Flusso di Anime

di Cicatricicomericordo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Indice. ***
Capitolo 2: *** Un adolescente qualsiasi ***
Capitolo 3: *** Pain Again ***
Capitolo 4: *** Legame Introspettivo ***
Capitolo 5: *** Demons ***
Capitolo 6: *** Il coraggio di non morire. ***



Capitolo 1
*** Indice. ***


INDICE

     2. Titolo: Un adolescente qualsiasi. 

          Trama:  Ognuno di noi ha un suo modo per sopravvivere: c'è chi mente a se stesso, chi uccide, chi si rifugia nella musica. E poi, c'è chi combatte.


 

     3. Titolo: Pain Again
 
           Trama:  Il dolore ci rende schiavi di noi stessi. Il dolore ci aiuta, ci uccide, ci salva.



      4. Titolo: Legame Introspettivo

          Trama:  Ho preso Pain Again , e l'ho rielaborato per un concorso. Era un tema sui legami. Il personaggio principale, nonche unico, è Ale, mio fratello. 




      5. Titolo: Demons

          Trama: Quanti fantasmi ti seguono? Quali demoni scorrono nel tuo sangue?  Sono tanti?  Che colore hanno?  Che voce hanno?  Sanno cantare? O scrivere? O

            disegnare? Quante volte ti hanno salvato? Quante anime hanno ucciso?




      6. Titolo: Il coraggio di non morire

             Trama: Vita saepe est pugnare. La vita spesso è combattere.

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Capitolo 2
*** Un adolescente qualsiasi ***


Un adolescente qualsiasi.






Ogni mattina in africa una gazzella si sveglia e sa che deve correre per non essere mangiata da un leone. In italia ogni mattina un ragazzo si sveglia, e sa che deve correre se non vuole essere ucciso dal dolore. Si, ucciso dal dolore. Perchè il dolore spesso uccide, dico spesso perchè altre volte ti salva ma questa è un'altra storia. Ora, dove eravamo rimasti? Ah si. Benvenuti nel mondo di questo ragazzo:16 anni mostrati con orgoglio, 16 anni con il corpo giá pieno di cicatrici. Lui non era un ragazzo come gli altri, o forse si,  Non lo sapeva nemmeno lui. Non saleva chi fosse o perchè esistesse, ma ogni giorno si alzava col sorriso. Era un ragazzo speciale, un ragazzo che dava tutto per non far passare agli altri lo stesso inferno che ha passato e che sta passando. Ha una guerra in testa. E nel cuore, o quello che ne restava. Ogni persona che era entrata nella sua vita ne aveva distrutta una parte. Ed ogni tanto crolla, per i ricordi. I ricordi delle persone che ha amato e che se ne sono andate. Ma lui le porta nel cuore comunque. È bravo a controllare il dolore, é bravo davvero. Riesce a calmarlo, o ad aumentarlo se vuole. Si, perché a volte gli piace aumentarlo: gli piace che il dolore lo disintegri. Non è masochismo, affatto. Solo che quel dolore gli ricrda di essere vivo. Perchè a volte è come se fosse morto, come se fosse solo un contenitore vuoto. Ed i contenitori vuoti soni freddi, non servono a nulla. A volte si spegne la sigaretta addosso, altre volte si morde, si infligge del dolore come per svegliarsi da un incubo. Solo che un sogno, seppur incubo é sempre migliore della vita reale. Non ha mai pensato al suicidio, lo ha sempre trovato da codardi. Morire è facile, vivere è difficile. Lui non era un codardo, era un combattente, ha sempre lottato per ció che voleva, senza mai arrendersi. Faceva pugilato. Ed é questo sport che gli ha insegnato a vivere. E a sopravvivere. Ha iniziato a boxare per provare cose nuove. Si è innamorato subito dopo. Si è innamorato del sangue che colava, del corpo stanco e sudato che si muoveva per inerzia, delle tempie che pulsavano. Si è innamorato dell'energia che ti dava. Il pugilato è forse lo sport in cui il lavoro di squadra è molto più presente, perché ti alleni con i compagni. E devi avere fiducia in loro. Devi avere fiducia nel tuo maestro, lui non ti insegna solo a colpire e a schivare i colpi, ti insegna a vivere, a come affrontare ogni ostacolo, a come trasformare ogni sofferenza in felicitá. Ma la persona di cui devi avere piú fiducia sei te stesso. Perché se non hai fiducia in te stessi non vinci. Prima di ogni incontro i pugili si preparano mentalmente. Si ripetono frdsi tipo:"io ce la posso fare, ora salgo su quel ring e dimostro chi sono." Non importa se vinci o perdi. L'importante è trovare sempre la forza per rialzarsi. Perchè nel pugilato vinci o perdi, l'incontro finisce quando uno dei due è al tappeto.

