da quel giorno in poi

di Evee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** from her view ***
Capitolo 2: *** from his view ***
Capitolo 3: *** with her sight ***
Capitolo 4: *** with his sight ***
Capitolo 5: *** inside her look ***
Capitolo 6: *** inside his look ***
Capitolo 7: *** through her eyes ***
Capitolo 8: *** through his eyes ***
Capitolo 9: *** by her and his side ***



Capitolo 1
*** from her view ***


da quel giorno in poi ~

 

“Il guardare una cosa è ben diverso dal vederla.
Non si vede una cosa finché non se ne vede la bellezza.”
Oscar Wilde

 

 

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~ from her view

 

I kind of liked it your way
how you shyly placed your eyes on me
Did you ever know
that I have mine on you?

 

Incominciò tutto un giorno qualunque, apparentemente per caso.

Non ricordava di preciso quando. Aveva iniziato a frequentare l'università già da un paio di mesi ormai, e l'anno accademico era entrato abbastanza nel vivo da farle perdere l'ordinaria cognizione del tempo, inducendola a computarlo non più in base al calendario comune, ma a quello delle sue lezioni e degli esami imminenti.

Però accadde, benché sulle prime non ci avesse prestato troppa attenzione: quel giorno, quand'era salita sul treno suburbano, non era riuscita a sedersi al solito posto.

Ultimo scompartimento, quello che al binario si ferma più lontano e risulta dunque meno affollato. Terza fila, abbastanza vicina all'uscita da poterla raggiungere rapidamente ma comunque lontana dalla corrente e dal rumore generato dal viavai che ne attraversa di continuo le porte. Lato sinistro, rivolto verso il panorama migliore. Accanto al finestrino, per non esser disturbata dal transito degli altri passeggeri lungo il corridoio.

L'insieme di tutte queste caratteristiche l'aveva conquistata da subito, così ne aveva reso la scelta una consuetudine e, ben presto, divenne proprio quest'ultima la ragione principale per cui lo considerava il suo preferito. Si era trasferita a Domino solo da poco, e non era ancora riuscita a superare del tutto l'iniziale smarrimento che aveva provato nel ritrovarsi catapultata dalla placida vita del suo paesello di provincia in quella caotica di una grande metropoli. Tutto scorreva velocemente, tutti erano frenetici, costringendola ad esser sempre di corsa per tenere un regime che procedeva spedito, indifferente della sua inesperienza. Doveva controllare l'ora di continuo, programmare minuziosamente la sua tabella di marcia giornaliera, assicurarsi di saper sempre in anticipo dove doveva andare e come fare per raggiungerlo, rivedere i suoi piani quando un imprevisto glieli scombinava.

Per cui, per minimizzare la tensione cui i suoi nervi erano continuamente sottoposti, aveva deciso di prendere tutti i giorni il treno per il ritorno alla stessa ora, quello delle 19 e 03, fermandosi a studiare un po' in biblioteca se le lezioni terminavano prima, e perfino di sedersi ogni volta sullo stesso sedile. Era infinitamente rassicurante sapere che almeno in quell'occasione non avrebbe dovuto pensare a niente, ma poteva tenere la mente libera da ogni ansia e preoccupazione. Anzi, aveva reso quell'abitudine così costante da trasformarla in un vero e proprio automatismo, tanto che spesso si scopriva adagiata al suo solito posto inconsapevole delle azioni compiute per raggiungerlo. Le sue gambe vi si dirigevano da sole, e ormai le bastava sedersi, sfilarsi la borsa, recuperare il suo lettore mp3, indossarne le cuffie e premere play non solo per mettere in pausa lo stress, ma anche per recuperare completamente le energie dissipate nel corso della giornata durante i 20 minuti di tragitto che impiegava per raggiungere l'appartamento che aveva affittato in periferia.

Tuttavia, per quanto a quell'ora tarda la fermata da cui saliva non fosse mai troppo affollata, talvolta capitava l'inconveniente che qualcuno meno abitudinario e più rapido di lei le fregasse il posto, o che lo trovasse già occupato da un'altra persona. Davvero, davvero fastidioso, però si trattava pur sempre di un disagio occasionale, a fronte del quale cercava di esser tollerante anziché innervosirsi inutilmente.

Per questo, quel giorno non vi fece caso più di tanto. Anzi, dato che aveva dietro altri passeggeri che premevano alle sue spalle, i suoi occhi non si soffermarono neppure sulla figura che stava già impegnando il sedile cui mirava, e vagarono subito alla ricerca di un altro da occupare. Fu questione di un attimo, perché quello corrispondente sul lato opposto era ancora libero. Le parve un buon compromesso, e vi si diresse senza esitazioni prima che qualcun altro avesse la sua stessa idea e le venisse soffiato pure quello.

Una volta seduta, superò lo straniamento iniziale ripetendo con meccanicità gesti divenuti ormai rituali, compiuti i quali quasi si dimenticò dell'intoppo in cui si era imbattuta. Tuttavia, l'abitudine di voltare il capo verso sinistra ebbe la meglio, e si ritrovò ad osservare l'interno dello scompartimento anziché il panorama all'esterno.

Fu allora che la notò per davvero, la persona seduta al suo solito posto.

In realtà non era la prima volta che qualcuno calamitava il suo interesse durante il tragitto. Anzi, quello di studiare di nascosto gli altri passeggeri era uno dei suoi intrattenimenti preferiti per ingannare il tempo, soprattutto quando il paesaggio oltre il finestrino non meritava particolare interesse o comunque era reso scarsamente visibile dalle condizioni meteo.

Per la maggior parte si trattava di studenti, ed allora la sua analisi risultava piuttosto accurata. Quelli in uniforme erano ancora liceali, radunati in piccole comitive da cui proveniva un chiacchiericcio continuo ed ogni tanto scappava qualche risata o strillo incontrollato, ma la tratta e l'orario facevan sì che per la stragrande maggioranza si trattasse di universitari come lei.

Le matricole si facevano riconoscere subito, perché si spostavano in gruppetti chiassosi e sovraeccitati per ogni minima novità, che lei ignorava alzando il volume della musica, oppure perché, se da soli, si muovevano impacciati, urtando le altre persone e guardandosi attorno con spaesamento, guadagnandosi in tal caso tutta la sua compassione.

Gli studenti più navigati, invece, erano ben più silenziosi. I pigri si appisolavano a bocca semiaperta con la testa appoggiata al finestrino, i diligenti approfittavano del tragitto per sottolineare un libro di testo o sistemare gli appunti. Quelli li invidiava parecchio, perché lei non sarebbe mai riuscita ad addormentarsi in una posizione così scomoda, o comunque a risvegliarsi con altrettanto tempismo alla propria fermata, né a concentrarsi con tutti gli elementi di disturbo che l'attorniavano.

I laureandi, quelli erano inconfondibili. Si trascinavano dietro svariati tomi da consultare per la propria tesi, cui talvolta si aggiungeva il portatile se già avanti nella stesura. Erano anche quelli dall'aria più nervosa e affaticata, con profonde occhiaie a manifestare quanto lavorassero anche la notte pur di rispettare le scadenze e terminare gli ultimi esami in tempo per la propria sessione di laurea. Comunque, con l'avvicinarsi delle prove di metà semestre, quell'aria insonne aveva iniziato ad esser condivisa anche da parecchi altri studenti. Quelli, li biasimava un po'. Troppa agitazione non era salutare, e la convincevano che aveva fatto bene a studiare sin dall'inizio dell'anno in vista delle prove. Meglio faticare un po' tutti i giorni ma poter continuare a riposare a dovere, piuttosto che rischiare di ridursi all'ultimo con infruttuose maratone sui libri utili solo a farsi venire un esaurimento nervoso.

Era poi davvero facile riconoscere tra di loro i pendolari, sin da quando mettevano piede sul treno, perché erano quelli che vi si trovavano più a proprio agio. Salivano già con le auricolari nelle orecchie o un panino in mano, scendevano all'ultimo secondo ma con prontezza al loro arrivo. Si spostavano portandosi appresso uno zaino voluminoso in cui stipare tutto il necessario per trascorrere la giornata fuori casa, cui gli studenti fuori sede aggiungevano una valigia di lunedì mattina e venerdì pomeriggio, quando facevano ritorno dalla famiglia per il week-end. Erano quelli cui sapevi di poterti rivolgere per qualunque informazione, con la certezza che sarebbero stati pronti non solo a dirti il punto della tratta raggiunto ma anche a snocciolarti a memoria tutti i nomi e gli orari delle fermate di qualunque linea, e a consigliarti dove più conviene cambiare in caso di ritardi o cancellazioni persino meglio di un dipendente dei servizi di trasporto pubblico. Pur non avendo affatto ancora acquisito una simile destrezza, erano i passeggeri che sentiva a sé più affini perché, dopotutto, apparteneva anche lei alla medesima categoria, e quelli a cui andava la sua simpatia perché bastava la loro sola presenza a confortarla, a non farla sentir troppo come un pesce fuor d'acqua.

Inoltre, si divertiva a provare ad indovinare quale facoltà frequentassero, per poi controllare la sua ipotesi sbirciando il titolo dei volumi che avevano appresso o le pagine dei quaderni che tenevano aperti sulle ginocchia. Non le riusciva spesso, tuttavia possedeva un buon intuito e con la pratica aveva affinato una notevole abilità nel raccogliere indizi, badando anche ai dettagli meno evidenti ma spesso più rappresentativi.

La seconda categoria in cui si imbatteva con maggiore frequenza era quella degli uomini d'affari, gessati nei loro completi scuri e continuamente in fermento come formiche operose. Una mano serrata a reggere ventiquattrore con estrema scioltezza, neanche si trattasse di una loro naturale appendice, l'altra cellulari che suonavano così di continuo da munirsi di apposito microfono per poter conversare agevolmente anche sul treno. Di norma non si sedevano, pronti a scattare da una fermata all'altra per rincorrere i loro appuntamenti, a meno che non avessero già concluso la propria giornata lavorativa o venissero da fuori città, poiché in tal caso vi sostavano a lungo, lavorando alacremente o rilassandosi sfogliando le pagine di un libro o di un tablet. Ma anche se in tanti, erano tutti ugualmente grigi e noiosi.

Quanto alle signore, capitava di vedere qualche donna in carriera abbigliata elegantemente con tailleur e tacchi a spillo, ma per lo più si trattava di mogli gravate da borse della spesa di dimensione proporzionale alle bocche da sfamare per cena e single uscite a fare shopping in centro o un aperitivo con le amiche. Ma in nessuno di questi tre casi si soffermava più di tanto su di loro, perché finiva sempre per diventare irrequieta, nell'immedesimarsi in potenziali vesti future in cui non riusciva a vedersi affatto... Tutto quello che desiderava lei, per il momento, era vivere serena giorno per giorno.

Le persone anziane, erano le meno numerose ma tra le più piacevoli da osservare: erano uguali ovunque, in città come in campagna, e la facevano sentire a casa. Gli uomini col cappello in testa e il giornale sottobraccio, le donne uscite per andare al mercato o al tempio per recitare una preghiera. Talvolta avevano al seguito nipotini iperattivi ed esagitati o in preda alle lacrime per una caramella negata, ma sempre in grado di sfoderare un sorriso così dolce e degli occhioni tanto teneri da risultare irresistibili agli abbracci.

I più rari, ma anche i più interessanti di tutti, erano i turisti armati di cartine e macchine fotografiche. Specialmente quelli occidentali, dai lineamenti e dagli abiti così differenti dai suoi. Conoscendo solo un po' d'inglese spesso non riusciva nemmeno a capire in che lingua parlassero, ma se si sedevano vicino a lei spegneva sempre il lettore mp3 per ascoltare le loro conversazioni, cogliendo così l'occasione per assaporare spicchi di mondo che altrimenti non avrebbe mai potuto raggiungere ed assaggiare in prima persona.

A volte c'erano delle eccezioni, certo, ma riusciva comunque a ricondurre le persone in questione dentro ad uno schema predefinito.

Lui, invece, il ragazzo su cui aveva posato gli occhi, non apparteneva a nessuna di queste tipologie.

Giovane, abbastanza da poter essere un suo coetaneo, eppure all'apparenza molto più grande di lei. Questo perché era il perfetto esempio di persona cui la natura ha fatto dono di una bellezza così superiore alla norma da non potersi neppure comparare a quelle della sua età, ma solo elevarla ad un grado superiore di maturità. Rispondeva a tutti i più classici canoni estetici: aveva il fisico alto e statuario di un modello, il viso avvenente e suggestivo di un attore. Ma ciò che lo distingueva ulteriormente dalla massa era la sua aria incredibilmente adulta, persino più di tutti gli altri uomini presenti. E non tanto per il modo professionale con cui stava lavorando al computer, ma per quell'espressione così seria, la postura talmente composta, la naturalezza con cui indossava un completo che nessun altro avrebbe indossato quotidianamente, ma semmai riservato alle occasioni più formali.

Non era uno studente, ma non era nemmeno un qualsiasi uomo d'affari. Lui, apparteneva ad un altro livello, tanto inarrivabile dalla gente comune da risultare fuori posto, in mezzo a loro.

Solo questo sarebbe bastato a non farlo passare inosservato e a calamitare su di sé più di uno sguardo incuriosito, come appunto avvenne. Anche gli altri passeggeri l'avevano notato, e si erano messi a squadrarlo più o meno spudoratamente. Con un interesse persino eccessivo, tanto da non potersi ricondurre soltanto al suo aspetto, semmai giustificarsi soprattutto alla luce della sua identità. D'altronde, ciò che di lui l'aveva colpita maggiormente era stato proprio il forte senso di familiarità che aveva avvertito quando l'aveva visto. Era un volto noto, il suo. Lo conosceva, anche se non riusciva a ricordarsi chi fosse...

L'aveva distratta al punto che si era persino dimenticata di far partire la musica, e se ne rese conto solo quando sentì in modo perfettamente nitido le voci delle ragazze sedute alle sue spalle, nonostante stessero solo bisbigliando. Non ne aveva affatto seguito il discorso, però ne afferrò all'istante l'oggetto nell'udire quella dietro di lei pronunciare un nome troppo inconfondibile per poter essere frainteso. E fu così che, grazie a quella menzione, ricollegò subito i puntini del ritratto che la sua memoria da sola non era riuscita ad unire.

Era Seto Kaiba.

Adesso capiva perché tutti l'avevano riconosciuto subito ed erano talmente in fermento per la sua presenza... Anche se risiedeva lì solo da poco, era impossibile vivere a Domino e non aver mai avuto l'occasione di vedere, quantomeno in foto, il suo abitante più ricco e celebre. Anche se, più in generale, era impossibile vivere in qualunque città del Giappone, per non dire angolo del globo, e non averlo mai sentito nominare. Non sapeva molto di lui al di là di quanto assimilato di sfuggita da quotidiani e telegiornali, ma la sua reputazione lo precedeva di parecchio.

Il presidente della multinazionale il cui immenso ed avvenieristico grattacielo svettava su tutta la città, che si poteva scorgere da qualunque finestra.

Il fondatore del parco divertimenti dove la sua coinquilina aveva tanto insistito per portarla un paio di settimane prima, e che le era piaciuto così tanto che sperava di poterci ritornare al più presto.

Il campione di Magic and Wizards, il genio che ne aveva ideato la tecnologia ad ologrammi.

Quest'ultima era probabilmente la ragione principale della sua fama. A malincuore, lei aveva evitato di interessarsi troppo a quel gioco, perché le carte collezionabili erano sempre state un passatempo troppo costoso per tasche della sua famiglia, ma aveva sentito innumerevoli volte i suoi amici più appassionati decantarne le doti come duellante. Di certo, se fossero stati al suo posto non avrebbero esitato a scattargli una foto, e forse si sarebbero addirittura spinti a chiedergli un autografo...

Tuttavia, lei non era affatto così sfegatata di Magic and Wizards da osare tanto, e ancor meno le andava di aggiungersi alle già troppe persone che lo stavano bersagliando di attenzioni sfacciate quanto chiaramente indesiderate. Anche lui aveva il diritto di poter prendere un mezzo pubblico senza essere importunato durante il tragitto, supponeva. Pertanto, nonostante la sua non fosse una presenza facile da ignorare e la tentazione di guardarlo fosse forte, si sforzò di disinteressarsi a lui e di rivolgere piuttosto gli occhi sul panorama alla sua destra.

Per causa sua, si sentì irrequieta durante tutto il tragitto.

I suoi binari si erano intersecati con quelli di un treno imprevisto, la cui presenza era davvero troppo ingombrante per potervi procedere parallela senza subire turbolenze in ripercussione. Comunque, anche se l'aveva scossa, si era trattato solo di un evento eccezionale: quando sarebbe scesa dal mezzo i loro percorsi sarebbero tornati ad essere quelli predefiniti, e i suoi viaggi tranquilli e placidi come uno stagno. Anche se il sasso che vi era stato gettato ne aveva increspato la superficie al punto che le onde provocate dall'impatto si riverberarono su di lei a lungo, per tutte le ore successive. Persino quando a fine giornata si era infilata sotto le coperte, dove si addormentò ancora cullata da quella corrente, mentre i suoi sogni furono gravati dal peso della presenza estranea che, nel frattempo, era scesa giù, fino alle acque più profonde del suo inconscio.

E poi, il giorno seguente, accadde di nuovo.

Quando salì sul suburbano delle 19 e 03, scoprì che il suo posto era già stato preso. Infrequente, che un simile imprevisto si verificasse per due volte consecutive. Raro, che fosse addebitabile alla medesima persona. Assolutamente impossibile, che potesse trattarsi ancora di lui.

Eppure era lì, inconfondibile. Seduto nella stessa identica posizione, indossando persino i medesimi abiti, come se non si fosse neppure mai alzato da quel posto da quando ve l'aveva lasciato, talmente assorbito dal suo lavoro da aver continuato a dedicarvisi ininterrottamente.

Ma, nonostante sembrasse così concentrato da essersi isolato del tutto dall'ambiente circostante, non appena gli fu vicino sollevò il suo viso su di lei.

Lo stupore doveva averla involontariamente spinta a fissarlo troppo a lungo e in modo troppo sfrontato, al punto da aver calamitato la sua attenzione su di sé. Forse per un semplice riflesso automatico. Forse perché gli aveva dato l'impressione che si fosse avvicinata con l'intenzione di chiedergli qualcosa, tipo se poteva sedersi accanto a lui. Forse tanta confidenzialità l'aveva indotto a pensare che potesse trattarsi di una conoscente, del cui arrivo non si era accorto. Forse si era solo infastidito per la sua impudenza... e a ragione.

Qualunque fosse il motivo, preferì mantenere il beneficio del dubbio ed evitare ulteriori imbarazzi distogliendo subito lo sguardo da lui sbattendo le palpebre, come se stesse semplicemente cercando nei dintorni un posto dove sedersi. Con finta ma, almeno così si auspicava, ben simulata noncuranza si girò nella direzione opposta e, appurato che era disponibile, scelse lo stesso del giorno precedente, andandolo ad occupare con sollecitudine e premurandosi di mantenere il viso ben rivolto verso il finestrino. Non voleva proprio dar luogo ad altri possibili fraintendimenti, ma soprattutto voleva nascondere quelle guance che avevano all'improvviso preso fuoco, e continuavano a bruciarle davvero troppo perché un occhio esterno non potesse notare l'incendio che le stava divampando dentro, appiccato ed ancora fomentato dal ritmo furioso che le batteva in gola, le rimbombava nel petto e le ovattava l'udito. Strinse gli occhi, inspirando ed espirando profondamente, soffiando decisa per sedare al più presto quelle fiamme e quel tumulto.

Dopotutto, non era accaduto nulla per cui dovesse agitarsi tanto. Una persona così famosa era di certo abituata a sentirsi puntati costantemente addosso gli sguardi altrui quando si mostrava in pubblico. Anzi, probabilmente se l'aspettava e non vi faceva nemmeno più caso.

Eppure, di lei si era accorto... e l'aveva persino fissata.

L'aveva guardato giusto per una manciata di secondi per poi evitarlo, ma l'aveva intravisto il suo sguardo su di sé, ed aveva continuato a percepirlo anche quando gli aveva dato le spalle, tormentandola con quella fastidiosa sensazione alla base della nuca tipica di quando ci si sente osservati. Una che le era davvero molto familiare, perché a causa del suo aspetto neppure lei era una persona che riusciva a passare inosservata... Faceva di tutto pur di non attirare troppo l'attenzione con i suoi capelli ma, per quanto potesse raccoglierli o nasconderli con un copricapo, il loro inusuale candore si faceva comunque notare.

Forse se li avesse portati più corti avrebbe attirato meno l'attenzione, ma ogni volta che provava ad accorciarseli un po' quelli in breve ricrescevano ancora più lunghi e folti di prima. E di certo non aveva il coraggio di osare un taglio netto, drastico e traumatico. Già una volta, da piccola, si era lasciata convincere dalla pettinatrice a provare un caschetto, e se ne era pentita ancor prima che potesse ultimarle l'acconciatura: alla vista delle lunghe ciocche recise ai suoi piedi le erano venute le lacrime agli occhi, come se le stessero strappando via parte dell'anima, e quando alla fine si era guardata allo specchio non si era neppure riconosciuta. E continuò ad evitare il suo riflesso anche in seguito, fin quando i capelli non ritornarono alla loro lunghezza originaria e lei non ritornò a sentirsi se stessa.

Da adolescente invece, sull'esempio delle amiche e sull'onda di un moto di ribellione, aveva provato a tingerseli, ma con risultati davvero deludenti, perché anche la sfumatura più lieve andava ad aumentare così tanto il contrasto con la sua pelle chiara da farla risultare pressoché cadaverica. Inoltre, ad opera ultimata lo percepiva sempre come un gesto sbagliato, e non solo perché compiuto all'insaputa dei suoi genitori che, una volta scoperto il misfatto, di certo l'avrebbero rimproverata severamente...

Era proprio contro natura.

Contro la sua, di natura: era nata così, con quel colore di capelli. E per quanto strana, quella era una caratteristica che aveva però il merito di renderla unica. Di farla sentire speciale. Così, con il passare del tempo e con il raggiungimento di un maggior grado di maturità aveva finito per accettarsi, ed andare persino un po' fiera della sua diversità. Non era disposta a cambiare per adeguarsi agli archetipi estetici altrui, se poi non riusciva più a sentirsi bene con se stessa. Continuava a trovarsi un po' a disagio quando le domandavano scettici se la tonalità dei suoi capelli fosse per davvero naturale, oppure quando la definivano erroneamente un'albina, ma per sopravvivere alla quotidianità aveva finito per imparare ad ignorare quantomeno i curiosi che si mettevano a fissarla con troppa insistenza.

Pertanto, decise di aprire la sua borsa per recuperare il lettore mp3, infilare le auricolari e far partire la musica in modo da dimenticare quanto prima ciò che era appena successo.

Tuttavia, le fu impossibile.

I suoi occhi non riuscivano a guardare il panorama oltre il finestrino, perché erano rimasti intrappolati sulla superficie del vetro. L'unica cosa che riuscivano a vedere, era l'immagine riflessa di quel ragazzo. Quella era tutto ciò che desideravano vedere, addirittura: si erano così concentrati per riuscire a scorgerla fin nei minimi dettagli da perder completamente di vista il resto, che era diventato così irrilevante da aver quasi cessato d'esistere.

Ed il tempo trascorse senza che lei potesse averne la benché minima percezione.

La sua fermata apparve inattesa al di là del finestrino, come se qualcuno ne avesse spostato l'insegna per giocarle uno scherzo di cattivo gusto, e farle credere che dovesse scendere dal mezzo prima del tempo. Ed invece era già arrivata per davvero, realizzò con un sussulto.

Raccolse rapidamente le proprie cose e si accodò alla piccola fila di passeggeri che si era già avviata verso l'uscita. Quando la raggiunse, però, la fretta che l'aveva sollecitata rimase indietro, e nell'attraversarne le porte venne sostituita da un opprimente, insolito rammarico.

La sua era una speranza vana, ciononostante se lo augurò comunque, che potesse avere altre opportunità di rivederlo ancora.

 


 

N/A - H^o^la!

Questa fic è un po' un esperimento. Chi di voi mi sta già seguendo nella “Dark Blue Saga” avrà notato subito che ne è l'esatto opposto: stavolta ho voluto scrivere di una modern!Kisara il più possibile fedele a quella di Takahashi, in un registro introspettivo come mia abitudine ma con un tono intimistico anziché narrativo. E niente angst, dramma, cliffhanger o situazioni al limite del possibile, ve lo prometto. Solo romanticismo (per questo, l'ho inaugurata il giorno di San Valentino), e vicende che saranno quanto di più ordinario e quotidiano si possa immaginare (per questo, il titolo minuscolo sia per la storia che per i capitoli). Poi, negli intenti iniziali doveva trattarsi di una semplice shottina, ma chiaramente la mia ispirazione non conosce il concetto di sintesi... Per cui per i prossimi sabati aspettatevi altri aggiornamenti. Ah, le lyrics che avete trovato all'inizio e troverete nei capitoli successivi sono e saranno tutte tratte da “Eyes On Me”, cantata da Faye Wong (aka la colonna sonora di Final Fantasy VIII).

Bene, spero che l'incipit sia riuscito ad incuriosirvi un po'. Chiaro poi che tutti i pareri sono ben accetti e che vi ringrazio di tutto cuore per la lettura!

XOXO

- Evee

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Capitolo 2
*** from his view ***


~ da quel giorno in poi

 

“Esistono molte cose nella vita che catturano lo sguardo,
ma solo poche catturano il tuo cuore:
segui quelle.”

Winston Churchill

 

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from his view ~

 

And stay there as I whisper
how I loved your peaceful eyes on me
Did you ever know
that I have mine on you?

 

Incominciò tutto quel giorno, che non avrebbe mai dimenticato.

Era il 3 di ottobre, un lunedì. D'altronde, quando si trattava di memorizzare una data importante, era infallibile. Doveva esserlo e lo era diventato, per potersi organizzare sul lavoro. Aveva un'agenda, un assistente ed una segretaria a ricordargli i suoi impegni, tuttavia non sempre poteva consultarli e dunque fare affidamento soltanto su di loro.

Quel giorno in particolare, l'incombenza principale da sbrigare e che l'aveva tenuto impegnato per gran parte del pomeriggio era un convegno universitario, cui era stato invitato a partecipare in qualità di relatore. Lusinghiero, ma alla fine si era rivelato noioso come tutte le altre volte che gli avevano chiesto di presenziare ad eventi simili. Ciononostante, ogni tanto finiva per cedere alle periodiche, pressanti richieste della facoltà di Economia o di Ingegneria Informatica per mantenere dei buoni contatti con l'università di Domino, affinché in cambio gli segnalasse i suoi studenti più promettenti cui proporre stage o vere e proprie opportunità di lavoro, prima che aziende rivali potessero accaparrarseli o diventare loro stessi parte della concorrenza. Quanto agli altri, era sempre una piccola soddisfazione personale tenere lezione a gente con cui, fino a pochi anni prima, era stato costretto a condividere i banchi di scuola... metaforicamente parlando, s'intende. Il suo banco, non l'aveva mai condiviso con nessuno.

Comunque, non era questo il punto. Il vero motivo per cui quel giorno sarebbe rimasto impresso nella sua memoria anche in seguito non fu ciò che aveva fatto in quell'occasione, ma ciò che vi aveva visto.

Chi vi aveva visto.

Era appena uscito dall'aula magna assieme agli altri relatori, quando aveva intravisto in fondo al corridoio una ragazza di passaggio. Fu un caso, che proprio in quel momento si fosse voltato verso di lei, e fu questione di un attimo perché la notasse. Era distante un centinaio di metri, non abbastanza per distinguerne i lineamenti, però la riconobbe. O almeno così gli parve, nell'accorgersi di quanto candidi e luminosi fossero i suoi capelli.

Il suo cuore si fermò, trattenne il respiro, spalancò gli occhi.

Poi un riflesso involontario gli fece sbattere le palpebre, e come le riaprì lei era svanita. Per un secondo pensò ad un'allucinazione, ad uno scherzo del suo subconscio. Quello dopo decise che non voleva rimanere con quel dubbio a tormentarlo, e scattò fulmineo in quella direzione, piantando in asso i suoi interlocutori senza neppure congedarsi con un cenno di capo. Se ne dispiacque, ma solo perché avrebbe dovuto liquidarli molto prima.

Sbucò trafelato su un atrio così affollato di studenti che perse presto ogni speranza di ritrovarla. Erano in troppi ad ostruirgli la visuale, inoltre poteva essersi diretta da qualsiasi parte. E lui poteva essersi sbagliato.

Fece un rapido giro di perlustrazione nei paraggi guardandosi attorno, senza alcun esito. Perciò, si autoconvinse di aver soltanto preso un abbaglio. Anzi, non avendo proprio più ragioni per trattenersi in quel posto, poteva andarsene subito. E così fece, imponendosi di non ripensarci più.

Riuscì in questo suo proposito, ma solo fin quando non si ritrovò al di fuori dell'edificio. Allora si bloccò sulla scalinata d'ingresso, nello scorgere sulla strada la stessa ragazza di prima. Tempo un secondo, giusto quel che gli bastava per realizzare che non si trattava di un errore di percezione indotto da una mera somiglianza, e si era già lanciato al suo inseguimento. Questa volta di corsa, ben intenzionato a non perderla di vista una seconda volta.

Seguì così lo scintillio di quella chioma argentata fin dentro alla galleria della stazione metropolitana, a mezzo isolato di distanza dal campus. Al che lei accelerò l'andatura, costringendolo a tuffarsi con prepotenza tra la folla per riuscire a starle dietro. C'era una ressa allucinante, ma quella ragazza minuta vi passava attraverso con una fluidità a lui impossibile. Fino alla banchina gli riuscì comunque di mantenersi lungo la sua scia, che si affrettò a raggiungere la fermata di un suburbano già in attesa sui binari. Lo affiancò per tutta la sua lunghezza fino a raggiungerne l'estremità, ed infine vi salì sopra.

A quel punto si fermò ansimante, riguadagnando fiato a sufficienza per ossigenare il cervello e farsi un più che dovuto esame di coscienza, chiedendosi se quell'assurdo pedinamento non fosse già andato troppo oltre. Dopotutto, si trattava solo di una ragazza dai capelli bianchi come quelli di Kisara. Una caratteristica singolare, ma non così eccezionale. Non significava che dovesse trattarsi per forza di lei o, meglio, della sua reincarnazione...

Ma si dovette ricredere quando la vide prender posto nello scompartimento, e rivolse il viso verso il finestrino. Allora, non ebbe più dubbi: era assolutamente identica a Kisara. Due gocce d'acqua.

Attonito, si paralizzò sempre per la durata di un secondo, ma questa volta fu un secondo di troppo. Le porte del treno si chiusero all'improvviso davanti a lui e il mezzo riprese la sua corsa.

L'aveva perso, e con esso la sua occasione.

Benché non fosse affatto certo di come avrebbe dovuto sfruttarla, se ne rammaricò profondamente. Aveva smesso di credere alle coincidenze, almeno quando coinvolgevano la sua vita passata, per cui escludeva di essersi imbattuto in quella ragazza per puro caso. Proprio lei, degli oltre 7 miliardi di persone esistenti al mondo. Doveva esserci una qualche ragione, che a causa della sua titubanza non era riuscito a svelare.

Doveva rivederla ancora.

Questo fu il suo chiodo fisso per le ventiquattr'ore successive, cercando di venire a capo del problema di come fare a ritrovare una ragazza di cui non conosceva neppure il nome e non sapeva praticamente nulla, se non che verosimilmente studiava all'università di Domino e che utilizzava il treno per ritornare a casa. Cioè, come migliaia di altri studenti. Tuttavia, per quanto non fossero informazioni che l'aiutassero a restringere granché la sua ricerca, erano le sole di cui disponeva. Non gli restava che sfruttarle, per quel tanto che gli era possibile.

Fu per questo che il giorno seguente si risolse ad uscire dal lavoro mezz'ora prima e a tornare a casa non in limousine, ma prendendo lo stesso suburbano su cui l'aveva vista salire quello precedente. Di per sé come soluzione non gli era granché sconveniente: c'era una fermata proprio sotto la sede della sua società ed il tempo di percorrenza del tragitto era pressoché identico, eccettuato un breve tratto a piedi necessario a raggiungere la sua abitazione e che gli avrebbe solo offerto l'occasione per sgranchirsi un po' le gambe dopo le troppe ore trascorse seduto dietro la scrivania. Però nessuna di queste considerazioni valse a rendergliela gradita, ma soltanto sufficientemente tollerabile da poterla accettare, ed in via del tutto eccezionale.

Avrebbe potuto scrivere un trattato, sul perché odiava i mezzi pubblici.

In primo luogo, per l'intrinseca caratteristica che, per l'appunto, erano pubblici. Affollati di gente. Claustrofobici per il troppo assembramento umano che vi si accumulava quando l'offerta di spazio non riusciva a soddisfarne la domanda. Pieni di persone, di qualunque tipo e dunque anche della peggior specie, quella a lui più invisa: trasandata, chiassosa, maleducata ed invadente.

Secondariamente, erano scomodi, sporchi, maleodoranti, troppo caldi d'estate e troppo freddi d'inverno. Solo al pensiero di entrare in simili ambienti gli veniva il voltastomaco, e non riusciva a toccare nulla al loro interno senza temere il contagio di un qualche virus, ed ancor meno a prendervi posto senza poi desiderare farsi al più presto una doccia e bruciare all'istante i vestiti che vi aveva contaminato.

Terzo, erano inefficienti. Durante il tragitto insopportabilmente rumorosi e dissestati nell'andatura, fisiologicamente in ritardo nell'arrivare a destinazione. Sempre se la raggiungevano indenni, anziché essere colpiti da guasti, scioperi o cancellazioni varie ed eventuali. E lui non sopportava i fastidi di alcun tipo, né le perdite di tempo.

Per tutte queste ragioni, lui si spostava con i suoi mezzi di trasporto.

Ma, per quel solo giorno, avrebbe fatto uno strappo alla regola. Una volta, non di più. Non sarebbe mai sopravvissuto oltre, ed era disposto a fare giusto un tentativo, per lei.

Però, una volta salito sul mezzo, fu costretto a ricredersi. Era molto meno tragico di quanto si fosse prefigurato, con i dovuti accorgimenti: aveva scelto l'ultimo vagone, quello meno affollato, e si era seduto ad un posto sulle file più esterne e dunque lontane dagli altri passeggeri, ma non così esposto da esser molestato di continuo dal loro viavai attraverso le porte. Sembrava persino pulito, per quanto continuasse a non fidarsi abbastanza dell'igiene delle persone che avevano occupato in precedenza il sedile per arrivare ad appoggiarsi allo schienale. D'altronde non aveva bisogno di farlo, se stava piegato sul portatile. Se l'era portato apposta, per mettere a frutto la mezz'ora di viaggio che l'attendeva con qualcosa di più utile del guardare il panorama oltre il finestrino.

Però vi si affacciò quando, dopo un paio di fermate, il suburbano raggiunse quella nei pressi dell'università. Speranzoso, ma per nulla fiducioso di rivederla... ed invece, con suo enorme stupore, non solo la riconobbe sulla banchina, ma salì addirittura sul suo stesso scompartimento, gli si avvicinò e si sedette al posto corrispondente al suo.

Eppure, nonostante quest'incredibile fatalità, ne rimase deluso. Si era aspettato che accadesse quantomeno qualcosa, anche se non avrebbe saputo dire cosa. Era la ragazza cui era legato da millenni, ma vederla non gli provocò nessuna visione della sua vita passata, né lei diede alcun segno di riconoscimento. Anzi, lo guardò ancora meno di qualunque altro estraneo presente, rivolgendogli solo una fugace occhiata distratta...

Quando lui, invece, doveva sforzarsi per non farlo di continuo.

Contrariamente a quanto le apparenze davano ad intendere e la gente amava credere, infatti, lui si interessava moltissimo alle altre persone. Se dal suo comportamento questo non sembrava affatto, era perché in genere il suo interesse non durava più di una manciata di secondi. Gli bastava un'occhiata per vivisezionare l'aspetto altrui, studiarne i modi, decodificarne le parole, analizzando minuziosamente abbigliamento, gestualità e tono di voce. Senza peccare di superficialità, ma concentrandosi sulle caratteristiche predominanti in quelle che si trovava di fronte per poi catalogarle in base a come i tratti più salienti risultavano in linea con i suoi, in modo da sapere in anticipo se valeva o meno la pena di rapportarsi con loro e, di conseguenza, con quale atteggiamento relazionarvisi.

La stragrande maggioranza del suo archivio mentale era devoluta ad una miriade di file dalle dimensioni irrisorie, che non solo non desiderava ampliare ma a cui spesso non si preoccupava neppure di dare un nome, tanto li reputava insignificanti, per non dire fastidiosi. Li avrebbe volentieri cestinati, ma la prudenza gli consigliava di continuare a conservarli, in modo da riconoscerli con prontezza e poterli dunque evitare con altrettanta rapidità.

Erano gli scocciatori, i ruffiani, gli approfittatori.

In quanto tali li teneva ben distanti da sé, li etichettava con repulsione e li sbatteva senza troppi complimenti nel cassetto più squallido, perché non si facessero troppe illusioni, e lo chiudeva a doppia mandata, perché non provassero più a bussare insistenti alla sua porta in cerca di una raccomandazione, un lavoro, una promozione, un'intervista, un autografo, un prestito, un affare o qualunque altro tipo di favore. Quelli che volevano allungare i loro sporchi artigli su di lui per afferrare i suoi soldi, arrampicarsi sulla sua posizione. Che credevano bastasse toccarlo per diventare altrettanto famosi, venerarlo per entrare nelle sue grazie, avvicinarlo per imboccare una scorciatoia verso il successo.

Ma ancora più degradante era la collocazione che spettava ad un insieme di persone ben più numeroso, popolato da falliti, idioti e smidollati.

Con disprezzo venivano confinati ai piani più bassi, ma se non sapevano starsene al proprio posto allora non sprecava neppure del tempo ad ordinarli e li gettava a terra per umiliarli, per poterli calpestare qualora osassero di nuovo alzar troppo la cresta.

Se il primo gruppo era la feccia dell'umanità, quest'ultimo ne era la rovina.

Poi, chiaramente, c'erano anche delle classi più nobili ed elitarie, molto meno folte ma composte da voluminose cartelle. Quelle più fitte e dettagliate, aggiornate subito ad ogni nuova informazione, erano relative alle persone per lui più pericolose. Attuali rivali o potenziali nemici, concorrenti o sfidanti, non importava. In ogni caso con loro bisognava mantenere alta la guardia, pronti a difendersi da complotti, macchinazioni ed intrighi. Specialmente se astuti, falsi e manipolatori. Da tener sottocchio per prevenirne gli agguati o gli assalti frontali, scoprirne i punti deboli e cogliere le occasioni più propizie per schiacciarli prima che si potessero trasformare in una minaccia troppo seria, per distruggerli se rappresentavano già dei temibili avversari.

Nient'altro che ostacoli da togliere di mezzo per conseguire i suoi obiettivi, o vette da spodestare per affermare in qualunque campo il suo primato.

Il trattamento di questi ultimi, in realtà, non si differenziava poi molto da quello spettante a quei rari profili talmente straordinari da riuscire a suscitare in lui stima, ammirazione e dunque persino invidia... Ma queste persone più abili e dotate le posizionava nel posto che meritavano, il più dignitoso di tutti e talvolta persino inarrivabile: in cima agli scaffali, ma pur sempre in bella vista, a ricordargli costantemente della loro esistenza, finché non arrivavano ad ossessionarlo al punto da non poterne più soffrire la presenza sopra la propria testa, da arrivare ad odiarli con tutto se stesso.

Quelle erano le sue prede più ambite, le sfide da battere, i trofei che bramava sollevare, perché vincerli avrebbe significato superarsi, avvicinarsi alla perfezione.

La posizione intermedia, quella più sottomano e di agevole consultazione, era occupata da fascicoli che aveva collezionato nel tempo, scelti con cura in seguito ad una rigorosa selezione che esigeva di soddisfare una pluralità di requisiti tutt'altro che comuni. Dovevano essere persone intelligenti, se non brillanti. Competenti, preferibilmente specializzate. Precise, o ancor meglio minuziose. Efficienti e puntuali. Affidabili e riservate. Rispettose ed obbedienti. Di poche ma incisive parole. Proattive e propositive, tuttavia non così intraprendenti da prendere in autonomia decisioni che non gli spetterebbero.

Se il loro curriculum rispondeva alle sue esigenze, allora venivano ammesse ad un lungo periodo di prova disseminato di dure e costanti verifiche, per controllare che svolgessero a dovere il loro lavoro e non battessero la fiacca. Se riuscivano a resistere, a confermare le aspettative e a rivelarsi utili, allora venivano assunte a tempo indeterminato quali dipendenti, consulenti o collaboratori. I più meritevoli e leali promossi a fide spalle, cui assegnare le mansioni più delicate, e che talvolta autorizzava persino a rappresentarlo, ad agire in nome e per conto suo.

Erano davvero dei casi eccezionali, quelli, che considerava non semplici aiuti di cui necessitava per sbrigare questioni di bassa manovalanza, ma validi supporti per lui irrinunciabili ed insostituibili.

Periodicamente poi passava in rassegna tutto, per fare un po' d'ordine e pulizia.

Le informazioni superate, ormai vecchie, alla prima occasione le lanciava sbrigativamente nella spazzatura, nel tritacarte o nel camino per creare nuovo spazio.

Quelle passate, incancellabili ed indistruttibili, le imballava in ampi scatoloni da nascondere in soffitta o in cantina, rispettivamente distinguendo tra chi aveva scritto pagine importanti del suo diario da chi invece gliele aveva strappate brutalmente, tra chi gli aveva insegnato qualcosa e voluto bene da chi gli aveva funto da monito e fatto soffrire. Persone che avrebbe voluto dimenticare per non sentirne la mancanza o non ricordarne affatto l'esistenza, ma che non poteva scordare perché gli avevano lasciato parte di sé come eredità irrinunciabile, sottoforma di tesori preziosi o di debiti gravosi.

