so che cosa tu voglia, Dio. Ma
non mi interessa”.
“Allora
avevo ragione?” domandò
Phobos.
“Sì,
mio caro. Anche se,
sinceramente, non riesco a ricordare quando questo sia
successo” annuì,
pensieroso, Ares.
“Senti,
te lo dico subito” interruppe
Arles “Io ho un gemello, Kanon, che non ha gli occhi rossi
come questi e perciò è
inutile che fai discorsi sul sangue della
famiglia”.
“Non
hai mai sentito parlare di
Castore e Polluce?”.
“Mi
prendi per il culo?!”.
“Erano
gemelli, ma uno era figlio di
Zeus e l’altro no. Capisci?”.
“Bello
mio..ho quasi quarant’anni.
Della famiglia non me ne faccio proprio niente. Ho cercato di farmene
una io,
ma non ha funzionato perciò, qualsiasi cosa tu abbia da
dirmi, non mi
interessa!”.
“Arles..posso
chiamarti così? Sto
cominciando a ricordare. Tua madre si chiamava Sophia, vero?”.
“Sì,
da quel che ne so”.
“Allora
la ricordo. Io non vengo
attratto da donne qualsiasi. Lei era una femmina davvero tosta. Non
aveva paura
di me, nemmeno un po’, ed è stata una gran bella
cavalcata”.
“Troppe
informazioni”.
“Ad
ogni modo..non voglio trattenerti
oltre. Volevo solo accertarmi che quel che aveva visto Phobos fosse
reale e non
solo frutto dell’alcol. Chiedo scusa per le botte ricevute da
parte dei tuoi
fratelli, ma noi non sappiamo cosa sia
l’autocontrollo”.
“Non
includetemi nel gruppo”.
Saga,
lentamente, stava riprendendo
il controllo.
“Ti do
un consiglio” riprese Ares
“Non cercare di reprimere un lato di te. Per quanto ti
spaventi, non puoi
fingere che non esista. Poi ci sarebbero tante cose di cui ti vorrei
parlare,
ma vedo che fremi all’idea di tornare a casa. Lo capisco.
Come gran sacerdote,
avrai molto da fare”.
“E tu,
come Dio della guerra,
dovresti fare qualcosa di utile, vista la situazione”.
“Parli
del prossimo conflitto con le
divinità romane? Sì, ho un po’ da fare,
in effetti. Però le mie porte sono
sempre aperte. Specie se hai voglia di una bella scazzottata. O
rispondere a
qualche domanda. Ma oggi credo che tu voglia solo tornare a casa
e..”.
“Signore!”
entrò un uomo armato “Zeus
chiede udienza”.
Ares
fissò Saga per qualche istante e
sorrise di nuovo.
“Devo
andare” disse, congedandosi
“Sei libero di agire come preferisci però ricorda:
ci sono molte cose di cui ti
vorrei parlare. Posso aiutarti con lo sdoppiamento di
personalità, fra l’altro Perciò,
se troverai del tempo, torna pure a trovarci. La prossima volta, te lo
assicuro, nessuno ti picchierà”.
Saga fece per
rispondere, ma il Dio
si era già girato ed allontanato.
Mur si
stiracchiò. Decise di lasciar
dormire quel pigrone di Kiki ancora per un po’, era molto
presto. Si stupì nel
vedere un cavallo nero alle porte del tempio.
“Ciao”
salutò, vedendo che in groppa
stava Saga, con aria un po’ smarrita.
“Buongiorno,
Mur” rispose il
sacerdote.
“Non
so cosa tu ci faccia su un
cavallo, ma ti hanno cercato tutti”.
“Davvero?
Quanto tempo sono stato
via?”.
“Non
ti vediamo dal matrimonio
quindi..sta per sorgere il sole sulla seconda mattina”.
“Ah,
non pensavo..”.
Saga si scosse.
Forse Phobos e Deimos
lo avevano fatto svenire più a lungo di quanto credesse.
“Mi
aiuti a scendere?” borbottò, non
sapendo assolutamente cavalcare.
Mur rise e si
avvicinò, aiutando il
sacerdote a smontare.
“Come
ci sei finito su un cavallo?”
domandò il cavaliere dell’ariete.
“Non
me lo chiedere. Storia lunga.
Ora meglio che torni alla mia casa”.
Senza dare altre
spiegazioni, il
sacerdote salì le scale. Incrociò Kiki, appena
sveglio. Il diciassettenne
mugugnò parole poco rispettose e tornò alle sue
faccende. Aldebaran stava
facendo colazione e salutò con entusiasmo. Molte delle altre
case erano vuote o
con gli occupanti ancora a letto. Giunto alla tredicesima, Saga si
stupì di
trovarvi Atena, Kanon, Aphrodite, Milo, Camus e Shun.
“Che
fate qui?” sbottò il sacerdote.
“E tu
dove sei stato?” rispose Kanon.
“Non
ti deve importare”.
“Stai
bene?” chiese Shun, preoccupato
per la salute mentale del suo paziente.
“No.
Ho bisogno di riposare e di
essere lasciato in pace”.
Svicolò
i presenti, raggiungendo a
fatica la sua camera. Gli altri lo seguirono, cercando di cogliere
più
informazioni possibili.
“Lasciatemi
in pace!” riuscì solo a
dire il padrone di casa, mentre Kanon lo afferrava saldamente per un
braccio.
“Ma
che ti prende? Mi fai
preoccupare” rispose il gemello più piccolo.
“Va
tutto bene”.
“Tu
menti”.
“Sì,
è vero. Ora, scusami, ma ho
bisogno delle mie medicine. Urgentemente. Lasciami in pace”.
“Arles
ti tormenta ancora?”.
“Lui
è qui, sì. Mi tormenta. E tu non
mi aiuti”.
Kanon si arrese
e lasciò la presa.
Saga, barcollando perché non più sorretto dal
fratello, chiuse la porta dietro
di sé. Chiuse a chiave la porta e raggiunse il letto. Si
tolse le vesti,
sporche di sangue dopo le percosse dei gemelli di Ares, e si
guardò allo
specchio. Sospirò. Gli anni passavano per tutti! Dieci anni
fa erano rinchiusi
in quella statua umana, ma a Saga sembrava passato molto più
tempo. Pochi anni
dopo aveva conosciuto Eleonore e poi l’aveva persa. Rivederla
era stato
traumatico, ma solo in quel momento il suo animo pareva percepirlo.
Probabilmente perché solo in quel momento le medicine non
facevano più effetto
ed i sentimenti negativi lo avvolgevano. Si alzò, cercando
le pillole in un
cassetto. Si guardò ancora allo specchio. Fra capelli
bianchi e prime rughe,
provò tristezza e paura. Si affrettò a mandar
giù le medicine, sentendosi quasi
subito meglio. Arles lo insultò, nella mente, mentre quelle
pasticche lo
sottomettevano.
“Scusami”
mormorò Saga, che poi si
gettò a letto e si addormentò, mentre fuori
sorgeva il sole.
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Capitolo 4 *** IV- alleanze ***
IV
L’ALLEANZA
“Ho
vinto!” rise Kanon, gettando
l’ultima carta.
“Che
palle!” storse il naso
Deathmask.
Il cavaliere del
cancro decise di
lasciar perdere. Si alzò di scatto, stiracchiandosi.
“Dove
vai?” lo richiamò Kanon “Mi
annoio. Torna a giocare!”.
“Gioca
a solitario!” sibilò il
cancro, accendendosi una sigaretta.
“Andate
a fare qualche cosa di utile,
ogni tanto!” gridò loro Shaina, appena rientrata
dall’allenamento.
Deathmask la
osservò e le sorrise,
trovandola incantevole con la pelle imperlata di sudore ed i capelli
leggermente in disordine. La donna scosse la testa, stanca di vedere il
suo
uomo bighellonare per buona parte della giornata.
“Vado
a farmi una doccia” si limitò a
dire lei.
“Vuoi
una mano?” si propose
Deathmask.
“Cretino!
Vai ad allenarti!”.
Il cancro ne
guardò il fondoschiena,
finché non svanì alla vista.
“Forse
ha ragione, gambero” suggerì
Kanon “Male non ci farà. O ti pesa troppo il
culo?”.
“Il
mio culo pesa meno del tuo,
vecchio!”.
“Questo
è tutto da dimostrare!”.
Ridendo, i due
uomini iniziarono a
correre lungo le scale del tempio. Era un ottimo allenamento, specie
considerando il notevole peso delle armature.
“Non
ho più l’età per fare queste
cose!” borbottò Kanon “Dove sono le
nuove reclute? Non sarebbe ora che
apparisse qualche piccolo saint?”.
“Sei
sempre che ti lagni!
Riproduciti, così ci sono nuove reclute” gli
rispose Deathmask “Oppure vai in
pensione. O, ancora meglio, torna da Poseidone”.
“Stai
scherzando, vero?”.
Kanon e
Deathmask continuarono a
correre. Cominciarono a cantare filastrocche in stile militare,
prendendosi in
giro. Arrivati alla prima casa, il cavaliere dei gemelli
scattò lateralmente. Si
nascose dietro ad un colonna.
“Mi
hai portato sfiga, granchio
maledetto!” sibilò, mentre Deathmask lo fissava
con aria interrogativa.
Alle porte del
tempio, Poseidone
sorrideva, con accanto
il suo generale
Sorrento. Mur, a conoscenza dell’arrivo del Dio, si
apprestava a guidarlo fino
alla sala del gran sacerdote.
“Cagasotto!”
ridacchiò Deathmask “Ti
nascondi da Poseidone?”.
“Chiudi
la tua fottuta bocca!” lo
additò Kanon “Io e Poseidone abbiamo ancora dei
conti in sospeso e non so come
possa reagire..”.
“Ti
ricordo che ora siamo alleati”
continuò il cancro.
Nel frattempo,
Poseidone stava
iniziando a salire lungo le ripide scale in pietra, passando davanti al
cavaliere del Cancro e la colonna dietro a cui si nascondeva Kanon. Deathmask si
inchinò leggermente, senza
troppa convinzione.
“Buongiorno,
cavaliere della quarta
casa” salutò il Dio “E ciao,
Kanon”.
Il saint dei
Gemelli sobbalzò,
cercando di nascondersi ancora di più.
“Dai,
è andato via” lo rassicurò
Deathmask, dopo qualche istante “Vigliacco, è
passato oltre!”.
“Smettila
di sfottere, surimi
ambulante!”.
Kanon
uscì dal suo nascondiglio e
guardò in su. Poseidone ed Atena alleati? Che idea assurda!
“E che
cosa pensi di fare?” domandò
la Dea della bellezza Aphrodite, stesa bocconi fra cuscini di velluto.
Sollevò
l’elegante piedino nudo verso
l’alto, sorreggendosi il viso con una mano.
“Che
dovrei fare?” le rispose Ares,
steso anche lui a pancia all’aria, sorseggiando vino.
“Beh,
non è una cosa da poco quel che
mi hai detto” continuò lei, allungando la mano
libera verso il petto nudo
dell’amante.
“E
perché? Ne ho tanti di figli. Uno
in più, non mi cambia la vita”.
“Ma
come? Non dovresti ragionare in
questo modo”.
Ares
ruotò gli occhi al cielo. Quella
femmina parlava sempre così tanto! Ed era sempre
così pettegola!
“Io
non ragiono” le rispose, bevendo
ancora.
“L’avevo
capito”.
Il Dio della
guerra sorrise,
guardando la Dea. L’amava alla follia, e spesso commetteva
irripetibili
leggerezze pur di vederla. Questo perché lei era sposata e
il marito non
apprezzava molto le scappatelle della moglie.
“Ed io
quando potrò vedere questo
nuovo arrivato in famiglia?” continuò lei,
fissandosi le unghie smaltate.
“Perché?”.
“Mi
piacciono i bambini”.
“Ma
non è bambino. È un uomo già da
un pezzo”.
“Ah,
meglio. Mi piacciono anche gli
uomini. Più dei bambini”.
Aphrodite
sorrise e Ares non le
rispose. Si limitò a fissarla, senza commentare. Del resto,
non poteva certo
sgridarla. Non era sua moglie, solo la sua amante.
“Dimmi
la verità..” riprese la Dea
“..è carino come te?”.
“Certo
che no. Io sono molto meglio”.
“Lo
dici perché è vero o solo perché
ne sei convinto?”.
“Non
lo so, donna. Io non guardo le
bellezze maschili”.
“Allora
lo verificherò di persona”.
“Era
al matrimonio di Hades”.
“Al
matrimonio di Hades ero impegnata
a fare altro. Di molto più piacevole. Nuda e sudata. Con te.
Non te lo
ricordi?”.
“Me lo
ricordo” ghignò, soddisfatto,
il Dio.
“Mi
dai un bacio, Ares?”.
“Solo
un bacio?”.
“Non
fate caso allo sguardo
spaventato dei miei cavalieri” parlò Atena,
rivolta a Poseidone “Non sono
ancora molto convinti di questa alleanza”.
“Li
posso capire”.
Poseidone, dopo
un elegante baciamano
alla nipote, si apprestò a seguire la padrona di casa. Saga
osservò il Dio in
silenzio, mentre questi attraversava la tredicesima casa.
“Tranquillo,
sacerdote” commentò
Poseidone, non gradendo quello sguardo “Non farò
del male alla tua preziosa
Dea. Siamo alleati, ora, e Zeus non me lo permetterebbe mai”.
“E da
quando chinate la testa
dinnanzi a Zeus?” ribatté Saga.
“Da
quando la guerra ci costringe a
restare uniti”.
“Saga!
Smettila!” ordinò Atena
“Quello sguardo non è appropriato. Sei al cospetto
di un Dio, perciò comportati
di conseguenza”.
“Non
è necessario, mia cara” sorrise
Poseidone “Conosco bene il fratello di quest’uomo.
Se è testardo, orgoglioso e
potente anche solo la metà del suo gemello, posso capire il
perché di quello
sguardo fiero. Anche se è solo un semplice
mortale”.
Saga non
ribatté, capendo che era
meglio evitare. Atena porse il braccio a Poseidone, invitandolo a
seguirla nei
suoi appartamenti, dove avrebbero potuto parlare liberamente.
“Non
preoccuparti, Saga” continuò la
Dea “Non corro alcun pericolo”.
Quando Atena
lasciò la tredicesima,
raggiungendo la sua casa, il gran sacerdote tornò a prendere
posto sul trono.
Nel silenzio, cercò di captare eventuali segnali
d’allarme. Davanti a sé, molti
cavalieri d’oro si erano radunati, un pochino allarmati dalla
presenza di
Poseidone.
“Io
non so come hai fatto a non
spaccargli la faccia” furono le parole del cavaliere dei
Pesci “Con che titolo
può trattare noi mortali in questo modo?”.
“È
un Dio..” tentò di calmarlo Saga.
“E
allora? È insopportabile”.
“Dobbiamo
abituarci. Con questa
alleanza, molte divinità appariranno qui al
tempio”.
“Mi ha
fatto domande assurde”
confessò Mur.
“Per
esempio? Quel vecchio mi sa di
maniaco..” si incuriosì Milo.
“Non
in quel senso! Non mi ha chiesto
niente di perverso però..era curioso! Mi ha fatto domande
sulle armature, sulle
case, sui cavalieri..”.
“Vorrà
più informazioni sui suoi
alleati. Normale” rassicurò Shaka.
“Sì
ma io non ho risposto a tutto. Se
un giorno non saremo più alleati, è meglio
tenerci degli assi nella manica”.
“Hai
fatto bene, Mur” annuì Shura.
“E poi
faceva domande sul cavallo”
riprese l’Ariete.
“Cavallo?
Quale cavallo?” alzò un
sopracciglio Aiolos.
“Quello
nero con cui è arrivato
Saga?” capì Aphrodite, che sapeva un po’
tutto di tutti.
“Sì,
quello. Mi ha fatto domande
assurde su dove venisse, di chi fosse, perché fosse
lì. Gli ho risposto che non
ne avevo idea”.
“Che
voleva sapere?” si incuriosì
Saga “Che ha detto a riguardo?”.
“Si
è messo a vaneggiare dicendo che
è un cavallo di Ares ed io ho risposto che non ha senso che
sia qui il cavallo
di Ares!”.
“Povero
vecchio. Sarà rincoglionito”
scosse la testa Milo.
“L’ho
pensato pure io. E questi ci
dovrebbero aiutare..”.
“Ma
anche se fosse il cavallo di
Ares..” ipotizzò Saga “..a lui che
frega? Non siamo tutti alleati?”.
“Sì
ma Ares è un Dio poco
raccomandabile” gli rispose Aiolos “Anche se
alleato, non è proprio un tipo con
cui avere molto a che fare. È il Dio della guerra spietata,
sanguinaria e di
conquista. Dove passa, lascia dietro di sé una scia di morti
e sofferenza”.
“Segue
il suo ruolo. Non ci si
aspetta da Ares un abbraccio” ribatté Saga.
“Come
non ce lo si aspetta da Arles,
ma questa è un’altra storia”.
“Non
stuzzicarmi, Sagitter”.
“Non
sei in grado di tenerlo a bada,
adesso? Grazie alle medicine di Shun..”.
“Certo.
Ma metti che oggi non abbia
voglia di tenerlo a bada..sono piuttosto nervoso”.
“Lo
immagino. Dovresti trovarti un
hobby”.
“E tu
dovresti farti gli affari tuoi.
È per impicciarti degli affari degli altri che sei morto, la
notte degli
inganni. In caso contrario tu..”.
“Non
continuare. Non voglio sapere
quel che ti passa in quello strano cervello”.
Saga non
rispose. Il suo sguardo non
cambiò e nemmeno la sua espressione.
“Non
abbiate timore alcuno” si fece
sentire, per la prima volta, Sorrento “Il mio signore non ha
intenzioni
cattive, anche se è un gran impiccione. Non cerca punti
deboli per
sconfiggervi, ma per rafforzarvi. Non è saggio lottare a
fianco di chi è
debole”.
“Noi
non siamo deboli!” si indispettì
Ioria.
“Non
ti offendere, Leone! Non volevo
farti arrabbiare..” riprese Sorrento.
“Avremmo
potuto sconfiggere tutti voi
marini in pochi minuti. Se solo Mur avesse lasciato che..”.
“Ancora
con questa storia?” sbuffò
Mur “Ti ho già spiegato perché, quella
volta, ho ordinato a tutti di non
intervenire in soccorso”.
“Speravi
che Seiya e gli altri
morissero?” ipotizzò Aphrodite.
“Ma
no! Lo avevo spiegato. Certe
cose, devono seguire il loro corso. Non era la nostra
battaglia”.
“E se
non fosse nemmeno questa la
nostra battaglia? Come facciamo a saperlo?”
ringhiò il Leone.
“Ma di
che parli?”.
Mur era
sconcertato. Che discorsi
faceva Ioria? E perché nessuno lo capiva? Lui voleva solo il
meglio per il santuario
e questi lo accusavano di cose assurde!
“Ragazzi,
non litigate!” cercò di
calmarli Shaka, senza risultati.
“I
cavalieri di bronzo dovevano
affrontare un dato percorso e quella battaglia spettava a loro,
così come a noi
spettava il compito di abbattere il muro del pianto”
tentò di farsi capire l’Ariete
“Ci sono cose che non possiamo cambiare. Così come
non possiamo cambiare chi
siamo, certe battaglie non le possiamo evitare”.
“Le
persone cambiano” dissentì il
cavaliere della Vergine.
“Se lo
dici tu..però noi siamo nati
cavalieri”.
“Non
è vero. Siamo nati lemuriani,
indiani, italiani, greci, finlandesi, brasiliani e via
dicendo”.
“Ma
avevamo un cosmo! Dentro di noi,
c’era qualcosa di diverso, che ha seguito il suo corso e ci
ha resi ciò che
siamo. Io sono nato per essere cavaliere, Atena è nata per
guidarci..c’è chi
nasce Dio e chi uomo, ma per tutti c’è una strada
da seguire”.
“Ma
che stai farneticando?!”
interruppe Kanon “Son da due case fa che ti sento dire cose
senza senso, Ariete!”.
“Solo
perché una cosa tu non la
capisci..” rispose, pacato, Saga “..non vuol dire
che non abbia un senso. Forse
sei solo tu troppo stupido per capirlo”.
“Fingo
di non aver sentito” si stizzì
Kanon.
“Fingi
pure, non mi interessa”.
“Non
so cosa tu abbia oggi, Saga, ma
mi stai facendo salire la voglia di pestarti”.
“Tanto
sono più forte io”.
“Come
ti permetti?!”.
“Il
gran sacerdote sono io..”.
“Ne
abbiamo già parlato!”.
“Sì.
Ma non serve parlarne. La verità
la sanno tutti”.
Kanon
scattò in avanti, stringendo i
pugni. Saga non cambiò espressione. Seduto sul trono, si
reggeva la testa con
la mano e pareva annoiato. Il gemello era pronto a colpirlo e stava per
raggiungerlo, ma Shun si mise in mezzo. A braccia spalancate, chiuse
gli occhi
temendo il peggio.
“Levati,
finocchio!” ordinò Kanon.
“No!
Calmati, per favore!” supplicò
Shun “La violenza non è necessaria. Sai meglio di
me che tuo fratello Saga ha
dei problemi ed in questo momento non credo sia del tutto se
stesso”.
“Lo so
che mio fratello è pazzo, ma
lo voglio picchiare lo stesso!”.
“Rilassati.
Io e lui dobbiamo
lavorare ancora a lungo prima di trovare una soluzione, specie dopo la
faccenda
di Eleonore. Tu devi cercare di capire che..”.
“Non
è necessario, Shun” lo calmò
Saga “Non ho bisogno di certo che tu mi difenda! Specie da
Kanon..”.
“Ma
io..”.
“Togliti
dai piedi!” quasi gridò
Kanon “Sparisci! Sono faccende fra me e mio
fratello!”.
“Sono
il suo medico. È mio compito
informarti che al momento non è in sé, e me ne
prendo la colpa. Evidentemente,
devo rivedere il trattamento”.
“Vedrai
che, dopo una scazzottata,
passa tutto. Vero, Saga?”.
“Ma
non ti vergogni?!” insistette
Shun “Tu lo dovresti aiutare, invece di stuzzicare il lato
che stiamo cercando
in ogni modo di eliminare!”.
“Se in
dieci anni non sei riuscito a
far fuori Arles, non ci riuscirai mai!”.
“Far
fuori?” si intromise Saga, con
tono stupito.
“Certo.
È questo lo scopo. Lui ti da
le medicine, ed Arles non rompe i coglioni. Di che ti stupisci? Sei
più
rimbambito di quanto sembra. Sei il gemello scemo..”.
“Ma io
non..”.
Saga non sapeva
cosa dire. Era stufo,
però di perdere tempo con
quei discorsi.
Eliminare Arles? Non era sicuro di volerlo veramente. Fra lo stupore
generale,
si alzò. Lasciando il suo posto, mostrando che poco gli
importava di Atena e
della sua incolumità, ignorò i presenti e si
incamminò verso la porta.
“Dove
vai, adesso?” domandò Kanon “Ti
sei offeso? Io sono qui! Dove vai?!”.
“Ho
bisogno di prendere un po’
d’aria. Non aspettarmi in piedi, mammina” rispose
Saga, senza voltarsi e
sbattendo la porta dietro di sé.
“Smettila
di fare la donnina frignona
e alzati!” sbraitò l’uomo “Sei
un guerriero!”.
“Va
bene, non serve gridare!” ribatté
un altro uomo, steso a terra.
Di tutta
risposta, ricevette un altro
poderoso cazzotto in mezzo al petto.
“La
prossima volta, ti giochi le
palle” minacciò il primo.
Molti stavano in
terra, feriti o
sfiniti. Scuotendo il capo, il generale li derideva.
“E tu
che hai da guardare?” sbottò
poi, notando una figura “Ah, sei tu. Bentornato”.
“Sono
solo in visita” rispose Saga,
calmo “Tu sei Phobos? O sei Deimos? Non vi
distinguo”.
“Imparerai
le differenze, vedrai.
Comunque io sono Phobos” ghignò l’uomo
“Sei qui per parlare con padre Ares?”.
“Sono
qui per far tacere una vocina
che avete acceso voialtri”.
“Sei
arrivato fino a qui con il
cavallo?”.
“No.
Io..non so cavalcare”.
“E
perché vi chiamano cavalieri?!”.
“Non
lo so. Ma non so cavalcare”.
“Imparerai
anche questo. Vieni con
me, vedrai che troverai questo luogo piuttosto dilettevole”.
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Capitolo 5 *** V- fratelli ***
V
FRATELLI
“Inaudito”
si lagnava Atena.
“Che
cosa?” chiese Aiolos, seguendo
con lo sguardo la sua Dea, che camminava su e giù lungo il
tappeto rosso della
tredicesima dimora.
“Il
trono” rispose lei, con tono
infastidito “Come vedi, è vuoto”.
“Capita.
Anche Saga ha una vita
privata. Per questo sono qui. La aiuto e la assisto io, mia
Dea”.
“Non
è questo il punto!” sospirò
Atena “Il punto è che io non lo pago per
bighellonare non so dove e non so con
chi”.
“Rilassatevi”.
Anche Aiolos
riteneva del tutto poco
ortodosse le varie ore in cui il gran sacerdote non era presente.
Però cercava
di capirlo. Era un essere umano! Atena non era dello stesso avviso e si
vedeva.
Furiosa, non riusciva a stare calma e cercava l’appoggio del
sagittario, che
però non capiva il motivo di tanto nervosismo. Il cavaliere
si trovava lì
perché al tempio si attendevano visite e la Dea ci teneva a
fare bella figura.
“Mia
signora..” parlò una delle
guardie, entrando nella stanza ed inchinandosi
“..è arrivato”.
“Ancora
non hai imparato a governare
quel povero cavallo?” rise Deimos.
“Mi
odia quel cavallo” ribatté Saga
“E poi è fin da piccolo che ho problemi con gli
equini. Quel coso del Sagittario
è..”.
“Non
la voglio sentire le storia
della tua vita!”.
Saga fece una
boccaccia al cavallo,
che tentò di mangiargli i capelli. Deimos rise ancora,
divertito.
“Piantala
di ridere!” minacciò Saga,
non risultando molto convincente.
“Sono
mesi che ci provi, e ancora non
ci sei riuscito” lo derise ancora il Dio.
“Si
vede che non sono portato per
l’equitazione”.
“Su
questo non c’è dubbio. Però
è imbarazzante.
Ares ha un esercito a cavallo”.
“Atena
no”.
Deimos non disse
altro. Storse il
naso, poco convinto.
“Se
con il cavallo non va, allora è
meglio che lo fai esercitare con altro” si unì
Phobos.
“Guarda
che adesso è il turno tuo!”
protestò Deimos “Sono stufo di fare da
babysitter!”.
“Non
se ne parla! Io ho già fatto le
mie ore da balia”.
“Scusate..”
borbottò Saga, sarcastico,
sentendosi di troppo.
Durante gli
allenamenti con i
gemelli, non riusciva mai a risultare loro pari. Erano delle
divinità sadiche e
potenti ed era evidente che lo vedessero solo come un bambino inesperto.
“Ho
paura di romperlo” ammise Deimos
“Poi chi lo sente papà?”.
“A
papà non credo importi.
Piuttosto..so che doveva parlare con zia Eris”.
Saga, sentendosi
ignorato, cercò di allontanarsi
dai due, per trovare altro da fare. Phobos, senza degnarlo di uno
sguardo, lo
afferrò per i capelli e lo riportò al punto di
partenza.
“Noto
dei miglioramenti in te”
commentò.
“Dici?
Io mi sento sempre uguale”
replicò Saga, toccandosi la testa dolorante.
“Questo
perché non sei esperto di
certe cose”.
“Quali
cose?”.
“Riesci
a controllare molto meglio le
tue personalità”.
“Non
è vero. Poi lo sai che prendo
delle medicine”.
“Cosa
che non dovresti fare”.
“Cosa
che continuerò a fare. Mi
chiedo cosa ci faccia qui. Non fate che picchiarmi ed insultarmi!
Almeno al
grande tempio conto qualcosa..”.
“Conti
talmente tanto, che nessuno di
loro ha notato i cambiamenti in te”.
“Quelli
non li notano mai. Quando
cambiavo colore di capelli, nessuno se ne accorgeva. Così
come non si sono
accorti che per anni ho governato il santuario al posto di
Shion”.
“O non
sono molto svegli, o non
gliene frega nulla. E per me sei qui per questo”.
“Neppure
a voi frega di me!”.
“Vero.
Devi prima dimostrare di
essere un vero guerriero”.
“Come
sarebbe a dire?! Sono un
guerriero da tutta una vita! Ho l’armatura da quando sono
bambino! Che altro
dovrei fare?”.
“Lo
deve stabilire Ares. Ti prenderà
in considerazione solo se ti riterrà
all’altezza”.
“Ma..sono
il gran sacerdote! Che
altro vuole?! Che diventi un Dio? Spiacente, sono mortale!”.
“Lo
sappiamo. I figli delle divinità
hanno lo spiacevole inconveniente di nascere, a volte,
mortali”.
“Resta
ancora da stabilire SE io son
figlio di suddetta divinità..”.
“Vuoi
un test del DNA?”.
“Lui
ha detto che dovevo venire qui,
perché aveva delle cose da dirmi. Diceva di potermi aiutare
con la personalità
capricciosa, ma fin ora perdo solo tempo qui a farmi pestare da voi
due”.
“Ti
parlerà quando ti riterrà
all’altezza, te l’ho detto”.
“Ed
avverrà mai?”.
“Dipende
da te. Secondo me, non ci
metti abbastanza impegno. Da mesi ormai fai la spola dal santuario di
Atena a
qui”.
“E con
questo?”.
“Forse
dovresti impegnarti su una
delle due cose. Se sei felice come gran sacerdote, non ha senso che tu
sia qui.
Se invece non lo sei, perché cazzo ci torni sempre, in quel
dannato posto?”.
“Non
te lo so dire. Sinceramente, non
so da quale delle due parti stia meglio, o peggio”.
“Questo
non è possibile. Sei un
adulto..”.
“Lo so
ma..sarà crisi di mezza età”.
“È
bello rivederti, sorella” salutò
Apollo, inchinandosi leggermente davanti ad Atena.
“Anche
per me è bello rivederti. Ed
averti accanto non come nemico, ma come alleato” sorrise lei.
“Chiedo
perdono per aver cercato di
ucciderti molte volte”.
“Tutto
perdonato. Ora siamo alleati”.
“Eh
già. Anche se io come nemico ho
quel tale Febo che non mi infastidisce per niente..”.
“Nemmeno
a me Minerva ha mai dato
problemi. Però ci hanno spodestati, rubandoci il posto sul
monte Olimpo. È
tempo di riprenderci ciò che è nostro”.
“E che
abbiamo perso da duemila anni.
Sai perché io combatto? Perché hanno osato
toccare mia sorella Artemide!
L’hanno ferita e questo non glielo perdonerò
mai!”.
“Io
invece combatto per impedire che
innocenti vengano coinvolti”.
“Sei
sempre così legata agli umani!
Sei una delle poche divinità che al suo servizio ha dei
mortali e non semidei o
divinità minori”.
“I
miei cavalieri sanno tener testa a
molti semidei, divinità ed affini. Non hanno nulla da
invidiare ai servitori di
altri Dèi”.
“Fa
tenerezza l’affetto che dimostri
nei loro confronti..”.
“Io
sono fiera di loro e sono pronta
a scendere in battaglia al loro fianco, ora che vesto i miei panni
divini, nel
mio vero corpo”.
“Come
tutti noi. Questo è stato un
risveglio non programmato, perciò siamo tutti nei corpi
divini. Peccato. Gli
involucri mortali sono comodi”.
“Ma
sono deboli”.
“Hai
ragione, Dea della saggezza e
della guerra di difesa. State già elaborando una
strategia?”.
“Di
difesa, certo”.
“E di
attacco?”.
“Quello
spetta ad Ares, se ha voglia
di lavorare..”.
Apollo
annuì. Sedette sul trono del
gran sacerdote, con aria pensierosa.
“Dov’è
il tuo sacerdote?” domandò ad
Atena.
“Non
ne ho idea” ammise lei.
“Immagino
voglia evitarmi”.
“Evitarti?”.
“Sì.
L’ultima volta che l’ho visto è
stato al capezzale di Eleonore. Mia sorella Artemide era ferita in modo
grave e
così ho usato molti dei miei poteri e delle mie
capacità per curare lei,
mettendo in secondo piano la sua sacerdotessa. Lei me lo ha fatto
pesare, una
volta guarita. Probabilmente bastava un pizzico di impegno in
più da parte mia
ma, con questa mia decisione, Eleonore è morta ed ora
è la seconda sposa di
Hades. Questo ha creato una forte alleanza, perciò quanto
successo è positivo.
Ovviamente, non mi aspetto che un mortale come Saga possa capire il
punto di
vista divino, ben più alto di quello umano”.
“Perciò
non ti devi stupire se ora ti
odia. Ma non credo ti odi. Ultimamente è sempre
più strano. A questo proposito,
dato che tu sei anche Dio della medicina, vorrei che gli dessi
un’occhiata”.
“È
malato?”.
“Credo
che sia pazzo”.
Apollo rise.
Solo una come Atena
poteva avere un pazzo come gran sacerdote!
Il cavaliere dei
Pesci se ne stava
quasi sempre per conto suo, pur stando perennemente attento a cogliere
ogni
voce del santuario. Per questo, Deathmask del Cancro lo chiamava
simpaticamente
“portinaia”. Quel giorno, però, era
più distratto del solito.
“A che
pensi?”.
Aphrodite
sobbalzò e si voltò di
colpo. Era seduto tranquillamente su quel che restava di una colonna ed
il suo
interlocutore gli dava le spalle. Ruotando e sollevando leggermente la
testa,
il cavaliere dei pesci capì che a parlare era stato Shura.
“Ciao,
Shurino” sorrise Aphrodite.
“Non
chiamarmi così!”.
“Non
ti arrabbiare”.
“Ti ho
fatto una domanda..”.
Il cavaliere dei
Pesci sbadigliò,
annoiato. Fissava il vuoto, giocherellando con una delle sue rose. Da
dove
stava seduto, poteva scorgere molte delle case
del tempio.
“Non
sto pensando a niente..” mentì.
“Ti
conosco, pesciolino. Non puoi
raccontarmi una balla!”.
Il Capricorno
alzò un sopracciglio,
cercando di farsi dire la verità.
“Sto
pensando ad una donna” ammise
Aphrodite, annusando la sua rosa.
“Ah
sì? E perché?”.
“Che
domanda è?! Tu perché pensi ad
una donna?!”.
“Beh
ma..io pensavo che tu fossi..”.
“Fossi
che cosa?!”.
“Pensavo..ti
piacessero gli uomini!”.
“Se mi
piacessero gli uomini..”
ghignò Aphrodite “..ti avrei stuprato da tempo,
Shurino bello!”.
“Non
è un’informazione che ci tenevo
a ricevere!”.
“Hai
un bel culo, volevo farti un
complimento!”.
“Grazie..”.
Shura,
sarcastico, si allontanò
leggermente. Aphrodite
lo osservò con la
coda nell’occhio.
“E chi
sarebbe questa donna?” parlò,
di nuovo, Shura.
“Non
importa”.
“Ma
come? Non è una cosa di tutti i
giorni sentire te che parli di femmine..”.
“Sì,
hai ragione. Ma non ha
importanza. Lei non è disponibile”.
“Dove
l’hai conosciuta?”.
“Al
matrimonio di Hades”.
“Ah.
Ti avevo visto parlare con
Persefone e poi..aspetta! Non sarà mica
Persefone?!”.
Il cavaliere dei
Pesci finse
indifferenza. Continuava a fissare la sua rosa.
“Non
è Persefone, vero?” incalzò
Shura.
“Ma
che ti importa?!”.
“Scordatela!
È la sposa di Hades!”.
“Lo so
bene! Di fatti sono qua, non
da lei. Io non sono quel genere di uomo che se ne sta lì ad
aspettare, se vuole
qualcosa. Mi ha colpito piacevolmente, ma so che non posso pretendere
nulla da
lei”.
“L’ira
e la gelosia di Hades ti
spazzerebbe via”.
“La
smetti? Capretta, lo so bene. Non
sono uno sprovveduto. E nemmeno un ragazzino”.
Shura
sospirò, scuotendo la testa.
Porse una sigaretta al collega, che però la
rifiutò. “Ingiallisce i denti” fu
la giustificazione.
Eris, Dea della
discordia, osservava
divertita i suoi nipoti che si massacravano per fare allenamento. Li
trovava
adorabili. Si avvicinò, incuriosita dall’ultimo
arrivato.
“Ciao,
zia Eris” salutò Deimos.
“È
lui quello nuovo?” domandò lei,
indicando Saga.
“Sì”
rise Phobos “Quello con lo
sguardo smarrito da principessina depressa”.
Eris si
unì alla risata del nipote e
Saga non ribatté.
“Ma
siete sicuri che sia della
famiglia?” continuò la Discordia, mostrandosi
perplessa.
Phobos
annuì e Deimos alzò le spalle.
“Ah,
ma anche tu hai un doppio
volto!” parve capire lei, avvicinandosi al cavaliere.
“Ho
una personalità poco gestibile”
si giustificò Saga.
“No.
Sono due ruoli diversi. Una
volta che comprendi quali sono, è tutto più
semplice”.
“Ruoli?
Sono un essere umano, non una
divinità. Il mio ruolo è fare il gran sacerdote.
E basta”.
“Siete
due persone molto diverse, tu
e l’altro tuo volto. Dovete trovare un equilibrio”.
“Nessun
equilibrio!”.
“Vuoi
sopprimerlo?”.
“No.
Cioè...non so”.
“Phobos!
Deimos!” tuonò Ares,
richiamando a sé i gemelli.
Saga, rimasto
solo con Eris, non
sapeva molto bene come comportarsi. Decise di sedersi, togliendosi le
fasce con
cui si era protetto le nocche ed i polsi per l’allenamento.
“Non
ti spaventare” parlò Eris “Hai
ancora molte cose da imparare”.
“Non
mi sono spaventato”.
“Mi
mostri il tuo altro lato?”.
“Non
posso. Non spunta a comando!”.
“Ah,
è quello il problema!
Tranquillo, posso spiegarti come gestire la cosa. Pure io ho due volti,
anche
se mostro quasi sempre il lato malvagio. Io sono Eris, la discordia,
che
provoca liti e miseria al suo passaggio. Ma sono anche Eris, la buona,
che
stimola l’emulazione fra gli uomini”.
“Cioè?”.
“Un
giorno capirai. La verità è che,
probabilmente, tu e l’altro tuo lato avete delle
capacità diverse e dei gusti
differenti. Dico bene? Per questo che c’è
conflittualità. Ognuno
ha il diritto di esprimersi. Cosa sa fare
Arles meglio di te? E viceversa?”.
“Arles?
Beh..lui è più risoluto e
sadico. Come capacità, credo sia più abile di me
nell’uso delle illusioni
tipiche del cavaliere dei gemelli. Mentre io controllo meglio
l’esplosione
delle galassie”.
“Visto?
Ma c’è qualcosa che sa fare
solo Arles o solo Saga? Per capire meglio i ruoli che potreste
avere..”.
“Non
lo so! Ma come lo capisco?!”.
“Ti do
un consiglio: non combatterlo!
Non sopprimerlo! Lascia che fluisca, quando sente il desiderio di
emergere. Se
non lo combatti, imparerete a controllarvi a vicenda e diventerete di
certo più
forti. Senza il controllo, la forza non conta”.
“Me lo
hanno già detto..”.
“Ed
hanno fatto bene. Ora torna a
casa, la tua Dea sarà in pensiero. Fatti una bella doccia e,
per favore, cerca
di non raderti. Un filo di barba non ti starebbe male”.
“No,
grazie. Sembro un deficiente con
la barba e questa faccia!”.
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Capitolo 6 *** VI- crollo ***
VI
CROLLO
Ares giunse al
tempio di Atena senza
troppe cerimonie. Salì fino alla tredicesima, senza scorta
alcuna. Aveva deciso
di non portare con sé Phobos e Deimos, per non spaventare i
mortali presenti. I
cavalieri d’oro, non sentendosi per nulla sicuri
all’idea di Ares che
scorazzava allegramente per il santuario, raggiunsero la dimora del
gran
sacerdote. Il Dio della guerra, seguendo Atena, camminò in
silenzio ed affiancò
il trono. Incrociò per qualche istante lo sguardo di Saga,
che lo salutò con un
cenno rispettoso del capo. Le due divinità passarono oltre e
raggiunsero la
dimora di Atena.
“Come
fai a restare lì seduto?”
domandò Aiolos.
“E che
altro dovrei fare?” rispose
Saga.
“Controllare
che il Dio della guerra
non faccia casino! Quell’uomo non è..”.
“Non
è un uomo, è un Dio. Ed è meglio
che vi abituate all’idea che Atena discuta con i suoi
alleati, anche se li
abbiamo sempre considerati nemici”.
“Non
resterò qui”.
“E che
pensi di fare? A noi mortali
non è concesso entrare nelle sue stanze. Io posso varcare
solo la prima porta e
discutere con lei in una saletta apposita”.
“Vorrà
dire che sorveglierò
l’esterno”.
Molti dei
cavalieri erano d’accordo
con il Sagittario, mentre altri lo seguirono per noia. Si radunarono
accanto
alla statua della Dea, all’esterno della sacra dimora di
Atena. Erano pronti ad
intervenire, in caso di emergenza. Saga, rimasto solo, scosse la testa:
non
capiva il ragionamento dei suoi colleghi. Si rilassò,
concedendosi un sorso di
vino. Alzandosi, stanco di stare seduto, gemette per le botte di Phobos
e
Deimos. Probabilmente portava segni di quegli scontri anche sul viso,
ma
nessuno degli altri cavalieri pareva farci caso. Evidentemente
perché quasi
nessuno lo guardava negli occhi. O forse perché tutti
pensavano che si fosse
semplicemente scontrato con il gemello Kanon. All’esterno
della tredicesima,
poteva vedere tutte le case. Alzò lo sguardo, verso il
cielo. Era una piacevole
serata, e già le prime stelle iniziavano ad apparire. Il
sacerdote salutò
educatamente venere lucifera, appena accesa nel tramonto. Poi
sobbalzò.
Qualcosa non andava!
“Meglio
che rientri ed avvisi gli
altri” si disse, ma quasi subito una voce nella sua testa lo
fermò.
“Lascia
fare a me!” sbottava quella
voce, convinta.
Saga gemette,
reggendosi la testa.
Cercò di mettere a tacere quella voce e quella
personalità, scoraggiato perché
sperava che le medicine fossero utili. Poi ricordò le parole
di Eris. Lascialo
fluire..non combatterlo..
“Va
bene..” si rassegnò Saga “Staremo
a vedere cosa credi di fare”.
Arles prese il
controllo della
situazione. Si sentiva forte e sicuro. C’erano degli intrusi,
molti intrusi. Ma
le case erano deserte, dato che i cavalieri d’oro erano tutti
riuniti fuori
dalla casa di Atena. Con un ghigno, il sacerdote si
concentrò. I nemici, che
erano sempre più numerosi e formavano un esercito, si
ritrovarono contro un
altro esercito, creato da Arles. Sfruttando la sua capacità
di creare
illusioni, aveva fatto comparire un esercito numeroso come quello
nemico. Si stupì,
per qualche istante, di se stesso. I due eserciti iniziarono a
scontrarsi e
Arles sorrise soddisfatto.
“Non
agitarti, Atena. Non sono qui
per litigare” parlò Ares, seduto comodamente nelle
stanze della Dea e
sorseggiando il vino migliore del tempio.
“Non
sono agitata!” protestò la Dea,
rigirandosi sulla sedia.
“E
così..” riprese lui, interrompendo
il silenzio imbarazzante “..tu vivi qui. Posto carino, si
vede Atene, una
schiera di uomini al tuo servizio..”.
“Grazie,
fratello. Anche se non so
quanto sia tuo desiderio farmi un complimento”.
“Siamo
alleati, anche se la cosa non
ci piace. Perciò sforziamoci di fare i simpatici. E ora
facciamo quello che
tutti si aspettano: parliamo di guerra e strategia”.
“Ottimo.
Non chiedo di meglio..”.
Iniziarono a
parlare fra loro,
studiando il nemico ed eventuali punti deboli. D’un tratto
Ares rizzò la testa,
percependo qualcosa.
“Che
succede?” domandò Atena.
“Non
senti niente?”.
Il Dio
uscì dalla dimora della Dea. I
cavalieri d’oro lo fissarono con aria interrogativa. Ares li
ignorò ed allungò
lo sguardo verso il grande tempio. Dall’alto, capì
che qualcuno stava
attaccando il luogo sacro. Però..
“Presto,
interveniamo!” scattò Ioria,
subito trattenuto dal fratello maggiore, che aveva percepito qualcosa.
“Ma
che succede?” domandò Mur
“Cos’è
quell’esercito che difende il tempio?”.
“Non
esiste quell’esercito” si stupì
Kanon “Si tratta di un’illusione”.
“Un’
illusione?!” esclamò Ares.
“Sì,
mio fratello probabilmente ha
fatto questo e..”.
Non
terminò la frase. Sopra le loro
teste, percepiva molti nemici.
“Mettete
al sicuro Atena!” gridò
Aiolos, preparandosi a combattere.
Arles
continuò a respingere
l’esercito di terra, mentre gli altri gold si occupavano dei
nemici che
attaccavano dall’alto. Mai era stato in grado di creare
così tante illusioni in
una volta, però non aveva previsto dei colpi aerei.
Sentì un boato e guardò in
su: le colonne della tredicesima oscillavano. Allarmato, il sacerdote
cercò di
reagire ma non riusciva a muoversi. Non si era accorto che, attaccando
con le
illusioni, aveva consumato moltissima energia.
Barcollò, e lo stesso fecero le colonne. Si
preparò a sentire la dura
pietra cadergli addosso ma non fu così. Chiuse gli occhi,
sentendo le gambe
cedergli. Era stato uno stupido! Si stava rimproverando, probabilmente
ad alta
voce, quando percepì una mano che gli chiudeva la bocca. Era
tutto buio, parte
della tredicesima casa era crollata e si era alzato un gran polverone.
Disteso,
percepiva una presenza che, accucciata, lo proteggeva. O tentava di
aggredirlo?
“Stai
zitto! Non fare fatica per
niente” si sentì dire.
“Ares?”
si stupì Arles.
Il Dio
sanguinava leggermente, perché
per proteggere il sacerdote gli erano finite addosso delle macerie del
tempio.
Era scuro in volto, probabilmente in collera. Arles tentò di
reagire, ma gli girava
la testa e poi perse i sensi. Ares lo tenne fra le braccia, aspettando
il
silenzio.
“Cosa
è successo?” lo cercò Atena,
non vedendo nulla per colpa della polvere.
Lei
gridò, quando vide che sul trono
del sacerdote era crollato parte del soffitto.
“Avete
respinto i nemici?” domandò
Ares, senza alzarsi.
“Sì”
rispose la Dea “Va tutto bene.
Povera tredicesima casa!”.
“Vi
manderò qualcuno ad aiutarvi a
ricostruirla. Sarà più bella di prima”
rassicurò Ares.
Ancora con
l’espressione di
rimprovero sul viso, si alzò. Con in braccio il gran
sacerdote, raggiunse la
Dea, seguita dai suoi cavalieri d’oro. Atena si
spaventò, vedendo il sangue sul
viso di Ares.
“State
bene?” domandò.
“Ha
solo esagerato” rispose il Dio
“Ed io ho solo qualche graffio”.
“Da
solo ha creato l’illusione di un
intero esercito? Non pensavo riuscisse ad arrivare a tanto”.
“È
in gamba. Non lo sottovalutare”.
Ares poi
alzò lo sguardo verso i
cavalieri d’oro.
“Tu
sei Kanon” parlò ancora il Dio
“Dovresti tenere più sottocchio tuo
fratello”.
“Ma
che vuoi?” ringhiò Kanon,
avvicinandosi ad Ares per riprendersi il gemello.
Il Dio gli
lanciò un’ultima occhiata,
prima di passare lo svenuto a Kanon. Il cavaliere dei gemelli si
riprese Arles
con sospetto. Non si fidava del Dio della guerra, nemmeno un
po’!
“Portalo
nelle mie stanze” propose
Aphrodite “Finché la tredicesima casa non
verrà sistemata”.
“Sei
gentile” annuì Kanon “Ma tu dove
starai?”.
“Io
sto bene. Posso dormire sul
divano. Tuo fratello ha bisogno di riposare in un vero letto. Non ti
preoccupare”.
“Come
ti senti?”.
Saga, riaprendo
gli occhi, vide al
suo capezzale uno dei gemelli di Ares. Era Phobos o Deimos? Lo
guardò ancora.
Aveva l’orecchino a destra, quindi era Phobos.
“Cosa
ci fai qui?” domandò, invece di
rispondere.
“Padre
Arles mi ha mandato a
controllarti. Hai dormito per giorni. Come stai?”.
“Mi
gira un po’ la testa”.
“Sei
un coglione!”.
“Intanto
io da solo ho sconfitto un
intero esercito”.
“E
Ares è molto colpito da questo,
però sei stato comunque un coglione”.
“Non
avevo previsto un attacco
dall’alto. Se non ci fosse stato quell’attacco, me
la sarei cavata benissimo.
Mi sarei stancato, sarei andato a dormire e nessuno si sarebbe manco
accorto di
niente. Sai quante
volte ho combattuto e
poi sono tornato al lavoro, senza che nessuno capisse?”.
“Non
comprendo. Non hai amici che si
preoccupano del tuo stato mentale e fisico?”.
“Ho
lasciato fluire, come mi ha
suggerito la Dea Eris. E sono riuscito a controllare Arles, che ha
annientato i
nemici con il potere delle illusioni”.
“Sei
tu che dici che non sei
migliorato..”.
“Hai
detto agli altri che io e Ares..?”.
“Non
ho spiegato il nostro rapporto
di parentela. Sono affari tuoi, no?”.
“Ti
ringrazio..”.
Saga, messo a
sedere sul letto, si
scosse e cercò di alzarsi.
“Dove
vai?!” tentò di fermarlo
Phobos, con scarso successo.
“Ho un
lavoro, io!” ribatté il
sacerdote, lasciando la camera.
Raggiunse a
fatica il crepidòma del
suo tempio e guardò in su. La tredicesima era quasi del
tutto ricostruita, con
sua somma soddisfazione. Entrò e si stupì nel
vedere Ares, in piedi al centro
della stanza, che osservava il soffitto.
“È
venuto bene” commentò il Dio,
senza degnare di uno sguardo Saga.
“Grazie
per averlo sistemato. Ora il
mio trono non ha più il soffitto su di esso..”
rispose il sacerdote.
“Sei
stato molto avventato”.
“Lo
so, non mi serve la predica”.
“L’avventatezza
è una caratteristica
di famiglia”.
“Lo
terrò a mente..”.
Saga
camminò lentamente e raggiunse
il trono, sedendosi e sospirando. Osservò pure lui il
soffitto, ora decorato ed
affrescato.
“Lo
trovo un po’ troppo pomposo”
commentò Ares “Ma se a te piace..”.
“È
un po’ eccessivo anche per me.
Vedrò poi le mie stanze personali. I nemici sono stati tutti
respinti? E chi
erano?”.
“Tutti
respinti e facevano parte
dell’esercito di
Giove, anche se non so
dirti esattamente sotto quale dei suoi figli”.
“Capisco..”.
“Ma ti
sei almeno minimamente
preoccupato delle conseguenze del tuo gesto?” riprese Ares,
dopo un momento di
silenzio.
“Perché?
Tu pensi mai alle
conseguenze di quel che fai?”.
“Non
spesso. Però, quel che intendo,
è che sei il gran sacerdote. Hai un compito”.
“Se
sei preoccupato per la mia
successione, ti informo che colui che deve prendere il mio posto, in
caso di
mia dipartita, è già stato informato”.
“Pessimista!”.
“Dicesi
previdente. Comunque, spero
che anche voialtri vi facciate delle domande in proposito”.
“A che
proposito?”.
“Discendenza.
Successione. Se dovesse
morire Zeus, chi ne prenderebbe il posto?”.
“Morire
Zeus? Tu stai delirando!”.
“Siamo
in guerra, potrebbe succedere.
Ed in quel caso che accadrebbe? I figli si scannerebbero per stabilire
il
migliore? Si sgretolerebbe la famiglia? Oppure si sa già chi
può prenderne il
posto? Io, nel mio piccolo, ho sistemato la faccenda, evitando
così che si crei
inutile casino al tempio quando non necessario”.
“Ma
così lasci intendere che non sei
necessario, che sei sacrificabile”.
“Non
è così?”.
“Arles..”.
“Sono
Saga”.
Ares fece per
avvicinarsi, quando
entrò Atena. Con un largo sorriso, la Dea parve rassicurata
nel vedere il suo
sacerdote.
“Come
ti senti, Saga? Ti piace la
tredicesima, come è stata sistemata?”
domandò.
“Ho un
po’ di mal di testa, ma
passerà” rispose lui “Ora smettetela di
preoccuparvi per me ed occupatevi della
guerra”.
“Non
fare lo scorbutico”.
“Non
sono scorbutico!”.
“Hai
ringraziato il divino Ares? Ti
ha salvato lui, altrimenti saresti morto schiacciato”.
“Come
uno scarafaggio scemo, lo so.
Grazie, divino Ares”.
“Di
niente. Ma vedi di non rifarlo”
sbottò il Dio della guerra “Non ho certo tempo da
perdere!”.
“Non
ne dubito”.