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Capitolo 3
*** Pain Again ***


 Pain again. 






Mi hanno regalato un sacco da box. Sono felice. Ho pianto. Più per il biglietto di auguri che per il regalo. È una conversazione che avevo fatto con lei.  Nessuno mi aveva mai fatto un regalo simile. Nessuno mi aveva regalato un motivo per amare. Lei me lo ha dato. È stato il natale più bello e più brutto che abbia mai passato. Ho ricevuto un sacco da box. Cioè. Da box. Non da calcio. Non da fitness. Da box. È tipo come dire bho. Cazzo ne so. So solo che mi ha fatto e mi fa prendere bene. In compenso ho avuto delle paranoie. Le mie paranoie non sono normali. Le mie sono strutturate per uccidere. Le mie paranoie sono spesso false. Ma sono fatte con il solo scopo di provocarmi dolore. Potrei smettere quando voglio. Ma non lo faccio. È come se ad una parte di me piacesse quel dolore. Quel dolore che ti logora l'anima. È normale? Sorridere al dolore. Quando passa a salutarmi fa sempre freddo. Possono esserci anche quaranta gradi, ma mi vedrai con i brividi. Quest'estate ero in sicilia. E mi si sono gelate le ossa. Di solito prima fa venire freddo alla pelle. Poi ai muscoli. Poi passa al sangue. E alle ossa. Non è l'ultimo stadio. L'ultimo è l'anima. Quando il dolore ti congela l'anima diventi pure tu Dolore. Tornando a noi. Mi ricordo che ho sentino un gelo provenire dalle ossa delle braccia. E le rompeva. Non le congelava, o meglio, non all'esterno. Le congelava dentro e le spaccava. Con un lieve ma potente crack. E in quel momento ho sentito il silenzio sordo. Un silenzio surreale. Dove sentivo la voce del freddo. Era dolce. La gente odia il dolore. Ma la gente è stupida. Ha paura. Vuole solo qualcuno come lui che lo capisca. Che soffra con lui. Vedete, è il dolore che ha in mano le nostre decisioni, la nostra libertá. Il dolore è anche la felicitá. Sono la stessa persona. Non puoi provare felicitá senza dolore, come non puoi provare dolore senza felicitá. La gente è stupida. Vuole eliminare il dolore, ucciderlo. Magari con gli antidepressivi. Ma non ha senso. Il dolore rende uniti. Se trovi una persona che ha provato o sta provando un dolore simile al tuo tu le sarai vicino. Dico simile perchè nessuno proverá mai lo stesso dolore. È impossibile. Il dolore rende anche forti. What doesn't kills you makes you stronger. È vero in parte. Perchè ciò che ti uccide di rende davvero forte. Tu puoi provare un qualasiasi tipo di dolore, ma ne troverai sempre uno maggiore. Perchè ti vuole bene. Ti ama il dolore. Ti ama talmente tanto da insegnarti a vivere facendosi odiare. Facendosi pestare. È un pugile. Uno dei migliori. Incassa. Incassa in continuazione. Ogni tanto tira qualche colpo. Ma quando il dolore combatte seriamente, hai solo due modi per uscirne: uccidere o essere ucciso. Senza se senza ma. Puoi essere ferito quanto vuoi, ma arriva un momento per tutti, in cui devi fare i conti faccia a faccia col dolore. E devi prendere una decisione. Chi sceglie la seconda lo vedi. Le funzionalitá vitali sono normali, ma è morto