World of Warcraft: Kriystal

di sinful_theatre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un'elfo del sangue femmina non può divenire una paladina ***
Capitolo 2: *** Fuga lungo la cicatrice morta ***
Capitolo 3: *** Dove sei diretta? ***
Capitolo 4: *** In arresto ***
Capitolo 5: *** Attenendosi al piano ***
Capitolo 6: *** Ritorno e andata ***
Capitolo 7: *** Trattative sotto Lordaeron ***
Capitolo 8: *** Sotto attacco ***
Capitolo 9: *** Strane alleanze ***
Capitolo 10: *** Non più sola ***
Capitolo 11: *** Confessioni e verità ***
Capitolo 12: *** Il consiglio al crepuscolo ***
Capitolo 13: *** Eventualità agghiaccianti ***
Capitolo 14: *** Centauri ***
Capitolo 15: *** Villaggio Bloodhoof ***
Capitolo 16: *** Ciclo naturale ***
Capitolo 17: *** L'addestramento ***
Capitolo 18: *** La battaglia di Altovento ***
Capitolo 19: *** Forze arcane ***
Capitolo 20: *** La missione di Ermelaid ***
Capitolo 21: *** Rune ***
Capitolo 22: *** Energia del caos ***
Capitolo 23: *** Benvenuti a Booty bay! ***
Capitolo 24: *** L'inizio della fine ***
Capitolo 25: *** Nessuno resta impunito ***
Capitolo 26: *** Alla ricerca delle rune ***
Capitolo 27: *** La canzone del paladino ***



Capitolo 1
*** Un'elfo del sangue femmina non può divenire una paladina ***


CAPITOLO I

Un'elfa del sangue non può divenire una paladina



   Anche quell’anno la notizia che oramai era giunto il fatidico giorno dell’esame militare Kriystal la ricevette all’ultimo momento.
   Se ne accorse precisamente quando di prima mattina,non del tutto ancora sveglia, sentì lo strombettio delle trombe risuonare dall’interno delle mura della città.
   Sin da quando aveva settant’anni Kriystallina aveva sempre odiato dover essere costretta a vivere fuori città nonostante la sua nobile discendenza.
   Non capì mai,o non volle mai del tutto accettare, il perché per gli Elfi del sangue di famiglia reale era considerato un privilegio vivere in residenze all’esterno delle mura anziché godere del proprio potere nel centro della capitale del regno.
   La risposta che gli fu sempre rifilata era che ciò sarebbe servito come tattica segreta per un’ipotetica invasione della città. Questi cosiddetti ‘invasori’ non arriverebbero mai a credere che i padroni della capitale  vivono all’esterno d’essa e non all’interno.
   Ma dopo averle ripetuto più volte pavoneggiandosi che come tattica vantava di aver funzionato ben cinque volte nel corso della storia Kriystal saltava sempre su con l’affermare che oramai tutti e tre i continenti erano a conoscenza di tale tecnica ‘segreta’, e che arrivati a quel punto sarebbe stato meglio stare vicini agli abitanti della propria città trasferendosi all’interno d’essa.
   Ma nessun ragionamento dell’Elfa, logico o pretenzioso, servì a cambiare il collocamento delle abitazioni reali.
   Fu anche questo uno dei motivi per i quali Kriystal veniva parzialmente esclusa da tutti gli eventi importanti di Silvermoon, compresi gli esami per essere arruolati nell’esercito. Per un difetto di comunicazione non ben chiaro a nessuno gli avvisi e gli inviti arrivavano sempre tardi o alle volte non arrivavano mai ai residenti fuori città. Tutto questo facilitò l’insoddisfazione di Kriystal nell’essere figlia di Elfi del sangue nobili poiché avere quel titolo non le parve avesse mai comportato grandissimi privilegi.
   L’importanza del sangue imperiale veniva riconosciuta dal popolo solo in suo padre.
   Il padre di Kriystal, Ermelaid, era uno dei sette signori di Silvermoon e di conseguenza parte della più alta carica dei regni orientali.
   Ogni qualvolta Ermelaid entrava a Silvermoon gli sguardi di tutti gli abitanti, Elfi del sangue e non, cadevano su di lui e famiglia.
   Ogni qualvolta Kriystal entrava a Silvermoon senza suo padre invece nessuno la degnava di speciale interesse. Lei era la figlia di un Signore, nulla più, e nemmeno quel titolo le veniva mai totalmente riconosciuto. Alle volte veniva trattata ancor peggio di un’abitante qualsiasi.
   Essere figlia di un nobile per lei non era un pregio, era una maledizione.
   Ad arricchire tutta questa serie di disagi di questa giovane Elfa del sangue si aggiungeva il suo utopico sogno: Divenire una paladina.
   Essere paladini comportava essere parte dell’esercito. Essere parte dell’esercito comportava scendere in battaglia,ma per Kriystal questo non era possibile.
   Prima di tutto nel corso della storia non fu mai stato concesso a nessun’essere dei regni orientali di sesso femminile di far parte della classe Paladina, secondariamente Kriystallina era di sangue nobile e ciò comprometteva ancor di più il suo desiderio di far parte dell’esercito di Silvermoon.
   Quel giorno, il giorno dell’esame, Kriystal uscì di casa frettolosa e mentalmente preparata. Si sentì comunque una stupida per non essersi accorta dell’imminente inizio degli esami per le aspiranti reclute, se ne sarebbe dovuta rendere conto dall’assenza di suo padre che non durava oramai da due notti.
   Ermelaid, per l’appunto, prendeva parte tutti gli anni alla commissione dell’esame militare e fu proprio lui, negli ultimi cinque anni, ad impedire a sua figlia la promozione.
   “Il tuo compito” Le diceva sempre con i suoi occhi glaciali ma pur sempre paterni: “è divenire una Signora di Silvermoon,ed in questo compito non è previsto che tu soccomba in battaglia”.
   Ma anche con questa cantilena Kriystal in un certo senso non si trovava d’accordo. Lei crebbe con l’idea che essere a capo di un qualcosa, regno o città che sia, comporti proprio rischiare di soccombere in battaglia per quel qualcosa. E se davvero il suo compito fosse stato quello di guidare Silvermoon, quale soluzione migliore di agire in prima linea come Paladina?
   Ma come per il problema delle abitazioni esterne alle mura precedentemente esposto nessun ragionamento, logico o pretenzioso, servì a far cambiare idea ad Ermelaid. Un’elfa del sangue femmina non può essere una Paladina, Tanto meno sua figlia, la figlia di uno dei sette signori di Silvermoon.
   Con questo pensiero fisso che le fu trapiantato per decenni Kriystal continuò comunque a dirigersi correndo velocemente verso l’ingresso principale della città intenzionata ad affrontare per la sesta volta l’esame di ammissione.
   Era una bella giornata quella, il sole sembrava già scaldare ed il viale degli eroi antecedente al maestoso ingresso di Silvermoon era sgombro da passanti ingombranti, quali i soliti mercanti o le guardie imperiali. Tutto il popolo a quell’ora doveva già essere raccolto al centro della città pronto ad accogliere e a celebrare le nuove reclute, e Kriystal quel giorno soleggiato aveva intenzione di entrare a far parte di esse.
   Attraversò frettolosa la piazza della giustizia ignorando completamente alcuni soldati imperiali che le avevano accennato un saluto al volo e le parve per un istante che uno di loro le avesse urlato un ‘buona fortuna!’ ironico. La cosa non la toccò assolutamente. Quell’anno Kriystal era decisa come non mai.
   Entrò nella foresta e in pochi secondi attraversò il ponticello sotto al quale solitamente sonnecchiava il giardiniere Noria il quale, come il resto degli abitanti, quel giorno doveva essersi recato probabilmente ad assistere alle celebrazioni.
   Tutti i particolari del paesaggio abituale che sin da quando era piccola l’avevano sempre incantata come gli enormi salici d’anima, le fenici addomesticate e le siepi arricchite dai più rari fiori dei regni orientali, quel giorno passarono in secondo piano. All’ombra della foresta di Silvermoon Kriystal si trovò finalmente d’innanzi all’immensa facciata della città. La maestosa muraglia bianca e d’orata sembrò ancora più possente quel giorno, arricchita di sventolanti bandiere rosse e sorvegliata dall’enorme statua del fondatore di Silvermoon dietro alla quale si accedeva al piazzale principale dove avevano luogo gli esami.
   Il varco d’ingresso era tenuto sotto controllo come di consuetudine dalle due guardie imperiali Larminit e Granminit, uno magro e l’altro grosso, uno basso e l’altro alto, uno mezz’umano e l’altro mezz’orco, figli della stessa madre ma non dello stesso padre. Erano le due ‘sagome’ della città, caratteristici per la loro storia tragicamente ironica e per la loro frequente goffaggine.
   Si arruolarono nell’esercito imperiale vent’anni prima che nascesse kriystal e dal giorno in cui diventarono ufficialmente Guardie della città non fecero altro che postare all’ingresso principale ogni giorno ed ogni notte.
   L’esperienza del lavoro non mancava di certo, ma secondo Kriystal la loro forma di schizofrenia era in buona parte dovuta anche a quest’ultimo.
   “Oila Kriystallina!” esclamò Gran,il più grosso: “Alla riscossa per gli esami anche quest’anno?”
   “Si anche quest’anno,ragazzi scusate ma sono di fretta e già in ritardo!” e Kriystal fece per sorpassarli il più velocemente possibile,non aveva tempo per perdersi in chiacchiere con loro. Ma ad interrompere la sua corsa ci pensò Larm,quello mingherlino,afferrandola per un braccio: “Non così in fretta,Kriystallina!” ordinò il mezz’umano con goffa aria autoritaria e riportandola all’esterno della soglia d’ingresso.
   «Ma che fai Larminit!? Non hai sentito che la signorina è diretta urgentemente agli esami?!» intervenne Gran.
   “Per mille alberi fendenti! Non dirmi come devo fare il mio lavoro! L’ho fermata semplicemente per chiederle se ha visto qualcosa di sospetto muoversi nella foresta incantata mentre veniva verso la città!”
   “Stupido fratello, sai perfettamente che del problema del traditore se ne sta già occupando l’imperiale compagnia di Silvermoon! Non permetterebbero mai che il fuggiasco si spinga a nascondersi nella nostra foresta,soprattutto in una giornata come questa! Te lo dico io,oramai sarà già al confine della terra fantasma!” lo rimproverò Gran.
   “Traditore?” Domandò Kriystal con la speranza di infittire il battibecco tra i due e poter così passare senza perdere tempo.
   “Si esatto,è un temibile Paladino che sembra aver trafugato importanti carte governative dei sette signori di Silvermoon per poterle consegnare all’alleanza!” Spiegò orgoglioso Gran.
   “Ecco lo sapevo,non hai capito proprio niente ciccione! Il ricercato è un Warlock,non un paladino! E non è stato accusato di tradimento per un furto di carte,si dice che abbia fatto strage di una famiglia nei pressi delle foreste di Silverspine senza un reale motivo! Abbiamo a che fare con un criminale senza cervello!
   “Si vede proprio che non sei figlio di mio padre razza di un mezzo umano! Quell’Elfo del sangue ha un piano preciso e farà di tutto per infiltrarsi a Silvermoon,ma per fortuna la compagnia imperiale lo catturerà. Ho sentito che in questo momento la pattuglia dell’ala Est sta controllando la Dead Scar!”.
   “Razza di umano!? Non è colpa mia se sei stato concepito da un’avventura tra la mamma ed un Orco!”
   “Ah si? Vieni a dirmelo qui picc..!”
   Missione compiuta. Kriystal approfittò della situazione e sorpassò furtivamente le due guardie girando intorno alla statua e affacciandosi finalmente all’enorme,epico e festoso piazzale principale di Silvermoon.
   L’impatto fu caotico,Krisytal si rese conto del muro di folla solo quando vi entrò in collisione. Un esercito di popolani festosi riempiva la piazza del cammino dell’eroe ed impediva la visuale dell’ambiente circostante. Era tutto uno sbandieramento di bandiere rosse riportanti lo stemma di Silvermoon e lo stemma dell’Orda,i Mercanti urlavano i nomi più bizzarri dei loro più bizzarri prodotti.
   Kriystal tentò di avviarsi verso il vicolo più vicino per dirigersi il più in fretta possibile alla corte del sole ignorando totalmente gli strombettii e la confusione che quel giorno inondavano la città.
   La corte del sole era il quartiere dove si trovava il palazzo imperiale del furore solare,il punto di ritrovo dei sette signori di Silvermoon ed il luogo in cui si tenevano gli esami di ammissione.
   Kriystal non aveva mai viaggiato all’esterno  delle terre di Silvermoon,ma quest’ultima la conosceva come le sue tasche e sapeva perfettamente che in situazioni come quella per raggiungere il più in fretta possibile la corte del sole occorreva intrufolarsi nel viale del Passaggio Reale e deviare per il quartiere dell’Estremo cammino. Kriystal non capì mai precisamente il perché di certi nomi,sentirli nominare incuteva un certo senso di terrore,ma a vederli non si riusciva a trovare un nesso logico per il quale furono battezzati così.
   Silvermoon era conosciuta per la sua eleganza e la sua raffinatezza estetica,non esistevano all’interno d’essa zone malridotte o malfamate. Era una vera e propria corte,una delle più conosciute e potenti capitali dei regni orientali invidiata da tutti e tre i continenti.
   Kriystal di questo ne era consapevole,e l’essere una nobile di una terra così incantevole la induceva a credere ancor più fermamente nel suo sogno di divenire una Paladina. Un giorno sarebbe stata finalmente in mano sua la responsabilità di proteggerla.
   Questo era il suo credo,il suo desidero e quel giorno non era mai stata così vicina al realizzarlo.
   Lungo il quartiere dell’estremo cammino alloggiava il silenzio,tutti erano a festeggiare nel piazzale dell’eroe o ad accogliere le nuove reclute alla corte del sole. Durante la sua corsa Kriystal riconobbe solo un ubriaco giardiniere Noria  addormentato su un marciapiede all’angolo della Banca e raggomitolato in una bandiera dell’Orda, tutto il resto pareva deserto.
   Anche se concentrata sul raggiungere in fretta il palazzo reale improvvisamente Kriystal si fermò di scatto e si voltò all’indietro,ma nemmeno un’anima viva. Non seppe realmente cos’aveva percepito o cosa si era immaginata,ma per un solo momento le parve di esser seguita.
   Ma in quel perfetto e deserto viale non vi era nessuno al di fuori di lei e del povero giardiniere. Tutto era come sempre,la luce affusolata dovuta alle tende viola attaccate ai piani superiori degli edifici,tutte le botteghe serrate per l’evento degli esami,nulla sembrava essersi mosso e nessuno sembrava seguirla.
   Così ,una volta accettato il proprio abbaglio,l’elfa del sangue riprese la sua corsa. Per quanto le importasse poteva accaderle di tutto quel giorno,persino essere pedinata,ma nulla le avrebbe impedito di raggiungere il suo obiettivo e finalmente ,lasciandosi alle spalle l’impressione di esser vittima di un ipotetico quanto impossibile inseguitore, Kriystal si affacciò sulla paradisiaca Corte del Sole.
   Quest’ultima si presentò ancor più stupefacente di come Kriystal se la ricordava dopo la sua ultima visita un anno prima. Al centro della piazza risaltava la limpida acqua della fontana che risaliva gli scalini in marmo bianco diretti al furore solare,circondata da numerosi tipi di piante rare e vivaci. Saliti i primi scalini vi erano le guardie imperiali di grado B ,il più alto grado dopo la compagnia imperiale,schierati su due file lungo tutta la piazza dividendola perfettamente in due metà concludenti all’ingresso principale del palazzo.
   Kriystal ignorò il sudore che le colava dalla fronte per la corsa,ma rallentò comunque il passo lungo la strada che le veniva aperta dalle due file di guardie. Mentre proseguiva e non distoglieva lo sguardo dall’ingresso d’innanzi a lei sentì su di sé gli sguardi freddi e inespressivi delle guardie imperiali le quali postavano come statue nella loro autoritaria formalità e nelle loro tuniche rosse prive di pieghe. I membri delle guardie di grado B erano tenuti,negli anni di servizio, a portare i capelli lunghi e l’uniforme ricordante la stessa che caratterizzò il fondatore di Silvermoon. Questi protettori della città erano soldati esperti anche sul campo di battaglia ed il grado B,pensava sempre Kriystal,sminuiva le loro abilità le quali venivano  sottovalutate soltanto per la prevalente esistenza della precedentemente nominata compagnia imperiale. Quest’ultima era una compagnia formata da pochi membri tutti quanti esperti nei settori più essenziali e nominati ‘imperiali’ per le loro epiche battaglie e per la loro efficienza nelle missioni divenute famose per non essere mai fallite.
   Kriystal non ebbe mai molta stima per questo rango detto grado A,ritenendone i membri dei semplici raccomandati con l’arte di sapersi giocare la propria fama. Per niente al mondo avrebbe voluto farne parte,voleva divenire una paladina e non un’altezzosa figura imperiale.
   Stava salendo l’ultimo gradino che la divideva dal fatidico ingresso quando una voce dall’aria familiare le venne incontro: “Kriystallina,la tua chioma rossa assomiglia sempre più a quella della meravigliosa donna che ti ha messo al mondo. Me la ricordi molto,lo sai vero?”. Chidril uscì alla luce del sole esibendo i suoi secolari capelli bianchi contrastati dai suoi occhi rossastri ed intrecciati in un’artistica composizione:“Cosa sono costretti a vedere i miei stanchi occhi! Mia cara,non dirmi che sei qui anche quest’anno per gli esami di ammissione militare!”
   Kriystal porse un formale inchino di saluto non facendo passare inosservata la propria impazienza: “Buongiorno Chidril! è un piacere incontrarla qui alla corte del sole,ma ora vado davvero di fretta la prego di scusarmi!”.
   L’elfa del sangue fece per riprendere la propria marcia quando Chidril si impose fisicamente tra lei e l’ingresso.
   Tra i sette signori di Silvermoon,ancor prima di Ermelaid, Chidril rappresentava l’impronta più alta e più antica all’interno del furore solare,vantando oltre trecento anni di carica come membro del congresso dei sette. Questa esperienza faceva di lui si un personaggio temuto,quanto del suo carattere un agglomerato di perfidia mista a sinistra saggezza.
   “Sono addolorato kriystallina,ma purtroppo per cause di forza maggiore sono tenuto ad impedirti il varco di questa soglia. Sai bene che non dipende da me” spiegò l’Elfo del sangue con quel tono autoritario ed arrogante che dava alla sua voce piatta un pizzico di viscido.
   “Ma come!?” scattò Kriystal irrigidendosi: “Quest’anno non mi date nemmeno la possibilità di iscrivermi? È un diritto di ogni abitante dei regni orientali potersi presentare d’innanzi alla commissione d’esame militare!non potete impedirmelo!”.
   “oh,mia cara” Sorrise l’elfo con un’espressione di finta paternità: “Mi dispiace ma gli esami sono appena finiti. Ermelaid in persona mi ha affidato il compito di informare eventuali aspiranti ritardatari della chiusura delle iscrizioni. Mi piange il cuore piccola Kriyst...”
   “Non mi interessa se sono in ritardo o meno!” Infuriò L’elfa: “Come negli anni precedenti per un qualche motivo non avete inviato agli edifici esterni alle mura il giorno e l’orario dell’inizio degli esami! Non posso permettermi di rimandare anche quest’anno!”.
   “è la legge signorina,e la legge parla chiaro” Sottolineò Chidril guardando Kriystal dall’alto al basso: “Non si ammettono aspiranti reclute fuori esame. Inoltre ti sarà ben presente che vigila l’impossibilità di divenire un paladino per un’elfa del sangue femmina,o sbaglio?”
   “L’inesistenza di un’Elfa del sangue paladina non è la conseguenza di una qualche legge,ma di una stupida consuetudine che vi siete ingenuamente tramandati! Ho bisogno di fare quest’esame,fatemi parlare con mio padre!”
   “Piccola Kristallina, mi è impossibile soddisfare le tue richieste. Non hai notato che oltre alle guardie imperiali non vi è nessun popolano qui alla corte del sole? In questo istante sono tutti diretti al piazzale del cammino dell’eroe ad assistere al discorso annuale di tuo padre e alla presentazione delle nuove reclute. Forse se tu avessi imboccato la strada principale lo avresti incontrato e avresti potuto implorarlo di esaminarti,ma dubito che quest’anno per te sarebbe stato diverso dagli altri. Dimmi, perché mai continui a tentare inutilmente di divenire ciò per il quale non sei nata?” 
   Kriystal sentì improvvisamente gocce gelate colare dalla sua fronte. Si sentì sprofondare e scaricò la propria adrenalina che l’aveva spinta a correre per tutta la città perdendo lo sguardo nel vuoto. Le parve che nessuna risposta sarebbe stata più tragicamente realistica della domanda posta da Chidril.
   “Credo che sia il caso che io vada.” Seppe timidamente rispondere sconfitta.
   “Credo sia la cosa più giusta da fare” sorrise Chidril con quella falsa compassione mascherante una riconoscibilissima soddisfazione.
   A Kriystal le parve di non riuscire nemmeno a girare i tacchi ed andarsene. Era bloccata,colpita dalla delusione dell’illusione che durante il tragitto da casa sua alla corte del sole l’aveva sostenuta. Sentì nella sua testa la voce di suo padre ripetere insistentemente il risultato scaturito in tutti gli esami dei cinque anni precedenti. Un’ Elfa del sangue femmina non può essere una paladina.
   Kriystal non riconobbe esattamente l’istinto irrazionale che la portò a prendere una decisione,ma fu questa frase che la spinse a prendere in considerazione la possibilità di trovare le porte aperte al suo sogno lontano dalle fitte e antiche leggi di Silvermoon.
   Non porse l’inchino abituale a Chidril,non accennò ad un saluto. Kriystal voltò le spalle al furore solare e prese a correre verso uno dei viali che allontanava dalla corte del sole e che dirigeva all’uscita secondaria della città.
   Fino a qualche minuto prima,ancor prima di essersi scontrata con Chidril e di essere stata fatalmente demoralizzata da quest’ultimo, non avrebbe mai pensato di potersi ritrovare a fuggire dalla sua terra natale. Eppure,nell’arco di pochi istanti,si affacciò all’esterno delle mura di Silvermoon consapevole dell’impossibilità di potersi sentire ancora protetta da esse. 

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Capitolo 2
*** Fuga lungo la cicatrice morta ***


CAPITOLO II

 

Fuga lungo la cicatrice morta



La delusione nei confronti del padre, il quale non aveva mai creduto negli ideali della figlia, e la perdita di fiducia verso la legislatura di Silvermoon parvero esser di maggior rilievo anche dopo che Kriystal si accorse improvvisamente di essere finita al centro della Dead Scar.
   La Dead scar, come suggerisce il nome, era ritenuta da tutta Azeroth una cicatrice morta sul volto perfetto di Silvermoon. Difatti il lungo fosso privo di acqua e ricco di piante morte attraversava la città passando davanti all’uscita secondaria la quale era di conseguenza inutilizzabile.
   Kriystal non lo aveva calcolato e riottenere la propria lucidità in un luogo del genere non era compreso nelle sue ultime aspettative.
   In primis l’indispensabile caratteristica da conoscere della Dead Scar ed anche la più inquietante da scoprire erano gli inospitali abitanti privi di battito cardiaco. In quanto abitanti di un canale arido ed invivibile gli esseri che popolavano la Dead scar erano creature che avevano smarrito la propria anima, la propria voglia di vivere, e con esse le proprie sembianze umane.
   Le ipotesi delle cause della loro mutazione erano numerose, ma il popolo di Silvermoon si basava maggiormente su quella decretata dai sette signori della città. ‘Una volta erano Elfi del sangue’ Spiegava Ermelaid quando Kriystal era piccola: ‘In pratica sono Elfi del sangue ai quali è successo un qualche cosa nel cuore della terra fantasma, forse nel cuore del fosso della morte, ma probabilmente qualsiasi cosa gli sia successa se la sono certamente cercata loro stessi. Spesso il coraggio non ripaga, Kriystallina, ed  è per questo motivo che ti ho proibito di lasciare le nostre terre. Sei l’emblema della testardaggine figlia mia, periresti tra le braccia del mondo che sta là fuori senza nemmeno rendertene conto ’.
   Ma la giovane Elfa del sangue, tanto per confermare la propria testardaggine, non si sentiva pienamente soddisfatta dopo una tale spiegazione.      Preferiva credere alle voci che ritenevano gli abitanti della Dead scar delle vittime di chissà quale tragico incontro sul confine tra la terra fantasma e Silvermoon. Una sorta di sesto senso l’aveva sempre portata a credere che il loro destino non erano loro ad esserselo cercati, secondo Kriystal fu lui ad esserseli presi.
   La terra fantasma, nonostante proprietaria del titolo di landa desolata ed infestata da creature dell’altro mondo, era oramai colonizzata dall’Orda da secoli, ma c’erano comunque luoghi all’interno di essa dove nemmeno i sette signori di Silvermoon si sarebbero permessi di mettervi piede.
   Uno di questi era un rifugio dell’orda risalente a circa cinque secoli prima nominato in seguito Fosso della morte, proclamato capitale della terra fantasma in quanto rappresentante della più alta concentrazione di creature ultraterrene e dell’assenza totale di creature vive, membri dell’orda e non.
   I cancelli del fosso della morte, creati da chissà chi ed in chissà quale epoca, si trovavano infondo alla Dead scar delimitandone una fine.   
   Kriystal, consapevole che se avesse superato tutti quegli esseri privi d’identità andanti su e giù per la Dead Scar si sarebbe trovata davanti agli antichi cancelli del fosso della morte, pensò ancora una volta a quante cose le sarebbero parse nuove da quel giorno se fosse perdurata la sua decisione di andarsene. Questa decisione nata da una reazione improvvisa causata dalle provocazioni di Chidril cominciava pian piano a sembrarle meno sensata.
   Quale buon fine avrebbe potuto ottenere andando esplicitamente incontro ad un suicidio alle porte del fosso della morte?
   Combattendo, e di conseguenza morendo, contro un’ esercito di spiriti non l’avrebbe portata a divenire una paladina in grado di proteggere la sua città e di cambiarne le antiche e rinsecchite radici.
   A gravare su quell’improvviso attacco di pessimismo si aprì l’angosciante spettacolo al quale Kriystal si trovò costretta ad assistere.
   Lungo tutta la Dead Scar un lento ed ondeggiante via e vai di esseri scheletrici ed ansimanti si stendeva nei limiti dell’argine del canale.
   Nell’osservare turbata Kriystal mozzò definitivamente le gambe alla teoria dei sette signori di Silvermoon: Quegli esseri, gli abitanti della Dead Scar, non avevano nulla in comune con gli Elfi del sangue e se davvero un tempo un qualcosa in comune ce l’avevano avuta qualunque cosa fosse in un qualche modo l’avevano persa totalmente.
   Kriystal reagì ad una sorta di panico improvviso e si nascose dietro al primo alberello vicino per passare inosservata d’innanzi al tetro panorama che le si presentava e per fermarsi qualche secondo a ragionare su come agire. Voltarsi all’indietro per dare un ultimo sguardo alle solari mura di Silvermoon fu inevitabile.
   Come precedentemente accennato a Kriystal fu severamente vietato sin da quand’era piccola attraversare i confini di Silvermoon e con essi l’esplorazione di nuove terre. Difatti, ciò che vi era al di fuori della propria terra natale Kriystal lo aveva solo studiato a grandi linee durante gli anni di scuola minorile.
   Era a conoscenza dei due continenti, I Regni Orientali e Kalimdor, aveva sentito parlare del morto continente del Nord ed era pienamente consapevole dell’eterna faida tre le due fazioni dell’Orda e dell’Alleanza che si dividevano rispettivamente le terre di Azeroth.
   Aveva studiato tutto ciò che le era stato insegnato del mondo di Azeroth e non poteva negare a se stessa la curiosità di poter vivere in prima persona il mondo che lei, nel suo piccolo, sognava di poter cambiare. La voglia di inoltrarsi in una tale avventura sembrava quasi prevalere anche sull’inquietudine della situazione in cui si trovava. Doveva assolutamente trovare un modo per raggiungere l’argine della Dead Scar e correre lungo quest’ultima restandone all’esterno evitando così di interagire con uno di quegli esseri amorfi, di finire in bocca al Fosso della Morte e riuscendo a prendere una via alternativa per giungere a Tranquillien, colonia principale dell’orda all’interno della terra fantasma; Una volta arrivata a Tranquillien si sarebbe dovuta nuovamente ingegnare per passare inosservata ed allontanarsi definitivamente da casa.
Il problema si presentò subito alla prima fase di questo processo di azioni che Kriystal aveva ben pensato in pochi istanti: Come raggiungere l’argine della Dead Scar? La prima ipotetica soluzione fu evocare la sua cavalcatura Silbar, uno struzzo Arcobaleno di razza imperiale.
   Certo dal nome appariva come un volatile di alta categoria, ma la realtà purtroppo era assai diversa:
   In primo luogo Silbar non era propriamente classificabile come volatile in quanto ancora incapace di utilizzare le ali per volare a differenza dei fratelli della sua specie lui si limitava a muoversi via terra. Secondariamente gli struzzi Arcobaleno erano cavalcature di cui tutti erano stati in possesso antecedentemente all’Esame di ammissione. Lo struzzo Arcobaleno restava a chi non faceva parte dell’esercito e a chi non doveva abbandonare le terre di Silvermoon. Per chi invece veniva promosso agli esami di ammissione o aveva una qualche qualifica che lo costringeva a muoversi avanti e indietro per i regni orientali veniva insegnata l’Evocazione di cavalcature di livello superiore.
   Per quanto riguardava i paladini, ad esempio, la cavalcatura di livello superiore assegnata era un cavallo da battaglia.
   Per quanto riguardava Kriystal, invece, un cavallo da battaglia era un sogno ancora lontano.
   Ma quello non era il momento per pensare alla sconfitta di quella mattina alla Corte del sole e alla conseguente impossibilità di evocare una cavalcatura di livello superiore capace di tirarla fuori da quella situazione. Se aveva intenzione di andarsene da Silvermoon doveva lasciarsi alle spalle anche i pensieri legati ad essa.
   Durante tutte queste riflessioni oramai uscite dal tema ‘come raggiungere l'argine della Dead scar?’ Kriystal fu vittima della sua distrazione.
   Nascosta dietro al secco alberello e presa da pensieri incastonati tra loro l’Elfa non fece caso all’essere disgustoso che si era trascinato lentamente alle sue spalle ansimando ed emettendo mugolii privi di significato. Se ne accorse comunque in tempo grazie al suo udito raffinato e si girò di scatto pronta a difendersi. La visione alla quale si trovò costretta ad assistere non poté però evitarle un gemito stridulo ed impaurito: L’essere che aveva tentato l’agguato era uno degli inquietanti abitanti della Dead Scar e sembrava intenzionato a tutto,fuorché ad ignorare Kriystallina.
   La giovane Elfa rimase inizialmente immobilizzata e si sbloccò appena in tempo per evitare furtivamente l’attacco sferrato dall’essere bavoso che con una zannata sradicò l’alberello dietro al quale Kriystal si era nascosta fino a poco prima. Nel riprendersi dall’assestamento l’aspirante paladina ebbe modo di osservare da vicino la fisionomia del suo attentatore: Come la maggior parte degli individui che aveva scrutato precedentemente lungo la Dead Scar la figura che ora si trovava davanti a lei era tutt’ossa e rivestita da pochissimi strati di pelle e carne, gli occhi scavati e la bava alla bocca colante dagli affilati e rivoltanti denti grigi; Alle mani unghie luride ed affilate somigliavano a zanne di bestia, perché infondo, pensò Kriystal, questo era rimasto di quegli esseri: La bestialità.
   Ma nonostante tutto non poteva provare compassione d’innanzi ad un individuo privo d’identità, non poteva fermarsi al primo ostacolo soprattutto se quell’ostacolo aveva appena cercato di farle fare la fine dell’alberello oramai distrutto. Così, Kriystal seppe per la prima volta come agire: Aprì velocemente il borsello di cuoio che portava legato alla cinta ed estrasse il suo pugnale dal manico di salicie originario della sua terra. Aspettò restando in guardia una qualche reazione del mostro, ma egli non sembrava cosciente delle proprie azioni a continuava a mugolare e ad avanzare verso Kriystal.
   E fu appena prima di un secondo attacco che quest’ultima si abbassò agilmente per evitare di essere colpita e sferrò decisa il proprio pugnale contro il petto dell’assalitore.
   La poca carne che la lama del pugnale incontrò era putrida e si forò facilmente, l’urlo dell’essere fu più mostruoso dell’essere stesso. Era un suono furioso ed agonizzante allo stesso tempo. Tolto il pugnale dal suo cuore Kriystal indietreggio immediatamente pronta ad un eventuale seconda reazione e pronta a colpire ancora.
   Se si era sentita sicura ad affrontare un esame di ammissione nell’esercito imperiale non era certo per niente, difatti nel combattimento Kriystal era più che discreta. Aveva studiato, si era allenata, meritava la partecipazione all’esame, meritava la possibilità di divenire una paladina in quanto valida per quel titolo ed il sangue di quel mostro sarebbe stato solo il primo di una serie di testimoni di tale validità.
   Ma non ci fu motivo di continuare il combattimento, poiché l’essere cadde silenzioso e privo di vita sul suolo sabbioso. Il colpo al cuore era stato letale. Kriystal abbassò il pugnale ancora sporco di un viscido liquido verdognolo e sospirò. Ce l’aveva fatta, ce l’aveva fatta eccome e non se l’era cavata per niente male. Sapeva che in realtà non doveva dimostrare nulla a nessuno, ma la vittoria appena ottenuta era stata soddisfacente.
   Ma questa soddisfazione la distrasse nuovamente dal problema d’innanzi al quale si trovava e se ne rese conto quando alle sue spalle udì un coro di mugolii e versi disumani: Una ventina di abitanti della Dead Scar avanzavano sbavando verso l’Elfa del sangue.
   Kriystal si voltò verso l’esercito di mostri e indietreggiò alzando la guardia e tenendosi pronta alla fuga o ad un’eventuale scontro.
   Ma la prima opzione svanì dal momento in cui altri esseri scheletrici e striscianti apparvero alle sue spalle: Kriystal era totalmente circondata.
   “Diamine!” Esclamò. Non vi erano vie di fuga, non rimaneva che combattere.
   Il primo mostro scattò avventandosi in maniera animalesca su Kriystal, che reagì abbassandosi furtivamente e trafiggendolo alla schiena con il pugnale.      
   Un secondo attacco da un altro essere ed un'altra abile dimostrazione dell’Elfa delle proprie abilità nel combattimento, balzò all’indietro e lo ferì al viso con un taglio netto.

