Legion - Story Of A Miracle

di Tomi Dark angel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Ora Delle Streghe ***
Capitolo 2: *** Il Rosario Spezzato ***
Capitolo 3: *** Il Ragazzo Col Cappuccio ***
Capitolo 4: *** Spaccato ***
Capitolo 5: *** Un Angolo Di Paradiso ***
Capitolo 6: *** La Voce Della Bestia ***
Capitolo 7: *** Preghiera Di Un Condannato ***
Capitolo 8: *** Dove Il Paradiso Abbraccia L'Acqua ***
Capitolo 9: *** Non Lui ***
Capitolo 10: *** Angeli Senza Ali ***
Capitolo 11: *** Il Respiro Della Bestia ***
Capitolo 12: *** Combatti Gli Incubi ***
Capitolo 13: *** Eclissi Di Luce ***
Capitolo 14: *** Figli Del Demonio ***
Capitolo 15: *** L'Albero Degli Impiccati ***
Capitolo 16: *** Il Volto Del Male ***
Capitolo 17: *** Un Grido Dall'Inferno ***
Capitolo 18: *** Lasciami Andare ***
Capitolo 19: *** Spezzare Le Catene ***
Capitolo 20: *** La Beatitudine Racchiusa Nei Tuoi Occhi ***
Capitolo 21: *** La Madre Nera ***
Capitolo 22: *** Lasciate Ogni Speranza ***
Capitolo 23: *** Una Lacrima All'Inferno ***
Capitolo 24: *** Puoi Scegliere ***
Capitolo 25: *** Torni Indietro Chi Morte Non Teme ***
Capitolo 26: *** Il Sacrificio Dell'Innocenza ***
Capitolo 27: *** Diamanti Oscuri ***
Capitolo 28: *** Sentenze Dall'Inferno ***
Capitolo 29: *** Il Pianto Della Vita E Le Grida Dei Lupi ***
Capitolo 30: *** L'Umiltà Di Un Vincitore ***
Capitolo 31: *** Legion - Story Of A Miracle ***



Capitolo 1
*** L'Ora Delle Streghe ***


“Coloro che son morti non sono degli assenti, ma degli invisibili:
Fissano i loro occhi colmi d’amore nei nostri, colmi di lacrime.”
 
-Pronto?-
-Scott…?-
-Sceriffo, che succede? Mi sembra un po’ tardi per chiamare…-
-Io… io non…-
-Sceriffo? Adesso mi preoccupo. Dov’è Stiles?-
-Non… non è…-
-Che succede?! Mi passi Stiles!-
-Non… posso. Io… Scott, la sua… la sua camera è… è…-
-Sto arrivando.-
-Non capisci. La camera di Stiles è… un bagno di sangue. E lui non… non c’è più. Mio figlio, Scott. Mio figlio…-
 
3 Anni dopo.
-Ci vediamo domani, allora!-
Scott ricorda ancora quelle ultime parole, quell’ultimo abbraccio fraterno che si scambiarono allora, prima che accadesse. Si ricorda di Stiles, ricorda il suo sorriso sornione, il suo odore, la sua voce. Ricorda. Ma tutto finisce lì, a quella notte di tre anni fa, quando lo vide per l’ultima volta.
“Cosa è accaduto poi, Scottie?”
Scott si ferma, chiude gli occhi. Rivive ancora una volta quei momenti di terrore, intrisi dalle grida dello sceriffo e dal sangue che sporcava ogni parete della camera di Stiles. Rosso, sporco, innocente. Scott non vuole pensarci davvero, non vuole accettare che il suo amico sia morto. Si aggrappa disperato alla speranza che sia accaduto qualcosa di diverso, che quel sangue che odorava di Stiles non fosse realmente suo. Si aggrappa al pensiero di non aver mai ritrovato il suo corpo, né un odore che uscisse da quella casa.
“Può un corpo sparire nel nulla, Scott?”
Può un corpo sparire? Scott non lo sa. Forse sì, forse no. Forse. Ed è di forse che va avanti la sua vita da quel giorno. Forse si alzerà dal letto quella mattina, forse dimenticherà tutto quel sangue. Forse si sveglierà da un brutto incubo e Stiles sarà lì, vivo e sorridente, con quegli occhi dorati intrisi di luce ironica e voglia di vivere.
“Forse, forse, forse… il mondo non se ne fa nulla dei forse, Scott. Dovresti averlo imparato.”
Dovrebbe. Ma lui in realtà non ha imparato nulla. Non sa perché il suo branco si è praticamente disfatto da allora, non sa perché Kira e Cora sono partite per schiarirsi le idee o perché Allison (dopo la loro rottura) e Lydia (dopo aver perso un caro amico) hanno scelto di ritirarsi nel silenzio più totale. Ma la verità, quella bruciante e troppo dolorosa da ammettere ad alta voce, è che Stiles era la loro colla. Li teneva uniti, li supportava, alleggeriva la tensione con la sola forza di un sorriso.
Scott ricorda la sua voce, e quasi sorride. Poi però, ripensa a Derek, alla sua faccia quando Scott l’ha chiamato in lacrime dalla stanza ancora vermiglia di sangue del suo migliore amico. Derek è comparso lì nell’arco di un minuto, e ha sbarrato gli occhi. È entrato nella stanza, ha toccato i mobili, si è guardato intorno come in trance. Poi, ha chiuso gli occhi e voltato il capo dall’altra parte. Da allora, non ha più detto una parola, non un commento, non un’ammissione. Nulla. silenzio. E al silenzio è stato ridotto il rapporto del branco per almeno tre anni.
Scott non sa cosa c’è di diverso quel giorno, quando si alza dal letto. È ormai sera, ma ormai per lui non fa differenza. Gli pare di dormire ogni giorno della sua vita da circa tre anni. Non ricorda cosa fa, a stento pensa a cosa mangia o a cosa gli dice sua madre. Perciò, il fatto di aver dormito per quasi un giorno e una notte, gli risulta praticamente indifferente.
Si passa una mano sul viso e respira a fondo, cercando di respingere gli incubi che lo hanno tormentato durante il sonno. Ha rivisto Stiles urlare, lo ha immaginato mentre lo chiamava disperato, ancora cercando di respingere debolmente una grossa bestia zannuta intenta a farlo a pezzi.
Dio.
Inspira a fondo l’aria della sera, si bea del silenzio e della pace… poi però, qualcosa cambia.
L’orologio rintocca la mezzanotte.
Un odore familiare gli pizzica il naso, inebria i suoi sensi di tremori e speranze, di paure e dubbi. Sta impazzendo, forse?
Un altro rintocco, come di un gong mortifero che segna l’inesorabile scorrere delle ultime ore.
Scott balza in piedi, raggiunge la finestra. I suoi occhi da licantropo scrutano l’oscurità, la vagliano accuratamente, pezzo dopo pezzo, come un puzzle che poco a poco si ricostruisce. Scott cerca una speranza, ma non è certo di trovarla. Forse è pazzo per davvero.
L’orologio rintocca ancora e ancora. Un pendolo oscilla da qualche parte di un richiamo arcano che, scoccando la mezzanotte, annuncia anche una delle ore più buie della giornata. L’ora delle streghe, l’ora dell’oscurità. L’inizio di un giorno e la fine di un altro.
Scott si sporge oltre il davanzale, annusa l’aria e l’odore è ancora lì. Deve seguirlo? E se fosse una trappola? No… c’è qualcosa di diverso stavolta. Non se lo sta immaginando, lo sente. Ma allora? Se Stiles è lì, perché non entra in casa? Se è sopravvissuto, perché non lo ha mai chiamato per dirgli cosa è successo quella notte?
Accade all’improvviso, prima ancora che Scott se ne accorga. L’orologio  rintocca, ma non completamente. Il suono si interrompe all’improvviso, come se qualcuno avesse spento il meccanismo o bloccato il pendolo con una mano.
Scott si irrigidisce, improvvisamente nervoso. Guarda verso l’oscurità della casa, assottiglia lo sguardo. Può l’orologio essersi rotto all’improvviso? O forse qualcuno è entrato in casa?
Scott guarda la sveglia luminosa appoggiata sul suo comodino, proprio accanto al letto. E si accorge con orrore che è ferma. I numeri non lampeggiano, le cifre sono bloccate alle 0.00 in punto. Mezzanotte. Ma Scott è certo che debba essere trascorso almeno un minuto da quando il pendolo ha cominciato a suonare.
Lentamente, gli artigli fuoriescono, reagendo al crescente nervosismo del loro proprietario. Non è normale che il pendolo abbia smesso di rintoccare e che al contempo la sveglia si sia fermata. È come se… come se il tempo non esistesse più. Qualcosa lo ferma, cristallizza gli attimi e i respiri in una piccola bolla d’aria rarefatta, malsana, come uno scherzo della natura. E a Scott questo non piace perché vive a Beacon Hills, e lì qualsiasi più piccola anomalia può significare più di ciò che appare.
Un rumore all’esterno, come di piedi che calpestano l’erba lo spinge a voltarsi.
E allora lo vede.
Una figura alta e slanciata di ragazzo con indosso jeans scuri e una felpa nera. Ha il cappuccio calato sulla testa e le mani infilate nelle tasche come se fosse capitato lì per caso, ma Scott sente che non è così: sa che il ragazzo sta guardando in alto, proprio verso di lui. Ha il capo inclinato, la posizione morbida e rilassata… ma Scott non lo vede in viso.
Però, l’odore di Stiles viene proprio da lui.
-Stiles?-
Scott si sporge oltre il davanzale, fissa il ragazzo che ancora immobile sembra rilanciargli lo sguardo da sotto il cappuccio. Scott vorrebbe oltrepassare gli stipiti della finestra con un unico balzo, ma non è sicuro che quello sia Stiles.
-Stiles? Sei tu?-
Il ragazzo non risponde. Semplicemente, volta le spalle e comincia ad allontanarsi, le mani in tasca, il capo chino, come se non volesse essere riconosciuto.
-Aspetta!- Scott grida, si sporge… ma all’improvviso, il mondo ricomincia.
DONG.
L’ultimo rintocco smette di suonare, la sveglia ticchetta, una folata di vento lo investe. Rumori lontani di città ancora viva lo stordiscono e improvvisamente, l’odore di Stiles non c’è più, sparito insieme a quello stesso ragazzo col cappuccio.
 
Derek Hale si allena, una flessione dopo l’altra. Sale e scende, inspira ed espira. Non pensa, non vuole farlo. Lascia che lo sforzo fisico gli sottragga ogni più piccolo pensiero, ogni più piccolo incubo o ricordo. Perché lui di ricordi, ne ha abbastanza. E odia doverlo ammettere a se stesso, ma quegli stessi ricordi, quei ricordi lontani dove un ragazzo solare sorrideva e gli salvava la vita ogni volta, anche quando erano nemici…quei ricordi fanno male davvero. E Derek odia soffrire, perché ciò lo fa sentire debole, indifeso, fragile. Non è così che vuole essere.
Le flessioni si intensificano, i muscoli si contraggono. Derek avverte un velo di sudore scivolargli lungo il torace nudo, ma non si ferma. Accelera, sbuffa dal naso. Ogni volta che un ricordo cerca di affiorare, lui lo schiaccia con una flessione, inesorabile e spietato così come ha sempre scelto di essere.
Lui non ama ricordare Stiles Stilinski.
Stiles Stilinski non è mai stato nulla per lui.
Derek non soffre assolutamente la sua mancanza.
Bugie, una dopo l’altra. Ma Derek ama convincersi del contrario, ed è troppo testardo per ammettere a se stesso che si sta praticamente prendendo per il culo da solo.
Altre flessioni, altre contrazioni muscolari. Derek sente i ricordi affollarsi, una voce petulante invadergli la testa. Tre anni. Sono trascorsi tre anni e ancora la sente. Lui è bravo a dimenticare, bravo a mettere da parte. Eppure, per qualche motivo, Stiles è ancora lì, nella sua testa e lui…
Un rumore. Qualcosa urta la finestra di casa Hale, picchietta caparbio contro lo stipite con piccole zampette.
Derek si volta e vede un corvo imperiale particolarmente grosso appollaiato sul davanzale. Ha le piume nere e lucide, il becco affilato, ma non è questo ad attirare l’attenzione di Derek.
Gli occhi. Il corvo ha gli occhi quasi dorati, dallo sguardo intelligente e vispo. Uno sguardo che Derek non vede da esattamente tre anni.
Il lupo si avvicina lentamente, cercando di non spaventarlo. Si chiede se sia il caso di afferrare al volo la creatura nel caso cercasse di volare via, ma forse non è una buona idea.
Derek fissa la creatura negli occhi, si specchia nelle scintille di chiarore dorato che pervadono le iridi. Quegli occhi sono troppo umani per essere attribuiti a un normale animale, ma Derek sente che qualcosa non va. Quello non è Stiles, eppure…
Prima ancora che Derek abbia il tempo di azzardare un gesto, il corvo spalanca le ali e vola via, lasciandosi alle spalle l’ombra di una piuma e un odore che per un attimo stordisce profondamente il lupo. Perché lui quell’odore lo ha già sentito, ed è quello di Stiles Stilinski.
-Che cazzo sta succedendo?-
 
-E comunque credo che dovresti parlarci.-
-Con Scott?- Allison sorride accondiscendente, gli occhi improvvisamente tristi. –Sai che non parla più con nessuno da quasi tre anni. Si è chiuso in se stesso, Lydia… e forse l’ho fatto anche io.-
Lydia si specchia minuziosamente, appoggiandosi al corpo un vestito dopo l’altro per osservarne modelli e colori. Cerca di decidere cosa sia più giusto indossare quella sera per uscire a fare due passi con Allison. È ancora estate, quindi il giorno dopo non dovranno frequentare il college della città al quale si sono praticamente iscritti in blocco dopo la fine dell’anno scolastico. Nessuno se l’è sentita davvero di lasciare Beacon Hills, non dopo la scomparsa di Stiles. È come se ognuno di loro si fosse aggrappato disperatamente ai ricordi che quella città preserva per loro.
-Allora, rosso o verde? Forse il verde, direi che si intona ai miei…-
Buio. Le luci si spengono all’improvviso, una dopo l’altra, come se qualcuno avesse fatto scattare l’interruttore. L’intera casa piomba nell’oscurità e Lydia rabbrividisce perché improvvisamente sente freddo e ha paura. Cerca di non darlo a vedere, ma non riesce a impedire ai suoi occhi sbarrati di saettare verso la finestra, dove un unico raggio di luna argentato proietta sul muro l’unica fonte di luce rimasta.
-Lydia? Stai bene?- Allison si alza, scivola a tentoni verso di lei come per proteggerla. Non ha il suo arco, ma conosce bene l’autodifesa e se dovesse accadere qualcosa…
Un fruscio. Qualcuno si avvicina, scivola nell’ombra, si muove furtivo intorno a loro.
-Chi è là?- urla Lydia, la voce ormai vibrante di terrore.
Nessuna risposta. Solo silenzio.
Poi però, un’ombra si allunga sul pavimento, partendo dal riquadro vuoto della finestra. La massa di oscurità si stiracchia, raggiunge il muro per poi risalire lungo la parete.
-Allison… mio Dio…-
Lydia si aggrappa al braccio dell’amica, pronta a scattare in una fuga disperata in caso di pericolo. Si sente minacciata, ha paura.
L’ombra tremola, si stabilizza. Lentamente, comincia a plasmarsi, un tratto dopo l’altro, fino a modellare perfettamente un profilo affilato di ragazzo, i cui capelli scompigliati svettano indomiti in tutte le direzioni. È un profilo che le due ragazze conoscono, una sagoma che hanno visto tante e tante volte anni addietro. Ma non è possibile. Oppure sì?
-S… Stiles?-
L’ombra tremola, pare rattrappirsi. Poi, lentamente comincia a ritirarsi verso la finestra e sparisce. Le luci si riaccendono, la casa prende vita.
Lydia corre alla finestra e si affaccia, ma non c’è nessuno in giardino.
-Allison…-
L’amica non risponde, perciò Lydia si volta. Allison ha il cellulare premuto sull’orecchio e la mano tremante di chi ha appena visto… un fantasma. Se di fantasma si trattava.
-Pronto? Scott, sei tu? Sì, io… devo dirti una cosa. Abbiamo visto Stiles. Crediamo che sia vivo.-
 
-Oh, ma che carini.-
La donna sorride sorniona, gli occhi di un verde brillante illuminati come fari nell’oscurità della boscaglia. Siede compostamente sul ramo di un albero, il corpo sottile come un giunco, la pelle pallida, i capelli ricci e corvini. Ha un furetto appollaiato sulla spalla.
Se qualcuno la vedesse adesso, abbracciata dalle ombre, penserebbe a un bellissimo angelo nascosto. E questo forse, sarebbe l’errore più grande da fare o il modo più veloce per farsi staccare la testa di netto.
-Guarda, dolcezza: si preoccupano per te.-
La donna si volta verso l’albero più vicino, dove un’altra figura giace accovacciata su un ramo poco più in alto, una mano appoggiata al tronco e il capo coperto dal cappuccio della felpa. Sulla sua spalla c’è Diablo, un grosso corvo imperiale intento a sonnecchiare placidamente, col capo nascosto sotto l’ala.
-Lasciali in pace, Dumah.- rimbecca stancamente il ragazzo, ancora immobile al suo posto.
Dumah sorride divertita. –È stata una tua idea quella di farti vivo in questo modo. Amo il tuo senso da diva repressa, ma forse sarebbe stato più educato salutarli di persona.-
-Non parlarmi di educazione proprio tu. Se mi fossi presentato alla loro porta così all’improvviso probabilmente Scott avrebbe avuto un infarto e Derek mi avrebbe fatto a pezzi con le sue mani. Il tutto, senza accennare ad Allison e Lydia che forse avrebbero reagito anche peggio.-
-Oh, come sei tragico.-
-Realista, non tragico.-
Dumah fissa casa Mccall con interesse e fa schioccare la lingua. –Preferisci che vada io ad annunciare il tuo trionfale ritorno?-
Il tronco scricchiola quando il ragazzo stringe le dita sulla corteccia in una stretta rabbiosa.
-Ti sconsiglierei di provarci. Ti ho già detto di lasciarli in pace.-
-Finitela, voi due.- sbotta un’altra voce più acuta di bambino. La piccola figura giace sul ramo sovrastante a quello dove siede Dumah e pare del tutto insofferente alla situazione. Giocherella con un cubo di Rubik, completandolo e disfacendolo di continuo, senza fermarsi mai, tanto che le sue mani a stento si intravedono. All’apparenza, appare impossibile che un bambino di appena dieci anni possa assemblare correttamente un cubo di Rubik in pochi istanti, ma Alastor non ha mai avuto problemi a trovare la giusta combinazione. Fa scorrere le dita sottili sulle facce del cubo, fissando gli occhi blu elettrico su di esso. Ogni tanto scosta i capelli scuri dal viso cinereo, ma non si distrae quasi mai dal suo interessante gioco. Ai suoi piedi, un grosso gatto nero di nome Zwei sonnecchia placidamente.
-Suvvia, stiamo solo giocando.- si difende Dumah, stiracchiando gli arti. Il furetto albino, Diaval, si attorciglia intorno al suo collo come un pellicciotto vivente.
-Ricordo bene l’ultima volta che avete giocato. Quindi finitela.-
-Non facemmo niente di sbagliato…-
-No, certo. Dumah, smettila di distrarmi o ti strappo i denti a mani nude. Se mi fai sbagliare di nuovo, potrei arrabbiarmi sul serio.-
Dumah si zittisce, improvvisamente tesa. La minaccia di Alastor la inquieta molto più di quanto dia a vedere, con la sua aria spavalda e gli occhi guizzanti di sicurezza. Al ragazzo appollaiato sul ramo poco distante basta un’occhiata per intravedere il vago tremore che percuote per un attimo le dita della mano destra di Dumah.
-Dobbiamo muoverci.- mormora allora il ragazzo, dando un colpetto a Diablo. Il corvo si sveglia con un sussulto e lo fissa con aria di rimprovero. –Prima concludiamo questa storia, meglio sarà per tutti.-
-Sei ansioso di tornare da dove siamo venuti, Stiles?-
Alastor solleva gli occhi e lo guarda, le mani che nervose continuano a impostare i colori del cubo senza mai sbagliare combinazione.
-No, io… niente.-
Stiles si sbilancia all’indietro verso le ombre, si lascia cadere dal ramo. L’oscurità lo accoglie, abbraccia i suoi arti e la sua mente per trascinarlo lontano, come mezzo di trasporto fedele al suo volere. Stiles non ha voglia di parlare con Alastor e Dumah perché sa che non potrebbe mentire a nessuno dei due.
Non può dirgli che vuole andarsene perché detesta guardare Derek da lontano, in silenzio, come ombra fuggiasca che tuttavia non si stanca mai di studiarlo, di scoprirlo, di tenergli compagnia quando dorme e lui non sa che Stiles è lì a tenere a bada ogni suo incubo. Derek non può neanche immaginare tutte le volte che Stiles è stato lì, fuori casa sua, per poterlo osservare per non più di qualche minuto. Quei momenti di serenità, Stiles li ha poi pagati a caro prezzo ma se dipendesse da lui, lo farebbe ancora e ancora, mille e mille volte per il solo gusto di vedere Derek e sapere che sta bene, che è vivo, che va avanti anche senza di lui.
Stiles emerge dalle ombre, e stavolta è direttamente in casa Hale. La trova deserta perché Derek è corso da Scott per discutere degli ultimi avvenimenti che sembrano preannunciare la sua ricomparsa. Ma nessuno di loro sa che niente di ciò che accadrà sarà come hanno previsto.
Stiles non è più Stiles.
Lo hanno tradito, massacrato, fatto a pezzi. Stiles non esiste più. Stiles è solo un ricordo. Lui adesso, non ha nome perché sente di non meritarne uno.
Diablo lo guarda, gli occhi che adesso riflettono un dorato acceso, brillante come oro fuso.
-Lo so, Diablo. Lo so…-
Stiles si volta e spalanca le braccia. Un’ombra più grande lo abbraccia, distende gli arti contro le pareti, invadendo ogni spazio libero. Qualcosa di massiccio nasconde alla vista il suo piccolo corpo, concedendogli di sparire nell’ombra per l’ennesima volta. Tutto ciò che resta di lui è la traccia di odore e due grossi solchi anneriti laddove le ombre hanno inciso lo stipite della porta.
 
Angolo dell’autrice:
Dunque… so che ho ancora una storia in sospeso dall’altra parte, ma questa qui è in cantiere già da un po’. Ho tutti i capitoli a portata di mano e mi sembrava stupido non pubblicarla, nonostante sia brutta veramente.
Che ne pensate? So che non è granché come inizio, ma volevo metterci qualcosa di mio in questa storia, ed ecco cosa è saltato fuori. Iniziamo insieme questa avventura, vi va? Voliamo oltre cieli lontani, scendiamo fino al nucleo della Terra, visitiamo posti inesplorati. Ora, io vi tendo una mano chiedendovi di seguirmi. Chi ha voglia di provarci, di rischiare, di seguire Stiles e gli altri… stringa la mia mano, E ANDIAMO!!!

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Capitolo 2
*** Il Rosario Spezzato ***


“Ci sono due modi per diffondere la luce:
Essere la candela, o essere lo specchio che la riflette.”
 
Derek è praticamente impazzito da quando ha messo piede in casa Stilinski per la prima volta dopo tanto tempo. Sono tornati tutti lì, nella stanza di Stiles, la stanza teatro di orrori inenarrabili e forse unica testimone della prematura scomparsa del loro amico. Derek vorrebbe essere dovunque, tranne che lì.
-Ragazzi, dico sul serio…-
Lo sceriffo Stilinski non si azzarda ad entrare, ma dall’esterno cerca di richiamare Scott, Derek e Isaac che adesso si guardano intorno silenziosi, dilatando le narici in cerca di odori nuovi, in cerca di cambiamenti. In cerca di qualcosa che non confermi un eventuale attacco di follia di massa. Perché Derek sente che c’è qualcosa di strano, ma non qualcosa di diverso. È certo di aver avvertito l’odore di Stiles, la sua presenza, i suoi passi. Ha avvertito, ma non ha visto niente di concreto, come se Stiles non volesse essere trovato.
Adesso, a distanza di tre anni, lui, Scott e Isaac sono di nuovo lì dentro, in quella stanza ripulita dal sangue, ma che ancora puzza di macabro. Di omicidio. Un omicidio senza vittima, un omicidio senza cadavere. Solo tanto sangue.
-Allora?- mormora Lydia, appostata insieme ad Allison accanto allo sceriffo. Non entrano per non sopprimere qualsiasi lieve odore che eventualmente potrebbe rilevare la presenza di Stiles o… di qualcosa di diverso.
Passano istanti di silenzio in cui ognuno si concentra alla ricerca di una traccia o di un barlume di speranza, ma tutto ciò che trovano è il nulla: Stiles non è più lì da tre lunghi anni.
-Niente da fare.- ammette Isaac alla fine. –Non sento niente. Siete sicuri di aver…-
-Era Stiles, Isaac.- lo interrompe Scott. –Era lui, lo so.-
-Non può essere, Scott.- interviene lo sceriffo, che in quei tre anni di solitudine pare invecchiato prematuramente di almeno dieci anni. Le rughe sono più profonde, gli occhi scavati, la barba appena incolta. Nei suoi occhi, si legge tutto il dolore di un padre che ha perso troppo presto suo figlio.
Derek non parla. Non ha intenzione di appoggiare Isaac o Scott semplicemente perché non sa da che parte stare. È certo a sua volta di aver avvertito la presenza di Stiles, ma in ogni caso non si spiegherebbe come abbia fatto il ragazzo a sopravvivere dopo quel bagno di sangue. Dove è stato in tutti questi anni? Perché non esce allo scoperto? Come fa a mimetizzarsi agli occhi di un licantropo? A Derek, tutte queste domande fanno dolere la testa.
Poi improvvisamente, gli viene un’idea, talmente lampante che Derek si domanda come ha fatto a non pensarci prima.
-Deaton.-
Tutti lo guardano mentre si raddrizza e fissa all’esterno, oltre il vano della finestra. Ci hanno messo così tanto ad arrivarci semplicemente perché Stiles non è lì. Lui, che era la mente del gruppo, lui che non mancava mai di dire e fare la cosa giusta. Adesso, con solo Lydia a usare il cervello, tutti appaiono spaesati, come se avessero perso il loro alfa.
-Se sta succedendo qualcosa, Deaton saprà di che si tratta.-
-Ma certo!- esclama Lydia.
-Non sono certo che sia saggio disturbarlo a quest’ora…-
-Ma stai zitto, Isaac! Quell’uomo vive praticamente nel suo ambulatorio!-
-Lydia, non è educato…-
-Non essere noioso e sbrigati! Prendiamo la macchina! Sceriffo, le faremo conoscere gli eventuali sviluppi della vicenda. Grazie per l’ospitalità.-
 
Poco più tardi, il gruppo scopre che come da copione, Lydia non sbagliava: quando la porta dell’ambulatorio veterinario si apre e Deaton compare sulla soglia dello studio, sveglio come se non conoscesse il benché minimo cenno di stanchezza, la banshee sorride trionfante, felice di aver fatto centro ancora una volta. Non è un caso infatti che Stiles non sia mai stato l’unico cervellone del gruppo; sarà stato il primo, ma non l’unico, e a distanza di tre anni Lydia lo ricorda a ognuno di loro.
Deaton non pare affatto sorpreso di vederli. Li squadra uno alla volta, soppesandoli con serenità, come è solito fare. Tuttavia, i licantropi si accorgono che qualcosa è cambiato: Deaton puzza di… cosa? Preoccupazione? Dubbio? Inquietudine? Tutte e tre le cose insieme?
-Deaton, che succede?- Scott parla per primo, improvvisamente nervoso.
Deaton fissa l’alba alle loro spalle, scrutando il sorgere aranciato di un nuovo giorno dall’esito indefinibile. Nei suoi occhi scuri si riflettono i flussi di mille ragionamenti, mille probabilità calcolate e mille considerazioni. Alla fine però, si scosta per lasciarli entrare.
-Venite.-
Uno alla volta, i ragazzi sfilano davanti ai suoi occhi. Alcuni chinano il capo intimiditi, altri cercano di ignorare lo sguardo indagatore dell’uomo. Solo Derek si sente a suo agio, sicuro in ogni suo gesto, come una pantera sovrana che elegante sfila nel suo habitat. Avanza a testa alta, quieto, pacato, ma non sereno. Quella situazione continua a innervosirlo, a pressarlo come un macigno che pesa sulle spalle. Però, Derek non lo dà a vedere.
Deaton chiude la porta, lasciando che le prime luci dell’alba filtrino dalla finestra per illuminare le pareti di pallidi riflessi rossi e dorati. Raggiunge il tavolo operatorio e si sporge, appoggiandovi le mani. Poi, li guarda uno alla volta.
-Cosa volete?-
Derek non parla, non vuole esprimersi. Al contrario, fissa Scott e aspetta che sia lui ad aprir bocca.
-Noi… vorremmo chiederti una cosa.-
-Non dovreste essere qui, non di questi tempi.- La risposta è secca, sepolcrale, e ad accoglierla trova solo un silenzio di tomba che persiste per diversi minuti.
-Questi tempi?- chiede Allison. –Quali tempi? Di cosa sta parlando?-
Deaton si passa una mano sul viso. –Volete chiedermi se è vero che Stiles è ricomparso, non è così?-
Nonostante Derek riesca a nasconderlo con un’autentica faccia da poker, il suo cuore fa un balzo. Sbatte appena le palpebre, stringe le labbra per costringersi al silenzio, o potrebbe apparire troppo ansioso d’informarsi sulla sorte di Stiles o di quel poco che può saperne il buon veterinario.
-Tu… sai che è vivo?- s’inserisce Scott, gli occhi sbarrati. –Lo hai sempre saputo?-
Deaton pondera una risposta, dubbioso. Si chiede se sia il caso di scoprire le carte, nonostante sappia che la reazione del gruppo nei suoi confronti non sarà positiva. Teme l’ira di Derek, perché sa che quando si tratta di Stiles, il licantropo diventa imprevedibile. Ma devono saperlo, perché è giusto così e perché a quei ragazzi deve almeno un barlume di verità.
Alla fine, rilascia l’ennesimo sospiro e parla di nuovo: -Sì, Scott. L’ho sempre saputo, e posso dirvi una cosa: incontrai Stiles poche ore prima della sua scomparsa. Venne da me nottetempo, con la sua jeep… e non era in sé.-
Tutti tacciono, tutti ascoltano. Lydia trattiene il respiro, Allison stringe le labbra per non piangere. Isaac serra i pugni perché, nonostante tutto, Stiles faceva parte del suo branco, e sapere che quell’uomo gli ha nascosto la verità per tanto tempo…
-Spiegati.- sbotta invece Derek, che adesso ha incrociato le braccia e fissa Deaton con le sopracciglia corrucciate. Non si muove, ma tutti notano che i muscoli del suo corpo sono tesi, e quasi spiccano contro il nero della maglietta attillata.
Deaton chiude gli occhi, le labbra schiuse, le mani serrate sul tavolo operatorio. Poco a poco, comincia a ricordare…
 
Quella sera, piove a dirotto. Lampi accecanti di fulmini che cadono troppo vicini illuminano a giorno l’ambulatorio. È un temporale violento, di quelli che ti fanno chiudere in casa in compagnia di un film e una tazza di tè caldo. È questo ciò che vorrebbe fare Deaton in quel momento, semplicemente perché comincia a sentire freddo e quella sera sembra che nessuno verrà a infastidirlo. Beacon Hills sembra dormire momentaneamente insieme ai suoi mostri e ai suoi misteri, quindi almeno per ora, è tutto calmo. Forse non c’è bisogno di lui.
Ha appena il tempo di pensare con sollievo che almeno quella sera potrà concedersi qualche ora di riposo che dei colpi alla porta interrompono il flusso dei suoi pensieri.
Diavolo.
Altri colpi, stavolta più forti e frettolosi. Deaton capisce che se non aprirà subito, chiunque sia lì fuori in quel momento proverà a sfondare la porta.
-Ho capito, arrivo!- esclama quando altri colpi ancora più forti fanno vibrare la porta d’entrata. Deaton corre ad aprirla, inalberando il suo solito cipiglio pacato, dai tratti distesi, che solve tranquillizzare chiunque lo guardi in faccia.
Ma qualcosa va storto, perché niente al mondo potrebbe tranquillizzare il ragazzo che ha dinanzi.
Stiles Stilinski, bagnato fradicio dalla testa ai piedi, lo fissa di rimando, immobile sulla soglia della porta. Ha gli occhi iniettati di sangue e i capelli rasati brillanti di rugiada. Il suo viso è esangue, contornato di ombre sinistre che gli scavano profonde occhiaie intorno agli occhi lucidi di lacrime e pazzia.
Non è Stiles Stilinski, quello. Il ragazzo che conosce Deaton non somiglia minimamente al pazzo decerebrato che ha davanti. Eppure, stranamente, ha l’aspetto di Stiles, anche se non accenna affatto a uno dei suoi sorrisi luminosi nei quali Deaton ha sempre riposto speranze e fiducia.
-Stiles?-
Il ragazzo lo guarda, boccheggia. Poi, sbatte le palpebre e calde lacrime di cristallo liquido gli scivolano lungo le guance.
-Mi ha… mi ha venduto. Non lo sapeva, Deaton, e io… mi ha venduto. Mi verranno a prendere tra poco.-
Deaton capisce che stavolta la situazione è più grave di quanto si possa immaginare. Ha visto ognuno di quei ragazzi piegarsi alla disperazione, ma mai Stiles Stilinski. Lui era il pilastro di fiducia del suo branco, la speranza inestinguibile che irradiava anche dalle situazioni più gravi. Adesso però, quella speranza si piega e si spezza, improvvisamente fragile e rattrappita come pelle d’una vecchia centenaria.
-Entra, sbrigati.-
Deaton si scosta e Stiles sguscia nell’ambulatorio, lasciandosi dietro una scia d’acqua piovana. Trema da capo a piedi e, Deaton lo nota solo adesso, tra le dita stringe un rosario.
Strano. Bizzarro. Sbagliato. Stiles non è mai stato un tipo religioso.
-Che succede? Dov’è Scott?-
Stiles lo guarda spaesato, gli occhi grandi come palline da ping pong. –Scott?-
-Scott, Stiles. Il tuo migliore amico, Scott. Dov’è? Sa che sei qui?-
Stiles scrolla lentamente il capo come in trance, il volto rigato di nuove lacrime che imperterrite continuano a cadere dalle ciglia castane.
-Non lo sa nessuno. Questa è la mia ultima tappa.-
-Che vuoi dire?-
-Che sto per morire, Deaton.-
Deaton lo fissa in viso, cercando una qualche traccia che indichi uno scherzo di cattivo gusto o qualcosa di simile, ma è impossibile. Nessun attore è così bravo, a maggior ragione se si tratta di Stiles.
-Che vuoi dire?-
Stiles si prende la testa tra le mani, il rosario che oscilla avanti e indietro. Resta così per qualche attimo, poi si raddrizza e guarda Deaton negli occhi, supplichevole.
-Voglio che tu sappia la verità. O almeno, una piccola parte di ciò che dovrà accadere. L’ho scoperto poco fa e… so di non essere pazzo, Deaton. Lo so.-
-Di cosa parli?-
-Di mia madre. L’ho vista, Deaton, ho parlato con lei.-
-Stiles, questo è…-
-Impossibile, lo so. Ma impossibile lo era anche l’esistenza di kanima, licantropi e mostri di qualsiasi genere. Nessuno ci crede, ma esistono e lo sappiamo tutti e due. Io so cosa ho visto, e so di aver visto mamma. Ho parlato con lei, Deaton… ci ho parlato. E lei… mi ha detto tutto. Piangeva, sai? Alla fine ho pianto anche io quando ho saputo che… che…-
-Che?-
-Che è stata lei a uccidermi. Mi ha condannato mia madre, Deaton. E io adesso devo morire.-
Deaton scuote il capo, stordito.
-Credo che tu abbia solo fatto un brutto sogno, Stiles. Era solo un sogno. Qui non stiamo parlando di licantropi o creature sovrannaturali, ma di morti che tornano in vita. Non esistono nemmeno i medium, quindi credo che sia stato frutto della tua immaginazione. Solo questo. Dovresti tornare a casa e riposare.-
Stiles lo guarda in volto, tremante di paura e freddo. Deaton cerca di non cedere, aggrappato saldamente alle sue convinzioni. Se i morti potessero contattare i vivi, sarebbe ancora peggio dell’avere a che fare con feroci mostri mitologici. Licantropi e altre bestie simili può gestirli, ma i defunti? Nessun vivo dovrebbe anche solo avvicinarsi al regno dell’aldilà, se un aldilà esiste davvero.
-Vai a casa, Stiles. Hai bisogno di riposo, e magari di una vacanza.-
Stiles stringe forte il rosario, serra i pugni e per un folle attimo Deaton pensa che tenterà di aggredirlo. Ma le cose non vanno così.
Alla fine, Stiles rilassa il corpo e china il capo, sconfitto. Si avvicina circospetto al tavolo operatorio e vi poggia il rosario, composto da tanti piccoli grani di madreperla. Stringe forte gli occhi e rilascia nuove lacrime che fragili vanno a infrangersi sul crocifisso scolpito in rilievo.
-Devi promettermi una cosa, Deaton. Promettimi che non glielo dirai. Tu stasera non mi hai visto, non hai mai… parlato con me. Non devi dirlo a nessuno, nemmeno a Scott o a mio padre. A nessuno, capito?-
Deaton annuisce, pensando che l’indomani sarebbe stato lo stesso Stiles a confessare ridendo di aver bevuto troppo o di essersi comportato come un pazzo a causa di un crollo di nervi. Troppe faccende sovrannaturali, troppo stress per un ragazzo così giovane.
Stiles raggiunge la porta, la spalanca. Si ferma sulla soglia poco prima di uscire e per un attimo si volta, fissando Deaton con i brillanti occhi lucenti di riflessi dorati.
-Quel rosario… tienilo. E quando sarà il momento, che sia tra dieci anni o meno, spezzalo e regalane i grani ai miei amici. Loro non capiranno, ma vorrei che fosse così. Ti chiedo solo… il crocifisso. Dallo a Derek.-
Deaton non capisce, ma bonariamente si permette di annuire. Pensa che forse, quando Stiles si sentirà meglio, dovrà restituirgli il rosario e lasciare che sia lui a regalarne i pezzi agli amici. Questo non accadrà mai perché Stiles Stilinski sparirà nel nulla esattamente poche ore dopo, lasciandosi alle spalle sangue, dolore e un rosario ancora intatto, ma che Deaton ha preservato per tre anni in attesa del momento giusto per farlo a pezzi e adempiere all’ultima volontà di un ragazzo che dopotutto, è stato suo amico.
 
Quando il racconto finisce, ad accoglierlo non rimane che il silenzio. Nessuno parla, nessuno s’azzarda ad aprir bocca neanche per sbaglio. Tutto ciò che rimane sono i loro respiri lenti, trattenuti, increduli. Ma più di ogni altra cosa, Derek sente di essere a un passo dall’esplosione. Istintivamente ha estratto gli artigli, che adesso affondano nelle sue stesse braccia conserte in una posa rigida, che a stento trattiene la sua rabbia. L’espressione è impassibile ma all’interno, Derek grida.
Pensa a Stiles, al ragazzo solare che anche nei momenti di totale disperazione non ha mai perso la sua ilarità. Pensa al suo sorriso, alla sua parlantina, alla sua interminabile voglia di vivere.
Poi, lo confronta col ragazzo descritto da Deaton. Non è Stiles la persona di cui ha parlato. Non è da Stiles singhiozzare apertamente, supplicare, abbandonarsi alla disperazione e all’impotenza. Non ha chiesto aiuto a nessuno di loro, non ha chiesto aiuto a lui, e questo ferisce Derek nel profondo, ma non sa perché.
-Il… - Scott si schiarisce la gola, gli occhi improvvisamente lucidi. –Il rosario… ce l’hai ancora?-
Deaton si volta verso la cassettiera più vicina e apre l’ultimo cassetto in basso, quello che a Scott è stato sempre vietato di pulire da tre anni a quella parte. Il ragazzo si è sempre chiesto perché, ma si fida di Deaton e allora non ha mai messo in dubbio le sue raccomandazioni. Adesso che il veterinario estrae da quello stesso cassetto un polveroso rosario di madreperla, Scott si chiede perché non ha dubitato, perché non ha reagito alla sua stessa curiosità rompendo quel sigillo di fiducia che adesso sente di aver affidato alla persona sbagliata.
-Tu sapevi… e non ci hai mai detto niente.- mormora Lydia, gli occhi sbarrati sul vuoto. –Hai parlato con lui, ti ha lasciato un rosario e tu non ce lo hai detto.-
-Glielo avevo promesso. Voi cosa avreste fatto al posto mio?-
Derek non ha voglia di rispondergli, perché sente che se non si allontana subito potrebbe staccargli la testa. Non gli interessa cosa gli ha fatto promettere quel cretino di Stiles: Deaton avrebbe dovuto parlare. E avrebbe dovuto credergli. Stiles ha messo la sua vita nelle mani sbagliate, forse pensando che il buon veterinario non gli avrebbe mai voltato le spalle. Errore, purissimo errore.
Senza una parola, Derek afferra il rosario e stacca il crocifisso. Lo intasca in silenzio, rifiutandosi di guardare in faccia i presenti. Che si azzardino a parlare. Che ci provino, a loro rischio e pericolo.
Derek raggiunge la porta, quella stessa porta varcata da Stiles tre anni addietro. Lo immagina fradicio di acqua piovana, con i grandi occhi da cerbiatto ricolmi di lacrime non versate. Deaton lo ha lasciato solo. Deaton lo ha tradito. Ed è solo per rispetto nei confronti di Stiles stesso che Derek non lo uccide lì e subito, staccandogli gli arti uno alla volta.
 
La vita sembra quasi essersi interrotta da almeno due giorni. Scott non ha più  visto o sentito i suoi amici, né ha avuto la benché minima voglia di uscire di casa. Si limita a restare chiuso nella sua stanza, appoggiato allo stipite della finestra per fissare il mondo che all’esterno continua a scorrere anche senza di lui. Che da tre anni scorre senza Stiles.
Alla fine hanno fatto a pezzi il rosario per spartirsi i grani. Un paio li hanno consegnati allo sceriffo, che pur senza capire ha scelto di accettarli chinando il capo, troppo stanco per chiedere ma ancora abbastanza padre da capire che quei grani li ha toccati suo figlio.
A cosa servono? Scott non lo sa, ma da quando li ha stretti nel pugno per la prima volta, non li ha lasciati più andare. Sono una parte di lui, un pezzo di ciò che gli è stato tolto bruscamente.
“Mi ha condannato mia madre”, ha detto Stiles prima di sparire. Condannato in che senso? Come può una donna già morta uccidere suo figlio? Scott non ricorda nemmeno il volto della madre di Stiles, ma sa che non farebbe mai una cosa del genere. Non ha senso.
Improvvisamente, il telefono squilla. Scott cerca di ignorarlo, volta il capo dall’altra parte.
Squilla di nuovo, e Scott digrigna i denti irritato.
Un altro squillo, stavolta troppo fastidioso per essere sopportato.
Scott afferra il cellulare, ma lo trova spento e immobile. Nessuno lo sta chiamando, ma quella suoneria è decisamente la sua. Be’, lo era anche di Stiles, ma…
-Non può essere…-
Scott si affaccia, guarda in basso, ma non vede nessuno. Vi è solo un vecchio dalla lunga barba grigia che arranca sul marciapiede. Niente Stiles, ma Scott decide di uscire lo stesso perché vuole ancora sperare. Varca la soglia di corsa, proprio quando il cellulare smette di suonare. Il vecchio non c’è più, la strada è deserta.
Scott sta per rientrare in casa quando il suo cellulare comincia a suonare davvero.
-Pronto?-
-Scott, sono io.- risponde Derek.
-Che succede?-
-Devi venire, e subito. Siamo al limitare del bosco nella zona ovest. Segui il mio odore e avverti gli altri.-
-Arrivo. Che succede?-
-Hanno trovato un corpo, Scott, ma c’è un testimone.-
-E allora? Non può essere stato un altro licantropo?-
-No. Il testimone dice di aver visto qualcuno accovacciato accanto all’uomo mentre spirava… e quel qualcuno è Stiles.-
 
Angolo dell’autrice:
Dunque… ammetto di essere ancora sconvolta per le nove recensioni ricevute. Non me lo aspettavo, davvero.
Stiles: io sì, però. Sono un figo, non possono mica ignorarmi. Ah, e riguardo l’outfit per i prossimi capitoli…
Derek: non indosserai alcuna giacca di pelle. Quella è una mia esclusiva.
St: e chi lo dice? Sarei molto più figo di te!
De: ti piacerebbe.
Finitela e fatemi apparire seria, per una volta! Dunque, non posso che ringraziare di cuore voi lupacchiotti recensori, che con tutto il calore dei vostri commenti mi avete permesso di pubblicare così in fretta un nuovo capitolo. Lo dedico a voi, con la speranza di non avervi delusi e di leggere ancora le vostre opinioni, nel bene o nel male!
Gaiadidio: ecco a te il nuovo capitolo, Gaia! Spero che ti sia piaciuto, e grazie di cuore per il commento! A prestissimo!
Nye: ammetto di avere un po’ l’autostima sotto le scarpe, quindi non ti sorprendere se ogni tanto mi insulto da sola riguardo ai miei scritti. È ordinaria amministrazione. Spero tuttavia di non averti delusa con questo nuovo capitolo! Grazie per il commento e a presto!
Stilba: mi auguro con questo capitolo di aver mantenuto sulla storia la tua attenzione, ma ho ancora tante carte da giocare. Prima tra tutte, grandi occhi verdi, capelli scuri e un fisico da paura. A quelli non si resiste mai! Grazie per il commento e a presto!
Allen99: ecco qui il seguito! Piaciuto? Spero di sì, così come spero di leggere ancora i tuoi commenti! Grazie e a presto!
Drarry90: mano stretta? Pronta? Andiamo! Abbiamo ancora tanta strada da percorrere insieme, quindi grazie per il commento e al prossimo capitolo!
Miss Hoech: spero che la trama continui a interessarti a lungo! Ma, rispondendo ai tuoi ordini, eccoti il continuo!
Tetra_: continuo in fase di stesura, ma posso già dirti che ho tra le mani più di dieci capitoli già completi! La tua curiosità sarà soddisfatta (spero) per il meglio, quindi grazie per il commento e a presto!
Sophi33: eheh, con questa storia, il nostro Stilinski preferito ha vinto il premio come miglior sfigato dell’universo. E dico universo perché della Terra sarebbe riduttivo. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto!
RedLesbian: la storia è di mia inventiva e non si intreccia ad alcun universo. I nuovi personaggi, ossia Dumah e Alastor con animaletti annessi, sono una mia creazione, ma più avanti scopriremo la loro storia! Se tuttavia ci sono passaggi che non comprendi o che mi consigli di correggere, indicameli e farò del mio meglio per migliorare! Anzi, grazie mille per il commento, ora ricontrollo e cerco di rivedere alcune cose! Davvero, ti ringrazio! E spero con questo capitolo di non averti delusa! A presto!

Tomi Dark Angel
 

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Capitolo 3
*** Il Ragazzo Col Cappuccio ***


“Il dolore è sordo, il dolore è muto.
Il dolore è sordomuto.
Sordo, perché ascolta solo se stesso,
Muto, perché non ci sono parole che possano parlarne.”
 
Derek non può credere che dietro quella carneficina ci sia Stiles. Non vuole pensare che quel ragazzo possa anche solo aver provato a fare del male a qualcuno, ma il testimone afferma di averlo riconosciuto. Non è anomalo: Beacon Hills è una piccola cittadina e quando Stiles sparì, lo vennero a sapere tutti. Per poco non fu incolpato lo stesso sceriffo di aver ucciso suo figlio e poi nascosto il corpo. Se non avesse avuto un alibi di ferro, l’avrebbero sbattuto dietro le sbarre nel peggiore dei modi.
Derek fissa inespressivo il corpo dilaniato dell’uomo sparire in un sacco della polizia. C’è sangue dappertutto, proprio come ce n’era nella stanza di Stiles, ma non c’è traccia dell’odore del ragazzo lì.
Derek pensa che non sia il caso di aspettare oltre. Sente che Scott e il branco sono vicini ed è certo ormai che il ragazzo riuscirà a trovare da solo il luogo del delitto. A Derek non resta che andarsene perché l’odore di tutto quel sangue ormai lo nausea un po’, specialmente dal giorno in cui vide quel massacro nella stanza di Stiles. A Derek basta guardare il colore rosso per pensarci e sentirsi inutile e vulnerabile, come il giorno in cui non è riuscito ad aiutare lo stesso ragazzo che già tante e tante volte lo aveva soccorso senza esitare.
Si allontana velocemente attraversando il bosco, lasciando che ancora una volta sia il corpo a lavorare anziché il cervello. Salta tra i rami, si slancia, ricomincia a correre. Si accorge in ritardo di aver raggiunto il limitare degli alberi, proprio lì dove inizia Beacon Hills. Derek ha sempre notato il bar malmesso che è solito accogliere la clientela più stanca prima che entri in città. Si chiama “Dogma” ed è uno dei peggiori bar della zona, dove i camerieri sono sempre scortesi e la clientela scarseggia.
Il posto perfetto per bere un caffè e tenersi lontano da casa, laddove i ricordi sembrano volergli trapanare il cranio.
Derek raggiunge la porta, che stranamente a quell’ora del mattino è spalancata per lasciar entrare un po’ d’aria fresca. Varca la soglia e, come ha sperato, trova il locale deserto.
Al bancone c’è solo un ragazzo alto e slanciato con grandi occhi azzurri e i capelli biondi. Indossa una larga felpa scura, a malapena coperta dal grembiule, e dei jeans. Quando Derek entra, il ragazzo si immobilizza per qualche istante e lo fissa con sguardo indecifrabile, che rimbalza tra il sorpreso e lo spaventato. A Derek non interessa: non è la prima volta che qualcuno lo fissa così.
Raggiunge il bancone e siede su uno degli sgabelli che giacciono ordinati davanti al bancone. Il ragazzo continua a fissarlo.
-Vorrei un caffè.-
Il ragazzo si riscuote, le mani improvvisamente strette come una granata intorno al bicchiere che sta asciugando con uno straccio. Quando non si muove, Derek lo fissa e inarca un sopracciglio.
-Ah! Sì, certo… caffè normale?-
-Macchiato andrà bene.-
-Dovresti anche mangiare qualcosa.-
Derek corruga le sopracciglia, innervosito. –Non credo che la cosa ti interessi.-
Il ragazzo sussulta e quasi fa cadere il bicchiere. Lo riafferra al volo con incredibile prontezza di riflessi e si raddrizza, rosso come un peperone.
-No, certo… il mio era solo un consiglio.-
-Non ne ho bisogno.-
Senza una parola, il ragazzo comincia ad armeggiare con la macchinetta del caffè. Dalla cucina provengono alcuni rumori e un basso canticchiare armonioso che Derek riesce a udire solo grazie al suo udito di lupo. Una ragazza dice qualcosa in una lingua arcana che Derek non capisce, ma che non riesce nemmeno a classificare in una delle tante lingue che conosce. È una lingua dai toni graffianti come il tedesco, ma ha parole dolci più di quelle francesi.
-Allora… come mai qui a quest’ora? I bei ragazzi come te non hanno bisogno del loro sonno di bellezza?-
Derek inarca un sopracciglio fin quasi a toccare l’attaccatura dei capelli. Non gli piace la confidenza con cui gli parla quello sconosciuto, né ama l’impressione che lui ci stia in qualche modo… provando? Con Derek?
-Quelli come te invece avrebbero bisogno di stare zitti una volta ogni tanto.-
Il ragazzo ride, ed è una risata così cristallina, così familiare che per un attimo Derek si irrigidisce.
-Sì, vero? Non sei il primo che me lo dice ma, ehi!, non è colpa mia se sono iperattivo e amo parlare a mitraglietta. La mia collaboratrice se l’è presa con me proprio stamattina perché lei continua a dormire in piedi e io non sto mai zitto. Dice che le faccio venire il mal di testa.-
-Mi domando come mai…-
-Era sarcasmo, quello?-
Nel silenzio della sala, qualcosa tintinna. È un tintinnio sinistro, come di catene che cigolano e Derek è certo che quel suono provenga dal ragazzo che ha davanti. Forse indossa una collana di quelle troppo vistose e assolutamente orribili che consistono in una catena da rapper molto massiccia e poco pratica.
Il ragazzo appoggia sul ripiano una tazzina di caffè fumante e un piattino di biscotti.
-So che forse li lascerai, ma questi li offre la casa. Li ho fatti stamattina.-
Il ragazzo sorride di nuovo di quel sorriso che Derek quasi riconosce perché somiglia anche troppo a quello di Stiles.
-Non ho…-
-Bisogno di mangiare. Lo so. Però accetta i biscotti e basta, okay? Non credo che tu sia il classico ragazzone con la fissa per la linea che dopo il primo morso a un biscotto corre subito a mettersi a dieta. Quindi mangia, e sappi che se li lascerai qui troverò il modo per infilarteli in tasca.-
Derek lo fissa, indeciso. Non sa se provare odio o simpatia per quel ragazzo troppo coraggioso.
Appellandosi a un compromesso, beve il caffè e azzanna un biscotto, lasciando intatti gli altri. Questo sembra rincuorare il ragazzo, che finalmente torna a sorridere genuino. Il bagliore candido di quei denti è come un toccasana per Derek, ma il lupo non riesce a spiegarsene il motivo. È come se conoscesse già quel ragazzo, come se vi avesse già parlato e interagito in precedenza. È una sensazione bizzarra, ma Derek non sa spiegarsela.
-Mi chiamo Dean.-
Derek lo fissa in silenzio, ma Dean sembra non aspettarsi alcuna risposta. Torna al lavoro, maneggiando efficacemente stracci e posate, bicchieri e tovaglioli. Sembra concentrato sui suoi gesti, come se dovesse sforzarsi di non alzare gli occhi per incontrare quelli di Derek. E stranamente, questo dettaglio infonde nel licantropo un pizzico di serenità mista a sorpresa.
Estrae i soldi dalla tasca e si accinge a pagare, ma Dean solleva una mano e lo ferma.
-Ho detto che offre la casa.-
-Hai detto che la casa offriva i biscotti, non il caffè.-
-Quello te l’ho offerto io.-
-Non se ne parla.-
-Invece sì, perciò posa quei soldi nella tasca.-
Derek e Dean si fissano in silenzio, il primo in attesa che l’altro abbassi lo sguardo e l’altro con quieta serenità, come se stesse studiando ogni smeraldina sfaccettatura dei suoi occhi. Non china lo sguardo, non pare intimorito dall’occhiata dell’altro: si comporta come se ci avesse già avuto a che fare.
-Buona giornata, signore.-
Dean sorride un’ultima volta prima di voltarsi e sparire oltre la soglia della cucina. Quando torna al bancone e sparecchia i lasciti della colazione di Derek, trova dieci dollari nascosti sotto il piattino dei biscotti.
 
Derek non sa perché torna al Dogma la mattina dopo. Si dice che lo fa perché non ha altro da fare o perché semplicemente è capitato lì camminando alla cieca, senza il benché minimo ragionamento. Peccato che lui cose del genere non le faccia mai, a meno che non debba affidarsi all’istinto. E l’istinto lo ha condotto lì, alle sette e mezza del mattino, davanti alla porta lignea dello stesso bar che il giorno prima gli ha offerto dei biscotti.
Entra spingendo la porta, fissando all’istante e quasi inconsciamente il bancone. Si aspetta di trovarci Dean, intento ad asciugare le posate, ma il suo cuore si gonfia di maledetta delusione quando al posto del ragazzo biondo Derek vede una giovane e bellissima donna dai ricci capelli scuri e gli occhi chiari. Ha le labbra piene e la pelle abbronzata, con un seno alto e prosperoso che quasi sgancia i bottoni della camicetta troppo stretta e decisamente troppo scollata che indossa.
Quando vede Derek, la donna sorride sorniona per poi parlare con voce languida e tentatrice: -Ciao, dolcezza. Posso fare qualcosa per te?-
Derek raggiunge il bancone, deciso a non mostrarsi deluso per l’assenza di Dean.
-Un caffè.-
-E poi?-
-Un caffè e basta andrà benissimo.-
La donna si sporge sul bancone, mettendo in mostra il seno prosperoso. –Sicuro?-
Gli fa l’occhiolino, sorridendo amabilmente. Nonostante la sua bellezza abbagliante e i modi lascivi, Derek non se ne sente attratto. Al contrario, aggrotta le sopracciglia e stringe le labbra, chiedendosi se sia il caso di lasciare il locale prima di ammazzare su due piedi quella sgualdrina tentatrice.
-Sicuro. E ti consiglierei di fare il tuo lavoro, o potreste perdere un cliente.-
La donna non pare infastidita dal rifiuto di Derek. Comincia a preparare il caffè, canticchiando a bassa voce una dolce melodia.
Il telefono di Derek suona all’improvviso, spezzando la placida atmosfera del locale. È Scott.
-Cosa avete scoperto?- chiede Derek.
-La vittima si chiamava Sarah Williams, ventotto anni. Faceva l’estetista in una città limitrofa ma era a Beacon Hills per far visita a sua sorella Lorie.-
-Niente di strano?-
-Lo sceriffo dice che a ucciderla sono stati dei tagli alla gola piuttosto profondi, ma prima l’assassino le ha staccato un braccio e mutilato l’altra mano. Ha infierito anche sull’addome, ma ha lasciato il lavoro incompleto per qualche motivo.-
Derek tentenna, lanciando un’occhiata alla donna impegnata a maneggiare zucchero e tazzine. –E riguardo… il sospettato?-
-Non sappiamo niente di certo. Il testimone dice che era lì di passaggio con l’auto e i fari hanno illuminato il viso di un ragazzo che somigliava incredibilmente a Stiles.-
La donna si blocca improvvisamente sotto lo sguardo incuriosito di Derek, che adesso fissa interessato la sua schiena. Possibile che abbia sentito la voce di Scott? No, non odora di licantropo. Ma chi altri ha un udito tanto fine?
-Ci sono altre novità?- chiede lentamente, osservando attentamente la reazione della donna.
-No, non adesso. Dobbiamo solo sperare che non si tratti di un serial killer… o di Stiles. Ma non posso credere che abbia fatto qualcosa del genere.-
Derek non risponde. I suoi occhi adesso sono fissi sulla giovane donna, che ha ripreso a muoversi, stavolta più velocemente e con più efficienza. Non canticchia più.
-Ho capito. Quando avrete capito qualcosa di più, chiamami.-
-Dove sei ora?-
-Non ti deve interessare. Ci vediamo, Scott.-
Prima che Scott abbia modo di protestare, Derek chiude la chiamata. Continua a fissare la donna in silenzio, senza mai staccarle gli occhi di dosso. Continua ad avere la sensazione che in qualche modo sia riuscita a sentire le parole di Scott e che qualcosa l’abbia infastidita. Non è un licantropo, ma Derek ha in mente una moltitudine di creature mitiche capaci di sviluppare un udito estremamente sensibile. Il problema è che l’odore della donna appare totalmente umano, con tanto di spruzzata di profumo alla vaniglia ai polsi e al collo, laddove Derek lo fiuta meglio.
-Ecco a te.- La donna gli porge la tazzina del caffè e senza una parola sparisce sul retro, lasciando Derek da solo.
Il lupo aguzza l’udito per percepire ogni movimento della donna, ma lei non fa nulla di nuovo a parte armeggiare con le posate e spegnere il forno.
La porta d’ingresso si apre all’improvviso, cigolando.
-Scusa, Dumah! Sono stato trattenuto da…-
Dean s’interrompe all’improvviso, preso in contropiede dalla presenza di Derek. I due si fissano in silenzio, squadrandosi senza sapere precisamente cosa fare. Poi, Derek lo nota: appollaiato sulla spalla di Dean c’è lo stesso corvo dagli occhi dorati che il lupo ha visto qualche giorno fa.
-Cosa… che cosa?!- esclama Dean, fissando gli occhi sul bancone adesso alle spalle di Derek. Lo oltrepassa di corsa, facendo gracchiare inviperito il corvo troppo cresciuto che bizzarramente appare grosso poco più di un falco.
Dean raggiunge la vetrina e la spalanca senza neanche togliersi i guanti. Zoppica appena e Derek nota solo allora che puzza di sangue.
-Scommetto che è stata Dumah a prepararti il caffè… stupida ragazza, non lo ha nemmeno macchiato.-
Dean appoggia un piattino di biscotti sul bancone e praticamente gli strappa il caffè di mano. Derek si trattiene dal ringhiare.
-Lo stavo bevendo.-
-No, non è vero. Non lo hai nemmeno toccato.-
Derek sbuffa, ma non risponde perché sa che Dean ha ragione. Al contrario, annusa interessato l’odore di sangue che proviene dalla gamba del ragazzo.
-Che ti sei fatto alla gamba?-
Dean per poco non inciampa. Impreca a mezza voce in quella lingua arcana che Derek non riesce a decifrare né a classificare, poi torna ad armeggiare col latte.
-Il mio cane mi ha morso. È molto nervoso ultimamente.-
La voce del ragazzo trema appena, segno che è totalmente incapace di mentire o quantomeno ha problemi a farlo. Derek non glielo fa notare perché non sono affari suoi e se Dean non vuole dirgli la verità, lui non intende forzarlo.
-Ecco fatto!- Dean appoggia una tazza di caffè macchiato accanto al piatto dei biscotti. Stavolta, Derek li mangia tutti e Dean si assicura di togliere di mezzo piattini e tazzina prima che il licantropo trovi il modo di lasciargli i soldi sul bancone.
 
Derek non sa cosa lo spinge a tornare ogni volta al Dogma, ma ormai quella pare essersi trasformata in una vera e propria routine. Si presenta ogni volta alle sette in punto e Dean è lì con la macchinetta del caffè già in funzione e un piattino di biscotti ancora caldi posati sul bancone.
Lo aspetta come un cane attenderebbe in eterno il padroncino uscito per lavoro, negli occhi uno sguardo profondamente felice quando poi vede Derek varcare la soglia del bar. Ogni volta, Derek ha appena il tempo di sedersi sul solito sgabello che Dean comincia a parlare a mitraglietta di futilità e cose stupide che Derek non ascolta davvero. Si accontenta di osservare di sottecchi il sorriso di Dean, sovrapponendo alla sua voce un timbro più acuto di ragazzo iperattivo, lo stesso che ha lasciato Derek tre anni fa.
Le ricerche di Stiles non vanno per niente bene. Derek e il suo branco trascorrono la notte a girovagare per i boschi e la città in cerca di una nuova traccia di odore, ma non cambia niente: Stiles sembra non essere mai stato lì e loro hanno sempre più la sensazione di perdere tempo. Forse hanno immaginato tutto, forse Stiles è morto davvero. Forse. Ma loro non lo sanno.
-E quindi ho indossato le pinne e ho cominciato a camminare nudo per strada.-
Derek solleva gli occhi di scatto, stordito. –Cosa?-
Dean sorride soddisfatto e appoggia i gomiti al bancone. –Visto? Non mi stavi ascoltando.-
-No. In effetti, non lo faccio mai.-
Dean si posa una mano sul cuore, storcendo le labbra in una smorfia grottesca. –Così mi ferisci, Sou… signore.-
Derek sbarra gli occhi, stringe i pugni. Solleva lo sguardo talmente di scatto che Dean fa un passo indietro.
-Come mi stavi per chiamare?- domanda Derek, la voce appena incerta. È certo di non aver sentito bene; non vuole aver sentito bene. Quel ragazzo lo ha quasi chiamato…? Impossibile. Quello non è Stiles.
-Cosa?- Dean si mangiucchia le unghie di una mano, nervoso. –Non ti stavo per chiamare in nessun modo. Mi sono impappinato sulla “S” di signore, visto che non so ancora come chiamarti.-
A Derek quella sembra una spiegazione poco plausibile, ma sente in qualche modo che Dean non parlerà. Eppure, ha bisogno di risposte e per averle, serve che Dean si fidi di lui. Forse sa qualcosa di Stiles, forse lo conosceva. In qualche modo, Derek sente che la pista più giusta da seguire è quella.
-Derek. Mi chiamo Derek.-
 
-Non abbiamo trovato niente. Niente di niente.-
La voce di Scott al telefono è tremendamente sconfortata. Sembra in procinto di scoppiare in lacrime, ma Derek sa che il ragazzo aspetterà che finisca la telefonata prima di cedere del tutto. A volte, anche se raramente, Scott gli assomiglia almeno un po’.
-Va bene, Scott. Ho capito.-
-Non so dove altro cercare, Derek… non lo so davvero.-
Derek si chiede cosa si provi a perdere un fratello. Stiles e Scott sono praticamente cresciuti insieme, in simbiosi come due facce d’un unico insieme. Derek si chiede cosa dovrebbero fare se il reale assassino di quella ragazza fosse veramente Stiles. Avrebbe il coraggio di ucciderlo?
-Vai a dormire, Scott.- dice Derek alla fine. Sono giorni che il branco passa la notte a girovagare per la città in cerca di tracce, ma finora non hanno trovato niente. Isaac è crollato appena mezz’ora fa e Scott già vacilla. Nessuno dei due è abituato a sostenere orari del genere, non come ci riesce Derek.
-No, non posso. Devo…-
-Devi dormire, o sarai inutile. Non dovrei essere io a farti da balia, ragazzino.-
Senza aggiungere altro, Derek attacca il telefono. Lascia che il silenzio avvolga i miseri resti di casa Hale, adesso placidamente assopita nel silenzio della notte. L’indomani ci sarà la luna piena e Derek non è certo di potersi controllare, non quando i suoi nervi sembrano pronti a saltare in aria già normalmente.
Un rumore lo distrae, facendolo voltare di scatto. Appollaiato sullo stipite della finestra, c’è il corvo di Dean.
-Ancora tu.- sbotta Derek, infastidito. –Cosa vuoi da me?-
Il corvo inclina la testa, fissandolo con quegli occhi che adesso appaiono più dorati che mai. Gracchia piano, come a volergli dire qualcosa. Per una volta, Derek vorrebbe poter capire il linguaggio degli uccelli.
-Non c’è niente per te qui.- ringhia. –Sparisci.-
Ma il corvo gracchia più forte, spalancando le ali. Si alza in volo, sospeso nel vano della finestra come il fotogramma di un film visto attraverso un bizzarro televisore. Una zaffata di odore sprigionato dalle piume del corvo raggiunge il naso di Derek, stuzzicandolo. È l’odore di Stiles, di nuovo.
Il corvo vira bruscamente senza alzarsi di quota e si allontana tra gli alberi.
-Aspetta!-
Derek balza oltre la finestra, atterra, comincia a correre. I muscoli guizzano allenati sotto la pelle, lo spingono contro la barriera del vento, trasformando Derek in vento stesso. Segue il corvo senza mai rallentare, un passo dopo l’altro, silenzioso come solo il suo essere di lupo può essere.
Poi, cominciano le voci e allora Derek rallenta. Il corvo sparisce tra gli alberi, diretto verso la fonte di quelle stesse voci concitate.
Derek si accuccia e sguscia tra i cespugli, scivolando sull’erba senza un suono. Improvvisamente, la sua mole massiccia si trasforma nell’essere sinuoso di una pantera in caccia che lentamente si accosta alla preda inconsapevole.
-Ti ho detto che ci sto lavorando.- sbotta una voce che all’istante fa sbarrare gli occhi di Derek. –Non posso farci niente se quei bastardi sono così veloci.-
-Ci stai lavorando? Stai solo perdendo tempo dietro a quel licantropo, mi pare. E questo è il prezzo che paghiamo per le tue inappropriate prese di libertà.- ribatte una pacata voce di… bambino?
Derek dilata le narici all’improvviso odore del sangue. Si sporge appena oltre il tronco dell’albero che lo nasconde e allora lo vede: un bambino dai capelli scuri e gli occhi blu in piedi accanto a un ragazzo più grande che indossa una larga felpa rossa e dei jeans strappati in più punti. Il ragazzo stringe tra le braccia qualcuno, una persona che sussulta e ansima copiosamente, colta dal panico. Derek può sentire il battito impazzito del suo cuore, i gemiti che emettono quelle labbra e capisce che quei suoni appartengono a un moribondo.
-Dobbiamo lasciarlo qui, Stiles.-
Per un attimo, Derek smette di respirare. Fissa interessato il ragazzo col cappuccio, inspira il suo odore: è lo stesso di Stiles, del suo Stiles. È lui? Da quanto è lì, e perché? Chi è il bambino che è con lui?
-Non mi muoverò, Alastor. Non posso salvarlo, ma posso restare con lui finché non sarà finita.- mormora aspramente Stiles. La sua mano si muove dolcemente, accarezzando qualcosa che si rivela essere il capo insanguinato di un ragazzo poco più vecchio di lui, la cui gola squarciata non fa che trasudare sangue.
Derek non vuole crederci. Non può pensare che il colpevole di quelle morti sia davvero Stiles. Oltretutto, oltre ad essere incredulo, è arrabbiato di brutto. Non sa cosa lo trattiene dallo sbucare fuori per fare a pezzi quell’insulso ragazzino che si è permesso di sparire nel nulla per tre anni. Ha abbandonato Scott, Lydia, il branco… lui. Derek. Lo ha lasciato solo.
-Perdi solo tempo, Stiles. Non è più nella tua natura fare il crocerossino di chiunque ti capiti a tiro.-
Stiles solleva il capo di scatto e quando parla le sue parole sono velate di un odio sconfinato che Derek non riesce ad attribuirgli: -E tu cosa ne sai? Cosa sai di me, Alastor? Sai cosa significhi morire e lasciarsi tutto alle spalle? La tua casa, la tua famiglia, i tuoi amici. Non è come partire per una lunga vacanza; da quella puoi tornare. Se muori invece… sai di non avere scelta. Devi passare dall’altra parte e sperare che chi resta ti dimentichi, anche se sai che non sarà così. Io ho subìto tutto questo come vittima innocente, e quando è accaduto ero solo. Non lascerò che altri subiscano questa condanna. Nessuno meriterebbe di morire in solitudine come un cane abbandonato. Perciò, vattene e lascia che questo ragazzo se ne vada in pace. Per stanotte hai fatto abbastanza.-
Per un attimo, il bambino chiamato Alastor lo fissa impassibile. Poi semplicemente si volta e sparisce tra gli alberi senza un suono, inglobato dall’oscurità come un’ombra inafferrabile.
Il silenzio ormai, è rotto solo dagli ansiti affaticati del ragazzo. Derek avverte i suoi singulti, il pianto di qualcuno che ha paura di andarsene. E prova pietà per lui.
-Ti sei mai fermato a guardare le stelle?- mormora improvvisamente Stiles, attirando l’attenzione di Derek. –Sono belle e illuminano il cammino a chi ne ha bisogno. Rischiarano l’oscurità in attesa che giunga il giorno, ti proteggono… ma questo, solo se nel giungere dell’alba ci credi davvero. Non farà male, te lo prometto. La tua meta sarà molto più piacevole della mia… perciò vai in pace. Segui la tua luce, raggiungila, abbracciala. Chiunque tu abbia perso, ti sta aspettando dall’altra parte: unisciti a lui e, se ti è possibile… perdonami.-
Derek è così concentrato sulle parole di Stiles da non essersi accorto che nel frattempo, il ragazzo è spirato. Forse non ha sentito davvero le parole di Stiles, ma Derek capisce che in qualche modo, è andato in pace, cullato dalle dolci carezze di un perfetto sconosciuto che ha avuto pietà di quel misero corpo in degrado.
Stiles ha avuto pietà di un ragazzo che non conosceva. Ma non ne ha provata per i suoi amici, che per tre anni lo hanno atteso e cercato.
Derek si guarda i pugni, adesso stretti in morse d’acciaio che piantano gli artigli da licantropo nella carne del palmo. Sottili rivoletti di sangue scivolano sulla pelle, raggrumandosi in goccioline sempre più fitte che poi macchiano l’erba.
Poi però, accade qualcosa. Un fruscio alle sue spalle, il rumore di un corpo improvvisamente troppo vicino. Derek ha appena il tempo di voltarsi prima che in un lampo d’acciaio, qualcosa gli graffi profondamente il torace.
 
Angolo dell’autrice:
Dannazione. Mi ero ripromessa di non maltrattare più i miei personaggi, ma deve essere una cosa insita nel DNA.
Derek: DNA un cavolo. Mi hai appena distrutto la maglietta buona!
È per una buona causa. E sta tranquillo che qui non dispiace a nessuno.
Derek: perché non le fai fare agli altri certe scene?
Perché Isaac sviene ancora alla vista del sangue. Dopo quell’episodio…
Allison: non è colpa mia se ha seguito l’odore e ha ripescato il mio assorbente usato dalla spazzatura!
Isaac: oddio, tutto quel sangue…
Mi fate tornare alla storia? Oh!
Dunque, dove eravamo rimasti? Ah, sì. Io… tredici commenti? Tredici? Sto per mettermi a piangere, davvero. Non mi aspettavo che piacesse, io… non so che scrivere, veramente. Sono a corto di parole, il che è straordinario data la mia eterna e irrefrenabile parlantina Stiles-style. Ma, non posso che ringraziarvi di cuore, a ognuno di voi lupacchiotti recensori. I vostri commenti mi stanno veramente a cuore e ogni volta che ne leggo uno mi emoziono come se fosse il primo. Grazie. Davvero. A voi dedico tutti i miei sforzi, tutte le parole scritte, ringraziandovi per la fiducia che mi donate continuando a leggere.
Ora, per ripagare almeno un po’ tutti i vostri splendidi commenti, posto una piccola anticipazione del prossimo capitolo già pronto e rivisto che leggerete tra cinque giorni esatti:
 

“Stiles seppellisce il viso tra le mani, sporcandosi di sangue.
Derek lo fissa impassibile, le labbra strette e i pugni serrati.
-Non puoi spiegarmi? Me lo devi, Stiles. Lo devi a me, a Scott e a tutti gli altri! Ti abbiamo cercato per tre anni e tu…-
-Non potevo essere trovato!- urla Stiles all’improvviso, sollevando il viso insanguinato. –Non potevo e basta! E ringraziate il cielo che non sia accaduto o… o…-”
 

Un ringraziamento dunque ai lupacchiotti più belli del mondo:
Sophi33
RedLesbian
Fangirl_mutante_SHIELD
Virginsiny74
Nye
Miss Hoech
Shadow
Drarry90
Simo wolf
Allen99
Cecix
Gaiadidio
PandoraPam01

A prestissimo, e grazie ancora!

Tomi Dark Angel

 

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Capitolo 4
*** Spaccato ***


“A volte la fiducia è come un libro che abbandoni.
Quando infine lo riapri, trovi il segnalibro
Fermo una pagina prima della parte più bella.”
 
Sangue. Dolore. Raramente Derek ne ha mai provato tanto, e questo perché la ferita al torace è profonda fin quasi a intaccare costole e sterno. Oltretutto, non si risana. Non guarisce, come se fosse avvelenata, e sanguina da morire, tanto da inzuppargli jeans e maglietta.
Barcolla, appoggiandosi d’istinto all’albero alle sue spalle. Solleva lo sguardo e allora la vede: la stessa ragazza che l’ha servito al Dogma, quella che ci provava con lui. Indossa un top di pelle e pantaloncini striminziti che a stento le coprono il sedere. Derek si chiede se abbia già cominciato a prostituirsi o se si stia allenando prima di iniziare a farlo. Quasi sorride a quel pensiero, ma non è il momento di distrarsi, non quando è ferito e alla mercé di una depravata tanto bella quanto pericolosa.
Gli basta un impulso di rabbia, la volontà di difendersi e cambiare forma per trasformarsi: i canini si allungano, le orecchie crescono, il setto nasale si solleva appena. Gli artigli già sfoderati e sporchi del suo stesso sangue brillano, riflettendo negli occhi blu elettrico quel bagliore sinistro che anticipa un ruggito feroce, roboante, che invita il nemico a farsi avanti.
Improvvisamente, il bosco e l’aria sembrano piegarsi all’immane potenza emessa dal ruggito di Derek. La terra vibra, la natura trema. E Derek rimarca col suo semplice ringhiare furioso che quella ragazza, chiunque sia, ha decisamente attaccato la creatura sbagliata.
Piega il busto sanguinante e le ginocchia per appoggiare una mano sul terreno, preparandosi allo scatto che li farà scontrare frontalmente. Per qualche motivo, Derek capisce che non sarà facile spezzare quella ragazza, per quanto magra e minuta. Le sue armi sono zanne e artigli, e lei dispone di cosa? Unghie smaltate e tacchi a spillo? Derek vorrebbe illudersi che sia così, ma nessun normale essere umano sorprende un licantropo alle spalle e riesce a ferirlo con tanta facilità.
La ragazza sorride ferina, leccandosi le labbra in modo osceno. –Sai che non si spiano le persone, dolcezza?-
Derek ringhia più forte, snudando le zanne. Gonfia i muscoli, preparandosi ad attaccare, quando un’ombra cala improvvisamente tra di loro, velocissima e silenziosa, proteggendo Derek.
-Dumah, basta così.- sbotta Stiles, che indossa ancora il cappuccio e trema di rabbia, i pugni stretti lungo i fianchi e il suo fedele corvo che adesso si libra a mezz’aria a pochi centimetri dalla sua testa.
Diablo cala dall’alto come una freccia, abbattendosi al suolo con la scioltezza di un’aquila in caccia. Artiglia qualcosa nascosto nell’erba a pochi passi da Derek, inchiodandolo al suolo e Dumah ringhia bestiale, fissando Stiles negli occhi.
-Non osare! Verrai punito per questo!-
Diablo si libra di nuovo, liberando Diaval il furetto, che adesso corre a rifugiarsi tra le gambe della padrona. Dumah è così arrabbiata che per un attimo Derek teme di vederla attaccare Stiles.
-Tu provaci di nuovo, ragazzino…-
-Cosa hai intenzione di farmi, Dumah?- Stiles allarga le braccia, nella voce la traccia di un sorriso spavaldo. –C’è ancora qualcosa che non mi abbiate già fatto?-
Dumah sorride a sua volta di un ghigno pericoloso da predatrice. Si avvicina a Stiles, infila una mano sotto il cappuccio. Derek trattiene a stento un ringhio involontario quando si accorge che lei lo sta accarezzando con lascivia possessività. Distingue il palmo spostarsi lungo il collo e capisce che le dita stanno affondando oltre il confine della felpa, dirette al torace di Stiles. L’altra mano di Dumah gli sfiora il cavallo dei pantaloni in un tocco che innesca la reazione di Diablo.
Il corvo cala nuovamente in picchiata, stavolta afferrando il furetto e innalzandolo a diversi metri da terra.
Dumah grida frustrata e ritira le mani da uno Stiles immobile, impassibile e gelido come mai Derek l’ha visto.
-Vattene.- sibila lui.
Dumah indietreggia. –Non sei più uno di loro, Stiles. Non lo sei mai stato…-
Ma Derek non riesce a udire nient’altro: improvvisamente la perdita di sangue e il dolore della ferita lo trascinano al suolo, svenuto e nuovamente umano. Qualcuno lo afferra con dolcezza, cingendogli la vita con un braccio per impedirgli di sbattere la testa, ed è allora che Derek annusa finalmente l’odore di Stiles, del suo Stiles. Dell’umano che per tre anni Derek ha atteso in silenzio, come un cane che mai si stancherà di aspettare il ritorno del padroncino.
 
Fa caldo, incredibilmente caldo. Derek sente la pelle bruciare all’altezza del petto, dove realizza di avere una ferita troppo profonda per essere curata. Chi è stato a procurargliela? Chi gli ha fatto del male?
Derek si sforza, spreme le meningi mentre il dormiveglia si fa via via più leggero. Ed è allora che tutti i sensi si riattivano.
Stringe appena le dita sulle coperte non sue che lo abbracciano dolcemente di un calore esagerato.
Annusa l’odore di incenso e tè caldo che intride l’aria, stordendolo.
Muove la lingua nella bocca impastata di saliva gelida e sangue devotamente ripulito.
Poi… l’udito. Le orecchie si attivano in cerca di qualcosa che gli permetta di riconoscere il luogo in cui si trova o i pericoli che lo circondano. Ode frusciare di foglie e scricchiolio di tronchi che come anime in movimento si stiracchiano all’aria aperta. Qualcosa cigola da qualche parte e il fischio di una teiera conferma a Derek di trovarsi in una casa quantomeno al confine di un bosco.
-Te l’avevo detto che avresti pagato qualsiasi mossa azzardata.- dice una voce al piano inferiore. Derek riconosce quel timbro acuto di bambino, ricordandone il proprietario, lo stesso che Stiles ha scacciato… quando? Ieri, poco fa, una settimana prima? Derek non può saperlo, ma spera di essere rimasto incosciente per poco.
-Non potevo lasciarlo lì.- mormora la voce di Stiles in risposta. Derek si accorge con rabbia di aver inconsciamente rilassato gli arti all’udire quel suono che sa di casa, famiglia, sicurezza. E si odia per questo, perché Stiles lo fa sentire in qualche modo debole e troppo vulnerabile.
-Lo so.- risponde Alastor freddamente. La sua voce è disturbata dal continuo scattare di qualcosa simile a un meccanismo. Derek capisce che sta giocando.
-No, non lo sai. Ma grazie per… insomma… grazie.-
-Non ho fatto niente.-
-Invece sì. Hai lasciato che lo portassi qui, che mi prendessi cura di lui. Certe cose non le dimentico e al momento giusto, saprò ripagarti.-
-Non sai badare nemmeno a te stesso, Stiles. Come pensi di potermi fornire alcun favore?-
Lo sbuffo di una risata, misero spettro di quella che Derek ricorda.
-Chi lo sa? Il tempo che abbiamo non è molto, ma forse troverò l’occasione per ripagarti. Che ne dici di un Cubo nuovo?-
Alastor non risponde, così Stiles comincia a salire le scale, diretto alla stanza di Derek. Il licantropo avverte il suo odore farsi più vicino e solo allora schiude gli occhi sulla stanza asettica in cui si trova. A parte il letto, lì ci sono solo un armadio di legno e una scrivania con una sedia. È tutto anonimo, senza stampo né volto.
La porta si apre lentamente, lasciando entrare un ragazzo che Derek riconosce con un sussulto di familiarità. Lo ha sognato, lo ha chiamato, ha scavato in ogni buco di Beacon Hills e dintorni per trovarlo. Eppure ora eccolo lì, in tutta la sua gloriosa semplicità di ragazzo, fragile e gentile così come Derek lo ricorda.
Stiles è cambiato, ma Derek non può fare a meno di riconoscerlo, di guardarlo, di sentire che alla fine, il suo umano è vivo.
-Oh! Sei… sei sveglio.- balbetta Stiles, sbarrando i grandi occhi dorati. Guarda Derek. Per quanti anni il licantropo ha sognato di incontrare nuovamente quegli occhi, quell’espressione ebete, quel sorriso di bambino per nulla cresciuto. Adesso tutto questo è lì e Derek può osservarlo, assaporarlo, anche se con un retrogusto amaro.
Con cautela, prendendo tempo per decidere a quanto ammonti la sua rabbia, Derek lo osserva. Si è fatto crescere un po’ i capelli, che adesso sparano caotici in tutte le direzioni e la pelle è più pallida del solito, con una sfumatura bizzarra che Derek fissa con inconsapevole insistenza. Gli occhi sono cerchiati da occhiaie profonde e le mani tremano intorno al vassoio sul quale è poggiata una tazza di tè affiancata da un familiare piattino di biscotti.
Biscotti. Derek li conosce, quei dolci. Li ha mangiati diverse volte, in un bar deserto dove un barista gentile ma troppo invadente non faceva che offrirglieli quasi di prepotenza. Oddio.
Derek fissa i dolci, poi Stiles. Come se le conferme non fossero già troppe, sulla sua spalla è appollaiato Diablo il corvo. Troppi elementi gli tornano familiari, e questo non va bene.
-Dean.-
Stiles trema più forte e abbassa lo sguardo, mordendosi le labbra. È dimagrito appena, ma paradossalmente appare più… massiccio. Nonostante l’eccessiva larghezza della felpa, Derek nota qualcosa di diverso nel corpo del ragazzo, che adesso sembra più sviluppato, maturo e forte. Certo, non ai livelli di Derek stesso, ma non è difficile notare che anche il suo fisico è cambiato, come se avesse fatto molta palestra.
-Mi devi delle spiegazioni, e questo prima che ti stacchi la testa a mani nude.-
Le parole di Derek sono fredde e cadono come una lama di ghigliottina sul silenzio della stanza. Stiles pare intimorito e adesso occhieggia la porta alle sue spalle come se stesse considerando l’idea di scappare.
-Tu provaci e ti ammazzo direttamente, stavolta senza chiedere spiegazioni.- lo anticipa Derek, snudando i denti. I suoi occhi guizzano del loro consueto blu elettrico e questo sembra convincere Stiles molto più di ogni possibile via di fuga. Il ragazzo capitola con un sospiro e si chiude la porta alle spalle con un piccolo calcio. Schiocca la lingua due volte e Diablo si alza in volo per raggiungere la scrivania, dove si appollaia emettendo un placido gracchio.
Senza una parola, Stiles raggiunge il comodino e vi appoggia il vassoio. Afferra la tazza da tè e la porge a Derek senza guardarlo negli occhi.
-Bevi.- ordina con gentilezza, ma quella è solo la goccia che fa traboccare il vaso. Con uno scatto di rabbia, Derek snuda gli artigli e schiaffeggia la mano di Stiles, graffiandola in profondità e facendo volare via la tazza. Il rumore di ceramica infranta riecheggia nella stanza mentre il licantropo ringhia gutturale e afferra Stiles per la felpa, strattonandolo e accostandolo a sé per costringerlo a guardarlo negli occhi.
Blu e dorato. Zaffiro e odo pallido, come cielo e terra preziosa che si incontrano in un bacio ravvicinato che genera un mondo nuovo e bellissimo, pulito e brillante. Occhi così diversi, dagli sguardi diametralmente opposti. Stiles ha paura, Derek è arrabbiato.
-Non scherzavo prima, moccioso. Mi devi delle spiegazioni, e anche piuttosto convincenti.-
Stiles lo fissa spaventato, gli occhi sbarrati e la mano che adesso sanguina copiosamente, inzuppando le dita di sottili rivoletti cremisi. Diablo gracchia nervoso, pronto a spiccare il volo.
-Diablo, no.- lo ferma Stiles, e stavolta la sua voce è ferma, autoritaria, tanto che lo stesso Derek ne resta sorpreso. Nota che Stiles sembra strano, più vecchio, più stanco. Nel suo sguardo non c’è più la pallida spensieratezza di ragazzo che Derek ha sempre imparato ad attribuirgli. Qualcosa si è spezzato in lui, cambiandolo per sempre e Derek non sa perché questa consapevolezza lo spossa tanto.
-Mi lasceresti andare?- sorride Stiles, ritrovando la calma.
-No.-
-Allora dovrai portarti sulla coscienza la gobba che mi salterà fuori, Sourwolf.-
Derek lo lascia di riflesso perché sentirgli pronunciare quel nome dopo tre anni lo fa sentire stranamente bene. Anche questo, non riesce a spiegarselo.
-Non vado da nessuna parte.- dice Stiles, chinandosi a raccogliere alcuni pezzi di ceramica. Si muove adagio, come se gli facesse male qualcosa. E adesso, grazie a Derek, l’odore del sangue invade l’intera stanza. Il licantropo si costringe a sopprimere il senso di colpa perché Stiles merita questo trattamento, come minimo. Anzi, meriterebbe di peggio.
Stiles si siede ai piedi del letto, stando bene attento a non invadere gli spazi di Derek. Fissa il pavimento con sguardo vuoto, anziano, che Derek non riesce ad attribuirgli.
-Sì, forse ti devo una spiegazione. Ma… non posso, Derek.- sussurra alla fine, esausto. Socchiude gli occhi, improvvisamente lucidi di lacrime. Le sue spalle si piegano come quelle di un vecchio. –Se ti dicessi qualcosa… succederebbero delle cose brutte. Sappi questo, solo questo: io sono dalla vostra parte. Sto facendo del mio meglio per proteggere voi e questa città, ma ogni mia mossa appare sbagliata, e a pagarne le conseguenze sono sempre gli innocenti. Io…-
Stiles seppellisce il viso tra le mani, sporcandosi di sangue.
Derek lo fissa impassibile, le labbra strette e i pugni serrati.
-Non puoi spiegarmi? Me lo devi, Stiles. Lo devi a me, a Scott e a tutti gli altri! Ti abbiamo cercato per tre anni e tu…-
-Non potevo essere trovato!- urla Stiles all’improvviso, sollevando il viso insanguinato. –Non potevo e basta! E ringraziate il cielo che non sia accaduto o… o…-
La voce di Stiles si spegne in un soffio esausto e improvvisamente il ragazzo appare privo di forze, come se avesse corso mille miglia in una notte. Si alza sotto lo sguardo gelido di Derek.
-Ho fatto tutto questo per voi, Derek. Mi conosci: pensi davvero che potrei aver agito in funzione di ferirvi? Guardami negli occhi e dimmelo se la pensi così.-
Stiles lo fissa con sguardo tormentato, lucido di lacrime non versate. Il suo viso è troppo pallido, i suoi occhi troppo sofferenti. Qualcosa lo appesantisce, facendolo soffrire come un cane, ma dietro quello sguardo Derek vede il vecchio Stiles, lo stesso che gli ha salvato la vita diverse volte, lottando al suo fianco anche quando erano nemici. Stiles è sempre stato questo, dopotutto: un giusto. Sempre pronto a lottare per il bene, sempre pronto a sacrificarsi in funzione di una giustizia reale, viva, per la quale non ha mai perso le speranze.
E niente al mondo potrebbe contaminare di malignità quel ragazzo così sincero, così genuino. Lo stesso ragazzo che per qualche motivo ignoto perfino a se stesso, Derek non ha mai smesso di cercare.
-No, non la penso così.- dice alla fine. –Ma questo non giustifica il tuo comportamento.-
Aggrotta le sopracciglia per rimarcare il concetto, facendo ridere Stiles di una risata reale, felice, che per un attimo cancella la sua stanchezza. È un suono bellissimo, che invade la stanza e sembra riempirla di luce.
-Oh, mi mancavano le conversazioni con le tue sopracciglia!- esclama, indicandolo. Derek sbuffa.
-E mi mancavano anche gli sbuffi. Sai, una volta ho incontrato un tipo che…-
-Stiles.-
-Cosa?-
-Stai zitto.-
Stiles obbedisce, ma lo fa sorridendo. Torna a sedersi sul letto, stavolta più vicino a Derek, che non gli stacca gli occhi di dosso. La vicinanza del suo odore gli pizzica il naso, inebriandogli i sensi. È un aroma buono, che sa di pulito, limone e incenso. Bizzarro, come odore. Ma bello.
-Sii sincero almeno su questo, Stiles: eri davvero tu al Dogma?-
Stiles lo guarda. –Parli di Dean? Sì, ero io.-
-Come hai fatto?-
Stiles sorride di nuovo e infila una mano sotto la felpa. Estrae un piccolo ciondolo nero, scolpito in pietra lavica. Rappresenta una stella a sei punte, delle quali cinque appaiono praticamente bruciate. Bizzarro, ma quella collana puzza di… putrefazione? Possibile?
Davanti agli occhi attenti di Derek, Stiles chiude il pugno intorno alla collana e stringe finché le nocche sbiancano e i tendini si stiracchiano al massimo sotto la pelle.
Si ode uno schiocco secco e, quando Stiles distende le dita, lascia cadere i miseri brandelli della collana, che piovono come pulviscolo oscuro dalla sua mano.
-Ormai non serve più.- sorride Stiles, guardandosi il palmo arrossato.
Derek sbuffa dal naso, piccato. –Immagino che non dirai nemmeno dove l’hai presa. E suppongo che anche i tuoi nuovi… amici… rientrino nel pacchetto di segretezza.-
-Uh… sì? Be’, se vuoi sentirmi parlare di Dumah, ti basti sapere che è una grandissima… ehm… ragazza dai facili costumi. Alastor è meglio, ma ti consiglio di star lontano da tutti e due. E dai loro compagni animali.-
Derek fissa Diablo. –Da quando ti porti dietro un corvo? Mi sembri più tipo da roditori, in verità.-
-Ha. Ha.- Stiles finge una risata sarcastica. –A te invece affibbierei un bel lupo con la rabbia, che ne dici? Stupido Sourwolf!-
A malincuore, Derek trattiene un sorriso. Si raddrizza e fa perno sul materasso per cercare di alzarsi. La pelle all’altezza del torace tira e brucia da morire, come se vi avessero versato sopra dell’acido, ma Derek è abituato a sopportare il dolore, perciò non si piega.
-Ehi, non ti azzardare!-
Stiles gli preme una mano sulla spalla nuda nel tentativo di spingerlo giù, ma Derek sbuffa un ringhio.
-Togli quella mano o te la stacco.-
-E tu finiscila di fare il bambino o gli unici arti inermi diventeranno i tuoi, e questo perché saranno quelli di un morto per dissanguamento!-
Derek si solleva un altro po’, ignorando le proteste di Stiles. Il ragazzino si merita anche questo, perciò meglio per lui che tenga per sé ogni possibile malumore.
-E va bene, ho capito! Ma se ti si riapre la ferita, te la ricuci da solo!-
Derek abbassa lentamente gli occhi sul suo torace. Qualcuno gli ha ricucito minuziosamente la ferita, applicando i punti così bene che quasi non si vedono.
-Sei stato tu.-
-Seh. Cosa ti aspettavi, che ti lasciassi morire dissanguato?-
-La cosa non mi avrebbe sorpreso.-
Derek capisce di aver detto la cosa sbagliata quando vede Stiles strabuzzare gli occhi e arrossire di rabbia. Scatta in piedi così velocemente che Derek non ha il tempo di fermarlo.
-Ho capito. Hai ragione, forse non mi sono comportato bene. Ma ti ho appena detto che ho avuto i miei motivi e questo non ti autorizza a dire certe… certe stronzate.-
Derek sta per rispondere quando la porta si spalanca di nuovo, rivelando la sagoma di Alastor e del suo fedele gatto Zwei.
-Stiles.- chiama, entrando nella stanza. –Dumah ha trovato qualcosa, ma dice di avere bisogno di te.-
Stiles distoglie faticosamente lo sguardo da Derek. –Sì. Sì, ho capito. Ma verrai anche tu.-
-Non ho intenzione di farlo.-
-Non ti lascio qui con Derek, Alastor. O andiamo insieme, o io non mi muovo.-
Alastor dilata le narici. –Non prenderti troppe libertà, ragazzino. Tu fai quello che dico, o ti rispedisco da dove sei venuto. E ora muoviti.-
Stiles si frappone cautamente tra Derek e Alastor, muovendosi adagio, come se il bambino fosse un puma pronto ad attaccare.
-Alastor… possiamo parlarne?-
-No. Mi annoia uscire là fuori inutilmente.-
Stiles fissa Derek di sottecchi, preoccupato. Non si sposta, non accenna a muoversi e straordinariamente, resta immobile anche quando Alastor si avvicina esageratamente e, alzandosi sulle punte, lo strattona per la felpa, costringendolo a chinare il busto. Gli stringe la mano libera intorno al polso, fissandolo negli occhi con sguardo gelido, fermo, che non ha nulla a che fare con quello di un bambino.
Quella posizione infastidisce profondamente Derek. Troppa vicinanza, troppa confidenza. Sente gli odori di Alastor e Stiles mescolarsi, il cuore del secondo palpitare con troppa forza. Ma, prima ancora che il licantropo riesca a muovere un muscolo, Stiles inarca violentemente la schiena, come se gli avessero dato un pugno nello stomaco. Derek scende dal letto di scatto, ignorando il dolore al torace.
-Stiles.- lo chiama, spingendo via Alastor e frapponendosi tra i due. Si prepara a snudare gli artigli, le zanne già estese e i muscoli contratti. Ma Alastor non pare impressionato. Fissa con indifferenza prima lui, poi Stiles.
-Ti do cinque minuti.- E detto questo, lascia la stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Derek si volta e afferra Stiles per le spalle, cercando di aiutarlo a raddrizzarsi.
-Ma che cavolo ti prende?-
L’altro inspira bruscamente, come se gli avessero infilato un ferro rovente in gola. Ha gli occhi serrati e le gambe tremanti. Derek lo sostiene appena comprende che crollerà a breve.
-Stiles. Dimmi che cazzo sta succedendo.-
Ma Stiles scrolla il capo e improvvisamente si calma. Rilassa il corpo di scatto, aggrappandosi alle braccia muscolose di Derek. Ogni tremito cessa e Stiles torna a respirare con più calma, improvvisamente sereno, come se ogni cosa fosse scivolata al suo posto grazie al semplice abbraccio di Derek. Stiles sente il suo profumo, quel profumo che gli è mancato troppo a lungo, misto al calore del suo corpo. Gli sembra di varcare le soglie del Paradiso in quel momento, grazie al solo respiro di Derek così vicino al suo orecchio. Lo sente vivo, forte, fiero. Proprio come ricordava, proprio come è sempre stato effettivamente. Non gli interessa cosa possa pensare l’altro, non gli interessa il fatto che forse Stiles non potrà mai dichiararsi all’unico uomo che ha sempre amato: lui è felice così, nel suo piccolo angolo di spensieratezza che solo Derek può donargli.
È per questo che inspira con calma, sulle labbra l’ombra di un sorriso sereno che non credeva di poter ritrovare tanto facilmente.
Si raddrizza lentamente, pur senza staccarsi totalmente da Derek. Stiles ha gli occhi bassi, le guance colorate di rosso, ma vuole tentare. Ha bisogno di tentare. È una mossa azzardata, folle, ma… forse ne vale la pena. Per lui è così, almeno.
-Derek… ora devo andare, ma… mi chiedevo, insomma… ti andrebbe di prendere un caffè domani notte? Come amici, si intende, ma se non vuoi va benissimo lo stesso, cioè, no, non va bene, solo che me lo farò andar bene e…-
-Stiles.-
-Sto zitto.-
Stiles lo oltrepassa di corsa, zoppicando. Barcolla un po’, ma non è questo a fargli male: si sente incredibilmente stupido. Come ha potuto pensare anche solo per un momento che…
-Va bene.-
Stiles si volta così di scatto che il collo scricchiola e comincia a fargli male, ma non gli interessa. Non è certo di aver sentito bene. Anzi: non ha sentito bene e basta, e questo perché Derek non può aver davvero…
-Stiles.- Derek si avvicina, l’ombra di un sorriso beffardo sulle labbra. È così bello con la luce della luna che gli bagna il torace muscoloso, nudo e a stento coperto da sottilissime bende. Stiles non gli dirà mai che ha passato circa sei ore a cucirgli la pelle e a pulirlo dal sangue con patetica devozione. In realtà, Derek non saprà mai niente dei suoi sacrifici, ed è giusto così. Stiles si costringe a farselo andare bene.
-Ho detto che va bene.- ripete Derek, e allora Stiles sbarra gli occhi.
-Dav… davvero?- esclama in un ridicolo falsetto che accentua il sorrisetto di Derek.
-Davvero. Ma se provi a sparire di nuovo, ti vengo a cercare e ti stacco la testa. Sto ancora aspettando delle spiegazioni e non mi arrenderò tanto facilmente.-
Stiles annuisce, quasi sordo a ciò che ha appena detto. Non riesce a staccare lo sguardo dagli occhi iridescenti dell’altro: non li ricordava così verdi. È come se tutti gli smeraldi del mondo si fossero fusi in un’unica colata di colore, brillante come la luce delle stelle, morbido ed evanescente come una delle più splendide nebulose dell’universo.
-Io… è okay, allora. Ci… ci vediamo alle… ti va bene alle dieci davanti al Dogma?-
-Dean non deve lavorare?-
Stiles sorride. –Quella notte non lavorerà. I suoi collaboratori se la caveranno. E poi… il ciondolo è a pezzi, ormai. Dean non tornerà.-
Con queste parole, Stiles si volta e quasi esce dalla stanza, ma la voce di Derek lo ferma sulla soglia.
-Stiles.-
Il ragazzo si volta appena per scrutare il licantropo, che adesso si gratta la nuca con evidente nervosismo. Occhieggia la ferita, poi la stanza, ma apre e chiude la bocca senza parlare.
-Io…-
Stiles schiocca la lingua per attirare la sua attenzione. –Non c’è di che, Sourwolf. Come ai vecchi tempi.-
Derek annuisce, improvvisamente povero di parole. Vorrebbe ringraziarlo per tutto: per avergli offerto i biscotti, per avergli ricucito la pelle, per averlo salvato da Dumah. Ha ancora tanto da dirgli, ma ogni parola, ogni domanda… restano bloccate lì.
Stiles esce dalla stanza quasi saltellando, la stanchezza e il dolore improvvisamente dimenticati. Somiglia così tanto al suo vecchio sé passato, in questo momento, ma Derek continua ad avvertire una sorta di profonda malinconia in lui, come un veleno intrinseco che mai andrà via. Derek si chiede cosa sia accaduto veramente e capisce solo in quel momento che alla prima occasione costringerà Stiles a parlare, con le buone o con le cattive.
 
Angolo dell’autrice:
Sono in ritardo? Porca Sterek, sono in ritardo. Ok, per una volta non è proprio colpa mia. Per una volta. Maledetto il pc che non fa il suo porco dovere quando deve. Ma, torniamo a noi!
Ammetto di essermi mantenuta ancora una volta sul vago riguardo la storia, ma ho ancora molti punti da chiarire e avrò modo di farlo col calma. Forse qualcosina l’avete intuita già, ma non diamo niente per scontato.
Stiles: ho paura.
Fai bene ad averne. Troverò in ogni caso il modo di farti crepare se continui a nascondermi i calzini lasciando in giro biglietti con su scritto “Dobby è un elfo libero”. E ora sciò!
Spazio alle anticipazioni!


“…In quel momento, il suo cellulare comincia a squillare. È Lydia e Derek si maledice mentalmente per aver dimenticato di aver chiesto alla ragazza di fare qualche ricerca sugli amici di Stiles.
-Derek, sono io.-
-Lydia, hai scoperto qualcosa?-
La ragazza esita. –Sì, ma…”


E rieccoci dunque alla fine di questo angolino per ringraziare di cuore coloro che con pazienza e infinita dolcezza hanno contribuito a commentare questa storia, rendendo possibile il suo proseguimento e quel pizzico di fiducia in più che mi consente di scrivere e impegnarmi ogni volta come se fosse la prima. Grazie, lupacchiotti recensori. Ancora una volta, e con la speranza di leggere ancora le vostre opinioni… grazie.
Drarry90
Nye
RedLesbian
Cecix
Stilba
Damon_Soul93
Spohi33
Hikari_n
Tetra_
Allen99

Grazie ancora e a prestissimo!

Tomi Dark Angel
 

 

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Capitolo 5
*** Un Angolo Di Paradiso ***


“Per lor maledizione sì non si perde,
che non possa tornar, l'etterno amore,
mentre che la speranza ha fior del verde.

 
Alla fine, Derek non ha detto niente a Scott di Stiles. Per qualche oscuro motivo, ha sentito che quella fosse la cosa giusta da fare, nei confronti di Stiles e di tutti loro. Quella situazione è così assurda che lo stesso Derek fatica a focalizzarla, come se osservasse ogni cosa attraverso un obbiettivo fotografico che fatica a mettere a fuoco.
Ripensa a ciò che ha detto Stiles, ripensa al suo aspetto distrutto quando Derek lo ha incontrato. Non sembrava lui. Qualcosa si è strappato nel suo animo, e questo aiuta Derek a odiarlo di meno, ma solo perché prova pena per lui. Pena, sia chiaro. Non tenerezza o istinto di protezione. Queste cose si provano per i cuccioli, e Derek non è un tipo paterno o protettivo. Non fa per lui, questa cosa. Assolutamente no.
Derek ha trascorso la giornata a ignorare le telefonate di Scott e a girovagare per i boschi. È passato inconsciamente davanti al Dogma e ha intravisto Dumah servire alcuni clienti sfoggiando un sorriso appena più ampio della sua infinita scollatura. Ha guardato Derek attraverso una finestra e ha sventolato una mano, come se fossero vecchi amici.
Grandissima stronza.
Vuole vederci chiaro in tutta la faccenda, ma nonostante sia certo di incontrare Stiles quella sera, sa anche che non otterrà risposte dal ragazzo. Derek ripensa al tono disperato di Stiles quando ha confessato di non potergli raccontare nulla: è come sbattere la testa contro un solido muro di mattoni con la certezza che quel muro non si scalfirà nemmeno.
Ma Derek ha bisogno di risposte.
Continua a camminare lentamente tra gli alberi, le mani infilate nelle tasche dei jeans, il capo chino. Cosa avrebbero fatto Stiles e Scott per scoprire qualcosa su una qualche creatura non propriamente umana? Cosa avevano fatto per scoprire la vera natura di Derek?
Il licantropo pensa, si spreme le meningi, e alla fine capisce: dati. Scott e Stiles raccoglievano quanti più dati possibili sulla creatura e poi si affidavano al caro vecchio internet, così carico di leggende da apparire a volte quasi meglio di un bestiario. Il problema poi, è nello scoprire cosa è vero e cosa no, ma Derek non ha intenzione di fare tutto da solo. Hanno ancora una cervellona a disposizione, anche senza Stiles.
Afferra il cellulare e compone velocemente un numero. Dopo due squilli, Lydia risponde.
-Pronto?-
-Lydia, sono io.-
-Derek? Accidenti, vuoi rispondere al telefono? Scott sta impazzendo dalla preoccupazione, pensa…-
-Ho bisogno di un aiuto.-
-Se me lo chiedi così gentilmente, l’aiuto potresti ficcartelo su per il…-
-Lydia, sono serio.-
-Anche io.-
Derek si passa una mano sugli occhi, cercando di calmarsi. Quando ci si mette, Lydia sa essere più insopportabile di un neonato che piange tutta la notte.
-Ok, Lydia. Te lo chiedo gentilmente, e vedi di rispondere “sì”: potresti aiutarmi?-
Lydia attende qualche minuto, poi parla: -Ora va meglio. Cosa c’è?-
-Devi fare una ricerca per me.-
-C’entrano delle creature sovrannaturali, vero?-
-Avrei chiesto il tuo aiuto, altrimenti? Sei tu la cervellona del gruppo.-
-Lo sono solo adesso. Un tempo era…-
Lydia si zittisce, forse rendendosi conto di aver parlato troppo. Non sa che Stiles è vivo, non sa che Derek lo vedrà quella sera stessa. E non deve saperlo.
-Ascoltami, è importante.- dice Derek alla fine, appoggiandosi al davanzale della finestra. Pensa a tutto ciò che sa sugli amici di Stiles, al loro aspetto, ai particolari che li distinguono dalla massa. –Devi rintracciarmi delle creature molto forti e veloci, particolarmente intelligenti e… con degli animali a seguito. Finora posso elencarti un furetto, un gatto nero e un corvo imperiale.-
Attraverso il telefono, Derek sente il grattare di una penna. Lydia sta prendendo appunti.
-Questi dati potrebbero rientrare in una miriade di categorie diverse, Derek. Nelle leggende, sono le streghe a portarsi appresso degli animali.-
No, decisamente gli amici di Stiles non sono streghe.
Derek capisce che deve azzardare qualcosa di più, per quanto risulti pericoloso e prossimo al farsi scoprire.
-Ho dei nomi… Alastor e Dumah.-
Di nuovo quel grattare. Lydia resta in silenzio, forse occhieggiando le parole da lei stessa scritte su carta.
-Alastor, mh? Non so, ma questo nome mi dice qualcosa. Forse l’ho già sentito da qualche parte.-
Derek tende i muscoli. –Dove?-
-Non lo so, accidenti! Te lo farò sapere, ok? Ma questo solo se rispondi a Scott quando ti chiama al telefono. Non fare l’asociale.-
Derek sbuffa, ma non nega di aver evitato volutamente Scott e le sue continue chiamate. Sa che è andato a casa sua, forse per parlargli del cadavere che hanno appena trovato, lo stesso che Derek ha visto morire tra le braccia di Stiles.
-Appena so qualcosa ti chiamo.- dice Lydia dopo qualche attimo di silenzio. –A presto, Derek. E ricordati di rispondere al cellulare, o potrei infilarti un tacco laddove non batte il sole.-
Lydia attacca prima che Derek abbia il tempo per rispondere.
 
Quando Derek si dirige all’appuntamento, sono da poco passate le dieci. Si concede un piccolo ritardo per far capire a Stiles che non l’ha perdonato davvero e che non ha aspettato l’ora dell’appuntamento con tanta trepidazione. Derek vuole dare l’impressione di essere lì per caso, e questo perché in realtà è l’esatto opposto.
Non ha idea di cosa gli sia successo quando ha rivisto Stiles. Sa solo che da allora non ha smesso di pensare a lui, alla sua voce, ai suoi occhi lucidi di lacrime. Troppe volte Derek ha accarezzato i punti che gli incidono il petto semplicemente perché li ha applicati Stiles e arrecano il suo odore. È una cosa bizzarra, istintiva, che spaventa Derek più del lecito. Per un po’ ha addirittura pensato di annullare l’appuntamento, ma Stiles non l’avrebbe presa per niente bene. Perciò, Derek è sceso a un compromesso: manterrà le distanze e cercherà in qualche modo di strappare al ragazzo un barlume di verità in attesa delle risposte di Lydia.
Quando Derek arriva sul luogo dell’appuntamento, Stiles è già lì. Profuma di pulito e dopobarba e ha evidentemente cercato di sistemarsi i capelli con un po’ di gel, col solo risultato che adesso la sua capigliatura è totalmente fuori controllo. Indossa una larga camicia a quadri e dei jeans che affondano negli scarponcini.
Non l’ha ancora visto, perciò Derek si prende tutto il tempo necessario per studiare con calma circospetta le occhiaie dell’altro, il suo colorito pallido e il bizzarro riflesso della pelle che il licantropo non riesce a classificare. Ha la sensazione di guardare qualcosa senza vederla davvero, come se la osservasse solo con la coda dell’occhio.
Stiles si passa una mano sugli occhi, assonnato. Sulla sua spalla, Diablo sonnecchia placidamente con la testa nascosta sotto l’ala.
-Ehi.- Stiles picchietta dolcemente una mano sul dorso dell’animale, che si riscuote con un verso stizzito. –Lo so, non dovrei svegliarti, ma questo non è il posto giusto per schiacciare un pisolino. Almeno per stasera… vai. Torna a casa, o fatti un giro. Io starò bene.-
Diablo lo fissa, domandandogli silenziosamente se sarà realmente così. Stiles sorride e gli accarezza la testa con affetto incondizionato, che addolcisce il cuore di Derek come un balsamo benefico.
-Sì, sta tranquillo. Derek è un tipo apposto.-
Diablo gracchia.
-No, lo sai. Io… non so nemmeno perché sto facendo questa cosa. Se il capo mi becca, le crisi mestruali di Dumah saranno l’ultimo dei miei problemi.- Stiles sorride sornione e alza gli occhi al cielo. C’è qualcosa nel suo sguardo, come una scintilla emozionata che Derek ha creduto di non vedere più. Lo guarda esibire quegli occhi di bambino su un viso sofferente ma improvvisamente rasserenato. Sembra quasi il vecchio Stiles. Quasi. Eppure, è… bellissimo?
-Ma si tratta del Sourwolf, Diablo. Non posso voltarmi dall’altra parte per l’ennesima volta. L’ho fatto troppo spesso e non è giusto. Non credo in alcuna possibile uscita da questa situazione, ma almeno, finché sono qui e posso vedere il sole e la luna, voglio fingermi vivo un’ultima volta. Prendilo come un pensiero egoistico.-
Derek si accorge di aver stretto i pugni e serrato le labbra. Nella sua mente continuano a rimbombare le parole di Stiles, la serenità rassegnata della sua voce, il modo benedetto in cui ha pronunciato il suo nome. Sorride, pare tranquillo, ma Derek non smette di avvertire in lui quella sofferenza, la stanchezza di un peso che continua a schiacciarlo fin quasi a uccidergli la luce viva che brilla nei suoi occhi.
-Assicurati che Dumah e Alastor facciano i bravi e tieni sotto controllo la situazione, ok? Mi fido di te.- conclude Stiles alla fine, picchiettando l’indice sul becco del corvo.
Diablo spalanca le ali e si leva in volo, gracchiando. Descrive ampi cerchi sulla testa di Stiles prima di innalzarsi oltre il manto di tenebre e sparire in lontananza come un puntino sempre più piccolo, ombra tra le ombre.
È allora che Derek decide di palesare la sua presenza: abbandona la protezione dell’oscurità per mostrarsi agli occhi di Stiles. Appena lo vede, il ragazzo comincia ad agitarsi. Derek avverte i forti odori di sollievo e imbarazzo, misti a qualcosa che non riesce a riconoscere. Paura? Inquietudine?
-Per fortuna sei arrivato, Sourwolf!-
-Ti avevo detto che sarei venuto.-
-Sì, ma pensavo che…-
Che ci avesse ripensato. Derek completa mentalmente la frase, stupendosi egli stesso di quanto Stiles appaia sollevato. Lo vede premersi una mano sul petto e sorridere sereno, così come avrebbe sorriso il vecchio Stiles.
-Grazie per essere venuto, comunque. So che… insomma… non deve essere facile per te… accettare tutto questo.-
Derek corruga le sopracciglia ma non risponde. Si limita a fargli un cenno per indicargli di fare strada e Stiles ubbidisce senza protestare, dando vita alla fiumana di parole che Derek ha sempre pensato di odiare. Adesso però, quei discorsi insensati e perennemente ininterrotti sanno di casa, di serenità. È come tornare indietro nel tempo, con Stiles che gli saltella accanto e gesticola come un pazzo, simile a un cucciolo sovreccitato. Non sta mai fermo, non si zittisce mai. Arriva addirittura a parlare di vecchie esperienze passate vissute in compagnia di Scott.
Parla del suo migliore amico e di quella volta in cui hanno per sbaglio rotto il finestrino dell’auto dello sceriffo e poi sono scappati.
Parla di quella volta in cui ha rovesciato il caffè addosso all’insegnante di storia e quello l’ha sbattuto in punizione per due giorni perché, testuali parole, “A quella camicia ci ero affezionato, Stilinski!”.
Argomenti inutili, banali, ma che Derek si sorprende ad ascoltare con meticolosa attenzione. Fa finta di ignorarlo, quando in realtà non fa che fissare Stiles di sottecchi quando lui si distrae. Profuma di buono e di felicità, odori che Derek pensava di aver dimenticato per sempre. Non lo ammetterebbe mai a se stesso, ma passare del tempo con quel ragazzino molesto… è bello. Gli fa dimenticare tutte le cose brutte accadute negli ultimi anni di vita, come se non fossero mai esistite. A Stiles basta poco per arrivare dove altri hanno fallito. Come diavolo faccia, Derek non lo sa.
-E tu, Sourwolf?- dice improvvisamente Stiles, svegliandolo dai suoi pensieri. –Cosa hai fatto in questi… in tutto questo tempo? Sposato qualche psicopatica, fatto a pezzi rettili assassini, preso a cazzotti Scott quando perdeva la testa…-
Suo malgrado, Derek accenna un piccolo sorriso. –Non ho sposato nessuno e no, non ho incontrato molti rettili assassini negli ultimi anni. Sembrano essere tutti spariti, forse per il letargo.-
-Oh, cavoli! E io che ci speravo…-
-Speravi di dover indagare su qualche nuova creatura sovrannaturale che si diverte a fare a pezzi la gente? Non credo che tu abbia aspettato molto, visti gli ultimi omicidi che sono avvenuti nei pressi della città.-
Stiles tossisce e cambia argomento. Maledizione.
-E allora… fidanzate, almeno? Compagne?-
-Niente del genere.-
-Oh, bene!-
Derek si volta a guardare Stiles con un sopracciglio inarcato e quello sbianca improvvisamente, l’arcana sfumatura della pelle che guizza alla luce dei locali. Derek quasi non ci fa caso, concentrato com’è a fissare Stiles negli occhi.
-No, non intendevo… insomma, visti i tuoi precedenti con le ragazze, ho pensato che fosse meglio…-
-Stiles.-
-Sì, ho capito. Sto zitto.-
Derek sbuffa forte dal naso, soffocando un altro sorriso.
Continuano a camminare in silenzio, fianco a fianco, senza sentirsi troppo in imbarazzo. Stiles non parla più ma sembra a suo agio. Ha le mani in tasca e lo sguardo distante, come se stesse pensando intensamente a qualcosa. Derek lo fissa ancora di sottecchi, senza farsi scoprire.
-Lo sceriffo sa che sei qui?- domanda il lupo all’improvviso.
Stiles rallenta appena, gli occhi appesantiti da quella tristezza che Derek non riesce a sopportare. –Non lo sa nessuno. Non doveva saperlo anima viva, in realtà.-
-Avevi intenzione di continuare a girovagare sotto le spoglie di Dean?-
Stiles si esibisce in un sorriso di scuse. –Era la mia unica possibilità. Voi non vedevate me, ma io vedevo voi.-
È un’ammissione talmente sincera che Derek non fatica a comprenderne il significato: Stiles aveva scelto all’inizio di guardarli da lontano, soffrendo in silenzio perché incapace di avvicinarsi. Quante volte l’ha fatto in precedenza? Derek ripensa freneticamente a tutti gli sconosciuti con cui ha interagito, ma la lista è veramente corta. Non è tuttavia certo che qualcuno non l’abbia guardato da lontano, senza attirare la sua attenzione. Possibile che non se ne sia accorto?
-Oh, guarda!- esclama Stiles con troppa enfasi. –Siamo arrivati!-
Derek alza gli occhi sul bar che hanno raggiunto. Non è molto elegante, né molto affollato. Un po’ somiglia al Dogma, ma Derek ha sentito parlare dei dolci che servono in quel posto, così come del suo caffè. Tuttavia, il luogo appare piuttosto anonimo e Derek non si stupisce di conoscerlo così poco, di nome e di fatto.
-So che non ti piacciono i luoghi affollati, perciò ho scelto di portarti in un posto appena più deserto degli altri. Fanno dell’ottimo caffè e i dolci sono veramente buoni.-
Derek lo fissa in silenzio, domandandosi quanto ancora quel ragazzino sappia di lui. Ha scelto quel bar in piena consapevolezza del suo essere asociale e terribilmente allergico alla troppa gente. Derek ama i luoghi isolati e detesta i rumori forti o il chiacchiericcio della gente, e questo Stiles sembra ricordarlo alla perfezione.
-Che c’è? Se non ti piace possiamo…-
-No, va bene.-
Stiles sbatte le palpebre, stordito. Poi si esibisce in un sorriso sgargiante e lo oltrepassa, spingendo la porta per entrare.
Il campanellino tintinna, annunciando il loro ingresso. Il locale è ampio, con lucide pareti lignee e tavolini tirati a lucido. Ai muri è appesa una grossa chitarra elettrica e diversi dischi in vinile. Come da programma, ci sono appena due o tre clienti in giro.
-Ehi, Stiles!-
L’odore di zucchero filato e incenso pizzica il naso di Derek prima ancora che il ragazzo li raggiunga. È alto e slanciato, coi capelli biondi spettinati ad arte che gli cadono sulla fronte. Gli occhi azzurri dal taglio un po’ orientale sono truccati e indossa stretti pantaloni di pelle, una maglia nera e rossa strappata in più punti e scarponcini da militare che s’accordano ai numerosi bracciali, catene e orecchini. Nel complesso, quel buffo ragazzo sembra una rockstar anni ottanta.
-Ehi, Valefar!- saluta Stiles di rimando. Gli corre incontro sorridendo, poi stringe la mano del ragazzo e lo abbraccia brevemente come se fosse un fratello appena ritrovato, un gesto che Derek non gli ha mai visto compiere con nessuno se non con Scott. Qualcosa comincia a urtargli fastidiosamente i sensi, spingendolo a serrare i pugni.
Chi è quel ragazzo? Perché ha tanta confidenza con Stiles? Come mai può toccarlo con tanta libertà? Derek non lo riconosce, deve essere nuovo a Beacon Hills. È un caso che sia arrivato praticamente insieme a Stiles?
Valefar si volta a guardare Derek, che ricambia l’occhiata con una decisamente minacciosa.
-Oh, chi abbiamo qui? È tuo amico?- domanda Valefar, per niente intimidito dalle occhiatacce di Derek. Si allontana di un passo da Stiles, come se intuisse il motivo del fastidio dell’altro.
-Sì, lui è Derek.- risponde Stiles con un accenno di imbarazzo. Si avvicina al licantropo con fare protettivo, come se volesse proteggerlo da Valefar mentre i due si stringono la mano. La stretta di Valefar è salda, ma è Derek che stringe fin quasi a spezzargli le dita, conscio che con quella mano, il ragazzo ha toccato Stiles pochi istanti prima.
Che cavolo gli succede? Non è da lui perdere le staffe per delle stupidaggini.
Valefar gli libera la mano e indica un tavolo alle sue spalle particolarmente appartato. È lontano dall’uscita ma vicino a una finestra.
-Sedete lì, ragazzi. Vi porto i menu.- Si allontana con passo felpato verso il bancone, dove un omone dalla barba rossiccia e la testa calva li fissa interessato.
Stiles e Derek si siedono uno di fronte all’altro, improvvisamente silenziosi. In linea del tutto eccezionale, Stiles sembra aver esaurito gli argomenti e Derek è sempre stato un tipo di poche parole. Quel silenzio è imbarazzante, ma almeno Derek vorrebbe riempirlo nel modo giusto, anche se saprebbe che Stiles non risponderebbe alle sue domande.
Cosa gli è successo in quei tre anni? Perché non si è fatto vivo col branco? Derek vorrebbe sapere ogni cosa, capire, ma stavolta si limita al silenzio e al contrario, si ferma a guardare l’altro, i cui occhi schizzano dappertutto come impazziti. Derek non si è mai accorto di quanto quelle iridi siano dorate, come colata di metallo fuso e brillante, calda e bellissima.
Di punto in bianco, Stiles comincia a tamburellare le dita sul legno, incapace di star fermo. Le dita si muovono come impazzire, picchiettando il tavolo e producendo un ticchettio che fa uscire di testa Derek.
-Smettila.- Derek gli afferra la mano istintivamente, stringendo la presa intorno alle dita affusolate. La pelle di Stiles è molto calda, come se avesse la febbre. E liscia. Morbida. Dà una strana sensazione, come una scarica elettrica che Derek non riesce a contrastare. S’incastra dolcemente contro il suo palmo, aderendo alla mano di Derek, che sembra nata per stringere quella di Stiles e nient’altro.
Hanno mani così diverse, diametralmente opposte le une alle altre: quelle di Derek sono abituate a percuotere, il che le rende ruvide e callose, con nocche accentuate e tendini in rilievo che quasi premono contro la pelle olivastra.
E quelle di Stiles? Derek osserva bene la mano stretta nella sua, così piccola e sottile, così magra e affusolata. Quelle sono mani da violinista, con dita magre e delicate sotto uno strato di pelle pallida che ancora riluce di quello strano riflesso che Derek stavolta cerca di decifrare con tutte le sue forze.
Cosa ci fanno insieme? Di tutto il branco, perché Stiles ha scelto di contattare lui, che è così diverso dal piccolo umano? Perché Derek?
Il licantropo ci mette un po’ a realizzare cosa sta facendo. Si accorge di aver accentuato la stretta sulla mano di Stiles mentre il pollice descrive piccoli cerchi sulla pelle dell’altro. È un riflesso istintivo, naturale come il semplice respiro. E Derek è sempre stato un tipo istintivo a causa del suo essere metà lupo.
Sottrae velocemente la mano mentre Stiles tossicchia imbarazzato e nasconde il palmo sotto il tavolo. Non lo guarda in faccia ma ha le gote rosse d’imbarazzo. Cerca di parlare, ma in quel momento Valefar li raggiunge con due grossi menu.
-Ecco a voi, ragazzi.- Appoggia i menu sul tavolo e stringe la spalla di Stiles con dolcezza e fin troppa confidenza per i gusti di Derek. –Divertitevi.-
Fa l’occhiolino a entrambi e si allontana saltellando, molto simile a Stiles in alcune movenze. Questa cosa a Derek non piace per niente: quando ha avuto il tempo di assimilare il comportamento di Stiles?  
-Allora, voi… siete amici?- domanda Derek con finto disinteresse. Stiles ridacchia, fissando con affetto Valefar, intento a pulire il bancone fischiettando “Highway to Hell” degli ACDC.
-Oh, sì. Valefar è stato il mio unico amico in questi tre anni. È a lui che devo… molti bei momenti. E altrettanta gratitudine.-
Derek trattiene un ringhio, ma sente già le zanne affilarsi all’interno della bocca. Si impone di restare calmo, ben conscio che se staccasse la testa a Valefar lì davanti a tutti non potrebbe farlo passare per un incidente.
-Sembri volergli molto bene.-
-Sì, è così… allora, cosa prendi?-
Stiles non sembra intenzionato a parlare di Valefar. Come con Dumah e Alastor, evita l’argomento o lo schiva cambiando discorso con educazione, cercando di nascondere la sua ritrosia. Si nasconde dietro il menu e lo sfoglia lentamente. Derek odia il non poterlo guardare in faccia.
-Un semplice caffè andrà benissimo.- risponde freddamente, incrociando le braccia in un gesto di stizza.
Stiles scuote il capo. –Non se ne parla, devi mettere qualcosa sotto i denti! Non costringermi a fartelo dire da Dean.-
-In effetti quel Dean risultava parecchio antipatico.-
-Non è vero! Era fantastico e molto figo!-
-Stiamo parlando della stessa persona?-
Stiles gonfia le guance in un’espressione adorabile che costringe Derek a reprimere l’impulso di pungolarle con un dito solo per infastidirlo.
Valefar li raggiunge, accrescendo nuovamente il nervosismo di Derek. Dio, si sta comportando da donna in periodo mestruale.
-Allora, deciso?- sorride Valefar, palleggiando lo sguardo da Stiles a Derek.
-Sì!- risponde Stiles con un sorriso a trentadue denti che non presagisce nulla di buono. –Prendiamo due frappé al cioccolato e dei biscotti. Quelli della casa, possibilmente.-
Derek arriccia il naso. –Avevo parlato di un caffè, Stiles.-
-Ma io no. Ho bisogno di zuccheri, Derek, ma se tu non ne assumerai con me potresti portarti il mio svenimento sulla coscienza.-
Derek rotea gli occhi. –Non se ne parla. Non berrò uno stupido frappé al cioccolato.-
-La tua linea da superfigo non ne sarà intaccata, quindi lo berrai.-
-Io dico di no: piuttosto ti stacco la testa prima.-
-Sì, invece.-
-No.-
-Sì!-
-Stiles.-
A interrompere il loro battibecco è la risata di Valefar che non si cura di nascondere la sua crescente ilarità. –Sembrate una coppia di sposini! A quando il matrimonio?-
Stiles arrossisce violentemente e Derek sbarra gli occhi.
-Finiscila!- esclama Stiles, spintonando Valefar, che si allontana ridendo dopo aver ritirato i menu.
-Ho capito. Frappé, biscotti e caffè in arrivo.-
-Giuda traditore! Ma da che parte stai?-
Valefar si blocca per voltare appena il capo e guardare Stiles con divertimento. –Dalla parte del più carino, s’intende.-
Derek ne è sconcertato, ma Stiles non sembra prendersela. Si scioglie nell’ennesimo sorriso e finalmente rilassa i muscoli sulla panca imbottita di velluto. -Il solito coglione.-
A Derek quell’atmosfera non piace molto, ma si impone di mantenere il controllo. Stringe i pugni sotto il tavolo e cerca di distrarsi quando Stiles si gratta il naso con la mano destra, strettamente fasciata da candide bende. Derek avverte una piccola fitta di imbarazzo alla vista del risultato del suo operato.
-Come sta la mano?-
Stiles scrolla le spalle e nasconde la mano sotto il tavolo. –È okay, tranquillo. Non fa male.-
-Ti ho graffiato di brutto, Stiles. L’hai almeno disinfettata?-
-Sì, e spero che tu abbia le unghie pulite perché sei peggio di un gatto.- Stiles ride della sua stessa battuta, spingendo lo stesso Derek ad arricciare le labbra. –Non hai la rabbia, vero?-
-Non dovrei.-
Stiles ride più forte e si alza.
-Vado un attimo in bagno.- annuncia. Oltrepassa Derek e si dirige verso il fondo del locale, che sembra conoscere già molto bene. Non ha bisogno di chiedere dove si trovi il bagno perché lo sa già, come se fosse casa sua.
Derek si rilassa e distende i muscoli con un gemito esasperato. Non riesce a capire cosa gli stia succedendo: non è mai stato tanto protettivo nei confronti di Stiles, né l’ha mai trovato eccessivamente interessante. Certo, Derek ha speso tre anni a cercarlo, e questo non l’ha fatto mai per nessuno prima d’ora, ma da qui all’essere… gelosi… c’è una bella differenza. E Derek non può negare a se stesso che la presenza di Valefar gli dia eccessivamente fastidio.
Cavolo.
In quel momento, il suo cellulare comincia a squillare. È Lydia e Derek si maledice per aver momentaneamente dimenticato di aver chiesto alla ragazza di fare qualche ricerca sugli amici di Stiles.
-Derek, sono io.-
-Lydia, hai scoperto qualcosa?-
La ragazza esita. –Sì, ma vorrei chiederti prima… dove hai sentito questi nomi?-
-Cosa hai scoperto?- chiede invece Derek, armato della sua tipica scarsa delicatezza.
-Dumah, Alastor. Questi non sono nomi normali, ma risultano piuttosto famosi su internet. Li trovi in una categoria particolare, dove non avrei nemmeno pensato di dover cercare.-
-Quale categoria?-
-Mmm… film? Videogiochi? Anche qualche fumetto, ad essere sinceri.-
-Lydia, rispondi chiaramente, o…-
-Demoni. Dumah e Alastor sono nomi di demoni.-
 
Anneddoti:
Diablo (Corvo imperiale): termine spagnolo, dalla seconda dicitura quale “El Diablo”. Significa Diavolo, Satana.
Diaval (furetto): termine svedese, dalla possibile dicitura di Djavul. Significa Diavolo, Satana.
Zwei (gatto nero): termine tedesco. Significa Diavolo, Satana.
 
Angolo dell’autrice:
Ed ecco svelato il mistero. Scontato? Forse, ma a me l’ultima parola, perché non è così semplice. Ora, passiamo alle cose serie! Da qui inizierò a postare piccoli dettagli e notizie tratte dai bestiari, ma lo farò con l’avanzare della storia così non anticipo niente. Secondariamente, per rispondere a una domanda postami da una di voi splendide lettrici, rispondo che no, non sono io a scrivere le frasi iniziali. Non scrivo mai l’autore perché non sempre riesco a trovarne il nome, ma ad esempio la frase di questo capitolo è tratta da…? Chi indovina? Eheheheheh!
Pubblico con quasi un giorno di anticipo per ringraziarvi della fiducia che continuate a darmi. Continuate sempre a leggere, scrivete commenti e ogni tanto riuscite anche a farmi piangere grazie all’entusiasmo che leggo in alcune recensioni. Ringraziarvi sarebbe sempre troppo poco, perciò mi limito a fare ciò che posso per non farvi aspettare troppo, miei piccoli lupacchiotti recensori. O preferireste essere chiamati demonietti?
Spazio ai ringraziamenti e, in fondo, anche alle anticipazioni!
I_Need_Harrys_Hug
_Vi___
Nye
Stilba
Fangirl_mutante_SHIELD
Sophi33
Drarry90
Cecix
RedLesbian

Eeeeeeh… Diamo il via alle anticipazioni!

Anticipazioni:
“-Ti prego!- urla Stiles, contorcendosi nella morsa delle fiamme, che tuttavia, a dispetto del suo stesso dolore, non lo toccano. Guizzano intorno a lui come scarlatte odalische irrisorie, ma non gli bruciano i vestiti o la pelle. –Falli smettere! Fa male!-
Derek digrigna i denti, sofferente. Reprime a stento l’istinto di correre in aiuto di Stiles, di spezzare quel cerchio infuocato, di stringerlo tra le braccia e dirgli che va tutto bene. Ma non va tutto bene perché Stiles adesso grida, si contorce e scrolla il capo come impazzito.
Intanto, qualcuno emerge dalle ombre…”

 
Tomi Dark Angel

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Capitolo 6
*** La Voce Della Bestia ***


“La vita è come un arazzo:
Noi siamo l’ordito,
Gli angeli la trama,
Dio il tessitore…
Solo egli tuttavia, da tessitore,
E’ in grado di vedere la completezza dell’intero disegno.”
 
Ci sono momenti della vita in cui il mondo si trasforma in un unico, immenso scenario da incubo. Le cose cominciano ad andar bene, a migliorare, fin quasi a sfiorare un barlume di serenità utopica. È una bella sensazione che ci spinge a rilassarci, fa sentire al sicuro. Ma sono quelli i momenti in cui si è più fragili, i momenti in cui ogni cosa può trasformarsi in mero disastro fino a crollarti addosso, accartocciandosi su di te per trascinarti in basso, nel baratro più profondo mai scavato dalla serenità stessa ormai infranta in mille irrecuperabili pezzi.
Derek Hale si sente così adesso, mentre il mondo gli crolla addosso: non può credere alle parole che ha appena udito. Stava andando tutto bene, era tutto perfetto e quasi normale, anche per uno come lui abituato a sopravvivere alla vita. Poi però, è giunta la telefonata di Lydia e ha spazzato via tutto: felicità, speranze, quiete. Ogni cosa positiva se l’è portata via la sua ultima frase.
“Demoni. Dumah e Alastor sono nomi di demoni”.
Derek non può credere che Stiles sia giunto a Beacon Hills accompagnato da creature demoniache delle quali fino a quel momento il licantropo ha ignorato l’esistenza. Una cosa è accettare che esistano spiriti malvagi, kanima, stregoni e quant’altro. Ma i demoni? Creature infernali che implicherebbero appunto l’esistenza di un Inferno, qualcosa di reale e tangibile che mai nessuno potrebbe immaginare sul serio. In effetti, Derek stesso non ha mai creduto all’esistenza di qualcosa dopo la morte. Ma ora? Cosa deve pensare ora?
Chiude gli occhi per qualche istante, ripensando all’ultima comparsa di Stiles al cospetto di Deaton, proprio la notte della sua sparizione. Tra le mani stringeva un rosario, un oggetto benedetto da Dio. Uno… scudo? Contro i demoni, quelli veri? Ma non ha senso, perché i demoni non esistono davvero… giusto?
-Derek, sei lì?- chiama Lydia, riscuotendo Derek dallo stato di trance da incubo in cui è caduto per qualche istante.
-Sì. Sì, ti sento. Cosa sai dirmi di loro?- risponde lui con freddezza inaspettata.
-Secondo gli ebrei, Dumah è il demone che riceve le anime dei morti e ne annuncia l’arrivo nell’aldilà. Sembra che divida le anime dei giusti da quelle dei malvagi, ma essenzialmente è una creatura infernale, addetta anche alla tortura delle anime.-
Derek ripensa alla ragazza che lo ha aggredito, squarciandogli il petto con artigli o armi che gli impedivano di risanarsi a dovere. Stranamente non fatica ad assemblare quel volto angelico alla nomea di perfida torturatrice infernale che gli ha appena descritto Lydia. Quante anime sarebbe in grado di smembrare un soggetto del genere? Farle a pezzi, torturarle psicologicamente: sembra proprio una cosa da Dumah.
-Alastor invece è stato piuttosto difficile da trovare, ma appare come uno dei pezzi grossi dell’Inferno.- continua Lydia, attirando nuovamente la sua attenzione. –Lo chiamano anche “il boia” perché descritto come esecutore supremo delle sentenze infernali. Insomma, sterminava anime a ripetizione, squarciandole e facendole a pezzi di continuo. È forse uno dei demoni più forti dell’Inferno, se non uno dei più feroci.-
Derek si passa una mano sul viso. Non vuole credere che la bestia descritta da Lydia sia quel bambino di appena un metro e venti che ama giocare col cubo di Rubik dalla mattina alla sera. Derek ci ha parlato, lo ha addirittura minacciato con zanne e artigli snudati e quello non ha reagito. Tuttavia, il solo pensiero che se lo avesse fatto probabilmente avrebbe implicato il decesso di Derek o qualcosa di peggio, è un’idea allucinante. Sarà anche un terribile demone, ma agli occhi di Derek appare pur sempre come un bambino innocente. Se accettare la probabile essenza di Dumah gli è risultato facile, fare la stessa cosa con Alastor è praticamente impossibile.
-E… gli animali, che mi dici degli animali?-
-Si chiamano famigli e sono i servitori o i tramiti di streghe e demoni. Si pensa che siano emanazioni stesse del Diavolo e possono assumere le sembianze di diversi animali notturni. A volte, si legano all’anima stessa del padrone, come parte integrante del suo essere.-
Derek pensa a Diablo, il corvo imperiale di Stiles. Quello è decisamente il suo animale domestico, ma questo implicherebbe che Stiles abbia in qualche modo a che fare col Diavolo o quantomeno con dei maledetti demoni. Non ha senso, eppure… Derek lo ha visto affrontare Dumah a viso aperto, arrivando addirittura a intimorirla, come se Stiles possedesse armi pari e forse più potenti rispetto alle sue.
Ma Stiles non è uno stregone o un demone. Di certo, non ha l’aspetto di nessuno dei due.
-Derek…- Lydia lo richiama lentamente, la voce improvvisamente tremante d’incertezza. –Questa storia… ha a che fare con Stiles, vero?-
Derek non sa che rispondere. Sa che Lydia è troppo intelligente per essere aggirata con una semplice menzogna. Se è riuscita a ricollegare l’intera faccenda a quel poco che sa sulla scomparsa di Stiles e sugli ultimi avvenimenti che lo riguardano, allora è praticamente inutile prenderla in giro.
-Sì.- capitola alla fine. –Io non…-
Ma un tonfo improvviso lo zittisce, facendolo voltare di scatto. Alle sue spalle, a pochi passi da lui, c’è Stiles: immobile, che lo fissa con uno sguardo ferito, accusatorio, spaventato. Ai suoi piedi c’è un cellulare, lasciato cadere dalla stessa mano che lo reggeva e che adesso è sospesa a mezz’aria, tremante.
Ha sentito tutto.
-Merda. Ti richiamo.-
Derek ha appena attaccato quando Stiles scatta verso l’uscita e la varca di corsa, agile come non mai. Sguscia con la sicurezza di una pantera, si muove troppo silenziosamente e solo allora Derek ha la conferma che qualcosa non va in lui: non è da Stiles spostarsi in quel modo, come se fosse fatto di purissima aria e nient’altro. 
-Che cazzo stai aspettando?- esplode Valefar, strabuzzando i ferini occhi truccati. –Seguilo!-
Derek non se lo fa ripetere due volte: scatta verso l’uscita e la varca, uscendo all’aria aperta. Si guarda intorno in cerca dell’odore di Stiles. Rintraccia una debole scia, segno che il ragazzo si è già allontanato parecchio, ma Derek è certo di poterlo raggiungere.
Scatta verso la fonte dell’odore, sgusciando tra i vicoli, raggiungendo una velocità impareggiabile. È abituato a correre da sempre, Derek. Scappare per salvarsi, correre per raggiungere una preda. Nessuno è più veloce di lui, nemmeno un alfa come Scott.
Le gambe si muovono veloci, scattando verso una meta che il loro padrone è ansioso di raggiungere. Derek è certo che a quella velocità un qualsiasi essere umano riuscirebbe a malapena a intravederlo come una scia di colori scuri e sfuggenti, simili a bizzarri sbuffi d’aria.
C’è Stiles più avanti, e questo spinge Derek ad accelerare.
C’è Stiles più avanti, e questo spinge Derek a inseguirlo come se ne andasse della sua stessa vita.
Quando Derek avverte il suo odore farsi più intenso, rallenta. Non vuole spaventarlo, ma stavolta pretenderà delle risposte piuttosto chiare e Stiles non potrà tirarsi indietro. Derek vuole sapere cosa gli è successo, vuole sapere per quale motivo ha tradito Scott nascondendogli la ricomparsa del suo più caro amico, quella parte di vita che il giovane alfa ha creduto persa per sempre.
Non può esserci giustificazione a una tale barbarie, non per Derek.
Lentamente, il licantropo si avvicina, ma quello che trova all’arrivo, non è esattamente ciò che si aspetta: anzi, non è per niente ciò che si aspetta.
L’odore di sangue e bruciato gli anticipa da subito che qualcosa non va. Rallenta fin quasi a eguagliare la velocità umana, gli artigli snudati e le zanne pronte. Si prepara a combattere per difendere Stiles, per proteggerlo da chiunque abbia mescolato il tanfo di sangue al suo bellissimo odore.
Una chiesa. Quel folle inseguimento l’ha condotto ai piedi della chiesa di Beacon Hills.
Derek non ci è mai andato, né si è mai interessato di guardarla veramente. Non ha mai creduto in Dio o nel Diavolo, perciò ha sempre scelto di girare al largo.
In effetti, è la prima volta che la guarda davvero: enorme e dipinta di bianco, dal tetto spiovente e con una grossa statua del crocifisso sulla cima. È un luogo santo, certo, ma con l’avanzare inoltrato dell’oscurità, le mura appaiono quasi nere e il crocifisso è coperto di ombre scure che lo fanno apparire scheletrico, maligno, quasi demoniaco.
Derek si appiattisce contro il muro della chiesa proprio mentre un gemito soffocato gli raggiunge le orecchie. Si affaccia appena e ciò che vede gli stringe il cuore in una morsa di gelido acciaio che lo fa quasi impazzire.
Stiles è in ginocchio, piegato in due dal dolore. Si preme le mani sulle tempie e scuote il capo freneticamente, come se dei tarli gli stessero mangiando il cervello. Intorno a lui brucia un cerchio di fuoco, perfetto come se l’avesse disegnato una macchina, al cui interno, esattamente sotto i piedi del ragazzo, riluce un simbolo rosso di volute intrecciate… scritto col sangue.
-Ti prego!- urla Stiles, contorcendosi nella morsa delle fiamme, che tuttavia, a dispetto del suo stesso dolore, non lo toccano. Guizzano intorno a lui come scarlatte odalische irrisorie, lo prendono in giro, sfuggono al suo tocco, ma non gli bruciano i vestiti o la pelle. –Fallo smettere! Fa male!-
Derek digrigna i denti, sofferente. Reprime a stento l’istinto di correre in aiuto di Stiles, di spezzare quel cerchio infuocato, di stringerlo tra le braccia e dirgli che va tutto bene. Ma non va tutto bene perché Stiles adesso grida, si contorce e scrolla il capo come impazzito. Quelle urla fanno male, al punto che Derek si sente come se stesse gridando egli stesso.
Qualcuno emerge dalle ombre, una figura massiccia con addosso un lungo mantello nero e un cappuccio calato sul viso. Derek si trattiene dall’urlare “MA SEI SERIO?!” perché diamine, chi indossa un mantello con cappuccio se vuole passare inosservato?
-Vuoi davvero che finisca, Stiles? Potrei accontentarti, ma a modo mio.-
L’incappucciato occhieggia la chiesa alle spalle di Stiles e il ragazzo sembra capire con un brivido più accentuato degli altri che la cosa potrebbe finire molto male. Anche Derek non ha bisogno di conoscere a fondo la situazione per carpire la minaccia.
-Sono solo venuto a… compiere il mio lavoro. Perché lo fai? Rischi di risvegliare le potenze superiori!- mugola Stiles, scuotendo il capo con più forza. Derek lo vede arpionare il suolo fino a spezzarsi le unghie, una vista che fa male e brucia le retine come colata lavica sugli occhi.
-Potenze superiori? Parli proprio tu, che dovresti odiare a morte quelli come noi… quelli come te?- L’incappucciato si accovaccia all’altezza di Stiles per fissarlo meglio in viso. -Quante torture ti hanno inflitto in questi ultimi tre anni? Quanti pezzi della tua anima sono ancora intatti per una colpa che non ti appartiene? Ti hanno affiancato ai tuoi carnefici, e tu collabori con loro come una pecorella ammaestrata. Ti hanno dato dei poteri immensi: usali contro i tuoi stessi aguzzini, ribellati!-
Stiles respira a fondo, cercando di calmarsi. Ha gli occhi colmi di lacrime e il viso esangue. Quando parla però, lo fa con una dolcezza nuova, che stona col contesto di sofferenza che lo attornia: -Non sarebbe giusto, e lo sappiamo tutti e due. È vero; noi non siamo puri e non ce ne facciamo niente di cose buone come giustizia e carità, ma… la mia anima è distrutta, fatta a pezzi. Per me non c’è più speranza, questo lo so bene. Però non posso condannare coloro che amo. Se lotto, lo faccio per loro e per il bene che meritano. I miei problemi non appartengono a nessuno dei miei cari ma se per aiutarli mi tocca sporcarmi le mani per l’ennesima volta, così sia. Io ci guadagno un barlume di redenzione e coloro che amo… vivono e hanno la possibilità di rivedere l’alba. La mia ricompensa è questa.-
Le fiamme crepitano, abbracciando di luce il viso scavato di Stiles. Il ragazzo ha le mani serrate, i capelli in disordine e un velo di sudore a coprirgli la pelle, ma Derek pensa di non aver mai visto qualcosa di più… bello. Nella semplicità del suo discorso, Stiles è apparso più nobile e fiero di qualsiasi altro essere vivente che Derek abbia mai conosciuto in precedenza. Altero come una fiera, splendido come una fenice rinata dalle ceneri. Stiles si sta rivelando essere una candela piccola ma candida, la cui luce irradia calore e bene ovunque tocchi.
Derek lo guarda e capisce che alla fine, non gli interessa nulla della reale natura di Stiles: quello è ancora il suo umano, lo stesso ragazzo che dal primo giorno che l’ha conosciuto non si è mai rifiutato di aiutarlo, di guarirlo, di salvarlo. Si è preso cura di lui, pur essendo più debole e infinitamente più fragile. E questo suo senso di umanità non è cambiato per niente, perché Stiles è ancora disposto a sacrificarsi in nome del benessere altrui.
-Sei troppo buono per essere un impuro.- sibila l’incappucciato, avanzando. –Le tue argomentazioni sono deboli, inventate. Noi non conosciamo la pietà.-
-La pietà non ci è nota perché noi stessi rifiutiamo di conoscerla.-
Da sotto il cappuccio, l’uomo ringhia. –Mi hai stancato. Non sei uno di noi e non lo sarai mai: sei un abominio, uno scherzo della natura! Credo di poterti rispedire dall’altra parte, dove forse imparerai un po’ di sana educazione demoniaca.-
Derek è pronto a scattare per lanciarsi sull’incappucciato, quando qualcosa si muove al suo fianco, distraendolo: Diablo lo oltrepassa volando per poi innalzarsi sempre più in alto, come un’ombra tra le ombre. L’incappucciato non sembra notarlo, ma Stiles sì: lo fissa di sottecchi, ostentando ancora uno sguardo profondamente sofferente ma che adesso guizza di sollievo.
È un avvertimento, il segnale che un po’ di speranza, c’è ancora.
Bingo.
Derek annusa l’odore familiare di un alfa nelle vicinanze e voltandosi, vede Scott, Isaac, Allison e Lydia acquattati nell’ombra dall’altra parte della strada. Scott fissa allucinato il suo migliore amico avvolto dalle fiamme, ansimante e prostrato ai piedi di un perfetto sconosciuto. Sembra non credere ai suoi occhi. Derek sa bene come si sente perché lui ha provato la stessa sensazione pochi giorni prima, quando ha visto Stiles cullare un moribondo fatto praticamente a pezzi.
-Immagino che prima o poi le mie sofferenze dovranno ricominciare, no?- sorride Stiles, conscio di Diablo che poco a poco cala di quota sulla testa dell’incappucciato. –Ma prima di tornare da dove sono venuto, preferirei vedermela con te in uno scontro aperto… tipo, da pari a pari. Che ne pensi?-
-Penso che tu sia pazzo. Non sono così stupido da liberarti.-
-Ma io sì!- ruggisce Derek prima di scagliarsi sull’incappucciato. I due rotolano al suolo, avvinghiati in un vortice di zanne e artigli affilati. Schizzi di sangue volano dappertutto, la maglietta di Derek si lacera, la sua pelle comincia a ricoprirsi di ferite. L’incappucciato è talmente veloce che le sue mani quasi non si vedono, al punto che Derek comincia a dubitare che le abbia davvero. Non ce la farà da solo.
Nello stesso momento in cui formula quel pensiero, un corpo massiccio si getta con la potenza di una palla di cannone sull’incappucciato, allontanandolo da Derek. Scott azzanna il braccio dell’uomo, ferendolo profondamente, ma quello reagisce con un calcio che sbalza l’alfa in strada, facendolo rotolare per diversi metri. Derek gli salta nuovamente addosso, assestandogli un violento calcio sul petto per spingerlo a retrocedere. Concentra tutti i suoi sforzi nell’allontanarlo da Stiles, ma non è un’impresa facile: smuovere quell’essere è come cercare di spostare una montagna a mani nude. Difficile, anche per uno come Derek.
Mentre lui, Scott e Isaac si impegnano in un serrato corpo a col nemico, Lydia e Allison corrono da Stiles.
-Tu ci devi delle spiegazioni!- grida Lydia, guardando orripilata il cerchio di fiamme e Stiles che intanto cerca di raddrizzarsi.
-Come lo rompiamo?- dice Allison, girando velocemente intorno al cerchio. Stiles tossisce.
-C’è… un cerchio disegnato sotto le fiamme. Dovete spezzare il simbolo.-
Le ragazze non sembrano apprezzare la spiegazione. Fissano intimorite il cerchio di fiamme, chiedendosi in che modo sia possibile contrastare le fiamme.
-Ci sono!- esclama Lydia all’improvviso. Afferra una delle frecce di Allison e la scruta soddisfatta alla luce della luna. Ferro e titanio. Quello potrebbe resistere abbastanza da permettere loro di tagliare il cerchio, sempre che non si fonda prima.
-Buona idea!- Allison afferra la freccia e la affonda nel cerchio di fuoco proprio mentre Scott passa sulla sua testa volando, scagliato via dall’incappucciato.
-Sbrigati!- urla Lydia mentre Allison si avvolge le mani nella stoffa delle maniche e continua a sfregare la freccia sul terreno. Il ferro della freccia è diventato incandescente, ma resiste bene alla morsa del calore. Allison e Lydia però, resistono un po’ meno.
Isaac geme di dolore quando un calcio particolarmente violento gli incrina due costole, facendolo arrancare ferito.
-Allison!-
-Ce l’ho quasi fatta!-
In quel momento, un ruggito di dolore pervade l’aria.
L’incappucciato ha trapassato una spalla di Derek con una mano artigliata, talmente veloce che il licantropo non è riuscito a schivarlo. Lo ha inchiodato al suolo con facilità disarmante, la mano ancora incastrata contro l’osso dell’omero per impedirne la rigenerazione. Derek sente gli artigli tagliare carne, muscoli e arterie. Il sangue cola sulla pelle, macchiando i vestiti e poi il suolo, facendo capire al licantropo che non riuscirà a rialzarsi in tempo.
L’incappucciato lo sovrasta come una massa di muscoli e abiti neri, l’altra mano sollevata e il guizzo di un ghigno sulle labbra sottili, da rettile. Ha vinto, su tutta la linea. I licantropi sono a terra e Derek è ormai prossimo alla morte. L’incappucciato non avrà pietà di lui e Derek non intende chiedergliela. Al contrario, continua a dimenarsi e a ruggire furioso, sfidandolo per l’ultima volta. I suoi occhi blu elettrico guizzano inferociti verso il cappuccio d’oscurità che nasconde malamente il viso del nemico.
Derek non si piegherà. Morirà con onore, lottando fino all’ultimo.
Ma le cose non vanno come previsto. Un ruggito stridente come d’aquila fa tremare la notte e le stelle, la terra e le acque, scuotendo l’udito di Derek, che comincia a ronzare infastidito. Diablo cala velocemente sull’incappucciato, le ali pervase da guizzi rossi e oro che incendiano le piume, consumandole velocemente e trasformando l’uccello in una fenice grottesca dagli occhi dorati e gli artigli d’argento. Poi, il fuoco lo abbraccia del tutto, come una meteora troppo veloce che man mano cresce, si dilata, illumina la notte come mai prima d’ora. Derek riesce a sentire le vampate di calore, il crepitare impazzito delle fiamme mentre si avvicinano. Per un attimo, pensa che l’impatto li carbonizzerà tutti.
Quando Diablo atterra però, il fuoco si dirada per stiracchiarsi lungo le ali, spaccandosi come se una folata di vento l’avesse colto in pieno e rivelando infine il nuovo aspetto di Diablo. Il corvo imperiale è improvvisamente cresciuto di dimensioni fino a raggiungere quasi i sei metri d’altezza. Le sue ali  infuocate sono talmente ampie da abbracciare l’intera fiancata della chiesa, riflettendola di luci rosse e oro, sanguigne e violente. Gli occhi brillanti di rabbia repressa fissano l’incappucciato come un falco farebbe con la preda e da questo Derek già comprende l’esito dello scontro.
Diablo fa scattare gli artigli, che urtano violentemente l’incappucciato e lo sbalzano via da Derek, mandandolo a schiantarsi sull’asfalto. Il licantropo ricomincia a respirare normalmente e rilassa i muscoli mentre la ferita comincia poco a poco a richiudersi, meno velocemente delle altre volte.
-Lui no!- ruggisce una voce tonante di ragazzo che Derek riconosce. Si volta, fissa lo sguardo sulla figura che avanza impettita, quasi spaccando l’asfalto sotto i piedi.
Stiles è uscito dal cerchio di fiamme e adesso sembra… diverso. Molto diverso. Più austero e pericoloso, come un puma inferocito. Trasuda gelida ferocia da tutti i pori, al punto che Derek avverte i suoi sensi scattare automaticamente sulla difensiva.
Ma non è questo il problema. Non è mai solo questo.
Qualcosa è cambiato in Stiles; nel suo aspetto, nei suoi atteggiamenti. I suoi occhi adesso, solitamente più scuri e caldi, sono di un color oro acceso, brillante come colata appena fusa e ancora abbracciata dalle fiamme. Un colore brillante, che attira prede incaute e le inghiotte come falene che s’aggrappano alla luce. Anche la pupilla è cambiata radicalmente: verticale, sottile come quella di un rettile feroce e bellissimo.
E la pelle… Dio, la sua pelle. Ora Derek può vederla davvero. Carpisce la sfumatura rossa e oro che la attraversa come un riflesso cangiante e perennemente in movimento, viva di lingue danzanti e bagliori intensi. È come se rubini e lingotti d’oro fossero nascosti sotto la carne di Stiles, illuminandola di nuovi colori. Una fiamma viva, reale, arde nelle sue carni, e adesso Derek può vederla in tutto il suo splendore, in ogni suo riflesso, fin quasi a sentirne il calore da vicino.
Stiles avanza lentamente, negli occhi le tracce di una terribile furia. Brilla nell’oscurità, la respinge e la abbraccia allo stesso tempo, come un angelo caduto rifiutato da Dio e Satana al contempo.
-Lui no.- ringhia ancora, e quando apre bocca, Derek può distinguere una terribile dentatura da predatore, con canini affilati e zanne acuminate. Denti da leone, che tuttavia non stonano su quel viso solitamente umano, quasi angelico.
Stiles avanza, oltrepassandolo. Diablo lo affianca, sfiorandolo con le immense ali il cui fuoco tuttavia non si estendono al corpo, ancora coperto di lucente piumaggio nero.
Derek non ha mai visto Stiles così arrabbiato, nemmeno quando all’inizio lo detestava con tutte le sue forze. Non ha mai avuto quegli occhi freddi, capaci di spaventare qualsiasi creatura sovrannaturale, non ha mai ringhiato come una bestia, molto più di quanto possa fare qualsiasi licantropo.
L’incappucciato sembra pensarla alla stessa maniera perché indietreggia appena ma non riesce a sfuggire all’ira cieca di Stiles, che lo afferra per il bavero del mantello e lo scaglia con violenza contro la vetrata della chiesa, che si infrange. L’incappucciato vola all’interno con un grido lancinante, le vesti nere simili ad ali di pipistrello.
Ciò che accade dopo, Derek non lo comprende. È così inaspettato, così barbaro, che il branco intero resta costernato e stupefatto allo stesso tempo.
Dall’esterno, Derek vede delle oscure lingue di fuoco levarsi in alto, fino a raggiungere il soffitto della chiesa, come se qualcuno avesse issato una pira. Non appiccano alcun incendio, non anneriscono né tantomeno generano fumo, ma Derek capisce che per l’incappucciato non c’è più niente da fare perché su di lui… le fiamme hanno avuto effetto, eccome.
Mentre le ultime grida della creatura si estinguono in un silenzio mortifero, tutti si voltano a guardare Stiles, il cui corpo adesso trema convulsamente, i muscoli tesi allo spasimo sotto la camicia. Si stringe un polso con tanta forza da farsi male, forse nel tentativo di strapparsi le vene a mani nude, ma il suo sguardo non si stacca dalla vetrata infranta.
-Stiles!- urla Valefar. Raggiunge Stiles di corsa, emergendo dalle ombre come sembrano saper fare tutti i nuovi amici di Stiles, e si ferma a guardarlo inorridito quando nota il suo nuovo aspetto e gli occhi privi di emozioni che lentamente ruotano per posarsi su di lui. Stiles ha le labbra schiuse e l’espressione vacua di chi non capisce dove si trova né che cosa ha fatto. Non è confuso: semplicemente, non gli interessa di aver appena massacrato qualcuno, che si tratti di un uomo oppure no.
-Stiles…- Valefar tende lentamente una mano, che gli occhi di Stiles seguono con la stessa espressione monocorde. –Adesso devi calmarti. Stanno tutti bene, capito? Stanno bene. Calmati.-
Stiles non sembra capire. Muove la testa a scatti, gli occhi socchiusi e le mani che si aprono e chiudono velocemente, facendo scrocchiare le ossa. Il suono è così forte che per un attimo, Derek pensa che si stia rompendo ogni singola parte del corpo.
-Non va bene… Stiles, segui la mia voce. Riesci a sentirmi?- chiama Valefar, disperato. Sulla sua spalla atterra una grossa civetta delle nevi dal piumaggio screziato di nero e gli occhi azzurri, identici a quelli del padrone. Un'altra bestia, un altro… famiglio?
–Stiles. Non puoi perdere la calma ora. Sarà una carneficina se lo fai, perciò tranquillizzati… respira. Va tutto bene, li hai salvati.-
Ma Stiles continua a non reagire. La testa comincia a scattare a destra e sinistra come il pendolo di un orologio, il tempo che scorre inesorabile e s’accosta alla catastrofe imminente. Tic tac, tic tac. Certe lancette non si fermano mai.
Le ossa delle mani scrocchiano di nuovo, stavolta così forte da lasciar pensare che Stiles si sia appena causato una frattura.
-Stiles.- chiama allora una voce, e allora Stiles si immobilizza.
Derek avanza zoppicando, gli occhi fissi in quelli inespressivi del ragazzo. Non ha paura di lui, non teme il suo aspetto o la sua inquietante immobilità. Però ha paura per lui, per lo scrocchio di ossa che continua a rintoccare nell’aria e per l’assenza di emozioni che sembrano aver sottratto a quel corpo l’essenza del vero Stiles.
Valefar fissa interessato la reazione di Stiles e sbarra gli occhi. –Ma certo.- dice all’improvviso. Poi, rivolgendosi a Derek: -Riesce a sentirti, dolcezza. Parlagli, cerca di richiamarlo.-
Stiles continua a fissarlo impassibile, quieto, col capo che ricomincia a oscillare sinistramente.
-Derek… non abbiamo molto tempo. Stiles sta cercando di contenersi, ma la sua resistenza è agli sgoccioli. Se perde la testa…-
Ma Derek non lo ascolta più: si concentra su Stiles, solo e unicamente su Stiles. Avanza lentamente, negli occhi un affetto impacciato che mai nessuno dei presenti ha visto nel suo sguardo prima d’ora. È qualcosa di diverso, pulito, potente quanto l’amore di una madre per il figlio. Ed è Derek a ostentarlo proprio lì davanti a tutti, semplicemente perché Stiles ha bisogno di lui.
-Stiles. Sono io.-
Derek avanza ancora, stavolta con più calma. Gli occhi di Stiles lo seguono incolori, ma la testa è nuovamente ferma: lentamente, si immobilizza del tutto e le ossa smettono di scrocchiare. Il suo sguardo si schiarisce appena, come quello di un drogato che cerca di mettere a fuoco l’ambiente.
-Stiles. Sono Derek. Ti ho… stretto la mano per impedirti di picchiettare quelle stupide unghie sul tavolo del bar, ricordi? Ti dico sempre di star zitto, minaccio spesso di ammazzarti. Sono asociale, parlo poco e, come dici tu, converso spesso con le sopracciglia.- Derek sorride appena, divertito dal ricordo. –Sono io.-
Stiles sbatte le palpebre lentamente, schiarendo la vista ancora un po’. Pare metterlo a fuoco, riconoscerlo. Apre e chiude la bocca più volte, ma non ha la forza per parlare. Trema ancora con violenza, preda di un dolore che Derek può solo immaginare. Ma è di nuovo Stiles, lo confermano quegli occhi adesso così vivi, così luminosi di coscienza. Volta lentamente il capo dall’altra parte, distogliendo gli occhi da Derek e continuando a balbettare, stavolta con più forza.
-M… os… tro… -
Per un attimo, Derek pensa che Stiles stia parlando di lui, ma poi si accorge con doloroso stupore che si riferisce a se stesso: Stiles si vede sbagliato, mostruoso. Nonostante tutti i suoi sacrifici e i suoi sforzi in nome dell’essenza stessa del bene, si sente ancora uno scherzo della natura.
E questo Derek non può sopportarlo.
Gli afferra il viso con entrambe le mani, gli artigli snudati che con dolcezza sfiorano le guance e le labbra di Stiles. Derek lo costringe a guardarlo, specchiandosi in quegli occhi dorati talmente luminosi da far male, come cosparsi di polvere di stelle.
-Non pensarlo nemmeno per scherzo, o ti apro in due la gola. Con i denti.- dice, rimarcando le parole da lui stesso pronunciato anni addietro, durante uno dei loro primi incontri.
A sorpresa, Stiles sorride e una lacrima… rossa come sangue appena stillato da una ferita ma brillante come un rubino vivo sgorga dal suo occhio destro. Gli scivola lungo la guancia, andando a incontrare le dita di Derek, sporcandogli la pelle. È umida, gelida come il ghiaccio e quasi gli brucia la pelle, ma il licantropo non lascia la presa. Continua a guardare Stiles con occhi blu acceso, gli occhi di un licantropo. Gli occhi di Derek Hale.
-Torna indietro, Stiles. Torna qui.-
E prima ancora di potersi fermare, Derek si china ad appoggiare la fronte contro quella di Stiles. Non è un bacio, ma vale più di mille parole non dette, mille gesti mai compiuti. È un tocco gentile di pelle tiepida contro carne bollente, due mondi che entrano a contatto e si sfiorano, si scoprono con trepidazione. Senza accorgersene, Derek chiude gli occhi e inspira forte l’odore dell’altro, che adesso si mescola al puzzo di sangue e incenso.
-Torna.- sussurra a pochi centimetri dalla sua pelle bollente. Non si accorge di avergli circondato la vita con un braccio, né di aver premuto il corpo contro il suo, bisognoso di toccarlo, di sentirlo lì e di ricordare a se stesso che Stiles è tornato davvero. Si accorge tuttavia che improvvisamente il ragazzo ha chinato il capo e che adesso respira normalmente, senza affanno. Pesa un po’, il che fa capire a Derek che l’unico sostegno che gli impedisce di cadere a terra svenuto è proprio lui.
-Stiles?-
Derek allontana il viso, allarmato e la testa di Stiles cade in avanti, appoggiando la fronte sulla sua spalla.
-Oddio, sta bene?- esclama Allison, correndo da loro. Alle sue spalle c’è il resto del branco, intento a fissare Stiles come se fosse un alieno.
-Sta benissimo, dolcezza.- interviene Valefar, sorridendo. Si avvicina a Stiles e lo fissa da vicino, innescando in Derek uno scatto di nervosismo che lo spinge ad accentuare la presa sul ragazzo. Valefar stavolta ride apertamente. –Tranquillo, lupacchiotto. Non te lo strappo dalle braccia. Volevo solo assicurarmi che stesse bene. Cavolo, mai visto niente di così impressionante… sei riuscito a far rientrare il demone. Come hai fatto?-
Valefar lo fissa impressionato, gli occhi spalancati e le labbra schiuse di sorpresa.  Sposta lo sguardo su Stiles, che adesso riposa rilassato tra le braccia di Derek. Ha la guancia macchiata di rosso e un sorriso beato in viso. Sembra così innocente, così umano. Non si direbbe che nel suo corpo si nasconda una bestia inferocita e forse capace di distruggere Beacon Hills.
-Dovrei riportarlo a cas…- comincia Valefar, ma il ringhio basso e prolungato di Derek lo interrompe, sfidandolo a strappargli Stiles dalle braccia. Il licantropo fissa Valefar con aria di sfida, gli occhi blu e le zanne allungate. Stringe Stiles con eccessiva possessività che Derek stesso non sa spiegarsi. Sa che non lascerà andare il suo umano a qualsiasi costo e questo, Valefar sembra capirlo.
-E va bene.- sospira lui alla fine. –Ma sappiate che Stiles non si sveglierà molto presto e ci sono… due o tre cose che dovreste sapere su di lui e su ciò che accadrà ora.-
-Perché, cosa dovrebbe accadere ora?- si inquieta Isaac.
-Voi siete una gran bella seccatura, ragazzi miei. Stiles ha fatto qualcosa di assolutamente proibito e io… credo di esserci finito in mezzo. Credo. In realtà, non ne sono certo… ho le idee un po’ confuse, a volte.-
Scott avanza verso Stiles, fissandolo come se lo vedesse per la prima volta. Gli stringe una spalla, toccandolo con dolcezza, appurando che sia davvero lì. Poi, guarda Valefar con l’espressione stordita di chi non capisce più niente.
-Voglio che sia Stiles a spiegarmi tutto.-
-Non potrà farlo, tesoro, non se volete delle risposte immediate.- risponde Valefar con un sorriso. –Ma se vorrete accontentarvi, sappiate che, a parte Stiles, io sono forse il vostro unico alleato per impedire un’autentica Apocalisse vecchio stile ma molto… molto, catastrofica.-
 
Dumah: (in ebraico דומה ovvero essere muto o silenzioso), nella letteratura rabbinica, è l'angelo che riceve le anime dei morti e annuncia l'arrivo dei nuovi venuti. È una figura popolare nel folclore yiddish, colui che divide le anime dei giusti da quelle dei corrotti e li accompagna ogni sera nell'Hazarmavet, la valle dove mangiano e bevono in perfetto silenzio. Secondo molti studiosi, tale cena delle anime avverrebbe solo la sera dello Shabbath e non ogni giorno. Originariamente Dumah dovrebbe essere stato l'angelo guardiano dell'Egitto, e solo in seguito all'Esodo sarebbe stato trasferito agli Inferi.
 
Alastor: boia o esecutore di sentenze al diretto servizio di Satana e menzionato in alcune scritture e versi dell’Apocalisse. Secondariamente, egli è noto anche ai greci come personificazione della vendetta e delle lotte familiari. Egli è stato anche associato con i peccati che si tramandano dal padre al figlio. Sia come demone infernale che come genio o uno spirito della casata nella mitologia romana, egli ha incitato le persone a uccidere e a compiere terribili peccati.
 
Famiglio: Per analogia nella tradizione giudaicocristiana venivano così chiamati i demoni minori che fungevano da servitori o tramiti alle streghe o ai demoni minori e da cui derivano le storie di superstizione per i gatti neri o per i gufi. Non soltanto i gatti e gufi erano gli animali indicati come famigli: vi erano anche corvi, cornacchie, civette, rospi e furetti. Tali famigli venivano, per tradizione, affidati più spesso alla strega direttamente dal diavolo, comprati o ereditati.

 
Angolo dell’autrice:
Iniziamo a schiarirci le idee almeno un pochino? Sì? Aspettate il prossimo capitolo a dirlo, perché riceverete (quasi) tutte le spiegazioni delle quali necessitate. O forse no.
Ma ora, passiamo ai ringraziamenti e alle anticipazioni! Come al solito, non so che dire. Di ringraziamenti accorati, mi sembra di non farvene mai abbastanza, ma come al solito ci tengo a ricordarvi che voi, ognuno di voi, coi vostri commenti, con la vostra costanza, con la pazienza che sfruttate nel leggere fino alla fine ogni capitolo… siete un pezzo di questa storia. Siete un po’ Stiles, un po’ Derek, un po’ Valefar. Siete un po’ la mia Beacon Hills.  E capitolo dopo capitolo mi aiutate a costruirla. Per questo vi ringrazio altre mille e mille volte, chiedendo perdono perché non riesco mai a rispondervi individualmente, ma aggiornare ogni cinque giorni è un po’ faticoso. Prometto però di non mancare mai di aggiornare con costanza, dedicandovi le mie fatiche e le speranze che queste non vi deludano. Grazie. Di cuore.
Ci vediamo a fondo pagina per le anticipazioni!
Grazie a:
DrarryStylinson
_Vi___
Nye
TheSkyOnALeaf
Gaiadidio
Sophi33
Klaroline01
Cecix
Virginsiny74
 
Anticipazioni:
“-Ok, ho capito!- si difende Valefar, alzando entrambe le mani dalle unghie smaltate di nero. Si appoggia al muro e incrocia le braccia al petto, abbastanza immobile da permettere alla sua civetta di appollaiarsi sulla sua spalla. –Allora, premetto che questa non sarà una bella storia. Non c’è un lieto fine, non ci sono eroi o benedetti del Signore pronti a salvare la situazione. Qui parliamo di mostri, quelli veri, che gli stessi licantropi non potrebbero mai immaginare o eguagliare. Parliamo di mostri… e di un martire.-
Valefar fissa Stiles, ancora accoccolato sul grembo di Derek e il suo sguardo si fa triste, quasi impietosito.
-Questo ragazzino… è sempre stato innocente. E quelli come me amano l’innocenza, ne sono attratti come api al miele. Sì, sono un demone anche io. Conosco Stiles perché l’ho incontrato… all’Inferno.-”


Tomi Dark Angel

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Capitolo 7
*** Preghiera Di Un Condannato ***


“Ho cercato la mia anima, ma non riuscivo a vederla.
Ho cercato il mio Dio, ma il mio Dio mi sfuggiva.
Ho cercato infine mio fratello, e ho trovato tutti e tre.”
 
Se un giorno qualcuno avesse detto a Derek che ben presto si sarebbe trovato nel suo loft, sprofondato nel divano con uno Stiles profondamente assopito tra le braccia e la stanza stracolma di gente, creature sovrannaturali, corvi e civette, avrebbe sorriso. Sorriso, perché le risate di cuore non fanno decisamente per lui, per quanto ridicola possa apparire una situazione. Ma sta accadendo, e adesso Derek fissa Valefar, l’amico di Stiles, che appena un’ora prima ha annunciato l’avvento dell’Apocalisse con la serenità di qualcuno che parla del tempo.
La classica giornata del cavolo, insomma, visto che a Beacon Hills non bastano licantropi, banshee, stregoni e altre schifezze simili. No, devono arrivare anche i demoni con annessa Apocalisse.
Derek vorrebbe prendere a testate un muro fino a sfondarlo. Non ha mai creduto nell’aldilà o nell’esistenza dell’anima, e adesso compaiono dei mostri terrificanti che non solo sembrano intenzionati a stravolgere ogni sua logica spiegazione ma appaiono anche interessati a fare a pezzi il mondo intero. E, in tutta questa storia, c’entra Stiles Stilinski, il ragazzo più innocente e ingenuo del mondo che tuttavia, poche ore prima e davanti ai loro occhi, si è trasformato in un serial killer con zanne e artigli che anche un licantropo potrebbe solo sognarsi.
-Però! Questo posto è davvero carino!- esclama Valefar, estasiato. –Però fossi in te metterei un paio di quadri e un orologio da parete, che può tornare sempre utile per quando…-
Derek ringhia, facendo rimbalzare contro le pareti il suono del suo avvertimento.
Non ha lasciato andare Stiles da quando lo ha stretto per la prima volta. Lo stringe tra le braccia come la parte più importante di se stesso, un arto o un organo profondamente vitale dal quale non riesce a separarsi. Non sa perché lo fa, ma almeno per ora, non vuole cercare alcuna spiegazione. Stiles resterà al sicuro tra le sue braccia perché l’ultima volta che Derek lo ha lasciato solo, il ragazzo si è fatto imprigionare in un dannatissimo cerchio di fuoco e ha rischiato la vita.
-Ok, ho capito!- si difende Valefar, alzando entrambe le mani dalle unghie smaltate di nero. Si appoggia al muro e incrocia le braccia al petto, abbastanza immobile da permettere alla sua civetta di appollaiarsi sulla sua spalla. Adesso i suoi occhi sono vitrei, fissi su un punto nel vuoto. Ogni traccia di allegria è sparita dal suo viso, rimpiazzata da una serietà rigida, fredda come il ghiaccio.
–Allora, premetto che questa non sarà una bella storia. Non c’è un lieto fine, non ci sono eroi o benedetti dal Signore pronti a salvare la situazione. Qui parliamo di mostri, quelli veri, che abitano le rovine degli incubi e che gli stessi licantropi non potrebbero mai immaginare o eguagliare. Vi credete spaventosi? Non lo siete abbastanza, perché adesso parlo io, e parlerò di mostri… e di un martire.-
Derek non è più tanto ansioso di conoscere tutta la storia semplicemente perché comincia a intuirla. Vorrebbe sbagliarsi, lo vorrebbe con tutte le sue forze, ma quando Valefar fissa Stiles, ancora accoccolato sul grembo di Derek, e il suo sguardo si fa triste, quasi impietosito, allora il licantropo capisce con stordimento di non essersi sbagliato..
-Questo ragazzino… è sempre stato innocente. E quelli come me amano l’innocenza, ne sono attratti come api al miele. Sin dai tempi antichi, essa è quanto di più luminoso esista al mondo, come una fiaccola che non si spegne mai… a meno che un demone non scelga di nutrirsi di quella stessa luce, estinguendola una volta per tutte. Sì, sono un demone anche io. Sorpresi?-
Derek vorrebbe rispondere “non tanto”, ma mantiene il silenzio per spingere Valefar a continuare il racconto. Quando anche il branco imita il licantropo, Valefar capisce che è ora di andare avanti.
Spinge nuovamente lo sguardo su Stiles, gli occhi caritatevoli che stonano con la sua reale natura.
-Conosco Stiles da tre anni, sapete? Lo conosco perché l’ho incontrato… all’Inferno.-
Tali parole cadono nel vuoto, pesanti come un macigno e distruttive come una bomba nucleare.
Lydia si preme una mano sulla bocca e Scott sussulta, gli occhi nuovamente fissi su Stiles. Gli altri irrigidiscono i muscoli e continuano a fissare Valefar, non sapendo se ha parlato seriamente oppure no.
Dal canto suo, Derek si impone di restare immobile e basta, ma qualcosa dentro di lui si spezza in modo irreparabile, come un cristallo prezioso spaccatosi di schianto.
Stiles non può essere stato all’Inferno. Quel posto è forse il meno indicato dell’universo per uno come lui, sempre disponibile e pronto ad aiutare il prossimo.  Semplicemente, Stiles è un giusto e nessuna carità divina potrebbe permetterlo, perché sarebbe il peccato più grande dell’universo concedere che quegli occhi, quel viso, quell’anima immacolata finiscano giù, tra le viscere dell’oscurità.
-Sì.- annuisce Valefar, con lo sguardo lontano di chi ricorda. –Conobbi Stiles all’Inferno. E non parliamo di un Inferno simbolico, dove tutto ciò che lo rende vivo sono disegnini e inutili storielle. Parliamo dell’Inferno vero, dove i dannati soffrono e i demoni dilaniano gli ingiusti. Stiles era lì, lo ricordo. Lo vidi perché tra i dannati, era l’unico che non implorava, né chiedeva pietà.-
Valefar sorride appena.
-I demoni lo facevano a pezzi, lo percuotevano, gli ustionavano la carne fino a snudargli l’osso e lui cosa faceva? Pregava. Un dannato che prega apertamente Iddio in presenza dei demoni stessi. Inutile dire che li fece infuriare, spingendoli a massacrarlo con più ostinazione, ma lui non stava mai zitto.-
Derek si accorge di avere lo sguardo vitreo, fisso sul volto di Valefar. Immagina Stiles dedicarsi a una sacra parlantina giù, negli abissi più neri dell’oscurità stessa, mentre schifosissime creature con le corna lo fanno a pezzi e gli staccano la lingua per zittirlo. Ma lui continua a parlare anche senza lingua e senza bocca, perché zittire Stiles è impossibile. Per quale motivo lo ha fatto? Pregava qualche giustizia divina di aver pietà di lui o di salvarlo? Derek non gli ha mai chiesto in cosa credesse, non ha mai pensato che Stiles potesse fidarsi di un Dio. In effetti però, gli sembra strano, perché Stiles non ha mai dato segno di cristianità.
-Perché?- mormora improvvisamente Scott, la voce tremante di una sofferenza sconfinata. Ha gli occhi lucidi di lacrime, le labbra strette e tremanti, ma si impone di non piangere.
Valefar scrolla le spalle. –Perché Stiles è Stiles? Bella domanda. Quel ragazzo è sempre stato imprevedibile, sapete? Tu gli ordinavi una cosa, e lui faceva l’esatto opposto senza pensarci due volte. Non l’ho mai visto scappare dai demoni, né ha mai provato a sottrarsi alle punizioni che gli infliggevano. Sarebbe bastato zittirsi per alleggerire il peso delle torture, ma lui continuava, continuava sempre. Testardo. Forse è stato questo ad attirare la mia attenzione. Non le preghiere in sé, ma il fatto che quello stupido ragazzino pregasse all’Inferno e che continuasse a farlo ininterrottamente, senza mai curarsi del dolore che provava. Era un pazzo, ma lo ammiravo. Io stesso non avrei avuto la forza di sopravvivere, con Dumah e Alastor che lo smembravano.-
Derek solleva improvvisamente lo sguardo, gli occhi blu elettrico. –Dumah e Alastor? Erano loro a torturarlo?-
-Anche. Diciamo che i demoni si davano il cambio molto spesso. Io… ammetto con una certa reticenza che quando toccava a me, facevo il possibile per non colpirlo. Anzi.-
Valefar guarda la finestra, dove l’oscurità è fittissima e appare ormai prossima all’alba. Non vi sono più stelle e la luna è sparita. Quello stesso buio adesso si riflette nell’azzurro degli occhi del giovane demone, che attraverso quell’oscurità pare vedere scene già trascorse dove lui stesso incontra Stiles.
-Un giorno mi avvicinai a lui, sapete? Nascosto alla vista degli altri demoni, riuscii ad avvicinarmi e gli chiesi di raccontarmi la sua storia. Lui mi rispose sorridendo, senza traccia di vergogna o rabbia nella voce. Non mi odiava, non giudicava ciò che ero e ciò che facevo. Al contrario, mi parlò come se fossi un vecchio amico: “Tu abiti all’Inferno, demone, ma sai cos’è l’Inferno vero? No? Se la risposta è sì, allora sappi che la tua è mera illusione. Credi di conoscerlo, ma non è così. Se vuoi conoscere la mia storia, ti accontenterò, e questo al solo scopo di farti capire che l’Inferno, io l’ho già vissuto.
“Tre anni prima che nascessi, mio padre si ammalò di cancro. Era molto grave e ormai i medici avevano perso le speranze. Sì, era fregato di brutto. Mia madre, che allora non era neanche sua moglie, era disperata perché lo amava profondamente ed era disposta a tutto pur di salvarlo. Qualsiasi prezzo sarebbe andato bene perché mio padre era tutto ciò che le restava, tutto ciò che voleva. La sua metà. Riesci a capirmi? Forse no, ma non importa. Cominciò a chiedere l’aiuto di medici e infermieri, girando il mondo e mendicando un rimedio, ma nessuno poteva aiutarla. Mamma non sapeva cosa fare.”-
Derek accentua la stretta su Stiles, sapendo già come andrà a finire la storia. Ha capito e per questo non vuole che Valefar continui il racconto. Non vuole più sentire, si rifiuta di ascoltare quella voce morbida di ragazzo che gentilmente gli narra la storia che non avrebbe mai voluto conoscere davvero.
-“Un uomo si avvicinò a lei mentre si recava in chiesa per pregare, appellandosi all’ultima speranza che le restava. Dio è l’ultima ancora per molti uomini, che si tratti di atei oppure no. Quando la scienza fallisce, non si può che sperare in un miracolo. Ma torniamo all’uomo. Le disse che poteva guarire papà, ma che in cambio avrebbe chiesto ciò che di più prezioso si sarebbe distaccato infine dal suo corpo.
“Mamma non sapeva cosa voleva dire, ma intuì che potesse trattarsi della sua stessa anima. Trovandosi in un luogo spirituale, l’unica risposta non poteva essere che questa. Non avrebbe voluto fidarsi facilmente, ma era disperata e voleva che papà vivesse, quindi accettò. Inutile dire che il prezzo da pagare fui io. Quando mamma partorì, capì che il suo bambino sarebbe stata la moneta di scambio per la guarigione di papà. Cercò l’uomo in lungo e in largo per pregarlo di ripensarci, di prendere lei al posto di suo figlio, ma lui non si fece mai trovare. Papà mi disse che quando mamma morì, lo fece pregando Dio. Chiese che suo figlio si salvasse perché era innocente, ma evidentemente Dio era parecchio distratto in quel momento, forse perché stava partecipando a uno di quei festini celestiali con la musica ad alto volume e le angiolette sexy che ballano su un cubo di nuvole.”-
Il branco trattiene il fiato, silenzioso come non mai.  
-“Quindi, sono finito qui. Scoprii la verità perché a dirmela fu lo stesso uomo che strappò il patto a mia madre. Mi disse che mi restavano due ore prima di morire, ma io mi rifiutai di parlarne ai miei amici. È per questo che prego, sai? Prego affinché nessun altro come me cada quaggiù per sbaglio. Prego Dio di prestare più attenzione alle preghiere delle madri innocenti la prossima volta, quindi spero per lui che abbia almeno imparato a prestare attenzione, o mi toccherà continuare a infastidirlo.”-
Derek si accorge di aver fissato nuovamente il vuoto durante l’intera durata del racconto. Il crocifisso nella tasca dei suoi jeans acquista improvvisamente un significato più pesante, insieme al racconto di Deaton riguardo l’ultima apparizione di Stiles. Pensa a quella notte e si chiede cosa ha provato Stiles nel sentirsi dire che gli restavano solo due ore di vita, il tutto a causa di sua madre e della disperazione che la spinse a stringere un patto sbagliato. In quel frangente, quello più pericoloso e angosciante della sua vita, Stiles era solo.
-Ma… aspetta un attimo, Stiles è un dannato?- interviene Isaac improvvisamente.
-Sì, lo era.-
-Cosa è cambiato allora?-
Valefar sbuffa dal naso. –Domanda del cavolo… ehm, la risposta è un po’ complicata.-
Si gratta una tempia con aria pensierosa, lo sguardo ancora lontano.
-Sappiate che ognuno di noi demoni è nato innanzitutto come umano. Si nasce uomini, si muore, si scende all’Inferno e, se Lucifero ci reputa abbastanza degni delle sue attenzioni, ci trasforma in bestie di Satana. Nessuno di noi ricorda il suo passato terreno, la sua famiglia o la sua vita, ma non ne parliamo mai. È una specie di tabù che esitiamo a infrangere. Comunque, il fulcro della questione è che siamo stati eletti tra i dannati perché in un modo o nell’altro abbiamo saputo distinguerci e attirare l’attenzione di Lucifero. Stiles ci è riuscito e nessuno ne conosce il motivo. Guarda caso però, è stato inviato qui proprio quando un demone ha deciso di aprire un varco all’Inferno e far scappare alcuni spiriti.-
-Cosa?- esclama Allison. –E perché? Chi è stato?-
-Non lo sappiamo. I demoni sono tanti e l’Inferno è grande. Non basterebbe una vita per trovare il varco in tempo utile per impedire che mezzo Inferno si rovesci sul mondo. Vita e morte sono realtà che non dovrebbero mai mescolarsi, pena l’intervento prematuro di potenze superiori che è meglio non risvegliare. Pensate che Dio e Lucifero siano gli unici grandi capi? Sbagliato. Ma sono forse quelli più flessibili e clementi, anche se è strano a dirsi. Ad ogni istante che passa, il varco continua a ingrandirsi, col rischio che i dannati più feroci, arrabbiati e folli di dolore escano dalle loro prigioni. L’Apocalisse potrebbe scatenarsi nel momento in cui il numero dei dannati fuggiaschi supererà quello dei vivi.
-Per darvi un’idea di ciò a cui andiamo incontro, i morti che ci sono stati qui sono vittime degli spiriti dannati, ma nel mentre, noi possiamo solo rispedirli all’Inferno nella speranza che ci mettano un po’ a ritrovare la via di fuga ancora aperta. Ci serve il bastardo che ha aperto il varco per sapere dove si trova, perché gli spiriti non parleranno mai, neanche sotto tortura, e Lucifero non scomoderà il culo per intervenire. Non può uscire dall’Inferno, ma possiamo farlo noi, e dobbiamo chiudere quel dannatissimo varco prima che la situazione diventi irreparabile. Siamo qui per questo. Stiles è qui per questo, insieme a Dumah e Alastor, incaricati di sorvegliarlo.-
Per brevi istanti, il silenzio regna sovrano sul loft. Questo, finché Lydia non interviene: -Aspetta, stai dicendo che Stiles è…-
-Un demone, sì.-
Demone. Derek ci ha già pensato, ma sentirlo dire ad alta voce e pensare sul serio che effettivamente Stiles sia… una creatura infernale, è assurdo. Non riesce a conciliare il volto dolce e allegro del ragazzino che ha conosciuto con quello della belva inferocita che ha ammazzato una creatura umanoide davanti ai suoi occhi. È innaturale, è sbagliato. Non ha senso. Eppure, Derek capisce che allo stesso tempo, tutto combacia.
La sparizione definitiva e improvvisa di Stiles, come se niente di lui fosse mai esistito sulla faccia della Terra, non solo a Beacon Hills. Il racconto di Deaton. Il rosario lasciatogli da Stiles stesso. Dumah e Alastor. Ogni cosa scivola macabramente al suo posto, completa un quadro di purissimo orrore che Derek fatica a immaginare nella sua interezza.
Interrompendo le elucubrazioni mentali del giovane Hale, Scott avanza esitante, mordendosi le labbra. Derek sa già cosa sta per chiedere e prega che la risposta a quella domanda sia negativa.
-Ma allora… insomma, una volta finita tutta questa storia Stiles non dovrà tornare all’Inferno, vero?-
Un sospiro, il fruscio di qualcosa che si muove. –Dovrò tornare eccome, Scottie. Dopotutto, io sono già morto.-
Derek abbassa lo sguardo di scatto, posandolo su uno Stiles sveglio e assolutamente vigile. I suoi occhi sono ancora screziati di purissimo oro liquido e ha l’aria stanca, ma non fatica ad alzarsi a sedere, come se non avesse mai dormito. Si guarda intorno lentamente, scrutando le facce dei presenti, riconoscendoli uno alla volta e soffermandosi infine su quella di Scott.
Silenzio. Istanti di quiete in cui due ragazzi quasi nati e cresciuti insieme si squadrano, un pezzo alla volta, avidi di quella fratellanza che per troppo tempo è venuta a mancare. Poi, Stiles sorride. Spalanca lentamente le braccia, gli occhi luccicanti di lacrime commosse, tanto fragili e umane da spingere lo stesso Derek a chiedersi se la belva che ha visto poche ore prima è ancora lì, in quel ragazzo piccolo e delicato.
-Ciao, Scottie.-
Scott non ci pensa due volte: si getta a capofitto nell’abbraccio di Stiles, stringendolo come se fosse il tesoro più prezioso del mondo. Il suo amico, suo fratello, la sua ancora. Sparendo nel nulla, Stiles si è portato via un pezzo di Scott, della sua famiglia, quella parte di se stesso che ha temuto di non ritrovare più. Ma adesso che Stiles è riapparso, adesso che lo abbraccia e gli accarezza dolcemente la schiena, Scott si sente a casa e nuovamente completo. Dopo tre anni, ritrova quel pezzo mancante, quel sorriso e quella voce che per troppo tempo hanno tenuto il silenzio nella sua vita. Singhiozza contro la sua spalla, subito imitato dallo stesso Stiles, che sembra invece non essere mai andato via. È il suo migliore amico, suo fratello, e Scott lo riconosce.
Riconosce quella voce, che tante volte l’ha chiamato e consigliato.
Riconosce quelle labbra, che tanto spesso hanno sorriso insieme a lui.
Riconosce quel calore che sa di famiglia, di rifugio e sicurezza.
Semplicemente, Scott riconosce Stiles.
-Bentornato… fratellino.- mormora Scott, sorridendo tra le lacrime.
Stiles sbuffa una risata, che subito si trasforma in un singhiozzo commosso. –Sono sempre stato qui.-
-Ne dubito: c’è stato troppo silenzio negli ultimi tre anni.-
Stiles ride ancora, stavolta apertamente, e i due si separano. Il giovane demone ha il viso rigato di lacrime rosse, cristalline a modo loro, che brillano come lava bollente. Scott sa che dovrebbe averne paura, ma non è così: quello è pur sempre Stiles, in qualsiasi condizione si presenti. Non si teme la propria famiglia quando questa è quanto di più luminoso rischiari la vita.
Lentamente, il resto del branco corre ad abbracciare il ragazzo: uno alla volta, per un periodo di tempo che pare interminabile, ma a Stiles va bene così. Isaac sbuffa un singhiozzo, Allison sorride dolcemente e lo sfiora con la grazia di ali di farfalla, Lydia lo travolge con una stretta spezza ossa. Nessuno lo tratta con distacco, nessuno ha paura di lui nonostante quello che hanno visto qualche ora prima. Abbracciano un demone senza paura, fiduciosi dell’involucro umano che racchiude la bestia, fidandosi ciecamente di quel ragazzo che tante volte li ha aiutati, salvati, sostenuti.
Semplicemente, Stiles è di nuovo a casa.
-E tu?- chiede allora il giovane demone, voltandosi a guardare Derek, che nel frattempo si è tenuto scrupolosamente in disparte.
Decisamente, gli abbracci non fanno per lui. Cosa si aspetta Stiles? Che Derek lo stringa e gli baci la guancia come farebbe una madre premurosa che ha appena ritrovato il figlio? Lui non è così. Derek è un lupo, un temibile licantropo, e certe manifestazioni di affetto le detesta.
-Io ho già dato, e questo perché ho dovuto salvarti il culo dal tuo lato poco raccomandabile.- Derek parla con durezza, la voce ferma e decisa, ma Stiles sa che non dice sul serio. Ha assaporato ogni istante del suo abbraccio protettivo, nel quale il giovane demone si è sentito veramente al sicuro, anche se per poco tempo. Sa che gli resta ancora poco prima di dover salutare tutti quanti una volta per tutte, quindi se la sente di azzardare.
Forse Derek gli staccherà la testa, ma non importa.
Forse lo odierà a morte e lo respingerà schifato, ma non importa neanche questo.
-Grazie, Sourwolf.- sussurra di cuore prima di far scorrere le mani lungo le sue guance ispide di barba, tra i capelli scuri e morbidi, dove le dita affondano e si fermano. Derek sbarra gli occhi quando Stiles si solleva appena sulle ginocchia, allungandosi per poggiargli un dolce quanto inaspettato bacio sulla fronte, un tocco gentile che sa di benedizione, di affetto inaspettato ma consapevole. L’intero essere di Derek sussulta e si risveglia, richiamato al cospetto di quel calore improvviso e bellissimo che il licantropo non ha mai sperimentato con nessuno, in famiglia come con i pochi conoscenti che abbia mai avuto.
Le labbra di Stiles sono morbide come il velluto e appena screpolate, ma profumano di buono e sono caldissime, come se il ragazzo avesse la febbre alta. Derek ha ormai capito che la temperatura corporea media di un demone deve aggirarsi come minimo intorno ai quaranta gradi.
-Oh!- esclama improvvisamente Valefar, attirando l’attenzione. Stranamente, ha gli occhi sbarrati e l’espressione stupita di chi non sa esattamente cosa sia successo. Si tocca lentamente una guancia, dove una piccola lacrima scarlatta scivola placidamente, sporcandogli la pelle abbronzata di una scia peccaminosa.
Valefar allontana la mano dal viso e si guarda le dita sporche, stralunato come un bambino che fissa la neve da vicino per la prima volta.
-Non sapevo nemmeno come si piangesse…- sussurra, fissando interessato la goccia rossiccia incastrata sul polpastrello. –E non so nemmeno perché sto piangendo adesso. Io… forse ha a che fare col mio…-
-Passato da umano.- sorride Stiles, allontanandosi da Derek. –Sei demone da tanto tempo, amico mio, ma non sei immune alle emozioni, per quanto atipica possa essere una cosa del genere.-
Valefar sorride, tirando su col naso. –Non credo sia possibile, Sty. Il mio passato da umano non esiste più.-
Stiles si limita a fissarlo. –Perché piangi, allora?-
Valefar si limita a scrollare le spalle, stordito. -Mi sarà andato qualcosa nell’occhio.-
Sorride appena, ancora scosso. La civetta sulla sua spalla emette un lungo fischio prolungato e si leva in volo per appollaiarsi sullo schienale del divano, proprio alle spalle di Stiles.
-Ciao, Duivel.- sussurra il ragazzo, accarezzando la piccola testa della civetta. Quella chiude gli occhi e china il capo, grata.
-Stiles.- chiama allora Isaac. –Quello che hai detto… è vero? Quando tutto questo finirà…-
Stiles solleva una mano per fermarlo. Si alza in piedi e si raddrizza, occhieggiando l’alba che lentamente sorge sulla città. –Ragazzi, fatevene una ragione: io sono già morto. Non potete riportarmi in vita e non c’è modo per sottrarmi alla mia punizione.-
-Ma non hai fatto niente di male!- esplode Scott, arrabbiato.
-Sono il prezzo da pagare per la salvezza di papà. A me va bene, Scottie; è giusto così.-
-Non è giusto, e tu lo sai.- interviene pacatamente Derek. –Ti hanno trasformato in una creatura demoniaca addetta alla tortura delle anime. Se ti conosco bene, ragazzino, so che una volta tornato all’Inferno ti rifiuterai di torturare altre persone, e questo ti spingerà nuovamente tra le fila di dannati.-
Stiles sbatte le palpebre, stordito. Si stupisce di quanto Derek Hale pare conoscerlo. È come parlare con un familiare molto stretto o con Scott. Prevede ogni sua mossa, ogni suo ragionamento. Stiles ha la sensazione che in qualche modo possa scrutargli attraverso vari strati di pelle, carne e muscoli, fino ad arrivare a ciò che resta della sua povera anima devastata.
È un pensiero stupido, perché se Derek potesse vedere il suo reale aspetto e i miseri rimasugli della sua anima, Stiles è certo che scapperebbe. Chiunque armato di buonsenso lo farebbe, quindi Derek sarebbe tra i primi per semplice istinto di sopravvivenza.
-Non posso fare molto, Sourwolf.- dice con una dolcezza che stupisce anche lui. Facendosi coraggio, gli appoggia una mano sull’avambraccio muscoloso, fissandolo in quegli occhi verde foresta che luminosi racchiudono tutte le sfumature dello smeraldo e di troppe emozioni represse, una nebulosa di vita e colori cangianti sempre in movimento, sempre pronti a mutare. Stiles si accorge di amare ancora di più quegli occhi perché a fermare il suo io aggressivo, sono stati proprio loro. -Ma posso far sì che il vostro mondo non cada.-
Derek lo afferra improvvisamente per le spalle, muovendosi così velocemente che Stiles quasi non lo vede. –E tu? Stupido ragazzino con complessi di eroismo. Cosa ne sarà di te? Non ho intenzione di ascoltare ancora a lungo i patetici lamenti di Scott.-
-Ehi!-
Derek e Stiles lo ignorano. Si fissano negli occhi, squadrandosi e giudicandosi in reciproco silenzio.
Le iridi di Derek sono sempre stata la parte più espressiva di lui, sopracciglia a parte. Per chi sa osservare bene, quegli occhi trasmettono una gamma di emozioni sconfinata, potente, mutevole come pelle di camaleonte. Stiles ha sempre capito in silenzio le preghiere espresse da quegli occhi, i loro discorsi, i più piccoli sussurri o consigli regalati nel silenzio più assoluto. Stiles ascolta, e quelli parlano, senza mai zittirsi.
Adesso, gli occhi di Derek gli stanno dicendo di pensare a se stesso: lo pregano di cercare una scappatoia, di tornare sui propri passi perché in qualche modo, le lamentele di Scott sono solo una scusa. Derek tiene a lui come… cosa? Un vecchio amico? Deve essere così, ma Stiles non se ne dispiace. Deve fare attenzione a ciò che desidera, adesso che è momentaneamente libero. Non può lasciarsi andare proprio ora che il suo tempo lì è limitato, quindi dovrà curarsi di ogni più piccolo rapporto, trattandolo come una bomba a orologeria per il semplice motivo che potrebbe saltare in aria da un momento all’altro. Ha compreso l’importanza dei suoi sentimenti per Derek solo quando è sprofondato all’Inferno, e questa è stata una bella fregatura, ma forse è stato meglio così: almeno, ha trovato la scusa per non dirglielo mai.
Improvvisamente, Stiles e Valefar voltano la testa di scatto per fissare la finestra.
-Che succede?- sussurra Allison, notando i loro occhi spalancati.
-Stiles, no.- sbotta Valefar all’improvviso, notando l’altro ragazzo che lentamente si è alzato.
-Che succede?!- esclama Scott.
-Alastor. Mi sta chiamando.- dice Stiles, gli occhi spalancati e vitrei. Si alza lentamente in piedi, lo sguardo ancora fisso sulla finestra.
-Stiles, no.- ripete Valefar. –Se scoprono cosa hai fatto, ti rispediranno all’Inferno.-
-Se non rispondo al loro richiamo, sarò nei guai due volte.-
-Rischi troppo. Ora come ora devi stare lontano da quei due.-
-Non posso, Valefar. Ho bisogno di loro se vogliamo mettere le mani su quel demone.-
-Aspettate un momento!- esclama Scott, palleggiando lo sguardo da Valefar a Stiles. I due lo guardano, in attesa. –La cosa che avete fritto gettandola in chiesa, che cavolo era?-
Stiles sorride imbarazzato. –Solo un secondino del demone che cerchiamo. Alcuni sono scappati con lui senza avere il permesso di uscire dall’Inferno, ma non abbiamo bisogno di loro per chiudere il varco. Ci serve il capo, un demone abbastanza forte da poter aprire un portale per questo mondo senza l’aiuto o il permesso di Lucifero.-
Stiles si avvicina alla finestra e appoggia le mani sul davanzale. –I grani del rosario. Il crocifisso. Usateli per proteggervi dagli spiriti dannati. Sospettate di chiunque, non fidatevi di nessuno… neanche di me e Valefar. Senza l’aiuto divino o infernale, non vi sarà concesso di colpire i demoni e quindi di difendervi.-
Stiles volta appena il capo per fissare Valefar con la coda dell’occhio. –Devo andare, Val. Non posso ignorare la chiamata di Alastor, lo sai.-
Suo malgrado, Derek capisce che ha ragione. Se Stiles cominciasse a evitare i suoi compagni demoni, quelli capirebbero che c’è qualcosa che non va.
-Sta attento.- dice soltanto, fissandolo.
Stiles sorride e gli fa l’occhiolino. Il cuore di Derek salta un battito quando un forte bagliore dorato illumina l’iride del giovane demone.
–Sai cosa? Non credo che avrò bisogno di Diablo. Tenetelo con voi: vi aiuterà e sarà un modo per tenersi in contatto con me. È pur sempre il mio tramite. Oltretutto, se mai mi succedesse qualcosa, Diablo sparirebbe.-
-Non voglio che te ne vai.- mormora Scott, chinando il capo.
-Ehi, bello, su col morale! Ti è sempre piaciuto giocare a Dante’s Inferno e adesso che sei praticamente il protagonista del gioco dovresti sentirti più che emozionato!-
-Sì, ma Dante aveva una falce e i poteri divini, lì dentro.-
-Tu hai un fighissimo amico demone, Scottie. Meglio di così!-
Con queste parole, Stiles scavalca il davanzale e si lancia nel vuoto. Sparisce nel nulla, lasciandosi alle spalle un silenzio tombale e la piccola voragine di solitudine che Derek si stupisce di trovare proprio al centro del petto.
 
