Olympus Chapter

di SagaFrirry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1- Maledizioni ***
Capitolo 2: *** II- incontri ***
Capitolo 3: *** III- prima che sorga il sole ***
Capitolo 4: *** IV- alleanze ***
Capitolo 5: *** V- fratelli ***
Capitolo 6: *** VI- crollo ***
Capitolo 7: *** VII- padri ***
Capitolo 8: *** VIII- amen ***
Capitolo 9: *** IX- famiglia ***
Capitolo 10: *** X- la bambina ed il drago ***
Capitolo 11: *** XI- ospiti ***
Capitolo 12: *** XII- questioni di sangue ***
Capitolo 13: *** XIII- dimostrare ***
Capitolo 14: *** XIV- scontro ***
Capitolo 15: *** XV- lealtà ***
Capitolo 16: *** XVI- sospetto ***
Capitolo 17: *** XVII- armonia e discordia ***
Capitolo 18: *** XVIII- cielo e terra ***
Capitolo 19: *** XIX- saggezza e vendetta ***
Capitolo 20: *** XX-prova ***
Capitolo 21: *** XXI- fedeltà ***
Capitolo 22: *** XXII- fulmini e sangue ***
Capitolo 23: *** XXIII- l'illusione ***



Capitolo 1
*** 1- Maledizioni ***


I

MALEDIZIONI

 

“È questo il posto?” si chiese Atena, camminando nel buio.

Non riusciva a vedere nulla. Camminava dietro ad Hermes, che cercava di illuminare la strada con una piccola lanterna. La Dea si avvicinò di più al Dio, piuttosto spaventata da quel luogo lugubre.

“Ci siamo” parlò lui.

Dopo aver attraversato diversi antri dell’oltretomba, tre divinità raggiunsero finalmente quel che cercavano. Atena sussultò. Guardo verso l’alto, ammirando quella statua scura.

“Loro possono sentirmi?” domandò ad Hades, che non sapeva che cosa rispondere.

Da sotto, lei guardò in su. Ad osservarla, le sembrava di percepire gli sguardi dei suoi cavalieri d’oro, imprigionati nella pietra. Puniti per aver osato infrangere il muro del pianto, se ne stavano immobili, uno accanto all’altro.

“Vuoi risvegliarli tutti?” chiese il Dio dell’oltretomba, trovando quella statua umana piuttosto rivoltante.

“Certo. Dovrei lasciare qualcuno qui, secondo te?!” sbottò lei.

“Non so. Sono affari tuoi”.

Hermes, quasi annoiato, fece segno alla sorella maggiore di darsi una mossa. Atena obbedì e toccò la pietra con il bastone di Nike. Subito una forte luce avvolse la statua, inondando le tenebre e riempiendo di crepe la superficie nera. Scricchiolando, l’involucro si ruppe, simile ad un uovo che si schiude. Con un boato, i cavalieri d’oro imprigionati caddero, accompagnati da pietra che si spaccava in pezzi quando toccava terra.

“Cavalieri!” chiamò Atena, impaziente di lasciare quel luogo inospitale.

“Siete liberi di andare dove volete” si aggiunse Hades.

I saint, ancora in terra, si guardavano attorno senza capire quel che stava accadendo. Hades? Il Dio li richiamava di nuovo? Ma la voce femminile che avevano udito era quella di Atena! Che fosse in pericolo?

“Atena!” chiamò più di qualcuno fra i cavalieri.

Lei non parlò. Sorrise, anche se leggermente in imbarazzo, perché i suoi sottoposti erano nudi. Furono avvolti di nuovo dalla luce, emessa dal caldo cosmo della Dèa, e lasciarono quel luogo maledetto.

 

 

“A che pensi?” stuzzicò Kanon, con indosso l’armatura dei gemelli.

“A niente in particolare” ammise Saga, il gran sacerdote.

“Sei sempre così serio. Eppure dovresti essere bello rilassato. Da quando Atena ci ha liberati dalla pietra, non abbiamo avuto nemici o attacchi”.

“Mi chiedo per quale motivo ci abbia riportati qui, a volte”.

“E perché te lo chiedi? Siamo in pace e siamo liberi di fare quello che ci pare”.

“Vero. Di fatti, sono stato via per degli anni e nemmeno te ne sei accorto”.

“Non se n’è accorto nessuno”.

I due gemelli si fissarono solo per qualche istante, in silenzio. Nella grande sala della tredicesima dimora, i cavalieri si stavano radunando. Atena li aveva richiamati e questo un pochino li metteva in ansia. Dopo quasi dieci anni dal loro ritorno al tempio, era la prima volta che la loro Dea li convocava tutti insieme. Saga, come sempre pessimista, pensò al peggio. Ma cercò di non pensarci troppo. La porta si aprì, facendo entrare l’ultimo cavaliere d’oro che ancora non era presente: Ioria del leone. Al suo fianco, Marin dell’Aquila. I due, da quando si erano sposati, dimoravano alla quinta casa ed avevano deciso di partecipare a quella convocazione insieme.

“Benarrivata, Marin” sorrise Shaina, lieta di non essere l’unica donna.

La sacerdotessa dell’Ofiuco era accanto a Death Mask, che la stringeva a sé. Il cavaliere italiano, piuttosto geloso, cercava sempre di mettere in chiaro che lei non era disponibile.

“Siamo gli ultimi, scusate” si inchinò leggermente Marin.

Non indossava più la maschera, essendo sposata. Sorrideva, imbarazzata. Alzò gli occhi, rivolgendo lo sguardo al gran sacerdote, e si fece seria.

“Sono spiacente” riprese a parlare lei “So che è da tanto che non passo per queste stanze, e forse è del tutto inappropriato dirlo ora, ma..”.

“Di che parli?” la interruppe Saga.

“Vedo l’anello che portate al dito. Non sapevo foste vedovo. Condoglianze”.

Saga non rispose subito. Si toccò l’anulare, come in una sorta di reazione involontaria, e lo rigirò. L’anello nero brillò debolmente.

“Sei l’unica che se n’è accorta” riuscì poi a dire lui “Ad ogni modo, non ti preoccupare. Sono passati un paio di anni”.

“Come si chiamava? Se posso chiedere..”.

“Eleonore”.

Scese uno strano silenzio, fra gli sguardi interrogativi dei cavalieri che non sapevano bene che cosa dire. Kanon fece per aprire bocca, per chiedere delucidazioni, quando la tenda alle spalle del trono si mosse ed apparve Atena. Lei sorrideva.

“Che musi lunghi” commentò “Non temete: non vi porto brutte notizie. Anzi, tutt’altro! Siamo invitati ad un evento molto speciale”.

“Di che si tratta?” domandò Milo, senza riuscire a trattenere la curiosità.

Atena si avvicinò al trono e Saga si alzò, invitandola a sedersi. Lei scosse la testa, restando in piedi.

“Dobbiamo andare da Hades” parlò ancora lei, facendo sobbalzare più di qualcuno.

“Come sarebbe a dire? Hades ci dichiara di nuovo guerra?” furono le parole di Ioria, in allarme.

“No!” si affrettò a rispondere Atena “Non vi preoccupate. Ci sono tante cose che vi devo spiegare e questo invito è proprio l’occasione ideale. Vestitevi a festa”.

“A festa? Per andare da Hades?” borbottò Ioria “Per quale motivo?”.

“Sei impaziente! Ogni cosa a suo tempo..”.

“Possiamo almeno sapere per quale occasione?” insistette il leone.

“Che differenza fa?! È una bella occasione, vestitevi in modo elegante e non da lugubri esseri che vanno ad un funerale. Chiaro?”.

Atena continuava a sorridere. Notò, però, che nessuno dei cavalieri si dava una mossa. Si accigliò leggermente e fissò Saga, come a voler dire “fa qualcosa!”.

“Avete sentito?” sospirò il gran sacerdote “Obbedite. La Dea vuole vederci eleganti e sorridenti”.

“Vado a prepararmi pure io. Domani sarà una lunga giornata e voglio vedervi allegri e rilassati. Niente nemici, niente pericoli”.

Nessuno dei saint sembrava convinto. Al palazzo di Hades tranquilli e rilassati? La Dea, ignorando i loro sguardi perplessi, si congedò. Sparì di nuovo da dietro la tenda e tornò alle sue stanze.

“Che fate ancora qui?” sbottò Saga “Non sapete più obbedire? Tornate alle vostre stanze, domani dobbiamo seguire la Dea al palazzo di Hades”.

“Ma è un suicidio!” protestò Shaka.

“Non posso farci nulla. È quello che lei ha ordinato”.

“Se lei ti ordinasse di lanciarti dal tetto della tredicesima, tu lo faresti?”.

“E tu? Lo faresti?”.

Scese di nuovo il silenzio.

“Insomma..” si fece sentire Death Mask, dopo qualche istante “..che problema c’è? Se ci sarà da combattere, lo faremo! Se ci sarà da far festa, lo faremo! Nessun problema”.

“Sì, alla fine saremo tutti uniti” si aggiunse Aphrodite “Non ci dobbiamo spaventare”.

Anche se non molto convinti, i saint iniziarono a lasciare la sala. Non tutti, però, volevano muoversi. Saga li fissò, invitandoli cortesemente ad andare a dormire.

“Vorrei prima parlare con te” ammise Kanon.

“Di cosa?”.

“Di Eleonore”.

“Non ho niente da dirti”.

“Perché non me ne hai parlato?”.

Saga tentava invano di allontanarsi da gemello, ma questi continuava a bloccargli la strada. Il gran sacerdote sbuffò.

“Non sono affari che ti riguardano, Kanon. Ora, per favore, lasciami andare a letto. Sono stanco”.

“Sono il tuo gemello!”.

“E allora? A me non interessa la tua vita privata”.

“Ma non ti nascondo niente”.

“Sono tue scelte. Ora lasciami in pace. Lei è morta, non ha importanza quel che era o quel che poteva essere. Chiaro?”.

Kanon alzò entrambe le braccia, arrendendosi. Senza aggiungere altro, lasciò la stanza, sbattendo la porta. Rimasto da solo, Saga si diresse verso le sue stanze. Pure lui non era molto tranquillo all’idea di andare al palazzo di Hades, ma doveva obbedire alla sua Dea. Diede un bacio all’anello nero e poi andò a letto, spegnendo le ultime candele accese del tempio.

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Capitolo 2
*** II- incontri ***


II

 

INCONTRI

 

Zeus zittì tutti in sala, alzandosi. Nel tavolo centrale stava seduto Hades, vestito elegante, con accanto la moglie Persefone e un’altra donna in abito da sposa. Il volto di lei era coperto dal velo bianco. Tutte le divinità olimpiche si erano radunate per quell’evento inaspettato, assieme ai loro cavalieri, giudici e generali. Zeus aveva riportato il silenzio fra la baldoria, scusandosi.

“Innanzi tutto..” iniziò a parlare, con voce grave “..volevo fare i complimenti al mio caro fratello maggiore Hades. Sono davvero stupito di questa sua decisione e sono felice che Persefone sia entusiasta quanto noi all’idea di questo secondo matrimonio. Evidentemente ha visto negli occhi di mio fratello quella luce che..”.

“So che non è di questo che vuoi parlare!” sorrise Hades.

“In effetti, è vero. Approfitto di questo evento per spiegare a tutti quanti quel che sta succedendo. Vedo tante facce spaventate qui, fra i mortali. Segno che, evidentemente, non tutte le divinità sono state sincere con voi. Siamo in guerra, anche se non sembra”.

“In guerra?” ripeté più di qualcuno.

“Però state tranquilli. Non siamo in guerra fra noi. E questo è davvero incredibile”.

Molti dei mortali si guardarono attorno, cercando di capire quale divinità mancasse.  Zeus, nel frattempo, continuò a parlare senza badarci. Ma al tavolo di Atena i mortali furono distratti.

“Dov’è il tuo gran sacerdote?” domandò Artemide, sfiorando la sorella Atena con le mani.

Atena placò subito i cavalieri che la accompagnavano, che si erano allarmati.

“Non è una nemica!” spiegò la Dea della saggezza “E non so dove sia il mio sacerdote. Perché me lo chiedi, sorella?”.

“Perché devo parlargli. Temo che qualcosa non vada in me”.

“E come può aiutarti il mio sacerdote?”.

“Voi sapete chi è Eleonore, immagino..” continuò Artemide.

“Vagamente” ammise Atena.

“Eleonore era la mia sacerdotessa. Non la ricordi? Siamo venute al tempio insieme..”.

“Giusto! È vero! Ti chiedo scusa. È lei l’Eleonore che..?”.

“Che ha sposato Saga. Sì. Ma fra di voi vi parlate?! Non è questo, comunque, il problema. Il problema è che io più guardo la seconda sposa di Hades e più mi ricorda Eleonore. E non credo che questo abbia senso, però la mia mente non si toglie questo pensiero dalla testa”.

“Sorella, è normale rivedere il volto di persone che abbiamo perso ed a cui eravamo affezionati”.

“Lo so. Per questo volevo parlare con Saga. Così ci rassicuriamo a vicenda..”.

“Non so dove sia” ammise Atena “Però, se può farti sentire meglio, potresti parlare con me. Sono tua sorella, lasciamo da parte le ostilità”.

“Non credo tu possa farci qualcosa, scusa”.

“Però vorrei sapere di più su questa Eleonore. Saga non parla”.

Artemide fissò la sorella, stupita. Era perplessa, perché i suoi angeli e le sue sacerdotesse non avevano segreti per lei. Inoltre, non capiva come nessuno dei presenti si fosse posto delle domande, visto che Saga aveva trascorso molto tempo al tempio della luna.

“Non credo ci sia molto da dire” borbottò la Dea Artemide “SI sono incontrati, si sono piaciuti, si sono completati e sposati. Poi lei è morta”.

“Ma come è morta?” incalzò Aphrodite, che amava le storie strappalacrime.

“È stata uccisa”.

“E da chi?”.

“Da Diana. O meglio..dai suoi cavalieri”.

“Diana? Intendi il nome che i romani hanno dato a te, Artemide?” si chiese Camus.

“No. Diana ed io non siamo la stessa persona. Siamo due entità distinte ma, con l’avvento della religione romana,  ha preso il mio posto e le mie mansioni. Siamo in guerra contro i romani e per questo siamo alleati”.

“Quindi Diana ha ucciso Eleonore. E perché?” riprese Atena.

“Non c’è un perché. Quella notte era luna piena e ci stavamo preparando a fare festa. Come ad ogni luna piena, Eleonore era bionda e bellissima e..”.

“È bionda solo nella luna piena?” si stupì Camus.

“Mutava colore ed aspetto seguendo i cicli della luna. Uno dei motivi per cui Saga era tanto attratto da lei. Ma non conta parlarne adesso. Stavamo per fare festa, e per più ragioni. Lei, la mia somma sacerdotessa Eleonore, aveva appena scoperto di essere incinta. Per festeggiare, Saga era in paese, assieme a molte mie guerriere, per fare spese. Volevano fare una sorpresa ad Eleonore, comprandole qualcosa di speciale per il lieto evento. Però, mentre erano via, Diana ha attaccato il tempio con i suoi sottoposti. Abbiamo combattuto, ovviamente, ma eravamo in poche e siamo state tutte ferite gravemente. Alcune delle mie guerriere hanno perso la vita, ed anch’io ho rischiato di non risvegliarmi. Eleonore ha perso il bambino ed è morta qualche giorno dopo. Volete altri dettagli o la vostra curiosità morbosa per stasera è soddisfatta?”.

Artemide non amava parlare di quel che era successo, probabilmente perché si sentiva in colpa per quanto accaduto.

“Non posso credere che nessuno di voi abbia notato niente” riprese la Dea “Ma non me ne stupisco più di tanto. Nemmeno notavate quando cambiava personalità..”.

“Parli di Saga?” furono le parole di Kanon.

“Certo. Lui al mio tempio sorrideva. Ah, pareva un angelo quando lo faceva! Ma ora non lo fa mai”.

“Mio fratello non è tipo molto sorridente” scosse la testa Kanon “Non lo è mai stato, se non in punto di morte. I ghigni malvagi di Arles sono discorsi a parte”.

“Non sono qui per parlare delle due facce di tuo fratello..”.

“Esatto. Anche perché Arles non esiste più”.

 

Thanatos ed Hypnos, assieme ad i tre giudici di Hades, si erano un po’ allontananti dalla festa. Vestiti in modo piuttosto pomposo, ridevano raccontandosi accadimenti passati e si stupirono nel vedere, accanto al fiume Lete, una figura che non era alle dipendenze di Hades.

“Cosa fai qui, tu? Il fiume Lete non è raccomandato a chi non è ancora morto” spiegò Thanatos.

“Come se non lo sapessi!” sbottò Saga, lanciando un sasso nell’acqua e facendolo rimbalzare.

“Ah, sei tu!” lo riconobbe Radamante “Che complotti? Tu e la tua Dea piagnucolosa..”.

“Siamo alleati adesso, no? Quindi non sto complottando niente. Semplicemente mi rompo le palle ai matrimoni”.

“A chi lo dici” annuì Aiaco.

“Bene! allora, se la pensate come me, non rompetemi i coglioni!”.

“Il mio era solo un avvertimento” storse il naso Thanatos “Fai quello che ti pare”.

“Siete proprio carini vestiti da sera” sfotté Saga.

“Ti ci affogo nel Lete, coso!” minacciò Hypnos.

“Ma io ricordo che voialtri eravate tutti morti..” riprese il sacerdote di Atena.

“Ricordo la stessa cosa di voi gold” rispose Minos “Ma siamo tornati. Questi sono i nostri veri corpi mitologici, visto che ad Hades servivamo e ancora non c’era fra i mortali chi ci accoglieva”.

“E Hades non aveva perso il corpo mitologico? Ricordavo questo..”.

“No. Non si può distruggere il corpo di un Dio”.

“Quindi noialtri cavalieri d’oro siamo morti al muro per pianto per dar la possibilità ad Atena ed i bronzetti di uccidere Hades..per niente?!”.

“Esatto”.

“Bello..”.

Saga lanciò un altro sasso.

“Bevici su” sorrise Radamante, porgendo una bottiglia al cavaliere.

“Non bevo in servizio” si giustificò Saga, rifiutando l’alcol, che fu passato agli altri generali.

“Sei noioso, sacerdote”.

Saga non rispose. Ignorò il gruppetto, continuando a lanciare sassi nel Lete.

 

“Vado io a cercarlo” si propose Aphrodite, alzandosi dal grande tavolo di Atena.

Non fidandosi molto delle creature che vivevano in quel luogo, il cavaliere dei pesci materializzò una delle sue rose fra le dita.

“Che bella rosa” si sentì dire.

Girandosi, vide una donna, che si avvicinò ed allungò una mano verso il fiore. Subito il cavaliere indietreggiò, impedendo alla sconosciuta di entrare in contatto con il veleno.

“Non è saggio toccare le mie rose” spiegò “Sono intrise di veleno mortale”.

“Io vivo circondata dalla morte. Non mi interessa”.

La donna, ignorando l’avvertimento di Aphrodite, sfiorò la rosa e sorrise. Ne gradì il profumo e non riportò alcuna conseguenza. Il cavaliere la fissò, piuttosto stupito.

“Ma voi..siete Persefone, la prima moglie di Hades!” la riconobbe, finalmente.

“Sì, esatto. E voi siete il cavaliere chiamato Aphrodite”.

“Non è il mio vero nome, ma adoro questo soprannome”.

“Capisco..dove state andando? La festa vi annoia?”.

“Sto cercando un amico. E voi che fate qui? Con quest’aria triste..dicono che siate d’accordo con il secondo matrimonio di Hades, ma il vostro viso dice tutt’altro”.

“Spero comprendiate. Anche se Hades mi ha rapita, aveva sempre delle attenzioni per me. Ora, invece, le cose cambiano. Finché si trattava di Pandora, non avevo nulla di cui preoccuparmi. Ma con questa donna è diverso”.

“Si è innamorato per davvero?”.

“Non lo so. Cambiando argomento..che amico state cercando?”.

“Saga”.

“Mi è sembrato di scorgerlo assieme ai giudici”.

Aphrodite, allarmato, accelerò il passo. Persefone, annoiata, lo seguì.

“Saga! Eccoti!” lo chiamò il cavaliere dei pesci, raggiungendolo “C’è Artemide che ti cerca”.

“Artemide? E per quale motivo?” rispose il sacerdote, senza capire.

“Ha le visioni e vuole che la aiuti a darsi una calmata”.

“Le visioni? Ma che ci posso fare io?”.

“Dice che vede nella sposa di Hades la sua vecchia somma sacerdotessa”.

“Eleonore?”.

“Esatto”.

“Ma è Eleonore” dissero, in coro, Persefone e Minos.

“Che..?”.

Aphrodite rimase un pochino in silenzio, sconcertato. Lo stavano prendendo in giro?

“Dal giorno in cui l’ho giudicata..” spiegò Minos “..subito Hades ha mostrato interesse per lei. E poi è risultata un’ottima cosa, visto che ora siamo tutti alleati”.

“Quindi lei è..” riprese Aphrodite.

“..la ex moglie del tuo sacerdote, sì” ammise Minos, con naturalezza.

“Del resto..” si intromise Thanatos “..è finché morte non vi separi. E lei è morta. Quindi non c’è alcun problema. Inoltre le anime, quando giungono qui, dimenticano quel che è successo loro in vita, perciò non sa nulla del precedente matrimonio. Ricorda di essere stata a servizio di Artemide, perché Hades lo ha voluto, ma nient’altro”.

“Questo è ingiusto!” protestò il cavaliere dei pesci, ma Saga non sembrava darci troppo peso.

“E poi..” insistette Aphrodite “..tu eri a conoscenza del casino  contro gli olimpici con nome romano? Sapevi che c’è una guerra imminente!”.

“C’è sempre una guerra imminente!” rispose Saga “Ogni sacerdote sapeva la verità prima che Zeus la spiegasse a tutti. Ma dovevamo attendere il momento opportuno, senza allarmare tutti prima del tempo”.

“Ma..perché? Credevo fossimo amici, e invece mi hai nascosto un sacco di cose”.

“Non sono mai stato molto eloquente”.

Saga cercava di cambiare argomento, ma far demordere Aphrodite era molto difficile. Innervosendosi, il sacerdote si morse un labbro per non perdere il controllo. Nonostante questo, i suoi occhi iniziarono a mutare di colore. Fortunatamente, si udì un latrato ed un grosso lupo interruppe la conversazione, fiondandosi in mezzo al gruppo. Saga, d’istinto, bloccò l’animale prima che questi si gettasse nel fiume. La bestia, ben più grossa del normale, ringhiò e provò a ribellarsi. Il sacerdote non mollò la presa ed attese che il padrone lo raggiungesse. Un uomo dallo sguardo celato da un pesante elmo, correva trafelato per raggiungere il lupo e tirò un sospiro di sollievo quando vide che non era successo nulla di irreparabile.

“Vi ringrazio” parlò, calmando l’animale con la mano “Mi è sfuggito”.

Alzò lo sguardo, incrociando quello di Saga, ancora velato di rosso, e non disse nulla.

“A quanto pare..” sorrise Hypnos “..il matrimonio annoia pure i cani!”.

“Lui è un lupo. Ed è di mio padre. Se dovesse succedergli qualcosa, sarei nei guai” spiegò l’uomo accanto alla bestia, che ringhiò rivolto ad Hypnos e gli altri.

“Forse è meglio se rientriamo tutti” propose Persefone.

“Avete ragione, signora” annuì Aiaco.

Lentamente, tutti tornarono alla festa, anche se controvoglia. Kanon, a braccia incrociate, attendeva il fratello con aria di rimprovero.

“Che cosa c’è?” sbottò Saga, infastidito da quello sguardo.

“Mi preoccupo per te” rispose il gemello.

“Non dovresti. Ho tutto sotto controllo”.

“Sei sicuro?”.

“Certo..”.

“Hai gli occhi rossi”.

“Sta tranquillo. Lo sai perché Shun è ancora al tempio? Non certo perché combatte, cosa che non vuole più fare da anni, ma bensì perché ha studiato medicina. E mi aiuta a mantenere la situazione gestibile”.

“In che senso?”.

“Non serve che tu sappia tutto..”.

“Non so niente, infatti. Sono il tuo gemello, e non ti conosco affatto”.

“Le cose sono cambiate rispetto a quando eravamo piccoli. La medicina è progredita ed ora esiste il modo di tenere a bada i miei problemi”.

“Intendi dire che Shun ti fa da psichiatra?”.

“Fratello, senza determinate medicine, mi sarei già sparato in testa da tempo. Ora, se non ti dispiace, vorrei andare a mangiarmi una fetta di torta nuziale”.

“È per questo che sei così?”.

“Smettila, Kanon!”.

“È per colpa delle medicine che sei così? Pare che non ti importi nulla, anche se la tua defunta moglie sta mettendo la lingua in bocca al re degli inferi. Dovresti almeno dire che..”.

“Smettila, Kanon..”.

Sistemandosi la cravatta, il sacerdote rientrò in sala. Ad attenderlo, c’era una grossa fetta di torta con la panna ed un bicchiere di champagne.

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Capitolo 3
*** III- prima che sorga il sole ***


III

 

PRIMA CHE SORGA IL SOLE

 

Era da molto che al tempio non si festeggiava, perciò i cavalieri non erano per niente abituati a fare tardi e bere. Il giorno dopo nessuno si stupì se le dodici case risultarono pressoché deserte fino al tardo pomeriggio. Con l’emicrania di molti, c’era silenzio.

“Milo?”.

Il cavaliere, che dormiva beatamente, cercava di recuperare la notte insonne.  Ma quella vocina fastidiosa continuava a chiamarlo.

“Milo!”.

Lo scorpione aprì un occhio, cercando di capire che ore fossero. Era buio pesto.

“Ma chi è?” biascicò, rigirandosi “Non è nemmeno sorto il sole, sparisci!”.

“Milo!” sbottò una voce diversa. Camus?

Il cavaliere addormentato si scosse, senza capire cosa stesse succedendo. Quando si fu abituato al buio, vide che a fissarlo stavano Camus ed Atena.

“Qualcosa non va?” chiese il padrone di casa.

Camus sembrava essersi vestito di corsa, aveva i capelli spettinati e lo sguardo assonnato. Atena, a contrario, era sempre divina e composta.

“Speravo che almeno tu fossi sveglio” ammise Atena “Non è un’emergenza. Solo che..mi servirebbe una mano per controllare una cosa”.

“Mia Dea..” iniziò Milo, sbadigliando “..ho sonno, non parlate complicato. Ditemi semplicemente quel che volete, senza giri di parole”.

“Dopo tutti i discorsi che ha fatto Artemide, ho deciso di tenere un po’ più sottocchio i miei cavalieri, specie il gran sacerdote”.

“Io non sono il gran sacerdote, grazie al cielo” borbottò lo scorpione, volendo dormire.

“Ogni mattina, appena prima dell’alba, il gran sacerdote si sveglia per svolgere determinati rituali. Questo avviene ogni mattina..”.

“Che vitaccia” interruppe di nuovo Milo.

“Il punto è..che è dalla notte del matrimonio che questo non avviene”.

“Signora..ieri sera sarà stato distrutto come tutti quanti noi e quindi avrà dormito. Oggi sarà lo stesso oppure è a meditare da qualche parte. Non mi sembra il caso di preoccuparsi”.

“Dici? Non so. Mi agito inutilmente. Ho chiesto a Seiya di controllare, ma lui ha risposto che non vuole vedere le stanze private di quel cavaliere”.

“Ha ragione. Nessuno ha il permesso di entrare nelle sale private del gran sacerdote!”.

“E allora che dovremmo fare? Speravo che qualcuno mi potesse aiutare, ma state ancora dormendo tutti quanti!”.

“E che pretendete? È prestissimo!”.

“Vi facevo più attivi e mattinieri!”.

“Andate a rompere le palle a Kanon. Anche se fra gemelli si ammazzano, non sarebbe una novità!”.

“E svegliare tutti i cavalieri fino alla terza casa?!”.

“Siete arrivata fino all’ottava, no?”.

Milo si rigirò nel letto, pronto a tornare a dormire. Atena si accigliò, aspettandosi più obbedienza. Camus cercò di far ragionare il collega, che però lo ignorò.

 

Saga, tornato dal matrimonio, non vedeva l’ora di togliersi quell’abito da sera fastidiosissimo e tornare alla sua solita tunica. Appena cambiato, non riusciva a stare tranquillo e quindi scelse di ritirarsi sullo Star Hill. Quello era l’unico luogo dove poteva godersi il silenzio. Nel buio, cercò di rilassarsi. Poi qualcosa attirò la sua attenzione.

“Sei venuto ad uccidermi?” domandò.

“Ucciderti?” rispose la voce.

“Qui è dove ho ucciso il mio predecessore, Shion. Immagino che, per karma, sia questo il luogo dove debba morire pure io”.

“Può essere, ma non sono qui per questo”.

Saga si voltò. Alle sue spalle, due uomini stavano in piedi, con il viso coperto da un elmo rosso.

“Sei quello del lupo..” riconobbe uno dei due il gran sacerdote.

L’uomo annuì. In realtà i due erano pressoché identici.

“Come siete arrivati fino a qui?” insistette Saga.

“Se ci sei riuscito tu, che sei un mortale, quanto credi che sia difficile per noi, che siamo Dèi?”.

“E che volete? Scusate, ma ne ho abbastanza per oggi di divinità e discorsi. Voglio solo riposare”.

“Devi venire con noi” parlò, con  severità, uno dei due intrusi.

“Non se ne parla. Lasciatemi in pace”.

“Non hai molta scelta..”.

Uno dei due tolse l’elmo e guardò negli occhi Saga. il sacerdote non abbassò lo sguardo e lo sconosciuto sorrise. Con le iridi circondate dal rosso, come il sangue,  l’intruso ghignò.

“Andiamo” parlò ancora.

“No” scandì bene Saga.

“Come vuoi”.

I due uomini identici si mossero, pronti ad attaccare. Il sacerdote reagì, respingendo il primo colpo.  Che seccatura! Si alzò, lasciando perdere la meditazione, e respinse ancora i due nemici. Purtroppo per lui, contro  due Dèi e prima dell’alba non era facile. Nonostante fosse sempre stato un cavaliere piuttosto forte, i due nemici mostrarono subito una notevole ferocia. Stanco ed intontito, Saga non riuscì a contrastare la forza di quei due e perse i sensi, dopo l’ennesimo colpo a pugni chiusi dei suoi nemici.

 

Kanon, svegliato da Aphrodite isterico perché preoccupato per il sacerdote, non vedeva l’ora di mettere a tacere tutto il santuario. Risalì di corsa le scale, senza badare al fatto che più di qualcuno gradiva ancora dormire. Ignorò del tutto Milo, Camus ed Atena ed andrò oltre. Pedinato da Aphrodite, che voleva sentire e vedere tutto quel che accadeva, Kanon entrò alla tredicesima, nel salone del trono. Lì il fratello non c’era, ma questo se lo aspettava. Nel buio, lasciò perdere la sala e salì le scale per raggiungere le stanze private. Con molta poca delicatezza, spalancò la porta della camera del gemello.

“Giù dal letto, principino!” esclamò, ma capì subito che lì il fratello non c’era.

Continuò a cercarlo, fra la sala con la grande vasca e le altre stanze della tredicesima.

“Non c’è?” domandò Aphrodite.

“Se non ha imparato ad essere invisibile..” rispose Kanon, sarcastico.

“E dov’è?”.

“Aphrodite, non sono la sua ombra! Sarà a mignotte!”.

“Ma che dici?!”.

Tornando nella sala del trono, ritrovarono Atena, Milo e Camus. Si guardarono in modo interrogativo.

“Sarà allo Star Hill” azzardò Milo “E lì non ci possiamo proprio andare”.

“Spero sia così” annuì Atena “Però..”.

 

Saga gemette. Si toccò la testa, ancora dolorante.

“Dove sono?” protestò, capendo di non essere in un luogo familiare.

“Chiedo perdono da parte dei miei fratelli” gli rispose una voce femminile.

Alzando lo sguardo, e cercando di rimettersi in piedi, il sacerdote vide che a parlare era stata una donna in abiti da guerriera.

“Sono degli idioti” riprese lei “Non rientrava nei piani che qualcuno ti picchiasse. Scusa”.

“E voi chi sareste?” domandò Saga, indicando i presenti.

“Io sono Mirina” spiegò la donna.

“Ah, giusto. Sei la somma sacerdotessa di Ares” la riconobbe il cavaliere di Atena.

“Sì. Sono la sua somma sacerdotessa nonché sua figlia maggiore. L’altra donna che vedi è Pentesilea, la regina delle amazzoni e mia gemella. I due cretini che ti hanno picchiato sono Phobos e Deimos”.

“Tutti figli di Ares..”.

“Esatto. Purtroppo l’irruenza è una caratteristica di famiglia”.

“Cosa ci faccio qui?”.

“Te lo spiegherà mio padre”.

Ares, il dio della guerra, entrò nella grande sala nera e rossa, preceduto da due grossi lupi. Questi erano minacciosi ma non ringhiarono contro Saga. La cosa stupì il loro padrone, che però non disse nulla. Si avvicinò al sacerdote e lo osservò. Tolse l’elmo, mostrando gli occhi iniettati di sangue. Camminando, il lungo mantello rosso faceva da strascico. In armatura, il Dio aveva lo stesso sguardo minaccioso dei suoi lupi. Con i lunghi capelli neri legati con un nastro, si riuscivano ad intravedere alcune cicatrici fra i ciuffi e sul viso, sotto il pizzetto.

“Se volevate parlare con me, in quanto sacerdote di Atena, bastava chiederlo” protestò Saga, sostenendo anche in quel caso lo sguardo del suo interlocutore.

“L’idea è stata di mio figlio Phobos” ammise Ares “Vi conoscete già”.

“Sì, è il tizio del lupo. Giusto?”.

“Esatto. Mi ha riferito delle cose ed ho voluto verificare di persona”.

“Quali cose?”.

Ares continuò a girare attorno al sacerdote. Si passò fra le dita un ciuffo dei capelli blu di Saga, che storse il naso, infastidito.

“Sei sicuro di quello che hai visto, Phobos?” parlò ancora Ares.

“Sì. Assolutamente” annuì l’uomo.

Ora tutti fissavano Saga, con gli stessi occhi rossi. Il sacerdote iniziava a scocciarsi.

“Non ti spaventa il nostro sguardo?” domandò Phobos “Io sono il Dio della paura, e nessun mortale è in grado di sostenere la vista dei miei occhi senza tremare. Lo stesso vale per gli sguardi dei miei fratelli, delle mie sorelle ed ovviamente di padre Ares”.

“Perché dovrei avere paura di un Dio con una brutta congiuntivite?” sbottò Saga.

Ares trattenne una risata, mentre i suoi figli un pochino si offesero.

“Il mio ragazzo ha visto lo stesso sguardo in te” spiegò Ares “Ed è per questo che sei qui”.

“Ah, comincio a capire” sospirò Saga “Deve aver visto gli occhi di Arles. Chiedo perdono, quando mi capita di perdere il controllo poi appare lui. Ho un problema di doppia personalità, non è un tentativo di imitare la vostra famiglia”.

“Arles?” alzò un sopracciglio Ares.

“Sì, chiedo perdono anche per il nome. Non l’ho scelto io”.

“Doppia personalità? Curioso. Normalmente non si cambia di aspetto, quando si cambia personalità. O mi sbaglio? Qualche altro Dio ha mai visto questo tuo lato?”.

“Atena, ovviamente. Artemide..”.

“Qualche guaritore?”.

“Mi state chiedendo se mi sto curando? Sì, prendo dei farmaci. Anzi, ora che ci penso, dovrei rientrare a casa mia. È tardi e devo prendere le mie pastiglie”.

“Quanti anni hai?”.

“La smettiamo con l’interrogatorio?”.

Saga, leggermente nervoso, si sentiva molto a disagio. Inoltre, era piuttosto stanco ed i pugni di Phobos e Deimos iniziavano a farsi sentire. Senza contare che il suo umore era decisamente pessimo, dopo aver visto Eleonore che appena iniziava ad accettare come morta.

“Voglio andare a casa” ammise, non sapendo molto bene che altro fare.

Non erano nemici, stando alle parole di Zeus. Quindi non poteva mostrarsi più di tanto ostile, anche perché erano più forti e più numerosi.

“A casa? Da Atena?” domandò Ares.

“Sì, alla tredicesima. Voglio solo riposare e spegnere il cervello finché il tempio me lo concede. Di sicuro, non passerà molto tempo prima che qualcuno mi venga a stressare, ma..”.

“Vorrei prima sfatare ogni dubbio e verificare alcune cose” spiegò Ares “Perciò abbi un po’ di pazienza, se ne hai”.

“Non ne ho molta. Mai avuta”.

“Lo sospettavo”.

Il Dio sorrise, divertito. Saga non rispose a quel sorriso. Iniziava a fargli male la testa, e non era un buon segno.  

“Sai..” parlò ancora Ares “..anche mia sorella è come te. Eris, Dea della discordia, è la mia gemella ed ha due volti. Uno è terribile mentre l’altro è benevolo. Anche lei, come te, cambia aspetto”.

“La cosa non so perché dovrebbe riguardarmi”.

“Era tanto per parlare. Ma immagino preferisca altri argomenti. Per esempio..chissà come si sta divertendo adesso Hades, con la sua nuova mogliettina. La prima notte di nozze..”.

“Preferirei non parlare proprio, grazie”.

“Meglio menare le mani, vero?” ghignò Ares.

“No, meglio farsi gli affari propri”.

“Sono affari miei. Hades è mio zio ed è sempre strano vederlo organizzare feste. Poi quella donna è davvero uno schianto. Non certo come la bellissima Dea Aphrodite, ma ci va vicino. Me la sbatterei volentieri. Beato Hades”.

“Che sia beato, ne dubito. Non nel vero senso del termine. Ma preferirei parlare di altro”.

“Lo immagino. Però hai visto che era vestita di bianco? Ma di bianco non vanno le vergini?”.

Saga non rispose. Un lato della sua bocca si muoveva a scatti, come in uno strano tic nervoso.

“Quanto tempo siete stati sposati prima che crepasse?” insistette ancora Ares.

Nessuna risposta.

“I problemi sentimentali non li ho mai capiti” continuò il Dio “Io mi faccio la mia amante fissa, vado con chi mi pare e la mia vita scorre liscia come l’olio”.

“Che ci devo fare io..” protestò Saga, guardando un punto fisso imprecisato, sforzandosi di non perdere il controllo.

“Certo, magari lui ora avrà quella femmina sempre vicino e, quando vorrà farsi una bella scopata, dovrà solo andare a prendersela. Io, invece, devo  stare attento e non sempre la mia Dea è disponibile. Sarà per quello..”.

Il Dio osservò il sacerdote, con un mezzo sorriso. Aveva un certo autocontrollo quel mortale!

“Non mi rispondi, eh?” stuzzicò ancora “Peccato. Volevo  sapere come era a letto..”.

“Meglio di quella gran troia di tua madre e quella vacca di tua sorella” sibilò Saga.

Aveva iniziato a cambiare colore, mostrando il lato di nome Arles. Il Dio della guerra osservò la scena, compiaciuto.

“Non offendere mamma Era, che se si arrabbia sono guai” commentò poi “E le vengono quegli occhi rossi, tipici della famiglia”.

“Non mi interessa” gracchiò Arles “Voglio solo tornare a casa mia, poggiare il culo nel letto e dormire. Magari affogando i dispiaceri con qualche sostanza proibita”.

“Non capisci? Questi occhi sono un segno distintivo. Il sangue non mente”.

“Non so che cosa tu voglia, Dio. Ma non mi interessa”.

“Allora avevo ragione?” domandò Phobos.

“Sì, mio caro. Anche se, sinceramente, non riesco a ricordare quando questo sia successo” annuì, pensieroso, Ares.

“Senti, te lo dico subito” interruppe Arles “Io ho un gemello, Kanon, che non ha gli occhi rossi come questi e perciò  è inutile che fai discorsi sul sangue della famiglia”.

“Non hai mai sentito parlare di Castore e Polluce?”.

“Mi prendi per il culo?!”.

“Erano gemelli, ma uno era figlio di Zeus e l’altro no. Capisci?”.

“Bello mio..ho quasi quarant’anni. Della famiglia non me ne faccio proprio niente. Ho cercato di farmene una io, ma non ha funzionato perciò, qualsiasi cosa tu abbia da dirmi, non mi interessa!”.

“Arles..posso chiamarti così? Sto cominciando a ricordare. Tua madre si chiamava Sophia, vero?”.

“Sì, da quel che ne so”.

“Allora la ricordo. Io non vengo attratto da donne qualsiasi. Lei era una femmina davvero tosta. Non aveva paura di me, nemmeno un po’, ed è stata una gran bella cavalcata”.

“Troppe informazioni”.

“Ad ogni modo..non voglio trattenerti oltre. Volevo solo accertarmi che quel che aveva visto Phobos fosse reale e non solo frutto dell’alcol. Chiedo scusa per le botte ricevute da parte dei tuoi fratelli, ma noi non sappiamo cosa sia l’autocontrollo”.

“Non includetemi nel gruppo”.

Saga, lentamente, stava riprendendo il controllo.

“Ti do un consiglio” riprese Ares “Non cercare di reprimere un lato di te. Per quanto ti spaventi, non puoi fingere che non esista. Poi ci sarebbero tante cose di cui ti vorrei parlare, ma vedo che fremi all’idea di tornare a casa. Lo capisco. Come gran sacerdote, avrai molto da fare”.

“E tu, come Dio della guerra, dovresti fare qualcosa di utile, vista la situazione”.

“Parli del prossimo conflitto con le divinità romane? Sì, ho un po’ da fare, in effetti. Però le mie porte sono sempre aperte. Specie se hai voglia di una bella scazzottata. O rispondere a qualche domanda. Ma oggi credo che tu voglia solo tornare a casa e..”.

“Signore!” entrò un uomo armato “Zeus chiede udienza”.

Ares fissò Saga per qualche istante e sorrise di nuovo.

“Devo andare” disse, congedandosi “Sei libero di agire come preferisci però ricorda: ci sono molte cose di cui ti vorrei parlare. Posso aiutarti con lo sdoppiamento di personalità, fra l’altro Perciò, se troverai del tempo, torna pure a trovarci. La prossima volta, te lo assicuro, nessuno ti picchierà”.

Saga fece per rispondere, ma il Dio si era già girato ed allontanato.

 

Mur si stiracchiò. Decise di lasciar dormire quel pigrone di Kiki ancora per un po’, era molto presto. Si stupì nel vedere un cavallo nero alle porte del tempio.

“Ciao” salutò, vedendo che in groppa stava Saga, con aria un po’ smarrita.

“Buongiorno, Mur” rispose il sacerdote.

“Non so cosa tu ci faccia su un cavallo, ma ti hanno cercato tutti”.

“Davvero? Quanto tempo sono stato via?”.

“Non ti vediamo dal matrimonio quindi..sta per sorgere il sole sulla seconda mattina”.

“Ah, non pensavo..”.

Saga si scosse. Forse Phobos e Deimos lo avevano fatto svenire più a lungo di quanto credesse.

“Mi aiuti a scendere?” borbottò, non sapendo assolutamente cavalcare.

Mur rise e si avvicinò, aiutando il sacerdote a smontare.

“Come ci sei finito su un cavallo?” domandò il cavaliere dell’ariete.

“Non me lo chiedere. Storia lunga. Ora meglio che torni alla mia casa”.

Senza dare altre spiegazioni, il sacerdote salì le scale. Incrociò Kiki, appena sveglio. Il diciassettenne mugugnò parole poco rispettose e tornò alle sue faccende. Aldebaran stava facendo colazione e salutò con entusiasmo. Molte delle altre case erano vuote o con gli occupanti ancora a letto. Giunto alla tredicesima, Saga si stupì di trovarvi Atena, Kanon, Aphrodite, Milo, Camus e Shun.

“Che fate qui?” sbottò il sacerdote.

“E tu dove sei stato?” rispose Kanon.

“Non ti deve importare”.

“Stai bene?” chiese Shun, preoccupato per la salute mentale del suo paziente.

“No. Ho bisogno di riposare e di essere lasciato in pace”.

Svicolò i presenti, raggiungendo a fatica la sua camera. Gli altri lo seguirono, cercando di cogliere più informazioni possibili.

“Lasciatemi in pace!” riuscì solo a dire il padrone di casa, mentre Kanon lo afferrava saldamente per un braccio.

“Ma che ti prende? Mi fai preoccupare” rispose il gemello più piccolo.

“Va tutto bene”.

“Tu menti”.

“Sì, è vero. Ora, scusami, ma ho bisogno delle mie medicine. Urgentemente. Lasciami in pace”.

“Arles ti tormenta ancora?”.

“Lui è qui, sì. Mi tormenta. E tu non mi aiuti”.

Kanon si arrese e lasciò la presa. Saga, barcollando perché non più sorretto dal fratello, chiuse la porta dietro di sé. Chiuse a chiave la porta e raggiunse il letto. Si tolse le vesti, sporche di sangue dopo le percosse dei gemelli di Ares, e si guardò allo specchio. Sospirò. Gli anni passavano per tutti! Dieci anni fa erano rinchiusi in quella statua umana, ma a Saga sembrava passato molto più tempo. Pochi anni dopo aveva conosciuto Eleonore e poi l’aveva persa. Rivederla era stato traumatico, ma solo in quel momento il suo animo pareva percepirlo. Probabilmente perché solo in quel momento le medicine non facevano più effetto ed i sentimenti negativi lo avvolgevano. Si alzò, cercando le pillole in un cassetto. Si guardò ancora allo specchio. Fra capelli bianchi e prime rughe, provò tristezza e paura. Si affrettò a mandar giù le medicine, sentendosi quasi subito meglio. Arles lo insultò, nella mente, mentre quelle pasticche lo sottomettevano.

“Scusami” mormorò Saga, che poi si gettò a letto e si addormentò, mentre fuori sorgeva il sole.

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Capitolo 4
*** IV- alleanze ***


IV

 

L’ALLEANZA

 

“Ho vinto!” rise Kanon, gettando l’ultima carta.

“Che palle!” storse il naso Deathmask.

Il cavaliere del cancro decise di lasciar perdere. Si alzò di scatto, stiracchiandosi.

“Dove vai?” lo richiamò Kanon “Mi annoio. Torna a giocare!”.

“Gioca a solitario!” sibilò il cancro, accendendosi una sigaretta.

“Andate a fare qualche cosa di utile, ogni tanto!” gridò loro Shaina, appena rientrata dall’allenamento.

Deathmask la osservò e le sorrise, trovandola incantevole con la pelle imperlata di sudore ed i capelli leggermente in disordine. La donna scosse la testa, stanca di vedere il suo uomo bighellonare per buona parte della giornata.

“Vado a farmi una doccia” si limitò a dire lei.

“Vuoi una mano?” si propose Deathmask.

“Cretino! Vai ad allenarti!”.

Il cancro ne guardò il fondoschiena, finché non svanì alla vista.

“Forse ha ragione, gambero” suggerì Kanon “Male non ci farà. O ti pesa troppo il culo?”.

“Il mio culo pesa meno del tuo, vecchio!”.

“Questo è tutto da dimostrare!”.

Ridendo, i due uomini iniziarono a correre lungo le scale del tempio. Era un ottimo allenamento, specie considerando il notevole peso delle armature.

“Non ho più l’età per fare queste cose!” borbottò Kanon “Dove sono le nuove reclute? Non sarebbe ora che apparisse qualche piccolo saint?”.

“Sei sempre che ti lagni! Riproduciti, così ci sono nuove reclute” gli rispose Deathmask “Oppure vai in pensione. O, ancora meglio, torna da Poseidone”.

“Stai scherzando, vero?”.

Kanon e Deathmask continuarono a correre. Cominciarono a cantare filastrocche in stile militare, prendendosi in giro. Arrivati alla prima casa, il cavaliere dei gemelli scattò lateralmente. Si nascose dietro ad un colonna.

“Mi hai portato sfiga, granchio maledetto!” sibilò, mentre Deathmask lo fissava con aria interrogativa.

Alle porte del tempio, Poseidone sorrideva, con  accanto il suo generale Sorrento. Mur, a conoscenza dell’arrivo del Dio, si apprestava a guidarlo fino alla sala del gran sacerdote.

“Cagasotto!” ridacchiò Deathmask “Ti nascondi da Poseidone?”.

“Chiudi la tua fottuta bocca!” lo additò Kanon “Io e Poseidone abbiamo ancora dei conti in sospeso e non so come possa reagire..”.

“Ti ricordo che ora siamo alleati” continuò il cancro.

Nel frattempo, Poseidone stava iniziando a salire lungo le ripide scale in pietra, passando davanti al cavaliere del Cancro e la colonna dietro a cui si nascondeva Kanon.  Deathmask si inchinò leggermente, senza troppa convinzione.

“Buongiorno, cavaliere della quarta casa” salutò il Dio “E ciao, Kanon”.

Il saint dei Gemelli sobbalzò, cercando di nascondersi ancora di più.

“Dai, è andato via” lo rassicurò Deathmask, dopo qualche istante “Vigliacco, è passato oltre!”.

“Smettila di sfottere, surimi ambulante!”.

Kanon uscì dal suo nascondiglio e guardò in su. Poseidone ed Atena alleati? Che idea assurda!

 

“E che cosa pensi di fare?” domandò la Dea della bellezza Aphrodite, stesa bocconi fra cuscini di velluto.

Sollevò l’elegante piedino nudo verso l’alto, sorreggendosi il viso con una mano.

“Che dovrei fare?” le rispose Ares, steso anche lui a pancia all’aria, sorseggiando vino.

“Beh, non è una cosa da poco quel che mi hai detto” continuò lei, allungando la mano libera verso il petto nudo dell’amante.

“E perché? Ne ho tanti di figli. Uno in più, non mi cambia la vita”.

“Ma come? Non dovresti ragionare in questo modo”.

Ares ruotò gli occhi al cielo. Quella femmina parlava sempre così tanto! Ed era sempre così pettegola!

“Io non ragiono” le rispose, bevendo ancora.

“L’avevo capito”.

Il Dio della guerra sorrise, guardando la Dea. L’amava alla follia, e spesso commetteva irripetibili leggerezze pur di vederla. Questo perché lei era sposata e il marito non apprezzava molto le scappatelle della moglie.

“Ed io quando potrò vedere questo nuovo arrivato in famiglia?” continuò lei, fissandosi le unghie smaltate.

“Perché?”.

“Mi piacciono i bambini”.

“Ma non è bambino. È un uomo già da un pezzo”.

“Ah, meglio. Mi piacciono anche gli uomini. Più dei bambini”.

Aphrodite sorrise e Ares non le rispose. Si limitò a fissarla, senza commentare. Del resto, non poteva certo sgridarla. Non era sua moglie, solo la sua amante.

“Dimmi la verità..” riprese la Dea “..è carino come te?”.

“Certo che no. Io sono molto meglio”.

“Lo dici perché è vero o solo perché ne sei convinto?”.

“Non lo so, donna. Io non guardo le bellezze maschili”.

“Allora lo verificherò di persona”.

“Era al matrimonio di Hades”.

“Al matrimonio di Hades ero impegnata a fare altro. Di molto più piacevole. Nuda e sudata. Con te. Non te lo ricordi?”.

“Me lo ricordo” ghignò, soddisfatto, il Dio.

“Mi dai un bacio, Ares?”.

“Solo un bacio?”.

 

“Non fate caso allo sguardo spaventato dei miei cavalieri” parlò Atena, rivolta a Poseidone “Non sono ancora molto convinti di questa alleanza”.

“Li posso capire”.

Poseidone, dopo un elegante baciamano alla nipote, si apprestò a seguire la padrona di casa. Saga osservò il Dio in silenzio, mentre questi attraversava la tredicesima casa.

“Tranquillo, sacerdote” commentò Poseidone, non gradendo quello sguardo “Non farò del male alla tua preziosa Dea. Siamo alleati, ora, e Zeus non me lo permetterebbe mai”.

“E da quando chinate la testa dinnanzi a Zeus?” ribatté Saga.

“Da quando la guerra ci costringe a restare uniti”.

“Saga! Smettila!” ordinò Atena “Quello sguardo non è appropriato. Sei al cospetto di un Dio, perciò comportati di conseguenza”.

“Non è necessario, mia cara” sorrise Poseidone “Conosco bene il fratello di quest’uomo. Se è testardo, orgoglioso e potente anche solo la metà del suo gemello, posso capire il perché di quello sguardo fiero. Anche se è solo un semplice mortale”.

Saga non ribatté, capendo che era meglio evitare. Atena porse il braccio a Poseidone, invitandolo a seguirla nei suoi appartamenti, dove avrebbero potuto parlare liberamente.

“Non preoccuparti, Saga” continuò la Dea “Non corro alcun pericolo”.

Quando Atena lasciò la tredicesima, raggiungendo la sua casa, il gran sacerdote tornò a prendere posto sul trono. Nel silenzio, cercò di captare eventuali segnali d’allarme. Davanti a sé, molti cavalieri d’oro si erano radunati, un pochino allarmati dalla presenza di Poseidone.

“Io non so come hai fatto a non spaccargli la faccia” furono le parole del cavaliere dei Pesci “Con che titolo può trattare noi mortali in questo modo?”.

“È un Dio..” tentò di calmarlo Saga.

“E allora? È insopportabile”.

“Dobbiamo abituarci. Con questa alleanza, molte divinità appariranno qui al tempio”.

“Mi ha fatto domande assurde” confessò Mur.

“Per esempio? Quel vecchio mi sa di maniaco..” si incuriosì Milo.

“Non in quel senso! Non mi ha chiesto niente di perverso però..era curioso! Mi ha fatto domande sulle armature, sulle case, sui cavalieri..”.

“Vorrà più informazioni sui suoi alleati. Normale” rassicurò Shaka.

“Sì ma io non ho risposto a tutto. Se un giorno non saremo più alleati, è meglio tenerci degli assi nella manica”.

“Hai fatto bene, Mur” annuì Shura.

“E poi faceva domande sul cavallo” riprese l’Ariete.

“Cavallo? Quale cavallo?” alzò un sopracciglio Aiolos.

“Quello nero con cui è arrivato Saga?” capì Aphrodite, che sapeva un po’ tutto di tutti.

“Sì, quello. Mi ha fatto domande assurde su dove venisse, di chi fosse, perché fosse lì. Gli ho risposto che non ne avevo idea”.

“Che voleva sapere?” si incuriosì Saga “Che ha detto a riguardo?”.

“Si è messo a vaneggiare dicendo che è un cavallo di Ares ed io ho risposto che non ha senso che sia qui il cavallo di Ares!”.

“Povero vecchio. Sarà rincoglionito” scosse la testa Milo.

“L’ho pensato pure io. E questi ci dovrebbero aiutare..”.

“Ma anche se fosse il cavallo di Ares..” ipotizzò Saga “..a lui che frega? Non siamo tutti alleati?”.

“Sì ma Ares è un Dio poco raccomandabile” gli rispose Aiolos “Anche se alleato, non è proprio un tipo con cui avere molto a che fare. È il Dio della guerra spietata, sanguinaria e di conquista. Dove passa, lascia dietro di sé una scia di morti e sofferenza”.

“Segue il suo ruolo. Non ci si aspetta da Ares un abbraccio” ribatté Saga.

“Come non ce lo si aspetta da Arles, ma questa è un’altra storia”.

“Non stuzzicarmi, Sagitter”.

“Non sei in grado di tenerlo a bada, adesso? Grazie alle medicine di Shun..”.