   Stava andando alla grande, ma cominciò ad avere i primi acciacchi. I nemici, se pur indeboliti dai propri istinti, erano troppi.
   Ne abbatté un quarto, un quinto, un sesto, ma un settimo essere la braccò alle spalle e fece per morderla al collo. Mentre si avvicinava con i propri denti aguzzi al collo dell’Elfa lei poté sentire l’odore fetido del suo alito morto. Non poteva finire così, non poteva morire sbranata da un branco di zombie.
   Chiuse gli occhi pronta a resistere al dolore del morso, ma quest’ultimo non arrivò.
   Kriystal Sentì un nitrito risuonare tra i versi ansimanti intorno a lei seguito da urla disumane e da rumori continui. Erano i rumori di pesi morti che crollavano a terra. Aprì gli occhi e si accorse di non essersi resa conto di non essere più sotto la presa dell’essere che l’aveva braccata: I venti corpi degli abitanti della Dead Scar che avevano attentato alla sua vita giacevano a terra inerti. Kriystal non capiva cos’era successo.
   Indietreggiò lentamente e si scontrò contro qualcosa di duro e bollente. Si voltò di scatto sferrando il pugnale contro quel qualcosa contro il quale aveva picchiato indietreggiando e, qualunque cosa fosse, era molto più forte degli esseri che l’avevano aggredita poco prima.
   Ma Prima che lei potesse capire se l’attacco sarebbe stato efficace  o meno qualcuno la fermò afferrandola per il polso.
   “Stai calma” Ordinò con tono tranquillo il personaggio che le aveva impedito l’attacco.
   Nel mezzo della Dead Scar, al centro di un mucchio di cadaveri puzzolenti, Kriystal si trovò d’innanzi ad un Elfo del sangue in groppa ad un mastodontico puledro nero ed infuocato.
   “Ora lascerò la presa, e tu non azzarderai nessun’altra stupidata. D’accordo?”.
   Kriystal, confusa, annuì e ritrasse il polso liberandosi.
   “Chi diavolo sei tu!?”.
   “Sono il capitano della compagnia imperiale di Silvermoon. Incaricato di perlustrare la Dead Scar per trovare il ricercato. Da quel che ho visto ti conviene rientrare in città, non hai saputo comportarti davanti a dei nemici come questi e non oso immaginare cosa possa accadere se ti dovessi incontrare con un livello come quello dell’Elfo del sangue che stiamo cercando”.
   “Non ero in difficoltà, ne avevo già fatti fuori cinque o sei di questi mostri!”.
   L’Elfo sbuffò. Aveva l’aria tipica che si addice ad uno della compagnia imperiale. Aria di totale arroganza e superiorità.
   L’armatura certo era possente,di un rosso vivo tipico di Silvermoon e dell’Orda, una trama di teschi correva lungo le spalline altrettanto grosse.
   Un misto di eleganza ed inquietudine si nascondeva negli abiti di quell’Elfo.
   Kriystal non poté fare a meno di notare la staffa che portava legata alla schiena:
   “Tu sei uno stregone,non è vero?”
   “Un Warlock per la precisione. Quella è la tua arma?” Chiese ironico il Warlock scrutando il pugnale che Kriystal impugnava ancora nella mano sinistra.
   “Questo? Appartiene a me da quando ero bambina.”
   “Quindi non da molto,vedo.”
   Kriystal alzò il pugnale innervosita: “non sono una bambina!”
   Ma neanche il tempo di dire un’altra parola che il cavallo del Warlock si innalzò su due zampe e nitrì. L’Elfa indietreggio intimorita dalle dimensioni dell’animale infuocato.  I suoi occhi rossi incrociarono quelli di Kriystal,la quale fu costretta ad abbassare il pugnale.
   “Comunque sia” Continuò l’Elfo: “Identificati prego”.
   “Identificarmi!? Ma non si vede!? Sono un’Elfa del sangue! Un abitante di Silvermoon!”
   “Un momento!” la zittì d’un tratto il Warlock aguzzando la vista su Kriystal.
   “Io so chi sei.” Per un momento a Kriystal parve come se le se fosse fermato il battito del cuore. L’avevano già scoperta?
   L’Elfo scese da cavallo facendo risuonare la sua armatura nell’impatto con il suolo. Osservarlo in piedi,con quell’armatura,sembrava ancora più potente. Ora Kriystal poté osservare meglio la guardia imperiale che aveva interrotto così presto l’inizio del suo viaggio.
   Aveva dei rossi capelli corti pettinati all’indietro ed una pelle pallida contrastante con i suoi occhi dorati. Il tutto posizionato su un viso magro e scolpito.
   L’Elfo Si avvicinò a Kriystal interrogandola sempre più con lo sguardo:
   “Ma certo” disse: “Capelli lunghi e rossi,pugnale in salice,borsa di pelle di tigre delle foreste della canzone eterna..” Il Warlock posò una mano sul viso di Kriystal e le alzò lentamente la frangia.
   Kriystal rimase immobile,sarebbe voluta scappare,avrebbe voluto combattere,si sarebbe voluta ribellare. Il suo piano di passare inosservata stava per fallire.
    “Non ci sono dubbi” Sorrise la guardia imperiale soddisfatto della propria diagnosi e togliendo la mano dalla fronte dell’Elfa: “Tu sei Kriystallina,figlia di Ermelaid. Cosa ci fai qui fuori? O meglio,cosa ci fai nella Dead Scar?”.
   “M-mi sono persa!” si arrampicò su gli specchi Kriystal. Non poteva farsi riportare a Silvermoon,non poteva tornare da suo padre.
   Il Warlock la fissò un secondo con scetticismo: “Credo che sia meglio che tu venga con me”.
   Fece per prenderla per un braccio quando un ennesimo nitrito del cavallo infuocato avvertì l’arrivo di qualcuno.
   Sia Kriystal che il Warlock si guardarono intorno: Altri abitanti della Dead Scar,sentendo l’odore putrefatto dei propri compagni,erano tornati alla ribalta,ma stavolta quadruplicati. Saranno stati un centinaio gli esseri che avanzavano lentamente verso i due Elfi del sangue.
   “Maledizione. Non ho proprio voglia.” Sbuffò il Warlock,che nel frattempo estrasse la staffa. Diede poi un’occhiata a Kriystal la quale,pronta a combattere l’esercito di Zombie,teneva ben stretto il pugnale.
   “Non puoi difenderti con quello” Sospirò L’elfo con aria di sufficienza. Andò vicino al cavallo e dal borsone in cuoio legato sul fianco estrasse una spada dal manico bianco. Kriystal la riconobbe,era una delle spade standard che davano agli esaminati per affrontare la loro prova: “Tieni,nel caso tu  ti debba difendere per stavolta usa questa”.
   Kriystal prese in mano la spada e la osservò,poi si rivolse al Warlock: “Cosa intendi con ‘nel caso tu ti debba difendere’? è ovvio che mi devo difendere,dobbiamo combattere contro un centinaio di esseri disgustosi!”.
   “Sbagliato bambina!” replicò il Warlock e indicò la sponda della Dead Scar alla loro sinistra:
   “Ora tu evocherai la tua cavalcatura e raggiungerai l’argine della Dead Scar prima che quegli esseri riescano ad impedirtelo e mentre io mi sbarazzo di loro tu cominci ad avviarti verso Silvermoon.”.
   Kriystal lo guardò contrariata.
   “Ce l’hai un cavalcatura,vero?” Chiese il Warlock ironico.
   Kriystal si mostrò innervosita dall’altezzosità dell’Elfo del sangue che fingeva un comportamento istruttivo: “Certo che ce l’ho una cavalcatura! Ora stai a vedere”. Nell’evocazione della propria cavalcatura Kriystal ci sapeva fare,d’altronde l’evocazione di una cosiddetta creatura da trasporto era una tecnica da manuale,tutti gli Elfi del sangue erano più o meno in grado di applicarla.
   Nel frattempo gli esseri angusti avevano avanzato abbastanza da poter iniziare il combattimento. Kriystal si avvicinò la mano destra al petto e concentrò il Mana necessario per evocare Silbar mentre il Warlock lanciò un incantesimo dalla propria staffa che schiantò al suolo due mostri. La luce verde dell’incantesimo illumino tutta la Dead Scar.
   “Cosa aspetti ad andare!?” Gridò l’Elfo.
   “Ci sono!” Rispose Kriystal e con un abbagliante luce scaturita dalle mani si ritrovò a cavallo del suo struzzo imperiale: un agglomerato di piume verdi e viola starnazzò nel mezzo della battaglia.
   “Ed ora vai Silbar!” Ordinò l’Elfa,che in un attimo si ritrovò in corsa lungo l’unica via sgombra dagli abitanti della Dead Scar diretta alla riva d’innanzi a lei. Ma all’improvviso,come Kriystal aveva temuto, una di quelle creature le ostruì il passaggio sbavando e mugolando un qualcosa di incomprensibile ed avanzando in corsa verso lei e Silbar.
   La cosa giusta da fare era ovvia: Kriystal brandì la spada che le era stata appena data in prestito,un peso giusto per attaccare alla velocità con la quale stava andando.
   Pur cavandosela molto bene nel combattimento, Kriystal non si era mai destreggiata nell’uso della spada. Fino ad allora si era sempre data da fare con la tecnica del pugnale,ma sapeva bene che prima o poi per essere una paladina sarebbe dovuta avanzare di livello,sia riguardo alle tecniche,che  riguardo alle armi.
   Pur non avendo impugnato molto spesso una spada non doveva essere tanto difficile per un’Elfa del sangue di Silvermoon saperla maneggiare.
   Così, con la mano destra si tenne alla cinghia di Silbar e con la sinistra puntò decisa sul nemico sventrandolo da parte a parte senza lasciargli,stavolta, il tempo di emanare alcun lamento.
   Combattere con un’arma del genere,se pur un’arma basilare, dava tutta un’altra sensazione rispetto al combattimento con un pugnale. Il cuore dell’Elfa batteva a mille al solo pensiero di averne azzerato un altro a sua volta come solo un paladino dell’Orda avrebbe saputo fare.
   Forse era questo che si doveva provare, forse era questo che i membri dell’Orda provavano nel combattere: Adrenalina, eccitazione, paura.
   Mentre Kriystal proseguiva stretta alla sua cavalcatura si lasciava alle spalle il corpo agonizzante che aveva tentato di impedirle la fuga.
   Nel mentre l’aspirante paladina si avvicinava sempre più alla sponda della Dead Scar dietro di lei si scatenava un concerto di luci e grida disumane che, però, diventavano sempre meno. Quella guardia imperiale, qualsiasi fosse il suo nome, era davvero potente.
   La prima cosa che era da fare era stata compiuta, l’argine era stato raggiunto ed il pericolo Zombie era oramai passato.
   Kriystal si voltò per accertarsi della situazione del combattimento ed il risultato fu quello previsto ma pur sempre sorprendente: Un polverone rendeva soffuse le figure dei combattenti, ma un unico personaggio sembrava spiccare su tutti sputando dalla propria arma ondate di un verdastro abbaiante.
   Ad ogni attacco di un mostro seguiva un tonfo del corpo privo di vita del mostro stesso.
   Non sembrava esserci più pericolo e fu probabilmente in quel momento,accertatosi delle capacità del Warlock che gli avrebbero permesso di cavarsela, che Kriystal poté passare alla seconda fase del suo piano secondo il quale evitando di tirare dritto per la Dead Scar avrebbe dovuto prendere la prima via diretta a Tranquillien.
   Di tornare a Silvermoon, com’era stata costretta a promettere alla guardia imperiale che volente o nolente le stava salvando la vita, non se ne parlava.
   Era arrivata li, non lontana da casa, ma pur sempre fuori dalle polverose pagine di Silvermoon.
   Non poteva e non doveva assolutamente permettersi di ritornare sui suoi passi, di ripresentarsi come se nulla fosse accaduto.
   Alla fine dei conti non sapeva neanche se suo padre si era accorto della sua breve assenza, non sapeva ancora se l’Elfo che l’aveva messa al mondo aveva provato un pizzico di preoccupazione o aveva avuto una qualsiasi reazione alla notizia della scomparsa di sua figlia.
   Ma Kriystal era consapevole di non poter pretendere che suo padre si fosse già fatto delle domande o addirittura un esame di coscienza riguardo al problema della fuga della figlia in così poco tempo. Dopotutto da quando l’Elfa aveva abbandonato le porte di Silvermoon erano passati si e no venti minuti e nessuno, tranne quel Warlock, si era accorto del suo allontanamento.
   Perciò le porte per lo svolgimento del suo piano erano ancora aperte e nulla, davvero nulla, sembrava fermarla.
   Sapeva che disubbidendo alla guardia imperiale l’avrebbero cercata e sapeva che se non voleva essere riportata a casa doveva darsi da fare per togliersi di mezzo. Diede un’ultima occhiata al combattimento al centro della Dead scar tra il Warlock ed i pochi esseri che erano rimasti in piedi e poi finalmente si decise.
   “Vai bello!” Ordinò a Silbar, il quale scattò zampettando lungo la Dead Scar e sotto direttiva di Kriystal svoltò a sinistra lungo il sentiero che tagliava un azzurro fiumiciattolo aldilà del quale, sotto l’ombra e la nebbia dei primi alberi spogli differenti da quelli vivi e magici di Eversong Woods, cominciavano ad intravedersi le prime abitazioni di Tranquillien.
   Dall’improvviso calo di temperatura Kriystal ebbe la conferma di essere giunta finalmente nella Terra fantasma.

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Capitolo 3
*** Dove sei diretta? ***


CAPITOLO III

Dove sei diretta?
 