Duivel: termine olandese per indicare Satana.
 
Angolo dell’autrice:
Sì, ecco… ogni volta che pubblico, mi domando cosa accidenti ho scritto. E la risposta è sempre “non lo so, porca miseria!”. Anche stavolta, non fa eccezione. Però, spero che vi sia piaciuto! Forse la risposta alla storia di Stiles non vi ha soddisfatti, e se è così mi dispiace molto… ma c’è ancora qualcosina da scoprire. Che ne pensate? Non perdiamo tempo e diamo spazio ai ringraziamenti prima e alle anticipazioni dopo!
Fangirl_Mutante_SHIELD: sei tu che sai come meravigliarmi con le tue recensioni! Sei gentilissima, e io davvero non so come ringraziarti. Spero di poter migliorare ancora. Derek e Stiles hanno ancora molto da mostrarti, nel bene e nel male, quindi attenzione a ciò che desideri! I loro momenti insieme potrebbero non essere come ti aspetti! Grazie mille del commento e a prestissimo!
Always a potterhead: e mai commento potrebbe onorarmi più di questo. Davvero, ti ringrazio. Il fatto che tu abbia lasciato un piccolo commento significa molto per me e per questa storia, quindi… grazie di cuore. Grazie!
Nye: Apocalisse, sì. Con la A più che maiuscola! Bastano le spiegazioni che ti ho fornito? Attenzione però, ci sarà di più da scoprire. Spero di non averti delusa. Grazie per il commento e a presto!
Neal96: grazie mille, sei gentilissima! Piaciuto il nuovo capitolo? Spero di sì! Grazie ancora del commento e a prestissimo!
Sophi33: no, Dean era in Purgatorio in quel momento. I colleghi di Stiles sono demoni, e Stiles è demone a sua volta… solo che è un po’… atipico come demone, e poi scoprirai il perché! Grazie del commento e a presto!
Gaiadidio: grazie mille, e tu sei una fantastica lettrice! Spero che questo capitolo non ti abbia deluso! A prestissimo e grazie ancora!
Cecix: grazie mille, ma il mio Inferno sarà un po’ diverso da quello di Supernatural… perché? Perché si appella a un altro Inferno, uno già descritto anni fa. Riesci a indovinare quale? Grazie per il commento e a presto!
_Vi___: ehm… definisci “finirà bene”. No, perché… ehm… potrebbe finire bene, ma bene in un modo… diversamente benigno. Non lo so. In realtà, quando scrivo io stessa non programmo mai nulla. L’unica cosa programmata era il primo capitolo, ma da lì non so nemmeno io cosa ho scritto e cosa ancora deve saltar fuori. Ti dico solo che da soffrire ne avrai parecchio, ma saprò anche renderti felice. Scommettiamo? Eheh. Comunque, Valefar e Stiles? Forse. Forse no. diciamo che Valefar si darà da fare sotto questo aspetto, ma in maniera piuttosto inaspettata. Riesci a indovinare come? Grazie per il commento e a prestissimo!
Drarry90: non ti preoccupare. Anzi, sono io che ti ringrazio di cuore per la tua assiduità e l’entusiasmo che leggo attraverso i tuoi commenti. Le recensioni per me sono sempre secondarie, poiché l’importante è far sentire ai lettori ciò che sentono i personaggi, trascinarli nella storia e non farli pentire mai di ciò che leggono. In ogni caso, grazie di cuore per il commento. Graziegraziegrazie!
Barbara78: grazie. È splendido che tu abbia deciso di recensire. Proprio perché commenti poco, sento che le tue parole valgono oro e per questo ti ringrazio. Di cuore. A presto!
 
Anticipazioni:
“Gli odori assalgono il naso di Derek come un tornado: odore di oceano, di… foche, di pinguini e orsi polari. Odore di ghiaccio, di natura sconfinata e di totale assenza umana. Derek non è certo di aver mai annusato un aroma tanto selvaggio.
Poi, giunge il freddo. Gli entra nelle ossa, sotto la pelle, abbracciandogli i muscoli e intorpidendoglieli. Decisamente, una misera giacca di pelle non può far fronte al gelo di quello che sembra decisamente il Polo Nord, o qualcosa del genere.
-Dove… dove siamo?- mormora Derek, stupito come non mai in vita sua. Il silenzio che abbraccia le sue parole è così rilassante e naturale che quasi funge da sedativo.
-Alaska, amico mio.- risponde Stiles, che ancora gli stringe la mano. Derek si accorge che la parte del corpo più vicina al demone è calda e quasi fuma a contatto col gelo della notte ghiacciata. –Precisamente, siamo in mezzo all’oceano.-”
 

Tomi Dark Angel
 

 

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Capitolo 8
*** Dove Il Paradiso Abbraccia L'Acqua ***


“Le creature hanno cicatrici nei posti meno immaginabili,
Come mappe di strade segrete delle loro storie personali,
Diagrammi di vita vissuta e lasciata a metà
Che nel dolore, sviluppa poco a poco una costante gioia di vivere.”
 
Da due giorni, Lydia e Scott non fanno che riempirlo di chiamate. La prima perché continua a fare ricerche su ricerche senza trovare nulla di soddisfacente e il secondo perché vuole sapere se Diablo è ancora vivo e sta bene.
Stanno diventando soffocanti, tutti e due. Derek non ha mai amato parlare inutilmente e il cellulare lo usa solo se strettamente necessario. Per questo, non sa che pensare del fatto che nelle ultime quarantotto ore quell’aggeggio si è trasformato improvvisamente in un maledetto centralino di lamentele e domande e risposte sempre uguali.
No, Lydia continua a non trovare niente e a lamentarsene, come se Derek potesse fare qualcosa al riguardo.
Sì, Diablo sta benissimo e non ha mai lasciato Derek da quando Stiles si è allontanato. Al lupo non dà fastidio: il famiglio è silenzioso, di compagnia e non invade i suoi spazi. Tutto l’opposto del proprietario, insomma. Se non avesse gli stessi occhi di Stiles, Derek faticherebbe a collegarlo al ragazzino iperattivo che ricorda… in realtà, Derek fatica ad identificare lo stesso Stiles col ragazzino di tre anni fa.
Cosa è cambiato in lui? Tutto, niente? Derek non sa dirlo con certezza, ma Stiles non è più Stiles. Non sempre, almeno. Lo Stiles che ricorda è iperattivo, logorroico, a volte anche stupido e poco ragionevole.
Chi è invece il ragazzo che ha incontrato adesso? Derek non sa cosa pensare di lui; un giovane innaturalmente saggio e a volte silenzioso che con dolcezza gli ha sorriso e baciato la fronte, spingendosi laddove nessun altro ha mai osato per paura d’esser fatto a pezzi.
Derek non lo ammetterebbe nemmeno con se stesso, ma pensa spesso a Stiles. Si chiede cosa stia facendo, se ha trovato il demone che lo ha spinto a girovagare tra i vivi o se gli spiriti siano riusciti a fargli del male. Quest’ultimo pensiero gli rovescia lo stomaco come un guanto, stringendoglielo in una morsa d’acciaio che lo fa tremare d’impazienza e bisogno di correre da Stiles per proteggerlo, guardarlo negli occhi, sapere che sta bene.
Perché, poi? Stiles non è così importante. Certo, è l’amico di Scott e Derek lo conosce da un po’, ma non rappresenta niente di più. E poi, Stiles sa badare a se stesso. Ormai è un demone, una delle creature più potenti dell’universo.
Mentre si allena, Derek non può fare a meno di sorridere al pensiero di un demone tanto imbranato. Si chiede come sia Stiles al suo stadio finale, totalmente trasformato. Orribile? Bellissimo? No, cancella quest’ultima parola. Derek non può credere di averla pensata davvero.
Improvvisamente, Diablo gracchia. È un suono che non si ode spesso, specialmente perché il corvo sa mantenere il silenzio per ore, spingendosi ad attirare l’attenzione solo se ha strettamente bisogno di qualcosa.
-Mh?- Derek lo guarda e si raddrizza con una spinta a dir poco impossibile che dalla posizione supina lo porta fluidamente in piedi. Raggiunge Diablo e lo guarda di sottecchi, studiando gli occhi espressivi che di animale hanno ben poco. –Che c’è?-
Diablo guarda fuori e fa frullare le grosse ali nere.
-Ehilà!-
La faccia di Stiles compare così all’improvviso che Derek snuda all’istante zanne e artigli, prodigandosi in un ringhio gutturale che fa tremare le pareti. Per la sorpresa, Stiles rischia di perdere la presa sul davanzale della finestra e di cadere di sotto. Agita le braccia come un pinguino che tenta inutilmente di spiccare il volo e bruscamente ritrova l’appiglio, a un passo dalla caduta disastrosa.
-Ehi, sono io! Stupido Sourwolf, non si trattano così gli ospiti!-
Derek ringhia più forte. –Che cavolo ci fai qui? Non si usa più la porta?-
-Tu con me non l’hai mai usata. Ciao, Diablo!- Stiles si accovaccia sul davanzale, senza però mollare la presa sul vano della finestra. Sorride allegramente, lo sguardo fisso in quello del corvo, come se quello gli stesse parlando attraverso gli occhi, trasmettendogli informazioni riguardo la giornata e i momenti trascorsi con Derek.
Solo quando il licantropo lo osserva meglio, nota che Stiles ha le maniche della felpa arrotolate a scoprire le braccia longilinee ma venate di muscoli definiti, asciutti, che Stiles non possedeva tre anni addietro. Il polso è coperto da una spessa fasciatura che Derek non ha mai notato prima o che semplicemente è stata applicata ultimamente, come se Stiles si fosse ferito gravemente proprio in quella zona. Quando è successo? Come? Chi è stato? Derek sente un nuovo ringhio salirgli in gola, un suono che quasi non riesce a controllare.
-Che c’è?- chiede Stiles, seguendo la traiettoria del suo sguardo. –Oh… oh, scusa.- Cerca di abbassarsi la manica, ma istintivamente Derek gli afferra il polso, ben attento a non stringere la presa.
Vorrebbe chiedere tante cose, ma sente che non è il momento giusto. Da quando è tornato dall’Inferno, Stiles evita ogni domanda e sotto un certo aspetto, Derek riesce a capirlo. Perciò trattiene i suoi dubbi e le sue paure in nome di un bene superiore, quel bene che Stiles si è visto negare per tre anni.
-No. Va… va bene così. Credo.- borbotta burbero prima di allontanarsi.
-Credi?- sorride Stiles, sedendosi sul davanzale con le gambe penzoloni. Diablo gli si accoccola su una spalla, salutandolo con una debole beccata sulla guancia.
-Che ci fai qui?-
Derek si accorge di essere stato un po’ brusco, ma lui non è il tipo che si scusa. Però si concede di guardarlo di sottecchi per vedere se Stiles se la sia presa o se sia addirittura andato via. Si sorprende quando lo sente ridere.
-Vengo a rapire la tua animaaa!- risponde, imitando stupidamente il tono lamentoso di un fantasma.
-Sei un imbecille.-
-Almeno sono il tuo imbecille.-
Derek strabuzza gli occhi, ma Stiles non sembra imbarazzato dalle sue parole. Continua a sorridere e ad agitare le gambe a pochi centimetri da terra come un bambino.
-No, seriamente: volevo farti vedere una cosa.-
Derek lo fissa, in attesa. –Di che si tratta? Riguarda gli spiriti fuggiaschi?- chiede, guardingo.
Stiles scrolla il capo. –No, Sourwolf. È solo… insomma, vuoi venire o no?-
Sembra imbarazzato, ma Derek non capisce perché. Ascolta il battito del suo cuore, che stranamente pulsa anche troppo per appartenere a un morto, e capisce che Stiles sta tenendo malamente a bada il panico.
-Stiles, che succede?-
Stiles si gratta la nuca, imbarazzato. –Vieni e basta. Se non hai da fare, s’intende. Non è niente di serio, ma vorrei… insomma… adesso sono libero e…-
-Va bene, basta che chiudi il becco.-
Il viso di Stiles si illumina di emozione, facendo quasi sorridere Derek. Sembra un bambino che la mattina di Natale ha appena scoperto d’aver ricevuto il dono tanto sperato.
Senza una parola, il licantropo indossa il suo tipico giubbotto di pelle e lo raggiunge.
-Mh… no, non credo che ti serva a molto quel giubbotto. Andiamo in un posto freddo, quindi ti consiglio di coprirti bene.-
-Sono un licantropo, Stiles: non soffro il freddo.-
Stiles lo fissa, dubbioso. –Sicuro?- dice dopo un po’.
-Sicuro. E piantala di fare l’apprensivo, so badare a me stesso.-
-Non lo metto in dubbio.- risponde il demone con un’altra risata. –Ma io ti ho avvertito.-
Tende la mano verso Derek, il viso rilassato e un’espressione emozionata in volto. Il licantropo gli fissa il palmo interdetto, chiedendosi come reagire.
-Dammi la mano, Sourwolf.- dice Stiles semplicemente. –E trattieni il respiro.-
Derek indietreggia di un passo. –Questa cosa non mi piace decisamente.- asserisce, pensando che Stiles possa essere anche troppo imprevedibile. Se privo dei poteri di un demone lo era già parecchio, adesso è praticamente impossibile da controllare e facile da temere.
-E dai, fidati per una volta!- sbotta l’altro, tendendo il busto verso Derek. Non si muove, ma tutto il suo corpo è proteso a indirizzo del licantropo in un chiaro invito a fidarsi.
Derek non pensa che sia una buona idea. Si è fidato altre volte di Stiles, e non sempre la cosa è finita bene. Trattandosi a maggior ragione di uno Stiles demone, Derek pensa che dargli corda equivalga al fare bungee jumping senza elastico lanciandosi dalla cima dell’Empire State Building. Davvero una pessima idea.
Ma Derek non può dire di no a quello sguardo da cucciolo bastonato.
-Se ci succede qualcosa, ti ammazzo.- ringhia un istante prima di afferrare la mano di Stiles. Le loro dita si intrecciano, incastrandosi perfettamente e con naturale armonia, come se non avessero mai toccato altro all’infuori della mano dell’altro.
-Trattieni il respiro.- gli ricorda Stiles, e Derek ubbidisce.
Inspiegabilmente, il loft sparisce nel nulla, risucchiato da un buco nero che si porta via colori e luci, sprofondando Derek in un’oscurità che non lo disturba, ma che nemmeno ama. È un attimo, un solo istante di assenza di odori, suoni e immagini, come se Stiles lo avesse momentaneamente trascinato nel corpo di un’anima defunta, di quelle che devono ancora attraversare il velo dell’aldilà. Poi, il mondo esplode in una miriade di bianco e azzurro.
Il mondo si capovolge, cambiando improvvisamente aspetto: i colori sono più vivi, brillanti come appena mescolati su una tavolozza d’artista. Sfumature cristalline che Derek non riesce a carpire del tutto, poiché troppe e troppo vivide, al punto che quasi respirano di propria volontà, simili a creature viventi e tangibili.
Si trovano tra i ghiacciai, ammassi di gelo circondati da neve e oceano. L’acqua azzurrina, che riflette slavata il blu cobalto del cielo tempestato di stelle, quasi si mescola con la stessa volta celeste, dando l’impressione che cielo e mare dopotutto, non sono poi così lontani. Entrambi bagnati di sfaccettature blu e azzurrine, entrambi tinti di punti luce dovuti alle stelle, quanto ai riflessi baluginanti dell’acqua che continua a muoversi leggera, viva dei ghiacciai che galleggiano sulla superficie.
I ghiacciai. Derek riesce a vederli come titani leggendari che svettano contro il cielo, alti e austeri nei loro corpi cristallini volti a riflettere ogni sfaccettatura di cielo e oceano, convertendo i colori un uno spettro variopinto che vivido corre incessantemente lungo le superfici gelide.
Gli odori assalgono il naso di Derek come un tornado: odore di oceano, di foche, di pinguini e orsi polari. Odore di ghiaccio, di natura sconfinata e di totale assenza umana. Derek non è certo di aver mai annusato un aroma tanto selvaggio.
Poi, giunge il freddo. Gli entra nelle ossa, sotto la pelle, abbracciandogli i muscoli e intorpidendoglieli. Decisamente, nonostante il suo metabolismo da licantropo, una misera giacca di pelle non può far fronte al gelo di quello che sembra decisamente il Polo Nord, o qualcosa del genere.
-Dove… dove siamo?- mormora Derek, stupito come mai in vita sua. Il silenzio che abbraccia le sue parole è così rilassante e naturale che quasi funge da sedativo.
-Alaska, amico mio.- risponde Stiles, che ancora gli stringe la mano. Derek si accorge che la parte del corpo più vicina al demone è calda e quasi fuma a contatto col gelo della notte ghiacciata. –Precisamente, siamo in mezzo all’oceano.-
-Questo lo avevo notato.-
Derek guarda la pedana di ghiaccio su cui posa i piedi. Si volta lentamente e finalmente vede due immensi iceberg alti centinaia di metri, talmente grossi e massicci da mettere in soggezione anche un licantropo temerario come Derek Hale. Quei mostri ghiacciati sembrano scrutarlo, sovrastarlo, giudicarlo. Nessuna zanna o artiglio potrebbe fare a pezzi quei possenti blocchi di gelo cristallino.
Derek spinge lo sguardo verso lo stretto passaggio di oscurità che separa i due iceberg.
-Che posto è questo?-
Stiles lo guarda. –Hai freddo.- dice, ignorando la sua domanda.
-No che non ho freddo.- mente Derek prontamente.
-Sì, invece.-
-Ti ho detto di no.-
-E io dico di sì!-
-Stiles.-
Stiles non risponde, ma Derek non può fare a meno di notare il piccolo sorriso che gli stira le labbra. Lentamente, un calore confortante si propaga nel corpo di Derek, partendo dalla mano di Stiles. Respinge il freddo e abbraccia Derek come una coperta, risvegliandogli i muscoli e i sensi, che a causa del troppo gelo si stavano intorpidendo.
-Che stai facendo?!- s’infuria il licantropo, restio ad ammettere che in realtà apprezza quel calore.
Stiles gli lascia la mano e avanza di pochi passi, mostrandogli le spalle. –Niente. Assolutamente niente.-
Derek non se la sente di discutere, perciò lo segue dritto nel crepaccio di oscurità che li attende come un buco nero fitto e soffocante. Si aspetta di trovare di tutto dall’altra parte: trattandosi di Stiles, le sorprese potrebbero essere infinite. Ma la fantasia di Derek è sempre stata troppo povera rispetto a quella di Stiles Stilinski, quindi quando si trova dinanzi quello che sembra in tutto e per tutto un altro mondo, il licantropo resta per la prima volta a bocca aperta.
Il cielo sulle loro teste è ancora di un pallido blu cobalto, tinto stavolta da una maggior quantità di stelle e da una luna che da bianco abbacinante è passata all’argento più puro, vivido e sfavillante, come colata di metallo liquido in un cerchio perfetto appuntato sulla volta celeste. È un cielo stupefacente, tanto affollato di stelle che a Derek pare quasi di fissare un caleidoscopio di glitter troppo brillanti.
Tuttavia, se il cielo è già straordinario di suo, ciò che c’è a terra è ancora più anomalo, ancora più bello e lontano, come un luogo da favola che la Terra ha sempre ospitato in gran segreto.
I fasci argentati della luna piovono come una cascata su un immenso tempio di cristallo circondato da colonne di marmo e da statue marmoree di angeli dai volti austeri e dai fisici scolpiti, i cui bacini tuttavia annegano in code di pesce, rendendoli simili a magnifiche sirene alate.
Le statue si stiracchiano verso l’alto, sorreggendo il portico di vetro e diamanti che circonda l’intero tempio. Il tetto di cristallo, sulla cui cupola centrale svetta un’altra statua più grande, stavolta raffigurante un angelo munito di tre paia d’ali, è abbracciato da edera e fiori selvatici che si arrampicano lungo le mura incastonate di zaffiri e su, verso un’incisione di simboli eleganti che corrono lungo il bordo del porticato. I fiori rampicanti si infiltrano fin dentro le vetrate distrutte, ma coloratissime, tuffandosi in un tripudio di steli e petali dentro il tempio. All’entrata, alti circa otto metri, ci sono due statue di sirene alate che, inarcate e con le braccia tese all’indietro, intrecciano le mani in un arco luminoso di purissimo marmo bianco.
Il tempio si struttura su un’unica, enorme pedana di ghiaccio abbracciata dall’acqua. Tutto intorno tuttavia, ci sono altre pedane di cristallo più piccole e un portico di colonne semidistrutte addossate a un lungo muro di marmo sul quale poggiano i piedi Derek e Stiles. Oltre il portico sembra esserci un altro livello, perché l’acqua scorre come un piccolo fiume dall’alto delle loro teste, snodandosi lungo un portico di vetro e archi che si srotola all’orizzonte, dove una statua di donna, tanto lontana da essere abbracciata da un fitto strato di nebbia, stringe una conchiglia inclinata che rovescia  una cascata cristallina la cui acqua germoglia… dagli occhi chiusi della fanciulla.
-Che… diavolo di posto è questo?- Derek quasi non riesce a parlare da quanto è stupito. Si guarda intorno senza averne mai abbastanza, affamato di dettagli e beandosi della miriade di colori e odori che i suoi sensi non riescono a classificare.
-Ti piace? Eh?!- esclama Stiles, rompendo bruscamente la pace del luogo.
-Io… sì. È… passabile.- sbotta Derek, cercando di tornare in sé, ma Stiles batte le mani felice, producendo l’ennesimo suono fastidioso.
-Lo sapevo, ti piace! Bingo!-
-Stiles.-
-Sto zitto?-
Derek annuisce, ma proprio in quel momento qualcosa si muove nell’acqua a pochi passi dal porticato. Istintivamente e prima ancora di potersi fermare, Derek si avvicina a Stiles e snuda gli artigli, pronto a difenderli, ma il ragazzo lo oltrepassa saltellando e si accovaccia sul bordo della sporgenza per affondare un braccio nell’acqua.
-Che stai facendo?- Derek si accovaccia al suo fianco e fissa la cosa vista poco fa emergere dalle acque.
E quella è l’ennesima notizia che lo lascia di stucco, l’ennesima emozione violenta che Derek quasi non riesce a controllare.
Non esiste, accidenti! Non possono esserci anche loro!
-Stiles, la smetti di urlare?- esclama la ragazza dalla pelle bluastra, le orecchie da ippocampo e l’argentina coda di pesce che guizza morbida nell’acqua. Ha gli occhi enormi e a mandorla e il naso schiacciato dalle narici a fessura, simili a quelle di una serpe o di uno squalo. Sul collo, ci sono sei tagli trasversali, tre per lato, che Derek identifica come branchie.
-Scusa, ma non rispondevi.- sorride Stiles mentre la sirena si avvicina. Ha lunghi capelli bianchi e gli occhi slavati, quasi ciechi.
-Oh, come se potessi non risponderti. Sei così fastidioso a volte!-
-E siamo in due a pensarlo.- si lascia sfuggire Derek, attirando l’attenzione della donna.
-Oh! Lui è…- La sirena fissa Stiles con gli occhi sbarrati, ma lui scuote violentemente il capo.
-No, insomma… si chiama Derek, e tu non hai mai sentito parlare di lui.-
Derek si chiede se a volte la stupidità prenda possesso di Stiles oppure se è sempre lì e aspetta solo di venir fuori. Solo un cretino non capirebbe che Stiles sta mentendo spudoratamente.
-Le hai parlato di me?-
-Ti ho appena detto di no!-
-I tuoi battiti cardiaci la pensano diversamente.-
Stiles arrossisce, e a peggiorare la situazione ci si mette anche la sirena, che si preme due mani palmate e dalle dita troppo lunghe e sottili sulla bocca e fa ondeggiare la coda eccitata. –Oddio, finalmente! Ho sperato così tanto di conoscerti, Derek. Sei proprio come Stiles ti ha descritto.-
Derek inarca un sopracciglio, lo stomaco in subbuglio. Come lo ha descritto Stiles? Le parole della sirena sono dettate in senso buono o cattivo? Perché Stiles le ha parlato di lui? E come mai quei due sembrano avere tanta confidenza reciproca? Derek non è certo di voler sapere quante altre donne conosce Stiles, perché forse, nell’arco di quei tre anni…
Non è possibile.
Derek non vuole nemmeno pensarci.
-Eventine… zitta.- sbotta Stiles alla fine, rosso come una fiammata particolarmente vivida. –Ti prego.-
-Cosa ricevo in cambio?-
-Tante belle visite e ore intere di chiacchierata amichevole?-
Eventine sembra pensarci su. –Aha… non me la bevo, demonietto. Già è tanto che ti faccia entrare nel tempio, quindi tutte queste chiacchierate gratis me le devi. Come se ti dispiacesse, poi.-
Derek decide di avere pietà di Stiles. –A proposito di tempio: da dove sbuca questo posto?- chiede.
-Lo hanno costruito gli angeli.- risponde prontamente Stiles. –Accadde più o meno all’alba dei Tempi, quando i guerrieri di Dio decisero di celebrare ogni elemento di sua creazione con un posto come questo. Sono pochi e ben nascosti, ma hanno la loro utilità. Col tempo gli angeli hanno abbandonato i templi per ritirarsi in Paradiso, ma è da questi stessi posti che hanno origine… be’, gli elementi naturali.-
Derek corruccia le sopracciglia. –In che senso?-
Stiles indica la statua mastodontica della donna che, piangendo acqua nella sua conchiglia di madreperla, genera la cascata che fluisce giù, fino al tempio.
-Mai sentito parlare di Madre Natura?- sorride il demone. –Esiste, ma… non è esattamente come ve l’aspettate. Al massimo poi, si potrebbe parlare di Madri Natura, perché ogni statua genera un elemento. È così per ogni tempio costruito dagli angeli. Ci sono statue del genere dappertutto, e ognuna di loro dà origine alla lava di un vulcano, all’acqua dolce di un fiume, a quella salata di un oceano o ai germogli della terra. Cose così. Pare che ci sia addirittura un feudo delle nubi proprio sulle nostre teste, e lì le statue producono nuvole vere, piogge, arcobaleni e temporali. I pochi che sono stati in grado di intravederle hanno dato vita al mito dei giganti. Si dice infatti che un tempo, quelle statue si muovessero.-
Derek fissa la statua avvolta dalla nebbia. Sembra così piccola semplicemente perché non è molto vicina, ma il licantropo capisce che in realtà deve essere alta forse  settanta o novanta metri, molto più di qualsiasi iceberg.
-Ed è vero?- domanda. –Che quella statua possa muoversi, intendo.-
Stiles scrolla le spalle. –Penso di no, ma un’antica leggenda dice che, quando la Terra avrà più bisogno di loro, le Madri si innalzeranno in difesa della loro unica figlia. Nah, secondo me non può essere vero, ma mai dire mai.-
Derek continua a fissare la statua. -Sembra un altro mondo.- sussurra, rapito.
-È molto più di questo.- interviene Eventine. –Questo luogo sarà anche sconsacrato, ma quelli come me lo ritengono più che sacro, poiché proprio noi siamo stati messi qui in difesa dell’oceano stesso, quindi esigo rispetto. Guai a voi se danneggiate questo posto, perché ve ne farò pentire. Però sì, questo è davvero un altro mondo, e Stiles ha deciso di fartelo scoprire.-
La sirena guarda Stiles, che stavolta sorride senza vergogna.
-Ti fidi veramente molto di lui.-
-Gli ho già affidato la mia vita più volte.-
Derek resta spiazzato da quella risposta: non avrebbe mai pensato che Stiles si fidasse tanto di lui, specialmente durante gli ultimi tempi.
 -Possiamo passare, Eventine?- chiede allora il demone, e la sirena annuisce.
-Fate pure. Conosci le regole, Stiles.- asserisce. –Divertitevi.-
Scocca loro un occhiolino e uno sguardo allusivo che fa deglutire Stiles rumorosamente, poi si tuffa nelle profondità delle acque e sparisce sotto il portico. Ora che ci fa caso, Derek può distinguere il riflesso di un secondo tempio semidistrutto sul fondale, come un reperto archeologico luccicante.
-C’è un altro tempio sotto di noi?-
-Oh, sì. In realtà, questo posto continua nelle profondità dell’oceano. Un giorno te lo farò vedere.-
Stiles si raddrizza e con gli fa segno di seguirlo. Comincia a balzare da una pedana all’altra con un’eleganza che non gli appartiene e che Derek non riconosce. Non barcolla, non rischia mai di cadere. Le pedane sono galleggianti e quindi instabili, ma Stiles non esita mai, come se non temesse affatto di sbilanciarsi.
Quando atterrano ai piedi delle statue di sirene, Derek fissa Stiles come se lo vedesse per la prima volta.
-Che c’è?- dice lui, imbarazzato.
-Non eri solito muoverti così, un tempo.-
Lo sguardo di Stiles s’intristisce velocemente. Distoglie gli occhi da Derek, le mani intascate e la postura improvvisamente rigida. Il licantropo si odia per aver parlato senza pensare, appesantendo l’atmosfera in maniera forse irreparabile. Non è il tipo che chiede scusa, ma se lo fosse…
-Stiles, io…-
-Hai ragione.- lo interrompe il ragazzo. –A volte mi illudo di essere ancora me stesso, ma la verità è che… non lo sono più. Di me non è rimasta che un’ombra, ma devo farmelo bastare.-
-Non è vero.- dice Derek all’improvviso. Stiles si volta verso di lui, lo fissa con occhi spalancati e adorabili labbra schiuse per la sorpresa. –Non illuderti, sei ancora te stesso nonostante tutto quello che hai passato. Hai mantenuto il tuo maledetto aspetto, il tuo carattere insopportabile e i tuoi fastidiosi modi di fare. Sei ancora uno stupido ragazzino iperattivo che fatica a star zitto.-
Derek guarda da un’altra parte, troppo imbarazzato per fissarlo in viso. Ha detto quelle cose perché le nonostante tutto, le pensa davvero. Forse però, si è spinto troppo in là. Non sa cosa gli impedisca di tenere la bocca chiusa ultimamente, specie quando si tratta di Stiles. Odia sentirsi uno stupido sentimentale.
Quando avverte il tocco di Stiles sul polso laddove il battito pulsa sereno, il licantropo non può impedirsi di voltarsi a guardarlo.
Stiles sorride con una felicità senza pari, gli occhi luminosi e i denti bianchissimi. Parla col viso, con ogni più piccola sfaccettatura dello sguardo. E lo ringrazia.
Derek grugnisce e si allontana per scacciare dalla sua stessa testa la sensazione che Stiles è veramente bello quando sorride in quel modo. Derek vorrebbe stringerlo, toccare quel viso, accarezzarlo. E questo è sbagliato. Il fatto che lui stesso si lasci toccare è sbagliato. Dannazione.
-Vieni. Voglio farti vedere una cosa.-
-C’è dell’altro?-
Stiles sorride sornione. –Molto altro. Hai un nuovo mondo davanti e un fantastico cicerone supersexy disposto a illustrartelo.-
Derek rotea gli occhi mentre lo segue, passando lentamente sotto l’arco costruito dalle due sirene alate. I riflessi dei raggi lunari sul cristallo del tempio e sulle vetrate illuminano di minuscole sfaccettature colorate l’intera pedana di ghiaccio stranamente liscio sul quale poggia la struttura.
Oltre le statue, Derek trova un altro arco più piccolo sorretto da due colonne di zaffiro decorate da arabeschi argentati. Il transetto è composto da un bassorilievo in madreperla e pietra acquamarina che si concentra in ampie spirali intorno alla perla più grossa che Derek abbia mai visto.
Oltrepassano il portone, entrando nel vero, mastodontico tempio.
Dall’esterno non appare così grande, ma adesso che Derek può vederlo, quasi rabbrividisce davanti al pavimento di vetro che lascia trasparire il passaggio di pesci, mammiferi e sirene, o davanti alle pareti circolari sorrette dalle ennesime statue di sirene alate. Ognuna sorregge un tridente con una mano e una fiaccola accesa nell’altra. Le fiamme azzurrine rigettano sulle pareti affrescate di scene della Creazione degli oceani una tonalità fresca e sempre in movimento. Più avanti c’è un altare di zaffiro e madreperla finemente lavorato e ricoperto da incisioni arcane. Alle spalle di esso infine, c’è l’ultima e più imponente statua di sirena alata, che sorregge tra le mani un tridente gigantesco d’oro e d’argento. Al centro del tridente è incastonato un cristallo.
-Questo posto…-
-Non è il vero tempio.- lo interrompe Stiles, oltrepassandolo di corsa. –Quello è sotto i nostri piedi. Questa è una specie di anticamera… ma sa diventare molto interessante.-
Stiles esita, improvvisamente imbarazzato. –Io dovrei… puoi girarti dall’altra parte?-
Derek inarca le sopracciglia in una tacita domanda.
-Per favore?- mormora Stiles, rosso d’imbarazzo.
-No, se non mi dici perché dovrei farlo.-
Stiles trattiene a stento una rispostaccia, ma poi ci ripensa. Con un sospiro esasperato, si volta e gli mostra le spalle. Poi, lentamente, afferra i bordi della maglietta.
-Non sono un bello spettacolo, Sourwolf. Per questo volevo che ti girassi.-
Stiles si sfila la maglietta e improvvisamente il mondo di Derek si ferma lì, concentrato su quella pelle pallida  ricolma di cicatrici, bruciature e squarci terrificanti. La carne di Stiles pare un campo di battaglia, un ammasso di ferite di artigli e lame, di uncini e frustate. Ferite del genere, non le ha mai subite nemmeno lo stesso Derek. Sono talmente tante che non a un centimetro di pelle a partire dal collo in giù è permesso di respirare. Il tutto, copre un fisico che di per sé, Derek non avrebbe mai immaginato così asciutto e definito, con pettorali e addominali appena accennati. I fianchi sono stretti, il torace più ampio, le spalle tornite. Al contrario del fisico del licantropo, quello di Stiles è più longilineo e scattante, ma ugualmente… bellissimo? Derek non può credere di averlo pensato davvero.
Stiles sorride tristemente, rosso d’imbarazzo. –Te l’ho detto che non sono un bello spettacolo.-
Derek non è per niente d’accordo: in vita sua non gli è mai stato concesso di mantenere alcuna cicatrice, che si trattasse di una sbucciatura al ginocchio o di un graffio molto profondo. In generale, la cosa non lo ha mai infastidito granché. Ma questo è diverso.
Il corpo di Stiles narra una storia antica e travagliata di dolori sostenuti e sofferenze sconfitte fieramente. Stiles ha sofferto e si è rialzato nonostante le torture, le lacerazioni, il dolore. E ognuna di quelle cicatrici grida un pezzo di quell’agonia sopportata in silenzio e tra le preghiere a un Dio che non ha voluto impedirgli tanta sofferenza.
Derek si accorge di essersi avvicinato solo quando la sua mano sale ad accarezzare la schiena di Stiles, che si immobilizza e sbarra gli occhi, stupito. La mano di Derek scorre sulla pelle, lungo i muscoli, su ogni ferita della schiena. Risale la spina dorsale in una carezza venerante di polpastrelli leggeri come ali di farfalla.
Stiles trattiene il respiro e serra le labbra, indeciso sul da farsi.
-Hai una storia incisa sulla pelle.- sussurra Derek, affascinato. –La tua storia. La storia di un guerriero che è sopravvissuto all’Inferno.-
Stiles ride, spezzando l’incanto del momento. –Tecnicamente, non sono sopravvissuto. Mi ritengo già morto e sepolto.-
Si volta a guardarlo, il guizzo di un sorriso sulle labbra. Sotto gli occhi attenti di Derek, si morde l’avambraccio con forza, fino a farlo sanguinare dell’ennesima ferita che marchierà forse in eterno quelle carni maledette.
-E adesso guarda.-
 
Angolo dell’autrice:
Arrivati a questo punto, credo di poter cominciare a incrementare le sorprese. Piaciuto il tempio dell’Oceano? Ha ancora molto da mostrarvi, posso assicurarvelo. Ci penserà Stiles a guidarvi, stavolta, e vi condurrà al cospetto di qualcuno che forse nemmeno vi aspettate. Detto questo, vorrei annunciare che finora, la storia vanta una trentina di capitoli in tutto e che sta per giungere alla conclusione, per quanto riguarda la stesura dei capitoli. Tuttavia, aspetterò a scrivere l’ultimo, perché mi apro alla piccola seppur insignificante possibilità di scrivere un continuo. E tutto questo, accade grazie a voi.
Il tempio antico, le statue alate, gli zaffiri sulle pareti della struttura. Sono tutte cose generate da voi e dall’amore che rivolgete verso questa storia. Personaggi nuovi e vecchi vivono dei vostri commenti, delle emozioni che spero di scatenare in voi ad ogni descrizione. Perché io mi emoziono davvero ogni volta che il contatore delle recensioni o di coloro che seguono la storia sale. Non ho molto da offrirvi per ringraziarvi, se non tutta la riconoscenza di cui dispongo. Grazie. Di cuore. Ora, finita la solita lagna da vecchietta con la quale non manco mai di tediarvi, spazio ai ringraziamenti e alle anticipazioni!
Giada_ASR
_Vi___
Ellen9222
Sophi33
Drarry90
Nye

 
Anticipazioni:
“Qualcuno ride da qualche parte, una voce di donna scherza, un bambino appena nato piange. Sono suoni gioiosi ricolmi di armonia e serenità.
Derek capisce allora di essersi avvicinato (seppur lievemente) al Paradiso. Grazie a Stiles e al suo sangue, alle sue preghiere, al suo dolore. Ma perché lo ha mandato lì?
-Derek?-
Derek sbarra gli occhi. Respira affannosamente, i pugni stretti e i muscoli contratti. Qualcosa gli dice che è impazzito, che niente di tutto questo è reale per davvero perché lei è morta e non può essere lì, alle sue spalle. Non può averlo chiamato con quella sua voce morbida semplicemente perché dal giorno dell’incendio non ha mai più potuto farlo.”
 

Tomi Dark Angel

 

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Capitolo 9
*** Non Lui ***


“Il cuore di una madre è un abisso
In fondo al quale vi è sempre
Un bagliore di perdono.”
 
Derek Hale non ha mai creduto nel destino. Sin da piccolo, ha scelto di guardare alle cose materiali, alla convinzione che niente accada per un motivo reale e preciso. Ha sempre pensato che ogni cosa sia casuale e che l’universo sia un’unica, grande matassa di caos. Non crede nell’immateriale, non l’ha mai fatto. Questo, finché non è comparso il bizzarro ragazzo iperattivo scomparso per tre anni e poi riapparso in vesti di creatura demoniaca.
L’anima è una cosa immateriale. L’anima non dovrebbe esistere.
Ma non è così, e Stiles Stilinski lo ha dimostrato. Il suo prezzo più alto da pagare, è stata proprio l’anima. E all’improvviso, il mondo di Derek si è capovolto.
Le cose immateriali esistono. L’anima esiste. Ed esiste il fato, che ha portato Derek lì, alla luce della luna, in Alaska, in un tempio antico più del pianeta stesso, dinanzi a un ragazzo a torso nudo col braccio gocciolante di sangue.
-Non so se funzionerà, ma… dovrebbe esserci ancora del potere angelico, qui dentro. Un rimasuglio minimo, certo, ma forse forse…- Stiles borbotta mentre oltrepassa l’altare per raggiungere la statua di sirena alta otto metri che troneggia sulle loro teste.
Si arrampica sull’asta del tridente, il braccio ancora gocciolante di sangue che schizza dappertutto. Balza da una squama all’altra, si aggrappa alle sporgenze più piccole con facilità disarmante, usandole come perno per slanciarsi un po’ più su. I fianchi stretti si muovono, le gambe si piegano e si tendono, il corpo reagisce allo sforzo con totale leggerezza. Alla fine, Stiles raggiunge la biforcazione tripla del tridente e vi incastra un piede, appoggiando l’altro sul polso della sirena.
-Spero che funzioni…- mormora prima di appoggiare la ferita sul cristallo incastonato al centro del tridente. Il sangue cola lungo il bordo della pietra, sulle linee in rilievo, lungo l’intera superficie. Stiles chiude gli occhi in un’espressione di intenso dolore che lo fa vacillare pericolosamente, ma non si allontana.
-Stiles!- Derek per poco non si lascia prendere dal panico quando un tremito particolarmente violento rischia di far cadere il ragazzo di sotto. Sarebbe un bel volo, e Derek non è certo che Stiles sopravvivrebbe, nonostante la sua natura demoniaca. Quantomeno, una caduta di otto metri e passa basterebbe per spezzargli buona parte delle ossa.
Derek lo sente mormorare improvvisamente e capisce perché sta soffrendo tanto: Stiles sta pregando lì, in un luogo sconsacrato ma ugualmente edificato dagli angeli. Le preghiere sono divine, e i demoni appartengono all’Inferno. Il sacro gli fa male, brucia come fuoco sulla pelle e forse anche di più.
-Che diamine stai facendo?! Scendi di lì!- si altera Derek, pronto a scalare il tridente a mani nude per andarlo a prendere e tirargli il collo come una gallina.
Ma Stiles continua imperterrito, sempre più sofferente, ma anche più deciso. Inarca la schiena dal dolore, stringe i denti e serra gli occhi.
-STILES!!!-
Improvvisamente, quando Derek si prepara a raggiungerlo, il cristallo comincia a vibrare violentemente, spandendo nell’aria un suono cristallino, come di vetro sottile infrantosi contro un muro, che cresce poco a poco, assordando il fine udito di Derek. Il licantropo si piega in due, premendosi le mani sulle orecchie.
Stiles continua a pregare sempre più intensamente e con la sua voce, cresce anche il vibrare del cristallo, che quasi si stacca dall’inserto del tridente. Inaspettatamente, un intrico fiammeggiante di arabeschi si infiamma come di lava incandescente e poco a poco scivola lungo il torace del demone, diramandosi dalla ferita al braccio per scendere sui fianchi, sugli addominali, affondando in basso nei jeans e su fino a sparire nei capelli.
D’improvviso poi, giunge la luce: accecante e bellissima, candida come una vergine e calda come il più morbido dei tepori. L’ambiente viene risucchiato da quel bagliore, cancellando ogni cosa: il pavimento, il soffitto, Stiles, le statue. Tutto sparisce.
Voci arcane giungono alle orecchie di Derek in sussurri bassi e concitati. Qualcuno ride da qualche parte, una voce di donna scherza, un bambino appena nato piange. Sono suoni gioiosi ricolmi di armonia e serenità.
Derek capisce allora di essersi avvicinato (seppur lievemente) al Paradiso. Riesce a sentirlo, come un bacio di beatitudine sulla pelle e il tutto grazie a Stiles e al suo sangue, alle sue preghiere, al suo dolore. Ma perché lo ha mandato lì?
-Derek?-
Derek sbarra gli occhi. Respira affannosamente, i pugni stretti e i muscoli contratti. Qualcosa gli dice che è impazzito, che niente di tutto questo è reale per davvero perché lei è morta e non può essere lì, alle sue spalle. Non può averlo chiamato con quella sua voce morbida di madre semplicemente perché dal giorno dell’incendio non ha mai più potuto farlo.
Derek è rimasto da solo, è cresciuto da solo. Da ragazzino a ragazzo, da ragazzo a giovane uomo. Ha imparato a lottare, a difendersi, a vivere. Ma senza di lei.
-Derek.-
Derek si volta per istinto, reagendo a quel richiamo che tante volte ha sognato, ricordato, immaginato. Un richiamo di madre, un richiamo di famiglia. La voce di Talia Hale.
E lei è lì, altera e bellissima, avvolta in una lunga veste bianca. Sorride serena con gli occhi scuri luminosi di felicità e amore materno. È maestosa come un lupo, eterea come la più splendida delle apparizioni. Ed è sua madre, la madre di Derek… la donna che ha perso la vita quando lui era un ragazzo.
-Ma… mamma?- Derek esala un’unica parola, un sussurro di stupore e spossatezza.
Lei sbotta una risata. –Direi di sì.- asserisce prima di accarezzargli il viso con dolcezza. Lo fissa, specchiandosi nei suoi occhi improvvisamente lucidi, commossi, che ricordano mille memorie di bambino e mille giornate trascorse tra quelle braccia tanto sottili, ma anche tanto forti.
-Sei cresciuto.- sussurra lei, commossa. Sbatte le palpebre, e due piccole lacrime le scivolano sulle guance. –Ma guardati, sei così forte… e bello. Assomigli tanto a tuo padre.-
Derek sorride, lasciando finalmente andare una piccola lacrima. Pensa a tutti gli errori commessi, a tutte le volte in cui ha scelto di correre libero tra i boschi anziché trascorrere un barlume di tempo con la sua famiglia: tempo sprecato e perduto per sempre, ore che non torneranno mai più indietro. E Derek se ne pente. Vuole chiederle scusa per ogni singola volta in cui ha alzato la voce contro di lei, per ogni volta che non l’ha ascoltata, per ogni volta che non si è comportato da figlio.
-Mamma, io…-
-Va tutto bene.-
Talia gli accarezza ancora il viso e ride gioiosa, leggiadra e pura come una bambina.
-La tua barba pizzica. Non sarebbe ora di raderti, tesoro?-
Derek ride a sua volta, tra lacrime che sbocciano cristalline dai suoi occhi. Istintivamente la abbraccia come non ha voluto fare da ragazzino, quando ancora non comprendeva il valore della famiglia e dava per scontato la presenza dei suoi genitori.
Talia gli circonda i fianchi con dolcezza di madre, scorrendo le mani sulla schiena e affondandone una tra i capelli di Derek, che ora nasconde il viso contro il suo collo. Non se la ricorda tanto bassa, né così minuta. Appare quasi fragile tra le sue braccia allenate di giovane licantropo.
Derek vorrebbe restare così per sempre, stretto alla madre che non lo ha mai cresciuto, ma qualcosa li interrompe. Il candido bagliore intorno a loro tremola violentemente, scosso da qualcosa che cerca di dissiparlo. Talia si allontana da lui con dolcezza e gli afferra il viso tra le mani, guardandolo da vicino come se volesse memorizzare ogni singolo particolare di quel viso. Il viso di suo figlio.
-Stiles sta esaurendo le energie. Per me è ora di andare.-
Derek chiude gli occhi e volta il capo per appoggiare le labbra sul palmo della mano di Talia in un bacio puerile, leggero come l’aria.
Non vuole che lei se ne vada, ma sa che più tempo passa lì, più Stiles soffrirà. Può ancora sentirlo pregare in lontananza, ma sempre più debolmente, come se qualcosa lo stesse soffocando. E questo, Derek non può permetterlo.
-Deve volerti davvero bene.- sorride Talia, accennando al demone. –Chiamandomi qui, ha esaurito quel poco di energia angelica residua rimasta nel tempio. Poteva vedere sua madre o uno qualsiasi dei suoi cari defunti… ma ha scelto di chiamare me.-
Derek la stringe più forte, rifiutandosi inconsciamente di lasciarla andare per davvero. Trattiene fieramente un singhiozzo, cercando di mantenere quel po’ di contegno che gli rimane, ma… quella è sua madre. La sua famiglia, la donna che gli ha insegnato a camminare e a crescere. La donna che Derek non ha potuto salutare e abbracciare nemmeno per un ultimo addio. Non c’è difesa emotiva che regga al suo cospetto semplicemente perché Talia rappresenta quella parte di vita che Derek ha rimpianto per anni.
-Non andare via di nuovo.- riesce a dire soltanto mentre un nuovo brivido percuote il candore intorno a loro. –Non lasciarmi da solo ancora una volta, mamma. Ho tante cose da dirti, tante di cui scusarmi e…-
-Non sei mai stato solo, figlio mio.-
Talia gli scompiglia dolcemente i capelli e gli asciuga le lacrime così come faceva quando Derek era molto piccolo.
-Il ragazzo che ti ha portato qui. Lui ha pregato per te tutti i giorni e in ogni istante della sua vita è sempre stato disposto a restarti accanto. Lui è la tua luce, tesoro. Ti sostiene come io non potrò più fare fisicamente, ma non pensare nemmeno per un momento che io ti abbia abbandonato per davvero. Sai perché Stiles ti ha spedito qui? Perché vuole dimostrarti che io ci sono ancora, anche se non puoi vedermi. E con me c’è tua sorella, tuo padre, la tua famiglia: siamo tutti al tuo fianco ogni volta che muovi un passo o che lotti per la sopravvivenza. Siamo la tua forza anche se non lo sai.-
Derek sorride ancora, tornando ad abbracciarla. Lentamente, mentre Talia ricambia la stretta con materna dolcezza, il suo corpo comincia a svanire.
-Ricordi cosa ti dicevo quando eri bambino riguardo alla luna?-
Derek annuisce, ancora appoggiato al corpo della madre. Profuma di buono, di casa e famiglia. La sua mamma.
-Anche se la luce del giorno la nasconde, lei è sempre lì.-
Talia gli bacia una guancia con dolcezza. –E io sarò come la luna, Derek. Sarò sempre qui.-
Gli appoggia una mano sul petto, all’altezza del cuore. E Derek ci crede, perché sua madre non mente. Si fida di lei come se fosse una parte di se stesso.
-Ci vedremo dall’altra parte, un giorno?-
Talia gli accarezza il viso un’ultima volta, sorridendo sbarazzina. –Chi lo sa? La vita che ti resta può essere ancora lunga, e molte saranno le scelte che dovrai compiere. La prima e più importante, si trova adesso in cima a un gigantesco tridente di pietra.-
Lentamente, il candore comincia a sfarfallare e la voce allegra di Talia si fa più lontana: -Quello è proprio un bel bocconcino, sai, tesoro? Non lasciartelo scappare!-
-Ma che… mamma! Di che cavolo parli?-
Talia ride in lontananza. –Oh, lo sai benissimo. Chi direbbe di no a quei grandi occhi da cucciolo? Quel ragazzo non ha niente, e il suo niente lo dona ogni giorno proprio a te. Fallo felice, tesoro. Siate felici tutti e due, perché non meritate niente di meno. E ricorda…-
Derek sorride ancora, asciugandosi l’ultima lacrima appena nata. –La luna c’è sempre, anche quando non si vede.-
Ma Talia non risponde più. Per un attimo, il bagliore si fa accecante, tanto da costringere Derek a coprirsi il viso con una mano. I bisbigli cessano, il silenzio cade a ricoprire le sue orecchie di un manto ovattato e poco a poco il mondo riacquista i suoi colori e i suoi suoni.
Un gemito e un tonfo riportano Derek alla realtà, spingendolo ad abbassare il braccio per scoprire il viso.
–Co… come è andata?-
Quando il licantropo vede in che condizioni verte Stiles, non trattiene un ringhio esasperato: il demone ha il viso pallido e smorto, grandi occhiaie scavate e molte ferite sul torace si sono riaperte. Dei tatuaggi fiammeggianti non vi è più traccia, come se qualcuno li avesse spenti con un potente getto d’acqua.
-Sei un coglione. Un grandissimo coglione.- sbotta Derek, raggiungendolo ai piedi del tridente, da dove Stiles è appena sceso. Il demone sorride soddisfatto, il viso illuminato di puerile felicità. Nonostante l’aria addolorata, non perde quella vitalità che l’ha sempre animato. Batte le mani debolmente, quasi perdendo l’equilibrio per quel gesto improvviso.
-Ce l’ho fatta! L’hai vista!-
In uno slancio di felicità, Stiles abbraccia Derek. Preme il corpo contro il suo, stringendogli brevemente le spalle e toccandogli la nuca con irruenza. È un attimo, un battito di ciglia. Poi, Stiles si stacca prima ancora che Derek possa ricambiare o concepire l’accaduto.
Stiles barcolla all’indietro, ancora instabile ma sorridente. Il sangue cola sulla sua pelle, sgorgando dalle ferite riapertesi e ancora fresche e questo fa imbestialire Derek.
-Non farlo mai più!- ringhia, afferrandolo per un polso. –Potevi rimanerci!-
Stiles sbarra gli occhi, spaventato dalla sua reazione.
-Derek, sto bene…-
-Non stai bene per niente! Devo riportarti a casa e medicarti quelle ferite.-
Derek trascina Stiles all’esterno, le dita ancora strette intorno al suo polso. Il demone incespica alle sue spalle e quasi cade, ma Derek non rallenta perché è furioso con Stiles e odia quelle dannatissime, affascinanti cicatrici che hanno avuto modo di riaprirsi.
Eppure, un altro pensiero si insinua nella sua testa e scava in profondità: per lui. Stiles lo ha fatto per lui.
Raggiungono l’esterno del tempio proprio quando l’alba comincia a spuntare, riempiendo di sfaccettature colorate il tetto di cristallo della struttura. Le statue s’illuminano di candore e l’acqua appare più pulita, limpida come vetro. Lo sciabordio dell’acqua è l’unico suono che bagna di mormorii quel luogo sacro, dove cristalli e zaffiri rigettano sul ghiaccio una miriade di sfaccettature coloratissime.
-Derek… Derek, fermati.- Stiles gli afferra dolcemente la manica della giacca, costringendolo a fermarsi.
-No, idiota. Stai male, quindi dobbiamo…-
-L’acqua.- lo interrompe Stiles, oltrepassandolo in uno slancio di vitalità. –Ho solo bisogno dell’acqua di questo posto.-
Derek fissa l’acqua gorgogliante  e pulitissima che come specchio liquido oscilla a pochi passi da lui. Se il clima si è mantenuto gelido come all’esterno, non è certo che Stiles possa entrare lì dentro senza morire d’ipotermia.  
-Non mi sembra una buona idea.- sbotta, ma Stiles non lo ascolta. Si sfila le scarpe e i calzini, li appoggia sul bordo della pedana ghiacciata e con un balzo agile si tuffa, leggero come un delfino.
Derek ringhia infastidito quando una miriade di goccioline gelide gli colpiscono il viso e gli abiti, inumidendoli in alcuni punti. Scrolla violentemente il capo per liberarsi dai residui d’acqua e si passa una mano tra i capelli, pensando di tirare Stiles fuori dall’acqua solo per staccargli la testa a mani nude. Eppure, in quel momento ha modo di sentire che effettivamente l’acqua non è fredda come sembra, bensì piacevolmente fresca, senza esagerazioni o sbalzi di temperatura.
Derek riapre gli occhi arrabbiato per posarli su uno Stiles ormai riemerso e adesso aggrappato al bordo della pedana di ghiaccio, le mani che stranamente non scivolano, né hanno difficoltà d’appiglio. Lo guarda dal basso coi grandi occhi cangianti, luminosi come non mai perché baciati dallo stesso sole che pare liquefarsi nel suo sguardo. Piccole goccioline rosate dal sangue gli scivolano sulla pelle, piovono dai capelli scompigliati, accarezzano di brillanti i muscoli appena accennati ma comunque forti e longilinei. Derek non sa cosa pensare, né come definire uno spettacolo del genere perché mai, mai in vita sua avrebbe pensato che Stiles potesse assumere un aspetto tanto… nobile? Affascinante? Stronzate. Derek non deve neanche azzardarsi a pensarlo.
Stiles incrocia le braccia e vi appoggia il mento, continuando a fissarlo con un sorriso divertito.
-Che c’è?!- domanda Derek, ancora arrabbiato con lui.
-Sembravi un cane, mentre ti scrollavi l’acqua di dosso.-
Derek ringhia, facendo baluginare gli occhi blu. –Dillo di nuovo e ti stacco la testa.-
Stiles solleva le mani in un gesto di resa, l’acqua che gli arriva al collo.
-Ho capito, scusami! È che…- Stiles arrossisce e abbassa lo sguardo. -… ispiravi tenerezza. Ecco, l’ho detto.-
Derek distoglie lo sguardo, improvvisamente imbarazzato. Perché, poi? Dovrebbe arrabbiarsi da morire, invece. Stiles gli ha appena dato del peluche, praticamente! Lui è uno dei più feroci predatori mai concepiti da Madre Natura, non un cucciolo da spupazzare!
Stranamente però, Derek non si arrabbia. Al contrario, non può che sentirsi quasi… intenerito dalle parole di Stiles. E questo non è normale.
Che accidenti mi sta succedendo?
-Non te la prendere, Sourwolf. Cavolo, pensavo che in questi tre anni ti fossi ammorbidito almeno un po’!-
Derek siede sul bordo della pedana e incrocia le gambe per non toccare l’acqua.
-Come vanno le ferite?- chiede rudemente nel vano tentativo di apparire gentile.
-Sano come un pesce e pronto per tornare in azione!-
Stiles si batte il petto martoriato con una mano, laddove le cicatrici si fanno più fitte. Sembra che qualcuno abbia tentato di strappargli il cuore a mani nude o con degli uncini. Derek rabbrividisce al solo pensiero.
-Quelle ferite sono…. Frutto delle torture subite all’Inferno?-
Stiles si guarda come se si fosse appena accorto di avere le carni praticamente distrutte. –Oh, no. Se potessi vedermi come sono realmente dopo la visitina all’Inferno, non mi riconosceresti nemmeno. Roba da film horror, amico. No, questi sono il risultato di simpatici tete a tete, con Alastor e Dumah.-
Derek trattiene un ringhio, ma non riesce a impedirsi il baluginare bluastro e minaccioso degli occhi da licantropo. –Loro ti hanno fatto questo?-
Stiles scrolla le spalle con noncuranza. –Seh, ma ho sopportato di peggio. Tipo le canzoni di Justin Bieber. Quelle sono terribili, davvero.-
-Smettila di scherzarci su!- esplode improvvisamente Derek, facendo sussultare Stiles per la sorpresa. Quando il demone alza lo sguardo, vede gli occhi di Derek illuminarsi, gli artigli fuoriuscire e le zanne baluginare sinistre da sotto il labbro inferiore. È arrabbiato sul serio, ma perché?
Per Stiles, è tutto normale: le cicatrici, il dolore, il sangue. Da tre anni a quella parte, non subisce altro, quindi gli appare bizzarro che Derek si scaldi tanto per niente.
-Hai subito delle torture allucinanti, sei caduto all’Inferno per una colpa che non avevi e adesso ti hanno trasformato in un cacciatore di taglie infernale. Come fai a non rivoltarti contro Satana stesso?-
-Servirebbe a qualcosa?- Quando Stiles parla, la sua voce è ferma, serena, come se stesse parlando del tempo. –Satana non può essere distrutto o sconfitto. Ribellarsi all’ordine delle cose significherebbe intaccare l’equilibrio tra Inferno e Paradiso, il che mi rivolterebbe contro Dio stesso e la sua schiera di angeli. Non ne vale la pena, Derek. Sto bene così: vi ho rivisti, adesso sono con te e posso addirittura parlarvi. È andata meglio di quanto pensassi.-
Stiles sorride e dolcemente fa aderire i polpastrelli di una mano agli artigli ancora distesi di Derek. Il contatto di quella pelle bagnata ma ancora calda scatena nel licantropo un brivido incontrollato, anomalo, che non sa classificare.
-Rilassati, Sourwolf. Anche Hellboy deve rassegnarsi alla morsa del destino, ogni tanto.-
Derek inarca le sopracciglia, facendo sbarrare gli occhi di Stiles.
-Oh, ma andiamo! Hellboy! Mai sentito parlare del fumetto? Ci hanno fatto pure due film! Che cavolo hai fatto in questi tre anni, stupido lupastro, ti sei dato all’ippica?-
Alla reazione isterica di Stiles, Derek si lascia scappare quasi un sorriso, il che lo porta a ripensare al suo incontro con Talia Hale.
-Stiles…-
-Non voglio sentire nessuna scusa! Ti inchioderò il culo su una sedia usando una spillatrice e ti costringerò a guardare tutti i film che ti sei perso…-
-Stiles.-
-E non voglio neanche immaginare che altro non hai visto. Star Wars? Il signore degli anelli? Sheldon Cooper ti getterebbe giù dal monte Fato per quanto sei pirla!-
-Stiles.-
-Non sembri un tipo da manga, ma quantomeno qualche fumetto americano leggilo! Mai sentito parlare di Bestia degli X-Men? Secondo me siete parenti, con la differenza che quello non si depila dall’era del giurassico e…-
-STILES!!!-
Stiles ammutolisce con un altro sussulto e lo guarda, in attesa. Sotto di lui continuano a scorrere pesci e sirene, che tuttavia lo ignorano completamente, come se fossero abituati alla sua presenza.
-Parlando di prima… sì, ho rivisto Talia Hale. Lei mi ha detto che con la sua evocazione hai esaurito quel po’ di energia angelica che rimaneva in questo posto, rinunciando a un incontro con tua madre.-
Stiles distoglie lo sguardo e Derek ripensa alle parole di Talia: “Deve volerti davvero bene.”
-Perché lo hai fatto?-
Stiles non risponde. Toglie la mano dalle unghie ormai umanizzate di Derek e affonda il braccio nell’acqua, evitando di guardarlo in viso.
-Perché lo meritavi, Derek. Pensi che non sappia quanto ti devo? Ti sei preso cura di Scott in mia assenza, hai ascoltato Lydia e hai addirittura fatto visita a mio padre. Me lo ha detto Valefar, e so che non mentiva. Ti sei fatto carico dei nostri problemi quando ero ancora vivo e hai continuato a farlo quando sono andato via. Io ho avuto il tempo di salutare mia madre perché sapevo della sua malattia, ma tu no: te l’hanno portata via all’improvviso, impedendoti anche di darle un ultimo abbraccio, e questo non è giusto. Ho semplicemente provato a rimettere a posto le cose. Non è molto, ma… insomma…-
La voce di Stiles si spegne in un sussurro imbarazzato.
Derek lo fissa, nuovamente intenerito da quella fragilità momentanea. Quel piccolo, stupido ragazzino ha scelto di soffrire come un cane solo per dargli la possibilità di salutare sua madre un’ultima volta e questa è la cosa più bizzarra che Derek abbia mai visto.
-Sei uno stupido.- sbotta senza cattiveria e senza pensare, gli passa una mano tra i capelli come farebbe con un cucciolo qualsiasi o con una persona che gli è molto cara. Lo faceva con Laura, quando era viva, ma stranamente toccare Stiles ha un significato diverso, nuovo, che Derek non riesce a comprendere appieno. Eppure, non è brutto toccare qualcuno, proteggerlo come si proteggerebbe un familiare o un caro che ha bisogno di aiuto.
È forse allora che Derek capisce che Stiles rientra esattamente in quest’ultima categoria.
Si specchia nei suoi grandi occhi di ragazzo e scopre che farebbe qualsiasi cosa per proteggerlo perché quei momenti di terrore in cui ha osservato la sua stanza coperta di sangue, sono stati i più brutti della sua vita. Senza Stiles, Beacon Hills era diventata silenziosa, vuota, priva di ogni barlume di colore. Derek l’aveva sentita appassire, cambiare, ripiegarsi su se stessa. Si era chiesto a lungo cosa fosse cambiato davvero in quella città per renderla tanto cupa e vuota, ma adesso Derek capisce. Beacon Hills non è mai cambiata: è cambiato lui e il suo modo di percepirla semplicemente perché a quella città mancava di qualcosa di terribilmente importante.
Stiles Stilinski.
-Stai fissando il vuoto. Fai paura quando fissi il vuoto.-
La voce di Stiles lo riscuote dai suoi pensieri. Il demone adesso si è innervosito abbastanza da far baluginare di rosso e oro la pelle come una fiamma covata sotto diversi strati di carne.
-Quella cosa.- dice improvvisamente Derek, indicandolo. –Fa parte del tuo aspetto demoniaco?-
Stiles spalanca gli occhi. –Quale cosa?-
-Quella. La tua pelle ha riflessi rossi e dorati.-
Stiles boccheggia, stupito. –Cos… la vedi?- esplode, imbarazzato. Nasconde la testa sotto l’acqua e Derek è costretto ad afferrarlo e tirarlo fuori per evitare che si affoghi da solo come il primo degli imbecilli.
-Sì che la vedo. E finiscila di tentare il suicidio; prima mi riporti a casa e poi ti permetto di ammazzarti.-
-Sarebbe divertente lasciarti in mezzo ai ghiacciai. Come te la cavi come lupo artico?-
Derek ringhia.
-Ho capito, domanda sbagliata. Comunque sì, la pelle accendi e spegni fa parte del mio aspetto… ehm… da cattivo ragazzo. Dovresti vedere Valefar trasformato, sembra una Drag Queen scorticata. Non che abbia qualcosa contro le Drag Queen, sono bravissime signore e ne conosco alcune. Sai, una storia che implica una festa, un nano incazzato e un inseguimento fino al ranch fuori città dove un toro ha cercato di incornarmi. Niente domande.-
Derek vorrebbe tapparsi le orecchie per zittire quell’inutile fracasso. Considera addirittura l’idea di affogare Stiles con le sue mani, ma poi non potrebbe più tornare indietro senza di lui.
-Fino a che punto riesci a trasformarti senza perdere il controllo?-
Stiles ci pensa su. –Non lo so. Se tiro fuori pochi pezzi alla volta, posso controllarmi. E poi, quelli che hai visto l’altro giorno erano anche… ehm… pezzi incompleti. Non ho denti così corti.-
Derek ricorda la micidiale dentatura da predatore che Stiles ha sfoderato quella notte, quando ha rischiato di perdere la testa e ammazzarli tutti. Non erano zanne innocenti, né piccole. Se Stiles sta dicendo la verità, c’è di che preoccuparsi.
-E… tutto il resto?- domanda allora Derek. –Come sono fatti i demoni veri?-
Stiles si agita, a disagio. Guarda alla sua destra, il più lontano possibile da Derek, come se stesse cercando una via di fuga. -Io… sono figli dell’Inferno, che ti aspetti?-
Derek continua a fissarlo. –Dimmelo tu.-
Stiles si gratta la nuca, agitato. Ha gli occhi vitrei, talmente spalancati che Derek riesce a distinguere in essi il chiaro riflesso dell’acqua e del sole, del ghiaccio e dei cristalli.
-Loro… noi… siamo nati per torturare. Lucifero ha fatto in modo che fossimo degne macchine da guerra, e così è stato. Pensa a un angelo, ok? Bellissimo, tutto piume e grazia… noi siamo l’esatto opposto. Incarniamo tutta la violenza del fuoco e tutto il dolore dell’oscurità.- sussurra Stiles, nervoso come mai prima d’ora. –È per questo che non posso trasformarmi. Quell’essere… sono io, ma appartiene a un lato di me che tre anni fa quasi non esisteva. Pensa a tutta la rabbia, il rimorso, il dolore e l’impotenza che un dannato potrebbe provare. Ti torturano, e non puoi reagire. Ti fanno a pezzi, e non puoi ribellarti. Converti tutte le più orribili sensazioni del mondo in una sola creatura affamata e senza controllo che quando compare lascia libero sfogo a quella stessa violenza che da dannato è stata costretta a subire.-
Stiles deglutisce rumorosamente. –Io sono questo.- esala. –Non posso… non posso trasformarmi perché perderei me stesso. Ma certe cose posso farle.-
Quando Derek incrocia il suo sguardo, Stiles lo fissa dal basso con due occhi dorati da serpente, i canini superiori che lentamente si allungano, stiracchiandosi fin quasi a raggiungere il mento. Sorride sbarazzino, ma Derek scorge l’arrossamento delle gote e le mani strette sul bordo della pedana ghiacciata con tanta forza che questa comincia a creparsi.
-Anche questo non è un bello spettacolo.- commenta Stiles, facendo baluginare l’oro sottopelle. Fa per ritirare le zanne, ma Derek in quel momento sorprende finanche se stesso, allungando una mano e sfiorando con dolcezza uno dei canini. Visto da vicino pare madreperla, il che è bizzarro veramente. Bizzarro, ma non brutto.
Come in trance, Derek preme un dito sulla punta di una zanna fino a lasciar sgorgare una sola goccia di sangue per guardarla interessato alla luce del sole appena nato.
-Ehi!- esclama Stiles, afferrandogli la mano. –Che cavolo fai?!-
Affonda la mano di Derek nell’acqua fresca e la trattiene sotto finché la ferita non guarisce, smettendo innanzitutto di sanguinare.
-Non fa male, ragazzino. Ho sopportato di peggio.-
-Lo so, ma non va bene che mi usi come puntaspilli, dannato Sourwolf masochista!-
Derek sbuffa una risata e ritira la mano che finalmente Stiles ha lasciato andare.
Il sole è ormai alto sulle loro teste e rischiara un cielo di un colore ancora troppo intenso, un profondo blu cobalto. Le stelle sono restie a voler sparire, tanto che la volta celeste ne è ancora tappezzata e questo fa pensare a Derek che si è fatto tardi.
-Dobbiamo tornare indietro.-
-Lo so.-
Con una forte spinta delle braccia, Stiles esce dall’acqua. Derek lo fissa mentre i jeans aderiscono al corpo e il baluginio dorato della pelle si accende, più intenso che mai. Danza tra le carni, bacia di luce e colore il corpo longilineo dell’altro e improvvisamente, Derek si sorprende a chiedersi che aspetto abbia davvero Stiles trasformato in demone. Più guarda quel viso da ragazzo, quelle labbra piene e quel naso piccolo e all’insù, meno crede alle parole da Stiles stesso pronunciate.
Improvvisamente, Derek ripensa alle rappresentazioni di alcuni demoni che ha visto in diversi quadri e in alcuni libri, sin da quando era bambino.
-Hai le ali?-
-Eh?- Stiles si passa una mano sul viso per togliersi l’acqua dagli occhi. Lo guarda di sottecchi, nuovamente nervoso. –Non credo che questo sia il mom…-
Improvvisamente, Stiles si zittisce. Solleva lo sguardo al cielo, avvicinandosi a Derek così bruscamente che il licantropo corruccia le sopracciglia e il suo cuore fa un balzo. Osserva da vicino il pomo d’Adamo di Stiles salire e scendere mentre il demone deglutisce rumorosamente, innervosito.
-Non ti muovere.- sussurra, afferrandogli un avambraccio e stringendoglielo con forza.
La pelle di Derek comincia a bruciare laddove le dita di Stiles premono con tanta forza da arrossare la carne.
Il sole si oscura all’improvviso, sparendo nel nulla come coperto da un’ombra invisibile. Il tempio sprofonda in un’oscurità fitta, sporca e ben diversa da quella placida della notte. Le statue si tingono d’ombre sinistre, il tetto di cristallo non emette alcun riflesso cangiante. Una violenta folata di vento li investe, scompigliando loro i capelli.
-Lui no, Michael.- sussurra Stiles, accostandosi a Derek fin quasi a premersi contro il suo fianco. Trema convulsamente e ha gli occhi sbarrati, colmi di un terrore folle. –Lui no.-
L’ombra non si ferma, non pare prestare loro attenzione: scompare dopo pochi istanti, restituendo il sole al mondo. Si ritira insieme al soffio del vento, sparendo nel nulla come se non ci fosse mai stata, se non fosse per alcuni piccoli particolari. Derek si accorge di avere le ciglia e i vestiti ricoperti di brina. Sull’acqua si è formato un velo di ghiaccio che ora si spacca e galleggia pigramente come tanti piccoli frammenti di cristallo infranto.
Stiles rilascia la tensione con un brusco sospiro. Si allontana di un passo e rilassa appena i muscoli, gli occhi ancora puntati verso il cielo. Con sua enorme sorpresa, Derek si accorge che le sue iridi sono trasformate e le zanne sfiorano nuovamente il mento come due candide estremità appuntite. Le orecchie sono leggermente a punta, ma Derek è certo che quella non sia la loro vera forma, il che lo porta a chiedersi nuovamente come sia Stiles in realtà. Già visto in quelle condizioni, appare stranamente… bello. Nobile, in qualche modo, come una tigre albina che svetta fiera nel suo habitat.
-Che cazzo sta succedendo?- mormora allora Stiles. Gli afferra di nuovo il polso con forza inaspettata, la mano madida di sudore. Trema violentemente, e Derek non sa se sia a causa del freddo. –Torniamo a casa.-
Derek non ha nemmeno il tempo di aprir bocca perché all’improvviso il tempio sfuma, il sole sparisce e il licantropo appare al centro del suo loft, alla luce di un sole diverso e più caldo. Manca tuttavia il calore di Stiles e il tocco della sua mano sull’avambraccio. Di lui e Diablo non c’è traccia.
 
Angolo dell’autrice:
E le cose cominciano a complicarsi. Quindi, preparatevi qualsiasi eventuale imprecazione, perché la situazione può solo peggiorare. Come disse Albus Silente: “Ci sono cose peggiori della morte”, e una di queste è avere un’autrice che ha trovato milleuno modi per torturare i suoi personaggi. Ma, torniamo a noi! Come al solito, devo tediarvi coi ringraziamenti. Lo so, sono ripetitiva, ma davvero vi devo tutto questo. Se scrivo, lo faccio per voi e per l’affetto che rivolgete verso questa storia. Ogni parola, ogni frase, ogni descrizione, voi le scrivete con me. Sarò emotiva io, ma quando leggo i vostri commenti, sorrido e mi sento abbastanza felice e in forze per scrivere ancora e continuare. Ammetto di aver versato anche una lacrima, e a farmi commuovere è stata Sophi33. Grazie di cuore a tutti voi, all’amore che riceve questa storia. Grazie. Ci vediamo più in basso per le anticipazioni!
Grazie mille ai miei demonietti più belli:
Giada_ASR
Nye
Stilba
Melanche
Elenuar Black
Sophi33
Virginsiny74
Barbara78
 

Anticipazioni:
“–Ve l’ho detto, la cosa che abbiamo visto non era normale. Ha oscurato il sole con la sua sola presenza, e non credo che tutti i demoni possano farlo. Stiles aveva paura e continuava a…-
-Aspetta un attimo.- lo interrompe Lydia, che intanto è seduta sul divano accanto ad Allison col portatile appoggiato sulle ginocchia e le dita che cliccano impazzite i tasti. Ha gli occhi sbarrati e le labbra schiuse.
-Hai detto che Stiles ha pronunciato un nome, vero? “Lui no, Michael”. È giusto?-
-Sì.- Derek corruga le sopracciglia, chiedendosi dove Lydia voglia andare a parare.
-Michael. Oscurazione del sole. Demoni. Di cosa ha paura un demone?-
Scott arriccia il naso. –Non parlare di Stiles in quel modo.-
-Di cosa ha paura? Credo…-”

 
Tomi Dark Angel

 

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Capitolo 10
*** Angeli Senza Ali ***


“Ma sapete,
La felicità si può trovare anche negli attimi più tenebrosi.
Se solo uno si ricorda di accendere la luce.”
 
C’è un motivo per cui l’inferno fa tanta paura all’uomo. Torture, grida, dolore. Fa un male cane, specialmente quando i demoni ti massacrano senza mai stancarsi, senza mai concedersi una pausa. È un circolo continuo, vizioso, che non finisce mai, nemmeno quando spezzi le corde di prigionia a furia di urlare e invocare perdono.
Stiles pensava di essersi abituato alle torture. Ha subito lacerazioni, squartamenti, percosse. Ogni macabro atto di sofferenza mai immaginato da mente umana e non, è stato applicato su di lui e sulla sua anima con tanta forza da soverchiarlo e schiacciarlo sotto l’inevitabile peso del dolore.
Dopo tre anni, si è illuso di non poter più provare dolore. Si è illuso. Si è sbagliato.
Sputa un grumo di sangue quando dell’olio consacrato gli accarezza la pelle in una leccata lasciva di amante vogliosa, consumandogli carne e tendini, fino a scavare gli organi e seccare il sangue. Le candide costole del torace emergono, ammiccano come pallide schegge di madreperla, snudando il cuore rattrappito e nero di demone che pulsa velocemente per sopportare il terribile dolore che Stiles sta subendo.
Dumah si lecca le labbra scarlatte di sangue, le zanne snudate che pochi istanti prima affondavano nella carne di Stiles. Il ragazzo si è visto strappare un bicipite e lacerare un addominale, ma non ha aperto bocca, non ha gridato mai. Così era all’Inferno e così è ora, nella cantina di casa, dove catene intrise di acqua benedetta gli hanno lacerato i polsi fino a consumargli le carni. Uncini massicci affondano nei fianchi, nel collo e nelle caviglie, strattonandolo come una bambola di pezza, facendolo sanguinare tanto copiosamente che ormai del pavimento non si riconosce più il colore.
Un corpo umano non dovrebbe possedere tanto sangue. Un corpo umano non sopporterebbe tanto dolore, tante lacerazioni. Ma Stiles non è umano e, nonostante tutto, vorrebbe esserlo perché diventare demone l’ha cambiato, e lui stesso non si riconosce più.
Il vecchio Stiles sarebbe morto di dolore, ma questo… questo no. Lo Stiles demone sopravvive e non si piega alla sofferenza, ringhia a bassa voce ma non grida mai. Non è normale, non è umano. Questo non è lui.
-Pensavi che non ce ne saremmo accorti?- dice Alastor, seduto a gambe incrociate vicino al muro, i jeans grondanti di sangue e le mani impegnate a girare e rigirare il suo famoso cubo di Rubik. –Sei più stupido di quanto avessimo pensato. Ancora non capisco perché Lucifero ti abbia affidato tanto potere quando è evidente che non lo userai mai per le giuste cause.-
Stiles tossisce ancora, gli occhi che lampeggiano impazziti dalla fattezza umana a quella demoniaca.
-La giustizia è tale quando giusta appare agli occhi di chi pensa di esercitarla.-
Dumah ride convulsamente, schiacciando sotto il tacco a spillo l’ala di Diablo, accasciato ai suoi piedi. –Oh, ma che bel poeta abbiamo qui! Dimmi, hai usato lo stesso identico romanticismo per infilarti nelle mutande di quel licantropo? Come si chiama… Derek?-
Stiles non risponde.
-Potrei fargli una visitina.- mormora allora Dumah, strattonando uno degli uncini che arpionano il braccio di Stiles per accostarlo a sé. Lui digrigna i denti, ma non emette un suono. –Potrei… mh… proporgli la mia compagnia. Sono certa che non gli dispiacerebbe. Dopotutto, potrebbe un ragazzo simile, che trasuda eterosessualità da ogni poro, guardare te? Oltre che maschio, sei anche un mostro ai suoi occhi.-
Stiles oscilla il capo. –Lo so.- mormora, gli occhi chiusi e la voce stanca. –Ed è per questo che non ho mai preteso nulla da lui e mai lo farò.-
Dumah emette un verso di scherno e fa guizzare gli artigli, che recidono i tendini di Stiles uno alla volta come corde di violino spezzate. Fa male, brucia da morire, ma Stiles non riesce a piegarsi. Va contro la sua volontà, contro il suo essere. Così come era all’Inferno, così è ora, da demone.
–Sei così terribilmente… smielato. Mi sorprende il fatto che non gridi come un agnellino.-
Stiles si irrigidisce all’improvviso. Il corpo non trema più in preda al dolore, il respiro si stabilizza come se le ferite fossero sparite. Per brevi istanti, Dumah pensa che stia già guarendo, ma è impossibile, essendoci di mezzo ferite tanto gravi.
Improvvisamente però, Stiles solleva gli occhi da rettile, dorati come oro fuso e brillanti più di una supernova per fissala con tanta gelida furia che Dumah si immobilizza, inquieta.
–Quando avrò un motivo per gridare, lo farò. Tu spera che ciò non accada mai, Dumah, perché se io grido… voi griderete con me. E a farvi urlare pietà sarò io.-
Sono parole intrise di rabbia, di malvagità non sua.  Qualcosa si sta spezzando in Stiles e dalla sua posizione, Alastor riesce a vedere il bianco rimanente di quell’anima annerirsi velocemente, contaminato dal dolore e dall’impotenza. L’Inferno sta vincendo. Presto Stiles sarà in tutto e per tutto un demone come loro, così come dovrebbe essere. La sua anima sta morendo, appassisce come il più bello dei fiori consumato dall’acido. I petali rattrappiscono, lo stelo si piega poco a poco, annerendosi di un’oscurità spenta che sopprime la vita, le emozioni, il senso di umanità.
-E cosa farai di noi, Stiles?- chiede allora Alastor, ancora immobile e improvvisamente interessato al corpo massacrato di Stiles. Lo vede tremare violentemente, come se stesse lottando contro qualcosa di feroce che cerca di uscire a tutti i costi.
Alastor sa di cosa si tratta. La bestia. Il lato demoniaco di Stiles. È lì, a un passo dall’esplosione, può sentirlo.
-Cosa farai?-
Stiles non risponde. Respira affannosamente e comincia a contorcersi, strattonando gli uncini fino a spaccarsi le ossa. Si morde le labbra, stringe gli occhi, contrae i pochi muscoli rimasti intatti. Lotta violentemente contro se stesso, sopprime quella violenza soverchiante che soffoca la sua vera essenza. Ad ogni istante che passa, il suo passato sparisce insieme ai ricordi più cari dei momenti sereni vissuti da un ragazzo logorroico e iperattivo profondamente attaccato alla speranza.
Ma Stiles è più forte di quanto lo stesso Alastor si aspetti. Non sa come ci riesce, ma improvvisamente il ragazzo trema più forte e ringhia. Il biancore della sua anima lampeggia, si fa quasi accecante. Nel suo ultimo sprazzo di speranza, essa respinge il male doloroso che la soffoca e richiama a sé un barlume di forza disumana, inaspettata, che risolleva Stiles dall’oscurità.
-Io. Non. Sarò. Come. Voi!- urla Stiles all’improvviso, con la voce gutturale che tuttavia tradisce le sue parole e la sicurezza che emanano. Ha ancora qualche convulsione, una contrazione dei muscoli, prima di svenire. Il capo crolla e i muscoli si rilassano mentre il petto s’alza e s’abbassa troppo velocemente per combattere il dolore e la carenza d’aria che infligge al corpo.
Chiunque morirebbe. Chiunque scoppierebbe in lacrime e supplicherebbe pietà. Invece, nel suo totale rifiuto di lasciarsi andare alla pietà, Stiles sceglie di chiudersi in un oblio pallido e opaco fatto d’incubi e ricordi dolorosi di demoni e dannati consumati dalle fiamme.
-Abbiamo esagerato.- dice improvvisamente Dumah, posando gli occhi su Diablo, immobile ai suoi piedi. –L’abbiamo quasi rispedito all’Inferno.-
Alastor torna a dilettarsi col cubo di Rubik come se niente fosse. –Sono incidenti che capitano.-
-Non sarebbe stato un incidente! Satana ci avrebbe preso a calci nel culo! C’è un motivo per cui l’ha mandato qui con noi!- esclama Dumah, alzando la voce.
-Il ragazzo non è così debole.-
-Lui no, ma noi? Quanto siamo deboli noi al sentore del sangue? Ci siamo lasciati trascinare!-
-Dumah, se urli di nuovo ti strappo le corde vocali.- minaccia Alastor tranquillamente. –Sei fastidiosa.-
Dumah serra le labbra, incapace di ignorare l’avvertimento di Alastor.
-Stiamo perseguendo un obbiettivo, Dumah. Siamo qui per cercare una verità, per sapere cosa è accaduto realmente all’Inferno e perché un demone ha deciso di sfidare Lucifero e ammazzare delle persone. Stiles deve collaborare, ma pur di perseguire il suo obbiettivo capriccioso e intralciarci, sceglie di opporsi strenuamente a una legge già scritta. Vuole ignorare la realtà dei fatti, ciò che sta accadendo davvero: la verità è che presto sarà uno di noi e non può opporsi al suo stesso essere. Così ci fa solo perdere tempo.-
Dumah sospira, improvvisamente rattristata. Davanti agli occhi di Alastor, scrolla il capo e fissa Stiles con una scintilla di preoccupazione e dubbio. Esita prima di voltarsi e raggiungere l’uscita, i lunghi capelli ricci che rimbalzano morbidi lungo la schiena. Si ferma sulla soglia, una mano appoggiata sullo stipite della porta.
-Cos’è la verità?-
Dumah esce e Alastor resta da solo nella semioscurità di una cantina dove il gocciolio del sangue di Stiles è l’unico suono che spezza l’abbraccio mortifero del silenzio.
 
-Ti dico che quei due non mi piacciono.- asserisce Isaac, incrociando le braccia al petto. –Sono demoni, e i demoni non rientrano esattamente nella categoria dei buoni.-
-Davvero?- sbotta Derek, appoggiandosi alla parete del loft. –Grazie per averci informato, genio.-
-Stai facendo del sarcasmo?- si stupisce Scott. –Sarcasmo vero? Cavolo, la presenza di Stiles ricomincia a fare eff… sto zitto.-
Derek continua a fissarlo finché non abbassa lo sguardo, poi sposta gli occhi verso l’esterno. –Ve l’ho detto, la cosa che abbiamo visto non era normale. Ha oscurato il sole con la sua sola presenza, e non credo che tutti i demoni possano farlo. Stiles aveva paura e continuava a…-
-Aspetta un attimo.- lo interrompe Lydia, che giace seduta sul divano accanto ad Allison, col portatile appoggiato sulle ginocchia e le dita che cliccano impazzite i tasti. Ha gli occhi sbarrati e le labbra schiuse, segno che il suo cervello sta lavorando freneticamente alla disperata ricerca di una risposta. E forse, l’ha trovata.
-Hai detto che Stiles ha pronunciato un nome, vero? “Lui no, Michael”. È giusto?-
-Sì.- Derek corruga le sopracciglia, chiedendosi dove Lydia voglia andare a parare.
-Perché non ci ho pensato prima?-
-Lydia, ti conviene darmi delle risposte chiare o…-
-Michael. Oscurazione del sole. Demoni. Di cosa ha paura un demone?-
Scott arriccia il naso. –Non parlare di Stiles in quel modo.-
-Di cosa ha paura? Credo… di Dio?- si intromette Isaac, ma Lydia scrolla il capo e fa un gesto di stizza.
-Di Dio, ok. E poi?-
Allison fissa la finestra, dove il sole ormai alto riflette sul mondo i suoi fasci dorati. Riesce a vederli mentre piovono dal cielo come una cascata liquida e luminosa, calda e bellissima, al punto da tingere le chiome degli alberi di una nuova tonalità che rende ogni foglia ancora più viva, ancora più splendente. E stranamente, alla vista di quello spettacolo, Allison pensa a Dio. Quante volte ha sentito parlare del suo “magico operato”, quante volte i credenti hanno inneggiato il capolavoro del Padreterno. Ma ci sono altre creature, creature alate che nella loro magnificenza compiono il volere di Dio, agendo spesso come soldati diretti del Paradiso.
-Angeli.- mormora, e Lydia annuisce.
-Bingo! Guardate qui!-
Volta il computer verso i presenti per far sì che tutti guardino la schermata dallo sfondo azzurrino, dove splendide raffigurazioni di uomini alati svettano in cima a una grande scritta, posta proprio accanto al disegno di un angelo a sei ali: “Arcangelo Michael”.
-Un arcangelo? Non possono esistere davvero!- esplode Scott.
-Puoi davvero escluderlo? Esistono i demoni, quindi come potrebbero non esistere gli angeli?- lo interrompe Derek, gli occhi ancora fissi sull’immagine. È quella la creatura che terrorizza tanto Stiles? Un guerriero di Dio, un guardiano del Paradiso?
Gli angeli non dovrebbero far paura. Secondo la Bibbia, non sono malvagi, né feriscono gli innocenti. Eppure, nonostante tutto, Derek ha la sensazione che questo Michael non esiterebbe ad alzar mano su Stiles semplicemente perché è un demone. E questo, Derek non ha intenzione di permetterlo. Odia l’idea che il suo ragazzino sia in pericolo, odia l’idea di averlo lasciato solo.
-Ok, ma perché un angelo dovrebbe abbassarsi a fare un giretto in… dove eravate, esattamente?- chiede Isaac.
-In Alaska.- risponde vagamente Derek.
-Che cavolo ci facevate in Alaska?- Derek lo fissa in silenzio e Isaac abbassa lo sguardo. -Ho capito, non sono affari miei.-
Derek torna a fissare lo schermo, improvvisamente conscio di essere stato sfiorato da un angelo. Ma perché Stiles continuava a ripetere “non lui”? Cosa avrebbe dovuto fare Michael?
-Qui è scritto che Michael è anche l’angelo della morte.- dice Allison, toccando lo schermo, e improvvisamente Derek capisce perché Stiles aveva paura: la morte li ha sfiorati, forse accerchiandoli e minacciandoli, ma un morto non può temere di morire di nuovo. Al contrario, Stiles ha temuto che Michael si interessasse a Derek: “Non lui, Michael”.
Era una preghiera. L’ennesima, per gli altri e non per se stesso.
-Dovremmo chiedere chiarimenti a Stiles.- dice Allison.
-Non è al Dogma, ho controllato. Chissà che sta facendo.- la interrompe Lydia, chiudendo il pc. –Ma! Abbiamo un’altra attendibile fonte che potrebbe aiutarci!-
-Tipo?- chiede Scott.
Lydia sorride e sventola il cellulare. –Sono stata l’unica a usare il cervello, come al solito. Fatemi chiamare Valefar e organizziamo un incontro.-
 
Valefar non ha reagito come si aspettava Derek. Si è dimostrato disponibile e li ha invitati al locale, ma dopo l’orario di chiusura. La sua voce è parsa incrinata da un velo di preoccupazione, ma Lydia non se ne è accorta in tempo e i licantropi presenti hanno preferito mantenere il silenzio per parlarne poi da vicino.
Valefar è la loro unica speranza, l’unico demone disposto a parlare apertamente del suo mondo. Derek e gli altri hanno bisogno di capire a fondo la situazione per poterla combattere, e in questo Stiles non sembra essere d’aiuto.
Perciò adesso sono lì, tutti quanti, davanti alla porta lasciata socchiusa del bar avvolto dall’oscurità. Entrano uno alla volta senza far rumore, e Isaac si chiude la porta alle spalle con fare circospetto, gli occhi illuminati di giallo per combattere il buio.
Nel bar non c’è nessuno, ma Derek e gli altri sentono delle voci provenire dal retro.
-Non puoi andare avanti così.-
Valefar.
-Ho scelta?-
Stiles.
Derek e Scott strisciano verso la porta e si appoggiano al muro, ascoltando.
-Ce l’hai, Stiles! Devi combattere! Ti stanno annerendo l’anima, a breve sarai uno di loro!-
-Reagire significherebbe diventare demone molto prima.-
-Ma almeno ti tieni tutti gli arti attaccati al corpo! È già la terza volta che ti medico, questa settimana!-
-Non è questo l’obbiettivo. Devo restare così, Valefar. Non rischierei mai di ferire te, o gli altri… o Derek.-
Derek aguzza le orecchie al sentire il suo nome. Sente un fruscio, il sibilo di qualcosa che accarezza l’aria in un oscillare lento ma continuo.
-Cosa hai intenzione di fare, allora? Scegli di lasciarti massacrare un pezzo alla volta perché ti sembra giusto sopportare?-
Stiles sospira pesantemente, esausto. Derek avverte il battito troppo lento del suo cuore e il sentore del sangue è talmente forte che il licantropo deve fare un enorme sforzo per non sfondare la porta per controllare che Stiles stia bene.
Dannazione. Quasi non si riconosce più. Quei pensieri non fanno per lui, non si addicono al suo essere e al suo modo di agire. Stiles è uno del branco, il che rende normale che Derek provi l’impulso di difenderlo, ma non si è mai comportato così con gli altri.
-Ahia!- esclama Stiles all’improvviso. –L’hai fatto apposta!-
-Non prendertela con me, dolcezza. Sei tu che hai i tendini lacerati, mica io.-
-Proprio per questo non dovresti essere così rude! Sono ferito!-
-No, sei stronzo; e scusa il francesismo. Ti ho raccolto dalla strada più vivo che morto, e domani dovrò spiegare al mio datore di lavoro perché mi sono caricato in spalla un cadavere trovato in strada.-
Stiles esita. –Eri… eri la mia unica speranza, Val.- sussurra con una fragilità vitrea che stringe il cuore di Derek in una morsa. Sente il suo respiro tremare e può quasi immaginarlo mentre si piega su se stesso, raccogliendo le ginocchia al petto come un bambino fragile e sperduto. –Se hai altre possibili vie da consigliarmi, parla. Altrimenti, non giudicarmi.-
-Te l’ho detto: devi combattere.-
-Non posso, e lo sai. Michael ha già dato il suo primo avvertimento: se dovessi scatenare una guerra tra demoni, rischiamo di attirare l’attenzione degli angeli.-
Alle spalle di Derek, Lydia sorride con fare tronfio. Angeli. Aveva ragione.
-Lascia che te lo dica, dolcezza: la tua è una soluzione del cazzo. Le torture non possono ucciderti, ma possono farti impazzire.-
-Più di quanto impazzirei se mi trasformassi in demone? Non voglio essere visto in quello stato, Valefar. La stessa Dumah ha paura quando sente la mia bestia affiorare. Non lo dice, ma io lo sento.-
-Sei al limite, Stiles.- risponde Valefar con dolcezza. -Non ce la fai più, hai bisogno di aiuto. Qui ci sono persone disposte ad appoggiarti, ma devi fidarti di loro… di me. Non puoi andare avanti da solo.-
-Ma io sono solo, Valefar. Sono solo. Non posso neanche rivedere mio padre…- La voce di Stiles si spegne in un singhiozzo stremato e all’improvviso il demone scoppia. –Sono solo! Solo contro l’Inferno stesso! Mi ci hanno spedito per una colpa che non ho commesso, ma che mi è toccato accettare! Anche qui mi torturano, fanno male, e adesso non posso neanche più fidarmi di me stesso! Rischio di trasformarmi in una bestia, di uccidere coloro che amo e di non ricordarlo nemmeno! Sono debole, Valefar… debole e ingabbiato. Si dice che Dio abbia un piano per tutti noi, ma ormai penso che si sia dimenticato di me. Anche lui mi ha lasciato, come ha fatto mia madre e come sono stati costretti a fare Scott e gli altri. Però, non voglio andarmene senza ragione. Voglio solo lasciarmi alle spalle qualcosa di buono, come fece mia madre… lei salvò l’uomo che amava, Valefar. Perché non posso farlo anche io? Perché non posso? Ti prego… rispondimi… qualcuno mi risponda.-
Derek ne ha abbastanza. Ascoltare il pianto di Stiles gli lacera l’anima, strappa via dal suo cuore piccoli pezzi di sofferenza. Ferite fresche si aprono e un dolore lancinante gli esplode al centro del petto al solo pensiero che, nella sua innocenza, Stiles è stato costretto a sbocciare e morire in solitudine, nel sangue e nel dolore.
Chi c’era con lui mentre moriva più e più volte, giù nell’Inferno?
Chi lo aiutava a rialzarsi quando cadeva in ginocchio e si spezzava le unghie a furia di piantarle nel suolo per non crollare definitivamente?
Derek si accorge di aver affondato gli artigli nel muro e, guardando al suo fianco, vede Lydia piangere e Allison abbracciarla. Isaac guarda in basso con tristezza infinita e Scott… Scott si morde le labbra a sangue per non lasciar fuoriuscire i singhiozzi. Ha il volto inondato di lacrime e il pugno premuto sulla bocca. Soffre come una bestia, impotente davanti al dolore cieco di un fratello che non può aiutare come vorrebbe.
Ma ora basta. Basta con Stiles che cammina da solo nell’oscurità. Basta col dannatissimo demone che cerca di incastrarlo. Basta con tutto quanto.
Derek apre la porta con tanta violenza da rischiare di scardinarla ed entra nella stanza, gli occhi blu zaffiro e le zanne bene in vista. Vede Stiles abbracciare Valefar, il volto affondato contro l’incavo del suo collo, e questo gli fa salire il sangue al cervello perché Valefar sta toccando il suo demone, lo sfiora con troppa familiarità. Con un violento ruggito, Derek afferra Stiles per la felpa e lo strappa dall’abbraccio di Valefar, sollevandolo di peso e inchiodandolo al muro.
-Tu non hai capito niente.- ringhia a bassa voce, il volto a un soffio dal suo. –Non hai capito che, volente o nolente, noi non POSSIAMO lasciarti solo, stupido ragazzino. Ognuno di noi è in debito con te e nel momento del bisogno ti ha avuto accanto. Fosse anche per semplice senso di giustizia, ma te lo dobbiamo. Fai parte del branco, imbecille di un moccioso masochista, e noi ci prendiamo cura del branco. Quindi smettila di piangerti addosso o ti strappo gli occhi a mani nude. Vuoi ribellarti? Fallo. L’hai sempre fatto quando eri umano, disobbedendo a tuo padre, a me, al mondo intero. Hai sempre pensato con la tua testa, quindi cosa ti ferma ora? L’Inferno? Sappiamo entrambi che se solo lo desideri, sei capace di tirar giù l’intero ecosistema fisico e spirituale per puro principio di ragione, quindi muovi quelle chiappe e datti una mossa. Odio dirlo, ma comportati da Stiles!-
Stiles sbatte gli occhi rossi di lacrime, le labbra schiuse, i muscoli tesi. Fissa Derek come se lo vedesse per la prima volta, mettendo a fuoco la sua figura troppo vicina, accorgendosi del calore esagerato del suo corpo accostato al suo.
-Ha ragione, Stiles.- interviene Scott. –Tu sei mio fratello… e i fratelli non si lasciano mai da soli.-
Derek lo libera, e adesso Stiles guarda Scott, tremando violentemente. Si specchia negli occhi di suo fratello, gli occhi del ragazzo che è cresciuto con lui e l’ha visto maturare. Si preme una mano sulla bocca per trattenere le lacrime, ma il licantropo lo abbraccia, stringendolo con forza, e allora Stiles scoppia in singhiozzi.
-Piangi. Ti ho visto farlo tante volte da bambino, e non sarà diverso ora. Ti ho tirato fuori dai guai molto spesso, e se farlo non era possibile, ho preferito restarti accanto e sprofondare con te. Noi siamo questo, Stiles. Siamo una famiglia.-
-E tu fai parte di questa famiglia.- sorride Isaac, impacciato. –Abbiamo ancora bisogno di un altro ragazzo superintelligente nel gruppo. Lydia parla troppo poco per i miei gusti, e io odio il silenzio.-
-Ti aiuteremo noi, Stiles.- Allison. –Ti aiuteremo come tu hai sempre fatto con noi. Hai coperto me e Scott quando ce n’era bisogno, hai saputo perdonare gli errori di tutti noi pur di andare avanti. Qualunque cosa tu abbia fatto, noi sapremo dimenticarla.-
-Odio queste filippiche da supereroi uniti contro il male, quindi non dirò niente.- sbotta Lydia, incrociando le braccia al petto. –Ma quella felpa è orribile e hai bisogno di me per rinnovare il tuo guardaroba, quindi non provare a sparire di nuovo.-
Stiles li fissa uno a uno, commosso. Il suo branco, la sua famiglia. Credeva che lo avessero dimenticato, quando invece non hanno mai smesso di aspettarlo, di credere in lui.
Sorride tra le lacrime e si appoggia a Scott, esausto ma felice. Non è solo, non più: il suo branco è lì, lo appoggia, si prenderà cura di lui e del suo futuro. Sono tutti riuniti al suo cospetto, pronti a combattere e a difenderlo perché Stiles è uno di loro, uno di famiglia.
-Ho capito.- sospira alla fine, rilassandosi e chiudendo gli occhi. –Ho capito.-
E ha capito davvero, perché i ragazzi non gli permetteranno di fare altro. Capisce che forse c’è una speranza, capisce che andrà tutto bene. Se l’oscurità in lui è fitta, la luce può essere ancora più forte semplicemente perché ad alimentarla sono quelle creature bizzarre e fuori luogo che tuttavia la luce vera, la conoscono bene.
Diablo attraversa la stanza in volo e gli si appollaia sulla spalla, gracchiando. Valefar si raddrizza e lo raggiunge, lo sguardo fiero fisso su di lui. Poi, con grande stupore di tutti, gli afferra la mano e china il capo in una sorta di rispettoso inchino.
-Mi hai insegnato che c’è speranza per tutti noi. Mi hai insegnato che è sempre possibile guardare alla luce anche quando si è un demone. Vorrei dirti che la parte umana di me non è ancora perduta, ma non è così. So bene che non è possibile recuperare la propria anima, so che il mio passato non esiste più… eppure, sento che qualcosa in me sta cambiando perché quell’umanità che un tempo mi era sconosciuta, ora la sento lì, al centro del petto. Da qualche parte ho avuto una storia, una famiglia, delle emozioni buone. Non sarò stato il più giusto del mondo perché sono caduto all’Inferno, ma guardandoti ho imparato che si può sempre chiedere scusa, sacrificarsi e cambiare il passato. Mi hai insegnato questo, Stiles… perciò, grazie. Reggi il destino di tutti noi, piccoletto, perciò se lo vorrai, sarò ai tuoi ordini e vi aiuterò.-
Il sole sta sorgendo, Stiles se ne accorge solo mentre fissa stupefatto quella riunione di creature che docilmente appoggiano le sue scelte e ogni sua futura decisione. Alle sue spalle, la finestra rigetta sulla sua schiena e tutto intorno dei fasci dorati e bellissimi, caldi di un calore che Stiles credeva d’aver dimenticato.
Li fissa tutti, uno ad uno, per imprimerseli nella mente. Ha smesso di credere agli angeli custodi, ma se solo esistessero davvero, Stiles è certo che abbiano quei volti, quelle voci, quegli sguardi innocenti e determinati al contempo.
Stiles stringe la mano di Valefar con un sorriso stupefatto, il cuore gonfio di gratitudine per quella che alla fine si è rivelata essere la sua famiglia, quella parte di sé che non sparirà mai veramente, esattamente come il lato umano di Valefar. Certe cose si possono dimenticare, annientare, distruggere; ma finché anche il più piccolo rudere rimarrà in vita, ci sarà speranza e forza per accettare anche la più difficile delle situazioni. Lo aveva dimenticato.
-Credo sia ora di rialzare la testa, Stiles.- sbotta Derek, ancora fermo al suo fianco. –Rialzati, o ti costringerò io a farlo.-
Stiles sorride con gratitudine. –Io… posso farlo davvero?-
Cerca gli occhi di Derek, l’approvazione del suo sguardo. Non sa perché lo fa, ma se il suo licantropo si convince di qualcosa, allora Stiles crederà a sua volta.
-Da quando ti preoccupi di chiedere conferma?-
-Da quando ne ho bisogno.-
Derek lo fissa, scruta i suoi occhi con profondo interesse. Il verde giada del suo sguardo si intreccia all’oro perduto degli occhi di Stiles, ricreando uno sboccio di emozioni colorate che poco a poco si allarga, distende petali di speranza nei petti di entrambi.
-Fai quello che devi, ragazzino.-
E allora Stiles si convince perché a dargli conferma è stato Derek, e Derek non sbaglia mai.
-Io… sì. Avete ragione. Non sono certo di farcela e forse tutto questo è solo un buon modo per farsi ammazzare, ma credo… credo di avere già un’idea.-
-Davvero?- si stupisce Valefar.
Stiles annuisce. –Il problema principale è rappresentato da Alastor e Dumah, vero? Cominciamo col togliere di mezzo solo. Qual è il loro vantaggio, Valefar?-
-La… loro forma demoniaca?-
Lydia lo interrompe. –Sanno controllarsi.-
Stiles annuisce, indicandola. –Bingo, Sherlock! Loro sanno controllarsi. Riescono a tenere a bada il loro lato demoniaco e lo intrecciano bene con l’aspetto umano. La forza di una bestia in un corpo umanoide. Io invece non riesco a utilizzare il cento percento delle mie energie perché se ci provo, rischio di perdere il controllo.-
-Quindi cosa proponi?- chiede Scott. –Vuoi provare a trasformarti?-
-Fossi matto! No, deve essere una cosa graduale. Io imparo a usare la mia forza, e voi imparate a combattere le anime infernali. Seguirete un corso accelerato in cui Valefar vi insegnerà come cavarvela. Se tutto va bene, alla fine avremo preso a calci nel culo Dumah e Alastor e avremmo anche richiuso la breccia all’Inferno in tempo utile per impedire che scoppi un’Apocalisse in stile World War Z.-
-Niente spoiler o ti tiro il collo!- ringhia Valefar. –Quel film devo ancora vederlo!-
-Scusa, amico.-
I due si fissano in silenzio per qualche istante. Valefar ha una strana luce dubbiosa negli occhi.
-Mi stai chiedendo di disubbidire a Lucifero, Stiles.- mormora alla fine. –Mi stai chiedendo di non essere un demone. Dobbiamo ribellarci, è vero, ma qui si parla di andare contro la mia stessa natura. Metteremo il destino del mondo nelle mani… di un branco di creature sovrannaturali che a stento sanno combattere.-
Derek sbuffa dal naso, piccato. Sta per rispondere quando Stiles solleva una mano, bloccandolo.
-Ti sbagli, Valefar. Stiamo mettendo il destino dell’umanità nelle mani dell’umanità stessa.- dice. –Questa faccenda riguarda loro, non noi. Il pianeta non ci appartiene più, non è più casa nostra. Lo è stata, certo, ma ormai noi non viviamo qui. Noi non viviamo affatto, Valefar. Ti sto chiedendo di andare contro il tuo credo demoniaco? Il tuo famoso credo annuncia anche che avresti dovuto massacrarmi mentre ero un’anima dannata, invece hai scelto di parlare con me, rifiutandoti di svolgere il tuo lavoro. Sei cambiato tre anni fa, Valefar, quando hai abbassato le armi contro di me.-
Stiles gli accarezza i capelli con dolcezza fraterna.
-Scegli ora da che parte stare, Valefar. Se non vuoi aiutarmi, varca quella porta e non farti più vedere, perché se ciò accadrà, saremo nemici e combatteremo per uccidere. Sappi però che io non sono né dalla parte dei demoni, né da quella degli angeli.-
Indietreggia di un passo per affiancarsi a Scott e Derek, che lo fissano in silenzio con occhi indecifrabili.
-Sono dalla loro. Io combatto per i mortali.-
La carne di Stiles comincia lentamente a riflettere bagliori rossi e oro, come un fuoco che cova sottopelle. I suoi occhi dorati brillano di luce propria, la pupilla si assottiglia. C’è un demone in quel corpo e per la prima volta Derek brama di vederlo davvero. Si fa tante domande, ma sa che nessuna fervida immaginazione potrebbe davvero tracciare il reale aspetto di Stiles.
I due si fissano in silenzio per qualche istante, i muscoli tesi e i nervi allo stremo. Alla fine però, Valefar sospira.
-E sia. Sono con te.-
 
Arcangelo Michael: Detto anche arcangelo Michele (ebraico מיכאל), è tra quelli a cui la Bibbia attribuisce espressamente il titolo di arcangelo, insieme a Gabriele e Raffaele. Menzionato nel Libro di Tobia, il nome Michele deriva dall'espressione "Mi-ka-El" che significa "chi è come Dio?". L'arcangelo Michele è ricordato per aver difeso la fede in Dio contro le orde di Satana. Michele, capo degli angeli, dapprima accanto a Lucifero (Satana) nel rappresentare la coppia angelica, si separa poi da Satana e dagli angeli che operano la scissione da Dio, rimanendo invece fedele a Lui, mentre Satana e le sue schiere precipitano negli Inferi. Riconosciuto anche come angelo della Morte e primo e più importante guerriero di Dio.
 
Angolo dell’autrice:
Ammetto che questo è un piccolo, orribile capitolo di transito, ma prossimamente le cose cominceranno a cambiare. Mai fidarsi di un demone, specialmente se questo demone si chiama Stiles Stilinski! Ma, come spero si sia capito, Stiles non è solo. Ha un branco accanto, così come al suo fianco è presente anche uno splendido licantropo scorbutico. Tuttavia, non si è mai abbastanza al sicuro e lentamente… le cose potrebbero peggiorare ancora. Ma torniamo a noi! I ringraziamenti più sentiti che ho, li rivolgo sempre e comunque a coloro che mi hanno risollevato il morale e spinto a scrivere ancora. Qui c’è il nuovo capitolo, e l’ho pubblicato grazie a voi, al vostro entusiasmo e alle vostre recensioni. Stiles, Derek e gli altri, continuano a vivere attraverso i vostri commenti e torneranno ancora e ancora, perché tutte le volte che qualcuno scrive di aver amato il capitolo… io quasi non ci credo. Non ho mai pensato che questa roba potesse piacere a qualcuno, ancora adesso non credo di saper scrivere decentemente, ma voi mi date sempre quella piccola speranza che fatico a trovare, perciò… grazie. Per l’ennesima volta, grazie di cuore. Spero di leggere ancora i vostri commenti! Ci vediamo a fondo pagina per le anticipazioni!
Un ringraziamento a:

Elenuar Black
Sophi33
Nye
Barbara78
Sara4Ever92

 
Anticipazioni:
“Valefar si volta di scatto, la mano chiusa a pugno che improvvisamente s’infiamma di lingue scarlatte e azzurrine. Si prepara a scagliare la sfera infuocata su Stiles, ma qualcosa va storto.
Derek non sa perché reagisce con tanta prontezza. Sa solo che non gli piace che qualcosa minacci Stiles, così come sa che ha intenzione di difenderlo ad ogni costo per impedirgli nuove cicatrici. Le nozioni appena imparate spariscono dalla sua testa, schiacciate da un profondo senso di protettività che lo spinge a scattare nello stesso istante in cui la sfera infuocata si distacca dalla mano di Valefar.”



Tomi Dark Angel
 

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Capitolo 11
*** Il Respiro Della Bestia ***


“Amor ch’a nullo amato amar perdona,
Mi prese del costui piacer sì forte,
Che, come vedi, ancor non m’abbandona.”
 
Come Derek ha modo di scoprire l’indomani quando si incontrano nel bosco davanti ai miseri resti di casa Hale, Valefar è un insegnante piuttosto severo. Li accoglie con un sorriso, li saluta, a Scott stringe addirittura la mano. Ma quando è il momento di spiegare i principi basilari della sua specie, non accetta distrazioni. Quando Isaac fa una battuta poco pertinente all’argomento ad esempio, Valefar gli scaglia addosso la sua fedele civetta, che quasi gli cava gli occhi a unghiate. Da allora, il branco sceglie di restare in silenzio e seguire l’argomento senza distrarsi.
Stiles non c’è. Non si è presentato all’alba come tutti, ma Valefar non sembra preoccupato. Al contrario, procede spedito nella sua spiegazione, affermando che i demoni sono sensibili a qualsiasi oggetti benedetto e alle chiese. Li si infastidisce con le preghiere, li si ustiona con acqua benedetta e crocifissi e per distruggerli tutto d’un colpo, basta gettarli in una chiesa o in territorio benedetto. Dettagli basilari, che Derek ha già avuto modo di intuire da solo. Chiese, oggetti benedetti, crocifissi: un classico.
E al classico, si aggiunge qualcosa di ancora più scontato: dinanzi a Dio, i demoni sono insignificanti. Dinanzi agli angeli, sono praticamente inermi.
Angeli. È questo l’argomento principale al quale si interessa lo stesso Derek. Un angelo gli è passato sulla testa, in Alaska. Un angelo ha minacciato la sua vita e quella di Stiles. Un angelo è per qualche motivo uscito dal Paradiso, spaventando il demone che era con Derek. E qualunque cosa minacci Stiles, è un nemico.
-A proposito di angeli.- lo interrompe infatti Lydia. –Cosa sai dirci di loro?-
Valefar distoglie lo sguardo, improvvisamente nervoso.
–Noi non parliamo di loro. Gli angeli sono creature feroci, potentissime, che noi stessi fatichiamo a contrastare. La loro sola luce è capace di annientarci o consumarci le retine, il che li rende soggetti poco raccomandabili. Comunque, si sono ritirati in Paradiso secoli fa e da allora non ci sono stati scontri diretti tra la nostra specie e la loro. Sperate di non doverli affrontare mai, perché da loro, nessuno di noi può proteggervi.-
Valefar rilassa appena i muscoli, ma i suoi occhi lanciano bagliori minacciosi di bestia in trappola. Ha paura.
-Torniamo a noi.- dice dopo qualche istante di silenzio. –I demoni sono…-
-Quindi cosa può spingere un angelo a scendere sulla Terra dopo tanti secoli?- lo interrompe Scott.
Valefar espira forte dal naso. –Dolcezza, non c’è nulla di così importante da…-
-Ma è successo, vero? Michael è un arcangelo, e Stiles lo ha visto mentre era con Derek.-
-Non siamo qui per parlare di questo.-
Valefar adesso ha i pugni stretti e un velo di sudore che gli copre la pelle. Deglutisce rumorosamente, ma senza scomporsi troppo.
-Gli angeli sono creature bestiali, molto più di quanto possano esserlo i demoni. Ammazzano senza pensarci due volte, massacrano in nome di Dio e sono bravi in ciò che fanno perché al contrario di noi, non sono mai stati umani. Nascono soldati e soldati muoiono. Che io sappia, Alastor è uno dei pochi abbastanza vecchio e potente da poter ricordare il volto di quelle creature ed essere in grado di raccontarlo.-
-Ma allora perché proprio un arcangelo dovrebbe…- comincia Scott, ma Valefar lo interrompe sbuffando.
-Non lo so, va bene? Non sappiamo niente di questa storia e non possiamo certo chiedere spiegazioni a Lucifero.-
-Lo hai mai visto?- chiede Allison. –Come è fatto?-
Valefar sta per rispondere quando improvvisamente un fruscio raggiunge le orecchie sue e dei licantropi.
-Ti lamenti ancora del fatto che sia io a parlare troppo, Val?- ride Stiles, comodamente seduto sul fragile tetto della casa, le gambe penzoloni e i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Derek si chiede quando sia arrivato e soprattutto perché non lo ha sentito avvicinarsi.
Lo guarda meglio, accorgendosi solo allora che tutto ciò che indossa è un paio di jeans. Niente scarpe, niente maglia. Il torace massacrato è ben esposto alla luce del sole, ma Derek non lo ricorda così… devastato. Quegli squarci sulle braccia non c’erano, così come anche i tagli trasversali che si accavallano alle altre ferite che li hanno preceduti. All’altezza della giugulare, vi sono diversi segni di zanne, come se qualcuno avesse tentato di strappargli via le corde vocali a morsi.
Un violento fremito di rabbia coglie Derek come uno spasmo, tanto che Stiles ha appena il tempo di saltare giù dal tetto di casa Hale prima di vedersi atterrato da un licantropo adulto, trasformato, con le zanne in vista e gli occhi baluginanti di rabbia.
Visto da vicino, Derek appare ancora più selvaggio e spaventoso di quanto Stiles ricordasse. Eppure, nonostante tutto, il giovane demone non riesce a ignorare la magnifica nobiltà di quella creatura. È come se qualcuno avesse vestito con stracci e sporcizia un principe nato nobile e nobilmente educato: si può nascondere nell’aspetto ciò che è realmente, ma non si cancellerà mai la vera essenza di un sangue blu.
-Derek!- urla Scott, ma Valefar gli impedisce di intervenire, poggiandogli una mano sul petto.
-Quando è successo?- ringhia Derek col viso a un palmo da quello sbiancato di Stiles. –Quando ti hanno torturato di nuovo?!-
Stiles deglutisce, la pelle che splende di rosso e oro in un accendi spegni continuo.
-Io… non è niente, sto bene.-
-Non stai bene, ti hanno massacrato. E menomale che guarisci in fretta, Stiles. Sono stati Dumah e Alastor?-
Derek gli stringe la gola con una mano mentre l’altra si appoggia sul torace di Stiles, toccando quelle ferite in rilievo che sembrano vecchie di settimane ma che in realtà non lo sono affatto. La pelle di Stiles è calda, e sarebbe liscia al tatto se non fosse per quelle orribili cicatrici.
-Sto bene, Sourwolf.- dice Stiles, rilassandosi. Torna a respirare normalmente e a sorpresa gli scompiglia i capelli con una mano, sorridendo. –Ma grazie per esserti preoccupato per me.-
Derek si allontana di scatto, scombussolato dalla bizzarra stretta allo stomaco che la carezza di Stiles gli causa. Indietreggia di qualche passo mentre Stiles si raddrizza, stiracchiando la schiena.
-Che bella sveglia. Dovrei abituarmici, Sourwolf con crisi mestruali?-
-Solo se ti fai torturare di nuovo. E bada che la prossima volta ti stacco la testa con le mie mani.-
-Stiles.- La voce di Scott sopraggiunge strozzata, tremante di un dolore a stento represso. –Cosa ti è…-
-Successo? Piccoli incidenti di percorso, fratello, ma niente che non si possa riparare. Ci metto un po’, ma guarisco anche io.-
Stiles sorride spavaldo e affianca Valefar. Incrocia le braccia al petto e lo guarda.
-Che mi sono perso?-
-Solo un veloce e perlopiù scontato ripasso sui demoni.-
-E qualche domanda sugli angeli, ho sentito.-
Valefar si irrigidisce, ma Stiles non sembra innervosito, né intenzionato a riaprire l’argomento. Al contrario, gli fa un cenno col capo e si fa da parte.
-Continua pure, io mi limiterò ad ascoltare.-
Derek sbuffa una risata ironica. –Restando in silenzio? Non credo che tu ne sia capace.-
-Ne sono capacissimo!-
-Dovrebbero solo tagliarti la lingua, moccioso.-
-Sourwolf!-
-Ragazzino umanoide con crisi d’identità.-
-Lupastro spennato con crisi mestruali!-
-I lupi non hanno le penne.-
-Tu le avrai, quando avrò ordinato a Diablo di ficcartele…-
Valefar si appoggia a un albero vicino, inarcando un sopracciglio. –Fanno sempre così?-
Isaac sospira. –Ogni volta. Non sono cambiati, in questi tre anni.- risponde.
Valefar li fissa con crescente nostalgia. Derek e Stiles gesticolano, alzano la voce e il licantropo arriva addirittura a minacciare l’altro, ma nessuno dei due sembra intenzionato ad arrivare alle mani. Al contrario, entrambi nascondono a stento un senso di divertimento, un sorriso malcelato che Valefar non riesce a ignorare nei loro occhi.
-Valefar… stai bene?- chiede Allison, sporgendosi per guardarlo meglio in viso. Lo sguardo di Valefar è perso, tanto che ormai fissa Stiles e Derek senza realmente vederli.
-Io… credo di aver avuto qualcuno… credo…- La sua voce si spegne in un sussurro soffocato. Socchiude gli occhi stancamente e si prende la testa tra le mani, sospirando. Questo zittisce Stiles e Derek, che si voltano a guardarlo.
-Che succede?- s’innervosisce il licantropo. –Non si trasformerà qui, vero?-
Stiles si sporge verso Valefar e flette il busto (nonostante l’altro sia comunque più alto di lui) per guardarlo dal basso.
-Valefar? Stai bene?-
Valefar ci impiega qualche istante per rispondere. –Sì. Credo di sì.- Si raddrizza, strofinandosi gli occhi con una mano. –Riprendiamo la lezione.-
 
Quando la lezione riprende, Valefar riacquista la sua vitalità. Parla a mitraglietta, gesticola come un tempo faceva il giovane e spensierato Stiles, ma l’ombra non abbandona i suoi occhi. Qualcosa si è insinuato in lui, un dubbio che nessuno, neanche lo stesso Valefar, sa spiegarsi.
-Allora, i demoni possono contare su una varietà di attacchi praticamente infinita. Ora, dipende dall’aspetto del demone in questione e dal suo grado, ma principalmente siamo immuni al fuoco, poiché nati da esso, e possiamo evocarlo a nostro piacimento.-
Valefar cammina avanti e indietro davanti al branco, che ascolta attentamente. Alle sue spalle, Stiles sta fermo a braccia conserte e aspetta. E questo per Derek, non è affatto un bene.
-Per esempio…-
Valefar si volta di scatto, la mano chiusa a pugno che improvvisamente s’infiamma di lingue scarlatte e azzurrine. Si prepara a scagliare la sfera infuocata su Stiles, il braccio flesso e il busto sbilanciato all’indietro, ma qualcosa va storto.
Derek non sa perché reagisce con tanta prontezza; sa solo che non gli piace che qualcosa minacci Stiles, così come sa che ha intenzione di difenderlo ad ogni costo per impedirgli nuove cicatrici. Le nozioni appena imparate spariscono dalla sua testa, schiacciate da un profondo senso di protettività che lo spinge a scattare nello stesso istante in cui la sfera infuocata si distacca dalla mano di Valefar.
Derek afferra Stiles per i fianchi e lo getta a terra, coprendolo col suo corpo come un padre che protegge il cucciolo indifeso. Non si accorge di aver sfoderato zanne e artigli, ma carpisce il suo stesso ruggito come una manifestazione istintiva e soprattutto pubblica di pericoloso avvertimento: un altro gesto simile e sei morto.
Passano interi minuti di silenzio attonito. Ognuno fissa stralunato Derek, ancora accovacciato su Stiles in posizione di difesa, coi muscoli tesi allo spasimo. Solo Lydia adesso sorride in un modo piuttosto inquietante, che spinge Derek a riaversi da quella situazione di stallo.
-Ehm… Derek? Quelle zanne fanno paura.-
La voce di Stiles gli fa abbassare lo sguardo, dove il corpo del ragazzo giace disteso sotto il suo, caldo di un calore esagerato ma confortante. Derek si accorge del suo ginocchio che preme contro il fianco del demone e della sua mano poggiata accanto alla sua testa, dove le dita quasi sfiorano la folta chioma scura.
Troppo vicino. Dannatamente troppo vicino.
-Questa sì che è nuova.- esclama Valefar, interessato. –Un licantropo che protegge un demone. Figo. Stupido, ma figo.-
Derek si raddrizza velocemente, costringendosi a guardare qualsiasi cosa inanimata che lo circonda. Evita accuratamente lo sguardo degli altri e torna al suo posto, i muscoli ancora rigidi e la mascella contratta. Si sente uno stupido per aver reagito in quel modo. Cosa gli è saltato in mente? Stiles non è più un piccolo e innocuo umano! Oltretutto, ruggire in quel modo come se stesse marcando il territorio e avvisando il mondo intero che quel ragazzo è sotto la sua protezione… Dio.
-Posso commentare?- chiede Isaac, ricevendo in cambio un’occhiata in tralice da Derek. –Ok, non posso. Potrei…-
-Stare zitto.-
-Sì, giusto. Stavo per dirlo…-
Lentamente, Stiles si rialza. Si spazzola il jeans e incredibilmente… sorride. A Derek.
-Grazie, Sourwolf.- dice con disarmante semplicità che per qualche istante fa sentire Derek completo, sereno, perché Stiles sta bene e lo ha ringraziato. Un semplice ringraziamento lo fa sentire meno stupido e più vivo semplicemente perché a pronunciarlo è stato Stiles.
-Ehm… ok, torniamo a noi.- interviene Valefar. –Derek, stavolta evita di intervenire, ok?-
La sua mano si incendia di colpo e in un solo, fluido gesto, Valefar scaglia la sfera infuocata su Stiles.
Tutti si aspettano che il ragazzo si limiti a schivare o ad assorbire le fiamme, ma questo non succede: Stiles afferra la sfera al volo, toccandola con la punta delle dita, ruota su se stesso e la scaglia di rigetto su Valefar come una palla da basket particolarmente fantasiosa. Il demone solleva una mano, stende il braccio e chiude il pugno sul concentrato di fiamme, soffocandole.
-Touché.- sorride Valefar prima di tornare a voltarsi verso i presenti. –Ok, torniamo a noi. A parte questo, in forma umana i demoni possono contare su spiccate capacità fisiche. Enorme velocità, sensi super sviluppati e dominio delle tenebre, altrimenti detto potestate tenebrarum.-
-Potestate tenebrarum? È latino.- dice Allison.
-Sì, dolcezza. Stiles.-
Stiles sorride, imbarazzato. –Devo proprio?- si schermisce, e Derek capisce che è nervoso… ha paura di tutti loro e del loro giudizio. Teme che possano spaventarsi e vederlo come un mostro. Possibile che Stiles sia così stupido?
-Datti una mossa, pasticcino. L’idea è stata tua.-
Stiles sospira e, spalancate le braccia con grazia anomala, si lascia cadere all’indietro a peso morto. Il suo corpo non toccherà mai l’erba perché un manto di tenebre sboccia alle sue spalle, abbracciandolo stretto e inghiottendolo in un piccolo buco nero che all’istante si richiude su se stesso.
Allison si abbandona a una piccola esclamazione di stupore.
-Sono qui!- soffia una voce all’orecchio di Derek.
Il licantropo si volta di scatto, improvvisamente nervoso per la folata di calore che lo ha investito, ma alle sue spalle non c’è nessuno. Torna a voltarsi nuovamente e Stiles è di nuovo lì, davanti ai loro occhi, come se non si fosse mai mosso. Stavolta non sorride, non li guarda. Ha gli occhi chiusi e respira piano, come se cercasse di calmarsi. I pugni sono serrati, le narici dilatate. Per un attimo, Derek teme che stia per svenire.
-Tutto bene?- chiede Valefar quando vede le mani di Stiles tremare.
-Sì, vai avanti.-
-Sicuro?-
-Vai. Avanti.-
Valefar sbuffa forte dal naso, ma ubbidisce. –Quindi, quali elementi sono in grado di contrastare fuoco e oscurità?-
-Acqua e luce?- interviene Lydia scocciata.
-Bingo, dolcezza! O quasi, almeno. Solo la luce. E l’acqua ci fa male se è santificata. Comunque, in presenza del sole e di forti fonti di luce, i nostri poteri diminuiscono velocemente. Vediamo al buio, ma siamo quasi ciechi alla luce del giorno.-
Derek fissa Stiles, i cui occhi vagano sull’erba come in cerca di qualcosa. Il colore delle iridi è sempre lo stesso, brillante e bellissimo, il che appare bizzarro per un non vedente. Il licantropo non ha mai pensato che Stiles non ci vedesse quasi alla luce del sole, né si è mai chiesto quali ripercussioni la sua natura demoniaca possa esercitare sui suoi sensi. Si accorge che ogni volta che lo ha visto, è stato di notte o poco prima dell’alba.
-Quindi… tu e Stiles non ci vedete bene ora?- chiede Scott, scoccando un’occhiata all’amico.
-Io ci vedo meglio di Stiles, e questo perché riesco a separare bene la mia natura demoniaca da quella umana. Stiles no, quindi è quasi cieco adesso.-
Tutti fissano Stiles, che sbuffa una risata. –Sto bene, gente! Ne ho subite di peggiori!- esclama, fintamente divertito. Sa nascondere bene il suo umore, ma chiunque adesso si accorgerebbe della nota alterata e quasi isterica nella sua voce. Si innervosisce sempre di più e sempre più si fa distante, come se avesse paura di loro: questa cosa manda Derek in bestia.
-Ma… come fai a orientarti?- chiede Isaac, incuriosito.
-Tu come faresti? Ho cinque sensi… sei, se vuoi calcolare la chiara e totale percezione delle ombre. Uso quelli.-
Derek non sa cosa significhi essere accecati totalmente, ma sente che al posto di Stiles, sarebbe impazzito. Ancora una volta, si sorprende a chiedersi quanto abbia sopportato realmente Stiles, quante volte l’abbiano fatto a pezzi e guardato ricomporsi. Era solo mentre lo smembravano; era solo mentre sprofondava all’Inferno e affrontava la morte a testa alta.
Solo.
-Ora… veniamo a noi. Come intrappolare un demone e come farlo soffrire. Scott, vieni qui.-
Scott avanza per raggiungere Valefar. Quello sorride sinistro, fa baluginare gli artigli appena distesi, simili a quelli di un licantropo… e ferisce Scott all’avambraccio.
Il ragazzo ruggisce di dolore, gli occhi rossi e le zanne affilate. Istintivamente tutti gli altri si preparano a scattare, ma Scott li ferma.
-No, sto bene.-
Valefar sorride. –Ottimo, perché quel sangue ti serve. Segui le mie istruzioni e traccia un cerchio sul terreno.-
Scott esegue. Fa scivolare le dita sul terreno, le muove per costruire un intricato intreccio di linee morbide e spigoli intrecciati. Costruisce un pentacolo e piazza piccoli simboli su ogni punta, poi si raddrizza.
-Cosa ho fatto, esattamente?-
Valefar sorride di nuovo in un modo che non piace affatto a Scott. –Ora lo vedrai.-
Sparisce in una nuvola di oscurità e riappare alle spalle di Stiles. Il ragazzo ha appena il tempo di voltarsi prima che Valefar lo afferri per le spalle e lo scagli in aria, a diversi metri di altezza, mandandolo poi a schiantarsi all’interno del cerchio.
Derek ringhia istintivamente, ma si trattiene dal reagire stupidamente una seconda volta.
-Ahia! VALEFAR!!!- strilla Stiles, rialzandosi. I suoi occhi sono dorati, dalla pupilla verticale. Si rialza di scatto e cerca di oltrepassare il cerchio, ma senza risultato: Stiles sbatte contro un muro invisibile che lo respinge indietro, facendolo gemere di dolore. –Questa situazione mi innervosisce, e tanto.-
-Ricapitolando: come intrappolare un demone.-
Scott guarda stupefatto il pentacolo sotto i piedi di Stiles. –Sono stato io?-
-Ma dai!- sbuffa Stiles, pestando un piede per terra. Il suo nervosismo fa baluginare la pelle come un semaforo.
-Potete piazzare questi cerchi dappertutto. Sono una delle vostre migliori armi da difesa perché se tracciati con sangue innocente, i demoni non possono vederlo. Quello che vedi è un simbolo universale, ma ce ne sono di più potenti riguardanti uno o più demoni nello specifico. Questo però, riguarda i pezzi grossi.-
-Davvero?-
-No, sto scherzando… davvero, Scott.-
-Come lo spezziamo?- chiede Isaac e Derek lo ringrazia mentalmente perché vedere Stiles bloccato in quel modo lo innervosisce anche troppo. Si accorge di aver teso i muscoli allo spasimo nel tentativo disperato di impedirsi di scattare verso Stiles e fare a pezzi il cerchio.
-Basta in…-
-Intaccare il cerchio.- completa Allison, raggiungendoli. Si inginocchia e strofina una mano sul tracciato, sfumandone una parte fino a dissolverla. È allora che Stiles la oltrepassa con un balzo spettacolare, atterrando a diversi metri da lei.
-Grazie, Allison!- Sorride, sciogliendosi i muscoli, poi si rivolge a Valefar: -Io ti ammazzo la vita!-
-Questa cosa è controproducente…-
-Parla per te, drag queen mancata!-
I due si squadrano per qualche istante con fare minaccioso. Poi, simultaneamente, sorridono. E questa cosa, a Derek non piace. È come se Stiles e Valefar godessero di un legame più stretto, un’unione dettata da qualcosa che solo loro conoscono e hanno vissuto. Insieme.
Interiormente, Derek ringhia infuriato.
-Passiamo all’altro cerchio?- chiede improvvisamente Stiles.
-Te la senti?-
Stiles scrolla le spalle e siede sull’erba a gambe incrociate. Poggia le mani sulle ginocchia e chiude gli occhi in un’espressione rilassata, come se stesse facendo yoga. Sembrerebbe tranquillo se solo le nocche non fossero sbiancate e il volto troppo pallido.
-Occhi a me, ragazzi. Sì, anche tu, Isaac… ok, Scott. Questa cosa è meglio che non la faccia tu. Lydia.-
Lydia avanza lentamente sui tacchi a spillo, gli occhi colmi di apprensione. Quando Valefar le chiede di ferirsi, lei lo fa senza protestare e segue le sue istruzioni per tracciare un altro cerchio con simboli diversi, più arcuati e intrecciati tra loro. La stella ha otto punte, stavolta.
-Bene.- asserisce Valefar, sfilandosi la giacca e premendola sull’avambraccio di Lydia. Lei si ritrae.
-Sto bene.- dichiara altezzosa, ma Valefar non la ascolta.
-Non fare la bambina, Lydia.- risponde con tanta improvvisa dolcezza che Lydia si immobilizza. Valefar ne approfitta per premere nuovamente la giacca sulla ferita, facendo attenzione a non farle male.
Lydia stenta ad ammetterlo, ma Valefar ci sa fare. Non preme troppo, né troppo poco. Oltretutto, la sua giacca è molto calda, il che quasi cauterizza la ferita.
-Andata.- sorride lui alla fine. Le afferra una mano e gentilmente la preme sulla giacca, facendo in modo che non si stacchi dalla ferita. Strano a dirsi, ma la mano di Valefar non scotta e Lydia la trova piacevolmente calda, con le dita magre e affusolate da violinista che la toccano con dolce attenzione.
Valefar si allontana di un passo e chiama Stiles con un fischio.
-Già fatto?- sorride l’altro, aprendo un occhio brillante per fissarlo divertito. Cerca di nasconderlo, ma gli tremano le mani.
Valefar non parla, ma adesso fissa Derek con sguardo preoccupato. Il licantropo avverte i peli delle braccia rizzarsi alla vista del cerchio, perché sente che non è la prima volta che lo vede. E questo non gli piace, così come non gli piace lo sguardo di Valefar.
-Stiles, sei sicuro di…-
-Sto bene, Valefar.-
-Se perdi il controllo…-
-Mi lasci nel cerchio. Ma credo di farcela a restare me stesso.-
Valefar esita, poi si volta per fissare, tra tutti, proprio Derek. Sbatte le palpebre, poi spalanca gli occhi e, rivolgendosi a Stiles, dice qualcosa a voce talmente bassa che neanche le orecchie di un licantropo riescono a udirlo.
Stiles avanza lentamente verso il cerchio, i pugni stretti e i muscoli del torace contratti. I tendini del collo sporgono, la mandibola è serrata e il battito cardiaco corre come un cavallo impazzito.
Derek si perde qualche istante a fissare le vene in rilievo, la pelle di un candore lunare e i muscoli longilinei che adesso, in totale contrazione, premono contro la carne in un pulsare possente di nervi e tendini.
Stiles ha paura, una paura folle, e Derek riesce a sentirla.
-Ultima lezione teorica, e domani passeremo all’allenamento fisico.- sussurra Valefar, nervoso.
Stiles entra nel cerchio nello stesso istante in cui Valefar schiocca le dita, infuocando i bordi del sigillo.
-Come tramortire un demone.-
È allora che Stiles si ripiega su se stesso, accasciandosi al suolo. Contrae i muscoli, serra i denti, si rannicchia sofferente. Il corpo è percorso da spasmi sempre più violenti, epilettici, che trascinano Derek in uno scenario da incubo dove Stiles, il suo Stiles, soffre davanti ai suoi occhi mentre lui, impotente, non può fare altro che guardare.
No. Si rifiuta di accettarlo.
Non fu così la prima volta, quando l’incappucciato catturò Stiles davanti alla chiesa, e non sarà così adesso.
Derek si prepara a scattare verso il cerchio quando improvvisamente Stiles smette di agitarsi e il corpo si affloscia come una marionetta inanimata. Gli arti ricadono abbandonati al suolo, il respiro si affievolisce a un misero soffio di vita, il cuore quasi smette di battere. Le pulsazioni si riducono al minimo storico, tanto che per qualche istante Derek pensa che sia già morto.
Morto. Il suo Stiles. No, non può essere.
Derek si accascia all’improvviso, svuotato da un profondo senso di perdita che gli sottrae l’aria e il sorriso, la vista e l’olfatto. Il suo corpo comincia lentamente ad annullarsi, prostrato da un peso schiacciante che poco a poco lo affossa in un baratro profondo e senza fine.
Sente la risata di Stiles, la sua voce, l’incespicare dei suoi passi imbranati di giovane ragazzo e sa che non udirà mai più quei suoni. Suoni che gli completano la giornata, suoni che costruiscono una vita serena e degna di essere vissuta.
Senza quei suoni, la vita non merita più alcuna attenzione.
Senza Stiles, la vita non è vita.
-Stiles! Dobbiamo spezzare il cerchio…- grida Scott, scattando verso l’amico, ma Valefar lo placca, cingendogli il collo con un braccio.
-No, aspetta!-
Quando la sua voce suona terribilmente spaventata, Derek capisce che qualcosa non va. Lentamente solleva lo sguardo, aguzza le orecchie, riattiva le funzioni del suo corpo e capisce che un battito lontano, basso e quasi insignificante mantiene ancora attivo il corpo di Stiles. Lo vede tremare appena, debole e stanco di una fragilità prostrante. Derek vorrebbe correre da lui, salvarlo, dargli una mano, ma qualcosa nell’atteggiamento di Valefar lo trattiene, risvegliando il suo senso di autoconservazione.
Uno strano odore di incenso e sangue mescolati si propaga lentamente nell’aria, inebriando le narici di Derek. Il sole, ormai quasi al tramonto tinge le ombre di un tremolio violento, incessante, che le rende vive e quasi le fa respirare. L’oscurità tende verso di loro le sue propaggini nere, inghiottendo i pochi residui di luce rossastra rimanente, sprofondandoli lentamente nell’oscurità che avanza e avanza ogni istante di più.
Il buio si è svegliato
Valefar si guarda intorno preoccupato. –Non va bene… non va bene per niente. STILES, CALMATI SUBITO!!!-
Lentamente, Stiles rialza il capo. C’è qualcosa di diverso in lui, qualcosa di malato.
“Non voglio essere un mostro…”
E allora, Derek vede di nuovo i primi barlumi della bestia.
Gli occhi sono brillanti, d’oro fuso, con la sottile e ormai familiare pupilla ellittica. La pelle s’increspa di un riflesso cangiante che la muta poco a poco, lasciando emergere piccole protuberanze, come quelle che si vedono sulla pelle di un rettile. Squame? Forse. Ma non è questo che importa.
Il riflesso stesso delle fiamme, vivo e pulsante,  danza su quel corpo, tingendolo di bollente oro e rubino che guizzano ad ogni riflesso come fuoco vivo. Un’entità viva e bollente riluce sottopelle, la illumina, muta colore e riflessi ad ogni istante, ad ogni movimento. È come un’aurora boreale, uno spettro di colori e sfumature sempre vivo, sempre in mutamento.
“Io non sono un mostro…”
Stiles inclina il capo in maniera esagerata, portandolo a un’inclinazione di quasi novanta gradi rispetto ai tendini del collo. Ha gli occhi sbarrati, fissi, da predatore. Non sbatte le palpebre, non riconosce nessuno di loro.
“… vero?”
-Stiles! Fermati!- grida Valefar quando Stiles tende una mano verso di loro… verso Derek. Striscia il ventre per terra, tende miseramente il braccio fino a toccare la barriera del cerchio, che subito comincia a corrodergli le falangi. Stiles non si ferma, non sembra provare dolore.
Ma Derek sì. Riesce a udire la richiesta di aiuto di Stiles, la sua preghiera… e non metaforicamente parlando. Improvvisamente, un grido familiare gli riempie la testa fin quasi a spaccargli il cranio in due. È un urlo disperato di ragazzo, acuto e sofferente come non mai. L’urlo di Stiles. Ed è nella sua testa.
-DEREK!!!-
Il licantropo ignora il richiamo di Valefar e scatta verso il cerchio. Valefar lo afferra per una caviglia, lo strattona e Derek cade sull’erba, a pochi centimetri dalla mano di Stiles. Fissa gli occhi nei suoi, lo guarda da vicino… e improvvisamente lo sguardo ferino del demone muta in uno sofferente, colmo di lacrime e disperazione. È un attimo, poi torna freddo e spalancato come quello di una bambola antica dagli occhi di vetro.
“Aiutami, Derek.”
Il grido nella sua testa cresce, si fa assordante. Poi diventa un gemito lungo e prolungato di bestia morente e da questo, Derek capisce che Stiles sta perdendo la lotta contro il suo alterego. Se il demone vince, Stiles muore. Se Stiles muore, morirà anche Derek.
Quest’ultimo pensiero gli toglie il fiato, allarmandolo all’inverosimile. Ha appena ammesso a se stesso di non poter vivere senza Stiles.
A riscuoterlo dallo shock, giunge un gemito più forte che lo assorda. È ancora nella sua testa, ma sembra provenire da molto lontano, come se Stiles si stesse allontanando.
Derek torna a fissarlo e vede in quello sguardo solo una mera scintilla dell’essenza del suo Stiles. Distingue un barlume di umanità, quella stessa umanità che gli ha permesso di salvargli la vita tante volte, quell’umanità che lo rende Stiles e che adesso grida moribonda. Derek non lo sopporta, non ci riesce. Perciò, preso dalla disperazione, fa l’unica cosa sensata che gli riesce: tende il braccio e afferra la mano di Stiles.
La pelle del demone brucia come lava e gli ustiona il palmo e le dita, ma Derek non molla. Stringe i denti e si aggrappa a quel calore, a quella presa salda che si afferra a lui per risalire, per rivedere una luce ormai lontana ma ancora raggiungibile.
“Derek”.
La voce di Stiles sussurra nella sua testa, facendolo trasalire. È un bisbiglio lontano ma familiare, che sa di casa: è la voce di Stiles che finalmente lo riconosce.
“Derek”.
Derek chiude gli occhi, la mano insanguinata e una sensazione di calore alla bocca dello stomaco. Sospira esausto, improvvisamente privo di forze, ma sa che qualunque cosa succeda, non lo lascerà andare.
Stiles ha sofferto per permettergli di rivedere sua madre.
Stiles ha patito innumerevoli torture per evitar loro altre sofferenze.
Stiles è Stiles, e Derek non permetterà che gli accada qualcosa. Mai più.
“Derek”.
-Sono qui.-
-Derek.-
Stavolta, la voce di Stiles è materiale, esterna alla sua testa. Derek non riesce a reagire perché il calore bruciante dovuto alla vicinanza del demone lo schiaccia improvvisamente con forza sovrumana. Non riesce a respirare, gli manca l’aria. Lotta per restare sveglio mentre i polmoni rischiano il collasso, ma non lascia mai andare la mano di Stiles.
Il suo corpo ha qualche spasmo involontario ma violento e alla fine Derek collassa, le dita ancora intrecciate a quelle di Stiles come un’ancora di salvezza. Non sbatterà il capo al suolo perché due braccia calde e longilinee lo avvolgeranno in una stretta affettuosa, devota, di creatura innamorata. Mani fresche di umano rimpiazzeranno quelle bollenti del demone e lentamente, con dolcezza disumana che dinanzi agli occhi di tutti appare più ammaliante di quella di un angelo innamorato, Stiles stringerà a sé il corpo svenuto del licantropo e gli bacerà la fronte sudata, lasciando che un’unica lacrima cada sulla pelle di Derek a sigillare quel gesto di benedizione che nessun demone dovrebbe essere in grado di donare.
 
Angolo dell’autrice:
E siamo all’undicesimo capitolo. Che dire? Mi ha fatto sudare parecchio e non è bellissimo, ma spero ne sia valsa la pena… spero che per voi ne sia valsa la pena. Sapete, ogni volta che scegliete di spendere il vostro tempo leggendo i miei scritti, voi mi date fiducia. Passo dopo passo, percorriamo insieme una strada che soltanto io so dove porta ma che so bene, ai vostri occhi appare ignota. Eppure, continuate a fidarvi e a leggere, ancora e ancora, nonostante le sofferenze che faccio patire ai personaggi e l’eventuale bruttezza della storia. Devo ringraziarvi? Credo di apparire scontata come al solito, ma non so fare altro. Perciò, grazie. Grazie a voi, demonietti recensori che ogni volta avete la pazienza di lasciare un commento per ricordarmi che forse, le mie fatiche potranno aiutare qualcuno, permettendogli di sognare e di sorridere anche solo per qualche istante. Per voi, per le vostre parole e il vostro entusiasmo, io scrivo ancora. Per voi, i miei personaggi finalmente vivono. Grazie. Grazie.
Spazio ai ringraziamenti e alle anticipazioni!
Un ringraziamento speciale a:
Giada_ASR
Stilba
Elenuar Black
Apple_Blue
Barbara78
Sophi33
Sara4Ever92

 
Anticipazioni:
“-Che diavolo ti è saltato in testa?- si arrabbia Derek, afferrandogli la mano. Rivolge il palmo verso l’alto, ma le ferite già cominciano a rimarginarsi sotto i suoi occhi.
-È a posto, Sourwolf. Non è la prima volta che succede.- sorride Stiles debolmente e Derek lo guarda, specchiandosi nei suoi occhi nuovamente umani e altrettanto colmi di umana dolcezza. È allora che Derek si pone una domanda logica, che nessuno di loro si è posto fino a quel momento.
-Stiles, da quanto tempo non dormi?-
Stiles sbatte le palpebre stordito e abbassa lo sguardo, arrossendo.”

 
Tomi Dark Angel

 

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Capitolo 12
*** Combatti Gli Incubi ***


“Non nel tuo sonno,
Ma nella tua mancanza di sonno
Sei più vicino alla Madre Morte
Di quanto qualsiasi incubo
Ti abbia mai illuso di esserlo dormendo.”
 
Si dice che morire sia come addormentarsi. Si chiude gli occhi, si perde il senso del tempo e dello spazio, si sprofonda nel buio. E poi? Cosa accade dopo? Forse la grande cortina di oscurità si apre e succede qualcosa di diverso?
Derek non lo sa, ed è proprio pensando a questo che quando apre gli occhi su una stanza familiare di giovane ragazzo che si chiede se sia morto o se stia semplicemente sognando.
È troppo pulita, quella camera. Sa ancora di pace, di vita e serenità. È una stanza di giovane liceale, un ragazzino iperattivo e dalla parlantina troppo facile.
Fuori piove, le luci sono spente. Dalla finestra aperta filtra quel po’ di luce donata dai lampioni che illuminano le strade di una spettrale Beacon Hills. Raffiche di vento sbattono le imposte, fanno volare fogli dappertutto e trascinano la pioggia all’interno, fino a bagnare il pavimento e il davanzale.
C’è qualcosa di sbagliato nell’aria qualcosa di diverso e minaccioso.
-Ma cosa…-
Un tuono illumina a giorno la stanza, diffondendo nell’aria il puzzo di azoto e il suono di un ruggito animale che tuttavia Derek carpisce a stento perché sovrapposto a un suono ben più raccapricciante, da incubo: rannicchiato in un angolo della stanza, proprio accanto alla porta, un ragazzo singhiozza. Giace raggomitolato sul pavimento, la spalla poggiata contro il muro, le mani a coprirsi il volto tremante. I suoi vestiti grondano acqua, che va ad aggiungersi all’umido della pioggia che continua a filtrare dalla finestra.
Derek capisce con un brivido chi sia quella misera figura, così come capisce che notte sia quella. La notte in cui è finito tutto, la notte in cui qualcos’altro è iniziato. Quella non è una notte qualunque: è LA NOTTE.
-Che significa?- ringhia Derek, innervosito. Raggiunge il ragazzo e si inginocchia, tendendo una mano con fare esitante. Cosa dovrebbe fare? Toccarlo, dirgli che va tutto bene? Non va tutto bene, e lo sanno tutti e due. Se quel posto e quel momento appartengono all’istante preciso in cui tutto è andato in pezzi, allora Derek non può mentire, non a lui. Come si nasconde a uno splendido angelo dalle ali ancora floride che quelle stesse ali invisibili saranno spezzate a breve? Derek vorrebbe scappare, allontanarsi, ma non può lasciarlo così.
 –Stiles…-
La voce gli muore in gola quando la sua mano affonda nel braccio di Stiles come arto di un fantasma. Derek la ritrae ferito e si guarda le dita, che a prima vista appaiono normalissime. Corporee, vive, fatte di ossa e carne. Eppure, non riescono a toccare il ragazzo perché in quel momento, egli era solo, solo dinanzi al mondo. Derek non può cambiare le cose, non potrà consolarlo. Era un fantasma allora, e lo sarà anche adesso.
Capisce di essere un semplice spettatore per un solo, banale motivo: quello è un ricordo. E lui non c’era in quel momento, quando Stiles aveva più bisogno di lui.
Una fitta di rabbia gli affonda nel petto, gira nella piaga, costringendolo a inspirare a fondo per calmarsi.
-Stiles.- chiama una voce cavernosa come le profondità della terra e roca come se le corde vocali faticassero a funzionare o addirittura fossero spezzate. È una voce bassa, sibilante e gracchiante allo stesso tempo, che sa di male e di oscurità, di dolore e mefitico silenzio. Quella, è una voce malata. Quella, è la voce del buio stesso e fa rizzare i peli di Derek come manto di lupo che si increspa come ultima difesa.
Strano a dirsi, ma Derek non riesce a credere che quella voce appartenga a lui: un bellissimo uomo sta fermo dinanzi al quadro della finestra. Illuminata dalla poca luce della tempesta, la sua pelle appare pallida come quella di un cadavere. Ha i capelli ricci e neri, gli zigomi alti e gli occhi leggermente a mandorla, di un azzurro chiarissimo, vacuo, che lascia intendere la sua totale cecità. È alto e ben piazzato, coi muscoli definiti a stento trattenuti dal lungo cappotto di velluto che indossa. Come la sua voce, anche il suo aspetto appare innaturale e sinistro, come qualcosa fuori posto in una stanza totalmente ordinata. I tratti sono bellissimi, ma allo stesso tempo vantano un principio di bestialità, un lato animale a stento trattenuto che inquieta lo stesso Derek.
-Sei pronto, ragazzo mio?- chiede.
Stiles smette di tremare lentamente, costringendosi a raddrizzare la schiena e ad alzarsi in piedi. I suoi occhi sono rossi, scavati come quelli di un teschio e la pelle è pallida, ingrigita come quella di un morto.
-No?- risponde con voce inaspettatamente sicura. Alza gli occhi sull’uomo e si esibisce in un timido sorriso, quasi scusandosi per una risposta tanto sincera.
Piccolo, tenero ragazzo. Tanto ingenuo, tanto dolce e sensibile, come agnello innocente condotto al patibolo.
-Dobbiamo andare. È tempo.-
-Lo so.-
Stiles si arrende con un sospiro che spezza il cuore di Derek. Il licantropo odia restare a guardare, odia sentirsi impotente. Si odia perché in quel momento lui non c’era e Stiles era solo e spaventato. 
L’uomo si avvicina, gli occhi ciechi improvvisamente freddi e calcolatori. Ha dell’innaturale che delle iridi così chiare siano anche tanto espressive.
Derek riconosce quello sguardo e capisce cosa sta per succedere. Vorrebbe voltarsi dall’altra parte, evitarsi di guardare immagini che gli resteranno impresse per sempre nella mente e negli occhi. Ma non ci riesce. Non riesce a voltare le spalle a Stiles ancora una volta.
La mano dell’uomo si contrae in preda a violente convulsioni. Le dita scattano, si ripiegano in angolature innaturali come se ogni falange si stesse spezzando e lentamente cominciano a mutare. Il palmo cresce appena e si fa più muscoloso per sostenere quattro lunghe lame, tanto estese da sembrare lame di spada e abbastanza lunghe da toccare a terra. Sono spesse come sciabole, con un solo lato tagliente e ricurve alla fine per atteggiarsi ad atroci artigli uncinati. Tre dita anteriori e una poco più arretrata che funge da pollice. Eppure, nonostante tutto, quella non pare neanche più una mano perché non possiede falangi, non ha più farne e articolazioni. Si muove meccanicamente, come un blocco di lame fuse insieme a formare un unico, macabro ammasso da incubo.
-Farà male?- deglutisce Stiles, che adesso ha ricominciato a tremare.
-Non posso trascinare un vivo all’Inferno, ragazzo. Quindi sì, farà male.-
-Capisco.-
Stiles volta il capo per guardare fuori, dove la tempesta si sta calmando. Nei suoi occhi dorati si riflette la luce degli ultimi tuoni e della luna che brevemente emerge dalle nubi per ammiccargli rassicurante. Stiles non vedrà di nuovo il cielo, lo sa bene. Eppure, quello gli parla un’ultima volta, unico spettatore al massacro immotivato di un povero innocente.
Andrà tutto bene”, sembra dire, ma Stiles è troppo intelligente per capire che non è così.
È troppo giovane per andarsene, ma deve farlo. Il mondo non si preoccupa di quanti dei suoi figli muoiono, né si cura di proteggerli come meritano. Quello è un pianeta in cui gli innocenti vengono massacrati e i malvagi vanno avanti, passo dopo passo, fin quasi a meritarsi un immeritato Paradiso. È giustizia divina, quella?
Istintivamente, Derek tende un braccio verso il viso esangue di Stiles. Se lo permette perché sa che nessuno può vederlo. Gli sfiora la guancia con due dita, pregando di poter diventare materiale anche solo per brevi istanti, il tempo necessario per fargli sentire la sua presenza, per chiedergli perdono. Cosa sta facendo? Perché lo fa? Non dovrebbe interessargli di quel piccolo ragazzino. Non dovrebbe…
-Derek.- mormora Stiles, fissando la luna emergere dalle nubi.
Derek si ritrae di scatto, pensando che in qualche modo Stiles lo abbia visto. Ma Stiles continua a guardare fuori, verso la luna, improvvisamente rasserenato.
-Avrei voluto dirtelo.-
È un istante, un battito di ciglia: un fascio di luce lunare gli bacia il volto, penetrando le nubi con violenza inaspettata. Stiles sorride felice, sereno come uno sposo che attende all’altare l’arrivo del suo stesso futuro. Spalanca le braccia, espira profondamente senza abbandonare il sorriso e la serenità di un leone che fiero affronta il suo destino a testa alta.
Stiles sfida la vita un’ultima volta. Stiles affronta il futuro, la condanna, la sua stessa mortalità. Piccolo e fragile, fronteggia senza vacillare l’ultima grande nemica che con gesta sinistre, piazza sulla sua vita un definitivo, macabro scacco matto.
Quando la lama dell’uomo cala su di lui per farlo a pezzi, Derek urla.
 
Come ci si risveglia da un incubo? Come si capisce, una volta riavuta coscienza, di essere svegli?
Se a Derek la cosa non sembrasse abbastanza assurda, penserebbe di trovarsi in una pasticceria. Nell’aria c’è un forte odore di dolci e limone, misto al profumo di zucchero filato. Odori del genere li si attribuisce a una fiera per bambini o a un circo, ma Derek dubita di trovarsi in posti così affollati. C’è silenzio e sotto le dita avverte la morbidezza e l’odore del suo stesso materasso.
È a casa. Ma la sua cucina non ha mai visto traccia di dolciumi, né di qualcosa di diverso dal caffè o dal cibo d’asporto. Qualcosa gli suggerisce che sta ancora sognando, ma c’è del vero nella morbidezza delle lenzuola sotto le dita, nell’aroma di dolci appena sfornati e nel pallido battito cardiaco che Derek sente pulsargli nelle orecchie e nel petto.
Lentamente, sfidando le sue stesse insicurezze, Derek apre gli occhi sull’oscurità della stanza. Le tapparelle sono abbassate e la porta socchiusa. Dai bordi delle imposte filtrano sottili fasci di luce, segno che deve essere giorno, o quantomeno pomeriggio.
Si alza in piedi senza fare rumore, i talloni nudi che toccano per primi il pavimento gelido, ed esce dalla stanza, assicurandosi che la porta non cigoli.
Quando si affaccia in cucina, si stupisce di trovarci uno Stiles profondamente indaffarato che corre da un fornello all’altro con l’entusiasmo di un bambino. Poi, se la cosa non fosse già bizzarra di suo, Derek si accorge di un particolare che quasi gli fa spalancare la bocca dalla sorpresa.
Stiles ha la coda.
Lunga poco più di due metri, sottile, coperta di corta peluria dorata, simile a quella di uno splendido leone. Apparirebbe quasi comica se sulla punta non ci fosse invece un grosso triangolo piatto lungo mezzo metro dai bordi inferiori incurvati verso il basso e ripiegati a uncino. I bordi di quella punta acuminata appaiono letali come lame affilatissime, e Derek non si stupisce quando vede la sommità della coda brillare di un riflesso corazzato di purissimo metallo.
Stiles indossa i morbidi pantaloni di una tuta (bucati all’altezza del sedere per lasciar uscire la coda) e una maglietta a mezze maniche con l’ironica scritta “Drag me to hell”. Derek non avrebbe mai capito il senso dell’umorismo di quel ragazzo
Si appoggia allo stipite della porta, concedendosi qualche attimo per notare affascinato come la coda di Stiles funga in realtà da vero e proprio arto aggiuntivo: si muove longilinea, afferrando oggetti, tagliando e infilzando con precisa maestria. Sposta tazzine da caffè senza romperle, si avvolge intorno ai manici delle pentole e le solleva senza sforzo, viva di una personalità propria che la rende simile a un’entità a se stante.
Stiles non si volta nemmeno per tenerla d’occhio, ma evidentemente non ne ha bisogno perché la coda non sbaglia mai e anzi, sfreccia più velocemente del suo stesso padrone. Avanti e indietro, a destra e a sinistra, in alto e in basso.
Quando il tavolo della cucina intralcia il percorso di Stiles, la coda lo solleva sulla sua testa senza sforzo, come se un blocco di legno levigato e potenzialmente massiccio pesasse in realtà meno di una piuma.
È uno spettacolo singolare e bellissimo, come la danza di due diverse entità che in realtà si incarnano in un’unica creatura, piccola e logorroica.
-Stiles.- dice Derek alla fine, proprio mentre Stiles comincia a mescolare qualcosa nel pentolino adagiato sul fornello acceso.
Il demone trasale violentemente, causando un grosso effetto Domino: il pentolino cade, Stiles perde l’equilibrio e sbatte la nuca sul tavolo mentre la coda molla a mezz’aria una bottiglia d’acqua per afferrare al volo il pentolino ed evitare un disastro di proporzioni bibliche. Ovviamente, la bottiglia d’acqua rovesciatasi non ha il tappo, e sparge acqua dappertutto.
-AHIA!!! Derek, che cavolo! Questo brutto vizio di apparire all’improvviso non te lo sei ancora tolto! Ti attaccherò un campanellino da gatto al collo, giuro!-
Derek non spreca tempo e fiato per dirgli che se mai Stiles provasse a infilargli un collare da gatto o da cane che sia, a distanza di secondi non troverebbe neanche più le mani attaccate ai polsi.
Stiles agita i piedi come un bambino e si abbandona al suolo con un sospiro esasperato. La coda scivola verso il fornello e rimette a posto il pentolino, poi sguscia verso la bottiglia abbandonata al suolo e la rialza per posarla sul ripiano.
-Ho bisogno di uno straccio, e questo per colpa tua! Sourwolf maledetto!-
-Guarda che sei tu quello che mi ha invaso casa.-
La coda di Stiles si allaccia alla maniglia del mobiletto più alto e strattona, tirandolo in piedi con un solo, fluido gesto. Derek si accorge di aver fissato affascinato la punta gigantesca che si arpionava al mobiletto solo quando Stiles arrossisce vistosamente.
-Cazzo, scusa!-
Ritira la coda di scatto, arricciandola e tentando invano di celarla dietro la schiena come un bambino che nasconde i biscotti appena rubati per non farsi scoprire dalla madre.
-Non ci ho pensato, mi ero proprio dimenticato di averla tirata fuori! Non faccio sempre così, ma sai, è utile quando vuoi fare qualcosa e…-
-Stiles…-
-Non dire una parola, so che è orribile e fa paura, non è colpa mia, o meglio sì, è colpa mia se sembro appena uscito da un fumetto degli X-Men ma…-
-Stiles…-
-E non guardarmi così, non l’ho fatto apposta! Ci ho rimesso i pantaloni della tuta, accidenti! Erano di Valefar! Adesso chi glielo dice che…-
-STILES!!!-
-Che c’è!-
Derek fissa il forno. –Sta bruciando qualcosa.-
Stiles si volta di scatto verso il forno, fissandolo con aria terrorizzata. –CAZZO!!!- grida, balzando in piedi di scatto. La coda compie un ampio cerchio sulla sua testa e costringe Derek ad abbassarsi per mantenere il cranio ancora saldamente attaccato al collo.
 -Merdamerdamerdamerda…-
Stiles apre il forno e tira fuori la teglia di biscotti a mani nude poco prima che la coda scatti per chiudere lo sportello. Dopo qualche istante di acuta osservazione ravvicinata, Stiles si concede un sospiro di sollievo.
-Sono salvi!- Stiles appoggia la teglia e solleva una mano illesa in segno di vittoria. Cerca di nascondere il nervosismo, ma la sua coda continua a scudisciare rigidamente come quella di un gatto.
-Che diavolo stai facendo in casa mia?- sbotta Derek più bruscamente di quanto desideri. Non riesce a togliersi dalla testa il sogno e il volto di uno Stiles devastato dalla paura e dal dolore. Non ha urlato mentre moriva, ma ha sussurrato il suo nome, il nome di Derek, come una preghiera. Perché? Cosa avrebbe dovuto dirgli di tanto importante?
-Rassereno l’ambiente? Guarda, ho preparato degli ottimi biscotti, una torta e… sì, quello è bacon. Hai bisogno di mangiare, ragazzone, perciò ho lasciato che Valefar mi consigliasse un paio di piatti particolarmente nutrienti e… non fare quella faccia, sembri un deportato ebreo della seconda Guerra Mondiale. E no, fare le flessioni di primo mattino non ti aiuta a sopravvivere alla fame, perciò piantala di mangiare poco o ti legherò a una sedia e ti costringerò a guardare la versione integrale di Titanic a ripetizione fino a farti implorare pietà.-
Stiles sta parlando di nuovo a mitraglietta, il che è del tutto normale per uno come lui, ma a Derek basta uno sguardo per capire che qualcosa non va. Stiles non lo guarda in faccia, si muove troppo anche per i suoi standard e parla senza quasi respirare. Cerca di distrarre Derek e se stesso da qualcosa di più grande, qualcosa che disturba Stiles all’inverosimile.
-…E poi ci sono dei deliziosi croissant! Non so se li ho fatti bene, ma credo di aver seguito la ricetta alla lettera… quanto è resistente il tuo stomaco? Con questo non sto insinuando che rischio di avvelenarti, ma quantomeno vorrei avere la certezza che dopo il primo morso non rischi una crisi da avvelenamento degna del Trono di Spade, non so se mi spiego.-
-Stiles.-
Stavolta Stiles si zittisce all’istante, ma non lo guarda. Continua fissare il forno, la coda abbandonata al suolo come una lunga corda sottile dalla punta massiccia.
Derek vorrebbe chiedergli cosa c’è che non va, ma invece fa qualcosa di diverso, qualcosa che sente potrebbe aiutare Stiles a dimenticare, a sentire la sua presenza, così come non fu il giorno in cui lo uccisero: lo raggiunge e afferra un biscotto ancora caldo, infilandoselo in bocca. Lo mastica lentamente sotto gli occhi trepidanti di Stiles, facendo il possibile per prolungare la sua agonia.
Limone. Quelli sono biscotti al limone, e lui ama il limone. Come fa Stiles a saperlo?
-Allora?- quasi salta su Stiles.
Derek ingoia con calma, poi afferra un altro biscotto e si allontana. –Non male.-
Stiles fa un salto così alto che Derek può intravedere la sua testa sfiorare il soffitto. –Evvai! Sì, ti piace! La ricetta della mamma non fallisce mai!-
Derek si ferma all’improvviso, il biscotto ancora stretto tra le dita ma che adesso assume un significato e un volto diversi. –La ricetta è di tua madre?- domanda lentamente, voltandosi verso Stiles, che è tornato ad armeggiare ai fornelli.
-Sì, me li preparava quando ero bambino. Amava i limoni e cercava di farmeli apprezzare infilandoli dappertutto. Una volta li mise anche nel latte, e non ti dico quanto faceva schifo.-
È tornato a non guardarlo in faccia, e questo a Derek fa un po’ male, ma lui non è bravo con le parole. Può capire il dolore di Stiles, specialmente adesso che l’intera storia del patto di sua madre è venuta a galla. Derek pensava di avere una famiglia disastrata, ma fortunatamente, Talia non ha mai venduto la sua anima per sbaglio. È triste che una cosa tanto brutta sia accaduta a Stiles, così giovane e innocente, così immeritevole di tanto dolore.
Derek non crede in Dio, ma immagina quantomeno che se esiste Lucifero, debba esistere in realtà anche l’Onnipotente. Dov’era allora lui mentre il più giusto dei suoi figli veniva fatto a pezzi? Dov’erano tutti? Gli angeli, i santi, Dio. Dov’erano finiti?
-Tua madre.- mormora improvvisamente Derek. –L’hai mai perdonata?-
Stiles si blocca, cristallizzato sul posto come una bellissima statua. Gli dà la schiena, non lo guarda in viso finché lentamente volta appena il capo per fissarlo di sottecchi con un unico occhio brillante, ridente di vita e sincera serenità.
-Non so di cosa parli.-
E a Derek, la risposta basta.
-Vado a farmi una doccia. Vedi di non farti trovare di nuovo tra i piedi quando sarò di ritorno.- dice semplicemente prima di sparire in camera sua.
 
Ricordi. Derek chiude gli occhi mentre l’acqua gli accarezza il corpo. Rimette insieme i tasselli, riordina le idee.
Tre anni fa: Stiles sparisce da Beacon Hills. Tutti lo credono morto.
Le mani frizionano i capelli, il bagnoschiuma gli scivola sul corpo, accarezzando ogni arto, ogni muscolo come tocco voglioso di amante affamata.
Tre anni dopo: Stiles ricompare, insieme a una serie di efferati delitti. Il ragazzo si è trasformato in demone, il che tuttavia non lo riesuma dalla sua condizione di cadavere.
Derek appoggia una mano contro il vetro della doccia. I ricordi scorrono come un film davanti ai suoi occhi, dipingendo un quadro che poco a poco si amplia, si dettaglia, acquista un significato e una sua storia personale.
Stiles gli salva la vita, poi lo invita a uscire. Lì Derek scopre che l’altro è un demone, e subito dopo un incappucciato compare e tenta di ucciderli. Stiles lo ferma solo grazie alla sua forza demoniaca.
Quei delitti devono avere un significato, un collegamento. Ha senso che un demone apra una porta all’Inferno e lasci fuoriuscire un fiotto di anime sempre più abbondante che rischia di capovolgere il mondo come un guanto? Perché dovrebbe farlo?
Insieme a Valefar, iniziano una sessione di addestramento che per poco non si conclude con la totale trasformazione di Stiles e lo sterminio di Beacon Hills. Derek lo ferma per la seconda volta.
Non ha senso per niente. Più Derek ci pensa, più la storia si fa assurda. Dannatissimi demoni.
Derek apre l’anta del box doccia e lascia fuoriuscire una nuvola di vapore, sperando che insieme ad essa evaporino anche i suoi stessi pensieri. Si passa velocemente l’asciugamano sul corpo, indossa i jeans e si prepara ad asciugarsi i capelli quando un grido lancinante lo distrae. Lungo, penetrante, profondo come gli abissi più oscuri del dolore. Quando riconosce la voce di Stiles, Derek esce dal bagno con tanta foga che per poco non scardina la porta. Attraversa la casa e si reca in salotto, laddove avverte il battito cardiaco impazzito dell’altro.
Derek è intimamente felice che non sia andato via per davvero come gli aveva intimato di fare prima di sparire in bagno.
Trova Stiles rannicchiato sul divano in una posa talmente simile a quella del sogno che per un attimo Derek pensa di star dormendo di nuovo. Stiles trema convulsamente e nasconde il volto tra le braccia come un cucciolo spaventato, la coda abbandonata al suolo. Sembra così piccolo, così fragile. Visto da quella prospettiva, appare come il soggetto più improbabile per ospitare una potentissima bestia infernale.
-Stiles.-
Stiles solleva appena il capo per lasciar emergere un occhio lucido ma demoniaco, con la pupilla brillante e l’iride verticale sottilissima, segno che è in preda al terrore. Lo fissa spaventato per qualche istante, come se non lo riconoscesse, ma poi si rilassa appena e scioglie la posa difensiva. Ha i palmi delle mani insanguinati laddove ha stretto i pugni e sfoderato un abbozzo di artigli, ferendosi profondamente.
-Che diavolo ti è saltato in testa?- si arrabbia Derek, afferrandogli la mano. Rivolge il palmo verso l’alto, ma le ferite già cominciano a rimarginarsi sotto i suoi occhi.
-È a posto, Sourwolf. Non è la prima volta che succede.- sorride Stiles debolmente e Derek lo guarda, specchiandosi nei suoi occhi nuovamente umani e altrettanto colmi di umana dolcezza. Occhi stanchi, cerchiati, che da troppo tempo non vedono sonno e sogni tranquilli. Uno sguardo del genere, non appartiene neanche al più stremato degli anziani, neanche a un condannato a morte.
È allora che Derek si pone una domanda logica, che nessuno di loro si è posto fino a quel momento.
-Stiles, da quanto tempo non dormi?-
Stiles sbatte le palpebre stordito e abbassa lo sguardo, arrossendo. Stringe i pugni e le labbra, si mordicchia la guancia e la coda freme nervosamente.
-Ma no, dormo sempre. Sono un pigrone quando l’iperattività non mi tiene sveglio e…-
 -Stiles, prova a mentire quando avrai imparato a farlo.- Derek stringe forte la mano di Stiles fin quasi a fargli male. –Riprova, e fai in modo che stavolta la risposta sia quella giusta. Non ho bisogno di ascoltare il tuo battito per capire che menti: mi basta guardarti in faccia.-
Lo fissa con occhi blu elettrico, i muscoli delle spalle in tensione, i nervi a fior di pelle. È pronto a combattere per ottenere la sua risposta, pronto a lottare caparbiamente perché almeno stavolta, vuole sapere. Si prepara mentalmente a una conversazione eterna che Stiles non dovrà vincere, ma ciò che non si aspetta è di vederlo letteralmente crollare. Lì, davanti ai suoi occhi, il demone serra le palpebre e si copre la bocca con la mano libera, singhiozzando a bassa voce. Si rannicchia di nuovo, questa volta in posizione eretta, e appoggia la fronte sulle ginocchia.
Piccoli e fragili singhiozzi di vetro scuotono violenti un corpo troppo minuto e troppo provato per poter sopportare ancora. Tre anni di lacrime non versate, tre anni di urla trattenute, tre anni di impotenza e dolore soverchiante. Da quanto tempo non piange davvero? Da quanto tempo non si concede di essere umano?
-Non ci riesco da… da tre anni. Non dormo da tre anni…- sussurra, fragile di un pianto devastante che un pezzo alla volta sfonda la sua facciata di sorrisi e serenità, di scherzi e leggerezza. C’è altro, dietro quel muro. C’è un ragazzo fragile che ha paura, soffre, piange ogni giorno. Urla di continuo, batte i piedi, ma nessuno lo vede davvero.
Nessuno, a parte Derek Hale.
–Gli… gli incubi non mi fanno dormire. Li vedo di continuo; i dannati… i demoni… Lucifero. L’Inferno mi ha fatto a pezzi, Derek, e credo di non essere abbastanza bravo per ricostruirmi da solo. Credo addirittura di aver perso una parte di me per la strada e la sto ancora cercando. Comincio a pensare che non esista più quella parte, penso che tutto ciò che ero sia scomparso per sempre. Sono stanco, non ce la faccio più, io… AHIA!!!-
Derek gli ha stretto la mano così forte da fargli scrocchiare le ossa.
-Sei un idiota.- sbotta, alzandosi. Non lo guarda in faccia mentre se lo trascina dietro senza mai lasciargli la mano, passo dopo passo, diretto verso la camera da letto. Quando Stiles capisce, comincia a opporre resistenza.
-Ehm… Derek? Non che mi dispiaccia fare un tour della casa, ma…-
-Zitto.-
Derek lo lascia andare solo quando sono già nella stanza. La luna è alta nel cielo e i suoi fasci argentati illuminano il letto matrimoniale dalle coperte ordinatamente ripiegate.
Derek siede con naturalezza sul bordo del materasso, scosta il piumone che non ha mai usato veramente e vi si infila sotto. Si volta verso Stiles, i cui occhi sbarrati lo fissano come se Derek si fosse appena spogliato totalmente e senza pudore. Ignorando quello sguardo, Derek solleva la coperta in un tacito invito.
-Cosa… oh, nonononononono! Non se ne parla, posso stendermi sul divano e…-
-Stiles.- sospira Derek. -O vieni qui, o ti ci trascino io. Scegli tu.-
Stiles esita, lo sguardo basso, la coda oscillante come quella di un tenero gatto. Derek pensa che potrebbe afferrarlo proprio per la coda pur di trascinarlo a letto e costringerlo a dormire. Cosa ha in mente? Non lo sa nemmeno lui, ma ciò che ha visto nel sogno lo ha segnato profondamente: Stiles era solo e lo hanno ammazzato. Da solo ha lottato all’Inferno, da solo ha sopportato. Anche quando si addormenta, lo fa in solitudine. Però, nel momento di estremo bisogno, ha invocato il nome di Derek e adesso lui è lì e gli offre un barlume di appiglio, seppur maldestro e forse sconclusionato.
-Stiles. Non farmi alzare.-
Dopo attimi di esitazione, Stiles si muove lentamente, passo dopo passo, facendo attenzione ad ogni più piccolo movimento dei suoi stessi piedi insicuri. Ha la faccia di uno che sta camminando sui carboni ardenti, ma Derek non se ne preoccupa.
Quando Stiles lo raggiunge e scivola nel letto, accoccolandosi come un bambino contro di lui, Derek gli cinge la vita con un braccio e lo stringe appena, con dolcezza, facendo attenzione a non esagerare. La pelle di Stiles è come al solito troppo calda e profuma di incenso e legna arsa.
Stiles freme sotto il tocco di Derek, ma non si ribella. Al contrario, intreccia le gambe con le sue, guardandolo timidamente in faccia per chiedergli il permesso. Quando Derek non reagisce, Stiles capisce che va bene e che non rischia di perdere un arto. Ripiega la coda su di loro, distendendola sul letto, come una corda che abbraccia senza stringere. Stiles nota gli occhi di Derek saettare guardinghi verso le tre grosse punte acuminate, come se si aspettasse che la coda possa calare su di lui da un momento all’altro per decapitarlo.
Non gli farà del male, in nessun caso. Stiles sarà anche un demone feroce e assassino, ma non rischierebbe a ferire Derek Hale. Attaccare qualcuno è un conto; attaccare Derek è praticamente impossibile. Per Stiles, equivarrebbe al farsi male da solo e, fosse pure per semplice spirito di autoconservazione, non riuscirebbe a farlo.
Vuole che Derek capisca, vuole che lo veda come qualcosa di diverso dal mostro che Stiles è sicuro vedano tutti. Vuole che Derek veda l’essere umano, il vero Stiles, fosse pure per un momento.
Lentamente, accosta la punta metallica della coda al viso di Derek e la muove con dolcezza sulla sua guancia, facendo in modo che la parte piatta della lama gli accarezzi il viso, sfregando dolcemente contro la guancia.
Derek ha gli occhi spalancati di sorpresa, fissa la coda con la coda dell’occhio, ma non pare spaventato o inquieto. Come un gatto che gioca, afferra di riflesso la coda poco al di sotto del triangolo appuntito, stringendola con dolcezza nel timore di spezzarla, tanto è sottile. Stiles ridacchia e solleva lentamente la coda, costringendo Derek prima a distendere il braccio e poi a sollevare appena il busto dalle coltri.
Stavolta, Stiles ride apertamente.
-Ottima per fare le flessioni, eh?- ridacchia divertito.
-È molto forte.- commenta Derek quando la coda torna ad adagiarlo delicatamente sul materasso accanto a Stiles. –La usi come un terzo braccio. Quanto peso può sopportare?-
-Abbastanza.- risponde evasivo Stiles, e Derek capisce che la risposta probabilmente sfiori l’assurdo o peggio.
Quando si tratta di parlare della sua parte demoniaca, Stiles ha paura. Derek lo ha notato durante l’allenamento e quella volta al tempio dell’Acqua. È come se il demone erigesse un muro difensivo dietro il quale si rifugia, al sicuro da ogni domanda riguardante lui e la sua gente.
-Cosa c’è che non va, Stiles?- chiede Derek alla fine.
Stiles trema sotto le sue dita, facendosi piccolo piccolo. Nasconde la faccia nel cuscino e quando parla la voce esce soffocata e a stento udibile: -Non volevo farti male, ieri. Davvero, io… credevo di farcela, ma ho sottovalutato la situazione e tu hai rischiato di morire. Scusa, Derek. Scusami. Scusami…-
Comincia a mormorare richieste di perdono come un mantra o una preghiera, la voce appena udibile, il corpo tremante. Derek capisce che sta piangendo di nuovo, ma per quanto lo riguarda, Stiles dovrebbe piangere ogni giorno e a ogni ora per sfogare almeno un quarto di ciò che ha passato. Ciò che invece stupisce Derek è il fatto che Stiles pianga… per lui.
Lui, burbero e aggressivo.
Lui, che minaccia sempre di fargli del male.
Lui, che non è altro che un mostro della notte, la creatura dalla quale i bambini vengono messi in guardia nelle favole.
-Io non voglio essere un mostro. Io non sono questo…-
-No, non lo sei.-
Stiles smette improvvisamente di piangere e lo guarda con occhi lucidi di lacrime. Derek fissa il soffitto, una mano sulla fronte e l’altra ancora poggiata sul fianco di Stiles come se lì avesse trovato la sua più giusta locazione.
-Nessun mostro piange per il male che ha fatto. I mostri non piangono perché non sanno nemmeno farlo, Stiles. Non provano rimorso, non provano emozioni. I mostri veri li ho conosciuti, e tu non sei uno di loro, quindi piantala di essere stupido o ti apro la gola a morsi.-
Senza aggiungere altro, Derek si volta su un fianco e costringe Stiles a fare lo stesso. la coda scivola calda su di loro, accarezzando la guancia di Derek un’ultima volta nel più dolce dei tocchi mentre Stiles aderisce la schiena al suo petto e si raggomitola, improvvisamente piccolo e fragile così come era da umano.
-Derek?-
-Ti ho detto di dormire.-
-Grazie.-
Derek sbuffa dal naso e chiude gli occhi, ignaro del sorriso tranquillo e finalmente sereno che stira le labbra di Stiles.
Quella notte, a distanza di tre anni, Stiles riuscirà a dormire di nuovo: il calore di Derek terrà a distanza gli incubi, la paura, i problemi. Sarà questione di poche ore, ma per Stiles quel breve lasso di tempo varrà più dell’oro di tutto il mondo.
 