In entrambi i casi però si trattava di ricordi impolverati, memorie ricoperte dalle ragnatele, foto in bianco e nero, pagine ingiallite e sbriciolate dal tempo, parole ormai così sbiadite da risultargli illeggibili.

Da ultimo, ma primo per importanza, c'era il sacro libro che proteggeva in una solida cassaforte segreta, collocata nella sua stanza più intima e personale.

L'aveva rilegato con una copertina magnifica, e scritto di suo stesso pugno con amore e dedizione. Quello che leggeva più volentieri, ma che sfogliava sempre con attenzione per non sgualcirlo. Il solo che aveva munito in anticipo di svariate pagine bianche, certo che ben presto avrebbe desiderato riempire anche quelle e voluto assicurare a quella storia il maggior spazio possibile.

Quel volume, era la persona cui andava tutto il suo affetto.

Il bene a lui più caro, per cui sarebbe stato pronto a tutto e disposto a qualunque rinuncia pur di difenderlo ed impedire a mani indegne di rovinarlo o sottrarlo dalla sua custodia. Dopotutto valeva ben più di una qualsiasi altra edizione limitata, lui era unico ed irripetibile.

Questa era l'organizzazione e la gerarchia dei suoi rapporti interpersonali, un articolato sistema abbondantemente collaudato e perfezionato nel tempo ma che, per la prima volta, si stava rivelando inadeguato...

Non riusciva a trovare una collocazione valida per quella ragazza.

Ovunque gli sembrava fuori posto, gli veniva segnalato un errore. E questo, tutto per via di un problema a monte: aveva su di lei delle informazioni che altri gli avevano trasmesso e che non sapeva nemmeno se le appartenevano ancora, mentre i dati che era riuscito a raccogliere in prima persona erano incompleti, se non irrilevanti. Di punto in bianco si era ritrovato in mano una cartella che sentiva esser per lui di importanza vitale, quella che inconsciamente aveva cercato da sempre, ma non aveva la benché minima idea di quale fosse il suo effettivo contenuto... Tutto ciò che vi intravedeva quando provava a sbirciare al suo interno era un punto interrogativo, una domanda senza risposta, un problema sprovvisto di soluzione. E lui non sopportava vivere nell'ignoranza, né lasciare indietro questioni irrisolte. Aveva bisogno di capire chi fosse davvero quella ragazza, per poter decidere quale ruolo voleva rivestisse nella sua vita.

Dunque, non gli rimaneva che effettuare su di lei una ricerca fin quando non ci fosse riuscito. Per la precisione, un'indagine sotto copertura, che lo collocasse in un punto d'osservazione privilegiato sul suo obiettivo e che non tradisse però i suoi reali intenti, o avrebbe rischiato di vanificare ogni sforzo.

Per questa ragione mandò all'aria tutti i suoi propositi originari, ed anche il giorno seguente si premurò di uscire dal lavoro in tempo per prendere il suburbano su cui era salito quello precedente, scegliendo sempre lo stesso scompartimento e perfino lo stesso posto. Le probabilità che anche lei facesse altrettanto erano a dir poco ridicole, ma quello era il metodo più efficace di cui al momento disponeva per riuscire ad incontrarla di nuovo, o quantomeno a monitorarne gli spostamenti abituali andando per esclusione.

E, con sua somma soddisfazione, si rivelò quello giusto.

Quando il mezzo fu ormai prossimo a raggiungere la sua fermata, e lui si rivolse verso la banchina per scrutare tra la gente in procinto di salire, non tardò ad individuarla. E benché si stesse tenendo pronto ad alzarsi da sedere sollecito, per andarla a cercare in qualunque altro scompartimento si fosse diretta, non ebbe alcun bisogno di farlo: fu lei a raggiungerlo. Fece la sua eterea apparizione oltre le porte ed avanzò sicura lungo il corridoio.

Finse indifferenza, nonostante ne stesse curando con estrema attenzione gli spostamenti con la coda dell'occhio. Solo che quando arrivò in prossimità del suo posto iniziò a rallentare, gli si fermò accanto, si voltò a guardarlo. Fu un richiamo troppo forte perché gli riuscisse di ignorarlo, e sollevò il viso su di lei. D'istinto cercò i suoi occhi con i propri, ma non riuscì a trovarli, perché quelli sfuggirono subito via, disinteressati a quell'incontro. Vagarono per qualche istante in giro ed infine si posarono sul sedile corrispondente al suo, quello che aveva occupato anche il giorno prima, per poi andarlo a fare di nuovo.

Questo gli diede un'ulteriore conferma della tesi che aveva già abbozzato, ed in cui aveva riposto affidamento: non solo la sua ragazza del mistero sembrava prendere quotidianamente il treno sempre a quell'ora, ma era anche tanto abitudinaria da risultare prevedibile in modo quasi matematico. Non saliva di certo su quello scompartimento così esterno per comodità, né vi prendeva posto a caso. Dopotutto era già la terza volta consecutiva che gliel'aveva visto fare, dunque era appositamente per una sua scelta ben precisa e che poteva confidare avrebbe continuato a fare anche in futuro, benché sospettasse di averle sottratto proprio il suo preferito e di averla costretta ad accettare una soluzione di compromesso... L'aveva guardato con l'insistenza di chi si aspetta qualcosa, ed aveva abbassato lo sguardo con lo spaesamento di chi è costretto a rivedere i propri piani.

Non che fosse disposto a cederglielo, comunque. Anche lui lo trovava di suo gradimento, e soprattutto rubarglielo sembrava essere l'unico metodo efficace per attirare un po' su di sé l'attenzione di quella ragazza... Non l'aveva più degnato di una sola occhiata, da quando si era seduta. Si era messa ad ascoltare della musica rivolta verso il finestrino, ignorandolo di peso al pari, se non più, del giorno precedente, preferendo lo scorcio di un insulso panorama cittadino a quello della persona cui apparteneva più o meno indirettamente tutto ciò su cui avrebbe posato gli occhi. Normalmente le sarebbe stato solo grato di non asfissiarlo come di sicuro qualunque altra ragazza avrebbe fatto al suo posto e, comunque, riusciva a fare anche da quelli più distanti, ma si offese parecchio per quell'atteggiamento così noncurante. Forse stava semplicemente evitando di guardarlo di proposito, per eccessiva timidezza o per riserbo nei suoi confronti, ma non provava nemmeno a sbirciarlo di nascosto, neppure quando il transito di un passeggero lungo il corridoio gliene avrebbe offerto un più che valido pretesto.

E quando arrivò per lei il momento di scendere dal mezzo, gli passò davanti come se nemmeno si fosse accorta della sua esistenza.

Non sapeva proprio come interpretare il suo contegno. Un altro punto da aggiungere alla sua già lunga lista di interrogativi che la riguardavano, e di cui aveva davvero poche chance di liberarsi entro breve, almeno finché tutti i loro contatti si fossero risolti in quel modo. Inconveniente che l'indispose, ma non quanto s'indignò per come quella ragazza impudente si divertisse a farsi rincorrere. Per lui, ricevere l'attenzione altrui, in qualunque accezione, era naturale e scontato come respirare, ed invece ora si ritrovava costretto ad attirarla su di sé come se l'aria attorno si fosse all'improvviso rarefatta, facendolo annaspare alla ricerca dell'ossigeno che gli era necessario.

Non gradiva quella sensazione proprio per nulla, però doveva ammettere che nel suo complesso la situazione lo stava intrigando sempre di più. Era una specie di sfida, ed esercitava su di lui il fascino irresistibile della conquista.

Si trattava di un desiderio irrazionale, ma comunque era innegabile, che voleva rivederla ancora.

 


 

N/A - H^o^la!

Ebbene, ecco qui “la versione di Kaiba”, ladro incallito e stalker recidivo... D'altronde credo si fosse intuito che la sua presenza sul treno non era affatto un caso, e che la storia sarebbe stata un post-Canon, per come inteso nell'animeverse. Comunque, anche i prossimi capitoli narreranno a due a due le stesse situazioni viste prima dal PoV di Kisara e poi da quello di Seto, ma comunque non dovrebbe risultare troppo noioso dato che risulteranno parecchio diverse a seconda dell'osservatore. Le prossime coppie avranno una lunghezza variabile, ma si aggireranno per entrambi i protagonisti sempre sullo stesso numero di parole perché sì, sono fissata con i parallelismi.

Detto questo, vi ringrazio tantotanto per la lettura e vi do appuntamento a sabato prossimo!

XOXO

- Evee

 

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Capitolo 3
*** with her sight ***


da quel giorno in poi ~

 

“Quasi nulla deve essere detto,
quando sai usare gli occhi.”
Tarjei Vesaas

 

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~ with her sight

 

Darling, so there you are
with that look on your face,
as if you're never hurt,
as if you're never down...

 

Accadde di nuovo. Il giorno dopo e tutti quelli che ne seguirono.

Passarono le settimane e i mesi, ma lui c'era sempre. Era apparso come una sorpresa inaspettata, aveva finito per diventare una presenza fissa, una vera e propria certezza. Sempre seduto lì, al posto che un tempo considerava il suo ma di cui lui l'aveva spossessata, facendolo diventare il proprio. Ormai non sperava nemmeno più di riuscire a riprenderselo, ed andava senza troppi indugi a sedersi su quello che aveva finito per diventare il suo nuovo “solito posto”. Anzi, forse lo preferiva persino a quello precedente, perché dal suo finestrino poteva godere di una vista infinitamente migliore, su un paesaggio che poteva sembrare immutato ma di cui riusciva a cogliere ogni giorno dettagli nuovi.

Lui era un panorama di cui non si stancava mai.

Ciò che sin dall'inizio la colpì maggiormente, era che vestiva sempre allo stesso modo.

Chiaramente non si poteva trattare degli stessi abiti, ne possedeva svariati d'identica fattura. Questa sua scelta così costante lo rendeva riconoscibile in maniera pressoché iconica, però dubitava che il suo scopo fosse solo questo: era già abbastanza famoso e carismatico, non aveva bisogno di simili sotterfugi per porsi al centro di un'attenzione che avrebbe calamitato su di sé in ogni caso. E riteneva che non fosse neppure dettata da una mera esigenza di praticità, perché troppo pigro o disinteressato per perder tempo la mattina pensando a come vestirsi. Non solo doveva disporre di un esercito di domestici più che pronto a consigliarlo e a liberarlo da un simile aggravio ma, anzi, si notava con quanta attenzione curasse quotidianamente il proprio aspetto.

Addirittura in ogni minimo dettaglio.

Ciononostante non le dava l'idea di una persona vanesia, ma solo di una molto ordinata. Nel modo quasi maniacale e compulsivo di una che non lascia mai niente al caso, che non tralascia mai nulla, certo, ma analogo a quello che pareva animarlo in qualunque frangente, come se pretendesse di poter evitare con la propria efficienza ogni possibile inconveniente.

E poi, se la moda fosse stata una sua priorità, avrebbe preferito indossare ogni giorno degli abiti diversi, se non completamente nuovi. Di certo era abbastanza ricco per poterselo permettere, come sfizio... Magari non lo faceva solo perché preferiva investire i propri soldi in altro modo, tuttavia non le pareva affatto una persona avara, tirchia. Anzi, le sembrava più uno che, quando desidera acquistare qualcosa per sé, non bada nemmeno al prezzo sul cartellino. D'altronde il completo che indossava gli calzava così a pennello che verosimilmente non era solo d'alta sartoria, ma doveva esser stato confezionato su misura apposta per lui. Però non aveva neppure con sé troppi beni, quindi non era una persona superficiale, materialista. Possedeva e dunque acquistava soltanto quei pochi oggetti di cui non poteva fare a meno o aveva necessità e che, dovendo fare propri, sembrava desiderare che fossero non solo in linea con i suoi gusti ricercati, ma anche quanto di meglio si potesse trovare sul mercato.

Esigente, pretenzioso e perfezionista, dunque...

Normalmente, un insieme di caratteristiche che appare sgradevole, frutto di un difetto caratteriale. Su di lui, però, era più che appropriato. Dopotutto quel rigore non era funzionale a creare un'apparenza feticcia, ma a rispecchiare la realtà. Rifletteva un'interiore, idealistica essenza. Per questo, anche se gli stava molto bene, riteneva che il suo modo di vestire non fosse determinato da un puro gusto estetico, ma da una scelta molto più intima e personale. Non seguiva semplicemente un certo stile, ma ne aveva costruito uno che fosse per davvero suo. E di nessun altro. Puntava all'unicità perché era e dunque voleva sentirsi unico.

E non poteva che approvare la sua scelta perché, per quanto la sua immagine sarebbe risultata ottimale anche con altre vesti, con quelle la resa era a dir poco eccezionale.

Si trattava di un completo dalle linee eleganti, ma con il taglio formale tipico di un abbigliamento d'ufficio. Gli calzava a pennello, perché ne sagomava la fisionomia senza però costringerla, ed anche in corrispondenza dei gomiti e delle ginocchia il tessuto si piegava senza tirarsi. E non era mai stropicciato: pareva quasi appena lavato e stirato, anziché indossato per un'intera giornata lavorativa. Anzi, a differenza degli altri uomini a bordo, neppure sul treno si sfilava la giacca, e si limitava a lasciarla aperta sul davanti per non tenderne troppo i lembi. Non gliel'aveva mai visto fare, ma era pronta a scommettere fosse un gesto quasi automatico, per lui, quello di slacciarsi uno dei bottoni sul davanti nel sedersi e riallacciarselo nel rialzarsi, con la sciolta naturalezza che i veri signori maturano nel tempo, ma che in lui appariva per giunta innata. Era proprio il tipo di persona così distinta che, a prescindere dalla temperatura e dalle circostanze, non avrebbe mai rinunciato alla sua grazia, che mai avresti potuto cogliere con la cravatta allentata e le maniche della camicia rimboccate fino ai gomiti. E non per evitare di contravvenire all'etichetta o apparire trasandato, bensì perché quell'abbigliamento non sembrava essergli di alcun fastidio... Lo portava come se fosse una seconda pelle, e vi si trovava con lo stesso agio con cui un re indosserebbe la propria corona.

Ma ciò che più l'ammantava di questa sua aura aristocratica, quello era il colore: il più impegnativo ed appariscente di tutti, un bianco immacolato.

Era perfino spiazzante perché, anche se non era un esperta di abbigliamento maschile, sapeva per esperienza che nessun uomo avrebbe mai osato tanto, se non quelli più intraprendenti ed esibizionisti, e comunque solo per eventi davvero eccezionali. Era una tinta da red carpet, non certo da tutti i giorni... Non era abbastanza pratico, esigeva troppa attenzione a non macchiarlo. Forse non nei luoghi lindi e raffinati che gente come lui doveva frequentare, ma di certo era il meno consigliabile per salire su un mezzo pubblico.

Eppure, nemmeno l'ambiente più squallido sembrava in grado di scalfirne il candore, come se fosse troppo puro per poter essere contaminato da agenti esterni. Anzi, era così intenso da nobilitare quasi lo spazio a lui circostante. E persino le scarpe, dei mocassini di cuoio stringati, erano sempre perfettamente bianche. Mai sporche, mai impolverate... Il che aveva davvero dell'impossibile. Per quanto si possa avere un'andatura regolare e badare a dove si cammini, non si può rimanere sempre del tutto intonsi. Di certo a lui nessuno osava pestare i piedi, ma non poteva essere talmente immune agli imprevisti, insomma!

Doveva camminare non sopra, ma al di sopra da terra, non c'era altra spiegazione...

Un tocco di colore era dato invece dalla camicia. Come è consuetudine negli ambienti d'affari era azzurro cielo ma, dato che lui non pareva proprio il tipo che si fa influenzare da simili dettami, era più incline a pensare che avesse scelto questa tonalità apposta per richiamare quella dei suoi occhi. E l'abbinava anche alle calze, che si riuscivano ad intravedere sotto l'orlo sollevato dei pantaloni ma che, comunque, erano abbastanza alte da non lasciar scoperte le gambe, eventualità tanto frequente negli uomini quanto di cattivo gusto.

Infine, a smorzare l'accostamento tra tinte altrimenti troppo fredde, finiva il suo completo con una sottile cravatta blu oceano. Ed era pronta a giurare che anche in questo caso non avesse scelto il colore semplicemente perché rappresentava la combinazione migliore, ma per un suo volere ben preciso. Non poteva che trattarsi di un omaggio alla sua carta di Magic and Wizards preferita, il famoso Blue-Eyes White Dragon.

Era il simbolo della Kaiba Corporation, dopotutto... Quasi la sua stessa effigie.

E anche lei, sin dalla prima volta che le era capitato di vederne l'immagine, aveva sentito di condividere appieno questa sua predilezione. Si diceva fosse una delle carte più rare e potenti del gioco, eppure ciò che lo rendeva tanto speciale non era né il suo valore, né il suo prestigio, poiché riusciva ad incutere un incredibile timore reverenziale con il suo solo aspetto, con il misticismo quasi tangibile che ne rivestiva tutta la figura. A dispetto, infatti, di quanto le sue zanne acuminate potessero conferirgli un'aria feroce, aveva delle fattezze così sinuose, leggiadre e sfavillanti da lasciare incantati, e i suoi grandi occhi blu apparivano assieme limpidi come la sincerità, profondi come la saggezza.

Esercitava insomma un fascino magico e arcano, ma incarnava più di tutto una brillante purezza.

Quindi, ipotizzava, se amava tanto ammantarsi del suo bianco non era solo per rievocarlo, ma proprio perché l'ambiva, questo fulgido e sacro splendore. L'indossava per appropriarsene, per elevare il suo aspetto già regale ad un rango quasi divino. E non per sembrarlo e basta, ma per sentirsi tale, perché sembrava preoccuparsi più del giudizio che aveva lui di sé, che di quello altrui.

Ma, anche se oramai l'aveva visto sotto queste sembianze così tante volte da non riuscire a figurarselo diversamente, le sarebbe piaciuto vederlo vestito anche in una maniera più semplice, ordinaria. Più umana, più vicina al suo mondo...

E a quello cui anche lui avrebbe dovuto appartenere, in realtà. Perché, per quanto ne ammirasse l'aspetto, le sembrava il frutto di uno sbaglio. Non evidente alla vista, ma comunque percepibile. Il grave errore esistenziale del vestire non i panni del ragazzo che avrebbe dovuto essere, ma quelli di un bambino diventato adulto troppo in fretta, costretto a crescere tutto d'un colpo senza poter apprezzare un po' di spensierata, giusta normalità.

Però, per quanto le dispiacesse per lui, ormai il danno era fatto. Il tempo trascorso non può essere riavvolto, e ci sono esperienze che si possono vivere solo in un certo periodo della propria esistenza. Indubbiamente se riusciva a gestire tutte le responsabilità connaturate alla sua posizione era perché ben più maturo della maggioranza degli adulti, ma altrettanto verosimilmente non doveva aver avuto molte occasioni di diventarlo anche da un punto di vista emotivo. Sarà stato pure il presidente di un'impresa multimiliardaria, però se aveva scelto di dedicarsi esclusivamente alla produzione di videogiochi e alla gestione di parchi divertimento non poteva essere solo per etica personale...

Era rimasto proprio un bambino dentro.

E, se non si hanno opportunità per imparare a gestire i propri sentimenti, il solo modo per non esserne travolti è quello di sopprimerli del tutto. Di certo era per questo, se la sua espressione era tanto impassibile, e il suo fare così distaccato.

Eppure, quando lo guardava, quella che vedeva non era affatto una persona del tutto insensibile, ma solo una molto triste... C'era un velo di malinconia, che offuscava il suo sguardo, mentre le sue labbra, strette in una piega amara, insoddisfatta, sembravano incapaci di gioire in maniera sentita.

E, forse, era proprio per questo conflittuale connubio tra il suo aspetto esteriore e quello interiore, del tutto incontaminato fuori ma così drammatico dentro, se non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, e continuava a pensare a quanto fosse tremendamente bello.

La sua, d'altronde, non era affatto una bellezza poetica, come quella tipica di un eroe romantico o di un principe immaginario, di cui ci si innamora a prima vista, da cui ci si può aspettare solo parole dolci, attenzioni gentili e cavalleresche, con cui si può progettare di sposarsi, metter su famiglia, viver per sempre felici e contenti. Pareva più uno spirito tormentato dal proprio passato, condannato a vagare nel mondo in cerca di redenzione, che ha conosciuto la dannazione e che ogni tanto ritorna a farci visita, quando ricade nelle vecchie abitudini. Uno che rappresenta una fonte di pericolo, non un'ancora di salvezza.

Ma non era neppure una bellezza sensuale, da seduttore che ti avvicina, ti affascina e ti conquista, capace di farti cadere ai suoi piedi con un semplice schiocco di dita e trascinarti subito in un vortice di passione. Al contrario, tutto in lui indicava quanto fosse una persona in grado di gelarti e annichilirti con modi freddi e duri come il ghiaccio, di offenderti e ferirti con parole affilate e taglienti come il diamante. Uno che non cerca mai nessuno ma mantiene sempre le distanze, ed allontana chi per avventura gli si avvicina troppo.

Eppure lo trovava comunque bellissimo, perché era davvero di una bellezza rara, intrisa di mistero. Una che suggerisce un segreto talmente recondito che lo sguardo riesce appena ad intravederlo, e così inafferrabile da apparire sempre diverso, quasi cangiante. Una da cui, dopo averveli posati, non si riesce più a distogliere gli occhi, perché se ne resta incatenati, incantati dal suo fascino magnetico. Quella bellezza che non basta una sola volta per coglierla appieno, ma che soltanto col tempo si può scoprire ed apprezzare in tutta la sua intensità.

E, per quanto potesse sforzarsi di trovargli un qualche difetto, ogni suo tentativo di disincanto veniva vanificato dal sempre più fermo convincimento che fosse quanto di più simile alla perfezione un essere umano possa incarnare.

Era molto alto, eppure perfettamente proporzionato. Teneva la schiena ben dritta, le spalle aperte, a suggerire un portamento fiero, orgoglioso, di chi cammina sempre a testa alta e non abbassa mai lo sguardo. Aveva una corporatura asciutta, magra ma non troppo, con un busto ben tornito, braccia muscolose, vita stretta e sottili gambe lunghe. Probabilmente era sottoposto ad un perenne stress e ad un tale dispendio di energie mentali da bruciare molte più calorie di quante il suo corpo potesse assimilare. E non escludeva che, per riuscire a destreggiarsi tra impegni consecutivi ed appuntamenti sovrapposti, fosse talvolta costretto a seguire orari talmente rigidi e lavorare così ininterrottamente da saltare addirittura il pranzo.

Comunque, sembrava che si preoccupasse anche di non trascurarsi troppo, perché non era per nulla sciupato. Doveva seguire un'alimentazione sana e bilanciata, cercando di mangiare con moderazione e regolarità a prescindere dal suo appetito. Inoltre, dal suo fisico tonico si capiva quanto dedicasse al corpo pari attenzione, non in modo maniacale ma comunque costante, ritagliando quotidianamente qualche momento per tenersi in forma.

Il cibo non pareva dunque un suo vizio, né sembrava praticare esercizio fisico per vanità. Supponeva che, dal suo punto di vista, non fossero nient'altro che risorse a lui indispensabili per mantenere efficienti le proprie funzionalità. E, verosimilmente, si teneva con altrettanta cura a debita distanza da tutto ciò che poteva comprometterle o renderle dipendenti da altro da sé: alcool, fumo, droga... qualunque sostanza potenzialmente nociva. Forse la caffeina faceva eccezione, se costretto a combattere il sonno, ma sospettava preferisse ricorrervi solo in caso di estrema necessità, ed assumendone comunque il meno possibile per evitare il pericolo dell'assuefazione. D'altronde non sembrava affatto il tipo di persona che finisce per farsi così sopraffare dal successo da abbandonarsi alla perdizione, come spesso accade quando si diventa altrettanto ricchi e famosi ad un'età così giovane. Non metteva in dubbio che, se l'aveva raggiunto con tanta facilità, lo doveva soprattutto a chi aveva presieduto la sua società in passato, però era unicamente merito suo se poi era riuscito a mantenerlo e persino ad accrescerlo. Si diceva che fosse un vero e proprio genio ma, per riuscire nella vita, l'intelligenza da sola non basta... La sua doveva esser stata una vita costellata di duro lavoro ed estremi sacrifici.

Escludeva dunque in toto che, per mero sfizio, potesse anche solo rischiare di cadere in brutte abitudini, o comunque di mettere a repentaglio quanto da lui conquistato con così tanta fatica ed impegno. Era ragionevole che puntasse semmai a conservare il pieno controllo sul proprio operato, e dunque a mantenere ancor prima quello su se stesso.

Non c'era suo gesto, d'altronde, che non risultasse voluto e misurato. Nonostante muovesse di frequente le mani, e ben più di qualunque altra parte del corpo, quasi con fare iperattivo, lo faceva sempre con movenze estremamente sicure e posate, che nell'attraversare l'aria riuscivano ad ipnotizzare con l'eleganza di un prestigiatore e digitavano sulla tastiera del computer con la stessa maestria di un pianista navigato. Anche lei riusciva a scrivere al pc senza guardare troppo i tasti, ma lui non abbassava mai lo sguardo per controllarli o correggere eventuali errori: dattilografava in maniera assolutamente perfetta, con una rapidità davvero impressionante. Se staccava le dita era solo per sgranchirle in uno schiocco, oppure per intrecciarle davanti alle labbra quando si fermava a riflettere o a leggere qualcosa.

E non avendo solo delle mani affascinanti, ma anche oggettivamente belle, ben curate e dalle dita affusolate, arrivava a trasmettere una sensualità davvero da brividi. Il loro tocco doveva essere persino più stupendo della loro vista...

O almeno così supponeva, non potendo verificarlo di persona. Né ora, né mai. Nulla le impediva di fantasticarci un po' su, ma per il resto bisognava rispettare il tradizionale imperativo del “guardare e non toccare”. Anzi, ancora che le era concesso il privilegio del guardare...

E ciò su cui più amava soffermarsi, ciò che di lui trovava davvero mozzafiato, quello era il suo viso.

Era assolutamente perfetto, liscio e marmoreo come quello di una statua greca. Aveva la mascella squadrata, smussata da un mento appuntito, ma non troppo evidente, e gli zigomi alti, quasi taglienti, che però non gli scavavano il volto e contribuivano, semmai, ad accentuarne l'aria matura. Il naso era lungo, aquilino e a dir poco geometrico, tanto era privo di irregolarità. Stessa cosa dicasi delle labbra, entrambe ugualmente sottili e di pari sporgenza. Dunque, pur non avendoli mai visti, avrebbe scommesso che avesse pure dei denti perfettamente dritti, e candidamente scintillanti come tutta la sua persona. E neppure sulla conformazione delle orecchie le riuscì di muovere una qualche obiezione. Forse erano un po' più grandi della media, eppure su di lui le parve appropriato, come se ciò fosse una naturale conseguenza di un udito acuto, costantemente vigile ed attento.

Quanto ai suoi capelli, erano castano scuro, con gli stessi riflessi del legno pregiato. Folti e lucenti. Portava un taglio sfilato, simmetrico, leggermente più lungo dietro alla nuca e davanti alla fronte. Aveva una frangia piuttosto fitta che però non si scostava mai, non ricadendogli sugli occhi bensì poco sopra, all'altezza delle sopracciglia, con una precisione a dir poco millimetrica. Doveva regolarla di frequente perché si intravedevano appena, quasi si confondevano con i capelli. E, a suo giudizio, era una scelta che gli donava molto, perché dava profondità al suo sguardo ed enfatizzava ciò di cui più si poteva vantare...

I suoi occhi, la parte che di lui preferiva.

Dipinti delle sfumature d'azzurro più intense, brillanti e penetranti. Costantemente attenti e concentrati su dettagli che solo loro parevano in grado di cogliere, al punto che sbattevano le palpebre in maniera quasi impercettibile. Che o scrutavano di sottecchi o fissavano spudorati, senza mezzi termini. E a dir poco temibili, tanto erano esperti nel fulminare chi l'indispettiva, gelare chi voleva intimidire ed incenerire chi lo faceva infuriare.

Eppure, erano anche degli occhi così irresistibili che faceva sempre più fatica ad evitarli, quando gli si avvicinava.

Ma si costringeva ad ignorarlo, il loro richiamo. Temeva che, se avesse incrociato anche solo per un attimo quello sguardo, poi non sarebbe riuscita più a liberarsi dalla sua prigionia. Gli occhi sono lo specchio dell'anima, e la sua appariva di una complessità a dir poco spaventosa, un labirinto di cunicoli nascosti in cui, se troppo inesperti, ci si può smarrire fino a perdersi o, comunque, dalle cui profondità si rischia di non riuscire a riemergere indenni. E lei non si sentiva affatto in grado di superare una simile prova, né abbastanza temeraria da affrontare un'accoglienza tanto imprevedibile, ma che probabilmente si sarebbe rivelata ostile come capitava a chiunque osasse chiedergli il permesso d'entrare. Si accontentava di rimirarli così, in maniera indiretta e da una prospettiva che, seppur insoddisfacente, la teneva al sicuro.

In merito, invece, ai suoi intrattenimenti durante il viaggio, c'era da dire che non erano per nulla variegati, e prevedevano tutti l'utilizzo del suo portatile.

Per la precisione si trattava di un notebook, bianco e dall'aria costosa proprio come qualunque altro oggetto in suo possesso. Con uno schermo davvero ultrapiatto, e così sottile che sarebbe bastato un nonnulla per spezzarlo. Tuttavia, nelle accorte mani del suo proprietario si poteva considerare più che al sicuro da ogni sorta d'incidente. Doveva contenere dati per lui troppo preziosi, a cui aveva dedicato troppo tempo, per poter correre il rischio di perderli a causa di una banale negligenza. Anzi, chissà con quanti firewall, antivirus e password li proteggeva... Comunque, di certo era abbastanza avveduto da premurarsi di salvare quelli più importanti anche su altri supporti o database. E di certo non era quello il computer che utilizzava più frequentemente. A casa come al lavoro doveva possederne altri con maggiore memoria, autonomia e, soprattutto, con uno schermo più grande. Quello era di dimensioni considerevoli, ma comunque calibrate su quelle della sua ventiquattrore per potergli risultare non troppo ingombrante e il più possibile maneggevole.

Secondo lei, però, sarebbe stato meglio che approfittasse del viaggio per staccarsene un po'. Chissà quante ore ci passava già sopra durante la giornata... troppe, a giudicare dal lampante attaccamento morboso che andava dimostrando. A continuare così, rischiava seriamente un calo di vista. Anzi, forse soffriva già di un qualche disturbo, ed indossava delle lenti a contatto. Dopotutto sarebbe stato un vero peccato nascondere i suoi occhi dietro a delle lenti, senza considerare che portare un paio di occhiali l'avrebbe invecchiato terribilmente. Ed anche se la sua perfezione intrinseca gli avesse permesso di conservare ogni diottria, restava il fatto che un'eccessiva esposizione allo schermo del computer può provocare disturbi del sonno, e lui aveva già fin troppe occhiaie a segnargli il suo bel volto.

Si vedeva lontano un miglio che soffriva d'insonnia.

Però escludeva fosse causata dallo stress o dalle troppe preoccupazioni. Era un tipo sicuro di sé, lui. Più probabilmente, iperattivo com'era, doveva essere perché non riusciva a mettere in pausa i pensieri neppure a notte inoltrata. Se avesse provato a svagarsi un po' di più, magari, sarebbe riuscito a riposare meglio...

E invece, lavorava sempre.

Non l'aveva mai visto fare altro, né aveva con sé nulla che non fosse inerente alla sua professione. Se occasionalmente capitava che aprisse la sua ventiquattrore, era solo per estrarre dei fascicoli che sfogliava per un rapido controllo, oppure delle pagine da ricopiare al computer. Queste, per lo più, non erano che degli appunti scritti a mano, riempiti fitti, senza lasciare spazi, da una grafia allungata e spigolosa, eppure al tempo stesso così regolare da potersi leggere chiaramente, senza fatica. Insomma, così ben definita da non poter essere che la sua.

Tuttavia, a volte si chiedeva se in quella valigetta non fosse contenuto anche dell'altro...

La socchiudeva con circospezione, appoggiandola sul sedile affianco e tenendola ben rivolta verso di sé, cosicché soltanto lui riuscisse a vederne l'interno, per poi estrarre quanto di sua necessità e richiuderla in fretta. Inoltre, non era affatto la classica cartelletta in pelle che si utilizza negli ambienti lavorativi, ma assomigliava più ad uno di quei contenitori di cui ci si servirebbe per trasferire oggetti preziosi nel caveau di una banca: di metallo laminato, all'apparenza sottile e leggera ma comunque dall'aria resistente, blindata. E si chiudeva con un paio di lucchetti a scatto, oltre che con una combinazione numerica. Era chiaro quanto tutti questi accorgimenti fossero funzionali a proteggere il suo contenuto da ogni possibile urto o agente atmosferico, e ad assicurarsi che nessuno potesse impadronirsene in caso di furto. Benché, secondo lei, neppure il più abile dei ladri sarebbe mai riuscito a rubargliela. Di certo sia l'aspetto che l'identità del suo proprietario la rendevano un bottino più che allettante, ma lui la custodiva gelosamente, tenendola fuori dalla portata di chiunque e, probabilmente, anche in strada la reggeva con mani così salde che sottrargliela doveva essere quasi un'impresa impossibile. Anzi, se l'avesse utilizzata per colpire un aggressore era certo che con quegli spigoli gli avrebbe fatto molto, ma molto male...

In ogni caso però, giudicandolo una persona così cauta e prudente da sfiorare la paranoia, escludeva portasse in giro documenti importanti, in unico esemplare o contenenti informazioni strettamente riservate sulla sua società. Anche lei, al suo posto, non avrebbe mai voluto correre il pericolo di rovinarli, e ancor meno quello di smarrirli... Dunque non poteva essere per conservare quelli, se utilizzava una valigetta così rinforzata. Vi riponeva anche il suo notebook, vero, però era talmente sottile che non giustificava comunque perché fosse anche tanto spaziosa in ampiezza. Doveva esser pensata per contenere qualcosa di spessore considerevole ed ingombrante, a cui però teneva così tanto da volerlo avere sempre con sé per l'evenienza.

Avrebbe scommesso che c'era anche il suo Duel Disk, lì dentro.

E poi si vedeva, quando la prendeva, da come fletteva le braccia per sollevarne il peso, che al suo interno non c'erano solo dei banali fogli di carta. Doveva servirsene anche e soprattutto per riporvi il suo preziosissimo, inestimabile deck. D'altronde dagli amici che giocavano a M&W le era stato spiegato più e più volte, con tono enfatico ed aria solenne, che non è come un hobby qualsiasi, da praticare nel tempo libero, perché rappresenta uno stile di vita. I veri duellanti, lo sono a tempo pieno, e devono essere sempre pronti a raccogliere una sfida, in qualunque luogo e in qualsiasi momento. E guai a definire le loro come delle semplici partite a carte, si offendono a morte se si sminuiscono quelli che considerano dei veri e propri combattimenti all'ultimo sangue. Prendono quel gioco terribilmente sul serio... Per cui, immaginava che lo stesso discorso potesse valere anche per Seto Kaiba.

Soprattutto per Seto Kaiba.

Non solo tutta la sua esistenza ruotava intorno al Magic and Wizards, ma era stato proprio lui a trasformare quel gioco rendendolo così realistico da non potersi più definire tale. Dunque, per lui doveva avere un'importanza a dir poco vitale e, probabilmente, nel definirsi pensava più a se stesso come ad un duellante, che ad un imprenditore... Ce lo vedeva ad interrompere qualunque sua attività, persino le riunioni più importanti dal punto di vista lavorativo, pur di poter affrontare a duello un avversario per lui valido. E, forse, era proprio la competizione, la sua unica, vera priorità.

Non l'aveva mai condivisa in prima persona, però c'era indubbiamente qualcosa di davvero coinvolgente, attraente in modo quasi viscerale, in questa sua passione così assoluta.

Anzi, se ne sentiva così intrigata che iniziò a chiedersi come sarebbe stato, poter assistere ad uno dei suoi duelli. Quelli che le era capitato di vedere parevano quasi degli spettacoli, capaci di tirar fuori anche dai giocatori più timidi ed insicuri una determinazione incredibile, e un antagonismo davvero pauroso. Lui, dunque, che era così appassionato, abile e carismatico, doveva essere a dir poco elettrizzante. Un vero trascinatore di folle.

Benché fosse estremamente arduo immaginarselo in simili vesti impetuose, lui che manteneva sempre un contegno talmente tanto controllato.

Anche fin troppo controllato... non in maniera forzata, però comunque eccessiva, innaturale. Ma, forse, era proprio per quello se le piaceva immaginare che potesse esserci anche qualcosa capace di scuotere un po' quel suo atteggiamento così algido ed imperturbabile, e tirargli fuori in tutta la loro intensità i suoi istinti, le sue emozioni... strappargli un sorriso.

Quando invece era sempre così, il ritratto dell'indifferenza.

Sedeva in una perenne compostezza, impassibile ad ogni scossone persino nei tratti più accidentati, e neppure in caso di frenata batteva ciglio, reclinando la schiena all'indietro in modo pressoché impercettibile.

Anzi, non l'aveva proprio mai visto appoggiarsi al sedile.

E, vista la cura con cui ne evitava il contatto, aveva iniziato a sospettare fosse un po' germofobico. Dopotutto era troppo impegnato per potersi permettere d'assentarsi per malattia dal lavoro, e così stacanovista che probabilmente non voleva neppure correrlo, un simile rischio... ed infatti non era mai mancato un solo giorno. Anzi, appariva sempre in perfetta salute: non un colpo di tosse o uno starnuto. Saltuariamente piegava la testa a lato per sgranchirsi il collo, ma se gli dava fastidio era soltanto perché lo teneva in una posizione troppo rigida, non certo perché soffriva di cervicale. E, per la medesima ragione, ogni tanto cambiava la gamba che teneva accavallata. Ma solo per poco. Il tempo di riprendere sensibilità, e ritornava nuovamente ad incrociare la destra sulla sinistra, invadendo senza troppe remore lo spazio vuoto che aveva accanto. E l'occupava con una tale ostentazione da indurla a pensare che non lo facesse affatto per comodità. Se così fosse stato, avrebbe semmai preferito distendere entrambe le gambe...

No, desiderava proprio che quel posto rimanesse sgombro.

La sua era una precauzione atta a prevenire il tentativo da parte di chicchessia di sedersi al suo fianco, un messaggio tacito ma inequivocabile che l'altrui presenza non sarebbe stata affatto gradita. I soli occupanti ammessi, erano la sua preziosa valigetta e l'elegante cappotto color ghiaccio che aveva iniziato ad indossare con l'abbassarsi delle temperature, ad autunno inoltrato. Certo, visto che lo scompartimento non era mai così pieno da esigere che, per buona creanza, si lasciasse accanto a sé il posto disponibile, aveva tutto il diritto d'ingombrarlo per potersi sedere più a suo agio, eppure sospettava che non l'avrebbe mai liberato in favore di nessuno, neppure a beneficio di una signora anziana. Magari giusto se glielo chiedeva esplicitamente, per non apparire villano... ma solo in tal caso. Di certo non a fronte di sue ammiratrici o, più in generale, potenziali scocciatori.

L'avrebbe notato anche un cieco, quanto non li sopportasse e desiderasse tenerli a debita distanza.

Già solo quando capitava che salissero delle persone particolarmente chiassose o volgari stringeva le labbra dall'irritazione, quasi fino a farle diventare livide, e corrucciava le sopracciglia fino a ridurre lo sguardo a due fessure. La sua soglia di tolleranza era davvero, davvero bassa... e lui decisamente esagerato. Non solo non si sforzava di nascondere la propria insofferenza, ma anzi non la tratteneva minimamente: se qualcuno gli risultava troppo molesto non esitava a voltarsi di scatto e ad incenerirlo con un tale astio da far ammutolire all'istante l'intero scompartimento.

Eppure, forse perché non ne era mai stata il bersaglio, non considerava il suo un modo di fare poi così antipatico...

Lo trovava terribilmente divertente, in realtà. Ormai riusciva persino ad indovinare, a fronte dello schiamazzo di turno, se e dopo quanti secondi avrebbe raggiunto il limite della sopportazione. Ovviamente, in tal caso si sforzava di non scoppiare a ridere... Però, per quanto potesse mordersi la lingua, un sorriso le sfuggiva sempre dalle labbra.

E poi, aveva i suoi vantaggi: da quando c'era lui, i suoi viaggi di ritorno erano diventati incredibilmente tranquilli e silenziosi.

Alquanto paradossale, considerando che la sua costante presenza aveva iniziato ad attirare nell'ultimo scompartimento un numero progressivamente sempre maggiore di passeggeri, per la gran parte di sesso femminile, che gli volteggiavano attorno peggio di uno stormo di avvoltoi.

Comunque, per quanto potessero sforzarsi di attirare su di sé la sua attenzione, ogni loro tentativo finiva sempre per rivelarsi vano, se non patetico, perché venivano liquidate con lo stesso trattamento con cui si sbarazzava di qualunque persona provasse a parlargli: al primo tentativo l'intrepido di turno veniva spudoratamente ignorato, al secondo veniva trapassato da un'occhiataccia così ostile da finire per fuggire a gambe levate, controllore incluso. Anzi, dopo appena una settimana quello abituale parve aver colto l'antifona, e smise del tutto di chiedergli il biglietto. Se lei avesse posseduto anche solo in minima parte quella sua abilità intimidatoria, era certo che sarebbe riuscita a risparmiare abbastanza yen da potersi permettere persino di affittare un attico in centro tutto per sé... Ma, per quanto gliela invidiasse, solo lui avrebbe potuto svilupparne una altrettanto spiccata. Dopotutto, se non l'avesse posseduta era poco ma sicuro che la gente non avrebbe esitato a saltargli addosso, per cui era più che comprensibile che si comportasse così. Certo, risultava estremamente scostante ed indisponente, ma non era altro che un suo naturale e necessario meccanismo di autodifesa.

E poi, al di là di tutto si vedeva quanto fosse in realtà una persona beneducata.