“Mie
care, credete che ci tocchi
intervenire?” parlava Hades, rivolto alle sue due consorti.
“Nella
guerra? Immagino di sì”
rispose Persefone.
“Ma
qui nessuno è venuto a darci
fastidio. Che ce ne facciamo dell’Olimpo noialtri?”.
“Sì
ma si tratta comunque della
vostra famiglia” si aggiunse Eleonore.
“Siete
voi due la mia famiglia”
sorrise Hades, accarezzando il viso della sua fresca sposa.
“Fiera
di sentire questo, ma non
siamo solo noi. Poi, dovreste pensare al futuro”
continuò lei.
“A che
futuro? Sto nell’oltretomba a
governare su di esso e basta. Non ho grandi prospettive”.
“Intendo
al futuro della famiglia”.
“Continuo
a non seguirti, Eleonore”.
“Parlo
di famiglia che cresce”.
“Una
terza moglie? Per ora non ci
penso..”.
“Non
intendevo questo..”.
Persefone
guardò Eleonore e sorrise,
senza nascondere lo stupore. Hades, invece, continuò a non
capire. Le due donne
scossero la testa, divertite.
“Che
mi nascondete, voi due?”
borbottò il Dio.
“Diventerai
papà, Hades” spiegò
Persefone.
“Sarebbe
la prima volta..” si stupì
lui.
“C’è
sempre una prima volta” sorrise
Eleonore.
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Capitolo 7 *** VII- padri ***
VII
PADRI
“Mi
avete convocato, padre?” si
inginocchiò Ares, dinnanzi a Zeus.
“Sì,
è così” rispose Zeus, seduto su
un immenso trono oro.
Alla sua destra,
sedeva Era. I due
signori degli Dei erano di buon umore, o così sembrava.
“Come
procedono i progetti di
attacco?” domandò Zeus.
“Bene,
padre. Abbiamo già colpito il
nemico in un paio di occasioni. Fin ora, però, senza
risultati rilevanti. Atena
suggerisce di cercare ulteriori informazioni sugli avversari”.
“Le
informazioni non ci servono!” si
spazientì Era, che mal sopportava la Dea della guerra.
“Mi
aspettavo più ferocia da te,
Ares” ammise Zeus “Confesso di essere un
po’ deluso”.
“Ho
avuto qualche contrattempo” si
giustificò Ares “E poi da solo non posso
distruggere l’intero gruppo che ci ha
spodestato”.
“Da
quando tremi di fronte ai
nemici?”.
“Non
tremo! Ma preferirei non
suicidarmi”.
“Facciamo
affidamento sul tuo potere
e sulle tue capacità”.
“Lo
so, padre. Ma..”.
“Adesso
smettila, Zeus” zittì tutti
Era, mettendosi in piedi.
Elegantemente,
la Dea si avvicinò ad
Ares, facendolo alzare. Era adorava Ares, che vedeva sempre come il suo
bambino, e non
sopportava l’idea che
qualcuno lo maltrattasse. Anche se quel qualcuno era Zeus.
“Non
ti crucciare, piccolo mio” parlò
lei, con un tono fin troppo mellifluo “Vedrai che tutto
andrà bene e ti
mostrerai come il grande guerriero che sei”.
“Non
ho bisogno di queste
rassicurazioni, madre!” si scansò Ares, mentre Era
tentava di accarezzarlo.
“Non
ascoltare tuo padre. È solo
nervoso” riprese lei.
“Non
immischiarti, donna” sbottò Zeus
“Vedrai che con Atena risolverà tutto”
Era, gelosa dei
pochi figli avuti con
il padre degli Dèi, e gelosa dei frutti delle numerose
scappatelle del marito,
non poteva sopportare il nome di “Atena”. Sapeva
che quella Dea era stata
concepita in una relazione precedente di Zeus con Metis, ma non la
reggeva
comunque. Irata, lanciò un’occhiataccia al
consorte, con lo sguardo che si
tingeva di rosso.
“Mio
figlio non ha bisogno di aiuto”
commentò lei “Organizzerà i nostri
eserciti e ci porterà alla vittoria anche
senza l’aiuto di quella tua Atena”.
“In
realtà..” riprese Zeus “..avevo
ben altro in mente”.
“Volevo
farti una domanda” parlò il
cavaliere dei Pesci, osservando il gran sacerdote.
“Prego”
rispose Saga, seduto sul suo
trono.
“Riguardo
a quell’uomo che ti ha
sorvegliato mentre stavi male..”.
“Erano
due. Identici, ma erano due”.
“Ah
sì? Beh..immagino valga per tutti
e due!”.
“Cosa
vuoi sapere? Ti passo il numero
di cellulare di uno dei due?”.
“E che
me ne dovrei fare?!”.
Saga
fissò Aphrodite, senza sapere
molto bene che cosa dire.
“Non
sono gay! Perché lo pensate tutti?”
sbottò il cavaliere dei Pesci.
“Non
saprei. Chiedo scusa. Comunque,
che vuoi sapere su quei due?”.
“Sono
i figli di Ares”.
“Lo
so”.
“Come
riesci a reggere il loro
sguardo? I loro occhi rossi sono pieni di odio e terrore, non riesco a
guardarli senza tremare. Ma tu non mi sembri avere problemi”.
“Avevano
gli occhiali da sole, a
volte”.
“Mi
prendi in giro?”.
“Aphrodite,
io non so che cosa dirti”.
“Inoltre..”
riprese il cavaliere dei
Pesci, sfiorando il volto di Saga “..perché hai
tutti questi lividi?”.
“Sono
quasi rimasto sepolto sotto la
tredicesima!”.
“Questi
lividi erano precedenti. Che
combini? Ti sei dato al masochismo? E poi..potresti usare un
po’ di trucco, per
coprire questi segni”.
“Da
quando un cavaliere copre i segni
dei pestaggi?”.
“Da
quando vuole nasconderli”.
“Aphro,
smettila di indagare per
niente”.
“Voglio
sapere la verità!”.
“Sarai
il primo a cui spiegherò ogni
cosa. Ma non ora, ne va della nostra alleanza”.
“Tutto
tranquillo?” domandò Aiolos,
incrociando il fratello lungo le scale del grande tempio.
“Sì,
puoi rilassarti” rispose il
Leone, con un mezzo sorriso.
“Rilassarmi?
Fratello, siamo tutti in
grave pericolo!”.
“Sì
ma adesso è tutto a posto”.
“Potrebbero
attaccarci da un momento
all’altro!”.
“Ho
capito. Ma ora, se non ti
dispiace, vorrei raggiungere la mia casa e starmene un po’ in
pace”.
“Da
quando ti sei sposato, non sei
più te stesso. Ti sei rammollito”.
“Non
è vero!”.
“Certo!
Una volta eri irreprensibile.
Ora, appena puoi, corri a casa”.
“Fratello,
non farmi dire cattiverie,
per favore”.
“Cattiverie?
Sei forse in collera con
me?”.
Ioria
tentò di ignorare il parente,
incamminandosi verso la quinta casa.
“Ioria!”
lo richiamò il Sagittario,
raggiungendolo e toccandogli la spalla.
“Non
voglio mancarti di rispetto,
fratello” iniziò Ioria “Ma sono stanco.
Lasciami riposare in santa pace, almeno
per un po’. Ho finito il giro di ronda, ho il diritto di
concedermi una
dormita”.
“Sicuro
che tu voglia solo dormire?”
protestò Aiolos, con un lieve rimprovero in viso.
“Anche
se volessi restare sveglio a
montare mia moglie per tutta la notte, non sarebbero affari
tuoi!” sibilò
Ioria, che si irritava sempre quando qualcuno parlava male di Marin.
“Ioria!
Non ti riconosco!”.
“Non
so che farci. Sono un uomo
sposato, ma resto comunque fedele al santuario. Che la cosa ti piaccia
oppure
no”.
“La
fede in Atena deve venire prima
di qualsiasi altra cosa, Ioria!”.
“Certo.
Ma amare una donna non mi impedisce
di avere fede. So che non apprezzi. Non hai mai approvato il mio
matrimonio, ma
non so che farci. Io vivo la mia vita, tu la tua. Mi spiace dirtelo
ma..dovresti iniziare a vivere pure tu”.
Atena e Saga
stavano nel pronao del
tempio di lei. L’unico spazio della dimora della Dea in cui
ad un semplice
umano come Saga era concesso mettere piede.
“Non
so..” parlava lei “..forse è una
cosa ingiusta che tu sia limitato a quest’area. Dopotutto,
hai allevato, per un
periodo, il corpo mortale che mi ospitava”.
“Già.
Prima di provare ad ucciderlo,
quel corpo”.
“Dettagli.
Ora sono una Dea, non puoi
uccidermi, e mi stai servendo fedelmente. Reputo la cosa molto
positiva”.
“Perché
mi avete convocato? Cosa
posso fare per voi?”.
“Come
ti senti? Le ferite si sono rimarginate?”.
“Tutto
a tempo debito, mia signora”.
“Bruciano?”.
“Come..?”.
“Bruciano,
quando entri in quella tua
grande vasca per purificarti, prima di raggiungermi?”.
“Signora,
io..”.
“Domando
scusa”.
“Atena!”
si udì una voce “Posso
essere ricevuto? È urgente”.
“Fratello?
Entra pure” rispose lei,
riconoscendo la voce di Ares “Che ti è
capitato?”.
“Sono
appena stato in udienza da
nostro padre Zeus..” spiegò lui, entrando.
Subito il Dio
notò la presenza di
Saga, che fissò con aria interrogativa.
“Va
pure, Saga. Lasciaci soli” invitò
Atena.
“No”
lo fermò Ares “Può sentire pure
lui. Potrebbe interessargli”.
“Va
bene” annuì la Dea “Ma così
non
ci possiamo accomodare e dobbiamo restare
in questo spazio”.
“Va
benissimo”.
“Che
mi dovete dire, fratello?”.
“Nostro
padre ha voluto parlarmi di
alleanze. Vuole consolidare i legami fra le divinità, in
modo da scongiurare
guerre future. Ed ha avuto un’idea
alquanto..bislacca”.
“Come
parlate forbito quando lo
desiderate, Ares!” sorrise Atena.
“Non
mi pareva gentile dire che
secondo me ha avuto un’idea del cazzo. Ad ogni modo, ha
proposto dei
matrimoni”.
“Matrimoni?
Fra chi?”.
“Seguendo
l’esempio del suo
fratellone Hades, che si è sposato la sacerdotessa di
Artemide, ha suggerito
altri esempi simili”.
“Vuole
che facciamo sposare i nostri
sacerdoti?” cercò conferma Atena, guardando Saga.
“Anche.
Però ha citato nomi di
divinità”.
“Ci
sono molti scapoli in famiglia”.
“Esatto.
E tu sai che fra Dei è
normale sposarsi fra fratelli”.
“Siamo
tutti fratelli, bene o
male..”.
“Ho
messo a disposizione i miei
figli, per possibili alleanze”.
“Quindi
io, che sono Dea vergine,
dovrei mettere a disposizione i miei cavalieri?”.
“Immagino
di sì. Ma anche te stessa”.
“Io
sono la Dea vergine!”.
“Lo
so! Te l’ho detto che era un’idea
del cazzo!”.
“E chi
vorrebbe che sposassi?”.
“Meglio
non te lo dica, perché è una
cosa troppo stupida”.
Atena ed Ares
rimasero qualche
istante in silenzio. Si fissarono negli occhi e poi lei fece una
smorfia,
indietreggiando e scuotendo la testa.
“Non
se ne parla! Io non ti
sopporto!” commentò.
“Guarda
che manco a me piace come
idea!” sbottò Ares.
“Inaudito!”.
“Almeno
su questo siamo d’accordo! Ed
io questo ti dovevo dire. Ora posso anche tornare per i fatti miei ad
allenarmi”.
Il Dio si
allontanò in fretta. Saga,
che fin ora era rimasto in silenzio, senza sapere cosa dire, lo
seguì dopo
qualche istante di stordimento. Riuscì a raggiungerlo prima
che se ne andasse.
Già in groppa al suo cavallo, Ares non aveva molta voglia di
ascoltare le lagne
di un depresso.
“Avete
messo a disposizione i vostri
figli?!” parlò il sacerdote, in modo da farsi
udire solo dal Dio.
“Non
è stata un’idea mia” replicò
Ares, impaziente di andarsene.
“Questo
lo so. Però..”.
“Cerca
di recuperare ed ampliare le
forze. Non manca molto al prossimo attacco”.
“Non
cambiate discorso, per favore”.
“Ho di
meglio da fare! Scansati o ti
passo sopra con il cavallo”.
“Non
lo fareste. Non salvate la vita
ad una persona per poi ucciderla”.
“Dipende..”.
“Vi
prego..non fatemi questo”.
“Ci
sono cose peggiori del matrimonio
combinato. Non serve farne un dramma!”.
“Sono
disposto a fare qualsiasi cosa.
Mandatemi pure in prima linea a morire, sono disposto a farlo. Ma non
costringetemi a rivivere certi eventi..”.
“Dovresti
girare pagina. Eleonore ora
è incinta, l’hai ormai persa per sempre”.
Saga rimase
qualche istante in
silenzio, non aspettandosi una notizia simile.
“E
poi..” riprese Ares “..preferisci
il matrimonio combinato da Zeus o la punizione eterna che ti
riserverà se
disobbedisci?”.
“Io so
cosa mi aspetta, una volta
morto. Non è la punizione di Zeus a spaventarmi. Ho tentato
di uccidere Atena,
quindi mi attendono tremendi supplizi per
l’eternità. Non conta quel che potrò
mai fare in futuro, sono condannato perché troppe volte ho
sfidato gli Dèi.
Punizione in più, punizione in meno, non mi
cambia”.
“Certo
che sei proprio un tipo
depresso..”.
“Io vi
supplico. Chiedetemi pure
qualsiasi altra cosa, ma non di legarmi di nuovo a qualcuno. Ho
combattuto per
tutta la vita e so quando ritenermi sconfitto. L’amore mi ha
sconfitto, ha
strappato parte del mio animo e non voglio rivivere tutto questo. Io
non so
amare, non più”.
“Non
si è mai parlato di amore..”.
“Capitemi,
ve ne prego. Sono
rassegnato a tante cose e sono pronto a morire, ma non a quel che
volete da me.
Usatemi pure come marionetta, speditemi contro il nemico che
più vi aggrada,
umiliatemi e punitemi ma..non imponetemi dei legami che non riuscirei a
sopportare e reggere. Ricorderei sempre Eleonore..la mia bellissima
Eleonore..credo che possiate comprendere, essendo voi innamorato della
Dea
Afrodite”.
“Io
devo ancora vagliare tutte le
possibilità. Ma Zeus ha dato un ordine. Atena fa tanto la
difficile ma, per
evitare altre guerre fra noi, non credo che opporrà troppa
resistenza se le
imponessero questo matrimonio”.
“Ma
lei è la Dea vergine! E poi..Ares
ed Atena..”.
“Siamo
entrambi Dei legati alla
guerra. Abbiamo cose in comune..”.
“Sì,
ma..”.
“Tranquillo,
non la dovrai
considerare come una specie di matrigna..”.
“Non
ci stavo proprio pensando!”.
“Arles..”.
“Sono
Saga!”.
“Come
vuoi! Saga, cerca di..”.
“Vi
prego. Farò qualsiasi cosa”.
“Lo
hai già detto!”.
“Io
non sono il tipo che normalmente
supplica le persone. Vi prego..padre..”.
Il sacerdote
aveva chinato il capo.
Ares restò in silenzio, titubante. Il cavallo nero fremette,
impaziente.
“Farò
il possibile” sospirò poi il
Dio, e finalmente si allontanò dal tempio.
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Capitolo 8 *** VIII- amen ***
VIII
AMEN
L’odore
dell’incenso non lo aveva mai
particolarmente apprezzato, però in quel momento non lo
infastidiva. Ad occhi
chiusi, Saga ascoltava le note dell’organo e la splendida
voce che
accompagnava, che cantava l’Ave Maria.
“Come
mai siete qui, sacerdote d
‘Atena?” domandò il prete ortodosso,
riconoscendone le vestigia. Gli si era
affiancato, fra le panche della chiesa, e lo fissava con aria
interrogativa.
“Non
certo per pregare il vostro Dio”
rispose Saga “Bensì per starmene un po’
in pace. Questa musica è meravigliosa”.
“Questa
musica è quella che poi ci
attende in paradiso”.
“Io
non andrò in paradiso”.
“Beh,
non nel paradiso di Nostro
Signore. Ma immagino che la vostra Dea abbia un luogo equivalente dove
far
giungere i suoi santi”.
“Certo.
Ma io non ci andrò”.
“E
perché dite questo?”.
“Perché
ho commesso gravi peccati e
verrò punito”.
“Ma
ora siete pentito delle vostre
azioni passate?”.
“Sì..”.
“E
questo non conta? Nostro Signore
accoglie in paradiso chi si pente e crede in lui”.
“È
così semplice? Intendo dire..uno può
uccidere, umiliare, distruggere ed infangare, ma se poi si pente..viene
ammesso
in paradiso?”.
“Se il
pentimento è sincero, sì. Per
Atena non funziona così?”.
“Certo
che no! Se hai ucciso degli
innocenti, è giusto che tu sia punito per
l’eternità!”.
“Nemmeno
se sei pentito ed
addolorato?”.
“Esatto!”.
“E che
genere di peccati avreste mai
commesso, per meritare la condanna eterna? Siete comunque il gran
sacerdote..”.
“Inenarrabili!
Le fiamme dell’inferno
mi attendono, direste voi”.
“Allora
non vi resta che pregare,
affinché la Dea abbia pietà”.
“La
mia Dea ha pietà. Mi ha
perdonato”.
“Ma
allora..”.
“Allora
non è così semplice. Quanto è
stupido concedere la grazia a chi si pente dopo una vita di misfatti ed
atrocità!”.
“Il
mio Dio è misericordioso”.
“Vai a
dirlo ai primogeniti
d’Egitto..”.
“Ma
questo..non ha niente a che fare
con..”.
“Lasciamo
perdere!”.
“Pagano..”.
“Bigotto!”.
Saga
osservò la statua della madonna,
trovandola molto simile alla sua Dea. Ignorando gli insulti del prete,
lasciò
che alle orecchie giungessero solo le soavi note dell’Ave
Maria.
“Saga!”
lo riportò bruscamente alla
realtà una voce “Che fai?! Dormi?!”.
“Deimos?”.
“No,
sono il re d’Inghilterra!
Muoviti, sta succedendo un casino!”.
“Quella
si è fumata tutto il
fumabile!” protestò Milo.
“Abbassa
la voce!” lo ammonì Camus.
“E
perché? Tanto se ne sta tranquilla
nella sua casetta, lei!”.
“Ma
perché ti agiti tanto?”.
“E me
lo chiedi anche, Camus?! Questa
si sveglia la mattina e ci dice che ci dobbiamo sposare
perché così ha
stabilito. Ma che vuole? Dannata strega!”.
“Milo!”.
“Non
ti adirare, Camus” sorrise Ioria
“Milo è solo nervoso”.
“Non
rompere, Simba!” lo zittì lo
Scorpione.
“Quanto
mi avete rotto le palle
perché avevo deciso di sposarmi?”
continuò il Leone “Quanto mi avete preso in
giro, perché secondo voi facevo una cazzata? E adesso ve la
pigliate in quel
posto. Io ho la mia amata Marin e voi..chissà che razza di
abbinamenti ha in
mente Zeus per voi!”.
“Se
questo è necessario per mantenere
la pace, lo faremo senza troppe storie” parlò
Camus.
“Non
se ne parla!” replicò Milo
“Questo bel figurino che vedi è uno spirito
libero! Io devo volare di fiore in
fiore e farmi tutte le donzelle che voglio, senza uno stupido anello al
dito
che mi rovina la piazza, capito?!”.
“Ma
non sei vecchio per ragionare
ancora così?” storse il naso Ioria.
“Vecchio?
A chi hai dato del vecchio,
felide?”.
“Sgasati,
artropode! Hai passato i
trent’anni!”.
“Pure
tu!”.
“Di
fatti io sono sposato..”.
“E
poi, scusa, se dai del vecchio a
me..a Saga che dici?”.
“Quello
ormai è pensionabile. Ma lo
hai visto? Ha pure i primi capelli bianchi..”.
“Che
succede? Smettila di tirarmi per
la manica!” protestò Saga.
“Muoviti!
Non sai correre più in
fretta?” protestò Deimos.
“Più
di così? No!”.
“Sei
una palla al piede!”.
“Vaffanculo!
Non sono io venuto a
cercare voialtri, ma viceversa!”.
“Non
so per quale motivo! Colpa di
Phobos, come sempre”.
“Cosa
vuoi da me?”.
“C’è
stato un attacco, padre Ares è
impazzito”.
“È
impazzito? E perché chiami me?”.
“Perché
più siamo e meglio è,
credimi!”.
“Ma
cosa è successo?”.
“Hanno
ammazzato Zeus”.
“Cosa?!”.
“Costretti
a sposarvi? Scusate se
rido” sfotté Deathmask.
“Non
hai niente da ridere, tu!” lo
zittì Shaina “Sarebbe anche ora che ti decidessi a
chiedermelo..”.
Il cavaliere del
Cancro la fissò e
deglutì a fatica.
“Non
è possibile!” interruppe tutti
Shaka “Siete sempre in giro a bighellonare!”.
“Ma
che vuoi?!” ringhiò Milo “Torna a
casa tua!”.
“Ha
ragione Aiolos: questo santuario
è pieno di nullafacenti! E adesso tornate alle vostre
postazioni, altro che
perdere tempo qua a discutere”.
“Tu
non puoi farmi la predica,
chiaro?” continuò lo Scorpione “E poi
non dirmi che a te piace l’idea di
sposarti con non so chi”.
“Sono
un asceta. A certe cose io sto
al di sopra”.
“Come
no..”.
“Tornate
a lavorare!”.
“Chiudi
la bocca, Barbie!”.
Shaka stava per
ribattere ma Atena
urlò, zittendo l’intero santuario.
“Dove
eri finito?” gridò Mirina,
rivolta a Deimos.
“Dov’è
papà?” rispose lui.
Il figlio di
Ares era salito a
cavallo e Saga con lui.
“Non
siamo riusciti a fermarlo” parlò
ancora l’amazzone.
“Non
avevo dubbi a riguardo..”.
“Cosa
è successo?” si intromise Saga,
senza capire.
“Nessuno
di noi si aspettava che
attaccassero Zeus, quindi non era sorvegliato e probabilmente lui era
rilassato
e tranquillo. Ma abbiamo sottovalutato il nemico”.
“Idioti..”.
“Zeus
è stato colpito e Ares, che in
quel momento era ospite del genitore, è impazzito e si
è lanciato contro il
nemico. Abbiamo cercato di fermarlo ma è impossibile farlo
ragionare”.
“Quindi
ora siamo solo noi, progenie
del Dio della guerra, contro coloro che sono stati in grado di
ammazzare Zeus?!
Non mi pare un’idea intelligente!”.
“Lo
so. L’idea era impedire a padre
Ares di intervenire”.
“E
come? E poi..dove sono tutti gli
altri?!”.
“Smettila
di lagnarti! Tira fuori le
palle!”.
Saga
guardò in su. I nemici erano
tantissimi, volavano e parevano spuntare da ogni dove.
“Ci
stermineranno!”.
Phobos stava al
fianco del padre e
lottava senza tirarsi indietro. Nonostante la sua notevole forza, non
era però
in grado di respingere i numerosi nemici.
“Ritiratevi!”
gridò Saga “Non siete
in grado di sconfiggere così tanti avversari!”.
“Tornatene
a casa!” gli rispose una
delle amazzoni, punta nell’orgoglio.
“Se
volete morire, non coinvolgetemi
nei vostri progetti!”.
La terra tremava
ed il chiasso si
faceva sempre più insopportabile. Saga tentò di
spedire qualche nemico
nell’altra dimensione.
“Torna
a casa, mortaluccio!” sibilò
una Dea, che lui non riconobbe subito.
Era molto bella
e molto poco vestita.
Probabilmente sfruttava questo per distrarre i nemici di sesso
maschile. Saga,
per qualche istante, fu effettivamente distratto dal ballonzolante
balcone ma
poi si riprese. La Dea gli tirò una poderosa ginocchiata al
ventre ma il
sacerdote rispose subito, con un cazzotto in pieno volto.
“Come
osi deturpare il mio bellissimo
viso?” si lagnò lei “Mi
vendicherò per questo! Morirai!”.
“Ma
fammi il piacere!” si udì di
risposta.
Era Otrera, una
delle regine delle
amazzoni e madre di molte di loro. Odiando particolarmente la Dea in
questione,
Venere, e la sua controparte greca, si sentiva realizzata.
L’aveva trafitta con
molte frecce in una volta, abbattendola. Marte non gradì
questo. Il Dio romano
gridò di rabbia e lanciò un potentissimo attacco,
che colpì in pieno Ares.
“Padre!”
gridò Deimos e Saga lo
trattenne.
I due fratelli
si guardarono negli
occhi qualche istante, mentre Saga lasciava gradatamente il posto ad
Arles.
“Ci
ammazzeranno” commentò Deimos “Se
non ci ritiriamo, moriremo. Siamo troppo pochi”.
“Dove
sono gli altri Dèi?”.
“Non
lo so..”.
I due si
guardarono ancora qualche
istante e poi la battaglia continuò. Marte, pronto a
torturare a morte la sua
controparte greca, si preparò a colpire. Phobos
però si mise in mezzo. Il Dio
romano, senza pietà alcuna, ripartì
all’attacco.
“Morirete
tutti quanti!” tuonò il
nemico, trapassando Phobos con la lancia.
Gli altri figli
tentarono di reagire.
Gli Dei romani espansero il loro potere e contrattaccarono. Ares
spalancò gli
occhi. Steso a terra, ferito gravemente, non poteva muoversi ma
riuscì a vedere
ogni cosa. Vide i suoi avversari crivellare di colpi i suoi figli e
questo lo
fece gridare di rabbia. Però non poteva fare altro, ridotto
com’era.
“Tranquillo,
non soffrirai ancora a
lungo” lo rassicurò una voce ed una spada gli
trapassò il viso “Citando una
religione che va tanto di moda dalle nostre parti: requiescat in pace,
Ares.
Amen”.
Piccola nota: chiedo perdono a
quanti si potranno sentire offesi per la dissacrante visione che ho
della religione. spero non me ne vogliate... Per il resto, ringrazio
coloro che sono giunti fin qui con la lettura ed aspettatevi ancora un
sacco di cose bizzare
|
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Capitolo 9 *** IX- famiglia ***
IX
FAMIGLIA
“È
vero, dunque..” mormorò Poseidone
“Mio fratello minore Zeus è..”.
Era, sposa e
sorella di Zeus, non
riusciva a crederci e rimaneva ferma, in silenzio, con sguardo smarrito
e
confuso. Gli Dèi si stavano radunando nella casa del padre
delle divinità, e
genitore di quasi tutti loro, per porgere gli ultimi saluti.
“Saga!”
quasi gridò Atena,
raggiungendolo ed abbracciandolo.
Il sacerdote
sobbalzò, non
aspettandosi una cosa del genere. Lei piangeva, ripetendo
“padre mio” fra i
singhiozzi. Lui non sapeva cosa dirle.
“Cosa
ci fai qui, Saga?” domandò la
Dea, in lacrime.
“Storia
lunga”.
Lui, con
l’elmo rosso del gran
sacerdote ben calcato in testa, non sapeva da che parte iniziare.
Però doveva
dirle la verità, ormai era il tempo.
“Dove
cazzo eravate tutti quanti voi
mezz’ora fa?” esclamò, infastidito,
Deimos.
Il Dio si
avvicinò a Saga e lo chiamò,
con discrezione. Non capiva bene perché quella Dea stesse
così avvinghiata al
fratellino.
“Cosa
c’è, Deimos?” domandò il
sacerdote.
“Ares
ti vuole vedere”.
“Perché?”.
“Non
lo so. Ma muoviti”.
“Ha
capito quello che ho fatto?”.
“Non
lo so, ti ho detto!”.
“Che
hai fatto?” si allarmò Atena
“Che hai combinato?!”.
Il sacerdote non
rispose e seguì
Deimos, lasciando la sua Dea piuttosto preoccupata.
“Dove
sono i miei figli?” fu la prima
cosa che disse Ares, riaprendo gli occhi.
“Stai
calmo, fratellino” lo ammonì
Apollo “Non sei messo molto bene”.
“Dove
sono i miei figli?”.
“Stai
calmo! Le tue ferite sono
gravi!”.
“Dove
sono? Cosa è successo? Perché
io ricordo una spada che..”.
“Una
cosa alla volta. Ora stai calmo,
o rischi di peggiorare la situazione”.
“Hai
guarito i miei figli? Phobos era
accanto a me e..”.
“Smettila!
Devo sedarti?!”.
“Dimmi
dove sono. Quanti di loro sono
morti? Ti prego, fratello..”.
“Calmati.
Stanno tutti bene”.
“Bene?”.
Phobos
entrò nella stanza, sollevato
nel vedere il padre cosciente. Ares lo guardò, senza capire.
“Ma
io..ti ho visto morire! Eri
accanto a me! Ed anche Deimos, Arles..”.
“Ti
sei sbagliato. Era tutta
un’illusione”.
“Un’illusione?!
Intendi dire che..”.
“Il
piccolo di casa è bravo. Ha fatto
fessi i nemici, convinti di averci uccisi, e così ce la
siamo cavata e siamo
relativamente illesi”.
“Arles
ha fatto una cosa del genere?
Un’illusione che ha imbrogliato non solo me, ma anche tutte
le divinità
nemiche?”.
“Esatto”.
“E
l’illusione da quando è
iniziata?”.
“Dovresti
parlare con lui. Penso da
circa quando sei stato colpito la prima volta da Marte”.
“Ma
quindi state tutti bene?”.
“Sì,
papà. Cerca di rilassarti. Le
tue ferite non sono un’illusione”.
“Sono
morto d’infarto, vacca troia!
Come faccio a rilassarmi?! Credevo vi avessero ammazzati!”.
“Lo
capisco, però..”.
“Chiama
subito Arles. Fallo venire
qui”.
“È
qua fuori, assieme ad Atena”.
“Fallo
venire qui, subito!”.
“Sì,
padre..”.
Piuttosto
spaventato, il gran
sacerdote di Atena era davanti alla porta. Oltre quell’uscio,
suo padre Ares
era steso a letto, con Apollo che si prendeva cura di lui.
“Puoi
entrare” lo invitò Phobos
“Però
ti avviso: non è di buon umore”.
“Lo
immaginavo..”.
Phobos poi
uscì, seguito da Apollo,
lasciando da soli in stanza il padre ed il figlio minore.
“Vieni
vicino a me, Arles” parlò il
padre, a bassa voce.
“Io..”.
“Preferisci
ti chiami Saga? Bene,
Saga, vieni qui!”.
Il sacerdote si
mosse lentamente,
spostandosi dalla parete e camminando nell’ombra. Era
piuttosto spaventato ma
non voleva farlo capire al Dio. Si avvicinò ulteriormente,
sotto richiesta di
Ares. Quando fu abbastanza vicino, il Dio scattò ed
afferrò per l’elmo il
figlio, facendolo chinare. Fissandolo negli occhi, per un tempo che al
sacerdote parve interminabile, non lo lasciò andare. Poi
sorrise, quasi
divertito.
“Occhio
per occhio, ragazzo mio”
ghignò “Mi hai fatto prendere uno
spavento..”.
“Lo
so..io..”.
“Sento
il tuo cuore battere
all’impazzata e percepisco la tua paura. Bene, vuol dire che
qualcosa la so
ancora fare, dopotutto”.
Il Dio si
rilassò, lasciandosi cadere
sul cuscino. Il sacerdote tolse l’elmo, liberando una cascata
di capelli neri. La
capigliatura di Ares, al contrario, si stava schiarendo.
“Ti
dona il nero” commentò il Dio.
“Anche
a te il biondo” ribatté il
mortale.
“Non
sono in collera con te, Arles,
come puoi notare dal prevalere del mio lato meno sanguinario”.
“Ok..”.
“Non
mi correggi? Non mi dici che non
sei Arles, ma Saga?”.
“Fa lo
stesso”.
“Perfetto.
Arles mi è più semplice da
ricordare”.
“Siete
ferito?”.
“Purtroppo
sì, ma non a morte come
pensavo. La tua illusione mi ha salvato. Ci ha salvati tutti”.
“Era
l’unico modo. Mi spiace se
questo non rientra nei canoni del Dio della guerra”.
“Fuggire
quando si è messi alle
strette? È perfettamente nei canoni!”.
“Oh..”.
“Ho
una richiesta da farti,
illusionista..”.
“Illusionista?”.
“Come
vedi..” continuò Ares,
ignorandolo “..io sono ferito. Non riesco a sentirmi le gambe
ed è molto
probabile che non riesca mai più ad usarle nel modo
corretto. È quindi per me
alquanto difficile vendicarmi. Tocca a te, ed ai tuoi fratelli. Vendica
padre
Zeus. Loro hanno preso le mie gambe, voglio le loro teste”.
“E
come credi che possa io, mortale,
accontentarti?”.
“Usa
il drago”.
“Drago?
Quale drago?”.
“Sono
sicuro
che, se ci rifletti, ci arrivi da solo..”.
“No,
non
credo. Siate più chiaro”.
“Usa
il
drago. Stacca la testa a quel figlio di troia di Marte”.
“Ma
quale
drago?”.
Ares
non
rispose. Era stanco, aveva perso molto sangue.
“Quale
drago?!” insistette il sacerdote.
“Lo
capirai,
ne sono sicuro” mormorò Ares “Dentro di
te, la sai la verità. Siamo simili. Non
combattere la tua natura, che di cose da combattere là fuori
ce ne sono troppe,
senza dover anche lottare contro sé stessi”.
“Avete
ragione. Ma..”.
“Gli
uomini sono di due tipi, Arles. Il primo tipo
vive la propria vita lasciandosi guidare dalla corrente, come
veleggiando su un
fiume. Placido, tranquillo, probabilmente vedrà accadere
molte cose ma poche di
queste lo toccheranno per davvero. Accumulerà saggezza ed
anni di esistenza e
solo raramente mostrerà la sua presenza, la sua ira.
Probabilmente per molti
passerà del tutto inosservato, senza né gloria
né infamia. Il secondo tipo è
molto diverso. Esso attende e cresce, nascondendo
dentro sé capacità ed
energia. Poi, di colpo, sboccia come un fiore. In mezzo al verde del
prato
dell'avvenire, si espanderanno i suoi colori e tutti vedranno il suo
splendore
e la sua grandezza. Purtroppo, però, presto
sfiorirà, appassirà e morirà.
Sarà
effimero, seppure magnifico. Quanti di questi fiori vedrà
mai l'uomo che sceglie
di vivere come il fiume? Ed avrà mai rimpianti,
perché nessuno noterà quei
colori? E tu che uomo sei? Cerchi forse di convincermi che, prima di
appassire,
vuoi tentare di salire su quella zattera sgangherata che ti
porterà fino alla
foce della morte? O forse i tuoi veri colori ancora non li ha visti
nessuno?"
“Non
capisco..”.
“Capirai.
Ora, per favore, vorrei riposare”.
Il mortale
annuì. Con l’elmo stretto
fra le mani, lasciò la stanza. Più di qualcuno lo
osservò con aria stranita,
notandone l’aspetto. Lui non ci fece caso e cercò
con lo sguardo i suoi
fratelli.
“Saga!”
si sentì chiamare.
Al suo fianco,
Atena lo stava
fissando. Si capiva che era lievemente spaventata e confusa. Dietro di
lei
c’era Kanon, colui che l’aveva accompagnata fino a
quel luogo.
“Cosa
fai tu qui, Kanon?” domandò il
sacerdote.
“Potrei
farti la stessa domanda”
rispose lui “Assieme a tante altre”.
“Volevo
parlarvene”.
“E
quando? Fra me e te non dovrebbero
esserci segreti”.
“Hei,
siamo gemelli, non compagni di
vita! Per quel che mi riguarda, puoi avere tutti i segreti che
vuoi!”.
“Ma
non un segreto così grande!”.
“Da
quando lo sai?” si intromise
Atena “Da quando sai di essere figlio di..?”.
“Da
subito dopo il matrimonio di
Hades ed Eleonore. È passato un po’ di tempo. Ma
non sapevo come dirlo. Non ero
nemmeno sicuro”.
“Ora
lo sei?”.
“Sì,
mia signora”.
Atena rimase in
silenzio, qualche
istante, a capo chino. Poi risollevò lo sguardo.
“Come
sta?” domandò “Il divino Ares,
come sta? Ha ferite gravi?”.
“Pare
non possa più camminare”.
“Ares
è stato ridotto così male?” si
stupì Kanon.
“Erano
in molti i nemici. Mi stupisco
che sia ancora vivo. Marte è noto per la sua ferocia,
esattamente come Ares.
Come sono andate le cose?” parlò ancora la Dea.
“Ve lo
spiegherò” rassicurò il
sacerdote “Ma ora vorrei riposarmi e riflettere”.
“Che
ti ha detto Ares? Qualche
notizia importante?”.
“Mi ha
chiesto la testa di Marte, per
vendicare Zeus”.
“Anche
la somma Era ha espresso lo
stesso desiderio”.
“Lo
immaginavo..”.
“Ed
anch’io faccio lo stesso..”.
Sacerdote e
divinità si fissarono.
Lui non si aspettava una rivelazione del genere.
“È
tempo di smetterla di difenderci.
È tempo di combattere” annuì lei
“Nessuno può uccidere il mio amato padre,
ferire fratello Ares e sperare di passarla liscia”.
“Anche
loro hanno subito delle
perdite”.
“Non
abbastanza..”.
“Adesso
calmatevi, mia signora. È la
rabbia che vi fa parlare”.
Atena
scoppiò a piangere di nuovo,
non sapendo che altro fare. Kanon le poggiò una mano sulla
spalla, piuttosto
impacciato con le donzelle disperate.
“Cosa
fai ancora qui?” sbottò Era,
fissando il sacerdote “Mio figlio ti ha dato un ordine, mi
sembra”.
“Sì,
è così. Ma..”.
“Niente
ma! I tuoi fratelli sono pronti
a trovare una strategia di offesa. Il tuo posto non è qui a
cianciare con
divinità piagnucolanti”.
“Signora,
io sono solo un mortale. E
poi il drago di cui mi ha parlato Ares..”.
“Il
mio adorato marito è stato
ucciso. Il mio amato figlio è gravemente ferito. Ma tu lo
hai salvato, ne sei
stato in grado. Questo ti eleva in alto. Mortale, ma al pari di grandi
eroi del
passato, tuoi fratelli. Non avere pietà alcuna ed io ti
prometto che l’inferno
che tanto temi per te non arriverà”.
“Vi
ringrazio, divina Era”.
“E tu,
Atena, non piangere. Reagisci
e combatti. Sei la Dea della guerra, non delle lagne!”.
“Chiedo
scusa, avete ragione” annuì
lei.
“Zeus
avrebbe voluto questo. I romani
ci hanno soppiantati e sì, è vero, per anni non
abbiamo fatto nulla. Senza reagire,
ci siamo lasciati sopraffare nei secoli e ora è giunto il
momento di tornare
sull’Olimpo e prendere a calci nel culo questi stronzi, che
hanno copiato i
nostri ruoli e rubato la fede che ci spettava. È tempo di
reagire, figli miei.
Vecchie e nuove generazioni, troveranno un modo”.
Molte
divinità annuirono. Phobos e
Deimos capirono che, con il padre ferito, toccava a loro guidare gli
eserciti,
pur non volendolo. Fra la folla, videro la Dea della bellezza Afrodite,
loro
madre, con accanto altri loro fratelli: i gemelli Eros ed Anteros e la
bellissima Armonia. Tutti i figli di Ares e della Dea più
bella, si lanciavano
sguardi preoccupati. Vicini l’uno all’altro, si
rivedevano nello stesso posto
dopo tanto tempo.
“Ci
siamo tutti?” domandò Eros.
“Mancano
un paio di amazzoni e colui
che ha sempre di meglio da fare” rispose Deimos.
“Intendi
Priapo? Accetterai che, fra
fare la guerra e fare sesso, sia meglio al seconda opzione!”.
“Spero
gli bombardino il culo! O quel
suo cazzo sempre per aria”.
“Sei
sempre così acido, Deimos!”.
“Ma
stai zitto, Pokemon!”.
“Io
non sono un Pokemon! Lo dirò alla
mamma..”.
“E
piantatela!” interruppe Anteros
“Piuttosto..quello vicino ad Atena è quello
nuovo?”.
“Sì,
è lui” confermò Phobos.
“Come
lo inquadri? È valido?”.
“Sa il
fatto suo”.
“Detto
da te, è un gran complimento”.
Eros, il
più curioso della compagnia,
senza alcun contegno mise un braccio attorno al collo di Saga, che
stava ancora
discutendo con Kanon.
“Smettila
di perderti i chiacchiere”
interruppe il Dio dell’amore “Dobbiamo
parlare!”.
“Non
vedi che sta già parlando con
me?!” sbottò Kanon “Sparisci!”.
“E tu
chi saresti, scusa?”.
“Kanon,
il mio gemello” spiegò il
sacerdote.
“Ah,
ma allora pure tu sei della
famiglia!”.
“No!”.
“A
volte capita, sai? Ma sempre
l’altro gemello è dotato di notevoli
capacità. Quindi potresti risultare molto
utile”.
“Potresti
lasciarmi? Ci conosciamo?”
protestò Saga.
“Scusami,
hai ragione! Sono Eros, Dio
dell’Amore e tuo fratello maggiore. Come butta?”.
“Sta
lontano da me, tu e le tue
frecce”.
“Oh..ok.
Beh..volevo scusarmi, sai?”.
“Scusarti?”.
“Sì,
per la faccenda di Eleonore. Mi
sono così incazzato! Non sai quanto sia difficile trovare
abbinamenti perfetti,
non mi vengono quasi mai, ma
in quel
caso ci ero riuscito. Però hanno rovinato tutto. La cosa mi
ha fatto davvero
girare le palle! Non era così che volevo andasse. Mi
dispiace”.
“Non
sei stato tu ad ucciderla,
giusto? Solo che gradirei non avere a che fare con il sentimento che
governi,
d’ora in poi”.
“Come
preferisci. Ma, tornando a
noi..chi è tua madre?”.
“Non
lo so”.
“Non
è una Dea?”.
“No”.
“Ah,
ecco perché sei mortale!
Controllerò fra le mie liste. Papà Ares ha buon
gusto. Si scopa solo le più
belle e quindi di certo tua madre sarà stata una gran bella
topa!”.
“Hei!”
si indispettirono, in coro,
Saga e Kanon.
“Scusate,
mio fratello è ubriaco”
interruppe Anteros “Parlando di cose serie..che ti ha detto
papà Ares? Qualcosa
di utile per la battaglia?”.
“Mi ha
detto che devo usare il drago”
rispose il sacerdote.
“Drago?
Quale drago?”.
“Esattamente
quel che ho detto pure
io”.
“Non
hai un drago?”.
“No.
L’unico drago che conosco è lui,
che sotto Poseidone aveva l’armatura del dragone del mare. Ma
non credo che
intenda questo..”.
“E
perché no?! Brandisci il mortale!”
rise Eros, prima di prendersi uno scappellotto dal gemello.
“Forse
intende l’armatura” ipotizzò
Anteros.
“Quale
armatura?” domandò Kanon,
incuriosito.
“Phobos
e Deimos, ed Ares ovviamente,
combattono indossando armature chiamate draghi. Non so..forse ne hanno
una
anche per il nuovo arrivato”.
“E
dove?”.
“Non
lo so. Lo scoprirai”.
“E se
non lo scoprissi?”.
“Cazzi
acidi per te. La tua armatura
d’oro contro tanti Dèi non
servirà”.
“Senza
contare che l’armatura d’oro
adesso è mia!” specificò Kanon.
“Ancora
meglio. Cazzi doppiamente
acidi!”.
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Capitolo 10 *** X- la bambina ed il drago ***
X
LA BAMBINA
ED IL DRAGO
“Ma
guarda un po’ chi
si è svegliato” ridacchiò Eros.
“Mi
sono
addormentato?” biascicò Saga, alzandosi dal
divanetto su cui si era ritrovato.
“Esatto.
Ma è normale”
lo giustificò Phobos “Hai usato molta energia. E,
a proposito, ti devo
ringraziare per quel che hai fatto”.
“Ho
salvato Ares, così
come lui aveva salvato me. Ora siamo pari”.
“Ed io
e te siamo in
debito”.
“Troverò
il modo di
farmi ripagare”.
“Perfetto.
Intanto
alzati”.
Assonnato, il
sacerdote sbadigliò. Aveva un po’ di mal di testa.
“Abbiamo
un ostaggio!”
sorrise Deimos “Uno dei nemici è in mano nostra.
Però non collabora”.
“Nonostante
le vostre
torture?” si stupì Saga.
“Già.
È uno degli
adepti di Marte, penso sia abituato”.
“E non
avete un
qualche tipo di controllo mentale?”.
“No,
tu sì?”.
“Ovvio.
Come ogni gran
sacerdote”.
“Proviamo,
allora. Se
hai energie ha sufficienza”.
“Mi
sento come un
ragazzino. Ho energia da vendere”.
“Merito
del tuo lato
divino. Stai ringiovanendo, lo avrai notato”.
“Portatemi
dal
prigioniero. Vediamo quel che posso fare”.
Il piccolo
gruppo di fratelli si
incamminò lungo il corridoio. Si faceva sempre
più buio, man mano che
scendevano lungo le scale in pietra. In quello che sembrava uno
scantinato, si
udivano le urla del prigioniero, che pretendeva la libertà.
“Chiudi
la bocca!” minacciò una
guardia.
L’ostaggio
era stato legato con delle
catene, che lo tenevano bloccato al muro. Ringhiava, irato. Nessuno dei
figli
di Ares si fece impressionare.
“Cosa
vuoi?” chiese il prigioniero.
“Niente
di che” rispose Saga.
“Non
vi dirò niente, inutile che
arriviate qui tutti insieme!”.
“Staremo
a vedere” mormorò il
sacerdote, puntando il dito contro l’ostaggio.
Questi
sobbalzò, percependo qualcosa.
Sentì un lieve rivolo di sangue scorrergli sulla fronte.
Sorrise, divertito.
“Non
l’ho nemmeno sentito. Cos’era
quello? Un attacco?” sfotté.
Il sacerdote non
rispose. Rimase a
braccia incrociate a fissarlo. Di colpo, il prigioniero smise di
sorridere e
spalancò gli occhi. Iniziò a guardarsi attorno,
spaventato, e gridare in cerca
d’aiuto.
“Mandateli
via!” urlava, agitandosi e
vedendo cose inesistenti.
“Che
succede?” mormorò Phobos.
“Si
chiama Genro Mao Ken” spiegò saga
“Piega la mente. Costringe chi ne viene colpito a fare
ciò che ordina chi lo ha
lanciato. Il tutto
ben condito da
immagini insensate, per costringere questo qui a dirci quel che
vogliamo”.
“Mandateli
via!” gridò ancora
l’ostaggio.
“Li
manderemo via tutti” rispose il
sacerdote “Ma prima devi dirci tutto quello che vogliamo
sapere”.
“Mai!”.
“Benissimo..”.
Le visioni nella
testa dell’ostaggio
si fecero più spaventose e le suppliche della vittima
più insistenti. Alla fine
crollò e cadde in ginocchio.
“Parla,
servo di Marte. Qual è la
vostra strategia?” scandì bene Saga.
“Se
parlo, voi mi salvate?”.
“Certo.
Sarai salvo, se parlerai”.
“Il
nostro scopo è uccidere gli Dèi
della guerra. Con Ares ed Atena fuori gioco, la battaglia è
vinta. Ares ce lo
siamo già tolto dai piedi, la prossima è
Atena”.
“Capisco..”.
Saga trattenne
un sorriso. I nemici
erano convinti che il padre fosse morto. Ottimo! Era un buon punto a
loro
vantaggio. Soddisfatto dalle informazioni ricevute, fece per andarsene,
seguito
dai fratelli. L’ostaggio gridò.
“Aspetta!
Mi dovevi aiutare!
Salvatemi!” supplicò l’incatenato, in
preda al delirio.
Ed il sacerdote
lo ignorò.
In riva al mare,
fra gli scogli, il
Dio si era rifugiato per fasciarsi le ferite. Lontano da sguardi
indiscreti,
Ares gemette. L’odore salmastro della spiaggia gli riempiva i
polmoni. Nel
silenzio, sentì cantare. Allungando il collo, vide una
figura vestita di
bianco. Il Dio capì che si trattava di una donna, dai lunghi
capelli dello
stesso colore dell’acqua. La divinità
cercò di avvicinarsi con discrezione, ma
sotto il suo peso uno degli scogli si sgretolò e lui cadde
in terra. Con la
faccia sulla sabbia, guardò in su. La donna lo stava
fissando, leggermente
preoccupata.
“Vi
siete fatto male?” domandò lei.
“Ma
no, figuriamoci. Per così poco”
si affrettò a dire lui, rialzandosi.
“Siete
ferito!”.
“Sì,
solo qualche graffietto”.
“Sanguinate”.
“Non
ve ne preoccupate.
Piuttosto..cosa fate qui, da sola?”.
“Mio
fratello è un marinaio, ma la
sua nave non è rientrata”.
“Mi
dispiace. Poseidone è un gran
bastardo, quando ci si mette”.
“Poseidone?
Siamo nel ventesimo
secolo, credete ancora in queste cose?”.
“Meglio
non rischiare di offendere
qualcuno, mia cara. Qual è il vostro nome?”.
“Sophia.
E il vostro?”.
“Ares”.
“Ares?
Come il Dio della guerra?”.
“Ares.
Il Dio della guerra”.
“Mi
prendete in giro? Non credo a
queste cose”.
“Siete
una fiera donna moderna”.
“E voi
uno strano uomo”.
“Non
vi spavento, Sophia?”.
Lei lo
osservò meglio. Gli occhi
rossi del Dio fiammeggiavano. Sophia rimase qualche istante in
silenzio,
titubante. Poi sorrise.
“Siete
una donna coraggiosa”.
“Sono
una donna fiera. Non tremo
dinnanzi ad uno sguardo”.
Ares sorrise a
sua volta, ma poi
sobbalzò. Le ferite lo infastidivano. Sophia gli si
avvicinò.
“Lasciate
che vi aiuti” si propose,
sfiorando il braccio del Dio.
Ares, non
abituato a certi contatti,
se non da parte di Afrodite, si stupì. I due si guardarono
negli occhi e lo
sguardo della divinità mutò. Ora non era
più rosso ma verde smeraldo.
Il ferito si
risvegliò, sorridendo.
“Hai
fatto un bel sogno?” domandò
Apollo, vedendolo di buon umore.
“Sì”
ammise Ares “Era un ricordo passato”.
“Gente
morta, torturata e
massacrata?”.
“No.
Ho sognato la notte in cui sono
stati concepiti Saga e Kanon”.
“Interessante.
Non voglio i dettagli,
grazie”.
“Non
ho intenzione di fornirteli!”.
“Perfetto!
Però quei due mi sembrano
in gamba”.
“Sto
cercando di capire se anche
quell’altro, Kanon, sia figlio mio”.
“Che
lo sia o no, non importa. È un
forte guerriero”.
“Lo
so. Ma anche gli altri cavalieri
d’oro lo sono. Non sono certo tutti figli miei!”.
“Sarebbe
interessante..”.
“Ah,
sì..”.
“Parlando
di cose serie..come stai?
Qualche miglioramento con la mobilità delle
gambe?”.
“Continuo
a non sentirle”.
“Mi
spiace. Sto facendo il
possibile”.
“Lo
so. Mamma Era come sta? Sarà in
pensiero e disperata, dopo la morte di padre Zeus”.
“Non
è mia madre. Però è sconvolta,
arrabbiata ed in pensiero per te”.
“E
tutti gli altri?”.
“Li
definirei..smarriti. Nessuno si
aspettava una cosa del genere”.
“Aveva
ragione Saga. Dovevamo pensare
ad ogni eventualità. Ora che padre Zeus è morto,
chi prenderà il suo posto?”.
“Beh,
come figlio maggiore, credo
spetti a me..”.
“Scordatelo,
Pollo! Non mi farò mai
comandare da te!”.
“Pollo?!
Il mio nome è Apollo, porta
rispetto!”.
“Pollo
è più corto”.
“Ma
stai zitto, fiordaliso!”.
“Non
puoi sfottermi a vita per
questo! Sì, va bene, sono nato da un fiordaliso quando mamma
Era lo ha toccato,
ma..”.
“Per
un Dio della guerra è
imbarazzante alquanto”.
“Ma
pensa a Giacinto, va..”.
“Non
rivangare!”.
“Sarò
anche nato da un fiore, ma
almeno non mi sono invaghito di un ragazzino. E nessuna delle mie donne
è mai
stata trasformata in albero, pianta o quant’altro”.
“Questo
perché tu pensi alla guerra,
mentre io prediligo l’amore”.
“Ti
devo forse ricordare che Eros è
figlio mio?”.
“Già.
Frutto dell’insana passione che
Afrodite nutre per te”.
“Invidia
la tua. Tutta invidia”.
“Tu lo
sai che tutti gli olimpici ti
odiano, vero? Ti cercano solo se devono combattere”.
“Pazienza.
Vivo in Tracia anche per
questo”.
“Torna
a dormire, va”.
“Non
sono stanco. Dov’è Atena? Direi
che è meglio discutere di guerra”.
“E che
pensi di fare, conciato così?
Nemmeno stai in piedi”.