dentro. E per loro non c'è speranza di salvezza o di resurrezione. Il dolore è un idolo per me. Alla pari di Ale. Ognuno di noi ha un idolo. Io ne ho due. Quando sarò morto mi dovrete bruciare. Nemmeno cremare, bruciare. E le ceneri devono essere sotterrate su una radura. E su di me un salice dovrá essere piantato, innaffiato e curato. Ogni anno, il giorno della mia morte, le persone che veramente tengono a me dovranno venire in quel punto, fare un brindisi e lasciarmi una Marlboro Gold accesa, insieme ad una becks. Non voglio funerali. Non voglio cerimonie. Voglio essere piantato. E ricordato. Io non moriró finche sarò ricordato. Questo è il mio sogno. Essere immortale. E dovrà esserci Ale. E il Dolore. Loro dovranno esserci perforza. Appena il salice sará diventato forte, incidetevi sopra qualcosa, provocategli dolore. E quando stará per morire, abbbattetelo, dategli fuoco, e sotterrate con me le ceneri, e piantate un'altro salice. Cosi che potró rinascere dalle mie ceneri, come una fenice. E i vostri figli dovranno farlo, e cosi i figli dei vostri figli. E via dicendo. Ve lo faró giurare prima di morire. In questo modo il dolore vivrá con me per sempre. C'è chi cambia col dolore. Io sono cambiato molte volte. Ma i cambiamenti principali li ho avuti quando sono stato vicino alla morte. Spesso ci fermiamo quando il dolore ci assale. Ci facciamo prendere a pugni. E soffriamo. Ma non dobbiamo cedere. Dobbiamo resistere, incassare, e reagire. Dobbiamo imparare a difenderci, a scansare i colpi, a resistere. Dobbiamo imparare a combattere. Vita saepe est pugnare. Spesso la vita è combattere. Dove vogliamo andare senza combattere? Se non abbiamo le palle di lottare i nostri sogni, come posssiamo pensare di combattere per la nostra vita? E se non abbiamo le palle di combattere per la nostra vita come pensiamo di sognare? Dobbiamo sempre stringere i pugni e combattere. E finchè non ce lo infiliamo in quella nostra fottuta testa, continueremo a vedere gente morta dentro che ci comanda. Continueremo a vedere questi zombie che saliranno al potere, che prenderanno decisioni al posto nostro, e non ci insegneranno a combattere per la nostra vita. Dobbiamo far vedere di che siamo fatti. Dobbiamo far vedere di essere dei combattenti. Dobbiamo pugnare. E dobbiamo ringraziare il dolore. Dobbiamo amarlo. Porcoddio se dobbiamo farlo. E tutti voi che state leggendo questo. Alzatevi. Combattete per la vostra felicitá, combattete per voi. COMBATTETE PER ESSERE VIVI.  Io sono stanco, stanco di essere considerato diverso. Stanco di tutti coloro che si lamentano. Stanco di vedere le persone essere uccise dal dolore. Stanco di vedere degli zombie che mi dicono di smetterla di combattere. A tutti voi che mi dite dicambiare io dico basta. Dico che potete andarvene affanculo. Dico che potete benissimo restare dei cazzo di zombie per me. Non mi inporta. Non mi importa di cosa pensiate. Io ero, sono, e sarò per sempre un combattente.

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Capitolo 4
*** Legame Introspettivo ***


Legame Introspettivo

 