Ci teneva davvero molto, che le altre persone fossero rispettose quanto lui nel non arrecare disturbo a chi aveva bisogno di concentrarsi, o anche soltanto di dormire. Per evitare che squillasse di continuo si premurava sempre di disattivare la suoneria del cellulare, benché si capisse, da come lo teneva sott'occhio, accanto al portatile, quanto avesse bisogno di controllarlo costantemente. Non avrebbe saputo riconoscerne il modello, ma con la sua passione per la tecnologia doveva trattarsi di uno smartphone altamente sofisticato, appena messo sul mercato, se non addirittura in tiratura limitata...

Ed essendo suo, non poteva che essere bianco.

Il display si illuminava di continuo ad annunciargli l'arrivo di un messaggio o di una e-mail, tuttavia era raro che interrompesse quello che stava facendo per leggerlo. Il più delle volte si limitava a gettare un'occhiata al mittente, e ad assumere un'espressione torva. Se, invece, si trattava di una telefonata, allora la rigettava all'istante. Doveva irritarlo la vibrazione, e comunque non sembrava farsi troppi problemi se, così facendo, poteva apparire sgarbato a chi lo stava cercando, perché anzi il suo obiettivo sembrava esser proprio quello di stroncarne sul nascere ulteriori, indesiderati tentativi. Se rispondeva era giusto quando pareva trattarsi di una telefonata urgente, ed in ogni caso soltanto per iscritto. Forse sempre perché non voleva fare troppo rumore, ma secondo lei soprattutto per evitare che qualcuno potesse captare le sue conversazioni. Dopotutto aveva sentito parlare di lui spesso, ma nella maggior parte dei casi indirettamente e mai in merito alla sua vita privata, per cui immaginava fosse una persona estremamente riservata. E come dargli torto: era verosimile che non fossero soltanto i giornalisti a volergli carpire delle informazioni, e che dovesse difendersi quotidianamente da spietati concorrenti pronti a tutto pur di carpirgli delle notizie sulla sua società, rubargli le idee per copiare le sue invenzioni, se non addirittura ricattarlo.

Peccato, però. Le sarebbe piaciuto sentirlo parlare, anche solo per una volta. E non come quando, saltuariamente, trasmettevano al telegiornale spezzoni di una delle sue conferenze stampa. Quei discorsi, erano così fittizi. Distaccati. Annoiati, persino. E rispondeva alle domande con riluttanza, poche parole concise, l'intonazione piatta... con una voce che non lo rispecchiava nel modo giusto, e che dunque non le interessava nemmeno ascoltare.

Lei avrebbe voluto sentire la sua vera voce.

Quella di quand'era rilassato, a suo agio. Di quando non si sentiva interrogato, sotto attacco, ma era disposto ed interessato a comunicare davvero con qualcuno. Di quando poteva discorrere spontaneamente e a lungo su ciò che più gli interessava. Di quando non doveva dimostrare nulla, ma poteva essere se stesso.

Comunque, si trattava di un desiderio così utopico che non valeva nemmeno la pena esprimerlo. Per quanti viaggi potessero fare assieme, non avrebbe mai potuto fare la sua conoscenza... A parte il fatto che era inavvicinabile da chiunque, non era per nulla una persona socievole. Sembrava non soffrire affatto la solitudine, e prediligere anzi una vita solitaria. Forse perché stava bene con se stesso, e tanto gli bastava. Forse perché valutava gli altri con metri di paragone troppo severi ed esigenti, e non reputava nessuno alla sua altezza, abbastanza degno della sua compagnia e del suo tempo...

Eppure, a pelle avvertiva che quel suo atteggiamento sociopatico non si riduceva tutto, semplicisticamente, ad un'indole individualista ed arrogante. Cioè, lo era, individualista ed arrogante, però questi tratti caratteriali sono spesso sintomo, più a monte, di gravi problemi di fiducia verso il prossimo. Presumibilmente frutto di brutte esperienze, di troppi contatti con gente a cui non interessava affatto conoscerlo ma solo fingersi sua amica per interesse, per approfittarsi di lui alla prima occasione, per tradirlo, sfruttarlo... in ogni caso, finendo per ferirlo.

Però con qualcuno doveva pur intrattenerli, dei rapporti.

Quantomeno dal punto di vista lavorativo, con alcuni dei suoi dipendenti. Per la maggior parte non dubitava che li trattasse con distacco ed inflessibilità, in modo da garantirsi sufficiente autorevolezza, per farsi rispettare come capo e prendere sul serio nonostante la sua giovane età. Anzi, magari cercava proprio di evitare con loro ogni possibile contatto... Non ce lo vedeva proprio a pranzare alla mensa aziendale assieme al suo personale, d'altronde.

Però dovevano esserci anche dei collaboratori con cui era tenuto a relazionarsi quotidianamente. Per quanto potesse essere brillante e dedito al lavoro, con un'impresa come la sua non poteva proprio far tutto da solo. Per quanto potesse essere solerte e preparato, non possedeva certo il dono dell'ubiquità, né quello dell'onniscenza. E, per quanto potesse riempirle di appuntamenti, anche le sue giornate erano composte da sole 24 ore. Quindi si doveva avvalere anche di un qualche braccio destro, con cui aveva a che fare da tempo e che, dunque, sapeva essere abbastanza competente ed affidabile da potergli assegnare quei compiti che lui non sapeva o non poteva seguire personalmente, ma che erano troppo delicati ed importanti per poter essere delegati ad un subordinato qualsiasi. Magari per esigenze di professionalità evitava di entrarci eccessivamente in confidenza e li trattava comunque con rigore, cionondimeno di loro si doveva pur fidare.

Inoltre era davvero impossibile che non ci fosse proprio nessuno cui tenesse in modo autentico e genuino, per cui non provasse del vero attaccamento. Insomma, la vita non poteva avergli regalato solo delusioni, nessuno è così sfortunato. Doveva pur esserci stato qualcuno capace di penetrare il suo muro, che gli avesse dimostrato di volergli realmente bene... anche solo uno.

E, se esisteva per davvero, quel qualcuno era una persona davvero fortunata, ad essere l'unico destinatario di tutto il suo affetto.

Spesso, però, si domandava se in lui trovassero spazio anche sentimenti diversi, più intensi della semplice affezione. Se ci fosse anche una donna, tra le persone a lui più care...

Da quel poco che aveva sentito in giro su di lui sembrava di no, ma non è che avesse mai curato più di tanto simili gossip sulle riviste... non abbastanza per esserne certa. Senza contare che sembrava tenerci parecchio alla sua privacy, per cui era verosimile che desiderasse mantenere ben segreto se aveva in corso o aveva intrattenuto in passato una qualche relazione. Però, non si può nemmeno condurre a lungo un rapporto di coppia in quel modo o, quantomeno, non se lo si vuole vivere in maniera autentica.

Non sembrava per nulla facile essere la ragazza di Seto Kaiba, proprio no.

Non solo la sua diffidenza l'avrebbe reso eccessivamente geloso e possessivo, ma con il suo lavoro sarebbe stato sempre perennemente assente, o comunque continuamente distratto. Dunque, difficilmente sarebbe mai stato in grado di curare una storia abbastanza da farla durare e, di conseguenza, capace di amare qualcuno per davvero. Anzi, visto quant'era esigente e sospettoso, era molto più probabile che non aspirasse affatto ad instaurarne. Le ragazze con cui fare dei tentativi di certo non gli mancavano, ma era altrettanto indubbio che per la stragrande maggioranza si sarebbero interessate a lui soprattutto per il suo aspetto, la sua fama e i suoi soldi. Dunque, con simili premesse non avrebbe avuto troppe motivazioni a frequentarne qualcuna dal punto di vista sentimentale. Al massimo giusto da quello carnale, e probabilmente per non più di una volta, in modo da non alimentare troppe illusioni. D'altronde non avrebbe avuto grosse difficoltà a trovarsi una ragazza sempre diversa pronta a scaldargli il letto, e persino senza dover sborsare un solo yen.

Eppure, per quanto ogni tanto anche lui dovesse pur cadere preda delle proprie pulsioni, non le sembrava affatto una persona incline ad abbandonarsi alla perversione. Il suo fermo autocontrollo doveva prevalere anche in quel campo, senza contare che abitudini troppo libertine avrebbero potuto rovinare la sua reputazione, esponendolo al rischio di uno scandalo o quantomeno a quello di subire pressioni ricattatorie dalla bella di turno. Per cui riteneva più verosimile che la notte preferisse starsene a casa propria, anziché andarsene in giro a caccia di avventure.

E comunque, più in generale, non sembrava affatto nutrire interesse per il sesso femminile.

Per quante ragazze potessero passargli accanto, non ce n'era una che riuscisse anche solo per un attimo a fargli distogliere lo sguardo dal computer. Certo, lui si poteva permettere il meglio, però rimaneva del tutto indifferente anche a quelle donne così sensuali e provocanti da riuscire a far girare la testa a tutti gli uomini presenti nello scompartimento... Anzi, se cercavano di catturare la sua attenzione con dei movimenti o un abbigliamento troppo volgare, finivano per guadagnarsi solo delle sprezzanti occhiate di biasimo.

Probabilmente non reputava la bellezza fisica una prerogativa poi così importante, e ne privilegiava una più vera, quella dell'aspetto interiore. Forse reputava persino degradante, poco dignitoso, intrattenere qualsivoglia tipo di rapporto con persone per cui non nutrisse sufficiente stima e considerazione. Per lui l'orgoglio e l'amor proprio dovevano venire prima di tutto, perciò supponeva fosse disposto ad entrare in contatto solo e soltanto con quelle che poteva considerare sue pari.

In pratica, con nessuna.

O magari si sbagliava, e stava facendo troppe congetture. Anzi, magari non era proprio capace di valutarlo in maniera oggettiva, ed inconsciamente stava utilizzando i dati che aveva a disposizione su di lui non per elaborare una tesi, ma per confermare quella che le era più gradita. Per quanto l'idea non le piacesse, poteva avercela eccome, una fidanzata. E, anche in tal caso, a lei non avrebbe dovuto fare alcuna differenza, ed ancor meno avrebbe dovuto dispiacersene.

Lui era il paradigma del ragazzo impossibile.

Per quanto continuasse a non capire cosa mai potesse aver spinto un essere tanto perfetto a scendere di punto in bianco dal suo olimpo per unirsi a loro comuni mortali.

Di certo disponeva di limousine a decine, più che pronte a condurlo ovunque desiderasse con un considerevole risparmio di tempi e soprattutto di seccature, in un ambiente infinitamente più comodo, pulito e privo di tutte quelle fonti di disturbo da cui lì invece si trovava assediato. E poi era davvero troppo altezzoso per potersi anche solo ipotizzare che utilizzasse il suburbano non come un mezzo di trasporto, ma come un pretesto per evadere dalle ristrettezze di una vita troppo impegnata, ed assaporare con spensieratezza un po' d'ordinaria quotidianità: il suo contegno era tutto meno che spensierato. Era palese quanto durante il tragitto gli interessasse soltanto poter lavorare in pace, non puntava certo a godere del panorama, della compagnia degli altri passeggeri o, più in generale, del piacere di viaggiare. Appariva tutt'altro che incline a rilassarsi, e ancor meno a proprio agio.

Perciò, davvero non riusciva ad immaginarsi quali motivazioni lo spingessero a sottoporsi a quello che ai suoi occhi doveva apparire come un vero e proprio supplizio. Ma, trattandosi di un mistero che non sarebbe mai riuscita a svelare, dopo un po' smise del tutto d'interrogarsi al riguardo. E, d'altronde, se le interessava far luce sulla questione era per nulla più che una semplice curiosità.

In realtà non le importava sapere perché prendesse il suo stesso treno, le bastava che continuasse a farlo.
 



N/A - H^o^la!

Se dovessi definire con un genere questo capitolo, sarebbe “descrittivo”. In verità è un registro con cui proprio non mi trovo a mio agio, ed infatti il testo l'ho scritto a più riprese stile patchwork tanto mi ha fatto penare... ma volevo mettermi alla prova. Inoltre era essenziale, perché la mia idea di base è quella di descrivere le varie fasi dell'innamoramento, dove quella “osservativa” è a mio parere la più decisiva di tutte. Non credo molto nell'amore a prima vista, ma che sia possibile conoscere ed innamorarsi di una persona solo guardandola, quello sì. Detto questo, spero che la resa sia stata quantomeno passabile e di non avervi annoiato troppo visto che, dopotutto, Kaiba lo conosciamo già. La prossima volta, invece, sarà Kisara ad essere al centro dell'attenzione...

A sabato prossimo, e grazie mille per il vostro tempo!

XOXO

- Evee

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Capitolo 4
*** with his sight ***


~ da quel giorno in poi

 

“La bellezza di una donna si deve percepire dai suoi occhi,
perché quella è la porta del suo cuore,
il posto nel quale risiede l'amore.”
Audrey Hepburn

 

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with his sight ~

 

Darling, so share with me
your love if you have enough,

your tears if you're holding back,
or pain if that's what it is...

 

Lo fece di nuovo. Per tutti i giorni successivi, senza alcuna eccezione.

Davvero da non crederci. Se, giusto un secondo prima d'imbattersi in quella ragazza, qualcuno gli avesse detto che presto avrebbe iniziato a prendere quotidianamente i mezzi pubblici, gli avrebbe solo riso in faccia.

E anche quello dopo, in realtà...

L'aveva giudicato nulla più che un impegno del tutto straordinario, ed invece aveva finito per diventare un suo appuntamento fisso. E non aveva neppure mai preso in considerazione l'idea di disdirlo, tanto aveva cominciato a considerarlo gradevole. Anzi, aveva quasi l'impressione che, se l'avesse mancato anche solo per una volta, avrebbe corso il serio pericolo di perdersi qualcosa d'importante, visto che ogni giorno aveva modo di notare degli aspetti di lei sempre nuovi. Ed ogni dettaglio che riusciva a cogliere, inclusi quelli che l'occhio non poteva osservare ma solo intuire, gli era essenziale per arricchire un ritratto di cui all'inizio aveva scorto soltanto i lineamenti e che poi, persino dopo averlo tratteggiato e riempito, continuava ad apparirgli incompiuto, almeno finché non fosse riuscito ad aggiungervi tutte le sue sfumature. Così continuava a ritoccarlo, sia pur con una sola pennellata, perché sarebbe stato un vero peccato interrompere un'opera che gli stava venendo così bene quando ancora poteva migliorarla, renderla perfetta.

Lei era proprio come un piccolo capolavoro.

Dunque, ogni giorno si sistemava all'ormai abituale punto d'osservazione, quello da cui poteva godere del profilo migliore di quella musa, e proseguiva nel suo studio. Inclinava leggermente il portatile verso l'interno dello scompartimento per potersi volgere col busto nella sua direzione, ed ogni tanto sollevava lo sguardo poco sopra lo schermo, affinché apparisse intento a lavorare quando, in realtà, era alla sua tela, che si stava dedicando. Non voleva certo che si accorgesse di lui e di quanto la stava osservando, perché si sarebbe di certo messa in posa, finendo così per rovinargli un dipinto in cui invece desiderava ritrarla in tutta la sua naturalezza.

All'inizio si era concentrato soprattutto sulle attività cui si dedicava durante il viaggio, per cercare di coglierne gli interessi e capire quali fossero le sue inclinazioni.

La sua prima azione, non appena aveva modo di sedersi, era quella di recuperare dalla borsa il suo lettore mp3 per sbrogliare ed infilarsi le relative auricolari. Spesso, però, solo dopo una strenua lotta che la portava ad assumere un'espressione sempre più scocciata: stringeva nervosamente le labbra, corrucciava le sopracciglia e fissava il suo ostinato avversario con disappunto, che trasformava in aperto risentimento quando, per la fretta, anziché scioglierle riusciva solo ad intricarne ancora di più i fili. Allora si fermava, scrutava torva il groviglio che si ritrovava tra le mani e, individuato il bandolo della matassa, lo scioglieva con recuperata calma, fino a rasserenarsi del tutto non appena arrivava a conquistare la sua vittoria anche sull'ultimo nodo, e poteva far finalmente partire la sua musica.

Si vedeva quanto quell'abitudine l'aiutasse a rilassarsi, per cui iniziò a sospettare che fosse proprio per quella ragione se ogni volta si sedeva al medesimo posto, più che per pigra metodicità.

Eppure non gli sembrava particolarmente stressata, perché aveva sempre un viso fresco e riposato, e mai aveva degli occhi così stanchi da doverli socchiudere durante il tragitto per offrir loro un po' di riposo. Né dava l'idea di una persona esageratamente ansiosa, perché altrimenti avrebbe approfittato del viaggio per studiare un po', come faceva la stragrande maggioranza degli studenti presenti. Forse faticava a concentrarsi con troppe distrazioni attorno, però neppure ad anno accademico inoltrato l'aveva vista dedicarsi ad attività meno impegnative, come limitarsi a sottolineare un libro o a ricopiare degli appunti... E poiché non sembrava preoccuparla affatto l'approssimarsi degli esami, immaginava fosse stata abbastanza diligente da essersi dedicata allo studio con costanza, ed abbastanza avveduta da essersi organizzata per tempo la sua preparazione.

In definitiva, era un'amante della vita tranquilla.

Però, se le piaceva così tanto ascoltare la musica non era unicamente per trovare un po' di quiete. Altrimenti ogni tanto si sarebbe dedicata anche ad altro, ad esempio una lettura...

No, la sua era una vera e propria passione.

Avrebbe potuto limitarsi a trasferire le sue canzoni sul cellulare, ed invece utilizzava appositamente un lettore mp3 che, per quanto compatto, rappresentava comunque una scelta poco pratica, poiché la costringeva a patire l'ingombro di due dispositivi. Era però una soluzione di indubbia capienza: doveva averci caricato su canzoni a migliaia, e probabilmente le aveva anche rinominate, classificate ed ordinate in playlist con amorevole cura... anche se non pareva utilizzarle come criterio di selezione. Sembrava piuttosto che si limitasse a riprodurle in maniera casuale perché, dopo averlo acceso, non lo toccava più se non per regolare l'audio quando il volume di un brano risultava troppo alto o troppo basso rispetto al precedente. Inoltre, trovandosi abbastanza vicino per riuscire a sentirne la melodia, e persino per cogliere qualche parola del testo nei momenti in cui lo scompartimento era più silenzioso o il mezzo sostava ad una fermata, aveva potuto apprezzare appieno, pur non essendo affatto un esperto in materia, quanto fossero riconducibili ai generi più disparati.

Il che faceva di lei una persona curiosa, e prima ancora di larghe vedute.

Sembrava apprezzare in modo indifferenziato tutte le sue canzoni, tanto che spesso finiva per lasciarsi trascinare dalla musica più vivace, oscillando a tratti i piedi come se fremesse dalla voglia di ballare, sia pur in modo un po' scoordinato. Oppure, quando la base era ben ritmata, tamburellava le dita sulle gambe come se la stesse suonando lei stessa al pianoforte, benché ne premesse i tasti palesemente a caso. Quando invece si faceva più lenta, allora si limitava a guardare fuori dal finestrino, concentrandosi solo sulle parole e, spesso, finendo per assumere un'aria un po' malinconica, come se avessero risvegliato in lei dei ricordi sgradevoli, tristi, benché non si lasciasse mai commuovere troppo, al punto da farsi venire gli occhi lucidi. Era decisamente emotiva, ma comunque capace di mantenere a sufficienza il proprio controllo.

Ed appariva talmente presa in quei suoi pensieri, talmente intenta a guardare il panorama oltre il finestrino, da sussultare sempre quando qualcuno la cercava sul cellulare.

Allora estraeva dalla tasca esterna della borsa, quella meno sicura ma anche quella più pratica e sottomano, un piccolo smartphone blu, della stessa tonalità del suo lettore mp3 e che, dunque, aveva tutta l'aria d'essere il suo colore preferito. Ed anche se si trattava di un modello decisamente datato, sembrava esserci troppo affezionata per volerlo cambiare e, di conseguenza, rischiare di rovinarlo, poiché ne proteggeva lo schermo con una pellicola trasparente e lo trattava con una tale cura che, nonostante l'utilizzasse piuttosto spesso, il rivestimento appariva ancora come nuovo, senza il minimo graffio. Forse ci teneva tanto perché si trattava di un regalo per un'occasione speciale, oppure perché l'aveva acquistato lei stessa mettendo da parte a lungo e con dedizione i propri risparmi. Sta di fatto che, ad ulteriore prova del suo attaccamento, ne aveva rivestito e personalizzato il retro con una cover chiara. Dal punto di vista estetico avrebbe potuto fare scelte migliori, meno in contrasto con il resto del modello, ma almeno non era frivola come quelle che troppo spesso aveva visto in giro, con dettagli pacchiani, disegni infantili o forme tanto improbabili quanto insensatamente scomode. La sua era funzionalmente essenziale, e la sua unica particolarità era quella di riportare alcune scritte lungo il bordo. Doveva averle tracciate lei stessa, perché con il tempo si accorse che erano abbastanza irregolari da potersi dire scritte a mano, e con una grafia così morbida ed elegante che, nonostante potesse appartenere a chiunque, era pronto a scommettere fosse proprio la sua. Dopotutto era un tipo piuttosto originale, per cui si poteva supporre fosse anche di indole creativa.

Però, non era abbastanza vicino per vedere cosa vi avesse scritto. Forse un aforisma in cui si identificava o, più probabilmente, il testo della sua canzone preferita... chissà.

In compenso, anche se gli era impossibile arrivare a leggere quelle parole, riusciva a sentire alla perfezione quelle che pronunciava quando occasionalmente riceveva delle telefonate. Anzi, pur di seguirne le conversazioni arrivava proprio a tender per bene le orecchie perché, sia pur solo per metà, dal punto di vista informativo rappresentavano comunque un'autentica miniera d'oro. Inoltre, che ne intuisse o meno l'oggetto, già solo il suo modo di parlare bastava a rivelargli altrettanti aspetti di lei che, anche se meno evidenti, erano spesso così intimi da rivelarsi ben più importanti di quelli manifestati apertamente.

C'era innanzitutto da dire che di sua iniziativa non l'aveva mai vista chiamare nessuno. Da come durante la conversazione tendeva a nascondere il viso verso il finestrino, parlando sommessamente, e da come ogni tanto si copriva l'orecchio per isolare il disturbo circostante, chiedendo al suo interlocutore se poteva ripeterle quanto appena detto, aveva compreso che non le piaceva affatto usare il cellulare sul treno, dove tutti potevano sentire quello che diceva mentre lei, invece, udiva a malapena la persona sull'altro lato della linea. Ma, soprattutto, ne aveva dedotto che era una persona piuttosto riservata, oltre che di buone maniere. Anzi, era così attenta a non recare troppo disturbo agli altri che, quando per sbadataggine si dimenticava di togliere la suoneria, sobbalzava, diventava rossa dalla vergogna e si affannava a recuperare il cellulare per rispondere al più presto. Di conseguenza, non le era mai squillata abbastanza a lungo perché potesse sentire oltre le prime note. Era giusto riuscito a capire che si trattava di una canzone. E, magari, era proprio quella stessa canzone di cui sospettava avesse scritto le parole sulla cover...

Non che gli importasse granché averne la conferma, a dire il vero. Tutto ciò che aspettava con trepidazione era solo che rispondesse alla telefonata, che parlasse per far partire la sola musica che realmente gli interessava ascoltare.

La voce di quella ragazza, ormai, era diventata la sua melodia preferita.

Vantava un timbro eccezionale, proprio come se lo ricordava: squillante, ma anche talmente sottile che il suo tono risultava al contempo basso e perfettamente nitido, quasi cristallino. E l'effetto complessivo non era per nulla acuto e penetrante, sgradevole all'udito, perché ne modulava l'inflessione con sentita morbidezza, in modo dolce e persino carezzevole.

E non solo era una persona estremamente gradevole da ascoltare, ma anche una con cui lui stesso avrebbe conversato con piacere.

Sapeva esprimersi in modo davvero efficace e comunicativo, poiché ricorreva solo a poche, opportune parole che sceglieva sempre con accortezza, e che avevano dunque il pregio di renderla tanto sintetica quanto incisiva. Ovvero, la sua combinazione preferita. E parlava persino con proprietà di linguaggio: aveva un lessico sorprendentemente elaborato, che non scadeva mai in intercalari ed ancor meno in un linguaggio sboccato. Le sue esclamazioni più improvvise non avrebbero scandalizzato neanche un bambino, e a volte se ne usciva con delle espressioni talmente assurde, cadute ormai in disuso da secoli, se non del tutto inventate, da spingerlo a chiedersi da chi mai potesse averle sentite... E, per quanto potessero suonare innocenti, ogni volta che se ne faceva sfuggire una dalle labbra ammutoliva all'improvviso, si portava una mano alla bocca ed avvampava dalla vergogna. Era di indole così esageratamente pudica, che sarebbe bastato pronunciare un qualunque termine scurrile per metterla in imbarazzo e farla arrossire fino alle punte dei capelli.

Eppure, non era affatto timida.

Non balbettava mai, ed anzi parlava sempre in modo sicuro, con lucida convinzione. Ed era un tipo dalle idee piuttosto chiare, per quanto le esprimesse e le facesse valere con cauta accortezza: anche quand'era in disaccordo preferiva porsi in confronto, anziché cercare il litigio. E quando ascoltava le ragioni altrui, le ascoltava per davvero, senza interrompere e senza arroccarsi sulle proprie posizioni. Mai l'aveva sentita intestardirsi, per orgoglio o per principio. Era aperta ad accogliere altre opinioni, a cambiare le proprie e a fare le dovute ammissioni. Anzi, era così quieta ed accondiscendente che se qualcuno l'avesse aggredita a parole, offendendola o sgridandola, non avrebbe neppure saputo come fare a replicare in maniera adeguata, ed avrebbe solo finito per uscirne, rispettivamente, ferita o mortificata. Non che gliel'augurasse, come esperienza... Semmai si augurava che nessuno fosse così villano da arrivare a prendersela con una persona talmente pacifica e squisita, o così crudele da approfittare della sua debolezza per infierire su di lei. Ma, forse, non le accadeva nemmeno troppo spesso di ritrovarsi vittima di simili situazioni, considerando che aveva un modo di fare perfino quasi contagioso...

Solo quasi, però.

Ammetteva che quell'animo mite e gentile riusciva ad avere un po' di presa anche su di lui, ma di certo non così tanto da poterlo influenzare. Mai e poi mai.

Però, nonostante avesse un carattere del tutto diverso dal suo, per non dire opposto, l'apprezzava molto. Dopotutto era talmente raro riuscire a trovarne uno altrettanto semplice ed onesto nel resto delle persone, da potersi considerare tranquillamente in via di estinzione. Quella ragazza avrebbe dovuto essere adeguatamente salvaguardata, prima che anche lei venisse corrotta dalla bieca meschinità del mondo...

Anzi, meritava d'esser dichiarata specie protetta ben più delle balene.

E, a riprova di ciò, di quanto fosse genuina ed incontaminata, c'era quale altro suo aspetto più che positivo che, a differenza del resto delle sue biasimevoli coetanee, non passava tutto il tempo con il cellulare in mano a messaggiare o a controllare il proprio profilo sui social network. Quindi si poteva supporre privilegiasse una conversazione vera, faccia a faccia, a pochi pixel sgrammaticati, scritti quasi per automatismo, per nulla sentiti ed assolutamente incapaci di comunicare alcunché senza l'aggiunta di un qualche smile idiota. E doveva preferire una cerchia ristretta e ben selezionata di amici ad un'inutile quanto ipocrita pletora di conoscenze. Inoltre, se si considerava che le sole persone con cui conversava di solito erano sua madre e la sua coinquilina, non pareva neppure avere una vita sociale particolarmente intensa o mondana... tutt'altro.

Comunque era certo che si fosse trasferita a Domino solo da poco, per l'inizio dell'anno accademico, se non aveva ancora avuto modo d'inserirsi in una compagnia. Dopotutto, nonostante non avesse dei modi granché espansivi ed estroversi, gli dava l'idea di una ragazza piuttosto socievole, per cui era solo questione di tempo prima che potesse farsi nuove amicizie. Per il momento sembrava che si limitasse a frequentare la sua coinquilina, perché l'aveva sentita accordarsi soltanto con lei in vista di una qualche uscita serale. E, se accettava una sua proposta, era esclusivamente per il finesettimana o per quando sapeva che la mattina seguente non avrebbe avuto lezione, ed in ogni caso per nulla più di un cinema o di un concerto. Non l'aveva mai sentita menzionare discoteche in cui tirar tardi, né pub in cui andare ad ubriacarsi per festeggiare il primo evento sufficientemente idoneo a fungere da pretesto per poter bere fino a star male.

Insomma, era la classica brava ragazza: seria, responsabile e con la testa a posto.

Un altro punto a suo favore.

Nella maggior parte dei casi però, complice anche l'orario, si limitavano a concordare assieme cosa mangiare per cena, cercando di rammentare il contenuto superstite nel frigorifero per valutare l'occorrenza di una spesa dell'ultimo minuto. Da quanto aveva capito, a quest'ultima provvedeva la sua coinquilina, mentre era lei che pensava a cucinare. E, dalle lunghe e dettagliate istruzioni che impartiva, sembrava anche piuttosto abile. Una a cui rilassa e fa piacere star dietro ai fornelli, e che cura con pazienza e dedizione qualunque cosa metta in pentola.

La preparazione a cui sembrava dedicarsi più volentieri ed in cui, dunque, dava l'impressione di essere più specializzata era quella dei dolci, poiché accadeva piuttosto spesso che annunciasse di volerne fare uno, magari provando qualche ricetta nuova e dall'aria ancora più complessa di quelle menzionate in precedenza. Il che non solo confermava la sua spiccata creatività, ma dimostrava anche quanto non temesse di mettersi alla prova, e perseguisse con costanza le sue piccole ambizioni personali. D'altronde i dessert non sono solo tra i piatti più comunemente apprezzati, ma anche quelli che impongono di seguire i procedimenti più laboriosi e delicati di tutti. Non faticava a credere, quindi, che fosse capace d'arrivare a perdere anche mezza giornata pur di riuscire ad assemblare a dovere una torta multistrato, e soltanto per poter poi rimirare, infarinata da capo a piedi ma col sorriso sulle labbra, il risultato dei propri sforzi, soddisfatta e del tutto incurante della montagna di stoviglie da lei utilizzate, abbandonate nel lavello ed in attesa d'esser ripulite. Anzi, probabilmente ci teneva così tanto da mettersi addirittura a piangere dalla frustrazione se ne sbagliava la cottura, o se la farcitura non le veniva proprio con gli stessi, esatti decori che si era immaginata. Ed altrettanto probabilmente, per non rovinarla quando invece le riusciva bene, poi non aveva neppure il cuore di tagliarla, e lasciava che ci pensasse la sua coinquilina, a mangiarsela tutta. In fondo si capiva che ci teneva a cucinare più per lei che per se stessa, perché le chiedeva sempre l'approvazione definitiva su tutto ciò che intendeva cucinare, e cercava di andare incontro soprattutto ai suoi gusti.

Secondo lui era fin troppo accomodante, però era anche molto premurosa e... teneramente affettuosa, ecco.

O almeno lo era con le persone a cui teneva, e la sua coinquilina era indubbiamente una di queste. Sembrava volerle sinceramente bene, e considerarla più come un'amica che come una semplice convivente da sopportare pur di avere qualcuno con cui dividere l'affitto...

Benché lui proprio non riuscisse a capire che cosa mai ci trovasse tanto, in quella ragazza.

Da come tendeva a sproloquiare e spettegolare gli sembrava davvero insopportabile, e soprattutto una persona con cui in comune non aveva praticamente nulla. Eppure, nemmeno le sue chiacchiere più prolisse ed inconcludenti riuscivano ad esasperarla o anche solo ad infastidirla... Anzi, la facevano spesso sorridere, e talvolta arrivavano persino a strapparle una risata divertita. Una lieve, fresca come la brezza primaverile, e sempre così spontanea che proprio non ce la faceva a trattenerla, ma solo a soffocarla tra quelle labbra da cui tanto, ormai, se l'era già fatta sfuggire.

Ma, forse, era proprio perché sapeva metterla di buonumore se le si era tanto affezionata.

Era chiaro quanto ne apprezzasse la compagnia, per cui aveva iniziato a sospettare che considerasse la sua una presenza preziosa, addirittura indispensabile, per non soffrire la solitudine e non sentir troppo la mancanza di casa. Anche perché non sembrava ritornarci spesso, giusto un paio di volte al mese... D'altronde se era stata costretta a trasferirsi per frequentare l'università non doveva provenire da una località molto vicina, per cui supponeva che non si potesse permettere d'andar a trovare la propria famiglia ogni week-end. Sarebbe stato troppo dispendioso sia in termini di tempo, sia soprattutto di denaro: considerando che non aveva mai con sé nulla di costoso e che aveva preso in affitto un appartamento piuttosto fuori mano, dubitava che provenisse da una famiglia particolarmente agiata. Magari i suoi genitori avevano persino fatto dei sacrifici, per permetterle di studiare a Domino...

Se così era, però, non sembrava affatto che glielo facessero pesare, ad esempio costringendola a contribuire alla loro spesa con dei lavori occasionali. Anzi, non parlava mai di soldi quando le capitava di ricevere una telefonata da parte di sua madre: si limitava a rassicurarla che sì, andava tutto bene, e a chiederle come stesse il papà e quello che, all'inizio, aveva creduto fosse suo fratello, e che poi scoprì invece trattarsi del suo gatto. Dunque era figlia unica, ed era anche così fortunata da vantare due genitori che la viziavano solo di attenzioni ed affetto.

E non c'era dubbio che il sentimento fosse reciproco.

Non al punto da esserne dipendente, perché altrimenti non avrebbe mai trovato l'intraprendenza necessaria per trasferirsi in una città tanto lontana da casa, ma abbastanza intenso e profondo da farle nutrire per loro un sincero attaccamento. D'altronde non rispondeva in modo brusco o scortese alla madre neppure alle sue domande più pedanti, per cui doveva proprio essere una figlia devota. Una che ci tiene a rendere orgogliosi i propri genitori, e che si impegna nello studio anche e soprattutto per loro. Dunque, era dell'idea che andasse bene a scuola e vantasse una media più che rispettabile. E poi, sia che fosse o meno una studentessa particolarmente brillante, restava comunque una ragazza intelligente e volenterosa, che frequentava con assiduità tutte le sue lezioni.

Anzi, in più di un mese non era mancata un solo giorno.

Il che non poteva esser solo per mero senso del dovere. No, era perché all'università ci andava proprio volentieri, e le piaceva quello che stava studiando...

Anche se ancora non era riuscito a capirlo, quale facoltà frequentasse. Se avesse dovuto tirare ad indovinare avrebbe optato per una umanistica, ma per il resto non disponeva del benché minimo indizio che potesse offrirgli un qualche suggerimento. Comunque, trattandosi di un ambito per il quale non nutriva il benché minimo interesse, la questione gli era piuttosto indifferente...

Gli bastava solo che non facesse Archeologia.

O Storia Antica.

O qualunque altra cosa anche solo potenzialmente connessa con l'Antico Egitto.

Ma smise di pensarla così quando, un giorno, la vide salire sul treno con in mano un libro, troppo voluminoso per la sua borsa, che gli consentì di ottenere finalmente la risposta che tanto andava cercando e di realizzare quanto quei suoi timori fossero infondati. Tuttavia non riuscì a sentirsene affatto sollevato, perché la scoperta che fece si rivelò essergli quasi altrettanto sgradita...

Studiava Psicologia.

Questo poteva davvero rappresentare un problema.

Lui odiava gli psicologi, più di tutti gli altri cultori di saperi pseudoscientifici. Ciarlatani così presuntuosi da proclamarsi capaci di svelare presunti significati inconsci dai sogni, quando invece i loro responsi hanno la stessa affidabilità di quelli una cartomante, ed hanno l'unica abilità di saper gettare negli occhi dei clienti così tanto fumo da riuscire a farsi pagare per la semplice disponibilità a sopportarli mentre raccontano le loro paturnie. Ma, soprattutto, gente che non riesce a distinguere il confine tra l'ambito professionale e quello privato, perché hanno la brutta, più o meno inconsapevole tendenza di considerare le altre persone al pari di cavie da laboratorio su cui potersi impratichire. Che anziché ascoltare le parole che gli vengono dette preferiscono badare solo al modo in cui sono pronunciate, per poterne poi trarre il significato che meglio permette loro di confermare il giudizio preconcetto che già si sono formati sul proprio interlocutore. Che stigmatizzano tratti caratteriali a detta loro non socialmente accettabili, e sono convinti che per correggerli basti individuarne l'origine in traumi infantili di cui, però, non sanno e non possono sapere proprio un bel niente. Che si divertono a classificare la gente in categorie preconcette, svilenti l'altrui personalità, ed hanno pure la boriosa presunzione di riuscire a comprendere anche lui, di conoscerlo meglio di se stesso.

No, decisamente non voleva avere a che fare con nessuno attualmente o anche solo potenzialmente membro di quella stramaledetta setta.

Ciononostante, qualcosa riuscì a frenarlo dal portare ad estreme conseguenze questo suo orientamento anche con lei, dal rivedere in modo tanto brusco e drastico un giudizio complessivamente positivo, frutto di una lunga ed accurata osservazione. Ormai aveva impiegato troppo tempo e troppe energie per starle dietro, per cui proprio non gli andava di doverla considerare tutta fatica sprecata. Se l'avesse avuta prima, quest'informazione, sicuramente si sarebbe disinteressato a lei sin da subito, ma ormai la questione non era più se interessarsi o meno a quella ragazza, bensì quella di capire fino a che punto desiderava farlo.

Dunque, si sforzò di trovare quantomeno un lato dei suoi studi degno di un po' d'apprezzamento. E glielo permise lei stessa quando, una volta preso posto, iniziò a svuotare la borsa sul sedile a fianco per riorganizzarne meglio il contenuto e farci star dentro tutto: aveva con sé un altro paio di volumi, presumibilmente per studiare nei ritagli di tempo tra una lezione e l'altra, dai cui titoli intuì che la sua ambizione non era affatto quella di diventare una dannata strizzacervelli, ma una ben più dignitosa psichiatra. Una professione seria, dal taglio scientifico e che, puntando a curare delle patologie vere e proprie, aveva persino una sua funzione sociale.

Questo era ammirevole.

Faceva di lei una persona altruista, sensibile, ma più di tutto una estremamente coraggiosa per esser disposta ad entrare in contatto con persone che la gente comune avrebbe invece preferito evitare, e per non temere l'idea di lavorare anche con dei pazzi inquietanti, se non potenzialmente pericolosi. Per i suoi gusti era un po' troppo idealista ed ingenua nella sua assurda, illusoria pretesa di poter salvare menti ormai perse e senza speranza, ma pur sempre coraggiosa.

E comunque lo sospettava già, che fosse una gran sognatrice.

Se ne stava sempre rivolta verso il finestrino, eppure non sembrava affatto interessarsi del panorama, perché il suo sguardo non seguiva mai nessun dettaglio, andava oltre. Semplicemente, lasciava che il paesaggio le scorresse davanti, persa in chissà quali fantasticherie ad occhi aperti. Era dell'idea che fosse proprio quel tipo di persona che tende a starsene un po' troppo spesso con la testa tra le nuvole, e che anche quando viene costretta a ritornare coi piedi per terra continua a vedere dappertutto stupidi arcobaleni ed ancora più stupidi unicorni volanti. Anzi, probabilmente era pure così romantica da credere con ferma convinzione nell'esistenza dell'amore a prima vista, del principe azzurro e di tutte quelle altre sdolcinate baggianate che tanto si trovano nelle favole per bambini.

Oppure no.

Magari, a suggerirgli quest'immagine di lei era solo la consapevolezza di quanto, nel loro caso più che eccezionale, si potesse effettivamente sostenere l'esistenza di due anime legate dal destino. Ma di questa verità lei non era affatto a conoscenza, per cui era impossibile che ne fosse rimasta suggestionata... Forse giusto a livello inconscio, ma anche in tal caso restava il fatto che si trattava pur sempre di una ragazza moderna, ormai cresciuta e, dunque, perfettamente in grado di distinguere tra la realtà e la fantasia. Era molto più plausibile che avesse finito per rassegnarsi alla prima, accontentandosi di relazioni mediocri con fidanzati ancora più insulsi...

Anzi, era poco ma sicuro.

Di certo, trattandosi di una ragazza talmente amabile e graziosa, era stata ed era tuttora corteggiata da più di un ammiratore, e lei era davvero troppo dolce e sensibile per esser capace di ferire i sentimenti dei suoi pretendenti con un rifiuto secco, o comunque di respingerli senza conceder loro nemmeno una possibilità, un appuntamento... Comunque, non avendola mai sentita menzionare il nome di un solo ragazzo, sembrava proprio che nessuno di loro fosse riuscito a durare a sufficienza.

Eppure, per quanto rincuorato da questo dato di fatto, la prospettiva che in passato avesse avuto una qualche storia continuava ad infastidirlo. Diciamo pure che non riusciva ad accettarla. Al massimo poteva riuscire a tollerarla, e soltanto alla condizione che fosse stata lei a porvi fine, per suo disinteresse. Lo ripugnava l'idea che qualcuno avesse osato spezzarle il cuore, e ancor di più ipotizzare che potesse essersi sinceramente innamorata di un ragazzo che non fosse lui...

Cielo. Che assurdità, questa.

Non poteva sentirsi geloso di una persona con cui non aveva alcun tipo di rapporto, ed ancor meno rivendicare per sé una ragazza per cui attualmente non provava nulla. Nulla. L'avrebbe deciso lui, se e quali sentimenti nutrire nei suoi confronti, e l'avrebbe fatto solo e soltanto dopo aver concluso la sua analisi. Per ora la stava semplicemente valutando, niente di più...

Cionondimeno, avrebbe solo mentito a se stesso se avesse provato a negare quanto, al momento, quella ragazza gli stesse piacendo.

E gli stava piacendo così tanto che ben presto iniziò a disinteressarsi alle sue ormai note attività per andare a concentrarsi esclusivamente su di lei. In precedenza non aveva badato molto al suo aspetto perché, dopotutto, già lo conosceva, non rappresentava nulla di nuovo, ma come prese ad osservarlo si rese conto di quanto non solo la sua non fosse affatto un'analisi inconcludente, ma persino una infinitamente più gradevole di tutte quelle a cui prima si era dedicato con ordine metodico e rigoroso.