“Da
quando per parlare servono le
gambe?!”.
“Come
vuoi. Vedo dov’è”.
“Ora
che Zeus è morto..” rifletté
Milo “..noi siamo liberi, giusto? Nel senso, ora non siamo
più obbligati a
sposarci. Era lui che aveva queste idee..”.
“Milo!”
lo zittì Camus, guardando
prima il cavaliere e poi Atena, cercando di fargli capire che non era
rispettoso il suo discorso.
Lo Scorpione non
capì e fissò tutti
con aria stranita. Qual era il problema?
“Non
te lo so dire, Milo” rispose la
Dea “Sono altre le questioni, adesso. Certo è, che
se mio padre aveva certi
desideri, immagino sia stato per un motivo”.
“Capisco..”
mentì il cavaliere, poco
convinto.
“Stasera
torneremo al grande tempio,
miei saint. Pazientate ancora qualche istante”
spiegò Atena.
“Prendetevi
pure tutto il tempo che
ritenete necessario” le disse Aiolos “Avete subito
un grave lutto, mia
signora”.
“Di
lutti ne ho vissuti tantissimi,
non crucciatevi per me”.
La Dea si
stupì nel veder apparire
Apollo davanti a
sé. Con un inchino, il
Dio del sole invitò la sorella di seguirlo.
“Ares
chiede udienza” spiegò lui.
“Lo
immaginavo. Era mia intenzione
parlare ancora con lui prima di partire”.
La bambina
osservava Saga e Saga
ricambiava lo sguardo. Da
dove era
venuta? E che cosa voleva? Stavano entrambi seduti accanto ad un
tavolo. Lei
aveva davanti un piatto colmo di cibo, che però non toccava.
“Che
capelli belli che hai” commentò
la bambina.
“Ti
ringrazio”.
“Posso
farti le trecce?”.
“No.
Ma se vuoi ti faccio conoscere
qualche cavaliere felice di farsi torturare”.
“I
tuoi sono più belli”.
“E
come lo sai? Non li hai visti i
capelli di chi penso io”.
“Mmm..ok”.
“Chi
sei? Non ricordo bambini alla
casa di Zeus”.
“Non
sono della casa di Zeus. Sono
romana, hanno catturato me e mio fratello”.
“Tuo
fratello è piccolo?”.
“No,
è grande. Molto grande! È un
soldato”.
“Capisco..”.
Saga si
ammutolì. Evidentemente stava
parlando dell’ostaggio torturato poco fa. Molto probabilmente
era morto.
“Ed i
tuoi genitori?” domandò il
sacerdote.
“Non
ho genitori”.
“Sei
orfana? Sei sola?”.
“Ho
mio fratello”.
“Non
so se sarà più così, d’ora
in
poi..”.
“E
perché?”.
“La
guerra se l’è portato via, temo”.
“Cosa?!”.
La bambina
rimase in silenzio.
Guardò, con grandi occhi sempre più tristi, Saga.
il sacerdote tentò di
ignorarla ma non ci riuscì.
“Mi
dispiace” le disse.
“Non
è vero. Tu sei un greco, non ti
importa se muore un romano!” pianse lei.
“Ma mi
dispiace quando una bambina
resta sola, greca o romana che sia, perché per mano mia
molti orfani camminano
per questo mondo”.
“Sei
cattivo?”.
“Sì”.
“Non
sembri cattivo”.
“L’apparenza
inganna, piccola”.
“Ucciderai
anche me?”.
“No,
non uccido i bambini”.
“Allora
non sei cattivo”.
“Uccido
le loro madri, i loro padri,
i loro fratelli e sorelle. Sono un assassino. Ti consiglio di trovare
un’altra
persona da definire buona”.
“Non
ho detto che sei buono. Ho detto
che non sei cattivo”.
“Non
fa differenza”.
“Fa
molta differenza!”.
“Se ne
sei sicura..”.
“Posso
venire via con te? Non voglio
stare qui”.
“Io
non vado in un posto per
bambini”.
“Questo
è un posto per bambini?”.
Il sacerdote
fissò la piccola, senza
sapere come ribattere.
“Da
quanto tempo sei qui?” le
domandò.
“Non
lo so”.
“Perché
non mangi?”.
“Non
ho fame”.
“Devi
mangiare. O ti ammalerai”.
“Non
ho fame!”.
“Facciamo
così: tu mangi ed io ti
concedo di farmi le trecce”.
“E poi
mi porti via con te?”.
“Vedremo”.
“Hai
dei nastri? Per i capelli..”.
“No.
Ma il mio amico Aphrodite ha
tante cose belle. Però prima devi mangiare”.
La piccola,
sospettosa, impugnò la
forchetta. Lentamente, si portò il boccone alla bocca e
masticò svogliata.
Fissò Saga, che la incitò a continuare. La
bambina allungò la forchetta verso
di lui.
“Non
erano questi i patti!” protestò
il sacerdote.
“Solo
un boccone. Poi mangio tutto”
giurò lei.
Saga
annuì e si fece imboccare. Con
la bocca ancora piena, commentò dicendo che era molto buono
e che la piccola
doveva mangiare ancora. La bambina rise, divertita dal modo di parlare
dell’adulto, che probabilmente aveva una gran fame.
“Facciamo
a metà?” propose lei “Non
riesco. È troppo per me!”.
“E va
bene. Ma poi basta capricci”.
Saga si
lasciò imboccare, dividendo
una forchettata per uno con la bambina. Si era accorto di essere
piuttosto
affamato, ma non aveva certo intenzione di rubare il pasto ad
un’infante!
“Il
tuo drago è molto bello” parlò la
bimba, pulendosi la bocca con un fazzolettino.
“Quale
drago?”.
“Quello
che hai in testa!”.
Saga storse il
naso. Di che stava
parlando? Poi spalancò gli occhi.
“Sei
un genio!” commentò, togliendo
l’elmo.
I capelli neri
presero strane
direzioni scomode e lui si ritrovò fra le mani
quell’oggetto, con il drago
rosso che campeggiava su di esso.
“Lieta
che anche tu sia qui, Atena”
sorrise Efesto.
Anche lui nella
stanza di Ares,
cercava di trovare un modo per aiutare le gambe del fratello.
“Guarda
che non serve che mi aiuti!”
protestò il Dio della guerra “So che mi odi,
fratello”.
“Vero,
ti odio” confermò il fabbro
degli Dèi “Perché ti scopi mia moglie e
perché non ti sopporta nessuno. Però
mamma Era non me lo perdonerebbe mai, se non ti aiutassi.
Perciò smettila di
piagnucolare e collabora!”.
“Cosa
hai in mente?”.
“Un
congegno che ti sosterrà gli
arti, finché non saranno abbastanza forti da farlo da soli.
Se mai ne saranno
in grado..”.
“Un
congegno?”.
“Fidati
di me! Fammi prendere le
misure, lo realizzerò quanto prima”.
Ares
sospirò, non potendo opporsi.
“Cerca
di stare calmo, fratello”
commentò Atena “Devi guarire”.
“Guarirò,
sta tranquilla” sorrise
lui.
Ancora con i
capelli biondi, il Dio
della guerra non presentava alcun tratto minaccioso. Perfino gli occhi,
solitamente circondati di rosso sangue, erano del tutto normali.
“Immagino
che dovremmo discutere di
strategia, se te la senti” continuò la Dea.
“Dovremmo,
sì. Però sono a pezzi,
divina Atena. Ho bisogno di riposo e, sinceramente, mi scoccia stare
qui.
Vorrei tornare a casa”.
“In
Tracia?”.
“Esatto”.
“Non
posso aiutarti. Inoltre, così
come sei ridotto, non posso permettere che tu stia solo”.
“Non
sarei solo. Ci sono i miei
figli!”.
“Altro
punto su cui dovremmo
discutere”.
“Hai
saputo dell’ultimo arrivato?”.
“Sì,
e mi scoccia un po’, lo devo
ammettere”.
“E
perché? I tuoi primi cavalieri dei
gemelli sono stati Castore e Polluce, figli di Zeus. Che differenza
c’è?”.
“Il
mio gran sacerdote ha già avuto
una vita incasinata, anche senza certe verità”.
“Lo
so. Ma non solo lui”.
“E
se..venissi al grande tempio di
Atena?”.
“Io?
Ad Atene? Scherzi, vero?”.
“No,
perché? I tuoi figli avrebbero
tutto lo spazio necessario per allenarsi e tu saresti protetto, anche
quando i
tuoi eredi sono impegnati in altre faccende. Inoltre, potremmo parlare
in ogni
momento di strategia e guerra, senza doverci sempre spostare”.
“Come
sempre, Atena, ti riveli per
quello che sei”.
“Una
rompicoglioni?”.
“No!
La Dea della giustizia! Per una
volta che volevo essere gentile..”.
“Senza
dimenticare..” si intromise
Efesto “..che Zeus vedeva in voi due una potenziale coppia,
perfetta come
simbolo d’alleanza”.
“So
che non vedi l’ora che mi sposi,
fratello” ghignò Ares “Ma questo non mi
impedirà di sbattermi Afrodite finché
mi pare..”.
“Non
avevo dubbi. Basta che non mi
lasci altri figli, che ne ho cresciuti abbastanza di piccoli bastardi!
Eros,
Anteros, Armonia..”.
“Tranquillo.
L’ultimo l’ha allevato
il tempio di Atena”.
Ares rise e poi
fece una smorfia. Il
dolore che gli provocavano quelle ferite era insopportabile!
“Sta
tranquillo” lo rassicurò Atena
“Starai al sicuro”.
“Non
ho bisogno di stare al sicuro!”.
“Zitto!
Non lo faccio per te, ma per
il bene di tutti”.
“Ah
beh..allora..”.
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Capitolo 11 *** XI- ospiti ***
XI
OSPITI
“Certo
che con le treccine sembri
davvero un coglione” rise Phobos, notando i capelli di Saga.
“Avevo
fatto un patto con quella
bambina” rispose il sacerdote, indicando la piccola, che
sedeva al suo stesso
tavolo.
“Perché
quella bambina è lì?”
domandò
il fratello maggiore.
“Non
lo so, mi ha seguito dal palazzo
di Zeus” furono le parole del minore, seduto in modo molto
poco composto.
Fissava l’elmo con il drago, cercando di capire il senso
delle frasi di Ares.
“E
perché?” continuò Phobos.
“Cosa
ne so io?! Adesso, se non ti
dispiace, vorrei mangiare”.
“E
mangia! Chi ti trattiene?”.
“Io
mangio sempre da solo”.
“Beh,
adesso che siamo di più al
grande tempio, non credo tu possa concedertelo”.
“Lasciami
il mio ossigeno!”.
“Ma
che problema c’è? Mangi cose
strane? Carne umana? Insetti?”.
“Ma
che dici?!”.
“Non
sarai mica vegano!”.
“Smettila
di sparare bestemmie”.
“Ah,
meno male. Per un attimo ti
avevo immaginato con un ravanello in mano, che fissavi
l’orizzonte, nutrendoti
di quello per non fare del male ad un innocente animale”.
“Me ne
sbatto degli animali
innocenti. Ora smamma!”.
“Che
pigna nel culo che sei! D’ora in
poi, posso chiamarti così?”.
“C’è
già Shaka qui al tempio con quel
soprannome, mi spiace”.
“E chi
è Shaka?”.
“Quello
biondo”.
“Quello
con gli occhi chiusi?”.
“Lui..”.
“Sì,
si capisce subito che è una
pigna in culo. Ora, però, fammi assaggiare un po’
di quel che mangiate qui al
tempio, sto morendo di fame”.
“E
allora? Non sono il tuo
cameriere”.
“Sei
il fratello piccolo, devi
obbedirmi”.
“Scordatelo!
E poi, non ho tempo da
perdere con te!”.
“Padre
Ares ci ha dato un ordine, e
ancora non l’abbiamo portato a termine”.
“Dici
quello di portargli la testa di
Marte? Ci sto lavorando. È che lui mi ha detto di usare il
drago e sto cercando
ancora di capire in che senso”.
“Non
posso aiutarti”.
“Non
avevo dubbi..”.
Phobos,
scocciato dall’ennesima
rispostaccia, ringhiò. Il fratellino aveva superato il
limite e doveva pagarla
cara!
Kanon era
tranquillo. Seduto
comodamente su un divanetto alla terza casa, con le gambe allungate ed
un birra
ghiacciata in mano, stava guardando un film sullo schermo piatto ed
aveva piena
intenzione di rimanere in quella posizione a lungo. Purtroppo per lui,
un
rumore attirò la sua attenzione. Lo ignorò ma il
rumore si fece risentire.
“Chi
è là?” domandò
“Deathmask, sei
tu? Se ti serve la birra, è in frigo. Non ho cazzi di
alzami..”.
Non ricevette
risposta. Un altro
lieve rumore.
“Che
palle” sbuffò Kanon, alzandosi.
Senza lasciare
la bottiglia, il
cavaliere della terza casa esplorò i dintorni. Non
trovò nessuno e la cosa lo
infastidì alquanto. Che ci fossero dei topi? Poi
guardò meglio: qualcosa
luccicava in un angolo. Un regalo? Un riflesso? Cos’era?
“C’è
qualcuno?” ripeté ancora,
maledicendo la mancanza di luce elettrica.
Quando fu
abbastanza vicino, Kanon
capì che cosa aveva di fronte: l’armatura del
dragone del mare. Ma che ci
faceva lì?
“Chi
ti ha portato alla mia casa?”
chiese “Guarda che non appartieni più a me,
sai?”.
Il cavaliere,
con indosso le vestigia
dei gemelli, pensò ad un pessimo scherzo. Se Poseidone lo
avesse saputo,
sarebbe andato su tutte le furie. Quell’armatura andava
riportata al giusto
posto.
“Che
seccatura” borbottò Kanon.
Rifletté
su cosa poter usare per
trasportarla, quando l’armatura si mosse. Il cavaliere
sobbalzò, facendo cadere
la birra.
“Che
cazzo..?”.
La Dea Afrodite
ed Efesto giunsero
alla dimora di Atena, seguiti da alcuni figli di lei ed Ares. Era
passata circa
una settimana dal trasferimento del Dio della guerra ed il fabbro degli
Dèi era
riuscito già a realizzare un oggetto molto utile per il
fratello.
“Ciao,
mamma” salutò Deimos, vedendo
arrivare Afrodite.
“Ciao,
caro” sorrise lei, sulla
soglia della tredicesima “Come ti trovi qui? Ti danno da
mangiare a sufficienza
o quella cattivona di Atena ti stressa? E ti riesci a
divertire?”.
“Tutto
bene. Tranquilla”.
Dietro ad
Afrodite, stava Armonia con
le sue figlie. Eros ed Anteros, invece, seguirono Ermes nelle stanze di
Ares.
Il Dio della guerra, ancora debole, non vedeva l’ora di
provare a camminare di
nuovo, grazie all’oggetto creato da Efesto.
“Sei
debole” lo ammonì Efesto “Non
cercare di strafare”.
“C’è
una guerra là fuori, fratello”
sbottò Ares “Non ho tempo per stare steso a letto
a fissare il soffitto e
rimuginare”.
Il Dio, ospite
di Atena, era stato
sistemato in un’ala della tredicesima. Nella stanza a fianco,
i suoi figli
potevano riposare, quando non si allenavano. Questo faceva
sì che il sacerdote
di Atena avesse molto meno spazio a disposizione e la cosa lo
infastidiva.
Abituato a stare da solo, tentava invano di trovare spazio per
sé. In quel
momento, cercava di capire se Ares era in grado di rimettersi in piedi.
Distratto dalle ali d’angelo di Eros, non voleva entrare in
stanza.
“Dici
che funzionerà?” domandò
Anteros, che possedeva splendide ali da farfalla.
“Dipende
dalla pazienza di tuo padre”
rispose Efesto, estraendo dalla sacca che si portava appresso una
piccola
scatola.
Con un solo
tocco della mano, la
scatola si aprì e mutò, divenendo una sorta di
armatura per le gambe di colore
rosso.
“Woh..”
non riuscì a trattenersi Saga,
facendosi scoprire dalla compagnia.
“Di
che ti stupisci, cavaliere di
Atena?” commentò Efesto “Anche le vostre
armature si richiudono e rientrano
nelle Pandora Box”.
“Si ma
le Pandora sono grandine..”.
“Dipende
dal tipo di armatura. Alcune
di esse occupano davvero un piccolo spazio. Pensa alle vestigia di
Atena, per
esempio. Tutto dipende dal come si evocano e come si creano. La prima
versione
delle armature di voi saints le ho realizzate io e poi ho insegnato ai
lemuriani come agire. Così come io sono colui che ha
realizzato tutte le
armature divine”.
“Bello.
Credo che Mur sarebbe troppo
felice di parlarvi..”.
“Il
lemuriano di quest’epoca? Sarà un
piacere. Ma prima sistemo Ares”.
Il Dio fabbro si
avvicinò al
fratello, pregando i figli di lui di aiutarlo a tenerlo fermo.
“Non
guardare me” si affrettò a dire
Eros “Chiama Phobos e Deimos!”.
“Ma di
che cosa hai paura? Sei suo
figlio, non ti farà niente”.
“Gli
farai male?”.
“Probabile”.
“Allora
mi massacrerà di botte. Ares
non ha autocontrollo!”.
“Sacerdote”
sospirò Efesto “Potresti
andare a chiamare Phobos e Deimos? Ti dispiace?”.
“Posso
aiutare pure io. Ed anche i
miei cavalieri, senza scomodare i gemelli..” rispose Saga.
“Non
ci vai tanto d’accordo, vero?”.
“Più
che altro si divertono a
dimostrarmi continuamente che sono più forti di
me”.
“Tipico
dei fratelli maggiori”.
“Dovrò
chiedere perdono al mio
fratello minore. Se pur di solo qualche minuto, l’ho
maltrattato ed ora
comprendo la sua frustrazione”.
“Va
bene. Allora prova ad aiutarmi,
se te la senti” sorrise Efesto.
“Che
devo fare?”.
“Tienilo
fermo. Ci vorrà solo qualche
istante”.
“È
sicuro?” chiese Atena, incuriosita
e leggermente spaventata.
“Tranquilla,
sorella”.
“Piantatela
di trattarmi come se
fossi una bestia feroce!” ringhiò Ares.
“Ma tu
sei una bestia feroce!”
ribatté Efesto.
“E tu
sei un mostriciattolo, ma non
per questo ti schifo!”.
“Ti
sputerei in faccia, ma come forza
fisica so che tu sei superiore. In quanto a cervello,
invece..”.
“Per
favore, non litigate!” li zittì
Atena.
“Hai
ragione. Prima sistemo questa
cosa, e prima me ne posso andare” annuì Efesto.
Senza aggiungere
altro, il Dio fabbro
si avvicinò al fratello. Saga, in silenzio, si
posizionò dietro la nuca del
padre. Il letto, con il fianco destro addossato alla parete e gli altri
tre lati
liberi, permetteva al sacerdote di eventualmente afferrare il Dio per
le
spalle. Eros ed Anteros si
tenevano a
distanza di sicurezza, senza fidarsi troppo. Efesto sorrise,
assicurando che ci
voleva solo un attimo. Le gambe che aveva creato si mossero,
raggiungendo il
Dio della guerra. All’inizio parve non succedere niente di
particolare. Ares,
steso tranquillo, nemmeno percepì la fredda superficie, non
avendo sensibilità
agli arti inferiori. Poi mutò espressione. Le vestigia si
stavano assemblando
addosso alle gambe
del Dio, ancorandosi
alla spina dorsale per permetterne i movimenti. Questo procedimento
fece
gridare Ares per il dolore.
“Tienilo”
suggerì Efesto.
Il sacerdote
obbedì, mettendo le mani
sulle spalle del genitore. Non era semplice bloccare quel Dio, specie
se
furioso. Gli occhi di Ares si fecero rossi come il sangue, mentre la
capigliatura era nera già da qualche istante.
“Passerà
subito” commentò il Dio
fabbro.
Il dolore
aumentò ed Ares si sollevò.
Saga tentò con tutte le sue forze di tenere giù
il padre, che però era
notevolmente più potente. Il sacerdote si ancorò
alle spalle del Dio, ma questi
si sollevò comunque, sollevando a sua volta il figlio.
“Stai
giù, cazzo!” sibilò Saga,
mutando leggermente.
“Non
puoi fermarmi, ragazzino!” ribatté
il Dio.
Ares
urlò di nuovo dal dolore e piegò
la testa in avanti, spostando ulteriormente il sacerdote. Poi parve
calmarsi.
Ansimando, rimase fermo qualche istante. Atena, prendendo coraggio, ne
sfiorò
il corpo. Saga, sollevato da terra, con un braccio attorno al collo di
Ares,
era ridicolo. Ares, sfiorato dalla Dea, si rilassò e ricadde
all’indietro. Il
sacerdote finalmente poté lasciare la presa. Aprì
i palmi sulle spalle del
padre e lo fissò negli occhi. Entrambi ansimavano. Il Dio
stava riprendendo il
controllo. Con un grande sguardo stanco, sorrise al figlio.
“Adesso
dovrai stare fermo qualche
istante” suggerì Efesto “E poi faremo
qualche prova, per vedere se il tutto
funziona”.
“Vuoi
un bicchiere d’acqua?” chiese
Atena, preoccupata per il ferito, che sanguinava di nuovo.
“No”
rispose Ares, con un sussurro.
Continuava a
fissare il figlio. Si passò
una mano su una delle ferite, che si era riaperta, e poi
allungò le dita verso
l’elmo del sacerdote. Saga non capì e non disse
nulla.
“Ora
meglio che vada” commentò poi,
il figlio.
“Cerca
di farti valere con Phobos e
Deimos, se ci riesci” ghignò Ares.
“Cercherò
di sopravvivere”.
Una volta uscito
da quella stanza, il
sacerdote camminò lentamente. Vide i gemelli Phobos e Deimos
parlare con la Dea
Afrodite. Che bello, almeno così erano distratti e non
passavo il tempo a
picchiarlo per “rafforzarlo”! Saga si
sfiorò la testa. Gli faceva un po’ male e
l’elmo pareva più pesante del solito. Lo tolse,
prendendo un gran respiro. Udì
uno strano verso, ma non ci fece troppo caso. Poi qualcosa gli
sfiorò la mano.
Sobbalzò, non capendo cosa potesse essere, e
guardò in giù, verso l’elmo. Il
drago rosso posto su di esso si stava muovendo!
“Ma
che..” esclamò Saga, gettando
l’elmo in terra per istinto.
Il dorso della
mano gli sanguinava
leggermente, probabilmente graffiato dalla coda dell’animale
o morso. Il
copricapo cadde e ruzzolò. Il sacerdote si scosse. Forse era
stata solo una
visione, dovuta alla stanchezza od alla mancanza di medicine.
Capì quasi subito
che non era così, perché il drago si
mostrò. Mosse leggermente la coda irta di
spuntoni e mosse le ali.
“Come
sei carino..” cercò di fare
amicizia Saga, tenendosi la mano ferita.
Il drago lo
fissò, accigliato. Stava
aumentando di dimensioni, crescendo notevolmente.
“Fa
che sia una visione..” gemette il
sacerdote, vedendo l’animale divenire alto quasi quanto lui.
Ancora aumentava
di volume ed il
cavaliere capì che forse era meglio andarsene. Ne fu
completamente convinto
quando il drago spalancò la bocca e ringhiò.
“Oh,
cazzo!” esclamò Saga, girandosi
e mettendosi a correre.
Inciampò
sulla tunica e saltellò per
non cadere, in una scena molto poco da sacerdote, che per fortuna
nessuno vide.
Uscì all’esterno, accorgendosi che il drago lo
stava seguendo.
“Dove
corri, fratellino?” sorrise
Phobos.
“Levati!”
gridò Saga “C’è un
drago!”.
Phobos
alzò un sopracciglio, vedendo
l’animale e non capendo perché il fratellino si
agitasse tanto per un
draghetto. La bestia ringhiò di nuovo e Saga capì
di essere alle strette. Si
girò.
“Non
costringermi a farti del male!”
disse.
Il drago non
rallentò e si fiondò sul
sacerdote, piantandogli gli
artigli
nella carne. Così facendo, entrambi finirono oltre la
superficie sicura del
tempio, cadendo nel precipizio di roccia.
“Dici
che dobbiamo intervenire?” si
chiese Deimos.
“Naa!”
storse il naso Phobos “Lascia
che si diverta”.
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Capitolo 12 *** XII- questioni di sangue ***
XII
QUESTIONI DI
SANGUE
“Saga!
Tutto bene?” domandò Kanon.
“Dove
sono? Cosa è successo?” rispose
il gemello.
“Sei
caduto dal cielo. Ti ho visto,
ti ho preso al volo”.
“Volo?
Dov’è il drago?”.
“Quale
drago?”.
“C’era
un drago!”.
“Il
drago ti ha ridotto così? Sei
pieno di ferite”.
“Sì”.
Saga si
guardò. Era pieno di graffi e
con un morso sul fianco.
“Sicuro
di non essertelo immaginato?”
ipotizzò Kanon “Insomma..lo sappiamo tutti e due
che sei fuori di testa!”.
“Non
me lo sono immaginato! Tu,
piuttosto, cosa ci facevi sul tetto della terza casa?”.
I due erano
proprio sul tetto della
terza.
“Scappavo
da un problema ben più
serio e reale del tuo!”.
“Più
serio di un drago che vuole uccidermi?”.
“Che
razza di roba ti sei fumato per
vedere i draghi?!”.
“Ma
fottiti!”.
“Sei
sbronzo?!”.
“Ma
no! Come mi sarei ferito così?”.
“Non
lo so, ma non sei normale”.
“E tu,
invece? Sei insano tanto
quanto me!”.
“Zitto!
Arriva!” esclamò Kanon,
tappando la bocca al fratello.
Con un rumore
metallico, qualcosa si
avvicinava.
“Come
ha fatto ad arrivare qui?”
sibilò Kanon, mentre un riflesso oro si intravedeva fra la
pietra.
“Che
succede? Che hai? C’è un
nemico?” domandò Saga.
“Taci!”.
Un’armatura
si mostrò controluce,
brillando. Camminava, diretta verso i due gemelli. Il sacerdote si
preparò ad
attaccare. Chi era quel nemico? Non percepiva un cosmo!
“Ma
quella è una Scale! Poseidone ci
attacca?” si stupì Saga.
Poi la
guardò meglio. Quell’armatura,
che continuava a camminare, era quella che un tempo indossava suo
fratello.
“Kanon!
Quella è la Sea Dragon!”.
“Ma
non mi dire!” si stizzì il
gemello.
“Il
suo attuale possessore ti
infastidisce?”.
“No.
Guarda meglio”.
Il sacerdote
osservò meglio.
Sobbalzò. L’armatura era vuota! Com’era
possibile? Chi altro era in grado di creare
un’illusione simile?
“Non
è un’illusione” spiegò Kanon
“Quella cosa è assolutamente reale e non
è governata da qualcuno non presente”.
“E
allora cos’è? L’armatura va in
giro da sola?!”.
“Non
vedo altre soluzioni”.
“E che
vuole?”.
“E che
ne so?!”.
L’armatura
allungò un braccio e Kanon
strinse i pugni. Non voleva avere niente a che fare con
quell’affare! Poseidone
sarebbe andato su tutte le furie al solo pensiero!
“Cosa
pensi di fare?” volle sapere
Saga.
“E
tu?” rispose il fratello,
continuando a fissare l’armatura ma indicando il senso
opposto.
Il sacerdote si
voltò e deglutì. Il
drago era alle sue spalle, ora mostrando una splendida armatura
indosso, pronto
ad attaccare.
“Non
me l’ero inventato, visto?”
mormorò a Kanon.
“Chiedo
venia”.
Schiena contro
schiena, i due gemelli
erano alle strette, sempre sul tetto della terza casa. Le vestigia una
volta
appartenute al gemello minore brillarono. Ad ogni passo, mutavano.
“Ma
che..”.
Ora
l’armatura aveva le ali. Una cosa
che non era mai successa prima! Drago e Scale scattarono nello stesso
momento,
con l’intento di colpire i gemelli. I due fratelli si mossero
lateralmente,
saltando nel tentativo di riuscire a fuggire. Corsero lungo le scale ma
entrambi gli inseguitori volavano piuttosto in fretta.
Phobos e Deimos,
dall’alto della
tredicesima, se la ridevano. Che buffo e patetico era il loro
fratellino mentre
scappava dal drago! Il sacerdote, stanco di farsi deridere, non sapeva
che
altro fare. Aveva lanciato contro quella bestia le sue tecniche
migliori, senza
ottenere nulla.
“Tutti
hanno un punto debole..” si
disse “Quale sarà quello di questo
coso?”.
“Se
hai qualche idea..” gridò Kanon
“..condividi, grazie!”.
“Ma
che vuoi? La tua armatura non ha gli
artigli e non morde!”.
“Certo.
Però è fatta di metallo! Fa
male!”.
Saga prese un
profondo respiro. Non
sapeva che altro inventarsi, ma forse qualcun altro lo sapeva!
Il drago
ringhiò minaccioso.
“Saga!
Corri!” lo incitò Kanon.
“Corri
tu, che la mammina ti aspetta!”.
“Ciao,
Arles”.
“Ciao,
principessa!”.
Arles
ghignò, senza fuggire più. La
creatura stava per raggiungerlo ma il sacerdote lo sfidò,
guardandolo negli
occhi.
“Non
ho niente da perdere,
bestiaccia! Sei stata sul mio elmo per anni e anni ed è
lì che tornerai!”.
Kanon, salito
sulla cima di una
colonna, osservava la scena.
“Ti
farai ammazzare!” gridò al
gemello.
“Che
sia! Piuttosto che correre come
un cretino per tutto il santuario, inseguito da un lucertolone rosso e
pedante,
preferisco farmi mangiare!”.
“Arles!
Sei impazzito?!”.
“Non
sono mai stato normale, lo hai
detto tu!”.
“Smettila
di fare il fenomeno!”.
Arles
ignorò i suggerimenti del
fratello e si preparò ad affrontare l’avversario.
Kanon, vedendo questo, storse
il naso. Non poteva essere da meno del fratellone esaltato!
“A noi
due, dragone marino!”.
“Straordinario!”
esclamò Mur,
osservando con attenzione tutto ciò che Efesto faceva.
Anche Kiki,
seppur con meno
entusiasmo, era meravigliato. Il Dio, come se fosse la cosa
più semplice del
mondo, stava migliorando le armature del tempio di Atena. Doveva
renderle
adatte ad uno scontro fra divinità, nel caso anche i mortali
ne venissero
coinvolti.
“Hai
fatto un ottimo lavoro. Queste
armature sono ben fatte” commentava il Dio e Mur ne era
lusingato.
“Il
ragazzo è tuo figlio?” parlò
ancora Efesto, indicando Kiki.
“No,
è mio fratello minore”.
“E
quanti anni ha?”.
“Diciassette”.
“E fa
mai armature?”.
“Certo.
Lavoriamo assieme”.
“Allora
può farmi anche lui da
assistente”.
Il Dio sorrise e
Kiki rispose con un
altrettanto largo sorriso.
“Ma
che succede fuori?” si chiese
Mur, sentendo un gran baccano.
“I
cuccioli di Ares” spiegò Efesto.
“I
cuccioli di Ares?!”.
“Sì.
La sua nidiata di bastardelli si
diverte tanto a fare casino”.
“Ma io
ho sentito gridare Saga”.
“E
secondo te da che nidiata è mai
uscito?”.
Mur si
zittì, capendo che fra Efesto
ed Ares non correva buon sangue. Meglio concentrarsi sulle armature..
Ares era
frustrato. Udiva grida,
ringhi e ruggiti ma non riusciva ad alzarsi per vedere cosa stesse
succedendo.
Sapeva di aver contribuito al risveglio del drago, ma non era affatto
certo che
il suo erede mortale fosse in grado di affrontarlo. Forse aveva
commesso un
errore imperdonabile. Strinse i denti, rigirandosi nel letto e cercando
di
uscirvi. Le gambe però non ressero e cadde in terra.
Gridò per la rabbia e la
frustrazione. Atena, allarmata nel sentire quell’urlo,
lasciò la sua dimora ed
andò a controllare.
“Tutto
bene?” domandò, sull’uscio.
Non ricevette
risposta ed entrò.
Subito capì quanto successo e si preoccupò.
“TI
sei fatto male, fratello?”
domandò.
“Stai
lontana. Non ho bisogno
dell’aiuto di nessuno!” rispose Ares, provando a
rialzarsi.
“Non
dire sciocchezze! Non sei in
grado di usare le gambe”.
“Non
serve che me lo fai notare,
donna!”.
“Ed a
te non serve essere così
scorbutico!”.
La Dea scosse la
testa, leggermente
infastidita, e cercò aiuto. Perché il suo gran
sacerdote era sempre a
bighellonare quando serviva? Per fortuna il suo richiamo fu udito da
Aphrodite,
che viveva nella casa più vicina, e da Aiolos che ronzava
sempre attorno alla
dimora divina, temendo il
manifestarsi
di nemici improvvisi.
“Cosa
succede, mia signora?” domandò
il Sagittario “Siete in pericolo?”.
“No,
Aiolos. Il nostro ospite ha
bisogno di aiuto”.
“Ares?”.
“Non
fare quella faccia infastidita,
cavaliere! È mio fratello ed è ferito, non
è una minaccia”.
Aiolos
chinò leggermente il capo.
Aphrodite sorrise divertito. Insieme, entrarono nella stanza dove il
Dio
tentava di sollevarsi, aggrappandosi al letto.
“Stai
fermo!” ordinò Atena “Rischi di
riaprire le tue ferite”.
“Non
credo siano affari tuoi” ribatté
il Dio.
“Ora
capisco da chi ha preso Arles!”
commentò Aphrodite, avvicinandosi al Dio.
Ares lo
fissò, non volendo alcun tipo
di aiuto, specie da parte di estranei con rose fra i capelli.
“Lo
conosci bene?” domandò.
“Chi?”.
“Arles.
Lo conosci bene?”.
“Certo.
È stato mio amico e mio
maestro”.
“Maestro?”.
“Certo.
E ora lasciati aiutare”.
“Lascialo
in terra, Aphrodite!”
suggerì Aiolos “Rischi di farti colpire, se ha un
attacco di collera”.
“Aphrodite?”
storse il naso Ares.
“Sì,
è un soprannome. Non mi chiamo
davvero così, così come nemmeno lui si chiama
Aiolos”.
“Lo
immaginavo. Ma perché proprio
Aphrodite?”.
“Perché
sono il più bello del tempio.
Inoltre, il mio segno zodiacale sono i pesci, legati alla Dea della
bellezza”.
“Comprendo
ma..perché non vi fate
chiamare per nome?”.
“Rinunciamo
a ciò che eravamo,
entrando al tempio. Un po’ come quando si entra in
convento”.
Ares, poco
convinto, ancora guardava
male il cavaliere, che voleva solamente aiutarlo.
All’esterno, si udì un forte
boato e delle grida.
“Che
succede fuori? Stanno lottando?”
domandò il Dio.
“C’è
un drago” spiegò Aiolos “Niente
che un cavaliere di Atena non possa gestire”.
“Quanto
sei tronfio, Saint!”.
“Mai
quanto voi, divinità della
guerra”.
“Io ho
tutte le ragioni per esserlo”.
“Ah
sì? Conosco la mitologia. Ne
avete fatte di figure di merda..”.
“E tu
sbaglio o sei stato ucciso da
un bambino di nove anni?”.
“Quella
è..una storia lunga..”.
“Non
litigate!” zittì tutti Atena
“Aiutatelo a tornare a letto e poi sparite. Mi fate venire il
mal di testa,
accidenti a voi!”.
“Voglio
vedere la battaglia” commentò
Ares “Fatemi vedere come combatte Arles”.
“Non
puoi. Devi riposare!”.
“Suvvia,
signora!” si intenerì
Aphrodite “É solo un padre
preoccupato per il proprio figlio e vuole vederlo
combattere!”.
“Non
sono preoccupato!” si affrettò a
dire il Dio “Se crepa, vuol dire che non è
all’altezza della prova a cui l’ho
sottoposto. Poco mi importa. Se sopravvive, meglio. Ma se muore, non ne farò di certo
un dramma”.
“Che
affetto..”.
“Tu
menti!” sorrise Atena “So che
stai mentendo. A te importa, e molto”.
“Mia
cara..ho visto morire fin troppo
figli miei, uccisi nei modi più disparati. Sopravvivono i
più forti, come è
giusto che sia. Se lui non rientra fra questi, non so che
farci”.
“Ma
lui è un mortale, non un Dio come
gli altri che ti porti sempre appresso”.
“Inconveniente
che capita”.
“Sei
senza cuore”.
“Senza
cuore, senza cervello..quale
altro meraviglioso complimento riceverò prima del
tramonto?”.
Atena lo
fissò, leggermente
scocciata, ma non ribatté con cattiveria. Si
limitò a sospirare e scuotere la
testa.
“Aiutatelo
a vedere la battaglia”
ordinò ai suoi cavalieri “Poi lasciate che faccia
quel che gli pare”.
Fuori dalla
stanza, Seiya era
preoccupato per la sua Dea. Solo la presenza di Aiolos lo faceva stare
abbastanza tranquillo. Atena voleva percuoterlo con il bastone, per
levarselo
dai piedi, ma preferì trattenersi. Aiolos ed Aphrodite,
nonostante le proteste
di Ares, che non voleva che mani smaltate maschili e paladini della
giustizia
lo toccassero, accontentarono la divinità. Sorretto, il Dio
della guerra riuscì
a giungere fino al terrazzino che dava sull’anfiteatro. Da
lì, le case e
l’intero tempio erano in vista. Non volendo mostrare quanto
il dolore fosse
insopportabile, ordinò loro di allontanarsi. Mezzo steso in
terra, la divinità
cercò di capire dove fosse il figlio. Finalmente lo vide e
si stupì, perché il
drago era diventato più grande del previsto.
“Se mi
ammazzi il gran sacerdote con
i tuoi giochetti..” brontolò Atena, raggiungendolo
“..me la pagherai cara!”.
“Non
vedo l’ora. È da troppo che io e
te non ci azzuffiamo”.
“Prima
rimettiti in piedi”.
“Lo
farò, Atena”.
“Comunque
ho ragione io..”.
“Su
cosa?”.
“Sei
preoccupato”.
“Nutro
totale fiducia. È questione di
sangue”.
Milo
sobbalzò. Kanon era entrato nella
casa dello Scorpione, lottando contro l’armatura marina.
“Hei!”
si lamentò il padrone dell’ottava
dimora “Non distruggermi la casa! Vai fuori a
litigare!”.
L’armatura
fu lanciata contro una
delle colonne, che tremò e si incrinò.
“Paghi
tu i danni, Kanon!” insistette
Milo.
Le vestigia
attaccarono di nuovo il
cavaliere dei gemelli. Kanon, per quanto fosse potente, provava dolore,
a
differenza dell’avversario.
“Non
mi fermerai!” gridò il
cavaliere.
“Va
fuori da casa mia!” urlò, di
rimando, Milo.
Arles,
sanguinante da vari punti, si
stava stancando. Il drago, rimandato indietro, si preparò e
caricò di nuovo. Il
sacerdote saltò e vi salì in groppa.
“Pessima
scelta” commentò Phobos,
rivolto a Deimos “Non sa manco andare a cavallo e pretende di
governare un
drago?”.
“Forse
dovremmo fare qualcosa”
rispose il gemello.
“Papà
si arrabbierebbe”.
“Si
arrabbierebbe lo stesso, anche se
morisse”.
“Forse
hai ragione..lasciamogli
ancora qualche istante”.
Arles non poteva
sentire i commenti
dei fratelli. L’animale era furioso e si librò in
volo. Al sacerdote questa
cosa non piacque per niente e dovette mettere un braccio attorno al
collo della
bestia per non cadere. Il drago scese in picchiata e Arles perse la
presa.
Dovette ancorarsi alle ali, ritrovandosi aggrappato
all’armatura che copriva
quella parte della bestia. Non riuscì a mantenere la presa e
scivolò,
catapultato in aria. Agitò le gambe e le braccia, in modo
sconnesso. Il drago parve
ridere divertito. Il sacerdote spalancò gli occhi, non
volendo schiantarsi al
suolo. Un calore strano lo stava avvolgendo, simile a quello provocato
dalle
fiamme. Tutta la pelle bruciava e infine udì un suono
familiare. Un’armatura?
Milo non sapeva
se intervenire o
meno. Kanon pareva in difficoltà ma chi glielo faceva fare
di interferire in
affari che non lo riguardavano? Il cavaliere dei gemelli lottava ancora
contro
l’armatura vuota. Lo Scorpione era stufo di tutto quel casino
alla sua casa, ma
che poteva fare? L’Antares su un’armatura vuota era
del tutto inutile! Però era
stanco di veder creare danni.
“Adesso
basta!” gridò, colpendo
l’armatura, che si smontò.
Kanon
guardò in malo modo il padrone
di casa. Bastava così poco? Si dovette ricedere
però, perché l’armatura subito
si riprese e, brillando d’oro, si attaccò al saint
della terza casa.
Il sacerdote,
ormai a poca distanza
dal terreno, si mosse d’istinto, con l’intento di
non spiaccicarsi.
Inaspettatamente, non cadde al suolo ma si sentì di nuovo
sollevare verso
l’alto. Che stava succedendo? Senza rendersene conto, stava
volando. Al posto
della tunica, ormai distrutta per i graffi del nemico, Arles indossava
un’armatura rossa la cui forma ricordava quella di un drago,
le cui grandi ali
lo sollevavano. I lunghi capelli neri di vedevano da sotto
l’elmo, che lo
faceva somigliare un po’ ad un demone. Ogni arto terminava
con una fila di
artigli. Lungo la schiena, una fila di punte acuminate ed una lunga
coda. Due
ulteriori arti con artigli apparivano, in semirilievo, sul petto, a
formare
come un cerchio attorno al cuore. Quando si ricomponeva a totem, quel
semirilievo formava la zampa sinistra del drago mentre invece la destra
si
creava con le due parti che ora coprivano le braccia di Arles. Volava
sempre
più in alto, capendo in fretta come governare quelle
vestigia. Il drago
parve perplesso, lo
fissò volteggiare e
provò ad inseguirlo, per un po’. Il sacerdote
virò, con una mezza piroetta. Virando
di nuovo, prese quota.
“Fratello!”
lo chiamò Kanon, uscendo
allo scoperto.
“Sto
bene” lo rassicurò Arles “Prova
a volare. È divertente”.
“Volare?
Sono un drago del mare!”.
“Vigliacco..”.
Kanon ,punto
nell’orgoglio, saltò e si
librò in aria. Raggiunse il gemello con un paio di battiti
di ali.
“Perché
indossi quell’armatura?”domandò
il sacerdote.
“Non
ne ho idea. E tu perché indossi
quella cosa?”.
“Non
lo so”.
Arles
prese velocità. Il drago lo seguì, ma si
mostrava più calmo rispetto a prima.
“Devi
ammetterlo, Deimos..” ridacchiò
Phobos “Il nostro fratellino è una vera schifezza
con il cavallo ma a volare è
un fenomeno!”.
“Ognuno
fa quel che può. Tu a volare
sei un disastro!” ribatté Deimos.
Il sacerdote
raggiunse la tredicesima
dimora. Il drago non lo infastidiva più con ringhi ed
atteggiamenti minacciosi.
L’animale atterrò sul tetto della casa di Arles.
Guardò in giù, incuriosito. Là
sotto, Ares guardava verso la bestia, con un sorriso.
“Non
dovresti esporti così” parlò
Arles, rivolto al padre “Se un nemico ti attaccasse, in
questo stato non
potresti fuggire o reagire”.
“E chi
sei tu per farmi la predica?”
sbottò il Dio.
“Il
padrone di casa. E non pulisco le
tue interiora sparse per la tredicesima dopo che un nemico ti ha
smembrato”.
“Che
immagine raccapricciante. Mi
piace”.
“Sei
un pazzo”.
“E tu
hai la coda”.
Arles si
guardò, notando che
quell’armatura aveva effettivamente una lunga coda.
“Perché
c’era una tua armatura ed un
drago dentro l’elmo del gran sacerdote di Atena?”.
“Efesto
ha sparso le cose in giro”
spiegò il Dio “Hades ha, fra le sue vestigia,
quella del gufo di Atena, tanto
per farti un esempio”.
“E
perché?”.
“Chiediglielo”.
Arles rimase
qualche istante in
silenzio. Vedeva Kanon svolazzare da un tetto all’altro, come
fosse qualcosa di
naturale.
“Dunque
anche Kanon è figlio tuo?”
domandò il sacerdote.
“Non
ne sono sicuro. La Sea Dragon
era già sua, è solo passata allo stadio
successivo. Come Kamui è molto più
adatta alla guerra e probabilmente Poseidone l’ha concessa,
sapendo che con la
mia vicinanza i draghi si risvegliano”.
“A
proposito di drago.. sapevi che
era lì e che mi avrebbe attaccato!”.
“Certo..”.
“Quindi
volevi uccidermi!”.
“No.
Volevo metterti alla prova”.
“Ma
chi te lo ha chiesto?! Che
problemi hai?!”.
“Rilassati,
ragazzo”.
“Non
sono un ragazzo. E non mi
rilasso. Sono stufo di avere a che fare con gente che vuole ammazzarmi
continuamente”.
“Siamo
in guerra”.
“Sì
ma non fra noi!”.
“Vai a
farti medicare, Arles. Le
ferite inferte da un drago non sono mai da prendere
sottogamba”.
“E tu
torna a letto. Lo spettacolo è
finito. E vale anche per quei due bastardi di Phobos e
Deimos”.
Ares non disse
nulla. Probabilmente
si voleva allontanare ma non ne era in grado. Sorrise. Ora aveva due
draghi in
più nel suo esercito.
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Capitolo 13 *** XIII- dimostrare ***
XIII
DIMOSTRARE
Dopo un periodo
trascorso a curarsi
dalle ferite del drago, Arles era pronto a combattere. Ma non ne aveva
alcuna
voglia. Il gemello Kanon era partito, diretto al palazzo di Poseidone,
per
cercare di capire se l’armatura era stata un dono del Dio od
una coincidenza.
E, soprattutto, se la divinità gradiva quanto successo o se
non vedeva l’ora di
tirargli il collo. Ares si stava abituando al marchingegno di Efesto e
riusciva
a camminare, anche se solo per brevi tratti. Gli altri abitanti del
tempio si
tenevano in costante allenamento e stavano all’erta, pronti
ad agire.
Steso sul tetto
della tredicesima, il
sacerdote si sentiva un pochino una lucertola e prendeva il sole. Il
drago non
lo aggrediva. Si limitava ad infastidirlo saltuariamente, quando si
annoiava. Arles
aveva scoperto che era solo un cucciolo e che Ares ne possedeva uno ben
più
grosso, così come più grandi erano quelli di
Phobos e Deimos. La bestiola
piaceva a qualche cavaliere d’Atena. A Milo, per esempio,
piaceva giocarci a
palla.
“Cosa
fai quassù?” domandò Deimos,
raggiungendo con agilità il fratello “Giochi a
fare l’acroterio, fratellino? Ti
diverti?”.
“Che
vuoi?” sbottò Arles.
“Vieni
di sotto, mi voglio
divertire”.
“Fottiti!”.
“Vieni!”.
Deimos
tirò il fratello per un
braccio.
“Sei
un coniglio. Non vuoi
affrontarmi perché hai paura di fare l’ennesima
figura di merda!”.
Arles si
accigliò e tentò di colpire
il fratello, che svolazzò con agilità. Indossava
una splendida armatura alata,
un drago verde scuro.
“Torna
qui, rompicoglioni!” sibilò il
fratello più piccolo, cercando di afferrarlo.
Si inseguirono e
finirono entrambi
all’anfiteatro del tempio. Iniziarono ad azzuffarsi, senza
risparmiarsi. Fra
insulti e pugni, il sacerdote era furioso. Deimos, invece, rideva.
Nonostante
venisse colpito anche abbastanza violentemente, non sembrava
preoccuparsene.
“Fai
divertire anche me!” si
intromise Phobos.
“Vaffanculo,
aptero!” ringhiò Arles.
“Non
sono aptero!”.
“Ma
non sai volare. Come i
pinguini..o i tacchini!”.
“A chi
hai dato del tacchino?!”.
Phobos e Deimos
infierirono sul
fratello, che non si tratteneva e rispondeva a suon di cazzotti.
“Ti
strappo tutti i capelli,
mortale!”.
“Ed io
ti sfascio la faccia a suon di
esplosioni galattiche!”.
“Phobos!
Deimos!” tuonò Ares
“Piantatela di nonnizzare vostro fratello!”.
“Nonnizzare?!”
risposero i due, in
coro.
“Piuttosto..Arles!
Ho qualche appunto
da farti riguardo la tua tecnica di combattimento”.
“Prego?!”
si stizzì il cavaliere.
“Hai
una buonissima tecnica, per
carità, ma con ampi margini di miglioramento”.
“A che
titolo tu vieni qua, dopo
tutta una vita che combatto, a dirmi che non va bene come lo faccio?
Sono gran
sacerdote mica per hobby..”.
“Ma
non metto in dubbio la tua
potenza. Solo che puoi migliorare”.
Arles
alzò un sopracciglio.
“Il
tuo problema..” continuò il Dio
“..è che usi molto la parte superiore del corpo. I
tuoi colpi e movimenti sono
tutti incentrati dalla vita in su. Usi molto le spalle, le braccia, il
torace..ma le gambe le utilizzi solo per muoverti”.
“Detto
da uno che non può
camminare..”.
“Sei
proprio un piccolo bastardo”.
“Lo
so..”.
“Quello
che intendo, è che i tuoi
fratelli ti battono perché hanno una tecnica più
completa. Usano anche gli arti
inferiori. Tu al massimo alzi le ginocchia ma preferisci di gran lunga
usare le
braccia. È notevole ammazzare la gente a suon di pugni, ma
sarebbe meglio usare
anche i piedi”.
“Lo
farò quando li userai tu”.
“Arles!
Dovresti ascoltarlo” lo
rimproverò, velatamente, Atena.
La Dea era
apparsa e stava
raggiungendo il fratello. Il sacerdote la osservò e lei
arrossì leggermente,
perché il suo cavaliere era molto poco vestito.
“Ares
è il Dio della guerra” riprese
a parlare poi, indicando il fratello “Di combattimenti e
tecniche ne conosce di
certo più di te, che sei un mortale”.
“Anche
voi siete la Dea della guerra”
rispose Arles “Ma non credo accetterei suggerimenti di
carattere strategico,
dopo tutte le volte che vi siete fatta fare il culo e ci è
toccato salvarvi”.
“Oggi
sei nervoso..”.
“Meglio
non risponda. Potrei essere
cattivo”.
“Suvvia,
Atena” rise Ares “Non serve
che lo stuzzichi pure tu. Ci penso già io!”.
Il sacerdote
fece per andarsene. Era
stanco di discutere.
“Come
ti sei fatto quelle cicatrici?”
domandò ancora il padre.
“Quasi
quarant’anni di botte” sbottò
il figlio.
“Cosa
vuoi che sia? Io ho migliaia di
anni di botte alle spalle!”.
“Hem..fottesega?!”.
“Sei
dolcissimo”.
“Come
un pulcino di zucchero”.
“Questa
cicatrice me l’ha fatta
proprio Atena” informò il Dio, mostrano una spalla.
Arles, senza
parlare, indicò il segno
che aveva sul cuore, dove si era preso la bastonata della Dea quando si
era
suicidato.
“Sì,
Atena ci ama” rise Ares.
“Da
morire”.
“Segui
il mio consiglio”.
“Ok.
Fai due passi dalle mie parti,
quando vuoi aiutarmi ancora”.
“Pulcino
zuccheroso..non farmi
incazzare!”.
“E tu
smettila di sfottere perché
sono mortale e perché non so cavalcare il tuo dannato
cavallo, che vuole solo
mangiarmi i capelli e mordermi!”.
“I
cavalli non mordono!”.
“Il
tuo sì!”.
Ares
sospirò e scosse la testa.
Avrebbe voluto prenderlo a calci, ma le sue gambe non ne erano in
grado. E
sculacciarlo non era proprio il caso.
Kanon conosceva
molto bene le stanze
di Poseidone. Giunse al cospetto del Dio senza troppi problemi, pur
essendo
piuttosto nervoso. Salutò i suoi colleghi di un tempo, che
storsero un po’ il
naso a vederlo. Il Dio dei mari, sul suo solito trono,
osservò Kanon a lungo,
prima di aprir bocca.
“Questa
cosa non ha senso” commentò
“Perché mai una delle mie armature è di
nuovo su di te? E perché ha mostrato le
ali?”.
“Non
posso saperlo io” sbottò Kanon
“Sono qui proprio per questo. La tua Sea Dragon mi ha
inseguito per mezzo
tempio, prima di mettersi a svolazzare con me dentro”.
“Strano..da
Atena capitano sempre
cose bizzarre”.
“Concordo.
Adesso ci sono pure i
draghi!”.
“I
draghi? Ah, ma..Ares è da voi,
giusto?”.
“Esattamente”.
“Allora
è tutto chiaro! Dove sta
Ares, si svegliano sempre i draghi. Quindi anche l’armatura
ha reagito ed ha
assunto quell’aspetto”.
“Sì
ma..io sono il cavaliere dei
Gemelli, non un tuo generale!”.
“Non
è una scelta mia. Io non ti
vorrei mai a mio servizio”.
“E
nemmeno io voglio stare qua.
Perciò riprenditi quest’armatura e lasciami in
pace!”.