Il sentiero iniziale della terra fantasma era delineato da staccionate in legno ed in parte decadenti. Le prime abitazioni e l’ arco d’ingresso cominciavano ad essere sempre più vicini e La tetra atmosfera surreale ricordava molto Eversong woods quando veniva armonicamente investita dalla notte.
Quando Kriystal era piccola giocava sempre tra gli alberi e le siepi incantate della foresta attorno alle mura di Silvermoon non curante del buio dolcemente affievolito dalle lanterne azzurre. Il ricordo di quando osservava divertita il giardiniere Noira accendere le lanterne con incantesimi la maggior parte delle volte destinati a fallire balenò per un breve istante nella mente dell’Elfa.
Ricordava tutto della propria infanzia. Dai suoi innocenti trent’anni ai suoi cinquanta pre-adolescenziali.
Tutto di quella foresta scura e sinistra parve riportarla a frammenti di quegli anni: Gli alberi attorcigliati su loro stessi con migliaia di lucciole bianche e danzanti attorno a loro, Il verde pallido dell’erba tagliato da un sentiero in terriccio, l’aria magica dell’insieme.
Ma a distinguere la foresta della terra fantasma da Eversong woods era certamente l’impossibilità di osservare le stelle. Quando Kriystal rincasava nelle abitazioni fuori città camminando alzava lo sguardo al cielo e tentava inutilmente di contare quei piccoli puntini volanti lungo quell’enorme ed immensa distesa blu.
Questo, Pensò Kriystal, le sarebbe mancato più di tutto.
 Ed ora, nel mezzo di quella foresta magica, lugubre e nostalgica allo stesso tempo Kriystal continuava a stringersi a Silbar quando dalla leggera nebbiolina si scorsero le due guardie d’ingresso vestite in rosso e le prime bandiere dell’ Orda. L’aspirante paladina era finalmente giunta a Tranquillien.
Era finalmente giunta sotto l’Arco d’ingresso della colonia, certo, ma mano a mano che si avvicinava alle due guardie poste simmetricamente alle due colonne  Kriystal non sapeva se essere sollevata per il raggiungimento del primo obiettivo od essere impaurita al pensiero di dover mentire ad ogni personaggio indossante le vesti della sua patria.
Le sembrò di impazzire, distraeva questi pensieri con l’osservare sempre da più vicino la struttura del villaggio.
Era un villaggio vero e proprio, non c’erano mura, non c’erano recinzioni. Le abitazioni di Tranquillien ergevano lungo il sentiero che aveva guidato sin li Kriystal. In primis l’Elfa notò che il villaggio era stato costruito per il lungo, ma poi la motivazione arrivò immediatamente da sola.
Kriystal per un istante doveva aver dimenticato di essere all’interno dell’area della terra fantasma, in una terra di creature sovrannaturali non appartenenti o appartenute in passato al mondo di Azeroth. Costruire un villaggio di ampio perimetro in un luogo del genere era pressoché impossibile e i fondatori si dovevano essere limitati ad ergere abitazioni solo lungo l’unico sentiero che in caso di pericolo portava direttamente al confine.
È assurdo, ammise Kriystal a se stessa, non essersi mai accorta che il sentiero iniziante sotto le mura di casa e parallelo alla cicatrice morta l’avrebbe portata in un posto silenzioso come la terra fantasma, familiarizzato soltanto dagli stemmi imponenti dell’orda e dalle guardie di grado B che però dovettero cominciare a reagire all’avvicinarsi anonimo dell’Elfa.
“Altolà!” esclamò uno dei due, né il più alto e nemmeno il più basso, poiché le due guardie erano all’apparenza identiche.
“Riconoscimento, prego.” continuò l’altro.
Avevano tutt’altro stile di Larminit e Granminit, poiché i due gemelli di tranquillien erano molto più autoritari, molto più fedeli al modello di guardia dell’Orda e, soprattutto, molto meno meticci.
D’innanzi alle due guardie della terra fantasma Kriystal si sentì addirittura inquietata. Non sarebbe stato semplice eluderli come aveva sempre fatto con quelle di Silvermoon, ma essersi allenata per anni e anni con Larminit e Granminit forse le sarebbe ritornato utile.
“ Vengo dalla città. Sono una cittadina di Silvermoon, dalla foresta di Eversong Woods” dichiarò L’elfa. Iniziare con la versione veritiera era sempre stata la cosa migliore da fare e questo lei lo sapeva bene.
“Silvermoon?” Notò la prima guardia: “Silvermoon è in stato dall’erta quest’oggi, ci serve un riconoscimento o non potremo farla entrare all’interno della Colonia”.
Kriystal guardò in basso pensierosa e in difficoltà. Non sapeva cosa inventarsi.
“Spiacente allora” Concluse la seconda guardia: “invitiamo lei e la sua cavalcatura di primo livello a tornare in città”.
L’arroganza con la quale la seconda guardia nominò indirettamente Silbar equivaleva all’insolenza del Warlock di poco prima. Kriystal ripensò a quest’ultimo e al fatto che se fosse tornata indietro si sarebbe trovata costretta a rincontrarlo. Ma poi emanando un lungo respiro cominciò:
“ Sono Kriystallina, figlia di Ermelaid, Terzo signore dei sette signori di Silvermoon. Sono stata mandata da lui in persona per indagare riguardo alla sparizione di carte importantissime riguardanti Silvermoon e tutti i regni orientali. Sono in servizio e ho un mandato ufficiale”.
Le due guardie si guardarono tra di loro interrogandosi sulla validità della versione che kriystal aveva appena esposto. Poi la seconda guardia, quella dall’aria arrogante, replicò: “Kriystal di Silvermoon, figlia del terzo signore dei sette signori di Silvermoon. Ermelaid, giusto? Dici di essere qui per il caso delle carte scomparse, ma per questo hanno già ingaggiato la compagnia imperiale; Poi dici di avere un mandato ufficiale, ma non ce lo hai ancora mostrato. E noi dovremmo crederti?”.
“ Ha ragione, non ci hai mostrato il mandato” Notò in ritardo la prima guardia, afferrando la lancia imperiale che poggiava alla colonna d’ingresso e avanzando di un passo verso Kriystal.
“ I-il mandato giusto! Che sbadata che sono!” finse stupita L’elfa: “Datemi solo un secondo” E fece per frugare nel proprio borsello di cuoio.
Le due guardie si interrogarono ancora con gli sguardi e la seconda ritornò a Kriystal con un’espressione di impazienza: “ Stiamo aspettando”.
Kriystal frugava tentando di prendere tempo, ma non poteva sperare in un miracolo come un altro arrivo di un personaggio misterioso a salvarle la pelle. Poi, d’un tratto, arrivò l’illuminazione.
“ Credo che questo possa bastare” Disse, fingendo un tono il più autorevole possibile.
Scese da Silbar, toccò con i piedi il terriccio del sentiero e vi conficcò la spada, poi mostrò sicura il pugnale di salice di Eversong Woods che aveva appena estratto dalla borsa.
“Quello cos’è?” chiese con curiosità la prima guardia.
“Questo è il mio mandato. O meglio, questa è la conferma che io non sono un Elfo del sangue comune” precisò Kriystal, sempre tentando di apparire un minimo convincente riguardo a ciò che stava dicendo.
“Un pugnale dal manico in salice” Notò la seconda guardia, senza perdere la propria autorevolezza e diffidenza: “Ma questo dimostra solo che tu sei figlia di un pezzo grosso. Magari sei davvero figlia del ‘terzo signore dei sette signori’, ma ciò non vuol dire che tu sia in veste ufficiale per il caso delle carte scomparse. E poi quanti anni hai? Sei una giovane femmina, come minimo non fai nemmeno parte dell’esercito”.
“Si che ne faccio parte!” Replicò kriystal. Di sicuro le sarebbe piaciuto, ma loro dovevano essere convinti davvero che quella mattina lei aveva superato quel dannato esame: “proprio oggi è stata celebrata all’interno delle mura la mia ammissione e come figlia di Ermelaid mi è subito stata assegnata una missione di primo livello”.
Per com’era brava a fingere Kriystal stessa sembrava credere alle proprie parole.
“Menzogne!” tagliò corto e sicura la seconda guardia: “Immagino che non avrai nulla per dimostrare la tua ammissione” rise.
“Se avessi almeno una minima prova” continuò con sufficienza: “Giuro che ti lascerei passare senza problemi”.
Kriystal crollò moralmente. Non c’erano speranze. Se non era in grado di fronteggiare due guardie di una Colonia, come poteva intraprendere il viaggio da lei progettato?
La guardia arrogante la guardò dall’alto al basso mentre lei restava in silenzio, poi con tono fiero concluse: “Come previsto, lei e il suo pennuto siete ufficialmente invitati a tornare sui vostri passi”.
Kriystal abbassò lo sguardo.
“La spada” Pronunciò improvvisamente la prima guardia quasi timidamente.
“Come!?” pronunciarono Kriystal e la seconda guardia in contemporanea entrambi come svegliati o presi alla sprovvista.
“L-la spada” ripeté la prima guardia, alzando timoroso il braccio sinistro e indicando la spada che Kriystal aveva conficcato a terra.
“è quella che danno agli esaminati. La spada dal manico bianco” continuò: “Credo che l’Elfa dica la verità”.
La seconda guardia guardò prima la spada e poi il compagno con un’aria di tradimento e sconfitta. Poi dovette rivolgersi a kriystal mantenendo comunque un tono di inaccettabilità: “Benvenuta a Tranquillien, Kriystallina di Silvermoon”. E fece per tornare assieme al proprio compagno alla propria postazione senza staccare però gli occhi dalla ‘giovane femmina’ che era appena riuscita ad ingannarlo.
Quest’ultima ancora non credeva al successo appena ottenuto e dopo aver messo via il pugnale nel borsello estrasse orgogliosa dal terreno la spada donata precedentemente dal Warlock della compagnia imperiale. Poi poggio le mani sul dorso di Silbar, il quale sparì in un bagliore, e avviandosi verso la soglia d’ingresso sorrise lanciando una frecciatina vittoriosa alla seconda guardia: “Con permesso”.
L’elfa superò l’arco e finì col ritrovarsi nel mezzo della vita quotidiana della colonia di Tranquillien. Era un vero e proprio mercato quello che correndo lungo l’unica via del villaggio sembrava avere origine nella piazzetta. La gente era vivace, i bambini correvano tra i vari banchi da quelli dei giocattoli a quelli di alimentari e i commercianti mostravano orgogliosi la loro mercanzia. C’era vita, si, nella terra fantasma c’era vita.
Kriystal non si aspettava nulla di tutto questo, immaginava una via silenziosa e deserta ricca di entità sinistre e di abitanti diffidenti. Invece lo spettacolo avrebbe rimesso il buon umore persino ad un Troll.
Il sentiero principale era illuminato dalle lanterne azzurre ben distanti l’une dalle altre e su ambi i lati, a sinistra sulle colline e a destra sull’orlo di un precipizio, le guardie dell’ Orda proteggevano il villaggio.
All’improvviso un invitante profumo stuzzicò il finissimo olfatto dell’Elfa il quale la portò in direzione di un banco ristorante alle porte della piazzetta. Qui sembrava concentrarsi il cuore di Tranquillien ed il maggior numero degli abitanti. Fiorenti attorno ad essa vi erano ramificazioni del sentiero che portavano ad abitazioni immense simili a santuari abitate, probabilmente, dagli ufficiali.
Kriystal non poté non notare infine l’armoniosa scultura al centro della piazzetta rappresentante due figure femminili e danzanti. Entrambe erano certamente Elfe, ma nella voluta composizione delle braccia si scorgeva palesemente il messaggio di unione: Quella scultura era sicuramente il simbolo della conquista della terra fantasma da parte dell’unità dell’Orda.
Kriystal restò ad osservare la statua in stato di riflessione, finché una voce sottile non la riportò alla realtà.
“ Hei, hei lei!”. L’elfa cercò di captare la provenienza della voce finché alla sua sinistra non si imbatté in un banco povero e mal ridotto composto da un solo scaffale pieno di ampolle e prodotti tipicamente magici e da un bancone in legno marcio e polveroso dietro al quale vi era la sinistra presenza che l’aveva appena chiamata.
“ S-sta parlando con me?” Esitò Kriystal.
“ Beh” Continuò l’inquietante proprietario di quell’inquietante banco di magia: “ Certo dalla tua faccia non devi essere molto abituata a fare conversazione con quelli come me ”. La sua risatina finale era chiaramente provata oltre che sarcastica.
Era un non morto altamente consapevole di essere un non morto colui che stava parlando con Kriystal; Era un anziano essere privo del battito del proprio cuore che sapeva di aver perso la propria vita, ma condannato a portare a termine un qualcosa che nemmeno lui comprendeva commissionatogli da un qualcuno che nemmeno lui conosceva. Questo era quell’essere, questo era la razza dei Non morti.
Tuttavia pur conoscendone le misteriose caratteristiche Kriystal non aveva mai avuto l’occasione di potersi confrontare in prima persona con uno di loro. A Silvermoon era addirittura da decenni  che un non morto non si mostrava alla luce del sole.
“ No mi scusi, è che mi ha presa alla sprovvista. È la prima volta che visito Tranquillien e sono rimasta incantata da questa scultura”.
“ C’è poco da ammirare a dir la verità” Rispose l’essere, ancora a tono basso: “ma te sei troppo giovane per capire. Dovremmo tutti quanti vivere più di una vita per conoscere maggiormente il mondo in cui viviamo”
Kriystal si avvicinò al banco incuriosita dalle parole del vecchio: “Cosa intende dire?”
“ Oh, è molto meno doloroso osservare le cose che ignoriamo. Non ti annoierò con le mie piccole verità ”. La vaghezza del Non morto cominciava ad essere fastidiosa.
“ Di che verità parla? ” Chiese Kriystal, da una parte curiosa e dall’altra determinata: “ Queste due figure sono certo il simbolo dell’unione dell’orda e della conquista di ques..”
“ So cosa rappresenta quella scultura ” La interruppe bruscamente l’essere : “ Sarà trent’anni che lavoro qui a Tranquillien, davanti alle due Elfe danzanti, le conosco molto bene e non è del loro significato di cui io sto parlando”
L’elfa del sangue si avvicinò ulteriormente, ora totalmente incuriosita, e porgendosi leggermente sul banco domandò: “ Di che verità stiamo parlando allora? ”.
Il Non morto la guardò negli occhi, indeciso se parlare o meno, e i suoi secolari e rugosi occhi rossi fissarono quelli d’orati dell’aspirante paladina, quasi come se riuscisse a leggerle l’anima. Quando finalmente il vecchio fece per rispondere dovette interrompersi di colpo. Una grossa e pesante mano si appoggiò sulla spalla di Kriystal ed una voce molto più calda e vivace di quella dell’essere interruppe la conversazione: “ Lascia stare la nostra visitatrice Renzithen, quest’oggi lei è un ospite! ”. Il Non morto emise una sorta di grugnito soffocato e voltando le spalle a testa china tornò al suo scaffale.
“ Perdonalo” disse la voce della figura alle spalle dell’Elfa: “ Giuro che un giorno di questi gli regalo un cavallo per tornarsene nelle fogne” ridacchiò.
Era anch’esso un Elfo del sangue il nuovo interlocutore, un elfo del sangue in carne e non molto giovane, dai capelli brizzolati e la barba bianca lungo tutto il contorno del viso. “ Si figuri, non mi stava dando fastidio” rispose Kriystal. Le dispiacque di aver dovuto interrompere la conversazione con l’anziano mercante, ma il fatto che da quando aveva lasciato Silvermoon non faceva altro che conoscere nuove persone comincio a piacerle. Nel bene e nel male a casa nessuno le sbucava alle spalle o la chiamava al centro di una piazza. A casa lei non aveva un ruolo, mentre fuori di essa cominciava piano piano a costruirsi una nuova vita. Una vita che si addicesse ad un componente dell’Orda.
“ Mia cara ” continuò l’Elfo tracagnotto: “ Dopo aver parlato con uno come Renzithen a chiunque servirebbe una bella birra ed un buon cinghiale! Passa dal mio banco ristornate, il bere te lo offro io!”
Kriystal doveva rimanere il meno possibile a Tranquillien, o il farsi conoscere da troppe persone sarebbe potuto diventare pericoloso, ma il banco ristorante al quale era appena stata invitata era lo stesso che l’aveva portata fino a quella piazza e non poteva certo rimettersi in viaggio senza metter sotto i denti un qualche cosa.
“Accetto” arrossendo e sorridendo l’Elfa ed il proprietario si avviarono verso un numeroso gruppetto di persone rumorose sedute attorno al bancone ricco di piatti colmi di cibo. Il profumo che l’aveva indirizzata sin lì cominciava ad essere sempre più intenso.
“Siediti qui, ti servirò immediatamente!”
Kriystal si sedette su uno sgabello in legno alla destra di un Elfo del sangue malconcio e dall’odore sgradevole e alla sinistra di un misterioso individuo incappucciato chino e perso nel suo boccale di birra. Ubriaco marcio, pensò Kriystal. Ma il primo descritto doveva essere anche peggio poiché tutt’ad un tratto urlò: “Un’altra birra Thadrilan! Un’altra birra!”.
“ Non hai bevuto abbastanza Mabadil? Sei sbronzo da questa mattina!” “ Non sono ubriaco, nossignore! E poi io non sto tutto il giorno ad ingrassare dietro ad un bancone come te, io tra qualche minuto sarò nel mezzo di una missione importantissima -ich-!”
“ Che tipo di missione!?” Scherzò un Non morto dall’altro angolo del bancone: “Anche stavolta finirai nei guai con le guardie come l’altro ieri!? Ti hanno lasciato senza pantaloni amico mio!” Un coro di risate echeggiò intorno a loro e anche Kriystal non poté fare a meno di soffocarne una.
“ No compagno, non proprio!” rispose stonando Mabadil: “Signore e signori, sono stato chiamato da un gruppo di avventurieri  - ich!- per entrare niente di meno che all’interno dei cancelli .. del fosso della morte!”
Calò un silenzio basito, i presenti si guardarono tra di loro e pochi secondi dopo scoppiò un’altra risata generale.
“ E cosa vuoi andare a cercare lì dentro, una sposa?” Domandò il proprietario del banco, ridendo anche lui a alzando ulteriormente il chiasso tutto intorno. “ Dopo l’ultima che si è trovato meglio se a questo punto spreca il suo tempo a cercare il traditore di Silvermoon!” Esclamò scherzoso un altro grossolano individuo di uno o due sgabelli più in là.
“Stolti!” Bofonchiò il preso in giro: “è un dannato fantasma quel tipo, non fareste nemmeno in tempo a prenderlo per i fondelli che ve lo ritrovereste in un istante alle vostre spalle!”. I presenti simularono un’aria intimidita dalle ultime parole di Mabadil.
“Bando alle ciance!” Esclamò Thadrinal: “piuttosto mia cara” e rivolgendosi a Kriystal le si avvicinò e le appoggio sul bancone un boccale contenente un liquido color birra ed un piatto di carne fumante. Il proprietario continuò a fissare interessato l’Elfa portandosi dietro l’attenzione ed il silenzio di tutti gli altri, per poi continuare: “Sembrerebbe che in questo stato di allerta tu sia stata lasciata entrare a Tranquillien incaricata di scovare il traditore..”. Immediatamente Kriystal si sentì quasi soffocata dagli sguardi curiosi ed interessanti delle persone nell’udire la parola ‘traditore’ se usata seriamente. Anche l’ubriacone sembrava essere preso dal discorso, mentre l’uomo incappucciato doveva aver perso i sensi chino ancora sul suo boccale. “ Dunque il traditore è qui a Tranquillien!?” domandò sconcertato il Non morto all’angolo del bancone. Un mormorio prese vita intorno alla conversazione quando Kriystal dovette entrare ancora una volta nel ruolo che, almeno per tutto il tempo di alloggio nella colonia, avrebbe dovuto mantenere. Mandò giù un sorso del surrogato di birra e schiarendosi la voce cominciò la sua parte: “Ebbene si!” esclamò sicura: “Il maggior sospetto è che il ricercato si sia recato alle porte di Tranquillien spacciandosi per un semplice avventuriero per poi nascondersi negli angoli dei vostri vicoli o , peggio ancora, nelle vostre case!” il mormorio circostante si incrementò a tal punto come reazione dell’annuncio di Kriystal che l’Elfa poté distinguerne addirittura qualche parola. “ Come è potuto entrare!?” Esclamava qualcuno; “Ed ora cosa facciamo!?” Domandava un altro;
“ Menzogne!!” Troncò Mabadil, che sembrò addirittura avere smaltito la sbornia.
Tutti si zittirono: “ Io so per certo che se ne è andato dai regni orientali! Anzi, non ci sono prove che sia stato qui a Tranquillien!” Spiegò il sudicio elfo del sangue con un tono che a Kriystal apparve addirittura offeso. Gli sguardi si indirizzarono di rimbalzo verso di lei in attesa di una risposta.
“ No, lei si sbaglia” improvvisò l’Elfa sentendosi troppo le attenzioni concentrate addosso: “ Silvermoon ha ricevuto la chiara segnalazione del sospetto all’interno della colonia nelle ultime cinque ore. Non potrebbe aver lasciato i regni in così poco tempo”.
Ancora una volta le bugie di Kriystal sembravano aver convinto il pubblico, che ormai tramutatosi in folla ricominciò a discutere rumorosamente sulla faccenda, quando ad un tratto il Non morto si alzò in piedi sul bancone e alzando il suo boccale urlò: “ E allora cacciamolo!”.
“ Si, diamogli la caccia e catturiamolo!” Esclamò un enorme Elfo poco distante; “ Facciamogli vedere di cos’è capace una semplice colonia dell’orda!!” incitò un altro. Il coro che nacque, pensò Kriystal, sembrava quello che lei si era sempre immaginata come grido di battaglia poco prima di una guerra. Si sentì improvvisamente sprofondare nel proprio sgabello e le passò immediatamente anche la fame. Cos’aveva combinato?
Per proteggere l’ennesima volta il suo ruolo aveva innescato una miccia imprevista. La folla si alzò dai propri sgabelli e disordinatamente uno ad uno cominciarono a correre per le strade mentre altri si dirigevano ad armarsi nelle proprie abitazioni rincorsi dalle imprecazioni di Thadrinal verso chi se ne era andato senza pagare il conto.
Kriystal giunse alla conclusione che era ora di andarsene. Il suo soggiorno a Tranquillien sarebbe durato molto meno del previsto ed il tutto per aver tralasciato e non aver preso in considerazione lo spirito di patria e di guerra dei componenti dell’Orda.
Per la piazza e per la strada principale di Tranquillien gli abitanti correvano su e giù, controllavano in ogni angolo e ordinavano alle proprie famiglie di rifugiarsi nel centro e di non isolarsi. Mabadil e addirittura l’uomo incappucciato erano spariti, probabilmente in fila anche loro per catturare il traditore.
Anche le guardie dovettero intervenire per placare l’agitazione dell’esercito civile che si era creato in pochi minuti.
Non c’era alcun dubbio, si, Kriystal doveva decisamente lasciare Tranquillien. Estrasse così dal proprio borsello dieci argenti e con la speranza che bastassero per la gentilezza e l’ospitalità li abbandonò sul bancone affianco al piatto di carne ancora intatto poco prima di sparire in un vicolo tra due abitazioni. Una volta superato quest’ultimo Kriystal si sarebbe dovuta trovare sull’orlo del collinoso precipizio, l’avrebbe sceso approfittando della distrazione generale e se ne sarebbe andata il più lontano possibile in sella a Silbar.
Doveva essere passato pochissimo tempo da quando l’Elfa aveva lasciato casa e già non aveva fatto altro che fuggire. Mentre avanzava per il viottolo stretto avvicinandosi sempre più al retro delle abitazioni venne assalita nuovamente da un pensiero rivolto a suo padre. La stava cercando? Sapeva che era fuggita? Se ne era almeno accorto? Tutti quesiti che kriystal cercò di togliersi d’innanzi scuotendo la testa. Non poteva permettersi di pensare in continuazione a casa sua, non ne valeva la pena.
Il vicolo era finito e Kriystal si trovò davanti al precipizio e alla tetra e nebbiosa foresta della terra fantasma. Era consapevole di cosa c’era lì sotto, non era un luogo civile quanto la colonia che stava lasciando e se avesse proseguito in linea retta si sarebbe ritrovata ancora una volta in bocca alla Dead scar.
L’Elfa emanò un lungo sospiro, pronta a calarsi giù e ad inoltrarsi nell’ignoto. Si abbassò afferrando una pietra ben incastonata al suolo ritenendola adatta come punto d’appoggio, ma prima che potesse avvertire il pericolo imminente sentì un violento colpo dietro la testa e tutt’ad un tratto il panorama si fece buio.
Quando Kriystal si riprese capì immediatamente di essere stata assalita, si alzò di scatto in posizione seduta e pronta a reagire ad un’ulteriore aggressione di qualunque mostro. Ma il dolore lancinante della botta la costrinse a sdraiarsi nuovamente con la schiena sull’erba umida.
Era confusa, ma doveva essere finita nel mezzo della foresta della terra fantasma. La domanda era: Chi ce l’aveva portata?
Kriystal cominciava ad entrare nell’ottica di aspettarsi tutto ad un tratto la comparsa di qualche spirito, ma la figura che le mise una mano sulla spalla e che si chinò su di lei per guardarla negli occhi era un qualcuno di già visto e di vivo.
“ Allora, rossiccia ..” Disse l’individuo incappucciato che fino a poco prima pareva sbronzo e privo di sensi: “ ..Dov'è che sei diretta?”.
 

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Capitolo 4
*** In arresto ***


CAPITOLO IV

In arresto

 