“Certo. Ma metti che oggi non abbia voglia di tenerlo a bada..sono piuttosto nervoso”.

“Lo immagino. Dovresti trovarti un hobby”.

“E tu dovresti farti gli affari tuoi. È per impicciarti degli affari degli altri che sei morto, la notte degli inganni. In caso contrario tu..”.

“Non continuare. Non voglio sapere quel che ti passa in quello strano cervello”.

Saga non rispose. Il suo sguardo non cambiò e nemmeno la sua espressione.

“Non abbiate timore alcuno” si fece sentire, per la prima volta, Sorrento “Il mio signore non ha intenzioni cattive, anche se è un gran impiccione. Non cerca punti deboli per sconfiggervi, ma per rafforzarvi. Non è saggio lottare a fianco di chi è debole”.

“Noi non siamo deboli!” si indispettì Ioria.

“Non ti offendere, Leone! Non volevo farti arrabbiare..” riprese Sorrento.

“Avremmo potuto sconfiggere tutti voi marini in pochi minuti. Se solo Mur avesse lasciato che..”.

“Ancora con questa storia?” sbuffò Mur “Ti ho già spiegato perché, quella volta, ho ordinato a tutti di non intervenire in soccorso”.

“Speravi che Seiya e gli altri morissero?” ipotizzò Aphrodite.

“Ma no! Lo avevo spiegato. Certe cose, devono seguire il loro corso. Non era la nostra battaglia”.

“E se non fosse nemmeno questa la nostra battaglia? Come facciamo a saperlo?” ringhiò il Leone.

 

“Ma di che parli?”.

Mur era sconcertato. Che discorsi faceva Ioria? E perché nessuno lo capiva? Lui voleva solo il meglio per il santuario e questi lo accusavano di cose assurde!

“Ragazzi, non litigate!” cercò di calmarli Shaka, senza risultati.

“I cavalieri di bronzo dovevano affrontare un dato percorso e quella battaglia spettava a loro, così come a noi spettava il compito di abbattere il muro del pianto” tentò di farsi capire l’Ariete “Ci sono cose che non possiamo cambiare. Così come non possiamo cambiare chi siamo, certe battaglie non le possiamo evitare”.

“Le persone cambiano” dissentì il cavaliere della Vergine.

“Se lo dici tu..però noi siamo nati cavalieri”.

“Non è vero. Siamo nati lemuriani, indiani, italiani, greci, finlandesi, brasiliani e via dicendo”.

“Ma avevamo un cosmo! Dentro di noi, c’era qualcosa di diverso, che ha seguito il suo corso e ci ha resi ciò che siamo. Io sono nato per essere cavaliere, Atena è nata per guidarci..c’è chi nasce Dio e chi uomo, ma per tutti c’è una strada da seguire”.

“Ma che stai farneticando?!” interruppe Kanon “Son da due case fa che ti sento dire cose senza senso, Ariete!”.

“Solo perché una cosa tu non la capisci..” rispose, pacato, Saga “..non vuol dire che non abbia un senso. Forse sei solo tu troppo stupido per capirlo”.

“Fingo di non aver sentito” si stizzì Kanon.

“Fingi pure, non mi interessa”.

“Non so cosa tu abbia oggi, Saga, ma mi stai facendo salire la voglia di pestarti”.

“Tanto sono più forte io”.

“Come ti permetti?!”.

“Il gran sacerdote sono io..”.

“Ne abbiamo già parlato!”.

“Sì. Ma non serve parlarne. La verità la sanno tutti”.

Kanon scattò in avanti, stringendo i pugni. Saga non cambiò espressione. Seduto sul trono, si reggeva la testa con la mano e pareva annoiato. Il gemello era pronto a colpirlo e stava per raggiungerlo, ma Shun si mise in mezzo. A braccia spalancate, chiuse gli occhi temendo il peggio.

“Levati, finocchio!” ordinò Kanon.

“No! Calmati, per favore!” supplicò Shun “La violenza non è necessaria. Sai meglio di me che tuo fratello Saga ha dei problemi ed in questo momento non credo sia del tutto se stesso”.

“Lo so che mio fratello è pazzo, ma lo voglio picchiare lo stesso!”.

“Rilassati. Io e lui dobbiamo lavorare ancora a lungo prima di trovare una soluzione, specie dopo la faccenda di Eleonore. Tu devi cercare di capire che..”.

“Non è necessario, Shun” lo calmò Saga “Non ho bisogno di certo che tu mi difenda! Specie da Kanon..”.

“Ma io..”.

“Togliti dai piedi!” quasi gridò Kanon “Sparisci! Sono faccende fra me e mio fratello!”.

“Sono il suo medico. È mio compito informarti che al momento non è in sé, e me ne prendo la colpa. Evidentemente, devo rivedere il trattamento”.

“Vedrai che, dopo una scazzottata, passa tutto. Vero, Saga?”.

“Ma non ti vergogni?!” insistette Shun “Tu lo dovresti aiutare, invece di stuzzicare il lato che stiamo cercando in ogni modo di eliminare!”.

“Se in dieci anni non sei riuscito a far fuori Arles, non ci riuscirai mai!”.

“Far fuori?” si intromise Saga, con tono stupito.

“Certo. È questo lo scopo. Lui ti da le medicine, ed Arles non rompe i coglioni. Di che ti stupisci? Sei più rimbambito di quanto sembra. Sei il gemello scemo..”.

“Ma io non..”.

Saga non sapeva cosa dire. Era stufo, però di perdere tempo  con quei discorsi. Eliminare Arles? Non era sicuro di volerlo veramente. Fra lo stupore generale, si alzò. Lasciando il suo posto, mostrando che poco gli importava di Atena e della sua incolumità, ignorò i presenti e si incamminò verso la porta.

“Dove vai, adesso?” domandò Kanon “Ti sei offeso? Io sono qui! Dove vai?!”.

“Ho bisogno di prendere un po’ d’aria. Non aspettarmi in piedi, mammina” rispose Saga, senza voltarsi e sbattendo la porta dietro di sé.

 

“Smettila di fare la donnina frignona e alzati!” sbraitò l’uomo “Sei un guerriero!”.

“Va bene, non serve gridare!” ribatté un altro uomo, steso a terra.

Di tutta risposta, ricevette un altro poderoso cazzotto in mezzo al petto.

“La prossima volta, ti giochi le palle” minacciò il primo.

Molti stavano in terra, feriti o sfiniti. Scuotendo il capo, il generale li derideva.

“E tu che hai da guardare?” sbottò poi, notando una figura “Ah, sei tu. Bentornato”.

“Sono solo in visita” rispose Saga, calmo “Tu sei Phobos? O sei Deimos? Non vi distinguo”.

“Imparerai le differenze, vedrai. Comunque io sono Phobos” ghignò l’uomo “Sei qui per parlare con padre Ares?”.

“Sono qui per far tacere una vocina che avete acceso voialtri”.

“Sei arrivato fino a qui con il cavallo?”.

“No. Io..non so cavalcare”.

“E perché vi chiamano cavalieri?!”.

“Non lo so. Ma non so cavalcare”.

“Imparerai anche questo. Vieni con me, vedrai che troverai questo luogo piuttosto dilettevole”.

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Capitolo 5
*** V- fratelli ***


V

 

FRATELLI

 

“Inaudito” si lagnava Atena.

“Che cosa?” chiese Aiolos, seguendo con lo sguardo la sua Dea, che camminava su e giù lungo il tappeto rosso della tredicesima dimora.

“Il trono” rispose lei, con tono infastidito “Come vedi, è vuoto”.

“Capita. Anche Saga ha una vita privata. Per questo sono qui. La aiuto e la assisto io, mia Dea”.

“Non è questo il punto!” sospirò Atena “Il punto è che io non lo pago per bighellonare non so dove e non so con chi”.

“Rilassatevi”.

Anche Aiolos riteneva del tutto poco ortodosse le varie ore in cui il gran sacerdote non era presente. Però cercava di capirlo. Era un essere umano! Atena non era dello stesso avviso e si vedeva. Furiosa, non riusciva a stare calma e cercava l’appoggio del sagittario, che però non capiva il motivo di tanto nervosismo. Il cavaliere si trovava lì perché al tempio si attendevano visite e la Dea ci teneva a fare bella figura.

“Mia signora..” parlò una delle guardie, entrando nella stanza ed inchinandosi “..è arrivato”.

 

“Ancora non hai imparato a governare quel povero cavallo?” rise Deimos.

“Mi odia quel cavallo” ribatté Saga “E poi è fin da piccolo che ho problemi con gli equini. Quel coso del Sagittario è..”.

“Non la voglio sentire le storia della tua vita!”.

Saga fece una boccaccia al cavallo, che tentò di mangiargli i capelli. Deimos rise ancora, divertito.

“Piantala di ridere!” minacciò Saga, non risultando molto convincente.

“Sono mesi che ci provi, e ancora non ci sei riuscito” lo derise ancora il Dio.

“Si vede che non sono portato per l’equitazione”.

“Su questo non c’è dubbio. Però è imbarazzante. Ares ha un esercito a cavallo”.

“Atena no”.

Deimos non disse altro. Storse il naso, poco convinto.

“Se con il cavallo non va, allora è meglio che lo fai esercitare con altro” si unì Phobos.

“Guarda che adesso è il turno tuo!” protestò Deimos “Sono stufo di fare da babysitter!”.

“Non se ne parla! Io ho già fatto le mie ore da balia”.

“Scusate..” borbottò Saga, sarcastico, sentendosi di troppo.

Durante gli allenamenti con i gemelli, non riusciva mai a risultare loro pari. Erano delle divinità sadiche e potenti ed era evidente che lo vedessero solo come un bambino inesperto.

“Ho paura di romperlo” ammise Deimos “Poi chi lo sente papà?”.

“A papà non credo importi. Piuttosto..so che doveva parlare con zia Eris”.

Saga, sentendosi ignorato, cercò di allontanarsi dai due, per trovare altro da fare. Phobos, senza degnarlo di uno sguardo, lo afferrò per i capelli e lo riportò al punto di partenza.

“Noto dei miglioramenti in te” commentò.

“Dici? Io mi sento sempre uguale” replicò Saga, toccandosi la testa dolorante.

“Questo perché non sei esperto di certe cose”.

“Quali cose?”.

“Riesci a controllare molto meglio le tue personalità”.

“Non è vero. Poi lo sai che prendo delle medicine”.

“Cosa che non dovresti fare”.

“Cosa che continuerò a fare. Mi chiedo cosa ci faccia qui. Non fate che picchiarmi ed insultarmi! Almeno al grande tempio conto qualcosa..”.

“Conti talmente tanto, che nessuno di loro ha notato i cambiamenti in te”.

“Quelli non li notano mai. Quando cambiavo colore di capelli, nessuno se ne accorgeva. Così come non si sono accorti che per anni ho governato il santuario al posto di Shion”.

“O non sono molto svegli, o non gliene frega nulla. E per me sei qui per questo”.

“Neppure a voi frega di me!”.

“Vero. Devi prima dimostrare di essere un vero guerriero”.

“Come sarebbe a dire?! Sono un guerriero da tutta una vita! Ho l’armatura da quando sono bambino! Che altro dovrei fare?”.

“Lo deve stabilire Ares. Ti prenderà in considerazione solo se ti riterrà all’altezza”.

“Ma..sono il gran sacerdote! Che altro vuole?! Che diventi un Dio? Spiacente, sono mortale!”.

“Lo sappiamo. I figli delle divinità hanno lo spiacevole inconveniente di nascere, a volte, mortali”.

“Resta ancora da stabilire SE io son figlio di suddetta divinità..”.

“Vuoi un test del DNA?”.

“Lui ha detto che dovevo venire qui, perché aveva delle cose da dirmi. Diceva di potermi aiutare con la personalità capricciosa, ma fin ora perdo solo tempo qui a farmi pestare da voi due”.

“Ti parlerà quando ti riterrà all’altezza, te l’ho detto”.

“Ed avverrà mai?”.

“Dipende da te. Secondo me, non ci metti abbastanza impegno. Da mesi ormai fai la spola dal santuario di Atena a qui”.

“E con questo?”.

“Forse dovresti impegnarti su una delle due cose. Se sei felice come gran sacerdote, non ha senso che tu sia qui. Se invece non lo sei, perché cazzo ci torni sempre, in quel dannato posto?”.

“Non te lo so dire. Sinceramente, non so da quale delle due parti stia meglio, o peggio”.

“Questo non è possibile. Sei un adulto..”.

“Lo so ma..sarà crisi di mezza età”.

 

“È bello rivederti, sorella” salutò Apollo, inchinandosi leggermente davanti ad Atena.

“Anche per me è bello rivederti. Ed averti accanto non come nemico, ma come alleato” sorrise lei.

“Chiedo perdono per aver cercato di ucciderti molte volte”.

“Tutto perdonato. Ora siamo alleati”.

“Eh già. Anche se io come nemico ho quel tale Febo che non mi infastidisce per niente..”.

“Nemmeno a me Minerva ha mai dato problemi. Però ci hanno spodestati, rubandoci il posto sul monte Olimpo. È tempo di riprenderci ciò che è nostro”.

“E che abbiamo perso da duemila anni. Sai perché io combatto? Perché hanno osato toccare mia sorella Artemide! L’hanno ferita e questo non glielo perdonerò mai!”.

“Io invece combatto per impedire che innocenti vengano coinvolti”.

“Sei sempre così legata agli umani! Sei una delle poche divinità che al suo servizio ha dei mortali e non semidei o divinità minori”.

“I miei cavalieri sanno tener testa a molti semidei, divinità ed affini. Non hanno nulla da invidiare ai servitori di altri Dèi”.

“Fa tenerezza l’affetto che dimostri nei loro confronti..”.

“Io sono fiera di loro e sono pronta a scendere in battaglia al loro fianco, ora che vesto i miei panni divini, nel mio vero corpo”.

“Come tutti noi. Questo è stato un risveglio non programmato, perciò siamo tutti nei corpi divini. Peccato. Gli involucri mortali sono comodi”.

“Ma sono deboli”.

“Hai ragione, Dea della saggezza e della guerra di difesa. State già elaborando una strategia?”.

“Di difesa, certo”.

“E di attacco?”.

“Quello spetta ad Ares, se ha voglia di lavorare..”.

Apollo annuì. Sedette sul trono del gran sacerdote, con aria pensierosa.

“Dov’è il tuo sacerdote?” domandò ad Atena.

“Non ne ho idea” ammise lei.

“Immagino voglia evitarmi”.

“Evitarti?”.

“Sì. L’ultima volta che l’ho visto è stato al capezzale di Eleonore. Mia sorella Artemide era ferita in modo grave e così ho usato molti dei miei poteri e delle mie capacità per curare lei, mettendo in secondo piano la sua sacerdotessa. Lei me lo ha fatto pesare, una volta guarita. Probabilmente bastava un pizzico di impegno in più da parte mia ma, con questa mia decisione, Eleonore è morta ed ora è la seconda sposa di Hades. Questo ha creato una forte alleanza, perciò quanto successo è positivo. Ovviamente, non mi aspetto che un mortale come Saga possa capire il punto di vista divino, ben più alto di quello umano”.

“Perciò non ti devi stupire se ora ti odia. Ma non credo ti odi. Ultimamente è sempre più strano. A questo proposito, dato che tu sei anche Dio della medicina, vorrei che gli dessi un’occhiata”.

“È malato?”.

“Credo che sia pazzo”.

Apollo rise. Solo una come Atena poteva avere un pazzo come gran sacerdote!

 

Il cavaliere dei Pesci se ne stava quasi sempre per conto suo, pur stando perennemente attento a cogliere ogni voce del santuario. Per questo, Deathmask del Cancro lo chiamava simpaticamente “portinaia”. Quel giorno, però, era più distratto del solito.

“A che pensi?”.

Aphrodite sobbalzò e si voltò di colpo. Era seduto tranquillamente su quel che restava di una colonna ed il suo interlocutore gli dava le spalle. Ruotando e sollevando leggermente la testa, il cavaliere dei pesci capì che a parlare era stato Shura.

“Ciao, Shurino” sorrise Aphrodite.

“Non chiamarmi così!”.

“Non ti arrabbiare”.

“Ti ho fatto una domanda..”.

Il cavaliere dei Pesci sbadigliò, annoiato. Fissava il vuoto, giocherellando con una delle sue rose. Da dove stava seduto, poteva scorgere molte delle  case del tempio.

“Non sto pensando a niente..” mentì.

“Ti conosco, pesciolino. Non puoi raccontarmi una balla!”.

Il Capricorno alzò un sopracciglio, cercando di farsi dire la verità. 

“Sto pensando ad una donna” ammise Aphrodite, annusando la sua rosa.

“Ah sì? E perché?”.

“Che domanda è?! Tu perché pensi ad una donna?!”.

“Beh ma..io pensavo che tu fossi..”.

“Fossi che cosa?!”.

“Pensavo..ti piacessero gli uomini!”.

“Se mi piacessero gli uomini..” ghignò Aphrodite “..ti avrei stuprato da tempo, Shurino bello!”.

“Non è un’informazione che ci tenevo a ricevere!”.

“Hai un bel culo, volevo farti un complimento!”.

“Grazie..”.

Shura, sarcastico, si allontanò leggermente.  Aphrodite lo osservò con la coda nell’occhio.

“E chi sarebbe questa donna?” parlò, di nuovo, Shura.

“Non importa”.

“Ma come? Non è una cosa di tutti i giorni sentire te che parli di femmine..”.

“Sì, hai ragione. Ma non ha importanza. Lei non è disponibile”.

“Dove l’hai conosciuta?”.

“Al matrimonio di Hades”.

“Ah. Ti avevo visto parlare con Persefone e poi..aspetta! Non sarà mica Persefone?!”.

Il cavaliere dei Pesci finse indifferenza. Continuava a fissare la sua rosa.

“Non è Persefone, vero?” incalzò Shura.

“Ma che ti importa?!”.

“Scordatela! È la sposa di Hades!”.

“Lo so bene! Di fatti sono qua, non da lei. Io non sono quel genere di uomo che se ne sta lì ad aspettare, se vuole qualcosa. Mi ha colpito piacevolmente, ma so che non posso pretendere nulla da lei”.

“L’ira e la gelosia di Hades ti spazzerebbe via”.

“La smetti? Capretta, lo so bene. Non sono uno sprovveduto. E nemmeno un ragazzino”.

Shura sospirò, scuotendo la testa. Porse una sigaretta al collega, che però la rifiutò. “Ingiallisce i denti” fu la giustificazione.

 

Eris, Dea della discordia, osservava divertita i suoi nipoti che si massacravano per fare allenamento. Li trovava adorabili. Si avvicinò, incuriosita dall’ultimo arrivato.

“Ciao, zia Eris” salutò Deimos.

“È lui quello nuovo?” domandò lei, indicando Saga.

“Sì” rise Phobos “Quello con lo sguardo smarrito da principessina depressa”.

Eris si unì alla risata del nipote e Saga non ribatté.

“Ma siete sicuri che sia della famiglia?” continuò la Discordia, mostrandosi perplessa.

Phobos annuì e Deimos alzò le spalle.

“Ah, ma anche tu hai un doppio volto!” parve capire lei, avvicinandosi al cavaliere.

“Ho una personalità poco gestibile” si giustificò Saga.

“No. Sono due ruoli diversi. Una volta che comprendi quali sono, è tutto più semplice”.

“Ruoli? Sono un essere umano, non una divinità. Il mio ruolo è fare il gran sacerdote. E basta”.

“Siete due persone molto diverse, tu e l’altro tuo volto. Dovete trovare un equilibrio”.

“Nessun equilibrio!”.

“Vuoi sopprimerlo?”.

“No. Cioè...non so”.

“Phobos! Deimos!” tuonò Ares, richiamando a sé i gemelli.

Saga, rimasto solo con Eris, non sapeva molto bene come comportarsi. Decise di sedersi, togliendosi le fasce con cui si era protetto le nocche ed i polsi per l’allenamento.

“Non ti spaventare” parlò Eris “Hai ancora molte cose da imparare”.

“Non mi sono spaventato”.

“Mi mostri il tuo altro lato?”.

“Non posso. Non spunta a comando!”.

“Ah, è quello il problema! Tranquillo, posso spiegarti come gestire la cosa. Pure io ho due volti, anche se mostro quasi sempre il lato malvagio. Io sono Eris, la discordia, che provoca liti e miseria al suo passaggio. Ma sono anche Eris, la buona, che stimola l’emulazione fra gli uomini”.

“Cioè?”.

“Un giorno capirai. La verità è che, probabilmente, tu e l’altro tuo lato avete delle capacità diverse e dei gusti differenti. Dico bene? Per questo che c’è conflittualità. Ognuno  ha il diritto di esprimersi. Cosa sa fare Arles meglio di te? E viceversa?”.

“Arles? Beh..lui è più risoluto e sadico. Come capacità, credo sia più abile di me nell’uso delle illusioni tipiche del cavaliere dei gemelli. Mentre io controllo meglio l’esplosione delle galassie”.

“Visto? Ma c’è qualcosa che sa fare solo Arles o solo Saga? Per capire meglio i ruoli che potreste avere..”.

“Non lo so! Ma come lo capisco?!”.

“Ti do un consiglio: non combatterlo! Non sopprimerlo! Lascia che fluisca, quando sente il desiderio di emergere. Se non lo combatti, imparerete a controllarvi a vicenda e diventerete di certo più forti. Senza il controllo, la forza non conta”.

“Me lo hanno già detto..”.

“Ed hanno fatto bene. Ora torna a casa, la tua Dea sarà in pensiero. Fatti una bella doccia e, per favore, cerca di non raderti. Un filo di barba non ti starebbe male”.

“No, grazie. Sembro un deficiente con la barba e questa faccia!”.

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Capitolo 6
*** VI- crollo ***


VI

 

CROLLO

 

Ares giunse al tempio di Atena senza troppe cerimonie. Salì fino alla tredicesima, senza scorta alcuna. Aveva deciso di non portare con sé Phobos e Deimos, per non spaventare i mortali presenti. I cavalieri d’oro, non sentendosi per nulla sicuri all’idea di Ares che scorazzava allegramente per il santuario, raggiunsero la dimora del gran sacerdote. Il Dio della guerra, seguendo Atena, camminò in silenzio ed affiancò il trono. Incrociò per qualche istante lo sguardo di Saga, che lo salutò con un cenno rispettoso del capo. Le due divinità passarono oltre e raggiunsero la dimora di Atena.

“Come fai a restare lì seduto?” domandò Aiolos.

“E che altro dovrei fare?” rispose Saga.

“Controllare che il Dio della guerra non faccia casino! Quell’uomo non è..”.

“Non è un uomo, è un Dio. Ed è meglio che vi abituate all’idea che Atena discuta con i suoi alleati, anche se li abbiamo sempre considerati nemici”.

“Non resterò qui”.

“E che pensi di fare? A noi mortali non è concesso entrare nelle sue stanze. Io posso varcare solo la prima porta e discutere con lei in una saletta apposita”.

“Vorrà dire che sorveglierò l’esterno”.

Molti dei cavalieri erano d’accordo con il Sagittario, mentre altri lo seguirono per noia. Si radunarono accanto alla statua della Dea, all’esterno della sacra dimora di Atena. Erano pronti ad intervenire, in caso di emergenza. Saga, rimasto solo, scosse la testa: non capiva il ragionamento dei suoi colleghi. Si rilassò, concedendosi un sorso di vino. Alzandosi, stanco di stare seduto, gemette per le botte di Phobos e Deimos. Probabilmente portava segni di quegli scontri anche sul viso, ma nessuno degli altri cavalieri pareva farci caso. Evidentemente perché quasi nessuno lo guardava negli occhi. O forse perché tutti pensavano che si fosse semplicemente scontrato con il gemello Kanon. All’esterno della tredicesima, poteva vedere tutte le case. Alzò lo sguardo, verso il cielo. Era una piacevole serata, e già le prime stelle iniziavano ad apparire. Il sacerdote salutò educatamente venere lucifera, appena accesa nel tramonto. Poi sobbalzò. Qualcosa non andava!

“Meglio che rientri ed avvisi gli altri” si disse, ma quasi subito una voce nella sua testa lo fermò.

“Lascia fare a me!” sbottava quella voce, convinta.

Saga gemette, reggendosi la testa. Cercò di mettere a tacere quella voce e quella personalità, scoraggiato perché sperava che le medicine fossero utili. Poi ricordò le parole di Eris. Lascialo fluire..non combatterlo..

“Va bene..” si rassegnò Saga “Staremo a vedere cosa credi di fare”.

Arles prese il controllo della situazione. Si sentiva forte e sicuro. C’erano degli intrusi, molti intrusi. Ma le case erano deserte, dato che i cavalieri d’oro erano tutti riuniti fuori dalla casa di Atena. Con un ghigno, il sacerdote si concentrò. I nemici, che erano sempre più numerosi e formavano un esercito, si ritrovarono contro un altro esercito, creato da Arles. Sfruttando la sua capacità di creare illusioni, aveva fatto comparire un esercito numeroso come quello nemico. Si stupì, per qualche istante, di se stesso. I due eserciti iniziarono a scontrarsi e Arles sorrise soddisfatto.

 

“Non agitarti, Atena. Non sono qui per litigare” parlò Ares, seduto comodamente nelle stanze della Dea e sorseggiando il vino migliore del tempio.

“Non sono agitata!” protestò la Dea, rigirandosi sulla sedia.

“E così..” riprese lui, interrompendo il silenzio imbarazzante “..tu vivi qui. Posto carino, si vede Atene, una schiera di uomini al tuo servizio..”.

“Grazie, fratello. Anche se non so quanto sia tuo desiderio farmi un complimento”.

“Siamo alleati, anche se la cosa non ci piace. Perciò sforziamoci di fare i simpatici. E ora facciamo quello che tutti si aspettano: parliamo di guerra e strategia”.

“Ottimo. Non chiedo di meglio..”.

Iniziarono a parlare fra loro, studiando il nemico ed eventuali punti deboli. D’un tratto Ares rizzò la testa, percependo qualcosa.

“Che succede?” domandò Atena.

“Non senti niente?”.

Il Dio uscì dalla dimora della Dea. I cavalieri d’oro lo fissarono con aria interrogativa. Ares li ignorò ed allungò lo sguardo verso il grande tempio. Dall’alto, capì che qualcuno stava attaccando il luogo sacro. Però..

“Presto, interveniamo!” scattò Ioria, subito trattenuto dal fratello maggiore, che aveva percepito qualcosa.

“Ma che succede?” domandò Mur “Cos’è quell’esercito che difende il tempio?”.

“Non esiste quell’esercito” si stupì Kanon “Si tratta di un’illusione”.

“Un’ illusione?!” esclamò Ares.

“Sì, mio fratello probabilmente ha fatto questo e..”.

Non terminò la frase. Sopra le loro teste, percepiva molti nemici.

“Mettete al sicuro Atena!” gridò Aiolos, preparandosi a combattere.

 

Arles continuò a respingere l’esercito di terra, mentre gli altri gold si occupavano dei nemici che attaccavano dall’alto. Mai era stato in grado di creare così tante illusioni in una volta, però non aveva previsto dei colpi aerei. Sentì un boato e guardò in su: le colonne della tredicesima oscillavano. Allarmato, il sacerdote cercò di reagire ma non riusciva a muoversi. Non si era accorto che, attaccando con le illusioni, aveva consumato moltissima energia.  Barcollò, e lo stesso fecero le colonne. Si preparò a sentire la dura pietra cadergli addosso ma non fu così. Chiuse gli occhi, sentendo le gambe cedergli. Era stato uno stupido! Si stava rimproverando, probabilmente ad alta voce, quando percepì una mano che gli chiudeva la bocca. Era tutto buio, parte della tredicesima casa era crollata e si era alzato un gran polverone. Disteso, percepiva una presenza che, accucciata, lo proteggeva. O tentava di aggredirlo?

“Stai zitto! Non fare fatica per niente” si sentì dire.

“Ares?” si stupì Arles.

Il Dio sanguinava leggermente, perché per proteggere il sacerdote gli erano finite addosso delle macerie del tempio. Era scuro in volto, probabilmente in collera. Arles tentò di reagire, ma gli girava la testa e poi perse i sensi. Ares lo tenne fra le braccia, aspettando il silenzio.

“Cosa è successo?” lo cercò Atena, non vedendo nulla per colpa della polvere.

Lei gridò, quando vide che sul trono del sacerdote era crollato parte del soffitto.

“Avete respinto i nemici?” domandò Ares, senza alzarsi.

“Sì” rispose la Dea “Va tutto bene. Povera tredicesima casa!”.

“Vi manderò qualcuno ad aiutarvi a ricostruirla. Sarà più bella di prima” rassicurò Ares.

Ancora con l’espressione di rimprovero sul viso, si alzò. Con in braccio il gran sacerdote, raggiunse la Dea, seguita dai suoi cavalieri d’oro. Atena si spaventò, vedendo il sangue sul viso di Ares.

“State bene?” domandò.

“Ha solo esagerato” rispose il Dio “Ed io ho solo qualche graffio”.

“Da solo ha creato l’illusione di un intero esercito? Non pensavo riuscisse ad arrivare a tanto”.

“È in gamba. Non lo sottovalutare”.

Ares poi alzò lo sguardo verso i cavalieri d’oro.

“Tu sei Kanon” parlò ancora il Dio “Dovresti tenere più sottocchio tuo fratello”.

“Ma che vuoi?” ringhiò Kanon, avvicinandosi ad Ares per riprendersi il gemello.

Il Dio gli lanciò un’ultima occhiata, prima di passare lo svenuto a Kanon. Il cavaliere dei gemelli si riprese Arles con sospetto. Non si fidava del Dio della guerra, nemmeno un po’!

“Portalo nelle mie stanze” propose Aphrodite “Finché la tredicesima casa non verrà sistemata”.

“Sei gentile” annuì Kanon “Ma tu dove starai?”.

“Io sto bene. Posso dormire sul divano. Tuo fratello ha bisogno di riposare in un vero letto. Non ti preoccupare”.

 

“Come ti senti?”.

Saga, riaprendo gli occhi, vide al suo capezzale uno dei gemelli di Ares. Era Phobos o Deimos? Lo guardò ancora. Aveva l’orecchino a destra, quindi era Phobos.

“Cosa ci fai qui?” domandò, invece di rispondere.

“Padre Arles mi ha mandato a controllarti. Hai dormito per giorni. Come stai?”.

“Mi gira un po’ la testa”.

“Sei un coglione!”.

“Intanto io da solo ho sconfitto un intero esercito”.

“E Ares è molto colpito da questo, però sei stato comunque un coglione”.

“Non avevo previsto un attacco dall’alto. Se non ci fosse stato quell’attacco, me la sarei cavata benissimo. Mi sarei stancato, sarei andato a dormire e nessuno si sarebbe manco accorto di niente. Sai  quante volte ho combattuto e poi sono tornato al lavoro, senza che nessuno capisse?”.

“Non comprendo. Non hai amici che si preoccupano del tuo stato mentale e fisico?”.

“Ho lasciato fluire, come mi ha suggerito la Dea Eris. E sono riuscito a controllare Arles, che ha annientato i nemici con il potere delle illusioni”.

“Sei tu che dici che non sei migliorato..”.

“Hai detto agli altri che io e Ares..?”.

“Non ho spiegato il nostro rapporto di parentela. Sono affari tuoi, no?”.

“Ti ringrazio..”.

Saga, messo a sedere sul letto, si scosse e cercò di alzarsi.

“Dove vai?!” tentò di fermarlo Phobos, con scarso successo.

“Ho un lavoro, io!” ribatté il sacerdote, lasciando la camera.

Raggiunse a fatica il crepidòma del suo tempio e guardò in su. La tredicesima era quasi del tutto ricostruita, con sua somma soddisfazione. Entrò e si stupì nel vedere Ares, in piedi al centro della stanza, che osservava il soffitto.

“È venuto bene” commentò il Dio, senza degnare di uno sguardo Saga.

“Grazie per averlo sistemato. Ora il mio trono non ha più il soffitto su di esso..” rispose il sacerdote.

“Sei stato molto avventato”.

“Lo so, non mi serve la predica”.

“L’avventatezza è una caratteristica di famiglia”.

“Lo terrò a mente..”.

Saga camminò lentamente e raggiunse il trono, sedendosi e sospirando. Osservò pure lui il soffitto, ora decorato ed affrescato.

“Lo trovo un po’ troppo pomposo” commentò Ares “Ma se a te piace..”.

“È un po’ eccessivo anche per me. Vedrò poi le mie stanze personali. I nemici sono stati tutti respinti? E chi erano?”.

“Tutti respinti e facevano parte dell’esercito  di Giove, anche se non so dirti esattamente sotto quale dei suoi figli”.

“Capisco..”.

“Ma ti sei almeno minimamente preoccupato delle conseguenze del tuo gesto?” riprese Ares, dopo un momento di silenzio.

“Perché? Tu pensi mai alle conseguenze di quel che fai?”.

“Non spesso. Però, quel che intendo, è che sei il gran sacerdote. Hai un compito”.

“Se sei preoccupato per la mia successione, ti informo che colui che deve prendere il mio posto, in caso di mia dipartita, è già stato informato”.

“Pessimista!”.

“Dicesi previdente. Comunque, spero che anche voialtri vi facciate delle domande in proposito”.

“A che proposito?”.

“Discendenza. Successione. Se dovesse morire Zeus, chi ne prenderebbe il posto?”.

“Morire Zeus? Tu stai delirando!”.

“Siamo in guerra, potrebbe succedere. Ed in quel caso che accadrebbe? I figli si scannerebbero per stabilire il migliore? Si sgretolerebbe la famiglia? Oppure si sa già chi può prenderne il posto? Io, nel mio piccolo, ho sistemato la faccenda, evitando così che si crei inutile casino al tempio quando non necessario”.

“Ma così lasci intendere che non sei necessario, che sei sacrificabile”.

“Non è così?”.

“Arles..”.

“Sono Saga”.

Ares fece per avvicinarsi, quando entrò Atena. Con un largo sorriso, la Dea parve rassicurata nel vedere il suo sacerdote.

“Come ti senti, Saga? Ti piace la tredicesima, come è stata sistemata?” domandò.

“Ho un po’ di mal di testa, ma passerà” rispose lui “Ora smettetela di preoccuparvi per me ed occupatevi della guerra”.

“Non fare lo scorbutico”.

“Non sono scorbutico!”.

“Hai ringraziato il divino Ares? Ti ha salvato lui, altrimenti saresti morto schiacciato”.

“Come uno scarafaggio scemo, lo so. Grazie, divino Ares”.

“Di niente. Ma vedi di non rifarlo” sbottò il Dio della guerra “Non ho certo tempo da perdere!”.

“Non ne dubito”.

 

“Mie care, credete che ci tocchi intervenire?” parlava Hades, rivolto alle sue due consorti.

“Nella guerra? Immagino di sì” rispose Persefone.

“Ma qui nessuno è venuto a darci fastidio. Che ce ne facciamo dell’Olimpo noialtri?”.

“Sì ma si tratta comunque della vostra famiglia” si aggiunse Eleonore.

“Siete voi due la mia famiglia” sorrise Hades, accarezzando il viso della sua fresca sposa.

“Fiera di sentire questo, ma non siamo solo noi. Poi, dovreste pensare al futuro” continuò lei.

“A che futuro? Sto nell’oltretomba a governare su di esso e basta. Non ho grandi prospettive”.

“Intendo al futuro della famiglia”.

“Continuo a non seguirti, Eleonore”.

“Parlo di famiglia che cresce”.

“Una terza moglie? Per ora non ci penso..”.

“Non intendevo questo..”.

Persefone guardò Eleonore e sorrise, senza nascondere lo stupore. Hades, invece, continuò a non capire. Le due donne scossero la testa, divertite.

“Che mi nascondete, voi due?” borbottò il Dio.

“Diventerai papà, Hades” spiegò Persefone.

“Sarebbe la prima volta..” si stupì lui.

“C’è sempre una prima volta” sorrise Eleonore.

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Capitolo 7
*** VII- padri ***


VII

 

PADRI

 

“Mi avete convocato, padre?” si inginocchiò Ares, dinnanzi a Zeus.

“Sì, è così” rispose Zeus, seduto su un immenso trono oro.

Alla sua destra, sedeva Era. I due signori degli Dei erano di buon umore, o così sembrava.

“Come procedono i progetti di attacco?” domandò Zeus.

“Bene, padre. Abbiamo già colpito il nemico in un paio di occasioni. Fin ora, però, senza risultati rilevanti. Atena suggerisce di cercare ulteriori informazioni sugli avversari”.

“Le informazioni non ci servono!” si spazientì Era, che mal sopportava la Dea della guerra.

“Mi aspettavo più ferocia da te, Ares” ammise Zeus “Confesso di essere un po’ deluso”.

“Ho avuto qualche contrattempo” si giustificò Ares “E poi da solo non posso distruggere l’intero gruppo che ci ha spodestato”.

“Da quando tremi di fronte ai nemici?”.

“Non tremo! Ma preferirei non suicidarmi”.

“Facciamo affidamento sul tuo potere e sulle tue capacità”.

“Lo so, padre. Ma..”.

“Adesso smettila, Zeus” zittì tutti Era, mettendosi in piedi.

Elegantemente, la Dea si avvicinò ad Ares, facendolo alzare. Era adorava Ares, che vedeva sempre come il suo bambino,  e non sopportava l’idea che qualcuno lo maltrattasse. Anche se quel qualcuno era Zeus.

“Non ti crucciare, piccolo mio” parlò lei, con un tono fin troppo mellifluo “Vedrai che tutto andrà bene e ti mostrerai come il grande guerriero che sei”.

“Non ho bisogno di queste rassicurazioni, madre!” si scansò Ares, mentre Era tentava di accarezzarlo.

“Non ascoltare tuo padre. È solo nervoso” riprese lei.

“Non immischiarti, donna” sbottò Zeus “Vedrai che con Atena risolverà tutto”

Era, gelosa dei pochi figli avuti con il padre degli Dèi, e gelosa dei frutti delle numerose scappatelle del marito, non poteva sopportare il nome di “Atena”. Sapeva che quella Dea era stata concepita in una relazione precedente di Zeus con Metis, ma non la reggeva comunque. Irata, lanciò un’occhiataccia al consorte, con lo sguardo che si tingeva di rosso.

“Mio figlio non ha bisogno di aiuto” commentò lei “Organizzerà i nostri eserciti e ci porterà alla vittoria anche senza l’aiuto di quella tua Atena”.

“In realtà..” riprese Zeus “..avevo ben altro in mente”.

 

“Volevo farti una domanda” parlò il cavaliere dei Pesci, osservando il gran sacerdote.

“Prego” rispose Saga, seduto sul suo trono.

“Riguardo a quell’uomo che ti ha sorvegliato mentre stavi male..”.

“Erano due. Identici, ma erano due”.

“Ah sì? Beh..immagino valga per tutti e due!”.

“Cosa vuoi sapere? Ti passo il numero di cellulare di uno dei due?”.

“E che me ne dovrei fare?!”.

Saga fissò Aphrodite, senza sapere molto bene che cosa dire.

“Non sono gay! Perché lo pensate tutti?” sbottò il cavaliere dei Pesci.

“Non saprei. Chiedo scusa. Comunque, che vuoi sapere su quei due?”.

“Sono i figli di Ares”.

“Lo so”.

“Come riesci a reggere il loro sguardo? I loro occhi rossi sono pieni di odio e terrore, non riesco a guardarli senza tremare. Ma tu non mi sembri avere problemi”.

“Avevano gli occhiali da sole, a volte”.

“Mi prendi in giro?”.

“Aphrodite, io non so che cosa dirti”.

“Inoltre..” riprese il cavaliere dei Pesci, sfiorando il volto di Saga “..perché hai tutti questi lividi?”.

“Sono quasi rimasto sepolto sotto la tredicesima!”.

“Questi lividi erano precedenti. Che combini? Ti sei dato al masochismo? E poi..potresti usare un po’ di trucco, per coprire questi segni”.

“Da quando un cavaliere copre i segni dei pestaggi?”.

“Da quando vuole nasconderli”.

“Aphro, smettila di indagare per niente”.

“Voglio sapere la verità!”.

“Sarai il primo a cui spiegherò ogni cosa. Ma non ora, ne va della nostra alleanza”.

 

“Tutto tranquillo?” domandò Aiolos, incrociando il fratello lungo le scale del grande tempio.

“Sì, puoi rilassarti” rispose il Leone, con un mezzo sorriso.

“Rilassarmi? Fratello, siamo tutti in grave pericolo!”.

“Sì ma adesso è tutto a posto”.

“Potrebbero attaccarci da un momento all’altro!”.

“Ho capito. Ma ora, se non ti dispiace, vorrei raggiungere la mia casa e starmene un po’ in pace”.

“Da quando ti sei sposato, non sei più te stesso. Ti sei rammollito”.

“Non è vero!”.

“Certo! Una volta eri irreprensibile. Ora, appena puoi, corri a casa”.

“Fratello, non farmi dire cattiverie, per favore”.

“Cattiverie? Sei forse in collera con me?”.

Ioria tentò di ignorare il parente, incamminandosi verso la quinta casa.

“Ioria!” lo richiamò il Sagittario, raggiungendolo e toccandogli la spalla.

“Non voglio mancarti di rispetto, fratello” iniziò Ioria “Ma sono stanco. Lasciami riposare in santa pace, almeno per un po’. Ho finito il giro di ronda, ho il diritto di concedermi una dormita”.

“Sicuro che tu voglia solo dormire?” protestò Aiolos, con un lieve rimprovero in viso.

“Anche se volessi restare sveglio a montare mia moglie per tutta la notte, non sarebbero affari tuoi!” sibilò Ioria, che si irritava sempre quando qualcuno parlava male di Marin.

“Ioria! Non ti riconosco!”.

“Non so che farci. Sono un uomo sposato, ma resto comunque fedele al santuario. Che la cosa ti piaccia oppure no”.

“La fede in Atena deve venire prima di qualsiasi altra cosa, Ioria!”.

“Certo. Ma amare una donna non mi impedisce di avere fede. So che non apprezzi. Non hai mai approvato il mio matrimonio, ma non so che farci. Io vivo la mia vita, tu la tua. Mi spiace dirtelo ma..dovresti iniziare a vivere pure tu”.

 

Atena e Saga stavano nel pronao del tempio di lei. L’unico spazio della dimora della Dea in cui ad un semplice umano come Saga era concesso mettere piede.

“Non so..” parlava lei “..forse è una cosa ingiusta che tu sia limitato a quest’area. Dopotutto, hai allevato, per un periodo, il corpo mortale che mi ospitava”.

“Già. Prima di provare ad ucciderlo, quel corpo”.

“Dettagli. Ora sono una Dea, non puoi uccidermi, e mi stai servendo fedelmente. Reputo la cosa molto positiva”.

“Perché mi avete convocato? Cosa posso fare per voi?”.

“Come ti senti? Le ferite si sono rimarginate?”.

“Tutto a tempo debito, mia signora”.

“Bruciano?”.

“Come..?”.

“Bruciano, quando entri in quella tua grande vasca per purificarti, prima di raggiungermi?”.

“Signora, io..”.

“Domando scusa”.

“Atena!” si udì una voce “Posso essere ricevuto? È urgente”.

“Fratello? Entra pure” rispose lei, riconoscendo la voce di Ares “Che ti è capitato?”.

“Sono appena stato in udienza da nostro padre Zeus..” spiegò lui, entrando.

Subito il Dio notò la presenza di Saga, che fissò con aria interrogativa.

“Va pure, Saga. Lasciaci soli” invitò Atena.

“No” lo fermò Ares “Può sentire pure lui. Potrebbe interessargli”.

“Va bene” annuì la Dea “Ma così non ci possiamo accomodare e dobbiamo  restare in questo spazio”.

“Va benissimo”.

“Che mi dovete dire, fratello?”.

“Nostro padre ha voluto parlarmi di alleanze. Vuole consolidare i legami fra le divinità, in modo da scongiurare guerre future. Ed ha avuto un’idea alquanto..bislacca”.

“Come parlate forbito quando lo desiderate, Ares!” sorrise Atena.

“Non mi pareva gentile dire che secondo me ha avuto un’idea del cazzo. Ad ogni modo, ha proposto dei matrimoni”.

“Matrimoni? Fra chi?”.

“Seguendo l’esempio del suo fratellone Hades, che si è sposato la sacerdotessa di Artemide, ha suggerito altri esempi simili”.

“Vuole che facciamo sposare i nostri sacerdoti?” cercò conferma Atena, guardando Saga.

“Anche. Però ha citato nomi di divinità”.

“Ci sono molti scapoli in famiglia”.

“Esatto. E tu sai che fra Dei è normale sposarsi fra fratelli”.

“Siamo tutti fratelli, bene o male..”.

“Ho messo a disposizione i miei figli, per possibili alleanze”.

“Quindi io, che sono Dea vergine, dovrei mettere a disposizione i miei cavalieri?”.

“Immagino di sì. Ma anche te stessa”.

“Io sono la Dea vergine!”.

“Lo so! Te l’ho detto che era un’idea del cazzo!”.

“E chi vorrebbe che sposassi?”.

“Meglio non te lo dica, perché è una cosa troppo stupida”.

Atena ed Ares rimasero qualche istante in silenzio. Si fissarono negli occhi e poi lei fece una smorfia, indietreggiando e scuotendo la testa.

“Non se ne parla! Io non ti sopporto!” commentò.

“Guarda che manco a me piace come idea!” sbottò Ares.

“Inaudito!”.

“Almeno su questo siamo d’accordo! Ed io questo ti dovevo dire. Ora posso anche tornare per i fatti miei ad allenarmi”.

Il Dio si allontanò in fretta. Saga, che fin ora era rimasto in silenzio, senza sapere cosa dire, lo seguì dopo qualche istante di stordimento. Riuscì a raggiungerlo prima che se ne andasse. Già in groppa al suo cavallo, Ares non aveva molta voglia di ascoltare le lagne di un depresso.

“Avete messo a disposizione i vostri figli?!” parlò il sacerdote, in modo da farsi udire solo dal Dio.

“Non è stata un’idea mia” replicò Ares, impaziente di andarsene.

“Questo lo so. Però..”.

“Cerca di recuperare ed ampliare le forze. Non manca molto al prossimo attacco”.

“Non cambiate discorso, per favore”.

“Ho di meglio da fare! Scansati o ti passo sopra con il cavallo”.

“Non lo fareste. Non salvate la vita ad una persona per poi ucciderla”.

“Dipende..”.

“Vi prego..non fatemi questo”.

“Ci sono cose peggiori del matrimonio combinato. Non serve farne un dramma!”.

“Sono disposto a fare qualsiasi cosa. Mandatemi pure in prima linea a morire, sono disposto a farlo. Ma non costringetemi a rivivere certi eventi..”.

“Dovresti girare pagina. Eleonore ora è incinta, l’hai ormai persa per sempre”.

Saga rimase qualche istante in silenzio, non aspettandosi una notizia simile.

“E poi..” riprese Ares “..preferisci il matrimonio combinato da Zeus o la punizione eterna che ti riserverà se disobbedisci?”.

“Io so cosa mi aspetta, una volta morto. Non è la punizione di Zeus a spaventarmi. Ho tentato di uccidere Atena, quindi mi attendono tremendi supplizi per l’eternità. Non conta quel che potrò mai fare in futuro, sono condannato perché troppe volte ho sfidato gli Dèi. Punizione in più, punizione in meno, non mi cambia”.

“Certo che sei proprio un tipo depresso..”.

“Io vi supplico. Chiedetemi pure qualsiasi altra cosa, ma non di legarmi di nuovo a qualcuno. Ho combattuto per tutta la vita e so quando ritenermi sconfitto. L’amore mi ha sconfitto, ha strappato parte del mio animo e non voglio rivivere tutto questo. Io non so amare, non più”.

“Non si è mai parlato di amore..”.

“Capitemi, ve ne prego. Sono rassegnato a tante cose e sono pronto a morire, ma non a quel che volete da me. Usatemi pure come marionetta, speditemi contro il nemico che più vi aggrada, umiliatemi e punitemi ma..non imponetemi dei legami che non riuscirei a sopportare e reggere. Ricorderei sempre Eleonore..la mia bellissima Eleonore..credo che possiate comprendere, essendo voi innamorato della Dea Afrodite”.

“Io devo ancora vagliare tutte le possibilità. Ma Zeus ha dato un ordine. Atena fa tanto la difficile ma, per evitare altre guerre fra noi, non credo che opporrà troppa resistenza se le imponessero questo matrimonio”.

“Ma lei è la Dea vergine! E poi..Ares ed Atena..”.

“Siamo entrambi Dei legati alla guerra. Abbiamo cose in comune..”.

“Sì, ma..”.

“Tranquillo, non la dovrai considerare come una specie di matrigna..”.

“Non ci stavo proprio pensando!”.

“Arles..”.

“Sono Saga!”.

“Come vuoi! Saga, cerca di..”.

“Vi prego. Farò qualsiasi cosa”.

“Lo hai già detto!”.

“Io non sono il tipo che normalmente supplica le persone. Vi prego..padre..”.

Il sacerdote aveva chinato il capo. Ares restò in silenzio, titubante. Il cavallo nero fremette, impaziente.

“Farò il possibile” sospirò poi il Dio, e finalmente si allontanò dal tempio.

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Capitolo 8
*** VIII- amen ***


VIII

 

AMEN

 

L’odore dell’incenso non lo aveva mai particolarmente apprezzato, però in quel momento non lo infastidiva. Ad occhi chiusi, Saga ascoltava le note dell’organo e la splendida voce che accompagnava, che cantava l’Ave Maria.

“Come mai siete qui, sacerdote d ‘Atena?” domandò il prete ortodosso, riconoscendone le vestigia. Gli si era affiancato, fra le panche della chiesa, e lo fissava con aria interrogativa.

“Non certo per pregare il vostro Dio” rispose Saga “Bensì per starmene un po’ in pace. Questa musica è meravigliosa”.

“Questa musica è quella che poi ci attende in paradiso”.

“Io non andrò in paradiso”.

“Beh, non nel paradiso di Nostro Signore. Ma immagino che la vostra Dea abbia un luogo equivalente dove far giungere i suoi santi”.

“Certo. Ma io non ci andrò”.

“E perché dite questo?”.

“Perché ho commesso gravi peccati e verrò punito”.

“Ma ora siete pentito delle vostre azioni passate?”.

“Sì..”.

“E questo non conta? Nostro Signore accoglie in paradiso chi si pente e crede in lui”.

“È così semplice? Intendo dire..uno può uccidere, umiliare, distruggere ed infangare, ma se poi si pente..viene ammesso in paradiso?”.

“Se il pentimento è sincero, sì. Per Atena non funziona così?”.

“Certo che no! Se hai ucciso degli innocenti, è giusto che tu sia punito per l’eternità!”.

“Nemmeno se sei pentito ed addolorato?”.

“Esatto!”.

“E che genere di peccati avreste mai commesso, per meritare la condanna eterna? Siete comunque il gran sacerdote..”.

“Inenarrabili! Le fiamme dell’inferno mi attendono, direste voi”.

“Allora non vi resta che pregare, affinché la Dea abbia pietà”.

“La mia Dea ha pietà. Mi ha perdonato”.

“Ma allora..”.

“Allora non è così semplice. Quanto è stupido concedere la grazia a chi si pente dopo una vita di misfatti ed atrocità!”.

“Il mio Dio è misericordioso”.

“Vai a dirlo ai primogeniti d’Egitto..”.

“Ma questo..non ha niente a che fare con..”.

“Lasciamo perdere!”.

“Pagano..”.

“Bigotto!”.

Saga osservò la statua della madonna, trovandola molto simile alla sua Dea. Ignorando gli insulti del prete, lasciò che alle orecchie giungessero solo le soavi note dell’Ave Maria.

“Saga!” lo riportò bruscamente alla realtà una voce “Che fai?! Dormi?!”.

“Deimos?”.

“No, sono il re d’Inghilterra! Muoviti, sta succedendo un casino!”.

 

“Quella si è fumata tutto il fumabile!” protestò Milo.

“Abbassa la voce!” lo ammonì Camus.

“E perché? Tanto se ne sta tranquilla nella sua casetta, lei!”.

“Ma perché ti agiti tanto?”.

“E me lo chiedi anche, Camus?! Questa si sveglia la mattina e ci dice che ci dobbiamo sposare perché così ha stabilito. Ma che vuole? Dannata strega!”.

“Milo!”.

“Non ti adirare, Camus” sorrise Ioria “Milo è solo nervoso”.

“Non rompere, Simba!” lo zittì lo Scorpione.

“Quanto mi avete rotto le palle perché avevo deciso di sposarmi?” continuò il Leone “Quanto mi avete preso in giro, perché secondo voi facevo una cazzata? E adesso ve la pigliate in quel posto. Io ho la mia amata Marin e voi..chissà che razza di abbinamenti ha in mente Zeus per voi!”.

“Se questo è necessario per mantenere la pace, lo faremo senza troppe storie” parlò Camus.

“Non se ne parla!” replicò Milo “Questo bel figurino che vedi è uno spirito libero! Io devo volare di fiore in fiore e farmi tutte le donzelle che voglio, senza uno stupido anello al dito che mi rovina la piazza, capito?!”.

“Ma non sei vecchio per ragionare ancora così?” storse il naso Ioria.

“Vecchio? A chi hai dato del vecchio, felide?”.

“Sgasati, artropode! Hai passato i trent’anni!”.

“Pure tu!”.

“Di fatti io sono sposato..”.

“E poi, scusa, se dai del vecchio a me..a Saga che dici?”.

“Quello ormai è pensionabile. Ma lo hai visto? Ha pure i primi capelli bianchi..”.

 

“Che succede? Smettila di tirarmi per la manica!” protestò Saga.

“Muoviti! Non sai correre più in fretta?” protestò Deimos.

“Più di così? No!”.

“Sei una palla al piede!”.

“Vaffanculo! Non sono io venuto a cercare voialtri, ma viceversa!”.

“Non so per quale motivo! Colpa di Phobos, come sempre”.

“Cosa vuoi da me?”.

“C’è stato un attacco, padre Ares è impazzito”.

“È impazzito? E perché chiami me?”.

“Perché più siamo e meglio è, credimi!”.

“Ma cosa è successo?”.

“Hanno ammazzato Zeus”.

“Cosa?!”.

 

“Costretti a sposarvi? Scusate se rido” sfotté Deathmask.

“Non hai niente da ridere, tu!” lo zittì Shaina “Sarebbe anche ora che ti decidessi a chiedermelo..”.

Il cavaliere del Cancro la fissò e deglutì a fatica.

“Non è possibile!” interruppe tutti Shaka “Siete sempre in giro a bighellonare!”.

“Ma che vuoi?!” ringhiò Milo “Torna a casa tua!”.

“Ha ragione Aiolos: questo santuario è pieno di nullafacenti! E adesso tornate alle vostre postazioni, altro che perdere tempo qua a discutere”.

“Tu non puoi farmi la predica, chiaro?” continuò lo Scorpione “E poi non dirmi che a te piace l’idea di sposarti con non so chi”.

“Sono un asceta. A certe cose io sto al di sopra”.

“Come no..”.

“Tornate a lavorare!”.

“Chiudi la bocca, Barbie!”.

Shaka stava per ribattere ma Atena urlò, zittendo l’intero santuario.

 

“Dove eri finito?” gridò Mirina, rivolta a Deimos.

“Dov’è papà?” rispose lui.

Il figlio di Ares era salito a cavallo e Saga con lui.