Angolo dell’autrice:
E allora… sì, questo… uhm… non so esattamente cos’è questo. Non lo definirei neanche un capitolo. Scusate! Dovete avere molta pazienza con me, a volte scrivo stupidaggini senza senso. Però anche questa, per quanto piccola e misera, la dedico a voi e ai vostri commenti, a voi e all’entusiasmo che mi trasmettete. Siete riusciti con la dolcezza delle vostre parole a sottrarmi a un piccolo blocco dello scrittore, perciò grazie due volte. Davvero. Grazie di cuore.
Ora, visto che mi è sono state chieste spiegazioni riguardanti il finale del capitolo precedente, non mi sottrarrò ai miei doveri. Stiles è riuscito a uscire dal cerchio per abbracciare Derek? No. Stiles ha tirato Derek nel cerchio, accertandosi ovviamente che le fiamme non lo scottassero. Grazie per avermi fatto notare la poca precisazione, la prossima volta farò più attenzione, promesso!
Spazio ai ringraziamenti e alle anticipazioni!
Un grazie specialissimo e un inchino da parte di tutte le schiere demoniache a:
Nye
_Vi___
Sophi33
Elenuar Black
Barbara78
Sara4Ever92
Virginsiny74

 
Anticipazioni:
 “Stiles. Vieni da me.”
E Stiles non può non obbedire. Semplicemente, chiude gli occhi e si eclissa nel suo abbraccio di tenebre, riapparendo ancora stordito dal sonno laddove avverte la fonte di quella voce purissima, morbida e fluente come sussurro di ruscelli cristallini.
E allora lo vede.
L’uomo è lì, avvolto in un lungo cappotto bianco, baciato dalla luce dorata del mattino inoltrato. È esattamente come Stiles se lo è sempre immaginato, così come qualsiasi mente ultraterrena saprebbe concepirlo.
La creatura appare splendida in ogni sua sfaccettatura, tanto da sfatare il calore dei raggi solari con la sua sola presenza. La sua bellezza oscura il sole, soffoca le meraviglie del mondo e appare devastante come una supernova in procinto di esplodere.
Capelli lisci d’oro slavato, viso di un pallore quasi madreperlaceo, occhi argentati. L’uomo è alto e ben piazzato, con spalle larghe e vita stretta, morbidamente sagomata dal cappotto. Lo fissa in silenzio, le labbra sottili piegate in un piccolo sorriso che fa tremare Stiles, improvvisamente vulnerabile come vetro spaccato.
-Ciao, Stiles.-
-Michael…-”

 
Tomi Dark Angel
 

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Capitolo 13
*** Eclissi Di Luce ***


“Ella si va, sentendosi laudare,
Benignamente d’umiltà vestuta;
E par che sia una cosa venuta
Da cielo in terra a miracol mostrare.”

 
Da quando è diventato un demone, Stiles ha imparato a riconoscere ogni tipo di profumo. Quello dei fiori, quello del mangiare, del bagnoschiuma, di legna bruciata o di fresca foresta. Ama l’odore di erba bagnata e vaniglia e venera quello del cioccolato. Ma niente, niente al mondo, batte l’odore di Derek Hale.
A differenza degli altri licantropi, che tra loro hanno un odore più o meno simile, all’occorrenza cosparso di aroma umano e bagnoschiuma, Derek ha un odore tutto suo. È bizzarro, ma Stiles se ne è accorto solo quando è tornato dall’Inferno.
Il profumo di Derek è selvaggio, e ti entra nelle ossa come qualcosa di materiale e benefico. Sa di muschio e aghi di pino, misti a un tocco di… cosa? Legna bruciata e sole? Stiles non è mai riuscito a classificarlo bene. Non è ancora bravo con gli odori, ma sa che riconoscerebbe quel profumo dappertutto perché è un aroma così indomito e penetrante che può appartenere solo a uno come Derek.
Quando Stiles, ancora semi incosciente, annusa proprio questo odore, quasi rotola giù dal letto.
Letto. Si trova in un letto. Ma non è casa sua, quella. Quella stanza non gli appartiene, e odora di licantropo. Odora di Derek. In più, non è normale che Stiles provi il tipico senso di stordimento dovuto a un placido risveglio dopo una lunga dormita.
Lui non dorme, non dorme mai. Si trova in un incubo?
Con occhi improvvisamente sbarrati, Stiles sposta lo sguardo terrorizzato al suo fianco, dove un Derek profondamente addormentato giace aggrappato al suo corpo in una posa di leggiadro affetto, un intreccio placido di membra e arti che di bestiale e demoniaco possiede ben poco. Solo il tocco d’un angelo potrebbe donare tanta gentile naturalezza ai loro corpi intrecciati, come steli d’edera avvolti tra loro in un abbraccio sviluppato nei giorni, nei mesi, negli anni.
Derek gli passa un braccio intorno alla vita, intreccia le gambe con le sue e appoggia il mento sulla sommità del suo capo. Stiles si accorge di poggiare la testa sul suo petto, le braccia allacciate intorno alla sua vita in una stretta ricambiata che con precisione sconcertante s’incastra sul corpo di Derek.
Se Stiles non fosse già morto, ci penserebbe l’imbarazzo a farlo fuori sul colpo.
Ha dormito abbracciato a Derek Hale. Nel suo letto. Con due metri e mezzo di coda appoggiata sulle coperte. E porca miseria.
Stiles non sa cosa fare. Può svegliare Derek senza rischiare di farsi staccare un arto o peggio? No, forse non è una buona idea svegliare il lupo che dorme.
Però… deve ammettere che è bello trovarsi in quella situazione. Credeva di aver dimenticato la sensazione di un abbraccio come quello, un tocco gentile, che non sa di sangue e dolore. Le mani di Derek non fanno male e Stiles non prova nulla del genere da tre anni. Forse è giusto che se lo goda un po’, per la prima e ultima volta.
Senza accorgersene, si è allontanato appena dal viso di Derek per guardarlo in faccia. Ed è bello, Dio. Senza il solito cipiglio imbronciato, senza gli occhi colmi di preoccupazione, senza traccia di rudezza nell’espressione. Quel Derek è una creatura arcana, mai vista prima, e a Stiles viene da pensare che somigli a uno splendido angelo, uno di quelli che sorvegliano da soldati le porte del Paradiso.
La pelle pallida, le labbra schiuse, la barba appena accennata. Ha i capelli scompigliati e l’espressione beata di chi non ha una preoccupazione al mondo. Stiles sa che se Derek non avesse perso la sua famiglia così presto, probabilmente ora la sua espressione sarebbe questa anche da sveglio. Derek merita quella serenità, quella beatitudine che a Stiles è negata. Quello è l’uomo che il giovane demone ama, l’uomo che mai si è accorto della creatura silenziosa che, prima umana e poi demoniaca, non ha mai abbandonato il suo fianco.
Per Derek, Stiles ha patito le torture dell’Inferno.
Per Derk, Stiles ha pregato giorno e notte, implorando quella serenità tanto agognata che il licantropo ha sempre meritato.
Quel volto, quegli arti, quell’anima, appartengono a un insieme perfetto di un’altrettanto perfetta creatura. Stiles si è innamorato del suo essere ancor prima che del suo aspetto. Ha visto il vero Derek quando questo gli salvava la vita, lo ha visto quando ha lottato al loro fianco, lo ha visto in ogni gesto di mascherata bontà che ha commesso senza mai vantarsene. Derek preferisce passare inosservato, camminare a testa bassa quando compie qualcosa di incredibilmente buono, e questo fa di lui una pietra preziosa, un diamante estratto dal carbone che tuttavia tende a coprirsi di sudiciume per non farsi guardare.
Stiles si accorge di averlo abbracciato stretto solo quando Derek mugola nel sonno, ma il demone non allenta la presa. Lascia emergere un fiotto di calore dal suo corpo e con la coda tira le coperte più su per coprire le spalle scoperte di Derek.
Grazie a lui, è riuscito a dormire. Non credeva di esserne ancora capace, ma adesso lo sa, lo sente. Derek ha scacciato gli incubi, protetto la sua anima lacerata con lo scudo del suo corpo massiccio, e Stiles non potrebbe amarlo più di così. Se il suo intero essere non fosse così misero, lui glielo donerebbe non per essere protetto, ma per proteggerlo a sua volta dal male del mondo.
Stiles sa però che il vero male è lui, il demone che ha dentro, e questo non potrà mai cambiare. L’Inferno lo ha trasformato in un mostro, in una bestia feroce che soltanto gli incubi più neri potrebbero concepire. Lui è incubo e terrore, rabbia e furia. La sua umanità sta scemando troppo in fretta e ormai il tempo che le resta è poco. Stiles sente già di essere perduto; in realtà non sa nemmeno perché continua a lottare. Ha perso tutto: la sua stessa vita, il sorriso spontaneo e genuino che lo contraddistingueva, la sua umanità.
Ricorda ancora quando i demoni lo ridussero a un pezzo di carne macinata con neanche più la bocca per gridare. Gli avevano cucito le labbra con ferri ardenti che non si raffreddavano mai, poi avevano iniziato a cavargli i bulbi oculari a unghiate.
Se solo sbatte le palpebre, Stiles li rivede tutti, quei volti irrisori che lo fissavano mentre lui anche a labbra cucite continuava a piangere e mugolare preghiere mai ascoltate.
Una fitta al petto gli ricorda che la sua anima è ormai in procinto di consumare quasi del tutto la sua umanità, le sue emozioni, il suo intero essere. Perderà il sorriso, l’amore, i ricordi. Non sarà più uomo, ma bestia. E nonostante tutto, si permette di accostarsi a un diamante prezioso come Derek Hale.
No, è sbagliato. È tutto sbagliato.
Sta per alzarsi dal letto per scappare quanto più lontano possibile quando all’improvviso un’ombra oscura il sole. È un istante, un battito di ciglia che quasi nessuno coglierebbe. Nessuno, tranne chi come Stiles sa cosa significhi quella fulminea eclissi.
Stiles stringe forte Derek, tremando. Non vuole lasciarlo, non vuole allontanarsi da lui. Ha paura di ciò che potrebbe accadere in sua assenza. Ma non può restare.
“Stiles…”
Una voce armoniosa lo chiama come da molto lontano. Gli ustiona le membra, gli frigge il cervello, fa un male cane. Stiles si raggomitola, mordendo a sangue le labbra per non urlare.
“Stiles. Non puoi ignorarmi.”
 Stiles lo sa, lo sente. Avverte la presenza della creatura in lontananza, nel bosco. Si trova laddove le sue tracce demoniache si sono fatte più fitte ultimamente: la vecchia casa diroccata degli Hale.
Non può ignorarlo… non deve ignorarlo… ignorare è sbagliato…
“Vieni da me.”
E Stiles non può non obbedire. Semplicemente, chiude gli occhi e si eclissa nel suo abbraccio di tenebre, riapparendo ancora stordito dal sonno laddove avverte la fonte di quella voce purissima, morbida e fluente come sussurro di ruscelli cristallini.
E allora lo vede.
L’uomo è lì, avvolto in un lungo cappotto bianco, baciato dalla luce dorata del mattino inoltrato. È esattamente come Stiles se lo è sempre immaginato, così come qualsiasi mente ultraterrena saprebbe concepirlo.
La creatura appare splendida in ogni sua sfaccettatura, tanto da sfatare il calore dei raggi solari con la sua sola presenza. La sua bellezza oscura il sole, soffoca le meraviglie del mondo e appare devastante come una supernova in procinto di esplodere.
Capelli lisci d’oro slavato, viso di un pallore quasi madreperlaceo, occhi argentati. L’uomo è alto e ben piazzato, con spalle larghe e vita stretta, morbidamente sagomata dal cappotto. Lo fissa in silenzio, le labbra sottili piegate in un piccolo sorriso che fa tremare Stiles, improvvisamente vulnerabile come vetro spaccato.
-Ciao, Stiles.-
-Michael…-
Stiles avverte le forze venir meno, le gambe tremare. Cade in ginocchio senza accorgersene, la coda afflosciata al suolo, gli occhi socchiusi come se stesse per riaddormentarsi. Tutto il calore di Derek defluisce dal suo corpo, lasciandolo gelido e stanco come non mai.
I demoni nascono dal fuoco, e in esso sono forgiati. Odiano il freddo, non lo sopportano. Michael è nato apposta per contrastare i demoni, per spezzarli o costringerli in ginocchio. Egli è gelo, più freddo di qualsiasi iceberg e più inarrestabile di qualsiasi tempesta di neve.
Stiles si accorge che le labbra stanno iniziando a diventargli blu. Cerca di evocare il fuoco per riscaldarsi, ma gli arti sono congelati e non funzionano. Si accascia a terra senza forze, maledicendosi per essersi allontanato tanto stupidamente da Derek.
-Hai freddo?- cantilena Michael, sorridendo amabilmente.
-N… no… sto be… bene.-
-Lo vedo.-
-Cosa vuoi?- Stiles espira con forza. –Non abbiamo arrecato alcun fastidio alla tua gente.-
Michael sorride e si avvicina, flettendo il busto verso di lui. Dalla sua pelle emana un pallido bagliore, come di fredda stella morente.
-Pensi che sia qui per voi, misere pulci al cospetto dell’Onnipotente? Non sentirti così importante, ragazzino: sei poco meno che un infante ai miei occhi.-
-Non pretendo di apparire adulto ai tuoi occhi.-
-Buon per te, Stiles, perché non lo sei.-
-Cosa vuoi, allora?-
Michael gli appoggia la punta del piede sulla spalla e lo spinge, costringendolo a fissarlo dal basso, col viso rivolto verso il cielo. In ginocchio ai suoi piedi, come suddito e sovrano, cane e padrone. Lì è dove i demoni dovranno stare, lì è dove Stiles merita di essere. Misero e fragile, con la sua anima devastata al cospetto di un’entità ben più fulgida, integra, sacra.
L’oscurità non merita di vincere sulla luce, perciò Stiles non si ribella.
-Quello che è accaduto all’Inferno sta causando troppo scompiglio quaggiù e rischia di svelare la nostra esistenza agli occhi dei mortali.-
-Perché… non ve la sbrigate voi? Siete più forti…-
-Non è affar nostro, ragazzino. Come ti ho già detto, non siete così importanti. Tuttavia, lo squilibrio della bilancia tra i nostri universi ci riguarda eccome. Le persone muoiono e le anime faticano ad ascendere agli Inferi perché i demoni sono troppo impegnati a cercare la falla all’Inferno per compiere il loro dovere di becchini al servizio di Lucifero. Cosa accade dunque a queste anime?-
Michael poggia un piede sulla spalla di Stiles e comincia a premere contro l’osso, schiacciandolo al suolo.  
-Te lo dico io che succede, ragazzino: le anime si recano dove più le aggrada, girovagano per il mondo e a volte si presentano alle porte del Paradiso, pretendendo di accedere. Degli impuri. Alle nostre porte.-
Stiles rabbrividisce perché il tono pericolosamente calmo di Michael gli fa paura. Se dai demoni ha sempre saputo cosa aspettarsi, avere a che fare con gli angeli è tutto un altro paio di maniche. Sono imprevedibili, pericolosi e anche più feroci delle bestie di Satana. E Stiles adesso è nelle mani di uno di loro; di un arcangelo, per giunta.
-Mi dispiace… ci stiamo lavorando, te l’ho detto.-
-Non abbastanza velocemente.-
Michael toglie il piede all’improvviso e si allontana, restituendo a Stiles un briciolo di aria e calore. Tossisce, si raggomitola, combatte strenuamente il tremore delle carni. Non gli interessa di apparire misero, perché trovarsi al cospetto di un angelo è ben diverso dal fronteggiare le torture bestiali dei demoni. Gli angeli percuotono l’anima, tirano a galla le colpe del soggetto stesso, rivoltandogli contro il suo stesso io e ricordandogli tutta la sua miseria, la sua debolezza.
-Tenete a bada i vostri impuri, demone, o interverremo noi. E credo di essere più che in grado di tenerti a bada con la sola forza delle minacce.-
Stiles respira a fondo, tenta di calmarsi. Sa a chi sono rivolte quelle parole, sa chi è il suo punto debole. Derek. Il suo licantropo, il centro del suo universo, la sua unica luce di speranza. Se Michael la estinguesse, Stiles rimarrebbe al buio, e lui del buio vero, di quelli neri come il più profondo degli abissi, ha una paura folle e incontrollabile.
Non lui. Ti prego, tutto ma non lui.
-Un’ultima cosa.-
Stiles si accascia al suolo, ormai privo di forze, esausto e tremante di paura: teme le prossime parole dell’arcangelo, teme il veleno che potranno instillare in ciò che resta dei suoi miseri giorni. Teme quella creatura più dell’Inferno stesso.
-Il mio è un consiglio, e questo perché sono una creatura dell’Onnipotente e a vostra differenza conosco bene la pietà e la benevolenza: il giovane uomo, Derek. Non portarlo via con te. La tua anima è nera, Stiles, e tu resterai dannato a vita, fino alla fine dei Tempi. Restando al fianco di quell’uomo, stai lasciando che la tua anima contamini la sua. Lo stai trascinando giù, verso l’Inferno e la dannazione. Il tuo affetto spasmodico, vana imitazione di ciò che chiameresti erroneamente amore, lo sta distruggendo, soffocando in lui ogni barlume di luce.-
Al concludersi di quelle parole, qualcosa in Stiles va in pezzi. Ciò che resta della sua integrità si frantuma, disperdendosi nel nulla che è ormai sbocciato nel suo petto. Un dolore sordo lo prostra, iniettando in lui il gelo vero, di quelli che solo il dolore di una perdita sa concedere. Stiles diventa un pezzo di pietra, gelida statua dalla scarsa sembianza umanoide senza più gli occhi per piangere o un cuore che batta davvero. Tutto è pietra, tutto è minerale e senza emozioni.
Possono delle semplici parole uccidere di nuovo chi è già morto? La risposta esiste, e Stiles la conosce meglio di chiunque altro. Mai come in questo momento sente sulle spalle il peso della sua anima nera, delle torture, della sua punizione immotivata. Vittima innocente d’un patto incosciente, Stiles capisce ora e per davvero cosa implichi davvero la sua dannazione.
Non avrà amici. Non avrà una vita. Non avrà luce, mai più. Sarà solo e al buio in eterno, laddove finanche il ricordo d’un amore perduto non saprà rischiararlo. Ha creduto di aiutare Derek facendogli incontrare la madre, restandogli accanto per proteggerlo e per fargli sentire che c’era, che non era solo. La verità però, è che Stiles lo sta uccidendo senza saperlo. Nessun innocente merita l’Inferno perché chiunque, nel mondo e fuori, merita una seconda occasione.
Stiles ha sbagliato tante volte, ed è stato perdonato.
Stiles ha amato per errore una stella irraggiungibile, e quella l’ha comunque protetto e trattato da pari a pari.
Derek non merita l’Inferno. Derek non merita niente di meglio della beatitudine più alta del Paradiso e Stiles non ha il diritto di sottrargli quanto di più bello gli rimane in vita e dopo la morte.
Una lacrima di sangue scivola sul suo viso devastato di dolore e sensi di colpa.
-Quando arriverà il momento… lo porterai tra i beati?- mormora, esausto.
Michael lo guarda disgustato e si ritrae. –Sarà anche una bestia, ma Derek Hale è un giusto e il Padre sa accettare chi agisce in giustizia. Quindi sì, quando verrà il suo giorno, lo porterò con me.-
E senza accorgersene, Stiles sorride. Singhiozza forte, si asciuga le lacrime come un bambino, ma in fondo è felice. Felice per Derek, per la sua anima, per il suo destino. Quando giungerà il suo momento, lui e Stiles non si vedranno più: lo dimenticherà, passerà oltre e Stiles sarà nient’altro che un volto sfumato nella sua testa.
È giusto così; va bene. Se si tratta di Derek, Stiles accetterà qualsiasi cosa. Dovrebbe lasciarlo andare subito, ma Stiles sa che senza aiuto, Derek non sopravvivrebbe contro i demoni. Ha bisogno di terminare l’allenamento, di capire come sterminare un impuro. Poi, Stiles potrà andare, sapendo di aver fatto un’ultima scelta giusta, aiutando colui che inconsapevolmente gli ha impedito di impazzire quando era dannato tra i dannati.
Gli spezzeranno le ali, ma avrà fatto il suo dovere. Per l’ennesima volta, Stiles soffrirà una pena immeritata, un dolore sordo che non andrà via ma che silenziosamente, il giovane demone saprà accettare e assorbire per un bene superiore.
-Ho capito.- annuisce Stiles, rialzandosi. –Grazie, Michael.-
Ha ancora un po’ di tempo, e vuole sfruttarlo. Il suo orologio rintocca i secondi, gli istanti, i minuti, e lui vuole andarsene come si deve.
Senza aggiungere altro, si lascia trascinare dalle ombre e sparisce nel nulla, risucchiato nel tetro niente di una vita vissuta a metà, interrotta troppo presto e troppo presto consumatasi.
 
Quando riappare nel loft di Derek, qualcosa si abbatte su Stiles come un tornado e lo atterra con violenza, strappandogli dai polmoni quel po’ di fiato e calore che gli restavano.
-Dove diavolo sei stato?- ringhia Derek, col viso a pochi centimetri dal suo. Ha le zanne snudate, gli artigli in bella vista appoggiati ai due lati della sua testa. Nonostante sovrasti Stiles col suo intero corpo, non lo tocca.
-Io… a fare un gi… giro?- balbetta Stiles, coi denti che battono ancora per il freddo.
Derek corruccia le sopracciglia. –Sei congelato.-
-Da… davvero?-
-Stiles.-
Stavolta Stiles non trova la forza per replicare. Ripensa alle parole di Michael e al poco tempo che gli rimane da trascorrere con Derek e i suoi amici. Forse è giusto che si goda quel minimo di serenità che gli è concessa, anche se questo potrebbe comportare una reazione negativa da parte di Derek.
Stiles vuole vivere. Anche solo per brevi istanti, ma vuole sentirsi vivo.
-Derek?-
Derek lo fissa in silenzio e Stiles, afferrando il coraggio a due mani, si decide finalmente a parlare. –Mi… mi porteresti a le… letto?-
Non riesce a camminare, ha le gambe intirizzite. Si sente un bambino nel porre una richiesta tanto stupida e infantile, ma non gli importa. Non gli importa più di niente perché vuole che Derek resti con lui per tutto il tempo che rimane.
Si aspetterebbe qualsiasi reazione, in questo momento: non si stupirebbe se Derek gli mollasse un cazzotto o se ancora lo cacciasse di casa a calci nel sedere. Tutto si aspetterebbe, tranne di essere esaudito.
Con un sospiro falsamente esasperato, Derek si raddrizza appena e ritrae zanne e artigli. Gli occhi tornano normali, il viso si distende e per un attimo, Stiles rivede in lui l’angelo assopito che ha già colto di sfuggita in quello stesso letto, quando ha aperto gli occhi quel mattino.
Lentamente, Derek fa scivolare le braccia sotto la schiena e le ginocchia di Stiles e lo solleva come se il demone non avesse alcun peso.
In un attimo, Stiles si trova premuto contro il petto scoperto e innaturalmente caldo del licantropo. Gli sfiora la pelle liscia con la guancia, inspira il suo profumo e di riflesso chiude gli occhi e sorride. La sua idea di Paradiso è proprio quella, in tutta la sua banale semplicità. Lui, Derek e la luce dorata del sole mattutino. Se Stiles ci vedesse bene, tutto sarebbe assolutamente perfetto, ma gli occhi di un demone non sono adatti alla luce del giorno.
Va bene lo stesso, però. Anche se accecato dalla luce, Stiles la sente comunque fluire in lui, fulgida e brillante come mai prima di quel momento.
È a casa. Finalmente, è a casa.
-Che hai combinato, vuoi dirmelo?- chiede Derek mentre lo adagia tra le coperte e siede al suo fianco. Cerca di lasciarlo andare, ma Stiles stringe la coda intorno al suo polso e gli impedisce di allontanarsi.
-Resta… per piacere.-
-Stiles, sei strano. Che c’è?-
Stiles non risponde. Non vuole parlare di Michael, né della sua spossante dichiarazione di quasi-guerra nei confronti dei demoni. Per qualche minuto, Stiles vuole dimenticarsi del mondo, delle preoccupazioni, dell’Inferno e del Paradiso. È solo un ragazzo. Come può una creatura tanto giovane sopportare un peso tanto schiacciante? Vuole dimenticare, vuole essere egoista ancora per qualche ora. Angeli e demoni non esistono più, così come non esistono licantropi, uomini, banshee e creature sovrannaturali. Ci sono solo lui e Derek, insieme.
Con più coraggio di quanto ne abbia mai avuto in precedenza, Stiles si gira su un fianco e preme il suo corpo contro quello di Derek. Non è un contatto pretenzioso o intriso di malizia, no: è una posa puerile di bambino che chiede di essere protetto almeno per un po’.
Come si suol dire: “a volte anche i miracoli accadono” , e a dimostrare questo detto si impegna proprio Derek, quando non protesta né si ribella a quel contatto improvviso e magari indesiderato. Al contrario, stupendo Stiles e sé stesso, gli passa un braccio intorno alle spalle e lo stringe, posando il mento sulla sommità del suo capo. Deve essere una posizione che gli piace veramente tanto, considerato che anche quando sono andati a dormire si trovavano in una situazione simile.
Stiles sorride a occhi chiusi, finalmente rilassato. Ritrova lentamente quel barlume di calore che gli mancava, respira a fondo aria pulita che sa di Derek e di casa: è al sicuro, va tutto bene. Almeno per ora.
Stiles apre lentamente gli occhi, specchiandosi nel riflesso dorato della luce del sole. Lascia che esso gli baci il viso, che lo accechi, ma che insieme a Derek gli restituisca calore.
Non fa più freddo. Si sta bene, adesso.
-Quando ero bambino…- sussurra. -… avevo paura del buio. Papà cercava di tenermi alla larga da esso, perciò mi raccontava storie di mostri e bestie affamate di carne umana. Ora che ci penso, è una cosa piuttosto macabra… e poi mi chiedono perché sono cresciuto così.-
Stiles sorride.
-Poi però, arrivava mamma. Rimproverava papà come al solito e lo sostituiva nella storia, inserendoci guizzi di luce e cavalieri dorati che giungevano a rischiarare le tenebre. “Non aver paura del buio se sai che può essere sconfitto da chi ti è accanto ed è disposto a proteggerti. Anche l’oscurità prima o poi deve passare”.-
Derek gli stringe forte la spalla. Respira lentamente, con parsimonia, come se temesse di interrompere il racconto di Stiles col solo soffio di un ansito.
-Quando discesi all’Inferno, le diedi della bugiarda. Ero finito laggiù per colpa sua, che blaterava stupidaggini su mostri da sconfiggere e guerrieri benefici disposti a proteggere la luce. Non c’è luce, laggiù, e al posto dei cavalieri tanto decantati, trovi demoni e bestie malformate.-
Stiles si allontana appena per guardarlo in viso, in quegli occhi multicolori che parlano mille e mille lingue, chiedendo solo di essere ascoltati. Il viso di Derek è rilassato, senza una ruga. Quasi sorride alla vicinanza di un imbarazzatissimo Stiles, ma il demone non potrebbe sentirsi più a casa di così, col respiro di Derek sul viso e il suo calore nelle vene.
-Cominciai a credere in quei cavalieri proprio quando l’oscurità intorno a me si fece più fitta. Mi sforzai di rischiarare la mente, di ricordare quei volti che per me sapevano di casa, di luce. Alla fine li ho visti: Scott, Lydia, papà, mamma, Allison, Isaac… tu.-
Catturato dalle parole di Stiles, Derek si avvicina appena, le labbra a un centimetro dalle sue. Le schiude, espirando aria bollente direttamente nella bocca di Stiles, che l’assapora come un disidratato annegherebbe in una purissima fonte d’acqua.
-Mi avete salvato dall’Inferno, e continuerete a farlo.- balbetta Stiles, seppur colto dal panico. La coda si muove a scatti intorno a loro, guizzando dappertutto come una biscia impazzita. –Mi salvate dall’Inferno ogni volta che mi restate accanto, che mi aiutate a combattere me stesso. Siete stati una salvezza quando non mi avete giudicato a causa della mia controparte demoniaca. Voi… tu… mi fai sentire bene. Mi sento come voi, pulito, sano, vivo. Grazie a te, Derek. Stai ricostruendo quella parte di me che credevo di aver perduto tre anni fa…-
“E a breve dovrò lasciarti andare”.
Derek si avvicina ancora, sempre di più, centimetro dopo centimetro. Lo guarda in viso come per chiedere un permesso che Stiles non potrebbe mai negargli. Si sente vicino al più alto dei cieli, leggero di una purezza che da Derek si trasmette alla sua anima. Se fosse così, andrebbe tutto bene perché ora come ora sta accadendo qualcosa in cui Stiles non avrebbe mai potuto sperare. Derek Hale si avvicina, sembra intenzionato a… baciarlo. Baciare lui, quel piccolo ragazzino iperattivo con problemi di parlantina. La vita potrebbe sembrare un film. La vita forse lo è per davvero. Ma è un film girato male, dove il regista non guarda in faccia nessuno e uccide ogni aspettativa, ogni speranza, ogni sogno.
Un bellissimo film. Dell’orrore.
-CHE CACCHIO STATE FACENDO?!-
La potenza dell’urlo ha ripercussioni devastanti sulla pace scesa sul loft: Stiles ha uno scatto talmente violento che cade dal letto dopo essersi rovesciato su un fianco. La coda guizza impazzita per la stanza e rischia di decapitare Derek per la seconda volta in due giorni. Il licantropo non si muove affatto perché resosi conto dell’identità del nuovo arrivato, ma non si risparmia comunque di fissarlo in tralice con l’aria di uno che vorrebbe tanto tirargli il collo.
-STILES STILINSKI!!!- grida Valefar, aggrappato al davanzale della finestra come un ragno. Ha il trucco sbavato e i capelli in disordine, come se avesse passato la notte a correre dappertutto. –Dove cazzo eri?! Gli allenamenti sono cominciati all’alba, ed è quasi mezzogiorno! Belzebù porco! E non farmi bestemmiare! Porca orca! Porco tutto! Muovetevi, tutti e due! Avete tre secondi per cambiarvi e darvi una lavata prima che decida di usarvi come racchette da tennis per i prossimi dieci secoli!-
Senza dargli il tempo di replicare, Valefar sparisce in una nuvola di oscurità, lasciandosi alle spalle il silenzio imbarazzato di uno Stiles a stento cosciente della situazione e di un Derek che pare riprendersi bruscamente da un sogno troppo bello per essere vero.
 
-Lydia, ti ho detto di toglierti quelle scarpe!-
-No che non le tolgo! Posso prenderti a calci nel sedere anche con queste, sappilo!-
Stiles si massaggia lentamente le tempie, cercando di ignorare i continui battibecchi di Valefar e Lydia, che non sembrano affatto intenzionati ad abbassare la voce o a placarsi. Andranno avanti per le lunghe e Stiles sa che a spuntarla sarà Lydia, a meno che Valefar non decida di staccarle la testa.
Gli allenamenti sono ormai passati sul piano fisico. Chris Argent e Peter Hale sono accorsi incuriositi al loro spettacolino di violento corpo a corpo reciproco e hanno scelto di unirsi alla congrega.
Non è stato facile per Chris accettare la situazione o il fatto che uno degli amici più stretti di Allison sia un demone, ma non ha potuto farci niente. Si è visto costretto a farsi riassumere le caratteristiche base dei demoni e alla fine ha scelto di capitolare senza troppe cerimonie, prendendo parte all’allenamento ma restando accanto alla figlia per tenere d’occhio Stiles e Valefar come se fossero dei potenziali nemici. Tipico degli Argent.
Con Peter è stato molto più semplice. Sembrava sapere già tutto, ma nessuno se ne è stupito per davvero: quell’uomo ne sa una più del Diavolo, e Stiles può confermarlo tranquillamente. Qualunque cosa accada, Peter sarà sempre un passo avanti rispetto a tutti loro, il che rispecchia il motivo secondo il quale è meglio averlo come amico.
Per allenarli a dovere, Valefar ha separato il branco in coppie e sta spiegando loro come agire per evitare gli attacchi ravvicinati di un demone. Stiles li guarda da lontano, seduto su un ramo basso di un albero, e tiene d’occhio la situazione. Non si avvicina, non combatte. Appare irraggiungibile, come un’ombra guardiana al limitare del bosco, stranamente silenzioso e immobile.
-Ehi, amico, che succede?- chiede Scott, avvicinandosi. È coperto di sudore e ansima appena dopo una sana scazzottata contro Isaac in cui il licantropo biondo ha deliberatamente perso a causa di una distrazione di troppo.
-Mh? Che succede?- risponde Stiles, stordito.
-Sei silenzioso, non è da te.-
-Ehi, guarda che io so mantenere il silenzio molto meglio di te!-
-Raccontala a chi non ti conosce.-
-Questa era cattiva…-
-Realista, non cattiva.-
-No, eri cattivo e basta. Chiappe mosce! Ursula!-
-Le mie chiappe sono sodissime. E finiscila di cambiare argomento, che hai?-
Scott si arrampica sull’albero per sedersi al suo fianco. Appoggia i gomiti sulle ginocchia e fissa Stiles da vicino, studiandolo attentamente. Vede il suo sguardo intristirsi, le mani intrecciate tremare appena. Sono piccoli segni, segni che nessuno riconoscerebbe a parte Scott.
-Stiles…-
-Non dovrei essere qui.- confida improvvisamente Stiles. –Le cose non vanno bene, Scottie. La situazione peggiora, la falla all’Inferno si sta allargando e ormai Dumah e Alastor conoscono il motivo delle mie scappatelle. Non posso andare avanti così, spaccato tra due mondi che nemmeno mi appartengono. Io sono morto, amico, e i morti non dovrebbero tornare sulla Terra.-
Scott lo fissa, gli stringe forte una spalla. Poi, con dolcezza fraterna, lo abbraccia forte, serrando gli occhi disperato al pensiero che le parole di Stiles sono vere.
-Non potevo lasciarvi andare.- sussurra Stiles contro la sua spalla. –Sei mio fratello. Siete la mia famiglia.-
-E lo saremo per sempre, fino alla fine. Ho continuato a cercarti, Stiles, e avrei continuato a farlo per anni. Quando ancora non ero un licantropo mi sentivo una nullità, un niente… un errore. Ma c’era qualcosa che mi aiutava ad andare avanti, qualcosa che non avrei mai sperato di avere.- Scott si allontana da lui e gli batte una mano sulla spalla, sorridendo sbieco. –Un fratello. Il mio fratellino iperattivo, nerd e anche cervellone, col brutto vizio di essere invadente e dare di matto anche nelle situazioni più semplici.-
Stiles si appoggia a lui, sorridendo sereno. Improvvisamente, la luce del sole gli appare più calda e meno accecante.
-Lo ami?-
Stiles si irrigidisce all’improvviso, la gola secca e l’aria del tutto assente dai polmoni.
-C… cosa?-
-Stiles, siamo praticamente cresciuti insieme: ti ho visto fare gli occhi dolci a mezza scuola e…-
-Non era mezza scuola! Amavo solo Lydia!-
-… e non hai mai guardato lei come guardi Derek adesso.-
Stiles cade dall’albero. Si rovescia all’indietro sbracciandosi, il rimasuglio di un grido bloccato in gola. La coda sbuca all’improvviso, si avvolge intorno al ramo e lo blocca a mezz’aria, con la faccia a pochi centimetri dal suolo.
-Questa è nuova, sai?- esclama Scott, punzecchiandogli la coda.
-Ahia! Scott, guarda che quell’affare è roba mia! Mi stai praticamente palpando il culo!-
Scott ritrae la mano di scatto. –Che schifo! Me lo vuoi dire prima?!-
-Non pensavo mica che mi avresti toccato la coda! Non sono una scimmia!-
-Però lo sembri.-
-Disse l’adolescente con problemi di peluria improvvisa e urgente bisogno di una manicure…-
Quando Stiles appoggia i piedi sotto il ramo, restando a testa ingiù ma totalmente in equilibrio, Valefar fischia.
-Da qui ho una perfetta visuale del tuo culo. È sempre stato così sodo?-
Poco lontano da lui, Derek trattiene un ringhio. Sa che Valefar ama scherzare in quel modo, ma il licantropo odia che certe parole siano rivolte proprio a Stiles. Non ha idea del perché, ma lo odia.
-La finisci di fissarmi il culo? Già l’hai visto, e  pure da vicino!-
Peter tossicchia. Derek si morde le labbra per trattenere il solito, dannatissimo ringhio.
-E dove, di grazia, avresti avuto modo di… ehm…- si intromette Isaac, interessato ma spaventato dalla risposta. –Voi due non…? Vero?-
Entrambi lo guardano, uno a testa ingiù e l’altro perfettamente eretto.
-Eh?- dicono all’unisono, entrambi confusi. Poi Stiles capisce e agita le mani imbarazzato con tanta foga che rischia di perdere la presa sul ramo.
-Oh, nonononono! Noi siamo amici e basta! Lui… mi ha visto… ehm… nudo… quando ero all’Inferno.-
Derek si rilassa appena, anche se una parvenza di nervosismo continua ad agitarsi in lui. Non sta bene che Valefar abbia visto Stiles in quelle condizioni, non sta bene che lui fosse lì quando Derek non c’era.
Valefar sorride, improvvisamente meno allegro e appena più serio. L’ombra di un presagio si affaccia sul suo viso, accentuandone le ombre e lo sguardo intenso, calcolatore di bestia in caccia e Derek capisce che da adesso, si fa sul serio. Il tempo di giocare è finito.
-Bel teatrino, tesoro, ma ora ho bisogno di te.-
-Cosa? Che ho fatto?-
-I ragazzi devono vedere con cosa hanno a che fare e tu hai bisogno di allenarti.- Valefar sorride, facendo scattare le zanne poderose che lentamente si estendono oltre la linea della mandibola, longilinee e bianchissime come coltelli micidiali. –È ora di stuzzicare un po’ il tuo bellissimo io interiore.-
 
Angolo dell’autrice:
Ecco a voi il nuovo capitolo! Mi ha fatto sudare, ma eccolo. Nel prossimo, avremo modo di vedere una PICCOLA parte del nostro demone preferito, e parlo di quello vero. Come lo immaginereste voi?
Spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto, ma adesso spazio ai ringraziamenti e alle anticipazioni!
Elenuar Black: i demoni controllano il fuoco, quindi quando Stiles ha trascinato Derek nel cerchio, ha comandato alle fiamme di non bruciarlo. E sì, dopo lo svenimento di Derek tutto ciò che è successo implica uno Stiles ricoperto di libri di cucina e con la tv accesa sul canale di Masterchef. Ecco a te Michael, comunque! Piaciuto? Spero di sì! Grazie mille per il commento e a prestissimo!
Sophi33: perdonami, davvero. Non rispondo mai alle recensioni perché è faticoso aggiornare ogni cinque giorni, specialmente quando sei in periodo di esami e contemporaneamente scrivi il continuo della storia e correggi i capitoli. Però rimediamo subito! No, i demoni non dormono. Possono chiudere gli occhi e riposarsi, ma non perdono mai totalmente coscienza del proprio corpo. Non è che non possono farlo, semplicemente alcuni non ricordano più come si fa. Piaciuto Michael? Credo che dopo questa non siate più tanto ansiosi di rivederlo XD a presto!
Nye: sei dolcissima, grazie! Stiles e Derek hanno ancora molto da mostrare e sì, troveranno il modo di farti sciogliere ancora di più, perciò impugna per bene un cucchiaino e preparati a raccogliere i tuoi stessi pezzi XD a prestissimo, e grazie per il commento         !
Miss_McCall: ecco a te il prossimo capitolo! Quando leggo che vi ho fatte piangere non so mai se devo esserne felice o sentirmi in colpa da morire… come si sceglie una via di mezzo? XD spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, a presto!
Barbara78: Stiles non ha SOLO la coda. Meheheheh! Derek è un tipo fortunato… o tremendamente sfigato, a seconda di come vorrai vedere i prossimi capitoli! Sì, da adesso Michael romperà i cosiddetti ogni due e tre, quindi preparatevi perché non sarà l’unico problema. E questo perché sono sempre carina e coccolosa come autrice. No, non ci crede nessuno. Grazie per il commento, a prestissimo!
XAniuEX_lol: ma sei la dolcezza fatta persona! Davvero, non ho parole… grazie. Ho pianto e riso quando ho letto il tuo commento, quindi grazie di nuovo e grazie altre mille e mille volte. Ehi, non tralasciare lo studio o non pubblico più! Stiles e Derek avranno modo di evolversi. Non resteranno così troppo a lungo perché col cambiare del loro rapporto, anche i personaggi muteranno SENSIBILMENTE. Non di molto, ma un poco sì. Non ti dico però in che modo cambierà il loro rapporto perché io stessa ho paura a parlarne. Avrai il tuo bacio, ma dovrai pazientare e ti prometto che farò il possibile per renderlo memorabile. Detto questo, non ti tedierò con altre scemenze, quindi per l’ennesima volta… grazie. Di cuore e dal profondo dell’animo. Grazie.
_Sara92_: glielo facciamo un disegnino al buon Derek? No, aspetta, facciamogli vedere qualche fan art strafiga così forse si convince a fare quello che tutti si aspettano! La spiegazione finale era d’obbligo. Anzi, mi scuso per non aver precisato. Perdono! Farò più attenzione, stavolta. Grazie per il commento e a presto!
Virginsiny74: Derek ha bisogno di una seduta dallo psichiatra, ma non glielo diciamo o si offende. Tranquilla, troverà il modo di capire la verità, ma forse quando questo accadrà, sarà troppo tardi. No, non è stato Michael a uccidere Stiles, ma il nostro buon arcangelo ci potrebbe pensare seriamente ad ammazzarlo di nuovo, quindi occhio XD grazie per il commento e a presto!

 
Anticipazioni:
“Improvvisamente, Valefar scatta. Sorprendendo Stiles, che già si prepara a ricevere e assorbire lo schianto frontale, devia la traiettoria del colpo all’ultimo momento, slanciandosi verso Derek. (…)
Lui non capisce bene cosa accade dopo. I suoi sensi si spengono, annullati dall’ondata di potenza repressa che lo investe, stringendolo in un abbraccio che a dispetto di tutto non lo soffoca ma anzi… sembra proteggerlo.
Un corpo preme contro la sua schiena, due braccia gli avvolgono la vita e incrociano le mani all’altezza del suo petto, laddove il cuore batte impazzito. Qualcuno respira affannosamente alle sue spalle mentre la massa di oscurità si schianta contro qualcosa di enorme, talmente grande da oscurare il sole e la radura intera come una cappa di mefitico buio.
L’aria si immobilizza, il mondo trattiene il respiro. Qualcosa è cambiato nello scorrere del tempo, qualcosa di importante è accaduto al cospetto di un pianeta che improvvisamente si prostra nel silenzio e nella quieta accettazione di una profonda massa di oscurità generatasi lì, nello schianto di due potenze ultraterrene che la natura stessa ha rifiutato.
Derek sbatte le palpebre, si schiarisce la vista. E poi le vede.”

 
Tomi Dark Angel
 

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Capitolo 14
*** Figli Del Demonio ***


“I demoni non sono più esclusivi abitatori di rovine.
Essi sanno infatti
Che questa civiltà è un immenso brulicare di rovine,
Perché riflette l’uomo nella sua integrità di male.”
 
Nonostante si conoscano da anni, Derek non ha mai visto Stiles così nervoso. Sa bene che il giovane demone è capace di affrontare i peggiori rischi e le più grandi anomalie dell’universo senza mai perdere la testa o tremare prostrato al cospetto di parole così semplici e quasi innocenti.
Valefar gli ha chiesto di allenarsi con loro, di farsi avanti. Con poche, banalissime parole, il demone ha spezzato l’armonia già volubile creatasi intorno a Stiles e Scott, mandando in frantumi i delicati brandelli di pace che li circondavano.
Stiles, ancora a testa ingiù, è sbiancato all’improvviso, come se tutto il sangue fosse defluito dal suo corpo. Non ha più colore e finanche i capelli paiono perdere lucentezza. Per un attimo, Derek pensa che stia per sentirsi male, ma poi lo vede scendere con un balzo e scudisciare lentamente la coda, che Chris fissa con diffidenza e Peter con malato interesse.
-Niente male…- dice, leccandosi le labbra. –Chissà quanti simpatici giochi potresti farci, con quella splendida coda. Mi piacerebbe provare, un giorno.-
Derek si trattiene dal ringhiare, ma fa un passo verso Stiles, che mantiene lo sguardo basso e avanza lentamente, a capo chino, come agnello sacrificale condotto al macello. Derek non riesce a vederlo così, la verità è questa. Vorrebbe fermarsi, vorrebbe trattenere qualsiasi istinto stupidamente protettivo, specie al cospetto dell’intero branco, ma non ce la fa. È per questo che gli stringe il braccio con forza, bloccandolo.
-Non devi farlo per forza. Non se non vuoi farlo.- gli sussurra all’orecchio, scatenando in Stiles un battito accelerato e un piccolo brivido.
Troppo vicino. Dannatamente troppo vicino.
-Alcune cose vanno fatte, Sourwolf.- risponde lentamente, guardandolo in viso con tanta devastante dolcezza che Derek se ne sente schiacciato. Vede negli occhi dorati di Stiles una riverenza infinita, quasi fuori posto se rivolta verso uno come lui. Lo stesso incondizionato affetto che gli ha rivolto quella mattina, quando stavano per… cosa? Cosa stavano per fare in quel letto?
-Non devi, invece. Non devi, e lo farai.-
-Io…-
-Stiles.-
La voce di Valefar giunge a spezzare l’incanto sottile del momento, frantumando l’atmosfera come un martello abbattutosi su una superficie di cristallo. Derek si accorge all’improvviso di essersi avvicinato inconsapevolmente a Stiles, portando il viso a un millimetro dal suo. Davanti a tutto il branco. Davanti a Valefar e al mondo intero.
È una sensazione, un bisogno impellente e devastante che schiaccia il suo buonsenso, spingendolo a respirare l’aria pulita che respira Stiles, spingendolo a sentire da vicino il battito del suo cuore come per accertarsi che sia vivo. Vivo per davvero, così come dovrebbe essere. Ma questo non va bene, non va bene per niente, e Derek se lo ripete migliaia di volte in pochi minuti di attonito silenzio.
Dannazione. Quella cosa gli sta sfuggendo di mano.
Si allontana di scatto, incrociando le braccia al petto e facendo il possibile per mantenere il suo stoico ritegno in pubblico, laddove la sua facciata da duro non dovrà mai cadere.
-No, Derek. Torna qui.- lo richiama improvvisamente Valefar.
Derek si volta per fissarlo, ma il demone guarda Stiles. Mormora qualcosa a bassa voce, parlando con timbro gutturale e profondamente raschiante e Stiles gli risponde a tono, sempre più agitato e parzialmente aggressivo. Gesticola come al solito, indica Derek e poi se stesso, pesta un piede per terra.
Dove ha imparato a parlare quella lingua? Come fa a spiegarsi tanto chiaramente, intrecciando vocali e sillabe, suoni e raschi di gola con tanta leggerezza? Da come parla, si direbbe che Stiles sia nato parlando quella lingua e Derek lo trova… affascinante? No, assolutamente. Lui non trova nulla di affascinante in Stiles, non in quel senso.
La conversazione accresce di tono, ricoprendosi di ringhi ed evidenti minacce, sibili e pesanti sbuffi dal naso.
-Ehm… che succede?- cerca di intromettersi Isaac.
-STANNE FUORI!!!- ruggiscono entrambi, improvvisamente imbestialiti. Ricominciano a urlarsi addosso, parlando in quella bizzarra lingua gutturale che Derek riconosce come marchio di fabbrica dei demoni, il loro linguaggio privato.
Certe conversazioni non dovrebbero degenerare mai. Specialmente se a discutere, sono due servi di Lucifero.
Senza preavviso, come catrame che si raggruma in pozze sempre più ampie, le ombre cominciano ad addensarsi intorno ai due demoni, simili a mantelli d’oscurità. Il sole sulle loro teste tremola mentre Stiles si accovaccia come un animale, gli occhi felini brillanti d’oro. Ha le palpebre sbarrate, i denti appena snudati e Derek quasi non lo riconosce. Nota nel suo sguardo qualcosa di diverso, una rabbia primitiva e devastante che mai nessuno riuscirebbe ad arginare in caso di esplosione.
-Non lo farai, Valefar.- ringhia con voce gutturale, sdoppiata, come se due diverse entità parlassero all’unisono. È un timbro potente, di quelli che scuotono la terra e popolano gli incubi più neri. Una voce del genere, è capace di comandare gli eserciti, sedurre le vergini, convincere finanche il sole a non sorgere mai.
Derek pensa di non aver mai sentito suono più provocante di quello.
Improvvisamente, Valefar scatta. Sorprendendo Stiles, che già si prepara a ricevere e assorbire lo schianto frontale, devia la traiettoria del colpo all’ultimo momento, slanciandosi verso Derek. I suoi movimenti sono volutamente rallentati per far sì che loro due riescano a vederlo e a intercettarlo, Derek lo capisce mentre si trasforma e fa riecheggiare nell’aria il suo ruggito di battaglia, preparandosi al peggio. Vede una massa di oscurità corrergli incontro e sa che è inutile schivarla perché quella potrà deviare a suo piacimento e aggredirlo all’ultimo istante.
Lo schianto. Deve assorbire lo schianto, per quanto sia possibile.
Irrigidisce i muscoli, tende gli arti, flette le braccia ringhiando. Ogni fibra del suo corpo si prepara ad affrontare il peggio di quella soverchiante massa di buio già pronta a inghiottirlo, a dilaniarlo, a farlo a pezzi. Derek capisce che potrà fare ben poco contro Valefar, e mai come in quel momento realizza cosa significhi davvero sfidare un demone: sta affrontando l’oscurità pura, inafferrabile, malata, figlia dell’Inferno e di Lucifero stesso. Un misero licantropo contro il Male in persona.
Eppure, quel misero licantropo non è solo.
Derek non capisce bene cosa accade dopo. I suoi sensi si spengono all’improvviso, annullati dall’ondata di potenza repressa che lo investe, lo attraversa, stringendolo in un abbraccio che a dispetto di tutto il resto non lo soffoca ma anzi… sembra proteggerlo.
Un corpo preme contro la sua schiena, due braccia gli avvolgono la vita e incrociano caritatevoli le mani all’altezza del suo petto, laddove il cuore batte impazzito. Qualcuno respira affannosamente alle sue spalle, contro la sua pelle, mentre la massa di oscurità si schianta contro qualcosa di enorme, talmente grande da oscurare il sole e la radura intera come una cappa di mefitico buio.
L’aria si immobilizza, il mondo intero trattiene il respiro. Qualcosa è cambiato nello scorrere del tempo, qualcosa di importante e inaspettato è accaduto al cospetto di un pianeta che improvvisamente si prostra nel silenzio e nella quieta accettazione di una primitiva massa di oscurità generatasi lì, nello schianto di due potenze ultraterrene che la natura stessa ha rifiutato.
L’Inferno è lì, davanti a loro. Derek ne avverte la potenza devastante, il respiro mefitico come di bestia in gabbia ma prossima a scagionarsi. Un cataclisma soverchiante, più massiccio e distruttivo di qualsiasi potenza naturale lo schiaccia, lo avvolge, lo tocca senza realmente spezzarlo.
Derek sbatte le palpebre, si schiarisce la vista. E poi le vede.
Enormi oltre ogni immaginazione, talmente grosse da oscurare il cielo e metà del bosco. Quattro immense ali spiegate, un paio più grande e uno più piccolo, simili ad arti di pipistrello ma con vele di seta che dal nero sfumano in fugaci riflessi rossi e oro, vivi d’una luce oscura e mefitica, bellissima e devastante come il più antico dei peccati originali. Le ossa che dividono le membrane sottili sporgono annerite, grondanti di un liquido rosso scuro che Derek identifica come sangue troppo denso, forse perché mescolato con del catrame.
Per quante creature alate possa aver visto Derek, nulla al mondo e nell’universo potrà mai vedersi paragonato all’intreccio armonioso di ossa e vele di seta, di muscoli pulsanti e vene sottilissime. Satana in persona può aver tessuto quelle ali, un pezzo dopo l’altro, infondendo in esse tutta la devastante potenza dell’Inferno mista al fascino languido del peccato.
I presenti non si sono mai sentiti così piccoli, così insignificanti, come gattini ancora neonati al cospetto del più devastante dei disastri naturali, effimero e violento. Perfino Peter indietreggia di un passo, gli occhi sbarrati pieni di interessata meraviglia e la bocca schiusa. Lo stesso Derek trema appena nell’accorgersi che la fonte di quelle ali micidiali si trova alle sue spalle, e allaccia le mani all’altezza del suo petto, laddove il cuore batte troppo velocemente.
Inspira profondamente e cerca di calmarsi, riconoscendo all’istante l’odore che tante volte ha seguito, cercato, inalato come un drogato assumerebbe la sua dose di cocaina.
Il profumo di Stiles. Del suo Stiles.
Derek volta lentamente il capo verso la massa scompigliata e tremante di capelli che gli sfiora le guance. Stiles ha il corpo premuto contro il suo, la fronte appoggiata nell’incavo del suo collo, il respiro affannoso. Soffre in silenzio di un dolore che Derek riesce quasi a percepire, un dolore che lo fa star male, che lo piega senza tuttavia spezzarlo. Lo sente mormorare sulla sua pelle, il fiato bollente che quasi lo ustiona ma che al contempo lo fa rabbrividire di piacere.
Stiles sta pregando. Di nuovo.
Derek avverte la sua disperazione, la paura di trasformarsi in qualcosa che non è.
“Io non voglio essere un mostro”.
Non lo è. Stiles non è uno di loro e questo Dio e Lucifero dovranno capirlo. Chiunque possegga ali del genere, tanto terribili quanto bellissime, non merita la dannazione.
Derek chiude gli occhi e lentamente solleva una mano per poggiarla su quelle di Stiles, ancora intrecciate all’altezza del suo cuore. Serra forte le palpebre, attinge a quel poco di speranza che la sola presenza di quel piccolo, stupido ragazzino è riuscito a infondergli.
“Nessun mostro piange per il male che ha fatto. I mostri non piangono perché non sanno nemmeno farlo, Stiles”.
È la prima volta che fa una cosa del genere, ma se da questo dipende la salvezza di Stiles, Derek è pronto a farlo mille e mille volte, per quanto gli sembri assurdo. Lo fa perché ha bisogno di crederci, lo fa perché non riesce più a sentirlo soffrire in quel modo mentre lui, Derek, nella sua fragile impotenza, si limita sempre a guardare.
Nelle preghiere, non ci ha mai creduto. Non credeva in un Dio, non credeva in una carità divina e per questo non ha mai invocato né l’uno, né l’altra. Dio non ha salvato la sua famiglia; Dio non ha avuto pietà di ciò che è diventato con gli anni a venire. Dio non esiste.
Adesso però, è tutto cambiato. I demoni ci sono, e torturano Stiles. Gli angeli esistono, e minacciano la salvezza del loro stesso branco. Derek non può permetterlo, ma non sa che altro fare. Come si combattono le due massime potenze ultraterrene dell’intero universo? Anche il più forte dei licantropi appare piccolo e insignificante se paragonato a Dio in persona. Infatti, alla fine, a Dio Derek si prostra. Non per se stesso, non per il branco, ma per Stiles. Per una volta, vuole concederselo.
“I mostri veri li ho conosciuti, e tu non sei uno di loro”.
Per la prima volta nella vita, Derek prega. China il capo, si aggrappa al morbido calore di Stiles e al suo profumo. A bassa voce, invoca l’unica entità capace di salvare Stiles. Non i licantropi, non l’uomo, non Lucifero.
Dio.
-Ascoltami… non sono il tuo preferito, questo lo so bene.- mormora a voce così bassa che spera di essere udito solo da se stesso. –Ma ho bisogno della tua attenzione. Non ho mai pregato per te, non ho mai creduto nella tua esistenza, e credo di avere ancora qualche dubbio. Però capisco anche di essere impotente davanti a questa situazione: Stiles non può farcela da solo e io non sono abbastanza d’aiuto per salvarlo. Io non posso, ma tu sì. Conosco le tue leggi, so che predichi misericordia e pietà. Ti chiedo ora di applicarle sull’innocente che ha bisogno di aiuto e adesso invoca il tuo nome. Non ti chiedo salvezza per me stesso, ma per lui. Sii Dio per una volta, e intervieni. Fallo per ripagarmi della tua assenza in tutti questi anni. Fallo per mostrarti così come ti dipinge chi ancora ha il coraggio sfrontato di amare un bastardo come te. Se esisti davvero, ti prego. Ti prego…-
“Cominciai a credere in quei cavalieri proprio quando l’oscurità intorno a me si fece più fitta”.
Un singhiozzo. Sensazione di bagnato sulla sua spalla. Derek tende il collo per poter guardare meglio al suo fianco, dove occhi dorati lucidi di lacrime umane, cristalline e non più sanguigne lo fissano felici, sereni di un pezzo d’anima appena ritrovato.
Stiles sorride tra le lacrime, si stringe di più a lui.
Lentamente, le ali cominciano a ritrarsi nel corpo di Stiles e le ombre si raggrumano ferite al loro posto, assorbite dal terreno e dai due demoni, sui quali torna a splendere il sole, caldo e sereno di vita.
Valefar giace prono sull’erba, gli occhi sbarrati e vitrei fissi sui corpi intrecciati di Stiles e Derek. Li fissa come se li vedesse per la prima volta, come se neanche li riconoscesse. Artiglia il terreno con furia, strappando varie zolle di terra con facilità disarmante. Sta bene, però. Non attaccherà di nuovo.
Finalmente, Stiles si rilassa. Si appoggia contro il corpo forte di Derek, che lo sostiene con facilità e quasi sorride per l’espressione rasserenata dell’altro.
-Io…- mormora improvvisamente Valefar. -… avevo qualcuno. Qualcuno di importante. Avevo una famiglia… e una casa.-
Si alza improvvisamente a sedere e si porta una mano tremante alla bocca, gli occhi improvvisamente serrati. Soffre da morire, trema di un dolore sordo e lancinante che Stiles riesce quasi a sentire sulla pelle. Ma non è normale, non lo è affatto. Valefar non soffre, non per Stiles.
Dal primo istante in cui l’ha visto giù all’Inferno, Stiles ha deciso che il sorriso vero, quello sempre presente e vivo di speranza per chiunque lo guardasse, fosse proprio quello, fisso su un maledetto viso di demone. Un sorriso capace di guarire le ferite, un sorriso in grado di schiarire la vista d’un dannato anche alla luce del sole. Quel sorriso miracoloso, per Stiles, è sempre stato il punto di riferimento più importante degli ultimi tre anni.
E adesso, non c’è più.
-Sono andati via… sono andati via… io non dovevo morire.-
Valefar singhiozza forte, e quello è il rumore più anomalo e straziante che Stiles abbia mai udito. È innaturale, perché i demoni non piangono. È malato, perché a piangere non può essere Valefar.
Stiles lo vede strisciare all’indietro, misero e ferito come un albatro dalle ali spezzate. Valefar respira affannosamente, cerca invano di ritrovare se stesso, ma Stiles sente che qualcosa si è rotto in lui, come un cristallo prezioso troppo a lungo percosso e coperto di crepe.
Valefar non guarda nessuno di loro. Poi, sparisce in una nuvola di oscurità, trascinandosi alle spalle il suo peso di miseria e dolore massacrante.
-Valefar… devo seguirlo.- mormora Stiles, esausto. Si regge in piedi a stento e Derek lo sostiene con facilità, stupendosi di quanto all’improvviso sembri lontano dall’irraggiungibile bestia alata che per minuti interi pareva aver soffocato il mondo intero.
-Tu non vai da nessuna parte. Sei a pezzi.- interviene Scott, raggiungendoli.
-Vado io.- si propone Lydia all’improvviso, stupendo tutti. –So dove può essere andato, ma ho bisogno della tua macchina, Allison.-
Allison le porge le chiavi senza protestare. –Stai attenta.-
-Per chi mi hai presa, per una povera donzella in pericolo?- sbotta acidamente Lydia, strappandole le chiavi di mano. Si volta e si allontana senza aggiungere altro, lasciandosi alle spalle il branco ancora allibito.
Con un sospiro esausto, Stiles si accascia definitivamente al suolo, a un passo dallo svenire.
-Stiles!- Scott accorre e aiuta Derek a sostenere l’amico, che adesso è come un peso morto e giace abbandonato tra le loro braccia. Stiles respira profondamente, come se stesse dormendo, ma ha gli occhi socchiusi e si muove appena, come un moribondo in procinto di trapassare. Non reagisce ai loro richiami, ma paradossalmente, Derek lo sente ancora sveglio e vigile, forse più del solito.
È proprio mentre Derek e Scott lo stanno aiutando a raddrizzarsi che il demone si irrigidisce e solleva la testa di scatto, improvvisamente sveglissimo ma con gli occhi ancora iniettati di sangue.
-Lasciatemi. Subito.- esala, ed è un tono tanto autoritario che Scott ubbidisce subito e Derek lo imita, anche se gli appoggia comunque una mano sulla schiena per prevenire qualsiasi crollo improvviso. –Venite qui, tutti.-
Uno alla volta, incredibilmente, il branco ubbidisce. Chris si muove per star dietro alla figlia e Peter si limita ad accostarsi appena, anche se mantiene gli occhi fissi su Stiles senza mai distrarsi, come se lo vedesse per la prima volta. A Derek quello sguardo non piace affatto, ma non è il momento di pensarci.
-Che bel quadretto familiare.- cantilena una voce armoniosa mentre Dumah emerge dall’ombra degli alberi, accompagnata da Diaval.
Diablo scende dal cielo automaticamente e atterra sulla spalla di Stiles, che fa il possibile per mantenersi eretto e austero agli occhi della nuova arrivata, come un sovrano moribondo ancora stoicamente aggrappato al suo trono.
Dumah si ferma a poca distanza da loro, abbigliata in una minigonna di pelle troppo corta e top semitrasparente che lascia ben poco all’immaginazione. Si lecca le labbra rosse, sporgendosi verso Stiles e ignorando gli altri. Stavolta, Derek non trattiene un ringhio vibrante, di gola, che rimbomba nell’intera radura e contro le mura diroccate della casa alle loro spalle. Stiles gli stringe forte la mano in un muto avvertimento mentre Dumah sposta lo sguardo da predatrice su di lui, gli occhi improvvisamente di un azzurrino slavato, quasi cieco, sul quale spiccano le pupille verticali da rettile.
-Cosa abbiamo qui?- sussurra, mentre Diaval avanza di qualche passo, squittendo. Diablo sbatte le ali, minaccioso, avvertendo l’altro di mantenere le distanze.
-Lui no, Dumah. Richiama la tua bestiola, o io impegnerò la mia.- La voce di Stiles si è fatta improvvisamente di ghiaccio, e questo scatena in Derek un’altra serie di brividi che non hanno nulla a che fare col freddo. Il corpo del demone si è improvvisamente irrigidito, la coda è sbucata di nuovo, gli occhi si sono accesi e la pelle balugina. Stiles apre e chiude le mani, pronto allo scontro, e straordinariamente, Derek pensa che in una lotta vera e propria con Dumah a spuntarla sarebbe proprio lui. Lo sente, riesce a percepire la sua forza distruttiva e il pericolo che essa emana. Un avvertimento che Dumah sembra recepire e accogliere con garbo. Indietreggia di un passo, senza smettere di sorridere.
-Ma che bei bambini abbiamo qui. E io che pensavo che ti dilettassi solo col tuo amato, Stiles.-
-La cosa non ti riguarda. Cosa vuoi?-
Dumah inclina il capo e sposta il peso del corpo da un piede all’altro, ondeggiando i fianchi in modo provocante.
-Ci chiedevamo dove fossi… abbiamo bisogno di te, ma tu non rispondi mai alle nostre chiamate.-
-Sono molto impegnato.-
-Non sta a te deciderlo.-
Dumah si avvicina ancheggiando, ma tenendosi a distanza di sicurezza da Derek e dal branco per non scatenare la reazione di Stiles. Gli appoggia una mano sulla guancia, accosta il viso al suo.
Troppo vicina… vicinissima. NO.
Derek, semplicemente vede rosso.
Ruggisce con quanto fiato ha in gola e cerca di slanciarsi su Dumah, pronto a spezzarle tutte le ossa del corpo per vendicare Stiles e se stesso, ma qualcosa lo trattiene con forza incredibile, allacciandosi intorno alla sua gamba e strattonandolo con tanta forza da trascinarlo in ginocchio. La coda di Stiles gli stringe il polpaccio fin quasi a bloccargli la circolazione e Derek capisce l’avvertimento: non rispondere alle provocazioni di Dumah. Non rispondere. Ma per quanto può farlo, con la ragazza che tocca in modo osceno un immobile e gelido Stiles?
Nessuno si muove mentre Dumah preme un indice sul petto di Stiles, facendo scorrere su e giù l’unghia laccata di rosso.
-Mi piace come sottometti il tuo innamorato. Chissà come agisci a letto… magari mentre vi divertite…-
Diablo gracchia forte e spalanca le ali, facendo ritrarre Dumah di scatto. Stiles resta immobile, gli occhi brillanti fissi su di lei. La fronteggia in silenzio, faccia a faccia, fiero come un vero Alpha degno di tale nome. L’avvertimento è l’ultimo, e stavolta Derek capisce che il prossimo non si limiterà a una semplice minaccia.
Dumah schiocca le labbra e Diaval scatta per arrampicarsi agilmente fino alla spalla.
-Abbiamo bisogno di te, Stiles. Non puoi rifiutarci ancora, o il prossimo a venire qui sarà Alastor, e sai che lui non è così gentile. Quel cubo comincia ad annoiarlo, il che significa che dovrà trovare altre distrazioni. Vuoi diventare una di esse?-
Stiles trema appena mentre Dumah sparisce in una nuvola di oscurità che si dissipa dopo pochi istanti. Sulla radura cade il silenzio, che avviluppa il branco come una coperta troppo spessa e incredibilmente soffocante.
-Devo andare.- esala Stiles, esausto. Ritira la coda e torna del tutto alla normalità, rilassando i muscoli e rilasciando un sospiro di stanchezza. Si accascia al suolo, dove un Derek furioso artiglia l’erba e si rialza, ringhiando.
-Perché mi hai fermato?- sbotta, sovrastandolo. –Potevo batterla!-
-No, non potevi.- sospira Stiles stancamente. –Dumah è un demone, Derek. Non puoi proteggermi da loro.-
Semplicemente, Derek va in bestia. Perché Stiles ha ragione, perché la sua forza e le sue tattiche di combattimento sono del tutto inutili al cospetto di potenze che non si possono sconfiggere. È destinato a vedere Stiles soffrire, ogni volta, inutile come al solito. Non può proteggerlo, e questo gli altri demoni lo sanno. Derek non sarà mai abbastanza per lui e tutto ciò che gli si prospetta è di vedere giorno dopo giorno Dumah che tocca Stiles in modo osceno semplicemente perché sa di poterlo fare. Derek prova una rabbia animale, incontenibile, di quelle che non si controllano e che come unica valvola di sfogo, trovano sempre il modo sbagliato per uscire.
-Mi credi così debole? Così fragile? Io non sono te, ragazzino! Sei tu quello in pezzi, sei tu quello pieno di cicatrici che frigna di continuo! Tu combatti con poteri che non ti appartengono e che a stento sai controllare, mentre io con questi poteri ci sono nato! Ho più forza di quanto immagini e so difendermi, al contrario di te, che non fai che ferirti e sottometterti a quelle bestie! Non vuoi ribellarti? Bene! Vai da loro! Vai, e fatti uccidere come meglio credi, visto che questo è tutto ciò a cui aspiri!-
Derek non sa quello che dice, non sa nemmeno chi stia parlando per davvero, se la rabbia o la cieca disperazione, ma se ne accorge un istante dopo, quando gli occhi di Stiles si fanno grandi per il dolore e il senso di colpa. Trema convulsamente, i pugni stretti e il volto bianco come quello di un cadavere. Quando sparisce in una cappa di oscurità, portandosi dietro Diablo e un abisso di dolore senza fondo, Derek si volta e si allontana, lasciandosi alle spalle il silenzio di un branco improvvisamente a pezzi che non potrà nemmeno immaginare ciò che sta per accadere.
 
Lydia Martin non è mai stata una persona sentimentale. Odia la gente, sopporta poco gli animali e quasi detesta il sovrannaturale, per quanto anche lei ne faccia parte. Più a fondo conosce quel mondo sconfinato e senza freni che poco a poco si sviluppa sotto i suoi occhi, più si sente piccola e impotente. E lei odia sentirsi così.
Non è una sentimentale, eppure per la prima volta ha scelto di non voltare il capo dall’altra parte, sorprendendo perfino se stessa quando all’improvviso ha scelto di seguire Valefar. Il motivo di tale decisione, Lydia non lo conosce e poco le interessa. Il guaio è fatto ormai e loro hanno bisogno di Valefar per continuare ad allenarsi.
Decelera appena quando la grossa struttura del bar dove lavora il demone compare davanti ai suoi occhi. Si avvicina sempre di più, le corre incontro come entità viva che si muove verso di lei.
Lydia accosta e spegne l’auto, posando gli occhi sul locale chiuso a chiave e apparentemente deserto a pochi passi da lei.
Cosa la spinge lì? Perché si è offerta di inseguire quel biondino truccato con problemi di egocentricità? Non è mai andata d’accordo con Valefar. L’ultima volta che ci ha parlato, hanno litigato a causa dei tacchi che lui si rifiutava di farle indossare in battaglia. Litigano sempre, discutono, battibeccano quando gli altri non guardano o ancora non ci sono perché arrivati in ritardo. Però… è stranamente divertente litigare con quel ragazzo. Lydia non lo ammetterebbe mai neanche a se stessa, ma lo trova quasi… divertente? Può essere questa la parola giusta?
Scende dall’auto e si incammina verso il locale. Forza appena la porta per aprirla ed entra nell’oscurità del bar, in cui tende tirate e porte chiuse soffocano ogni brandello di luce.
Lydia si chiude la porta alle spalle, gli occhi sbarrati che cercano inutilmente di abituarsi all’oscurità troppo fitta.
-Valefar?-
Nessuna risposta.
-Valefar, so che sei qui, perciò vieni fuori prima che inciampi e mi rompa l’osso del collo.-
A riprova della sua minaccia, Lydia quasi inciampa nei suoi stessi piedi. Si vede costretta a togliersi le scarpe, o i tacchi accelereranno soltanto il processo di caduta. Antepone le mani davanti a sé e tocca il legno liscio di un tavolo troppo vicino.
-Valefar! Mi sto arrabbiando, perciò ti conviene uscire fuori prima che ti ficchi un tacco dritto dritto su per il…-
Qualcuno compare alle sue spalle, spostando violentemente l’aria dietro di lei e Lydia si immobilizza. Qualcosa di bianco frulla le ali sulla sua testa, volando tra le travi del tetto ligneo, e Lydia riconosce Duivel, la civetta di Valefar.
-Dovresti usare un linguaggio più consono a una ragazza, lo sai?- mormora Valefar nel suo orecchio, ghiacciandola sul posto. Non si è mai avvicinato tanto a lei, se non per aiutarla ad allenarsi.
-E tu dovresti usare un linguaggio più consono al tuo essere maschio.-
Valefar ridacchia nel suo orecchio, il fiato improvvisamente troppo vicino al suo viso. Profuma di zucchero filato, un odore che sorprende Lydia per la sua dolcezza. Si volta lentamente, sperando di non inciampare di nuovo e sbattere la faccia contro il tavolo più vicino. Una commozione cerebrale non è esattamente quello che ci vuole, adesso.
-Che ci fai qui?- sussurra Valefar, apparentemente a pochi centimetri dal suo viso. È davvero così vicino o la sta prendendo in giro?
-Non ti risponderò finché non avrai la decenza di farti guardare in faccia.-
-Non sentirti in diritto di comandare, dolcezza. Non lo sei, non in casa mia.-
-Allora cacciami, ma dovrai farlo con la forza, perché io non me ne vado.-
Duivel cala in picchiata su di loro, spaventando a morte Lydia. Spalanca al massimo le ali enormi, che col loro candore abbacinante rischiarano l’oscurità. Incredibilmente e con enorme stupore dello stesso Valefar, Duivel serra le ali e si aggrappa alla spalla di una stupefatta Lydia, stringendole dolcemente le carni tra gli artigli affilati.
-Pennuto traditore! Passi dalla parte del nemico!-
Lydia atteggia il volto in un’espressione altezzosa e accarezza lentamente il becco di Duivel.
-Dicevi? Credo che a comandare davvero qui sia Duivel, il che significa che dovresti accendere le luci.-
-Fottiti!-
-Oh, siamo nervosetti?-
Valefar esita. –Tu non vorresti guardarmi in faccia. Non ora.- mormora lentamente. –Ti prego, Lydia. Vattene.-
-No.-
-Lydia…-
-Ho detto di no! Non permetterti di dirmi cosa devo fare, hai capito? Sono una ragazza, è vero, ma a volte ho la sensazione che mi tratti come una bambina, e questo mi dà sui nervi!-
-Ma tu sei una bambina, Lydia! Ho seicento anni più di te!-
Lydia ammutolisce. Si dà della stupida per non averci pensato prima, perché effettivamente Valefar non ha mai parlato della sua vera età, e i demoni vivono a lungo. Anzi, sono praticamente immortali, se le leggende sono esatte. Stiles è giovane, ma gli altri? Dumah, Alastor… Valefar? Quanti anni hanno loro?
Improvvisamente, Lydia si sente veramente una bambina. Ha preteso come al solito di essere superiore agli altri, di insegnar loro qualcosa, senza pensare al fatto che effettivamente Valefar sia molto più grande e vissuto di lei. Ha l’aspetto di un ventitreenne, ma più di una volta i suoi occhi hanno tradito un’anzianità ben più marcata. Come ha fatto Lydia a tralasciare tutto questo?
-Ho capito.- sibila alla fine, arrabbiata. Si volta per dargli la schiena e si dirige a tentoni verso l’uscita. Urta involontariamente lo spigolo di un tavolo, che le mozza il respiro e la fa sibilare, arrabbiata col mondo e con se stessa.
Non sa perché è tanto furiosa. Le parole di Valefar l’hanno fatta praticamente esplodere, stringendole lo stomaco in una morsa che le è del tutto nuova e la fa infuriare ancora di più. Odia sentirsi piccola e inutile.  
-Lydia.-
Il respiro di Valefar le solletica nuovamente il collo, la sua presenza improvvisamente troppo vicina la costringe a bloccarsi. La mano del demone le afferra delicatamente il polso, tirandola dolcemente.
Lydia non sa perché si fa trascinare, non sa perché asseconda i suoi movimenti. Lo segue fiduciosa, gli occhi chiusi, il respiro irregolare a causa del dolore al fianco. Quando il suo piede urta uno sgabello, si ferma e ne tasta la base per potersi sedere, così come le indica Valefar con un piccolo strattone.
-Accendi queste maledette luci.-
Una fiaccola balugina improvvisamente al suo fianco, sospesa a pochi centimetri dal bancone. Fluttua morbidamente a mezz’aria, senza toccare o annerire il legno sottostante, come una presenza stabile e apparentemente innocua. Illumina appena l’ambiente, ma non la parte del bancone dietro il quale si è nascosto Valefar, intento ad armeggiare con qualcosa.
Duivel tuba rilassata e stringe dolcemente la spalla di Lydia, rassicurandola. Va tutto bene.
-Che stai facendo?-
-Un caffè. Doppio, molto zuccherato e con panna.-
Lydia spalanca gli occhi, stupita. –Come sai che lo prendo così?-
-Sono un bravo osservatore. Tra la mia gente sono ritenuto un segugio piuttosto bravo, anche più di Alastor e Stiles. Lavorando in un bar, riesco a distinguere facilmente tutti i tipi di caffè e le loro varianti, così come diversi altri cibi. Tu odori così al mattino.-
Lydia si tocca automaticamente i capelli e se ne porta una ciocca al naso. Davvero odora di caffè doppio di primo mattino? Quante altre cose ha capito Valefar di lei, a parte le sue abitudini alimentari?
Improvvisamente, Lydia capisce che non sa nulla di quella creatura. È comparsa all’improvviso, presentandosi come unico amico demoniaco di Stiles disposto ad aiutarli. Li ha allenati pazientemente, ha lasciato che si fidassero di lui… e poi ha attaccato Derek. Questo pensiero fa rizzare i capelli di Lydia perché realizza di aver inseguito il quasi assassino di un suo… amico? Derek può definirsi tale?
-Perché hai attaccato Derek?-
-Perché sapevo che Stiles si sarebbe controllato solo se la posta in gioco era lui.- risponde Valefar, facendo tintinnare la ceramica. –Abbiamo bisogno di lui e della sua forza demoniaca. Al momento è molto fragile e gli basterebbe un minimo scatto emotivo per far sì che il demone rompa ogni sua resistenza nel modo più sbagliato. Abbiamo poco tempo e non voglio che lo Stiles umano che conosci sparisca… non voglio che perda se stesso… non come è accaduto a me.-
Lydia ripensa alla reazione di Valefar quando ha visto Stiles abbracciare Derek e proteggerlo. Già in precedenza si era accorta dello sguardo insistente e stordito del demone ogni volta che Stiles interagiva con Derek. Valefar è come calamitato dalla loro relazione e la studia da vicino con curiosità quasi puerile che non ha nulla di normale.
-Perché sei scappato, prima?- chiede allora, andando dritta al punto.
Un altro tintinnio, il rumore di qualcosa di liquido che si versa. Una tazza ricolma di caffè e un piattino di biscotti compaiono sul bancone, trasportati da una mano che fa attenzione a non mostrarsi nel cono di luce.
-Valefar. Sono venuta fin qui e non me ne andrò senza una risposta.-
-Lo so, dolcezza. Sei fatta così, dopotutto. Sai, è la prima volta che ti vedo davvero in faccia.-
-Non cambiare argom… mi prendi in giro?-
-Dovrei? Finora ti ho sempre vista alla luce del sole, e noi in casi del genere siamo poco più che ciechi. Adesso posso vederti davvero, e sei proprio come ti avevo immaginata.-
Senza sapere perché, Lydia si aggiusta nervosamente i capelli.
-Non cambiare argomento. Mi devi una risposta.-
-Davvero?-
-Ti ho già detto che non me ne andrò senza una spiegazione.-
Valefar si sposta nell’oscurità, facendo frusciare i vestiti. Lydia lo sente appoggiarsi al bancone ed espirare lentamente nel vano tentativo di calmarsi.
-Ti ho già spiegato che quando si diventa un demone fatto e finito si perdono i ricordi, giusto?-
-Sì.-
-Sai perché questo accade?-
-Per chi mi hai preso, per un’enciclopedia demoniaca?-
Valefar ridacchia nervosamente.
-Succede col deteriorarsi dell’anima. Essenzialmente, il demone perde i ricordi insieme a buona parte della sua anima, che alla fine finisce col consumarsi quasi del tutto. Non abbiamo nulla, Lydia. Non siamo vivi, non siamo… umani. Non siamo niente, neanche bestie. Ed è l’assenza di anima a renderci dei perfetti soldati al servizio di Satana. Apparteniamo all’Inferno perché né Paradiso, né Purgatorio accolgono anime, e noi l’anima non ce l’abbiamo. Il processo di deterioramento è diverso per ognuno di noi: per alcuni è molto veloce, per altri più lento. Io ci ho mezzo sei mesi e mezzo per annullarmi e dimenticare ogni cosa. La mia età, il mio nome, la mia famiglia. Non mi è rimasto niente, se non i miei stupidi poteri e le mansioni bestiali assegnatemi da Satana. Io ubbidivo perché non potevo fare altrimenti, perché ero arrabbiato e ormai appartenevo alla schiera del male vero.-
Lydia si accorge di aver stretto convulsamente la tazza solo quando le mani cominciano a farle male. Deglutisce a stento, gli occhi fissi laddove avverte la presenza di Valefar.
-Non è possibile recuperare la memoria. Una volta che l’anima va in pezzi, essi si disperdono e diventano irrecuperabili. Per millenni i demoni più giovani e non ancora rassegnati hanno cercato di recuperare il loro passato, quella piccola parte di umanità che avrebbe potuto renderli vivi, diversi. Ciò perché ci andrebbe bene essere ogni cosa, perfino un dannato, pur di non diventare… questo.-
La voce di Valefar si spegne in un sussurro strozzato e trema quando si fa viva di nuovo: -Secoli di ricerche, Lydia. Secoli interi di disperazione in cui Lucifero ci guardava impassibile mentre impazzivamo, perdendo la parte più importante di noi. Nessun demone nasce malvagio: è la disperazione a farlo impazzire. Ci manca un pezzo importante, qualcosa di incredibilmente prezioso che mai nessuno a memoria di demone ha mai ritrovato dopo averlo perso… l’anima. E… io…-
Lydia trema. Ha gli occhi sbarrati, le labbra schiuse. –Tu cosa, Valefar?- chiede, seppur spaventata dalla possibile risposta.
-Io sto cominciando a ricordare, Lydia. So chi sono. E a fare questo, in qualche modo, è stato Stiles.-
 
Angolo dell’autrice:
Che finale del ca… volo. No, Valefar, dopo il capitolo scorso ti odiano tutti.
Valefar: ho solo seguito il copione, non è mica colpa mia!
Scott: e chi ha appeso Derek a testa ingiù sotto lo stipite della porta? credo che lo abbiano scambiato per un sacco di vischio, ma non ne sono certo…
Ehm… credo siano stati i lettori. Se non avessi gli altri capitoli come arma, potrei essere la prossima.
Valefar: meglio te che io!
Zitto che prima o poi t’ammazzo la vita! Sei fastidioso! E ora passiamo ai ringraziamenti e alle anticipazioni!
Purtroppo con gli esami in avvicinamento, ho ben poco tempo per ringraziarvi uno alla volta come meritereste, ma… grazie. Di cuore, per ogni recensione che pazientemente scegliete di lasciarmi. Non vi stancate mai, continuate a seguirmi e questo per me è il regalo più bello del mondo. Siete piccoli angioletti capaci di aiutarmi a scrivere capitoli sempre nuovi e se potessi, vi abbraccerei uno alla volta. Grazie dal profondo dell’animo.
Nye
XAniuEX_lol
Giada_ASR
Barbara78
_Sara92_
_Vi___
 

Anticipazioni:
“Derek riconosce quella voce, la riconoscerebbe tra mille. Appartiene a quella parte di se stesso che si era allontanata, quella parte che il licantropo ha deciso di inseguire col terrore nell’animo. Ha creduto di trovarlo ferito, morto, rispedito all’Inferno. Ha avuto paura quando ha sentito le parole di Lydia, ma adesso che Stiles è lì va tutto bene.
-Strange things did happen here
No stranger would it be…-
Il cuore di Derek raggela all’improvviso quando incontra la figura accovacciata di Stiles: indossa solo dei jeans stracciati ed è coperto di sangue. Il viso ne è impregnato e inzuppa i capelli, gocciolando da diverse ferite alle tempie. Un lungo taglio trasversale gli attraversa diagonalmente la faccia e si ripete sul torace, dove segni di artigli dilaniano la carne.
Derek ha visto delle cose orribili in vita sua, ma mai niente del genere. Quella visione gli spacca il cuore a metà, gli dilania l’anima e la vista. Sente la terra mancargli sotto i piedi perché Stiles ha gli artigli snudati, lunghi più di un metro, d’acciaio purissimo, che si diramano dalle dita stesse come appendici fuse alla pelle e Derek capisce che quei tagli, gli stessi che si ripetono sulla sua stessa carne… Stiles se li è procurati da solo.”

 
Tomi Dark Angel
 

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Capitolo 15
*** L'Albero Degli Impiccati ***


“Da ciò che ieri era la tua speranza,
Oggi nasce la tua disperazione.”
 
Le emozioni sono qualcosa di incredibile e incredibilmente forte, un frangente del proprio io inconscio al quale l’essere vivente è abituato. Ogni creatura, che sia animale oppure no, vanta una vasta gamma di emozioni, dalle più semplici alle più complesse. Ma cosa accade quando ogni emozione sparisce? Cosa resta quando l’essere vivente si svuota di ogni frammento di esistenza che lo rende vivo?
Stiles Stilinski. È questo il suo nome, lo sa. Lo conosce. Si ricorda di se stesso, della sua storia, delle sue idee, dei suoi amici. Ma perché i ricordi fanno così male? Bruciano come fuoco, gli ustionano il cranio e il cervello, consumando poco a poco quel po’ di umanità che gli resta.
Stiles Stilinski.
Oscilla il capo a destra e a sinistra, come mefitico pendente d’orologio. Esala bassi sospiri, fissa un punto nel vuoto mentre giace seduto sul gelido pavimento della sua stanza. Cerca di ricordare, di mettere a fuoco il suo essere, ma tutto ciò che vede è solo dolore. E rabbia. Tanta rabbia. Perché? Non ne ricorda il motivo… dovrebbe? Forse sì, forse il motivo del suo stesso rancore è proprio lui.
Sbatte le palpebre, cercando di mettere a fuoco il suo dito, che si muove lentamente sul pavimento, urtando il polpaccio insanguinato che si muove lascivo contro le piastrelle asettiche. Quando ha iniziato a scrivere per terra? Quando si è ferito al braccio? No, non al braccio: al polso. Deve essersi tagliato una vena, ma lui non può morire. Il perché lo ricorda, ma è anche una delle poche cose che sa.
“Io non sono te, ragazzino!”
Una voce gli urta la scatola cranica, infastidisce le placide domande nel suo cervello. Stiles è tentato di schiantare la testa contro il muro per zittire quel timbro così profondo, così… bello? Forse, ma allora perché fa così male?
“Vai, e non tornare più!”
Stiles è tentato di indagare sulla fonte di quella voce. A chi appartiene, non lo sa. Ma sa che quel qualcuno gli ha fatto male, tanto male. Per questo, Stiles vorrebbe trovare quella persona e spezzargli le ossa, una alla volta, giusto per godersi lo spettacolo della vendetta. Nessuno può fargli così male e passarla liscia, no: deve trovare quel bastardo e ferirlo, indurlo a implorare pietà. Vuole che stia zitto.
-Che stai facendo?- chiede una voce morbida di donna.
Stiles alza gli occhi vuoti e inespressivi su di lei. È così bella, così… provocante. Ma le manca qualcosa. Più muscoli, spalle più larghe, occhi verde smeraldo. È sbagliata, come una marionetta senza un braccio e priva degli occhi. Stiles forse può aggiustarla, anche se per farlo dovrà prima sfondarle ogni singolo osso e muscolo facciale, estirparle gli occhi e i denti, lacerarle il cranio… sarà divertente e dopo lei lo ringrazierà.
-Hai intenzione di rispondermi?- sbotta Dumah, piccata.
Stiles continua a ondeggiare il capo e a sorride sinistramente, facendo brillare la dentatura totalmente mutata, da predatore. I canini superiori gli sfiorano la punta del mento e le altre zanne sbucano feroci, bianchissime e micidiali come quelle di un leone. Quei denti potrebbero lacerare qualsiasi cosa, qualsiasi corpo umano e non che gli capiti a tiro. Quei denti potrebbero massacrare il proprietario fastidioso della voce che ancora gli invade la testa.
-Niente.-
-Non mi sembra niente, quello.-
Dumah si avvicina, abbassa gli occhi sul dito di Stiles che continua a scorrere imperterrito sul pavimento.
“Vai via!”
 Dumah continua a fissare, gli occhi improvvisamente spalancati. Quando lo guarda, ha uno sguardo nuovo, mutato, che pare intriso di qualcosa che Stiles non riesce a capire. Emozioni. E Stiles, di emozioni non ne prova più. Non sa cosa siano e non sa nemmeno se effettivamente ne ha mai provate.
Ogni istante che passa procede verso un lento annullarsi di respiri, momenti, ricordi. Stiles… è questo il suo nome? Forse sì, e gli piace. Almeno è un nome e significa qualcosa. Stiles… cosa? Ha un cognome? No, non se lo ricorda.
Chi è Stiles?
Improvvisamente, Dumah gli blocca il polso e lo stringe con forza fin quasi a spezzarlo.
-Non è necessario continuare, bambino.- sussurra debolmente, gli occhi fissi sul pavimento coperto di sangue. –Basta…-
-Dumah.-
Alastor li raggiunge, comparendo nel vano della porta.
Istintivamente, Stiles capisce che quello è un capo, un entità superiore alla quale deve rispondere senza opporsi. Si tratta di branco, di supremazia e a lui non interessa comandare.
Dumah scatta in piedi, gli occhi bassi sul pavimento sporco di sangue.
È suo quel sangue? Quando si è fatto male? Come si chiama?
“Stiles!”
Chi è Stiles? Non lo conosce. Ah, forse è lui? Sì, forse.
Alastor si avvicina e abbassa gli occhi sul disegno di Stiles, fissandolo interessato. Inaspettatamente, sorride.
-Ah, è cominciata.- annuncia, sereno. –Come ti chiami?-
Il ragazzo oscilla il capo con più furia. Stiles, si chiama Stiles. Ma non ne è certo. Oppure sì? La testa gli fa male.
-Credo… Stiles?-
Alastor storce le labbra. –Capisco. Ne sei certo?-
-No.-
-Da dove vieni?-
-Io…-
-Quanti anni hai?-
Stiles geme infastidito. Troppi pensieri, troppi fastidi. Fanno troppo rumore e lo assordano in un diapason di voci sovrapposte. Ricordi. Non se ne fa nulla dei ricordi. Adesso vuole silenzio.
-Zitti! State zitti!- ringhia, alzandosi di scatto. Si sporca il viso di sangue quando si preme le mani contro le tempie. Gli artigli fuoriescono, poco a poco cominciano a crescere come lame a scatto, sciabole massicce e micidiali. –STATE ZITTI!!!-
Le farà uscire, quelle voci. Si aprirà la testa e le tirerà fuori, una alla volta. Poi cadrà il silenzio e lui starà bene. Benissimo… divinamente.
“Non sei un mostro”.
Gli artigli penetrano nella carne, affondano fino a spaccare il cranio. Fa male, da morire. Ma lui non può fermarsi perché le voci sono ancora lì, e crescono di volume. Vuole che escano, vuole morire. Vuole tante cose, ma nessuna di queste accade.
“Stiles, sei praticamente mio fratello…”
Urla, si contorce. Gli artigli affondano ancora e ancora e lui li tira fuori per poi riaffondarli nella carne in un turbinio di sangue e carne maciullata. Ha bisogno di silenzio, gli sta scoppiando la testa.
“Stiles, figlio mio…”
-Basta!-
Dumah gli afferra le mani e lo costringe a estrarre gli artigli. Lo getta a terra, schiacciandolo col peso improvvisamente esorbitante del suo corpo e gli schiaccia il capo al suolo, forzandolo a restare fermo. Lui si agita, grida ancora, emette lamenti di condannato a morte o di preda già morente. Le voci sono ancora lì, non sono uscite.
“Fai parte del branco… siamo una famiglia”.
Improvvisamente, tutto finisce così come è iniziato e il ragazzo si accascia, privo di forze. Ansima forte, sbatte le palpebre per schiarirsi la vista contro il fiume di sangue che gli inzuppa il viso.
-Dannazione. Odio questa parte.-
Dumah lo libera lentamente, tenendosi a breve distanza per impedirgli di farsi male un’altra volta. Stiles sbatte debolmente il capo contro il pavimento insanguinato, gli occhi sbarrati, la parvenza di un macabro sorriso sulle labbra. Canticchia a bassa voce una canzoncina macabra che parla di un condannato a morte per impiccagione*. L’ha sentita in un film, forse. Gli piaceva molto e capisce cosa significhi sentirsi a un passo dal patibolo. Una storia che Stiles conosce bene perché, nonostante non sia stata l’impiccagione la sua condanna, egli è morto pensando all’amore perduto, così come accade al condannato della canzone.
Dumah non sa perché quella canzone le fa rizzare i peli sul collo, né perché improvvisamente si allontana da Stiles come scottata. Lo fissa mentre giace al suolo, sbattendo dolcemente la tempia contro il pavimento, sulle labbra l’intonazione di quella macabra canzoncina che sembra andare avanti all’infinito, come una storia che si ripete ancora e ancora, senza mai fermarsi.
Prima fase dell’annullamento: la follia.
-Dobbiamo andare. Le ombre si stanno radunando di nuovo e forse hanno trovato un altro cadavere. Se non concludiamo questa storia al più presto, interverranno gli angeli.- dice Alastor, per nulla impressionato dallo scatto di follia di Stiles.
-Non possiamo lasciarlo così.-
-Dici? C’è chi ha fatto di peggio quando ha cominciato a perdere la sua umanità. Il massimo che può fare è uccidere qualcuno, e questo non è un problema nostro.-
Dumah esita, gli occhi fissi su Stiles che continua a canticchiare e a sbattere la testa. Non è per niente convinta, ma non può disubbidire.
-Andiamo.- la richiama Alastor, uscendo dalla stanza.
Dumah si volta, ma prima di sparire lancia un’ultima, breve occhiata al disegno che Stiles ha calcato ripetutamente col sangue e le unghie, fino a inciderlo nelle mattonelle: un albero spoglio, magro, quasi decrepito, al quale è appesa per il collo una figura piccola e insignificante, ormai inerme. Ai piedi dell’albero giace addormentato qualcosa, una creatura che pare del tutto insofferente alla morte del ragazzo sopra di lui: un lupo.
Tradimento. Dolore. È quel lupo la causa di tutto, e Dumah non ha bisogno di chiedersi chi rappresenti. C’è una sola persona in grado di colpire Stiles così a fondo da spezzarlo con poche semplici parole, un unico irresponsabile incapace di comprendere quanto precaria sia la situazione psicologica del ragazzo. Un solo motivo, un solo responsabile.
Dumah si allontana, lasciandosi alle spalle il macabro lamento di un ragazzo che perde la sua umanità, che perde se stesso. Non nota la cristallina lacrima di acqua salata che scivola sul viso di Stiles mentre poco a poco la sua anima si annerisce, si consuma, rattrappendosi su se stessa. I pezzi restanti si lacerano, qualcosa si spezza. Di lui non resterà altro che un’ombra.
Fase due: perdita della memoria.
 
Lydia ha assistito a tante cose assurde, nell’arco degli ultimi anni. Ha visto ragazzi trasformarsi in bestie, druidi, stregoni malvagi. A volte si chiede se il mondo normale non sia in realtà un sogno nato per mascherare l’incubo di bestie mitologiche che c’è dietro.
Ma questo.
Recuperare la memoria, ricostruire una piccola parte della propria anima dopo secoli interi di ricerche disperate e anime distrutte. A sentire Valefar, è impossibile che ciò accada, eppure… eppure è successo. Un demone non dovrebbe poter ricordare, ma lui ricorda. Ed è cominciato tutto da Stiles e Derek. Come è possibile?
-Mi chiamavo Alexander Olsen e nacqui in Normandia nel 1415, pochi mesi dopo lo scoppio della guerra dei cent’anni. I miei genitori furono costretti a emigrare quattordici anni dopo, ma durante il tragitto cademmo in un’imboscata che uccise mio padre e due dei miei fratelli.-
Valefar si sposta nell’ombra, mantenendosi fuori dal cono di luce proiettato dalla fiaccola galleggiante.
-Gli inglesi catturarono me, mia madre e mia sorella e ci tennero prigionieri per sei anni, costretti ai lavori forzati e continuamente sottoposti a torture fisiche e psicologiche. Pensavano che fossimo delle spie, ma noi non sapevamo niente. Qualunque cosa dicessimo, loro non ci credevano e continuavano a torturarci fino allo sfinimento. Ricordo ancora le urla di mia madre e di mia sorella e la mia impotenza mentre le ascoltavo.-
La voce di Valefar non vacilla, non mostra alcun barlume di emozioni. Parla delle sue sofferenze come se non gli appartenessero davvero. Forse è così, dopotutto: dopo tanti anni si cambia abbastanza da riuscire a proseguire quel tanto che basta per lasciarsi tutto alle spalle.
-Quando un giorno mia madre smise di urlare e io non la vidi rientrare in cella, capii cosa fosse accaduto. Non c’era più. Lei, la mia famiglia, la mia vita. Mia sorella sparì subito dopo, lasciandomi definitivamente solo. Non ho mai saputo cosa le sia successo, ma mi piace pensare che riuscì a fuggire. Tuttavia, nonostante cercassi di andare avanti, di sopravvivere… non ce la feci più. Ero solo, spezzato. Così feci l’unica cosa che mi restava…-
-Suicidio…- mormora Lydia, spaventata.
-Quando mi portarono nella stanza delle torture, usai gli ultimi residui di forze che mi restavano e mi gettai nella vergine di ferro, impalandomi sugli spuntoni. Il suicidio è male. Il suicidio non è gradito a Dio poiché rinnega la vita e quanto di più prezioso Dio stesso ci ha donato. Per questo, sono finito all’Inferno.-
Quando Lydia si alza in piedi, si sente stranamente sicura. Non inciampa, non esita. Appoggiando una mano sul bancone, ne segue la curva fino a oltrepassarlo per raggiungere la postazione del barista.
-Lydia, no. Non ti avvicinare, ti prego.-
Ma Lydia non è stupida e odia i sotterfugi. Lentamente accosta una mano verso il fuoco, sempre più vicina, finché il calore non comincia a ustionarle la pelle. Una mano sbuca dall’oscurità e le stringe il polso con forza, la pelle squamata come quella di un rettile che riflette cupi bagliori blu e neri. Gli artigli sono ritratti, quasi umani, ma brillano come l’acciaio e Lydia sa che possono trasformarsi in armi ben più terrificanti di così.
-Non osare ferirti!-
-Impediscimelo. Ma devi entrare nel cono di luce, o…-
Improvvisamente, Valefar si irrigidisce. Lascia andare il polso di Lydia come se si fosse scottato, il respiro tremante che esce in sbuffi dalle narici. –Qualcosa non va.-
Lydia non ha bisogno di sentirselo dire per capirlo: lo sente già. Un senso di pericolo, di gelo alla bocca dello stomaco. È una sensazione che fa paura, che sa di anomalo e sbagliato.
-Valefar…?-
Valefar la oltrepassa così velocemente che Lydia distingue a stento un’ombra e uno spostamento d’aria.
-Non è qui, Lydia. È… è Stiles. È successo qualcosa di brutto a Stiles. Torna al branco, vacci subito! Radunali il prima possibile, ci vediamo lì!-
Senza attendere risposta, Valefar si dilegua. Le tapparelle si alzano tutte insieme, la fiammella si estingue, la luce inonda il locale placido, silenzioso, dove solo una ragazza spaventata e una grossa civetta bianca fissano a occhi sbarrati la porta che ancora cigola sui cardini.
 
Derek si odia da morire. Odia la sua stessa voce, odia la sua superbia e l’impulsività che lo ha spinto a spezzare quel legame sottile ma importante che lo ha tenuto in piedi fino ad ora.
Perché ha detto quelle cose? Perché ha girato il coltello in una piaga ancora aperta e sanguinante che lui stesso ha tentato più volte di ricucire? Ha aiutato Stiles, lo ha perdonato, lo ha accolto nel suo letto. Se solo ci pensa, gli sembra impossibile perché sono tutte cose che il vecchio Derek non farebbe. Qualcosa è cambiato in lui, qualcosa lo ha abbracciato di un calore nuovo che partiva dallo sguardo di Stiles, dalla sua voce, dalla sua semplice presenza.
Stiles ha cambiato il suo stesso essere, accogliendolo e perdonandolo ripetutamente, ogni volta, senza stancarsi mai. Quando sorride, ogni male di questo mondo sparisce agli occhi di Derek e tutto si purifica, assume una luminosità nuova.
Derek non si è mai accorto di quanto il racconto di Stiles su tenebre e cavalieri in realtà lo rispecchi, ma in maniera sbagliata. Stiles lo ha dipinto come un frammento di luce, un barlume di speranza al quale si è aggrappato, ma la verità è un’altra: Stiles è stato l’ancora di Derek per tanto tempo, a cominciare da quei tre anni in cui il suo solo ricordo lo aiutava a sopravvivere, a respirare, ad andare avanti.
Derek si appoggia al vano della finestra, osservando il mondo fuori che, a dispetto di ogni sua preoccupazione, continua a scorrere imperterrito. Non si ferma davanti allo sguardo sofferente che Stiles ha rivolto a Derek dopo il suo discorso furioso, non si ferma sulla crepa che Derek stesso ha aperto nel cuore di chi invece è innocente e non merita alcun dolore.
Come è potuto accadere?
Derek si passa una mano sul viso, sospirando.
-Gli passerà.- dice qualcuno alle sue spalle. Derek non si volta perché sa già di chi si tratta.
-Scott, Isaac, Allison. Sparite dalla mia vista.-
-Tecnicamente non li stai guardando.- considera un’altra voce, che stavolta fa ringhiare Derek.
-Peter. Esci. Non hai altri da importunare?-
-No. E poi, hai bisogno del mio aiuto.-
-Del nostro aiuto.- aggiunge Isaac.
-Non ho bisogno di nessuno di voi.-
-Sei sicuro?-
Derek si volta verso Scott, che intanto si è avvicinato. Nonostante la giovane età, lo guarda con una profonda stanchezza negli occhi che quasi lo rende anziano. Sorride appena, lo sguardo triste.
-So che non volevi dirgli quelle cose, amico.-
Derek non risponde. No, non voleva dirle, ma è troppo orgoglioso per chiedere scusa. Ha odiato ogni parola uscita dalla sua bocca, ogni rabbioso gesticolare di mani che poche ore prima avevano stretto Stiles come se fosse la cosa più preziosa del mondo. Derek vorrebbe ritornare a quei momenti e parlargli, dirgli che forse… forse c’è qualcosa in più per lui. Il suo lupo interiore lo riconosce, reagisce con dolcezza alla presenza di Stiles. Lo accetta. Non è mai successo prima.
-Tu non hai mai voluto fargli del male.- mormora Scott, abbassando gli occhi. –L’ho capito dal primo istante in cui ti ho visto. Non mi fidavo di te, ma… qualcosa, forse l’istinto, mi diceva che avrei potuto mettere la vita di Stiles tra le tue mani e tu l’avresti protetta fino alla morte. Lo sentivo, ma non riuscivo a capire perché, né cosa mi convincesse che uno come te potesse anche solo accostarsi al mio migliore amico.-
Scott tira su col naso.
-Dovrei tirarti un pugno sul naso per ciò che hai detto, ma so che facendolo, ferirei anche Stiles. E questo perché adesso so… ho capito. Abbiamo capito tutti.-
Peter avanza, le mani in tasca, il sorriso sghembo. –Sei più stupido di quanto pensassi, nipote mio. Se fossi al posto tuo, avrei già approfittato del gran bel culo di quel giovane fanciullino…-
Derek ringhia forte.
-Ugh! Potresti evitare certe frasi?- s’intromette Isaac.
-Perché? Sono sincero.-
-La tua sincerità fa paura…-
-Non dirmi che non hai pensato almeno una volta che Stiles ha un gran bel…-
-FINITELA!!!- ruggisce Derek, snudando le zanne. Sta per parlare di nuovo quando all’improvviso la porta si spalanca, lasciando entrare una sconvolta Lydia accompagnata da Duivel, la civetta di Valefar.
-È successo qualcosa di brutto a Stiles!-
La reazione di Derek è istintiva e talmente logica che Lydia si dà della stupida per aver parlato senza pensare: il licantropo oltrepassa il davanzale con un balzo, atterra ai piedi dell’abitazione e sparisce, lanciandosi in una folle corsa.
-NO!!! Fermatelo subito, non deve andare da lui!- grida Lydia al limite dell’isteria.
Scott e Isaac scattano all’unisono all’inseguimento di Derek, ma Peter non sembra intenzionato a muoversi.
-È tuo nipote!- ringhia Allison, ma Peter sorride.
-Lo so. Ma so anche che non saranno quei due a fermarlo.-
-Cosa?-
Duivel spalanca le ali all’improvviso, lanciando uno stridio acuto cha nulla ha a che fare col suo essere civetta. Gli occhi azzurri lampeggiano, le ali sbattono con forza. Si leva in volo con la velocità di una freccia scagliata dall’arco, le ali tese, la sola scia bianca di piume alle sue spalle come coda di una cometa.
La scia si inarca a mezz’aria, sparendo per un istante nell’accecante lucentezza del sole per poi cadere come un meteorite sul bosco, tra gli alberi che improvvisamente s’anneriscono e perdono le foglie, rattrappendosi su loro stessi come vecchi incartapecoriti dalle ossa spezzate. Un cratere nerastro, profondo appena un metro si apre nel suolo a pochi passi da Derek, che si vede costretto a frenare così bruscamente che i suoi piedi affondano di diversi centimetri nel suolo, staccando qualche zolla di terra.
Una creatura enorme è apparsa davanti ai suoi occhi, come vomitata dagli incubi più neri che mente umana possa partorire. Una creatura dell’Inferno, un messaggero demoniaco pronto a farlo a pezzi se solo muovesse un muscolo.
La bestia è alta quasi quattro metri, con quattro zampe da uccello munite di neri artigli ricurvi. Il corpo è composto totalmente d’ossa, privo di pelle e muscoli e pare un bizzarro intreccio tra l’anatomia di un volatile e quella di un quadrupede più simile a una iena. Le zampe anteriori sono appena più lunghe di quelle posteriori, sei lunghe code irte di aculei con alla punta il familiare triangolo uncinato dei demoni scudisciano l’aria e al centro della gabbia toracica batte un rivoltante quanto umidiccio cuore nero, snudato e avvolto dalle ossa, dal quale sbocciano muscoli rossi sanguinanti che risalendo lungo le fragili costole sbocciano poi in ali nerastre, dalle cui piume piovono gocce di pece e sangue.
La testa è ossea, da uccello, con un micidiale becco ricurvo e le orbite vuote intrise di oscurità. Sulla sommità del cranio sbucano corna ricurve da ariete.
Derek non ha mai visto una creatura tanto spaventosa. Pure per uno come lui, quella visione fa letteralmente accapponare la pelle. La creatura è una macchina di morte, una bestia addestrata a uccidere e torturare anime vive o defunte: non fa differenza.
Ringhiando, Derek retrocede appena. La bestia schiocca il becco, avanzando minacciosa verso di lui come se si preparasse a farlo a pezzi.
Improvvisamente però, qualcosa muta. La creatura si ferma, annusa l’aria, si accovaccia. Le code scudisciano con più nervosismo, fendendo l’aria e abbattendo alberi come se fossero fragili ramoscelli secchi.
-Derek!-
Scott e il resto del branco lo raggiungono di corsa, fermandosi subito dopo quando vedono Duivel e il suo nuovo aspetto tutt’altro che rassicurante. Lydia urla a pieni polmoni e Allison si copre la bocca, gli occhi sbarrati d’orrore.
Improvvisamente un rumore di passi misto al curioso ronzare di furiose raffiche di vento li raggiunge. Qualcuno ride da qualche parte, una donna piange disperata, un uomo si lamenta. Suoni che arrivano da ogni parte, che non hanno una chiara provenienza. Un diapason di voci cresce poco a poco, inquinando l’aria di emozioni sempre diverse ma che riconducono quasi sempre a un unico, inquietante fattore: la follia.
Ogni risata è intrisa di isteria, ogni singhiozzo appare fuori controllo e si mescola a improvvise grida di rabbia.
Duivel raspa il terreno, nervoso.
Improvvisamente, Lydia grida di nuovo, premendosi le mani sulle orecchie. Si accascia al suolo, tremando convulsamente e piangendo lacrime salate che le sbavano il trucco. Allison e Isaac la trattengono a malapena mentre Peter, Derek e Scott si guardano intorno, allarmati. Scott indietreggia, ma qualcosa gli dice che non sarebbe una buona idea provare a uscire dalla radura perché qualunque cosa produca quei suoni li ha accerchiati.
Qualcosa emerge dalle ombre zoppicando, seguita da altre tre ombre. Una donna e due uomini, tutti e tre nudi e… a pezzi. Coperti di sangue, con brani di carne mancanti e profonde ustioni su tutto il corpo. Non c’è un solo millimetro di pelle rimasto immacolato dalle ferite che sono talmente profonde da raggiungere e spezzare le ossa, che a volte sbucando dall’altra parte. Alla donna manca un occhio, un braccio e parte del fianco destro, a uno degli uomini il naso, le orecchie e diversi ciuffi di capelli.
Lydia urla più forte mentre i licantropi si trasformano istantaneamente, tutti tranne Peter.
-Non possiamo affrontarli a mani nude.- dice a bassa voce, gli occhi fissi sulle figure. –Sono morti.-
Derek lo ha capito dal momento in cui Lydia ha iniziato a urlare. Non riesce nemmeno a immaginare cosa si sia scatenato nella sua testa alla vicinanza di quegli abomini.
-Non abbiamo altre armi a disposizione.-
-Sicuro?-
Peter ha appena il tempo di pronunciare quelle ultime parole quando Duivel si slancia sulle creature e con un colpo di coda le trancia di netto all’altezza dei fianchi, spargendo all’aria un vortice di carne, sangue e organi. Senza un grido, i tre si accasciano a terra e spariscono.
Altri spiriti emergono dalle ombre come zombie che ridono, piangono, gemono senza mai fermarsi. Tendono le mani verso di loro, ma Duivel li neutralizza con un colpo d’artigli. Ruota su se stesso e affonda il becco in un cadavere, sbatte le ali per generare raffiche di vento talmente taglienti da fare a pezzi i corpi degli spiriti, ma questi continuano a essere troppi. Ogni volta che Duivel ne abbatte dieci, altri venti prendono il loro posto. È come lottare contro un Idra al quale continuano a crescere nuove teste.
Il bosco sembra improvvisamente troppo affollato e la situazione non fa che peggiorare. Le ombre sono ovunque, Lydia grida fino a spezzarsi le corde vocali e i licantropi non riescono a mandare a segno neanche un colpo d’artigli. Le mani passano attraverso i corpi degli spiriti, lasciandoli perennemente illesi.
C’è il caos, il panico, e Lydia non la smette di urlare. Peter indietreggia, Allison si aggrappa all’amica e le fa scudo col suo corpo mentre Duivel fa del suo meglio per respingere l’orda. Forse la fine del mondo è giunta troppo presto, molto prima di quanto abbiano previsto Stiles e Valefar.
Improvvisamente però, tutto si ferma. Il tempo pare cristallizzarsi quando gli spiriti si fermano e sollevano lo sguardo verso un albero vicino, dove una figura accovacciata canticchia a bassa voce, oscillando esageratamente la testa a destra e a sinistra.
-Are you, are you
Coming to the tree
Where they strung up a man they say murdered three…-
Derek riconosce quella voce, la riconoscerebbe tra mille. Appartiene a quella parte di se stesso che si era allontanata, quella parte che il licantropo ha deciso di inseguire col terrore nell’animo. Ha creduto di trovarlo ferito, morto, rispedito all’Inferno. Ha avuto paura quando ha sentito le parole di Lydia, ma adesso che Stiles è lì va tutto bene. Ogni cosa andrà al suo posto solo e unicamente perché Stiles rischiarerà il buio, respingerà le tenebre più soffocanti e riporterà luce come un sole splendente e impossibile da abbattere che già in precedenza ha rischiarato la strada del branco e la vita di Derek.
-Strange things did happen here
No stranger would it be…-
Il cuore di Derek raggela all’improvviso quando incontra la figura accovacciata di Stiles: indossa solo dei jeans stracciati… ed è coperto di sangue. Il viso ne è impregnato e inzuppa i capelli, gocciolando da diverse ferite alle tempie. Un lungo taglio trasversale gli attraversa diagonalmente la faccia e si ripete sul torace, dove segni di artigli dilaniano la carne.
Derek ha visto delle cose orribili in vita sua, ma mai niente del genere. Quella visione gli spacca il cuore a metà, gli dilania l’anima e la vista. Sente la terra mancargli sotto i piedi perché Stiles ha gli artigli snudati, lunghi poco più di un metro, d’acciaio purissimo, che si diramano dalle ossa stesse delle dita come appendici fuse alla pelle e Derek capisce che quei tagli se li è procurati da solo.
Non Stiles. Lui no, ti prego…
Derek vorrebbe urlare perché capisce di essere lui il motivo di quelle ferite. Ha dato ascolto al suo ego smisurato senza considerare quel po’ di ragionevolezza che lo pregava di non farlo, d’aver pietà. Ma lui pietà non ne ha mai avuta, per suo zio, per se stesso, per il mondo intero. Avrebbe dovuto preservare quell’unico fiore di purezza, quell’unico raggio di luce che lo illuminava per purissima carità gentile, ed è riuscito a rovinare anche questo.
Derek si accorge di essere caduto in ginocchio. Si prostra davanti alla gravità della sua anima nera, capace di contaminare quel po’ di candore che è riuscito a donargli la gioia di vivere laddove altri avevano fallito. Adesso, Stiles sta pagando l’ennesimo conto che non gli appartiene.
-Oh, mio Dio…- sussurra Lydia, che intanto ha smesso di urlare. Ha gli occhi sbarrati e colmi di lacrime, la voce roca.
Duivel indietreggia, spaventato.
-Perché non cantate?- dice Stiles, sorridendo amabilmente con occhi intrisi di follia. –Conoscete questa canzone, vero? No? Posso insegnarvela.-
Una scintilla emerge dalle ombre, talmente veloce che lo stesso Derek distingue a malapena un guizzo fugace nella semioscurità. È un attimo, e sei spiriti vengono falciati come pupazzi di neve e spariscono.
-Are you…-
Altri nove si accasciano in un fiume di sangue. Da soli, senza un lamento. Cosa li ha uccisi, Derek non lo sa.
-Are you…-
A tredici di loro viene staccata la testa di netto, uno dopo l’altro, da un boia invisibile che agisce imperterrito e troppo veloce per essere avvistato.
-Coming to the tree…-
Gli spiriti cominciano a retrocedere spaventati mentre intorno a loro altri muoiono, fatti a pezzi da un inarrestabile serial killer. Stiles continua a cantare, ondeggiando la testa e gli artigli micidiali, sottili ma larghi di piatto come lame di sciabole.
Gli spiriti cominciano a ritirarsi nelle ombre, sparendo velocemente nel nulla. L’ultima rimasta è una donna, che purtroppo, non fa in tempo ad andarsene: qualcosa le buca la pancia e affonda nelle carni, sollevandola da terra.
La coda di Stiles gronda sangue mentre si ripiega per accostare il volto terrorizzato della donna a quello del demone. Lei trema, boccheggia dolorante, cerca di parlare, ma Stiles le appoggia le dita sulle labbra in una morbida carezza che scendendo, lascia che cinque lame affilate le incidano la carne, dilaniandole lentamente il volto.
-Non assomigli a lui, sai? Perché non gli assomigli? Hai… gli occhi troppo grandi. E i capelli troppo lunghi. E i tratti troppo morbidi. Perché non gli somigli?-
Gli artigli incidono con più furia, continuando la loro lenta carezza di morte. La donna urla, si dimena, e ormai Derek è al limite della sopportazione.
-STILES!!!-
In quel momento qualcosa colpisce Stiles alle spalle con tanta forza da spedirlo contro un albero, dove si schianta con violenza, spezzando il tronco. La donna svanisce con un gemito moribondo mentre due identiche ombre sfrecciano in quella che ormai è diventata una radura sgombra di piante, erba e alberi sani. Tutto ciò che resta, è solo tanto sangue.
-Basta così, Stiles. Ti sei divertito abbastanza.- dice Alastor, afferrando Stiles per la gola e inchiodandolo all’albero più vicino. Il demone si accascia alla sua altezza, smette di dimenarsi appena lo riconosce. Gli artigli si ritirano, le ferite cominciano lentamente a rimarginarsi come in risposta a un segnale primitivo, animale, che gli ordina di ascoltare il bambino che ha davanti.
Dumah atterra alle spalle di Alastor col fidato Diaval appollaiato sulla spalla.
-Hai dato una bella pulita qui, vero?-
-Non volevano cantare… non gli somigliavano.-
Dumah si volta verso Derek, che intanto si è avvicinato e l’ha scostata con una spinta. Raggiunge Stiles e afferra con forza il polso di Alastor, costringendolo a mollare la presa. Quello è uno dei suoi torturatori, quello è il demone di cui hanno tutti paura. Quel bambino ha fatto del male a Stiles, ma non accadrà mai più: Derek glielo ha promesso e quella è l’unica promessa che può ancora mantenere.
-Non azzardarti a toccarlo di nuovo.- mormora in tono pericoloso. –Non ti avvicinerai mai più a lui, non gli farai ancora del male. Non finché ci sarò io.-
Alastor lo fissa impassibile, gli occhi improvvisamente brillanti come fari. Sta per parlare, ma qualcosa piove dal cielo per interromperlo, abbattendosi su di loro come una freccia di titanio.
L’impatto con Alastor genera uno spostamento d’aria talmente violento da scagliare via il branco, ma non Derek: il primo istinto del licantropo è quello di proteggere Stiles, di impedire che gli sia fatto ancora del male. Scatta verso di lui, gli passa un braccio intorno alla vita e poggia una mano sul suo capo lurido di sangue, costringendolo ad appoggiare il viso sul suo petto. Gli fa scudo col corpo mentre schegge impazzite e detriti volano dappertutto, accogliendo il nuovo arrivato che ringhia come una furia impazzita.
-Ciao, Valefar.- saluta Dumah, e quando Derek si volta, si trova ad affrontare l’orrore più grande che abbia mai visto. Capisce allora come sia fatto un demone vero, adulto e completamente trasformato. Figlio dell’oscurità e del fuoco, figlio di Lucifero.
Derek non sta guardando un essere vivente, né un cadavere: sta guardando un incubo.
 
Canzone di Stiles: la canzone canticchiata da Stiles mentre impazzisce, si chiama “l’Albero degli Impiccati” e la si può trovare sia nel libro che nel film di Hunger Games. Personalmente però, la versione alla quale mi sono appellata per scrivere il capitolo è questa:  https://www.youtube.com/watch?v=aJISG67FjeM
Traduzione: https://www.facebook.com/HungerGamesHg/posts/183412608453941
 
Angolo dell’autrice:
Eeeeh, sì. Ecco a voi l’ennesima… cosa… che ho scritto. Spero di non aver fatto errori, ma gli esami mi stanno massacrando e lo studio mi permette di scrivere e correggere solo di notte, quando ho finito. Perciò abbiate pietà e ancora una volta vi chiedo perdono per non poter rispondere ai vostri splendidi commenti come meritereste. Un giorno rimedierò, promesso, ma per ora vi chiedo di avere tanta, tanta, tanta pazienza. E… grazie. Per non avermi abbandonato, per aver espresso i vostri dubbi e i vostri apprezzamenti. Giorno dopo giorno, grazie a voi, io riesco a scrivere. Più che diavoletti, siete i miei splendidi angeli. Grazie di cuore, davvero.
Spazio ai ringraziamenti e alle anticipazioni!
Dedico il capitolo ai miei bellissimi angeli:
XAniuEX_lol
Elenuar Black
Nye
Sophi33
_Sara92_
Giada_ASR
Barbara78
An unbroken girl
_Vi___
 

Anticipazioni:
“-Per favore… per favore…- mormora Stiles, oscillando appena il capo. –Falle uscire. Puoi farle uscire?-
Derek lo ignora e continua, ma il suo stomaco si sta stringendo in una stretta sempre più dolorosa che quasi lo soffoca. No, non può far smettere le voci. Non può curare Stiles, non può salvarlo. Stiles è quanto di più buono è capitato sulla sua strada, come un fiore sbocciato tra la neve gelida, e Derek lo ha strappato.
Ti credi ancora tu il mostro, Stiles?
Derek si china su di lui, strofina le labbra prima su una tempia e poi sull’altra con dolcezza sconfinata, come se stesse sfiorando una scultura di fragile cristallo. Non si permette di baciare davvero la pelle di Stiles perché non merita tanto, né sarebbe giusto. In realtà, non dovrebbe nemmeno toccarlo.
Gli angeli non dovrebbero spezzarsi le ali in questo modo. Dov’è Dio quando i suoi figli muoiono così?
Derek lo stringe di nuovo con tanta forza che pare non volerlo lasciare più. Alle sue spalle, sente i singhiozzi di Scott e Lydia e il sospiro disperato di Valefar.
-Non possiamo fare niente?-
A mormorare queste parole è stata colei che meno di chiunque altro avrebbe potuto farlo.”

 
Tomi Dark Angel
 

 

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Capitolo 16
*** Il Volto Del Male ***


"Come poteva esserci un finale allegro?
Come poteva il mondo tornare com’era
Dopo che erano successe tante cose brutte?
Ma alla fine è solo una cosa passeggera, quest'ombra:
Anche l'oscurità deve passare.”
 
Per quanta fantasia si possa avere, riuscire a immaginare l’Inferno e gli orrori in esso racchiusi è difficile, quasi impossibile. Tutta l’oscurità del mondo viene da lì, dalle creature che lo abitano, da quei gironi di dannati che si agitano e gridano in preda all’agonia. Guardare in faccia l’Inferno vero è quasi impossibile perché l’orrore sarebbe troppo e la paura ucciderebbe o farebbe impazzire il povero mortale che lo fissa.
Derek Hale e il suo branco di misere creature terrene lo sanno, l’hanno sempre saputo, ma immaginare una cosa è un conto… trovarsela davanti, è un altro paio di maniche.
Comprendono all’improvviso cosa significhi guardare in faccia il male in persona, gli incubi che fanno gridare gli adulti e piangere i bambini. Comprendono la vera essenza del buio solo allora, quando posano gli occhi sulla creatura appena atterrata sul misero terreno annerito della radura.
Pelle ricoperta di scaglie d’acciaio, lucenti di nero e blu cobalto. Derek le nota subito, come placche indistruttibili, vive di riflessi danzanti e sempre in movimento. Una fiamma reale, intensa e cocente agita lingue inestinguibili di bagliori oscuri tra le scaglie di quella pelle, tingendola di sfumature impossibili sempre nuove. Alcune placche sono spaccate da feroci cicatrici, mentre altre si rompono all’altezza delle labbra sottili di bestia, che si diramano come tagli profondi e irregolari fino all’attaccatura della mandibola, simili a mascelle d’un serpente. Lasciano fuoriuscire i canini troppo lunghi, dei quali uno spezzato, come candide minacce di pericolo che il viso bestiale non riesce a smorzare. Le orecchie a punta sono allungate e appena abbacchiate verso il basso. Una è bucata da un piccolo orecchino ad anello.
La creatura ha delle file di spuntoni lungo gli zigomi troppo magri, sotto gli occhi, sulle spalle e lungo le braccia e quattro corna ricurve, un paio più grandi e un paio più piccole, che sbucano dai capelli biondi troppo lunghi, tanto da sfiorargli quasi i polpacci.
A dispetto della gabbia toracica contro la quale preme la pelle anoressica, che risalta le costole e lo sterno sporgente, le braccia sono esageratamente muscolose, come quelle di un culturista, e sostengono artigli spessi, massicci e frastagliati tanto lunghi e massicci da parere lame di falce. Indossa solo i jeans, dai quali sbucano due identiche code dalla punta triangolare, una blu e una nera. Le zampe sono quelle di una capra scheletrica, dagli zoccoli neri troppo massicci coperti di un metallico strato dorato.
Derek spinge lo sguardo verso le due immense ali nere dalle vele sottili dalle cui ossa fini e bianchissime, gocciola solido catrame.
Nel complesso, la creatura appare come l’assembramento di numerosi corpi spaiati totalmente differenti tra loro: umani e animali, non fa differenza, perché nonostante tutto, nonostante l’aspetto mostruoso e gli occhi folli di rabbia, quella creatura sembra stranamente aggraziata e potente, come un incubo partorito dal più abile dei poeti.
Quello è un demone? Sono fatti così, allora? Anche Stiles è come loro?
Derek non è sicuro di volerlo sapere. Cerca di immaginarsi il suo Stiles ridotto in quelle condizioni, con gli occhi brillanti come fari che anziché azzurri come quelli di Valefar, s’illuminano d’oro.
Quella è una macchina da guerra, uno strumento di tortura generato da Satana stesso. Per quanto orribile però, il demone appare fiero e potente come un’eruzione vulcanica, elegante come una pantera nella sua posizione accovacciata che preannuncia uno scatto improvviso che potrebbe scatenarlo di punto in bianco. Madre natura stessa rifiuterebbe di accollarsi la responsabilità di una creazione del genere, perché mai qualcosa di tanto anomalo ha calcato la terra prima d’ora. Una bestia talmente potente e feroce da piegare il mondo ai suoi piedi, da far apparire insignificante qualsiasi creatura sovrannaturale nata su questo pianeta. Nessun essere vivente nasce per uccidere. Nessuno, tranne quello: un figlio del male, un parto innaturale nato solo e soltanto per contrastare Dio e il candore dei suoi soldati.
Derek conosce la paura vera adesso, mentre guarda Valefar raddrizzarsi e posare gli occhi luminosi su Stiles. Ringhia, snudando una dentatura da predatore e zanne massicce nate per spezzare ossa e sfracellare organi. Neanche il diamante più duro riuscirebbe a contrastare la pressione di quei denti micidiali.
-Cosa gli avete fatto?- sibila con voce rauca, sdoppiata, figlia di due diverse entità maligne che parlano all’unisono. Derek sente vibrare quel timbro nella gabbia toracica, contro le costole, fin dentro le vene e gli organi. È il male, a trasudare quella voce. È il male a darle forma e corpo, come ringhio di bestia impazzita e innaturale, nata dal più macabro aborto della Natura.
Dumah ringhia inquieta, ma Alastor resta impassibile.
-Non abbiamo fatto niente.-
-Stronzate!- ruggisce Valefar, facendo scudisciare le code affilate. –Si sta trasformando, e c’entrate voi!-
-Non abbiamo fatto niente.-
La convinzione di Valefar sembra vacillare davanti allo sguardo impassibile di Alastor, che intanto si è fatto da parte per rivelare la figura accasciata di Stiles, ancora stretta tra le braccia di Derek.
Quando il licantropo lo lascia andare, Stiles trema violentemente e ha gli occhi sbarrati all’inverosimile, fissi su qualcosa che Derek non riesce a vedere.
-Le voci… le voci… ricominciano. Le voci… perché non sono uscite?-
Scrolla il capo violentemente, cercando di sbatterlo contro il tronco alle sue spalle, ma Derek gli blocca la testa, afferrandola tra le mani. Lo costringe a guardarlo, occhi negli occhi, il viso a pochi centimetri dal suo. Respira la sua aria, il profumo di Stiles che s’altera mescolato al puzzo acre del sangue.
-Stiles, guardami! Guardami, sono io!-
Ma Stiles non sembra nemmeno vederlo. Continua a fissare oltre, verso un velo di tenebra infrangibile, massiccio come manto di velluto. Derek non sa cosa vede, ma qualunque cosa sia, lo sta uccidendo, gli lacera le membra e il sorriso.
–Le voci… le voci… falle stare zitte. Zittiscile…-
-Stiles, sono io, Derek!- grida Derek, scrollandolo appena come se questo servisse a svegliarlo.
Vuole che lo guardi, vuole che gli sorrida. Vuole che Stiles lo perdoni, per quanto impossibile. Neanche un santo lo farebbe, Derek ne è consapevole, ma Stiles… è Stiles. E Derek ha bisogno di capire che è ancora lì, con lui.
Stiles continua a balbettare, gli occhi fissi su un punto nel vuoto.  
Il cuore di Derek va in pezzi. Si sgretola un pezzo alla volta davanti allo sguardo folle di Stiles, nero di quel dolore sordo e senza tempo in cui Derek lo ha lasciato affogare dopo aver promesso di proteggerlo.
Gli avevo fatto una promessa…
Ripensa ai sacrifici che Stiles ha compiuto per lui, alla loro visita al tempio d’acqua. Stiles sorrideva, era felice e bellissimo. Si sentiva al sicuro accanto alla stessa bestia che gli ha infine spaccato l’anima.
“Io non voglio essere un mostro”, aveva detto, ma si sbagliava. Il vero mostro è sempre stato Derek, col suo animo colmo di boria e la sua cecità dinanzi ad ogni più piccolo gesto di quel ragazzo troppo dolce, troppo fragile per quel mondo.
Perché sono sempre gli innocenti a farsi male? Perché i giusti muoiono e i malvagi vanno avanti senza voltarsi, sordi alle grida di chi lentamente si spegne senza merito né motivo? È questa la giustizia di Dio?
Derek ha pregato per Stiles, ha chiesto che fosse al sicuro e che superasse tutto questo, ma Dio si è voltato dall’altra parte, rifiutandogli ogni aiuto.
A Derek non importa che tutti lo stiano guardando, che l’intero branco sia lì e possa giudicarlo. Non gli resta più niente, se Stiles lo ha dimenticato.
Si sfila la maglietta, restando in canottiera. Avvolge la stoffa intorno alla mano e poco a poco, con dolcezza, comincia a tamponare il sangue che macchia il viso e i capelli di Stiles. Lui non reagisce, ma continua a mormorare e a fissare il vuoto.
Non importa. Andrà tutto bene.
Derek continua ad accarezzarlo, gli passa la stoffa tra i capelli, con l’altra mano gli tiene ferma la testa. Lo ripulisce con pazienza, senza stancarsi mai, come se questo servisse a scrostargli di dosso tutto il male del mondo. Non basta, non basterà mai, ma Derek vuole illudersi che sia così. Almeno per un po’, vuole concedersi di sognare un mondo migliore dove lui è diverso e Stiles è ancora con lui.
-Per favore… per favore…- mormora Stiles, oscillando appena il capo. –Falle uscire. Puoi farle uscire?-
Derek lo ignora e continua, ma il suo stomaco si sta stringendo in una stretta sempre più dolorosa che quasi lo soffoca. No, non può far smettere le voci. Non può curare Stiles, non può salvarlo. Stiles è quanto di più buono sia capitato sulla sua strada, come un fiore sbocciato tra la neve gelida, e Derek lo ha strappato.
Ti credi ancora tu il mostro, Stiles?
Derek si china su di lui, gli strofina le labbra prima su una tempia e poi sull’altra con dolcezza sconfinata, come se stesse sfiorando una scultura di fragile cristallo. Non si permette di baciare davvero la pelle di Stiles perché non merita tanto, né sarebbe giusto. In realtà, non dovrebbe nemmeno toccarlo.
Gli angeli non dovrebbero spezzarsi le ali in questo modo. Dov’è Dio quando i suoi figli muoiono così?
Derek lo stringe di nuovo con tanta forza che pare non volerlo lasciare più. Alle sue spalle, sente i singhiozzi di Scott e Lydia e il sospiro disperato di Valefar.
-Non possiamo fare niente?-
A mormorare queste parole è stata colei che meno di chiunque altro avrebbe potuto farlo.
Derek si separa da Stiles esclusivamente per voltarsi a fissare Dumah, i cui occhi restano bassi e colmi di vergogna. Se Derek non avesse riconosciuto la sua voce, avrebbe pensato che a parlare fosse stato un’altra.
Alastor aggrotta le sopracciglia, stranito. Per la prima volta, mostra un barlume di sorpresa sul viso gelido di bambino. -Dumah, il nostro compito è anche questo, lo sai. Non fare stupidaggini. Sei sempre stata la prima a volere che Stiles mutasse.-
Dumah serra le labbra e gli occhi, il capo chino e la pelle abbronzata improvvisamente troppo pallida. Accoccolato sul suo collo, Diaval nasconde il muso tra le zampe.
Lentamente, dopo quelle che sembrano ore di immobilità, lei rialza lo sguardo e incrocia quello gelido di Alastor.
Per secoli interi, Dumah ha avuto paura di lui, di Satana, dell’Inferno. È sempre stata una serva fedele brava a lavorare a capo chino, che non fa mai domande e che uccide senza pensarci due volte. L’hanno scelta per questo, perché sa fare il suo lavoro. Non ha mai disobbedito in vita sua, abituata a rispettare i superiori e a restare in silenzio quando lo richiedevano. Si diverte a torturare, ha sempre finto di essere libera, ma non è così.
Stiles ha cambiato qualcosa in lei dal primo istante in cui lo ha incontrato. Al contrario di tutte le altre anime pronte a piegarsi al suo cospetto e a coprirsi il volto, quel bizzarro ragazzino dall’aria buffa non ha mai avuto paura di lei. Dal loro primo incontro all’Inferno, l’ha guardata come si guarda un pari, una persona normale e non un mostro appena uscito dagli incubi più reconditi dell’animo umano. Assurdamente, ogni tanto le sorrideva, anche mentre lo torturava, trasmettendole con gli occhi un solo, straordinario messaggio: Io ti perdono.
Con la sua docilità, col suo sorriso, con le sue umane maniere, Stiles ha fatto qualcosa che all’Inferno non è mai accaduto prima del suo arrivo: si è ribellato. Ha alzato lo sguardo sui demoni, si è rifiutato di sottrarsi ai loro colpi e li ha affrontati a testa alta, uno dopo l’altro, sopportando dolori indicibili senza mai piegarsi. Così piccolo, ma anche così testardo.
Dumah non sa cosa sia cambiato in lei dal momento in cui lo ha incontrato. Se prima del loro incontro percuotere anime la divertiva da impazzire, da quel momento non è più stato così: Dumah ha incontrato quegli occhi colmi di pietà e coraggio, elementi che all’Inferno sono sempre stati banditi, e subito qualcosa si è trasformato nel suo petto, nel suo essere. Ha guardato quel ragazzo rialzarsi dopo ogni sferzata, lo ha visto pregare più forte nonostante le torture, ha tentato di proteggere altre anime quando queste parevano in procinto di cedere alla follia. Pregando all’Inferno, ha sfidato Satana stesso e le sue regole, spezzando catene che mai prima d’allora erano state infrante.
E poi, è successo.
Dumah ha iniziato a ricordare da quando ha sentito la voce di Stiles la prima volta. Piccoli stralci di emozioni le attraversavano la mente, rendevano instabile la sua mutazione in demone, la facevano ringhiare di frustrazione. Provava… pietà. Pietà per quelle anime impure e degne di tortura. Possibile? La pietà non esiste in un demone. Ma Dumah la provava, e più il tempo passava, più gli sbalzi d’umore e un crescendo di emozioni aumentavano in lei.
Stiles ha sfidato l’Inferno e i suoi abitanti.
Stiles ha sfidato Dio e Lucifero per quell’insignificante licantropo che adesso gli ripulisce il viso dal sangue.
Stiles ha cambiato le regole del Creato stesso per amore, sfondando una barriera che nemmeno i migliori erano riusciti a scalfire.
I demoni non possono redimersi perché non meritano perdono, eppure Stiles… lo ha fatto. Perdonava Dumah quando lo colpiva, perdonava Alastor quando lo faceva a pezzi e ha perdonato anche Lucifero per averlo trasformato nella bestia peggiore dell’universo.
Stiles le ha insegnato a reagire, a sollevare il capo ogni volta che è giusto, ogni volta che c’è in gioco qualcosa di più importante della propria stessa vita. E Dumah alla sua vita, non ci tiene molto.
Forse, è ora di scegliere autonomamente la propria strada.
-Sì, ho intenzione di ribellarmi!- ringhia, piazzandosi davanti a Stiles e Derek. –E sai perché? Perché è giusto, Alastor! Mi ribello perché voglio essere libera, perché questo è stato anche il nostro mondo e noi che ci divertiamo a torturare umani non eravamo tanto diversi da loro un tempo! Non mentirmi, so che anche tu hai ricordato degli stralci di vita passata, e questo dovrebbe essere impossibile per tutti noi! Credevamo perdute le nostre anime, i nostri ricordi, quando invece l’unico posto dove non eravamo intenzionati a cercare era in noi stessi! Ci crediamo privi di emozioni, ma non è così e questo stupido ragazzino lo ha dimostrato!-
Dumah indica Stiles con un dito sottile, sorridendo.
-Ci ha fregati tutti perché aveva già capito e conosceva tutte le risposte! Non ha mai pensato che fossimo diversi, non ci guardava diversamente da come guardava tutti gli altri umani… non aveva paura di noi. Lui vedeva in ogni demone ciò che era stato e lo perdonava perché percepiva il suo dolore, la sua rabbia, la sua impotenza. Una volta l’ho sentito pregare, e sai cosa chiedeva a Dio? Che i demoni trovassero la strada giusta da seguire! Gli risi in faccia, ma adesso so che aveva ragione perché i nostri ricordi, la nostra vita, ogni cosa… dipende da noi! Sono le nostre scelte a renderci demoni o angeli, non il nostro aspetto. Abbiamo sbagliato tutto dall’inizio…-
Dumah sorride sollevata, felice di essersi finalmente scaricata di dosso quel peso che da tre anni la opprime all’altezza del petto. Qualcosa di caldo le bagna dolcemente la guancia, accarezzandole la pelle e Dumah si tocca il viso strabiliata, gli occhi sbarrati di sorpresa. Allontana la mano dalla faccia e fissa come in trance i polpastrelli umidi, puliti.
Sta… piangendo? E quelle sono lacrime umane, non demoniache. Quelle sono emozioni vere, forti, vive.
Tremando, Dumah divarica le gambe.
-Ora fai quello che ti pare, Alastor: vuoi combattere? Fatti sotto. Vuoi uccidermi? Provaci. Ma io stavolta scelgo il libero arbitrio e so da che parte stare. Non risponderò più né a Satana, né a Dio… io combatto con gli uomini.-
-Sexy.- commenta Peter.
Alastor assottiglia lo sguardo. –Dumah, non farmelo fare. Ti stai sacrificando in nome di una razza difettosa e lo sai bene. Non ti basta ciò che hai già visto giù all’Inferno? Quanti bestemmiavano mentre cadevano? Quanti rifiutavano di assumersi la responsabilità del loro stesso male? Gli umani non lo meritano, e queste bestie anche meno. Torna sui tuoi passi prima di fare qualche stupidaggine.-
-No.-
Qualcuno oltrepassa Alastor, una creatura alata inseguita da una bestia otto volte più grande: Valefar affianca Dumah, volgendo le spalle a Stiles e Derek per nasconderli alla vista. Le sue ali si spalancano appena come un velo separatorio.
-Io devo molto a Stiles. La mia intera esistenza si è rivoltata come un guanto grazie a lui. Mi ha insegnato cos’è l’amore e mi ha insegnato a riconoscerlo negli occhi di chi osserva. Io… io so chi sono, Alastor. So chi sono e lo devo a lui, a Stiles. Così piccolo, così coraggioso… abbastanza umano da potermi insegnare l’umanità. Non gli volterò le spalle. Scelgo il libero arbitrio a mia volta.-
Alastor esita, dubbioso.
-Ha ragione.- Scott li raggiunge e li affianca, gli artigli snudati e gli occhi rossi. –Stiles è mio fratello, demone. Se tocchi lui, te la vedi anche con me.-
-E con me.- Isaac sorride, aggiungendosi al gruppo.
-E con me.- Allison.
-Odio dirlo, ma Stiles è mio amico. Nonostante sia il più grande degli idioti, sono costretta a difenderlo.- Lydia si piazza accanto a Valefar, che la fissa stupito. Improvvisamente, la ragazza sembra non avere più paura di lui. Al contrario, gli sfiora la mano artigliata con la punta delle dita e lui si chiede se si tratti di un contatto casuale oppure no.
Si schierano tutti, ognuno dalla parte di Stiles e Derek, quei piccoli elementi del branco che per gli altri appaiono fondamentali. Entrambi hanno sempre agito nel giusto delle loro intenzioni, nella caparbietà di inseguire ciò in cui credevano. L’hanno sempre fatto, e questo li ha portati a diventare una parte importante del branco, quei pezzi che da soli formano un nulla ma insieme… sono l’universo.
Derek non vivrà senza Stiles e questo spinge tutto il branco ad agire, a scegliere in libero arbitrio da che parte stare.
Alastor li fissa uno a uno, per la prima volta veramente dubbioso. Indietreggia di un passo.
-Non possiamo ribellarci, Dumah. È sbagliato, è contro l’ordine dell’universo.-
-L’universo ha deciso che perdessimo la memoria e diventassimo bestie? L’universo ha deciso che non abbiamo bisogno di essere liberi?- ringhia Dumah di rimando. –Apri gli occhi, Alastor: questo ragazzino è riuscito in pochi anni a farci sentire meglio di come ci sentiamo ogni volta che torturiamo dannati o rispondiamo agli ordini di Lucifero! Unisciti a noi, schierati dalla nostra parte! Glielo dobbiamo!-
-Io non devo niente a nessuno.-
-I tuoi ricordi, Alastor… gli devi la tua stessa anima.-
-Io non ho un’anima! Me l’hanno fatta a pezzi quasi mille anni fa!-
-Proviamo emozioni, ridiamo, ci divertiamo! Abbiamo un nome, una vita, un cuore che batte! Siamo vivi, ed è grazie alla consapevolezza di avere un’anima che ricordo di nuovo che forse il sole non è poi tanto male. Da quanto tempo non guardiamo la luce da vicino, ammirandola per quel che è? A te va veramente bene così? Dimmelo!-
Alastor riacquista la sua gelida maschera di impassibilità. Raddrizza la schiena e si volta, dirigendosi verso il folto degli alberi.
-Non tradirò il mio signore e tu ti pentirai di averlo fatto, Dumah. Lo stesso Stiles pagherà per l’accaduto, ma per questa volta… fingerò di non avervi mai incontrati.- Alastor si ferma, volta appena il capo per fissare il demone accasciato contro l’albero e ancora stretto tra le braccia di Derek. –Ho pur sempre un debito nei suoi confronti.-
Tornando a voltarsi, Alastor sparisce nel nulla, inghiottito dalle ombre.
-Bene, e adesso?- sbotta Lydia.
 
Derek non sa perché ha accolto quella maledetta stronza in casa sua, né riesce a spiegare a se stesso come mai abbia accettato di avere il loft affollato di gente. Passi per Stiles, comodamente accoccolato sul divano, intento a oscillare il capo e a mormorare mentre Derek lo sorveglia da vicino come un custode iperprotettivo, ma gli altri?
Scott, Lydia, Allison, Isaac, Peter, Chris, Valefar… Dumah.
Ci sono già troppe persone lì dentro, per non parlare poi degli animali: una grossa civetta, un furetto che corre dappertutto e che per poco Derek non schiaccia sotto il tacco della scarpa e Diablo, che ormai non si lascia più avvicinare. Come il padrone, passa il suo tempo a scrollare il capo e a gracchiare a bassa voce. Identici, fino all’ultimo gesto.
Insomma, casa sua è diventata più affollata di uno zoo e una metropolitana messi insieme e la cosa non gli piace. Vorrebbe restare da solo con Stiles, parlargli, prendersi cura di lui per lenire appena quel senso di colpa che lo sta divorando passo dopo passo come un tarlo che gli sbrana le viscere e il cervello.
Stiles sembra essersi calmato appena, ma la situazione non pare voler migliorare ancora: non ricorda la sua vita, il suo nome, i suoi amici. Continua a sussurrare follemente, oscillando il capo come un pendolo e gracchiando di tanto in tanto in lingua demoniaca. Non sorride più, e questo a Derek fa male perché il mondo per lui sembra aver perso una parte delle sue meraviglie più preziose.
Sottrarre il sorriso a Stiles è come cancellare il calore del sole dal pianeta. Tutto sfuoca, si ingrigisce, perde vitalità come una rosa che perde petali. A Derek sembra di vedere tutto in bianco e nero dal momento in cui Stiles lo ha guardato senza riconoscerlo.
Ed è tutta colpa sua.
-Insomma, ci deve essere un modo per restituirgli la memoria!- esclama Scott, preoccupato. –Non possiamo lasciarlo così!-
Valefar, appoggiato allo stipite della porta a braccia conserte, non fa altro che fissare Dumah di traverso. Ha i pugni stretti, le labbra serrate e la sua civetta non fa che volare sulle loro teste, tenendo d’occhio Diaval.
-Sì, Dumah: cosa vorresti fare adesso? Abbiamo appena scelto di fare la balia a un demone quasi del tutto trasformato che a breve darà totalmente di matto e diventerà una perfetta macchina di morte. La sua anima è ko ormai.-
Dumah si lecca le labbra, sorridendo. –Ti sei già pentito, dolcezza?-
-No, ma ora che ci penso non è stata una buona idea scegliere di prenderci cura di Stiles. Se ho avvertito bene l’ampiezza della sua reale potenza, so per certo che Alastor è forse l’unico in grado di tenergli testa nel caso ci si rivoltasse contro.-
-Stiles non lo farebbe mai!- ringhia Scott.
-Non ne sarei così sicuro.- si intromette Isaac.
-Cosa?!-
-Scott, ragiona: Stiles non ci riconosce e il suo cervello funziona in maniera del tutto anormale adesso. Se improvvisamente decidesse che noi siamo i cattivi, quanto dureremmo?-
Derek non apre bocca perché in fondo al cuore, sente di essere d’accordo con Isaac: se il solo aspetto demoniaco di Valefar è bastato per inquietarlo, cosa accadrà quando a trasformarsi sarà Stiles? Dumah ha detto che potrebbe essere anche più forte di Alastor stesso, il che è assurdo perché Stiles è un fragile ragazzino iperattivo, lo stesso che lo ha stretto a sé e ringraziato quando Derek lo ha accolto nel suo letto per spingerlo a dormire. Stiles è puro come l’acqua, travolgente come il fuoco e gentile come un fiore sbocciato dalla terra. Non è un mostro.
-Deve tornare all’Inferno, Dumah.-
La proposta di Valefar scatena all’istante una vera e propria reazione a catena: per un secondo cade il silenzio, ma poi Scott scatta e prima ancora che gli altri possano fermarlo inchioda Valefar al muro, snudando i canini e gli artigli.
Inquietante, sinistro. Minaccioso come solo un vero Alpha potrà essere.
-Non me lo porterete via di nuovo!- ruggisce con voce gutturale mentre Valefar lo fissa senza tuttavia tentare di liberarsi. –Non andrà mai più all’Inferno finché ci sarò io! Non è uno di voi e non è più sotto  il controllo di Satana…-
-Controllo.- dice improvvisamente una voce alle loro spalle, zittendoli. Peter Hale fissa Stiles con fare assorto, studiandolo attentamente come se lo vedesse per la prima volta. –È questo che serve, giusto?-
-Di che parli?- gracchia Valefar, ancora stretto nella presa di Scott. –Non dovrebbe… MI LASCI ANDARE?!-
-Scusa.-
Scott lo libera.
-Finora mi è sembrato di capire che il problema principale di Stiles sia l’autocontrollo. Temete che all’improvviso impazzisca e si trasformi completamente, giusto?-
Dumah annuisce.
-Quindi, cosa accadrebbe se noi… lo abituassimo a usare poco per volta il suo potere? Se la cosa fosse graduale, forse l’anima del ragazzino non ne resterebbe annientata del tutto. Era questo il piano, all’inizio.-
-Aiutarlo a diventare un demone?- sussurra Dumah, interessata.
-Voi due siete già demoni completi e sapete come usare i vostri poteri. Finora in Stiles ho solo visto paura e reticenza ogni volta che tentava di avvalersi del suo più che interessante potenziale, ma adesso che non ha più ricordi e la sua testa è una tabula rasa, non dovrebbe preoccuparsi granché dell’effetto che sortirebbe su chi lo conosce.- 
Derek ringhia. –Stai scherzando, vero? Noi non vogliamo che diventi un demone, idiota. Dobbiamo trovare il modo di invertire il processo e restituirgli la memoria.-
-No, ha ragione!- esclama improvvisamente Dumah. –Questa cosa non è mai stata provata prima! Solitamente, i demoni in fase di trasformazione fanno il possibile per invertire il processo e per contrastare la loro natura: quel minimo che resta della loro anima si sfracella nello sforzo di combattere qualcosa che non può essere sconfitto e alla fine il demone si completa. Ma cosa accade se incrementassimo questo processo? Se dall’altra parte il bocconcino qui presente…- E qui fa un cenno verso Derek. -… cercasse di riportare a galla i suoi ricordi…-
-Aspetta un attimo, cosa ti fa pensare che io…-
-Non fare l’idiota, Derek! Sei più tardo di Scott!- esplode Lydia.
-Ehi!-
A passo di marcia, Lydia raggiunge Derek e gli preme un dito sul petto. È stanca, non ce la fa più. Solo un imbecille totale non noterebbe gli sguardi che si scambiavano Derek è Stiles e solo un imbecille come Derek avrebbe continuato a ignorare lo stesso volere del suo animo. E Lydia non può sopportarlo, perché si trovano in questa situazione per colpa di Derek e della sua stupidità.
–Devo essere io a dirti che Stiles ha fatto tutto questo per TE?! Ok, noi siamo il suo branco e tutto, ma tu… tu rappresenti qualcosa in più per lui e non dovrei essere io a dirtelo! Cosa accidenti avete, voi maschi? È tanto difficile vedere certe cose? Stiles ti ha sempre girato intorno, sopprimeva i suoi poteri specialmente quando c’eri tu e se eri in pericolo li scatenava!
-Sei tu il suo innesco e il motivo per cui è tornato! Quel ragazzo scalerebbe le montagne a mani nude solo se in cima ci fossi tu! Ha sofferto le pene dell’Inferno, ha lottato contro i suoi stessi simili e ti è rimasto accanto in ogni caso, sopportando i tuoi insopportabili sbalzi d’umore da donna mestruata! Avresti potuto spezzargli gambe e braccia, ma lui si sarebbe comunque trascinato verso di te per restarti accanto fino alla fine! Tutto questo, senza chiederti niente in cambio. A lui basta che respiri, che vivi e lo guardi di tanto in tanto. Si è sempre accontentato di questo per anni e tu ancora non capisci perché l’ha fatto?!-
Derek non ha parole. Non vuole credere a ciò che ha appena sentito, ma qualcosa nel profondo dell’animo gli dice che Lydia… ha ragione. Stiles c’è sempre stato, pronto a rischiarare le sue giornate, a risollevarlo come un angelo silenzioso che, nonostante le rispostacce ricevute e i continui battibecchi, ha sempre scelto di perdonarlo.
Lui c’era. E Derek non ha mai voluto guardarlo davvero.
Derek non è bravo nell’esprimere i sentimenti, né a capire ciò che prova egli stesso. Una cosa però, la sa bene: Stiles è quanto di più importante gli sia mai capitato tra le mani. Prezioso come un diamante di immense proporzioni, fragile come un fiore appena sbocciato, e allo stesso tempo forte come l’acciaio. Non ha mai avuto bisogno di protezione, ma Derek ha sempre pensato di sì perché voleva trovare un pretesto, qualcosa che gli permettesse di vederlo, di stargli vicino, di rasserenarsi al suono di quel cuore che batteva sereno, scandendo come un orologio il trascorrere delle giornate.
Per Derek, Stiles è inizio e fine, alba e tramonto, sole e luna. Il centro del suo universo gravita lì, in quegli occhi che adesso si nascondono serrati dietro le palpebre, ma a Derek non importa perché qualunque cosa accada, gli resterà accanto e lo proteggerà fino alla fine.
Perché, in fondo, il lupo che è in Derek ha scelto Stiles anni addietro, quando i loro occhi si incontrarono per la prima volta. È giusto capirlo così tardi, quando ormai ogni cosa crolla loro addosso e il mondo li tradisce, separandoli in quel modo tanto barbaro?
Derek non apre bocca, non parla più. Vorrebbe urlare, prendersi a calci per non aver capito prima: la completezza che gli donava Stiles ogni volta che semplicemente lo fissava, era quanto di necessario spingesse Derek a sorridere e respirare. Non il sole, non il semplice battito cardiaco: Stiles è tutto ciò che gli serve, tutto ciò che vuole, e così sarà. Gli resterà accanto fino alla morte, non permetterà a nessuno di ferirlo o a lui di ferire se stesso. Sarà il suo guardiano per l’eternità, vegliandolo da vicino finché il sole non tramonterà sulla sua vita.
Derek respira a fondo, cercando di calmarsi, di non odiare se stesso come ha sempre fatto. Stiles non vorrebbe, e non è il momento di auto commiserarsi.
La giornata volge al termine. Il sole sta ormai tramontando, sbocciando sul mondo raggi ambrati di un calore ormai prossimo a sparire quando il corpo di Derek comincia lentamente a mutare. La forma umana si rattrappisce, le ossa si rimodellano, la pelle si ricopre di lucidi e lucenti peli neri.
Lentamente, il grosso lupo dagli occhi blu si accuccia accanto a Stiles e gli posa il muso in grembo. Chiude gli occhi, inspira il suo profumo così familiare che per Derek sa di casa.
Resterà lì per sempre, accanto a Stiles. Dove andrà lui, andrà anche Derek perché ormai sono legati e Derek non lo lascerà più andare: lo seguirà fino all’Inferno, se necessario, ma rimedierà ai suoi errori sorvegliandolo in eterno come uno spirito guardiano che lentamente invecchierà accanto a quella metà di se stesso che non lo riconoscerà mai e che forse un giorno deciderà di porre fine alla sua stessa vita. Andrà bene così.
Al cospetto dei presenti, Derek mette se stesso nelle mani di Stiles, affidando il suo futuro a un’anima già scomparsa che di umano ormai, non possiede più niente.
 
Scott non riesce a dormire. Continua a rigirarsi nel letto, a spalancare le palpebre, a fissare il nulla alla disperata ricerca di una risposta. Chiede all’oscurità un aiuto, chiede al mondo un barlume di pietà. Vorrebbe sentirsi dire che va tutto bene, che si aggiusterà ogni cosa, ma da quando ha lasciato l’appartamento di Derek, ha sentito come un peso schiacciargli le ossa e gli organi, l’anima e le membra.
Si sente pesante, Scott. Sulle sue spalle troppo giovani gravano troppe responsabilità, troppi avvenimenti. Quasi non riesce a respirare, e questo lo fa contorcere tra le lenzuola del letto in una disperata lotta contro l’ansia e la paura, il dolore e uno schiacciante senso d’impotenza.
Per l’ennesima volta, si è rivelato inutile. Non salvò Stiles tre anni fa, quando un uomo entrò nella sua stanza e lo fece a pezzi per deportare la sua anima all’Inferno, e non l’ha salvato neanche adesso, da se stesso e dalla follia che lo trascina giù, sempre più giù, verso un baratro che Scott non riesce a vedere.
Suo fratello. Scott sta perdendo suo fratello e, per quanto potente, non può muovere un dito. Cosa può un licantropo contro dei demoni? Cosa può un ragazzino contro le forze di Dio e dell’Inferno?
Se credesse minimamente nella carità divina, Scott pregherebbe. Pregherebbe per Stiles, per Derek, per il branco e il mondo intero. Ma lui in Dio non ci crede, non ci ha mai creduto, e non ha intenzione di iniziare adesso che per l’ennesima volta, le cose vanno allo scatafascio. Il suo universo gli crolla addosso e come al solito, Dio non c’è. Forse è occupato, forse lo ignora e basta, ma Scott è stanco di pensare che esista davvero una divinità tanto egoista.
Con uno scatto irritato, Scott getta le coperte per terra e siede sul bordo del letto.
Melissa non sa niente. Non sa del ritorno di Stiles, non sa dell’esistenza dei demoni e, come era all’inizio di tutto, Scott si vede costretto a tacerle ogni cosa. Non merita di sapere che esiste veramente un Inferno dall’altra parte, così come non merita di sapere che Stiles, il ragazzino che ha visto crescere e maturare, ha passato tre schifosi anni tra sangue e torture.
Un colpetto secco, qualcuno che bussa alla sua porta.
Scott non si volta nemmeno, perché conosce bene       quell’odore e il battito cardiaco sempre un po’ alterato, tipico delle persone ansiose che in passato, hanno vissuto esperienze abbastanza brutte da spingerle eternamente sulla difensiva.
La porta si apre, qualcuno si avvicina. Passi leggeri, respiro lento, fruscio di abiti contro pelle troppo chiara.
Isaac compare nel suo campo visivo, l’aria stanca e i capelli umidi appiccicati al volto. Profuma di bagnoschiuma e foresta, di casa e familiarità. Per Scott è una parte della famiglia, un pezzo importante della sua vita: si è abituato ad averlo intorno, a vederlo in casa sua, nei suoi spazi e nei suoi silenzi.
In effetti, la presenza costante e silenziosa di Isaac, gli ha impedito di crollare quando Stiles scomparve. Scott soffriva come un cane allora, ma cercava di non darlo a vedere. Si chiudeva a chiave nella sua stanza per ore, correva nella foresta fino a consumarsi le piante dei piedi, restava immobile sotto la pioggia, appostato nei pressi di casa Stilinski nella speranza che qualcosa cambiasse, che Stiles comparisse di nuovo e lo salutasse col suo tipico sorriso.
Tutto inutile.
Stiles non si è visto per tre anni, e per tre anni Scott ha atteso senza esito il ritorno di un fratello che pareva averlo dimenticato.
In quel periodo però, qualcosa di diverso c’era. Un punto luce, un’ancora solida e caritatevole.
Quando Scott tornava a casa stanco, sanguinante o bagnato fradicio, faceva il possibile per non farsi vedere da sua madre. Non voleva che si preoccupasse, non voleva che qualcuno lo vedesse in quelle condizioni. Voleva farle credere di essere ancora il vecchio Scott, lo stesso ragazzo ingenuo e troppo dolce. Ma non era più così, e in qualche modo, Melissa lo sentiva. Lei lo cercava, lo chiamava, lo inseguiva su per le scale, ma Isaac la distraeva di continuo, dando a Scott il tempo per darsi una ripulita.
Scott non ha mai capito perché lo facesse, così come non comprende il significato di quel piatto di latte caldo e biscotti che Isaac gli faceva trovare sul letto al rientro. Non erano mai freddi, e questo Scott non se lo spiegherà mai.
Quando Stiles mancava, Isaac c’era. Ma Isaac non è Stiles, e Scott lo sa bene. Isaac non è suo fratello, eppure… per Scott è un’ancora, un appiglio solido e reale al quale aggrapparsi quando ne ha più bisogno.
Anche adesso, Isaac è lì, al suo fianco: non parla, non lo guarda. Semplicemente, siede al suo fianco e appoggia tra loro un piatto di biscotti caldi accompagnati da un bicchiere di latte fresco. Come un guardiano silenzioso, lo sorveglia, lo spalleggia, lascia che Scott assorba il calore della sua presenza.
Non lo giudica come farebbero gli altri perché più di tutti, Isaac conosce il peso della debolezza umana. Sa che Scott è un ragazzo troppo giovane, sa che Scott non è un Alpha totalmente bestiale come gli altri. Prova sentimenti, esterna dolore e fragilità quando è necessario. Ed è per questo che Isaac si fida di lui. Il suo Alpha, la sua guida.
-Andrà tutto bene.-
E Scott ci crede, perché l’unica cosa di cui aveva bisogno, era di sentirselo dire.
Credi nei sogni, finché ti è possibile sognare.
Chiude gli occhi, senza accorgersene rilassa i muscoli e si accascia tra le coperte. La mente si abbandona ai ricordi d’infanzia, dove Stiles sorride, lo abbraccia, gli scompiglia i capelli e lo rincorre dappertutto. La sua casa, la sua famiglia. Anche se solo nella sua testa, va tutto bene.
 
Angolo dell’autrice:
Alla fine, anche l’oscurità deve passare. Lo dice Sam ne “Il signore degli anelli” e lo ripeto io adesso. Alla fine, i periodi più bui spariscono. Dunque, è per questo che dedico a voi questo capitolo, con le sue imperfezioni, le sue piccolezze, le sue misere parole. Quel po’ che la mia mente possiede, lo dono a voi. Voi, che vi sforzate di leggere e lasciare un commento anche piccolo, ma che nella sua piccolezza sa essere grande e lucente come il più puro dei diamanti. Per la mia scrittura, rappresentate la luce. Quando l’oscurità arriva, rileggo le vostre parole e sorridendo, torno a scrivere. Nella mia maledetta monotonia, vi ringrazio ancora, dal profondo del cuore. Ho tanti impegni ultimamente, ma per voi mi sforzo di scrivere di notte, a costo di perderci il sonno, perché lo meritate, perché ogni mia parola, piccola e forse inutile, è dettata dalla speranza che qualcosa, un piccolo angolo di purezza, giunga a voi nel momento del bisogno, come piccolo pegno di ringraziamento per la vostra innata dolcezza, per la vostra pazienza, per il vostro entusiasmo. Grazie.
E adesso, spazio ai ringraziamenti e alle anticipazioni!
Un grazie accorato a:
Nye
XAniuEX_lol
Giada_ASR
Angie_97
KuramaLiz
Elenuar Black
Barbara78
Sophi 33
Akashi
_Sara92_

 
Anticipazioni:
“Ci stanno mettendo troppo, non va bene. Sarebbero dovuti tornare un paio di minuti fa, ma di Dumah, Valefar e Stiles non si vede nemmeno l’ombra e Derek comincia a spaventarsi.
Dov’è Stiles?
La sua mente comincia a lavorare in modo febbrile, esponendo scenari sanguinosi e terrificanti dove Dumah si rivolta e fa a pezzi Valefar e Stiles o dove quest’ultimo si trasforma improvvisamente in demone e ammazza gli altri due. Deve essergli successo qualcosa di brutto e questo Derek non può sopportarlo.
Ignorando i richiami di Scott, si slancia in avanti e comincia a correre, seguendo la scia di quell’odore tanto familiare che ormai Derek riconoscerebbe tra mille. Quel profumo è come una parte di lui, quel piccolo pezzo del suo essere rimasto intatto.”

 
Tomi Dark Angel
 

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Capitolo 17
*** Un Grido Dall'Inferno ***


“Le favole non dicono ai bambini che esistono i draghi:
I bambini sanno già che esistono.
Le favole dicono ai bambini
Che i draghi possono essere uccisi.”
 
Quando gli altri se ne vanno, il loft si svuota. Derek non ha più ripreso forma umana, ma non ha permesso che allontanassero Stiles da lui. Quando Dumah ha tentato di separarli, il grosso lupo nero le ha quasi staccato la mano a morsi e tanto è bastato affinché tutti capissero l’antifona.
Per tutta la notte, Derek non si allontana. Non mangia, e beve soltanto una volta. Al contrario, trascorre ore intere accucciato accanto a Stiles, che continua a gemere e a oscillare il capo senza mai stancarsi. Va avanti per ore, un minuto dopo l’altro e Derek è ormai così abituato a quel mantra che parla di voci e di mal di testa che comincia ad avere l’emicrania a sua volta.
Non sa cosa fare. Non è bravo con le parole, né con i gesti. Non sa esprimersi come vorrebbe e vedere Stiles in quello stato è come un incubo a occhi aperti. Non finisce mai, non gli dà tregua e fa male.
Dov’è il suo sorriso, adesso? Dove sono le sue battute, la sua genuina parlantina, la sua gioia di vivere? È giusto che sia sparito tutto così?
Dopo quasi tre ore di mantra ininterrotto, Derek non ce la fa più: allunga il muso e senza pensare lo appoggia sulla fronte di Stiles, sperando che il bagnato del suo naso lo aiuti a calmarsi a zittire quelle voci che lottano al suo interno per riportarlo indietro, o per trascinarlo avanti.
Quando era piccolo, Derek soffriva di incubi. Si agitava nel sonno, gridava, a volte addirittura piangeva. Sognava di essere inseguito dagli Argent o che i cacciatori sterminassero la sua famiglia davanti ai suoi occhi come poi è accaduto qualche anno più tardi. In quei momenti, Talia non mancava mai di comparire al suo fianco: gli baciava le tempie, lo abbracciava e lo cullava dolcemente con pazienza materna finché Derek non si calmava.
“Nessun mostro è imbattibile, tesoro”; diceva. “La luce sboccia anche dove l’oscurità è più fitta”.
E stavolta, Derek vuole credere nella luce. Sia pure pere mera disperazione, ma vuole farlo. È per questo che dolcemente appoggia una grossa zampa sulla base del collo di Stiles e fa combaciare le loro fronti. A sorpresa, Stiles si immobilizza e finalmente apre gli occhi.
Occhi ambrati di creatura demoniaca e occhi blu di lupo selvatico.
Occhi caldi di sole assopito e occhi gelidi di ghiaccio caldo d’affetto.
Dio, quanto gli sono mancati gli occhi di Stiles. Rivederli per Derek è come tornare a respirare aria pulita e guardare quelle palpebre sottili che si sollevano è come fissare il sole che sorge.
-Fa male…- mormora Stiles, incolore.
Lo so; vorrebbe rispondere Derek, ma qualcosa gli dice che mille parole non varrebbero lo sguardo che gli sta rivolgendo adesso. Semplicemente resta in silenzio e gli lecca la guancia. Una, due, tre volte. Ripete il gesto senza vergogna, perché almeno per ora, nessuno li osserva e Stiles non è abbastanza in sé per prestarvi attenzione.
Per Derek invece, un gesto del genere è importante, così come lo è tra i lupi. Una lappata del genere ha mille significati, mille risvolti di pensiero. Derek non compie questo gesto da quando ha perso la sua famiglia, e ora lo affida a Stiles come il suo segreto più prezioso.
Alla fine, con immensa sorpresa di Derek, Stiles si accascia. Appoggia il corpo contro il suo, chiude gli occhi e continua a sussurrare, ma stavolta con meno convinzione. Derek adagia il muso sul suo collo e lo scalda, chiudendo gli occhi e abbandonandosi alla sensazione del profumo che emana dalla sua pelle.
Vuole crederci, vuole farlo fino alla fine. Sua madre diceva che la speranza muore solo e soltanto quando l’ultimo essere vivente al mondo avrà smesso di credere in essa. E Derek non smetterà di sperare, non finché Stiles sarà vivo e avrà bisogno di lui, del suo appoggio, della sua protezione.
Lo riporterà indietro. Ha fatto una promessa, dopotutto.
 
-Stiamo facendo una cazzata, me lo sento.- sbotta Chris, passandosi una mano sul viso quando vede Dumah comparire davanti ai miseri rimasugli di casa Hale. Indossa solo dei pantaloncini da palestra e un top esageratamente striminzito. Le pupille dei suoi occhi sono ristrette, quasi cieche alla luce del mattino.
-Niente male.- fischia Peter, fissandola senza pudore. –Non credo di aver mai apprezzato tanto un nuovo arrivato.-
-Finiscila, è una cosa seria!- lo rimbecca Scott.
-Questo non mi impedisce di apprezzare il panorama.-
Isaac si passa una mano sul volto, esausto. Ha tutta l’aria di uno che non ha chiuso occhio. –Vedi di apprezzarlo in un altro momento, per favore.-
In quel momento, Stiles e Derek li raggiungono. Il licantropo ha ripreso forma umana e cammina tanto vicino a uno zoppicante Stiles da apparire quasi come un’ombra. La sua ombra. Sulle loro teste volteggia Diablo, che tuttavia si tiene a debita distanza da tutti, nervoso e diffidente come mai prima d’allora. Ogni membro del branco ha provato ad avvicinarlo e Valefar lo ha chiamato per più di un’ora, ma il grosso corvo imperiale ha rifiutato qualsiasi contatto, del tutto insensibile ai richiami, proprio come il suo padrone.
-Ben arrivati, dolcezze.- saluta Valefar, anche lui abbigliato in pantaloni neri da palestra e maglietta bianca aderente. Come Dumah, non indossa le scarpe.
Da quando Stiles ha perso la memoria, Valefar ha imparato a tenere la bocca chiusa. Parla molto meno, spesso appare sovrappensiero e a volte non sente neanche le voci di chi gli parla. Pensa a tutto e a niente, e questo lo allontana dalla realtà, come se i suoi occhi vagassero altrove, verso orizzonti che non tutti sarebbero ansiosi di scoprire.
Quando Derek e Stiles li raggiungono, Valefar appoggia entrambe le mani sulle spalle del demone e si china appena per guardarlo negli occhi, il volto vicino al suo.
-Ascoltami bene, Stiles. Io e te non… non ci conosciamo, ma sono qui per aiutarti. Io e quella… signora lì.-
-A chi hai dato della signora?!- esclama Dumah, arricciando le labbra in un ringhio.
Valefar la ignora. –Quindi, ascoltami bene: adesso dovrai correre. Corri come se avessi le voci alle spalle, corri come non hai mai fatto in vita tua. Corri al massimo delle tue capacità.-
Stiles lo fissa senza vederlo, ma nei suoi occhi scintilla un barlume di comprensione. –Devo correre… via dalle voci?-
-Sì.-
-Posso farlo?-
-Solo se poi tornerai qui. Il tuo lupo non si muoverà dalla sua postazione e resterà ad aspettarti per tutto il tempo necessario. Io e Dumah ti guideremo nella corsa.-
Derek avverte un tuffo al cuore quando Stiles lo guarda, quasi a riconoscerlo come “il suo lupo”. Sa che è lui la bestia che gli ha tenuto compagnia, ma Derek capisce che ancora non lo riconosce o sa perché si prende cura di lui. Quella consapevolezza gli trafigge il cuore con mille stilettate dolorose, ma non importa, perché a ferirlo è Stiles.
-Ok, proviamo.- dice Valefar, affiancando Stiles.
-Siete sicuri che possa farcela?- chiede Allison.
-No.- risponde sinceramente Valefar. –Potrebbe perdere il controllo e schiantarsi, rompendosi l’osso del collo. Potrebbe trasformarsi all’improvviso e ucciderci tutti. Le alternative sono migliaia e non possiamo prevederle, ma non abbiamo alternative.-
Derek trattiene il fiato al pensiero che Stiles possa farsi male. Vorrebbe fermarlo, impedirgli di correre o di allontanarsi da lui. Già il vederlo lì, intento a dargli le spalle e a fissare davanti a sé con fare indifferente gli procura un dolore quasi fisico.
-Adesso, Stiles.- Dumah e Valefar lo affiancano, uno a destra e l’altra a sinistra, simili a sentinelle. –Devi correre. Corri come… come se ne andasse della vita del tuo lupo. Lo ricordi del tuo lupo?-
-Il mio lupo…-
Derek trattiene il fiato, il cuore che batte a mille.
-Devi correre per lui. E per fuggire dalle voci. Ti inseguiranno, ma tu puoi essere più veloce. So che puoi.-
Quando Stiles scatta, nessuno se lo aspetta. La spinta è talmente potente da scagliare il corpo a metri e metri di distanza, veloce come un proiettile. Alle sue spalle resta un piccolo cratere, laddove i piedi hanno affondato con troppa forza e Derek capisce che lo slancio di velocità è stato esagerato, oltre ogni immaginazione.
Non si può scattare a quattrocento chilometri orari. Una velocità del genere si può raggiungere accelerando, ma non la si possiede già in partenza. È impossibile, è contro natura. Ma non per Stiles.
Dumah e Valefar lo inseguono a loro volta, raggiungendolo quasi subito. Lo affiancano, gli tengono testa come a una gara, ma Valefar capisce all’istante che qualcosa non va: Stiles non si sta… sforzando. Anzi. Sembra trattenersi.
Improvvisamente, prima che Valefar possa anche solo pensare di fermarlo, Stiles accelera e il corpo si piega in avanti come quello di un agile levriero. I piedi quasi non toccano terra, il terreno si sfoca e la sua figura comincia a distanziarli, sempre più veloce, sempre più inafferrabile.
Valefar cerca di stargli dietro, ma capisce all’istante che è inutile. Le scarpe di Stiles hanno praticamente preso fuoco e nel momento in cui i suoi muscoli cominciano a gonfiarsi, il corpo del ragazzo urta qualcosa che Dumah e Valefar non sono mai riusciti nemmeno a toccare, qualcosa di intangibile ma che va in frantumi con uno schianto assordante, un’onda d’urto che li respinge indietro, scagliandoli lontani di metri e metri. Il boato sonico è talmente potente che Valefar perde l’equilibrio e cade, ruzzolando per decine di metri e Dumah viene sbalzata via nello stesso istante in cui Stiles sparisce, trasformandosi in fugaci particelle di velocità.
Lontano. Inafferrabile. Lo hanno perso.
Valefar tossisce, cercando di riprendersi. Ha una gamba rotta e un minimo di sei costole incrinate, per non parlare della spalla lussata. Non ha mai visto niente del genere un vita sua: nessun demone, per quanto veloce, ha mai oltrepassato la barriera sonica. A maggior ragione, Stiles l’ha fatto quasi senza sforzarsi, il che significa che potrebbe andare anche più veloce. Non è normale, non lo è per niente. Quanto potrebbe aiutarlo quella velocità in uno scontro e quante altre potenzialità sopraelevate nasconde?
Valefar cerca di muoversi, ma le ossa non si sono ancora riaggiustate. Le sente strisciare nel suo corpo, riassemblarsi un po’ per volta e fa un male cane. Forse non è una cattiva idea restare lì: Derek gli staccherà la testa appena saprà che Stiles è sparito. Quando si tratta di Stiles, quel maledetto licantropo con complessi bipolari diventa più terrificante di qualsiasi demone e Valefar pensa che messi a paragone, sarebbe molto meglio e meno pericoloso affrontare Alastor in persona al posto di un Hale incazzato nero.
-Non ci posso credere… lo abbiamo perso.-
Zoppicando visibilmente, Dumah lo raggiunge. Ha il viso sporco di sangue, i vestiti strappati e il collo che le ricade in una strana angolazione. Deve essersi spezzata le vertebre cervicali.
-Non mi dire.- ringhia Valefar, tentando di rialzarsi. Dumah non cerca di aiutarlo e di questo Valefar è felice perché ancora non si fida di lei e la demone lo sa.
-Oltre che carino, è anche bravo a correre. Chissà come sa muoversi mentre…-
-Dumah, finiscila.-
Dumah sorride sorniona e si volta. –Andiamo a cercarlo.-
-No, dobbiamo tornare indietro. Abbiamo sottovalutato le sue capacità e sopravvalutato le nostre come i migliori imbecilli. Inseguirlo non servirebbe a niente.-
-Io dico di sì.-
-Non mi interessa quello che pensi.-
Sotto lo sguardo improvvisamente gelido di Dumah, Valefar si alza in piedi e la fronteggia. Si avvicina quel tanto che basta per accostare il viso al suo, le zanne bene in vista e gli occhi dalla pupilla verticale.
-Puoi aver fregato loro, Dumah, ma io ti conosco da decenni ormai: sei una piccola bastarda e molti riconoscono in te una spiccata capacità nel fare il doppio gioco. Un semplice discorsetto da brava ragazza non mi spingerà a fidarmi di te, perciò stai al tuo posto. Ringrazia il cielo che non abbia ancora deciso di farti a pezzi e rispedirti all’Inferno, perché sappi che io non aspetto che un tuo piccolo errore per staccarti la testa a mani nude.-
Contro ogni previsione, Dumah sorride e inclina il capo in quel suo atteggiamento provocatorio che Valefar ha sempre odiato. –Pensi davvero che mi interessi la tua fiducia, dolcezza? Sarai anche carino, ma purtroppo per te non sei il mio tipo… ah, e per la cronaca: io voglio solo rompere il culo ad Alastor, e per farlo mi serve anche l’appoggio di Stiles perché da sola non posso farcela. Io servo a voi e voi servite a me. La nostra è una semplice alleanza di convenienza, perciò fai bene a non fidarti... io, per esempio, non mi fiderei di me.-
 
Ci stanno mettendo troppo, non va bene. Sarebbero dovuti tornare un paio di minuti fa, ma di Dumah, Valefar e Stiles non si vede nemmeno l’ombra e Derek comincia a preoccuparsi.
Dov’è Stiles? Dov’è il suo demone?
La sua mente comincia a lavorare in febbrilmente e in maniera catastrofica, esponendo scenari sanguinosi e terrificanti dove Dumah si rivolta e fa a pezzi Valefar e Stiles o dove quest’ultimo si trasforma improvvisamente in demone e ammazza gli altri due. Deve essergli successo qualcosa di brutto e questo Derek non può sopportarlo.
Ignorando i richiami di Scott, si slancia in avanti e comincia a correre, seguendo la scia di quell’odore tanto familiare che ormai riconoscerebbe tra mille. Quel profumo è come una parte di lui, quel piccolo pezzo del suo essere rimasto intatto.
Derek accelera ed è come se i muscoli si risvegliassero, consci di doversi sforzare perché al traguardo li aspetta Stiles, il loro Stiles. Ogni più piccola particella di Derek si tende verso quell’odore e il suo lupo si risveglia, correndo con lui, spingendolo a volare sull’erba e tra gli alberi come un falco che piove dal cielo, veloce come una cometa. Non capisce neanche più che forma abbia, se umana o bestiale, perché improvvisamente, Derek non vede più i suoi piedi e la spinta che danno è quadruplicata, come se a toccare terra fossero quattro zampe massicce da canide.
Quando l’odore comincia a farsi più tenue, Derek esita e rallenta appena. Avverte qualcosa, una stretta all’altezza del petto e capisce che quel dolore, quell’ansia, non appartengono a lui.
Stiles.
Sta soffrendo, ha paura. Derek può sentirlo contorcersi nei meandri della sua stessa testa, e questo non è normale perché loro due non possiedono alcun tipo di collegamento. Non sono entrambi licantropi, non sono… compagni, o familiari. Non sono niente.
Derek devia improvvisamente, seguendo l’istinto e la sensazione che quella stretta al cuore gli provoca. Si lascia guidare fuori dal percorso, addentrandosi verso il fitto del bosco, laddove gli alberi si fanno più fitti. E infine lo trova.
Stiles giace rannicchiato ai piedi di una gigantesca quercia secolare, nascosto tra le radici sporgenti come uno scoiattolo troppo cresciuto. Ha le ginocchia strette al petto e le labbra insanguinate a furia di mordersele con forza. Non indossa più le scarpe e la maglietta, e anche i jeans sono a brandelli, come se qualcuno avesse cercato di strapparglieli via. Cosa è successo? Si è fatto male? Qualcuno lo ha aggredito? Quel pensiero fa rabbrividire Derek e lo spinge ad avvicinarsi troppo velocemente, ma Stiles non trasale né sembra accorgersi di lui. Continua a dondolare sul posto, gli occhi serrati e il viso sporco di lacrime.
Derek oltrepassa le radici con calma, cercando di non esagerare coi movimenti bruschi. Non vuole spaventarlo né vederlo scappare, nonostante la poca distanza che li separa gli faccia male quasi fisicamente.
-Mi sono allontanato troppo…- mormora improvvisamente Stiles. Derek lo raggiunge e siede al suo fianco, trattenendosi a stento dal passargli un braccio intorno alle spalle. Sente che non è questo il momento: vuole sentirlo parlare, accertarsi che stia bene.
-Ho cercato di scappare dalle voci, ma quelle mi hanno inseguito. Io acceleravo e lo facevano anche loro… per quanto scappassi, continuavano a parlarmi. Mi sono allontanato troppo.-
Stiles singhiozza più forte e stringe con rabbia i pugni, esausto.
-Ho… ho visto qualcosa. Un ragazzo, ma non mi somigliava. Aveva… non sembrava umano. Aveva la pelle scorticata e coperta di sangue, gli mancavano alcuni arti… non gli vedevo neanche gli occhi perché forse glieli avevano cavati. Non ero io. Non sono io. Ma le voci dicono di sì. Non sono io… -
Stiles singhiozza più forte.
-Non sono io…-
Derek capisce con orrore che quello che Stiles ha visto è uno dei tanti brutti momenti vissuti all’Inferno, durante le torture. Se solo ci pensa, il licantropo si sente impazzire e il lupo dentro di lui si contorce ferito, sofferente, uggiolando al mondo l’ingiustizia di un’anima pura trascinata nel posto sbagliato per mero imbroglio. Se solo ci fosse un modo per scambiare posto con Stiles, Derek lo farebbe a qualsiasi costo.
-Cosa ti ha spinto a tornare indietro?- chiede invece, sorprendendo anche se stesso.
Stiles smette improvvisamente di singhiozzare e si irrigidisce. Alza lo sguardo brillante, pulito di troppe lacrime che non avrebbe mai dovuto versare. –Non lo so. Credo… di avere qualcosa qui. Qualcosa di… importante. È una voce che sovrasta le altre, che fa male da morire. È stata la voce. È sempre la voce…-
La voce. Stavolta, Stiles ha parlato al singolare. Deve trattarsi di un ricordo piuttosto vivido che preme per uscire, ma Derek non riesce a capire di quale si tratti. Stiles ha vissuto abbastanza da avere troppi ricordi, molti dei quali sono per Derek un’incognita. Se solo scoprisse chi di loro mantiene Stiles disperatamente ancorato alla sanità mentale e alla sua parte umana, forse…
“Sei tu il suo innesco e il motivo per cui è tornato”.
Derek trema. Non è possibile che la voce di cui parla Stiles sia la sua. O sì?
“Il ragazzo che ti ha portato qui… lui è la tua luce, tesoro”.
Lydia. Talia.
“Tu non hai mai voluto fargli del male”.
 Scott. Perfino Scott.
Derek non vuole azzardare né illudersi che qualcosa stia cambiando davvero, che ci sia seriamente una speranza. Non vuole sperare inutilmente che il suo Stiles possa tornare e magari perdonarlo, dandogli un’altra possibilità. Mera utopia, ma Derek deve crederci o il mondo gli crollerà addosso.
Può sperare davvero di essere tanto importante per Stiles? Può sperare davvero che sia sua la voce che lo chiama e gli impedisce di spezzarsi definitivamente?
Sospirando, Derek appoggia la mano sul capo di Stiles e gli scompiglia i capelli con dolcezza devota. Stiles smette improvvisamente di piangere e si immobilizza, gli occhi sbarrati nuovamente incolori. Derek teme di aver azzardato troppo, perciò cerca di ritrarre la mano ma con suo immenso stupore Stiles tende il collo e preme la testa contro il suo palmo come un gattino bisognoso di carezze.
È un cambiamento, una secchiata d’acqua limpida sul dolore di fiamme brucianti. I demoni non si fanno toccare, non conoscono il calore di un abbraccio o di uno sfiorarsi gentile che non rientri in un gesto di tortura. Ma Stiles sì.
Forse è possibile cambiare.
Forse è possibile rivedere la luce laddove l’oscurità sembra più fitta. Talia Hale aveva ragione.
Lentamente, Stiles volta il capo e lo guarda. Come un bambino, arriccia appena un angolo delle labbra in una parvenza di sorriso incerto che agli occhi di Derek appare più bello di qualsiasi meraviglia l’universo possa offrire.
-Quando ci sei tu… le voci si affievoliscono, sai?- sussurra Stiles, improvvisamente rilassato. Nei suoi occhi continua ad aleggiare una presenza costante di dolore, come un velo che non sparisce mai, ma quantomeno adesso parla normalmente e ha quasi smesso di balbettare. –Come ti chiami?-
Derek respira a fondo per calmarsi. –Derek Hale.-
Stiles annuisce prima di tornare ad afflosciarsi poco a poco. –Io… hai una strana voce. È fastidiosa, ma non è brutta. È fastidiosa… come tutte le voci… che non smettono mai di parlare.-
Stiles chiude gli occhi e si prende nuovamente la testa tra le mani. Quando ricomincia a mormorare, Derek capisce che quel fugace barlume di normalità si è spento di nuovo.
 