Incominciò analizzandone l'abbigliamento che, pur essendo abbastanza variegato, poteva comunque ricondursi ad un suo gusto ben preciso. Molto particolare, perfino ricercato. Non avrebbe saputo definirlo, inquadrarlo in uno stile, essendo assolutamente distante dai dettami della moda sia per modelli che per accostamenti, ciononostante nel suo insieme le donava, perché rispecchiava la sua personalità.

Innanzitutto tendeva a vestirsi da capo a piedi dello stesso colore, senza però risultare mai monotona o troppo uniforme, perché sovrapponeva armoniosamente più abiti di sfumature differenti. E prediligeva tonalità sobrie, persino modeste, che però nella loro delicatezza si abbinavano bene al suo incarnato, ne valorizzavano l'etereo candore.

Inoltre aveva il buon gusto di non portare mai abiti per lei troppo stretti, solo per sembrare più magra o dare risalto alle sue curve. Anzi, tendeva a nasconderle sotto più strati di tessuto, evitando magliette scollate ed indossando lunghe calze coprenti quando decideva di mettersi una gonna o degli shorts.

Eppure, non aveva nulla di cui vergognarsi.

Anche se non lo esibiva, si vedeva comunque quanto avesse un bel fisico. Non mozzafiato, ma comunque nettamente superiore alla media delle sue coetanee. Alto ma non troppo, perché ad occhio e croce gli era inferiore di un paio di spanne, e con una corporatura così snella e proporzionata da farla sembrare ben più esile di quanto fosse in realtà, estremamente minuta. Forse per quelle sue spalle talmente strette, che tendeva a chiudere in avanti, e per il modo in cui camminava, con il capo abbassato. E per quella sua vita così sottile, che avrebbe potuto circondare senza fatica con un solo braccio. O per quelle sue mani tanto piccine, che parevano vellutate al tocco come quelle di una bambina, appena allungate sulle punte, laccate spesso da uno smalto trasparente che catturava la luce ad ogni suo gesto, e così delicate che non afferravano o stringevano mai nulla con foga, ma accarezzavano e raccoglievano tutto con premura. Ma anche per quella bocca a cuore, quel nasino all'insù, quelle guance soffici che conferivano al suo viso dei tratti così morbidi da risultare persino infantile, molto più piccola della sua età.

Per tutte queste cose assieme, insomma, appariva proprio mingherlina.

Però non era affatto di una magrezza malsana, come quella tipica delle ragazze fissate con la linea e perennemente a dieta senza motivo. Non era per nulla secca e sciupata, tutt'altro... Vantava delle forme davvero rigogliose. E, non essendo particolarmente toniche ed atletiche, non potevano che essere frutto di un metabolismo a dir poco invidiabile. Era dunque probabile che a tavola non facesse troppi complimenti, e che di fronte ad un piatto di cui andava golosa non si tirasse indietro e lo mangiasse con gusto, senza star troppo a chiedersi quante calorie stesse ingerendo o quanto tempo ci avrebbe impiegato per smaltirle.

Però, anche se non ne aveva bisogno, secondo lui sarebbe stato meglio se un po' di esercizio fisico l'avesse fatto comunque. Sicuramente era l'ultimo dei suoi pensieri, e non aveva neppure la voglia di stressarsi al riguardo, ma ogni tanto avrebbe dovuto sforzarsi di trovare un po' di tempo per tenersi in forma e vincere la pigrizia, anziché starsene sempre curva sui libri... Quando era costretta a correre per non perdere il suburbano saliva sullo scompartimento così stravolta ed ansimante che ci metteva svariati minuti prima di riprendersi, neanche avesse appena tagliato il traguardo di una maratona.

E, a conferma di quanto non badasse granché al suo aspetto, si truccava davvero poco, per non dire affatto. D'altronde, la sua carnagione era così diafana che qualunque sua alterazione sarebbe stata inappropriata, stonata su una pelle bianca quanto il latte, una decorazione troppo sgargiante per una porcellana tanto fine ed aristocratica.

Lei, era perfetta così com'era, nella sua estrema semplicità.

Non le aveva neppure mai visto indosso un solo paio di orecchini, od un qualunque altro tipo di gioiello. Neppure uno di bigiotteria, a basso costo. Però era pur sempre una ragazza: non poteva proprio credere che non ne possedesse nessuno, neanche uno comprato per sfizio, o ricevuto come regalo... Non era abituata a portarli, ecco tutto. Forse perché sceglierli le avrebbe rubato troppo tempo la mattina, forse perché non li trovava pratici, ma secondo lui era perché non si sentiva affatto a proprio agio a metterli, e non li avrebbe indossati volentieri neppure per una serata speciale. L'avrebbero resa troppo appariscente, troppo vistosa...

Però, anche se non gradiva affatto dare nell'occhio ed evitava con cura di calamitare su di sé l'attenzione, comunque non rinunciava ad aggiungere il suo piccolo, discreto tocco personale a tutto ciò che possedeva, ai pochi accessori che utilizzava.

Quello più fidato era la borsa che portava sempre con sé, una tracolla in pelle e dall'aria decisamente vissuta, parecchio logora ed usurata nei punti più esposti. Ma, visto l'uso che ne faceva ed il modo con cui la sballottava in giro, che si rovinasse era una sorte piuttosto inevitabile. E poi non solo stava bene con qualsiasi abbigliamento, ma sembrava essere abbastanza capiente e resistente per poter essere riempita senza problemi dei libri che le servivano e di tutte quelle altre cianfrusaglie che le ragazze hanno il fisiologico, incomprensibile bisogno di portarsi sempre dietro.

Insomma, si adattava al suo scopo, e tanto bastava a soddisfarla. Dopotutto non era per nulla un tipo vanitoso, che sente la necessità di abbinare sempre la borsa al paio di scarpe che ha indosso. Anzi, anche nella scelta di queste era piuttosto minimale, sia pur senza abbandonare la propria femminilità: prediligeva ballerine di vernice, e dall'aria vagamente vintage. Non la slanciavano affatto, ma d'altronde lei era già abbastanza alta anche senza tacchi, ed inoltre avevano il pregio di farla luccicare dalla testa ai piedi, e di renderle i passi aggraziati, poggiati con una tale naturalezza che pareva quasi camminare scalza, tanto era lieve e silenziosa. E doveva trovarle davvero comode, perché non se ne voleva separare neppure quando pioveva e qualunque altra persona con un minimo di cognizione si sarebbe messa degli stivali o, quantomeno, delle scarpe chiuse per non ritrovarsi poi con i piedi bagnati ed esposti al gelo.

Era davvero una sprovveduta. Prima o poi avrebbe finito per ammalarsi...

Ed infatti con l'abbassarsi delle temperature pagò lo scotto della sua incoscienza con svariati e ripetuti raffreddori. Però sempre lievi, della durata di una manciata di giorni, non abbastanza seri da costringerla a casa. Subito riconoscibili da uno sguardo languido, un po' provato, ed un naso visibilmente irritato dal contatto con troppi fazzoletti. E poi puntualmente confermati quando iniziava a starnutire durante il tragitto.

Quello era sempre uno spettacolo divertente.

Serrava le labbra, stringeva gli occhi e si copriva con le mani per cercare di trattenersi, di frenare i ripetuti sussulti che le scuotevano le spalle, diventando sempre più paonazza ed arrivando a curvarsi così avanti da parer quasi avvitata su se stessa. Poi, quando le sembrava che l'attacco si fosse placato, riapriva gli occhi, tornava a respirare e iniziava a riprendere il suo colorito abituale. E non appena si calmava, ed abbassava la guardia per scostarsi la frangia che le era ricaduta sugli occhi, ecco che le sfuggiva dalle labbra uno starnuto improvviso. Giusto uno, a tradimento, tanto breve quanto ben udibile, e che scandiva in maniera così buffa da farlo sempre sorridere: faceva “eccì” proprio come i personaggi dei fumetti, incredibile...

E non appena le scappava arrossiva violentemente dall'imbarazzo, convinta di essersi appena resa ridicola quando, invece, si rendeva molto più ridicola prima, con quel suo inutile tentativo di frenare qualcosa che, tanto, sfuggiva completamente al suo controllo. Era una battaglia persa in partenza, la sua. Sarebbe stato meglio se avesse concentrato gli sforzi per prevenirlo, il conflitto... Finora le era andata bene, ma era davvero troppo fragile e cagionevole per potersi permettere a lungo una simile, sconsiderata leggerezza.

Doveva davvero mordersi la lingua per non rinfacciarglielo, tanto l'esasperava.

Comunque i suoi rimproveri mentali parvero sortire effetto, o per lo meno ci riuscirono quelli che altre persone a lei vicine dovevano averle rivolto, perché un bel giorno si presentò con indosso un paio di scarpe stringate, verniciate come piaceva a lei, decorate con dei leggeri trafori e, soprattutto, adatte alla stagione.

Finalmente l'aveva capito, che d'inverno non poteva andarsene in giro con i piedi mezzi scoperti... Anche se continuava a vestirsi in modo troppo leggero, e l'unica parte del corpo che si copriva adeguatamente era la gola. Ma non per buon senso, semplicemente perché le piaceva indossare sempre qualcosa al collo, che fosse un foulard svolazzante o una sciarpa dai colori vivaci. Quello, era il solo sfizio che si concedeva, e sembrava possederne una vera e propria collezione... E' vero, spesso si metteva anche un berretto o una cuffia in testa ma, visto che neppure dopo essersi seduta si scopriva i capelli, lo faceva per una finalità completamente differente, perché non si notasse troppo quant'era candido ed inusuale il loro colore.

Un sforzo però del tutto inutile, ed una scelta che lui non approvava affatto.

Anziché cercare di nasconderla, avrebbe dovuto sfoggiare la sua chioma con orgoglio, lasciarla libera di risplendere e catturare lo sguardo. Era davvero incredibile, come la luce le scivolava liscia, e le scorreva lungo le ciocche fin quasi ad impregnarne l'essenza. Lui, rimaneva sempre incantato da quei sottili, finissimi riflessi argentati che le velavano il viso e le si riversavano sulle spalle come una cascata, al punto che le dita gli fremevano, d'istinto, dal desiderio d'immergersi tra quei flutti per attraversarli, dividerli, disciplinarne la corrente fino a scostarli, provare a svelarne il segreto.

Forse, però, neppure così sarebbe mai riuscito a scoprirlo... Quando camminava i capelli seguivano il suo passo con una danza talmente leggiadra che i loro filamenti apparivano così impalpabili, e la loro lucentezza così evanescente, che al tocco altrui avrebbero anche potuto disperdersi, svanire assieme al loro mistero inafferrabile.

Eppure, forse perché lo sapeva bene a cosa fosse dovuta quella sua caratteristica così speciale, lui riusciva a coglierlo comunque, a percepirlo distintamente in tutto il suo chiaro, limpido splendore. Anzi, gli appariva così nitido, così evidente, che rimaneva sconcertato, profondamente scandalizzato dall'incapacità delle altre persone di apprezzarlo ed ammirarlo come meritava. Non gli erano sfuggiti gli sguardi e i commenti che si levavano al suo passaggio, che implicitamente le criticavano la scelta di una tinta troppo appariscente o l'additavano come una specie di scherzo della natura. Nient'altro che sussurri meschini ed ignoranti pregiudizi, ne era consapevole, tuttavia bastava sentirli per fargli ribollire il sangue nelle vene dall'indignazione. Irrigidiva involontariamente le mani e doveva stringere i denti per costringersi a non rivelare al mentecatto di turno qual'era invece l'opinione che aveva su di lui, anche se mai riusciva a trattenersi dal guardarlo male quando aveva la sfortuna di trovarsi nel suo campo visivo. Perché, nonostante lei non sembrasse quasi farci caso, ed anzi il più delle volte non potesse neppure accorgersene, impegnata com'era a guardare fuori dal finestrino e ad ascoltare la musica, gli era comunque intollerabile che le si recasse un simile oltraggio. Era come se, offendendo lei, stessero recando un affronto alla sua stessa persona. Ai suoi stessi gusti. Perché anche se i più l'avrebbero giudicata come una tipa un po' strana, ma pur sempre carina, per lui quella era invece una ragazza unica, ed un'autentica bellezza. E non certo nell'accezione comune, inconsistente, di una rispondenza a canoni stereotipati, socialmente imposti e a cui dunque non aveva mai attribuito la benché minima importanza. Lei era una bellezza nel senso più vero del termine, che appaga l'animo durante la sua contemplazione.

Anche se faticava tantissimo, a spiegarsi cosa la rendesse tale ai suoi occhi.

Non era affatto uno schianto come quelle donne che al loro passaggio fanno voltare tutti la testa, che ammaliano con un savoir-faire da modella ed eccitano con delle curve così provocanti e desiderabili da apparire quasi finte, modificate al computer. Anzi, aveva un'aria così innocente che non era proprio possibile nutrire su di lei delle fantasie più sfrenate di pochi, semplici baci e qualche lieve carezza.

E non era nemmeno di una sfolgorante beltà, esente da imperfezioni, una la cui vista può persino mettere in soggezione tanto appare inavvicinabile, intoccabile, algida come una divinità scesa in terra. Era proprio l'opposto, perché non si poteva apprezzare appieno quant'era bella se messa in fermo immagine, ma solo quando sorrideva, rideva, arrossiva, e lo faceva in maniera così intensa e vitale da dare un volto alle sue stesse emozioni.

Quella non era una ragazza che colpiva lo sguardo per la sua apparenza, ma che l'incantava nella sua raffinatissima poesia, negli armoniosi sussurri della sua purezza. E se ci riusciva in qualunque epoca della storia, in qualsiasi luogo del pianeta, era perché il suo aspetto rappresentava quasi un manifesto spirituale della sua bellezza interiore. Una bellezza intrinseca e senza tempo, che sapeva di eternità.

E poi, i suoi occhi erano davvero qualcosa di magico.

Grandi e limpidi come il suo cuore, e con quelle iridi così blu, proprio blu, di un blu inimitabile. Ricche di sfaccettature come due zaffiri, ed incorniciate da ciglia talmente lunghe da sbattere proprio come un ventaglio di piume: si socchiudevano avvolgenti con un movimento così lento che riusciva a scivolare assieme ad esse lungo la curva delle sue palpebre, e a soffermarsi un poco su quelle inferiori nell'attimo di quiete in cui vi si posavano. Poi si riaprivano caute, e andavano a disvelare quello che ormai era diventato il suo spettacolo prediletto. Ok, forse era lui ad essere un po' troppo fissato al riguardo, ma...

Quegli occhi, erano talmente meravigliosi che le sarebbe bastato un solo sguardo, per conquistarlo.

E, nonostante ciò, continuava ad ignorarlo.

Anzi, aveva persino smesso di guardare verso di lui quando entrava nello scompartimento, poiché già prevedeva la sua presenza ed ormai aveva finito per abituarsi al posto corrispondente. Di certo se avesse cominciato a sedersi lì sarebbe tornata a rivolgergli quantomeno un'occhiata, ma era probabile che, a fronte di un ulteriore spodestamento, non sarebbe stata un'occhiata molto cordiale. E comunque non l'avrebbe fatto a lungo, giusto il tempo a lei necessario per riabituarsi alla sua vecchia sistemazione. Vero, avrebbe sempre potuto cambiare posto abbastanza spesso da mantenere costante la sua attenzione su di sé, però neanche questa soluzione, per quanto efficace, sarebbe riuscita a soddisfarlo...

Non si accontentava di costringerla a guardare dove si era seduto, voleva che desiderasse guardare proprio lui.
 


 

N/A - H^o^la!

Bene, dopo il dovuto ritratto di Kisara dichiaro finalmente conclusa la fase “osservativa”. Su quale potesse essere la sua vita e i suoi interessi sono andata di fantasia, mentre la scelta della facoltà è voluta per rispecchiare la sua empatia e richiamare quando, nel passato, è riuscita a salvare Seth dal dominio mentale di Aknadin. E perché anche Seto, checché ne possa pensare, ce l'ha proprio bisogno di uno psicologo... e di uno bravo, con tutte le turbe mentali che si ritrova. Quanto all'aspetto, per l'abbigliamento mi sono ovviamente rifatta alla fanart che trovate sempre in apertura, mentre per la voce mi sono basata su quella jappo che è davvero incantevole (mica come quel pigolio straziante che le hanno affibbiato nel doppiaggio inglese ed italico). E sarà che scrivere dal PoV di Seto è più divertente, sarà che quando si tratta di lei divento particolarmente poetica e stilnovista, ma il capitolo mi è parso più riuscito del precedente... Anyway, la prossima coppia di capitoli sarà sentimentalmente più interessante, promesso. Dunque, grazie davvero se siete riusciti a portare pazienza fino a qui, e al prossimo sabato!

XOXO

- Evee

 

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Capitolo 5
*** inside her look ***


da quel giorno in poi ~

 

“Gli occhi di nascosto danno inizio all'amore,
la consuetudine lo completa.”
Publilio Siro

 

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~ inside her look

 

Whenever said my words
wishing they would be heard,

I saw you smiling at me
Was it real or just my fantasy?

 

Fu così graduale da avvenire in modo impercettibile, tanto che quando se ne accorse era ormai troppo tardi per porvi rimedio.

In realtà, non fu lei la prima a rendersene conto ma, come spesso avviene quando si è troppo coinvolti per poter avvertire il proprio cambiamento, furono occhi esterni a notarlo e farglielo presente.

Una mattina, la sua coinquilina si lamentò perché aveva iniziato ad occupare il bagno per più tempo del solito, costringendola a riconoscere che, in effetti, era vero: gliene rimaneva sempre meno per fare colazione ed usciva fuori casa sempre più di corsa, in fisiologico ritardo. Non le rimase dunque che scusarsi con lei per averle arrecato disturbo ed impegnarsi a non farla più aspettare tanto a lungo, convinta che ciò bastasse ad archiviare la questione...

Ma, ovviamente, non fu così.

Come di frequente soleva fare, la sua coinquilina aveva utilizzato un pretesto per introdurre maliziosamente un altro argomento, quello su cui più amava discorrere e tormentarla, ovverosia la sua vita sentimentale. Con periodica, finta noncuranza non faceva che chiederle se avesse o meno conosciuto un qualche ragazzo degno d'interesse e, alla sua risposta negativa, la subissava con una filippica su quanto avesse dei gusti troppo esigenti e dovesse incominciare a guardarsi un po' attorno per cercarsene uno tra i suoi compagni di università.

Quella volta, però, non aprì la discussione con una domanda, bensì con un'affermazione: abbozzò un sorrisetto compiaciuto e con acuta perspicacia sostenne che, per tenerci così tanto a curare il proprio aspetto, doveva aver “messo gli occhi su qualcuno”, finalmente. Qualcuno su cui desiderava far colpo e di cui lei voleva sapere tutto, ma proprio tutto subito.

Chiaro che da parte sua non pervenne che una secca smentita.

Cionondimeno, questa sola insinuazione bastò ad instillarle il dubbio e a farle prendere piena consapevolezza di quanto, nell'ultimo periodo, si preoccupasse di vestirsi e truccarsi quotidianamente con un'attenzione che, di norma, riservava soltanto alle uscite serali, o comunque ad occasioni altrettanto speciali.

Il contenuto del suo armadio, un tempo ordinato, era diventato caotico e spiegazzato per la fretta con cui lo estraeva all'esito di una ricerca febbrile, lo provava incerta e lo scartava con repulsione, tanto che ormai non riusciva più a trovare un bel niente al proprio posto. Non le pareva neppure di possedere ancora qualcosa di dignitoso: abiti che prima le piacevano adesso non le sembrava più che le stessero bene, mentre i pochi che riuscivano a soddisfarla non sapeva affatto come abbinarli in maniera decente. E, non potendosi permettere di comprarne di nuovi, aveva incominciato a sperimentare accostamenti diversi dal consueto per evitare di vestirsi troppo spesso nello stesso modo. Quantomeno non in giorni ravvicinati.

Anche se, quando si guardava allo specchio, era sempre scontenta del risultato... Non si piaceva più. Si vedeva spenta. Banale. Insignificante.

Per questo, aveva preso a truccarsi con qualcosa di più del solito, semplice burrocacao e dell'abituale strato di crema idratante. Non in modo pesante perché non voleva che si notasse, ed ancor meno risultare ridicola... Solo qualche accorgimento per apparire migliore, valorizzarsi un po'.

Un velo di fondotinta per rendere omogeneo l'incarnato, specialmente attorno agli occhi, dove la pelle era tanto chiara e sottile da lasciar intravedere la sfumatura bluastra delle vene.

Giusto un tocco di blush rosato, per non risultare né mortalmente pallida, né perennemente paonazza, e poco sotto agli zigomi per rendere più maturi i suoi lineamenti.

Una linea sottile di eye-liner e una passata di mascara, per dare profondità allo sguardo e far risaltare quelle iridi che, almeno a detta altrui, potevano considerarsi il suo punto di forza. Imparò persino ad utilizzare il piegaciglia della sua coinquilina, affinché le sue lunghe, folte ciglia non nascondessero troppo il blu dei suoi occhi.

Quanto alle labbra, scartò subito l'idea di utilizzare rossetti che gliele avrebbero solo rimpicciolite e rese secche, troppo appariscenti, in favore di tanto gloss trasparente, con cui riusciva sia a mantenerle ben idratate, sia a renderle lucide e voluminose proprio come voleva lei. Purtroppo non durava a lungo, ma ovviò il problema tenendoselo in borsa, pronto per l'evenienza.

Inoltre, aveva preso l'abitudine di portare con sé anche un pettine ed uno specchietto, che le erano entrambi necessari per potersi sistemare i capelli qualora questi, a dispetto dei suoi sforzi mattutini, avessero finito per assumere una piega troppo indisciplinata nel corso della giornata.

Benché, il più delle volte, si limitasse soltanto a controllare il proprio aspetto.

Eppure non si era mai preoccupata così tanto del giudizio degli altri. Ma, a ben pensarci, continuava a non interessarsene...

Era soltanto una, delle persone che vedeva sempre, quella su cui sperava e cercava di fare buona impressione.

Un semplice desiderio coltivato a livello inconscio ma che, come lo comprese, la lasciò sconcertata e la fece sentire tremendamente in colpa. Perché non poteva. Non poteva e se ne doveva vergognare, di aspirare ad essere notata da un ragazzo come lui, così irraggiungibile che il semplice nutrire delle speranze al riguardo non era solo illusorio, ma una vera e propria follia. Come non era per nulla sensato lasciarsi coinvolgere e farsi trascinare in una fantasia romantica da una persona con la quale non si è mai scambiata una sola parola, che non si conosce neppure. Insomma, non poteva essersi convinta di conoscerlo per davvero semplicemente perché le era capitato di osservarlo un po' tutti i giorni!

Per quanto porre in questi termini la questione le sembrasse davvero semplicistico e riduttivo. Non lo osservava certo per caso, dopotutto. Lo faceva intenzionalmente, per non dire in modo ossessivo, e non più per semplice curiosità...

Era perché se ne sentiva attratta, e tanto. Ben più di quanto le fosse mai capitato con qualunque altro suo coetaneo, realizzò.

Il che, di per sé, non avrebbe dovuto preoccuparla poi molto... In fondo lui non era affatto uno qualunque e, pertanto, poteva considerarsi quasi naturale che ne fosse rimasta affascinata, al pari di quanto sembrava capitare a qualsiasi altra ragazza. Il problema vero, che non riusciva non solo a sradicare, ma neppure a smuovere talmente aveva attecchito le proprie radici in profondità, era che non si trattava di una banale infatuazione dettata dal suo aspetto, né dalla sua idolatrabile reputazione... Ciò che esercitava su di lei tanta presa era soprattutto l'idea che si era fatta di lui, l'immagine che aveva immortalato e sviluppato gradualmente, giorno dopo giorno. Una che si era formata in maniera così indiretta e congetturale che, di certo, doveva aver finito per falsarla, ma in cui il suo cuore credeva comunque così fermamente da farla apparire ai suoi occhi come la migliore, la più genuina di tutte. Come se si fosse posta e l'avesse colta proprio dalla giusta prospettiva...

Assurdo: si era innamorata di un riflesso.

Eppure, era esattamente quello che le era successo. E, dal momento in cui lo realizzò, non riuscì più a mentire a se stessa. Né la presa d'atto di quanto questi suoi sentimenti fossero destinati a rimanere a senso unico valse a farglieli superare, perché all'opposto finì per sprofondarci dentro ancora di più.

Per non dire completamente.

Si svegliava eccitata, col sorriso sulle labbra, e trascorreva il resto della giornata tutta tesa, proiettata al momento in cui sapeva l'avrebbe rivisto. E quando l'ora fatidica si avvicinava, l'eccitazione la rendeva frenetica e la spingeva a controllare l'orologio di continuo, tanto l'agitava il timore di poter perdere il treno delle 19 e 03. Così, si premurava di tenersi pronta ad andare già sul finire dell'ultima lezione, preparando in anticipo la borsa, e dopo la sua conclusione evitava con cura di fermarsi a chiacchierare, scappando via subito, senza ulteriori indugi. E se, per qualche sciagurata ragione, i professori prolungavano la spiegazione più del dovuto, o qualcuno dei suoi compagni la tratteneva contro la sua volontà, allora veniva assalita dal panico e pur di arrivare per tempo alla fermata si metteva persino a correre.

Ma quello era appuntamento che proprio non poteva mancare, anche se a costo di presentarsi paonazza, ansimante e tutta scompigliata.

E comunque, sia che salisse sul suburbano di corsa, sia che lo raggiungesse con tutta calma, il cuore le batteva sempre con la stessa, furiosa intensità. Sulle prime, in bilico tra speranza e trepidazione; poi, non appena lo riconosceva tra gli altri passeggeri, animato e ricolmo di gioia. E, per quanto regolarmente potesse respirare, il fiato le veniva sempre a mancare quando gli si avvicinava per sedersi. Lo tratteneva cauta in gola, tesa dalla consapevolezza di quanto fosse temerario avvicinarsi a lui, affiancare il suo confine invalicabile, spingersi a sfiorarlo anche solo per quell'unico, fugace attimo silenzioso.

Bastava quell'impalpabile contatto, per rimanervi imprigionata.

All'improvviso, tutte le altre persone presenti diventavano invisibili ai suoi occhi, che riuscivano a vedere solo lui, che desideravano guardare lui soltanto. Il resto, semplicemente, cessava d'esistere. Nulla reggeva quel confronto, o riusciva per solo un istante a farle distogliere l'attenzione da quel ragazzo.

Ed anche quando ascoltava la musica, era a lui che voleva pensare.

Canzoni che prima ascoltava volentieri iniziarono a diventarle persino fastidiose, tanto le reputava delle inopportune, sgradevoli distrazioni se, rispettivamente, troppo spensierate o malinconiche.

Non era così che si sentiva.

Quando si trovava vicino a lui, le uniche melodie adatte come colonna sonora erano quelle composte con poche note semplici, delicate, e le sole parole in grado di dar voce ai suoi pensieri erano quelle delle liriche più poetiche, cantate dolcemente.

Così, prese a cercarle con ostinazione tra le migliaia di tracce conservate sul suo lettore mp3 finché, un giorno, non ne trovò una che non sentiva più da tempo immemore, ma che le bastò riascoltare una sola volta per capire che era quella perfetta: una ballata scritta in ideale sintonia con i sentimenti che provava, e che sembrava esser stata composta proprio per battere allo stesso ritmo del suo cuore. E che, quando risuonava, rendeva l'atmosfera calda e soffusa come in un bel sogno... Uno di quelli che si possono fare solo tra morbide coperte, o immaginare ad occhi aperti accanto al fuoco.

Quella era una fantasia così meravigliosa che, dopo averla provata, non riuscì più a separarsene.

La sceglieva sempre, tutti i giorni, per poterla vivere ancora ed ancora, all'inizio di ogni loro viaggio insieme. Perché era solo dopo quel primo, necessario incontro che accettava di ascoltare anche altre canzoni, di seguire storie diverse, persino più belle, che però non si riuscivano a raccontare senza la giusta premessa che le rendesse possibili, che attribuisse un senso alla loro ideale continuazione.

Poi, però, il mezzo giungeva a destinazione e la costringeva ad interrompere la narrazione prima della sua conclusione, a ritornare bruscamente alla realtà, a privarsi della sua compagnia.

E così faceva, ma senza troppi rimpianti, rincuorata dal pensiero che comunque il giorno successivo avrebbe potuto fare di nuovo, tutto dall'inizio, il suo sogno preferito. Tanto, non le interessava e non desiderava neppure conoscerla, la sua fine, perché non voleva che si esaurisse ad un punto, svegliarsi all'improvviso, ma che durasse nel tempo. Immaginarlo per sempre.

Anche per questo, iniziò a sviluppare una vera e propria avversione per i finesettimana, per quei due giorni infiniti, noiosi, in cui non le era concesso ascoltarla. Non avrebbe avuto lo stesso suono, senza la sua presenza accanto. Sarebbe stata solo una melodia stridente, insopportabilmente nostalgica...

Ma, soprattutto, incominciò a temere con orrore la fine del semestre.

E non certo per gli esami che l'attendevano alla sua conclusione... Era perché non avrebbe più avuto occasioni di rivederlo. Certo, sarebbe tornata a casa solo per un paio di settimane, in modo da poter trascorrere le feste con la famiglia e poter essere di nuovo a Domino per l'inizio degli appelli, ma restava il fatto che, terminate le lezioni, non avrebbe più avuto ragioni di prendere il treno delle 19 e 03. Ed ancor prima, di andare all'università...

Ragioni sensate, s'intende.

Non nascondeva che, ad un certo punto, era persino arrivata a prendere in seria considerazione l'idea di recarsi comunque tutti i giorni in facoltà col pretesto di studiare in biblioteca, ma poi fortunatamente il suo buonsenso era riuscito ad avere la meglio e a farle subito accantonare questo folle proposito. Avrebbe rappresentato un inutile dispendio di tempo, energie e denaro, considerato che poteva restarsene in un luogo molto più comodo e tranquillo, in cui riusciva a concentrarsi meglio, raggiungibile senza dover pagare un abbonamento ai mezzi pubblici e frequentabile senza neppure dover svestire il pigiama. Altrimenti detto, il suo appartamento.

Ma, soprattutto, non l'avrebbe fatto perché doveva assolutamente trovare un modo per dimenticarsi di quel ragazzo.

E, per quanto si trattasse di una rinuncia sofferta, quella di una lunga separazione forzata era la sola via che le appariva percorribile, almeno al suo stato attuale. Doveva levarselo dalla testa ad ogni costo, perché questo suo innamoramento, cui aveva ingenuamente dato corda nella convinzione fosse solo il frutto di fantasie innocue, della cui illusorietà si diceva ben consapevole, stava assumendo dei connotati sempre più preoccupanti e malsani, in cui si ritrovò improvvisamente avviluppata.

Capì che la situazione le era ormai sfuggita di mano sempre grazie all'intervento della sua coinquilina, che si rivelò ancora una volta ben più abile di lei a dar voce ad una coscienza che non riusciva ad ascoltare e, a tal proposito, non voleva neppure stare a sentire.

In particolare avvenne quando, un sabato sera, riuscì con l'inganno a condurla nel medesimo pub in cui si era data appuntamento anche con il proprio fidanzato ed il suo rispettivo migliore amico, un tale che non conosceva ma che, purtroppo, si era impuntata di farle conoscere ad ogni costo.

Si ritrovò così incastrata per tutto il resto della serata tra una parete del locale e il tizio in questione, che a differenza sua sembrava esser stato pienamente informato dello scopo di quell'uscita a quattro e, sfortunatamente, altrettanto desideroso di metterla a frutto. Non che non fosse carino d'aspetto, o gentile nei modi, o in grado di sostenere discorsi intellettualmente stimolanti... Anzi, era proprio un bel ragazzo e, pur intuendosi dal suo fare sicuro quanto ne fosse consapevole, non risultava neppure particolarmente vanesio. E dava persino l'idea di essere uno che ci sa fare con l'altro sesso, che riesce ad essere galante senza far troppo il cascamorto. Inoltre, dai suoi interessi sembrava un giovane con la testa a posto, responsabile e diligente negli studi. In definitiva, la sua era una compagnia molto gradevole, proprio il tipo di ragazzo che sarebbe potuto piacerle...

E di certo le sarebbe piaciuto, se non avesse trascorso tutto il tempo a porlo in impietoso confronto con il solo per cui aveva occhi.

Non c'era proprio storia: in più di due ore non ci fu tra loro neppure una scintilla della magia che lui riusciva a praticare su di lei in un battito di ciglia, e senza dover recitare alcuna formula preimpostata, senza alcun trucco per catturare la sua attenzione, senza il bisogno di ipnotizzarla con lo sguardo per convincerla a seguirlo. Al confronto, non solo quello, ma tutti gli altri spettacoli non erano che degli squallidi teatrini imbastiti sulla strada. Ed ogni altro intrattenitore non era né più né meno che un patetico ciarlatano da quattro soldi.

Per questo, quando giunse finalmente l'ora di congedarsi, l'accolse come una vera e propria liberazione. Lo salutò con fredda cortesia ed evitò di sbilanciarsi troppo sulla sua disponibilità ad ulteriori appuntamenti, seppur senza riuscire a negargli un sorriso quando le disse che sperava tanto di rivederla presto. Né il suo numero, a dire il vero...

Purtroppo l'arrendevolezza era un difetto su cui aveva ancora parecchio da lavorare.

E, ovviamente, non riuscì nemmeno a sottrarsi alle domande con cui la sua coinquilina la tempestò sulla strada del ritorno.

Così, quando la sollecitò a rivelarle se il suo amico le avesse o meno fatto una buona impressione, si ritrovò nella scomoda posizione di dover deludere le sue aspettative senza, però, saper addurre alcuna giustificazione convincente per motivarle il perché del suo scarso interesse. Oggettivamente, non aveva notato particolari difetti...

Eccettuato solo il primario, insormontabile inconveniente che non era Lui.

Ma, chiaramente, si guardò bene dal dirle che era questa, la vera ragione. Non perché avesse paura che poi potesse rimproverarla o ridicolizzarla, no... La sua coinquilina era più quel tipo di amica che a simili confidenze diventa sovraeccitata, prende visceralmente a cuore la tua causa, ti sollecita a tentare un qualche approccio e che, a fronte della tua ritrosia, ci pensa lei a fare per te il primo passo.

Di solito, assumendosi iniziative dall'esito per lo più controproducente, se non completamente disastroso e terribilmente imbarazzante.

Dunque, se avesse scoperto che da mesi tornava a casa assieme a Seto Kaiba, ma mai aveva trovato il coraggio di rivolgergli la parola, non dubitava che sarebbe stata capace di attuare a sua insaputa la più folle delle sortite. Probabilmente se la sarebbe ritrovata il giorno seguente sul suburbano, decisa a ricorrere ai più tremendi dei pretesti pur di spingerla ad attaccare bottone con lui o, peggio, a chiedergli direttamente se fosse o meno interessato al suo numero di cellulare.

Rabbrividiva al solo pensiero.

Pertanto, evitò con estrema cura qualsiasi rivelazione pericolosa, sia pur con un certo disagio che non mancò di insospettirla e, dunque, di renderla particolarmente pressante con riguardo a suoi attuali interessi amorosi di cui non l'aveva ancora messa al corrente. Alle sue domande più dirette balbettò ed avvampò un po' troppo, ma alla fine riuscì a preservare il suo segreto come tale.

Però, più inconsciamente, forse non voleva confessarsi con lei, come con nessun altro, per non vedersi smontare sin già dalle fondamenta i castelli in aria che aveva iniziato a costruirsi su di lui.

Sia chiaro, lei non era mai stata dotata di una gran autostima, al punto che a fronte delle attenzioni da parte di un ragazzo, incluse quelle più ovvie e palesi, non era affatto incline a fraintenderle come dei segnali d'interesse nei suoi confronti, ed ancor meno a crearsi su quelle basi delle false aspettative. Ma non perché fosse particolarmente pessimista o disfattista... Gli obiettivi se li proponeva eccome, e si impegnava sempre al massimo per raggiungerli, anche quando le apparivano eccessivamente ambiziosi. Però, proprio perché spesso temeva di puntare troppo in alto e di aver fissato l'asticella ben al di sopra delle sue possibilità effettive, evitava di nutrire grandi speranze sul loro conseguimento, per non dover pagare lo scotto di una delusione in caso di insuccesso, e preferiva preventivare come possibile orizzonte anche la peggiore delle ipotesi perché, se già la si mette in conto, la realtà non potrà che riservare solo piacevoli sorprese.

Era tutta una questione di serenità interiore, insomma.

Tuttavia, questa era una filosofia di vita che proprio non riusciva ad applicare, con quel ragazzo.

Però non era nemmeno sua la colpa... non del tutto, almeno. Perché lei ci provava, davvero, ci provava ogni giorno, ma lui le impediva sempre di portarla ad estreme conseguenze con un qualche comportamento a fronte del quale non poteva che chiedersi se non avesse proprio lei come ragione scatenante.

Ma non si trattava affatto di gesti plateali, tutt'altro. Presi di per sé erano quanto di più ordinario si può rinvenire nei modi di una persona, tanto da passar quasi inosservati. Nel suo caso, però, l'ormai radicata abitudine di osservarne il contegno glieli aveva fatti presente con prepotente evidenza, ed il viscerale desiderio di comprenderne le motivazioni la spinse a studiarli con una tale minuziosa analiticità che, alla fine, se si ritrovò a credere in quella tesi irrealistica fu solo perché era stata costretta a smentire tutte le altre possibili teorie. Dopo oltre due mesi di analisi empiriche del soggetto era impossibile ignorare, ed ancor meno negare, che compiva determinati gesti solo ed esclusivamente in occasione di alcuni di quelli che faceva lei, e con una concomitanza così puntuale da potersi ritenere fin quasi correlati da un vero e proprio nesso di causalità.

Innanzitutto, lei era l'unica persona al cui passaggio sollevava non solo lo sguardo, ma anche tutto il resto del viso. Sia che entrasse, sia che uscisse dallo scompartimento. Si sentiva sempre quegli occhi azzurri puntati addosso con ostinazione, quasi con sfacciataggine, benché lei badasse bene a non fare in sua presenza figure da imbranata che potessero calamitare troppo la sua attenzione su di sé.

A valutare la circostanza con lucida, oggettiva razionalità, la si poteva definire senza troppi problemi bizzarra. E, a tratti, risultava persino un po' inquietante...

All'inizio aveva pensato che fosse semplicemente incuriosito dal colore dei suoi capelli, ma dopo un po' fu obbligata a riconoscere quanto fosse davvero debole, come giustificazione. Non aveva mai attirato con il suo aspetto un interesse tanto ossessivo, perché dopo un po' chiunque finiva per farci l'abitudine o, comunque, per imparare a contenersi abbastanza da non esternare troppo il proprio straniamento. Magari lo colpiva solo quanto fosse inusuale la coincidenza che prendesse sempre, con puntuale sistematicità, il suo stesso treno e che si sedesse sempre al medesimo posto, ma più tempo passava e meno anche questa spiegazione riusciva a convincerla. Non capiva perché mai avrebbe dovuto stupirsi tanto di una consuetudine che lui stesso seguiva e che, ormai, l'aveva vista coltivare abbastanza a lungo da poterne benissimo considerare la pratica non solo prevedibile, ma più che scontata.

Ciononostante, continuava a guardarla, e lei proprio non sapeva che pensare al riguardo. La sua sola certezza, era quanto desiderava dal profondo del cuore, con tutta se stessa, che i suoi occhi mai smettessero di seguirla, che non l'abbandonassero mai.

Poi, la seconda stranezza di cui si accorse fu che smetteva di digitare sulla tastiera del suo notebook ogni qualvolta le capitava di ricevere una chiamata sul cellulare, e che riprendeva a lavorare unicamente dopo la conclusione della telefonata.

Sulle prime aveva ipotizzato, sentendosi peraltro un po' in colpa, che facesse così perché troppo distratto dalla sua conversazione, ma alla fine si era dovuta ricredere considerando quanto, al contrario, rimanesse imperturbabile a quelle avviate da passeggeri a lui altrettanto vicini, e con toni usualmente ben più alti. In quei casi il ticchettio delle sue dita rimaneva costante e, piuttosto che interromperlo, preferiva rivolgere ai più fastidiosi un'occhiata di fuoco per suggerir loro, in modo un po' scorbutico ma pur sempre efficace, di abbassare un po' la voce, se non di ammutolire del tutto. Quando era lei a parlare, invece, non appariva affatto contrariato, ma anzi rimaneva fermo, immobile, come se fosse lui a non volerle arrecare disturbo con qualche rumore, o si stesse concentrando nel tendere le orecchie per seguire il suo discorso.

Delle due alternative, non sapeva proprio quale reputare la più inverosimile.

Ma, circostanza questa quanto mai stravagante, prese a comportarsi così anche quando ascoltava la musica e, per la precisione, per tutta la durata della prima canzone. Proprio di quella che, ormai, definiva semplicemente come “la loro canzone”.

E non poteva trattarsi di una mera casualità: il caso ammette la ripetizione continua di un fenomeno, ma conosce anche delle eccezioni. Invece, quello che stava studiando lei si ripeteva in maniera fissa e costante ogni giorno. Doveva esserci per forza del determinismo, una volontà dietro a tutto questo...

Eppure, per quanto non escludesse che, grazie alla vicinanza, potesse cogliere la base della canzone, e magari anche qualche parola, non riusciva proprio a trovare valide ragioni per il suo interessamento. Forse, si era soltanto accorto che all'inizio sceglieva sempre la stessa, e se voleva seguirla a sua volta era unicamente per cercare di capire che cosa mai ci trovasse di tanto entusiasmante. Forse, a forza di sentirla aveva persino iniziato a trovarla gradevole, e gli faceva altrettanto piacere ascoltarla...

Molto più verosimilmente, era lei che lavorava troppo di fantasia per forzare la realtà, per piegarla fino a farle assumere le sembianze dei suoi miraggi illusori.

E, a riprova di quanto ormai avesse perso del tutto la testa, era arrivata persino ad ipotizzare desiderasse che si andasse a sedere accanto a lui, solo per il fatto che non occupava più il sedile al suo fianco con la ventiquattrore e che ne liberava lo spazio, spostando la gamba, quando gli si avvicinava per raggiungere il proprio.