“Non siamo riusciti a fermarlo” parlò ancora l’amazzone.

“Non avevo dubbi a riguardo..”.

“Cosa è successo?” si intromise Saga, senza capire.

“Nessuno di noi si aspettava che attaccassero Zeus, quindi non era sorvegliato e probabilmente lui era rilassato e tranquillo. Ma abbiamo sottovalutato il nemico”.

“Idioti..”.

“Zeus è stato colpito e Ares, che in quel momento era ospite del genitore, è impazzito e si è lanciato contro il nemico. Abbiamo cercato di fermarlo ma è impossibile farlo ragionare”.

“Quindi ora siamo solo noi, progenie del Dio della guerra, contro coloro che sono stati in grado di ammazzare Zeus?! Non mi pare un’idea intelligente!”.

“Lo so. L’idea era impedire a padre Ares di intervenire”.

“E come? E poi..dove sono tutti gli altri?!”.

“Smettila di lagnarti! Tira fuori le palle!”.

Saga guardò in su. I nemici erano tantissimi, volavano e parevano spuntare da ogni dove.

“Ci stermineranno!”.

Phobos stava al fianco del padre e lottava senza tirarsi indietro. Nonostante la sua notevole forza, non era però in grado di respingere i numerosi nemici.

“Ritiratevi!” gridò Saga “Non siete in grado di sconfiggere così tanti avversari!”.

“Tornatene a casa!” gli rispose una delle amazzoni, punta nell’orgoglio.

“Se volete morire, non coinvolgetemi nei vostri progetti!”.

La terra tremava ed il chiasso si faceva sempre più insopportabile. Saga tentò di spedire qualche nemico nell’altra dimensione.

“Torna a casa, mortaluccio!” sibilò una Dea, che lui non riconobbe subito.

Era molto bella e molto poco vestita. Probabilmente sfruttava questo per distrarre i nemici di sesso maschile. Saga, per qualche istante, fu effettivamente distratto dal ballonzolante balcone ma poi si riprese. La Dea gli tirò una poderosa ginocchiata al ventre ma il sacerdote rispose subito, con un cazzotto in pieno volto.

“Come osi deturpare il mio bellissimo viso?” si lagnò lei “Mi vendicherò per questo! Morirai!”.

“Ma fammi il piacere!” si udì di risposta.

Era Otrera, una delle regine delle amazzoni e madre di molte di loro. Odiando particolarmente la Dea in questione, Venere, e la sua controparte greca, si sentiva realizzata. L’aveva trafitta con molte frecce in una volta, abbattendola. Marte non gradì questo. Il Dio romano gridò di rabbia e lanciò un potentissimo attacco, che colpì in pieno Ares.

“Padre!” gridò Deimos e Saga lo trattenne.

I due fratelli si guardarono negli occhi qualche istante, mentre Saga lasciava gradatamente il posto ad Arles.

“Ci ammazzeranno” commentò Deimos “Se non ci ritiriamo, moriremo. Siamo troppo pochi”.

“Dove sono gli altri Dèi?”.

“Non lo so..”.

I due si guardarono ancora qualche istante e poi la battaglia continuò. Marte, pronto a torturare a morte la sua controparte greca, si preparò a colpire. Phobos però si mise in mezzo. Il Dio romano, senza pietà alcuna, ripartì all’attacco.

“Morirete tutti quanti!” tuonò il nemico, trapassando Phobos con la lancia.

Gli altri figli tentarono di reagire. Gli Dei romani espansero il loro potere e contrattaccarono. Ares spalancò gli occhi. Steso a terra, ferito gravemente, non poteva muoversi ma riuscì a vedere ogni cosa. Vide i suoi avversari crivellare di colpi i suoi figli e questo lo fece gridare di rabbia. Però non poteva fare altro, ridotto com’era.

“Tranquillo, non soffrirai ancora a lungo” lo rassicurò una voce ed una spada gli trapassò il viso “Citando una religione che va tanto di moda dalle nostre parti: requiescat in pace, Ares. Amen”.

Piccola nota: chiedo perdono a quanti si potranno sentire offesi per la dissacrante visione che ho della religione. spero non me ne vogliate... Per il resto, ringrazio coloro che sono giunti fin qui con la lettura ed aspettatevi ancora un sacco di cose bizzare

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Capitolo 9
*** IX- famiglia ***


IX

 

FAMIGLIA

 

“È vero, dunque..” mormorò Poseidone “Mio fratello minore Zeus è..”.

Era, sposa e sorella di Zeus, non riusciva a crederci e rimaneva ferma, in silenzio, con sguardo smarrito e confuso. Gli Dèi si stavano radunando nella casa del padre delle divinità, e genitore di quasi tutti loro, per porgere gli ultimi saluti.

“Saga!” quasi gridò Atena, raggiungendolo ed abbracciandolo.

Il sacerdote sobbalzò, non aspettandosi una cosa del genere. Lei piangeva, ripetendo “padre mio” fra i singhiozzi. Lui non sapeva cosa dirle.

“Cosa ci fai qui, Saga?” domandò la Dea, in lacrime.

“Storia lunga”.

Lui, con l’elmo rosso del gran sacerdote ben calcato in testa, non sapeva da che parte iniziare. Però doveva dirle la verità, ormai era il tempo.

“Dove cazzo eravate tutti quanti voi mezz’ora fa?” esclamò, infastidito, Deimos.

Il Dio si avvicinò a Saga e lo chiamò, con discrezione. Non capiva bene perché quella Dea stesse così avvinghiata al fratellino.

“Cosa c’è, Deimos?” domandò il sacerdote.

“Ares ti vuole vedere”.

“Perché?”.

“Non lo so. Ma muoviti”.

“Ha capito quello che ho fatto?”.

“Non lo so, ti ho detto!”.

“Che hai fatto?” si allarmò Atena “Che hai combinato?!”.

Il sacerdote non rispose e seguì Deimos, lasciando la sua Dea piuttosto preoccupata.

 

“Dove sono i miei figli?” fu la prima cosa che disse Ares, riaprendo gli occhi.

“Stai calmo, fratellino” lo ammonì Apollo “Non sei messo molto bene”.

“Dove sono i miei figli?”.

“Stai calmo! Le tue ferite sono gravi!”.

“Dove sono? Cosa è successo? Perché io ricordo una spada che..”.

“Una cosa alla volta. Ora stai calmo, o rischi di peggiorare la situazione”.

“Hai guarito i miei figli? Phobos era accanto a me e..”.

“Smettila! Devo sedarti?!”.

“Dimmi dove sono. Quanti di loro sono morti? Ti prego, fratello..”.

“Calmati. Stanno tutti bene”.

“Bene?”.

Phobos entrò nella stanza, sollevato nel vedere il padre cosciente. Ares lo guardò, senza capire.

“Ma io..ti ho visto morire! Eri accanto a me! Ed anche Deimos, Arles..”.

“Ti sei sbagliato. Era tutta un’illusione”.

“Un’illusione?! Intendi dire che..”.

“Il piccolo di casa è bravo. Ha fatto fessi i nemici, convinti di averci uccisi, e così ce la siamo cavata e siamo relativamente illesi”.

“Arles ha fatto una cosa del genere? Un’illusione che ha imbrogliato non solo me, ma anche tutte le divinità nemiche?”.

“Esatto”.

“E l’illusione da quando è iniziata?”.

“Dovresti parlare con lui. Penso da circa quando sei stato colpito la prima volta da Marte”.

“Ma quindi state tutti bene?”.

“Sì, papà. Cerca di rilassarti. Le tue ferite non sono un’illusione”.

“Sono morto d’infarto, vacca troia! Come faccio a rilassarmi?! Credevo vi avessero ammazzati!”.

“Lo capisco, però..”.

“Chiama subito Arles. Fallo venire qui”.

“È qua fuori, assieme ad Atena”.

“Fallo venire qui, subito!”.

“Sì, padre..”.

 

Piuttosto spaventato, il gran sacerdote di Atena era davanti alla porta. Oltre quell’uscio, suo padre Ares era steso a letto, con Apollo che si prendeva cura di lui.

“Puoi entrare” lo invitò Phobos “Però ti avviso: non è di buon umore”.

“Lo immaginavo..”.

Phobos poi uscì, seguito da Apollo, lasciando da soli in stanza il padre ed il figlio minore.

“Vieni vicino a me, Arles” parlò il padre, a bassa voce.

“Io..”.

“Preferisci ti chiami Saga? Bene, Saga, vieni qui!”.

Il sacerdote si mosse lentamente, spostandosi dalla parete e camminando nell’ombra. Era piuttosto spaventato ma non voleva farlo capire al Dio. Si avvicinò ulteriormente, sotto richiesta di Ares. Quando fu abbastanza vicino, il Dio scattò ed afferrò per l’elmo il figlio, facendolo chinare. Fissandolo negli occhi, per un tempo che al sacerdote parve interminabile, non lo lasciò andare. Poi sorrise, quasi divertito.

“Occhio per occhio, ragazzo mio” ghignò “Mi hai fatto prendere uno spavento..”.

“Lo so..io..”.

“Sento il tuo cuore battere all’impazzata e percepisco la tua paura. Bene, vuol dire che qualcosa la so ancora fare, dopotutto”.

Il Dio si rilassò, lasciandosi cadere sul cuscino. Il sacerdote tolse l’elmo, liberando una cascata di capelli neri. La capigliatura di Ares, al contrario, si stava schiarendo.

“Ti dona il nero” commentò il Dio.

“Anche a te il biondo” ribatté il mortale.

“Non sono in collera con te, Arles, come puoi notare dal prevalere del mio lato meno sanguinario”.

“Ok..”.

“Non mi correggi? Non mi dici che non sei Arles, ma Saga?”.

“Fa lo stesso”.

“Perfetto. Arles mi è più semplice da ricordare”.

“Siete ferito?”.

“Purtroppo sì, ma non a morte come pensavo. La tua illusione mi ha salvato. Ci ha salvati tutti”.

“Era l’unico modo. Mi spiace se questo non rientra nei canoni del Dio della guerra”.

“Fuggire quando si è messi alle strette? È perfettamente nei canoni!”.

“Oh..”.

“Ho una richiesta da farti, illusionista..”.

“Illusionista?”.

“Come vedi..” continuò Ares, ignorandolo “..io sono ferito. Non riesco a sentirmi le gambe ed è molto probabile che non riesca mai più ad usarle nel modo corretto. È quindi per me alquanto difficile vendicarmi. Tocca a te, ed ai tuoi fratelli. Vendica padre Zeus. Loro hanno preso le mie gambe, voglio le loro teste”.

“E come credi che possa io, mortale, accontentarti?”.

“Usa il drago”.

“Drago? Quale drago?”.

“Sono sicuro che, se ci rifletti, ci arrivi da solo..”.

“No, non credo. Siate più chiaro”.

“Usa il drago. Stacca la testa a quel figlio di troia di Marte”.

“Ma quale drago?”.

Ares non rispose. Era stanco, aveva perso molto sangue.

“Quale drago?!” insistette il sacerdote.

“Lo capirai, ne sono sicuro” mormorò Ares “Dentro di te, la sai la verità. Siamo simili. Non combattere la tua natura, che di cose da combattere là fuori ce ne sono troppe, senza dover anche lottare contro sé stessi”.

“Avete ragione. Ma..”.

“Gli uomini sono di due tipi, Arles. Il primo tipo vive la propria vita lasciandosi guidare dalla corrente, come veleggiando su un fiume. Placido, tranquillo, probabilmente vedrà accadere molte cose ma poche di queste lo toccheranno per davvero. Accumulerà saggezza ed anni di esistenza e solo raramente mostrerà la sua presenza, la sua ira. Probabilmente per molti passerà del tutto inosservato, senza né gloria né infamia. Il secondo tipo è molto diverso. Esso attende e cresce, nascondendo dentro sé capacità ed energia. Poi, di colpo, sboccia come un fiore. In mezzo al verde del prato dell'avvenire, si espanderanno i suoi colori e tutti vedranno il suo splendore e la sua grandezza. Purtroppo, però, presto sfiorirà, appassirà e morirà. Sarà effimero, seppure magnifico. Quanti di questi fiori vedrà mai l'uomo che sceglie di vivere come il fiume? Ed avrà mai rimpianti, perché nessuno noterà quei colori? E tu che uomo sei? Cerchi forse di convincermi che, prima di appassire, vuoi tentare di salire su quella zattera sgangherata che ti porterà fino alla foce della morte? O forse i tuoi veri colori ancora non li ha visti nessuno?"

“Non capisco..”.

 “Capirai. Ora, per favore, vorrei riposare”.

Il mortale annuì. Con l’elmo stretto fra le mani, lasciò la stanza. Più di qualcuno lo osservò con aria stranita, notandone l’aspetto. Lui non ci fece caso e cercò con lo sguardo i suoi fratelli.

“Saga!” si sentì chiamare.

Al suo fianco, Atena lo stava fissando. Si capiva che era lievemente spaventata e confusa. Dietro di lei c’era Kanon, colui che l’aveva accompagnata fino a quel luogo.

“Cosa fai tu qui, Kanon?” domandò il sacerdote.

“Potrei farti la stessa domanda” rispose lui “Assieme a tante altre”.

“Volevo parlarvene”.

“E quando? Fra me e te non dovrebbero esserci segreti”.

“Hei, siamo gemelli, non compagni di vita! Per quel che mi riguarda, puoi avere tutti i segreti che vuoi!”.

“Ma non un segreto così grande!”.

“Da quando lo sai?” si intromise Atena “Da quando sai di essere figlio di..?”.

“Da subito dopo il matrimonio di Hades ed Eleonore. È passato un po’ di tempo. Ma non sapevo come dirlo. Non ero nemmeno sicuro”.

“Ora lo sei?”.

“Sì, mia signora”.

Atena rimase in silenzio, qualche istante, a capo chino. Poi risollevò lo sguardo.

“Come sta?” domandò “Il divino Ares, come sta? Ha ferite gravi?”.

“Pare non possa più camminare”.

“Ares è stato ridotto così male?” si stupì Kanon.

“Erano in molti i nemici. Mi stupisco che sia ancora vivo. Marte è noto per la sua ferocia, esattamente come Ares. Come sono andate le cose?” parlò ancora la Dea.

“Ve lo spiegherò” rassicurò il sacerdote “Ma ora vorrei riposarmi e riflettere”.

“Che ti ha detto Ares? Qualche notizia importante?”.

“Mi ha chiesto la testa di Marte, per vendicare Zeus”.

“Anche la somma Era ha espresso lo stesso desiderio”.

“Lo immaginavo..”.

“Ed anch’io faccio lo stesso..”.

Sacerdote e divinità si fissarono. Lui non si aspettava una rivelazione del genere.

“È tempo di smetterla di difenderci. È tempo di combattere” annuì lei “Nessuno può uccidere il mio amato padre, ferire fratello Ares e sperare di passarla liscia”.

“Anche loro hanno subito delle perdite”.

“Non abbastanza..”.

“Adesso calmatevi, mia signora. È la rabbia che vi fa parlare”.

Atena scoppiò a piangere di nuovo, non sapendo che altro fare. Kanon le poggiò una mano sulla spalla, piuttosto impacciato con le donzelle disperate.

“Cosa fai ancora qui?” sbottò Era, fissando il sacerdote “Mio figlio ti ha dato un ordine, mi sembra”.

“Sì, è così. Ma..”.

“Niente ma! I tuoi fratelli sono pronti a trovare una strategia di offesa. Il tuo posto non è qui a cianciare con divinità piagnucolanti”.

“Signora, io sono solo un mortale. E poi il drago di cui mi ha parlato Ares..”.

“Il mio adorato marito è stato ucciso. Il mio amato figlio è gravemente ferito. Ma tu lo hai salvato, ne sei stato in grado. Questo ti eleva in alto. Mortale, ma al pari di grandi eroi del passato, tuoi fratelli. Non avere pietà alcuna ed io ti prometto che l’inferno che tanto temi per te non arriverà”.

“Vi ringrazio, divina Era”.

“E tu, Atena, non piangere. Reagisci e combatti. Sei la Dea della guerra, non delle lagne!”.

“Chiedo scusa, avete ragione” annuì lei.

“Zeus avrebbe voluto questo. I romani ci hanno soppiantati e sì, è vero, per anni non abbiamo fatto nulla. Senza reagire, ci siamo lasciati sopraffare nei secoli e ora è giunto il momento di tornare sull’Olimpo e prendere a calci nel culo questi stronzi, che hanno copiato i nostri ruoli e rubato la fede che ci spettava. È tempo di reagire, figli miei. Vecchie e nuove generazioni, troveranno un modo”.

Molte divinità annuirono. Phobos e Deimos capirono che, con il padre ferito, toccava a loro guidare gli eserciti, pur non volendolo. Fra la folla, videro la Dea della bellezza Afrodite, loro madre, con accanto altri loro fratelli: i gemelli Eros ed Anteros e la bellissima Armonia. Tutti i figli di Ares e della Dea più bella, si lanciavano sguardi preoccupati. Vicini l’uno all’altro, si rivedevano nello stesso posto dopo tanto tempo.

“Ci siamo tutti?” domandò Eros.

“Mancano un paio di amazzoni e colui che ha sempre di meglio da fare” rispose Deimos.

“Intendi Priapo? Accetterai che, fra fare la guerra e fare sesso, sia meglio al seconda opzione!”.

“Spero gli bombardino il culo! O quel suo cazzo sempre per aria”.

“Sei sempre così acido, Deimos!”.

“Ma stai zitto, Pokemon!”.

“Io non sono un Pokemon! Lo dirò alla mamma..”.

“E piantatela!” interruppe Anteros “Piuttosto..quello vicino ad Atena è quello nuovo?”.

“Sì, è lui” confermò Phobos.

“Come lo inquadri? È valido?”.

“Sa il fatto suo”.

“Detto da te, è un gran complimento”.

Eros, il più curioso della compagnia, senza alcun contegno mise un braccio attorno al collo di Saga, che stava ancora discutendo con Kanon.

“Smettila di perderti i chiacchiere” interruppe il Dio dell’amore “Dobbiamo parlare!”.

“Non vedi che sta già parlando con me?!” sbottò Kanon “Sparisci!”.

“E tu chi saresti, scusa?”.

“Kanon, il mio gemello” spiegò il sacerdote.

“Ah, ma allora pure tu sei della famiglia!”.

“No!”.

“A volte capita, sai? Ma sempre l’altro gemello è dotato di notevoli capacità. Quindi potresti risultare molto utile”.

“Potresti lasciarmi? Ci conosciamo?” protestò Saga.

“Scusami, hai ragione! Sono Eros, Dio dell’Amore e tuo fratello maggiore. Come butta?”.

“Sta lontano da me, tu e le tue frecce”.

“Oh..ok. Beh..volevo scusarmi, sai?”.

“Scusarti?”.

“Sì, per la faccenda di Eleonore. Mi sono così incazzato! Non sai quanto sia difficile trovare abbinamenti perfetti, non mi vengono quasi mai,  ma in quel caso ci ero riuscito. Però hanno rovinato tutto. La cosa mi ha fatto davvero girare le palle! Non era così che volevo andasse. Mi dispiace”.

“Non sei stato tu ad ucciderla, giusto? Solo che gradirei non avere a che fare con il sentimento che governi, d’ora in poi”.

“Come preferisci. Ma, tornando a noi..chi è tua madre?”.

“Non lo so”.

“Non è una Dea?”.

“No”.

“Ah, ecco perché sei mortale! Controllerò fra le mie liste. Papà Ares ha buon gusto. Si scopa solo le più belle e quindi di certo tua madre sarà stata una gran bella topa!”.

“Hei!” si indispettirono, in coro, Saga e Kanon.

“Scusate, mio fratello è ubriaco” interruppe Anteros “Parlando di cose serie..che ti ha detto papà Ares? Qualcosa di utile per la battaglia?”.

“Mi ha detto che devo usare il drago” rispose il sacerdote.

“Drago? Quale drago?”.

“Esattamente quel che ho detto pure io”.

“Non hai un drago?”.

“No. L’unico drago che conosco è lui, che sotto Poseidone aveva l’armatura del dragone del mare. Ma non credo che intenda questo..”.

“E perché no?! Brandisci il mortale!” rise Eros, prima di prendersi uno scappellotto dal gemello.

“Forse intende l’armatura” ipotizzò Anteros.

“Quale armatura?” domandò Kanon, incuriosito.

“Phobos e Deimos, ed Ares ovviamente, combattono indossando armature chiamate draghi. Non so..forse ne hanno una anche per il nuovo arrivato”.

“E dove?”.

“Non lo so. Lo scoprirai”.

“E se non lo scoprissi?”.

“Cazzi acidi per te. La tua armatura d’oro contro tanti Dèi non servirà”.

“Senza contare che l’armatura d’oro adesso è mia!” specificò Kanon.

“Ancora meglio. Cazzi doppiamente acidi!”.

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Capitolo 10
*** X- la bambina ed il drago ***


X

 

LA BAMBINA ED IL DRAGO

 

“Ma guarda un po’ chi si è svegliato” ridacchiò Eros.

“Mi sono addormentato?” biascicò Saga, alzandosi dal divanetto su cui si era ritrovato.

“Esatto. Ma è normale” lo giustificò Phobos “Hai usato molta energia. E, a proposito, ti devo ringraziare per quel che hai fatto”.

“Ho salvato Ares, così come lui aveva salvato me. Ora siamo pari”.

“Ed io e te siamo in debito”.

“Troverò il modo di farmi ripagare”.

“Perfetto. Intanto alzati”.

Assonnato, il sacerdote sbadigliò. Aveva un po’ di mal di testa.

“Abbiamo un ostaggio!” sorrise Deimos “Uno dei nemici è in mano nostra. Però non collabora”.

“Nonostante le vostre torture?” si stupì Saga.

“Già. È uno degli adepti di Marte, penso sia abituato”.

“E non avete un qualche tipo di controllo mentale?”.

“No, tu sì?”.

“Ovvio. Come ogni gran sacerdote”.

“Proviamo, allora. Se hai energie ha sufficienza”.

“Mi sento come un ragazzino. Ho energia da vendere”.

“Merito del tuo lato divino. Stai ringiovanendo, lo avrai notato”.

“Portatemi dal prigioniero. Vediamo quel che posso fare”.

Il piccolo gruppo di fratelli si incamminò lungo il corridoio. Si faceva sempre più buio, man mano che scendevano lungo le scale in pietra. In quello che sembrava uno scantinato, si udivano le urla del prigioniero, che pretendeva la libertà.

“Chiudi la bocca!” minacciò una guardia.

L’ostaggio era stato legato con delle catene, che lo tenevano bloccato al muro. Ringhiava, irato. Nessuno dei figli di Ares si fece impressionare.

“Cosa vuoi?” chiese il prigioniero.

“Niente di che” rispose Saga.

“Non vi dirò niente, inutile che arriviate qui tutti insieme!”.

“Staremo a vedere” mormorò il sacerdote, puntando il dito contro l’ostaggio.

Questi sobbalzò, percependo qualcosa. Sentì un lieve rivolo di sangue scorrergli sulla fronte. Sorrise, divertito.

“Non l’ho nemmeno sentito. Cos’era quello? Un attacco?” sfotté.

Il sacerdote non rispose. Rimase a braccia incrociate a fissarlo. Di colpo, il prigioniero smise di sorridere e spalancò gli occhi. Iniziò a guardarsi attorno, spaventato, e gridare in cerca d’aiuto.

“Mandateli via!” urlava, agitandosi e vedendo cose inesistenti.

“Che succede?” mormorò Phobos.

“Si chiama Genro Mao Ken” spiegò saga “Piega la mente. Costringe chi ne viene colpito a fare ciò che ordina chi lo ha lanciato.  Il tutto ben condito da immagini insensate, per costringere questo qui a dirci quel che vogliamo”.

“Mandateli via!” gridò ancora l’ostaggio.

“Li manderemo via tutti” rispose il sacerdote “Ma prima devi dirci tutto quello che vogliamo sapere”.

“Mai!”.

“Benissimo..”.

Le visioni nella testa dell’ostaggio si fecero più spaventose e le suppliche della vittima più insistenti. Alla fine crollò e cadde in ginocchio.

“Parla, servo di Marte. Qual è la vostra strategia?” scandì bene Saga.

“Se parlo, voi mi salvate?”.

“Certo. Sarai salvo, se parlerai”.

“Il nostro scopo è uccidere gli Dèi della guerra. Con Ares ed Atena fuori gioco, la battaglia è vinta. Ares ce lo siamo già tolto dai piedi, la prossima è Atena”.

“Capisco..”.

Saga trattenne un sorriso. I nemici erano convinti che il padre fosse morto. Ottimo! Era un buon punto a loro vantaggio. Soddisfatto dalle informazioni ricevute, fece per andarsene, seguito dai fratelli. L’ostaggio gridò.

“Aspetta! Mi dovevi aiutare! Salvatemi!” supplicò l’incatenato, in preda al delirio.

Ed il sacerdote lo ignorò.

 

In riva al mare, fra gli scogli, il Dio si era rifugiato per fasciarsi le ferite. Lontano da sguardi indiscreti, Ares gemette. L’odore salmastro della spiaggia gli riempiva i polmoni. Nel silenzio, sentì cantare. Allungando il collo, vide una figura vestita di bianco. Il Dio capì che si trattava di una donna, dai lunghi capelli dello stesso colore dell’acqua. La divinità cercò di avvicinarsi con discrezione, ma sotto il suo peso uno degli scogli si sgretolò e lui cadde in terra. Con la faccia sulla sabbia, guardò in su. La donna lo stava fissando, leggermente preoccupata.

“Vi siete fatto male?” domandò lei.

“Ma no, figuriamoci. Per così poco” si affrettò a dire lui, rialzandosi.

“Siete ferito!”.

“Sì, solo qualche graffietto”.

“Sanguinate”.

“Non ve ne preoccupate. Piuttosto..cosa fate qui, da sola?”.

“Mio fratello è un marinaio, ma la sua nave non è rientrata”.

“Mi dispiace. Poseidone è un gran bastardo, quando ci si mette”.

“Poseidone? Siamo nel ventesimo secolo, credete ancora in queste cose?”.

“Meglio non rischiare di offendere qualcuno, mia cara. Qual è il vostro nome?”.

“Sophia. E il vostro?”.

“Ares”.

“Ares? Come il Dio della guerra?”.

“Ares. Il Dio della guerra”.

“Mi prendete in giro? Non credo a queste cose”.

“Siete una fiera donna moderna”.

“E voi uno strano uomo”.

“Non vi spavento, Sophia?”.

Lei lo osservò meglio. Gli occhi rossi del Dio fiammeggiavano. Sophia rimase qualche istante in silenzio, titubante. Poi sorrise.

“Siete una donna coraggiosa”.

“Sono una donna fiera. Non tremo dinnanzi ad uno sguardo”.

Ares sorrise a sua volta, ma poi sobbalzò. Le ferite lo infastidivano. Sophia gli si avvicinò.

“Lasciate che vi aiuti” si propose, sfiorando il braccio del Dio.

Ares, non abituato a certi contatti, se non da parte di Afrodite, si stupì. I due si guardarono negli occhi e lo sguardo della divinità mutò. Ora non era più rosso ma verde smeraldo.

Il ferito si risvegliò, sorridendo.

“Hai fatto un bel sogno?” domandò Apollo, vedendolo di buon umore.

“Sì” ammise Ares “Era un ricordo passato”.

“Gente morta, torturata e massacrata?”.

“No. Ho sognato la notte in cui sono stati concepiti Saga e Kanon”.

“Interessante. Non voglio i dettagli, grazie”.

“Non ho intenzione di fornirteli!”.

“Perfetto! Però quei due mi sembrano in gamba”.

“Sto cercando di capire se anche quell’altro, Kanon, sia figlio mio”.

“Che lo sia o no, non importa. È un forte guerriero”.

“Lo so. Ma anche gli altri cavalieri d’oro lo sono. Non sono certo tutti figli miei!”.

“Sarebbe interessante..”.

“Ah, sì..”.

“Parlando di cose serie..come stai? Qualche miglioramento con la mobilità delle gambe?”.

“Continuo a non sentirle”.

“Mi spiace. Sto facendo il possibile”.

“Lo so. Mamma Era come sta? Sarà in pensiero e disperata, dopo la morte di padre Zeus”.

“Non è mia madre. Però è sconvolta, arrabbiata ed in pensiero per te”.

“E tutti gli altri?”.

“Li definirei..smarriti. Nessuno si aspettava una cosa del genere”.

“Aveva ragione Saga. Dovevamo pensare ad ogni eventualità. Ora che padre Zeus è morto, chi prenderà il suo posto?”.

“Beh, come figlio maggiore, credo spetti a me..”.

“Scordatelo, Pollo! Non mi farò mai comandare da te!”.

“Pollo?! Il mio nome è Apollo, porta rispetto!”.

“Pollo è più corto”.

“Ma stai zitto, fiordaliso!”.

“Non puoi sfottermi a vita per questo! Sì, va bene, sono nato da un fiordaliso quando mamma Era lo ha toccato, ma..”.

“Per un Dio della guerra è imbarazzante alquanto”.

“Ma pensa a Giacinto, va..”.

“Non rivangare!”.

“Sarò anche nato da un fiore, ma almeno non mi sono invaghito di un ragazzino. E nessuna delle mie donne è mai stata trasformata in albero, pianta o quant’altro”.

“Questo perché tu pensi alla guerra, mentre io prediligo l’amore”.

“Ti devo forse ricordare che Eros è figlio mio?”.

“Già. Frutto dell’insana passione che Afrodite nutre per te”.

“Invidia la tua. Tutta invidia”.

“Tu lo sai che tutti gli olimpici ti odiano, vero? Ti cercano solo se devono combattere”.

“Pazienza. Vivo in Tracia anche per questo”.

“Torna a dormire, va”.

“Non sono stanco. Dov’è Atena? Direi che è meglio discutere di guerra”.

“E che pensi di fare, conciato così? Nemmeno stai in piedi”.

“Da quando per parlare servono le gambe?!”.

“Come vuoi. Vedo dov’è”.

 

“Ora che Zeus è morto..” rifletté Milo “..noi siamo liberi, giusto? Nel senso, ora non siamo più obbligati a sposarci. Era lui che aveva queste idee..”.

“Milo!” lo zittì Camus, guardando prima il cavaliere e poi Atena, cercando di fargli capire che non era rispettoso il suo discorso.

Lo Scorpione non capì e fissò tutti con aria stranita. Qual era il problema?

“Non te lo so dire, Milo” rispose la Dea “Sono altre le questioni, adesso. Certo è, che se mio padre aveva certi desideri, immagino sia stato per un motivo”.

“Capisco..” mentì il cavaliere, poco convinto.

“Stasera torneremo al grande tempio, miei saint. Pazientate ancora qualche istante” spiegò Atena.

“Prendetevi pure tutto il tempo che ritenete necessario” le disse Aiolos “Avete subito un grave lutto, mia signora”.

“Di lutti ne ho vissuti tantissimi, non crucciatevi per me”.

La Dea si stupì nel veder apparire Apollo davanti  a sé. Con un inchino, il Dio del sole invitò la sorella di seguirlo.

“Ares chiede udienza” spiegò lui.

“Lo immaginavo. Era mia intenzione parlare ancora con lui prima di partire”.

 

La bambina osservava Saga e Saga ricambiava lo sguardo.  Da dove era venuta? E che cosa voleva? Stavano entrambi seduti accanto ad un tavolo. Lei aveva davanti un piatto colmo di cibo, che però non toccava.

“Che capelli belli che hai” commentò la bambina.

“Ti ringrazio”.

“Posso farti le trecce?”.

“No. Ma se vuoi ti faccio conoscere qualche cavaliere felice di farsi torturare”.

“I tuoi sono più belli”.

“E come lo sai? Non li hai visti i capelli di chi penso io”.

“Mmm..ok”.

“Chi sei? Non ricordo bambini alla casa di Zeus”.

“Non sono della casa di Zeus. Sono romana, hanno catturato me e mio fratello”.

“Tuo fratello è piccolo?”.

“No, è grande. Molto grande! È un soldato”.

“Capisco..”.

Saga si ammutolì. Evidentemente stava parlando dell’ostaggio torturato poco fa. Molto probabilmente era morto.

“Ed i tuoi genitori?” domandò il sacerdote.

“Non ho genitori”.

“Sei orfana? Sei sola?”.

“Ho mio fratello”.

“Non so se sarà più così, d’ora in poi..”.

“E perché?”.

“La guerra se l’è portato via, temo”.

“Cosa?!”.

La bambina rimase in silenzio. Guardò, con grandi occhi sempre più tristi, Saga. il sacerdote tentò di ignorarla ma non ci riuscì.

“Mi dispiace” le disse.

“Non è vero. Tu sei un greco, non ti importa se muore un romano!” pianse lei.

“Ma mi dispiace quando una bambina resta sola, greca o romana che sia, perché per mano mia molti orfani camminano per questo mondo”.

“Sei cattivo?”.

“Sì”.

“Non sembri cattivo”.

“L’apparenza inganna, piccola”.

“Ucciderai anche me?”.

“No, non uccido i bambini”.

“Allora non sei cattivo”.

“Uccido le loro madri, i loro padri, i loro fratelli e sorelle. Sono un assassino. Ti consiglio di trovare un’altra persona da definire buona”.

“Non ho detto che sei buono. Ho detto che non sei cattivo”.

“Non fa differenza”.

“Fa molta differenza!”.

“Se ne sei sicura..”.

“Posso venire via con te? Non voglio stare qui”.

“Io non vado in un posto per bambini”.

“Questo è un posto per bambini?”.

Il sacerdote fissò la piccola, senza sapere come ribattere.

“Da quanto tempo sei qui?” le domandò.

“Non lo so”.

“Perché non mangi?”.

“Non ho fame”.

“Devi mangiare. O ti ammalerai”.

“Non ho fame!”.

“Facciamo così: tu mangi ed io ti concedo di farmi le trecce”.

“E poi mi porti via con te?”.

“Vedremo”.

“Hai dei nastri? Per i capelli..”.

“No. Ma il mio amico Aphrodite ha tante cose belle. Però prima devi mangiare”.

La piccola, sospettosa, impugnò la forchetta. Lentamente, si portò il boccone alla bocca e masticò svogliata. Fissò Saga, che la incitò a continuare. La bambina allungò la forchetta verso di lui.

“Non erano questi i patti!” protestò il sacerdote.

“Solo un boccone. Poi mangio tutto” giurò lei.

Saga annuì e si fece imboccare. Con la bocca ancora piena, commentò dicendo che era molto buono e che la piccola doveva mangiare ancora. La bambina rise, divertita dal modo di parlare dell’adulto, che probabilmente aveva una gran fame.

“Facciamo a metà?” propose lei “Non riesco. È troppo per me!”.

“E va bene. Ma poi basta capricci”.

Saga si lasciò imboccare, dividendo una forchettata per uno con la bambina. Si era accorto di essere piuttosto affamato, ma non aveva certo intenzione di rubare il pasto ad un’infante!

“Il tuo drago è molto bello” parlò la bimba, pulendosi la bocca con un fazzolettino.

“Quale drago?”.

“Quello che hai in testa!”.

Saga storse il naso. Di che stava parlando? Poi spalancò gli occhi.

“Sei un genio!” commentò, togliendo l’elmo.

I capelli neri presero strane direzioni scomode e lui si ritrovò fra le mani quell’oggetto, con il drago rosso che campeggiava su di esso.

 

“Lieta che anche tu sia qui, Atena” sorrise Efesto.

Anche lui nella stanza di Ares, cercava di trovare un modo per aiutare le gambe del fratello.

“Guarda che non serve che mi aiuti!” protestò il Dio della guerra “So che mi odi, fratello”.

“Vero, ti odio” confermò il fabbro degli Dèi “Perché ti scopi mia moglie e perché non ti sopporta nessuno. Però mamma Era non me lo perdonerebbe mai, se non ti aiutassi. Perciò smettila di piagnucolare e collabora!”.

“Cosa hai in mente?”.

“Un congegno che ti sosterrà gli arti, finché non saranno abbastanza forti da farlo da soli. Se mai ne saranno in grado..”.

“Un congegno?”.

“Fidati di me! Fammi prendere le misure, lo realizzerò quanto prima”.

Ares sospirò, non potendo opporsi.

“Cerca di stare calmo, fratello” commentò Atena “Devi guarire”.

“Guarirò, sta tranquilla” sorrise lui.

Ancora con i capelli biondi, il Dio della guerra non presentava alcun tratto minaccioso. Perfino gli occhi, solitamente circondati di rosso sangue, erano del tutto normali.

“Immagino che dovremmo discutere di strategia, se te la senti” continuò la Dea.

“Dovremmo, sì. Però sono a pezzi, divina Atena. Ho bisogno di riposo e, sinceramente, mi scoccia stare qui. Vorrei tornare a casa”.

“In Tracia?”.

“Esatto”.

“Non posso aiutarti. Inoltre, così come sei ridotto, non posso permettere che tu stia solo”.

“Non sarei solo. Ci sono i miei figli!”.

“Altro punto su cui dovremmo discutere”.

“Hai saputo dell’ultimo arrivato?”.

“Sì, e mi scoccia un po’, lo devo ammettere”.

“E perché? I tuoi primi cavalieri dei gemelli sono stati Castore e Polluce, figli di Zeus. Che differenza c’è?”.

“Il mio gran sacerdote ha già avuto una vita incasinata, anche senza certe verità”.

“Lo so. Ma non solo lui”.

“E se..venissi al grande tempio di Atena?”.

“Io? Ad Atene? Scherzi, vero?”.

“No, perché? I tuoi figli avrebbero tutto lo spazio necessario per allenarsi e tu saresti protetto, anche quando i tuoi eredi sono impegnati in altre faccende. Inoltre, potremmo parlare in ogni momento di strategia e guerra, senza doverci sempre spostare”.

“Come sempre, Atena, ti riveli per quello che sei”.

“Una rompicoglioni?”.

“No! La Dea della giustizia! Per una volta che volevo essere gentile..”.

“Senza dimenticare..” si intromise Efesto “..che Zeus vedeva in voi due una potenziale coppia, perfetta come simbolo d’alleanza”.

“So che non vedi l’ora che mi sposi, fratello” ghignò Ares “Ma questo non mi impedirà di sbattermi Afrodite finché mi pare..”.

“Non avevo dubbi. Basta che non mi lasci altri figli, che ne ho cresciuti abbastanza di piccoli bastardi! Eros, Anteros, Armonia..”.

“Tranquillo. L’ultimo l’ha allevato il tempio di Atena”.

Ares rise e poi fece una smorfia. Il dolore che gli provocavano quelle ferite era insopportabile!

“Sta tranquillo” lo rassicurò Atena “Starai al sicuro”.

“Non ho bisogno di stare al sicuro!”.

“Zitto! Non lo faccio per te, ma per il bene di tutti”.

“Ah beh..allora..”.

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Capitolo 11
*** XI- ospiti ***


XI

 

OSPITI

 

“Certo che con le treccine sembri davvero un coglione” rise Phobos, notando i capelli di Saga.

“Avevo fatto un patto con quella bambina” rispose il sacerdote, indicando la piccola, che sedeva al suo stesso tavolo.

“Perché quella bambina è lì?” domandò il fratello maggiore.

“Non lo so, mi ha seguito dal palazzo di Zeus” furono le parole del minore, seduto in modo molto poco composto. Fissava l’elmo con il drago, cercando di capire il senso delle frasi di Ares.

“E perché?” continuò Phobos.

“Cosa ne so io?! Adesso, se non ti dispiace, vorrei mangiare”.

“E mangia! Chi ti trattiene?”.

“Io mangio sempre da solo”.

“Beh, adesso che siamo di più al grande tempio, non credo tu possa concedertelo”.

“Lasciami il mio ossigeno!”.

“Ma che problema c’è? Mangi cose strane? Carne umana? Insetti?”.

“Ma che dici?!”.

“Non sarai mica vegano!”.

“Smettila di sparare bestemmie”.

“Ah, meno male. Per un attimo ti avevo immaginato con un ravanello in mano, che fissavi l’orizzonte, nutrendoti di quello per non fare del male ad un innocente animale”.

“Me ne sbatto degli animali innocenti. Ora smamma!”.

“Che pigna nel culo che sei! D’ora in poi, posso chiamarti così?”.

“C’è già Shaka qui al tempio con quel soprannome, mi spiace”.

“E chi è Shaka?”.

“Quello biondo”.

“Quello con gli occhi chiusi?”.

“Lui..”.

“Sì, si capisce subito che è una pigna in culo. Ora, però, fammi assaggiare un po’ di quel che mangiate qui al tempio, sto morendo di fame”.

“E allora? Non sono il tuo cameriere”.

“Sei il fratello piccolo, devi obbedirmi”.

“Scordatelo! E poi, non ho tempo da perdere con te!”.

“Padre Ares ci ha dato un ordine, e ancora non l’abbiamo portato a termine”.

“Dici quello di portargli la testa di Marte? Ci sto lavorando. È che lui mi ha detto di usare il drago e sto cercando ancora di capire in che senso”.

“Non posso aiutarti”.

“Non avevo dubbi..”.

Phobos, scocciato dall’ennesima rispostaccia, ringhiò. Il fratellino aveva superato il limite e doveva pagarla cara!

 

Kanon era tranquillo. Seduto comodamente su un divanetto alla terza casa, con le gambe allungate ed un birra ghiacciata in mano, stava guardando un film sullo schermo piatto ed aveva piena intenzione di rimanere in quella posizione a lungo. Purtroppo per lui, un rumore attirò la sua attenzione. Lo ignorò ma il rumore si fece risentire.

“Chi è là?” domandò “Deathmask, sei tu? Se ti serve la birra, è in frigo. Non ho cazzi di alzami..”.

Non ricevette risposta. Un altro lieve rumore.

“Che palle” sbuffò Kanon, alzandosi.

Senza lasciare la bottiglia, il cavaliere della terza casa esplorò i dintorni. Non trovò nessuno e la cosa lo infastidì alquanto. Che ci fossero dei topi? Poi guardò meglio: qualcosa luccicava in un angolo. Un regalo? Un riflesso? Cos’era?

“C’è qualcuno?” ripeté ancora, maledicendo la mancanza di luce elettrica.

Quando fu abbastanza vicino, Kanon capì che cosa aveva di fronte: l’armatura del dragone del mare. Ma che ci faceva lì?

“Chi ti ha portato alla mia casa?” chiese “Guarda che non appartieni più a me, sai?”.

Il cavaliere, con indosso le vestigia dei gemelli, pensò ad un pessimo scherzo. Se Poseidone lo avesse saputo, sarebbe andato su tutte le furie. Quell’armatura andava riportata al giusto posto.

“Che seccatura” borbottò Kanon.

Rifletté su cosa poter usare per trasportarla, quando l’armatura si mosse. Il cavaliere sobbalzò, facendo cadere la birra.

“Che cazzo..?”.

 

La Dea Afrodite ed Efesto giunsero alla dimora di Atena, seguiti da alcuni figli di lei ed Ares. Era passata circa una settimana dal trasferimento del Dio della guerra ed il fabbro degli Dèi era riuscito già a realizzare un oggetto molto utile per il fratello.

“Ciao, mamma” salutò Deimos, vedendo arrivare Afrodite.

“Ciao, caro” sorrise lei, sulla soglia della tredicesima “Come ti trovi qui? Ti danno da mangiare a sufficienza o quella cattivona di Atena ti stressa? E ti riesci a divertire?”.

“Tutto bene. Tranquilla”.

Dietro ad Afrodite, stava Armonia con le sue figlie. Eros ed Anteros, invece, seguirono Ermes nelle stanze di Ares. Il Dio della guerra, ancora debole, non vedeva l’ora di provare a camminare di nuovo, grazie all’oggetto creato da Efesto.

“Sei debole” lo ammonì Efesto “Non cercare di strafare”.

“C’è una guerra là fuori, fratello” sbottò Ares “Non ho tempo per stare steso a letto a fissare il soffitto e rimuginare”.

Il Dio, ospite di Atena, era stato sistemato in un’ala della tredicesima. Nella stanza a fianco, i suoi figli potevano riposare, quando non si allenavano. Questo faceva sì che il sacerdote di Atena avesse molto meno spazio a disposizione e la cosa lo infastidiva. Abituato a stare da solo, tentava invano di trovare spazio per sé. In quel momento, cercava di capire se Ares era in grado di rimettersi in piedi. Distratto dalle ali d’angelo di Eros, non voleva entrare in stanza.

“Dici che funzionerà?” domandò Anteros, che possedeva splendide ali da farfalla.

“Dipende dalla pazienza di tuo padre” rispose Efesto, estraendo dalla sacca che si portava appresso una piccola scatola.

Con un solo tocco della mano, la scatola si aprì e mutò, divenendo una sorta di armatura per le gambe di colore rosso.

“Woh..” non riuscì a trattenersi Saga, facendosi scoprire dalla compagnia.

“Di che ti stupisci, cavaliere di Atena?” commentò Efesto “Anche le vostre armature si richiudono e rientrano nelle Pandora Box”.

“Si ma le Pandora sono grandine..”.

“Dipende dal tipo di armatura. Alcune di esse occupano davvero un piccolo spazio. Pensa alle vestigia di Atena, per esempio. Tutto dipende dal come si evocano e come si creano. La prima versione delle armature di voi saints le ho realizzate io e poi ho insegnato ai lemuriani come agire. Così come io sono colui che ha realizzato tutte le armature divine”.

“Bello. Credo che Mur sarebbe troppo felice di parlarvi..”.

“Il lemuriano di quest’epoca? Sarà un piacere. Ma prima sistemo Ares”.

Il Dio fabbro si avvicinò al fratello, pregando i figli di lui di aiutarlo a tenerlo fermo.

“Non guardare me” si affrettò a dire Eros “Chiama Phobos e Deimos!”.

“Ma di che cosa hai paura? Sei suo figlio, non ti farà niente”.

“Gli farai male?”.

“Probabile”.

“Allora mi massacrerà di botte. Ares non ha autocontrollo!”.

“Sacerdote” sospirò Efesto “Potresti andare a chiamare Phobos e Deimos? Ti dispiace?”.

“Posso aiutare pure io. Ed anche i miei cavalieri, senza scomodare i gemelli..” rispose Saga.

“Non ci vai tanto d’accordo, vero?”.

“Più che altro si divertono a dimostrarmi continuamente che sono più forti di me”.

“Tipico dei fratelli maggiori”.

“Dovrò chiedere perdono al mio fratello minore. Se pur di solo qualche minuto, l’ho maltrattato ed ora comprendo la sua frustrazione”.

“Va bene. Allora prova ad aiutarmi, se te la senti” sorrise Efesto.

“Che devo fare?”.

“Tienilo fermo. Ci vorrà solo qualche istante”.

“È sicuro?” chiese Atena, incuriosita e leggermente spaventata.

“Tranquilla, sorella”.

“Piantatela di trattarmi come se fossi una bestia feroce!” ringhiò Ares.

“Ma tu sei una bestia feroce!” ribatté Efesto.

“E tu sei un mostriciattolo, ma non per questo ti schifo!”.

“Ti sputerei in faccia, ma come forza fisica so che tu sei superiore. In quanto a cervello, invece..”.

“Per favore, non litigate!” li zittì Atena.

“Hai ragione. Prima sistemo questa cosa, e prima me ne posso andare” annuì Efesto.

Senza aggiungere altro, il Dio fabbro si avvicinò al fratello. Saga, in silenzio, si posizionò dietro la nuca del padre. Il letto, con il fianco destro addossato alla parete e gli altri tre lati liberi, permetteva al sacerdote di eventualmente afferrare il Dio per le spalle. Eros ed Anteros  si tenevano a distanza di sicurezza, senza fidarsi troppo. Efesto sorrise, assicurando che ci voleva solo un attimo. Le gambe che aveva creato si mossero, raggiungendo il Dio della guerra. All’inizio parve non succedere niente di particolare. Ares, steso tranquillo, nemmeno percepì la fredda superficie, non avendo sensibilità agli arti inferiori. Poi mutò espressione. Le vestigia si stavano assemblando addosso alle  gambe del Dio, ancorandosi alla spina dorsale per permetterne i movimenti. Questo procedimento fece gridare Ares per il dolore.

“Tienilo” suggerì Efesto.

Il sacerdote obbedì, mettendo le mani sulle spalle del genitore. Non era semplice bloccare quel Dio, specie se furioso. Gli occhi di Ares si fecero rossi come il sangue, mentre la capigliatura era nera già da qualche istante.

“Passerà subito” commentò il Dio fabbro.

Il dolore aumentò ed Ares si sollevò. Saga tentò con tutte le sue forze di tenere giù il padre, che però era notevolmente più potente. Il sacerdote si ancorò alle spalle del Dio, ma questi si sollevò comunque, sollevando a sua volta il figlio.

“Stai giù, cazzo!” sibilò Saga, mutando leggermente.

“Non puoi fermarmi, ragazzino!” ribatté il Dio.

Ares urlò di nuovo dal dolore e piegò la testa in avanti, spostando ulteriormente il sacerdote. Poi parve calmarsi. Ansimando, rimase fermo qualche istante. Atena, prendendo coraggio, ne sfiorò il corpo. Saga, sollevato da terra, con un braccio attorno al collo di Ares, era ridicolo. Ares, sfiorato dalla Dea, si rilassò e ricadde all’indietro. Il sacerdote finalmente poté lasciare la presa. Aprì i palmi sulle spalle del padre e lo fissò negli occhi. Entrambi ansimavano. Il Dio stava riprendendo il controllo. Con un grande sguardo stanco, sorrise al figlio.

“Adesso dovrai stare fermo qualche istante” suggerì Efesto “E poi faremo qualche prova, per vedere se il tutto funziona”.

“Vuoi un bicchiere d’acqua?” chiese Atena, preoccupata per il ferito, che sanguinava di nuovo.

“No” rispose Ares, con un sussurro.

Continuava a fissare il figlio. Si passò una mano su una delle ferite, che si era riaperta, e poi allungò le dita verso l’elmo del sacerdote. Saga non capì e non disse nulla.

“Ora meglio che vada” commentò poi, il figlio.

“Cerca di farti valere con Phobos e Deimos, se ci riesci” ghignò Ares.

“Cercherò di sopravvivere”.

Una volta uscito da quella stanza, il sacerdote camminò lentamente. Vide i gemelli Phobos e Deimos parlare con la Dea Afrodite. Che bello, almeno così erano distratti e non passavo il tempo a picchiarlo per “rafforzarlo”! Saga si sfiorò la testa. Gli faceva un po’ male e l’elmo pareva più pesante del solito. Lo tolse, prendendo un gran respiro. Udì uno strano verso, ma non ci fece troppo caso. Poi qualcosa gli sfiorò la mano. Sobbalzò, non capendo cosa potesse essere, e guardò in giù, verso l’elmo. Il drago rosso posto su di esso si stava muovendo!

“Ma che..” esclamò Saga, gettando l’elmo in terra per istinto.

Il dorso della mano gli sanguinava leggermente, probabilmente graffiato dalla coda dell’animale o morso. Il copricapo cadde e ruzzolò. Il sacerdote si scosse. Forse era stata solo una visione, dovuta alla stanchezza od alla mancanza di medicine. Capì quasi subito che non era così, perché il drago si mostrò. Mosse leggermente la coda irta di spuntoni e mosse le ali.

“Come sei carino..” cercò di fare amicizia Saga, tenendosi la mano ferita.

Il drago lo fissò, accigliato. Stava aumentando di dimensioni, crescendo notevolmente.

“Fa che sia una visione..” gemette il sacerdote, vedendo l’animale divenire alto quasi quanto lui.

Ancora aumentava di volume ed il cavaliere capì che forse era meglio andarsene. Ne fu completamente convinto quando il drago spalancò la bocca e ringhiò.

“Oh, cazzo!” esclamò Saga, girandosi e mettendosi a correre.

Inciampò sulla tunica e saltellò per non cadere, in una scena molto poco da sacerdote, che per fortuna nessuno vide. Uscì all’esterno, accorgendosi che il drago lo stava seguendo.

“Dove corri, fratellino?” sorrise Phobos.

“Levati!” gridò Saga “C’è un drago!”.

Phobos alzò un sopracciglio, vedendo l’animale e non capendo perché il fratellino si agitasse tanto per un draghetto. La bestia ringhiò di nuovo e Saga capì di essere alle strette. Si girò.

“Non costringermi a farti del male!” disse.

Il drago non rallentò e si fiondò sul sacerdote, piantandogli  gli artigli nella carne. Così facendo, entrambi finirono oltre la superficie sicura del tempio, cadendo nel precipizio di roccia.

“Dici che dobbiamo intervenire?” si chiese Deimos.

“Naa!” storse il naso Phobos “Lascia che si diverta”.

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Capitolo 12
*** XII- questioni di sangue ***


XII

 

QUESTIONI DI SANGUE

 

“Saga! Tutto bene?” domandò Kanon.

“Dove sono? Cosa è successo?” rispose il gemello.

“Sei caduto dal cielo. Ti ho visto, ti ho preso al volo”.

“Volo? Dov’è il drago?”.

“Quale drago?”.

“C’era un drago!”.

“Il drago ti ha ridotto così? Sei pieno di ferite”.

“Sì”.

Saga si guardò. Era pieno di graffi e con un morso sul fianco.

“Sicuro di non essertelo immaginato?” ipotizzò Kanon “Insomma..lo sappiamo tutti e due che sei fuori di testa!”.

“Non me lo sono immaginato! Tu, piuttosto, cosa ci facevi sul tetto della terza casa?”.

I due erano proprio sul tetto della terza.

“Scappavo da un problema ben più serio e reale del tuo!”.

“Più serio di un drago che vuole uccidermi?”.

“Che razza di roba ti sei fumato per vedere i draghi?!”.

“Ma fottiti!”.

“Sei sbronzo?!”.

“Ma no! Come mi sarei ferito così?”.

“Non lo so, ma non sei normale”.

“E tu, invece? Sei insano tanto quanto me!”.

“Zitto! Arriva!” esclamò Kanon, tappando la bocca al fratello.

Con un rumore metallico, qualcosa si avvicinava.

“Come ha fatto ad arrivare qui?” sibilò Kanon, mentre un riflesso oro si intravedeva fra la pietra.

“Che succede? Che hai? C’è un nemico?” domandò Saga.

“Taci!”.

Un’armatura si mostrò controluce, brillando. Camminava, diretta verso i due gemelli. Il sacerdote si preparò ad attaccare. Chi era quel nemico? Non percepiva un cosmo!

“Ma quella è una Scale! Poseidone ci attacca?” si stupì Saga.

Poi la guardò meglio. Quell’armatura, che continuava a camminare, era quella che un tempo indossava suo fratello.

“Kanon! Quella è la Sea Dragon!”.

“Ma non mi dire!” si stizzì il gemello.

“Il suo attuale possessore ti infastidisce?”.

“No. Guarda meglio”.

Il sacerdote osservò meglio. Sobbalzò. L’armatura era vuota! Com’era possibile? Chi altro era in grado di creare un’illusione simile?

“Non è un’illusione” spiegò Kanon “Quella cosa è assolutamente reale e non è governata da qualcuno non presente”.

“E allora cos’è? L’armatura va in giro da sola?!”.

“Non vedo altre soluzioni”.

“E che vuole?”.

“E che ne so?!”.

L’armatura allungò un braccio e Kanon strinse i pugni. Non voleva avere niente a che fare con quell’affare! Poseidone sarebbe andato su tutte le furie al solo pensiero!

“Cosa pensi di fare?” volle sapere Saga.