-Quindi mi state dicendo che ha sfondato la barriera del suono e della luce?- esclama Chris, incredulo. –È impossibile.-
-Per un umano, dolcezza.- si intromette Valefar, che intanto si è dato una ripulita e si è cambiato una volta appurato che Stiles fosse con Derek. Nonostante questo, si tiene a debita distanza dal licantropo, che da lontano continua a fissarlo in cagnesco, come se non chiedesse niente di meglio che staccargli la testa a mani nude. –Ma Stiles non è umano.-
-È comunque impossibile. Il suo corpo avrebbe dovuto…-
-Sfracellarsi in milioni di particelle? Credo che a un certo punto l’abbia fatto, ma la mia teoria è che le torture subite all’Inferno abbiano alzato così tanto la sua soglia del dolore che Stiles non ha praticamente sentito niente.-
Scott si passa una mano sul viso, poi posa gli occhi su Stiles che continua a borbottare a bassa voce, dondolandosi sul posto come un bambino capriccioso. Lo fissa incredulo, restio ad accettare che il suo vecchio amico, lo Stiles lento e imbranato che conosceva, sia in realtà anche lo stesso che ha sfondato in velocità la barriera sonica.
-Quindi mi state dicendo che se lasciasse andare ogni freno inibitorio…-
-Non lo sappiamo.- lo interrompe Dumah che, al contrario di Valefar, non si è ancora sistemata e indossa abiti sbrindellati e sporchi di sangue. Nonostante questo, non può che continuare ad apparire bellissima e provocatoria come una pantera nel suo habitat naturale. –Ma sono certa che la velocità non sia l’unico punto di forza di questa dolcezza. Dovremmo vedere come se la cava con gli spostamenti ombra, il corpo a corpo e il volo.-
-Volo?- si stupisce Isaac. Dalla sua espressione è ovvio che ricordi bene l’ultima volta che Stiles ha mostrato le sue enormi ali scure, ma immaginarlo mentre si libra in aria con la leggerezza di un soffio di vento è tutta un’altra cosa.
-Sì, amore: volo. Ma ci vorrà del tempo e tanta pazienza perché non sono certa che sappia più di averle le ali.-
-Il vecchio Stiles lo sapeva?-
-Ovvio che sì, ma non volava mai. Si sentiva…-
-… un mostro.-
La voce di Derek emerge nel discorso, zittendo tutti. Il licantropo è appollaiato accanto a Stiles, tanto vicino che le loro ginocchia si toccano. Non guarda nessuno, tanto che i suoi occhi si rivolgono infine a un punto fisso nell’aria, lontani anni luce nello scorrere dei ricordi.
-Sì. È sempre stato un suo chiodo fisso, e adesso capisco perché.- afferma Valefar lentamente, abbassando gli occhi sul pavimento. Sospira esausto, stanco come mai nessuno l’ha visto prima d’allora. –All’inizio non ne eravamo consapevoli perché essere demoni era tutto ciò che avevamo e… non ricordavamo nulla dell’umanità, del nostro vecchio aspetto o delle emozioni che provavamo. Stiles ci ha ricordato cosa significhi ritrovare noi stessi e… sì, adesso penso anche io che essere un demone sia sbagliato. Io sono sbagliato.-
Le sue parole cadono come un gong mortifero sullo specchio del silenzio. Parole amare, sofferte, stanche. Valefar ricorda, leva lo sguardo verso un passato ormai scomparso di fragile umanità, sostituita in seguito dallo scorrere di sangue e dolore, lacrime e ringhi bestiali.
I demoni sono un aborto. I demoni sono errori madornali, ai quali è impossibile porre rimedio.
-Sei patetico.- ringhia improvvisamente Lydia, sorprendendo tutti. Valefar alza gli occhi stupefatto, posandoli poi su una ragazza il cui sguardo di fuoco è fisso su di lui. –Non sai neanche cosa significhi essere un mostro, vero? Informati, prima di usare questa parola a sbafo e in maniera del tutto inutile. Sei un imbecille se pensi che essere un mostro significhi apparire tale solo nell’aspetto, come credi tu!-
Accompagnata dal ticchettio dei tacchi sul pavimento, Lydia esce dal loft a passo di marcia, sbattendosi la porta alle spalle. Li abbandona lì, stanca di tutto, arrabbiata col mondo, senza voltarsi indietro.
-Dovresti seguirla.- dice Allison, poggiando dolcemente una mano sulla spalla di Valefar. Lui guarda le sue dita come se le vedesse per la prima volta, sorpreso dall’improvviso calore di un contatto al quale non è abituato. –Vai e chiaritevi una volta per tutte. Se Stiles ti ha mai insegnato qualcosa, seguila. Lui ha aspettato troppo tempo per parlare a cuore aperto e adesso potrebbe essere troppo tardi. Non seguire il suo stesso errore: per te è ancora presto, ma le lancette scorrono per tutti, anche per voi demoni.-
Valefar sposta lo sguardo su Derek, che adesso fissa Stiles con un affetto e una devozione tali da sciogliere il cuore di chiunque, anche di Lucifero stesso. Valefar si sorprende a pensare che Dio debba essere un grande idiota: se solo esercitasse sul mondo quel po’ di misericordia che ha sempre professato di avere, adesso avrebbe aiutato quelle due creature le cui anime sono intrecciate come la tela di un arazzo il cui disegno ancora deve chiarirsi. Se al mondo esistesse qualcosa di più puro e innocente dello sguardo che Derek Hale adesso rivolge a Stiles Stilinski, Valefar è certo di non averlo ancora trovato.
È quello l’amore? Amore vero, di cui parlano i poemi e i racconti antichi? È quello l’amore che si specchia negli occhi di chi riscopre un mondo nuovo, puro e bellissimo come la neve appena caduta dal cielo?
Senza una parola, Valefar lascia l’appartamento, facendo sbocciare sulle labbra di Allison un piccolo, dolce sorriso.
-Sei sicura di quello che fai?- domanda Isaac, dubbioso. –Lydia potrebbe farlo a pezzi, e lei fa più paura di Lucifero, quando ci si mette.-
Ma Allison scuote il capo, serena come piccolo angelo caduto dal cielo. –Lydia è la mia migliore amica, e so interpretare i suoi silenzi, così come le sue parole. Se c’è qualcuno che può aiutarla adesso, è Valefar.-
-Amore…- sussurra Dumah, pensierosa. Poi scrolla il capo. –Per oggi abbiamo finito.-
Si allontana dal muro con una spinta e raggiunge la porta, pronta a lasciare il loft.
-Aspetta.- chiama improvvisamente Peter e Dumah si ferma, voltandosi a guardarla stupita. –Detesto fare il sentimentale, ma è da vecchi passare una serata a girovagare a vuoto per la città aspettando che faccia l’alba. Potremmo… ordinare una pizza e piantarla di affossarci con fastidiosi pensieri negativi buoni solo per ammazzare la psiche?-
Tutti lo guardano sorpresi. Se non lo avessero visto muovere le labbra per parlare, nessuno avrebbe pensato anche solo lontanamente che quelle parole siano uscite dalla bocca di Peter Hale. Perché, dannazione, è PETER HALE! Pazzo psicopatico con la mania di trasformarsi in un gigantesco bestione dagli occhi rossi buono a fare a pezzi la gente con la facilità di un gatto che sbrana un topolino indifeso. Peter, lo zio di Derek. Peter.
-Che c’è?- sorride lui, sornione. –Possibile che debba essere io a dirvi che è da imbecilli debosciati perdere la testa appresso a un problema per ora irrisolvibile? Mia nonna è più allegra di voi, e sappiate che è morta. Più morta delle bestioline infernali qui presenti, senza offesa. Lei almeno non si muove, ma se le mettessi un cappellino in testa sarebbe molto più adatta a una festa di tutti voi messi insieme.-
-Non siamo qui per festeggiare.- sbotta Derek.
-Io sì. Se avessi qualcosa di meglio da fare non sarei qui, ma visto che sono bravo, gentile, altruista e…-
-Pazzo.- conclude Chris.
-Intellettualmente acuto e assolutamente più giovane di tutti voi, propongo di svagarci un po’, ovviamente ognuno per i fatti suoi. Non ho intenzione di avervi intorno un minuto di troppo.-
Nessuno fiata, e per questo Peter comincia a muoversi.
-Cinese, ma prenderò solo le mie ordinazioni.-
-Non ti azzardare!- si intromette Dumah, raggiungendolo.
-Oh, abbiamo una dolce donzella affamata, vedo.-
-La dolce donzella mangia anche carne di licantropo, perciò muovi il gran bel culo che ti ritrovi, tesoro.-
-Allora lo ammetti che ho un bel culo.-
-Le mie sono constatazioni. Non sono né santa, né cieca. Se è per questo, posso citare anche qualche altro nome il cui sedere attira molto l’attenzione…-
-USCITE DAL MIO APPARTAMENTO!- ruggisce Derek, facendo baluginare gli occhi blu e le zanne.
Dumah e Peter si allontanano battibeccando e solo quando la porta si richiude, Derek può abbandonarsi al dolce calore di Stiles che intanto, contro ogni previsione, ha smesso di balbettare e adesso fissa la porta con fare assente.
Come si può entrare nella testa di qualcuno che ami? Come si possono rimettere le cose a posto quando tutto il resto è in pezzi?
Derek se lo è domandato spesso in quegli ultimi giorni, ma la risposta sembra non esistere o quantomeno è ben custodita.
-Come sta?- dice Scott, sedendosi accanto a Stiles.
-Come al solito.- risponde freddamente Derek.
-Stiles?- chiama debolmente Scott. –Stiles, sono io. Ti ricordi di me?-
Stiles solleva appena gli occhi e lo guarda per una frazione di secondo, cercando disperatamente di penetrare quel velo di confusione che gli oscura lo sguardo. Derek può quasi vedere la sua lotta interiore, il suo io morente che smania per uscire, per pronunciare un “” che alla fine non arriva.
-Stiles.- Scott gli tocca un braccio senza scatenare in lui alcuna reazione. Gli trema la voce e ha gli occhi lucidi. –Sono io… sono Scott.-
Ma Stiles ricomincia a oscillare il capo, innescando la reazione protettiva di Derek, che si avvicina ancora di più al demone.
-Basta così.- ordina, e Scott non può fare a meno di annuire, gli occhi ormai colmi di lacrime non versate. Sorride tremulo, sperando di nascondere il dolore che lo dilania dall’interno al pensiero che Stiles… suo fratello… non sia più lì. Non sorride più, non scherza più. Forse non tornerà a farlo e basta, e per Scott è come perdere un pezzo di se stesso: fa un male cane.
Allison si inginocchia accanto al ragazzo e gli circonda le spalle con un braccio. Da quando si sono lasciati, Scott fa il possibile per evitare la vicinanza e il contatto fisico tra loro, ma in questo momento lui ha solo bisogno di un abbraccio perché Stiles gli ha voltato le spalle senza volerlo. È come se un ordine predefinito formatosi nella sua testa si trasformasse improvvisamente in caos totale e snaturato in mancanza del pezzo più importante che teneva insieme tutti gli altri, equilibrandone l’importanza e il peso.
Scott si abbandona contro Allison e trattenendo i singhiozzi nasconde la faccia contro il suo collo. Si aspetta che Chris intervenga, che magari li separi con violenza o gli punti una pistola alla tempia, ma questo non accade. Dopotutto, tra tutti i suoi simili, il più umano dei cacciatori è sempre stato lui e certe cose le capisce: il dolore di una perdita, il senso di vuoto che ti si apre al centro del petto quando qualcuno non c’è più. La vita è una ruota e tutto torna o se ne và, prima o poi.
Ma a volte, fosse pure per errore o per banale distrazione di Dio stesso, i miracoli avvengono e qualcosa cambia, non agli occhi del mondo ma a quelli di chi anche solo per brevi e fugaci istanti, riesce ancora ad ascoltare.
-S… cott.-
Una parola sussurrata con fatica, una preghiera appena mormorata ma abbastanza udibile da rivoluzionare il mondo di Scott e Derek. Perché entrambi pongono Stiles come ago di due diverse bilance, che tuttavia solo Scott riesce a riconoscere. Derek non sa perché il suo cuore sussulta nel sentire quella parola, ma non si sorprende quando Scott sorride tra le lacrime e si preme un pugno contro la bocca. Al suo fianco, siede Isaac e col suo solito silenzio lo appoggia, lo spalleggia, gli consente di avvertire la sua semplice presenza.
Con lui accanto, Scott sente che forse, c’è ancora una speranza.
-Sì, amico. Sono io.-
Ma Stiles non parla più: per oggi, ha fatto abbastanza.
 
Angolo dell’autrice:
Dannati esami. Dovevo pubblicare prima, ma ormai inizio a studiare all’alba e finisco all’alba del giorno dopo. Abbiate pazienza, però, vi chiedo solo questo. Ora però, mi vedo costretta a fare un sondaggio: la Scisaac non era prevista, in realtà, ma molti vedono il loro rapporto come un rapporto di coppia. Mi metto dunque nelle vostre mani:
Scisaac o non Scisaac? Fatemi sapere!
Anche stavolta dovrò essere breve perché per pubblicare ho preso una pausa dallo studio e ho ancora un milione di cose da fare, ma come al solito, non manco di ringraziare col cuore i miei demonietti più belli. Coloro che, con pazienza e costanza, non mancano mai di lasciarmi un piccolo angolino di pensiero, uno stralcio di Paradiso che per me, è un incoraggiamento in più a scrivere ancora, e questo al punto che forse, e dico forse… è in progetto un’altra Sterek. Perciò grazie di cuore per il vostro affetto, per la vostra costanza nel leggere e recensire. Grazie da me e da tutti i personaggi che ogni volta spingete a rivivere attraverso capitoli sempre nuovi.
Un ringraziamento a:
_Vi__
XAniuEX_lol
KuramaLiz
Elenuar Black
Giada_ASR
Sophi33
An unbroken girl
Barbara78
_Sara92_
 

Anticipazioni:
“-Ho rivisto quel ragazzo.-
Derek non sa cosa dire, perciò resta in silenzio.
-Pregava tanto. Stava molto male, ma non cadeva mai. Perché non cadeva? Perché le voci non smettono? Vorrei strapparmele via dal cranio, ma tu non me lo lasci fare… lasciamelo fare, ti prego…-
Un singhiozzo prorompe dalle labbra di Stiles, e quello è il suono più orribile che Derek abbia mai sentito. Raggiunge il ragazzo e si inginocchia ai piedi del letto, davanti a lui. Gli circonda i fianchi con le braccia e lascia che Stiles appoggi il volto contro il suo collo. Profuma di buono, con un retrogusto di incenso, odore che hanno tutti i demoni. È bello, esotico, ma non sa di Stiles.
-Lasciami andare, Derek. Se mi hai mai voluto bene, lasciami andare.-
Il suo nome. Derek non ricorda di averglielo ripetuto e Stiles non ha mai dato segno di riconoscerlo. Però lo ha detto, Derek ne è certo, e pronunciato dalla sua voce è il suono più bello del mondo.”

 
Tomi Dark Angel
 

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Capitolo 18
*** Lasciami Andare ***


“Cosa fa di un uomo un uomo?
Forse le sue origini, il modo in cui viene alla vita?
Sono le scelte che fa…
Non come comincia le cose,
Ma come decide di finirle.”
 
Lydia Martin non è mai stata un tipo calmo e ponderato. Sa diventare più spaventosa di un kanima e più aggressiva di qualsiasi Alpha, se qualcosa la fa uscire di testa. Non accade sempre, ma quando la situazione verte dal lato sbagliato, è meglio stare alla larga.
Questo, per esempio, è uno di quei momenti.
Lydia non sa perché è scappata dal loft di Derek in quel modo, né tantomeno le interessa. La verità è che è stufa di tutto: di licantropi, kanima, druidi, angeli, demoni e tutto lo schifo che racchiude il mondo del sovrannaturale. Odia  perfino se stessa, e questo perché è una dannatissima banshee buona a urlare fino a spaccare i timpani altrui. Ma più di ogni cosa, odia Valefar e quel suo aspetto terribilmente selvaggio. Odia la sua storia, il suo vero nome, la sua convinzione di essere un mostro nonostante le parole da lui stesso pronunciate: l’essere mostri non è deciso dal proprio aspetto quanto invece dai gesti che si compiono.
E Valefar è buono. Troppo buono, e Lydia lo odia anche per questo. È più umano di tutti loro messi insieme e osa ancora reputarsi peggio di una bestia. Stupido, piccolo demone cornuto con manie di protagonismo…
Un violento spostamento d’aria, il suono di qualcosa che fende il vento con la facilità di un coltello affilato che penetra le carni tenere della vittima di turno.  Lydia ha a malapena il tempo di voltarsi quando qualcosa la afferra all’altezza dei fianchi e la strattona verso l’alto, strappandola alla gravità e al suolo sicuro dove fino a pochi istanti prima poggiava i piedi. Non ha la forza per gridare perché lo strattone iniziale le ha sottratto ogni briciolo d’aria. Automaticamente, Lydia si aggrappa forte al corpo che la sorregge, trattenendola a mezz’aria e innalzandola su, verso le nubi, oltre le stelle e la luna. Il vento la aggredisce, ma non è una brutta sensazione e non è freddo come credeva. Profuma di pulito e libertà e, una volta oltrepassata la paura iniziale, Lydia quasi se ne sente inebriata.
Abbassa lo sguardo sulla città che si allontana, rimpicciolendosi come una cartolina di macchioline verde foresta e strisce grigie di stradine tortuose.
C’è un periodo, quando si è adolescenti, in cui si pensa che il mondo sia ai tuoi piedi. Ci si sente indistruttibili, soli contro l’universo e abbastanza forti da sconfiggere qualsiasi cosa. Adolescenti illusi, convinti di avere ali invisibili capaci di trasportarli abbastanza in alto da fargli osservare gli altri da un piedistallo superiore. Ma non è mai stato così: nessuno di loro ha avuto modo di illudersi tanto a lungo. Tranne Lydia.
Lei, le persone le sta osservando dall’alto per davvero, dea inconsapevole di un cielo troppo scuro perché prossimo all’alba.
Lentamente, alza gli occhi sul proprietario del corpo caldo che adesso preme contro il suo, un braccio avvolto dolcemente intorno alla vita e gigantesche ali nere e azzurrine che sbattono con forza per sollevarli sempre più su, fin quasi a toccare le nubi notturne.
Valefar ha i capelli scompigliati e gli occhi di un brillante blu elettrico, dalla pupilla verticale. La sua pelle splende come di luce propria, brillante di cupi riflessi azzurri e neri. Pare che una nebula morente si muova sotto le sue carni, pulsando dei suoi ultimi battiti vitali, guizzando speranzosa una, due, tre volte. È qualcosa di vivo, qualcosa di magico e intoccabile.
Lydia non può trattenersi dallo sbarrare gli occhi davanti alla bellezza di quel viso improvvisamente troppo vicino, ma si tratta soltanto di un momento di stupore: quando si riprende, comincia a urlare.
-Tu! Come accidenti ti salta in mente di trascinarmi quassù, stupido cornuto con la coda! Fammi scendere!-
-Non lo vuoi davvero.- ridacchia Valefar, smettendo di salire. Stiracchia le ali, ampie come un pezzo di cielo e le sbatte appena per mantenere l’assetto a mezz’aria. I suoi muscoli si tendono, traslucidi e nervosi al bacio argenteo della luna. –Però che hai contro la mia coda? Io l’ho sempre trovata carina.-
Lydia sbuffa, trattenendosi dal dire a sua volta che sì, l’ha trovata carina anche lei.
-Mettimi giù. Se non lo fai, ti urlo in un orecchio, e sai che faccio male.-
-Non sei così stupida. Precipiteremmo tutti e due, lo sai.-
Lydia lo squadra, odiandolo perché ha ragione. A volte, Valefar sembra conoscerla anche troppo bene e questo non le piace.
-Perché mi hai portata quassù?-
Valefar distoglie lo sguardo da lei, improvvisamente imbarazzato. –Perché sapevo che saresti scappata, se non ti avessi fermata in qualche modo. Ok, non sono il massimo della gentilezza e strapparti così dal terreno non è stata proprio una mossa furba però… non sapevo come fare. Non riesco mai a parlarti come vorrei e finiamo sempre per litigare.-
Lydia lo fissa incredula: tutto questo per poter semplicemente parlare… con lei?
-Volevo chiederti… scusa. Forse ho esagerato con quel discorso sull’essere un mostro e roba simile, ma… la verità è che, per quanto Stiles abbia inculcato in me nuove idee e nuovi pensieri, a volte ci credo davvero. Io… torturo anime, Lydia. È questo che faccio. E il solo pensiero di essermi anche solo azzardato a toccare una come te…-
-Una come me?!- si altera lei, inarcando un sopracciglio. –Che vuoi dire?-
Valefar si morde il labbro, indeciso. Guarda ovunque non ci sia lei, col suo viso e la sua pelle diafana, baciata dalla luna. Questo finché Lydia non gli poggia una mano sulla guancia e lo costringe a guardarla.
-Che vuoi dire?-
-Voglio dire… che sei bellissima.-
Per la sorpresa, Lydia molla la presa su di lui. Sarebbe caduta se Valefar non l’avesse sostenuta, ma adesso… adesso qualcosa è cambiato tra loro. Lydia è sempre stata un’esperta in materia, ma adesso che il suo cuore batte a mille e gli occhi si riempiono dell’immagine più che adorabile di un Valefar dalla pelle arrossata e lo sguardo basso intriso di scuse e imbarazzo, si chiede se abbia mai davvero capito qualcosa sull’amore.
Valefar è un demone, uno di quelli veri, dalle zampe ibride e gli artigli affilati. Dovrebbe essere una bestia, un incubo appena uscito dal più nero dei racconti, eppure Lydia non riesce a vederlo così: quel viso pallido, quegli zigomi alti, quello sguardo di bambino che trabocca sincero dagli occhi scarsamente truccati… ogni cosa di lui grida innocenza. E, nonostante tutto, è stato condannato.
Valefar è un demone, eppure conosce l’umanità dei sentimenti. Le ha appena fatto un complimento, abbassando timidamente gli occhi come se si sentisse inadeguato, troppo sporco per avvicinarsi a lei, così piccola e pura. E viva. Nessuno si è mai preoccupato dei fragili sentimenti di Lydia, e ha del paradossale che a farlo sia stato proprio un demone.
-L… Lydia?- balbetta Valefar quando qualcosa di caldo scivola leggero sul viso di Lydia per poi essere subito trasportato via dal vento. Lei si tocca la guancia stupita e abbassa gli occhi sull’impronta umida che la lacrima ha lasciato sul polpastrello. Sta… piangendo? Per Valefar?
-Scusami, non dovevo dirlo.- si affretta a dire lui. –Ti riporto a terra e…-
-Se lo fai, ti strappo gli occhi a mani nude e ci gioco a biglie.-
-Dovresti passare meno tempo in compagnia di Derek, lo sai?-
-Ma forse…- Lydia tossicchia. -… dovrei passare più tempo con te.-
Valefar sbarra gli occhi, stupefatto. La sua pelle balugina più intensamente, gli occhi si fanno appena umidi e Lydia pensa che quella è la faccia di un bambino il giorno di Natale, quando riceve il suo regalo più bello.
-Stai dicendo che…-
-Zitto.-
-Ma…-
-Non farmelo ripetere.-
Stavolta, Valefar non riesce a trattenersi: abbraccia Lydia con forza, affondandole una mano tra i capelli e inspirando il suo profumo che, mescolato a quello variopinto del vento, è l’aroma più bello dell’universo.
Stiles aveva ragione: i sentimenti non sono poi così male.
 
Scott respira piano, con calma. Dolcemente, apre e chiude le mani per sfogare il nervosismo, ma non si ferisce mai. Controlla a stento la fuoriuscita degli artigli, gli occhi baluginano di rosso a intervalli. Ha paura, è stanco.
“Scott”.
Stiles lo ha riconosciuto, seppur per un breve attimo. È già qualcosa, ma non è abbastanza. Ogni volta che lo guarda, Scott si sente lacerato, a pezzi, privo d’anima e respiri. Suo fratello, il suo migliore amico. Ridotto in quello stato.
Il sorriso di Stiles, è sempre stato una costante nella sua vita: non mancava mai, non  tradiva mai. Dove la morte sopraggiungeva, il sorriso di Stiles compariva per invocare nuova vita, nuova luce, anche nei momenti più oscuri. C’era sempre, e adesso non c’è più. Qualcosa l’ha soffocato, l’ha strappato all’abbraccio del mondo, che impotente ha guardato la sua ennesima stella morire.
Qualcosa di bagnato tocca la mano di Scott, la stringe con umida dolcezza.
Il licantropo trasale, solleva lo sguardo pronto a difendersi, ma quando riconosce quell’odore e le dita affusolate che lo toccano, coprendogli la mano con un piccolo panno bagnato, si rilassa. Inspira a fondo il profumo di Isaac e gli basta solo questo per sentirsi a casa, vivo e al sicuro.
-Ringrazia il mio senso di prevedibilità.- commenta il biondo, gli occhi fissi sul panno che ancora stringe la mano di Scott. –E metti dentro quegli artigli.-
Scott si accorge solo adesso del dolore lancinante che gli percuote il palmo della mano. Brucia come fuoco, gli ustiona le carni di grida silenziose. Ha stretto i pugni e snudato gli artigli senza accorgersene, trafiggendosi il palmo della mano come un povero imbecille.
-Oh… scusa.-
Scott si rilassa, gli artigli rientrano. Inspira a fondo per calmarsi mentre Isaac gli ripulisce la pelle già illesa dal sangue.
-Come… come facevi a saperlo?- chiede Scott, fissandolo.
Isaac scrolla le spalle con noncuranza e, quando ha finito, si getta il panno sporco sulla spalla. Guarda Scott e sorride appena di quel suo sorrisetto enigmatico che per molti potrebbe apparire divertito ma che per il giovane Alpha sa invece di purissima sincerità.
-Andrà tutto bene, Scott.- dice Isaac, dandogli una pacca sulla spalla. –Va sempre tutto bene, quando sei tu ad occupartene.-
Scott lo guarda in viso e capisce che Isaac nutre per lui una profonda fiducia, una cieca devozione che mai nessuno, nemmeno Stiles, gli ha mai rivolto. Isaac non chiede, non ha dubbi quando a decidere è Scott, perché Scott è saggio, perché sa sempre cosa fare.
Se guarda il suo riflesso attraverso quegli occhi blu oceano, Scott si sente un vero Alpha.
-Grazie, Isaac.-
Isaac scrolla nuovamente le spalle e sorride di nuovo, arricciando un angolo delle labbra. –Non disperare, Scott. C’è sempre una strada; me l’hai insegnato tu.-
 
Quando Derek Hale apre gli occhi quella mattina, avverte qualcosa di diverso, di sbagliato, come una sensazione che ti si attacca addosso dal primo istante della giornata e non va più via.
Fa freddo, troppo freddo. Uno strano senso di vuoto all’altezza del petto lo schiaccia come un masso opprimente, indicandogli che manca qualcosa di importante, come un arto o un organo vitale. Poi, Derek capisce e si alza di scatto, gli occhi fissi sul divano vuoto che vuoto non dovrebbe essere.
-Stiles. STILES!- grida allarmato, lanciandosi in una folle perlustrazione della casa. Il panico lo assale, soffocandolo come se stesse per avere una crisi, il che è assurdo perché Derek non ha mai sofferto di qualcosa di tanto fragile e umano.
Sembrano passati secoli, ma si tratta solo di qualche attimo. Alla fine, Derek trova Stiles nella sua stanza, seduto sul letto sfatto che il licantropo non usa da quando lui e Stiles hanno dormito tra le coltri in attesa che il demone si addormentasse senza incubi. Sembrano passati secoli da allora, ma non importa. Ciò che conta davvero ora è che Stiles sia lì, e finalmente Derek riprende a respirare.
Si appoggia allo stipite della porta senza fare rumore, rendendosi conto che Stiles non si è ancora accorto della sua presenza. Questo gli lascia il tempo necessario per osservarlo davvero, per studiare ogni più piccolo tratto di quella pelle cosparsa di nei e vaghi riflessi dorati.
Non lo ricordava così bello.
Forse è la sua natura demoniaca ad averlo mutato o semplicemente Derek non ci ha mai fatto caso, ma ora che lo guarda davvero, nota che non c’è un solo tratto di Stiles che gridi imperfezione o inadeguatezza. È come guardare un quadro rinascimentale dove un sapiente pittore ha saputo piazzare ogni arto, ogni tratto somatico al suo posto, costruendo un puzzle di adolescenziale perfezione.
Stiles possiede quel genere di viso e quel corpo che non risaltano mai agli occhi, non subito almeno. Però, quando questo accade e qualcuno lo guarda davvero, non c’è modo di staccare gli occhi da quella pelle troppo pallida o da quel naso leggermente all’insù che ispira un’innata tenerezza. Quello è un viso che traspira vitalità e dolcezza allo stesso tempo, ispirando in chi sa guardarlo davvero un moto di istintiva protettività che dopotutto, Derek si accorge di aver sempre avuto nei suoi riguardi. Anche quando lo sbatteva al muro o gli urtava la testa sul volante della sua auto, Derek non ha mai voluto ferirlo davvero. Perché quegli occhi dorati e quel viso di ragazzo troppo presto cresciuto non andrebbero profanati, mai, per nessun motivo al mondo. Si tratta di una legge universale, come quella del respirare, del bere e del mangiare per chi ci tiene a sopravvivere. E adesso che è troppo tardi, Derek si accorge che bere e respirare non è poi così essenziale se Stiles non è con lui.
Ci sono cose nella vita alle quali ci si abitua facilmente, ma Derek è certo che non si abituerà mai agli occhi di Stiles. Se ne rende conto in quel momento, quando si accorge che oltre al dorato intenso e troppo scuro che quasi si tuffa nel bronzo, c’è anche un riflesso verde foresta appena visibile, ma comunque presente. È come guardare uno spettro fugace di colori, un cristallo di riflessi sempre in movimento, vivi, come vivo dovrebbe essere quello sguardo. Derek combatte a stento l’impulso di avvicinarsi quel tanto che basta per toccare il viso di Stiles, le labbra piene e ben disegnate, i capelli non più troppo corti e i tendini tesi e ben visibili del collo. Sono parti di un insieme, parti di un unico diamante che Derek si accorge di amare quasi inconsciamente.
 Amare. Dio. Non l’ha pensato davvero. Non può averlo pensato davvero, non rivolto a Stiles.
-Da quanto sei sveglio?- dice alla fine Derek, palesando la sua presenza. Sente che Stiles non gli risponderà, ma glielo vuole chiedere lo stesso.
A sorpresa però, qualcosa cambia e Stiles parla: -Ho rivisto quel ragazzo.-
Derek non sa cosa dire, perciò resta in silenzio.
-Pregava tanto. Stava molto male, ma non cadeva mai. Perché non cadeva? Perché le voci non smettono? Vorrei strapparmele via dal cranio, ma tu non me lo lasci fare… lasciamelo fare, ti prego…-
Un singhiozzo prorompe dalle labbra di Stiles, e quello è il suono più orribile che Derek abbia mai sentito. Raggiunge il ragazzo e si inginocchia ai piedi del letto, davanti a lui. Gli circonda i fianchi con le braccia e lascia che Stiles appoggi il volto contro il suo collo. Profuma di buono, con un retrogusto di incenso, odore che hanno tutti i demoni. È bello, esotico, ma non sa di Stiles.
-Lasciami andare, Derek. Se mi hai mai voluto bene, lasciami andare.-
Il suo nome. Derek non ricorda di averglielo ripetuto e Stiles non ha mai dato segno di riconoscerlo. Però lo ha detto, Derek ne è certo, e pronunciato dalla sua voce è il suono più bello del mondo.
Derek si aggrappa a Stiles, respira il suo odore e la consapevolezza che l’altro stia soffrendo in maniera terribile e irreparabile. Ogni istante che passa, si porta via un po’ del vecchio Stiles, un po’ di quella storia che li ha portati a incontrarsi, a scontrarsi, a conoscersi.
Derek non vuole che sparisca tutto. Se Stiles si spegne, il branco andrà in pezzi. Lui andrà in pezzi.
-Vieni.- dice dolcemente dopo un po’. –Ti va di correre?-
Non sa perché lo chiede, ma ha bisogno di muoversi, di sgranchire le gambe. Vuole vedere Stiles in azione, vuole vedere i suoi muscoli flettersi e gonfiarsi e le labbra schiudersi per dar spazio a una sottile fuoriuscita di fiatone. Ricorda bene l’ultima volta che l’ha visto scattare, ed è stato come fissare una cometa luminosa che attraversa devastante la traiettoria di un raggio di sole. Non ha bisogno d’altro, Derek. Ha bisogno di Stiles, solo di Stiles.
-Dovrò scappare ancora dalle voci?- si informa il demone, inclinando il capo in modo adorabile. Derek quasi sorride alla sua espressione buffa di bambino.
-No.- dice, afferrandogli dolcemente la mano. –Stavolta dovrai correre con me. Forse sono un po’ lento per i tuoi standard, ma a volte è bene anche imparare a trattenersi, moderando la propria forza. Possiamo andare dove ti pare, basta che ci teniamo lontani dai centri abitati. Ti va bene?-
Dopo qualche attimo di borbottii indistinti e oscillamento del capo, Stiles annuisce. Sembra aver capito, ma Derek non ne è certo. Lo aiuta ad alzarsi dal letto e lentamente lo trascina verso l’esterno. È felice di constatare che la pelle di Stiles profumi di pulito, il che significa che probabilmente si è anche fatto la doccia. Nel suo bagno. Esattamente nella stanza accanto a quella in cui dormiva. Quando diamine è successo? Come ha fatto Stiles, ridotto in quelle condizioni, a muoversi indisturbato e addirittura a farsi la doccia senza che Derek se ne accorgesse?
Il licantropo si costringe a porre un freno a quei pensieri che certamente non lo porterebbero a niente di buono. Si sfila le scarpe a sua volta ed entrambi escono dal loft, si allontanano verso la fitta boscaglia e una volta lì si fermano. Derek piega le ginocchia, appoggia le mani al suolo per saggiarne la consistenza.
Senza alcun preavviso, Stiles scatta e Derek lo segue a ruota, tenendolo d’occhio da vicino quel tanto che basta per evitargli di fare sciocchezze. Non lo soffoca, non lo tocca, non lo pressa con la sua presenza. Semplicemente, si limita a fungere da spettatore incredulo alla presenza di un evento maestoso dove una delle creature più potenti dell’universo si risveglia.  E all’istante capisce che ne è valsa la pena, perché Stiles che corre è proprio come Derek l’ha immaginato: libero, leggero come un gabbiano, sinuoso come una pantera. I piedi nudi quasi non toccano suolo e i muscoli si gonfiano sotto i vestiti, guizzando sotto il velo dai riflessi oro della pelle.
È bellissimo.
Stiles accelera ancora, ma Derek non ce la fa a stargli dietro. Per un attimo teme di aver fatto una stupidaggine, teme di perderlo di nuovo, perciò è una sorpresa quando Stiles si accorge di lui e decelera, lasciandosi affiancare. Devia a destra e tre volte a sinistra, come se stesse cercando qualcosa o seguendo un percorso immaginario. Ma non è così: qualcosa muove i passi di Stiles, lo spinge a percorrere quel tragitto e Derek lo capisce guardandolo in viso, che poco a poco si fa sempre più sofferente e tormentato.
Un ricordo. Stiles sta inseguendo un ricordo.
Derek si aspetterebbe di tutto da lui. Forse sta cercando una casa, una persona, un qualsiasi modo per riscoprire se stesso. Eppure, la risposta che giunge alla fine è qualcosa di così semplice che Derek per poco non scoppia a ridere.
Si fermano sulle sponde di uno dei rari laghetti che costellano il bosco, laddove il sole, penetrando tra le fronde più fitte degli alberi, ricopre di specchietti iridescenti la superficie dell’acqua. Non è un posto particolarmente evocativo, né una meraviglia di quelle che lasciano a bocca aperta ma Derek ha sempre apprezzato quel posto. Ciò che non capisce è come mai anche Stiles lo conosca.
Si fermano poco alla volta, decelerando lentamente fino a fermarsi proprio sul bordo del piccolo lago.
Stiles si inginocchia sulla riva, affonda una mano nell’acqua. Si specchia con circospezione, guardandosi attentamente e ruotando il viso a destra e a sinistra. Si tocca una guancia con una mano, inclinando la testa.
-Io… sono fatto così?-
Derek si accovaccia al suo fianco e lo guarda. –Sì.-
-Ma… ho il naso come quello di un porcellino d’india.-
Stavolta, Derek sorride per davvero e agli occhi di Stiles è come avere davanti un’altra persona, i cui occhi improvvisamente rasserenati rispecchiano qualcosa di antico, un ricordo che non ha voluto mettere da parte. Lui ricorda quel sorriso, quel volto, quello sguardo. Ha classificato il tutto in una delle sue meraviglie più preziose, ma non sa perché.
-La voce che sento… quella più insistente… è la tua, vero?-
Derek non sa cosa rispondere. Se Stiles ha riconosciuto il suo timbro, allora gli altri avevano ragione: il motivo per cui Stiles torna ogni volta è ed è sempre stato lui. È come una corda, un filo rosso che li lega senza mai spezzarsi veramente, anche quando tutto va in frantumi e Stiles dimentica perfino il suo nome. Tra tutti i ricordi scomparsi, affossati, andati in pezzi, quello di Derek è l’unico rimasto intatto, l’unico che mantiene Stiles in equilibrio sul filo della follia. L’unico che, d’altro canto e paradossalmente, nel baratro della follia ce lo ha spinto personalmente.
-Cosa ti dico… cosa ti dice la mia voce?-
-Mi chiami. Continuamente. E… non lo so, ma sei insistente e fastidioso.-
Stiles che dà del fastidioso a Derek ha dell’assurdo. È come se il mondo si fosse capovolto come un guanto.
-Devi essere stato importante per me.-
Derek non sa cosa rispondere. Sì? No? Forse? Alla fine, opta per la semplice e cruda verità.
-Non ne ho idea. Ho sempre pensato di no.-
Stiles lo guarda, specchiandosi negli occhi verde giada dell’altro. Sono occhi luminosi, nei quali tuttavia si nasconde una tenebra soffocante. Quello sguardo selvaggio da animale, da bestia perennemente sull’attenti che mai smetterà di lottare per la sopravvivenza. È uno sguardo contornato da lunghe ciglia nere che incorniciano di oscurità un colore chiaro che tuttavia, nella sua occhiata, di limpido non ha proprio niente, a parte le sfumature.
-Hai degli occhi bellissimi. Te l’ho mai detto prima?- dice, indicandolo come un bambino.
Derek sbatte le palpebre, stupito. –No.-
-Sono stato un deficiente.-
-No, noi… non andavamo molto d’accordo.-
Stiles inclina di nuovo il capo, fissandolo. Si sorprende a pensare che per quanto sia cambiato negli ultimi giorni, non potrebbe mai odiare l’uomo che ha davanti. Forse litigavano, battibeccavano, ma si trattava di pura e semplice abitudine. Stiles lo sa, lo sente: quell’uomo non è cattivo come spesso cerca di lasciare intendere. Si è preso cura di lui con pazienza e gentilezza, ha lasciato che il caos nella sua testa si acquietasse, ha medicato le sue ferite. Nessuna creatura con un minimo di cattiveria insita farebbe qualcosa del genere.
-Ero proprio una persona orribile, vero?- domanda lentamente, faticando a mettere insieme le parole. Il diapason di voci nella sua testa è ancora assordante, ma con Derek nei paraggi sembra sempre diminuire.
-Perché dici questo?-
-Perché tu sei una persona buona e se non andavamo d’accordo allora quello cattivo dovevo essere io.-
Derek siede sull’erba e distende le gambe, rivolgendo gli occhi al cielo. –Ti sbagli. Detesto dirlo, ma oltre a essere l’essere più idiota che io abbia mai conosciuto, sei anche la persona più buona dell’universo. Eri un piccolo, stupido umano, troppo fragile per il nostro mondo e troppo debole per poter contrastare qualsiasi creatura lo abitasse, ma non ti sei mai tirato indietro, a costo di farti spezzare tutte le ossa. Se qualcuno era nei guai, tu arrivavi e sostituivi la forza dell’ingegno alla mancanza della forza bruta. Era… strano. Ma efficace.-
Derek ricorda quei momenti e arriccia appena un labbro in una parvenza di sorriso. Socchiude gli occhi ai raggi troppo insistenti del sole, ma quando qualcosa va a sfiorargli il viso, trattiene il fiato e si deve impedire con forza di muoversi e guardare Stiles negli occhi. Sa che è lui perché riconoscerebbe quel tocco e quell’odore dappertutto, anche in mezzo a mille.
Derek resta immobile mentre Stiles fa scivolare le dita sui suoi zigomi, sulle sue palpebre chiuse, lungo il naso, per poi soffermarsi sulle labbra. Le schiude leggermente, esercitando una piccola pressione sul labbro inferiore e Derek si sente morire perché nessuno lo ha mai toccato in quel modo, così come nessuno lo ha mai fatto sentire così. È una cosa bella e pulita, priva di qualsiasi sottointeso o doppio senso, come il tocco di un bambino curioso di scoprire il mondo.
Stiles è fatto così, dopotutto: pulito, limpido come uno specchio d’acqua. Derek si accorge di amare quella parte di lui che, nonostante gli orrori vissuti e le perdite subite, si è rifiutata di crescere del tutto. Averci a che fare è come respirare una boccata d’aria pulita dopo troppo tempo trascorso a inspirare il puzzo di una discarica.
C’è così tanta pace, così tanto silenzio. Per la prima volta dopo tanti anni, la vita di Derek appare lineare, piacevole, addirittura bella. Ed è cominciato tutto da quando Stiles è piombato nella sua vita dopo tre anni di assenza, col suo sorriso e la sua parlantina. Per Derek è stato come tornare a vivere di nuovo dopo lunghi anni di coma indotto.
-Chi sono? E chi sei tu?- mormora Stiles, togliendo la mano.
Derek apre gli occhi e lo vede seduto al suo fianco, il busto inclinato all’indietro che si appoggia sulla mano piantata nell’erba. Lo guarda con tristezza, gli occhi più dorati che mai e la pelle diafana baciata dai raggi tiepidi del sole.
Derek vorrebbe rispondergli, ma capisce che non è la cosa giusta da fare. Stiles non ha bisogno di sentirsi narrare una storia troppo triste che lo farebbe solo piangere. Derek non sopporterebbe le sue lacrime. Vuole che Stiles sia sereno, che sorrida, che rilassi i nervi e torni quello di una volta, perché questo è tutto ciò che merita.
Stiles merita il sole.
Stiles merita vita.
Stiles merita quanto di più bello esista al mondo.
Interpretando correttamente il silenzio di Derek, Stiles si abbandona a un sospiro e si alza in piedi, tenuto d’occhio dallo sguardo vigile del licantropo. Si avvicina allo specchio dell’acqua, abbassa gli occhi su di esso. Osservando il suo riflesso distorto, alterato dai cerchi concentrici che come anelli in movimento si dilatano velocemente nell’acqua, Stiles pensa che c’è qualcosa di sbagliato in tutto questo. Qualcosa gli dice che deve allontanarsi da Derek, che deve lasciarlo stare. Un ricordo. Una voce insistente di giovane uomo troppo affascinante per essere terreno.
“Non portarlo via con te”.
Un brivido gelido gli percorre la spina dorsale. Improvvisamente, Stiles sente freddo e ha paura; non per se stesso, ma per l’uomo che si è preso cura di lui per tutto questo tempo. Lo stesso bellissimo uomo capace di trasformarsi in lupo, lo stesso uomo la cui forza trasuda da ogni muscolo guizzante, da ogni occhiata d’acciaio, da ogni passo misurato di bestia selvaggia e indomita.
Con un sussulto di sorpresa, Stiles capisce che Derek era importante per lui, più di ogni altra cosa al mondo. Perché? Cosa significa tenere tanto a qualcuno? Lui poteva provarle queste cose?
Improvvisamente, qualcosa si poggia delicatamente sulle sue spalle, coprendogliele con dolcezza. Stiles guarda stupefatto la giacca di pelle e la tocca titubante prima di alzare gli occhi sul suo burbero proprietario, che intanto fissa il laghetto con nervosa insistenza.
-Se me la rovini, ti apro la gola con i denti.-
E alla vista del leggero rossore che ricopre le gote di Derek, Stiles non può fare a meno di muoversi quasi contro la sua stessa volontà. Ripercorre i passi di qualcosa che non credeva di aver mai posseduto, un ricordo dove la sua mano stringe con gentilezza quella di Derek, calda e callosa, molto più grande della sua. Il licantropo lo fissa stupito, ma non si ribella alla presa di Stiles, che intanto comincia a trovare che quel calore sia bello, pulito… sa di casa. Non ha niente a che fare col calore del sangue e delle fiamme, con quello delle urla e del dolore… no, è qualcosa di diverso, che non conosce o non ricorda.
-Grazie.- dice semplicemente, e allora Derek annuisce e distoglie lo sguardo. Stiles non lo lascia andare neanche quando si accosta ancora di più al bordo del laghetto, sporgendosi verso l’acqua cristallina. Sulla superficie galleggiano alcune foglie.
-Stiles.-
-Mh?-
-Non ti sporgere troppo, potresti…-
Ma Derek non ha il tempo di finire la frase, perché improvvisamente Stiles scivola e, gridando, li trascina tutti e due nell’acqua. Affondano nella morsa gelida del lago non troppo profondo, toccano il fondale con i piedi e poi risalgono simultaneamente, come nuotatori sincronizzati. Appena emerge dalla superficie, Derek sputa un piccolo getto sottile d’acqua, trasformandosi momentaneamente in una di quelle statue che affollano le fontane delle case antiche.
-TI AMMAZZO!!!- ruggisce, quando si riprende. –Ti ammazzo davvero, stavolta!-
Ma ogni altra minaccia viene soffocata da un suono nuovo e meraviglioso, cristallino e pulito come il vagito di un bambino appena venuto al mondo. Un suono a lungo cercato del quale adesso anche i boschi si stanno beando, cadendo nel silenzio della quieta contemplazione mentre la speranza sboccia, si dilata, abbraccia di rinnovata forza l’animo stanco di Derek che improvvisamente si risveglia al suono più bello che le sue orecchie abbiano mai sentito: Stiles sta ridendo.
 
Angolo dell’autrice:
Finalmente, Stiles sorride. Strano a dirsi, ma ho tirato anche io una boccata d’aria pulita e spero che per voi sia stato lo stesso nel leggere il finale di questo capitolo, così come spero di avervi fatto sorridere come ha fatto lui, perché, ragazzi miei, quando si legge si è sempre a un passo dal toccare il sole e le stelle, lontani da tutto e da tutti. Spero con la mia storia di avervi trascinato via almeno un po’, così come spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Mi rimetto al vostro giudizio, alla vostra pazienza, alla vostra dolcezza che mai mancate di esercitare quando commentate. Grazie di cuore, a tutti voi. Grazie, angeli miei.
Un ringraziamento dunque a:
Elenuar Black
Stillnessthings
Nye
KuramaLiz
Giada_ASR
Barbara78
Dita Di Polvere
_Sara92_
Allen99
 

Anticipazioni:
“-Hai un’espressione ebete in faccia, ragazzino.- commenta Derek alla fine, prima di riuscire a frenarsi, ma Stiles scrolla il capo, per nulla offeso.
-Credo che sia proprio la mia faccia ad essere così.-
-Non ne dubito.-
Con sua immensa sorpresa, Derek si accorge di sorridere. Un sorriso vero, di quelli che ti stiracchiano le labbra e illuminano gli occhi. Stiles pensa di non aver mai visto qualcosa di così bello. Prova un’inspiegabile fitta al cuore, come un avvertimento, ma non lo ascolta. La meraviglia di quegli occhi di giada che lo fissano, il calore di quelle dita intrecciate alle sue, il profumo di quel corpo forte costruiscono nel suo animo un ponte che poco a poco li collega, legandoli inesorabilmente con un doppio filo rosso impossibile da spezzare. È quello stesso filo che adesso li tira, accostando il viso di Stiles a quello improvvisamente rigido e immobile di Derek, che continua a fissarlo e aspetta qualcosa da lui: una mossa, un azzardo, un cambiamento. Qualsiasi cosa…”

 
Tomi Dark Angel

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Capitolo 19
*** Spezzare Le Catene ***


“Come fai a raccogliere le fila di una vecchia vita?
Come fai ad andare avanti quando nel tuo cuore
Comincia a capire che non si torna indietro?
Ci sono cose che il tempo non può accomodare,
Ferite talmente profonde che lasciano un segno.”
 
-Stiles, devi concentrarti.- sbotta Chris Argent mentre solleva i pugni in posizione di difesa. –Non ho intenzione di evitare una seconda volta di colpirti la faccia. Stavolta andrò a segno, sappilo.-
Ma Stiles non sembra intenzionato a contrattaccare. Evita i colpi, scarta, si abbassa, balza di lato, ma non pare nemmeno infastidito dai continui attacchi di Chris e sua figlia. Entrambi lottano con velocità e precisione, menando colpi ben assestati e muovendosi con eleganza di autentici felini, fin quasi ad eguagliare lo stile di combattimento di un vero licantropo. A guardarli, non è difficile capire perché gli Argent appaiano tanto minacciosi agli occhi delle creature sovrannaturali. Per chiunque, rappresenterebbero una minaccia. Per chiunque, ma non per Stiles.
Stanno lottando da ore, e finora solo un pugno di Chris è andato a segno, colpendo Stiles alla spalla. Derek si è mosso violenza pur di non intervenire perché Dumah e Valefar sono stati chiari: Stiles deve imparare a reagire, e i due demoni non possono lottare contro di lui perché rischierebbero di ferirlo seriamente.
Chris ruota su se stesso, mirando un calcio alla testa di Stiles nello stesso istante in cui Allison fa guizzare i pugnali verso le ginocchia nel tentativo di azzopparlo momentaneamente. Entrambi restano stupiti tuttavia quando un risucchio d’aria fa perdere loro l’equilibrio, abbracciando Stiles in un grumo di ombre che lo teletrasporta in cima ai resti di casa Hale, laddove Valefar sta accovacciato per controllare la situazione dall’alto.
Stiles non pare stupito di quel cambiamento, così come non lo sembrano Valefar e Dumah. Gli altri però, lo fissano con un accenno di rinnovata speranza negli occhi perché Stiles ha controllato il teletrasporto al primo colpo. Non si è sbilanciato, non è finito più in là di dove abbia programmato. Ha mantenuto un’espressione neutrale, pacata, il che significa che il suo corpo ha reagito esattamente come si aspettava.
-Niente male, cherì.- sorride Valefar, raddrizzandosi. Si spazzola la polvere dai jeans e stiracchia le braccia, rilassato. –E ora, vediamo se riesci a controllare questa cosa.-
Sparisce all’istante, talmente in fretta da dare l’impressione di non essere mai stato lì, per poi riapparire al limitare della radura, accanto a un albero. Si tiene lontano da tutti, specialmente da Lydia, ma non fissa nessuno di loro: gli occhi di Valefar adesso puntano su Stiles in attesa di una reazione. Lo sfidano, lo aspettano. Chiedono conferma di una sicurezza che Stiles dovrebbe ormai aver raggiunto.
E Stiles infatti, non lo delude.
Quando il ragazzo sparisce e riappare accanto a Valefar, quello scompare di nuovo, subito seguito dall’altro. Cominciano un gioco piuttosto bizzarro, un rincorrersi micidiale di due creature che a stento misurano la propria forza. Si comportano come bambini, sparendo e riapparendo come se stessero giocando a nascondino, ma Derek ha la sensazione che i due siano in realtà molto più veloci di quanto diano a vedere: ha sentito infatti uno spostamento d’aria al suo fianco e uno poco lontano, dove sembra che non sia apparso niente. In un solo secondo, quante volte sono capaci di apparire e sparire? Dieci, cento, mille? Derek non è sicuro di voler conoscere una risposta.
Dumah ridacchia, appoggiandosi a un albero vicino.
-Trovi così divertente questo spettacolino?- chiede Peter, guardandola.
-Trovo divertente che Valefar stia ridendo come un imbecille.-
-Lo stai facendo anche tu.-
-Non ho mai detto di non essere imbecille a mia volta, sai, dolcezza?-
-Ti stai insultando da sola.-
-Lo faccio quando mi annoio.-
-Lo trovo un comportamento da idiota.-
-Mi stai dando ragione, visto?-
I due si guardano fisso negli occhi, le labbra tese, gli sguardi che incenerirebbero Lucifero stesso. Questo finché qualcuno non scoppia a ridere senza ritegno, piegandosi in due con le mani sulla pancia.
Allison si copre la bocca a fatica, cercando di soffocare le risate, ma con scarsi risultati. Il suo corpo è squassato dalle convulsioni e le tremano le braccia, gli occhi luminosi come punti luce. È sporca di terra e sudore, ma sembra felice come non lo era da tempo. La sua risata infatti è talmente contagiosa che alla fine anche Scott e Isaac cominciano a ridere e Chris si abbandona a un sorrisetto che suo malgrado non riesce a nascondere. Anche Derek arriccia appena le labbra, ma è troppo nervoso per sorridere davvero: i suoi occhi non fanno che schizzare dappertutto nel disperato tentativo di tenere d’occhio Stiles.
Impossibile. Derek non ha mai visto niente di più veloce. Se in corsa Stiles è sorprendentemente svelto, nel teletrasporto è praticamente invisibile. Derek è certo che lui è Valefar si allontanino di continuo per poi tornare da loro a distanza di pochi millesimi di secondo.
-Sei bravo!- esclama Valefar, riapparendo sul tetto di casa Hale. Sorride con serenità spensierata, i capelli scompigliati e gli occhi luminosi. Non presenta alcun segno di affanno, ma la sua pelle balugina di vaghi riflessi neri e blu, come fiamma covata sotto le sue stesse ceneri.
-Grazie.- risponde Stiles, senza tuttavia sorridere. Alza gli occhi al cielo, scrutandolo come un bambino curioso che sta ancora scoprendo il mondo. Il branco non presta loro attenzione, troppo impegnati a fare fracasso come un gruppo di cuccioli inesperti. È bello, è… naturale. –Una volta vi sentii parlare delle mie… caratteristiche fisiche.-
Valefar inclina il capo, sorridendo ancora. –Sì?-
-E… mi chiedevo… sentii parlare di… ali. Ho le ali?-
-Questo e molto altro.-
-Ma non sono una brava persona.-
-Perché dici questo?-
Stiles cerca invano di sorridere. –Perché anche se la mia mente non è totalmente stabile, posso ancora capirlo quando la gente mi tratta come se fossi una bomba a orologeria.-
Valefar smette di sorridere, improvvisamente conscio della situazione. Stiles ha ricominciato a riacquistare il controllo di se stesso ed è perfino consapevole di essere psicologicamente instabile. Non sembra detestare la situazione né la sua natura demoniaca, ma già il fatto che riesca a sostenere una normalissima conversazione ha dell’incredibile. È come se la sua umanità stesse lottando ancora, acquisendo sempre più spazio, respingendo la natura demoniaca. Ma non è così che deve andare.
-Dovresti accettarla, sai? La tua vera natura.-
Valefar si stiracchia e abbassa gli occhi sul branco. Molti ridono, altri sorridono, ma tutti sembrano sereni. Anche Derek, che fissa lo sguardo smeraldino in quello di Stiles, rilassandosi. Adesso che lo vede, ogni cosa torna finalmente al suo posto.
-È proprio un bell’uomo.-
Stiles sussulta, improvvisamente rosso in volto. Si torce le mani, boccheggia, ma non capisce perché. È come se una piacevole morsa d’aspettativa gli avesse stretto lo stomaco, chiudendoglielo.
Fissa Derek con quel po’ di visibilità che gli consente il sole, ma anche in quelle condizioni non può che ammirare la tinta ambrata che i raggi dorati donano alla sua pelle liscia, all’accenno di barba virile che gli cosparge la mandibola, agli zigomi alti e al naso dritto. I capelli sono scompigliati, morbidi così come Stiles li ricorda perché una volta li ha toccati, proprio mentre Derek dormiva. Sembrano di seta.
Ed è allora che Stiles capisce con tristezza che se lui è un demone, Derek Hale, con la sua gentilezza, la sua pazienza e i suoi rari sorrisi, non può che essere un angelo. Un angelo lontano e irraggiungibile, che Stiles non dovrebbe nemmeno azzardarsi a sfiorare.
-Stai pensando una delle tue solite stronzate.- dice Valefar, distogliendolo dai suoi pensieri. Stiles lo guarda.
-Perché, cosa penso di solito?- domanda, e Valefar scrolla il capo.
-Non hai idea di cosa hai fatto per quel tizio laggiù in questi ultimi tre anni, Stiles. Hai sacrificato ogni cosa, hai annullato te stesso, hai sopportato le torture dell’Inferno. Non ho mai visto niente del genere, credimi. Se Derek ti avesse chiesto di morire per lui, tu lo avresti fatto senza obbiettare. Lui era il centro del tuo universo, quel peso di sanità mentale che pesava sul piatto giusto della bilancia, impedendoti di impazzire. Eppure, nonostante tutto, non hai mai voluto dirgli niente: lo guardavi da lontano, sorridevi, ti prendevi cura di lui e lo proteggevi quando Derek non guardava. Eri tu l’angelo, Stiles, e lo sei ancora.-
Valefar gli appoggia una mano sulla testa, scompigliandogli i capelli con dolcezza fraterna. Lo guarda fiducioso, negli occhi azzurri una luce nuova che gli rischiara il viso di beatitudine quasi angelica.
-Credo che lui lo abbia capito. Adesso sa.- sorride, costringendo Stiles a guardarlo. –E lo sappiamo tutti quanti. Guarda cosa hai fatto.-
Indica il branco riunito, i loro sorrisi, il sole che li bacia di un calore nuovo e più gentile, rilassato, sereno.
-Guarda me e Dumah. Io… non so come sia potuto accadere, ma in qualche modo ci hai cambiati profondamente. Adesso collaboriamo con un branco di creature che sembra accettarci, lottiamo per un bene che non conoscevamo nemmeno ma che abbiamo visto attraverso i tuoi occhi. Questo è un miracolo, Stiles… e i demoni non fanno miracoli. Ormai, non ne fanno più nemmeno gli angeli. Tu sei superiore a entrambe le categorie, ed è per questo che abbiamo fiducia in te: tu hai la forza di un demone e il cuore di un’anima beata.-
Quando Stiles sbatte le palpebre, qualcosa scivola sulla sua pelle. È un tocco curioso, leggero, come una carezza di bambino. Gli sfiora la guancia con dolcezza, lasciandosi dietro una scia cristallina di umida commozione.
Stiles non ricorda cosa significhi piangere. Non sa perché si fa, non capisce come possa accadere. Sa solo che adesso quella piccola, umana lacrima di purissima acqua salata è scesa dal suo occhio destro, ma non pesa tanto: non è una lacrima di dolore, di paura, di rabbia. Sa di qualcosa che Stiles riconosce appena, un sentimento che quando è con Derek prova costantemente senza mai riuscire a identificarlo.
Felicità.
-Grazie.- singhiozza Stiles, prendendogli la mano e stringendola forte tra le sue, più piccole e sottili ma ugualmente forti. Valefar lo abbraccia con dolcezza, cingendogli le spalle e baciandogli i capelli come un fratello protettivo.
-Stiles.- chiama una voce tesa che li costringe a sciogliersi dall’abbraccio.
Derek Hale è in piedi sul tetto, a pochi passi da loro e fissa Stiles con preoccupazione a stento celata. Ha gli artigli snudati, gli occhi attenti che baluginano appena di blu, come se fosse a un passo dall’infuriarsi.
-Valefar, se sei stato tu a farlo piangere, ti stacco la testa.- ringhia, facendo un passo verso di loro, ma Valefar non sembra preoccupato e Stiles lo è ancora meno. Altre lacrime scivolano sul suo viso mentre qualcosa di nuovo si dilata nel suo petto, abbracciandolo di una dolcezza infinita, fresca, che adesso Stiles può riconoscere. È Derek. La sua ancora, il suo inizio e la sua fine. La sua felicità. Tutto ciò di cui ha bisogno è lì, in quella burbera creatura dal cuore troppo grande.
-Valefar, esigo una risp…-
Ma Stiles spicca improvvisamente una corsa, veloce come un demone, tanto che per brevi istanti Derek lo vede sparire e trasformarsi in cellule di purissimo vento inafferrabile. Poi, qualcosa gli cinge i fianchi e un corpo caldo preme contro il suo. Labbra morbide e piene si posano sul suo collo in un tocco che non è un bacio, bensì un semplice sfiorarsi di pelle contro pelle, puerile e privo di malizia. È il tocco di un bambino, il tocco di un cucciolo gentile che ringrazia il suo padroncino per averlo accolto e curato. Il tocco di Stiles.
Derek sbatte le palpebre stordito, il cuore in tumulto, la pelle coperta di brividi. Avverte l’odore di Stiles mescolarsi al suo, e capisce che non c’è al mondo un mix più perfetto di quello, come di due pezzi di puzzle che si incastrano. Lo abbraccia a sua volta mentre Stiles gli singhiozza debolmente sulla spalla, mormorando qualcosa in lingua demoniaca, che nonostante il tono graffiante e gutturale, adesso appare quasi dolce, angelica e musicale.
-Stai bene?- mormora Derek, facendo scorrere la mano lungo la sua schiena. Stiles annuisce contro la sua spalla proprio mentre il resto del branco li raggiunge, chi arrampicandosi, chi balzando con agile semplicità. Tutti si radunano al cospetto di quella scena purissima e commovente, il tocco di due anime che si trovano, si stringono, si completano a vicenda come pezzi rincollati di una stella esplosa rimasta rotta troppo a lungo.
-Solitamente odio certe romanticherie.- sorride Isaac, gli occhi fissi sulla scena. –Ma devo ammettere che quei due non sono male insieme. Avrei voluto che anche i miei genitori fossero così.-
Pronuncia quelle parole con beata semplicità, senza tristezza o imbarazzo. Parla con tutti e con nessuno, impassibile come al solito. È cresciuto così, Isaac. Sa affrontare il dolore, la solitudine, la paura. È sempre stato il realista del gruppo, quello che affronta i problemi ad alta voce perché lui, nei problemi, ci è nato. Ha scelto di andare avanti riconoscendo le sue debolezze, accettandole, abbracciandole. Non evita il suo passato, perché esso incarna tutto ciò che Isaac è diventato, uno dei motivi che lo spingono a respirare.
Scott lo guarda di sottecchi, gli occhi fissi sul volto troppo pallido, sui ricci dorati, sugli occhi azzurri. Occhi troppo giovani che troppo hanno visto, occhi che sanno giudicare e affrontare. Occhi di giudice imparziale.
Scott non sa cosa significhi affrontare una vita tanto dolorosa. Lui ha avuto i suoi problemi in famiglia, ma saranno sempre ben lontani dalla gravità devastante di ciò che ha subìto Isaac. Ogni volta ci pensa, ogni volta prega che in qualche modo, le cose migliorino e Isaac stia bene. Ormai, quel ragazzo è parte di lui, parte della sua vita, della sua casa, della sua famiglia.
Istintivamente, senza pensarci o chiedersi il reale significato dei suoi stessi gesti, Scott gli afferra la mano e intreccia le dita con le sue.
Isaac trasale, si irrigidisce. Lentamente, volta il capo verso Scott, che con naturalezza disarmante sorride, puro come un bambino in fasce.
-Non sei solo.- afferma dolcemente, e allora Isaac si rilassa, ricambia la stretta e quasi sorride. Crede alle parole di Scott perché a pronunciarle e lui, e il suo Alpha non sbaglia mai. Insieme sotto il bacio dorato dei raggi del sole, Isaac si affida nuovamente al suo branco, al suo Scott. Con cieca devozione, ringrazia il cielo di averlo incontrato, di avergli prestato fiducia mentre tutto crollava. Avere una famiglia dopotutto, non è poi così impossibile.
-Dovresti dirglielo anche tu, dolcezza.- sussurra Dumah, affiancando Valefar. Non vi è traccia di malizia nel suo tono e il corpo per una volta non ha movenze provocanti. Diaval è appollaiato sulla sua spalla, intento a russare profondamente.
-Cosa?- sbotta Valefar, guardandola di sottecchi. Cerca di apparire rigido e ancora arrabbiato, ma c’è qualcosa nello sguardo di Dumah che smorza ogni suo scatto d’ira.
 Dumah sorride. –Sarò anche un demone senza cuore, senz’anima e tutte quelle stronzate lì, ma sono comunque una ragazza e certe cose le riconosco. Fossi in te, non mi lascerei scappare un bocconcino simile.-
Dumah accenna verso Lydia, intenta a fissare Derek e Stiles con un rapimento quasi ipnotico. Valefar arrossisce come un bambino e abbassa lo sguardo.
-Non… non credo che questa cosa debba interessarti.-
-Non ho niente di meglio da fare, quindi sì, mi interessa.-
Valefar sbuffa e si allontana, piccato. Ignora le basse risate di Dumah, ignora il sorriso spontaneo che gli sboccia sulle labbra a sua volta. Ignora anche il sussurro della giovane demone che lo raggiunge, sfiorandogli l’orecchio: -Le donne amano i gioielli.-
 
Derek Hale ha sempre pensato di conoscere la bellezza vera. A pensarci bene, da ragazzino rivedeva una sconfinata magnificenza nei boschi, nelle foreste, nei corsi d’acqua. Anche la pioggia gli piaceva, così come tutti i doni presentatigli dalla natura. Prima che tutto andasse in pezzi, Derek vedeva la bellezza in ogni cosa. Non avrebbe mai pensato che al mondo potesse esistere qualcosa di più bello e nobile della potenza della natura, dei boschi rigogliosi, degli alberi possenti e mai sradicabili.
Tuttavia, adesso che è adulto, è costretto a ricredersi abbondantemente.
C’è qualcosa di più bello ed esotico di qualsiasi forza naturale Derek abbia mai visto. Se ne accorge ora mentre, seduto sui gradini di quella che una volta era casa sua, guarda Stiles accarezzare dolcemente il dorso di una volpe selvatica che per qualche strano motivo ha scelto di avvicinarsi senza timore, inconsapevole forse della reale natura dell’apparentemente innocuo ragazzo che adesso la tocca sorridendo appena, gli occhi illuminati da un tenue bagliore di vita.
Derek si riempie gli occhi di quella visione, senza saziarsi mai. Vede le dita di Stiles affondare nel morbido pelo della volpe, vede i suoi capelli oscillare al soffio del vento e il guizzo dei muscoli longilinei sotto la maglietta. La luce della luna bacia dolcemente la sua pelle, illuminandola di un dorato bagliore evanescente, prezioso più di qualsiasi diamante, brillante più di qualsiasi stella. Le morbide vestigia lunari  scorrono su di lui, schiarendogli i capelli, generando ombre sugli zigomi, evidenziando gli occhi, il naso all’insù, le labbra appena tirate in un sorriso. Sembra un bellissimo folletto delle foreste, una creatura da sogno appena emersa dalla più bella delle favole. Derek potrebbe restare lì per sempre, ma si è fatto tardi e a quell’ora non dovrebbero essere lì.
-Stiles, dobbiamo tornare a casa.-
Stiles si volta, lo guarda. Sorride di nuovo, stavolta con più sicurezza, come se capisse che quello stiramento di labbra significa qualcosa. Non ne è pienamente consapevole, non sa che per Derek quel piccolo sorriso è più bello e prezioso di qualsiasi cosa al mondo.
-Andiamo.-
Ma Stiles continua a non muoversi. Al contrario, gli tende una mano mentre con l’altra perpetua ad accarezzare la volpe.
-Vieni.- dice semplicemente, e Derek si sorprende ad ubbidire, perché a chiederglielo è Stiles. Lo raggiunge, si inginocchia al suo fianco.
La volpe appiattisce le orecchie al cranio, conscia dell’improvvisa vicinanza di un predatore troppo forte e troppo pericoloso. Indietreggia appena, ma continua a esitare, spostando gli occhi da Derek a Stiles. Chiede sicurezza, si affida alla parola del giovane demone.
-Non ti farà niente.- dice infatti lui con dolcezza musicale, tanto che Derek socchiude gli occhi, come se stesse ascoltando una ninnananna. Si sente afferrare la mano e subito apre gli occhi, posandoli sul viso di Stiles, che continua invece a fissare la volpe.
Intrecciando le dita alle sue, fa affondare il palmo di Derek nel manto morbido della volpe, che poco a poco comincia a rilassarsi. La accarezzano con dolcezza, uniti da quel contatto caldo e confidenziale, che per Derek sa di casa e per Stiles… di voci. Ricordi. Ma stavolta non fanno male, perché Stiles li riconosce. Riconosce l’odore di Derek, il suo respiro, il timbro della sua voce. Conosce tutto di lui, ma ancora non capisce il perché. Era importante? In che modo?
Da parte sua, Derek non fa che fissare l’altro, stupendosi di quanto, nonostante la situazione e la sua entità demoniaca, egli possa apparire puro come un bambino appena venuto al mondo: è qualcosa di enorme, insormontabile, che lo acceca e lo attrae contemporaneamente. Quel qualcosa è semplicemente Stiles.
-Hai un’espressione ebete in faccia, ragazzino.- commenta Derek alla fine, prima di riuscire a frenarsi, ma Stiles scrolla il capo, per nulla offeso.
-Credo che sia proprio la mia faccia ad essere così.-
-Non ne dubito.-
Con sua immensa sorpresa, Derek si accorge di sorridere. Un sorriso vero, di quelli che ti stiracchiano le labbra e illuminano gli occhi. Stiles pensa di non aver mai visto qualcosa di così bello. Prova un’inspiegabile fitta al cuore, come un avvertimento, ma non lo ascolta. La meraviglia di quegli occhi di giada che lo fissano, il calore di quelle dita intrecciate alle sue, il profumo di quel corpo forte, costruiscono nel suo animo un ponte che poco a poco li collega, legandoli inesorabilmente con un doppio filo rosso impossibile da spezzare. È quello stesso filo che adesso li tira, accostando il viso di Stiles a quello improvvisamente rigido e immobile di Derek, che continua a fissarlo e aspetta qualcosa da lui: una mossa, un azzardo, un cambiamento. Qualsiasi cosa.
Ma questo non avviene.
Stiles si immobilizza all’improvviso, sbatte le palpebre. Qualcosa oscilla nel suo sguardo, un brillio di paura che Derek non riesce a comprendere o a identificare. Gli stringe forte la mano, cercando di risvegliarlo, ma Stiles sembra non riconoscerlo più: gli occhi sono improvvisamente vitrei, spaventati, come di cerbiatto dinanzi a un fucile puntato.
L’aria vibra quando un grumo di oscurità compare intorno a lui, abbracciandolo e stringendolo fino a soffocare la sua figura. Stiles sparisce nel nulla prima ancora che Derek abbia modo di realizzare che stavolta, il suo demone non tornerà indietro.
 
Istinto. È il solo e purissimo istinto ad averlo condotto lì, tra gli alberi, sulle rive del piccolo lago: è un richiamo, un grido che Stiles ha udito come da molto lontano. Ne comprende il motivo solo quando vede Diablo volare in cerchio sulla sua testa, come un sinistro presagio ammonitore che lo prega di tornare indietro, di non avanzare di un solo passo.
Stiles vorrebbe ascoltarlo. Vorrebbe tornare da Derek, riabbracciare quel pacifico incanto dove le loro dita intrecciate accarezzavano un morbido manto di volpe. Era un sogno, una favola destinata a spaccarsi. E ora Stiles capisce perché.
È successo qualcosa di brutto lì: l’erba è sporca di un rosso intenso, appiccicoso, che sa di peccato e dolore versato. Qualcosa striscia miserabile sull’erba, un fagotto piccolo come di bambino zoppo, impossibilitato ad alzarsi. Fa forza sulle braccia, si trascina verso l’acqua con inutile disperazione mentre il sangue continua a colare, sottraendogli tempo e vita. Al suo fianco, un gatto nero giace morente, immacolato ma immobile. Il piccolo petto si alza e si abbassa troppo velocemente, come ultima resistenza alla morte che già aleggia su di lui, pronto a strapparlo dalle braccia di sua sorella vita.
Stiles si avvicina titubante, un passo dopo l’altro: non controlla più il suo corpo e i piedi si muovono praticamente da soli verso quello scenario da incubo tinto dal rosso del sangue e dal nero dell’oscurità. Sente che deve essere lì, accanto a quel fagotto tremante e al suo gatto moribondo che paradossalmente Stiles ricollega a Diablo.
I piedi nudi affondano nella pozza di sangue, si sporcano di un rosso intenso che torce di terrore lo stomaco di Stiles. L’istinto di fuggire lontano si ripresenta con forza, ma lui lo scaccia e contro la sua stessa volontà si inginocchia, insozzandosi di rosso, affondando le gambe in quello scenario da incubo. Quando tende la mano verso il fagotto, le dita tremano convulsamente.
Il bambino si lascia voltare, non oppone resistenza quando Stiles lo gira di schiena con delicatezza per incontrare un solo occhio blu elettrico. L’altro è stato cavato dall’orbita, il viso è pieno di tagli e lacerazioni e dal collo in giù non è più possibile capire se quello sia un corpo umano o un pezzo di carne macinata. C’è sangue dappertutto, e Stiles si sente sprofondare ancora di più in quell’incubo ad occhi aperti. Le voci crescono, gridano nella sua testa, assordandolo e premendo contro la scatola cranica.
Fanno male.
Il bambino lo guarda stordito, sbattendo le palpebre di quell’unico occhio funzionante e quasi accecato dalla morte per metterlo a fuoco. Quando ci riesce, le labbra si muovono appena, tendendosi in un piccolo sorriso.
-Ci…ao… Stiles.- esala con voce roca di dolore. –Sei in… rit… ardo.-
Stiles non sa che dire, perciò si limita ad annuire. Appoggia la testa del bambino sulle gambe, pietosamente gli accarezza la fronte martoriata e sporca di sangue. Si copre la mano con la manica della camicia a quadri che indossa e comincia a tamponargli la pelle, un centimetro dopo l’altro, come se stesse cercando di ricostruire quel puzzle di carne andato irrimediabilmente in pezzi.
-Non ti… ricordi di… me, vero?-
Stiles scuote il capo. –No. Non è importante farlo, adesso.-
-Non sai… nemmeno cosa ti… ho fatto.-
Stiles sorride tristemente, gli occhi lucidi traboccanti di paura e lacrime per quel bambino troppo piccolo e fragile che lentamente si spegne tra le sue braccia. –Ricordo che ci hai minacciati. Ho vaghe memorie anche di qualche momento trascorso in tua compagnia e… non eri molto gentile. Mi facevi sempre male.-
Il bambino tossisce un grumo di sangue, che Stiles pulisce con dolcezza, cercando di non fargli male. –E allora pe… perché mi… mi aiuti?-
Stiles non lo sa. Sente che non sarebbe giusto in ogni caso abbandonare quel bambino, sente che non sarebbe giusto lasciarlo lì a morire come il più misero degli esseri. Stiles ricorda bene la sensazione di solitudine provata in certi momenti del passato che ancora premono per uscire, e sa che nessuno merita di sperimentare le stesse maledette emozioni.
-Nessuno merita di restare da solo. Nemmeno tu. Per quanto male tu possa avermi fatto, non meriti questo.-
-Sono un’anima da… dannata. Sono un mostro… esattamente come… te.-
Stiles chiude gli occhi, china il capo. La mano continua a scivolare sulla pelle di Alastor, ripulendolo dal suo stesso sozzume. Un ricordo affiora, una voce sussurra da qualche parte nella sua testa e Stiles si limita a ripetere le parole che sente: -Non è il nostro aspetto a decretare ciò che siamo realmente. Sono le nostre scelte a renderci  mostri oppure no.-
Alastor sorride stancamente. –Tipico di te. Sempre giusto, sempre fermo nelle tue convinzioni. Ti… ti odiavo da morire. Eri tu l’innocente, l’anima pura che tutti noi non riuscivamo a piegare. Anche adesso, quando sei… in procinto di diventare un demone completo, continui a essere così schifosamente puro. Sei riuscito dove tutti noi abbiamo… fallito. E solo ora mi… mi rendo conto dei miei errori.-
Alastor alza l’occhio sulla luna, lascia che l’argento del grande disco notturno si rifletta nel suo sguardo sempre più vacuo, sempre più assente.
-Io ti torturavo, e tu adesso mi resti accanto mentre muoio. Non sei un angelo, non sei un demone: cosa sei, Stiles?-
Stiles scuote il capo. –Non lo so.-
Alastor sorride amaramente, il barlume di un singhiozzo bloccato in gola. –Non ho mai capito niente e me ne accorgo solo ora che è troppo tardi. Ti ho spezzato le ali quando invece tu eri l’unico che potesse insegnarci a volare. E adesso tu mi perdoni. Perché? Non capisco… non capisco… non…-
“Il buio mi assale, mi porta via,
In alto se ne va,
L’anima mia, che sale,
Lasciami qui.”
Alastor chiude l’occhio, smette di respirare. Il suo corpo si accascia, non si muove più, non trema e finanche il sangue sembra rallentare la sua fuoriuscita dalle ferite adesso che è finita. Il gatto alle loro spalle lancia un ultimo miagolio sofferente di disperata richiesta di aiuto a anche lui si arrende, sbattendo la testa sul suolo intriso di sangue non innocente, non pulito, ma comunque ingiusto. Sangue che non doveva essere versato, vita che non doveva essere estirpata da un corpo così piccolo.
Stiles sente qualcosa tremare in lui, un singhiozzo spezzargli l’animo e il cuore. Abbraccia forte il corpo di Alastor, affonda il viso contro la sua spalla e scoppia in lacrime amare, che adesso fuoriescono sanguigne, sporche, demoniache. Si mescolano al sangue di Alastor, bagnano i suoi vestiti lacerati, quelle mani che troppo spesso hanno compiuto atti sbagliati ma involontari.
Come si combatte contro la propria natura? Come si impedisce al proprio animo ingabbiato di ubbidire agli ordini di un padrone implacabile? Alastor, Dumah, Valefar… Stiles stesso: tutti loro sono vittime innocenti di una guerra iniziata da millenni, prima ancora che il mondo nascesse. Dio e Satana, Satana e Dio. Bene e male che nel loro odio reciproco hanno ricoperto di cadaveri un campo di battaglia che infine ha insozzato entrambe le entità, mescolando bianco e nero di un solo, grande grigio sporco.
Stiles prova rabbia, una rabbia animale. È stanco di veder morire le persone, è stanco di soffrire e far soffrire. Quella guerra non li riguarda, non è affar loro, però non hanno avuto scelta e adesso che Alastor è morto, Lucifero gli ha voltato le spalle come se quella piccola pedina non fosse altro che un insignificante pezzo della scacchiera abbattuto.
Piangendo con tanta forza da farsi male alle corde vocali, Stiles continua a pulire il viso di Alastor. Si toglie la camicia, la avvolge intorno al piccolo corpo martoriato e lo abbraccia con gentilezza sincera, come una madre che consola il figlio. Stiles continua a chiamarlo, lo prega di svegliarsi, perché adesso il suo nome lo ricorda e non gli importa cosa gli abbia fatto Alastor in passato: quella è una vita, quel ragazzino Stiles lo conosceva. Non c’è niente di giusto in una morte tanto violenta.
Dopo quelle che sembrano ore, Stiles si alza barcollando, stringendo al petto il corpo di Alastor. Raggiunge il lago, entra nell’acqua gelida e baciando la piccola fronte del bambino, lascia che il corpo affondi perché forse l’acqua potrà pulirlo davvero, così come Stiles non è riuscito a fare. Non chiederà a Dio di occuparsi della sua anima, perché Dio, insieme a Lucifero, ha voltato le spalle a tutti loro. Stiles prega che Alastor trovi una pace definitiva, lontana da Dio e da Satana, che non lo coinvolga più in quella guerra inutile che ha soltanto saputo trasformarlo in un assassino.
Quando Stiles lascia andare il corpo di Alastor, sente di aver appena perso un altro pezzo di se stesso, l’ennesima parte di quella persona che non tornerà mai più ad essere. È come perdere un vecchio amico, un’altra scintilla di memorie che non rivivrà mai più in lui e andrà perduta per sempre.
Il sole comincia a sorgere, ed è al bacio dei primi raggi dorati dell’alba che Stiles abbandona anche Zwei, il gatto nero di Alastor. Lascia che il sangue si disperda, adagia con gentilezza il corpicino sul fondale, accanto ad Alastor, che adesso pare dormire placidamente, ripulito poco a poco dall’abbraccio eterno dell’acqua. Non è un brutto posto per riposare. Forse adesso, Alastor è tornato a casa.
Ma da lontano, oltre le montagne
Una voce dice
“Ricordati chi sei!”
Stiles riemerge dall’acqua, ma non smette di singhiozzare. Il sangue gli inzuppa ancora la pelle, i capelli e i vestiti, come un marchio che non andrà mai via. Si sente spezzato, esausto, ma è diverso dall’ultima volta: lui sa chi è, non perderà di nuovo quel barlume di memoria recuperato. È arrabbiato da morire, con Dio e con Lucifero che hanno osato voltare le spalle all’ennesima anima disperata che chiedeva aiuto.
Adesso basta.
Stiles cammina sull’erba lurida di peccato e dolore, raggiunge un piccolo cubo colorato che giace abbandonato nel sangue del suo stesso padrone appena defunto. Un piccolo Cubo di Rubik, il minuscolo gioco nel quale Alastor cercava e trovava quella parte puerile di se stesso che ancora non era andata perduta. Dopotutto, qualcosa del suo antico essere umano era ancora vivo in lui, e nemmeno lo sapeva.
Stiles raccoglie il Cubo, se lo porta alle labbra. Lo bacia tra le lacrime, promettendo vendetta, sigillando le palpebre in un pianto sommesso che si infrange su quel piccolo gioco innocente che una stupida guerra ha saputo sporcare di sangue maledetto. Per l’ultima volta, però.
Stiles alza gli occhi al cielo, furioso come non mai. Le iridi brillano luminose, la pupilla verticale balugina e intorno a lui l’erba comincia ad annerirsi, il sangue a seccarsi, le ombre a riemergere come se fosse ancora notte. Il mondo trema al cospetto di una rabbia animale, distruttiva, che nemmeno Dio e Satana possono controllare ma che entrambi saranno costretti a temere. Stiles promette a se stesso e alle migliaia di vittime innocenti mietute o trasformate in assassini che i responsabili di tutto questo la pagheranno cara.
Ognuno di loro, finanche Dio e Satana, si vedranno giudicati alla luce delle loro stesse colpe.
Le zanne crescono lentamente, le ombre si contorcono. Sotto i piedi, Stiles sente il terreno tremare impaurito e avverte lo scricchiolio sinistro dei tronchi degli alberi che quasi si tendono per allontanarsi da lui e dalla sua malattia oscura che poco a poco contagia di rabbia vendicativa il pianeta intero.
Una forza tanto immensa, il mondo non l’ha mai vista. Qualcosa di incontrollabile, bestiale, capace di combattere Dio e Satana. Una terza potenza ultraterrena sboccia nel mezzo, tra bianchi e neri, tingendosi di grigio. Una nuova fazione nasce sulla scacchiera di bene e male che hanno sempre lottato con le unghie e con i denti per prevalere sull’altro. Adesso, ci sono Dio, Satana e Stiles, che non si fermerà davanti a niente pur di avere ciò che vuole: giustizia per se stesso, per Derek e il branco che sono stati costretti a soffrire i suoi mali, per Alastor e le migliaia di vittime senza nome che Dio e Lucifero hanno gettato nel dimenticatoio. Per sua madre che anche nella morte ha dovuto soffrire per un patto disperato che l’ha solo condotta all’imbroglio.
-Statemi a sentire, adesso. Non ho intenzione di pregare per farmi ascoltare da uno, né di bestemmiare per ottenere l’attenzione dell’altro: avete pestato i piedi sbagliati.- ringhia Stiles, rivolto al cielo. Stringe forte il Cubo di Rubik, rabbioso come non mai. –Vi conviene guardarvi le spalle, perché i problemi che avete adesso o che vi hanno tediato in passato saranno niente in confronto a ciò che farò io. Provate ad annientarmi, strappatemi gli arti, torturatemi: non mi fermerete. Avete tradito i vostri stessi figli, li fate combattere e lasciate che muoiano a causa di una guerra che riguarda solo voi. È ora che scendiate in campo personalmente perché se non lo farete, tirerò giù il Paradiso e l’Inferno per venirvi a cercare. A voi la scelta: fatevi avanti o liberate gli innocenti che state ingiustamente sfruttando. Il mio è un ultimatum.-
Un tuono in lontananza spezza il silenzio dell’alba appena nata. La terra trema, ma stavolta Stiles non c’entra: Dio e Lucifero hanno risposto, annusano l’aria dopo millenni, destandosi alla sensazione di pericolo che quel nuovo arrivato genera. Due diverse belve, due piatti di un’unica bilancia che finalmente comincia a muoversi. E stavolta, l’ago che sposta l’equilibrio è Stiles.
La guerra comincerà presto, ma lui non abbandonerà Derek. Non può, non ci riesce. Deve tuttavia scoprire il motivo della strana inquietudine che lo abbraccia quando è col licantropo. Qualcosa gli dice che stargli vicino è sbagliato, ma Stiles non capisce perché. Deve ritrovare la memoria, ma ha bisogno di tutto l’aiuto possibile per riuscirci. Ha bisogno di Derek.
Fino al mattino inoltrato, Stiles resterà lì, seduto sull’erba insanguinata, le dita strette convulsamente su un piccolo Cubo di Rubik. Si alzerà in piedi dopo ore intere trascorse a fissare l’acqua rosata del lago, laddove un corpo troppo giovane riposerà in eterno. Con Diablo appollaiato sulla spalla, Stiles si dirigerà infine verso casa di Derek, intenzionato a ritrovare quella parte di se stesso che possiede tutte le risposte.
 
Angolo dell’autrice:
Mi sento in colpa. Ma tipo, tanto in colpa. In colpissima. Ho ucciso Alastor! Ok, sono calma. Torniamo a noi. Domani ho il mio benedetto esame e sono esausta perché sto studiando dalle dieci del mattino, ma il tempo per voi e per questa storia lo troverò sempre, a costo di scrivere di notte. Questo perché ci siete voi, coi vostri commenti, le vostre parole e i sorrisi che esse fanno sbocciare sul mio viso. Grazie dal profondo del cuore. Stavolta però, vi ringrazierò uno alla volta, quindi ci vediamo in fondo alla pagina per le anticipazioni!
Giada_ASR: Lydia e Valefar non erano neanche lontanamente contemplati insieme, all’inizio, un po’ come Scott e Isaac. Cosa è successo poi, non ne ho idea. Per le acrobazie di cuore dovrai aspettare il capitolo seguente, e puoi immaginarti il perché. Avete aspettato, e farò in modo che ciò che volete accada nel migliore dei modi! A presto, e grazie mille per il commento!
_Sara92_: non pensavo che Lydia e Valefar riscuotessero questo successo! Stiles non ha bisogno di tornare, lui è sempre stato lì! Col cavolo che abbandonava Derek, demone o non demone! Ahahahahah! Grazie per il commento, a prestissimo!
Barbara78: Valefar, la giuria dice che sei sexy! Il nostro demone ringrazia, e aggiunge anche che lui è molto più che sexy: è megasexy, e ci tiene a farvelo ricordare. Prima donna demoniaca del cavolo. Eeeeeh… no. Il bacio dovrà aspettare, ma spero di riuscire a soddisfarvi quando accadrà, perché accadrà a brevissimo! Grazie per il commento, a presto!
Elenuar Black: il laghetto ormai è sacro. In realtà non so nemmeno se ci sono laghetti nella riserva di Beacon Hills, ma spazio alla fantasia, gente! Ce lo creiamo, il laghetto, se serve a far procreare demone e licantropo! Niente bacio, non ancora, ma forseforse… eheheheh! Non aggiungo altro, a presto!
Nye: l’angst è sempre dietro l’angolo. No, non deprimerti, mi farò perdonare! Giuro! Stiles e Derek non sono semplicemente adorabili. Sono l’adorabilità fatta bestiacce. E insomma, dove la troviamo un’altra coppia così? Ahahahahah! Grazie per il commento e a prestissimo!

 
Anticipazioni:
“Assicurandosi che Stiles non sparisca di nuovo nel nulla, Derek si reca in bagno e apre l’acqua, lasciando che questa cominci a riempire la vasca. Il mormorio basso del rubinetto aperto è l’unico rumore che invade il loft mentre Derek torna sui suoi passi, da Stiles che ancora si rifiuta di muoversi. Il suo sguardo è vacuo e stanco, la pelle troppo pallida, le mani ancora strette intorno al Cubo di Rubik. Derek glielo sfila dalla presa con cautela, dopo essersi inginocchiato davanti a lui. Lo fissa in viso mentre gli sottrae quel piccolo cubo colorato che per Stiles adesso è tanto importante. Contro ogni previsione però, il demone non protesta e lo lascia fare.
Derek posa il cubo sulle coperte e, sempre fissando Stiles in viso, gli afferra i bordi della maglia. Ancora nulla: Stiles si rifiuta di reagire, perciò Derek ingoia il groppo che gli opprime la gola e con dolcezza solleva i lembi del tessuto, un centimetro dopo l’altro, scoprendo quella pelle martoriata che ricopre muscoli appena accennati e fianchi stretti di adolescente in procinto di trasformarsi in giovane uomo.
Derek finisce di sfilargli la maglia e la getta per terra, gli occhi che ormai si rifiutano di staccarsi dalla meravigliosa figura dell’altro. Ogni ferita, ogni cicatrice, è un pezzo unico di un altrettanto unica mappa che racconta la storia di Stiles, la sua vita, i suoi trascorsi in quegli ultimi tre anni. Nonostante la devastazione che ricopre quel corpo, Derek pensa di non aver mai visto niente di più bello.”

 Tomi Dark Angel
 

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Capitolo 20
*** La Beatitudine Racchiusa Nei Tuoi Occhi ***


“Sognatore è colui che trova la sua via
Solo al chiaro di luna, e la sua punizione
Sarà vedere l’alba prima del resto del mondo.”
 
È strano come tante piccole cose possano cambiare, quando la vita decide che è il momento giusto per farlo. Particolari minuziosi che si danno per scontati assumono improvvisamente importanza quando vengono a mancare, e tutto si trasforma al cospetto di quelle piccole, terribili mancanze. Un istante, una vita, un’intera esistenza. Tutto si contorce e muta intorno a ciò che di più importante sparisce nel nulla, sottraendo luce e calore alle giornate di chi ancora respira.
Derek se ne è reso conto ore fa, quando Stiles è sparito nel nulla e non è più tornato. Per Derek è stato come perdere un pezzo di se stesso, quella parte essenziale di vita che alimentava la vita stessa. Il suo lupo interiore ha iniziato a contorcersi, a ululare, tanto che alla fine Derek si è trovato a gridare per davvero, attirando il branco e dando inizio alle ricerche di Stiles.
Non può essersene andato. Non può averlo lasciato lì, un istante prima di… cosa? Di baciarlo? Di completare la sua vita rimasta a metà, che inconsapevolmente ha iniziato a risanarsi col ritorno di quel buffo ragazzino dal viso pallido?
È ormai mattino inoltrato quando Stiles ricompare tra gli alberi, zoppicando distrutto come una marionetta spaccata. Ha lo sguardo basso, la pelle e i vestiti zuppi d’acqua e sangue scarlatto, il viso rigato di lacrime ormai secche.
I raggi del sole filtrano tra le fronde degli alberi, illuminando la sua figura martoriata e costringendo Derek a fermarsi a poca distanza da lui. Lotta contro l’istinto martellante di correre ad abbracciarlo, di toccarlo, di sentire che Stiles è lì e che quel sangue non è suo. Ma come ogni altra volta, Derek si obbliga innanzitutto a rispondere ai bisogni non suoi, ma di Stiles. Per questo resta immobile, lo sguardo fisso su quel volto troppo pallido che nonostante tutto non gli è mai apparso così bello. Quando nota il familiare Cubo di Rubik stretto come un piccolo tesoro nella mano di Stiles, Derek comincia a intuire cosa sia accaduto.
Dovrebbe essere arrabbiato, dovrebbe rimproverare Stiles per essere sparito e averlo fatto preoccupare in quel modo, ma Derek non ci riesce, non col ragazzino tremante e dimesso che ha davanti.
Stiles alza lentamente lo sguardo su di lui e lo fissa in silenzio, gli occhi più dorati che mai ma traboccanti di debole umanità. Sono occhi di bambino, occhi di chi ha visto troppo e adesso è stanco e ha solo bisogno di un rifugio dove riposare, dove dimenticare. Derek affonda nelle profondità di quello sguardo, si lascia trasportare attraverso anni di torture vissute all’Inferno che tuttavia non saranno mai dolorose come la perdita di una creatura che, conoscendo Stiles, nonostante tutto rappresentava anche un amico.
-Ho capito.- dice alla fine Derek, sospirando. Spalanca lentamente le braccia, fissa Stiles con dolcezza disarmante, innamorata, devota oltre ogni limite. Uno sguardo del genere, abbatterebbe qualsiasi male dell’Inferno, disarmerebbe il Paradiso e costringerebbe in ginocchio Dio e Satana in persona. –Andiamo a casa, Stiles.-
E Stiles non se lo fa ripetere due volte: un attimo prima si trovava lontano, e un attimo dopo è lì, in quel rifugio accogliente che ha atteso troppo a lungo. Le voci si zittiscono, il cielo pare rischiararsi e improvvisamente anche la luce del sole non brucia più agli occhi. Il mondo di Stiles torna al suo posto e tutto diventa placido grazie al semplice abbraccio di qualcuno che il suo stesso demone interiore riconosce e non potrebbe mai ferire.
Stiles capisce che perfino il suo secondo io si inginocchierebbe servizievole al cospetto di Derek.
Stiles capisce che qualunque cosa accada, la sua ancora sarà sempre lì, sempre disposta a tirarlo fuori dalla sua stessa melma, senza stancarsi mai.
Quelle sensazioni sono qualcosa di talmente puro e disarmante che Stiles se ne sente sopraffatto. All’inizio non capiva perché il suo io passato teneva tanto a Derek, ma adesso sa: Derek è l’unica luce che ai suoi occhi non è mai venuta a mancare, l’unico appiglio reale che gli consente di resistere, di rialzarsi ogni volta. Dinanzi a quegli occhi di smeraldo, il suo cuore si ricostruirà sempre, mille e mille volte diverse, nonostante le difficoltà e i pezzi andati perduti.
Sopraffatto da quelle sensazioni e dal profumo speziato dell’altro, Stiles appoggia la fronte contro il suo collo e singhiozza forte, liberando quelle lacrime fino ad ora rimaste impigliate. Piange per Alastor, per se stesso, per Derek e il branco. Piange per il mondo intero, per la guerra che avrà inizio e che alla fine, Stiles ne è certo, potrebbe solo concludersi con la sua morte definitiva. Tutto andrà in pezzi, ma per una buona causa: se Stiles muore, Derek sarà libero di andare avanti in un mondo senza angeli e demoni, senza Dio e Lucifero, senza guerra.
Mentre Derek lo prende in braccio con delicatezza, trattandolo come se fosse un cristallo in procinto di spaccarsi, Stiles continua a singhiozzare tutto il suo dolore. Questo, perché ogni istante che passa lo avvicina a una comprensione più ampia di quella situazione di stallo creatasi nella sua testa. E alla fine, Stiles capisce.
Libertà. Liberare Derek.
“Il giovane uomo, Derek: non portarlo via con te”.
Una voce morbida, accattivante, rigettata da uno dei tanti ricordi che gli affollano la testa. Stiles non riesce a collegare un viso a quel timbro musicale, ma sente che stavolta è meglio così: quelle parole sussurrate, quel consiglio vomitato dall’abisso delle voci sussurranti che gli spaccano la testa giorno dopo giorno, gli fanno paura.
Qualcuno gli ha detto di abbandonare Derek, di lasciarselo alle spalle. Perché?
Mentre Stiles singhiozza, sopraffatto dal dolore e dalla confusione, Derek lo riporta al loft. Lo appoggia sul letto con dolcezza, chiama Scott e lo avvisa che sì, ha trovato Stiles e che no, non c’è bisogno che lui e gli altri li raggiungano perché adesso il giovane demone ha solo bisogno di riposo e tranquillità.
Assicurandosi che Stiles non sparisca di nuovo nel nulla, Derek si reca in bagno e apre l’acqua, lasciando che questa cominci a riempire la vasca. Il mormorio basso del rubinetto aperto è l’unico rumore che invade il loft mentre Derek torna sui suoi passi, da Stiles che ancora si rifiuta di muoversi. Il suo sguardo è vacuo e stanco, la pelle troppo pallida, le mani ancora strette intorno al Cubo di Rubik. Derek glielo sfila dalla presa con cautela, dopo essersi inginocchiato davanti a lui. Lo fissa in viso mentre gli sottrae quel piccolo cubo colorato che per Stiles adesso è tanto importante. Contro ogni previsione però, il demone non protesta e lo lascia fare.
Derek posa il cubo sulle coperte e, sempre fissando Stiles in viso, gli afferra i bordi della maglia. Ancora nulla: Stiles si rifiuta di reagire, perciò Derek ingoia il groppo che gli opprime la gola e con dolcezza solleva i lembi del tessuto, un centimetro dopo l’altro, scoprendo quella pelle martoriata che ricopre muscoli appena accennati e fianchi stretti di adolescente in procinto di trasformarsi in giovane uomo.
Derek finisce di sfilargli la maglia e la getta per terra, gli occhi che ormai si rifiutano di staccarsi dalla meravigliosa figura dell’altro. Ogni ferita, ogni cicatrice, è un pezzo unico di un altrettanto unica mappa che racconta la storia di Stiles, la sua vita, i suoi trascorsi in quegli ultimi tre anni. Nonostante la devastazione che ricopre quel corpo, Derek pensa di non aver mai visto niente di più bello.
Come in trance, allunga una mano e sfiora gli addominali accennati, caldi, appena duri al contatto. La pelle è ruvida a causa delle ferite, ma il bacio del sole disegna su di essa ombre bizzarre di arabeschi antichi dovuti alle cicatrici. Se confrontato a una bellezza simile, Derek si sente quasi misero.
Una mano più piccola e più calda si poggia inaspettatamente sulla sua, facendogli alzare gli occhi su due iridi serpentine di un brillante oro colato. Occhi demoniaci, ma intrisi di sguardo totalmente umano. È un paradosso, una sorpresa inaspettata che finanche Satana si perderebbe ad ammirare. Bene e male si incrociano lì, in quegli occhi dorati, limpidi, brillanti più di qualsiasi luce ultraterrena.
Stiles lo fissa con calore, lo sguardo perso di un bambino che non comprende bene ciò che ha davanti e che a stento si trattiene dal domandare. Ha il capo inclinato, il viso curioso e bellissimo, le labbra appena schiuse. Sembra più vivo adesso di quanto lo sia stato durante il resto della settimana.
Derek non sa che fare. Vorrebbe azzardare un movimento, un leggero protendersi verso quel viso che ha bisogno di toccare, di sfiorare solo per sentire che Stiles è lì e sta bene. Il suo lupo interiore soffre quei pochi centimetri di lontananza che li separano, ma Derek non oserebbe mai forzare Stiles a fare qualcosa che non vuole e non capisce.
Delicatamente, Derek torna al suo lavoro e si costringe a distogliere lo sguardo dal suo prima di fare qualche stupidaggine. Senza malizia, gli sfila i jeans e Stiles lo lascia fare, abbandonato a lui come una marionetta inanimata. Derek fa il possibile per non toccarlo, per evitare qualsiasi doloroso contatto fisico e visivo con la pelle bollente del demone. Ciononostante, non riesce a impedirsi di lanciare una breve occhiata alle gambe magre ma allenate dell’altro: cicatrici anche lì, lungo le cosce, le ginocchia, le caviglie, fino a sparire oltre l’orlo dei boxer neri. Un altro pezzo della mappa, un altro brandello di quella storia che affascina profondamente Derek.
-Derek?-
Lottando contro ogni suo istinto primordiale, Derek solleva gli occhi e li affonda nuovamente in quelli di Stiles, che ancora lo fissa col capo inclinato e il suo tipico sguardo di bambino. Nonostante tutto, Derek non riesce a decifrare i suoi pensieri e questo gli fa paura perché non sa se i suoi atteggiamenti spaventano Stiles o quantomeno lo inquietano. È come camminare sul ghiaccio sottile, una lastra pronta a rompersi definitivamente.
Stiles gli accarezza il viso con dolcezza, le dita che sfiorano la pelle leggere come ali di farfalla. È un tocco caldo e gentile, che fa sospirare Derek di una serenità che lo trascina a un passo dal Paradiso.
-Grazie.- dice improvvisamente Stiles, sorprendendolo. –Non ho molti ricordi di te, ma… ma mi rendo conto dei sacrifici che stai facendo per me. Sarei scontato se ti dicessi che se non fosse stato per te, forse non sarei giunto fin qui così come sono ora.-
Stiles sbatte le palpebre, lasciando libero sfogo a due identiche lacrime cristalline, umane.
-Ho visto un amico morire, oggi. Non capiva perché lo avessi perdonato ed è spirato implorandomi di spiegarglielo. La realtà è che non avevo nulla da perdonargli perché non l’ho mai accusato di niente. Ricordo bene il male che mi ha fatto, ma… ho pensato che dopotutto, Alastor non ha mai avuto il suo branco e il suo Derek ad aiutarlo a riemergere. Non ha avuto possibilità di scelta perché non c’era nessuno al suo fianco che gli spiegasse la differenza tra giusto e sbagliato. Io ho voi. Te, Scott, Lydia e tutti gli altri. Vi siete presi cura di me, mi perdonate ogni errore che commetto e siete sempre pronti a tendermi la mano.-
Stiles gli appoggia l’altro palmo sulla guancia, il viso inondato di lacrime pulite non più di dolore, ma di commozione e serenità. Derek affonda tra le onde dorate di quegli occhi, perdendosi nel mare soleggiato di ogni riflesso, di ogni limpida sfaccettatura.
-Fa ciò che senti di voler fare.- dice semplicemente, e se Derek non avesse visto le sue labbra muoversi, penserebbe che non sia stato Stiles a parlare. L’ha detto veramente? Capisce di cosa parla o semplicemente si comporta così per pura volontà di ringraziarlo? Esita appena, ma quando Stiles inclina nuovamente il capo, gli occhi fissi nei suoi, un accenno di sorriso sulle labbra, ogni resistenza cede e Derek… lo bacia.
Lo bacia come ha sempre sognato di fare in quegli ultimi tre anni, lo bacia come se da quel contatto così semplice, così gentile e bisognoso dipendesse la sua stessa vita: respira l’aria di Stiles, vive attraverso quel bacio e finalmente, un vero raggio di sole sfiora la vita di Derek, abbracciandolo di una serenità mai provata, mai toccata davvero. Si aggrappa a lui, appoggiandogli una mano dietro la nuca e l’altra sul fianco mentre Stiles ancora gli stringe il viso con dolcezza infinita e innamorata. Le lingue danzano, intrecciandosi e sfiorandosi in un rituale ipnotico che sa di affetto disarmante e troppo a lungo celato.
Stiles sa di zucchero filato. È buffo, ma è così: il suo sapore è così dolce che Derek sente di non voler mai più provare qualcosa di diverso. Annega in quel sapore, si ciba di lui, vive grazie alla semplice benevolenza di Stiles. Il suo lupo interiore ulula felice quando Derek lo stringe più forte, baciandolo ancora e ancora, senza mai stancarsi. Finanche l’aria gli appare superficiale e assolutamente inutile, perché tutto ciò di cui ha bisogno è lì, tra le sue braccia, nella sua bocca e affonda tra le pieghe del suo animo, risanando ogni ferita.
Le labbra di Stiles sono bollenti, ma non scottano. Sembrano quelle di un malato di febbre, ma ormai Derek sa che quella è la sua temperatura normale e gli va bene così. Gli va bene tutto, perché quel tutto include Stiles Stilinski.
Lentamente, il demone si sporge verso di lui per permettergli di approfondire il bacio, ed è proprio in quel momento che Derek si accorge che qualcosa gli sfiora i fianchi, cingendoli con un filo sottile ma resistente. Stringe senza soffocare, quasi timoroso di toccarlo, e il licantropo sa già di cosa si tratta, perché lui quella coda l’ha già toccata in precedenza, quando Stiles era ancora se stesso. Apre gli occhi, e ciò che si trova davanti è quanto di più straordinario abbia mai visto.
Si dice che il mondo sia pieno di magia. All’inizio, Derek non ci credeva perché la magia benefica, quella vera che dicono faccia sorridere i bambini e volare le fate dei sogni, era sbagliata, troppo buona per esistere davvero.
Adesso però, Derek ci crede. Per l’ennesima volta, questo accade grazie a Stiles.
La pelle del demone adesso non è semplicemente attraversata da vaghi riflessi rossi e oro, no: adesso la sua pelle è fiamma, è vita e luce. Riflette i bagliori più intensi delle fiamme infernali, possenti e guizzanti, splendidi di sfumature vermiglie, dorate e arancio. Piccole squame come di serpente ricoprono il suo corpo di una corazza splendente, traslucida, che brilla di vero fuoco fatuo e colori guizzanti che abbagliano Derek di una bellezza antica e senza tempo. Stiles non è semplicemente portatore del fuoco: egli è il fuoco stesso, quella fiamma possente e inestinguibile che brilla sulle squame, come una supernova pulsante e viva di meraviglia.
Derek non riesce a smettere di fissarlo, meravigliato. Vede gli occhi di Stiles farsi di un dorato intenso, dalla pupilla verticale e sente la lunga coda dalla punta affilata stringergli dolcemente la vita. Ogni cosa in lui splende di magnificenza viva e pulsante, potente e bellissima.
È così che è fatto un demone? Non somiglia per niente a Valefar. Stiles appare come la più nobile delle creature, la più possente, la più magica e irraggiungibile. Se Derek dovesse dare un volto e un corpo all’essenza stessa del fuoco, sarebbero quelli.
Stiles lo fissa accigliato quando nota l’immenso stupore sul volto di Derek. Si sente strano, ma non è una brutta sensazione. Ha lo stomaco in tumulto, il cuore che batte a mille e le voci… le voci non ci sono più. C’è silenzio, una pace antica e senza tempo che annega ogni dolore di Stiles, ogni preoccupazione, ogni paura. Tutto grazie allo stesso uomo che adesso lo fissa stupefatto, gli occhi smeraldini sbarrati e le adorabili labbra lucide di saliva schiuse.
Stiles si chiede se ha qualcosa in faccia e automaticamente solleva una mano per toccarsi la guancia. Poi, la vede: la sua pelle adesso è squamata come quella di un rettile, ma sembra… viva. Come se il fuoco stesso guizzasse su di essa, facendo danzare una miriade di sfumature rosse e oro.
-Oddio!-
Stiles si ritrae di scatto. La coda libera Derek e schizza all’indietro in un arco che graffia profondamente il soffitto mentre il demone quasi cade dal letto, colto dal panico. La pelle guizza ancora, poi sparisce. Le squame si ritirano, il fuoco torna a covare in profondità e gli occhi tornano normali.
Stiles si rannicchia sulle coperte, gli occhi sbarrati fissi sulle sue gambe nude come se temesse di vederle trasformarsi da un momento all’altro in qualcosa di orribile.
-Stiles.-
Derek si avvicina lentamente, misurando i movimenti. Gli afferra i polsi con dolcezza e poco a poco lo costringe a distendere gli arti tremanti e coperti di cicatrici. Aspetta che il battito impazzito del cuore di Stiles si calmi, poi gli appoggia una mano sulla guancia e attende pazientemente che l’altro trovi il coraggio di guardarlo in faccia.
Quando Stiles solleva gli occhi, trova ad aspettarlo uno sguardo di giada bellissimo e profondamente innamorato. È qualcosa che non credeva di ricordare, ma… ma il volto dell’amore, quello vero, non può essere che il suo, quello di Derek. Del suo Derek, al quale Stiles affiderebbe ogni cosa, per quanto poco abbia ancora a disposizione.
-Stiles.- lo chiama ancora Derek, afferrandogli il volto tra le mani. –Sei bellissimo.-
E quando finalmente torna a baciarlo, il corpo premuto contro il suo, le mani aggrappate ai suoi fianchi e le gambe abbracciate dalla lunga coda demoniaca, Stiles sente un altro pezzo di se stesso scivolare al suo posto. Forse, non è poi così mostruoso.
 
Lydia non riesce a dormire. Se solo socchiude gli occhi, quelle terribili immagini compaiono di nuovo dietro le palpebre, come un film che si attiva solo a luci totalmente spente. Sono incubi spaventosi, traboccanti di urla e gente che implora pietà. Lydia riesce a sentire quasi il puzzo di carne bruciata misto a quello del sangue mentre la sua maledetta natura di banshee riproduce quelle immagini infernali che in effetti rappresentano l’Inferno stesso.
Lydia ne ha avuto un assaggio, un breve scorcio a malapena visibile, ed è quasi impazzita. Da allora, non fa che domandarsi come abbia fatto Stiles a resistere lì sotto, sottoposto a torture e lacerazioni fisiche e psicologiche. È sempre stato così forte? Più di tutti loro, più di Scott e Derek, più di qualsiasi nemico abbiano mai affrontato in battaglia. Perché Lydia ne è certa: nessuno sarebbe sopravvissuto per un solo giorno, lì sotto.
Comincia a tremare convulsamente, gli occhi socchiusi e l’impellente bisogno di dormire che ormai preme come un macigno sulle sue palpebre. Lydia ha paura, ma non riesce a combattere contro il suo stesso corpo.
-Vi prego, basta.- sussurra, socchiudendo gli occhi colmi di lacrime. È profondamente stanca, ma le visioni sembrano intenzionate a non darle pace. Lydia è certa che se avrà un’altra visuale seppur breve dell’Inferno, impazzirà per davvero.
-Basta… per favore…-
E forse, non tutte le preghiere cadono nel nulla quando le pronunciamo. A volte qualcuno le ascolta, ma non sempre si tratta di Dio.
Un corpo affossa il materasso alle sue spalle, un braccio caldo e inaspettatamente muscoloso le avvolge la vita con dolcezza. Lydia riconosce l’odore e la cadenza del respiro ancor prima che Valefar parli.
-Problemi di insonnia?-
Lydia sbuffa, ma si vede comunque costretta a nascondere il suo stesso sorriso contro il cuscino perché improvvisamente, gli incubi sembrano lontani anni luce mentre le ali di Valefar si spiegano lentamente, invadendo la stanza, riempiendo ogni spazio di nero e blu cobalto come uno splendido cielo notturno dai mille riflessi danzanti. Lydia le sente appoggiarsi sulle sue spalle e avvolgerla come una coperta. Non avrebbe mai pensato che potessero essere così morbide e piacevolmente calde, come un manto di seta.
-Tu che dici?-
-Dico che hai bisogno di un aiutino.-
-Non ti ho dato il permesso di entrare nel mio letto.-
-Detta così, la cosa è equivoca…-
-Colpa tua. Ora dammi un motivo per non mettermi a urlare, attirando qui i miei genitori e…-
-E spaccando tutti i vetri e gli specchi presenti nel raggio di diverse miglia? Voglio vedere poi come la spieghi ai tuoi questa tua magnifica estensione vocale.-
Lydia non riesce a trattenersi e ridacchia divertita.
-Visto?- sussurra Valefar, muovendosi appena alle sue spalle. –Sei più bella quando ridi.-
Lydia arrossisce. –Io sono bella sempre.-
-Lo so.- ride lui. –Ma ti preferisco sorridente e riposata.-
Fa scivolare qualcosa di freddo e sottile intorno al suo collo. La catenina d’argento le solletica le clavicole, risvegliando la sua curiosità. Muovendosi sotto il sottile manto  setoso delle ali, Lydia si solleva su un gomito e usa l’altra mano per afferrare la collanina e portarsela davanti agli occhi.
Una piccola rosa di rubino finemente intagliata avvolge due identici petali di autentico smeraldo intorno a una semplice sfera di legno apparentemente innocua ma tirata a lucido che Lydia riconosce. Con uno scatto della testa, si volta a fissare Valefar, seduto a gambe incrociate sul letto. Per la prima volta Lydia lo vede struccato e coi capelli arruffati. Il suo viso sembra più pallido e gli occhi stranamente più affilati, come quelli di un falco. È più bello che mai, ora che le sue iridi brillano come fari nell’oscurità, azzurre come il cielo d’estate.
-Questo è il mio… quando…-
-Non c’entro niente.- si difende lui. –Te l’ha sfilato Dumah dalla tasca. In effetti, l’idea è sua e Allison… insomma, mi ha aiutato a scegliere la forma da dare al ciondolo.-
Valefar si gratta la testa, a disagio. Distoglie lo sguardo da Lydia, arrossisce appena, rifiutandosi di guardarla in faccia.
-Questo è il grano del rosario che Stiles affidò a Deaton.-
Lydia sa che Valefar ne è a conoscenza, ma ha bisogno di ricordare a se stessa che tutto è iniziato con quel piccolo grano: l’Inferno, i dannati, gli angeli, i demoni. Tutto quanto ha iniziato a girarle intorno e, se da una parte Lydia odia quella situazione, dall’altra non può impedirsi di pensare che quel percorso l’ha condotta lì, da Valefar. In quel letto, a fissare una piccola rosa di rubino e smeraldo intrecciati.
Vorrebbe dirgli che quella misera collanina non è abbastanza per una come lei, vorrebbe dirgli che è stato uno stupido idiota a permettere che le rubassero il grano del rosario. Vorrebbe dirgli tante cose degne della vecchia Lydia, ma lei non è più così. O, più semplicemente, Lydia non è così quando si tratta di lui e se anche Allison l’ha capito, c’è da preoccuparsi.
-Grazie.- si limita a dire alla fine.
-Non avrai più gli incubi, con quello addosso.- sorride Valefar.
-Come sai dei miei incubi?-
-Tu sei una banshee e io sono un demone molto bene informato.-
Lydia sorride appena prima di tornare a coricarsi. Si raggomitola contro il fianco di Valefar come se fosse la cosa più normale del mondo e lascia che la sua ala li stringa entrambi, nascondendoli allo sguardo del mondo e richiamando per una volta quella pace tanto a lungo cercata.
Quella notte, Lydia non avrà gli incubi. A proteggerla, ci sarà il suo demone custode.
 
Dumah non ha mai pianto in vita sua: non fa per lei e, sinceramente, non ricorda bene come si fa. Non ha mai provato il desiderio di riuscirci perché piangere rende deboli ed espone a emozioni che un normalissimo demone non riesce a sopportare.
Perché allora adesso Dumah si sente così a pezzi? Non sta piangendo, ma è come se lo avesse fatto per ore, senza fermarsi mai.
Quel dolore lancinante al petto brucia da morire, le corrode gli organi e la pelle come un acido che scava sempre più a fondo, fin dentro le ossa tremanti e forse in procinto di spezzarsi.
Lo ha perso. Lui non c’è più.
Dumah cade in ginocchio sull’erba sporca di sangue, si piega, vomita. Lo stomaco si contorce, le ombre si addensano intorno al laghetto silenzioso, custode di un corpo che inanimato non avrebbe mai dovuto essere. Un corpicino piccolo, che serenamente pare dormire sul fondale, affiancato da un piccolo gatto nero. Se Dumah non lo avesse visto bene, non lo avrebbe riconosciuto.
Alastor era suo amico. Dumah aveva un po’ paura di lui, ma hanno condiviso insieme tanti momenti, tante giornate che forse non erano poi così male. Giornate in cui Alastor preparava il caffè, fingeva di non vedere gli sgarri di Dumah e, raramente, sorrideva addirittura. Forse, quando era umano, quel sorriso era in grado di rischiarare anche il sole ma adesso non riesce nemmeno a respingere le tenebre della morte che sono riuscite a soffocarlo.
Dumah non gli ha mai chiesto come si chiamava davvero, qual’era la sua storia. È morto quando era un bambino o ha acquisito questa forma per puro diletto? Aveva una famiglia, qualcuno che gli baciava le tempie e lo metteva a letto, dicendogli di non temere il buio perché alla fine, un po’ di luce anche nelle tenebre c’è sempre?
Dumah stringe forte dei ciuffi d’erba tra le dita, annerendoli. Si sente sola, schiacciata, a pezzi. Ma ancora non riesce a piangere per un amico deceduto, e per questo si odia. Forse non è abbastanza umana, forse ha sbagliato tutto. Se fosse rimasta con lui, magari… cosa? Sarebbe cambiato tutto, Alastor si sarebbe salvato? Non ci vuole un genio per riconoscere l’entità di quelle ferite, e Dumah è certa di conoscere il nome dell’assassino. Cosa avrebbe potuto fare contro Michael? Un arcangelo è feroce, malvagio più di qualsiasi cosa. Un arcangelo, nella sua purezza, è abbastanza impuro da uccidere.
Qualcosa si poggia sulle sue spalle tremanti, un giubbotto che profuma di dopobarba e terra bagnata.
-Odio vedere le belle signorine soffrire così.- dice Peter Hale, sorridendole sornione. Le stringe rudemente le spalle, inginocchiato al suo fianco. Dumah non l’ha sentito arrivare.
Cosa ci fa lì? L’ha seguita, vuole forse ucciderla?
-Hai intenzione di provare a farmi fuori adesso che non ci sono testimoni?- chiede  stancamente, fissando senza paura i suoi occhi in quelli azzurri dell’uomo che ha davanti.
Peter finge di pensarci. –No, odio sporcarmi le mani. E i vestiti. Specialmente quando sono nuovi e ancora integri.-
-Cosa vuoi, allora?-
Peter ammicca. –Ho saputo quello che hai fatto per quel demone, Valefar. La collana per Lydia.-
-Te l’ho detto, dolcezza: faccio cose strane quando mi annoio.-
-L’ho notato. Adesso sei annoiata?-
Dumah fa un sorriso storto, evitando di guardare alle sue spalle, verso la tomba subacquea di Alastor. Non vuole pensarci, non vuole continuare a chiedersi fino a che punto siano stati i suoi errori a spingerlo alla morte.
-Abbastanza.- si limita a dire, cercando di recuperare un po’ di quel contegno storico e provocante che l’ha resa famosa agli occhi degli altri demoni.
Peter si raddrizza con calma e le porge la mano, sorridendo con quel suo temperamento poco rassicurante che agli altri fa paura ma che Dumah trova… affascinante. Inquietante, certo, ma dopotutto è anche questo che attira i demoni come lei. Il pericolo, la paura, il sinistro.
-Allora immagino che andare a fare una passeggiata sia un buon modo per ammazzare la noia.-
Dumah guarda la sua mano, stordita. Nessuno ha mai fatto un gesto simile nei suoi confronti, prima d’ora. Nessuno chiede la sua opinione, nessuno le ha mai dato alcuna libertà di scelta. Per la prima volta, le chiedono se accetta di fare qualcosa, e lei non avverte il peso di alcuna costrizione. È una scelta, una possibilità. È Peter Hale. E forse, vale la pena rischiare e provare ad accettare quella mano tesa.
Con decisione, Dumah ricambia la stretta e si fa tirare in piedi, leggera come una piuma e improvvisamente rasserenata.
È così che ci si sente quando si è liberi davvero?
 
Isaac non è mai stato un tipo espansivo. Odia le emozioni e tutto ciò che da esse deriva. In passato, quelle stesse emozioni gli sono costate care, l’hanno ferito, l’hanno reso vulnerabile. Suo padre lo picchiava quando lo vedeva piangere e mentre moriva, sua madre l’ha visto gridare, arrabbiato col mondo e con Dio che gliela stava portando via. Isaac inveiva, urlava, si decomponeva lentamente ai suoi occhi mentre tutto ciò che restava della sua anima decadeva. Allora era debole, e adesso che è un licantropo non ha smesso di esserlo. Per qualche anno, ha sofferto di attacchi di panico, proprio come Stiles. Gli tremavano spesso le mani, gli mancava l’aria, a volte sveniva pure. Ed era solo quando accadeva. Odiava non avere controllo del suo corpo, odiava sentirsi fisicamente debole e dimesso, così come suo padre non riusciva a sopportare di vederlo. Per questo, Isaac soffriva in silenzio e in silenzio si decomponeva. Questo, finché non ha scoperto che qualcosa che gli impedisse di tremare, c’era davvero.
Tracciare linee su un foglio, spostare magicamente una punta di matita su una liscia superficie bianca per rimodellarla e darle vita. Si sente potente quando disegna, si sente padrone del suo mondo e dei suoi colori, dei suoi occhi e delle sue mani. A lui è affidata ogni decisione, e lui infine sceglie i parametri di ciò che foglio racchiude come segreto scrigno di creature e luoghi, storie e atmosfere. Disegnare lo ha sempre aiutato a sciogliere le matasse nel suo cervello, così come mani sapienti di saggio sbrogliano un intrigo di fili intrecciati tra loro. Un pezzo alla volta, una linea dopo l’altra, Isaac riordina le idee, i pensieri, i ricordi in scaffali colorati di astucci e matite, di fogli e gomme da cancellare.
Non vuole che gli altri sappiano che disegna da anni, non vuole che qualcuno scruti nella sua testa come farebbe semplicemente guardando uno solo dei suoi disegni. Lui, le illustrazioni a matita che costruisce, finisce sempre col distruggerle. Odia ciò che è nella sua mente, odia vedere su carta i pensieri maledetti che troppo spesso gli affollano il capo.
Era da un po’ che non lo faceva, ma adesso ne ha bisogno perché la sua testa è un maledetto pigiama party di mostruosità senza capo né coda, e Isaac non è neanche sicuro che le suddette mostruosità un capo o una coda ce l’abbiano. Vuole però provare a trovarli e l’unica cosa che può aiutarlo a fare questo sono le sue matite e i suoi fogli, che lui nasconde spesso sotto il letto per fare in modo che Scott e Melissa non li trovino.
Linee, tratteggi, picchiettii di punta contro il foglio. Un mondo si intreccia, un planisfero prende forma.
Pensa.
Stiles va all’Inferno. Sbuca di nuovo a distanza di tre anni. È un demone e fatica a controllare la sua vera natura, esattamente come un licantropo durante la luna piena.
La matita scivola, nuove linee germogliano sul foglio.
Pensa.
Dumah e Alastor lo accompagnano. Inizialmente nemici, ma Dumah si ribella e passa dalla loro parte, come Valefar. Qualcosa non quadra. Dumah potrebbe tradirli, ma è l’unica possibilità per riportare indietro il vecchio Stiles.
Tratteggi, ombreggiature, la punta della matita si spezza appena.
Pensa.
Isaac continua a ragionare, accucciato sul letto e con gli occhi vitrei che in realtà non guardano ciò che traccia la matita. Semplicemente, lasciano che essa scivoli sul foglio, che segua il percorso di quella storia senza capo né coda, curiosa in ogni sua sfaccettatura. Qualcosa manca, molto non quadra. Isaac fiuta, cerca, insegue. Guarda verso quei momenti, fissa ipnotizzato gli istanti più importanti del tradimento di Dumah, dell’allenamento di Valefar… delle ore vissute con Scott. No, forse non dovrebbe. È sbagliato pensare a Scott, è anomalo. Scott è il suo Alpha, il suo amico. Si fida di lui e a lui affiderebbe la sua stessa vita, ma pensare a lui in quel momento è stupido e inutile. Non porterebbe a niente. Quei momenti non c’entrano niente in tutta quella storia, ma nonostante tutto, Isaac li trova ugualmente impossibili da riconoscere e classificare.
Linea.
Scott è suo amico.
Linea.
Scott l’ha accolto in casa sua, l’ha protetto. Anche quando non faceva parte del suo branco, si preoccupava per lui. Nessuno l’ha mai fatto, prima. Né suo padre, né sua madre, né i suoi amici. Ognuno gli voltava le spalle, ognuno ignorava le sue debolezze e le sue malattie, coprendosi gli occhi per convincersi che egli stesso non esistesse. Isaac era un’ombra. Nessuno lo vedeva, nessuno gli parlava. Isaac non esisteva e basta.
Linea.
Qualcosa cambiò improvvisamente, e il diventare un licantropo c’entra veramente poco. Qualcuno l’ha visto, qualcuno ha sollevato la coperta sotto la quale aveva scelto di nascondersi. Un’ombra ha alzato il capo, un’ombra è stata richiamata alla vita. E improvvisamente, Scott gli ha stretto la mano e l’ha condotto alla materialità del sole e della luna, delle stelle e del pianeta Terra.
Linea.
-Ma… è una foto?- esala una voce stupita troppo vicina al suo orecchio.
Isaac reagisce d’istinto, gettando via album e matite con uno scatto nervoso. La mano artigliata saetta velocissima, ghermisce la maglia del nuovo arrivato e lo strattona con violenza, spingendolo a schiantarsi sul letto. Isaac gli preme un ginocchio sullo stomaco, gli stringe il collo e, ancora infuriato e troppo nervoso, accosta il suo viso a quello di Scott per ringhiare bestialmente, un suono che fa tremare le pareti e il pavimento, il cielo e la terra. È un avvertimento, una minaccia. Contro… Scott?
Isaac sbatte le palpebre, gli occhi ancora gialli, le zanne estese, le labbra schiuse. Resta immobile a un soffio dal volto di Scott, vicino come non è mai stato prima d’ora, vicino come mai ha scelto di osare. Fissa gli occhi in quelli rossi dell’altro, che nonostante tutto non si muove, non reagisce. Scott trattiene il respiro ma lo guarda con placida serenità, per nulla spaventato dagli artigli che premono sul suo collo, troppo vicini a un punto vitale. Isaac si accorge di premere le unghie contro la sua pelle, ma a Scott sembra non importare. Non parla, non reagisce. Potrebbe scagliarlo dall’altra parte della stanza, ma non osa. Al contrario, lo fissa e aspetta, in silenzio, adattandosi ai suoi ritmi così come Isaac ha fatto con lui tante e tante volte.
Scott profuma di buono. Isaac non ci ha mai fatto caso, in realtà. Un tempo si limitava a seguire l’olfatto, a fiutare le piste senza inalare per davvero ogni sfaccettatura di quegli odori. Lui non li studia, non li classifica.  Eppure, adesso si trova a farlo perché il profumo di Scott gli entra nelle vene e nelle carni, nella mente e nei pensieri. Strano a dirsi, ma lui odora di… sole. Non c’è altro modo per descriverlo.
Isaac ricorda di essere scappato di casa, una volta. Era appena un bambino, un infante disperato che fuggiva dalle percosse del padre e dalle urla della madre. Si copriva la testa, piangeva, supplicava il mondo di fermarsi ad ascoltarlo, almeno per una volta. Ma il mondo non ascolta mai e mai si ferma alle sofferenze dei piccoli, come a quelle dei grandi. Per questo, quando il pianeta gira troppo in fretta, a volte semplicemente si segue il suo percorso, il lento girare di un’orbita lenta e infinita attorno al sole. Isaac corse per inseguire quel movimento, per scappare dal mondo e imitarlo al contempo. Pregò di trasformarsi in terra, pregò di diventare aria e pioggia. Per una volta, anche lui voleva ignorare, così come il mondo intero ignorava lui da quando era nato.
Isaac ricorda di aver corso fino a consumarsi le scarpe, per poi crollare esausto in mezzo all’erba baciata dal sole. Aveva stretto forte i fili di smeraldo, aveva pianto. Poi, in quel mare di marcia disperazione, un nuovo profumo gli aveva schiarito i sensi, accarezzandolo e proteggendolo così come mai aveva fatto sua madre con lui. Quell’odore sapeva di libertà, di vita, di morte e rinascita. Quello era l’odore del sole e della luce. La sua luce. La sua alba e il suo tramonto. Quando inalò per davvero quell’odore, Isaac si sentì meno solo. Se gli uomini non erano dalla sua parte, non voleva dire che almeno il resto del mondo non lo proteggesse nei momenti più disperati.
Scott odora proprio come quel sole. Benefico, purificatore, immensamente forte, ma al contempo ugualmente caritatevole.
Isaac si allontana da lui bruscamente, come se Scott scottasse. Si alza dal letto, con un balzo attraversa la stanza e si schianta di schiena contro la parete opposta. Lo fissa come un animale in gabbia mentre Scott si rialza, ma nonostante tutto, Isaac non fiuta in lui il minimo sentore di paura o inquietudine. Solo… fiducia. Fiducia cieca. In lui. Ma non è possibile, perché nessuno si è mai fidato veramente di Isaac. Né suo padre, né sua madre, né i suoi amici. Nessuno.
-S… scusami.- sussurra Isaac, cercando invano di calmare il battito impazzito del cuore. Si preme una mano sul petto, respira pesantemente per liberare le narici dall’odore di Scott, che tuttavia pare essersi insinuato nel profondo del suo stesso essere. Lo stesso sole che una sola volta lo protesse quando era bambino, tanti anni fa, si riflette adesso negli occhi scuri di nocciola del giovane Alpha che ha davanti. Occhi gentili, occhi intrisi di carità gentile. Lo sguardo degli angeli, di quelli veri, dovrebbe essere quello. Giovane e pietoso, morbido e bellissimo. Lo sguardo di Scott.
Lentamente, sotto gli occhi vigili di Isaac, Scott si alza. Con calma serafica, come se non volesse spaventarlo, si china per raccogliere qualcosa, un ammasso di fogli sparpagliati che, stretti tra le mani di Scott, fermano il cuore di Isaac per diversi istanti.
Non deve vederli. Non deve guardare nella sua testa, non deve giudicarlo. Lo deriderà, lo prenderà in giro, forse lo caccerà di casa. Anche Scott gli volterà le spalle, e allora Isaac sarà solo per davvero, ancora una volta.
Scott scorre gli occhi sul foglio in cima alla pila, lo sguardo stralunato e le labbra schiuse. Stringe il blocco da disegno con delicatezza estrema, come se avesse tra le mani un fragile pezzo di cristallo. Le dita toccano riverenti la carta, le palpebre sbattono più e più volte, spaccando l’animo di Isaac in dieci, cento, mille pezzi.
Sta per farlo. Sta per tirargli addosso il blocco. Lo insulterà, gli urlerà contro, gli farà male.
Lentamente, Scott alza lo sguardo e incontra quello terrorizzato di Isaac, che impotente continua a schiacciarsi contro il muro, pronto a difendersi o a scappare.
-È… è un disegno?- domanda titubante.
Isaac non risponde, ma Scott si avvicina lentamente, il blocco ancora stretto tra le mani.
È allora che Isaac abbassa gli occhi sul suo ultimo lavoro, e guardandolo, capisce perché Scott abbia reagito così. E sa anche perché da un momento all’altro, Isaac stesso tenterà di seppellirsi vivo.
Il disegno ritrae proprio Scott. È solo un primo piano del viso, nulla di particolare. Nulla, se non fosse che l’immagine è così elaborata e ben fatta da sembrare una foto vera e propria, ma in bianco e nero. Profonda, viva, naturale. Pare che da un momento all’altro, un secondo Scott possa uscire dal foglio e tingersi dei suoi tipici colori, vivo così come lo è quello vero.
Nel disegno, Scott fissa verso il basso con occhi stanchi di giovane ragazzo che troppo ha visto e che troppo peso ha sopportato. La le labbra serrate, gli occhi che, nonostante l’assenza di colori, lasciano intendere la propria rossa brillantezza. È Scott, ma così come Isaac lo vede: affaticato e bellissimo, anziano e giovane allo stesso tempo. Capo di un branco di vite da proteggere, quando invece alla sua età, le sue uniche preoccupazioni che dovrebbe avere racchiudono la scuola e nuovi amici da trovare.
-Isaac.- chiama Scott, e allora Isaac comincia a guardare prima la porta e poi la finestra, classificandole come vie di fuga. Riuscirebbe ad essere tanto veloce da schivare i primi colpi di Scott? Riuscirebbe a impedirgli di fargli male come faceva suo padre?
-Ehi, non ci pensare nemmeno!- esclama Scott, avvicinandosi ancora. –Io non sono lui.-
Isaac allora si immobilizza, lo guarda. Vede la sua mano sollevarsi, fissa terrorizzato le dita che presto si chiuderanno in un pugno. Trema, ha paura, ma non riesce a sostituire il viso di Scott con quello di suo padre. Non sa perché, ma gli è impossibile.
Scott è diverso. Scott è il suo Alpha, e lui si fida del suo Alpha. Si fida dello stesso sole che l’ha baciato in viso una volta, quando era bambino, salvandolo da se stesso e dal mondo intero.
-È bellissimo.- esala Scott alla fine, sorridendo di un bellissimo sorriso, luminoso come quello di un bambino e reale come fiore appena sbocciato. –Non ho mai visto un disegno così bello. Sono davvero così? Posso tenerlo?-
Isaac sbatte le palpebre, ancora stordito. Fissa in viso quel piccolo sole sorridente, quel caldo abbraccio di calore che nella sua umana gentilezza, ha voluto complimentarsi con lui, riconoscere la sua esistenza. Nessuno l’ha mai fatto, prima. Nessuno è mai entrato nella sua testa e nei suoi occhi così profondamente, così impunemente. Nessuno, a parte il suo Alpha, lo stesso ragazzo che adesso gli sorride e lo fissa con… ammirazione? Esiste quel sentimento, se rivolto ad Isaac?
È un momento impossibile, qualcosa che Isaac non ha mai nemmeno immaginato. E quel regalo, per quanto piccolo, agli occhi di Isaac è invece importante più di qualsiasi altra cosa, più del respiro stesso. E a regalargli quel momento impossibile, è Scott, il suo impossibile Alpha del suo impossibile branco.
Mai come in quel momento, Isaac sente che farebbe qualsiasi cosa per lui, perché è tra le sue mani che adesso i suoi stessi sentimenti, il suo stesso essere, si riplasmano. Isaac guarda al sole, e ciò che vede è Scott. Isaac guarda alla luna, e ciò che vede è Scott.
Non ha mai pensato di essere importante ai suoi occhi. Lui si limita a fargli compagnia nei momenti più brutti, così come farebbe un bravo membro del branco. Quando ci riesce, si prende cura di lui e copre i suoi sgarri, ma Scott di certo questo non lo vede, così come suo padre non vedeva gli sforzi che compiva a scuola o quelli che faceva per pulire casa, anche con la febbre alta o un braccio rotto. Ma va bene così.
-Pre… prendilo pure.- esala Isaac, stupito, e Scott sorride più ampiamente.
-È bellissimo, Isaac. Non sapevo che sapessi disegnare così bene.-
Isaac si gratta la nuca. –Ho… lo faccio da quando ero piccolo. Mi aiutava a concentrarmi.-
Scott continua a fissare il disegno, incantato. –E hai bisogno di concentrarti anche adesso?-
-Eh?-
Scott lo guarda con un accenno di timore, un fare dubbioso che Isaac non riesce a interpretare. –Ti spiace farmi compagnia? Forse vederti disegnare mi aiuterà a distrarmi…-
Isaac non sa cosa lo spinge ad annuire, non sa perché alla fine, ad averla vinta è sempre Scott. Semplicemente, torna a sedersi sul letto, recupera le matite e i fogli mentre il suo Alpha troppo giovane e troppo appesantito dalla vita si accomoda al suo fianco e lo fissa mentre la matita scivola sul foglio, un tratto dopo l’altro.
Questa volta, Isaac non pensa. Questa volta, lascia che il suo disegno non nasca da alcun pensiero, da alcuna preoccupazione. Disegnerà per ore, fino al tramontare del sole e al sorgere dell’alba nuova, senza stancarsi mai. La presenza di Scott non lo infastidirà e lui non parlerà mai, troppo preso ad osservarlo per aprir bocca. Si addormenteranno entrambi, troppo stanchi per continuare ma più leggeri d’un unico peso che, consapevolmente, entrambi spartiranno tra loro, spalla a spalla, Alpha e Beta. Insieme.
Quando Melissa apre la porta della stanza e sbircia dentro, inconsapevolmente sorride nel trovarli assopiti su un unico letto, vicini come mai sono stati prima d’ora. Sole e luna affiancati, che si toccano, figli d’un pianeta che insieme li ha cresciuti, sotto unico cielo stellato.
Scott appoggia il capo sulla spalla di Isaac, che dolcemente adagia la guancia sui suoi capelli. In grembo, il Beta stringe ancora un piccolo album da disegno, dove come premonizione di sogno beatamente costruito, un’identica immagine di loro due assopiti nella medesima posizione ammicca in bianco e nero, realistica e bellissima come una foto che Melissa non si risparmia di scattare.
 
Angolo dell’autrice:
Fuochi d’artificio, gente! CE L’HANNO FATTA!!! Forza, Derek, l’hai capito! Adesso devi solo capire tutto il resto! Stiles ha una pazienza che io stessa non potrei mai avere! Ma, signori, forse è meglio così. Non sarebbero Stiles e Derek, altrimenti. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che, quantomeno, il bacio sia come ve lo aspettavate! Spazio ai meritatissimi ringraziamenti per voi demonietti recensori che nel momento del bisogno avete saputo commentare e risollevarmi il morale. Ammetto di aver avuto un blocco dello scrittore a un certo punto, ma chissà come, proprio in quel momento alcuni di voi hanno deciso di commentare e di ricordarmi che forse, a qualcuno piace davvero la mia storia, per quanto misera! Ci vediamo a fono pagina per le anticipazioni!
Justin_Onedirection_Smile_: io… davvero, non so che dire. Le tue parole non me le aspettavo proprio. Nel piccolo della mia storia, sono felice di aver animato in te sentimenti vivi, immagini che respirano e forse, qualche lacrima o sorriso in più. Io scrivo per questo, per persone come te che sanno ancora emozionarsi leggendo certe cose. E, grazie alle tue parole, so di essere riuscita ad emozionare un’altra persona, e questo è un regalo più bello di qualsiasi altro. Grazie di cuore. Davvero.
Two_dollar_bill: e porca miseria. Ho pianto, mannaggia a te. Sì, ho pianto come una bambina! Ogni volta che qualcuno apprezza ciò che scrivo, per me è sempre una novità, perché a volte io stessa ho seri dubbi sui miei capitoli e allora ho paura di scrivere ancora. Le tue parole, però… lo hai definito un libro. Ho sempre sognato scriverne uno e tu, chiamando così il mio misero racconto, mi hai rievocato alla memoria un sogno che non ho mai avuto il coraggio di inseguire. Non ho altre parole, se non… grazie.
Nye: “oh mio Dio”. Chiamala così la recensione! XD sì, Stiles e Derek sono sempre adorabili, anche quando Derek riempie Stiles di mazzate! Lo fa con amore! Dio e Satana avranno la loro bella parte da interpretare, ma più avanti. Di problemi per ora, ce ne sono altri. Pensi che finiscano qui? Eh, no, perché sono bastarda fin dentro il midollo, e me lo dico da sola, come fa Dumah. Ahahah! Ti immagino a un concerto dei Tokio Hotel dove il cantante e il chitarrista hanno le facce di Stiles e Derek! XD that’s ammmmoooreeeee!!!
KuramaLiz: ehm… domanda di riserva? No, qualche personaggio prima o poi morirà, ma ti dico una cosa. Abbi fiducia in me. A modo mio, finisco sempre col sentirmi in colpa e rimetterò le cose a posto, anche se non coi metodi tradizionali stile Sam e Dean Winchester dove la gente resuscita ogni tanto XD dunque, per il quasi bacio Sterek hai rotolato e pianto per tutta la stanza, ma per il bacio vero che è successo?! Vogliamo il video!!! Grazie per il commento e a prestissimo!
Giada_ASR: spero che il capitolo sia stato degno delle aspettative, così come spero che il bacio Sterek non ti abbia delusa. Sì, Alastor non doveva neanche morire, in realtà, ma qui i personaggi fanno il cavolo che gli pare. Che dici, la scena Sterek, per quanto piccola, è stata anche solo… ehm… carina? Dimmi di sì! Mi sale il panico per certe cose! E credo che Valefar sia un altro che necessiti di un disegnino per capire come funzionino le cose in certi campi, mentre con Scott è proprio inutile provarci, imbecille di un Alpha! Ahahah! Grazie per il commento e a presto!
Elenuar Black: ehm… in realtà non so cosa accadrà alla fine, anche se l’ho quasi scritta. Alastor è, come molti altri demoni, una vittima innocente di una guerra che non ha mai chiesto. Stiles lo ha capito e combatterà per questo, ma non sarà solo. E con questo, intendo dire che i suoi alleati potrebbero essere veramente inaspettati. Con la speranza che il capitolo ti sia piaciuto, ti saluto e ti ringrazio per il commento! A presto!
_Sara92_: chi non ama follemente Stiles! E Stiles è abbastanza folle da farsi amare da chiunque! Forse ha sbagliato a sfidare Dio e Satana, ma i risultati della sua scelta si vedranno, e io stessa non sono certa di cosa salterà fuori! Sono felice che alla fine, un po’ di dispiacere per il piccolo Alastor sia nato, anche perché dopotutto, non è neanche colpa sua. Non tutti come Stiles riescono a combattere la propria natura, ma adesso il nostro demonietto preferito ci vuole provare! A presto, e grazie!
Barbara78: cervello? Quale cervello? Che nascano dal cuore le idee, ok, ma qui il mio cervello sto ancora a cercarlo e non sono certa che ci sia ancora. Deve essersi consumato col caldo. Tra poco ho un altro esame, è vero, ma non posso non postare, anche perché so quanto è brutto attendere il seguito di una storia che si sta leggendo. Faccio del mio meglio, e sono felicissima che questo ti faccia piacere! Grazie di cuore!

 
Anticipazioni:
“-Stiles, stiamo parlando di…-
-Di cosa, Dumah? Dimmelo, o dovrò scoprirlo da solo. Le alternative sono due e molto ridotte, perciò dimmi con chi devo prendermela: chi ha ucciso Alastor?-
Silenzio, il battito impazzito di un cuore ansioso e di un demone che non sa cosa rispondere. Derek si stupisce nel constatare che quel cuore non appartiene a Stiles… ma a Dumah. Dumah ha paura. Di Stiles.
-Io…-
-Dumah, o me lo dici, o lo scoprirò comunque nel peggiore dei modi. Anzi, sai cosa? Credo che mi dobbiate delle spiegazioni, tutti e due: conoscete la mia storia, la mia vita, ogni schifosissima risposta alle domande che vi pongo continuamente. Voi pretendete verità pur rifiutandovi di essere sinceri con me e questo non posso accettarlo. So di essere fragile al momento, ma non sono fatto di vetro. Ho bisogno di sapere, di capire. Per me queste ultime settimane sono state come un immenso buco nero dove non potevo fidarmi nemmeno di me stesso perché questo corpo… io non lo riconosco. Mi dovete delle spiegazioni, o non andremo da nessuna parte. Chi sono? Cosa è stato a ridurmi così?-”

 
Tomi Dark Angel
 

 

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Capitolo 21
*** La Madre Nera ***


“Il sacrificio d’un demone
Che si vede spezzar le ali per amore
Costringerà in ginocchio lo stesso Dio
Che nella sua purezza
Nulla ha saputo apprendere da un amore
Professato e mai provato.”
 
Derek Hale è sempre stato un tipo mattutino. È abituato a dormire poche ore a notte, ammesso che dorma, e solitamente si avvale di un sonno leggero che lo ha sempre protetto e aiutato nelle situazioni critiche. È come se il suo lupo fosse sempre vigile, vivo, in allerta, e lui lo lascia fare perché è l’unico modo per difendersi e sopravvivere.
Quella mattina però, qualcosa cambia e Derek apre gli occhi su un sole già alto nel cielo, svegliato da un senso di vuoto che lo stordisce più del sonno, risvegliandolo e spaventandolo al contempo: al suo fianco, non c’è nessuno. Solo coperte sfatte, solo un odore piacevole ma decisamente troppo debole per dargli la certezza che Stiles non si sia alzato da molto.
È andato via? L’ha lasciato lì, pentendosi dell’accaduto? Non che abbiano fatto molto, certo: la loro notte, che per Derek è stata la più bella della sua vita, anche se non lo ammetterebbe mai ad alta voce, è trascorsa tra baci e carezze, sussurri e sfregare di pelle contro pelle. Stiles è rimasto con lui, l’ha abbracciato e a sua volta si è fatto stringere, donandogli ad ogni tocco un regalo nuovo di vita e rinascita, di aria pulita e speranza nel domani.
E adesso, quello stesso angelo notturno, non c’è più.
Derek scatta in piedi con un balzo e si guarda intorno, colto dal panico. Si catapulta dall’altra parte della casa senza pensare, ma non c’è niente di cui preoccuparsi: trova Stiles in cucina, con addosso solo i pantaloni della tuta. La coda guizza dappertutto, riordinando oggetti come un’entità a sé stante mentre il demone prepara il caffè, dando le spalle alla porta. È per questo che non si accorge di Derek ed è per questo che il licantropo ha tempo per scorrere lo sguardo sui muscoli della schiena, sulle cicatrici martoriate, sui capelli scompigliati e sulla coda che elegantemente sguscia dappertutto, senza fare danni né graffiare gli oggetti.
Come in un deja-vu, quella scena ricorda a Derek la prima volta che ha visto la coda di Stiles. Allora era tutto diverso, allora non erano… cosa? Cosa sono ora? Derek non lo sa, ma dopotutto gli interessa poco. Tutto ciò che sa è che vorrebbe vedere scene del genere tutti i giorni: svegliarsi la mattina e trovare Stiles in cucina, appoggiarsi allo stipite della porta e guardarlo sgusciare inconsapevole da una stanza all’altra con l’eleganza di un felino, addormentarsi con quel piccolo corpo martoriato e bellissimo stretto tra le braccia. Quella è la vita che Derek vuole, il suo più caro desiderio che almeno adesso osa affacciarsi dal cassetto delle meraviglie rimasto sigillato troppo a lungo nel suo animo.
-Se non ti fossi alzato, ti avrei portato la colazione a letto.- dice Stiles, innescando in Derek un piccolo sorriso. Chissà da quanto sa che è lì, chissà per quanto ha atteso che il suo animo si ambientasse e che gli occhi si abituassero a quella nuova routine. Come al solito, Stiles ha atteso e rispettato i suoi tempi, paziente in ogni istante, quieto come compagno fedele e stranamente silenzioso.
Derek attraversa la cucina, afferra Stiles per la coda e dolcemente lo strattona, attento a non fargli male. Gli circonda i fianchi con le braccia muscolose, aderisce il torace alla sua schiena e in un gesto puramente animalesco strofina il naso contro la sua guancia. Stiles odora di vita, di rinascita. Il suo corpo adesso, emana mille e mille odori diversi. Derek lo sente ridacchiare senza vergogna prima che Stiles accosti un biscotto ancora caldo alle sue labbra. Derek lo afferra senza spezzarlo e subito dopo Stiles addenta l’altro capo, vicinissimo al viso del licantropo, con gli occhi che brillano dorati e la pupilla che si allunga. Automaticamente, anche le iridi di Derek cambiano colore in quel gelido blu zaffiro che Stiles fissa estasiato, senza azzardarsi a spezzare il biscotto che ancora li tiene così vicini, eppure così lontani. La sua coda si avvolge aggraziata intorno ai loro fianchi, legandoli in una stretta inscindibile e quasi impossibile da spezzare. Non si tratta più di qualcosa dovuto all’Inferno, al Paradiso o a tutte quelle stupidaggini lì, no: Derek sente che tra loro, anche se ancora acerbo e fragile più di ali di farfalla, è sbocciato qualcosa di diverso, di naturale e per nulla artefatto, come il respiro di un bambino appena nato o il sorriso di una sposa il giorno delle nozze.
-Dovremmo andare ad allenarci, lo sai?- sorride Stiles, spezzando il biscotto e tornando ad armeggiare ai fornelli. È così strano vederlo sorridere di nuovo, quasi quanto lo è vedere un fiore che sboccia in ritardo. –Siediti, o qui non faremo mai colazione.-
-A me sta bene.- soffia Derek sul suo collo. Gli deposita un piccolo bacio innamorato dietro l’orecchio, struscia il naso contro lo zigomo alto, stuzzica con piccoli sbuffi le sue labbra già schiuse che quasi avidamente inspirano l’aria di Derek.
-Non ci provare!- sbotta Stiles, fingendosi arrabbiato. –Non ci provare, o la prossima volta vai a dormire sul divano.-
-Guarda che il letto sarebbe il mio, ragazzino.-
-Non più: non mi separerai da quell’ammasso di coperte troppo morbidissime, sappilo.-
-Ah, quindi sarebbero le coperte ad interessarti?-
-Cosa ti aspettavi, Sourwolf dei miei stivali?-
Improvvisamente, Derek si irrigidisce. Col viso ancora accostato a quello di Stiles, lo guarda fisso negli occhi, pieno di meraviglia e di una speranza che prepotentemente annienta ogni altra cosa, ogni altra sensazione.
-Che c’è?- si preoccupa il demone, senza tuttavia avere il tempo per rispondere. Derek lo volta di scatto e con l’ausilio di un solo braccio lo solleva, costringendolo a sedersi sul mobiletto. Lascia che Stiles allacci le gambe intorno ai suoi fianchi e si getta sulle sue labbra in un bacio famelico, nel quale trasmette ogni barlume di felicità, ogni sorriso trattenuto che adesso sboccia spontaneo negli occhi di Derek, rasserenandoli come quelli di un bambino. Se possibile, il sapore di Stiles gli appare ancora più dolce e buono delle volte precedenti. Sa di Paradiso, di quella beatitudine che molti cercano e che pochi trovano. È un luogo esotico e bellissimo che Derek esplora a pezzi ogni volta che Stiles gli accarezza la schiena con le mani, ogni volta che la coda gli sfiora le gambe, ogni volta che la lingua del ragazzino gioca con la sua.
Quella è la sua vita, racchiusa nei piccoli gesti e nei giovani occhi dorati di un demone innamorato.
-E questo per cosa era?- sorride Stiles quando si staccano. Derek lo abbraccia con forza, rifiutandosi di separarsi da lui. Ancora fatica a crederci e nemmeno gli sembra vero che Stiles lo abbia chiamato in quel modo, con lo stesso tono di voce che avrebbe usato il suo vecchio io.
-Niente.- risponde lui, scuotendo il capo. Poi torna a guardarlo e gli accarezza una guancia con due dita.
–Hai degli occhi bellissimi.- sorride Stiles.
Derek si accorge di avere ancora le iridi blu, ma va bene. Se piacciono a Stiles, allora vanno bene.
-VOI DUE!!!-
L’urlo è così improvviso che Derek si volta di scatto, lasciando cadere Stiles dal mobiletto con un tonfo sordo. Il demone mugugna addolorato mentre Scott li fissa traumatizzato, indicando prima Derek e poi Stiles, accasciato ai suoi piedi. Alle sue spalle c’è il resto del branco.
Allison e Lydia si danno il cinque, Isaac boccheggia a corto di parole, Valefar tossicchia imbarazzato e Dumah tende una mano aperta verso Peter.
-Sgancia.-
Peter sbuffa. –Vi odio.- sibila mentre schiaffa cinquanta dollari sul palmo di Dumah.
-Voi… noi… oddio.-
Scott balbetta e si copre il volto con le mani, colto dal panico.
-Ehm… dovrei intervenire?- si intromette Stiles, rialzandosi.
-Oh, vedo che hai imparato a muovere la coda. Per cosa l’hai usata, furbacchione?- ammicca Dumah, e Stiles arrossisce mentre Derek si copre gli occhi a sua volta. Scott barcolla, a un passo dallo svenimento.
-Ma… voi due vi odiavate! Vi odiate!-
-Ti sembra odio quello?- interviene Valefar. –Credo allora che all’Inferno abbiano sbagliato più di quanto pensassi…-
-Ma… ma…-
-Amplia il tuo vocabolario.-
-Ma voi…-
-Se sento ancora la parola “ma”, ti ammazzo al posto loro.-
Derek si intromette, cercando di stabilizzare la situazione. –Che ci fate qui?-
Domanda sbagliata. Tutti ammutoliscono improvvisamente e un innaturale silenzio di tomba cala sul loft. Dumah si fa avanti, seguita da Valefar.
-Dobbiamo parlare, pasticcino.- dice lei, fissando Stiles.
-Non da soli.- ringhia Derek, frapponendosi tra loro, ma Stiles gli appoggia una mano sul braccio.
-No, va bene.-
-Non sei costretto.-
-Lo so.-
Stiles sorride tristemente e, sollevandosi in punta di piedi, gli sfiora le labbra con le proprie. La coda accarezza la guancia di Derek mentre il licantropo gli cinge i fianchi con le braccia, rifiutandosi per qualche istante di lasciarlo andare. Separarsi da Stiles fa male e fa paura perché l’ultima volta che Derek lo ha lasciato solo, sono successe delle cose brutte e Stiles si è fatto male.
-Andrà bene.- gli sussurra Stiles sulle labbra prima di allontanarsi. Annuisce in direzione degli altri due demoni e quelli si dirigono nella camera da letto, chiudendosi la porta alle spalle.
Il branco si zittisce di botto, nessuno fiata, e da questo Derek capisce che ognuno sta aguzzando le orecchie.
-Stiles.- esordisce la voce di Valefar, stanca ma decisa. –Dobbiamo sapere qualcosa da te?-
Il letto cigola, come se qualcuno vi si fosse accucciato sopra. Derek scommette che si tratta di Stiles.
-Sì… credo di sì.- risponde lui con voce tremante. Derek deve lottare contro l’istinto di catapultarsi dal suo demone per difenderlo da Dumah e Valefar. Vorrebbe evitargli quella conversazione, la stessa che loro due si sono rifiutati di avere perché troppo dolorosa, troppo pericolosa per il suo ego instabile.
-Io… Alastor è…-
-Morto.- conclude Valefar lentamente. –Me lo ha detto Dumah e sa che tu lo hai saputo prima di tutti.-
Silenzio. Dalla sua parte, Derek vede Lydia chiudere gli occhi e premersi una mano sulla bocca, Scott distogliere lo sguardo, Allison intristirsi. Nessuno di loro lo conosceva e tutti lo hanno sempre visto come un nemico, ma ognuno lo ricorda comunque come il demone che nonostante tutto, l’ultima volta che li ha visti ha scelto di risparmiarsi lo scontro. Non era così cattivo, dopotutto.
-Non è questo che vogliamo sapere, tuttavia.- interviene Dumah, riaccendendo l’interesse del branco.
Derek sente un rumore di tacchi a spillo e un altro cigolio, come se Dumah si fosse sporta sul letto, verso Stiles.
-Cosa abbiamo avvertito stanotte, zuccherino?-
-C… cosa?-
-Ti sto chiedendo cosa hai fatto per fare incazzare tanto Lucifero. Non so perché, ma qualcosa mi dice che la colpa è tua.-
Derek stringe i pugni, maledicendosi per non aver fatto a Stiles le domande che doveva. Ha pensato ingenuamente che non potesse essere accaduto qualcosa di peggiore in quel frangente, ma forse si sbagliava. Stiles ha fatto infuriare Lucifero? Come può un ragazzino essere tanto importante da attirare l’attenzione e le ire del Diavolo in persona?
-Io…-
-Stiles.- interviene Valefar, pericolosamente calmo. –Ti prego, dimmi che non hai…-
La sua voce cala nel vuoto di un silenzio troppo pesante e carico di minacciosa aspettativa. Derek vede le ombre del loft addensarsi e tremare, come se qualcosa le stesse tenendo faticosamente a bada. Quale dei tre demoni sia abbastanza nervoso da fare questo, Derek non sa dirlo.
-Sì.- dice improvvisamente Stiles, e stavolta la sua voce è ferma, implacabile, come se non fosse più lui a parlare. Quella è la voce di un Alpha, la voce di un leader. Derek non ha mai sentito un suono più accattivante e minaccioso allo stesso tempo. –Ho sfidato Lucifero. E Dio.-
Il branco reagisce con stordimento, chi ondeggiando sul posto, chi coprendosi la bocca con le mani per trattenere un grido. Da parte sua, Derek non sa cosa pensare perché Stiles Stilinski, quel piccolo ragazzino iperattivo dal corpo sottile coperto di cicatrici ha appena sfidato le più potenti entità dell’universo.
Lo faranno a pezzi, Derek ne è certo. Per quanto possa essere forte, Stiles è comunque un demone e può morire. Quel pensiero soffoca Derek in una morsa aggressiva che gli svuota i polmoni e gli sottrae energie perché una vita senza Stiles… non avrà niente di diverso dalla morte ad occhi aperti. Derek può proteggerlo dai licantropi, dai kanima, dai mostri e dal mondo intero. Ma da Dio e Satana?
-Non… non puoi averlo… fatto.- boccheggia Valefar.
-Invece sì, Valefar.-
Il cigolio del letto, dei passi. Derek capisce che Stiles si è alzato dal letto.
-La gente continua a morire inutilmente, Valefar. Angeli, demoni, persone comuni. Tutti posti contro la loro stessa volontà su una gigantesca bilancia che puntualmente finisce col farli cadere, uccidendoli. È giustizia, questa? Abbiamo perso un amico, l’ennesimo bravo ragazzo costretto a diventare un assassino contro la sua volontà. Non posso lasciarglielo fare.-
-Ti ammazzeranno, idiota! Non sei abbastanza forte; nessuno lo è!-
-Allora morirò, ma come dico io.- dice Stiles serenamente, come se stesse parlando del tempo. –Non me ne andrò a testa bassa, Valefar. Non ricordo molto di come ero prima, ma… voglio essere diverso. Voglio essere libero, vivo, esente da ogni preoccupazione. Pensate che Lucifero mi lascerà vivere con Derek, come se niente fosse? Alastor è stato soltanto l’inizio, perciò chi di noi sarà il prossimo? Non mi importa di morire, ma non posso permettere che Lucifero metta le mani su Derek e il branco. Lo trascinerò con me all’Inferno, ma non toccherà l’unico motivo della mia felicità. Ho fatto una promessa a me stesso e ad Alastor e intendo mantenerla. Non vi sto chiedendo di aiutarmi, ma almeno lasciatemi andare.-
Silenzio. Il cuore di Derek salta un battito, il resto del branco trattiene il respiro. Una piccola lacrima scivola sul volto di Scott, i cui occhi sbarrati sono ancora fissi sul pavimento. Stiles ha sfidato Dio e Lucifero per loro, per il branco. Intende difenderli fino all’ultimo respiro, lottando senza riserve semplicemente per sapere che alla fine, almeno loro staranno bene.
Derek non si è mai sentito in quel modo. Ogni istante che passa lo porta ad amare Stiles sempre di più, sempre più intensamente. È qualcosa di talmente potente da stordirlo, sovrastandolo con dolcezza infinita e bellissima, la stessa dolcezza che Derek immagina adesso riflessa in quegli occhi dorati.
-Ci stai chiedendo molto, Stiles. Abbiamo fatto tanto per riportarti indietro.- dice Valefar.
-E tanto farete per lasciarmi andare: qualsiasi cosa abbia ammazzato Alastor è ancora in circolazione e va fermata.-
-E vuoi fermarla tu?-
-Sento di poterlo fare. Sento che in nome di Derek potrei fare qualsiasi cosa.-
Derek stringe i denti. Ancora una volta, si sente schiacciato dal peso di quell’affetto dedito e incondizionato che lui sente di non aver mai ricambiato a dovere. Stiles si comporta come se dire e fare quelle cose fosse la cosa più naturale del mondo, ma loro… si sono baciati da poco meno di dodici ore dopo aver trascorso anni interi a battibeccare. Derek merita davvero così tanto?
-Stiles, stiamo parlando di…-
-Di cosa, Dumah? Dimmelo, o dovrò scoprirlo da solo. Le alternative sono due e molto ridotte, perciò dimmi con chi devo prendermela: chi ha ucciso Alastor?-
Silenzio, il battito impazzito di un cuore ansioso e di un demone che non sa cosa rispondere. Derek si stupisce nel constatare che quel cuore non appartiene a Stiles… ma a Dumah. Dumah ha paura. Di Stiles.
-Io…-
-Dumah, o me lo dici, o lo scoprirò comunque nel peggiore dei modi. Anzi, sai cosa? Credo che mi dobbiate delle spiegazioni, tutti e due: conoscete la mia storia, la mia vita, ogni schifosissima risposta alle domande che vi pongo continuamente. Voi pretendete verità pur rifiutandovi di essere sinceri con me e questo non posso accettarlo. So di essere fragile al momento, ma non sono fatto di vetro. Ho bisogno di sapere, di capire. Per me queste ultime settimane sono state come un immenso buco nero dove non potevo fidarmi nemmeno di me stesso perché questo corpo… io non lo riconosco. Mi dovete delle spiegazioni, o non andremo da nessuna parte. Chi sono? Cosa è stato a ridurmi così?-
Derek si irrigidisce, improvvisamente conscio della situazione. Se Stiles venisse a sapere la verità, sarebbe un disastro. Sentirsi dire che è stato proprio Derek Hale a far scattare in lui la molla della follia, sentire che Stiles ha perso i ricordi a causa sua… sarebbe peggio di una pugnalata. Si trasformerebbe definitivamente? Perderebbe quel po’ di lucidità che gli rimane?
Derek non vuole pensare che tutto potrebbe andare in pezzi in questo modo, frantumato dalla sua stessa stupidità. Al solo pensiero che Stiles possa odiarlo il suo lupo interiore si contorce ferito, sofferente, in preda a un’agonia mai provata.
Derek non si accorge di essersi chiuso nel suo mutismo meditabondo per troppo tempo. Si è estraniato dal mondo, non ha fatto attenzione ai discorsi dei tre demoni nella stanza accanto. È solo quando la porta si apre lentamente che il licantropo può rendersi conto dei suoi errori, gli stessi che vede riflessi negli occhi lucidi e sbarrati di Stiles.
-Sei stato tu.- mormora con voce tremante. Nel suo sguardo si specchia un terrore cieco e soffocante talmente instabile che Derek ne ha paura e se ne sente sopraffatto. –Tu mi hai fatto questo.-
Derek non sa cosa rispondere perciò si limita a tendere una mano verso di lui in una muta richiesta di… pietà? Calma? Tempo per spiegare?
Stiles però, manda definitivamente in frantumi ogni cosa. Indietreggia di un passo, sottraendosi al suo tocco ed è quello il momento in cui il mondo di Derek va in pezzi più di quando ha perso i suoi genitori, più di quando è morta Laura. È come se un pezzo d’anima gli fosse stato strappato via dalle carni e fa un male cane.
-Io mi fidavo di te.- sussurra Stiles mentre una lacrima sanguigna gli sgorga dall’occhio. Una lacrima demoniaca, una parte di se stesso che si spacca. –Mi fidavo di te e tu… tu sapevi. Sapevi e mi hai nascosto tutto. Mi hai spezzato e adesso speri di potermi ricostruire per far fronte a un mero senso di colpa. Perché, Derek?-
-Stiles…-
-PERCHÉ?!-
Il ruggito di Stiles è talmente spiazzante che tutti trasalgono. Le ombre si contorcono, le finestre esplodono verso l’esterno e il sole vibra come ferito da una potenza gigantesca e inarrestabile che lascia lo stesso Derek senza parole. Gli occhi di Stiles sono dorati, dalla pupilla verticale… ma adesso la cornea è nera come l’abisso. I denti si modellano lentamente, affilandosi come quelli di un predatore, con canini appuntiti che quasi superano il mento. Il naso si arriccia in un ringhio, altre sanguigne lacrime di frustrazione gli sgorgano dagli occhi.
Mai come in quel momento, Stiles sembra una bestia. Bellissimo e potente, inarrestabile più di qualsiasi supernova, ma anche terribilmente spaventoso. Il suo sguardo ferito e rabbioso non gli appartiene più, non ha nulla degli occhi dolci del ragazzino innamorato che era fino a pochi minuti prima. Quelli sono gli occhi di chi è stanco di lottare, gli occhi di chi si sente tradito da quanto di più importante aveva nella vita.
Derek lo ha tradito.
Derek gli ha mentito per tutto il tempo.
Fa male, un male atroce. Ha subito tanti dolori, tante torture, ma niente brucia come questo. Le voci nella testa di Stiles si affievoliscono perché stavolta ad essere arrabbiato non è il demone, ma Stiles stesso. O almeno, la parte di Stiles che ancora sopravvive, trascinandosi miserabile come miserabile ombra di qualcosa che non tornerà più.
Qualcosa si spezza nei suoi occhi e nel suo animo, una crepa che manda in frantumi tutto il resto semplicemente perché il suo punto fermo, la sua più grande ancora era quella che adesso è venuta a mancare.
-Stiles, non è come pensi.- dice Derek, cercando di avvicinarsi. Fa un passo avanti, ma qualcosa gli sfiora fulmineamente la faccia, aprendogli sulla guancia un taglio sottile ma che brucia come fuoco un istante prima di rimarginarsi.
La coda di Stiles oscilla nervosamente alle sue spalle, due metri di micidiale fil d’acciaio al cui culmine s’aggancia un’arma a tre punte il cui bordo affilato adesso è sporco di sangue, lo stesso sangue che Stiles aveva promesso di proteggere e preservare. Lo stesso sangue che come l’ennesimo peccato mortale gli insozza l’anima e lo sguardo, trascinandolo giù, sempre più giù, verso una natura animale che non gli appartiene.
-Lucifero aveva ragione.- mormora, chinando il capo sconfitto. –Ci sono cose peggiori dell’Inferno.-
Solleva gli occhi un’ultima volta, lo sguardo perso di chi non ha neanche più la forza di chiedere aiuto. Guarda Derek, accusandolo un’ultima volta, chiedendogli silenziosamente perché lo ha fatto, perché gli ha voltato le spalle. La sua ancora, il suo centro, il suo più efficace metodo di guarigione. Il suo unico e sincero amore.
Stiles lo amava. Lo ama. Nonostante tutto, non riesce a odiare davvero quegli occhi di smeraldo, occhi che da soli racchiudono le profondità più oscure di qualsiasi foresta. Eppure, adesso sa. Sa che Michael aveva ragione, sa che per colpa sua l’anima di Derek si sta sporcando. Deve lasciarlo andare, deve intraprendere la sua strada da solo perché quel giovane licantropo è una rosa in fiore che non merita di essere strappata dalle radici. Stiles si è avvicinato una volta di troppo per ammirare quel fiore e le sue spine hanno iniziato a crescere, a soffocarne i petali e il profumo. Per colpa sua.
-Mi dispiace.- sussurra esausto, cadendo in ginocchio. –Mi dispiace…-
Singhiozza forte, il corpo fragile scosso da un dolore che non riesce più a sopportare. Qualcosa si spezza in lui e neanche le mani che gentili scendono a incorniciargli il viso riescono a strapparlo a quell’abisso.
Stiles alza gli occhi, incrocia quelli sofferenti di Derek. Per l’ultima volta annega in quei colori maledetti, per l’ultima volta prega che quel verde adesso così scuro possa infine schiarire e tornare come un tempo. Per l’ultima volta, Stiles si lascia baciare. Un bacio disperato di mani che si aggrappano, lingue che lottano furiosamente, lacrime di demone e lacrime di licantropo che si intrecciano.
Stiles ricorderà per sempre il sapore di Derek. Sa di foresta e menta, di luna e libertà. In quel bacio, Stiles potrebbe viverci. In quel bacio, Stiles abbandona gli ultimi residui di vita che lo rendono umano e felice di esserlo. In quel bacio, Stiles abbandona l’unico uomo che si sia mai concesso di amare davvero, senza riserve e senza barriere.
Quando si separano, Stiles riapre gli occhi e vede che il viso di Derek è umido, bagnato da quelle lacrime pulite che il demone non potrà più versare. Lacrime umane, lacrime salate. Derek piange per lui.
-Non te l’ho mai detto, vero?- mormora Stiles, accarezzandogli il viso con dolcezza innamorata. Sorride appena, l’ultimo gesto di umanità che un condannato si rifiuta di risparmiarsi. –Avevo paura. Paura di perderti, paura che ti accadesse qualcosa. Non te l’ho detto prima per purissima codardia e soltanto adesso mi rendo conto che tutto il tempo perso, tutti gli attimi trascorsi e mai vissuti veramente… non torneranno più. Avremmo potuto vivere davvero, scoprirci molto prima, ridere insieme e capire che alla fine, non siamo poi così diversi. Non te l’ho mai detto, e adesso me ne pento. Perdonami, Derek. Perdonami se ho mantenuto il silenzio tanto a lungo e invece parlo adesso che è troppo tardi.-
Derek lo fissa in attesa, gli occhi ancora lucidi, una mano poggiata sulla sua guancia. Stiles si aggrappa a quel contatto caldo che lo rende ancora umano, ancora vivo. Dio, quanto ama quelle mani. Sempre così tiepide, sempre così belle e gentili nonostante la presenza dei troppi calli dovuti alle numerose battaglie affrontate. Derek, il suo angelo, il suo appiglio più solido. Colui al quale Stiles sente di dover dire qualcosa, qualcosa di importante ma che paradossalmente non sarà mai abbastanza per descrivere il sentimento che prova. Le parole non bastano mai. A volte sono potenti come bombe nucleari, ma altre sono inutili e troppo misere.
Stiles vorrebbe parlare, ma poi ci ripensa. Lascia che gli occhi parlino al posto suo, lascia che le mani vaghino su quel volto, accarezzandogli le guance coi pollici, sfiorando le labbra, le tempie, i capelli. Alla fine, semplicemente lo abbraccia con forza. Si aggrappa a lui, alla sua luce, alla sua anima ancora umana che subito ricambia l’abbraccio come se avesse capito che questo è l’ultimo tocco reciproco che Stiles concederà a entrambi.
-Ti amo.-
E alla fine, due semplici parole sfuggono come acqua limpida dalle labbra di Stiles, ritraendo le zanne, ripulendo i suoi occhi, trasformandolo in quel ragazzino umano che dal primo istante si è infatuato di un licantropo e che col tempo ha invece imparato ad amarlo con tutto se stesso nel silenzio di un animo sincero che ha saputo osservare, aspettare e proteggere i propri cari. Per quanto poco riescano a esprimere quelle semplici parole, Stiles sente che Derek ha capito. Non si aspetta una risposta da lui, non aspetta che Derek reagisca.
Ciò che lo stupisce invece è che Derek intensifica l’abbraccio, affonda il naso contro il suo collo… e singhiozza. Forte, senza curarsi di chi guarda, esternando per la prima volta in pubblico quell’umanità che ha sempre ignorato di possedere. Trema contro il suo corpo, lo stringe come se non volesse mai lasciarlo andare e semplicemente Stiles capisce e sorride serenamente, felice di un amore che non proverà mai più.
Sente il cuore di Derek battere con forza esagerata contro il suo petto e questa per Stiles è la risposta più bella che possa ricevere.
Va bene così.
Quando le ombre abbracciano il corpo di Stiles, Derek quasi non se ne accorge. Ha gli occhi chiusi, le lacrime che dolcemente gli accarezzano le guance e il calore di Stiles sulle mani, sui vestiti, nel cuore stesso. Qualcosa si spezza in lui quando tuttavia quel calore viene a mancare e Stiles sparisce, lasciandolo solo, stordito e con un dolore sordo al petto. Laddove prima batteva forte il cuore, adesso sembra esserci soltanto un enorme buco nero, vuoto e senza vita.
Derek semplicemente urla, e il suo grido è talmente forte da essere udito oltre il cielo, oltre gli abissi della terra, da Dio e Lucifero stessi che mai prima d’ora hanno sentito un lamento tanto straziante.
 
“Dio esiste, ma a volte dorme:
I suoi incubi sono la nostra esistenza
E i suoi sogni la speranza della vita.”
 
Gli incubi rappresentano molto spesso una realtà viva e mai scomparsa, l’ansito di una belva che ti respira sulla spalla, la presenza di un male che ti entra negli occhi e nel cervello come una malattia che poco a poco si espande. Paure intime, sporche, intrise di grida e pianti disperati.
Stiles Stilinski. Ricordi bene come sia fatto il luogo di origine di tutti gli incubi, vero? Puzza di sangue e sudore, di carne bruciata e corpi in decomposizione. È un odore talmente nauseabondo che anche un demone ci mette un po’ ad abituarcisi. Tu non sei diverso da loro, ma sai che dopotutto, quella è casa tua ormai. La tua piccola, enorme casa infernale.
Ti siedi su un masso sporgente e troppo appuntito che subito ti graffia la pelle, incidendola di piccoli marchi sanguinolenti che non si rimarginano. Intorno a te, solo fiamme e pietra, sabbia e carbone. Ti trovi sull’orlo di un dirupo scosceso sul quale crescono alberi bruciati e raggrinziti, dai tronchi neri e i rami gracili. Stillano sangue da ogni crepa, da ogni rametto spezzato, come se un’entità umana abitasse quelle piante.
 
“Come l’altre verrem per nostre spoglie,
Ma non però ch’alcuna sen rivesta,
ché non è giusto aver ciò ch’om si toglie.”
 
Tu sai che è così.
Suicidi. Tanti, troppi, abbastanza da affollare un girone intero. Costretti a giacere in aride foreste e montagne appuntite, intrappolati in piante incapaci di difendersi mentre uccelli dai deformi volti di donna spezzano i rami, graffiano le cortecce, incidono le radici. Puoi sentire i loro lamenti, il puzzo della putrefazione che avvolge ogni ferita mai rimarginata.
Quello è l’Inferno così come lo ha descritto l’unico uomo che, toccato una sola volta da un demone, fu in grado di sognare e raccontare senza impazzire: Dante Alighieri è forse una delle persone più forti mai esistite, una roccia capace di surclassare psicologicamente qualsiasi avversità, qualsiasi macabra visione. Attraversò l’Inferno, lo studiò, lo visitò e non impazzì. Era forte, era umano. Quando è morto, non sai cosa sia stato di lui. Dove è finito? All’Inferno o in Paradiso?
Abbassi lo sguardo sullo strapiombo, dove una forma vagamente umanoide fatta di corteccia bruciacchiata giace impiccata a un ramo troppo fragile per poter reggere ancora a lungo quel peso. Oscilla al vento, macabra e abbandonata come pietosa marionetta. Annoiato, ti domandi quanto ancora durerà quel misero ramo d’albero prima di spezzarsi definitivamente e precipitare il fragile corpo appeso su un letto di pietre appuntite e spuntoni sporchi di sangue. Sarebbe uno spettacolo guardare quegli arti che si spezzano, sarebbe uno spettacolo ridere delle grida e del sangue che stillerà da ogni ferita.
Non sai cosa ci fai lì, non lo ricordi. Sai solo di esserci arrivato spontaneamente, stordito per qualcosa che forse non era tanto importante da essere tenuto a mente. Un problema, una rottura, un litigio. Con qualcuno o con qualcosa. Non è importante.
Quel posto ti piace. Nonostante i lamenti costanti, le urla in lontananza e il puzzo nell’aria, senti che è qui che devi essere, sotto quel cielo nero e senza luce, lontano dai colori accesi e dai bagliori che ti impediscono di vedere. Lì ti senti bene, a casa, come se fossi nato tra quelle rocce.
-Ragazzo…- mormora una voce di donna tanto strascicata e lamentosa che pare impersonare il timbro stesso di un funerale.
Ti volti lentamente, l’espressione incolore, la schiena curva e posi lo sguardo sull’ennesima figura impiccata che giace su un albero a poca distanza da te. La donna è minuta, dalla pelle coperta di corteccia e sangue. Le manca un braccio, ha i polsi tagliati e gli occhi neri privi di cornea e iride. Pare una scultura, ma tu sai che non è così. Come ogni dannato, respira aria mefitica, e ogni ansito brucia i polmoni e li ricostruisce. Una, due, dieci volte. Un circolo vizioso, un percorso sempre uguale che spinge gli uomini a trasformarsi in bestie, un passo dopo l’altro, così come padroni malvagi insegnano al proprio pitbull come massacrare un suo stesso simile se chiuso in gabbia con esso.
-Ti prego…- mugola lei, miserabile. –Non hai alcuna pietà?-
Inclini il capo, per nulla impressionato dai lamenti della donna. La sua voce ti dà fastidio. Tutto ciò che vorresti è strapparle le corde vocali a colpi d’artigli solo per farla tacere e tornare ad assaporare la tua beata quiete.
-Acqua.- mormora lei. –Abbi pietà, forniscimi dell’acqua.-
-Non c’è acqua qui.- rispondi con freddezza, piccato dall’atteggiamento miserabile di lei. Non ha alcuno orgoglio? Che se ne fa di un’esistenza tanto deplorevole? –E anche se ce l’avessi, non te la fornirei.-
-Acqua… abbi pietà.-
-Zitta.-
-Acqua…-
Ma quella donna ti ha stancato. È fastidiosa, fa rumore e puzza. Finanche il ticchettio del suo sangue che cola sulla roccia ti risulta insopportabile, perciò ti alzi con calma, la raggiungi. Sali sull’albero con un balzo e lo fai scricchiolare ferito, il fragile tronco che quasi si piega sotto il tuo peso. Lei geme, implora pietà con maggior vigore ed è allora che ti chiedi se sia realmente stupida oppure no. Deve stare zitta e ancora non lo ha capito. Deve smetterla di respirare la tua aria e invece continua ad ansare. La odi, la odi con tutto te stesso.
-Mi hai stancato.-
Afferri il cappio e tiri, strappandolo dal ramo. Sollevi il corpo senza peso della donna, le cui orbite vuote brillano di oscurità e dolore, le labbra schiuse in un lamento, la testa calva coperta di tagli sanguinolenti. È così fragile, così piccola… la detesti per questo. Odi le cose fragili, le faresti a pezzi una dopo l’altra.
-Sei inutile.- dici, fissandola disgustato. Speri che possa vederti, speri che possa distinguere riflesso nei tuoi occhi la sua stessa miserabilità.
Senza ripensamenti, la lasci andare e lei precipita nel vuoto con un grido strozzato. Il corpo si infrange contro la parete di roccia, rotola insanguinato lungo il bordo frastagliato della montagna finché con uno slancio esagerato non resta impalato su uno spuntone più grande degli altri. È un’immagine macabra, quella del corpo che ancora si dimena, scosso da singulti e convulsioni che continueranno in eterno finché qualcuno non sceglierà di rimuovere quel corpo per farci qualcosa di peggio.
-Stiles.-
Qualcuno avanza con passo felpato, siede al tuo fianco con grazia e con grazia intreccia le mani in grembo. Una creatura alta e magra, avvolta in nere vesti di seta che lasciano scoperte solo le mani totalmente ossee. Non un brano di pelle e muscoli ricopre quelle dita scheletriche, non una stilla di sangue o il guizzare di carne viva. Quelle, sono mani morte. A dispetto di questo però, sotto il cappuccio respira qualcosa, un’entità che di respirare non ne ha affatto bisogno ma tu sai che lo fa per pura inerzia, bisognosa di muoversi, di sentire il suo stesso corpo.
Conosci quella creatura, adesso lo ricordi. È una cara amica, l’unica che abbia mai avuto pietà di te sin dall’inizio, l’unica in grado di ascoltarti e di risponderti ogni volta, seppur spesso con enigmi praticamente incomprensibili. È di buona compagnia, è una creatura pacata e non aggressiva o patetica come la maggior parte delle tue conoscenze.
-Che fine avevi fatto?- chiedi, e la voce ti esce come un ansito dalla bocca, sintomo di un’odiosa debolezza che poco a poco ti si attacca addosso, soffocandoti e sottraendoti energie. È un peso conosciuto, lo stesso che opprimerebbe chiunque sia tanto coraggioso da sedersi a chiacchierare con la creatura che hai accanto.
-Ho molto da fare, figlio mio. Sono vecchia, ma purtroppo non mi sarà mai concessa alcuna vacanza.- esala la creatura con voce flebile, doppia, come se più entità sussurrassero contemporaneamente.
Ti passi una mano sul viso, esausto. Poco a poco i ricordi cominciano a tornare e improvvisamente, grazie alla vicinanza della creatura, sai chi sei e perché sei lì. Per un momento odi l’incappucciata, ma poi pensi che dopotutto, i ricordi non sono mai andati via per davvero. Prima o poi sarebbero tornati comunque, urlanti e violenti come incubi a occhi aperti.
-Perché provi tanta rabbia, figlio mio?-
Sorridi amaramente. –Sai perché. Tu sai sempre tutto.-
L’incappucciata annuisce, facendo oscillare il cappuccio. –Sono vecchia, figlio mio, vecchia più del mondo e di qualsiasi era passata. Io e mia sorella abbiamo visto e accudito in egual maniera molte creature, ma esse continuano a temere me senza sapere che tra le due, io sono quella più caritatevole. Conosco la pietà, conosco l’uguaglianza e, per quanto possa apparire bizzarro, conosco anche mia sorella e so che può essere spietata più di chiunque altro. Si diverte ad anteporre all’uomo prove che non può superare, prove che nemmeno un dio riuscirebbe a vincere. Mia sorella è viziata, crudele, gelida come il ghiaccio stesso. Pensa di conoscere tutto, di essere tutto, pur consapevole che un giorno anche lei dovrà abbandonarsi al mio abbraccio.-
-E alla fine resterai sola.-
Da sotto il cappuccio, la creatura pare sorridere. –Sì, figlio mio, resterò sola. Sola sono nata, e sola rimarrò fino alla fine.-
-Quindi esiste davvero? Una fine, intendo.-
-La parola fine ha tanti significati diversi per ognuno di noi. Di quale fine parli, tu?-
Sorridi a tua volta, tristemente. Hai il viso sporco di sangue essiccato, la pelle arida e il respiro pesante. L’aria lì è rarefatta e sa di sozzura. –Parlo della fine vera, quella… quella che culminerà nel tuo abbraccio. La fine di mia madre, la fine che attende tutti noi.-
Con dolcezza, la creatura allunga una delle sue candide mani d’osso e stringe la tua. È il tocco gelido di una madre gentile, amorevole, che accarezza il figlio mentre questi si addormenta. È così che ci si sente quando si muore?
-Lucifero non mi lascerà in vita.-
-Questa è una faccenda che riguarda solo e soltanto mia sorella, figlio mio. Neanche Lucifero ha il potere di sovrastare le nostre decisioni poiché esse giungono dall’alto di un’entità della quale neanche Dio conosce il nome.-
Stringi forte la mano della creatura, aggrappandoti a quel contatto con tutta la disperazione di cui disponi. Disperazione è tutto ciò che resta, disperazione è tutto ciò che ti è concesso avere.
-Forse sarebbe meglio così.- mormori, esausto. –Lasciarsi andare, venire via con te.-
-Hai ancora diversi compiti da assolvere, figlio mio.-
-E quali? Lasciarsi massacrare da Dio e Lucifero in nome di un amore ingannevole? No, grazie. Come ho già detto, preferisco andarmene a modo mio.-
L’incappucciata ti fissa da sotto il cappuccio, il capo inclinato, la mano ancora stretta alla tua. –Non credi invece che sia ora di scegliere a modo tuo come vivere?-
Guardi il vuoto, stanco come un vecchio che ha vissuto troppo a lungo. –Non sarò anziano come te, ma a volte sento di aver vissuto troppo. Se prima avevo qualcosa capace di tenermi aggrappato alla vita, adesso… adesso non c’è più.-
-E perché non c’è più?-
-Perché mi ha tradito, mentito, voltato le spalle. Non gliene faccio una colpa, sento che potrei perdonargli qualsiasi cosa, ma… ma non voglio continuare così. Derek deve essere libero e al sicuro e con me non sarà né l’uno, né l’altro.-
L’incappucciata sospira. –È dunque questa una delle prove che mia sorella antepone ai suoi figli. A volte non capisco come faccia ad andare avanti con uno strascico tanto lungo di pianti e grida alle spalle. Una semplice lacrima di bambino è in grado di appesantirci, mentre quella di un innamorato sincero e disperato sa trarre in ginocchio tutti noi, Dio e Lucifero compresi.-
Non ci credi. Non ritieni possibile che qualcosa di così piccolo possa piegare la creatura che hai accanto poiché, nella sua pacata dolcezza, essa è l’autorità massima dell’universo, oltre Dio e Lucifero, oltre l’uomo e le sue creature sovrannaturali.
-Hai intenzione di prendermi in giro ancora per molto?- sorridi stancamente.
-Non mi credi?- dice dolcemente la creatura. –Figlio mio, hai idea del potere che detieni? Io e mia sorella possiamo insegnare al mondo molte cose, cose che nessuno sano di mente vorrebbe imparare, mentre tu... tu, il mondo sei capace di piegarlo con la sola forza dello sguardo. L’innocenza è quanto di più intoccabile esista nell’universo e se c’è una cosa che accomuna me e mia sorella a Dio e Lucifero, è la totale mancanza di essa. In nome di un mortale sei riuscito a restare in piedi, in nome di un mortale hai sconfitto tutti noi e ci hai costretti a retrocedere.-
-C… cosa?- balbetti, stupito.
-Figlio mio, svegliati. Si dice che mia sorella nasca per aprir gli occhi ai ciechi quando è necessario, ma in realtà è nella pura e semplice morte che si impara a guardare davvero.-
La creatura solleva l’altra mano, gli accarezza lo zigomo con un'unica falange ossea. Mani spaventose, mani scheletriche che, nonostante tutto, sanno ancora accarezzare.
-Non lasciare che il mondo uccida la tua innocenza, figlio mio: essa è la tua più grande arma, il tuo scudo che costantemente saprà difenderti da Dio e Lucifero, da me e mia sorella. Non lottare per la vita, ma per la giustizia, così come hai promesso di fare davanti al cadavere di un giovane innocente. Non essere schiavo di nessuno di noi ma rivolgiti a quell’amore che ha saputo condurti lontano e tenerti in vita. Combatti, ma sii nel giusto. Rialzati, ma non pretendere di poter proseguire da solo. Lotta, consapevole che quando chiamerai a raccolta i tuoi alleati, essi risponderanno più numerosi di quanto immagini.-
Quando una lacrima ti attraversa il viso, calda e sporca di sangue, ti accorgi di star piangendo.
-Posso provarci davvero?-
-Tu vuoi provarci, figlio mio?-
-Non ne sono sicuro. Non penso di poter… battere Dio e Lucifero. Sfidandoli, ho fatto il passo più lungo della gamba.-
Il cappuccio freme, segno che la creatura sta sorridendo. –Davvero?-
-Sì, davvero!- ti spazientisci. –Non dovevo ribellarmi. Sono troppo forti, sono le autorità massime dell’universo.-
-Non esattamente.-
-Lo so, lo so. Le autorità massime siete tu e tua sorella.-
-Non esattamente.-
Ti affondi le mani nei capelli, allucinato. Non ne puoi più dei sotterfugi dell’incappucciata. Le vuoi bene, è una tua cara amica, ma a volta sa stressarti davvero.
-Io e mia sorella non siamo autorità più di quanto non lo siano Dio e Lucifero. Essere immortali ci rende volubili, figlio mio. Nonostante le nostre stesse esistenze rientrino nel sempiterno circolo di vita e morte, noi non sapremo mai davvero cosa siano l’una o l’altra. Non siamo nati, non moriamo, eppure professiamo vita e la sottraiamo. Tu hai qualcosa in più, figlio mio: tu sai. Sei nato, hai vissuto, sei morto e sei tornato indietro per raccontarlo. Sia tua adesso la scelta di andare avanti o di tornare indietro, ma sappi che mia sorella sa essere tanto crudele quanto gentile: al traguardo finale potresti trovare una delusione, oppure un grandissimo premio. Corri il rischio di sfidarla, oppure vieni via con me e trascorri l’eternità a domandarti cosa avresti trovato alla fine se solo avessi scelto di proseguire.-
Interdetto, fissi la creatura. –Mi… mi stai dicendo di tornare indietro?-
-Io? Non sto dicendo proprio niente, figlio mio. Non mi è concesso aiutare i mortali.-
Da sotto il cappuccio però, la creatura ridacchia di un suono gutturale, raschiante, come se avesse la tosse. Tu la conosci da tre anni, quindi sai che quello è un suono divertito, per quanto sconcertante e forse spaventoso.
Poi, capisci: ti sta aiutando. L’incappucciata vuole spingerti a rivoltare Inferno e Paradiso come un guanto, lottando per quell’amore che credi di aver perso. Per Derek. Il tuo Derek.
Chiudi gli occhi, cercando di ricordare quel po’ di lui che l’Inferno non ti ha sottratto, ma ormai è come guardare un’immagine sfuocata, qualcosa che non riesci ad afferrare e continuamente ti sfugge. Di che colore erano i suoi occhi? E i suoi capelli? La pelle era chiara o scura? Non ricordi nemmeno la sua voce.
-Non so per cosa combatterei, amica mia. Io… credo di averlo dimenticato. E questa cosa l’ho scelta io.-
-Capisco.-
L’incappucciata ti lascia la mano, si alza in piedi.
-Non ti consiglierò di combattere, figlio mio, ma ricorda una cosa: mia sorella è potente, ma anche ignorante. Non ha mai compreso la reale natura dei suoi stessi figli e mai le è interessato provarci. Dà per scontato tante cose, e tante cose scontate non sono. L’uomo riesce ancora a sorprendermi perché, nella mia altrettanta ignoranza, riesco tuttavia a riconoscere la debolezza della mia capacità di comprendonio di sentimenti che non ho mai provato ma che sono costretta ad osservare e basta. L’umanità è un bene maledetto, che tuttavia sa dimostrarsi positivo quando anche un solo individuo sceglie di suo libero arbitrio che forse, non è troppo tardi per cambiare le cose. Questi, figlio mio, sono casi nei quali mia sorella non può nulla semplicemente perché innanzi alla potenza dei sentimenti, sia io che lei siamo disarmate.-
Lentamente ti volta le spalle e sparisce nell’oscurità, senza proferir parola, senza salutare. Ha sempre fatto così e a te va bene, ci sei abituato. Qualcun altro si comportava allo stesso modo, ma non lo ricordi.
-Guarda chi si vede.-
Il ringhio che ti giunge alle orecchie non ti spaventa affatto. Lo riconosci e forse un tempo ne avevi paura, ma adesso sei così stanco e interiormente anziano che nemmeno Lucifero in persona ti inquieta più.
Il puzzo di sangue e carne putrefatta aumenta con l’avvicinarsi del nuovo arrivato, i cui zoccoli caprini urtano il suolo con un insolito rumore metallico.
-Abbadon, non  dovresti essere nella città di Dite?-
La creatura alle tue spalle ridacchia roca, un suono gracchiante e strascicato che, al contrario della bassa risata dell’incappucciata, appare più inquietante che mai. L’aria rarefatta intorno a te vibra di potere, si contorce, ti avvelena i polmoni come acido.
-Sono stato mandato qui per te.-
 
Derek Hale ha sempre pensato che il dolore emotivo sia un incentivo, l’ennesimo scudo da assorbire e usare contro il mondo quando tutto crolla e ogni cosa si rivolta per il verso sbagliato. Fa male, ma quantomeno fortifica e non uccide. Non sempre. Non ancora.
Errore.
Derek non avrebbe mai pensato che potesse fare così male. Di dolore fisico e psicologico, lui se ne intende. È stato male quando hanno massacrato la sua famiglia, è stato male quando ha perso sua sorella e lo hanno accusato del delitto. Di momenti come questi, ne ha vissuti a migliaia. Eppure, niente è anche solo lontanamente paragonabile al dolore che prova adesso.
Qualcosa si è spezzato in lui con tanta forza che ormai Derek non ha più l’energia per piangere o ribellarsi. Si sente spaccato, come uno specchio mandato in frantumi da una martellata troppo violenta.
Arriva prima o poi un momento in cui non si ha neanche più la forza per piangere.
Arriva prima o poi un momento in cui il nostro stesso essere si spacca, annientato da qualcosa che non può essere sconfitto.
Derek sa adesso cosa significhi soffrire per davvero e in confronto a questo, qualsiasi altro dolore pare insulso e privo di significato. Gli manca l’aria, ogni battito cardiaco è un’agonia al punto che Derek prega interiormente che il cuore si fermi una volta per tutte perché ormai quell’arto non gli serve più.
A cosa serve un cuore frantumato?
A cosa serve un respiro affannoso, inutile, che riempie la gabbia toracica per pura abitudine?
A cosa servono gli occhi quando tutto ciò che vedono è privo di colori e significato?
Derek affila lo sguardo, fisso sul panorama oltre la finestra del loft. Non si muove da lì da due giorni e da due giorni non dorme, non mangia e a stento beve.
Il resto del branco gli fa visita di continuo, con discrezione, e Derek non li caccia mai. Lascia che parlino, ignora il cibo che gli portano e i consigli che gli propinano. Finanche Valefar e Dumah si fanno vivi, di tanto in tanto, ma Derek ignora anche loro.
Le ore scorrono, la vita continua, ma per Derek ogni cosa si è cristallizzata lì, in quel bacio che sapeva di addio, di perdono, di paura. Stiles non è riuscito a odiarlo nonostante tutto, e questo fa più male di qualsiasi altra cosa. Nel loro ultimo bacio, Derek ha capito che niente si sarebbe aggiustato e che Stiles sarebbe andato per la sua strada. Per questo si rifiuta di cercarlo, nonostante le continue richieste del branco, per questo sceglie di aspettare e basta perché questo lui sa farlo bene. Derek vuole morire lì, in attesa di quella parte di lui che non tornerà mai più indietro. Va bene, è giusto. Il pensiero della morte è l’unica cosa che lo fa sentire meglio perché sa che forse allora andrà all’Inferno e potrà rivedere Stiles, il suo Stiles.
Quel ragazzo dal sorriso colorato, capace di illuminare anche l’oscurità più profonda.
Quel ragazzo che con la sua umana dolcezza ha saputo guardare oltre le apparenze di un burbero licantropo, laddove il suo vero animo ancora respirava.
Quel ragazzo che con un semplice tocco ha saputo riportarlo in vita come araba fenice che rinasce dalle ceneri.
Senza Stiles, Derek si sente in procinto di incenerirsi di nuovo in quel processo invertito che lo manda in pezzi, gli stessi pezzi che Stiles aveva riassemblato con calma e pazienza.
-Adesso basta!-
Qualcosa lo afferra con violenza, strattonandolo. Derek si lascia voltare, non reagisce quando incontra gli occhi rossi di Scott e il suo sguardo disperato, lucido di troppe lacrime versate. Alle sue spalle c’è tutto il branco, un accozzaglia di gente che Derek a stento riconosce perché troppo stordito e stanco per ragionare razionalmente.
Nessuno di loro ha gli occhi dorati. Nessuno di loro sorride come un bambino. Non sono importanti, allora.
-Devi reagire, Derek! Fa male a tutti, e tutti stiamo soffrendo da morire, ma se non ci muoviamo adesso non andremo da nessuna parte! Non ti sei mai fermato davanti a niente e tu stesso ci hai insegnato che rialzarsi ogni volta è importante per sopravvivere! Stiles non vorrebbe vederti così!-
All’udire il nome di Stiles, Derek solleva gli occhi e lo guarda con un macabro barlume di interesse.
-Reagisci, dannazione!-
Derek socchiude gli occhi, stanco.
-DEREK!!!-
Chi è quel ragazzo? Perché ce l’ha con lui? Derek pensa che per convincerlo, Scott dovrebbe avere caldi occhi dorati e la pelle coperta di nei.
Sta per voltarsi nuovamente verso la finestra quando qualcosa oltrepassa Scott di corsa, prendendo lo slancio e affibbiandogli un violento cazzotto sulla guancia. Il colpo non fa male, ma è talmente ben assestato che lo sbilancia contro il davanzale e gli fa schizzare la testa di lato. Qualcosa di freddo e duro è entrato in contatto con la sua pelle, facendo più male del previsto. Nonostante tutto però, quel leggero dolore non è niente in confronto a quello che opprime il petto di Derek, spingendolo a sollevare gli occhi senza tuttavia reagire veramente.
-Che diamine fai?!- esplode Scott, fissando una Lydia ansimante armata di tirapugni che adesso sta ferma laddove un attimo prima c’era Derek. Alle sue spalle, il branco la fissa sbigottito e spaventato, in attesa della reazione di Derek. Tutti, tranne Dumah e Valefar.
-Che donna, ragazzi.- commenta il demone.
-Ecco perché l’ho morsa.- afferma Peter.
-Ahia. Fa davvero così male tirare un cazzotto?-
Lydia indietreggia di un passo, scuotendo energicamente la mano. Alle sue spalle, Valefar ridacchia.
-La adoro.-
Lydia sorride inconsciamente a quel commento, ma poi torna a concentrarsi su Derek.
-Da dove lo hai preso un tirapugni?!- esclama Isaac, sconvolto.
-Mea culpa.- si intromette Dumah.
-Ah, ragazza pericolosa…- sorride Peter.
Lydia li ignora, tutti quanti. Adesso i suoi occhi e i suoi pensieri sono tutti per il licantropo che lentamente si alza senza neanche massaggiarsi la guancia sfondata che troppo velocemente sta guarendo. Lydia è pronta a colpirlo di nuovo, più e più volte pur di farlo reagire. È pronta a spaccarsi le nocche, a spezzarsi entrambi i polsi, a prenderlo a calci finché delle sue stesse gambe non resterà niente.
Tutto questo, perché Derek è l’unico in grado di ritrovare Stiles, l’unico capace di aggiustare tutto. Nonostante i trascorsi passati, Derek fa parte del branco e Lydia il branco lo protegge perché dopotutto, è la sua famiglia. La sua vera famiglia, per la quale ha lottato duramente e sacrificato ogni cosa.
-Stiles è mio amico.- sibila, fissando lo sguardo in quello vuoto di Derek. Le tremano le labbra, la voce, le mani. Ha paura di perdere tutto, teme che la sua famiglia si sgretoli di nuovo. –L’ho perso tre anni fa e per tre anni non ho smesso di cercarlo. Se fosse ancora disperso, lo cercherei ancora, fino ad esaurire le energie perché lui… è Stiles. Glielo devo, glielo dobbiamo tutti. Specialmente tu, Derek Hale. Quel ragazzo ti ha amato dal primo momento che ti ha visto e tu sei stato così… coglione da non accorgertene. Ti ha ceduto tutto, anche la sua stessa vita e tu continuavi a guardare dalla parte sbagliata. Credo però che sia ora di posare gli occhi sulla via esatta, quella che hai sempre percepito ma che hai sempre scelto di ignorare.-
Un singhiozzo sfugge dalle sue labbra e Lydia stringe forte gli occhi.
-Ti prego, Derek. Non tradirlo anche tu. Non lasciarlo andare. Se lo ami anche solo la metà di quanto ti abbia amato lui… ti prego. Provaci. Proviamoci insieme, come il branco che siamo.-
-Per Stiles.-
Scott avanza di un passo, affianca Lydia. Nei suoi occhi, si riflette il sole morente del tramonto.
 -Per Stiles.- ripete Isaac, avanzando per raggiungere il suo Alpha. Lo seguono a ruota Allison, Valefar, Dumah e  con una certa riluttanza, anche Peter.
Si appellano adesso a quella parte importante del branco che, nella sua umana debolezza, ha saputo dimostrarsi più forte di tutti loro. Sono pronti a lottare, lo giurano davanti a Dio e a Satana, davanti al sole e alla luna, davanti alla morte e alla vita.
-Devi crederci, dolcezza.- sorride Dumah. –Lui in te ci credeva, e il miracolo è accaduto. Prova a fare lo stesso, per questa volta. Provaci, e vinci la tua battaglia più grande.-
Derek li fissa uno alla volta, lo sguardo che poco a poco si schiarisce assorbendo il verde degli occhi di Lydia e Dumah, quello azzurro di Peter, Isaac e Valefar, quello scuro di Allison e Scott. Parti integranti di un insieme, occhi che nonostante gli orrori sporchi ai quali hanno assistito, hanno saputo restare chiari e puliti.
-Proviamoci, amico.- sussurra Scott. –Aiutami a trovare mio fratello e aiutati a trovare quell’amore che ti ha reso ciò che sei sempre stato negli ultimi anni.-
Derek sbatte le palpebre.
-Rialzati.- sorride Allison, dolce come un angelo, fiera come un demone. Al suo fianco, il resto del branco respira, vive, stringe i pugni con rabbia al pensiero di quel troppo che è stato sottratto loro. Non hanno mai avuto modo di reagire prima, ma adesso qualcosa è cambiato perché ancora una volta, Stiles è riuscito a riunirli, a renderli umani e vivi nonostante gli orrori trascorsi.
Derek chiude gli occhi, ripensa al tocco gentile di Stiles, al suo sorriso, al suo sguardo che da solo era capace di far sbocciare la speranza anche nel più disperato degli uomini. Lui non credeva nella vita, lui era la vita. E forse, può esserlo ancora.
Lentamente, il peso che opprime il petto di Derek si alleggerisce. Vuole crederci. Vuole fare qualcosa di buono, almeno per una volta. Vuole dimostrare a Stiles che grazie a lui ha capito che ogni cosa è possibile se solo si crede nelle proprie forze.
-Sì.- mormora alla fine, e quella parola appare più potente di qualsiasi altra cosa, più distruttiva di un uragano, più decisiva della condanna irrevocabile di un incorruttibile giudice.
-E non sarai solo, figlio mio.-
Tutti si voltano di scatto verso la porta, il branco si spalanca istintivamente in due ali perfette che lasciano finalmente intravedere una figura ammantata di nero col cappuccio calato sul capo. Avanza dolcemente, senza sfiorare nessuno, con le vesti che danzano come acqua intorno al corpo magro e allampanato.
Qualcosa si muove nell’aria intorno alla figura, un’aura di potere che ammanta gentilmente la stanza, spingendo i presenti a restare immobili, troppo prostrati per reagire.
-Non ci posso credere…- mormora Dumah prima di cadere in ginocchio, subito imitata da Valefar. Entrambi chinano il capo, entrambi sottomettono alla nuova arrivata finanche la loro stessa dignità.
L’incappucciata raggiunge Derek, lo fissa da sotto il cappuccio di oscurità. Derek non avverte alcun battito cardiaco in quel petto, nessun odore che confermi l’effettiva esistenza di quella creatura. Eppure, non riesce ad avere paura di lei, né questo lo mette in allarme. È strano.
-Figlio mio. La battaglia che pretendi di affrontare è molto più grande di quanto immagini. Potresti non uscirne vivo e molto presto rischierai d’essere il prossimo innocente che mia sorella ripudierà come la più snaturata delle madri.-
-Sono pronto a correre il rischio.-
-Lo siamo tutti.- si intromette Scott, fiero ma rispettoso. L’incappucciata non lo guarda, ma annuisce.
-Ne sono consapevole. Tuttavia, questa battaglia riguarderà strettamente te, Derek Hale. Ti sarà chiesto di rinunciare ad ogni cosa, finanche alla tua stessa vita e assisterai ad eventi che potrebbero condurti sul baratro della follia. È un grosso rischio.-
-Se così dovrà essere, andrà bene. L’unica cosa che chiedo è di rivederlo un’ultima volta, fosse anche solo per tirargli il collo e rinfacciargli quanto è stupidamente imbecille, testardo e fuori di testa.-
Da sotto il cappuccio, la creatura pare sorridere. Derek non sa perché pensa questo, ma in qualche modo riesce a percepire le sue espressioni, come un sorriso o uno sguardo particolarmente emotivo.
-Non mi è concesso aiutare i vivi, figlio mio. Mi dispiace.-
-Non importa.-
La creatura lo oltrepassa, sfiorandolo con le nere vesti fluttuanti. –Non posso liberare i defunti dalle mie stesse catene. È proibito e rema contro ogni mio principio personale.-
-Non importa nemmeno questo. Troverò il mo…-
-Tuttavia.- lo interrompe l’incappucciata senza voltarsi. –Ogni tanto riesco ad essere davvero sbadata, come lo sarei se di tanto in tanto evitassi di accorgermi che i defunti mi vengono sottratti o se vi dicessi che il ragazzo demone è stato portato adesso nel girone più basso dell’Inferno.-
Alle spalle di Derek, Dumah e Valefar trattengono il fiato, gli occhi sbarrati e i corpi in tensione. Derek avverte un forte odore di stupore emanare da loro, tanto potente da stordirlo per qualche istante.
L’incappucciata li sta… aiutando? Perché?
-Entrare all’Inferno è quasi impossibile, specie per dei traditori.- continua l’incappucciata, che ormai ha raggiunto il davanzale e fissa l’esterno, laddove il sole muore e il cielo comincia a tingersi del nero della notte. –Eppure, non tutte le strade sono precluse. Alcune si basano sulla via dei segreti, dei ricordi e di ciò che soltanto l’amore fraterno sa dettare. Tu, che per tali motivi hai mosso i tuoi passi, sai di cosa parlo.-
Detto questo e senza guardare nessuno in viso, la creatura sparisce, avviluppata dalle stesse ombre che compongono il suo mantello. Alle sue spalle resta il silenzio attonito dei presenti e del mondo intero che assiste per la prima volta a un cambiamento di regole, uno squilibrio nella bilancia universale che giudica vita e morte.
Da parte sua, Derek capisce che c’è davvero speranza e, alzando gli occhi al cielo, può finalmente pensare di essere a un passo dal riabbracciare Stiles.
Alla fine, dopo quelle che sembrano ere di oscurità, un barlume di luce guizza dal cielo e Derek finalmente sorride.
 