I legami. Cosa si intende per legami? Con chi si può avere dei legami? con cosa? Di solito si hanno i legami con le persone, con gli amici. Si possono avere legami con oggetti. Legami affettivi.  Un oggetto a noi importante. Non è l'oggetto in se che ci lega in questo caso. Quell'oggetto riporta a noi un ricordo, una persona: la catenina della prima comunione regalataci da un familiare ormai defunto, una lametta che ricorda il dolore che abbiamo dovuto passare. Siamo legati ad oggetti, a persone, a date, a paesi, ad edifici. Molti legami ci fanno crescere troppo in fretta, altri legami ci frenano. Una volta mi dissero che per crescere davvero devo tagliare tutti i miei legami. Noi soffriamo per i nostri legami. Ed è vero. I legami fanno male, i sentimenti in se sono fonte di dolori e sofferenze. Quando qualcuno ti ferisce provi odio per quella persona.  E quando tu ferisci qualcuno, vieni odiato e soffri per il senso di colpa. Ma a volte è proprio perché si conoscono questi dolori che si riesce ad essere gentili col prossimo. É così che maturano le persone. Questo mondo è pieno di cose che non vanno come noi vorremmo. Più a lungo vivi, più ti accorgi che la realtà è fatta solo da dolore, sofferenza e vuoto. In questo mondo ovunque ci sia una luce c'è anche un'ombra. Finché il concetto di "vincente" esisterà ci sarà anche quello di "perdente". L'egoistico desiderio di mantenere la pace scatena le guerre. E nasce l'odio per proteggere l'amore. Voglio approfondire questo legame. Il legame con l'odio, col dolore. Ognuno di noi nel corso della sua vita ha provato molto dolore, un dolore lancinante che lo ha spinto a prendere delle decisioni, a commettere sbagli. Io voglio parlare di Alessandro, e del suo legame con il dolore, con l'odio. Vi avverto. Se siete deboli di cuore non leggete. Siete ancora in tempo per non conoscere ciò che lo ha spinto a scrivere. In tempo per non conoscere il suo legame con la scrittura e con il dolore. Vi ho avvertito. Sedici anni mostrati con orgoglio.  Sedici anni passati ad uscire da un oblio interminabile, da una spirale infinita di odio e di dolore. Ha provato molto dolore. Fisico e mentale. Il dolore fisico è sempre stato voluto. Sigarette spente sulla pelle per ricordarsi di essere vivo. Tagli sulla pelle per darsi ragioni per continuare a lottare. Per continuare a prendere a pungi questa cazzo di vita. Perché se non lotti non andrai da nessuna parte. Si può avere tutto se si lotta. Alessandro spesso si sente morto. Si sente un contenitore vuoto. Quando stava male, prendeva il pacchetto di Marlboro, se ne accendeva una, e quando la finiva, se la spegneva addosso. Bruciava, faceva male, ma lo faceva sentire vivo. È normale? Ciò che ti fa sentire vivo spesso ti uccide. Si può sorridere al dolore? Quando passa a salutarlo sempre freddo. Possono esserci anche quaranta gradi, ma lo vedrai con i brividi. Quest'estate era in sicilia. E gli si sono gelate le ossa. Di solito prima fa venire freddo alla pelle. Poi ai muscoli. Poi passa al sangue. E alle ossa. Non è l'ultimo stadio. L'ultimo è l'anima. Quando il dolore ti congela l'anima diventi pure tu Dolore. Tornando a noi. Ha sentino un gelo provenire dalle ossa delle braccia. E le rompeva. Non le congelava, o meglio, non all'esterno. Le congelava dentro e le spaccava. Con un lieve ma potente crack. E in quel momento ha sentito il silenzio sordo. Un silenzio surreale. Dove sentiva la voce del freddo. Era dolce. Stanno spesso assieme. Sono come migliori amici, fanno chiacchierate lunghissime che la gente non può e non potrà mai capire. La gente odia il dolore. Ma la gente è stupida. Ha paura. Il Dolore vuole solamente qualcuno come lui che lo capisca. Che soffra con lui. Vedete, è il dolore che ha in mano le nostre decisioni, la nostra libertà. Il dolore è anche felicità. Sono la stessa persona. Non puoi provare felicità senza dolore, come non puoi provare dolore senza felicità. La gente è stupida. Vuole eliminare il dolore, ucciderlo. Magari con gli antidepressivi. Ma non ha senso. Il dolore rende uniti. Se trovi una persona che ha provato o sta provando un dolore simile al tuo tu le sarai vicino. Dico simile perché nessuno proverà mai lo stesso dolore. È impossibile. Il dolore rende anche forti. What doesn't kills you makes you stronger. È vero in parte. Perché ciò che ti uccide di rende davvero forte. Tu puoi provare un qualsiasi tipo di dolore, ma ne troverai sempre uno maggiore. Perché ti vuole bene. Ti ama il dolore. Ti ama talmente tanto da insegnarti a vivere facendosi odiare. Facendosi pestare. È un pugile. Uno dei migliori. Incassa. Incassa in continuazione. Ogni tanto tira qualche colpo. Ma quando il dolore combatte seriamente, hai solo due modi per uscirne: uccidere o essere ucciso. Senza se senza ma. Puoi essere ferito quanto vuoi, ma arriva un momento per tutti, in cui devi fare i conti faccia a faccia col dolore. E devi prendere una decisione. Chi sceglie la seconda lo vedi. Le funzioni vitali sono normali, ma è morto dentro. E per loro non c'è speranza di salvezza o di resurrezione.  