“E tu?” rispose il fratello, continuando a fissare l’armatura ma indicando il senso opposto.

Il sacerdote si voltò e deglutì. Il drago era alle sue spalle, ora mostrando una splendida armatura indosso, pronto ad attaccare.

“Non me l’ero inventato, visto?” mormorò a Kanon.

“Chiedo venia”.

Schiena contro schiena, i due gemelli erano alle strette, sempre sul tetto della terza casa. Le vestigia una volta appartenute al gemello minore brillarono. Ad ogni passo, mutavano.

“Ma che..”.

Ora l’armatura aveva le ali. Una cosa che non era mai successa prima! Drago e Scale scattarono nello stesso momento, con l’intento di colpire i gemelli. I due fratelli si mossero lateralmente, saltando nel tentativo di riuscire a fuggire. Corsero lungo le scale ma entrambi gli inseguitori volavano piuttosto in fretta.

Phobos e Deimos, dall’alto della tredicesima, se la ridevano. Che buffo e patetico era il loro fratellino mentre scappava dal drago! Il sacerdote, stanco di farsi deridere, non sapeva che altro fare. Aveva lanciato contro quella bestia le sue tecniche migliori, senza ottenere nulla.

“Tutti hanno un punto debole..” si disse “Quale sarà quello di questo coso?”.

“Se hai qualche idea..” gridò Kanon “..condividi, grazie!”.

“Ma che vuoi? La tua armatura non ha gli artigli e non morde!”.

“Certo. Però è fatta di metallo! Fa male!”.

Saga prese un profondo respiro. Non sapeva che altro inventarsi, ma forse qualcun altro lo sapeva!

Il drago ringhiò minaccioso.

“Saga! Corri!” lo incitò Kanon.

“Corri tu, che la mammina ti aspetta!”.

“Ciao, Arles”.

“Ciao, principessa!”.

Arles ghignò, senza fuggire più. La creatura stava per raggiungerlo ma il sacerdote lo sfidò, guardandolo negli occhi.

“Non ho niente da perdere, bestiaccia! Sei stata sul mio elmo per anni e anni ed è lì che tornerai!”.

Kanon, salito sulla cima di una colonna, osservava la scena.

“Ti farai ammazzare!” gridò al gemello.

“Che sia! Piuttosto che correre come un cretino per tutto il santuario, inseguito da un lucertolone rosso e pedante, preferisco farmi mangiare!”.

“Arles! Sei impazzito?!”.

“Non sono mai stato normale, lo hai detto tu!”.

“Smettila di fare il fenomeno!”.

Arles ignorò i suggerimenti del fratello e si preparò ad affrontare l’avversario. Kanon, vedendo questo, storse il naso. Non poteva essere da meno del fratellone esaltato!

“A noi due, dragone marino!”.

 

“Straordinario!” esclamò Mur, osservando con attenzione tutto ciò che Efesto faceva.

Anche Kiki, seppur con meno entusiasmo, era meravigliato. Il Dio, come se fosse la cosa più semplice del mondo, stava migliorando le armature del tempio di Atena. Doveva renderle adatte ad uno scontro fra divinità, nel caso anche i mortali ne venissero coinvolti.

“Hai fatto un ottimo lavoro. Queste armature sono ben fatte” commentava il Dio e Mur ne era lusingato.

“Il ragazzo è tuo figlio?” parlò ancora Efesto, indicando Kiki.

“No, è mio fratello minore”.

“E quanti anni ha?”.

“Diciassette”.

“E fa mai armature?”.

“Certo. Lavoriamo assieme”.

“Allora può farmi anche lui da assistente”.

Il Dio sorrise e Kiki rispose con un altrettanto largo sorriso.

“Ma che succede fuori?” si chiese Mur, sentendo un gran baccano.

“I cuccioli di Ares” spiegò Efesto.

“I cuccioli di Ares?!”.

“Sì. La sua nidiata di bastardelli si diverte tanto a fare casino”.

“Ma io ho sentito gridare Saga”.

“E secondo te da che nidiata è mai uscito?”.

Mur si zittì, capendo che fra Efesto ed Ares non correva buon sangue. Meglio concentrarsi sulle armature..

 

Ares era frustrato. Udiva grida, ringhi e ruggiti ma non riusciva ad alzarsi per vedere cosa stesse succedendo. Sapeva di aver contribuito al risveglio del drago, ma non era affatto certo che il suo erede mortale fosse in grado di affrontarlo. Forse aveva commesso un errore imperdonabile. Strinse i denti, rigirandosi nel letto e cercando di uscirvi. Le gambe però non ressero e cadde in terra. Gridò per la rabbia e la frustrazione. Atena, allarmata nel sentire quell’urlo, lasciò la sua dimora ed andò a controllare.

“Tutto bene?” domandò, sull’uscio.

Non ricevette risposta ed entrò. Subito capì quanto successo e si preoccupò.

“TI sei fatto male, fratello?” domandò.

“Stai lontana. Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno!” rispose Ares, provando a rialzarsi.

“Non dire sciocchezze! Non sei in grado di usare le gambe”.

“Non serve che me lo fai notare, donna!”.

“Ed a te non serve essere così scorbutico!”.

La Dea scosse la testa, leggermente infastidita, e cercò aiuto. Perché il suo gran sacerdote era sempre a bighellonare quando serviva? Per fortuna il suo richiamo fu udito da Aphrodite, che viveva nella casa più vicina, e da Aiolos che ronzava sempre attorno alla dimora divina, temendo  il manifestarsi di nemici improvvisi.

“Cosa succede, mia signora?” domandò il Sagittario “Siete in pericolo?”.

“No, Aiolos. Il nostro ospite ha bisogno di aiuto”.

“Ares?”.

“Non fare quella faccia infastidita, cavaliere! È mio fratello ed è ferito, non è una minaccia”.

Aiolos chinò leggermente il capo. Aphrodite sorrise divertito. Insieme, entrarono nella stanza dove il Dio tentava di sollevarsi, aggrappandosi al letto.

“Stai fermo!” ordinò Atena “Rischi di riaprire le tue ferite”.

“Non credo siano affari tuoi” ribatté il Dio.

“Ora capisco da chi ha preso Arles!” commentò Aphrodite, avvicinandosi al Dio.

Ares lo fissò, non volendo alcun tipo di aiuto, specie da parte di estranei con rose fra i capelli.

“Lo conosci bene?” domandò.

“Chi?”.

“Arles. Lo conosci bene?”.

“Certo. È stato mio amico e mio maestro”.

“Maestro?”.

“Certo. E ora lasciati aiutare”.

“Lascialo in terra, Aphrodite!” suggerì Aiolos “Rischi di farti colpire, se ha un attacco di collera”.

“Aphrodite?” storse il naso Ares.

“Sì, è un soprannome. Non mi chiamo davvero così, così come nemmeno lui si chiama Aiolos”.

“Lo immaginavo. Ma perché proprio Aphrodite?”.

“Perché sono il più bello del tempio. Inoltre, il mio segno zodiacale sono i pesci, legati alla Dea della bellezza”.

“Comprendo ma..perché non vi fate chiamare per nome?”.

“Rinunciamo a ciò che eravamo, entrando al tempio. Un po’ come quando si entra in convento”.

Ares, poco convinto, ancora guardava male il cavaliere, che voleva solamente aiutarlo. All’esterno, si udì un forte boato e delle grida.

“Che succede fuori? Stanno lottando?” domandò il Dio.

“C’è un drago” spiegò Aiolos “Niente che un cavaliere di Atena non possa gestire”.

“Quanto sei tronfio, Saint!”.

“Mai quanto voi, divinità della guerra”.

“Io ho tutte le ragioni per esserlo”.

“Ah sì? Conosco la mitologia. Ne avete fatte di figure di merda..”.

“E tu sbaglio o sei stato ucciso da un bambino di nove anni?”.

“Quella è..una storia lunga..”.

“Non litigate!” zittì tutti Atena “Aiutatelo a tornare a letto e poi sparite. Mi fate venire il mal di testa, accidenti a voi!”.

“Voglio vedere la battaglia” commentò Ares “Fatemi vedere come combatte Arles”.

“Non puoi. Devi riposare!”.

“Suvvia, signora!” si intenerì Aphrodite “É solo un padre preoccupato per il proprio figlio e vuole vederlo combattere!”.

“Non sono preoccupato!” si affrettò a dire il Dio “Se crepa, vuol dire che non è all’altezza della prova a cui l’ho sottoposto. Poco mi importa. Se sopravvive, meglio. Ma se muore, non  ne farò di certo un dramma”.

“Che affetto..”.

“Tu menti!” sorrise Atena “So che stai mentendo. A te importa, e molto”.

“Mia cara..ho visto morire fin troppo figli miei, uccisi nei modi più disparati. Sopravvivono i più forti, come è giusto che sia. Se lui non rientra fra questi, non so che farci”.

“Ma lui è un mortale, non un Dio come gli altri che ti porti sempre appresso”.

“Inconveniente che capita”.

“Sei senza cuore”.

“Senza cuore, senza cervello..quale altro meraviglioso complimento riceverò prima del tramonto?”.

Atena lo fissò, leggermente scocciata, ma non ribatté con cattiveria. Si limitò a sospirare e scuotere la testa.

“Aiutatelo a vedere la battaglia” ordinò ai suoi cavalieri “Poi lasciate che faccia quel che gli pare”.

Fuori dalla stanza, Seiya era preoccupato per la sua Dea. Solo la presenza di Aiolos lo faceva stare abbastanza tranquillo. Atena voleva percuoterlo con il bastone, per levarselo dai piedi, ma preferì trattenersi. Aiolos ed Aphrodite, nonostante le proteste di Ares, che non voleva che mani smaltate maschili e paladini della giustizia lo toccassero, accontentarono la divinità. Sorretto, il Dio della guerra riuscì a giungere fino al terrazzino che dava sull’anfiteatro. Da lì, le case e l’intero tempio erano in vista. Non volendo mostrare quanto il dolore fosse insopportabile, ordinò loro di allontanarsi. Mezzo steso in terra, la divinità cercò di capire dove fosse il figlio. Finalmente lo vide e si stupì, perché il drago era diventato più grande del previsto.

“Se mi ammazzi il gran sacerdote con i tuoi giochetti..” brontolò Atena, raggiungendolo “..me la pagherai cara!”.

“Non vedo l’ora. È da troppo che io e te non ci azzuffiamo”.

“Prima rimettiti in piedi”.

“Lo farò, Atena”.

“Comunque ho ragione io..”.

“Su cosa?”.

“Sei preoccupato”.

“Nutro totale fiducia. È questione di sangue”.

 

Milo sobbalzò. Kanon era entrato nella casa dello Scorpione, lottando contro l’armatura marina.

“Hei!” si lamentò il padrone dell’ottava dimora “Non distruggermi la casa! Vai fuori a litigare!”.

L’armatura fu lanciata contro una delle colonne, che tremò e si incrinò.

“Paghi tu i danni, Kanon!” insistette Milo.

Le vestigia attaccarono di nuovo il cavaliere dei gemelli. Kanon, per quanto fosse potente, provava dolore, a differenza dell’avversario.

“Non mi fermerai!” gridò il cavaliere.

“Va fuori da casa mia!” urlò, di rimando, Milo.

 

Arles, sanguinante da vari punti, si stava stancando. Il drago, rimandato indietro, si preparò e caricò di nuovo. Il sacerdote saltò e vi salì in groppa.

“Pessima scelta” commentò Phobos, rivolto a Deimos “Non sa manco andare a cavallo e pretende di governare un drago?”.

“Forse dovremmo fare qualcosa” rispose il gemello.

“Papà si arrabbierebbe”.

“Si arrabbierebbe lo stesso, anche se morisse”.

“Forse hai ragione..lasciamogli ancora qualche istante”.

Arles non poteva sentire i commenti dei fratelli. L’animale era furioso e si librò in volo. Al sacerdote questa cosa non piacque per niente e dovette mettere un braccio attorno al collo della bestia per non cadere. Il drago scese in picchiata e Arles perse la presa. Dovette ancorarsi alle ali, ritrovandosi aggrappato all’armatura che copriva quella parte della bestia. Non riuscì a mantenere la presa e scivolò, catapultato in aria. Agitò le gambe e le braccia, in modo sconnesso. Il drago parve ridere divertito. Il sacerdote spalancò gli occhi, non volendo schiantarsi al suolo. Un calore strano lo stava avvolgendo, simile a quello provocato dalle fiamme. Tutta la pelle bruciava e infine udì un suono familiare. Un’armatura?

 

Milo non sapeva se intervenire o meno. Kanon pareva in difficoltà ma chi glielo faceva fare di interferire in affari che non lo riguardavano? Il cavaliere dei gemelli lottava ancora contro l’armatura vuota. Lo Scorpione era stufo di tutto quel casino alla sua casa, ma che poteva fare? L’Antares su un’armatura vuota era del tutto inutile! Però era stanco di veder creare danni.

“Adesso basta!” gridò, colpendo l’armatura, che si smontò.

Kanon guardò in malo modo il padrone di casa. Bastava così poco? Si dovette ricedere però, perché l’armatura subito si riprese e, brillando d’oro, si attaccò al saint della terza casa.

 

Il sacerdote, ormai a poca distanza dal terreno, si mosse d’istinto, con l’intento di non spiaccicarsi. Inaspettatamente, non cadde al suolo ma si sentì di nuovo sollevare verso l’alto. Che stava succedendo? Senza rendersene conto, stava volando. Al posto della tunica, ormai distrutta per i graffi del nemico, Arles indossava un’armatura rossa la cui forma ricordava quella di un drago, le cui grandi ali lo sollevavano. I lunghi capelli neri di vedevano da sotto l’elmo, che lo faceva somigliare un po’ ad un demone. Ogni arto terminava con una fila di artigli. Lungo la schiena, una fila di punte acuminate ed una lunga coda. Due ulteriori arti con artigli apparivano, in semirilievo, sul petto, a formare come un cerchio attorno al cuore. Quando si ricomponeva a totem, quel semirilievo formava la zampa sinistra del drago mentre invece la destra si creava con le due parti che ora coprivano le braccia di Arles. Volava sempre più in alto, capendo in fretta come governare quelle vestigia. Il drago parve  perplesso, lo fissò volteggiare e provò ad inseguirlo, per un po’. Il sacerdote virò, con una mezza piroetta. Virando di nuovo, prese quota.

“Fratello!” lo chiamò Kanon, uscendo allo scoperto.

“Sto bene” lo rassicurò Arles “Prova a volare. È divertente”.

“Volare? Sono un drago del mare!”.

“Vigliacco..”.

Kanon ,punto nell’orgoglio, saltò e si librò in aria. Raggiunse il gemello con un paio di battiti di ali.

“Perché indossi quell’armatura?”domandò il sacerdote.

“Non ne ho idea. E tu perché indossi quella cosa?”.

“Non lo so”.

 Arles prese velocità. Il drago lo seguì, ma si mostrava più calmo rispetto a prima.

“Devi ammetterlo, Deimos..” ridacchiò Phobos “Il nostro fratellino è una vera schifezza con il cavallo ma a volare è un fenomeno!”.

“Ognuno fa quel che può. Tu a volare sei un disastro!” ribatté Deimos.

Il sacerdote raggiunse la tredicesima dimora. Il drago non lo infastidiva più con ringhi ed atteggiamenti minacciosi. L’animale atterrò sul tetto della casa di Arles. Guardò in giù, incuriosito. Là sotto, Ares guardava verso la bestia, con un sorriso.

“Non dovresti esporti così” parlò Arles, rivolto al padre “Se un nemico ti attaccasse, in questo stato non potresti fuggire o reagire”.

“E chi sei tu per farmi la predica?” sbottò il Dio.

“Il padrone di casa. E non pulisco le tue interiora sparse per la tredicesima dopo che un nemico ti ha smembrato”.

“Che immagine raccapricciante. Mi piace”.

“Sei un pazzo”.

“E tu hai la coda”.

Arles si guardò, notando che quell’armatura aveva effettivamente una lunga coda.

“Perché c’era una tua armatura ed un drago dentro l’elmo del gran sacerdote di Atena?”.

“Efesto ha sparso le cose in giro” spiegò il Dio “Hades ha, fra le sue vestigia, quella del gufo di Atena, tanto per farti un esempio”.

“E perché?”.

“Chiediglielo”.

Arles rimase qualche istante in silenzio. Vedeva Kanon svolazzare da un tetto all’altro, come fosse qualcosa di naturale.

“Dunque anche Kanon è figlio tuo?” domandò il sacerdote.

“Non ne sono sicuro. La Sea Dragon era già sua, è solo passata allo stadio successivo. Come Kamui è molto più adatta alla guerra e probabilmente Poseidone l’ha concessa, sapendo che con la mia vicinanza i draghi si risvegliano”.

“A proposito di drago.. sapevi che era lì e che mi avrebbe attaccato!”.

“Certo..”.

“Quindi volevi uccidermi!”.

“No. Volevo metterti alla prova”.

“Ma chi te lo ha chiesto?! Che problemi hai?!”.

“Rilassati, ragazzo”.

“Non sono un ragazzo. E non mi rilasso. Sono stufo di avere a che fare con gente che vuole ammazzarmi continuamente”.

“Siamo in guerra”.

“Sì ma non fra noi!”.

“Vai a farti medicare, Arles. Le ferite inferte da un drago non sono mai da prendere sottogamba”.

“E tu torna a letto. Lo spettacolo è finito. E vale anche per quei due bastardi di Phobos e Deimos”.

Ares non disse nulla. Probabilmente si voleva allontanare ma non ne era in grado. Sorrise. Ora aveva due draghi in più nel suo esercito.

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Capitolo 13
*** XIII- dimostrare ***


XIII

 

DIMOSTRARE

 

Dopo un periodo trascorso a curarsi dalle ferite del drago, Arles era pronto a combattere. Ma non ne aveva alcuna voglia. Il gemello Kanon era partito, diretto al palazzo di Poseidone, per cercare di capire se l’armatura era stata un dono del Dio od una coincidenza. E, soprattutto, se la divinità gradiva quanto successo o se non vedeva l’ora di tirargli il collo. Ares si stava abituando al marchingegno di Efesto e riusciva a camminare, anche se solo per brevi tratti. Gli altri abitanti del tempio si tenevano in costante allenamento e stavano all’erta, pronti ad agire.

Steso sul tetto della tredicesima, il sacerdote si sentiva un pochino una lucertola e prendeva il sole. Il drago non lo aggrediva. Si limitava ad infastidirlo saltuariamente, quando si annoiava. Arles aveva scoperto che era solo un cucciolo e che Ares ne possedeva uno ben più grosso, così come più grandi erano quelli di Phobos e Deimos. La bestiola piaceva a qualche cavaliere d’Atena. A Milo, per esempio, piaceva giocarci a palla.  

“Cosa fai quassù?” domandò Deimos, raggiungendo con agilità il fratello “Giochi a fare l’acroterio, fratellino? Ti diverti?”.

“Che vuoi?” sbottò Arles.

“Vieni di sotto, mi voglio divertire”.

“Fottiti!”.

“Vieni!”.

Deimos tirò il fratello per un braccio.

“Sei un coniglio. Non vuoi affrontarmi perché hai paura di fare l’ennesima figura di merda!”.

Arles si accigliò e tentò di colpire il fratello, che svolazzò con agilità. Indossava una splendida armatura alata, un drago verde scuro.

“Torna qui, rompicoglioni!” sibilò il fratello più piccolo, cercando di afferrarlo.

Si inseguirono e finirono entrambi all’anfiteatro del tempio. Iniziarono ad azzuffarsi, senza risparmiarsi. Fra insulti e pugni, il sacerdote era furioso. Deimos, invece, rideva. Nonostante venisse colpito anche abbastanza violentemente, non sembrava preoccuparsene.

“Fai divertire anche me!” si intromise Phobos.

“Vaffanculo, aptero!” ringhiò Arles.

“Non sono aptero!”.

“Ma non sai volare. Come i pinguini..o i tacchini!”.

“A chi hai dato del tacchino?!”.

Phobos e Deimos infierirono sul fratello, che non si tratteneva e rispondeva a suon di cazzotti.

“Ti strappo tutti i capelli, mortale!”.

“Ed io ti sfascio la faccia a suon di esplosioni galattiche!”.

“Phobos! Deimos!” tuonò Ares “Piantatela di nonnizzare vostro fratello!”.

“Nonnizzare?!” risposero i due, in coro.

“Piuttosto..Arles! Ho qualche appunto da farti riguardo la tua tecnica di combattimento”.

“Prego?!” si stizzì il cavaliere.

“Hai una buonissima tecnica, per carità, ma con ampi margini di miglioramento”.

“A che titolo tu vieni qua, dopo tutta una vita che combatto, a dirmi che non va bene come lo faccio? Sono gran sacerdote mica per hobby..”.

“Ma non metto in dubbio la tua potenza. Solo che puoi migliorare”.

Arles alzò un sopracciglio.

“Il tuo problema..” continuò il Dio “..è che usi molto la parte superiore del corpo. I tuoi colpi e movimenti sono tutti incentrati dalla vita in su. Usi molto le spalle, le braccia, il torace..ma le gambe le utilizzi solo per muoverti”.

“Detto da uno che non può camminare..”.

“Sei proprio un piccolo bastardo”.

“Lo so..”.

“Quello che intendo, è che i tuoi fratelli ti battono perché hanno una tecnica più completa. Usano anche gli arti inferiori. Tu al massimo alzi le ginocchia ma preferisci di gran lunga usare le braccia. È notevole ammazzare la gente a suon di pugni, ma sarebbe meglio usare anche i piedi”.

“Lo farò quando li userai tu”.

“Arles! Dovresti ascoltarlo” lo rimproverò, velatamente, Atena.

La Dea era apparsa e stava raggiungendo il fratello. Il sacerdote la osservò e lei arrossì leggermente, perché il suo cavaliere era molto poco vestito.

“Ares è il Dio della guerra” riprese a parlare poi, indicando il fratello “Di combattimenti e tecniche ne conosce di certo più di te, che sei un mortale”.

“Anche voi siete la Dea della guerra” rispose Arles “Ma non credo accetterei suggerimenti di carattere strategico, dopo tutte le volte che vi siete fatta fare il culo e ci è toccato salvarvi”.

“Oggi sei nervoso..”.

“Meglio non risponda. Potrei essere cattivo”.

“Suvvia, Atena” rise Ares “Non serve che lo stuzzichi pure tu. Ci penso già io!”.

Il sacerdote fece per andarsene. Era stanco di discutere.

“Come ti sei fatto quelle cicatrici?” domandò ancora il padre.

“Quasi quarant’anni di botte” sbottò il figlio.

“Cosa vuoi che sia? Io ho migliaia di anni di botte alle spalle!”.

“Hem..fottesega?!”.

“Sei dolcissimo”.

“Come un pulcino di zucchero”.

“Questa cicatrice me l’ha fatta proprio Atena” informò il Dio, mostrano una spalla.

Arles, senza parlare, indicò il segno che aveva sul cuore, dove si era preso la bastonata della Dea quando si era suicidato.

“Sì, Atena ci ama” rise Ares.

“Da morire”.

“Segui il mio consiglio”.

“Ok. Fai due passi dalle mie parti, quando vuoi aiutarmi ancora”.

“Pulcino zuccheroso..non farmi incazzare!”.

“E tu smettila di sfottere perché sono mortale e perché non so cavalcare il tuo dannato cavallo, che vuole solo mangiarmi i capelli e mordermi!”.

“I cavalli non mordono!”.

“Il tuo sì!”.

Ares sospirò e scosse la testa. Avrebbe voluto prenderlo a calci, ma le sue gambe non ne erano in grado. E sculacciarlo non era proprio il caso.

 

Kanon conosceva molto bene le stanze di Poseidone. Giunse al cospetto del Dio senza troppi problemi, pur essendo piuttosto nervoso. Salutò i suoi colleghi di un tempo, che storsero un po’ il naso a vederlo. Il Dio dei mari, sul suo solito trono, osservò Kanon a lungo, prima di aprir bocca.

“Questa cosa non ha senso” commentò “Perché mai una delle mie armature è di nuovo su di te? E perché ha mostrato le ali?”.

“Non posso saperlo io” sbottò Kanon “Sono qui proprio per questo. La tua Sea Dragon mi ha inseguito per mezzo tempio, prima di mettersi a svolazzare con me dentro”.

“Strano..da Atena capitano sempre cose bizzarre”.

“Concordo. Adesso ci sono pure i draghi!”.

“I draghi? Ah, ma..Ares è da voi, giusto?”.

“Esattamente”.

“Allora è tutto chiaro! Dove sta Ares, si svegliano sempre i draghi. Quindi anche l’armatura ha reagito ed ha assunto quell’aspetto”.

“Sì ma..io sono il cavaliere dei Gemelli, non un tuo generale!”.

“Non è una scelta mia. Io non ti vorrei mai a mio servizio”.

“E nemmeno io voglio stare qua. Perciò riprenditi quest’armatura e lasciami in pace!”.

Kanon tentò di liberarsi della Scale, che però non ne voleva sapere di lasciarlo. Rimase ancorata al corpo del cavaliere, nonostante le sue proteste.

“È l’armatura a sceglierti, non viceversa” sorrise, divertito, Poseidone.

“Beh ma che si fotta l’armatura! Io sto bene alla terza casa!”.

“E restaci. Chi te lo vieta? Tanto siamo tutti alleati..”.

“Io sono qui per appurarmi che poi non ti girino le palle e venga a cercarmi per punirmi”.

“Non lo farò. Poi..mi sono giunte all’orecchio voci interessanti”.

“A che proposito?”.

“Su presunti legami di parentela divina”.

“Parli di Ares? Non ci sto capendo molto ma, quando avrò compreso, ti manderò un sms. Ok?”.

“Sms?”.

“Sì. Che c’è? Voi Dei non avete il cellulare?”.

Poseidone non rispose. Lo aveva, ma non dava il suo numero a nessuno, meno che mai ai suoi fratelli e parenti, che lo avrebbero riempito di foto imbarazzanti e messaggini inopportuni. L’idea che Kanon fosse in realtà figlio di Ares gli piaceva. Così giustificava il fatto di essere stato ingannato da quel mortale. Non era un semplice mortale bensì un discendente divino. Ottima cosa da dire, per salvarsi la faccia!

 

Milo e Deathmask osservavano da lontano le due donne. Pentesilea e Mirina, la regina delle amazzoni e la somma sacerdotessa di Ares, stavano dando bella mostra di sé all’arena del tempio. Allenandosi, le due stuzzicavano molte fantasie maschili. Quando videro arrivare Deimos, seguito da Arles, sorrisero.

“Come se la cava nel volo il nuovo arrivato?” domandò Mirina.

“Egregiamente, direi” rispose Deimos, con un cenno d’orgoglio verso il fratello.

“Splendido!”.

“Anche se possiamo ancora migliorare, vero Arles?”.

Il sacerdote si limitò ad annuire, stufo di continue chiacchiere a lui rivolte.

“Un giorno verrò a vederti” commentò Mirina “Sono sicura che sei bravissimo. Ed anche molto affascinante, con quelle ali spiegate”.

“Quando vuoi..” acconsentì lui, andando a sedersi fra i primi gradini dell’anfiteatro.

Era piuttosto stanco, ma c’era una cosa che si era ripromesso di fare..

“Hei!” interruppe i suoi pensieri Milo “Carina la fanciulla. Lieto di vedere che ti dai di nuovo da fare, sacerdote!”.

“Ma che discorsi fai? Guarda che è mia sorella!”.

“Sorella?”.

“Sì, sorella. Sei duro d’orecchi? Vuoi che te la presenti?”.

“Cosa? Io? Ma..”.

“Mirina!” non attese risposta Arles “Vieni qui un secondo”.

L’amazzone si avvicinò e Deathmask protestò. Ed a lui niente?!

“Sei fidanzato!” lo spinse via Milo.

“Fatti miei!”.

“Pentesilea” chiamò, con un sospiro, il sacerdote.

Entrambe le donne raggiunsero il fratello minore, che si rialzò.

“Questi miei amici..” spiegò “..vorrebbero tanto conoscervi”.

“Benissimo” ghignò Mirina “Allora alzatevi! Non c’è modo migliore di conoscersi se non con un bel combattimento corpo a corpo”.

“Che..?!” spalancò gli occhi Deathmask.

“Buon fortuna” rise Arles “Sono amazzoni. Picchiano di brutto!”.

“Lo sappiamo”.

“Me se le battete..stanotte vi divertite. Ora scusatemi, ma ho una cosa da fare”.

 

Ah, Eleonore! Bellissima Eleonore! Eleonore che mutava il suo aspetto seguendo le fasi della luna, che danzava per celebrare la Dea, che intrecciava i lunghi capelli con fiori variopinti. Eleonore, quella Eleonore, non esisteva più. Al suo posto, vi era la nuova moglie di Hades, molto più tenebrosa e silenziosa. Ed innamorata di un uomo diverso. Arles era rassegnato. Come poteva competere, contro un Dio? Un Dio che, per quanto fosse inquietante, era sano di mente e privo di individui che passavano la giornata a mettergli i piedi in testa..

In quella notte di luna piena, il sacerdote camminava nel buio. Con fra le dita il fiore preferito di lei, un giglio, il cavaliere sapeva bene che visitare la tomba della sua amata era del tutto inutile. Sospirò. Com’era triste all’idea che nemmeno vagamente lo ricordasse! Kanon amava fargli quei discordi filosofici sul fatto che è meglio amare e perdere piuttosto che non amare mai, ma per Arles non era così.  Aveva passato gran parte della sua vita nella totale convinzione di non poter essere amato da nessuno a causa della sua personalità ambigua ma Eleonore  aveva cambiato quella sua prospettiva. Era angosciante. Ma si era ripromesso di reagire e dimostrare a tutti di non essere di animo debole. Giunse nei pressi di un lago, su cui il riflesso del satellite argento era limpido e magnifico. In esso, un gruppo di donne nuotavano, di cielo vestite. La loro pelle nuda brillava, riflettendo la luna con ogni goccia che scivolava su di essa. Erano immerse fino ai fianchi e danzavano, tenendosi per mano. Poi una di loro spalancò gli occhi, coprendosi il seno.

“Un uomo!” gridò.

Arles continuò ad avanzare, senza cambiare espressione. Le donne stavano facendo un gran baccano, cercando di coprirsi.

“La pagherai!” parlò, con tono grave, colei che stava al centro del gruppo “Mortale, pagherai caro questo affronto!”.

“Non vedo l’ora” rispose Arles “Diana, Dea romana della luna”.

“Chi sei? Voglio sapere il nome che scriverò sulla tua tomba”.

“Non ha importanza il mio nome. Dovessi morire, lasciami pure marcire in pasto ai corvi”.

“Non usare frasi ipotetiche. Tu stanotte morirai!”.

Uscendo lentamente dall’acqua, mostrandosi del tutto nuda per qualche istante, Diana chiamò a sé la sua armatura. Le sue sacerdotesse fecero lo stesso. Arles lasciò cadere il giglio che aveva fra le mani e lasciò che anche la sua armatura lo vestisse.

“Sei un guerriero di Ares?” domandò Diana, riconoscendo le vestigia.

“Sono tante cose. Fra queste, l’uomo che follemente amava Eleonore”.

“E chi è?”.

“Magari all’altro mondo te ne ricorderai”.

“Ti piacerebbe! Porta i miei saluti al tuo caro padrone, quando varcherai le soglie del regno dei morti! E spero di spedirti presto, a farti compagnia, Artemide!”.

Arles non rispose. Era bello sapere che i nemici ancora credevano Ares morto. La Dea romana si preparò a scoccare le sue frecce. Con rabbia, ne inviò una schiera contro l’invasore che però riuscì a respingerla, spedendola in una diversa dimensione.

“Notevole che un mortale faccia questo”.

“Non hai ancora visto niente..”.

Arles non era affatto sicuro di riuscire a battere la Dea ma non riusciva a togliersi dalla testa quella scena: la sua amata stesa a terra in un lago di sangue, in un coma da cui non si era mai più risvegliata. Per anni aveva sofferto ricordando, senza mai trovare la forza necessaria per reagire e vendicarsi. Ora l’aveva trovata quella forza..ma forse aveva fatto una cazzata! La Dea lo colpì violentemente, con un calcio. Lui si riprese in fretta e saltò, prendendo il volo. Lei lo imitò ed iniziò uno scontro aereo, fra le frecce che le sacerdotesse di Diana lanciavano verso il nemico. Alcune andavano quasi a segno ma non fermavano la furia di Arles, il cui sguardo rosso sangue incrociò quello della Dea. Lei parve intuire il legame fra quell’uomo che la sfidava ed il Dio della guerra. Ne fu lievemente spaventata.

“Non riuscirai a battermi” commentò “Sei comunque un mortale, anche se di discendenza divina”.

Lo colpì, facendo lo indietreggiare.

“Ora ricordo..” commentò “Eleonore! La somma sacerdotessa di Artemide! Una cosa inaudita per me che una delle mie adepte si faccia toccare da mani maschili”.

“Anche per Artemide lo era. Ma ha compreso il legame che vi era fra lei e la sua sottoposta e non ha avuto nulla da ridire. Lei aveva compreso il nostro amore”.

“L’amore è qualcosa di decisamente sopravvalutato”.

“Ti do ragione. Ma io affronterei mille e più nemici se, in cambio, potessi riaverla accanto”.

“Capirai! Non sai fare altro, galoppino di Ares! Null’altro, se non combattere”.

Arles schivò l’ennesimo attacco ed avanzò sicuro. Allungò il braccio ed affondò gli artigli delle sue vestigia nella carne di lei. Questo lo scoprì, permettendo alle sacerdotesse di raggiungerlo con qualche freccia.

“Io non sono il galoppino di Ares” commentò, afferrando la Dea per i capelli “Io sono il gran sacerdote di Atena. E Ares..Ares è mio padre, romana!”.

Detto questo, strinse la Dea a sé e le diede un bacio, di quelli che la sua avversaria tanto odiava, con tanta lingua e disprezzo. Lei gemette, trovando la cosa disgustosa ed umiliante. Cercò di liberarsi dalla presa di lui ma non ci riuscì.

“Ringrazia che sono qui solo per ucciderti..” le sussurrò all’orecchio Arles “..perché questa battaglia mi ha decisamente eccitato”.

Diana spalancò gli occhi e gridò, pronta a lanciare un ulteriore attacco. Il cavaliere l’anticipò e la colpì con violenza. La Dea cadde in terra, nel suo stesso sangue. Poi l’avversario si concentrò sulle sacerdotesse. Estraendosi dal corpo  varie frecce, capì che non aveva altro che delle fanciulle smarrite dinnanzi a sé. Senza la loro Dea, non erano niente. Ci mise qualche istante a sconfiggerle, anche perché erano poche e deboli.

 

Il lupo ringhiò. Mirina, ancora fra le braccia dello Scorpione, si svegliò.

“Hai sentito?” mormorò.

“Sì, sono Shaina e Deathmask che litigano” sorrise Milo “Normale amministrazione”.

“No. C’è altro. Il lupo di mio padre sta ringhiando”.

“Nemici?”.

“Non lo so”.

Milo uscì dal letto, senza preoccuparsi troppo della sua nudità. Raggiunse l’uscio della sua casa ed intravide un’ombra sulle scale.

“Chi è là?” domandò.

L’ombra si mosse leggermente, facendosi illuminare dalla luna.

“Arles!” sobbalzò Milo.

Il sacerdote era ricoperto di sangue, suo e del nemico. Con i capelli neri incollati al viso in ciocche scomposte, fra sudore e coaguli, non aveva di certo un aspetto rassicurante. Inoltre il suo sguardo era spaventoso.

“Torna a letto, Scorpione” mormorò Arles, riprendendo il suo cammino.

“Sì” balbettò il guardiano dell’ottava casa.

Era sceso uno strano silenzio. Nemmeno Deathmask e Shaina si udivano più. Probabilmente, dopo la rabbia iniziale nel trovare il suo uomo con un’altra donna, l’Ofiuco aveva trovato il modo di farsi rabbonire. Pentesilea, nel frattempo, si era allontanata in silenzio, soddisfatta.

 

Ares dormiva e sognava. Si svegliò di colpo, udendo un rumore.

“Arles! Sei tu! Smettila di farmi spaventare!” borbottò.

Si alzò a sedere, un pochino intontito, e solo in quel momento si accorse dello stato in cui versava il figlio.

“Che ti è capitato? Non dirmi che sono stati Phobos e Deimos!”.

Il sacerdote camminò lentamente e si inginocchiò dinnanzi al padre.

“Chiedo perdono” mormorò “Avevate chiesto la testa di Marte ma io, per quella, non sono ancora pronto. Vogliate, intanto, accettare questa”.

Con riverenza, Arles mostrò al Dio il suo trofeo: la testa di Diana. Ares sobbalzò.

“Arles! Hai affrontato Diana da solo?”.

“Sì”.

“Sei un pazzo!”.

“Perdonatemi. È che..avevo un peso dentro di me..”.

“Ed ora se n’è andato?”.

“No..” sospirò Arles, chinando ancora più il capo.

Il Dio della guerra pose una mano fra i capelli del figlio.

“Sono fiero di te” gli disse “Ma non correre rischi inutilmente. Potevi morire..”.

“Lo so. Ma che importa?”.

“In guerra contano gli uomini migliori. Se li perdo per strada, non va certo bene! Ora va a riposare. Sei ferito”.

Arles si rialzò, senza dire nulla. Si trascinò fino alla grande vasca della tredicesima e, spogliatosi di vesti ed armatura, vi si immerse. L’acqua limpida cambiò colore, tingendosi di rosso sangue. Il sacerdote gemette e chiuse gli occhi. Si sentiva meglio, ora che lo sciabordio della lieve corrente lavava via ogni segno dello scontro. Si ritrovò con le lacrime sul viso. Che razza di ennesimo mostro era diventato? Accecato dalla rabbia e dalla vendetta, aveva affrontato ed ucciso una Dea. Una figura in cui molti credevano ed ora ai quei molti mancava una guida. E quante altre vite aveva distrutto, uccidendo le sacerdotesse? E tutto questo per quale motivo? Eleonore non sarebbe mai tornata, mai più. Un rumore lo distrasse da quei pensieri. Un’ancella, una delle poche rimaste al tempio, era entrata e si era lasciata sfuggire un gridolino di spavento.

“Chiedo perdono!” si affrettò a dire “Io a quest’ora pulisco, perché non c’è mai nessuno. Me ne vado subito”.

Iniziò a raccogliere gli asciugamani che aveva fatto cadere in terra. Quando rialzò lo sguardo, Arles le stava di fronte. Le afferrò i polsi, facendo di nuovo finire in terra i panni.

“La prego, non mi punisca. Mi dispiace!” supplicò lei “Non succederà più”.

Il sacerdote non cambiò espressione. La strinse a sé e la fece sua. La fanciulla gridò.

“Scusami” gemette Arles “È che questa battaglia mi ha decisamente eccitato”.

 

 

Chiedo perdono per chi si sentirà in qualche modo turbato da certi passaggi e grazie a tutti coloro che stanno seguendo la storia fin ora. A presto!

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Capitolo 14
*** XIV- scontro ***


XIV

 

SCONTRO

 

“La pagheranno cara!” commentò Marte.

Al cospetto del padre degli Dèi romani Giove, il Dio della guerra aveva appena appreso la notizia della morte di Diana.

“Chi è stato? Chi ha osato?” continuò il guerriero  “Quali divinità devo  sterminare fra i greci?”.

“Ho bisogno di più informazioni..” ammise Giove, seduto sul suo trono.

“Posso fornirtele io, padre mio” commentò Minerva, facendo il suo ingresso con maestosità.

“Minerva! Figlia mia adorata! Dicci pure tutto quello che sai. Quali divinità greche hanno agito?”.

La Dea e Marte si osservarono con fastidio, senza salutarsi.

“In realtà..” iniziò a spiegare lei “..non è stato un Dio”.

“Allora un esercito!”.

“Nemmeno. È stato un uomo, un mortale”.

“Un mortale?! Uno soltanto?!”.

“Esattamente. Un figlio di Ares”.

“Ora comprendo la ferocia del  gesto. Ma è incredibile..” commentò Giove.

“Incredibile non credo. Si tratta di un cavaliere di Atena, che più volte ha mostrato di essere in grado di porre fine alla vita di una divinità”.

“Forse, poi..” si fece sentire Marte “..costui era anche mosso da odio nei nostri confronti, alimentato dal fatto che suo padre è stato uccido da noi”.

“Permettimi di dissentire, fratello” sorrise Minerva, sadicamente “Ares è vivo e vegeto”.

“Tu menti! L’ho trafitto con la mia spada!” protestò il Dio della guerra, irato.

“No, affatto! Sei stato vittima di un’illusione”.

“Stronzate!”.

“Ho le mie fonti fidate. Ares è solo ferito ma un’illusione ti ha fatto credere che fosse morto”.

“E chi sarebbe in grado di creare una cosa del genere? Tanto potente da poter ingannare me, Marte, e le altre divinità lì presenti?”.

“Ingannare te è semplice, sei un idiota!” sorrise ancora Minerva “Ma, comunque, è stato sempre lo stesso mortale”.

“Che dici?! Non è possibile!”.

“Non crederci, se non ne hai voglia. Ma è andata così”.

“Quindi immagino che anche Phobos e Deimos siano ancora in vita..”.

“Esatto! Sei stato gabbato, piccolo stolto! E adesso non sbarellare e cerchiamo di capire come agire in modo sensato”.

“Modo sensato?! Io, se prendo quel mortale, lo riduco in condizioni tali da renderlo irriconoscibile perfino dalla madre!”.

“Dubito abbia una madre..”.

“Fa lo stesso!”.

“Calmati, Marte” lo rabbon Giove “Piuttosto, raduna i tuoi Salii con i loro scudi sacri e preparati alla lotta al fianco di Minerva e le sue Saints”.

“Fuori discussione. Io questa con la fica atrofizzata non la voglio vicino!” si lagnò Marte “So cavarmela benissimo da solo”.

“Ed io non scendo in guerra con un simile burino pel di carota che rovinerebbe ogni mia strategia” ribatté Minerva.

“Ma se Ares non è morto..” interruppe Giove “..allora dov’è? Non avevamo controllato al suo tempio in Trancia?”.

“Sì, padre” annuì Minerva “Non è al suo tempio ma bensì a quello di Atena”.

“Atena? Sei assolutamente sicura?”.

“Fidatevi di me. Ho una fonte certa”.

“Ares ed Atena allo stesso tempio?” storse il naso Marte “Sarebbe come se io e te, sorella, stessimo nello stesso edificio. Che pensiero terribile”.

“Sì, il solo pensiero di dividere il tetto con te mi fa venire la nausea”.

“Come se tu fossi piacevole come vicina di casa, zitellona acida”.

“Smettetela di litigare!” sbottò Giove “Mi state a sgrarà li cojoni!”.

Marte rise e Minerva scosse la testa, lievemente disgustata.

“Perdonatemi, padre” si scusò la Dea “Faremo meglio a pensare a cose serie, non ai problemi di famiglia, che risolveremo in seguito”.

“In seguito?” ghignò Marte.

Me te metto ‘n tasca e te meno quanno ciò tempo, fratellino”.

“Basta, ho detto! Se non volete combattere assieme, sono cazzi vostri. Ma qualcuno deve verificare di persona le notizie appena apprese”.

“Lasciate che me ne occupi io” si propose Minerva “Io non sarò di certo vittima delle illusioni di un mortale! Il mio quoziente intellettivo è ben più alto di quello di questo sfigato!”.

“Ma..”.

Marte tentò di riaprire bocca ma Giove lo zittì: “Se non riuscite a lavorare assieme, a me non interessa. Vedete di rimandare a più tardi i battibecchi fra di voi”.

“Giusto” annuì Minerva “Andiamo, Marte. Risolveremo la questione al ritorno”.

Apparecchia er culo, stronza!” ringhiò il Dio della guerra, seguendo la sorella fuori dalla grande sala dove Giove li aveva convocati.

 

“Con che cosa stai giocando?” domandò l’ancella, avvicinandosi alla bimba.

La piccola romana sobbalzò e si voltò di scatto. Ancora non era abituata al grande tempio ed i suoi abitanti. Sorrise, riconoscendo la donna al servizio di Arles.

“Con niente” rispose la bimba “Mi annoio”.

“Mi hanno detto che sei brava a fare le trecce. Ne faresti una anche a me?”.

La piccola sorrise.

 

Arles uscì dalle sue stanze. Si stupì nel vedere lì la sua ancella che, seduta fra le scalinate in pietra, si stava facendo fare la treccia. Si avvicinò ad entrambe, con i lunghi capelli che sfumavano dal nero al blu.

“Non sei obbligata a stare qui. Comprenderei, se te ne andassi” disse lui, rivolto alla donna

Lei rimase in silenzio qualche istante, mentre la bambina continuava ad intrecciargli la capigliatura bionda. Si voltò solo leggermente, incrociando lo sguardo del suo signore.

“Puoi lasciarci da soli un istante, piccina?” mormorò l’ancella “Dopo andiamo in paese a comprare tanti nastri per  capelli”.

La bambina sorrise ed annuì, allontanandosi. Lanciò solo un ultimo sguardo ai due e poi sparì fra le colonne, soddisfatta.

“Di che parlate, signor Arles?” riprese la donna, non appena la romana si fu allontanata.

“Mi riferisco a quanto successo..” rispose lui.

“E questo dovrebbe allontanarmi da qui?”.

“Non è stato un atteggiamento consono”.

“Siete il mio signore”.

“Questo non mi giustifica”.

“Non è successo nulla di male..”.

“Ma..”.

“All’inizio..” parlò lei, con calma, alzandosi “..sì, mi avete spaventata. In voi c’era odio, rabbia e ferocia. Ma poi..tutto questo è svanito. Niente più odio, rabbia e ferocia ma tanta tristezza, angoscia e solitudine. Ho percepito in voi la sete ed il desiderio di dissetarvi d’amore, ma io non sono la sorgente da cui anelate bere”.

“Come immagine è decisamente strana. Però io non dovevo..”.

“Non ne farò parola, state pure tranquillo. Immagino che Atena non ne sarebbe soddisfatta..”.

“Che state dicendo? Che importanza ha?”.

“Non temete..”.

“Cosa ti costringe qui? Ti ho stuprata e stai qui a parlare di Atena?”.

“È stato sesso fra adulti. Niente violenze o altro. E poi..cosa mi costringe qui? Nulla. Anzi..qualcosa c’è. E forse potrei raccontarvelo..”.

“Io non capisco”.

“Io mi chiamo Sarah. Sono nata in Grecia, il dieci di agosto, la notte delle stelle cadenti, da genitori inglesi. Questo vi suona familiare?”.

Il sacerdote guardò l’ancella, con occhi tristi.

“Come..” mormorò lui “..come Eleonore?”.

“Sono la sua gemella minore”.

“Non sapevo che avesse una gemella!”.

“Abbiamo passato brutti momenti, io e lei. Io sono la minore e lei era molto protettiva nei miei confronti. Siamo sempre state molto diverse, non solo d’aspetto, e così, quando i nostri genitori sono morti, lei si è unita alle schiere di Artemide ed io non capii la sua scelta. Tentai altre strade, ben meno prosaiche e sante. Lei, nel frattempo, è diventata somma sacerdotessa. Il suo animo era in pace, ed io la invidiavo. Cambiavo lavoro continuamente, piangevo, mi sentivo smarrita. L’ultima volta in cui l’ho vista viva è stato quando mi ha detto che aveva intenzione di sposarsi. Sono impazzita. Ero gelosa e l’accusavo di aver dimenticato i nostri amati genitori. Non ci siamo più parlate. Poi lei è morta, non serve che ti racconti come”.

“Già..non è necessario..”.

“Ammetto  di averti odiato. Pensavo fossi un rammollito. Mi sono chiesta per quale motivo non avessi protetto mia sorella, ma poi ho visto quanto dolore avevate nel cuore per colpa di quella perdita. E probabilmente vi sentite ancora in colpa, dico bene?”.

“Sì. Dici bene..”.

“Ho deciso di seguirvi qui al tempio. Non lo so perché. Forse ho sentito il desiderio di farmi perdonare dalla mia adorata sorella. Lo so, è assurdo quel che sto dicendo..”.

“No, affatto. Se Kanon dovesse morire, e scoprissi che aveva una moglie, tenterei di aiutarla”.

“Qui al tempio ho compreso perché Eleonore si fosse innamorata di voi. E qui al tempio ho trovato la pace nell’animo. Perciò, vi prego, non ditemi che devo andare via”.

“Non ti posso obbligare. Pensavo che lo desiderassi”.

“Non lo desidero. L’unica cosa che voglio, è restare”.

“Perché non mi hai detto di essere la sorella di mia moglie?”.

“Perché ho commesso tanti errori ed un trattamento di favore non può mondarmi”.

“Ora, però, mi sento ancora più in colpa per quel che ho fatto”.

“Non dovete. Non mi avete amata, non mi amerete mai, questo lo so. Ma se aveste abusato con ferocia di me, sarei fuggita”.

“Quindi sei qui solo perché ti senti in debito con tua sorella?”.

“All’inizio sì. Ora sono qui perché so che è questo il mio posto. Spero che quanto successo non cambi la situazione”.

“Ma lo sai che ora lei è la moglie di Hades? Non dovresti raggiungerla?”.

“Lei non mi ricorda. E non ha bisogno di me. Voi invece..”.

“Io..?”.

“Mio signore..” continuò lei, avvicinandosi “..voi avete bisogno di qualcuno che vi ami. Ed io veglierò su di voi, fino a quando la vostra sete non troverà la giusta sorgente”.

Detto questo, l’ancella si congedò, con un inchino. Arles non sapeva che altro dire. Era molto più confuso di prima ma non ebbe il tempo di riflettere molto, perché Atena lo stava chiamando a gran voce.

 

Mur percepì qualche cosa. Alla prima casa, l’Ariete stava modificando qualche armatura seguendo i consigli di Efesto. Uscendo allo scoperto, percepì che qualcosa non andava.

“Kiki!” chiamò “Va ad avvisare gli altri. Ci sono dei nemici”.

“Chi? Chi sono?” rispose Kiki, mettendosi in allarme.

“Non lo so. Ma sono in molti. Corri!”.

Il giovane annuì. Riuscì a scorgere di sfuggita un nutrito gruppo di estranei comparire dinnanzi a Mur. Si erano nascosti con una barriera, ma l’Ariete li aveva individuati facilmente con i suoi poteri psichici. Kiki si allarmò, percependone la notevole potenza.

“Fratello!” chiamò.

“Corri, Kiki! Li fermerò finché posso” ordinò ancora Mur, infastidito dalla titubanza del parente.

L’abitante della prima casa creò il suo Crystal Wall, che però si incrinò dopo solo pochi colpi nemici. Mur non indietreggiò, preparandosi ad attaccare.

“Non siamo qui per te, mortale!” parlò una voce da donna.

L’Ariete la individuò . Fra i vari avversari, era una donna con un grosso elmo in testa. In mano stringeva una lancia.

“Minerva?” domandò Mur.

“Sono io. E ti risparmierò la vita se mi dirai dove trovare Ares ed i suoi piccoli marmocchi”.

“Ares? Ares è morto” mentì l’Ariete.

“So che non è così”.

“Hai delle notizie sbagliate”.

La Dea si accigliò. Afferrò Mur e lo spinse contro il muro.

“Non ho tempo da perdere!” continuò lei “Dove sono Ares ed i suoi figli?”.

“Questo è il tempio della mia signora Atena. Di Ares ed i suoi figli non mi interessa”.

“Bugiardo! Ti farò parlare!”.

“Lascialo a me” la interruppe Marte “Lo faccio parlare in massimo quattro secondi”.

“Lo vuoi torturare? Va bene, ma non ucciderlo”.

“Ci starò attento”.

“Non mi fai paura!” lo affrontò Mur, mentre il Dio romano si avvicinava.

“Fai male, anche se rispetto il tuo coraggio”.

L’Ariete non rispose. Continuò a sostenere lo sguardo di Marte, anche quando questi iniziò a colpirlo duramente. Mur ribatté, cercando di reagire. Poi una forte luce quasi lo accecò ed il Dio mollo la presa.

“Anvedi sto laziale!” sbottò, infastidito, Marte.

“Laziale? Io sono di Atene!” esclamò Ioria, facendo il suo ingresso trionfale fra la polvere sollevata dal suo attacco.

“Ateniesi, laziali..mi state sul cazzo allo stesso modo!”.

“Allontanatevi!” ringhiò il cavaliere, mostrando il pugno “O assaggerete il colpo di Ioria del Leone!”.

“Er gatto di casa me minaccia. Sto a tremà” ghignò il Dio, sarcastico.

“Smettila di fare il deficiente!” lo ammonì Minerva.

Il Leone non attese e lanciò un potentissimo Lightning Plasma, che colpì Marte in pieno.

“Visto? Coglione..” lo rimproverò la Dea “..non ti porto più in guerra, fai solo figure di merda!”.

Minerva ignorò il fratello e decise di avanzare. Il Dio romano reagì e colpì i suoi avversari, permettendo alla sorella di andare oltre la prima casa. Ma la Dea non riuscì ad avanzare di molto assieme al suo esercito.

“Vai da qualche parte?” si sentì dire.

Kanon, con indosso la Sea Dragon alata, era pronto ad affrontarla.

 

“Cosa ti è saltato in mente?!” sbraitò la Dea, puntando il bastone contro Arles.

Il sacerdote alzò le braccia leggermente, cercando di capire a cosa esattamente si riferisse.

“Una testa mozzata a casa mia?!” continuò lei e lui si rilassò, comprendendo.

“Posso spiegare..” iniziò a dire.

“Non c’è niente da spiegare! Sei disgustoso!”.

“Avete ragione, chiedo scusa, però..”.

“Però che cosa?! Αηδία, αηδία!! [schifo, schifo!!]”

“Chiedo perdono. Non pensavo che la Dea della guerra reagisse in questo modo davanti ad una testa mozzata”.

“Mi prendi per il culo?!”.

“No! Per carità, signora. Era una faccenda fra me e mio padre”.

“Beh, certe porcherie le andate a fare a casa vostra, chiaro?! Non a casa mia!”.

“Ho compreso”.

“Detto questo..non è da te agire senza riflettere in quel modo! Affrontare da solo una Dea è da stupidi. Perché lo hai fatto?”.

“Perché dovevo. Io..”.

La conversazione si interruppe. Un forte boato e delle grida stavano scuotendo il tempio.

“Che succede?” si allarmò Atena.

“Nemici!”.

“Presto, mettetevi in salvo, mia signora!” esclamò Aiolos, come sempre nei paraggi della dimora divina, pronto ad agire.

“Chi sono? Chi ci attacca?” volle sapere lei.

“Minerva e Marte con i loro eserciti”.

“Allora io..non posso fuggire!”.

“Mia signora!”.

“Taci! E prepara il tuo arco”.

 

“Levati di mezzo!” minacciò Minerva, allungando la lancia verso Kanon.

“Tornatene a casa, ti conviene!” le rispose Kanon.

“Credi di spaventarmi, mortale?”.

“No. Ma credo di confonderti alquanto. Non è vero?” sorrise il custode della terza casa “Non ti aspettavi una cosa del genere. Un cavaliere di Atena con le vestigia sotto il dominio di Poseidone. Ammettilo che sei confusa..”.