Il che era semplicemente impossibile, nient'altro che un abbaglio.

Ma no, si diceva: di certo faceva così perché preferiva riporre la sua preziosa valigetta sul portabagagli... Anche se avrebbe potuto risparmiarsi la fatica di sollevarla e di doverla poi recuperare all'arrivo. E non fosse affatto comoda da raggiungere quando ne aveva necessità durante il tragitto.

Ma comunque no, si ripeteva: di certo faceva così perché non voleva correre il rischio di urtarla col piede che teneva sollevato verso il corridoio... Per quanto non vi fosse alcun pericolo che ciò avvenisse. E si premurasse di disaccavallare la gamba esclusivamente al suo passaggio.

Però, per quanti sforzi di obiettività potesse fare, proprio non riusciva a razionalizzare l'anomalia più anomala di tutte, ovverosia che si sedesse sempre, ma proprio sempre al medesimo posto.

Per esperienza sapeva che non era statisticamente possibile, che era naturale e prevedibile che, occasionalmente, qualcun altro l'andasse ad occupare per primo. Non poteva essere così fortunato da riuscire ad evitare questo inconveniente tutti i giorni... L'unica spiegazione che le venne in mente era che fosse lui stesso a rivendicarlo come proprio, quando lo trovava già occupato. Di certo, a fronte di una sua eventuale richiesta perentoria, se non addirittura minacciosa, nessuno sarebbe mai stato in grado di trovare coraggio sufficiente ad opporsi al volere di Seto Kaiba. Dopotutto, lui era proprio il tipo di persona che non solo sa perfettamente quello che vuole, ma che non esita neppure a prenderselo persino quando non gli spetterebbe di diritto. Anche se ostinarsi tanto per impadronirsi di un posto che, in fin dei conti, non aveva nulla di speciale le pareva decisamente eccessivo... oppure no. In fondo, condivideva appieno quella sua predilezione, e se lei avesse potuto esercitare la sua stessa autorevolezza non avrebbe esitato a fare altrettanto, pur di assicurarsi il suo preferito.

Una necessità che, però, da quando viaggiavano assieme non aveva mai avvertito, perché anche lei trovava sempre, ma proprio sempre sgombro quello su cui aveva preso e consolidato l'abitudine di sedersi.

Questo era un vero e proprio mistero.

Escludeva fosse perché nessuno osava sceglierne uno a lui tanto vicino, perché anzi i sedili attorno erano tra quelli maggiormente ambiti, in special modo dalle ragazze...

Ma, nonostante la sua fosse forse la posizione più invidiabile di tutte, era sempre disponibile.

Ormai non si preoccupava nemmeno di poterlo trovare già occupato, vi faceva pieno affidamento: come era certa che lui ci sarebbe stato, così era sicura che le avrebbe tenuto libero il posto. Non ne aveva la minima prova, eppure di questo era pienamente convinta. Ci credeva. Aveva iniziato a credere nell'impossibile. Nonostante tutti i suoi buoni propositi a non montarsi troppo la testa, che si ripeteva ancora, costantemente, ma con sempre minor convinzione. Perché, per quanto continuasse ad apparirle irrealistico che una come lei potesse intrattenere un qualsivoglia tipo di relazione con uno come lui, sapeva che l'aveva notata. Che suscitava in lui un qualche tipo di interesse. Mattone per mattone, aveva eretto quel castello talmente in alto che non solo non riusciva più a scendere dalle nuvole, ma non voleva proprio più saperne di ritornare coi piedi per terra.

Per questo, nonostante sapesse che quelle erano altezze che non avrebbe dovuto raggiungere e che, più si innalzava, più sarebbe stato doloroso il momento della caduta, perseverava nel suo volo. Anche se si era costruita le sue ali con piume che non le appartenevano e che, avendole assemblate con della semplice cera, rischiavano di disperdersi ad avvicinarsi ed esporsi troppo ai raggi solari. Non ci poteva fare nulla: ne era attratta, da quel calore. Non l'aveva mai provato sulla propria pelle, però anche a distanza le sembrava così stupendo da apparirle non solo desiderabile, ma necessario. Ne aveva bisogno. Specialmente quando, sul far del tramonto, raggiungeva infreddolita la sua fermata. Allora, il tiepido richiamo proveniente dall'ultimo scompartimento si faceva irresistibile, e le sue gambe vi si dirigevano non più per consuetudine, ma quasi con urgenza. Anche se lucidamente avrebbe fatto meglio a stargli alla larga, continuava a cercarlo. Era sciocco, eppure continuava a farlo lo stesso, perché...

Perché continuava a sperare che, prima o poi, capitasse qualcosa che le offrisse l'occasione giusta per parlargli.

 


 

N/A - H^o^la!

Ok, eccoci arrivati alla fase “emotiva”, in cui si prende coscienza del proprio innamoramento, ci si sprofonda dentro ed iniziano le paranoie... Dal punto di vista cronologico, in parte sovrapposta a quella osservativa, di cui è in un certo senso l'altra faccia della medaglia. Ne approfitto poi per precisare che, ovviamente, quella che Kisara considera “la loro canzone” è nientemeno la stessa che riporto a stralci in tutti i capitoli.

Ci rivediamo il prossimo sabato per dare la parola al caro Seto, e vi ringrazio come sempre della lettura!

XOXO

- Evee

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Capitolo 6
*** inside his look ***


~ da quel giorno in poi

 

“Vedete, io l'amavo.
Era amore a prima vista, a ultima vista, a eterna vista.”
Vladimir Nabokov

 

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inside his look ~

 

So, let me come to you
close as I wanna be,
close enough for me
to feel your heart beating fast

 

Non riusciva a definirlo con esattezza ma l'avvertiva, il cambiamento in atto, ogni giorno più del precedente.

Era indubbio quando fosse incominciato, che ad avviare il tutto fosse stato quel secondo in cui aveva posato lo sguardo su di lei e deciso di seguirla, ma dopo un po' la drammatica incertezza sull'esito cui tale mutamento avrebbe potuto condurlo iniziò a preoccuparlo seriamente.

Il fatto è che dentro di lui si stava verificando una drastica ed irreversibile inversione di priorità: più guardava quella ragazza, e più desiderava continuare a farlo semplicemente perché gli piaceva osservarla, anziché per studiarla com'era nei suoi propositi originari. D'altronde era ormai diventato raro che gli capitasse di notare qualche dettaglio di lei del quale non si fosse già accorto, ed era riuscito a formularsi un'idea ben precisa sia sul suo carattere che sulla sua vita, per cui avrebbe potuto considerarsi pienamente soddisfatto del risultato ottenuto dalla ricerca effettuata ed archiviare in qualunque momento il suo caso.

Cionondimeno, non riusciva a farlo.

Continuava a tenerlo aperto col pretesto che le indagini non potevano dirsi ancora concluse, quando in realtà la ragione per cui saliva tutti i giorni sul suburbano non era affatto quella di poter spiare l'indiziata, ma di poter godere della sua compagnia. Non che gli tenesse compagnia per davvero, però... gli bastava la sua sola presenza, la sensazione di saperla accanto a lui, la certezza di poter posare lo sguardo su di lei in qualunque momento, a dargli conforto. La consapevolezza di non essere solo. Nonostante fosse oggettivamente da solo, nonostante lo fossero entrambi, comunque si sentiva con lei, comunque la sentiva con lui. Il che era illogico e una vera contraddizione in termini, lo sapeva... Però c'era lo stesso una condivisione in atto, durante quei 20 minuti in cui le loro vite si interrompevano e si ritrovavano nella medesima condizione. Uno stato di comunanza capace di creare un legame, un senso di appartenenza reciproca. Per quel momento della loro giornata, non erano altro che due passeggeri come tanti, due viandanti solitari che avevano preso l'abitudine di percorrere assieme la strada verso casa.

E c'era una ricchezza inestimabile, in questa ordinaria semplicità. Inconsistente, eppure anche estremamente... appagante. E che, per quanto incomprensibile, gli aveva permesso comunque di capire qualcosa: il posto dove desiderava collocare quella ragazza. Ormai l'aveva trovato, e non si trattava affatto di uno schedario qualunque in cui riporla, chiuderla e conservarla per l'evenienza...

Lei, desiderava averla ogni giorno con sé. Custodirla in un'agenda di piccole dimensioni, che poteva tenersi in tasca senza alcun fastidio e portarsi in giro sempre ovunque andasse. Costantemente sottomano per qualsiasi annotazione, anche la più banale, e prontamente a disposizione per qualunque sua improvvisa necessità di consultazione. E non certo per il timore di potersi dimenticare una qualche voce di quella lunga lista ormai infinita, ma perché proprio amava rileggerla punto per punto. Ordinatamente dall'inizio o in ordine sparso, non importava: nell'insieme, la sua era la storia più appassionante che avesse letto.

E non se ne stancava mai.

Era come con la favola di quel pescatore, quella che da piccolo implorava sua madre di raccontargli tutte le sere. L'unico ricordo vivido di lei che gli era rimasto in soffitta, che il tempo non era riuscito a cancellare, perché si trattava di una fiaba che aveva sentito così tante volte da averla imparata a memoria, da poterla raccontare lui stesso. Ed infatti, dopo la sua scomparsa, non aveva esitato a rispolverarla per tramandarla anche a suo fratello, trascrivendola sul volume che gli aveva dedicato.

Però, letta da sua madre, suonava molto meglio. Perché lei non si limitava a narrarla in terza persona, ma ne recitava il testo in una maniera così coinvolgente da trasformare l'inchiostro in immagini, da dar voce alle parole dei dialoghi. Non aveva mai capito come, ma riusciva a fargli prendere vita. A farla vivere anche a lui.

Per questo, quando lo raggiungeva per metterlo a letto ed augurargli la buonanotte, si rifiutava persino di infilarsi sotto le coperte, almeno finché non l'avesse vista recuperare il libro in cui era raccolta la storia e prendere posto accanto a lui, pronta a cullarlo con il suo racconto. Anche se a volte, estenuata, provava prima a chiedergli se non preferisse sentirne un'altra, non capendo perché gli piacesse così tanto proprio quella, che aveva un finale talmente triste.

Non lo sapeva nemmeno lui, in realtà.

Odiava quella conclusione, che gli spegneva il sorriso con un sapore sgradevole, amaro di delusione... ma, d'altronde, non l'ascoltava mai. Si addormentava molto prima, beatamente come con nessun'altra favola, quando il protagonista veniva accolto alla corte del drago che regnava nelle profondità del mare, e lo ringraziava per aver salvato una piccola tartaruga sotto le cui sembianze si celava in realtà sua figlia, una bellissima principessa. Proprio nel bel mezzo dei festeggiamenti organizzati per le loro nozze. Quella, per lui, era la vera conclusione, perché l'umile pescatore aveva dato prova di coraggio e nobiltà d'animo, e se la meritava, quella ricompensa. Perché si trattava di una fiaba, e come tale doveva avere un lieto fine, non un esito tragico. Dunque, si era rifiutato di accettarla e l'aveva idealmente riscritta, resa propria e, forse, era appunto per quello se era poi diventata la sua preferita. Gli apparteneva, se l'era creata lui, e ne andava così orgoglioso da non stancarsi mai di rimirare il proprio operato. La versione precedente, non si ricordava nemmeno più in che modo terminasse, come se non fosse mai esistita.

Con lei, era lo stesso. Si era interessato alla sua storia per il fortissimo legame che aveva da subito avvertito con la propria, e si era innamorato di quella che col tempo aveva ideato nell'unirle assieme. Le aveva confuse così tanto, ormai, da non riuscire più ad isolare quella a lui spettante... Eppure sentiva che, così facendo, l'aveva nettamente migliorata. E che poteva migliorarla ancora, perché in lei aveva trovato anche la traccia giusta lungo cui perfezionarla, esattamente come aveva sempre desiderato. Quella ragazza gli stava fornendo l'ispirazione necessaria per scrivere il suo lieto fine, e da quando aveva iniziato a seguirla, ad immaginarsi quella stupenda conclusione, non riusciva più ad abbandonarla. Non poteva più farne a meno, e ne era diventato talmente assuefatto che, se non avesse assunto la sua dose giornaliera, la crisi d'astinenza che l'assaliva non appena la vedeva scendere dal treno ed andava ad impennarsi nel corso delle 24 ore successive avrebbe potuto anche rivelarglisi fatale.

Ovviamente non era affatto così, e gli sarebbe bastato smettere di prendere il suo stesso suburbano per iniziare a disintossicarsi, per ritornare con il tempo e la forza di volontà pulito, libero da quell'assurda dipendenza...

Tuttavia non riusciva proprio a radunare la determinazione necessaria per farlo perché, pur non essendogli mai mancata, gli mancavano le motivazioni per radunarla. Lei non era affatto come una sostanza nociva, dopotutto... Lei era più la cura benefica, palliativa, magicamente in grado di liberarlo da qualunque stress o malumore accumulato durante la giornata: gli bastava guardarla per sentirsi in pace con se stesso e col mondo. Dimenticava persino tutta la sua avversione verso i mezzi pubblici e per i relativi passeggeri. Non perché avesse incominciato ad apprezzarli, sia chiaro... Era perché arrivava a scordarsi completamente del luogo in cui si trovava e delle altre persone presenti.

Tutto ciò che contava davvero era solo che si trovava dov'era lei, che lei era lì presente.

Ed anche quando il loro breve tragitto assieme giungeva al termine, la serenità che gli aveva trasmesso perdurava, lo rilassava al punto da farlo sentire più leggero, da fargli apprezzare sinceramente la quiete domestica in cui rincasava, da far sì che si addormentasse senza troppe difficoltà. Senza troppi pensieri che gli impedissero di riposare. Senza troppi rimpianti per cose che non era riuscito a fare e che avrebbe preferito fare, anziché mettere in pausa il cervello. Anzi, si sentiva così soddisfatto di sé che non vedeva l'ora di prendere sonno per mettere finalmente il punto alla sua giornata e poter andare subito accapo, iniziare quella successiva con rinnovato entusiasmo. Perché non c'era davvero modo migliore per definire il suo stato d'animo, talmente intenso ed irriducibile che nemmeno le più ostiche, frustranti o comunque noiose incombenze in cui poteva imbattersi sul lavoro riuscivano anche solo a smorzarlo: era perennemente entusiasta.

Persino suo fratello se n'era accorto.

Anzi, era stato proprio lui a farglielo presente, e a mostrargli quanto lo esternasse senza neppure rendersene conto. “Stasera sei più loquace del solito”, osservò una volta, compiaciuto. Un'insinuazione che gli lanciò, sia pur lasciandola cadere, anche in altre, sempre più frequenti occasioni, per poi passare a domande ben più dirette e maliziose, volte a carpirgli la ragione per cui, recentemente, era così di buonumore, e sorrideva tanto spesso...

Non sapeva mai in che modo rispondergli.

Ne prendeva atto con un'alzata di spalle, replicava che a lui non sembrava affatto, e correva subito ai ripari ritornando come suo uso e costume silenzioso, torvo ed inespressivo. Una condizione che gli veniva naturale ma che, nell'ultimo periodo, si ritrovava sempre più a dover fingere, sforzandosi di occultare il suo vero stato d'animo con uno artefatto, e talmente opposto al primo da non riconoscersi più in nessuno dei due.

Ma, per un po', si era comunque illuso di risultare convincente...

Finché suo fratello non riuscì a smascherarlo.

Eventualità che già temeva e, quindi, aveva cercato di prevenire, ma che raramente riusciva a scampare. Perché il problema, con lui, non era solo quanto sapesse essere acuto e perspicace, ma soprattutto quanto fosse eccessivamente curioso, per non dire pettegolo e ficcanaso come una vecchia comare. Ovvero, la peggiore combinazione possibile. Per quanti sforzi potesse fare era impossibile tenergli nascosto qualcosa a lungo: fiutava le bugie che si inventava meglio di un segugio. E poi, puntualmente, lo smascherava con il fare plateale di un detective che sbatte in faccia al colpevole le prove del crimine compiuto, ottenute tramite le sue sempre più numerose fonti di notizie...

Se non avesse avuto già il posto assicurato alla Kaiba Corporation, di certo avrebbe potuto fare una carriera altrettanto promettente nei servizi segreti.

Nel caso di specie, ciò che lo tradì fu una dannatissima foto che non solo qualcuno aveva avuto il coraggio di scattargli di nascosto, ma che aveva pure avuto la brillante idea di postare online. E che, di conseguenza, era stata vista e condivisa anche dai suoi amici, e dagli amici dei suoi amici finché, nel giro di poche ore, tutto il mondo non era venuto a sapere della sua nuova abitudine d'usufruire dei servizi di trasporto pubblici.

Purtroppo Internet era una delle poche cose che non era ancora riuscito ad assoggettare del tutto al suo dominio ma, non appena ci fosse riuscito, il suo primo editto sarebbe stato quello di epurare il web da qualsivoglia tipo di blog o social network. Banditi per sempre, ecco quale sarebbe stata la loro sorte, che diamine! Quella era l'unica punizione adeguata, per le ripetute, indebite invasioni perpetrate ai danni della sua privacy e per la loro ancor più imperdonabile stupidità intrinseca.

Ovviamente dei commenti che a quella notizia si sprecarono non si curò di leggerne neppure uno, ma quelli sconcertati di suo fratello furono ineludibili. E lui si ritrovò impantanato in un interrogatorio da cui non aveva la minima speranza di uscire illeso. Il fatto commesso era inconfutabile, il suo movente inconfessabile e non aveva uno straccio di alibi. Anzi, aveva pure l'aggravante di aver cercato di eludere le sue investigazioni fingendo, di concerto col proprio autista, di non aver mai smesso di rincasare in limousine... Insomma, si era avvalso di una bugia con le gambe così corte che non solo non era riuscita a portarlo da nessuna parte, ma che gli si era pure ritorta contro.

Così, si decise a rivelargli la verità: se preferiva tornare a casa in treno, era per potersi vedere segretamente con una ragazza.

E, come auspicato, riuscì a fregarlo. Psicologia inversa, il trucco più vecchio del mondo. Suo fratello pensò che lo stesse solo prendendo in giro, e finì per desistere dal fargli ulteriori domande. Almeno per il momento. Purtroppo non aveva vinto la guerra, ma solo una battaglia... Però si era pur sempre trattato di uno scontro decisivo dal punto di vista strategico: almeno poteva approfittare della tregua per ideare un piano con cui difendersi dalle sue prossime offensive. Perché era certo che i suoi attacchi si sarebbero fatti sempre più frontali ed aggressivi, oltre che imminenti. Ormai l'aveva insospettito troppo, e gli sarebbe bastato intervistare le persone giuste per poter scoprire quanto e quanti altri aspetti della sua vita fossero recentemente cambiati proprio in funzione del suo stravagante, imperdibile appuntamento quotidiano. Non solo per non mancarlo usciva prima del consueto dalla sede della sua società, ma evitava con cura di fissare impegni troppo in concomitanza con quello, ed interrompeva bruscamente qualsiasi riunione che, a dispetto dei suoi accorgimenti, finiva per protrarsi più del previsto. E, se doveva recarsi fuori città, preferiva farlo nel finesettimana, ossia in quei due giorni in cui, tanto, non avrebbe avuto occasione di vederla... A meno che non si trattasse di questioni non rinviabili, ma anche in tal caso accettava di allontanarsi da Domino solo dopo essersi assicurato che sarebbe comunque riuscito a tornare in tempo utile per prendere il suo solito suburbano.

Se, poi, quella peste di suo fratello avesse pure avuto la trovata di mettersi a seguirlo di nascosto, si sarebbe sicuramente reso conto che non solo aveva preso l'abitudine di salire sull'ultimo scompartimento per potersi sedere ogni volta al medesimo posto, ma che proprio lo faceva sempre. Persino quando non ne avrebbe avuta la possibilità perché, se lo trovava già occupato, non esitava a scacciare il malcapitato con la stessa furia che l'avrebbe animato se avesse scoperto qualcuno stravaccato sulla poltrona del suo ufficio.

Dunque, dopo essersi ripreso quanto di sua spettanza, riservava un uguale, se non peggiore, trattamento alle persone che trovava sedute o provavano a sedersi al posto riservato alla sua candida ragazza dagli occhi blu.

Purtroppo non poteva fare altrettanto con quelle che, successivamente alla sua apparizione, osavano mettersi accanto a lei e frapporsi alla sua visuale, peraltro beneficiando indebitamente di una vicinanza fisica di cui lui, invece, non poteva bearsi e per cui continuava a struggersi. Se, però, si trattava di un qualche ragazzo, allora si preoccupava di non perderlo di vista un solo istante, casomai provasse a guardarla troppo. O a parlarle troppo. O a starle in qualsiasi modo troppo addosso.

E la sua soglia di tolleranza al riguardo era davvero molto, ma molto bassa.

Comunque, nessuno al momento era stato tanto sprovveduto da tentare un approccio esplicito, perché in tal caso era poco ma sicuro che il profilo del casanova di turno sarebbe stato trascritto all'istante sul suo libro nero, non appena fosse riuscito a scegliere la più appropriata delle tante morti lente e dolorose che si prefigurava per lui durante il tragitto... D'altronde, le sue occhiate assassine sapevano sempre rivelarsi un ottimo deterrente.

Così, quando si ritrovò a valutare la propria condotta nel suo complesso, non poté che prendere drammaticamente atto di quanto si fosse anche fin troppo lasciato andare, e fosse sprofondato in una situazione di cui, un tempo, credeva di reggere saldamente le redini ma che, invece, aveva finito per assumere su di lui il totale controllo.

Quella ragazza lo stava davvero facendo impazzire...

Fortunatamente però un qualche barlume di ragione sembrava essergli rimasto, perché altrimenti nulla avrebbe potuto trattenerlo dall'afferrarla per un braccio nell'attimo in cui gli passava accanto, per costringerla a guardarlo con la forza.

E, già che c'era, a sedersi accanto a lui.

Però, anche se non poteva certo imporglielo, sperava sempre che un giorno, magari proprio quel giorno, lei lo facesse comunque. Cioè, sapeva che si trattava di una vana speranza e che, per quanto facesse il possibile perché il posto vicino al suo potesse apparire il più invitante di tutti, lei avrebbe sempre preferito il proprio e, comunque, non si sarebbe mai permessa una simile invadenza nei suoi confronti neppure se il resto dello scompartimento fosse stato al completo, ma...

Almeno uno sguardo. Solo uno, chiedeva molto?

Eppure, nonostante lo invocasse ogni volta, ogni volta il suo desiderio finiva per rimanere deluso. E lui in uno stato di sconcerto commisto a disappunto. Insomma, si rifiutava di credere che non si fosse accorta di lui, di quanto la fissasse quando gli si avvicinava... Era impossibile. Cionondimeno, non solo lei continuava a resistere incrollabile ad uno sguardo con cui avrebbe potuto far cadere decine di ragazze ai suoi piedi, ma addirittura lo ignorava, quando invece chiunque altra avrebbe fatto di tutto pur di attirarlo su di sé. E questa non era affatto una considerazione presuntuosa, ma una formulata all'esito di ripetute e costanti analisi a campione.

Quando la vedeva scendere dal mezzo, poi, abbandonandolo dietro di sé con quell'insopportabile indifferenza, doveva far appello a tutta la sua forza di volontà per costringersi a rimanere seduto, anziché alzarsi per inseguirla ovunque si stesse dirigendo. Se si fosse accorta che la stava pedinando nulla, neppure la circostanza che il suo molestatore di nome facesse Seto Kaiba, l'avrebbe dissuasa dallo sporgere a suo carico denuncia per stalking. Anzi, data l'inesistente considerazione che stava dimostrando per lui, era verosimile che non avrebbe avuto la benché minima esitazione a farlo. Per cui, a malincuore finiva per desistere, proseguendo lungo la propria strada. Quella ragazza era già riuscita a calpestare il suo orgoglio fino a mandarlo in frantumi, ma almeno la sua reputazione gli sarebbe piaciuto poterla conservare integra...

Benché avesse iniziato a nutrire l'orrendo presentimento che non sarebbe riuscito ad astenersi ancora per molto da simili gesti avventati: gli appariva sempre più irresistibile, ogni giorno più bella del precedente.

Ma non poteva essere... oppure sì. Gli sembrava che avesse incominciato a vestirsi e a truccarsi con una cura maggiore rispetto alle prime volte che l'aveva vista. Forse si era abituata ad alzarsi presto la mattina per andare in università e, di conseguenza, a gestire meglio i tempi necessari per prepararsi. O, forse, stava cercando di fare colpo su qualcuno... Ma se prendeva in considerazione quest'eventualità era soltanto per la sua illusoria speranza che quel qualcuno potesse essere proprio lui.

Magari fosse stato davvero così.

Però si era anche accorto che, con l'approssimarsi dell'inverno, mentre tutti tendevano ad indossare abiti sempre più scuri, lei andava controcorrente e preferiva tonalità molto più chiare... spesso il bianco, esattamente come lui.

Una coincidenza, nulla più, tuttavia gli piaceva pensare che scegliesse quel colore per lui. Anzi, se ne era proprio convinto, benché in fondo sapesse perfettamente che si trattava di un'idea frutto solo del suo colossale egocentrismo.

Ed era adorabile in quelle candide sembianze. Un vero angelo.

Almeno era così che risultava, alla luce dei suoi occhi. Ne ammantava l'aura con un chiarore quasi palpabile, che si faceva di giorno in giorno più intenso, che la rendeva sempre più preziosa al suo sguardo. Talvolta la sua versione passata gli aveva causato delle visioni, ma quella attuale gli provocava delle vere e proprie allucinazioni.

Così, giunse alla conclusione che non era lei a diventare ogni giorno più bella, ma era lui che stava progressivamente smarrendo la sua già dubbia sanità mentale.

Tuttavia possedeva ancora abbastanza lucidità da non essersi fatto sfuggire un altro mutamento che l'aveva interessata dopo neanche troppo tempo e su cui, invece, non aveva il minimo dubbio, considerando che riguardava un aspetto oggettivamente ed empiricamente verificabile.

Ossia, la musica che ascoltava durante il tragitto.

Si accorse che aveva preso a cambiare sempre più di frequente i brani in riproduzione, e con espressione persino infastidita. Come se alcuni l'avessero stancata, o non le andasse proprio di sentirli. E questa sua improvvisa insofferenza per canzoni che prima sembrava apprezzare in egual misura divenne presto così generalizzata da non limitarsi più con un tocco a passare a quella successiva, ma a cercare appositamente nell'elenco quelle che più la aggradavano. Come se per la gran parte non le trovasse più in linea con il proprio umore, e desiderasse ascoltare solo quelle che sapevano assecondarlo, anziché influenzarlo. Con note delicate, dalle strofe dolci...

Dal suo punto di vista, un vero strazio.

Eppure, non gli suonavano comunque sgradevoli. Erano canzoni talmente soffuse che, a differenza delle altre, non gli arrecavano il minimo disturbo. Riuscivano ad essergli perfino concilianti. Inoltre le si addicevano, e soprattutto riuscivano a produrre su di lei un effetto davvero piacevole a vedersi, perché le rasserenavano l'espressione e le facevano risplendere gli occhi, come se fosse persa in un bel sogno.

Poi, però, si accorse che ce n'era una che la rendeva più luminosa di tutte.

Una che iniziò a sentire sempre più spesso, finché non arrivò a farlo quotidianamente. Ogni giorno, quella era la prima canzone che sceglieva di ascoltare. E la coinvolgeva così tanto da farle appoggiare la testa al finestrino, da dipingerle sul volto un leggero sorriso. L'aveva ascoltata così tante volte che, nonostante fosse in inglese, era riuscita ad impararla a memoria alla perfezione, conquista di cui a tratti dava prova canticchiandola tra sé, muovendo appena le labbra, parola per parola, con un ottima ed ammirevole padronanza della lingua.

Ma ciò che più lo colpì di quella canzone rispetto alle altre, era che la conosceva anche lui.

Davvero inusuale, perché era raro che ne memorizzasse qualcuna, non essendo abbastanza interessato alla musica da ascoltarla per conto proprio o prestar caso a quella trasmessa in giro. Sarebbe stato un ricordo fine a se stesso, che avrebbe solo occupato inutilmente dello spazio nella sua memoria...

Eppure, quella gli era rimasta impressa.

Ci rimuginò sopra per un po', su quale potesse esserne stata la ragione, cercando di rammentarsi in quale occasione avesse già avuto modo di sentirla... e senza successo. Tuttavia ogni giorno quell'interrogativo si riproponeva, come un tarlo che ad ogni ascolto scavava sempre più nella sua mente, finché arrivò così in profondità da non poter più reggere la sua assillante intrusione.

Decise pertanto di concentrarsi attentamente su di essa, finché non riuscì a carpirne alcune parole in successione, che riportò in un motore di ricerca per scoprire finalmente il titolo di quella dannatissima canzone e il suo ancor più stramaledetto autore.

La scovò in fretta, ma soprattutto gli bastò dare una scorsa alle voci correlate per capire anche come mai si fosse fissata tanto nella sua memoria: si trattava della colonna sonora di un videogioco, l'ottava versione di un famoso RPG fantasy di cui era piuttosto appassionato. Quella, gli era piaciuta particolarmente, al punto che ci aveva perfino giocato una seconda volta, assieme a suo fratello.

Dunque, aveva trovato un interesse che li accumunava. Anche lei amava i videogame o, quantomeno, amava quello. Chissà se era stata anche abbastanza abile da terminarlo... Probabilmente no: diventava davvero arduo sul finale, senza l'aiuto di un altro giocatore. Ma glielo avrebbe offerto volentieri, il suo...

Che razza di idea, quella. Una vera sciocchezza.

Comunque, nonostante fosse riuscito a dissipare il mistero che tanto l'aveva tormentato, in seguito a quella rivelazione non riuscì affatto a liberarsi di quella canzone come si era auspicato.

A forza di sentirla, l'aveva imparata anche lui, e si era insinuata nel suo subconscio al punto che stralci di melodia gli risuonavano in testa nei momenti più disparati, per tutto il resto della sua giornata: mentre camminava verso casa, faceva la doccia, cenava con suo fratello, cambiava gli abiti, cercava di addormentarsi. Era incredibilmente fastidioso, un vero tormento. Compulsivo, perfino per i suoi standard.

Pazzesco: si era fatto ossessionare da una canzone.

Però, era proprio quello che gli era successo. E, benché sapesse che gli sarebbe bastato smettere di sentirla per sbarazzarsene, per liberarsi di quel quotidiano imprinting, era quella la canzone che tacitamente le richiedeva ogni qualvolta la vedeva accendere il lettore mp3, quella che più desiderava ascoltare. E non tanto per il piacere di farlo, ma per ciò che rappresentava: era quella che inaugurava l'inizio del loro viaggio assieme, le cui note esprimevano tutto quello che lei riusciva a trasmettergli e le cui strofe recitavano proprio le parole che lui non aveva abbastanza coraggio da rivelarle a voce. Quella che riassumeva i suoi sentimenti così bene da spingerlo addirittura a crederli reciproci, o comunque a fargli immaginare che potessero diventarlo, essere ricambiati, visto che amava così tanto ascoltarla.

Quella che era diventata la loro canzone.

Ormai l'aveva deciso, e la rivendicava per sé. Solo l'idea che lei potesse pensare a qualcun altro, nell'ascoltarla, gli appariva come il più atroce dei tradimenti. Si rifiutava persino di concepirlo, perché non sapeva se sarebbe riuscito a perdonarglielo, un torto simile.

Quel sorriso, non voleva condividerlo con nessun altro.

Quel canto, desiderava che lo dedicasse a lui soltanto.

Anzi, avrebbe preferito che l'intonasse ad alta voce, che anziché trattenerlo gli permettesse di risuonare dalle sue labbra libero, fiero di sé. Aveva un timbro così nitido e cristallino, così denso di sfumature, che si era convinto cantasse in maniera stupenda. Magari non tecnicamente perfetta, ma sicuramente incantevole, se l'avesse fatto nello stesso tono dolce ed appassionato che utilizzava per quel suo canto silenzioso. Non lo sentiva, ma lo percepiva ugualmente, e così chiaramente da udire più quello dell'originale. E, nonostante la cantante del pezzo vantasse una timbrica oggettivamente sublime, per lui non c'erano paragoni che reggessero, perché il suo gli arrivava dritto al cuore. Era quello, che ogni volta trepidava per poterlo sentire di nuovo, per poter battere secondo il ritmo che gli aveva insegnato.

“Suona la nostra canzone”, la pregava sempre.

Ed il tempo scorreva veloce, durante quella melodia, con una rapidità che non rendeva giustizia alla sua durata effettiva. Più di 5 minuti, ma che svanivano in un battito di ciglia. Gli attimi migliori della sua giornata, che però gli apparivano sempre troppo pochi. Irrisori, rispetto a tutti quelli in cui veniva così ingiustamente privato di quel piacere.

Così, pervenne alla conclusione che si era davvero stancato, di limitarsi a guardarla. Era diventata un'attività troppo insoddisfacente, una volta appurato che ciò su cui aveva posato gli occhi gli interessava realmente. Ormai aveva rimirato il suo oggetto del desiderio abbastanza a lungo per convincersi che non lo bramava per un mero capriccio, perché intrigato e abbindolato da una pubblicità ingannevole, ma per un sincero apprezzamento delle sue qualità più nascoste, che lui stesso aveva avuto occasione di toccare con mano. E non gli interessava neppure conoscerne il prezzo, perché ormai vi aveva investito così tanto di se stesso che era disposto a pagare qualunque corrispettivo, pur di riceverne in cambio i sentimenti.

Altrimenti detto, voleva la ragazza oltre quella vetrina.

Quella davanti alla quale passava tutti i giorni, e su cui si affacciava sempre a rimirarla. La voleva e l'avrebbe avuta. Anche se non era disponibile per la vendita, o era già stata promessa ad altri acquirenti. In tal caso, era persino pronto a rubarla: avrebbe infranto il vetro che lo separava da lei e se la sarebbe presa lo stesso.

Macché, l'avrebbe infranto in ogni caso.

La sua scarsa pazienza era ormai giunta al limite. Anzi, a causa delle sue incertezze ne aveva portata anche troppa, ben più di quanta effettivamente fosse in suo possesso. Inoltre non poteva permettersi di temporeggiare oltre, di attendere il momento in cui sarebbe stato sicuro che i risparmi accumulati giorno per giorno fossero sufficienti per l'acquisto che intendeva effettuare, perché il termine fissato per la presentazione delle offerte si stava facendo pericolosamente vicino: nel giro di poche settimane il semestre accademico si sarebbe concluso e, di conseguenza, lei non avrebbe più avuto motivi per prendere quotidianamente il suburbano, né lui opportunità di rivederla... non prima della conclusione della sessione d'esami e della ripresa delle lezioni, almeno.

E una simile prospettiva proprio non gli aggradava.

Pertanto avrebbe dato fondo alle risorse di cui disponeva al momento, e le avrebbe fatto comunque un'offerta. Anche se per lei poteva essere ancora prematura. Anche se non sembrava interessata a sentirla, e non gli dava modo di formularla...

Se la sarebbe creata da solo, l'occasione giusta per presentarle la sua proposta.

 


 

N/A - H^o^la!

Ebbene, le frecce di Cupido non hanno risparmiato neppure il giovane Kaiba. Anzi, si può dire che l'abbiano proprio centrato ed affondato.

Essendo questo un capitolo piuttosto delicato, ci tenevo a spendere qualche parolina in più del solito al riguardo... Innanzitutto volevo precisare che la favola cui Seto accenna, è la fiaba giapponese di Urashima Tarou. A mio parere era davvero molto adatta per simboleggiare la sua storia passata con Kisara, l'attaccamento ossessivo che ha per lei a livello inconscio ma anche il rapporto conflittuale che ha con quella vicenda, che immagino l'abbiano influenzato sin da bambino, specialmente quando ancora poteva sognava spensierato. Se volete leggerla per comprendere meglio i riferimenti che ho fatto, apprezzare tutti quelli con cui non vi ho voluto tediare e scoprire perché Seto odiasse tanto l'amara conclusione, ne trovate la versione più diffusa qui ed un'altra in cui mi sono imbattuta qui, da cui ho tratto comunque un pò d'ispirazione. E poi niente, l'immagine di un piccolo, pucciosissimo Kaiba che fa i capricci con la mamma mi faceva troppa tenerezza.

Comunque, anche le sue vicissitudini con “la loro canzone” non sono da prendere troppo alla lettera, perché sono più una metafora dell'approccio che ha avuto nei confronti della sua vita precedente e di Kisara. Quanto al suo desiderio compulsivo di sentirla ogni volta, l'associazione con il “suonala ancora” di Casablanca è stato irresistibile.

E pure la citazione con cui ho aperto il capitolo ha un suo perché, in quanto è tratta nientemeno che da “Lolita”. Citazione che mi è parsa più che mai appropriata visto che, pur essendo coetanei, Seto è intrappolato in una mentalità e in una vita da adulto, mentre Kisara ha ancora tutta la vitalità e gli occhi di una bambina. E a mio giudizio è proprio in questa loro differenza così bipolare, che trovano la loro perfetta complementarietà.

Oh, e il “libro nero” di Kaiba è ovviamente un Death Note.

Grazie infinite della lettura, ci rivediamo sabato prossimo!

XOXO

- Evee

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Capitolo 7
*** through her eyes ***


da quel giorno in poi ~

 

“Quando comprendo i tuoi occhi
ascolto la tua voce vera.”
Alejandro Lanús

 

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~ through her eyes

 

Shall I be the one for you
who pinches you softly, but sure?
If frown is shown then
I will know that you are no dreamer

 

Un giorno, avvenne qualcosa di così sorprendente che lei stessa faticò a crederci, figurarsi se l'avesse raccontato ad altri...

Per la precisione, era il 9 di dicembre. La data era l'unica circostanza su cui sarebbe stata pronta a giurare solennemente, perché una volta tornata a casa l'aveva controllata sul calendario in modo da cerchiarla e fissarla per bene nella propria memoria.

Quanto a tutto il resto, l'aveva vissuto con troppo coinvolgimento per poter esserne certa, tanto che non solo non le riusciva di valutarlo in maniera obiettiva, ma le sembrava che si fosse proprio verificato soltanto nella sua testa. Dopotutto si era trattato giusto di pochi istanti, talmente fugaci che era impossibile averne colto ogni singolo passaggio così nei dettagli, e che ognuno di questi fosse durato abbastanza a lungo da trasmetterle una gamma talmente variegata ed intensa di percezioni.

Doveva esser caduta vittima di un'allucinazione, non c'era altra spiegazione.

Ciononostante qualcosa, di quella sua fantasia, era successo per davvero. Sia pur solo in minima parte... Voleva che fosse successo per davvero, affinché la felicità febbrile che da allora l'aveva colta e più abbandonata non fosse interamente illusoria. Anzi, era in preda ad una vera e propria tempesta emotiva, non sapendo se dovesse rimproverarsi per quanto stava ingigantendo l'accaduto, e dunque non avesse alcun motivo per sentirsi tanto eccitata, oppure se la titubanza le stesse impedendo di realizzarlo appieno, e dunque di provare l'unico stato d'animo veramente appropriato.

Ossia, quello euforico.

Così, non appena le fu possibile, si rintanò in camera sua e si sdraiò sul letto per cercare di placare questa sua sovragitazione, chiudendo gli occhi per provare a riflettere con calma e mente lucida, traendo profondi respiri fino a ripristinare la regolarità del proprio battito cardiaco. Aveva bisogno di riordinare un po' i suoi ricordi, metterli cronologicamente in fila per appurare se, nella loro concatenazione, fossero o meno plausibili e per formularne dunque una versione per lo meno verosimile.

E, per farlo, non poteva che attenersi ai fatti.

Il primo in successione temporale, nonché presupposto necessario di tutti gli altri, era che avesse preso il suburbano delle 19 e 03, come sempre e dunque come scontato. Tra l'altro, quel giorno era stata l'unica delle persone in attesa sulla banchina ad esserci salita sopra dalle porte dell'ultimo scompartimento, perché una volta al suo interno non aveva avuto alcun passeggero ad ostruirle con le spalle la visuale o a premerla da dietro affinché si affrettasse a sedersi e, dunque, permettesse loro di fare altrettanto.

Per questo attraversò il corridoio con tutta calma, ed ebbe modo di notare con la coda dell'occhio che, contro ogni sua aspettativa, lui non aveva sollevato il viso per guardarla. Ma non ne rimase delusa, no...

Si sentì proprio morire dentro. Come se la mancanza di quella scintilla di cui necessitava quotidianamente per alimentare le sue speranze non avesse estinto solo quelle, ma anche la sua stessa voglia di vivere.

Comunque, se l'era andata a cercare e se lo meritava: era stata una sciocca.

Si rimproverò severa, e si impose rigorosa di non lasciarsi sopraffare dallo sconforto. Era giunto il momento che si rassegnasse, e che i suoi sentimenti voltassero pagina. Una realmente esistente, anziché continuare a soffermarsi su quella fittizia che lei stessa aveva aggiunto e riempito con le parole che più desiderava leggere. Era molto meglio che le cancellasse di persona, prima che altre ventate gelide vi soffiassero sopra fino a sbiadirle, o a farle volar via con un impeto irrefrenabile, a cui non sarebbe riuscita ad opporsi senza provocarne anche un qualche strappo. Perché allora di quel foglio non le sarebbero rimasti che pochi brandelli, tinti del sangue con cui lei stessa li avrebbe di certo macchiati quando, nella foga di trattenere almeno quelli, si sarebbe tagliata alle dita coi bordi frastagliati della loro carta. Sarebbe stato doloroso, e lei non voleva soffrire. Meglio prevenire che curare, considerato soprattutto quanto si trattasse di una ferita così pericolosamente a rischio d'infezione.

Dunque, decise che l'avrebbe fatto immediatamente, ed in via precauzionale si prescrisse pure un vaccino: avrebbe cambiato posto, scegliendone uno il più possibile lontano da lui, e la prima cosa che avrebbe fatto una volta seduta non sarebbe stata quella di estrarre il lettore mp3 per ascoltare la loro canzone, ma quella di recuperare il cellulare per scrivere un sms al ragazzo che le aveva presentato la sua coinquilina. Le aveva già chiesto più volte di uscire assieme, e lei troppe volte gli aveva risposto di aver già degli altri impegni...