Il dolore è un idolo per me. Ognuno di noi ha un idolo. Ale ne aveva due. Diceva sempre che quando morirà vuole essere bruciato. Nemmeno cremato, bruciato. E le ceneri dovranno essere sotterrate su una radura. E su di lui un salice dovrà essere piantato, innaffiato e curato. Ogni anno, il giorno della sua morte, le persone che veramente tengono a lui dovranno venire in quel punto, fare un brindisi e lasciargli una Marlboro Gold accesa, insieme ad una becks. Non vuole funerali. Non vuole cerimonie. Vuole essere piantato. E ricordato. Dice che non morirà finche sarà ricordato. Questo è il suo sogno. Essere immortale. E dovrà esserci il Dolore. Dovrà esserci per forza. Appena il salice sarà diventato forte, vuole che gli si incida sopra qualcosa, che gli si provochi dolore. E quando starà per morire, dovrà essere abbattuto, e bruciato, e sotterrate con lui le ceneri, e piantato un altro salice. Cosi che potrà rinascere dalle sue ceneri, come una fenice. E i figli delle persone a lui care dovranno farlo, e cosi i figli dei loro figli. E via dicendo. Ale lo farà giurare prima di morire. In questo modo il dolore vivrà con lui per sempre. C'è chi cambia col dolore. Alessandro é cambiato molte volte, ma i cambiamenti principali li ha avuti quando è stato vicino alla morte. Spesso ci si ferma quando il dolore ci assale. Ci si fa prendere a pugni. E si soffre. Ma non si deve cedere. Si deve resistere, incassare, e reagire. Bisogna imparare a difendersi, a scansare i colpi, a resistere. Bisogna imparare a combattere. Vita saepe est pugnare. Spesso la vita è combattere. Dove si vuole andare senza combattere? Se non si hanno le palle di lottare per i propri sogni, come si può pensare di combattere per la propria vita? E se non si hanno le palle di combattere per la propria vita come si può pensate di sognare? Bisogna sempre stringere i pugni e combattere. E finche non ce lo si infila in quella fottuta testa, continueremo a vedere gente morta dentro che ci comanda. Continueremo a vedere questi zombie che saliranno al potere, che prenderanno decisioni al posto nostro, e non ci insegneranno a combattere per la nostra vita. Ci insegneranno delle materie. Ci parleranno di rispetto, di società, di libertà.  Ci diranno di fare i "Je suis Charlie" quando saranno loro i primi a sopprimere le nostre personalità, a non darci la libertà. Bisogna far vedere di che pasta si è fatti. Bisogna far vedere di essere dei combattenti. Bisogna pugnare. E bisogna ringraziare il dolore. Lo si deve amare. E tutti voi che state leggendo questo. Alzatevi. Combattete per la vostra felicità, combattete per voi. COMBATTETE PER ESSERE VIVI.  Ale é stanco, stanco di essere considerato diverso. Stanco di tutti coloro che si lamentano. Stanco di vedere le persone essere uccise dal dolore. Stanco di vedere degli zombie che gli dicono di smetterla di combattere. A tutti loro che dicono di cambiare Alessandro dice basta. Dice che possono andarsene a fanculo. Dice che possono benissimo restare degli zombie per lui. Non gli importa. Non gli importa di cosa pensino. Lui era, è, e sarà per sempre un combattente. Ora sapete chi é. Il dolore lo ha salvato, e pure la scrittura. Pontiggia aveva dei legami con la scrittura.  Scriveva per gli altri, non per se stesso. Così anche lui. Alessandro non scrive per se stesso. Lui da grande diventerà uno scrittore. Dategli dieci, venti, trent'anni o di più, ma un giorno i ragazzi si salveranno dal loro dolore leggendo i suoi libri. Un giorno si fará carico del dolore delle persone, in modo che potranno essere felici. Ce la fará. Lo ha giurato a se stesso. Lo ha promesso a tutti coloro che lo hanno insultato, deriso, picchiato, emarginato, spinto a farmi del male.  Lo giura pure a voi. Ricordatevi di lui, di Alessandro. Lui è un adolescente qualsiasi. Lui è uno e nessuno. Lui è il Dolore.