Minerva non rispose. Era confusa, davvero, ma non poteva certo farlo capire a quel misero mortale! Accigliandosi, si preparò ad attaccare quell’impiccio in armatura. Lanciò un grido, lo stesso che si udì al momento della sua nascita, e corse verso Kanon. Il cavaliere ghignò, beffardo. Si abbassò solo leggermente e sferrò un potente cazzotto in mezzo alla faccia della Dea.

“Cosa credevi?” la sfotté Kanon “Che provassi un qualche tipo di pietà nei tuoi confronti, solo perché sei una Dea?”.

 

Il Leone colpì di nuovo ma stavolta Marte riuscì a schivare. Il Dio non ci vedeva dalla rabbia e fremeva all’idea di vendicarsi per l’umiliazione subita.

“ Prima te massacro de botte” sibilò il Dio "Poi rompo er culo a colui che me piglia pe’ li cojoni co’ le illusioni. Gli sfaccio la capoccia come ha fatto lui con mia sorella Diana".

“Anche se sei un Dio, io non arretrerò di un passo!” ringhiò Ioria “Anche se con te hai tutti i tuoi sottoposti, non farai tremare le zanne del leone”.

“Ma che stai a dì?! Ao, parla come magni! Nun ch’o o fa ‘o splendido,fatta ‘na canna de lattuga, n’endovena de camomilla e vedi d’annattene!”.

“Senti, romano..o parli in maniera comprensibile o stai zitto. L’unica cosa che ho capito è che vuoi che mi fumi la lattuga! Ma io non sono tipo che si perde in chiacchiere e, soprattutto, non ascolto praticamente mai. Perciò borbotta pure cose incomprensibili quanto ti pare. Lightning Plasma!”.

Marte saltò ma non riuscì a schivare tutti i pugni alla velocità della luce del Leone. Doveva ammetterlo, quel mortale era forte. Ma non abbastanza! Si riprese e lanciò il suo attacco: “Colpo der vendicatore romano de Roma!”.

“Eh?!” storse il naso Ioria, senza capire e ritrovandosi con uno scudo d’oro contro la faccia.

 

Minerva, colpita, si toccò il viso, infuriata. Kanon sorrise.

“Ne vuoi ancora?” sfidò lui “Non andrai oltre, Dea!”.

“Vanum est epinicion canere ante victoriam” ribatté lei.

“Sarebbe a dire? Io le lingue morte non le parlo”.

“Significa che non devi cantar vittoria troppo presto, cavaliere! Ma piuttosto..presentati, come è bene fare. Chi sei?”.

“Sono Kanon, il cavaliere che dimora alla casa dei gemelli”.

“Oh, Gemino..ab ovo!”.

“Ma non lo hai ancora capito che il latino mi fa proprio schifo?”.

“Era una citazione di Orazio, ignorante”.

“Se vuoi io ti cito Clarabella”.

“Una volta voi greci eravate la culla della civiltà..”.

“Anche voi eravate molte cose. Dove sta, ora, l’impero romano?”.

“Non infierire, ellenico!”.

“Preparati a ricevere il mio colpo, Minerva!”.

La Dea afferrò il suo scudo, pronta a parare. Con uno scatto della lancia, avanzò. Kanon fermò l’alma ma era molto affilata, e fu ferito di striscio. Questo lo fece infuriare e tirò una poderosa ginocchiata alla divinità, che non apprezzò per niente il gesto. Poi una grande luce li avvolse.

 

Il Leone continuava a combattere. Marte era ferocie e determinato, e così anche il suo esercito, ma Ioria non si voleva arrendere. Ed ecco che qualcuno giunse in suo soccorso. Una freccia d’oro quasi colpì il Dio che riuscì a schivarla per pochissimo.

“Fratello!” esclamò Aiolos “Tutto bene?”.

“Certo. Mandiamo all’altro mondo questo Dio portatore di sangue e morte!”.

“Con immenso piacere!”.

Aiolos scoccò un’altra freccia. Marte usò uno dei suoi scudi d’oro e la freccia non lo colpì. Anche quel mortale era notevole, non lo doveva sottovalutare.

 

“Stai indietro, Kanon” parlò una voce di donna.

Atena apparve, avvolta da un alone di luce.

“Sto cazzo!” le rispose il cavaliere “La voglio massacrare!”.

“Kanon!”.

“Atena! Che onore” sorrise, sarcastica, Minerva.

“Tornatene da dove sei venuta!” la minacciò la Dea greca “Se non vuoi che ti scateni contro tutti i miei cavalieri!”.

“Non me ne andrò, fino a quando non avrò la testa di colui che ha ucciso Diana ed imbrogliato Marte”.

“Tutti ingannano Marte. Vuoi decapitare mezza umanità?”.

“Sai a cosa mi riferisco! Ares è vivo ed è qui”.

“Non sono affari che ti riguardano. Ed ora vattene!”.

“Quel vigliacco di Ares si fa difendere da una donna? Che patetico deucolo inutile!”.

“Almeno lui non ruba le dimore ed i ruoli altrui, romana!”.

Minerva roteò la lancia e si apprestò a colpire la sua avversaria. Kanon osservò la scena, vedendo Atena chiaramente trapassata dall’arma. Spalancò gli occhi ma solo per un attimo.

“Mostrati, creatore d’illusioni!” comandò la Dea romana “So per certo che quel che vedo non è reale. Fatti vedere, vigliacco!”.

Kanon si allarmò. Il fratello era stato scoperto e non era certo un bene. Probabilmente ancora stanco dopo lo scontro contro Diana, non era stato in grado di creare una manipolazione della realtà tale da ingannare una Dea. Minerva lanciò la sua lancia, che le indicò la direzione da seguire. Saltò, pronta a lanciare il suo colpo verso quella direzione.

“Lascia che i grandi si occupino di queste cose” esclamò Ares, tirando per il braccio il figlio giusto in tempo.

“Tu non dovresti uscire allo scoperto” ribatté Arles.

“Ormai è tardi. Loro sanno che io sono qui”.

“E come?”.

“Non lo so..”.

Senza aggiungere altro, il Dio si apprestò a colpire i nemici.

Ανδρειφοντης Μαλερός! [ANDREIPHONTES MALEROS. assassino di uomini brutale]” gridò.

Subito dalle sue mani emersero lingue di cosmo rosso sangue che travolsero come un’onda gli eserciti. I due Dei romani si nascosero dietro i propri scudi. Atena sobbalzò e creò una sorta di barriera attorno ai suoi cavalieri, che altrimenti sarebbero stati gravemente feriti. Minerva, vedendo spazzati via i suoi eserciti, capì che non era in grado di sostenere quello scontro. In quel luogo, vi erano troppi guerrieri potenti.

“Torneremo” commentò “La vendetta sarà nostra”.

Kanon provò a seguirla ma Atena lo fermò, dicendogli che non era il caso di andare oltre. Afferrando il fratello minore per la collottola, la Dea romana si allontanò, svanendo nella luce.

Ci fu qualche istante di silenzio, in cui tutti sorrisero. Li avevano respinti! Poi, di colpo, Atena si voltò. Con sguardo furioso, fissò il fratello.

“Che c’è?” si stupì Ares.

“Sei un coglione! Adesso tutti sanno che sei qui!” sbraitò, isterica, lei.

“Lo sapevano già. E poi..hai visto? Sono stato bravo”.

La Dea afferrò il suo scettro stretto fra le mani ed iniziò a fendere l’aria, nel tentativo di colpire il fratello, che ridendo si nascose dietro al figlio.

“Scansati, Arles!” ordinò lei.

“E dove vuoi che vada?!” sbottò lui, mentre i due gli giravano attorno.

“Se ti prendo..” minacciava lei.

“È quel SE che ti frega, sorellona!”.

 

 

Un grazie, a seguito di questo capitolo, va sicuramente dato ad Antares 91, colei che ha creato i personaggi di Sarah ed Eleonore. Inoltre ringrazio Radha_wyvern per le frasi in romano. Chiedo perdono a quanti le troveranno un po’ fastidiose od eccessive.

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Capitolo 15
*** XV- lealtà ***


XV

 

LEALTÁ

 

Ares osservava il grande tempio dall’alto, sfruttando la posizione della tredicesima. Pareva annoiato. Era tutto così calmo! Sentiva solo le urla dei suoi figli, mentre si allenavano.

“Vedo che ora non hai problemi a stare in piedi” si sentì dire.

“Già” rispose il Dio.

A parlare era stato Arles, con i capelli neri scombinati in una pettinatura assurda. Il genitore sorrise, divertito.

“Bene. Potrai tornare a combattere” continuò il sacerdote.

“Sì, anche se è solo merito del marchingegno di Efesto. A volte provo a muovere le gambe senza di esso, e non ci riesco”.

“Apollo dice che è solo questione di tempo..”.

“Imparerai che Apollo dice un sacco di stronzate, ragazzo mio”.

“Come tutti gli Dei, giusto?”.

“Più o meno. Ma senti..posso farti una domanda?”.

“Dipende dalla domanda ma..ok”.

“Ti fidi dei tuoi cavalieri?”.

“I miei cavalieri? Intendi coloro che abitano il santuario e servono Atena?”.

“Chi altro?”.

“Che ne so! Voi Dei avete un cervello talmente contorto..”.

“Fidati: il più è piuttosto lineare”.

“Ah, ok. Ad ogni modo, sì. Ho assoluta fiducia in loro e nella loro lealtà”.

“Di tutti loro?”.

“Sì, perché me lo chiedi?”.

“I romani sapevano che non ero morto e che vivevo qui con Atena. Qualcuno deve averli informati. Chi? Di chi di loro avresti sospetti?”.

“Di nessuno”.

“Nemmeno di quell’Atenocentrico di Aiolos?”.

“La sua visione teocentrica della vita non la capisco, ma non è dannoso. Non metterebbe mai in pericolo il santuario”.

“Sei un sacerdote e non capisci chi mette la religione al centro della vita? Sei strano..”.

“E che vuoi farci..tu, piuttosto..ti fidi di tutti i tuoi figli e sottoposti? Non è che qualcuno di loro è sfuggito dal tuo controllo durante la convalescenza?”.

“No, impossibile. Vogliono tutti che i romani crepino in laghi di sangue, non mi tradirebbero mai”.

Padre e figlio rimasero qualche istante in silenzio, lasciando che il vento dal mare ne agitasse i capelli.

“Comunque..” riprese Arles “Ha ragione Atena! Sei stato un incosciente. Potevi non mostrarti..”.

“E tu non dovevi centrare di imbrogliare la Dea più intelligente dei romani con un’illusione, essendo sfinito e mezzo addormentato!”.

“Faccio solo il mio lavoro: difendere il santuario”.

“Ed io faccio il mio. Altra domanda: chi sa chi hai scelto come successore?”.

“Domanda non pertinente e decontestualizzata ma, ad ogni modo, lo sappiamo solo io e colui che ho scelto”.

“E basta? Nemmeno Atena?”.

“Esatto. Nemmeno lei”.

“E perché?”.

“Perché l’invidia è una forza che corrode anche gli animi più puri”.

“Ma come?! Temi che qualcuno dei tuoi irreprensibili cavalieri possa avere qualcosa da ridire?!”.

“Siamo esseri umani. E gli esseri umani sono deboli ed inclini ad azioni scellerate”.

“Anche gli Dei”.

“Già. Ma i mortali hanno una breve vita soltanto e, per le loro azioni, un solo attimo li condanna per l’eternità”.

“Come sei saggio. Atena ti ha insegnato bene”.

“Non prendermi per il culo! E poi, credi che se tu dicessi a Phobos o Deimos che, in caso di dipartita, spetta ad uno di loro prendere il tuo posto...come credi reagisca l’altro?”.

“Non potrei mai scegliere fra uno dei miei figli”.

“Esattamente come ha fatto Zeus. Ed ora non avete una guida..”.

Arles si allontanò di qualche passo. La bambina romana, di cui ancora ignorava il nome, giocava con Aphrodite fra le rovine. Il sacerdote, distratto, non si accorse dell’incredibilità velocità con cui Phobos e Deimos lo avevano raggiunto. Scattò di lato, preparandosi a subire i loro soliti colpi. Inaspettatamente, questo non avvenne. Entrambi gli stavano sorridendo.

“Che avete? Una paresi?” commentò Arles.

“Una testa divina..” cominciò Phobos, a braccia incrociate “..questo sì che è fare sul serio!”.

“Questo sì che vuol dire essere figli di Ares!” continuò Deimos.

“Che..” borbottò, perplesso, il sacerdote.

“Siamo fieri di te, fratellino! D’ora in poi ti tormenteremo un po’ di meno..” sorrise Phobos.

“Oh, bello” ghignò Arles.

“Scherzo! Ti tormenteremo allo stesso modo. Ma oggi no. Oggi piccola tregua-premio!”.

“Sì” aggiunse Deimos “Passa pure del tempo con la tua piccola oggi. La famiglia è importante”.

“Non è la mia piccola!” protestò Arles “Quella mocciosa è una bambina feticista dei capelli che mi segue dappertutto e non so perché”.

“Ha bisogno di un padre”.

“Che non sarò mai io. Ora, scusatemi, ma vorrei andare a vedere com’è la situazione nel resto del santuario. Con permesso..”.

 

“Lascia che ti aiuti” si offrì Sarah, avvicinandosi a Kanon.

“È solo un graffio” rispose lui, ma la fanciulla era testarda ed insistette.

“Gli altri stanno tutti bene?” domandò, allora, il cavaliere.

“Solo graffi e qualche contusione. Niente di grave. Solo Mur ha qualche ferita in più, ma nulla che un Lemuriano non possa affrontare” sorrise lei.

“Ma tu..chi sei?” volle sapere Kanon “Non ti ho mai vista”.

“Sto sempre alla tredicesima” rispose Sarah.

“Ah, sei la donna di mio fratello!”.

“No! Ma che dite?!”.

“No? Scusa, non volevo offenderti”.

“Nessuna offesa solo che..non sono una puttana!”.

“Non volevo dire questo”.

“Lui sta bene, ora. Quindi è più utile per me prendermi cura di altri al santuario, non trovate?”.

“Assolutamente d’accordo” sorrise Kanon.

 

Kiki rientrò alla prima casa solamente al calar della sera.

“Dove sei stato?” domandò Mur, già di nuovo al lavoro sulle armature.

“A fare un giro. Scusa se ho fatto tardi”.

“Siamo in guerra, non dovresti allontanarti dal santuario”.

“Non mi ci sono allontanato, tranquillizzati!”.

“Non voglio che ti capiti qualcosa di male, cerca di capirmi. Sei molto importante per il santuario, Kiki. Spetterà a te riparare e costruire armature quando io non ci sarò più. Sei l’unico che ha appreso le tecniche necessarie”.

“Lo so. Datti una calmata!”.

Il giovane sbadigliò. Era un po’ stanco ed i discorsi di Mur lo stancavano ancora di più.

“Dammi una mano, Kiki” continuò Mur, indicando le armature.

“Sono stanco, fratello!” protestò il ragazzo.

“E perché? Che hai fatto oggi di così stancante?”.

“Lascia stare! Mi cambio e ti aiuto” sbuffò l’apprendista.

 

All’anfiteatro, Atena ed Ares osservavano gli allenamenti. Il tempo era mite, non troppo caldo. I due si osservavano a vicenda, cercando di capire chi fra i sottoposti dell’altro potesse essere il traditore.

“Perché le tue sacerdotesse indossano delle maschere?” domandò Ares “Come puoi sapere cosa nascondano? Ingannare qualcuno è più semplice se non ti guarda in faccia!”.

“Sono le regole del santuario” rispose lei.

“Che regole stupide! E perché quella con i capelli rossi non la indossa?”.

“Lei è Marin. È sposata e quindi non ha più l’obbligo della maschera”.

“Non capisco certe cose..”.

“Non mi interessa”.

Il Dio della guerra osservava sua figlia, Mirina, che in mezzo all’arena si stava allenando ed azzuffando con Milo. Accanto a loro, Deathmask e Shaina facevano lo stesso. Ares trovava la cosa quasi divertente.

“Dov’è tuo figlio?” domandò Atena.

“Quale dei tanti?” borbottò il Dio, allungando le gambe e rilassandosi.

“Quello che dovrebbe lavorare per me”.

“E non lo fa?”.

“Non lo so. Non lo vedo molto presente”.

“Mia cara, tu pretendi troppo!”.

Atena sbuffò.

“Dobbiamo cercare di recuperare più informazioni possibili sui nemici. Come facciamo?” riprese lui.

“Non lo so. Tu che cosa proponi?”.

“Bella, sei tu quella che fa le strategie!”.

“E tu poi le mandi all’aria, comparendo in battaglia del tutto a casaccio!”.

“Dannata femmina, per te tutto quello che faccio è sbagliato?!”.

“Sì, è così!”.

Ares ringhiò. Atena fece lo stesso. Entrambi scattarono in piedi ed iniziarono ad insultarsi e menare le mani, con spintoni e calci.

“Signora!” si allarmò Aiolos.

“Saory saaaaaaaaan” gridò Seiya.

“E chiudete la bocca!” li interruppe Arles, comparendo all’arena “Non fanno sul serio. Non vedete che si prendono solo in giro? Sono divinità della guerra, se combattessero per davvero ve ne accorgereste. Stanno giocando”.

Atena si accigliò, sentendosi offesa. Fece per aprir bocca e ribattere, ma Deathmask interruppe il litigio, facendo un passo avanti.

“Io ho un’idea” parlò il Cancro “Per spiare i nostri nemici romani”.

“Parla” annuì Ares, continuando a punzecchiare Atena con un dito.

“I romani sono circondati da italiani, loro servi. Io sono italiano, potrei infiltrarmi”.

“Non ti hanno visto alla battaglia?”.

“No. Io e la mia donna eravamo impegnati..in altre attività” ghignò Deathmask “Ma comunque mi offro volontario. Quando poi avrò abbastanza informazioni, tornerò qui”.

“Anche la tua donna è italiana?” volle sapere il Dio.

“Shaina? Sì, esatto”.

“Allora potreste andare insieme. È una missione rischiosa e vorrei che almeno uno dei due tornasse qui a riferire”.

“Un momento!” interruppe Arles “Questa missione è suicida! Non manderai i miei cavalieri a morire così a caso!”.

“I tuoi cavalieri?” si indispettì Atena.

“Perdonatemi, ma..”.

“Non prenderti troppe libertà. Dei Saint dispongo a mio piacimento, chiaro?”.

“Mandandoli a morire?!”.

“Quante volte lo hai fatto tu?!”.

Arles si zittì. Girò la testa leggermente. La Dea aveva ragione. Però..

“Non ti preoccupare, vecchio!” rise Deathmask “Starò attento! E poi..Shaina veglierà su di me!”.

“Io..”.

“E poi..dubiti delle mie capacità, per caso?! Per chi mi hai preso?!”.

“Non dubito di te. Ma saperti circondato da Dei nemici, che so quanto possano essere forti e..”.

“Smettila, sacerdote! Fidati di me”.

Il Cancro sorrideva. Sbruffone come sempre, Deathmask non voleva sentirsi secondo a nessuno.

“Allora è deciso” esclamò Atena “Tu e Shaina partirete quanto prima, e non fermatevi per strada a fare sconcezze, chiaro?”.

“Chiarissimo, signora!” sorrise ancora, divertito, il cavaliere della quarta casa.

“Ti fidi davvero di questo qui?” domandò Ares, rivolto alla Dea.

“Ma sì, che male vuoi che faccia? Al massimo appende qualche testa nuova in casa. Basta che non me le porti alla tredicesima come fa questo delinquente!” sibilò lei, indicando Arles.

“Povero piccolino” ridacchiò Ares “Voleva solo fare un regalo. Come fanno i mici quando ti portano gli animaletti morti davanti alla porta”.

Arles rimase qualche istante in silenzio. Si accigliò.

“Un micio?”sibilò.

“Ma sì, non prenderla come un’offesa!” sorrise Ares.

“Non mi offendo, per carità. Solo che..pensavo si dovesse essere gentili con i vecchi”.

“I vecchi?!”.

“Sì. I poveri vecchi che hanno problemi motori vanno aiutati, no? Poveretto..vecchio, storpio ed accoppiato a forza con una Dea vergine con la passera cucita. Dev’essere dura..”.

“Esageri, mortale!”.

“..così ho pensato: "portiamo un regalo al nonnetto millenario, così che abbia qualcosa con cui giocare e farsi fare un bocchino" e ti ho dato quella testa”.

Ares, accecato dalla rabbia, scattò di lato, nel tentativo di afferrare il figlio, qualche scalino più in su nell’anfiteatro. Purtroppo per lui, il marchingegno progettato da Efesto non era fatto per simili movimenti e non lo resse. Cadde in avanti, in malo modo.

“Patetico Dio” lo derise Arles, serio “Non è ostentando la tua superiorità che puoi far sì che io creda in te. Io non ho alcun motivo per venerarti, rispettarti o riverirti. Non ho motivo alcuno di venerare, rispettare o riverire gli Dèi”.

“Bada a come parli!” lo ammonì Atena.

“Altrimenti? Mi uccidi? Già visto, già fatto. Ci mandate a morire come fossimo mostriciattoli inutili e poi pretendete amore e fede. Non avrete nessuna delle due cose da me. Forse un tempo..forse..

Ma ora non più! E adesso, se non vi dispiace, ho un santuario da amministrare. Voialtri restate pure lì a giocare”.

Il sacerdote si allontanò, nonostante le proteste di Atena. La Dea, sentendosi un pochino inutile, si avvicinò al fratello ,preoccupata.

“Stai bene?” gli domandò.

Ares, dopo l’incontro ravvicinato fra la sua faccia e lo scalino dell’anfiteatro, mugugnò. Atena gli andò accanto e cercò di capire se fosse tutto apposto. Il Dio sedette, massaggiandosi la botta.

“Ti faccio portare del ghiaccio?” insistette la Dea.

“Ma no, che vuoi che sia!” la zittì lui “Piuttosto..devo rimettere in riga quel mortale. Anche se è mio figlio, non posso permettere che mi si parli così!”.

“Siamo tutti un po’ stressati. Credo che per ora dovresti lasciar correre”.

“Lasciar correre? Non se ne parla! Lascia che mi alzi da qui e..”.

“E non farai niente!” si intromise Phobos, con Deimos al suo fianco.

“Che..?!” si stupì Ares.

“Non farai niente. Lo hai messo alla prova fin dal primo istante. Sai che è un mortale e che è più delicato di noialtri Dei, eppure lo hai sottoposto a trattamenti non consoni alla sua natura. Ciò nonostante lui si è rivelato sempre all’altezza. Ha sconfitto il drago, ha conquistato l’armatura, ha volato, ha imbrogliato un esercito con le sue illusioni e ti ha portato la testa di una Dea. Che altro pretendi? Ha fatto tutto questo e tu lo hai deriso definendolo un micio che fa i regali. So che è un aspetto del carattere di famiglia fare così, ma stavolta non puoi dare la colpa a quello perché noi, Phobos e Deimos, riconosciamo il gesto di Arles e comprendiamo la sua rabbia ed il suo sfogo. Fossi stato in lui, io ti avrei smontato la faccia a pugni. Perciò non alzerai un dito contro Arles per punirlo, perché altrimenti te la vedrai con noi. E sai bene che, così come sei messo, non hai grandi speranze”.

“Phobos..Deimos..voi..”.

“Noi siamo pronti”.

“Dov’è la vostra lealtà? Mi affrontereste per difendere un mortale?!”.

“No. Ti affronteremmo per difendere nostro fratello”.

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Capitolo 16
*** XVI- sospetto ***


XVI

 

SOSPETTO

 

“E così..” commentò Ares, a gambe incrociate e con aria annoiata “..è nato”.

“Già” confermò Persefone, sorseggiando il tè offerto da Atena.

“Quanta allegria, zia!” ridacchiò il Dio.

La sposa di Hades non rispose. Fulminò con lo sguardo il nipote e continuò a bere.

“Allora è un maschietto?” domandò la padrona di casa, raggiante.

“Sì. Abbastanza carino” borbottò Persefone “Gli occhi scuri del papà, i capelli biondo cenere della mamma. Niente di che..”.

“Ma è un evento straordinario!” continuò Atena “Mai fino ad ora Hades aveva avuto eredi!”.

“Rilassati, mia cara” continuò la compagnia del Dio dell’oltretomba.

Alle sue spalle, l’ospite si era fatta scortare da Hypnos e Thanatos, che parevano annoiati tanto quanto lei.

“Vorrei tanto vederlo” mormorò la Dea della saggezza, con gli occhi che brillavano.

“E che problema c’è? La strada la conosci” le rispose Persefone.

“Lo so. Ma non posso andarci da sola ed i miei cavalieri sono un po’ titubanti. Sono tutti così sospettosi nei confronti di Hades ed i suoi sottoposti!”.

“Portati il gran sacerdote. Non mi pareva avesse problemi”.

“Non posso! Sai..lui ed Eleonore..”.

“Ah già, dimenticavo! Ma pure lui..è un mortale! Dovrebbe smetterla di pensarci, che la sua vita è breve e inutile!”.

“Che vuoi farci..”.

“Ma poi..Ares! Tuo figlio Eros non può far niente a riguardo?”.

“Guarda che mio figlio non spara a comando!” storse il naso Ares “E poi..lasciate in pace Arles, che ha già casini di suo, senza che interferiate voialtre pettegole!”.

“Ma quanto sei permaloso! Tranquillo, non te lo tocco il tuo pulcino” sorrise Persefone “Comunque Atena, tornando a noi, se lo desideri posso accompagnarti io. Sono certa che i neogenitori saranno felici di vederti”.

“Perché no? Siamo alleate, non dovrebbero esserci problemi”.

“Poi ti riaccompagno qui, così faccio un giro. Gli inferi un po’ mi stancano”.

“Ma adesso è primavera. Non dovresti stare alla luce del sole?”.

“Dovrei ma non ho un vero posto dove stare, quindi vado un po’ qua ed un po’ là”.

“Capisco..”.

Ares scosse la testa. Non capiva tutta questa agitazione! Era solo un moccioso in più. Anche se figlio divino, non era sta gran cosa!

“Fratello, vieni anche tu?” domandò Atena, interrompendo i pensieri del Dio.

“No, grazie. I marmocchi non fanno per me. Urlano, sbavano, puzzano..”.

“Anche tu urli, sbavi e puzzi! Però non te lo facciamo pesare!” sbottò la padrona di casa.

“Preferisco restare qui. Ho dei guerrieri da addestrare, io! Altro che cazzate”.

“Ma se stai tutto il giorno a poltrire e grattarti il pacco!”.

“E tu perché stai a guardare?”.

“Che cosa stai insinuando?”.

“Niente. Pure io ti guardo le tette..”.

Atena colpì il Dio con una poderosa sberla.

“..e il culo” aggiunse Ares, con un mezzo ghigno.

La Dea lo colpì di nuovo, questa volta con il bastone.

“Maniaco!”.

 

Deathmask sorrise, mentre Shaina gli passava rapidamente accanto con una brocca di vino fra le mani. Stava riempiendo le coppe di varie divinità romane, fingendosi una serva. Un paio di loro allungarono un po’ troppo le mani. Lei si voltò verso il compagno, cercando aiuto, ma lui non si mosse. Il Cancro, travestito da una delle guardie dell’Olimpo, trovava la scena divertente.

“Anvedi che pezzo de gnocca! Nun sei de Roma” commentò Marte, palpando per bene il sedere a Shaina “Un culo come er tuo nun se po scordà!”.

“No, vengo da fuori”si stizzì Shaina.

C’hai ‘n culo che parla da solo. M’attizzi una cifra. Che stai aspettà, che te se fa lo spirito santo? Viè co mme che te faccio diventà na Dea!”.

“Non sono libera!”.

“Da ndo arivi, gran pezzo de fregna?”.

“Io ed il mio compagno veniamo dalla Sicilia”.

“Me stai a cojonà!”.

“No. Io e la guardia che mi fissa veniamo proprio da là”.

“Davero? Allora aspetta che te faccio conosce u' amico! Vulca', questi so delle parti tua!”.

Marte, indicando Shaina e Deathmask, che nel frattempo si era avvicinato, richiamò l’attenzione di Vulcano, Dio fabbro ed un po’ ebbro.

“Senti mpo? Dunne viniti (da dove venite)?” si stupì Vulcano, avvicinandosi e sfoggiando il suo siciliano.

“Dalle parti dell’Etna” rispose Shaina.

“Veru è ?! Minchia, ma è dunne abbito eo! Baciamo la mano!” sorrise il Dio fabbro, abbracciando entrambi i greci.

“Visto?” si compiacque Marte “So sì er Dio d'a guera, ma faccio anche nasce l' amicizie!”

 

Milo stava per terminare il suo solito giro di ronda. Era piuttosto rilassato, anche perché quasi nessuno aveva il coraggio di attaccare un cavaliere d’oro. Solitamente i nemici fuggivano appena vedevano lo scintillio dell’armatura. Lo Scorpione lo sapeva bene e camminava, tronfio e fiero, fermandosi ad annusare l’aria densa di profumo di fiori. La primavera!

“Vieni fuori!” sbottò, senza girarsi “Ti percepisco! Chiunque tu sia, vedi di farti vedere. Non puoi sfuggire ai sensi di Milo dello Scorpione!”.

Non ottenne risposta e la cosa lo irritò.

“È buona educazione..” continuò il cavaliere “..presentarsi e non spiare la gente. Sei stato scoperto e, se non vuoi una Scarlet Needle nel culo, ti consiglio di smetterla di nasconderti!”.

Lo Scorpione ora era decisamente infastidito e mantenne quanto detto: lanciò il suo colpo. Qualcosa si mosse rapidamente, infrangendo uno strano alone ed apparendo.

“Ti eri celato dietro ad una barriera, eh?” domandò lo Scorpione “Ma io, Milo, ti ho sgamato subito. Chi sei? Togli quel cappuccio e parla. Non li sopporto i silenziosi!”.

“Che tanto che parli!” si sentì rispondere.

L’intruso tolse il mantello, mostrandosi. Era un giovane, con indosso un’armatura che pareva troppo grande ed ingombrante per lui.

“Sei solo un moccioso! Ma il tuo potere è notevole..chi sei in realtà?” si insospettì Milo.

“Mercurio è il mio nome, mortale logorroico. E sei pregato di farti da parte”.

“Farmi da parte?! Ma tu sai chi hai davanti? Io sono Milo dello Scorpione e non mi faccio da parte dinnanzi a nessuno!”.

“Come preferisci. Vorrà dire che ti farò spostare con la forza”.

“Voglio proprio vedere come credi di fare..”.

Il Dio sorrise, quasi divertito. Si librò in aria e puntò il caduceo contro Milo, pronto a combattere. Lo Scorpione, per nulla turbato dal fatto che il suo avversario volasse, ghignò e preparò la sua unghia.

 

 “Non sei andato con Atena?” si stupì Arles, nel vedere il padre a zonzo per la tredicesima.

“E perché avrei dovuto?” ribatté il genitore.

“Non so. Galanteria?”.

“Mi prendi in giro?”.

“No. Era per dire..”.

Il Dio si avvicinò al sacerdote e questi lo fissò, un po’ confuso.

“Che hai fatto alla faccia?” domandò, notando un segno pesante e bluastro in mezzo ad essa.

“Niente. Atena mi ha bastonato”.

“Oh..”.

Arles non aggiunse altro, non volendo entrare nei dettagli. Il Dio sogghignò.

“Vieni a fare un po’ di allenamento con me?” propose il genitore “Ti farebbe bene”.

“Lo so. Ne avrei bisogno. Ma ho prima delle scartoffie da sistemare”.

“Posso, prima, farti una domanda?”.

“Sei proprio un impiccione! Che vuoi adesso, vecchio pettegolo?”.

“Niente di che. Volevo solo sapere se certe voci erano vere”.

“Quali voci?”.

“Atena ti piace?”.

“Piace in che senso?”.

“Quanti sensi esistono?!”.

“Dipende dai casi, variano dai cinque agli otto, che io sappia. Comunque, chi mette in giro certe voci?!”.

“Si dice che in realtà non sia vergine, perché te la sei scopata tu”.

“Cosa?! Senti..anche se lei ora ha il suo vero corpo ed ha 3000 anni, più o meno, non lo so con esattezza, per me sarà sempre e comunque la bambina a cui cambiavo il pannolino e davo il latte. Questo prima di cercare di ucciderla..”.

“Avevi quindi anni. Era comprensivo che volessi liberartene”.

“Se poi lei non è vergine perché cavalca in giro, non te lo so dire..”.

“Ma tu la ami?”.

“La amo come si ama una Dea. E nemmeno tanto, sinceramente. La trovo alquanto fastidiosa, a volte. E mi da sui nervi”.

“Capisco..”.

“Ma che idea rivoltante!” quasi gridò Arles, dopo qualche istante di silenzio “Io che vado a letto con..QUELLA?!? Ma piuttosto me lo taglio alla base e mi faccio chiamare Arlesina!”.

“Rilassati”.

“Dimmi chi è che dice ste cose, che lo faccio esplodere!”.

“Calmati! Sei buffo..”.

“Io non sono buffo! E non mi scopo le ragazzine”.

“Non è una ragazzina. È la Dea del mito..è più vecchia di Atene!”.

“Può anche essere più vecchia dell’intero cosmo. La vedrò sempre come una ragazzina..”.

“Peccato. Io una ripassata gliela darei..”.

“Accomodati!”.

“Certo. Come se fosse semplice! Però, lo devi ammettere, è una bella donna”.

“È un’irritante fastidio. Un brusio continuo che non fa che ricordarmi che la devo servire”.

“È il destino di voi mortali..”.

“Già. Bella schifezza..”.

“Andiamo ad allenarci. Meglio, no? Così non ci pensi. Né a lei né ad..altro..che immagino abbia già saputo..”.

“La presenza di Persefone qui mi ha fatto capire. È maschio o femmina?”.

“Eleonore ed Hades hanno avuto un maschietto”.

“Lei voleva tanto una bambina..”.

Lo sguardo del sacerdote si era fatto malinconico. Sospirò, sfoggiando un sorriso di circostanza, di una falsità percepibile.

“Non ci pensare” lo ammonì Ares.

“Lo so. Non dovrei. Sono così fottutamente debole nell’animo! Mi basta una frase, un profumo, una musica..e torna il ricordo. Mi tormenta e non mi fa concentrare”.

“C’è sempre la freccia nera di Eros..”.

“Forse dovrei. Mi sento così stupido..”.

“Arles..tuo fratello è la divinità più potente che esista. Riflettici. Cosa muove il mondo? L’odio e l’amore. E lui governa questi due aspetti. Perciò non devi sentirti sminuito o debole, perché ci siamo caduti tutti, prima o dopo”.

“Perché mi consoli?”.

“Perché ricordo tutte le cazzate che ho fatto in vita mia, accecato dall’amore o dall’odio. È da stupidi, ma purtroppo le sue frecce ti incasinano il cervello. C’è solo una forza più potente di lui ed è il Fato, che tutti temono. Tutti, compreso Zeus, hanno paura del Fato. Per fortuna è un Dio che si mostra poco. Se dovesse scegliere di combattere contro chiunque di noi..”.

“Però potrebbe combattere dalla nostra parte!”.

“Il Fato non può essere di parte. Scoprirai solo alla fine per quale delle due fazioni patteggia”.

“Stronzo”.

“Già..”.

 

Milo sparava le sue Needle a raffica, cercando di colpire lo svolazzante Mercurio. Ormai era sceso il tramonto ma il cavaliere, volendo affrontare il suo avversario da solo, non aveva lanciato l’allarme.

“Vedi di scendere, piccione!” ringhiò lo Scorpione “Ed affronta il guardiano dell’ottava casa! Colui che hai dinnanzi! Il possente cavaliere dall’unghia velenifera che, con le sue punture, può paralizzare i tuoi sensi e portarti alla morte dopo lunga agonia ed atroce dolore! Io..”.

“Tu cianci troppo! DOMINUM VERBUM!”.

Dal bastone del Dio, una luce aranciata si espanse ed avvolse Milo, che non riuscì più a parlare.

“Smettila di tentare di proferir parola!” lo schernì Mercurio “Ora non potrai fare altro che stare zitto. Lentamente, questo mio colpo brucerà l’aria dai tuoi polmoni e morirai boccheggiando come un insulso pesce rosso”.

Il Dio rise, aspettandosi una reazione di disperazione o paura da parte dello Scorpione, che però non mostrò nessuna delle due sensazioni. Il cavaliere strinse i pugni e, con un ringhio, ricominciò a sferrare attacchi a ripetizione. Alcuni andarono a segno e Mercurio gridò, infastidito. Milo ghignò. Sapeva che il veleno delle sue punture provocava un forte dolore. Il cavaliere continuò ad attaccare, nonostante la sensazione sempre più forte d’affanno che provava. Cominciava a mancargli l’aria ma di certo questo non lo avrebbe fermato!

“Muori!” pensò, e lanciò l’Antares.

 

Alla prima casa, Mur, ormai ripresosi del tutto dallo scontro con Marte e Minerva, si guardava attorno spazientito. Era un cavaliere molto calmo, solitamente, ma in quel momento non lo era per niente. Cercava Kiki già da un sacco di tempo, senza risultato. Il ragazzo riapparve solo la sera, verso il tramonto. Mur lo guardò con rimproverò, aspettandosi delle spiegazioni.

“Dove sei stato?” parlò poi, dato che il fratellino non apriva bocca.

“A fare delle cose” rispose, con fastidio, il giovane.

“Quali cose? E dove?”.

“Non devo dirti sempre tutto, sai?”.

“Ma..che ti sta succedendo? Sono preoccupato. Un tempo eri pieno di entusiasmo e di voglia di aiutare. Adesso, invece, devo fare tutto da solo e sei sempre in giro!”.

“Scusami. Lo so, lo ammetto. È che ci sono delle cose che non posso dirti”.

“E perché? Sono il tuo fratello maggiore! Ti ho cresciuto io, non mi hai mai nascosto niente!”.

“A questo proposito..non ti ho mai chiesto una cosa. Posso?”.

“Riguarda i nostri genitori?”.

“Anche..”.

Mur attese qualche istante. Non era un argomento che amava affrontare. Poi annuì, dando il permesso a Kiki di parlare.

“Tu parli sempre di Shion..” iniziò il giovane “..ma mai di nostra madre. Tu devi averla conosciuta, perché io sono nato molti anni dopo di te”.

“Certo. Cosa vuoi sapere?”.

“Però dici anche che eri fin da piccolo a fianco di Shion. Quindi?”.

“Shion è sempre stato il mio maestro, fin da quando ero un bambino di pochi anni. Mi teneva con sé, al tempio, per insegnarmi a riparare le armature”.

“Quindi ti ha tenuto lontano dalla tua vera famiglia. Quando mamma è morta, non ti sei arrabbiato con lui?”.

“Quando mamma è morta, Shion era stato ucciso da anni”.

“Ma nemmeno un po’ di rancore? Non hai avuto un’infanzia!”.

“Nemmeno tu. Sei sempre stato al grande tempio o nello Jamir ad aiutarmi. Questo ti fa arrabbiare?”.

“Un po’. Specie perché alla fine l’armatura è la tua, non l’avrò mai io”.

“Potrei morire, Kiki. Ed in quel caso..”.

“Non potrei mai augurarmi una cosa del genere! Solo che, capiscimi..non potendo avere un’armatura d’oro, posso anche prendere con più leggerezza gli allenamenti”.

“E se mi dovesse accadere qualcosa? Poi..è questo il problema? Hai quasi diciotto anni e ancora non hai un’armatura, dopo una vita di allenamenti?”.

“No..”.

“Sono preoccupato. C’è chi viene qui a parlarmi di te, sospettoso perché teme che tu stia tramando chissà che cosa”.

“Io?!”.

“Mi sono giunte voci a riguardo, sì!”.

“Siete tutti pazzi, ecco cosa siete. Un gruppo di vecchi pazzi”.

“Bada a come parli..”.

“Altrimenti che fai? Mi sculacci? Lo dici al gran sacerdote? E poi..chi è che pensa che io sia un traditore? Dimmelo, così che possa rispondere a tono a certa gente!”.

“Non sfidare persone di gran lunga più forti di te e torna ai tuoi doveri. Fila ad allenarti!”.

 

Con un gemito, lo scorpione cadde in terra. Gli mancava il respiro ed la vista gli si appannava. Ma l’orgoglio gli imponeva di mantenere il controllo e non richiedere l’aiuto di nessuno. Con sua somma soddisfazione, Mercurio sanguinava in più punti, anche se non accennava a voler smettere di svolazzare in aria. Poi un vento improvviso colpì il Dio, che fu colto alla sprovvista e cadde in terra, sibilando una bestemmia.

“Cosa è stato?” si chiese Milo e sorrise dopo qualche secondo: nel cielo era apparso qualche fiocco di neve.

“Tutto bene, Milo?” si sentì domandare e lo Scorpione annuì: non era mai stato così felice di vedere Camus in vita sua!

“Come hai osato?” sibilò Mercurio “Sai chi sono io?”.

“Certo che so chi sei” rispose Camus “Sei Mercurio, l’equivalente del nostro Hermes”.

“Io sono migliore di lui!”.

“Sei la sua copia, con un nome più stupido!”.

“E tu chi saresti?”.

“Il mio nome è Camus. Chi altro io sia, e cosa io faccia, non ti cambia la vita saperlo”.

Il Dio si apprestò a colpire di nuovo.

“ALCHEMICAL REACTION!” gridò.

I due cavalieri d’Atena videro reagire l’aria attorno a Mercurio, che mutò, prendendo fuoco.

“Per la grande madre Russia!” si lasciò sfuggire Camus, spingendo via Milo.

L’Acquario lanciò una rapida occhiata al collega. Era strano non sentirlo cianciare continuamente e, dopo una frase come la sua, si aspettava qualche commento. Notò che lo Scorpione era lievemente cianotico e decisamente poco reattivo.

“Che gli hai fatto?” domandò Camus a Mercurio.

“Ciò che ho fatto, non ti cambia la vita saperlo” ghignò il Dio.

L’Acquario alzò un sopracciglio. Era un uomo estremamente calmo, ma in grado di esplodere all’istante, se qualcuno osava prenderlo in giro.

“Aurora Execution!” attaccò il cavaliere.

Il Dio rise e fece un piccolo balzo, con l’intento di volare via, ma gemette per il dolore e fu colpito in pieno.

“Hai sottovalutato il veleno dello Scorpione” lo sfotté Camus “Ti paralizzerà ogni nervo, sempre se il mio amico Milo non ti aiuta..”.

“Aiutarmi? Non ho bisogno del suo aiuto!”.

Mercurio tentò di rialzarsi ma, fra il colpo di Camus e le cuspidi di Milo, era in preda al dolore e non ci riuscì.

“Dimmi cosa hai fatto al cavaliere dell’ottava casa e come posso aiutarlo” ordinò l’Acquario “Io, in cambio, ti prometto che ti verrà tolto il veleno”.

“Io non posso morire per un veleno simile..”.

“Ma puoi soffrire per giorni e giorni. È questo che vuoi?”.

Mercurio rifletté qualche istante e poi si arrese. Spiegò a Camus quanto accaduto e subito il cavaliere si avvicinò a Milo, per aiutarlo. Con il gelo che governava, il saint dell’undicesima casa placò il calore che bruciava i polmoni dello Scorpione. Subito il cavaliere parve star meglio.

“Pezzo di merda!” furono le sue prime parole, rivolto a Mercurio.

“Calmati!” lo rabbonì Camus “Un patto è un patto. Ora gli toglierai il veleno delle tue cuspidi”.

“Devo proprio?”.

“Sì, devi!”.

Milo si avvicinò controvoglia. Allungò un dito verso il nemico ma un grido agghiacciate si udì nell’aria e Mercurio cadde di lato, con la testa che lentamente ne abbandonava il corpo.

“Milo! Che hai fatto?” esclamò l’Acquario.

“Non sono stato io! Te lo giuro!”.

“Nessuno fa male al mio scorpionotto e resta impunito!” parlò una voce di donna, apparendo con indosso l’armatura.

“Mirina!” la riconobbe Milo “L’hai ucciso tu?”.

“Io e mia cognata” rispose lei, indicando dietro di sé “Niente di che. Era già ferito ed inerme. Voi, piuttosto, siete dei mollaccioni. Il colpo di grazia va sempre dato a certa gente!”.

“Cognata?”.

“La chiamo così. Colei che prima ha gridato. Si chiama Enyo e  la sua fama la precede. È l’amichetta di Phobos e Deimos, anche se c’è chi dice che in realtà sia nostra sorella. Non lo so, non si capisce. Sta di fatto che in battaglia, se c’è lei, tutti tremano”.

“Vero..” annuì Camus, intravedendo fra le rovine una figura di donna e conoscendo bene come, fin dal tempo del mito,  Enyo fosse sempre stata assetata di sangue.

 

Atena stringeva fra le braccia il piccolo di Hades ed Eleonore. Con un grande sorriso, la Dea lo guardava con gli occhi che brillavano.

“È bellissimo, zio” disse “Congratulazioni”.

“Grazie, Atena” rispose il Dio “Siamo felici che tu sia passata a trovarci”.

“Non potevo non vedere il tanto sospirato figlio di Hades!”.

“E tu?” commentò Eleonore “Mai pensato di averne uno?”.

“Io? Io sono la Dea vergine!”.

“Anche io ero una vergine a servizio di Artemide. Le idee si cambiano”.

“Sì ma..io non..cambiamo argomento!”.

“Già, forse e meglio!” rise Eleonore.

Il neonato lanciò un piccolo vagito di protesta, perché preferiva dormire tranquillo. Atena capì e lo rimise nella culla. Molti altri Dei si erano riuniti nel regno di Hades, per rendere omaggio al nuovo arrivato. La Dea Era, accanto al neopapà, pareva piuttosto seria. Si mosse, mormorando qualcosa alle orecchie di Hades, ed il Dio parlò: “Atena..dato che sei qui..c’è una cosa di cui noi avremmo discusso, e di cui vorremo parlarti”.

 

“Cosa è successo?” esclamò il sacerdote, vedendo entrare alla tredicesima Camus, con fra le braccia un fagotto ingombrante.

“Ci stava spiando. È stato eliminato” si limitò a dire l’Acquario, mostrando il corpo di Mercurio.

“Spiando? A tal punto..”.

“Mentre voi perdevate tempo a parlare di femmine e stronzate, noi lo abbiamo abbattuto” si esaltò Milo.

“Phobos! Deimos!” chiamò Ares, che era in piedi accanto al trono del figlio “Fate immediatamente un giro di ricognizione. Scovate altri possibili intrusi romani. Poi..”.

Il Dio si fermò, notando lo sguardo minaccioso di Arles.

“Non volevo rubarti il lavoro” si affrettò a dire.

“Vorrei ben dire”borbottò Arles, poi rivolgendosi ai suoi compagni “Avete fatto un ottimo lavoro. Ora andate pure a riposarvi, ne avete bisogno. Prenderò provvedimenti affinché le ronde vengano rafforzate e riorganizzate. D’ora in poi, non lascerò un singolo cavaliere, anche se d’oro, a svolgere tale attività. Sarete sempre in due, in modo da affrontare meglio un’eventuale emergenza”.

“Grazie, Signore. Va bene, Signore” annuì Camus.

“Ora andate”.

Acquario e Scorpione si congedarono, lasciando il corpo del Dio alla tredicesima.

“Sono dei valorosi guerrieri” commentò Ares “Ma non hanno fatto tutto da soli”.

“Che intendi?”.

“Riconosco il tocco delle mie bambine”.

“Se le tue figlie sono peggio di cagne sciolte, non ne ho colpa”.

“Non sono cagne! Sono lupe. Fiere e feroci lupe. Così come voi, miei figli maschi, siete dei draghi”.

“Un branco di bestie, insomma..”.

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Capitolo 17
*** XVII- armonia e discordia ***


XVII

 

ARMONIA E DISCORDIA

 

Volando, non voleva pensarci. Si spinse più in alto, piroettando e per qualche istante perdendo il controllo. Non reagì subito, lasciandosi cadere per alcuni metri.

“Arles!” gridò qualcuno.

“Che..?” si riprese, volando di nuovo.

“Arles..” ripeté la stessa voce.

“Cosa c’è?” ribatté il sacerdote, guardando giù.

Suo padre Ares pareva allarmato, e piuttosto incazzato. Il sacerdote sospirò, ruotando gli occhi al cielo. Com’era paranoico quel Dio!

“Smettila di fare il bambino!” gridò ancora Ares “Comportati da uomo e scendi!”.

Arles non aveva alcuna intenzione di scendere, ma sapeva di doverlo fare. Però più tardi, un pochino più tardi..

 

Il bambino di Eleonore ed Hades cresceva in fretta. Atena lo guardò con un sorriso. I genitori del piccolo, assieme a Persefone, era giunti in visita al tempio di Atene, per discutere di qualcosa che pareva molto importante. Il bambino però non era interessato e si agitava, fra le braccia della madre, lanciando versetti continui.

“Hypnos..” mugugnò il Dio, rivolto al Dio che stava alle sue spalle “..ti dispiace?”.

Il Dio del sonno, quasi divertito, sfiorò il bimbo che si addormentò all’istante.

“Ora che è tranquillo..” sorrise Eleonore “..posso chiedere il permesso di visitare questo bel tempio, mentre voi discutete di questioni divine?”.

“Ma certo!” annuì Atena “Ti faccio accompagnare da un’ancella. Il piccolo puoi lasciarlo pure nella culla che un tempo mi ha accolta”.

Sulla soglia della dimora divina, apparve Sarah, stupita nel vedere la sorella, che non la riconosceva. Eleonore le sorrise, lasciandosi accompagnare per il tempio. Dietro le due, il Dio del regno dei morti ordinò che ci fosse Thanatos, che sbadigliava dal tedio.

“Atena..” parlò Hades, ora che Eleonore si era allontanata “..siamo qui per comunicare che ci uniamo alla guerra. Fin ora abbiamo mantenuto una certa neutralità ma, di recente, abbiamo scovato delle spie romane fin sui nostri confini”.

“Fin nell’oltretomba?!” si stupì Atena.

“Sì, ed io mi preoccupo per le mie mogli e per il mio preziosissimo figlio”.

“Capisco perfettamente. Gli intrusi li hai eliminati?”.

“Ovvio. I miei tre giudici li hanno disintegrati”.

“E li hai lasciati di guardia al tuo regno, ora?”.

“Mi sembra più che logico. Ma non ti preoccupare: in caso di emergenza, compariranno in un lampo. Vista la tua attuale posizione, ritenevo corretto informarti”.

“Mi fa davvero piacere sapere che pure voi parteciperete a questa pesante guerra. Anche se per scopi strettamente personali, e non per il bene comune”.

“Del bene comune, non mi è mai importato!”.

 

“Oh, Thanatos! Che posto meraviglioso!” esclamò Eleonore, ammirando la statua di Atena “Non ti viene voglia di suonare qualcosa con la cetra?”.

“Sinceramente? No. Ma se lo desiderate..”.

“Sì, ti prego! Suona qualcosa di bello”.

Era incredibile come il Dio della Morte riuscisse a creare una melodia così bella!

“Ho voglia di ballare! Non potrei essere più felice!” ammise lei, improvvisando qualche passo.

La sorella la osservò, divertita. Era bello vederla sorridere.

“Balla con me!” propose Eleonore, prendendo per mano Sarah.

La giovane provò a protestare ma con scarso successo.

“Sono un po’ imbranata” ammise la sposa di Hades.

“Segui me” suggerì Sarah “Fa come faccio io”.

Le due sorelle iniziarono a danzare. Eleonore rise. Poi si fermò.

“Questa danza la conosco” ammise “Ma non ricordo..dove l’ho già ballata”.

“Non ha importanza, dai!” le sorrise Sarah “Continuiamo il giro?”.

“No, aspetta. Vorrei ricordare..”.

Eleonore chiuse gli occhi, continuando a ballare da sola. Di scatto, li riaprì e fissò Sarah.

“Sorella?” domandò.

Eleonore sembrava confusa. Si guardò attorno.

“Tranquilla, Eleonore!” cercò di parlarle Sarah.

“Ma tu..tu sei mia sorella!”.

“Sì. Sono io. Ti ricordi di me?”.

“Ma certo! Come ho fatto a dimenticare?”.

“Storia lunga. E piuttosto complicata”.

Le due donne si abbracciarono.

“Ballavamo sempre così da piccole” continuò Eleonore, senza sciogliersi da quell’abbraccio.

“Sì, è vero” confermò Sarah.

“Ma..questo è il tempio di Atena?”.

“Sì”.

La sposa di Hades guardò sua sorella qualche istante in silenzio. Poi ebbe un sussulto ed iniziò a correre. Sarah non capì. La vide correre via e la inseguì, dopo qualche istante. Eleonore scostò le tende ed entrò alla tredicesima. Si guardò attorno e poi intravide una figura, girata di spalle, che stava camminando lentamente verso l’uscita che conduceva alle altre case dello zodiaco. La fanciulla corse e la raggiunse, abbracciandola alle spalle.

“Saga..” mormorò Eleonore.

Il sacerdote si irrigidì, non aspettandosi una cosa del genere. Sarah raggiunse la sala e si nascose. Thanatos, con tutta la calma, seguì la sua signora e si fermò accanto al trono, senza farsi notare dalle due figure di spalle.

“Saga! Ti prego, voltati” continuò la sposa di Hades “Girati ed abbracciami forte”.

“Non posso” rispose lui.

“Perché?”.

“Perché se io mi girassi..so che non ti lascerei più andare, e tu non sei più mia. Tu sei la donna di Hades. Io..”.

“Sono tua moglie!”.

“Non più. Ti prego, lasciami..”.

Eleonore non voleva. Continuava a stringere il suo cavaliere, affondando il viso fra i capelli di lui. Piangeva, d’un tratto ricordando.

“Non piangere, Eleonore! Sei felice. Hai avuto anche un bambino”.

“Ma come ho potuto? Come ho potuto dimenticare? Mi dispiace tanto!”.

“Non è stata colpa tua..”.

“Ma io..”.

“Thanatos! So che sei lì. Riporta al giusto posto la tua signora”.

Il Dio della morte si avvicinò ed Eleonore si strinse più forte a Saga.

“Lasciami” mormorò lui “Non capisci? Sei tornata in vita perché Hades ti ama e ti desidera. Più volte mi ha detto che se ci vedesse assieme..la tua vita avrebbe fine. Non potrei mai permetterlo, perciò va via. Torna dal tuo bambino, che ha bisogno di te”.

“Come faccio? Dimmi, amor mio, come faccio?”.

“Lo devi fare. Quel bambino ha bisogno di te. E tu sarai felice, vedrai. Te lo prometto”.

“Non fare promesse a caso!”.

Il sacerdote prese delicatamente le mani di Eleonore, che ancora teneva intrecciate sul petto, e si liberò dalla stretta di lei. La donna protestò vivacemente.

“Smettetela!” la ammonì Thanatos “O Hades vi ucciderà entrambi!”.

A quelle parole, Eleonore parve calmarsi. Il Dio l’afferrò saldamente e la fece allontanare di qualche passo.

“Hai un notevole autocontrollo” commentò, rivolto al sacerdote “Non ti sei nemmeno girato a guardarla. Complimenti..”.

“Vattene da qui”.

“Con sommo piacere”.

Il tono di voce del sacerdote era rimasto calmo e non si voltò, fino a quando Thanatos ed Eleonore non ebbero lasciato la stanza.

“Perdonatemi” si scusò Sarah “Ha ricordato per via di un mio gesto”.

“Non è colpa tua. Prima o poi avrebbe ricordato comunque, immagino”.

Senza aggiungere altro, lui uscì, diretto all’anfiteatro.