Abbadon: Nell’Apocalisse, Abaddon (di cui viene fornito anche il nome in greco, Apollyon), è descritto come "angelo dell'abisso" e re di un'armata di locuste, le quali tormentano atrocemente per cinque mesi tutti coloro che non portano il "sigillo di Dio" sulla fronte. Spesso e volentieri, a tale nome è associato un luogo di distruzione o il regno dei morti. Rientra nella gerarchia demoniaca dell’Inferno.
 
 Angolo dell’autrice:
Sì, sono due capitoli. E sì, sto sudando freddo a furia di correggere, scrivere e pubblicare in tempo. Considerato che non vorrei sforare nelle vacanze estive, farò il possibile per velocizzare gli aggiornamenti! Tra poco ho un altro esame, ma ce la pooosso fare! (Seh, seh… non è vero, morirò prima) Dunque, ci tengo a rispondere a una domanda che molti di voi mi hanno posto: quanti sono i capitoli? Dovrebbero essere in tutto trentanove circa, ma cercherò di accorparli a coppie per far sì che il proseguimento della storia non sfori nelle benedette vacanze estive. Ci tengo ad annunciare tuttavia che sì, ho un’altra storia simile e ugualmente Sterek in cantiere e no, per vostro sommo rammarico non vi libererete tanto facilmente da un guaio come me! Comunque, passiamo ai ringraziamenti dei miei splendidi demonietti recensori, coloro senza i quali la storia non esisterebbe, né continuerebbe. Grazie di cuore a voi, che mi aiutate a credere in me stessa, a voi che mi spingete a scrivere ancora, a voi ai quali dedico ogni mio sforzo, per quanto poco possa essere! Grazie.
Stardustbrising
Elenuar Black
Justin_Onedirection_Smile
Giada_ASR
_Sara92_
Barbara78

 
Anticipazioni:
“-Lo faresti davvero? Affrontare l’Inferno per un ragazzino?-
-Stiles ci serve. Conosco la situazione e odio dover sottostare agli ordini di Dio e Lucifero. Se quel moccioso è l’unico in grado di tenergli testa, allora lo tirerò fuori di lì e lo costringerò a combattere.-
Dumah continua a fissare davanti a sé, lo sguardo offuscato da ricordi che non avrebbe mai pensato potessero appartenerle. Affila lo sguardo, sospira. Poi, alla fine, prende la sua decisione.
L’incappucciata aveva ragione: c’è una strada, ma è pericolosa. Qualcuno la conosce, qualcuno che per aprire quella stessa via ha scelto di appellarsi ai ricordi, ai segreti e a un amore sconfinato che non pensava di conoscere. Ogni cosa è iniziata da lì, dopotutto.
-Chiama gli altri.- sussurra debolmente Dumah. –Abbiamo una pista da seguire.-“

 
Tomi Dark Angel
 
 

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Capitolo 22
*** Lasciate Ogni Speranza ***


“La speranza è come una strada nei campi:
Non c’è mai stata una strada,
Ma quando molte persone vi camminano,
Essa prende forma.”
 
Tessere vite è un compito difficile per la grande Madre: essa si punge le dita, lavora fino ad arrossare i polpastrelli, ignora il dolore ai polsi e agli occhi. Fa male, ma spesso da tale fatica, sanno sbocciare vere e proprie opere d’arte. Intrighi lucenti e oscuri, tristi e gloriosi, come tela di ragno diligentemente intessuta, un pezzo alla volta, giorno dopo giorno.
Da parte sua, Dumah ha sempre pensato che la vita fosse una fregatura. Alcuni hanno tutto, mentre ad altri spetta il semplice e banale niente. Non vi è una bilancia che eguagli il tutto, non esiste un giudice imparziale che renda giustizia a chi la merita. A lei per esempio, non furono concessi neanche i ricordi. All’inizio, almeno.
Incontrare Stiles Stilinski, quel piccolo ragazzino dall’aria fragile, è stata una vera rivoluzione per lei. Tutto è cambiato in un solo istante e da subito la mente ha cominciato a risvegliarsi, rimettendo insieme pezzi di ricordi che non avrebbe mai creduto di possedere. Ha rivisto la sua vita, ha vissuto attraverso i suoi deboli occhi umani e ha ricordato voci, volti, relazioni.
Già, relazioni. Inizia sempre tutto da lì, vero? Ogni cosa, ogni gesto, ogni scelta. L’incappucciata, questo lo sapeva.
-Che stai facendo?-
Dumah si volta appena, distogliendo lo sguardo dalla placidità del bosco che attornia i vecchi rimasugli di casa Hale. Non sa perché ha scelto di andare lì per sedersi sul tetto a fissare il vuoto per ore, fin quasi all’arrivo dell’alba. Sa solo che la testa vuole scoppiare al solo pensiero che del trio iniziale partito per quell’inutile missione, è rimasta solo lei. Per non dimenticarsene, stringe tra le dita il Cubo di Rubik appartenuto ad Alastor. Attorno al bicipite destro, Dumah ha scelto di le bende sporche di sangue usate da Stiles per fasciarsi la mano che Derek gli graffiò all’inizio di tutta quella storia. Due oggetti insignificanti, due ricordi che nel loro piccolo, sanno ricordarle che lei è nient’altro che una sopravvissuta, colpevole solo di essere ancora in grado di respirare.
Peter si avvicina, camminando leggero sul fragile tetto bruciacchiato della casa. La luna è ormai sparita perché la giornata è prossima all’alba, e forse è proprio per questo, quando la notte è più scura e il mondo riposa beato che Dumah riesce a vederlo bene, coi suoi morbidi capelli scuri e gli occhi brillanti come zaffiri. Indossa una semplice maglietta e dei jeans, niente di sofisticato. Nonostante tutto però, sfoggia comunque un’aristocratica bellezza alla quale Dumah sente di non essere immune.
-Vuoi una risposta sincera o sei in grado di dedurlo da solo col tuo minuscolo cervellino, dolcezza?-
Peter siede al suo fianco.
-No, vorrei che me lo dicessi tu perché hai bisogno di parlarne.-
-Non ti facevo così sentimentale.-
-Non lo sono. Mi reputo un galantuomo.-
-Non esageriamo.-
Peter sorride sornione e continua a fissarla, ma Dumah ignora il suo sguardo. Al contrario, fissa l’orizzonte con interesse, gli occhi socchiusi e i pugni stretti.
-Vorrei che tutto questo non fosse accaduto.- sussurra. –Vorrei che Alastor fosse vivo e che Stiles fosse qui. Loro avrebbero guidato il branco meglio di quanto potremmo fare io e Valefar. Siamo demoni, ma… non abbiamo la forza di Alastor o l’intelletto di Stiles. Se anche riuscissimo a entrare all’Inferno, moriremmo tutti nell’arco di pochi minuti.-
 Peter abbassa gli occhi sulle mani di Dumah, che col loro tremito convulso rappresentano l’unico reale segno di nervosismo in lei. La giovane demone non ha mai perso la testa, non ha mai esitato davanti a niente. Fiera e ferina come una pantera, ha sempre scelto di andare avanti e combattere, senza stancarsi mai. In fondo, un po’ somiglia allo stesso Peter. Adesso però, qualcosa non va e Dumah lentamente si rattrappisce, come se un peso troppo grosso da sopportare la stesse schiacciando. Non si tratta del solo Inferno, Peter lo percepisce. C’è altro, ma sa che se solo lo chiedesse, lei non oserebbe rispondergli.
-Non sottovalutarmi. Ho affrontato già l’Inferno e ne sono uscito vivo, ma ustionato.-
Dumah sorride appena. –Quello non era l’Inferno o saresti impazzito.-
Peter si alza in piedi. –Non ho mai pensato di essere normale. La follia è soggettiva, così come soggettive sono le reazioni che essa provoca. Non mi pento della scia di cadaveri che mi porto dietro, ma a volte penso di aver conosciuto più libertà allora, quando il mio lupo interiore la faceva da padrone e la morte per me aveva un fascino ammaliante che ricercavo continuamente negli occhi delle mie vittime.-
Peter sorride pericoloso, negli occhi il bagliore selvaggio di quell’animale che non ha mai davvero smesso di essere. Dumah ne è affascinata perché spesso avere a che fare con lui è come interagire con due diverse entità malamente intrecciate e prossime allo squilibrio. Affascinante e pericoloso, quasi quanto un demone.
Peter Hale è un malvagio, ma sa essere buono secondo i suoi standard e le sue regole. Segue una giustizia tutta sua che spesso azzoppa il prossimo, ma che può apparire anche in grado di aiutarlo per davvero.
-Lo faresti davvero? Affrontare l’Inferno per un ragazzino?-
-Stiles ci serve. Conosco la situazione e odio dover sottostare agli ordini di Dio e Lucifero. Se quel moccioso è l’unico in grado di tenergli testa, allora lo tirerò fuori di lì e lo costringerò a combattere.-
Dumah continua a fissare davanti a sé, lo sguardo offuscato da ricordi che non avrebbe mai pensato potessero appartenerle. Affila lo sguardo, sospira. Poi, alla fine, prende la sua decisione.
L’incappucciata aveva ragione: c’è una strada, ma è pericolosa. Qualcuno la conosce, qualcuno che per aprire quella stessa via ha scelto di appellarsi ai ricordi, ai segreti e a un amore sconfinato che prima non pensava di conoscere. Ogni cosa è iniziata da lì, dopotutto, e ogni cosa lì finirà.
-Chiama gli altri.- sussurra debolmente Dumah. –Abbiamo una pista da seguire.-
 
Se Scott non lo avesse staccato a forza dalle sue innumerevoli copie e traduzioni della Divina Commedia, Derek non avrebbe neanche alzato gli occhi da quelle pagine. Ci sta lavorando da giorni, rifiutandosi di dormire o mangiare. Ogni bisogno fisico è passato in secondo piano dal momento in cui una strana figura incappucciata l’ha convinto che c’è speranza, che Stiles può ancora essere salvato. Lui vuole crederci, ma se non trovano una pista concreta da seguire, Stiles sarà sempre troppo lontano per essere raggiunto.
Alighieri”, aveva detto Valefar quando il branco ha iniziato a domandarsi dove fosse possibile trovare dati attendibili sull’Inferno. “Dante Alighieri è stato l’unico e solo umano al quale Dio e Satana concessero di attraversare Inferno, Purgatorio e Paradiso. Non posso accertarvi che i piani alti somiglino alle sue descrizioni, ma l’Inferno… quello sì”.
E da allora Derek non fa che scavare tra pagine e versi, parole e righi poetici, senza tuttavia trovare nulla di concreto. Tutto ciò che sa adesso è che Stiles è bloccato in un luogo dove la tortura carnale è forse il minore dei danni. Se l’un percento delle descrizioni presenti in quei versi somiglia anche solo lontanamente all’Inferno vero, allora… Dio. Derek non vuole pensarci. Non può pensarci, o impazzirebbe.
Alla fine però, è giunto Scott a prelevarlo dalla sua condizione di studio frenetico. Gli ha strappato il libro dalle mani, lo sguardo euforico e sulle labbra l’unica notizia che Derek ha desiderato udire fin dall’inizio: finalmente hanno una pista.
È per questo che adesso sono tutti riuniti lì nel loft, raccolti intorno a una Dumah nervosa come non mai, i cui occhi guardano ovunque, tranne verso i volti dei presenti. Sulla sua spalla, Diaval oscilla nervosamente la coda.
-Allora?- scatta Isaac, innervosito dall’attesa. –Come entriamo all’Inferno?-
Dumah si morde le labbra fino a farle sanguinare, gli occhi che adesso fissano un punto nel vuoto.
-Dumah.- chiama Valefar, e allora lei sposta lo sguardo verso la finestra.
-C’è una strada per entrare all’Inferno… ci ho pensato a lungo e… forse è fattibile. Se Lucifero non ci ammazza prima e il mio amico dall’altra parte ci aiuta… sì, possiamo riuscirci. Ma dovremmo essere in pochi o ci scopriranno.-
-Tu conoscevi la strada sin dall’inizio?!- esplode Isaac, facendo un passo avanti. Scott gli afferra un braccio, ma anche i suoi occhi adesso fissano Dumah con malcelato rancore.
Dumah sorride sorniona e si lecca le labbra. –Non ci avevo pensato, dolcezza. O meglio, non avevo considerato la cosa perché troppo pericolosa. Tuttavia, se l’incappucciata ha parlato di un’entrata segreta che collega l’Inferno alla Terra… allora deve essere quella.-
-Aspetta un momento.- interviene Lydia. –Non stiamo parlando del varco che siete venuti a cercare sulla Terra, vero?-
Dumah la fissa, la lingua ancora oscenamente stretta tra i denti. Poi, a sorpresa, sorride. -È bello sapere che le donne restano sempre e comunque più intelligenti degli uomini.-
 Una bolla di silenzio cade sul loft. Tutti fissano Dumah a bocca aperta, giudicano la sua postura improvvisamente rilassata, il suo sguardo tagliente, il sorriso pericoloso. E pensano infine che tutta quella situazione sia una grandissima presa in giro.
-Dumah, sii seria.- sbotta Valefar alla fine. –Se uno di noi sapesse dove trovare il varco, non saremmo nemmeno qui. Perché mai avresti dovuto nasconderci la verità?-
-Perché nessuno me l’ha mai chiesta, tesoro. E poi, ti sconsiglierei di domandare a un demone perché mente. È come chiedere a un morto dove ha sbagliato quando s’è fatto massacrare dal serial killer.-
Valefar spalanca la bocca, e poco dopo Derek capisce perché: il battito cardiaco di Dumah è sereno, la sua voce inalterata. Non sta mentendo.
-Non puoi essere seria.- sussurra Valefar.
-No? Cosa accadrebbe se lo fossi?-
-Ti tirerei il collo, ecco cosa! Settimane intere di ricerca e alla fine… alla fine…- La sua voce si spegne in un sussurro roco. Valefar la fissa come se la vedesse per la prima volta, le labbra schiuse. –Alla fine tu non volevi tornare all’Inferno…-
-Lei cosa?!- esclama Scott, stupefatto. Palleggia gli occhi da Dumah a Valefar, ma al momento i due sono impegnati in una silenziosa conversazione di sguardi, azzurro nel verde, dove la vincitrice alla fine non è che Dumah.
Valefar sbuffa. –Almeno puoi dirmi chi dei tanti bastardi al servizio di Satana dovrebbe unirsi alla nostra causa?-
Dumah sorride di nuovo e inclina la testa. –Ti toccherà fidarti, Valefar. Bizzarro, no?-
Valefar contrae la mascella e stringe i pugni. –Scordatelo.-
-Allora non verrai.-
-Questo non devi deciderlo tu!-
-Se la mia strada non ti piace, cercatene un’altra, e buona fortuna.-
Valefar assottiglia lo sguardo, pericoloso. –Perché dovremmo fidarci di te? Per qualche motivo a noi ignoto conosci l’ubicazione del varco e come se non bastasse hai anche un aiutante dall’altra parte. Oltre a fidarci di te, dovremmo farlo anche di un estraneo.-
Dumah sorride ancora, ma non risponde. Si appoggia al muro e incrocia le braccia, gli occhi luccicanti e l’aria spavalda. Austera e bellissima come una pantera, fiera e inamovibile come una montagna. Dumah è questo, dopotutto.
-A voi la scelta. Alcuni andranno, altri resteranno qui a sorvegliare il varco per impedire che altre anime escano per fare danni.-
-Tu non hai il diritto di…-
-No, ha ragione.- interviene Peter, meditabondo. –Se andassimo tutti insieme, ci scoverebbero nell’arco di cinque minuti. Dubito che saremmo in grado di combattere tutti quei demoni in casa loro, il che mi porta a pensare che saremo costretti a nasconderci, e un gran numero di persone è soltanto un problema in questo caso.-
Valefar sbuffa, ma non replica. Sa che Dumah ha ragione, sa che lui stesso non permetterebbe mai a Lydia ed Allison di scendere all’Inferno. Sono ragazze forti, ma restano fisicamente fragili e troppo deboli se paragonate a dei demoni.
-Aspettate un attimo… chi dovrebbe scendere lì sotto, allora?- si innervosisce Allison. –A parte i demoni e Derek, intendo.-
Scott sospira. –Non posso lasciarlo lì, Allison.-
-E io posso essere abbastanza utile, se si passa a uno scontro frontale.- interviene Peter, sventolando una mano. Derek inarca un sopracciglio, fissandolo.
-Che c’è? Sono un buon samaritano.-
-Non mi fido di te e ti porterei all’Inferno solo per lasciarti lì.-
Peter sorride. –Avrai un’ottima occasione per farlo, allora. Mi conosci, nipote: sono uno studioso di faccende interessanti e, per quanto mi riguarda, l’Inferno mi interessa eccome, visto che quando morirò probabilmente sarà casa mia.-
Derek non replica perché sa che Peter ha ragione. In quale girone finirebbe? In quello degli assassini? Nelle Malebolge? Nel girone dei traditori? Se Peter ha scelto di venire, non possono fermarlo o perderebbero tempo.
È andata. Saranno in cinque. Cinque creature, cinque predestinati ad affrontare l’Inferno così come fece tempo addietro Dante Alighieri.
È allora che Valefar sgancia la bomba: -Direi che il pacchetto è completo.-
-COSA?!- esplode Isaac, stringendo i pugni. –Volete andarci senza di noi? Non se ne parla!-
-Ha ragione.- lo spalleggia Allison. –Avrete bisogno del mio arco e…-
-No, hanno ragione.-
La voce di Lydia sopprime seduta stante la discussione. Quando tutti si voltano a guardarla, lei ha lo sguardo deciso e le labbra strette, ma tremanti. Fissa soltanto Valefar, come se stesse parlando unicamente con lui. Occhi negli occhi, verde e azzurro ancora una volta. A dispetto delle occhiate che si scambiano Valefar e Dumah, Lydia col demone non combatte. Abbraccia con lo sguardo, lascia che ogni cosa scorra così come dovrebbe andare.
-Io ed Allison siamo fisicamente umane e per quanto intelligenti o ben addestrate, rimaniamo comunque vulnerabili. Non guariamo come i licantropi e non abbiamo la forza dei demoni. Isaac non è un Alpha ed è il meno esperto nella cerchia dei licantropi.-
-Ehi!-
Lydia lo ignora e abbassa gli occhi, cercando invano di nascondere le lacrime di rabbia che affiorano. Odia sentirsi inutile e impotente, odia sentirsi così… debole. Fisicamente ed emotivamente. Lei vuole essere molto più di questo. Lei è molto più di questo.
-Ehi.- sussurra una voce, accompagnata dal tocco gentile di due mani troppo calde ma lisce e bellissime che improvvisamente si posano sulle sue guance e la costringono a sollevare gli occhi. Le iridi di Valefar adesso sono di un blu acceso, dalla pupilla verticale. Il sottile strato di matita intorno agli occhi evidenzia la lucentezza di quel colore troppo vicino, che quasi abbaglia Lydia.
Il demone sorride, accarezzando le guance della banshee coi pollici, un tocco gentile d’angelo che di demoniaco ha ben poco. –Andrà bene. Andremo a riprendere quella testa vuota e lo rispediremo a casa prendendo a calci quel gran bel culo che si ritrova. Ci vorrà poco, vedrai.-
Continuando a sorridere e a stringere il viso di Lydia tra le mani, si rivolge a Isaac e Allison: -Io e Dumah siamo demoni. Una cosa quindi, sappiamo farla bene: sopravvivere all’Inferno. Quel posto è casa nostra. E i nostri futuri accompagnatori sono troppo carini per essere ammazzati o lasciati lì sotto. Non si fa, non si sprecano così tanti bei visi.-
Valefar ammicca e allora almeno un pochino, anche Allison si calma. La cacciatrice  si lascia andare a un debole sorriso, ma Isaac non demorde. Di scatto volge il capo verso Scott, cercando invano il suo sguardo, il suo appoggio.
-Non puoi andare laggiù, Scott. Ti farai ammazzare!- urla, ma Scott non risponde. Giudiziosamente mantiene il silenzio, giudiziosamente lascia che Isaac si sfoghi e lo fissi con fare accusatorio.
Non vuole che Isaac scenda all’Inferno. Non vuole immaginarlo lì sotto, tra le fiamme e il ghiaccio, il sangue e le ossa spezzate. Non sa perché, ma non riesce a sopportare nemmeno il pensiero che Isaac possa trovarsi alla mercé di demoni furiosi pronti a farlo a pezzi.
-Non fraintendere la situazione, Isaac.- interviene Derek a sorpresa. –Tu servi qui perché Allison e Lydia da sole non riuscirebbero ad abbattere più di qualche spirito. Nonostante l’addestramento, abbiamo appurato che i fantasmi sono molto più pericolosi di quanto avessimo immaginato, il che ci lascia pensare che avremo bisogno anche di un licantropo utile nello scontro diretto.-
Derek avanza, gli appoggia una mano sulla spalla. –Proteggile, Isaac. In questo, sei bravo più di me, di Peter o di qualsiasi demone.-
Ma Isaac scuote lentamente il capo, un sorriso triste sulle labbra e gli occhi socchiusi di anzianità improvvisa che lo schiaccia, lo dilania, si porta via quella parte di lui che faticosamente aveva ritrovato il sorriso.
-Mi stai chiedendo di accompagnarvi al patibolo e abbandonarvi al cospetto di una ghigliottina, Derek. Non posso farlo.- sussurra prima di scrollarsi di dosso la mano del licantropo e oltrepassarlo con una spallata. Esce dal loft di corsa, silenzioso come un’ombra, ferito come moribondo in procinto di spirare.
-Allora è deciso.- sorride Dumah, del tutto insensibile al comportamento di Isaac. –Avete due ore per prepararvi.-
Esce dalla stanza, silenziosa come un gatto che ancheggia in maniera esagerata ma ugualmente accattivante. Il branco si scioglie, ognuno abbandona il loft e soltanto Derek, Peter e Scott restano per organizzare un piano e il viaggio che li aspetta. Il giovane Alpha però, sente una stretta soffocargli l’animo al pensiero che Isaac lo ha abbandonato.
 
Valefar passeggia tra gli alberi, le mani intrecciate dietro la schiena e la coda azzurrina che oscilla dolcemente alle sue spalle. Sul piatto metallico del triangolo affilato si riflette come uno specchio oscuro l’intero bosco coi suoi cespugli, i suoi fiori e i suoi alberi. Non ha bisogno di prepararsi psicologicamente, né di organizzare un set di armi che gli permetta di sopravvivere all’Inferno. Non serve: quella è casa sua. E, dopotutto, per lui non è così importante sopravvivere. Vuole liberare Stiles e sdebitarsi almeno in parte per i ricordi che gli ha restituito inconsapevolmente. Valefar gli è debitore e lo sarà per sempre.
Quando uno scricchiolio di passi raggiunge le sue orecchie, Valefar sorride e senza voltarsi allunga la coda per avvolgerla intorno a un ramo basso e sollevarlo.
-Non dovresti stare fuori al freddo, cherì.-
La voce di Lydia sopraggiunge acida: -Non ho bisogno del tuo permesso.-
-No, perché il mio era un consiglio.-
Valefar aspetta che Lydia sorpassi il ramo basso prima di liberarlo dalla presa della coda. Ricomincia a camminare e lei lo affianca, senza guardarlo.
-Allora… tornerai all’Inferno.-
-Mh mh.-
-E… non sai se ne uscirai vivo.-
Valefar continua a camminare, stavolta in silenzio. Non sorride più, ma i suoi occhi sono limpidi e placidi come mare in bonaccia. Non ha paura dell’avvenire, non teme la morte o l’oblio.
-Valefar…- sussurra Lydia con voce forzatamente calma. –Dove… dove vanno i demoni quando muoiono?-
-Da nessuna parte, tesoro. Si dissolvono nel nulla e le loro anime spariscono. Di noi non resta niente, neanche un ricordo.- Valefar sorride e la guarda di sottecchi. –Ma non sarà questo il mio caso, vero? Da qualche parte nel mondo, una bella ragazza forse non dimenticherà la mia faccia o il mio nome, quello vero.-
Valefar continua a camminare, ignorando il tremito che percorre le braccia nude di Lydia.
-Anche se non dovessi tornare, saprò per certo che quella stessa ragazza manterrà la sua buona memoria. Forse non parlerà mai più di me, forse cercherà di dimenticarmi, ma so che… che qualcosa di me resterà con lei, anche se non lo saprà. Se dovessi morire, saprei comunque che non sono destinato a scomparire del tutt…-
Non riesce a finire la frase perché improvvisamente Lydia gli getta le braccia al collo e lo stringe con forza, come se non volesse più lasciarlo andare. Il suo corpo esile aderisce a quello definito di Valefar in un intreccio perfetto di parole non dette e profumi mescolati.
Ragazzo e ragazza.
Demone e umana.
Sono tanto diversi interiormente, eppure all’apparenza non sembra così. Valefar sente il suo intero essere rispondere al bisogno di ricambiare quella stretta, di proteggere quella fragile creatura dal mondo. Ogni sua cellula si protende verso Lydia e il suo stesso demone interiore china docilmente il capo dinanzi a quella ragazza così giovane, così piccola e forte. Una bestia dai poteri ultraterreni si sottomette a una fragile banshee come una tempesta che si placa davanti agli occhi sinceri di una neonata.
Valefar la stringe, abbracciando il suo corpo e la sua anima, la sua pelle e le sue emozioni. Lydia profuma di fragola e lampone, ed è un odore così bello, così inebriante, che Valefar affonda il naso nei suoi capelli morbidi come onde oceaniche.
-Tornerò.- sussurra dolcemente. –Tornerò da te. Non perdere le speranze, anche quando tutto sembra crollarti addosso. Sei sempre stata forte, dolcezza: dimostrami anche questa volta quanto vali.-
-Non… non sperare che ti aspetti.- esala lei, cercando di nascondere il tremito nella voce.
Valefar si separa da lei e dolcemente le bacia la punta del naso, ignorando l’espressione stupita di Lydia. Sorride come un bambino, il viso vicinissimo al suo.
-Lo so. Tu non aspetti mai.- mormora intenerito. –Ma lasciami almeno l’illusione che al mio ritorno, troverò qualcuno ad accogliermi.-
Lydia si morde un labbro, gli occhi spalancati per impedire alle lacrime di uscire. –Io… io non…-
Ma Valefar le appoggia un dito sulle labbra e con dolcezza, siede ai piedi di una grossa quercia secolare che fino a quel momento ha assistito silenziosa al loro scambio di battute. Tira Lydia dolcemente, costringendola a sedersi tra le sue gambe. Le circonda la vita con le braccia, appoggia la guancia contro la sua e restano così, schiena contro petto, uniti da quella serenità momentanea e destinata a spezzarsi che, nella sua piccolezza, racchiude due creature diverse ma molto simili in un piccolo angolo di Paradiso personale.
 
Isaac è furioso. Detesta il branco, detesta Stiles che ha deciso di rinchiudersi nuovamente all’Inferno, detesta l’incappucciata e il mondo intero. Ma, più di tutto il resto, Isaac detesta se stesso: sa di non essere forte come Scott, intelligente come Lydia o preciso nel combattimento come Allison. In effetti, a cosa serve lui? È bravo a disegnare, ma questo in uno scontro frontale non serve a niente. Quando era umano, le prendeva di santa ragione da suo padre e adesso che è un licantropo, è destinato a prenderle da qualsiasi altra creatura gli capiti a tiro.
Cosa si prova a non essere un peso? Cosa si prova ad aiutare gli altri, e a sentirsi utili nel farlo? Isaac questo non lo sa. È nato in una vita sgretolata, dove egli stesso sin da bambino era destinato a crollare in pezzi, e adesso che è un ragazzo, quegli stessi pezzi se li trascina dietro come macabro strascico di un’esistenza che l’ha sempre ripudiato. Isaac è un diverso, uno spezzato. È nato difettoso e col tempo, i suoi difetti non hanno fatto che peggiorare fino a riempirlo di crepe, simile a misera bambola di ceramica con la quale nessuno ha più la forza di giocare.
Isaac è rotto, e nessuno gli ha mai spiegato come aggiustarsi.
Isaac è rotto, e quelle stesse crepe di rottura, se le porta dietro da sempre.
Isaac è rotto, e mai come in questo momento si sente in procinto di crollare a pezzi, un brandello dopo l’altro.
È per questo che corre. Corre in mezzo al bosco come mai ha fatto in vita sua, corre con ogni brandello di energia che gli rimane, corre come ombra tra gli alberi che, almeno loro, in silenzio lo scrutano e accettano al sua presenza.
Isaac sforza i muscoli delle gambe, li ascolta gridare e bruciare, e a tratti, per darsi più slancio, semplicemente si aiuta con la spinta delle mani. Non ha mai corso così velocemente; se ne accorge dalle macchie verdi che perdono nitidezza ai suoi occhi, se ne accorge dal velo di sudore che gli ricopre la fronte. Più veloce, sempre più veloce. Almeno per qualche istante, vuole trasformarsi in alito di vento e sentirsi libero, intero e non più difettoso come quella stessa bambola spezzata abbandonata nel dimenticatoio.
Isaac accelera finché i muscoli non rischiano di cedergli e la vista gli si appanna per lo sforzo di vedere il percorso. Il muro del vento preme contro il suo corpo, lo ostacola come barriera solida che invano tenta di respingerlo, ma lui non si ferma, non stavolta. Se dovrà farsi male contro quella stessa barriera, così sia, ma al momento, correre è tutto ciò che gli rimane. Non è veloce come Stiles, ma vuole dimostrare a se stesso di sapersi ancora muovere, di essere ancora vivo.
Improvvisamente però, ogni cosa si interrompe.
Un altro corpo intercetta di slancio la sua traiettoria, scivola al suo fianco e piantando i piedi nel terreno, lo stringe all’altezza della vita. L’ostacolo è così brusco che per non inciampare e cadere, Isaac è costretto a slanciarsi in alto con un piccolo balzo che lo fa ruotare a mezz’aria nella stretta del nuovo arrivato, che molla all’istante la presa. Come un danzatore professionista, Isaac flette il corpo e atterra, il busto piegato, le mani piantate al suolo, le ginocchia a un centimetro da terra.
Ha i capelli scompigliati, gli occhi gialli di bestia, le zanne in vista e gli artigli estesi che graffiano l’erba. È pronto a difendersi, pronto a lottare e morire se sarà necessario.
Ma necessario alla fine, non è.
-Ti ho cercato dappertutto.- sospira Scott, anch’egli accovacciato a pochi centimetri da Isaac. È mortalmente pallido e trema appena. Respira a fondo per calmarsi, e Isaac è certo che non abbia l’affanno a causa della corsa perché diamine, quello è un Vero Alpha e non basta così poco per stancarlo.
-Mi hai trovato.- sbotta freddamente Isaac, ritraendo zanne e artigli. Sbatte le palpebre e gli occhi tornano azzurri mentre raddrizza il busto e aspetta che Scott, ancora pallido e tremante, lo imiti.
-Io ho… ho pensato che avessi fatto qualcosa di stupido.- esala l’Alpha e Isaac inarca un sopracciglio.
-Tipo?-
-Tipo andare a cercare il varco da solo o peggio.-
-Stiles e i suoi non sono riusciti a trovare quel varco nell’arco di settimane e tu ti aspetti che io provi anche solo a fare qualcosa di così stupido? Tanto vale correre in tondo come un criceto, giusto per perdere tempo in modo sicuro senza correre il rischio di farsi ammazzare.-
Scott annuisce imbarazzato. –Hai ragione, scusami. È che… sono andato nel pallone, ecco.-
Per quanto difficile, il sopracciglio di Isaac schizza un po’ più su, verso l’attaccatura dei capelli. Non è abituato a vedere Scott così spaventato e questa cosa lo inquieta. Vede le sue mani tremare appena, le dita stringersi in due identici pugni di paura malcelata. Perché?
Isaac è arrabbiato da morire, ma vedere il suo Alpha in quelle condizioni lo spinge ad accantonare la rabbia per qualche minuto. Scott ha bisogno di lui, e lui ha bisogno di sentirsi utile. Per un solo istante, vuole sentirsi integro, così come era mentre correva in totale libertà tra gli alberi.
-È successo qualcosa?- chiede allora, ma Scott scrolla il capo.
-No, niente.-
-E allora perché sei così nervoso?-
Scott si passa una mano sul viso, poi lentamente abbassa gli occhi. Oltrepassa Isaac e si china per raccogliere qualcosa da terra con mani tremanti. Odora di nervosismo ed esitazione, di paura e inquietudine. Isaac non è abituato ad attribuirgli quelle emozioni.
Lo fissa stupito mentre raccoglie da terra un grosso blocco di fogli sul quale sono appoggiate diverse matite e una gomma. Poi, Scott torna da lui e sempre con sguardo basso, gli tende il blocco, esitante ma in trepidazione per la possibile risposta che potrebbe ricevere. Isaac non sa cosa significhi. Perché gli ha portato le sue matite? È corso a cercarlo per questo?
-Puoi… potresti…- Scott tossicchia. -… potresti disegnare?-
Isaac guarda le matite, poi Scott. Disegnare? In quel frangente? Perché dovrebbe?
-Scott…-
-No, lascia stare.- lo ferma improvvisamente Scott, agitando una mano. –So che è stupido, scusami. Volevo solo… volevo…-
Ma Isaac scuote il capo, il cuore stretto in una morsa. Ha capito. Scott ha paura dell’Inferno quanto lui, ma non può tirarsi indietro. Stiles è suo amico, Stiles è suo fratello. Isaac capisce e ammette a se stesso che se all’Inferno ci finisse Scott, lui si getterebbe a capofitto nell’impresa per tirarlo fuori. Gli deve molto, gli deve troppo. Guarda Scott, e sente improvvisamente che una piccola crepa nel suo essere comincia a saldarsi così come non è mai accaduto prima. Ci hanno provato in tanti, e Isaac ci prova continuamente, ma Scott… a lui bastano poche parole, qualche mossa impacciata e un sorriso timido e Isaac non si sente più tanto difettoso.
-Vieni.- dice, sedendosi ai piedi di un albero. Scott lo imita, mantenendo tuttavia una debita distanza, ma quando Isaac gli porge il blocco, lui lo guarda stupefatto. –Voglio che ci provi tu.-
Scott scrolla violentemente il capo. –No, non se ne parla. Io non so disegnare, non…-
Ma Isaac lo interrompe afferrandogli la mano e appoggiandovi una matita sul palmo. Dolcemente, serra le dita di Scott intorno al sottile oggetto di scrittura e senza guardarlo negli occhi, stringe la presa sulla sua mano, adattandola a quella più grande dell’Alpha.
La mano di Scott è calda e troppo morbida. Non pare affatto un arto di bestia, qualcosa che da un momento all’altro potrebbe sfoderare artigli micidiali e abbattere colpi distruttivi. In effetti, lo stesso Scott appare ben lontano dalla classica immagine del licantropo che tutti si aspetterebbero.
In un momento di puro azzardo, Isaac si convince a sollevare gli occhi su Scott… e lo sorprende a fissarlo in silenzio, da vicino, con tutta l’aria di chi sta studiando una splendida creatura esotica. Gli occhi di Scott, scuri come gli abissi della terra, osservano Isaac con un’attenzione incantata, magica, che quasi lo mettono a nudo con puerilità disarmante, così come fanno i bambini.
Una leggenda narra che ci sia un luogo al mondo, dove terra e cielo si toccano palpabilmente, come entità vive che si abbracciano e si sfiorano tra loro. Adesso che Scott intreccia lo sguardo con quello di Isaac, capisce per certo e da vicino cosa significhi toccare il cielo con un dito. Quel cielo sono i suoi occhi, vivi e luminosi come astri splendenti.
Isaac tossicchia bruscamente, spezzando l’incanto del momento.
-Coraggio, Scott.- sussurra. –Libera la mente.-
Ma mentre la mano di Isaac guida la sua con dolcezza quasi commovente, Scott pensa di non aver mai avuto la testa così ingombra di pensieri.
 
“Nel mezzo del cammin di nostra vita
Mi ritrovai per una selva oscura
Ché la diritta via era smarrita.”
 
-Vuoi scherzare?! Si trova qui?!-
Dumah scrolla le spalle, indifferente. L’unico luogo dove è realmente ubicato il varco, è anche il solo posto dove nessuno di loro ha mai pensato di cercare: casa Stilinski. Più precisamente, la stanza di Stiles, là dove tutto è cominciato.
-Non è possibile.- sussurra Scott, nascosto tra le ombre del vialetto insieme al resto del branco. La macchina dello Sceriffo non c’è, segno che passerà la notte in caserma. Non fa altro, da quando il figlio se ne è andato: lavora tanto e ragiona poco. Scott ha paura per lui, ma sa che lo Sceriffo è un uomo adulto e responsabile, e dovrà trovare il modo di rialzarsi sulle sue gambe da solo. Forse è meglio che non sappia del figlio, forse è meglio che continui a crederlo semplicemente scomparso. Dargli una speranza di felicità non è un’idea così brutta.
-E gli spiriti? Non rischiano di ferire lo Sceriffo quando escono?- sussurra Isaac, appostato accanto a Scott. Non si allontana da lui, non gli lascia quasi spazio. Ha paura di perderlo, teme di doverlo abbandonare troppo presto.
-No. Avverto una serie di pesanti protezioni intorno alla casa.- risponde Valefar. –Non sono protezioni carcerarie, ma respingenti. Insomma, sbattono gli spiriti fuori dalla finestra e gli impediscono di ritornare sui loro passi.-
-Valefar esita, stranito. –Chi ce le ha messe?-
-Forse il demone che ha creato il varco.- risponde Dumah.
-A un demone non frega una mazza della sicurezza di un singolo essere umano.-
Dumah scrolla le spalle una seconda volta.
-E il signor Stilinski davvero non si è accorto che c’è un ritrovo di morti in casa sua?- si stranisce Lydia.
-Non apre quella porta da tanto tempo, e i defunti si rendono visibili raramente. Oltretutto, il portale si trova esattamente sul davanzale della finestra, quindi a meno che non si affacci da lì, non corre il rischio di percepire qualcosa.- spiega Dumah, oltrepassandoli. –Preparatevi.-
 Derek si piazza al suo fianco, con Scott sulla destra e Valefar e Peter alle spalle. Sta per rivedere Stiles, il suo Stiles. Il solo pensiero gli dà i brividi, ed è una cosa meravigliosa perché ogni passo, ogni istante, lo accosta sempre di più a quel ragazzino logorroico che ha sempre amato. Qualcuno lassù gli sta dando la possibilità di riprovarci, di riavere quel po’ di bene che credeva di aver perso per sempre, ed è una possibilità reale, tangibile, che cade come una benedizione sulle sue spalle.
Per il nervosismo e l’ansia dell’attesa, comincia a giochicchiare col crocifisso che ha deciso giorni addietro di appendersi al collo come un amuleto. È lo stesso che gli lasciò Stiles prima di sparire, l’innocuo oggettino con cui tutto è cominciato. Per Derek ha un significato simbolico, come se lo avvicinasse di più a Stiles. Spera in ogni caso, che possa proteggerlo dalle infamie dell’Inferno, visto che è un oggetto benedetto.
-Buona fortuna.- sussurra Isaac, stringendo per brevi istanti la spalla di Scott. Non incrocia il suo sguardo, non ci riesce. Non dice addio, non simula alcun arrivederci. Semplicemente, volta il capo dall’altra parte e chiude gli occhi perché no, non può lasciarlo andare e sapere che forse, l’ha spedito a morire.
UNO…
Derek si accuccia, pronto al balzo. Ripensa a Stiles, al suo tocco, alla sua risata. Ogni fibra del suo corpo si protende verso quel pensiero, verso la sensazione che dall’altra parte di quel varco, c’è il resto della sua intera esistenza.
…DUE…
Valefar sibila a bassa voce e snuda la coda. Alle sue spalle, Lydia trattiene il respiro.
-Vi aspetteremo.- sorride Allison, chinandosi su Scott per schioccargli un bacio amichevole sulla guancia. Il licantropo sbarra gli occhi e la guarda, stupefatto. Non è il bacio che si aspettava, poiché, scopre con stupore, non gli causa alcun terremoto emotivo, non come faceva un tempo. Non è Allison che dovrebbe guardarlo, non è Allison che dovrebbe sorridergli rassicurante in quel modo.
Ti prego, non abbandonarmi.
TRE!!!
Derek scatta con tanta veemenza da sorpassare in un solo istante il resto del gruppo. Chi guarda, è convinto di vedere un evanescente figura di lupo sovrapporsi alla sua, ancora umana. Due diverse entità rispondono unicamente al bisogno di rivedere Stiles, di salvarlo. È stato lui, quel ragazzino iperattivo, a radunarli tutti lì, al cospetto della sua splendida luce dorata. Due demoni e tre licantropi disposti a sacrificare tutto per riaverlo.
Saltano oltre il davanzale uno alla volta, velocemente, come se dall’altra parte ad attenderli non vi fosse il luogo più orribile dell’universo.
BENVENUTI ALL’INFERNO.
 
“Per ch’io mi volsi, e vidimi davante
E sotto i piedi un lago che per gelo
Avea di vetro e non d’acqua sembiante.”
 
Grida. Pianti. Suppliche. Da qualche parte un uomo urla, da qualche parte un bambino geme disperato. Son suoni che mai nessuno dovrebbe udire, suoni talmente raccapriccianti che ti penetrano nella carne e negli organi, nelle ossa e nelle retine degli occhi.
Nel momento in cui poggi piede sul gelido suolo ghiacciato, avverti quello stesso freddo sfondare le tue resistenze di licantropo e affondare gli artigli in ogni fibra del tuo essere. Si congelano i pensieri, i sensi, i sentimenti. Tutto ciò che resta sono i tuoi occhi sbarrati sull’orrore dell’universo e le tue orecchie assordate dai lamenti dei dannati.
Non dovrebbe esistere al mondo un posto del genere. Non dovrebbero respirare quelle anime che adesso, più simili a miseri blocchi di ghiaccio, piangono le proprie miserie come pallidi rimasugli di esseri umani. Il pentimento non è accettato in quel luogo dove finanche l’aria sa di acido e corrode i polmoni e le cavità nasali, quel luogo dove soltanto il male stesso può albergare.
Cadi in ginocchio, prostrato all’istante da un peso che ti avvolge l’anima. Avverti il male graffiarti la pelle e gli organi, stringerti il cuore in una morsa da feroce predatore che non sparirà mai più.
I ricordi affiorano adesso, prepotenti e aggressivi, come belve rimaste sopite troppo a lungo. Rivedi la tua famiglia bruciare, tua madre morire, tuo padre urlare in preda all’agonia. Gli occhi di tua sorella tagliata a metà ti fissano sbarrati, accusandoti di non averla salvata, accusandoti di averla uccisa con la tua stessa assenza. È allora che ti domandi quale ingiustizia ti abbia lasciato vivere fino a quel momento: tu, col tuo lordume di peccati, tu col tuo peso di colpe a stento ignorate ma che sempre ti seguiranno come macabre arpie pronte a ghermirti.
Dovevi essere morto. Devi morire. Perché respiri ancora?
Qualcuno ti afferra una spalla, strattonandoti. Un giovane volto di donna ti fissa, grida qualcosa, ma tu non puoi sentirla oltre le urla assordanti dei tuoi stessi peccati.
-… ek!-
Scrolli il capo, ti accasci tra le sue mani. Speri di morire, preghi di morire.
Preghiere? Non sono permesse, non qui. Nessuno prega, nessuno implora perdono o pietà. Le preghiere sono il male, le preghiere non esistono.
-DEREK!!!-
La donna ti schiaffeggia con tanta forza che per qualche istante, le grida si affievoliscono. È quello il tuo nome? Derek? Non avresti mai pensato di meritare una nomea tu, anima miserevole dall’essenza squarciata. Peccatore. Infame!
Qualcuno, un’altra mano, si posa sui tuoi occhi e tu la lasci fare. Non hai la forza per ribellarti, ma speri che quella presa ti strappi i bulbi oculari e la faccia, la pelle e le carni. Soffrire non sarebbe poi così male.
Le voci spariscono all’improvviso, l’aria si fa meno rarefatta. Una bolla ovattata si genera come uno scudo intorno al tuo corpo e tu puoi finalmente respirare, schiarirti le idee.
Derek Hale. Ti chiami così. Sai chi sei.
-Derek, accidenti!- ringhia qualcuno, sovrastando a stento il ruggito di dolore dei dannati.
La bolla di silenzio ti avvolge con più forza, allontana il dolore cocente che ti strazia l’animo e il cuore. Puoi respirare a pieni polmoni adesso e le voci dei ricordi non fanno più così male.
Voci. Con un tuffo al cuore, ripensi a quando ne parlava Stiles: le voci fanno male, le voci bruciano da morire. Ora capisci cosa voleva dire. Incubi ad occhi aperti che gridano, ti accusano, graffiano l’anima fino a spezzettarla in mille parti. Dio solo sa come ha fatto a mantenere viva la sanità mentale.
Lentamente, alzi il viso. Ora sai cos’è realmente l’Inferno, ma nonostante tu abbia letto attentamente di quel girone, non avresti mai immaginato che fosse così.
Una landa sconfinata di ghiaccio, ove il vento tagliente fa a pezzi senza pietà i corpi bloccati nel pavimento. I volti sono invisibili perché incastrati nel ghiaccio, rivolti all’ingiù, ma le braccia si dimenano impotenti all’esterno, spezzate, sanguinanti, come pezzi di carne mossi dal puro schiaffo dell’inerzia. Dannati che si agitano alla disperata ricerca di una via di fuga, dannati che piangono le proprie miserie, spandendo nell’aria il dolore di una vita vissuta nel verso sbagliato.
Tremi impercettibilmente, improvvisamente debole dinanzi a tanto dolore, tanto odio, tanto male. Per la prima volta in vita tua, ti senti piccolo ed effimero, come una farfalla al cospetto di un leone inferocito. Esiste al mondo qualcosa in grado di contrastare tutto questo? Neanche Dio riuscirebbe a controllare tanto odio, ne sei certo. Cosa resta allora delle loro speranze se Stiles è lì in mezzo, tra quei dannati sfracellati e ridotti a miseri pezzi di carne squartata? Non sembrano neanche umani e i loro lamenti paiono più simili ad ansiti di bestie.
-Dobbiamo proseguire.- sussurra Valefar mentre anche gli altri si rialzano, uno alla volta, tremanti al limite di una crisi epilettica. L’unico che riesce a malapena a mantenere un po’ di contegno è Peter Hale, i cui occhi sbarrati tuttavia riflettono come specchi l’orrore di quel luogo dimenticato da Dio. Al suo fianco, Scott sta finendo di vomitare.
-Scott, alzati! Dobbiamo muoverci prima che…-
Ma qualcuno sopraggiunge, una creatura dalle lunghe orecchie a punta e il corpo ricoperto di peli scuri. L’uomo è nudo, dai muscoli torniti, alto all’incirca tre metri e mezzo. Nonostante le fattezze umanoidi, la sua faccia ricorda più quella di un facocero, col naso schiacciato e gli occhi piccoli totalmente neri, privi di cornea. Una selva di capelli scuri piove come una cascata lungo le spalle ampie e dal posteriore sbuca una coda lunga quasi sei metri ricoperta di piccoli uncini insanguinati e alla cui sommità svetta un ciuffo di peli scuri, come di leone.
Valefar arretra di un passo, stranito. –MINOSSE?! SERIAMENTE?!-
Minosse lo fissa, gli occhi giudiziosi ma non aggressivi. Sul mento sbuca un principio di pizzetto e guardandolo meglio, pensi che nonostante l’aspetto mostruoso, Minosse sia in realtà più fermo e ponderato di qualsiasi demone. Ricordi bene la descrizione offerta da Dante Alighieri nella Divina Commedia, ma non gli rende giustizia. Quella creatura trasuda dignità e malcelata ferocia, giudizio e condanna. Non sembra un demone, in realtà… anzi, non lo è. Minosse era umano, uno dei saggi re di Creta. Secondo Dante, egli fu tramutato in giudice dei dannati, ma mai in demone.
-Ecco perché non trovavamo il demone incriminato…- sussurra Valefar, stordito. –Perché non è stato un demone ad aprire il varco.-
Minosse grugnisce, posa gli occhi su di te. Silenziosamente assottiglia lo sguardo, ti giudica in silenzio. La coda freme, segno forse che avverte in te un gran numero di peccati. Non può ancora giudicarti, ma sei certo che potrà farlo presto perché, nonostante la bolla protettiva respinga il male dell’Inferno dalla tua testa, continui a sentirti a un passo dalla follia.
Di morti, ne hai viste parecchie. Eppure, quegli stessi cadaveri che osservasti in passato non sono niente in confronto ai dannati che si dimenano massacrati tra i ghiacciai, la pelle strappata e le ossa spezzate. Ad alcuni mancano le orecchie, a quasi tutti i capelli. Non sono più esseri umani, non riesci nemmeno a vederli come creature vive, che vive non sono.
-Sei colpevole.- ringhia Minosse, fissandoti. –Quanti gironi invero possono attenderti, licantropo? Quante colpe riconosci per te stesso?-
Non rispondi. Di colpe, ne hai fin troppe, ma non è il momento di parlarne.
-Sono qui per espiare il più grave dei miei numerosi peccati, non per rispondere a te.- rimbecchi allora con calma forzata.
-Chi dunque sei quivi giunto a cercare?-
-L’idiota iperattivo che per errore ha ammesso di amare uno come me e il suddetto idiota iperattivo che per errore potrei ammettere di… amare a mia volta.- ringhi, nervoso. Poi ti blocchi.
Hai ammesso di amare un ragazzino, il tuo ragazzino. L’hai fatto con spontanea semplicità, con calcolata freddezza che al contrario ti scalda la pelle e il cuore, respingendo il gelo dell’Inferno che continua a penetrarti nelle ossa. Lo hai fatto ad alta voce.
Minosse continua a fissarti. Il tuo lupo interiore scalpita, rabbrividisce, ti prega di fuggire da dove sei venuto. Quel luogo non vi appartiene, quel luogo non è adatto a un qualsiasi animale vivente così come non lo sarebbe a un uomo.
-Amore?- sussurra Minosse, oscillando il capo. –In codesto loco non vi è significato per tal parola.-
-Per te non avrà senso, ma per me sì. Dimmi dove posso trovare Stiles Stilinski.-
Fronteggi il giudice delle anime, lupo contro bestia dannata, vivo contro spirito malefico. Ti sorprendi alla fine quando questo non pare infastidito dalla tua mancanza di rispetto.
-Ignorate d’avermi visto. Or io v’ho aiutati, ma gli occhi del Grande Cornuto son ben più di due e guardan lontano. Non v’è in me volontà di correr rischio oltre.- Si rivolge a Dumah. –Qui rispondo all’ultimo favor che mi domandi, demone femmina. Quivi e mai più, perciò badate a non incontrarmi di nuovo poiché in tal caso, saremmo nemici e lotterem per uccidere.-
Minosse volta la schiena, li ignora. Si allontana lento tra le raffiche di vento, calpestando dannati e arti spezzati, teste sfracellate e pezzi di carne che una volta forse, appartenevano a un unico grande intero.
Solo ora ti accorgi del freddo e dei graffi che ti ricoprono la pelle. Il vento aggredisce anche voi, ma non feroce quanto è con i dannati. Incide le carni, strappa i vestiti, ma non stacca gli arti dal corpo come accade con le anime. Il gelo di quel luogo tuttavia, è talmente forte che cominci a battere i denti e fai il possibile per non dimostrare ai presenti la tua debolezza. Nessun manto di lupo potrebbe riscaldarti lì.
-Dove sia… siamo?- balbetta Scott, tremando come una foglia. Ha un brutto taglio sul sopracciglio che cola sangue sull’occhio e questo ti conferma ciò che dall’altra parte già temevi: in quel luogo, non vi è concesso alcun potere di guarigione.
-Il nono cerchio, la Caina.- risponde a sorpresa Peter. Anche lui è coperto di ferite, ma mantiene fermo il suo contegno da Hale che fieramente si rispecchia anche nel nipote. Inarca le sopracciglia quando tutti lo guardano: -Che c’è? So leggere anche io, e la Divina Commedia mi piaceva.-
Valefar guarda il cielo. –Dobbiamo muoverci. Per ora non vedo demoni, ma sento la loro presenza. Se ci trovano, non ci resterà che correre.-
-Stiles si trova nell’ultimo cerchio, il più pericoloso. Lì non ci sono demoni perché Lucifero è abbastanza terrificante da tenerli lontani, ma dobbiamo prima arrivare a destinazione.- sbotta Dumah. –Andiamo.-
Lei e Valefar si muovono con eleganza tra i dannati, calpestandoli senza pietà. Non abbassano neanche lo sguardo quando questi tentano di afferrarli all’altezza delle caviglie o rispondono al dolore bestemmiando. Gli occhi dei due demoni brillano, lucenti della loro pupilla verticale e i corpi non presentano alcun segno di graffio. I visi sono duri e freddi come pietra, le schiene dritte. Mai come in quel momento entrambi appaiono sicuri, ferini, pronti a colpire e a uccidere. Non mostrano alcuna pietà nei confronti dei dannati, non ascoltano le suppliche che questi rivolgono loro perché entrambi sono abituati a sentire tali putridi lamenti.
Demoni. Non riesci a immaginare Stiles impegnato a fare una cosa del genere. Lui non calpesterebbe il prossimo, ma lo aiuterebbe, come ha aiutato te quando eravate nemici.
Cominciate a camminare, silenziosi come ombre. Tu e Scott evitate i cadaveri incastrati nel ghiaccio, ma non è facile perché essi emergono dal terreno come talpe scalpitanti che nella furia vi graffiano le caviglie, strappano i jeans, lacerano i timpani a furia di urlare.
State camminando già da quelle che sembrano ore ma che in realtà potrebbero essere meno di pochi minuti. Senti che il tempo scorre in modo diverso lì sotto, ed è normale sentirsi disorientati lì, dove il cielo è nero e sembra sempre buio. Ci vedete a stento, col ghiaccio che emana a malapena un barlume di luce riflessa, quella luce che laggiù non può arrivare.
Nessun essere vivente può sopravvivere lì sotto senza impazzire. Lì, dove l’aria puzza di sangue e carne putrefatta, dove gli unici rumori che si ascoltano sono urla e pianti di condannati ad atroci torture.
Sono almeno due le volte in cui ti senti pronto a crollare. Hai perso troppo sangue, non senti più i muscoli e le ossa fanno male. Per questo ti aggrappi al pensiero di Stiles e del suo sorriso, al calore del suo abbraccio e alla dolcezza del suo bacio. Sono cose profane laggiù, ma ti danno la forza per andare avanti.
Improvvisamente, Dumah comincia a guardarsi intorno allarmata.
-Che c’è?- chiede Peter, drizzando le orecchie. Parla a bassa voce e, nonostante il vento ruggente, tutti riescono a sentirlo.
-Dobbiamo correre.- sussurra Valefar, allucinato. –ADESSO!!!-
E nessuno di voi se lo fa ripetere. Scattate all’unisono, come un sol uomo, scivolando sul ghiaccio. I corpi sotto di voi rendono difficile la corsa e il gelo intirizzisce i sensi. I bulbi oculari sembrano sul punto di congelarsi, i muscoli bruciano da morire, ma non vi fermate. Seguite Dumah e Valefar tra i corpi, schivando e saltando, scartando e correndo.
Inciampi, riprendi l’equilibrio, continui a correre. Non va bene, non con tutto quel ghiaccio a rallentarvi la corsa…
Colto da un bagliore di consapevolezza e ingegno, ti lanci in avanti a braccia aperte, tuffandoti come un gabbiano in caduta libera. Il tuo corpo muta, rimpicciolisce appena, si ricopre di peli. Le ossa si spostano, le orecchie si allungano, il ghiaccio sulla tua pelle si sbrina e il grosso lupo nero atterra con eleganza su possenti quattro zampe, riprendendo a correre. Gli artigli incidono il ghiaccio, dandoti la spinta necessaria per superare Scott e Peter, tenendo testa a Dumah e Valefar. I dannati sotto di voi ruggiscono il loro dolore in lamenti che di umano non hanno più nulla ormai.
Un’ombra sguscia alle vostre spalle, vi insegue. Non riesci a vederla, e non sei nemmeno certo di volerlo fare. Ricordi bene l’aspetto demoniaco di Valefar e senti nelle ossa che quello non è il più terrificante dei demoni. Per la prima volta, il tuo istinto di lupo ti spinge a scappare anziché a combattere. Si tratta di sopravvivenza, di purissimo spirito di autoconservazione.
-Dobbiamo uscire dal girone!- urla Valefar, accelerando il passo. Alle loro spalle, l’ombra si avvicina sempre di più, un monito maledetto pronto a infrangersi come lama di ghigliottina sulle loro teste.
Dumah slitta sul ghiaccio con eleganza ferina, stacca la calotta cranica a un dannato per sbaglio e si ferma.
-Che diavolo fai?!- ansima Scott, ma lei lo ignora.
Poggia un ginocchio per terra, stende l’altra gamba, gonfia i muscoli come non l’hai mai vista fare.
-Ci apro una strada!-
Dumah abbatte il pugno sul ghiaccio sottostante con tanta forza che senti la terra vibrare. L’aria rarefatta freme, i dannati gemono più forte. Alcuni tentano di uscire dal ghiaccio con tanta forza da strapparsi gli arti dal tronco. Lo sentono. Sentono che qualcosa sta cambiando, che qualcosa è accaduto.
Velocemente, una crepa comincia a serpeggiare come una ferita verso l’orizzonte, allungandosi frastagliata, stendendo gli arti fino a sparire alla vista. Il tuo udito di lupo riesce ancora a sentire il rumore del ghiaccio che si spacca e continua, continua ancora.
Sei stupefatto. Ricordi bene i versi di Dante riguardanti quel ghiaccio, troppo spesso per essere rotto. Una superficie gelida, indistruttibile e, a detta di Alighieri, talmente forte da poter reggere lo schianto con un monte in caduta libera.
-È un’idea del cazzo!- ringhia Valefar, ma nonostante questo abbatte un violento colpo di tallone nello stesso punto colpito da Dumah. La botta è talmente forte che il terreno vibra ancora, e quando la crepa si spalanca proprio sotto di voi capisci il perché: il crepaccio si è allungato verso il basso per miglia e miglia di suolo ghiacciato. I due lati dello spacco sono popolati di corpi che si agitano convulsamente come vermi incastrati nella sabbia, accalcati, sovrapposti e nudi. È una vista disgustosa anche per uno stomaco forte come il tuo.
Scott perde l’equilibrio, si aggrappa al bordo del crepaccio e tu lo azzanni all’altezza della spalla, cercando di tirarlo su. Intravedi delle mani afferrare gli abiti del giovane Alpha e tirare, piedi scalciare, volti scarnificati e tumefatti che tentano di morderlo. Sai che non ce la farete, ma non hai intenzione di lasciar precipitare Scott verso quell’abisso nero.
-Saltate!- abbaia Dumah.
-Ma vorrai scherzare!- rimbecca Peter, e per una volta sei d’accordo con lui.
Strattoni Scott con più forza, tirandolo appena più su, ma in quel momento le tenebre si contorcono, cominciano a infittirsi. Avverti qualcosa nell’aria, una minaccia che ti rizza il pelo e opprime i sensi. Il male vero preme per sfondare nuovamente la tua barriera di sicurezza e senti che ci riuscirà se il demone si avvicina ancora.
Stiles.
Pregando che Dumah non vi tradisca, salti e trascini Scott con te. Lo senti urlare nel tuo orecchio e agitare le braccia, sbarra gli occhi, puzza di terrore. Subito dopo, seguono silenziosi Peter, Dumah e Valefar, che scivolano sicuri nell’abbraccio del vento non più tagliente come un uragano ma come semplice folata d’aria che incontra un corpo in caduta libera.
Ti sembra di cadere per giorni e in realtà non sei nemmeno sicuro che non sia così. Il corpo perde ogni scintilla di peso e anche la mente pare seguirlo, col suo maledetto vociare di grida e peccati rimasti impuniti. Le pareti del crepaccio affondano gelate verso il basso, cosparse di altri corpi e altri ancora. Non sai quanto è grande quel girone, ma sai che deve essere profondo più degli abissi stessi della terra perché lì i dannati sono davvero troppi.
Esistono dei beati, invece? Tutta l’umanità sembra essere racchiusa lì, nel ghiaccio e nelle fiamme, nel dolore e nel putridume.
No. Non esistono beati, non esiste Dio. Non lì, non quando il dolore acceca ogni cosa, annebbiando finanche i tuoi stessi sensi.
Stiles. Pensa a Stiles.
Qualcosa ti afferra per la collottola, arrestando la caduta. Scott smette di gridare, qualcosa fende l’aria e graffia le pareti ghiacciate del crepaccio, facendo a pezzi i dannati.
Scendete lentamente adesso, con Dumah e Valefar che vi sorreggono e sbattono le ali di tenebra per alleggerire la caduta. Non vedi le grosse vele oscure, ma ne avverti la presenza mefitica e pericolosa, come una maledizione che oscilla sul tuo collo e sul petto, schiacciandoti nell’immobilità della tua misera impotenza.
Il crepaccio si apre all’improvviso, come il tetto di una caverna immensa, un’altra distesa ghiacciata ove il vento vi travolge all’istante, costringendo Dumah e Valefar ad atterrare.
Il posto non è molto diverso dal precedente, solo che lì i dannati stanno coi volti scoperti e rivolti all’insù, i corpi incastrati nel ghiaccio. Se possibile, la cosa è ancora più raccapricciante perché quei pezzi di carne mutilata, dagli occhi cavi e gli zigomi squartati…  non sembrano nemmeno volti. Non volti, non maschere, non organi, ossa e muscoli. Solo pezzi di carne, solo macabri scherzi della natura.
Lì le tenebre sono più fitte, più soffocanti, tanto che nemmeno lo scudo protettivo di Valefar riesce a respingere il grido assordante delle voci nella tua testa. Avverti il male vero abbattersi su di te, mangiarti il cervello e per un attimo sei tentato tu stesso di cominciare a gemere come i dannati. Sì, perché in quel girone i defunti non hanno la forza di gridare, o più semplicemente spesso non hanno la bocca per farlo: quelli gemono e basta, deboli e impotenti come miseri vermi troppo stanchi per reagire. Riesci a capirli, dopotutto.
Sei stanco anche tu, hai paura. Chiunque tremerebbe lì, anche l’uomo più coraggioso del mondo. Anche Stiles, il tuo Stiles.
C’è davvero qualche remota possibilità che sia ancora in lui? Al solo pensiero che possa essere una sola di quelle anime incastrate nel ghiaccio, ti senti morire e le tenebre ti abbracciano davvero. Stiles è la tua luce, e se quella luce si estingue…
-Hai spaccato in due la Caina?! Ma sei matta?- esplode Valefar, incurante dell’ambiente terrificante che lo circonda.
-Credo di essermi spaccata anche tutti i metacarpi della mano, se ti può consolare.-
-Ma sei seria? Adesso avremo tutti i demoni alle calcagna in breve tempo!-
-Mi hai aiutato tu, te lo ricordo.-
-Ragazzi.- li richiama Peter, e allora tu alzi il capo e ti guardi intorno ancora una volta, il naso che brucia al puzzo del sangue e della carne putrida.
Avete oltrepassato la prima zona ghiacciata, vi state avvicinando. Lì giacciono i traditori della patria.
Quella è l’Antenora.
Angolo dell’autrice:
Eeeh… che guaio. Questa storia è un guaio di proporzioni bibliche, in tutti i sensi. Ma non deprimiamoci, non ora che Derek è vicino all’obbiettivo X! Ora, passiamo alla risposta della domanda che mi è stata posta: chi è l’incappucciata? Qualcuno in parte l’ha capito, ma alla fine si vedrà e spiegherò ogni cosa, quindi abbiate pazienza! Taaanta pazienza!
Passo dunque al ringraziarvi. Sì, sono monotona. Sì, rompo le scatole fino allo sfinimento. Sì, tendo a ripetermi… ma davvero, questa storia è costruita sulle vostre parole, sui piccoli momenti che dedicate ai miei sforzi. Penso a voi splendidi lettori quando alle tre del mattino inizio a correggere i capitoli con gli occhi che mi bruciano, penso a voi splendidi lettori quando mi costringo ad accantonare la stanchezza per concludere in tempo questa storia. Lo meritate, fosse anche per quei cinque minuti che mi dedicate lasciandomi una recensione. Grazie di cuore, davvero.
Fanvergent_love
Two_dollar_bill
Barbara78
Elenuar Black
Nye
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Giada_ASR
Fangirl_mutante_SHIELD

 
Anticipazioni:
“-Derek! Derek, alzati!- esclama Scott, sofferente. La sua voce è coperta da un nuovo ruggito, un nuovo ringhiare feroce. Hai paura di quel suono perché nessun demone fino ad ora ha mai prodotto un ringhio tanto folle.
-Chi diavolo è che ringhia così? Lucifero?- sbotta Peter, cercando di vedere oltre il muro di ali di Valefar.
-Lui… no. No.- mormora debolmente il demone. –Dobbiamo tornare indietro. Subito.-
Cerchi di protestare, ma non riesci nemmeno ad alzare la testa. Hai freddo.
-Che… cavolo dici?- ringhia Scott. –Abbiamo fatto tanto per…-
Ma improvvisamente un nuovo ruggito lo interrompe, stavolta accompagnato dal cigolio di catene.
Valefar sospira pesantemente. –È tardi, ragazzi.-
Chiude lentamente le ali, rivelando la creatura alle sue spalle.
-Troppo tardi.-
È allora che ti sembra di scivolare inesorabilmente in un abisso di paura e follia. Tu, che hai combattuto innumerevoli battaglie; tu, che sei sopravvissuto al massacro della tua famiglia. Tu, che vedi sgretolarsi davanti ai tuoi occhi ormai quasi ciechi l’obbiettivo più importante della tua vita.
La creatura è quanto di più bello e spaventoso tu abbia mai visto in vita tua.”

 
Tomi Dark Angel

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Capitolo 23
*** Una Lacrima All'Inferno ***


“Noi siam venuti al loco oi’i’ t’ho detto
Che tu vedrai le genti dolorose
C’hanno perduto il ben de l’intelletto.”
 
L’Inferno. Aldilà dannato di dannati peccatori, luogo di punizione per le anime più nere che mai nei secoli si vedranno purificate. Tale luogo lo si può descrivere, disegnare, raccontare, ma nulla, nulla al mondo potrebbe comparare a parole o immagini l’orrore di tutti quei corpi mutilati, di quei lamenti animali, di quel gelo ghiacciato che ricopre ogni superficie, compreso il tuo spesso manto di lupo.
Niente può descrivere il male che si annida in ogni angolo, là dove il male regna sovrano e vi schiaccia mefitico, sottraendovi aria dai polmoni e pulsazioni ai cuori frementi di ansia e inquietudine.
Avete oltrepassato la Caina per puro miracolo, ma l’Antenora… quella sembra ancora più grande, ancora più sconfinata con le sue distese ghiacciate e i suoi dannati che stavolta, bloccati a faccia in su, non gridano né schiamazzano. Quelle anime sono tra le più sofferenti, figlie di un dolore talmente massacrante da non poter essere espresso con urla e strilli acuti. Quelle anime piangono lacrime ghiacciate che bruciano i volti e salano le ferite. Alcuni invero, non possiedono nemmeno gli occhi per lacrimare, ma singhiozzano ugualmente, bisognose di esprimere in qualche modo la forza di quella sofferenza devastante.
Lì il vento è più tagliente, più gelido. Quasi vi strappa la pelle dai muscoli e dalle ossa, costringendovi ad appiattirvi al suolo per non essere trascinati via. Pianti gli artigli da lupo nel ghiaccio per aggrapparti a qualcosa, lottando contemporaneamente contro l’urlo delle tue stesse colpe che ti graffiano le pareti cerebrali, gli occhi, il muro dei ricordi. Ti senti impazzire, ma hai ancora una carta in gioco, uno scudo valido che ti protegge.
Stiles. Pensa a Stiles.
Ti raddrizzi, cerchi di fare mente locale. Le voci nella tua testa si affievoliscono appena, ma solo per essere sostituite dai lamenti lacrimevoli dei dannati.
-Mio Dio…- sussurra Scott, prostrato in ginocchio dall’orrore e dal vento. –Stiles… ha vissuto tre anni qui sotto?-
-Dobbiamo muoverci.- intima Dumah, guardandosi intorno ansiosa. Le ombre intorno a lei si addensano e si contorcono, e tu non sai se sia lei ad agitarle così oppure se è qualcosa di peggio.
-Non possiamo sfondare un altro girone, Dumah… dobbiamo camminare.- considera Valefar, indifferente alle raffiche di vento che gli scompigliano i capelli.
-Questi gironi sono enormi. Per attraversarne uno a piedi ci vorranno anni e gli altri non ce la fanno già più! Loro sono licantropi!-
Valefar li fissa, considera le alternative. È ovvio che non abbia la minima idea di cosa fare perché mai prima d’ora era sceso all’Inferno insieme a qualcuno di tanto fragile. Per quanto possenti, quei licantropi sono comunque vivi e vulnerabili alle tentazioni del male.
-Oh, voi dunque non siete anime?- geme pietosamente una voce dal basso. Allora abbassi gli occhi tra le tue zampe, dove un viso sfigurato dalle orbite vuote, senza orecchie né capelli svetta oltre la superficie ghiacciata. Indietreggi bruscamente, quasi inciampi nelle tue stesse zampe. Il vento ti fa incespicare, ti apre un taglio sul muso e uno poco sopra l’occhio che cola sangue sulla palpebra, accecandola fastidiosamente.
-No. Chi sei tu?- domanda allora Peter, inginocchiandosi accanto al volto.
-Non lo ricordo. Non lo so più. Avevo un nome in vita, ma qui niente ha importanza se non il dolore e il peso che i peccati arrecano.- Il volto si muove appena, solo le labbra spaccare e luride di bava mostrano quel po’ di vitalità che distingue quella faccia da un inanimato pezzo di carne. –Siete pazzi dunque a scendere quaggiù pur essendo vivi? Se solo potessi ottenere indietro quel po’ di vita che mi rubarono, forse rimedierei ai miei errori. O forse no. Solo l’Onnipotente lo sa. Ma non m’avete ancora risposto: cosa siete voi? Pazzi, o nuovi Alighieri?-
-Noi…-
Un rumore, lo stridio lontano di qualcosa che si avvicina. Pare un rantolo di bestia ferita, forse l’acuto di un’aquila morente, ma tu sai che è qualcosa di molto peggio.
I dannati cominciano a gemere più forte, tentano di ritirarsi nel ghiaccio. Provano  a mimetizzarsi, a nascondersi, ma con scarsi risultati. Ognuno chiude la bocca, il silenzio cala, rotto solo dal ringhiare del vento.
Il male avanza, riesci a sentirlo. Vedi le ombre estendersi, affogare anche gli ultimi barlumi di luce e soffocare ogni suono, ogni consistenza della realtà.
Non hai mai avuto paura del buio, ma adesso la pensi diversamente. Quell’oscurità fa paura, è fitta come catrame e avanza come una marea montante che poco alla volta striscia verso di voi, inghiottendo ogni cosa, ogni forma di esistenza, ogni suono e colore.
-Abbadon…- sussurra Valefar, terrorizzato. Indietreggia, quasi inciampa in uno spuntone di ghiaccio. –Dobbiamo scappare, subito!-
Ma Scott non riesce a muoversi. Trema più forte, impallidisce, si accascia. Qualcosa nella sua testa sta scattando, gli ultimi residui di resistenza cominciano a crollare e la sua testa grida, accusandolo di ogni peccato. Ti chiedi quali siano le sue colpe.
-Oh, andiamo…- sbotta Valefar. Si china e afferra Scott, caricandoselo in spalla come un sacco. Il gelo si fa più tagliente, l’oscurità avanza ancora. I dannati non si muovono quasi più, come bestie impaurite che cercano di mimetizzarsi con l’ambiente.
-Andiamo!-
E allora la corsa ricomincia, più frenetica che mai. Affondi gli artigli nel ghiaccio e nei visi, continuando a fuggire disperato da quel male che lentamente ti si attacca addosso come pece che soffoca gli ultimi respiri di un gabbiano moribondo. Il vento vi rema contro, rallentando visibilmente la vostra fuga verso il nulla ghiacciato che si estende per miglia e miglia, a vista d’occhio. Non potrete correre così a lungo, non in quelle condizioni. Il demone è più veloce di voi e vi raggiungerà in breve.
Dumah e Peter corrono fianco a fianco, ma ti accorgi che la demone gli stringe la mano e lo trascina con forza, facendosi carico degli affanni del licantropo per incitarlo ad accelerare.
Il vento vi graffia, vi respinge, vi fa scivolare. Slitti di lato un paio di volte, ma continui a correre, senza fermarti mai. Pensi a Stiles, al traguardo che vi attende, ma cominci a pensare che non ci arriverete mai.
Improvvisamente, all’orizzonte, sbuca una figura imponente, alta metri e metri. Un monte ghiacciato cosparso di visi sofferenti e sangue raggrumato svetta contro il cielo nero che tanto cielo non pare. È un monte alto e magro, come un gigante che stiracchia i muscoli verso l’alto.
Non riuscirete a scalarlo di corsa, ammesso che lo raggiungiate.
-Merda…-
Qualcosa vi sovrasta, l’oscurità sopraggiunge. Lentamente, la disperazione si fa spazio in te e preghi per la seconda volta un Dio che non hai mai riconosciuto di darvi la forza, di farvi raggiungere Stiles tutti interi.
Ma Dio non vi ascolta. Lui non ascolta mai.
L’oscurità cala, piove su di te come una marea soverchiante. È pronta a schiacciarti, a spezzarti, a entrarti nella testa e rinfacciarti quel dolore che già alberga in te da troppo tempo. Sarai la vittima, non raggiungerai Stiles.
Perdonami, se puoi.
Ma qualcosa si intromette, il corso della storia cambia. Un corpo si frappone tra te e la marea di oscurità, un’ombra più grande fronteggia il nemico e delle ali gigantesche, venate di viola e blu scuro si spalancano. Enormi vele di seta si stendono, abbracciano in lunghezza la metà di quel girone immenso, sconfinato, coprendo miglia e miglia di ghiaccio e vento, di sangue e oscurità. Ali grondanti di pece, ali dalle ossa scure che macabre dividono le vele gigantesche, che paiono voler inghiottire il mondo intero.
Una coda violetta saetta nell’aria, biforcandosi poco prima della fine per sfociare in due identiche punte affilate lunghe poco più di un metro di un intenso blu scuro che quasi sfocia nel nero. Un’arma a doppio taglio, violenta e oscura come una falce mortifera.
Allora la guardi, la guardi davvero. E capisci ancora una volta che il male sa assumere fattezze tanto belle quanto terrificanti.
Se non avessi visto già tante e tante volte quella massa di lucenti ricci neri, non l’avresti riconosciuta.
Il demone ha un viso scarno di donna, le orecchie allungate e a punta, i canini estesi fino a superare di poco il mento. Gli occhi sono verdi, dalla pupilla verticale, con sopracciglia inesistenti sostituite da file di spuntoni massicci che si ripresentano sugli zigomi, sulla mandibola e tra i capelli, dove sbucano due corna enormi curvate all’insù e del colore della pece. La pelle è brillante, luminosa di viola e blu scuro, e cambia sfumature continuamente, come un caleidoscopio di luce oscura e ammaliante.
Hai già visto quel gioco di luci… lo hai visto da vicino, lo ricordi bene. Ma non faceva tanta paura, allora.
Abbassi gli occhi sul resto della creatura, allibito. Strano a dirsi, ma il corpo è ancora peggio. Dal collo in giù, la pelle è più sottile, come carta velina, e lascia intravedere i fasci muscolari sottostanti come nudi pezzi di carne snudata. Altri spuntoni percorrono le spalle muscolose, ben assemblate con le braccia massicce da culturista, volte a sorreggere degli arti che più che mani, somigliano a un’unica fusione tra pelle e micidiale lama di falce, una per braccio.
Il seno è florido, in contrapposizione con la gabbia toracica che buca la pelle e lascia intravedere organi e muscoli sottostanti, vivi e ancora pulsanti, troppo deboli per accompagnare correttamente le gambe animalesche, muscolose, che culminano con zampe a tre dita, simili a quelle di un rettile.
Se Valefar faceva paura in vesti di demone, Dumah è forse anche peggio. Sotto un certo aspetto si somigliano, ma lei appare più… animalesca, come una bestia folle pronta a scattare. La guardi snudare la dentatura leonina e per una volta ringrazi il cielo che non sia più vostra nemica. Ricordi bene gli avvertimenti di Stiles, le sue preghiere riguardo il mantenersi alla larga da lei e Alastor. Ora capisci perché, e ti senti uno stupido arrogante per aver dubitato del tuo compagno.
-DUMAH, NO!!!- urla Valefar, ma è troppo tardi.
Dumah gonfia i muscoli, raccoglie a sé quanta più oscurità riesce a richiamare e si scaglia contro il muro d’ombra, rilasciando un ruggito che fa tremare il cielo e la terra, il ghiaccio e i dannati. Un suono tanto possente e al contempo raccapricciante, non l’hai mai sentito prima. Riverbera nella gabbia toracica, nelle ossa, nelle anime stesse di chi vi sta intorno.
Lo schianto è talmente forte far tremare l’Inferno intero. Genera un turbine di vento che vi scaglia via con violenza e tu sbatti la schiena contro uno spuntone ghiacciato e ti accasci, stordito mentre intorno a te scoppia il pandemonio.
Lacci di oscurità simili a pece viva guizzano ovunque come tentacoli di piovra, fendendo i dannati e il ghiaccio, sfiorandoti più volte. Dei ruggiti immondi ti spaccano i timpani, folate di energia ti spingono ripetutamente indietro, sballottandoti dappertutto. Intravedi un getto di fuoco, schizzi di sangue, mugolii di dolore e speri che Dumah non stia perdendo.
-ANDIAMO!!!-
Valefar vi richiama, svegliandoti dal torpore sofferente e spaventato nel quale sei caduto. Scrolli il capo, ti rialzi. Fai il possibile per non guardarti alle spalle, dove la potenza dell’Inferno stesso sta scuotendo l’universo dalle fondamenta in un unico scontro tra titani.
Affondi gli artigli nel ghiaccio, ti dai la spinta per ricominciare a correre. Stavolta, il vento soffia in tuo favore, tanto che la prima falcata che compi è talmente lunga che ti pare d’aver saltato. I tuoi muscoli di bestia si risvegliano, l’istinto del lupo ti urla di allontanarti, di sottrarti a quella potenza devastante che nemmeno tu puoi contrastare.
Il ghiaccio trema sotto le zampe, ma non ti importa. Tu corri, corri verso la tua speranza, la tua salvezza, che si rispecchia in due grandi occhi dorati. Vuoi rivedere Stiles, abbracciarlo e non lasciarlo andare mai più. Questo pensiero ti regala l’ennesimo slancio, l’ennesimo scatto adrenalinico che ti spinge a sorpassare Valefar, Scott e Peter come una freccia scoccata dall’arco.
Improvvisamente, i volti sotto le tue zampe non ti fanno più tanto orrore perché le creature davvero spaventose sono alle tue spalle e lottano per la sopravvivenza.
Il vento ti graffia ancora, ma tu corri veloce, sempre più veloce, senza fermarti mai. I muscoli bruciano, il corpo si appiattisce al suolo e improvvisamente ti senti aria, vento inarrestabile e inafferrabile. Nulla può fermarti, nulla può raggiungerti. Qualcosa ti spinge con forza, facendoti volare sul ghiaccio senza farti scivolare nemmeno una volta. Quell’energia non è tua, non ti appartiene. Da qualche parte, qualcuno ti aiuta, ti infonde forza e tu la accetti senza protestare, senza chiedere.
Uno spuntone ghiacciato si conficca a pochi metri da te, costringendoti a scartare. A questo segue una sfera di oscurità, una palla di fuoco, altri pezzi ghiacciati. Tu schivi tutto e continui a correre verso il monte ghiacciato.
Un’ombra passa sulla tua testa e tu intravedi un volto tumefatto, scheletrico, dalle grossa corna ricurve. La belva ringhia, poi sparisce nell’oscurità poco prima che Dumah compaia e si getti a capofitto nella cappa di buio.
Dumah non se la caverà con poco. È sola, e Valefar non può aiutarla senza perdervi d’occhio. Se muoiono entrambi, resterete bloccati all’Inferno per sempre, ma se Dumah perde la battaglia… siete morti e basta.
Qualcosa scudiscia oltre la cappa, una coda marroncina che non riconosci. La vedi scudisciare e saettare, fendendo l’aria con la grossa punta affilata.
Allora ti viene un’idea, e capisci che non sei il solo ad aver pensato in quella maniera: Peter ti affianca, ricambia il tuo sguardo e dopo aver ammiccato, annuisce col capo.
Siete entrambi Hale, entrambi figli di una stirpe di guerrieri che nei secoli è perdurata e sopravvissuta nonostante tutte le avversità affrontate. E quello è tuo zio, per quanto detesti pensarlo.
Vi muovete all’unisono, come un sol uomo: tu acceleri, ti dai la spinta finale per raggiungere la base ghiacciata della montagna. Adocchi una sporgenza di ghiaccio molto massiccia, abbastanza da poter reggere il tuo peso e lo slancio esagerato della corsa. Puoi farcela, puoi vincere. In caso contrario, si metterà male per tutti voi.
Balzi all’ultimo istante, affondi gli artigli nella sporgenza e in un viso dannato che grida di dolore e, ruotando il corpo al momento giusto, balzi di nuovo all’indietro.
Peter intanto fa saettare la mano artigliata, fende l’aria proprio dove la coda del demone sbuca fulminea. La afferra con forza, strattona e vi contrappone il peso di tutto il corpo. Grazie all’attimo di spossatezza, la coda non riesce a reggere subito il peso insignificante di Peter e va giù, dritta sulla tua traiettoria.
Spalanchi le zanne su quel debole filo peloso, poi affondi… e la coda si stacca sotto la tua morsa, riversando nell’aria e sul tuo muso uno schizzo di sangue scuro.
Qualcosa ruggisce di dolore con tanta forza che il cielo trema e i dannati mugolano più forte, terrorizzati.
Ma il demone si è distratto, e tanto basta per ribaltare le dinamiche della situazione.
L’oscurità comincia a diradarsi e un battito d’ali di Dumah la respinge, rivelando il suo corpo slanciato e male assortito che lotta con una velocità senza pari, dove migliaia di colpi si schiantano tra loro in meno di un secondo. Tu non riesci a vedere le mani dei due demoni o le code di Dumah che affondano con precisione assassina, ferendo il nemico al collo, alla testa, alle braccia. Gli conficca una punta acuminata nell’occhio giallo e quello ruggisce con più forza, battendo le ali sofferente.
Allora, Dumah ruota su se stessa e fa guizzare gli artigli in un taglio obliquo che coglie il demone dalla spalla al fianco opposto. La ferita si apre, ma il sangue aspetta qualche istante per uscire. Abbadon solleva lo sguardo intriso di odio bestiale e incrocia quello di Dumah. Poi, senza alcun preavviso, crolla.
Le ali d’ombra spariscono e il corpo troppo muscoloso del nemico si schianta al suolo con tanta forza da far tremare le superfici ghiacciate. Annaspa, col sangue che continua a uscire a fiotti dalla ferita. Fa perno sulle braccia per rialzarsi miseramente e si guarda intorno con occhi annebbiati. Posa lo sguardo su di voi e le pupille rosse si restringono in una muta minaccia di follia e morte imminente.
Capisci che sta per accadere qualcosa di brutto ancor prima che il pezzo restante della coda del demone stacchi uno spuntone ghiacciato dal terreno e la scagli verso Valefar in un ultimo, disperato tentativo di vittoria.
Cerchi di uggiolare un avvertimento ma sai già che è troppo tardi.
Valefar poggia il corpo di Scott al suolo, si volta e sbarra gli occhi sorpreso mentre il grosso spuntone di ghiaccio punta al cuore, laddove ogni battito di vita avrà fine. Ma qualcosa si intromette nuovamente, la stessa creatura che già in precedenza ha mutato il corso della storia, dell’avvenire e forse dell’intera missione.
-NO!!!-
Qualcuno spinge Valefar con forza e un altro corpo prende il suo posto. La donna, ormai tornata umana, si volta appena in tempo, sbarra gli occhi… e, nello stesso istante in cui Abbadon muore, lo spuntone di ghiaccio le trapassa il petto, inchiodandola alla parete alle sue spalle come un manichino inanimato.
Dumah spalanca la bocca, non urla. Il corpo si affloscia contro la parete di roccia, ma lo spuntone è conficcato talmente bene che non le permette di crollare al suolo.
-DUMAAAH!!!-
L’urlo di Valefar è talmente forte, talmente disperato che i dannati ammutoliscono. L’Inferno stesso si immobilizza, cristallizzato da un grido che stavolta non è dovuto alle torture o al peso dei peccati: no, qualcuno grida per un altro motivo, esternando un dolore nuovo che laggiù non ha significato, non ha volto.
Il grido di qualcuno che ha appena perso una persona cara.
Valefar la raggiunge barcollando, gli occhi sbarrati, le mani tese in avanti in un gesto al quale Dumah non è abituata: vuole aiutarla, vuole offrirle un appiglio sicuro e amichevole. Da quanto tempo nessuno lo fa? Da quanti secoli la gente la tratta come un oggetto, una bestia, un mostro? L’hanno sempre guardata con malizia o disgusto, così come si guarda una prostituta prima o dopo un amplesso, ma mai in quel modo.
Quanto è cambiato quello stupido moccioso. Dumah è fiera di lui, di ciò che è diventato e vedere Valefar preoccuparsi per lei scala un po’ il dolore della ferita, della vita che scivola via dal suo corpo.
-Mi dispiace…- sussurra esausta. Gli occhi sono illuminati di un verde brillante, fluorescente, dalla pupilla verticale. Sono occhi di serpe, occhi abituati a soffrire e a far soffrire. Tuttavia, quegli occhi adesso gridano aiuto, pietà, e sono colmi di lacrime trattenute. Sono occhi umani, per quanta disumanità ostentino nella loro bestiale apparenza. Valefar non li ha mai visti così espressivi, così giovani, e allora si domanda quanti anni abbia Dumah, quella vera.
Quella non è la donna alla quale il branco è abituato.
Li fissa con un’arrendevolezza che non le appartiene, che Valefar non riesce ad attribuirle.
Dumah non si arrende mai. Lei è una leonessa, una belva che con le sue sole forze ha sfidato l’Inferno e Lucifero stesso.
Dumah combatte fino all’ultimo, qualunque cosa accada.
Ma non è sempre così, non più: insieme alla sua umanità, alla fine emergono anche le sue debolezze. Non è un prezzo troppo caro da pagare, si dice Dumah.
Vedere Peter Hale che la fissa in quel modo, trascorrere con lui una serata a giocare a biliardo o a mangiare una pizza non è stato affatto male.
Ridere con Valefar, stuzzicarlo, vederlo crescere e maturare come un ragazzo che ancora vive è stato bello.
Riscoprire la vita insieme al resto del branco, respirare aria pulita, ritrovare la bellezza di un sorriso o di un abbraccio l’ha rinvigorita.
Sono cose che sanno di vita, di quotidianità. E lei alla vita, non ci è abituata affatto.
-Siete proprio un ben branco.- mormora con un debole sorriso che per una volta non ha nulla di aggressivo o malizioso. È qualcosa di puro, sincero, che sa di mille benedizioni silenziose. –Mi sono divertita, sa… pete? È stato quasi… come… avere una famiglia.-
Infischiandosene della sua stessa reputazione, Peter le afferra la mano e la stringe forte, aggrappandosi a quel contatto. Il suo sguardo vibra di emozioni trattenute, le labbra si stringono, ma non abbandona quella presa che poco a poco perde calore, vita, forza. Sente Dumah scivolare via, sente le sue stesse dita tremare di paura e dolore.
Lei cerca di ricambiare la stretta, ma non ci riesce. Tossisce un grumo di sangue, poi con le ultime forze rimaste solleva lo sguardo su un Valefar mortalmente pallido, che trema spaventato e la fissa ad occhi sbarrati.
-Non ha più importanza, vero?- esala lei con dolcezza nuova, gentile, quasi caritatevole. –Mantenere il… segreto. So… sono stanca ormai, e vo… voglio che almeno voi sappiate per… perché è accaduto tutto questo.-
Dumah respira a fondo, un gesto che pare costarle terribili stilettate di agonia.
-Sono stata io.- mormora, e adesso i suoi occhi sono lontani, spenti, come se fosse già morta.
-Non parlare… ti aiuteremo, ce la farai…- la interrompe Scott, riprendendosi lentamente. Tenta di alzarsi, barcolla, poi cade carponi e tossisce.
Dumah lo ignora e continua. –Da qua… ndo ho incontrato il ra…gazzino, ho iniziato a ricordare. Non molto, ma almeno… parte di quella vita che credevo di aver perso. So come mi chiamo, anche se non ricordo i volti dei miei… genitori. Tutto ciò che mi rimane è il nome di mio fratello e… parte della mia storia. So solo che… ero una prostituta. Sono finita all’Inferno per questo. Mi… mi hanno uccisa. Ero una delle ignote vittime che la guerra dei cent’anni si lasciò alle spalle e il… mio corpo non fu mai tro… vato.-
Dumah solleva gli occhi al cielo e improvvisamente ti accorgi che sono lucidi, stanchi come quelli di una vecchia. I ricordi fanno male, lacerano l’anima, e Dumah ne è la prova vivente. La guardi spezzarsi, spegnersi goccia dopo goccia ma, nonostante tutto, ella continua a parlare.
-Forse è per questo che sono diventata così. Una prostituta ero in vita, e tale sono stata anche dopo, quando Lucifero mi trasformò in demone. Gli piacevo per questo… ma non era questo che volevo essere, e ho capito di potermi ribellare troppo tardi.-
Una lacrima le sgorga dall’occhio destro e ti stupisci nel constatare che non un barlume di sangue rossiccio la contamina. Quella lacrima è umana, adamantina, pulita come pianto di infante. E fa male, perché adesso sai che alla fine, giunta al traguardo di una vita incompiuta, Dumah ha trovato la sua tanto agognata umanità. Morirà così, con la consapevolezza di aver scoperto quella scintilla a lungo cercata e mai innescata davvero.
-Io… prima di diventare prostituta, fuggii da un’imboscata degli inglesi. Scappai, lasciandomi alle… spalle mio fratello. Il mio fratellino, la persona più… importante della mia vita. L’ho ricordato qua… quando ho visto Stiles e la sua… stupida faccia da santa…rellino. Se si fosse fatto gli… affari suo… suoi, io sarei sopravvissuta. Però… però…-
Dumah abbassa gli occhi, li fissa in quelli di Valefar. Lo sguardo di lei è dolce come non mai e adesso non piange più. Al contrario, sorride con dolcezza non sua, che le trasfigura il volto di nuova luminosità, una luce affettuosa, gentile, angelica. Stringe un’ultima volta la mano di Peter, poi lo lascia andare in un tacito invito che lo prega di liberarla, di voltarsi dall’altra parte.
Ma lui non lo fa. Non ci riesce, così come anni addietro non riuscì a impedirsi di guardare la sua famiglia che ardeva, consumandosi tra le fiamme di un Inferno privato di fiamme, dolore e suppliche mai ascoltate. Per quanto possa sembrare paradossale, Peter non è uno che si volta dall’altra parte. Lui guarda la morte in faccia e prega spesso che questa si porti via anche lui.
-Essere troppo bella per questo mondo non fa di te una prostituta. Mi sento offeso: non amo le donne facili, e di certo quelle stesse donne non fanno per me.-
Dumah sorride stancamente, il capo che poco a poco perde forze e si abbassa.
-Ho… aperto il portale per… consentire a… mio fratello di uscire dall’Inferno, di vedere il mondo sotto stesso ordine di Lucifero. Volevo che… vivesse, volevo vederlo ridere, non torturare le persone. Quello non era lui. Non lo riconoscevo.-
Valefar trema, indietreggia mentre Dumah lo guarda un’ultima volta, il barlume di un sorriso sereno sul volto.
-Sono fiera di te, fratellino.-
E allora cade il silenzio mentre Valefar stringe le labbra e serra gli occhi disperato. Quel viso, adesso lo ricorda. Quel viso sa di famiglia, di casa. Dumah ha il suo stesso volto affilato, i suoi stessi zigomi alti e gli occhi dal taglio appena orientalizzato. Riesce a immaginarla da ragazzina, magra e sporca di sangue, debole e fragile come fiore in sboccio che il mondo troppo presto ha deciso di strappare.
Sua sorella. Dumah è sua sorella.
Valefar crolla. Non l’ha mai fatto prima, ma ormai non ce la fa più. Ha abbandonato sua madre, ha odiato inconsapevolmente una sorella che per anni l’ha protetto e osservato da lontano. Ha sbagliato tutto, ed è colpa sua. Adesso, Dumah muore per difenderlo.
Ormai a pezzi, Valefar cade in ginocchio e si aggrappa alle gambe della sorella, stringendola all’altezza delle ginocchia. Le bacia la mano libera, sporcandosi il viso di sangue innocente, il sangue che entrambi condivisero e ancora adesso condividono. Il sangue di sua sorella.. Della sorella che credeva di aver perduto, della sorella che l’ha sempre guardato, protetto, aiutato a sua insaputa.
Il suo angelo custode.
-Esmeralda… perché non me l’hai detto? Perché?!- grida distrutto. Solleva a stento il viso per incontrare quello sereno di Dumah, che ormai non ha più nulla di demoniaco ma appare calma e bellissima come il più splendido degli angeli. Un angelo dalle ali spezzate, l’ennesima vittima senza nome che quella guerra cancellerà inesorabilmente.
-Perché non volevo che mi giudicassi, Alexander. Volevo… guardarti da lontano, proteggerti, anche se mi avresti odiata. Va bene. Avrei distrutto il mondo intero solo per vederti sorridere. Sono egoista, sono un demone. Però… non credo di aver mai fatto scelta più giusta di questa.-
Valefar singhiozza forte, si aggrappa nuovamente alle gambe della sorella e le bacia le ginocchia, i polpacci, la parte esterna delle cosce. Piccoli gesti di prostrazione, piccole richieste di perdono. Ma lei non ha nulla da perdonargli perché non l’ha mai incolpato di qualcosa. Valefar le ha lasciato i ricordi più belli del mondo coi suoi sorrisi, con le sue battute, con l’avanzare della sua vita umanizzata. Dumah lo ha visto crescere e innamorarsi, e questo è il regalo più bello che Valefar le abbia fatto. Non è più solo.
Ormai, Dumah non c’è quasi più: lo guarda un’ultima volta, sorride, vorrebbe stringergli la mano e baciarlo sulla fronte come non ha mai fatto davvero. Poi, vorrebbe salutare tutti e baciare Peter sulle labbra perché quel licantropo pazzo ed egocentrico le ha insegnato molto e non l’ha mai abbandonata.
Vorrebbe, ma non può.
Le prostitute non baciano, non amano, non servono a null’altro che al piacere altrui. Eppure, quella prostituta non è come le altre e scopre l’amore proprio adesso, riflesso negli occhi azzurri di un uomo che uomo non è. Si specchia nella placida calma di quel colore, perdendosi nelle onde dell’oceano più puro che esso riflette. Mentre chiude gli occhi, Dumah si immagina intenta a passeggiare su una spiaggia, finalmente libera e felice, mano nella mano con quell’uomo che in pochi giorni le ha dato quel qualcosa che nessuno in tanti anni ha voluto regalarle. Spinge lo sguardo al largo e vede Valefar correrle incontro, con Lydia sulle spalle che ride e gli bacia una guancia. Più in là, c’è il resto del branco, con Stiles che la chiama e allarga le braccia in un muto invito caritatevole, come angelo che spalanca le porte del Paradiso.
Dumah sorride, esala un ultimo respiro proprio mentre il vento si quieta e finanche i dannati serrano le labbra, prostrati dalla serena accettazione di una creatura che per ribellarsi, per cambiare le carte in tavola e salvare ciò che resta della sua famiglia, ha dato tutto, ogni parte di se stessa.
Adesso, su quella spiaggia, Dumah ci corre davvero ed è bellissimo.
Finalmente, si sente a casa.
 
“Per me si va nella città dolente,
Per me si va ne l’etterno dolore,
Per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
Facemi la divina potestate,
La somma sapienza e ‘l primo amore;
Dinanzi a me non fuor cose create
Se non l’etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate.”
 
Perché il mondo va avanti? Perché il suo girare non si interrompe quando accade qualcosa di brutto come un pagamento troppo alto di un errore fatale, non voluto, che la vita tuttavia non risparmia? Respiri interrotti, battiti cardiaci spenti, anime che s’infrangono come specchi durante l’ultimo ansito disperato di giovani vite attaccate alla sopravvivenza.
Il mondo non si ferma mai. Va avanti, continua a muoversi e i suoi abitanti voltano la faccia dall’altra parte, troppo sensibili a quella morte che massacra troppe vite. Ognuno pensa soltanto a se stesso e prega spesso di non essere il prossimo, ma a piangere quell’anima perduta, son ben pochi soggetti. Paradossalmente, l’Inferno si rivela adesso più vivo e umano dell’umanità terrena.
Dinanzi al grido agonizzante di un fratello che ha appena perduto quella parte di famiglia che credeva già persa da tempo, l’Inferno si zittisce.
I dannati smettono di urlare, il vento sferza con minor intensità e il silenzio pare cadere su ogni girone, dove demoni e dannati si bloccano e alzano la testa, incuriositi dall’infrangersi cristallino di gocce che non si rivelano sanguigne. Lacrime come quelle, pure e ricolme d’amore, hanno il potere di sciogliere qualsiasi superficie ghiacciata, qualsiasi cuore di pietra, qualsiasi animo impazzito.
È buffo a dirsi, ma a piangere come un bambino è proprio un demone. Giovane, biondo, dai chiari occhi azzurri inondati di quelle lacrime che gli ripuliscono la pelle e i vestiti. Abbraccia con forza un corpo abbandonato e sanguinante, impalato contro il muro della montagna ghiacciata.
-ERA MIA SORELLA!!!- grida, ed è un urlo così forte, così raccapricciante che appiattisci le orecchie al cranio e chini il capo, distrutto. Crolli a sedere, serri gli occhi perché Dumah è l’ennesima vita che non hai potuto salvare, l’ennesimo prezzo troppo alto che il tuo branco ha pagato. Ti sorprendi a pensarlo, perché dopotutto, anche se inconsciamente, hai iniziato a pensarlo davvero. Quanto tempo fa hai smesso di considerarla una minaccia? Quanto tempo fa l’hai inserita nella cerchia ristretta della tua sgangherata famiglia?
Valefar continua a singhiozzare mentre Peter, ancora immobile e con gli occhi serrati, stringe forte la mano gelida di Dumah. Scott piange a bassa voce, piegato in due dal dolore, ma tu non hai più la forza neanche per disperarti.
-Dobbiamo andare.- sussurra Peter all’improvviso, spezzando l’innaturale silenzio venuto a crearsi. Ha ancora gli occhi chiusi e soffre in silenzio, da vero Hale. Chiunque scambierebbe il suo atteggiamento per freddezza, ma tu sai, tu vedi che tuo zio sta piangendo lacrime invisibili, amare, innamorate.
Innamorate. Peter. Non vuoi crederci, ma a guardare la sua espressione, quello è l’unico pensiero che ti salta in mente. Innamorato. Peter amava Dumah? Non lo sai, ma speri di sbagliarti se anche pensi che sia così.
-Non posso lasciarla qui…- mormora Valefar e tu sai che ha ragione. Tu stesso non hai lasciato tua sorella Laura a marcire in un bosco, quindi non puoi pretendere che Valefar faccia diversamente.
Stai per ritrasformarti e replicare alla battuta di Peter, quando il vento ricomincia a soffiare più forte e con più violenza. Nuovi tagli si aprono sul tuo corpo e per poco le raffiche non ti spazzano via. I dannati ricominciano a singhiozzare e a gemere piano e poco a poco ti accorgi che l’Inferno si sta risvegliando. Tutto ciò che puoi sperare, è che anche i suoi abitanti demoniaci non siano tanto svelti nel riprendersi o sarete nei guai.
-Valefar!- esclama Scott, con le lacrime che si congelano sul viso e la brina tra i capelli.
Peter china il capo, ancora saldamente aggrappato alla mano gelida di Dumah come se non volesse lasciarla andare mai più. Ringhia a bassa voce con una rabbia animale che quasi non riconosci perché intrisa di un’impotenza disperata, sofferente.
-VALEFAR!!!-
Facendo eco al richiamo di Scott, uggioli forte e gli azzanni un polpaccio con tutta la forza che hai. I denti penetrano il jeans di Valefar e sfondano il muro di carne e muscoli fin quasi a toccare l’osso ma sai che il demone è quasi immune al dolore fisico perciò lo scuoti, facendolo quasi cadere ed è allora che Valefar si riprende. Sbatte le palpebre, stringe i pugni e chiude gli occhi.
Senti il suo cuore accelerare i battiti e sai che sta per accadere qualcosa, un eccesso di rabbia demoniaca che nessuno di voi riuscirà ad arrestare. La stessa rabbia che si ripercuote in Peter, in Scott, in te. Siete furiosi con Satana e Dio, furiosi con l’Inferno che ha lasciato morire una martire silenziosa e senza colpe.
Pagheranno. Tutti quanti.
Gli occhi di Peter si illuminano, così come accade ai tuoi e a quelli di Scott, che brillano vermigli nel candore del girone infernale. La vostra rabbia si diffonde a ondate in ogni direzione, spaventando nuovamente i dannati, facendo vibrare le ombre che lentamente Valefar sta richiamando. Le senti attaccarsi al tuo pelo, alle zanne, agli occhi. Questa oscurità non ti schiaccia, ti potenzia. Ma c’è qualcos’altro con te, una forza benigna che non viene da Valefar o dall’Inferno. Qualcuno ti tocca il pelo, vi protegge dal vento incessante che continua a ferirvi e improvvisamente, una nuova ondata di energia si contrappone a quella dell’Inferno stesso, facendo tremare ogni girone, ogni dannato, ogni demone.
Sollevi la zampa.
Scott alza il pugno.
Peter carica un colpo di gomito.
Valefar solleva un piede.
C’è ancora speranza, c’è ancora vita in voi. Raggiungerete l’obbiettivo ad ogni costo, e lo farete per Dumah, per Alastor, per tutti gli innocenti massacrati in nome di una battaglia senza nome e senza volto. Combatterete per vincere, forti di una benedizione che né Dio, né Lucifero vi hanno regalato.
Delle ombre umanoidi si addensano intorno a voi, presenze che si aggrappano alla vostra energia e la potenziano. Non sai chi sono quegli individui, ma senti che sono lì per aiutarti.
“Coraggio, tesoro.”, mormora una voce di donna, ed è allora che la riconosci. Tu e Peter avvertite la presenza della vostra famiglia, di quegli Hale morti in battaglia o bruciati vivi in una casa che da tana sicura si è trasformata in una trappola micidiale. Insieme a loro, sopraggiungono altri che non riconosci, ma che invece riconoscono Scott o Valefar.
Non siete soli.
Tutti insieme, abbattete i vostri colpi sul ghiaccio sottostante, esercitando una rabbia folle e senza freni che sfonda la superficie e buca ancora una volta il girone. Il ghiaccio si apre in un crepaccio, rivelando ancora una volta un agitarsi di corpi maciullati che giacciono incastrati come vermi ma si dimenano ancora, spargendo sangue dappertutto.
Vi lasciate cadere nel crepaccio, stavolta senza paura. Dall’alto della vostra discesa, caricate un nuovo attacco diretto alla superficie ghiacciata della Tolomea, dove i dannati, traditori degli ospiti, giacciono col viso rivolto all’insù e gli occhi congelati.
La violenza dello schianto quasi ti spezza tutte le ossa del corpo, ma  non vi fai caso perché adesso avverti la presenza del tuo traguardo, il respiro di Stiles, il suo calore, la dolcezza del suo tocco.
Quando colpite il ghiaccio per la seconda volta, intravedi una figura al tuo fianco; una creatura incappucciata che cala la mano scheletrica accanto alla tua zampa, sfiorando il terreno insieme a te e stavolta disintegrandolo in un crepaccio che quasi si sbriciola intorno ai corpi distrutti dei dannati.
Continuate a cadere, stavolta con meno foga perché il vento vi coglie più impetuoso che mai e vi sballotta via, sparpagliandovi. Il tuo corpo tocca il suolo, scivola, si abbatte di schiena contro uno spuntone affilato che quasi ti trapassa. Senti la spina dorsale fremere ferita e speri di riuscire a rialzarti perché se non vi riparate subito, il vento vi farà letteralmente a pezzi. È come essere infilati in una centrifuga insieme a mille coltelli affilati che maciullano e tagliano, spezzano e feriscono. Senti le ossa scricchiolare mentre tagli profondi si aprono nel tuo corpo, massacrandolo.
“Alzati, figliolo!”, urla una voce maschile al tuo fianco. Quel timbro somiglia tanto al tuo, roco e morbido allo stesso tempo. Sai a chi appartiene.
Apri lentamente gli occhi, fissando la sagoma indistinta di tuo padre. Vorresti chiamarlo, rialzarsi come dice lui, ma non ce la fai. Forse hai tutte le ossa spezzate, forse stai morendo davvero e sei tanto stanco. Chiudi gli occhi, esausto, e lasci che il dolore ti invada le membra insieme alle grida dei tuoi imperdonabili peccati.
Cosa credevi? Che recuperare Stiles ti avrebbe risollevato dalle tue colpe? Sei un assassino, un bugiardo, un traditore. Appartieni a più gironi infernali che ai boschi della Terra dove sei cresciuto.
“ALZATI!!!”
Qualcuno ruggisce in lontananza. È un ruggito feroce di bestia impazzita, un suono talmente potente da far tremare il ghiaccio e il cielo plumbeo. Quel suono assopisce momentaneamente il vento, dandoti modo di respirare a pieni polmoni aria rarefatta e nociva che già ti mangia gli organi e la pelle, bruciandoti le narici. Tremi di freddo e di dolore, riconoscendo sul tuo pelo più sangue di quanto possano contenere le tue vene. Tra i dannati sepolti totalmente nel ghiaccio, fatti a pezzi, dalle fattezze ormai irriconoscibili e impossibili da ricondurre a un aspetto umano, intravedi Peter e Scott che lentamente cercano di rialzarti. Valefar li protegge con le immense ali blu e nere, ma sembra esausto anche lui e per la prima volta intravedi un’ombra di paura e dolore fisico sul suo volto.
Lì i demoni non scendono mai, e se la Divina Commedia è esatta, sai anche perché.
La Giudecca è l’ultimo girone, il più feroce dell’Inferno. Lì, tra il ghiaccio e il sangue, è incastrato lo stesso Lucifero che con lo sferzare delle sue ali fa a pezzi i dannati, traditori dei benefattori. Spingi lo sguardo più in là, verso il manto di nebbia, dove una figura immensa e oscurata dal buio muove gli arti in ogni direzione.
Stiles…
Ti rialzi a fatica, ignorando la debolezza e il dolore degli arti spezzati. Non sai come fai a muoverti, con tutte quelle ferite addosso e più ossa rotte di quante potrebbero consentirti la sopravvivenza. Raggiungi quasi strisciando i tuoi compagni, chiedendoti perché il vento si sia calmato.
-Dove siamo?- mormora Scott, ansimando. Ha il volto coperto di sangue, entrambe le spalle lussate e un ginocchio spezzato. Come immaginavi, nessuno di voi guarisce, il che significa che siete in guai seri. Tu ti senti ormai prossimo alla morte, vedi appannato e respiri a stento. Ti senti un’ombra, la carcassa già spezzata di qualcosa che non sarai mai più.
Ti accasci al suolo, ansimando a stento.
-Mio dio…- esala Peter, guardandoti. Senti i suoi occhi su di te e ti chiedi cosa pensa in quel momento, vedendoti debole e stremato, morente come qualsiasi anima lì dentro.
-Derek! Derek, alzati!- esclama Scott, sofferente. La sua voce è coperta da un nuovo ruggito, un nuovo ringhiare feroce. Hai paura di quel suono perché nessun demone fino ad ora ha mai prodotto un ringhio tanto folle.
-Chi diavolo è che ringhia così? Lucifero?- sbotta Peter, cercando di vedere oltre il muro di ali di Valefar.
-Lui… no. No.- mormora debolmente il demone. –Dobbiamo tornare indietro. Subito.-
Non puoi credere alle tue orecchie. Avete perso Dumah per arrivare fin lì e adesso Valefar pretende che escano di lì senza Stiles. Cerchi di protestare, ma non riesci nemmeno ad alzare la testa. Hai freddo.
-Che… cavolo dici?- ringhia Scott. –Abbiamo fatto tanto per…-
Ma improvvisamente un nuovo ruggito lo interrompe, stavolta accompagnato dal cigolio di catene.
Valefar sospira pesantemente. –È tardi, ragazzi.-
Chiude lentamente le ali, rivelando la creatura alle sue spalle.
-Troppo tardi.-
È allora che ti sembra di scivolare inesorabilmente in un abisso di paura e follia. Tu, che hai combattuto innumerevoli battaglie; tu, che sei sopravvissuto al massacro della tua famiglia. Tu, che vedi sgretolarsi davanti ai tuoi occhi ormai quasi ciechi l’obbiettivo più importante della tua vita.
La creatura è quanto di più bello e spaventoso tu abbia mai visto in vita tua. Fiera come una pantera, feroce e terribile come un cobra sibilante di rabbia. Racchiude in sé tutto il fascino del peccato e tutta la sua malcelata pericolosità. Un re cornuto, più bello di quanto lo stesso Lucifero in tempi gloriosi sia mai stato.
Il demone è nudo, con pesanti anelli d’acciaio che gli incatenano collo, polsi e caviglie al suolo, laddove le catene annegano nel ghiaccio. Ha un fisico magro e scolpito, di quelli che attribuiresti a un velocista esperto, con pettorali e muscoli torniti, fianchi stretti, fondoschiena alto dal quale sbuca una coda lunga tre metri di un rosso cupo alla cui sommità sboccia una lama triangolare, metallica, brillante d’oro massiccio.
La pelle, massacrata da centinaia di migliaia di cicatrici, è squamata e simile a quella di un rettile e brilla di un intenso rosso e oro, con sfumature nere, cremisi, gialline, come di fiamma che danza impazzita tra le carni in un gioco di luci ipnotico e mai noioso, che potresti fissare incantato per ore senza stancarti mai.
Dai fianchi in giù, la pelle muta in pelo oro e vermiglio, innaturale su quelle scheletriche zampe di lupo che, per la loro magrezza, somigliano più a quelle di un levriero malnutrito. È un accostamento barbaro, che insieme all’esagerata muscolatura delle braccia, volte a sostenere quattro identiche lame per mano, lunghe come katane e dalla forma altrettanto piatta e sottile, quasi rovinano l’insieme. Quasi. Perché nulla potrebbe imbruttire quella creatura terribile e terribilmente affascinante, ferina, che trasuda folle dolore e altrettanta folle maestosità di leone ruggente.
Con riverenza, spingi lo sguardo oltre, verso le ali: sono quattro, enormi, con vele dorate e muscoli rosso scuro che colano catrame. Appaiono possenti, capaci di sradicare monti e asciugare i mari semplicemente sbattendo un paio di volte. Distruttive e bellissime, proprio come il loro proprietario.
Ti sembra quasi un crimine quando, guardando meglio, ti accorgi che anche le ali sono incatenate al suolo, bloccate da anelli che impediscono loro di spiegarsi.
Lungo le spalle, sulle clavicole e incastrati sulla parte esterna delle braccia troppo muscolose, da culturista, coperte di vene e nervi tesi allo spasimo, vi sono file intere di punte acuminate di un nero acceso. Le stesse punte che si riscontrano lungo i tendini del collo e sulla linea della mandibola morbida, sulle sopracciglia, sotto gli occhi, ai lati della fronte, dove salgono per sbocciare tra i capelli scuri in quattro gigantesche corna ondulate di un nero intenso e ammaliante. Le labbra sono tagliate da una linea sottile che separa mandibola e mascella come bocca di serpente, dando vita a zanne da predatore che di poco superano il mento. Le orecchie sono a punta e allungate, la pelle del viso martoriata dalle cicatrici e gli occhi…
Quegli occhi. Li conosci bene, vero? Dorati e bellissimi, dalla pupilla verticale e la cornea nera. Li hai guardati da vicino mentre vi baciavate, mentre scorrevi le tue mani sul corpo allora ancora umano, ancora puro di ogni forma di rabbia e macabro peccato.
Non vuoi credere che quella creatura tanto splendida quanto spaventosa sia lui. Il tuo lui. La tua anima, la tua speranza, la tua parte più pura e incorruttibile.
STILES.
Se mai prima d’ora hai sperato di morire, nessuna di quelle preghiere si paragona a quella che ti sboccia nella gola, viva e disperata di un dolore antico che ti esplode nel petto, massacrando ogni tua forza, ogni tua gioia di respirare. Vedi il demone opporre una fiera resistenza alla morsa delle catene, lottare fino a farsi sanguinare la pelle squamata. Lo vedi ringhiare bestialmente, fissarvi con un odio talmente scellerato che non lo riconosci, non se attribuito a quei bellissimi occhi dorati.
Quello non è Stiles. Non ha niente di lui, se non il volto e qualche vago aspetto fisico. Non vuoi accettarlo, non vuoi arrenderti alla realtà nuda e cruda di una situazione disperata che in realtà non ha mai avuto via d’uscita.
“Io non voglio essere un mostro”.
Senti ancora la sua voce, il suo pianto disperato. Non voleva essere un mostro, ma ora lo è, e tutto per colpa tua. Avevi giurato di proteggerlo, di impedire che tutto questo accadesse. Dove sono i tuoi giuramenti ora? Che ne è delle tue parole, della tua sicurezza dinanzi alla reale entità del danno che hai creato?
Hai spezzato un’anima, l’hai massacrata. Era la più pura dell’universo e tu l’hai sporcata col male che ti porti dietro da troppi anni.
-Stiles… no… ti prego, no.- mormora Scott, cadendo in ginocchio. Ha gli occhi sbarrati, le labbra schiuse e trema convulsamente, incredulo davanti all’orrore che assorbe il suo cervello. Lo guardi, e sai che anche quel tremito è colpa tua. Dovevi lasciare andare Stiles quando potevi, quando hai cominciato a capire che sei troppo piccolo e debole per lottare contro le potenze infernali. Sei stato arrogante come al solito e adesso altri pagano per te.
Dovevi capire, ma adesso nulla ti concede di tornare indietro. Stiles ha pagato un prezzo troppo alto e, insieme a lui, anche il resto del branco cadrà a pezzi.
Scott ha perso un fratello.
Lydia il suo migliore amico.
Allison e Isaac una persona cara.
Valefar e Peter hanno perduto Dumah.
E tu? Tu hai perso più di tutti perché non hai più niente: né cuore, né animo, né vita. Sei spezzato, vuoto. Improvvisamente, morire non è poi un’alternativa tanto brutta, ma prima devi fare una cosa.
Ignorando il dolore delle ossa spezzate che ti fanno tremare le membra, ti raddrizzi. Senza guardare gli altri, cominci a zoppicare pietosamente verso il demone, che strattona le catene con tutte le sue forze verso di te, verso la sua preda. Gli basterà un gesto per ucciderti, ma questo non ti preoccupa. Senza il fattore di guarigione, sei morto comunque.
-DEREK!!!- urla Valefar, ma tu continui ad avanzare.
Hai fatto tanta strada, hai perso così tanto… tutto per guardarlo in faccia un’ultima volta, tutto per dirgli e fargli capire ciò che stupidamente hai taciuto mentre Stiles ti abbandonava.
“Non te l’ho mai detto, vero?”
Vorresti chiedere scusa, a tutti quanti. Al branco per non essere stato degno di loro, allo Sceriffo Stilinski per avergli nascosto il ritorno del suo stesso figlio, alla tua  famiglia per non averli salvati da quell’incendio maledetto. Hai sempre preferito il silenzio, l’assenza di gesti e parole che ti rendessero umano, quando in realtà, l’umanità è tutto ciò che ti rende vivo. Che ti rende Derek Hale.
“Avremmo potuto vivere davvero, Derek…”
Il demone ruggisce con ferocia, strattona ancora le catene. Le senti cigolare pericolosamente e quasi non noti l’improvvisa fragilità di alcuni anelli. Non ti fermi, continui a camminare. Alle tue spalle, Peter, Scott e Valefar ti chiamano disperati ma non si avvicinano.
È una tua decisione, una scelta che porterai a compimento da solo. Hai bisogno di parlargli, di guardare da vicino quegli occhi, fosse pure per l’ultima volta.
“Perdonami, Derek…”
Le catene si spezzano di schianto e il demone… Stiles… è libero.
“Io…”
Il demone scatta, tende verso di te gli artigli affilati. Ti trapasserà da parte a parte, ti farà a pezzi senza riconoscerti, ma non ti importa. Non importa più nulla se Stiles non è lì con te, a sorriderti, ad abbracciarti, a baciarti.
È per questo che ti ritrasformi in umano e spalanchi le braccia in un gesto effimero, l’ultimo che ti concedi, l’ultima disperata richiesta di perdono.
Le lame guizzano, acciaio purissimo di purissima rabbia animale. Le vedi dirigersi verso il tuo addome, brillanti e bellissime come il loro inferocito proprietario. È il culmine di qualcosa che non ti aspettavi, una morte che non sa di amarezza ma di beata accettazione. Di perdono e liberazione.
Stiles ti ha insegnato a respirare, a ridere, a camminare sulla terra del mondo senza annerirne l’erba e i fiori. Gentilmente, come angelo travestito da demone, ti ha protetto dai tuoi stessi peccati e ti ha aiutato a portarne altri. Ti sei sentito leggero, libero, vivo.
Stiles ti ha donato la vita e ora lui te la toglie. Va bene, sei felice così. Morirai tra le sue braccia, laddove tutto è iniziato e laddove tutto finirà.
Il corpo si sbilancia all’indietro, l’impatto di qualcosa sulla pelle ti stordisce. Chiudi gli occhi, ti prepari perché sai già che ormai ogni tua barriera sta per cedere.
Stiles ti uccide. E tu… semplicemente parli.
“Ti amo.”
-Ti amo.-
Le tue braccia si stringono intorno al torace dell’altro, le punte acuminate della sua pelle ti feriscono la carne. Inspiri il profumo di Stiles, appellandoti alla felicità di quei ricordi che ti hanno condotto fin lì, tra le braccia della morte e della vita.
Senti le forze abbandonarti, le gambe cedere. Ma, per una volta, hai fatto il tuo dovere e sei soddisfatto di te stesso. Se restare all’Inferno significa gelare in eterno in quel girone tra le braccia di Stiles, lo accetterai con serenità, come se a stringerti fosse il Paradiso stesso, quello vero che non hai mai assaporato se non grazie a lui, a un angelo travestito da demone.
Il mondo si ferma lì, nel tocco di gelido cadavere che le tue braccia generano stringendo dolcemente l’unica vita che ti è stato concesso di conoscere, l’unico angelo che col suo solo sguardo ha saputo condurti oltre i cancelli della beatitudine, oltre Dio e il Diavolo, oltre gli angeli e i demoni.
Muori tra le braccia di Stiles Stilinski mentre per la prima e ultima volta, un sorriso vero di bambino ti sboccia sulle labbra e tu ritrovi quella strada che perdesti anni addietro, quando eri troppo giovane per conoscere il peccato. Sei felice, sei completo. Ma soprattutto, siete insieme. Ce l’hai fatta.
 
Angolo dell’autrice:
Amo i capitoli allegri. Accidenti, a volte mi sento più sadica di Martin… sì, l’artefice di tutto questo alla fine è Dumah. A causa sua sono morti degli innocenti, ma l’ha fatto per suo fratello. Voi avreste fatto lo stesso o non giustificate il suo gesto? Ammetto che… no, non sapevo nemmeno io che la colpa fosse sua. Quando inizio a scrivere una storia, i risvolti che accadono sono totalmente imprevisti anche per me, quindi quando ho scritto questa… cosa… ero sorpresa quanto voi. Ma, passiamo alle cose importanti: cosa ne pensate di Stiles demone? Vi è piaciuto? Lo immaginavate diverso?
Come al solito, spero col cuore di non avervi delusi. In ognuno di questi capitoli c’è un pezzo di me stessa, una piccola parte di quelle emozioni che prego giungano a voi, incoraggiandovi quando la speranza viene a mancare, emozionandovi quando ogni cosa vi crolla addosso. C’è sempre una speranza, finché qualcuno impara a crederci. Ed è per questo che ringrazio voi, che con le vostre recensioni siete riuscite a farmi piangere si felicità e incredulità.
Grazie a Giada_ASR per l’emozione che lascia trasparire da ogni parola che ha scritto.
Grazie a Justin_Onedirection_Smile per le lacrime di commozione che non ha mancato di farmi versare. Mannaggia a te!
Grazie ad Elenuar Black per la pazienza che dimostra continuamente nel lasciarmi sempre una parolina di incoraggiamento.
Grazie a Barbara78 per la dolcezza delle sue recensioni.
Grazie a _Sara92_ per i suoi commenti sempre bellissimi e mai noiosi.
Grazie Hollybane per il suo splendido entusiasmo.
Grazie a Slaveofadream per le sue parole commoventi e bellissime, che davvero… davvero non mi sarei mai aspettata.

 
Anticipazioni:
“Quando atterri dolcemente su una superficie fredda e dura, spalanchi gli occhi. I rumori si quietano e ti sorprende l’improvvisa e totale assenza di suoni e odori. Il mondo sembra essersi annullato, inghiottito da quel silenzio sepolcrale che preannuncia qualcosa. Qualcosa di brutto, probabilmente.
Appena realizzi dove ti trovi, resti senza parole: pavimento grigio, muri di un bianco abbacinante che danno all’ambiente quel po’ di illuminazione negata dal cielo totalmente nero, scuro come cappa di velluto.
Ti alzi lentamente, le quattro zampe che poggiano insicure ma intatte sul pavimento liscio e anonimo. Senti i cuscinetti aderire ruvidi, graffiare per non scivolare. E ti accorgi improvvisamente di essere privo di ogni ferita, intatto, come se non fosse mai successo niente. La mente di Stiles ti ha voluto così o è stata una cosa accidentale? Non lo sai e per ora non ti importa.
L’incappucciata ha detto che Stiles sta sparendo, che gli resta poco tempo. Ma cosa devi cercare in quel posto?”

Tomi Dark Angel
 

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Capitolo 24
*** Puoi Scegliere ***


“Non ti tenti, o uomo, ciò che luccica,
Poiché la luce riflessa vedrà a breve l’estinzione.
Guarda invece ciò che brilla,
Poiché una candela o un sole
Sanno espandere calore laddove
Il gelo di una luce morente non saprebbe arrivare.”
 
Vita e morte sono due identiche facce di una stessa medaglia. Si bilanciano, lottano tra loro, ma mai esse potranno sopravvivere senza l’altra. È un circolo vizioso, con un inizio e una fine volti a ripetersi, dove raramente le due facciate coincidono in un unico pezzo. È in quei momenti di impasse che ci si sente in bilico, sovrastati dalla sovrapposta potenza di due entità onnipotenti che lottano per decidere a chi spetta la decisione finale. Vita e morte, morte e vita.
Tu da che parte della medaglia sei caduto? A destra o a sinistra? Avanti o indietro? Non lo sai.
Hai ancora gli occhi chiusi, ma… qualcosa non va, ne sei certo. Non senti dolore, non senti freddo, non senti niente. Eppure, sei certo che l’aldilà infernale non dovrebbe essere così… sereno. Come se qualcuno ti avesse affondato in un placido specchio d’acqua, dove suoni e sofferenza appaiono ovattati e quasi nulli.
Rischiando il tutto per tutto, socchiudi le palpebre. E non credi ai tuoi occhi quando il gelido cielo nero della Caina si ripresenta al tuo sguardo, coperto da quattro enormi, lucenti ali demoniache, che colano catrame e… sangue?
Ti accorgi improvvisamente di essere a terra, col collo bloccato da… lame? Affilate, enormi, come quattro identiche sciabole sorrette da un braccio troppo muscoloso. Sono affondate nel ghiaccio, ai lati del tuo collo e ti inchiodano al suolo senza neanche toccarti.
Un corpo massiccio, nudo e troppo caldo, preme contro il tuo, ma non ti soffoca, né ti schiaccia. Qualcuno respira pesantemente nel tuo orecchio, ansima affaticato e capisci improvvisamente che quella creatura sta soffrendo da morire.
Sposti lo sguardo sul collo di Stiles, sul tremito convulso del suo corpo, sul volto bestiale che adesso… appare diverso. E quando incroci il suo sguardo lucido capisci perché.
Occhi umani. Niente cornea nera, niente iridi serpentine, niente sguardo folle e inferocito. Ti guarda con dolore e… amore. Uno sguardo dolce, gentile, che stona con la crudezza dell’Inferno. Quelli sono occhi d’angelo, occhi capaci di esprimere un unico, splendido sentimento in un solo attimo.
Occhi che parlano.
Occhi che vivono.
Occhi che amano.
Occhi di Stiles.
Improvvisamente, ricominci a respirare perché quel profumo sa di lui e ti avvolgi di quel calore che gli appartiene. Serri le mani sulla sua pelle e sorridi appena, commosso dallo sguardo di lui, dall’umanità che emana. È come tornare a casa dopo lungo tempo, lì dove ci si sente al sicuro, protetti, sereni. L’Inferno sparisce al cospetto di quegli occhi, il Diavolo stesso si piega davanti allo sguardo innamorato di Stiles.
Il tuo Stiles.
-Mi… mi dispiace… perdonami.- sussurri, stringendolo. Stiles sorride tremulo, distendendo le cicatrici e scoprendo appena la micidiale dentatura da leone. Continua a fissarti, non parla. Semplicemente inspira tremante il tuo profumo e dolcemente, come se fosse nato solo e unicamente per lui, ti sfiora la fronte con le labbra bollenti, dolci, incredibilmente morbide e delicate più di goccia di rugiada.
-Dispiace… anche… a me.- sussurra con voce flebile, stanca, che improvvisamente ti ricopre la pelle di brividi. L’idillio si spezza in un unico, brutale momento. Capisci allora che qualcosa non va.
Stiles sorride nuovamente mentre un’unica lacrima cristallina gli scivola tra le scaglie, incastrandosi in una grossa cicatrice obliqua che gli attraversa il viso da parte a parte. Un volto così bestiale non dovrebbe dimostrare tanta umanità, tanta dolcezza. Eppure è così, e ne sei affascinato perché non hai mai visto un demone più bello.
-Dopotutto… Dio è davvero dalla tua parte.- esala Stiles, sofferente. Trema, tossisce, e allora abbassi lo sguardo, dove qualcosa di luminoso, simile a stella tirata giù dal cielo preme adesso sul petto di Stiles, che aderisce al tuo. Un piccolo punto luce spacca le scaglie del demone, le fa sanguinare di quello stesso sangue che ti cola addosso, appesantendoti dell’ennesimo incubo.
Il crocifisso. Il crocifisso che ti ha regalato Stiles, quello che hai voluto indossare per proteggerti dall’Inferno. Un oggettino così piccolo, così fragile. Lo stesso che adesso lacera ogni difesa demoniaca del ragazzo che ami, lo stesso che… lo sta uccidendo.
“Il crocifisso, Deaton: dallo a Derek”.
Improvvisamente, ti chiedi quanto di tutto questo sia casuale. Non si tratta di un disegno divino, perché mai in vita tua hai chiesto questo. Perdere il tuo unico motivo di sopravvivenza, vederlo morire davanti ai tuoi occhi.
Ti prego. Tutto, ma non lui.
Stiles crolla di lato, tra le tue braccia. Ha gli occhi serrati, le labbra schiuse in un ansito disperato che ancora lo aggrappa alla vita e la pelle che poco a poco perde di lucentezza, come fiaccola che si spegne. Sulla candela della sua esistenza, sta soffiando il vento; senti quella stessa fiamma scivolarti tra le mani, allontanarsi, sparire. E improvvisamente, senti freddo e sei al buio.
Non c’è più il sorriso di Stiles a rischiararti la via.
Non c’è più il suo tocco a riscaldarti.
Non c’è più la sua voce a guidarti nei momenti più bui e difficili.
Non c’è più niente. Ti ha lasciato solo e al buio, cieco e sordo, muto e stanco. Ti senti cadavere molto più di prima, perché nessuna morte violenta potrebbe sovrastare un dolore tanto grande, tanto soverchiante.
-St… Stiles?- esali, appoggiandogli una mano sulla guancia squamosa. Le punte acuminate ti feriscono il palmo, incidono la carne come piccole stille di peccato che fanno male, bruciano più di qualsiasi altra ferita tu abbia mai sopportato.
Stiles ti guarda, respira a fondo. Nonostante il dolore e la stanchezza, si aggrappa  disperatamente alla vita, come un bambino appena venuto al mondo che ha ancora tanto da scoprire e ancora non vuole allontanarsi. Ha tanti ricordi, lì da dove viene. Una casa, una vita, una famiglia un po’ sgangherata di creature sovrannaturali che gli vogliono bene. Amici che lo aspettano, un padre che ancora oggi controlla la porta della sua stanza nella vana speranza di trovarla aperta e di veder tornare suo figlio. Poi, ci sei tu.
Stupidamente egoista, brontolone, sempre pronto ad arrabbiarti e difficile al sorriso. Non hai niente di particolare, niente di bello. Eppure, hai attirato l’attenzione dell’angelo più glorioso di tutti, quello che con ali spezzate giace adesso tra le tue braccia e non trema più. Ti fissa negli occhi, stanco e confuso, ma ugualmente bellissimo e caritatevole come è sempre stato. Il tuo Stiles, il tuo angelo.
-Ti prego, no.- sussurri, appoggiando la fronte alla sua. –Ti prego, ti prego, ti prego…-
Ma Stiles sorride appena e ti bacia la punta del naso con dolcezza di bambino, un gesto tanto familiare e innamorato che vale più di mille rapporti amorosi, più di mille gesti peccaminosi dediti al piacere corporale.
-Sapevo… che mi avresti trovato.- sussurra sulla tua pelle, e allora le lacrime affiorano e ti bagnano il viso, ripulendolo dal sangue e facendo bruciare i tagli che il vento ti ha provocato.
Tanta strada per riabbracciarlo, tanta strada per chiedergli perdono… e nei suoi occhi, non leggi neanche un barlume di accusa. Ti ha già perdonato da tempo, forse dal momento stesso in cui ti ha baciato. Ti perdona sempre, senza stancarsi mai.
Dio ha veramente scartato il suo angelo più bello, molto più di quanto sia stato Lucifero in gloria, quando aveva grandi ali piumate ed era reputato il servo di Dio più meraviglioso del Creato. Quell’angelo, quello che tu stringi tra le braccia, ha un aspetto animale che tuttavia si addolcisce e muta con la sincera pietà che leggi nei suoi occhi. Quel perdono che Dio ha sempre professato, quell’amore che gli angeli declamavano dall’Alba dei Tempi. Ora li vedi, ora credi. E tutto grazie a Stiles.
Ti strappi il crocifisso dal petto con rabbia e cerchi di lanciarlo via, ma la mano adesso umana di Stiles stringe la tua, più grande ma stranamente più debole e insicura.
-Non… gettarlo via, Sourwolf. Potrei o… offendermi. Te l’ho regalato… io.-
Sorridi tra le lacrime perché ancora una volta quello stupido ragazzino si rivela incredibile, con la sua voglia di scherzare e la battuta sempre pronta. Anche nella morte, riesce ad alleggerirti l’animo.
-Io… credo di aver appena assistito a un miracolo.- mormori, tornando ad abbracciarlo col pugno chiuso sul crocifisso per impedire che gli tocchi la pelle. –Grazie a te, ragazzino. Grazie a te credo nuovamente in qualcosa. Non in Dio, né in Lucifero; loro mi hanno deluso anni fa. Ma in te… in te ci credo davvero. Solo, ti domando un ultimo miracolo, ragazzino, un’ultima grazia. Lasciami essere egoista, lascia che chieda qualcosa per me stesso anche stavolta… non morire. C’è un mondo che ti aspetta, lì fuori. Ci sono io. Non sbattermi in faccia le porte di quel Paradiso che mi hai fatto scoprire. Il branco ha bisogno di te… io ho bisogno di te.-
Respiri piano contro la sua pelle e non trattieni più le lacrime che adesso bagnano il tuo viso e la sua spalla, scivolando tra le sue squame come acqua benedetta, salata e dolce allo stesso tempo. Piangi dopo tanti anni, e lo fai per tutti voi. Ogni lacrima cade in nome di Stiles, del branco, di Dumah e Alastor che non vedranno mai più la luce del giorno.
Quella guerra vi sta logorando nel profondo e nel profondo lascia tracce violente che vi consumano e vi cambiano. Alcuni non ce la fanno, altri si trascinano sull’insicurezza di una vita che potrebbe finire da un momento all’altro come sole che tramonta dietro una collina. Valefar ha perso una sorella, Stiles un’amica. Ognuno ha sacrificato qualcosa, ma sembra non esserci mai un prezzo abbastanza alto.
Sei stanco di perdere tutto. La tua famiglia, il tuo branco, il tuo amore. Paige è una macchia sulla tua anima, ma Stiles… Stiles si è portato via l’anima per intero. Se lui muore, di te non resterà più niente perché niente merita di restare.
-Figlio mio.-
Rabbrividisci, perché quella voce roca la riconosci.
Senza voltarti, ti aggrappi al corpo di Stiles che poco a poco si rilassa. Senti i suoi battiti rallentare, la sua pelle congelarsi perché privata di ogni singola scintilla di calore.
-Dobbiamo andare, figlio mio.-
Ma tu ti intrometti, ancora saldamente aggrappato al corpo di Stiles, che adesso… non parla più. Alzi lo sguardo e lo vedi, col volto rilassato e gli occhi socchiusi. Boccheggia appena, ma i suoi occhi perdono luce e consapevolezza, stanchi di un’anzianità che lo sta portando via, lontano da te, dalla tua vita.
-Stiles. Stiles, resta sveglio. Ti prego, un ultimo miracolo. Uno solo, per me. Non lasciarmi adesso, stupido ragazzino iperattivo… Resta sveglio!!!-
Urli a pieni polmoni, sfoghi la tua impotenza. Non accetti che quegli occhi siano chiusi, non accetti che la sua anima vada perduta per sempre. Hai bisogno di quella luce, di quella risata, di quelle battute stupide e nerd. Hai bisogno di Stiles.
Piangendo sommessamente, gli baci i capelli, le tempie squamate, le guance, il naso, il mento. Gli accarezzi la testa, mormorando a bassa voce che andrà tutto bene e per un attimo ci credi anche tu. Alle tue spalle, senti i singhiozzi di Scott e i lamenti di Valefar. Solo Peter resta in silenzio, pacato nella sua singolare maniera di trattenere il dolore.
Dio, se esisti…
Gli accarezzi la schiena, laddove le ali abbandonate non possono più volare.
… abbi misericordia.
Continui a baciarlo, giù fino al collo, con tocchi leggeri che scaldano il ghiaccio che ormai ricopre le squame. Baci gentili, innamorati, morbidi come carezze di piume d’albatro.
Salvalo.
Alle tue spalle, l’incappucciata resta ferma, col mantello che oscilla al vento. Ti fissa da sotto il cappuccio, studia i tuoi gesti innamorati e aspetta. Cosa? Chi? Non lo sai, non ti interessa. Tutto ciò che vuoi adesso è che Stiles ti guardi, che sorrida, che ti baci con quel calore gentile che ora manca al suo corpo.
Ti prego! INTERVIENI!!!
Dolcemente, ti chini verso il suo orecchio, pur continuando ad accarezzargli il capo. Parli adesso in nome di tutto ciò che hai perso, tutto ciò che non tornerà più indietro.
I tuoi genitori.
Tua sorella Laura.
Paige.
Dumah e Alastor.
Parli perché finalmente vuoi andare avanti, perché hai bisogno di voltare pagina. Per farlo però, hai bisogno di qualcuno che ti aiuti, qualcuno che ti afferri la mano e insieme a te chiuda il libro delle tragedie che ha sempre descritto la tua vita.
Adesso basta.
Non ti accorgi che alle tue spalle sono comparse delle figure evanescenti, dai bordi confusi e movimentati, come visti attraverso uno specchio polveroso. Persone vestite di bianco, con abiti e pantaloni luminosi che si sfilacciano in filamenti fantasiosi, come mossi dal vento in una miriade di polvere di stelle e lingue di luce sempre vive, spettri danzanti che ti sfiorano la pelle e i capelli.
Ascolta le mie preghiere. Stavolta, non ignorare la mia voce, la voce del branco, di un padre che ha perduto il figlio.
Da qualche parte nel mondo, lo Sceriffo di Beacon Hills guarda il cielo e pensa al suo Stiles, a quella stanza vuota che mai più vedrà abitata.
Ti prego.
Da qualche parte nel mondo, Lydia Martin guarda il cielo e prega di rivedere il suo migliore amico, quel ragazzo dal sorriso contagioso e la speranza sempre in piedi.
Ti prego.
Da qualche parte nel mondo, Isaac Lahey e Allison Argent guardano il cielo e silenziosamente sperano di rivedere un amico, una speranza, una vita finalmente portata in salvo.
TI PREGO!!!
Lentamente schiudi le labbra, stringi forte le dita sul tuo Stiles, sul tuo unico appiglio alla realtà. Fa male sentirlo freddo, ma non vuoi pensarci. Ti convinci invece che lui stia ascoltando, che sia vivo, che la sua anima non sia andata in frantumi per colpa tua.
E alla fine, parli.
-Ti amo.-
Due semplici parole che nella loro insignificante piccolezza scuotono l’Inferno e il mondo intero con la potenza del significato che racchiudono. A pronunciarle, è stato un licantropo morente, una creatura bisognosa di raggiungere il compagno da poco deceduto che mai sentirà la sua dichiarazione.
Una semplice dichiarazione però, non basta. Non esprime tutto l’amore che provi, tutta la devozione che ti lega con doppio filo rosso all’anima ormai perduta dell’unica ragione di vita che alla vita stessa ti aggrappava. Ti dispiace del poco che hai da offrire, del poco che hai offerto, ma va bene così.
Morirai lì, nel ghiaccio del girone più freddo e terribile dell’Inferno, quello dei traditori, ma sarai felice perché eternamente abbracciato a un corpo ormai gelido che veglierai per sempre, così come avevi promesso all’inizio. Il sole sorgerà e tramonterà mille volte e così faranno la luna, i giorni e le ere, ma tu sarai sempre lì, dolcemente stretto al candore della tua anima che mai più aprirà gli occhi per guardarti.
-Derek…- mormora Scott, ma dalla sua voce senti che ha già capito. –Dobbiamo… dobbiamo andare…-
Scuoti il capo, esausto. Hai perso troppo sangue e ormai il respiro rallenta, il battito cardiaco quasi si ferma. Non riuscirai ad alzarti e vuoi morire così, congelato nella posizione che ti sembra più giusta, più pura.
L’unico modo per rimediare ai tuoi errori.
Sorridendo appena, chiudi gli occhi e chini il capo, appoggiando la fronte su quella gelida di Stiles. Cerchi di scaldarlo con l’ultimo ansito del tuo respiro, col calore del tuo corpo. Gli sussurri parole rassicuranti, come se Stiles fosse ancora vivo e potesse sentirti.
Parli. Parli finché non ti manca la voce, finché ogni cellula del tuo corpo non si congela. E allora sei certo che andrà tutto bene, perché le tue ultime scintille di vita sono con lui, con la metà viva del tuo essere alla quale hai promesso devozione.
Il tuo lupo si addormenta, tu espiri lentamente.
-Figlio mio.- chiama ancora l’incappucciata. –Per intercessione delle preghiere del demone che adesso stringi tra le braccia, ti sono schiuse le porte del Paradiso. Vieni via con me e avrai la beatitudine laddove anche la tua famiglia ti attende.-
La beatitudine. Sarebbe beatitudine senza Stiles? Lassù c’è la tua famiglia, Paige, tutti coloro che hai perso e rimpianto per anni. Ti aspettano e già ti immagini mentre ti unisci a loro. Ma mancherà sempre qualcosa. Un brandello di felicità, una voce che parla troppo velocemente, una risata calda e allegra di ragazzo. Saresti un angelo, ma senza ali per volare. Quelle ali, dovresti lasciarle lì, all’Inferno.
-No.-
-No? Figlio mio, stai rifiutando la beatitudine. Non è il tuo posto qui.-
-Il mio posto è dovunque sia lui.-
Alzi faticosamente lo sguardo prima sull’incappucciata, poi su Scott, Valefar e Peter. Parli con gli occhi, chiedi di essere lasciato andare.
E dolorosamente, Scott accetta la tua richiesta e chiude gli occhi, voltando il capo dall’altra parte. Alle sue spalle, Valefar annuisce distrutto e Peter continua a fissarti, chiedendoti con lo sguardo se sei sicuro, se per te va bene così.
-Grazie di tutto. Il mio posto è qui adesso.-
L’incappucciata si immobilizza, il vento smette di soffiare. E improvvisamente, qualcosa cambia.
-Così sia, allora.- sussurra una voce cristallina, morbida come acqua di ruscello e limpida come i cieli più alti del Creato. Quella voce risveglia il tuo antico lupo, l’essere sopito che credevi già morto minuti addietro insieme alla tua metà.
Un piede nudo, pallido di un tenue bagliore argentato, poggia sul ghiaccio. Da sotto la pianta si irradiano allora minuscoli viticci e radici sottili che si espandono in ogni direzione, abbracciando il ghiaccio di filamenti colorati, vivi. Li vedi scendere nel suolo, abbracciare i corpi congelati dei dannati con dolcezza in una stretta consolatoria che nuovamente li fa piangere e sospirare. Stavolta però, il ghiaccio si scioglie appena e non congela quelle lacrime pentite e tanto importanti da essere più potenti del gelo stesso di Lucifero.
La giovane donna avanza, avvolta in una splendida veste bianca che col suo bagliore accecante soffoca le fattezze del viso nascosto sotto il cappuccio. Ha mani sottili,  unghie curate e un fisico di giunco magro e bellissimo, con seni alti e fianchi stretti. Pensi che sotto il cappuccio, debba nascondersi in realtà una donna magnifica, ma non sai se vuoi scoprirlo davvero.
-Figli miei.- mormora la nuova arrivata. –Avete percorso tanta strada e il vostro viaggio vi ha portati più in là di quanto abbiate sperato o semplicemente immaginato. I vostri occhi hanno visto troppo e troppo ha dovuto sopportare il vostro cuore. Posso sentirlo.-
L’incappucciata nera si raddrizza e ti affianca, come per proteggerti.
-Non pensavo che saresti giunta fin quaggiù, sorella.-
-Io giungo dove c’è più bisogno di me.-
-Non ti è mai interessato in tutti questi anni. Perché dunque adesso scegli di rivelarti a coloro che di te avrebbero avuto bisogno prima?-
Da sotto il cappuccio bianco, la donna sembra sorridere.
-Perché mai in tante ere i miei occhi hanno avuto modo di vedere un amore così grande. Avevo perso fiducia negli uomini, nel Creato stesso, ma adesso… adesso guardo loro due.-
Indica te e Stiles.
-E so che forse qualcosa di veramente benigno c’è davvero. Io, un amore del genere, pensavo di capirlo; ma la realtà è che soltanto ora mi accorgo di non conoscerlo affatto. È questa l’umanità che declamavi tanto, sorella? Questa meraviglia, che tuttavia conduce alla miseria?-
-La miseria è tale ai tuoi occhi, perché Derek Hale sceglie di restare all’Inferno. Ma ti è davvero così oscuro il concetto di completezza che insieme queste due creature emanano? Pensi davvero che un uccellino possa volare con un’unica ala o che un lupo possa sopravvivere con due delle quattro zampe spezzate? Noi, certe cose non le capiamo, ma l’umanità è qui per insegnarcele. La scelta di ascoltare è soltanto tua. Così come è nostra la scelta di ciò che accadrà adesso.-
La donna vestita di bianco inclina il capo, fissando Stiles. Poi, a sorpresa, solleva una mano e stiracchia le dita. Sul palmo si accende un piccolo nucleo bianco, lucente come la prima stella del mattino.
-Ascoltare gli umani… credevo di averlo sempre fatto, ma forse non è così. Sono vecchia, eppure ho ancora tanto da imparare.-
-Non si è mai vecchi abbastanza.- interviene Valefar con voce tremante. Cade in ginocchio, stremato, e fissando lo sguardo sul ghiaccio sottostante continua: -Abbiamo perso tante brave persone, per arrivare fin qui. Io ho perduto una sorella, i presenti un’amica, forse Peter Hale… addirittura una possibile compagna. Non vi chiedo pietà per noi o per Dumah e Alastor perché non ho diritto di veto sulla bilancia che contraddistingue le vostre stesse essenze. Solo… vi chiedo di lasciare andare Stiles. Prendete me, se necessitate di un sostituto, ma liberate lui.-
Valefar tende entrambe le mani, i polsi uniti come se si aspettasse di vedersi ammanettare.
-E me.- si intromette Scott, inginocchiandosi a sua volta e tendendo le mani. –Quello è mio fratello.-
Peter esita. –Non sono famoso per i miei gesti di eroismo. Faccio il possibile per sopravvivere, per non legarmi a nessuno. Però… questo ragazzino ha sempre avuto una gran bella faccia tosta e mi piaceva. A volte avrei voluto staccargli la testa, ma alla fine mi rendo conto che non è male. Sarei ancora una volta bugiardo se dicessi che non gli devo niente, perché Dumah era sua amica e io… non pensavo di avere ancora un cuore che battesse, nel petto. E poi, come ho già detto, un bel culetto come quello è patrimonio dell’umanità e non merita di restare quaggiù, dove nessuno può apprezzarlo.-
Senza inginocchiarsi, Peter protende le mani e snuda i polsi, sorridendo sornione.
-Avete anche me.-
L’incappucciata bianca indietreggia, la luce ancora sul palmo della mano.
-Perché tutto questo? Cosa ci guadagnate?-
L’incappucciata nera si inginocchia e dolcemente, con la mano scheletrica, accarezza il capo di Stiles. Non ti dà fastidio, anche perché stranamente, noti che il calore anomalo di quella mano morta scioglie la brina sui capelli e sulle corna di Stiles.
-Tu dovresti conoscere la risposta più di tutti, sorella mia, ma la verità è che sei stata così impegnata a esercitare il tuo dovere da non accorgerti della sua reale importanza. Cosa ci guadagnano? Una vita. E, insieme ad essa, un compagno, un fratello e un amico. Sulla Terra, c’è un padre che ancora prega per il figlio. Cosa ci guadagnano a consegnarsi così? Tutto, perché la vita è composta anche dal sacrificio e da ciò che si è disposti a fare per una persona cara. L’umanità è questa. Adesso, fai la tua scelta.-
L’incappucciata bianca esita, mentre i tralicci intorno a lei sbocciano in tanti piccoli fiori bianchi, rossi, viola, azzurri. Quell’esplosione di colori ti fa male agli occhi, ma stranamente ti appare come un segno, il segnale che qualcosa stia cambiando.
-Voglio darti una possibilità, figlio mio.- dice infine, stringendo la piccola stella fluttuante. –Alcuni di voi dicono che, metaforicamente, l’anima e i ricordi di un essere senziente siano un vero e proprio labirinto, un dedalo di pensieri e idee nel quale è difficile orientarsi. In verità, ritengo che mai idea sia stata più giusta.-
Tende verso di te la stella fluttuante, la ferma sotto il tuo naso come per fartela annusare. Tu la guardi, scruti nelle profondità cristalline di quel bianco gentile, abbacinante, che per brevi istanti ti incanta e ti fa desiderare di toccare quel germoglio lucente. Per qualche strano motivo, ti senti attratto da quella stella terrena e i tuoi occhi si riempiono della sua immagine come se non avessi mai visto niente di più bello.
-Riconoscila, figlio mio. Pensa bene.- sussurra l’incappucciata nera alle tue spalle.
Cominci a pensare alle parole della donna in bianco.
Anima. Dedalo di ricordi. Pura luminosità di stella. Anima.
-Stiles.- esali, esausto. –Quella… la sua anima…-
Stai guardando l’anima di Stiles, e non ne rimani deluso. È bella e calda, pura come quella di un neonato. Non hai mai visto niente di più bello perché hai davanti la sua essenza, la meraviglia totale del suo carattere, del suo aspetto, delle sue scelte. Una volta, disse che a forgiarci sono le nostre azioni molto più del nostro aspetto, e adesso capisci cosa significa. Stiles era un demone, una creatura infernale, eppure la sua anima è più pura di quella di qualsiasi beato.
Ha compiuto le azioni giuste, ha amato nel modo giusto, ha protetto la giustizia stessa. E alla fine, come diamante che sboccia dal nero carbone, così dal putridume di un demone feroce è saltato fuori un piccolo punto luce, la meraviglia di qualsiasi cristallo adamantino, il gioiello più prezioso dell’universo.
-Il suo io sta sparendo, figlio mio.- sussurra l’incappucciata nera. –Però a te è data la possibilità di vincere questa battaglia, così come lui ti affiancò nelle tue. Hai pochissimo tempo, ma dalla tua parte hai quella stessa speranza che il tuo compagno ti ha insegnato. Insegui il sole, raggiungilo. E, prima che sia tardi, abbraccialo e riportalo a casa.-
Prima ancora che tu riesca a rispondere che no, non hai la forza per fare nulla, neanche per alzarti in piedi, la donna in bianco ti preme l’anima di Stiles sulla fronte, sprofondandoti in uno spettro di colori che poco a poco sbiancano, conducendoti lontano, dove né uomo, né Dio sono mai arrivati.
 
“A l'alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e 'l velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,
l'amor che move il sole e l'altre stelle.”

 
“Papà? Dov’è mamma?”
“Io…”
“Papà?”
 
“Scott, sei un lupo mannaro! Devi fidarti di me e restare qui,
o ucciderai qualcuno!”
 
“Tu sei il prezzo. È stata tua madre a venderti.”
“No…”
“No? Leggi nei miei occhi la realtà dei fatti, ragazzo: sai che è vero.”
 
Si dice che affondare nei meandri dei ricordi sia un po’ come galleggiare, perdendo contatto con la realtà. Il corpo si alleggerisce, gli occhi guardano senza più vedere e lentamente, un pezzo alla volta, si sprofonda in memorie perdute e riprese, barlumi di pensiero che sono sempre stati lì.
Voci altisonanti affondano nel tuo cervello con stilettate rumorose, accompagnate da fruscii, pianti, risate, rumore di vetri infranti e di cristalli spaccati. Qualcuno lotta da qualche parte, qualcuno ride, altri ancora rovesciano sedie e fanno a pezzi fogli di carta o libri.
Continui a cadere, abbandonato come marionetta inanimata e troppo leggera. Non senti più addosso il fruscio di vestiti, ma anzi, ti accorgi di avere il corpo coperto di pelo nero e folto. La tua forma di lupo è ormai parte integrante della tua anima, figlia di emozioni trattenute e istinti animaleschi.
Quando atterri dolcemente su una superficie fredda e dura, spalanchi gli occhi. I rumori si quietano e ti sorprende l’improvvisa e totale assenza di suoni e odori. Il mondo sembra essersi annullato, inghiottito da quel silenzio sepolcrale che preannuncia qualcosa. Qualcosa di brutto, probabilmente.
Quando realizzi dove ti trovi, resti senza parole: pavimento grigio, muri di un bianco abbacinante che danno all’ambiente quel po’ di illuminazione negata dal cielo totalmente nero, scuro come cappa di velluto.
Ti alzi lentamente, le quattro zampe che poggiano insicure ma intatte sul pavimento liscio e anonimo. Senti i cuscinetti aderire ruvidi, graffiare per non scivolare. E ti accorgi improvvisamente di essere privo di ogni ferita, intatto, come se non fosse mai successo niente. La mente di Stiles ti ha voluto così o è stata una cosa accidentale? Non lo sai e per ora non ti importa.
L’incappucciata ha detto che Stiles sta sparendo, che gli resta poco tempo. Ma cosa devi cercare in quel posto?
Cominci ad avanzare, prima cautamente poi sempre più svelto. Se volasse anche solo una mosca da quelle parti, la avvertiresti grazie al pesante silenzio che grava tra le pareti.
Ti trovi a un bivio e automaticamente svolti a destra. Poi, un altro bivio, un incrocio con quattro entrate, uno con sei. Non ti orienti più, ma ogni istante che passa genera nel tuo cervello un pensiero terrificante che non vorresti vedere avverato. Troppi corridoi, troppe strade e nessuna mappa o segnale che ti indichi la via giusta. Odori assenti, rumori inesistenti e soltanto corridoi asettici che continuano, continuano all’infinito. Cominci a pensare che non ci sia fine a quella corsa. Il silenzio ti fa impazzire, così come il pensiero che Stiles stia morendo e che tu sia ancora lì, a correre alla cieca tra corridoi sempre uguali.
Silenzio, semioscurità, quiete.
Svolta a destra, a sinistra, dritto, ancora sinistra.
Quando svolti di nuovo e tiri dritto, ti trovi nuovamente al bivio iniziale, laddove sai di essere atterrato. C’è il tuo odore lì e sì, adesso hai la certezza di essere fregato.
Un labirinto. La testa di Stiles è un dannatissimo labirinto inodore, insonorizzato e sempre uguale.
Ti fermi disperato, la lingua di fuori e le zanne snudate in un ansito affannato e stanco.
Non c’è modo di uscire di lì, né di trovare una via logica. Hai osservato i muri in cerca di un indizio, una crepa, una macchia che mutasse appena quella situazione di impasse, ma non c’è niente. Niente di niente.
Ti guardi intorno, indietreggi fino a urtare il muro alle tue spalle. Hai le orecchie abbassate, gli occhi stanchi e sbarrati. Il silenzio è come una presenza che aleggia tre le mura, una creatura viva e affamata che poco a poco divora la tua sanità mentale, la tua forza di volontà, il tuo bisogno di andare avanti. Lì ti sono sottratti tutti i sensi, sostituiti da un senso di impotenza profondo e senza nome.
Ti accasci a terra, esausto. Ti tremano le zampe e non riesci a restare in piedi.
È tutto perduto. Stai correndo da ore, forse da giorni, col solo risultato di tornare al punto di partenza. Perché? C’è davvero una strada da seguire in quel dedalo di corridoi, o semplicemente stai perdendo tempo? Stiles potrebbe essere già morto, anche se non sei certo di come fare a capirlo.
Cosa devo fare?
Guaisci, confuso e frustrato. Ti fanno male le ossa, hai paura, sei stanco. Soprattutto, ti senti inutile. Ti chiedi cosa sarebbe successo se magari al posto tuo fosse subentrato Scott o addirittura Valefar. Avrebbero agito meglio? Avrebbero trovato una strada da seguire, una via logica che si riconducesse alla vera essenza di Stiles, quella che senti di non conoscere davvero?
Sei inadeguato, debole, troppo cieco per trovare la strada. Non salverai Stiles semplicemente perché al suo cospetto, sei troppo misero e troppo gelido, come un brutto anatroccolo paragonato a uno splendido cigno bianco. Tu non vai bene.
Chini il capo, sconfitto. Cominci a sentire freddo, ma forse non è nemmeno colpa del labirinto di corridoi perché lì non soffia un alito di vento. È come se l’intera mente di Stiles si fosse chiusa nel lutto e nel silenzio giudizioso di chi avverte l’alito della morte sul collo.
Dove devo andare?
Respiri a fondo per calmarti, stringi i denti. Non lo lascerai andare, non così. Ricordi le ultime parole di Stiles, la fiducia che ha sempre riposto in te, l’amore con cui ti ha guardato e sorriso senza mai accusarti di niente, perdonando ogni tuo sbaglio. E capisci che, se non riesci a trovare una via d’uscita, meriti di morire lì con lui.
Improvvisamente, come in reazione alla tua rinnovata presa di posizione, una folata di vento ti sfiora il pelo, accarezzandolo con dolcezza materna. E dal nulla, in accompagnamento al sussurro d’aria, ascolti qualcos’altro, due voci che conversano… il brandello di un ricordo.
“Che… che cosa pensi di fare, sfondare il muro a pugni?”
Drizzi le orecchie. Riconosci quella voce, ricordi quel ricordo. Ne hai la conferma quando un secondo timbro, che ti è sempre appartenuto, risponde con sarcasmo esagerato.
“Sì, Stiles; sfonderò il muro a pugni.”
“D’accordo fustaccio, vediamo questo pugno, questo terribile pugno: fa vedere.”
Ricordi quel momento. Stavate progettando di introdurvi nel cavò della banca per salvare Erica e Boyd, tenuti in ostaggio dal branco di Deucalion. Ma perché proprio questo ricordo è affiorato? Perché la mente di Stiles ha fatto una scelta così bizzarra?
Continui ad ascoltare, ma le voci non ci sono più e il vento ha smesso di soffiare.
Studi quel ricordo, le tue stesse parole in risposta a quelle di Stiles. Non ricordi tutto di quel momento, anche perché non amavi particolarmente quel bizzarro ragazzino petulante e iperattivo. O sì? C’era già qualcosa allora?
Sì, Stiles. Sfonderò il muro a pugni.”
Sfondare il muro a pugni… sfondare…
Improvvisamente, alzi lo sguardo sul muro che hai davanti. Bianco, intatto, senza crepe né imperfezioni. Di cosa sono fatte quelle pareti?
Come in risposta alla tua stessa insicurezza, un ricordo che ti appartiene affiora, ricordandoti un vecchio detto di tua madre Talia: “Se non hai strade da seguire, trova il modo di aprirtene una”.
Aprirsi una strada a mani nude. L’hai fatto altre volte e non ti ha mai spaventato così tanto. Ma adesso si tratta della mente di Stiles, dei suoi ricordi, delle sue emozioni. Fargli a pezzi il cervello non è una buona idea, anche se forse è l’unica via possibile. Arriveresti a tanto? Sarebbe giusto farlo?
Non lo lascerò qui a morire.
Spalanchi gli occhi, abbandonandoti a un ringhio animale. Lentamente ti alzi in piedi, saldo sulle zampe e sicuro delle tue scelte. Lo sei sempre stato e anche per questo Stiles si fidava di te. Eri un Alpha, sei un lupo. Devi affidarti al tuo stesso senso di libertà, ai tuoi istinti, al sentimento che lega la tua stessa parte animale alla creatura che ami. Ti fidi del lupo, ti fidi di Stiles.
Puoi farcela.
Irrigidendo i muscoli allo spasimo, spicchi una corsa verso il muro, verso la tua strada personale. All’ultimo momento, volti il capo e slitti lateralmente, schiantando la spalla massiccia di bestia contro la parete pallida. L’urto è talmente forte da incrinare il muro e farti scricchiolare le ossa, ma tu ripeti il gesto un’altra volta e una volta ancora, senza stancarti mai.
Ogni urto è un ricordo, una richiesta di perdono.
SBAM. Tu che ringhi contro Stiles, insultandolo e dandogli del fragile, inutile ragazzino.
SBAM. Tu che volti le spalle a Stiles, abbandonandolo al suo destino per pura rabbia egocentrica.
SBAM. Tu che lo graffi, diffidando del suo aiuto e delle sue parole.
Ogni colpo è una richiesta di perdono, un grido disperato che poco a poco abbatte la barriera del muro che colpisci ripetutamente, sfogando il tuo dolore, la tua impotenza, la tua frustrazione.
Perdonami, perdonami, perdonami.
Il muro cede di schianto, scaraventandoti oltre il corridoio con la forza di una palla di cannone. Quasi scivoli sul pavimento liscio di uno spogliatoio maschile, dall’odore penetrante e le pareti grigie. Deve appartenere a qualche struttura scolastica, perché oltre la porta chiusa riesci a sentire il chiacchiericcio di troppi ragazzini che passeggiano tra i corridoi, forse pronti a cambiare aula o a lasciare la scuola.
Perché sei lì?
Ti guardi intorno, avanzi guardingo tra gli armadietti, verso le docce. E lì, ancora vestito ma comunque seduto sotto il getto d’acqua aperto, c’è un ragazzino di circa undici anni dai corti capelli scuri e gli occhi dorati. Ha un livido sotto l’occhio sinistro e il labbro spaccato. Piange sommessamente, le piccole mani strette sulle ginocchia piegate e il corpo scosso dai singulti. Appare così piccolo, così fragile, ma ti ispira tenerezza come un cucciolo indifeso al cospetto di un gigantesco leone dorato.
Cerchi di nasconderti per passare inosservato, quando la porta alle tue spalle si apre.
Irrigidisci i muscoli davanti al ragazzino dagli occhi scuri e la pelle olivastra che avanza senza esitare, i grandi occhi fissi verso la doccia aperta. Ti oltrepassa in silenzio, corre dal più piccolo che ancora piange e lo ignora e con un gesto delicato chiude la doccia.
L’acqua smette di scorrere, lasciando come unico spacco del silenzio i singhiozzi del ragazzino, che in un tenero gesto di autodifesa si rannicchia con più forza e scuote il capo.
-Stiles.- chiama l’altro bambino, che dagli occhi e dalla mascella storta identifichi come Scott. Si inginocchia accanto all’amico, ignorando i jeans che si bagnano e la maglietta che comincia a inumidirsi quando abbraccia Stiles. –Perché non mi hai chiamato?-
-Non… non volevo che… pensassero che sono… un… un debole…- singhiozza Stiles sulla sua spalla, e allora provi l’ennesimo moto di tenerezza, l’ennesimo senso di innata dolcezza che quel bambino ti ispira. Era così allora, è così adesso.
-Ma tu non sei debole.- dice allora Scott, accarezzandogli la maglietta. –Tu sei la persona più forte e intelligente che conosco. Siamo forti tutti e due, proprio come Hulk e Thor. Ricordi la puntata che abbiamo visto stamattina? Quei due hanno combattuto insieme contro gli uomini cattivi e hanno vinto. Vinceremo anche noi, te lo prometto. Ma quando i bulli ti fanno male, devi dirmelo. Non è un male chiedere aiuto.-
-Lo diceva anche la mamma.-
E Stiles continua a piangere, singhiozza sommessamente sulla spalla del piccolo Scott. Ascolti la sua voce di vetro, guardi le sue mani ancora piccole e poco sviluppate, il piccolo corpo scosso dai singulti. È più magro, più gracile, ma ti sembra comunque bellissimo, come un fiore pronto a sbocciare.
Continui a guardare, resti immobile mentre le due figure sfumano e spariscono come spiriti evanescenti, lasciandosi alle spalle lo sgocciolio dell’acqua e il silenzio degli spogliatoi ora deserti.
Resti solo e al buio, chiedendoti cosa devi fare adesso. Grazie al silenzio devastante, ti accorgi che il chiacchiericcio dei ragazzi oltre la porta è ammutolito, il che ti lascia pensare che il ricordo sia finito, come un film tagliato sul più bello o messo in pausa. Devi trovare una strada per continuare o farà tutto da solo? Non sai quanto sia saggio provare a sfondare gli armadietti e il muro alle loro spalle.
Ti volti verso la porta… e ti accorgi improvvisamente che ce ne sono tre. Non una. Tre. Da dove accidenti sbucano?
Non è l’improvvisa apparizione delle nuove via d’uscita a preoccuparti. Ciò che ti inquieta è invece il ragazzo seduto per terra: appare stranamente familiare, con quella felpa rossa e il cappuccio calato sulla testa. Il fisico è magro e slanciato, la schiena curva. Da sotto il cappuccio, sbuca un inquietante muso di ferro e cuoio attraversato trasversalmente da una cinghia di pelle. Hai la sensazione che il ragazzo indossi una maschera animale, forse di lupo, ma non sei tanto ansioso di studiarlo da vicino, specialmente perché il ragazzo è impegnato ad affilare un coltello argentato dall’impugnatura sagomata e delle strane incisioni sulla lama.
-Brutta storia, amico.- dice con voce musicale, che riconosci con un brivido. Nonostante il corpo del ragazzo sia inodore, non puoi non ricordare quel timbro armonioso che già tante volte ti ha chiamato, cercato, invocato.
Stiles?
-Così tanto da fare… così poco tempo.- Il ragazzo si immobilizza, il capo ancora chino sul coltello e la maschera sinistramente in ombra. Non lo senti respirare, non avverti il suo battito cardiaco. E questo fa paura, perché non sai cos’hai davanti. –Fai con calma. Scegli bene.-
Il ragazzo ricomincia ad affilare il coltello, sfregandolo contro una lima d’acciaio. Non dice altro, non dà segno di averti notato davvero. Eppure, nonostante detesti l’idea, per andare avanti hai bisogno di aiuto e forse lui può dartelo.
Ti avvicini cautamente, odiando la tua forma di lupo che ti impedisce di parlare la sua lingua. Latri una volta, graffiando il pavimento umido con gli artigli poderosi per attirare la sua attenzione.
-Fai con calma. Scegli bene.-
Scegliere. Ti sta dicendo di scegliere.
Sollevi gli occhi sulle tre porte chiuse alle spalle del ragazzo. Lo noti solo ora, ma tutte e tre hanno il battente piuttosto basso, col batacchio a forma di testa di lupo. In realtà, non sei nemmeno sicuro che quel dettaglio sia sempre stato lì oppure no: niente ha senso in quel luogo, dove le porte si moltiplicano e i labirinti racchiudono ricordi nascosti.
Esiti, squadrando le porte con attenzione. Tutte e tre uguali, tutte e tre chiuse e silenziose. In base a cosa dovresti scegliere quale aprire?
-Scegli bene.- ripete Stiles, e allora capisci che il tempo sta diminuendo, che poco a poco la situazione non potrà che peggiorare. Scegliere una strada forse non è la cosa giusta da fare, anche perché lì non ci sono vie sicure da seguire.
Con giudizio, scegli la porta a destra. Sembra più distante dal ragazzo e dal suo coltello e la cosa non può che rassicurarti. Sei certo che quello non sia davvero Stiles, ma non avresti la forza di attaccare qualcuno che ci somiglia tanto, né sei molto ansioso di perdere tempo in uno scontro dagli esiti incerti.
Lentamente, aggiri il ragazzo. Non lo perdi mai di vista, ma quando raggiungi la porta sei costretto a distrarti per un istante, costretto a impennarti sulle zampe posteriori per appoggiare il muso alla maniglia e abbassarla. In quel breve lasso di tempo, ti affidi totalmente ai tuoi sensi, stando attento a percepire il minimo movimento, il più piccolo cambiamento del ragazzo che tuttavia continua imperterrito ad affilare la lama.
-Così tanto da fare. Così poco tempo: fai con calma.-
La voce del ragazzo appare spettrale, inquietante. Improvvisamente, la senti più roca e insicura, quasi stanca. Prima di attraversare la soglia, ti volti per guardarlo, ma ti stupisci… di non trovarlo più lì. Al suo posto, ci sono un coltello, una maschera di cuoio e ferro e dei vestiti.
Avanti. vai avanti.
Attraversi la soglia, improvvisamente inquieto. Non riesci a toglierti dalla testa la voce del ragazzo, le sue parole. “Scegli bene” significa… cosa? Che una sola delle tre porte è quella giusta? E le altre due cosa racchiudono?
Ti guardi intorno, cercando di orientarti. Scopri all’improvviso di trovarti davanti ai vecchi ruderi di casa Hale, al centro della radura che racchiude la proprietà. È giorno, e il sole picchia con insistenza sul capo dei due soggetti immobili e intenti a fissarsi che sembrano non averti notato. Riconosci con un tuffo al cuore uno dei due ragazzi, ma l’altro… l’altro? Alto, biondo e bellissimo di una magnificenza ultraterrena, pericolosa, gelida come il ghiaccio. Non lo conosci, ma hai paura di come fissa Stiles, che nel frattempo comincia a tremare e stringe i pugni lungo i fianchi, nervoso e spaventato.
Vederlo così fa male, brucia come fuoco nelle vene. Vedi una goccia di sudore scivolargli sulla fronte, le labbra strette e l’incarnato troppo pallido, quasi mortifero. Odi vederlo così spaventato, specialmente quando non puoi proteggerlo. Sai che quello è un ricordo, che non puoi intervenire. Però ti detesti perché Stiles sta soffrendo e tu… tu stai a guardare. Non può vederti, non puoi toccarlo, non potete neanche scambiarvi un’occhiata quando invece tutto ciò che ti occorre per ritrovare il coraggio è proprio un suo sguardo.
-Il giovane uomo, Derek.- dice improvvisamente il ragazzo biondo con voce talmente musicale che per un momento barcolli, come se ti stessero sussurrando una ninnananna. –Non portarlo via con te.-
Gelo. Improvvisamente, all’udire il tuo nome pronunciato da quelle labbra perfette ma pericolose, ti fa sentire freddo. È come una minaccia sussurrata, un avvertimento che lo stesso Stiles percepisce con un brivido. Lo vedi piegarsi su se stesso, incurvare la schiena mentre gli occhi perdono lucentezza, come se qualcuno avesse spento la fiamma di una splendida stella nascosta in quelle iridi meravigliose.
Stiles si spezza lentamente, davanti ai tuoi occhi, in un ricordo che non puoi cambiare. E, ancora una volta, tu non c’eri.
-La tua anima è nera, Stiles, e tu resterai dannato a vita, fino alla fine dei Tempi. Restando al fianco di quell’uomo, stai lasciando che la tua anima contamini la sua.-
Non sai perché ringhi, non sai perché il tuo cuore si spacca in milioni di frammenti sottili, irrecuperabili, dinanzi all’ennesima tortura che Stiles ha dovuto subire. Vorresti ululare di rabbia mentre lo vedi frantumarsi, crollare in ginocchio, accasciarsi tremante come uno splendido cervo dalle zampe spezzate. È l’ennesima ferita che gli spezza quelle invisibili ali d’angelo, l’ennesima percossa alla quale per pura innocenza incassa senza reagire. Per te. Sempre per te.
Ti domandi all’improvviso quanto abbia fatto Stiles in nome tuo e a tua stessa insaputa. Ha sollevato i monti, spostato i mari, rivoluzionato l’universo semplicemente per raggiungerti, per vederti, per starti accanto. Come unica ricompensa, ha accettato un sorriso e una carezza, un insulto e l’ennesima ferita.
Si può amare così una persona? Può un’anima dannata insegnare amore a chi di dannato non ha ancora nulla? Pare strano, eppure per voi due è così. Stiles ti ha insegnato tantissimo, ti ha mostrato le magnificenze dell’amore vero, di quelli che soltanto i poemi più antichi riescono a raccontare. E ora capisci. Sai con certezza perché sei lì, sai perché è valsa la pena attraversare l’Inferno fino a consumarti le zampe e soffrire tanto al solo scopo di raggiungere un’anima dannata ma tanto pura da amare senza riserve.
Lo faresti di nuovo, mille e mille volte, e questo perché anche tu non chiederesti niente in cambio se non uno sguardo, una parola, o addirittura una ferita. Accetteresti qualsiasi cosa, solo perché il mittente sarebbe Stiles.
Hai capito.
Improvvisamente, Stiles e il ragazzo biondo si arrestano, come se qualcuno avesse cliccato su un fermo immagine. Restano immobili, bloccati in pose statuarie che non riesci a smettere di fissare.
Poi, il cielo comincia a oscurarsi. Una colata nera, simile a macchia d’olio che si allarga, soffoca l’azzurro sulle vostre teste e comincia lentamente a espandersi. Come un quadro che si scioglie, guardi casa Hale annerirsi e sparire, seguita subito dopo dagli alberi, dall’erba, dal mondo intero. Tutto diventa nero, lasciandosi tuttavia alle spalle solo le figure di Stiles e del ragazzo, ancora pietrificati. Non sai nemmeno più dove poggi le zampe e hai paura di muoverti perché la porta che prima era alle tue spalle non c’è più.
-Così tanto da fare. Così poco tempo.- sbotta una voce poco lontano. –Fai con calma.-
Quando ti volti, vedi lo stesso ragazzo di prima, dalla voce e dal fisico identici a quelli di Stiles… ma qualcosa è cambiato. La felpa è nera e, da sotto il cappuccio calato sulla testa, sbuca l’ennesima maschera d’acciaio, dipinta di nero  e con una cinghia di cuoio stretta trasversalmente sul becco appuntito da uccello. Uccello, non più lupo.
Stavolta non indietreggi, ma non riesci a staccare gli occhi dal familiare coltello cesellato che il ragazzo continua ad affilare meccanicamente, senza stancarsi mai. Quello è rimasto immutabile, al contrario dell’intero abbigliamento del giovane. Perché?
-I cerchi si ripetono. Sempre, sempre, sempre. È tutto una grande partita a scacchi, un gioco pericoloso di pedine troppo fragili per restare in piedi o troppo pesanti per essere mosse. Si diventa inutili, si muore. Ma siamo solo scacchi. Chi azzarda la prossima mossa? Chi muove i pezzi? I cerchi si ripetono. I cerchi si ripetono.-
Il ragazzo parla con voce cantilenante, come se stesse raccontando una favoletta. Solo che quella favoletta fa paura, sa di minaccia, e canticchiata con tanta semplicità ti inquieta ancora di più.
-Scegli bene.-
Dall’oscurità alle spalle del ragazzo, emergono due porte, come immagini scolpite in rilievo. I battenti hanno la forma di una testa di corvo, molto simile alla maschera indossata dal ragazzo ma allo stesso tempo molto più realistiche. Hanno qualcosa di familiare, ma non riesci a capire dove hai già visto teste simili.
-Scegli bene.-
Stavolta, oltrepassi il ragazzo senza esitare. Ti tieni comunque a debita distanza dal coltello, ma non temi un suo attacco. Non temi niente: dall’altra parte potrebbe esserci Stiles, il tuo Stiles. Quello vero, senza maschere e lame affilate tra le mani. Il ragazzo che sorride, scherza, gioca agilmente con due metri di coda e puntualmente rischia di decapitarlo in un attacco di terrore momentaneo. Il suo Stiles, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti.
Pensi questo mentre attraversi la soglia della porta di sinistra… e, una volta atterrato, vorresti essere rimasto dall’altra parte, al buio, tormentato dai sussurri del ragazzo con la maschera.
Vorresti, perché adesso sei all’Inferno.
Non riconosci l’ambiente, ma i gemiti che ti circondano e le urla che svettano in lontananza contro il cielo plumbeo e privo di luce o astri ti suonano familiari.
Quel girone dell’Inferno (se di girone si tratta) è composto da rocce affilatissime e spuntoni taglienti che sbucano dappertutto, ferendo e trafiggendo come crocifissi i piedi dei dannati posti in file disordinate al cospetto di Minosse, più grosso e terribile che mai. La sua coda pelosa, coperta di piccoli uncini, oscilla nevrotica intorno al suo corpo, come una presenza sinistra e inferocita, una serpe che mai va a dormire.
Con angoscia, ascolti i pianti dei dannati, le loro lamentele e li guardi cadere in ginocchio o distendersi al suolo, laddove gli spuntoni lacerano loro le carni, squartandole e facendole a pezzi, maciullate da piccoli strumenti di tortura. Ti accorgi che gli spuntoni e le rocce sono coperte di sangue e corrose dal sale delle lacrime, ma stranamente non ti feriscono le zampe, come se una barriera invisibile ti facesse camminare a diversi centimetri da terra.
Un dannato si fa avanti zoppicando, il volto coperto dalle mani e il corpo nudo chiazzato di sangue. Ha un’aria così patetica, così piccola e fragile al cospetto del monumentale Minosse che quasi hai paura di guardare.
-O tu, che venisti in codesto loco di dolore, dimmi: quali, dunque, son le tue colpe?- domanda, ringhiando.
-Sono innocente!- mugola il dannato, accovacciandosi sulle rocce taglienti nel vano tentativo di difendersi dal suo giudice. –Non ho colpe, né peccato contro Dio Onnipotente!-
Bugia. Anche se non avverti alcun odore, riesci quasi a fiutarla. Lo leggi nell’atteggiamento del dannato, nel terrore che gli scuote le membra. Sa egli stesso di mentire, e di certo l’ha capito anche Minosse, il giudice dell’Inferno.
Ti aspetti ormai che Minosse lo sbrani lì, davanti a tutti, per punirlo della menzogna, ma ciò che accade semplicemente ti lascia stranito.
Minosse si sporge verso il dannato, i piccoli occhi assottigliati e le narici dilatate.
-Sai che posto è questo?-
-Io…-
-Sai chi ci finisce qui?-
-N… no.-
-Menzogna!-
La coda scudiscia, si abbatte come una frusta sul dannato. Gli aculei penetrano nella carne, affondano implacabili come tante piccole maledizioni violente, macabra punizione per l’ennesimo peccato compiuto. Il dannato grida e si contorce, ma ormai il resto della coda sta già facendo il suo lavoro: si avvolge stretta intorno al corpo dell’uomo, soffocandolo e piantando gli aculei più a fondo, ripetutamente e con violenza. Al solo vederlo, ti fa male.
-SUICIDIO.- ruggisce Minosse con tale potenza da scuoterti la terra sotto le zampe. Strattona la coda così forte che per un attimo pensi di vedere il dannato sfracellarsi in un milione di anelli scomposti, tagliato di netto dagli aculei, ma ciò non accade: in una nuvola di oscurità, il dannato scompare, lasciandosi alle spalle solo tanto sangue e l’eco di un ultimo gemito che inutilmente ha invocato la pietà Divina.
-Il prossimo!- ringhia Minosse, ritirando la coda.
Non hai bisogno di voltarti per sapere chi sarà la prossima vittima. Quelli sono ricordi, appartengono a un unico soggetto, ma… ma vorresti non vedere questo. Per quanto codardo appaia, vorresti girarti dall’altra parte, chiudere gli occhi e tapparti le orecchie perché non ce la fai a vederlo in uno stato simile. Pagheresti qualsiasi prezzo per impedire a quella coda di accostarsi a Stiles, lo sostituiresti in ogni tortura; tutto, pur di evitare l’inevitabile.
Quando odi i passi leggeri del tuo allora umano avvicinarsi, ti volti tremando. E alla fine, come un raggio di sole nell’oscurità di un buio perpetuo, lo vedi. Ancora troppo magro e fragile, ancora ragazzino. Nudo e pallido, col corpo coperto di nei, ti sorprendi a osservarlo da vicino con un brivido: nonostante non abbia ancora sviluppato i muscoli, le sue braccia sono già sottili e longilinee, i fianchi stretti, seppur acerbi, e le gambe lunghe e affusolate. Il fondoschiena è ancora poco sviluppato, ma ti fanno quasi ridere i tre piccoli nei disposti ai due lati della curva morbida dei glutei.
Stiles Stilinski appare emaciato, dal colorito grigiastro e col corpo coperto di tagli ed ematomi. Ha i piedi lacerati, le unghie spezzate e le mani totalmente devastate. Eppure, nonostante tutto, i suoi occhi appaiono calmi come placida bisaccia, fissi sul volto bestiale di Minosse, che per la prima volta resta interdetto: chi è quel piccolo, fragile umano disposto a guardarlo in viso con occhi tanto gentili? La gentilezza, quella vera, all’Inferno non esiste. Eppure…
-O tu, che venisti in codesto loco di dolore, dimmi: quali son dunque le tue colpe?-
Sorprendentemente, Stiles non risponde. Continua a fissare Minosse, piccolo e coperto di sangue e sporcizia, con occhi scavati e l’aria placida di chi non teme nulla.
-Non mi parli? Sai tu che è mio potere spedirti nel girone peggiore di codesto loco?-
Stiles sta zitto.
-Rispondi al tuo giudice!-
È allora che Stiles affila lo sguardo, sorprendentemente aggressivo e gelido dinanzi a una creatura mostruosa, micidiale più di qualsiasi arma e pronta a spedirlo nel girone più profondo dell’Inferno.
-Non sei il mio giudice.-
-No?- ride Minosse, snudando le zanne poderose. –Sai chi ci finisce qui, giovane fanciullo?-
-I colpevoli.- risponde Stiles con semplicità. –Ma questo è un processo a senso unico. Dimmelo tu che peccato ho commesso.-
Minosse sbatte le palpebre, stordito. Ancora una volta, appare interdetto al cospetto di quel ragazzino troppo coraggioso o troppo stupido che, contro ogni aspettativa, non appare minimamente spaventato dalla situazione. Mai prima d’ora, gli era capitato un soggetto simile.
Lentamente, Minosse lo scruta e si protende verso di lui, inspirando più volte col naso schiacciato da facocero. Corruga le sopracciglia, inclina il capo, annusa ancora.
Stiles resta immobile e non gli stacca gli occhi di dosso. L’unico segno visibile del suo nervosismo, sono le mani strette a pugno, ma non sapresti dire se quello è un gesto di rabbia o di paura.
Minosse si ritrae con calma, scrutandolo. –Innocente.- sussurra, e improvvisamente non pare più così spaventoso. Si ingobbisce, abbassa lo sguardo. –Chi, dunque, quivi ti ha mandato? Bada bene, anima, che se tu sei qui di tuo volere, non ti sarà semplice uscire così come lo è stato accedere.-
-Sono un condannato innocente. Sconterò la pena di mia madre.-
-Non fiuto rancore in te.-
-Perché non ne provo affatto.-
Minosse si immobilizza, stupito per l’ennesima volta . –Io non giudico gli innocenti, ma i colpevoli.-
-Conosci la verità, ma non ti chiedo di adottarla. Tuttavia, sei un giudice: non siete forse i precursori della verità stessa?-
Minosse esita. –Cos’è la verità?-
E improvvisamente, le figure si bloccano di nuovo, il paesaggio si annerisce e tutto ciò che resta sono Stiles e Minosse, cristallizzati in quella posizione statuaria. Prima ancora che il nuovo arrivato alle tue spalle parli, tu già ti volti.
-Così tanto da fare. Così poco tempo. Fai con calma.-
Anche stavolta, il ragazzo giace seduto, con le gambe incrociate e impegnato ad affilare il suo fedele coltello. La felpa è grigia, la maschera di cuoio e acciaio nuovamente mutata. Il muso è più corto, tanto che la cinghia trasversale che lo lega è quasi troppo larga per passare. Eppure, non puoi non riconoscere quel volto bestiale che quasi annega nell’oscurità sotto il cappuccio: un furetto.
Ti immobilizzi improvvisamente, cercando di collegare i pezzi. Senti che c’è qualcosa, che quelle maschere non cambiano a casaccio. Nonostante il ragazzo sia lo stesso, il “volto” cambia. Perché?
Chiudi gli occhi, concentrandoti. Elenchi nella mente le maschere che hai visto, in rapida successione. Tre in tutto.
Un lupo. Un corvo. Un furetto.
Tre animali, tre creature diverse. Le uniche cose che non cambiano, sono il ragazzo e il coltello.
Stranamente, ripensi al momento in cui hai visto per la prima volta le cicatrici di Stiles. Le hai viste come pezzi di storia, una mappatura fitta e dettagliata di una vita intera. Una vita.
E se quella stessa vita fosse rappresentata da tre diversi animali, rappresentanti tre fasi di un momento importante del circolo vitale?
Il lupo. Tutto è iniziato da lì, vero? Il morso di Scott, gli Hale, il branco.
Fase uno: vita.
La vita di Stiles si è poi evoluta, è cambiata radicalmente. Un patto a doppio taglio l’ha condannato all’eterna dannazione… sottraendolo alle cure dei lupi per affidarlo a quelle di un’altra creatura, un amico che mai più lo ha abbandonato.
Il corvo. Diablo. La storia continua così.
Fase due: morte.
Poi, l’Inferno lo ha sputato fuori per mandarlo alla ricerca di qualcosa che per Stiles ha significato nuova speranza, un piccolo punto luce che inconsapevolmente lo ha fatto respirare, gli ha concesso nuova vita.
Il furetto. Diaval, il famiglio di Dumah.
Fase tre: rinascita.
Ora capisci tutto. Sai perché hai l’aspetto del lupo, sai perché quel ragazzo ti segue. Ma resta un ultimo punto interrogativo, un’ultima domanda senza risposta.
Ti avvicini cautamente, gli occhi posati sul coltello. E alla fine, capisci anche questo. Non sai come riesci a decifrare le incisioni, non sai come facciano i tuoi occhi a schiarire l’arcano significato di quei simboli che inizialmente apparivano bizzarri e basta. Ma adesso puoi vederli davvero. E capisci.
Su un lato del coltello, le incisioni sono rosse, sull’altro azzurrine. Stranamente, sai già cosa rappresentano, cosa significano. L’attaccamento morboso che dimostra il ragazzo nei confronti di quell’arma, il suo continuo affilarla, come se si aspettasse qualcosa da essa. Qualcosa come… una decisione importante.
Inferno o Paradiso?
Il coltello è un’arma violenta, addetta all’attacco e alla difesa, se lo si sa usare. E quel ragazzo, ora come ora, non sa chi attaccare e da chi difendersi.
Ma c’è un’altra scelta, lo sai bene. Tu la conosci, anche se a quanto pare, non la conosce lui.
Lentamente, allunghi una zampa e la appoggi sulla mano del ragazzo, quella che impugna il coltello. Ignori la porta alle sue spalle perché stavolta, non vuoi scappare da lui, ma scegli di aiutarlo. Di guidarlo.
Il ragazzo si immobilizza, alza il capo. Dai due buchi sagomati che forano la maschera, gli occhi brillanti d’oro fuso ti scrutano in attesa, calmi e indecisi.
“C’è un'altra strada”, vorresti dirgli. “C’è tutto ciò che mi hai insegnato, c’è una via che tu stesso hai scelto inconsciamente di costruirti. C’è il branco, c’è tuo padre… ci sono io. C’è la tua famiglia, quella vera”.
Il ragazzo continua a fissarti mentre lentamente e con cautela, azzanni senza stringere la punta della maschera e tiri: la cinghia si slaccia di colpo, il cappuccio scivola sulle spalle. E, quando la maschera da furetto cade a terra, dimenticata su quel pavimento nero e inesistente, puoi finalmente vederlo.
È come guardare il sole e la luna insieme, dopo troppo tempo trascorso nell’oscurità: fissi il suo volto, ti abbeveri del suo respiro. E ricordi improvvisamente, che gli angeli esistono, e non tutti hanno ali piumate. Alcuni somigliano semplicemente a piccoli ragazzi buffi con le lentiggini e il naso all’insù. Il tuo angelo custode, finalmente l’hai trovato.
“Stiles”.
Quando Stiles abbassa gli occhi sulla tua zampa, ancora posata sulla lama del coltello, non esiti ad attirare nuovamente il suo sguardo con un guaito.
Lasci che a parlare siano gli occhi, quelle iridi blu elettrico che Stiles ha detto di amare. Lo fissi, perché nello specchio del tuo sguardo avverti il riflesso di mille cose non dette, mille promesse da mantenere.
“Puoi scegliere”.
Stiles trema, perché forse ha capito. Lentamente, le sue dita si allentano e gli occhi si riempiono di lacrime. Sta crollando davanti ai tuoi occhi come il ragazzino che è sempre stato, finalmente umanizzato da quei sentimenti che ha sempre represso per apparire forte in presenza di chi non lo ha mai conosciuto davvero.
“Puoi scegliere. L’hai sempre fatto. Fallo di nuovo, un’ultima volta”.
E il coltello finalmente, cade a terra tintinnando. Stiles stiracchia le dita, rivolge il palmo all’insù per farlo combaciare alla tua zampa. Ogni cosa scivola al suo posto quando gli occhi di Stiles si schiariscono, brillano di luce ritrovata. Ti fissa per qualche istante, per un attimo temi che non ti riconosca.
Poi però, il miracolo accade e piangendo, Stiles ti stringe a sé, affondando le mani nel pelo, aderendo il corpo al tuo. Profuma di buono e di pulito e le lacrime che ti bagnano il manto le avverti come carezze benedette sulla pelle.
Impennandoti sulle zampe posteriori, appoggi i cuscinetti sulla sua schiena in una stretta che di animale, ha ben poco. È finita, puoi sentirlo. Stiles è lì, e forse, per la prima volta in vita tua, ce l’hai fatta davvero.
Chiudi gli occhi, emozionato. Finalmente puoi sentire di nuovo gli odori, e ti sembra di sbocciare nuovamente lì, tra le braccia dell’unica persona che abbia mai conquistato ogni parte di te, ogni aspetto del tuo io, ogni sfaccettatura della tua personalità. Il tuo lupo interiore si inchina alla dolcezza di quel ragazzo che già di suo, ha piegato l’Inferno steso.
Senza sapere perché, inizi a ridere… una risata umana, viva, felice. Non ridi così da anni. E improvvisamente, ti accorgi che le zampe si son fatte mani e il muso non esiste più. I tuoi occhi sono ancora blu, li senti pizzicare, ma quando ti allontani per guardare Stiles in viso, non ti curi più di nulla se non del piccolo tesoro che stringi tra le braccia e che mai più lascerai andare.
Dolcemente, Stiles ti accarezza il viso con mano leggera più di un’ala di gabbiano. Respira la tua aria, ti fissa con una devozione infinita più del cielo, più del mare e dell’universo. Quelli, sono occhi profondamente innamorati e quasi non puoi credere che quell’amore eterno e vivo sia rivolto proprio a te, così imperfetto e inadatto al tocco di un bellissimo angelo.
-Derek.- ti chiama Stiles, sorridendo. –Grazie.-
Non sai cosa accade dopo semplicemente perché tutto ciò che riesci a fare è protenderti verso di lui per baciarlo senza esitazioni. Toccarlo è tutto ciò che desideri, il compimento di una vita intera.
Ma le vostre labbra non giungeranno mai a toccarsi semplicemente perché qualcosa accade e il buio vi inghiottisce, trascinando con sé ogni cosa, ogni ricordo. Stavolta però, è cambiato qualcosa: al cospetto di quell’ultima sfida, al cospetto di Dio e Satana stessi, vi stringete le mani e lasciate che ogni cosa segua il suo corso. Adesso però, siete insieme.
 