 Kriystal sobbalzò: “Chi sei tu? Cosa vuoi da me?”.
   L’incappucciato accennò ad un sorriso: “Per mille Ally!” Esclamò: “Pensavo che tu ci arrivassi subito”.
   L’Elfa rimase paralizzata per il dolore e per l’improvviso cambio di programma. Il tipo che ora si sporgeva su di lei con una mano stretta sulla sua spalla per tenerla ferma era lo stesso che pochi minuti prima dal banco dove si era scatenato il putiferio pareva ubriaco e svenuto sul proprio boccale di birra.
   “E’ proprio vero allora che ci ho perso la mano” Continuò con animo scherzoso la misteriosa figura che nel frattempo si alzò in piedi e lasciò libera la spalla di Kriystal la quale poté con cautela rimettersi in posizione seduta e controllare la parte ferita tenendola premuta.
   Con una veduta maggiore del panorama L’Elfa del sangue si accorse di essere in una radura a pochissimi metri dalla Dead scar, quasi sulla riva.      Poteva vedere dalla loro postazione per al momento sicura il lento via e vai degli esseri che poco tempo prima avevano reso la sua mattinata un inferno.    Ma per quale motivo era stata portata ancora lì?
   Squadrò ancora un istante e si rese conto che si trovava comunque in un punto diverso della cicatrice morta, molto più avanti di dov’era prima in compagnia del Warlock. Era stupido pensarlo in quel momento, ma in una situazione del genere rimpiangeva persino uno come lui.
   “ Maledizione femmina!”  Subentrò una seconda voce, molto più roca e quasi mostruosa, alle spalle dell’incappucciato: “ Che razza di rischio che ci hai fatto correre!”. Kriystal si girò e si lasciò scappare un urlo squillante:Un Troll alto all’incirca poco meno di tre metri, bulboso e verdognolo avanzava verso i due rimbombando ad ogni passo nell’area circostante; L’armatura che indossava era palesemente una convenzione, un essere come quello non aveva grande bisogno di un’armatura alla quale non restava altro se non il compito di cigolare sotto al peso del gigante.
   Tornata in parte in sé Kriystal notò dietro al Troll un gruppetto seduto sopra a dei massi e indaffarato a parlare tra di loro composto da quattro o cinque personaggi, ma non appena riportò il suo sguardo al Troll capì immediatamente: “Tutti voi centrate con il traditore, sbaglio?” domandò con timore. L’incappucciato ed il Troll si guardarono per un istante e poco dopo scoppiarono in una sonora risata: “ Il traditore?” Chiese ironicamente il primo, che si alzò e si tolse finalmente il cappuccio. Venne improvvisamente alla luce un volto pallido e scolpito dalle orecchie a punta: Lineamenti perfetti avvolti dalla nebbia del luogo, da fare invidia quasi a quelli della guardia imperiale della Dead Scar. Un elfo del sangue dagli occhi azzurri e dai capelli lunghi e biondi raccolti in una coda di cavallo si prostrava d’innanzi all’aspirante paladina e al fianco del Troll che, quasi come presa in giro, era sempre più compiaciuto.
   “ Hai sentito Mabadil!?” Domandò l’elfo ora scappucciato rivolto al gruppetto alle loro spalle: “ La nostra ospite mi ritiene un traditore!”.
   Un istante dopo aver sentito il nome pronunciato dall’Elfo Kriystal sarebbe voluta sprofondare nel terreno erboso e fangoso. Mabadil avanzò con passo zigzagato perennemente sotto un leggero effetto sbronza:“ Oh, Vonch..” Irruppe l’ubriacone di Tranquillien: “ ..E a noi non piace vero che tu sia visto come un traditore?”. Ci fu uno sghignazzamento generale tra il Troll e Mabadil, l’Elfo accennò soltanto ad un sottile sorriso.
   “Hai capito bene femmina!?” Ruggì il Troll sfilandosi dall’elastica cinghia un pugnale dall’enorme  e rovinata lama.
   “Datti una calmata colosso” Troncò Vonch calmo e deciso, rivoglendo lo sguardo ad una sempre più intimorita Kriystal: “Non è lei al momento la nostra priorità”.
   Il Troll mostrò un’evidente smorfia delusa mentre Mabadil annuì. Kriystal notò come Mabadil nonostante la sua spiccata personalità seguisse fedelmente le decisioni di Vonch: “Avete sentito allora, branco di sudici cinghiali!?” Squillò l’ubriacone al gruppetto poco distante.
   “Si si abbiamo capito, arriviamo” rispose annoiato un calvo e bluastro non morto, mentre tutti gli altri si alzavano ed avanzavano verso Kriystal ed i suoi rapitori.
   Ora Kriystal poteva osservare bene chi l’aveva aggredita ed in tutto erano in sette: Oltre al misterioso Vonch, a Mabadil, al Troll e al non morto, sopraggiunsero altri due giovani Elfi ed un altro Troll molto più piccolo rispetto al primo.
   “Allora” cominciò Vonch, iniziando un discorso che ignorava completamente il fatto che avevano appena colpito alla testa un’Elfa del sangue e l’avevano portata contro la sua volontà sulla riva della cicatrice morta: “Siamo rimasti d’accordo così: Voi entrate, fate quello che dovete fare e non appena è il momento portate l’obiettivo fuori dal cancello. Lì vi aspetterò io che darò il colpo di grazia, Siamo intesi?”. Vi fu un annuire generale.
   “Quale cancello?” chiese d’improvviso e timidamente Kriystal, che era ancora seduta sull’erba e si teneva costantemente la ferita alla testa: “ Di quale cancello parlate?”. Anche se erano estranei e nemici, Kriystal odiava sentirsi esclusa.
   Il gruppo si guardò per un istante e scoppiò in una roca risata che l’Elfa, negli ultimi minuti trascorsi alla terra fantasma, aveva sentito anche troppe volte.
   “Chiede di quale cancello parliamo!” beffeggiò il Troll.
   “ Beh” continuò Vonch visibilmente divertito, per quanto mettesse in primo piano il suo orgoglio da capogruppo: “Allora mostriamoglielo no?”.
   Detto e fatto: Mabadil afferrò per un braccio Kriystal e con la totale mancanza di galanteria l’alzò di forza. Il gruppo cominciò a muoversi e con loro anche lei, costretta da quella presa ferrea che non le lasciava via di scampo.
   Chi erano quegli individui? Dove la stavano portando?
   Ma da quel poco che Kriystal aveva potuto osservare aveva capito che l’anello forte del gruppo era quel Vonch. Gli altri non erano altro che dei tirapiedi incaricati di fare una rischiosa missione.
   Ma cosa aveva fatto realmente quella sinistra figura? Si mormorava di carte rubate, di un villaggio sterminato. Con chi si trovava realmente Kriystal in quel momento? Il volto di Vonch, da poco senza cappuccio, era paradossalmente ancora più nascosto di prima.
   “Stai tranquilla” La voce del sinistro Elfo interruppe i suoi pensieri: “Io e te inizialmente resteremo solo a guardare”.
   Kriystal non afferrò il concetto: Quello che le aveva appena rivelato Vonch era una buona o una cattiva notizia?
   Ma lo spettacolo che pochi secondi dopo le si presentò d’innanzi la portò a sostenere la prima ipotesi.
   Postati dietro ad una spoglia siepe il gruppo di avventurieri e la povera prigioniera assisterono alle enormi e tetre mura in roccia del fosso della morte, nonché capolinea e allo stesso tempo fonte della Dead Scar.
   Ecco di quali cancelli parlavano poco prima i rapitori. Passata la siepe e sterminata la ventina di esseri disgustosi si sarebbero trovati davanti all’arrugginito ma colossale cancello che li avrebbe introdotti in un centro di energia mistica e soprannaturale, habitat di chissà quali terrificanti spiriti.
   “Eccoci!” Esclamò con tono divertito il Troll: “La pappa è servita”.
    Il resto del gruppo ridacchiò, ma Kriystal avvertì la tensione e la preparazione all’azione che stava per avvenire intorno a sé.
   Mabadil lasciò il suo braccio e si sfilò dalla cinta un’arrugginita mazza chiodata; Il Troll strinse il grosso pugnale che già teneva in mano e rise di nuovo fissando le mura; Il Non morto impugnò concentrato la staffa che aveva legata dietro la schiena e con alla sommità diverse pietre e medaglioni;
   Il Troll più piccolo sfoderò una spada media dalla lama scheggiata e giallastra, mentre i due Elfi impugnavano già entrambi due spade bianche dalla lama e mezza luna imparagonabili alla scarsa qualità delle armi dei loro altri compagni.
   “ Non vorrete entrare lì dentro!?” Esclamò Kriystal. La presero tutti in giro. Tutti tranne Vonch.
   “Apri ancora la bocca..” Avvertì l’elfo fissandola freddamente pur mantenendo una tonalità tranquilla: “ ed entrerai anche tu con loro”.
   L’Elfa si ammutolì automaticamente. Se avevano realmente l’intenzione di varcare quel cancello dovevano cercare certamente un qualcosa di talmente importante per il quale valesse la pena morire.
   “Attenetevi al piano. Io attenderò qui fuori pronto a soccorrervi quando l’obiettivo si sarà fatto vivo”
   “Quando l’obiettivo si sarà fatto vivo!?” domandò sorridente e stonato il Non morto: “è un po’ un paradosso parlarne all’ingresso del fosso della morte non credi? ahah!” e tirò una gomitata divertita al Troll.
   “E’ più un paradosso detto da te, prete!” ribatté Mabadil con a seguito un coro di risate.
   “Bando alle ciance” Tornò serio il Non morto, forse offeso: “ E’ ora di far tornare belli gli abitanti della Dead scar a suon di calci!”
   “Concordo..” intervenne orgoglioso il Troll: “ ..ed io non voglio attendere oltre!”.
   L’azione seguente fu un lampo: Il Troll scagliò il proprio abnorme pugnale in direzione della cicatrice morta, proprio al centro del gruppo di esseri mostruosi, i quali appena videro l’arma conficcarsi nel fangoso terreno indirizzarono gli sfigurati sguardi in direzione di chi l’aveva scagliata.
   “ Si aprono le danze!!” Urlò il Troll, e con egli il resto dei suoi compagni si avventarono verso la Dead scar.
   Mentre Vonch restava al suo fianco ad osservare attentamente la scena Kriystal non sapeva da cosa cominciare.
   Quello che era appena iniziato era un attacco improvviso ed era difficile seguire la mossa di ogni personaggio. L’elfa notò in primis che il Non morto era più capace di quanto potesse sembrare: Nell’arco di pochi secondi aveva sbaragliato una trentina di mostri con il solo agitare della staffa, la quale emanò un’accecante luce rosea tipica degli incantesimi dei preti; Il Troll mastodontico si fece strada abbattendo i nemici a mani nude con colpi pesantissimi che spesso mandavano all’aria qualche arto putrefatto e che lo condussero a recuperare la sua arma; Anche i due giovani Elfi e il piccolo    Troll non erano affatto male, ma la tecnica di Mabadil era quella che sorprese Kriystal più di tutti: L’ubriacone sfracellava le teste dei mostri con la sua mazza chiodata senza subire colpi e senza ragionare. Era una vera e propria furia.
   Vonch osservava tutto lo spettacolo e all’improvviso si rivolse a Kriystal: “ Vuoi andare assieme a loro allora?” sorrise.
   “Non temi per la loro incolumità?” Domandò l’Elfa: “ Sono i tuoi compagni che stanno rischiando la vita!”
   “Fa tutto parte del piano, stai tranquilla”
   “Ma quale piano?” Insistette Kriystal. Ma Vonch non rispose, era assorto nel seguire l’andamento del combattimento e non sembrava intenzionato ad informare la sua prigioniera.
   “Allora almeno” provò kriystal: “Dimmi se è vero quello che si dice di te”.
   Che cosa le saltava in mente? Si pentì immediatamente dell’uscita che aveva appena fatto, ma ormai il danno era compiuto.
   Eppure per un secondo non parve arrivare alcun danno, ma al contrario Vonch si limitò a dirigere il proprio sguardo glaciale all’elfa che lo stava interrogando: “Sono vere solo se tu vuoi che lo siano” sorrise nuovamente e tornò a quello che stava facendo prima.
   Kriystal si scervello un istante sulla risposta del suo rapitore, finché egli non la interruppe: “ Sono entrati! Bene, ora non resta che aspettare”.
   Dal tono di Vonch il fatto che il suo gruppo fosse riuscito ad entrare doveva essere una cosa positiva, ma Kriystal non poteva fare altro che soccombere alla brutta sensazione che la stava tormentando da quando erano in quell’angusto luogo.
   Passarono altri secondi , sempre in completo silenzio; Era ammirevole la pazienza di Vonch nel restarsene impassibile in un ambiente così ostile ed in un momento di alto rischio, Kriystal al contrario aveva bisogno di risposte e l’attesa la stava uccidendo. Decise così, insoddisfatta del discorso troncato a metà, di continuare: “Riguardo a quello che si dice tu abbia fatto..” riprese: “..dalla prima impressione che hai voluto darmi certo saresti capacissimo di rubare delle carte ufficiali e, beh, sei sicuramente in grado di metterti a sterminare un vill..”.
   Ma la reazione arrivò ancor prima che Kriystal potesse finire la frase e prima di ogni altra risposta: Vonch scattò verso l’Elfa e afferrandola con forza per le spalle la sbatté ferocemente contro un robusto tronco d’albero alle loro spalle.
   La paladina aveva il cuore in gola, non si aspettava nulla di simile ed ora lui la cingeva sempre più forte e la fulminava a due millimetri di distanza dal suo viso con uno sguardo tagliente. Uno sguardo che non si sarebbe mai aspettata da due occhi così azzurri.
   “Allora è questo che si dice di me?” ringhiò tra i denti, chiudendo sempre più la presa.
   Era forte, era molto forte, e a Kriystal cominciava a mancare il respiro. La forza dell’elfo, se aumentata ulteriormente, le poteva schiacciare le ossa superiori del corpo da un momento all’altro.
   “E’ questo che si dice di me!?!?” ripeté Vonch, stavolta urlando. La sua voce graffiante riecheggiò nell’area circostante.
   “Mi fai male!” supplicò Kriystal, usando la poca voce rimasta: “ Ti prego..”.
   Vonch la lasciò andare immediatamente, abbassando lo sguardo. L’elfa cadde per terra lungo il tronco e si portò una mano al petto per riprendere il respiro regolare. Non riusciva a capire la reazione del rapitore che fino a poco prima era l’essere più riservato e tranquillo che Kriystal avesse mai conosciuto.
   “Mi dispiace” concluse Vonch: “Mi dispiace per il mio gesto, ho sbagliato, ma soprattutto mi duole l’opinione che il regno si sta facendo di me”.
   L’elfo infuriato di pochi istanti prima sembrava essersi placato in altrettanto poco tempo. Kriystal stava meglio, era più paura che dolore quello che aveva provato. Ed ora, per quanto avrebbe dovuto prendersela con il suo aggressore, non poté che provare pietà per quegli occhi orgogliosi rivolti al suolo:“Io..” Provò.
   “Non fa niente” La interruppe di nuovo l’Elfo, dando le spalle all’elfa e tornando ad osservare le mura del fosso della morte: “Non è colpa tua”.
   “Lasciami almeno capire ti pre..” Ma l’Elfa fu ulteriormente interrotta e stavolta da un mostruoso ruggito proveniente da dietro le mura. Un ruggito simile ad un urlo di rabbia, un qualcosa che Kriystal non aveva mai sentito nemmeno nell’ultima ora più avventurosa della sua vita.
   “Cos’è stato!?” Esclamò.
   “Sta arrivando” Sorrise Vonch, ed estrasse la sua staffa. Era una staffa di un legno pregiato a vedersi e portava un’incisione particolare alla sommità.    Era un’arma diversa da quella del prete e molto più simile a quella della guardia imperiale dai capelli rossi: Fu proprio questo paragone che condusse    Kriystal a capire che anche stavolta si trovava fianco a fianco ad un Warlock. Giornata fortunata?
   “Chi!? Chi è che sta arrivando!?” Insistette l’Elfa in un attacco d’isteria: “Puoi darmi uno straccio di indicazione per favore!?”
   “Se vuoi sopravvivere..” Continuò Vonch ignorando la sua richiesta: “..segui me”. E senza aspettare una risposta si diresse in corsa verso la Dead Scar proprio davanti ai cancelli.
   Kriystal non aveva intenzione di avvicinarsi, era il secondo punto del suo manuale mentale di sopravvivenza quello di evitare assolutamente di andare in bocca al fosso della morte, e non lo avrebbe infranto solo per seguire un’ Elfo che l’aveva rapita aggredendola con un colpo in testa, che l’aveva condotta fin lì e che l’aveva appena aggredita una seconda volta in uno scatto d’ira improvviso. No, non esisteva proprio.
   Ma essendo per l’appunto una giornata fortunata fu costretta a cambiare idea per l’ennesima impossibile scena alla quale dovette assistere.
   Vonch era d’innanzi agli aperti cancelli del fosso della morte al centro di una marea di cadaveri putrefatti sterminati precedentemente dagli altri e all’improvviso un altro boato riecheggiò dall’interno della fortezza soprannaturale. Ma stavolta non si trattava dello stesso verso di poco prima, non sembrava rabbioso e nemmeno minaccioso, ma si faceva sempre più vicino.
   Vonch era visibilmente pronto a qualsiasi scontro e Kriystal, da lontano, ebbe la buona idea di impugnare la spada.
   Quello che era un boato e che ora pareva un ronzio di insetti cominciava ad essere assordante finché, dai cancelli del fosso della morte, non uscì una bolgia di esseri mostruosi e spiriti di ogni specie che si misero a correre in tutte le direzioni anche oltre all’argine della Dead scar e che parvero in preda al panico totale.
   Ma Kriystal non aveva il tempo di pensare a cosa li inducesse a scappare urlando così rumorosamente. La folla sembrava non finire mai e Vonch era scomparso, doveva essere stato completamente inghiottito dal branco di mostri impauriti e dal polverone che essi avevano alzato.
   Come l’elfa aveva acutamente previsto alcuni mostri intenzionati a fuggire si diressero verso di lei e se l’istinto di sopravvivenza non è un’opinione, pensò, invitati dal profumo di carne fresca si sarebbero potuti fermare per mangiare. Fu così che ancor prima che gli esseri raggiungessero Kriystal, ella scattò verso di loro e cominciò a combatterli. Gli spaventati nemici erano cinque o sei, ma essendo in preda al panico e di conseguenza ancora più irrazionali del solito non passarono molti secondi prima che cadessero al suolo privi di vita.
   Proprio perché era una giornata fortunata Kriystal era riuscita anche stavolta ad essere coinvolta in un combattimento. La corrente di mostri nel frattempo andava diminuendo mano a mano che la folla si sparpagliava per la foresta fantasma come scarafaggi e fu in quel momento, quando la zona d’entrata del fosso della morte era completamente libera, che Kriystal poté avere una visione d’insieme della situazione: Immobile nel punto in cui kriystal lo aveva lasciato Vonch non presentava alcun tipo di graffio, non aveva subito alcun tipo di danno, ed una insolita presenza alloggiava al suo fianco.
   Doveva essere stata quella creatura ad averlo difeso dalla folla inferocita: Era un busto di una creatura che galleggiava a mezz’aria dalla pelle bluastra e dai muscoli scolpiti; Due bracciali d’orati ai polsi indicavano l’appartenenza a qualcuno, in quel caso al Warlock che aveva rapito kriystal.
   “Si tratta del mio spirito da compagnia, o quando serve anche da combattimento” spiegò Vonch, rispondendo alla domanda che l’elfa non aveva mai posto.
   “U-uno spirito da compagnia!?” Ripeté Kriystal con aria incredula: “E dove diavolo ti sei procurato una creatura simile!?”
   “L’ho evocata qualche ora fa nel mezzo della foresta, in un tempio abbandonato ed infestato, e con un po’ di buone maniere ho fatto in modo che mi appartenesse” Vonch illustrava divertito l’incontro con il suo spirito da compagnia come fosse un evento quotidiano, mentre l’espressione di Kriystal manifestava esplicitamente il contrario. Lei non aveva mai visto uno spirito, a malapena aveva mai avuto a che fare con un Non morto, figuriamoci combatterlo e farselo amico. Certo uno spirito nato e cresciuto nelle foreste della terra fantasma era un buon partito, o almeno evidentemente era ottimo ad evitare l’attacco di un branco di mostri impazziti.
   “Non sapevo che un Warlock fosse capace di cose del genere” Notò l’elfa, avanzando nel frattempo in direzione dei cancelli dov’era Vonch ora che il pericolo sembrava scampato.
   “Infatti non è tipico della mia classe, ma quando sei figlio di uno dei migliori cacciatori dei regni orientali impari certe tecniche”.
   “Tu sei figlio di un cacciatore?” Si mostrò accigliata Kriystal.
   “La mia storia è più complessa di quel che sembra, ma non è questo il momento” tagliò corto l’elfo: “Adesso alza la guardia”.
   Kriystal non recepì immediatamente il messaggio, ma perdendosi nella conversazione si era completamente dimenticata di quel qualcosa che aveva scaturito la paura e la follia di tutti quei mostri. E poco prima che Kriystal potesse cercare per l’ennesima volta di strappare a Vonch qualche informazione su quello che stava accadendo la risposta, per la seconda volta, arrivò da sola.
   Come accompagnamento ad un verso disumano molto simile al primo boato proveniente sempre da dietro le mura del fosso della morte la terra cominciò a tremare sotto ai piedi dei due elfi. “ Cos’è!?” domandò insistentemente Kriystal senza ottenere una risposta precisa dal suo rapitore che ora concentrò tutta la sua attenzione in direzione dei cancelli.
   “Se sopravvivi giuro che dopo ti spiegherò lo scopo di questa follia!” Sorrise l’Elfo nel mezzo del trambusto provocato dalla scossa che non sembrava finire e mantenendo comunque lo sguardo e il corpo tesi verso il sinistro ingresso. Anche lo spirito automaticamente sembrò fulminare con i vuoti occhi l’origine dei versi mostruosi che ora sembravano affiancati da pesanti passi.
   Kriystal continuava a ritenere surreale tutta la situazione degli ultimi minuti, molto peggio dell’inizio mattinata. Pensare che era solo a due passi da casa ed era già stata coinvolta in una missione del genere le provocò tutta via un piccolo brivido di eccitazione.
   Certo voleva almeno capirci qualcosa per non finire uccisa invano, ma quando si rese conto che il tremare della terra era dovuto proprio a quei passi che sembravano essere più vicini che mai non c’era più tempo per le domande. Dagli aperti ed enormi cancelli del fosso della morte avanzò goffa e rumorosa un’enorme creatura straripante di lardo putrefatto e dal tanfo insopportabile. L’aspetto era quello di un troll colpito in piena faccia da un incantesimo, ma le dimensioni ed il fetido odore lo associavano senza troppi collegamenti al luogo dal quale proveniva.
   Oltre a rimanere paralizzata e a bocca aperta Kriystal non poté fare a meno di notare l’occhio sinistro totalmente assestato e penzolante e parti del grasso corpo completamente marce.
   “Dobbiamo uccidere quello schifo!?” Esclamò Kriystal, trovando la forza per auto convincersi che l’obiettivo non fosse davvero quello.
   “Tecnicamente come puoi notare dall’aspetto lui è già morto” precisò Vonch: “ Per abbatterlo l’unica maniera è decapitarlo, sei pronta?”
   “Pronta!? Pronta!?!?!” Impazzì l’elfa: “Io non dovrei nemmeno essere qui! Mi ci hai portata con la forza! Io me ne vado! Tu sei pazzo, hai lasciato che quel gigante non morto uccidesse i tuoi compagni!”
   “Non farlo o così finirai con..!” Ma prima che Vonch potesse trattenerla per un braccio Kriystal era ormai di spalle pronta ad andarsene.
   Questo sembrò attirare, come previsto dal Warlock, l’attenzione del mastodontico nemico, il quale reagì con un assordante ruggito e prese a muoversi rumorosamente verso di lei.
   Nel momento stesso in cui Kriystal si accorse di cosa stava accadendo alle sue spalle per istinto fu costretta a voltarsi verso l’attentatore e ad alzare la guardia e la spada, una spada che non avrebbe certamente potuto competere con la forza dell’avversario. Ma cosa importava?  Senza che Kriystal ne avesse vissuti molti riconobbe comunque quella situazione come uno di quei momenti dove non importa se la possibilità di vittoria è nulla, ma l’istinto di sopravvivenza prende il soppravvento provocando nel soggetto una reazione automatica. Ma l’elfa sapeva benissimo che la propria reazione era vana e l’avrebbe portata al suicidio. Era un combattimento inutile, per la troppa poca esperienza Kriystal sarebbe stata schiacciata al primo tentativo di attacco o di difesa.
   Ma fu in quell’istante che l’ammuffito abitante del fosso della morte, proprio sul punto di attaccare, venne distratto da un colpo alla schiena rivelatosi neanche troppo efficace, ma forte abbastanza da indirizzare l’attenzione del nemico all’infuori dell’elfa.
   A tentare l’impossibile era stato lo spirito da compagnia e da combattimento di Vonch, spinto ovviamente dai comandi di quest’ultimo che impugnava stretta a mezz’aria la propria staffa e che sembrava più concentrato che mai: “Ora puoi scappare!” esclamò: “Cosa aspetti!?”.
   Kriystal realizzò gradualmente le parole del Warlock, ma nonostante l’occasione proposta da egli fosse molto invitante data la situazione, l’aspirante paladina seppe prendere una decisione matura e allo stesso tempo ingenua: “Non posso andarmene! Da solo ti schiaccerà!”. Vonch non insistette, si limitò ad accennare un sorriso prima di scatenare addosso al mostro un altro attacco del suo spirito.
   Le due creature combatterono un vero e proprio corpo a corpo accompagnato da qualche scintilla scaturita dalla staffa del Warlock. Come c’era arrivata una principiante come Kriystal, anche un essere dal cervello ammuffito come quello dell’avversario riuscì a capire che gli attacchi dello spirito dipendevano totalmente dallo strumento che il suo padrone stringeva in mano. Fu così che il guardiano del fosso della morte una volta allontanato lo spirito con una forte manata ne indirizzò velocemente un’altra verso Vonch, il quale furtivamente cercò una via di fuga.
   Ma Kriystal non fece nemmeno in tempo ad aprire bocca quando l’enorme braccio del mostro scaraventò a terra il Warlock e prima che egli potesse recuperare la propria staffa caduta a terra essa si spezzò con un secco suono sotto l’abnorme mano ammuffita del nemico.
   Vonch era disarmato e la sorpresa era totalmente nuda sul suo viso. “ Vonch!” Kriystal senza rifletterci lanciò la sua spada a Vonch il quale con grande agilità l’afferrò al volo e la conficcò ferocemente nel dorso della mano del mostro ancora poggiata al suolo. L’urlò di dolore fu disumano.
   L’elfa decise che quello era il momento giusto per intervenire fisicamente ed estraendo il pugnale si scatenò in direzione del combattimento.
   “Non ti muovere!” Urlò Vonch, che ancora una volta aveva previsto un contrattacco che Krisytal, ancora una volta, aveva ignorato. Difatti l’enorme nemico accecato dal dolore riuscì a staccare da terra la mano ferita con ancora conficcata l’arma e furioso la scagliò violentemente contro l’elfa, la quale conseguentemente venne scaraventata contro un tronco d’albero fuori dalla cicatrice. Immediatamente Kriystal accasciatosi al suolo non sentì nulla se non i sensi che mano a mano sembravano abbandonarla. Poi d’improvviso un dolore lancinante al braccio sinistro che ancora impugnava l’arma e che sembrava andarle a fuoco pervase tutto il corpo e la sofferenza si tradusse in un urlo graffiante che rimbombò nell’aria circostante.
   Nel frattempo il combattimento dovette andare avanti: durante la furia cieca del nemico Vonch riuscì a raccogliere la propria staffa spezzata in due e cercò in pochi secondi di constatare i danni subiti. Il suo viso non promise nulla di buono, ma fu apparentemente abbastanza sufficientemente da poter ordinare con la sommità superiore  dell’arma un altro attacco da parte del proprio spirito il quale si scagliò con prodezza contro il mastodontico e marcito addome del mostro. Il colpo fu efficiente e servì ad allontanare almeno quel poco che bastava il nemico dal Warlock. Quest’ultimo diede una veloce occhiata all’elfa rannicchiata al suolo e dolorante: Kriystal si teneva il braccio ferito e continuava a dar voce ad urla e lamenti. Il dolore pareva essere insopportabile.
   Vonch capì quanto fosse oramai inutile contare sull’appoggio della sua prigioniera, ma si rese conto di aver sbagliato a credere di poter battere da solo un avversario come quello. Tale differenza di forza fu confermata pochi istanti dopo quando il mostro reagì all’ultimo colpo dello spirito chiudendo quest’ultimo tra le sue putride mani in una ferrea presa. Lo spirito da compagnia di Vonch cercò di liberarsi colpendo con forti pugni sui polsi del gigante, ma la presa troppo forte non gli lasciò via di scampo e venne finito completamente scoppiando in una leggera brina bluastra tipica degli spiriti una volta sconfitti.
   “Maledizione!” Esclamò Vonch una volta persa l’ultima possibilità di scampo. Il mostrò reindirizzò il proprio sguardo sul Warlock ora unico bersaglio e totalmente disarmato e sembrò essere disgustosamente compiaciuto del proprio vantaggio. Alzò il suo enorme e cellulitico braccio pronto a schiacciare sotto al proprio peso l’elfo del sangue che inutilmente cercò di proteggersi con le braccia, quando miracolosamente qualcosa sembrò colpire con una velocità impressionante il nemico proprio sul braccio che stava per usare come arma. Il suo urlo di dolore coprì le urla della piccola Elfa ancora sofferente a terra.
   “Una freccia?!” Esclamò Vonch, sorpreso quanto lo sarebbe stata Kriystal se solo fosse stata abbastanza cosciente in quel momento per poter assistere alla scena imprevista. Ma ancora più imprevista fu senz’altro la seconda freccia, che ancora velocissima colpì il mostro stavolta alla spalla destra.
   Prima ancora che Vonch potesse finire di guardarsi intorno e potesse reclamare l’artefice del suo salvataggio qualcosa di sinistro gli passò velocemente affianco senza mostrarsi. L’Elfo del sangue sentì a mala pena la presenza di quella figura invisibile, ma seppe sin da subito che non si trattava di un’altra freccia, bensì di chi aveva scoccato le prime due: “Un assassino!” concluse. Gli assassini erano certamente tra le classi più letali del mondo di Azeroth.    La loro specialità, al contrario dei Warlock o dei preti più rumorosi e pirotecnici, era certamente il combattimento silenzioso e la capacità di scivolare tra le masse viventi e non senza farsi facilmente notare. Ma perché un assassino avrebbe dovuto salvare la vita ad uno sconosciuto?
   Prima ancora di poterci ragionare su realizzò l’ipotesi più concreta: “Per mille Ally..” Imprecò:“..la compagnia imperiale!”. Solo per la denominazione, infatti, gli assassini non erano sempre briganti o avventurieri, ma al contrario associazioni come le compagnie imperiali e i governi stessi vantavano di un gran numero al loro interno.
   Ad un passo dall’essere catturato Vonch decise quindi di voltarsi e fuggire, approfittando della distrazione dell’assassino che ce l’aveva con il mostro, ma sul punto di riuscire a scamparla gli venne sbarrata la strada da una seconda figura dai capelli corti e rossi pettinati all’indietro e dalla carnagione pallida: “Ti dichiaro in arresto” annunciò tranquillo prima di indirizzare la propria staffa al petto di Vonch scaraventandolo assieme alla sua arma spezzata indietro di qualche metro dove rimase a terra a rotolarsi dal dolore: “Figlio di un’Elfa della notte!” Imprecò il fuggitivo tenendosi il punto in cui era stato colpito. Il Warlock della compagnia imperiale che aveva appena abbattuto Vonch notò l’Elfa ai piedi dell’albero dolorante:
   “Lieto di rivederti Kriystallina..” disse: “..la prossima volta farai meglio a darmi ascolto quando ti dico di tornare a casa”.

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Capitolo 5
*** Attenendosi al piano ***


CAPITOLO V

Attenendosi al piano

 

