Pensieri

di Mouffie
(/viewuser.php?uid=835243)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La parola di un uomo ***
Capitolo 2: *** Realtà ***
Capitolo 3: *** Credere ***
Capitolo 4: *** Promessa ***
Capitolo 5: *** Pozzo ***
Capitolo 6: *** Ricordo ***



Capitolo 1
*** La parola di un uomo ***


Un tempo, la parola di un uomo era il suo biglietto da visita, tutto ciò che aveva e tutto ciò che poteva offrire: dare la propria parola era dare se stessi, la propria vita, la propria dignità. Ogni azione, ogni promessa o giuramento erano legati alla parola di un uomo. Venirne meno era peggio della morte per alcuni e per altri, semplicemente, significava morte certa per non aver rispettato quel sacro atto. Un uomo non deve mai venir meno alla parola data.
Questione di orgoglio? Forse. Molto probabile anzi.
Ai nostri giorni la parola di un uomo vale meno di niente. Conosci quell'uomo? Come puoi credergli? Cosa ti può spingere ad un atto tanto stupido come quello di credere alla sola parola di un uomo qualunque? Nulla. Oggi esistono i contratti, esistono leggi, esistono controlli ed esiste la diffidenza. Se ti fidi ciecamente della parola di un uomo, sei stupido oppure ingenuo oppure sei così legato a quella persona che ti sembra assurdo dubitarne la sincerità.
Come si può dubitare per esempio, della parola di un buon amico che conosci da 10 anni? Come si può dubitare la parola di un medico che ha molte più conoscenze nel suo campo e di sicuro vuole solo il tuo bene? Come dubitare della parola di un uomo che chiami padre, che da quando sei nato vive e fa parte di tutto il tuo mondo? 
Eppure le delusioni sono sempre dietro l'angolo. Un tempo un uomo che veniva meno alla sua parola rischiava di pagare con la vita. Ora un uomo che non mantiene la sua parola è solo uno dei tanti fili d'erba in mezzo ad un prato di erbacce che non verranno mai estirpate.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Realtà ***


Quando finisce la fantasia e comincia la realtà? Quando finisce l'infanzia e l'adoscelenza e comincia l'età adulta? Chi lo decide e in base a cosa? Con quale diritto? Arriva un periodo della vita in cui si deve smettere di credere agli elefanti che volano e vedere le cose per quello che sono. Perchè non si può credere agli elefanti volanti se si vuole? Perchè non si deve credere a Babbo Natale per essere considerati adulti? Perchè le lacrime non devono essere versate se si vuole ascoltare la verità che si sarebbe preferito fosse fantasia? Con quale diritto vengono strappate le ali ad un gabbiano, il cui unico intento era quello di volare alto nei cieli, ma che si è ritrovato a precipitare nell'abisso più oscuro e profondo che si possa immaginare?
Se è sbagliato vivere di sola fantasia, altrettanto sbagliato è vivere di sola cruda realtà. Perchè far precipitare quel gabbiano, quando sarebbe sufficiente che ogni tanto scenda dal quel cielo azzurro, poggi le zampe al suolo e veda coi suoi occhi quanto è sudicio il fango su cui si è posato.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Credere ***


E' difficile spiegare le sensazioni e le emozioni che si provano quando nessuno ti crede. Sei lì, a terra, senza un evidente motivo e tutti intorno a te si chiedono .. perchè? Perchè lo fa?
E' straziante vedersi sbattere la porta in faccia quando chiedi aiuto, solo perchè dall'altro lato non vedono quello che senti, il dolore che provi.
E' assurdo concepire come anche chi ti stà più vicino non capisca e faccia finta di nulla, come pensino che tutto sommato, forse, stai solo fingendo perchè esigi attenzioni.
E' impossibile tirare avanti da soli, quando senti il dolore più lancinante trapassarti le budella e diffondersi in tutto il tuo corpo, senza che nessuno faccia nulla per aiutarti anche solo a rialzarti da quell'angolo buio in cui ti sei rannicchiato.
E' tremendo ritrovarsi a terra, cercare di alzare lo sguardo e vedere solo il vuoto più assoluto, nessun appiglio, nessun barlume, niente altro che l'eco delle tue urla che rimbombano nella tua testa.
E' triste sentirsi abbandonati da tutti, non creduti, non presi sul serio, quando tu e soltanto tu sai che tutto quello che stai passando non è fantasia o un capriccio, ma è reale e ti stà distruggendo da dentro.
E' con la parola che devi farti sentire.
E' con il coraggio che devi rialzarti.
E' da solo che devi ritrovare la strada.
Un passo alla volta, tornare a camminare, tornare a vivere.
E non commettere lo stesso errore che hanno commesso con te, credi nelle persone per primo, se poi ti deluderanno sarà brutto, ma non dargli nemmeno questa possibilità è anche peggio.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Promessa ***


Tutto il male che mi hai fatto, che mi stai facendo e che ancora mi farai, perchè sò che lo farai, ricorda: ti si ritorcerà contro.