Kanon
tentò di liberarsi della Scale,
che però non ne voleva sapere di lasciarlo. Rimase ancorata
al corpo del
cavaliere, nonostante le sue proteste.
“È
l’armatura a sceglierti, non
viceversa” sorrise, divertito, Poseidone.
“Beh
ma che si fotta l’armatura! Io
sto bene alla terza casa!”.
“E
restaci. Chi te lo vieta? Tanto
siamo tutti alleati..”.
“Io
sono qui per appurarmi che poi
non ti girino le palle e venga a cercarmi per punirmi”.
“Non
lo farò. Poi..mi sono giunte
all’orecchio voci interessanti”.
“A che
proposito?”.
“Su
presunti legami di parentela
divina”.
“Parli
di Ares? Non ci sto capendo
molto ma, quando avrò compreso, ti manderò un
sms. Ok?”.
“Sms?”.
“Sì.
Che c’è? Voi Dei non avete il
cellulare?”.
Poseidone non
rispose. Lo aveva, ma
non dava il suo numero a nessuno, meno che mai ai suoi fratelli e
parenti, che
lo avrebbero riempito di foto imbarazzanti e messaggini inopportuni.
L’idea che
Kanon fosse in realtà figlio di Ares gli piaceva.
Così giustificava il fatto di
essere stato ingannato da quel mortale. Non era un semplice mortale
bensì un
discendente divino. Ottima cosa da dire, per salvarsi la faccia!
Milo e Deathmask
osservavano da
lontano le due donne. Pentesilea e Mirina, la regina delle amazzoni e
la somma
sacerdotessa di Ares, stavano dando bella mostra di sé
all’arena del tempio.
Allenandosi, le due stuzzicavano molte fantasie maschili. Quando videro
arrivare Deimos, seguito da Arles, sorrisero.
“Come
se la cava nel volo il nuovo
arrivato?” domandò Mirina.
“Egregiamente,
direi” rispose Deimos,
con un cenno d’orgoglio verso il fratello.
“Splendido!”.
“Anche
se possiamo ancora migliorare,
vero Arles?”.
Il sacerdote si
limitò ad annuire,
stufo di continue chiacchiere a lui rivolte.
“Un
giorno verrò a vederti” commentò
Mirina “Sono sicura che sei bravissimo. Ed anche molto
affascinante, con quelle
ali spiegate”.
“Quando
vuoi..” acconsentì lui,
andando a sedersi fra i primi gradini dell’anfiteatro.
Era piuttosto
stanco, ma c’era una
cosa che si era ripromesso di fare..
“Hei!”
interruppe i suoi pensieri
Milo “Carina la fanciulla. Lieto di vedere che ti dai di
nuovo da fare,
sacerdote!”.
“Ma
che discorsi fai? Guarda che è
mia sorella!”.
“Sorella?”.
“Sì,
sorella. Sei duro d’orecchi?
Vuoi che te la presenti?”.
“Cosa?
Io? Ma..”.
“Mirina!”
non attese risposta Arles
“Vieni qui un secondo”.
L’amazzone
si avvicinò e Deathmask
protestò. Ed a lui niente?!
“Sei
fidanzato!” lo spinse via Milo.
“Fatti
miei!”.
“Pentesilea”
chiamò, con un sospiro,
il sacerdote.
Entrambe le
donne raggiunsero il
fratello minore, che si rialzò.
“Questi
miei amici..” spiegò
“..vorrebbero tanto conoscervi”.
“Benissimo”
ghignò Mirina “Allora
alzatevi! Non c’è modo migliore di conoscersi se
non con un bel combattimento
corpo a corpo”.
“Che..?!”
spalancò gli occhi
Deathmask.
“Buon
fortuna” rise Arles “Sono
amazzoni. Picchiano di brutto!”.
“Lo
sappiamo”.
“Me se
le battete..stanotte vi
divertite. Ora scusatemi, ma ho una cosa da fare”.
Ah, Eleonore!
Bellissima Eleonore!
Eleonore che mutava il suo aspetto seguendo le fasi della luna, che
danzava per
celebrare la Dea, che intrecciava i lunghi capelli con fiori
variopinti.
Eleonore, quella Eleonore, non esisteva più. Al suo posto,
vi era la nuova
moglie di Hades, molto più tenebrosa e silenziosa. Ed
innamorata di un uomo
diverso. Arles era rassegnato. Come poteva competere, contro un Dio? Un
Dio
che, per quanto fosse inquietante, era sano di mente e privo di
individui che
passavano la giornata a mettergli i piedi in testa..
In quella notte
di luna piena, il
sacerdote camminava nel buio. Con fra le dita il fiore preferito di
lei, un
giglio, il cavaliere sapeva bene che visitare la tomba della sua amata
era del
tutto inutile. Sospirò. Com’era triste
all’idea che nemmeno vagamente lo
ricordasse! Kanon amava fargli quei discordi filosofici sul fatto che
è meglio
amare e perdere piuttosto che non amare mai, ma per Arles non era
così. Aveva
passato gran parte della sua vita nella
totale convinzione di non poter essere amato da nessuno a causa della
sua personalità
ambigua ma Eleonore aveva
cambiato
quella sua prospettiva. Era angosciante. Ma si era ripromesso di
reagire e dimostrare
a tutti di non essere di animo debole. Giunse nei pressi di un lago, su
cui il
riflesso del satellite argento era limpido e magnifico. In esso, un
gruppo di
donne nuotavano, di cielo vestite. La loro pelle nuda brillava,
riflettendo la
luna con ogni goccia che scivolava su di essa. Erano immerse fino ai
fianchi e
danzavano, tenendosi per mano. Poi una di loro spalancò gli
occhi, coprendosi
il seno.
“Un
uomo!” gridò.
Arles
continuò ad avanzare, senza
cambiare espressione. Le donne stavano facendo un gran baccano,
cercando di
coprirsi.
“La
pagherai!” parlò, con tono grave,
colei che stava al centro del gruppo “Mortale, pagherai caro
questo affronto!”.
“Non
vedo l’ora” rispose Arles
“Diana, Dea romana della luna”.
“Chi
sei? Voglio sapere il nome che
scriverò sulla tua tomba”.
“Non
ha importanza il mio nome.
Dovessi morire, lasciami pure marcire in pasto ai corvi”.
“Non
usare frasi ipotetiche. Tu
stanotte morirai!”.
Uscendo
lentamente dall’acqua,
mostrandosi del tutto nuda per qualche istante, Diana chiamò
a sé la sua
armatura. Le sue sacerdotesse fecero lo stesso. Arles lasciò
cadere il giglio
che aveva fra le mani e lasciò che anche la sua armatura lo
vestisse.
“Sei
un guerriero di Ares?” domandò
Diana, riconoscendo le vestigia.
“Sono
tante cose. Fra queste, l’uomo
che follemente amava Eleonore”.
“E chi
è?”.
“Magari
all’altro mondo te ne
ricorderai”.
“Ti
piacerebbe! Porta i miei saluti
al tuo caro padrone, quando varcherai le soglie del regno dei morti! E
spero di
spedirti presto, a farti compagnia, Artemide!”.
Arles non
rispose. Era bello sapere
che i nemici ancora credevano Ares morto. La Dea romana si
preparò a scoccare
le sue frecce. Con rabbia, ne inviò una schiera contro
l’invasore che però
riuscì a respingerla, spedendola in una diversa dimensione.
“Notevole
che un mortale faccia
questo”.
“Non
hai ancora visto niente..”.
Arles non era
affatto sicuro di
riuscire a battere la Dea ma non riusciva a togliersi dalla testa
quella scena:
la sua amata stesa a terra in un lago di sangue, in un coma da cui non
si era
mai più risvegliata. Per anni aveva sofferto ricordando,
senza mai trovare la
forza necessaria per reagire e vendicarsi. Ora l’aveva
trovata quella forza..ma
forse aveva fatto una cazzata! La Dea lo colpì
violentemente, con un calcio.
Lui si riprese in fretta e saltò, prendendo il volo. Lei lo
imitò ed iniziò uno
scontro aereo, fra le frecce che le sacerdotesse di Diana lanciavano
verso il
nemico. Alcune andavano quasi a segno ma non fermavano la furia di
Arles, il
cui sguardo rosso sangue incrociò quello della Dea. Lei
parve intuire il legame
fra quell’uomo che la sfidava ed il Dio della guerra. Ne fu
lievemente
spaventata.
“Non
riuscirai a battermi” commentò
“Sei comunque un mortale, anche se di discendenza
divina”.
Lo
colpì, facendo lo indietreggiare.
“Ora
ricordo..” commentò “Eleonore!
La somma sacerdotessa di Artemide! Una cosa inaudita per me che una
delle mie
adepte si faccia toccare da mani maschili”.
“Anche
per Artemide lo era. Ma ha
compreso il legame che vi era fra lei e la sua sottoposta e non ha
avuto nulla
da ridire. Lei aveva compreso il nostro amore”.
“L’amore
è qualcosa di decisamente
sopravvalutato”.
“Ti do
ragione. Ma io affronterei
mille e più nemici se, in cambio, potessi riaverla
accanto”.
“Capirai!
Non sai fare altro,
galoppino di Ares! Null’altro, se non combattere”.
Arles
schivò l’ennesimo attacco ed
avanzò sicuro. Allungò il braccio ed
affondò gli artigli delle sue vestigia
nella carne di lei. Questo lo scoprì, permettendo alle
sacerdotesse di
raggiungerlo con qualche freccia.
“Io
non sono il galoppino di Ares”
commentò, afferrando la Dea per i capelli “Io sono
il gran sacerdote di Atena.
E Ares..Ares è mio padre, romana!”.
Detto questo,
strinse la Dea a sé e
le diede un bacio, di quelli che la sua avversaria tanto odiava, con
tanta
lingua e disprezzo. Lei gemette, trovando la cosa disgustosa ed
umiliante.
Cercò di liberarsi dalla presa di lui ma non ci
riuscì.
“Ringrazia
che sono qui solo per
ucciderti..” le sussurrò all’orecchio
Arles “..perché questa battaglia mi ha
decisamente eccitato”.
Diana
spalancò gli occhi e gridò,
pronta a lanciare un ulteriore attacco. Il cavaliere
l’anticipò e la colpì con
violenza. La Dea cadde in terra, nel suo stesso sangue. Poi
l’avversario si
concentrò sulle sacerdotesse. Estraendosi dal corpo varie frecce,
capì che non aveva altro che
delle fanciulle smarrite dinnanzi a sé. Senza la loro Dea,
non erano niente. Ci
mise qualche istante a sconfiggerle, anche perché erano
poche e deboli.
Il lupo
ringhiò. Mirina, ancora fra
le braccia dello Scorpione, si svegliò.
“Hai
sentito?” mormorò.
“Sì,
sono Shaina e Deathmask che
litigano” sorrise Milo “Normale
amministrazione”.
“No.
C’è altro. Il lupo di mio padre
sta ringhiando”.
“Nemici?”.
“Non
lo so”.
Milo
uscì dal letto, senza
preoccuparsi troppo della sua nudità. Raggiunse
l’uscio della sua casa ed
intravide un’ombra sulle scale.
“Chi
è là?” domandò.
L’ombra
si mosse leggermente,
facendosi illuminare dalla luna.
“Arles!”
sobbalzò Milo.
Il sacerdote era
ricoperto di sangue,
suo e del nemico. Con i capelli neri incollati al viso in ciocche
scomposte,
fra sudore e coaguli, non aveva di certo un aspetto rassicurante.
Inoltre il
suo sguardo era spaventoso.
“Torna
a letto, Scorpione” mormorò
Arles, riprendendo il suo cammino.
“Sì”
balbettò il guardiano
dell’ottava casa.
Era sceso uno
strano silenzio.
Nemmeno Deathmask e Shaina si udivano più. Probabilmente,
dopo la rabbia
iniziale nel trovare il suo uomo con un’altra donna,
l’Ofiuco aveva trovato il modo
di farsi rabbonire. Pentesilea, nel frattempo, si era allontanata in
silenzio,
soddisfatta.
Ares dormiva e
sognava. Si svegliò di
colpo, udendo un rumore.
“Arles!
Sei tu! Smettila di farmi
spaventare!” borbottò.
Si
alzò a sedere, un pochino intontito,
e solo in quel momento si accorse dello stato in cui versava il figlio.
“Che
ti è capitato? Non dirmi che
sono stati Phobos e Deimos!”.
Il sacerdote
camminò lentamente e si
inginocchiò dinnanzi al padre.
“Chiedo
perdono” mormorò “Avevate
chiesto la testa di Marte ma io, per quella, non sono ancora pronto.
Vogliate,
intanto, accettare questa”.
Con riverenza,
Arles mostrò al Dio il
suo trofeo: la testa di Diana. Ares sobbalzò.
“Arles!
Hai affrontato Diana da
solo?”.
“Sì”.
“Sei
un pazzo!”.
“Perdonatemi.
È che..avevo un peso
dentro di me..”.
“Ed
ora se n’è andato?”.
“No..”
sospirò Arles, chinando ancora
più il capo.
Il Dio della
guerra pose una mano fra
i capelli del figlio.
“Sono
fiero di te” gli disse “Ma non
correre rischi inutilmente. Potevi morire..”.
“Lo
so. Ma che importa?”.
“In
guerra contano gli uomini
migliori. Se li perdo per strada, non va certo bene! Ora va a riposare.
Sei
ferito”.
Arles si
rialzò, senza dire nulla. Si
trascinò fino alla grande vasca della tredicesima e,
spogliatosi di vesti ed armatura,
vi si immerse. L’acqua limpida cambiò colore,
tingendosi di rosso sangue. Il
sacerdote gemette e chiuse gli occhi. Si sentiva meglio, ora che lo
sciabordio
della lieve corrente lavava via ogni segno dello scontro. Si
ritrovò con le
lacrime sul viso. Che razza di ennesimo mostro era diventato? Accecato
dalla
rabbia e dalla vendetta, aveva affrontato ed ucciso una Dea. Una figura
in cui
molti credevano ed ora ai quei molti mancava una guida. E quante altre
vite
aveva distrutto, uccidendo le sacerdotesse? E tutto questo per quale
motivo?
Eleonore non sarebbe mai tornata, mai più. Un rumore lo
distrasse da quei
pensieri. Un’ancella, una delle poche rimaste al tempio, era
entrata e si era
lasciata sfuggire un gridolino di spavento.
“Chiedo
perdono!” si affrettò a dire
“Io a quest’ora pulisco, perché non
c’è mai nessuno. Me ne vado subito”.
Iniziò
a raccogliere gli asciugamani
che aveva fatto cadere in terra. Quando rialzò lo sguardo,
Arles le stava di
fronte. Le afferrò i polsi, facendo di nuovo finire in terra
i panni.
“La
prego, non mi punisca. Mi
dispiace!” supplicò lei “Non
succederà più”.
Il sacerdote non
cambiò espressione.
La strinse a sé e la fece sua. La fanciulla gridò.
“Scusami”
gemette Arles “È che questa
battaglia mi ha decisamente eccitato”.
Chiedo
perdono per chi si sentirà in qualche modo turbato da certi
passaggi e grazie a tutti coloro che stanno seguendo la storia fin ora.
A presto!
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Capitolo 14 *** XIV- scontro ***
XIV
SCONTRO
“La
pagheranno cara!” commentò Marte.
Al cospetto del
padre degli Dèi
romani Giove, il Dio della guerra aveva appena appreso la notizia della
morte
di Diana.
“Chi
è stato? Chi ha osato?” continuò
il guerriero “Quali
divinità devo sterminare
fra i greci?”.
“Ho
bisogno di più informazioni..”
ammise Giove, seduto sul suo trono.
“Posso
fornirtele io, padre mio”
commentò Minerva, facendo il suo ingresso con
maestosità.
“Minerva!
Figlia mia adorata! Dicci
pure tutto quello che sai. Quali divinità greche hanno
agito?”.
La Dea e Marte
si osservarono con
fastidio, senza salutarsi.
“In
realtà..” iniziò a spiegare lei
“..non è stato un Dio”.
“Allora
un esercito!”.
“Nemmeno.
È stato un uomo, un
mortale”.
“Un
mortale?! Uno soltanto?!”.
“Esattamente.
Un figlio di Ares”.
“Ora
comprendo la ferocia del gesto.
Ma è incredibile..” commentò Giove.
“Incredibile
non credo. Si tratta di
un cavaliere di Atena, che più volte ha mostrato di essere
in grado di porre
fine alla vita di una divinità”.
“Forse,
poi..” si fece sentire Marte
“..costui era anche mosso da odio nei nostri confronti,
alimentato dal fatto
che suo padre è stato uccido da noi”.
“Permettimi
di dissentire, fratello”
sorrise Minerva, sadicamente “Ares è vivo e
vegeto”.
“Tu
menti! L’ho trafitto con la mia
spada!” protestò il Dio della guerra, irato.
“No,
affatto! Sei stato vittima di
un’illusione”.
“Stronzate!”.
“Ho le
mie fonti fidate. Ares è solo
ferito ma un’illusione ti ha fatto credere che fosse
morto”.
“E chi
sarebbe in grado di creare una
cosa del genere? Tanto potente da poter ingannare me, Marte, e le altre
divinità lì presenti?”.
“Ingannare
te è semplice, sei un
idiota!” sorrise ancora Minerva “Ma, comunque,
è stato sempre lo stesso mortale”.
“Che
dici?! Non è possibile!”.
“Non
crederci, se non ne hai voglia.
Ma è andata così”.
“Quindi
immagino che anche Phobos e
Deimos siano ancora in vita..”.
“Esatto!
Sei stato gabbato, piccolo
stolto! E adesso non sbarellare e cerchiamo di capire come agire in
modo
sensato”.
“Modo
sensato?! Io, se prendo quel
mortale, lo riduco in condizioni tali da renderlo irriconoscibile
perfino dalla
madre!”.
“Dubito
abbia una madre..”.
“Fa lo
stesso!”.
“Calmati,
Marte” lo rabbon Giove
“Piuttosto, raduna i tuoi Salii con i loro scudi sacri e
preparati alla lotta
al fianco di Minerva e le sue Saints”.
“Fuori
discussione. Io questa con la
fica atrofizzata non la voglio vicino!” si lagnò
Marte “So cavarmela benissimo
da solo”.
“Ed io
non scendo in guerra con un
simile burino pel di carota che rovinerebbe ogni mia
strategia” ribatté
Minerva.
“Ma se
Ares non è morto..” interruppe
Giove “..allora dov’è? Non avevamo
controllato al suo tempio in Trancia?”.
“Sì,
padre” annuì Minerva “Non è
al
suo tempio ma bensì a quello di Atena”.
“Atena?
Sei assolutamente sicura?”.
“Fidatevi
di me. Ho una fonte certa”.
“Ares
ed Atena allo stesso tempio?”
storse il naso Marte “Sarebbe come se io e te, sorella,
stessimo nello stesso
edificio. Che pensiero terribile”.
“Sì,
il solo pensiero di dividere il
tetto con te mi fa venire la nausea”.
“Come
se tu fossi piacevole come
vicina di casa, zitellona acida”.
“Smettetela
di litigare!” sbottò
Giove “Mi state a sgrarà li cojoni!”.
Marte rise e
Minerva scosse la testa,
lievemente disgustata.
“Perdonatemi,
padre” si scusò la Dea
“Faremo meglio a pensare a cose serie, non ai problemi di
famiglia, che
risolveremo in seguito”.
“In
seguito?” ghignò Marte.
“Me
te metto ‘n tasca e te meno quanno ciò tempo,
fratellino”.
“Basta,
ho detto! Se non volete
combattere assieme, sono cazzi vostri. Ma qualcuno deve verificare di
persona
le notizie appena apprese”.
“Lasciate
che me ne occupi io” si
propose Minerva “Io non sarò di certo vittima
delle illusioni di un mortale! Il
mio quoziente intellettivo è ben più alto di
quello di questo sfigato!”.
“Ma..”.
Marte
tentò di riaprire bocca ma
Giove lo zittì: “Se non riuscite a lavorare
assieme, a me non interessa. Vedete
di rimandare a più tardi i battibecchi fra di voi”.
“Giusto”
annuì Minerva “Andiamo,
Marte. Risolveremo la questione al ritorno”.
“Apparecchia
er culo, stronza!” ringhiò il Dio della
guerra, seguendo la sorella fuori dalla grande sala dove Giove li aveva
convocati.
“Con
che cosa stai giocando?” domandò
l’ancella, avvicinandosi alla bimba.
La piccola
romana sobbalzò e si voltò
di scatto. Ancora non era abituata al grande tempio ed i suoi abitanti.
Sorrise, riconoscendo la donna al servizio di Arles.
“Con
niente” rispose la bimba “Mi
annoio”.
“Mi
hanno detto che sei brava a fare
le trecce. Ne faresti una anche a me?”.
La piccola
sorrise.
Arles
uscì dalle sue stanze. Si stupì
nel vedere lì la sua ancella che, seduta fra le scalinate in
pietra, si stava
facendo fare la treccia. Si avvicinò ad entrambe, con i
lunghi capelli che
sfumavano dal nero al blu.
“Non
sei obbligata a stare qui.
Comprenderei, se te ne andassi” disse lui, rivolto alla donna
Lei rimase in
silenzio qualche
istante, mentre la bambina continuava ad intrecciargli la capigliatura
bionda.
Si voltò solo leggermente, incrociando lo sguardo del suo
signore.
“Puoi
lasciarci da soli un istante,
piccina?” mormorò l’ancella
“Dopo andiamo in paese a comprare tanti nastri
per capelli”.
La bambina
sorrise ed annuì,
allontanandosi. Lanciò solo un ultimo sguardo ai due e poi
sparì fra le
colonne, soddisfatta.
“Di
che parlate, signor Arles?”
riprese la donna, non appena la romana si fu allontanata.
“Mi
riferisco a quanto successo..”
rispose lui.
“E
questo dovrebbe allontanarmi da
qui?”.
“Non
è stato un atteggiamento
consono”.
“Siete
il mio signore”.
“Questo
non mi giustifica”.
“Non
è successo nulla di male..”.
“Ma..”.
“All’inizio..”
parlò lei, con calma,
alzandosi “..sì, mi avete spaventata. In voi
c’era odio, rabbia e ferocia. Ma
poi..tutto questo è svanito. Niente più odio,
rabbia e ferocia ma tanta tristezza,
angoscia e solitudine. Ho percepito in voi la sete ed il desiderio di
dissetarvi d’amore, ma io non sono la sorgente da cui anelate
bere”.
“Come
immagine è decisamente strana.
Però io non dovevo..”.
“Non
ne farò parola, state pure
tranquillo. Immagino che Atena non ne sarebbe soddisfatta..”.
“Che
state dicendo? Che importanza
ha?”.
“Non
temete..”.
“Cosa
ti costringe qui? Ti ho
stuprata e stai qui a parlare di Atena?”.
“È
stato sesso fra adulti. Niente
violenze o altro. E poi..cosa mi costringe qui? Nulla. Anzi..qualcosa
c’è. E
forse potrei raccontarvelo..”.
“Io
non capisco”.
“Io mi
chiamo Sarah. Sono nata in
Grecia, il dieci di agosto, la notte delle stelle cadenti, da genitori
inglesi.
Questo vi suona familiare?”.
Il sacerdote
guardò l’ancella, con occhi
tristi.
“Come..”
mormorò lui “..come
Eleonore?”.
“Sono
la sua gemella minore”.
“Non
sapevo che avesse una gemella!”.
“Abbiamo
passato brutti momenti, io e
lei. Io sono la minore e lei era molto protettiva nei miei confronti.
Siamo
sempre state molto diverse, non solo d’aspetto, e
così, quando i nostri
genitori sono morti, lei si è unita alle schiere di Artemide
ed io non capii la
sua scelta. Tentai altre strade, ben meno prosaiche e sante. Lei, nel
frattempo, è diventata somma sacerdotessa. Il suo animo era
in pace, ed io la
invidiavo. Cambiavo lavoro continuamente, piangevo, mi sentivo
smarrita.
L’ultima volta in cui l’ho vista viva è
stato quando mi ha detto che aveva
intenzione di sposarsi. Sono impazzita. Ero gelosa e
l’accusavo di aver dimenticato
i nostri amati genitori. Non ci siamo più parlate. Poi lei
è morta, non serve
che ti racconti come”.
“Già..non
è necessario..”.
“Ammetto di averti odiato. Pensavo
fossi un
rammollito. Mi sono chiesta per quale motivo non avessi protetto mia
sorella,
ma poi ho visto quanto dolore avevate nel cuore per colpa di quella
perdita. E
probabilmente vi sentite ancora in colpa, dico bene?”.
“Sì.
Dici bene..”.
“Ho
deciso di seguirvi qui al tempio.
Non lo so perché. Forse ho sentito il desiderio di farmi
perdonare dalla mia
adorata sorella. Lo so, è assurdo quel che sto
dicendo..”.
“No,
affatto. Se Kanon dovesse morire,
e scoprissi che aveva una moglie, tenterei di aiutarla”.
“Qui
al tempio ho compreso perché
Eleonore si fosse innamorata di voi. E qui al tempio ho trovato la pace
nell’animo. Perciò, vi prego, non ditemi che devo
andare via”.
“Non
ti posso obbligare. Pensavo che
lo desiderassi”.
“Non
lo desidero. L’unica cosa che
voglio, è restare”.
“Perché
non mi hai detto di essere la
sorella di mia moglie?”.
“Perché
ho commesso tanti errori ed
un trattamento di favore non può mondarmi”.
“Ora,
però, mi sento ancora più in
colpa per quel che ho fatto”.
“Non
dovete. Non mi avete amata, non
mi amerete mai, questo lo so. Ma se aveste abusato con ferocia di me,
sarei
fuggita”.
“Quindi
sei qui solo perché ti senti
in debito con tua sorella?”.
“All’inizio
sì. Ora sono qui perché
so che è questo il mio posto. Spero che quanto successo non
cambi la
situazione”.
“Ma lo
sai che ora lei è la moglie di
Hades? Non dovresti raggiungerla?”.
“Lei
non mi ricorda. E non ha bisogno
di me. Voi invece..”.
“Io..?”.
“Mio
signore..” continuò lei,
avvicinandosi “..voi avete bisogno di qualcuno che vi ami. Ed
io veglierò su di
voi, fino a quando la vostra sete non troverà la giusta
sorgente”.
Detto questo,
l’ancella si congedò,
con un inchino. Arles non sapeva che altro dire. Era molto
più confuso di prima
ma non ebbe il tempo di riflettere molto, perché Atena lo
stava chiamando a
gran voce.
Mur
percepì qualche cosa. Alla prima
casa, l’Ariete stava modificando qualche armatura seguendo i
consigli di
Efesto. Uscendo allo scoperto, percepì che qualcosa non
andava.
“Kiki!”
chiamò “Va ad avvisare gli
altri. Ci sono dei nemici”.
“Chi?
Chi sono?” rispose Kiki,
mettendosi in allarme.
“Non
lo so. Ma sono in molti.
Corri!”.
Il giovane
annuì. Riuscì a scorgere
di sfuggita un nutrito gruppo di estranei comparire dinnanzi a Mur. Si
erano
nascosti con una barriera, ma l’Ariete li aveva individuati
facilmente con i
suoi poteri psichici. Kiki si allarmò, percependone la
notevole potenza.
“Fratello!”
chiamò.
“Corri,
Kiki! Li fermerò finché
posso” ordinò ancora Mur, infastidito dalla
titubanza del parente.
L’abitante
della prima casa creò il
suo Crystal Wall, che però si incrinò dopo solo
pochi colpi nemici. Mur non
indietreggiò, preparandosi ad attaccare.
“Non
siamo qui per te, mortale!”
parlò una voce da donna.
L’Ariete
la individuò . Fra i vari
avversari, era una donna con un grosso elmo in testa. In mano stringeva
una
lancia.
“Minerva?”
domandò Mur.
“Sono
io. E ti risparmierò la vita se
mi dirai dove trovare Ares ed i suoi piccoli marmocchi”.
“Ares?
Ares è morto” mentì l’Ariete.
“So
che non è così”.
“Hai
delle notizie sbagliate”.
La Dea si
accigliò. Afferrò Mur e lo
spinse contro il muro.
“Non
ho tempo da perdere!” continuò
lei “Dove sono Ares ed i suoi figli?”.
“Questo
è il tempio della mia signora
Atena. Di Ares ed i suoi figli non mi interessa”.
“Bugiardo!
Ti farò parlare!”.
“Lascialo
a me” la interruppe Marte
“Lo faccio parlare in massimo quattro secondi”.
“Lo
vuoi torturare? Va bene, ma non
ucciderlo”.
“Ci
starò attento”.
“Non
mi fai paura!” lo affrontò Mur,
mentre il Dio romano si avvicinava.
“Fai
male, anche se rispetto il tuo
coraggio”.
L’Ariete
non rispose. Continuò a
sostenere lo sguardo di Marte, anche quando questi iniziò a
colpirlo duramente.
Mur ribatté, cercando di reagire. Poi una forte luce quasi
lo accecò ed il Dio
mollo la presa.
“Anvedi
sto laziale!” sbottò,
infastidito, Marte.
“Laziale?
Io sono di Atene!” esclamò
Ioria, facendo il suo ingresso trionfale fra la polvere sollevata dal
suo
attacco.
“Ateniesi,
laziali..mi state sul
cazzo allo stesso modo!”.
“Allontanatevi!”
ringhiò il
cavaliere, mostrando il pugno “O assaggerete il colpo di
Ioria del Leone!”.
“Er
gatto di casa me minaccia. Sto a
tremà” ghignò il Dio, sarcastico.
“Smettila
di fare il deficiente!” lo
ammonì Minerva.
Il Leone non
attese e lanciò un
potentissimo Lightning Plasma, che colpì Marte in pieno.
“Visto?
Coglione..” lo rimproverò la
Dea “..non ti porto più in guerra, fai solo figure
di merda!”.
Minerva
ignorò il fratello e decise
di avanzare. Il Dio romano reagì e colpì i suoi
avversari, permettendo alla
sorella di andare oltre la prima casa. Ma la Dea non riuscì
ad avanzare di
molto assieme al suo esercito.
“Vai
da qualche parte?” si sentì
dire.
Kanon, con
indosso la Sea Dragon
alata, era pronto ad affrontarla.
“Cosa
ti è saltato in mente?!”
sbraitò la Dea, puntando il bastone contro Arles.
Il sacerdote
alzò le braccia
leggermente, cercando di capire a cosa esattamente si riferisse.
“Una
testa mozzata a casa mia?!”
continuò lei e lui si rilassò, comprendendo.
“Posso
spiegare..” iniziò a dire.
“Non
c’è niente da spiegare! Sei
disgustoso!”.
“Avete
ragione, chiedo scusa,
però..”.
“Però
che cosa?! Αηδία,
αηδία!! [schifo,
schifo!!]”
“Chiedo
perdono. Non pensavo che la
Dea della guerra reagisse in questo modo davanti ad una testa
mozzata”.
“Mi
prendi per il culo?!”.
“No!
Per carità, signora. Era una
faccenda fra me e mio padre”.
“Beh,
certe porcherie le andate a
fare a casa vostra, chiaro?! Non a casa mia!”.
“Ho
compreso”.
“Detto
questo..non è da te agire
senza riflettere in quel modo! Affrontare da solo una Dea è
da stupidi. Perché
lo hai fatto?”.
“Perché
dovevo. Io..”.
La conversazione
si interruppe. Un
forte boato e delle grida stavano scuotendo il tempio.
“Che
succede?” si allarmò Atena.
“Nemici!”.
“Presto,
mettetevi in salvo, mia
signora!” esclamò Aiolos, come sempre nei paraggi
della dimora divina, pronto
ad agire.
“Chi
sono? Chi ci attacca?” volle
sapere lei.
“Minerva
e Marte con i loro
eserciti”.
“Allora
io..non posso fuggire!”.
“Mia
signora!”.
“Taci!
E prepara il tuo arco”.
“Levati
di mezzo!” minacciò Minerva,
allungando la lancia verso Kanon.
“Tornatene
a casa, ti conviene!” le
rispose Kanon.
“Credi
di spaventarmi, mortale?”.
“No.
Ma credo di confonderti
alquanto. Non è vero?” sorrise il custode della
terza casa “Non ti aspettavi
una cosa del genere. Un cavaliere di Atena con le vestigia sotto il
dominio di
Poseidone. Ammettilo che sei confusa..”.
Minerva non
rispose. Era confusa,
davvero, ma non poteva certo farlo capire a quel misero mortale!
Accigliandosi,
si preparò ad attaccare quell’impiccio in
armatura. Lanciò un grido, lo stesso
che si udì al momento della sua nascita, e corse verso
Kanon. Il cavaliere ghignò,
beffardo. Si abbassò solo leggermente e sferrò un
potente cazzotto in mezzo
alla faccia della Dea.
“Cosa
credevi?” la sfotté Kanon “Che
provassi un qualche tipo di pietà nei tuoi confronti, solo
perché sei una Dea?”.
Il Leone
colpì di nuovo ma stavolta
Marte riuscì a schivare. Il Dio non ci vedeva dalla rabbia e
fremeva all’idea
di vendicarsi per l’umiliazione subita.
“
Prima te massacro de botte” sibilò
il Dio "Poi rompo er culo a colui che me piglia pe’ li cojoni
co’ le illusioni.
Gli sfaccio la capoccia come ha fatto lui con mia sorella Diana".
“Anche
se sei un Dio, io non
arretrerò di un passo!” ringhiò Ioria
“Anche se con te hai tutti i tuoi
sottoposti, non farai tremare le zanne del leone”.
“Ma
che stai a dì?! Ao, parla come
magni! Nun
ch’o o fa ‘o
splendido,fatta ‘na
canna de lattuga, n’endovena
de camomilla e
vedi d’annattene!”.
“Senti,
romano..o parli in maniera
comprensibile o stai zitto. L’unica cosa che ho capito
è che vuoi che mi fumi
la lattuga! Ma io non sono tipo che si perde in chiacchiere e,
soprattutto, non
ascolto praticamente mai. Perciò borbotta pure cose
incomprensibili quanto ti
pare. Lightning Plasma!”.
Marte
saltò ma non riuscì a schivare
tutti i pugni alla velocità della luce del Leone. Doveva
ammetterlo, quel
mortale era forte. Ma non abbastanza! Si riprese e lanciò il
suo attacco: “Colpo
der vendicatore romano de Roma!”.
“Eh?!”
storse il naso Ioria, senza
capire e ritrovandosi con uno scudo d’oro contro la faccia.
Minerva,
colpita, si toccò il viso,
infuriata. Kanon sorrise.
“Ne
vuoi ancora?” sfidò lui “Non
andrai oltre, Dea!”.
“Vanum
est epinicion canere ante victoriam”
ribatté lei.
“Sarebbe
a dire? Io le lingue morte
non le parlo”.
“Significa
che non devi cantar
vittoria troppo presto, cavaliere! Ma piuttosto..presentati, come
è bene fare. Chi
sei?”.
“Sono
Kanon, il cavaliere che dimora
alla casa dei gemelli”.
“Oh,
Gemino..ab ovo!”.
“Ma
non lo hai ancora capito che il latino
mi fa proprio schifo?”.
“Era
una citazione di Orazio,
ignorante”.
“Se
vuoi io ti cito Clarabella”.
“Una
volta voi greci eravate la culla
della civiltà..”.
“Anche
voi eravate molte cose. Dove sta,
ora, l’impero romano?”.
“Non
infierire, ellenico!”.
“Preparati
a ricevere il mio colpo,
Minerva!”.
La Dea
afferrò il suo scudo, pronta a
parare. Con uno scatto della lancia, avanzò. Kanon
fermò l’alma ma era molto
affilata, e fu ferito di striscio. Questo lo fece infuriare e
tirò una poderosa
ginocchiata alla divinità, che non apprezzò per
niente il gesto. Poi una grande
luce li avvolse.
Il Leone
continuava a combattere.
Marte era ferocie e determinato, e così anche il suo
esercito, ma Ioria non si
voleva arrendere. Ed ecco che qualcuno giunse in suo soccorso. Una
freccia d’oro
quasi colpì il Dio che riuscì a schivarla per
pochissimo.
“Fratello!”
esclamò Aiolos “Tutto
bene?”.
“Certo.
Mandiamo all’altro mondo
questo Dio portatore di sangue e morte!”.
“Con
immenso piacere!”.
Aiolos
scoccò un’altra freccia. Marte
usò uno dei suoi scudi d’oro e la freccia non lo
colpì. Anche quel mortale era
notevole, non lo doveva sottovalutare.
“Stai
indietro, Kanon” parlò una voce
di donna.
Atena apparve,
avvolta da un alone di
luce.
“Sto
cazzo!” le rispose il cavaliere “La
voglio massacrare!”.
“Kanon!”.
“Atena!
Che onore” sorrise,
sarcastica, Minerva.
“Tornatene
da dove sei venuta!” la
minacciò la Dea greca “Se non vuoi che ti scateni
contro tutti i miei
cavalieri!”.
“Non
me ne andrò, fino a quando non
avrò la testa di colui che ha ucciso Diana ed imbrogliato
Marte”.
“Tutti
ingannano Marte. Vuoi decapitare
mezza umanità?”.
“Sai a
cosa mi riferisco! Ares è vivo
ed è qui”.
“Non
sono affari che ti riguardano. Ed
ora vattene!”.
“Quel
vigliacco di Ares si fa
difendere da una donna? Che patetico deucolo inutile!”.
“Almeno
lui non ruba le dimore ed i
ruoli altrui, romana!”.
Minerva
roteò la lancia e si apprestò
a colpire la sua avversaria. Kanon osservò la scena, vedendo
Atena chiaramente
trapassata dall’arma. Spalancò gli occhi ma solo
per un attimo.
“Mostrati,
creatore d’illusioni!”
comandò la Dea romana “So per certo che quel che
vedo non è reale. Fatti vedere,
vigliacco!”.
Kanon si
allarmò. Il fratello era
stato scoperto e non era certo un bene. Probabilmente ancora stanco
dopo lo
scontro contro Diana, non era stato in grado di creare una
manipolazione della
realtà tale da ingannare una Dea. Minerva lanciò
la sua lancia, che le indicò
la direzione da seguire. Saltò, pronta a lanciare il suo
colpo verso quella
direzione.
“Lascia
che i grandi si occupino di
queste cose” esclamò Ares, tirando per il braccio
il figlio giusto in tempo.
“Tu
non dovresti uscire allo scoperto”
ribatté Arles.
“Ormai
è tardi. Loro sanno che io
sono qui”.
“E
come?”.
“Non
lo so..”.
Senza aggiungere
altro, il Dio si
apprestò a colpire i nemici.
“Ανδρειφοντης
Μαλερός! [ANDREIPHONTES
MALEROS. assassino di uomini
brutale]” gridò.
Subito
dalle sue mani emersero lingue di cosmo rosso sangue che travolsero
come un’onda
gli eserciti. I due Dei romani si nascosero dietro i propri scudi.
Atena sobbalzò
e creò una sorta di barriera attorno ai suoi cavalieri, che
altrimenti
sarebbero stati gravemente feriti. Minerva, vedendo spazzati via i suoi
eserciti, capì che non era in grado di sostenere quello
scontro. In quel luogo,
vi erano troppi guerrieri potenti.
“Torneremo”
commentò “La vendetta sarà
nostra”.
Kanon
provò a seguirla ma Atena lo fermò, dicendogli
che non era il caso di andare
oltre. Afferrando il fratello minore per la collottola, la Dea romana
si
allontanò, svanendo nella luce.
Ci fu
qualche istante di silenzio, in cui tutti sorrisero. Li avevano
respinti! Poi,
di colpo, Atena si voltò. Con sguardo furioso,
fissò il fratello.
“Che
c’è?” si stupì Ares.
“Sei
un coglione! Adesso tutti sanno che sei qui!”
sbraitò, isterica, lei.
“Lo
sapevano già. E poi..hai visto? Sono stato bravo”.
La
Dea afferrò il suo scettro stretto fra le mani ed
iniziò a fendere l’aria, nel
tentativo di colpire il fratello, che ridendo si nascose dietro al
figlio.
“Scansati,
Arles!” ordinò lei.
“E
dove vuoi che vada?!” sbottò lui, mentre i due gli
giravano attorno.
“Se
ti prendo..” minacciava lei.
“È
quel
SE che ti frega, sorellona!”.
Un
grazie, a seguito di questo capitolo, va
sicuramente dato ad Antares 91, colei che ha creato i personaggi di
Sarah ed
Eleonore. Inoltre ringrazio Radha_wyvern per le frasi in romano. Chiedo
perdono
a quanti le troveranno un po’ fastidiose od eccessive.
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Capitolo 15 *** XV- lealtà ***
XV
LEALTÁ
Ares
osservava il grande tempio dall’alto, sfruttando la posizione
della
tredicesima. Pareva annoiato. Era tutto così calmo! Sentiva
solo le urla dei
suoi figli, mentre si allenavano.
“Vedo
che ora non hai problemi a stare in piedi” si
sentì dire.
“Già”
rispose il Dio.
A
parlare era stato Arles, con i capelli neri scombinati in una
pettinatura
assurda. Il genitore sorrise, divertito.
“Bene.
Potrai tornare a combattere” continuò il sacerdote.
“Sì,
anche se è solo merito del marchingegno di Efesto. A volte
provo a muovere le
gambe senza di esso, e non ci riesco”.
“Apollo
dice che è solo questione di tempo..”.
“Imparerai
che Apollo dice un sacco di stronzate, ragazzo mio”.
“Come
tutti gli Dei, giusto?”.
“Più
o
meno. Ma senti..posso farti una domanda?”.
“Dipende
dalla domanda ma..ok”.
“Ti
fidi
dei tuoi cavalieri?”.
“I
miei
cavalieri? Intendi coloro che abitano il santuario e servono
Atena?”.
“Chi
altro?”.
“Che
ne
so! Voi Dei avete un cervello talmente contorto..”.
“Fidati:
il più è piuttosto lineare”.
“Ah,
ok.
Ad ogni modo, sì. Ho assoluta fiducia in loro e nella loro
lealtà”.
“Di
tutti loro?”.
“Sì,
perché me lo chiedi?”.
“I
romani sapevano che non ero morto e che vivevo qui con Atena. Qualcuno
deve
averli informati. Chi? Di chi di loro avresti sospetti?”.
“Di
nessuno”.
“Nemmeno
di quell’Atenocentrico di Aiolos?”.
“La
sua
visione teocentrica della vita non la capisco, ma non è
dannoso. Non metterebbe
mai in pericolo il santuario”.
“Sei
un
sacerdote e non capisci chi mette la religione al centro della vita?
Sei
strano..”.
“E che
vuoi farci..tu, piuttosto..ti fidi di tutti i tuoi figli e sottoposti?
Non è
che qualcuno di loro è sfuggito dal tuo controllo durante la
convalescenza?”.
“No,
impossibile. Vogliono tutti che i romani crepino in laghi di sangue,
non mi
tradirebbero mai”.
Padre e
figlio rimasero qualche istante in silenzio, lasciando che il vento dal
mare ne
agitasse i capelli.
“Comunque..”
riprese Arles “Ha ragione Atena! Sei stato un incosciente.
Potevi non
mostrarti..”.
“E tu
non dovevi centrare di imbrogliare la Dea più intelligente
dei romani con
un’illusione, essendo sfinito e mezzo
addormentato!”.
“Faccio
solo il mio lavoro: difendere il santuario”.
“Ed io
faccio il mio. Altra domanda: chi sa chi hai scelto come
successore?”.
“Domanda
non pertinente e decontestualizzata ma, ad ogni modo, lo sappiamo solo
io e
colui che ho scelto”.
“E
basta? Nemmeno Atena?”.
“Esatto.
Nemmeno lei”.
“E
perché?”.
“Perché
l’invidia è una forza che corrode anche gli animi
più puri”.
“Ma
come?! Temi che qualcuno dei tuoi irreprensibili cavalieri possa avere
qualcosa
da ridire?!”.
“Siamo
esseri umani. E gli esseri umani sono deboli ed inclini ad azioni
scellerate”.
“Anche
gli Dei”.
“Già.
Ma
i mortali hanno una breve vita soltanto e, per le loro azioni, un solo
attimo
li condanna per l’eternità”.
“Come
sei saggio. Atena ti ha insegnato bene”.
“Non
prendermi per il culo! E poi, credi che se tu dicessi a Phobos o Deimos
che, in
caso di dipartita, spetta ad uno di loro prendere il tuo posto...come
credi
reagisca l’altro?”.
“Non
potrei mai scegliere fra uno dei miei figli”.
“Esattamente
come ha fatto Zeus. Ed ora non avete una guida..”.
Arles si
allontanò di qualche passo. La bambina romana, di cui ancora
ignorava il nome,
giocava con Aphrodite fra le rovine. Il sacerdote, distratto, non si
accorse
dell’incredibilità velocità con cui
Phobos e Deimos lo avevano raggiunto.
Scattò di lato, preparandosi a subire i loro soliti colpi.
Inaspettatamente,
questo non avvenne. Entrambi gli stavano sorridendo.
“Che
avete? Una paresi?” commentò Arles.
“Una
testa divina..” cominciò Phobos, a braccia
incrociate “..questo sì che è fare
sul serio!”.
“Questo
sì che vuol dire essere figli di Ares!”
continuò Deimos.
“Che..”
borbottò, perplesso, il sacerdote.
“Siamo
fieri di te, fratellino! D’ora in poi ti tormenteremo un
po’ di meno..” sorrise
Phobos.
“Oh,
bello” ghignò Arles.
“Scherzo!
Ti tormenteremo allo stesso modo. Ma oggi no. Oggi piccola
tregua-premio!”.
“Sì”
aggiunse Deimos “Passa pure del tempo con la tua piccola
oggi. La famiglia è
importante”.
“Non
è
la mia piccola!” protestò Arles “Quella
mocciosa è una bambina feticista dei
capelli che mi segue dappertutto e non so perché”.
“Ha
bisogno di un padre”.
“Che
non
sarò mai io. Ora, scusatemi, ma vorrei andare a vedere
com’è la situazione nel
resto del santuario. Con permesso..”.
“Lascia
che ti aiuti” si offrì Sarah, avvicinandosi a
Kanon.
“È
solo
un graffio” rispose lui, ma la fanciulla era testarda ed
insistette.
“Gli
altri stanno tutti bene?” domandò, allora, il
cavaliere.
“Solo
graffi e qualche contusione. Niente di grave. Solo Mur ha qualche
ferita in
più, ma nulla che un Lemuriano non possa
affrontare” sorrise lei.
“Ma
tu..chi sei?” volle sapere Kanon “Non ti ho mai
vista”.
“Sto
sempre alla tredicesima” rispose Sarah.
“Ah,
sei
la donna di mio fratello!”.
“No!
Ma
che dite?!”.
“No?
Scusa, non volevo offenderti”.
“Nessuna
offesa solo che..non sono una puttana!”.
“Non
volevo dire questo”.
“Lui
sta
bene, ora. Quindi è più utile per me prendermi
cura di altri al santuario, non
trovate?”.
“Assolutamente
d’accordo” sorrise Kanon.
Kiki
rientrò alla prima casa solamente al calar della sera.
“Dove
sei stato?” domandò Mur, già di nuovo
al lavoro sulle armature.
“A
fare
un giro. Scusa se ho fatto tardi”.
“Siamo
in guerra, non dovresti allontanarti dal santuario”.
“Non
mi
ci sono allontanato, tranquillizzati!”.
“Non
voglio che ti capiti qualcosa di male, cerca di capirmi. Sei molto
importante
per il santuario, Kiki. Spetterà a te riparare e costruire
armature quando io
non ci sarò più. Sei l’unico che ha
appreso le tecniche necessarie”.
“Lo
so. Datti
una calmata!”.
Il
giovane sbadigliò. Era un po’ stanco ed i discorsi
di Mur lo stancavano ancora
di più.
“Dammi
una mano, Kiki” continuò Mur, indicando le
armature.
“Sono
stanco, fratello!” protestò il ragazzo.
“E
perché? Che hai fatto oggi di così
stancante?”.
“Lascia
stare! Mi cambio e ti aiuto” sbuffò
l’apprendista.
All’anfiteatro,
Atena ed Ares osservavano gli allenamenti. Il tempo era mite, non
troppo caldo.
I due si osservavano a vicenda, cercando di capire chi fra i sottoposti
dell’altro potesse essere il traditore.
“Perché
le tue sacerdotesse indossano delle maschere?”
domandò Ares “Come puoi sapere
cosa nascondano? Ingannare qualcuno è più
semplice se non ti guarda in
faccia!”.
“Sono
le
regole del santuario” rispose lei.
“Che
regole stupide! E perché quella con i capelli rossi non la
indossa?”.
“Lei
è
Marin. È sposata e quindi non ha più
l’obbligo della maschera”.
“Non
capisco certe cose..”.
“Non
mi
interessa”.
Il Dio
della guerra osservava sua figlia, Mirina, che in mezzo
all’arena si stava
allenando ed azzuffando con Milo. Accanto a loro, Deathmask e Shaina
facevano
lo stesso. Ares trovava la cosa quasi divertente.
“Dov’è
tuo figlio?” domandò Atena.
“Quale
dei tanti?” borbottò il Dio, allungando le gambe e
rilassandosi.
“Quello
che dovrebbe lavorare per me”.
“E non
lo fa?”.
“Non
lo
so. Non lo vedo molto presente”.
“Mia
cara, tu pretendi troppo!”.
Atena
sbuffò.
“Dobbiamo
cercare di recuperare più informazioni possibili sui nemici.
Come facciamo?”
riprese lui.
“Non
lo
so. Tu che cosa proponi?”.
“Bella,
sei tu quella che fa le strategie!”.
“E tu
poi le mandi all’aria, comparendo in battaglia del tutto a
casaccio!”.
“Dannata
femmina, per te tutto quello che faccio è
sbagliato?!”.
“Sì,
è
così!”.
Ares
ringhiò. Atena fece lo stesso. Entrambi scattarono in piedi
ed iniziarono ad
insultarsi e menare le mani, con spintoni e calci.
“Signora!”
si allarmò Aiolos.
“Saory
saaaaaaaaan” gridò Seiya.
“E
chiudete la bocca!” li interruppe Arles, comparendo
all’arena “Non fanno sul
serio. Non vedete che si prendono solo in giro? Sono
divinità della guerra, se
combattessero per davvero ve ne accorgereste. Stanno
giocando”.
Atena si
accigliò, sentendosi offesa. Fece per aprir bocca e
ribattere, ma Deathmask interruppe
il litigio, facendo un passo avanti.
“Io ho
un’idea” parlò il Cancro “Per
spiare i nostri nemici romani”.
“Parla”
annuì Ares, continuando a punzecchiare Atena con un dito.
“I
romani sono circondati da italiani, loro servi. Io sono italiano,
potrei infiltrarmi”.
“Non
ti
hanno visto alla battaglia?”.
“No.
Io
e la mia donna eravamo impegnati..in altre
attività” ghignò Deathmask
“Ma
comunque mi offro volontario. Quando poi avrò abbastanza
informazioni, tornerò
qui”.
“Anche
la tua donna è italiana?” volle sapere il Dio.
“Shaina?
Sì, esatto”.
“Allora
potreste andare insieme. È una missione rischiosa e vorrei
che almeno uno dei
due tornasse qui a riferire”.
“Un
momento!” interruppe Arles “Questa missione
è suicida! Non manderai i miei
cavalieri a morire così a caso!”.
“I
tuoi
cavalieri?” si indispettì Atena.
“Perdonatemi,
ma..”.
“Non
prenderti troppe libertà. Dei Saint dispongo a mio
piacimento, chiaro?”.
“Mandandoli
a morire?!”.
“Quante
volte lo hai fatto tu?!”.
Arles si
zittì. Girò la testa leggermente. La Dea aveva
ragione. Però..
“Non
ti
preoccupare, vecchio!” rise Deathmask
“Starò attento! E poi..Shaina veglierà
su
di me!”.
“Io..”.
“E
poi..dubiti delle mie capacità, per caso?! Per chi mi hai
preso?!”.
“Non
dubito di te. Ma saperti circondato da Dei nemici, che so quanto
possano essere
forti e..”.
“Smettila,
sacerdote! Fidati di me”.
Il
Cancro sorrideva. Sbruffone come sempre, Deathmask non voleva sentirsi
secondo
a nessuno.
“Allora
è deciso” esclamò Atena “Tu e
Shaina partirete quanto prima, e non fermatevi
per strada a fare sconcezze, chiaro?”.
“Chiarissimo,
signora!” sorrise ancora, divertito, il cavaliere della
quarta casa.
“Ti
fidi
davvero di questo qui?” domandò Ares, rivolto alla
Dea.
“Ma
sì,
che male vuoi che faccia? Al massimo appende qualche testa nuova in
casa. Basta
che non me le porti alla tredicesima come fa questo
delinquente!” sibilò lei,
indicando Arles.
“Povero
piccolino” ridacchiò Ares “Voleva solo
fare un regalo. Come fanno i mici quando
ti portano gli animaletti morti davanti alla porta”.
Arles
rimase qualche istante in silenzio. Si accigliò.
“Un
micio?”sibilò.
“Ma
sì,
non prenderla come un’offesa!” sorrise Ares.
“Non
mi
offendo, per carità. Solo che..pensavo si dovesse essere
gentili con i vecchi”.
“I
vecchi?!”.
“Sì.
I
poveri vecchi che hanno problemi motori vanno aiutati, no?
Poveretto..vecchio,
storpio ed accoppiato a forza con una Dea vergine con la passera
cucita.
Dev’essere dura..”.
“Esageri,
mortale!”.
“..così
ho pensato: "portiamo un regalo al nonnetto millenario, così
che abbia qualcosa
con cui giocare e farsi fare un bocchino" e ti ho dato quella
testa”.