Angolo dell’autrice:
Eeeh… sì. Ho aggiornato di nuovo. Questa storia mi costringe a lavorare di notte ormai, ma sto cercando di aggiornare in tempo per evitare di raggiungere Agosto. Abbiate pietà! Prima di decompormi la posterò finita, promesso! Ma passiamo ai ringraziamenti! Sì, i ringraziamenti. A voi, miei splendidi demonietti che mi spingete a lavorare tanto duramente, di giorno e di notte, senza mai stancarmi. A voi, che mi premettete di scrivere ancora e quasi riuscite a convincermi che io sappia scrivere un po’ più di due stupide parole in fila. A voi dedico questa storia, per quanto misera, poiché è attraverso i vostri commenti che Valefar, Dumah, Stiles, Derek e il branco vivono ancora, capitolo dopo capitolo. All’inizio nutrivo ben poca fiducia in questa storia, al punto da non volerla pubblicare. Ringrazio pertanto colui che mi ha convinta a farlo, poiché senza i suoi incoraggiamenti, Legion sarebbe rimasta nel dimenticatoio. Grazie di cuore. I vostri commenti significano molto per me e sul serio, ogni volta non mancate mai di stupirmi, perché certi complimenti non me li aspetterei mai, mai e poi mai. Col cuore in mano, mi inginocchio al vostro cospetto. Grazie.
Elenuar Black
Sophi33
Giada_ASR
Barbara78
Fangirl_mutante_SHIELD
Justin_Onedirection_Smile
_Sara92_

 
Anticipazioni:
“-Ha ragione.- interviene Valefar, gli occhi improvvisamente vitrei ma fissi sulla cappa di oscurità. Non sembra spaventato, ma c’è qualcosa di sbagliato nel suo atteggiamento, nella sua postura rigida. –È l’unica via d’uscita.-
Si volta lentamente, gli occhi fissi in quelli di Stiles, che poco a poco comincia a capire, a decifrare quello sguardo vuoto.
-Valefar…-
-Mi dispiace, dolcezza.-
E allora Valefar lascia andare Scott e Peter, che precipitano nel vuoto con due identici gridi terrorizzati. Li vedi piombare come marionette tra i filamenti oscuri, sfiorarli e continuare a cadere.”

 
Tomi Dark Angel
 
 

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Capitolo 25
*** Torni Indietro Chi Morte Non Teme ***


“La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro.
Leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare.”
 
I miracoli accadono difficilmente. Sono diamanti rari, antichi, che quando si palesano agli occhi di chi guarda, hanno il potere di cambiare ogni cosa, a cominciare dagli avvenimenti di una vita intera. Qualcuno resuscita, respira di nuovo, e improvvisamente, le cose si raddrizzano. C’è chi ha pensato di morire insieme al rinato, chi si è visto cadere e in quella caduta ha scoperto lo sbocciare di splendide ali perché di esse vi era bisogno per risalire.
Tu non hai mai creduto nei miracoli. Sono invenzioni effimere, bizzarri eventi scientificamente spiegabili che nulla hanno di magico o divino. Nulla.  
Eppure adesso, mentre le grida e il gelo dell’Inferno tornano a squarciarti l’animo, ti accorgi che qualcosa è successo. Il destino ha scelto di mutare, di evolversi, di nutrire per te quella pietà tanto invocata e mai mostrata prima.
Il sibilo del vento ti brucia i timpani fin quasi a farli sanguinare, ma stranamente… non avverti sulla pelle i graffi delle raffiche che dovrebbero travolgerti. C’è calma, serenità, e il gelo ti tocca appena. È come se qualcosa si fosse frapposto tra te e l’Inferno stesso, uno scudo invalicabile che nemmeno Dio e Satana o la disperazione stessa dei dannati possono abbattere.
-Derek!-
Qualcuno ti chiama come da molto lontano, richiamandoti al risveglio totale. Lasci che i sensi riprendano possesso del tuo corpo e finalmente, ricordi: il labirinto, i ricordi, il ragazzo con le maschere. Lupo, corvo, furetto. Poi cosa è accaduto?
Faticosamente, cominci a recuperare tutti i fili dei ricordi, li afferri, li percorri con dita invisibili di trepidante aspettativa. E alla fine, rivedi il viso di Stiles mentre la maschera cadeva tra di voi, ricordi il bacio mai dato che ha innescato il verdetto finale del tuo viaggio più importante.
Di colpo, apri gli occhi sul viso di Scott, pallido e preoccupato. Ti fissa con occhi sbarrati, rossi ma tremanti di lacrime. Al suo fianco, c’è Peter, ma non guarda te.
Lentamente, segui il tragitto del suo sguardo fino a incontrare… ali. Tre paia di arti luminosi, da pipistrello, dall’ampiezza talmente immensa da coprire quasi per intero il cielo plumbeo sulle vostre teste. Sono come cupole iridescenti, luminose di pietre preziose e splendide fiamme covate tra vele e ossa, tessute non da Dio, ma dalla capacità ammaliatrice di Satana stesso. Riesci a distinguere i riflessi blu e neri del paio più vicino, per poi passare all’oro e al cremisi danzanti delle quattro ali più ampie, tanto luminose da eguagliare lo splendore accecante del sole stesso.
Segui con lo sguardo le ossa longilinee che sporgono dalle vele, sorreggendo elegantemente le meraviglie più splendide che mai nessuno all’Inferno si aspetterebbe di trovare.
Al centro di quell’intricato intreccio di ossa, muscoli e vele di seta, vi è una schiena sottile, coperta di cicatrici terrificanti che ancora sanguinano copiose, coprendo di rosso le punte acuminate che seguono la spina dorsale, i fianchi stretti dalla pelle rossa e oro, le zampe rachitiche da canide che stranamente adesso ti appaiono più forti, più muscolose, come se qualcuno avesse fornito loro tendini da levriero e un’ossatura più resistente.
La coda dalla punta d’acciaio scudiscia, fendendo l’aria più delle raffiche di vento, più di quanto qualsiasi artiglio possa mai fare.
Incantato, fissi il bagliore delle corna, i capelli scompigliati, le orecchie allungate e a punta. Le braccia sono muscolosissime, gli artigli d’acciaio toccano il suolo e brillano di riflessi pericolosi.
Puoi sentirlo davvero, il potere che trasuda quella creatura. Vedi l’aria crepitare, il ghiaccio sotto le zampe riempirsi di crepe come un’entità viva e spaventata perché sì, l’Inferno riconosce pienamente la forza devastante di uno dei più potenti seguaci di Satana che seguace tuttavia non è più. Nessun Dio può contrastare quella creatura abbastanza forte da spezzare le catene della prigionia, nessuna potenza naturale può respingerla. Inferno e Paradiso si piegano, Vita e Morte tornano sui loro passi perché tra le i due grandi Divini che bilanciano l’universo intero, si è insinuato qualcun altro, una creatura i cui occhi umani spiccano su un viso di bestia.
Capisci improvvisamente la vera entità del demone di Stiles, il suo essere, il motivo della sua esistenza. Quella creatura, per quanto barbara e bellissima allo stesso tempo, non vive di sangue e dolore, ma anche di vita e libertà. Ha dimostrato che è possibile spezzare il cerchio di una prigionia che da secoli e millenni procede imperterrita, uccidendo e soffocando vittime innocenti. È bastato lottare, crederci, rischiare il tutto per tutto. Ora come ora, Stiles Stilinski ha creato una nuova fazione, dove angeli e demoni possono vivere davvero, sentirsi umani per la loro semplice libertà di scelta. È una nuova vita, una possibilità che mai nessuno a memoria d’uomo e divina, è riuscito a fornire.
Lentamente, Stiles si volta e ti guarda. Ha un viso così umano, nonostante tutto. Umano e bellissimo, come quello di uno splendido principe esotico. Gli occhi però, sono sempre gli stessi, anche se felini, e ti guardano con un amore immenso e senza tempo, un affetto talmente devastante che te ne senti sopraffatto perché mai, mai in vita tua, sentirai di poterlo ripagare appieno.
Stiles ti raggiunge, nudo e bellissimo, camminando elegante sulle zampe da lupo che stranamente, se non fosse per il colore cangiante del pelo, somiglierebbero proprio alle tue di quando sei trasformato.
Stiles si inginocchia alla tua altezza e sorride, stiracchiando il taglio da serpe, preciso e delineato che attraversa la linea della mandibola. Le zanne scintillano, la pelle brilla con più forza, come se qualcuno stesse attizzando il fuoco sottostante. Dai polsi, pendono i monconi spezzati delle catene.
Non hai mai visto niente di più bello.
-Derek.- ti chiama, e senza accorgertene chiudi gli occhi e lasci che le mani adesso umanoidi ma semplicemente munite di artigli più corti di Stiles ti stringano il viso e accarezzino le guance. Il calore della sua pelle brucia contro la tua, gelida e tremante di freddo.
È il tocco di un angelo, quello, ne sei certo: quasi riesci a sentire il fruscio della tua anima che si risana, il dolore delle ferite che finalmente guariscono, il tepore di un corpo che Stiles riscalda dolcemente, come fece già tempo addietro, in Alaska.
Ti perdi nel suo sguardo dorato, ricreando coi tuoi occhi blu cielo un perfetto incontro tra cielo notturno e pallido deserto, un mondo che insieme tingete di mille sfaccettature diverse, brillanti, preziose più di qualsiasi cristallo.
-Stiles!- ruggisce Valefar, improvvisamente allarmato. –Lucifero…-
-Lo so.- risponde Stiles, lasciandoti andare. Si raddrizza, volta nuovamente le spalle e guarda l’orizzonte, dal quale le raffiche di vento provengono sempre più feroci, sempre più violente e taglienti. I due demoni irrigidiscono le ali e puntano le zampe, lottando con tutte le loro forze contro l’ira stessa dell’Inferno che si risveglia davanti ai vostri occhi.
Cominci a ragionare freneticamente: siete nell’ultimo girone, il più piccolo ma anche il più terribile. Cosa racchiude di tanto pericoloso, secondo il racconto di Dante?
Ti concentri, ricordando in un solo istante le troppe parole lette e tradotte, le parafrasi effettuate faticosamente, le notti di stanchezza e caffè trascorsi su diverse copie diverse della Divina Commedia. E all’improvviso, capisci.
Lucifero. Nell’ultimo girone, i dannati sono torturati da Lucifero in persona, incastrato nel ghiaccio fino alla cintola. E voi siete terribilmente vicini all’incarnazione stessa del male.
-DOBBIAMO ANDARCENE!!!- ruggisce Valefar, indietreggiando. Crolla in ginocchio, tossisce. Riesci a vedere la sua pelle perdere di brillantezza, le ali tremare e coprirsi di ghiaccio e sangue oltre alla solita colata di catrame e capisci che qualcosa si sta avvicinando sempre di più, ad ogni istante che passa.
Guardi istintivamente all’orizzonte, dove un’ombra si designa tra la nebbia e l’oscurità, una figura gigantesca, più grande di qualsiasi grattacielo che già da lontano vi sovrasta e sembra pronta a schiacciarvi.
L’aria si fa più gelida, tanto da disperdere il calore donatoti da Stiles e il ghiaccio si riempie di crepe sempre più fitte, sempre più profonde, come ferite dalle quali fuoriesce… sangue. Rosso, viscoso, che puzza di dolciastro e salato allo stesso tempo. Lo senti bagnarti le zampe, infangarti l’anima stessa, perché quello è sangue innocente, riesci ad avvertirlo.
Per quanto tu possa essere coraggioso, non hai mai provato tanta paura in vita tua. Anche Scott cade in ginocchio e Peter comincia a tremare, sopraffatto.
-STILES!!!- grida Valefar quando nota che Stiles non ha ancora mosso un dito. Al contrario, il giovane demone si limita a fissare l’orizzonte con interesse, come se stesse aspettando qualcosa o peggio… progettando un piano. Per fare cosa, poi? Sconfiggere Lucifero? Non si batte il Diavolo, specialmente sul suo campo di battaglia.
-Valefar.- chiama Stiles improvvisamente. Si raddrizza e tu lo imiti subito, per la prima volta più basso di lui. Noti che le zampe gli danno più slancio e di certo quel palco di corna ti supera di quasi mezzo metro.
Lo guardi in viso e per la prima volta, noti nei suoi occhi qualcosa di nuovo, una bruciante decisione che scotta come meteora in caduta libera. Stiles ha i pugni stretti, la coda rigida e le labbra contratte da una gelida rabbia che per un momento, spaventa anche te.
-Stagli accanto.- dice soltanto, oltrepassando Valefar. Cerchi di afferrarlo, ma il vento ti respinge di qualche passo. Non sopporti il pensiero che Stiles possa avvicinarsi a Lucifero, non sopporti l’idea di perderlo di nuovo.
-Guardate…- esala Scott all’improvviso.
Segui il suo sguardo e allora anche tu vedi  l’aria ai due lati di Stiles addensarsi, tingersi, riempirsi, per generare… due incappucciati, alti e slanciati, ammantati di nero e bianco. Li riconosci, li percepisci, perché quelle due entità ti hanno concesso di aiutare quella parte di te che non saresti mai capace di lasciare andare.
Vita e Morte camminano adesso al fianco di Stiles, che imperterrito continua ad avanzare nel ghiaccio e contro il vento, sul sangue scaturito dalle crepe come un sentiero sofferente che sboccia poco a poco, sviluppandosi.
Non vuoi che Stiles segua quel sentiero, non vuoi che si allontani ancora una volta da te.
Ma, come in risposta alle tue silenziose preghiere, Stiles si ferma all’improvviso e lentamente spalanca le ali, stiracchiandole, abbracciando il mondo intero di riflessi oro e cremisi. I muscoli si tendono, le vele si gonfiano al vento e adesso lo contrastano, lottando con fierezza.
Quattro ali immense che sfidano Satana, quattro ali che si spalancano in difesa di qualcosa che il Diavolo stesso non riuscirebbe mai a capire davvero.
Ai due lati di Stiles, Vita e Morte si schierano, compiono la loro scelta dinanzi a bene e male, dinanzi all’universo intero e a ciò che dagli albori lo ha generato. Per la prima volta in assoluto, essi si appropriano del libero arbitrio e affiancano un ideale, una speranza, qualcuno da seguire. Vita e Morte s’inginocchiano, prostrati al cospetto di valori che troppo spesso sono stati sottovalutati, valori che gli immortali a stento ricordano poiché troppo vecchi e troppo stanchi per interessarsene. Valori che gli uomini sin dall’antichità ricordano, proteggono, perseguono. Per farlo, molti hanno incontrato la morte mentre altri la miseria. Ma loro, come Stiles fa adesso, non si sono arresi e ad ogni costo hanno lottato.
Improvvisamente, avverti un sospiro. Basso, misurato, ma che riconosci. Stiles.
In risposta a quel suono stanco, il vento lentamente si acquieta, come in attesa di qualcosa, e finanche i dannati smettono di gridare.
Dal giorno della sua creazione, l’Inferno non ha mai conosciuto silenzio. Ha sempre peccato di grida, lamenti, preghiere inascoltate. I dannati piangono, i demoni ridono e ruggiscono, e il caos che tanto spaventa l’essere vivente si scatena lì, tra le fiamme e il sangue di un fracasso devastante.
Adesso invece… c’è pace. Ogni singolo dannato, ogni demone, sembra aver udito il sospiro profondo di Stiles, come ansito di bestia prima del balzo. Tutti attendono, tutti ascoltano. E allora ti chiedi fino a che punto il personaggio di Stiles abbia assunto importanza.
-Ascoltatemi.- sussurra a voce bassissima, ma che nel silenzio creatosi rimbomba profondamente, come se stesse gridando. –Per una sola volta nella vostra vita, ascoltate. Non fingete semplicemente di farlo, perché voglio che le mie parole raggiungano in voi quegli animi che credete d’aver perduto per sempre ma che invece ci sono ancora: voi non siete questo. Nessuno nasce per causare dolore, poiché la vita è qualcosa di pulito e immensamente prezioso. A volte si soffre, si cade in ginocchio e tutto ciò che ci resta sono le lacrime e il dolore di un’esistenza che nemmeno noi comprendiamo. Guardiamo le cicatrici che ci coprono, e spesso sono così raccapriccianti che non abbiamo neanche la forza di piangere. Ma si nasce anche per questo. Senza dolore, la gioia non assumerebbe importanza, così come bene e male non possono vivere l’uno senza l’altro. Ognuno di noi possiede lati oscuri, ma ciò non significa che la parte più importante del nostro essere sia quella peggiore. Si ha sempre un modo per ricominciare, un modo per chiedere perdono e andare avanti. Ripulitevi. Per quanto sangue vi copra le mani, c’è sempre un modo per lavarlo via, un pezzo alla volta. Chiedete aiuto al prossimo, abbiate fiducia in voi stessi… e siate liberi. Spezzate le vostre catene, accettate la vostra umanità perché questo è l’unico modo per ritrovare la vostra anima. Io vi sto dando una scelta. Non vi chiedo di unirvi a me, perché le mie battaglie non vi appartengono; ma vi prego… smettetela di torturare chi quanto voi è stato peccatore. Questi sono vostri fratelli! Un tempo eravate tra loro, non ricordate? Quali differenze vi allontanano?-
Stupendo tutti voi, Stiles si inginocchia e si copre il viso con una mano. L’Inferno continua a mantenere il silenzio, ed è per questo che quando il primo singhiozzo rompe l’atmosfera, esso rimbomba nelle profondità di ogni dannato, di ogni demone, di Lucifero stesso.
Un pianto diverso, neanche lontanamente attribuibile a quello dei dannati più sofferenti. Quelle lacrime cristalline, che di sanguigna hanno perso ogni traccia, sono versate in nome delle creature che lì sotto continuano a morire, prigioniere o torturate, dannate oppure demoniache. Ali che mai si spiegheranno al vento, gambe che mai più potranno camminare. Ogni cosa è spezzata, lì sotto; che si parli di speranze o di arti veri e palpabili.
È quello il tuo Stiles, il ragazzo del quale sei profondamente innamorato. È quella l’anima che tanta fatica ha richiesto per essere portata indietro. Ne è valsa la pena perché ancora una volta, ti innamori di lui e lo farai sempre, in eterno, qualsiasi cosa accada.
A spezzare la quiete, giunge improvviso un rombo come di tuono, tonante e in avvicinamento.
-Diavolo!- impreca Valefar, trasalendo. Guarda l’orizzonte, gli occhi sbarrati e gli artigli tremanti di paura. –Stiles, Lucifero!-
Stiles si riprende con un sussulto e indietreggia velocemente verso di voi. -Andiamo via! Adesso!- ruggisce, voltandosi a guardarti con terrore crescente. Capisci con un brivido che non è per se stesso che ha paura, ma per voi.
È un attimo, un battito di ciglia quasi impercettibile.
I due demoni spalancano le ali, tre immense paia di vele rilucenti che vi abbagliano, illuminando di macabri riflessi il ghiaccio circostante. Hai appena il tempo di socchiudere gli occhi per combattere quei bagliori accecanti che qualcosa ti cinge la vita e strattona, staccandoti i piedi da terra.
Sbarri gli occhi sul girone che si allontana, rimpicciolendosi velocemente. All’orizzonte, la sagoma si ingrandisce, combattendo la nebbia e diradandola poco a poco, diretta verso di voi.
-Sto per vomitare!- ringhia Peter, stretto al petto di Valefar insieme a Scott.
-Ottimo!- esclama Valefar, piegando un’ala e scartando di lato.
Il cielo sulle vostre teste vibra inquieto e improvvisamente una chiazza come di catrame si allarga tra le nubi, annegando quel po’ di luce e colore che ancora vi erano concessi. Filamenti di oscurità si staccano dalla volta celeste, lunghi e sinuosi come serpi o tentacoli di piovra gigante composti dal buio più nero, più malato e infetto.
I tentacoli piovono su di voi, riversandovi addosso tutto l’odio dell’Inferno, tutta la sua rabbia e la sua oscurità. Il mondo intero sembra rivoltarsi come un guanto. Vomita oscurità, suda rabbia e rancore e improvvisamente l’aria si fa rarefatta, velenosa, al punto che quasi non riesci a respirare.
I tentacoli di oscurità si abbattono su di voi, velocissimi. Stiles scarta di lato, si avvita a mezz’aria, ripiega e distende le ali ripetutamente con l’eleganza di un falco che è nato e cresciuto volando. Il corpo si adatta ad ogni movimento e tu lo assecondi facilmente, come se già conoscessi la sua prossima mossa. Non sai come ci riesci, ma ti risulta facile, come muovere un braccio o una gamba.
-Stiles!- urla Valefar.
I due demoni allargano le ali bruscamente, arrestandosi a mezz’aria.
E allora la vedi: una cappa di oscurità spessa come manto di velluto e cosparsa di filamenti fittissimi, che la ricoprono come di aculei sempre in movimento e pronti a trafiggere, dilaniare, massacrare. Avete davanti uno scudo, l’ultima difesa degli Inferi.
Non uscirete vivi di lì.
-Stiles?- sussurra Valefar, inquieto. Alle loro spalle, la figura si avvicina. È ormai una questione di minuti prima che vi raggiunga.
-In mezzo.- interviene improvvisamente Peter. –Dobbiamo passarci in mezzo!-
-Sei pazzo?- esplode Scott. –Ci ammazzeremo!-
-O questo, o il mostro che abbiamo alle calcagna! I filamenti si muovono, se Stiles e Valefar sono abbastanza veloci da schivarli…-
-Ha ragione.- interviene Valefar, gli occhi improvvisamente vitrei ma fissi sulla cappa di oscurità. Non sembra spaventato, ma c’è qualcosa di sbagliato nel suo atteggiamento, nella sua postura rigida. –È l’unica via d’uscita.-
Si volta lentamente, gli occhi fissi in quelli di Stiles, che poco a poco comincia a capire, a decifrare quello sguardo vuoto.
-Valefar…-
-Mi dispiace, dolcezza.-
E allora Valefar lascia andare Scott e Peter, che precipitano nel vuoto con due identici gridi terrorizzati. Li vedi piombare come marionette tra i filamenti oscuri, sfiorarli e continuare a cadere.
-NO!!!- 
Stiles chiude le ali lungo il corpo e si lascia cadere come un proiettile, schermandovi dal vento tagliente col solo scudo delle vele. Ti senti precipitare a tua volta, senza peso, leggero come piuma portata dal vento, ma non hai paura perché sei nelle mani di Stiles e Stiles non ti lascerà morire. Ti fidi con ogni fibra del tuo corpo.
Senti un urlo, la caduta si interrompe e le ali si spalancano. Stiles si accovaccia, stende un braccio e stringe la mano intorno al polso di Scott. Sotto di loro, la coda agisce fulminea, scattando come testa d’un cobra a sonagli: si avvolge intorno al braccio di Peter e arresta bruscamente la caduta, facendogli scricchiolare le ossa. Il licantropo geme e ringhia, segno che forse il braccio se l’è rotto direttamente.
Stiles sbatte le ali e risale in larghe spirali, scartando di tanto in tanto per evitare gli affondi dei tentacoli oscuri. Uno ti sfiora il braccio, causandoti un taglio bruciante che all’istante si arrossa come un’ustione. Ringhi di dolore ma non ti lasci distrarre o intimorire.
Il vostro obbiettivo è poco più su, dove Valefar ancora fissa inespressivo lo scudo di oscurità.
Stiles accelera ancora, troppo stanco per volare come vorrebbe ma abbastanza veloce da scattare come una saetta, slittando tra i filamenti neri con tanta eleganza che per un attimo pensi che stia danzando. Senti il suo corpo muoversi, adattarsi ad ogni più piccolo movimento e, anche se non è il momento per pensarci, ti chiedi quale spettacolo debba essere guardare Stiles innalzarsi in volo serenamente, le ali tese e il volto sereno.
Siete ormai a un passo da Valefar. Stiles non ha mani libere per afferrarlo e quando lo senti tremare contro il tuo corpo, capisci che sta per succedere qualcosa di brutto.
Valefar scatta senza voltarsi e… si getta a capofitto nello scudo di oscurità.
I filamenti lo afferrano, si stringono intorno ai polsi e alle caviglie, alla vita e alla gola mentre la coda saetta come un cobra vivo e indipendente, falciando lo scudo. Le ali sbattono furiosamente, travolgendo con violenza ciò che resta dello scudo e, quando l’intero corpo di Valefar prende fuoco, capisci perché ha lasciato andare Scott e Peter.
Un diversivo. Valefar aveva già intenzione di aprire il varco, ma a modo suo. Ci è passato in mezzo per primo, aprendo loro la strada e facendo da scudo contro lo scudo, entrambi ultime difese di bene e male, vittime sacrificali dell’ennesima guerra senza nome.
Con orrore, guardi le fiamme lambire il corpo ancora intatto di Valefar, abbracciarlo con dolcezza ed espandersi come una supernova che cresce, pulsa, respira. Le lingue di fuoco, vive e luminose, si contrappongono a quelle di oscurità, buie e soffocanti. Vita e morte, luce e buio si affrontano ancora una volta, schiantandosi con violenza maestosa, palesandosi nello spessore di uno scudo e nel volto angelico di un demone che ha già perso una sorella e troppi amici.
Valefar ha scelto di salvare quel po’ che gli rimane, quei volti che hanno saputo amarlo e concedergli il sorriso e la beatitudine. Una famiglia. La famiglia più stramba che abbia mai avuto.
-ANDATE!!!- ruggisce quando nell’oscurità si apre un varco luminoso, appena visibile attraverso il muro di fiamme che abbraccia quello ormai ferito dell’oscurità.
-No!- urla Stiles con voce tremante. Ti accorgi che sta piangendo, il volto contratto da un dolore lancinante che non riesci nemmeno a immaginare.
Insieme a Scott, Valefar è diventato il migliore amico di Stiles. Lo ha sostenuto, curato, spalleggiato durante uno dei momenti più difficili della sua vita. Come un vero fratello, gli ha concesso la speranza ogni volta che questa veniva a mancare, aiutandolo a rialzarsi ogni volta con pazienza infinita, come un padre che insegna al figlio a camminare.
-ANDATE, ACCIDENTI!!!- ruggisce Valefar, il volto appena visibile tra le fiamme che lo avvolgono. Le vedi pulsare sfinite, cominciare a ritrarsi, lottare con meno veemenza. Anche le bestie più potenti prima o poi cominciano a stancarsi.
Sorprendendo tutti voi, Valefar si rilassa improvvisamente. Distende i muscoli ed espira, ritrovando per brevi istanti quel sorriso ribelle e genuino che gli ha sempre consentito quel po’ di somiglianza con lo stesso Stiles. I suoi occhi si fanno dolci, caritatevoli, liquidi di un amore che nessun demone saprebbe mai provare.
-Mi dispiace, fratellino…- sussurra dolcemente. –…ma devi andare senza di me. Dì a Lydia che io…-
Ma Valefar non concluderà mai la frase. A Lydia, avrebbe potuto dire tante cose perché troppe ne ha taciute e non tutte si possono rivelare. Non in quel momento, non mentre qualcosa lo sbalza leggermente in avanti con violenza, facendogli rovesciare il capo all’indietro. Il petto sobbalza e la punta acuminata di un tentacolo sbuca dalla carne come un paletto coperto di sangue che inesorabile spinge ancora, più e più volte, sfondando costole e tendini.
Poi, tutto si fa confuso.
Stiles grida con quanto fiato ha in gola, un urlo di petto talmente forte da farti fischiare le orecchie. Un suono così raccapricciante non l’hai mai sentito prima, neanche quando Stiles piangeva o implorava pietà in preda alla follia. Riesci quasi a toccare il suo dolore, a sentirlo sulla pelle. Brucia da morire, sa di un’impotenza lacerante che per poco non ti riempie gli occhi di lacrime.
Un verso simile però, lo conosci bene. L’hai imitato quando hanno ucciso Laura e ancor prima di lei tutta la tua famiglia. Un grido di abbandono, l’ultimo canto del cigno morente che si vede spezzare le ali.
Valefar sbarra gli occhi e la bocca, poi china il capo in avanti e fissa stupito l’orribile punta nera che gli fora il petto. La afferra con entrambe le mani, bloccandola prima di levare nuovamente lo sguardo.
-Andate…- esala. –Andate…-
Ma ciò che accade dopo, sorprende tutti voi. Quasi tutti.
Contro ogni previsione, Stiles si lancia nel varco aperto da Valefar, diretto verso il foro luminoso, piccolo come una stella vista da lontano ma abbastanza lucente da combattere le tenebre.
Schizzate tra i filamenti neri mentre quelli vi graffiano, ustionano le carni, lacerano i vestiti.
-Ci vediamo dall’altra parte.- sussurra Stiles al tuo orecchio, sorprendendoti al punto che ci metti un po’ a realizzare il significato di quelle parole. Ancor meno concepisci il capogiro che vi coglie dopo, quando Stiles vi getta a capofitto nel varco senza seguirvi.
 
Quando la soglia di una delle finestre di casa Stilinski sputa all’esterno delle mura tre licantropi sporchi, stanchi e feriti, Derek Hale non può che accettare quietamente l’ennesimo dolore infertogli dallo schianto della sua spalla contro il terreno solido dell’asfalto. Esala con violenza gli ultimi residui d’aria che gli restavano e resta immobile, abbandonato sull’asfalto, gli occhi chiusi e il respiro affannoso.
Avverte il peso del corpo pesare esageratamente, come se la gravità stesse facendo gli straordinari, ma non importa.  
Non si è mai accorto che l’aria di Beacon Hills è così pulita, fresca e viva, come un’entità a se stante che gli attraversa i polmoni in lunghi respiri soddisfatti, sereni e rilassati. La sente ripulire ogni anfratto del suo corpo, all’interno come all’esterno, ed è bello da morire perché quell’aria, quella luce, quegli odori… appartengono al suo mondo. Lì, dove il vento non graffia e un sereno silenzio è ammesso di quando in quando, Derek si sente a casa.
Lentamente, inspira gli odori familiari del quartiere, li memorizza come se li annusasse per la prima volta. Non c’è puzzo di sangue e putrefazione, ma di fiori e aghi di pino, di cibo e terra bagnata.
Sulla pelle, il calore dei raggi solari comincia a fare effetto, respingendo il gelo e richiamandogli alla mente quelle estati trascorse da bambino dove lui e Laura correvano nella foresta, liberi e sudati, ma felici come non mai.
C’è un leggero venticello e i rumori sono fiochi e gentili, tanto che gli accarezzano le orecchie con morbidi tocchi che non gli urtano i timpani. In confronto alla magnificenza di quel mondo, l’Inferno appare ancora peggio di quanto sia apparso in precedenza.
Per concludere il quadro in bellezza, ci sono i colori. Gli esplodono davanti agli occhi quando Derek schiude le palpebre, fissando lo sguardo sul mondo intero, su quelle tonalità accese e cangianti, come riflessi di un cristallo che rilancia tutto intorno numerose sfaccettature diverse, uno spettro di tonalità infinite e senza tempo.
I suoi occhi si posano infine sulla finestra di casa Stilinski i cui infissi improvvisamente luminosi circondano i vetri delle ante socchiuse che bruscamente si spalancano, come spinte da una brusca folata di vento. Un riflesso luminoso attraversa il quadro della finestra, simile a bagliore d’ali di libellula baciate dal sole. Derek sa già cosa sta per accadere, e prega un Dio nel quale non crede che a uscirne sia Stiles, il suo Stiles. Se la missione si rivelasse un’inutile perdita di tempo, il licantropo sarebbe comunque pronto a gettarsi nuovamente attraverso il varco.
A volte però, i miracoli accadono e Dio, per quanto distratto e spesso sadico, risponde alle preghiere.
Due corpi vengono sbalzati fuori dal varco che si chiude, stretti l’uno all’altro e coperti di ferite.
Senza pensare al processo di guarigione ancora in atto, Derek scatta in piedi e si catapulta verso Stiles, le braccia tese e i muscoli nervosi, pronti ad attutire l’impatto.
Stiles atterra nel suo abbraccio mentre al suo fianco, Scott recupera Valefar al volo.
Allora Derek guarda Stiles in viso, e stavolta lo fa per davvero, studiandone ogni particolare come se lo vedesse per la prima volta: nonostante il volto coperto di graffi e sangue, Derek non se lo ricordava così bello.
I suoi occhi sono più dorati che mai, il viso pallido ma non cinereo, come marmo appena scolpito nella morbidezza di una pelle liscia, a dispetto dei tagli che sporcano quella meraviglia di dolore e fatica. Derek si perde nello sguardo esausto di Stiles, nelle sfaccettature solari di quelle piccole supernove pulsanti di vita e amore. È tornato umano, ma gli occhi… quelli non saranno mai umani del tutto. Non esistono uomini con iridi simili, cangianti come pietre preziose ed espressive come quelle di un bambino appena nato.
Gli occhi che Derek ama, gli occhi che ha cercato a lungo, fino a spingersi nei meandri dell’Inferno stesso.
-Bentornato a casa, ragazzino.-
 
“Molti di quelli che vivono, meritano la morte
E molti di quelli che muoiono, meritano la vita.
Tu sei in grado di valutare?
Non essere troppo ansioso di elargire morte e giudizi:
Anche i più saggi non conoscono tutti gli esiti.”
 
Incredibile come spesso, nell’arco di una vita, un istante paradisiaco possa trasformarsi in uno infernale. Ci si distrae, si abbassa la guardia, e allora tutto cambia, crolla, si rimodella in un nuovo, orrido volto che non si riconosce più.
Derek Hale ha creduto di poter restare così per sempre, stretto al corpo ancora bollente di Stiles, perso in quegli occhi che nel profondo racchiudono la magnificenza di secoli dorati e bellissimi, antichi e gloriosi. Un mondo dove il sole è sempre caldo e il cielo tinto di tonalità cangianti, il mondo che Derek ha sempre cercato.
Quel momento, l’hanno racchiuso nel loro angolo di Paradiso personale, un istante valido una vita che entrambi non dimenticheranno mai ma che al contrario, avrebbero voluto protrarre in eterno.
All’apparenza, andava tutto bene. Poi, il mondo si rovescia e la realtà torna a pesare sulle loro spalle ferite, fragili e coperte di sangue e bruciature.
Qualcuno li chiama da lontano, una voce di ragazza urla un nome che Derek recepisce in un secondo momento con un brivido.
-VALEFAR!!!-
Lydia corre loro incontro, seguita da Allison, Isaac e Chris Argent. Ha gli occhi sbarrati, le iridi fisse sul corpo abbandonato e coperto di sangue di Valefar, ancora immobile tra le braccia di Scott.
Derek si odia per averlo dimenticato. Si odia per aver perso tempo ad amoreggiare con Stiles con Valefar in quelle condizioni, se non morto, sicuramente tramortito.
Scott appoggia delicatamente il corpo al suolo, e allora Derek ha modo di vederlo, di capire con un brivido che la situazione è disperata, che quelli sono solo i miseri resti di Valefar. Stiles non ha riportato indietro un amico: ha riportato indietro un cadavere, o almeno, quanto di più vicino a un cadavere possa esserci.
Valefar non sembra neanche più umano. Ha il volto dilaniato, le carni a pezzi al punto che in alcune zone del corpo sbuca ammiccando il bianco dell’osso. Al centro del petto, vi è una voragine oscura, nera di sangue e profonda come un buco nero che risucchia ogni cosa, a cominciare dall’anima stessa di Derek.
Non avrebbe mai creduto di soffrire così al vedere Valefar ridotto in quel modo. Non l’ha mai considerato apertamente un amico, anzi: l’ha odiato dal primo istante in cui l’ha visto, con quel sorriso disponibile e gli occhi gentili di chi ama stringere amicizia e salvaguardare il mondo intero. Derek detestava il rapporto che Valefar aveva con Stiles, il modo in cui lo toccava e scherzava con lui. Lo odiava, lo odiava da morire.
Cosa è cambiato poi? Cosa ha spinto Derek ad affezionarsi a quello stupido ragazzino esaltato sempre gentile e pronto ad aiutare agli altri? Cosa ha spinto il licantropo a fidarsi di lui ogni volta, di continuo, come se non facesse altro da tutta una vita?
L’umanità. Quella stessa umanità dimostrata da Stiles, la stessa che contraddistingueva anche Valefar. Non è mai stato demone, non davvero, e questo Derek lo capisce solo adesso, mentre la sua anima va in pezzi e la sua mente si riempie dell’ennesimo incubo che vede un amico massacrato, l’ennesima scena che non dimenticherà mai più.
Lydia si avvicina, gli occhi intrisi di orrore. Crolla in ginocchio accanto al corpo massacrato di Valefar, gli tocca una guancia per guardarlo meglio, per riempirsi gli occhi di ciò che non sarebbe mai dovuto accadere.
E grida. Grida con tutta la forza che ha, un urlo lancinante che spacca i vetri di tutta la città, esplode le cristallerie, crepa e distrugge gli specchi. Ogni superficie appena più delicata del normale va in frantumi, proprio come lei. Le persone nelle vicinanze crollano in ginocchio, gli animali fuggono e finanche il cielo pare oscurarsi appena al cospetto di un dolore tanto grande, una sofferenza che nemmeno nel grido più lancinante del mondo trova reale sfogo.
Lydia continua a urlare, gli occhi chiusi e la pelle lurida di trucco sciolto a causa delle lacrime che le inondano il viso. Lacrime umane, ma sporche del nero soffocante di un dolore cieco, che non trova consolazione. Derek non ha mai visto Lydia soffrire in quel modo ed esternarlo tanto violentemente. Riesce quasi a toccare la sua sofferenza, i timpani spaccati dall’unica domanda intrisa nelle urla più nere che una banshee possa esternare: “Perché?”.
Perché la gente muore così?
Perché è toccato proprio a Valefar, con la sua innocenza, il suo sorriso, la sua voglia di vivere?
Perché Dio, da Onnipotente misericordioso, permette che a spezzarsi siano proprio i giusti?
Per questo Lydia urla. Urla per se stessa, che mai dimenticherà il volto massacrato di quello che una volta, era uno dei ragazzi più belli che avesse mai visto. Urla per un amore perduto, per tutte le volte che a un sorriso di Valefar, lei rispondeva con uno sbuffo o una frase di scherno.
Valefar la toccava, e Lydia si ritraeva. Valefar la chiamava, e lei si girava dall’altra parte. Lo ha sempre respinto, eppure lui non ha mai perso la pazienza.
Adesso però, Lydia non può chiedergli scusa. Non può dirgli che ha atteso il suo ritorno sotto la pioggia, al freddo, appostata nei pressi di casa Stilinski. Come un cane in attesa del ritorno del padrone, ha continuato ad aspettare, a pregare. Ancora adesso, il ciondolo che le ha regalato Valefar brucia sul suo petto, benedetto e maledetto allo stesso tempo, poiché su quello stesso grano di rosario Lydia ha scelto di abbandonare le sue richieste più disperate.
Ha pregato per Valefar, pur non credendo in Dio. E Dio l’ha delusa.
Lentamente, Lydia si sente morire. Si accascia su Valefar e lo stringe al petto, cullandolo con dolcezza innamorata, struggente più di qualsiasi lacrima. Singhiozza forte, ma a rendere davvero ciò che prova è l’abbraccio soffocante che la lega al corpo martoriato di Valefar. Appoggia una guancia sui suoi capelli, luridi di sangue e gli cinge le spalle con un braccio mentre con l’altra mano gli accarezza il viso gentilmente, richiamandolo alla vita, pregando, supplicando che non le sia tolto anche questo.
-Puoi sentirmi… so che puoi sentirmi.- sussurra contro i suoi capelli. Chiude gli occhi e lascia che le lacrime lo bagnino, mescolando sangue e mascara, umano e demoniaco.
Ma chi è il vero demone, tra i due? Il ragazzo che ha sempre perdonato, o la ragazza che ha sempre ferito per il puro piacere di farlo?
-Svegliati. Me l’hai promesso. Svegliati… svegliati… devo ancora… dirti delle cose… devo… devo…-
Le lacrime soffocano nuovamente la voce di Lydia, sprofondandola nel dolore più cieco. Singhiozza forte contro il corpo di Valefar e sussulta quando una mano insanguinata si appoggia sulla sua guancia.
Lydia trasale, sorpresa dall’umido calore trasmesso da quel contatto e quando si volta, incontra due occhi tanto dorati che per un attimo, la ragazza pensa di star fissando il sole stesso. Nemmeno tutti i gioielli che possiede possono eguagliare la brillantezza di quell’oro, e Derek può capire il suo stordimento quando si perde nello sguardo di Stiles, un’occhiata tanto semplice e saggia da calmare ogni suo dolore, come gelido ghiaccio su una ferita bruciante.
-Non tutto è perduto, Lydia.- mormora Stiles con tanta convinzione che per un attimo, lo stesso Derek ci crede. –Non perdere la speranza, non ora che ne abbiamo disperatamente bisogno. Spera per Valefar, credi in me e forse… forse potrò salvarlo.-
Lydia lo fissa, incredula. –Puoi… puoi farlo davvero?-
Stiles sorride di un sorriso esausto ma sicuro e la lascia andare, raddrizzandosi. Sbatte le palpebre, ancora profondamente stordito, senza tuttavia perdere la serenità dello sguardo, la stessa serenità che gli rischiara il viso martoriato e sporco di sangue.
-Sì, ma… avrò bisogno del… vostro aiuto.- esala. –Ricucitelo. Per quanto è possibile, cercate di richiudere le ferite esterne. A quelle irreparabili penso io, ma prima dovrei… forse… riposare…-
Derek capisce cosa sta per accadere ancor prima che Stiles crolli svenuto tra le sue braccia. Vede il suo corpo sbilanciarsi, le gambe cedere di schianto e automaticamente, il suo istinto protettivo scatta. Le braccia di Derek arrestano la caduta, accogliendo il corpo caldo e insanguinato di Stiles con la delicatezza di chi per la prima volta, serra le mani intorno a fragili ali di farfalla.
 
Scott si odia a morte. Di errori, ne ha compiuti anche troppi in passato, ma questo… quale è stata la sua utilità all’Inferno? Ha combattuto, ha aiutato Stiles a tornare se stesso e Valefar ad abbandonare l’ultimo girone? No. Lui non ha fatto niente perché il niente è tutto ciò che possiede, tutto ciò che è. Come un albatro dalle ali spezzate, Scott si sente totalmente nullo, re decaduto di antica e gloriosa potenza. Non ha più forze da spendere perché tutto ciò che aveva, tutto ciò che ha… lui l’ha lasciato all’Inferno. Ogni barlume di sogno è annegato nel patetico niente oscuro che adesso abbraccia la sua anima, riempiendola di incubi urlanti, mefitici, come ombre che mai più andranno via.
Ancora esausto e sporco, si passa una mano insanguinata sul viso. Può l’anzianità colpire tanto presto una creatura così giovane? Può il peso di troppe esperienze schiacciargli le spalle sotto condanne infinite, curvandogli la schiena e il capo?
Scott non lo sa, ma è troppo stanco per chiederselo ancora: al momento, la sua testa è invasa da orrori, immagini che non dimenticherà mai più. Ha visto esseri umani tramutarsi in informi pezzi di carne; ha visto il suo migliore amico perdere la sua umanità; ha visto Dumah morire e Valefar sacrificarsi per concedere loro di abbandonare l’Inferno. Immagini, ricordi, incubi. Tutti avvenimenti che Scott non è stato in grado di impedire. A cosa serve vivere serenamente se poi dall’altra parte ad attendere vi è tanto dolore?
Con un cigolio, la porta della sua stanza di apre e qualcuno entra. Scott sa già di chi si tratta, e questo perché Melissa è all’ospedale e tecnicamente lui dovrebbe essere solo in casa. Tecnicamente. Solitudine non è una parola che Isaac riesce a concedergli facilmente, e questo perché non accetta che Scott si chiuda in se stesso, così come è accaduto a lui per troppi anni. Si dice che la solitudine spezzi anche gli animi più forti, e Isaac sa che è vero. Lui, per esempio, si sente spezzato da quando è nato. È una cosa brutta, come perdere le gambe, la vista o l’uso della parola. Si tratta di qualcosa che ti cambia dentro, e Isaac non vuole che a Scott accada questo. Non vuole che Scott cambi.
Dolcemente, senza proferir parola, Isaac si inginocchia ai piedi di Scott e poggia sul letto una bacinella d’acqua. Il giovane Alpha non lo guarda, non reagisce. Il suo sguardo è fisso nel vuoto, laddove si annidano gli incubi più neri, laddove vi è un abisso dal quale è difficile riemergere. Eppure, nonostante tutto, Scott non è solo. Isaac è lì, pronto a tendergli la mano, pronto a ringraziare qualsiasi Dio caritatevole gli abbia concesso l’umana carità di poterlo rivedere, vivo e fisicamente integro. Ha pregato per lui, solo per lui, e miracolosamente, Dio o lo stesso Scott, l’ha ascoltato, e per Isaac non vi è vittoria più grande di quella.
Con calma, strizza il panno pulito che galleggia nella bacinella e inizia a passarlo sul viso di Scott, lungo il collo, sulla mascella e sugli zigomi. Ogni più piccolo tocco lava via un po’ di sangue, ogni piccolo gesto della devozione di Isaac lo trascina su, verso il cielo, oltre i confini dell’Inferno. Vi è luce, e Scott la sente scorrere sulle sue carni attraverso la scia bagnata che il tocco di Isaac si lascia alle spalle. È una bella sensazione, e sa di santa beatitudine. Scott non sa perché quei gesti così semplici gli riempiono l’animo di rugiada cristallina, né sente di poter comprendere il motivo che spinge Isaac a sciacquargli la pelle più e più volte, senza stancarsi mai. Scott avverte il battito del suo cuore, i suoi respiri leggeri che come tocco d’aria pulita gli sfiorano il viso. Quello è il bacio della vita, l’abbraccio del Paradiso. E improvvisamente, gli incubi si ritirano feriti perché non tutti gli angeli hanno le ali, e Isaac l’ha dimostrato.
-Bentornato a casa.- sussurra il ragazzo, azzardandosi in un moto di coraggio a baciargli la punta del naso, semplice e puerile come un bambino. Di riflesso, Scott chiude gli occhi e pensa che sì, forse vivere non è poi tanto male.
 
Stiles credeva d’aver dimenticato cosa significasse dormire. Il beato oblio durante il quale il cervello si spegne e ogni pensiero scivola via, a riposo in un angolo lontano della mente gli è ormai sconosciuto. Eppure, quando per la prima volta si risveglia con la consapevolezza di aver dormito un sogno senza sogni, sereno e tranquillo come quello di un bambino, quasi lo coglie un attacco di panico.
“Dormire” non è neanche una parola accettabile, per i demoni come lui. Molti dimenticano effettivamente il significato del termine perché dopo pochi decenni, essi smettono semplicemente di provare a chiudere gli occhi. Gli incubi fanno paura, terrorizzano anche il più temerario tra i demoni. È durante il dormiveglia infatti, che i ricordi più neri delle torture subite salgono a galla, e allora è quasi impossibile svegliarsi. Si resta lì, costretti a rivivere torture e dolori, lividi e ferite.
Stiles sente che è cambiato qualcosa. Non dorme serenamente da molto tempo, se si tralascia quell’unica volta in cui Derek l’ha stretto tra le braccia e cullato finché la stanchezza ha preso il sopravvento.
Lentamente, Stiles prende coscienza di se stesso, del suo corpo, dei suoi sensi. E riesce a sentire quel profumo tanto a lungo cercato, un mix selvaggio di foresta e libertà. Odore di lupo, odore d’uomo vivo e indomito. Stiles riconoscerebbe quell’odore tra mille semplicemente perché lo sente scorrere nelle vene come acqua benefica e purificatrice che lentamente respinge il demone che alberga in lui. Quello è il profumo del suo Paradiso ideale, l’odore dell’uomo che ama.
Derek.
Prima ancora di aprire gli occhi, Stiles avverte il calore di un braccio forte avvolto intorno alla vita e il dolce peso di un corpo premuto contro il suo, come tessera d’un puzzle che gioca ad incastrarsi con ogni arto di cui dispone. Le gambe giacciono intrecciate, i petti e gli addomi aderiscono perfettamente e il mento caldo di Derek poggia sul capo di Stiles, vegliandolo, proteggendolo, salvaguardando la quiete del suo sonno come angelo guardiano dinanzi alle porte del Paradiso stesso.
Quel calore, Stiles ha pensato di non trovarlo più. Ha temuto d’averlo perso per sempre, sostituito dal gelo soffocante dell’ultimo e più profondo girone dell’Inferno. Nessun licantropo avrebbe dovuto salvarlo, laggiù. Nessun sentimento sarebbe stato degno di sopravvivere, nessuna anima pura e vivente avrebbe osato avventurarsi lì sotto apposta per lui.
Eppure, è successo. Non si tratta di un miracolo, ma di qualcosa di più: Dio non si sarebbe scomodato per liberarlo, né avrebbe mai guidato Derek fin laggiù. In effetti, Stiles stenta a credere che il licantropo l’abbia fatto davvero. Forse è tutto uno splendido sogno, e Stiles se ne convincerebbe davvero, se solo all’Inferno i sogni esistessero.
Lentamente, Stiles apre gli occhi sulla giugulare esposta di Derek, talmente vicina che il naso del demone quasi la tocca. Ascolta il suo battito lento, il respiro basso e pacato, beandosi del calore di quel corpo che, al contrario di ogni cosa che lo sfiorava all’Inferno, non brucia né ferisce.
È l’alba. Stiles lo capisce dall’oro pallido che tinge le coltri che avvolgono i loro corpi intrecciati, un ammasso di coperte che, il giovane demone è certo, Derek normalmente non sopporta. Eppure, per tenerlo al caldo e farlo sentire protetto, ha avvolto entrambi e stringe al petto il suo tesoro più prezioso.
Al posto dell’aria velenosa dell’Inferno, Stiles respira il profumo di Derek e quello del suo loft.
Al posto del bruciore del ghiaccio sulla pelle, Stiles avverte la dolcezza di un abbraccio mai sperato.
Al posto dell’Inferno stesso, Stiles ritrova il Paradiso.
Trova la forza di respirare, di sentirsi vivo come mai prima d’allora. Ritrova tutto il suo mondo lì, in quel calore confortevole e inaspettato, morbido e bellissimo costruito da placidi respiri e braccia muscolose che mai più lo lasceranno andare.
-Guarda che lo so che sei sveglio.- esala Derek così all’improvviso che Stiles sussulta. Si sposta dolcemente, allontanandosi appena da lui per portare il viso alla sua altezza e guardarlo negli occhi.
E, per Stiles, la visione di quelle stesse iridi è un’esplosione di colori.
Non li ricordava così verdi, come distese di estate che morbida ricopre l’erba di una rugiada appena nata e di steli sottili, morbidi e lucenti più di qualsiasi gemma preziosa. Gli pare di guardare l’ottava meraviglia del mondo, l’alba di un pianeta lontano e sconosciuto che Stiles ha tutta l’intenzione di scoprire.
Ma c’è qualcosa di diverso, in quegli occhi; Stiles se ne accorge all’improvviso, quando nota delle pallide quanto ben mimetizzate pagliuzze dorate esattamente al centro dell’iride, come un fiore ancora acerbo ma che poco a poco tende a sbocciare. Quel colore brillante, che armonioso quasi si nasconde di timidezza dietro lo smeraldo naturale dell’iride, spaventa Stiles.
-Che c’è?- chiede Derek, senza tuttavia smettere di fissarlo come se non ne avesse mai abbastanza.
Stiles gli afferra il viso tra le mani, accarezzando gentile le guance ispide di barba. Sfiora le labbra coi pollici, vive del respiro che fuoriesce da esse quando Derek le schiude lentamente, rispondendo al suo tocco.
-I tuoi occhi.- sussurra Stiles. –Non… hanno un fiore dorato al centro. Somiglia… somiglia…-
-Al colore dei tuoi.-
Stiles deglutisce rumorosamente, spaventato. –Non dovrebbe essere così.-
Ma Derek gli appoggia una mano sul fianco, sollevandogli appena la maglietta e accarezzando gentile e senza malizia quella porzione di pelle cicatrizzata che compare.
-Va bene, ragazzino. Ricordati che sono entrato nella tua testa vuota, quindi…-
-Già, a proposito di quello…- lo interrompe Stiles, imbarazzato. –Grazie. Per… per tutto. Sei sceso all’Inferno e hai sopportato tanto dolore per raggiungermi, quindi…-
-Lo farei di nuovo.-
Stiles deglutisce, gli occhi sbarrati che mai come in quel momento assumono lo sguardo di un cucciolo spaesato alla mercé di una belva più grande e più feroce. Derek non ha bisogno di guardarlo ancora per capire cosa di lui l’ha fatto innamorare perché ormai, è certo che qualsiasi gesto Stiles compia, qualsiasi parola dica… lui l’adorerebbe in ogni caso semplicemente perché proviene da Stiles.
Continua a fissarlo, riempiendosi gli occhi del suo viso finché un ricordo non sovrappone quello sguardo innocente a uno ben più animale, posto su un volto deforme di bestia, con zanne affilate e corna massicce.
-Posso vedere?-
-È una proposta sconcia?-
-No, idiota. Parlo del tuo aspetto da demone. Posso vederlo?-
Stiles esita, lo sguardo improvvisamente guardingo. -Non… non credo sia una buona idea.-  
-Riesci a controllarti adesso?-
-Credo di sì, ma…-
-Hai paura di qualcosa?-
-Di nuovo sì.-
Derek lo fissa, il viso vicinissimo al suo. Lo giudica col suo sguardo indagatore, scava negli anfratti più antichi della sua anima devastata in cerca di una risposta. Poi, dolcemente, gli poggia una mano sulla guancia.
-Fallo, Stiles.-
Stiles scrolla il capo. –Non posso, Sourwolf. Chiedi troppo.-
Ma Derek si rifiuta di ascoltarlo. Gli accarezza la guancia, dolcemente si china e struscia il naso contro il collo di Stiles, inspirando il suo profumo, vivendo della vena che sente pulsare, viva e costante, sottopelle. Gli accarezza i fianchi, risveglia sussurrando quella carne morbida e ruvida di cicatrici. Poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, lo bacia.
È come se Stiles non fosse mai andato via, è come se si stessero baciando per la prima volta. Derek se ne accorge dal fremito che gli percuote la spina dorsale, dal calore innaturale e bellissimo che gli invade la bocca quando comincia a stuzzicare la lingua dell’altro.
Senza pensare, Stiles si lascia trascinare e stringe tra le mani il viso di Derek, spingendo coi fianchi per ribaltare le posizioni e portarsi su di lui. Pianta le ginocchia ai lati del suo corpo e continua a baciarlo, ancora e ancora, come un assetato alla fonte d’acqua.
Attraverso quei tocchi, ogni particella del suo corpo si risveglia, vive, respira. Il dolore dell’Inferno sparisce, sostituito da qualcosa di diverso, luminoso e bellissimo che scorre come rugiada attraverso le mani di Derek, lungo le sue labbra, su ogni brandello del suo corpo.
È la vita che torna in Stiles. Può sentirla scivolare in lui, richiamandolo all’era in cui ancora respirava come un vivo, l’era in cui era libero e felice di esserlo. Adesso, grazie a Derek e ai tocchi innamorati che gli riserva, Stiles capisce che è possibile tornare indietro, guardare a quella vita che tre anni fa sognava di edificare un pezzo alla volta, come un palazzo maestoso costruito col sangue e il sudore di mille fatiche. Con Derek accanto, tutto sarà possibile e finanche il sole delle ere più buie non potrà rifiutarsi di sorgere.
-Derek.-
Lentamente, come risvegliandosi da un bellissimo sogno, Derek apre gli occhi su due iridi d’oro brillante attraversate da pupille verticali. Occhi espressivi, lucenti come l’alba di un nuovo, glorioso giorno.
Occhi di demone.
Derek prende coscienza della situazione solo quando realizza che Stiles ha parlato con voce non sua, più profonda e roca, ma anche sdoppiata. Due diverse entità, una giovane e una antica come la nascita dell’universo, prestano voce a un unico essere armato di quattro splendide corna nere e ali da pipistrello che, raccolte dietro la schiena muscolosa, invadono l’intera camera da letto.
Derek fissa Stiles come se lo vedesse per la prima volta, abbagliato dall’aspetto demoniaco dell’altro: se a primo impatto aveva paura di lui e quasi lo riteneva inquietante, adesso si vede costretto a ricredersi.
Il male è sempre stato affascinante, lo sanno tutti. Attira gli incauti, li allieta di false promesse e aspetti meravigliosi che tuttavia alla fine si riveleranno infidi e altrettanto  mortali. Lucifero era un angelo, il più bello del Paradiso; è per questo forse che nessuno dei suoi sottoposti, in qualità di servi maligni, potrebbero ostentare un aspetto orribile.
Eppure, Stiles Stilinski pare tutto, fuorché un demone.
Più Derek lo guarda, più si convince che lui è diverso, come una rosa bianca sbocciata tra le sue sorelle cremisi. Nessuna bestia infernale è tanto bella, tanto maestosa nella pericolosità del suo aspetto animale, feroce, irraggiungibile. È come guardare al sole, talmente caldo da bruciare le cornee, ma ugualmente splendido e lontano, simile a un sogno inafferrabile.
Derek riesce a vedere il demone, e stavolta lo vede davvero, da vicino. E non può che trattenere il respiro dinanzi alle braccia nervose dell’altro, agli spuntoni acuminati e lucenti come punti luce, al volto bestiale che all’altezza della mandibola segue una linea frastagliata, simile a bocca di serpe. Vede ogni cicatrice, ogni ferita. E si innamora di ognuna di esse, catturato dalla storia che raccontano, dal modo in cui la pelle si tende quando Stiles si muove o respira, dalla bellezza sanguinaria che emanano. Derek riesce a immaginare il modo in cui Stiles ha sopportato quei dolori, il modo in cui cadeva in ginocchio e puntualmente si rialzava. E può vederla ancora, quella caparbietà, riflessa negli occhi dorati di serpe che lo scrutano, ombreggiati dalle corna gigantesche che gettano oscurità sulle orecchie a punta, sugli zigomi alti, sulla pelle luminosa di fiamma vivida e in movimento.
Derek segue con lo sguardo il percorso delle punte acuminate lungo gli zigomi, sulle sopracciglia, su fino ad annegare nei capelli scompigliati. Non trova un solo difetto in lui, nulla che non rigetti in lui un brivido di prostrazione lungo la spina dorsale del suo lupo interiore. Guarda le ali immense e luminose, la coda rossa e oro, le magre zampe di lupo e ancor più si convince di non aver mai visto nulla di più splendido.
Come in un sogno, il demone non dà segni di aggressività ma anzi, sorride appena, scoprendo oltre ai canini troppo estesi, anche il resto della dentatura da predatore. China appena il viso, accostandolo a quello di Derek tanto che il suo respiro rovente si mescola con quello tiepido e quasi flebile dell’altro.
Derek non può credere che esista qualcosa di tanto maestoso. Finanche l’odore di pulito e incenso che gli invade le narici appare esageratamente piacevole.
-Visto?- ringhia Stiles con voce sdoppiata. –Non sono un bello spettacolo.-
Ma Derek non la pensa così, per niente: non smette mai di fissarlo, pregando il cielo di potersi incidere nella mente quella creatura massiccia e bellissima, terribile ed accecante come una supernova in via d’esplosione. Ha dell’incredibile che Stiles si creda tanto orribile, perché Derek pensa allora, mentre lo guarda, di non aver mai conosciuto la bellezza vera.
Lentamente, passa una mano sullo zigomo squamato di Stiles: è caldo, caldissimo. Pare di toccare il fuoco vivo, senza però scottarsi. Derek tocca con mano le squame spaccate dalle cicatrici, scorre le dita tra i capelli folti, risalendo fino all’attacco delle corna nere e ondulate.
Stiles non smette un attimo di guardarlo, interdetto per l’atteggiamento temerario dell’altro che, contro ogni previsione, non dà cenni di terrore o inquietudine. Al contrario, Derek lo guarda con… cosa? Sembra… ammirazione? Dedizione? Amore? Stiles non vuole sperare in tanto, ma qualcosa negli occhi smeraldo di Derek gli sussurra che va tutto bene, che le cose non andranno come previsto.
A confermare i suoi sospetti, Derek gli afferra una mano ancora umana, che Stiles ha rifiutato di mutare in un ammasso di lame d’acciaio e vi strofina il naso dolcemente, senza malizia o aspettativa. Annusa il suo odore, quindi risale dolcemente col naso lungo il braccio, ben attento a non ferirsi sugli spuntoni che di tanto in tanto bucano la pelle.
Stiles rabbrividisce quando Derek solleva il busto e scorre il viso e le labbra lungo il collo, sulla clavicola, su fino ai tendini tesi a fior di pelle. Stiles non si muove, quasi non respira mentre Derek lo esplora e fa scorrere le mani sull’addome piatto e muscoloso, dovuto alla trasformazione, sui pettorali, poi dietro la schiena. Stiles sente i polpastrelli caldi dell’altro raggiungere l’attaccatura delle ali e sfiorarla con dolcezza innamorata, venerante, che quasi ha paura di toccare realmente ciò che a prima vista tanto appare irraggiungibile e bellissimo.
-Sei meraviglioso.-
Stiles trattiene bruscamente il respiro. Il cuore accelera i battiti, la coda si immobilizza a mezz’aria, lucente e silenziosa come l’ammasso gigantesco e ingombrante di ali ripiegate sulla schiena.
Le sue orecchie funzionano più che bene, ma Stiles comincia a pensare che qualcosa non vada nell’udito. Non può aver sentito quelle parole, non riconosce alcuna verità in esse. Nessun demone potrebbe mai apparire bello, perché in essi è racchiusa la forma più lugubre e bestiale dell’Inferno stesso.
Eppure, quando Derek leva il viso alla sua altezza e comincia a osservare incantato ogni particolare del nuovo aspetto di Stiles, il demone capisce che forse non tutto è menzogna. Riesce a toccare una realtà tangibile e sicura in quello sguardo, una venerazione che non ha nulla a che fare col sentimento che li lega.
Derek lo fissa con avidità e Stiles scopre il suo stesso riflesso demoniaco nelle iridi verdi dell’altro. Per un attimo, come attraverso uno specchio, Stiles vede con gli occhi di Derek, scruta una creatura terribile e bellissima che, nel suo aspetto bestiale, sa apparire anche magnifica come un leone dorato nel pieno delle forze.
È così che lo vede Derek? È così che Stiles appare ai suoi occhi, al suo animo?
Quando Stiles era molto piccolo, sua madre non faceva che ripetergli un vecchio detto: “Gli occhi sono lo specchio dell’anima”. Adesso, Stiles capisce perché. E non crede di poter amare quel burbero licantropo più di così.
Per la prima volta nella vita, Stiles non si sente un mostro. Per la prima volta nella vita, Stiles ha la forza di credersi quasi un angelo. E tutto, grazie a Derek.
-Piangi?- sussurra il licantropo quando un singhiozzo tremante sfugge dalle labbra tagliate di Stiles.
Il demone scrolla il capo e sorride, le zanne lucenti alla luce dell’alba che poco a poco completa la sua nascita, bagnando d’oro quella pelle e scarsa visibilità quegli occhi.
Stiles non ha bisogno di dare spiegazioni, perché Derek ha già capito. Eppure, qualcosa vuole dire.
-Sai perché ho le zampe da lupo?- dice, accennando ai magri arti dal pelo cangiante. Li piega per urtare le ginocchia contro le cosce di Derek e fargli sentire le ossa sporgenti, il pelo non troppo corto, né troppo lungo, i tendini che si flettono e si distendono a comando.
Derek corruccia le sopracciglia, in attesa di spiegazioni.
-Mentre Lucifero mi… trasformava, ho rischiato di impazzire. Un dolore del genere, io non l’ho mai provato, nemmeno durante le torture infernali. Sentivo le ossa spezzarsi, i tendini lacerarsi e i muscoli uscire dalla carne. Il mio aspetto mutava, ma a mio discapito, poiché il prezzo di tanta forza è alto, e richiede una sofferenza senza pari, che rende folli coloro che non sanno sopportare.-
Stiles si porta una mano di Derek alle labbra squamate e ne bacia il palmo, ben attento a non ferirlo con le zanne.
-Per mantenere lucidità, scelsi di ancorarmi a un pensiero, un ricordo vivo e prezioso, potente più dell’Inferno e di qualsiasi follia. Non credo che riusciresti a immaginarti quale, perché sinceramente la risposta sorprese anche me.-
Derek ci pensa, ma tra i mille momenti vissuti con Stiles, non ne ricorda molti di piacevoli.
-Il nostro primo incontro.- sorride il demone, gli occhi lontani e malinconici. –La prima volta che ti vidi, con l’inalatore di Scott in mano e l’aria da serial killer.-
Derek quasi sorride al ricordo, ma non commenta, ansioso di conoscere il resto del racconto.
-Fu questo a donarmi le zampe da lupo. Sentii quel ricordo entrare in me e impedirmi di andare alla deriva, ancorandomi alla realtà… alla terraferma. La stessa terra sulla quale appoggiano queste zampe. Le tue zampe.-
Derek non ha parole per esprimersi, e forse va bene così. Si limita quindi a posare le sue labbra tiepide su quelle bollenti di Stiles, trascinandolo in un bacio di lingue intrecciate e sapori mescolati. Il corpo del demone aderisce al suo senza ferirlo e la coda si insinua sotto la schiena del licantropo per avvolgerli entrambi all’altezza del bacino, legandoli in una stretta promessa, un vincolo che li terrà uniti fino alla fine dei tempi.
Derek sorride nel bacio, scorre le mani lungo la schiena ruvida di Stiles e bruscamente stringe la parte più bassa delle vele alari. Le sente morbide al contatto, come seta  che dolcemente si piega al suo volere, abbracciando di calore i suoi palmi.
Stiles esala un sospiro e spalanca gli occhi improvvisamente lucidi in un’espressione di pura sorpresa, ma Derek non se ne preoccupa. Continua a baciarlo, gli accarezza le ali, fa coincidere i loro corpi come se non avesse mai aspettato altro nella vita.
Il sapore di Stiles è un’esplosione di meraviglia che gli invade la bocca, riempiendola di mille gusti diversi. Non ha mai assaggiato nulla di più buono, di più… giusto. Perché loro, insieme, sono giusti. Sono giusti i sospiri di Stiles sulla sua pelle, sono giusti i tocchi azzardati di Derek che poco a poco osa sempre di più, ansioso di scoprire, di vedere, di capire la vera essenza di quella creatura alata che proprio a lui ha scelto di concedersi.
Ma tutto si ferma quando un pesante frullare d’ali rompe il silenzio.
Derek si separa bruscamente da Stiles e il demone sposta subito lo sguardo verso la finestra, dove un grosso corvo imperiale dagli occhi dorati gracchia sereno.
-Diablo!- esclama Stiles. Senza vergogna, picchietta una mano sul materasso e lascia che Diablo lo raggiunga in volo. Atterra proprio accanto al viso del demone, che adesso giace sdraiato tra le braccia di Derek, il quale dolcemente lo stringe, abbracciato a sua volta dall’ammasso di ali e continua a baciargli la guancia, la mandibola e la punta delle orecchie.
-Va tutto bene, tranquillo.- sussurra Stiles quando Diablo gli pizzica dolcemente la mano. –Stiamo bene… o almeno, quasi.-
Diablo gracchia ancora, più e più volte e improvvisamente Stiles si irrigidisce. La trasformazione rientra bruscamente, tanto che Derek quasi cade dal letto quando le ali si accartocciano dolorosamente nella carne e lo squarcio sulla schiena si richiude. Solo la coda affilata e le zampe lupine mantengono la loro forma e, adesso che Stiles non appare più palestrato per metà come un culturista malriuscito, Derek ha modo di notare quanto le zampe si accordino bene col fisico reale del ragazzo. Non sembrano più esageratamente magre, né troppo sottili, e al contrario, sbucano dal pantalone della tuta come arti troppo grossi, con zampe ampie munite di artigli d’acciaio.
-Che succede?- domanda Derek, ma Stiles lo ignora.
Balza giù dal letto con agilità disarmante ed esce dalla stanza di corsa, subito seguito da un Derek che, come lui, indossa solo i pantaloni e da Diablo.
-Stiles, dove…-
Ma la voce gli muore in gola quando raggiungono la stanza dove riposa Valefar. Il loft non è grande, ma possiede alcuni spazi che Derek non utilizza e decisamente non era una buona idea portare un demone moribondo all’ospedale.
Da parte sua, Derek ricorda di aver lasciato il resto del branco ad occuparsi di Valefar mentre lui ripuliva Stiles e gli infilava degli abiti decenti. Ricorda allora di non essersi alzato da quel letto per ventiquattro ore, troppo impegnato a vegliare sul sonno di Stiles, che più volte ha rischiato di cadere dal letto a causa delle violente convulsioni dovuti a una dolorosa guarigione. Cosa è successo intanto?
Derek non ha bisogno di chiederselo davvero, perché adesso ha capito. Da quando hanno lasciato l’Inferno e perso Dumah, Peter si è ritirato chissà dove, chiuso in un silenzio doloroso che nessuno si è azzardato a spezzare, il che ha portato i restanti quanto inesperti membri del branco a chiedere aiuto a qualcuno per ricucire Valefar senza correre rischi.
Tra tutti, Allison e Chris Argent sarebbero stati i più adeguati, ma anche loro sono abituati a ferite totalmente differenti da quelle riportate da Valefar. I cacciatori guariscono fori di proiettile, tagli, morsi, graffi. Ma quello? Solo un esperto o uno del campo avrebbe potuto richiudere tutte le ferite a dovere e senza creare ulteriori danni.
È per questo che hanno chiamato lei. Non è un medico, ma ha passato abbastanza tempo in ospedale e sa come lavorare su ferite del genere.
Una donna gentile dai grandi occhi scuri che per anni hanno visto Stiles crescere, mutare da bambino a ragazzino, da ragazzino a ragazzo. Il tutto, al fianco di suo figlio Scott.
-Stiles…-
Melissa McCall si preme una mano sulla bocca, i grandi occhi scuri spalancati e fissi sul viso mortalmente pallido di Stiles.
Ma non è tutto, e questo perché se una situazione è complicata non può che peggiorare.
Alle spalle di Melissa compare un’altra persona, un uomo dagli occhi chiari e la divisa da poliziotto. Un uomo che per tre anni ha pianto la scomparsa del figlio, un uomo che per tre anni è sopravvissuto alla vita e al dolore di una perdita troppo grande.
-Stiles…-
E alla voce dell’uomo, risponde quella vacillante di Stiles, la cui coda adesso fatica a nascondersi dietro la schiena e le cui zampe tremano indebolite, tanto che Derek è ormai convinto di vederlo svenire da un momento all’altro.
-Papà…-
 
Angolo dell’autrice:
Sì, ormai aggiorno ogni due giorni. E sudo freddo ogni volta che lo faccio perché temo di aver scritto diverse st…stupidaggini. Ma grazie a voi e ai vostri incitamenti, continuo a osare. Oso grazie a Fangirl_Mutante_SHIELD, che coi suoi commenti mi fa sempre piangere. Oso grazie a Elenuar Black, il cui entusiasmo mi cattura anche nei momenti di totale abbattimento. Oso grazie a Slaveofadream, alla quale sì, prometto che continuerò a scrivere perché dopo il suo commento ho pianto per un quarto d’ora. Oso grazie a Barbara78, la cui costanza nel leggere e recensire non fa che lasciarmi a bocca aperta. Oso grazie a Virginsiny74 e alle sue strepitose, inaspettatissime parole. Oso grazie a _Sara92_ il cui trasporto mi fa sempre sorridere come una scema.
Oso grazie a voi. A tutti voi. E anche alla mia piccola Newt da strapazzo, le cui minacce-lacrime-imprecazioni-urletti mi fanno sempre commuovere, e non lo dico tanto per dire. Grazie di cuore.

 
Anticipazioni:
“-Ora sto meglio.- sussurra Stiles, rasserenato. –È che ancora devo riprendermi dall’ultima visita all’Inferno. Valefar non è l’unico a pezzi, lupastro.-
Derek gli bacia una tempia. –Lo so.- risponde, poi volge lo sguardo tutto intorno. –Credevo che ci fosse una statua per ogni elemento.-
-Infatti c’è, ma la Madre Lava è sotto i nostri piedi, totalmente avvolta dal fuoco. Meglio non disturbarla, ok?-
Derek annuisce, ma al contrario del licantropo, Lydia non si sente per niente a suo agio.
-Che posto è questo?- interviene. –Dove diavolo siamo?-
Stiles si raddrizza e fa un inchino teatrale che tuttavia appare quasi irrisorio nella sua lenta ed eccessiva eleganza.
-Benvenuta, Lydia Martin, al tempio di Lava. Precisamente, siamo nella bocca del vulcano più grande del mondo: il Mauna Loa!-”



 Tomi Dark Angel

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Capitolo 26
*** Il Sacrificio Dell'Innocenza ***


“Coloro che sognano di notte
Nei polverosi recessi delle loro menti,
Si svegliano di giorno per scoprire la vanità di quelle immagini:
Ma coloro i quali sognano di giorno, son pericolosi,
Perché possono vivere i loro sogni a occhi aperti
E renderli possibili.”
 
È bizzarro il modo in cui il mondo gira. Nel suo lento percorso intorno al sole, esso lascia che accadano i fatti più impensabili e resta a guardare, fissando come medico inquisitore ciò che accade ai suoi figli più cari. Alcune maledizioni si trasformano in benedizioni e viceversa, ma quando diventa impossibile distinguere i due aspetti, quando bene e male si mescolano e tutto diventa grigio… come è giusto reagire?
Questo, Stiles Stilinski non lo sa.
Specie in questo momento, mentre si specchia nei grandi occhi chiari di suo padre, dove il riflesso di un ragazzo ancora giovane e felice di vivere si confonde col suo, ibrido e dagli occhi stanchi.
Non avrebbe dovuto incontrare suo padre. Non avrebbe dovuto incontrare nessuna delle persone lì presenti, eppure qualcosa è cambiato. Hanno portato Melissa e lo Sceriffo da lui, hanno fatto in modo che si incontrassero, e questo Stiles lo capisce dallo sguardo colpevole di Scott, che al suo migliore amico sa nascondere meno di niente.
-Stiles…- esala lo Sceriffo Stilinski, incredulo e con le gambe tremanti. Tende una mano, stiracchia le dita verso un figlio che credeva d’aver perso, un figlio che troppe volte ha sognato e visto nelle più chiare allucinazioni. Stenta a credere che Stiles sia reale, ma se così non fosse, non avrebbe modo di spiegarsi le strane zampe da canide e la coda chilometrica dalla punta d’acciaio che adesso fende l’aria nervosa, così come farebbe l’arto di un felino.
Stiles vacilla, le gambe improvvisamente molli. Derek non lo sostiene ma appoggia una mano sulla base della schiena, infondendogli il suo calore e la sua sicurezza. Stiles avverte la sua presenza, il respiro pallido che ha accanto, la dolcezza di un tocco rassicurante e gentile sulla pelle. Si sente meglio con Derek accanto, ma appena guarda gli occhi lucidi di suo padre e di Melissa e si specchia in essi… non è più tanto sicuro di star bene.
Cosa può dire la pallida ombra di un figlio al padre che crede di aver ritrovato quella parte di sé troppo a lungo creduta dispersa? Cosa può dire un dannato a un vivo puro e sincero come l’uomo che per anni ha rischiato la vita per ciò che credeva più giusto?
Stiles non vuole che suo padre lo ricordi così, ibrido e stanco di sopravvivere. Non vuole che dimentichi il suo sorriso, il colore sul suo volto che adesso è sostituito da un pallore mortale tinto appena di evanescenti riflessi rossi e oro.
-Mio figlio…- sussurra lo sceriffo mentre oltrepassa Melissa con cautela, come se temesse di veder sparire Stiles da un momento all’altro. Non sbatte le palpebre, ma calde lacrime di cristallo scendono lungo il viso stanco ed emaciato di quello che una volta era un uomo forte e ben piazzato.
Stiles muore dentro quando nota i veri cambiamenti che egli stesso ha apportato al padre. Non l’ha mai visto così vecchio, così esausto, come un cadavere che si trascina invano sulla strada di una vita che non lo accetta più. Di chi è la colpa? Stiles crede di conoscere la risposta, ma rifiuta di accettarla davvero.
Non dovrebbe neanche tentare d’accostarsi al padre, ora che vede in che stato l’ha ridotto. Non dovrebbe toccarlo, abbracciarlo, scoppiargli a piangere sulla spalla. Eppure lo fa, perché alla fine di tutto, Stiles è solo un ragazzo.
Lascia che lo Sceriffo corra da lui, lascia che gli avvolga le braccia intorno ai fianchi e gli baci ripetutamente i capelli e le tempie. Stiles riesce a sentire il tremito del suo corpo, il profumo tanto agognato che per lui sa di casa, di famiglia, di tempi felici che vedevano un ragazzino sereno e sorridente ficcare il naso tra un’indagine di polizia e l’altra. Stiles credeva d’averlo perduto, eppure eccolo lì: ha ancora un padre e nemmeno riesce a crederci.
-Mio figlio… mio figlio…-
Lo Sceriffo mormora quelle parole come un mantra benefico mentre calde lacrime bagnano la pelle di Stiles, che dolcemente ricambia la stretta e… scoppia in lacrime a sua volta.
Non sa perché lo fa, ma succede. È come trovare un vecchio e caldo rifugio dopo lunghi anni d’agonia trascorsi nel gelo del dolore e delle intemperie. Stiles sente quel tepore entrargli nelle ossa e nella mente, ed è bello perché tutto questo sa di ricordi, di pace. Rivede la sua casa, i vecchi istanti vissuti con suo padre, le risate e i litigi. Finanche il più brutto dei momenti trascorsi con lui non appare più così tragico perché erano insieme, ed erano una famiglia. Forse, lo sono ancora.
In memoria di quegli stessi ricordi, eternamente infangati dal dolore di tre anni trascorsi all’Inferno e della sofferenza che mai è riuscito a sfogare liberamente, Stiles piange. Singhiozza forte, aggrappato alla camicia di suo padre, espellendo in lacrime tutti gli incubi vissuti nell’ultimo e più profondo girone dell’Inferno, laddove un figlio pregava per il padre mentre il padre stesso impazziva di dolore.
Al solo pensiero di tutto ciò che ha vissuto e superato, Stiles si sente male: realizza improvvisamente e a piena coscienza la sua situazione, le sue esperienze. Adesso che è tra le braccia di suo padre, al sicuro e protetto dal mondo intero, Stiles può fermarsi un momento per ragionare davvero su quanto gli hanno tolto ingiustamente.
Ha patito l’Inferno, ed è stata sua madre a spedircelo.
Ha sofferto torture indicibili e non ha mai implorato pietà.
Ha abbandonato la sua famiglia, la sua casa, i suoi amici.
Lo hanno ucciso. Stiles è morto, e solo ora concepisce questo macabro pensiero. È ancora un ragazzo, ha vissuto poco; eppure, conosce già il gelido respiro della morte, ha già sperimentato cosa significhi ascoltare gli ultimi battiti di vita. Queste cose, un ragazzino non dovrebbe saperle. Le uniche preoccupazioni di uno della sua età dovrebbero essere scuola e ragazze, nulla di più.
Invece sulle sue spalle ricade il peso di una guerra antica più dell’universo e il destino di un pianeta che ha tutta l’intenzione di difendere. Ha sfidato Dio e Satana, e sa bene che entrambi non dimenticheranno. Se un demone muore, sparisce e basta. Non gli è concesso ritorno, non gli è concessa possibilità di trapasso o redenzione. La sua essenza si disperde, e Stiles sente che questo è l’unico destino che lo attende.
Lasciando libero sfogo alla sua impotenza, Stiles urla di un grido lancinante, disperato, che spacca in più pezzi il cuore dei presenti. Suo padre non l’ha mai sentito urlare così e lo stesso Derek non l’ha mai visto così piccolo e fragile, come un bambino alla mercé di un mondo troppo crudele per accettare la sua nascita.
Stiles grida per Alastor e Dumah, grida per Valefar, per il suo  branco, per il mondo intero.
Improvvisamente, come soffocato da una cappa di nubi, il sole comincia a oscurarsi e le tenebre si fanno più fitte, massicce, come petrolio vivo e palpabile.
-Stiles!- grida Allison, ma Stiles non sembra aver perso il controllo. Al contrario, il ragazzo si separa dal padre e lo guarda in viso, specchiandosi in quegli occhi brucianti di lacrime e domande, di pianto e dolore.
-Mi dispiace, papà…-
Ma lo Sceriffo sorride appena e gli accarezza la guancia. Sembra ringiovanito, più vigoroso e meno stanco.
-Mi hanno già detto tutto, ragazzo mio.- Il suo volto si contrae in una smorfia dolorosa e nuove lacrime affiorano, calde e lucenti come vetro liquido. –Cosa ti hanno fatto?-
Ma Stiles scuote il capo e con grande sorpresa dei presenti, sorride a sua volta. Sposta lo sguardo su Melissa, che intanto si è coperta la bocca e singhiozza tra le braccia di Scott, senza tuttavia staccare gli occhi da Stiles.
-Mi sei mancata anche tu, Melissa.-
E allora la signora McCall abbandona l’abbraccio del figlio per gettarsi in quello di un altro ragazzo, un giovane che ha visto crescere e ha cresciuto, un giovane al quale ha curato ferite e asciugato numerose lacrime e sorrisi spenti.
Anche se non possiedono alcun legame di sangue, Melissa ritiene quel ragazzino logorroico e iperattivo suo figlio a pieno titolo. Se ne è accorta quando, dopo la scomparsa di Stiles, ha dovuto sopportare un lungo periodo di depressione e si è sentita come se le avessero strappato Scott dalle braccia. Un po’ tardi per accorgersene, ma adesso le è concessa un’altra possibilità.
Stringe con forza Stiles e lo Sceriffo, affonda il viso nell’incavo del collo del ragazzo e gli bagna la pelle di lacrime.
Stiles non ricorda cosa vuol dire avere una famiglia vera, di quelle che ti fanno sentire l’affetto di un padre e una madre, ma sente che forse, questa è la strada giusta da intraprendere.
-Io… non ricordo cosa vuol dire avere una mamma.- mormora, allontanandosi appena da Melissa per guardarla in viso. Le poggia le mani sulle guance, la fissa da vicino con amore improvviso e incondizionato, un affetto talmente grande che spiazza Melissa e le fa tremare le gambe. –Ma credo… che se potessi scegliere, la mia mamma saresti tu.-
Melissa cerca di sorridere, cerca di non crollare, ma ogni sforzo diventa inutile quando Stiles si china a baciarle la fronte con dolcezza e una nobiltà che prima non vantava. È come trovarsi al cospetto di un grande sovrano decaduto, un principe che nella sua nobiltà si umilia e ignora la grandezza del suo rango.
Melissa sente le gambe cederle, ma straordinariamente, non cade. Qualcosa la sostiene all’altezza della vita, uno spesso filo d’acciaio che stringe senza soffocare.
-Sarà difficile abituarsi a questo.- asserisce lo Sceriffo, accennando alla coda di Stiles, morbidamente stretta intorno alla vita di Melissa.
Stiles ride.
-E per me sarà difficile abituarmi al fatto che Melissa McCall sarà mia madre!-
Suo padre si strozza con la sua stessa saliva e comincia a tossire, con Scott che gli rifila deboli pacche sulla schiena.
-Come… come l’hai…?-
-La guardi come guardavi la mamma.-
Lo Sceriffo trattiene il respiro, ma Stiles non pare arrabbiato. Al contrario, ammicca. –Bel colpo, Sceriffo.-
-Stiles!-
Stiles sorride sereno, ma in quel momento un suono indistinto lo distrae. È un lamento di donna, il pianto sommesso di qualcuno che Stiles conosce bene.
-Stiles…- chiama Derek, affiancandolo. Vorrebbe fermarlo, impedirgli di entrare nella stanza attigua, ma sa che Stiles non gli darà ascolto. Prima o poi dovrà vedere Valefar, capire fino a che punto è critica la situazione. È per questo che Derek si limita ad affiancarlo e semplicemente gli stringe forte la mano per supportarlo e fargli sentire la sua vicinanza.
Stiles varca la soglia, si ferma appena entrato. La sua stretta sulla mano di Derek si accentua, quasi gli spezza le dita, ma il licantropo può capirlo.
Valefar giace moribondo sul letto, avvolto da un mare di coperte che lo fasciano come macabro sudario. Ha il corpo bendato, un ago in vena, il volto ricucito accuratamente ma ancora grigiastro come quello di un cadavere. Al suo fianco, siede Lydia. Gli stringe forte una mano, il volto esangue e gli occhi lucidi di lacrime. Poi, lentamente, si volta verso di loro e fissa Stiles con fare supplicante, gli occhi sbarrati, impauriti, che pregano disperati un cambiamento, un miracolo inaspettato.
Nessuno di loro ha mai visto Lydia Martin così fragile, debole come vetro coperto di crepe e pronto a infrangersi al primo soffio di vento.
-Ti prego…- esala con la voce roca di chi ha pianto troppo e non ha neanche più la forza per continuare. È debole, spezzata in ogni sfaccettatura del suo essere, al punto che pare di guardare un’anima in pena già morta da tempo e decaduta all’Inferno. –Stiles… ti prego.-
E Stiles accoglie la sua preghiera, non perché si sente un Dio, ma perché ricorda bene cosa significhi implorare senza essere ascoltati. Non ignorerà il pianto altrui, non si coprirà le orecchie alle suppliche di chi implora aiuto. Sceglie di ascoltare, di staccarsi dall’essere divino per accostarsi realmente all’uomo e ai dolori che lo percuotono ogni giorno.
Affianca Lydia, le appoggia una mano sulla spalla. Nobilmente, flette il busto per portare il viso alla sua altezza e guardarla da vicino, gli occhi improvvisamente brillanti d’oro e di una sottile pupilla verticale.
-Lydia.- mormora, sfilandole dolcemente la mano dalla stretta inerme di Valefar. –Nell’arco della tua vita, hai sofferto tante volte. Ti ho sentita piangere, ti ho vista cadere in ginocchio e rialzarti. Mai tuttavia, hai scelto di arrenderti. Ogni volta hai deciso di andare avanti, ogni volta hai caparbiamente perseguito il tuo obbiettivo. Quando ti conobbi, non avrei mai pensato che avresti rivolto le tue uniche imprecazioni proprio verso uno come me. Valefar è mio amico. Mi ha aiutato a sopravvivere, ha scelto di rivoltarsi contro la sua stessa natura per restarmi accanto. Non hai bisogno di supplicare me per spingermi ad aiutarlo. Il tuo dovere l’hai fatto, ma adesso lascia che io svolga la mia parte.-
Stiles porta lentamente la mano di Lydia alle labbra e, alla luce del sole che sfiora d’oro la sua pelle covata dalle fiamme, ne bacia il dorso. È un tocco lento, gentile, che sa di benedizione e mille ringraziamenti.
-Se non fosse stato per te, Valefar sarebbe morto. Io l’ho salvato dall’Inferno, ma tu lo mantieni aggrappato alla vita.- Sorride dolcemente, gli occhi lucenti come astri appena nati. Al bacio dorato del sole, la pelle di Stiles balugina come fiamma covata, dispiegando sul suo corpo l’elegante magnificenza di una colata lavica che brilla tra le carni, viva e pulsante come fiamma attizzata in un caminetto.
Lydia ne resta affascinata, ma ancor più sbarra gli occhi quando Stiles si inginocchia e china il capo, la mano di lei ancora stretta tra le sue.
Stiles Stilinski si inginocchia al cospetto di una ragazza. Un demone si piega dinanzi all’umanità stessa, scegliendo nella sua grandezza di sottomettersi alla fragilità di una creatura più piccola ma ricolma di fulgidi sentimenti.
È questo che dovrebbe fare Dio, è questo che dovrebbe fare Satana: trattare l’uomo come un padre tratterebbe un figlio, concedergli una possibilità e credere in ciò che esso rappresenta. Un simbolo, una forma di vita capace di grandi cose.
-Ascolterò la tua richiesta, Lydia Martin.- sussurra Stiles nel silenzio generale. –Seguirò la tua voce e salverò Valefar. Lo prometto.-
In quel momento, Diablo entra dalla finestra come un’ombra massiccia e bellissima, fulgida di lucenti piume nere e intelligenti occhi dorati. Mentre Stiles si raddrizza, il famiglio sbatte le ali e si aggrappa alla sua spalla come spirito guardiano, in attesa del prossimo ordine.
-Diablo.- Stiles picchietta l’indice sul becco del corvo imperiale. –Sai cosa fare.-
E Diablo spalanca le ali e si leva in volo, innalzandosi al cielo in ampie spirali che salgono sempre più su, verso il soffitto. Oltrepassa la finestra, sparisce nei bagliori solari del mattino, lasciandosi alle spalle un’unica piuma nera e il sentore cristallino che non tutte le speranze sono perdute.
Stiles ha un piano, e lo perseguirà fino alla fine. Stiles ha un piano, e non permetterà a Lucifero di sottrargli un altro amico. Mai più lascerà che questo accada, mai più concederà a degli innocenti di sacrificarsi in suo nome; lo promette sul sole e sulla Terra, sulla luna e sulle stelle. Dio e Lucifero pagheranno anche questa.
-Stiles, che vuoi fare?- chiede Scott, improvvisamente titubante.
Stiles si volta, sorride. –C’è ancora speranza, Scottie. Posso salvare Valefar, ma dovrò allontanarmi per un po’.-
-Dovremo.- si intromette Derek, afferrandogli nuovamente la mano. La stringe forte, incatena gli occhi ai suoi quasi sfidandolo a contraddirlo. –Ti ho già lasciato solo una volta, ragazzino, e guarda cosa hai combinato.-
Stiles sbatte le palpebre, stordito dal verde accecante di quegli occhi. –Sourwolf, non posso chiederti di…-
-Non me lo stai chiedendo. Tu prova a lasciarmi indietro, e al tuo ritorno ti stacco la testa. Ovunque andrai, ti seguirò, e questo perché hai bisogno di qualcuno che sedi il tuo stupido istinto da suicida eroico.-
Stiles vorrebbe piangere di nuovo perché la fedeltà di Derek lo lascia incredulo e spaesato, come un tesoro troppo prezioso ricevuto improvvisamente. Vorrebbe, ma non ci riesce. Al contrario, Stiles sorride con gratitudine e si appoggia al petto caldo del licantropo, che lo abbraccia gentilmente e lo stringe a sé, appoggiando il mento sul suo capo.
Derek profuma di buono, di casa, e Stiles ha imparato ad attribuire quell’odore al suo angolo di Paradiso personale. Riesce a sentire il cuore del licantropo battere insieme al suo, affinare le pulsazioni in una danza ipnotica e bellissima.
Non importa più che suo padre e Melissa li stiano guardando, non importa che il branco sia lì, non importa più niente: Derek sarà con lui, e questo rende Stiles invincibile.
-Figliolo…- si fa avanti lo Sceriffo. –Devo sapere qualcosa?-
Fissa Derek con sospetto, la mano pericolosamente appoggiata sul fianco a pochi centimetri dalla fondina della pistola. Stiles vorrebbe pensare che suo padre non sparerebbe a Derek, ma non ne è del tutto convinto. Anzi, comincia a temere per la vita del suo… cosa? Amico, partner… fidanzato? Cosa sono loro?
-Papà… ehm…-
-Oh, per l’amor del cielo!- si intromette Melissa. –Veramente non te n’eri accorto? Solo un cieco non noterebbe il modo in cui si guardano quei due! Derek praticamente non gli stacca gli occhi di dosso, e fanno questo da quando si conoscono!-
-Davvero?- esclama Stiles.
-Davvero?- ripete lo Sceriffo.
-DAVVERO?!- urla Scott.
Derek tossicchia.
-Aha…- ridacchia Stiles. –Quindi devo pensare che…-
-Se vuoi ancora la testa attaccata al collo, non finire quella frase.
Stiles ride apertamente e si stringe con più forza al corpo di Derek, avvinghiandoli entrambi con la coda, intrecciata all’altezza della vita. Appoggia la fronte contro il suo collo, inspira il suo profumo, poi si allontana appena per guardare il padre in viso.
-Credo di doverti dire qualcosina, papà.-
Melissa ride, ma lo Sceriffo non si muove, e ancora pare indeciso tra la pistola e uno svenimento improvviso. Boccheggia, fissa Stiles e Derek con fare incredulo.
-Ma voi… voi…-
-Non mi sembra il momento di parlarne.- interviene Melissa, poggiando una mano sul petto dello Sceriffo. –Avremo modo di discuterne più tardi, ma quel ragazzo ha bisogno di aiuto adesso.-
Stiles non può essere più d’accordo. Sorride verso Melissa, annuisce lentamente, poi si volta verso Valefar.
-Dobbiamo andare.- sussurra, chinandosi su di lui, ma Lydia lo blocca.
-Non ho intenzione di stare a guardare di nuovo.- ringhia, rabbiosa. –Non ho intenzione di aspettare che torni, di restare all’oscuro del suo destino. Valefar è… non so nemmeno io cosa rappresenti per me, ma so che non posso lasciartelo portare via, Stiles. O andiamo insieme, o lui non si muove di qui.-
Lydia continua a fissarlo, lo sfida con lo sguardo. Non si piega al volere di Stiles, rifiuta di abbandonare Valefar per l’ennesima volta. Ha bisogno di saperlo al sicuro, o quantomeno vuole restare con lui fino alla fine se qualcosa dovesse andare storto. Glielo deve. Lydia gli deve tutto, in verità; finanche il suo sorriso. Ha bisogno di Valefar come un asmatico necessita d’aria durante un attacco particolarmente violento. Accetterà qualsiasi cosa, qualsiasi pericolo, ma non lascerà che li separino di nuovo. Lydia sente che è la cosa giusta da fare, l’unica scelta da seguire. Valefar… è importante. Lei non sa perché, non riesce a capirlo, ma va bene così.
Sorprendentemente, Stiles sorride con calore e la abbraccia. Se la stringe al petto e la culla, le sfiora i morbidi capelli con una pallida mano, la stessa che ha saputo infliggere in passato più carezze che schiaffi.
-Non te l’avrei mai chiesto, Lyds.- sussurra sui suoi capelli. –So cosa significa separarsi da coloro che amiamo, e importi un sacrificio del genere sarebbe stato barbaro e stupido.-
Si separa da lei, la guarda in viso senza smettere di sorridere. -Andiamo, Lydia. Insieme, salveremo Valefar.-
-Figliolo…- chiama improvvisamente lo Sceriffo. Si avvicina lentamente al figlio e lo guarda in viso, specchiandosi negli stessi occhi dorati che un tempo appartenevano alla madre, alla donna che il signor Stilinski amava e ancora ama. Quegli occhi, lo Sceriffo li ricorda bene. Lo commossero quando li vide la prima volta su un volto di bambino e lo fecero innamorare ancor prima quando ammiccarono lucenti su un giovane viso di donna. Adesso però, in quelle iridi dorate c’è qualcos’altro, una luce nuova che lo Sceriffo non ha mai visto prima.
-Sei cresciuto molto, figlio mio. Non avrei mai creduto di dirlo, ma… sei un uomo, ormai, molto più di quanto possa esserlo io. Se un quarto di ciò che ho saputo dai ragazzi è vero, allora sei molto più di una brava persona: sei un eroe. E sono fiero di sapere che questo eroe è mio figlio.-
Stiles trema, gli occhi inondati di lacrime. –Grazie, papà…-
Derek gli dà una piccola spintarella, spedendolo tra le braccia dello Sceriffo, che lo stringe forte e gli bacia i capelli, piangendo con la fierezza di un padre orgoglioso e finalmente sereno.
Ha atteso Stiles per tre anni. Per tre anni ha rifatto il letto nella sua stanza come se il figlio fosse in procinto di varcare la soglia di casa, per tre anni ha cucinato e apparecchiato per due al solo fine di fissare quel posto vuoto e immaginarselo diversamente.
Tre anni.
-Fai ciò che devi fare, amico.- sorride Scott. –Vai e salva Valefar. Noi resteremo qui a controllare la situazione.-
Stiles annuisce.
-Il varco ormai è chiuso, vero?- chiede Isaac, dubbioso.
-Sì, ma ci sono ancora buone probabilità che Lucifero tenti di uscire dall’Inferno… forse per riprendersi ciò che resta dei suoi figli.-
Tutti fissano lui e Valefar.
-Intendi dire che… il Diavolo potrebbe…- la voce di Melissa si spegne in un sussurro spaventato. Scott la abbraccia con dolcezza, tentando di confortarla, ma Melissa è una donna intelligente e ha ormai capito a quale pericolo vanno incontro tutti loro. Fissa il vuoto per qualche istante, poi i suoi occhi si scuriscono di rabbia e oscura decisione.
-Fate quello che dovete, ragazzi.- ringhia alla fine. –Se Lucifero dovesse farsi vedere, lo tratterremo a dovere.-
Stiles ride al pensiero che Melissa faccia più paura del Diavolo in persona. Forse Lucifero troverà pane per i suoi denti: sottovalutare la forza d’animo degli uomini è uno degli sbagli più grossi dei Divini.
-Grazie. A tutti.- sorride Stiles alla fine.
Fa un passo indietro per intrecciare le dita con quelle calde e confortevoli di Derek, poi stringe l’altra mano con quella di Lydia mentre avvolge la coda intorno al corpo esanime di Valefar.
-Tu dici che sono un eroe, papà.- sorride alla fine mentre Diablo ricompare stringendo tra gli artigli Duivel, la civetta di Valefar. –Ma la realtà è che da bravo figlio, ho semplicemente preso tutto dai miei genitori.-
Con queste parole spariscono, abbandonando il loft e il branco. Si allontanano, catapultati dall’altra parte del mondo, senza tuttavia lasciare per davvero quella che a tutti gli effetti è ormai la loro famiglia.
 
“Nessun giorno è uguale all’altro.
Ogni mattina porta con sé un particolare miracolo,
Il proprio momento magico,
Nel quale i vecchi universi vengono distrutti
E si creano nuove stelle.”
 
Lydia ha sempre amato la bellezza. Ne è attratta, la ammira e la ricerca con bisogno quasi fisico. Sin da bambina, ha imparato a conoscere la magnificenza esteriore, l’importanza esagerata dell’aspetto fisico. Col tempo, ha sviluppato la convinzione che solo l’essere umano possa essere bello, mentre l’ambiente puro e selvaggio, tutt’altro che artificiale, sappia essere rude e basta. Senza l’aiuto estetico dell’uomo, il mondo non imparerà ad abbellirsi. Senza l’aiuto estetico dell’uomo, la natura apparirà niente più che selvaggia e indomita.
Grande errore.
Lydia non è sicura di cosa ha davanti, perché ciò che vede appare soltanto come un sogno e basta.
Lava. C’è lava dappertutto. I colori spiccano brillanti, vividi, lucenti come distesa di fiamme purissime e appena nate.
Lydia si accorge di poggiare i piedi su una striscia di diamante lucente che, addossato all’immensa parete circolare di pietra e terra che abbraccia l’immenso ambiente, conferisce un appoggio sicuro e lontano dall’oceano di lava che si stende sotto di loro. Dal muro sbucano diversi cristalli dei colori più disparati, al punto che Lydia non riesce nemmeno a riconoscerli tutti. Un arcobaleno splendente di pietre ancora allo stato brado, più brillanti di come le si vedono nelle gioiellerie e più vive di quanto dovrebbero apparire dei normalissimi minerali. Lydia li vede sbucare dappertutto, come germogli di luce grandi e piccoli che riflettono l’oro e il cremisi della lava in migliaia di sfaccettature colorate.
Nell’oceano di fuoco liquido, vi sono delle pedane di diamante. Circolari, dal diametro di un metro circa. Sbucano dalla lava come piccoli spiragli di gelo laddove il gelo non dovrebbe neanche essere contemplato per condurre al centro esatto dell’immenso spiazzo circolare, dove una struttura indistinta ammicca luminosa, ma soffocata dai fumi della lava.
Lydia sente che dovrebbe temere quel posto; sente che certe cose, un essere umano non dovrebbe guardarle. Eppure, lei è lì e fissa allucinata la devastante magnificenza di un lago di lava che si estende per metri e metri, a vista d’occhio, al punto che il diametro opposto della chiusa circolare è praticamente invisibile.
Esiste davvero un posto del genere, al mondo?
Troppo presa dalla bellezza del luogo, Lydia non si accorge di poter respirare liberamente, né tantomeno di non essere soggetta al calore della lava troppo vicina. Si preme una mano sulla gola, poi guarda al suo fianco, dove Stiles sta accucciato con Valefar tra le braccia. Al suo fianco, ci sono Derek, Diablo e Duivel, ma tutti e tre restano immobili, il primo stupefatto e gli altri due apparentemente troppo stanchi e spossati per reagire.
-Che… che posto è questo?- esala Lydia.
Sorprendentemente, non è Stiles a rispondere, ma Derek: -Il tempio del fuoco.-
Stiles annuisce, esausto. Trasportarli tutti lì sembra averlo spossato molto e Lydia teme che il mantenere puliti i suoi polmoni e quelli di Derek dai lapilli lo stia stancando ancora di più.
Anche Derek nota l’improvviso pallore del demone, perciò si inginocchia al suo fianco e gli appoggia una mano sulla guancia, guardandolo da vicino. –Stai bene?- domanda, apprensivo come mai Lydia l’ha visto prima.
Dolcemente, Stiles inclina il capo verso quella mano, alla disperata ricerca di un contatto maggiore. Chiude gli occhi e rilassa il corpo mentre Derek gli appoggia l’altra mano sul ginocchio e senza malizia lo accarezza. Nessuno dei suoi gesti volge verso un secondo fine, Lydia lo capisce dallo sguardo venerante e puramente innamorato che Derek rivolge solo e soltanto a Stiles. Se dovesse dare un volto all’amore vero, Lydia si dice che forse e stranamente, la sua scelta ricadrebbe sul Derek che ha davanti.
 -Ora sto meglio.- sussurra Stiles, rasserenato. –È che ancora devo riprendermi dall’ultima visita all’Inferno. Valefar non è l’unico a pezzi, lupastro.-
Derek gli bacia una tempia. –Lo so, ragazzino.- risponde, poi volge lo sguardo tutto intorno. –Credevo che ci fosse una statua per ogni elemento.-
-Infatti c’è, ma la Madre Lava è sotto i nostri piedi, totalmente avvolta dal fuoco. Meglio non disturbarla, ok? Non vorrei affrontare un’esperienza stile Pacific Rim.-
Derek annuisce, ma al contrario del licantropo, Lydia non si sente per niente a suo agio.
-Che posto è questo?- interviene. –Dove diavolo siamo?-
Stiles si raddrizza e fa un inchino teatrale che tuttavia appare quasi irrisorio nella sua lenta ed eccessiva eleganza.
-Benvenuta, Lydia Martin, al tempio di Lava. Precisamente, siamo nella bocca del vulcano più grande del mondo: il Mauna Loa!-
 
"Per lor maledizione sì non si perde,
Che non possa tornar,
L'etterno amore,
Mentre che la speranza ha fior del verde". 
 
Lydia Martin non ha mai conosciuto realmente la vita. Si è sempre limitata a sopravvivere, ad andare avanti senza lottare veramente. Sin da bambina, i suoi genitori la trattavano come una bambola e nient’altro mentre, una volta cresciuta, ci pensavano i ragazzi a trattarla da oggetto. Vivere così non è vita, ma Lydia lo ha capito solo più tardi, quando un ragazzino dai grandi occhi dorati ha scelto di proteggerla, aiutarla e supportarla senza mai chiederle niente in cambio.
Lui l’ha salvata innumerevoli volte, abbracciata quando serviva, guardata quando Lydia aveva bisogno di sentirsi bella. E ogni volta, quel ragazzo non chiedeva niente.
In quel momento, attraverso quegli occhi, Lydia ha scoperto la vita vera. Essere se stessa, andare avanti senza sopravvivere. Il dorato di quegli occhi ha riflettuto il calore del sole, lo stesso tepore che non ha mai baciato per davvero la pelle nivea di bambola ingabbiata che Lydia aveva imparato ad essere.
Lydia non ne è certa, ma se qualcuno le chiedesse che sapore ha la libertà vera, quella che alleggerisce l’animo e piega le labbra in un sorriso beato, lei risponderebbe che sa di sole. Non sa perché, ma Lydia la libertà di essere, la associa a Stiles e ai suoi occhi dorati.
Quando Stiles è scomparso, Lydia ha lottato strenuamente per aggrapparsi a se stessa, per non cadere nelle tenebre. Senza la luce di quegli occhi, il buio l’ha accecata e spiazzata, rinchiusa e soffocata. Lydia ha sognato molte volte di trascinarsi lungo un sentiero buio, zoppa e cieca, stanca e con le unghie spezzate. Per raggiungere quale traguardo, poi? Altra oscurità? Lydia non lo saprà mai, ma è certa che se non avesse continuato a seguire quel sentiero in sogno, avrebbe smesso di lottare e si sarebbe azzoppata davvero.
Dopo e insieme a Stiles, incredibilmente, è arrivato qualcun altro: un ragazzo biondo, dagli occhi leggermente truccati e lo sguardo gentile d’angelo.
Angelo. Lydia non dovrebbe associare a lui una parola tanto pericolosa. Gli angeli hanno le ali piumate e vivono in Paradiso. Valefar no, ed è costretto a vivere un Inferno che non merita, una punizione bestiale addetta ai tanti peccatori di suicidio che come lui, hanno sfidato la vita in un’ultima corsa verso la morte.
Bizzarro come la storia abbia il brutto vizio di ripetersi.
Gli fu offerta una seconda possibilità. Non Dio, ma Satana scelse di trasformarlo e rigettarlo in Terra come bestia maledetta nella speranza che quel giovane massacrato, senza ricordi e dall’anima a pezzi, rispondesse ai suoi comandi. Lydia si chiede cosa si provi ad aprire gli occhi su una nuova vita, privi di memorie e finanche del proprio nome. Non si sa nulla, neanche più la propria età. E forse, questo è anche peggio della dannazione stessa.
Il dolore fisico o psicologico è sopportabile, fino a un certo punto. La perdita di se stessi no, e questo perché non si riconosce nemmeno più il proprio essere, il proprio corpo o addirittura la voce. Tutto appare estraneo e improvvisamente, non ci si fida neanche più di se stessi perché colui che si vede allo specchio, è un banale sconosciuto. Il più grande tradimento che si possa subire infatti, è quello del proprio stesso io.
Lydia non sa cosa ci fa lì, non sa perché improvvisamente ha paura. Giace accovacciata accanto al corpo esanime di Valefar, gli stringe una mano alla disperata ricerca di quel tepore che l’ha sempre confortata. Adesso tuttavia, quella mano è fredda come il ghiaccio, inerme come arto di cadavere e Lydia trema forte perché teme che Valefar, il suo Valefar, sia già sparito.
Il lago di lava si stende maestoso davanti ai loro occhi, un oceano di rosso e giallo, di cremisi e nero mescolati. Piccoli frammenti di roccia e residui di pietra lavica emergono e affondano, ammiccando sinistri nell’Inferno bollente di quei colori troppo accesi e troppo caldi.
Lydia non ha paura della lava, né di ciò che potrebbe accadere se la pedana di diamante cedesse. Non teme la morte, né la sofferenza. Tuttavia, ha paura di ciò che stanno facendo, di ciò che li aspetta. Stiles li ha portati lì per curare Valefar, ma esiste davvero una cura? Può un corpo mutilato risvegliarsi e tornare a vivere normalmente? Trattandosi di un demone, Lydia penserebbe anche che sia possibile, ma non è certa che questa sia la mossa giusta da muovere.
E se Valefar si risvegliasse, vivo ma eternamente infermo? Se le sue ali, in qualunque stato si trovino, siano spezzate e maciullate al punto da non poter più volare?
Lydia pensa al vecchio Valefar, il ragazzo solare e loquace che hanno conosciuto. Sorrideva sempre, tendeva sempre le mani a chi implorava aiuto. Anche quando era lui ad essere in difficoltà, si preoccupava per gli altri e, se gli era possibile, correva da loro.
Cosa accadrebbe invece se quello stesso Valefar, sempre pronto a correre, restasse azzoppato? Cosa accadrebbe se un fato bastardo gli spezzasse le ali e la gioia di vivere? Un uccello non vive se non vola, così come Valefar non potrebbe vivere da infermo. Riportarlo indietro, significherebbe spezzarlo definitivamente, annullare il suo essere e ciò che esso ha sempre rappresentato per il branco, per Stiles… per Lydia.
La banshee ripensa al loro ultimo incontro, alle preghiere ascoltate di Valefar, colui che con le ultime forze si appellò a una fragile ragazza, anziché a Dio o a Satana.
“Non dimenticarmi”.
E Lydia non dimentica, non lo farà mai. Nella sua testa, tutto ciò che rimane è ben diverso dal Valefar distrutto e massacrato che ha davanti. Il suo demone sorride, ha un filo di trucco sugli occhi e i capelli spettinati ad arte. È vivo e bellissimo, giusto e caritatevole. Più che un demone, il suo Valefar appare come un angelo.
-Cosa dobbiamo fare?- domanda Derek, guardando Stiles di sottecchi.
Il demone si raddrizza, raggiunge Valefar e fissa intensamente il suo viso.
-I demoni sono forgiati dal fuoco e dal dolore, dal sangue e dall’oscurità. Principalmente, i nostri corpi sbocciano tra le fiamme e poi tutto il resto li ridefinisce. La mia speranza è che affidare Valefar al fuoco primordiale, quello che partendo da qui scorre poi sotto la crosta terrestre del mondo intero, possa aiutarlo. Non ho altre idee, ma una possibilità di salvezza c’è.-
Lydia sbatte le palpebre. –Vuoi gettarlo nella lava?-
-L’idea è questa. Ricorda che il fuoco non ci ferisce, Lyds.-
Ma Lydia ha paura di nuovo e il motivo lo conosce bene. Adesso sa.
Le parole di Stiles l’hanno in qualche modo condannata, hanno chiuso sulla sua anima un cappio che si stringe poco a poco, sottraendole aria e bruciandole i polmoni così come dovrebbe accadere in presenza di tanto bruciante calore. Fa male da morire, ma dopotutto… quel dolore non è poi così terribile.
È come guardare una ghigliottina da vicino con la consapevolezza che quella stessa lama, avrebbe funto da boia sulla vita di Lydia stessa. Tranciare una vita è facile, essere condannati lo è altrettanto. Ma condannarsi da soli in nome di ciò che è giusto? Un tempo, Lydia avrebbe pensato che un gesto del genere incarnasse la più pura stupidità, mentre adesso… adesso sa che un sacrificio tanto importante, tanto vivo e accorato, sia giusto e basta.
È la sua vita, la sua libertà… e, per una volta, vuole decidere lei. Glielo ha insegnato Stiles, gliel’ha ricordato il branco, lo ha confermato lo stesso Valefar. Adesso, Lydia vuole dimostrare a se stessa che ha capito.
Lydia si inginocchia, gli occhi fissi sulla lava troppo vicina. Allunga una mano, la ferma a pochi centimetri dal fuoco liquido che dolcemente la invita ad avanzare, a seguire quella strada che lei stessa ha scelto innamorandosi di un demone.
La dannazione è una brutta cosa. Si soffre, si grida, si implora pietà. Per lunghi anni, Lydia si è chiesta perché mai un uomo debba patire le pene dell’Inferno quando così spesso è facile evitarle. Basta uno sforzo in più, un sacrificio in meno, e tutto andrà per il verso giusto. Alcuni gettano al vento la propria anima in nome di qualcosa di importante, qualcosa che Lydia non ha mai compreso appieno.
Adesso però, può capirlo.
-Devo andare io.- sussurra, e le sue parole cadono come macigni nel silenzio assopito dell’ambiente. Decretano una condanna, una preghiera ignorata, un bisogno vivo e impellente di scegliere il proprio destino.
-Non scherzare, Lyds. Dovrò portare Valefar con me nella lava; se lo facessi tu, moriresti seduta stante.- protesta Stiles, preoccupato.
-Devo farlo io.-
-Non se ne parla.- ringhia Derek, facendo baluginare gli occhi blu, ma Lydia si volta e lo guarda, le grandi iridi riflesse di lacrime.
-Devo farlo io.- esala con dolcezza non sua, che quasi le muta il volto e il timbro in qualcos’altro, una nuova entità che Stiles riconosce con un brivido.
Vede negli occhi di Lydia lo stesso sguardo che aveva lui quando si è arreso alla sua condanna all’Inferno.
Sente nella voce di Lydia lo stesso tono che usò lui quando capì che era giusto andare.
Quelle creature, con occhi grandi di lacrime e voce pulita di agnello innocente, Stiles li chiama “immolati”. Angeli senz’ali che scelgono di sacrificarsi, uomini e donne i cui occhi sono abbastanza puliti da vedere il giusto e perseguirlo senza sosta semplicemente perché deve andare così.
Sono questi gli uomini che Stiles protegge, questi gli angeli in cui crede.
Una volta, sua madre gli disse che il riflesso che vediamo allo specchio è nient’altro che l’involucro di un diamante, qualcosa che può mutare in pietra preziosa o restare nero di carbone. Da bambini, si nasce diamanti, ma spesso crescendo, quei diamanti s’anneriscono e poco a poco vanno in pezzi, annientati da un’oscurità che il loro bagliore non riesce a respingere. Son pochi coloro capaci di alimentare quel bagliore di diamante, scegliendo sempre tra la via giusta e la più facile, quella che semplicemente è necessario seguire.
Lydia è uno di quei diamanti, Stiles lo capì anni addietro quando la vide per la prima volta. Ricoperta di carbone, ancora acerba e schiacciata dal peso della vita… eppure, nonostante tutto, ancora lucente di uno scintillio prezioso, reale, che nulla ha a che vedere col brillio di braccialetti e collane d’oro e d’argento.
-Perché?- chiede semplicemente, e Lydia respira a fondo per calmarsi.
-Perché a dirmelo è stata l’incappucciata nera.-
Stiles annuisce lentamente. –Mentre eravamo via, vero?-
Lydia esita. –Io… ero davanti al varco e… lei è apparsa. Non so perché ha voluto incontrarmi, non so perché mi ha scelta. Ha detto che avrei svolto un ruolo importante in questa storia, che avrei salvato una parte stessa della mia anima.-
Lydia sposta lo sguardo su Valefar e lo fissa in silenzio, gli occhi gentili e addolciti da un affetto che Stiles non riesce ad attribuirle davvero.
-Io non so perché penso che parlasse di Valefar, né sono sicura che tutto questo non sia una follia, ma… devo farlo. È l’unica cosa che sento, l’unico passo giusto che voglio compiere in autonomia. Voglio scegliere, Stiles. Voglio essere libera.-
Lydia gli afferra una mano, lo guarda negli occhi. E Stiles capisce.
Alcuni dicono che gli occhi siano lo specchio dell’anima. Vivi, brillanti di luce o morti e bui di oscurità. Alcuni parlano con lo sguardo e piangono con la voce. La vera essenza dell’essere umano sa essere bizzarra e poco chiara ma, per chi la comprende veramente, un nuovo mondo si spiega, dilata le sue appendici negli animi di chi sa ancora ascoltare. È come estrarre un brillante dalla terra, una gemma preziosa la cui luce riflessa si specchia in mille e mille sfaccettature diverse e sempre nuove.
Stiles ha avuto modo di appurare questa realtà quando negli occhi di Derek ha imparato a riconoscere la sua vera essenza, la creatura giusta e altruista del suo io interiore. Ha scavato quelle burbere iridi verdi, ha vagliato l’anima che proteggevano e alla fine, Stiles ha finito col capire e con l’amare ciò che ha visto e scoperto. Il vero Derek, l’unica e più importante realtà della sola creatura che Stiles si è mai concesso di amare veramente.
Stiles non pretende di conoscere davvero l’anima di Lydia, ma quantomeno, sa di poterla capire. Sacrificarsi in nome di chi si ama, proteggere col proprio corpo l’anima di chi forse mai conoscerà il reale significato di tale gesto… sono cose che Stiles capisce bene.
Inconsapevolmente, il demone stringe forte la mano di Derek, chiedendogli per l’ennesima volta di prestargli quel barlume di forza di cui ha bisogno, quella bruciante decisione che solo il licantropo sa fornirgli.
Per l’ultima volta, Stiles si aggrappa al suo licantropo pregando di poter agire in onor di giustizia. Si affida a lui per una delle scelte più difficili della sua vita, si affida a lui per concedergli la vita stessa.
Come se avesse percepito quei pensieri, Derek ricambia forte la stretta. Strano a dirsi, ma il suo tocco sa di sole ed erba fresca, di pioggia e di aghi di pino appena spiccati. Stiles ha imparato a riconoscerlo, ad aggrapparvisi quando le forze gli vengono meno, e stranamente, questo Derek l’ha capito.
Dammi la forza, Derek.
Stiles chiude gli occhi e una piccola lacrima brillante scivola lungo la sua guancia. Una lacrima umana, pulita, sincera di amico sofferente. Deve lasciarla andare, deve liberarla e ritirare l’ala protettiva che l’ha sempre schermita dall’ombra, dal dolore e dagli errori del mondo.
Lydia è cresciuta, e adesso lo guarda come la donna che è diventata. Fiera e decisa, altera e bellissima.
Stiles deve lasciarla andare.
-Sii libera.- sussurra alla fine, lasciando cadere la mano dalla sua stretta. Con occhi ancora colmi di lacrime, guarda Derek in cerca di conferma e il licantropo semplicemente annuisce e gli bacia la fronte con dolcezza, la stessa dolcezza capace di riportare in Stiles un barlume di serenità e un pallido bagliore di luce pulsante.
Stiles chiude gli occhi e si abbandona a quel tocco fresco e genuino, morbido e fiducioso. Derek si affida alle sue decisioni, a occhi chiusi segue le sue scelte, e per Stiles non esiste regalo più bello. Sente adesso di avere un paio d’ali in più, due appendici piumate e invisibili più potenti di qualsiasi ala demoniaca, capaci di spedirlo oltre i cieli, oltre le nebule dell’universo e i buchi neri. Non è solo, e anche se dolorosa, la scelta che ha fatto è quella giusta perché Derek si fida.
-Grazie… amico mio.- sorride Lydia, finalmente serena.
Si volta, afferra Valefar con dolcezza venerante e faticosamente si raddrizza, barcollando sui tacchi a spillo.
Sii libera.
Lydia avanza, fiera e altera come una tigre, dritta e bellissima come una leonessa in caccia. A testa alta, cammina incontro alla morte per seguire un’ideale, una speranza ancora viva e pulsante.
Sii te stessa.
Lydia respira a fondo, guarda sicura verso il mare di lava. Sorride di un sorriso sereno, felice, tipico di chi finalmente è padrone del proprio destino come delle proprie scelte. E poco a poco, mentre la giovane banshee esala l’ultimo, fiero respiro, le sue ali di libertà si spiegano e sbattono neonate per la prima volta, vive e leggere come mai prima d’ora.
Lydia stringe con dolcezza il corpo di Valefar, gli avvolge i fianchi con un braccio e lascia che il suo viso appoggi gentile contro il collo morbido di lei. Sente il corpo del demone premere abbandonato contro il suo, il respiro flebile e quasi spento che a stento le sfiora le carni.
Spezza i fili che ti legano.
Lydia solleva gli occhi al cielo, verso i bordi frastagliati della bocca del vulcano.
C’è uno splendido cielo, lassù. Le stelle brillano più del solito, tanto che agli occhi di Lydia, appaiono come tanti cristalli esposti, una mostra splendente di preziosi che mai la sua mano di giovane ragazza avrà modo di toccare fisicamente. Eppure, per qualche istante che le è apparso quasi come un sogno, Lydia ha avuto modo di crederci. Stretta tra le braccia di un demone bizzarro e leggermente truccato, ha toccato la volta celeste non con un dito, ma con entrambe le mani.
È bastato un attimo, un istante di pura fisicità e tutto è diventato luce.  Improvvisamente, il sole che dagli occhi di Stiles le illuminava fiocamente la vita, è diventato una supernova nello sguardo di Valefar e Lydia non ricorda di aver mai saggiato un calore più puro e piacevole.
Salva il futuro. Proteggi ciò che è giusto.
Avrebbe voluto dirgli tutto, ma forse Valefar lo sa già. Nonostante tutto, è una creatura intelligente, e su una cosa aveva ragione: Lydia non dimenticherà. Ricorderà per tutti e due, in vita come in morte e quando approderà all’Inferno, nel girone dei suicidi, resterà se stessa soltanto per ricordare a demoni e dannati, ad angeli e beati che i demoni sono creature vive, reali e spesso, se vogliono, anche giuste.
Con il sorriso ancora stampato tra le labbra e il corpo di Valefar tra le braccia, Lydia si lascia cadere.
Non è un salto, no. Lei semplicemente si abbandona alla morte, slacciando la sua tenace stretta di mano con la vita. Ha compiuto il suo giro, anche se agli occhi di molti apparirà troppo presto, ma a lei va bene così: finalmente, ha scelto di sua stessa volontà.
-Mi dispiace…- esala Lydia mentre il suo corpo tocca la lava.
Le dispiace veramente, dopotutto. Le dispiace per le troppe rispostacce che ha rivolto verso Valefar, le dispiace di avergli sorriso poco e di averlo sfiorato altrettanto. Le dispiace per non avergli mai chiesto niente della sua storia, perché da brava egoista, Lydia non lo ha mai guardato veramente.
Lui la guardava sempre invece, ad ogni istante del giorno e della notte, quando il sole lasciava il posto alla luna o quando pioveva o nevicava. Lui c’era, e Lydia non lo sapeva. Valefar era lì, e Lydia non sapeva mai osservare.
Adesso, mentre la lava abbraccia di dolore i loro corpi, Lydia si domanda chi sia realmente Valefar, il suo Valefar. Non le interessa Alexander Olsen, il ragazzo che era, quel lato umano che ossessionava Valefar al punto da perseguirlo addirittura. Non è mai stato quel nome a donargli umanità perché in lui, l’umanità c’è sempre stata.
Mentre muore, Lydia ricorda le parole che Stiles disse una volta, tempo addietro: “Una creatura riscopre la propria umanità attraverso le scelte che compie. Non un nome decreta ciò che si è realmente quanto invece può farlo un gesto di carità gentile, come il tendere la mano verso chi, accecato dal buio e azzoppato dalla vita, non ha la forza per rialzarsi in solitudine”.
Stupido ragazzino petulante. Aveva ragione su tutta la linea, e adesso Lydia può capirlo. Valefar ne è la prova, puro e bellissimo come un bocciolo di rosa coperto di melma. Per quanta sporcizia possa ricoprirlo, un fiore resterà fiore per sempre.
Lydia muore, e soltanto adesso può capire.
Lydia muore, e solo adesso ha la forza per sorridere e ricordare che dopotutto, è valsa la pena seguire quel percorso, anche se alla fine di tutto ad attenderla, ha trovato la morte.
È un buon modo per andarsene. Va bene così.
Lydia si abbandona al dolore delle ossa che si sciolgono mentre gli organi poco a poco collassano, la abbandonano, smettono di funzionare. È bizzarro che Lydia abbia avuto così tempo per pensare alla sua vita, a Stiles, al branco prima di andarsene.
Chiude gli occhi per l’ultima volta mentre il vago ricordo dei suoi amici la invade. Li rivede tutti insieme, intenti a ridere mentre il sole bacia loro la pelle di un bagliore quasi angelico. La chiamano, la guardano, la fanno sentire bella e ben lontana da un banalissimo oggetto.
Quella è casa sua. Quella è la sua famiglia.
Finalmente, Lydia ha trovato il suo Paradiso.
 
“Hai fretta? Dove stai andando?”
“Chi sei?”
“Come ti chiami?”
“Hai fretta?”
Beato mondo di parole. Tante frasi senza senso, tante lettere accorpate in un unico legame di concetti e idee, di follia e stupidità. L’uomo ama parlare inutilmente, lo ha sempre fatto, ma questo sottrae tempo al tempo e poco a poco si invecchia, ci si consuma, e allora le troppe parole espresse inutilmente cominciano a pesare su spalle sempre più curve.
“Chi sei?”
“Hai fretta?”
Lei non ha fretta, per niente. Anzi, non sa nemmeno dove si trova. Non sa da dove provengano quelle voci, né perché siede nuda su un pavimento di gelido buio con distratta tranquillità. Continua a oscillare il capo, a stento si guarda intorno. Dopotutto, non c’è proprio niente da vedere.
“Dove vai?”
“Hai fretta?”
Voci, troppe voci. Sussurrano tutte, una cacofonia di suoni indistinti che assemblati tra loro formano un’unica, grande matassa di confusione. Eppure, alcune frasi continuano a tornare, alcune domande si ripetono.
Lydia non sa perché. Non le interessa.
-Alla fine, hai seguito il mio consiglio.-
Lydia si volta, posa lo sguardo sull’incappucciata educatamente seduta su un invisibile sgabello a mezz’aria. Morbida, elegante, stoica come solo la morte sa essere. Le vesti si fondono con l’oscurità, ondeggiano vive intorno al corpo smagrito mentre le mani scheletriche giacciono intrecciate su un grembo vuoto che tuttavia, di figli ne ha partoriti già tanti.
L’incappucciata la fissa, sorridendo serena da sotto il manto di oscurità che l’avvolge già dall’alba dei Tempi. Lydia riesce a percepire la sua serenità, la gioia di rivedere una figlia per lungo tempo perduta ma che ormai è destinata a rincasare. Un passo alla volta, i vivi s’accostano alla casa di madre Morte per chiudere il cerchio e varcare quella porta che da neonati abbandonarono e che dopo, in gioventù o in vecchiaia, saranno destinati a varcare per l’ultima volta. Lydia si sente adesso una di quei figli, troppo giovane per morire, ma ugualmente felice di andarsene.
Ha compiuto il suo ultimo passo in serenità, chiudendo a modo suo il piccolo cerchio di vita che tuttavia, sarebbe potuto essere più ampio. Va bene così.
-Sì, e sono felice di averlo fatto. Non so cosa sarebbe accaduto se fosse andato Stiles al posto mio, ma mi fido di te. Lo sento. Sei mia madre, dopotutto.-
L’incappucciata inclina il capo. –Sono la madre di tutti voi, figlia mia. Non posso dirti cosa sarebbe accaduto se al tuo posto ci fosse stato Stiles, ma ricorda una cosa: il sacrificio innocente, per quanto macabro, possiede un potere quasi illimitato. Finanche Dio e Lucifero son costretti a chinare il capo dinanzi a tale potere, poiché esso pianta radici profonde che risalgono a molto prima dell’Alba dei Tempi. Il sacrificio innocente è sacro, e spezza ogni legge universale.-
Lydia annuisce, conscia della verità di quelle parole. Sa bene cosa ha fatto, sa di aver mosso il passo giusto. Adesso ha la certezza che Valefar ha riaperto gli occhi, che è tornato a casa: riabbraccerà Stiles, il branco, la vita perché questo è tutto ciò che merita.
-Grazie.- mormora semplicemente, e l’incappucciata si alza.
-Andiamo, figlia mia?-
-Andiamo.-
Lydia tende la mano verso di lei, pronta a seguirla, ad affiancarla come una vecchia amica, da pari a pari. Ha scelto la sua strada, e morirà in fierezza, austera come la donna fatta e finita che ha deciso di diventare. Dopotutto, morire non è poi così male.
Poi però, qualcosa cambia e il mondo di Lydia si capovolge per l’ennesima volta, rovesciato da un profumo di incenso e vaniglia, misto al soffio di un respiro che da dietro, le sfiora l’orecchio in un’ondata di calore improvviso e bellissimo.
Una mano copre la sua, chiude le dita in un pugno serrato che le impedisce di toccare le falangi scheletriche ma tese dell’incappucciata, che adesso fissa Lydia in silenzio.
-Mi dispiace interrompere questo piacevole incontro, dolcezze…- annuncia una voce morbida come pieghe di velluto e placida come laghi più limpidi. -… ma la ragazzina non va da nessuna parte.-
Lydia rabbrividisce, quasi le cedono le gambe. Le ginocchia tremano tanto violentemente che il ragazzo alle sue spalle è costretto a cingerle i fianchi con l’altro braccio per sostenerla.
E allora, ogni cosa scivola al suo posto. Per Lydia è come essere già in Paradiso, al cospetto degli angeli stessi. Lo sa perché la creatura più splendida e innocente di tutte la sta toccando, la protegge, stende su di lei un manto di ali invisibili e gentili. Il suo Paradiso è caldo come pelle di demone e ha due occhi di un azzurro stupefacente, messi in risalto da un filo di matita. Non ha bisogno di voltarsi per immaginarlo, per capire che per l’ennesima volta, lui non la lascerà andare.
-Sei in ritardo, figlio mio.- sorride l’incappucciata.
Lydia sente il corpo di Valefar aderire al suo, la grande mano dalle dita sottili coprire in tutta la sua ampiezza il fianco di lei. È un tocco gentile, effimero come ali di farfalla e altrettanto delicato.
-Lei viene via con me, dolcezza.- afferma Valefar, e Lydia avverte nella morbidezza della sua voce una nota di avvertimento, una traccia di implacabilità che finanche la Morte stessa non potrà contrastare.
Valefar è sempre stato un tipo pacifico: raramente Lydia l’ha visto alzare la voce, mai l’ha visto minacciare qualcuno. Questo trascina la sua mente alle ricerche che ha fatto, ai dati che mai ha voluto confessare al resto del branco.
Valefar è uno dei demoni più famosi della mitologia sacra, al punto che le sono bastati pochi istanti per trovare risultati su quel nome. Protettore dei ladri, comandante di ben dieci legioni infernali… all’Inferno, è chiamato il Duca.
Duca. È una parola grossa per chiunque, anche per un demone. Si parla di un alto grado, una carica che ben pochi meritano di nome e di fatto. Eppure Valefar, figlio di un aristocratico atteggiamento e padre di un potere mai ostentato pienamente, merita questo e ben altro.
Lydia non l’ha mai sentito minacciare qualcuno, e adesso sa perché: le minacce sono potenti, importanti, capaci di sradicare gli alberi e far tremare la terra. Tali promesse di sangue e ossa spezzate, sono difficili da mantenere, ma quando si tratta di un Duca, tener fede alla parola data è un obbligo.
Valefar adesso minaccia la Morte stessa, e Lydia sente che se si arrivasse allo scontro frontale, i suoi sinistri avvertimenti si rivelerebbero ben più che mere parole. Ne son testimoni il cielo e la terra, l’Inferno e il Paradiso, l’uomo e tutte le creature viventi. Ne è testimone Lydia Martin.
L’incappucciata si alza, fissa da sotto la veste la creatura che ancora resta immobile alle spalle di Lydia.
-Un’anima è un’anima, Duca. La sua è danneggiata, e io dovrò soltanto svolgere il mio lavoro. Non posso ignorare i doveri che all’inizio di tutto mi furono affidati.-
Valefar accentua la stretta sui fianchi di Lydia, intimandole di non muoversi.
-Lei non viene.-
-Sai anche tu che deve. È morta, e i morti non ritornano.-
-Dirlo dopo tutto quello che è successo ultimamente, dolcezza, mi sembra un po’ ipocrita.-
L’incappucciata lo fissa, resta immobile. Lo giudica in silenzio, lentamente avanza una sentenza decisiva che stabilirà il futuro di Lydia o l’imminente scontro frontale col Duca dell’Inferno.
-Mi chiedi molto, Duca.-
-Non ti sto chiedendo niente, dolcezza.-
Lydia avverte il sorriso nella voce di Valefar e incredibilmente… l’incappucciata sorride a sua volta.
-Non ho mai avuto la presunzione di capire gli umani, poiché essi seguono una linea sentimentale che io non avrò mai modo di sperimentare, ma per molte ere mi sono illusa di conoscere i demoni. Pensavo di sapere, di capire. Tuttavia, adesso giungi tu ad intaccare la mia presa di presunzione. Tu, insieme a molti dei miei figli che troppo in fretta si stanno risvegliando. Li sento spezzare le catene, pensare con la propria testa.-
L’incappucciata si volta, dà loro le spalle.
-Qualcosa si muove, figli miei, e prima che tutto finisca, vi resta un’ultima battaglia da affrontare, la prova più difficile di tutte. Bada, Duca: Lydia Martin sopravvive perché per mio consiglio ha scelto di gettarsi tra le fiamme, ma ricorda che la morte giunge per tutti e quando sarà il momento, non potrai proteggerla. Dovrà cavarsela da sola.-
Valefar aderisce al corpo di Lydia, la stringe come se intendesse proteggerla dal mondo intero. E Lydia sente che è veramente così.
Valefar, il Duca infernale, la proteggerà fino alla fine dei Tempi, oltre l’arco in ascesa della vita, dopo la morte e ovunque la sua anima andrà a finire. Che si tratti di Inferno o Paradiso, Lydia sente che lui non la abbandonerà.
-Torniamo a casa, dolcezza.- sussurra Valefar, e allora tutto si scurisce ancora di più, le tenebre abbracciano Lydia e la accecano, ma lei non ha più paura: sente alle sue spalle una presenza, una creatura viva e giusta che, contro la sua stessa natura demoniaca, le dona con dedizione una promessa capace di spezzare il sole e abbattere la luna, affrontare i tempi e qualsiasi era a venire.
Valefar promette, e Lydia gli crede.
Valefar la protegge, la stringe al petto e Lydia finalmente si sente a casa.
 
Angolo dell’autrice:
Ce la sto mettendo tutta, davvero. Al momento sto molto male, ma non posso impedirmi di aggiornare, perché so che finché la più piccola persona aspetterà di leggere un nuovo capitolo di questa storia, non potrò fermarmi. Tuttavia, vi chiedo di essere pazienti, poiché le mie forze sono davvero misere al momento e anche scrivere questo angolino mi stanca da morire. Ma ce la faccio. Ce la faccio perché ci siete voi e ogni volta che leggo un nuovo commento… mio Dio, non posso crederci. C’è chi ha paragonato le mie (scarse) capacità di “scrittura” a quelle di uno scrittore di professione e… davvero, ho pianto. Non lo dico per dire. Ho pianto veramente, e l’ho fatto col sorriso sulle labbra e una mano premuta sulla bocca perché la vera magia di cui parlate non la compiono questi miseri capitoli, no. Gli incantesimi più potenti di tutti sono i vostri, trasmessi attraverso commenti lunghi e corti, pacati o adorabilmente pazzi da legare. Questi capitoli siete voi. Li avete costruiti insieme a me e, davvero, è col cuore in mano che vi ringrazio. Vi ringrazio perché ogni volta mi concedete quel po’ di tempo che non merito per scrivere una recensione. Vi ringrazio perché siete con me quando devo trovare le energie per correggere e scrivere anche alle tre del mattino, quando ho sonno ma non posso fermarmi. Siete dei diamanti, i miei diamanti più belli. Ed è grazie alla vostra luce che i miei personaggi salgono a galla ogni volta. Li sento respirare, ridere e piangere con me quando leggo le vostre parole. Grazie di cuore, perché il tempo che mi dedicate è il regalo più bello che io possa ricevere ed è una benedizione che non mi aspettavo.
Grazie a:
Giada_ASR
Even_if_it_rains
Two_dollar_bill
Elenuar Black
Fangirl_Mutante_SHIELD
Sophi33
_Sara92_
Barbara78
Drarry90

 
Anticipazioni:
“-Benvenuto a casa mia, Sourwolf.- esala la voce improvvisamente nervosa di Stiles, e allora Derek alza lo sguardo sull’ennesima meraviglia dell’universo, figlia non degli angeli, ma dei demoni più antichi e potenti dell’Inferno.
Se il Tempio dell’Acqua in sé racchiudeva una sensazione di placida serenità, quieta e liscia come la superficie del lago più tranquillo, quello del Fuoco trasuda invece una pacata potenza, una distruttività sopita di bestia addormentata ma capace col solo sguardo di pietrificare il mondo intero.
Derek ha sempre pensato che il fuoco non abbia volto: è un elemento, qualcosa di inafferrabile il più delle volte e fisico soltanto quando scalda o ferisce. Quel tempio però, in tutta la sua fulgida magnificenza, rispecchia in sé il vero aspetto delle fiamme più possenti, figlie di incendi distruttivi o di fuocherelli capaci di scaldare vite e salvare dall’assideramento. Il fuoco sa essere buono e cattivo, terribile e bellissimo, a seconda di come è trattato. Non si tocca, eppure, anche se non fisicamente, egli sfiora con carezze di calore o ferite di ustioni. A modo suo, il fuoco è vivo e il Tempio che lo rappresenta è capace di dimostrarlo."

Tomi Dark Angel

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Capitolo 27
*** Diamanti Oscuri ***


“I sogni sembrano reali quando ci siamo dentro,
Non ti pare?
Solo quando ci svegliamo ci rendiamo conto
Che c’era qualcosa di strano.”
 
Si dice che perdere un amico faccia avvertire ai sopravvissuti il peso del tempo che scorre troppo in fretta. Ci si sente vecchi, pesanti, esausti. Le lancette della vita accelerano e improvvisamente, il senso di immortalità che si prova quando si è molto giovani, sparisce.
Stiles ha già perso molti amici nel corso degli anni. Da quando Scott è stato trasformato in licantropo, tutto è cambiato e la gente ha iniziato a morire, a restare uccisa. Corpi dilaniati, sangue dappertutto, membra sparse di belve inferocite che un pezzo alla volta hanno scelto di smembrare fragili brani di carne troppo deboli per ribellarsi.
All’inizio, Stiles credeva di essere precipitato nel più barbaro degli incubi. Li rivedeva ogni notte, quei corpi noti o sconosciuti che la polizia trovava di continuo, smembrati o sacrificati, a pezzi o dilaniati. Quegli incubi tuttavia, sono ben lontani da ciò che Stiles subisce adesso.
Beacon Hills non può neanche immaginare gli orrori dell’Inferno.
Beacon Hills non potrà mai ricordare il dolore di una perdita tanto grande, dove tutto ciò che gli è permesso è di fissare sofferente l’ultimo salto d’angelo di una ragazza gentile, onesta, che fino alla fine ha voluto seguire un ideale e una serena libertà di scelta.
Un’altra immolata, un altro sacrificio. Tutto in nome di quella guerra maledetta, dove Dio e Satana rifiutano di arrendersi per pura presa di posizione. I loro figli muoiono, le anime si dissolvono e tutto va in pezzi, ma loro continuano, continuano sempre a combattere. Per entrambi, quella piccola guerra è nient’altro che una partita a scacchi dove i pezzi sacrificati sono poco più che insulsi.
Lydia Martin era solo una pedina agli occhi di Dio e Satana. Ai loro occhi, certo. Ma per Stiles, Lydia era molto più di un semplice pezzo. L’ha lasciata andare perché si fida di lei e dell’incappucciata, l’ha lasciata andare perché è sicuro di vederla riemergere. Se di Dio e Lucifero non si fida affatto, lo stesso non può dirsi dell’incappucciata nera. Stiles gli deve la vita e la sua stessa anima, perciò se c’è qualcuno a parte Derek e il branco alla quale affiderebbe tutto il suo essere, quella è lei.
Carpendo i suoi pensieri come al solito, Derek gli stringe forte la mano per rassicurarlo. Non lo fissa, gli lascia i suoi spazi e il silenzio per accettare l’accaduto. Il suo volto è impassibile, ma Stiles sa che se lo guardasse veramente negli occhi, leggerebbe in essi tutto il dolore che prova.
“Gli occhi sono lo specchio dell’anima”, e l’anima di Derek Hale è quanto di più luminoso e innocente esista al mondo. Di riflesso, anche i suoi occhi sono così, puri e limpidi per chi sa guardarli e carpirne la vera essenza. E Stiles li ama per questo. Ama tutto di lui, ma gli occhi… quello è il suo piccolo mondo di giada, un tempio che né angeli, né demoni potranno mai reclamare, poiché a costruirlo, è stato lo stesso Derek Hale e la storia che l’ha reso ciò che è.
Cercando di non pensarci proprio adesso che Lydia si è gettata a capofitto tra le fiamme, Stiles spinge lo sguardo più in là, verso il tempio. I suoi occhi demoniaci traggono beneficio dal calore esagerato della lava e si sciacquano ad ogni ondata di soffio cocente. La pelle di Stiles si risveglia, il suo essere interiore respira a pieni polmoni e improvvisamente, il giovane demone si sente in grado di fare qualsiasi cosa, di essere qualsiasi cosa.
Le sue ali, anche se ancora ritratte nel corpo, bruciano dalla voglia di spiegarsi. Stiles le sente premere contro la pelle mentre le zampe da canide si fortificano e lentamente, anche se ancora agili e troppo sottili, fanno affiorare contro la pelle nervi e tendini, muscoli e vene.
Derek lo fissa mentre la pelle di Stiles comincia a ricoprirsi di rosso e oro, viva di una splendida luce che brilla ancor più della lava. È come una fiamma, un’entità viva e autonoma più lucente delle stelle, più potente di una supernova. E, come al solito, Derek ne resta affascinato, troppo incredulo per convincersi che sì, quella splendida creatura ultraterrena è nelle sue mani, anima e corpo, senza se e senza ma. Perché ha scelto lui? Perché, nella sua dolce gentilezza, Stiles ha sorriso proprio alla malsana acidità di una creatura difettosa, la cui semplice storia intride rabbia e malattia, lacrime e rancore?
-Che diavolo era quello?-
La voce di Stiles risveglia Derek dall’improvviso, spingendolo a seguire la traiettoria del suo sguardo. Fissa verso le nubi, assottiglia lo sguardo nel vano tentativo di penetrare i fumi della lava, ma i suoi occhi non sono nati per questo: vedono al buio, sviluppano in esso un senso di forza e protezione. Le fiamme, invece, fanno male.
Il fuoco ha bruciato casa Hale.
Il fuoco ha ucciso l’intera famiglia di Derek.
E, strano a dirsi, adesso Derek ama profondamente una creatura nata da quelle stesse fiamme.
-Non vedo niente.- afferma, ma Stiles non lo ascolta più.
Ha gli occhi sbarrati, le labbra schiuse, la coda rigida per il nervosismo. Derek nota la tensione dei suoi muscoli, fasci intrecciati  di nervi, vene e carne che premono possenti contro la pelle.
-Stiles, che cosa…-
-Devo raggiungere il tempio.-
Prima ancora che Derek possa aprir bocca, Stiles spalanca le ali. Quattro immensi arti stiracchiati di ossa d’acciaio e vele di seta. Semiaperte, sono abbastanza grandi da riempire quasi per intero il cratere, e questo lascia Derek pietrificato perché come già accaduto in precedenza, non le ricordava tanto ampie. Sembrano crescere ogni volta, un centimetro dopo l’altro, sbocciando immense dalle fantasie più fulgide di Dio e Lucifero.
Il cielo scompare, inghiottito da riflessi rossi e oro che, correndo lungo la membrana scura delle ali, rigettano sulla lava un’ombra anomala, una nebula di riflessi splendenti e in movimento che come piccoli diamanti colorano l’oceano di fuoco di cristalli sfaccettati, limpidi, capaci di creare un nuovo, splendido mondo. I cristalli che sfondano le pareti del cratere splendono con più forza, come in risposta alla chiamata mortifera di una creatura infernale che si libera, splendida e terribile come il più voglioso dei peccati. Migliaia di colori dipingono d’incanto quelle ali, le richiamano alla vita, le mutano come tele di seta un tempo scure e tristi improvvisamente trasformatesi in uno spettro di sfumature sempre diverse, sempre in movimento.
Derek fissa incantato le vene pulsanti e in rilievo che ancora s’intravedono contro la sottigliezza delle membrane mentre il catrame cola sulle ossa, lungo i muscoli, sul manto stesso di colori appena nati dal riflesso del fuoco e dei cristalli.
Ha dell’incredibile che una vista del genere sia stata partorita dall’Inferno. Quelle ali, quel cratere, la creatura stessa che adesso sta eretta al fianco di Derek, con gli occhi ancora fissi verso l’ombra lontana del tempio. Nella sua essenza di bestia dannata, Stiles incarna in sé tutta la magia dell’Inferno e tutta la sua devastante potenza. Nonostante la piccola statura e il volto apparentemente dolce di giovane ragazzo, egli  trasuda un senso di implacabile fierezza da ogni poro della pelle, più di qualsiasi angelo, più di Lucifero stesso.
-Sourwolf…- chiama improvvisamente Stiles, gli occhi ancora fissi all’orizzonte. –Questo posto è… pericoloso. Non appartiene agli angeli, ma ai demoni. Le fiamme sono delle madri per noi, quindi non ti chiederò di venire al tempio con me.-
-Fai bene a non chiedere, perché io vengo, ragazzino.- ringhia Derek in risposta, e Stiles lo guarda, gli occhi serpentini dalla pupilla verticale, la pelle che già lampeggia di luce e bagliori rossi e oro.
-È pericoloso.-
-Diventerò pericoloso io se mi lasci qui.-
Stiles sorride. –Non hai paura del fuoco, Uomo Ghiaccio?-
-Abbiamo già scoperto che come lupo artico non me la cavo, quindi proviamole tutte. Con alcune creature del fuoco ci vado parecchio d’accordo, e questo è un buon segno.-
Derek lo fissa allusivo, e Stiles tossicchia imbarazzato.
-Da quando si abbandona a questi incantevoli giochi di parole, Mr. Darcy?-
-Da quando ho scoperto che qualcuno qui è facilmente imbarazzabile.-
Stiles apre un occhio per fissarlo di sottecchi. –Piantala di guardarmi così!-
-Così come?- Derek inarca le sopracciglia, stranito.
-Come… ah, lascia stare. A volte fai paura. E le tue sopracciglia sono inquietanti. Un giorno te le raserò a zero.-
-Tu provaci e ti stacco la coda.-
Stiles arriccia un angolo della labbra, un occhio ancora aperto e l’espressione rasserenata. Stringe forte la mano di Derek, per l’ennesima volta si aggrappa a quel contatto e gli chiede aiuto, sostegno.
-Trattieni il respiro e chiudi gli occhi.-
E Derek si fida. Senza chiedere né dubitare, obbedisce e serra le palpebre, i polmoni improvvisamente stretti in un blocco d’aria volontario che non pompa più ossigeno al corpo e al cervello.
Il risucchio dell’oscurità che si chiude su di loro riempie di gelo improvviso il suo intero corpo, ma Derek non si agita. Si aggrappa alla stretta di Stiles, al calore che quel tocco gli infonde nelle vene e alla fine, grazie ad esso, tutto finisce.
I rumori tornano a riempirgli le orecchie, l’odore del fuoco e della terra invadono le sue narici e quando apre gli occhi, Derek fissa i suoi stessi piedi nudi posti su una piattaforma di massiccio diamante, coperto da incisioni arcane nere come l’onice. La superficie è tiepida e tiene sorprendentemente a bada il calore. Illuminata dal basso, essa rigetta sul viso di Derek e tutto intorno a lui una miriade di sfaccettature cristalline che in loro racchiudono tutti i colori del mondo o semplicemente la totale assenza di esso, visibile in un bianco accecante.
-Benvenuto a casa mia, Sourwolf.- esala la voce improvvisamente nervosa di Stiles, e allora Derek alza lo sguardo sull’ennesima meraviglia dell’universo, figlia non degli angeli, ma dei demoni più antichi e potenti dell’Inferno.
Se il Tempio dell’Acqua in sé racchiudeva una sensazione di placida serenità, quieta e liscia come la superficie del lago più tranquillo, quello del Fuoco trasuda invece una pacata potenza, una distruttività sopita di bestia addormentata ma capace col solo sguardo di pietrificare il mondo intero.
Derek ha sempre pensato che il fuoco non abbia volto: è un elemento, qualcosa di inafferrabile il più delle volte e fisico soltanto quando scalda o ferisce. Quel tempio però, in tutta la sua fulgida magnificenza, rispecchia in sé il vero aspetto delle fiamme più possenti, figlie di incendi distruttivi o di fuocherelli capaci di scaldare vite e salvare dall’assideramento. Il fuoco sa essere buono e cattivo, terribile e bellissimo, a seconda di come è trattato. Non si tocca, eppure, anche se non fisicamente, egli sfiora con carezze di calore o ferite di ustioni. A modo suo, il fuoco è vivo e il Tempio che lo rappresenta è capace di dimostrarlo.
La struttura si srotola in un corpo centrale massiccio dalla forma spigolosa, con mura roventi di vero rubino fuso insieme all’oro più brillante che Derek abbia mai visto. Colate disordinate scendono come macchie di colore in gocce luminose di ocra brillante, segno forse che l’oro incastonato tra i rubini debba essersi fuso col tempo e con la vicinanza della lava, trasformandosi in una cascata di metallo che Derek vede ancora scivolare in rivoli lucenti tra il rosso sangue delle mura.
Un protiro d’oro massiccio di forma rettangolare  si stende davanti all’entrata, sorretto da due sole statue di demoni alti circa otto metri, in ginocchio, con le braccia sollevate a sostenere il peso e i muscoli gonfi di sforzo. Hanno i capelli lunghi, i capi chini, le corna da ariete e le zampe di capra. Derek ha quasi timore di guardarli da vicino perché chiunque abbia scolpito quelle figure, ha curato i dettagli talmente bene da donar loro una parvenza di vita, le sembianze di creature vive che respirano e da un momento all’altro potrebbero sbattere le palpebre.
Strano a dirsi, ma quei demoni non hanno ali, né le lame al posto delle mani. Sono muniti di artigli bestiali e le code dalle punte triangolari, scolpite nel più oscuro granato Mozambico*, scivolano verso l’entrata per intrecciarsi tra loro in un unico arco di cristalli cremisi che, sollevato, preannuncia un portone di diamante nero a due battenti. Su ogni porta è scolpito in rilievo un drago d’oro impennato sulle zampe posteriori per far sì che, ad ante chiuse, la bestia intrecci gli artigli col suo gemello in un sigillo inscindibile, quieto e posato.
Derek spinge gli occhi verso la base del tempio, dove altre statue marmoree di draghi alte almeno quattro metri giacciono a intervalli regolari lungo il perimetro. Le bestie sono tutte uguali, con lunghi colli e squame sovrapposte, musi affusolati e corna ondulate. Stanno seduti compostamente, con un’unica zampa alzata verso l’alto a sostenere dei concentrati di fiamme simili a quelli evocati dai demoni quando manipolano il fuoco.
Derek spinge lo sguardo più in alto, verso il cielo, dove sulla cupola di diamante nero e onice, abbracciata da anelli concentrici di rubino che si avvolgono a spirale intorno ad essa, svetta l’ennesima statua, più grande e possente delle altre.
Un drago di diamante, splendente come il sole e alto quasi quaranta metri pianta gli artigli nella monumentale cupola. Ha il collo ripiegato di lato, il muso rivolto verso il cielo e le ali appena schiuse che toccano e si fondono con le mura del cratere stesso, inglobandosi nella roccia e nei cristalli. La coda si avvolge intorno al corpo massiccio, che sta accucciato e pronto al balzo, contratto in un fascio di muscoli visibili anche sotto le squame finemente lavorate. Anche dal basso della sua posizione, Derek distingue chiaramente i profondi occhi di rubino della bestia, le corna cremisi e gli artigli dello stesso materiale.
Derek non crede di aver mai visto niente di più splendido. Quel luogo, in tutta la sua solenne magnificenza, impersona la potenza del fuoco come la sua pacata pericolosità. Ed è opera dei demoni, gli stessi che affermano di conoscere solo l’Inferno e le grida atroci dei dannati.
-Ti… piace?- tentenna Stiles, guardandolo di sottecchi e allora Derek si volta, specchiandosi in quegli occhi dorati d’ansia e timore.
-È… accettabile.- afferma Derek, cercando di mantenere un contegno. Vorrebbe dire in realtà che quel luogo è bellissimo, che respira sacralità e potenza, ma non è bravo ad esprimersi a parole. Tuttavia, Stiles capisce e sorride timidamente, abbassando gli occhi. Quando si tratta del suo mondo, è sempre così: riservato, impaurito, timoroso. E Derek non vuole che Stiles sia così, non con lui.
-È… bello.- ammette alla fine, costringendosi a parlare per smorzare l’atmosfera. –Quantomeno, questo indica che non tutti i demoni sono imbranati come te.-
Stiles sbuffa dal naso e accenna un sorriso. –Imbranato lo sarai tu, isterico di un Sourwolf!-
Derek arriccia istintivamente un angolo delle labbra e a sorpresa, Stiles si solleva sulle punte per baciargli quel lato della bocca. Lo fa delicatamente, con la dolce semplicità di un bambino e prima ancora che Derek possa reagire, il demone è tornato al suo posto.
-Dovresti sorridere di più, Agente Smith.-
-Mi hai appena paragonato al cattivo di Matrix?-
Stiles si preme una mano sul cuore. –Non dirmi che l’hai visto davvero o potrei morire!-
-Sei già morto.-
-Sai cosa in…-
Stiles si zittisce all’improvviso e di scatto lascia andare la mano di Derek. Guarda alla sua destra, verso la donna che lentamente si avvicina, camminando felpata sulle magre zampe da… felino?
Derek non l’ha sentita arrivare e anche adesso che è vicina, non riesce ad avvertire l’ansito del suo respiro o il battito del suo cuore. La donna non ha odore e se Derek non la vedesse lasciare piccole impronte sulla piattaforma di diamante, penserebbe che si tratti di un fantasma.
Man mano che ella si avvicina, il licantropo ha modo di vederla meglio: nota la pelle nera come l’onice percorsa da riflessi argentati e le orecchie a punta, e capisce da subito che non è umana. Infatti, la donna sfoggia una bellezza devastante, costruita da un volto gentile, affilati occhi da gatta con azzurre pupille verticali e lunghi e lisci capelli, candidi come la veste che indossa, stretta in vita da una cintura d’oro finemente lavorata. Il corpo, visibile attraverso l’abito quasi monacale, è magro e slanciato come gambo di rosa in sboccio, ma s’imbestialisce a partire dalla vita, dove la pelle color carbone lucente si converte in lucido pelo nero di gatto. Dalla sommità più bassa della veste, sbuca una coda bianca, dalla metallica punta triangolare.
-Ehilà, Beleth!-
Stiles sventola una mano amichevolmente, ma non si avvicina, restio ad allontanarsi da Derek in presenza di un demone.
La donna li fissa, giudicandoli coi pallidi occhi da serpe. Sta immobile, non parla. Forse non è in grado di farlo, ma questo a Derek non interessa: lo innervosisce invece la dolcezza sconfinata con la quale Stiles tratta ogni demone che incontra, apparentemente dimentico delle torture subite. Apparentemente. Certe cose non si dimenticano, questo Derek lo sa bene. Più ripensa ai dannati che ha visto all’Inferno, più si sente a un passo dall’impazzire al solo pensiero che Stiles, il suo Stiles, abbia sofferto tre anni di quella devastante dannazione. Smembrato, massacrato, ustionato dal ghiaccio e dalle fiamme. Derek può solo immaginare il resto, e muore un po’ dentro ogni volta che lo fa. Lui non c’era quando Stiles moriva. Lui non c’era quando i demoni lo facevano a pezzi.
Prima di allora, Derek non c’è mai stato.
Eppure c’è adesso, mentre Stiles sorride affabile e saluta con dolcezza un demone austero e bellissimo che tuttavia, Derek è certo abbia massacrato il suo ragazzino almeno un paio di volte nell’arco dei tre anni trascorsi all’Inferno. Quelle fragili mani di donna, hanno snudato artigli sporchi del sangue di Stiles. Quelle morbide labbra carnose hanno riso delle sue preghiere e morso le carni già lacerate di un dannato che di oscuro aveva ben poco.
Ogni demone ha ucciso Stiles mille e mille volte, eppure lui perdona sempre, senza stancarsi mai. Non medita vendetta, non cela rabbia o frustrazione. Semplicemente, Stiles accetta ciò che è diventato e ciò che i demoni stessi gli hanno fatto, scegliendo ogni volta di guardare oltre, verso l’umanità forse perduta di quelle stesse creature ormai troppo bestiali, troppo annegate nell’oscurità. Derek può vederle soffocare nel buio, più e più volte, mentre disperate annaspano verso una luce ormai lontana. Anche i demoni muoiono, ogni volta che un pezzo del loro io umano sparisce.
Stiles chiede qualcosa alla donna in quella strana lingua demoniaca, raschiante e profonda come gli abissi della terra. Parla velocemente, con sicurezza, e ancora una volta Derek non riesce a impedirsi di pensare che quei suoni rispecchiano in totale pienezza il vero volto del peccato più antico. Sensuale e graffiante, morbido e terribile allo stesso tempo. Se a parlare è Stiles poi, Derek trova quella lingua ancora più affascinante, ma questo non glielo dirà mai.
Stiles non deve sapere fino a che punto gli è entrato nelle ossa e nel corpo.
Stiles non deve sapere che su di lui, può vantare il dominio totale di un potere incondizionato, devoto, che Derek non riesce a spezzare.
-Possiamo passare!- esclama Stiles all’improvviso, riportando Derek alla realtà. Lui  guarda intorno e nota che la donna si sta allontanando, silenziosa e sfuggente come la più pallida delle ombre. Derek si odia per non essersene accorto prima.
-Cosa ha detto?- chiede il licantropo.
-Che possiamo passare, professor Xavier.-
-Sai cosa intendo. Avete parlato per un po’, e non credo ti abbia semplicemente detto di passare. Cosa voleva?-
Stiles scrolla le spalle. –Cose da demoni. Non preoccuparti, Beleth è una brava ragazza.-
-Come lo sono tutti gli altri demoni secondo i tuoi standard?-
Stiles sorride, divertito. –No, lei lo è per davvero. Sai che esistono i demoni buoni? Be’, buoni per un certo verso. Beleth, per esempio, è un demone diurno.-
-Esistono demoni diurni?-
-Seh. Per farti un esempio, lei all’Inferno ci sta pochissimo e solo quando raramente abbandona questo tempio. Lei… la conobbi due anni fa, quando ancora ero nell’ultimo girone. Come Valefar, anche Beleth mi distinse tra le schiere di dannati.-
Derek digrigna i denti alla finale conferma dei suoi sospetti. Beleth era tra quei demoni, Beleth ha torturato Stiles. Lo ha massacrato, e adesso lui la guarda, le sorride, la perdona.
-Immagino che sia accaduto perché pregavi.- sbotta alla fine Derek, piccato. Lo guarda di sottecchi, in attesa della sua reazione, ma incredibilmente, Stiles sorride impacciato, abbassando gli occhi. Ha le guance color porpora e una zampa che struscia nervosamente sul terreno. Non parla più, non apre bocca. Semplicemente, lo oltrepassa e raggiunge trepidante una delle statue di drago più vicine.
Derek non sa cosa ha intenzione di fare e, trattandosi di Stiles, non è neanche certo di volerlo sapere. Tuttavia, il licantropo non può fare a meno di avvicinarsi per guardare da vicino quel viso che, accostatosi alla fiamma tenuta alta dalla zampa protesa del drago, si tinge di nuove ombre, tonalità vive e lucenti che evidenziano gli zigomi, il naso all’insù, le profondità d’abisso di quegli occhi.
Adesso, nello sguardo di Stiles, Derek può vedere un ricordo. Lo sente agitarsi nella mente del demone, lo vede strisciare ombroso nelle iridi fisse e improvvisamente vitree, segno che Stiles sta ricordando l’Inferno.
Prima che il licantropo possa fare qualcosa però, Stiles respira a fondo e protende una mano per affondare le dita tra le lingue incandescenti del concentrato di fuoco fatuo. La pelle non si scotta, il volto del demone resta fermo e immutato e neanche il barlume di un’emozione attraversa quegli occhi mentre le falangi si flettono, appena visibili all’interno del piccolo inferno chiusosi attorno alla sua mano.
-Stiles, che stai…-
-Aspetta.-
Stiles ritrae lentamente la mano, stringendo adesso tra il pollice e il medio qualcosa, un… diamante. Solo che non somiglia a nessun tipo di diamante mai visto prima: nero come il carbone, sfaccettato, lucente come una piccola stella oscura. Al suo centro, sboccia un minuscolo fiore di bagliori, un concentrato cangiante di colori e sfumature che mutano di continuo, danzando sinuosi per specchiarsi contro le innumerevoli pareti della pietra in frammenti di luce sempre diversi, vivi, come di fiamma accesa e accarezzata dal vento. Rosso, oro, blu, viola, bianco, nero. Derek riesce ad afferrare solo un quarto dei colori racchiusi in quella gemma splendente, ma grande appena quanto una pallina da pingpong.
Stiles fissa il diamante in controluce, negli occhi lo specchio di un’indecisione schiacciante. Poi, dopo istanti interi di silenzio, abbassa la mano e torna a fissare la fiamma sostenuta dalla statua di drago.
-In ognuna di queste fiamme…- dice, pensieroso. -… c’è uno di questi. I diamanti nascono dal calore e dal carbone, e questo perché essi, nel loro concentrato di luce e purezza, sbocciano dallo stesso materiale che forgia noi impuri. I diamanti che conosci sono candidi, perché al termine del loro concepimento, il fuoco li abbandona ed essi hanno il tempo per schiarirsi dal fumo e dal calore, lontani da tutto ciò che li anneriva. Lontani dalla bruciante oscurità delle fiamme.-
Stiles non lo guarda, chiude gli occhi.
-A volte prego di essere uno di questi, sai? A volte spero di potermi schiarire anche io, solo per sapere cosa si provi ad essere… candidi. Puliti. Lontani dal peccato e dal nero dei ricordi più oscuri. A volte ci spero, ma poi sento l’Inferno aggrapparsi alla mia anima e farla a pezzi ogni volta che ne ricostruisco faticosamente un pezzo. È per questo che ho sfidato Dio e Lucifero.-
Stiles si raddrizza, si volta verso Derek. Nei suoi occhi, si agita adesso il bagliore di una rabbia gelida e incondizionata, un senso di potenza che il licantropo riesce ad avvertire quasi fisicamente, come un’ondata di calore che gli attraversa le carni.
-Mai più.- ringhia Stiles. –Non ci saranno altri demoni come me, non ci saranno altri patti di anime innocenti vendute per sbaglio al migliore offerente. Combatto per far sì che ogni diamante nero abbia la sua occasione per schiarirsi; combatto per ricordare ai miei stessi simili che anche se quasi indistruttibili, i diamanti hanno almeno un punto debole, una minuscola zona che se toccata, manda in pezzi l’intera pietra. Non voglio altri Alastor e Dumah, non voglio altri diamanti sfracellati. Voglio semplicemente che la gente smetta di morire e capisca che a scegliere il nostro destino, siamo noi.-
Derek avverte un’ondata di dolorosa paura nella sua voce, la conferma che nonostante tutto, Stiles si sente ancora un ragazzino troppo piccolo per affrontare una battaglia di quella portata. A dispetto di ciò tuttavia, il giovane demone non si è mai tirato indietro e anche all’Inferno ha avuto il coraggio di sfidare Lucifero per l’ennesima volta, scegliendo ciò che giusto rispetto a ciò che è facile.
Derek non sa come faccia. Lui stesso ha combattuto innumerevoli battaglie a testa alta, ma il solo pensiero di affrontare l’Inferno intero in uno schianto frontale lo inquieta. Come può un ragazzino così piccolo osare tanto al cospetto delle due potenze massime dell’universo?
-Tieni.- dice improvvisamente Stiles, tendendogli il diamante nero, ancora appoggiato sul palmo. Sorride timidamente, insicuro sulla reazione che potrebbe avere l’altro. –Forse i diamanti non ti piacciono, ma il colore nero sì.-
Prima ancora che Derek possa reagire, Stiles fa cadere il diamante sul suo palmo e, voltandosi, intreccia nuovamente le dita alle sue. Gli stringe forte la mano e incastra il diamante tra i loro palmi, ancora imbarazzato ma felice che Derek sia lì. Chiede silenziosamente di aiutarlo a proseguire, perché ha bisogno di entrare, di sapere, di fare qualsiasi cosa l’abbia spinto a raggiungere il tempio.
E Derek lo accontenta, soffocando ogni domanda. Percepisce chiaramente il nervosismo di Stiles e sa che il giovane demone sta evitando qualsiasi domanda su Beleth e sul loro incontro. Questo a Derek non piace per niente. Esigerà le sue risposte, ma forse non è il momento giusto per agire perché Stiles ha bisogno di lui e perché Stiles è Stiles e se anche gli chiedesse di percorrere a piedi e senz’acqua l’intero deserto del Sahara, Derek lo farebbe.
Col diamante ancora stretto tra le mani, oltrepassano le statue e il portico, il calore della lava e i bagliori delle fiamme sostenute dai draghi. Raggiungono il portone e sgusciano all’interno del tempio senza toccarlo, entrambi restii a profanare quel luogo benedetto non da Dio, ma dai demoni e da ciò che resta della loro magnificenza bestiale.
In silenzio, Derek avanza per accedere alla semioscurità del tempio… e alla grandezza sconfinata di un’opera degna rappresentante del fuoco stesso.
La sala centrale stende le sue ali possenti in lunghezza, dove pareti di pietra lavica sfondate da colate d’oro purissimo formano un’area di forma rettangolare che sulla sua sommità, si apre in un cerchio ampio di purissima luce oscura dettata dalla cupola sovrastante. Statue di draghi e demoni sono addossate alle pareti, tutte in possesso di fiaccole fluttuanti troppo piccole per illuminare appieno l’ambiente ma abbastanza luminose da coprire di ombre sinistre i volti marmorei delle sculture.
Più avanti, al centro della cascata di luce nera e oro che piove dalla cupola, vi è un’altra statua, grande quanto quella del drago all’esterno. Scolpita interamente nel rubino sanguigno e alta una decina di metri, essa raffigura un angelo splendido oltre ogni dire, la creatura più bella che Derek abbia mai visto. Splende come il sole, fulgida di una magnificenza irraggiungibile capace di offuscare la luna, il cielo e le sue figlie stelle. Ha il volto morbido e quasi effeminato, le labbra piene, gli zigomi alti. Gli occhi, a stento visibili attraverso la dolce massa di capelli ondulati, volgono al cielo uno sguardo di diamanti oscuri, neri come il petrolio, che tuttavia non annegano la pacata sofferenza che esprimono quelle iridi. Lo sguardo dell’angelo è una preghiera, reale e supplichevole. Derek può sentirla sulla pelle, nell’animo, come veleno che scorre nelle vene. Quegli occhi parlano, piangono lacrime invisibili e narrano storie antiche, tristi e ben lontane dalle favole. Tutto il dolore del mondo è racchiuso lì, in due enormi diamanti oscuri che quasi insignificanti, esprimono uno dei sentimenti più devastanti dell’universo.
Derek scorre lo sguardo sul corpo dell’angelo, seminascosto dalla veste spiegazzata che dalla vita in giù, abbraccia le gambe in morbide pieghe e svolazzi di stoffa leggera, effimera come ali di farfalla.
L’angelo ha le braccia appena allargate, i palmi rivolti all’insù, i muscoli protesi e nervosi nello slancio del corpo che pare innalzarsi verso il cielo. Ha una sola ala, abbandonata ai suoi piedi come arto morto ma abbastanza grande da occupare l’intero spazio della circonferenza luminosa della cupola. Le piume giacciono morbide e silenziose intorno ai piedi, delicatamente sovrapposte le une alle altre, mentre l’osso dell’ala ricade in una strana angolatura, come se fosse spezzato. Derek non ha mai visto niente di più triste in vita sua. Una creatura nasce con le ali per poter volare, ma quando appunto un’ala si spezza… cosa resta della gloriosa magnificenza di quella stessa creatura? Che senso ha vivere a metà, sognando il cielo con la bruciante consapevolezza di non poterlo toccare?
-Lucifero.- esala Stiles improvvisamente, gli occhi fissi sulla statua. –Il giorno della caduta, lui era così. A modo nostro, lo siamo stati tutti.-
Derek non vuole pensare che Stiles abbia avuto quello sguardo. Non vuole immaginare quel pallido viso d’angelo caduto spezzarsi di dolore, debolezze, abbandono. Lo stesso abbandono che deve aver provato morendo in totale solitudine, al cospetto del mondo e del male più nero che esso abbia mai accolto. Derek ci pensa, e allora non ce la fa più.
Senza parlare, avvolge i fianchi di Stiles con un braccio e lo tira a sé per lasciare che il giovane demone appoggi il capo sul suo petto, protetto dal mondo e dagli incubi, dalle lacrime e dal dolore. Usa il proprio stesso corpo per nasconderlo, per donargli quel po’ di felicità che sa concedergli con la sua sola presenza, col tocco di mani gentili, col battito lento e vivo di un cuore di giovane licantropo.
E funziona. Semplicemente, funziona.
Stiles si rilassa, chiude gli occhi. Abbandonandosi al battito cardiaco di Derek, alla freschezza delle sue mani e al suo odore di bosco e terra bagnata, gli sembra quasi di tornare indietro nel tempo, quando un ragazzino logorroico e iperattivo scorrazzava tra alberi e cespugli, fiori e piante sconosciute. Ride, quel bambino, e inginocchiandosi impacciato, annusa con curiosità l’odore pulito di terra ancora umida, selvaggia, che accarezza fresca i palmi sporchi di giovane umano.
Quella terra, che per tanti anni ha visto crescere Stiles e l’ha accolto come madre fertile e gentile, odora di Derek. È bizzarro, ma per Stiles quella sensazione è come un segnale, il simbolo che sin dall’inizio, loro erano insieme, cresciuti l’uno sulle orme dell’altro.
Attraverso quel profumo, Stiles si rivede bambino.
Attraverso quel profumo, Stiles si vede ragazzo.
Attraverso quel profumo, Stiles matura, cresce, sbocciando in uomo fatto e finito che fino alla fine resterà accanto al suo grosso lupo nero.
Derek sa di casa, di sicurezza e protezione. Respira piano, sereno e vivo come mai prima d’ora. La sua pelle non è sudata, ma accarezzandola, Stiles riesce a sentire la ruvidezza di piccoli pezzi di terra e roccia sotto le dita, come se Derek avesse corso per miglia in mezzo al bosco.
-Non c’è bisogno che ti dica cosa penso, ragazzino.- soffia Derek sui suoi capelli. –Non sono bravo con le parole e certe cose le sai già.-
Stiles sbuffa una risata triste contro il suo petto. –Non so più niente, Derek. Dumah si è sacrificata per salvarmi e più ci penso, più sto male.-
-L’hai capito da solo che Dumah…?-
-L’ho sentito. Io ascolto sempre e ciò che sento fa male perché tutto ciò che posso fare ogni volta è sentire e basta. Non sono un diamante bianco, ma mi piace pensare che forse, un giorno…-
-Hai ragione.- lo interrompe Derek. –Non sei un diamante bianco. Anzi, non sei un diamante.-
Stiles sospira, mortificato. Sa di essere sporco, sa di essere ancor peggio del carbone più nero, ma sentirselo dire da Derek lo uccide dentro, un pezzo alla volta. Se non avesse già affrontato la sua trasformazione in demone in precedenza, accadrebbe adesso perché il dolore che esplode in Stiles all’udire quelle parole è tanto devastante da farlo vacillare.
Del mondo intero, gli interessa ben poco, ma di Derek… il mondo di Stiles, quello vero, è lui.
-Non sei un diamante, e sei un imbecille già perché ti paragoni a un banalissimo minerale.- sbotta Derek all’improvviso. –Sei molto più di questo, ma sei talmente idiota da non accorgertene nemmeno. Passi il tempo a piangerti addosso, sperando che il miracolo prima o poi accada, senza capire che il miracolo vero sei tu, e non hai bisogno di angeli o di Dio per dimostrarlo.-
Stiles non ha parole per replicare. Per la prima volta, non trova la voce per esprimersi, suoni per parlare. Boccheggia in cerca d’aria, gli occhi sbarrati adesso fissi in quelli di Derek, che lo guarda di rimando con le sopracciglia corrugate e le labbra strette, segno evidente di nervosismo. Forse pensa di essersi spinto troppo in là, forse pensa di avere esagerato.
Ma tutto ciò che pensa invece Stiles, è diverso. Lo è perché Derek non gli ha mai detto niente di simile, lo è perché quegli occhi di smeraldo, tanto inquieti quanto splendidi, s’animano della più pura sincerità e Stiles capisce che il suo licantropo pensa davvero ciò che ha detto.
Ogni volta che trascorre del tempo in sua compagnia, Stiles si convince d’aver conosciuto il piano più alto del Paradiso e ogni volta invece, è costretto a ricredersi perché Derek riesce a portarlo sempre più su, oltre i cieli e il Creato, oltre Inferno e Paradiso, lontano, dove angeli e demoni perdono importanza. Lo trascina via da tutto semplicemente guardandolo, sempre pronto ad accoglierlo nel magnifico mondo dei suoi occhi, dove foreste di giada e smeraldo crescono selvagge e incontrastate in un regno di purissima, incontrastata serenità.
Quello è il mondo che Stiles ama, quello è il mondo che protegge e per il quale è disposto a sacrificare ogni cosa, finanche se stesso. Quello è Derek, il suo Derek.
Si dice che appena nati, i bambini piangano forte perché bisognosi d’annunciare al mondo intero che ci sono, che adesso respirano anche loro. Strillano a pieni polmoni, figli d’una voce neonata ma possente che tuttavia, non attira l’attenzione del pianeta. Per quante grida un bambino possa emettere, non un uomo riuscirà a guardarlo davvero perché la voce a volte, non esprime abbastanza. Infatti, è solo quando il neonato smette di urlare e semplicemente sorride che d’improvviso, il mondo trattiene il respiro e si volta.
Stiles si sente così, adesso. Un bambino che urla, che non sa come esprimersi.
Non ha parole per ringraziare Derek, non pensa di essere abbastanza anche solo per rivolgergli uno sguardo, eppure Stiles sente di doverlo fare perché è giusto e perché quando la voce non basta, ad esprimersi sono e saranno sempre i gesti.
Dolcemente, gli afferra il viso tra le mani. Derek chiude gli occhi e volta appena il capo per baciargli il palmo morbido con devozione senza tempo, eterna e incrollabile. Inspira da vicino il suo odore, sorride appena contro la mano bollente del suo demone.
Poi, tutto va in pezzi.
Un concentrato di massiccia oscurità li investe, pesante e mefitica come la Morte stessa. Li coglie di sorpresa, attraversando Derek e travolgendo Stiles con foga schiacciante. Il colpo troppo violento e improvviso lo sbalza lontano, leggero come una marionetta trascinata da un tornado.
Stiles sente il vento accarezzargli il corpo, la mente svuotarsi per lasciare il posto a un unico pensiero spaventato, lo stesso che mentre la rabbia lo aggredisce, lo aiuta a tenere a bada il suo demone: Derek.
Reagendo d’istinto, Stiles cala bruscamente le ali verso il basso, veloci come ombre fugaci e inafferrabili. Pianta le punte acuminate delle ossa nel pavimento con la facilità di un coltello che affonda nel burro, arrestando il volo e ripiegando le zampe per equilibrare il corpo. La coda oscilla, pronta alla battaglia, quando improvvisamente un grido lancinante spezza il mondo di Stiles.
Quel suono, è talmente orribile che il demone è tentato di coprirsi le orecchie con le mani e cadere in ginocchio. Tornerebbe all’Inferno di sua stessa volontà pur di non udirlo di nuovo, perché l’urlo di Derek fa male, brucia da morire.
Stiles avverte la sua anima frantumarsi, il suo intero essere sanguinare al suono di quel grido. Poi, il demone solleva lo sguardo e definitivamente, ogni parvenza di serenità sparisce insieme al sangue che lentamente cola lungo gli artigli di Beleth, ora piantati a fondo nella schiena di Derek.
 