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Capitolo 5
*** Demons ***


Demons.
 

Lui mi ha salvato. Non lo sa, ma mi ha salvato la vita. Stavo male, stavo impazzendo. Era sera, o meglio, erano le tre di notte, ma dettagli. Nessuna canzone riusciva a farmi stare meglio. Non stavo nemmeno piangendo, e sono cazzi amari se non piango. Mostro, J-Ax, Linkin Park, Gemitaiz, Metallica. Niente di niente. Ero solo, in questo baratro. Precipitavo nell'oblio, solo. Mi misi una mano al petto, strigendolo fra le dita. Le unghie si insinuavano nella carne, il sangue colava, la cicatrice si era riaperta. Tum tum, tum tum, tum tum. Il cuore batteva sempre più veloce, sempre più forte. Correva sempre di più verso la strada del suicidio. I fantasmi urlavano nella mia testa. I demoni uscivano attraverso le ferite. Mi stavo per arrendere. Stavo morendo. Loro guardavano me, ed io guardavo loro. Aspettavano. Aspettavano la mia morte. Erano li, in piedi. E mi guardavano morire. Troppi pensieri, troppe sensazioni, troppi odori, troppi colori, troppi ricordi, troppi sentimenti, troppe emozioni, troppe promesse infrante. Troppo dolore. Ad un tratto il cuore si arrestò, i demoni tornarono uno ad uno dentro la mia anima. I fantasmi tornarono a dormire nell'oscurità della mia ombra. Solo un demone rimase fuori. Lo sentii dentro. Si avvicinó, allungò la mano, mi sfiorò il cuore con le unghie. I segni rossi. Era nero. Abbassò il capo, e mi sussurró una frase in giapponese. "Omae o izuno aishiteru". Poi si allontanó, si mise una mano alle tempie, la bocca si spalancó e fece come per urlare, ma il suo era un urlo silenzioso. Uno di quegli urli che non possono essere sentiti da persone normali. Io lo sentii. Era potente, carico di dolore, di odio, di rabbia. Carico di sensazioni, di ricordi, di sguardi. Carico di sorrisi, di pianti, di emozioni, di persone, di voci, di colori, di odori. Era carico di dolore. Era il dolore che urlava. Vidi il suo sangue blu notte riempirgli gli occhi, si rannicchiò in posizione fetale, soffriva. Si srava disintegrando. Piano piano stava tornando dentro di me. Pezzo dopo pezzo, dolore dopo dolore. L'aria era pesante. Si sentiva odore di sangue, di morto. La temperatura era calata. Faceva freddo. Ero io. Io ero freddo. La mia anima. Il buio dentro me iniziò ad oscurarsi sempre di più. Sempre di più. Sempre di più. Poi mi accorsi della musica che scorreva nelle mie vene. Proveniva dalle cuffie. Era la sua voce. Sentii l'odio, la rabbia, l'amore, le promesse, le persone, il dolore. Le sentii nella sua voce. Era lui. Il demone che poco prima di era disintegrato stava cantando. Mi stava tendendo la mano per uscire dall'oblio. La afferrai. Con la stessa stretta di un bambino, debole ed impaurito. Mi tirò su, e lo guardai, con lo stesso sguardo di chi è appena uscito da un coma. Il mio cuore parló. Da quel momento lo amai, con lo stesso amore che si prova verso un fratello. Vidi la sua carne umana, piena di cicatrici. Vidi la sua ombra, con i fantasmi rannicchiati che dormivano beatamente. Vidi la sua anima. Piena di demoni, tutti li, pronti a sostenerlo, pronti ad aiutarlo, pronti a salvarlo. Mi guardò, e mi disse ancora quelle parole. Sorrisi, e ce ne andammo, assieme. Lui sostenuto dai suoi demoni, io, sostenuto da lui. Da quel giorno l'ho sempre visto da una luce diversa. L'ho sempre messo un gradino sopra gli altri. Lui resterá per me un vero amico. La persona che con la sua voce mi ha salvato. È il mio idolo. È mio fratello maggiore. Ho un demone come fratello. E non riuscirò mai a smettere di amare quel fottuto demone.