Ares,
accecato dalla rabbia, scattò di lato, nel tentativo di
afferrare il figlio,
qualche scalino più in su nell’anfiteatro.
Purtroppo per lui, il marchingegno
progettato da Efesto non era fatto per simili movimenti e non lo resse.
Cadde
in avanti, in malo modo.
“Patetico
Dio” lo derise Arles, serio “Non è
ostentando la tua superiorità che puoi far
sì che io creda in te. Io non ho alcun motivo per venerarti,
rispettarti o
riverirti. Non ho motivo alcuno di venerare, rispettare o riverire gli
Dèi”.
“Bada
a
come parli!” lo ammonì Atena.
“Altrimenti?
Mi uccidi? Già visto, già fatto. Ci mandate a
morire come fossimo
mostriciattoli inutili e poi pretendete amore e fede. Non avrete
nessuna delle
due cose da me. Forse un tempo..forse..
Ma ora
non più! E adesso, se non vi dispiace, ho un santuario da
amministrare.
Voialtri restate pure lì a giocare”.
Il
sacerdote si allontanò, nonostante le proteste di Atena. La
Dea, sentendosi un
pochino inutile, si avvicinò al fratello ,preoccupata.
“Stai
bene?” gli domandò.
Ares,
dopo l’incontro ravvicinato fra la sua faccia e lo scalino
dell’anfiteatro,
mugugnò. Atena gli andò accanto e
cercò di capire se fosse tutto apposto. Il
Dio sedette, massaggiandosi la botta.
“Ti
faccio portare del ghiaccio?” insistette la Dea.
“Ma
no,
che vuoi che sia!” la zittì lui
“Piuttosto..devo rimettere in riga quel
mortale. Anche se è mio figlio, non posso permettere che mi
si parli così!”.
“Siamo
tutti un po’ stressati. Credo che per ora dovresti lasciar
correre”.
“Lasciar
correre? Non se ne parla! Lascia che mi alzi da qui e..”.
“E non
farai niente!” si intromise Phobos, con Deimos al suo fianco.
“Che..?!”
si stupì Ares.
“Non
farai niente. Lo hai messo alla prova fin dal primo istante. Sai che
è un
mortale e che è più delicato di noialtri Dei,
eppure lo hai sottoposto a
trattamenti non consoni alla sua natura. Ciò nonostante lui
si è rivelato
sempre all’altezza. Ha sconfitto il drago, ha conquistato
l’armatura, ha
volato, ha imbrogliato un esercito con le sue illusioni e ti ha portato
la
testa di una Dea. Che altro pretendi? Ha fatto tutto questo e tu lo hai
deriso
definendolo un micio che fa i regali. So che è un aspetto
del carattere di
famiglia fare così, ma stavolta non puoi dare la colpa a
quello perché noi,
Phobos e Deimos, riconosciamo il gesto di Arles e comprendiamo la sua
rabbia ed
il suo sfogo. Fossi stato in lui, io ti avrei smontato la faccia a
pugni.
Perciò non alzerai un dito contro Arles per punirlo,
perché altrimenti te la
vedrai con noi. E sai bene che, così come sei messo, non hai
grandi speranze”.
“Phobos..Deimos..voi..”.
“Noi
siamo pronti”.
“Dov’è
la vostra lealtà? Mi affrontereste per difendere un
mortale?!”.
“No.
Ti
affronteremmo per difendere nostro fratello”.
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Capitolo 16 *** XVI- sospetto ***
XVI
SOSPETTO
“E
così..” commentò Ares, a gambe
incrociate e con aria annoiata “..è
nato”.
“Già”
confermò Persefone, sorseggiando il tè offerto da
Atena.
“Quanta
allegria, zia!” ridacchiò il Dio.
La sposa
di Hades non rispose. Fulminò con lo sguardo il nipote e
continuò a bere.
“Allora
è un maschietto?” domandò la padrona di
casa, raggiante.
“Sì.
Abbastanza carino” borbottò Persefone
“Gli occhi scuri del papà, i capelli
biondo cenere della mamma. Niente di che..”.
“Ma
è un
evento straordinario!” continuò Atena
“Mai fino ad ora Hades aveva avuto
eredi!”.
“Rilassati,
mia cara” continuò la compagnia del Dio
dell’oltretomba.
Alle sue
spalle, l’ospite si era fatta scortare da Hypnos e Thanatos,
che parevano
annoiati tanto quanto lei.
“Vorrei
tanto vederlo” mormorò la Dea della saggezza, con
gli occhi che brillavano.
“E che
problema c’è? La strada la conosci” le
rispose Persefone.
“Lo
so.
Ma non posso andarci da sola ed i miei cavalieri sono un po’
titubanti. Sono
tutti così sospettosi nei confronti di Hades ed i suoi
sottoposti!”.
“Portati
il gran sacerdote. Non mi pareva avesse problemi”.
“Non
posso! Sai..lui ed Eleonore..”.
“Ah
già,
dimenticavo! Ma pure lui..è un mortale! Dovrebbe smetterla
di pensarci, che la
sua vita è breve e inutile!”.
“Che
vuoi farci..”.
“Ma
poi..Ares! Tuo figlio Eros non può far niente a
riguardo?”.
“Guarda
che mio figlio non spara a comando!” storse il naso Ares
“E poi..lasciate in
pace Arles, che ha già casini di suo, senza che interferiate
voialtre
pettegole!”.
“Ma
quanto sei permaloso! Tranquillo, non te lo tocco il tuo
pulcino” sorrise
Persefone “Comunque Atena, tornando a noi, se lo desideri
posso accompagnarti
io. Sono certa che i neogenitori saranno felici di vederti”.
“Perché
no? Siamo alleate, non dovrebbero esserci problemi”.
“Poi
ti
riaccompagno qui, così faccio un giro. Gli inferi un
po’ mi stancano”.
“Ma
adesso è primavera. Non dovresti stare alla luce del
sole?”.
“Dovrei
ma non ho un vero posto dove stare, quindi vado un po’ qua ed
un po’ là”.
“Capisco..”.
Ares
scosse la testa. Non capiva tutta questa agitazione! Era solo un
moccioso in
più. Anche se figlio divino, non era sta gran cosa!
“Fratello,
vieni anche tu?” domandò Atena, interrompendo i
pensieri del Dio.
“No,
grazie. I marmocchi non fanno per me. Urlano, sbavano,
puzzano..”.
“Anche
tu urli, sbavi e puzzi! Però non te lo facciamo
pesare!” sbottò la padrona di
casa.
“Preferisco
restare qui. Ho dei guerrieri da addestrare, io! Altro che
cazzate”.
“Ma se
stai tutto il giorno a poltrire e grattarti il pacco!”.
“E tu
perché stai a guardare?”.
“Che
cosa stai insinuando?”.
“Niente.
Pure io ti guardo le tette..”.
Atena
colpì il Dio con una poderosa sberla.
“..e
il
culo” aggiunse Ares, con un mezzo ghigno.
La Dea
lo colpì di nuovo, questa volta con il bastone.
“Maniaco!”.
Deathmask
sorrise, mentre Shaina gli passava rapidamente accanto con una brocca
di vino
fra le mani. Stava riempiendo le coppe di varie divinità
romane, fingendosi una
serva. Un paio di loro allungarono un po’ troppo le mani. Lei
si voltò verso il
compagno, cercando aiuto, ma lui non si mosse. Il Cancro, travestito da
una
delle guardie dell’Olimpo, trovava la scena divertente.
“Anvedi
che pezzo de gnocca! Nun sei de Roma” commentò
Marte, palpando per bene il
sedere a Shaina “Un culo come er tuo nun se po
scordà!”.
“No,
vengo da fuori”si stizzì Shaina.
“C’hai
‘n culo che parla da solo. M’attizzi una cifra. Che stai
aspettà, che te se fa lo
spirito santo? Viè co mme che te faccio diventà
na Dea!”.
“Non
sono libera!”.
“Da
ndo arivi, gran pezzo de
fregna?”.
“Io ed
il mio compagno veniamo dalla
Sicilia”.
“Me
stai a cojonà!”.
“No.
Io e la guardia che mi fissa
veniamo proprio da là”.
“Davero?
Allora aspetta che te faccio
conosce u' amico! Vulca', questi so delle parti tua!”.
Marte, indicando
Shaina e Deathmask,
che nel frattempo si era avvicinato, richiamò
l’attenzione di Vulcano, Dio
fabbro ed un po’ ebbro.
“Senti
mpo? Dunne viniti (da dove
venite)?” si stupì Vulcano, avvicinandosi e
sfoggiando il suo siciliano.
“Dalle
parti dell’Etna” rispose
Shaina.
“Veru
è ?! Minchia, ma è dunne abbito
eo! Baciamo la mano!” sorrise il Dio fabbro, abbracciando
entrambi i greci.
“Visto?”
si compiacque Marte “So sì
er Dio d'a guera, ma faccio anche nasce l' amicizie!”
Milo stava per
terminare il suo
solito giro di ronda. Era piuttosto rilassato, anche perché
quasi nessuno aveva
il coraggio di attaccare un cavaliere d’oro. Solitamente i
nemici fuggivano
appena vedevano lo scintillio dell’armatura. Lo Scorpione lo
sapeva bene e
camminava, tronfio e fiero, fermandosi ad annusare l’aria
densa di profumo di
fiori. La primavera!
“Vieni
fuori!” sbottò, senza girarsi
“Ti percepisco! Chiunque tu sia, vedi di farti vedere. Non
puoi sfuggire ai
sensi di Milo dello Scorpione!”.
Non ottenne
risposta e la cosa lo
irritò.
“È
buona educazione..” continuò il
cavaliere “..presentarsi e non spiare la gente. Sei stato
scoperto e, se non
vuoi una Scarlet Needle nel culo, ti consiglio di smetterla di
nasconderti!”.
Lo Scorpione ora
era decisamente
infastidito e mantenne quanto detto: lanciò il suo colpo.
Qualcosa si mosse
rapidamente, infrangendo uno strano alone ed apparendo.
“Ti
eri celato dietro ad una
barriera, eh?” domandò lo Scorpione “Ma
io, Milo, ti ho sgamato subito. Chi
sei? Togli quel cappuccio e parla. Non li sopporto i
silenziosi!”.
“Che
tanto che parli!” si sentì
rispondere.
L’intruso
tolse il mantello,
mostrandosi. Era un giovane, con indosso un’armatura che
pareva troppo grande
ed ingombrante per lui.
“Sei
solo un moccioso! Ma il tuo
potere è notevole..chi sei in realtà?”
si insospettì Milo.
“Mercurio
è il mio nome, mortale
logorroico. E sei pregato di farti da parte”.
“Farmi
da parte?! Ma tu sai chi hai
davanti? Io sono Milo dello Scorpione e non mi faccio da parte dinnanzi
a
nessuno!”.
“Come
preferisci. Vorrà dire che ti
farò spostare con la forza”.
“Voglio
proprio vedere come credi di
fare..”.
Il Dio sorrise,
quasi divertito. Si
librò in aria e puntò il caduceo contro Milo,
pronto a combattere. Lo
Scorpione, per nulla turbato dal fatto che il suo avversario volasse,
ghignò e
preparò la sua unghia.
“Non
sei andato con Atena?” si stupì Arles,
nel vedere il padre a zonzo per la tredicesima.
“E
perché avrei dovuto?” ribatté il
genitore.
“Non
so. Galanteria?”.
“Mi
prendi in giro?”.
“No.
Era per dire..”.
Il Dio si
avvicinò al sacerdote e
questi lo fissò, un po’ confuso.
“Che
hai fatto alla faccia?” domandò,
notando un segno pesante e bluastro in mezzo ad essa.
“Niente.
Atena mi ha bastonato”.
“Oh..”.
Arles non
aggiunse altro, non volendo
entrare nei dettagli. Il Dio sogghignò.
“Vieni
a fare un po’ di allenamento
con me?” propose il genitore “Ti farebbe
bene”.
“Lo
so. Ne avrei bisogno. Ma ho prima
delle scartoffie da sistemare”.
“Posso,
prima, farti una domanda?”.
“Sei
proprio un impiccione! Che vuoi
adesso, vecchio pettegolo?”.
“Niente
di che. Volevo solo sapere se
certe voci erano vere”.
“Quali
voci?”.
“Atena
ti piace?”.
“Piace
in che senso?”.
“Quanti
sensi esistono?!”.
“Dipende
dai casi, variano dai cinque
agli otto, che io sappia. Comunque, chi mette in giro certe
voci?!”.
“Si
dice che in realtà non sia
vergine, perché te la sei scopata tu”.
“Cosa?!
Senti..anche se lei ora ha il
suo vero corpo ed ha 3000 anni, più o meno, non lo so con
esattezza, per me
sarà sempre e comunque la bambina a cui cambiavo il
pannolino e davo il latte.
Questo prima di cercare di ucciderla..”.
“Avevi
quindi anni. Era comprensivo
che volessi liberartene”.
“Se
poi lei non è vergine perché
cavalca in giro, non te lo so dire..”.
“Ma tu
la ami?”.
“La
amo come si ama una Dea. E
nemmeno tanto, sinceramente. La trovo alquanto fastidiosa, a volte. E
mi da sui
nervi”.
“Capisco..”.
“Ma
che idea rivoltante!” quasi gridò
Arles, dopo qualche istante di silenzio “Io che vado a letto
con..QUELLA?!? Ma
piuttosto me lo taglio alla base e mi faccio chiamare
Arlesina!”.
“Rilassati”.
“Dimmi
chi è che dice ste cose, che
lo faccio esplodere!”.
“Calmati!
Sei buffo..”.
“Io
non sono buffo! E non mi scopo le
ragazzine”.
“Non
è una ragazzina. È la Dea del
mito..è più vecchia di Atene!”.
“Può
anche essere più vecchia
dell’intero cosmo. La vedrò sempre come una
ragazzina..”.
“Peccato.
Io una ripassata gliela
darei..”.
“Accomodati!”.
“Certo.
Come se fosse semplice! Però,
lo devi ammettere, è una bella donna”.
“È
un’irritante fastidio. Un brusio
continuo che non fa che ricordarmi che la devo servire”.
“È
il destino di voi mortali..”.
“Già.
Bella schifezza..”.
“Andiamo
ad allenarci. Meglio, no?
Così non ci pensi. Né a lei né
ad..altro..che immagino abbia già saputo..”.
“La
presenza di Persefone qui mi ha
fatto capire. È maschio o femmina?”.
“Eleonore
ed Hades hanno avuto un
maschietto”.
“Lei
voleva tanto una bambina..”.
Lo sguardo del
sacerdote si era fatto
malinconico. Sospirò, sfoggiando un sorriso di circostanza,
di una falsità
percepibile.
“Non
ci pensare” lo ammonì Ares.
“Lo
so. Non dovrei. Sono così
fottutamente debole nell’animo! Mi basta una frase, un
profumo, una musica..e
torna il ricordo. Mi tormenta e non mi fa concentrare”.
“C’è
sempre la freccia nera di
Eros..”.
“Forse
dovrei. Mi sento così
stupido..”.
“Arles..tuo
fratello è la divinità
più potente che esista. Riflettici. Cosa muove il mondo?
L’odio e l’amore. E
lui governa questi due aspetti. Perciò non devi sentirti
sminuito o debole,
perché ci siamo caduti tutti, prima o dopo”.
“Perché
mi consoli?”.
“Perché
ricordo tutte le cazzate che
ho fatto in vita mia, accecato dall’amore o
dall’odio. È da stupidi, ma
purtroppo le sue frecce ti incasinano il cervello.
C’è solo una forza più
potente di lui ed è il Fato, che tutti temono. Tutti,
compreso Zeus, hanno
paura del Fato. Per fortuna è un Dio che si mostra poco. Se
dovesse scegliere
di combattere contro chiunque di noi..”.
“Però
potrebbe combattere dalla
nostra parte!”.
“Il
Fato non può essere di parte.
Scoprirai solo alla fine per quale delle due fazioni
patteggia”.
“Stronzo”.
“Già..”.
Milo sparava le
sue Needle a raffica,
cercando di colpire lo svolazzante Mercurio. Ormai era sceso il
tramonto ma il
cavaliere, volendo affrontare il suo avversario da solo, non aveva
lanciato l’allarme.
“Vedi
di scendere, piccione!” ringhiò
lo Scorpione “Ed affronta il guardiano dell’ottava
casa! Colui che hai
dinnanzi! Il possente cavaliere dall’unghia velenifera che,
con le sue punture,
può paralizzare i tuoi sensi e portarti alla morte dopo
lunga agonia ed atroce
dolore! Io..”.
“Tu
cianci troppo! DOMINUM VERBUM!”.
Dal bastone del
Dio, una luce
aranciata si espanse ed avvolse Milo, che non riuscì
più a parlare.
“Smettila
di tentare di proferir
parola!” lo schernì Mercurio “Ora non
potrai fare altro che stare zitto.
Lentamente, questo mio colpo brucerà l’aria dai
tuoi polmoni e morirai
boccheggiando come un insulso pesce rosso”.
Il Dio rise,
aspettandosi una
reazione di disperazione o paura da parte dello Scorpione, che
però non mostrò
nessuna delle due sensazioni. Il cavaliere strinse i pugni e, con un
ringhio,
ricominciò a sferrare attacchi a ripetizione. Alcuni
andarono a segno e
Mercurio gridò, infastidito. Milo ghignò. Sapeva
che il veleno delle sue
punture provocava un forte dolore. Il cavaliere continuò ad
attaccare,
nonostante la sensazione sempre più forte
d’affanno che provava. Cominciava a
mancargli l’aria ma di certo questo non lo avrebbe fermato!
“Muori!”
pensò, e lanciò l’Antares.
Alla prima casa,
Mur, ormai ripresosi
del tutto dallo scontro con Marte e Minerva, si guardava attorno
spazientito.
Era un cavaliere molto calmo, solitamente, ma in quel momento non lo
era per
niente. Cercava Kiki già da un sacco di tempo, senza
risultato. Il ragazzo
riapparve solo la sera, verso il tramonto. Mur lo guardò con
rimproverò,
aspettandosi delle spiegazioni.
“Dove
sei stato?” parlò poi, dato che
il fratellino non apriva bocca.
“A
fare delle cose” rispose, con fastidio,
il giovane.
“Quali
cose? E dove?”.
“Non
devo dirti sempre tutto, sai?”.
“Ma..che
ti sta succedendo? Sono
preoccupato. Un tempo eri pieno di entusiasmo e di voglia di aiutare.
Adesso,
invece, devo fare tutto da solo e sei sempre in giro!”.
“Scusami.
Lo so, lo ammetto. È che ci
sono delle cose che non posso dirti”.
“E
perché? Sono il tuo fratello
maggiore! Ti ho cresciuto io, non mi hai mai nascosto
niente!”.
“A
questo proposito..non ti ho mai
chiesto una cosa. Posso?”.
“Riguarda
i nostri genitori?”.
“Anche..”.
Mur attese
qualche istante. Non era
un argomento che amava affrontare. Poi annuì, dando il
permesso a Kiki di
parlare.
“Tu
parli sempre di Shion..” iniziò
il giovane “..ma mai di nostra madre. Tu devi averla
conosciuta, perché io sono
nato molti anni dopo di te”.
“Certo.
Cosa vuoi sapere?”.
“Però
dici anche che eri fin da
piccolo a fianco di Shion. Quindi?”.
“Shion
è sempre stato il mio maestro,
fin da quando ero un bambino di pochi anni. Mi teneva con
sé, al tempio, per
insegnarmi a riparare le armature”.
“Quindi
ti ha tenuto lontano dalla
tua vera famiglia. Quando mamma è morta, non ti sei
arrabbiato con lui?”.
“Quando
mamma è morta, Shion era
stato ucciso da anni”.
“Ma
nemmeno un po’ di rancore? Non
hai avuto un’infanzia!”.
“Nemmeno
tu. Sei sempre stato al
grande tempio o nello Jamir ad aiutarmi. Questo ti fa
arrabbiare?”.
“Un
po’. Specie perché alla fine
l’armatura è la tua, non
l’avrò mai io”.
“Potrei
morire, Kiki. Ed in quel
caso..”.
“Non
potrei mai augurarmi una cosa
del genere! Solo che, capiscimi..non potendo avere
un’armatura d’oro, posso
anche prendere con più leggerezza gli allenamenti”.
“E se
mi dovesse accadere qualcosa?
Poi..è questo il problema? Hai quasi diciotto anni e ancora
non hai
un’armatura, dopo una vita di allenamenti?”.
“No..”.
“Sono
preoccupato. C’è chi viene qui
a parlarmi di te, sospettoso perché teme che tu stia
tramando chissà che cosa”.
“Io?!”.
“Mi
sono giunte voci a riguardo, sì!”.
“Siete
tutti pazzi, ecco cosa siete.
Un gruppo di vecchi pazzi”.
“Bada
a come parli..”.
“Altrimenti
che fai? Mi sculacci? Lo
dici al gran sacerdote? E poi..chi è che pensa che io sia un
traditore?
Dimmelo, così che possa rispondere a tono a certa
gente!”.
“Non
sfidare persone di gran lunga
più forti di te e torna ai tuoi doveri. Fila ad
allenarti!”.
Con un gemito,
lo scorpione cadde in
terra. Gli mancava il respiro ed la vista gli si appannava. Ma
l’orgoglio gli
imponeva di mantenere il controllo e non richiedere l’aiuto
di nessuno. Con sua
somma soddisfazione, Mercurio sanguinava in più punti, anche
se non accennava a
voler smettere di svolazzare in aria. Poi un vento improvviso
colpì il Dio, che
fu colto alla sprovvista e cadde in terra, sibilando una bestemmia.
“Cosa
è stato?” si chiese Milo e
sorrise dopo qualche secondo: nel cielo era apparso qualche fiocco di
neve.
“Tutto
bene, Milo?” si sentì
domandare e lo Scorpione annuì: non era mai stato
così felice di vedere Camus
in vita sua!
“Come
hai osato?” sibilò Mercurio “Sai
chi sono io?”.
“Certo
che so chi sei” rispose Camus “Sei
Mercurio, l’equivalente del nostro Hermes”.
“Io
sono migliore di lui!”.
“Sei
la sua copia, con un nome più
stupido!”.
“E tu
chi saresti?”.
“Il
mio nome è Camus. Chi altro io
sia, e cosa io faccia, non ti cambia la vita saperlo”.
Il Dio si
apprestò a colpire di
nuovo.
“ALCHEMICAL
REACTION!” gridò.
I due cavalieri
d’Atena videro
reagire l’aria attorno a Mercurio, che mutò,
prendendo fuoco.
“Per
la grande madre Russia!” si lasciò
sfuggire Camus, spingendo via Milo.
L’Acquario
lanciò una rapida occhiata
al collega. Era strano non sentirlo cianciare continuamente e, dopo una
frase
come la sua, si aspettava qualche commento. Notò che lo
Scorpione era
lievemente cianotico e decisamente poco reattivo.
“Che
gli hai fatto?” domandò Camus a
Mercurio.
“Ciò
che ho fatto, non ti cambia la
vita saperlo” ghignò il Dio.
L’Acquario
alzò un sopracciglio. Era un
uomo estremamente calmo, ma in grado di esplodere
all’istante, se qualcuno
osava prenderlo in giro.
“Aurora
Execution!” attaccò il
cavaliere.
Il Dio rise e
fece un piccolo balzo,
con l’intento di volare via, ma gemette per il dolore e fu
colpito in pieno.
“Hai
sottovalutato il veleno dello Scorpione”
lo sfotté Camus “Ti paralizzerà ogni
nervo, sempre se il mio amico Milo non ti
aiuta..”.
“Aiutarmi?
Non ho bisogno del suo
aiuto!”.
Mercurio
tentò di rialzarsi ma, fra
il colpo di Camus e le cuspidi di Milo, era in preda al dolore e non ci
riuscì.
“Dimmi
cosa hai fatto al cavaliere
dell’ottava casa e come posso aiutarlo”
ordinò l’Acquario “Io, in cambio, ti
prometto
che ti verrà tolto il veleno”.
“Io
non posso morire per un veleno
simile..”.
“Ma
puoi soffrire per giorni e
giorni. È questo che vuoi?”.
Mercurio
rifletté qualche istante e
poi si arrese. Spiegò a Camus quanto accaduto e subito il
cavaliere si avvicinò
a Milo, per aiutarlo. Con il gelo che governava, il saint
dell’undicesima casa
placò il calore che bruciava i polmoni dello Scorpione.
Subito il cavaliere
parve star meglio.
“Pezzo
di merda!” furono le sue prime
parole, rivolto a Mercurio.
“Calmati!”
lo rabbonì Camus “Un patto
è un patto. Ora gli toglierai il veleno delle tue
cuspidi”.
“Devo
proprio?”.
“Sì,
devi!”.
Milo si
avvicinò controvoglia. Allungò
un dito verso il nemico ma un grido agghiacciate si udì
nell’aria e Mercurio
cadde di lato, con la testa che lentamente ne abbandonava il corpo.
“Milo!
Che hai fatto?” esclamò l’Acquario.
“Non
sono stato io! Te lo giuro!”.
“Nessuno
fa male al mio scorpionotto
e resta impunito!” parlò una voce di donna,
apparendo con indosso l’armatura.
“Mirina!”
la riconobbe Milo “L’hai
ucciso tu?”.
“Io e
mia cognata” rispose lei,
indicando dietro di sé “Niente di che. Era
già ferito ed inerme. Voi, piuttosto,
siete dei mollaccioni. Il colpo di grazia va sempre dato a certa
gente!”.
“Cognata?”.
“La
chiamo così. Colei che prima ha gridato.
Si chiama Enyo e la
sua fama la precede.
È l’amichetta di Phobos e Deimos, anche se
c’è chi dice che in realtà sia
nostra sorella. Non lo so, non si capisce. Sta di fatto che in
battaglia, se c’è
lei, tutti tremano”.
“Vero..”
annuì Camus, intravedendo
fra le rovine una figura di donna e conoscendo bene come, fin dal tempo
del
mito, Enyo fosse
sempre stata assetata di
sangue.
Atena stringeva
fra le braccia il
piccolo di Hades ed Eleonore. Con un grande sorriso, la Dea lo guardava
con gli
occhi che brillavano.
“È
bellissimo, zio” disse
“Congratulazioni”.
“Grazie,
Atena” rispose il Dio “Siamo
felici che tu sia passata a trovarci”.
“Non
potevo non vedere il tanto
sospirato figlio di Hades!”.
“E
tu?” commentò Eleonore “Mai
pensato di averne uno?”.
“Io?
Io sono la Dea vergine!”.
“Anche
io ero una vergine a servizio
di Artemide. Le idee si cambiano”.
“Sì
ma..io non..cambiamo argomento!”.
“Già,
forse e meglio!” rise Eleonore.
Il neonato
lanciò un piccolo vagito
di protesta, perché preferiva dormire tranquillo. Atena
capì e lo rimise nella
culla. Molti altri Dei si erano riuniti nel regno di Hades, per rendere
omaggio
al nuovo arrivato. La Dea Era, accanto al neopapà, pareva
piuttosto seria. Si
mosse, mormorando qualcosa alle orecchie di Hades, ed il Dio
parlò:
“Atena..dato che sei qui..c’è una cosa
di cui noi avremmo discusso, e di cui
vorremo parlarti”.
“Cosa
è successo?” esclamò il sacerdote,
vedendo entrare alla tredicesima Camus, con fra le braccia un fagotto
ingombrante.
“Ci
stava spiando. È stato eliminato”
si limitò a dire l’Acquario, mostrando il corpo di
Mercurio.
“Spiando?
A tal punto..”.
“Mentre
voi perdevate tempo a parlare
di femmine e stronzate, noi lo abbiamo abbattuto” si
esaltò Milo.
“Phobos!
Deimos!” chiamò Ares, che
era in piedi accanto al trono del figlio “Fate immediatamente
un giro di
ricognizione. Scovate altri possibili intrusi romani. Poi..”.
Il Dio si
fermò, notando lo sguardo
minaccioso di Arles.
“Non
volevo rubarti il lavoro” si
affrettò a dire.
“Vorrei
ben dire”borbottò Arles, poi
rivolgendosi ai suoi compagni “Avete fatto un ottimo lavoro.
Ora andate pure a
riposarvi, ne avete bisogno. Prenderò provvedimenti
affinché le ronde vengano rafforzate
e riorganizzate. D’ora in poi, non lascerò un
singolo cavaliere, anche se d’oro,
a svolgere tale attività. Sarete sempre in due, in modo da
affrontare meglio un’eventuale
emergenza”.
“Grazie,
Signore. Va bene, Signore”
annuì Camus.
“Ora
andate”.
Acquario e
Scorpione si congedarono,
lasciando il corpo del Dio alla tredicesima.
“Sono
dei valorosi guerrieri”
commentò Ares “Ma non hanno fatto tutto da
soli”.
“Che
intendi?”.
“Riconosco
il tocco delle mie bambine”.
“Se le
tue figlie sono peggio di
cagne sciolte, non ne ho colpa”.
“Non
sono cagne! Sono lupe. Fiere e
feroci lupe. Così come voi, miei figli maschi, siete dei
draghi”.
“Un
branco di bestie, insomma..”.
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Capitolo 17 *** XVII- armonia e discordia ***
XVII
ARMONIA E
DISCORDIA
Volando, non
voleva pensarci. Si
spinse più in alto, piroettando e per qualche istante
perdendo il controllo.
Non reagì subito, lasciandosi cadere per alcuni metri.
“Arles!”
gridò qualcuno.
“Che..?”
si riprese, volando di
nuovo.
“Arles..”
ripeté la stessa voce.
“Cosa
c’è?” ribatté il sacerdote,
guardando giù.
Suo padre Ares
pareva allarmato, e
piuttosto incazzato. Il sacerdote sospirò, ruotando gli
occhi al cielo. Com’era
paranoico quel Dio!
“Smettila
di fare il bambino!” gridò
ancora Ares “Comportati da uomo e scendi!”.
Arles non aveva
alcuna intenzione di
scendere, ma sapeva di doverlo fare. Però più
tardi, un pochino più tardi..
Il bambino di
Eleonore ed Hades
cresceva in fretta. Atena lo guardò con un sorriso. I
genitori del piccolo,
assieme a Persefone, era giunti in visita al tempio di Atene, per
discutere di
qualcosa che pareva molto importante. Il bambino però non
era interessato e si
agitava, fra le braccia della madre, lanciando versetti continui.
“Hypnos..”
mugugnò il Dio, rivolto al
Dio che stava alle sue spalle “..ti dispiace?”.
Il Dio del
sonno, quasi divertito, sfiorò
il bimbo che si addormentò all’istante.
“Ora
che è tranquillo..” sorrise
Eleonore “..posso chiedere il permesso di visitare questo bel
tempio, mentre
voi discutete di questioni divine?”.
“Ma
certo!” annuì Atena “Ti faccio
accompagnare da un’ancella. Il piccolo puoi lasciarlo pure
nella culla che un
tempo mi ha accolta”.
Sulla soglia
della dimora divina,
apparve Sarah, stupita nel vedere la sorella, che non la riconosceva.
Eleonore
le sorrise, lasciandosi accompagnare per il tempio. Dietro le due, il
Dio del
regno dei morti ordinò che ci fosse Thanatos, che
sbadigliava dal tedio.
“Atena..”
parlò Hades, ora che
Eleonore si era allontanata “..siamo qui per comunicare che
ci uniamo alla
guerra. Fin ora abbiamo mantenuto una certa neutralità ma,
di recente, abbiamo
scovato delle spie romane fin sui nostri confini”.
“Fin
nell’oltretomba?!” si stupì
Atena.
“Sì,
ed io mi preoccupo per le mie
mogli e per il mio preziosissimo figlio”.
“Capisco
perfettamente. Gli intrusi
li hai eliminati?”.
“Ovvio.
I miei tre giudici li hanno
disintegrati”.
“E li
hai lasciati di guardia al tuo
regno, ora?”.
“Mi
sembra più che logico. Ma non ti
preoccupare: in caso di emergenza, compariranno in un lampo. Vista la
tua
attuale posizione, ritenevo corretto informarti”.
“Mi fa
davvero piacere sapere che
pure voi parteciperete a questa pesante guerra. Anche se per scopi
strettamente
personali, e non per il bene comune”.
“Del
bene comune, non mi è mai
importato!”.
“Oh,
Thanatos! Che posto
meraviglioso!” esclamò Eleonore, ammirando la
statua di Atena “Non ti viene
voglia di suonare qualcosa con la cetra?”.
“Sinceramente?
No. Ma se lo
desiderate..”.
“Sì,
ti prego! Suona qualcosa di
bello”.
Era incredibile
come il Dio della
Morte riuscisse a creare una melodia così bella!
“Ho
voglia di ballare! Non potrei
essere più felice!” ammise lei, improvvisando
qualche passo.
La sorella la
osservò, divertita. Era
bello vederla sorridere.
“Balla
con me!” propose Eleonore,
prendendo per mano Sarah.
La giovane
provò a protestare ma con
scarso successo.
“Sono
un po’ imbranata” ammise la
sposa di Hades.
“Segui
me” suggerì Sarah “Fa come
faccio io”.
Le due sorelle
iniziarono a danzare.
Eleonore rise. Poi si fermò.
“Questa
danza la conosco” ammise “Ma
non ricordo..dove l’ho già ballata”.
“Non
ha importanza, dai!” le sorrise
Sarah “Continuiamo il giro?”.
“No,
aspetta. Vorrei ricordare..”.
Eleonore chiuse
gli occhi,
continuando a ballare da sola. Di scatto, li riaprì e
fissò Sarah.
“Sorella?”
domandò.
Eleonore
sembrava confusa. Si guardò
attorno.
“Tranquilla,
Eleonore!” cercò di
parlarle Sarah.
“Ma
tu..tu sei mia sorella!”.
“Sì.
Sono io. Ti ricordi di me?”.
“Ma
certo! Come ho fatto a
dimenticare?”.
“Storia
lunga. E piuttosto
complicata”.
Le due donne si
abbracciarono.
“Ballavamo
sempre così da piccole”
continuò Eleonore, senza sciogliersi da
quell’abbraccio.
“Sì,
è vero” confermò Sarah.
“Ma..questo
è il tempio di Atena?”.
“Sì”.
La sposa di
Hades guardò sua sorella
qualche istante in silenzio. Poi ebbe un sussulto ed iniziò
a correre. Sarah
non capì. La vide correre via e la inseguì, dopo
qualche istante. Eleonore
scostò le tende ed entrò alla tredicesima. Si
guardò attorno e poi intravide
una figura, girata di spalle, che stava camminando lentamente verso
l’uscita
che conduceva alle altre case dello zodiaco. La fanciulla corse e la
raggiunse,
abbracciandola alle spalle.
“Saga..”
mormorò Eleonore.
Il sacerdote si
irrigidì, non
aspettandosi una cosa del genere. Sarah raggiunse la sala e si nascose.
Thanatos, con tutta la calma, seguì la sua signora e si
fermò accanto al trono,
senza farsi notare dalle due figure di spalle.
“Saga!
Ti prego, voltati” continuò la
sposa di Hades “Girati ed abbracciami forte”.
“Non
posso” rispose lui.
“Perché?”.
“Perché
se io mi girassi..so che non
ti lascerei più andare, e tu non sei più mia. Tu
sei la donna di Hades. Io..”.
“Sono
tua moglie!”.
“Non
più. Ti prego, lasciami..”.
Eleonore non
voleva. Continuava a
stringere il suo cavaliere, affondando il viso fra i capelli di lui.
Piangeva,
d’un tratto ricordando.
“Non
piangere, Eleonore! Sei felice.
Hai avuto anche un bambino”.
“Ma
come ho potuto? Come ho potuto
dimenticare? Mi dispiace tanto!”.
“Non
è stata colpa tua..”.
“Ma
io..”.
“Thanatos!
So che sei lì. Riporta al
giusto posto la tua signora”.
Il Dio della
morte si avvicinò ed
Eleonore si strinse più forte a Saga.
“Lasciami”
mormorò lui “Non capisci?
Sei tornata in vita perché Hades ti ama e ti desidera.
Più volte mi ha detto
che se ci vedesse assieme..la tua vita avrebbe fine. Non potrei mai
permetterlo, perciò va via. Torna dal tuo bambino, che ha
bisogno di te”.
“Come
faccio? Dimmi, amor mio, come
faccio?”.
“Lo
devi fare. Quel bambino ha
bisogno di te. E tu sarai felice, vedrai. Te lo prometto”.
“Non
fare promesse a caso!”.
Il sacerdote
prese delicatamente le
mani di Eleonore, che ancora teneva intrecciate sul petto, e si
liberò dalla
stretta di lei. La donna protestò vivacemente.
“Smettetela!”
la ammonì Thanatos “O
Hades vi ucciderà entrambi!”.
A quelle parole,
Eleonore parve
calmarsi. Il Dio l’afferrò saldamente e la fece
allontanare di qualche passo.
“Hai
un notevole autocontrollo”
commentò, rivolto al sacerdote “Non ti sei nemmeno
girato a guardarla.
Complimenti..”.
“Vattene
da qui”.
“Con
sommo piacere”.
Il tono di voce
del sacerdote era
rimasto calmo e non si voltò, fino a quando Thanatos ed
Eleonore non ebbero
lasciato la stanza.
“Perdonatemi”
si scusò Sarah “Ha
ricordato per via di un mio gesto”.
“Non
è colpa tua. Prima o poi avrebbe
ricordato comunque, immagino”.
Senza aggiungere
altro, lui uscì,
diretto all’anfiteatro.
“Voi
che avete la linea diretta..”
parlò a Phobos e Deimos “Potreste contattare un
Dio per me?”.
Deathmask e
Shaina camminavano lungo
i corridoi dell’immenso palazzo olimpico. La giornata era
finita ed era ora di
coricarsi.
“Scusatemi..?”
una voce li fermò,
alle loro spalle.
I due si
voltarono e videro una
donna, riccamente vestita e con una corona sul capo.
“Giunone..”
la riconobbe Deathmask.
“Sì,
sono io. E voi, chi sareste?”.
“Abitavamo
in Sicilia un tempo.
Adesso lavoriamo qua”.
“C’è
un piccolo dettaglio che non mi
convince..”.
“E
sarebbe?”.
“Voi
possedete il cosmo di Atena!”.
“Sei
proprio sicuro?” domandò Eros,
accanto al fratello minore.
“Sì”
annuì Arles.
“Non
si può più tornare indietro poi,
lo sai?”.
“Lo
so. Fa quel che devi”.
Dal tetto della
tredicesima, osservano
Hades e le sue consorti allontanarsi dal tempio di Atena. Eleonore
teneva il
capo chino e Hades era preoccupato. Thanatos, poco più
indietro, cercava di far
capire alla donna che era il caso di comportarsi in modo diverso. Eros
lanciò
un’ultima occhiata al fratello, che distolse lo sguardo. Il
Dio scoccò una
freccia, di colore nero, che colpì il cuore di Eleonore.
Nessuno se ne accorse,
solamente Eros poteva vedere i suoi dadi. La reazione della donna fu
immediata.
Strinse il figlio a sé e si avvicinò ad Hades,
sorridendogli. Arles la sentì
sussurrare la parola “amore”.
“Fatto.
Ora lei sarà di nuovo felice”
annuì Eros “Innamorata del suo Hades e con solo
odio nel cuore nei tuoi
confronti”.
“Ti
ringrazio” rispose Arles.
“Se
vuoi..” ammise il Dio “..potrei
fare la stessa cosa con te. Se tu la odiassi, non sarebbe meglio?
Però non so
se mi riesce, perché se il Fato ha in mente qualcosa di
diverso..”.
“Sopravvivrò.
Come ho fatto fin ora.
Puoi tornare alle tue faccende, mi spiace averti scomodato per simili
cose”.
“Hades
l’avrebbe uccisa nel momento
stesso in cui in lei si fosse manifestato l’amore per te.
L’hai salvata. Non è
una cosa da poco”.
“Oh,
datemi una medaglia!” sbottò
Arles sarcastico, scendendo e tornando al lavoro.
I corridoi del
palazzo Olimpico
parevano non finire mai. Deathmask e Shaina correvano, cercando di
fuggire da
Giunone.
“Non
voltarti indietro, Shaina!”
gridò Deathmask, tenendola per mano.
“Non
potremmo mai fuggire dalla
regina dei romani! È una Dea potente!”
ribatté la guerriera.
“Vuoi
farti uccidere subito,
allora?”.
Il cavaliere
saltò, passando fra due
colonne. I due seguaci di Atena erano usciti dal palazzo di Giove.
Continuarono
a correre ma mille occhi apparvero dinnanzi a loro.
“Cosa
succede?” domandò Shaina,
spaventata.
“Non
ne ho idea. Questi occhi..”.
Uno strano verso
riecheggiò
nell’aria. Il cavaliere, dopo aver richiamato la sua
armatura, si preparò ad
attaccare.
“PEACOCK
EYES!” scandì la voce
suadente ed ipnotica di Giunone.
La bambina
giocava attorno alla
statua di Atena. Aveva raccolto qualche fiore ma ora si annoiava.
Sentendo un
lieve fruscio, rizzò le orecchie e si incamminò
verso quella direzione.
“Ciao”
salutò, cercando di mostrare
il suo miglior sorriso.
Arles era
seduto, con le gambe a
penzoloni sullo strapiombo. Dava le spalle alla piccola, che gli si
avvicinò
ancora.
“Cosa
guardi?” domandò lei.
“Nulla”.
“Ma..cosa
c’è che non va?”.
“Nulla”
ripeté Arles.
“Sei
un bugiardo. Io, quando sono
triste, mangio un dolcetto. Vuoi che vada a prendertene uno?”.
“No,
grazie”.
La romana, non
sapendo che altro
fare, ebbe un’idea. Prese i fiori che aveva colto ed
iniziò ad intrecciarne i
gambi fra i capelli neri del sacerdote.
“Va
via” borbottò Arles “Non sono
dell’umore adatto!”.
“Ma
su..così sei più bello!”.
“Lasciami
stare..”.
“Io
voglio aiutarti! Sei triste.
Perché sei triste?”.
“Non
sono affari tuoi..”.
“Ma
io..”.
“VATTENE!”.
Arles
gridò l’ultima parola e si
voltò di botto. La bambina si spaventò e corse
via, scoppiando a piangere.
Il verso del
pavone era
raccapricciante e proveniva da molte direzioni. I suoi occhi ipnotici
stordivano i sensi di Shaina e Deathmask.
“Che..che
succede?” gemette la
guerriera, cercando di reagire.
“Andate
all’inferno, tutti quanti!”
ringhiò Deathmask, ritrovato per qualche istante
l’autocontrollo e lanciando il
suo colpo.
Gli occhi
parvero svanire per qualche
istante.
“Non
male, per un mortale” ammise
Giunone “Ma morirete lo stesso, greci! È la
punizione che spetta a chi ha osato
tentare di ingannare noi romani”.
“Non
abbiamo tentato! Ci siamo
riusciti, per mesi!” ribatté Deathmask.
“Motivo
in più per ucciderti!”.
“Fatti
sotto. Milf!”.
Arles si scosse,
alzandosi di scatto.
Perché aveva reagito così male? Quella bambina
cercava solo di essere gentile,
anche se era tremendamente fastidiosa! Affrettò il passo,
per raggiungerla. Non
ebbe difficoltà ad afferrarla, anche se la piccola correva.
“Lasciami!”
protestò lei e lui si
inginocchiò, abbracciandola.
“Perdonami.
Non avere paura di me” le
disse.
La piccola
rimase in silenzio,
qualche istante.
“Non
ho paura” rispose, ancora
avvolta da quell’abbraccio.
“È
che noi grandi..” riprese il
sacerdote “..siamo cattivi. E finiamo per fare e dire cose
cattive. Scusami. È
stata una brutta giornata”.
“Ti
perdono..”.
“Ti
ringrazio. Ora però..”.
“Signore”
interruppe Sarah, scostando
la tenda in fondo alla tredicesima
“Non sono
giunte le solite notizie dalle spie inviate dai romani”.
“Come?
Non saranno mica..” si allarmò
Arles “Continuiamo dopo il discorso, piccina. Ok? Fai la
brava e scusami
ancora. È che quando sono triste, o mi arrabbio, faccio
sempre cose brutte”.
La bambina
sorrise, asciugandosi le
lacrime, ed il sacerdote la salutò con un bacio sulla
fronte. Poi l’uomo si
alzò in fretta, cercando di capire dove fossero i suoi
colleghi del tempio.
Persefone era
pensierosa e Hades lo
aveva notato. Anche se distratto dall’incredibile affetto che
gli dimostrava
Eleonore, il Dio cercava sempre di trovare del tempo per la prima
moglie.
“Qualcosa
non va?” domandò, andandole
vicino.
“Stavo
pensando..” iniziò lei “..ad
un patto che avevamo fatto io e te”.
“Di
che patto parli?”.
“Quando
Eleonore è rimasta incinta,
mi hai detto che avrei potuto chiederti qualsiasi cosa, per non
sentirmi da
meno di lei”.
“Confermo.
Cosa vuoi chiedere?”.
“E se
io..ecco..mi trovassi un
amichetto?”.
“Intendi
dire..un amante?”.
“Un
passatempo momentaneo. Adesso sei
così distratto da Eleonore ed il bambino..”.
“Hai
ragione. Comunque il nostro
contratto vale sei mesi all’anno. Per gli altri sei mesi, sei
libera di fare
quel che ti pare”.
“Sul
serio?”.
“Ovvio.
Quel che fai in primavera ed
estate a me non interessa. Ho altro a cui pensare”.
“E
giuri di non infierire sull’uomo
che sceglierò?”.
“È
un mortale?”.
“Sì..”.
“Allora
va benissimo. Creperà di
corsa e non è mio parente”.
Giunone era
forte, ricacciava indietro
ogni colpo che i due greci tentavano di lanciarle contro.
“Cosa
facciamo?” ansimò Shaina.
“Io la
distraggo. Tu va via”.
“Come?!”.
“Torna
al grande tempio, salvati e
non pensare a me”.
“Non
è il momento di fare il
cavaliere nobile! Lotteremo insieme”.
“Smettila!
Fai come ti dico!”.
“No!”.
“Ma
moriremo entrambi!”.
“Che
sia. Moriremo insieme”.
Deathmask
guardò stupito la sua donna
ed arrossì leggermente. Era bello sapere di avere qualcuno
vicino.
“Come
siete teneri” sorrise Giunone,
sarcastica.
“Pensa
per te, cornuta!”.
“Nessuna
notizia?” si spaventò Atena
“Dici siano stati scoperti?”.
“Non
lo so. Sono preoccupato” rispose
Arles, camminando per il pronao del tempio di lei.
“Hai
mandato qualcuno a
controllare?”.
“Certo
ma, se è successo loro
qualcosa, non so se arriverà in tempo”.
“Manda
i tuoi fratelli. Loro ci
metterebbero pochi secondi”.
“Non
posso dare ordini ai miei
fratelli!”.
“Allora
potrei..”.
“Scusate
se interrompo ancora” parlò
Sarah, imbarazzata “Ma c’è una persona
alla tredicesima”.
“Non
adesso, Sarah” la rimproverò,
velatamente, Arles.
“Ma..è
una donna. E credo stia molto
male. Forse..forse è morta!”.
L’attacco
combinato di Shaina e
Deathmask parve sortire qualche effetto su Giunone, che non mostrava la
stessa
spavalderia iniziale. Era però la regina dei romani, e di
conseguenza
estremamente potente.
“La
vedo brutta..” ringhiò Deathmask.
“Sì.
La sua forza è incredibile”
annuì Shaina.
“Non
distraetevi!” gridò la Dea,
lanciando le sue piume di pavone e spedendo lontano i due greci.
Il Sacerdote ed
Atena raggiunsero la
tredicesima. Al centro di essa stava una donna, rannicchiata in terra,
completamente nuda.
“È
fredda” commentò Arles “Ma ancora
viva. Il suo cuore batte debolmente”.
“Come
è arrivata qui? E perché è
nuda?” domandò Atena.
“Non
ne ho idea! Ma dobbiamo
scaldarla, o morirà!”.
Il cavaliere
l’avvolse nel suo
mantello e la donna emise un lieve gemito.
“Forse
so come aiutarla!” esclamò il
sacerdote, prendendola in braccio.
“Che
hai in mente?”.
“La
vasca dove faccio i bagni rituali
è sempre calda, per via delle acque termali. Lì
si scalderà”.
Camminò
in fretta, sentendo la pelle
di lei sempre più fredda al tatto. Atena lo seguì
e lo stesso fece Sarah,
entrambe preoccupate. Arles scese gli scalini a bordo vasca e si
immerse,
tenendo a galla la donna. Questa gemette di nuovo ma riprese un
po’ di
colorito. L’acqua calda ed il vapore la cullavano,
così come faceva il
sacerdote.
“Sarah”
ordinò lui “Vai nelle mie
stanze e prendi una bottiglia senza etichetta. Portala qui, di
corsa”.
“Ma..”
balbettò la ragazza “..a
nessuno è concesso entrare nelle vostre stanze!”.
“Te lo
do io il permesso! Corri!”.
“Sì..sissignore!”.
Uno accanto
all’altro, Deathmask e Shaina
erano ormai sfiniti. Giunone era una pazza dalla forza notevole e non
si
fermava davanti a niente.
“Vi
ucciderò entrambi!” minacciò la
romana, puntando il dito contro i greci.
Avanzò
di qualche passo, pronta a
lanciare l’ennesimo attacco, quando percepì un
certo fastidio al petto. Si fermò
e vi vide una rosa conficcata. Ringhiando, la estirpò e si
guardò in giro.
“Serve
un aiutino, dolcezze?” sorrise
Aphrodite, entrando in scena con un sorriso sensuale.
“E tu
chi saresti?” sibilò Giunone.
“Vengo
chiamato Aphrodite e, come
credo tu possa percepire, non sono solo”.
A fianco del
cavaliere dei Pesci, era
apparso Shura, con un’aria leggermente infastidita.
“Ragazzi!”
salutò Deathmask “Che
bello vedervi!”.
“Il
sacerdote ci ha mandato a cercarvi,
non avendo vostre notizie” spiegò il Capricorno.
“Che
gentile. Lo ringrazierò con un
mazzo di fiori”.
“Gli
manderò io dei fiori!”
interruppe Giunone “Da mettere sulle vostre tombe!”.
Richiudendo in
fretta il libro che
stava leggendo, Kiki si nascose. Maledetta regola che vietava il
teletrasporto!
Dei passi? Non doveva entrare nessuno in quella stanza ancora per ore!
Da dietro
una delle pesanti tende del baldacchino, il giovane vide Sarah in cerca
di
qualcosa nella stanza del sacerdote. Una serva? Ma cosa stava
accadendo? L’ancella,
dal canto suo, si stupì di trovare una candela accesa.
“C’è
qualcuno?” domandò.
A nessuno era
concesso entrare in
quelle stanze, pena la morte. Kiki continuò ad osservarla
con attenzione. Chi era
quella femmina? C’era qualcosa in lui che non lo convinceva.
Del resto, doveva
solo stare zitto, vista la posizione in cui si trovava. Se lo avessero
scoperto, specie con certi libri in mano, come minimo sarebbe finito a
Capo
Suion. Sarah si guardò attorno ancora un po’ e poi
afferrò una bottiglia senza
etichetta. Spense la candela con due dita ed uscì in fretta.
Kiki tirò un
sospiro di sollievo e tornò ad uscire allo scoperto. Forse
era meglio andare a
leggere altrove..
Giunone,
circondata, continuò a
mostrarsi spavalda. Richiamò a sé la sua
armatura, che la avvolse in una coda
di pavone variopinta. Shura, per nulla impressionato, lanciò
la sua Excalibur
contro l’armatura, che si scalfì.
“Che
hai nelle braccia, demonio?” si
irrigidì la Dea.
“Non
c’è nulla che la mia spada sacra
non possa tagliare” ribatté il Capricorno.
“Dovrai
stare attento quando ti fai
le seghe..” ridacchiò Giunone e Shura
ringhiò.
“Hai
fatto arrabbiare la capretta!”
annuì, soddisfatto, Deathmask “Ora le
prendi!”.
Shura
alzò il braccio e gli altri due
cavalieri d’oro si apprestarono a seguire il suo esempio,
lanciando i loro
attacchi. Una rosa nera seguì la traiettoria
dell’Excalibur e le porte dell’altro
mondo si aprirono alle spalle delle Dea. Giunone resistette e,
nonostante le
ferite, lanciò un altro colpo con la sua coda da pavone. I
saint, colpiti, non
capivano come potesse quella donna essere così potente. Era
la degna regina
degli Dèi!
“BLOODY
ROSE!” attaccò Aphrodite, il
primo in grado di reagire.
La sua rosa
scintillò e colpì. Pesci
sorrise, modificando il suo cosmo in modo da creare un’altra
rosa. Non si era
accorto che qualcuno lo osservava..
“Sarah!”
esclamò Kanon, vedendo la
donna correre giù dal piano superiore della tredicesima
“Cosa succede?”.
“Un’emergenza”
si limitò a dire lei,
passandogli accanto.
Il cavaliere
l’afferrò per un
braccio.
“Cos’è
quella bottiglia? Che
combinate?” domandò lui.
“È
per il gran sacerdote. Lasciami,
vado di fretta”.
“Il
gran sacerdote? Mio fratello? Sta
male?”.
“No.
Ma è un’emergenza e devo andare.
Ti spiegherò tutto dopo”.
“Lo
farai?”.
“Certo..”.
Lui la
tirò a sé e la bacio, cosa che
ultimamente faceva spesso. Poi la lasciò andare.