“Voi che avete la linea diretta..” parlò a Phobos e Deimos “Potreste contattare un Dio per me?”.

 

 

Deathmask e Shaina camminavano lungo i corridoi dell’immenso palazzo olimpico. La giornata era finita ed era ora di coricarsi.

“Scusatemi..?” una voce li fermò, alle loro spalle.

I due si voltarono e videro una donna, riccamente vestita e con una corona sul capo.

“Giunone..” la riconobbe Deathmask.

“Sì, sono io. E voi, chi sareste?”.

“Abitavamo in Sicilia un tempo. Adesso lavoriamo qua”.

“C’è un piccolo dettaglio che non mi convince..”.

“E sarebbe?”.

“Voi possedete il cosmo di Atena!”.

 

“Sei proprio sicuro?” domandò Eros, accanto al fratello minore.

“Sì” annuì Arles.

“Non si può più tornare indietro poi, lo sai?”.

“Lo so. Fa quel che devi”.

Dal tetto della tredicesima, osservano Hades e le sue consorti allontanarsi dal tempio di Atena. Eleonore teneva il capo chino e Hades era preoccupato. Thanatos, poco più indietro, cercava di far capire alla donna che era il caso di comportarsi in modo diverso. Eros lanciò un’ultima occhiata al fratello, che distolse lo sguardo. Il Dio scoccò una freccia, di colore nero, che colpì il cuore di Eleonore. Nessuno se ne accorse, solamente Eros poteva vedere i suoi dadi. La reazione della donna fu immediata. Strinse il figlio a sé e si avvicinò ad Hades, sorridendogli. Arles la sentì sussurrare la parola “amore”.

“Fatto. Ora lei sarà di nuovo felice” annuì Eros “Innamorata del suo Hades e con solo odio nel cuore nei tuoi confronti”.

“Ti ringrazio” rispose Arles.

“Se vuoi..” ammise il Dio “..potrei fare la stessa cosa con te. Se tu la odiassi, non sarebbe meglio? Però non so se mi riesce, perché se il Fato ha in mente qualcosa di diverso..”.

“Sopravvivrò. Come ho fatto fin ora. Puoi tornare alle tue faccende, mi spiace averti scomodato per simili cose”.

“Hades l’avrebbe uccisa nel momento stesso in cui in lei si fosse manifestato l’amore per te. L’hai salvata. Non è una cosa da poco”.

“Oh, datemi una medaglia!” sbottò Arles sarcastico, scendendo e tornando al lavoro.

 

I corridoi del palazzo Olimpico parevano non finire mai. Deathmask e Shaina correvano, cercando di fuggire da Giunone.

“Non voltarti indietro, Shaina!” gridò Deathmask, tenendola per mano.

“Non potremmo mai fuggire dalla regina dei romani! È una Dea potente!” ribatté la guerriera.

“Vuoi farti uccidere subito, allora?”.

Il cavaliere saltò, passando fra due colonne. I due seguaci di Atena erano usciti dal palazzo di Giove. Continuarono a correre ma mille occhi apparvero dinnanzi a loro.

“Cosa succede?” domandò Shaina, spaventata.

“Non ne ho idea. Questi occhi..”.

Uno strano verso riecheggiò nell’aria. Il cavaliere, dopo aver richiamato la sua armatura, si preparò ad attaccare.

“PEACOCK EYES!” scandì la voce suadente ed ipnotica di Giunone.

 

La bambina giocava attorno alla statua di Atena. Aveva raccolto qualche fiore ma ora si annoiava. Sentendo un lieve fruscio, rizzò le orecchie e si incamminò verso quella direzione.

“Ciao” salutò, cercando di mostrare il suo miglior sorriso.

Arles era seduto, con le gambe a penzoloni sullo strapiombo. Dava le spalle alla piccola, che gli si avvicinò ancora.

“Cosa guardi?” domandò lei.

“Nulla”.

“Ma..cosa c’è che non va?”.

“Nulla” ripeté Arles.

“Sei un bugiardo. Io, quando sono triste, mangio un dolcetto. Vuoi che vada a prendertene uno?”.

“No, grazie”.

La romana, non sapendo che altro fare, ebbe un’idea. Prese i fiori che aveva colto ed iniziò ad intrecciarne i gambi fra i capelli neri del sacerdote.

“Va via” borbottò Arles “Non sono dell’umore adatto!”.

“Ma su..così sei più bello!”.

“Lasciami stare..”.

“Io voglio aiutarti! Sei triste. Perché sei triste?”.

“Non sono affari tuoi..”.

“Ma io..”.

“VATTENE!”.

Arles gridò l’ultima parola e si voltò di botto. La bambina si spaventò e corse via, scoppiando a piangere.

 

Il verso del pavone era raccapricciante e proveniva da molte direzioni. I suoi occhi ipnotici stordivano i sensi di Shaina e Deathmask.

“Che..che succede?” gemette la guerriera, cercando di reagire.

“Andate all’inferno, tutti quanti!” ringhiò Deathmask, ritrovato per qualche istante l’autocontrollo e lanciando il suo colpo.

Gli occhi parvero svanire per qualche istante.

“Non male, per un mortale” ammise Giunone “Ma morirete lo stesso, greci! È la punizione che spetta a chi ha osato tentare di ingannare noi romani”.

“Non abbiamo tentato! Ci siamo riusciti, per mesi!” ribatté Deathmask.

“Motivo in più per ucciderti!”.

“Fatti sotto. Milf!”.

 

Arles si scosse, alzandosi di scatto. Perché aveva reagito così male? Quella bambina cercava solo di essere gentile, anche se era tremendamente fastidiosa! Affrettò il passo, per raggiungerla. Non ebbe difficoltà ad afferrarla, anche se la piccola correva.

“Lasciami!” protestò lei e lui si inginocchiò, abbracciandola.

“Perdonami. Non avere paura di me” le disse.

La piccola rimase in silenzio, qualche istante.

“Non ho paura” rispose, ancora avvolta da quell’abbraccio.

“È che noi grandi..” riprese il sacerdote “..siamo cattivi. E finiamo per fare e dire cose cattive. Scusami. È stata una brutta giornata”.

“Ti perdono..”.

“Ti ringrazio. Ora però..”.

“Signore” interruppe Sarah, scostando la tenda in fondo alla tredicesima  “Non sono giunte le solite notizie dalle spie inviate dai romani”.

“Come? Non saranno mica..” si allarmò Arles “Continuiamo dopo il discorso, piccina. Ok? Fai la brava e scusami ancora. È che quando sono triste, o mi arrabbio, faccio sempre cose brutte”.

La bambina sorrise, asciugandosi le lacrime, ed il sacerdote la salutò con un bacio sulla fronte. Poi l’uomo si alzò in fretta, cercando di capire dove fossero i suoi colleghi del tempio.

 

Persefone era pensierosa e Hades lo aveva notato. Anche se distratto dall’incredibile affetto che gli dimostrava Eleonore, il Dio cercava sempre di trovare del tempo per la prima moglie.

“Qualcosa non va?” domandò, andandole vicino.

“Stavo pensando..” iniziò lei “..ad un patto che avevamo fatto io e te”.

“Di che patto parli?”.

“Quando Eleonore è rimasta incinta, mi hai detto che avrei potuto chiederti qualsiasi cosa, per non sentirmi da meno di lei”.

“Confermo. Cosa vuoi chiedere?”.

“E se io..ecco..mi trovassi un amichetto?”.

“Intendi dire..un amante?”.

“Un passatempo momentaneo. Adesso sei così distratto da Eleonore ed il bambino..”.

“Hai ragione. Comunque il nostro contratto vale sei mesi all’anno. Per gli altri sei mesi, sei libera di fare quel che ti pare”.

“Sul serio?”.

“Ovvio. Quel che fai in primavera ed estate a me non interessa. Ho altro a cui pensare”.

“E giuri di non infierire sull’uomo che sceglierò?”.

“È un mortale?”.

“Sì..”.

“Allora va benissimo. Creperà di corsa e non è mio parente”.

 

Giunone era forte, ricacciava indietro ogni colpo che i due greci tentavano di lanciarle contro.

“Cosa facciamo?” ansimò Shaina.

“Io la distraggo. Tu va via”.

“Come?!”.

“Torna al grande tempio, salvati e non pensare a me”.

“Non è il momento di fare il cavaliere nobile! Lotteremo insieme”.

“Smettila! Fai come ti dico!”.

“No!”.

“Ma moriremo entrambi!”.

“Che sia. Moriremo insieme”.

Deathmask guardò stupito la sua donna ed arrossì leggermente. Era bello sapere di avere qualcuno vicino.

“Come siete teneri” sorrise Giunone, sarcastica.

“Pensa per te, cornuta!”.

 

“Nessuna notizia?” si spaventò Atena “Dici siano stati scoperti?”.

“Non lo so. Sono preoccupato” rispose Arles, camminando per il pronao del tempio di lei.

“Hai mandato qualcuno a controllare?”.

“Certo ma, se è successo loro qualcosa, non so se arriverà in tempo”.

“Manda i tuoi fratelli. Loro ci metterebbero pochi secondi”.

“Non posso dare ordini ai miei fratelli!”.

“Allora potrei..”.

“Scusate se interrompo ancora” parlò Sarah, imbarazzata “Ma c’è una persona alla tredicesima”.

“Non adesso, Sarah” la rimproverò, velatamente, Arles.

“Ma..è una donna. E credo stia molto male. Forse..forse è morta!”.

 

L’attacco combinato di Shaina e Deathmask parve sortire qualche effetto su Giunone, che non mostrava la stessa spavalderia iniziale. Era però la regina dei romani, e di conseguenza estremamente potente.

“La vedo brutta..” ringhiò Deathmask.

“Sì. La sua forza è incredibile” annuì Shaina.

“Non distraetevi!” gridò la Dea, lanciando le sue piume di pavone e spedendo lontano i due greci.

 

Il Sacerdote ed Atena raggiunsero la tredicesima. Al centro di essa stava una donna, rannicchiata in terra, completamente nuda.

“È fredda” commentò Arles “Ma ancora viva. Il suo cuore batte debolmente”.

“Come è arrivata qui? E perché è nuda?” domandò Atena.

“Non ne ho idea! Ma dobbiamo scaldarla, o morirà!”.

Il cavaliere l’avvolse nel suo mantello e la donna emise un lieve gemito.

“Forse so come aiutarla!” esclamò il sacerdote, prendendola in braccio.

“Che hai in mente?”.

“La vasca dove faccio i bagni rituali è sempre calda, per via delle acque termali. Lì si scalderà”.

Camminò in fretta, sentendo la pelle di lei sempre più fredda al tatto. Atena lo seguì e lo stesso fece Sarah, entrambe preoccupate. Arles scese gli scalini a bordo vasca e si immerse, tenendo a galla la donna. Questa gemette di nuovo ma riprese un po’ di colorito. L’acqua calda ed il vapore la cullavano, così come faceva il sacerdote.

“Sarah” ordinò lui “Vai nelle mie stanze e prendi una bottiglia senza etichetta. Portala qui, di corsa”.

“Ma..” balbettò la ragazza “..a nessuno è concesso entrare nelle vostre stanze!”.

“Te lo do io il permesso! Corri!”.

“Sì..sissignore!”.

 

Uno accanto all’altro, Deathmask e Shaina erano ormai sfiniti. Giunone era una pazza dalla forza notevole e non si fermava davanti a niente.

“Vi ucciderò entrambi!” minacciò la romana, puntando il dito contro i greci.

Avanzò di qualche passo, pronta a lanciare l’ennesimo attacco, quando percepì un certo fastidio al petto. Si fermò e vi vide una rosa conficcata. Ringhiando, la estirpò e si guardò in giro.

“Serve un aiutino, dolcezze?” sorrise Aphrodite, entrando in scena con un sorriso sensuale.

“E tu chi saresti?” sibilò Giunone.

“Vengo chiamato Aphrodite e, come credo tu possa percepire, non sono solo”.

A fianco del cavaliere dei Pesci, era apparso Shura, con un’aria leggermente infastidita.

“Ragazzi!” salutò Deathmask “Che bello vedervi!”.

“Il sacerdote ci ha mandato a cercarvi, non avendo vostre notizie” spiegò il Capricorno.

“Che gentile. Lo ringrazierò con un mazzo di fiori”.

“Gli manderò io dei fiori!” interruppe Giunone “Da mettere sulle vostre tombe!”.

 

Richiudendo in fretta il libro che stava leggendo, Kiki si nascose. Maledetta regola che vietava il teletrasporto! Dei passi? Non doveva entrare nessuno in quella stanza ancora per ore! Da dietro una delle pesanti tende del baldacchino, il giovane vide Sarah in cerca di qualcosa nella stanza del sacerdote. Una serva? Ma cosa stava accadendo? L’ancella, dal canto suo, si stupì di trovare una candela accesa.

“C’è qualcuno?” domandò.

A nessuno era concesso entrare in quelle stanze, pena la morte. Kiki continuò ad osservarla con attenzione. Chi era quella femmina? C’era qualcosa in lui che non lo convinceva. Del resto, doveva solo stare zitto, vista la posizione in cui si trovava. Se lo avessero scoperto, specie con certi libri in mano, come minimo sarebbe finito a Capo Suion. Sarah si guardò attorno ancora un po’ e poi afferrò una bottiglia senza etichetta. Spense la candela con due dita ed uscì in fretta. Kiki tirò un sospiro di sollievo e tornò ad uscire allo scoperto. Forse era meglio andare a leggere altrove..

 

Giunone, circondata, continuò a mostrarsi spavalda. Richiamò a sé la sua armatura, che la avvolse in una coda di pavone variopinta. Shura, per nulla impressionato, lanciò la sua Excalibur contro l’armatura, che si scalfì.

“Che hai nelle braccia, demonio?” si irrigidì la Dea.

“Non c’è nulla che la mia spada sacra non possa tagliare” ribatté il Capricorno.

“Dovrai stare attento quando ti fai le seghe..” ridacchiò Giunone e Shura ringhiò.

“Hai fatto arrabbiare la capretta!” annuì, soddisfatto, Deathmask “Ora le prendi!”.

Shura alzò il braccio e gli altri due cavalieri d’oro si apprestarono a seguire il suo esempio, lanciando i loro attacchi. Una rosa nera seguì la traiettoria dell’Excalibur e le porte dell’altro mondo si aprirono alle spalle delle Dea. Giunone resistette e, nonostante le ferite, lanciò un altro colpo con la sua coda da pavone. I saint, colpiti, non capivano come potesse quella donna essere così potente. Era la degna regina degli Dèi!

“BLOODY ROSE!” attaccò Aphrodite, il primo in grado di reagire.

La sua rosa scintillò e colpì. Pesci sorrise, modificando il suo cosmo in modo da creare un’altra rosa. Non si era accorto che qualcuno lo osservava..

 

“Sarah!” esclamò Kanon, vedendo la donna correre giù dal piano superiore della tredicesima “Cosa succede?”.

“Un’emergenza” si limitò a dire lei, passandogli accanto.

Il cavaliere l’afferrò per un braccio.

“Cos’è quella bottiglia? Che combinate?” domandò lui.

“È per il gran sacerdote. Lasciami, vado di fretta”.

“Il gran sacerdote? Mio fratello? Sta male?”.

“No. Ma è un’emergenza e devo andare. Ti spiegherò tutto dopo”.

“Lo farai?”.

“Certo..”.

Lui la tirò a sé e la bacio, cosa che ultimamente faceva spesso. Poi la lasciò andare.

 

Giunone, colpita per l’ennesima volta dai colpi di tutti i cavalieri greci, era furiosa e con l’armatura in pezzi. Però non voleva arrendersi.

“Avrò le vostre teste!” gridò “PEACOCK SCREAM!”.

L’urlo del’animale sacro alla Dea era assordante e terribile. I saint si portarono le mani alle orecchie, sentendosi scoppiare la testa. Poi un’aria lieve e profumata li avvolse, portando loro sollievo. Da dove proveniva?

“Oblio del frutto dell’inferno” pronunciò qualcuno e Giunone si ritrovò avvolta da rami spinosi sempre più fitti.

“Che mi succede? Chi osa fare questo?” si lamentò.

“Chiudi la bocca. E soccombi alla tua inevitabile fine”.

Una voce di donna scandì quelle parole e la regina romana gridò dal dolore.

 

“Non sembra ferita” commentò Arles, osservando la sconosciuta “Ma come fa ad essere così fredda?”.

“Non guardarla troppo! È pur sempre una donna nuda!” lo rimproverò Atena.

“Suvvia! Di donne nude ne ho viste altre in vita mia e spero di vederne ancora! Il mio è un parere medico. Non vedo ferite evidenti. Quindi cosa può provocarle un tale gelo in corpo?”.

“Una maledizione?”.

“Una maledizione, dite? Di che tipo?”.

“Non lo so. Spero possa dircelo lei appena starà meglio”.

“Ma dov’è finita quell’ancella? Non è un’impresa così difficile recuperare una bottiglia dalla mia camera!”.

“Presto, Sarah!” incitò Atena, non appena vide l’ancella varcare la soglia.

La donna corse, scusandosi per il tempo perduto, e porse la bottiglia al sacerdote. Questi, ancora in acqua con fra le braccia la donna, si chinò.

“Che cos’è?” domandò Atena “Una medicina?”.

“SI può dire di sì” rispose Arles “Io la chiamo Resuscitamorti”.

“Nome poetico..”.

“Diciamo che poche gocce scaldano il cuore, un sorso ti porta all’oblio, un sorso in più ed i tuoi sensi si annientano, concedendoti una serena notte di sonno”.

“Ed un sorso di troppo?”.

“Immagino ti uccida”.

“Ma è pericoloso! Perché hai cose del genere in camera?”.

Il sacerdote non rispose. Si limitò a guardare la Dea, che non disse altro. La sconosciuta, dopo poche gocce, iniziò a divenire rossa in viso. Poi si alzò di colpo, tossendo.

“Ha ripreso i sensi!” sorrise Sarah ed anche Atena ne fu sollevata.

Non più gelata al tatto, l’intrusa respirò a fondo. Si voltò, incrociando lo sguardo del sacerdote. Piangeva ora, sentendosi libera da un peso.

“Oh, signor Arles” mormorò, appoggiandosi all’uomo.

“Ci conosciamo?” rispose lui, leggermente imbarazzato dalla situazione.

“Grazie” continuò lei “Mi avete salvata”.

“Cosa vi è capitato?” domandò Atena, invitando la sconosciuta ad uscire dall’acqua e coprirsi.

Il sacerdote la portò fuori, mentre l’ancella in fretta l’avvolgeva in asciugamani. Il mantello di lui, abbandonato in terra, era zuppo esattamente come il suo proprietario, che iniziò a strizzarsi i capelli e la tunica.

“Puoi anche andare adesso, sacerdote” lo invitò Atena “Lascia che questa donna si vesta in santa pace, senza occhi indiscreti”.

“I miei non sono occhi indiscreti” protestò lui, ma uscì comunque.

Risalì le scale, raggiungendo la sua stanza, in cerca di vesti asciutte. Guardò con aria interrogativa la candela. Chi mai era stato lì? Lui era certo di non averla accesa, quel giorno. Eppure era consumata.. Forse se l’era dimenticata accesa ieri sera, non ne era sicuro. Finalmente libero da quelle stoffe bagnate, le gettò nel baule antistante la camera, da dove le ancelle più volte avevano dovuto recuperare tuniche sporche di sangue per lavarle. Quasi annoiato, il sacerdote incrociò il suo riflesso allo specchio. Che strano gli sembrava guardarsi e vedersi ringiovanito. Scostò la tenda del baldacchino. Qualcuno era stato lì, lo percepiva. Chi osava entrare addirittura nel suo letto? Non era il momento di pensarci, però. Doveva rivestirsi e tornare al lavoro, sperando di ricevere presto notizie dei suoi cavalieri in missione.

 

“Vediamo..in che pianta posso tramutarti?” parlò ancora una voce di donna, che finalmente si mostrò, dissolvendo le tenebre che la celavano.

“Persefone!” la riconobbe Aphrodite.

“L’unica e la sola” sorrise lei “Ed ora poniamo fine a tutto questo!”.

La prima moglie di Hades era bellissima, ora che si mostrava in tutto il suo splendore, senza cappucci o vesti imposte dal marito per celarne le forme. Allungò un braccio verso Giunone, che si dibatteva in cerca di libertà.

“Frutto di Kore” pronunciò Persefone e Giunone iniziò a mutare, divenendo un albero di melograno, avvolta dalle spine.

“Bello. Ma perché ci hai aiutati?” domandò Shaina, sorretta da Deathmask.

“Cercavo Aphrodite e vi ho trovati in difficoltà” ammise la Dea.

“Cercavi me? E perché?”si stupì Pesci, avvicinandosi.

Lei si voltò di scatto, baciandolo. Shura e Deathmask si fissarono.

“Welà! Il nostro conquistatore!” ridacchiò il Capricorno.

Aphrodite rimase un attimo stordito, mentre lei sorrideva e si allontanava di qualche passo.

“Andiamo!” incitò Persefone “Voi siete feriti, dovete tornare a casa, questo posto è noioso ed io ho una gran voglia di godermi la primavera!”.

 

Seduto di nuovo sul trono, il sacerdote attendeva notizie. La sconosciuta fece il suo ingresso e si inchinò. Ora con indosso una delle vesti di Atena, era una donna incantevole. Arles la guardò negli occhi. Erano aranciati ed avevano qualcosa di familiare..

“Vi ringrazio per avermi salvata” parlò lei.

“Dovere..”.

“Quel vostro bacio mi ha liberata”.

“Quale bacio?”.

“Quello che mi avete dato sulla fronte”.

“Ma di che parli? Che..tu..?”.

“Sono la bambina romana”.

Arles rimase in silenzio, osservandola, senza sapere che cosa dire.

“Sono una Dea romana. Purtroppo ho dato troppo fastidio a più di qualcuno e sono stata maledetta da Minerva, Diana e Venere. Mi hanno tramutato in una bambina, gelose del fatto che uno dei loro mortalucci preferiti se la spassasse con me. Un pomeriggio, ho fatto delle trecce a questo tizio e sono impazziti tutti. Mi hanno maledetta, dicendo che solo facendomi voler bene anche da bambina sarei tornata com’ero. Un gesto mosso d’affetto, e non da pietà, mi avrebbe salvata. Ed avrei dovuto continuare ad intrecciare capelli per scaldare il mio animo. Ormai il mio tempo stava per scadere, per questo era così fredda”.

“Una Dea romana qui? Posso fidarmi?”.

“Odio quelle galline che mi hanno maledetto! Loro e tutta la loro famiglia! E poi..voi mi avete salvata, quindi vi sono debitrice. Vi servirò fedelmente fino a quando non considererò il debito annullato. Concedetemi di fare questo”.

La donna si inginocchiò, lasciando che i lunghi capelli ne coprissero in parte il viso. Erano verdi, ma di una tonalità così scura da sembrare neri.

“Una Dea che serve un mortale?”.

“Un semidio, da quel che mi risulta..”.

“Fa lo stesso!”.

“Permettetemi di appartenervi, anima e corpo, fino a quando lo riterrò necessario”.

“Ma..io..posso almeno sapere il tuo nome?”.

“Certo. Il mio nome è Discordia”.

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Capitolo 18
*** XVIII- cielo e terra ***


XVIII

 

CIELO E TERRA

 

Shun rimaneva in silenzio. Osservava il gran sacerdote, senza volerne interrompere i pensieri. Sobbalzò quando si accorse che Arles lo stava fissando.

“Cosa c’è?” domandò il sacerdote.

“Niente!” si affrettò a dire Shun “Solo che..come state?”.

“Perché lo chiedi?”.

“Sono il medico che deve curarvi. Lo devo sapere. Perciò, vi prego, rispondete: come state?”.

“Bene”.

“Bugia..”.

“Sono un po’ stanco..”.

“Un po’?”.

“Sono distrutto” sospirò “Ma che vuoi farci? È il lavoro che mi sono scelto e durante le emergenze è sempre faticosa la faccenda. In più, le mie parentele divine pretendono allenamenti e tempo. Senza contare che sto terminando l’addestramento per il mio successore..”.

“Successore?”.

“Sì. A volte mi chiedo perché non ho semplicemente fatto felice Aiolos, che aveva già tutte le basi! Sempre se non si è già scordato tutto..”.

“Aiolos ha la vostra stessa età. Serve gente più giovane, credo”.

“Vedo che capisci al volo, almeno certe cose”.

“Anche se, lo devo ammettere, non vi do di certo l’età che avete”.

“Merito, o colpa, dei geni che sta risvegliando mio padre. Ma la gioventù non copre le occhiaie!”.

“Volete che prepari qualcosa per farvi dormire? L’insonnia non fa bene al vostro stato di salute mentale, questo mi pare ovvio”.

“Forse è meglio. Ma oggi ho ancora un sacco di cose da fare. Tu va pure ad occuparti dei feriti. Ho saputo che Giunone ci è andata giù pesante”.

“Sì. Ma avete già mandato quella donna ad aiutare”.

“Discordia? Ti infastidisce?”.

“No. È che con lei e Sarah non serve molto il mio aiuto. Le ferite dei cavalieri non sono gravi”.

“In questo caso..dilettati come meglio credi. Io ho un po’ di cose da sbrigare. Atena mi ha affidato un compito. Vorrai scusarmi..”.

 

“Che fate voi due lì?” si stizzì Ares.

Phobos e Deimos, a torso nudo, si stavano godendo il sole di Grecia. Ignorarono i rimproveri del padre e continuarono ad abbronzarsi. Il Dio scosse la testa ed andò oltre.

“Atena!” sorrise, vedendo la Dea fra le colonne “Visto che i miei figli hanno tutti altro da fare, che ne dici di una piccola sessione di allenamento?”.

“Non adesso, scusa” rispose lei, guardando il grande tempio dalla sua dimora.

“Che cosa ti trattiene?”.

“Ho molti pensieri..”.

“Del tipo? Sai che pensare troppo fa male..”.

“So che tu non lo fai mai! Ad ogni modo..non lo hai saputo? Hanno deciso che sarò io a prendere il posto di Padre Zeus!”.

“Lo immaginavo. La saggezza, la difesa..e tutto il resto che c’è intorno..”.

“Cosa?! Io non posso svolgere un compito simile!”.

“E perché?”.

“Perché..ho paura. So che tu, grande Dio della guerra, non puoi capire cosa significhi”.

“Mi prendi in giro?”.

Ares fissò la Dea per qualche istante, che non voleva mostrare la sua debolezza e tentava di fuggire da quelle attenzioni.

“Mia cara Atena, è normale che tu sia spaventata. Ma sono più che certo che te la caverai benissimo. E poi, sarà solo una questione momentanea. Una volta che l’emergenza sarà risolta, tutti gli Dèi potranno tornare a bisticciare come sempre e non servirà un capo, se non di facciata. E quello è facile da fare..”.

“Tu mi aiuterai?”.

“A fare..?”.

“A superare la paura”.

“Dolcezza, mio figlio è la paura!”.

“E cosa c’entra? Io sono la saggezza, ma non ti ho trasmesso un solo briciolo di buonsenso!”.

“Hai ragione. Ma che dovrei fare, secondo te?”.

“Promettimi che, nel caso dovessi cedere, sarai pronto ad intervenire”.

“E prenderti a calci finché non reagisci?”.

“Sì”.

“Affare fatto! Ora che dici di concedermi quell’allenamento di cui parlavamo?”.

 

Kiki entrò furtivamente alla tredicesima, giusto in tempo. Il gran sacerdote stava per allontanarsi e fissò il giovane con aria interrogativa.

“Scusi il disturbo” mormorò il ragazzo, chinando il capo.

“Kiki! Cosa fai qui?” domandò il sacerdote.

“Scusate se sono inopportuno, ma vorrei essere mandato in missione”.

“In missione? E per quale assurdo motivo?”.

“Alcuni cavalieri covano dubbi nei miei confronti, definendomi un traditore”.

“Traditore? Tu? E perché?”.

“Dicono che sono io la spia dei romani”.

“Ma questo è assurdo!”.

“Ho bisogno di allontanarmi per un po’, così che non mi possano più accusare. Speditemi dove credete, anche su un’isola deserta!”.

“Ma Kiki..tu non hai un’armatura! Non posso mica lanciarti in viaggi impossibili solo per far tacere dei deficienti!”.

“Lo so ma..come posso restare qui? Sospettano, ed io voglio farli tacere. Inoltre, qui al grande tempio non servo poi a molto. Datemi modo di mostrare quel che valgo!”.

“Più volte lo hai già mostrato, Kiki”.

“Evidentemente la gente dimentica..”.

“Su questo ti do ragione”.

Il sacerdote sospirò. Poi si voltò, facendo segno al ragazzo di seguirlo. Kiki obbedì ed insieme si incamminarono per i corridoi della tredicesima.

“Alcuni cavalieri di bronzo stanno per partire” spiegò Arles “A svolgere una missione che, sinceramente, vorrei svolgere personalmente. Ma al momento non posso, dato che Atena mi ha ordinato di creare nuovi sigilli ed è una cosa alquanto impegnativa”.

“Lo posso solo immaginare..”.

“Immagina, bravo! Quei dannati foglietti ciuccia-cosmo mi stanno facendo impazzire. E ancora non mi ha spiegato a cosa le serviranno stavolta. Se li facesse da sola..”.

“Non rientra nei compiti del gran sacerdote?”.

“Come tante altre cose..”.

I due erano giunti davanti ad una porta dai complessi simboli. Kiki la osservò meravigliato. Ad un tocco del sacerdote, i simboli si illuminarono e la porta si aprì.

“Non dire a Mur che sei stato qui” sorrise Arles “Impazzirebbe..”.

Il giovane annuì, ad occhi spalancati. La sala dove erano entrati era piena di pandora box, poste a semicerchio su diversi piani, divise per categoria.

“Qui è da dove lancio il Chrysos Synagein, che spero non sia necessario spiegarti cosa sia” parlò ancora il sacerdote.

“La convocazione di tutti i cavalieri, lo so”.

“Bravo”.

Al centro della sala, un marchingegno sferico e complicato stava brillando. Il sacerdote vi infilò in parte una mano, oltrepassando l’ologramma che circondava quell’oggetto che Kiki non conosceva, se non solo per “sentito dire”. Le dita di Arles si mossero e l’ologramma si mosse a sua volta, mostrando tante piccole luci.

“Le costellazioni?” domandò il giovane.

“Esatto. Vedo che studiare serve a qualcosa” rispose il sacerdote, facendo scorrere varie luci sotto la propria mano.

Quando la fermò, sotto di essa era chiara una costellazione. Kiki fissava il tutto con curiosità. L’intera sala brillò d’azzurro, come la sfera, e delle stelle apparvero in aria. Assieme a loro, brillò uno scrigno d’argento.

“Kiki..oggi è il tuo compleanno, se non ricordo male..”.

“Ricordate benissimo. Oggi è il mio diciottesimo compleanno”.

“Allora tanti auguri”.

Con un gesto del sacerdote, la pandora che si era illuminata andò a posarsi ai piedi del giovane cavaliere. Kiki la fissò, emozionato.

“Un’armatura? È..è mia?” balbettò.

“L’Altare. Personaggi illustri l’hanno indossata prima di te, cerca di esserne all’altezza”.

“Farò del mio meglio!”.

Kiki si era inchinato, non sapendo che altro fare.

“Ne sono certo..”.

“Ora..potrei sapere di che missione si tratta?”.

“Hai ragione! Devo spiegartela! Ma prima usciamo di qui. Perdonami se non ho riservato per te la solita cerimonia di consegna dell’armatura, ma è un caso d’emergenza. Provvederò al tuo ritorno, promesso!”.

Il giovane indossò la pandora come uno zaino e seguì il sacerdote. Tornarono alla tredicesima sala, dove Seiya e Hyoga fissarono con stupore il raggiante Kiki.

“Complimenti” commentò Pegaso “Era ora!”.

“Chiudi la bocca” lo zittì Arles “Kiki è cavaliere d’argento, fatti delle domande!”.

“Ma..”.

“Non siamo qui per questo!” alzò una mano il sacerdote, sedendosi al trono “Vi ho convocati per una missione. Partirete tutti e tre”.

“Davvero? Dobbiamo fare da baby sitter al neo-cavaliere?” continuò Seiya.

“Credo che sarà lui a fare da baby sitter a te, pony impertinente! Lasciami parlare o ti abbatto come si fa con i cavalli zoppi!”.

Pegaso si zittì, capendo che il sacerdote non scherzava.

“La vostra missione è importante, perciò niente cazzate! Sono stato chiaro?”.

“Chiarissimo” annuì Hyoga.

“Non voglio venire a sapere che siete caduti in un burrone, vi siete fatti massacrare dopo l’ennesimo vostro discorso spavaldo o cose simili. Per fortuna il cieco è già sul luogo della missione..”.

“Dobbiamo andare ai cinque picchi dove sta Sirio?” domandò Kiki, capendo di che cieco parlasse Arles.

“Esattamente. Dato che Hades ora è nostro alleato, vanno tolti i sigilli che rendono impossibile l’accesso a questo mondo ai suoi soldati meno dotati. Non possiamo pretendere che combatta solo con i tre giudici e gli Dèi gemelli, che sono pure degli stronzi , quindi non si sa quanto siano davvero fedeli”.

“I sigilli? Ma non sarà pericoloso?” si allarmò Seiya.

“Lo è. Ma è ordine di Atena. Se non ci credi ,puoi chiederglielo..se ha smesso di massacrare di botte mio padre..”.

“Ares..perde?”.

“Ares perde SEMPRE contro Atena. Ma non lo ammetterà mai. Tornando a noi..Dohko, che sta ai cinque picchi con Sirio, sa come sciogliere quei sigilli e, inoltre, fornirò a Kiki tutto il necessario”.

“E se gli specter ci attaccassero?” domandò Hyoga.

“Siete in armatura, giusto?”.

“Dobbiamo combatterli?” insistette il Cigno.

“Lo fai apposta o è vero quel che dicono sui biondi? Partite e sciogliete i sigilli. Quelli di Poseidone sono già stati rimossi da mio fratello, che è recidivo e ormai esperto in questo”.

“Va bene..ma..” provò a protestare ancora Seiya.

“Kiki, avvicinati” lo ignorò Arles.

Affidò al ragazzo la collana del gran sacerdote, gesto alquanto insolito ma necessario.

“Con questa..” spiegò il capo del santuario “..Dohko ti spiegherà cosa fare”.

“Sissignore” annuì il ragazzo.

“E ora andate, che il tempo stringe! Mi raccomando: niente burroni e..Hyoga..non uccidere parenti ed amici, se ci riesci”.

“Sissignore” annuirono i tre, anche se i due cavalieri di bronzo non erano per niente convinti.

“Kiki, fatti valere e prendi a sberle questi due, se necessario. Poi, mi raccomando: vedi di tornare indietro intero. Il santuario ha bisogno di te, chiaro?”.

“Oh..va bene..” farfugliò Kiki, imbarazzato.

Uscendo dalla sala, il giovane sorrise, notando gli sguardi stupiti di chi aveva attorno. Camminò fiero. I cavalieri ridiscesero le scale di tutte le case, pronti a partire. Mur non capì subito l’accaduto, pensando che Kiki gli avesse portato un’armatura a riparare. Poi vide il ragazzo andare oltre e comprese.

“Kiki? Quelle vestigia..” domandò.

“Sii fiero di me, fratello!” sorrise Kiki “Il sacerdote mi ha affidato le sacre vestigia dell’Altare. Le indosserò con onore e ti dimostrerò che non sono un traditore!”.

“Fai attenzione. Mi raccomando”.

“Non sono un bambino! Me la caverò benissimo”.

“Lo spero..”.

 

“Non capisco se mi fai vincere o se davvero sei così stupido ed impulsivo da farti battere sempre nello stesso modo” domandò Atena.

“Sono un galantuomo..” mentì Ares.

“Sei un cretino!”.

“Non l’ho mai negato. E tu sei un’esaltata”.

“Che motivo avrei mai di NON esserlo?”.

“Ma che domanda è?!”.

La Dea ruotò di nuovo il bastone, pronta a colpire per l’ennesima volta il fratello. Ares si portò un braccio davanti al volto, stanco di venir preso a mazzate in faccia. Atena rise, trovando divertente la faccia spaventata che era in grado di fare il Dio della guerra. La Dea fece qualche passo.

“Certo che..” commentò “..i tuoi figli sono belli rilassati oggi”.

“Parli di Phobos e Deimos? Sono dei pigroni! Li ho già rimproverati”.

“Poveretti! Lascia che un pochino stiano tranquilli, quando non ci sono attacchi in corso”.

“Non sopporto i soldati oziosi”.

“Sei troppo pedante, Ares!”.

“Però, lo devi ammettere..i miei piccoli sono un bel vedere! Si vede proprio che sono figli di Aphrodite e del sottoscritto!”.

“Modesto come sempre! Hanno dei bei tatuaggi, quello l’ho notato”.

“Tutti in famiglia abbiamo tatuato un drago da qualche parte”.

“Anche tu?”.

“Sì ma il mio, mia cara, è in un punto che se vedessi..vorrebbe dire che sono praticamente nudo davanti a te!”.

Atena arrossì leggermente e distolse lo sguardo. Ares rise.

“Anche il mio sacerdote e suo fratello?” domandò lei.

“Non ancora. Sarà il mio regalo per quando finirà questa guerra”.

“Se restano in vita..”.

“Certo che resteranno in vita! Parliamo dei miei figli, mica di esserini insignificanti qualsiasi!”.

“Sì, e noi stiamo lottando contro divinità estremamente potenti!”.

“E tu porti sfiga, donna!”.

“Io non..”.

La Dea non finì la frase , perché un fortissimo boato scosse l’intero santuario ed il cielo si fece buio di colpo.

 

“Che cosa hai mandato a fare in missione quei ragazzi?” protestò Aiolos “Al tempio serve gente, e tu hai allontanato individui validi!”.

“Punto primo: non sono dei ragazzi. Punto secondo: ho i miei validi motivi, e li vedrai” ribatté il sacerdote, infastidito.

“Sei un pazzo!”.

“Sei un rompicoglioni!”.

“Questo non cambia la situazione!”.

“Quanto ti piacerebbe?” sorrise Arles, accarezzando i braccioli del suo trono, con aria beffarda.

Aiolos, che doveva ammettere di essere piuttosto geloso della posizione del collega, perse momentaneamente il controllo e scattò in avanti, con l’intento di colpire il sacerdote. Questi, però, tirò su una gamba e fermò il Sagittario piantandogli una scarpa in mezzo al viso. In quella posizione decisamente bizzarra, li vide Mur entrando alla tredicesima. Imbarazzato, convinto di aver interrotto chissà che cosa, arrossì e chinò la testa.

“Mur! Cosa ti porta qui?” domandò Arles, senza abbassare la gamba.

“Io..ecco..volevo sapere se era possibile avere qualche informazione in più riguardo la missione dove è stato mandato mio fratello. Sono un po’ preoccupato”.

“Non devi esserlo. Ci sono Seiya e Hyoga con lui”.

“Appunto..”.

“Forse hai ragione..”.

La terra tremò, zittendo tutti. Si fece buio. Un’eclissi? No, era qualcos’altro..

 

“Che odio..che persona insopportabile!” si lagnava Seiya, camminando con la pandora sulle spalle.

“Di chi parli?” domandò Kiki.

“Ma del gran sacerdote, ovviamente. Lo prenderei a calci in faccia, se solo potessi!”.

“Non dovresti parlare così di colui che ti ha affidato l’armatura..”.

“Tu non lo conosci davvero, Kiki. Sei solo un bambino!”.

“Ho diciotto anni, che cazzo dici?!”.

“Chi ti ha insegnato queste parole? Mur non parla così”.

“Oh sì. Ma tu non lo conosci bene..”.

“Beh, comunque ho ragione io! Quell’uomo è fastidioso ed arrogante”.

“Come te?”.

“Non è vero!”.

“Con la differenza che LUI governa il santuario e tu sei un bronzetto”.

La strada era impervia ed in salita, una vera seccatura da fare con l’armatura a mo di zaino.

“Ma come fate a trovare il fiato pure per litigare?” li interruppe Hyoga “Comunque, Seiya, girano voci che stia già addestrando il suo successore. Quindi suppongo voglia ritirarsi..”.

“Ha paura di affrontare me ed Aiolos insieme, ecco qual è la verità!” esclamò Pegaso.

“Ma non penso proprio..” scosse la testa il Cigno.

“Ritirarsi? E perché dovrebbe?” domandò Kiki “Non è di certo vecchio e sa ancora fare il culo a molti. Perciò perché mai?”.

“Sarà stufo. Oppure è solo previdente” rispose Hyoga “Ma continuerò a trovarlo irritante lo stesso”.

“E voi chi vorreste al suo posto?” continuò Kiki, incuriosito dalla conversazione.

“Qualcuno di saggio” annuì il Cigno “Come il mio maestro Camus”.

“Camus? Il gelato?” rise Seiya “Ma non farmi ridere! Quello fa tanto il figo ma poi si metterebbe a piangere alla prima occasione”.

“Ma come ti permetti?! E allora, tu chi proponi? Sentiamo un po’..”.

“Aiolos, ovvio! Colui che aveva scelto Shion!”.

“Aiolos è vecchio! E non ringiovanisce come sta facendo Saga!”.

“Non è vecchio! Ha solo..”.

“Praticamente quarant’anni. E poi..te lo ci vedi Saga che addestra Aiolos?”.

I tre si misero a ridere. Che idee assurde faceva venire in mente l’aria rarefatta delle montagne!

 

Atena si mosse di scatto, d’istinto, preparandosi a combattere. Ares le era accanto, che si guardava attorno per capire chi avesse provocato simili stravolgimenti in cielo. Fra le nubi, ora nere e minacciose, si vedevano numerose saette. Alcune di esse si abbatterono sulle case più elevate del tempio, con boati e crolli. Un fulmine colpì la statua di Atena ed i due Dei riuscirono giusto in tempo a spostarsi.

“Conosco solo un Dio capace di fare questo..” commentò la Dea.

“Già..è quello che penso io?”.

“Giove!”.

 

“Ma perché tutti distruggono casa mia, CAZZO!” sibilò Arles, capendo che qualcosa al piano di sopra era crollato.

“Cosa è stato? Atena! Dobbiamo salvarla!” parlò Aiolos, pronto a raggiungere la sua preziosa Dea.

Anche Mur era allarmato e pronto. Il sacerdote si alzò a sua volta. I cavalieri tentarono di raggiungere il piazzale con la statua della Dea, ma una grossa ombra li fermò.

“Levati di mezzo!” minacciò Arles, ritrovandosi di fronte il drago che, teoricamente, gli apparteneva “Obbedisci!”.

La bestia non si mosse. Digrignò i denti.

“Ti levi, grandissima scocciatura?” borbottò ancora il sacerdote, questa volta con più fermezza.

“Se non si sposta..” minacciò Aiolos “..lo faccio muovere io!”.

“Accomodati” lo invitò Arles, con un mezzo ghigno.

Il Sagittario era pronto a colpire e il drago reagì, ringhiando e sputando fuoco.

“Aiolos!” si preoccupò Mur “Quella è una bestia sacra, non puoi sconfiggerla!”.

“Ma Atena è dietro questa creatura! Dobbiamo passare!”.

“Ma che succede qui?” domandò Aphrodite, seguito a ruota da molti altri cavalieri “Cos’era quel botto? Va tutto bene?”.

“Non sappiamo cosa stia succedendo e questo dannato drago ci sbarra la strada!” protestò Aiolos, indicando la bestia “Irritante tanto quanto il padrone!”.

“Guarda che io non governo quel drago!” rispose Arles “Non mi ha mai obbedito!”.

“Si vede che ha un cervello. Che però ORA non sta usando”.

“Tu vuoi finir male, oggi..”.

“Gente, non litighiamo! Troviamo il modo di passare!” suggerì Camus.

“Chiama Phobos e Deimos” suggerì Kanon “Quei due pare che se la cavino con i draghi”.

“Hai ragione” annuì il gemello, urlando poi i nomi dei fratelli maggiori, sperando che riuscissero a sentirlo.

“Grandioso! Chiamiamo altra gente di cui c’è poco da fidarsi!” protestò Ioria.

“Che hai da urlare?” domandò Phobos, urlando di rimando da un punto all’esterno del tempio.

“Aiutaci! Il mio stupido drago non si sposta!” gridò ancora Arles.

“Nemmeno il mio!”.

“Come sarebbe a dire?”.

“Papà non vuole che combattiamo” si unì Deimos, raggiungendo la tredicesima e fissando il drago.

“Come?! Papà vuole sempre che combattiamo!” protestò Arles.

“Forse questo nemico lo ritiene troppo pericoloso..”.

“Pericoloso? Deimos, andiamo! Non può essere!”.

“Trovi altre spiegazioni? I nostri tre draghi sono fissi sui loro culi e non ci fanno passare. Hanno ricevuto un ordine e da lì non si muoveranno”.

“Ma Atena..” continuò Aiolos.

“Atena è dall’altre parte, è vero. Ma c’è nostro padre con lei”.

“Credi di rincuorarmi, dicendo questo?”.

“Come sei arrivato là?” gridò Phobos, ancora da un punto imprecisato.

“Volando” ridacchiò Deimos, sfottendo il fratello imbranato.

Phobos, bloccato sulle scale dal drago, non aveva modo di fare altrettanto. Che rabbia!

“Io per contratto devo difendere la Dea” spiegò il sacerdote “Perciò dovrei passare”.

“Il drago non te lo farà mai fare. Obbedisce a Padre Ares”.

“Ma, Deimos..non esiste un modo?”.

“No. Rassegnati”.

“Attacchiamolo tutti assieme!” propose Milo “Vediamo se si scansa!”.

“Per una volta ti do ragione” annuì Ioria.

“Ma siete tutti rincoglioniti?” strabuzzò gli occhi Deimos.

I gold si prepararono ad attaccare. Erano pronti ma, quando i loro colpi stavano per partire, qualcosa di strano accadde al loro cosmo. Una sensazione di debolezza li avvolse e, uno dopo l’altro, caddero in terra svenuti.

“Che succede?” riuscì a mormorare Arles.

“Nemmeno Atena vuole che partecipiate a questa battaglia, evidentemente” spiegò Deimos, incrociando le braccia mentre il fratello cadeva in terra.

 

“Come sei tenero..” stuzzicò Atena “..proteggi i tuoi piccoli!”.

“Giove è un osso duro. Se crepo, voglio assicurarmi una degna discendenza” sibilò Ares, mentre il Dio romano appariva fra le nubi.

“Credi che moriremo?”.

“Spero di no. Ma ho imparato ad essere pessimista, stando accanto al mio figlio minore”.

Giove scagliò un potente fulmine, che Atena parò con il bastone.

“La pagherete!” tuonò, con voce grave, il re degli Dei romani “Avete ucciso la mia Giunone! La pagherete cara!”.

“Oh, ecco perché è così incazzato..” annuì Ares.

“Quasi comprensibile..” ammise Atena.

“Ciccia, è una guerra! La gente ci muore!”.

“Sì ma era la donna che amava”.

“Mentre si scopava il resto dell’Olimpo..”.

“Proprio come Aphrodite..però tu dici che ti ama..”.

“Non infierire!”.

Ares ringhiò, indossando la sua armatura. L’elmo con il pennacchio andò a coprirgli il viso e quattro ali da drago si aprirono sulla sua schiena. La coda della Kamui si arricciò, segno che era assetata di sangue. Anche Atena aveva indossato l’armatura ed era pronta.

“Vi spedirò sotto terra” minacciò Giove.

“Vedremo” rispose Ares “Vedremo chi quest’oggi cadrà!”.

giunti a questo punto, è d'obbligo ringraziare chi ha seguito la storia fin qui. siete molti di più di quanto mi aspettassi!! seconda cosa: vorrei scusarmi con i fan di Seiya ed Aiolos, che finisco sempre col maltrattare in qualche modo! terza cosa: dovrei riuscire ad aggiornare la storia prima ma, in caso contrario, BUONA PASQUA A TUTTI!

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Capitolo 19
*** XIX- saggezza e vendetta ***


XIX

 

SAGGEZZA E VENDETTA

 

“Scendi dalle nuvole, non costringermi a raggiungerti lassù!” minacciò Ares, spalancando le ali dell’armatura.

Giove, senza proferire parola, rispose con un potente fulmine. Il Dio della guerra lo schivò e ringhiò infastidito.

“Cerca di usare una strategia” mormorò Atena “Non sempre attaccare a caso!”.

“Tu pensa per te!” brontolò Ares, mentre Giove tentava di nuovo di colpirlo con un fulmine.

Il Dio romano, sempre avvolto dalle nubi nere, scese e l’armatura iniziò a vestirlo. Con l’aria di chi non teme niente e nessuno, scagliò l’ennesima saetta. Questa volta, dopo aver toccato terra, l’elettricità di divise e colpì di striscio le due divinità greche.

“Ανδρειφοντης Μαλερός!” gridò Ares, lanciando il suo colpo.

Le lingue di cosmo rosso come il sangue avvolsero Giove, che però se ne liberò in fretta, disintegrandole con le sue scosse. Anche Atena attaccò, lanciando il suo scettro, che il Dio romano ricacciò indietro con un gesto della mano. La Dea ne fu sbalordita, abituata com’era ad avere sempre a fianco qualche saint sacrificabile.

“Tutto qui?” commentò Giove, serio “Siete dei patetici moscerini”.

“Moscerini?! Ma come osi, copia mal riuscita di Padre Zeus?!” si accigliò Ares, spiccando il volo.

“Fratello!” lo richiamò Atena, cercando di farlo ragionare.

Giove allungò un braccio ed afferrò saldamente il Dio della guerra. Ares fece altrettanto, piantando gli artigli nel possente braccio del Dio romano, che ne stringeva il collo con la mano.

“Fratello!” gridò ancora Atena, vedendo gocce di ikor scorrere.

Ares non abbassò lo sguardo. Continuò a fissare la divinità romana, affondando sempre più gli artigli e ringhiando. Giove, infastidito, dopo un po’ trovò troppo spiacevole quel dolore al braccio e liberò dalla presa il greco, lanciandolo indietro.

“Hai osato ferirmi” minacciò il padre romano “La pagherai molto cara. Ti scuoierò ed appenderò la tua pelle sulla cima dell’olimpo!”.

“Fottiti!” sbottò Ares, sputando sangue in terra.

 

Discordia, allarmata nel veder perdere i sensi a mezzo tempio, salì fino alla tredicesima. Lì vi trovò Deimos, che pareva tranquillo.

“Cosa è successo?” domandò la romana “Perché sono svenuti tutti?”.

“Volontà della loro Dea” rispose il Dio.
“E quel drago?”.

“Volontà di mio padre”.

“Ma..stanno bene?”.

“Mi sa che hanno preso delle buone botte in testa, cadendo. Ma nulla di più”.

Discordia si avvicinò ad Arles, rigirandolo e scostandone i capelli dal viso.

“Che fai, donna?” la apostrofò Deimos.

“Cerco di capire se sta bene” rispose lei, stupita da quella domanda.

“Preferirei che tu non ti avvicinassi troppo al mio fratellino, specie ora che è svenuto”.

“E perché?”.

“Vuoi l’elenco delle ragioni o te ne bastano un paio?”.

“Ho tutto il tempo che vuoi..”.

“Diciamo che il perno centrale della questione è che sei romana”.

“La cosa ti disturba così tanto?”.

“Ovvio. Non sei dei nostri e non mi convinci”.

“Temi che possa fare del male a tuo fratello? Ti sbagli, se la pensi così. Mi ha salvato la vita, non potrei mai ferirlo o ucciderlo”.

“Questo è tutto da dimostrare. I romani sono la tua famiglia e non credo sia tuo desiderio combattere contro tutta la famiglia”.

“La mia famiglia mi ha accusato e torturato solo perché ho seguito la mia natura. Tu cosa faresti, se qualche greco ti punisse per aver spaventato uno di loro?”.

“Il tuo discorso non ha senso. Io sono fedele a mio padre e per nessuna ragione al mondo potrei tradirlo e combattere in fazione opposta alla sua!”.

“Mio padre non ha mai mosso un dito per difendermi. Immagino che anche tu ti diverta a vessare chi è più debole. Pensi che di questo siano tutti contenti?”.

“Io seguo la mia natura”.

“Ed io la mia!”.

“Allora non ha senso che tu stia accanto a mio fratello, Discordia!”.

“Lui è l’unico che, in tanti anni, mi ha aiutata”.

“Perché non sapeva chi eri. Se avesse saputo che eri Discordia, la romana gemella di Marte, non lo avrebbe mai fatto”.

“E come puoi esserne certo? E poi fai tutti questi discorsi ma..cosa credi che accadrà in futuro? Ora siete tutti alleati ma..quanto durerà? Fra quanto tempo sarete di nuovo tutti divisi, a bisticciare fra voi? Ora andate tutti d’accordo perché avete un grande nemico comune, ma quando tutto questo passerà?”.

“Non sono affari che ti riguardano!”.

“Io rimarrò accanto a tuo fratello, che questo ti piaccia oppure no”.

“Se, quando sarà sveglio, ti vorrà fra i piedi..saranno solo affari suoi! Ma finché è inerme e svenuto, non osare avvicinarti”.

“Altrimenti? Mi uccidi?”.

“Potrei prenderla in considerazione come opzione..”.

 

Giove, dopo l’ennesimo colpo parato e “rispedito al mittente”, decise di fare sul serio. Ares, furioso, lanciò un grido minaccioso e volò di nuovo contro il Dio romano. Giove sorrise e si concentrò, scagliando un colpo potentissimo. Il Dio della guerra fu travolto e lanciato contro una colonna. Parte dell’armatura che lo proteggeva andò in frantumi e Ares poi ricadde in terra, senza riuscire a rialzarsi. Il marchingegno costruito da Efesto doveva aver ceduto, perché il Dio non era più in grado di muovere le gambe.

“Sei in trappola, storpio!” lo minacciò Giove, avvicinandosi con un largo sorriso.

“Lascialo stare!” intervenne Atena, compiendo un balzo e roteando il bastone in aria.

 

Giungere fino ai cinque picchi era impegnativo. La strada era lunga e pericolosa e Kiki fin là non era mai arrivato. Quando finalmente riuscì a scorgervi la cascata in lontananza, sorrise. Non ne poteva più di camminare fra rocce e sentieri pessimi in compagnia di quei due bronzetti piagnucolosi!

“Là ci attende Sirio?” domandò il giovane.

“Sì” annuì Hyoga “Lui è il maestro Dohko sono a guardia dei sigilli”.

“E non ci faranno problemi?”.

“Vedremo..”.

 

Preso alla sprovvista, Giove fu trafitto dal bastone di Atena. Gemette, rigirandosi di scatto e colpendo la Dea, che si trascinò sul pavimento in pietra per un buon tratto.

“Non puoi sconfiggermi con così poco!” gridò il padre degli Dei romani, voltandosi verso la Dea e preparandosi ad infierire sulla donna.

Avanzò di qualche pazzo ed Atena arrancò, ferita e senza lo scettro fra le mani. Chiuse gli occhi, preparandosi al peggio. Ares osservava la scena e tentò di reagire. Si trascinò con le braccia, maledicendo le gambe che non accennavano a muoversi. Riusciva a vedere chiaramente la ferita aperta di Giove, che lentamente si stava rimarginando grazie al potere del Dio romano. Il greco lanciò un grido, di quelli che erano in grado di terrorizzare chiunque.