   Kriystal non riusciva a focalizzare l’azione intorno a sé. Ciò che riusciva a percepire erano solo voci e figure sfocate, come quella che lenta si chinò su di lei. Mano a mano che L’elfa si sforzava di tornare il più lucida possibile nonostante il dolore al braccio la sua vista cominciava gradualmente a farsi più nitida ed il profilo dell’individuo che pareva soccorrerla leggermente più dettagliato.    Anch’egli era un Elfo del sangue, come la maggior parte delle creature che Kriystal aveva conosciuto durante la mattinata e soprattutto segno che non si era allontanata più di tanto da casa.
   Era ancora accasciata ai piedi dell’albero contro il quale era stata scagliata dall’enorme bestione che, inspiegabilmente, sembrava non essere più un pericolo. E tutte quelle nuove voci, quella figura davanti a lei, erano altri nemici?
   Per evitarsi ulteriori disagi cercò di strisciare lontano dall’Elfo inginocchiato al suo fianco, inutilmente, poiché la sofferenza non le permise di muoversi.
   “Stai tranquilla!” Esclamò lo sconosciuto cercando di tenerla ferma: “Non ho intenzione di farti del male, il mio nome è Bithah e sono della compagnia imperiale. Non spaventarti, ora vediamo di curarti queste lesioni”.
   Ora che era stata costretta ad un momento di pausa Kriystal poté effettivamente notare l’armatura tipica della compagnia imperiale di Silvermoon e di conseguenza pressoché simile a quella del Warlock della cicatrice morta. Descrivere il profilo dell’Elfo le risultò al momento impossibile dato l’elmo che indossava e che metteva parzialmente in luce solo due occhi neri ed una bocca sottile.
   “è proprio la mia giornata fortunata” ironizzò l’elfa tra le lacrime di dolore: “Un altro Warlock non è vero?”
   “Spiacente di deluderti, non sono un Warlock” Sorrise Bithah, mentre con una mano teneva fermo il braccio ferito e con l’altra staccava il pugnale dalla presa dell’elfa e lo poggiava a terra: “Adesso stringi forte i denti, sentirai solo molto calore”.
   Kriystal sembrò ignorare l’avvertimento, voleva solo distrarsi dal dolore: “Allora sei sicuramente un prete”.
   “Se lo fossi non accadrebbe questo” sorrise nuovamente e prima che Kriystal potesse chiedere cosa sarebbe successo fu avvolta da un bianco lampo che sembrò avvolgere l’area, o così le parve, e che le infiammò di bruciore il braccio sul quale l’elfo    Bithah aveva semplicemente poggiato entrambe le mani. Le urla squarciarono nuovamente la cicatrice morta e il corpo le parve incendiarsi lentamente. Il dolore era insopportabile: “Fallo smettere!!” Urlò Kriystal: “Ti prego!”.
   “Devi resistere! Lo sto facendo per il tuo bene!” La rincuorò il curatore che non cambiò quella sua espressione amichevole dietro il fitto elmo.
   Proprio sul punto di sentirsi morire finalmente Kriystal sentì il bruciore affievolirsi sempre più e con esso il bagliore di luce bianca. Nell’intento di asciugarsi la fronte piena di sudore non si rese nemmeno conto di alzare senza problemi il braccio che fino a poco prima sembrava ad un passo dallo staccarsi dalla spalla.
   “Non fa più male” Notò stupita e affannata.
   “Missione compiuta allora” Sembrò sollevato Bithah: “Collabora un po’ di più però la prossima volta”.
   Kriystal si tastò la spalla per constatare la guarigione e ancora confusa provò ad alzarsi: “La prossima volta almeno fingi di essere un prete se vuoi tranquillizzarmi”
   Bithah sembrò compiaciuto sotto il suo elmo quando una volta anche lui in posizione eretta mostrò un altro amichevole sorriso: “Ti mette comunque a tuo agio sapere che sono un paladino?”.
   Kriystal non rispose, rimase sbigottita e non si accorse nemmeno della propria poco professionale espressione a bocca aperta.   Il paladino non fece caso alla reazione della giovane elfa, ma sempre molto tranquillo le riconsegnò il suo pugnale: “Spero solo che tu non abbia nulla a che fare con lui” continuò Bithah indicando il punto dove fino a poco prima c’era una battaglia e dove ora due altri membri della compagnia imperiale ed una guardia di grado B tenevano in ginocchio un Vonch visibilmente frustato: “sarebbe un vero peccato doverti arrestare!” sorrise Bithah ancora rivolto a Kriystal.
   Quest’ultima non poté che rabbrividire nel vedere pochi metri distanti dalla scena un ammasso immobile di lardo avvolto nella polvere del terreno. Con un’accurata osservazione e con un conseguente conato di vomito Kriystal notò la testa del guardiano del fosso della morte staccata dal resto dell’abnorme corpo e l’occhio che prima era solo penzolante ora si era evidentemente perso chissà dove nei paraggi.
   “Come avete fatto?” domandò incredula e nauseata.
   “Non chiederlo a me” rispose Bithah: “Io probabilmente lo avrei fatto in pezzi più piccoli, ma è Robil che fa lavoretti così accurati!”.
   “Robil?”
   Bithah fece per rispondere quando una voce troppo famigliare giunse alle orecchie di Kriystal: “Se hai finito di curare la nostra principessa forse potremmo proseguire con l’arresto, sei d’accordo?”. Il Warlock dai capelli rossi che l’aveva arrogantemente salvata in prima mattinata alle porte della cicatrice morta era tornato con tanto di rinforzi e la sua seria espressione, per quanto perfetta, provocò in Kriystal un senso di nostalgia nei confronti dell’ammasso di carne puzzolente e mutilato accasciato poco distante da loro.
   “Ancora tu!” Esclamò Kriystal.
   “Non mi hai dato ascolto, ma per fortuna una delle guardie di Tranquillien è stata più che felice di informare il mio gruppo che stamani una forestiera travestita da ufficiale di Silvermoon si è presentata alla colonia con la pretesa di sapere dove trovare il ricercato”.
   “Il ricercato suona molto meglio che il traditore” Notò Vonch prima di prendersi un calcio dalla guardia di grado B che poche ore prima avrebbe voluto impedire con tutto se stesso l’ingresso dell’elfa a Tranquillien e che ora, visibilmente soddisfatto di sé, l’aveva data in pasto alla compagnia imperiale prendendo due piccioni con una fava.
   “Comunque sia..” continuò il Warlock della compagnia imperiale: “..se verrai con noi senza opporre resistenza per te non ci saranno conseguenze. Ti riporteremo da tuo padre il quale, se sei fortunata, non si sarà ancora accorto della tua scomparsa”.
   “Nonché la cosa lo colpirebbe molto da quello che ho potuto capire” Punzecchiò nuovamente Vonch, stavolta incrociando un intenso sguardo con Kriystal contando forse in uno ricambio d’intesa. Ma  l’aspirante paladina ebbe poco tempo per tradurre l’espressione del suo rapitore prima che quest’ultimo venisse nuovamente colpito con un forte calcio dalla guardia di Tranquillien e scaraventato sul terreno fangoso della cicatrice.
   “Coraggio Kriystallina” Si introdusse nel discorso l’ultimo dei presenti della compagnia imperiale che Kriystal non aveva avuto modo di conoscere: “Noi siamo dalla tua parte e non ti faremo del male”.
   “Sei te che hai ridotto così il bestione?” Seppe solo domandare Kriystal per ottenere più chiarimenti possibili.
   Robil, un elfo del sangue dai capelli castano chiaro, occhi verdi e dal lungo viso sottile, sorrise: “Ammetto le mie colpe, sono stato io a salvarvi la pelle!”.
   I fatti parlavano chiaro, su tre membri della compagnia imperiale tutti e tre le avevano salvato la vita: forse avrebbe dovuto dare loro ascolto e tornare a casa per rivalutare il proprio piano di fuga, ma una volta tornata avrebbe ritrovato il coraggio di fuggire?
   Prima di riprendere il dialogo kriystal rivolse il proprio sguardo a Bithah, il quale sotto il suo elmo le rispose con un altro rassicurante sorriso.
   “Ma chi vogliamo prendere in giro!?” irruppe scontrosamente la guardia della colonia: “Questa mocciosa si è finta un ufficiale di Silvermoon e ha mentito a noi, guardie responsabili di chiunque entri ed esca dalla colonia di Tranquillien soprattutto in uno stato di allerta! Ha peccato spudoratamente affermando di essere ad un passo dallo catturare il traditore!”
   “E non ho mentito su tutto quanto pare, non trovi?” rispose l’elfa tutto ad un tratto sicura di sé. Non poté evitare l’espressione sterefatta di Vonch chino a terra e sporco di fango. Kriystal lo stava consegnando in mano alla giustizia, lui che aveva commesso atti orribili come distruggere un villaggio o sacrificare dei suoi compagni per chissà quale missione suicida, ma perché allora le sembrava di averlo appena tradito?
   L’elfo in arresto si limitò ad abbassare il capo e come fosse voluto un ciuffo di capelli biondi gli coprì gli azzurri occhi.
   “Vuoi farci credere..” insistette arrogantemente la guardia: “..che non stavi collaborando con questo traditore!?”
   “Ricercato è più appropriato” precisò una seconda volta Vonch sempre chino sul fango e totalmente ignorato.
   Kriystal, cercando di seppellire ogni senso di colpa nei confronti di un elfo che dopotutto non aveva fatto altro che rapirla e portarla con la forza alle porte del fosso della morte e nelle fauci di un enorme creatura putrefatta, fece finta che la guardia che la stava accusando non esistesse e si rivolse al Warlock dai capelli rossi: “Portatemi a casa senza fare domande e senza dire nulla a mio padre della mia scomparsa. Io in cambio non farò parola del fatto che ho trovato un Warlock ricercato da tutto il regno orientale girovagare tranquillo per le vie della colonia di Tranquillien e voi dalla vostra parte porterete a termine la missione del ladro di carte”. I presenti si guardarono tra loro.
   Invece che sognare di divenire una paladina forse Kriystal avrebbe dovuto progettare un futuro nella politica: giungere a trattative le veniva sempre naturale. Ciò a cui pensava sempre e solo dopo aver firmato però erano le conseguenze; Non volle nemmeno rivolgere un ultimo sguardo al Warlock chino nel terriccio fangoso poiché sentiva che egli avrebbe potuto ucciderla con una sola occhiata.
   “E sia!” concluse la guardia imperiale dai capelli rossi.
   “Ockai amico..” incitò Robil ad un arreso Vonch: “Hai sentito? Si parte per Silvermoon!” e lo alzò con la forza tenendogli le mani dietro la schiena.
   La guardia di Tranquillien bofonchiò qualche bestemmia e poi si avviò goffamente verso il corpo mutilato del mostro abbattuto dall’assassino della compagnia imperiale con l’intento probabilmente di sgomberare la zona da resti inutili che avrebbero potuto attirare chissà quali altre bestie.
   Il resto del gruppo stava per avviarsi verso la foresta, ma Kriystal non si attentava ancora a fare un passo: L’idea della condanna che aveva appena affiliato a Vonch non la faceva stare tranquilla.
   “Non devi preoccuparti..” La rincuorò Bithah che era ancora al suo fianco: “Se è vero che non centri nulla con lui hai preso la decisione giusta”.
   In pochi secondi Kriystal rielaborò la vicenda che poco prima del combattimento col bestione vedeva un Vonch preso da un’ira improvvisa provocata dalle accuse da parte della sua stessa patria. Quell’elfo era davvero un traditore come dicevano tutti?
   “Non abbiamo tutto il giorno!” la rimproverò l’elfo dai capelli rossi esibendo nuovamente la propria autorità: “ Sarebbe bene che nel pomeriggio fossimo già a Silvermoon se vogliamo evitare altri colpi di scena”.
    In tutta risposta Bithah, imitando il Warlock, con un solo gesto rivolto al proprio petto provocò un bagliore luminoso che Kirystal riconobbe come un’evocazione di un livello certo superiore a quello di Silbar. A confermare il pensiero dell’Elfa comparvero dal nulla due enormi cavalli. Quello del Warlock, che Kriystal aveva già avuto modo di conoscere lungo la cicatrice morta, era un destriero nero come il carbone e adornato da fiamme lungo tutto il corpo semi scheletrico; Il cavallo di Bithah dal canto suo era all’apparenza un normale cavallo color nocciola di dimensioni maggiori rispetto ai puledri comuni.
   “Te sali con Bithah” disse Robil rivolgendosi a Kriystal: “Io terrò d’occhio il nostro amico a piedi” e si slegò una corda dalla cinta per legare entrambe le mani di Vonch il quale si limitò, ancora con un pizzico di umorismo, a chiedere di fare piano.
   “Stai dietro di noi” si raccomandò il Warlock rosso con Robil: “E tu non giocarmi ancora brutti scherzi!” concluse avvertendo Kriystal.
   “A lei ci penso io Thehorde!” Intervenne Bithah: “Non ci creerà problemi vedrai” e lanciò uno sguardo all’elfa che lei tradusse come un segno di fiducia. Un gesto che certo la rassicurò un po’.
    Thehorde, questo era il sinistro nome del Warlock dai capelli rossi, non aggiunse altro e cominciò ad incamminarsi in sella al suo cavallo infernale verso la foresta in direzione probabilmente del primo sentiero per Tranquillien. D’altronde, secondo quello che    Kirystal era riuscita a capire, Vonch e i suoi compagni oramai belli che morti non l’avevano portata molto lontano dalla colonia quando l’avevano rapita. Infatti poco lontano da loro le parve di riconoscere il dirupo dal quale sarebbe dovuta calarsi in fuga dalla rivolta popolare che lei stessa aveva provocato poco prima di essere aggredita.
   Il viaggio sembrava essere tranquillo e finalmente Kriystal si sentì istintivamente al sicuro da altri attacchi di creature magiche o di disertori volenterosi di farsi ammazzare in gruppo in un covo di spiriti. Mentre si teneva a Bithah, il quale incitava il proprio cavallo a seguire i passi di Thehorde ed era seguito a sua volta da Robil e Vonch, l’aspirante paladina poté godere dell’effettiva particolare bellezza della terra fantasma:
   La fitta nebbia sfumava i colori degli alberi rendendo il paesaggio stesso un’entità soprannaturale, un timido spettro, un vago ricordo; le rare lanterne che tagliavano la foresta e che tracciavano i sentieri arricchivano la mistica atmosfera del luogo.
   “Allora..” ruppe l’attimo di tranquillità l’assassino Robil, rivolgendosi a Vonch: “Qual buon vento ti ha portato a combattere contro il vecchio Luzran?”
   “Luzran?” domandò Kriystal, nonostante la domanda di Robil non fosse indirizzata a lei.
   “Luzran è il bestione contro il quale ve la siete vista brutta poc’anzi” spiegò Bithah con la sua gentilezza alla quale Kriystal pian piano si stava piacevolmente abituando. Come poteva immaginare che anche una creatura all’apparenza dimenticata da tutte le divinità potesse avere un nome?
   “Sai amico..” spiegò Vonch con il suo tono ironico che aveva acquisito da quando era stato arrestato: “..penso sia stato puro spirito d’avventura!”
   Ma se il Warlock prigioniero si aspettava in risposta una risata di gruppo come quelle dei suoi precedenti compagni, dagli attuali presenti non si udì nulla, se non  il ringhio infastidito di Robil che da li a poco avrebbe potuto rispedire Vonch in una pozzanghera di fango.
   “Zitti e camminate!” ordinò Thehorde, ma senza che Kriystal potesse accorgersi della causa di ciò che stava per interrompere il loro passaggio entrambi i destrieri si fermarono d’improvviso rilasciando nitriti di panico. L’elfa dovette addirittura tenersi stretta a   Bithah per evitare di cadere nella burrascosa frenata.
   “Cosa succede la davanti Thehorde!?” domandò Robil che nel frattempo, avendo avvertito il pericolo, aveva estratto un pugnale affilato dalla lama curva. “Sono gli abitanti di questa terra..” rispose Vonch mantenendo una ferrea calma come se conoscesse benissimo quella sensazione di sentirsi osservati da ogni direzione attraverso gli alberi della foresta.
   “Questa non ci voleva!” esclamò Bithah, indaffarato a tener calmo il proprio cavallo.
   Non potendo più resistere senza che nessuno le spiegasse cosa stava accadendo Kriystal prese l’iniziativa e scese da cavallo per poter assistere allo scenario aldilà del destriero di Thehorde, “Torna in sella!!” urlò il Warlock rosso, “Torna su!” insistette anche Bithah, mentre Kriystal peccando di tracotanza finì col lasciarsi scappare un sottile squittio  per lo spettacolo che le si manifestava d’innanzi, mentre un brivido le percorse tutta la schiena: all’inizio parvero poche, ma con una più acuta osservazione l’intera foresta era infestata da quelle che a prima vista erano anime. I nativi di Silvermoon erano circondati da centinaia di sinistre entità, ma ad essersi imposta d’innanzi alla cavalcatura di Thehorde e a fermare di conseguenza così l’intero gruppo fu la figura di una donna umana – o meglio, l’anima di una donna umana – che con aria quasi smarrita scrutava uno ad uno gli sguardi attoniti dei presenti, sino ad incrociare quello severo di Thehorde, che con tono secco si impuntò: “Lasciaci passare spirito!”.
   “Voi non dovreste essere qui” si limitò ad informare apaticamente l’anima in pena, ignorando del tutto l’ordine del Warlock.
   “Cosa vi dicevo?” stuzzicò Vonch.
   “Non è tempo che voi vaghiate per queste terre” continuò il fantasma della donna: “ma ora che le avete oltraggiate non possiamo nemmeno lasciarvi andare”. E senza che nessun’altro della compagnia imperiale potesse ribattere l’esercito di spiriti cominciò ad avanzare lentamente in direzione degli avventurieri.
   “Ci stanno chiudendo!” esclamò Kriystal, “Ti conviene tornare in sella Kriystallina!” ripeté Bithah, che estrasse la spada.
   L’elfa non se lo fece ripetere una quarta volta e il più velocemente possibile tornò a cavallo e strinse forte il paladino.
   “Robil!!” chiamò Thehorde: “Sali con me! Carichiamo il prigioniero e andiamocene da questo luogo maledetto!”
   L’assassino obbedì immediatamente, nel lasso di pochi istanti aveva già alzato con la forza Vonch e lo aveva passato a Thehorde il quale lo poggiò come un borsone da viaggio tra sé e la criniera del destriero. Una volta che anche Robil era pronto alla fuga e poggiava saldo alla sella del Warlock rosso, quest’ultimo innalzò autoritariamente la propria staffa ed urlò parole che Kriystal non seppe tradurre. Ma qualunque incantesimo Thehorde avesse appena evocato sembrava funzionare, un’ondata di luce rossastra fuoriuscì dall’arma del Warlock e si disperse per tutta l’area circostante travolgendo gli spiriti i quali reagirono con agghiaccianti grida di tormento.
   Thehorde fece cenno a Bithah di cominciare a muoversi e, mantenendo sempre la staffa alzata, entrambi i destrieri scattarono in avanti e cominciarono a farsi strada lungo la bolgia di anime che, ad ogni avanzamento del Warlock e della sua staffa, si allontanavano lasciando sgombro il passaggio.
   “Più veloce!” urlò Thehorde al suo cavallo, mentre Vonch pareva divertito dalla situazione, forse per l’ennesima occasione di farsi beffa della compagnia imperiale appena presa alla sprovvista.
   Forse per la prima volta dall’inizio della giornata Kriystal decise invece di chiudere gli occhi e di distaccarsi da tutto quello che stava accadendo. Restò così, ignara dello sviluppo della grande fuga da quel cimitero naturale e stretta all’unico Elfo che tra tutti quella mattina si era distinto per il suo comportamento. Certo erano ancora tante le domande che avrebbe voluto fare, cosa stava succedendo mentre lei rifiutava per un istante lo scenario circostante, cosa sarebbe accaduto una volta tornati a Silvermoon e tanti altri quesiti che però si sentiva oramai stanca di porsi.
   Così, il resto del viaggio fino a Tranquillien  -che fu breve come previsto, nonostante la piccola deviazione presa per seminare definitivamente gli abitanti delle terre fantasma- Kriystal lo trascorse svuotando la mente. Non si chiese se erano riusciti a fuggire senza problemi, non si preoccupò dei continui ordini di Thehorde. Lasciò invece ogni piccolo problema ai minuti seguenti.
   Ed i minuti seguenti arrivarono quando varcarono le soglie della colonia accolti da una numerosissima folla di abitanti di Tranquillien ansiosi di confermare coi loro occhi la notizia – notizia che nessuno saprà mai come abbia fatto a giungere così in fretta dal fosso della morte fin lì – della cattura del ladro di carte. Le espressioni che Kriystal poté leggere sopra i volti che vide scorrere lentamente intorno a sé erano numerose: curiosità, stupore, rabbia e addirittura quella smorfia eccitata che precede il piacere della gente comune nell’assistere ad un’esecuzione pubblica.
   Non mancarono certamente le imprecazioni nei confronti di Vonch con tanto di lancio di quelle che kriystal sperò fossero semplici uova, ma poco dopo esattamente come la prima volta che era giunta a Tranquillien, ad attirare la sua attenzione fu una figura in particolare: isolato dalla folla, poco distante dalle guardie che tentavano di tener calmi coloro che avrebbero voluto fare a pezzi Vonch con le loro mani, Renzithen ignorava tutta l’azione circostante eccetto l’aspirante paladina che si era interessata al suo discorso qualche ora prima. Il non morto che chiamò Kriystal al polveroso banco di pozioni la mattina stessa, in quel momento seguiva con lo sguardo fisso l’ingresso dell’aspirante paladina in sella al destriero di Bithah, come se la stesse aspettando dall’ultima volta che erano stati interrotti. Kriystal alzò intimorita la mano in gesto di saluto, ma a rispondere fu la folla che con un boato di esaltazione elogiarono lei e la compagnia imperiale per il successo della missione lanciando riso e fiori. Renzithen, avendo comunque afferrato il messaggio di Kriystal, accennò ad un sorriso adornato da tutti i suoi nove denti marci. Poi, appena prima di sparire nella marea di gente festosa e inferocita, l’anziano non morto si portò lentamente il dito indice d’innanzi alle violacee labbra socchiuse raccogliendole in un sinistro invito al silenzio. L’elfa non fu nella posizione di poter comprendere  ciò che Renzithen aveva cercato di dirle con quel gesto, ma le bastò per riportarle alla mente alcune delle frasi che egli aveva pronunciato al loro primo incontro come ‘Bisogna vivere più di una vita per capire il mondo in cui viviamo’,o ‘non ti annoierò con le mie piccole verità’. Di che verità poteva parlare un vecchio mercante di una piccola colonia posta in un luogo inabitato e infestato? E su cosa Kriystal avrebbe dovuto tacere?
   Ma il gruppo procedette la marcia accompagnato dalle esaltazioni del popolo e Kriystal dovette distogliere lo sguardo e la mente dalla figura di un vecchio pazzo che tanto non avrebbe mai più rivisto.
   Ciò che si sarebbe dovuta preparare ad affrontare invece era il prossimo rientro a casa, incrociare lo sguardo con il viscido Chidril e continuare a vivere all’ombra delle mura della sua splendida gabbia dorata. Gabbia costruita da suo padre.
   “Ci fermiamo qui” spiegò gentilmente Bithah: “Scendiamo da cavallo e raggiungeremo Silvermoon in volo”.
   Kriystal stavolta scelse di non domandare nulla, ma la sua espressione basita parlava da sola. Scese da cavallo e così fecero il paladino, Thehorde e Robil dopo aver aiutato l’ostaggio Vonch a rimettersi in piedi.
   “Giustiziatelo qui davanti a noi!!” urlò un rozzo abitante di Tranquillien posto in prima fila e tenuto a bada da una guardia del luogo.
   “Non portatelo via! È un nostro trofeo!” Gridò stridula un’altra paesana.
   “Mi fanno sentire così importante” scherzo l’imputato.
   “Coraggio” si rivolse Thehorde al resto del gruppo ignorando come suo solito le parole di altre persone all’infuori di lui: “siamo pronti a partire”.
   Un bagliore identico a quello manifestatosi per la loro evocazione significò stavolta la dissolvenza dei due cavalli richiamati dai loro padroni.
   Kriystal si guardò intorno e solo ora si accorse di trovarsi nella piazza  principale della colonia e la riconobbe solo grazie alla statua  delle due danzatrici che ora pareva inghiottita in buona parte dalla marea di persone.
   Thehorde interpellò una guardia di grado B che pareva esser lì pronta per servirlo: “portami alla vostra stazione di volo”.
   “Da questa parte prego” obbedì il giovane.
   La guardia condusse il gruppo attraverso la folla e li portò alla presenza di un Non morto seduto ad un piccolo banco posto davanti a quattro bestie squillanti e incatenate che Kriystal riconobbe come enormi pipistrelli grigi.
   “Non dovremo mica..?” provò a chiedere Kriystal inorridita.
   “Non è male come sembra” rispose Bithah, visibilmente ironico: “Per lo meno il panorama è unico”.
   “Solo andata per la corte di Silvermoon” ordinò Thehorde, poggiando sul banchetto un sacchetto pieno di monete che risuonarono rumorosamente sul legno marcio. Il non morto tentò un sorriso cordiale ed alzandosi dalla sedia si diresse goffamente a liberare gli animali.
   “Salirai da sola, te la senti?” domandò Bithah rivolgendosi ad una Kriystal che pareva esser diventata gradualmente sempre più pallida d’innanzi alla prospettiva di dover cavalcare un enorme e maleodorante pipistrello.
   “Volevo un’avventura dopotutto” si rassegnò.
   Cominciò Robil salendo senza problemi in sella assieme a Vonch e così fecero Thehorde e Bithah. Kriystal dovette servirsi di qualche secondo prima di avvicinarsi al suo destriero, il quale apparentemente non sembrò anch’egli molto propenso a lasciarsi domare da una sconosciuta.
   “Stia tranquilla signorina, non morde” la rincuorò il Non morto: “Sinora, per lo meno”.
   “Così non la rincuora granché!” scherzò Bithah, che però riscese a terra per soccorrere l’aspirante paladina.
   “Faremo notte” si lamentò a bassa voce Thehorde,  credendo che Kriystal non potesse sentirlo.
   “Ascoltami” disse Bithah rivolto all’elfa: “Essendo la prima volta che cavalchi una creatura alata devi avvicinarti piano ed accarezzarle il pelo, vedi?”
   Kriystal lo imitò e appoggio il più lievemente possibile la mano sinistra sul freddo dorso peloso del pipistrello.
   “Come faccio a sapere quando è pronto ad accogliermi?” domandò ancora intimorita.
   “Beh, diciamo che se entro tre secondi non ti trancia il braccio con i suoi artigli allora gli vai a genio!”
   Ci fu una risata generale tra il Non morto, la guardia di grado B, Robil e persino Vonch evidentemente rassegnato oramai alla sua condizione di prigioniero.
   “Mi tranquillizzate molto così!” rimproverò Kriystal, sentendosi comunque alleggerita da una situazione leggermente comica rispetto agli eventi precedenti.
   “Ockai!” disse Bithah, tornato serio per aiutarla a salire in sella al pipistrello gigante: “Ora stringi il pelo per far capire che hai bisogno della sua fiducia e salta subito su!”
   “Cosa devo fare!?” esclamò Kriystal sconcertata.
   “Stringi il pelo!” Ordinò Bithah.
   Kriystal si concedette un secondo in più per prendere il coraggio dell’azione e in un istante di totale vuoto mentale si lasciò andare, con un forte strattone al pelo grigio della creatura si spinse in sella ad essa.
   Ce l’aveva fatta, era riuscita senza troppi problemi a farsi accettare da una creatura alata, e a dar sfogo alla sua soddisfazione ci pensò il sorriso fiero del paladino Bithah e la stonata esaltazione del non morto.
   “Nulla di più facile, vero?” scherzò Robil. Ma lo sguardo annoiato di Thehorde lasciò intendere che era giunto il momento di partire alla volta di Silvermoon e non si poteva più perdere tempo a stare a dietro ad un’elfa novella.
   “Ricevuto capo!” stuzzicò Kriystal rivolta al Warlock rosso, il quale ovviamente la ignorò. Per fortuna ad alleggerire ulteriormente il momento chiuse il battibecco una volonterosamente rumorosa risata di Vonch.
   Il successivo decollo fu proprio come l’elfa del sangue se lo era sempre immaginato, una leggera turbolenza e poi – una volta preso il coraggio di riaprire gli occhi – trovarsi davanti ad un qualcosa di indimenticabile.

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Capitolo 6
*** Ritorno e andata ***