“T’amo senza sapere come, né quando, né da dove
T’amo direttamente, senza problemi, né orgoglio.
Così ti amo, perché non so amare che così.”
 
Stiles Stilinski, ha sempre pensato di conoscere a fondo ogni tipo d’incubo. Per tre anni, li ha vissuti in prima persona e per tre anni ha scelto di affrontarli senza reagire. Ha subito a capo chino, resistendo come roccia inamovibile ad ogni schianto doloroso che sempre più spesso rischiava di spezzarlo. Ha osservato impotente lo svolgersi di ogni tipo di tortura, ha ascoltato suppliche e visto brani di carne strappati dalle ossa.
Col passare del tempo poi, Stiles è diventato incubo egli stesso. Abbracciato dall’oscurità e da essa stessa concepito, ha pensato dopo di aver visto e subito abbastanza incubi da poter pretendere di conoscerli ormai pienamente e senza riserve.
Errore.
Stiles crolla in ginocchio mentre l’ennesimo e più orribile incubo si sveglia dinanzi al suo sguardo, vivo e pulsante d’orrore. È qualcosa di nuovo, tinto dal sangue di Derek Hale e dal suo stesso grido armonizzato. Stiles pensava che nulla potesse più spezzarlo dopo tre anni trascorsi all’Inferno, ma si sbagliava. Quello, è l’incubo più devastante che abbia mai visto, l’orrore indescrivibile che passo dopo passo gli lacera le retine, percuote la sua anima faticosamente ricucita, annienta cuore ed emozioni.
Derek boccheggia, ha gli occhi sbarrati fissi sulla lama che buca assassina il suo petto, coprendolo di sangue e convulsioni leggere. Resta in piedi, non crolla, e Stiles sa che Derek Hale non è il tipo da piegarsi innanzi alla morte. Se ne andrà in piedi, a testa alta, permettendosi di crollare solo e soltanto quando l’ultimo battito avrà lasciato il suo corpo.
Alle sue spalle, vi è Beleth, alta e bellissima, immobile e austera come una splendida statua. Fissa Stiles con interesse, badando bene a non estrarre la lama dal petto di Derek. Sa che, se solo perdesse di vista il suo unico ostaggio, Stiles la farebbe a pezzi. Sa che, dopo aver toccato Derek, il suo compagno demone non le permetterebbe un respiro di troppo.
-Lascialo andare… ti prego, Beleth!- esala, Stiles, pallido e insicuro come se la lama avesse attraversato anche lui. Le ali tremano, si accasciano come spezzate e la sua pelle perde di lucentezza. La sua stella si spegne, soffocata da un dolore troppo intenso che poco a poco le sottrae vita e luminosità. Senza Derek, Stiles si lascerebbe morire, e questo Beleth può sentirlo chiaramente.
Per questo è arrabbiata. Per questo odia a morte entrambi.
-Sai cosa hai fatto, Stiles?- sibila lei con voce gracchiante. –Sai a cosa ci hai condannati? Hai sfidato pubblicamente Lucifero sul suo stesso campo, e adesso lui verrà a prenderti, ovunque vorrai nasconderti, e farà a pezzi qualsiasi demone si trovi nelle tue prossime vicinanze. Saremo tutti puniti, e questo perché tu hai voluto cambiare le regole, scegliendo di agire di testa tua! Vuoi guidare un esercito, quando sei così debole da cadere in ginocchio non appena il tuo cane resta ferito!-
Derek ringhia, sputa un grumo di sangue. Tenta di muoversi, ma questo allarga solo la ferita al centro del suo petto.
Stiles singhiozza, troppo prostrato per gridare e troppo stanco per reagire. Non riesce a respirare, gli gira la testa. La sola visione del suo Derek ridotto in quello stato, lo frantuma in mille pezzi più di uno specchio sbriciolato dalla furia di un tornado.
-Ti prego… Beleth, ti prego…-
Ma Beleth ringhia, muovendo appena la lama nel corpo di Derek. Lui sibila più forte, ma non le presta la soddisfazione di ascoltare alcun gemito di dolore. Il sangue gli cola tra le labbra, scivola sugli abiti e macchia i jeans. Gli tremano le gambe e fa male, un male allucinante. Derek grida interiormente, ma si costringe a serrare le labbra perché Stiles è lì e non dovrebbe nemmeno vederlo in quelle condizioni. Non merita di ascoltare le sue grida, non ha bisogno dell’ennesimo incubo da affrontare.
-Ci hai condannati per questo, Stiles. Ci hai condannati per lui.- ringhia Beleth. –Non sa perché ti avvicinai quando ero all’Inferno? Non sa chi sono?-
Stiles mugola, impotente.
-DIGLIELO!!!-
Il ruggito di Beleth spacca a metà i timpani di Derek. Sente quel suono entrargli nelle ossa, come grido disperato d’una condannata.
Stiles singhiozza, e mentre guarda Derek in viso con lacrime cristalline che colano lungo le guance, schiude le labbra: -Lei… il suo compito è riunire le persone innamorate. Riesce a sen… sentire l’amore vero e fa in modo che le giu… giuste persone lo perseguano. Mi conobbe per… per questo, perché ero innamorato e l’unica cosa che mi aggrappava alla sanità mentale era quello stesso amore. Io ti amo dal primo istante in cui ti ho conosciuto, Derek. Ogni volta che ti vedevo, io… volevo dirtelo. Ma non te l’ho mai detto… non ho mai… non…-
Derek ripensa allora al ricordo in cui Stiles si faceva massacrare da un uomo incappucciato, lo stesso che l’avrebbe poi trascinato all’Inferno. Ricorda l’istante in cui Stiles si voltava verso la finestra, lo specchio della luna riflesso nei suoi occhi. E ricorda, Derek, le ultime parole del condannato a morte, un istante prima che la morte stessa lo ghermisse: “Avrei dovuto dirglielo”.
-Lei predisse una… cosa, per me. Disse… disse che mi avresti… spinto a morire… disse che per te mi sarei lasciato morire…- esala Stiles, tra i singhiozzi. Respira affannosamente, il petto che si alza e si abbassa, poi si accascia definitivamente. –BELETH, TI PREGO!!!-
Ma Beleth non si muove.
-Pensi che Lucifero sia stupido? Pensi che non sappia quanto sei debole? Non riesci neanche a proteggere te stesso, e basta abbattere il tuo licantropo per farti fuori! Sei fragile!-
-Ti… sbagli…- ringhia Derek, attirando l’attenzione dei due demoni. Sputa un grumo di sangue, trema, ma non smette di parlare: -Lui è più… forte… di tutti voi. È di… diverso, e lo te… temete per questo. La tua non è una di… mostrazione di coraggio… ma di paura. Hai paura.-
Beleth muove la lama all’interno del suo corpo e Derek ringhia di nuovo mentre Stiles urla più forte.
-Ti prego! Farò qualsiasi cosa, ma lascialo vivere! Tornerò all’Inferno, se vorrai, ma per favore…-
Allora, Beleth estrae la lama.
Derek crolla al suolo, esausto ma vivo. La ferita inizia a cicatrizzarsi da subito, ma ci vorrà tempo affinché si chiuda del tutto, e questo perché a ferirlo è stato un demone.
-È questo, allora? È questo l’amore?- esala Beleth. –Neanche Dante Alighieri sarebbe mai arrivato a tanto, ma tu… tu per lui hai rivoluzionato l’Inferno intero e adesso… adesso i demoni si stanno schierando. Per te, così piccolo e fragile. Così umano.-
Stiles singhiozza ancora, senza rispondere.
-Però capisco cosa vedano in te.-
Beleth lo fissa, le iridi feline ristrette e calcolatrici. Lo giudica in silenzio, così come fece quella volta all’Inferno, quando Stiles incrociò per la prima volta i suoi occhi. Lei gli disse allora che sarebbe morto per proteggere Derek, gli disse che il suo amore avrebbe trovato tragica fine con la semplicità di uno che parla del tempo. Lo mise in guardia, ma Stiles la ignorò, e ancora la ignora, fiero delle sue scelte.
Non abbandonerà Derek, a costo di tornare all’Inferno e morire altre mille volte.
-Non ti chie… chiedo di unirti a me. Lasciami morire, se devo, ma non toccare lui.- esala Stiles, tra gli ansiti. –Questa guerra a… appartiene a chi sente di voler… essere libero. Perciò, se non vuoi averci nu…lla a che fare, fatti da parte. Oppure uccidimi. Uccidimi, fammi a pezzi… ma lui non lo toccherai.-
Stiles solleva il capo, ansante. Per quanto gli giri la testa, riesce a mettere a fuoco il corpo di Derek, il suo gomito che si pianta per terra e solleva il busto sanguinante dal pavimento. Respira faticosamente, ma almeno respira. È vivo, e Stiles lo sente vicino, ora più che mai, perché anche nella morte, loro saranno insieme.
Insieme davanti al mondo, insieme al cospetto di Dio e Satana. È per questo che Stiles combatte. 
Derek pare carpire i suoi pensieri e alza gli occhi, affannato e sporco di sangue. Incrocia lo sguardo di Stiles, affonda nelle pieghe delle sue iridi dorate, vive e bellissime mentre il demone si abbandona fiducioso allo smeraldo delle pupille di Derek. Per lui, guardare quegli occhi è come tornare a casa. E a casa, ci torneranno davvero.
Insieme. 
-Mi… dispiace per te.- ringhia Stiles, piantando un piede per terra. –Ma io non mollo.-
Le ali si allargano, riempiendo abissali lo spazio sconfinato del tempio. L’oro che piove sulla statua abbraccia le vele setose, tingendole di una benedizione preziosa, lucente come bacio solare.
Ed è allora che Derek la percepisce, viva e pulsante come creatura autonoma. La furia distruttiva di Stiles si risveglia, manifestandosi a ondate massicce che velocemente si propagano, schiantandosi contro i muri del tempio, contro la statua, contro il cielo e il vulcano più grande del mondo. Abbraccia ogni cosa, rabbiosa come un cane pronto a mordere la mano del padrone.
Quella rabbia, è cieca. Odia tutti, chiunque le capiti a tiro. Respira furia, esala sangue e Beleth riesce ad avvertirne la massiccia pericolosità strisciarle contro la pelle.
È quella la vera forza di un demone, l’ira inenarrabile di chi per secoli è crollato impotente al cospetto di innumerevoli torture, senza mai poter reagire. Prima o poi, quell’impotenza esplode, si trasforma in corna e coda uncinata, in ruggiti e lame sporche di sangue. Ma c’è qualcosa di più.
La rabbia di Stiles è devastante, ma indirizzata con precisione millimetrica. È una bestia controllata, tenuta al guinzaglio, che reagisce e si scatena a ordine e comando del suo stesso padrone. Nessun demone tanto giovane sarebbe capace di ingabbiare in sicurezza la sua bestia interiore. Anche i più vecchi, sono costretti a lottare contro il loro stesso io per averla vinta e comandare il proprio stesso corpo.
Quel ragazzino invece, la rabbia riesce a tenerla sotto controllo. In qualche modo, ha fuso demone e umano, vivo e defunto, luce e ombra. Beleth riesce a vederlo negli occhi dorati dalla pupilla ellittica, nella coda scudisciante, nelle ali massicce che riempiono il tempio per intero e nelle zampe che di debole, non hanno più niente.
Ma non è questa l’unica sorpresa.
Improvvisamente, una nuova ondata di potere devastante travolge Beleth, costringendola a retrocedere di qualche passo. Un muro massiccio di rabbia inossidabile si schianta ferocemente contro il suo stesso muso, attraverso il corpo e gli organi, spingendosi fin dentro le ossa.
Non proviene da Stiles, ma non ha origine neanche dall’esterno del tempio.
Non ci sono altri demoni lì, e Beleth non riesce a riconoscere quel muro di energia distruttiva che di infernale, ha ben poco. Pare un lascito devastante dell’essenza umana di Stiles, qualcosa che non dovrebbe esserci, qualcosa che nessun demone possiede.
A meno che…
Beleth china il capo di scatto… dove occhi blu dalla pupilla ellittica la fissano, posti su un viso di giovane licantropo dai capelli neri. Occhi bestiali su un viso di bestia, occhi infernali su un essere puro.
Che anomalia è mai quella? Nessun testo biblico ne parla, nessuna leggenda ha mai accennato ad un simile obbrobrio. Eppure, Beleth ne è la testimone, lì, in quel momento, mentre Derek Hale, ancora stanco e ferito, emana ondate di fisica rabbia animale che mai nessun licantropo dovrebbe ottenere.
E quegli occhi. Attraversano la luce e l’oscurità, l’Inferno e il Paradiso. Non sono umani, non sono demoniaci. Non sono niente, eppure… eppure Beleth se ne sente schiacciata, perché quello sguardo, trasuda più umanità di qualsiasi altra cosa.
La coda di Stiles saetta all’improvviso, invisibile e velocissima come cometa oscura in un cielo nerissimo. Stranamente, stavolta Derek riesce a sentirla, ad avvertirne la vicinanza. E non ha paura perché per qualche ignota ragione, ne conosce già il tragitto. Sa come agirà Stiles, sa dove e come colpirà.
E infatti, Derek non sbaglia.
Prima ancora che Beleth possa reagire, la coda di Stiles le buca lo stomaco, come punta di freccia che trapassa un corpo inerme. Sbuca dall’altra parte, tanto massiccia da spezzarle costole e frantumarle gli organi.
Beleth ruggisce di dolore, un grido lancinante che costringe Derek a coprirsi le orecchie e Stiles a sibilare infastidito.
-Tu non hai potere su di noi!- ringhia Stiles, così forte da far tremare la terra. La sua voce è una condanna, il suo timbro lama tagliente di ghigliottina. Quella è la voce dell’umanità intera, la voce della potenza più pura.
Beleth non può niente contro di essa, perché nessuno è tanto forte da contrastarla. Si sente piccola e fragile, come debole umana al cospetto di Lucifero in persona.
E capisce.
Capisce che quello è il vero generale dell’Inferno, una creatura degna di guidare una rivolta. Capisce che Dio e Lucifero dovranno lottare strenuamente per contrastarla, e Beleth non è certa che a vincere sarebbero loro.
Stiles reagisce in funzione di Derek, tiene a bada la bestia in suo nome e per lui sceglie di lottare con tutta la sua forza. È questa la vera potenza del ragazzo, quella che incuriosisce i demoni e stupisce gli angeli.
Stiles estrae la coda, lascia che Beleth cada in ginocchio con le mani strette sulla ferita sanguinante.
-Non voglio ucciderti.- sbotta Stiles.
Beleth solleva gli occhi, lo guarda in viso. A sorpresa, annuisce.
Non vincerà quella battaglia, non se Stiles è con Derek. E forse… anche Lucifero e Dio proveranno quello stesso terrore, quel senso di inquietudine e di pericolo. Capiranno che quel ragazzo, è un capo. Capiranno che la sua umanità sarà la vera nemica da abbattere, la forza indistruttibile che come un torrente in piena si riverserà in battaglia.
La coda di Stiles sibila, guizza. Il piatto della punta triangolare colpisce Beleth in volto e la abbatte, schiantandola al suolo con tanta veemenza da spaccare il pavimento e riempirlo di crepe.
È finita. E, con lo scioglimento della tensione, anche Stiles crolla.
Ha avuto paura, una paura mostruosa. Vedere Derek in quelle condizioni, a terra e coperto di sangue… l’ha quasi spezzato, più di quanto abbia mai fatto qualsiasi altra tortura.
Calmati.
Stiles respira a fondo, alla disperata ricerca d’aria. Le ali si afflosciano, le zampe tremano, la coda crolla di schianto al suolo, tanto pesante da affondare nel pavimento durissimo.
Calmati.
La paura non lo abbandona. Se chiude gli occhi, rivede Derek a terra. Se chiude gli occhi, lo immagina moribondo, stanco, col petto che poco a poco rallenta il respiro e infine smette di muoversi. E, insieme a quelle visioni, arriva anche il resto. Ricordi mostruosi, dolori indicibili, lacrime d’impotenza trattenute e mai versate.
Ricorda, Stiles, ricorda l’Inferno. Certe immagini, non potrà mai dimenticarle, perché quel dolore non lo abbandonerà mai. Ferri roventi sulla carne, ossa spezzate, uncini negli occhi e fiamme sottopelle. Non urlava mai quando lo ferivano, perché si sentiva troppo stanco per farlo, troppo prostrato per aprir bocca. Coraggio? Lui non è mai stato coraggioso. Come può pretendere adesso di affrontare una guerra simile, se non riesce a proteggere neanche quanto di più prezioso ha al mondo?
Poi però, una mano compare. Qualcuno lo afferra, lo strattona oltre il velo d’oscurità, verso una luce calda e gentile. Due braccia umide di sangue e sudore lo avvolgono, stringendolo a un corpo solido, che sa di sogno più che d’incubo. Stiles ne avverte il calore, il profumo indimenticabile, il respiro calmo e sereno.
Quel corpo. Il corpo del suo angelo.
-Respira.- mormora la voce di Derek, a un centimetro dal suo orecchio. –Sono qui, respira.-
E Stiles ubbidisce, perché a chiederglielo è Derek. Inspira a fondo, calma il tremito convulso delle mani, si aggrappa forte alla gentilezza del tocco dell’altro sulla pelle.
È a casa. Sta bene.
-Perché non me lo hai detto?- sussurra Derek. Non è arrabbiato, solo curioso. E quella gentilezza, spinge Stiles a dire la verità.
-Non volevo che… mi lasciassi.- risponde con voce flebile.
Derek sbuffa forte dal naso. –Sei un ragazzino imbecille. O non mi conosci, o sei più idiota di quanto pensassi. E piantala di nascondermi le cose, o la prossima volta ti apro la gola. Con i denti.-
Ancora ad occhi chiusi e stretto nel suo abbraccio, Stiles corruga le sopracciglia. –Dovrei parlare dei fatti miei a uno che non ha mai visto Star Wars? Non sei affidabile, Sourwolf.-
-La smetti di ricordarmi che non ho visto quel dannato film? Avevo altro da fare.-
-QUEI film. E sarebbe ora di vederli, o ti lascio!-
-E io ti apro la gola con i denti.-
-Sì, ma io ti lascio!-
-Quando ti avrò ucciso.-
-Saprò difendermi con la mia spada laser… ah, scusa! Tu non sai cos’è una spada laser!-
Stringendolo ancora tra le braccia, Derek gli affibbia un delicato scappellotto dietro la testa.
-Ti rendi conto che litighiamo stando abbracciati?- sbotta il licantropo, trattenendo faticosamente un timbro divertito che, è convinto, di certo rovinerebbe quel po’ di dignità che è rimasta nella sua immagine.
-È colpa tua! È sempre colpa tua!-
-Tanto per dirne una nuova. Da quando mi conoscete, tu e Scott mi avete accusato di non so quanti omicidi e di altrettanti tentati massacri, quindi ci sono abituato.-
Stiles ridacchia contro la sua spalla, pensando a tutti i guai ingiustificati che lui e Scott hanno indirizzato verso Derek da quando si conoscono. Hanno fatto tanta strada e ormai si conoscono da tempo, ma ogni volta che lo guarda, Stiles è convinto di non averlo mai fatto abbastanza. È assurdo come il viso di Derek racchiuda in sé sempre nuovi aspetti, nuovi dettagli che Stiles all’inizio non aveva notato. Ogni volta, per lui è come fissare un’opera d’arte dalle mille sfaccettature cangianti, vive di emozioni e polvere di stelle.
Derek, il suo Sourwolf.
-E intanto ti comunico che a furia di battibeccare, ti ho fatto passare l’attacco di panico.-
Stiles sbarra gli occhi mentre Derek si allontana, fissandolo con un sopracciglio inarcato e l’aria soddisfatta di chi ha vinto la sua ennesima battaglia.
 -Per la cronaca…- sbotta, afferrandogli la nuca con una mano. -… vorrei ricordarti che quello con una sfilza preoccupante di ex psicopatiche alle spalle sono io, quindi la tua amica demone può anche cominciare a sperare che la sua predizione rispecchi un pericolo più grande di loro, o non se ne fa niente. Non ho intenzione di lasciarti morire, ragazzino. L’unico che può minacciare la tua vita sono io.-
Le sue non sono parole romantiche, né particolarmente profonde, ma rappresentano tutto ciò che Stiles ha bisogno di sentire.
Derek ha sempre una parola giusta per lui, come costruttore di perle addetto ad affidarle alle giuste ostriche. Non manca mai di trovare il momento giusto, le frasi giuste, il tono di voce giusto. Spesso appare rude, macabro, aggressivo, ma per Stiles non è così perché… be’, perché è Derek. E Derek, per quanto imperfetto, racchiude in sé il personale universo di perfezione di Stiles.
Senza accorgersene, Stiles sorride e una piccola lacrima gli inumidisce l’occhio destro. Non vuole piangere, non vuole sentirsi debole. Però ogni volta che lo guarda, ogni volta che ode la voce di Derek, ogni volta che lo sfiora e ascolta il battito del suo cuore… Stiles quasi non riesce a credere alla grandezza del miracolo in cui è incappato.
-Grazie.- mormora semplicemente, e Derek capisce.
Con quel “grazie” sussurrato, Stiles vuole dire tante cose: grazie per avermi salvato da me stesso, grazie per avermi sottratto alla morsa dell’Inferno, grazie per avermi ricordato che alla fine, anche l’oscurità deve passare. Grazie.
Finalmente, Derek si china su di lui e lo bacia. Un bacio dolce, a fior di labbra, che a sua volta parla e racconta, sussurra e grida troppe cose. Uno sfiorarsi di lingue che insieme, narrano mille e mille storie intrecciate. Gli eroi dall’armatura scintillante di Stiles si affiancano alle fiere creature della notte che per anni hanno popolato la vita di Derek e all’improvviso, un mondo nuovo sboccia in quel bacio, in quel tocco di mani che sfiorano e si intrecciano, giocano e si sfuggono.
Stiles rinasce in quel bacio, sboccia a nuova vita. Socchiudendo gli occhi, guarda la luce da vicino, riflessa negli occhi blu zaffiro di Derek. Occhi da licantropo, occhi che Stiles vorrebbe osservare fino alla fine dei secoli.
Vuole che sia quello, il suo futuro. Quelle mani, quei sospiri, quel tocco delicato di labbra screpolate.
Quando si separano, Stiles torna a respirare normalmente, come se non avesse mai sfiorato un maledetto attacco di panico. Si sente bene, rinato, nuovo. E il suo benessere sboccia dal tocco di Derek, le cui mani sono adesso strette sulla base delle  ali frementi di Stiles. Il demone può sentire i suoi polpastrelli ruvidi contro la membrana sensibile, il tocco quieto e innamorato che scorre lungo vene le vene quasi impalpabili. Derek lo scopre, lo svela, lo chiama senza parlare.
E Stiles risponde.
Accade all’improvviso, quando per mero cambio di luce colpisce il candido rubino splendente della statua di Lucifero. Lo accarezza, scivola lungo ogni ombra, ogni sfaccettatura. Poi, senza cause né perché, un’ombra di donna compare non vista all’altezza del braccio della scultura. Giace accovacciata sul bicipite, i gonfi capelli ricci e gli occhi felini fissi su Stiles e Derek, ancora ciechi alla sua presenza.
Un piccolo furetto evanescente scorrazza sulle dita della statua, tanto leggero e impalpabile che di lui, non si ode neanche il ticchettio delle unghiette sul rubino.
Stiles avverte all’improvviso che qualcosa è cambiato. Sente una nuova presenza, un fruscio remoto e impalpabile. Schiude le palpebre, si stacca da Derek, poi si volta.
La donna è ancora lì, ombra tra le ombre, come silhouette senza volto né vestiti. Stiles non sa se lo sta guardando, non sa se stia parlando oppure no. In realtà, non è neanche sicuro che sia lì perché lui, quella figura la riconosce. E non è assolutamente possibile che di lei sia rimasto un rimasuglio d’anima.
Dove vanno i demoni quando muoiono?
Stiles ha creduto che si trattasse di sua madre. L’ha vista da lontano, ha frainteso le sue forme sfuggenti e l’ombra morbida di donna. Ci ha creduto, l’ha inseguita. Ma quella non è lei, per niente.
Dove vanno i demoni quando muoiono?
Stiles si raddrizza lentamente, gli occhi ancora fissi sulla figura immobile. Forse lo sta fissando, ma questo lui non può saperlo con certezza.
-Che succede?- si inquieta Derek, voltandosi. Sbatte le palpebre, dilata le narici, tende i muscoli. –Stiles.-
Il demone boccheggia, a corto d’aria. Il fatto che Derek continui a guardarsi intorno, gli fa sorgere un dubbio. –Non… la vedi?- domanda, senza distogliere lo sguardo dalla figura.
Derek si guarda attorno con più foga, gli occhi accesi di blu elettrico. Scandaglia l’ambiente con lo sguardo, pronto a difendersi e attaccare, ma la sua attenzione non si sofferma da nessuna parte.
-Di chi parli?-
Non la vede. Derek non può vedere la donna.
Dove vanno i demoni quando muoiono?
-Stiles. Rispondimi.- ringhia Derek lentamente, nell’evidente sforzo di restare immobile e trattenere l’inquietudine.
Stiles sta per rispondere. Apre bocca per parlare, ma ha appena il tempo per emettere un suono: la donna si muove, lentamente si tocca il viso e si sfila qualcosa, come… una maschera, una seconda pelle. Stiles non lo sa, ma quando l’ombra tende il braccio e lascia cadere la figura di una maschera da furetto, capisce.
L’oggetto cade, ascende verso il suolo.
La donna si volta di profilo e preme l’indice sulla bocca in segno di silenzio.
Poi, la maschera urta il suolo e Stiles lo sente. Il basso rombo di un onirica onda d’urto, un solo cerchio concentrico che si allarga e lo investe, travolgendolo e passandogli attraverso. Non tocca Derek, non lo sfiora nemmeno e, quando Stiles sente la mente distaccarsi dal corpo e le gambe cedere, è felice che il suo licantropo stia bene.
-STILES!!!-
Dove vanno i demoni quando muoiono?
 
Buio. Fa caldo, la pelle brucia. Qualcosa ti penetra nella carne, sfonda ossa e trapassa organi. Strattona. Non riesci a respirare quando ti spingono la testa tra le fiamme, e allora gridare non serve a niente, perché fumo e fiamme ti sottraggono ogni possibilità di fuga, ogni disperato bisogno di esprimere tutto il tuo dolore.
Senti il calore consumarti la pelle, i bulbi oculari, finanche i denti e le orecchie. Fiamme assassine ti mangiano le carni, e quelle si ricompongono ogni volta, continuamente, in un circolo doloroso che mai troverà fine.
Gli uncini che ti sfondano il corpo strattonano di nuovo, zanne feroci si chiudono sui tuoi arti e li spezzano una, due, tre volte, mentre code uncinate pugnalano l’addome ripetutamente.
Fa male, un male bruciante e inarrestabile. Ti senti impazzire, lurido pezzo di carne informe senza più palpebre per chiudere gli occhi, senza più bulbi oculari per guardare. Sei un ammasso informe di sangue, un oggetto nelle mani dei tuoi aguzzini che lottano per farti tacere mentre, anche con labbra cucite e denti strappati dalla bocca, tu continui a pregare.
Lo scenario cambia, il dolore si annulla. È buio di nuovo, ma c’è confusione. Qualcuno ti chiama, qualcuno grida. Rumori di lotta, ruggiti, sibili sinistri. Hai paura di qualcosa, ed è un sentimento talmente forte, talmente bruciante, che esso comincia a corroderti le ossa.
Lui no, lui no, lui no, lui no…
Una voce parla, ripete quelle stesse parole una volta e una volta sola. Riconosci quel timbro come tuo, eppure hai paura di te stesso perché non ricordi di aver parlato. In realtà, non sapevi neanche di avere un corpo. Chi lo muove, adesso? Chi è a parlare?
Le palpebre si sollevano d’improvviso, regalandoti la visuale ravvicinata di un volto pallido di ragazzino, a malapena nascosto dal cappuccio nero. Al suo collo, sotto la veste, è appeso un amuleto, lo stesso che tempo fa ti donò il potere di cambiare aspetto. Ti specchi nei suoi occhi sbarrati, fissi i capelli neri che sconvolti cadono dinanzi al viso e sulla fronte madida di sudore. Allora lo riconosci, ma questo un istante prima di scagliarlo lontano, verso l’alto, con la leggerezza di un uomo che lancia una pallina da tennis. Non avverti il suo peso, il tocco delle dita strette intorno al collo.
Non senti niente. Non sei niente. Solo due occhi esanimi e una mente impotente che come ultimo pensiero grida: “Non voglio farlo”.
Il corpo di Alastor si schianta contro la vetrata più alta della chiesa, cade all’interno con grazia quasi angelica. Sai cosa gli accadrà ancor prima che le fiamme guizzino, salendo in alto, guizzando impazzite oltre le imposte della finestra come mefitici annunci di morte.
Capisci allora di aver ucciso un tuo alleato, un tuo aguzzino. Hai ucciso un demone, lo stesso che per i giorni a venire hai guardato negli occhi, parlandoci, toccandolo, seguendolo. Lo hai ucciso allora, quando uscisti la prima volta con Derek, quando il tuo licantropo conobbe Valefar in quel locale.
Eppure, Alastor non è morto prima della sua effettiva dipartita. Oppure sì?
Affannato, ripensi ai momenti trascorsi insieme a quel macabro bambino e al suo Cubo di Rubik. Momenti dolorosi, inquietanti, intrisi di pericolo e senso di impotenza. Eppure, Alastor si comportava da Alastor. Gelido, arrogante, pacato. Un vecchio in un corpo di bambino, un immortale negli occhi di un infante.
Alastor era vivo, lo ricordi bene. O forse… quello con il quale hai avuto a che fare, non era Alastor. Ma, se pure è così, sorge spontanea una domanda: chi ha preso il suo posto?
 
Respirare. Per molti è facile, basilare, così come natura ha imposto. I polmoni si gonfiano, il petto si alza e si abbassa. L’aria che si inala ha mille sfaccettature, viva come creatura benefica che mai si stanca di benedire ogni respiro, ogni ansito di creatura vivente.
Respirare è facile, respirare è umano.
Per Lydia Martin invece, respirare è impossibile. Forse ha perso la sua umanità, forse è morta e trapassata, perché si sente soffocare e non riesce a inalare neanche un briciolo di quell’aria maledetta che tante volte in passato l’ha aiutata, protetta, mantenuta in vita.
Quando era piccola, sentì i suoi genitori litigare con più violenza del solito e questo le causò il suo primo e ultimo attacco di panico. Era sola, rannicchiata sul pavimento, e ansimava con disperazione animale in cerca d’aria. Non riusciva a riprendere il controllo dei polmoni, si sentiva soffocare e qualcosa le premeva prepotente contro il petto. Immaginò allora che un mostro dalle mani enormi le schiacciasse la gabbia toracica, premendo di più, sempre di più, fin quasi a spaccarle le costole.
I bambini possiedono una fantasia illimitata, dalle ali grandi più del mondo stesso, ma quando quelle stesse appendici piumate si trasformano in nere propaggini di maledizione, quell’immaginazione si rivolta e diventa allora l’arma più potente dell’universo. Gli incubi diventano spaventosi, schiaccianti, e non ci sono cavalieri dalla splendente armatura pronti a respingerli. Si è soli in balia della propria testa.
Per Lydia fu così, allora. Ricorda ancora la pelle viscida di quel mostro, i suoi neri occhi affamati, le zanne schiuse a un millimetro dalla sua faccia. Per quanti orrori abbia visto in passato, Lydia non potrà mai dimenticare quel viso mostruoso, nero di catrame e ruvido di maledizioni.
Adesso, Lydia si sente alla stessa maniera. Sta soffocando, si sente schiacciata, e il mostro è lì, sul suo petto. Non riesce ad aprire gli occhi per guardarlo, non se la sente di incontrare quel lucido sguardo di ferocia famelica, perciò semplicemente, lotta per restare in vita, ma lo fa ad occhi chiusi. Spalanca la bocca, cerca di inspirare. Arpiona le unghie su qualcosa di morbido fin quasi a spezzarsi le dita.
Vuole vivere. Vuole vivere disperatamente.
-…dia… Lydia!- esala una voce ansante, remota. Qualcuno la chiama, qualcuno la tocca. Non è la voce del mostro, non sono i suoi artigli. Qualcosa la richiama alla vita, respinge di prepotenza la bestia assassina che tenta di soffocarla.
-LYDIA!!!-
Aria. In risposta a quel richiamo devastante, Lydia torna a respirare. Sente la mano del mostro sparire, i polmoni gonfiarsi di riflesso alla grata ricerca di un ansito vitale.
La sente, adesso. C’è ancora, e la tocca dappertutto, strisciando sottopelle, nei suoi occhi, nella sua bocca, fin dentro le ossa e gli organi. La vita.
Lydia non vuole sperarci molto, perché adesso ricorda: sa di essersi gettata in un mare di lava, sa di essersi decomposta nell’abbraccio delle fiamme. Sa che è morta. Forse, magari. Eppure, i morti non respirano, non sentono i polmoni bruciare, non tossiscono grumi di sangue e saliva. Ma lei che ne sa? Non è mai morta, e forse i morti funzionano veramente così: soffrono, piangono, muoiono più e più volte. Magari è finita all’Inferno e la stanno torturando.
-Lydia.-
No. L’Inferno è lontano anni luce, se la Sua voce è lì. Non il timbro di Dio, non quello degli angeli. È qualcosa di meglio, qualcosa che Lydia ha solo aspirato ad ascoltare di nuovo.
Quella non è una tortura. Nessuna tortura profuma di cannella e vaniglia. Nessuna tortura le sfiora la testa e le bacia la fronte con dolcezza devota, gentile come tocco d’ali di farfalla. Labbra morbide le accarezzano la pelle senza malizia, quasi timorose di toccarla.
-Lydia.- chiama ancora la voce e allora Lydia solleva le palpebre, perché a chiederlo e Lui, e a Lui il corpo di Lydia risponde all’istante, senza esitazione. Non si tratta del rapporto che passa tra marionetta e marionettista, quanto piuttosto del legame che stringe la luna al cielo. È qualcosa di istintivo, che Lydia non capisce, ma che non le dispiace, né la preoccupa.
La vista è appannata, confusa, ma Lydia è certa che già in normali circostanze, non dovrebbe nemmeno vederci. Distingue macchie confuse di colore, la forma di un viso molto vicino al suo. Qualcuno le appoggia una mano sulla guancia, la fissa in attesa di risposta. Lydia avverte la paura vera in quel tocco, l’ansia di un terrore primordiale e incontrollabile.
-Lydia.-
È il suo nome, quello.
-Lydia.-
Una parola sussurrata, un richiamo alla vita.
-Lydia.-
E Lydia riconosce se stessa, riprende totale controllo del suo corpo perché a chiamarla, è Valefar, il suo Valefar, la creatura che con fermezza l’ha sottratta all’abbraccio della Morte abbracciando Lydia egli stesso.
Valefar, che col suo fare accattivante l’ha avvicinata.
Valefar, che agli insulti, ha sempre risposto col sorriso.
Valefar, il demone umano.
Lydia mette a fuoco il suo viso d’alabastro, così vicino al suo che i loro nasi quasi si toccano. Alla banshee non dà fastidio, anzi: non gli si è mai accostata tanto, e adesso che è lì, può notare in lui piccoli particolari che prima le sfuggivano.
Pelle liscia, un sottile velo di lentiggini sul naso dritto. Quelle, Lydia non le aveva notate. Sono piccole, adorabili, quasi puerili sul suo volto di ventenne. Poi, ci sono i capelli: biondi, abbastanza lunghi da incorniciargli il viso e cadergli scomposti sugli…
-C… che ti è successo all’occhio?- esala Lydia, ancora esausta e ansimante.
Se fino a poco prima credeva di essere caduta in un bel sogno, adesso… adesso sa di trovarsi in un incubo. Mefitico, sporco, terrificante. La perfezione si spezza, la serenità va in frantumi come vetro percosso da un martello. E Valefar la guarda da vicino con un unico occhio azzurro cielo, vivo, brillante, sereno così come Lydia lo ricorda. Uno solo. L’altro è argentato, pallido, smorto e privo d’emozioni. Guarda senza vedere, fissa senza guardare.
Cieco. Valefar ha perso un occhio.
Lydia vorrebbe piangere. Lui l’ha riportata indietro intera, mentre lei… lei ha causato solo danni. I demoni ci vedono poco alla luce del sole, ma con un solo occhio? Valefar adesso è indifeso, fragile, come un uccello dalle ali spezzate. È tornato dal mondo dei morti a metà, e questo per colpa sua.
-Stai pensando qualcosa di stupido…- sbotta Valefar con un sorrisetto che scopre i denti bianchissimi.
Lydia distoglie lo sguardo e chiude gli occhi, troppo prostrata per guardare ancora la causa del suo operato, il suo ennesimo fallimento.
Gli occhi di Valefar rappresentano la vita, i colori, l’oceano placido baciato dal sole. Quel colore, è lucente e bellissimo come zaffiro. Quel colore, ha illuminato il viso e l’anima di Lydia anche nei momenti più bui. Adesso però, quella luce è dimezzata e lei si trova al buio, spezzata, sanguinante di sensi di colpa e lacrime non versate.
-Sì, stai decisamente pensando una cazzata.-
A sorpresa, Valefar le spinge dolcemente la guancia per costringerla a guardarlo in viso. Occhi spaiati, occhi dal vago taglio orientale. Occhi splendidi che nella loro purezza, hanno saputo affrontare l’Inferno e la sua sporcizia.
-Mi dispiace… mi dispiace.- sussurra Lydia, odiandosi per il tono tremulo della sua voce. Non vuole sentirsi debole, non vuole essere fragile. Eppure, nonostante tutto, quando incontra lo sguardo gentile e per nulla accusatorio di Valefar, si sente a un passo dal crollare. Sente la sua mano sul viso, il suo corpo accanto al suo e grazie a questo, Lydia si sente rinascere, morbida tra le sue dita come argilla da rimodellare ogni volta con cura d’artista.
-Ti dispiace per avermi riportato in vita?- sorride Valefar, divertito. –Ah, beata gioventù.-
Lydia lo spintona senza forza. –Non prendermi in giro! Hai perso un occhio!-
-E sei stata tu a cavarmelo? Devo essermi perso qualcosa.-
Valefar si raddrizza e scrolla il capo, le due code gemelle abbandonate al suolo intorno a loro come una lucente barriera protettiva blu e nera. È la prima volta che Lydia le vede da vicino, la prima volta che ha modo di accorgersi quanto siano grosse le punte triangolari dall’aspetto metallico, micidiale. Emanano evidenti segnali di pericolo e si trovano proprio a un passo da lei, vicino alla testa… eppure, Lydia non ha paura. Si sente al sicuro, protetta totalmente, fiduciosa che se solo accadesse qualcosa, quelle due code scatterebbero in sua difesa, velocissime e letali più di qualsiasi arma bianca.
Incantata, allunga una mano per sfiorare la coda più vicina, quella blu cobalto. È attraversata da lucenti riflessi metallici e in prossimità delle tre punte, si schiarisce in uno slavato azzurrino.
È bella. Strano a dirsi, ma è così.
Mentre Lydia la sfiora, la coda prende vita. Lentamente, si solleva e oscillando, le sfiora una guancia. È una carezza, un tocco gentile di timor reverenziale volto a sottrarre qualcosa alla pelle della ragazza… una lacrima. Piccola e senza peso, eterea e quasi evanescente. Alla fine, è sfuggita al rigido controllo emozionale di Lydia come acqua che piove dal cielo e questo le fa rabbia.
-Ehi, dolcezza.-
Lydia solleva lo sguardo stordita per incontrare gli occhi ormai spaiati di Valefar. Troppo vicini. Vicinissimi. Il viso del demone è accostato al suo, al punto che i loro nasi si sfiorano. Condividono respiri, odori, sensazioni. Lydia sprofonda nel cielo vivo di quello sguardo fatto di sogni e ricordi, vita e morte. Occhi di demone, occhi di uomo. Al loro interno, si intravede lo spicchio di un universo variopinto di supernove e buchi neri, nebule e astri luminosi. È come sbirciare nei meandri di un sogno bellissimo e irraggiungibile, qualcosa del quale Lydia ha solo sentito parlare.
-Sai perché il mio occhio è così?- sussurra Valefar sulle sue labbra.
Lydia scuote appena il capo, restia a muoversi in presenza di quella splendida, inavvicinabile creatura improvvisamente così vicina, così reale.
-Perché era così quando sono morto. Mentre mi torturavano, persi un occhio. E questo accadde ad Alexander, al mio io umano.- Valefar si raddrizza e afferra la mano di Lydia, aiutandola a sedersi. –Tu… mi hai restituito un altro pezzo di umanità, Lydia. Non ci vedo più dall’occhio destro, ma questa cecità è il regalo più importante e più bello che tu mi abbia fatto.-
Valefar sorride, gli occhi illuminati di vita, al punto che pare vederci da entrambi. Un piccolo raggio di luna sboccia nell’iride argentata, accostandosi all’azzurro cielo del suo compagno gemello.
Ci sono fiabe che narrano di principi e principesse, draghi e cavalieri. In ogni racconto che si rispetti, il cattivo è sempre il mostro, che si tratti di un rettile sputafuoco o di una terribile creatura infernale. Ma Lydia ormai, non può che essere in disaccordo con questo piccolo, importante punto di vista perché quella creatura, che di infernale recapita solo la nascita, è più bella di qualsiasi cavaliere, più magica di qualsiasi mago o folletto. La sua favola, il suo angelo dalle ali oscure.
Lydia si concede allora di sorridere tremula e di accasciarsi debolmente, fragile come statua di vetro. Prendendo il coraggio a due mani, si appoggia contro il suo petto, così come fece prima che Valefar partisse alla ricerca di Stiles. Chiede protezione, chiede sicurezza. Ha lottato per averlo indietro e adesso Valefar è lì, col suo profumo, i suoi sorrisi, i suoi splendidi occhi spaiati che soltanto al suo sguardo sarebbero parsi come la più magica delle benedizioni.
Rispondendo al suo tocco, Valefar la afferra per i fianchi e la posiziona tra le sue gambe. Appoggia la schiena contro la parete di roccia e lascia che la colonna vertebrale di Lydia entri in contatto col suo petto. Le cinge i fianchi con le braccia, struscia il naso contro la sua guancia in un gesto di devoto affetto caritatevole.
-Rendimi umano, Lydia.- sussurra contro la sua pelle. –Rendimi vivo.-
E Lydia risponde al suo richiamo perché non aspetta altro, perché a chiamarla è Valefar.
Rovescia il capo all’indietro, appoggia una mano sulla sua nuca e dolcemente lo spinge a chinarsi su di lei, morbido tra le sue dita come argilla fresca, umida di malleabilità. Valefar si affida a lei, le dona quanto di più importante abbia mai posseduto e in un dolce sfiorarsi di labbra, si abbandona definitivamente al calore umano di una ragazza che fino a quel momento, il tepore vero dell’amore non è mai riuscita a sentirlo.
Con dolcezza infinita, devota e innamorata, Valefar schiude le labbra e scorre gentilmente la lingua contro quella di Lydia. Chiede il permesso, trema d’aspettativa. E Lydia non è mai stata trattata con tanta devozione perché mai prima di quel momento ha ricevuto un bacio del genere, come quello dei film, che inizia col sorgere del sole e si estingue al tramonto. Quel bacio porta luce e tenebra, vita e morte. Incarna nel suo incanto una magia antica, devastante e meravigliosa capace di scorrere le ere, affrontare qualsiasi guerra, arrestare il tempo e costringerlo a retrocedere.
Lydia è parte di quel potere, adesso. È indistruttibile come un diamante, magica come primo respiro di infante appena nato. E a donarle questa magia, è l’essere più improbabile che abbia mai immaginato.
Mentre le mani di Valefar risalgono lungo i suoi fianchi, Lydia risponde al bacio a sua volta. Chiude gli occhi, affonda nel calore peccaminoso di quella bocca che di demoniaco, ha veramente poco. Sa di fragola e vaniglia, un mix bizzarro ma che Lydia ama da subito, al punto di aggrapparvisi con ogni particella del suo corpo.
Le dita di Valefar le sfiorano i seni con gentilezza devota, risalgono alle clavicole, scivolano poi lungo le braccia, sui polsi, fino alle mani. Lì, intreccia le dita con quelle di Lydia e silenziosamente, le promette qualcosa di immenso, un sogno e una vita che lei non ha mai neanche immaginato.
“Sono qui”.
Lydia sorride nel bacio, stringe forte le mani di Valefar. Crede nella sua promessa, crede nel tacito accordo che si scambiano adesso, sulle rive di un lago di lava luminosa. Eppure, nonostante tutto, la luce di quel torrente non riflette neanche un quarto dei bagliori che attraversano adesso gli occhi e il corpo di Lydia, oltre le ossa, fin dentro la sua anima.
Liquida polvere di stelle scorre nelle sue vene, sbocciando morbida dal bacio di Valefar che poco a poco si fa più azzardato, più intenso, senza mai tuttavia evitarsi di chiedere il permesso. Respira la sua aria, vive della sua anima. E lentamente, Lydia si accorge che qualcosa è cambiato, che il suo cuore adesso crede in qualcosa, un domani vivo e luminoso dove gli incubi sono solo il più macabro dei ricordi.
Improvvisamente, un ululato di dolore infrange il sogno di serenità generatosi. Spacca i timpani, lacera l’animo e sa di mille e mille sofferenze. Qualcuno sta morendo da qualche parte, qualcuno soffre più di qualsiasi anima torturata all’Inferno. Un lamento così straziante, Valefar non l’ha mai sentito, ma è Lydia a riconoscerlo.
-Derek.- esala, spaventata. –È successo qualcosa a Stiles.-
 
 
Beleth: In demonologia, Beleth (ma anche Byleth, o Elyth)[ è una demone diurna. Beleth è una femmina, ha un aspetto delicato, spesso illustrato con testa di felino e corpo di donna. Ha la facoltà di riunire le persone in amore. Le ragazze che aspettano proposte amorose pregano Beleth affinché tali proposte avvengano presto. Appartiene all'Ordine dei Poteri e governa 85 legioni di spiriti.
 
Angolo dell’autrice:
Siamo quasi alla fine. E già. Ma non è una cosa brutta, no? A volte, quando si amano certi personaggi, essi ci camminano accanto per tutta la vita. Per questo spero di avervi donato Valefar e Dumah, nella speranza che vi siano entrati dentro abbastanza da accompagnarvi. E insieme a voi, ci sarò anche io. Sono solo una piccola scrittrice, se tale mi si vuol definire, ma attraverso i vostri commenti, le vostre parole, il vostro affetto, ho imparato a conoscervi e ad amarvi. Per voi non ho volto, né voce, ma sappiate questo: sono vostra amica e vi voglio bene. Come è scritto in un libro che ho letto, certe avventure, per quanto pericolose, se vissute insieme hanno il potere di far nascere incredibili amicizie. E noi abbiamo camminato insieme lungo questo incredibile sentiero di demoni e licantropi, banshee e sirene. Vi ho trascinati in un tempio, vi sto per gettare in mezzo a una guerra devastante, ma tutto questo, noi lo viviamo insieme e voi non mancate di ricordarmi la vostra presenza. Per questo vi ringrazio col cuore e con l’animo, perché davvero, le vostre parole mi fanno pensare che forse, non sono poi così incapace a scrivere e questo per me è un traguardo che non avrei mai pensato di raggiungere. Grazie.
Barbara78
Even_If_it_rains
_Sara92_
Sophi33
_HeartDrum_

 
Anticipazioni:
“Quando si volta di nuovo verso i due ragazzini, vede Stiles torreggiare su di loro, le mani strette convulsamente sulle loro nuche, i muscoli delle braccia gonfi per costringere entrambi i nuovi arrivati in quelle posizioni di sottomessa vulnerabilità. Dà le spalle all’intero branco, ma di questo Scott è felice, perché non vorrebbe vederlo in viso, non adesso che la sua sola postura spaventerebbe Dio in persona, se non anche Lucifero stesso.
La figura di Stiles emana potenza, un senso di forza devastante e inarrestabile.
-Ditemi cosa volete. E badate a non mentire, perché ora come ora mi basterebbe un pensiero per decapitarvi entrambi.- sussurra Stiles con calma mortale.
-Allora?!- sbotta Stiles, stringendo la presa sulle loro nuche. –Sto aspettando.-
Il primo ragazzino parla con voce roca, dovuta alla presa troppo accentuata sul suo collo che quasi gli stacca la testa.
-Lui… arriva! Sta arrivando!-
-Lui chi?!-
-LUCIFERO!!!-”



Tomi Dark Angel

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Capitolo 28
*** Sentenze Dall'Inferno ***


“C’è un momento in ciascuna alba
In cui la luce è come sospesa,
Un istante magico dove tutto può succedere.
Un istante in cui la creazione, trattiene il respiro.”
 
Dolore. Panico. Carenza d’aria.
Derek non si è mai sentito così in vita sua. Non riesce a respirare, gli gira la testa. In un solo istante d’Inferno, la situazione si è capovolta. Lui non soffre di attacchi di panico, eppure… vedere Stiles in quel modo, toccarlo e sentirlo freddo sotto le dita, è straziante più di qualsiasi incubo mai vissuto. È come sfiorare una marionetta, una bambola bellissima e senza vita che, per quanto perfetta, apparirà in eterno gelida come il ghiaccio e lontana come solo un oggetto sa essere.
Non respira. Stiles non respira.
-Derek!-
Alle sue spalle sopraggiunge qualcuno, ma a Derek non interessa. Pur riconoscendo gli odori e il timbro della voce, non presta alcuna attenzione ai nuovi arrivati perché c’è qualcosa di più importante da fare, qualcosa di più importante a cui pensare. Stiles è tra le sue braccia, così come era pochi istanti prima, mentre lo baciava, mentre lo toccava e sospirava il suo nome.
Con quelle dita adesso gelide, Stiles gli donava la vita.
Con quei respiri adesso assenti, Stiles richiamava la sensazione del vento fresco sulla pelle.
Adesso però, è buio e Derek non vede bene. La sua luce è andata da qualche parte, qualcuno l’ha soffocata bruscamente e, per l’ennesima volta, lui non è riuscito a muovere un muscolo per impedirlo.
-Per la miseria, che è successo?- esala Valefar, inginocchiandosi al suo fianco. Fissa Stiles, corruccia le sopracciglia. Non sembra capire l’entità della situazione, non si preoccupa del fatto che il suo amico non respiri più. Insensibile? Forse.
-Valefar…- chiama Lydia con voce tremante. –…lui è… è …-
Derek non vuole pensarlo, non vuole crederci. Non così, non lui.
-Finitela di piagnucolare, per l’amor del cielo.- sorride Valefar alla fine. Dà una piccola spallata a Derek, leggero di qualsiasi preoccupazione, sereno come un bambino il suo primo giorno di vita. Non piange, non appare triste. –Sta bene.-
Sta bene.
Sta bene.
STA BENE.
Quelle parole si ripercuotono nell’animo di Derek, fin dentro la gabbia toracica, ricoprendo di improvvisa stanchezza quello scioglimento della tensione. Sta bene. Stiles sta bene. Improvvisamente, il calore torna a strisciargli addosso, lo avviluppa, lo riporta alla luce. C’è di nuovo speranza, c’è di nuovo il sole e Derek adesso può vederlo.
-Però non è qui.- afferma improvvisamente Valefar.
-Che vuoi dire?- ringhia Derek, di nuovo nervoso.
-Dumah.-
A parlare stavolta, è stata Lydia. Ha lo sguardo fisso verso l’alto, sul braccio della statua di Lucifero. Gli occhi sono sbarrati, le labbra schiuse. Non si muove, immobile come una splendida bambola di ceramica, intenta a fissare qualcosa che solo e soltanto lei sa vedere.
Dumah. Di Dumah, ce n’è una sola. O meglio, ce n’era, perché Dumah è morta e la sua anima… che fine ha fatto? Dispersa, sfracellata in milioni di particelle, distrutta come vetro frantumato. I demoni non vanno da nessuna parte, quando muoiono. L’anima è già morta, quindi all’ennesima distruzione del corpo, anche la parte più importante di esso va persa per sempre.
Eppure…
Valefar ci mette poco ad elaborare una teoria. Passando del tempo in compagnia di Stiles, ha imparato a usare il cervello nel modo più giusto, più veloce, più efficace. Comprende le situazioni al meglio delle sue capacità, elabora piani e pensieri, idee e possibilità.
Pensa.
Dumah. Lydia ha pronunciato il nome di Dumah, come se fosse lì in quel momento. Come se la vedesse. Ma non è possibile, perché Dumah è scomparsa, morta all’Inferno e da lì mai uscita.
Elabora.
Stiles è in stato catatonico e Lydia pronuncia il nome di Dumah. Non è una coincidenza, nulla lo è. Di cosa si sta parlando, allora? Della possibilità che Dumah sia ancora in circolazione, in un modo o nell’altro? All’Inferno non c’è sicuro, e in Paradiso non l’avrebbero accettata neanche sotto pagamento. Quindi? Qual è la risposta?
Ragiona.
Catatonia. Dumah. Stiles.
Stiles. Dumah. Catatonia.
C’è un collegamento, una risposta. È lì, Valefar la sente. E ha intenzione di afferrarla, in qualsiasi angolo del suo cervello si trovi. Se Stiles è morto, vuol dire che la sua anima è stata strappata dal corpo. Strappata, non distrutta. E, se Lydia ha visto veramente Dumah…
-Un ricordo.- esala Valefar all’improvviso. –Qualcuno deve aver collegato la sua psiche col passato. Stiles non respira più perché la sua anima non è qui.-
Derek lo fissa, le sopracciglia inarcate fin quasi a raggiungere l’attaccatura dei capelli. –Può accadere?-
-Mi prendi per il culo o sei serio?-
-Chi è stato a fargli questo?-
Valefar non risponde. Al contrario, fissa Lydia, che a sua volta guarda ancora la statua di Lucifero, ipnotizzata, coi grandi occhi sbarrati. Non si è mai mossa, non ha mai distolto l’attenzione, come se qualcuno le stesse parlando.
-Lydia…- sussurra Valefar, inquieto. -… è davvero lei? È… mia sorella?-
Mia sorella.
Dumah, colei che ha iniziato tutto per condurre Valefar alla libertà, alla vita vera. Ora lui ricorda il suo viso allora troppo giovane, il corpo ancora acerbo, gli occhi grandi di terrore. Sua sorella, la sua piccola e innocente sorellina.
Giocavano insieme da piccoli, e il suo sguardo era così puro, così innocente, che Valefar si convinse della sua totale indistruttibilità. Avrebbe soverchiato il mondo, affrontato le ere e la malvagità dell’uomo, ma quello sguardo sarebbe rimasto uguale, pulito come solo quello di una ragazzina sa essere. Ci credeva. Ci sperava. Ma tutto è cambiato col tempo, con l’infamia dell’umanità che crudelmente li ha divisi, rendendoli due estranei fino alla morte di Dumah stessa.
-Non lo so.- risponde Lydia con esitazione. –Non so cosa ho visto.-
-È ancora qui?- domanda Valefar con calma forzata.
-No, non credo.-
Ma ci è stata, e se il coma di Stiles è riconducibile a un gesto di Dumah… perché l’ha fatto? Perché mettere fuori gioco uno dei suoi stessi alleati del passato?
Improvvisamente, come in risposta alle domande di Valefar, Stiles esala un lungo, brusco respiro. Sbarra gli occhi, si contorce, inarca la schiena in uno scatto doloroso che quasi gli spezza la spina dorsale. Derek lo afferra con decisione, gli blocca i polsi per evitargli di farsi male e preme un ginocchio contro il suo stomaco, costringendolo ad appiattirsi al pavimento. Le ombre intorno a loro si addensano, fremono inquiete, lentamente cominciano a strisciare lungo i muri della sala. Valefar le sente respirare come bestie affamate, avide di carne e sangue, urla e ossa spezzate.
La coda di Stiles ha uno spasmo involontario che la porta ad arricciarsi, a fendere l’aria come lama letale e velocissima, precisa in ogni suo colpo. Ripiegando su se stessa, sfiora la guancia di Derek e la graffia, ma all’istante entrambe le code di Valefar la placcano. La prima fa scontrare le punte con forza disarmante, tanto che dal contatto diretto, sbucano scintille luminescenti e troppo calde che quasi ustionano Lydia e Derek; mentre la seconda la inchioda al suolo, piantando la punta destra nel terreno e incastrando tra essa e la coda vera e propria la parte bassa della lama di Stiles.
-STILES!!!-
L’urlo di Derek fende l’aria, Stiles si immobilizza. Il silenzio piomba su di loro come manto di velluto, massiccio e soffocante dopo tutto quel rumore. Le ombre cominciano a ritirarsi, la coda di Stiles si affloscia come un arto morto e allora Valefar lo libera.
Poi, lentamente, Stiles si volta e incrocia gli occhi di Derek, la piccola macchia di sangue che gli bagna ancora la guancia. Fissa ipnotizzato quelle iridi color foresta che, nel loro piccolo, ricostruiscono all’istante il mondo paradisiaco di cui Stiles ha bisogno. Riesce a sentirlo, il profumo degli alberi. Riesce a toccarla, l’erba umida di rugiada. Riesce a vederla, così verde, così brillante, come la più preziosa delle gemme. È a casa, va tutto bene.
Lentamente, allunga una mano per toccargli la guancia, laddove il sangue spicca brillante, vivo, ancora fresco di gocce sottili e ipnotiche. Stiles si sporca le dita di quel rosso intenso, ne inala l’odore… poi, dolcemente, si allunga per baciargli la ferita in via di guarigione, senza malizia, senza pretese.
-Scusami… scusami, Sour…-
Ma Derek non gli lascia il tempo di finire. Lo stringe forte a sé, cingendogli i fianchi con un braccio e affondandogli l’altra mano nei capelli. Ansima forte nel suo orecchio, come se stesse cercando di calmarsi, come se stesse lottando per non piangere, e Stiles a quel punto concepisce la paura che deve aver provato. Derek l’ha visto crollare, l’ha sentito urlare e contorcersi. Per quanto tempo l’ha chiamato? Quante volte l’ha scosso?
Stiles inspira forte il suo odore, si perde nel calore tiepido di quel corpo terreno, angelico, di creatura mistica. Il suo angelo a quattro zampe, il suo spirito guardiano.
-Sono qui.-
-Sei qui.-
Stiles si allontana appena da lui per guardarlo in viso, quando improvvisamente nota qualcosa di diverso, qualcosa di anomalo che in precedenza ha creduto di aver solo immaginato. Gli occhi di Derek. I bellissimi occhi di Derek adesso sono… diversi. Molto diversi. Ancora blu elettrico, ma… la pupilla è ellittica come quella di un rettile, come quella di un…
-E anche questa mi è nuova.-
Stiles si preme una mano sulla bocca mentre Valefar si inginocchia per guardare Derek da vicino. Inclina il capo, curioso come un bambino, ma non pare spaventato o preoccupato. Al contrario, lo guarda con interesse, e quasi sorride all’espressione corrucciata del licantropo, che non apprezza affatto la vicinanza di Valefar.
-Oddio…- esala Stiles, spaventato. -… è… opera mia?-
-No, è mia.-
-Non dici sul serio, Valefar, vero?-
-Secondo te?-
-Ma come ho fatto?! Non siamo mica in Supernatural!-
-Lenti a contatto?-
-Ma sei scemo?-
-No, sono Valefar.-
-FINITELA!!!- esclama Lydia, attirando la loro attenzione. Fissa Derek in viso, ancora stranita ma relativamente tranquilla. Studia con interesse i suoi nuovi occhi, li guarda mentre poco a poco, la pupilla si contrae, si rimodella, e lentamente… torna normale. Il blu si spegne, schiarisce in uno splendido smeraldo brillante e tutto rientra nella normalità, come se mai nulla fosse accaduto. Allucinazioni? No, perché sono in tre ad aver visto quegli occhi.
-Non capisco…- sussurra Stiles, ancora sotto shock. Si tocca una delle palpebre inferiori, come per assicurarsi che i suoi occhi siano ancora lì.
-Che diavolo state dicendo?- ringhia Derek, improvvisamente nervoso. Li guarda uno alla volta, alla ricerca di risposte, ma i volti degli altri tre sono impenetrabili. –Stiles.-
Stiles deglutisce rumorosamente, a un passo da un attacco di panico. Stringe i pugni, respira con calma forzata, e Derek capisce che sta cominciando ad agitarsi troppo. Gli stringe i fianchi con dolcezza e appoggia la fronte contro la sua, inspirando a fondo il suo profumo. Ci sono solo loro, adesso. Loro due e basta.
-I… i tuoi occhi.- esala Stiles, chiudendo gli occhi. –Sono… sono…-
-Simili a quelli di un demone.- conclude Lydia, senza scomporsi. Fissa Valefar, che cautamente si volta verso di lei e fa baluginare i brillanti occhi demoniaci. Blu elettrico. Dalla pupilla ellittica. Appaiono un po’ più chiari di quelli di Derek, ma somigliano molto ai suoi, e questo non è normale, non è… sano.
-Cosa ti ho fatto?- esala Stiles, accarezzandogli una guancia. Sembra spaventato, trema appena. Adesso, i suoi occhi sono lucidi, ma non versano lacrime.
Ricorda ancora le parole di Michael, il suo tacito avvertimento. “Non  portarlo via con te”. Stiles lo ha ignorato, ha preferito accontentare se stesso a seconda dei suoi desideri. È stato egoista, malato, e adesso Derek… che conseguenze pagherà lui? La sua anima è intatta o rischia di lacerarsi? Andrà all’Inferno? Sarà dannato per sempre a causa sua?
-Non pensarci nemmeno.- ringhia Derek, afferrandogli un polso. –Non voglio sapere precisamente cosa stai pensando, ma posso intuirlo: non ci provare, ragazzino, o ti apro la gola coi denti.-
Stiles sbatte le palpebre, tremante di dolore e paura. I suoi occhi adesso, sembrano vetro frantumato.
-Michael me lo aveva detto. Mi aveva avvertito, io…-
-Michael?!- esplode Valefar. –Quando ci hai parlato?-
Stiles apre e chiude la bocca, ma non ne esce più alcun suono. Non riesce a parlare, a stento respira. L’immagine degli occhi mutati di Derek lampeggia davanti ai suoi occhi, lo acceca, lo sbrindella in mille pezzi. Ha mutato la sua anima, il suo avvenire. Perché, questo? Perché ha scelto di prendersi tutto, di essere egoista sulla più importante delle cose?
Un suono. Lontano, sibilante, freddo e inquietante come soltanto la minaccia più grande dell’universo può produrre. Qualcosa si muove, il velo dell’Inferno freme e si contorce. Stiles e Valefar appoggiano le mani al suolo che lentamente comincia a fremere, percepibile solo e soltanto al tocco dei due demoni. La Terra sta tremando, ha paura. Qualcosa di sbagliato sta per accadere, qualcosa che Madre Natura stessa ripudia e si rifiuta di accettare.
Cielo e terra piangono terrorizzati.
Boschi e oceani si immobilizzano come prede in balia del più feroce dei predatori.
Il velo che separa vita e morte trema intimorito, scosso da una potenza ineguagliabile, animale, distruttiva. Inferno e Paradiso si risvegliano, sollevano il capo, volgendo gli occhi a un avvenimento che mai prima d’ora ha avuto modo di accadere.
Un cambiamento, una nuova possibilità. L’orologio che rintocca i secondi di lacrime e prigionia spezza la catena che ne impedisce la caduta, crolla verso il suolo e il vetro del quadrante si infrange. Le lancette cadono, rintoccano gli ultimi secondi di pace, gli ultimi istanti della vecchia era.
-Che succede?- esala Lydia.
Valefar si alza lentamente in piedi, gli occhi sbarrati e vitrei. –Stiles, no.-
Ma Stiles non si muove. Fissa il terreno come se lo vedesse per la prima volta, coi polpastrelli che aderiscono al suolo e lo sguardo inespressivo. Respira piano, con calma moderata, mentre la pelle balugina inquieta e gli illumina il volto d’oro e vermiglio. Derek riesce a vedere i suoi muscoli tendersi, la pelle aderire alle vene in rilievo, ai tendini sporgenti.
-Stiles, no.- ripete Valefar, nervoso. –Ragioniamo un attimo, non deve per forza…-
Ma Stiles sparisce all’improvviso, avvolto dalle tenebre e da queste ultime soffocato. Si lascia alle spalle qualche impronta, il suo odore e le crepe massicce che le punte delle ali hanno affondato nel terreno.
 
Li sente. Può sentire la loro presenza, il loro respiro. Sono ovunque, come parassiti germogliati dalla terra e da essa stessa coltivati. Li sente nell’acqua. Li sente nell’aria. Li sente nel terreno. Non dovrebbero essere qui, perché la loro stessa esistenza è sbagliata, e lui in questo momento non ha alcuna intenzione di sopportare altre creature del loro calibro. Del suo stesso calibro.
Ha sbagliato tutto, con Derek. Ignorando gli avvertimenti di Michael, ha scelto di rischiare l’anima del licantropo, la sua libertà, la sua vita eterna. Ha voluto ignorare i segnali, e così facendo ha lasciato che una parte del suo stesso orrore insozzasse la purezza di un’anima già danneggiata di suo.
Ha sbagliato. Ha sbagliato, e l’ha quasi ucciso. Errore, abominio.
“Volevi questo?”
Stiles cammina tra le tenebre, avanza il passo. Sente quella voce, la sente dentro la testa e nella gabbia toracica. Gli attraversa le ossa e gli organi, la mente e le membra.
“Avresti dovuto lasciare tutto a me”.
No, non avrebbe dovuto. Non avrebbe dovuto perché, nelle mani dell’Altro, Stiles non avrebbe passato quei momenti in compagnia di Derek. Non avrebbe dovuto perché, nelle mani dell’Altro, Stiles avrebbe ucciso Derek e il branco, e l’avrebbe fatto ridendo. E lui, di persone divertite dalla sofferenza altrui, ne ha conosciute troppe. Li ricorda ancora, i demoni, quando deridevano le sue sofferenze, le sue preghiere, i suoi gemiti di dolore. Ricorda tutto, ogni istante vissuto all’Inferno. Eppure, niente fa male quanto questa situazione.
Ha ferito Derek. Lui non lo sa, ma l’ha ferito. La sua anima, la parte più importante di lui… non sa cosa significhi finire all’Inferno, diventare un’anima dannata. Stiles sa bene che per nessun motivo al mondo permetterebbe a qualsiasi demone di alzare un solo artiglio su Derek, ma l’unico modo per farcela è impedirgli di giocarsi la sua stessa anima per qualcosa che gli donerebbe solo pochi attimi di felicità, prima di un’eternità sconfinata di grida e sofferenza.
Derek non lo merita. Derek non merita alcun tipo di dolore. Non merita di accecarsi alla luce del sole, non merita di scordare cosa sia il sorriso e la beatitudine della pace. Il Paradiso perderebbe il suo angelo più bello e l’Inferno guadagnerebbe l’ennesima vittima sacrificale alla quale spezzare brutalmente le ali.
“Sei così piccolo. Così giovane. Lascia che sia io a guidarti”.
Stiles crolla in ginocchio, ombra tra le ombre, anima tra le anime. Sente adesso cosa significhi essere dannati per davvero, mentre ogni cosa si sfalda e le sue colpe lo schiacciano. Ha contaminato uno splendido angelo per puro egoismo, ha lasciato che il male vero annerisse le sue ali per puro piacere carnale. Ha ceduto, come ogni essere umano. E alla fine, a pagarne le conseguenze è Derek, il suo Derek.
Dannato. Lo è davvero?
“Stiles”.
La voce raschiante, sdoppiata e da animale lo chiama dalle tenebre, ma non è insistente. Stiles la sente raramente, ma quando parla nella sua lingua gutturale da demone, non esalta un tono malvagio o aggressivo come ci si aspetterebbe. Al contrario, la voce parla con dolcezza sopraffina, la stessa tentazione che intride il peccato più languido.
-Vai via.- sbotta prima di uscire dal manto di tenebre, proprio dinanzi ai resti di casa Hale, dove il branco al completo, più Melissa e lo Sceriffo Stilinski sono radunati.
Non se l’aspettava, questo. Perché sono lì, proprio dove il pericolo è più ingente? Perché non scappano, perché non crollano in ginocchio, soverchiati dall’ammasso di tenebre? Valefar non c’è e il branco è ancora troppo inesperto per difendersi da… quello.
Appena Stiles compare, tutti si voltano. Isaac, Scott, Allison, Chris, Melissa e lo Sceriffo. La sua famiglia, la sua casa. In pericolo.
Anche loro no.
-Stiles!- esclama Scott quando lo vede, ma il giovane demone lo ignora.
Ricorda bene quel puzzo di sangue e incenso, di carne fresca e grida lancinanti. Sanno di Inferno, sanno di dannazione. E certi odori, non dovrebbero neanche lontanamente accostarsi al suo branco, perché quelle persone sono sotto la sua protezione, e Stiles non permetterà che qualcun altro si ferisca. Lo ha promesso, lo ha giurato. “Mai più” furono le sue parole, che ora si ripetono impellenti, aggressive, lancinanti nella sua testa. Mai più Alastor, mai più Dumah. Mai più vittime. Mai più Derek.
Il solo pensiero di avergli fatto del male, lo spezza, lo indebolisce. Il suo unico e più importante muro di difesa è sempre stato il licantropo, e adesso che qualcosa è cambiato, Stiles si sente a pezzi. Ogni brandello del suo ego implora pietà, ogni scintilla del suo essere si sfalda come sabbia perché senza Derek, ogni cosa decade e il futuro non esiste più, non per lui. La voce dell’Altro nella sua testa si fa più insistente, più melodiosa. Lo tenta, gli chiede di lasciarlo andare.
Stiles affianca suo padre, ben attento a non toccarlo. Sente la pelle scaldarsi, gli arti farsi incandescenti. Il fuoco covato nelle sue vene scorre liquido, eccitato, micidiale.
Ha ferito Derek. Ha sbagliato tutto. A pagarne le conseguenze, sono solo gli innocenti.
Gli occhi di Stiles scivolano sui nuovi arrivati, li scrutano con fermezza estranea al branco, che neanche Scott gli attribuisce. Quello sguardo fa paura, brucia e congela allo stesso tempo. Neanche il più temerario degli esseri viventi manterrebbe un contegno dignitoso innanzi a quella occhiata.
I due ragazzini invece, non muovono un muscolo.
Quando li ha visti all’inizio, Scott ha pensato di guardare degli escursionisti, dei fragili esseri umani avventuratisi nel bosco alla ricerca di avventure troppo pericolose per il loro calibro. Così piccoli, così innocenti a prima vista. Così umani. Avranno al massimo dodici anni. Almeno, secondo le leggi universali dell’età alle quali creature come loro non sono ammessi.
Scott ricorda bene quando da piccoli, lui e Stiles giocavano a guardare i passanti e ad additarli come vittime o assassini, a seconda del loro aspetto. Era un gioco idiota, qualcosa sul quale solo i bambini possono scherzare. Eppure, Scott ricorda bene i volti di alcune persone, i loro occhi vitrei, la pelle dall’aspetto malato e gli abiti trasandati. Assassini.
È forse per questo e grazie a quel gioco che, quando Scott ha guardati negli occhi quei ragazzini, qualcosa è scattato in lui. Non hanno l’aspetto di vittime, non sembrano normalissimi esseri umani.
Entrambi identici come gocce d’acqua, entrambi con capelli scuri, pelle olivastra e occhi color nocciola. Anche gli abiti sono uguali e respirano all’unisono, come un sol uomo. Scott non riesce a distinguere nemmeno il loro odore, il che lo porta a pensare di avere forse problemi di vista.
Stiles arriccia il naso, nervoso. Non si muove, quasi non respira, ma c’è qualcosa di sbagliato in lui, una rabbia animale che Scott non riconosce. Avverte tanta rabbia in lui, ma non è il demone ad essere furioso, no. Stavolta, la causa è Stiles. Quella furia è umana, quel gelido sibilo di nervosismo è umano. Non si sta trasformando, ma forse, quella situazione fa anche più paura per questo.
-Lontani da queste persone.- ringhia all’improvviso, pericolosamente calmo. In quel momento, alle sue spalle, compaiono Lydia, Derek… e Valefar. Tutti e tre sani, tutti e tre totalmente integri. Nessuna ferita, nessun moribondo. Stanno bene.
Derek fissa prima i nuovi arrivati, poi Stiles, che continua a dargli la schiena. Lo ignora, finge di non aver notato il suo arrivo. A dispetto di ciò tuttavia, serra i pugni e trema di rabbia rappresa, umana, devastante.
I due ragazzi lo fissano negli occhi e simultaneamente sorridono. Si muovono alla stessa maniera, uguali nelle movenze come nell’aspetto.
-Veniamo in pace.- dice il più piccolo con voce cantilenante, quasi irrisoria, ma Stiles sbuffa forte dal naso e continua a fissarlo negli occhi, sfidandolo ad avvicinarsi, a guardare anche solo per sbaglio un membro del suo branco. Scott non ha mai visto uno sguardo così gelido, così inquietante. Quegli occhi, sono gli stessi che hanno guardato in faccia Lucifero e sfidato Dio, gli stessi che hanno visto torture e sofferenze. Quegli occhi, non vanno sfidati per nessun motivo perché, negli abissi delle loro profondità, racchiudono bestie feroci e incontrollabili, antiche e distruttive.
-Andiamo, Stiles.- esordisce il più grande, alzando entrambe le mani. –Guarda, siamo dis…-
Ma Stiles sparisce in un soffio d’aria, talmente fugace e inafferrabile che Scott si chiede all’improvviso se sia stato veramente lì. Neanche col suo sguardo da licantropo Alpha lo vede muoversi. Semplicemente, Stiles diventa incorporeo per un attimo, si sfracella in particelle di purissima velocità nello stesso istante in cui i due ragazzini chinano i busti bruscamente, cadono in ginocchio e le loro facce si trovano a un centimetro dall’erba. Ringhiano entrambi, così forte che il mondo intero rabbrividisce e le ossa stesse di Scott vibrano. È un suono raccapricciante, lontano da qualsiasi verso terreno. Quelli, sono i suoni dell’Inferno.
Scott rabbrividisce impercettibilmente, gli occhi rossi e gli artigli snudati come istintiva autodifesa. Poi però, qualcosa gli stringe il polso e una presenza lo affianca, quieta e silenziosa come anima guardiana.
Isaac non lo guarda, respira piano, ma non allenta la stretta su di lui. Con placida serenità, così come ha sempre fatto, lo sostiene e silenziosamente, gli ricorda che è lì, che va tutto bene. E Scott ci crede. Rilassa i nervi, gli occhi rossi spariscono.
Quando si volta di nuovo verso i due ragazzini, vede Stiles torreggiare su di loro, le mani strette convulsamente sulle loro nuche, i muscoli delle braccia gonfi per costringere entrambi i nuovi arrivati in quelle posizioni di sottomessa vulnerabilità. Dà le spalle all’intero branco, ma di questo Scott è felice, perché non vorrebbe vederlo in viso, non adesso che la sua sola postura spaventerebbe Dio in persona, se non anche Lucifero stesso.
La figura di Stiles emana potenza, un senso di forza devastante e inarrestabile.
-Ditemi cosa volete. E badate a non mentire, perché ora come ora mi basterebbe un pensiero per decapitarvi entrambi.- sussurra Stiles con calma mortale.
Alle spalle di Scott, Melissa e lo Sceriffo trattengono il fiato. Non sono abituati a vedere Stiles in quel modo, non quando l’ultimo ricordo che hanno di lui è quello di un ragazzino troppo magro la cui unica arma di difesa è la parola. Quello non è il loro Stiles. Quella seconda versione di lui, è forte e inamovibile come una montagna, precisa e letale come uno tsunami. Eppure, nonostante tutto, Stiles continua a trasudare un bizzarro senso di umanità, come una seconda pelle che mai gli si staccherà di dosso. Minaccia, ma Scott sa che non ucciderebbe veramente quei due ragazzini, non così.
-Allora?!- sbotta Stiles, stringendo la presa sulle loro nuche. –Sto aspettando.-
Il primo ragazzino parla con voce roca, dovuta alla presa troppo accentuata sul suo collo che quasi gli stacca la testa.
-Lui… arriva! Sta arrivando!-
-Lui chi?!-
-LUCIFERO!!!-
 
“Se non ti arrampichi, non puoi cadere.
Ma vivere tutta la vita sul terreno,
Non ti darà la gioia di essere libero.”
 
Lucifero.
Lucifero.
LUCIFERO.
Il signore dell’Inferno, il padre dell’oscurità intera. Il male esiste, e possiede un volto angelico, di creatura alata spinta giù dalle nubi più pure del Paradiso. Fu Dio a crearlo, fu Dio a modificarne la forma per tramutare in mostro il suo stesso figlio adorato. Un errore, una ribellione di troppo. Stiles ricorda bene quel volto, quegli occhi, quella voce morbida di velluto. Lucifero è quanto di più bello abbia mai calcato la Terra e l’Universo, la vita e la morte. Un giudice macabro e magnifico come sole e luna assemblati in un’unica, splendida fusione.
Stiles ci ha pensato spesso. Sentire la voce di Lucifero una sola volta, cambia la vita e l’udito, il respiro e le palpitazioni. Lui la ricorda bene, quella voce. Era purissima, pulita, morbida come il più voglioso dei peccati. Inneggia alla tentazione, agli errori, all’oscurità. E adesso, quello stesso male, quella stessa voce, quello stesso volto… stanno per arrivare lì, sulla Terra, come mai è accaduto in precedenza.
Il pianeta è terra di nessuno, luogo di scontro tra fazioni. Angeli e demoni si ammazzano a vicenda e uccidono gli esseri viventi, ma mai prima d’ora uno solo dei due grandi capi ha osato abbandonare la propria postazione di sicurezza. Eternamente barricati dietro fila e fila di vittime, eternamente al sicuro e pronti solo a ordinare il massacro. Ora però, qualcosa è cambiato.
Stiles sente una fitta di panico assalirlo, il terrore cieco e lancinante divorargli le viscere. Ha sfidato Dio e Lucifero, ma non lì, sulla Terra, dove c’è il suo branco. Loro non meritano di affrontare quella battaglia, non meritano di morire per un suo errore. Dumah ha già pagato un prezzo troppo alto, ma gli altri? Stiles si sente morire al solo pensiero di perdere Derek, o di vederlo fronteggiare Lucifero in persona, come sarebbe capace di fare.
Moriranno tutti.
-No.- sibila alla fine, barcollando. –No.-
I due ragazzini lo guardano, incuriositi. Stiles molla la presa sui loro colli e indietreggia, confuso e spaventato. Ha sbagliato ancora, per l’ennesima volta è colpa sua. Sono tutti in pericolo a causa del suo colpo di testa ai danni del Creato in persona. Ancora una volta, Stiles ha agito d’istinto e ha generato danni, ma stavolta non sarà semplice arginarli perché non si tratta più di anime o demoni, no. Ormai si parla di Lucifero e della sua scelta di scendere in Terra per la prima volta a distanza di secoli. È un cambio d’equilibrio, uno spostamento violento e massacrante che non solo sballerà i piatti della bilancia, ma la distruggerà direttamente. È un gioco pericoloso, uno schianto devastante che mieterà più morte che vita. Ed è colpa di Stiles.
-Perché me lo avete detto?- esala lui, tremante di rabbia. Qualcosa gli sussurra all’orecchio, una voce suggerisce di perdere il controllo, di lasciarsi andare. È una voce insistente, viva, presente. Parla al suo cervello più e più volte, lo accarezza, lo tenta. È il peccato in persona a sussurrare, la voce del male che è in lui. Stiles non vuole ascoltarlo, ha paura, è arrabbiato. Il mondo gli crolla addosso perché ha ferito Derek, gli ha forse lacerato l’anima per puro diletto fisico. Ha amato quando non doveva, ha carezzato quando la violenza era l’unica soluzione. Lui, marcio nel profondo del suo essere, ha osato accostarsi e toccare una creatura di Dio, qualcosa di puro e inavvicinabile che mai avrebbe dovuto nemmeno guardare.
L’ha insozzato. Ha macchiato il bene. Merita l’Inferno così come non lo meritava un tempo, quando da innocente ne ha varcato le porte. Merita di gridare come qualsiasi dannato, merita di ustionarsi la lingua alla prima preghiera pronunciata e implorata, seppur a favor di bene. La sua anima si è spaccata tante e tante volte, ma mai prima d’adesso ha sanguinato tanto.
È lui l’errore, è lui la vittima sacrificale che sbilancia l’equilibrio.
I due ragazzini lo fissano, interessati. Il più giovane sorride, ed è un sorriso vivo, pericoloso ma sincero. Sul suo viso è profondamente innaturale. –Davvero non lo sai? Quanti come te in passato, si sono interessati dell’Inferno? Quanti hanno mai guardato ai dannati con benevolenza anziché con occhi di condanna? Nessuno si interessa del nostro domani, nessuno prega per noi. Noi siamo invisibili, siamo ombre. È per questo che governiamo l’oscurità: perché noi siamo buio, macabro e strisciante, sporco e invisibile agli occhi dei vivi come a quelli dei morti. Ma tu. Tu, ragazzino, non la pensi così. Tu… tu ci vedi.-
La voce del ragazzino vibra d’aspettativa e inaspettata riverenza. Lo fissa in silenzio, in attesa del gesto che cambierà ancora una volta non il mondo, ma l’universo. Qualcosa muta, e non si tratta solo delle scelte di Satana, no: c’è altro.
E infine, il miracolo accade.
Lentamente, il ragazzino poggia entrambe le ginocchia al suolo, subito imitato dal suo compagno. Fissa Stiles dal basso, prostrato come mai un demone saprebbe fare, prostrato come umile servo al cospetto del suo sovrano.
I demoni non conoscono umiltà. I demoni vivono di sangue e menzogne, di carne e violenza. L’umiltà è un tratto divino, l’umiltà dovrebbe appartenere a Dio, non a Satana. Eppure, al cospetto del sole che tramonta e delle ombre che poco a poco avanzano, due demoni si inginocchiano, prostrati al cospetto di un giovane ragazzino dall’aspetto fragile e umano. Mai prima d’ora è accaduto tale avvenimento, mai prima d’ora i demoni hanno scelto volontariamente di chinare il capo, docili come soldati addestrati, gentili come scolari dinanzi al maestro anziano.
I demoni sono bestie indomite. I demoni sono il male e quanto di più selvaggio da esso derivi. E quel male adesso, si inginocchia ai piedi di Stiles.
Ma lui non lo merita, non è giusto. C’è qualcosa di sbagliato, qualcosa di macabro e insano. Lui è un assassino, una bestia. Ha massacrato quanto di più bello la Terra abbia mai partorito, ha schiacciato sotto il tallone il bene di una creatura che di angelico, possedeva ogni cosa.
-Alzatevi.- si innervosisce lui, indietreggiando. –ADESSO!!!-
Ma i due demoni non si alzano. Al contrario, sbattono simultaneamente le palpebre e illuminano gli occhi di identiche pupille verticali, minacciose e bellissime, predatorie e mefitiche. Gli stessi occhi di Satana, gli occhi del male.
-Ci hai chiamato alle armi, Stiles.- dice un demone.
-E noi alle armi accorriamo.- completa l’altro. –Hai fatto qualcosa di neanche lontanamente immaginabile, qualcosa che la storia mai prima d’ora ha potuto registrare. Hai sfidato Lucifero, hai scelto di lottare per noi dimenticati. E noi dimenticati, a dispetto di ciò che siamo, sappiamo ricordare.-
Stiles indietreggia mentre intorno a lui, la storia si rimodella, cambia e per la prima volta, non tende a ripetersi. Il mondo intero trattiene il respiro mentre passato, presente e futuro si raccolgono lì, in quel quadretto di creature in ginocchio, prostrate, rinate.
-Hai bisogno di aiuto, e noi abbiamo bisogno di sapere che ci siamo ribellati per un motivo.- afferma il gemello più giovane. –Abbiamo sempre guardato la luce da lontano, abbiamo sempre scelto di non ricordare solo per convincerci che i ricordi della nostra vera essenza non c’erano più. Ma noi, la prova che l’umanità esiste ancora ce l’abbiamo, ed è incastrata nel terzultimo girone dell’Inferno, inchiodata al ghiaccio da una stalattite che le perfora il corpo.-
Stiles chiude gli occhi, inala lentamente per calmarsi. Sa di chi stanno parlando, sa chi all’Inferno ha pagato un prezzo troppo alto per essersi ribellata, per aver cambiato le carte in tavola. C’è un corpo, laggiù, bellissimo e stoico nella sua dolce immobilità, come statua di monito per chi come lei ha intenzione di seguire il suo esempio. Un monito che nessuno ha scelto di ignorare, un monito che si è rivoltato contro Lucifero. Un simbolo.
Dumah.
-Non voltarci le spalle, Stiles. Combattiamo insieme. Per una volta, scegli di non illuderci e dacci la possibilità di dimostrare che siamo vivi, che possiamo essere liberi.- implora il più grande. Nei suoi occhi, si riflette lo spettro della disperazione misto a quello della speranza. Speranza per un mondo diverso, speranza per l’umanità che prega di tornare a ottenere. Non guarda al Paradiso, ma alla possibilità di essere diverso, di scegliere come vivere e come morire, esattamente come tempo addietro fece Dumah. –C’era qualcuno, da qualche parte, che un tempo ci somigliava, respirava la nostra aria, aveva un passato e una famiglia. Tu ci hai promesso la possibilità di ritrovare quelle persone, di ricordare i loro nomi e le loro colpe. Hai ragione: non siamo diversi dai dannati. Un tempo eravamo come loro, un tempo eravamo loro. Dacci la possibilità di ritrovare noi stessi. Abbiamo bisogno di te. Insegnaci l’umanità.-
Preghiere, richieste. Speranza, vita. Lì, al cospetto del sole che tramonta, Stiles si sente nuovamente in procinto di sbagliare. Sa che potrebbe crollare e rinascere tutto, sa che il mondo intero dipende dalla sua scelta. La storia può essere riscritta, la storia può cambiare, e questa possibilità è nelle sue mani, così come negli occhi di chi lo guarda. Ma lui è solo un ragazzo, troppo giovane per scegliere questo, troppo giovane per mettersi al comando di vite innocenti. Moriranno tutti, e sarà colpa sua. Moriranno tutti, e lo faranno implorando il suo aiuto.
Lui dov’era quando morì Dumah? Dov’era mentre massacravano Alastor, o chiunque abbia preso il suo posto? Non vuole altre morti, non vuole sentirsi nuovamente incapace di proteggere chi in lui ci crede davvero.
-Io…- Stiles indietreggia. Sta per parlare, sta per rifiutare l’aiuto dei due demoni, insensibile alle loro preghiere così come Dio è sempre stato con lui. Volterà il capo dall’altra parte, cadrà finalmente in ginocchio e Lucifero lo vedrà spezzato ai suoi piedi come fragile marionetta senza più fili. Non può farlo, non vuole altre Dumah. C’è la sua famiglia lì, c’è il suo branco. C’è Derek. Se solo Lucifero si avvicinasse a lui, Stiles impazzirebbe molto più di quanto sia accaduto mentre era all’Inferno. Sa bene che la reale sofferenza che potrebbe patire, è quella di vederlo star male. Il suo Inferno, quello vero, trabocca dai dolori di Derek, dalle sue urla, dalle sue debolezze. Non può permetterlo. Non è così forte da potersi concedere di mettere a rischio il suo unico e più bello punto luce. Non ce la farà. Si lascerà uccidere da Lucifero, sigillerà ogni uscita dell’Inferno per impedirlo, ma lo terrà lontano da Derek.
-Io…-
-Stiles.-
Una voce. Così potente da rovesciare le montagne, così bassa da appartenere al vento stesso. Derek Hale non ha gridato, eppure alle orecchie di Stiles è come se lo avesse fatto. Lo sta chiamando, insistente come ruggito di Alpha rivolto ai membri del suo branco, e Stiles reagisce di conseguenza.
Irrigidisce le spalle, non si volta, ma ugualmente ascolta. Quella voce, annidata su ogni lettera del suo nome, ha detto mille e mille cose. Una parola è bastata, ma da sola, essa ha più significato di qualsiasi discorso.
“Non lo fare”.
“Combatti”.
“Sono con te”.
E contro il suo stesso volere, Stiles si piega perché a quella voce, lui non può dire di no. Se Derek gli chiedesse di gettarsi in una pozza d’acqua santa, lui lo farebbe. Se Derek gli chiedesse di tornare all’Inferno e rimanerci, lui lo farebbe. E anche stavolta, Stiles non manca di rispondere alla sua luce, a quanto di più importante muova i fili del suo stesso essere.
-Abalam. Agares.- chiama Stiles, e allora i due ragazzini rispondono, schiudendo simultaneamente le labbra in attesa di un responso. Ancora inginocchiati, ancora succubi del giudizio finale che deciderà infine il loro destino. Attendono una risposta, lo sviluppo di un domani che potrebbe decretare la loro morte, o la loro riscossa. Al cospetto del sole e della luna, delle stelle e del cielo, essi si piegano in quel tribunale a cielo aperto, mentre un ragazzo dal giovane aspetto decreta infine ciò che attendono.
La risposta che giunge tuttavia, stupisce ognuno di loro, sorprendente come fiore appena sbocciato davanti ai loro occhi.
Stiles non si sente un sovrano, non è un giudice. Se si elevasse più in alto degli altri, non sarebbe diverso da Satana e da Dio. Lui è solo un ragazzo. Andava a scuola, si lasciava picchiare dai ragazzi più grandi, soffriva di iperattività e di sindrome da disturbo dell’attenzione. Non è un re, né merita di esserlo. Tutto ciò che chiede di essere invece, è umano. Non domanda altro, non spera altrimenti. E se quei ragazzini, nonostante il monito severo del corpo di Dumah incatenato a uno spuntone di ghiaccio, hanno scelto di aiutarlo, allora non sono loro a doversi inchinare.
Lì, dinanzi al branco e al cospetto del mondo intero, Stiles si inginocchia. Dolcemente afferra una mano di Abalam e una di Agares, sfiorandole con tanta delicatezza che entrambi trasalgono. Quelle mani, hanno torturato milioni di dannati, tra i quali vi è anche Stiles. Lo hanno fatto a pezzi per anni e per anni hanno sbrindellato ciò  che restava della sua anima senza pietà, senza carità alcuna. Quelle mani, hanno servito il male per secoli.
-Non è a me che dovete inchinarvi.- esala Stiles dolcemente. –Non è a me che dovete ciò che state diventando. Se avete scelto di ribellarvi, il merito è vostro. Vostre sono le azioni, vostre sono le anime che scegliete di ripulire… e vostro è il merito di un aiuto che non sceglierò di rinnegare. Non inchinatevi a me, perché se la mia famiglia e colui che più della mia stessa vita amo dal profondo dell’animo saranno salvi, sarà merito di quello stesso aiuto che mi state offrendo.-
Stiles china il capo, si porta alle labbra le mani dei due demoni. Con umiltà, ne bacia i dorsi, sfregando appena le labbra contro la pelle, prostrato ai loro piedi con anziana saggezza. Con quel gesto li accetta, li accoglie, li riconosce come pari e fratelli.
-Siate i benvenuti.- sorride infine, rialzandosi. Sotto gli occhi ancora stupefatti di Abalam e Agares, sposta lo sguardo oltre, verso gli alberi.
-Combatteremo?- domanda Agares, il più giovane.
Stiles lo guarda negli occhi, lo giudica. L’ha accettato, gli sta bene che i due demoni stazionino lì, ma non ha intenzione di mettere a rischio la vita del branco, non così. Non può decidere adesso la sua prossima mossa, non quando è così instabile e l’unico pensiero che gli percuote l’animo è quello di Derek ferito, torturato o fatto a pezzi. Per colpa sua. Quegli occhi demoniaci sul viso del licantropo, Stiles li ha visti davvero e non può ignorarli.
-Riposatevi. Siete al sicuro, per ora.- decreta infine prima di voltarsi e sparire nell’ombra. Ha bisogno di tempo e quiete, si pace e silenzio. È solo un ragazzo, dopotutto, e il suo mondo rischia per l’ennesima volta di sfracellarsi in pezzi troppo piccoli per essere riassemblati.
 
Si dice spesso che sbagliare sia umano. Si commettono errori, si parla a sproposito, si compiono gesti indescrivibili dei quali spesso e volentieri ci pentiamo. Ma siamo esseri umani, e gli errori fanno parte della natura stessa dell’uomo.
Errare è umano. Ma uccidere quanto di più puro e sacro esista al mondo? Massacrare l’anima del giusto, dannarlo indissolubilmente come agnello immolato su maledetto altare di pietra mentre lui, nella sua inconsapevolezza, si affida a quanto crede sia più giusto. Nella sua convinzione, quel fragile agnello si è fatto spezzare le zampe e il collo, le costole e il setto nasale. Stiles lo ha massacrato un pezzo alla volta, lupo affamato in cerca di debole preda di cui cibarsi. E la sua preda, per quanto inconsapevole, è sempre stata Derek.
Stiles si è aggrappato a lui come cieco che invano guarda al sole senza vederlo davvero. Adesso capisce, nella sua stupidità, di averlo amato fin quasi a ucciderlo.
Una rosa non va toccata troppo spesso poiché i suoi splendidi petali sono troppo fragili e col tempo, rischia di soffocare nell’umano abbraccio dell’egoismo. Stiles è stato egoista e fino alla fine, ha scelto di uccidere un pallido, bellissimo fiore appena sbocciato.
“Hai degli occhi bellissimi”. Stiles ricorda di averglielo detto, una volta. Ha fissato lo sguardo in quelle iridi blu elettrico, ha scrutato l’anima di Derek e in quell’istante, ha imparato ad amarlo ancora di più. Amava quegli occhi, amava quello sguardo. Gli stessi che con le sue stesse mani ha rischiato di distruggere, meritando la dannazione.
Derek ha sempre avuto le sue ali. Ampie e bellissime, lucenti e piumate, come quelle d’un glorioso angelo. Stiles lo ha sempre immaginato intento a librarsi nel cielo, libero da ogni cosa, finalmente sereno e felice di esserlo. Il suo angelo, il suo Derek. E Stiles, col suo morboso amore per quelle stesse ali, le ha guardate spezzarsi.
Un dolore sordo al petto lo costringe a inginocchiarsi lì, sulle sponde dello stesso lago che ancora custodisce il corpo di Alastor. Non si è mai mosso di lì, non è cambiato nulla dall’ultima volta che Stiles lo ha seppellito. Chiunque fosse quel ragazzino, forse loro non lo sapranno mai. Resterà senza nome, deceduto nel silenzio della sua anonimità, così come accadrà a molti di loro se Lucifero scenderà in Terra.
Qualcuno si ricorderà di loro? Qualcuno racconterà di un licantropo vittima e di un demone assassino il cui amore ha condotto entrambi alla dannazione eterna?
Il suo cellulare squilla all’improvviso, spezzando la quiete della radura. Il trillo impazzito di quell’orribile scatola di metallo premuta contro la sua coscia è fastidioso e non si sentiva da un bel po’, ma Stiles si costringe a non ignorarlo. Potrebbe trattarsi di qualcosa di serio, visto che comunque ci sono altri due demoni in circolazione. Per quanto muniti di buone intenzioni, sono pur sempre figli dell’Inferno e Stiles ha scelto di andarsene semplicemente perché con loro ci è rimasto Valefar.
-Pronto?-
-Stai sbagliando tutto.-
Quella voce. L’ha chiamato per nome pochi minuti prima e l’ha fatto altre mille e mille volte in passato. Una voce roca, capace di ribaltare gli abissi dell’Inferno e l’animo stesso di Stiles. Quel timbro, il giovane demone l’ha sognato già tante e tante volte quando era vivo e altrettanto spesso vi si è aggrappato quando era all’Inferno per non impazzire. La voce del suo Paradiso, è questa.
-Derek.-
Rumori all’altro capo del telefono. Derek si sta muovendo, forse cammina avanti e indietro. Stiles sorride al pensiero dell’espressione potenzialmente corrucciata che potrebbe spiccare adesso sul suo volto. Sorride, e al contempo sta male perché lui quel viso vorrebbe baciarlo fino a spianarne le rughe di disappunto, ma non può farlo. Non deve, non è giusto.
-Stai sbagliando, ragazzino.-
-Non sai cosa ti ho fatto.-
-Sì che lo so. Ero nella tua testa, idiota, e so cosa ho visto. Tu e Michael che parlavate, e tu come al solito sei abbastanza imbecille da dargli ascolto.-
Stiles sorride mentre gli occhi si fanno lucidi di ricordi e lacrime, di dolore e schiacciante sofferenza. Si sente a pezzi, spaccato in mille e mille frammenti. Senza Derek, ogni barlume di integrità svanisce e lui respira per inerzia, ascoltando il battito di un cuore che non merita di pulsare ancora.
-La smetti di offendermi, Sourwolf?-
-No, e sai perché? Perché te lo meriti. Sei un ragazzino idiota e iperattivo che tiene conto solo delle proprie scelte, giustificando il tutto in modo del tutto sconclusionato.-
Stiles stringe i pugni. –Devo farlo, Derek! Non rischierò che tu… lascia stare. È finita e questo è ciò che conta.-
-No, non è vero.-
-Sì che lo è! E smettila di contraddirmi!-
-Finalmente capisci quanto è snervante questa cosa, ma no, non ho intenzione di lasciarti andare. Mi hai capovolto la vita come un guanto, mi hai invaso casa, mi hai costretto a passare intere notti a calmare i tuoi stramaledettissimi incubi e come gran finale, mi hai costretto a scendere all’Inferno per recuperare il tuo stupido ego capace solo di agire senza ragionare! Adesso, prenditi la responsabilità dei tuoi gesti.-
Stiles ride amaramente, l’animo a pezzi e il cuore che lentamente si sgretola. Riesce a sentirli, i fragili frammenti del suo essere che poco a poco svaniscono, si consumano, muoiono come fiori soffocati dall’inverno.
-Scusami tanto se ti ho infastidito! E scusami se ho voluto scatenare una guerra ultraplanetaria per… per… niente.-
Niente. È questa la verità, Stiles lo sa bene. Ha condannato a morte il branco per puro scatto di impulsività, lì, mentre le sue mani si sporcavano di sangue innocente e Alastor moriva tra le sue braccia. Derek ha ragione. Lui è solo uno stupido ragazzino privo di autocontrollo.
Stiles respira a fondo per impedire ai singhiozzi di rompere il discorso. Si copre gli occhi con una mano, colpevole di un peso che non riesce più a sopportare. -Pensavo di agire a fin di bene, ma mi sbagliavo. Volevo che non ci fossero più Dumah, volevo che il libero arbitrio fosse una scelta non di Dio e Satana, ma di chi al loro volere è sottoposto. Tutti meritano una seconda opportunità, così come non l’abbiamo meritata io, Valefar… Dumah.  Nessuno, nemmeno il mio peggior nemico, dovrebbe passare quello che abbiamo passato noi. Dio e Lucifero trasformano brava gente in assassini terrificanti e privi di controllo, e questo non è giusto. Gli uomini non nascono dall’oscurità. Essi sono creature grandiose, capaci di insegnare cose bellissime e sempre nuove. Io stesso imparo ogni volta che vedo un bambino accarezzare il viso di un padre che piange perché ha perso il lavoro, io stesso imparo ogni volta che un ragazzo accarezza un cane randagio e gli cede il suo panino per sfamarlo. L’uomo è questo, Derek. E l’umanità, me l’ha insegnata anche il branco. Me l’hai insegnata tu.-
Stiles singhiozza, dando sfogo a quella fragilità che lo opprime, lo schiaccia, lo ferisce più e più volte.
-Mi hai insegnato molto e io… io ti ho fatto questo… scusami. Scusami, scusami, scusami.-
Stiles singhiozza più forte, si copre la bocca con la mano per soffocare il suo stesso pianto. Non vuole che Derek ascolti i suoi lamenti, non lo merita. Per quante volte Stiles potrà chiedergli perdono, il danno ormai è fatto.
Dall’altro capo del telefono, Derek ci mette un po’ a rispondere. Ascolta per qualche minuto i pianti soffocati di Stiles, li assorbe, prega che finiscano perché mai nulla dovrebbe scatenare in lui una sofferenza tanto devastante. Quel suono, è il più orribile che Derek abbia mai ascoltato. Sa di Inferno, di paura, di rabbia. Non è Stiles a piangere, ma il mondo intero, perché dei singhiozzi tanto disperati si potrebbero attribuire a chiunque sia profondamente lacerato nel suo stesso essere.
Così piange una madre che stringe a sé il figlio morto.
Così piange un uomo che ha visto morire la sua famiglia.
Così piange un cagnolino mentre il suo padrone spira.
Così piange Stiles Stilinski e Derek avverte qualcosa rompersi nel petto ogni volta che sente un singhiozzo esplodere all’altro capo del telefono.
Ti prego, smettila di piangere.
-Finiscila di piangere, ragazzino. E togli quella mano dalla faccia.- sbotta Derek improvvisamente.
-Non sto… as… aspetta, come sai che io…-
Una mano compare accanto al suo viso, gli sfila il telefono di mano. Qualcuno alle sue spalle lo getta via, in mezzo all’erba e dolcemente fa scivolare un braccio attorno alla vita di Stiles in un tocco gentile, angelico, che all’istante blocca il suo pianto disperato. Ogni barlume di dolore sparisce, annega nella gentilezza di quel tocco troppo delicato, come di petalo che s’appoggia su fragile cristallo. Il calore di Derek sa di casa e foresta selvatica, di luna e Paradiso. Stiles lo attribuisce agli angeli, quelli veri, così come li dipinge il cristianesimo. Gentili e morbidi, puliti e caritatevoli. Derek, nella sua rudezza di licantropo imbronciato, è anche questo.
-Sourwolf, no…- sussurra Stiles mentre il corpo di Derek preme gentile contro il suo, senza forzarne il contatto o infastidirlo ulteriormente. Semplicemente, le loro anime, così come il loro essere materiale, coincidono perfettamente tra loro, incastrandosi, intrecciandosi, sfiorandosi. Sono due identiche anime gemelle partorite simultaneamente da Dio in persona, e forse da Dio stesso fatte incontrare. Ogni loro tocco è qualcosa di profondamente naturale, semplice, vivo, come se entrambi non avessero mai fatto niente nella vita.
In quel momento, mentre il respiro di Derek gli sfiora l’orecchio, Stiles pensa che entrambi sono dei relitti, creature stanche e fatte a pezzi da circostanze terribili. Tutti e due si sono visti azzoppare, spezzare un’ala, ferire. Sono piovuti dal cielo, insieme, angeli decaduti di decaduta pietà antica.
È per quella vita che Stiles combatte, per quei respiri. Lui combatte per il branco, per Derek.
-Sapevo tutto sin dall’inizio, Stiles.- sussurra Derek al suo orecchio.
-No che non lo sai. Non sai cosa si prova a… ad essere dannati.-
-Non avrò passato tre anni all’Inferno, ma ti ricordo che lì ci sono stato ugualmente. Ed ero io quello che chiedeva all’incappucciata di lasciarmi là sotto, a costo di rifiutare la beatitudine.-
Quella notizia gela il sangue nelle vene di Stiles e gli fa cedere le ginocchia. Si aggrappa al braccio di Derek per non cadere mentre l’aria scompare dai suoi polmoni, facendolo ansimare.
-Stiles, calmati.-
-COSA CAZZO AVEVI IN MENTE DI FARE?!- grida lui così forte da stupire finanche se stesso. –VOLEVI MORIRE, EH? VOLEVI LA DANNAZIONE?!-
Stiles si volta di scatto, separandosi da lui. Si sente a un passo dal mollargli un cazzotto, e non è certo del risultato che otterrebbe. Si farebbero male entrambi? Magari lui si spezzerebbe le dita e Derek la mandibola. Non è una cattiva idea, considerato che l’alternativa di Stiles è quella di ammazzarlo direttamente.
Non sopporta l’idea che Derek abbia chiesto davvero di restare lì sotto, all’Inferno, stretto a un cadavere che mai più avrebbe respirato. Dopo l’apparente morte di Stiles, Derek ha praticamente tentato il suicidio e questo Stiles non riesce a sopportarlo perché per lui, la morte non è niente: può accettarla, può abbracciarla e abbandonarsi ad essa. Va bene così, se così deve essere. Ma la dipartita di Derek Hale? No. Tutto, ma non questo. Qualsiasi sacrificio, qualsiasi prezzo da pagare, ma questo no.
Stiles è arrabbiato da morire. Il solo pensiero che Derek abbia pensato di lasciarsi andare, lo manda in bestia.
-Sei… sei un coglione! Un grandissimo, enorme, stragrande imbecille di un Sourwolf! Io non… io…-
-Stiles.-
Stiles si accorge di star piangendo solo quando Derek allunga una mano verso il suo viso e gli sfiora la guancia con riverenza delicata, soffice di nuvola evanescente. Col polpastrello, cattura la lacrima piccola e brillante di diamante, cancellandola, allontanandola dal suo essere come un brandello di dolore strappato dal suo petto. Stiles trema, spaventato, ed è durante quel momento di maggior fragilità che Derek decide di accostarsi e stringerselo al petto. Poggia il mento sul suo capo, chiude gli occhi, inspira il profumo di Stiles.
Ciò che ha tra le mani, è qualcosa di talmente fragile da apparire delicato anche al cospetto di un uccellino appena venuto al mondo. Quell’amore profondo, quell’affetto inscindibile che li lega, appare magnifico come un cigno, ma al contempo ugualmente affusolato. Può spezzarsi da un momento all’altro, ma Derek sente e capisce che questo accadrà solo e soltanto quando lui e Stiles moriranno. Insieme, perché nessuno dei due andrà avanti senza l’altro, e questo è un dato di fatto. Un albatro non vola se ha un’ala spezzata, così come un lupo non sopravvive a lungo con quattro zampe amputate. Derek vola grazie a Stiles, corre grazie a lui, vive grazie a lui. Nell’insieme, i suoi stessi respiri esalano unicamente per dare all’altro la sicurezza che Derek sia vivo, che sta bene.
-Sei ricaduto all’Inferno per colpa mia ed era mio il compito farti uscire di lì. Avevo promesso a me stesso che non me ne sarei andato senza di te e no, non l’avrei fatto in ogni caso. Ascoltami bene, ragazzino, perché non lo ripeterò una seconda volta: hai sacrificato molto in nome del branco, e in nome mio hai frantumato e ricostruito la tua stessa anima. Qualunque cosa io faccia, sarà nulla in confronto a ciò che mi hai dato tu. Conosco i rischi che corro stando al tuo fianco e va bene.-
Stiles struscia la fronte contro il suo petto mentre scuote il capo. –Derek, non posso…-
-Puoi. Professi libertà al cospetto di Dio e Satana, ma adesso non concedi a me quello stesso libero arbitrio.-
-Non posso farlo, non se c’è la tua anima di mezzo!-
Ma Derek scuote il capo e dolcemente, gli afferra il mento tra le dita per costringerlo ad incontrare il suo sguardo. Lascia che i suoi occhi mutino, lascia che il blu brillante dell’iride si tinga di quella sottile linea verticale che ormai incarna la pupilla. Occhi di demone in quelli di licantropo, essenza infernale intrisa di benessere terreno. Derek è sempre stato un ibrido, metà lupo e metà uomo. È nato così, e così gli va bene. La sua reale natura, a cominciare dal colore delle iridi, si è sempre riflessa nel suo sguardo. I suoi occhi incarnano ciò che è, ciò che sarà sempre. Adesso però, un nuovo pezzo di luce e colore si è aggiunto luminoso al suo arazzo, e quel pezzo di esistenza glielo ha donato Stiles. Derek non avrebbe mai pensato di poter accettare tanto facilmente un cambiamento tanto radicale, ma quegli occhi, quello sguardo… a costruirli è stato Stiles. Le sfaccettature migliori di Derek gli appartengono, sbocciano sane da quel ragazzino trepidante di vita e luminosità. I raggi del suo piccolo sole hanno colpito Derek, l’hanno illuminato e baciato, e alla fine il risultato è quello.
Lupo.
Uomo.
Demone?
-Stiles.- sussurra allora lui, fissandolo con occhi blu cobalto, lucenti come zaffiri, gelidi di ghiaccio cristallizzato e al contempo caldi di dolcezza infinita. –Guardami. Voglio che mi guardi davvero, coi tuoi occhi.-
E Stiles automaticamente lo accontenta, perché come al solito, a chiederglielo è Derek. Sbatte le palpebre, fa guizzare l’oro lucente delle iridi serpentine. Quello sguardo bollente, infernale, ha già vissuto mille e mille vite, mille e mille esistenze. Ha guardato il mondo nascere e morire, il sole e la luna sorgere e tramontare. Quello sguardo è vita, quello sguardo è morte. Quello, è lo sguardo di un demone vero, che inspira fiamme ed espira fumo.
Eppure, nonostante tutto, Derek non riesce a non amare quegli occhi, perché essi appartengono al suo Stiles e lui potrebbe guardarli per ore, per giorni, per anni, senza mai stancarsi. Nelle sfaccettature del suo sguardo, Derek riconosce mille e mille esperienze vissute, mille sofferenze patite e altrettanti bei momenti trascorsi. Quei momenti, quegli istanti… sono Stiles. Nel loro piccolo, hanno contribuito a far germogliare il piccolo miracolo che ha tra le braccia, un miracolo al quale Derek non potrà rinunciare.
-Baciami.- sussurra Derek all’improvviso e Stiles lo guarda stupito e totalmente impreparato. Trema appena tra le sue mani, fragile come il cuore appena nato di un passerotto. –Voglio che sia tu a farlo. Voglio che sia tu a fidarti di me. Concedimi quel libero arbitrio, Stiles: lascia che scelga la mia strada.-
-Non posso perderti.- sussurra Stiles, spaventato. Nei suoi occhi, si riflette il bagliore dell’alba e del tramonto, che morbidamente si intreccia al cielo notturno che splende nelle iridi di Derek. –Non voglio perderti. Io… io…-
Stiles inspira a fondo per calmarsi, le mani arpionate ai fianchi di Derek. Lo sguardo del demone è lucido, brillante di diamanti liquidi che, quando cominciano a colargli lungo le guance come scie benedette di benedetta acqua purificatrice, Derek non si risparmia di asciugare con piccoli baci. Stiles non merita di piangere.
-Lucifero mi ucciderà, Derek. E io non voglio andarmene col pensiero che se mi accadesse qualcosa…-
-Se Lucifero provasse a toccarti, gli spezzerei tutte le ossa del corpo, sappilo.- ringhia Derek in risposta, pur sapendo che la realizzazione di tale desiderio si tratta di mera utopia.
Lucifero arriverà, e loro cadranno combattendo. Lucifero arriverà, e loro moriranno insieme, così come è giusto che sia.
Derek lo ha capito tempo addietro, quando Stiles è ricomparso e l’ha salvato dagli artigli di Dumah.
Derek l’ha capito tempo addietro, quando ha incrociato per la prima volta quegli occhi dorati di giovane teenager.
Derek l’ha capito tempo addietro, e non potrebbe essere più felice delle sue scelte.
Morirà, ma lo farà combattendo per Stiles. Morirà, ma accadrà al suo fianco, perché è lì che resterà fino alla fine. Sole e luna, giorno e notte. Alla fine del mondo, si dice che gli astri si incontreranno in un unico, immenso abbraccio di immensità che stringerà l’universo in una nuova luce morente, che per brevi istanti illuminerà il Creato stesso di magnificenza autodistruttiva. L’ultimo singulto di vita, l’ultimo bacio che sole e luna si scambieranno. Loro moriranno così.
Stiles pare leggergli nel pensiero perché per lui, lo sguardo di Derek è limpido come acqua e puro come il cristallo. Singhiozza forte, gli occhi socchiusi, le lacrime che ormai sbocciano inarrestabili dalle iridi lucenti come punti luce.
-Derek, no.-
Ma Derek non vuole che pianga. Per quanto belle, le lacrime di Stiles sono una malattia che ammazza il suo sorriso, lo soffoca tra spine di rosa morente, e questo Derek non può permetterlo.
Lo stringe forte a sé, aderisce il corpo al suo e dolcemente torna a fissarlo.
-Baciami, Stiles. Fallo.-
E Stiles non lo delude, non lo fa mai. Semplicemente, inclina il capo e poggia le labbra sulle sue in un bacio delicato, gentile, soffice più d’impalpabile soffio di vento. Lo sfiora appena, tracciando con le mani intricati arabeschi che Derek avverte appena sulla pelle come una scia di brividi sotto la maglia. In quei tocchi, Stiles esprime se stesso e la sincera devozione che lo divora giorno dopo giorno, portandolo al cospetto di Derek come sole che s’inginocchia ai piedi della luna. Adesso, mentre Stiles lo bacia, Derek si sente quella luna, eretta e fiera dinanzi alla magnificenza prostrata del sole più bello di tutti. Il suo Stiles, la sua alba e il suo tramonto.
Improvvisamente, Derek ricambia il bacio con fare famelico, appellandosi all’amore che finalmente schiude i petali, sboccia tra sorrisi malcelati e lingue che s’intrecciano. Stiles allaccia le gambe intorno alla sua vita mentre Derek fa scorrere le mani sulla sua schiena, sotto la maglietta, laddove la storia di Stiles ripercorre la sua pelle in cicatrici intrecciate, vive e bellissime. Una mappa che costruisce un percorso, una mappa che al suo traguardo, possiede un solo ed unico nome reale e mai inciso sulla pelle: “Derek Hale”.
Dolcemente, Derek fa scivolare il viso di lato, contro la guancia di Stiles. Gli bacia lo zigomo, il lobo dell’orecchio, giù fino al collo. Traccia una nuova mappatura su quella pelle, un nuovo percorso da seguire insieme, e Stiles lo lascia fare perché si fida di Derek ed ogni parte di se stesso è affidata a lui. Inspira il suo profumo, vive di quei respiri che potrebbero essere gli ultimi, avverte gli artigli da licantropo emergere e premere sulla pelle senza ferirla. Lì, al cospetto del sole che bacia d’oro benedetto i loro corpi, anche Stiles si lascia andare.
Qualcosa sboccia dalle sue scapole, vele iridescenti talmente gloriose da costringere Derek a fermarsi un momento per osservarle come fossero la prima e l’ultima meraviglia del mondo. Quattro splendide ali più ampie dell’universo, più lucenti delle porte del Creato. Figlie di Lucifero, madri delle fiamme più brucianti, esse si tingono di uno spettro di sfumature rosse e oro, come fulcro di fiamme in movimento, vive, danzanti. Derek ne resta affascinato, le guarda spiegarsi e oscurare il sole e quando abbassa gli occhi su Stiles, vede la sua pelle splendere, le corna spiccare oscure contro il cielo, le orecchie allungarsi e farsi appuntite. Non si trasforma del tutto, ma anche in quel modo, Derek lo trova bellissimo più di qualsiasi altra cosa, come una gemma preziosa unica nel suo genere.
Torna a baciarlo con foga, toccando e mordendo        quelle labbra adesso bollenti come lava ma ugualmente morbide e bellissime. Derek rinasce ad ogni tocco, ad ogni sussurro di Stiles, ad ogni ansito di bestia e ragazzo mescolati. È un circolo vizioso, il sorgere di qualcosa che Dio e Lucifero non potranno abbattere. Il loro scudo, la loro unione. Insieme, sapranno volare fino a lassù, fino alla luna, per poi superarla e salire ancora ancora e ancora, oltre i cieli, oltre l’universo. Insieme.
-Queste potrebbero essere le nostre ultime ore di vita.- sussurra Stiles, accarezzandogli con tocco di rugiada il collo, i pettorali, giù fino all’addome contratto di muscoli lisci. –E voglio trascorrerle con te, Derek.-
Derek non se lo lascia ripetere.
Mentre Stiles avvolge entrambi con le ali calde e maestose, rinchiudendoli in un bozzolo di seta ultraterrena che neanche il più fervido dei sogni saprebbe ricostruire, Derek lo bacia ancora e ancora, ringraziando silenziosamente ad ogni tocco quella stella che stringe tra le mani, fragile e bellissima, maestosa e indistruttibile. Insieme innalzeranno al cielo ansiti e nomi sussurrati, insieme leveranno oltre il manto dell’universo sorrisi soddisfatti e respiri intrecciati di giovani innamorati che poco a poco, sull’erba di una radura un tempo sporca di sangue innocente, ripuliscono il mondo di tutto il male che l’ha sempre ricoperto.
Stiles lascerà che Derek gli accarezzi le ali mentre con timore intreccia le loro anime con spinte gentili e mai troppo esigenti e Derek lascerà che Stiles morda con irriverenza la punta acuminata del suo orecchio trasformato da licantropo mentre quella stessa creatura gli sottrae gentilmente la verginità, un pezzo dopo l’altro. Stiles gli offrirà anche quello, così come ha sempre voluto offrirgli ogni altra cosa, ogni brandello del suo essere e quando entrambi infine si abbandoneranno esausti al suolo, ansimanti ma felici, Derek saprà che in fondo, i miracoli esistono. In effetti, ne stringe uno tra le mani proprio in quel momento.
 
Derek capisce di essersi addormentato  come uno stupido solo quando qualcosa lo sveglia all’improvviso, un rumore insolito che di certo non appartiene a un animale selvatico. È troppo pesante, troppo massiccio e lui non si fida. Schiude le palpebre, non si muove: qualunque cosa ci sia nelle vicinanze, deve pensare che sia lui che Stiles sono totalmente assopiti e inermi, così da fargli abbassare la guardia. Fatto sta che Stiles, inerme lo è davvero: dorme profondamente tra le sue braccia, gli occhi serrati, il respiro lento. Non ha incubi, non più, e Derek è felice per questo perché il suo scudo è lui, e tale sarà fino alla fine. Hanno scelto insieme e insieme hanno siglato quel patto silenzioso.
-Stiles.- sussurra Derek pianissimo, pregando che il demone si svegli. Ma, come già appurato in precedenza, i miracoli di tanto in tanto accadono. Stiles muove appena il capo in un tacito cenno per segnalargli che sì, è sveglio e si è accorto dell’intruso.
Derek sta per muoversi, pronto a scattare e a snudare gli artigli quando Stiles si irrigidisce e solleva il capo di scatto, gli occhi brillanti d’oro. Non nasconde il suo stesso movimento, non cela il fatto di essere sveglio. Vederlo da vicino, con quelle iridi spalancate simili a occhi di serpe, distrae Derek, ma solo per qualche istante.
-Vestiti.- sussurra il licantropo mentre afferra i jeans di entrambi e lancia a Stiles il suo paio. Li indossano in fretta, velocissimi, gli occhi accesi di blu e oro come bestie che scrutano dappertutto.
-Non fiuto nulla.- sbotta Derek, nervoso. Ciononostante, si avvicina a Stiles e flette gli artigli mentre la sua forma di licantropo preme per uscire, ferina e aggressiva. Il solo pensiero che qualcosa minacci Stiles, spinge il suo lupo interiore ad annusare l’aria, i denti snudati e i muscoli pronti al balzo sulla preda. Nessuno toccherà Stiles. Nessuno.
-Minosse.- chiama improvvisamente Stiles, raddrizzandosi. Le corna si ritraggono nel cranio, come accartocciate su loro stesse e le zanne rientrano nella bocca, silenziose e non più affilate. La coda e le ali tuttavia, continuano ad aleggiare sulla radura e intorno al corpo del giovane demone.
Come invocato dall’oscurità stessa, dall’ombra degli alberi emerge una creatura. Massiccia, alta diversi metri, col naso schiacciato simile a quello di un facocero. Visto alla luce del sole, se possibile, Minosse è ancora più spaventoso.
I due demoni si squadrano in silenzio per qualche attimo, l’uno a debita distanza dall’altro. Da parte sua, Derek non sa nemmeno che fare: deve attaccare? Difendere Stiles? Restare immobile? Quello è il demone che ha aiutato Dumah ad aprire il varco su Beacon Hills, ma è anche colui che ha permesso loro di accedere all’Inferno in senso inverso in modo da potergli permettere di salvare Stiles. Derek non sa decidere se si tratti di un amico o un nemico, perciò si rimette al giudizio del suo demone.
Volta appena lo sguardo verso di lui e incredibilmente… Stiles sorride. Sorride così come farebbe riconoscendo un vecchio amico, sorride con quel suo sorriso da ragazzo imbranato che, accoppiato alle ali, la coda e la postura eretta, stona terribilmente con l’insieme.
-Lo sapevo che era opera tua, ragazzone!- urla Stiles all’improvviso, spaventando sia Derek che Minosse. Contro ogni aspettativa, spicca una corsa velocissima che per brevi istanti lo sfracella in un milione di particelle, facendolo sparire e poi riapparire lì, abbarbicato al corpo di Minosse, che barcolla e lo fissa coi piccoli occhi scuri, spalancati per l’inquietudine e il nervosismo. Non comprende il senso di quel gesto, non concepisce il motivo che abbia spinto Stiles a toccare uno come lui… il giudice dei morti, colui che condanna anime e che in passato condannò lo stesso Stiles a tre anni di torture inenarrabili, laceranti, nonostante la sua innocenza. Perché si abbracciano le persone? Che motivo hanno di toccarsi senza ferirsi a vicenda?
-Giovane fanciullo…-
Stiles lo lascia andare e atterra, le mani sui fianchi e un sorriso luminoso sul volto. È quello il vecchio Stiles, è quello il ragazzino che col suo solo sguardo ha rischiarato centinaia di vite e migliaia di giornate.
-Parla come mangi, Min. So che sei stato tu a mandarmi i due ragazzini demoniaci.-
Minosse esita e si gratta burberamente il mento. Odora di zolfo e incenso mescolati. –Mia fu la colpa d’aver condannato colui che mai colpa alcuna commise. Da codesto…-
-Lo so.- sorride improvvisamente Stiles, e stavolta il suo è un sorriso comprensivo, gentile, che non accusa né detesta. Il suo sorriso perdona, la mano poggiata sull’avambraccio di Minosse fa altrettanto e con dolcezza, il giovane demone fa scivolare il palmo sulle falangi pelose della creatura per poi intrecciare le dita alle sue, così ruvide, con artigli ricurvi che nel flettersi, incidono profondamente la pelle di Stiles.
Minosse non sa abbracciare. Non stringe mani, non tocca senza ferire o uccidere. Semplicemente, non conosce umanità. Nessuno gliel’ha insegnata. Eppure, quel ragazzino lo tocca senza timore, gli stringe dolcemente la mano con la sua, così piccola da coprire a stento metà del palmo di Minosse. Sembra un bambino, un giovane infante la cui innocenza si propaga come una splendida cura lungo il braccio del giudice demoniaco, verso gli arti, nelle ossa e nei muscoli.
Un miracolo. Quel ragazzino è un miracolo, e adesso Minosse ricorda la stretta al cuore che provò a distanza di secoli quando incontrò Stiles tre anni addietro, all’Inferno, e fu costretto a giudicarlo colpevole.
Quel crimine, Minosse non lo scordò mai. Per tre anni ha scelto di contorcersi nei sensi di colpa, per tre anni ha continuato a pensare che quel ragazzino era innocente, e lui lo aveva condannato senza appello. Non fu il primo immolato e non sarà l’ultimo. E questo, Minosse non può più sopportarlo. Ha scelto di reagire quando Dumah gli chiese aiuto, ha scelto di reagire quando ha aiutato Derek e i suoi ad accedere all’Inferno attraverso il varco. In quei momenti di pura ribellione, Minosse si è sentito vivo come non era da secoli e tanto è bastato per ricordargli che forse, anche lui ha ancora un barlume di umanità al centro del petto.
E non è stato l’unico a ricordarlo.
-Non sei solo, giovane fanciullo.- ringhia mentre il velo di tenebre intorno a loro vibra, vivo di presenze che mai dovrebbero calcare la Terra tutte insieme.
Il mondo trattiene il respiro, l’universo si ferma. L’acqua smette di scorrere nei ruscelli, il sole si nasconde dietro nuvole nere cariche di pioggia, la terra e gli animali interrompono il corso della vita.
Lì, al cospetto del giorno appena nato, sorge una nuova frontiera, un nuovo schieramento che mai Stiles avrebbe immaginato in vita sua.
Sagome oscure emergono dalle ombre, una alla volta, circondando Stiles e Derek, che istintivamente si stringono l’uno all’altro, pronti a difendersi a vicenda e a morire combattendo.
Grumi di tenebra vomitano nel cielo altre sagome, sputandole velocemente come pioggia che cade dalle nubi più oscure. Il mondo si oscura, coperto dai battiti insistenti di ali gigantesche, multicolori, dai riflessi cangianti e oscuri di fiamme ancora vive. I demoni sono ovunque, tanto che Stiles se ne sente sopraffatto. Avverte la presenza di ognuno di loro, ma non riesce a contarli.
Dieci, cento, mille, duemila. È un esercito, almeno la metà dell’Inferno, e sono diversissimi, di ogni etnia, come centinaia di popoli riuniti sotto un’unica bandiera.  Uomini, donne, bambini con corna e artigli, ali e code affilate. Le zampe che fendono l’aria appartengono a qualsiasi animale, a volte anche ibrido, così come gli occhi luminosi, brillanti nella semioscurità, vantano sfumature mai viste che Stiles non riconosce. Mostri strabilianti, vomitati dai più oscuri anfratti di ogni possibile incubo calcano ora la Terra, vivi e pronti a uccidere, feroci ma pronti a lottare per sopravvivere. Ogni demone, anche il più piccolo, trasuda un senso di potenza schiacciante che da solo, è capace di spezzare il mondo in due e rovesciare i cieli. Sono piccoli dèi, piccole parti di quello stesso Diavolo che da solo, corse il rischio di generare figli ribelli, vivi, che infine, a distanza di secoli, pretendono una vita e un barlume di libertà. Figli di Satana, figli delle fiamme e dell’oscurità. Figli, ma non servi.
Stiles non ha mai visto tanti demoni tutti insieme. Li vede splendere nell’oscurità, vivi di carni luminose e fiamme avviluppate come auree massicce intorno alle mani. Sono bestie, sono mostri. Eppure, sono lì per lui e nessuno lo guarda come un nemico. No, al contrario… lo fissano come un comandante. Creature che l’hanno deriso, torturato, insultato e fatto a pezzi, adesso lo squadrano con sottomissione, in attesa di qualcosa, un ordine che Stiles non sente di poter dare. Si sente piccolo e impotente, fragile e troppo giovane per essere al centro di tanta attenzione.
I demoni più vicini, quelli rimasti a terra, si avvicinano appena per squadrare meglio Stiles e Derek, che da parte sua, si è trasformato e ha snudato zanne e artigli, pronto a difendere se stesso come Stiles. Non si fida dei demoni, non si fida di coloro che con quegli stessi artigli micidiali hanno spezzato le ossa di Stiles e lacerato le sue carni.
-Io… che significa tutto questo?- esala Stiles, debolmente aggrappato al braccio di Derek.
Minosse lo guarda per qualche istante, i piccoli occhi che silenziosamente lo giudicano, così come fece tre anni addietro quando era all’Inferno. Si raddrizza, coi suoi diversi metri d’altezza lo sovrasta.
-O tu, che venisti in codesto loco di dolore, dimmi: quali son dunque le tue colpe?- ruggisce, con la coda irta di aculei che scudiscia alle sue spalle. Pronta a ghermire Stiles, pronta a uccidere se solo il suo padrone fiutasse traccia d’inganno.
Derek stringe forte la mano del compagno, lo guarda con occhi blu, dalla pupilla verticale. Non è preoccupato, perché crede in Stiles e nella risposta che darà. Non è preoccupato, perché Stiles è Stiles e Derek sa che non deluderà nessuno di loro.
-STILES!!!- urla la voce di Scott. Emerge dalle tenebre, correndo tra i demoni immobili che, al contrario di ogni aspettativa, non toccano né lui, né il branco. Insieme a loro, vi sono anche Chris Argent, lo Sceriffo, Melissa, Agares e Abalam. Tutti lo fissano, tutti attendono. Capiscono di non dover interferire, perché quello è un momento importante, il più importante di tutti.
Stiles deve decidere. Combatterà, o si prostrerà ai piedi di Lucifero per lasciarsi morire. Combatterà, o guarderà il Diavolo mentre fa a pezzi il mondo intero. Libero arbitrio, è di questo che si tratta. E i demoni che hanno scelto a loro volta glielo concedono, lasciano che scelga. Ognuno prostrato al suo cospetto, ognuno pronto a morire per una causa talmente forte da raggiungere finanche gli abissi più oscuri dell’Inferno.
Stiles ha gridato, e dopo tre anni c’è chi è riuscito ad ascoltare.
Stiles ha pregato, e dopo tre anni, a concedere il miracolo non è stato Dio, ma i servi più fedeli di Satana.
-Coraggio, figliolo.- sussurra lo Sceriffo.
-Forza, fratellino.- esala Scott, fiducioso. Annuisce quando Stiles lo guarda, si fida di lui e delle sue scelte. Al suo fianco, Lydia stringe la mano di Valefar, così come Isaac si appoggia alla spalla del suo Alpha, fedele fino all’ultimo, sincero come solo un compagno sa essere. Allison sorride, Chris annuisce e… Peter. Emerge anche lui dalle ombre, gli occhi puntati su di lui, luminosi e aggressivi così come erano quando lo conobbero.
-Facciamogliela pagare.- ringhia, e Stiles capisce che le sue parole sono rivolte a Dumah e a ciò che Lucifero le ha fatto.
Stiles glielo deve. Lo deve a tutti loro, ai loro ricordi perduti, alla loro umanità che un pezzo dopo l’altro Lucifero ha soffocato senza chiedere né pensarci. Li ha usati, li ha trasformati in assassini, molti di loro che assassini non erano. Ma qualcosa è rimasto, e una goccia d’acqua, affiancata da migliaia di altre sorelle, si è trasformata in uno tsunami.
Un gracchiare possente riscuote Stiles, costringendolo a sollevare gli occhi. Diablo lo sovrasta in volo, ombra tra le ombre, le ali enormi che sbattono con violenza per sostenere il corpo a mezz’aria. Apre gli artigli di scatto e qualcosa cade dal cielo, dritto verso il capo di Stiles, che solleva il braccio e lo afferra al volo.
Un piccolo Cubo di Rubik sporco di sangue, l’oggetto innocente che ha dato inizio a tutto. Era di Alastor, è di Alastor… e sarà anche il dado sulla griglia da gioco che Stiles non esiterà a lanciare.
-Forza, ragazzino.- sussurra Derek al suo orecchio, e allora Stiles si appoggia a lui, lascia che il licantropo gli stringa la stessa mano che sorregge il Cubo di Rubik così come fece quando glielo sfilò dalle dita poco prima di baciarlo.
Insieme, fino alla fine.
-Forza, ragazzino.- si limita a dire, e Stiles allora decide, perché Derek si fida delle sue scelte e lui non lo deluderà.
-O tu, che venisti in codesto loco di dolore, dimmi: quali son dunque le tue colpe?- ripete Minosse, avanzando di un passo verso di lui.
Stiles allora avanza e lo fronteggia, così come fece all’Inferno tre anni addietro. Rispose sinceramente allora, e nuovamente tornerà a farlo perché quella è la sua scelta, quello è il suo esercito. Quella battaglia riguarda tutti loro ormai, e Stiles lo ha capito. Combatterà col branco, guiderà i demoni verso la libertà o verso la morte, ma almeno per stavolta, li riunirà sotto un’unica bandiera, fratelli all’ultimo sangue in una guerra che forse non potranno vincere. Come disse Derek: “Lascia che scelga la mia strada”. Semplicemente, Stiles li lascia scegliere.
-Sono innocente.-
 
Agares: In demonologia Agares (o Agreas) è un duca e viene citato nella lista dei principali demoni stabilita dalla Chiesa al corpo 7 del primo concilio di Braga. Capo di trentuno legioni, egli causa terremoti, dà il dono della conoscenza delle lingue e fa danzare gli spiriti della terra. Inoltre può causare fughe e ritorni da casa.
Abalam: In DemonologiaAbalam è uno dei re infernali ed uno degli assistenti di Paimon. Il suo compito consisteva nell' occuparsi dei sacrifici che venivano offerti al suo superiore. Non vi sono rappresentazioni di questo demone e le conoscenze che esistono su di lui sono veramente.
 
Angolo dell’autrice:
Una volta, un’amica mi disse che la magia esiste davvero. Non la si vede, ma la si può percepire attraverso le piccole cose. Gesti innocenti, momenti vissuti o, più semplicemente… delle parole. Le vostre parole. La vostra magia. Riesco a sentirla ogni volta che trovo un piccolo commento, ogni volta che mi donate immeritatamente un po’ del vostro prezioso tempo per farmi sapere che ne pensate del capitolo. Questa magia muove adesso le mie mani sulla tastiera e, se voi vorrete, continuerà a farlo fino alla fine, che ormai è vicinissima. Già, ormai manca poco. Tre capitoli, se tutto va bene e, almeno per ora, ci saluteremo. Non è un male, però, perché non dimenticherò ogni vostra parola, ogni emozione che caritatevolmente avete scelto di donarmi. Questi capitoli sono vostri, questa è la vostra magia. Attraverso di essa, i personaggi che più amate sbocciano, si rimodellano e, alla fine, si inchinano al vostro cospetto poiché a voi devono ogni loro respiro. Grazie di cuore. Non smetterò mai di ringraziarvi, perché tutto ciò che leggete è scritto anche da voi. Grazie.
Elenuar Black
Even_if_it_rains
Barbara78
Allen99
_Sara92_

 
Anticipazioni:
“Voci lontane sussurrano addolorate, ricordi e incubi si risvegliano e come ombre vive cominciano a calcare la terra, una dopo l’altra. Errori, sofferenze, paure che mai nessuno è riuscito a soffocare davvero, perché l’oscurità non abbandona mai nessuno e si attacca al corpo e all’animo come un parassita, dilatandosi sempre di più, fin quasi a inghiottire ogni cosa.
La luce non è niente, la luce è insignificante. Nulla può proteggerli da un odio così scellerato.
Il male Vero è nell’aria, e Peter lo avverte sottopelle, dentro il corpo, come veleno che scorre nelle vene. La terra ne è pregna fino a stillarlo sanguigno dalle piante che poco a poco s’anneriscono, dagli animali che impazziti cominciano a ringhiare e ad azzannarsi a vicenda fino a uccidersi.”

 Tomi Dark Angel

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Capitolo 29
*** Il Pianto Della Vita E Le Grida Dei Lupi ***


“Mille uomini armati di sangue e male intenzioni
Non potranno cambiare il mondo,
Ma due innamorati…
Essi cambieranno l’intero universo
Con la sola forza di uno sguardo.”  
 
Salvare il mondo, non è poi tanto semplice come lo sarebbe dirlo o anche semplicemente a pensarlo. Centinaia di migliaia di vite, centinaia di migliaia di creature esistenti che pesano su un unico paio di spalle all’apparenza troppo fragili per sostenere tutto quel peso. Un ragazzo sarebbe troppo giovane per una cosa del genere, così come lo sarebbe un vecchio di duecento anni. Non si è mai pronti a salvare il mondo, non si è mai pronti a concepirne la possibile distruzione. Chiunque crollerebbe e anche la mente più sana si accartoccerebbe su se stessa, lasciando spazio alla follia per puro gesto di disperazione.
Al contrario, bisognerebbe essere già pazzi per sopportare tanto peso senza perdere il senno di conseguenza. Fortunatamente, Stiles Stilinski è nato folle, e folle ha intenzione di morire.
Da quando è giunto a capo di un esercito che mai nessuna creatura nell’universo ha mai avuto modo di immaginare o di vantare, Stiles ha imparato a mantenere una serafica calma. A dispetto di tutto, non ha perso se stesso e continua a sorridere e a fare battute. Resta un ragazzo, eppure al contempo appare più maturo, più deciso, come uomo fatto e finito racchiuso in occhi di bambino. Non perde di vista i suoi nuovi alleati e affida ai suoi compagni più stretti il compito di sorvegliarne le mosse: Valefar e Minosse non fanno che scorrazzare dappertutto, intenti a sedare piccole zuffe e scatti nervosi di demoni che ancora non ricordano del tutto cosa significhi comportarsi umanamente. Stiles non li incolpa, ma deve assicurarsi di non aver messo la sua vita e quella del branco nelle mani di chi potrebbe tradirli da un momento all’altro.
Per questo, Stiles si premura di conoscerli tutti, di parlare con ognuno di loro. Memorizza nomi e timbri vocali, volti e potenzialità. Alcuni appaiono come semplici esseri umani, mentre altri non si preoccupano minimamente di nascondere il proprio aspetto demoniaco. A Stiles va bene, ma il branco, Melissa e lo Sceriffo non la pensano così: si tengono a debita distanza, fanno il possibile per non infastidire o anche solo rivolgere la parola agli altri demoni. Stiles fiuta il loro nervosismo, il senso di allerta che non li abbandona mai. È giusto, eppure lo intristisce pensare che forse, anche lui è capace di spaventarli a tal punto.
-Dobbiamo far evacuare la città.- esclama improvvisamente Lydia, raggiungendo Stiles in mezzo alla calca di gente che affolla l’intero bosco. Molti demoni sono in giro, altri ancora spariscono e riappaiono continuamente. Stiles non ha idea di quanto sia grande quell’esercito, ma qualcosa gli dice che la risposta potrebbe terrorizzarlo.
-Eh?- risponde Stiles, stordito dalla stanchezza. Da tre giorni non fa che correre avanti e indietro e da tre giorni gli tocca sedare risse, atterrare demoni troppo nervosi e dialogare con chi ha trascorso migliaia di anni a massacrare anime dannate. Non ha avuto nemmeno il tempo di trovare Derek o di concedergli un abbraccio. Dopo il loro ultimo incontro, Stiles lo ha perso di vista e la sua lontananza rappresenta per lui un dolore quasi fisico. Fa male non incrociare i suoi occhi, fa male non avvertire la sua presenza accanto, come uno scudo che mai dovrà cadere. Senza Derek, Stiles si sente fragile e troppo vulnerabile.
-Hai sentito: dobbiamo proteggere la città.- sbotta Lydia, premendogli un dito sul petto.
-In che senso?-
-Nel senso che questo sarà l’occhio del ciclone, giusto? Lucifero verrà a cercarti qui.-
-Sì…-
-E quanta gente ci andrà di mezzo mentre entrambi giocherete a Bruce Lee contro Chuck Norris?-
-Hai rag… aspetta, hai visto quel film? Quando?! Io dov’ero in quel momento?-
Lydia si passa una mano sul viso, stressata. –A comandare qualche altro esercito di demoni schizzati, immagino. Dobbiamo evacuare, Stiles.-
-E come?- sbotta Stiles, esausto. –Li convinciamo che degli alieni stanno per scendere dal cielo direttamente in casa loro? L’unico che potrebbe crederci è il coach, ma solo perché è un grande fan di Indipendence Day.-
A sorpresa e contro ogni previsione… Lydia sorride. –Non mi sembra il caso.-
Volta appena il capo, verso il capannello di demoni più vicino che improvvisamente si apre per rivelare… il branco. Al completo. Accompagnato da Chris Argent, lo Sceriffo, Melissa e Peter. E c’è anche Derek, lì con loro. Fissa Stiles in viso, bellissimo e austero come solo uno splendido lupo potrebbe essere. Stiles non lo ricordava così bello, così indomito, come una foresta selvaggia e indistruttibile.
-Prima che mi penta della domanda, devo chiederlo: chi ha avuto l’idea che state per propormi? Se si tratta di Peter, la risposta è NO.-
Peter alza gli occhi al cielo. –Quando comincerete a fidarvi di me?-
-Quando sarai legato, imbavagliato, decapitato e in preda alle fiamme di un incendio che ti impedirà di combinare guai.- risponde Stiles di rimando, sorridendo quando nota Derek tossicchiare divertito alle spalle di suo zio.
-L’idea è mia.- afferma Allison, avanzando per raggiungere Stiles e guardarlo da vicino. Il giovane demone nota che la ragazza lo fissa con una punta di preoccupazione, ma Stiles sa bene di avere un aspetto pietoso. Pare invecchiato di dieci anni, ha gli abiti strappati e l’ombra di un bel paio di occhiaie sul viso. Avere a che fare con tanti demoni, non gli fa bene.
-Oh, allora ok. Che si fa?- sorride Stiles, cercando di mantenere quel suo contegno spiritoso che potrebbe aiutarlo a risollevare il morale di tutti.
-Be’…-
 
È appena mezzogiorno quando alla centrale di polizia, avvertono un cambiamento nell’aria. C’è qualcosa di diverso, qualcosa di sbagliato. E, di qualunque cosa si tratti, non è nulla di buono.
La terra. La terra sta tremando. Violentemente, con tanta veemenza da aprire piccole crepe nei muri delle abitazioni. Il rombo della grande Madre che si sveglia genera il panico nei poliziotti così come nei normalissimi civili. Cosa possono le autorità contro un terremoto? Come si combatte contro delle abitazioni che rischiano di cedere?
Le tazze di ceramica cadono dalle scrivanie, alcuni quadri appesi ai muri crollano, i poliziotti si immobilizzano come prede che pregano di non esser catturate dal predatore in procinto di attaccare.
Lo Sceriffo Stilinski attende, recita la sua parte. Non riesce a credere che il motivo di quel sisma sia… suo figlio. Il suo piccolo Stiles, il ragazzino che a malapena riusciva a difendere se stesso. Eppure adesso, quello stesso ragazzino ha sprigionato una sola scintilla di energia, un solo barlume di forza per far tremare la terra abbastanza da inquietare tutta Beacon Hills. E lo ha fatto da solo.
-Che… diavolo era quello?- esala il poliziotto più vicino.
-Un terremoto?- risponde lo Sceriffo pochi minuti prima che suoni il telefono. Per qualche motivo, la linea è rimasta intatta e lo Sceriffo prega che anche la corrente non scompaia a causa del sisma. In quel caso, sarebbero guai seri.
Un altro squillo, un’altra richiesta d’essere ascoltati. A rispondere ovviamente, è proprio Stilinski.
-Ci siamo.- dice semplicemente Lydia, e nella sua voce, lo Sceriffo scorge l’ombra di un sorriso. –Ho inviato i diagrammi sismici al vostro pc e credo di essere stata abbastanza convincente. Melissa è pronta ad evacuare l’ospedale, ma dovrete contattare le città limitrofe per chiedere aiuto o non sfollerete mai in tempo.-
È un suicidio e se solo i suoi collaboratori sospetteranno qualcosa, lo Sceriffo perderà molto più del suo posto di lavoro. Certo, non ci sarà modo di spiegare razionalmente come ha fatto a prevedere l’arrivo di un sisma, ma di certo, se Lydia non ha lavorato come doveva ai grafici e non ha hackerato la casella postale della presidentessa dell’associazione controllo terremoti, gli altri poliziotti potrebbero scoprire qualcosa che non dovrebbero. Come una combutta organizzata per far sfollare la città e salvare il mondo, per esempio. Dio non voglia che vadano a dare una controllata ai boschi.
Lo Sceriffo si sente sull’orlo del precipizio. Ora, ha due scelte: rischiare il posto per salvare il mondo, o correre il rischio e mantenere il suo lavoro al cento percento. Se non fosse uno stramaledettissimo Stilinski, ci penserebbe due volte.
-Contattate il sindaco!- urla nel caos generale. –Abbiamo un grosso problema!-
-Di cosa parla?- domanda il poliziotto più vicino.
Lo Sceriffo inspira a fondo e prega in silenzio che la voce non gli tremi mentre mente spudoratamente a un suo collaboratore: -C’è una faglia sotto la città. Se a questa scossa ne segue un’altra, il terreno potrebbe cedere e Beacon Hills potrebbe sprofondare.-
Il poliziotto sbianca, apre e chiude la bocca. I pugni si serrano, il corpo trema e improvvisamente, lo Sceriffo si chiede come reagirebbe se solo sapesse la verità. Gli verrebbe un infarto, probabilmente.
Poi, il miracolo. E la prova che ancora una volta, quei maledetti Argent ne sanno una più del Diavolo: -Cosa dobbiamo fare, signore?-
 
-Gli abitanti di Beacon Hills si stanno preparando, signore. Il piano ha funzionato.- annuncia una giovane ragazza dai capelli neri e gli occhi violetti, quasi bianchi. All’apparenza sembra cieca e troppo magra, quasi anoressica, ma Stiles sa che è meglio non provocarla, lei più di molti altri demoni. La sua reale forza infatti, è direttamente proporzionale alla debolezza che emana il viso scarno e gli occhi scavati, le mani scheletriche e le gambe troppo magre.
Il male è ingannevole, il male si finge debole per attirare gli incauti e poi esplodere in tutta la sua devastante potenza. Stiles questo lo sa bene, e lo sa anche la ragazzina, che in sé incarna esattamente il concetto di quella frase.
-Grazie, Vassago. E non chiamarmi signore, per la miseria! Mi fai sentire come Darth Vader di Star Wars!-
Vassago lo fissa interdetta per qualche attimo prima di annuire dubbiosa e allontanarsi. Zoppica appena, segno che fatica ad intrecciare la forma demoniaca con quella umana. Ad alcuni capita, e deve fare un male cane perché ossa umane e ossa animali non si incastrano bene tra loro.
Rimasto solo tra i miseri resti di casa Hale, senza nessuno che lo guardi o lo giudichi, Stiles si concede finalmente di crollare in ginocchio. È stanco, ha bisogno di riposo e sinceramente, continua a pensare che quella guerra sia solo l’inizio della fine. Ha sfidato Lucifero e già questo comporta l’Apocalisse. Ma Dio? Dove è finito lui? Stiles ha paura della risposta.
Moriranno in tanti, questo lo sanno tutti. Stiles farebbe qualsiasi cosa per evitarlo, perché neanche i demoni del fronte avversario meritano di sfracellarsi in milioni di particelle. Si disperderanno nel nulla e di loro si perderà finanche il ricordo.
E lui? Cosa accadrà a lui quando morirà? Non spera di sopravvivere, non è così stupido. Combatterà con Lucifero e morirà a testa alta, facendo il possibile per trascinarselo dietro o quantomeno per rispedirlo all’Inferno una volta per tutte. Deve essere bello disperdersi nel nulla. Dimenticare tutto, abbandonare Inferno e Paradiso. Forse sarà libero, anche se dimenticato. Non ha voluto dire a Derek che, se anche morissero entrambi, non resterebbero comunque insieme: Stiles è un demone, e i demoni quando muoiono, spariscono e basta. Ma va bene, è giusto così. Derek salirà in Paradiso, e questa per Stiles è la più grande delle vittorie. Se ne andrà in pace, difendendo quanto di più giusto abbia mai toccato la sua vita. Nato nella fragilità di una famiglia sana ma cresciuto nella solitudine dovuta all’assenza di una madre, Stiles troverà se stesso per la prima e ultima volta, come un sole che splende come non mai prima di esplodere in una devastante supernova.
Stiles non lo ammetterebbe mai a se stesso, ma ha paura. Del suo futuro non si preoccupa, perché quello lo conosce già. Ma il suo branco? Che ne sarà di loro? Stiles prega che sopravvivano, prega che superino la sua morte quando sarà il momento. A volte, è giusto lasciare andare i propri cari così come è giusto che sia. Vuole essere dimenticato, vuole che mai nessuno parli di lui e di ciò che ha fatto. È giusto che gli altri vadano avanti con le loro vite, e per farlo, lui non dovrà esserci né intralciarli.
Stiles è così preso dai suoi pensieri da non accorgersi dei passi che si avvicinano a lui, poco per volta, felpati come incedere di bestia in caccia, ma ugualmente accompagnati dal ticchettio di tacchi sul pavimento.
-Che stai facendo?- domanda Lydia, raggiungendolo. Lo guarda dall’alto della sua altezza, i tacchi a un passo dalle sue mani.
Forse è vedere lei che spinge Stiles a crollare. Forse è vedere una faccia amica, sentire quella voce, inalare il profumo femminile di quello che sarà sempre il suo primo amore. Stiles non sa esattamente cosa lo faccia reagire, ma improvvisamente una piccola lacrima sfugge al controllo delle ciglia, sottile e significativa come scintilla di diamante.
Stavolta, Stiles non ce la fa a sorridere. Non riesce a non crollare, non riesce a mantenere l’apparenza di se stesso: è solo un ragazzo, e spalle così giovani non meritano di sopportare un peso così grande. Vita e morte non possono rispondere alle sue gesta. Inferno e Paradiso non possono prendersela con chi ha osato stargli accanto. Quella è la sua famiglia.
Senza una parola, Lydia si inginocchia e lo abbraccia, ma Stiles non ha neanche la forza per rispondere al gesto. Si sente debole, a pezzi, senza un futuro né speranza. Ha paura. Paura per il branco, paura per quei demoni che moriranno in nome della sua stessa causa. Non lo meritano.
Lo Sceriffo perderà un figlio, in quella battaglia.
Scott perderà un fratello.
Derek… Derek perderà una parte della sua anima.
Stiles ha capito, ormai. Sa che il suo licantropo è legato a lui troppo profondamente, e quando Stiles crollerà, Derek morirà un po’ dentro, come se gli avessero strappato un pezzo del suo stesso essere. Stiles non vuole pensarci, perché sperare che Derek sopravviva e vada avanti, è tutto ciò che gli resta. Un’illusione, la possibilità di un futuro che appassirà in quella stessa battaglia. Per questo piange. Piange perché è troppo giovane e lui un futuro non lo avrà mai. Piange perché troppi sono morti e troppi ancora moriranno. Piange per Alastor e Dumah, per se stesso e per Derek. Il domani che hanno immaginato insieme tante e tante volte, non esiste più.
Cosa succede ai sogni, quando spariscono? Si annullano, si sfracellano e si lasciano risucchiare dal beato niente? Migliaia di voleri spinti nel dimenticatoio, migliaia di sorrisi rimpiazzati da lacrime e grida di impotenza. Stiles sente il suo domani morirgli al centro del petto come un uccellino che poco a poco, per carenza d’aria, soffoca e spira dolorosamente.
Lydia non commenta i singhiozzi di Stiles, non apre bocca. Si limita ad accarezzargli la schiena mentre il giovane demone trema e piange, mordendosi le labbra a sangue per non urlare.
-Sai, quando sei tornato…- sussurra Lydia dopo un po’. -… non credevo che saresti arrivato a tanto. In questi anni ti ho visto crescere e più volte non nascondo di averti giudicato troppo in fretta. Apparivi debole, fragile come cristallo e mai prima di ora avrei pensato che proprio tu, tra tutti, saresti stato capace di fare… tutto questo.-
Stiles si abbandona contro il suo petto, esausto e ormai privo di lacrime da versare. Sorride tristemente. –Non mi credevi capace di frignare come un bambino dopo aver scatenato l’Apocalisse?-
Lydia scuote il capo, poi gli appoggia una mano sul viso e lo costringe a sollevare il busto per guardarla in viso. È vicina, vicinissima. Da ragazzino, Stiles ha sognato tante volte quel momento, ma adesso che accade, deve ammettere che non gli scuote le membra come si aspettava, semplicemente perché… lei non è Derek. Non ha i suoi occhi, il suo viso, le sue mani.
-No, stupido. Non ti credevo così coraggioso e altruista da sfidare il Creato per noi. Tu non combatti per gli angeli o per i demoni, Stiles: tu lotti per gli uomini, per ciò che di buono essi abbiano mai inalberato in anni e anni di storia. Abbiamo commesso tanti errori, ma tu, con la tua semplicità di bambino, sei stato capace di osservare gli atti di bontà molto più di quelli che han trasudato cattiveria. Guarda cosa hai fatto!-
Lydia sposta lo sguardo verso la finestra, dove si intravedono alcuni demoni intenti a conversare tra loro.
-Li hai portati alla luce, Stiles. Li hai convinti a sfidare l’autorità massima del Male per puro spirito di libertà. Hai convinto degli uccellini in gabbia a farsi furbi e a scassinare la porta col becco, spingendoli a non rinunciare alla propria autonomia. Non ho mai visto dei demoni così sereni, così vivi. Non incarnano il male, non loro, e sai perché? Perché adesso, combattono per ciò che è veramente giusto, e lo sanno anche loro. Hai convinto l’oscurità ad abbracciare la luce, hai fatto da solo ciò che Dio e Satana non sono riusciti a fare nell’arco di millenni. Sei più forte di loro, Stiles. Hai qualcosa in più, e lo sappiamo entrambi. Tu sei libero… tu sei umano. E se dovessi scegliere qualcuno al quale affidare la salvezza del mondo… sceglierei te, e lo farei ogni volta, perché tra tutti noi, tu sei il più umano.-
Stiles boccheggia, non sa che dire. Lascia che Lydia si accosti al suo viso, lascia che posi le labbra sulla sua fronte. E allora, dinanzi a quella benedizione amichevole, fiduciosa, il giovane demone si concede finalmente un sorriso. Piccolo, debole, fragile come fiore in sboccio tra i ghiacciai del Polo Nord. Ma comunque un sorriso.
Si fidano di lui, forse c’è speranza. Almeno per loro, qualcosa c’è. Possono farcela, perché il suo branco ce la fa sempre. Se a guidarli sarà Scott, se la caveranno.
Stremato dalla stanchezza e dalla ritrovata serenità, Stiles si concede finalmente di abbandonarsi. Le braccia cedono, il busto si piega. Si permette d’essere umano per l’ultima volta. Crolla in silenzio tra le braccia di Lydia, ansante e col viso ancora bagnato di lacrime. Sembra così fragile, così piccolo. Nessuno lo attribuirebbe a un demone dalla forza distruttiva, semplicemente perché Stiles Stilinski, demone non pare affatto.
Improvvisamente però, qualcosa sostituisce la stretta di Lydia, due braccia forti, muscolose, che profumano di foresta e libertà. Stiles riconosce quell’odore perché ormai in esso si rifugia e in esso trova coraggio quando quest’ultimo viene a mancare.
-Mi occupo io di lui.- sussurra Derek, stringendosi Stiles al petto come se fosse il tesoro più prezioso del mondo. Ringrazia Lydia con un cenno e lei semplicemente sorride e si alza. Senza una parola, abbandona i ruderi di casa Hale e si allontana, inghiottita dalla calca di demoni come ombra fugace e silenziosa.
Stiles non apre gli occhi, non ce la fa. Semplicemente, si abbandona all’abbraccio di Derek, al suo profumo e al battito sereno del suo cuore. Nell’insieme, quel complesso di elementi sa di casa e, anche se per brevi istanti, Stiles si concede di sentirsi al sicuro, vivo e felice di esserlo.
È questo che protegge. Quella vita, quei respiri, quegli animi che, come Derek, sanno ancora amare e perdonare. L’umanità vera è quella, per quanto si rispecchi adesso nelle gesta di un licantropo.
Derek raggiunge il divano polveroso accatastato in un angolo e vi sprofonda, con Stiles ancora stretto tra le braccia. Gli accarezza la testa, dolcemente fa scivolare la mano lungo la guancia e il collo. La pelle di Stiles è troppo morbida, troppo liscia. Non è abbastanza resistente per cavarsela in uno scontro frontale con Lucifero. Derek rabbrividisce al solo pensiero che Stiles possa farsi male, che il Diavolo in persona possa tentare di ucciderlo. Non lo merita, non è giusto. Non ora. Derek non può perdere anche lui.
-Vuoi parlarne?- chiede semplicemente, senza pretese né insistenze.
Stiles scrolla lentamente il capo, poi come un cucciolo in cerca di affetto appoggia il viso contro il collo di Derek e inspira il suo odore. Si accuccia maggiormente, rimpicciolendosi tra le sue braccia, concedendosi quel momento di serenità che ancora una volta, gli ricorda perché combatte.
-Sai, quando ero piccolo…- sussurra Stiles. -… dissi a mamma che avevo paura di morire. Temevo il buio, ciò che sarebbe accaduto dopo… dopo aver chiuso gli occhi per l’ultima volta. Forse ero un bambino cattivo, forse sarei andato all’Inferno. Ma lei… no, lei non la pensava così.-
Lentamente, Stiles solleva il capo e incontra gli occhi di Derek, più verdi che mai, luminosi come polvere di luna. Il giovane Hale lo guarda con dolcezza infinita, un affetto che sul suo viso, Stiles non è mai riuscito a scorgere prima. Quell’espressione lo illumina di luce benedetta, come angelo caritatevole baciato dal Signore. È così che sono rappresentati i servi di Dio, quelli veri. Hanno occhi gentili, labbra arricciate appena in un sorriso malcelato. Così dovrebbe essere.
-Quando le raccontai di questa mia paura, lei sapeva già che stava morendo. Mi guardò e sai cosa fece? Ficcò le mani sotto il letto e ne estrasse una pallina rossa, una di quelle con le quali giocavo da bambino. La tagliò appena con una forbice e la infilò al naso. Mi fece ridere da subito e la sua espressione buffa non servì certo a calmarmi. Sedette sul letto accanto a me e, avvicinando il viso al mio, disse: “Puoi immaginarla così, la Morte?”. Io dissi di no, perché la morte era spaventosa, e lei storse la bocca. “Cosa te lo fa pensare, tesoro? La Morte è solo un’amica che prima o poi dovremo incontrare tutti. Perché non trattarla con umanità e, perché no, anche con un filo di umorismo? Pensi che sia così brutto morire? Sai, tesoro… l’importante non è il tempo che ti resta, ma come scegli di morire. Ci sono bambini abbastanza saggi da abbracciare la morte come una vecchia amica e anziani poco cresciuti che scelgono di scappare fino alla fine. Quando sarà il momento, sii bambino e sorridi.-
Dinanzi agli occhi affascinati di Derek, Stiles sorride.
-Aveva ragione. Ora so. Morire non è poi così male, se al giungere della nostra ultima ora staremo sorridendo. È sempre meglio andarsene col sorriso e l’ombra di una battuta sulle labbra, anziché spegnersi tra le lacrime di un pentimento che non meritiamo. Quando giungerà la mia ora, voglio immaginarmi con indosso un bellissimo naso da clown, come farebbe un bambino.-
Stiles si tocca la punta del naso, il sorriso sulle labbra. Adesso che Derek lo stringe tra le braccia, si sente al sicuro e pronto a ciò che dovrà accadere. Il giovane licantropo glielo legge negli occhi, sa che Stiles non ha intenzione di sopravvivere perché la battaglia che stanno per combattere è quanto di più feroce l’universo abbia mai concepito. Tutte le guerre del mondo non equivarranno un terzo dello scontro che avverrà. Ciò che Stiles non immagina tuttavia, è che Derek non ha paura perché sente che se la fine dovrà giungere, sarà costretta ad abbracciare entrambi. Insieme.
-Tua madre era una gran donna.- asserisce Derek alla fine. –E lo so perché con suo figlio… ha inalberato un capolavoro.-
Stiles sorride, gli occhi lucidi di lacrime. Chiude gli occhi mentre Derek gli bacia la fronte, le tempie, gli zigomi e il naso. Scende in basso, verso le labbra, per posarvi infine un tocco gentile, innamorato, che sa di lingue intrecciate e tocchi fugaci. Pelle contro pelle, cuore contro cuore. Animi a contatto, vite intrecciate. Lì, nei loro occhi che si incontrano da vicino, il loro mondo torna a respirare, a sorridere. Creature gemelle abbracciano la felicità vera, percorrendo insieme quel sentiero che all’inizio di tutto, non c’era. Si trattava di una strada sterrata, inesistente, dove tuttavia più e più persone hanno scelto di marciare. Allora le impronte hanno affondato, scavato, marcato, tracciando una via che infine comincia a esistere si schiude ai loro animi adesso, alla fine dei tempi, quando il male è alle porte e la speranza divampa sulla sponda avversaria.
Stiles lascia che Derek lo distenda sul divano, sorride quando il corpo del giovane licantropo lo sovrasta. La sua luce è lì, riflessa negli occhi innamorati che lo guardano. La luce è lì, nelle mani di Derek che gli accarezzano i fianchi e le cosce. La luce è lì, nei loro animi intrecciati, nei sospiri rivolti al cielo, dove sole e luna ascoltano e osservano. Almeno loro, non dimenticheranno. Almeno loro, ricorderanno il volto e il nome di quel demone che con la sua umanità ha saputo credere nella vita e nel libero arbitrio. Con un sorriso, Stiles sospira il nome di Derek per l’ultima volta, innalzando al cielo e all’uomo la sua preghiera per quell’anima di cristallo che fino alla fine, il giovane demone ha intenzione di proteggere.
 
Lydia barcolla. È stanca, non ce la fa più. Ha perso troppo sangue e non dorme da quasi quarantotto ore. È abituata a riposare poco, ma questo? Sentire sulla nuca il peso di una ghigliottina che potrebbe calare da un momento all’altro, sapere che la sua città, i suoi amici e il suo mondo rischiano di sparire per sempre… questo è diverso. È sbagliato.
Con un sospiro esausto, Lydia comincia a tamponarsi i numerosi tagli che si è procurata agli avambracci per fermare la fuoriuscita del sangue. Lei e il branco hanno passato gli ultimi due giorni a tracciare simboli di prigionia e tortura in giro per il bosco, le strade e sui muri dei palazzi di Beacon Hills ormai quasi del tutto sfollata.
Lydia non ha più sangue da versare, né lacrime da lasciar scorrere. Un giramento di testa la coglie impreparata e lei barcolla pericolosamente. Le ginocchia cedono, il corpo crolla… ma non tocca il suolo. Mani sottili come ali di libellula le stringono la vita, un corpo caldo preme contro la sua schiena. Lydia abbandona il capo all’indietro mentre Valefar la sostiene e dolcemente si inginocchia, trascinandola con sé. La stringe con riverenza, vivo di un timore che gli tinge lo sguardo di preoccupazione e paura. Lydia non è così fragile. Lydia non crolla mai, non cade nemmeno in ginocchio. Strano a dirsi, ma di tutta quella situazione, Valefar trova terrificante solo questo. Vederla a terra e con gli occhi socchiusi, esausta e spezzata come bambola di pezza, gli frantuma l’animo.
Quello non è il suo posto.
-Ti porto via di qui, dolcezza.- sussurra, scostandole i capelli dal viso. Lascia che lei sposti il capo e incroci il suo sguardo, gli occhi verdi appannati di stanchezza. Profuma di fragola e lampone, ed è un odore così buono, così familiare, che Valefar le sfiora la tempia col naso per inalarlo a fondo come ultima boccata d’aria pura prima di gettarsi in apnea in una palude.
-Cosa… perché?- sussurra Lydia, ancora troppo stanca per alzare la voce. Valefar sorride intenerito e le scosta i capelli dal viso, ancora incredulo al pensiero del miracolo che gli è concesso di stringere tra le braccia.
-Perché non è il tuo posto, questo. Devo portarti al Tempio dell’Acqua, dove sarai al sicuro.-
Lydia tenta di ribellarsi debolmente, ma Valefar la trattiene. –Sì che è il mio posto! Io devo restare!-
-No che non devi. Ragiona, dolcezza: in che modo potresti combattere un demone?-
Lydia continua a dimenarsi, ma stavolta con minor vigore. Sente che Valefar ha ragione, sa che deve andarsene. Gettare ai sassi la sua vita non ha senso, così come non ha senso la paura cieca e incontrollabile che le stringe l’animo, soffocandoglielo un po’ per volta, fin quasi a ucciderla. Quel po’ di coraggio che le rimaneva, Lydia lo ha trasmesso a Stiles e adesso a lei non rimane nulla. In quella battaglia, potrebbe perdere ogni cosa. Il suo branco la sua famiglia… Valefar. Stranamente, le importa anche di quei demoni profondamente inquietanti che infestano il bosco e che più volte l’hanno guardata con interesse, provando a capirla come bambini che studiano il comportamento di un adulto.
Lydia non vuole che tutto finisca. Un tempo lo ha desiderato, ma adesso… adesso quella è casa sua. E abbandonare la sua casa col pensiero di ritrovarla a pezzi, frantuma in lei quel po’ di integrità che le rimane.
Allison potrebbe non sorridere più.
Isaac potrebbe non vedere più.
Scott e Stiles potrebbero spegnersi come candele sulle quali ha soffiato il vento.
Derek e Peter potrebbero sparire nel nulla, consumati nel silenzio di una morte che non meritavano.
Lydia non vuole che accada. Parlano tutti di Satana e Dio, ma Lui dov’è ora? Dov’è Dio, adesso che i suoi figli sono in procinto di massacrarsi a vicenda? Dov’è la sua misericordia, adesso che la stessa Lydia si vede costretta a invocarla silenziosamente nella speranza di ritrovare la sua strada, la sua luce, la sua vita. Ha ancora così tanto da dire agli altri. A volte è stata un po’ fredda con loro, e di questo se ne pente, perché adesso che si trova sola e al buio, quella luce che le illuminava la via non le sembra più tanto superflua.
-Non voglio andarmene.- sussurra Lydia e Valefar le bacia una tempia con dolcezza sconfinata, che sa di un affetto profondo, universale.
-Lo so, tesoro, ma devi. Guarda.- Valefar indica il cielo terso, che ormai volge al tramonto. La luna sta sorgendo, e con lei tutte le sue sorelle stelle, tanti piccoli punti luce in una tela bucata da invisibile mano d’artista. Valefar la stringe più forte, intreccia la mano con la sua e si aggrappa a quel contatto, a quel calore che ama più di ogni altra cosa. Il suo tesoro più prezioso è lì, in quella ragazza dagli occhi verdi. Se lei sarà salva, allora Valefar potrà andarsene in pace e sapere di non essersene mai andato per davvero. Lei non lo dimenticherà e lui… lui sparirà nel nulla, lasciandosi alle spalle una vita preziosa di ragazza, quella parte di se stesso che da sola, racchiude il meglio della sua intera esistenza. Ha conosciuto l’umanità, e lo deve a Lydia.
-Quando ero vivo, scelsi di morire. Per me, l’esistenza rappresentava un unico, grande trascinarsi di dolore su una via oscura che non avevo più intenzione di seguire. Odiavo ogni respiro che facevo, ogni palpito cardiaco che mi teneva in vita. Per questo scelsi di suicidarmi: la vita non meritava nulla da me, perché nulla mi aveva dato.-
Valefar sorride, appoggia una mano sulla guancia di Lydia per attirare la sua attenzione e specchiarsi negli occhi lucidi di foreste inesplorate ed erba bagnata di rugiada.
-Per troppo tempo è stato così. La vita non mi aveva meritato e di riflesso da me non meritava alcuna considerazione. Tuttavia, se solo adesso penso che quella stessa vita, che a me ha tolto ogni cosa, a cominciare dalla stessa umanità, abbia dato alla luce una creatura come te… ho fiducia di nuovo in lei. Credo nelle albe e nei tramonti Lydia, perché adesso so che vista attraverso i tuoi occhi, la vita non è poi così male.-
Lydia non ha mai creduto alle assurdità dell’amore. Alcuni narrano di farfalle nello stomaco, di luce specchiata negli occhi di chi guarda. Assurdità. Almeno, questo pensava allora, prima che Valefar la guardasse. Adesso può vederla, quella luce. È lì, negli occhi e nello sguardo, nel sorriso e nel bagliore della pelle. Una stella volta a illuminare la via, una luna che nasce e sorge, senza mai sparire per davvero.
Lo ama. Lydia non lo ammetterà mai ad alta voce, ma è così. Se ne accorge con stupore, semplicemente perché non ha mai sperimentato          qualcosa di così puro e naturale, come il bacio di un bambino sulla punta del naso. Valefar è la sua natura, l’alba e i tramonti che Lydia continuerà a guardare fino alla fine dei suoi giorni. Potranno farlo insieme, dopo quella battaglia. Alla fine di tutto, Lydia prega di riabbracciarlo, di non lasciarlo più andar via. Il solo pensiero che gli facciano del male la uccide, le affoga l’animo in una pozza di catrame nero che brucia la pelle e gli occhi, le ossa e i muscoli.
Non vuole andarsene. Non può abbandonarlo lì, dove la battaglia infurierà maggiormente.  Valefar le chiede troppo. L’ha lasciato andare da solo all’Inferno, e glielo hanno riportato più morto che vivo. Non può andarsene, non lo abbandonerà. Per una volta, Lydia vuole essere irrazionale e morire lì, accanto a chi ormai detiene i suoi giorni e le sue ore, i suoi sorrisi e i suoi battiti cardiaci. Morirà per la luce, ma per quella che conosce lei.
Dolcemente, Valefar le appoggia le labbra sulla fronte. Non è un gesto puerile, né insignificante. Sa di mille cose non dette, mille storie che Lydia sente di poter ascoltare per anni senza mai stancarsi. Con quel bacio di purissima nobiltà, Valefar la richiama al coraggio e alla vita, così come prega che sia. Così come è giusto che sia. Lydia dovrà essere forte, perché lui ha scarse possibilità di cavarsela. Per l’ultima volta sarà fedele a Stiles, per l’ultima volta lotteranno fianco a fianco, come i fratelli che hanno imparato ad essere tre anni addietro. Per l’ultima volta, Valefar difenderà quella benedizione di magia e affetto che Lydia ha saputo donargli col solo simbolo di un sorriso malcelato. La sua scelta è questa. Morire dopotutto, non sarà poi così male.
Lei potrà guardare al domani.
Lei potrà avere dei figli, diplomarsi e seguire la sua strada.
Lei potrà ricordarlo.
E, dal lontano abisso di nulla nel quale Valefar sprofonderà, lui potrà guardarla crescere, vivere, sorridere. È quello il suo regalo, quella la sua ricompensa. Avere la certezza che un domani, Lydia ce l’ha davvero.
-Ti amo, dolcezza.- sussurra Valefar al suo orecchio, morbido come mille e mille drappi di seta, puro come un bambino che guarda il sole e vorrebbe abbracciarlo al solo pensiero che è bello perché splende.
Lydia sbarra gli occhi, lo guarda. Per l’ultima volta, Valefar affonda nelle pieghe del suo sguardo; per l’ultima volta, riflette nei suoi occhi l’immagine di una serenità vacillante e ormai scomparsa che li vedrà insieme; per l’ultima volta, innalza a Dio una preghiera che, nella tanto decantata misericordia dell’Onnipotente, Valefar spera che ascolti.
Prenditi cura di lei.
Cosa avrebbe risposto Lydia a quell’affermazione? Avrebbe reagito con rabbia o con dolcezza? Questo, Valefar non lo saprà mai. Non se lo concede, non vuole che lei lo convinca a ripensarci. Ha già perso la sua vita, la sua innocenza, sua sorella. Ha perso tutto, e ciò che gli rimane è lei, unico barlume di luce in un abisso senza fondo. È per questo che, poggiandole una mano sugli occhi, Valefar fa in modo che Lydia si addormenti.
La porterà via in silenzio, sparendo da Beacon Hills. Quando riapparirà, sarà solo e a pezzi, stanco e disperato come uomo condotto al patibolo. Alle spalle dopotutto, ha lasciato quanto di più importante la vita gli concesse: un amore, un futuro, un domani che Valefar non potrà guardare.
 