Ανδρειφοντης Μαλερός!” lanciò di nuovo, questa volta concentrando il cosmo verso una sola direzione: la lacerazione che Giove aveva su petto e schiena “Brucia, mio dannatissimo cosmo! Brucia il romano e non lasciare di lui nemmeno una briciola!”.

 

Anche Sarah aveva raggiunto la tredicesima e non le piacque vedere Deimos e Discordia discutere.

“Vi sembra il caso di litigare?” li ammonì, ignorando il fatto che lei era mortale, con dinnanzi due divinità incollerite “Ci sono delle persone in terra che stanno male, e voi perdete tempo!”.

“Tranquilla” le parlò Deimos, piuttosto infastidito “Appena Atena avrà finito di combattere, ridarà loro la forza di alzarsi”.

“E se Atena dovesse morire?”.

“Atena morire?!”.

“Non hai preso in considerazione questa possibilità?”.

La donna si avvicinò a Kanon, in pensiero. Sperava che almeno il gran sacerdote fosse rimasto in piedi, ma dovette subito abbandonare quell’idea. Da fuori, si udivano boati e grida.

“Non avere paura” sorrise Deimos.

“Se sei tu a dirlo, non c’è da fidarsi..”.

 

Giove non capì subito l’accaduto. Poi avvertì qualcosa bruciare nel suo petto e sentì un calore insopportabile espandersi lungo tutte le vene.

“Che mi hai fatto?” domandò, voltandosi verso Ares.

Il Dio della guerra non rispose. Rimase con un braccio proteso verso il nemico.

“Ares..tu..sei in piedi?” si stupì la Dea.

“Non lo resterà ancora per molto” rispose Giove, correndo di scatto verso Ares.

Il greco si irrigidì, non sapendo più che fare. Ma Giove non giunse alla sua meta. Si fermò e cadde in terra, lanciando un gemito. Il cosmo del Dio della guerra era penetrato nel corpo del romano attraverso la ferita inferta da Atena e lo stava rapidamente consumando. In pochi attimi, del corpo di Giove non rimase più nulla.

“Ares!” chiamò Atena

“Atena..” rispose Ares.

“Sei in piedi!” sorrise lei.

Il Dio della guerra rispose a quel sorriso, ansimando per la fatica.

“Abbiamo vinto. Visto?”.

“Sei..sei un coglione!” urlò lei, accigliandosi “Hai agito senza pensare e ti sei fatto colpire un sacco di volte! Se ti fossi fermato a riflettere, non saresti ridotto in quello stato!”.

“E tu, allora?” sbottò il Dio “Fai tanto la saputella ma sei ridotta peggio di me! Che cazzo vuoi?”.

“Hai messo in pericolo l’intero tempio!”.

“Anche tu. Perché non hai permesso ai tuoi cavalieri di aiutarti? Una freccia d’oro non andava male, in testa a quel coso enorme!”.

“E tu perché hai fermato i tuoi figli?”.

“Io..tu..ti odio!”.

“Anche io ti odio! Sei incapace di ragionare”.

“E tu sei una rammollita che si sente tanto figa ma non lo è nemmeno un po’! Strega!”.

“Ma torna dalle tue puttane e lasciami in pace!”.

“Ti detesto. Non vedo l’ora che questa guerra finisca, così da non vederti più!”.

“Vale lo stesso per me”.

I due, ora vicinissimi, si fissavano negli occhi con odio. Poi qualcosa nel loro sguardo cambiò e rimasero in silenzio. Fu Ares a scattare in avanti, unendosi a lei in un bacio da cui la Dea non si sottrasse. Non importavano più le guerre, i problemi, le paure.. Qualche goccia di ikor cadde in terra, mentre le due divinità si guarivano a vicenda. Le nubi, intanto, si diradavano, lasciando spazio ad uno splendido sole.

 

“Sirio!” sorrise Seiya, raggiungendo l’amico accanto alla cascata “Come va?”.

“Come mai siete qui?” sorrise a sua volta Sirio, salutando Hyoga e Kiki.

“Abbiamo una missione importante da compiere” spiegò Pegaso “Dove si trova il tuo maestro?”.

“Dohko? A casa, ma ci raggiungerà presto. È successo qualcosa di grave?”.

“Abbastanza” annuì Kiki “E, te lo devo far notare, il tuo maestro non ha risposto ai richiami lanciati dal santuario”.

“Lo so ma vedi, Kiki, il mio maestro ha ancora dei dubbi sul gran sacerdote attuale e non obbedisce facilmente ai suoi ordini”.

“Cominciamo bene..” borbottò il giovane, capendo che la missione sarebbe durata più del previsto.

 

Atena non parlava, per la prima volta sentiva che le parole non erano necessarie. Si lasciava avvolgere da Ares, più che lieto di sentirla silenziosa per una volta. Lui la baciò sul collo e lei si scostò leggermente. Incrociò di nuovo lo sguardo di Ares, che si era fatto interrogativo.

“Grazie” mormorò lei.

“Per cosa?” alzò un sopracciglio il Dio.

“Per concedermi i miei tempi..”.

“TI concedo tutto il tempo che ritieni necessario, Atena”.

Lei sorrise. Con i lunghi capelli sparsi per i letto che iniziava a sfarsi, la Dea circondò il collo del Dio e sorrise con ancora più convinzione. Ares le si poggiò contro delicatamente, annusandone la pelle e facendosi accarezzare i capelli.

“Ti odio” sussurrò ancora lei.

“Anch’io” rispose lui “Ti odio tantissimo”.

Ares riprese a baciarla.

“Voglio vedere il tuo tatuaggio”disse lei, piano, fra un bacio ed un altro.

“Che bambina cattiva che sei!” ghignò il Dio “C’è altro che vorresti vedere?”.

“Che bambino cattivo che sei!” ammiccò la Dea.

 

Riaprendo gli occhi, Arles vide per prima cosa il volto di Discordia. Si scosse, non riuscendo bene a capire cosa stesse succedendo e cosa fosse accaduto.

“Stai bene?” domandò la donna.

“Che mal di testa!” gemette il sacerdote, mettendosi a sedere “Che è successo? Non ricordo”.

“Storia lunga” sorrise Deimos.

“Una cosa mi ricordo: io stavo cadendo e tu non mi hai preso!”.

“E perché avrei dovuto?”.

“Ma..ok..non fa niente. Perché ero per terra? E perché gli altri cavalieri sono ancora svenuti?”.

“Anche Kanon si sta risvegliando!”.

“La battaglia dunque è finita? Cosa è successo?”.

“Non lo so. Io ero qui esattamente come te, fratellino!”.

Arles gemette di nuovo per il mal di testa. Che fatica era essere a servizio di Atena!

 

Ares si svegliò quando un piccolo raggio di sole lo colpì sul viso. Gemette, infastidito.

“Grazie per essere rimasto” parlò Atena.

Il Dio si scosse, cercando di capire dove fosse. Lentamente iniziò a focalizzare e sbadigliò. La stanza di quella Dea era decisamente troppo pomposa per i suoi gusti. Ributtò la testa sul cuscino e la padrona di casa ridacchiò.

“Grazie?” bofonchiò il Dio, mezzo intontito.

“Sì. Avresti potuto rivestirti ed andartene e invece sei rimasto. È stato carino da parte tua”.

“Avrei potuto, sì. Però..avevo voglia di restare”.

“E perché?”.

“Serve una ragione?”.

“Di solito sì..”.

“Forse..forse ti odio troppo”.

Atena si lasciò abbracciare. Era fiera di se stessa. Aveva sconfitto Giove, questo voleva dire che poteva farcela a sostituire Zeus! Inoltre, con Ares al suo fianco si sentiva ancora più forte.

“Atena!” parlò una voce dall’esterno.

La Dea sobbalzò, allarmata. Aiolos! Scattò fuori dal letto e cercò in fretta le sue vesti, finite sul pavimento. Si vestì di corsa ed uscì, cercando di sistemarsi alla bene e meglio.

“Atena! Mia signora, siete lì? Tutto bene?”.

La Dea apparve, sforzandosi di apparire composta.

“Aiolos!” disse, sforzando un sorriso “Cosa ci fai qui?”.

“Sono in pensiero per voi, mia signora! State bene? Temevo vi avessero rapito di nuovo!”.

“Ma no, che dici ? Sto bene. Sono solo stanca. Ho combattuto e mi sono coricata. Ora, se vuoi scusarmi, vorrei tornare a letto”.

“Ah, comprendo. E Ares?”.

“Ares che cosa?”.

“Dov’è?”.

“Non lo so ma stava bene l’ultima volta che l’ho visto. Ora scusami..”.

Atena si congedò e rientrò in camera, buttandosi di nuovo a letto.

“Il tuo galoppino è un vero seccatore” borbottò Ares, con la testa affondata fra i cuscini.

“Si preoccupa per me. I tuoi figli non lo fanno?”.

“I miei figli sanno che dopo una battaglia mi vado a divertire, se ho vinto. Se ho perso invece voglio restare solo, senza scocciatori. In entrambi i casi loro sanno che devono starmi alla larga”.

“Che bravi..chissà se Arles è rinvenuto..”.

“Chi lo sa..”.

“Magari Discordia lo ha aiutato..”.

“Non mi piace quella femmina” ammise Ares, accigliandosi.

“Perché? È carina”.

“Non mi piace che ronzi tanto attorno al piccolo della famiglia. È una Dea, sai quanti anni ha?”.

“Meno di noi, essendo romana”.

“Sì ma molti più di Arles!”.

“Questo è ovvio. Ma su..che vuoi che succeda?”.

“Non lo. Non mi piace e basta”.

“E credi che io possa piacere ai tuoi figli?”.

“No, non credo proprio”.

“Allora è tutto a posto. Siete pari”.

“Ma non è vero! Io non ti ronzo attorno. Io ti odio!”.

“Sì, hai ragione. Anch’io ti odio da morire”.

 

Dohko lesse attentamente la missiva e non cambiò espressione. Fissò poi Kiki ed i cavalieri di bronzo, perplesso.

“Non vorrete mica che io conceda una cosa del genere, vero?” domandò.

“Sono ordini del sacerdote” rispose Kiki “Noi obbediamo agli ordini”.

“Gli ordini di un folle!”.

“Ma..sono ordini diretti di Atena! Anche lei ha firmato quella missiva!”.

“Non posso averne la certezza” commentò Bilancia, continuando a rigirare il figlio del grande tempio fra le mani “Più volte quell’uomo ha plagiato chi aveva attorno. Ho motivo di pensare che potrebbe essere un inganno”.

“Ma come un inganno?!”.

“Dovresti fidarti del vecchio maestro” lo rimproverò Sirio “Lui conosce molte cose, Kiki”.

“Sì ma perché siete tutti complottisti? Vedete gente che trama alle vostre spalle ovunque!”.

“Tu non puoi capire, Kiki..”.

“Allora spiegatemi. Che deve fare un uomo per avere la vostra fiducia?”.

“Non tradirla, tanto per iniziare”.

“Voi tutti sospettate di me. Ma io che vi ho fatto? Non sono forse stato un vostro fedele compagno ed amico, fin da bambino?”.

Nessuno rispose. Si guardarono fra loro, in cerca di una risposta che non arrivò.

“Tu obbedirai a quell’ordine, Dohko di Libra” si impuntò il giovane “O sarò costretto ad usare la forza. È una questione d’emergenza”.

“Credi di potermi sconfiggere, ragazzo?” sorrise Dohko, divertito.

“Vogliamo provare?”.

 

“Che fai lì per terra?” domandò Ares, entrando alla tredicesima.

Il sacerdote, seduto in terra, si stava facendo pettinare i capelli da Discordia. Nel frattempo, preparava altri sigilli.

“E tu dove sei stato?” rispose Arles.

“Non sono affari tuoi!”.

“Idem!”.

Il padre sospirò e si avvicinò.

“Avete ucciso Giove?” chiese il sacerdote.

“Sì, esatto”.

“Ottimo. Immagino che tu sia già andato a festeggiare”.

Ares sorrise. Sedette accanto al figlio, osservando i foglietti che il sacerdote stava compilando. Arles alzò lo sguardo e lo fissò. Il padre sostenne lo sguardo ed inclinò leggermente la testa.

“Cosa c’è?” domandò il Dio.

“Tu hai..avuto un incontro molto ravvicinato con Atena, vero?”.

“Ho combattuto con lei”.

“Non raccontarmi balle. C’è il suo odore su di te..”.

“E tu che ne sai?”.

“Ho imparato a conoscerlo con gli anni. Ma potrei anche sbagliarmi..”.

Ares scoppiò a ridere. Il figlio rimase in silenzio, non capendo il perché di quella risata.

“Sei un ragazzo perspicacie” commentò il Dio “Di certo è questa una dote che non hai preso molto da me. Ti confermo che ho avuto un incontro ravvicinato con la tua Dea”.

“Quanto ravvicinato?”.

“Molto ravvicinato. Estremamente ravvicinato”.

“Entro il limite dell’accettabile?”.

“Dipende da cosa credi che sia accettabile”.

“Te la sei scopata?”.

“Come sei volgare..comunque sì e, tranquillo, era consenziente. Non sono uno stupratore di fanciulle IO”.

“Non serve infierire..”.

“E a te non serve essere così curioso. E vedi di non farmi la predica”.

“Di quel che fate voi Dei, a me poco importa. Puoi anche ingravidarla, per quel che mi riguarda!”.

“Come sei acido”.

“Vai a cagare”.

Ares si accigliò leggermente ma poi alzò le spalle. Delle opinioni di un mortale non doveva preoccuparsi. Si rialzò, stiracchiandosi, ed uscì dalla sala. Arles scosse la testa, non sapendo che altro fare.

“Sei troppo teso” gli mormorò Discordia “Non tutto il peso del mondo grava su di te”.

La donna accennò un massaggio alle spalle del sacerdote, che sospirò.

“Forse hai ragione” parlò lui, rigirando fra le dita un sigillo.

“Perché non provi a rilassarti un pochino? Ti faccio un massaggio con gli oli, se vuoi. Aiuta a stendere i muscoli e lenire il dolore di percosse e ferite. Fin dall’antichità i guerrieri lo usavano”.

“Sei gentile. Ma dovresti proporlo ai cavalieri che sono stati feriti sul serio”.

“Tu non lo sei stato?”.

“Mi feriscono più i miei fratelli..”.

“Sono sempre dolori da calmare. Sono certa che poi ti sentirai molto meglio. Riposato e rinvigorito. Ti posso preparare anche un bell’impacco per i capelli. Sono così belli..è un peccato vederli rovinati dallo stress!”.

“Discordia! Andiamo..sono un cavaliere, non modello!”.

“Anche i gladiatori si concedevano dei momenti di relax. Perché tu dovresti essere da meno? O preferisci un altro tipo di attività rilassante?”.

La Dea mormorò e scese dolcemente con le braccia. Arles si scansò, scuotendo il capo.

“Non ti fidi di me?” domandò lei.

“Non è questo il punto. È che i rapporti umani non hanno fatto altro che portarmi guai, rimorsi e dolore. Perciò scusami ma..non credo di volerne creare degli altri!”.

“Capisco..”.

La Dea si alzò. Arles la osservò, mentre muoveva pochi passi.

“D’altronde..” aggiunse poi lui “..tu non sei propriamente umana, dico bene? Sei una Dea..”.

“Dove vuoi arrivare?” sorrise discordia.

“È ancora valido l’invito per quel massaggio?”.

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Capitolo 20
*** XX-prova ***


XX

 

PROVA

 

“Mi sto chiedendo una cosa..” mormorò Arles, camminando per la tredicesima.

“Che cosa?” sorrise Eros, in visita al grande tempio.

Il fratello minore pareva piuttosto annoiato, oltre che dubbioso. Il Dio, al contrario, aveva un gran sorriso in mezzo alla faccia.

“Fai uso di droga, Eros?” domandò il sacerdote.

“Perché?!”.

“Perché..dai..Atena ed Ares? Solo un pazzo o un drogato potrebbe concepire un’idea così malsana!”.

Eros scoppiò a ridere, scuotendo la testa.

“Cos’hai da ridere?” alzò un sopracciglio Arles.

“Niente. Solo che pure Anteros era perplesso. Ma sai bene che non sono io a decidere..”.

“Facile dare sempre la colpa agli altri dei casini che si combina!”.

“Ma..”.

“Cosa fai qui, Eros?”.

“Ho accompagnato Efesto, giunto qui su richiesta di Atena. Pare che le armature divine di lei e papà siano state danneggiate da Giove”.

“Peccato non ci sia Afrodite. Mi sarei divertito..”.

“Tu sei un..”.

Il Dio non finì la frase perché un altro Dio entrò nella stanza, scostando la tenda. Ares, con un mezzo ghigno, salutò i figli. Eros rispose con entusiasmo ed Arles si voltò, continuando la sua passeggiata insensata lungo il tappeto rosso della sua dimora.

“Cos’è sto muso lungo, Arles?” sorriso il Dio della guerra “Sorridi! È primavera, il sole splende, il capo nemico è morto e la vita è bella”.

“Ecco un altro drogato” commentò il sacerdote, continuando a camminare. Ares scattò in avanti ed afferrò il figlio per la vita, sollevandolo. Arles protestò ma il Dio non voleva sentir ragioni. Sempre ridendo, il padre portò fuori di peso il figlio.

“Mettimi giù! Che cazzo fai?! Ti sei fumato l’erba gatta di Ioria?!” gridava il sacerdote, mentre il padre continuava a camminare, diretto all’arena.

Lì molti cavalieri erano riuniti per gli allenamenti e gli strepiti del loro capo un po’ li spaventarono. Per quale ragione il Dio della guerra teneva su una spalla il sacerdote, che scalciava e lanciava maledizioni, fra una bestemmia ed un’altra. Poi fece silenzio. Ares un po’ si stupì della cosa. Si voltò indietro e vide che il figlio fra le mani stava creando una sfera. D’istinto, il Dio lo scaraventò in terra, in uno scatto simile a chi si ritrova di colpo un ragno sulla mano.

“Hai tentato di another dimensionarmi?!” esclamò Ares.

Il sacerdote si rialzò, pulendosi la veste dalla polvere. Non parlò. Congiunse le mani, nascondendole dentro le maniche, e fece per andarsene.

“Dove te ne vai?” lo apostrofò il Dio della guerra.

“A lavorare. Cosa che dovresti fare anche tu”.

“Sai una cosa? Sei troppo stressato. Non so che problemi hai, ma dovresti farti una risata”.

“Cresci!”.

Ares spalancò gli occhi, che si iniettarono immediatamente di rosso. Il figlio gli dava le spalle, ignorandone la collera improvvisa. Questo gli impedì di vedere la mossa fulminea che il Dio fece, che andò a colpire in pieno il sacerdote. Arles barcollò in avanti, sbilanciato da quella botta. Si portò una mano alla testa, il punto colpito.

“Sei rimasto in piedi. Che bravo” sbottò, sarcastico, Ares.

“Ma che problemi hai?!” sbraitò Arles, voltandosi di scatto.

“Porta rispetto, ragazzino!”.

“Crepa!”.

Ioria ed Aiolos, anche loro in arena, si lanciarono un’occhiata preoccupata. Il santuario era in mano a simili individui?

“Devi imparare a stare al giusto posto, l’ho sempre detto” continuò il Dio della guerra, sollevando un braccio.

Il rosso cosmo scintillante di Ares brillò. Arles si accigliò e concentrò pure lui il cosmo, pronto ad attaccare. Il padre rise, divertito dal fatto che il figlio volesse davvero rispondere alla provocazione.

“Non voglio farti del male, cucciolo” ridacchiò il Dio.

“Io invece voglio disintegrarti la faccia!” ringhiò il sacerdote.

“Come se avessi qualche speranza..”.

“Ma vuoi lasciarmi in pace?!”.

“Sono il Dio della guerra, non lascio in pace nessuno!”.

“Allora vai a fare in culo!”.

“Succhiamelo!”.

“Va a fartelo succhiare da Atena!”.

Ares non disse altro. Cacciò un grido, infastidito da quelle frasi, e tentò di tirare un cazzotto al figlio. Arles riuscì a schivarlo, ma il Dio reagì subito e questa volta il mortale ebbe la peggio. Finì scagliato all’indietro. Questo non placò l’ira del genitore, che lo raggiunse con l’intento di infierire. Arles però non si fece prendere alla sprovvista e lanciò il suo attacco.

“Ma che combinate?” si spaventò Atena, comparendo nell’arena e vedendo padre e figlio azzuffarsi.

“State indietro, Signora!” si affrettò a dire Aiolos “È pericoloso!”.

“Perché litigano?”.

“Soliti futili motivi, mia Dea”.

“Smettetela! Risparmiate le energie per la guerra!”.

Inaspettatamente, Ares si fermò. Sorrise alla Dea e fece un piccolo inchino. Arles si rialzò e si scosse, tenendosi un fianco. Ignorò i presenti, volendo raggiungere in fretta la tredicesima.

“Stai bene?” si preoccupò Discordia.

“Da Dio” sbottò il sacerdote.

Discordia capì che non era il caso di seguirlo, anche se era preoccupata. Stava perdendo sangue, ma era evidente che non era dell’umore adatto per avere compagnia.

“Sei uno stupido!” rimproverò Atena, puntando il dito contro Ares.

“Chiedo perdono. Sono questioni di famiglia”.

“Lascia stare il mio sacerdote! Mi serve!”.

“Serve anche a me!”.

Il Dio della guerra si passò un paio di dita sulla guancia, percependo un lieve fastidio. Si stupì, perché sopra ci vide del sangue. Notevole! Il mortale era stato in grado di ferirlo, anche se solo lievemente! Allora gli allenamenti servivano a qualcosa!

 

“Dici sul serio, Kiki?” domandò Dohko, non del tutto certo di aver capito.

“Ho un compito da svolgere” annuì il giovane “E lo porterò a termine! Devo spezzare quei sigilli!”.

“Anche se ti dico che è una follia?”.

“Esatto!”.

“Non te lo permetterò”.

Kiki si guardò attorno. Ma i cavalieri di bronzo mandati a combattere a suo fianco non facevano nulla? Anche loro erano dalla parte di Dohko? Non era certo di poter tenere testa a tutti loro, però doveva tentare! Si concentrò, caricando cosmo. Dohko fece lo stesso, ma una voce femminile interruppe il loro silenzio.

“Qual è il problema?” parlò ancora la donna.

Apparve, fra le acque della cascata, fluttuando.

“E tu chi saresti?” domandò Seiya.

“Sono Eleonore, seconda moglie di Hades. E, da quel che sento, avete qualche problema con i sigilli. L’esercito del mio uomo è pronto, ma con i sigilli attivi non è possibile per noi entrare in campo. Siamo alleati, adesso. Per quale motivo non volete averci a fianco della vostra Dea?”.

“Non riesco a fidarmi dell’esercito di Hades” ammise Dohko.

“In questo caso..seguitemi”.

“Dove?”.

“Da chi non vi fidate. Sono certa con una buona conversazione fra gentiluomini possa risolvere molte cose”.

“Io non voglio parlare! Meno che mai con Hades!” protestò Seiya “E poi pure tu potresti essere una minaccia”.

“Una minaccia? Io?”.

“Certo! Sei la moglie di Hades!”.

“E anche se lo fossi?”.

“Ti sconfiggerei!”.

“Provaci!”.

Seiya corse verso Eleonore, caricando il suo colpo. Eleonore attese qualche istante e, quando il cavaliere fu abbastanza vicino, saltò all’indietro e ruotò, colpendo con un calcio Pegaso.

“HALF MOON NIGHT!” scandì colei che un tempo era la sacerdotessa di Artemide.

Delle falci argento apparvero in cielo ed investirono Seiya, che finì a gambe all’aria.

“E adesso obbedisci, ronzino, e seguimi!” ordinò lei.

“Ma..” domandò Kiki “Voi siete la ex moglie di Saga?”.

“Sì. La cosa vi crea qualche problema?”.

“Parecchi!” ammise Hyoga “Fra noi e Saga non scorre buon sangue”.

“Biondino..sono la sua EX moglie, comprendi? Non ho più nulla a che fare con lui, se non il fatto che dovremmo combattere come alleati. E adesso muovetevi e seguitemi, o prendo a calci tutti quanti!”.

 

Kanon non riusciva a crederci. Stava davvero allo stesso tavolo con Poseidone ed i suoi sottoposti? E si stava perfino divertendo!

“Allora è vero? Hanno ammazzato Giove?” chiese il Dio dei mari.

“Esatto. Massacrato” confermò Kanon.

“Quindi ora riescono davvero a combattere assieme?”.

“Sì. E girano voci che non facciano solo quello insieme, se capisci quel che intendo..”.

“La notizia mi stupisce alquanto ma..si sa che Ares ed i suoi discendenti dopo una battaglia cercano divertimento. Atena sarà capitata nel mezzo”.

“Non so. Lei mi pare di buon umore. Non ha l’aria di chi è stata violentata, costretta o ingannata”.

“Davvero? Beh, staremo a vedere”.

“Sì, simili questioni si possono rimandare anche a dopo la guerra”.

“Vero. E, parlando di questo, mi piace l’idea di un attacco diretto all’Olimpo. Quando si saprà se il piano è confermato?”.

“Credo molto presto. Ora che le due divinità guerriere vanno d’accordo, si ragiona!”.

“Ottimo. E mio fratello Hades?”.

“Dei cavalieri sono in missione per sciogliere i sigilli, così il suo esercito si unirà”.

“Insieme, dopo tanto tempo. Da quanto noi fratelli non combattiamo insieme! Anche se questa volta non ci sarà Zeus..”.

“Già. Pensi che Era combatterà?”.

“Vedremo. Credo di sì. Di certo è ancora irata con il nemico per quel che hanno fatto al marito”.

“Sarebbe fantastico”.

 

Discordia era riuscita ad entrare nelle stanze del sacerdote e lo stava aiutando con le bende.

“Non rattristatevi” mormorò la Dea, baciando Arles sulla nuca, fra i capelli “Il Dio della guerra è un uomo senza pietà, non dovete sentirvi debole perché vi ha ferito”.

“Ma io ho promesso a mio padre la testa di Marte. Come faccio ad ottenerla? Marte è potente come mio padre..”.

“Saprete come fare. Usate il cervello, cosa che gli Dei come Ares e Marte non fanno spesso”.

“Smettila di usare l’onorifico. Non lo hai mai fatto, prima d’ora! E poi..Marte è tuo fratello! Non puoi darmi suggerimenti su come ucciderlo!”.

“Siamo in guerra. C’è chi vivrà e chi morrà. Ma posso strapparvi una promessa?”.

“Dipende..inizia dandomi del tu, poi vediamo..”.

“Torna da me! Promettimi che, qualsiasi cosa accada, tu non ti lascerai sopraffare dallo sconforto. Promettimi che, anche se il tuo animo è triste, combatterai con tutte le forze per tornare da me”.

“Tornare da te? E perché?”.

“So che il tuo cuore non mi appartiene ma, in tutti gli anni che ho trascorso a questo mondo, non mi sono mai sentita così legata a qualcuno e sento che ne morirei se tu non tornassi”.

“Non esagerare. Sei una Dea, con tutta l’eternità per trovare qualcun altro a cui legarti”.

“Se fin ora non è mai successo, non credo possa accadere ancora. Poi..chi lo sa..però fammi questa promessa! Lotteremo fianco a fianco e vivremo entrambi. Prometti?”.

“Farò il possibile, Discordia”.

La Dea lo baciò di nuovo sulla nuca e lo abbracciò. Arles sobbalzò.

“Scusa! Ho toccato la ferita!” si dispiacque lei.

“Non fa niente. Passerà..”.

“Sai..io sono Discordia. Ho un doppio volto, come sai. So essere terribile, vendicativa e spaventosamente stronza. Ma con te..con te non potrei mai. Anche se tu mi riservi solo la totale indifferenza”.

“Penso che potresti trovare compagnia migliore della mia altrove. Se non oggi, nei secoli a venire”.

“Io voglio restare qui accanto a te. Sono forse un fastidio? L’altra notte, mi hai chiamato Eleonore mentre..”.

“Ti chiedo perdono. Immagino che questo ti abbia ferita. Non lo ricordavo..”.

“Non importa il nome con cui vuoi chiamarmi. L’importante è che tu sia soddisfatto..”.

“Vuoi farmi da puttana? Credevo che quella notte, dopo il massaggio, fosse stato solo una sorta di..incidente..”.

“Se vuoi, posso essere la tua puttana. E lo consideri un incidente?”.

“Non voglio una puttana. Voglio una donna. È che a volte perdo il controllo e..”.

 “Oh, baciatemi, Signor Arles!”.

La Dea scattò in avanti e baciò il sacerdote, che finì ribaltato all’indietro sul letto. Discordia stava usando i suoi poteri divini e quindi per Arles non c’erano molte possibilità di fuga. Non provò nemmeno a fuggire. Aveva assaporato l’amore divino qualche sera prima, dopo quel massaggio, e ne era assuefatto.

“Voglio essere la tua donna, stanotte e per il tempo a venire” mormorò lei, baciandolo “E ti farò gridare il mio nome! Griderai! Griderai Discordia. E sarai mio”.

“Sì” gemette Arles, ansimando per il piacere “Urlerò il tuo nome! E tu pronuncerai il mio!”.

“Ah..Arles!”.

 

I due cavalieri di bronzo, Kiki e Dohko seguirono Eleonore nel regno di Hades.

“Vi avviso..”parlò la sposa del Dio “..il tempo nell’oltretomba non scorre in modo lineare. Perciò non trattenetevi troppo a lungo”.

“Io non mi tratterrei affatto!” storse il naso Seiya.

“Chiudi la bocca!” lo zittì Radamante, che si avvicinò ad Eleonore come sua scorta.

“Radamante! Dannato!”.

“Sì, in effetti lo sono e non poco. Ma non è questo il problema oggi”.

Camminando, il gruppo udiva urla di anime tormentate e pianti. Che luogo lugubre e terribile! Kiki osservava Eleonore, chiedendosi come potesse vivere lì, dopo aver vissuto alla luce della luna come sacerdotessa di Artemide. Il pallore della donna era quasi mortale, ma restava comunque bellissima. La seguirono in silenzio ed infine giunsero al palazzo di Hades.

“Benvenuti” salutò il padrone di casa, con in braccio il figlio.

Il Dio non sorrideva ed i cavalieri d’Atena si misero tutti in posizione d’attacco, tranne Kiki che voleva a tutti i costi compiere la sua missione. Accanto al padrone di casa, Aiaco e Minos osservavano gli intrusi. Thanatos ed Hypnos, invece, ignoravano i presenti e suonavano assieme a Pandora. Poi un’ombra si mostrò e Dohko sobbalzò.

“Shion!” esclamò, riconoscendo il collega con indosso la surplice.

 

“Adesso cerca di darti una calmata!” sbottò Minerva, osservando il fratello minore che camminava nervosamente da una parte all’altra.

“Calmarmi? Ma li mortacci tua, femmina! Calmate te! Come ha osato? Come?!” ringhiò Marte.

“Non lo so. Ma reagire così non serve”.

“Discordia! ‘A mi cara sorellina, che me pianta così, e se butta dalla parte der nemico! Da dove cazzo gli è uscita sta fantasia?! Dal buco der culo?!”.

“Non è detto che lo abbia fatto..” mormorò la Dea, rimanendo calma ed affilando la sua lancia.

“J’ho sempre voluto ‘n bene! E mo se è andata a sbatte quel mortale, quel semidio irritante..che je possa pija ‘n colpo, a tutte e due!” sibilò il Dio, agitando le mani in modo sconnesso ed agitandosi.

“Fra l’altro, il semidio è quello che ti ha imbrogliato con le illusioni”.

“Se lo becco, lo crepo! Lo sgozzo co’ e mano mia e con ‘a sua testa me ce addobbo la casa come ‘n trofeo! Già mi faceva girà i cojoni perché è er bastardo de quel poeraccio che cerca de venimme dietro che se chiama Ares, mo’ però ‘o vojo proprio massacrà! ”.

“Ti concederò l’onore di occuparti di lui. Io prenderò Atena. Vendicherò Padre Giove”.

“Daje! ‘O vedi che stai a muove er culo pure te? Le chiacchiere tue me stavan veramente a stressà er cazzo. Ciò ‘n incazzatura dentro che nun poi sapè! Prima uccido quer pezzo de merda che m’ha preso per culo co’ le illusioni, e poi faccio secca la puttanella sua!”.

“Non è detto che sia la sua puttana e poi..è tua sorella!”.

“Mo’ non più. Er traditore che cojona Marte, o more o parte! Ha da morì o dà cambià pianeta!”.

“Fratello, dobbiamo muoverci”.

“Che te passa pè ‘a capoccia, Minè?”.

“Attacchiamo. Attacchiamo tutti insieme, in nome di Padre Giove”.

Marte rise, pregustando la battaglia. E Minerva gridò, chiamando a raccolta tutte le divinità che all’Olimpo attendevano ordini.

 

Kanon era rientrato al tempio, con al seguito Poseidone ed il suo esercito. I greci si stavano radunando, con l’intento di sferrare un attacco combinato all’Olimpo. Come di consueto, il cavaliere salì fino alla tredicesima per fare rapporto. La stanza era buia e pensò che forse il sacerdote non era ancora sceso. Però era strano..a quell’ora stava sempre lì!

“Saga!” chiamò, alzando la voce “Fratello, sono io. Stai facendo il bagnetto con le paperelle? Se sei con una donna, scusa il disturbo”.

Non ottenne risposta. Camminò ancora lungo il tappeto rosso e poi vide che qualcuno c’era, accovacciato nell’ombra, fra le tende.

“Saga?” chiamò ancora, piegandosi leggermente di lato, cercando di vedere meglio.

Kanon udì un gemito disperato ed un respiro affannoso. Quando fu abbastanza vicino, il cavaliere capì di avere di fronte il fratello, come temeva.

“Saga?” ripeté ancora “Cosa succede?”.

Il sacerdote girò la testa, mostrando il suo peggior sguardo da folle. Il fratello ne fu lievemente spaventato, ma non si mosse. Poi il maggiore sollevò una mano, mostrandola coperta di sangue.

“Che hai fatto?” esclamò Kanon, notando l’inconfondibile luccichio della daga d’oro nell’altra mano di colui che aveva di fronte “Non avrai mica ferito Atena? Oppure hai..”.

“Kanon..” scandì lentamente Saga, con tono malinconico.

“Sì, fratello. Sono io” rispose il minore, sempre più preoccupato.

“Lei morirà” riprese il sacerdote, con sguardo perso nel nulla.

“Lei chi?”.

“Discordia..”.

“Discordia? La romana? Perché dovrebbe?”.

“Perché tutto quel che si avvicina a me, muore. Tutti quelli che mi amano, muoiono”.

“Oh, ma che dici? Lei è una Dea!”.

Kanon si chinò, in modo da sedersi accanto al fratello. Cercava di guardarlo negli occhi, ma Saga fissava il vuoto.

“Lei morirà..” ripeté di nuovo il maggiore, come ipnotizzato.

Dicendo questo, sollevò il pugnale e lo guardò, inclinando leggermente la testa. Era sporco di sangue, ma non in quantità tali da indicare l’uccisione di qualcuno.

“Forse dovrei..sparire” continuò il sacerdote “Così non morirebbe più nessuno”.

“Posa subito quel pugnale!” ordinò Kanon, iniziando a capire.

“Forse dovrei..”.

“Posa quel pugnale! Fallo per me..andiamo! Hai provato ad accoltellarti, vero? Vero, Saga? Però Arles ha avuto la meglio ed ha fermato quella lama prima che fosse tardi. Sei ferito alla mano”.

“Va via..”.

“Non vado via! Non ci penso proprio! Saga! Parlami! Perché sei così angosciato? Ne abbiamo passate tante io e te, ma ci siamo sempre rialzati. E lo rifaremo ancora!”.

“Non so se è quello che voglio..”.

“Certo che è quello che vuoi. Dammi quel coltello! Lo farò gettare a Capo Suion!”.

“Così che qualche altro traditore possa usarlo, come è successo a te con il tridente di Poseidone?”.

“No, così che tu non lo possa vedere più. Se non ti va bene quel posto, ne troverò uno diverso. Ma adesso dammelo, o giuro che tiro su un casino che metà tempio sarà qui in un attimo a vederti in questo stato. Ed io so che non lo vuoi..”.

Saga rimase immobile, con il coltello ancora fra le mani.

“Sai..” parlò ancora, lentamente “..in questo momento Kiki è con lei..”.

“Kiki?” domandò Kanon, senza capire “Da lei? Da lei chi?”.

“Da Eleonore..”.

“E tu come lo sai?”.

“Porta con sé la mia collana. Ha parte del mio cosmo..percepisco ciò che accade”.

“Quindi sai perché il sigillo di Hades non è ancora stato sciolto?”.

“Già..”.

“Sei andato fuori di testa perché hai ripensato a lei? Ma perché, fratello, perché? Comprendo sia stata un’esperienza dolorosa, ma appartiene al passato! Guarda al futuro, ed al presente! Ci sono tante cose belle nella tua vita”.

“Ad esempio?”.

“Cazzo, sei il figlio di Ares!”.

“Anche tu..”.

“Io mi esalto per questo. Sono un semidio! E dovresti farlo anche tu”.

“Non fa che picchiarmi e ricordarmi quanto sono debole e stupido”.

“Non sei nessuna delle due cose. Adesso alzati e dammi quel coso, se non vuoi farmi arrabbiare sul serio”.

“Ma che ti importa? Anche se muoio, a te che cosa cambia?”.

“Smettila di fare domande cretine! Ho una voglia di prenderti a sberle adesso che mi trattengo a malapena!”.

“Perché non lo fai?”.

“Non darmi stimoli! Oh, andiamo! Tutti commettiamo degli errori ed a tutti capitano cose brutte. A qualcuno capita qualcosa di più brutto rispetto ad altri ma..la forza di una persona si misura anche da questo! Dalla sua capacità di rialzasi e continuare. Ed io sono sicuro che tu ne sei in grado. Sono assolutamente certo delle tue capacità, fratellone. Perché ti conosco bene. E mi rendo conto che non sia affatto semplice. Vedo anche il tuo lato Arles arrancare a volte, ma sono convinto che ce la farai”.

“Bei discorsi..”.

“Esprimo quel che penso, non sto mentendo!”.

“Sai chi mi ricorda Ares?”.

“Hem..te stesso?”.

“Anche. Ma principalmente Shion”.

“Shion?”.

“Sì. Noi eravamo bambini non voluti, siamo stati abbandonati e ci ha cresciuti lui. Però quanto era stronzo! Non faceva che pretendere, sempre di più. Ero solo un bambino e mi riempiva la testa di discorsi sulla guerra santa, sulla fine del mondo e su quanto io dovessi impegnarmi per essere gran sacerdote. L’ho odiato, credimi..”.

“Sapessi io..”.

“Un bambino che corre appresso a colui che dovrebbe considerare un padre, che gli racconta orgoglioso i suoi progressi e le sue conquiste, che si sente rispondere che non è abbastanza..ma come vuoi che cresca?”.

“Frustrato, come te. Ma lo hai ucciso anche per questo, perciò..”.

“Non mi aiuti!”.

“Lui non ti amava, quello era certo. Ti ha riempito la testa di sogni poi svaniti. È normale arrabbiarsi. Certo, un po’ meno normale ucciderlo, però..insomma, guarda me! Poseidone mi odiava ed ora siamo di nuovo alleati. So che sei triste per Eleonore, ma pensa al fatto che lei ora è felice. Felice e viva! Non è cibo per i vermi, bensì una fanciulla in grado ancora di sorridere. E questo anche grazie a te. E per quanto riguarda il presente..Discordia è una Dea e non morirà tanto facilmente, anche se ti sta vicino..anche troppo!”.

“Ma se morisse..”.

“Non morirà! È questo che ti frena? È questa paura che ti impedisce di vivere una storia decente? Sei lagnoso! Provaci, almeno! Prova a vivere, e non solo a rimpiangere!”.

“Io ci provo!” gridò Saga, accigliandosi e zittendo il fratello “Io ci provo, credimi. Ricordo cosa si prova quando si è innamorati, quando qualcuno ti scalda il cuore e quel sentimento è ricambiato. Lo ricordo e..mi manca! Mi manca tanto ma..ho paura! Sono un debole ed un deficiente! Io sono un semidio, il sacerdote di Atena, un cavaliere potente e guardami! Ho praticamente quarant’anni e sto qui come un ragazzino idiota! Mi sento così stupido..”.

Kanon intravide una lacrima sul viso del fratello e gli si avvicinò. Lentamente, prese possesso del pugnale e lo gettò lontano.

“Sì, sei uno stupido, Saga. Ma resti comunque il mio fratellone. E poi..che c’entra l’età?! L’amore rincoglionisce tutti, anche i quasi quarantenni con il corpo che sta ringiovanendo! Ama Discordia. Provaci! Eleonore non tornerà, non ti ama più!”.

“Nemmeno Discordia mi ama. È solo legata a me perché l’ho aiutata”.

“Si è schierata contro la sua famiglia! Credi che lo faccia solo perché si annoia?”.

“Non lo so. Io..”.

Kanon scattò ed abbracciò il fratello, sorridendo.

“Tu, fratello mio, dovresti pensare di meno. Fai come papà: agisci d’istinto”.

“Ma..ma che dici?!”.

“Promettimi che le darai una possibilità. Che proverai ad aprire il tuo cuore ed il tuo animo a questa donna che chiede disperatamente di entrarvi. Io ho conosciuto Sarah e, credimi, non potrei essere più felice con lei accanto. e voglio che tu possa provare altrettanto”.

“E se..poi fosse tutto sbagliato?”.

“L’amore può far soffrire. Ma può anche lenire un sacco di vecchie ferite. Provaci”.

“E se ne aprirà delle nuove?”.

“Di ferite? Cureremo anche quelle. Siamo cavalieri, le ferite fanno parte della nostra vita”.

 

“A chi il gran sacerdote ha affidato la collana per spezzare i sigilli?” domandò Shion.

“A me” rispose Kiki, mostrandola.

Shion parve stupito e sorrise. Si avvicinò al ragazzo, osservandolo.

“Tu sei Kiki, giusto?” domandò.

“Sì. Mur mi ha parlato molto di voi”.

“E Saga? Non ti ha parlato di me?”.

“Certo, come era ovvio che facesse”.

“Ma perché non è venuto qui di persona a spezzare questo sigillo?”.

“Perché Atena gli ha dato altri compiti. Qual è il problema?”.

“Nessuno. Credevo che fosse ferito o morente, dato che già ha scelto il suo successore..”.

“Sta benissimo”.

“Anche a livello mentale?”.

“Piantatela! Siamo qui per spezzare il sigillo, non per spettegolare!”.

“Devo interpretarlo come un NO? Comunque da pure a me la collana, ci penso io a spezzare il sigillo”.

“Shion!” lo fermò Dohko “Di nuovo? Sono di nuovo costretto a combattere contro di te?”.

“E perché?!”.

“Non permetterò agli specter di marciare per la terra!”.

“Ma siamo alleati adesso!”.

“Certo. Per quanto tempo? Quando la guerra sarà finita, poi di noi che sarà?”.

“Shion!” si intromise Hade, alzandosi “Zittisci quel vecchio e spezza quel sigillo! La guerra incombe, non possiamo stare qui a giocare”.

“Sì, signore”.

“Signore? Come puoi chiamare Hades con tale epiteto?” protestò Dohko, preparandosi a combattere.

Seiya e Hyoga seguirono l’esempio. Hades sospirò e guardò i suoi giudici, che non vedevano l’ora di infierire su quei seguaci di Atena.

“Non uccideteli” aggiunse il Dio “Atena si irriterebbe”.

“Ma..io non voglio combattere!” protestò Kiki.

“Sei messo alla prova, ragazzo” spiegò Shion “Vediamo un po’ che sai fare! Se ti mostrerai all’altezza, sarai tu stesso a spezzare il sigillo”.

 

“Hei! Mi senti?!” gridò Deathmask e il sacerdote sobbalzò.

“Che c’è?” domandò, scuotendosi.

“Sto qua da un sacco di tempo, sai? Che stai facendo?”.

“Controllo quel che combinano Kiki e gli altri che ho mandato a spezzare il sigillo”.

Arles sbadigliò. Aveva la mano fasciata e Discordia al suo fianco, seduta su una dei braccioli, che continuava a pettinargli i capelli. Non si annoiava mai, perché li trovava splendidi.

“E che fanno?” domandò il cavaliere del Cancro, incrociando le braccia.

“Perdono tempo, ecco quel che fanno!”.

“Per colpa di Kiki?”.

“No, Kiki è l’unico che non rompe le palle in quel gruppo!”.

“Ah, ottimo. Almeno uno decente in sta generazione nuova..”.

“Ad ogni modo, è meglio che si sbrighino”.

“Concordo. Sono qui per dirti che i romani si stanno muovendo e stanno venendo qui. Ci dobbiamo radunare il prima possibile”.

“Cosa?! Atena lo sa?”.

“No. Il gran sacerdote sei tu, sacerdotizza!”.

“Poseidone si è già messo in viaggio, così come molti altri greci. Ci serve il sigillo di Hades spezzato, il più in fretta possibile!”.

“Lo posso fare io? I cinque picchi li posso raggiungere in un attimo passando per lo Yomotzu”.

“Grazie, Deathmask, ma Kiki ha la collana. L’unica soluzione è che o io o Atena..ma voglio dare fiducia a chi ho mandato in missione. Probabilmente non si accorgono del tempo che passa. Ormai è più di una settimana che sono via! Attenderò ancora per un po’. Dopo sarò costretto ad intervenire, e la cosa mi scoccia!”.

“Anche perché come figlio di Ares sei più utile qui”.

“Gradirei non venir identificato solo come figlio del Dio della guerra..”.

“Ma è quello che sei..”.

“Metti in allerta i cavalieri, sono tutti al tempio. Io vado ad avvisare Atena ed Ares”.

“Posso avere l’onore di avvisare anche le tue sorelle?”.

“Le amazzoni? Come preferisci..”.

Deathmask sorrise ed il sacerdote scosse la testa, divertito. Come faceva quel cavaliere a pensare sempre alle donne, anche in un momento simile?

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Capitolo 21
*** XXI- fedeltà ***


XXI

 

FEDELTÁ

 

Atena aveva fatto convocare tutti i cavalieri alla tredicesima casa. Con aria solenne, e con a fianco il suo sacerdote ed Ares, iniziò il suo discorso.

“Innanzi tutto..” parlò, con un sorriso dolce “..volevo ringraziarvi. Non l’ho mai fatto prima d’ora. Ringraziarvi per aver lottato per me e per aver rinunciato a molto, a volte anche alla stessa vita, per proteggermi e salvarmi. Come sapete, è prossima una guerra contro le divinità romane. Stanno giungendo qui e questo è l’ordine che vi do: andatevene! Lasciate il grande tempio”.

“Come?” domandò più di qualcuno, senza capire.

“Andatevene” ripeté Atena “Questa guerra non è per voi. Lasciatela alle divinità”.

“Ma..Atena!” protestò Aiolos “Vi abbiamo servito fedelmente per anni, combatteremo fianco a fianco anche questa volta”.

“Questa volta è diverso, Sagittario. Io ed Ares abbiamo trovato alquanto difficoltoso sconfiggere Giove e noi siamo Dei della guerra. Ne verranno altri qui, altrettanto potenti, e non posso permettere che dobbiate sacrificarvi ancora. Siete liberi”.

“Liberi?! Parlate come se combattere per Voi sia una peso per noi”.

“Aiolos..il mio è un ordine!”.

“Ma..”.

“E questo vale per tutti! Anche per te, Arles. I mortali, li voglio al sicuro. Anche se sono mezzi Dei”.

“Certo..” ghignò il sacerdote “..come se davvero qualcuno potesse dirmi quel che devo fare”.

“Arles!”.

La Dea lo guardò, minaccioso. Lui ricambiò lo sguardo e rimasero qualche istante così.

“Se permettete..” continuò lui “..decido io come morire! Se voglio restare qui a lottare con tutte le mie forze per difendere quel che è stata la mia casa per tutta una vita, lo farò. E lo stesso possono fare gli altri, se lo desiderano”.

“Ma è pericoloso!”.

“Certo che lo è. Ma siamo nati per questo: per combattere. Non certo per coltivare margherite”.

“Arles..” provò ad intromettersi Ares, ma il figlio lo ignorò.

Il Dio, scocciato, lo fulminò con lo sguardo.

“Smettila!” sbottò Arles.

“Smettila tu! Ed obbedisci alla tua Dea”.

“I nemici stano arrivando. Invece di lanciare ordini insensati e pomiciare, voi due dovreste preparavi alla battaglia. Tutti i presenti dovrebbero fare lo stesso”.

“Se qualcuno di voi dovesse morire..” sospirò Atena “..io ne soffrirei”.

“Fosse vero, vi sareste già suicidata, viste tutte le volte in cui ci abbiamo rimesso la pelle!” rise Arles e più di qualcuno annuì.

“Noi non ci ritiriamo, Atena!” esclamò Milo “Ho un conto in sospeso con certa gente e non mi tirerò indietro!”.

“Ma sì!” si unì Shura “Abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno”.

Persefone, ospite temporanea al grande tempio, sperava davvero che Aphrodite si allontanasse, temendo di perderlo. Ma capì subito che i cavalieri erano uniti e nessuno di loro avrebbe mai lasciato soli i compagni in guerra.

 

I tre giudici infernali sapevano che i loro avversari non erano comuni. Anche se semplici cavalieri di bronzo, erano in grado di combattere come cavalieri d’oro. A volte. Dohko cercava di far ragionare Shion, ma l’antico gran sacerdote stava apertamente sfidando Kiki.

“Porterò a termine la mia missione!” esclamò il giovane “Il signor Arles conta su di me!”.

“Mostrami quel che sai fare, ragazzino” lo spronò Shion.

“Ma io non sono qui per combattere!”.

“STARDUST REVOLUTION!” lanciò l’ariete con la surplice.

Kiki saltò e si teletrasportò, schivando il colpo, che conosceva fin troppo bene. Accanto a lui, Seiya, Hyoga, Sirio e Dohko erano pronti ad affrontare i tre giudici.

“Sarà una passeggiata” ghignò Libra “Lasciate fare a me”.

“Non sei all’altezza” mormorò Shion, afferrando Kiki per la gola e sbattendolo a terra.

Il giovane riuscì di nuovo a teletrasportarsi. Non era abituato a muoversi indossando un’armatura.

“Io devo spezzare i sigilli e lo farò! Fatti da parte!” gridò il ragazzo.

Sapeva che Shion era forte ed esperto ma cercò di non farsi abbattere.

“Sei coraggioso. E fedele al gran sacerdote. Ma questo non conta!” parlò lo specter.

“E cosa conta allora?”.

“La fedeltà nei confronti di Atena”.

“Atena ha approvato la missione che devo compiere! Perciò è in nome di Atena che io agisco!”.

L’armatura di Kiki brillò di luce intensa e Shion sorrise.

 

“Qual è il piano, Minerva?” domandò Vulcano, camminando a fianco della Dea lungo la marcia verso il grande tempio.

“Gli eserciti greci si stanno radunando da Atena. Li distruggeremo prima che abbiano il tempo di organizzarsi” rispose lei.

“E come sai che avverrà questo?”.

“Ho un informatore fidato..”.

“Minerva!” si unì Febo “Concedimi l’onore di staccare la testa a chi ha fatto lo stesso con la mia gemella Diana!”.

“Purtroppo la stessa testa mi è stata richiesta da Marte, fratello. Dovrete stabile chi dei due avrà l’onore. Ma avrete molti mortali su cui sfogare la vostra ira”.

“Ma io desidero QUEL mortale, sorella”.

“Vedrò che posso fare..”.

 

Hypnos e Thanatos, vedendo che i tre giudici sembravano in difficoltà, si alzarono con tutta la calma possibile. Com’era noioso avere a che fare sempre con gli stessi scocciatori! Hades osservava il tutto con il figlio in braccio, che pareva divertito. Seiya si buttò a capofitto contro le due divinità e finì rispedito indietro con estrema facilità.

“Stavolta Aiolos è ancora in vita, non ti presterà l’armatura!” rise Thanatos “E senza una Kamui, puoi solo supplicare perdono!”.

“Vedi di non fare troppo il gradasso, fratello” lo ammonì Hypnos “Non dopo l’ultima volta..”.

“Fanculo! Potevi aiutarmi, invece di tirartela e basta!”.

“Sei sempre il solito..”.

“E piantatela!” sbottò Hades “Dovete combattere. Le questioni di famiglia lasciatele a dopo!”.

“Facciamo a chi ne atterra di più?” sfidò Thanatos.

“Ci sto!” sorrise Hypnos.

I cavalieri d’Atena finirono tutti in terra. I due Dei sorrisero soddisfatti.

“Che dici? Possiamo infierire?” domandò il Dio della morte.

“Non tirare troppo la corda..” mormorò il Dio dei Sogni.

I saint si guardarono. Contro di loro avevano tre giudici infernali, due divinità e Shion.

“Hades!” gridò Dohko “Se siamo davvero alleati, che senso ha tutto questo? Vuoi forse ucciderci?”.

“Lo hai detto tu: e quando questa alleanza finirà, cosa accadrà? Vediamo fino a che punto riuscite ad essere fedeli alla vostra Dea ed a ciò che comanda..”.

“Io non sono fedele a nessuno, mezze seghe!” tuonò una voce e, fra le fiamme, apparve un’ombra a tutti familiare.

 

“Ikki!?” sobbalzò Arles, riaprendo gli occhi.

“Come?!” chiese Shun, che ne stava controllando le ferite.

Seduto sul trono, il sacerdote porgeva la mano al medico, che toglieva le bende.

“Niente..sono sovrappensiero..” mentì Arles.

“Mi era sembrato di sentirvi pronunciare il nome del mio amato fratello” sospirò Shun “Da tanto non ho sue notizie..”.

“Ha ignorato il mio richiamo al tempio..”.

“Chiedo perdono da parte sua. Ad ogni modo, santità, la ferita pare rimarginata. Molto in fretta..anche troppo!”.

“Discordia avrà usato i suoi poteri..”.

“Può essere. Come vi sentite adesso? La vostra mente è un po’ meno tormentata?”.

“Stranamente sì. Alla vigilia di uno scontro in cui molto probabilmente morirò, perché mi sono creato dei nemici di alto rango fra i romani, sono tranquillo”.

“Forse perché confidate nella pace della morte”.

“Devo consegnare la testa di Marte ad Ares ed Era. Solo così, questi sono i patti, potrò avere la pace dopo la morte. In caso contrario, mi attende la punizione eterna”.

“Non è un’impresa da poco..”.

“Lo so bene. Ma ci proverò”.

“E non c’è un altro modo?”.

“Non lo so. Forse è destino che io la pace non la possa trovare mai..”.

“Io non credo..”.

“Ovviamente, dato che tu non vuoi combattere, ti allontanerai dal tempio assieme a Sarah e gli altri civili del tempio. Sarà tuo compito proteggerli, in caso di pericolo”.

“Davvero mi affidate Sarah, l’amata di vostro fratello Kanon?”.

“Certo. Le tue catene sono un’ottima arma di difesa”.

“E Discordia?”.

“Discordia vuole combattere. Ed io non posso impedirglielo”.

“Combattere?! Ma no, non può!”.

“E perché? È una Dea, è più forte di me”.

“Ma contro la sua stessa famiglia..”.

“Lo farò!” esclamò proprio Discordia, avvicinandosi al trono “Lo farò. Combatterò al vostro fianco, senza alcun timore. Mi hanno rinnegata”.