Giunone, colpita
per l’ennesima volta
dai colpi di tutti i cavalieri greci, era furiosa e con
l’armatura in pezzi. Però
non voleva arrendersi.
“Avrò
le vostre teste!” gridò “PEACOCK
SCREAM!”.
L’urlo
del’animale sacro alla Dea era
assordante e terribile. I saint si portarono le mani alle orecchie,
sentendosi
scoppiare la testa. Poi un’aria lieve e profumata li avvolse,
portando loro
sollievo. Da dove proveniva?
“Oblio
del frutto dell’inferno”
pronunciò qualcuno e Giunone si ritrovò avvolta
da rami spinosi sempre più
fitti.
“Che
mi succede? Chi osa fare questo?”
si lamentò.
“Chiudi
la bocca. E soccombi alla tua
inevitabile fine”.
Una voce di
donna scandì quelle
parole e la regina romana gridò dal dolore.
“Non
sembra ferita” commentò Arles,
osservando la sconosciuta “Ma come fa ad essere
così fredda?”.
“Non
guardarla troppo! È pur sempre
una donna nuda!” lo rimproverò Atena.
“Suvvia!
Di donne nude ne ho viste
altre in vita mia e spero di vederne ancora! Il mio è un
parere medico. Non vedo
ferite evidenti. Quindi cosa può provocarle un tale gelo in
corpo?”.
“Una
maledizione?”.
“Una
maledizione, dite? Di che tipo?”.
“Non
lo so. Spero possa dircelo lei
appena starà meglio”.
“Ma
dov’è finita quell’ancella? Non
è
un’impresa così difficile recuperare una bottiglia
dalla mia camera!”.
“Presto,
Sarah!” incitò Atena, non appena
vide l’ancella varcare la soglia.
La donna corse,
scusandosi per il
tempo perduto, e porse la bottiglia al sacerdote. Questi, ancora in
acqua con
fra le braccia la donna, si chinò.
“Che
cos’è?” domandò Atena
“Una
medicina?”.
“SI
può dire di sì” rispose Arles
“Io
la chiamo Resuscitamorti”.
“Nome
poetico..”.
“Diciamo
che poche gocce scaldano il
cuore, un sorso ti porta all’oblio, un sorso in
più ed i tuoi sensi si
annientano, concedendoti una serena notte di sonno”.
“Ed un
sorso di troppo?”.
“Immagino
ti uccida”.
“Ma
è pericoloso! Perché hai cose del
genere in camera?”.
Il sacerdote non
rispose. Si limitò a
guardare la Dea, che non disse altro. La sconosciuta, dopo poche gocce,
iniziò
a divenire rossa in viso. Poi si alzò di colpo, tossendo.
“Ha
ripreso i sensi!” sorrise Sarah ed
anche Atena ne fu sollevata.
Non
più gelata al tatto, l’intrusa
respirò a fondo. Si voltò, incrociando lo sguardo
del sacerdote. Piangeva ora,
sentendosi libera da un peso.
“Oh,
signor Arles” mormorò,
appoggiandosi all’uomo.
“Ci
conosciamo?” rispose lui,
leggermente imbarazzato dalla situazione.
“Grazie”
continuò lei “Mi avete salvata”.
“Cosa
vi è capitato?” domandò Atena,
invitando la sconosciuta ad uscire dall’acqua e coprirsi.
Il sacerdote la
portò fuori, mentre l’ancella
in fretta l’avvolgeva in asciugamani. Il mantello di lui,
abbandonato in terra,
era zuppo esattamente come il suo proprietario, che iniziò a
strizzarsi i
capelli e la tunica.
“Puoi
anche andare adesso, sacerdote”
lo invitò Atena “Lascia che questa donna si vesta
in santa pace, senza occhi
indiscreti”.
“I
miei non sono occhi indiscreti”
protestò lui, ma uscì comunque.
Risalì
le scale, raggiungendo la sua
stanza, in cerca di vesti asciutte. Guardò con aria
interrogativa la candela. Chi
mai era stato lì? Lui era certo di non averla accesa, quel
giorno. Eppure era
consumata.. Forse se l’era dimenticata accesa ieri sera, non
ne era sicuro. Finalmente
libero da quelle stoffe bagnate, le gettò nel baule
antistante la camera, da
dove le ancelle più volte avevano dovuto recuperare tuniche
sporche di sangue
per lavarle. Quasi annoiato, il sacerdote incrociò il suo
riflesso allo
specchio. Che strano gli sembrava guardarsi e vedersi ringiovanito.
Scostò la
tenda del baldacchino. Qualcuno era stato lì, lo percepiva.
Chi osava entrare addirittura
nel suo letto? Non era il momento di pensarci, però. Doveva
rivestirsi e
tornare al lavoro, sperando di ricevere presto notizie dei suoi
cavalieri in
missione.
“Vediamo..in
che pianta posso
tramutarti?” parlò ancora una voce di donna, che
finalmente si mostrò,
dissolvendo le tenebre che la celavano.
“Persefone!”
la riconobbe Aphrodite.
“L’unica
e la sola” sorrise lei “Ed
ora poniamo fine a tutto questo!”.
La prima moglie
di Hades era
bellissima, ora che si mostrava in tutto il suo splendore, senza
cappucci o
vesti imposte dal marito per celarne le forme. Allungò un
braccio verso
Giunone, che si dibatteva in cerca di libertà.
“Frutto
di Kore” pronunciò Persefone
e Giunone iniziò a mutare, divenendo un albero di melograno,
avvolta dalle
spine.
“Bello.
Ma perché ci hai aiutati?”
domandò Shaina, sorretta da Deathmask.
“Cercavo
Aphrodite e vi ho trovati in
difficoltà” ammise la Dea.
“Cercavi
me? E perché?”si stupì
Pesci, avvicinandosi.
Lei si
voltò di scatto, baciandolo. Shura
e Deathmask si fissarono.
“Welà!
Il nostro conquistatore!”
ridacchiò il Capricorno.
Aphrodite rimase
un attimo stordito,
mentre lei sorrideva e si allontanava di qualche passo.
“Andiamo!”
incitò Persefone “Voi
siete feriti, dovete tornare a casa, questo posto è noioso
ed io ho una gran
voglia di godermi la primavera!”.
Seduto di nuovo
sul trono, il
sacerdote attendeva notizie. La sconosciuta fece il suo ingresso e si
inchinò. Ora
con indosso una delle vesti di Atena, era una donna incantevole. Arles
la
guardò negli occhi. Erano aranciati ed avevano qualcosa di
familiare..
“Vi
ringrazio per avermi salvata”
parlò lei.
“Dovere..”.
“Quel
vostro bacio mi ha liberata”.
“Quale
bacio?”.
“Quello
che mi avete dato sulla
fronte”.
“Ma di
che parli? Che..tu..?”.
“Sono
la bambina romana”.
Arles rimase in
silenzio,
osservandola, senza sapere che cosa dire.
“Sono
una Dea romana. Purtroppo ho
dato troppo fastidio a più di qualcuno e sono stata
maledetta da Minerva, Diana
e Venere. Mi hanno tramutato in una bambina, gelose del fatto che uno
dei loro mortalucci
preferiti se la spassasse con me. Un pomeriggio, ho fatto delle trecce
a questo
tizio e sono impazziti tutti. Mi hanno maledetta, dicendo che solo
facendomi
voler bene anche da bambina sarei tornata com’ero. Un gesto
mosso d’affetto, e
non da pietà, mi avrebbe salvata. Ed avrei dovuto continuare
ad intrecciare
capelli per scaldare il mio animo. Ormai il mio tempo stava per
scadere, per
questo era così fredda”.
“Una
Dea romana qui? Posso fidarmi?”.
“Odio
quelle galline che mi hanno
maledetto! Loro e tutta la loro famiglia! E poi..voi mi avete salvata,
quindi
vi sono debitrice. Vi servirò fedelmente fino a quando non
considererò il
debito annullato. Concedetemi di fare questo”.
La donna si
inginocchiò, lasciando
che i lunghi capelli ne coprissero in parte il viso. Erano verdi, ma di
una
tonalità così scura da sembrare neri.
“Una
Dea che serve un mortale?”.
“Un
semidio, da quel che mi risulta..”.
“Fa lo
stesso!”.
“Permettetemi
di appartenervi, anima
e corpo, fino a quando lo riterrò necessario”.
“Ma..io..posso
almeno sapere il tuo
nome?”.
“Certo.
Il mio nome è Discordia”.
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Capitolo 18 *** XVIII- cielo e terra ***
XVIII
CIELO E
TERRA
Shun rimaneva in
silenzio. Osservava
il gran sacerdote, senza volerne interrompere i pensieri.
Sobbalzò quando si
accorse che Arles lo stava fissando.
“Cosa
c’è?” domandò il sacerdote.
“Niente!”
si affrettò a dire Shun
“Solo che..come state?”.
“Perché
lo chiedi?”.
“Sono
il medico che deve curarvi. Lo
devo sapere. Perciò, vi prego, rispondete: come
state?”.
“Bene”.
“Bugia..”.
“Sono
un po’ stanco..”.
“Un
po’?”.
“Sono
distrutto” sospirò “Ma che vuoi
farci? È il lavoro che mi sono scelto e durante le emergenze
è sempre faticosa
la faccenda. In più, le mie parentele divine pretendono
allenamenti e tempo.
Senza contare che sto terminando l’addestramento per il mio
successore..”.
“Successore?”.
“Sì.
A volte mi chiedo perché non ho
semplicemente fatto felice Aiolos, che aveva già tutte le
basi! Sempre se non
si è già scordato tutto..”.
“Aiolos
ha la vostra stessa età.
Serve gente più giovane, credo”.
“Vedo
che capisci al volo, almeno
certe cose”.
“Anche
se, lo devo ammettere, non vi
do di certo l’età che avete”.
“Merito,
o colpa, dei geni che sta
risvegliando mio padre. Ma la gioventù non copre le
occhiaie!”.
“Volete
che prepari qualcosa per
farvi dormire? L’insonnia non fa bene al vostro stato di
salute mentale, questo
mi pare ovvio”.
“Forse
è meglio. Ma oggi ho ancora un
sacco di cose da fare. Tu va pure ad occuparti dei feriti. Ho saputo
che
Giunone ci è andata giù pesante”.
“Sì.
Ma avete già mandato quella
donna ad aiutare”.
“Discordia?
Ti infastidisce?”.
“No.
È che con lei e Sarah non serve
molto il mio aiuto. Le ferite dei cavalieri non sono gravi”.
“In
questo caso..dilettati come
meglio credi. Io ho un po’ di cose da sbrigare. Atena mi ha
affidato un
compito. Vorrai scusarmi..”.
“Che
fate voi due lì?” si stizzì
Ares.
Phobos e Deimos,
a torso nudo, si
stavano godendo il sole di Grecia. Ignorarono i rimproveri del padre e
continuarono ad abbronzarsi. Il Dio scosse la testa ed andò
oltre.
“Atena!”
sorrise, vedendo la Dea fra
le colonne “Visto che i miei figli hanno tutti altro da fare,
che ne dici di
una piccola sessione di allenamento?”.
“Non
adesso, scusa” rispose lei,
guardando il grande tempio dalla sua dimora.
“Che
cosa ti trattiene?”.
“Ho
molti pensieri..”.
“Del
tipo? Sai che pensare troppo fa
male..”.
“So
che tu non lo fai mai! Ad ogni
modo..non lo hai saputo? Hanno deciso che sarò io a prendere
il posto di Padre
Zeus!”.
“Lo
immaginavo. La saggezza, la
difesa..e tutto il resto che c’è
intorno..”.
“Cosa?!
Io non posso svolgere un
compito simile!”.
“E
perché?”.
“Perché..ho
paura. So che tu, grande
Dio della guerra, non puoi capire cosa significhi”.
“Mi
prendi in giro?”.
Ares
fissò la Dea per qualche
istante, che non voleva mostrare la sua debolezza e tentava di fuggire
da
quelle attenzioni.
“Mia
cara Atena, è normale che tu sia
spaventata. Ma sono più che certo che te la caverai
benissimo. E poi, sarà solo
una questione momentanea. Una volta che l’emergenza
sarà risolta, tutti gli Dèi
potranno tornare a bisticciare come sempre e non servirà un
capo, se non di
facciata. E quello è facile da fare..”.
“Tu mi
aiuterai?”.
“A
fare..?”.
“A
superare la paura”.
“Dolcezza,
mio figlio è la paura!”.
“E
cosa c’entra? Io sono la saggezza,
ma non ti ho trasmesso un solo briciolo di buonsenso!”.
“Hai
ragione. Ma che dovrei fare,
secondo te?”.
“Promettimi
che, nel caso dovessi
cedere, sarai pronto ad intervenire”.
“E
prenderti a calci finché non
reagisci?”.
“Sì”.
“Affare
fatto! Ora che dici di
concedermi quell’allenamento di cui parlavamo?”.
Kiki
entrò furtivamente alla
tredicesima, giusto in tempo. Il gran sacerdote stava per allontanarsi
e fissò
il giovane con aria interrogativa.
“Scusi
il disturbo” mormorò il
ragazzo, chinando il capo.
“Kiki!
Cosa fai qui?” domandò il
sacerdote.
“Scusate
se sono inopportuno, ma
vorrei essere mandato in missione”.
“In
missione? E per quale assurdo
motivo?”.
“Alcuni
cavalieri covano dubbi nei
miei confronti, definendomi un traditore”.
“Traditore?
Tu? E perché?”.
“Dicono
che sono io la spia dei
romani”.
“Ma
questo è assurdo!”.
“Ho
bisogno di allontanarmi per un
po’, così che non mi possano più
accusare. Speditemi dove credete, anche su
un’isola deserta!”.
“Ma
Kiki..tu non hai un’armatura! Non
posso mica lanciarti in viaggi impossibili solo per far tacere dei
deficienti!”.
“Lo so
ma..come posso restare qui?
Sospettano, ed io voglio farli tacere. Inoltre, qui al grande tempio
non servo
poi a molto. Datemi modo di mostrare quel che valgo!”.
“Più
volte lo hai già mostrato,
Kiki”.
“Evidentemente
la gente dimentica..”.
“Su
questo ti do ragione”.
Il sacerdote
sospirò. Poi si voltò,
facendo segno al ragazzo di seguirlo. Kiki obbedì ed insieme
si incamminarono
per i corridoi della tredicesima.
“Alcuni
cavalieri di bronzo stanno per
partire” spiegò Arles “A svolgere una
missione che, sinceramente, vorrei
svolgere personalmente. Ma al momento non posso, dato che Atena mi ha
ordinato
di creare nuovi sigilli ed è una cosa alquanto
impegnativa”.
“Lo
posso solo immaginare..”.
“Immagina,
bravo! Quei dannati
foglietti ciuccia-cosmo mi stanno facendo impazzire. E ancora non mi ha
spiegato a cosa le serviranno stavolta. Se li facesse da
sola..”.
“Non
rientra nei compiti del gran
sacerdote?”.
“Come
tante altre cose..”.
I due erano
giunti davanti ad una
porta dai complessi simboli. Kiki la osservò meravigliato.
Ad un tocco del
sacerdote, i simboli si illuminarono e la porta si aprì.
“Non
dire a Mur che sei stato qui”
sorrise Arles “Impazzirebbe..”.
Il giovane
annuì, ad occhi
spalancati. La sala dove erano entrati era piena di pandora box, poste
a
semicerchio su diversi piani, divise per categoria.
“Qui
è da dove lancio il Chrysos
Synagein, che spero non sia necessario spiegarti cosa sia”
parlò ancora il
sacerdote.
“La
convocazione di tutti i
cavalieri, lo so”.
“Bravo”.
Al centro della
sala, un marchingegno
sferico e complicato stava brillando. Il sacerdote vi infilò
in parte una mano,
oltrepassando l’ologramma che circondava
quell’oggetto che Kiki non conosceva,
se non solo per “sentito dire”. Le dita di Arles si
mossero e l’ologramma si
mosse a sua volta, mostrando tante piccole luci.
“Le
costellazioni?” domandò il
giovane.
“Esatto.
Vedo che studiare serve a
qualcosa” rispose il sacerdote, facendo scorrere varie luci
sotto la propria
mano.
Quando la
fermò, sotto di essa era
chiara una costellazione. Kiki fissava il tutto con
curiosità. L’intera sala
brillò d’azzurro, come la sfera, e delle stelle
apparvero in aria. Assieme a
loro, brillò uno scrigno d’argento.
“Kiki..oggi
è il tuo compleanno, se
non ricordo male..”.
“Ricordate
benissimo. Oggi è il mio
diciottesimo compleanno”.
“Allora
tanti auguri”.
Con un gesto del
sacerdote, la
pandora che si era illuminata andò a posarsi ai piedi del
giovane cavaliere.
Kiki la fissò, emozionato.
“Un’armatura?
È..è mia?” balbettò.
“L’Altare.
Personaggi illustri
l’hanno indossata prima di te, cerca di esserne
all’altezza”.
“Farò
del mio meglio!”.
Kiki si era
inchinato, non sapendo
che altro fare.
“Ne
sono certo..”.
“Ora..potrei
sapere di che missione
si tratta?”.
“Hai
ragione! Devo spiegartela! Ma
prima usciamo di qui. Perdonami se non ho riservato per te la solita
cerimonia
di consegna dell’armatura, ma è un caso
d’emergenza. Provvederò al tuo ritorno,
promesso!”.
Il giovane
indossò la pandora come
uno zaino e seguì il sacerdote. Tornarono alla tredicesima
sala, dove Seiya e
Hyoga fissarono con stupore il raggiante Kiki.
“Complimenti”
commentò Pegaso “Era
ora!”.
“Chiudi
la bocca” lo zittì Arles
“Kiki è cavaliere d’argento, fatti delle
domande!”.
“Ma..”.
“Non
siamo qui per questo!” alzò una
mano il sacerdote, sedendosi al trono “Vi ho convocati per
una missione.
Partirete tutti e tre”.
“Davvero?
Dobbiamo fare da baby
sitter al neo-cavaliere?” continuò Seiya.
“Credo
che sarà lui a fare da baby
sitter a te, pony impertinente! Lasciami parlare o ti abbatto come si
fa con i
cavalli zoppi!”.
Pegaso si
zittì, capendo che il
sacerdote non scherzava.
“La
vostra missione è importante,
perciò niente cazzate! Sono stato chiaro?”.
“Chiarissimo”
annuì Hyoga.
“Non
voglio venire a sapere che siete
caduti in un burrone, vi siete fatti massacrare dopo
l’ennesimo vostro discorso
spavaldo o cose simili. Per fortuna il cieco è
già sul luogo della missione..”.
“Dobbiamo
andare ai cinque picchi
dove sta Sirio?” domandò Kiki, capendo di che
cieco parlasse Arles.
“Esattamente.
Dato che Hades ora è
nostro alleato, vanno tolti i sigilli che rendono impossibile
l’accesso a
questo mondo ai suoi soldati meno dotati. Non possiamo pretendere che
combatta
solo con i tre giudici e gli Dèi gemelli, che sono pure
degli stronzi , quindi
non si sa quanto siano davvero fedeli”.
“I
sigilli? Ma non sarà pericoloso?”
si allarmò Seiya.
“Lo
è. Ma è ordine di Atena. Se non
ci credi ,puoi chiederglielo..se ha smesso di massacrare di botte mio
padre..”.
“Ares..perde?”.
“Ares
perde SEMPRE contro Atena. Ma
non lo ammetterà mai. Tornando a noi..Dohko, che sta ai
cinque picchi con
Sirio, sa come sciogliere quei sigilli e, inoltre, fornirò a
Kiki tutto il
necessario”.
“E se
gli specter ci attaccassero?”
domandò Hyoga.
“Siete
in armatura, giusto?”.
“Dobbiamo
combatterli?” insistette il
Cigno.
“Lo
fai apposta o è vero quel che
dicono sui biondi? Partite e sciogliete i sigilli. Quelli di Poseidone
sono già
stati rimossi da mio fratello, che è recidivo e ormai
esperto in questo”.
“Va
bene..ma..” provò a protestare
ancora Seiya.
“Kiki,
avvicinati” lo ignorò Arles.
Affidò
al ragazzo la collana del gran
sacerdote, gesto alquanto insolito ma necessario.
“Con
questa..” spiegò il capo del
santuario “..Dohko ti spiegherà cosa
fare”.
“Sissignore”
annuì il ragazzo.
“E ora
andate, che il tempo stringe!
Mi raccomando: niente burroni e..Hyoga..non uccidere parenti ed amici,
se ci
riesci”.
“Sissignore”
annuirono i tre, anche
se i due cavalieri di bronzo non erano per niente convinti.
“Kiki,
fatti valere e prendi a sberle
questi due, se necessario. Poi, mi raccomando: vedi di tornare indietro
intero.
Il santuario ha bisogno di te, chiaro?”.
“Oh..va
bene..” farfugliò Kiki,
imbarazzato.
Uscendo dalla
sala, il giovane
sorrise, notando gli sguardi stupiti di chi aveva attorno.
Camminò fiero. I
cavalieri ridiscesero le scale di tutte le case, pronti a partire. Mur
non capì
subito l’accaduto, pensando che Kiki gli avesse portato
un’armatura a riparare.
Poi vide il ragazzo andare oltre e comprese.
“Kiki?
Quelle vestigia..” domandò.
“Sii
fiero di me, fratello!” sorrise
Kiki “Il sacerdote mi ha affidato le sacre vestigia
dell’Altare. Le indosserò
con onore e ti dimostrerò che non sono un
traditore!”.
“Fai
attenzione. Mi raccomando”.
“Non
sono un bambino! Me la caverò
benissimo”.
“Lo
spero..”.
“Non
capisco se mi fai vincere o se
davvero sei così stupido ed impulsivo da farti battere
sempre nello stesso
modo” domandò Atena.
“Sono
un galantuomo..” mentì Ares.
“Sei
un cretino!”.
“Non
l’ho mai negato. E tu sei
un’esaltata”.
“Che
motivo avrei mai di NON
esserlo?”.
“Ma
che domanda è?!”.
La Dea
ruotò di nuovo il bastone,
pronta a colpire per l’ennesima volta il fratello. Ares si
portò un braccio
davanti al volto, stanco di venir preso a mazzate in faccia. Atena
rise,
trovando divertente la faccia spaventata che era in grado di fare il
Dio della
guerra. La Dea fece qualche passo.
“Certo
che..” commentò “..i tuoi
figli sono belli rilassati oggi”.
“Parli
di Phobos e Deimos? Sono dei
pigroni! Li ho già rimproverati”.
“Poveretti!
Lascia che un pochino
stiano tranquilli, quando non ci sono attacchi in corso”.
“Non
sopporto i soldati oziosi”.
“Sei
troppo pedante, Ares!”.
“Però,
lo devi ammettere..i miei piccoli
sono un bel vedere! Si vede proprio che sono figli di Aphrodite e del
sottoscritto!”.
“Modesto
come sempre! Hanno dei bei
tatuaggi, quello l’ho notato”.
“Tutti
in famiglia abbiamo tatuato un
drago da qualche parte”.
“Anche
tu?”.
“Sì
ma il mio, mia cara, è in un
punto che se vedessi..vorrebbe dire che sono praticamente nudo davanti
a te!”.
Atena
arrossì leggermente e distolse
lo sguardo. Ares rise.
“Anche
il mio sacerdote e suo fratello?”
domandò lei.
“Non
ancora. Sarà il mio regalo per
quando finirà questa guerra”.
“Se
restano in vita..”.
“Certo
che resteranno in vita! Parliamo
dei miei figli, mica di esserini insignificanti qualsiasi!”.
“Sì,
e noi stiamo lottando contro
divinità estremamente potenti!”.
“E tu
porti sfiga, donna!”.
“Io
non..”.
La Dea non
finì la frase , perché un
fortissimo boato scosse l’intero santuario ed il cielo si
fece buio di colpo.
“Che
cosa hai mandato a fare in
missione quei ragazzi?” protestò Aiolos
“Al tempio serve gente, e tu hai
allontanato individui validi!”.
“Punto
primo: non sono dei ragazzi. Punto
secondo: ho i miei validi motivi, e li vedrai”
ribatté il sacerdote,
infastidito.
“Sei
un pazzo!”.
“Sei
un rompicoglioni!”.
“Questo
non cambia la situazione!”.
“Quanto
ti piacerebbe?” sorrise
Arles, accarezzando i braccioli del suo trono, con aria beffarda.
Aiolos, che
doveva ammettere di
essere piuttosto geloso della posizione del collega, perse
momentaneamente il
controllo e scattò in avanti, con l’intento di
colpire il sacerdote. Questi,
però, tirò su una gamba e fermò il
Sagittario piantandogli una scarpa in mezzo
al viso. In quella posizione decisamente bizzarra, li vide Mur entrando
alla
tredicesima. Imbarazzato, convinto di aver interrotto chissà
che cosa, arrossì
e chinò la testa.
“Mur!
Cosa ti porta qui?” domandò
Arles, senza abbassare la gamba.
“Io..ecco..volevo
sapere se era
possibile avere qualche informazione in più riguardo la
missione dove è stato
mandato mio fratello. Sono un po’ preoccupato”.
“Non
devi esserlo. Ci sono Seiya e
Hyoga con lui”.
“Appunto..”.
“Forse
hai ragione..”.
La terra
tremò, zittendo tutti. Si fece
buio. Un’eclissi? No, era qualcos’altro..
“Che
odio..che persona
insopportabile!” si lagnava Seiya, camminando con la pandora
sulle spalle.
“Di
chi parli?” domandò Kiki.
“Ma
del gran sacerdote, ovviamente. Lo
prenderei a calci in faccia, se solo potessi!”.
“Non
dovresti parlare così di colui
che ti ha affidato l’armatura..”.
“Tu
non lo conosci davvero, Kiki. Sei
solo un bambino!”.
“Ho
diciotto anni, che cazzo dici?!”.
“Chi
ti ha insegnato queste parole?
Mur non parla così”.
“Oh
sì. Ma tu non lo conosci bene..”.
“Beh,
comunque ho ragione io! Quell’uomo
è fastidioso ed arrogante”.
“Come
te?”.
“Non
è vero!”.
“Con
la differenza che LUI governa il
santuario e tu sei un bronzetto”.
La strada era
impervia ed in salita,
una vera seccatura da fare con l’armatura a mo di zaino.
“Ma
come fate a trovare il fiato pure
per litigare?” li interruppe Hyoga “Comunque,
Seiya, girano voci che stia già
addestrando il suo successore. Quindi suppongo voglia
ritirarsi..”.
“Ha
paura di affrontare me ed Aiolos
insieme, ecco qual è la verità!”
esclamò Pegaso.
“Ma
non penso proprio..” scosse la
testa il Cigno.
“Ritirarsi?
E perché dovrebbe?”
domandò Kiki “Non è di certo vecchio e
sa ancora fare il culo a molti. Perciò perché
mai?”.
“Sarà
stufo. Oppure è solo previdente”
rispose Hyoga “Ma continuerò a trovarlo irritante
lo stesso”.
“E voi
chi vorreste al suo posto?”
continuò Kiki, incuriosito dalla conversazione.
“Qualcuno
di saggio” annuì il Cigno “Come
il mio maestro Camus”.
“Camus?
Il gelato?” rise Seiya “Ma
non farmi ridere! Quello fa tanto il figo ma poi si metterebbe a
piangere alla
prima occasione”.
“Ma
come ti permetti?! E allora, tu
chi proponi? Sentiamo un po’..”.
“Aiolos,
ovvio! Colui che aveva scelto
Shion!”.
“Aiolos
è vecchio! E non
ringiovanisce come sta facendo Saga!”.
“Non
è vecchio! Ha solo..”.
“Praticamente
quarant’anni. E poi..te
lo ci vedi Saga che addestra Aiolos?”.
I tre si misero
a ridere. Che idee
assurde faceva venire in mente l’aria rarefatta delle
montagne!
Atena si mosse
di scatto, d’istinto,
preparandosi a combattere. Ares le era accanto, che si guardava attorno
per
capire chi avesse provocato simili stravolgimenti in cielo. Fra le
nubi, ora
nere e minacciose, si vedevano numerose saette. Alcune di esse si
abbatterono
sulle case più elevate del tempio, con boati e crolli. Un
fulmine colpì la
statua di Atena ed i due Dei riuscirono giusto in tempo a spostarsi.
“Conosco
solo un Dio capace di fare
questo..” commentò la Dea.
“Già..è
quello che penso io?”.
“Giove!”.
“Ma
perché tutti distruggono casa
mia, CAZZO!” sibilò Arles, capendo che qualcosa al
piano di sopra era crollato.
“Cosa
è stato? Atena! Dobbiamo salvarla!”
parlò Aiolos, pronto a raggiungere la sua preziosa Dea.
Anche Mur era
allarmato e pronto. Il sacerdote
si alzò a sua volta. I cavalieri tentarono di raggiungere il
piazzale con la statua
della Dea, ma una grossa ombra li fermò.
“Levati
di mezzo!” minacciò Arles, ritrovandosi
di fronte il drago che, teoricamente, gli apparteneva
“Obbedisci!”.
La bestia non si
mosse. Digrignò i
denti.
“Ti
levi, grandissima scocciatura?”
borbottò ancora il sacerdote, questa volta con
più fermezza.
“Se
non si sposta..” minacciò Aiolos “..lo
faccio muovere io!”.
“Accomodati”
lo invitò Arles, con un
mezzo ghigno.
Il Sagittario
era pronto a colpire e
il drago reagì, ringhiando e sputando fuoco.
“Aiolos!”
si preoccupò Mur “Quella è
una bestia sacra, non puoi sconfiggerla!”.
“Ma
Atena è dietro questa creatura! Dobbiamo
passare!”.
“Ma
che succede qui?” domandò
Aphrodite, seguito a ruota da molti altri cavalieri
“Cos’era quel botto? Va tutto
bene?”.
“Non
sappiamo cosa stia succedendo e
questo dannato drago ci sbarra la strada!”
protestò Aiolos, indicando la bestia
“Irritante tanto quanto il padrone!”.
“Guarda
che io non governo quel
drago!” rispose Arles “Non mi ha mai
obbedito!”.
“Si
vede che ha un cervello. Che però
ORA non sta usando”.
“Tu
vuoi finir male, oggi..”.
“Gente,
non litighiamo! Troviamo il
modo di passare!” suggerì Camus.
“Chiama
Phobos e Deimos” suggerì
Kanon “Quei due pare che se la cavino con i draghi”.
“Hai
ragione” annuì il gemello,
urlando poi i nomi dei fratelli maggiori, sperando che riuscissero a
sentirlo.
“Grandioso!
Chiamiamo altra gente di
cui c’è poco da fidarsi!”
protestò Ioria.
“Che
hai da urlare?” domandò Phobos,
urlando di rimando da un punto all’esterno del tempio.
“Aiutaci!
Il mio stupido drago non si
sposta!” gridò ancora Arles.
“Nemmeno
il mio!”.
“Come
sarebbe a dire?”.
“Papà
non vuole che combattiamo” si
unì Deimos, raggiungendo la tredicesima e fissando il drago.
“Come?!
Papà vuole sempre che
combattiamo!” protestò Arles.
“Forse
questo nemico lo ritiene
troppo pericoloso..”.
“Pericoloso?
Deimos, andiamo! Non può
essere!”.
“Trovi
altre spiegazioni? I nostri
tre draghi sono fissi sui loro culi e non ci fanno passare. Hanno
ricevuto un
ordine e da lì non si muoveranno”.
“Ma
Atena..” continuò Aiolos.
“Atena
è dall’altre parte, è vero. Ma
c’è nostro padre con lei”.
“Credi
di rincuorarmi, dicendo
questo?”.
“Come
sei arrivato là?” gridò Phobos,
ancora da un punto imprecisato.
“Volando”
ridacchiò Deimos, sfottendo
il fratello imbranato.
Phobos, bloccato
sulle scale dal
drago, non aveva modo di fare altrettanto. Che rabbia!
“Io
per contratto devo difendere la
Dea” spiegò il sacerdote
“Perciò dovrei passare”.
“Il
drago non te lo farà mai fare. Obbedisce
a Padre Ares”.
“Ma,
Deimos..non esiste un modo?”.
“No.
Rassegnati”.
“Attacchiamolo
tutti assieme!”
propose Milo “Vediamo se si scansa!”.
“Per
una volta ti do ragione” annuì
Ioria.
“Ma
siete tutti rincoglioniti?” strabuzzò
gli occhi Deimos.
I gold si
prepararono ad attaccare. Erano
pronti ma, quando i loro colpi stavano per partire, qualcosa di strano
accadde
al loro cosmo. Una sensazione di debolezza li avvolse e, uno dopo
l’altro,
caddero in terra svenuti.
“Che
succede?” riuscì a mormorare
Arles.
“Nemmeno
Atena vuole che partecipiate
a questa battaglia, evidentemente” spiegò Deimos,
incrociando le braccia mentre
il fratello cadeva in terra.
“Come
sei tenero..” stuzzicò Atena “..proteggi
i tuoi piccoli!”.
“Giove
è un osso duro. Se crepo,
voglio assicurarmi una degna discendenza” sibilò
Ares, mentre il Dio romano
appariva fra le nubi.
“Credi
che moriremo?”.
“Spero
di no. Ma ho imparato ad
essere pessimista, stando accanto al mio figlio minore”.
Giove
scagliò un potente fulmine, che
Atena parò con il bastone.
“La
pagherete!” tuonò, con voce
grave, il re degli Dei romani “Avete ucciso la mia Giunone!
La pagherete cara!”.
“Oh,
ecco perché è così
incazzato..”
annuì Ares.
“Quasi
comprensibile..” ammise Atena.
“Ciccia,
è una guerra! La gente ci
muore!”.
“Sì
ma era la donna che amava”.
“Mentre
si scopava il resto dell’Olimpo..”.
“Proprio
come Aphrodite..però tu dici
che ti ama..”.
“Non
infierire!”.
Ares
ringhiò, indossando la sua
armatura. L’elmo con il pennacchio andò a
coprirgli il viso e quattro ali da
drago si aprirono sulla sua schiena. La coda della Kamui si
arricciò, segno che
era assetata di sangue. Anche Atena aveva indossato
l’armatura ed era pronta.
“Vi
spedirò sotto terra” minacciò
Giove.
“Vedremo”
rispose Ares “Vedremo chi
quest’oggi cadrà!”.
giunti a questo punto,
è d'obbligo ringraziare chi ha seguito la storia fin qui.
siete molti di più di quanto mi aspettassi!! seconda cosa:
vorrei scusarmi con i fan di Seiya ed Aiolos, che finisco sempre col
maltrattare in qualche modo! terza cosa: dovrei riuscire ad aggiornare
la storia prima ma, in caso contrario, BUONA PASQUA A TUTTI!
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Capitolo 19 *** XIX- saggezza e vendetta ***
XIX
SAGGEZZA E
VENDETTA
“Scendi
dalle nuvole, non
costringermi a raggiungerti lassù!”
minacciò Ares, spalancando le ali
dell’armatura.
Giove, senza
proferire parola,
rispose con un potente fulmine. Il Dio della guerra lo
schivò e ringhiò infastidito.
“Cerca
di usare una strategia”
mormorò Atena “Non sempre attaccare a
caso!”.
“Tu
pensa per te!” brontolò Ares,
mentre Giove tentava di nuovo di colpirlo con un fulmine.
Il Dio romano,
sempre avvolto dalle
nubi nere, scese e l’armatura iniziò a vestirlo.
Con l’aria di chi non teme
niente e nessuno, scagliò l’ennesima saetta.
Questa volta, dopo aver toccato
terra, l’elettricità di divise e colpì
di striscio le due divinità greche.
“Ανδρειφοντης
Μαλερός!”
gridò
Ares,
lanciando il suo colpo.
Le
lingue di cosmo
rosso come il sangue avvolsero Giove, che però se ne
liberò in fretta,
disintegrandole con le sue scosse. Anche Atena attaccò,
lanciando il suo
scettro, che il Dio romano ricacciò indietro con un gesto
della mano. La Dea ne
fu sbalordita, abituata com’era ad avere sempre a fianco
qualche saint
sacrificabile.
“Tutto
qui?”
commentò Giove, serio “Siete dei patetici
moscerini”.
“Moscerini?!
Ma come
osi, copia mal riuscita di Padre Zeus?!” si
accigliò Ares, spiccando il volo.
“Fratello!”
lo
richiamò Atena, cercando di farlo ragionare.
Giove
allungò un
braccio ed afferrò saldamente il Dio della guerra. Ares fece
altrettanto,
piantando gli artigli nel possente braccio del Dio romano, che ne
stringeva il
collo con la mano.
“Fratello!”
gridò
ancora Atena, vedendo gocce di ikor scorrere.
Ares
non abbassò lo
sguardo. Continuò a fissare la divinità romana,
affondando sempre più gli
artigli e ringhiando. Giove, infastidito, dopo un po’
trovò troppo spiacevole
quel dolore al braccio e liberò dalla presa il greco,
lanciandolo indietro.
“Hai
osato ferirmi”
minacciò il padre romano “La pagherai molto cara.
Ti scuoierò ed appenderò la
tua pelle sulla cima dell’olimpo!”.
“Fottiti!”
sbottò
Ares, sputando sangue in terra.
Discordia,
allarmata
nel veder perdere i sensi a mezzo tempio, salì fino alla
tredicesima. Lì vi
trovò Deimos, che pareva tranquillo.
“Cosa
è successo?”
domandò la romana “Perché sono svenuti
tutti?”.
“Volontà
della loro
Dea” rispose il Dio.
“E quel drago?”.
“Volontà
di mio
padre”.
“Ma..stanno
bene?”.
“Mi
sa che hanno
preso delle buone botte in testa, cadendo. Ma nulla di
più”.
Discordia
si
avvicinò ad Arles, rigirandolo e scostandone i capelli dal
viso.
“Che
fai, donna?” la
apostrofò Deimos.
“Cerco
di capire se
sta bene” rispose lei, stupita da quella domanda.
“Preferirei
che tu
non ti avvicinassi troppo al mio fratellino, specie ora che
è svenuto”.
“E
perché?”.
“Vuoi
l’elenco delle
ragioni o te ne bastano un paio?”.
“Ho
tutto il tempo che
vuoi..”.
“Diciamo
che il
perno centrale della questione è che sei romana”.
“La
cosa ti disturba
così tanto?”.
“Ovvio.
Non sei dei
nostri e non mi convinci”.
“Temi
che possa fare
del male a tuo fratello? Ti sbagli, se la pensi così. Mi ha
salvato la vita,
non potrei mai ferirlo o ucciderlo”.
“Questo
è tutto da
dimostrare. I romani sono la tua famiglia e non credo sia tuo desiderio
combattere contro tutta la famiglia”.
“La
mia famiglia mi
ha accusato e torturato solo perché ho seguito la mia
natura. Tu cosa faresti,
se qualche greco ti punisse per aver spaventato uno di loro?”.
“Il
tuo discorso non
ha senso. Io sono fedele a mio padre e per nessuna ragione al mondo
potrei
tradirlo e combattere in fazione opposta alla sua!”.
“Mio
padre non ha
mai mosso un dito per difendermi. Immagino che anche tu ti diverta a
vessare
chi è più debole. Pensi che di questo siano tutti
contenti?”.
“Io
seguo la mia
natura”.
“Ed
io la mia!”.
“Allora
non ha senso
che tu stia accanto a mio fratello, Discordia!”.
“Lui
è l’unico che,
in tanti anni, mi ha aiutata”.
“Perché
non sapeva
chi eri. Se avesse saputo che eri Discordia, la romana gemella di
Marte, non lo
avrebbe mai fatto”.
“E
come puoi esserne
certo? E poi fai tutti questi discorsi ma..cosa credi che
accadrà in futuro?
Ora siete tutti alleati ma..quanto durerà? Fra quanto tempo
sarete di nuovo
tutti divisi, a bisticciare fra voi? Ora andate tutti
d’accordo perché avete un
grande nemico comune, ma quando tutto questo
passerà?”.
“Non
sono affari che
ti riguardano!”.
“Io
rimarrò accanto
a tuo fratello, che questo ti piaccia oppure no”.
“Se,
quando sarà
sveglio, ti vorrà fra i piedi..saranno solo affari suoi! Ma
finché è inerme e
svenuto, non osare avvicinarti”.
“Altrimenti?
Mi
uccidi?”.
“Potrei
prenderla in
considerazione come opzione..”.
Giove,
dopo
l’ennesimo colpo parato e “rispedito al
mittente”, decise di fare sul serio.
Ares, furioso, lanciò un grido minaccioso e volò
di nuovo contro il Dio romano.
Giove sorrise e si concentrò, scagliando un colpo
potentissimo. Il Dio della
guerra fu travolto e lanciato contro una colonna. Parte
dell’armatura che lo
proteggeva andò in frantumi e Ares poi ricadde in terra,
senza riuscire a
rialzarsi. Il marchingegno costruito da Efesto doveva aver ceduto,
perché il
Dio non era più in grado di muovere le gambe.
“Sei
in trappola,
storpio!” lo minacciò Giove, avvicinandosi con un
largo sorriso.
“Lascialo
stare!”
intervenne Atena, compiendo un balzo e roteando il bastone in aria.
Giungere
fino ai
cinque picchi era impegnativo. La strada era lunga e pericolosa e Kiki
fin là
non era mai arrivato. Quando finalmente riuscì a scorgervi
la cascata in
lontananza, sorrise. Non ne poteva più di camminare fra
rocce e sentieri
pessimi in compagnia di quei due bronzetti piagnucolosi!
“Là
ci attende
Sirio?” domandò il giovane.
“Sì”
annuì Hyoga
“Lui è il maestro Dohko sono a guardia dei
sigilli”.
“E
non ci faranno
problemi?”.
“Vedremo..”.
Preso
alla
sprovvista, Giove fu trafitto dal bastone di Atena. Gemette,
rigirandosi di
scatto e colpendo la Dea, che si trascinò sul pavimento in
pietra per un buon
tratto.
“Non
puoi
sconfiggermi con così poco!” gridò il
padre degli Dei romani, voltandosi verso
la Dea e preparandosi ad infierire sulla donna.
Avanzò
di qualche
pazzo ed Atena arrancò, ferita e senza lo scettro fra le
mani. Chiuse gli
occhi, preparandosi al peggio. Ares osservava la scena e
tentò di reagire. Si
trascinò con le braccia, maledicendo le gambe che non
accennavano a muoversi.
Riusciva a vedere chiaramente la ferita aperta di Giove, che lentamente
si
stava rimarginando grazie al potere del Dio romano. Il greco
lanciò un grido,
di quelli che erano in grado di terrorizzare chiunque.
“Ανδρειφοντης
Μαλερός!”
lanciò di nuovo, questa volta concentrando il
cosmo verso una
sola direzione: la lacerazione che Giove aveva su petto e schiena
“Brucia, mio
dannatissimo cosmo! Brucia il romano e non lasciare di lui nemmeno una
briciola!”.
Anche
Sarah aveva
raggiunto la tredicesima e non le piacque vedere Deimos e Discordia
discutere.
“Vi
sembra il caso
di litigare?” li ammonì, ignorando il fatto che
lei era mortale, con dinnanzi
due divinità incollerite “Ci sono delle persone in
terra che stanno male, e voi
perdete tempo!”.
“Tranquilla”
le
parlò Deimos, piuttosto infastidito “Appena Atena
avrà finito di combattere,
ridarà loro la forza di alzarsi”.
“E
se Atena dovesse
morire?”.
“Atena
morire?!”.
“Non
hai preso in
considerazione questa possibilità?”.
La
donna si avvicinò
a Kanon, in pensiero. Sperava che almeno il gran sacerdote fosse
rimasto in
piedi, ma dovette subito abbandonare quell’idea. Da fuori, si
udivano boati e
grida.
“Non
avere paura”
sorrise Deimos.
“Se
sei tu a dirlo,
non c’è da fidarsi..”.
Giove
non capì
subito l’accaduto. Poi avvertì qualcosa bruciare
nel suo petto e sentì un
calore insopportabile espandersi lungo tutte le vene.
“Che
mi hai fatto?”
domandò, voltandosi verso Ares.
Il
Dio della guerra
non rispose. Rimase con un braccio proteso verso il nemico.
“Ares..tu..sei
in
piedi?” si stupì la Dea.
“Non
lo resterà
ancora per molto” rispose Giove, correndo di scatto verso
Ares.
Il
greco si
irrigidì, non sapendo più che fare. Ma Giove non
giunse alla sua meta. Si fermò
e cadde in terra, lanciando un gemito. Il cosmo del Dio della guerra
era
penetrato nel corpo del romano attraverso la ferita inferta da Atena e
lo stava
rapidamente consumando. In pochi attimi, del corpo di Giove non rimase
più
nulla.
“Ares!”
chiamò Atena
“Atena..”
rispose
Ares.
“Sei
in piedi!”
sorrise lei.
Il
Dio della guerra
rispose a quel sorriso, ansimando per la fatica.
“Abbiamo
vinto.
Visto?”.
“Sei..sei
un
coglione!” urlò lei, accigliandosi “Hai
agito senza pensare e ti sei fatto
colpire un sacco di volte! Se ti fossi fermato a riflettere, non
saresti
ridotto in quello stato!”.
“E
tu, allora?”
sbottò il Dio “Fai tanto la saputella ma sei
ridotta peggio di me! Che cazzo
vuoi?”.
“Hai
messo in
pericolo l’intero tempio!”.
“Anche
tu. Perché
non hai permesso ai tuoi cavalieri di aiutarti? Una freccia
d’oro non andava
male, in testa a quel coso enorme!”.
“E
tu perché hai
fermato i tuoi figli?”.
“Io..tu..ti
odio!”.
“Anche
io ti odio!
Sei incapace di ragionare”.
“E
tu sei una
rammollita che si sente tanto figa ma non lo è nemmeno un
po’! Strega!”.
“Ma
torna dalle tue
puttane e lasciami in pace!”.
“Ti
detesto. Non
vedo l’ora che questa guerra finisca, così da non
vederti più!”.
“Vale
lo stesso per
me”.
I
due, ora
vicinissimi, si fissavano negli occhi con odio. Poi qualcosa nel loro
sguardo
cambiò e rimasero in silenzio. Fu Ares a scattare in avanti,
unendosi a lei in
un bacio da cui la Dea non si sottrasse. Non importavano più
le guerre, i
problemi, le paure.. Qualche goccia di ikor cadde in terra, mentre le
due
divinità si guarivano a vicenda. Le nubi, intanto, si
diradavano, lasciando
spazio ad uno splendido sole.
“Sirio!”
sorrise
Seiya, raggiungendo l’amico accanto alla cascata
“Come va?”.
“Come
mai siete
qui?” sorrise a sua volta Sirio, salutando Hyoga e Kiki.
“Abbiamo
una
missione importante da compiere” spiegò Pegaso
“Dove si trova il tuo maestro?”.
“Dohko?
A casa, ma
ci raggiungerà presto. È successo qualcosa di
grave?”.
“Abbastanza”
annuì
Kiki “E, te lo devo far notare, il tuo maestro non ha
risposto ai richiami
lanciati dal santuario”.
“Lo
so ma vedi,
Kiki, il mio maestro ha ancora dei dubbi sul gran sacerdote attuale e
non
obbedisce facilmente ai suoi ordini”.
“Cominciamo
bene..”
borbottò il giovane, capendo che la missione sarebbe durata
più del previsto.
Atena
non parlava,
per la prima volta sentiva che le parole non erano necessarie. Si
lasciava avvolgere
da Ares, più che lieto di sentirla silenziosa per una volta.
Lui la baciò sul
collo e lei si scostò leggermente. Incrociò di
nuovo lo sguardo di Ares, che si
era fatto interrogativo.
“Grazie”
mormorò
lei.
“Per
cosa?” alzò un
sopracciglio il Dio.
“Per
concedermi i
miei tempi..”.
“TI
concedo tutto il
tempo che ritieni necessario, Atena”.
Lei
sorrise. Con i
lunghi capelli sparsi per i letto che iniziava a sfarsi, la Dea
circondò il
collo del Dio e sorrise con ancora più convinzione. Ares le
si poggiò contro
delicatamente, annusandone la pelle e facendosi accarezzare i capelli.
“Ti
odio” sussurrò
ancora lei.
“Anch’io”
rispose
lui “Ti odio tantissimo”.
Ares
riprese a
baciarla.
“Voglio
vedere il
tuo tatuaggio”disse lei, piano, fra un bacio ed un altro.
“Che
bambina cattiva
che sei!” ghignò il Dio
“C’è altro che vorresti
vedere?”.
“Che
bambino cattivo
che sei!” ammiccò la Dea.
Riaprendo
gli occhi,
Arles vide per prima cosa il volto di Discordia. Si scosse, non
riuscendo bene
a capire cosa stesse succedendo e cosa fosse accaduto.
“Stai
bene?” domandò
la donna.
“Che
mal di testa!”
gemette il sacerdote, mettendosi a sedere “Che è
successo? Non ricordo”.
“Storia
lunga”
sorrise Deimos.
“Una
cosa mi
ricordo: io stavo cadendo e tu non mi hai preso!”.
“E
perché avrei
dovuto?”.
“Ma..ok..non
fa
niente. Perché ero per terra? E perché gli altri
cavalieri sono ancora
svenuti?”.
“Anche
Kanon si sta
risvegliando!”.
“La
battaglia dunque
è finita? Cosa è successo?”.
“Non
lo so. Io ero
qui esattamente come te, fratellino!”.
Arles
gemette di
nuovo per il mal di testa. Che fatica era essere a servizio di Atena!
Ares
si svegliò
quando un piccolo raggio di sole lo colpì sul viso. Gemette,
infastidito.
“Grazie
per essere
rimasto” parlò Atena.
Il
Dio si scosse,
cercando di capire dove fosse. Lentamente iniziò a
focalizzare e sbadigliò. La
stanza di quella Dea era decisamente troppo pomposa per i suoi gusti.
Ributtò
la testa sul cuscino e la padrona di casa ridacchiò.
“Grazie?”
bofonchiò
il Dio, mezzo intontito.
“Sì.
Avresti potuto
rivestirti ed andartene e invece sei rimasto. È stato carino
da parte tua”.
“Avrei
potuto, sì.
Però..avevo voglia di restare”.
“E
perché?”.
“Serve
una
ragione?”.
“Di
solito sì..”.
“Forse..forse
ti
odio troppo”.
Atena
si lasciò
abbracciare. Era fiera di se stessa. Aveva sconfitto Giove, questo
voleva dire
che poteva farcela a sostituire Zeus! Inoltre, con Ares al suo fianco
si
sentiva ancora più forte.
“Atena!”
parlò una
voce dall’esterno.
La
Dea sobbalzò,
allarmata. Aiolos! Scattò fuori dal letto e cercò
in fretta le sue vesti,
finite sul pavimento. Si vestì di corsa ed uscì,
cercando di sistemarsi alla
bene e meglio.
“Atena!
Mia signora,
siete lì? Tutto bene?”.
La
Dea apparve,
sforzandosi di apparire composta.
“Aiolos!”
disse,
sforzando un sorriso “Cosa ci fai qui?”.
“Sono
in pensiero
per voi, mia signora! State bene? Temevo vi avessero rapito di
nuovo!”.
“Ma
no, che dici ?
Sto bene. Sono solo stanca. Ho combattuto e mi sono coricata. Ora, se
vuoi
scusarmi, vorrei tornare a letto”.
“Ah,
comprendo. E
Ares?”.
“Ares
che cosa?”.
“Dov’è?”.
“Non
lo so ma stava
bene l’ultima volta che l’ho visto. Ora
scusami..”.
Atena
si congedò e
rientrò in camera, buttandosi di nuovo a letto.
“Il
tuo galoppino è
un vero seccatore” borbottò Ares, con la testa
affondata fra i cuscini.
“Si
preoccupa per
me. I tuoi figli non lo fanno?”.
“I
miei figli sanno
che dopo una battaglia mi vado a divertire, se ho vinto. Se ho perso
invece
voglio restare solo, senza scocciatori. In entrambi i casi loro sanno
che
devono starmi alla larga”.
“Che
bravi..chissà
se Arles è rinvenuto..”.
“Chi
lo sa..”.
“Magari
Discordia lo
ha aiutato..”.
“Non
mi piace quella
femmina” ammise Ares, accigliandosi.
“Perché?
È carina”.
“Non
mi piace che
ronzi tanto attorno al piccolo della famiglia. È una Dea,
sai quanti anni ha?”.
“Meno
di noi,
essendo romana”.
“Sì
ma molti più di
Arles!”.
“Questo
è ovvio. Ma
su..che vuoi che succeda?”.
“Non
lo. Non mi
piace e basta”.
“E
credi che io
possa piacere ai tuoi figli?”.
“No,
non credo
proprio”.
“Allora
è tutto a
posto. Siete pari”.
“Ma
non è vero! Io non
ti ronzo attorno. Io ti odio!”.
“Sì,
hai ragione. Anch’io
ti odio da morire”.
Dohko
lesse
attentamente la missiva e non cambiò espressione.
Fissò poi Kiki ed i cavalieri
di bronzo, perplesso.
“Non
vorrete mica
che io conceda una cosa del genere, vero?” domandò.
“Sono
ordini del
sacerdote” rispose Kiki “Noi obbediamo agli
ordini”.
“Gli
ordini di un
folle!”.
“Ma..sono
ordini
diretti di Atena! Anche lei ha firmato quella missiva!”.
“Non
posso averne la
certezza” commentò Bilancia, continuando a
rigirare il figlio del grande tempio
fra le mani “Più volte quell’uomo ha
plagiato chi aveva attorno. Ho motivo di
pensare che potrebbe essere un inganno”.
“Ma
come un inganno?!”.