Se ne sarebbe liberata, e d'ora in avanti si sarebbe recata solo a dei veri appuntamenti.

Ma, chiaramente, tutti i suoi buoni propositi vennero vanificati sul nascere, perché quando gli si avvicinò non riuscì mai a superarlo. Anzi, prima che potesse stralciarla, lui le appuntò un segnalibro proprio alla pagina che gli aveva dedicato.

Nell'approssimarsi al suo posto si accorse che, se stava tenendo il viso abbassato, era solo perché intento ad annotarsi un qualche promemoria su un'agenda che mai gli aveva visto prima. O meglio, uno che aveva appena terminato di trascrivere, perché la richiuse rapido con uno schiocco ed andò ad appoggiarla sul sedile al suo fianco.

Con somma fatica, si impose di continuare a guardare il corridoio su cui stava camminando, anziché il meraviglioso ragazzo che si era appena allungato fino ad invadere il campo visivo da cui stava cercando di estrometterlo. Ma, proprio per quello, le fu impossibile non notare l'oggetto che in quel preciso istante cadde ai suoi piedi. Forse gli era sfuggito di mano, forse gli era scivolato via dall'agenda per la fretta... Una negligenza che non era affatto da lui, ma su cui al momento nemmeno s'interrogò.

La sola cosa di cui si accorse, fu quella sottile stilografica che era appena caduta a terra, tintinnando in una limpida serie di rintocchi metallici.

Avvenne così all'improvviso da coglierla di sorpresa, proprio come un agguato teso ad un viandante ignaro, troppo concentrato sulla propria meta per potersi accorgere di un ostacolo lanciato dalla boscaglia al preciso scopo di frapporsi al suo cammino. Lei, però, anche se non si era aspettata una simile offensiva, si era ben guardata dall'abbassare la guardia proprio nel punto più periglioso del tragitto. Anzi, tutti i suoi sensi erano così all'erta che riuscì con uno scatto repentino ad eludere quella trappola, evitando di finirci dentro.

Così, evitò di calpestare quella biro... ma, nello scansarsi a lato, le permise anche di rotolare via incontrollata.

Ne seguì il moto paralizzata sul posto, finché non la vide scomparire dietro di sé. Allora spalancò gli occhi ed inorridì al punto che il sangue le si ghiacciò nelle vene, nel realizzare che non aveva affatto scampato un pericolo, ma soltanto fatto una pessima figura cui doveva assolutamente porre rimedio prima che si potesse tramutare in un'onta irreversibile.

Si voltò fulminea, e si lanciò all'inseguimento della stilografica fuggitiva.

Aveva su di lei un buon vantaggio di circa un metro e teneva un'andatura nettamente più spedita della sua ma, come nella fiaba della lepre e della tartaruga, il concorrente più veloce fece l'errore di fermarsi a riposare, in questo caso all'ombra di un sedile. Così la raggiunse con prontezza e si piegò per recuperarla, raccogliendola vittoriosa. Tuttavia, quando la prese tra le dita, non si sentì affatto sollevata di essere riuscita a tagliare quel traguardo... Il suo cuore, già impazzito per la foga della corsa, iniziò infatti a martellarle nel petto ad un ritmo ancora più furioso, agitato al pensiero di salire sul podio e, soprattutto, di stringere la mano alla persona che avrebbe allora dovuto premiarla.

Però, non poteva più evitarla: si era fatta carico dell'impresa di recuperare un bene perduto, per cui adesso era tenuta a restituirlo al suo legittimo proprietario.

E di certo era quello che anche lui si stava aspettando. Di certo aveva assistito a tutta la scena, ad ogni suo movimento impacciato. Di certo la stava ancora fissando, in attesa che gli riconsegnasse la sua preziosa stilografica. Magari non preziosa da un punto di vista affettivo, probabilmente era solo una delle tante in suo possesso, ma lo era indubbiamente da quello economico. Non se ne intendeva affatto, però era palese quanto fosse di pregevole fattura. Inoltre, il materiale di cui era rivestita era così leggero e luccicante da farle sorgere il sospetto che si trattasse addirittura di un metallo prezioso, argento se non addirittura oro bianco, che stava contaminando con le sue impronte digitali da plebea. Probabilmente valeva più quella biro di qualunque altro oggetto avesse mai toccato, o avrebbe mai potuto avere tra le mani per tutto il resto della sua esistenza...

Ragione in più per sbrigarsi a ridargliela, prima di dargli l'impressione che stesse meditando d'intascarsela.

Trasse un profondo respiro, si raddrizzò e si voltò nuovamente al suo indirizzo per raggiungerlo e consegnargli pentita il maltolto. Tenne lo sguardo basso, concentrato sulla refurtiva, preoccupandosi di reggerla ben stretta tra le mani, casomai per l'ansia se la fosse fatta sfuggire dalle dita. Inoltre era un buon pretesto per cercare di nascondere il viso, perché si sentiva così paonazza che, verosimilmente, lo era anche diventata. Si augurò che lui non se ne fosse accorto, per quanto fosse ben più probabile il contrario visto che, come aveva già immaginato, era tutto rivolto verso di lei, in attesa del suo arrivo.

Non fece in tempo ad espirare, che se lo ritrovò davanti.

Cribbio. Eppure si era sforzata di camminare in modo spontaneo, piano... molto, ma molto piano, per trovare nel frattempo il coraggio di parlargli e le parole migliori da pronunciare. Ed invece non le era venuto uno straccio di idea valida, tanto che la sua voce, non potendo più tergiversare oltre, fu costretta a ripiegare sull'ovvietà.

-Le è caduta la stilografica...-

Si pentì all'istante di quella considerazione. Se n'era accorto già da solo, d'altronde... e non si sarebbe affatto sorpresa se gli fosse arrivata in risposta proprio una simile replica gelida.

Ma, con suo enorme stupore, le parole che pronunciò furono ovvie quanto le sue e, al contempo, suonarono come le migliori che avrebbe mai potuto desiderare sentirsi dire da lui.

-Ti ringrazio.-

Le si era rivolto direttamente, dandole del tu. Senza alcuna sprezzante superiorità, o invadente confidenzialità. L'aveva fatto con naturalezza, come quella che si usa tra coetanei, e persino con quel tono carico d'affetto che di norma si riserva alle persone più care. E l'aveva ringraziata non con sufficienza, come per adempiere ad una cortesia dovuta, o con una simulata, falsa affettazione. C'era del sincero trasporto nelle sue parole, ed un calore intenso che rese però soffuso, diffondendolo su ogni sillaba e prolungandolo fino all'ultimo suono.

Allora, in quel preciso momento, capì che il suo desiderio era appena stato esaudito: era riuscita a sentire la sua voce, a scoprire come fosse per davvero...

La sua vera voce suonava calda ed affettuosa, proprio come si era tanto immaginata.

Tuttavia, lui non si era semplicemente limitato ad accontentare una sua richiesta, perché era andato ben oltre le sue attese. Non solo le aveva permesso di sentirla, ma gliel'aveva addirittura dedicata.

Proprio a lei.

Come lo comprese, tutto l'imbarazzo che l'aveva frenata fino a quel momento scivolò via di colpo, in un battito di ciglia.

E, quando le riaprì, fu per guardarlo negli occhi.

Un solo secondo. Bastò incrociarli per quell'infinitesimo attimo, che ne rimase incatenata, avvinta indissolubilmente. E questo perché nel suo sguardo ritrovò tutto lo stesso affettuoso calore che aveva scoperto nella sua voce, se non uno ancora maggiore. Il segreto del suo fascino era proprio lì, comprese, nascosto nelle profondità di quelle iridi azzurre. L'aveva intravisto di sfuggita, eppure non era mai riuscita a vederlo realmente prima d'allora. Aveva sempre preferito evitarlo, spaventata, quando invece non c'era alcun motivo di temerlo...

Fu così che realizzò di esser stata davvero una sciocca, per essersi persa così a lungo la più bella delle rivelazioni. Le sue labbra si schiusero spontaneamente in un sorriso gioioso, per poi ricambiare le parole ricevute.

-Di nulla: è stato un piacere.-

Si trattò di un'altra ovvietà, ma mai le era parso di parlare con altrettanta onestà ad una persona, oltre che in un modo così intimo e sentito.

E lui le sorrise.

Le sorrise, ed allungò una mano per accettare il bene che gli stava porgendo. Che lei stava tendendo con cautela e reggendo appositamente per un'estremità, affinché lui riuscisse a prenderlo con sicurezza, senza rischiare che uno dei due lo facesse cadere durante il passaggio, evitando qualsivoglia tipo di contatto fisico. Tuttavia, forse perché entrambi avevano continuato a guardarsi negli occhi senza badare troppo ai loro gesti, quel contatto avvenne comunque. E non le sfiorò semplicemente la mano, ma la prese nella sua come se fosse proprio quella, la cosa che le sue dita desideravano afferrare.

Forse fu perché si era dimenticata i guanti ed il gelo invernale gliel'aveva resa ancora più fredda del solito, o forse fu perché la sua aveva avuto modo di riscaldarsi nel tepore dello scompartimento, sta di fatto che a quella presa sentì la pelle scottarle, come se si fosse appena ustionata con una fiamma viva. Sussultò, ed istintivamente contrasse il palmo della mano, sbatté le palpebre, abbassò lo sguardo sulla loro stretta. Allora lui fece altrettanto e l'allentò, seppur senza scioglierla di colpo: la fece scivolare via in una carezza, lenta, avvolgente, partendo dal polso per poi percorrerle il dorso, diramandosi lungo le sue dita fino a raggiungerne le estremità. Solo a quel punto staccò la mano, per arrivare a quell'oggetto di cui si era completamente dimenticata ma che ancora stava reggendo nella propria.

Lui lo prese, lei lo lasciò.

Scese il sipario, e sapendo che, una volta calate le tende, agli spettatori non è permesso scostarle per sbirciare dietro le quinte, fu costretta a scendere dal palco su cui quell'incantatore l'aveva invitata a salire affinché gli offrisse una mano nel suo numero. Si voltò a malincuore, e ritornò tra il pubblico. Tuttavia non si andò a sedere in platea, com'era nei suoi intenti iniziali: prese il posto che aveva prenotato, quello situato nel loggione laterale e da cui si godeva della vista migliore. Proprio quello che stava per cedere ad altri, disdicendo il suo abbonamento alla stagione teatrale perché troppo insoddisfatta delle esibizioni, ma che aveva appena avuto modo di apprezzare appieno... e giusto in tempo, fortunatamente, poco prima che commettesse l'errore di dirigersi alle casse per chiedere un rimborso del biglietto, e poter poi spendere i suoi risparmi con un altro, indesiderato intrattenitore.

Così vi si sedette come sua abitudine e, come sua abitudine, ascoltò subito la loro canzone, anche se per la prima volta non lo fece immaginandosi un incontro indefinito, ma ripensando a quello appena vissuto. E, benché non lo facesse mai per il troppo freddo che le penetrava sin nelle ossa mentre percorreva il tratto di strada tra l'università e la fermata, si sbottonò il cappotto e se lo sfilò dalle spalle, perché bastava quel ricordo, la sensazione vellutata che ancora percepiva sulla pelle, a scaldarla fin nel più profondo del cuore.

Poi, quando arrivò per lei il momento di scendere e sentì come di consueto il suo sguardo su di sé, non riuscì a resistere alla tentazione di richiedergli un bis: lo guardò anche lei negli occhi, ed abbozzò timidamente un sorriso. Uno che, come si vide ricambiare, divenne di riflesso tanto aperto quant'era sincero, manifestato appieno una volta disperso ogni timore.

Uno scambio, però, che durò appena pochi secondi. Giusto quelli che impiegò per avviarsi lungo il corridoio, trascorsi i quali fu costretta a dargli le spalle e a scendere dal treno. Dunque era scesa, e come in tranche si era incamminata verso il suo appartamento, domandandosi quanto di tutto questo fosse realmente accaduto.

Non trovò una valida risposta al suo interrogativo, né allora né per tutto il tempo che trascorse sul suo letto a meditarci sopra.

Per questo, il giorno dopo andò in cerca di una conferma, sperando di ottenere proprio quella di cui sentiva il bisogno. Salì sul suburbano, radunò tutto il suo coraggio e, quando gli fu vicina, si volse a guardarlo.

E lui ancora ricambiò il suo sguardo, e le sorrise facendola sorridere.

Aveva appena avuto la conferma che cercava e lei, in un certo senso, gli aveva appena dato la sua.

Così, quando arrivò alla sua fermata e giunse il momento di congedarsi, lo guardò di nuovo e gli sorrise senza esitazione alcuna. E così fece anche lui, talmente in sincronia che sarebbe stato davvero impossibile capire chi dei due l'avesse fatto per primo.

Da allora, quella di salutarsi in quel modo divenne una costante fissa, quasi automatica, tipica di ogni volta che prendeva posto o faceva per lasciarlo. Si guardavano e si sorridevano. E che diventò per lei una consuetudine ben più preziosa di qualunque altra sua abitudine, perché quella era condivisa con lui, perché l'avevano consacrata come una loro tradizione.

Il migliore rituale che avesse mai praticato.

 


 

N/A - H^o^la!

Ed eccoci arrivati al tanto agognato “primo contatto”. L'inizio è stato forse un po' tragicomico, ma poi si è risolto tutto per il meglio, no? Sabato prossimo, invece, scopriremo se e cosa sia frullato per la testa a Seto... Dunque a presto, e grazie mille per la lettura!

XOXO

- Evee

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Capitolo 8
*** through his eyes ***


~ da quel giorno in poi

 

“Lei ti guarda negli occhi,
e tu vedi l'anima gemella che ti ha accompagnato attraverso i secoli.”
Brian Weiss

 

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through his eyes ~

 

How can I let you know
I'm more than a dress and a voice?
Just reach me out then
you would know that you're not dreaming

 

Un giorno, finì per compiere un gesto così ridicolo e disperato che lui stesso stentò a crederci, che avesse funzionato per davvero...

E ci aveva pure messo del tempo, per idearlo. Si era arrovellato per giorni, su quale pretesto avrebbe potuto utilizzare per entrare in contatto con quella ragazza. Ma, quanto a tecniche di corteggiamento, il suo repertorio era tanto desolante quanto la sua esperienza in materia inesistente. E, ancora più a monte, non avrebbe neppure saputo come avviare con lei una qualsiasi conversazione in maniera noncurante, per cui figurarsi riuscire a sostenere un intero dialogo. Cioè, ne era perfettamente capace, ma solo se si trattava di parlare realmente. Non di imbastire un vuoto chiacchiericcio sul tempo, o su qualunque altra ovvietà alla gente piaccia discorrere pur di dare aria alla bocca. La sua, non era fisiologicamente programmata per pronunciare ipocrisie, né aveva intenzione di cambiare il proprio sistema operativo. Non avrebbe simulato interessi che non aveva, e che ancor meno desiderava avere. Non si sarebbe finto diverso, specialmente se si trattava di prendere le persone cosiddette “normali” ad esempio, perché il solo pensiero di abbassarsi al loro livello gli faceva ribrezzo: lui era fiero di non essere come nessun altro, di essere se stesso, e tale sarebbe rimasto. Voleva piacerle così com'era, per intraprendere con lei un rapporto vero, non una recita inconcludente.

Prendere o lasciare.

Era rischioso, però confidava che la sua sarebbe stata una scommessa vincente. Che una volta mostrato cosa aveva da offrirle, lei avrebbe scelto di prendere. Lui era infinitamente meglio di qualunque altro ragazzo avrebbe mai potuto conoscere, e le loro anime si appartenevano a vicenda da millenni, perciò l'avrebbe preso... giusto?

Giusto.

Peccato però che le convenzioni sociali richiedessero quantomeno dei preamboli cui, suo malgrado, era costretto ad attenersi, perché con un approccio troppo diretto avrebbe rischiato di spaventare così tanto la sua preda da farla scappar via subito a gambe levate. Al liceo era stato più e più volte testimone di quanto poco le ragazze gradiscano ricevere delle attenzioni troppo sfacciate da parte di perfetti sconosciuti, poiché nella maggior parte dei casi tendono a contraccambiarle solo con dell'indifferenza, se non con un vero e proprio sdegno quando non hanno neppure la decenza di dissimulare i loro squallidi doppi fini. Gli unici ragazzi che riuscivano nei propri intenti non erano quelli che sparavano inutilmente a distanza, ma quei pochi cacciatori esperti che sapevano attirare il loro obiettivo sotto sembianze all'apparenza invitanti ed inoffensive, e che vi gettavano la rete soltanto come seconda mossa. Quella era indubbiamente la migliore delle strategie, in quanto volta non ad intrappolare, ma ad assicurarsi una cattura di fatto già conquistata con il previo superamento della sua iniziale diffidenza.

In altre parole, gli serviva un'esca per riuscire ad attrarla a sé, per avvicinare la sua balena bianca abbastanza da poterla arpionare con successo.

Sfortunatamente l'ambiente circostante non gli offriva affatto molti appigli validi cui legare il proprio amo, né quegli ampi spazi di manovra di cui avrebbe necessitato per lanciare la canna da pesca... Tuttavia, un giorno ebbe modo di assistere all'esecuzione di una tecnica che faceva proprio al caso suo, perché richiedeva soltanto una lenza adeguatamente lunga e mani sufficientemente ferme nel ritirarla. Inoltre, se effettuata con tempismo e precisione era assolutamente infallibile.

Dunque, decise che sin già a partire da quello successivo si sarebbe presentato sull'abituale luogo d'avvistamento munito di tutta l'attrezzatura necessaria, e poi posizionato sul proprio molo in paziente attesa del momento più propizio per servirsene. Ovvero, doveva aspettare l'occasione in cui si sarebbe avvicinata da sola, anziché attorniata da altri banchi di pesci ben più rapidi ed affamati di lei, che avrebbero anche potuto divorare al suo posto l'unica esca di cui disponeva. Non poteva certo permettersi di sbagliare, confidando su altre occasioni: quello era un trucco di cui ci si poteva servire efficacemente per non più di una volta.

E, evento per lui più unico che raro, la sorte decise persino di andargli incontro.

Un aiuto su cui in genere non confidava neppure, preferendo appellarsi esclusivamente sulle proprie capacità, ma che comunque non guastava mai. Anzi, considerata la sua abilità pressoché nulla, si può dire che fu proprio la classica fortuna del principiante.

Prima ancora che potesse comparire dalle porte dello scompartimento si era già premurato di avere lo sguardo abbassato, fingendo di consultare la propria agenda quando, invece, era su di lei che stava tenendo rivolta tutta la sua attenzione. Non erano saliti altri passeggeri, né c'era altra gente in mezzo al corridoio, dunque vantava la migliore delle visuali e condizioni ambientali pressoché ottime, che non poteva proprio permettersi di sprecare. Attese che gli si avvicinasse abbastanza, e quando fu a pochi passi di distanza da lui passò all'azione: richiuse di botto l'agenda e la lanciò sul sedile accanto, per poi fare altrettanto con la sua stilografica. Ma, se l'appoggiò sopra la copertina, fu soltanto per poterla spazzar via nel ritirare indietro la mano. Come se il suo gesto fosse stato troppo brusco e frettoloso, ed avesse finito per farla scivolare a terra.

Per la precisione, facendola cadere in mezzo al corridoio, volutamente ai piedi della sua ragazza dagli occhi blu.

In realtà, per un orrendo attimo temette di aver sbagliato mira e di avergliela lanciata proprio sui piedi, ma dato che lei stava tenendo gli occhi abbassati e, dunque, badando a dove li stava per appoggiare, riuscì comunque ad evitarla, peraltro con una prontezza di riflessi alquanto notevole. Tuttavia neppure allora se la sentì di tirare un sospiro di sollievo, perché la sua stilografica, lungi dal fermarsi dove avrebbe voluto lui, iniziò a rotolare indisciplinata per il corridoio.

Questo era un inconveniente che non aveva affatto previsto.

Forse l'aveva scagliata con un po' troppa foga. Forse avrebbe dovuto mettere in conto una simile eventualità, ed utilizzare una qualunque, anonima penna a sfera dal corpo squadrato e dotata di cappuccio con fermaglio, anziché la sua stilografica preferita, perfettamente liscia e incapace di creare il benché minimo attrito...

Ne fissò raccapricciato il moto, che sembrava far apposta ad accelerare sempre più ad ogni suo sempre più perentorio ordine di arresto. Curando che non finisse dispersa in chissà quali meandri del vagone, ed augurandosi che non venisse raccolta da nessun altro essere di sesso femminile presente nei paraggi... Perché di certo quelle tizie che mai cessavano di ronzargli attorno non avrebbero esitato a mandare a monte il suo piano, pur di potergli saltare addosso con la scusa di restituirgliela. Quest'ultima prospettiva lo terrorizzò ancor più della prima, e quando se la prefigurò ci mancò poco che si lasciasse sfuggire dalle labbra un qualche impropero. Ma riuscì a trattenersi, e riuscì persino a sedare la ribellione di quell'anarchica, che finì per deporre le armi sotto a un sedile neanche l'avesse appena costretta a fermarsi con la forza del pensiero. E, come si era auspicato, quella ragazza gentile si affrettò a recuperargliela, raccogliendola tra le sue mani premurose.

Aveva abboccato.

Questa volta, dovette costringersi a reprimere un'esultazione. Sarebbe stato quantomai inopportuno, deconcentrarsi proprio nel momento più delicato, quello in cui doveva riavvolgere il suo filo da pesca con attenzione, per recuperare l'amo senza farsi sgusciare via quanto appena catturato. Dunque, mantenne il controllo. Continuò a seguirne i movimenti mentre si voltava e si avvicinava a lui, pronto ad approfittare di qualunque suo sguardo, gesto, parola... qualunque cosa. Non se la sarebbe fatta sfuggire, nossignore.

Così non smise un solo secondo di fissarla, quasi senza sbattere le palpebre, benché lei perseverasse nel tenere gli occhi abbassati, evitando accuratamente di guardarlo persino quando gli arrivò davanti. Si era aspettato che almeno allora lo facesse, anche solo per attirare la sua attenzione... Ma, d'altro canto, non aveva alcun bisogno di farlo: ce l'aveva già tutta, gliel'aveva fatto capire e, dunque, doveva esserne più che consapevole.

Inoltre era già piuttosto impegnata nel fissare l'oggetto che teneva ben stretto in pugno, con un'inquietudine quasi palpabile. Turbata come se qualcuno le avesse appena consegnato l'arma di un delitto che non si poteva certo permettere d'abbandonare in giro, di cui però premeva comunque liberarsi al più presto. Per un attimo fu tentato di allungare una mano per sollevarla da questo peso, di incitarla ad affidarla a lui, ma le frasi che gli vennero in mente a tale scopo gli suonavano tutte come una rivendicazione, un comando, se non una vera e propria minaccia. E nessuno di questi tre toni assomigliava neppure lontanamente a quello di cui si voleva servire con lei. Forse avrebbe dovuto pensarci prima, a quale utilizzare, ma non era sua consuetudine ricorrere a frasi fatte o espressioni preimpostate. Non gli servivano, si era sempre limitato ad esprimere i pensieri del momento, senza troppi filtri...

Però in quel caso era diverso: gli importava della persona che aveva davanti, non voleva allontanarla da sé in modo scortese, brusco o violento. E comunque non avrebbe neppure saputo quale dei suoi pensieri comunicarle, perché quand'era vicino a lei quelli gli si sovraffolavano in testa, volubili, concitati e inafferrabili. Il solo suono costante, distinguibile con chiarezza, era il battito imperioso proveniente dal suo cuore. E non come gli capitava dopo una lunga corsa, era completamente diverso: non gli stava affannando il respiro, glielo stava proprio mozzando in gola. Una condizione in cui lui non si trovava affatto di frequente, praticamente mai, ma che riuscì comunque a riconoscere all'istante.

Era agitato.

Incredibile... Quella ragazza, così semplice e modesta, deteneva su di lui abbastanza potere da metterlo in agitazione, da farlo sentire in soggezione. E non certo con i suoi modi, bensì con la sua stessa presenza. Né era lei in quanto tale a farlo sentire a disagio, ma la sua intima consapevolezza che la giovane al proprio cospetto non era affatto una popolana qualunque; a dispetto delle sembianze, quella era l'ambasciatrice di un regno, dell'unico reame che avesse mai aspirato annettere al proprio. E poiché non l'ambiva per mere velleità espansionistiche, ma perché necessario al suo benessere, non poteva conquistarlo con le armi... L'avrebbe solo distrutto, devastato irrimediabilmente, e lui non voleva né mettere a ferro e fuoco i suoi villaggi, né in fuga i suoi abitanti. Ciò che desiderava era abitarli, popolarli, convivere con essi. Era semmai consigliabile accoglierla benevolmente alla sua corte, stupirla con la munificenza del suo palazzo ed allettarla con i vantaggi che avrebbe potuto trarre dalla loro unione, finché non fosse stata lei stessa ad auspicarla per prima. Non doveva lanciarle un ultimatum di guerra, ma intavolare con lei delle trattative di pace, stipulare un'alleanza di comune accordo...

Ma, nel mettere in pratica questi suoi intenti, si era ritrovato impedito, bloccato da un problema insormontabile: pur con tutta la sua autorevolezza, lui non era altro che un despota avulso, completamente inesperto dell'arte della diplomazia.

Lei, però, sembrava padroneggiarla con una certa maestria perché, pur non osando sollevare il capo che aveva abbassato di fronte al suo trono, lo liberò dall'imbarazzo dei cerimoniali prendendo la parola per prima.

-Le è caduta la stilografica...-

Gli aveva reso omaggio in modo formale, ma privo della benché minima traccia di viscido ossequio. Cortese per pura gentilezza, non per accattivarsi le sue simpatie o per rendersi ridicola cercando di sedurlo. E gli parlò con un tono sommesso, umile, ma scandendo nitida ogni sillaba. Come se non si fosse limitata ad una banale considerazione su un fatto cui tutti i presenti avevano assistito, bensì intendesse ricordargli un avvenimento che coinvolgeva soltanto loro, e dunque mantenere quel dialogo riservato, strettamente confidenziale.

Così, grazie a quel clima d'intimità e rievocazione che lei aveva appena creato, acquisì piena consapevolezza di quanto voleva comunicarle, e di come doveva farlo.

-Ti ringrazio.-

E si era fatto suggestionare a tal punto che, subito dopo, realizzò di averla appena ringraziata per un gesto che lei non solo non aveva compiuto di persona, ma di cui non si poteva neppure ricordare, e con un trasporto davvero eccessivo per il significato più superficiale che doveva aver attribuito alle sue parole, fraintendendone il senso. Però, al tempo stesso, il solo pronunciarle nell'accezione che intendeva lui l'aveva come liberato di un peso gravoso, e gli diede l'impressione di essere riuscito ad esprimersi nel modo più adatto, col miglior tono di cui era capace. Ed ebbe la certezza che si trattava di quello giusto quando lei, in risposta, sollevò finalmente il viso e gli permise di baciare i suoi occhi con lo sguardo.

Come già si era immaginato, quel suo oceano blu dalle onde scintillanti era per davvero il mare più bello in cui avrebbe mai potuto tuffarsi.

E senza alcun bisogno di tagliarne poi a bracciate i flutti per non esser travolto, o di trattenere il respiro in apnea per non annegare nelle sue profondità, perché la corrente era così placida e l'acqua talmente limpida che riusciva a cullarlo con rassicurante dolcezza, e a convincerlo che poteva mantenersi a galla senza la minima fatica, senza alcun timore. Tutto ciò che doveva fare era abbandonarsi a lei, fidarsi del suo sostegno, lasciarsi condurre dalla marea. Godendosi la sensazione, e rimirando il baluginio di quella luce che tanto rispecchiava, senza ferirgli mai lo sguardo.

E non solo lo guardò com'era buona educazione fare, ma gli sorrise. Gli dedicò il sorriso più dolce e luminoso che gli avessero mai rivolto. Quello, non rappresentava affatto una cortesia obbligata, ma un regalo fatto col cuore. Bastò riceverlo e, all'improvviso, si sentì ripulito da tutta la salsedine che gli si era intrisa sulla pelle, ricordo sgradevole delle troppe acque salmastre in cui era stato costretto a nuotare prima di raggiungere le sue, e così ghiacciate da attraversare, talmente ostili da affrontare, che ne era riemerso con le membra completamente gelide e paralizzate. E poi, lo disperse un attimo dalle labbra per pronunciare alcune parole, per rassicurarlo che quel dono era davvero per lui.

-Di nulla: è stato un piacere.-

Ancora una volta, ebbe la netta impressione d'intrattenere con lei una conversazione in un linguaggio in codice, che si serviva delle frasi più banali per poter mettere in comunicazione le loro anime. Come se gli avesse confessato che non aveva affatto scelto di salvare la sua dal naufragio per senso del dovere, né per ricevere qualcosa in cambio, ma soltanto perché, tra tutti, ci teneva a riportare proprio lui a riva, e che il peso con cui l'aveva gravata fino a sfinirla nella traversata non l'aveva affatto sorretto con uno sforzo penoso, ma con amorevole abnegazione.

Così, riuscì a sorriderle anche lui, e lo fece dal più profondo del cuore. E, quando lei gli tese la mano, la prese salda e senza esitazioni, completamente dimentico del vero motivo per cui gliela stava porgendo. La raccolse subito senza neppure aver bisogno di abbassare lo sguardo, perché la sua vi si sovrappose alla perfezione, avvolgendola interamente ed aderendo completamente a quella pelle liscia, morbidissima al tatto.

Ma anche così infreddolita.

Tuttavia, non ebbe modo di stringergliela abbastanza per potervi porre rimedio, perché subito lei sussultò, interrompendo il loro contatto visivo per andare a concentrarsi su quello fisico che lui aveva appena instaurato, e in un modo che molto probabilmente era apparso ai suoi occhi quasi come un'invasione. Doveva interromperlo, prima che lo diventasse per davvero, e doveva farlo in fretta: se l'avesse prolungato ancora, avrebbe finito per trasformarlo in un'occupazione vera e propria.

Anche se non voleva.

Anche se non gli sembrava nemmeno di essere fisicamente in grado di separarsi da lei, proprio come gli era accaduto la prima volta che gli era stata mostrata la carta del Blue-Eyes White Dragon ed era stato costretto ad un enorme sacrificio, ad un incredibile sforzo di volontà per riuscire a restituirla al legittimo proprietario...

La lasciò a malincuore, ma gli sarebbe così piaciuto poter trattenere ancora quella mano nella sua, scaldarla per sempre.

Al suo posto, si dovette accontentare di una stilografica così insulsa ed insignificante che, quando lei si accomiatò per andarsi a sedere, si diede dello stupido per essersi fatto fregare in quel modo, per aver accettato quello scambio senza neppure cercare di mercanteggiare più a lungo, di spuntare condizioni migliori.

Così, non appena fece per scendere dal mezzo, lui le si rivolse insoddisfatto, pronto a manifestarle tutte le sue rimostranze al riguardo. Allora, però, quell'abile venditrice riuscì a sedare sul nascere ogni sua lamentela, perché per la prima volta lo guardò anche lei, e gli offrì persino un lieve sorriso, anticipandolo con una controproposta davvero troppo invitante per poter essere rifiutata e che, per l'appunto, accettò senza incertezze, sorridendole di rimando. E, come si vide ricambiare in modo ancora più entusiasta, realizzò di essersi sbagliato, di potersi considerare invece pienamente soddisfatto...

Aveva appena prenotato un posto nei suoi occhi luminosi, stipulato un abbonamento al suo dolce sorriso.

E quando il giorno dopo gli vennero recapitati entrambi con puntualità e precisione, ne ebbe la conferma definitiva, e seppe che avrebbe potuto confidare sulla loro consegna anche per quelli successivi. Non rischiava d'altronde alcuna disdetta improvvisa, fintantoché avesse continuato a dimostrarle per fatti concludenti quant'era interessato ai suoi preziosi servigi...

Il miglior affare che avrebbe mai potuto concludere.

 


 

N/A - H^o^la!

E così, il caro Seto è riuscito finalmente a conquistare la sua madamigella... o, almeno, questo è quello che pensa lui. Ma lasciamoglielo credere, è meglio...

By the way, è ufficiale che ho una vera e propria mania congenita per le metafore, per cui in questo capitolo ho finito per assecondarla senza risparmiarmi minimamente. Spero che la lettura sia risultata lo stesso chiara e scorrevole, ma per ogni problema di decodifica non avete altro che chiedere.

Infine, ci tengo a fare una precisazione sulla citazione con cui ho aperto il capitolo. E' tratta da “Molte vite, un solo amore”, un libro incentrato tutto sul tema delle anime gemelle che si reincarnano nel tempo. Mi ci sono imbattuta solo dopo aver già terminato la stesura, ma quando ho iniziato a sfogliarlo sono stata letteralmente folgorata nel ritrovarci dentro proprio ciò che volevo esprimere non solo con questo episodio, ma con tutta la mia storia. Dato che non posso citarlo per intero mi limito a contestualizzare la frase che ho menzionato, riprendendone il passaggio:Lui ti prende la mano per la prima volta e la memoria di questo tocco trascende il tempo, e fa sussultare ogni atomo del tuo essere. Lei ti guarda negli occhi, e tu vedi l'anima gemella che ti ha accompagnato attraverso i secoli. Ti senti rivoltare le viscere. Hai la pelle d'oca. Tutto, al di fuori di questo momento, perde importanza”.

Grazie come sempre di essere qui, e appuntamento a sabato prossimo!

XOXO

- Evee

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Capitolo 9
*** by her and his side ***


~ da quel giorno in poi ~

 

“È facile capire come nel mondo esista sempre qualcuno che attende sempre qualcun altro,
che ci si trovi in un deserto o in una grande città.
E quando questi due esseri s'incontrano e i loro sguardi s'incrociano
tutto il passato e tutto il futuro non hanno più alcuna importanza.”
Paulo Coehlo

 

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~ by her side

 

My last night here for you
Same old songs, just once more...

 

Alla fine, il suo sogno era diventato realtà.

O meglio, era diventato possibile. Affinché si potesse realizzare per davvero, avrebbe dovuto variare il loro cerimoniale quotidiano, che al momento prevedeva giusto un paio di contatti ma nessuna interazione vera e propria.

Tuttavia, per quanto volesse farlo, e per quanto le occasioni non le mancassero affatto, continuava a tergiversare.

La ragione principe della sua titubanza dipendeva dal fatto che, per quanto fosse innegabile che il giovane impresario stesse mostrando per lei un certo interesse, non disponeva di elementi a sufficienza per capire di che tipo d'interesse si trattasse. Se il suo fosse soltanto un contegno amichevole, o se mirasse invece ad un qualche secondo fine. Se le sorridesse soltanto per simpatia, o se la guardasse perché veramente si sentiva attratto da lei.

Delle due, non poteva che optare per la prima ipotesi.

Era difficile a credersi, perché mai l'aveva visto comportarsi in maniera cordiale con qualcuno, ma almeno non del tutto inverosimile. E poi erano stati compagni di viaggio per oltre due mesi, pertanto si poteva considerare normale che, incontrandosi, si scambiassero un qualche cenno di riconoscimento. In fin dei conti anche all'università le capitava tutti i giorni che ragazzi cui non aveva mai rivolto parola, e di cui non sapeva neppure il nome, la salutassero per la semplice ragione che a lezione soleva prender posto vicino a loro.

Forse, però, come paragone non era molto azzeccato.

Se i loro sguardi si incontravano, non era certo per caso. Accadeva perché si cercavano, e si cercavano sempre. E i sorrisi che si scambiavano, non erano tirati dalla cortesia. Erano aperti, e sinceramente densi di sentimento. Né era mai questione di un attimo, lungo giusto quel che dovuto. Vi si soffermavano, ne prolungavano la durata e lo rendevano un loro momento.

E in quel momento c'era un'intensità tale da rendere superflua ogni parola.

Il saluto non veniva semplicemente lasciato sottinteso, era espresso. Anzi, era comunicato meglio che a voce, trasmesso nel solo modo possibile, perché non una delle formule convenzionalmente utilizzate sarebbe suonata adeguata allo scopo: non si poteva certo dire “ciao” a Seto Kaiba, e sarebbe stato quanto mai fuori luogo dire “salve” ad un proprio coetaneo.

Però, il desiderio di parlargli c'era. E, finché fosse mancato quell'indispensabile incipit, la loro sarebbe rimasta una situazione di stallo. Doveva provare a smuoverla, e doveva farlo in fretta, perché nel giro di un paio di settimane sarebbe arrivato il giorno da lei tanto temuto: l'ultimo giorno di lezione, la conclusione del semestre, e soprattutto la fine dei loro viaggi assieme. Magari non proprio la fine, magari sarebbero ripresi nell'anno nuovo, terminate le festività e la sessione d'esami, ma a lei non piaceva riporre il proprio affidamento nell'aleatorietà. Le opportunità migliori sono quelle presenti, che si possono cogliere con certezza e che dunque si devono cogliere per non rimpiangerle troppo.

Ma proprio non sapeva come fare il primo passo, ed ancor meno aveva il coraggio di compierlo perché, se fosse stato davvero interessato a lei, ci avrebbe già pensato lui ad assumere una qualche iniziativa.

O almeno così supponeva...

In realtà, non ne era poi così sicura. Ormai non era più sicura di nulla, praticamente.

Ma era proprio per questo che aveva bisogno di parlargli, perché solo così avrebbe potuto fare un po' di chiarezza su quali fossero effettivamente le sue intenzioni con lei. Aveva bisogno di fare chiarezza: quantomeno poi avrebbe potuto mettersi il cuore in pace...

Peccato solo che il suo cuore desiderasse così tanto continuare a battere per lui, da non volerne proprio sapere, di correre un simile rischio.

Dunque per non ferirlo finì per assecondarlo, rinviando quel confronto, e per sentirsi a posto con la propria coscienza decise che avrebbe provato a parlargli proprio l'ultimo giorno di lezione. Sapeva che era rischioso, che si sarebbe giocata il tutto e per tutto, ma almeno se non fosse andata come sperato avrebbe poi potuto battere in ritirata a leccarsi le ferite. E nel frattempo poteva approfittare del tempo a disposizione per pensare a cosa dirgli, munirsi di un pretesto, prepararsi qualche frase, trovare un argomento di conversazione...

Ma chiaramente i suoi furono tutti degli sforzi inutili, perché come non era riuscita a farsi venire nessuna idea valida in precedenza, così non ci riuscì neppure dopo.

Di conseguenza, la mattina del giorno fatidico spense la sveglia con la classica sensazione che avvinghia lo stomaco quando bisogna andare a scuola e si è consapevoli di non aver studiato abbastanza per un'interrogazione...

Un terrore davvero ingestibile.

Trascorse il resto della giornata in preda all'agitazione per quando le sarebbe toccato presentarsi alla lavagna, sforzandosi di radunare la concentrazione e le energie necessarie per correre ai ripari con uno studio matto e disperatissimo dell'ultimo minuto. Ma per sua sfortuna le ore precedenti si rivelarono molto più intense del solito, e i professori la costrinsero a mantenere l'attenzione sulle loro spiegazioni anziché, come avrebbe preferito, sul libro che di nascosto teneva appoggiato sotto al banco. Né le riuscì di ripassare qualcosa durante i ricorrenti ma pur sempre brevi intervalli, troppo distratta dalle chiacchiere dei suoi compagni di corso su cui, peraltro, non poteva neppure contare per alcun suggerimento, visto che nessuno di loro era stato altrettanto masochista da inserire una materia talmente complicata nel proprio piano di studi. Comunque, anche senza la loro intromissione non avrebbe concluso nulla in ogni caso, perché non era mai stata in grado di memorizzare nozioni troppo a ridosso di una verifica. Purtroppo il panico aveva sempre la meglio, le annebbiava la mente e le impediva di ragionare a dovere.

Non le restava che confidare in una qualche improvvisa lucidità del momento, come spesso avviene quando l'adrenalina in corpo consente di recuperare dalla memoria informazioni imparate inconsapevolmente a lezione o nella sottolineatura del libro di testo. Oppure sperare che il professore si rivelasse così clemente da farle una domanda a piacere, o da imbeccarla con una traccia da cui poter partire, benché non se la sentisse di riporre particolare affidamento in quest'ultima eventualità. La sua famigerata reputazione lo precedeva, lo sapeva che non era affatto avvezzo a concedere simili indulgenze. Sarebbe rimasto come sempre in silenzio, in attesa delle sue parole, senza offrirle il benché minimo aiuto e, tantomeno, porle una seconda domanda per offrirle l'occasione di rimediare allo sfacelo conseguente ad una sua eventuale, probabilissima scena muta.

Così, a causa del salto d'appello le sarebbe toccato ridare quell'esame il semestre successivo... Il che, sicuramente, le avrebbe offerto l'opportunità di potersi preparare meglio e con più calma, ma che comunque, dal suo punto di vista, non rappresentava affatto un esito auspicabile. Sapeva bene quanto raramente si riesca a riprendere con successo lo studio di un argomento trattato mesi prima, perché si rischia di non comprenderlo più con la stessa immediatezza o, peggio, che nel frattempo intervenga una qualche novità che spinga l'insegnante a cambiare completamente il suo programma.

Sta di fatto che, per la prima volta dall'inizio dell'anno accademico, non accolse con troppo favore lo squillo dell'ultima campanella... Per quanto le piacesse, quel giorno non fremeva proprio dalla voglia di rivedere il suo docente preferito. Comunque, non poteva che rassegnarsi: ormai si era iscritta a quell'appello, e doveva assolutamente presentarsi. Altrimenti lui avrebbe anche potuto risentirsi, offendendosi prima per la sua mancanza, poi per il mancato avviso che, per un po', sarebbe stata costretta ad un'assenza prolungata. Ma soprattutto temeva che, a fronte di una sua sparizione improvvisa, potesse prendersela così tanto da arrivare a sdegnarla al suo ritorno, o da non farsi proprio più rivedere laddove fosse giunto all'erronea conclusione che, per disinteresse, avesse abbandonato definitivamente il suo corso.