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Capitolo 6
*** Il coraggio di non morire. ***


Ciao a tutti. Voi non mi conoscete, non sono una persona importante e conosciuta. Sono una persona qualsiasi. Il mio nome? Ha poca importanza, ma potete chiamarmi Sam. Piacere, sono Sam Wesson. Sono nato il 19 maggio del 1996. Questa è la mia autobiografia. Non la sto scrivendo perché qualcuno voglia sentirla, ma per far si che la mia vita venga scritta. Per far si che la mia anima non muoia e continui a vivere in queste parole. Mia madre era una brava donna. Casalinga, nata a Sassari da una famiglia povera. Rita, si chiamava. Donna forte e testarda, ma di animo buono e gentile. Mio padre? Un operaio stakanovista fissato con i soldi e con i buoni voti. Roberto, si chiamava. Figlio unico, sfortunatamente. Mi sarebbe sempre piaciuto avere un fratello più grande che mi aiutasse. Famiglia come le altre, ne ricca ne povera. Cambiavamo sempre casa per motivi di lavoro, e per questo motivo in tutte le scuole venivo escluso. Cosi per fare amicizia facevo l'idiota. E venivo etichettato ed isolato. Forse è per questo motivo che ho iniziato a sviluppare una sorta di empatia per le persone. Ho sempre avuto una sottospecie di attrazione verso la parte che ognuno di noi nasconde. Quella parte oscura che non mostriamo per paura. Quella parte dove vivono i nostri demoni più oscuri. Ne ero talmente tanto attratto da riuscire a far miei i demoni delle altre persone, alleggerendo il loro peso e aumentando il mio. All'inizio non erano un peso per me, erano i miei unici amici. Crebbi con loro. Mi seguivano ovunque andassi. Erano la mia ombra. Quando parlai di loro ai miei per la prima volta era il mio ottavo compleanno. Me lo ricordo perché mamma e papà mi portarono dall'analista. Quel giorno capii che dovevo tenerli nascosti, così li rinchiusi dentro di me. All'età di dodici anni feci una rissa con un bulletto più grosso. Nell'infermeria della scuola conobbi una ragazza, Ginevra. Bellissima, capelli neri, occhi marroni, alta. Da subito mi affezionai alla sua parte oscura. Aveva il mio stesso dono, lei. Glielo si leggeva negli occhi. Vidi dentro di lei i demoni degli altri, oltre ai suoi. Vidi la sua sofferenza segnata in quegli occhi spenti. E me ne innamorai. Parlavamo sempre e dovunque. Iniziai a trascurare i miei demoni. Loro si arrabbiarono molto ed iniziarono a nutrirsi della mia anima. Questa cosa la percepii molto bene i primi giorni di scuola delle superiori. Avevo solamente 14 anni. Ginevra ed io eravamo in classe assieme. Ultimamente stavamo spesso insieme. Una sera scrissi una cosa su un foglio: " La prima volta che mi sono innamorato. La stessa prima volta che m'hanno pestato. " Poi li sentii dentro. Li sentivo muoversi e agitarsi. Li sentivo strappare la mia anima a morsi e divorarla. Li sentivo urlare. Dovevo farli uscire, ma non sapevo come. Volevo solo farli smettere di urlare. Cosi presi un temperino, smontai la lametta, e mi tagliai orizzontalmente il polso sinistro, come se ci fosse una linea tratteggiata. Il sangue, denso, scuro e rosso, gocciolava, ed insieme ad esso gocciolarono fuori i demoni. Solo quel giorno mi accorsi di quanti demoni avevo