Parli di aver fatto del bene, parli di doveri compiuti nei miei riguardi e nei riguardi di chi mi stà attorno, parli di doveri che nessuno mai ha realmente visto, ma secondo te è tutto apposto. Secondo te, il tuo dovere lo hai fatto.

Incolpi chiunque non soddisfi i tuoi desideri, non soddisfi le tue aspettative, non accetti quel nulla che tu chiami TUTTO e colpisci i tuoi cari come colpissi una zanzara che cerca di succhiarti il sangue. Perchè è questo che siamo per te, zanzare pronte a succhiare ogni TUO avere, che è SOLO tuo e nessuno deve averlo.

Ti sei allontanato e ti sei portato dietro tutto ciò che secondo te ti spettava.

Te ne sei andato lasciandoci con le spalle al muro.

Ti sei dileguato minacciando di portarci via anche il poco che ci è rimasto per vivere.

Mi hai lasciata sola nel momento del bisogno, ma fino all'ultimo ho creduto in te e solamente io ero pronta a credere in te nonostante tutto. E nonostante tutto questo, hai deciso di schiacciare anche me, l'ultima mela del tuo albero, il tuo stesso sangue, la vita che hai generato e che ora stai distruggendo.

Stai facendo tutto da solo, ed è così che finirà.

Sarai solo.

E' una promessa. Solo.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Pozzo ***


Non c'è limite al peggio.

Quando pensi di aver raggiunto il fondo del pozzo più oscuro e profondo, ti accorgi che la terra comincia a tremare sotto i tuoi piedi e frana, facendoti precipitare ancora di più in quel buco nero senza fondo.

Stringi i denti, ti aggrappi alle pareti, cerchi di risalire con tutte le tue forze finchè queste non ti vengono a mancare e cadi di nuovo.

-Non ancora, mi rialzerò ancora una volta.-

E ti arrampichi, annaspi, cerchi di sostenere tutto il peso della terra che ti frana addosso e provi a risalire.

-Peggio di così non può andare.-

Invece sì. Cadi di nuovo, rovinosamente. Ti senti male, dolorante, incerta del tuo avvenire.

-Proverò ancora.. un'altra volta..-

E tenti di nuovo la scalata, da quel buio pesto cerchi di raggiungere la luce lassù, che ormai talmente in basso sei precipitata che ti sembra solo un puntino lontanissimo, come una stella in un cielo nuvoloso. Ma quella stella solitaria brilla e ti guida e tu cerchi di raggiungerla. Disperatamente. E tutto frana ancora, e tu cadi ancora più in basso.

-Non .. ancora.. no-

E volgi lo sguardo in alto, cercando di scorgere quel puntino di luce, quella stella di speranza, e ti accorgi che oramai non vedi più nulla e l'oscurità ti stà inghiottendo.

-Non voglio...-

Ancora una volta ti rialzi, cerchi di risalire ma lo sforzo è troppo grande e non riesci più a muovere un solo muscolo. Metti da parte l'orgoglio, metti da parte tutta la tua scetticità, metti da parte tutte quelle barriere che ti eri autoeretta per proteggerti da chissà cosa o chi, e implori.

-Aiuto..-

Non ce la fai più, il peso del tuo corpo è diventato insostenibile, sei lì, in bilico, nel centro del pozzo, ancora così lontana dalla vetta e così vicina a cadere per sempre nella disperazione.

-Aiutatemi..!-

E una mano sopraggiunge da non riesci a capire dove e come, ti sostiene, e subito dopo un'altra mano e un'altra ancora, tante mani ti tengono stretta, emanano calore, ti consolano, ti cullano e ti tirano.

-Fa male!-

Il dolore è straziante, ma quelle mani cercano solo di riportarti in superficie e ti stringono, forte, non vogliono lasciarti andare.

Torni a vedere quel puntino di luce lontano.

Un brivido ti percorre il corpo.

Non sai più cosa vuoi. Fino a poco prima cercavi di risalire, ora invece temi quella luce. Così tanto sei rimasta al buio in quello stretto pozzo oscuro che ti ci eri abituata. Vorresti tornare nel vuoto, vorresti non pensare a nulla, a nessuno. Ma quelle mani ti tengono stretta e non intendono lasciarti.

-Ho paura-

Ti lasci cadere a peso morto e le mani cadono insieme a te per un poco, ma poi si fanno forza e ti sostengono ancora di più, ti fanno male, ti tirano, sembra ti strappino le braccia, ma non vogliono perderti e ti tengono stretta.

E tu sei lì, appesa, indecisa sul da farsi.

-Cosa devo fare...-

Lasciarsi cadere.. o tornare alla luce?