Morale, uscì dall'università in una commistione di riluttanza e sollecitudine, cui si aggiunse una buona dose d'ansia quando, una volta all'esterno, si ritrovò rallentata da condizioni climatiche a lei decisamente avverse. Perché non solo quella mattina non aveva affatto controllato alla finestra se si stesse o meno vestendo in maniera adeguata, ma era stata anche fin troppo ottimista, per non dire sprovveduta, nel non rientrare a cambiarsi quando, una volta uscita di casa, aveva avuto modo di scoprire dal vivo il meteo del giorno. Diciamo che aveva ben altro per la testa, ecco... Così non si era per nulla curata dei pochi, innocui fiocchi di neve che avevano iniziato a cadere. Confidava che sarebbero rimasti tali, trattandosi della prima nevicata dell'anno... Ed invece non solo nel corso della giornata non si erano fermati un solo istante, ma erano anche considerevolmente aumentati d'intensità, arrivando così ad accumularsi in giro per parecchi centimetri.

Eventualità cui non era affatto preparata, e che pertanto non tardò a metterla in seria difficoltà.

Il suo primo errore era stato quello di aver deciso d'indossare per l'occasione il suo vestito preferito. Perché, per quanto le stesse bene, non era abbastanza pesante da potersi considerare adatto ad una temperatura inferiore allo zero, e neppure abbastanza coprente da arrivare a proteggerle le gambe, che sbucavano esposte dal suo cappotto e che, con solo un sottile velo di collant, non riusciva certo a difendere dall'aria sferzante. Ed anche per quanto riguardava le scarpe avrebbe potuto fare scelte migliori... Non tanto perché avesse freddo ai piedi, in quanto ormai si era talmente rassegnata a sentirsi sempre le estremità ghiacciate da averci fatto l'abitudine, ed anzi se avesse indossato delle ballerine anziché delle stringate non avrebbe notato una gran differenza, bensì per la loro suola, completamente liscia e, dunque, senza la benché minima aderenza al terreno.

In definitiva, visto che i marciapiedi erano del tutto innevati e si era già fatto così buio da poter vedere a malapena dove stesse poggiando i piedi, si ritrovò costretta a procedere con un'andatura lenta, costantemente traballante, e a sudare freddo proprio come quando, da bambina, aveva provato per la prima volta a pattinare sul ghiaccio e, non potendo tenersi aggrappata alla ringhiera per tutto il tempo, ogni tanto si spingeva ad allontanarsi dal bordo per provare a vedere se riusciva a reggersi sulle sue sole gambe. La minima distrazione ed avrebbe perso l'equilibrio, rovinando a terra, in maniera molto dolorosa, poco dignitosa, e soprattutto con esiti irreversibili. Forse non si sarebbe sporcata i vestiti, ma di certo si sarebbe strappata le calze, e non poteva proprio rovinare l'ultimo paio di collant che le era rimasto... Quantomeno doveva cercare di conservarlo intatto ancora per un po', in vista del suo ormai imminente incontro. Forse, avendo le mani libere, in caso di caduta sarebbe riuscita ad attutire l'impatto appoggiandole per tempo, ma non certo ad evitarlo. E comunque non ci teneva affatto a sbucciarsi i palmi, come di sicuro le sarebbe successo visto che, al solito, si era dimenticata d'indossare i guanti. A dire il vero, si era scordata anche l'ombrello...

O meglio, non si era affatto preoccupata di prenderlo su.

A fronte di quelli che aveva giudicato nient'altro che una manciata di fiocchi inoffensivi, non ne aveva vista la necessità. Le sarebbe stato più d'ingombro che altro, e così aveva preferito confidare sulla protezione della sua sola e ben più comoda cuffia di lana. E poi aveva sempre amato la fresca sensazione della neve sulla pelle, e il suo lieve tocco quando si appoggia sui vestiti...

Benché questa sua predilezione andasse progressivamente scemando ad ogni passo, tramutandosi in una sempre più aperta ostilità.

Dopotutto non stava andando al parco con gli amici, dove poteva giocare senza preoccuparsi troppo delle proprie condizioni perché, tanto, anche loro non ci avrebbero badato affatto, e l'avrebbero comunque bagnata fino al midollo nel fare a pallate. Si stava per recare ad un formale appuntamento con il ragazzo dei suoi sogni, che di certo l'avrebbe accolta rivestito della sua usuale, impeccabile ed incontaminata eleganza quando lei, invece, rischiava di presentarsi al suo cospetto travestita da pupazzo di neve... per poi squagliarsi completamente dalla vergogna.

Sempre se sarebbe mai riuscita ad arrivarci per tempo.

Come le confermò il suo orologio, ormai si erano fatte le fatidiche 19 e 03, e lei non solo era ancora ben distante dalla fermata, ma non poteva proprio procedere più spedita di così. O, almeno, non senza rischiare la vita.

Se già le premesse iniziali per quell'incontro non erano tra le migliori, nelle sue condizioni attuali si erano fatte decisamente pessime.

Però confidava comunque che, a causa del meteo, il suburbano fosse quantomeno un po' in ritardo... Insomma, era sempre in ritardo, non poteva arrivare puntuale proprio quel giorno! Non poteva e basta. La sfortuna prima o poi si sarebbe pur stancata di accanirsi contro di lei...

Si disse, fingendosi ignara di quel famoso e saggio adagio che, invece, ricorda quanto non ci sia mai limite al peggio.

Riuscì infatti ad arrivare illesa fino all'ingresso della metropolitana, ma terribilmente in ritardo. Accelerò il passo, sempre più in ansia. Se quel giorno avesse perso il suburbano, se non l'avesse visto, salutato per un'ultima volta, non se lo sarebbe mai perdonata...

Sollevò affannata lo sguardo sul tabellone affisso all'entrata, cercando nell'elenco in sovrimpressione la sigla del suo treno, ma lo cercò invano. Non lo trovò. E non perché già partito dai binari, bensì perché proprio non ebbe modo d'individuarlo... Troppo distratta, era avanzata frettolosamente senza prestare la dovuta attenzione su dove e come stesse per appoggiare i piedi, e di conseguenza aveva finito per scivolare sul pavimento bagnato.

Le sfuggì dalle labbra un'esclamazione di spavento, e per un orrendo secondo si sentì sprofondare nel vuoto, slittando all'indietro. Fu così improvviso, che neppure ebbe modo di allungare le mani per tempo.

E cadde.

Solo che non cadde affatto a terra, come si era attesa. Era caduta molto prima... e addosso a qualcuno. Qualcuno che era riuscito ad afferrarla con prontezza sotto alle braccia e a trattenerla saldamente per i fianchi, evitandole la caduta.

-Presa appena in tempo.-

Se non fosse già stata interamente appoggiata alla persona che la stava sorreggendo, di certo sarebbe scivolata ancora perché, come sentì quella voce, le gambe le cedettero nuovamente.

Ma no, era impossibile...

Si affrettò a riguadagnare l'equilibrio per staccarsi quanto prima dal suo soccorritore, tuttavia non ci riuscì neppure allora perché, anche dopo averla aiutata a rialzarsi, continuò a stringerla con fermezza, cingendola per la vita. Poi, sempre senza lasciarla, fece un passo in avanti, l'affiancò e le rivolse uno sguardo sfumato d'apprensione.

-Tutto bene?-

No, non stava bene per nulla... Anzi, si sentì quasi sul punto di morire.

Era appena caduta addosso a Seto Kaiba.

Seto Kaiba l'aveva appena soccorsa prendendola tra le sue braccia.

E la stava ancora tenendo tra le braccia.

In tutto questo, le aveva anche fatto una domanda che lei aveva ovviamente sentito ma per nulla ascoltato, ancora troppo sconvolta da quella situazione surreale per poterci prestare la benché minima attenzione. Al momento, era ben più impegnata a chiedersi se gli occhi azzurri che la stavano fissando fossero o meno riusciti a notare quanto era appena arrossita... Da come si sentiva scottare le guance verosimilmente sì, e pure parecchio. Però, se gli avesse risposto con sollecitudine e naturalezza magari gli sarebbe apparso più come il frutto di una semplice agitazione per l'accaduto, che di un eccessivo imbarazzo.

Si sforzò dunque di recuperare dalla memoria a breve termine il suono della sua voce, afferrò finalmente la sua domanda, recuperò il fiato necessario a rispondergli e, dunque, gli rispose.

-Sì... Sì, sto bene, grazie a lei.-

Abbozzò un sorriso di riconoscenza, che venne lievemente ricambiato. Solo dopo, la sciolse dalla sua stretta. Comunque neppure allora la liberò del tutto, perché continuò a guardarla negli occhi, a tenerla avvinta a sé con quello sguardo intenso, irresistibile, a cui il suo non poteva né voleva sottrarsi un solo istante.

-Cerca di prestare più attenzione, la prossima volta...-

Furono parole di rimprovero, quelle che le rivolse, ma le pronunciò con un tono così premuroso che, anziché mortificarla, riuscirono a farla sentire subito molto più tranquillizzata. Non sembrava affatto essersi infastidito per l'accaduto. Anzi, sembrava che l'avesse aiutata persino con piacere, quasi di sua spontanea iniziativa...

Sta di fatto però che era stato anche testimone della sua sbadataggine, come le aveva prontamente rinfacciato, e a lei proprio non andava che per quel solo, incidentale incidente potesse giudicarla come un'imbranata cronica... Doveva appellarsi al suo diritto al contraddittorio per difendersi da quella sua accusa implicita. O quantomeno provare a giustificarsi.

-Ha ragione, ma... ero di fretta, non volevo perdere il treno.-

Che di certo aveva appena perso. Ma non si curò neppure di voltarsi a verificare quel suo presentimento sul tabellone, perché tanto si trovava già dove avrebbe voluto essere in quel momento. Anzi, era estremamente contenta, per non dire sollevata, di non essere riuscita a salire sul suburbano... Se l'avesse fatto, si sarebbe persa l'unica coincidenza che non voleva mancare, la sola che quel giorno le interessasse prendere.

E neppure lui parve granché dispiaciuto per la sua sorte, perché alle sue parole aveva piegato le labbra in uno di quei mezzi sorrisi beffardi che gli riuscivano tanto bene. Tuttavia, non se ne sentì affatto derisa. L'aveva talmente stemperato con lo sguardo che non le parve proprio un sorriso di scherno, ma uno semplicemente divertito. Complice, persino.

-Una preoccupazione inutile, visto che è stato cancellato.-

Socchiuse le labbra, incredula.

-Davvero?-

Lui reclinò appena la testa, inarcando le sopracciglia con aria significativa.

-Non mi troverei qui, altrimenti: ha lasciato a piedi anche me.-

In effetti, si poteva considerare la sua presenza una prova piuttosto tangibile... Socchiuse gli occhi, scuotendo il capo in segno di solidarietà.

-A volte capita... e purtroppo sempre nei momenti peggiori.-

Il suo non fu altro che un commento ironico, privo di alcun rammarico, ma lui la sorprese con un sorriso accattivante e una proposta che non avrebbe mai e poi mai pensato di ricevere... non da parte sua, almeno.

-I momenti si possono sempre migliorare, però... Ad esempio, potrei offrirti un passaggio.-

Questa volta, non ebbe alcun bisogno di ripensare a ciò che le aveva appena detto per afferrarne il senso. L'aveva colto benissimo subito, avvampando con altrettanta rapidità. Per quello che il suo viso poteva ancora avvampare, visto che si sentiva già più che paonazza... Comunque, a dispetto dell'imbarazzo riuscì a mantenersi lucida, e a scuotere la testa in segno di diniego.

-No, si figuri... Non deve sentirsi in obbligo, aspetterò il prossimo treno.-

Come terminò di pronunciare questa frase, si sentì la più stupida degli stupidi per aver rifiutato una simile offerta. Nei suoi panni, chiunque altro avrebbe accettato senza la minima esitazione... Ed infatti anche lei avrebbe voluto accettare. Tantissimo. Ma non poteva proprio farlo, la sua dignità glielo impediva: non le piaceva elemosinare favori e tantomeno approfittare della gentilezza altrui, perché non sarebbe stato affatto rispettoso delle reciproche spettanze. Soprattutto con lui. Il fatto che per un paio di mesi si fosse abbassato al suo livello, accettando di viaggiare assieme a lei come una persona qualunque, non era transitivo, non bastava ad elevarla su un piedistallo su cui non aveva il benché minimo diritto di salire, ad autorizzarla a viaggiare assieme a lui. Sarebbe stato sbagliato forzare la realtà, ignorare le loro differenze, esaudire un desiderio inesprimibile. Purtroppo doveva starsene al proprio posto, quello che le era stato assegnato, l'unico che poteva ambire di occupare...

Ciononostante, le sue rimostranze non valsero a farlo demordere, perché lui le si rivolse di nuovo, con ferma determinazione e uno sguardo che non ammetteva repliche.

-Ma ti ho raggiunto proprio per chiederti di venire con me... Insisto. Non voglio che tu debba attendere al freddo, per chissà quanto tempo.-

Sbatté le palpebre, incredula. Quelle erano parole così insperate, da andare ben al di là di ogni sua possibile attesa... Perché non poteva davvero aspettarsi di riceverle, assolutamente no. Eppure, lui gliele aveva rivolte lo stesso. Incurante di ciò che aveva o meno il permesso di fare, rendendo possibile quello che per lei era del tutto impossibile.

E fu solo allora che lo comprese, il vero motivo per cui era riuscito ad incantarla tanto. Non perché era il più abile dei prestigiatori, ma perché lo era per davvero, un autentico mago. Lui, che era una persona così interiormente complessa da saper filtrare la realtà tra i suoi ingranaggi, rendendo ogni difficoltà, ogni ostacolo, anche quelli in apparenza più ostici ed insormontabili, superabili con istintiva naturalezza, con un semplice schiocco di dita. C'era una spaventosa autenticità dietro tutto questo, una sincerità così spiazzante da potersi rivelare anche scomoda, difficile da accettare...

Tuttavia lei si sentiva pronta, a diventare una sua discepola, perché amava la trasparenza più di ogni altra cosa, e si era così stancata di prestarsi come assistente per inscenare trucchi troppo complessi, artificiosi, capaci di effetti impressionanti, forse, ma che di magico non avevano proprio un bel niente, solo l'apparenza. Non importava se la gente era così superficiale da pagare per assistere soltanto a quelli, non riusciva più a sopportarne la fraudolenza, la loro intrinseca disonestà. Né le importava se nessuno avrebbe approvato la sua scelta di abbandonare il ruolo che convenzionalmente le spettava, e che dunque, secondo loro, avrebbe dovuto continuare a rivestire. Che l'additassero pure come una folle, per aver osato tanto, troppo ad avvicinarsi a lui. Che la prendessero pure per una strega, nella convinzione che si fosse servita di chissà quale artificio per ammaliarlo, per attirare su di sé le sue attenzioni.

Non era affatto un suo problema, quello, né se lo sarebbe più posto. Si era già lasciata trattenere anche troppo, da quegli insensati, arbitrari paletti. Lei, per la magia proibita di quel ragazzo, sentiva una propensione viscerale e un'abilità innata, per cui non si sarebbe tirata indietro davanti alla proposta che le aveva appena fatto... Sarebbe entrata nel circolo invisibile che aveva tracciato, quello che aveva creato tra di loro quell'alchimia così potente, e l'avrebbe praticata insieme a lui. E si sarebbe cimentata entusiasta nel suo esperimento, perché invitandola a raggiungerlo non l'aveva, semplicemente, fatta sentire abbastanza speciale da poterlo tentare. Le aveva confidato che, per lui, lo era realmente, e l'aveva resa tale. Aveva riconosciuto tra la folla il suo potenziale, ed era andato a cercarla appositamente per svelarglielo.

Tra tutti, aveva scelto lei. Aveva voluto lei.

-Se è così, accetto con piacere.-

Lui, al suo assenso, piegò le labbra con aria più che soddisfatta.

-Perfetto. Andiamo, allora.-

Detto questo si voltò, e si chinò a raccogliere da terra un ombrello blu scuro, che doveva essergli scivolato di mano quando l'aveva afferrata. Lo scosse per scrollarlo dalla neve sciolta, battendolo a terra con un solo, deciso colpo del puntale, dunque l'aprì con un movimento fluido, lo sollevò sopra le loro teste, e ne passò l'impugnatura dalla mano destra a quella sinistra affinché potesse coprire anche lei.

Al che gli si avvicinò appena, pronta a seguirlo con discrezione. Eppure, nemmeno allora il suo accompagnatore volle avanzare di un solo passo verso l'esterno. Titubò per un attimo, dunque abbassò lo sguardo su di lei, allungandole un braccio.

-E' meglio se ti aggrappi a me. E tienti stretta: almeno se dovessi scivolare di nuovo eviterai di cadere.-

Sbatté le palpebre, stupita della sua cavalleria... Ma, a ben pensarci, quella che le aveva rivolto non era affatto una frivola, forzata galanteria che, in quanto tale, non le interessava nemmeno ricevere. La sua era solo un'accorta, sentita premura.

Quella, l'accettava più che volentieri.

Dunque raccolse il suo invito, si appoggiò a lui e si lasciò avvolgere dall'intreccio del suo braccio, sia pur cercando di non invadere troppo i suoi spazi e di sdrammatizzare la situazione con una battuta.

-A meno che non faccia cadere anche lei.-

Lui però scacciò subito quella possibilità, scuotendo la testa, e l'avvicinò a sé con fare risoluto.

-Non succederà.-

Ed infatti non accadde. Il suo era davvero un solido, affidabile e confortante sostegno. E, nonostante avessero appena instaurato un contatto forse inopportuno, troppo intimo, lei lo sentì stranamente, incredibilmente... giusto. Così naturale e piacevole, da farle dimenticare ogni imbarazzo.

Si lasciò dunque condurre da lui e guidare dal suo passo sicuro, da quell'andatura così costante e cortese che, nel seguirla, si sentì quasi una damigella d'altri tempi, per la prima volta invitata ad un ballo. Ed anche se non aveva la minima esperienza, non ne conosceva le mosse e non sapeva come fare a seguire il ritmo della musica, il suo fu un debutto davvero eccellente, grazie all'accorto garbo del suo cavaliere. Perché la coinvolse in una danza semplice, ben ritmata, ed anziché sollecitarla, trascinarla con sé, preferì accompagnarla piano, insegnargliela a dovere. E così fu. Era talmente un bravo maestro, che riuscì sin da subito ad imparare la sua lezione con estrema facilità, e a seguirne la falcata con una tale sincronia che, ben presto, arrivò persino a scordare completamente l'incertezza della propria.

Così il suo incedere smise di sprofondare nella neve, si fece ovattato, mentre i fiocchi cessarono di caderle addosso, volteggiandole attorno come se fossero in una pallina di vetro e lei, nell'ammirarne il contenuto, ne stesse offuscando la superficie col proprio respiro. Non le parve neanche più di trovarsi all'aperto, esposta alle intemperie... Ma, se ebbe quest'impressione, non fu tanto grazie alla sua guida, né per la protezione che le aveva offerto. A trasmettergliela fu soprattutto la sua stessa vicinanza. Aveva soltanto unito un braccio al suo, senza che la loro pelle potesse toccarsi, nemmeno sfiorarsi, eppure riusciva anche così non solo a coprirla sul suo lato dalle ventate d'aria gelida, ma persino ad infonderle abbastanza calore da non farle più avvertire alcun freddo, da riscaldarla ovunque prima si sentisse ghiacciata ed intirizzita.

Che fosse soltanto l'effetto che aveva su di lei o una sua magia vera e propria, la trovò una sensazione a dir poco meravigliosa.

Comunque la loro fu una breve passeggiata, giusto della durata necessaria a raggiungere un taxi poco distante dall'ingresso, in attesa sul ciglio della strada. Questo le diede un ulteriore conferma che, se si erano incontrati, non era stato affatto per caso, anche se non era ancora sicura se lui l'avesse solo incrociata di passaggio, o se fosse proprio venuto a prenderla appositamente alla sua fermata.

In entrambi i casi, comunque, non poteva che sentirsene estremamente lusingata.

Una volta davanti alla vettura, lui le aprì la portiera e l'incitò a salire, continuando a reggerle cortesemente l'ombrello sopra la testa. Lei si affrettò a prendervi posto, salutò l'autista e scivolò sul sedile fino a far spazio al suo accompagnatore. Allora lui la raggiunse, richiudendo prima l'ombrello e poi la portiera, e alla richiesta d'indicazioni del tassista l'invitò a fornirgli il suo indirizzo.

Detto, fatto: il taxi si avviò per la sua strada, e lei fu finalmente libera di sfilarsi di dosso la cuffia, allentarsi la sciarpa e provare ad adagiarsi meglio all'interno dell'abitacolo.

Per quanto sia possibile mettersi a proprio agio accanto a Seto Kaiba, ovviamente...

Si sforzò di raddrizzare le spalle che le si erano innaturalmente irrigidite, si ravvivò con una rapida passata i capelli intrisi di neve e arruffati dal vento, ed infine prese un bel respiro per sollevare lo sguardo dal grembo, volgersi a lui e manifestargli un po' di dovuta riconoscenza.

-Non so davvero come ringraziarla per la sua gentilezza, signor Kaiba...-

E in effetti era proprio così. Non aveva con sé abbastanza soldi per potersi dire disponibile a dividere assieme il costo del taxi, e comunque sarebbe suonata come un'offerta davvero ridicola, per non dire quasi offensiva, visto che lui poteva permettersi non solo di pagarle il passaggio, ma persino di acquistare l'intera vettura per puro capriccio. Inoltre si era proposto di farlo volontariamente, ed aveva pure insistito. Dunque, dubitava fortemente che potesse pretendere da parte sua, o anche soltanto attendersi, un qualche tipo di gesto volto a contraccambiare quel favore...

Quanto si sbagliava.

-Potresti iniziare dandomi del tu, non credi?-

Glielo propose con spontaneità e nulla più che un semplice sorriso. Con una punta di malizia, commista ad una fugace nota d'incertezza che gli lesse nello sguardo. Eppure, tanto bastò per abbattere gli ultimi baluardi della barriera che li aveva finora tenuti divisi. O, forse, era solo lei che l'aveva sempre percepita come un ostacolo. Si era così concentrata sui suoi dettagli, su quanto esteriormente apparisse invalicabile, da non essersi mai accorta del ponte levatoio che al suo passaggio soleva abbassare per accoglierla, per permetterle d'entrare in contatto con lui.

Forse arrossì un poco, di certo gli sorrise apertamente.

-Potrebbe essere un buon inizio... A proposito, io sono Kisara.-

Lui sbatté le palpebre e la guardò per un attimo con aria strana, ma poi socchiuse appena gli occhi e scosse la testa divertito.

-Lo so. Ci siamo già conosciuti, ricordi?-

Alla sua replica rimase un po' interdetta, non riuscendo a rammentare in quale occasione potesse aver sentito il suo nome... Però, aveva ragione. Non si erano mai presentati ufficialmente, ma non erano certo due estranei. Avevano trascorso così tanto tempo in presenza l'uno dell'altro, che quasi le sembrava di riuscire a capire più lui di qualunque altra persona di sua conoscenza...

Annuì, pienamente convinta.

-Sì, è vero.-

Ed era proprio così, scoprì durante il tragitto. Perché non appena iniziarono a parlare, le fu subito chiaro quanto lui l'avesse osservata con altrettanta attenzione. Standosene sempre in disparte, con estrema discrezione e dissimulando il proprio interesse, però l'aveva fatto anche lui. L'aveva in parte sospettato, intuito così come si può presagire l'arrivo di un temporale dall'elettricità nell'aria, eppure era riuscita a fidarsi del suo sesto senso solo dopo aver visto coi propri occhi le nuvole addensarsi, sentito il borbottio dei tuoni echeggiare in lontananza, avvertito l'odore pungente dell'umidità, percepito le prime gocce di pioggia caderle inconfutabili sulla pelle. Da parte sua non ci fu nessun annuncio, alcuna confessione vera e propria, tuttavia glielo rivelò lo stesso, indirettamente, con le domande che scelse di porle. Tante, eppure mai di circostanza, per evitare l'imbarazzo di un silenzio che altri avrebbero considerato scomodo, ma che sapeva non l'avrebbe affatto disturbato. Se prese a parlarle, era perché ci teneva per davvero, a conversare con lei. A conoscerla meglio, anziché farle domande di cui conosceva già la risposta.

Non finse di non sapere che si era appena trasferita in città, le chiese se si trovasse bene a Domino e dove abitasse il resto della sua famiglia. Non finse di non sapere che divideva l'affitto con un'altra ragazza, le chiese quando si erano conosciute e come facesse a trovare la pazienza per sopportarla. Non finse di non sapere che studiava Psicologia, le chiese perché avesse scelto proprio quel corso di studi e quale fosse per ora la sua materia preferita. Non finse di non sapere quali fossero i suoi hobby, le chiese se le fosse venuta bene quella torta che aveva provato a fare qualche giorno prima e se fosse riuscita a completare quel videogioco di cui le piaceva tanto ascoltare la canzone.

E l'ascoltò sempre con sincero interesse. Senza mai interromperla, senza mai distogliere gli occhi dai suoi.

Fu una sensazione inusuale, per lei, ricevere tanta attenzione su di sé e sulle proprie parole ma, al contempo, riuscire comunque ad esprimersi con estrema naturalezza. Con confidenzialità, persino. La sua quieta vicinanza, quell'accenno di sorriso che aveva sulle labbra, quello sguardo limpidamente condiviso, bastarono a farle dimenticare ogni timoroso riserbo. A rendere completo ed irreversibile quel mutamento percettivo che già da tempo aveva preso le mosse nel suo cuore, volto a superarne la fredda, controllata apparenza per raggiungerne l'identità più celata e veritiera.

In fondo, nonostante tutto, non era altro che un ragazzo come lei...

Il che l'incoraggiò sia a parlargli liberamente, sia a coinvolgerlo a sua volta nella conversazione. Ponendogli quelle domande che le venivano in mente di riflesso, portando il discorso su quegli argomenti che sapeva essergli più vicini. Per provare anche lei a svelare le tante curiosità ancora irrisolte, per essere messa a parte di quel suo modo peculiare di vedere le cose. Lucidamente cinico nelle proprie idee, intriso di netto sarcasmo nei propri commenti. Sempre fermo, assertivo, privo di mezzi termini. Impossibile da smentire, eppure così facile da contraddire... Perché pur essendo imbattibile nel cogliere la geometria della realtà, nello scorgerne confini ed angolazioni, sembrava incapace di apprezzarne l'essenza più immediata. Quella più ovvia, sotto gli occhi di tutti, eppure altrettanto importante. Per questo, quando gliela faceva presente, ne rimaneva un po' spiazzato. Quasi incredulo. Ed allora ammutoliva a guardarla per qualche secondo, come se la riconosciuta bontà delle sue opinioni sfumate mal si conciliasse con la tonalità delle proprie, e non sapesse in che modo farle convivere assieme senza al contempo rinnegarle. Senza comprendere che non era tanto una questione di chi avesse o meno ragione, ma solo di differenti punti di vista. Ed il suo era così acuto, così brillante, che ne rimase del tutto avvinta, intimamente conquistata. Inoltre parlava come solo gli oratori più coinvolgenti sanno fare, con un'inflessione moderata, cadenzata da brevi pause ponderate, e con una proprietà di linguaggio ammirevole, perché funzionalmente colloquiale, priva di quell'ampollosa saccenza che troppo spesso le persone più colte amano trasudare per rinfacciare agli altri il proprio sapere. Lui era talmente intelligente da non aver affatto bisogno di dimostrarlo a parole, lo manifestava e basta col proprio pensiero.

E quante scoperte, che fece.

Perché quando gli confessò di non amare affatto il caotico e troppo cementificato centro cittadino, lui le ricordò che però la passeggiata sul lungomare era piuttosto gradevole, nella bella stagione. E che non troppo distante da casa sua c'era persino un parco, dove ogni tanto andava a correre, e che era certo sarebbe piaciuto anche lei, specialmente nel periodo delle fioriture.

Perché quando gli spiegò che sì, in effetti la sua coinquilina a volte era un po' petulante, ma le voleva bene lo stesso in quanto ormai era diventata per lei quasi come una sorella, le disse che in quello poteva comprenderla perfettamente. Che nonostante la diversità caratteriale, anche lui era estremamente affezionato a suo fratello. E si vedeva davvero, quanto lo fosse. Dal tono orgoglioso con cui glielo descrisse, e dall'attenzione con cui si premurava di tenerlo il più possibile alla larga dai media. Di garantirgli quell'adolescenza felicemente normale di cui lui, invece, non aveva potuto beneficiare.

Perché quando gli raccontò di quanto si era divertita visitando il suo parco divertimenti, rimase esterrefatta nello scoprire che l'aveva progettato tutto da solo, e che aveva programmato personalmente quel simulatore virtuale incredibile, che l'aveva tanto lasciata a bocca aperta. La sua attrazione preferita, assolutamente. Così realistica... Soprattutto in un'ambientazione, quella sull'Antico Egitto. Non era fantasiosa e scenografica come le altre, ma lei non si sarebbe mai stancata di girovagare tra le sue stradine pittoresche e ricolme di vita. Talmente esotiche, ma al tempo stesso così familiari... Gli domandò come avesse fatto a ricrearle tanto bene, ma lui si limitò a minimizzare con un sorriso, spiegandole di non aver fatto altro che raffigurare un posto visitato tempo addietro. Per poi deviare argomento, chiedendole se avesse provato anche la sua arena per i duelli.

Ci rimase davvero male, quando gli rivelò che non sapeva giocare a Magic and Wizards.

Ma, a parte questo piccolo dissidio, il tempo passato assieme trascorse nella maniera più leggera e piacevole possibile. A causa del traffico e della neve per oltre mezz'ora, che però volò via in un battibaleno. Tanto che non si accorse neppure di quando il taxi prese a rallentare, prossimo alla meta, per poi fermarsi davanti al suo appartamento. Lo comprese solo nel momento in cui lui spostò da lei lo sguardo per volgerlo poca sopra le sue spalle, oltre il finestrino, e la voce dell'autista approfittò di quel breve attimo di silenzio per annunciarle dell'arrivo a destinazione.

Sbatté le palpebre, disorientata dalla vista di un posto che sentiva esserle familiare, ma che i suoi occhi ancora stentavano a riconoscere. Si morse un labbro, gravata dal dispiacere di dover tornare al luogo cui sapeva d'appartenere, ma in cui il suo cuore non dimorava affatto. L'avrebbe abbandonato lì, su quella strada. Lasciato al freddo, e ad una insopportabile solitudine...

Sospirò piano, raccogliendo dal grembo la cuffia e dall'animo la volontà necessaria per salutarlo. Non era difficile, in fondo... Bastava uno sguardo ed un sorriso, come avevano sempre fatto.

Eppure, quella volta volgersi a guardarlo le costò una fatica enorme, e non riuscì proprio a sorridergli, solo a piegare appena le labbra con una dolorosa amarezza. Era abituata a scambiarsi con lui semplici, spensierati arrivederci. Non era pronta ad un addio tanto sofferto...

Non lo era nessuno dei due, comprese subito, come venne preceduta e trattenuta dalla sua voce.

-Ci rivediamo anche domani?-

Questa fu l'unica, di tutte le domande che le aveva posto fino ad allora, che riuscì a spiazzarla. Teoricamente si sarebbe fermata a Domino ancora per un paio di giorni, perché non le andava di lasciare sola in appartamento la sua coinquilina, ma nella pratica non sapeva proprio come rispondergli, se rendersi o meno disponibile ad un altro incontro. Almeno finché non fosse riuscita a capire a che tipo d'incontro si riferisse... Non aveva affatto colto se desiderasse avere da lei solo una noncurante conferma del loro usuale appuntamento, o farle una vera e propria richiesta.

Decise così di temporeggiare, mantenendosi sufficientemente vaga perché le sue parole potessero suonare appropriate per entrambe le interpretazioni.

-Mi piacerebbe...-

Lui le ammiccò con fare d'intesa.

-Stesso posto e stessa ora?-

Si mordicchiò inavvertitamente il labbro inferiore, rammaricata.

-In realtà, oggi era il mio ultimo giorno di lezione...-

La sua rivelazione, però, non parve deluderlo affatto. Anzi, sorrise compiaciuto proprio come se gli avesse appena dato la risposta che più sperava ricevere da lei.

-Ancora meglio: così, anziché ritornare ognuno a casa propria, potremo andare insieme da qualche altra parte...-

A quella proposta talmente sentita il suo cuore ebbe come un sussulto, e lei rimase così senza fiato, così conquistata, da arrivare a chiedersi tra sé se fosse o meno possibile innamorarsi per una seconda volta della stessa persona di cui già si è innamorati.

Razionalmente, sarebbe una contraddizione in termini. Esistenzialmente, rappresenta una condizione irripetibile. Sentimentalmente, però, a lei sembrava non solo possibile, ma quasi un esito inevitabile, con quel ragazzo. Anzi, aveva la netta sensazione che in seguito sarebbe stata capace d'innamorarsi di lui ancora, e che avrebbe potuto farlo per un'infinità di altre volte.

E pensare che quella futura era una prospettiva cui mai si rivolgeva, per la sua troppo incerta indeterminatezza, per il timore di nutrire false speranze... Tuttavia, a ben riflettere, neppure in quel momento si sentiva già proiettata in avanti, verso giorni ancora a venire, prefigurandoseli tutti assieme a lui fino ad un fatidico lieto fine. Se quella storia avesse funzionato per davvero come sembrava promettere, se realmente sarebbero riusciti ad arrivarci in fondo ancora mano nella mano, non se lo voleva affatto immaginare...

Desiderava scoprirlo.

E le scoperte migliori, più belle, sono quelle che giungono inaspettate. Per questo, se più avanti qualcuno le avesse chiesto quale dei loro momenti assieme le sarebbe piaciuto rivivere, lei avrebbe scelto proprio quell'istante. Avrebbe voluto fermare il tempo lì, subito dopo quella frase che chiunque avrebbe pronunciato al condizionale, concluso con un punto interrogativo, ma che lui aveva detto con sicurezza, e lasciata aperta con innumerevoli puntini di sospensione. Ed erano talmente tanti, che non si potevano neppure scorgere tutti, né apprezzare in simultanea. Si poteva guardare per davvero solo quello presente e, con la coda dell'occhio, intuire l'imminente approssimarsi degli altri. Così, quando poi sarebbe giunto anche il loro turno, quell'arrivo avrebbe comunque rappresentato una sorpresa, e lei si sarebbe di nuovo innamorata di lui.

In quel modo, quel sentimento che le aveva acceso dentro non si sarebbe mai spento.

Qualora avesse gettato sin dall'inizio tutta la legna di cui disponeva per l'inverno nel proprio focolare, avrebbe commesso un terribile errore, perché sarebbe arsa completamente in una fiammata improvvisa, che avrebbe persino potuto scottarla. Se, invece, l'avesse saggiamente alimentato poco per volta, curandolo con costanza per individuare e non perdere i momenti giusti per attizzarlo, per impedirgli di estinguersi, allora sarebbe riuscita a far perdurare quello stupendo tepore, e le avrebbe tenuto compagnia per sempre. Dopotutto, era un amore troppo unico e vero per correre il rischio di bruciarselo subito, riducendolo in cenere. Lei voleva permettergli di ardere a lungo, per tutto il tempo che le sarebbe stato concesso di abitare presso quel camino... e magari anche oltre, laddove fosse riuscita a prorogarne l'affitto. L'avrebbe rinnovato più che volentieri, il suo contratto con quel giovane, eppure tanto esperto locatore. Anzi, era già disposta a rendersi disponibile, a rassicurarlo in merito all'accordo preliminare che le stava così cortesemente porgendo. Tanto non aveva bisogno di leggerne le condizioni, per sapere che erano le più vantaggiose che avrebbe mai potuto richiedere: poteva firmarlo subito, e l'avrebbe accettato con entusiasmo.

-Questa è davvero un'idea fantastica.-

E, da quel giorno in poi, il suo vero posto sarebbe stato quello al suo fianco.

 

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by his side ~

 

My last night here with you?
Maybe yes, maybe no...

 

Ce l'aveva fatta, ormai non c'erano più dubbi.

Eppure, non poteva ancora ritenersi del tutto soddisfatto, mettersi a cantare vittoria. Era riuscito a pescare la sfuggevole creatura da lui ambita, che l'aveva tanto ossessionato, ma non sapeva come fare a trasferirla nel suo acquario personale. Però era certo che si dovesse sbrigare a farlo, che non si poteva permettere di limitarsi a guardarla boccheggiare sulla sua barca ancora per molto, sperando che ci saltasse dentro da sola, perché anzi rischiava che, a lungo andare, riuscisse a rituffarsi in acqua...

E lui sarebbe stato punto e accapo.

Era giunto il momento di un'iniziativa più esplicita... in tutti i sensi: aveva controllato sul sito dell'università di Domino, ed il semestre accademico si sarebbe concluso il 21 di dicembre. Aveva dunque a disposizione appena due settimane, per intraprenderla. Ma che, dal suo punto di vista, gli erano comunque più che sufficienti per pianificarla con attenzione ed attuarla con la dovuta cautela.

Ma, forse proprio perché sapeva di poter confidare su una scadenza non particolarmente stringente, peccò di superficialità, rimandandola giorno dopo giorno in attesa della giusta ispirazione, per poi ritrovarsi all'ultimo senza aver ancora concluso un bel niente. Aveva sottovalutato con sufficienza il problema da risolvere, e sopravvalutato con arroganza la sua abilità nel cavarsela in qualunque situazione. Ma, più di tutto, si era lasciato frenare dall'inconscio, irrazionale timore di essersi illuso, di non aver affatto conquistato quella ragazza come tanto si era auspicato. Oggettivamente, la sola circostanza che gli rivolgesse un sorriso prima di saluto, e poi di commiato non provava nulla. Confermava soltanto quanto fosse gentile a contraccambiare quelli che le rivolgeva lui, ed estremamente dolce a farlo sempre con quella sua grazia limpida, disarmante, che lo trafiggeva al petto col solo sguardo e gli scioglieva il cuore... Questione di pochi attimi, però, perché poi glielo strappava via brutalmente non appena si voltava e ritraeva il suo dardo, distogliendo gli occhi altrove. Costringendolo ad abbassare i propri, a raccapezzarsi dal turbamento in cui finiva per abbandonarlo.

In definitiva, tutto ciò che dimostrava era solo quanto fosse ormai innamorato perso di quella ragazza.

Al punto che si ritrovò a chiedersi se l'avesse intrappolata per davvero, o se fosse stata lei ad arretirlo con i suoi occhi blu fino a vincerlo, a catturarlo una volta per tutte. E questa tremenda incertezza, la difficoltà di discernere chi dei due fosse effettivamente in vantaggio e stesse tendendo sotto scacco i sentimenti dell'altro, gli rendeva impossibile ponderare le sue mosse successive. Sarebbe solo andato allo sbaraglio, e a lui non piaceva giocare d'azzardo. Era disposto ad esporsi unicamente a rischi calcolati e, dunque, evitabili con le dovute precauzioni.

Previsione che però in quel caso gli era quanto mai nebulosa, non riuscendo nemmeno a scorgere quali e quanti pezzi disponesse sulla scacchiera, né dove fossero posizionati rispetto a quelli avversari.

Così, quando la mattina del 21 dicembre aprì gli occhi, realizzò per la prima volta nella sua vita quale fosse stata quella sensazione che dicevano tanto di provare i suoi vecchi compagni di classe quando si presentavano a scuola senza aver svolto i compiti a casa...

Un'angoscia davvero tremenda.

Ed il suo stato d'animo non migliorò nelle ore successive... Tutt'altro, perché i suoi numerosi, ripetuti sforzi di correre ai ripari si rivelarono l'uno più fallimentare dell'altro. Confidando troppo nelle sue capacità si era offerto volontario per l'assegnazione dell'esercizio più difficile di tutti, ed il procedimento necessario per risolverlo era talmente articolato e differente da quello a lui abitualmente noto che aveva finito per riempire solo d'infruttuosi tentativi le pagine del suo quaderno. Il più delle volte si bloccava a metà, incapace di proseguire fino alla soluzione, mentre le rimanenti, in cui gli sembrava di aver avuto una buona intuizione, veniva inopportunamente interrotto nel suo ragionamento da qualcuno che lo riprendeva per la sua disattenzione, e lo costringeva a svolgere quelli che gli erano sottoposti come verifica. Così, una volta terminata l'incombenza di turno, che si trattasse di una telefonata, della stipula di un contratto o di una riunione amministrativa, il suo quesito irrisolto continuava a rimanere tale, perché la lampadina che gli si era accesa in testa si era nel frattempo spenta per carenza di alimentazione.

Tuttavia, contrariamente a quanto aveva confidato, neppure quando riuscì ad avere un po' di tranquillità durante la pausa pranzo gli venne la benché minima illuminazione. Ovviamente avrebbe potuto approfittarne per telefonare e chiedere un parere terzo a qualcuno più esperto in materia, ma l'orgoglio gli impediva di rivolgersi all'unica persona con cui si sentiva in confidenza perché, insomma, si trattava pur sempre del suo fratellino. Non se l'augurava affatto, ma casomai si fossero trovati ad affrontare simili discorsi, desiderava essere lui ad offrirgli dei consigli, ad essergli d'esempio, non certo il contrario... Avrebbe reso una conversazione già di per sé scomoda a dir poco imbarazzante. E l'avrebbe costretto a delle confessioni così avvilenti da fargli perdere ogni dignità come fratello maggiore.

Ed ancor meno poteva chiedere un qualsivoglia tipo di suggerimento ad altri conoscenti, neppure in modo noncurante. Dopo anni trascorsi a proclamare la propria superiorità, a trattarli con disprezzo, non solo non gli avrebbero permesso di copiare i loro compiti, ma avrebbero persino potuto dileggiarlo. Non si sarebbe mai fatto umiliare a tal punto, e comunque sarebbe stato avvilente già solo rivolgersi ad altri in cerca d'aiuto, per farsi spiegare in che modo comportarsi da uomo. Né sarebbe ricorso ad altri biechi, disperati sotterfugi come cercare la risposta al proprio problema su Internet, perché allora sì che avrebbe raggiunto il culmine del degrado.