Peter Hale ha sempre pensato di conoscere la vita: giorni che si susseguono, ore che scorrono, anni che camminano. Un passo dopo l’altro, si invecchia e ci si indebolisce. Infine, si muore. E che cos’è la morte, dopotutto? Un passaggio, l’ennesimo calcio nel sedere che si è destinati a ricevere? La vita è vita, ed è una fregatura. Peter lo ha capito quando hanno bruciato casa sua, lo ha capito quando ha cominciato a fare a pezzi la gente. Lui era morto e risorto tra le fiamme dell’Inferno, quindi perché altri non avrebbero dovuto subire la sua stessa dannazione? Per lui, quella era giustizia. Ma la giustizia non è duratura, nemmeno se ad applicarla siamo noi stessi. La Morte sottrae vite, ci gioca, le spegne. Non fa distinzioni, non prova alcuna pietà. Peter l’ha ricordato mentre era all’Inferno e guardava Dumah morire.
Dumah. Sarebbe stato bello, conoscerla meglio. Se solo Peter non fosse stato così arrogante, se solo avesse ricordato a se stesso che alla fine di tutto, un po’ di umanità la possiede anche lui… le avrebbe chiesto di uscire. L’avrebbe guardata davvero come meritava. Avrebbe riconosciuto in lei quella parte mancante del suo essere che avrebbe potuto condurlo in Paradiso. Forse è per questo che adesso, Peter si impegna fin quasi a dissanguarsi per imporre sigilli dappertutto. Vuole chiedere scusa, ma a modo suo. Vuole punirsi, ma a modo suo. Vuole raggiungere l’Inferno e restarci… ma a modo suo.
-Tu sei quel licantropo.- dice improvvisamente una voce sottile alle sue spalle, facendolo voltare.
La bambina lo fissa in silenzio, minuta e alta poco più di un metro. È così piccola che a Peter viene da ridere. Ha i capelli castani a caschetto e gli occhi di un verde brillante, luminoso… che ricorda molto quello di Dumah. Peter continua a ripetersi che è solo un colore, che quelli sono solo occhi, ma continua a vederci lei. Si odia per quanto appare schifosamente romantico, lui che il romanticismo lo detesta a morte.
-Se per “quel licantropo” intendi quello figo da paura abbastanza folle da entrare e uscire dall’Inferno per pura visita di piacere, sì, sono io.-
La bambina inclina il capo, poi guarda la mano di Peter, totalmente intatta ma ancora sporca di sangue. –Perché lo fai?-
-Perché non ho niente da fare nel finesettimana, e oggi è sabato.-
La bambina continua a fissarlo. –Non capisco. Rischiate così tanto, ma per quale motivo?-
-Lo facciamo a causa di un imbecille che il nostro idiota iperattivo di fiducia non ha mancato di stuzzicare una volta di troppo.-
-Non è vero.-
Peter assottiglia lo sguardo, gli occhi fissi in quelli indolenti della bambina. –Ci conosciamo, demone?-
-Mi chiamo Ipos.-
-Ipos non è un nome da uomo?-
-E Peter è un nome strano.-
Suo malgrado, Peter sorride. L’acume di quella bambina probabilmente pluricentenaria lo incuriosisce e stranamente… non lo fa arrabbiare. Non ci riesce, perché sa che è vero: lui non sta facendo tutto questo per puro spirito di noia. Lo fa perché… perché? Per punirsi, per ricordare a se stesso che alla fine di tutto, anche lui sanguina?
-Non lo so.- sospira Peter alla fine. –Non so perché lo faccio.-
-È per lei.- sorride Ipos improvvisamente, il viso pallido e le piccole labbra stiracchiate. Sembra un piccolo angelo. –Lo fai per lei.-
-Lei chi?-
-La demone. Quella impalata contro il monte ghiacciato.-
Peter sorride sarcastico, costringendosi a ignorare quella fitta di dolore troppo umano che gli trapassa il corpo. –Non credo che la cosa ti interessi, ragazzina. Vedi di sparire.-
Ma Ipos non se ne va. Al contrario, lo raggiunge e, afferratolo per la mano, lo strattona per costringerlo a inginocchiarsi alla sua altezza. Dolcemente, gli strofina il palmo sporco di sangue col candido lembo della magliettina, sorprendendo Peter e finanche se stessa. Certi gesti, non sono per un demone. Essi nascono dal sangue e dall’odio, non dall’amore e da fraterne carezze. Imparare cosa sia l’umanità è un percorso difficile, come lo sarebbe per un disabile imparare a camminare. È qualcosa che non può essere compreso, che non può essere concepito. Gli stessi demoni alleati, si domandano spesso cosa significhi abbracciare qualcuno, toccarlo senza ferire o uccidere. È innaturale, è sbagliato.
Loro sono morte e di morte si nutrono. Esiste qualcosa aldilà del massacro? Cosa spinge un uomo a sorridere, cosa spinge una donna ad abbracciare il figlio con serenità ultraterrena? Non sono angeli, eppure gli uomini sanno comprendere la carità molto più di quanto abbiano mai fatto i servi di Dio.  
-Non vi capisco.- dice Ipos. –Però sento che posso riuscirci. Le cose che fate… voi non le studiate sui libri, né le apprendete dagli insegnamenti di Dio o di Lucifero. Dove imparate, allora?-
Peter non lo sa. Vorrebbe risponderle, vorrebbe sentirsi abbastanza umano per poterlo fare, ma lui umano non è.
Ipos finisce di pulirgli la mano, accarezzandogli il dorso con timore reverenziale, impacciato, quasi incredulo. Non concepisce i suoi stessi gesti, non capisce perché tocca quell’uomo senza ferirlo. I demoni non sanno curare, non è compito loro. Eppure, nonostante tutto, Ipos ci prova, perché una parte di se stessa, quello stesso essere bambina che da quando Stiles ha messo piede all’Inferno scalpita e spinge per uscire, le dice che è giusto farlo.
Essere bambini deve essere così semplice. Non si guarda al male del mondo, e il male del mondo, toccando un infante, quasi lascia che esso contamini di bene ciò che di sbagliato abbia mai avuto modo di respirare. I bambini sono magici, i bambini sono potenti. Con la loro innocenza, piegano Inferno e Paradiso.
Ipos pensa di essere stata forte, un tempo. Perdonava con semplicità, e con altrettanta semplicità imparava a dimenticare. Lo ha ricordato quando ha abbattuto un calcio di zampe e artigli sulla schiena di Stiles, spezzandogli le vertebre per l’ennesima volta. Cosa le ha fatto quel ragazzino? Perché dopo averlo guardato in quegli occhi dorati di sole vivo e palpitante, Ipos ha pregato per la prima volta di poter fissare la luce?
-Sei una bambina insistente.- sbotta improvvisamente Peter. A sorpresa, sorride e ammicca, gli occhi luminosi come stelle in un cielo notturno. –Ma non picchio le donne, che siano grandi o piccole, quindi ti è andata bene.-
Ipos sorride a sua volta. –Non alzeresti mano su di me nemmeno se fossi un uomo.-
-Cosa te lo fa pensare?-
-Gli occhi.-
Peter sbatte le palpebre, e Ipos gli appoggia la punta di un piccolo dito sottile sotto la palpebra destra. È un tocco delicato, gentile, che sa di sole e puerilità, di benedizione e migliaia di domande.
-Questi non sono gli occhi di un assassino. Hai ucciso in passato, ma qualcosa è cambiato in te col tempo e col dolore. Posso sentirla, sai? La luce. La vedo nei tuoi occhi, la sento nella tua voce, anche se non vorrai credermi. È forte come un raggio di sole, e questo perché è nata dall’oscurità più fitta.-
Peter la fissa, incredulo. Quelle parole non lo rappresentano, non fanno per lui. Nessuno lo assocerebbe alla luce, nessuno gli ha mai detto che forse, una speranza di guardare al sole per lui esiste davvero. Non ha senso, è innaturale come acqua di cascata che scorre al contrario.
Eppure… anche se per un breve attimo, Peter si sente felice. Non prova questa emozione da anni. Lui, la felicità vera l’ha dimenticata. Sa di stantio, di anziano, e le cose vecchie non fanno per lui. Non facevano per lui. Dopotutto, anche Peter si sente vecchio, e questo per ben altre ragioni. Ha mani sporche di sangue, l’anima nera, occhi che troppe morti hanno fissato. Poi però… è arrivata Dumah. E, con lei, un barlume di luce. Peter si accorge di averlo assorbito solo adesso, dinanzi agli occhi innocenti di una bambina che bambina non è.
È davvero per questo che lo fa? Lotta per avere una speranza o per dimostrare a se stesso che la dannazione non è l’unica via, se solo egli stesso imparasse ad andare avanti?
-Io…-
È un attimo, un solo secondo durante il quale tutto cambia. Si tratta di una sensazione, un semplice formicolio elettrostatico lungo la pelle. Basta un attimo, e Peter capisce. Il respiro della bestia prima del balzo, lo chiamano alcuni. Per altri ancora, si tratta della calma che precede la tempesta. Per Peter invece, quella sensazione è nient’altro che puro campanello d’allarme, un istinto di sopravvivenza irrefrenabile che lo prostra in ginocchio, gli fa brillare gli occhi di blu e le zanne di candida minaccia. Un pericolo del genere, non l’ha mai avvertito. Sente l’universo risvegliarsi intorno a lui con la potenza di una bestia inferocita, folle di rabbia distruttiva. Ogni cosa cadrà a pezzi, ogni cosa finirà col perire al cospetto del nero pece che come una malattia contamina ogni anfratto della Terra, ogni angolo di universo.
Voci lontane sussurrano addolorate, ricordi e incubi si risvegliano e come ombre vive cominciano a calcare la terra, una dopo l’altra. Errori, sofferenze, paure che mai nessuno è riuscito a soffocare davvero, perché l’oscurità non abbandona mai nessuno e si attacca al corpo e all’animo come un parassita, dilatandosi sempre di più, fin quasi a inghiottire ogni cosa.
La luce non è niente, la luce è insignificante. Nulla può proteggerli da un odio così scellerato.
Il male Vero è nell’aria, e Peter lo avverte sottopelle, dentro il corpo, come veleno che scorre nelle vene. La terra ne è pregna fino a stillarlo sanguigno dalle piante che poco a poco s’anneriscono, dagli animali che impazziti cominciano a ringhiare e ad azzannarsi a vicenda fino a uccidersi.
Peter pensava di conoscere l’oscurità, ma quello… quello è diverso. È ancora una sensazione, l’eco di voci e ricordi che incarnano gli incubi più neri, eppure nel suo piccolo, quel male lo schiaccia, lo fa tremare, lo rende fragile e vulnerabile come vetro nelle mani di un titano. Gli basta così poco per dimenticare la luce, così poco per scordare la voce di Dumah e i motivi che l’hanno spinto a restare lì, in prima linea, pronto a una battaglia che non risparmierà nessuno.
Poco lontano, sulla porta dei ruderi di casa Hale, Stiles e Derek emergono dall’oscurità. Entrambi fissano il cielo che lentamente, come visto attraverso un processo accelerato di ore ed ore trascorse, si oscura sempre di più. Qualcosa soffoca la luna, il nero vellutato dell’oscurità più fitta schiaccia la luce, la annienta, sprofonda il mondo intero nell’oscurità. Non una candela riesce a rischiarare il buio, non un bagliore di speranza emerge dalla cappa di pece appiccicosa che adesso soffia sulle stelle e le spegne, candeline fragili innanzi al titanico giudice dell’universo oscuro.
Stiles stringe Derek a sé per l’ultima volta, chiude gli occhi e, toccandolo, gli affida e gli domanda quel po’ di coraggio che resta. Hanno bisogno di credere nella luce, perché ricordarne le fattezze sarà difficile, se non impossibile. Stiles vuole pensare che per giungere all’alba non vi sia altra via che la notte più oscura, ma non è sicuro di rivedere la luce del giorno. Lui no. Ma Derek dovrà farcela, perché merita di sopravvivere, merita di incarnare quella luce che tutti presto dimenticheranno.
Dolcemente, per concedersi un ultimo gesto di pietosa carità, Stiles gli afferra il viso tra le mani e lo bacia sulle labbra, leggero come ali di gabbiano, sottile come ragnatela umida di rugiada. È un attimo, un quieto sfiorarsi di labbra, ma è grazie a questo che Stiles ricorda finalmente che la luce esiste, e può brillare ancora. Deve brillare ancora. Spinge lo sguardo oltre la spalla di Derek, verso i demoni che poco a poco si spostano per far largo a un Valefar quieto, sereno, il cui sorriso feroce illumina la notte di sangue e rabbia, di furia e rancore. Stiles capisce allora che il suo amico ha dovuto abbandonare Lydia, rinunciando per amore a quella parte di se stesso che di amore si nutriva.
In silenzio, Valefar annuisce un tacito invito alla battaglia.
Facciamogliela pagare.
-Isaac.- esala Scott poco lontano. Fissa il cielo, gli occhi rossi annebbiati dal terrore. Si sente piccolo e impotente, misero come colibrì alla mercé della più possente delle tigri del bengala. Non può niente contro tanta oscurità, non può niente contro tanto odio, lui che l’odio ha sempre cercato di respingerlo e soffocarlo. Nessun Alpha è così forte, così come la Terra stessa pare in procinto di spaccarsi al cospetto di un potere così immenso da dividere in due l’universo intero.
Scott sta per crollare, ed è per questo che con gli ultimi ansiti di coraggio ha scelto di chiamare Isaac. La sua ancora, il suo anello mancante di resistenza. Stiles è impegnato con Derek, Allison è col padre. Lui? Lui sarebbe solo se solo Isaac non fosse in grado di ascoltare un suo richiamo sussurrato a miglia e miglia di distanza. Scott può esalare il suo nome, invocarlo a bassa voce, e Isaac risponderà sempre perché accorrere al suo fianco è ormai per lui una priorità vitale.
È per questo che anche stavolta, Isaac non lo delude. Compare al suo fianco, dolcemente gli stringe forte la mano e intreccia le dita con le sue. Come al solito, non parla. In silenzio lo spalleggia, in silenzio gli trasmette con devozione quel po’ di calore che resta. Saranno insieme fino alla fine, insieme aldilà di ogni cosa. Scott l’ha capito: adesso sa.
Isaac si è insinuato nella sua vita con calma, lentamente, come acqua che sgorga da un ruscello appena nato. Un flusso cristallino, purissimo, che non sporca ma pulisce. E da quando conosce Isaac, Scott si sente ripulito. Quando le mani gli si sporcano di sangue, quella stessa acqua di ruscello lo purifica. Quando l’oscurità entra in lui e Scott si trova solo e al buio, un punto luce lo tocca, abbracciandolo di una sfera lunare pronta a schermarlo dal mondo intero. Il suo scudo, la sua linea di frontiera. Il suo domani. L’ha sempre avuto davanti, e lo capisce solo adesso, quando stanno per morire.
-Scott!- esclama una voce, e allora Stiles emerge dalle ombre, accompagnato da Derek. Al suo fianco, compaiono Allison e Chris Argent, Peter e una bambina che Scott non riconosce. Si schierano tutti lì, al suo fianco, compatti come il branco che sono sempre stati. Insieme, dinanzi al mondo e a Satana, dinanzi a Dio e alla morte. Combatteranno, e lo faranno per vincere. Combatteranno e lo faranno per difendere i propri ideali. Combatteranno per dimostrare all’universo che la libertà esiste ancora, finché non si abbandona la speranza e la voglia di crederci. Guardiani del sole, figli della luna. In nome dell’uomo e dei demoni che ancora guardano al futuro. In nome di Dumah.
La terra comincia a tremare forte, sempre più forte, come scossa dal più forte dei terremoti. Crepe massicce serpeggiano nell’erba e tra le radici degli alberi come ferite pronte ad aprirsi. Da quegli spacchi, filtra una luce rossastra di fiamme covate, vive, tremanti di potenza repressa.
Stiles stringe i pugni e inspira a fondo per farsi coraggio. Per Derek, per Dumah, per suo padre e il suo branco. Per l’umanità.
Inspirando a fondo, si costringe ad abbandonare la stretta della mano di Derek e balza verso l’alto, dandosi una spinta talmente forte da raggiungere in salto almeno i sei metri d’altezza. All’ultimo istante, durante il breve istante che spinge la gravità ad aggrapparsi al suo corpo, si sfila la maglia e sprigiona le ali, immense come il più ampio dei cieli, brillanti nell’oscurità come nebula che splende al centro dell’universo. La luce delle fiamme covate nella sua pelle e nelle membrane alari bacia l’intera Beacon Hills, tingendo le strade e gli alberi di un ultimo saluto, un augurio per la sopravvivenza e per il domani che rischia di sparire per sempre.
In lontananza, dalle città limitrofe, anche i ciechi avranno modo di vedere per puro miracolo quel bagliore di luce rossa e oro, quel bacio solare che non dal cielo piovve, ma dalla terra arida e coperta di crepe. Alcuni pensano che si tratti della luce di un angelo, altri ancora credono che sia scoppiato il più violento degli incendi, ma quasi inconsapevolmente, ogni essere umano radunerà al cospetto di quella luce la sua fame di benedizione, di calore, di speranza. E Stiles li sentirà tutti, ogni singolo essere umano. Il coraggio del suo branco, il coraggio degli abitanti del mondo e di Beacon Hills. Il coraggio di sua madre.
-Ascoltatemi.- dice quando il vento comincia ad acquietarsi. –Forse… forse tutto questo è sbagliato. Noi non dovremmo nemmeno essere qui. Adesso il mondo rischia di cadere, e noi tutti insieme ad esso. Potremmo morire entro pochi minuti, eppure, nonostante questa consapevolezza… nessuno si è mosso. Siete rimasti perché credete in qualcosa, perché per la prima volta avete guardato al sole senza scottarvi le retine. L’impossibile è sbocciato davanti ai vostri occhi, e adesso al servizio di quella stessa assurdità vi ponete. Date il merito a me, ma la verità… la verità è che tutto questo è merito vostro. Siete voi a decidere ciò che siete e nelle vostre mani è posta l’alba e il tramonto delle vostre giornate. Con questo giorno si apre una nuova era!-
Sotto di lui, la terra trema più forte. Il cielo vibra di terrore, il mondo intero si ferma ad ascoltare. Per la prima volta, ognuno risponde senza riserve a quel richiamo, ognuno si concentra su chi grida all’universo di risvegliarsi. Una voce, così potente da scuotere ogni cosa dalle fondamenta. Una voce così devastante da spaccare le montagne e arrestare il corso delle cascate.
-Spezzate le catene, fratelli miei! Siate liberi di scegliere! Vivete e morite come più vi sembra giusto, ma fatelo lottando! Ascoltate il vostro istinto, rispondete alla vostra sete di indipendenza! Siate voi il domani, siate voi la luce! Siate lupi, che urlano alla luna per essere ascoltati! Siate bambini, la cui purezza spezza ai suoi piedi il male intero dell’universo! Adesso io vi chiamo; adesso io vi prego di essere quei lupi che implorano di essere ascoltati! RISPONDETE!!!-
E loro rispondono. Non lo deludono, non mancano di farsi ascoltare come quegli stessi lupi che ululano alla luna. In risposta all’urlo di Stiles, giungono i ruggiti. Versi bestiali così potenti da scuotere il mondo dalle fondamenta, ringhi di minaccia talmente distruttivi da spaccare i ghiacciai e gelare la lava. Il mondo intero avrà modo di sentirli e cadere in ginocchio. Ma non è abbastanza.
Sopra qualsiasi altro ruggito, ne spiccano due. Un Alpha e un licantropo dagli occhi blu talmente decisi a vincere da far tremare quella stessa luna con la sola forza della voce. Pretendono di essere ascoltati, pretendono di lottare fino allo stremo delle forze. Derek e Scott rispondono, si piegano al volere dei loro stessi ideali. Il branco ci sarà, il branco lotterà al suo fianco. Per l’ultima volta, fino alla fine dei tempi.
-Facciamoli pentire di aver abbandonato l’Inferno.- ringhia Stiles, voltandosi. Ringhia in lingua demoniaca, raschiando sugli ordini che i suoi alleati demoni non mancano di eseguire: uno alla volta, alcuni di loro spalancano le ali multicolori e si levano in volo, un maestoso manto di vele cangianti che oscurano il cielo e gli alberi, l’oscurità e il mondo intero. Un velo di fiamme arcobaleno brilla sulle teste di chi ancora non si è mosso, tingendo i volti dei presenti di ombre sinistre, mortifere, capaci di predire ciò che è in procinto di accadere.
I demoni si raccolgono, coordinati come un sol uomo, e un istante dopo, come in conseguenza a un respiro trattenuto e poi rilasciato, essi si scagliano verso le faglie che poco a poco si allargano nel terreno, lasciando emergere mani e grida, fiamme e fumo. Il puzzo del sangue invade l’aria, artigli massicci e lame sporche di carni maciullate sbucano dai meandri più oscuri dell’abisso.
I demoni alleati fanno saettare le code come tante fruste d’acciaio, le punte acuminate pronte a massacrare qualsiasi cosa intralci loro il cammino. Alcune falciano di netto i polsi dei demoni in scalata, altre ancora lacerano le ali e decapitano teste. Sono arti talmente veloci che lo stesso Derek fatica a vederne le estremità. Un istante prima ci sono, e un istante dopo la vittima designata crolla nel baratro senza testa, senza mani o priva di un’ala.
Le code ne massacrano a decine, senza esclusione di colpi, lampi d’acciaio che micidiali non mancano mai l’obbiettivo. Una pioggia ferina di lame e sangue, di grida e ruggiti di rabbia. Alcuni demoni cercano di arrampicarsi lungo il varco con le zanne e con le zampe posteriori, ma gli alleati amputano anche quelle. Derek di battaglie ne ha viste, ma qualcosa di tanto gelido e cruento… questo mai. I demoni massacrano i propri stessi fratelli senza neanche trasalire o sospirare di tristezza. Al contrario, alcuni ridono e fanno guizzare le code sulle loro teste per generare sottili archi sanguinolenti nell’aria.
Per brevi istanti, Derek si convince che non ci sarà bisogno di combattere. Finora, i demoni abbattuti saranno circa duecento, e questo solo da quella parte del bosco. La battaglia finirà in fretta, andrà tutto bene.
Per un attimo, Derek ci crede. Per un attimo, Derek si sbaglia.
Il primo demone riesce a emergere dagli abissi usando il corpo di un suo stesso fratello come scudo. Lo scaglia contro il nemico più vicino per distrarlo e sbucare fulmineo all’aria aperta. Spalanca le ali di scatto, le vele nerissime ampie come l’universo stesso, e in un sol gesto lascia che le punte acuminate delle ossa si piantino nelle carni tenere dei nemici. Ruota su se stesso, trascinandosi appresso almeno dodici corpi, per poi sbattere le ali e scagliarli con violenza contro altri avversari.
Le righe sono spezzate e i demoni si riversano allora sulla Terra. Tanti, troppi, come formiche che abbandonano il formicaio. Derek li vede emergere dal sangue e dal fuoco, dalla melma e dal puzzo di carne bruciata come bestie assetate di violenza i cui occhi folli fissano con odio anche la più innocente delle creature. Lame, zanne, artigli. Derek vede solo questo mentre la prima fila nemica si abbatte sui demoni più vicini per massacrarli come iene che s’avventano su una zebra dalle zampe spezzate. Le vittime non gridano, non ne hanno la forza. Qualcuno strappa loro la lingua, qualcuno gli spezza gambe e braccia, ali e spina dorsale.
È un massacro in piena regola, e Derek non può accettarlo. Non accetta che quelle bestie si avvicinino a Stiles. Troppo vicine. Sono troppo vicine.
Quando i demoni smettono di accanirsi sulle carcasse delle proprie vittime, Stiles ruggisce un nuovo ordine. È quello il segnale, quel braccio sollevato.
Allison incocca una freccia, poi inizia a scagliare a raffica, senza mai stancarsi. Le frecce sprizzano scintille troppo luminose, generando al primo impatto bagliori luminosi che accecano i demoni inconsapevoli, quelli che non hanno capito di dover chiudere gli occhi.
È allora che altri demoni alleati si levano in volo come saette quasi invisibili, ombre schive e inafferrabili, con ali che si schiacciano sui corpi sformati per acquistare slancio. Afferrano i nemici per le code, le corna, le ali e le teste. A gran velocità, prima che essi possano replicare, li schiantano uno alla volta nei cerchi di tortura abbandonati per le strade di Beacon Hills dal branco. Non possono vedere i cerchi a causa del sangue innocente che li traccia, ma Lydia ha tracciato la loro posizione con uno spruzzo di profumo particolarmente penetrante.
Appena i demoni atterrano nei cerchi, essi prendono fuoco. Dieci, cento, mille. I falò esplodono per tutta la città, illuminandola di macabre grida e ruggiti di dolore. Derek sente il puzzo di carne in putrefazione e sangue che scorre copioso mentre, tra i palazzi e gli alberi di Beacon Hills, i demoni alleati pongono fine alle sofferenze dei nemici.
Ma non basta. Non se il nemico vero è l’Inferno, non se il nemico vero è Satana.
-STATE PRONTI!!!- ruggisce Stiles mentre un’altra orda di bestie inferocite emerge come sputata dagli abissi della Terra. Incubi vomitati dal lato oscuro di Dio stesso si arrampicano tra le rocce, nel fuoco e nelle fiamme, con canne che scintillano e code che guizzano come aiutanti indipendenti pronti a fare a pezzi qualsiasi cosa si pari sul loro cammino. Dalla penombra perpetua che ha abbracciato il mondo, emergono allora carni brucianti di fiamme covate, guizzi metallici di armi pronte al massacro, ringhi di bestie impazzite che altro non chiedono se non pianti di dolore e grida d’agonia.
L’Inferno si riversa sulla Terra, davanti ai loro occhi, ma nonostante ogni previsione, Derek non ha paura: se Stiles crede che possono farcela, allora tenteranno. Il suo branco ne ha affrontate già tante, e non si fermerà davanti a questo. Hanno risposto alla chiamata di Stiles, e al suo cospetto lotteranno e moriranno, guardiani della luce e della luna, dell’alba e del tramonto. Attraverseranno la notte più oscura per giungere ai primi bagliori del nuovo giorno.
-Possiamo farcela?- sussurra Isaac, guardando Scott e Scott soltanto. Prega che lui risponda, perché della sua voce si fida e il suo Alpha non lo deluderà.
Un istante, l’ansito di un respiro. Scott solleva il capo, fa baluginare gli occhi rossi che come rubini spiccano nell’abbraccio dell’oscurità. Metà lupo, metà uomo. Orecchie appuntite, setto nasale avanzato, zanne in bella vista. È lui l’Apha, è lui l’ennesimo figlio della luna volto a difendere la luna stessa. E a quella creatura il branco ha intenzione di rispondere perché la saggezza di un’anzianità prematuramente conquistata splende nel suo sguardo, nella sua mano ancora stretta in quella di Isaac, nella sua postura fiera ed eretta al cospetto della grande Morte che potrebbe abbracciarlo nell’arco di pochi istanti.
-Per Stiles.- ringhia prima di slanciarsi verso l’orda di demoni con un ruggito che fa tremare il cielo e la terra, i mari e gli alberi. Al suo fianco, avanzano Derek e Isaac, forti di ciò in cui credono, forti di una luce che non li abbandonerà. Hanno artigli intrisi di acqua santa e al collo di ognuno di loro è legato un unico grano di rosario benedetto, una piccola benedizione che non da Dio giunse, ma bensì dalle lacrime più sincere di un innocente condannato a morte tre anni addietro.
Combatteranno per lui e per sua madre, che inconsapevolmente vendette la sua anima.
Combatteranno per lui e per il mondo, che ancora respira nonostante le difficoltà che affronta tutti i giorni.
Combatteranno per Stiles, che fiducioso li ha chiamati alla battaglia e a loro affida ogni cosa, a cominciare dal futuro dell’universo.
Che l’Apocalisse abbia inizio.
 

Vassago: In demonologia è un potente principe degli Inferi che dirige più di ventisei legioni infernali. È uno spirito di conoscenza che aiuta a rivelare le cose passate e future, ma rende le persone ipocrite, ingrate e spergiure.
Ipos: In demonologia, Ipos è un conte e un potente principe dell'inferno (un duca, secondo altri studiosi) con trentasei legioni di demoni sotto il suo comando. Conosce e rivela tutte le cose sul passato, il presente e il futuro (secondo alcuni demonologi solo sul futuro, altri sia sul passato che il futuro). Può infondere a chi lo evoca arguzia e coraggio.

 
Angolo dell’autrice:
Dlin dlon! Avviso alla gentile clientela! Il penultimo capitolo della storia sarà pubblicato domani notte, poiché a breve partirò e non avrei modo di aggiornare dopo. Già, sta per finire tutto. A breve, saluteremo Stiles, Valefar, Dumah e gli altri. Ma sapete, a volte concludere una storia non significa necessariamente chiuderla e lasciarsela alle spalle. Spesso basta un piccolo ricordo, un piccolo sorriso, un piccolo insegnamento… e tutto questo continuerà, e sarete voi a scrivere nuovi capitoli nelle vostre vite, nelle vostre teste, nel vostro sguardo. Se anche un piccolo frammento di coraggio ed emozione si sarà insinuato nel vostro cuore, allora le mie fatiche non andranno mai sprecate. Il mio gioiello più prezioso, i veri eroi della storia… siete proprio voi. Sì, voi. Siete pronti alla battaglia, siete giunti fin qui e non mancate coi vostri commenti di gridare al cielo come membri onorari dell’esercito di Stiles. Sarete al suo fianco, e lotterete contro Lucifero in persona. Non disperate tuttavia poiché, laddove il buio si fa più fitto, lì la luce avrà modo di sbocciare. Siete gli eroi migliori che si possa desiderare poiché quando vi ho teso una mano per invitarvi a intraprendere un cammino sconosciuto, avete osato rispondere alla chiamata. E per la fiducia che avete posto in me, io non vi avrò mai ringraziato abbastanza. Perciò grazie col cuore. Grazie per la fiducia che mi date, grazie per le vostre parole che non mancano mai di emozionarmi e a volte di farmi piangere come un’emerita imbecille. Grazie, perché i veri angeli, io li ho conosciuti (anche se virtualmente) e siete proprio voi.
Giada_ASR
Even_If_It_Rains
_Sara92_
Barbara78

 
Anticipazioni:
“Diablo piove verso il basso, atterra schiacciando alcuni demoni e sollevando un polverone di sangue e terra. Poi, guarda Derek con le grandi orbite vuote. Occhi negli occhi, da bestia a bestia. Corvo e lupo si incontrano all’alba della nuova era, parlandosi, studiandosi, intrecciando d’unico mondo di blu e nero, luce e oscurità. Una richiesta, un consiglio, una domanda. Alla fine, riescono a capirsi. Derek non sa perché succede, ma sa cosa vuole Diablo da lui. In qualche modo sono legati, e questo Derek lo sente attraverso la pupilla dei suoi occhi che si allunga, adesso simile a quella di un demone.
Con un balzo, sale a cavalcioni di Diablo. Si accovaccia tra le piume affilate, reggendosi saldamente a una delle ossee punte cervicali mentre il famiglio si raddrizza e stride con forza animale.
Mentre gli angeli massacrano uno dopo l’altro i demoni, Derek lancia il suo avvertimento. Ruggisce forte, attirando l’attenzione di angeli e demoni, di uomini e animali. Mentre Diablo spalanca le ali e si leva in volo, Derek Hale fissa Michael, sfidandolo. E l’arcangelo non si tira indietro.”

 
Tomi Dark Angel
 
 

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Capitolo 30
*** L'Umiltà Di Un Vincitore ***


“La tomba che si chiude sui morti,
Si apre sul firmamento.
Ciò che dunque quaggiù consideriamo la fine,
Per chi muore è nient’altro che principio.”
 
Il male può assumere tante forme, a cominciare da quella più fragile e innocente. Esso muta come il più letale ed adattabile dei predatori, e con altrettanta malleabilità si adatta agli ambienti, alle situazioni, agli animi di coloro che contamina. È una piovra, un’Idra dalle mille teste che difficilmente l’uomo potrà guardare in volto senza impazzire. Il vero aspetto del male, lo conoscono in pochi e quegli stessi, miseri esseri, hanno invero avuto a che fare pochi istanti dopo con la morte o la follia più pura.
Il vero aspetto del male, si dice, è quanto di più malato e distruttivo possa mai concepire mente ultraterrena. Generato da Dio, fomentato dall’uomo, comandato da Lucifero.
Ma ci sono momenti, in cui almeno i più forti potranno vantare di aver guardato il male in faccia, di averlo toccato e respinto senza impazzire. Pochi eletti, pochi sopravvissuti al seme della follia e all’artiglio della morte.
Derek Hale e il suo branco, appartengono a quella fascia di fortunati che con mano tocca il male e lo respinge, lottando sul suo stesso campo. Il giorno dell’Apocalisse può giungere in qualsiasi momento, ma ci si sente sempre troppo giovani per accettare che ogni cosa possa finire. Adesso tuttavia, quel momento è arrivato e il destino dell’universo giace sul piatto di una bilancia troppo fragile, troppo sottile. Il male pesa troppo, per un semplice oggetto come per le ferali creature che adesso lo fronteggiano.
L’universo non ha mai avuto modo di vedere una battaglia tanto cruenta. Il cielo è oscurato da fiamme e grumi di oscurità, filamenti di luce e buio che si intrecciano e si scontrano, feriscono e fanno a pezzi. In alto come in terra, i demoni si fanno reciprocamente a pezzi, azzannandosi e squartandosi, ferendosi e decapitandosi. Le ali spalancate sono talmente alte da non lasciar intravedere, in alto come in lontananza, neanche il più piccolo barlume di cielo, scosso continuamente da ruggiti ed esplosioni talmente possenti da intimorire il mondo intero. Dall’alto piove sangue e spesso e volentieri l’oscurità cala come pece sui corpi sottostanti. È qualcosa di pesante, viscoso, che soffoca e non molla mai la presa.
È quella l’Apocalisse.
Fino a quel momento, Derek ha pensato di essere un guerriero, una macchina da guerra destinata a uccidere e massacrare per attacco e autodifesa. Ci ha pensato, ma solo adesso capisce di aver sbagliato su tutta la linea. Lui non ha mai combattuto veramente e mai ha capito cosa sia una battaglia reale, di quelle che fanno tremare le anime e il mondo, i mari e la terra. Adesso sa, adesso capisce. Lì, alla fine della sua stessa era, Derek Hale combatte la sua prima e ultima guerra.
Piedi che affondano nell’erba. Muscoli che si gonfiano nello sforzo di accelerare. Un respiro trattenuto come ansito di bestia prima del balzo. Poi, i due eserciti si scontrano con lo schianto fragoroso di una montagna che crolla per intero e ruggendo, Derek affonda gli artigli negli occhi del demone più vicino, torcendo poi la mano per spezzargli l’osso del collo. Abbandona il cadavere, ruota su se stesso e pianta un pugno sulla spalla del nemico più vicino. Lo guarda arretrare ferito, le ossa rotte e la clavicola destra barbaramente spezzata. Prima che possa reagire, gli salta alla gola e la squarcia coi denti.
Al suo fianco, Isaac e Scott lottano come un sol uomo, schiena contro schiena, senza distanziarsi mai troppo dall’altro. Difficilmente Derek ha mai visto macchina meglio oliata di loro due. È come se combattessero insieme da sempre, figli di un filo che li lega, li trattiene insieme, li spinge ad affrontare a testa alta la battaglia più distruttiva della storia dell’universo. Sembrano leggersi nella mente, al punto da riuscire ad anticipare le mosse dell’altro: Isaac colpisce laddove Scott lascia uno spiraglio scoperto, così come Scott difende negli istanti in cui Isaac decide di attaccare. Si scambiano di continuo e di continuo feriscono, uccidono, mutilano. Isaac schiva una coda, che Scott ha la prontezza di afferrare con gli artigli. Tira forte, per destabilizzare il demone e impedirgli di reagire mentre Isaac cala gli artigli e trancia l’arto.
Dieci, cento, mille saranno le vittime del loro piccolo duo che ferino, lo stesso che per anni è rimasto nascosto nell’ombra, silenzioso, dormiente come bestia in letargo. Derek vede i demoni andare in bestia, tentare più e più volte di spezzare il loro cerchio, ma nessuno ci riesce. Insieme, Isaac e Scott hanno inalberato una barriera indistruttibile.
Strano a dirsi ma, nella penombra del buio che ha avvolto la terra, i denti di Isaac spiccano non in un ringhio… ma in un sorriso. Non si diverte a uccidere e odia da morire quella battaglia. Però… si sente completo, adesso che combatte al fianco di Scott. Entrambi trattano l’altro come ala di gabbiano, entrambe indispensabili per volare, ed è bello, perché alla fine di tutto, sono insieme e Isaac non si è mai sentito più felice di così.
Derek ruota su se stesso e afferra le zanne di un demone troppo vicino, alto due metri, che tenta di sorprenderlo alle spalle. Gli torce il capo per stordirlo, ma la coda sbuca all’improvviso, impossibile da fermare a mani nude se si vuole evitare la morsa delle zanne. Derek la vede avvicinarsi, saettare verso il suo viso, ma non chiude gli occhi perché lui la morte non la teme. Qualcuno però interviene, si frappone tra Derek e la coda. Una mano afferra la punta con forza, ferendosi il palmo e incidendo a fondo ogni singola falange. Blocca l’arto, lo sbatte al suolo e in quell’istante un lampo d’artigli penetra a fondo lo stomaco del demone, facendolo ruggire di dolore.
-Torna all’Inferno!- ringhia Peter Hale, torcendogli contro la coda e piantandola infine nella gola della creatura. Quella si accascia, sputando un grumo di sangue che sa di morte e arresa, di incredulità e malsana sofferenza.
Derek incrocia lo sguardo azzurro di Peter, i suoi occhi giudiziosi di bestia anziana che già troppo ha vissuto e troppo ha patito. Un dannato, un colpevole per omicidio che ai suoi stessi errori pone rimedio adesso, alla fine dei tempi, quando ogni cosa gli crolla addosso.
-Attento a come…- comincia Peter, ma mentre parla, Derek spicca un balzo e lo oltrepassa, leggero come angelo senz’ali. Atterra su un demone e lo dilania con gli artigli mentre suo zio trancia di netto la coda del nemico da poco abbattuto e, roteandola sulla testa, la abbatte come una frusta uncinata sugli obbiettivi. Una, due, tre volte. Derek tramortisce e Peter uccide. Zio e nipote, entrambi Hale destinati a proteggere quella città e quel mondo.
Una freccia si pianta sibilando nella fronte di un demone mentre un proiettile intriso d’acqua benedetta ne abbatte un altro. Chris ed Allison Argent emergono dalla mischia, sconvolti e sporchi di sangue troppo scuro per essere umano. Presentano tagli dappertutto e Chris zoppica appena, ma stanno bene.
-Dove eravate finiti?- ruggisce Isaac mentre para l’assalto di un demone, bloccandogli i polsi per consentire a Scott di decapitarlo.
-Tu che dici?- urla Allison, scoccando altre frecce. Guarda in alto quando ode il sibilo di qualcosa sulla sua testa. Un immenso paio d’ali sostiene su di loro un corpo massiccio, sformato di creatura demoniaca. Ringhia bestiale, le sei code uncinate che guizzano intorno a lui come un vortice di metallo indistruttibile. Il volto è coperto di pelo nero, il muso atteggiato in un ghigno che di umano possiede ben poco.
Allison scocca tre frecce nella sua direzione, ma il demone le ferma tutte, una dopo l’altra, intercettandole con le code abominevoli. Scarta di lato per evitare i proiettili di Chris, sale di quota quando Derek e Scott tentano di ghermirlo. È più intelligente degli altri, e questo fa paura. Ha studiato da lontano le loro tecniche di combattimento, e ora conosce a menadito ognuno di loro.
Peter indietreggia preoccupato mentre il demone sale ancora e ancora, sempre più piccolo nell’oscurità di demoni che si linciano reciprocamente. Derek avverte gli schianti poderosi dei corpi che si urtano, delle lame che stridono nello scontro, e prega che Stiles non sia una delle vittime che crollano al suolo senza vita.
Il demone dal muso ferino li riaggancia all’improvviso, proprio quando i più stanchi cominciano a rilassarsi. Un proiettile di pelo e lame piove dall’alto su di loro, impossibile da fermare o da intercettare. Nessuna freccia lo scalfisce, nessun proiettile lo rallenta.
Derek si vede perduto per la seconda volta, ma per la seconda volta è costretto a ricredersi: due diversi demoni emergono dalle ombre, massicci e longilinei, insanguinati e velocissimi, come angeli vendicatori che neanche Dio saprebbe arrestare. Derek riconosce i loro odori non appena si avvicinano, scagliati come proiettili esplosi dalla canna di un fucile. Si muovono simultaneamente, come due identici arti appartenenti a un unico corpo, figli d’un unico, apocalittico intero: sanno cosa fare, sanno come agire e dove colpire. Il demone dalle quattro ali devia appena la traiettoria e afferra l’ala sinistra del nemico, mentre il suo compagno artiglia la destra. Lo strappo degli arti che vengono sradicati letteralmente dal corpo del demone stride come metallo che si piega. Le vele si stracciano come tristi opere d’arte lacerate dalla stessa mano d’artista che le ha tessute, le ossa si spezzano con la fragilità di ramoscelli e improvvisamente, il demone lancia al cielo il suo ultimo ruggito di agonia, una preghiera silenziosa all’Inferno che l’ha trasformato e condannato.
Prima ancora che il corpo precipiti, altri due demoni compaiono e lo afferrano al volo. Ruotano su loro stessi e scagliano il cadavere contro un nemico per distrarlo prima di saltargli bestialmente alla gola. Fiamme sprizzano dal contatto di zanne contro pelle e una colata di pece oscura piove sul branco, che si vede costretto ad accucciarsi nel vano quanto istintivo tentativo di sottrarsi alla morsa soffocante delle tenebre assassine. È una cascata di nero inchiostro, una pioggia killer che si rovescia dal cielo.
Con un tonfo, Valefar e Stiles atterrano e sollevano simultaneamente le mani, come assetati che invocano acqua dal cielo. Le tenebre si arrestano allora a pochi centimetri dai loro palmi, compattandosi come liscia superficie d’onice che docile risponde ai loro comandi. Stiles allora tende i muscoli, ringhia qualcosa di incomprensibile e, dinanzi agli occhi terrorizzati dei presenti, serra entrambe le mani in pugni nervosi di lame affilate che quasi gli tagliano a metà entrambe le braccia.
Un sibilo, il rumore di qualcosa che si spacca. Le tenebre si frantumano come vetro, disperdendo all’aria migliaia di frammenti affilati, sottili, solidi come il più cupo degli incubi divenuto realtà. È allora che Valefar compie un ampio gesto col braccio iridescente, squamato, irto di punte affilate e sporche di sangue.
I frammenti vibrano, poi come una bomba, esplodono verso l’esterno in un ventaglio di lame affilate, micidiali, che trapassano gole e crani, braccia e zampe. Alcune schegge tranciano code, altre si piantano a fondo nelle bocche spalancate dei demoni avversari. È una reazione a catena, un gesto distruttivo che trascina nell’abisso centinaia di vite. E d’improvviso, Derek capisce perché i demoni sono tanto spaventosi. Anche i più innocenti, nella loro trattenuta pacatezza, conoscono il massacro meglio di chiunque altro.
Si volta lentamente, posa gli occhi su Stiles… e lo vede, eretto e bellissimo, totalmente trasformato, con gli occhi dorati e la cornea nera. Le punte affilate che gli definiscono le carni e i tratti zigomatici svettano sanguigne oltre il muro della pelle squamata, le quattro corna lucenti brillano di nero alabastro e le zanne candide di madreperla guizzano di bagliori riflessi dovuti alla battaglia che ancora infuria tutto intorno. Derek non crede di aver mai visto qualcosa di tanto bello e terribile, come un dio vendicatore sceso dal cielo e dal cielo stesso osannato. Più lo guarda, più si sente insicuro, prostrato e stranito dalla sensazione che sì, quella creatura è legata a lui e a lui soltanto guarda con glorioso affetto incontaminato. Tra tutti, lo ha scelto e Derek ancora se ne domanda il motivo.
-State attenti.- sibila Valefar, il cui sguardo di bestia appare lontanamente ovattato, come se faticasse a tenere a bada i suoi stessi istinti primordiali. Derek legge nel suo sguardo ferino il dolore per l’assenza di Lydia, la paura di perderla, la bruciante decisione di difendere il suo futuro ad ogni costo. –Non…-
Ma improvvisamente altri demoni compaiono dal nulla, vomitati dalla terra e dalle tenebre, dal buio e dalle fiamme. Ammassi di corpi male assemblati, volti ferini di bestie inferocite, lame guizzanti di luce insanguinata. Li circondano a centinaia, separando il branco dal resto dell’esercito.
-Cazzo.- impreca Isaac.
-Non dire parolacce!- lo riprende Scott.
-VI SEMBRA IL MOMENTO?!- esplode Peter.
Il cerchio intorno a loro si stringe, poco a poco li soffoca.
-Stiles.- ringhia Valefar, e allora Derek si volta e guarda il suo demone, i cui arti tremano di adrenalina e fibrillazione. Vuole attaccare, vuole reagire, ma sta aspettando qualcosa.
-Serrate il cerchio.- sibila con voce sdoppiata, e allora il branco ubbidisce. Derek affianca Stiles, Isaac e Scott si accostano l’uno all’altro. E improvvisamente, ognuno di loro sa cosa fare perché appartengono a un gruppo, un unico intero di guerrieri che insieme, formano una vera e propria potenza della natura. Guardiani della luce e del destino, figli del domani e della libertà. Il loro non è un semplice branco: è una famiglia.
-ADESSO!!!- ruggisce Stiles prima di richiamare a sé un gigantesco grumo di tenebre. Il buio li avvolge, li abbraccia, nascondendoli alla vista e annegando le loro tracce. Derek lo sente strisciare sulla pelle, ma quell’oscurità non fa paura perché profuma di Stiles, di familiarità.
Scott ringhia, e quello è il segnale d’allarme, l’innesco che fa scattare tutti loro, simultaneamente, come un sol uomo. Ognuno conosce le mosse dell’altro, ognuno le anticipa e le appoggia e, quando Derek emerge ruggendo dalla cappa di buio, possente come una valanga in caduta libera, già sente che ad appoggiarlo ci sarà la coda di Valefar, che saetta al suo fianco, blocca i polsi del demone più vicino e gli permette di staccargli la testa con un colpo d’artigli. Peter si accovaccia dinanzi a Chris e sua figlia per intercettare con gli artigli l’assalto di ben due code, che subito gli feriscono gli avambracci. È un istante, ma tanto basta per concedere ai due Argent di fare fuoco una, due, tre volte. Ogni colpo va a segno, ogni freccia o proiettile abbatte senza pietà l’obbiettivo.
Isaac sbuca dal nulla, si volta, afferra Scott per i fianchi. Gonfiando i muscoli, lo scaglia nella mischia e il giovane Alpha fa a pezzi due, tre, quattro nemici mentre Isaac lo raggiunge ruggendo, fiero leone al cospetto dell’oscurità più nera.
Uniti. Insieme, lottano per la sopravvivenza e improvvisamente, l’oscurità sul mondo non pare più tanto fitta. Stanno vincendo. I demoni sembrano diminuire e loro… loro sono insieme, uniti, vivi. La luce tornerà, e saranno loro a vederla sorgere. Guarderanno il sole insieme, si stringeranno in un abbraccio sincero di famiglia sbocciata e finalmente, ogni cosa tornerà al suo posto, così come è giusto che sia. Stiles si volta verso Derek e lo vede lottare con zanne e artigli, glorioso nella sua furia omicida, lupo a tutti gli effetti coi suoi muscoli gonfi, i gesti ferini, gli occhi accesi di rabbia animale. È magnifico, ed emerge dalle tenebre come il figlio più bello di qualsiasi ombra.
Saranno insieme, alla fine di tutto. Forse, non è troppo tardi per costruirsi una vita, per rinunciare all’alba, per guardare al domani. Forse.
Illusione.
Si sa, i miracoli sono restii ad avvenire. A volte si prega, spesso di spera, ma non sempre si ottiene ciò che con tutto l’animo si implora. Ci sono momenti in cui il mondo crolla a pezzi, il sole si oscura e ogni cosa si dimostra misera e debole, come un castello di carte spazzato via dal vento. È così facile morire. È così facile perdere ogni cosa.
Semplicemente, la battaglia si interrompe. Gli ultimi corpi si schiantano al suolo, i focolai di fiamme e oscurità si estinguono e i demoni si immobilizzano come statue. L’oscurità cala nuovamente sul mondo come cappa di velluto, accecando i vedenti e disperdendo ogni barlume di speranza. In tutto il pianeta, la gente crolla in ginocchio e i bambini piangono. Donne stringono al petto i propri figli nel gesto istintivo di proteggerli e uomini si coprono il volto, prostrati e troppo deboli al cospetto di ciò che sta accadendo. Possono sentirlo, quel male freddo e incontaminato che avvolge in spire sempre più soffocanti il mondo intero. Voci sussurranti invadono le menti, peccati nascosti e mai confessati gridano le proprie colpe al colpevole che mai tentò di espiare. Voci che si trasformano in urla, urla che si tramutano in pianti e gemiti.
Ricordi le tue origini, o uomo? Ricordi chi sei, come sei nato?
I primi suicidi, avvengono all’improvviso. In tutto il mondo, la gente urla e si getta dal balcone, mentre altri ancora sbattono la testa contro il muro fino a sfondarsi il cranio. Tentano invano di fuggire, di zittire quel male che rinfaccia loro gli errori più neri che abbiano mai compiuto. Qualcuno grida perdono, ma è troppo tardi. C’è posto per tutti, all’Inferno.
È stata l’oscurità a generarti.
Derek riconosce quelle urla nella sua testa. Le ha già subite mentre era all’Inferno, ha già imparato ad affrontarle. È forse per questo che di tutto il branco, solo lui, Scott e Peter restano in piedi, tremanti ma stoicamente eretti. Serrano le palpebre, ignorano disperati ogni placido appiglio alla follia. C’è speranza, la luce esiste. Devono crederci, devono ricordarla.
Stiles. Pensa a Stiles.
Derek si volta allora verso la sua ancora più ferma, ma ciò che vede lo spiazza e lo uccide, barbaro e inaspettato come massacro di un bambino appena nato a opera della sua stessa madre impazzita.
Stiles è in ginocchio, col capo tra le mani. Gli cola sangue dagli occhi e dalle orecchie, dalla bocca e dal naso, come se il cervello gli stesse esplodendo ferocemente. Scrolla la testa, ringhia bestiale e improvvisamente le ali cominciano a vibrare di terrore malcelato perché ciò che sta arrivando va ben oltre le possibilità di quel piccolo, misero demone. Lui non può nulla, non è nulla al cospetto di suo Padre, quella creatura che lo ha ucciso e resuscitato non per pietà, ma per puro gaudio di sofferenza.
Stiles sta per cedere, lo sente… ma qualcosa cambia. Improvvisamente, gli giunge all’orecchio un sospiro, la voce di un angelo che lo richiama alla vita e alla ragione. Solleva gli occhi iniettati di sangue e incrocia quelli troppo vicini di Derek, così blu da fargli male al cuore. Lo guarda con convinzione, trasmettendogli tutta la forza di cui necessita, tutta la forza che Stiles chiede. E improvvisamente, il demone si sente pronto perché il suo tesoro più prezioso è lì, la sua famiglia è lì, e quello è il SUO mondo.
Con uno schiocco secco, spalanca le ali. Nell’immobilità della battaglia sedata, le sbatte con forza, provocando un uragano di vento che spazza via le ceneri dei caduti e le fiamme rimaste di piccoli incendi in sboccio. Aria pulita, profumata di vita e di rivincita, di vendetta e libertà. Con decisione, Stiles Stilinski vola incontro al suo destino, che in quello stesso istante emerge dalla più cupa condensa di oscurità ferma a mezz’aria. E quando il Diavolo si palesa agli occhi dei presenti, armato sorprendentemente di umano aspetto e sei ali gigantesche, nerissime, talmente ampie da sfumare in oscurità aliena e perpetua, la stessa che dall’Alba dei Tempi ha abbracciato l’universo, Derek non può credere ai propri occhi.
Lui quell’uomo l’ha già visto. Non di persona, certo, ma… nei ricordi di Stiles. È lui l’uomo che lo ha massacrato per trascinarlo all’Inferno, è lui l’uomo che ha dato inizio ad ogni cosa. Stiles non fu prelevato dalla vita da un semplice demone, no: a occuparsi di lui, fu il Diavolo in persona, coi suoi splendidi occhi azzurri, i capelli neri e ricci, la pelle pallida e lunare. L’uomo più bello e vuoto che Derek abbia mai visto. Per quanto splendidi, i suoi occhi non riflettono il minimo bagliore di luce. Non una scintilla attraversa quello sguardo, non un barlume di vita permea quel volto austero e nobile più di quello di qualsiasi re antico.
Quello è l’aspetto del male, ed ha una faccia così semplice, così bella e innocente, da bruciare gli occhi e il cuore. Può qualcosa di tanto bello ferire fino a quel punto? Può un volto tanto nobile racchiudere invero tanta putrida malvagità?
-Stiles.- sorride Lucifero con dolcezza spiazzante, come di giovane innamorato che rivolge il suo primo sospiro al compagno di letto. Guarda Stiles in volto, l’espressione morbida, le mani tese verso di lui come a volerlo abbracciare. Tutto intorno a loro, l’universo tace. Ognuno fissa la scena, ognuno attende un responso giudizioso di ciò che accadrà.
-Lucifero.- sbotta Stiles in risposta, esternando più coraggio di quanto in realtà permei le sue membra.
-Figlio mio, perché fai questo?- mormora Lucifero, e la sua voce è talmente pietosa, talmente dispiaciuta che per un attimo, Derek avverte il bisogno di chiedergli perdono. Non sa perché, ma più guarda quell’uomo, più stranamente si convince che proprio lui non possa essere uno dei malvagi. –Perché mi percuoti? Quelli che vedi sono fratelli tuoi.-
-Lo sono anche quelli che hai fatto uccidere finora. Lo erano anche Dumah e Alastor. Di loro ti è mai importato qualcosa?-
Lucifero scrolla il capo, dispiaciuto. –Non ho mai voluto ucciderli. Sai bene che a porre fine alla vita di Alastor fu Michael, non io. E Dumah… non sono riuscito a impedirlo, figlio mio. A volte, certi inconvenienti capitano.-
-Non sono inconvenienti. Dumah era mia amica, e Alastor… l’hai abbandonato lì come un cane! Non pretendere di conoscere l’amore, perché non è dall’amore che scaturisce l’oscurità!-
Lucifero sorride amabilmente. –No? È stato Dio a crearmi, figlio mio, ed egli è amore. Io conosco l’amore, così come lo conosci tu. Non è stato forse amore il mio gesto di liberarti? Non è stato l’amore a farti uscire dall’Inferno? Io ti ho liberato, e tu adesso ti approfitti della mia benevolenza. Chi è in torto reale?-
Stiles lo guarda, specchiandosi negli occhi cristallini di Satana. Ha dell’assurdo che iridi tanto chiare racchiudano in realtà un male tanto oscuro, così come ha dell’assurdo che quell’uomo sia lo stesso che ha strappato a Claudia Stilinski il patto di un’anima, una vita distrutta, un piccolo punto luce che Satana in persona non è riuscito a soffocare. Stiles era morto, ma non ha mai smesso di splendere. Stiles era morto, ma ha continuato a respirare, a pregare, anche quando gli schiacciavano i polmoni e chiudevano la bocca. È quella la sua vittoria, e la battaglia che si svolge intorno a lui adesso ne è la prova materiale.
Vincere i propri demoni è semplice solo se si crede davvero nella possibilità di riuscirci. Satana è potente, ma su una cosa l’incappucciata nera aveva ragione: gli immortali conoscono i sentimenti solo di nome, ma non vantano la capacità di provarli sulla pelle. Non assaporeranno la gioia e il dolore, l’affetto e la felicità, l’amicizia e la speranza. Sono quelle le benedizioni che rendono l’uomo pronto a rialzarsi ogni volta, senza mai stancarsi. Quella è la gente di Stiles, gli stessi uomini che giorno dopo giorno hanno il coraggio di continuare, di sfidare i capricci della vita e proseguire a testa alta. Lucifero non può vincere perché, come disse una volta la madre di Stiles, la luce sarà più forte ove anche l’oscurità oserà infittirsi.
-Io non sono tuo figlio.- sorride improvvisamente Stiles, sbocciando in un sorriso gentile che sul volto di bestia devastata stona come candida rosa nata in un campo di sterminio. –Non lo sarò mai. E sai perché? Perché mio padre si chiama John Stilinski, ed è un umano… come lo ero io. Come lo sono io. Siamo tutti umani, qui; anche i demoni che hanno avuto il coraggio di voltarti le spalle. L’umanità dopotutto, si specchia in questo: non nella luce, non nelle tenebre, ma nella speranza. Avere coraggio, guardare al domani, tendere la mano a chi come ho fatto io grida aiuto fino a spezzarsi le corde vocali… la vita che proteggo è questa. Tu non credi nella luce perché non riesci a vederla, Lucifero. I tuoi occhi sono ciechi, ghiacciati dal gelo dell’Inferno e ustionati dalle fiamme che lo abbracciano. Pensi di conoscere l’amore? Non sai nemmeno cosa significhi amare qualcuno, e questo perché l’amore vero, io l’ho imparato da creature mortali! Ho visto Valefar spezzarsi le ossa per difendere Lydia! Ho visto Scott sacrificare ogni cosa in nome di ciò in cui crede! Il mio branco mi ha inseguito quando avrebbe invece dovuto abbandonarmi, mi ha trovato quando chiunque avrebbe smesso di cercare. L’umanità è questa, e non l’ho trovata né in Dio, né in quelli come te che pensano di poter professare sentimenti che non conoscono!-
Stiles snuda i denti, gli occhi luminosi come punti luce. La sua rabbia esplode, devastante più di qualsiasi supernova, gloriosa più di qualsiasi spada d’angelo vendicatore. L’aria vibra intorno al suo corpo, percossa da un potere talmente ampio che faticosamente si raggruma come armatura silenziosa e indistruttibile lungo gli arti adesso brillanti di fiamme reali, vive, che corrono bollenti sulle carni. Guizzano sulla pelle, danzano intorno al loro proprietario e lo tingono di oro e rubini ultraterreni.
Una bellezza tanto devastante, Derek non l’ha mai vista. Dal basso, riesce a distinguere il brillio ferino degli occhi di Stiles, i muscoli in rilievo contro la pelle baciata di guizzanti fiamme letali. Nessun angelo apparirebbe mai tanto nobile, nessuna creatura saprebbe eguagliare una grandezza così devastante. È come guardare il sole e la luna, le stelle e l’aurora boreale. Guardandolo, i presenti ancora immobili pensano che lì, davanti ai loro occhi, c’è qualcuno che potrebbero seguire. Lì, davanti ai loro occhi… c’è qualcuno per il quale potrebbero morire.
Stiles sbatte le ali e l’oscurità del mondo intero trema intimidita, vittima di un potere senza eguali, che continua a crescere e a sbocciare.
-Figlio mio, non farmelo fare.- sussurra Lucifero, i cui occhi tuttavia scacciano all’improvviso qualsiasi barlume di pietà. Fissa Stiles con una sorta di pericoloso istinto predatorio, una minaccia che ricopre la pelle di Derek di brividi. È quella la bestia che teme l’Inferno, è quello il mostro che miete anime e le tortura dall’Alba dei Tempi. È quello l’angelo caduto che ha sfidato Dio. Per quanto Stiles sia potente, chi ha davanti è comunque il Diavolo e Derek trema al pensiero che forse, quello è uno scontro senza via d’uscita. Vuole aiutarlo, vuole combattere al suo fianco… vuole morire per lui e dedicargli ogni suo respiro fino alla fine, ma Stiles non glielo permetterebbe.
-Questo è il nostro mondo!- ruggisce Stiles. –Questa è la nostra libertà! TORNA NELL’ABISSO!!!-
Stiles ruggisce e subito un altro ringhio si unisce al suo, seguito dal boato dell’esercito amico. I demoni si risvegliano, levano al cielo le proprie voci. Gridano libertà, vita, luce. Il bene si risveglia nell’istante in cui Stiles gonfia i muscoli e si scaglia contro Lucifero, luce contro ombra, padre contro figlio, prigionia contro liberta. L’universo intero trema percosso quando i corpi di Stiles e Lucifero si schiantano l’uno contro l’altro in uno scontro micidiale che genera un boato e un rilascio di energia talmente devastanti da sradicare alberi e zolle di terra. Alcuni demoni vengono spazzati via, i più vicini finiscono disintegrati. Un’esplosione di luce scaturisce da Stiles, che come sfera infuocata affronta i suoi demoni più oscuri. Non si piega, perché avverte al suo fianco il sostegno del branco, della sua famiglia… di Derek.
Stiles e Lucifero cominciano a lottare a una velocità mai vista né eguagliata. In un solo millesimo di secondo, si scambiano più di mille colpi fatti di lame e artigli, zanne e punte affilate. Entrambi esperti, entrambi devastanti in ogni più piccolo movimento. Appaiono e scompaiono, si feriscono e si spostano nuovamente.
La lotta tra i due eserciti riprende, più feroce di prima. Derek scaglia un demone contro un palazzo col solo ausilio di un braccio, e quello sfonda il muro nello schianto. Con un balzo Scott lo raggiunge e a suon di calci e artigli distrugge le fondamenta della costruzione. Il palazzo crolla, seppellendo vivo il demone ancora ruggente di dolore e rabbia, di sofferenza e incredulità, ma il branco non si concede il tempo di esultare perché improvvisamente un demone sbuca dal nulla e atterra Derek, balzandogli addosso. È pesante, troppo, e gli schiaccia la gabbia toracica impedendogli di respirare, un ammasso di muscoli e corna, di pelle e punte acuminate. Derek non riesce a vederlo in volto, ma non può arrendersi alla morte perché Stiles è lì e sta sacrificando ogni energia per loro… per lui. Per il loro passato e il loro futuro. L’alba del nuovo giorno è qualcosa che Derek vuole vedere, e lo farà stringendo e baciando quella creatura tanto arrogante da sfidare Satana, tanto stupida da accettare uno come lui. Derek lo ha promesso a se stesso e a Stiles: non può morire.
È un istante, un barlume di rabbiosa consapevolezza. Derek avverte il gracchiare di un corvo sulla sua testa e prima ancora che Diablo cali dall’alto con uno stridio acuto, innaturale, Derek sa cosa sta per accadere. È per questo che sbarra gli occhi e con le ultime forze rimaste afferra una zampa leonina dell’avversario, strattonando per fargli perdere l’equilibrio. Il demone ringhia e barcolla, ma tanto basta: Diablo lo travolge come un proiettile, mare cristallino di piume oscure e artigli d’argento. Lo coglie al capo e al volto, sbalzandolo lontano, possente di una forza che nessun corvo potrebbe mai vantare.
Poi, semplicemente, Diablo muta. Muta come fece Duivel, muta come fa Stiles nel suo breve passaggio da fragile ragazzo a demone mostruosamente devastante. È qualcosa di talmente svelto, talmente fugace che Derek ha modo di accorgersene solo perché non ha sbattuto le palpebre nemmeno una volta: velocemente, il corpo di Diablo cresce, muta, si rimodella. Le ali prendono fuoco, ma si tratta di un solo istante, come uno scoppio che alle spalle si lascia poi la devastazione più totale. Le piume delle ali infatti, non ci sono più. Al loro posto rimangono delle vele ampie, strappate, fatte come di cuoio e irte di riflessi rossi e oro che come fiamme redivive attraversano fugaci le membrane. No, non sono semplici riflessi. Quelle sono fiamme vere, e Derek riesce a sentirne chiaramente il calore. Oltretutto, esse si accodano alle loro sorelle, così diverse ma ugualmente devastanti. Non più due, ma sei. Un paio ha la membrana coperta di spuntoni ghiacciati, un altro di sottili scosse elettriche che bluastre attraversano l’azzurro opaco delle vele come riflessi inafferrabili. La furia degli elementi è racchiusa lì, in quelle stesse ali gigantesche.
Le piume rimaste sul corpo si irrigidiscono, all’apparenza innocue, ma Derek nota su di esse un pesante riflesso d’acciaio, come se improvvisamente, quel morbido manto si fosse convertito nel più feroce dei boschi irti d’aculei. Lungo la spina dorsale emergono degli spuntoni d’osso che, risalendo verso l’alto, si convertono in un cranio da uccello le cui orbite vuote affondano nel mare di piume e aculei che ricopre la pelle. Dalla sommità del cranio emergono quattro enormi corna, ai lati del becco vi sono spuntoni più lunghi che seguono la linea delle zanne nascoste nella bocca spalancata in uno stridio animalesco. E poi, vi sono le zampe. Quattro. Il paio posteriore di uccello, quello anteriore da rettile, la cui pelle coperta di piume nerissime emerge soltanto verso la sommità delle dita, dove artigli ricurvi incidono a fondo il suolo.
Derek fissa stupefatto la bestia alta sei metri spalancare le ali e travolgere numerosi demoni. Solleva una zampa e ne schiaccia tre, poi fa scattare il cranio, veloce come una serpe, e mutila altri nemici. Alle sue spalle compare Duivel, che come una candida cometa si schianta al suolo e si trasforma, sollevano un polverone che per brevi istanti acceca i presenti.
Appena Derek torna a distinguere il mondo tutto intorno, si accorge che i due famigli hanno generato una cerchia di cadaveri in pochi, semplici istanti, silenziosi e letali come serpi in caccia. Quasi non vuole crederci, ma è un vantaggio, e Derek ha intenzione di sfruttarlo.
Dall’alto dei cieli, giunge improvvisa una nuova esplosione. Qualcuno ruggisce di dolore, un suono talmente lacerante da spaccare i timpani e l’animo. Il cielo vibra di potere e Stiles sbatte le ali freneticamente nel vano tentativo di allontanarsi da Satana e riprendere fiato. Vederlo, per Derek è un colpo al cuore. Il suo mondo si ferma lì, su quel volto coperto di tagli e ferite, sull’ala spezzata che pende inerte in una strana angolatura, a stento sostenuta dalle tre sorelle rimaste. Stiles si tiene un braccio grondante di sangue e ha le carni devastate, come se un branco di cani lo avesse smembrato un pezzo dopo l’altro.
Tossisce, sputa un grumo di sangue. Intorno a loro, l’esercito di Lucifero comincia a riacquistare fiducia. Combattono con più ferocia, respingendo attacchi e mandandone a segno anche troppi.
Derek guarda Diablo, il cui capo dalle orbite vuote adesso è rivolto verso Stiles.
-DIABLO, VAI!!!- ruggisce Derek, e Diablo non se lo fa ripetere due volte: mentre Stiles spalanca le braccia richiamando a sé grumi sempre più immensi e compatti di oscurità, Diablo si scaglia contro Lucifero. Chiude le ali a suo indirizzo, contraendo i muscoli per scrollare violentemente le vele… che semplicemente esplodono in tutta la loro potenza.
Stiles punta entrambe le mani verso Lucifero e un autentico tsunami di oscurità emerge dalle crepe nel terreno. Tutto il buio dell’universo si scatena lì, vivo e palpabile come pece soffocante. Derek vede la barriera oscura impennarsi contro il cielo, alle spalle di Stiles e di Diablo per poi scagliarsi contro Lucifero. Passa attraverso Stiles e il suo famiglio senza toccarli e si rovescia su Satana nello stesso istante in cui le ali di Diablo esplodono in tutta la loro devastante potenza: una folata di vento stacca come reali brandelli di carne migliaia di spuntoni ghiacciati dalle membrane più alte, aggiungendovi poi fiamme e saette dalle ali gemelle più in basso. La furia degli elementi si sprigiona in un solo battito alare, esplodendo il blu dei fulmini e il rosso del fuoco, misto al pallido azzurro del ghiaccio più bruciante.
L’universo vibra e ancora una volta, i presenti sono spazzati via. Derek sente lo spostamento d’aria sbalzarlo lontano, stordirlo, spaccargli i timpani. C’è fumo ovunque, sangue, dolore. Pensa di essersi spezzato un braccio, e forse ha ragione. Ci metterà un attimo a guarire, ma lui un attimo non ce l’ha.
Un demone compare dal nulla e cerca di saltargli addosso, ma Valefar lo travolge con un ruggito. I due iniziano a lottare in maniera serrata, ferale, al punto che Derek non distingue più i loro arti. Appaiono e scompaiono, le code guizzano, le fiamme volano dappertutto.
Lucifero emerge dal fumo dell’esplosione per scagliarsi nuovamente contro Stiles, Poi, tutto cambia. Dal manto di tenebre emerge qualcosa, un punto luce che prima non c’era. Si dilata poco a poco, sempre più ampio, nube miracolosa di miracolo avvenuto. Un sottile raggio di sole buca il velo di tenebre, piovendo glorioso sul manto di sangue e fiamme che macchia il terreno, baciando di beatitudine il peccato di una guerra troppo sanguinaria che vedrà tra le sue schiere di vittime anime gentili la cui giustizia saprà condurle alla tomba.
Incredibile come quel sottile raggio di sole appaia forte, come una luna immensa che splende nell’oscurità più nera, brillando di argenteo manto scolpito sul mondo e sul buio che lo abbraccia. Per un attimo, tutti si fermano e rivolgono gli occhi verso quel cambiamento, sottile e bellissimo come fiore sbocciato tra la lava di un vulcano attivo. I demoni nemici si ritraggono accecati, ma incredibilmente… quelli amici appaiono appena infastiditi dalla luce. La fissano stupiti, sconvolti dalla cecità che non li aggredisce come dovrebbe. È una novità, un cambiamento bellissimo e inaspettato. E a fare tutto questo, è stato Stiles.
-Che cavolo…- ansima Stiles, spostando lo sguardo verso la luce. Sorprendentemente, Satana lancia un ruggito bestiale, ferino, che nulla ha a che fare col suo umano aspetto, e retrocede sofferente, le ali nervose e le vene a fior di pelle. Si copre il volto, mugola pietosamente, e allora Stiles ne approfitta per far guizzare la coda. La arpiona intorno ai suoi polsi, costringendolo a scoprire il volto, e lo strattona verso il raggio di luce.
Satana ruggisce più forte, si dimena, ma pare indebolito. È un istante, un barlume di speranza… che muore nello stesso istante in cui il raggio esplode in una miriade di scintille, sfaccettandosi in qualcosa di diverso, creature talmente gloriose da far crollare il mondo intero in ginocchio. Prima la gente si suicidava, adesso crolla e scoppia in lacrime. Molti si coprono il volto, molti intravedono da lontano l’ampiezza di quelle sfavillanti ali piumate, enormi, evanescenti, come guizzi di luce che si sfilaccia in filamenti lungo le punte. Derek non ha mai visto ali così belle. Se quelle dei demoni appaiono possenti e aggressive come un vulcano, quelle degli angeli sembrano invece delicate e bellissime, lontane come un sogno e intoccabili come splendido raggio di luna.
E gli angeli. Creature belle come il sole, dalla pelle chiara e gli occhi splendenti di gloriosa luce repressa. Indossano vesti di seta, drappeggiate, bianchissime, talmente candide da brillare di vergine eleganza. Non indossano armature, ma impugnano spade sottili dalle impugnature d’oro e la lama baciata di luce divina. Armi di quel genere, Derek non le ha mai viste, nemmeno a casa degli Argent. Sono di fattura ultraterrena, modellate dalle mani di Dio in persona, così come Egli stesso modellò docilmente i corpi dei suoi figli prediletti, le cui ali adesso illuminano le tenebre di candidi bagliori, lucciole gloriose al cospetto dell’oscurità più fitta.
Mentre gli angeli piovono dall’alto come scintillanti stelle cadenti, Derek capisce che non è una buona notizia. Lo capisce appena vede i primi demoni polverizzarsi al primo tocco delle lame baciate di santità, lo capisce appena vede Michael, le cui sei ali da arcangelo splendono più di qualsiasi sole, intrise di pallidi riflessi dorati. È quella la creatura che scaraventò Lucifero giù dall’Inferno, è quella la creatura che tentò di separare Stiles da Derek. E questo, il giovane Hale non può accettarlo. Non vuole accettarlo. Quanto ha sofferto Stiles per le parole di quella creatura solo all’apparenza pura e gentile? In quanti pezzi si è sfracellata un’anima innocente al cospetto di tanta nuda crudeltà?
Derek può accettare qualsiasi peccato, poiché egli stesso si ritiene il primo dei peccatori, ma questo… questo no. Ferire un vero angelo senza ali, massacrarne la serenità e soffocare in lui ogni barlume di speranza. È questa la giustizia di Dio? È questa la giustizia dei suoi figli?
-DIABLO!!!- ruggisce Stiles prima di scagliarsi contro Lucifero in un altro scontro efferato che fa tremare la terra e i cieli. Una colata di lava piove dallo schianto dei loro corpi, travolgendo demoni e angeli, ma loro non si fermano: scompaiono e riappaiono in un turbinio di zanne e artigli, corna e ruggiti. Derek non distingue la reale forma di Satana, ma è certo che egli sfoderi il suo vero aspetto mentre è in movimento, perché le ferite di Stiles non possono essere dovute a semplici calci e pugni.
Diablo piove verso il basso, atterra schiacciando alcuni demoni e sollevando un polverone di sangue e terra. Poi, guarda Derek con le grandi orbite vuote. Occhi negli occhi, da bestia a bestia. Corvo e lupo si incontrano all’alba della nuova era, parlandosi, studiandosi, intrecciando d’unico mondo di blu e nero, luce e oscurità. Una richiesta, un consiglio, una domanda. Alla fine, riescono a capirsi. Derek non sa perché succede, ma sa cosa vuole Diablo da lui. In qualche modo sono legati, e questo Derek lo sente attraverso la pupilla dei suoi occhi che si allunga, adesso simile a quella di un demone.
Con un balzo, sale a cavalcioni di Diablo. Si accovaccia tra le piume affilate, reggendosi saldamente a una delle ossee punte cervicali mentre il famiglio si raddrizza e stride con forza animale.
Mentre gli angeli massacrano uno dopo l’altro i demoni, Derek lancia il suo avvertimento. Ruggisce forte, attirando l’attenzione di angeli e demoni, di uomini e animali. Mentre Diablo spalanca le ali e si leva in volo, Derek Hale fissa Michael, sfidandolo. E l’arcangelo non si tira indietro.
 
Scott non ha mai combattuto una battaglia di queste dimensioni, ma sente che sta andando male. Malissimo. Per quanto il branco possa sforzarsi, sono sempre un passo indietro rispetto agli eserciti avversari e sempre più stanchi. Il terreno è disseminato di corpi, un incubo che segnerà Scott a vita, fino alla fine dei suoi giorni. C’è troppo sangue, troppo rumore, troppo fumo. Gli gira la testa, è stanco, ma non si ferma mai.
Artigli, zanne, calci, pugni. Scott si sente una macchina di morte, un concentrato di sangue e carne nato solo e soltanto per massacrare. Che ne è stato del semplice ragazzo la cui dolcezza umana affascinava le persone? Che ne è stato del suo essere, dei suoi sorrisi, delle sue mani così pulite e immacolate? Scott sente di averlo perso. Sente di aver perso.
Il filo di una coda lo colpisce al petto, scagliandolo contro il muro di un vicolo distrutto. Scott urta la parete, si accascia privo di forze. Non riesce a rialzarsi. Non ce la fa ad andare avanti, a uccidere con tanta leggerezza. Quello non è lui.
Scott resta immobile mentre il demone si avvicina, un passo dopo l’altro. Puzza di sangue e carne bruciata, e Scott pensa che gli sarebbe piaciuto morire inalando un profumo ben diverso. Se potesse scegliere, vorrebbe spirare nel letto di casa sua, tra le braccia di sua madre e le carezze di Isaac.
Isaac. Cosa penserà quando lo vedrà a terra? Griderà il suo nome? Piangerà per lui, per il suo Alpha? Scott ci pensa, e una piccola lacrima sottile sfugge alla prigionia delle ciglia per rotolare lungo la guancia sudicia di sangue ma nuovamente umana. Chiude gli occhi e pensa ai momenti trascorsi in sua compagnia, al suo sorriso, al tocco gentile della mano di Isaac sulla sua. Gli ha insegnato a disegnare, non si arrabbiava mai quando Scott sbagliava. Ogni volta rimediava ai suoi errori, li cancellava, li dimenticava. Scott non ha mai dato peso a quei piccoli gesti, preziosi come diamanti, e adesso che muore… capisce. Ora sa, e sogna utopicamente di poterlo dire ad Isaac. Vuole ringraziarlo per ogni piccolo gesto compiuto, vuole stringerlo a sé mentre il sole del nuovo giorno sorge e tramonta. Quel sole che Scott non vedrà mai, quell’abbraccio che mai saprà regalare.
Non doveva andare a finire così.
Qualcosa però, cambia. Improvviso, violento come soltanto un fuoriprogramma sa essere. Qualcuno grida il suo nome, qualcuno corre. Scott lo sente, avverte ogni cosa come una cassetta ben registrata. Rumori di lotta, ringhi bestiali, ruggiti… un gemito di dolore. Poi, qualcosa crolla a terra a pochi centimetri dal corpo di Scott e allora il giovane Alpha apre gli occhi.
Il corpo senza vita del demone giace immobile nella terra e nel sangue, la gola squarciata e il viso dilaniato da artigli ferini di bestia inferocita. Lo fissa in silenzio, gli occhi sbarrati colmi di rabbia e accusa, di incredulità e di una morte che troppo improvvisa è calata sul suo capo come scure inarrestabile di boia esecutore.
Scott non può credere di essere vivo. Non può credere di poter respirare ancora, di poter ancora vedere e parlare, di potersi alzare in piedi e avere la possibilità di guardare al domani. Ha pensato di aver perso ogni cosa, finanche se stesso, ma… un angelo. È stato un angelo a salvargli la vita.
Scott solleva lo sguardo mentre sulle loro teste, angeli e demoni continuano a lottare. La luce intermittente bacia d’oro incantato i capelli ricci del ragazzo, quel viso che Scott ha sognato e rivisto un istante prima di chiudere gli occhi. A quegli occhi azzurri, Scott ha affidato il suo tutto e il suo niente, il suo passato e il suo futuro. Ha pregato per quel ragazzo, per ciò che non è riuscito a dirgli e che stupidamente ha scelto di tacere. Quei momenti trascorsi insieme, quelle risate luminose spese per semplice purezza d’incanto. Isaac non fa semplicemente parte della famiglia di Scott, no… lui è una parte di Scott stesso. Parte della sua alba, parte del suo tramonto. Scott guarda il mondo sorgere e addormentarsi nei suoi occhi, talmente azzurri da far male.
Deve dirglielo. Lì, alla fine dei tempi, Scott vuole che Isaac sappia, vuole che lo perdoni per non aver parlato prima, quando tutto andava bene e il loro futuro non traballava.
-Isaac…- mormora, alzandosi nello stesso istante in cui… il suo mondo va in pezzi.
Isaac lo guarda impaurito, gli occhi sbarrati, le labbra appena schiuse, il viso esangue. Poi, con lentezza disarmante, semplicemente si accascia, elegante come un cigno, spezzato come fiore vinto da umana crudeltà. Crolla lì, insieme ai sogni di Scott che si spezzano, frantumati da una guerra che li ha travolti troppo presto.
-No!- urla Scott, afferrando Isaac al volo prima che sbatta la testa contro i detriti sparsi per terra. Lo sorregge, lo scuote dolcemente, ma Isaac non si riprende. I suoi occhi sono lontani, rivolti al cielo, ove Scott innalza un’unica richiesta di pietà, un grido silenzioso che si frantuma in mille lacrime, mille cose non dette, mille momenti vissuti e dissipati dal vento.
Una volta, quando era piccolo, Scott vide una rosa. Sottile, fragile, appena sbocciata. Era bellissima, rossa come il sangue, dagli steli di smeraldo. Stranamente, era sbocciata in pieno inverno, laddove il gelo la mordeva e il vento tentava di sradicarla. Il mondo non fu gentile con lei, come madre snaturata che più volte tenta di assassinare il figlio ritenuto un abominio. Tentava di ferirla in ogni modo, con temporali e turbini di vento, con pioggia scrosciante e freddo bestiale. Nonostante tutto però, la rosa resisteva. Scott non ne conosceva il motivo, ma resisteva. Per lunghi mesi, la vide crescere, distendersi, adattarsi. E alla fine, vinse contro il mondo. Così piccola, così vecchia, così fragile… eppure, al contempo, anche così terribilmente possente. Non si piegò mai ai capricci della Terra. La affrontò, la sfidò e, alla fine di tutto, fu quel piccolo fiore gentile a spuntarla. Morì a modo suo, di sua precisa scelta. E, stranamente, fu proprio quella banalissima pianta ad insegnare a Scott che forse, la vera vittoria della vita sta nello scegliere il proprio destino.
Adesso che Isaac muore, Scott capisce di stringere tra le braccia quella stessa, splendida rosa, che col suo sorriso, la sua gentilezza silenziosa, la sua carità gentile, ha saputo vincere il mondo intero.
Scott abbassa gli occhi sulla ferita insanguinata che attraversa il torace di Isaac. Disperato, tampona la fuoriuscita di sangue, premendo le mani lì dove un cuore troppo fragile e troppo giovane batte sempre più lentamente. Lo guarda morire, e non può fare niente. Lo guarda morire, e tutto ciò che Isaac ricorderà dopo il trapasso, saranno le inutili lacrime di un Alpha che non ha saputo proteggerlo.
-Grazie.- sussurra Isaac, tremante di paura. Non sa cosa c’è dall’altra parte, non sa se ad attenderlo vi è l’Inferno o il Paradiso, ma l’idea di scoprirlo non è poi così male. Teme di abbandonare Scott, teme di lasciarsi alle spalle troppi silenzi, troppi gesti mai compiuti, troppi vuoti impossibili da colmare, ma dopotutto, il momento di andarsene arriva per chiunque. E morire per qualcuno che si ama, è quanto di più giusto abbia mai fatto Isaac in vita sua.
Mentre gli occhi umani di Scott lo fissano, scuri di terrore e lacrime versate, Isaac si sente completo. Non è più una marionetta inutile, non è più una bambola rotta, perché salvare la vita a Scott ha reso la sua vita completa, come ultimo tassello d’un puzzle troppo a lungo rimasto incompleto. Finalmente, va tutto bene.
-Mi abbracci?- sussurra come un bambino, e Scott lo accontenta. Col cuore a pezzi, mentre intorno a loro il mondo crolla e l’alba del nuovo giorno soffoca spezzata, Scott piange e stringe al petto il miracolo più bello che abbia mai baciato la sua esistenza. Lascia che le lacrime sboccino dagli occhi e cadano sui capelli di Isaac, baciandoli di un’ultima benedizione, una promessa di vita che Scott vorrà mantenere.
Quando Allison li raggiungerà scoccando frecce e menando fendenti coi pugnali, Isaac sarà già morto. Allison troverà lui e Scott tra le macerie e il sangue di un vicolo di Beacon Hills, accasciati, stretti in un pallido abbraccio che sa di angelico, di abbandono, di morbida perfezione. Saranno quelle mani intrecciate, quei corpi che si toccano come vita e morte a ricordare al mondo che forse, non tutto è perduto. Al cospetto del pianto disperato di un Alpha devastato, bestia d’aspetto ma umano di sincera umanità, il cielo trema, si piega, ascolta. Perché tra mille grida di dolore e altrettanti ruggiti rabbiosi, a spuntarla sarà sempre e solo l’innocenza di un affetto devastato, un pianto sottile di bambino che solitario, saprà spezzare l’equilibrio dell’universo intero.
Scott non grida, non ne ha bisogno. Semplicemente, china il capo e bacia la fronte di Isaac, restando immobile tra le macerie di una vita che soltanto il suo angelo privo d’ali ha saputo regalargli col sacrificio e le fatiche, coi sorrisi e i piccoli gesti. Quella stessa rosa impavida, ha vinto il mondo per la seconda volta, scegliendo di testa sua come andarsene, come spegnersi.
Ma il mondo non è l’unico ad ascoltare il vibrare cristallino dell’ennesima vita innocente frantumatasi in milioni di pezzi.
Dall’alto della lotta bestiale che sta devastando l’universo, Stiles ascolta perché in questo, lui è sempre stato bravo. Ascolta il pianto di Scott, il suo dolore sordo e raccapricciante, e ancora una volta, Stiles si sente come se gli avessero spezzato un’altra ala. Suo fratello, la sua famiglia. Stiles non ha mai conosciuto Isaac a fondo semplicemente perché entrambi rappresentavano gli estremi della vita di Scott, troppo diversi per accostarsi. Eppure, nonostante questo, non erano poi così diversi. Entrambi vittime sacrificali, entrambi orientati verso un piccolo sole che fisicamente, incarnava il sorriso genuino di un giovane Alpha. Quel sorriso, Stiles non lo vede più. Quel sorriso è occultato da nubi cristalline, pesanti, che soffocano per uccidere.
Stiles sposta lo sguardo verso Derek, che ferocemente lotta con Michael, zanne e artigli contro ali e colpi di spada. La luce dell’arcangelo acceca, brucia le retine, e Derek e Diablo iniziano ad arretrare. Il famiglio trema di stanchezza e dolore, il corpo coperto di ferite, una zampa anteriore spezzata. Più in là, Allison, Peter e Chris Argent si trovano ormai con le spalle al muro, ultima difesa di un esercito in decadenza. I demoni li hanno accerchiati e lentamente avanzano, uno dopo l’altro, i muscoli tesi e gli occhi ferini fissi sulle prede condannate.
È giusto morire così? Come si fa ad andarsene in quel modo? Non è Dio a permetterlo, ma il mondo; lo stesso che guarda sempre dalla parte sbagliata, lo stesso che dinanzi a una tragedia chiude gli occhi e volta il capo dall’altra parte. Stiles ci ha creduto, ci ha sperato. Ha pregato Dio, e Dio non l’ascoltava. Ha implorato il mondo, e quello l’ha ignorato. Quando è morto, era solo. Solo dinanzi al Diavolo, solo dinanzi alla promessa mantenuta di una donna che pregava solo di salvare l’uomo della sua vita. Non si tratta più di tragedia, ma di dimenticanza. L’universo non ricorda più di avere un figlio, e quello giace abbandonato in un angolo, muto e sordo, cieco e immobile, come bambola dagli arti spezzati e i fili tagliati di netto. Il primo figlio fu Stiles, ma adesso… adesso quel figlio si chiama umanità. Dio, il mondo, l’universo. Quando hanno abbandonato il destino dell’uomo con tanta leggerezza? Quando hanno scelto di voltarsi dall’altra parte e coprirsi le orecchie?
Un ruggito di dolore scuote con forza la terra, obbligando Stiles a voltarsi di nuovo. E allora lo vede, il suo mondo che va in pezzi per l’ennesima volta, l’ultimo castigo che mai nessuno dovrebbe meritare. Ci sono dolori che non andrebbero ascoltati, dolori che gridano pietà e implorano pace come anziani in procinto di spegnersi per sempre. Essi nascono da un peso troppo grande da sopportare, macigni devastanti che, gravando schiaccianti su schiene dalle fragili ossa, spezzano gambe e vertebre, braccia e crani.
Stiles non ha paura della morte. È sua amica, è sua madre. L’ha cresciuto, l’ha seguito, l’ha protetto e lasciato andare per puro amor di maternità. Come possente albatro dalle ali indistruttibili, l’ha abbracciato di candido scudo in attesa di vederlo tornare a casa, laddove alla fine, ogni anima troverà riposo. Addormentarsi non è poi così male, e Stiles lo sa bene. Il corpo si alleggerisce, il mondo scompare e tutto ciò che resta è un involucro di rimpianti e soddisfazioni, paura e gioia di passare oltre. Emozioni contrastanti, spettri di qualcosa che era e mai più sarà.
Ma quando è un altro ad andarsene? Quando tutto ciò che resta è pura disperazione da sopravvissuto, che succede? Essere consapevoli di non aver fatto nulla anche quando il nulla era tutto ciò che si poteva fare, vivere all’ombra del ricordo di una morte che frantuma come macabro martello ogni più piccolo appiglio di sorriso.
Dio mio, ti prego…
Valefar sbatte freneticamente le ali nel vano tentativo di non precipitare. Sputa un grumo di sangue, tossisce. All’altezza dello stomaco, un’argentea lama di spada angelica gli buca la pelle squamata. Fuoriesce dall’altra parte, sottile e micidiale, gelida come implacabile abbraccio ghiacciato.
… lui no.
La vita sa essere davvero capricciosa. Gioca a scacchi con la morte, ma spesso, per pura noia, si permette di perdere. È la sua stessa mano di diamante a far cadere i pezzi, una mano che tante anime ha accolto, ma solo per breve periodo. È una madre capricciosa che, proprio a causa del poco tempo che ha da trascorrere con ognuno dei suoi figli, alla fine non si preoccupa più di loro. Li abbandona, volta loro le spalle, ed essi muoiono implorando il suo nome, la sua pietà, il bisogno di respirare un’ultima volta e andare avanti. Quanti orologi rotti, quante lancette spezzate. A molte di esse, non è concesso concludere il giro e scoccare la mezzanotte.
Valefar meritava di concludere quel giro. L’ha sempre meritato, ma per due volte, hanno spezzato il suo orologio dorato, il suo cristallino circolo vitale. L’ennesimo figlio abbandonato, l’ennesima vittima che coprirà di sangue e colpe l’alba della nuova Era.
Valefar abbassa lo sguardo sulla lama che gli trapassa la pancia, poi in un solo istante, reagisce. Per Lydia, per se stesso, per lasciarsi alle spalle un ultimo gesto di sfida verso Dio e Lucifero. Con uno scatto del braccio, Valefar decapita il demone, primo lungotenente al servizio di Lucifero. Lascia che la sua testa scivoli via, lascia che i suoi occhi vitrei lo fissino accusatori per qualche istante.
Poi, Valefar si volta e guarda Stiles. Occhi vivi, occhi azzurri come il cielo. Occhi puri e bellissimi la cui serenità fino alla fine non si vedrà intaccata. Ha lottato per Lydia, l’ha protetta fino alla fine. Forse, non è poi così mostruoso. È rinato demone, ma morirà da angelo.
Stiles lo fissa terrorizzato, specchiandosi in quegli occhi che troppe volte l’hanno guardato ma che mai hanno voluto giudicarlo. Occhi che hanno visto ben oltre la carne e le grida, il sangue e le preghiere. Occhi che hanno guardato al cuore di un animo luminoso, splendente come candido cigno che emerge dall’oscurità più nera. Quegli occhi, hanno saputo perdonare. Giù all’Inferno, quegli stessi occhi hanno ricordato a Stiles che forse, il Paradiso lo si può trovare anche in un semplice sguardo.
Valefar annuisce fieramente, sulle labbra il barlume di un sorriso soddisfatto. È fiero di Stiles, fiero di ciò che è diventato. Quel ragazzino è la sua scelta, e Valefar non può essere più felice di aver preso la giusta decisione. Si prenderà cura di Lydia, lotterà fino alla fine per difendere lei e il mondo che le appartiene. Entrambi tuttavia, sono destinati a incontrarsi alla fine di tutto, perché forse, anche nell’oblio totale esiste un barlume di coscienza, un mare di entità ancora capaci di sbocciare e rinascere.
Valefar sorride perché pensa che se solo questo accadesse, anche nella rinascita sceglierebbe Lydia. Anche nella rinascita sceglierebbe quel branco di creature male assortite. Anche nella rinascita, sceglierebbe di morire accanto a Stiles.
Da lontano, oltre gli oceani e le città, oltre i boschi e il mondo avvolto dall’ora più buia che mai creatura vivente abbia avuto modo di conoscere, qualcuno urla. Una voce talmente potente da spaccare l’universo, talmente disperata da piegare al suo cospetto qualsiasi immane tragedia, talmente lurida di dolore da incarnare in se stessa tutte le lacrime del cielo e della terra, dell’uomo e degli animali. Quella è una voce che piange, quello è un grido che sa di pioggia e futuro perduto. Un urlo di condanna, un mantra di anima frantumata e di creatura moribonda. L’ultimo canto del cigno che spira, vittima della sofferenza e del nero catrame della follia universale. È solo quando riconosce quella voce che con un brivido, Stiles si accorge che Lydia ha sentito Valefar morire.
-VALEFAAAAAAAAAAAAAAAAAAR!!!-
 
“Non abbiate mai paura dell’ombra:
Essa è lì a significare che vicino, da qualche parte,
C’è luce che la illumina.”
 
La morte è per l’uomo un pensiero ricorrente, perpetuo, come ticchettio di pioggia scrosciante sulla pelle. Durante un temporale, quel tocco gelido non si arresta mai, e continua insistente, fastidioso, devastante. Per alcuni, questo è un buon modo per impazzire, ma per altri… per altri si tratta semplicemente di accettare qualcosa, un domani che sa di nulla e punti interrogativi. L’arazzo della Vita sa essere spaventoso, terribile, irto di capricci e sangue, ma quello di madre Morte… quello è un’incognita. E le incognite, spaventano l’uomo molto più di qualsiasi guerra. Che aspetto ha quell’arazzo? Esiste? La Morte si impegna davvero nel tesserlo, un filo dopo l’altro, come ragno devoto che intreccia morbidi fili di tela argentata?
Stiles Stilinski pensa che il suo di arazzo, è appena andato in pezzi. Lo sente sfilacciarsi, cadere, andare a fuoco. Il domani non esiste più, il sole affoga nel più cupo degli abbracci oscuri. È una condanna, una punizione per tutte le vite che al suo comando, hanno perduto la vita. Molti sono morti implorando il suo nome, il suo aiuto, la sua pietà. E lui, come Dio ha fatto in precedenza, non li ha ascoltati. Sordo, muto, zoppo. Non ha avuto la forza per guardarsi indietro troppo a lungo e adesso che lo fa… quei sorrisi, quelle vite, quegli sguardi fiduciosi che macabri condannati a morte rivolgevano a suo indirizzo, non ci sono più.
Quanti occhi di cristallo non potranno più guardare?
Quante labbra di rubino non potranno più sorridere?
Quante vite troppo fragili si sono spaccate, fiori troppo sottili tra le mani di una vita che non ha saputo abbracciarli senza stringere?
La gente muore tutti i giorni, ma Stiles sente che queste morti sono colpa sua. Lui è solo un ragazzo, una creatura troppo piccola che nella sua miserabilità ha preteso di vincere l’universo. Non è così che funziona, perché i deboli muoiono e solo i forti vanno avanti. Per quelli come lui, non vi è posto.
Stiles carpisce allora la propria essenza di cristallo. Piccola, insignificante, pronta a spaccarsi in nome di una causa mai esistita. Ha preteso troppo, ha donato al mondo una fiducia che mai avrebbe meritato. L’Inferno, il Paradiso, la vita e la morte sono solo stadi di un’esistenza alla quale è impossibile ribellarsi. E lui non è nessuno per rifiutare il domani che lo attende, perché l’Inferno è tutto ciò che merita.
Pensa a sua madre, le cui lacrime in punto di morte riflessero allora il destino segnato di un figlio condannato a morte.
Pensa a Isaac e Valefar, morbide vittime sacrificali cadute sui gradini di un palazzo sanguigno che di giustizia arreca solo la parola.
Pensa al pianto di Scott, all’urlo di Lydia, al silenzio di Peter. Non vedranno più alcun domani. I loro occhi saranno ciechi, offuscati in eterno, protetti dalla luce che vanamente tenterà di baciarli per sottrarli all’abbraccio dell’abisso. Occhi che troppo lontano hanno scelto di guardare, iridi di vetro spaccato che nella loro misera scala d’azzardo, osavano rivolgersi a un domani che non saprà mai accoglierli.
Pensa a Derek. Il suo Derek. Quanto tempo perso, quanti anni buttati alle spalle con la malsana convinzione che di tempo da vivere, entrambi ne avrebbero vantato anche troppo. Presunzione maledetta di maledetti respiri sprecati, ansiti di creature che prima di toccarsi, hanno scelto caparbiamente di voltarsi troppo a lungo dalla parte sbagliata. Stiles si sente anziano, vecchio come farfalla morente al cospetto di un Dio vendicativo. Avrebbe voluto dirgli ancora tante cose, avrebbe voluto vivere ancora solo per lui, solo con lui. Avrebbe voluto il futuro che dalla nascita ha pensato erroneamente di poter rivendicare, quando in realtà tutto ciò che avrebbe accolto il suo domani sarebbero stati sangue e fumo, urla e fallimenti.
Stiles non ce la fa più: ha fallito su tutta la linea. Il suo branco, la sua famiglia… li ha guardati morire e non ha fatto niente. Doveva essere lui l’unica vittima, l’unico sacrificio, l’unico condannato a morte che fieramente, avrebbe scalato i gradini del patibolo per affrontare a testa alta la mefitica lama di ghigliottina. Lui in nome di tutti gli altri. Lui, perché sua è la colpa di tutto questo. Lui, perché è l’unico a meritarlo.
-Basta.-
Una parola, una preghiera. Sussurrata a bassa voce, ma abbastanza potente da zittire l’intera battaglia. Laddove un grido non arriva, il mormorio fragile d’un colpevole al cospetto del suo giudice spezza ogni suono, ogni respiro, ogni istante vivo e ormai trascorso. Il mondo ascolta ancora una volta, ma è troppo tardi perché ascoltare adesso, alla fine di tutto, non ha più senso. Avrebbe dovuto rispondere alle preghiere di chi adesso non può più pregare. Avrebbe dovuto rispondere alle implorazioni di chi adesso non può più implorare. Alcuni dicono che il mondo protegga la vita, che la alimenti, che la illumini come pallida candela che riflette la sua luce su sottilissime ali iridescenti di libellula. Stiles non ci crede più. Non ci crede adesso che Scott piange sul corpo di Isaac, non ci crede adesso che Valefar esala i suoi ultimi respiri, abbandonato a se stesso così come Stiles morì in solitudine tre anni addietro, non ci crede adesso che Peter, Allison e Chris sono con le spalle al muro, circondati da demoni e troppo stanchi per reagire.
Stiles non crede più perché è già morto mille volte insieme ad ogni più piccola ferita che quella maledetta guerra ha aperto nei corpi dei membri della sua famiglia. Con amarezza, ripensa alle parole di suo padre, al suo sorriso, alla cieca convinzione che attraversava i suoi occhi mentre lo chiamava “eroe”. Eroe. Stiles non si è mai sentito così lontano da quella parola, opposto ad essa come i due più lontani poli della Terra. Lui non è un eroe, non lo è mai stato. Non merita la fiducia di suo padre, il tocco di Derek, i sorrisi del suo branco distrutto. Ma forse… forse essere eroi non significa lottare così. Non è con la violenza che ha affrontato l’Inferno, non è con la violenza che è rimasto accanto ad Alastor mentre moriva, non è con la violenza che è rimasto in piedi e mantenuto il sorriso nonostante la morte di Dumah.
Stiles sorride teneramente mentre chiude gli occhi e ripensa a sua madre. Una volta, gli disse che una carezza sa spezzare i potenti molto più di qualsiasi ferita inferta. Laddove alla rabbia del mondo il mondo risponde con altrettanta violenza, così non sarà dinanzi al vagito di un bambino. Una guerra può distruggere qualsiasi cosa, ma non sa uccidere l’eco di una risata nascitura, pallida e serena come polvere di stelle. È solo e soltanto in quel momento che ogni cosa è costretta a inginocchiarsi come anziano moribondo al cospetto di un giovane vigoroso di vitalità. Il tempo, la natura e l’esistenza cederanno il passo a qualcosa di più importante, qualcosa di magico. La magia vera esiste, e bacia coloro che con pietà sanno riconoscere il valore di una mano tesa in segno di caritatevole aiuto. L’uomo è anche questo, e per Stiles è il momento di ricordarlo.
-STILES!!!-
Qualcuno grida il suo nome mentre dolcemente, Stiles fa rientrare la trasformazione per lasciare spazio alla sola forza delle tre ali rimaste. Le zampe da canide si trasformano in gambe umane, la pelle squamata si ritira, le corna spariscono. Da bestia a ragazzo, da ragazzo a splendida creatura sacrificale il cui sorriso talmente dolce da spezzare il cuore, si posa su Lucifero. Stiles sorride tra le lacrime, come raggio di sole che sfonda dorato un cielo di nubi oscure e improvvisamente si sente bene, felice, sereno. Non più demone, mai stato angelo. Semplicemente un ragazzo troppo giovane, la cui semplicità si presenta adesso innanzi alla complessa tessitura del male più nero. L’umanità affronta così il Diavolo, l’umanità ricorda così che la luce non è tanto difficile da estinguere se la si presenta nella sua più pura forma brada. Basta poco, basta chinare il capo e accettare che il domani esisterà sempre, per chi vive e per chi muore, per chi cammina nella notte e infine sbuca dal buio all’alba del mattino dopo. Ci sarà un nuovo giorno, perché in esso ci credono i bambini, gli animali e la purezza di alcuni soggetti restii ad abbandonare il cammino più difficile per intraprendere quello facile.
Con uno scatto del braccio, Lucifero schiaffeggia Stiles, così forte da spedirlo al suolo, veloce come una cometa. Il suo corpo si schianta su detriti sporchi di sangue e ossa che improvvisamente si spezzano, fragili di umanità. Stiles sputa un grumo di sangue, si rialza tremando mentre Lucifero atterra a pochi centimetri da lui, bellissimo e intoccabile come solo il male sa essere.
-Tutto qui, figlio mio? Sono questi i tuoi grandi propositi di resistenza?- sorride amabilmente.
Stiles non smette di sorridere, perché non ha motivo di farlo. Non smette, perché ha vinto.
-Ridi? Lo capisci che stai per dissolverti nell’oblio più cupo, figlio mio?-
-Non sono tuo figlio.-
Lucifero inclina il capo, divertito. –No? Ti ho creato io.-
-Se la capacità di generare demoni non ti fosse stata concessa dall’Alto, non avresti figli. E in ogni caso, il tuo gioco con me non funziona. Non sono come te semplicemente perché non sono un demone. Non lo sono mai stato, e vuoi saperne il motivo? Io discendo dall’uomo. Io sono un uomo, coi miei difetti, i miei errori, il mio essere sbagliato. Nonostante tutto però, i miei occhi riescono a vedere la luce, ad abbracciarla, e non potrei sentirmi più beato di così. Il mio Paradiso l’ho raggiunto senza di voi, e questo perché a illustrarmelo sono state quelle stesse creature che più di tutti hanno vantato umanità. Demoni, licantropi, banshee… uomini. I miei angeli sono questi, e tu non puoi fare niente per strapparmeli. Feriscimi, torturami, uccidimi. Non mi sottrarrai la luce che mi hanno dato, qualunque cosa tu faccia.-
E allora Lucifero si sbilancia. Sibilando, fa scattare le lame del braccio, identiche a quelle dei suoi stessi figli. Quattro lunghe sciabole affilate, micidiali, sottili e indistruttibili. Fendono l’aria, compiendo un arco luminoso nella luce degli angeli che lottano tutto intorno. E semplicemente, Stiles non si sposta, non reagisce. Si limita ad allargare le braccia e socchiudere gli occhi, un’espressione di dolce beatitudine in viso.
L’ho promesso.
Le lame si avvicinano al torace, luminose di fulgida luce assassina.
Ho promesso di difendere la mia famiglia. Ho promesso di sconfiggere Dio e Lucifero.
Stiles sorride, conscio della fine che si avvicina. Sorride per la vita che ha vissuto, sorride per la sua famiglia che forse, nella vana speranza di un gesto di carità divina, vedrà dall’altra parte. Si scuserà con tutti loro, quando sarà il momento, ma andarsene in quel modo non è poi così male. Alla fine di tutto, la sua vittoria l’ha avuta. Ha sconfitto il suo lato demoniaco, ha lottato per difendere i suoi cari, insieme ad essi ha guardato il sole sorgere e tramontare. Non è mai stato solo, neanche quando Lucifero l’ha ucciso per la prima volta. Anche allora, riusciva a sentire la presenza dei suoi amici, di Derek. Derek. Stiles non l’ha mai ringraziato per tutti i sacrifici che ha compiuto in suo nome. Avrebbe dovuto. Avrebbe voluto. Ma va bene anche questo. Derek sa già tutto, lo sente. È un Sourwolf antipatico, ma ha un cuore grande più del sole e della luna, e Stiles sente che qualunque cosa abbia mai avuto bisogno di dirgli, Derek la sa già.
Docilmente, Stiles chiude gli occhi. Il mondo si ferma, trattiene il respiro, smette di girare. E improvvisamente, qualcosa cambia.
Luce. Una luce fortissima, accecante, più forte di qualsiasi raggio solare. Illumina di bagliori il mondo intero, un’onda d’urto che si dilata e stende le sue appendici in ogni direzione, come albero che stiracchia i rami al cielo. Stiles la sente toccargli la pelle, attraversarlo, baciargli ogni osso, ogni organo, ogni più piccolo millimetro d’anima.
Stranamente però, il dolore non giunge. Qualcuno ringhia, qualcuno si muove a pochi millimetri da lui. Un corpo caldo preme contro il suo, solido muro di marmo e acciaio che caritatevole lo tocca reverente. Braccia forti d’anima gentile lo avvolgono, sostenendolo senza soffocare, stringendolo senza ferire. E improvvisamente, Stiles riconosce quell’odore di pioggia e foresta, di luna e libertà. È quello l’odore del suo Paradiso, lo riconosce bene. Odore di tocchi gentili sulla pelle, odore di sorrisi caldi d’affetto, odore di pazienti sacrifici sprecati per un domani nel quale Stiles all’inizio di tutto aveva smesso di credere.
Quello è l’odore di casa sua.
Cautamente, Stiles apre gli occhi, unico movimento in un mondo che si è immobilizzato per volgere lo sguardo alla scena più devastante dell’universo.
Di storie incredibili, Stiles ne ha conosciute molte e altrettante ne ha da raccontare. Frammenti di vita, istanti di ricordi altrui, magnifici e terribili, lontani e vicini. Ma questo. Questo scavalca qualsiasi aspettativa, qualsiasi storia.
Derek Hale è alle sue spalle e lo stringe con forza, proteggendolo, risvegliandolo col solo richiamo dei polpastrelli sulla pelle insanguinata. Devoto come un fedele al cospetto del suo dio, preme il corpo contro il suo, una mano posata sul cuore e… ali. Ali enormi, nerissime di piume sovrapposte, gloriose più di qualsiasi alba, possenti più di qualsiasi terremoto. Un cielo di beata oscurità boreale si antepone glorioso tra Stiles e Lucifero, tra il mondo e un piccolo demone umanoide volto al sacrificio personale. Piume e muscoli, ossa e cartilagini. Gloria e oscura magnificenza.
Stiles trema quando si accorge che la mano di Derek, ancora posata sul suo cuore, sbuca da un braccio coperto di sottilissime piume nerastre, lucide ma non fittissime, al punto da lasciar intravedere la pelle sottostante, tesa e irta di muscoli nervosi. Gli artigli sono argentati, bestiali, ma non di lupo. Troppo lunghi, troppo lisci. Troppo… diversi. Stiles non li riconosce, non li sa classificare. O meglio, non vuole farlo, perché un’idea, per quanto bizzarra, adesso ce l’ha e si rifiuta di pensare che sia vera.
-Non lo toccherai mai più.- ringhia Derek, e allora Stiles torce il collo per guardarlo in volto… quel volto così familiare, così simile a quello di un lupo. Quel volto dagli occhi demoniaci, più blu della notte, più profondi di qualsiasi nebula o crepaccio. Occhi che hanno visto, occhi che sanno. Quegli occhi hanno affrontato l’Inferno senza impazzire, quegli occhi hanno portato luce laddove soltanto l’oscurità soffocava ogni cosa, come cappio stretto al collo d’un condannato a morte per impiccagione.
Stiles riconosce quegli occhi, ma quel corpo… ha qualcosa di diverso ora. Il giovane demone lo sente premere contro il suo e non lo riconosce. Semplicemente, avverte che qualcosa non va.
Quando le ali si scansano, rivelando un Lucifero barcollante e con gli occhi sbarrati, Stiles ne comprende il motivo. Derek non ha le ali. I lupi non hanno braccia piumate e artigli di corvo, né occhi dalla pupilla verticale. I lupi no. Il famiglio di Stiles sì.
-Non è possibile!- ringhia Lucifero, il cui volto adesso si contorce in una smorfia bestiale, ringhiante, che nulla ha a che fare con la dolce magnificenza da lui emanata in precedenza. Gli occhi sembrano più piccoli e si illuminano di rosso, la pelle si raggrinzisce, il naso si schiaccia. Stiles riesce solo a intravedere il vero Lucifero attraverso quella smorfia, ma il suo vero volto lo ricorda bene. Spaventoso, devastante, tanto orribile da indurre alla follia al solo sguardo. Stiles lo temeva, all’Inferno. Ma adesso… adesso quella creatura rachitica nell’animo e nell’oscurità gli fa solo pena. Può vedere la sua essenza, ora che le ali di Derek la illuminano, ora che la sua vicinanza rischiara gli occhi di Stiles come la più fulgida delle benedizioni.
Lucifero non è una minaccia. Non rappresenta niente, a parte una belva misera incatenata ai suoi mali, ai suoi demoni, ai suoi errori. Non è così diverso da un essere umano, dopotutto, e Stiles lo capisce con improvvisa chiarezza. Lucifero è solo un altro dannato, un altro prigioniero della sua stessa testa, incapace di guardare al sole poiché ormai troppo spaventato anche solo per provarci. Prova pietà per lui, ma non abbastanza da risparmiarlo perché come ogni essere umano, Stiles non è un santo e, almeno per stavolta, vuole improvvisarsi giudice di nefaste sentenze.
Combatteranno insieme. Lì, alla fine di tutto, Stiles e Derek trascineranno l’alba al suo nuovo sorgere, architetti di una nuova era capace di crescere individualmente, senza l’aiuto di Dio e Lucifero, di angeli e demoni. Gli uomini sbocceranno da soli, come fiori di campo che stiracchiano al sole i propri steli. Dimostreranno la loro vera natura, come è giusto che sia, poiché anche un figlio prima o poi dovrà imparare a muovere i suoi passi senza l’ausilio del padre.
Stiles si volta appena quando Diablo atterra ferito alle sue spalle. zoppica vistosamente e ha due ali spezzate, ma dalle sue piume emana una strana luce azzurrina, un alone inaspettato che rischiara l’oscurità come luna che illumina la notte più nera. Le sue orbite vuote incontrano gli occhi di Stiles, improvvisamente così chiari, così luminosi. Quelle orbite, per quanto nere, parlano, e basta un solo istante, un solo momento di silenziosa conversazione per capirsi a vicenda, per scegliere, per chiamare a raccolta le ultime energie rimaste.
“È come nelle grandi storie… quelle che contano davvero.”
Derek affianca Stiles, i muscoli tesi e gli occhi fissi su un esitante Lucifero. Le ali del licantropo, così simili a quelle di Diablo, fremono di potenza repressa, la stessa che scorre in Stiles e nel suo famiglio… la stessa che adesso abbraccia Derek Hale. Intanto, tutto intorno a loro, l’esercito amico li guarda, si riorganizza, si rialza. Chi è in ginocchio, seppur con gambe spezzate, trova il modo per raddrizzarsi. Chi è a terra, lascia che altri lo aiutino a stare in piedi. Chi è prostrato da lacrime e sofferenza, solleva al cielo gli occhi intrisi di un’ultima speranza, un’ultima preghiera.
“Erano piene di oscurità e pericoli; e a volte non volevi sapere il finale, perché come poteva esserci un finale allegro?”
Scott McCall si rialza e snuda gli artigli, gli occhi più rossi che mai, le zanne in vista. La sua potenza di bestia sfonda la barriera di confusione che gli offuscava la mente. È pronto a combattere. Per il branco, per Stiles… per Isaac. Specialmente per Isaac, il sole che gli ha baciato la fronte e gli occhi, gli arti e la pelle. Il suo fiore vittorioso, quella stessa rosa che da sola, ha saputo affrontare le ire del mondo intero. Con un ruggito, Scott attacca.
“Come poteva il mondo tornare com’era dopo che erano successe tante cose brutte?”
Allison Argent incocca l’ultima freccia, Chris carica i proiettili rimasti. Pronti a combattere, pronti a morire. Ma è allora che accade l’ennesimo miracolo, l’ennesimo raggio di luce. Perché, tirando le somme, Peter non è mai stato solo.
La pelle balugina di beltà riflessa, candida di un bacio che tra tutti, ha scelto di sfiorare proprio la più nera delle anime. Peter avverte quel tocco benefico ripulirlo, perdonarlo, chiamarlo. E lui, a quella ben nota voce di donna, non può che rispondere.
“Ma alla fine, è solo una cosa passeggera quest’ombra: anche l’oscurità deve passare.”
Un’ombra. Così chiara da apparire luminescente, così fluida e longilinea da sfaccettarsi lungo i suoi angoli di familiare silhouette in tanti filamenti di madreperla che con dolcezza accarezzano Peter Hale. Il corpo di Dumah, appena visibile nella luce dell’alba che sorge, splende come un diamante e si accovaccia nel corpo del licantropo più sporco di tutti, lurido di peccato, folle di follia… ma anche vivo d’un amore che per qualche motivo, ha scelto di abbracciare proprio lui. Insieme, anime intrecciate di lontani ricordi e momenti vissuti, Peter, Dumah e gli Argent respingono l’orda di demoni.
“Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole splenderà sarà ancora più luminoso.”
Un rombo, il suono della terra che si risveglia. Un terremoto scuote con forza animale ogni anfratto del pianeta, ogni angolo buio fin quasi a spaccarlo. È il suono di qualcosa di nuovo, un avvenimento che dall’Alba dei Tempi mai ha avuto modo di accadere. Un richiamo, il grido silenzioso del mondo che si sveglia davvero, come bestia devastante che finalmente spalanca gli occhi luminescenti per giungere in soccorso dell’alba.
Vi è una leggenda, disse Stiles, che narra delle Madri Natura. Si dice che alla fine del mondo, quando esso ne avrà più bisogno, esse insorgeranno per difenderlo, insieme ai figli racchiusi nell’abbraccio dei loro templi.
“Quelle erano le storie che ti restavano dentro, anche se eri troppo piccolo per capire il perché. Ma credo… di capire ora. Adesso so.”
Il cielo vibra di un dolore lancinante, come madre in parto che urla al mondo la sua natia sofferenza. Da lontano, si avverte l’acqua scrosciare, abbattersi sulle scogliere e sui letti di fiume. I rubinetti esplodono, la pioggia caduta trema viva, respirante, figlia di un richiamo al quale non ha mancato di rispondere. Ed è allora che all’orizzonte, baciate dal cielo che si rischiara sempre di più in prossimità di un’alba dorata, si intravede un nuovo oceano di marmi e pietre preziose, di zaffiri e acquamarina, di onice e smeraldo. Statue alte più di qualsiasi mastodontica montagna, donne nude dalla pelle di pietra spaccata che gronda acqua e lava, turbini e piante in germoglio.
Sembrano tutte simili, sorelle d’unica specie, ma ognuna si adatta all’elemento che rappresenta, fosse per il viso gentile ma implacabile come tsunami e acqua placida o per i tratti duri di lava e fiamme devastanti. Fuoco, acqua, terra, aria, tuono. Spazzano via angeli e demoni avversari, schiacciandoli o semplicemente respingendoli col più piccolo gesto della mano. E lì, in piedi sulla spalla destra di Madre Acqua, vi è lei, bellissima e gloriosa come il più splendido degli angeli, possente e alata di candide piume di civetta, con gli occhi di giada brillanti di sottile iride verticale.
Lydia Martin, la fanciulla il cui grido ha scosso dalle fondamenta ogni tempio, ogni elemento, ogni cristallino anfratto dell’universo. Col solo potere del suo dolore sconfinato, ha raschiato la magnificenza assopita del mondo, la sua pacata potenza e alla fine, è riuscita a riportarlo a galla. È bastato un semplice grido, un semplice gesto di debole umanità. E allora, il miracolo è accaduto.
“Le persone di quelle storie avevano molte occasioni di tornare indietro e non l’hanno fatto. Andavano avanti… perché loro erano aggrappati a qualcosa.”
-No… NO!!!- ruggisce Lucifero, incespicando miseramente. Barcolla, le ali tremanti di dolore mentre la luce cresce e sfonda le nubi, un raggio di sole dopo l’altro. Nastri dorati di calda rinascita feriscono le ombre in una lotta silenziosa ma impari che vede infine l’oscurità ripiegare come mare in ritiro. C’è calore, c’è luce. E il nuovo giorno, così come è stato difeso e invocato sin dal calar del buio, finalmente risponde alle preghiere di chi ci ha creduto e sboccia, florido più di qualsiasi altra alba, possente di una criniera dorata e bellissima di astro cremisi.
Gli angeli alzano al cielo sguardi stupiti e Michael, che ancora giace nel fango e nel sangue dopo essere stato scaraventato via dalla forza combinata di Derek e Diablo, si leva in ginocchio per levare i palmi verso l’alto come assetato in cerca d’acqua. Lascia che l’oro fuso del sole gli baci i palmi, lascia che quel calore strano ma bellissimo entri in lui così come non accadeva da secoli. È sempre stato così caldo il sole? È sempre stato così gentile, come carezza di una madre sul capo del figlio nascituro? È sempre stato così vivo? Michael non lo sa, non ci ha mai pensato. La sua intera esistenza ruotava intorno al Padre e agli ordini che Egli impartiva. Michael e i suoi fratelli non hanno mai avuto il tempo di alzare il capo al sole, poiché presumevano già di conoscerne l’essenza materiale e simbolica.
Quanta presunzione. Quanti errori. Michael ha sempre pensato di vedere, di osservare, mentre in realtà appariva come primo tra i ciechi. Mai ha osato alzare gli occhi al sole, mai ha osato fermarsi e pensare che forse, il bacio dorato del mondo vale più di mille benedizioni, più di mille canti angelici, più della stessa fasulla libertà di volare. Il mondo vero è sempre stato lì e lui non l’ha mai guardato perché irto di dannato orgoglio.
“C’è del buono in questo mondo. È giusto combattere per questo.”
Un ultimo raggio di sole, un’ultima nube devastata. Alla Madre dell’Aria, con la sua candida pelle di marmo e i capelli bianchissimi che svolazzano ovunque come vivi di entità silenziose, basta un gesto della mano per sgombrare definitivamente il cielo. Una cascata di luce invade il mondo intero, piovendo come oro colato sull’intero globo. Ove era notte ora è giorno, ove è l’aurora boreale ora splende anche l’oro del sole misto ai colori cangianti del manto del cielo.
Qualcosa cambia e improvvisamente, le persone smettono di aver paura. I bambini del mondo intero scoppiano a ridere, frammentando l’aria di cristalli allegri e bellissimi, mentre famiglie si ritrovano, si abbracciano, respirano sollevati. Nemici di una vita si baciano le guance, animali feriti durante gli ultimi attacchi di follia si leccano il pelo a vicenda. È questa la benedizione del mondo, la vera essenza del pianeta. È questa la benedizione nella quale Stiles non ha mai smesso di credere. L’alba alla fine, è giunta. Sorge sul sangue e lo ripulisce, sorge sulle ferite e le risana lentamente, sorge sul mondo e ricorda ad esso che si può ancora sperare in qualcosa.
Poi, d’improvviso, la luce del sole bacia anche Stiles e allora accade l’inaspettato, l’incubo che Derek non avrebbe mai voluto vivere. Ha combattuto una battaglia, visto morire degli amici, sopportato ferite e lacerazioni, ma questo… questo va oltre ogni cosa, oltre finanche le ire di Lucifero.
Semplicemente, appena la luce del sole lo tocca, Stiles comincia a urlare. Un urlo lancinante, che lacera i cieli e il mondo, rimbalzando di echi sofferenti e istanti di dolore sconfinato. È un suono che va oltre qualsiasi orrore racchiuso all’Inferno, un suono che spezza lo scorrere delle cascate e del tempo. Spinge via Derek, lo sbalza lontano mentre le ali lentamente cominciano a consumarsi e s’infiammano di lingue assassine, macabre danzatrici rosse e oro che divorano le carni e le membrane, risalendo lungo i muscoli per raggiungere il corpo e assalirlo con avida mostruosità. Stiles si contorce prima di sparire nella morsa soffocante del fuoco e allora Derek urla forte, con quanto fiato ha in gola. Qualcosa gli stringe il cuore, soffoca isuoi respiri e l’aria che inala. Si sente male perché, così come accadde tre anni addietro, Stiles muore e lui non può fare niente. Inutile, come pezzo di corteccia staccato dal suo albero. Misero, come orchidea schiacciata dalla zampa di un ghepardo. Quel sorgere solare, loro dovevano vederlo insieme. Dovevano viverlo insieme. Ma è vita, questa? È vita senza il calore vero di un affetto che proprio al cospetto di quel sorgere Derek ha perduto? La luce fa male, la luce brucia… e Derek non dimenticherà mai il grido di chi fino al giorno prima semplicemente sussurrava il suo nome. Quella voce che non lo chiamerà più, quei respiri liberi che mai più torneranno. Quella vita immaginata insieme che bruscamente e senza un perché si è vista spezzare come ali di fragile libellula annerita dal sole cocente.
Derek tenta di respirare, ma gli manca l’aria. Un solo incubo, un solo pensiero blocca ogni suo ragionamento, ogni sua più piccola funzione vitale. Un urlo, un guizzare maledetto di fiamme dorate. Lui quelle fiamme, le amava. Le amava quando danzavano nella pelle di Stiles, nella sua voce, nei suoi gesti. Figlio del fuoco dal fuoco stesso divorato.
È allora, al cospetto di un Derek inginocchiato e totalmente sconfitto, che Lucifero si riprende. Scrolla il capo, faticosamente si rialza. I suoi occhi sono bianchissimi, ciechi, fissi su un orizzonte invisibile. Non ci vede, ma come bestia ferina fiuta odori, li classifica, li riconosce. Ma a Derek non interessa, perché Stiles è ancora lì e brucia più di qualsiasi immensa fiaccola. Non urla più, non si contorce. Il motivo può essere uno solo, e il solo pensiero che sia reale spezza Derek in più frammenti, come specchio sfracellato al suolo.
-È finita.- ringhia Satana, sollevando il braccio. La lama guizza, s’illumina di mefitica condanna e Derek non si sottrae. Sospira rilassato, si abbandona al mondo e al destino che prega possa riunirlo in qualche modo a Stiles… alla fine di tutto.
Ma la morte non è mai così ansiosa di raccogliere le fila di una vita che ha ancora troppo da concludere. Alcuni intrecci nascono per essere conclusi, altri per spezzarsi seduta stante. Solo i più forti tuttavia, avranno modo di tessere un arazzo glorioso e senza tempo. E la vita di Derek Hale rappresenta proprio uno di quegli intrecci.
La luce esplode all’improvviso, devastante più di qualsiasi supernova, accecante come sguardo di Dio in persona. Un’onda d’urto si propaga come cerchio d’acqua  per miglia e miglia, oltre Beacon Hills, oltre i boschi, oltre qualsiasi città esistente. Abbraccia ogni angolo del mondo, gloriosa come bacio di vergine al marito il giorno delle nozze, giudiziosa come cielo sul capo di ogni essere vivente. È una luce bianchissima, pura oltre ogni immaginazione, figlia non dell’uomo, ma di Dio. E quel bagliore, per quanto possente, non appartiene a un demone, né a qualsiasi altra creatura terrena.
-BASTA!!!-
 
Angolo dell’autrice:
Sì, domani giungeremo alla fine. Abbiamo camminato tanto insieme, ma alla fine, anche i viaggiatori più avventurosi sono costretti a fermarsi. Meglio non invecchiare ora, perché avete ancora tante e tante storie da vivere, anche di più belle e magiche. È per questo che stavolta, non mi dilungherò. Ciò che ho da dirvi, lo sapete già, e questo perché ve l’ho ripetuto per ventotto noiosissimi capitoli. Di brave persone, ne ho incontrate molte, ma voi… voi, coi vostri commenti e con la pazienza che dimostrate nei miei confronti leggendo e trovando sempre quel po’ di tempo per recensire… voi siete angeli. Veri, vivi, con ali invisibili che al momento giusto si spalancheranno. Dopotutto, avete appena lottato contro Lucifero, ed è giusto che anche voi, alla fine, possiate riposarvi. Riposate le vostre splendide ali, angeli miei, poiché ci saluteremo definitivamente nell’ultimo capitolo. Abbiate il tempo di respirare, di ripulirvi, di prepararvi, perché alla fine, manderò da voi ognuno dei miei personaggi per abbracciarvi come meritate. Riderete con Valefar, scherzerete con Stiles e vi arrabbierete con Derek. Ci sarà il branco, ci saranno i miei personaggi, e sarà così anche dopo la fine di questo piccolo, misero racconto. Eppure, non dimenticherò mai le vostre parole e ogni singola lacrima che mi avete fatto versare, perciò grazie, per la penultima volta. Grazie. Davvero. Commentando, mi avete concesso uno dei tanti miracoli che so per certo possono e potranno ancora accadere. Grazie, angeli miei.
Giada_ASR
_Sara92_
Barbara78

 
Stavolta, le anticipazioni non ci saranno. Domani pubblicherò, e sarà l’ultima volta. Per ora, lasciamo semplicemente che Stiles e gli altri riposino, perché il finale dovrà essere una sorpresa, una delle tante che meritate.
Tomi Dark Angel
 

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Capitolo 31
*** Legion - Story Of A Miracle ***


 
-BASTA!!!-
Un grido, capace di spezzare ogni cosa. La terra trema, il cielo si inginocchia. Una voce potente, che scuote l’universo dalle fondamenta e spezza la bilancia di bene e male, intrisa di mille timbri diversi, giovani e anziani, maschili e femminili, ringhianti e bestiali. Quella è la voce del mondo, la voce della vita. La voce della Creazione stessa.
Improvvisamente, il mondo cade in ginocchio. Uomini, animali, creature sovrannaturali. Finanche le piante piegano steli e arbusti, mentre l’acqua smette di mormorare per prestare ascolto al nuovo arrivato, al Padre di ogni cosa, all’architetto dell’universo intero.
Luce. Vi è luce ovunque. Sboccia dappertutto, sfogando riflessi cristallini e argentati come raggi di luna onnipotente. Con implacabilità, respinge ogni ombra, ogni bestia malefica, schiacciando al suolo i demoni e costringendo gli angeli alla totale immobilità. Derek riesce ad avvertirla sulla pelle, quella potenza, e se in precedenza ha osato credere erroneamente che angeli e demoni fossero praticamente indistruttibili, è costretto a ricredersi. Nessuna forza dell’universo sarà mai capace di piegare una luce tanto inestinguibile, più di qualsiasi alba, più di qualsiasi sole mai nato e vissuto. Quella creatura ha visto nascere l’universo, l’ha rimodellato con sapienti mani di scultore, dolcemente ha toccato corde vocali e ruscelli d’acqua per consentir loro di parlare. Quella creatura è l’inizio e la fine di ogni cosa, il padre di qualsiasi giudizio universale. Quello è Dio.
Lentamente, Derek schiude le palpebre. Si costringe a guardare, a schiarire la vista, a lasciare che il mondo sbocci attraverso le sue retine. E allora lo vede, per quanto poco riesca a credere ai propri occhi. L’assurdo, l’improbabilità della vita stessa.
Un ragazzino di circa otto anni, con lucidi capelli neri e la pelle nivea. Occhi azzurrissimi di creatura ultraterrena, labbra piene che mille e mille voci hanno racchiuso e assimilato. Quelle mani così piccole, così innocenti, nella loro fragilità hanno plasmato l’universo e le sue stelle, la luna e il suo fratello sole. Indossa una lunga veste bianca legata in vita con un cordone dorato. Semplice, umile, come bambino appena venuto al mondo. I suoi stessi passi nudi che toccano l’erba la ripuliscono dal sangue, la purificano, lasciano che nuovi fili di smeraldo sboccino di nuovo e popolino il mondo di nuova vita laddove solo morte aveva inspirato.
Anche se dall’aria più nobile e abbigliato con semplicità quasi monacale, quel bambino Derek lo riconosce. Ci ha parlato, l’ha toccato, l’ha addirittura minacciato. Ha minacciato Dio. E Dio non è nient’altro che… Alastor. Il bambino demone, la creatura che osando un affronto all’Inferno scelse di risparmiarsi la lotta col branco e morire tra le braccia del suo stesso graziato, il ragazzino che ha visto morire e rinascere, senza mai accusare gli altri di alcuna colpa. Quando Alastor è morto, Stiles era lì e gli teneva la mano. Quando Alastor è morto, Stiles era lì e lo perdonava. Quando Alastor è morto, Stiles ha sprecato lacrime e grida, come se avesse perso un pezzo di se stesso, l’innocenza di un bambino che bambino non è mai stato.
Lucifero ruggisce, crolla in ginocchio. Disarmato, si copre gli occhi con le mani, tremando convulsamente al cospetto di quella luce bruciante che mai è stato in grado di affrontare. Debole, misero, sgraziato. Che ne è stato dell’uomo dolce e bellissimo che era poche ore addietro?
-Figlio mio, perché l’hai fatto?- mormora Dio con pacata dolcezza. –Questi morti, sono prole tua.-
Lucifero mugola, cerca di ringhiare. –Mi hanno sfidato! Hanno avuto ciò che meritavano! Sta lontano da me, Dio! Non ti temo!-
Dio sospira, e Derek, troppo vicino all’intera scena, avverte un soffio di vento scompigliargli i capelli. Mai in vita sua ha annusato un miscuglio tanto vasto di odori. Foresta, città, ruscelli, legna bruciata. I profumi del mondo intero sono racchiusi lì, tra le labbra di quel bambino tanto piccolo quanto apparentemente insignificante.
-Non pretendo da te alcun gesto di timore, figlio mio. Tuttavia, ho cercato di darti una possibilità e silenziosamente ho scelto di osservare le tue gesta, non secondo rigor di giustizia, ma di amore paterno. Non volevo condannarti, figlio mio. La tua strada, l’hai scelta da solo. Io non ti ho mai costretto, né mai ho chiesto ai miei angeli di macchiarsi di tanto sangue. La libertà che vi concedo, riguarda le scelte che non vi obbligherò mai a compiere. Siete liberi, ma la vera prigionia che vi imponete riguarda le vostre menti e gli schemi che credete di dover seguire. Non è questa la vita, figlio mio, e tu lo sai bene. Anche stavolta ti ho lasciato agire nella speranza che vincessi le tue malattie, ma contro il tuo stesso credo hai scelto l’accusa al perdono. Gli uomini sono figli miei, e non ti è concesso ferirli oltre. Non è il tuo posto qui, Satana; per questo ti chiedo ora di tornare nell’Abisso, ove ti condanno a restare fino alla fine dei Tempi.-
Ma Lucifero è sempre stato caparbio, disobbediente come figlio mai educato. Sceglie la sua strada ora, così come accadde già all’Alba dei tempi. Una scelta errata, una ribellione di macabro odio e sangue invocato. Non vi è amore negli occhi di Lucifero, poiché ciò che suo Padre stesso gli insegnò secoli addietro, è andato perduto nei recessi di un cuore che mai ha battuto veramente. Il gelo dell’Inferno ha scavato troppo a fondo, troppo in profondità, e alla fine di tutto, ha semplicemente barricato un animo vuoto, nullo di emozioni e affetto, un animo immortale che nella sua superbia ha preferito insegnare anziché imparare.
Con un ruggito animale, Lucifero tenta un ultimo riscatto, un ultimo disperato agguato alla vittoria. Lotta per se stesso, per ciò che ha fatto e meritato in passato come nel presente. Lotta per dimenticare ciò che è diventato e il bruciore della luce che gli consuma le retine. Lotta per annegare l’alba e guadagnarsi una libertà della quale egli stesso non saprebbe che farsene, come tomo scritto tra mani d’analfabeta. E, alla fine, dopo secoli di silenzio e ringhi reciproci, Lucifero sfida Dio al cospetto dell’alba e di tre diversi eserciti posti su scacchiera ormai devastata.
Derek sa di essere troppo vicino. Sente che lo scontro lo ucciderà seduta stante, perché ormai non si tratta più di angeli e demoni o più semplicemente di due eserciti che si scontrano. A combattere adesso, saranno i Creatori dell’universo, padre e figlio, bene e male, giorno e notte. I due opposti della bilancia, i due Grandi che mai nell’arco della storia saranno dimenticati.
Derek si copre il volto, chiude gli occhi. Si prepara ad essere spazzato via, ennesima vittima di quella guerra maledetta. Se ne andrà così, senza salutare né guardarsi alle spalle, pregando lo stesso Dio che ha innanzi di fargli riabbracciare Stiles almeno per un’ultima volta. Andrà all’Inferno se deve, ma vuole vederlo, fosse solo per parlargli, per scusarsi, per dirgli quanto quella storia l’abbia cambiato nel profondo. Grazie a lui, Derek crede nuovamente nei miracoli. Grazie a lui, l’incendio di casa Hale non è mai accaduto, se non nella storia e nel passato, ove è giusto che rimanga.
Derek vuole dirglielo, vuole che sappia. E forse, chiedere un ultimo miracolo, un’ultima grazia, non è poi così pretenzioso. Di preghiere, il mondo ne è pieno. Pregano uomini e bestie, piante e animali, e lo fanno nelle lingue più disparate. È qualcosa di antico e senza tempo, un oceano di parole che si riversa al cielo e piove come cascata inversa alle orecchie del Padreterno.
A volte però, alcune preghiere vengono ascoltate da chi semplicemente tende l’orecchio. E c’è qualcuno al mondo, che è capace di udire e riconoscere la voce di Derek con la facilità di moglie che ritrova il tocco del marito tanto amato.
Qualcosa cambia, qualcuno si frappone. Una piccola esplosione, un fascio di luce devastante che investe Lucifero a distanza ravvicinata. Derek lo sente urlare, e allora apre gli occhi per posarli sulla pallida mano che emerge dal bozzo di candore per afferrare il polso del Diavolo e deviarlo al suolo, laddove le lame si piantano nel terreno.
È allora che le Madri Natura sfoderano il loro devastante potenziale, rivoltandosi contro l’unica minaccia che presuntuosa ha sperato di schiacciare il pianeta. Ognuna tende un braccio, ognuna volge la propria attenzione verso il capo di quell’esercito sgradito che il mondo è pronto a rigettare come putrido avanzo di mangiare. La terra si solidifica intorno alle lame di Lucifero e da essa, l’acqua risale lungo il braccio, serpeggiando oltre il gomito, su fino alla spalla. Il vento la trasforma, ghiacciandola di strati massicci, cristallini, che poco a poco intridono la pelle e i muscoli, i tendini e le ossa. Lucifero è bloccato.
-ADESSO!!!- ruggisce una voce che con un sussulto di speranza, Derek riconosce.
L’esercito amico si rianima, prende vita come automa che si risveglia alla prima scossa di elettricità. I demoni attaccano ferini, sicuri ora più che mai, forti di una luce che mai avrebbero pensato di poter anche solo guardare. Adesso essa li bacia, li ripulisce e, mentre gli avversari restano in ginocchio e si consumano nella cecità e nell’odio della loro miseria, l’esercito di Stiles combatte, respingendo implacabile la minaccia, un passo alla volta. Dieci, cento, mille. I demoni iniziano a cadere come burattini, spazzati via da Minosse o semplicemente massacrati da frecce e proiettili scagliati dagli Argent. Scott si trasforma in una furia inarrestabile e ruggendo, sgombra la via che conduce verso Stiles e Lucifero. Spalla a spalla con Chris e Allison, libera il passaggio, scagliando via chiunque incontri sul suo cammino.
È allora che loro si risvegliano. Insieme, uniti, possenti come supernove in via di esplosione. Peter Hale oltrepassa Scott con un balzo e, fiero e bellissimo come angelo vendicatore, inarca il corpo a mezz’aria, tende le braccia, abbandona ogni brandello del suo essere a quei sentimenti che l’hanno condotto fino a quel punto di vittoria e umanità. Si risveglia al bacio del sole, rinasce tra le appendici della luna e lì, ancora posseduto da quell’ombra cristallina che lo segue e dinanzi all’oro dell’alba che lo benedice, un possente lupo grigio atterra fiero su quattro enormi zampe artigliate. Gli occhi blu baluginano, ma possiedono ancora quella pupilla verticale che soltanto all’ombra fugace di Dumah potrà essere riconducibile. Con un balzo, il lupo raggiunge Lucifero e gli azzanna il braccio libero, facendolo urlare di dolore.
-LYDIA!!!-
La ragazza spalanca le ali candide di civetta, gli occhi iridescenti brillanti come smeraldi al bacio benefico del sole. Balza senza paura giù dalla spalla di Madre Acqua, il corpo fulgido di longilinea magnificenza. Le ali si sbattono, spandendo all’aria un profumo di fragola misto a un oceano di riflessi di cristallo, sfaccettature di preziosità che si riflettono nel corpo come nell’anima. Lydia piove dall’alto, veloce come un proiettile, e senza esitare cala un pugno sul ginocchio di Lucifero.
Derek sente l’osso sfracellarsi mentre il Diavolo cade in ginocchio, vittima di una ragazzina alata dai tacchi a spillo che adesso gli afferra i capelli e lo costringe a piegare la schiena in una posa che quasi gli spezza le vertebre cervicali. Derek capisce allora che è il suo turno. Si rialza per Stiles, per Valefar, per Isaac… per il mondo. Per la prima volta, si sente un Guardiano, un figlio della luna come del sole e del mattino. Creatura dell’oscurità come del giorno, angelo senz’ali al cospetto non di Dio, ma dell’uomo. È questo il destino degli Hale e Derek non si è mai sentito più fiero del suo stesso essere.
Balza all’improvviso, i muscoli in tensione e la schiena inarcata. Ed è allora che si trasforma. Più grande di qualsiasi altro lupo, più nero di qualsiasi notte oscura, con immense ali di corvo e profondi occhi demoniaci di un devastante blu zaffiro. Chiude le fauci intorno alla spalla congelata di Satana, stringe con forza sulla pelle fin quasi a spezzarsi i denti, ma resiste. La bocca sanguina, le zanne scricchiolano, ma Derek non si ferma. Spinge a fondo, sempre più a fondo, finché l’osso non si spezza e il braccio… semplicemente viene sradicato dal tronco. Derek lo strappa via con uno scatto della testa e un battito d’ali che produce un vento talmente devastante da far barcollare chiunque nel raggio di miglia. Finanche alcuni demoni crollano in ginocchio mentre Dio pronuncia la sua ultima e più definitiva condanna:
-Bastò allora il più piccolo dei miei figli per scaraventarti giù dal Paradiso, Stella del Mattino, e ora il più piccolo dei miei figli ti getterà nuovamente nel baratro che hai osato abbandonare per puro diletto di vendetta!-    
La luce accanto a Dio si dissipa, morbida come drappo di seta, ripiegandosi in quattro ali maestose, più grandi e più belle di qualsiasi ultraterrena fantasia.
Di angeli, il mondo ne ha visti tanti. Raffigurati in dipinti, interpretati nei film o addirittura riprodotti in fulgide sculture. A parte ciò, Derek ha avuto modo di incontrarli e vederli da vicino, con la loro devastante, altera magnificenza. Tutti bellissimi, tutti gloriosi oltre ogni dire. Ma, nonostante questo, Derek non ha mai incontrato il più splendido degli angeli. Più bello di quanto fu Lucifero stesso in tempi di gloria, più fragile e possente di qualsiasi fiore o cascata… più umano di chiunque altro.
Stiles Stilinski emerge dalla candida luce emanata dalle sue stesse ali, le cui piume enormi, sottili, delicatamente sovrapposte, splendono fulgide come drappi di incanto lunare. Le ripiega dietro la schiena, quattro splendide appendici di vestigia argentata la cui grandezza supera di sproposito il piccolo corpo sottile che incredibilmente le sostiene senza fatica. Nonostante la luce aliena che ricopre d’oro e d’argento la sua pelle nuda, liscia di qualsiasi cicatrice e totalmente esposta fino all’abbraccio dei pantaloni di seta bianca stretti in vita, Derek non riesce a non riconoscerlo in tutta la sua devastante umanità. Riconosce quelle labbra che tante volte ha baciato, quegli occhi benedetti che adesso brillano dorati ma umani sul viso pallido dal naso all’insù.
È quello il vero aspetto di un angelo, quelli i veri occhi di un figlio di Dio. Occhi che emanano pietà, occhi che parlano di perdono antico e senza tempo. Occhi giovani, ma che tanto hanno vissuto e tanto ancora hanno da vivere. Occhi di semplice ragazzo umano.
-Torna nell’ombra, Lucifero.- ruggisce Stiles, e la sua voce è talmente potente da scuotere le ossa di Derek e l’animo di qualsiasi vivente nel raggio di miglia e miglia. –Torna a casa, ove è giusto che tu rimanga!-
E allora, nello stesso istante in cui Derek, Peter e Lydia si allontanano, Stiles si sbilancia in avanti, figlio di quella stessa alba che adesso riflette sulle sue ali un’aurora boreale di colori sconfinati e sconosciuti, brillanti più di qualsiasi cristallo. Dinanzi al mondo e al bacio della nuova era, bene e male si affrontano per l’ultima volta in uno scontro impari che vede l’oscurità in ginocchio al cospetto della sua ultima e più importante condanna.
Stiles tira indietro il braccio, poi scatta. Il pugno colpisce Lucifero con tanta forza da sbalzarlo lontano, fragile e a pezzi come marionetta ormai inutilizzabile. Il suo corpo compie un arco miserabile nell’aria pulita dell’alba e, nello stesso istante in cui inizia l’ascesa, Dio tende un braccio e apre un crepaccio di fiamme e grida sotto di lui. Mani pallide di dannati emergono come mefitici arti di condanna dal crepaccio, pronte ad accogliere quel re miserevole e senza onore che fragilmente crolla nell’abisso per l’ultima volta, sconfitto dal più piccolo e umile degli uomini.
Mentre Lucifero cade, l’esercito nemico comincia a incespicare. I pochi sopravvissuti tentano la fuga, ma non molti avranno il coraggio di inginocchiarsi e arrendersi al cospetto dei propri stessi fratelli che, spiazzati, non troveranno alcun coraggio di ucciderli. Quelle creature, nonostante tutto, fanno parte di un’unica, bizzarra famiglia. Non è granché, e a volte si è dimostrata imperfetta, violenta, finanche anomala… ma è pur sempre una famiglia.
È finita. La guerra è finita, il mondo è salvo. E i demoni rimasti? Li si può definire ormai liberi, leggeri, vivi? Meritano ricordi, un’opportunità, una speranza che mai nessuno osò attribuirgli. Ma loro ci hanno creduto fino alla fine, fino alla morte. Sono fratelli di Stiles, ed egli, nonostante tutto, non osa rinnegarli. L’hanno ferito, torturato, schernito e tradito, ma ormai si tratta del passato. Se è stato possibile vincere la guerra più cruenta dell’universo, allora non è così difficile perdonare un fratello che soltanto a gesti ha saputo domandare perdono. È questo che Stiles ha imparato, è questo ciò che è. E non potrebbe essere più fiero della sua stessa esistenza, dopo ciò. Non se ne fa niente di ali, coda affilata, benedizione divina o maledizione satanica. Certe cose, cadono in secondo piano se paragonate agli occhi di un fratello che adesso, posto in ginocchio dalla vita e dalla sconfitta, trema convulso ai piedi dei nemici e si copre miseramente la testa, tremante alla luce di un sole che egli stesso inconsciamente ha rifiutato.
Incredibilmente, così come nessuno oserebbe mai fare in vita sua, Stiles Stilinski, l’angelo dalle ali tinte di vestigia astrali, volta le spalle a Dio. Non lo ringrazia per essere intervenuto, non lo ringrazia per averlo salvato. Semplicemente, non parla. Cammina lentamente, i piedi nudi che toccando l’erba baciando il mondo di nuova vita. Tralicci d’edera sbocciano dal sangue e dai detriti anneriti, sfiorandogli gentili le caviglie e reclamando gloriosi quel panorama di distruzione che finalmente, merita null’altro che degna sepoltura nelle menti di chi non potrà mai dimenticare.
Stiles raggiunge il più vicino dei demoni sconfitti, una ragazza dai lunghi capelli biondi coperta di sangue e terra, di tremori e pianti sommessi. Appare come una normalissima fanciulla, un’umana prostrata dalla vita e dall’oscurità che non riesce a respingere, nonostante il bacio cocente della luce. Quella ragazza, ha ucciso molti degli amici di Stiles. Quella ragazza gli ha spezzato le ossa e l’animo, quando era giù all’Inferno. Eppure, nonostante tutto, lui non riesce ad accusarla. Non prova odio per lei, non un barlume di furia omicida. Così come accadde allora, quando il falso Alastor fingeva di morire, così anche adesso Stiles si inginocchia al cospetto della sua stessa umiltà. Lascia che il morbido pantalone di candida seta si sporchi di sangue e terra mentre il giovane si china dolcemente e, sorprendendo i nemici molto più di qualsiasi amico che abbia mai avuto modo di conoscerlo davvero, la stringe tra le braccia come se fosse il più caro dei familiari.
-Ti perdono.-
Due parole, più potenti di qualsiasi guerra. Due parole, più potenti di qualsiasi arma. Laddove l’odio non ha saputo spingersi con la forza, lì vi giunge la dolcezza di una voce inaspettata, angelica, che parla di umanità e carità terrena. Di sangue, il mondo ne ha visto abbastanza. Ha ospitato violenze, soprusi, rabbia, bestialità. Eppure, nonostante tutto, sradicare il bene è molto più difficile di quanto possa apparire. Stiles lo imparò quando, sorridendo, sua madre gli disse di accettare la morte e salutarla con umorismo e anche un pizzico di familiare amicizia. Allora, Claudia stava morendo. Moriva, ma non aveva paura. Moriva, ma nell’oscurità non ci credeva davvero perché certi mostri, esistono nell’immaginario e negli occhi di chi li teme. La sua magia, quella vera, non si è mai estinta. È perdurata negli anni, attraverso gli occhi e i gesti di suo figlio, e per secoli ancora andrà avanti, trasmessa da chi, guardando quelle stesse iridi di umana pietà, ha saputo imparare che sono le piccole cose a cambiare il mondo: una risata di bambino, la carezza di un nonno al nipote, il pianto felice di una madre che stringe il figlio tra le braccia.
Questo, la giovane demone stretta adesso tra le braccia di Stiles, sente di poterlo capire. Lo capisce mentre qualcosa nel suo cervello scatta, lo capisce mentre il vago ricordo del suo io passato la vedeva avvinghiata a una madre, un padre, una sorella. Una famiglia. Ce l’aveva anche lei, allora.
Lentamente, Stiles si separa dalla ragazza e le afferra il viso tra le mani. La costringe a guardarlo negli occhi, quelle iridi ricolme di luce e polvere di stelle. La demone sta guardando la più alta delle beatitudini in volto e, nonostante tutto… non fa male, né paura. Non brucia come si aspettava.
-Sei libera.- sorride Stiles, lasciandola andare. –Lo siete tutti!-
Mai più Dumah. Mai più morti innocenti. Alla luce della luna Stiles gridò questa promessa e adesso alla luce del sole quella stessa parola data compie il suo giro e chiude il cerchio. Lì, al cospetto del mondo ormai salvo e in pace, i demoni non appaiono più tanto spaventosi. Dell’oscurità, non se ne fanno più niente. È buia, soffocante e fa freddo. Non sa di casa e casa non potrà mai essere tale poiché, per quanto di indole oscura, quegli stessi demoni nascono da uomini vivi di luce e speranze. È per questo che, senza più vergognarsi o temere la propria stessa natura, ogni demone tende la mano e afferra quella del fratello sconfitto per aiutarlo ad alzarsi in piedi da pari a pari. Si fissano in viso, si stringono in abbracci nuovi che sanno di calore e non bruciano la pelle. Improvvisamente, la luce non è poi tanto male.
-Bel lavoro, figlio mio.- interviene una voce roca, sdoppiata, che inconsciamente  stira le labbra di Stiles di un infante sorriso nascituro. Il ragazzo si volta, la pelle luminosa ora più che mai e finalmente le vede: due incappucciate, due sorelle. Si tengono per mano, per la prima volta dall’alba dei Tempi si toccano amichevoli in un gesto naturale che sa di mille ere passate, di mille cose non dette. Vita e Morte, luce e oscurità. Alla fine di tutto, non sono poi così diverse. Due piatti di un’identica bilancia senza i quali quella stessa bilancia non esisterebbe affatto. Il mondo si basa anche su questo, e Stiles pensa che dopotutto, la vita non potrebbe essere più bella di così: violenta, oscura, irta di pericoli. Eppure, allo stesso tempo, anche pregna di beata luminosità. La vera vittoria dell’universo è questa.
-Ciao, mamma.- sorride Stiles, e allora… semplicemente, la donna in nero abbassa il cappuccio con mani non più scheletriche, non più prive di carne e muscoli. Quelle mani, adesso sono morbide e sottili, fragili di dita affusolate e unghie di giovane donna in sboccio.
I presenti si aspetterebbero qualsiasi cosa da quel volto. Che aspetto può avere la Morte? La sola parola altisonante è capace spesso di chinare capi e prostrare in ginocchio re e regine, ma il volto? Nessuna fantasia potrebbe prepararli a questo. Alcuni pensano che si tratti di un teschio vuoto e senz’orbite; altri ancora che sia una donna tentatrice dai freddi occhi di ghiaccio.
Non è così.
La Morte ha l’aspetto più ordinario del mondo. Giovane e bellissima, florida di un pallore lunare con qualche neo a punteggiare la pelle morbida. La donna ha lunghi capelli castani, un sorriso luminoso e gli occhi… Dio. Quegli occhi, Derek li conosce. Li ha guardati da vicino così spesso da poterli disegnare pur non sapendo impugnare una matita. Può scolpirli nella roccia e nelle stelle, nell’acqua e nel ghiaccio più freddo dell’Artico. Quegli occhi dorati, fulgidi di albe e tramonti, di sole e aurore boreali, Derek li amava. Li ama. Ma non appartengono a Stiles, non ora. Eppure sono i suoi, il licantropo ne è certo. Possibile…?
-Lo sapevi, vero?- sorride la donna con gentilezza prostrante di giovane madre. –Sapevi perché Lucifero ti aveva trasformato in demone.-
Col cuore in gola, Stiles annuisce. Si specchia adesso negli occhi di quella donna; occhi così simili ai suoi, così vivi e sereni. Stiles li ha già guardati mille e mille volte, studiandoli e fidandosi del loro calore, della loro luce, dell’affetto che sempre hanno racchiuso. Stiles è nato e cresciuto attraverso quelle iridi dorate, figlio dello stesso sole che gentile lo abbracciava, lo scaldava, lo istruiva. Occhi di madre… occhi di Claudia Stilinski.
La Morte ha tanti volti. Per questo è anziana, per questo è giovane, per questo conosce l’uomo molto più di sua sorella Vita. Si pensa che appunto, le persone scoprano l’importanza della vita vera solo quando morte sopraggiunge. La abbracciano, la comprendono, e allora la Signora Nera le assimila e capisce a sua volta.
La Morte non ha un solo volto, un solo corpo, un solo spirito. Essa è un concentrato di anime, un oceano di persone che raramente si permette di prendere il suo posto. Claudia Stilinski è un’anima, ma è anche la Morte in persona, poiché solo un defunto assimilato dall’aldilà potrà vantare di conoscere l’aldilà stesso.
-Sapevi che Lucifero ti trasformò e ti fece uscire dall’Inferno perché temeva che con la tua sola presenza avresti contaminato tutti i suoi uomini, spingendoli verso la luce. La verità è che aveva paura di te e non riusciva a controllarti.-
Dolcemente, Claudia allunga una mano pallida e tremante, le dita sottili come quelle del figlio. Suo figlio. Come è cambiato, come è cresciuto. Quando era in vita, Claudia abbandonò un bambino in lacrime, fragile, dagli occhi enormi e le braccia sottili. In un momento di disperazione, pensò che non sarebbe sopravvissuto a ciò che lo aspettava. Troppo piccolo, troppo umano. Troppo Stiles. E Stiles non era adatto ad andare avanti, ad affrontare vita e morte così presto. Claudia morì piangendo, pregando, implorando che in qualche modo, Stiles si salvasse.
Bizzarro come a volte, le preghiere trovino il loro modo di avverarsi. A dispetto di tutto, Dio non impedì ad un innocente di cadere all’Inferno e non a Lui sarà attribuita la salvezza di Stiles. No. Il vero eroe di tutto, è Stiles stesso. Non più troppo fragile, non più troppo umano, poiché umanità e fragilità erano in realtà la risposta ad ogni problema.
Claudia stende le dita e le appoggia sulla guancia del figlio. Caldo, vivo e bellissimo più di qualsiasi angelo. Come in un sogno, quei piccoli frammenti sfaccettati che si spaccarono allora nell’animo di Claudia, si ricompongono adesso, al cospetto del sole e di un figlio dopo lungo tempo ritrovato. Finalmente, dopo anni, Stiles rivede sua madre. Può toccarla, può parlarle, può guardarla negli occhi e dirle ogni cosa. Frasi semplici di bambino, sorrisi mai donati, racconti di una vita trascorsa e vissuta in assenza di una madre. Eppure, nonostante tutto, il fiume di parole che si era preparato sparisce all’istante, sostituito da un solo, semplice sguardo. Basta questo, occhi negli occhi, e Claudia capisce.
Quello è suo figlio, dopotutto, e nessuno meglio di lei potrà mai capirlo. È una parte di Claudia, un pezzo d’anima e di cuore staccatosi per puro ben di vita. Guardando Stiles negli occhi, Claudia fissa semplicemente se stessa. È la vita vera, quella che vede, e non potrebbe essere più fiera di così. Stiles è il suo capolavoro, la sua più grande opera d’arte.
Ogni genitore pensa prima o poi che il suo pargolo incarni la perfezione in Terra, come un re o una regina nato per sbaglio in una fattoria dimessa e indegna, ma Claudia… Claudia sa che suo figlio è davvero un angelo. Non per le ali, non per la luce che lo avvolge o per le vesti candide. L’aspetto non c’entra nulla, adesso, perché quello lì è un angelo vero, di quelli gentili che insegnano ai bambini a volare e agli adulti a guardare la luce del sole quando dimenticano come alzare la testa. Quella creatura, in tutta la sua gloriosa grandezza, non emana potenza, ma quieta serenità mista a un messaggio che solo Stiles potrebbe trasmettere: “Sono solo un normalissimo ragazzo”.
E Claudia pensa allora di aver vinto ogni battaglia, ogni sconfitta, ogni momento di tristezza e disperazione. La sua vittoria è lì, semplice e bellissima, fiera e abbagliante più degli astri, e Claudia non vorrebbe mai aver avuto nient’altro dalla vita. Suo figlio.
-Sono fiera di te, tesoro.- sorride, e allora Stiles stringe le labbra, le fa tremare. Buffamente, col suo aspetto da guerriero sceso in Terra, dimostra per l’ennesima volta la sua spiccata umanità: innanzi al suo esercito, innanzi al mondo e a Dio in persona, Stiles scoppia a piangere come un bambino. Si strofina gli occhi con una mano, singhiozza debolmente di una sofferenza che Claudia mai vorrebbe vedergli in viso. Paura, tristezza, rabbia. Passerà, Claudia lo sente. Eppure, è felice anche di questo perché nonostante il sangue, l’odio, le grida e la battaglia, Stiles non ha perso se stesso. A dimostrare che in lui c’è ancora quell’anima splendente di dolce umanità, è proprio un sottile pianto di bambino.
Claudia lo abbraccia così come ha sempre sognato di poter fare, così come è giusto che faccia una madre. Si concede di toccarlo, di sfiorare le ali e la pelle troppo calda, forse unico rimasuglio del suo essere demoniaco. Profuma di casa, di sole e di luna, e attraverso quegli odori, Claudia rivive una vita che credeva d’aver perso. Respira, corre, ride, vive. E a donarle tutto questo, è semplicemente suo figlio.
-Hai trovato la tua stella da seguire, alla fine.- sorride Claudia, accarezzandogli i capelli e la schiena con adorante dolcezza di rugiada. Tocchi fugaci, gentili, innamorati come solo quelli di una madre sanno essere.
-Non voglio che tu te ne vada…- singhiozza Stiles, aggrappandosi puerile alle vesti nere così come un bambino si attacca al seno della madre quando ha fame. Serra gli occhi, inspira il profumo familiare della donna che lo ha donato alla vita, che gli ha insegnato a camminare e a parlare, a vivere e a imparare dalla vita stessa.
Le sue mani, sono adesso quelle di Claudia, poiché da lei hanno imparato come muoversi.
Le sue gambe sono adesso quelle di Claudia, poiché da lei hanno imparato come camminare.
I suoi occhi sono adesso quelli di Claudia, poiché attraverso quelle stesse iridi dorate, Stiles ha imparato a vedere la vera essenza delle cose. Con quegli occhi, lui guardò Derek per la prima volta, e lo vide davvero, coi suo difetti e il suo burbero strato di rudezza lupina. Tuttavia… sono quelle le iridi che hanno osato spingersi più a fondo, oltre il muro di rabbia e gli oceani di risentimento. Lì, Stiles ha trovato un diamante nerissimo, grezzo, selvaggio, e un pezzo per volta, pazientemente, l’ha ripulito per dare alla luce qualcosa di nuovo che, paradossalmente, in realtà c’è sempre stato. Il diamante più puro di tutti.
-Prendi me.- sussurra improvvisamente, e allora Claudia si separa da lui per guardarlo in viso, corrucciata. Sbatte le palpebre, con ciglia scure che aleggiano come setole di piuma sugli archi morbidi degli occhi. Stiles non ha paura di lei, non teme la Morte. È sua madre, la donna che gli tendeva la mano quando cadeva imparando a camminare. Adesso, per l’ultima volta, Stiles le chiede un aiuto, una mano tesa. Ancora aggrappato miseramente alle sue vesti, l’angelo più bello di tutti si inginocchia e china il capo, servo umile al cospetto della grande Madre che per lui, è madre davvero.
-Prendi me e lascia andare i miei fratelli. Valefar, Isaac… Dumah. Sono morti per seguire me e non vi è giustizia in questo. È la mia famiglia, mamma. Non posso lasciarli morire, così come tu rifiutasti di abbandonare papà, la cui malattia stava per finirlo. Non è ancora la loro ora, mentre la mia è giunta tre anni fa. Riportami a casa, mamma. Non lasciarmi indietro ancora una volta.-
Come è bizzarro il mondo. Certe storie si ripetono, altre ancora mutano in tragedia o in eroica storia dal finale incerto. Ben poche invece, sono le favole. Esistono, come creature mitologiche quasi impossibili da scorgere, ma se si presta abbastanza attenzione, ogni tanto capita di trovarsene una tra le mani, preziosa più di qualsiasi gemma. E la storia di Stiles Stilinski è forse una di quelle sorprendenti favole dai contorni irreali. Sbocciata come la più bizzarra delle commedie, evolutasi in lacrimevole tragedia per culminare infine in qualcosa di diverso, un risvolto sorprendente che mai nessuno avrebbe immaginato.
All’inizio di tutto, quando tre anni addietro Stiles morì, piangeva. Piangeva lui, piangeva il cielo, piangeva il mondo. Quel giorno vide lo spezzarsi di un’anima spaventata, fragile, troppo giovane per conoscere l’aldilà e affrontarlo da solo. Era qualcosa di sbagliato, qualcosa di innaturale. Però, incredibilmente, quella stessa anima fragile ha trovato la forza di compiere il miracolo. Nulla pretese da Dio, se non pietà per i suoi cari, ma mai domandò aiuto per avere la forza di alzarsi in piedi. Stiles scelse di provarci da solo, di cadere e ritentare, più e più volte, fino a spezzarsi le ossa e le unghie. Non smise mai, finché non riuscì a sovrastare le sue stesse debolezze. Era solo, fragile sassolino in balia di una burrasca. Ma tutti sanno che, se abbastanza pesante, un sasso affonda e si arpiona al suolo, coprendosi di sabbia e aggrappandosi testardo al fondale dell’oceano. Nessuna marea lo smuoverà più, nessuno tsunami riuscirà a spostarlo. E quel sassolino, da solo, avrà sconfitto il mondo.
Stiles è adesso ben diverso da un sassolino. È una montagna, una potenza viva sviluppatasi e cresciuta attraverso le piccole cose. E lì, adesso, quella stessa potenza dimostra infine un’ultima dose di umana carità, una richiesta che zittisce il mondo intero.
-Sei cambiato, figlio mio.- sussurra Claudia. –Quando ti vidi per la prima volta, da piccolo, eri molto pallido, anche se in salute. Pensai che fossi candido come neve destinata a sporcarsi. A causa mia, la sozzura dell’Inferno ti avrebbe sepolto, soffocato, annerito come il più nero dei carboni. Eri il mio cigno destinato a vederti spezzare le ali… e a fare questo, ero stata io. Tua madre, la donna della quale più di ogni altra ti fidavi. Ti insegnai a camminare, nonostante sapessi che un giorno, quelle gambe te le avrebbero fatte a pezzi. Ti insegnai a vedere, pur sapendo che quegli occhi… i tuoi bellissimi occhi… sarebbero stati accecati e consumati dalle fiamme.-
Colpe. Claudia pensava di poterle sostenere, ma un peso tanto grande schiaccia e fa a pezzi più di qualsiasi immonda ferita. Una madre ha venduto suo figlio, una madre l’ha cresciuto e accudito come carne da macello.
Claudia cade in ginocchio, i grandi occhi colmi di lacrime argentine. Fissa in viso suo figlio, colui che è caduto e riemerso dall’Inferno senza mai odiarla, senza mai giudicarla. Né angeli né santi farebbero una cosa del genere. Loro no: Stiles sì.
-Ti ho ucciso, figlio mio!- esclama, abbracciandolo debolmente, misera e tremante come solo una donna in pezzi potrà essere. –Ti ho spinto nel baratro, e tu pregavi per me! Ti ho lasciato morire, e tu mi perdonavi! Non potrò mai chiederti perdono abbastanza, perché le ali te le hanno già spezzate più volte e l’hanno fatto in nome mio!-
-E in nome tuo sono tornato a volare.-
Claudia smette improvvisamente di piangere, gli occhi sbarrati fissi in quelli caldi e benevoli di suo figlio. Li ha visti crescere, quegli occhi, da infanti a ragazzini, da ragazzini a ragazzo in sboccio. Adesso però, Claudia fissa negli occhi un vero uomo, più maturo di quanto potranno mai essere molti altri adulti.
-Non scordare, mamma, che io queste ali le devo a te. A te devo la vita, a te devo ciò che sono. E… se sei fiera di me almeno un quarto di quanto io lo sono adesso di me stesso, sii felice. Sii felice al pensiero che tutto questo è stato possibile grazie a te; sii felice al pensiero che tuo figlio, attraverso i tuoi stessi insegnamenti, ha avuto modo di trovare appigli per risalire alla luce. Sei mia madre e se pure mi uccidessi di nuovo come ti sto implorando di fare, sappi che mi toglieresti solo qualcosa che caritatevolmente mi hai già donato di tua iniziativa dalla nascita.-
Claudia non ha bisogno di rispondere, di piangere, di abbracciarlo. Ha capito. Adesso sa. Le basta uno sguardo al volto di suo figlio, e tutto scorre a posto, come pezzi di un puzzle finalmente ricostruito. Ora, non resta che una cosa da fare.
-Devo essere molto sbadata.- sorride alla fine. –Lo sono stata così spesso ultimamente, vero, sorella?-
Da sotto il cappuccio, Vita sorride di un ghigno enigmatico, che narra mille e mille storie nuove e ancora da raccontare. –Lo sei sempre. Ma siamo sorelle, e devo ammettere che questo tratto della personalità ci accomuna piuttosto fastidiosamente. Infatti, credo di aver trattenuto qualche filo vitale di troppo, nell’arco delle ultime ore.-
Stiles sbatte le palpebre, improvvisamente conscio del significato di quelle parole. Vuole pensare di non essersi sbagliato, vuole credere in qualcosa che potrebbe rivelarsi errore, presa in giro o purissima illusione. Però… si tratta di sua madre e Claudia gli ha insegnato a non dire bugie. Lei non mente mai, perciò Stiles vuole crederci. Per l’ennesima volta, vuole rischiare.
-Stiles!- esclama Agares, ancora vivo ma con entrambe le ali spezzate. Fissa con occhi sbarrati l’orizzonte, laddove il sole splende più fulgido che mai, una criniera d’oro brillante che come cascata liquida piove sul mondo e su delle… figure. Due ragazzi, pare. Zoppicanti, storditi, appoggiati l’uno all’altro come bizzarri vecchietti curvi ma di giovane aspetto.
Stiles assottiglia lo sguardo, le labbra già tese nel barlume luminoso di uno splendido sorriso. E alla fine, li riconosce.
-Perché mi guardano tutti male? Se ce l’hanno con me, sappi che ti getto tra la folla come esca e scappo.- mormora il più alto dei due, e Stiles allora non può fare a meno di coprirsi la mano con una bocca e scoppiare a ridere mentre lacrime cristalline germogliano brillanti dagli angoli degli occhi. Lui, quella voce l’ha sentita tante e tante volte quando era all’Inferno, al Dogma, a casa o dinanzi ai resti di casa Hale, durante gli allenamenti col branco. Una voce che lo consigliava, una voce che lo accoglieva e lo curava con la sola pacata gentilezza dell’intonazione. Una guida.
Ancora zoppicante, sporco di terra, con un occhio cieco e la pelle schizzata di sangue, Valefar sorride come se non avesse mai fatto altro in vita sua, un piccolo sole che sboccia sul suo volto e gli illumina lo sguardo di serena beatitudine. –Ehilà, dolcezza!-
Stiles vorrebbe correre da lui, abbracciarlo, forse anche dargli un pugno in faccia per essersi fatto uccidere, ma a quanto pare, qualcuno che ha pensato di fare le stesse cose c’è già: un giovane corpo di ragazza travolge Valefar, placcandolo e schiacciandolo al suolo in un turbine di piume, abiti e tacchi a spillo che per giusta punizione gli sfiorano pericolosamente l’inguine.
-IO TI AMMAZZO!!!- ruggisce Lydia, sovrastandolo come una feroce leonessa. Ha i capelli scompigliati, gli occhi brillanti di minacciosa pupilla verticale il sole alle spalle che bacia di oro colato la sua pelle pallida, così simile al candore di nivea civetta che si specchia nelle piume bianchissime delle ali. –Sei il peggior essere vivente che esista! Sei un bugiardo, un bastardo, un vigliacco e un… un… che cavolo, ti odio da morire!-
Lydia continua a minacciarlo senza riprendere fiato, furiosa per il terrore provato, per la rabbia repressa, per il senso di impotenza che, si promette, mai più vorrà affrontare a testa bassa. Mai più ascolterà la sua famiglia morire, mai più lascerà che tutto si sgretoli intorno a lei mentre il mondo le strappa dal petto una parte di quel cuore che inconsciamente ha avuto il coraggio di ricostruirsi da solo, argilla fragile tra le mani dello stesso demone che ha rischiato tutto per lei, per il suo domani, per quel futuro che senza di lui, per Lydia non sarebbe esistito affatto.
Sorprendentemente, Valefar scoppia a ridere. Abbandona il capo all’indietro e volge al cielo il suono più infantile e cristallino del mondo, puro in ogni suo aspetto. Felice, vivo, carico di ubriaca armonia. È il canto degli angeli che vibra contro le sue stesse corde vocali, il canto di un bambino che rigenera il mondo osservandolo con occhi appena nati.
Alla fine, Valefar si calma appena e, ancora ridendo, afferra il viso di Lydia tra le mani ancora luride di sangue e terra. Mani che stavolta, osano toccarla e sono fiere di poterselo meritare.
-Hai ragione, dolcezza. Ti amo anche io.-
-Fare il carino non ti risparmierà i numerosi calci in culo che merit…-
Valefar ha sentito abbastanza. Per troppo tempo ha creduto di averla persa e per troppo tempo ha pensato di non poterla mai più toccare lì, alla luce dell’alba, dove il mondo finalmente si risveglia e li guarda baciarsi, anime intrecciate di diverse razze ed epoche.
Lydia è ancora arrabbiata, e se lo ripete come un mantra per non dimenticarlo perché improvvisamente, sente di poter scordare finanche il suo stesso nome. Quelle labbra sanno d’acqua e carità, di fuoco e ardore, di terra e beata rinascita. Lydia può sentirle, insieme ai denti appena appuntiti che le pungolano la pelle per ricordarle che ormai va tutto bene. Sono insieme, stretti al cospetto di Dio, e al cospetto di Dio demone e alata fanciulla si baciano, giocano le lingue in una danza incantevole e senza tempo, arcana più di qualsiasi era. Sono a casa, sono insieme. E, soprattutto, sono liberi.
Isaac si accorge di essere caduto solo quando comincia a pensare che effettivamente, l’angolazione da cui guarda il mondo non è poi così naturale. Non ricorda di essere crollato, ma dopotutto, è troppo stanco per restare in piedi e non è un male che le gambe non lo reggano più. Strano a dirsi, ma proprio adesso che il suo corpo è totalmente devastato, Isaac si sente più integro e vivo che mai. Non più inutile marionetta accantonata in un angolo, non più oggetto in disuso dimenticato da Dio e dagli uomini.
Per la prima volta, Isaac è vivo e felice di esserlo. Si sente se stesso e si accetta per ciò che è perché semplicemente ha perduto la vita già una volta pensando che forse, ogni singolo respiro è troppo breve per interromperlo di tanto in tanto con singhiozzi disperati. Piangere non è un male, ma spesso, il sorriso è il miglior modo per asfaltare la strada del futuro. Non è facile aggrapparsi alla felicità giorno dopo giorno, ma forse ne vale la pena anche perché adesso, il suo traguardo Isaac lo vede.
Una mano tesa. Emerge dal bacio accecante del sole, fastidioso e abbagliante come faro puntato negli occhi. Isaac vorrebbe coprirsi il volto, ma sa di non averne la forza. Tutte le energie che gli restano infatti, sceglie di impiegarle nell’alzare il braccio e afferrare quella mano forte di ragazzo che già tante volte l’ha aiutato a rialzarsi. Isaac si fida ciecamente di quella stretta calda e sicura, morbida e bellissima. Sa di ancora, di salvezza.
Lascia che Scott strattoni, lascia che il corpo si sbilanci verso l’alto con grazia beata e, ancora debole, Isaac cade nel morbido nido sicuro delle sue braccia. È come piovere su una nuvola di sogno dopo lunghi giorni di incubi, una nuvola che profuma di casa e ragazzo, di dolcezza e familiarità. Rinascere dalla morte non è nulla, se non si ha un motivo per farlo e Isaac torna a respirare davvero solo quando ha modo di affondare la faccia contro il petto ferito del suo Alpha. È a casa, stanno bene, sono vivi. E finalmente, Isaac si sente più intatto che mai. Un finale come quello, non lo ha mai immaginato nemmeno nei sogni più reconditi, lontani e inafferrabili.
Suo padre non lo ha mai picchiato.
Sua madre non lo ha mai ripudiato come figlio ed essere umano.
Ha una famiglia, Isaac; ha una casa. Ed è tutto lì, in quell’abbraccio convulso che quasi lo soffoca di tremiti e paura, di sollievo e felicità a stento trattenuta. Isaac credeva che l’alba fosse una cosa semplice, per quanto bella: si tratta del banale sorgere del sole, uno sbocciare morbido di luce aranciata che poco a poco si schiarisce, innalzandosi al cielo e vincendo l’oscurità del mondo.
Errore.
In realtà, l’alba è diversa per ogni essere vivente. Si tratta di un ritorno alla luce dopo un lungo periodo di oscurità. Per alcuni è nascita, per altri riposo, per altri ancora semplice e pura visione di un domani regalato. Per Isaac invece, l’alba è Scott. Nella sua lucentezza, essa è racchiusa negli occhi scuri di una creatura della notte, nel suo sorriso timido, nell’abbraccio soffocante che sembra non volerlo abbandonare mai più.
Isaac ha creduto nell’alba, e infine, quella è arrivata.
Lentamente, quasi con cautela, Scott lo lascia andare. Si separa dolcemente da lui, indietreggia appena, ma senza staccare le mani dai suoi avambracci, come se temesse di vederlo sparire di nuovo, come fiore appassito divorato dall’acido. Ma Isaac non può sparire di nuovo. Non gli è concesso, non finché Scott sarà vivo e avrà bisogno di lui.
-Stai bene?- domanda Isaac, studiando il sangue di Scott che ancora gocciola da ferite in via di guarigione.
L’Alpha sorride luminoso, scrolla il capo. Poi torna ad abbracciarlo e sorprendentemente… fa scorrere le mani nei suoi capelli e il naso lungo la linea della mandibola. È un gesto gentile, familiare, che a dispetto di tutto, non imbarazza nessuno dei due. Per entrambi, è una cosa purissima e naturale, e Scott sente di poter affrontare qualsiasi incubo semplicemente avendo Isaac accanto.
-Lui muore e dopo chiede anche se io sto bene. Ma tu guarda…- ridacchia Scott, prendendogli il viso tra le mani. Lo guarda da vicino, si specchia in quegli occhi così vivi, così azzurri. In essi, Scott rivede la placidità del mare in bisaccia e il bacio del cielo che all’orizzonte incontra abbracciandolo quello stesso oceano. Il suo mondo vive di nuovo, ed è racchiuso lì, in quegli occhi di bambino così grandi e semplici, così puri e incontaminati. Occhi d’angelo. L’alba di Scott è proprio lì.
-Bentornato a casa.- sussurra, appoggiando la fronte alla sua. Sorridono entrambi, viso contro viso, sereni di respiri condivisi e occhi di cielo e terra che s’incontrano lì, all’alba del nuovo giorno.
-Non li sopporto.- sbotta Valefar, rialzandosi.
-Neanche io.- rincara Lydia, infastidita.
-Ne hanno ancora per molto, secondo te?-
-Spero di no, ma non si daranno mai una mossa. Sono più imbranati di un ornitorinco sulla terraferma.-
-Tra tutti i paragoni, proprio l’ornitorinco… chi gliel’ha dato quel nome del cazz…-
Ma Lydia non lo ascolta più. Silenziosamente, sgattaiola verso Scott e Isaac, e Valefar la segue. Entrambi silenziosi, entrambi leggeri come l’aria. Forse è per questo che Isaac e Scott non si accorgono della loro presenza, ed è per questo che entrambi sbarrano gli occhi quando quattro diverse mani spingono seccamente le loro teste ad accostarsi qualche centimetro di troppo.
Le labbra collidono, si incastrano, si accarezzano stupite. Scott sbarra gli occhi, Isaac si immobilizza in quella ridicola posizione, ponderando l’idea di fingersi morto di nuovo per poi seppellirsi dalla vergogna. Scott lo ammazzerà, ne è certo. Lo radierà dal branco, lo farà a pezzi con gli artigli.
Isaac vorrebbe staccarsi, davvero. Eppure… quel contatto non è poi così male. Scott sa di sole e menta e le sue labbra sono più morbide di qualsiasi drappo di seta voluttuosa. Isaac non ha mai creduto di poter toccare  il sole, di poterlo abbracciare e baciare. Nonostante ciò, adesso lui sta assaporando il sorgere della sua stessa alba. La sfiora, gentilmente si azzarda ad approfondire quel tocco reverenziale di pallido servo che contro ogni logica osa adesso muovere le labbra e schiuderle timoroso. Lascia che la lingua guizzi, lascia che quella luce dorata lo inondi per la prima e forse ultima volta.
Crack. Crack. Crack.
Schioccando, ogni più piccola crepa di quella bambola danneggiata che è sempre stata Isaac, si sana. Il giovane licantropo si abbandona per l’ennesima volta alla sicurezza di quel rifugio familiare che improvvisamente… risponde al bacio.
Timoroso e gentile, Scott gli avvolge un braccio intorno ai fianchi e affonda l’altra mano in quei capelli morbidi di seta e nastri dorati che ha sempre bramato sfiorare. Può sentirli contro i palmi, morbidi e bellissimi come sogno adesso vicino, a portata di mano, che poco a poco lo abbraccia e risponde alla dolcezza del suo tocco.
L’alba di Scott non potrebbe essere più accecante di così: brilla più del diamante e irradia un calore mai provato che abbraccia senza scottare. È uno sbocciare leggero, fragile, timoroso. Scott sente adesso di star toccando quello stesso fiore possente che, nella sua semplice dolcezza, ha saputo vincere il mondo… ha saputo vincere lui.
Baciare Isaac, è come disegnare. Stavolta, Scott ne è capace, si sente degno, e serenamente può osservare da vicino la grandezza di quell’opera che mai nessun Dio saprebbe creare. Lingue che tracciano delicati arabeschi di sapori mescolati, mani che scorrono scie iridescenti sulla pelle e tra i capelli, occhi che schiusi si osservano da vicino e non smetteranno mai di ridere luminosi. La loro opera più gloriosa si spende lì, al cospetto di un esercito, alla fine della battaglia più violenta che l’universo abbia mai visto e al sorgere di un sole nuovo di un altrettanto nuova era.
 
Peter Hale è esausto. Non ha mai lottato tanto in vita sua e, cosa più importante di tutte, non ha mai visto il mondo con gli occhi di un lupo. Lo ha sempre sognato, ci ha sempre sperato. Avere quattro zampe, un muso lungo, essere animale in tutto e per tutto. Si sente un re della sua razza, si sente completo e per la prima volta, totalmente incontaminato. Non che sia una bellissima sensazione, considerato che lui non è nato per essere uno dei buoni. Tuttavia, non è male sentirsi parte di qualcosa. Avere un branco, una famiglia, essere guardato con affetto anziché con odio sporco e putrido di cecità. Certe cose, Peter non le ricordava più. Detesta ammetterlo a se stesso, ma è bello, e si odia anche solo per averlo pensato.
Ancora fermo su quattro zampe irte di graffi e sangue scuro, Peter non sa cosa fare. Vede il branco gioire, Lydia e Valefar darsi il cinque mentre quei due imbecilli di Scott e Isaac finalmente capiscono che il loro posto è sempre stato in realtà tra le braccia dell’altro.
E lui? Che ne è di Peter Hale? Il branco lo avrà anche accettato, ma lui non entrerà mai a far parte di quella famiglia. Peter è un solitario, un diverso. Ha svolto il suo lavoro, lì, e adesso è giusto allontanarsi.
Lentamente, si volta verso i miseri resti bruciati del bosco. Lo guarda, spera che almeno per un po’ sappia accoglierlo. Almeno lui, nella sua selvaggia natura silenziosa, potrà accettarlo. Dopotutto, Peter una famiglia non ce l’ha più. L’ha persa anni addietro, in un incendio che tra le sue stesse vittime, si portò via anche il vecchio Peter.
Va bene così. La battaglia è finita, Lucifero è sconfitto. Anche se per poco, Peter si è sentito se stesso. Non gli interessa salire in Paradiso. Della beatitudine, non se ne fa niente. Tuttavia, ha ringraziato a modo suo Dumah e ciò che gli ha dato. Adesso è ora di andare, di guardare oltre.
Un passo dopo l’altro, Peter si allontana dalla battaglia. Raggiunge il limitare del bosco, che lentamente, davanti ai suoi stessi occhi, si risveglia. Madre Terra si inginocchia, mastodontica oltre ogni dire, con ricci scolpiti avviluppati di tralicci d’edera e fiori che sbocciano e appassiscono in un ciclo veloce, continuo, infinito. Il cerchio della vita.
La donna tocca terra con la mano gigantesca, grande più dell’intero bosco di Beacon Hills, e allora qualcosa cambia, il mondo risponde e poco a poco, mentre Peter continua a camminare, gli alberi rinascono, crescono, stiracchiano rami e germogli di fogliame sempre più fitto, sempre più vivo e smeraldino. Sotto le sue zampe, l’erba fiorisce e l’edera avvolge i massi sporchi di sangue, ripulendoli di un peccato del quale il bosco non ha colpe. Un pezzo alla volta, una pianta dopo l’altra. Peter le guarda rinascere, tornare alla vita lì dove cenere e sangue son piovuti come tempesta maledetta sulla purezza della natura viva e incontaminata. Alla fine, chiudendo il ciclo, quella stessa natura reclama il suo pianeta e la guerra sparisce, soffocata dal verde e dal bianco, dal rosso e dal viola, dal blu e dal giallo.
Peter si sente nuovamente a casa, perché quello è il suo bosco, e Madre Terra non poteva ringraziarlo meglio di così. Prima di lasciare Beacon Hills, riposerà nello stesso luogo che ha accolto e sepolto il vecchio se stesso e la sua famiglia. Penultimo degli Hale ancora in vita, penultimo guardiano prostrato dalla vita e dalla violenza che essa ha racchiuso.
Ma nessun lupo, per quanto solitario, sopravvive a lungo senza un branco. La solitudine non è un male, ma sa diventare infetta se non vi è una cura in grado di respingerla di tanto in tanto.
-Vai da qualche parte, tesoro?-
Peter si immobilizza, sbarra i grandi occhi dalla pupilla verticale. Occhi blu, occhi demoniaci. Gli occhi di…
-Sai che non è male questa nuova forma? Ti preferisco così, quando sei costretto a chiudere quella boccaccia sexy.-
Un tonfo, lo zampettio di quattro arti da furetto sull’erba soffice e ancora in sboccio. Odore di animale, odore di giovane donna. Odore di demone appena emerso dall’Inferno.
Peter si volta di scatto, le orecchie dritte e le narici dilatate ad inalare quel profumo che mai più avrebbe sperato di poter sentire. Odore di pulito, odore di giovane donna. Lui lo riconosce, quell’odore.
Sbatte le palpebre e lei è lì, baciata dai cristalli sfaccettati del sole che emergono dalle folte chiome degli alberi. Metà in ombra, metà in luce, così come è sempre stata la sua anima, il suo essere, la sua esistenza. Una fanciulla alta e bellissima, dal fisico slanciato e gli occhi di intoccabile smeraldo stellato. Vi è la foresta di Peter, in quegli occhi; la stessa in cui è nato e morto, sepolto e rinato. Riesce a vedere il suo vecchio se stesso, in quelle iridi di giovane donna, e improvvisamente, Peter non si sente poi così cambiato. Visto attraverso quegli occhi, si sente ancora se stesso.
Lentamente, in risposta al sorriso provocante della giovane donna, Peter torna umano. Nudo e bellissimo, glorioso di muscoli e pelle tesa, sporca di sangue e terra. Selvaggio, così come Dumah lo ricorda. Un vero lupo, con o senza pelliccia.
Finalmente, può guardarlo negli occhi. Quegli occhi che ha visto prima di morire, quegli occhi che racchiudono ere di follia e macabra sofferenza. È possibile ripulire quello sguardo? È possibile guarirlo, lasciare che torni alla luce? Dumah pensava di no, ma dopotutto, chi è lei per giudicare? Si è svegliata all’Inferno, viva e senza più un paletto di ghiaccio a inchiodarla alla parete. Era morta, ed è tornata in vita. Anche nell’oblio più nero della sua esistenza, ha pregato di poter aiutare Peter e il branco, a dispetto del suo passato di bestia. I miracoli accadono, il mondo cambia, e con esso, mutano anche le persone. Tutto è possibile, perfino sconfiggere il Diavolo.
-Vai da qualche parte, dolcezza?-  sorride lei mentre Diaval le si arrampica lungo la gamba, con la piccola coda bianca che oscilla e i baffi che vibrano.
-Dipende.- risponde Peter, avvicinandosi. –Hai qualche buona meta da consigliarmi, a parte l’Inferno?-
-Quello è il massimo, dopo i Caraibi. Specialmente se ti piace il caldo.-
Peter sorride di un sorriso pulito, sereno, che per la prima volta, gli bacia il volto di nuove storie tutte da vivere e raccontare. Dumah lo conosce bene, quel volto. Somiglia molto al suo. Lei dopotutto, non è così diversa. Entrambi hanno un passato devastante, entrambi hanno sfiorato la follia e fatto scelte sbagliate. Non basterà un po’ d’acqua per ripulire il sangue che sporca loro le mani, ma forse… forse, unendo le forze, sarà possibile fare qualcosa. Non sarà facile, non sarà indolore. Cammineranno insieme, trovando di tanto in tanto la forza di rialzarsi a vicenda. Non è poi un’idea così brutta, dopotutto.
Valefar è cresciuto, ormai. Non ha più bisogno di lei. È giusto che Dumah lo lasci andare. È ora di intraprendere la sua strada e seguire quella linea del via che Stiles e il suo fratellino hanno tracciato per lei davanti ai suoi stessi piedi. Le hanno indicato la strada, ma adesso sta a lei percorrerla. Sarà una gran, bella scarpinata. Maledetti ragazzini. Valefar dovrà sorbirsi ogni cartolina del suo viaggio e imprecare come un camionista ogni volta che vedrà una sua foto. Dumah sarà viva, ma a modo suo. Per ora, vuole sbocciare come è giusto che sia. Vuole sentirsi degna, prima di ripresentarsi al cospetto del suo fratellino.
Strano a dirsi, ma a Dumah non piace viaggiare da sola. È noioso, è stancante e stressa piuttosto facilmente.
-Hai mai visto il Tempio della Terra?- domanda improvvisamente.
-No, ma mi piacerebbe visitarlo. E magari, se c’è qualche sacerdotessa sexy da quelle parti…-
-Certo, se ti piacciono le vecchie incartapecorite dalla pelle coperta di foglie, gioia.- lo interrompe Dumah, facendogli l’occhiolino. –Ma potrei sempre vestirmi da sacerdotessa, che ne pensi?-
Peter annuisce soddisfatto. –Penso che sarebbe perfetto.-
Lentamente, Dumah stiracchia il braccio e apre le dita, tendendo la mano così come Peter fece allora mentre lei moriva. Lo guarda in viso, parla con lo sguardo. E chiede se gli occorre davvero una compagna di viaggio.
Peter non ha bisogno di parlare per farsi capire chiaramente. Lascia soltanto che la mano scivoli in quella piccola e morbida di lei, troppo calda ma ugualmente bellissima. La stringe, vi si aggrappa e capisce che forse, non ha bisogno di restare in quel bosco per trovare riposo. La sua mente ha trovato la pace già lì, nella stretta di quelle piccole dita che giorni addietro, Peter si era ripromesso di non dimenticare.
Forse, ritrovare se stessi non è poi così impossibile.
-Andiamo?- sorride lei.
-Andiamo.- conferma Peter, e allora le tenebre li abbracciano, portandoli lontano, oltre i cieli e gli astri, oltre i mari e le terre più lontane. Viaggeranno a lungo, fianco a fianco, attraverso luoghi ed ere la cui magia non avrà eguali. Capita ancora di ascoltare qualche storia che parli di loro, favole epiche di fate ed elfi, orchi e animali parlanti. Il mondo vero, non è poi così noioso, dopotutto, e Peter Hale avrà modo di sperimentarlo fino alla fine dei suoi giorni, al fianco della donna che ama, demone e lupo, lupo e demone avvinti in un intreccio di anime così diverse, eppure ugualmente tanto simili da parere nient’altro che semplice tutt’uno.
 
L’arco di una vita sa essere bizzarro oltre ogni dire. Si nasce piangendo, si vive soffrendo e spesso, ci si spegne semplicemente con sollievo. Alcuni ringraziano il cielo di aver vissuto mentre altri, contro il cielo ci sputano rabbiosi, bestie in gabbia nella prigionia di un mondo che soltanto alla fine del percorso ha voluto liberarli.
Ci sono volte, tuttavia, in cui nascono gli angeli. Non animali, non bestie in preda alla follia. Semplici angeli senza ali, creature splendide di divina carità gentile, figlie di una bilancia sottile che contrappone quei pochi elementi al piatto troppo carico dei folli rabbiosi. Da una parte, la gente lotta con unghie e schiaffi, ma dall’altra… dall’altra non vi è violenza. Le persone chinano il capo, accettano, subiscono. E, alla fine di tutto, perdonano. Stupide? Forse. Folli? Probabile. Ma il mondo è fatto anche di questo, vero?
Stiles si sente adesso uno di quei folli. Lì, mentre guarda negli occhi Dio in persona e gli chiede ciò che mai nessun pazzo oserebbe fare, poiché alla beatitudine aspirano i gentili quanto finanche i malvagi. Ma Stiles non se ne fa niente del Paradiso, adesso. Non quando la sua unica serenità è lì sulla Terra.
-Cosa hai detto, figlio mio?- sussurra Dio, incredulo. Alle spalle di Stiles intanto, Claudia trattiene a stento una risata e suo figlio sorride a sua volta, educatamente.
-Io non sono un angelo, Signore.- asserisce senza vergogna. –Le tue fila, di me non se ne fanno niente. Io non vivo per servire Dio, ma l’uomo. Non sono nato angelo e non ho intenzione di morire con queste ali: non è con queste che ho imparato a volare. Sono stati i demoni ad appoggiarmi quando avevo più bisogno di aiuto, sono loro i miei fratelli. La mia famiglia ha la coda, ali nere e zanne affilate, e distinguo in loro più purezza di quanta ne abbia mai vista nel falso candore dei tuoi figli. Ti chiedo dunque di ridarmi ciò che mi appartiene, perché adesso lo capisco… cosa fa di un uomo, un uomo? Forse le sue origini, il suo aspetto? O c’è qualcos’altro, Signore?-
Lentamente, alle spalle di Stiles sopraggiunge qualcuno, un uomo dagli occhi verdi con appollaiato in spalla il più fiero dei corvi imperiali. Gli stringe forte la mano, fissa Stiles con sguardo innamorato di giovane licantropo. Occhi adoranti che mai videro in lui parvenza di reale bestialità, occhi che hanno saputo scegliere e insegnare che c’è qualcosa di più del reale aspetto che una creatura dimostra.
Insieme, Stiles e Derek fronteggiano Dio, lo guardano, lo sfidano. Non chinano il capo, poiché entrambi rappresentano adesso la libertà più alta dell’uomo, la sua prima e più importante difesa, il suo scudo. Insieme, così come era all’inizio, così come sarà sempre.
Alla fine, Dio sospira. –Non ho mai preteso di capirti, figlio mio. Morte e Vita hanno ragione: ho creato delle creature piuttosto complesse, e alla fine la mia stessa superbia mi è sfuggita di mano. Non mi opporrò alle tue scelte, poiché mentre fingevo la mia morte, tu dimostrasti misericordia laddove avrei potuto scorgere nulla più dell’odio. Sei stato caritatevole, e per questo sarai ricompensato, così come ricompensa fu concessa a Derek, Lydia e Peter. La loro vicinanza alle anime di voi demoni concesse loro di aggrapparvisi, di trasformarsi… e forse, essere contaminati dall’essere demoniaco non è poi così sbagliato, visti i famigli che contro ogni logica siete riusciti a creare.-
Stiles annuisce, forte di quella mano che ancora stringe la sua, vivo di quel sole che gli bacia la pelle e non brucia più. Nonostante tutto, lui l’alba vuole guardarla con occhi demoniaci. La sua vera natura, la sua giusta rinascita, possiede nient’altro che quella forma, ed è giusto reclamarla. Lui vuole essere quello stesso demone che bellissimo appariva agli occhi di Derek, quel demone che ha salvato vite e sacrificato se stesso. Quella creatura, nella sua miserevole oscurità, ha fatto molto più di quanto possa anche solo immaginare qualsiasi altro angelo.
-Non ti ho mai abbandonato, figlio mio. Tu pregavi, e io ascoltavo. Ero al tuo fianco anche quando pensavi che non ci fossi. Sono tuo padre, dopotutto. E di questo, non posso che vantarmene.-
Claudia li raggiunge, dolcemente, poggia una mano sulla spalla di Stiles. È ora di andare.
Stiles vorrebbe implorarla di restare, inginocchiarsi, scoppiare in lacrime, ma sente che stavolta, è giusto così: deve lasciarla andare. Il suo circolo vitale è finito, ma non lo lascerà mai veramente. I defunti dopotutto, sono nient’altro che invisibili. Ci sono anche quando ci si illude di averli persi per sempre, ma basta a volte un soffio di vento, la carezza di un fiore o l’abbraccio di un sogno nella notte per capire che non siamo poi così soli.
-Buon viaggio, mamma.-
Claudia sorride e indietreggia. Affianca Dio insieme a sua sorella Vita, ma adesso, gli occhi della signora Stilinski sono in quelli di Derek, fieri e composti come quelli di un vero lupo Alpha.
-Se fai del male a mio figlio, ti stacco il…-
-MAMMA!!!-
Claudia ride, un suono argentino che si espande nell’aria come fulgida benedizione mattutina. Un ultimo saluto, la carezza benigna di una Morte che sì, forse non è poi tanto sbagliato trattare con un filo di gentile umorismo. Saranno insieme, alla fine di tutto, ma ognuno di loro ha ancora una strada da percorrere. Avventure pericolose, devastanti, forse mortali. Le affronteranno, le vivranno, e insieme, guarderanno al domani con la soddisfazione non dei sopravvissuti, ma dei viventi veri e propri. Sono un branco, dopotutto.
Mentre Morte, Vita e Dio spariscono lentamente in un dissiparsi di filamenti luminosi, baciati dall’aria pulita del mattino, Stiles si volta. Si specchia negli occhi di Derek come se fosse la prima volta, quelle iridi cristalline di smeraldo vivo, edera selvatica di liquida rinascita. Quegli occhi l’hanno fatto uscire dall’Inferno, quegli occhi l’hanno reso demone e uomo, angelo e guerriero. Attraverso quello sguardo, Stiles muore e resuscita in un eterno ciclo di vita che non smetterà mai di amare. È questa la sua scelta, è questo il suo domani. Quell’alba, è solo l’inizio.
-Pensi che abbia fatto una cavolata?-
Derek scuote il capo. –Odio gli angeli.-
-Già… aspetta, ma che te lo chiedo a fare? Parlo con uno che non ha mai visto Star Wars!-
Derek respira profondamente per invocare pazienza, poi di scatto lo afferra per le ginocchia e lo costringe ad allacciare le gambe intorno ai suoi fianchi. Lo solleva con leggerezza, con Diablo che gracchia e si alza in volo infastidito. Corpo contro corpo, anime a contatto alla fine di una battaglia che avrebbe dovuto spaccare da sola qualsiasi legame inscindibile.
-Ahia! Che cavolo fai?!-
-Ti porto a casa. E se stanotte ti addormenti durante la maratona di Star Wars, ti apro la gola. Con i denti.-
-Evvai! Maratona!-
-Non parlavo con te, Valefar!-
-Veniamo anche noi!-
-Isaac, Scott; espatriate.-
-Mi aggrego.-
-ALLISON!!!-
Semplicemente, Stiles getta il capo all’indietro e scoppia a ridere della stessa risata che da sola, ha scosso e abbattuto l’Inferno dalle fondamenta. Un suono puro, gentile, angelico così come gli angeli dovrebbero essere. Dopotutto, l’aspetto è solo un’indole visiva e nient’altro. Tutto ciò che conta in realtà, sono le scelte che si compiono: non come si iniziano le cose, ma come si decide di finirle.
Mentre le prime lingue di fuoco avvolgono brucianti le ali di Stiles, polverizzando piume e vesti, luce e aura celestiale, Derek lo bacia. Non teme le fiamme, non teme il mondo: tutto ciò di cui ha bisogno, è l’angelo dall’aspetto animale che stringe dolcemente tra le braccia.
 
A questo punto, non credo ci sia altro da dire. Io sono un semplice narratore, una voce fuoricampo che parla e scrive, grida e sussurra. Certe storie, andrebbero sepolte sotto metri e metri di silenzio, poiché troppo orribili per essere narrate, ma altre… altre necessitano una buona stesura su carta. Meritano di insegnare, di parlare, di gridare al mondo che c’è ancora una speranza anche quando ogni cosa crolla e tutto ciò che resta apparentemente è l’oscurità. Tiriamo le somme, dunque? Difficile. Non vi è un modo per concludere una storia, poiché essa rimarrà aperta e incompleta fino alla fine dei tempi. Correrà nei vostri animi e nelle vostre voci, nei vostri gesti e nei vostri sorrisi. Stiles ci crede, e per questo mi ha chiesto di scrivere questo piccolo racconto. Ha insistito tanto, e gli ci sono voluti mesi per convincermi.  
“Hanno bisogno di aiuto”, ha detto. Vorrei tanto sapere come funziona la sua mente. Eppure… sento che, in qualche modo, forse questa storia potrà aiutare veramente qualcuno. Non nel modo più convenzionale del termine, certo, ma sarà una speranza. Piccola, innocua, ma, come avrete avuto modo di appurare, sono proprio le piccole cose a cambiare il mondo. Ora, sta a voi. Scegliete la vostra strada, costruitela col sangue e col sudore, ma non smettete mai di andare avanti. Anche nell’oscurità più fitta, la luce troverà il modo di raggiungervi, così come raggiunse Stiles giù all’Inferno o Lydia mentre era al cospetto di Madre Morte.
Siate voi i veri angeli della vostra era. Siate uomini. Siate leggende. La luce del mondo non è mai scomparsa, ma per vederla davvero serve un pizzico di coraggio, una scintilla di fantasia e, perché no, anche un brandello di fede.

“Ho visto la luce sbiadire nel cielo
Nel vento, ho udito un sospiro.
Mentre i fiocchi di neve si adageranno sui miei fratelli caduti,
Dirò quest'ultimo addio.
Ora la notte sta calando;
Così finisce questo giorno.
Il cammino ora mi chiama, e io devo andare.
Al di là di colline e sotto l'ombra di alberi;
Attraverso terre dove nessuna luce ha mai brillato;
Lungo ruscelli argentati che scorrono verso il Mare;
Sotto le nuvole, alla luce delle stelle,
Sulla neve di un mattino d'inverno,
Seguo infine i sentieri che mi condurranno a casa.
E anche se non so dire dove la strada mi porterà
Siamo venuti tutti per la medesima via:
Ma ora è venuto il momento di dirvi addio.
Sono stato in molti luoghi, ho visto mote sofferenze
Ma non ho rimpianti, né mai dimenticherò
Tutti coloro che percorsero con me questa strada.
Ora la notte sta calando;
Così finisce questo giorno.
Il cammino ora mi chiama
E io devo andare.
Al di là di colline e sotto l'ombra di alberi;
Attraverso terre dove nessuna luce ha mai brillato;
Lungo ruscelli argentati che scorrono verso il Mare.
Mi terrò stretti questi ricordi,
Me ne andrò con la vostra benedizione
Per seguire infine i sentieri che mi condurranno a casa.
E anche se non so dire
Dove la strada mi porterà
Siamo venuti tutti per la medesima via.
Ma ora è venuto il momento
Di dirvi addio.”
 
https://www.youtube.com/watch?v=r4j_kCQ4f2Q
 
Angolo dell’autrice:
Non ho molte parole per descrivere questa piccola avventura. L’ho vissuta con voi, al vostro fianco, ma voglio che questa, per quanto piccola, sia il mio regalo per voi. Avete mai visto un’alba? Si innalza al cielo, spandendo dappertutto una luce vera e pulsante di vita. Quello è il momento in cui il mondo piomba nel suo più grande momento di irrealtà, il momento in cui il confine tra sogno e reale esistenza si assottiglia. Vi auguro dunque di vivere di quei momenti. Siate alba, siate vita. Siate voi luce per chi ha sempre e solo osservato un banale riflesso di candela.
Siate come Valefar, il cui dolce umorismo non è mai venuto a mancare, neanche in punto di morte.
Siate come Lydia, il cui coraggio ha scosso dalle fondamenta il mondo intero.
Siate come Isaac, la cui lealtà non ha mai saputo vacillare.
Siate come Scott, che ha perseguito i suoi ideali fino alla fine, lottando con le unghie e con i denti.
Siate come Peter, furbo e per nulla ingenuo.
Siate come Dumah, il cui amore fraterno l’ha condotta lontano, oltre la morte e la vita, oltre Dio e Lucifero.
Siate come Allison e Chris, il cui ingegno ha saputo salvare migliaia e migliaia di vite.
Siate come Stiles e Derek. Alla fine di tutto, oltre gli angeli e i demoni, hanno scelto la libertà. Insieme, vivranno meravigliose avventure, ma adesso sta a voi portarle avanti, immaginarle, sognarle e poi, perché no, anche raccontarmele.
Sognate, ragazzi miei. Sognate e abbiate sempre fiducia in voi stessi. Vivete la vita e, quando sarà il momento, abbracciate la morte nel modo più giusto. Vi affido dunque i miei cavalieri più splendenti. Ricordatevi di Valefar, Dumah, Stiles e di tutti gli altri, quando il coraggio viene a mancare. Ricordatevi di loro e della battaglia che insieme avete combattuto.
Il mio augurio è questo, e viene dal profondo dell’animo. Col cuore in mano adesso mi inginocchio ai vostri piedi e vi ringrazio per il tempo che avete dedicato alla mia umile storia. Non è nulla, ma voi mi avete fatta sentire come se fosse un grande tutto. Per questo, vi ringrazio. Alla fine di tutto, posso ripetermi per l’ennesima volta, giusto per non smentirmi mai. Grazie. Grazie dal profondo del cuore. Ma dopotutto, questo non è un addio, soltanto un arrivederci.
Ci rivedremo a Ottobre, se tutto andrà bene. Forse sentirete ancora parlare di me, con una nuova Sterek e una nuova storia tutta da vivere. Saremo insieme per l’ennesima avventura e ancora una volta cammineremo accanto a Stiles, Valefar, Dumah e gli altri. Sì, ci saranno anche loro. Perciò, almeno per ora, qui si scioglie la nostra compagnia. E grazie di tutto, miei splendidi angeli.

 
Tomi Dark Angel

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