“Dovresti
fidarti
del vecchio maestro” lo rimproverò Sirio
“Lui conosce molte cose, Kiki”.
“Sì
ma perché siete
tutti complottisti? Vedete gente che trama alle vostre spalle
ovunque!”.
“Tu
non puoi capire,
Kiki..”.
“Allora
spiegatemi. Che
deve fare un uomo per avere la vostra fiducia?”.
“Non
tradirla, tanto
per iniziare”.
“Voi
tutti
sospettate di me. Ma io che vi ho fatto? Non sono forse stato un vostro
fedele
compagno ed amico, fin da bambino?”.
Nessuno
rispose. Si guardarono
fra loro, in cerca di una risposta che non arrivò.
“Tu
obbedirai a
quell’ordine, Dohko di Libra” si impuntò
il giovane “O sarò costretto ad usare
la forza. È una questione d’emergenza”.
“Credi
di potermi
sconfiggere, ragazzo?” sorrise Dohko, divertito.
“Vogliamo
provare?”.
“Che
fai lì per
terra?” domandò Ares, entrando alla tredicesima.
Il
sacerdote, seduto
in terra, si stava facendo pettinare i capelli da Discordia. Nel
frattempo,
preparava altri sigilli.
“E
tu dove sei
stato?” rispose Arles.
“Non
sono affari tuoi!”.
“Idem!”.
Il
padre sospirò e
si avvicinò.
“Avete
ucciso Giove?”
chiese il sacerdote.
“Sì,
esatto”.
“Ottimo.
Immagino che
tu sia già andato a festeggiare”.
Ares
sorrise. Sedette
accanto al figlio, osservando i foglietti che il sacerdote stava
compilando. Arles
alzò lo sguardo e lo fissò. Il padre sostenne lo
sguardo ed inclinò leggermente
la testa.
“Cosa
c’è?” domandò
il Dio.
“Tu
hai..avuto un
incontro molto ravvicinato con Atena, vero?”.
“Ho
combattuto con
lei”.
“Non
raccontarmi
balle. C’è il suo odore su di te..”.
“E
tu che ne sai?”.
“Ho
imparato a conoscerlo
con gli anni. Ma potrei anche sbagliarmi..”.
Ares
scoppiò a
ridere. Il figlio rimase in silenzio, non capendo il perché
di quella risata.
“Sei
un ragazzo
perspicacie” commentò il Dio “Di certo
è questa una dote che non hai preso
molto da me. Ti confermo che ho avuto un incontro ravvicinato con la
tua Dea”.
“Quanto
ravvicinato?”.
“Molto
ravvicinato. Estremamente
ravvicinato”.
“Entro
il limite
dell’accettabile?”.
“Dipende
da cosa
credi che sia accettabile”.
“Te
la sei scopata?”.
“Come
sei
volgare..comunque sì e, tranquillo, era consenziente. Non
sono uno stupratore
di fanciulle IO”.
“Non
serve
infierire..”.
“E
a te non serve
essere così curioso. E vedi di non farmi la
predica”.
“Di
quel che fate
voi Dei, a me poco importa. Puoi anche ingravidarla, per quel che mi
riguarda!”.
“Come
sei acido”.
“Vai
a cagare”.
Ares
si accigliò
leggermente ma poi alzò le spalle. Delle opinioni di un
mortale non doveva
preoccuparsi. Si rialzò, stiracchiandosi, ed uscì
dalla sala. Arles scosse la
testa, non sapendo che altro fare.
“Sei
troppo teso”
gli mormorò Discordia “Non tutto il peso del mondo
grava su di te”.
La
donna accennò un
massaggio alle spalle del sacerdote, che sospirò.
“Forse
hai ragione”
parlò lui, rigirando fra le dita un sigillo.
“Perché
non provi a
rilassarti un pochino? Ti faccio un massaggio con gli oli, se vuoi.
Aiuta a
stendere i muscoli e lenire il dolore di percosse e ferite. Fin
dall’antichità
i guerrieri lo usavano”.
“Sei
gentile. Ma dovresti
proporlo ai cavalieri che sono stati feriti sul serio”.
“Tu
non lo sei
stato?”.
“Mi
feriscono più i
miei fratelli..”.
“Sono
sempre dolori
da calmare. Sono certa che poi ti sentirai molto meglio. Riposato e
rinvigorito. Ti posso preparare anche un bell’impacco per i
capelli. Sono così
belli..è un peccato vederli rovinati dallo
stress!”.
“Discordia!
Andiamo..sono
un cavaliere, non modello!”.
“Anche
i gladiatori
si concedevano dei momenti di relax. Perché tu dovresti
essere da meno? O preferisci
un altro tipo di attività rilassante?”.
La
Dea mormorò e
scese dolcemente con le braccia. Arles si scansò, scuotendo
il capo.
“Non
ti fidi di me?”
domandò lei.
“Non
è questo il
punto. È che i rapporti umani non hanno fatto altro che
portarmi guai, rimorsi
e dolore. Perciò scusami ma..non credo di volerne creare
degli altri!”.
“Capisco..”.
La
Dea si alzò.
Arles la osservò, mentre muoveva pochi passi.
“D’altronde..”
aggiunse poi lui “..tu non sei propriamente umana, dico bene?
Sei una Dea..”.
“Dove
vuoi arrivare?”
sorrise discordia.
“È
ancora valido l’invito
per quel massaggio?”.
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Capitolo 20 *** XX-prova ***
XX
PROVA
“Mi
sto chiedendo
una cosa..” mormorò Arles, camminando per la
tredicesima.
“Che
cosa?” sorrise
Eros, in visita al grande tempio.
Il
fratello minore
pareva piuttosto annoiato, oltre che dubbioso. Il Dio, al contrario,
aveva un
gran sorriso in mezzo alla faccia.
“Fai
uso di droga,
Eros?” domandò il sacerdote.
“Perché?!”.
“Perché..dai..Atena
ed Ares? Solo un pazzo o un drogato potrebbe concepire
un’idea così malsana!”.
Eros
scoppiò a
ridere, scuotendo la testa.
“Cos’hai
da ridere?”
alzò un sopracciglio Arles.
“Niente.
Solo che
pure Anteros era perplesso. Ma sai bene che non sono io a
decidere..”.
“Facile
dare sempre
la colpa agli altri dei casini che si combina!”.
“Ma..”.
“Cosa
fai qui,
Eros?”.
“Ho
accompagnato
Efesto, giunto qui su richiesta di Atena. Pare che le armature divine
di lei e
papà siano state danneggiate da Giove”.
“Peccato
non ci sia
Afrodite. Mi sarei divertito..”.
“Tu
sei un..”.
Il
Dio non finì la
frase perché un altro Dio entrò nella stanza,
scostando la tenda. Ares, con un
mezzo ghigno, salutò i figli. Eros rispose con entusiasmo ed
Arles si voltò,
continuando la sua passeggiata insensata lungo il tappeto rosso della
sua
dimora.
“Cos’è
sto muso
lungo, Arles?” sorriso il Dio della guerra
“Sorridi! È primavera, il sole
splende, il capo nemico è morto e la vita è
bella”.
“Ecco
un altro
drogato” commentò il sacerdote, continuando a
camminare. Ares scattò in avanti
ed afferrò il figlio per la vita, sollevandolo. Arles
protestò ma il Dio non
voleva sentir ragioni. Sempre ridendo, il padre portò fuori
di peso il figlio.
“Mettimi
giù! Che
cazzo fai?! Ti sei fumato l’erba gatta di Ioria?!”
gridava il sacerdote, mentre
il padre continuava a camminare, diretto all’arena.
Lì
molti cavalieri
erano riuniti per gli allenamenti e gli strepiti del loro capo un
po’ li
spaventarono. Per quale ragione il Dio della guerra teneva su una
spalla il
sacerdote, che scalciava e lanciava maledizioni, fra una bestemmia ed
un’altra.
Poi fece silenzio. Ares un po’ si stupì della
cosa. Si voltò indietro e vide
che il figlio fra le mani stava creando una sfera. D’istinto,
il Dio lo
scaraventò in terra, in uno scatto simile a chi si ritrova
di colpo un ragno sulla
mano.
“Hai
tentato di
another dimensionarmi?!” esclamò Ares.
Il
sacerdote si
rialzò, pulendosi la veste dalla polvere. Non
parlò. Congiunse le mani,
nascondendole dentro le maniche, e fece per andarsene.
“Dove
te ne vai?” lo
apostrofò il Dio della guerra.
“A
lavorare. Cosa
che dovresti fare anche tu”.
“Sai
una cosa? Sei
troppo stressato. Non so che problemi hai, ma dovresti farti una
risata”.
“Cresci!”.
Ares
spalancò gli
occhi, che si iniettarono immediatamente di rosso. Il figlio gli dava
le
spalle, ignorandone la collera improvvisa. Questo gli impedì
di vedere la mossa
fulminea che il Dio fece, che andò a colpire in pieno il
sacerdote. Arles
barcollò in avanti, sbilanciato da quella botta. Si
portò una mano alla testa,
il punto colpito.
“Sei
rimasto in
piedi. Che bravo” sbottò, sarcastico, Ares.
“Ma
che problemi
hai?!” sbraitò Arles, voltandosi di scatto.
“Porta
rispetto,
ragazzino!”.
“Crepa!”.
Ioria
ed Aiolos,
anche loro in arena, si lanciarono un’occhiata preoccupata.
Il santuario era in
mano a simili individui?
“Devi
imparare a
stare al giusto posto, l’ho sempre detto”
continuò il Dio della guerra,
sollevando un braccio.
Il
rosso cosmo
scintillante di Ares brillò. Arles si accigliò e
concentrò pure lui il cosmo,
pronto ad attaccare. Il padre rise, divertito dal fatto che il figlio
volesse
davvero rispondere alla provocazione.
“Non
voglio farti
del male, cucciolo” ridacchiò il Dio.
“Io
invece voglio
disintegrarti la faccia!” ringhiò il sacerdote.
“Come
se avessi
qualche speranza..”.
“Ma
vuoi lasciarmi
in pace?!”.
“Sono
il Dio della
guerra, non lascio in pace nessuno!”.
“Allora
vai a fare
in culo!”.
“Succhiamelo!”.
“Va
a fartelo
succhiare da Atena!”.
Ares
non disse
altro. Cacciò un grido, infastidito da quelle frasi, e
tentò di tirare un
cazzotto al figlio. Arles riuscì a schivarlo, ma il Dio
reagì subito e questa
volta il mortale ebbe la peggio. Finì scagliato
all’indietro. Questo non placò
l’ira del genitore, che lo raggiunse con l’intento
di infierire. Arles però non
si fece prendere alla sprovvista e lanciò il suo attacco.
“Ma
che combinate?”
si spaventò Atena, comparendo nell’arena e vedendo
padre e figlio azzuffarsi.
“State
indietro,
Signora!” si affrettò a dire Aiolos
“È pericoloso!”.
“Perché
litigano?”.
“Soliti
futili
motivi, mia Dea”.
“Smettetela!
Risparmiate le energie per la guerra!”.
Inaspettatamente,
Ares si fermò. Sorrise alla Dea e fece un piccolo inchino.
Arles si rialzò e si
scosse, tenendosi un fianco. Ignorò i presenti, volendo
raggiungere in fretta
la tredicesima.
“Stai
bene?” si
preoccupò Discordia.
“Da
Dio” sbottò il
sacerdote.
Discordia
capì che
non era il caso di seguirlo, anche se era preoccupata. Stava perdendo
sangue,
ma era evidente che non era dell’umore adatto per avere
compagnia.
“Sei
uno stupido!”
rimproverò Atena, puntando il dito contro Ares.
“Chiedo
perdono.
Sono questioni di famiglia”.
“Lascia
stare il mio
sacerdote! Mi serve!”.
“Serve
anche a me!”.
Il
Dio della guerra
si passò un paio di dita sulla guancia, percependo un lieve
fastidio. Si stupì,
perché sopra ci vide del sangue. Notevole! Il mortale era
stato in grado di ferirlo,
anche se solo lievemente! Allora gli allenamenti servivano a qualcosa!
“Dici
sul serio,
Kiki?” domandò Dohko, non del tutto certo di aver
capito.
“Ho
un compito da
svolgere” annuì il giovane “E lo
porterò a termine! Devo spezzare quei
sigilli!”.
“Anche
se ti dico
che è una follia?”.
“Esatto!”.
“Non
te lo
permetterò”.
Kiki
si guardò
attorno. Ma i cavalieri di bronzo mandati a combattere a suo fianco non
facevano nulla? Anche loro erano dalla parte di Dohko? Non era certo di
poter
tenere testa a tutti loro, però doveva tentare! Si
concentrò, caricando cosmo.
Dohko fece lo stesso, ma una voce femminile interruppe il loro silenzio.
“Qual
è il
problema?” parlò ancora la donna.
Apparve,
fra le
acque della cascata, fluttuando.
“E
tu chi saresti?”
domandò Seiya.
“Sono
Eleonore,
seconda moglie di Hades. E, da quel che sento, avete qualche problema
con i
sigilli. L’esercito del mio uomo è pronto, ma con
i sigilli attivi non è
possibile per noi entrare in campo. Siamo alleati, adesso. Per quale
motivo non
volete averci a fianco della vostra Dea?”.
“Non
riesco a
fidarmi dell’esercito di Hades” ammise Dohko.
“In
questo
caso..seguitemi”.
“Dove?”.
“Da
chi non vi
fidate. Sono certa con una buona conversazione fra gentiluomini possa
risolvere
molte cose”.
“Io
non voglio
parlare! Meno che mai con Hades!” protestò Seiya
“E poi pure tu potresti essere
una minaccia”.
“Una
minaccia? Io?”.
“Certo!
Sei la
moglie di Hades!”.
“E
anche se lo
fossi?”.
“Ti
sconfiggerei!”.
“Provaci!”.
Seiya
corse verso
Eleonore, caricando il suo colpo. Eleonore attese qualche istante e,
quando il
cavaliere fu abbastanza vicino, saltò all’indietro
e ruotò, colpendo con un
calcio Pegaso.
“HALF
MOON NIGHT!”
scandì colei che un tempo era la sacerdotessa di Artemide.
Delle
falci argento
apparvero in cielo ed investirono Seiya, che finì a gambe
all’aria.
“E
adesso obbedisci,
ronzino, e seguimi!” ordinò lei.
“Ma..”
domandò Kiki
“Voi siete la ex moglie di Saga?”.
“Sì.
La cosa vi crea
qualche problema?”.
“Parecchi!”
ammise
Hyoga “Fra noi e Saga non scorre buon sangue”.
“Biondino..sono
la
sua EX moglie, comprendi? Non ho più nulla a che fare con
lui, se non il fatto
che dovremmo combattere come alleati. E adesso muovetevi e seguitemi, o
prendo
a calci tutti quanti!”.
Kanon
non riusciva a
crederci. Stava davvero allo stesso tavolo con Poseidone ed i suoi
sottoposti?
E si stava perfino divertendo!
“Allora
è vero?
Hanno ammazzato Giove?” chiese il Dio dei mari.
“Esatto.
Massacrato”
confermò Kanon.
“Quindi
ora riescono
davvero a combattere assieme?”.
“Sì.
E girano voci
che non facciano solo quello insieme, se capisci quel che
intendo..”.
“La
notizia mi
stupisce alquanto ma..si sa che Ares ed i suoi discendenti dopo una
battaglia
cercano divertimento. Atena sarà capitata nel
mezzo”.
“Non
so. Lei mi pare
di buon umore. Non ha l’aria di chi è stata
violentata, costretta o ingannata”.
“Davvero?
Beh,
staremo a vedere”.
“Sì,
simili
questioni si possono rimandare anche a dopo la guerra”.
“Vero.
E, parlando
di questo, mi piace l’idea di un attacco diretto
all’Olimpo. Quando si saprà se
il piano è confermato?”.
“Credo
molto presto.
Ora che le due divinità guerriere vanno d’accordo,
si ragiona!”.
“Ottimo.
E mio
fratello Hades?”.
“Dei
cavalieri sono
in missione per sciogliere i sigilli, così il suo esercito
si unirà”.
“Insieme,
dopo tanto
tempo. Da quanto noi fratelli non combattiamo insieme! Anche se questa
volta
non ci sarà Zeus..”.
“Già.
Pensi che Era
combatterà?”.
“Vedremo.
Credo di
sì. Di certo è ancora irata con il nemico per
quel che hanno fatto al marito”.
“Sarebbe
fantastico”.
Discordia
era
riuscita ad entrare nelle stanze del sacerdote e lo stava aiutando con
le
bende.
“Non
rattristatevi”
mormorò la Dea, baciando Arles sulla nuca, fra i capelli
“Il Dio della guerra è
un uomo senza pietà, non dovete sentirvi debole
perché vi ha ferito”.
“Ma
io ho promesso a
mio padre la testa di Marte. Come faccio ad ottenerla? Marte
è potente come mio
padre..”.
“Saprete
come fare.
Usate il cervello, cosa che gli Dei come Ares e Marte non fanno
spesso”.
“Smettila
di usare
l’onorifico. Non lo hai mai fatto, prima d’ora! E
poi..Marte è tuo fratello!
Non puoi darmi suggerimenti su come ucciderlo!”.
“Siamo
in guerra.
C’è chi vivrà e chi morrà.
Ma posso strapparvi una promessa?”.
“Dipende..inizia
dandomi del tu, poi vediamo..”.
“Torna
da me!
Promettimi che, qualsiasi cosa accada, tu non ti lascerai sopraffare
dallo
sconforto. Promettimi che, anche se il tuo animo è triste,
combatterai con
tutte le forze per tornare da me”.
“Tornare
da te? E
perché?”.
“So
che il tuo cuore
non mi appartiene ma, in tutti gli anni che ho trascorso a questo
mondo, non mi
sono mai sentita così legata a qualcuno e sento che ne
morirei se tu non
tornassi”.
“Non
esagerare. Sei
una Dea, con tutta l’eternità per trovare qualcun
altro a cui legarti”.
“Se
fin ora non è
mai successo, non credo possa accadere ancora. Poi..chi lo
sa..però fammi
questa promessa! Lotteremo fianco a fianco e vivremo entrambi.
Prometti?”.
“Farò
il possibile,
Discordia”.
La
Dea lo baciò di
nuovo sulla nuca e lo abbracciò. Arles sobbalzò.
“Scusa!
Ho toccato
la ferita!” si dispiacque lei.
“Non
fa niente.
Passerà..”.
“Sai..io
sono
Discordia. Ho un doppio volto, come sai. So essere terribile,
vendicativa e
spaventosamente stronza. Ma con te..con te non potrei mai. Anche se tu
mi
riservi solo la totale indifferenza”.
“Penso
che potresti
trovare compagnia migliore della mia altrove. Se non oggi, nei secoli a
venire”.
“Io
voglio restare
qui accanto a te. Sono forse un fastidio? L’altra notte, mi
hai chiamato
Eleonore mentre..”.
“Ti
chiedo perdono.
Immagino che questo ti abbia ferita. Non lo ricordavo..”.
“Non
importa il nome
con cui vuoi chiamarmi. L’importante è che tu sia
soddisfatto..”.
“Vuoi
farmi da
puttana? Credevo che quella notte, dopo il massaggio, fosse stato solo
una
sorta di..incidente..”.
“Se
vuoi, posso
essere la tua puttana. E lo consideri un incidente?”.
“Non
voglio una
puttana. Voglio una donna. È che a volte perdo il controllo
e..”.
“Oh, baciatemi,
Signor Arles!”.
La
Dea scattò in
avanti e baciò il sacerdote, che finì ribaltato
all’indietro sul letto.
Discordia stava usando i suoi poteri divini e quindi per Arles non
c’erano
molte possibilità di fuga. Non provò nemmeno a
fuggire. Aveva assaporato l’amore
divino qualche sera prima, dopo quel massaggio, e ne era assuefatto.
“Voglio
essere la
tua donna, stanotte e per il tempo a venire”
mormorò lei, baciandolo “E ti farò
gridare il mio nome! Griderai! Griderai Discordia. E sarai
mio”.
“Sì”
gemette Arles,
ansimando per il piacere “Urlerò il tuo nome! E tu
pronuncerai il mio!”.
“Ah..Arles!”.
I
due cavalieri di
bronzo, Kiki e Dohko seguirono Eleonore nel regno di Hades.
“Vi
avviso..”parlò
la sposa del Dio “..il tempo nell’oltretomba non
scorre in modo lineare. Perciò
non trattenetevi troppo a lungo”.
“Io
non mi
tratterrei affatto!” storse il naso Seiya.
“Chiudi
la bocca!”
lo zittì Radamante, che si avvicinò ad Eleonore
come sua scorta.
“Radamante!
Dannato!”.
“Sì,
in effetti lo
sono e non poco. Ma non è questo il problema oggi”.
Camminando,
il
gruppo udiva urla di anime tormentate e pianti. Che luogo lugubre e
terribile!
Kiki osservava Eleonore, chiedendosi come potesse vivere lì,
dopo aver vissuto
alla luce della luna come sacerdotessa di Artemide. Il pallore della
donna era
quasi mortale, ma restava comunque bellissima. La seguirono in silenzio
ed
infine giunsero al palazzo di Hades.
“Benvenuti”
salutò
il padrone di casa, con in braccio il figlio.
Il
Dio non sorrideva
ed i cavalieri d’Atena si misero tutti in posizione
d’attacco, tranne Kiki che
voleva a tutti i costi compiere la sua missione. Accanto al padrone di
casa,
Aiaco e Minos osservavano gli intrusi. Thanatos ed Hypnos, invece,
ignoravano i
presenti e suonavano assieme a Pandora. Poi un’ombra si
mostrò e Dohko
sobbalzò.
“Shion!”
esclamò,
riconoscendo il collega con indosso la surplice.
“Adesso
cerca di
darti una calmata!” sbottò Minerva, osservando il
fratello minore che camminava
nervosamente da una parte all’altra.
“Calmarmi? Ma li mortacci
tua, femmina! Calmate
te! Come
ha
osato? Come?!” ringhiò Marte.
“Non
lo so. Ma
reagire così non serve”.
“Discordia!
‘A mi
cara sorellina, che me pianta così, e se butta dalla parte
der nemico! Da dove
cazzo gli è uscita sta fantasia?! Dal buco der
culo?!”.
“Non
è detto che lo
abbia fatto..” mormorò la Dea, rimanendo calma ed
affilando la sua lancia.
“J’ho
sempre voluto ‘n
bene! E mo se è andata a sbatte quel mortale, quel semidio
irritante..che je
possa pija ‘n colpo, a tutte e due!”
sibilò il Dio, agitando le mani in modo
sconnesso ed agitandosi.
“Fra
l’altro, il
semidio è quello che ti ha imbrogliato con le
illusioni”.
“Se
lo becco, lo
crepo! Lo sgozzo co’ e mano mia e con ‘a sua testa
me ce addobbo la casa come ‘n
trofeo! Già mi faceva girà i cojoni
perché è er bastardo de quel poeraccio che
cerca de venimme dietro che se chiama Ares, mo’
però ‘o vojo proprio massacrà!
”.
“Ti
concederò
l’onore di occuparti di lui. Io prenderò Atena.
Vendicherò Padre Giove”.
“Daje!
‘O vedi che
stai a muove er culo pure te? Le chiacchiere tue me stavan veramente a
stressà
er cazzo. Ciò ‘n incazzatura dentro che nun poi
sapè! Prima uccido quer pezzo
de merda che m’ha preso per culo co’ le illusioni,
e poi faccio secca la
puttanella sua!”.
“Non
è detto che sia
la sua puttana e poi..è tua sorella!”.
“Mo’
non più. Er
traditore che cojona Marte, o more o parte! Ha da morì o
dà cambià pianeta!”.
“Fratello,
dobbiamo
muoverci”.
“Che
te passa pè ‘a
capoccia, Minè?”.
“Attacchiamo.
Attacchiamo tutti insieme, in nome di Padre Giove”.
Marte
rise,
pregustando la battaglia. E Minerva gridò, chiamando a
raccolta tutte le
divinità che all’Olimpo attendevano ordini.
Kanon
era rientrato al
tempio, con al seguito Poseidone ed il suo esercito. I greci si stavano
radunando, con l’intento di sferrare un attacco combinato
all’Olimpo. Come di
consueto, il cavaliere salì fino alla tredicesima per fare
rapporto. La stanza
era buia e pensò che forse il sacerdote non era ancora
sceso. Però era
strano..a quell’ora stava sempre lì!
“Saga!”
chiamò,
alzando la voce “Fratello, sono io. Stai facendo il bagnetto
con le paperelle?
Se sei con una donna, scusa il disturbo”.
Non
ottenne
risposta. Camminò ancora lungo il tappeto rosso e poi vide
che qualcuno c’era,
accovacciato nell’ombra, fra le tende.
“Saga?”
chiamò
ancora, piegandosi leggermente di lato, cercando di vedere meglio.
Kanon
udì un gemito
disperato ed un respiro affannoso. Quando fu abbastanza vicino, il
cavaliere
capì di avere di fronte il fratello, come temeva.
“Saga?”
ripeté
ancora “Cosa succede?”.
Il
sacerdote girò la
testa, mostrando il suo peggior sguardo da folle. Il fratello ne fu
lievemente
spaventato, ma non si mosse. Poi il maggiore sollevò una
mano, mostrandola
coperta di sangue.
“Che
hai fatto?”
esclamò Kanon, notando l’inconfondibile luccichio
della daga d’oro nell’altra
mano di colui che aveva di fronte “Non avrai mica ferito
Atena? Oppure hai..”.
“Kanon..”
scandì
lentamente Saga, con tono malinconico.
“Sì,
fratello. Sono
io” rispose il minore, sempre più preoccupato.
“Lei
morirà” riprese
il sacerdote, con sguardo perso nel nulla.
“Lei
chi?”.
“Discordia..”.
“Discordia?
La
romana? Perché dovrebbe?”.
“Perché
tutto quel
che si avvicina a me, muore. Tutti quelli che mi amano,
muoiono”.
“Oh,
ma che dici?
Lei è una Dea!”.
Kanon
si chinò, in
modo da sedersi accanto al fratello. Cercava di guardarlo negli occhi,
ma Saga
fissava il vuoto.
“Lei
morirà..”
ripeté di nuovo il maggiore, come ipnotizzato.
Dicendo
questo,
sollevò il pugnale e lo guardò, inclinando
leggermente la testa. Era sporco di
sangue, ma non in quantità tali da indicare
l’uccisione di qualcuno.
“Forse
dovrei..sparire” continuò il sacerdote
“Così non morirebbe più
nessuno”.
“Posa
subito quel
pugnale!” ordinò Kanon, iniziando a capire.
“Forse
dovrei..”.
“Posa
quel pugnale!
Fallo per me..andiamo! Hai provato ad accoltellarti, vero? Vero, Saga?
Però
Arles ha avuto la meglio ed ha fermato quella lama prima che fosse
tardi. Sei
ferito alla mano”.
“Va
via..”.
“Non
vado via! Non
ci penso proprio! Saga! Parlami! Perché sei così
angosciato? Ne abbiamo passate
tante io e te, ma ci siamo sempre rialzati. E lo rifaremo
ancora!”.
“Non
so se è quello
che voglio..”.
“Certo
che è quello
che vuoi. Dammi quel coltello! Lo farò gettare a Capo
Suion!”.
“Così
che qualche
altro traditore possa usarlo, come è successo a te con il
tridente di
Poseidone?”.
“No,
così che tu non
lo possa vedere più. Se non ti va bene quel posto, ne
troverò uno diverso. Ma
adesso dammelo, o giuro che tiro su un casino che metà
tempio sarà qui in un
attimo a vederti in questo stato. Ed io so che non lo vuoi..”.
Saga
rimase
immobile, con il coltello ancora fra le mani.
“Sai..”
parlò ancora,
lentamente “..in questo momento Kiki è con
lei..”.
“Kiki?”
domandò
Kanon, senza capire “Da lei? Da lei chi?”.
“Da
Eleonore..”.
“E
tu come lo sai?”.
“Porta
con sé la mia
collana. Ha parte del mio cosmo..percepisco ciò che
accade”.
“Quindi
sai perché
il sigillo di Hades non è ancora stato sciolto?”.
“Già..”.
“Sei
andato fuori di
testa perché hai ripensato a lei? Ma perché,
fratello, perché? Comprendo sia
stata un’esperienza dolorosa, ma appartiene al passato!
Guarda al futuro, ed al
presente! Ci sono tante cose belle nella tua vita”.
“Ad
esempio?”.
“Cazzo,
sei il
figlio di Ares!”.
“Anche
tu..”.
“Io
mi esalto per
questo. Sono un semidio! E dovresti farlo anche tu”.
“Non
fa che
picchiarmi e ricordarmi quanto sono debole e stupido”.
“Non
sei nessuna
delle due cose. Adesso alzati e dammi quel coso, se non vuoi farmi
arrabbiare
sul serio”.
“Ma
che ti importa?
Anche se muoio, a te che cosa cambia?”.
“Smettila
di fare
domande cretine! Ho una voglia di prenderti a sberle adesso che mi
trattengo a
malapena!”.
“Perché
non lo
fai?”.
“Non
darmi stimoli!
Oh, andiamo! Tutti commettiamo degli errori ed a tutti capitano cose
brutte. A
qualcuno capita qualcosa di più brutto rispetto ad altri
ma..la forza di una
persona si misura anche da questo! Dalla sua capacità di
rialzasi e continuare.
Ed io sono sicuro che tu ne sei in grado. Sono assolutamente certo
delle tue
capacità, fratellone. Perché ti conosco bene. E
mi rendo conto che non sia
affatto semplice. Vedo anche il tuo lato Arles arrancare a volte, ma
sono
convinto che ce la farai”.
“Bei
discorsi..”.
“Esprimo
quel che
penso, non sto mentendo!”.
“Sai
chi mi ricorda
Ares?”.
“Hem..te
stesso?”.
“Anche.
Ma
principalmente Shion”.
“Shion?”.
“Sì.
Noi eravamo
bambini non voluti, siamo stati abbandonati e ci ha cresciuti lui.
Però quanto
era stronzo! Non faceva che pretendere, sempre di più. Ero
solo un bambino e mi
riempiva la testa di discorsi sulla guerra santa, sulla fine del mondo
e su
quanto io dovessi impegnarmi per essere gran sacerdote. L’ho
odiato,
credimi..”.
“Sapessi
io..”.
“Un
bambino che
corre appresso a colui che dovrebbe considerare un padre, che gli
racconta
orgoglioso i suoi progressi e le sue conquiste, che si sente rispondere
che non
è abbastanza..ma come vuoi che cresca?”.
“Frustrato,
come te.
Ma lo hai ucciso anche per questo, perciò..”.
“Non
mi aiuti!”.
“Lui
non ti amava,
quello era certo. Ti ha riempito la testa di sogni poi svaniti.
È normale
arrabbiarsi. Certo, un po’ meno normale ucciderlo,
però..insomma, guarda me!
Poseidone mi odiava ed ora siamo di nuovo alleati. So che sei triste
per
Eleonore, ma pensa al fatto che lei ora è felice. Felice e
viva! Non è cibo per
i vermi, bensì una fanciulla in grado ancora di sorridere. E
questo anche
grazie a te. E per quanto riguarda il presente..Discordia è
una Dea e non morirà
tanto facilmente, anche se ti sta vicino..anche troppo!”.
“Ma
se morisse..”.
“Non
morirà! È
questo che ti frena? È questa paura che ti impedisce di
vivere una storia
decente? Sei lagnoso! Provaci, almeno! Prova a vivere, e non solo a
rimpiangere!”.
“Io
ci provo!” gridò
Saga, accigliandosi e zittendo il fratello “Io ci provo,
credimi. Ricordo cosa
si prova quando si è innamorati, quando qualcuno ti scalda
il cuore e quel
sentimento è ricambiato. Lo ricordo e..mi manca! Mi manca
tanto ma..ho paura! Sono
un debole ed un deficiente! Io sono un semidio, il sacerdote di Atena,
un
cavaliere potente e guardami! Ho praticamente quarant’anni e
sto qui come un
ragazzino idiota! Mi sento così stupido..”.
Kanon
intravide una
lacrima sul viso del fratello e gli si avvicinò. Lentamente,
prese possesso del
pugnale e lo gettò lontano.
“Sì,
sei uno
stupido, Saga. Ma resti comunque il mio fratellone. E poi..che
c’entra l’età?!
L’amore rincoglionisce tutti, anche i quasi quarantenni con
il corpo che sta
ringiovanendo! Ama Discordia. Provaci! Eleonore non tornerà,
non ti ama più!”.
“Nemmeno
Discordia
mi ama. È solo legata a me perché l’ho
aiutata”.
“Si
è schierata
contro la sua famiglia! Credi che lo faccia solo perché si
annoia?”.
“Non
lo so. Io..”.
Kanon
scattò ed
abbracciò il fratello, sorridendo.
“Tu,
fratello mio,
dovresti pensare di meno. Fai come papà: agisci
d’istinto”.
“Ma..ma
che dici?!”.
“Promettimi
che le
darai una possibilità. Che proverai ad aprire il tuo cuore
ed il tuo animo a
questa donna che chiede disperatamente di entrarvi. Io ho conosciuto
Sarah e,
credimi, non potrei essere più felice con lei accanto. e
voglio che tu possa
provare altrettanto”.
“E
se..poi fosse
tutto sbagliato?”.
“L’amore
può far
soffrire. Ma può anche lenire un sacco di vecchie ferite.
Provaci”.
“E
se ne aprirà
delle nuove?”.
“Di
ferite? Cureremo
anche quelle. Siamo cavalieri, le ferite fanno parte della nostra
vita”.
“A
chi il gran
sacerdote ha affidato la collana per spezzare i sigilli?”
domandò Shion.
“A
me” rispose Kiki,
mostrandola.
Shion
parve stupito
e sorrise. Si avvicinò al ragazzo, osservandolo.
“Tu
sei Kiki,
giusto?” domandò.
“Sì.
Mur mi ha
parlato molto di voi”.
“E
Saga? Non ti ha
parlato di me?”.
“Certo,
come era
ovvio che facesse”.
“Ma
perché non è
venuto qui di persona a spezzare questo sigillo?”.
“Perché
Atena gli ha
dato altri compiti. Qual è il problema?”.
“Nessuno.
Credevo che
fosse ferito o morente, dato che già ha scelto il suo
successore..”.
“Sta
benissimo”.
“Anche
a livello
mentale?”.
“Piantatela!
Siamo qui
per spezzare il sigillo, non per spettegolare!”.
“Devo
interpretarlo
come un NO? Comunque da pure a me la collana, ci penso io a spezzare il
sigillo”.
“Shion!”
lo fermò
Dohko “Di nuovo? Sono di nuovo costretto a combattere contro
di te?”.
“E
perché?!”.
“Non
permetterò agli
specter di marciare per la terra!”.
“Ma
siamo alleati
adesso!”.
“Certo.
Per quanto
tempo? Quando la guerra sarà finita, poi di noi che
sarà?”.
“Shion!”
si
intromise Hade, alzandosi “Zittisci quel vecchio e spezza
quel sigillo! La guerra
incombe, non possiamo stare qui a giocare”.
“Sì,
signore”.
“Signore?
Come puoi
chiamare Hades con tale epiteto?” protestò Dohko,
preparandosi a combattere.
Seiya
e Hyoga
seguirono l’esempio. Hades sospirò e
guardò i suoi giudici, che non vedevano l’ora
di infierire su quei seguaci di Atena.
“Non
uccideteli”
aggiunse il Dio “Atena si irriterebbe”.
“Ma..io
non voglio combattere!”
protestò Kiki.
“Sei
messo alla
prova, ragazzo” spiegò Shion “Vediamo un
po’ che sai fare! Se ti mostrerai all’altezza,
sarai tu stesso a spezzare il sigillo”.
“Hei!
Mi senti?!”
gridò Deathmask e il sacerdote sobbalzò.
“Che
c’è?” domandò,
scuotendosi.
“Sto
qua da un sacco
di tempo, sai? Che stai facendo?”.
“Controllo
quel che
combinano Kiki e gli altri che ho mandato a spezzare il
sigillo”.
Arles
sbadigliò. Aveva
la mano fasciata e Discordia al suo fianco, seduta su una dei
braccioli, che
continuava a pettinargli i capelli. Non si annoiava mai,
perché li trovava
splendidi.
“E
che fanno?”
domandò il cavaliere del Cancro, incrociando le braccia.
“Perdono
tempo, ecco
quel che fanno!”.
“Per
colpa di Kiki?”.
“No,
Kiki è l’unico
che non rompe le palle in quel gruppo!”.
“Ah,
ottimo. Almeno uno
decente in sta generazione nuova..”.
“Ad
ogni modo, è
meglio che si sbrighino”.
“Concordo.
Sono qui
per dirti che i romani si stanno muovendo e stanno venendo qui. Ci
dobbiamo
radunare il prima possibile”.
“Cosa?!
Atena lo sa?”.
“No.
Il gran
sacerdote sei tu, sacerdotizza!”.
“Poseidone
si è già
messo in viaggio, così come molti altri greci. Ci serve il
sigillo di Hades
spezzato, il più in fretta possibile!”.
“Lo
posso fare io? I
cinque picchi li posso raggiungere in un attimo passando per lo
Yomotzu”.
“Grazie,
Deathmask,
ma Kiki ha la collana. L’unica soluzione è che o
io o Atena..ma voglio dare
fiducia a chi ho mandato in missione. Probabilmente non si accorgono
del tempo
che passa. Ormai è più di una settimana che sono
via! Attenderò ancora per un
po’. Dopo sarò costretto ad intervenire, e la cosa
mi scoccia!”.
“Anche
perché come
figlio di Ares sei più utile qui”.
“Gradirei
non venir
identificato solo come figlio del Dio della guerra..”.
“Ma
è quello che
sei..”.
“Metti
in allerta i
cavalieri, sono tutti al tempio. Io vado ad avvisare Atena ed
Ares”.
“Posso
avere l’onore
di avvisare anche le tue sorelle?”.
“Le
amazzoni? Come preferisci..”.
Deathmask
sorrise ed
il sacerdote scosse la testa, divertito. Come faceva quel cavaliere a
pensare
sempre alle donne, anche in un momento simile?
|
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Capitolo 21 *** XXI- fedeltà ***
XXI
FEDELTÁ
Atena
aveva fatto
convocare tutti i cavalieri alla tredicesima casa. Con aria solenne, e
con a
fianco il suo sacerdote ed Ares, iniziò il suo discorso.
“Innanzi
tutto..”
parlò, con un sorriso dolce “..volevo
ringraziarvi. Non l’ho mai fatto prima
d’ora. Ringraziarvi per aver lottato per me e per aver
rinunciato a molto, a
volte anche alla stessa vita, per proteggermi e salvarmi. Come sapete,
è
prossima una guerra contro le divinità romane. Stanno
giungendo qui e questo è
l’ordine che vi do: andatevene! Lasciate il grande
tempio”.
“Come?”
domandò più
di qualcuno, senza capire.
“Andatevene”
ripeté
Atena “Questa guerra non è per voi. Lasciatela
alle divinità”.
“Ma..Atena!”
protestò Aiolos “Vi abbiamo servito fedelmente per
anni, combatteremo fianco a
fianco anche questa volta”.
“Questa
volta è
diverso, Sagittario. Io ed Ares abbiamo trovato alquanto difficoltoso
sconfiggere Giove e noi siamo Dei della guerra. Ne verranno altri qui,
altrettanto potenti, e non posso permettere che dobbiate sacrificarvi
ancora.
Siete liberi”.
“Liberi?!
Parlate
come se combattere per Voi sia una peso per noi”.
“Aiolos..il
mio è un
ordine!”.
“Ma..”.
“E
questo vale per
tutti! Anche per te, Arles. I mortali, li voglio al sicuro. Anche se
sono mezzi
Dei”.
“Certo..”
ghignò il
sacerdote “..come se davvero qualcuno potesse dirmi quel che
devo fare”.
“Arles!”.
La
Dea lo guardò,
minaccioso. Lui ricambiò lo sguardo e rimasero qualche
istante così.
“Se
permettete..”
continuò lui “..decido io come morire! Se voglio
restare qui a lottare con
tutte le mie forze per difendere quel che è stata la mia
casa per tutta una
vita, lo farò. E lo stesso possono fare gli altri, se lo
desiderano”.
“Ma
è pericoloso!”.
“Certo
che lo è. Ma
siamo nati per questo: per combattere. Non certo per coltivare
margherite”.
“Arles..”
provò ad
intromettersi Ares, ma il figlio lo ignorò.
Il
Dio, scocciato,
lo fulminò con lo sguardo.
“Smettila!”
sbottò
Arles.
“Smettila
tu! Ed
obbedisci alla tua Dea”.
“I
nemici stano
arrivando. Invece di lanciare ordini insensati e pomiciare, voi due
dovreste
preparavi alla battaglia. Tutti i presenti dovrebbero fare lo
stesso”.
“Se
qualcuno di voi
dovesse morire..” sospirò Atena “..io ne
soffrirei”.
“Fosse
vero, vi
sareste già suicidata, viste tutte le volte in cui ci
abbiamo rimesso la
pelle!” rise Arles e più di qualcuno
annuì.
“Noi
non ci
ritiriamo, Atena!” esclamò Milo “Ho un
conto in sospeso con certa gente e non
mi tirerò indietro!”.
“Ma
sì!” si unì
Shura “Abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno”.
Persefone,
ospite
temporanea al grande tempio, sperava davvero che Aphrodite si
allontanasse,
temendo di perderlo. Ma capì subito che i cavalieri erano
uniti e nessuno di
loro avrebbe mai lasciato soli i compagni in guerra.
I
tre giudici
infernali sapevano che i loro avversari non erano comuni. Anche se
semplici
cavalieri di bronzo, erano in grado di combattere come cavalieri
d’oro. A
volte. Dohko cercava di far ragionare Shion, ma l’antico gran
sacerdote stava
apertamente sfidando Kiki.
“Porterò
a termine
la mia missione!” esclamò il giovane “Il
signor Arles conta su di me!”.
“Mostrami
quel che
sai fare, ragazzino” lo spronò Shion.
“Ma
io non sono qui
per combattere!”.
“STARDUST
REVOLUTION!” lanciò l’ariete con la
surplice.
Kiki
saltò e si
teletrasportò, schivando il colpo, che conosceva fin troppo
bene. Accanto a
lui, Seiya, Hyoga, Sirio e Dohko erano pronti ad affrontare i tre
giudici.
“Sarà
una
passeggiata” ghignò Libra “Lasciate fare
a me”.
“Non
sei
all’altezza” mormorò Shion, afferrando
Kiki per la gola e sbattendolo a terra.
Il
giovane riuscì di
nuovo a teletrasportarsi. Non era abituato a muoversi indossando
un’armatura.
“Io
devo spezzare i
sigilli e lo farò! Fatti da parte!”
gridò il ragazzo.
Sapeva
che Shion era
forte ed esperto ma cercò di non farsi abbattere.
“Sei
coraggioso. E
fedele al gran sacerdote. Ma questo non conta!”
parlò lo specter.
“E
cosa conta allora?”.
“La
fedeltà nei
confronti di Atena”.
“Atena
ha approvato
la missione che devo compiere! Perciò è in nome
di Atena che io agisco!”.
L’armatura
di Kiki
brillò di luce intensa e Shion sorrise.
“Qual
è il piano,
Minerva?” domandò Vulcano, camminando a fianco
della Dea lungo la marcia verso
il
grande tempio.
“Gli
eserciti greci
si stanno radunando da Atena. Li distruggeremo prima che abbiano il
tempo di
organizzarsi” rispose lei.
“E
come sai che
avverrà questo?”.
“Ho
un informatore
fidato..”.
“Minerva!”
si unì
Febo “Concedimi l’onore di staccare la testa a chi
ha fatto lo stesso con la
mia gemella Diana!”.
“Purtroppo
la stessa
testa mi è stata richiesta da Marte, fratello. Dovrete
stabile chi dei due avrà
l’onore. Ma avrete molti mortali su cui sfogare la vostra
ira”.
“Ma
io desidero QUEL
mortale, sorella”.
“Vedrò
che posso
fare..”.
Hypnos
e Thanatos,
vedendo che i tre giudici sembravano in difficoltà, si
alzarono con tutta la
calma possibile. Com’era noioso avere a che fare sempre con
gli stessi scocciatori!
Hades osservava il tutto con il figlio in braccio, che pareva
divertito. Seiya
si buttò a capofitto contro le due divinità e
finì rispedito indietro con
estrema facilità.
“Stavolta
Aiolos è
ancora in vita, non ti presterà
l’armatura!” rise Thanatos “E senza una
Kamui,
puoi solo supplicare perdono!”.
“Vedi
di non fare
troppo il gradasso, fratello” lo ammonì Hypnos
“Non dopo l’ultima volta..”.
“Fanculo!
Potevi
aiutarmi, invece di tirartela e basta!”.
“Sei
sempre il
solito..”.
“E
piantatela!”
sbottò Hades “Dovete combattere. Le questioni di
famiglia lasciatele a dopo!”.
“Facciamo
a chi ne
atterra di più?” sfidò Thanatos.
“Ci
sto!” sorrise
Hypnos.
I
cavalieri d’Atena
finirono tutti in terra. I due Dei sorrisero soddisfatti.
“Che
dici? Possiamo
infierire?” domandò il Dio della morte.
“Non
tirare troppo
la corda..” mormorò il Dio dei Sogni.
I
saint si
guardarono. Contro di loro avevano tre giudici infernali, due
divinità e Shion.
“Hades!”
gridò Dohko
“Se siamo davvero alleati, che senso ha tutto questo? Vuoi
forse ucciderci?”.
“Lo
hai detto tu: e
quando questa alleanza finirà, cosa accadrà?
Vediamo fino a che punto riuscite
ad essere fedeli alla vostra Dea ed a ciò che
comanda..”.
“Io
non sono fedele
a nessuno, mezze seghe!” tuonò una voce e, fra le
fiamme, apparve un’ombra a
tutti familiare.
“Ikki!?”
sobbalzò
Arles, riaprendo gli occhi.
“Come?!”
chiese Shun,
che ne stava controllando le ferite.
Seduto
sul trono, il
sacerdote porgeva la mano al medico, che toglieva le bende.
“Niente..sono
sovrappensiero..” mentì Arles.
“Mi
era sembrato di
sentirvi pronunciare il nome del mio amato fratello”
sospirò Shun “Da tanto non
ho sue notizie..”.
“Ha
ignorato il mio
richiamo al tempio..”.
“Chiedo
perdono da
parte sua. Ad ogni modo, santità, la ferita pare
rimarginata. Molto in
fretta..anche troppo!”.
“Discordia
avrà
usato i suoi poteri..”.
“Può
essere. Come vi
sentite adesso? La vostra mente è un po’ meno
tormentata?”.
“Stranamente
sì.
Alla vigilia di uno scontro in cui molto probabilmente
morirò, perché mi sono
creato dei nemici di alto rango fra i romani, sono
tranquillo”.
“Forse
perché
confidate nella pace della morte”.
“Devo
consegnare la
testa di Marte ad Ares ed Era. Solo così, questi sono i
patti, potrò avere la
pace dopo la morte. In caso contrario, mi attende la punizione
eterna”.
“Non
è un’impresa da
poco..”.
“Lo
so bene. Ma ci
proverò”.
“E
non c’è un altro
modo?”.
“Non
lo so. Forse è
destino che io la pace non la possa trovare mai..”.
“Io
non credo..”.
“Ovviamente,
dato
che tu non vuoi combattere, ti allontanerai dal tempio assieme a Sarah
e gli
altri civili del tempio. Sarà tuo compito proteggerli, in
caso di pericolo”.
“Davvero
mi affidate
Sarah, l’amata di vostro fratello Kanon?”.
“Certo.
Le tue
catene sono un’ottima arma di difesa”.
“E
Discordia?”.
“Discordia
vuole
combattere. Ed io non posso impedirglielo”.
“Combattere?!
Ma no,
non può!”.
“E
perché? È una
Dea, è più forte di me”.
“Ma
contro la sua
stessa famiglia..”.
“Lo
farò!” esclamò
proprio Discordia, avvicinandosi al trono “Lo
farò. Combatterò al vostro
fianco, senza alcun timore. Mi hanno rinnegata”.
“Non
sei costretta”
cercò di convincerla Arles.
Lei
si chinò,
poggiando il capo sul ginocchio di lui. Chiuse gli occhi, mentre il
sacerdote
le poneva una mano sul capo.
“Lo
desidero.
Dimostrerò il mio amore”.
“Non
è combattendo che
si dimostra amore”.
“Allora
dimostrerò
la mia dedizione. E poi..ti proteggerò”.
“Se
salverai la mia
vita..il nostro patto sarà sciolto? Ti riterrai soddisfatta
e te ne andrai?”.
“Andarmene?
Perché?”.
“Perché
tu sei qui
perché io ti ho aiutata. Se tu farai altrettanto, nulla ti
legherà a me”.
“Nulla?”.
Lo
sguardo di
Discordia si fece triste. Guardò in su, tentando di
incrociare lo sguardo di
Arles, che però era rivolto altrove.
“Nulla?
Ma..il mio
amore per te è forse nulla?”.
“Amore?
Tu sei la
discordia, non sai cos’è
l’amore”.
“E
tu? Sei il figlio
di Ares, lo sai cosa sono pietà e speranza?”.
“No.
Non credo”.
Discordia
si alzò.
Una lacrima le scese sul suo viso.
“Io
combatterò!”
gridò “Anche se per te non conto
niente!”.
Si
allontanò poi,
non volendo mostrare la sua tristezza. Arles sospirò.
“Perché
lo avete
fatto?” domandò Shun “Era necessario? Le
avete spezzato il cuore”.
“Oh,
Shun! Sei così
disgustosamente sentimentale! L’amore è una favola
e chi ci crede deve solo
crescere e svegliarsi”.
“Non
è vero! Siete
un essere ignobile”.
“Shun!
Io non voglio
che le accada qualche cosa di male. So per certo che Marte mi cerca e
probabilmente anche molti altri. Ho decapitato una Dea ed ingannato
parecchi
romani. È inevitabile che, in questa battaglia, un numero
consistente di loro
provi a cercare di uccidermi. Dove credi che lei possa essere
più al sicuro?
Accanto a me o standomi lontana ed ignorandomi? Io voglio solo che
nessun’altro
muoia per causa mia. Questo è tanto ignobile?”.
“No..”
mormorò Shun,
stupito da quelle parole “Però..”.
“Va
a prepararti.
Presto il nemico sarà qui..”.
“Ikki!”
esclamò
Seiya, con un sorriso idiota sulla faccia “Che bello vederti!
Qua la mano!”.
Ikki
lo ignorò.
Guardò prima Shion, poi i giudici ed infine gli Dei.
“Bene..”
disse
“..chi di voi sei stronzi vuole prenderle per
primo?”.
“Sbruffoncello!
Adesso siamo tutti insieme” gli fece notare Thanatos.
“E
allora? Siete
comunque una manica di esaltati a cui farò vedere le ali
della fenice!”.
“Ikki!”
si stupì
Dohko, indicando Shion come a voler dire “porta
rispetto”.
Shion,
dal canto
suo, ignorava l’ultimo arrivato e continuava ad affrontare
Kiki. Ikki faceva lo
stesso, concentrandosi sugli altri avversari. Lanciò la sua
fenice, che però il
Dio dei Sogni fermò.
“Già
visto” commentò
Hypnos “Devi saper usare qualcosa di nuovo!”.
Tutti
si stupirono, soprattutto
i cavalieri di Atena. Abituati com’erano a farsi salvare le
chiappe dal
cavaliere di bronzo, non sapevano che altro inventarsi. I nemici erano
più
numerosi e fra loro figuravano ben due divinità. Anche se le
avevano sconfitte
in passato, in quel momento non c’erano le Kamui a
proteggerli. I nemici
notarono la loro titubanza e colpirono tutti insieme.
“Adesso
basta!” si
stancò Kiki “Ho una missione urgente da compiere e
mi sono stancato di
discutere! COSMIC REVOLUTION!”.
Il
giovane portò
entrambe le mani in avanti ed una potente onda di stelle e materia
oscura
investì Shion. L’antico cavaliere finì
a terra, con l’armatura danneggiata in
più punti.
“Che
colpo è mai
questo?” domandò.
“Lo
abbiamo
inventato insieme, io ed il sommo Arles. Ti piace?” sorrise
Kiki, piuttosto
stanco.
“Bello.
Complimenti.
Per me la tua prova è superata, puoi spezzare i
sigilli”.
“Come..?”.
“Fai
pure quel che
devi, Kiki”.
“Ma..”.
Dohko
non reagì
molto bene a quelle parole e decise di fare sul serio.
Concentrò il suo cosmo e
lanciò il suo colpo più potente contro i nemici.
I cavalieri di bronzo
seguirono l’esempio. I tre giudici e gli Dei ghignarono e si
prepararono a fare
altrettanto ma Hades intervenne, piuttosto contrariato.
“Siamo
alleati!”
sbottò, deviando tutti i colpi “Non dovete
uccidervi a vicenda!”.
“Hades!”
si stupì
Libra “I colpi dei vostri sottoposti ci avrebbero di sicuro
danneggiato
gravemente. Perché li avete deviati?”.
“Perché
siamo
alleati, devo ripeterlo ancora? Shion aveva richiesto questa prova, ed
io gliel’ho
concessa”.
“Una
prova? Shion ,perché?”.
“Ne
riparliamo dopo”
tagliò corto l’antico cavaliere “Vanno
spezzati i sigilli. Sono passati già
diversi giorni, anche se a voi sembrano poche ore!”.