Purtroppo, però, rischiava di fare una figura ancora peggiore con la sua adorata maestra. Nonostante ne fosse diventato il pupillo, se non le avesse consegnato nulla ne sarebbe rimasta infinitamente delusa, l'avrebbe punito con una nota di demerito, mentre se le avesse fatto correggere un elaborato non all'altezza delle attese, pieno d'errori, avrebbe finito per macchiare per sempre la sua reputazione da studente modello. Certo, nei voti non era affatto spietata, ed anzi la sapeva troppo indulgente per attribuire insufficienze irreparabili; inoltre poteva confidare già che, a fronte di una valutazione negativa, gli sarebbe stato concesso un po' di tempo prima di vedersi assegnare nuovi esercizi, di provare a rimediare a quello fallito... Tuttavia, anche se fosse riuscito a salvarsi dalla bocciatura, la sua media finora perfetta sarebbe stata irrimediabilmente rovinata. Rischiava di non ricevere più le lodi della sua insegnante, e soprattutto che iniziasse a preferirgli alunni meno talentuosi ma più ruffiani ed abili di lui nell'accattivarsi le sue simpatie. Ed allora avrebbe anche potuto decidere di ignorare le sue mani alzate, se non addirittura di assegnare ad altri il posto che aveva con così tanta, meritata e faticosa costanza conquistato alla sua cattedra, relegandolo nelle ultime file.

Perciò, si risolse ad avviarsi con maggior anticipo del solito verso la sua aula, augurandosi di riuscire a trovare nell'attesa una qualche idea confacente ai propri scopi. Mai aveva mancato una scadenza, e tantomeno l'avrebbe fatto con quella più importante di tutte.

Ancora non poteva sapere quanto quelle sue speranze fossero mal riposte, del tutto ignaro della serie di imprevisti che gli si sarebbero frapposti lungo il tragitto, scombinandogli le carte e costringendolo a ripiegare su un quanto mai improvvisato piano di riserva.

Quantomeno la prima non gli giunse completamente inaspettata, perché aveva già avuto modo di apprezzare dalle finestre del proprio ufficio gli svariati centimetri di neve che nel corso della giornata erano andati ad imbiancare la città. Spettacolo suggestivo e gradevole alla vista, ma che per lui non rappresentavano altro che un'intollerabile seccatura. Il maltempo in generale, lo era: si rifletteva automaticamente sul suo umore, purtroppo. E non certo per meteoropatia, ma per una ben più lucida reazione alla desolante incapacità del resto del mondo nel gestirne gli inconvenienti. Se bastava un po' di pioggia per creare ingorghi nelle strade e, con essi, intollerabili ritardi generalizzati, figurarsi nelle rare occasioni in cui nevicava... Il panico nelle strade, quando invece sarebbe bastato dotarsi di gomme adeguate per poter circolare senza troppe difficoltà anche nei tratti meno trafficabili. Ormai era giunto alla conclusione che la gente non facesse uso di quello come di nessun altro accorgimento apposta, in modo da poter poi utilizzare il tempo quale pretesto per timbrare il cartellino fuori orario, o non timbrarlo affatto.

Comunque, per una volta non doveva affatto preoccuparsi del traffico, ma solo di raggiungere asciutto la fermata sottostante alla sede della sua società. Si trattava semplicemente di attraversare la strada e percorrere un centinaio di metri, ciononostante si munì di ombrello e si incamminò lungo quel breve percorso con la massima cautela, per impedire alla neve in cui ogni tanto sprofondava di bagnargli i vestiti. Uno sforzo inutile, però, perché quella riuscì comunque ad infilarsi dentro ai suoi mocassini che, per lo meno, erano impermeabili, fino ad inzuppargli le calze e l'orlo troppo chiaro dei pantaloni. Disagio fastidiosissimo ed irrimediabile: non si sarebbe mai asciugato per tempo, per cui sperava solo che non si notasse più di tanto... E che il vento non gli spettinasse troppo i capelli. O che non si increspassero troppo per l'umidità.

Che diamine, proprio il giorno in cui avrebbe dovuto apparirle al meglio delle sue possibilità, rischiava di presentarsi conciato peggio di un vagabondo.

E, per non accentuare troppo quell'orrenda immagine di sé, aveva deciso di abbandonare la valigetta in ufficio. Non aveva affatto bisogno di altra roba in mano ad ingombrarlo e a rendergli impacciati i movimenti. E comunque era meglio così, o avrebbe di certo finito per cedere vigliaccamente alla tentazione di accendere il portatile sul treno. Quel giorno, doveva concentrarsi su di lei soltanto, non nascondersi come al suo solito dietro ad uno schermo LCD.

Un paio di minuti, comunque, gli furono sufficienti per giungere alla sua meta. Leggermente scocciato dal fatto che, a causa del maltempo, ci fossero ben più persone del normale intente a formicolare nei pressi della fermata. Si augurò di non ritrovarsi tutta quella gente sul suo stesso mezzo, perché sarebbe stato davvero arduo, allora, riuscire a sedersi al solito posto e a tener libero quello corrispondente per la sua compagna di viaggio preferita... Ma smise presto di pensarla così non appena iniziò a ponderare la possibilità che, anziché cercare di contrastarla, poteva sfruttare quella situazione a suo vantaggio. Lasciare che altri ne occupassero uno, per poi proporle di sedersi accanto a lui...

Ma tutti i suoi progetti andarono in fumo non appena giunse in prossimità del proprio binario, ed ebbe modo di notare un'anomalia che lo mise subito in allarme.

La banchina era deserta.

Il respiro gli si bloccò in gola. Perché non era possibile, non poteva aver perso il treno... Si era premurato di arrivare in abbondante anticipo proprio per evitare una simile eventualità, e comunque il suburbano faticava già quotidianamente ad essere puntuale, che fosse riuscito a batterlo sul tempo in un giorno in cui tutto il mondo pareva muoversi al rallentatore era fuori da ogni logica.

Si appellò al tabellone in cerca di una rassicurazione e, com'era ovvio, scoprì di avere ragione: non aveva affatto perso il treno. Se non ce l'aveva davanti non era per colpa sua, ma dell'inetta incompetenza dei servizi pubblici cittadini che gliel'aveva del tutto cancellato.

Rimase fisso, sconcertato davanti a quella scritta inaccettabile, finché dagli altoparlanti della stazione non giunse il suono di una voce sintetizzata, che gli fece persino l'affronto di rinfacciargli che, per quanto potesse indignarsi, nulla avrebbe potuto cambiare il fatto che tanto il suo treno ormai era già stato soppresso. Men che meno lui.

Vero, le riconobbe. Ma solo per il momento... Perché era altrettanto certo che, ben presto, avrebbe fatto causa per danni morali all'idiota che gestiva quella linea e trovato il modo per vendicarsi di lui, mandandolo miseramente in bancarotta.

Ma evitò di gridare quella sua minaccia all'indirizzo dell'altoparlante, tenendosela per sé. Sarebbe stato tutto fiato sprecato, e non sarebbe mai andata a segno. L'avrebbero sentita solo i pochi passanti presenti nei paraggi e che, verosimilmente, l'avrebbero preso per matto. Né sarebbe valsa a sollevarlo dall'unico, vero cruccio che a quella scoperta aveva iniziato a mandarlo nel panico...

Non l'avrebbe più rivista.

Nella sua mente, però, risuonarono “no” a ripetizione, e sempre più perentori. Perché no, non accettava che finisse così. Sarebbe finita come voleva lui, e se il resto del mondo non era d'accordo allora poteva rassegnarsi, perché a suo parere quell'opinione non contava proprio nulla, né intendeva farsene un problema. Intendeva risolverlo, e trovare all'istante una soluzione alternativa che potesse comunque condurlo al risultato che voleva ottenere. E l'avrebbe raggiunto, punto. A qualunque costo e con qualunque mezzo.

Pertanto, non perse altro tempo prezioso con quello, ritornò rapidamente sui propri passi e, una volta in strada, fermò imperiosamente il primo taxi di passaggio per farsi portare subito all'università di Domino.

Di certo se ci fosse arrivato in limousine avrebbe fatto tutt'altra scena, ma ormai aveva già dispensato il proprio autista e non poteva certo permettersi di attendere oltre. Doveva riuscire ad intercettarla lungo il tragitto, prima che riuscisse ad arrivare alla sua fermata e decidesse di tornare a casa in altro modo.

Cascasse il cielo, quel giorno l'avrebbero fatto insieme.

Purtroppo, però, anche se l'università non distava molto dalla sede della KC, il taxi non poteva comunque volare, e ben presto fu costretto a realizzare che non sarebbe mai arrivato in tempo per andare a prenderla all'uscita... Abbassò lo sguardo sulle lancette del suo orologio, trovando conferma del proprio presentimento: erano le 19 passate. A quell'ora, doveva aver già raggiunto i binari...

Non gli restava che fare altrettanto.

Ma, prima ancora che potesse dare alcuna istruzione all'autista, lo sguardo gli cadde su una persona che, proprio in quel momento, stava procedendo sul marciapiede in senso opposto al suo. Fu un caso, proprio come la prima volta che l'aveva vista. E, come allora, fu questione di un secondo riconoscerla, e questione di un attimo perché svanisse dalla sua vista, in quel battito di ciglia che gli fece inavvertitamente chiudere gli occhi. Quando li riaprì, il taxi l'aveva ormai superata, lasciandola alle sue spalle, diretta verso l'ingresso della metropolitana.

Il secondo dopo, si voltò all'indietro, ordinò all'autista di accostare all'istante, e si scaraventò fuori dall'abitacolo per rincorrerla.

Metaforicamente parlando. Non poteva certo mettersi a correre sulla neve... Però aveva un passo ben più lungo, rapido e sicuro del suo, per cui confidava di accorciare entro breve le loro distanze abbastanza da poterla acciuffare. Era talmente determinato a riuscirci, che si dimenticò persino dell'ombrello che aveva tenuto stretto tra le mani fino a quel momento, se non quando alcuni fiocchi di neve gli bagnarono fastidiosi il viso. Ma non l'aprì comunque, l'avrebbe solo rallentato e lui non aveva davvero bisogno di altri inconvenienti. Tutte quelle barriere, quegli ostacoli fisici e mentali che li avevano continuamente tenuti separati l'avevano ormai esasperato. Quella volta, non avrebbe titubato davanti a delle porte scorrevoli, né si sarebbe fatto bloccare dalle sue insicurezze. Non poteva mancare quell'occasione imperdibile, né attendere certezze che mai avrebbe potuto acquisire... Non restando inerte, almeno. Ad aspettare troppo, rischiava solo d'aspettare in eterno.

E per lui 3000 anni erano già stati anche fin troppi.

Come sperava, la raggiunse appena varcato l'ingresso della metropolitana. Tuttavia, quando si ritrovò alle sue spalle, a pochi passi da lei, si rese conto di non saper affatto come fare per fermarla. Di non essere riuscito, in oltre due mesi, a scoprire un'informazione di primaria importanza, il nome della sua ragazza dagli occhi blu. L'aveva sempre pensata in quel modo, ma non poteva certo chiamarla così...

Provò ad attirare la sua attenzione con un “aspetta”, che però non venne per nulla sentito, o comunque considerato nella sua indeterminatezza. Serrò le labbra contrariato, e si allungò verso di lei per provare con un secondo tentativo, magari sfiorandola con un lieve tocco, giusto il necessario per indurla a voltarsi...

Ma non riuscì a dirle nulla, né a completare il suo gesto.

La ragazza che aveva davanti scivolò sul pavimento, e cadde all'indietro con un'esclamazione improvvisa. A quel punto, nel giro di un secondo lui riuscì contemporaneamente a sbattere le palpebre dalla sorpresa, lasciar cadere l'ombrello, afferrarla prontamente per la vita, arretrare con una gamba per frenare l'urto, stringerla a sé ed esibirsi in un sorriso vittorioso.

Aveva pescato il jolly.

Inaspettatamente quello strano corso degli eventi, quell'assurda successione di sfortune e di coincidenze gli avevano permesso di ritrovarsi infine con la mano migliore possibile, proprio con la combinazione di carte che aveva tanto desiderato.

Non gli restava che giocarle a dovere.

-Presa appena in tempo.-

La sua frase ad effetto non parve però riscuotere grande successo, perché neppure questa volta gli giunse da lei la benché minima risposta. Anzi, la sentì irrigidirsi tra le sue braccia e tentare di allontanarsi dalla sua stretta. Ma ovviamente lui non intendeva più permetterle di sfuggirgli, non senza opporre almeno un po' di resistenza. Dunque rinsaldò ostinato la presa, e le si affiancò per guardarla dritto, per trattenerla una volta per tutte con una domanda ineludibile.

-Tutto bene?-

E non fu neppure troppo una frase di circostanza, perché lei lo stava guardando con degli occhi sgranati, un'espressione shockata, il volto sbiancato dallo spavento e gote che si fecero improvvisamente paonazze.

Non era esattamente quello, l'effetto che avrebbe voluto farle...

Poi però la ragazza tra le sue braccia si riscosse, e parve ritrovare il dono della parola.

-Sì... Sì, sto bene, grazie a lei.-

Allora lui accennò un sorriso gratificato, e fu costretto a scioglierla dalla sua stretta. Privarsi della fresca delicatezza del suo profumo, e del soffice, intenso tepore avvertito nell'aderire a lei...

Una sensazione davvero strana, quella. Inspiegabile.

Tra i loro corpi non c'era stato alcun contatto che potesse aver dato adito ad una trasmissione di calore, eppure lui l'aveva provato lo stesso. Gli aveva infuocato il petto come in una vampata improvvisa, che ancora lo lambiva dentro, languida d'essere nuovamente rinfocolata da lei. Ma non per conduzione, tra loro non c'era stato alcun processo termodinamico... Era stato un moto interno, una reazione chimica che chissà come era riuscita ad innescare. Ma non gli sarebbe affatto dispiaciuto ripeterlo, come esperimento. Provare a verificare la sua tesi, poter apprezzare una seconda volta quel misterioso, ma così attraente fenomeno...

Preferibilmente, in una maniera un po' meno burrascosa.

-Cerca di prestare più attenzione, la prossima volta...-

Quell'ammonimento gli scappò involontario dalle labbra, e per un attimo temette di aver appena fatto un'uscita davvero pessima, di esser stato un po' troppo sgarbato... Ma lei non abbassò lo guardo con fare mortificato, né strinse le labbra dal risentimento. Anzi, gli replicò a testa alta, risoluta a difendere il proprio onore.

-Ha ragione, ma... ero di fretta, non volevo perdere il treno.-

A quella rivelazione, non poté proprio evitare di rivolgerle un sorriso denso di sarcasmo.

-Una preoccupazione inutile, visto che è stato cancellato.-

Lei socchiuse le labbra, incredula.

-Davvero?-

Inarcò un sopracciglio con ovvietà.

-Non mi troverei qui, altrimenti: ha lasciato a piedi anche me.-

Al che la ragazza davanti a lui abbassò un attimo i suoi occhi blu, scuotendo la testa con fare sconsolato.

-A volte capita... e purtroppo sempre nei momenti peggiori.-

Ma non sempre tutto il male viene per nuocere, considerò tra sé.

-I momenti si possono sempre migliorare, però... Ad esempio, potrei offrirti un passaggio.-

E glielo propose con il suo miglior tono accattivante, con le sue parole più invitanti... Un'offerta che nessuno, neppure lei, avrebbe mai potuto rifiutare.

Quanto si sbagliava.

-No, si figuri... Non deve sentirsi in obbligo, aspetterò il prossimo treno.-

Sbatté le palpebre, disorientato da quella risposta così opposta al suo volere, ad ogni sua aspettativa. Tuttavia, non se ne offese, né rimase deluso. C'era stata una nota di doloroso rammarico nella voce di lei, ed intravide l'ombra del dispiacere in quello sguardo che abbassò umilmente, tanto che le sue parole suonarono più come un disfattista, inaccettabile “vorrei ma non posso”.

Non riusciva a capire che razza di problemi si stesse facendo, ma visto che non era capace di liberarsene da sola ci avrebbe pensato lui, a risolverglieli. Una volta per tutte, e che diamine!

-Ma ti ho raggiunto proprio per chiederti di venire con me... Insisto. Non voglio che tu debba attendere al freddo, per chissà quanto tempo.-

Lei allora aprì i suoi grandi occhi blu su di lui, guardandolo come se l'avesse riconosciuto solo in quel momento. Come se fosse la prima volta che riusciva a vederlo per davvero... Poi, dopo quell'attimo d'intima contemplazione, aprì le labbra in un sorriso gioioso, e gli diede finalmente l'unica risposta che desiderava ricevere, e la sola che fosse disposto ad accettare.

-Se è così, accetto con piacere.-

Annuì soddisfatto.

-Perfetto. Andiamo, allora.-

Detto questo si voltò, e si piegò per recuperare l'ombrello che aveva lasciato abbandonato sul pavimento, ma che ora gli tornava quanto mai utile. Lo liberò con un moto di disgusto da quel miscuglio acquoso con cui si era impregnato, dunque lo aprì per proteggere quella sconsiderata di una ragazza. Tanto per cambiare era vestita come se non avesse nemmeno guardato fuori dalla finestra prima di uscire di casa. Senza guanti, senza ombrello, con i vestiti ormai fradici per la neve, e per il freddo le mani cianotiche, il naso arrossato, le gambe mezze scoperte che le tremavano leggermente, attraversate dai fremiti. Sembrava sul punto di morire assiderata... e di certo, con quelle scarpe da passeggio non sarebbe andata molto lontano.

-E' meglio se ti aggrappi a me. E tienti stretta: almeno se dovessi scivolare di nuovo eviterai di cadere.-

Lei sollevò sorpresa lo sguardo, arrossendo un poco. Ma poi gli si avvicinò ed accettò il braccio che gli stava porgendo con fare incoraggiante, passandovi sopra il proprio, piegandolo appena, appoggiando delicata la mano sul suo avambraccio. Un dito dopo l'altro, che picchiettarono in una lenta, ben distinta successione quasi sulla sua stessa pelle.

Ed avvertì per una seconda volta quella sensazione stupenda...

-A meno che non faccia cadere anche lei.-

Quel commento ironico giunse alle sue orecchie stonato, una prospettiva sgradevole che scacciò subito dalla sua mente scuotendo il capo. Nulla, nulla avrebbe rotto quell'incanto.

-Non succederà.-

Ed in via precauzionale l'assicurò a sé, portandola ben vicina al suo fianco, sigillando indissolubilmente il loro intreccio.

Anche quello fu strano.

Era come se quell'esile braccio sottile fosse stato fatto apposta per incastrarsi col suo alla perfezione, allungandosi senza tirare, sovrapponendosi senza stringere, e a lui fosse estremamente naturale offrirle l'accogliente conforto di cui aveva bisogno. Ed anche quando mosse i primi passi, indeciso sull'ampiezza della falcata da compiere e sul ritmo dell'andatura da tenere, fu una sorpresa notare che lei non tendeva a rimanergli indietro, ma a coordinarsi ai suoi movimenti, a camminargli al fianco quasi per automatismo. Fidandosi subito, ciecamente, della sua guida. Con un'espressione di assoluta serenità, senza neppure guardare dove stesse poggiando i piedi.

Fu persino spiazzante, sulle prime. Poi, però, quella sua spensieratezza gli si diffuse nell'animo, e dismise anche lui ogni disagio, ogni rigidità, ogni pensiero. Distolse gli occhi dalla strada, e li volse intorno a sé. Su quei fiocchi che volteggiavano lievi, e che danzavano leggiadri assieme ai capelli argentati della ragazza accanto a lui, mossi dal vento, confusi nel candore loro circostante, illuminati dal baluginio degli addobbi che scintillavano ad intermittenza lungo la strada.

Non li aveva neanche notati, prima.

Si accorse di non aver notato un sacco di cose, in realtà... ma che grazie a lei, di riflesso, riusciva a percepire in tutta la loro essenza. Si ritrovò a guardare la neve proprio come quando, da bambino, accorreva assieme a suo fratello alla finestra, ed appoggiava estasiato le mani sul vetro, il cuore in fermento per quella sorpresa inaspettata, la mente tutta intenta a prefigurarsi il momento in cui ne fosse scesa abbastanza per poter uscire in giardino a giocare. A sperare che continuasse a cadere ancora per molto, sempre di più, tanta da sprofondarci dentro, abbastanza da poter costruire assieme il più grande, enorme pupazzo di neve possibile.

A quel ricordo così vivido, a quelle schegge di una vita a lui ormai lontana, al sapore amaro di emozioni più provate si ritrovò turbato, scosso dall'incomprensione. Non riuscendo a rammentare quando avesse smesso di considerare la neve uno spettacolo quasi magico, anziché della semplice acqua cristallizzata. Di accoglierne l'arrivo entusiasta, animato di progetti e dalla voglia di fare, anziché irritato, scocciato da quell'ostacolo inopportuno. Ne intuiva la ragione, quel demone che aveva esiliato per sempre nella sua cantina, ma non capiva perché, anche dopo la sua dipartita, il suo spirito fosse rimasto spento, oppresso dalle limitazioni con cui l'aveva tormentato...

Era padrone di sé, ora. Poteva decidere della sua vita.

Non era più costretto all'isolamento. Poteva uscire dalla sua solitudine.

Le persone con cui condividere il suo futuro non gli mancavano, dopotutto. Non doveva far altro che socchiudersi, prestar loro la sua stilografica e lasciare che riscrivessero nel suo cuore parole dimenticate, recuperassero attimi perduti, ritrovassero desideri inespressi. Raccontandogli quanto fosse appagante quella genuina semplicità a loro così familiare, ma a lui così inedita. Provandogli che sarebbe riuscito ad apprezzarla a sua volta se si fosse rivolto al mondo con occhi diversi, se l'avesse guardato sotto la luce giusta. Mostrandogli come poteva essere con loro, e come voleva essere per loro.

Ma fu questione di pochi attimi, quell'epifania.

Gli era apparsa come un miraggio nel deserto, baluginando in lontananza, ma non riuscì a concentrarsi abbastanza su di essa, a capire se quella fosse proprio la proiezione della meta che il suo cuore aspirava raggiungere, perché in breve arrivò alle porte della sua vera destinazione. Ed il vento spazzò via con sé quella visione, privandolo delle sue suggestioni.

Si riscosse all'improvviso, e si affrettò ad interrompere quel silenzio che aveva lasciato cadere per aprire la portiera posteriore ed invitare la ragazza a salire sul taxi. Lei allora scivolò via dal suo braccio, e si separò da lui con suo estremo rammarico. Nonostante il tempo avverso, nonostante il freddo pungente, avrebbe davvero preferito proseguirla, quella loro passeggiata. Proseguirla e basta.

Sospirò appena tra sé, e la raggiunse nell'abitacolo. Un po' straniato. Era davvero una novità, per lui, accompagnare qualcuno all'interno di una vettura, anziché essere accompagnato da altri per obbligo di servizio. E farlo con tanto piacere.

Quando furono entrambi a bordo, l'autista si voltò a chieder loro indicazioni. Sollecitò la ragazza accanto a lui a fornirgli il suo indirizzo, e si premurò di fissarselo per bene anche nella propria memoria.

Ottenuta quell'informazione, il taxi ripartì sollecito, e solo allora, volgendosi verso di lei, si accorse di averla seduta alla sua destra, al posto accanto al suo. Proprio come aveva tanto desiderato. Vicina abbastanza da poter sentir rallentare il soffio del suo respiro, da poter distinguere i fiocchi di neve che le si erano posati sui capelli, imperlandoli come la rugiada lungo i fili di una ragnatela. Ma, essendo altrettanto fragili, le bastò una rapida passata per disperderli, privarlo di quell'immagine di lei così poetica.

Eppure, trovò quella seguente, più concreta, altrettanto incantevole...

Forse fu perché per la prima volta si scoprì il capo, lasciando libera quella chioma che aveva tenuto sempre, ingiustamente nascosta. Oppure perché si allentò la sciarpa in cui aveva sprofondato il viso, o perché si aprì il suo cappotto blu cobalto abbastanza da svelare quell'abito color panna che portava indosso, e che tanto le donava.

Diamine. Era quanto di più grazioso i suoi occhi avessero mai visto... Tanto che il suo cuore ebbe per un attimo un sussulto, quando lei sollevò cauta lo sguardo su di lui, e si strinse imbarazzata le mani in grembo, e si mordicchiò incerta il labbro inferiore, per poi parlargli sommessamente.

-Non so davvero come ringraziarla per la sua gentilezza, signor Kaiba...-

Sbatté le palpebre, preso in contropiede. Era davvero raro che qualcuno diverso da suo fratello mostrasse dell'autentica riconoscenza nei suoi confronti, ed ancor più che arrivasse a definirlo gentile con una tale, sentita sincerità. Non gli sembrava di aver fatto nulla di speciale, in fondo. Non gli era costato nessuno sforzo, nessun sacrificio... Si era solo limitato ad assecondare i suoi desideri, e deciso a realizzarli. E, se alla fine li aveva esauditi, era stato solo per merito suo, perché anche lei li aveva sentiti come propri. Idealisticamente, era più lui ad essere in obbligo nei suoi confronti...

Perciò, tutta questa sua gratitudine gli parve decisamente fuori luogo. Però, visto che ci teneva così tanto a sdebitarsi con lui, a ricambiare in qualche modo per non sentirsi più in una posizione di difficoltà, forse poteva spingersi ad offrirle un suggerimento in merito.

-Potresti iniziare dandomi del tu, non credi?-

Di certo l'avrebbe reso meno a disagio, anziché sentirsi appellare in una maniera tanto fredda, formale e distaccata da una persona a lui ormai così vicina, sia fisicamente che in senso affettivo...

E fu con piacere che notò quanto la sua idea fosse stata ben accolta, fosse bastata a mettere anche lei più a proprio agio. Sollevò convinta il viso, e gli rivolse uno di quei sorrisi spontanei che le venivano tanto bene.

-Potrebbe essere un buon inizio... A proposito, io sono Kisara.-

Socchiuse appena le labbra, stupito da quella rivelazione così inaspettata, ed ancor più costernato da quanto, ciononostante, fosse suonata alle sue orecchie come la conferma di un'informazione a lui già nota. Non necessaria. Perché nonostante l'avesse sempre, razionalmente, tenuta ben distinta dalla sua versione passata, la luce che tanto la caratterizzava era rimasta immutata nel tempo. E lui l'aveva riconosciuta subito, sin dalla prima volta che l'aveva vista, con la stessa immediatezza con cui lei era riuscita ad attraversare lo spazio infinito che per un tempo millenario li aveva tenuti separati. Rendendo relativo ciò che per chiunque sarebbe stato oggettivamente insuperabile. Riattivando con una semplice scintilla quella passione immensa, sempiterna, che era rimasta sopita nei meandri del suo cuore...

Non poteva proprio chiamarsi in altro modo, comprese.

-Lo so. Ci siamo già conosciuti, ricordi?-

Gli era sfuggita.

Quella confessione così autentica e pericolosa era emersa dai suoi pensieri più reconditi fino a prender voce, trasformandosi in un'affermazione illogica e in una domanda incomprensibile.

Ci fu per un secondo un silenzioso scambio di sguardi: il proprio timore incrociò a mezza strada la sua perplessità. Tuttavia, in quel punto d'incontro lui riuscì comunque a trovare una rassicurazione, e lei un significato alle sue parole.

-Sì, è vero.-

Ecco, era successo di nuovo. L'aveva frainteso, eppure l'aveva compreso alla perfezione. Gli aveva risposto nello stesso, esatto modo che si era auspicato... E lui si chiese ancora, stupefatto, come caspita facesse ad utilizzare tanto bene quel loro linguaggio a lei del tutto segreto. Lui aveva avuto bisogno di sentirlo innumerevoli volte, prima che gli entrasse in testa, ed anche dopo aveva fatto così tanta fatica, prima di riuscire ad impararlo a dovere. Lei, invece, ne era inconsapevole, però lo comprendeva e lo parlava con la più completa padronanza, proprio come lui trovava istintivo riuscire a decifrare i simboli dei geroglifici.

Vite passate che ancora gli appartenevano, sentimenti incondizionati che mai li avevano abbandonati.

Ed allora una morsa tremenda lo avvinghiò allo stomaco, lo fece vacillare ad un dubbio indistricabile. Che lo costrinse a chiedersi se fosse giusto, approfittarsi della sua ingenua ignoranza per riuscire ad ammaliarla. Se non avesse anche lei il diritto di conoscere la vera ragione della loro intesa. Perché, per quanto sinceramente le potesse parlare, finché gliel'avesse tenuta nascosta avrebbe continuato a sentirsi schiacciato dai sensi di colpa come un bugiardo.

Però, svelarglielo avrebbe significato anche esporre i suoi sentimenti. Rivelarle che dei due era lei a vantare la forza gravitazionale maggiore, ad averlo attratto con l'influenza che riusciva ad esercitare su di lui. E, più di tutto, avrebbe significato narrarle una storia che lui stesso ancora non aveva compreso appieno, e forse mai ci sarebbe riuscito. Che andava così al di là della comune immaginazione da poterla anche spaventare, gravare del peso di una consapevolezza improvvisa che ne avrebbe di certo scosso la serenità con la violenza di un maremoto.

Così capì che sì, era una confessione che doveva farle, ma che andava fatta al momento giusto. Coltivata nel tempo, gradualmente, finché il loro rapporto non fosse divenuto maturo abbastanza da poter sbocciare confidando in un valido, incrollabile sostegno. Quando le sue radici si fossero sviluppate a sufficienza per poter accogliere tutta quell'acqua non come un'inondazione, ma come il nutrimento necessario a rinsaldarlo fin nelle sue profondità. Solo lui ne aveva avuto bisogno subito, per rendere di nuovo fertile un cuore inaridito, per poter germogliare alla sua luce. Senza, non l'avrebbe mai riconosciuta tra la folla. Non avrebbe mai deciso di cercarla di nuovo, il giorno seguente. Non avrebbe mai scelto di raggiungerla ancora, per tutti quelli a venire.

Non si sarebbe mai innamorato di lei.

Quando lei, invece, sembrava essersi innamorata di lui lo stesso.

Non di un sacerdote vissuto millenni prima, né di una celebrità intravista in foto sui tabloid. Quelle, d'altronde, erano immagini di lui che non gli appartenevano più, o che lo riguardavano soltanto superficialmente. E lei non era rimasta banalmente colpita da una sua mistificazione, si era sinceramente interessata a quel ragazzo che per tanto tempo l'aveva accompagnata a casa, e ne aveva fatta la conoscenza proprio come lui aveva fatto la sua. In modo lento e taciturno, costante ed essenziale. Ed era proprio quello che voleva, tutto ciò che davvero contava.

Il passato, ormai, aveva esaurito la sua funzione. Ora, non doveva fare altro che vivere il suo presente, ed impegnarsi a trasformarlo nel loro futuro.

Dunque, rinfrancato da questa sua determinazione, iniziò a parlarle. A sfruttare ciò che di lei sapeva per scoprire tutti quegli aspetti della sua vita che, da solo, non era riuscito a svelare. E ad ogni domanda riceveva una risposta così pronta e schietta, che ben presto i suoi lanci iniziarono a farsi sempre più precisi, andando in profondità, e non appena anche lei prese confidenza col suo gioco non esitò a ribattere con altrettanta destrezza ai tiri che le rivolgeva. Senza finire fuori campo una sola volta, senza mai cercare di metterlo in difficoltà mirando in punti a lui poco agevoli.

Si protrasse per oltre mezz'ora, quella loro partita.

Ed anche se non ci fu nessun vincitore, fu assolutamente meraviglioso, poterla giocare con lei. Neppure avrebbe avuto un senso mettersi a contare i rispettivi punti, perché la conclusero in assoluto pareggio, ancora sullo zero a zero. Non ci furono attacchi, animosità, colpi mandati a segno. Fu uno scambio amichevole, e sempre più intenso man mano che entrambi imparavano a vicenda qualcosa dell'altro, miglioravano le proprie tecniche, le adattavano fino a raggiungere una perfetta sincronia. Ad ogni punto interrogativo seguiva un'affermazione, ad ogni frase un commento, ad ogni argomento una nuova curiosità. E se all'inizio fu piacevole ricevere le sue parole, fu ancora più gratificante vedersi rivolgere quel sorriso aperto e disponibile quando rispondeva alle sue domande, come quello sguardo ammirato e denso d'interesse con cui l'ascoltava quando esprimeva un'opinione. Ed il modo con cui si adagiava sul fianco, appoggiando la testa al sedile, e veniva presa da qualunque suo racconto. Tanto che presto si sentì così sicuro di poterle dire tutto ciò che pensava, di poterlo esprimere prima ancora di riuscire a prefigurarselo, da lasciarsi andare ai commenti più viscerali e alle esclamazioni più improvvise.

Al che, puntualmente, lei scoppiava a ridere divertita, e lui altrettanto puntualmente rimaneva interdetto. Non riuscendo bene a capire che cosa avesse fatto scatenare questa sua reazione, né come la dovesse valutare. Non aveva fatto nessuna battuta, per cui non stava ridendo con lui. Ma non gli sembrava neppure di aver detto nulla di ridicolo, quindi non stava neppure ridendo di lui...

Si stava, semplicemente, divertendo assieme a lui.

Dunque, forse, poteva valutarlo come un fatto positivo. Incomprensibilmente, immensamente positivo. Sembrava riuscirgli proprio bene, dopotutto... Anzi, gli era riuscito prima ancora di poter fare la sua conoscenza, sin già da quando lei aveva messo piede a Domino, realizzò. Perché una delle prime confessioni che gli fece fu proprio quanto non sopportasse vivere in una città tanto grigia e caotica, così diversa dal suo tranquillo paese verdeggiante, e che se infine era riuscita ad apprezzarla un po', a sentirsi felice del luogo in cui si trovava, era stato solo grazie a quel pomeriggio che aveva trascorso a Kaiba Land. E glielo raccontò con un tale entusiasmo, e lo ringraziò con un tale accoramento, che i suoi gli parvero come i complimenti più lusinghieri ed appaganti che gli avessero mai fatto.

Né riuscì a trattenere un sorriso, quando gli rivelò quanto trovasse fantastico il suo Blue-Eyes White Dragon.

Perché non poteva essere altrimenti. Perché sapeva dal più profondo del cuore che lo pensava per davvero, e che non glielo stava dicendo solo per accattivarsi la sua simpatia. Fu limpidamente onesta, così come non finse di amare il Magic and Wizards giusto per compiacerlo. Anzi, non gli nascose di non averci mai giocato, di non conoscerne neppure le regole.

Ed il sorriso gli si spense, sopraffatto dallo sconcerto.

Inconcepibile. Inaccettabile. Inammissibile.

Se solo avesse avuto con sé la sua ventiquattrore, non avrebbe esitato ad estrarre all'istante il suo deck, metterle in mano delle carte ed iniziare a spiegarle come fare ad utilizzarle. Perché doveva assolutamente provvedere a colmare questa sua lacuna, trasmetterle la sua stessa passione per un gioco di cui lei era per vocazione la regina. Desiderava così tanto insegnarglielo, renderla abbastanza abile da poter duellare assieme. Mostrarle fiero gli ologrammi dei suoi draghi, che aveva programmato con così tanto amore. Portarla con sé ad assistere ai suoi scontri, perché potesse essere orgogliosa di lui, tifare per lui insieme a suo fratello.

C'erano così tante cose che avrebbe voluto fare con lei, si rese conto.

Nel parlare assieme quei desideri gli erano sbocciati nell'animo in una sequenza continua, e così potenzialmente infinita che non sapeva nemmeno se una sola vita gli sarebbe bastata, per esaudirli tutti. Tanto che quando il taxi terminò la sua corsa, si fermò davanti al piccolo, modesto condominio in cui abitava, ammutolì a guardarlo con enorme delusione.

Di già?

Insolitamente, si ritrovò a dispiacersi di essere riuscito a superare senza troppe difficoltà il traffico generato dal maltempo e dall'ora di punta. A rammaricarsi di non esser finito intrappolato in un qualche ingorgo. Che l'autista non avesse sbagliato strada. Che la vettura non avesse forato alcuna gomma. Che la sua compagna di viaggio dovesse scendere lì, anziché proseguire con lui. Che entrambi fossero costretti a tornare alle rispettive abitazioni, quando invece avrebbe preferito che in uno slancio d'incoscienza si lasciassero tutto alle spalle, s'imbarcassero sul suo aereo e partissero in volo verso mete più entusiasmanti. Liberandosi delle proprie costrizioni soffocanti, ampliando i suoi avvilenti confini. Sapeva che al momento non era proprio possibile, che al loro stato attuale era fuori da ogni logica persino immaginarlo, però...

Un domani, forse...

-Ci rivediamo anche domani?-

La voce gli annaspò improvvisa dalle labbra, prima ancora che lei potesse dire o fare nulla per accomiatarsi da lui. Non era disposto a salutarla, a permetterle di lasciarlo, non senza quella certezza. Voleva che le sue ultime parole fossero una conferma, suonassero come quella rassicurazione che gli aveva rivolto quando l'aveva incrociata di sfuggita, nel loro tempo passato. Ne aveva bisogno, assolutamente. E se non era in grado di dargliela, se doveva già ritornare dalla famiglia per le feste, allora le avrebbe chiesto quando avrebbero potuto incontrarsi di nuovo. Sperando che fosse il prima possibile, e in ogni caso non appena disponibile...

Ma quando lei gli rispose, capì che non c'era alcun bisogno di rinviare tanto.

-Mi piacerebbe...-

Titubò, lasciando sospese quelle sue parole, ma furono abbastanza possibiliste perché lui potesse spingersi a definirle.

-Stesso posto e stessa ora?-

Lei però abbassò lo sguardo, visibilmente abbattuta.

-In realtà, oggi era il mio ultimo giorno di lezione...-

Sorrise divertito. Lo sapeva benissimo, ed era proprio per quello se ci teneva così tanto a strapparle la promessa di un appuntamento... Ancora una volta, ingenuamente, aveva frainteso quello che intendeva dirle per davvero. Ma, questa volta, era proprio il caso di svelarglielo subito.

-Ancora meglio: così, anziché ritornare ognuno a casa propria, potremo andare insieme da qualche altra parte...-

La ragazza davanti a lui sollevò allora sorpresa i suoi occhi blu, ne fece svanire presto lo stupore con un battito di ciglia ed infine brillò dall'entusiasmo, fulgida come non mai.

-Questa è davvero un'idea fantastica.-

Tanto bastò, per infiammarlo di gioia. Rassicurato che anche dopo quel tramonto avrebbe scorto ed adorato ancora la sua luce all'orizzonte. Che anche l'indomani le fiamme che gli aveva acceso nel cuore non si sarebbero affatto sopite, ma avrebbero continuato a divampargli dentro. Tanto intense, da sentirle oramai inestinguibili.

E, da quel giorno in poi, l'avrebbe sempre invitata a stare al suo fianco.

 


 

N/A - H^o^la!

Ed eccoci arrivati al capolinea. O al vero inizio, a seconda di come la si vede.

Per l'occasione ho voluto unire entrambi i PoV in un capitolo dalla lunghezza a dir poco illegale per chiudere in bellezza... spero, di aver chiuso in bellezza. Quello è un giudizio che spetta a voi soltanto, dopotutto.

Comunque, anche questa volta mi sono lasciata andare a più di una metafora, specialmente nella parte di Seto. Ne chiarisco giusto un paio, quelle secondo me più ermetiche... Innanzitutto, l'immagine delle porte scorrevoli che si chiudono, usata anche nel secondo capitolo, mi è venuta pensando a quel carinissimo film che è “Sliding Doors”, tutto incentrato su come, appunto, basti un secondo, un'occasione colta o mancata, a cambiare il corso degli eventi. Poi, quella del pescare Kisara come un jolly mi è venuta invece ricordando di quando, nella saga di Battle City, Seto estrae una carta dal deck per colpire un Ghoul, e nello scoprire che si trattava del Blue-Eyes commenta a malincuore “unlikely, my draw was too good”.

Inoltre, finalmente ho svelato il nome di Kisara che, appunto, non si poteva chiamare altrimenti. E questo non solo per l'identità della sua anima, ma anche per una ragione nomofilattica: il suo è un nome inventato, per cui sul vero significato si può discutere, ma a mio parere ne ha ben tre: se si scompone abbiamo “ki”, che nella filosofia cinese è l'energia vitale, “sa” che nell'Antico Egitto era il simbolo della protezione, e “ra” è una chiara allusione alla luce del dio Sole. Insomma, assieme esprimono così bene la sua personalità, che non potevo proprio permettermi di modificarla.

Non ho invece, volutamente, offerto alcuna risposta al quesito sul come Kisara possa essersi reincarnata. Io ho una mia personale teoria, ma ne ho già fatto uso nella “Dark Blue Saga” e non mi andava di essere ripetitiva. Inoltre, alla fine quello che in questa storia importa non è perché lei e Seto si siano rincontrati, ma il come abbiano fatto ad innamorarsi di nuovo. Senza contare che, nella versione giapponese dell'anime, l'ultima frase che Kisara gli dice prima di salutarlo è “I have to go now, but I believe that one day we can meet again” (almeno a detta di chi ha subbato la scena), contro la deludente ed apocrifa versione inglese dove invece gli dice solo “farewell, stranger”, ripresa paro paro in quella italiana come “addio, straniero”. Ma noi ci atteniamo al Verbo, nevvero?

Poi, ci tengo a fare una menzione speciale ad Achernar, alla sua raccolta di drabble mizushipping e a tutte le suggestioni che ha saputo trasmettermi, arricchendo in maniera a dir poco maieutica il mio headcanon di ciò che rappresenta Kisara, e come si ripercuote nella sua luce salvifica sul cuore di chi le sta attorno, svelando l'essenziale, infiammandolo di sentimento. E' ufficialmente diventata la mia musa intellettuale, per cui dovevo e volevo renderle onore come merita.

Approfitto poi di quest'angolino per ringraziare uno per uno tutti quelli che hanno avuto il tempo e la voglia di recensirmi, o che mi hanno aggiunto ai seguiti se non, addirittura, già ai preferiti. In ordine cronologico, special thanks to: Mavis; Alexis_K; Francine_Irish; daiya.

Ma ovviamente grazie anche a tutti voi che avete letto o leggerete la mia storia. Vi voglio bene.

XOXO

- Evee

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