VI
Ritorno e andata

 
La fresca foschia delle lande infestate della terra fantasma cominciava a sembrare solo un lontano ricordo ora che stava a centinaia di piedi al di sotto del gruppo in volo. Il cielo pomeridiano dei regni orientali permise all’elfa Kriystal di sentirsi sempre più a proprio agio ignorato ciò che sarebbe potuto succedere una volta atterrati alla stazione di volo di Silvermoon vicino all’orto del giardiniere Noira.
“Vale la pena farsi cogliere in fragrante con un ricercato se poi il prezzo da pagare è questo, non credi?” Ironizzò Bithah, che volava proprio al suo fianco.
“Come fa a sapere dove vogliamo che ci porti?” Domandò l’Elfa, senza distogliere lo sguardo dal panorama e accarezzando il folto pelo dell’animale che stava cavalcando, il quale ora non le sembrava più essere così rivoltante.
“Un semplice incantesimo” spiegò il paladino: “Il non morto della stazione di volo gli ha ordinato dove condurci”.
“Affascinante” annotò l’elfa.
Ed affascinante evidentemente lo era sempre per chiunque percorresse quella tratta in volo, poiché anche Robil sembrò essersi dimenticato temporaneamente di avere in carico con sé un prigioniero, e sembrava piuttosto assopito nelle verdi foreste della canzone eterna che familiari cominciarono ad intravedersi aldilà della nebbia.
Illuminate da un enorme ed abbaiante sole le prime creature dei boschi incantati si mostravano incuriosite dalle ombre degli enormi pipistrelli volanti che, mano a mano che cominciavano ad avvicinarsi al suolo, si facevano sempre più grandi.
Poi, come d’incanto, a prevalere su tutto il concerto di meraviglie che avevano lasciato Kriystal in uno stato di leggera ubriachezza, le scintillanti mura di Silvermoon si ergevano  autoritarie su un magico paesaggio caratterizzato dalle verdi pianure di Eversong woods.
“Non è che posso andare direttamente a casa, vero?” domandò improvvisamente intimorita l’aspirante paladina: “dopotutto che bisogno c’è che io entri con voi a Silvermoon?”
“Se Ermelaid dovesse essere venuto a conoscenza della tua fanciullesca fuga” spiegò Thehorde: “ne risponderemmo tutti noi”.
“Su questo purtroppo ha ragione” disse Bithah, visibilmente dispiaciuto nel prendere le parti avverse a Kriystal.
Quest’ultima decise di accettare la cosa, non essendo poi del tutto colpa della compagnia imperiale, ma il cuore non smise di batterle a mille.
“Ora si scende!” annunciò Thehorde. E così effettivamente fu: gradualmente le cavalcature volanti si avvicinarono al suolo in direzione della capitale dei regni orientali ed il timore di Kriystal cominciò a diventare sempre più intenso.
A distrarla improvvisamente irruppe una voce familiare che da troppo non si rivolgeva a lei: “Cosa farai una volta a terra?”.
Era Vonch ad averla interpellata, legato alla cavalcatura di Robil a pochi metri da quella di Kriystal.
Possibile che il Warlock prigioniero fosse riuscito a cogliere l’espressione così tesa dell’elfa come nessun’altro dei presenti?
“Stai zitto!” ordinò Robil: “non hai alcun diritto di parola finché non sarai davanti ai signori di Silvermoon!”
“No!” Esclamò Kriystal: “ha ragione a domandarmelo. Il problema è che ancora non so cosa rispondere..”
Vonch sorrise, ritrovando una timida intesa nello sguardo della rossa fanciulla.
  “Andrà tutto bene, kriystallina” intervenne Bitah, quasi a volersi dimostrare più affidabile di un tipo come Vonch. E così effettivamente era come Kriystal lo vedeva.
L’atterraggio fu leggero e per nulla turbolento. I volatili toccarono con cura il terreno fiorito alle porte di Silvermoon ed il gruppo poté tranquillamente scendere. Di nuovo qui, pensò l’elfa quando poggiò i piedi sull’erba umida della sua terra natale.
Ad attenderli, oltre ad un Elfo del sangue addetto alla stazione di volo, tre guardie di grado B presero in consegna Vonch senza rivolgergli parola e lo scortarono oltre la soglia dell’enorme ingresso della città seguiti dal resto del gruppo.
Nulla da dire sullo splendore pomeridiano della capitale dei regni orientali: la piazza che alla mattina era inaccessibile per l’affollatissimo muro di gente festosa ora era semi vuota, se non per gli stendardi dell’orda ancora innalzati al cielo e resti della festa qua e là.
Mentre attraversavano il Cammino dell’eroe una delle tre guardie di grado B indietreggiò di qualche passo per raggiungere Thehorde e per comunicargli qualcosa. Thehorde sembrò per la prima volta sconcertato, o comunque esibì un’espressione che Kriystal non aveva ancora visto oltre a quella in versione capo autoritario. Poi il Warlock rosso portò lo sguardo a Bithah, che camminava al fianco dell’elfa, ed egli sembrò aver capito al volo la gravità della notizia.
“Cos è successo?” chiese più dettagli il paladino, mentre il gruppo continuava il cammino verso la corte del sole.
“Un omicidio” rispose Thehorde.
“Qui!?” esclamò Kriystal, totalmente ignorata.
“Il giardiniere” continuò il Warlock.
“Noira!?” saltò l’elfa, scandalizzata: “non può essere!”
“Dove è successo? Nel quartiere del Bazaar?” domandò Bithah.
“No. Sembrerebbe essere stato commesso durante i primi festeggiamenti nei pressi dell’estremo cammino”
Bithah mostrò anch’egli segni di sgradita sorpresa, mentre Kriystal si sentì all’improvviso il cuore in gola.
“Avvolto in una bandiera dell’Orda?” domandò la fanciulla senza pensarci troppo. In testa aveva solo quell’immagine del giardiniere accasciato al suolo apparentemente ubriaco come suo solito. E poi il ricordo di quella sensazione di essere osservata e seguita dall’ombra del quartiere.
“Si” confermò la guardia di grado B: “e lei come fa ad essere a conoscenza di un particolare ancora riservato?”
“Ecco” cercò di spiegare Kriystal: “questa mattina ho percorso in tutta fretta l’estremo cammino per raggiungere il più velocemente possibile la Corte del sole e..” si interruppe un istante, tutti gli sguardi su di lei: “beh ecco, ho cominciato a sentirmi osservata nonostante il quartiere fosse deserto e ho ignorato il corpo di Noira poiché non era la prima volta che durante un festeggiamento tendeva a divertirsi un po’ troppo e perdeva i sensi in un angolino buio. A volte io e suo figlio Soran lo dovevamo riaccompagnare a casa in spalla perché non riusciva a reggersi in piedi”.
E prima che qualcuno potesse commentare Kriystal fermò il passo: “Soran. Sarà devastato dal dolore! Ho bisogno di vederlo!”
“è al furore solare in questo momento” spiegò la guardia: “esattamente dove siamo diretti noi. Lì avrai il tempo di parlargli”:
“Hai cominciato a sentirti osservata?” riprese la spiegazione di Kriystal Thehorde, ignorando totalmente il resto del discorso ed il dolore del figlio di Noira: “non hai la minima idea di chi potesse essere?”.
Kriystal non poteva rispondere, non sapendo nemmeno lei chi la stava seguendo e chi avrebbe potuto mai intrufolarsi a Silvermoon ad uccidere l’unico individuo presente nel quartiere deserto dell’estremo cammino, ma non poté far altro che alzare timidamente lo sguardo verso Vonch, che incredulo sembrò non poter reggere un secondo tradimento.
“Non posso esserne certa..” spiegò l’elfa: “ma tu sei accusato di tradimento, furto e assassinio. Non mi viene in mente nessun’altro mi spiace”.
Tra gli otto presenti calò il giusto silenzio per permettere al Warlock accusato di trafiggerla con lo sguardo.
“No..” sussurrò Vonch: “non sono un assassi..!” e prima che potesse concludere la frase una delle due guardie che lo tenevano fermo gli sferrò un violentissimo pugno allo stomaco. Vonch si inginocchiò per terra prima di essere rialzato.
“Questo sarà tutto da vedere, traditore!” precisò l’altra guardia.
Thehorde ed il resto della compagnia imperiale sembrarono restare impassibili quando Bithah mise nuovamente ferrea parola: “Riprendiamo il cammino. Prima saremo al Furore solare e prima avremo risposte su tutto”.
Ed il gruppo riprese il cammino, ma Kriystal prima di fare anche un solo passo sentì l’ennesima fulminata delusa dei profondi occhi di Vonch.
Lei non voleva accusarlo ulteriormente, ma se Vonch aveva davvero ucciso il padre di quello che forse era il suo migliore amico d’infanzia l’avrebbe dovuta pagare cara.
A differenza del percorso fatto da Kriystal alla mattina, la compagnia imperiale evitò l’estremo cammino e presero la via principale diretta alla Corte del sole. Quest’ultima si presentò visibilmente meno raggiante rispetto al solito, i pochi abitanti che attraversavano la piazza non sembravano così interessati dall’arrivo del prigioniero, al contrario della gioiosa gente di Tranquillien. Il lutto per la perdita di un personaggio amato e conosciuto come Noira alloggiava anche nel quartiere più prestigioso e colorato della capitale.
Vicino alla fontana principale, quella che taglia in verticale la piazza e che conduce agli scalini del palazzo, la figura dei buffi Larminit e Granminit permisero a Kriystal di riconoscere di essere a casa. Perché se non fosse stato per quei visi familiari quel giorno Sivermoon non sembrava  davvero più la stessa. Era da decenni ormai che non veniva consumato un delitto all’interno delle mura e, secondo Kriystal, prima o poi il popolo avrebbe preteso risposte su come fosse potuto accadere un episodio del genere all’oscuro delle centinaia di guardie addette alla sicurezza della corte.
“Siamo al centro di una disgrazia, signorina” disse il magrolino Larminit con una voce più spenta rispetto a qualche ora prima: “quest’oggi noi tutti piangiamo una grande perdita”. Granminit sembrò limitarsi invece a singhiozzare nella sua uniforme che non lo rendeva meno sensibile a situazioni del genere. La compagnia imperiale superò gli scalini ed entrò all’interno del palazzo, mentre Kriystal concedette un ultimo saluto ai due fratelli distrutti dal dolore: “Facciamoci coraggio” disse: “Il nostro caro compagno Noira avrà giustizia”.
“La giustizia in questo paese è un valore che non esiste più” prese parola Gran, asciugandosi le lacrime con le sue tozze mani: “ciò che possiamo cercare ora è solo vendetta”.
“Quello pieno di fango che stavano trascinando dentro è il famoso traditore di cui tutti parlano?” domandò Larm.
Kriystal annuì in silenzio, sentendosi tremendamente in colpa.
“Ed è colpevole anche dell’omicidio?”
“Questo io non lo so..” rispose sinceramente l’elfa.
“Sciocchezze!” intervenne nuovamente Gran, stavolta pieno di convinzione: “non è stato lui!”
“Cosa!?” domandò Kriystal, stupita dell’uscita del suo grossolano amico.
“Quando ci è arrivato poco fa il telegramma da Tranquillien  sulla cattura del traditore” spiegò la goffa guardia: “vi erano descritti tutti i dettagli precedenti e antecedenti all’arresto. Sembrerebbe che ad una delle guardie della colonia sia stato riferito da parte del proprietario del banco ristoro, che il losco individuo identificato in seguito come Vonch girava per il centro del paesino già da quattro o cinque ore prima di sedersi al suo bancone”.
Larminit sembrò aver afferrato il concetto: “Come avrebbe potuto allora trovarsi a Silvermoon durante i festeggiamenti per commettere l’assassinio!?”
“Esatto!” esclamò Granminit, e forse era la prima volta che Kriystal li trovava d’accordo su qualcosa.
“Un momento” ragionò l’elfa: “il tuo discorso fila alla grande!”
“oh beh, grazie!” rispose arrossendo la grossa guardia.
“Grazie a te!” esclamò Kriystal, come illuminata: “forse faccio ancora in tempo!”
“In tempo per cosa?” domandò confuso Larminit, ma Kriystal era già sparita di corsa oltre la soglia d’ingresso del furore solare.
L’atrio principale si presentava come le poche volte che Kriystal aveva avuto occasione di abitarlo: due pregiate rampe di scale abbracciavano la sala circolare avvolta in una luce soffusa e si incontravano entrambe al piano di sopra, dove veniva direttamente all’occhio una splendente sfera sprigionante un concerto di raggi rossastri e poggiata su di un elegante piedistallo d’oro. Kriystal aveva sempre saputo che si trattava di un portale per luoghi vicini alla capitale, ma non aveva mai avuto l’onore di farne uso.
Tuttavia, la stanza dove le guardie dovevano avere condotto Vonch era infondo al corridoio di sinistra a pianoterra e proprio lì era diretta l’elfa, pronta ad aggrapparsi all’unica possibilità di riscattarsi nei confronti del prigioniero. Ed ecco che nel lasso di pochi istanti quattro figure lungo il corridoio cominciarono a farsi sempre più familiari: una era senza dubbio la guardia che aveva poco prima colpito Vonch con un pugno allo stomaco; la seconda figura era inconfondibilmente il giovane Soran, coetaneo di Kriystal, suo amico d’infanzia e figlio del giardiniere Noira;
gli ultimi due presenti erano il prigioniero Vonch ed un volto che Kriystal avrebbe desiderato incontrare per ultimo subito dopo quello del padre. Chidril stava lì, a guardare arrivare con altezzosità la giovane elfa, come se l’avesse già previsto.
“Chi abbiamo l’onore di presenziare quest’oggi!” recitò: “la giovane kriystallina, reduce dall’annuale delusione”. I suoi occhi violacei sempre pungenti, la sua voce sempre troppo sottile, le sue parole sempre destinate ad uccidere interiormente.
“Ho bisogno di parlare con mio padre” si limitò ad annunciare Kriystal, conservando la propria opinione sull’omicidio Noira a qualcuno di più affidabile del perfido Chidril.
“Kriystal!” esclamò Soran, con ancora i segni di un inarrestabile pianto sul viso: “che bello averti qui!” e strinse l’aspirante paladina in un ferreo e affettuoso abbraccio ignorando il resto dei presenti.
“Sono corsa appena ho saputo” ricambiò l’elfa: “è terribile ciò che è successo”.
Ora Soran la guardava negli occhi, come per verificare che fosse realmente lei, poi con un tono tra il triste e l’impassibile si pronunciò: “è dunque vero ciò di cui sono venuto a conoscenza? È lui il responsabile?” e con un cenno del capo indicò Vonch, il quale non mostrò la benché minima reazione all’ennesima forma di accusa.
“Ascoltami Soran” rispose l’elfa, portando le proprie mani al viso dell’amico: “vi sono dati sul telegramma inviatoci da Tranquillien che possono anche solo in minima parte provare l’innocenza di quest’elfo”.
Soran sembrava in ascolto, ma Chidril irruppe nella conversazione: “E sentiamo, paladina della giustizia..” infierì: “Sei venuta a conoscenza di tali informazioni quando stamani sei fuggita alla colonia di Tranquillien e sei scesa in rapporti con il qui presente traditore?”
“Voi come?..” provò a domandare Kriystal, presa alla sprovvista.
“Thehorde non si è mostrato un Warlock di parola” intervenne Vonch: “non ci ha pensato due volte a spiegare le dinamiche dell’arresto, la tua presenza compresa”.
Non c’era poi tanto da stupirsene. Kriystal sarebbe rimasta più sorpresa se a fare la spia fosse stato Bithah, che fino a quel momento si era mostrato disponibile e affidabile.
“Il suo compito era arrestare un traditore” spiegò soddisfatto Chidril: “e riceverà una medaglia quando gli altri sei signori di Silvermoon verranno a sapere che ne ha arrestati ben due!” e la sua risata compiaciuta inondò negativamente l’animo della giovane Elfa.
“Kriystallina non è una traditrice di Silvermoon!” tagliò corto Soran: “non oltrepassi la soglia delle sue competenze, eccellenza”.
“Giovane Soran” rispose Chidril, visibilmente incupito dalle affermazioni del figlio del giardiniere: “perdono le tue arroganti parole rivolte ad una delle sette più alte autorità della nostra corte per il semplice motivo che quest’oggi è un triste giorno per te e la tua famiglia”.
“La ringrazio” rispose Soran, senza distogliere lo sguardo dall’anziano signore di Silvermoon.
“Ti invito a tornare a casa da tua madre, la quale sarà in pensiero per il suo unico figlio” continuò Chidril, aggiungendo: “per quanto riguarda voi due, che al momento siete entrambi indagati, resterete sotto la stretta sorveglianza della guardia qui presente mentre io andrò a convocare il resto del congresso”. Soran annuì in silenzio, mentre Kriystal osservava Chidril allontanarsi lungo il corridoio, e già nella sua mente prendeva forma l’espressione del padre una volta venuto a sapere della sua tentata fuga. Non aveva mai temuto suo padre quanto quel giorno, in realtà non aveva mai temuto suo padre e basta. Nonostante Ermelaid si fosse sempre portato dietro alla sua figura un’ombra di severità ormai parte del suo carattere, più di una volta aveva lasciato intendere come sarebbe stato disposto a sacrificare la propria vita per sua figlia, unico membro insieme a lui della sua famiglia.
Infatti, se Kriystal poteva capire il dolore di Soran era proprio perché anche a lei venne a mancare la fondamentale figura della madre.
Ma almeno in quel momento Soran sembrò essere più in collera con Chidril che in lutto per il padre: “Crederti una traditrice..” mormorò tra  i denti: “quanto vorrei dargli una lezione a lui e alla sua cerchia di grandi capi dal muso lungo”.
“Non ne vale la pena” lo tranquillizzò Kriystal: “ora come ora desidero solo scoprire chi ti ha strappato tuo padre, e ti posso assicurare che Vonch non centra nulla. Non è un assassino”.
Vonch alzò lo sguardo, visibilmente grato e in parte sorpreso.
“Vorrei poterti credere” rispose Soran: “ma non riuscirai mai a convincere tuo padre, il vecchio Chidril e gli altri cinque. A loro basta avere un colpevole, un capro espiatorio”.
“Un momento!” esclamò all’improvviso Vonch rivolto al giovane amico di Kriystal, come se risvegliatosi da un lungo coma: “non hai alcuna intenzione di giustiziarmi!?”.
“Non finché non è provata la tua colpevolezza” ribatté tranquillamente Soran, come se non stesse parlando con il primo sospettato dell’omicidio del padre.
“Perfetto!” sembrò gioire il prigioniero: “allora potrai venire anche tu con noi! Non hai idea di quanto avremmo dovuto faticare se non fossi stato d’accordo!”
“Cosa!?!?”esclamarono Kriystal e Soran insieme, mentre la guardia –infastidita dalla confidenza del gruppetto- cominciò ad avvicinarsi ulteriormente.
“Ascoltatemi” spiegò Vonch a bassa voce, per evitare che la guardia che cominciava a farsi sempre più vicina potesse sentire: “Adesso noi tre fuggiremo da Silvermoon”.
“Sei impazzito!?” lo rimproverò Kriystal: “Forse non ti è chiara la tua posizione! Anzi, la nostra posizione!”
“Non capisci?” replicò Vonch: “questo è l’unico modo per dimostrarvi la mia innocenza! Non ho fatto nulla di quello di cui sono stato accusato, e infondo tu mi credi, Kriystal”.
L’elfa non poté ribattere, e Soran restò in silenzio.
“E come diavolo proveresti la tua innocenza?” riuscì a domandare Kriystal.
“Dobbiamo raggiungere un luogo” Provò a spiegare il prigioniero, ma la guardia era ormai troppo vicina.
“Voi due, indietro!” esclamò l’autorità, rivolta a Soran e all’elfa: “e per quanto riguarda a te non dimenticare che prima del tramonto potresti trovarti con la testa staccata dal collo!”
“Non lo dimentico mai” rispose a tono Vonch.
“E non osare rispondere!” urlò la guardia, tentando di colpirlo nuovamente con un pugno rivolto questa volta al viso. Ma ancora prima che Vonch potesse prepararsi ad incassare il colpo qualcuno aveva afferrato il braccio dell’aggressore e con una manovra tecnicamente perfetta glielo aveva portato dietro la schiena, slogandogli la spalla.
Kriystal subito non sembrò avere capito cosa stava accadendo, l’azione si era svolta nel lasso di pochissimi istanti e anche Vonch apparve incredulo.
“Allora?” domandò Soran, tenendo ancora la guardia in ostaggio: “qual è il piano!?”.
“Tu si che mi piaci!” esclamò Vonch, colmo di soddisfazione. Poi si rivolse a Kriystal, raggiungendola nuovamente con lo sguardo ed il sorriso che fino ad allora lo aveva contraddistinto: “Ti spiacerebbe slegarmi?”.
L’elfa fu titubante, ma il fatto che anche l’unica persona di cui poteva probabilmente fidarsi dentro le mura di Silvermoon si fosse appena schierata dalla parte di Vonch ed essendo quella persona il principale interessato del motivo che li stava spingendo a compiere una simile follia le permisero di trovare il coraggio di fidarsi ancora una volta. Così estrasse il suo pugnale e anche se non con un taglio netto riuscì comunque a liberare il prigioniero dalle corde ai polsi.
“Per mille Ally! Ora si che cominciano le danze!”
“Ci serviranno delle armi!” fece notare Soran.
Vonch provvide subito e con facilità sfilo la lancia alla guardia chiusa nella stretta del figlio del giardiniere.
“Dove credete di andare?” rise il nuovo prigioniero:“non potete uscire da Silvermoon e passare inosservati!”
“Certo” concordò Vonch, prima di colpirla violentemente al capo con il manico della lancia:“proprio per questo prenderemo il portale”.
Soran lasciò andare il braccio della guardia ormai priva di sensi, la quale si accasciò silenziosamente al suolo.
Kriystal provò ad elaborare quello che stava accadendo. Avevano appena aiutato un sospettato di tradimento e di omicidio a liberarsi dalla prigionia e ad aggredire una della guardie di grado B ed ora lo stavano addirittura aiutando a lasciare le mura di Silvermoon.
“Il portale?” Soran pretese chiarimenti sul da farsi.
“In cima alle due scalinate principali” spiegò Kriystal, avendo ben presente di quale portale si stava parlando.
“Il portale per Unedrcity” specificò Vonch, ignorando l’incertezza dipinta sui volti dei suoi due nuovi complici: “può traghettare un massimo di tre viaggiatori solo una volta all’ora. Giusto il tempo per allontanarci per bene prima di ritrovarci alle calcagna la compagnia imperiale.
Adesso andiamocene prima che torni il tuo paparino assieme a quell’odioso vecchio con le treccine”.
“Prima dimmi una cosa!” lo fermò Kriystal: “voglio che una volta arrivati ad Undercity ci spiegherai tutto quanto. Dal perché saresti stato accusato ingiustamente di tradimento e dell’uccisione di molte persone al rapporto che avevi con quei tuoi compagni che hai mandato al suicidio al fosso della morte”.
“Ti farò luce su tutto” giurò Vonch: “Ma adesso muoviamoci!”.
Il trio cominciò a muoversi furtivamente lungo il corridoio lasciandosi alle spalle il corpo della guardia e con essa la possibilità di provare la propria innocenza se catturati nuovamente.
“Non ci vengo da molto in questo palazzo” spiegò Vonch, senza smettere di correre: “c’è anche solo una piccola possibilità che abbiano spostato il portale, ma se nulla è cambiato deve trovarsi in cima alle scale nell’area Nord Est”.
“Allora l’hanno spostata” prese coraggio Kriystal: “è per di qua”. E condusse i compagni ai piedi delle due scalinate principali che terminavano al piano di sopra dove lucente si ergeva il portale per Undercity.
“In cima alle scalinate principali?” sbottò Vonch, senza comunque mostrare grande preoccupazione: “Una mossa geniale direi. È molto più al sicuro qui con un esercito di guardie a proteggerlo piuttosto che in un angolino tetro.
“Tuttavia” aggiunse rivolto a Soran: “Mi perdonerai se dico che in questo caso è una fortuna che Silvermoon sia scombussolata dalla morte di tuo padre, poiché come vedi abbiamo il via libera”.
“Non c’è nemmeno una guardia” notò a confermare Kriystal.
“Alcuni saranno lungo i gradini della corte del sole, altri sicuramente a proteggere la sala congressi dei sette signori” esaminò accuratamente il figlio del giardiniere: “Siamo davvero fortunati che non abbiano posto nessuno nell’atrio principale del Furore solare”.
“Approfittiamo di questa fortuna allora!” concluse Vonch. E tutti e tre fecero per percorrere la scalinata lungo la parete sinistra della sala, finché una volta arrivati nemmeno a metà strada un bagliore di luce improvviso sembrò colpirli in pieno ed un rumore di schianto assordò per qualche secondo il fine udito dell’elfa che non riuscì immediatamente a focalizzare la situazione.
“Fermi!” ordinò dal piano di sotto una voce familiare. L’intero atrio era inondato da una fumana dovuta probabilmente al danno che l’incantesimo lanciato dall’aggressore diretto a lei, Soran e Vonch, aveva invece inferto alla parete sopra di loro.
“Ci hanno mancati per un pelo!” ruggì Vonch: “maledetti!”.
“Chidril!” esclamò Soran. E finalmente anche Kriystal riuscì a riconoscere il vecchio signore di Silvermoon osservarli pacato dal piano di sotto e affiancato da cinque guardie armate. Doveva essere stata una di loro ad averli attaccati.
“Vi invito a costituirvi prima di commettere una follia” rimbombò nella sala la voce autoritaria di Chidril: “o almeno prima di costringerci a distruggere l’intero palazzo”.
“Non lo farà” scommette Soran a voce bassa.
“Lo farà eccome” lo corresse Kriystal, mostrando maggiore preoccupazione.
“Continuiamo a correre e vediamo” tagliò corto Vonch.
“Cosa!?” squittì l’elfa.
“Vuoi o no dimostrare la mia innocenza e scoprire chi davvero mi ha incastrato e ha ucciso il padre del tuo amico?”
“Kriystal” intervenne Soran, in tono di fiducia: “ha ragione lui. Ormai il danno è fatto”.
Kriystal si prese un secondo per ragionare.
“Kriystallina!” una seconda voce riecheggiò nell’aria. Ermelaid, signore di Silvermoon, era ora in piedi al fianco di Chidril: “è tuo padre che ti parla! Torna immediatamente giù, io so che non centri nulla con tutta questa storia!”.
L’aspirante paladina non poté reagire. Se avesse deciso di ascoltare suo padre sarebbe tutto finito e poche ore dopo avrebbe potuto lasciarsi l’avventura passata alle spalle.
“Vuoi davvero scegliere la strada più facile?” le domandò Vonch, trafiggendola con uno sguardo speranzoso.
“io..” provò Kriystal.
“Riformulo la domanda al suo posto” intervenne un’altra volta Soran: “è davvero la strada più facile Kristal?”
Soran aveva dannatamente ragione. Non era la strada più semplice scendere la scalinata e tornare tra le braccia dell’amato padre. Era la strada più breve, ma non di certo la più giusta. C’erano domande che necessitavano di risposte.
Nel profondo intensi obiettivi legavano lei a Soran e a Vonch: l’assassino di Noira, il traditore di Silvermoon. Nascondersi all’ombra del padre non le avrebbe permesso di scoprire la verità.
Kriystal strinse così forte le fredde ringhiere della scalinata cercando di spiegare al padre con il solo uso dello sguardo i motivi che la stavano spingevano a fare quello che stava per fare. Quest’ultimo era li che cercava allo stesso tempo di tradurre le intenzioni della figlia.
Ermelaid  aveva lunghi capelli corvini legati in una liscia coda che gli cadeva lungo la spalla sinistra e magici occhi color verde che lo contraddistinguevano dalla maggior parte degli Elfi del sangue. Occhi color eversong woods, li avevano definiti dei suoi fedeli.
“Figlia mia..” sussurrò, come se avesse capito all’improvviso la decisione che l’aspirante paladina stava per prendere.
“Mi dispiace, padre!” rispose ad alta voce Kriystal, liberando le ringhiere dalla sua presa.
“è la cosa giusta” la rincuorò Vonch.
“Lo sarà se facciamo in fretta!” esclamò Soran, una volta che le guardie al servizio di Chidril avevano nuovamente alzato le proprie staffe.
“Adesso o mai più!” incitò Vonch. E il trio riprese la propria corsa verso la cima della scalinata e verso la loro unica possibilità di fuga.
Al piano di sotto nel frattempo Chidril riprendeva il comando: “Al mio ordine fate nuovamente fuoco, e stavolta non è un colpo d’allerta”.
“Non osate fuoriuscire un incantesimo dalle vostre armi, giovani Warlock” avvertì improvvisamente Ermelaid, contraddicendo un suo pari.
“Sei impazzito!?” esclama Chidril: “Riusciranno a fuggire se non li fermiamo! Dobbiamo intervenire con la forza!”
“Non con mia figlia coinvolta!”
“E come faremo allora?” lo schernì infuriato l’anziano membro del congresso dei sette: “Lascerai tua figlia in mano di un assassino?”
“Dobbiamo agire con astuzia” spiegò calmo Ermalaid, dimostrando la sua autorità: “manderemo Thehorde, Bithah e Robil non appena il portale sarà libero. I fuggitivi, compresa mia figlia, sono disarmati e privi di viveri, cercheranno sicuramente di rifornirsi ad Undercity”.
Nel frattempo Kriystal e i suoi compagni avevano finalmente raggiunto la sfera rossastra che, ora che aveva la possibilità di vederla da vicino a che si apprestava ad utilizzarla, sprigionò una forte energia.
“Dobbiamo toccarla contemporaneamente!” spiegò Vonch, tagliando i particolari per la fretta.
“Ockai” rispose Kriystal: “Allora uno..”
“Due..” continuò Soran.
“Per mille Ally, tre!! “ urlò Vonch. E l’intero atrio parve inondarsi della luce rossastra prima imprigionata nella sfera ora che tutti e tre avevano appoggiato le proprie mani su di essa e Kristal si senti tutt’a un tratto piombare nel vuoto totale.
Volle cercare aiuto mentre cadeva nel nulla assieme al portale, ma quando cercò le scale che aveva appena salito, o le figure al piano di sotto di Chidril e di suo padre che stavano discutendo, non trovò altro che accecante luce.
“Tenete stretta la sfera!” si udì la voce di Vonch, ma Kriystal non lo vedeva. Decise comunque di seguire il suo consiglio.
Passarono ancora due secondi, forse tre, finché quella che sembrava una giostra infinita sembrò fermarsi di colpo e Kriystal si ritrovò in piedi, stretta alla sfera e accarezzata da un sottile venticello che le diede il benvenuto in un luogo sicuramente differente da quello cha aveva appena lasciato.
 
Nel frattempo nel furore solare la luce rossastra scaturita dalla sfera aveva smesso di abbaiare e quest’ultima ora non pareva altro che una comune palla di vetro posta su un piedistallo troppo pregiato. Tutti i presenti rimasti poterono riaprire gli occhi e riacquisire la percezione dello spazio.
“Se ne sono andati” concluse Ermelaid, l’amarezza nel cuore.
“Spero tu ne sia consapevole” rispose Chidril con il suo viscido tono pacato: “hai appena condannato a morte la tua unica figlia”.

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Capitolo 7
*** Trattative sotto Lordaeron ***