Kiki
porse la
collana del gran sacerdote a Shion, che però scosse la testa.
“Sai
quello che devi
fare. È la tua missione e devi portarla a termine,
rientrando al tempio con
tutto l’orgoglio possibile”.
“Grazie”.
Il
giocane cavaliere
dell’Altare strinse fra le mani la collana e la
sollevò. Pronunciò delle parole
in greco antico ed una forte luce avvolse il gioiello. Nello stesso
momento, i
sigilli si spezzarono. L’esercito di Hades era pronto: era
ora di andare in
guerra.
Arles
sapeva che
ormai la guerra era alle porte. Come di consueto, si era distaccato
momentaneamente dai doveri del tempio recandosi all’altura
delle stelle. Sullo Star
Hill riusciva a riflettere e concentrare le energie. Inoltre, nessuno
conosceva
l’accesso a quel luogo, se non pochissimi cavalieri. E
ovviamente a nessun’altro
era concesso accedervi. Una guerra spaventosa era alle porte, e lo
sapeva bene.
In ginocchio, a mani giunte, non sapeva bene per chi pregare e se
davvero era
necessario farlo. Sorrise, apprendendo che finalmente il sigillo che
tratteneva
Hades era stato spezzato. Poi udì l’inconfondibile
corno di guerra di Ares: i
nemici erano infine giunti!
Si
rialzò di scatto,
ma si fermò subito. Avvertiva qualcosa di strano.
Guardò in su ed un’ombra
piombò su di lui.
“Trovato!”
esclamò
Marte, con un ghigno sadico in volto.
Arles,
tenuto in
terra dalla lancia del Dio che gli trapassava la spalla,
gridò di rabbia. Marte
non parve impressionato e rise divertito. Ma non era l’unico
a ridere. Al suo
fianco apparve Febo, con una risata altrettanto malefica.
“Bene
bene..” parlo
proprio Febo “..vediamo in quanti modi possiamo farti
soffrire prima di
scorticarti, dannato mortale!”.
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Capitolo 22 *** XXII- fulmini e sangue ***
XXII
FULMINI
E
SANGUE
La
coda
dell’armatura di Ares si arricciò. Era pronto alla
battaglia e già vedeva il
nemico avvicinarsi. Atena stava al suo fianco, anch’essa
pronta allo scontro.
“Efesto
ha
ingrandito le ali della tua armatura, o sbaglio?”
domandò lei.
“Non
sbagli” ammise
lui “Le mie quattro ali sono immense. Mi piacciono”.
“È
stato molto
gentile..”.
“Gli
manderò un
mazzo di fiori..”.
Phobos,
Deimos ed
Enyo osservavano i nemici, discutendo di strategia. Le amazzoni, sui
loro
cavalli, erano già pronte. I cavalieri di Atena si erano
schierati, così come
quelli di altre divinità giunte al tempio. Apollo,
Poseidone, Artemide ed
Efesto erano giunti con i loro eserciti. Le schiere di Hades erano in
marcia e
prossime ormai alla meta. Madre Era, forte e magnifica, era pronta a
vendicarsi
di ogni torto subito.
“Dov’è
Arles?”
chiese Ares, guardandosi attorno.
“Allo
Star Hill”
rispose Atena “Ci va sempre, prima di una battaglia
importante. Credo serva a
dargli la giusta carica..”.
“Fa
provare pure
me!” sorrise sadicamente Febo.
Marte
ghignò e gli
concesse l’onore di maneggiare la lancia che teneva ancorato
il sacerdote al
pavimento. Il Dio solare, con immensa soddisfazione, rigirò
l’oggetto,
lacerando la carne del mortale.
“Guarda,
fratello!”
notò Febo “Guarda come stringe i denti per non
gridare. Non vuole darci questa soddisfazione!”.
Marte
rideva,
piuttosto soddisfatto. Prese fra due dita il volto di Arles e lo
fissò dritto
negli occhi.
“Guardame
bene en
faccia, fio de ‘na mignotta strabica!”
parlò il romano.
Il
sacerdote cercò
di mantenere il controllo ma il Dio stava usando i propri poteri. Con
quelli,
era in grado di infondere il puro terrore nell’animo del suo
avversario. Subito
il mortale sentì il cuore accelerare il ritmo in modo
innaturale. Gemette,
tentando di liberarsi.
“Nun
fa ‘o
splendido, mortale!” ghignò Marte “Non
te poi move!”.
“Arles!”
gridò una
voce.
Il
sacerdote la
riconobbe: era quella di Aiolos. Aiolos? Che fosse giunto a tanto, pur
di
vendicare quanto successo in passato? Che avesse lui indicato la via a
Febo e
Marte? Arles chiuse gli occhi, in un gemito. Il battito del suo cuore
era
impazzito, velocissimo, e questo faceva sì che la ferita
sanguinasse molto. Con
la mente annebbiata, si preparò alla fine. La freccia
d’oro del Sagittario era
già puntata contro di lui, la vista ormai era sfuocata ed il
respiro iniziava a
venirgli meno. Del resto, si disse, era quello che meritava. Il passato
che era
finalmente giunto a saldare i conti. Si portò una mano al
petto. Il ritmo
cardiaco aumentò ulteriormente poi ci fu silenzio. Spalanco
gli occhi e li
richiuse. Non provava più dolore, o paura, o rimorso. Non
provava più nulla. La
freccia d’oro non serviva più.
“Eppure..”
si
diceva, perplesso, Ares “Ho una strana
sensazione..”.
Gli
eserciti infine
iniziavano a scontrarsi ma il Dio, che solitamente trovava la guerra
piuttosto
eccitante, non riusciva a concentrarsi. In ogni guerra passata aveva
perso dei
figli ed ammetteva, se pur a fatica, di temere il ripetersi di simili
eventi. Vide Phobos
e Deimos con a
fianco alcuni cavalieri d’oro. Trovò Enyo fra le
amazzoni, che già combatteva. Individuò
facilmente Kanon, che spiccava
fra i
soldati di Poseidone con la sua Kamui alata. Altri discendenti del Dio,
dall’indole pacifica e non legati alla guerra, come Eros ed
Anteros, erano ben
lontani da lì.
Non
era il solo che
si preoccupava per la famiglia. Mur, poco distante da Phobos e Deimos,
attendeva il ritorno di Kiki. Il ragazzo si era fatto valere, nella sua
prima
missione in armatura? Ed era rimasto ferito? L’Ariete era in
apprensione. Anche
Ioria aveva un’aria strana, che Mur non riuscì ad
interpretare. Però era tardi
ormai per pensieri e ripensamenti. La battaglia era iniziata ed il
nemico già
stava attaccando.
Minerva
incitò
l’esercito e poi guardò in su, cercando con lo
sguardo Atena. Era lei il suo
obbiettivo ma, non appena scattò per raggiungerla, una forza
la ributtò a
terra.
“Dove
credi di
andare, bellezza?” la apostrofò Kanon
“Io e te abbiamo un conto in sospeso!”.
“Fatti
da parte,
mortale!” ordinò lei “Non è
te che voglio!”.
“Poco
mi importa”.
“Come
vuoi. Allora
ti ucciderò e poi andrò oltre”.
“Provaci!”.
“Riprenditi,
avanti!” esclamò Aiolos, scuotendo il sacerdote.
Quando
lo vide
riaprire gli occhi, tirò un sospiro di sollievo. Sorrise.
Arles lo fissò,
mettendo a fuoco lentamente. Vide il volto del Sagittario, imperlato di
sudore
e dall’aria preoccupata.
“Mi
senti?” domandò
Aiolos.
Il
sacerdote annuì e
poi gemette, portandosi una mano al petto.
“Scusa”
commentò il
Sagittario “Ho tentato di rianimarti ed alla fine ho dovuto
usare il mio Atomic
Thunderbolt su di te. Per farti ripartire il cuore. Immagino faccia un
po’
male”.
“E
Marte? Febo?”
riuscì finalmente a dire Arles.
“Li
ho trafitti con
la freccia d’oro”.
“Ma..perché?”.
“Come
sarebbe a
dire? Siamo colleghi, è mio compito aiutarti”.
“Ma
io ti ho fatto
uccidere! Dovresti odiarmi!”.
“Dovrei,
ma portare
rancore non serve a niente. Dovresti smetterla pure tu di odiarti
tanto. Il
passato è passato ed è il presente che conta, per
dar vita ad un grandioso
futuro”.
“Futuro?”.
“Non
pensi mai al
futuro? Sarebbe ora che iniziassi, sai?”.
“Forse
hai ragione.
Però io non capisco..”.
“Mettiamola
così:
non sopporto l’idea che ci siano orfani per il
mondo!”.
“Orfani?”.
“Non
fare quella
faccia! Non lo sai?”.
“Che
cosa dovrei
sapere?”.
“Ma
come?! Discordia
non ti ha detto che..”.
“Voi
due!” parlò
proprio Discordia “Allontanatevi! Pensate forse di riuscire
ad uccidere due
divinità come Marte e Febo con una semplice
freccia?”.
Aiolos
reagì e
scoccò un’altra freccia, che questa volta stese
Febo. Il sacerdote si alzò,
anche se con fatica.
“Allontanatevi!”
ordinò Discordia “Mio fratello non farà
nulla, finché io sono qui..”.
Aiolos
si accigliò,
vedendo Arles indossare l’armatura del drago.
“Amico..”
commentò
“..quello era un infarto! Non penserai mica di andare a
combattere?!”.
“Sto
bene!” protestò
il sacerdote.
“Certo!
Come no!”.
“Andate
via!” insistette
Discordia, mentre Marte lentamente si rialzava.
“Non
fuggo di certo
dinnanzi ad uno scontro, madame” ribatté Aiolos,
incoccando una nuova freccia e
guardando minaccioso il Dio romano.
“A
Rambo!” sfotté
Marte “Accanna ‘a fascetta!”.
“Come
osi? Farai la
fine di Febo!”.
Discordia,
vedendo
che nessuno dei due cavalieri aveva intenzione di muoversi,
usò i suoi poteri.
Una pioggia d’oro investì Sagittario e sacerdote,
allontanandoli dallo Star
Hill. Arles non apprezzò il gesto e protestò. Poi
si fermò a riflettere. Se non
era stato Aiolos a tradire, allora chi poteva essere stato? Chi
conosceva tutti
i dettagli di strategia e sicurezza del santuario?
Virò,
con un singolo
battito di ali.
“Discordia!”
gridò,
temendo per la sua vita.
Kiki
ed i cavalieri
di bronzo, seguiti da Shion e l’esercito di Hades, giunsero
al tempio il più in
fretta possibile. Plutone, che attendeva la sua controparte greca, li
attese ed
attaccò. Kiki saltò e si nascose in una
rientranza delle rocce, fra le rovine.
Udì un singhiozzo e si girò. C’erano
tre bambini nascosti, probabilmente
abitanti di Rodorio rimasti coinvolti negli scontri.
“State
tranquilli!
Sono un amico” si affrettò a dire, creando il suo
muro di cristallo per
difenderli dai colpi vicinissimi della battaglia “Vi
difenderò io. Andrà tutto
bene!”.
Poco
distante,
Nettuno ed il suo esercito si stava scontrando con Poseidone ed i suoi
sottoposti. I cavalieri d’oro passavano da un avversario
all’altro. Phobos e
Deimos si ritrovarono di fronte Giano Bifronte. Perplessi, non sapevano
bene
come affrontarlo. Il Dio pareva prevedere ogni loro mossa e li
anticipava.
“Ioria!”
esclamò
Phobos, trovandoselo vicino “Meno male che sei qui! Dacci una
mano contro
questo coso”.
Il
Leone non
rispose. Si limitò a fissare i gemelli di Ares, senza
parlare.
Arles,
Aiolos e
Discordia atterrarono in mezzo agli scontri.
“Sei
davvero deciso
di combattere?” si stupì Sagittario, fissando il
sacerdote.
“Ma
sì, smettila!
Piuttosto tu, Discordia..”.
“Cosa?”
sbottò lei,
scocciata.
“Non
posso
permettere che tu combatta!”.
“Io
ho sempre
combattuto”.
“Sì,
ma..”.
La
Dea sorrise. Arles
non rispose a quel sorriso, non sapendo come nascondere la sua
preoccupazione.
“Non
angosciarti”
riprese lei “Andrà tutto bene”.
“Va
via. Se dovessi
morire o..”.
“Non
accadrà. Io ho un
motivo per restare in vita”.
“Ora
anch’io..”.
“E
fallo un
sorriso!” interruppe Aiolos “Diventerai padre, puoi
concederti un attimo di
gioia!”.
“Sorriderò
quando
tutto questo sarà finito”.
“Bene!
allora
facciamola finita in fretta”.
“Dov’è
tuo
fratello?”.
“Ioria?
Accanto ai
tuoi, immagino..”.
Arles
lo cercò con
lo sguardo. Sul tetto di qualche casa più in giù,
lo vide. Probabilmente Aiolos
lo avrebbe presto raggiunto, per sostenerlo. Kanon, al contrario, lo
avrebbe
riempito di insulti. Il sacerdote scosse la testa, pensandoci. Poi vide
uno
strano scintillio d’oro fra le mani del Leone.
“Phobos!”
gridò.
Shura
e Deathmask si
stavano divertendo. Anche se i nemici parevano non finire mai, le loro
tecniche
riuscivano sempre a farsi valere. Poi un uomo respinse entrambi i loro
attacchi. Con un ghigno sadico, mostrò solo in parte il suo
volto, coperto dal
mantello.
“Chi
saresti, tu?”
domandò il Capricorno.
“Saturno
è il mio
nome. E mangio i bambini cattivi!”.
La
romana Proserpina
era riuscita a scovare Persefone. Accanto a lei, Cerere e Flora
manipolavano le
piante per riuscire a sconfiggere i loro avversari. Pesci, preoccupato
per la
sorte di colei che era divenuta la sua amante nel periodo estivo,
tentava di
aiutarla.
“Ti
serve un
aiutino?” domandò Milo, lanciando la sua Cuspide.
“Magari!”
ammise
Aphrodite.
Poco
distante, Camus
stava aiutando i soldati di Poseidone. Shaka aveva raggiunto Dohko ed i
cavalieri di bronzo, che contro l’esercito di Plutone si
stavano facendo
valere. Mur ed Aldebaran aiutavano Efesto, alle prese con Vulcano ed i
suoi
attacchi di fuoco. Era strano per i saint combattere a fianco di uomini
considerati nemici fino a poco tempo prima, come i giudici di Hades o i
generali marini. Ares aveva iniziato uno scontro contro Marte, ed
Aiolos si era
deciso ad aiutarlo. Però si era subito distratto, vedendo la
strana reazione di
Arles.
“Phobos!”
gridò il
sacerdote.
Il
fratello,
concentrato sulla battaglia, non percepì il pericolo. Si
voltò e vide Ioria.
Deimos spiccò il volo ma il gemello non ci riuscì
ed il Leone lo aggredì,
brandendo la daga d’oro che uccideva le divinità.
Cadde in terra, preso di
sorpresa.
“Ioria!”
chiamò
Aiolos, raggiungendo in fretta il fratello.
“Fermati!”
ordinò
Arles, afferrando il Leone, che con furia cieca continuava a sferzare
colpi.
“Che
fai,
fratellino?!” si allarmò Sagittario, aiutando il
sacerdote.
“Vattene!”
gridò
Ioria “Andatevene tutti! Specialmente tu!”
minacciò, puntando il pugnale contro
Arles.
“Sei
tu, dunque!”
rispose il sacerdote “Sei tu il traditore che ha svelato il
luogo dove si
trovava mio padre Ares!”.
“Sì.
Ed anche come
raggiungere te, gran sacerdote, allo Star Hill”
confermò il Leone.
“E
perché? Fratello,
perché?” domandò Aiolos, senza capire.
Nel
frattempo,
Deimos aveva raggiunto il gemello e cercava di farlo riprendere.
“Perché?
Ma come?
Quest’uomo non ha portato altro che sofferenza.
L’unica divinità che posso
permettere resti in vita è Atena. Le altre non portano che a
guerre continue”.
“Ma,
Ioria! La
nostra Dea è alleata delle divinità che stai
tradendo! Ed eliminare Arles, o i
suoi parenti, non ti ridarà il tempo che io e te abbiamo
perso.
Fratello..guardami! Torna in te!”.
“Aiolos..”.
Il
Sagittario riuscì
ad avvicinarsi a sufficienza e disarmò il fratello minore.
“Ioria..”
parlò Arles
“..io ti chiedo perdono. Chiedo perdono a te ed a molti a cui
ho fatto del
male. Se lo vorrai, porgerò il mio petto ai tuoi colpi
quando tutto questo sarà
finito. Però ora dobbiamo combattere uniti,
perché Atena e gli altri Dei greci
hanno bisogno di noi”.
“Atena
è la sola Dea
giusta!”.
“Può
essere. Ma
adesso smettila!”.
Deimos
guardava con
odio il Leone, stringendo a sé il gemello. Arles
intuì i suoi pensieri e tentò
di frapporsi fra Dio e cavaliere.
“Non
è il momento..”
cercò di dire, ma una voce ben più potente della
sua si udì.
“Vi
ammazzo tutti!”
sbraitò Ares, capendo quanto successo.
“Calmati!”
cercò di
rabbonirlo Atena, con scarsissimi risultati.
“Leone!
Diverrai la
mia prossima vittima!”.
“Padre!
Comprendo la
tua ira..ma..”.
“Taci,
Arles! Perché
lo difendi? Ha tradito anche te e non vede l’ora di vederti
morto in terra, in
un lago di sangue”.
Il
padre ora stava
dinnanzi al figlio. L’armatura del Dio era immensa e faceva
sembrare il
sacerdote un ragazzino minuto.
“Perché
non è il
fottuto momento di litigare fra noi!” gridò il
figlio “E se qualcuno usasse il
cervello, lo capirebbe!”.
Shion
osservava la
scena divertito. Era bello vedere il suo successore in
difficoltà.
“Ecco
un altro che
vuole ammazzarmi..” sbottò Arles
“..più tardi! Prendi il numero, cazzo! Adesso
pensiamo a questa guerra contro i romani”.
“Stai
lontano dal
mio bambino!” si intromise Ares.
“È
quello che avrei
dovuto fare, in effetti” ammise Shion “Ma non
potevo permettere che i figli di
Ares girassero liberi per il mondo. Sì, sapevo che erano due
e sapevo che erano
figli tuoi. La loro madre impazzì, fu ritenuta pazza, quando
iniziò a dire che
aveva concepito con il Dio della guerra. Per questo i bambini le furono
sottratti e sarebbero stati adottati da chissà chi, se non
fossi intervenuto.
In Kanon percepii subito un alone malvagio ma in Saga no.
Perciò pensai che il
sangue di Ares si fosse trasmesso solo al gemello più
piccolo. Ma mi sbagliavo.
Saga, sebbene si mostrasse come il bambino più puro e buono
che avessi mai
conosciuto, era in realtà il più bastardo dei
due. Intriso fin nel midollo di
geni paterni”.
“Te
l’ho detto,
vecchio. Prendi il numero e ci sentiamo dopo. Ora..”
cercò di riprendere Arles,
ma fu interrotto di nuovo da Shion, che riprese a parlare.
“Non
voglio
ucciderti. Non voglio affrontarti. Ti sei rivelato
all’altezza, Aristotles. Hai
scelto un successore degno di questo nome ed hai guidato il santuario
come si
deve, almeno nell’ultimo periodo. Non ha senso per me
punirti. La punizione più
grande è la tua mente tormentata, e te la infliggi da solo
ogni giorno”.
“Dov’è
lui? Il mio
successore sta bene?”.
“Certo.
Ha compiuto
la sua missione ed ora è assieme agli altri cavalieri che
combatte e protegge i
deboli. Non potevi scegliere di meglio, a mio avviso”.
Arles
fece per rispondere
ma Marte piombò fra loro, interrompendo la conversazione.
Voleva a tutti i
costi la testa di Ares e di quel suo figlio maledetto! Però
il suo colpo fu
fermato dalla mano della sorella Discordia. Era furiosa ed i suoi
capelli si
erano tinti di rosso.
“Scansate!”
ordinò
il Dio.
“No,
fratello. Non
ti permetterò di far del male all’uomo che
amo”.
“Ami?”
domandò
Marte, perplesso.
“Sì,
amo. Sono
pronta ad affrontare tutti gli Dei romani del creato, pur di rimanergli
accanto. E non sarai di certo tu a portarmelo via. Allontanati e
desisti, se
non vuoi che ti attacchi”.
“Sorè,
io te adoro.
Ma nun te poi fa pija da sto burino! Sta mezza carzetta
mortale..”.
“Sono
affari miei da
chi mi faccio pigliare, chiaro? Avremo un figlio, perciò
abituati all’idea e
sparisci! Non osare sfiorarlo con un solo dito!”.
“Un
fio? Ma che,
davero? Nun me stai a cojonà?”.
“No,
non ti sto
prendendo in giro. E sono felice. Sono davvero felice!”.
Marte
guardò negli
occhi la gemella ed arrossì leggermente. Era irritante come
quella donna riuscisse
sempre ad avere la meglio.
“Un
figlio? Ho
sentito bene?” domandò più di qualche
romano, interrompendo la propria
battaglia e fissando Discordia “Questo è
inaudito!”.
“Eliminatela!”
scandì Proserpina “Un sangue misto, meticcio e
impuro non può essere
tollerato”.
“Provate
a
toccarla..” minacciò Arles, aprendo leggermente le
ali dell’armatura “..e vi
smonto in tanti di quei pezzi che manco vostra madre vi riconosce,
chiunque
essa sia!”.
Minerva
era spietata
ma Kanon lo era altrettanto. Non si faceva scoraggiare dalla potenza
della Dea
e la stuzzicava volando. Adorava la sua armatura del drago!
Ghignò, sferrando
l’ennesimo attacco. La Dea fu colpita e gemette, furiosa. Che
stava combinando
suo fratello? Perché vedeva sempre più romani e
greci smettere di combattere
per litigare fra consanguinei? Roteò la lancia e
tentò di trafiggere Kanon, che
volò di lato e schivò. Tirò, di
rimando, un forte pugno in pieno viso alla Dea.
Minerva barcollò e si adirò ancor di
più.
“Muori,
mortale!”
sbraitò, questa volta riuscendo a colpirlo.
“Devi
impegnarti di
più!” sfotté Kanon, estraendosi la
lancia dal braccio e tirando una ginocchiata
al ventre della Dea.
Minerva
non se lo
fece ripetere e contrattaccò, stavolta con più
violenza. Kanon finì in terra e
si accigliò. Maledetta Dea! Era già pronta con la
lancia, ma una fiamma gliela
portò via.
“Che
succede?”
domandò, stupita.
“È
arrivato il mio
amico Ikki” sorrise Kanon “E ora prega chi ti pare.
Ti resta poco da vivere!”.
Saturno
era affamato
e lo dimostrò mordendo i suoi avversari. Deathmask e Shura
trovarono la cosa
disgustosa ma sfuggirgli era difficile. Il vecchio Dio era grande,
molto più di
loro, e pareva non provare dolore.
“Ho
un piano”
mormorò Shura “Tu distrailo..”.
“E
come credi che
possa fare?!” gemette il Cancro “Lo hai visto
bene?”.
“Non
lo so!
Ingegnati!”.
“Me
la paghi
questa..”.
Deathmask
saltò,
agitandosi per attirare l’attenzione del Dio. Al suo fianco,
apparve Shaina con
un sorriso. I due insieme riuscirono a distrarre Saturno a sufficienza.
Shura
ne approfittò e lanciò la sua Excalibur,
tranciando il braccio sinistro della
divinità.
“Ho
capito quel che
vuoi fare!” sorrise il Cancro.
“Bravo,
ora però
continua a distrarlo!”.
Milo
ed Aphrodite
erano stati raggiunti da Mirina, assieme ad altre amazzoni. Cerere era
brava ad
evocare le piante e gli animali. Con un suo comando, creature
misteriose
apparivano dal nulla, plasmate dalla sua volontà, ed
attaccavano i nemici. Lo
Scorpione e Pesci le rimandavano indietro e le bloccavano con i loro
attacchi.
Persefone invece combatteva contro Proserpina senza alcuna
pietà, insultandola
pesantemente. Poco più in là, i rispettivi
consorti facevano altrettanto. Hades
però aveva Eleonore dalla sua parte, che non si risparmiava.
Le sue falci
d’argento colpivano gli avversari e ne trapassavano le carni.
Sorrideva
soddisfatta mentre avveniva questo, dimostrandosi una degna sposa del
Dio degli
Inferi. Poseidone osservava ammirato le movenze della cognata ma la sua
consorte, la bella Anfitrite, non era da meno. Camus inoltre dava
manforte,
combinando la forza del ghiaccio al controllo dell’acqua del
popolo marino.
Questo ne aumentava la potenza, anche se Nettuno sapeva bene come
difendersi.
Mur ed Aldebaran invece avevano a che fare con il fuoco. Vulcano
evocava la
lava, mandandola contro gli avversari. Non era facile respingerla,
nemmeno con
il Crystal Wall. Stavano iniziando a stancarsi. Tutto questo sarebbe
durato
ancora a lungo?
“Venite!
Per di
qua!” chiamò una voce.
Kiki
non sapeva da
dove venisse ma si guardò attorno ed intravide Shun,
nascosto fra le rocce.
“Venite!”
insistette
il medico.
Il
giovane cavaliere
prese con sé i bambini che aveva protetto e raggiunse
Andromeda.
“Seguitemi!”
indicò
Shun, precedendo il gruppo.
Era
un passaggio
segreto, scavato nella roccia.
“Che
posto è questo?
Non ne ero a conoscenza” si stupì Kiki.
“Lo
hanno costruito
antichi cavalieri per proteggere Rodorio. Il gran sacerdote me ne ha
rivelata
l’ubicazione per difendere più civili
possibili”.
“Capisco..”.
Fra
loro, Kiki
riconobbe Sarah ed altre ancelle.
“Aiutami
a
proteggerli, Kiki. Gli attacchi sono sempre più forti e
sempre più vicini. Non
so se la mia catena reggerà..”.
“Certo,
Shun.
Volentieri”.
Arles
era pronto ad
affrontare chiunque. Romano, greco, mortale o Dio che in qualche modo
volesse
fare del male a Discordia.
“Con
Eleonore sono
arrivato tardi..” disse “..ma con lei no. Nessuno
le farà del male. E poi..Discordia,
come sei bella quando ti arrabbi!”.
La
Dea arrossì, non
aspettandosi una frase del genere.
“La
ami, dunque?”
parlò Marte, mostrando per un instante di saper formulare
una frase senza usare
il suo dialetto.
“Lei
sta per darmi
il dono più grande che potessi mai chiedere. E nessuno le
farà del male, finché
io sarò in vita! Ora ho una regione per esistere, anche se
sono circondato da
validi motivi per morire”.
“Combatteresti
per
lei, anche contro la tua gente?”.
“Contro
il mondo
intero, se fosse necessario”.
Ares
e Marte si
fissarono.
“E
che te devo dì?”
sospirò il romano, rivolto al suo equivalente greco
“Nun te posso ammazzà! Er
Romeo fio tuo m’ha fatto piagne. È bono con mi
sorella, nun me viene de
infierì”.
“Ammetto
di aver
molto da ridire su questa unione ma..” sospirò a
sua volta Ares “..se questa
donna ti impedisce di voler costantemente la morte, Arles, allora non
posso che
approvare”.
“Come
se mi servisse
la tua approvazione..” ridacchiò il sacerdote.
“Non
le farò alcun
male” concluse il Dio.
“Ao,
cognato! Me hai
fatto incazzà de brutto. Ma la gemella mia te ama. Er fio
mio Cupido sé annato
a divertì dale parti tua..”.
“Probabilmente
anche
mio fratello Eros..”.
“Disgraziati
e
fetenti! Te do la mano, Aristocoso là..er nome strano che ha
usato er pecora
viola”.
“Ok..”.
“Ma
num me fa
incazzà de novo!”.
“Farò
il possibile”.
“Ma
come?” si stupì
più di qualche romano “Marte! Lo devi attaccare ed
uccidere”.
“Ma
nun me cagà er
cazzo te! O te sdrumo! Aristotizio mena e io mejo di lui. Volemo
invità er papà
suo? Ce divertimo?”.
Scese
il silenzio.
Poi due figure incappucciate si mostrarono, dissolvendo una barriera
che le
nascondeva. Con un solo cenno, bloccarono tutti i conflitti in atto.
“Finalmente
silenzio” parlò una voce femminile.
“Sì,
era ora”
rispose una maschile.
“E
voi chi sareste?”
domandò Atena.
“Io
sono il Fato”
rispose l’incappucciato con la voce maschile.
“Ed
io il Destino”
si unì l’altra creatura.
“Che
succede?”
domandò Minerva, stanca di prendere fuoco per colpa di Ikki.
Kanon
ignorò la sua
domanda e la colpì di nuovo. Poi vide la Dea estraniarsi del
tutto dalla
battaglia ed inginocchiarsi.
“Che
ti prende?”
domandò, senza capire.
Si
guardò attorno. Molti
Dei, greci e romani, si stavano inchinando. I cavalieri d’oro
si guardarono fra
loro. Stanchi, sporchi di sangue ed alquanto perplessi, non riuscivano
a
capire.
“Mio
signore” si
inchinò anche Atena, dinnanzi a Fato.
“Vi
osserviamo da un
po’..” parlò Destino “..e devo
dire che il vostro comportamento l’ho trovato
alquanto sciocco”.
“Sciocco?”
ripeté
Ares, senza capire.
“Molto
sciocco”
confermò Fato.
Destino
si avvicinò
ad Arles, che Discordia stringeva a sé.
“Sei
ferito..” parlò
la Dea dinnanzi a cui tutti si erano inchinati “..lascia che
ti aiuti”.
“No”
la fermò il
sacerdote “Aiutate mio fratello Phobos, ve ne prego! Voi che
incarnate il
potere supremo del mondo, salvate mio fratello. Io sto bene”.
Phobos
era moribondo
fra le braccia di Deimos, che non lo voleva lasciare. Destino ci mise
pochi
istanti a rimarginarne le ferite, anche se si stancò. Ares,
vedendo questo,
chinò ancora più la testa per la riconoscenza.
“Ma..”
si stupì il
Dio greco “..voi siete romana, Destino. Perché
avete salvato mio figlio, che è
greco? Patteggiate forse per noi?”.
“Non
patteggio per
nessuno. Io e Fato troviamo ridicola la vostra disputa.
L’Olimpo non è forse
abbastanza grande per tutti? Questa guerra non ha alcun
senso”.
“Io..noi..forse..”.
“Non
serve che ti
giustifichi. Tu sei il Dio della guerra, la cerchi. Mi stupisco di
altre
figure, come Minerva o Atena, che dovrebbero usare il
cervello..”.
“In
effetti..”
commentò Kiki, ascoltando la conversazione e raggiungendo il
gruppo, dopo
essersi accertato che i bimbi che proteggeva non corressero alcun
pericolo “..non
ha molto senso tutto questo. Intendo dire: chi crede oggigiorno agli
Dei? Romani
o greci che siano, in quanti credono in loro? Ha senso combattere fra
noi? I culti
ormai quasi dimenticati, divenuti mitologia e non più
religione, non dovrebbero
andare d’accordo come fratelli? Specie fra voi, che siete
nati l’uno dalle
ceneri dell’altro!”.
“Non
è proprio così,
ma il concetto è quello” annuì Fato.
“Ma allora
noi..che facciamo?” domandò Era.
“Siete
Dei! Io e
Fato siamo alleati da millenni” spiegò Destino
“È così difficile per voi fare
altrettanto? E poi..chi di voi greci vuole stare sull’Olimpo?
Ognuno di voi ha
il suo tempio in un luogo specifico e ci vive felice!”.
“Non
è tanto per l’Olimpo..”
spiegò Apollo “..è che i romani ci
stanno proprio sulle palle!”.
“E
perché? Avete talmente
tante cose in comune che potreste essere considerati la stessa persona!
Chi ha
iniziato tutto questo?”.
Gli
Dei si
guardarono fra loro. Probabilmente era nato tutto dalle manie di
grandezza di
Zeus e Giove, che però adesso erano morti.
“Kanon!”
sbottò
Atena “Smettila di picchiare Minerva!”.
“Ma
mi diverto..”
piagnucolò il cavaliere.
Anche
altri
ricominciarono a litigare e combattere e così il Fato,
stufo, alzò un braccio
al cielo. Una luce fortissima avvolse tutti i presenti, che chiusero
gli occhi.
Riaprendoli,
i greci
si fissarono. Che era successo? Dei romani non vi era traccia alcuna.
“Lieto
di vederti
tutto intero, Kiki” sorrise il sacerdote “E con dei
giovani al seguito..”.
“Li
ho salvati”
rispose il ragazzo “Ma sento in loro il cosmo”.
“Sì.
Lo percepisco
pure io. Futuri cavalieri, finalmente!”.
“Vi
ho riportato la
collana”.
“Tienila
tu, mio
successore. Credo che per me sia giunto il momento di
riposare”.
Arles
si toccò il
petto, ora non più protetto dall’armatura.
Sanguinava ancora ma quasi tutti i
presenti erano messi abbastanza male, perciò non ci diede
troppo peso.
“Ma
io..” balbettò
Kiki, non sentendosi pronto.
“Sei
stato
coraggioso” lo incitò Shion, toccandogli una
spalla “Saggio, generoso e
potente. Sei pronto. E poi, se ti servirà aiuto, ricorda che
non sei solo”.
Il
giovane annuì,
con un sorriso. Mur lo osservava piuttosto stupito e orgoglioso.
“E
tu? Cosa credi di
fare?” domandò Era, rivolto ad Arles, mentre la
folla applaudiva Kiki.
“Io?
Devo pensare al
futuro. Renderlo lieto il più possibile”.
“Ah,
tanto per
toglierti un peso..non temere più le pene
dell’oltretomba. Gli Dei non
subiscono certi trattamenti, salvo casi eccezionali”.
“Dei?”.
Il
sacerdote si
guardò le mani, sporche del proprio sangue. Non era rosso,
come quello umano,
bensì azzurro come l’ikor divino. Alzò
lo sguardo e fissò il gemello. Pure lui,
sul viso, mostrava una ferita scintillante d’azzurro.
“Ma..io
non voglio
essere un Dio!” protestò.
“Sono
le piccole
cose della vita, ragazzo mio” rispose Ares, mettendogli un
braccio attorno al
collo e scoppiando a ridere.
“Ma
dove siamo?”
domandò Nettuno “Questo è
l’Olimpo?”.
“Zio,
stamo a casa”
annuì Marte “Er tizio embacuccato ce ha spediti de
novo sur monte Olimpo”.
“Quindi..la
guerra è
finita?”.
Marte
annuì e si
accese una sigaretta. Si guardò attorno. Erano rimasti
così in pochi..c’era
quasi da annoiarsi! Minerva era stata uccisa, ecco perché
non udiva quella
vocina fastidiosa!
“E
adesso, che
facciamo?” domandò Vulcano, ferito in
più punti.
“Boh.
Festa? Se
Bacco non sta emmbriaco..”.
“Festa?
Marte..che
dici?”.
“A
me piace come
idea” annuì Nettuno.
“E
se invitassimo
anche loro?” si unì Cupido, rimasto al monte
durante la battaglia.
“Entendi
er nemico?”
storse il naso Marte.
“Papà,
non sono più
nemici. Qui c’è tanto posto..”.
“Te
fai bisboccia
con zio Bacco quando io me assento, vero?”.
Cupido
sorrise. Non
era il tipo in grado di portare rancore.
Kiki
si era abituando
ormai al suo ruolo. Era una sera abbastanza tranquilla di primavera e
se ne
stava alla tredicesima senza troppi pensieri. Atena passava molto tempo
sull’Olimpo,
assieme ad Ares ed altre divinità. Questo sgravava il suo
compito di difensore,
anche se a lei piaceva molto stare al grande tempio. Sorrise, notando
un certo
nervosismo sul viso di Arles.
“Secondo
te..” parlò
il ragazzo “..perché ha chiesto di venire qui al
tempio?”.
“Non
lo so” ammise
il precedente sacerdote, leggermente scocciato “So solo che
sull’Olimpo c’era
un sacco di personale qualificato e lei ha insistito per venire
qui”.
“C’è
Era con lei. La
più qualificata in assoluto..”.
“Oh,
Kiki!” sorrise
Kanon “Guarda che è normale che sia nervoso! Sta
per diventare papà”.
I
due gemelli si
fissarono. Entrambi in abiti borghesi, attendevano con pazienza che
qualcuno
desse loro notizie.
“Ma
quanto ci vuole?”
domandò Ares.
“Pazienza!
Ci vuole
pazienza” sorrise Aphrodite “La natura ci mette il
suo tempo”.
“La
natura è un gran
troia!” borbottò il Dio della guerra, offrendo una
sigaretta al figlio.
Phobos
e Deimos
erano giunti al tempio proprio per assistere all’evento,
sotto minaccia del
padre. Phobos si era ripreso del tutto ed era il solito Dio incazzato
di
sempre.
“Rilassati,
fratellino” commentò Deimos.
“È
che..” ammise
Arles “..a me succedono sempre cose spiacevoli. Ho paura che
questa volta sia
lo stesso. Sono terrorizzato”.
“E
non dovresti. Sai
cosa sarà? Maschio o femmina?”.
“Non
lo so”.
“Tu
cosa vorresti?”.
“Non
ho
preferenze..a me basta che vada tutto bene!”.
“E
perché non vai
dentro da lei?”.
“Io
porto una sfiga
allucinante! Se sto qua, vedrai che andrà tutto molto
meglio”.
Deimos
ridacchiò.
Kiki rise a sua volta. Poi la tenda si scostò e scese il
silenzio. Dalla dimora
di Atena era uscita finalmente Era, stringendo fra le braccia un
fagottino
minuscolo. Si avvicinò lentamente ad Arles e solo in quel
momento sorrise.
“Prendi
fra le
braccia il tuo primogenito, nipote” parlò la Dea.
“È
un maschio?”
domandò Ares, cercando di vedere il piccolo.
“Sì.
La femmina è
con la madre”.
“Sono
due?” balbettò
Arles.
“E
che ti aspettavi?
Sei un gemello figlio di gemelli e lei lo stesso” rise Kanon
“Dai, prendilo in
braccio! Fammi vedere il mio nipotino!”.
“Com’è
silenzioso..”
commentò Phobos.
“Ha
strillato fin
adesso” rise Era “Ha dei polmoni notevoli! Adesso
si è calmato ed ha cambiato
colore di capelli”.
“Oh,
che bello! Anche
lui cambia colore!” gioì Ares.
Arles
sorrise e
finalmente prese il bimbo, che lanciò un versetto di
protesta.
“Ciao”
lo salutò e
lo osservò.
I
capelli del
piccolo erano rossi, come quelli dello zio Marte e della madre quando
si
arrabbiava.
“Quando
si infuria..”
spiegò la Dea “..diventano neri. La bimba invece
ha i capelli come quelli della
mamma ma diventano blu se la infastidisci”.
“È
splendido”
commentò Pesci “Con quei capelli, sembra un
piccolo bocciolo di rosa”.
“È
il mio piccolo
miracolo” mormorò l’antico sacerdote,
osservando il figlio con grandi occhi
dolci e cullandolo “Il mio piccolo miracolo..un sogno, che
credevo non potesse
mai avverarsi e invece è qui, fra le mie braccia. Mia
meraviglia..”.
Senza
riuscire più a
trattenersi, il neopapà scoppiò a piangere.
Nonostante si vergognasse da
morire, non ebbe modo di trattenere le lacrime.
“Oh,
il mio
gemellone si commuove! È così cuccioloso e
dolcioso! Abbracciami!” parlò Kanon,
abbracciando il fratello.
“Ma
fate proprio
schifo quando fate così!” storse il naso Ares
“Non vi picchio solo perché oggi
sono nati i miei nipotini, va!”.
“Abbracciami
anche
tu, papà!” scherzò Kanon e furono
Phobos e Deimos a stringere il padre.
“Come
lo chiamerai?”
chiese Kiki.
“Il
nome? Già..ci va
un nome..” si fece pensieroso Arles, osservando meglio il
piccolo “Beh..non me
ne vogliate ma..visto che il mio stramaledetto nome è
Aristotles, mentre Saga è
il nome che mi ha affibbiato Shion, io rimarrei in tema e direi
Tolomeus. Tolomeo..”.
“Tomeo,
Tommi? Carino.
Al massimo ti ucciderà da grande perché gli hai
dato un nome da vecchio”
commentò Kanon “E la bambina?”.
“Quella
è facile:
Ipazia”.
“La
studiosa d’Alessandria?
Nomi seri, fratellone”.
“Ogni
tanto combino
qualcosa di buono e serio pure io. Non posso dare nomi comuni e banali
alla mia
ragione di vita. Io vivrò per loro. Mai più
verserò lacrime pensando al
passato, perché ci sono loro ora: il mio grandioso e
meraviglioso futuro!”.
Siamo
giunti infine al penultimo capitolo. Ringrazio ancora chi ha
seguito la storia fino a qua ed avviso: chi ama il lieto fine assoluto,
si
fermi qui J
il prossimo
capitolo stravolgerà un pochino le cose per qualche
personaggio. Per chi ha
piacere di perdere ancora un po’ di tempo con la mia follia,
su Fb trova alcune
mie storie a fumetti sui Saint e un paio di disegni inerenti questa
storia
(Ares semi nudo ha riscosso più consensi del previsto). Vi
aspetto! Cercate Frirry
ed a presto, con il gran finale!
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Capitolo 23 *** XXIII- l'illusione ***
XXIII
L’ILLUSIONE
“Oh,
Tomei!” si
stupì Camus, entrando nella grande biblioteca del tempio
“Sono il primo che
apprezza nel vedere un giovanotto come te chino sui libri
ma..è molto tardi!”.
“Ammetto
di non
essermi accorto del tempo che passa” rispose il giovane.
“Tua
madre sarà in
pensiero”.
“No,
lo sa che sono
qui. Poi non sono un bambino..”.
“Che
vai cercando
fra questi volumi, ragazzo?”.
“Risposte.
Visto che
voialtri al tempio non parlate mai di certe cose..”.
“Ti
riferisci alla
guerra contro i romani?”.
“Già..”.
“Tomei,
non è
argomento da trattare per chi, come te, ha appena ottenuto
l’armatura d’oro. Dovresti
essere fuori a festeggiare, non qui a farti domande senza
risposta”.
“Ma
io..”.
“Lodo
la tua sete di
conoscenza. E, visto che oggi è un giorno speciale, ti
concederò alcune
risposte. Avanti..cosa vuoi sapere?”.
“Dov’è
mio nipote?” domandò
Kanon, entrando alla tredicesima.
“Non
te lo so dire” ammise
Kiki “Ho avuto la gioia di affidargli l’armatura
stamattina ma poi non l’ho più
visto”.
“Quel
ragazzo è
strano..”.
“Ha
l’animo
tormentato e inquieto del padre..”.
“Con
la differenza
che il padre ne aveva ragione, lui no”.
“Sai
perché ha
lottato per ottenere l’armatura..”.
“E
la cosa mi
preoccupa assai”.
“Non
riuscirai ad
impedirlo. Spero solo che la sua affannosa ricerca non lo porti verso
l’oblio”.
“Lo
impedirò”.
“Non
puoi, Kanon. Sai
bene che, per quanto ti possa sforzare, sei comunque solo un
tutore”.
“E
maestro. Ho
allevato io quel ragazzo e sua sorella Ipazia!”.
“Ma
comunque la
sorte seguirà il suo corso. Devi solo sperare che un giorno
trovi la pace,
senza dover incontrare la morte”.
“Tu
dici che lui
capisca?” domandò il giovane.
“Lui
chi?” rispose
Camus.
“Mio
padre. Credi che
capisca quel che accade?”.
“No.
Non ne è in
grado”.
“E
tu come lo sai?”.
“Tutti
gli Dei
guaritori hanno tentato di trovare una soluzione ed Hypnos stesso, che
governa
i sogni, ha detto che non si può fare niente”.
“Ci
deve essere un
modo!”.
“Tomei..la
mente ed
il corpo di tuo padre hanno subito gravissimi danni in quella guerra.
È solo
grazie all’Ikor che scorre in lui che è ancora in
vita. Ed è solo per colpa di
Ares, che lo impedisce, che ancora non c’è stato
qualcuno che ha posto fine
alla sua esistenza. Fosse per me, l’avrei staccato
già da tempo da quelle macchine,
lasciandolo morire”.
“Meno
male che c’è
nonno Ares..”.
“Se
per te è così..”.
“Lui
è cosciente. Mi
ha sorriso! Prima, quando gli ho mostrato l’armatura, ha
sorriso!”.
“Non
sorride a te,
ragazzo. La sua mente è persa in un’illusione che
ha generato per riuscire a
rimanere in vita. Chissà che cosa vede ed
immagina!”.
“Però
sorride..”.
“Sì,
è vero. Ho servito
per anni tuo padre Arles e, salvo ghigni malefici, non ho visto spesso
un
sorriso su quel volto. Perciò non so quanto sia giusto
tentare di liberarlo dal
mondo che si è creato. Da una parte perché
probabilmente andrebbe incontro alla
morte, e dall’altra perché in quel suo mondo
immaginario credo si trovi meglio”.
“Ma
è immaginario! Non
vive! E resterà lì in eterno!”.
“Ci
sono cose a cui
non vi è rimedio..”.
“Io..io
voglio che
sia fiero di me! Voglio che viva e sorrida in questo mondo. Non sa
nemmeno che
esisto..”.
“Di
questo non devi
parlare con me, ma con Aiolos e tua madre, che erano presenti negli
ultimi
attimi di coscienza del tuo genitore”.
Ipazia
suonava la
lira ed Atena sorrideva. A fianco della Dea, un giovane dai lunghi
capelli mori
ascoltava la canzone, anche se con non troppo entusiasmo. Egli era
Zeus, figlio
di Atena ed Ares. I genitori avevano deciso di dargli quel nome, in
ricordo del
padre divino deceduto. La musica non rientrava fra i suoi interessi e
trovava
noioso quel concertino. Sperava di non essere il solo ma attorno a lui
vedeva
solo cavalieri felici, o mezzi addormentati. Molti di loro avevano
ricevuto in
dono da Era, come premio per la loro fedeltà in battaglia,
la giovinezza, anche
se non tutti l’avevano accettata. Deathmask e Shura, un tempo
cavalieri d’oro ed
ora maestri, stavano giocando a carte. Sul volto, portavano pesanti
cicatrici
in ricordo dello scontro contro Saturno, che li aveva visti vincitori.
Aphrodite era momentaneamente sull’Olimpo, assieme a
Persefone, sfruttando i
sei mesi estivi che aveva a disposizione. Milo, grazie a Mirina, aveva
imparato
a cavalcare e passava molto tempo fra le amazzoni. Mur, che come
Lemuriano non
aveva bisogno del dono della giovinezza di Era, stava insegnando ad una
giovane
della sua specie i segreti delle armature, sgravando così
Kiki di quel compito.
Shaka si era ritirato in un lontano tempio in India, deciso a
raggiungere in
Nirvana senza aiuto divino. Aldebaran era ospite fisso delle
divinità
Olimpiche, perché bravissimo a cucinare oltre che a
mangiare. Dohko era tornato
ai cinque picchi. Ioria aveva volontariamente lasciato il tempio,
seguito da Marin.
Camus ed Aiolos, rifiutando il dono di Era, erano saggi insegnanti.
Kanon, con
sangue divino, aveva addestrato il nipote Tolomeo, che tutti chiamavano
Tomei, ed
Ipazia. Aveva fatto loro da padre, anche se non si era mai ritenuto
tale.
Aiolos
ricordava con
una certa tristezza quel giorno. Ma quel ragazzo era insistente e
doveva
rispondere alle sue domande. Camus, sicuro che fosse la cosa giusta,
aveva
condotto Tomei al cospetto dell’antico Sagittario e
Discordia.
“Ditemi
quel che è
successo” incalzò il giovane.
“Perché?”
domandò Discordia
“Cosa cambia?”.
“Sono
un uomo,
ormai. É tempo che sappia..”.
I
capelli rossi di
Tolomeo stavano mutando leggermente, segno che stava iniziando ad
irritarsi.
“E
va bene..”
sospirò Aiolos “..è vero, io
c’ero quando tuo padre ha perso coscienza per
sempre. Era appena stato trafitto dalla lancia di Marte, che ne aveva
trapassato il petto. Non se ne rendeva conto, probabilmente,
perché cercava in
ogni modo di combattere ancora. Il cuore però gli si
fermò, per via del potere
del Dio romano. Io feci di tutto per rianimarlo ma giunsi tardi. La sua
mente,
come Dio delle illusioni, era stata in grado di creare un mondo
alternativo,
per proteggere la vita di Arles”.
“Quindi
lui è
praticamente morto nel bel mezzo della guerra contro i romani. Non sa
della mia
esistenza..”.
“Non
ne sono sicura”
rispose Discordia “Io ero accanto a lui e gli rivelai di
essere incinta, prima
che chiudesse gli occhi. Mi ha sorriso, credo che lo sappia”.
“Ma
poi..cosa è
successo?”.
“Mio
fratello Ioria
svelò i suoi piani ed Ares lo attaccò”
riprese Aiolos “Phobos, ferito
gravemente, quel giorno si salvò per un pelo. Fu solo grazie
ad Atena che il
Leone ebbe salva la vita. E fu solo grazie a Discordia se tuo nonno
Marte non
finì impalato all’ingresso del tempio”.
“Ma
i greci hanno
vinto..”.
“Sai
bene che quella
guerra è stata generata dalla gelosia. Ma noi greci ci siamo
trovati in
vantaggio nella battaglia finale perché precedentemente
avevamo sconfitto
alcuni romani. Loro avevano perso Giove e Giunone, noi avevamo ancora
Era, che
è stata decisiva. Speravamo nell’intervento del
Fato, o di Destino, ma a
nessuno di loro due importa delle sorti della loro gente. Quasi tutti i
romani
vennero sterminati o fatti prigionieri. A Marte è toccata
una sorte diversa perché
gemello di tua madre, che ha chiesto per lui la grazia. I pochi romani
rimasti
sono stati cacciati dall’Olimpo ed ora vi dimorano alcuni
greci. Ovviamente noi
ellenici siamo stati in pace fra noi per poco ed Atena ha dovuto
sigillare di
nuovo Poseidone ed Hades, con i sigilli generati da tuo padre. Atena,
come sai,
è a capo degli Dei greci e, con Ares come consorte, governa
quelli che sono
rimasti. Questo, mio caro, fa di te un principe e dovresti esserne
fiero”.
“Lo
sono. Però..”.
“Efesto,
Apollo ed
Ermes si sono subito presi cura di tuo padre, senza riuscire a
risvegliarlo. Se
fossi intervenuto qualche istante prima, forse..”.
“Non
dire questo,
Aiolos!” lo interruppe Discordia “Hai fatto il
possibile”.
Tolomeo
annuì. Fuori
era notte fonda e per il tempio udiva la musica della sorella Ipazia.
Ignorando
i divieti di Atena, raggiunse di nascosto il luogo in cui era custodito
il
padre. Un tempo l’antico sacerdote era seguito da molte
persone e non era mai
solo. Con il passare degli anni, però, le cose erano
cambiate. Quella notte,
nel buio, Arles era abbandonato. Efesto l’aveva avvolto in
una sorta di
baccello di vetro. In piedi, perché secondo i medici
dell’Olimpo era la cosa
migliore, era collegato a complicati macchinari. Galleggiava
nell’Ikor. In quel
momento aveva gli occhi chiusi, ma a volte capitava che li aprisse.
Vitrei e
vuoti, scrutavano l’illusione creata dalla sua mente,
ignorando la realtà. Sul cuore
ancora si poteva vedere il segno lasciato dalla lancia di Marte.
“Ciao,
papà” salutò
Tolomeo “Sono io, Tomei. Sì, lo so, sono passato
prima. Spero tu sia fiero di
me, ora che indosso la tua armatura”.
Il
ragazzo ne fu
assolutamente certo: il padre sorrideva! Però tutti dicevano
che sorridesse per
altro, non per quel che accadeva nella realtà.
“Quest’armatura
l’ho
avuta grazie a te, papà. È la mia
volontà a guidarmi ed il mio coraggio lo
metterò al tuo servizio. A costo di girare per il mondo
intero, troverò un modo
per farti uscire da lì. E, ti prometto, sorriderai anche
nella realtà. Sono venuto
a salutarti. Parto e spero di tornare vincitore”.
Con
un inchino, il
giovane si congedò ed uscì da quella caverna a
pochi passi dal santuario.
Kanon, a guardia del luogo dove era custodito il fratello, vide il
nipote. Fece
per fermarlo, vedendo allontanare dal tempio, ma alle spalle del
giovane
percepì un cosmo tremendamente familiare.
“Ovunque
tu vada, Tomei..”
mormorò lo zio “..tuo padre Arles ti
proteggerà. Spero solo che un giorno, sia
tu che il mio amato fratello, possiate trovare la pace
nell’animo. Buona fortuna”.
Tolomeo
parve
sentirlo, perché si voltò proprio verso lo zio. I
capelli rossi mossi dal vento
ne coprirono in parte lo guardo, lievemente malinconico come quello del
padre.
“Scusami,
zio” parlò
al vento il ragazzo “..ma rischio di impazzire restando qui.
Tornerò, l’ho
promesso a mia sorella. Non stare in pena per me”.
Kanon
non udì quelle
parole. Osservò il corpo del fratello e sospirò:
Arles sorrideva.
Ok,
eccoci alla fine. Insultatemi pure per questo capitolo. A presto,
con nuove follie!
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