Morte o vita?

-Non lo sò...-

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Ricordo ***


Ricordo una bambina, di soli 4 anni, che restava da sola nella sua casetta di città, sempre affacciata alla finestra.

Non si sentiva sola, non sapeva nemmeno cosa fosse la solitudine.

Guardava sempre da quella finestra, spostando leggermente la tenda per vedere attraverso il vetro un pò sporco e appannato le macchine che si susseguivano al semaforo dell'incrocio.

Le guardava fermarsi, guardava chi c'era dentro, guardava i colori e i fumi uscire dai tubi di scarico, guardava chi altro arrivava da dietro l'angolo, chi dall'altra parte della strada, guardava chi doveva girare nella sua via o andare altrove.

Non si chiedeva affatto quale fosse la loro meta, non le interessava. Anzi forse è sbagliato anche dire che non le interessava, semplicemente lei guardava.

Quando pioveva o c'era il sole, con la nebbia o la neve, lei sempre si affacciava a guardare. E quando non c'erano macchine da guardare allora volgeva lo sguardo al cielo.

Guardava le nuvole, il colore che avevano, le forme che prendevano, se si muovevano velocemente o lentamente, cercava il sole di giorno e la luna di notte, contava le stelle e non ci riusciva mai. Anzi forse è sbagliato dire che le contava, semplicemente lei guardava.

E quando veniva la bella stagione, invece di guardare da quella finestra, guardava dal balcone della sua casetta di città. La vista era sicuramente più ampia che dalla finestra della stanza. Poteva vedere molto più lontano le macchine che arrivavano, l'albero suo preferito proprio davanti alla casetta, sul marciapiede, alto come il condominio di 3 piani.

E anche se lei stava al terzo piano, per vederne la punta doveva alzare leggermente lo sguardo.

Il grande albero papà.

Il viale aveva ad una certa distanza l'uno dall'altro, sul marciapiede, un rettangolo di terra dove crescevano tanti alberi, ma nessuno era grande come l'albero papà. Il capo. Aveva pensato al resto della sua famiglia per gli altri alberi. L'albero fratellone, l'albero sorellona e l'albero sorellina. Non c'era un albero che potesse essere l'albero mamma e lei non sapeva perchè, anzi neanche se lo chiedeva, aveva 4 anni, i pensieri erano semplici e senza strani significati nascosti.

Passava le giornate sola, a guardare le macchine che andavano e venivano, a guardare gli alberi, soprattutto l'albero papà che ospitava tanti uccellini che cantavano. Era bello vederli fiorire. Era bello anche l'autunno quando le foglie cadevano e prendevano quel bel colore che non sapeva cosa fosse, ma le piaceva tanto.

Ogni tanto qualcuno la chiamava dall'interno, andava a mangiare o fare ciò che doveva fare e poi tornava là. Alla finestra. Al balcone. Si godeva il panorama.

Dall'altra parte della strada c'era una bella villa con un grande cane. Bello.

Oltre la villa si vedeva qualcosa di vecchio e strano. Bello.

A sinistra c'era un negozio di dolciumi. Bello!

All'angolo opposto della strada c'era un bar dove entrava ed usciva tanta gente. Bello.

A destra c'era un condominio a 3 piani come il suo, però spostato più all'interno per lasciare spazio ad un grande giardino con pini e strani alberi che fiorivano tantissimo in primavera e diventavano tutti colorati. Bellissimo.

Il cielo azzurro e limpido, dove volavano stormi di rondini. Bellissimo.

Un cielo scuro con lampi e forte vento. Emozionante!

Neve a terra. Wow. Voleva giocarci ma non poteva uscire di casa da sola. E allora la guardava. Bella.

Volano strani batuffoli bianchi dappertutto! Che bello! Cosa sono? Belli!

E le sue giornate, le sue stagioni, passavano così, guardando da una finestra o dal balcone tutto ciò che il suo occhio poteva vedere.

E viaggiava. Viaggiava con la fantasia. Dove la portasse solo lei può saperlo, ma non era triste nè sola. Lei guardava, osservava, era tranquilla.

E un giorno vide dal suo balcone un cane enorme entrare nel suo cortile, lei non lo sapeva, ma era un S.Bernardo. WOW CAGNONE! Le piacevano gli animali, gatti, cani, non sapeva che altro perchè non li conosceva ma qualsiasi cosa avesse un bel musino allora era bellissimo!

E si affacciò dal cornicione del balcone che era basso, salendo su un pezzo di inferriata dove riusciva benissimo a poggiare i piedi e si sporse per vedere bene il cagnone.

E si sporse.

E cadde.

E il cane era sempre più vicino.

E il pavimento del piccolo cortiletto era sempre più vicino.

E poi il nero.

Sudore.

Ansimi.

-Di nuovo quel sogno...-

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3093651