VII
Trattative sotto Lordaeron



“È stato fantastico!” esclamò Vonch, sbucato dal nulla poco distante da Kriystal e fiero di avere convinto i suoi due nuovi compagni a partire con lui.
“Sono atterrato in una pozzanghera!” si lamentò Soran.
Kriystal si concedette un minuto per capire dove erano stati catapultati di preciso, prima di esprimere opinioni.
Erano circondati da quelli che sembravano i detriti delle rocciose mura di un’antica rocca senza tetto. Il pavimento era anch’esso semidistrutto e dove non c’erano più parti in roccia presenziavano profonde pozzanghere di fango.
“Sono delle rovine?” domandò Kriystal, affidandosi alla speranza che Vonch sapesse dove si trovassero.
“Le rovine di Lordaeron” precisò il Warlock: “ma in accademia non studiate più questi luoghi basilari?”
“Per quanto mi riguarda non è la prima volta che prendo questo portale” spiegò Soran.
“Allora quella che ha tutto da imparare sei tu eh?” scherzò Vonch, ovviamente rivolto a Kriystal.
Quest’ultima sembrò non interessarsi troppo alle prese in giro. Era davvero curiosa di assimilare più informazioni possibili sul luogo dove si trovavano. Poi guardò in alto ed una distesa di nuvole grigie preannunciava pioggia, quando capì di non essersi trasportata all’interno della città sotterranea.
 “Ma non dovevamo teletrasportarci ad Undercity?” chiese.
“Beata ignoranza!” continuò a sbeffeggiare Vonch.
Soran rise anch’egli, ma si ricompose in fretta per rispondere alla domanda della sua compagna d’infanzia: “Ci siamo proprio sopra, Kriystallina”.
E tutto parve chiaro. Il portale li aveva portati alle porte di Undercity, e non direttamente al centro. Altra strategia contro invasioni nemiche, immaginò l’elfa, chiedendosi se per caso anche i reali di Undercity adottavano l’assurda strategia delle famiglie di alto rango di Silvermoon.
“Forza e coraggio” riprese Vonch, tornato finalmente serio: “dobbiamo assolutamente fare rifornimenti”
“Ed una volta fatto rifornimento dove andremo?” domandò tempestivo Soran.
“Avevi promesso di spiegarci tutto” ricordò kriystal.
“Fermi un secondo!” saltò Vonch sulla difensiva: “ve lo avrei spiegato una volta giunti ad Undercity! Mettiamoci in marcia, poi troveremo il tempo per parlarne”
I due complici improvvisati sembrarono accontentarsi temporaneamente del piano altrettanto improvvisato del Warlock fuggitivo, mentre senza finalmente correre cominciarono ad uscire dalla rocca nella quale erano stati catapultati per dirigersi alla città sotterranea.
“Gli abitanti sono principalmente Non morti” spiegava Soran nel frattempo: “e in buona parte sono tutti mercanti o comunque commercianti”.
“Possiamo entrare senza troppi problemi?” chiese Kriystal.
“I rapporti tra gli elfi del sangue e i Non morti sono migliorati negli ultimi anni” intervenne Vonch: “Non dobbiamo guardarci le spalle da loro. Piuttosto state in guardia ogni volta che intravvedete delle orecchie a punta dietro l’angolo!”.
“Dici che ci staranno stretti alle costole?” domandò Soran.
“I Signori di Silvermoon libereranno le loro bestie dal guinzaglio e non appena il portale sarà nuovamente accessibile ce li troveremo addosso” rispose Vonch: “Tehorde e compagnia saranno felici di potermi mettere nuovamente le mani addosso”.
“In un’ora cosa riusciamo a fare?”
“Prima di tutto dobbiamo armarci” disse il Warlock biondo: “ironia della sorte attualmente l’unica di noi tre a possedere la propria arma sei tu, Kriystal”.
“Il mio pugnale?” tradusse scettica Kriystal.
“Meglio di niente al momento” la consolò Soran.
“Ci avrebbe fatto molto più comodo la spada che avevi al fosso della morte” pianse sul latte versato Vonch: “Ma ora sarà ancora conficcata nella lardosa mano di Luzran.
“Luzran?” cercò spiegazioni il figlio del giardiniere.
“Una storia troppo lunga” tagliò corto Kriystal.
“Avete davvero combattuto contro Luzran!?” insistette Soran, mostrandosi estasiato.
“Ma solo io non sapevo chi era o cos’era quel bestione?” si spazientì Kriystal.
 E la conversazione procedette così, mentre usciti dalla rocca si trovarono a scendere dei gradini esterni in roccia che li condussero in quello che sembrava esser stato un tempo il giardino interno di quello che doveva essere una volta il castello di Lordaeron. La temperatura era nettamente inferiore a quella di Eversong woods e Kriystal solo ora sembrava averci fatto caso. Tutte le mura circostanti accompagnate dall’appassito suolo semierboso rendevano l’area di una tetra sfumatura grigiastra.
“Questo posto era davvero bello, un tempo” Ricordò Vonch tra sé e sé.
“Forza” incitò Soran: “Entriamo e vediamo di fare il più in fretta possibile”.
“E non goderci l’ospitalità dei vivaci Non morti?” scherzò il Warlock biondo.
Così Kriystal seguì il suo amico d’infanzia ed il suo nuovo estroverso compagno di avventura attraverso quella che doveva essere l’entrata di un’altra zona del castello che ovviamente si presentava come tutto il resto della struttura.
“Un tempo sarà anche stato un bel posto” pensò ad alta voce Kirystal, sfiorando con la mano sinistra l’arco d’ingresso mentre ne oltrepassava la soglia: “ma ora chiamarle rovine è assai poco”.
Vonch rise per la prima volta ad una battuta dell’aspirante paladina, che a sua volta non ne aveva fatta alcuna dall’inizio della giornata.
“Per di qui” guidò il sospettato traditore, passando attraverso un’altra arcata e scendendo una rampa di scalini che parvero essere comparsi all’improvviso.
“Geniale” annotò Kriystal.
“Questo non è geniale” la corresse Vonch. Effettivamente quello che sembrava un ingresso segreto nel terreno li portò ad un vicolo cieco: i gradini che Kriystal e compagni stavano scendendo li avevano condotti infatti d’innanzi ad una parete in marmo liscio apparentemente impossibile da rimuovere e priva di leve che permettessero l’apertura di chissà quale porta nascosta.
Ma ad un tratto, nel lasso di pochissimi istanti, un rumore determinò lo spostarsi di qualcosa. Senza che Vonch, Soran o Kriystal facessero niente la parete in marmo cominciò ad alzarsi improvvisamente, quasi fosse una serranda, ed aprì ai presenti un nuovo varco che parve finalmente portare all’interno della città sotterranea.
“Vedi?” si rivolse Vonch all’elfa: “questo è geniale!”
I tre varcarono il più velocemente possibile l’apertura realizzatosi d’innanzi a loro, la quale si richiuse automaticamente alle loro spalle proprio come si era attivata in precedenza.
“E adesso?” domandò impaziente Kriystal.
“Hai mai notato che meno chiedi e più le cose accadono da sole?” scherzò Soran.
Ma l’agitazione di Kriystal era più che comprensibile, poiché il varco che avevano appena oltrepassato li aveva condotti a sua volta in uno stretto perimetro senza via d’uscita. Una sorta di piccola stanzetta decorata da fregi risalenti probabilmente a tempi lontani e spesse pareti rocciose, tranne quella in marmo che li aveva invitati ad entrare.
Passarono pochi secondi nei quali l’aspirante paladina tentò di non assillare i suoi due compagni più esperti di lei, quando un rumore simile al meccanismo scattato poco prima sembrò riprendere vita e la lastra marmorea si rialzò una seconda volta. Ma ciò che si presentò d’innanzi ai tre protagonisti non erano le antiche rovine divorate da erbacce millenarie, bensì quello che sembrava finalmente un corridoio sotterraneo vigilato da due mostruose guardie armate di ascia. Kriystal riuscì a mantenere la calma solo grazie al riconoscimento dello stemma dell’Orda che le due guardie riportavano sui propri abiti, altrimenti avrebbe giurato che potessero essere tranquillamente i cuccioli di Luzran.
“Sono innocui, nonostante l’aspetto leggermente putrefatto” le confermò Vonch.
Così il trio sorpassò le due guardie che rimasero immobili come due colonne. Immobili come tutto in questo posto, pensò Kriystal.
Ma passando attraverso l’essere putrefatto di sinistra poté sentire il suo respiro pesante, dovuto probabilmente al lardo sovrumano, ed un forte tanfo di morte. Non volle analizzare un istante in più i primi esseri viventi che aveva incontrato ad under city, così se li lasciò alle spalle con la ferma convinzione di non voltarsi indietro.
“Rabbrividisci?” tradusse il suo sguardo Soran.
“Poche ore fa sono stata scaraventata in aria da un mostro poco più grosso di quei due. Devo semplicemente farci l’abitudine”.
“Non esistono solo i Non morti che girano per Eversong Woods, questo lo avrai capito” le spiegò Vonch: “Ma non vedrai all’interno di Azeroth specie di non morti differenti da quelle che troverai qui ad Undercity”.
“Questa è la loro capitale” continuò Soran, in veste di guida turistica: “Un luogo molto più civilizzato del fosso della morte, ma comunque abitato da creature trapassate e maledette per l’eternità”.
“Se state cercando di convincermi ad aspettarvi di sopra” li avvisò Kriystal, parzialmente intimorita: “ci state riuscendo”.
Soran e Vonch risero, poi il primo riprese: “Non devi temere, Kriystallina. Sono molto più ospitali di quel che credi”.
“E poi da quel che ho potuto capire tu vai molto d’accordo con i Non morti” scherzò Vonch.
Renzithen, pensò Kriystal. Poi la domanda sorse spontanea: “Ma tu come!?”
“Tranquillien” spiegò Vonch, continuando a percorrere il corridoio che sembrava non portare da nessuna parte: “mentre mi conducevate alla stazione di volo hai salutato qualcuno infondo alla folla. O aveva mangiato molto poco negli ultimi tempi, o era uno spiritello della terra fantasma, o semplicemente era un Non morto”.
Kriystal aveva potuto notare anche precedentemente come Vonch riuscisse ad accorgersi dei particolari anche più nascosti, come l’angoscia dell’elfa nel volo di ritorno a Silvermoon. E in questo, pensò Kriystal, era molto simile a Soran.
Il tunnel sotterraneo che stavano attraversando da qualche minuto cominciò ad essere avvolto da suoni e brusii provenienti in lontananza, quando svoltato l’angolo il centro di Undercity si mostrò finalmente agli occhi estasiati di Kriystallina, la quale dovette trattenere il respiro: La città era scavata nell’entroterra ed era distribuita su diversi piani circolari lungo i quali risaltavano come piccole lanterne le luci degli ingressi delle diverse botteghe. L’intera area era illuminata a lume di candela e da una particolare luce verdastra provocata in prevalenza dai canali sottostanti colmi di una strana acqua mistica e fosforescente.
“Quella non è nulla di eccezionale” precisò Vonch, una volta intuiti per l’ennesima volta i pensieri di Kriystal: “quella invece decisamente si!” aggiunse, mentre con un braccio destro indicò proprio al centro del girone di anelli un’enorme struttura rivestita in roccia che congiungeva attraverso dei ponti tutti gli altri piani. Era il vero e proprio epicentro della città, e la cosa più inquietante sembrava essere quell’enorme calderone che bolliva e pendeva sulla testa di tutti gli abitanti.
“Di certo è caratteristico” notò l’Elfa, non riconoscendo nei vivaci abitanti di Undercity nient’altro che morti che camminano.
Fu proprio al centro della città che i tre si diressero per godere del singolare panorama che si prestava ai loro occhi: chiacchierii tutt’altro che sussurrati, urla gioiose tra conoscenti, visi putrefatti ma comunque accoglienti.
L’intera città sotterranea appariva agli occhi di una nuova arrivata come Kriystal  come una gioiosa cerimonia senza fine. E se non fosse stato per la prevalenza netta di Non morti pensò che non era poi tanto diverso da Silvermoon nei giorni di festa. Anche lì, a metri e metri al di sotto della superficie, mercanti dai mille volti chiamavano a sé i passanti per rifilargli la più svariata merce.
“Scarafaggi da compagnia, signorina? Con un po’ di fortuna le potrebbero salvare anche la vita!” Kriystal evitò col maggior garbo possibile l’offerta dello sfigurato negoziante il quale le dedicò comunque un avariato e cordiale sorriso.
“Non sono così terribili, visto?” scherzò Soran.
“La città è davvero incredibile” esclamò Kriystal: “mentre per gli abitanti, beh, ci si può fare l’abitudine!”.
“Riguardo all’architettura non hai ancora visto niente” la informò il suo compagno d’infanzia, ben preparato: “vedi quei cunicoli lungo le passerelle circolari e alternati ai negozi?” kriystal seguì con lo sguardo l’indicazione dell’amico: “sono tutti strettamente collegati a migliaia e migliaia di canali!”.
“Non avrai pensato davvero che la famigerata città sotterranea si limitasse ad un grande ed accogliente buco?” la prese in giro Vonch.
“Per come mi andavano le cose a Silvermoon fino a qualche ora fa non ho nemmeno mai pensato che avrei visto tutto questo con i miei stessi occhi” confessò l’elfa, smascherando definitivamente la sua gratitudine nei confronti dell’elfo che, nonostante le maniere, la stava accompagnando attraverso le porte di quello che per lei era un nuovo mondo.
“Pensa che questo è solo l’inizio”.
“Lo spero bene”.
“Ma adesso coraggio!” ingranò Vonch: “Ho bisogno di un’arma”.
“E dove hai intenzione di prenderle, dall’acconciatore?”
“No, ma tu avresti bisogno di un bel taglio ai capelli!”. Kriystal si mostrò offesa.
“Ci procureremmo i rispettivi armamenti là” e indicò una piccola bottega sul secondo anello: “Lì è stata incantata l’arma della regina di Undercity”.
“Un fabbro reale!?” intervenne Soran, per la prima volta sconcertato: “ Non pensi che sia rischioso? Potrebbe consegnarci direttamente alla regina se sapesse che siamo dei fuggitivi!”
“Quel fabbro mi conosce molto bene” rispose pacato Vonch: “è lui che mi ha sempre coperto fino ad oggi!”
“Negoziante di fiducia, allora”  ironizzò l’elfa, timorosa comunque di come si sarebbero potuti svolgere gli eventi seguenti.
Così abbandonarono l’isoletta al centro per raggiungere il piano del fabbro e Kriystal tornò a scrutare le strane caratteristiche dell’acqua sottostante ai ponti di collegamento: “Acqua magica?” ipotizzò ad alta voce.
“Più acqua sudicia, la definirei” rispose Vonch, senza interrompere il cammino: “Non c’è bisogno di fissarsi con quella melma, non ha nulla di straordinario. Ricordati che siamo praticamente nelle fogne dei regni orientali settentrionali. In queste acque scorrono scarichi di tutti i generi, da ogni tipo di pozioni a tutte le dimensioni di escrementi di nani”. Con l’ultimo paragone Kriystal si inorridì e distolse la propria attenzione dal fluido incantato.
Il trio si recò così in brevi istanti all’arco d’ingresso scavato nella pietra della bottega del fabbro.
“Salute a voi stranieri!” esclamò il mercante con calore. Egli era un Non morto dall’aspetto non troppo morto a differenza dei suoi fratelli. Pareva più un uomo molto magro e molto bisognoso di un bagno caldo.
“Ceppo! Vecchio mio!” entrò Vonch, con l’aria di un amico di vecchia data.
“Che mi crollino le rovine in testa!” imprecò l’altro, incredulo: “Caro la’derantel! Credevo oramai che ti avessero catturato!”
Gli ha dato un nome falso, pensò Kriystal, questo era il modo in cui Vonch si fidava delle persone? Sempre che Vonch fosse il suo vero nome.
“Dimentichi come mi chiamano, fabbro? Io sono un rivoluzionario,un ribelle! Nessuno mi avrà vivo”.
“Tu sia lodato, mio caro rivoluzionario dei regni orientali!”
Rivoluzionario dei regni orientali. Dopo questo soprannome Kriystal fu ad un passo dal tornarsene a Silvermoon.
“Ebbene” continuò Vonch, o La’derantel, o rivoluzionario dei regni orientali: “hai ciò che ti ho richiesto nell’ultimo messaggio?”
Kriystal sapeva cos’erano andati a cercare nei meandri di Undercity, ma non riusciva a capire come Ceppo il fabbro potesse esserne già al corrente.
“Certo che si!” rispose quest’ultimo: “non mi è stato affatto facile prepararla ed incantarla in così poche ore, ma la riparazione degli scudi dell’esercito della regina possono attendere non è vero?”
E due risero delle proprie seguenti battute, legati da una complicità che estraniava totalmente dal contesto gli altri due presenti.
“Come hai fatto a prevedere che avresti perso la staffa nel combattimento contro Luzran?” cercò chiarimenti Soran, mentre Ceppo il fabbro cominciava a rovistare disordinatamente sotto il bancone polveroso per poter consegnare la mercanzia.
“Semplice, non ho previsto nulla” spiegò Vonch, che vista l’espressione confusa dei due compagni decise di continuare: “ho mandato il mio spirito da compagnia a consegnare il messaggio qui giù!”
“Il tuo spirito? Ma credevo che fosse..” provò Kriystal.
“Morto?” la interruppe Vonch: “Per mille Ally! È uno spirito!”
A stento il Warlock biondo conteneva la propria fierezza per le azioni compiute, mentre finalmente il mercante riemerse dalle cianfrusaglie mostrando con orgoglio la propria creazione.
In principio l’arma era coperta da una panno in cuoio, ma una volta presa in mano Vonch cominciò a mostrarne la maestosità liberandola sul bancone in legno.
“Fantastica!” esclamò Soran, visibilmente sorpreso, e fantastica effettivamente lo era davvero: era una staffa palesemente in salice, riconoscibile dagli sfregi naturali del particolare materiale, e avvolta da eleganti incisioni decorative lungo tutto il corpo, culminando all’apice con una preziosa pietra color rame.
“Il manico è uno degli ultimi modelli” entrò nello specifico Ceppo, molto più esperto degli altri presenti: “nulla da invidiare all’Anathema, e per utilizzarla almeno non devi fingerti un prete per la gioia di qualche Eterno; la pietra è un minerale estratto dagli scavi della penisola Infernale, mentre le decorazioni sono opera di un sottovalutato artista del Sud di Kalimdor”.
“E l’hai realizzata in così poco tempo?” domandò esterrefatta Kriystal.
“Graziosa fanciulla, io l’ho solo assemblata ed incantata!”
“E riguardo a quest’ultima procedura cosa mi sai dire?” si intromise Vonch, essendo dopotutto il diretto interessato.
“La sensibilità e superiore rispetto all’ultima che ti ho fabbricato ed è tutto merito del minerale che si è rivelato un ottimo conduttore di mana della tua portata. Mi sono arrivate solo tre pietre di questo genere e le altre tre sono destinate ad autorità imperiali”.
“Roba forte!” concluse Vonch, studiando ulteriormente la propria arma: “sei unico nel tuo genere vecchio mio!”
“Dammene una anche a me!” irruppe con tono imperativo Soran, un’uscita che Kriystal inizialmente non riconobbe nel carattere del proprio compagno d’infanzia. Ma dovette ammettere a sé stessa che negli ultimi anni aveva in parte trascurato il proprio rapporto con il figlio del giardiniere, e non poteva forse più affermare di conoscerlo affondo essendo nella natura d’ognuno il fattore cambiamento e crescita.
“Questo è un giro d’affari, orecchie appuntite..” rispose Ceppo, visibilmente restio dal modo di approcciarsi dello straniero: “tuttavia qui sotto da qualche parte dovrei avere qualcosa di base che possa fare al caso tuo” e affondò nuovamente nei meandri della merce ammucchiata in un sinistro ordine sotto al bancone.
“E quelle due staffe?” insistette Soran, deciso a non esser da meno al proprio compagno e notando che le due staffe delle quali stava parlando erano avvolte in panni uguali a quello che avvolgeva l’arma appena consegnata a Vonch.
“Quelle sono le due staffe che vi ho anticipato prima” spiegò Ceppo, spazientito: “non sono per te, andranno all’esercito di sua maestà la regina. Ma che ne dici di una bella lama lunare o di un arco del Nord?”.
Soran rifiutò fisicamente le armi che il fabbro gli aveva poggiato d’innanzi, e senza batter ciglio, come ogni buon intenditore di mercato, spiegò: “Io sono un Warlock!”
“Un Warlock?” gemettero Kriystal e Vonch in contemporanea, non aspettandosi una rivelazione del genere.
Soran cominciò a cercare qualcosa nella propria borsa senza dare ulteriori spiegazioni, finché non estrasse un rotolo di pergamena riportante lo stemma dell’Orda.
“Tu hai superato l’esame di ammissione?” domandò Kriystal, travolta da diverse emozioni, da gioia per il proprio compagno mista traccia d’invidia: “perché non me lo hai detto?”
“Era un sogno che non condividevamo da molto tempo, Kriystallina” confessò Soran, regalandole comunque un sorriso: “è anni che non ti vedevo presenziare all’esame, così quest’anno ho deciso di farmi avanti da solo”.
Kriystal volle per un momento spiegare che non era colpa sua, che suo padre la rimandava all’ovile rinfacciandole l’inefficienza di una figura femminile nell’esercito di Silvermoon, ma prevalse istintivamente il sentimento di amicizia nei confronti del giovane, e si arrese di conseguenza: “Sono orgogliosa di te Soran! Era da tanto che inseguivi anche tu questo sogno, tuo padre ne andrebbe fiero!”.
“Ne è andato fiero infatti” rispose Soran, tornando improvvisamente cupo: “per pochi minuti, prima di morire sul ciglio di una via isolata al centro del regno che lui ha servito per centinaia di anni” poi si rivolse nuovamente al fabbro: “e perché la verità sulla morte di mio padre è la causa di questo nostro viaggio che io ho bisogno di un’arma. Di un’arma degna” specificò.
Vonch rimase in rispettoso silenzio.
“Ho saputo dell’uccisione di Noira. Le voci arrivano in fretta qui giù” rispose Ceppo, con tono di dovuta compassione: “e certo non mi aspettavo che tu arrivassi altrettanto velocemente. Tuttavia, il tuo titolo di soldato di Silvermoon odora ancora di agnello al sangue. Non sei pronto per oggetti superiori alle tue capacità” e con la mano sinistra gli riavvicinò la spada denominata Lama lunare che il giovane Elfo aveva respinto.
“Sempre meglio di niente!” stroncò Vonch, con il tono di chi giustifica le burrascose maniere di un compagno d’avventura e rompendo la tensione che si era creata: “Offro io! Quanto ti devo Ceppo?”
“Solo perché sei tu facciamo un totale di trentasei ori!” rispose il fabbro, riacquisendo anch’egli un’aria più leggera. Soran sbuffò e mormorò qualcosa di impercettibile persino per il fino udito degli altri due compagni Elfi, poi si girò da un’altra parte distogliendo l’attenzione dal mercante che lo aveva involontariamente insultato.
“Ed io?” intervenne Kriystal, lasciando perdere un istante il comportamento permaloso di Soran e concentrandosi sul fatto che la stavano lasciando fuori dalle trattative: “Anch’io voglio un’arma!”
“Te hai il pugnale, Rossiccia!” la prese in giro Vonch, che si dovette ricredere a forza una volta vista l’espressione di rimprovero dell’Elfa: “E va bene, va bene! Vecchio mio cosa può andare bene per un’aspirante..?”
“..aspirante paladina!” completò la frase Kriystal.
“La scelta è molto vasta!” rispose Ceppo.
“Un’ascia forse?” fece l’Elfa.
“Un’ascia!? Per te!?” la stizzì Vonch prima di scoppiare in una fragorosa risata: “non riusciresti nemmeno ad impugnarla!”
“Ti sbagli!” replicò lei.
“Suvvia La’derantel!” il fabbro rimproverò amichevolmente Vonch: “Qui ad Undercity non trattiamo così le damigelle!” poi si rivolse a Kriystal: “purtroppo non mi è rimasta molta mercanzia pronta sul momento, ma se mi fai dare un’occhiata dovrei avere ancora forse.. Ah! Eccola qua!”
Quella che Ceppo appoggiò in seguito sul bancone di legno era una semplice spada base pressoché identica a quella che era stata dimenticata trafitta negli arti di Luzran, e Kriystal ne rimase particolarmente delusa, ma al contrario dell’amico Soran lei si accontentò essendo nel suo carattere portare rispetto a chi si prendeva la responsabilità delle spese.
“A posto!” concluse Vonch, una volta pagato tutto e fatto risuonare la dolce melodia di trentasei ori e cinquanta argenti sul palmo crostoso e costoso del mercante: “con questo abbiamo finito! Alla prossima vecchio mio!”
“Alla prossima rivoluzionario dei regni orientali!” esclamò Ceppo ai tre avventurieri che nel frattempo si dirigevano all’uscita della bottega ed esibendo un giallastro ma cortese sorriso: “E ricorda! Nessuno ti avrà vivo!”
“Puoi dirlo forte!” urlò a sua volta Vonch, oramai sotto l’arco d’ingresso. Ma com’era la maggior parte delle volte gli eventi imprevisti si svolsero nel lasso di pochi istanti, bastanti comunque a far arrivare il cuore in gola alla giovane Elfa: Vonch si ritrovò la lama ricurva dell’arma di Robil puntata alla gola, mentre una seconda figura dietro all’assassino mostrò per la prima volta una sorta di sorriso beffardo e divertito: “Sarebbe meglio se ti facessi prendere vivo, grazie”. Kriystal era così assopita nella smorfia di Thehorde che quasi rise alla sua battuta, quando un urlo stonato da dietro di loro la scosse violentemente: “Scappate!..” ordinò il fabbro Ceppo, che con una strana posizione delle mani aveva incanalato nel frattempo un’accecante luce verdognola: “..ora!” ma non fece in tempo a scatenare la propria magia che Thehorde rispose con un gesto di staffa e in un istante tutta la bottega del fabbro fu colpita da un urto paragonabile allo scoppio di un ordigno e gli armamenti e l’arredamento del negozio saltarono in aria e in tutte le direzioni.
Ceppo si buttò a terra per lo spavento e scoppiò in un pianto isterico tentando di raccogliere quello che era rimasto delle sue cose. Thehorde gli si avvicinò minacciosamente fino ad avere lo sporco viso del mercante vicino ai suoi stivali: “Discuteremo dopo del perché un fabbro reale protegga un gruppo di fuggitivi”. Ceppo implorò pietà e imprecò qualcosa nella lingua dei morti, poi si alzò umilmente e si mise a sistemare il locale.
Thehorde ritornò ai tre tenuti sott’occhio da Robil, mentre Kriystal non poteva fare altro che chiedersi dove fosse l’unico membro della compagnia imperiale che le aveva portato un minimo di rispetto, ma non osò domandare in un momento del genere i motivi dell’assenza del paladino Bithah.
“Coraggio fratello!” Robil si rivolse a Vonch: “vediamo questa volta di non peggiorare le cose, non abbiamo alcuna intenzione di farvi del male!”
“E come potete assicurarmi che non appena fuori dalla portata delle leggi di Undercity non mi decapiterete seduta stante?” replicò Vonch.
“Perché se non fai come diciamo” rispose direttamente Thehorde: “possiamo sempre chiedere cosa ne pensa la regina di questa terra, cosa ne dici?”
Nel frattempo fuori dal negozio si era radunato un certo numero di persone incuriosite dal frastuono proveniente dal piano del fabbro, mentre durante il battibecco oramai di routine tra la legge e i fuorilegge l’unico lasciato in disparte dal mirino della compagnia imperiale in quel momento era Soran, che non era ancora stato preso in considerazione. Quest’ultimo era in panne almeno quanto Kriystal, finché non si rese conto del lato positivo del colpo che Thehorde aveva scatenato al locale. Insieme a tutti gli oggetti e i gingilli saltati in aria proprio una delle staffe riservate all’esercito di Undercity era finito vicino al figlio del giardiniere.
Soran constatò più volte se valeva la pena compiere un gesto folle che gli si sarebbe potuto ritorcere contro, quando notò che Kriystal aveva intuito ciò che aveva intenzione di fare. L’Elfa cercò di guardarlo dritto negli occhi, mentre Thehorde elencava a Vonch tutti i delitti, i furti e le fughe di cui era accusato e per le quali lui e i suoi due complici erano in arresto, ma il Warlock rosso era proprio questi ultimi che aveva sottovalutato.
Una volta che Kriystal fu certa che erano tutti presi dalle risposte puntigliose di Vonch, senza domandarsi se quest’ultimo aveva scoperto l’unica possibilità di fuggire che i suoi due compagni avevano a portata di mano e stava cercando appositamente di distrarre i due ufficiali o meno, fece cenno a Soran di agire. Quest’ultimo annuì e in pochi secondi aveva compiuto una capriola in direzione della staffa, la impugnò furtivamente e la puntò verso Robil: “Nulla di personale!” precisò, prima di scaraventare in aria l’assassino con una potentissima onda violacea scaturita dalla nuova arma.
Thehorde fece per rispondere più velocemente del previsto, quando dal nulla una grossolana creatura gli si scaraventò addosso trasformando il combattimento in un corpo a corpo. Ci mise poco Kriystal questa volta a riconoscere lo spirito da combattimento di Vonch: “Bella mossa!” si complimentò di conseguenza con il Warlock fuggitivo.
“Coraggio filiamocela!” ordinò quest’ultimo, mentre la folla di Non morti intimoriti e curiosi non ci pensò due volte ad aprire un passaggio ai fuggiaschi e a permettergli di scappare. Kriystal, Vonch e Soran -che nel frattempo si era tenuto sia la spada acquistata che la staffa presa in prestito- si ritrovarono ancora una volta a seminare gli ufficiali della legge confondendosi con i festosi abitanti della capitale dei Non morti e stavolta con dalla loro parte migliaia e migliaia di canali sotterranei. 

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Capitolo 8
*** Sotto attacco ***


VIII
Sotto attacco

 

 “Sono sconvolto!” esclamò Vonch estasiato come non mai, senza interrompere la sua frenetica corsa e compiendo inimmaginabili manovre atletiche tra un Non morto e l’altro: “Giuro, davvero non me l’aspettavo!”
“Pensiamo a correre!” consigliò Soran col cuore in gola, anch’egli incredulo per le azioni appena compiute.
“No dico davvero! Per mille Ally voi due si che mi piacete gente!” insistette il Warlock biondo.
“Ora cosa facciamo? Sarebbero dovuti arrivare dopo un’ora, perché è andata diversamente!?” urlò Kriystal, che non trovò alcun motivo per festeggiare, ma solo interrogativi su una via di fuga, mentre percorrevano in tutta fretta gli anelli circolari attaccati alla parete rocciosa.
“Lecita domanda, rossiccia! A quanto pare hanno delle cavalcature molto più veloci delle nostre, sono arrivati per terra ferma!” ipotizzò Vonch.
“Dobbiamo infilarci in uno dei canali!” suggerì Soran.
“No, no!” lo corresse l’altro, riacquistato forse e finalmente il senso del dovere: “è ora di imboccare la mia uscita secondaria!”
“La tua che..?”  fece Kriystal.
“C’è un’altra uscita, in genere utilizzata per le creature da trasporto volanti e porta direttamente in superficie!”
“È perfetta! Ma come la raggiungiamo!?”
“Scendiamo ancora di un piano!” Ordinò Vonch: “dobbiamo entrare al secondo canale dopo il negozio di  bestiame!”
E così agirono, corsero velocemente ed interrottamente fino al raggiungimento a spirale del piano inferiore, passarono d’innanzi agli ingressi delle più impensabili botteghe, finché giunti ad un arco sotto al quale sfilava un fitto via e vai di persone –o quasi- Vonch fece cenno di unirvisi.
Si trovarono di seguito in lunghissimo ed amplissimo cunicolo molto simile ad una grotta di dimensioni titaniche e piena di abitanti del luogo che scorrazzavano avanti e indietro per le loro commissioni quotidiane. La superficie sulla quale era possibile marciare era divisa in due navate da un canale contenente la melma fosforescente composta da pozioni e rifiuti di ogni genere, e l’unico modo per spostarsi da una parte all’altra era attraversare piccoli ponticelli dai quali a fatica passava la folla di gente frettolosa e rumorosa.
“Per quanto sia difficile trovarci al centro di questo bolgia” urlò Vonch per potersi fare sentire dai propri compagni: “dobbiamo fare molta attenzione e passare inosservati! Seguitemi ed io vi condurrò all’uscita!”
Né Kriystal e nemmeno Soran questa volta osarono pretendere maggiori dettagli o domandare qualsiasi cosa, erano troppo intenti a salvarsi la pelle e se avessero deciso di non fidarsi di Vonch avevano avuto già avuto più occasioni per lasciarlo nelle mani della compagnia imperiale. Così continuarono a seguire la loro guida attraverso il fiume in tempesta di creature dell’entroterra, quando un nitrito di cavallo poco distante li costrinse ad arrestarsi all’improvviso.
Anche il resto della folla sembrava essersene accorta e da lontano cominciava a crearsi sempre più veloce un varco dal quale si faceva strada in arrestato colui che Kriystal riconobbe immediatamente come il paladino Bithah.
“Cosa facciamo ora!?” cercò subito Soran aiuto in Vonch, anch’egli visibilmente preso alla sprovvista dall’imminente arrivo del nemico.
“Ci deve essere un’altra via, Vonch!” scavò nuove iniziative Kriystal, tentando questa volta d’esser la prima a mantenere la calma.
“Qui è pieno di altre vie” rispose il Warlock biondo: “bisogna solo sperare di non finire in un vicolo cieco! Seguitemi!” e quatto accompagnò i due compagni dietro ad una robusta colonna al lato del complesso. “Qui siamo in disparte, forse passa senza averci in nota!” sperò Soran.
“Sottovaluti i paladini” lo corresse Kriystal, che i paladini li aveva studiati un’infanzia intera: “quella che hanno attuato è in realtà una strategia base di un raid, soprattutto se il campo dove ci si muove è intrinseco come Undercity”.
“L’infante ha ragione” confermò Vonch, senza mancare comunque l’ironico insulto: “Non ci rimane che l’evocazione delle nostre cavalcature!”
“Gli abitanti ostacoleranno troppo la nostra fuga in questo modo!” mirò subito ai contro Soran.
“Hai visto i loro comportamenti quando siamo fuggiti dalla bottega e alla comparsa del paladino in sella? preferiscono scansarsi piuttosto che farsi pestare!” placò i suoi dubbi Vonch.
“E come dargli torto, nemmeno io voglio essere pestata” constatò l’Elfa, dichiaratamente preoccupata.
“Suppongo tu non abbia ancora un cavallo” Si rivolse Soran a Kriystal: “monterai in sella con me!”.
“Posso starvi dietro anche col mio Silbar!”
“Per quanto mi riguarda non ho intenzione di restare qui ad aspettare l’intervento di sua maestà la regina dei reietti in persona!” espresse la sua opinione Vonch.
La storia di Sylvanas, l’attuale regina della città sotterranea e dei Non morti, Kriystal la conosceva molto bene, poiché a Silvermoon era ricordata come un’eroina e beniamina della capitale stessa.
Se ne parla al passato perché i suoi tempi di gloria in vita si conclusero quando Kriystal aveva appena una decina d’anni e il seguito della storia ed il come una ranger di Silvermoon potesse divenire la regina del popolo dei reietti dovette studiarla sulle carte riportanti le guerre e i cambiamenti che esse portarono: ai tempi una misteriosa pestilenza cominciava a gravare a Nord di Lordaeron, dove ora si trovavano i nostri protagonisti, e la corruzione che questa portava nell’animo di ogni creatura venne scoperta come la conseguenza degli artifici che un sinistro sacerdote di nome Kel’Thuzad, sotto gli ordini dell’oscuro signore Ner’zhul, praticava sul grano. Molto presto i contemporanei si resero conto che si trattava di un vero e proprio oscuro flagello -da qui il nome del fenomeno che esso provocò- e  Arthas, l’allora giovane principe del regno di Lordaeron, decise di provvedervi uccidendo personalmente Kel’Thuzad, ritenendolo unico responsabile della diffusione del Flagello. Ma il nobile principe dall’oscuro potere ne fu prima soggiogato ed inseguito ne divenne maggiore esponente. Nella lunga corsa alla continua ricerca dell’energia necessaria per accedere agli oscuri poteri che avrebbero reso terribilmente famoso il principe Arthas per soddisfare le oscure esigenze di Ner’zhul, colui che prima era il paladino del regno degli umani si recò a Silvermoon intenzionato a usufruire della diretta energia di una mistica fontana chiamata il Pozzo solare per riportare in vita il sacerdote al quale lui stesso aveva tolto la vita.
Arthas invase la capitale elfica con successo e si trovò faccia a faccia con la sua miglior combattente: la ranger Sylvanas Windrunner. Ella cadde in battaglia per mano dello stesso, che insoddisfatto la resuscitò in stato di Non morte e la mise a capo di una delle fazioni più terribili dell’impero che stava per nascere.
La storia racconta che tornato a Lordaeron, ucciso il padre e proclamatosi Re della stessa, Arthas subì un momento di affievolimento dei propri poteri dovuto al parallelo indebolimento dell’oscuro signore Ner’zhul causato dalla crepa che si era venuta a creare al suo trono ghiacciato dove egli giaceva, e in quel momento molti dei signori oscuri che egli comandava ne approfittarono per ribellarsi. Il Re Arthas, sotto consiglio dell’ormai unico fedele Kel’ Thuzad, decise di recarsi ai piedi del trono ghiacciato dove il suo Re dei lich risiedeva, e da egli cercare aiuto. Da quel momento di colui che un tempo era il più valoroso paladino di Lordaeron non si seppe più nulla.
Nel frattempo la capitale in rovina veniva espugnata dalle grinfie di Kel’Thuzad per mano degli altri signori oscuri guidati dalla nuova leader banshee Sylvanas Wildrunner, la quale conseguentemente verrà eletta regina del popolo dei Non morti fuggiti dalla furia del Flagello e costruirà il proprio regno sotto le fondamenta di quella che una volta era la fortezza del più grande regno orientale: nacque così Undercity.
“A me non spiacerebbe conoscerla!” commentò Kriystal.
“Allora resta pure qui se vuoi!” la dovette rimproverare Vonch: “ma se non vi siete già dimenticati di essere dei fuggitivi decidetevi a seguirmi!” e con quest’ultima uscita evocò il suo destriero infuocato, la classica razza affibbiata ai Warlock, identica a quella di Thehorde e a quella che pochi istanti dopo comparì dalla fuoriuscita di mana di Soran.
“Allora siamo d’accordo!” concluse quest’ultimo, porgendo la mano destra verso Kriystal essendo egli già in sella. L’elfa si mostrò ancora restia, sentirsi inferiore in ogni situazione non era nei programmi della sua giornata, eppure sembrava l’unica cosa che le riusciva bene.
Ma alla fine fu costretta ancora una volta a rassegnarsi all’aiuto altrui, quando dalla loro destra giungeva sempre più vicino il suono degli zoccoli della cavalcatura di Bithah e da sinistra cominciava ad udirsi l’avanzare delle guardie di Undercity.
Così Kriystal saltò in sella con Soran, mentre Vonch guidava la corsa. Era la prima volta che Kriystal montava una cavalcatura da Warlock e solo ora risolveva un quesito che inconsciamente si era sempre posta: le fiamme che fuoriuscivano da ogni poro della superficie del cavallo erano di una consistenza mistica che impediva a chi ne entrava in contatto di ustionarsi, e allo stesso tempo doveva essere un ottimo mezzo di riscaldamento nelle marce lungo terre fredde e ghiacciate.
“Coraggio, più veloce! Più veloce!” incitò Vonch, mentre il suo destriero sembrava fare il massimo per obbedire. Erano veloci, forse più veloci del paladino e sicuramente in vantaggio sulle guardie Non morte, ma il Warlock biondo sembrava dirigersi dritto verso il canale e quindi in bocca ad un vicolo cieco.
“Dobbiamo raggiungere il ponte!” suggerì Kriystal reggendosi stretta a Soran.
“Non faremmo in tempo!” urlò Vonch.
“E allora cosa proponi di fare? Ora mi dirai che hai intenzione di saltare dall’altra parte del canale?”
Il silenzio di Vonch annuì a quella che Kriystal aveva esposto come ultima opzione: “Non puoi davvero costringerci a compiere una follia del genere!” lo rimproverò: “Soran almeno tu! Digli che è una partita persa in partenza!”
“Ha ragione lui, Kriystallina” la stupì l’amico, che non distolse un attimo lo sguardo dalla strada davanti a sé: “chiudi gli occhi e saltiamo!”.
Kriystal credeva di avere altro tempo per convincere i propri compagni a trovare un'altra via di fuga, ma i secondi che seguirono la precedettero.
 “Ora!” urlò Vonch, e senza frenare un istante si lanciò col suo destriero aldilà del margine del canale. Un attimo dopo lo seguirono i due giovani Elfi del sangue.
Kriystal udì un tonfo su una superficie piana e solo allora decise di riaprire gli occhi. Stavano ancora cavalcando ed erano riusciti a superare il canale senza usufruire del ponte di collegamento.
“Se sopravvivremo ricordami che lo dovrò uccidere!” si sfogò l’elfa col suo compagno di sella, il quale si limitò ad una risatina divertita.
 