tolto alle persone. Di quanto ebbi alleggerito il loro peso e di quanto mi fossi appesantito io. Sentii le loro paure, le loro ansie, le loro pressioni. Sentii le loro emozioni, i loro sogni, le loro delusioni. Sentii i loro cuori battere dentro di me. Sentii il peso delle persone sulle mie spalle. Faceva male. Molto male. Divenne cosi un rito. Due volte a settimana mi tagliavo i polsi per soffrire meno. Divenni così scuro, schivo alle amicizie ed iniziai, inconsciamente, ad allontanarmi da Ginevra, l'ultima persona dalla quale volessi allontanarmi. Sperai che riuscisse a capire come mi sentivo. Ma non gli dissi mai nulla, e lei non disse nulla a me. Pochi giorni dopo si trasferii e cambiò scuola. Non la rivederti più. Le ore passavano isolandomi sempre di più. Vivevo la mia vita in modo passivo. I giorni passavano e non mi rendevo conto che piano piano, pezzo dopo pezzo. La mia anima stava morendo. Qualche giorno dopo il mio diciottesimo compleanno, per la precisione il 25 Maggio, ricevetti una telefonata. Era la madre di Ginevra. Si era tolta la vita tagliandosi le vene nella vasca. Disse che aveva trovato il mio numero in un biglietto che aveva scritto prima di morire. Rimasi in silenzio. Andai al funerale. Fu come tutti i funerali, triste e malinconico. La madre mi porse una scatola con un bigliettino appiccicato sopra. Disse che Ginevra lo aveva lasciato per me. Lo aveva capito grazie al numero di telefono scritto su un biglietto attaccato alla chiave che apre la scatola. La chiave era nella sua mano, disse, assieme alla lametta con la quale si era tolta la vita. Finito il funerale feci le condoglianze ai parenti e me ne andai, con la scatola. Tornato a casa mi chiusi in camera e mi sedetti. Sulla scatola c’era un biglietto: "Vita saepe est pugnare." É latino. Significa: "La vita spesso è combattere." Aprii la scatola e iniziai a tremare. C'era una nove millimetri. Mi allontanai, spaventato. Poi mi avvicinai e la presi in mano. Era nera. I demoni uscirono ed iniziarono ad urlare. Mi ricordarono del mio dono, della mia solitudine. Mi ricordano di aver appena perso la persona che amavo. E mi ricordarono di avere in mano un modo per porre fine alle mie sofferenze. Così, mentre loro danzavano intorno a me, misi la pistola alla tempia. Ero pronto a farla finita. Non volevo più soffrire. Non volevo vivere nell’infelicità. Ma proprio mentre stavo per premere il grilletto, i demoni svanirono e apparse davanti a me Ginevra. Era pura e bella, come non lo era mai stata. Aveva un vestito lungo e nero. Si avvicinò e disse una frase:" Vita saepe est pugnare." E la sua immagine si dissolse. Le gambe cedettero e mi ritrovai in ginocchio. La mia mano tremava. Iniziai a piangere come un bambino. Poi alzai lo sguardo, mi asciugai le lacrime e sorrisi. Misi via la pistola. Capii che Ginevra voleva dirmi di non arrendermi e di continuare a lottare. Capii che voleva dirmi di far pace coi miei demoni. Capii che voleva dirmi di non fare il suo stesso errore e di rialzarmi. Che non importa quanto possa stare male o quanto possa essere dura la vita. Devo sempre trovare una ragione per rialzarmi e combattere.

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