“Non sei costretta” cercò di convincerla Arles.

Lei si chinò, poggiando il capo sul ginocchio di lui. Chiuse gli occhi, mentre il sacerdote le poneva una mano sul capo.

“Lo desidero. Dimostrerò il mio amore”.

“Non è combattendo che si dimostra amore”.

“Allora dimostrerò la mia dedizione. E poi..ti proteggerò”.

“Se salverai la mia vita..il nostro patto sarà sciolto? Ti riterrai soddisfatta e te ne andrai?”.

“Andarmene? Perché?”.

“Perché tu sei qui perché io ti ho aiutata. Se tu farai altrettanto, nulla ti legherà a me”.

“Nulla?”.

Lo sguardo di Discordia si fece triste. Guardò in su, tentando di incrociare lo sguardo di Arles, che però era rivolto altrove.

“Nulla? Ma..il mio amore per te è forse nulla?”.

“Amore? Tu sei la discordia, non sai cos’è l’amore”.

“E tu? Sei il figlio di Ares, lo sai cosa sono pietà e speranza?”.

“No. Non credo”.

Discordia si alzò. Una lacrima le scese sul suo viso.

“Io combatterò!” gridò “Anche se per te non conto niente!”.

Si allontanò poi, non volendo mostrare la sua tristezza. Arles sospirò.

“Perché lo avete fatto?” domandò Shun “Era necessario? Le avete spezzato il cuore”.

“Oh, Shun! Sei così disgustosamente sentimentale! L’amore è una favola e chi ci crede deve solo crescere e svegliarsi”.

“Non è vero! Siete un essere ignobile”.

“Shun! Io non voglio che le accada qualche cosa di male. So per certo che Marte mi cerca e probabilmente anche molti altri. Ho decapitato una Dea ed ingannato parecchi romani. È inevitabile che, in questa battaglia, un numero consistente di loro provi a cercare di uccidermi. Dove credi che lei possa essere più al sicuro? Accanto a me o standomi lontana ed ignorandomi? Io voglio solo che nessun’altro muoia per causa mia. Questo è tanto ignobile?”.

“No..” mormorò Shun, stupito da quelle parole “Però..”.

“Va a prepararti. Presto il nemico sarà qui..”.

 

“Ikki!” esclamò Seiya, con un sorriso idiota sulla faccia “Che bello vederti! Qua la mano!”.

Ikki lo ignorò. Guardò prima Shion, poi i giudici ed infine gli Dei.

“Bene..” disse “..chi di voi sei stronzi vuole prenderle per primo?”.

“Sbruffoncello! Adesso siamo tutti insieme” gli fece notare Thanatos.

“E allora? Siete comunque una manica di esaltati a cui farò vedere le ali della fenice!”.

“Ikki!” si stupì Dohko, indicando Shion come a voler dire “porta rispetto”.

Shion, dal canto suo, ignorava l’ultimo arrivato e continuava ad affrontare Kiki. Ikki faceva lo stesso, concentrandosi sugli altri avversari. Lanciò la sua fenice, che però il Dio dei Sogni fermò.

“Già visto” commentò Hypnos “Devi saper usare qualcosa di nuovo!”.

Tutti si stupirono, soprattutto i cavalieri di Atena. Abituati com’erano a farsi salvare le chiappe dal cavaliere di bronzo, non sapevano che altro inventarsi. I nemici erano più numerosi e fra loro figuravano ben due divinità. Anche se le avevano sconfitte in passato, in quel momento non c’erano le Kamui a proteggerli. I nemici notarono la loro titubanza e colpirono tutti insieme.

“Adesso basta!” si stancò Kiki “Ho una missione urgente da compiere e mi sono stancato di discutere! COSMIC REVOLUTION!”.

Il giovane portò entrambe le mani in avanti ed una potente onda di stelle e materia oscura investì Shion. L’antico cavaliere finì a terra, con l’armatura danneggiata in più punti.

“Che colpo è mai questo?” domandò.

“Lo abbiamo inventato insieme, io ed il sommo Arles. Ti piace?” sorrise Kiki, piuttosto stanco.

“Bello. Complimenti. Per me la tua prova è superata, puoi spezzare i sigilli”.

“Come..?”.

“Fai pure quel che devi, Kiki”.

“Ma..”.

Dohko non reagì molto bene a quelle parole e decise di fare sul serio. Concentrò il suo cosmo e lanciò il suo colpo più potente contro i nemici. I cavalieri di bronzo seguirono l’esempio. I tre giudici e gli Dei ghignarono e si prepararono a fare altrettanto ma Hades intervenne, piuttosto contrariato.

“Siamo alleati!” sbottò, deviando tutti i colpi “Non dovete uccidervi a vicenda!”.

“Hades!” si stupì Libra “I colpi dei vostri sottoposti ci avrebbero di sicuro danneggiato gravemente. Perché li avete deviati?”.

“Perché siamo alleati, devo ripeterlo ancora? Shion aveva richiesto questa prova, ed io gliel’ho concessa”.

“Una prova? Shion ,perché?”.

“Ne riparliamo dopo” tagliò corto l’antico cavaliere “Vanno spezzati i sigilli. Sono passati già diversi giorni, anche se a voi sembrano poche ore!”.

Kiki porse la collana del gran sacerdote a Shion, che però scosse la testa.

“Sai quello che devi fare. È la tua missione e devi portarla a termine, rientrando al tempio con tutto l’orgoglio possibile”.

“Grazie”.

Il giocane cavaliere dell’Altare strinse fra le mani la collana e la sollevò. Pronunciò delle parole in greco antico ed una forte luce avvolse il gioiello. Nello stesso momento, i sigilli si spezzarono. L’esercito di Hades era pronto: era ora di andare in guerra.

 

Arles sapeva che ormai la guerra era alle porte. Come di consueto, si era distaccato momentaneamente dai doveri del tempio recandosi all’altura delle stelle. Sullo Star Hill riusciva a riflettere e concentrare le energie. Inoltre, nessuno conosceva l’accesso a quel luogo, se non pochissimi cavalieri. E ovviamente a nessun’altro era concesso accedervi. Una guerra spaventosa era alle porte, e lo sapeva bene. In ginocchio, a mani giunte, non sapeva bene per chi pregare e se davvero era necessario farlo. Sorrise, apprendendo che finalmente il sigillo che tratteneva Hades era stato spezzato. Poi udì l’inconfondibile corno di guerra di Ares: i nemici erano infine giunti!

Si rialzò di scatto, ma si fermò subito. Avvertiva qualcosa di strano. Guardò in su ed un’ombra piombò su di lui.

“Trovato!” esclamò Marte, con un ghigno sadico in volto.

Arles, tenuto in terra dalla lancia del Dio che gli trapassava la spalla, gridò di rabbia. Marte non parve impressionato e rise divertito. Ma non era l’unico a ridere. Al suo fianco apparve Febo, con una risata altrettanto malefica.

“Bene bene..” parlo proprio Febo “..vediamo in quanti modi possiamo farti soffrire prima di scorticarti, dannato mortale!”.

 

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Capitolo 22
*** XXII- fulmini e sangue ***


XXII

 

FULMINI E SANGUE

 

La coda dell’armatura di Ares si arricciò. Era pronto alla battaglia e già vedeva il nemico avvicinarsi. Atena stava al suo fianco, anch’essa pronta allo scontro.

“Efesto ha ingrandito le ali della tua armatura, o sbaglio?” domandò lei.

“Non sbagli” ammise lui “Le mie quattro ali sono immense. Mi piacciono”.

“È stato molto gentile..”.

“Gli manderò un mazzo di fiori..”.

Phobos, Deimos ed Enyo osservavano i nemici, discutendo di strategia. Le amazzoni, sui loro cavalli, erano già pronte. I cavalieri di Atena si erano schierati, così come quelli di altre divinità giunte al tempio. Apollo, Poseidone, Artemide ed Efesto erano giunti con i loro eserciti. Le schiere di Hades erano in marcia e prossime ormai alla meta. Madre Era, forte e magnifica, era pronta a vendicarsi di ogni torto subito.

“Dov’è Arles?” chiese Ares, guardandosi attorno.

“Allo Star Hill” rispose Atena “Ci va sempre, prima di una battaglia importante. Credo serva a dargli la giusta carica..”.

 

“Fa provare pure me!” sorrise sadicamente Febo.

Marte ghignò e gli concesse l’onore di maneggiare la lancia che teneva ancorato il sacerdote al pavimento. Il Dio solare, con immensa soddisfazione, rigirò l’oggetto, lacerando la carne del mortale.

“Guarda, fratello!” notò Febo “Guarda come stringe i denti per non gridare. Non vuole darci questa soddisfazione!”.

Marte rideva, piuttosto soddisfatto. Prese fra due dita il volto di Arles e lo fissò dritto negli occhi.

“Guardame bene en faccia, fio de ‘na mignotta strabica!” parlò il romano.

Il sacerdote cercò di mantenere il controllo ma il Dio stava usando i propri poteri. Con quelli, era in grado di infondere il puro terrore nell’animo del suo avversario. Subito il mortale sentì il cuore accelerare il ritmo in modo innaturale. Gemette, tentando di liberarsi.

“Nun fa ‘o splendido, mortale!” ghignò Marte “Non te poi move!”.

“Arles!” gridò una voce.

Il sacerdote la riconobbe: era quella di Aiolos. Aiolos? Che fosse giunto a tanto, pur di vendicare quanto successo in passato? Che avesse lui indicato la via a Febo e Marte? Arles chiuse gli occhi, in un gemito. Il battito del suo cuore era impazzito, velocissimo, e questo faceva sì che la ferita sanguinasse molto. Con la mente annebbiata, si preparò alla fine. La freccia d’oro del Sagittario era già puntata contro di lui, la vista ormai era sfuocata ed il respiro iniziava a venirgli meno. Del resto, si disse, era quello che meritava. Il passato che era finalmente giunto a saldare i conti. Si portò una mano al petto. Il ritmo cardiaco aumentò ulteriormente poi ci fu silenzio. Spalanco gli occhi e li richiuse. Non provava più dolore, o paura, o rimorso. Non provava più nulla. La freccia d’oro non serviva più.

 

“Eppure..” si diceva, perplesso, Ares “Ho una strana sensazione..”.

Gli eserciti infine iniziavano a scontrarsi ma il Dio, che solitamente trovava la guerra piuttosto eccitante, non riusciva a concentrarsi. In ogni guerra passata aveva perso dei figli ed ammetteva, se pur a fatica, di temere il ripetersi di simili eventi.  Vide Phobos e Deimos con a fianco alcuni cavalieri d’oro. Trovò Enyo fra le amazzoni, che già combatteva. Individuò facilmente Kanon, che  spiccava fra i soldati di Poseidone con la sua Kamui alata. Altri discendenti del Dio, dall’indole pacifica e non legati alla guerra, come Eros ed Anteros, erano ben lontani da lì.

Non era il solo che si preoccupava per la famiglia. Mur, poco distante da Phobos e Deimos, attendeva il ritorno di Kiki. Il ragazzo si era fatto valere, nella sua prima missione in armatura? Ed era rimasto ferito? L’Ariete era in apprensione. Anche Ioria aveva un’aria strana, che Mur non riuscì ad interpretare. Però era tardi ormai per pensieri e ripensamenti. La battaglia era iniziata ed il nemico già stava attaccando.

 

Minerva incitò l’esercito e poi guardò in su, cercando con lo sguardo Atena. Era lei il suo obbiettivo ma, non appena scattò per raggiungerla, una forza la ributtò a terra.

“Dove credi di andare, bellezza?” la apostrofò Kanon “Io e te abbiamo un conto in sospeso!”.

“Fatti da parte, mortale!” ordinò lei “Non è te che voglio!”.

“Poco mi importa”.

“Come vuoi. Allora ti ucciderò e poi andrò oltre”.

“Provaci!”.

 

“Riprenditi, avanti!” esclamò Aiolos, scuotendo il sacerdote.

Quando lo vide riaprire gli occhi, tirò un sospiro di sollievo. Sorrise. Arles lo fissò, mettendo a fuoco lentamente. Vide il volto del Sagittario, imperlato di sudore e dall’aria preoccupata.

“Mi senti?” domandò Aiolos.

Il sacerdote annuì e poi gemette, portandosi una mano al petto.

“Scusa” commentò il Sagittario “Ho tentato di rianimarti ed alla fine ho dovuto usare il mio Atomic Thunderbolt su di te. Per farti ripartire il cuore. Immagino faccia un po’ male”.

“E Marte? Febo?” riuscì finalmente a dire Arles.

“Li ho trafitti con la freccia d’oro”.

“Ma..perché?”.

“Come sarebbe a dire? Siamo colleghi, è mio compito aiutarti”.

“Ma io ti ho fatto uccidere! Dovresti odiarmi!”.

“Dovrei, ma portare rancore non serve a niente. Dovresti smetterla pure tu di odiarti tanto. Il passato è passato ed è il presente che conta, per dar vita ad un grandioso futuro”.

“Futuro?”.

“Non pensi mai al futuro? Sarebbe ora che iniziassi, sai?”.

“Forse hai ragione. Però io non capisco..”.

“Mettiamola così: non sopporto l’idea che ci siano orfani per il mondo!”.

“Orfani?”.

“Non fare quella faccia! Non lo sai?”.

“Che cosa dovrei sapere?”.

“Ma come?! Discordia non ti ha detto che..”.

“Voi due!” parlò proprio Discordia “Allontanatevi! Pensate forse di riuscire ad uccidere due divinità come Marte e Febo con una semplice freccia?”.

Aiolos reagì e scoccò un’altra freccia, che questa volta stese Febo. Il sacerdote si alzò, anche se con fatica.

“Allontanatevi!” ordinò Discordia “Mio fratello non farà nulla, finché io sono qui..”.

Aiolos si accigliò, vedendo Arles indossare l’armatura del drago.

“Amico..” commentò “..quello era un infarto! Non penserai mica di andare a combattere?!”.

“Sto bene!” protestò il sacerdote.

“Certo! Come no!”.

“Andate via!” insistette Discordia, mentre Marte lentamente si rialzava.

“Non fuggo di certo dinnanzi ad uno scontro, madame” ribatté Aiolos, incoccando una nuova freccia e guardando minaccioso il Dio romano.

“A Rambo!” sfotté Marte “Accanna ‘a fascetta!”.

“Come osi? Farai la fine di Febo!”.

Discordia, vedendo che nessuno dei due cavalieri aveva intenzione di muoversi, usò i suoi poteri. Una pioggia d’oro investì Sagittario e sacerdote, allontanandoli dallo Star Hill. Arles non apprezzò il gesto e protestò. Poi si fermò a riflettere. Se non era stato Aiolos a tradire, allora chi poteva essere stato? Chi conosceva tutti i dettagli di strategia e sicurezza del santuario?

Virò, con un singolo battito di ali.

“Discordia!” gridò, temendo per la sua vita.

 

Kiki ed i cavalieri di bronzo, seguiti da Shion e l’esercito di Hades, giunsero al tempio il più in fretta possibile. Plutone, che attendeva la sua controparte greca, li attese ed attaccò. Kiki saltò e si nascose in una rientranza delle rocce, fra le rovine. Udì un singhiozzo e si girò. C’erano tre bambini nascosti, probabilmente abitanti di Rodorio rimasti coinvolti negli scontri.

“State tranquilli! Sono un amico” si affrettò a dire, creando il suo muro di cristallo per difenderli dai colpi vicinissimi della battaglia “Vi difenderò io. Andrà tutto bene!”.

Poco distante, Nettuno ed il suo esercito si stava scontrando con Poseidone ed i suoi sottoposti. I cavalieri d’oro passavano da un avversario all’altro. Phobos e Deimos si ritrovarono di fronte Giano Bifronte. Perplessi, non sapevano bene come affrontarlo. Il Dio pareva prevedere ogni loro mossa e li anticipava.

“Ioria!” esclamò Phobos, trovandoselo vicino “Meno male che sei qui! Dacci una mano contro questo coso”.

Il Leone non rispose. Si limitò a fissare i gemelli di Ares, senza parlare.

 

Arles, Aiolos e Discordia atterrarono in mezzo agli scontri.

“Sei davvero deciso di combattere?” si stupì Sagittario, fissando il sacerdote.

“Ma sì, smettila! Piuttosto tu, Discordia..”.

“Cosa?” sbottò lei, scocciata.

“Non posso permettere che tu combatta!”.

“Io ho sempre combattuto”.

“Sì, ma..”.

La Dea sorrise. Arles non rispose a quel sorriso, non sapendo come nascondere la sua preoccupazione.

“Non angosciarti” riprese lei “Andrà tutto bene”.

“Va via. Se dovessi morire o..”.

“Non accadrà. Io ho un motivo per restare in vita”.

“Ora anch’io..”.

“E fallo un sorriso!” interruppe Aiolos “Diventerai padre, puoi concederti un attimo di gioia!”.

“Sorriderò quando tutto questo sarà finito”.

“Bene! allora facciamola finita in fretta”.

“Dov’è tuo fratello?”.

“Ioria? Accanto ai tuoi, immagino..”.

Arles lo cercò con lo sguardo. Sul tetto di qualche casa più in giù, lo vide. Probabilmente Aiolos lo avrebbe presto raggiunto, per sostenerlo. Kanon, al contrario, lo avrebbe riempito di insulti. Il sacerdote scosse la testa, pensandoci. Poi vide uno strano scintillio d’oro fra le mani del Leone.

“Phobos!” gridò.

 

Shura e Deathmask si stavano divertendo. Anche se i nemici parevano non finire mai, le loro tecniche riuscivano sempre a farsi valere. Poi un uomo respinse entrambi i loro attacchi. Con un ghigno sadico, mostrò solo in parte il suo volto, coperto dal mantello.

“Chi saresti, tu?” domandò il Capricorno.

“Saturno è il mio nome. E mangio i bambini cattivi!”.

 

La romana Proserpina era riuscita a scovare Persefone. Accanto a lei, Cerere e Flora manipolavano le piante per riuscire a sconfiggere i loro avversari. Pesci, preoccupato per la sorte di colei che era divenuta la sua amante nel periodo estivo, tentava di aiutarla.

“Ti serve un aiutino?” domandò Milo, lanciando la sua Cuspide.

“Magari!” ammise Aphrodite.

Poco distante, Camus stava aiutando i soldati di Poseidone. Shaka aveva raggiunto Dohko ed i cavalieri di bronzo, che contro l’esercito di Plutone si stavano facendo valere. Mur ed Aldebaran aiutavano Efesto, alle prese con Vulcano ed i suoi attacchi di fuoco. Era strano per i saint combattere a fianco di uomini considerati nemici fino a poco tempo prima, come i giudici di Hades o i generali marini. Ares aveva iniziato uno scontro contro Marte, ed Aiolos si era deciso ad aiutarlo. Però si era subito distratto, vedendo la strana reazione di Arles.

 

“Phobos!” gridò il sacerdote.

Il fratello, concentrato sulla battaglia, non percepì il pericolo. Si voltò e vide Ioria. Deimos spiccò il volo ma il gemello non ci riuscì ed il Leone lo aggredì, brandendo la daga d’oro che uccideva le divinità. Cadde in terra, preso di sorpresa.

“Ioria!” chiamò Aiolos, raggiungendo in fretta il fratello.

“Fermati!” ordinò Arles, afferrando il Leone, che con furia cieca continuava a sferzare colpi.

“Che fai, fratellino?!” si allarmò Sagittario, aiutando il sacerdote.

“Vattene!” gridò Ioria “Andatevene tutti! Specialmente tu!” minacciò, puntando il pugnale contro Arles.

“Sei tu, dunque!” rispose il sacerdote “Sei tu il traditore che ha svelato il luogo dove si trovava mio padre Ares!”.

“Sì. Ed anche come raggiungere te, gran sacerdote, allo Star Hill” confermò il Leone.

“E perché? Fratello, perché?” domandò Aiolos, senza capire.

Nel frattempo, Deimos aveva raggiunto il gemello e cercava di farlo riprendere.

“Perché? Ma come? Quest’uomo non ha portato altro che sofferenza. L’unica divinità che posso permettere resti in vita è Atena. Le altre non portano che a guerre continue”.

“Ma, Ioria! La nostra Dea è alleata delle divinità che stai tradendo! Ed eliminare Arles, o i suoi parenti, non ti ridarà il tempo che io e te abbiamo perso. Fratello..guardami! Torna in te!”.

“Aiolos..”.

Il Sagittario riuscì ad avvicinarsi a sufficienza e disarmò il fratello minore.

“Ioria..” parlò Arles “..io ti chiedo perdono. Chiedo perdono a te ed a molti a cui ho fatto del male. Se lo vorrai, porgerò il mio petto ai tuoi colpi quando tutto questo sarà finito. Però ora dobbiamo combattere uniti, perché Atena e gli altri Dei greci hanno bisogno di noi”.

“Atena è la sola Dea giusta!”.

“Può essere. Ma adesso smettila!”.

Deimos guardava con odio il Leone, stringendo a sé il gemello. Arles intuì i suoi pensieri e tentò di frapporsi fra Dio e cavaliere.

“Non è il momento..” cercò di dire, ma una voce ben più potente della sua si udì.

“Vi ammazzo tutti!” sbraitò Ares, capendo quanto successo.

“Calmati!” cercò di rabbonirlo Atena, con scarsissimi risultati.

“Leone! Diverrai la mia prossima vittima!”.

“Padre! Comprendo la tua ira..ma..”.

“Taci, Arles! Perché lo difendi? Ha tradito anche te e non vede l’ora di vederti morto in terra, in un lago di sangue”.

Il padre ora stava dinnanzi al figlio. L’armatura del Dio era immensa e faceva sembrare il sacerdote un ragazzino minuto.

“Perché non è il fottuto momento di litigare fra noi!” gridò il figlio “E se qualcuno usasse il cervello, lo capirebbe!”.

Shion osservava la scena divertito. Era bello vedere il suo successore in difficoltà.

“Ecco un altro che vuole ammazzarmi..” sbottò Arles “..più tardi! Prendi il numero, cazzo! Adesso pensiamo a questa guerra contro i romani”.

“Stai lontano dal mio bambino!” si intromise Ares.

“È quello che avrei dovuto fare, in effetti” ammise Shion “Ma non potevo permettere che i figli di Ares girassero liberi per il mondo. Sì, sapevo che erano due e sapevo che erano figli tuoi. La loro madre impazzì, fu ritenuta pazza, quando iniziò a dire che aveva concepito con il Dio della guerra. Per questo i bambini le furono sottratti e sarebbero stati adottati da chissà chi, se non fossi intervenuto. In Kanon percepii subito un alone malvagio ma in Saga no. Perciò pensai che il sangue di Ares si fosse trasmesso solo al gemello più piccolo. Ma mi sbagliavo. Saga, sebbene si mostrasse come il bambino più puro e buono che avessi mai conosciuto, era in realtà il più bastardo dei due. Intriso fin nel midollo di geni paterni”.

“Te l’ho detto, vecchio. Prendi il numero e ci sentiamo dopo. Ora..” cercò di riprendere Arles, ma fu interrotto di nuovo da Shion, che riprese a parlare.

“Non voglio ucciderti. Non voglio affrontarti. Ti sei rivelato all’altezza, Aristotles. Hai scelto un successore degno di questo nome ed hai guidato il santuario come si deve, almeno nell’ultimo periodo. Non ha senso per me punirti. La punizione più grande è la tua mente tormentata, e te la infliggi da solo ogni giorno”.

“Dov’è lui? Il mio successore sta bene?”.

“Certo. Ha compiuto la sua missione ed ora è assieme agli altri cavalieri che combatte e protegge i deboli. Non potevi scegliere di meglio, a mio avviso”.

Arles fece per rispondere ma Marte piombò fra loro, interrompendo la conversazione. Voleva a tutti i costi la testa di Ares e di quel suo figlio maledetto! Però il suo colpo fu fermato dalla mano della sorella Discordia. Era furiosa ed i suoi capelli si erano tinti di rosso.

“Scansate!” ordinò il Dio.

“No, fratello. Non ti permetterò di far del male all’uomo che amo”.

“Ami?” domandò Marte, perplesso.

“Sì, amo. Sono pronta ad affrontare tutti gli Dei romani del creato, pur di rimanergli accanto. E non sarai di certo tu a portarmelo via. Allontanati e desisti, se non vuoi che ti attacchi”.

“Sorè, io te adoro. Ma nun te poi fa pija da sto burino! Sta mezza carzetta mortale..”.

“Sono affari miei da chi mi faccio pigliare, chiaro? Avremo un figlio, perciò abituati all’idea e sparisci! Non osare sfiorarlo con un solo dito!”.

“Un fio? Ma che, davero? Nun me stai a cojonà?”.

“No, non ti sto prendendo in giro. E sono felice. Sono davvero felice!”.

Marte guardò negli occhi la gemella ed arrossì leggermente. Era irritante come quella donna riuscisse sempre ad avere la meglio.

“Un figlio? Ho sentito bene?” domandò più di qualche romano, interrompendo la propria battaglia e fissando Discordia “Questo è inaudito!”.

“Eliminatela!” scandì Proserpina “Un sangue misto, meticcio e impuro non può essere tollerato”.

“Provate a toccarla..” minacciò Arles, aprendo leggermente le ali dell’armatura “..e vi smonto in tanti di quei pezzi che manco vostra madre vi riconosce, chiunque essa sia!”.

 

Minerva era spietata ma Kanon lo era altrettanto. Non si faceva scoraggiare dalla potenza della Dea e la stuzzicava volando. Adorava la sua armatura del drago! Ghignò, sferrando l’ennesimo attacco. La Dea fu colpita e gemette, furiosa. Che stava combinando suo fratello? Perché vedeva sempre più romani e greci smettere di combattere per litigare fra consanguinei? Roteò la lancia e tentò di trafiggere Kanon, che volò di lato e schivò. Tirò, di rimando, un forte pugno in pieno viso alla Dea. Minerva barcollò e si adirò ancor di più.

“Muori, mortale!” sbraitò, questa volta riuscendo a colpirlo.

“Devi impegnarti di più!” sfotté Kanon, estraendosi la lancia dal braccio e tirando una ginocchiata al ventre della Dea.

Minerva non se lo fece ripetere e contrattaccò, stavolta con più violenza. Kanon finì in terra e si accigliò. Maledetta Dea! Era già pronta con la lancia, ma una fiamma gliela portò via.

“Che succede?” domandò, stupita.

“È arrivato il mio amico Ikki” sorrise Kanon “E ora prega chi ti pare. Ti resta poco da vivere!”.

 

Saturno era affamato e lo dimostrò mordendo i suoi avversari. Deathmask e Shura trovarono la cosa disgustosa ma sfuggirgli era difficile. Il vecchio Dio era grande, molto più di loro, e pareva non provare dolore.

“Ho un piano” mormorò Shura “Tu distrailo..”.

“E come credi che possa fare?!” gemette il Cancro “Lo hai visto bene?”.

“Non lo so! Ingegnati!”.

“Me la paghi questa..”.

Deathmask saltò, agitandosi per attirare l’attenzione del Dio. Al suo fianco, apparve Shaina con un sorriso. I due insieme riuscirono a distrarre Saturno a sufficienza. Shura ne approfittò e lanciò la sua Excalibur, tranciando il braccio sinistro della divinità.

“Ho capito quel che vuoi fare!” sorrise il Cancro.

“Bravo, ora però continua a distrarlo!”.

 

Milo ed Aphrodite erano stati raggiunti da Mirina, assieme ad altre amazzoni. Cerere era brava ad evocare le piante e gli animali. Con un suo comando, creature misteriose apparivano dal nulla, plasmate dalla sua volontà, ed attaccavano i nemici. Lo Scorpione e Pesci le rimandavano indietro e le bloccavano con i loro attacchi. Persefone invece combatteva contro Proserpina senza alcuna pietà, insultandola pesantemente. Poco più in là, i rispettivi consorti facevano altrettanto. Hades però aveva Eleonore dalla sua parte, che non si risparmiava. Le sue falci d’argento colpivano gli avversari e ne trapassavano le carni. Sorrideva soddisfatta mentre avveniva questo, dimostrandosi una degna sposa del Dio degli Inferi. Poseidone osservava ammirato le movenze della cognata ma la sua consorte, la bella Anfitrite, non era da meno. Camus inoltre dava manforte, combinando la forza del ghiaccio al controllo dell’acqua del popolo marino. Questo ne aumentava la potenza, anche se Nettuno sapeva bene come difendersi. Mur ed Aldebaran invece avevano a che fare con il fuoco. Vulcano evocava la lava, mandandola contro gli avversari. Non era facile respingerla, nemmeno con il Crystal Wall. Stavano iniziando a stancarsi. Tutto questo sarebbe durato ancora a lungo?

 

“Venite! Per di qua!” chiamò una voce.

Kiki non sapeva da dove venisse ma si guardò attorno ed intravide Shun, nascosto fra le rocce.

“Venite!” insistette il medico.

Il giovane cavaliere prese con sé i bambini che aveva protetto e raggiunse Andromeda.

“Seguitemi!” indicò Shun, precedendo il gruppo.

Era un passaggio segreto, scavato nella roccia.

“Che posto è questo? Non ne ero a conoscenza” si stupì Kiki.

“Lo hanno costruito antichi cavalieri per proteggere Rodorio. Il gran sacerdote me ne ha rivelata l’ubicazione per difendere più civili possibili”.

“Capisco..”.

Fra loro, Kiki riconobbe Sarah ed altre ancelle.

“Aiutami a proteggerli, Kiki. Gli attacchi sono sempre più forti e sempre più vicini. Non so se la mia catena reggerà..”.

“Certo, Shun. Volentieri”.

 

Arles era pronto ad affrontare chiunque. Romano, greco, mortale o Dio che in qualche modo volesse fare del male a Discordia.

“Con Eleonore sono arrivato tardi..” disse “..ma con lei no. Nessuno le farà del male. E poi..Discordia, come sei bella quando ti arrabbi!”.

La Dea arrossì, non aspettandosi una frase del genere.

“La ami, dunque?” parlò Marte, mostrando per un instante di saper formulare una frase senza usare il suo dialetto.

“Lei sta per darmi il dono più grande che potessi mai chiedere. E nessuno le farà del male, finché io sarò in vita! Ora ho una regione per esistere, anche se sono circondato da validi motivi per morire”.

“Combatteresti per lei, anche contro la tua gente?”.

“Contro il mondo intero, se fosse necessario”.

Ares e Marte si fissarono.

“E che te devo dì?” sospirò il romano, rivolto al suo equivalente greco “Nun te posso ammazzà! Er Romeo fio tuo m’ha fatto piagne. È bono con mi sorella, nun me viene de infierì”.

“Ammetto di aver molto da ridire su questa unione ma..” sospirò a sua volta Ares “..se questa donna ti impedisce di voler costantemente la morte, Arles, allora non posso che approvare”.

“Come se mi servisse la tua approvazione..” ridacchiò il sacerdote.

“Non le farò alcun male” concluse il Dio.

“Ao, cognato! Me hai fatto incazzà de brutto. Ma la gemella mia te ama. Er fio mio Cupido sé annato a divertì dale parti tua..”.

“Probabilmente anche mio fratello Eros..”.

“Disgraziati e fetenti! Te do la mano, Aristocoso là..er nome strano che ha usato er pecora viola”.

“Ok..”.

“Ma num me fa incazzà de novo!”.

“Farò il possibile”.

“Ma come?” si stupì più di qualche romano “Marte! Lo devi attaccare ed uccidere”.

“Ma nun me cagà er cazzo te! O te sdrumo! Aristotizio mena e io mejo di lui. Volemo invità er papà suo? Ce divertimo?”.

Scese il silenzio. Poi due figure incappucciate si mostrarono, dissolvendo una barriera che le nascondeva. Con un solo cenno, bloccarono tutti i conflitti in atto.

“Finalmente silenzio” parlò una voce femminile.

“Sì, era ora” rispose una maschile.

“E voi chi sareste?” domandò Atena.

“Io sono il Fato” rispose l’incappucciato con la voce maschile.

“Ed io il Destino” si unì l’altra creatura.

 

“Che succede?” domandò Minerva, stanca di prendere fuoco per colpa di Ikki.

Kanon ignorò la sua domanda e la colpì di nuovo. Poi vide la Dea estraniarsi del tutto dalla battaglia ed inginocchiarsi.

“Che ti prende?” domandò, senza capire.

Si guardò attorno. Molti Dei, greci e romani, si stavano inchinando. I cavalieri d’oro si guardarono fra loro. Stanchi, sporchi di sangue ed alquanto perplessi, non riuscivano a capire.

“Mio signore” si inchinò anche Atena, dinnanzi a Fato.

“Vi osserviamo da un po’..” parlò Destino “..e devo dire che il vostro comportamento l’ho trovato alquanto sciocco”.

“Sciocco?” ripeté Ares, senza capire.

“Molto sciocco” confermò Fato.

Destino si avvicinò ad Arles, che Discordia stringeva a sé.

“Sei ferito..” parlò la Dea dinnanzi a cui tutti si erano inchinati “..lascia che ti aiuti”.

“No” la fermò il sacerdote “Aiutate mio fratello Phobos, ve ne prego! Voi che incarnate il potere supremo del mondo, salvate mio fratello. Io sto bene”.

Phobos era moribondo fra le braccia di Deimos, che non lo voleva lasciare. Destino ci mise pochi istanti a rimarginarne le ferite, anche se si stancò. Ares, vedendo questo, chinò ancora più la testa per la riconoscenza.

“Ma..” si stupì il Dio greco “..voi siete romana, Destino. Perché avete salvato mio figlio, che è greco? Patteggiate forse per noi?”.

“Non patteggio per nessuno. Io e Fato troviamo ridicola la vostra disputa. L’Olimpo non è forse abbastanza grande per tutti? Questa guerra non ha alcun senso”.

“Io..noi..forse..”.

“Non serve che ti giustifichi. Tu sei il Dio della guerra, la cerchi. Mi stupisco di altre figure, come Minerva o Atena, che dovrebbero usare il cervello..”.

“In effetti..” commentò Kiki, ascoltando la conversazione e raggiungendo il gruppo, dopo essersi accertato che i bimbi che proteggeva non corressero alcun pericolo “..non ha molto senso tutto questo. Intendo dire: chi crede oggigiorno agli Dei? Romani o greci che siano, in quanti credono in loro? Ha senso combattere fra noi? I culti ormai quasi dimenticati, divenuti mitologia e non più religione, non dovrebbero andare d’accordo come fratelli? Specie fra voi, che siete nati l’uno dalle ceneri dell’altro!”.

“Non è proprio così, ma il concetto è quello” annuì Fato.

 “Ma allora noi..che facciamo?” domandò Era.

“Siete Dei! Io e Fato siamo alleati da millenni” spiegò Destino “È così difficile per voi fare altrettanto? E poi..chi di voi greci vuole stare sull’Olimpo? Ognuno di voi ha il suo tempio in un luogo specifico e ci vive felice!”.

“Non è tanto per l’Olimpo..” spiegò Apollo “..è che i romani ci stanno proprio sulle palle!”.

“E perché? Avete talmente tante cose in comune che potreste essere considerati la stessa persona! Chi ha iniziato tutto questo?”.

Gli Dei si guardarono fra loro. Probabilmente era nato tutto dalle manie di grandezza di Zeus e Giove, che però adesso erano morti.

“Kanon!” sbottò Atena “Smettila di picchiare Minerva!”.

“Ma mi diverto..” piagnucolò il cavaliere.

Anche altri ricominciarono a litigare e combattere e così il Fato, stufo, alzò un braccio al cielo. Una luce fortissima avvolse tutti i presenti, che chiusero gli occhi.

 

Riaprendoli, i greci si fissarono. Che era successo? Dei romani non vi era traccia alcuna.

“Lieto di vederti tutto intero, Kiki” sorrise il sacerdote “E con dei giovani al seguito..”.

“Li ho salvati” rispose il ragazzo “Ma sento in loro il cosmo”.

“Sì. Lo percepisco pure io. Futuri cavalieri, finalmente!”.

“Vi ho riportato la collana”.

“Tienila tu, mio successore. Credo che per me sia giunto il momento di riposare”.

Arles si toccò il petto, ora non più protetto dall’armatura. Sanguinava ancora ma quasi tutti i presenti erano messi abbastanza male, perciò non ci diede troppo peso.

“Ma io..” balbettò Kiki, non sentendosi pronto.

“Sei stato coraggioso” lo incitò Shion, toccandogli una spalla “Saggio, generoso e potente. Sei pronto. E poi, se ti servirà aiuto, ricorda che non sei solo”.

Il giovane annuì, con un sorriso. Mur lo osservava piuttosto stupito e orgoglioso.

“E tu? Cosa credi di fare?” domandò Era, rivolto ad Arles, mentre la folla applaudiva Kiki.

“Io? Devo pensare al futuro. Renderlo lieto il più possibile”.

“Ah, tanto per toglierti un peso..non temere più le pene dell’oltretomba. Gli Dei non subiscono certi trattamenti, salvo casi eccezionali”.

“Dei?”.

Il sacerdote si guardò le mani, sporche del proprio sangue. Non era rosso, come quello umano, bensì azzurro come l’ikor divino. Alzò lo sguardo e fissò il gemello. Pure lui, sul viso, mostrava una ferita scintillante d’azzurro.

“Ma..io non voglio essere un Dio!” protestò.

“Sono le piccole cose della vita, ragazzo mio” rispose Ares, mettendogli un braccio attorno al collo e scoppiando a ridere.

 

“Ma dove siamo?” domandò Nettuno “Questo è l’Olimpo?”.

“Zio, stamo a casa” annuì Marte “Er tizio embacuccato ce ha spediti de novo sur monte Olimpo”.

“Quindi..la guerra è finita?”.

Marte annuì e si accese una sigaretta. Si guardò attorno. Erano rimasti così in pochi..c’era quasi da annoiarsi! Minerva era stata uccisa, ecco perché non udiva quella vocina fastidiosa!

“E adesso, che facciamo?” domandò Vulcano, ferito in più punti.

“Boh. Festa? Se Bacco non sta emmbriaco..”.

“Festa? Marte..che dici?”.

“A me piace come idea” annuì Nettuno.

“E se invitassimo anche loro?” si unì Cupido, rimasto al monte durante la battaglia.

“Entendi er nemico?” storse il naso Marte.

“Papà, non sono più nemici. Qui c’è tanto posto..”.

“Te fai bisboccia con zio Bacco quando io me assento, vero?”.

Cupido sorrise. Non era il tipo in grado di portare rancore.

 

Kiki si era abituando ormai al suo ruolo. Era una sera abbastanza tranquilla di primavera e se ne stava alla tredicesima senza troppi pensieri. Atena passava molto tempo sull’Olimpo, assieme ad Ares ed altre divinità. Questo sgravava il suo compito di difensore, anche se a lei piaceva molto stare al grande tempio. Sorrise, notando un certo nervosismo sul viso di Arles.

“Secondo te..” parlò il ragazzo “..perché ha chiesto di venire qui al tempio?”.

“Non lo so” ammise il precedente sacerdote, leggermente scocciato “So solo che sull’Olimpo c’era un sacco di personale qualificato e lei ha insistito per venire qui”.

“C’è Era con lei. La più qualificata in assoluto..”.

“Oh, Kiki!” sorrise Kanon “Guarda che è normale che sia nervoso! Sta per diventare papà”.

I due gemelli si fissarono. Entrambi in abiti borghesi, attendevano con pazienza che qualcuno desse loro notizie.

“Ma quanto ci vuole?” domandò Ares.

“Pazienza! Ci vuole pazienza” sorrise Aphrodite “La natura ci mette il suo tempo”.

“La natura è un gran troia!” borbottò il Dio della guerra, offrendo una sigaretta al figlio.

Phobos e Deimos erano giunti al tempio proprio per assistere all’evento, sotto minaccia del padre. Phobos si era ripreso del tutto ed era il solito Dio incazzato di sempre.

“Rilassati, fratellino” commentò Deimos.

“È che..” ammise Arles “..a me succedono sempre cose spiacevoli. Ho paura che questa volta sia lo stesso. Sono terrorizzato”.

“E non dovresti. Sai cosa sarà? Maschio o femmina?”.

“Non lo so”.

“Tu cosa vorresti?”.

“Non ho preferenze..a me basta che vada tutto bene!”.

“E perché non vai dentro da lei?”.

“Io porto una sfiga allucinante! Se sto qua, vedrai che andrà tutto molto meglio”.

Deimos ridacchiò. Kiki rise a sua volta. Poi la tenda si scostò e scese il silenzio. Dalla dimora di Atena era uscita finalmente Era, stringendo fra le braccia un fagottino minuscolo. Si avvicinò lentamente ad Arles e solo in quel momento sorrise.

“Prendi fra le braccia il tuo primogenito, nipote” parlò la Dea.

“È un maschio?” domandò Ares, cercando di vedere il piccolo.

“Sì. La femmina è con la madre”.

“Sono due?” balbettò Arles.

“E che ti aspettavi? Sei un gemello figlio di gemelli e lei lo stesso” rise Kanon “Dai, prendilo in braccio! Fammi vedere il mio nipotino!”.

“Com’è silenzioso..” commentò Phobos.

“Ha strillato fin adesso” rise Era “Ha dei polmoni notevoli! Adesso si è calmato ed ha cambiato colore di capelli”.

“Oh, che bello! Anche lui cambia colore!” gioì Ares.

Arles sorrise e finalmente prese il bimbo, che lanciò un versetto di protesta.

“Ciao” lo salutò e lo osservò.

I capelli del piccolo erano rossi, come quelli dello zio Marte e della madre quando si arrabbiava.

“Quando si infuria..” spiegò la Dea “..diventano neri. La bimba invece ha i capelli come quelli della mamma ma diventano blu se la infastidisci”.

“È splendido” commentò Pesci “Con quei capelli, sembra un piccolo bocciolo di rosa”.

“È il mio piccolo miracolo” mormorò l’antico sacerdote, osservando il figlio con grandi occhi dolci e cullandolo “Il mio piccolo miracolo..un sogno, che credevo non potesse mai avverarsi e invece è qui, fra le mie braccia. Mia meraviglia..”.

Senza riuscire più a trattenersi, il neopapà scoppiò a piangere. Nonostante si vergognasse da morire, non ebbe modo di trattenere le lacrime.

“Oh, il mio gemellone si commuove! È così cuccioloso e dolcioso! Abbracciami!” parlò Kanon, abbracciando il fratello.

“Ma fate proprio schifo quando fate così!” storse il naso Ares “Non vi picchio solo perché oggi sono nati i miei nipotini, va!”.

“Abbracciami anche tu, papà!” scherzò Kanon e furono Phobos e Deimos a stringere il padre.

“Come lo chiamerai?” chiese Kiki.

“Il nome? Già..ci va un nome..” si fece pensieroso Arles, osservando meglio il piccolo “Beh..non me ne vogliate ma..visto che il mio stramaledetto nome è Aristotles, mentre Saga è il nome che mi ha affibbiato Shion, io rimarrei in tema e direi Tolomeus. Tolomeo..”.

“Tomeo, Tommi? Carino. Al massimo ti ucciderà da grande perché gli hai dato un nome da vecchio” commentò Kanon “E la bambina?”.

“Quella è facile: Ipazia”.

“La studiosa d’Alessandria? Nomi seri, fratellone”.

“Ogni tanto combino qualcosa di buono e serio pure io. Non posso dare nomi comuni e banali alla mia ragione di vita. Io vivrò per loro. Mai più verserò lacrime pensando al passato, perché ci sono loro ora: il mio grandioso e meraviglioso futuro!”.

 

 

Siamo giunti infine al penultimo capitolo. Ringrazio ancora chi ha seguito la storia fino a qua ed avviso: chi ama il lieto fine assoluto, si fermi qui J il prossimo capitolo stravolgerà un pochino le cose per qualche personaggio. Per chi ha piacere di perdere ancora un po’ di tempo con la mia follia, su Fb trova alcune mie storie a fumetti sui Saint e un paio di disegni inerenti questa storia (Ares semi nudo ha riscosso più consensi del previsto). Vi aspetto! Cercate Frirry ed a presto, con il gran finale!

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Capitolo 23
*** XXIII- l'illusione ***


XXIII

 

L’ILLUSIONE

 

“Oh, Tomei!” si stupì Camus, entrando nella grande biblioteca del tempio “Sono il primo che apprezza nel vedere un giovanotto come te chino sui libri ma..è molto tardi!”.

“Ammetto di non essermi accorto del tempo che passa” rispose il giovane.

“Tua madre sarà in pensiero”.

“No, lo sa che sono qui. Poi non sono un bambino..”.

“Che vai cercando fra questi volumi, ragazzo?”.

“Risposte. Visto che voialtri al tempio non parlate mai di certe cose..”.

“Ti riferisci alla guerra contro i romani?”.

“Già..”.

“Tomei, non è argomento da trattare per chi, come te, ha appena ottenuto l’armatura d’oro. Dovresti essere fuori a festeggiare, non qui a farti domande senza risposta”.

“Ma io..”.

“Lodo la tua sete di conoscenza. E, visto che oggi è un giorno speciale, ti concederò alcune risposte. Avanti..cosa vuoi sapere?”.

 

“Dov’è mio nipote?” domandò Kanon, entrando alla tredicesima.

“Non te lo so dire” ammise Kiki “Ho avuto la gioia di affidargli l’armatura stamattina ma poi non l’ho più visto”.

“Quel ragazzo è strano..”.

“Ha l’animo tormentato e inquieto del padre..”.

“Con la differenza che il padre ne aveva ragione, lui no”.

“Sai perché ha lottato per ottenere l’armatura..”.

“E la cosa mi preoccupa assai”.

“Non riuscirai ad impedirlo. Spero solo che la sua affannosa ricerca non lo porti verso l’oblio”.

“Lo impedirò”.

“Non puoi, Kanon. Sai bene che, per quanto ti possa sforzare, sei comunque solo un tutore”.

“E maestro. Ho allevato io quel ragazzo e sua sorella Ipazia!”.

“Ma comunque la sorte seguirà il suo corso. Devi solo sperare che un giorno trovi la pace, senza dover incontrare la morte”.

 

“Tu dici che lui capisca?” domandò il giovane.

“Lui chi?” rispose Camus.

“Mio padre. Credi che capisca quel che accade?”.

“No. Non ne è in grado”.

“E tu come lo sai?”.

“Tutti gli Dei guaritori hanno tentato di trovare una soluzione ed Hypnos stesso, che governa i sogni, ha detto che non si può fare niente”.

“Ci deve essere un modo!”.

“Tomei..la mente ed il corpo di tuo padre hanno subito gravissimi danni in quella guerra. È solo grazie all’Ikor che scorre in lui che è ancora in vita. Ed è solo per colpa di Ares, che lo impedisce, che ancora non c’è stato qualcuno che ha posto fine alla sua esistenza. Fosse per me, l’avrei staccato già da tempo da quelle macchine, lasciandolo morire”.

“Meno male che c’è nonno Ares..”.

“Se per te è così..”.

“Lui è cosciente. Mi ha sorriso! Prima, quando gli ho mostrato l’armatura, ha sorriso!”.

“Non sorride a te, ragazzo. La sua mente è persa in un’illusione che ha generato per riuscire a rimanere in vita. Chissà che cosa vede ed immagina!”.

“Però sorride..”.

“Sì, è vero. Ho servito per anni tuo padre Arles e, salvo ghigni malefici, non ho visto spesso un sorriso su quel volto. Perciò non so quanto sia giusto tentare di liberarlo dal mondo che si è creato. Da una parte perché probabilmente andrebbe incontro alla morte, e dall’altra perché in quel suo mondo immaginario credo si trovi meglio”.

“Ma è immaginario! Non vive! E resterà lì in eterno!”.

“Ci sono cose a cui non vi è rimedio..”.

“Io..io voglio che sia fiero di me! Voglio che viva e sorrida in questo mondo. Non sa nemmeno che esisto..”.

“Di questo non devi parlare con me, ma con Aiolos e tua madre, che erano presenti negli ultimi attimi di coscienza del tuo genitore”.

 

Ipazia suonava la lira ed Atena sorrideva. A fianco della Dea, un giovane dai lunghi capelli mori ascoltava la canzone, anche se con non troppo entusiasmo. Egli era Zeus, figlio di Atena ed Ares. I genitori avevano deciso di dargli quel nome, in ricordo del padre divino deceduto. La musica non rientrava fra i suoi interessi e trovava noioso quel concertino. Sperava di non essere il solo ma attorno a lui vedeva solo cavalieri felici, o mezzi addormentati. Molti di loro avevano ricevuto in dono da Era, come premio per la loro fedeltà in battaglia, la giovinezza, anche se non tutti l’avevano accettata. Deathmask e Shura, un tempo cavalieri d’oro ed ora maestri, stavano giocando a carte. Sul volto, portavano pesanti cicatrici in ricordo dello scontro contro Saturno, che li aveva visti vincitori. Aphrodite era momentaneamente sull’Olimpo, assieme a Persefone, sfruttando i sei mesi estivi che aveva a disposizione. Milo, grazie a Mirina, aveva imparato a cavalcare e passava molto tempo fra le amazzoni. Mur, che come Lemuriano non aveva bisogno del dono della giovinezza di Era, stava insegnando ad una giovane della sua specie i segreti delle armature, sgravando così Kiki di quel compito. Shaka si era ritirato in un lontano tempio in India, deciso a raggiungere in Nirvana senza aiuto divino. Aldebaran era ospite fisso delle divinità Olimpiche, perché bravissimo a cucinare oltre che a mangiare. Dohko era tornato ai cinque picchi. Ioria aveva volontariamente lasciato il tempio, seguito da Marin. Camus ed Aiolos, rifiutando il dono di Era, erano saggi insegnanti. Kanon, con sangue divino, aveva addestrato il nipote Tolomeo, che tutti chiamavano Tomei, ed Ipazia. Aveva fatto loro da padre, anche se non si era mai ritenuto tale.

 

Aiolos ricordava con una certa tristezza quel giorno. Ma quel ragazzo era insistente e doveva rispondere alle sue domande. Camus, sicuro che fosse la cosa giusta, aveva condotto Tomei al cospetto dell’antico Sagittario e Discordia.

“Ditemi quel che è successo” incalzò il giovane.

“Perché?” domandò Discordia “Cosa cambia?”.

“Sono un uomo, ormai. É tempo che sappia..”.

I capelli rossi di Tolomeo stavano mutando leggermente, segno che stava iniziando ad irritarsi.

“E va bene..” sospirò Aiolos “..è vero, io c’ero quando tuo padre ha perso coscienza per sempre. Era appena stato trafitto dalla lancia di Marte, che ne aveva trapassato il petto. Non se ne rendeva conto, probabilmente, perché cercava in ogni modo di combattere ancora. Il cuore però gli si fermò, per via del potere del Dio romano. Io feci di tutto per rianimarlo ma giunsi tardi. La sua mente, come Dio delle illusioni, era stata in grado di creare un mondo alternativo, per proteggere la vita di Arles”.

“Quindi lui è praticamente morto nel bel mezzo della guerra contro i romani. Non sa della mia esistenza..”.

“Non ne sono sicura” rispose Discordia “Io ero accanto a lui e gli rivelai di essere incinta, prima che chiudesse gli occhi. Mi ha sorriso, credo che lo sappia”.

“Ma poi..cosa è successo?”.

“Mio fratello Ioria svelò i suoi piani ed Ares lo attaccò” riprese Aiolos “Phobos, ferito gravemente, quel giorno si salvò per un pelo. Fu solo grazie ad Atena che il Leone ebbe salva la vita. E fu solo grazie a Discordia se tuo nonno Marte non finì impalato all’ingresso del tempio”.

“Ma i greci hanno vinto..”.

“Sai bene che quella guerra è stata generata dalla gelosia. Ma noi greci ci siamo trovati in vantaggio nella battaglia finale perché precedentemente avevamo sconfitto alcuni romani. Loro avevano perso Giove e Giunone, noi avevamo ancora Era, che è stata decisiva. Speravamo nell’intervento del Fato, o di Destino, ma a nessuno di loro due importa delle sorti della loro gente. Quasi tutti i romani vennero sterminati o fatti prigionieri. A Marte è toccata una sorte diversa perché gemello di tua madre, che ha chiesto per lui la grazia. I pochi romani rimasti sono stati cacciati dall’Olimpo ed ora vi dimorano alcuni greci. Ovviamente noi ellenici siamo stati in pace fra noi per poco ed Atena ha dovuto sigillare di nuovo Poseidone ed Hades, con i sigilli generati da tuo padre. Atena, come sai, è a capo degli Dei greci e, con Ares come consorte, governa quelli che sono rimasti. Questo, mio caro, fa di te un principe e dovresti esserne fiero”.

“Lo sono. Però..”.

“Efesto, Apollo ed Ermes si sono subito presi cura di tuo padre, senza riuscire a risvegliarlo. Se fossi intervenuto qualche istante prima, forse..”.

“Non dire questo, Aiolos!” lo interruppe Discordia “Hai fatto il possibile”.

Tolomeo annuì. Fuori era notte fonda e per il tempio udiva la musica della sorella Ipazia. Ignorando i divieti di Atena, raggiunse di nascosto il luogo in cui era custodito il padre. Un tempo l’antico sacerdote era seguito da molte persone e non era mai solo. Con il passare degli anni, però, le cose erano cambiate. Quella notte, nel buio, Arles era abbandonato. Efesto l’aveva avvolto in una sorta di baccello di vetro. In piedi, perché secondo i medici dell’Olimpo era la cosa migliore, era collegato a complicati macchinari. Galleggiava nell’Ikor. In quel momento aveva gli occhi chiusi, ma a volte capitava che li aprisse. Vitrei e vuoti, scrutavano l’illusione creata dalla sua mente, ignorando la realtà. Sul cuore ancora si poteva vedere il segno lasciato dalla lancia di Marte.

“Ciao, papà” salutò Tolomeo “Sono io, Tomei. Sì, lo so, sono passato prima. Spero tu sia fiero di me, ora che indosso la tua armatura”.

Il ragazzo ne fu assolutamente certo: il padre sorrideva! Però tutti dicevano che sorridesse per altro, non per quel che accadeva nella realtà.

“Quest’armatura l’ho avuta grazie a te, papà. È la mia volontà a guidarmi ed il mio coraggio lo metterò al tuo servizio. A costo di girare per il mondo intero, troverò un modo per farti uscire da lì. E, ti prometto, sorriderai anche nella realtà. Sono venuto a salutarti. Parto e spero di tornare vincitore”.

Con un inchino, il giovane si congedò ed uscì da quella caverna a pochi passi dal santuario. Kanon, a guardia del luogo dove era custodito il fratello, vide il nipote. Fece per fermarlo, vedendo allontanare dal tempio, ma alle spalle del giovane percepì un cosmo tremendamente familiare.

“Ovunque tu vada, Tomei..” mormorò lo zio “..tuo padre Arles ti proteggerà. Spero solo che un giorno, sia tu che il mio amato fratello, possiate trovare la pace nell’animo. Buona fortuna”.

Tolomeo parve sentirlo, perché si voltò proprio verso lo zio. I capelli rossi mossi dal vento ne coprirono in parte lo guardo, lievemente malinconico come quello del padre.

“Scusami, zio” parlò al vento il ragazzo “..ma rischio di impazzire restando qui. Tornerò, l’ho promesso a mia sorella. Non stare in pena per me”.

Kanon non udì quelle parole. Osservò il corpo del fratello e sospirò: Arles sorrideva.

 

Ok, eccoci alla fine. Insultatemi pure per questo capitolo. A presto, con nuove follie!

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