Nel frattempo Bithah si era bruscamente fermato sulla soglia della banchina del canale e guardava i tre fuggitivi allontanarsi sempre più tra la folla di Non morti.
“Potevi seguirli!” lo raggiunse la voce di Thehorde, anch’egli in sella al suo destriero e liberatosi evidentemente dello spirito di Vonch.
“Mi hanno colto alla sprovvista” rispose tranquillamente Bithah, con una sfumatura di divertimento nella voce: “hanno meno da perdere di quel che credevamo!”.
“Non mi prendere in giro. So che tu sai fare anche molto meglio di saltare un canale!” lo riprese Thehorde, visibilmente toccato dalle prede scivolategli dalle mani: “torniamo a prendere Robil e recuperiamoli prima che lascino i Trisfal Glades”. Bithah annuì pacatamente, esperto ormai del carattere colmo d’orgoglio del compagno.
“Dobbiamo spiegare un po’ di cose alla regina, o saremo noi a venire arrestati dopo tutta questa confusione” aggiunse il Warlock.
 
Vonch, Soran e Kriystal non si voltarono indietro nemmeno un istante e continuarono imperterriti a cavalcare per Undercity, mentre come aveva predetto il Warlock biondo i Non morti aprivano la strada tra una bestemmia e l’altra.
Soran seguiva ogni passo di Vonch e finirono con l’imboccare uno dei mille varchi lungo la parete rocciosa della galleria. Si trovavano lungo uno stretto corridoio con le mura in mattoni e illuminato solo da piccole candele appese alle pareti. Il fondo era buio e sembrava non avere alcuna fine.
“Dove sfocia questa strada?” urlò Soran al compagno di fronte, senza rallentare un secondo.
“Se ricordo bene alla fine di questo sentiero troveremo l’uscita!”
“E se ricordi male!?” lo stizzì preoccupatissima Kriystal.
“In tal caso chiederemo informazioni a qualche ufficiale!” scherzò il Warlock.
Ma Vonch poté vantarsi di averli portati nella traiettoria giusta, quando gradualmente cominciò a percepirsi un bagliore innaturale per l’atmosfera di Undercity.
“Quella è la luce del sole!” esclamò Soran, mai emotivo quanto in quel momento.
Anche Kriystal si mostrò felice di essere sopravvissuta, e per un momento dimenticò la sua situazione comunque precaria nei confronti della legge.
Il percorso che seguì era una salita ripida e difficoltosa persino per i cavalli, ma la luce del sole ora non era più solo un miraggio. Nel lasso di pochi secondi si trovarono emersi da un buco nel terreno erboso quasi invisibile agli occhi. Kriystal fu per un attimo accecata dall’impatto con la superficie, ma poi riconobbe in lontananza le mura di Lordaeron.
“Ce l’abbiamo fatta!” esclamò.
“Che cosa vi dicevo?” si riscattò Vonch, altrettanto contento di avere ancora la testa attaccata la corpo.
“Se vogliamo mantenere il nostro vantaggio dobbiamo comunque darci una mossa!” riportò tutti alla realtà Soran, il quale ancora una volta si mostrò il più serio.
“Visto che sei in vena di saggezza potremmo tornare dentro e riconsegnare l’arma che hai preso in prestito a Ceppo!” lo stuzzicò Vonch, divertito.
“Quando torneremo a fargli visita non mancherò certo di restituirgliela!” tagliò corto Soran, consapevole come tutti i presenti che sarebbe passata molta acqua sotto i ponti prima che avrebbero rifatto visita alla città sotterranea: “e poi ti ho salvato la vita. Potresti semplicemente ringraziarmi!”
Vonch sorrise, ma era troppo orgoglioso per ringraziare. Così riprese l’itinerario: “Potremmo dirigerci a Brill. È una cittadina di Non morti molto accogliente, potremo rifocillarci di viveri e vestiti” spiegò: “l’unico problema è che sarà il primo posto dove verranno a cercarci essendo il più vicino”.
“Sta per cominciare a piovere, dove altro proporresti di andare?” cercò urgenti soluzioni Kriystal.
“Evitando i sentieri principali potremmo dirigerci nei pressi delle foreste di Silverspine”
“Dove secondo Silvermoon avresti fatto strage di un villaggio?” Domandò schietto Soran.
Kriystal deglutì rammentando l’inaspettata reazione del Warlock biondo sulle rive della Dead scar qualche ora prima e per un attimo si domandò cosa ci faceva in compagnia di un individuo del genere. Poi provò a ragionare a mente lucida e decise di mettere al primo posto la ricerca della verità, la quale implicava dare la possibilità a Vonch di provare la propria innocenza.
Vonch sembrò intoccabile alla domanda di Soran, e si limitò a discolparsi velocemente: “Hanno bisogno di una capro espiatorio per non spiegare quel che in realtà sta accadendo. So che siete alla ricerca della verità, ma dovete darmi il tempo di dimostrarvi la mia innocenza a modo mio”.
“E quale sarebbe questo modo?” intervenne Kriystal, ancora in sella al destriero di Soran e con Soran.
Vonch sembrò cambiare espressione, ma non aggressivamente come nelle terre fantasma, bensì parve rattristarsi per un motivo ignaro alle menti degli altri due presenti.
“Non avrà alcun senso se prima non facciamo come dico io” concluse: “Adesso ci addentreremo in quella foresta a cento passi da qui, marceremo per un paio d’ore e giungeremo ad un villaggio colonizzato dall’orda”.
“Non sarà pericoloso? Potrebbero aver ricevuto ordini dalla compagnia imperiale di Silvermoon” ipotizzò Soran, rassegnatosi a cambiare discorso.
“Ricevono ogni giorno centinaia di avventurieri” lo tranquillizzò Vonch: “è proprio l’ultimo posto dove rischieremmo di essere incastrati!”.
“Hei voi!” un quarto incomodo saltò fuori dal nulla. Era un umano di tarda età, dal modo di vestire popolare si trattava di un semplice contadino armato di una zappa puntata verso i tre Elfi del sangue: “Sto parlando con voi, Elfi!” Kriystal non aveva mai sentito  nominare in modo così disgustato il nome della propria razza.
I tre restarono in silenzio e guardarono l’uomo come un ostacolo inutile e immotivato.
“Siete sulla mia proprietà! Vi ordino di sparire prima che faccia arrivare qualche commilitone dei Proudmoore!”.
Kriystal cercò risposta nei suoi compagni, quando fu Vonch a mettere parola per primo: “Non ti disturberemo oltre, vecchio. Abbassa quell’arma e ringraziaci per aver calpestato le tue marce grigie terre con i nostri prestigiosi destrieri!”
Il contadino rimase in silenzio, ma non abbassò la guardia finché i tre non furono lontani, e allora urlò: “che voi siate maledetti! Voi, i vostri cavalli infernali e quel maledetto giorno in cui i morti hanno cominciato a camminare ove camminano i vivi! Dio benedica l’Alleanza!”.
Ma i tre Elfi del sangue lo ignorarono. Kriystal non era abituata a certi episodi, ma sapeva perfettamente come gli umani erano protetti dall’Alleanza, la fazione nemica dell’Orda, e non riteneva assolutamente inopportuna la reazione di Vonch.
Le avevano insegnato come disprezzare la razza umana e tutte le razze che si erano chinate al volere dell’Alleanza e ad essa si erano aggregati. Un tempo molto lontano anche gli Elfi del sangue affiancarono per un breve periodo gli umani e l’Alleanza, ma nel momento del bisogno ne furono clamorosamente traditi.
“Dobbiamo raggiungere la foresta più vicina” Determinò il punto della situazione Vonch, deciso a non toccare l’argomento Alleanza nel tragitto seguente e a raggiungere il suo obiettivo, qualunque esso fosse: “da lì ci dirigeremo verso la colonia amica”.
Continuarono così a percorrere la pianura e ad evitare i sentieri principali, mentre una leggera pioggia cominciò a bagnare le terre circostanti.
“Ottima deduzione!” si congratulò Soran con Kriystal alludendo alla previsione che l’elfa aveva fatto appena usciti da under city.
“Sono anche pronta a scommettere settanta argenti che la pace di questa cavalcata durerà ben poco visti i precedenti della giornata!”.
“Troppo facile!” si arrese Soran: “ma visto che cade a proposito l’argomento denaro, come pensate che potremo cavarcela in questo viaggio verso il nulla nei meandri dei regni orientali senza nemmeno un oro in tasca?”
“Punto primo” rispose Vonch continuando la sua marcia: “temo che dovremmo uscire dai margini dei Regni orientali se volete seguirmi nel mio viaggio all’insegna della verità! E punto secondo, non è un nostro problema il denaro. Ho tutto l’oro che ci serve!”.
“Ottenuto legalmente, immagino!” intervenne Kriystal, ironica.
“Anche questo non è un problema del quale dobbiate preoccuparvi!” tagliò corto il Warlock biondo con tanto di sorrisetto.
Nel frattempo cominciavano a scorgersi i primi enormi pini e la sagoma della foresta sembrava avanzare progressivamente in un grande abbraccio. Kriystal apparve improvvisamente inquieta all’idea di inoltrarsi in quella fitta composizione di rami, oscurità e fango, e per un attimo pensò se fosse una cattiva idea riportare alla luce l’idea dei sentieri principali.
A convincerla ulteriormente si udì da non troppo lontano un suono simile ad un ululato.
“Lupi!?” fece l’elfa, stringendosi a Soran.
“Tranquilla Rossiccia, gli animali della foresta sono l’ultimo dei nostri problemi” la tranquillizzò Vonch, sempre che quello fosse l’intento.
Anche i cavalli rallentarono il passo nel varcare la soglia dei primi sempreverdi e Kriystal lanciò uno sguardo indietro per porre un saluto all’aperta pianura lasciatosi alle spalle.
“Sono fradicio” si lamentò Soran: “almeno con tutti questi alberi eviteremo di bagnarci del tutto”.
L’osservazione di Soran bastò a far scattare nella sua compagna di sella il desiderio di raggiungere un posto caldo e accogliente, dove potersi cambiare i panni e magari mettere sotto ai denti qualcosa.
“Altri seicento passi in direzione Sud-Ovest e dovremmo cogliere qualche straccio rosso”.
Kriystal intuì come con l’espressione ‘qualche straccio rosso’ Vonch intendesse gli stendardi sventolanti dell’Orda. Il Warlock rosso non aveva dimenticato di esser parte di tale fazione, ma il suo rancore era più che capibile. Lo è se dice la verità, sottolineo tra sé e sé l’elfa.
Dopo una frazione di minuti trascorsi un secondo suono rimbombò tra le sagome sottili dei busti d’albero nell’area circostante. Era un verso, ma diverso da quello precedente.
Era differente da un ululato, somigliava più ad un surrogato di squittio misto sibilo.
“Quali altre creature popolano queste foreste?” domandò Soran senza smettere di guardarsi attorno e tenendo a freno il proprio destriero il quale anch’esso si mostro agitato.
Si aggiunsero altri suoni identici al primo uno sovrapposto all’altro ed apparentemente provenienti da tutte le parti.
“Qualunque cosa sia ne siamo circondati!” osservò Kriystal.
Vonch concretizzò il timore di un attacco estraendo la propria staffa, Soran lo imitò.
“Impugna la spada!” ordinò all’amica, la quale obbedì immediatamente.
Nel frattempo dalla nebbia creatosi con l’umidità della pioggia cominciò ad emergere un figura orrida e veloce. Non aveva l’imposizione di un umano o di un Elfo del sangue, non poteva essere altro che un qualche mostro del luogo.
“Ci mancava solo questa!” imprecò Vonch: “sono ragni delle foreste!” e con quest’esclamazione tirò indietro il proprio cavallo per cambiare rapidamente traiettoria, ma altre ombre come la prima si materializzarono da tutte le direzioni.
Ora anche Kriystal riusciva a cogliere più nitidamente la situazione e i nemici: zampettanti ragni di dimensione spropositata, cento volte quella di un insetto comune, ora si scagliavano con veemenza e terrificante velocità verso  i tre avventurieri.
Soran non aspettò molto prima di evocare un qualche sortilegio dalla propria staffa, ma imprevedibilmente il suo destriero si impennò su due zampe nitrendo di terrore, e Kriystal ne pagò le conseguenze. Cadde a faccia in giù nel fango sottostante, l’impatto non fu forte ma sapeva perfettamente cosa si sarebbe trovata davanti una volta alzato lo sguardo.
“Per mille Ally!” esclamò Vonch, prima di emanare un’ondata rossastra che respinse due ragni, i quali si contorsero su loro stessi e si accasciarono a zampe all’aria privi di vita.
“Non c’è via di fuga!” concluse Soran, scendendo deciso da cavallo e alzando la guardia al fianco di Kriystal. Quest’ultima si rese immediatamente conto dell’unica possibilità di sopravvivenza: combattere.
I versi delle numerose creature ora erano assordanti, mentre affamate e combattive giungevano da ogni dove, rivelandosi da cime di alberi e buchi nella terra.
Kriystal capì che esitare non serviva a nulla e con la sua destrezza nel duello affondò la lama nel corpo peloso di una delle due creature, per poi rilasciarla violentemente al suolo in un lago di grigiastri intestini. Fuori una.
Intanto Vonch ancora in sella faceva piazza pulita dimostrando la sua capacità negli incantesimi, ma a sorpresa Soran non si dimostrò molto inferiore. Kriystal poté notare tra l’uccisione di un ragno e l’altra una magistrale tecnica del proprio compagno: era già in grado di praticare un incantesimo come quello della Paura, in grado di far fuggire il proprio nemico in preda ad un illusione rappresentante il suo più grande  in cubo. Kriystal non perse altro tempo a domandarsi quale potesse essere il più grande in cubo di un ragno abnorme, ma poté godere della visione di coppie di ragni fuggire dal luogo del combattimento gemendo di terrore.
Dal nulla sbucò anche lo spirito da combattimento di Vonch il quale si scagliava pesantemente sui corpi dei nemici prima di spedirli con altrettanta rapidità all’altro mondo.
Nel frattempo però il Warlock biondo fu preso alla sprovvista ed una delle creature attentò la vita del suo destriero avventandolo e lasciandolo cadere il suo cavaliere lateralmente al suolo. Il ragno lasciò perdere il cavallo e si dedicò alla preda che aveva appena disarcionato, cominciando a zampettare verso Vonch come egli avrebbe fatto volentieri con una birra.
Vonch si rese conto di aver perso la staffa e la riconobbe a metri di distanza, così chiuse gli occhi potendo solo pregare in un miracolo, quando il ragno che lo stava attaccando gi crollò addosso a peso morto. Inizialmente pensò di trovarsi nel mezzo di un corpo a corpo, ma dopo qualche istante Vonch si accorse che il ragno non si agitava più. Una spada si trovava conficcata nel dorso della creatura e Kriystal la brandiva con forza.
“Sono in debito!” la ringraziò, poco prima di recuperare la staffa e di tornare al combattimento.
Nel lasso di pochi minuti calò il silenzio nelle foreste di Silverspine. I nemici erano stati abbattuti.
Tra quelli fuggiti e quelli mutilati se ne poté contare una centinaia, mentre Vonch decise di richiamare il suo spirito.
Kriystal dovette riprendere fiato, ma a guardarsi intorno e trovarsi decine di mostri immobili e vitrei si sentì ribollire il sangue nelle vene, aveva dato il meglio di sé.
“E brava Rossiccia!” fece Vonch, mentre constatava se vi erano danni sul proprio cavallo.
“Complimenti a voi due!” ricambiò l’elfa, sottolineando con lo sguardo un riguardo in più all’abilità nel combattimento di Soran.
Anche la pioggia sembrava aver smesso di cadere, così i tre approfittarono del momento propizio per risalire in sella e riprendere il cammino.
Vonch stavolta non si mise alla guida del gruppo, ma affiancò la cavalcatura di Soran con la sua per potersi rivolgere all’elfa: “Non eri costretta a salvarmi, era la tua occasione per lasciarmi lì”
“Mi ritengo offesa!” ribatté Kriystal.
“Sii più esplicita”
“Così dicendo vanifichi l’obiettivo del mio viaggio! Vogliamo scoprire la verità sull’uccisione di Noira, e conseguentemente provare la tua innocenza. Se ti avessi lasciato nelle grinfie di quei ragni giganti avrei contraddetto la fiducia che ho riposto in te!” resosi conto dell’ dell’ultima frase lei stessa arrossì, capendo di avere esagerato con lo smascherarsi.
“Ah!” ne approfitto Vonch per arricchire il suo ego: “Hai capito Soran? La paladina si fida di me!”
“Non ti esaltare ora!” gli tagliò le fantasie Kriystal, che però non poté trattenere una risata divertita.
Per quanto la durata del conflitto con le creature delle foreste fu breve lo scontro fu estenuante e ora come non mai i tre avventurieri desideravano riporre i piedi per terra in un posto sicuro senza la paura di essere attaccati.
“Mancano si e no duecento piedi” spiegò Vonch: “a momenti dovremmo intravedere il villaggio”.
E fu così, dopo un paio di minuti bandiere fissate ad una buona altezza sventolavano lo stemma caratteristico dell’Orda e per coprire l’interno del villaggio ad occhio straniero una vasta staccionata composta da robusti pali legnosi ne circondava tutto il perimetro.
“Siamo arrivati!” disse orgoglioso Vonch. Soran e kriystal concordarono con l’avvicinarsi all’ingresso a piedi e senza cavalcature per dare ancor meno nell’occhio. Non che l’essere tutti sporchi di fango e interiora di ragno li facesse passare per i più puliti passanti di tutta Azertoh, ma non servivano certo altri inconvenienti.
“Non vedo l’ora di cambiarmi” sognò ad alta voce Kriystal mentre avanzavano verso il varco d’entrata del villaggio: “e magari una taverna dove poter affittare per poco una camera dove potermi fare un bellissimo bagno caldo!”.
“Avrai tutto ciò che desideri!” la rincuorò Vonch.
Ma restarono impietriti e allo stesso tempo demoralizzati quando avanzò zoppicando verso di loro una figura ansimante.
Era un orco e data la massiccia armatura, adatta alla sua massiccia stazza, doveva essere una guardia del luogo. Doveva essere rassicurante, se non fosse che le sue tozze mani stringevano una parte del corpo vicino allo stomaco dalla quale non finiva più di zampillare quello che Kriystal riconobbe amaramente come sangue.
“Oh no!” esclamò Soran, il quale corse verso la guardia e l’afferrò appena in tempo prima che cadesse sul suolo erboso. Ora che il ferito agonizzava tra le braccia di Soran Kriystal poté coglierne maggiormente i lineamenti: la pelle di un verde grigiastro, i gialli occhi così terrorizzati, gli aguzzi denti esposti e manifestati in una espressione di pura sofferenza.
“Cos’è successo compagno!?” lo incoraggio a porgere chiarimenti Vonch: “parla!”
“Sotto..” la guardia provava a parlare ma gli risultava difficile per il troppo dolore: “..sotto attacco..”
“Sono sotto attacco!?” tradusse Kriystal, che non poté fare altro che rivolgere lo sguardo al villaggio poco distante da loro. Ora riusciva ad intravedere con come sfondo il grigio netto del cielo una fumana oscura salire dall’interno.
“Aiutateli…” continuò la guardia: “Aiuta..temi” e in pochi istanti Soran assistette da vicino allo spegnimento di quello che in vita doveva essere stato un grande guerriero.
“Dobbiamo intervenire!” insistette Kriystal, vedendo i suoi compagni assopiti nella tragedia appena avvenuta davanti ai loro occhi.
“No, dobbiamo tornare indietro, fuggire!” contraccambiò Vonch.
“Ma cosa dici!?” lo rimproverò Kriystal: “sono nostri compagni e hanno bisogno di noi!”
“No Rossa!” ma Kriystal era già partita di corsa in direzione del villaggio e sembrava ignorare le esitazioni dei due compagni. Soran con uno scatto fulmineo la seguì e poco prima che lei varcasse la soglia d’ingresso l’afferrò e la trascinò dietro le staccionate esterne.
“Cosa ti salta in m..!?” cercò di ribellarsi Kriystal, ma Soran gli portò una mano alla bocca per impedirle di urlare: “Stai zitta o ci sentiranno” parlò a bassa voce.
“Chi ci sentirà!?” fece Kriystal, liberata dalla mano di Soran e mantenendo il suo stesso timbro.
Soran cercò di intravedere ciò che accadeva all’interno del villaggio attraverso un palo spezzato della staccionata, quando con la voce tremante sussurrò: “..Gli Ally”.

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Capitolo 9
*** Strane alleanze ***


IX 
Strane alleanze


 

“Che cosa riesci a vedere?” cercò maggiori dettagli Kriystal, mentre anche Vonch nel frattempo li aveva raggiunti con passo furtivo e silenzioso.
A Soran serviva ulteriore tempo per mettere bene a fuoco la situazione all’interno del piccolo villaggio sotto assedio. Ciò che al momento aveva già ben assimilato erano uomini in armatura bianca, facilmente identificabili come soldati dell’alleanza, che brandivano spade e che marciavano freddamente sulle decine di corpi privi di vita che giacevano a faccia in giù nel fango.
“Qualsiasi cosa abbiate in mente scordatevela” sussurrò Vonch: “vedete quello là?”. Kriystal seguì con lo sguardo l’indicazione del suo compagno e poté scorgere oltre le mura in legno, che camminava tra le fiamme delle abitazioni, la figura di un uomo alto e magro dal bruno pizzetto e dai capelli lunghi e appiattiti dall’acquazzone precedentemente avvenuto. Egli portava un’armatura di diversa specie da quella degli altri soldati ed un mantello di pelle che sfiorava il suolo. Kriystal poté riconoscerlo grazie allo stemma che portava sul petto come un ufficiale di Stormwind, capitale dell’alleanza.
“Quello è di gran lunga superiore alla nostra portata” continuò Vonch: “è un generale, o qualcosa di simile. Non avremmo speranza nel confrontarci con tutti i suoi uomini e con lui, sarebbe un conflitto perso in partenza.”
“Non credo ai miei occhi!” squittì l’elfa, quando dal fumo della battaglia riuscì a intravedere una terza tipologia di presenze alquanto rare da riuscire a trovare al fianco degli uomini: “quelli sono Non morti!” e quasi si lasciò andare ad un gridolino inorridito.
“Non sono certo seguaci di Sylvanas” osservò Soran, condividendo l’orrore della compagna: “Piuttosto ricordano la razza dei mostri che abitano la Dead scar. Oserei definirli selvatici, non addomesticati, ma allora cosa ci fanno al cospetto degli Alleati?”
Kriystal riuscì effettivamente ad accomunarli agli esseri che aveva  incontrato e con i quali si era scontrata precedentemente all’inizio del suo viaggio, ma non si era ancora abituata del tutto alla sensazione di disgusto nel vederli impegnati nelle loro azioni. Erano lì, privi di ragione e in preda a spasmi innaturali, intenti a cibarsi della terra e di tutto quello che trovavano intorno a loro.
“Signorsì signore!” un soldato aveva appena obbedito ad un ordine dell’uomo dai capelli lunghi e si era addentrato in un edificio ancora non del tutto raso al suolo per saccheggiare probabilmente cose di valore o vivande.
Sapendo ora di poter cogliere qualche cosa di quel che dicevano gli Alleati, i tre Elfi del sangue aprirono bene le orecchie.
Un secondo soldato si avvicinò all’ufficiale con fare timoroso: “Signore si tratta di quei cosi. Ecco vede, si stanno cibando dei cadaveri signore!”.
L’ufficiale si voltò per verificare ciò che gli era stato appena riferito, ma la sua reazione fu del tutto passiva. Si rivolse al soldato con fare altezzoso e Kriystal poté notare che si inumidiva continuamente il labbro superiore sul quale esibiva una vistosa cicatrice che proseguiva per tutta la guancia sinistra.
“Il punto è, soldato” cominciò, trafiggendo con uno sguardo folle l’animo spaventato del interlocutore: “il punto è che per forza di eventi quei cosi attualmente sono nostri alleati e forse nostra più grande arma di conquista. Ora, vuoi forse impedire che si rifocillano a dovere? Vuoi forse che combattano a stomaco vuoto?”
Kriystal si sentì pervadere da una forte nausea nel sentir parlare così cinicamente un uomo, razza che predica valori e che parla di onore e di giustizia. Ermelaid la definiva la razza più ipocrita che Azeroth avesse mai conosciuto.
Eppure, pensò Kriystal, era forse una delle più dominanti. Come potevano creature così naturali come gli elfi della notte, o i nani, preferire essere alla mercé di esseri così avidi e materialisti? la sua razza stessa aveva faticato per riconoscere l’Orda come un punto saldo di accordo, mai si sarebbe potuta anche solo immaginare al fianco dell’Alleanza.
Per un elfo del sangue che era forse la creatura più a contatto con la natura, prendendo da essa tutta l’energia necessaria per vivere, era incomprensibile come l’essere umano potesse essere sopravvissuto in un mondo come quello di Azeroth.
“O forse le cose stanno diversamente!” alzò teatralmente il tono di voce l’ufficiale, come per farsi sentire dal resto del plotone: “forse il nostro soldato Maohne prova pietà per i poveri Orchi o per quella femmina di Troll che ho sgozzato personalmente laggiù, nell’osteria!” ci fu una risata generale di soldati, mentre Kriystal sarebbe voluta scoppiare a piangere. Tale crudeltà, anche per esseri creduti crudeli come gli Elfi del sangue, era inimmaginabile.
“Viscida serpe.” sussurrò tra i denti Vonch.
Nel frattempo il soldato Maohne sembrò sotterrarsi dall’umiliazione e fece per tornare alle occupazioni precedenti, quando il comandante lo afferrò per un braccio: “Non così in fretta soldato!”
Maohne scattò sull’attenti: “Porgo le mie scuse signore!”
“Udite !” si rivolse a tutti i presenti il capo dell’operazione: “sarà in grado il soldato semplice Charles Maohne di occuparsi dei prigionieri e di render loro adeguata punizione?”
Un coro di SI si alzò tutt’intorno, mentre naturalmente i Non morti continuavano nel loro orribile banchetto.
Kriystal dopo una fulminea ricerca riuscì ad adocchiare poco distante dall’ufficiale e dal soldato Maohne quattro figure inginocchiate e imbavagliate in una pozzanghera di fango.
“Coraggio soldato, fai il tuo lavoro!”
Maohne esitò un istante, poi rispose: “Signorsì, signore!” e si avvicinò ai quattro brandendo una spada dalla lama lucente.
“Soran, non possiamo permetterlo!” strattonò l’amico Kriystal in preda ad un attacco di panico al solo pensiero di cosa stava per accadere ai poveri prigionieri. Questi ultimi si riconobbero come un ossuto Troll dai capelli viola e dallo sguardo perso in un punto indefinito nel terreno, un giovane orco avvolto in una maschera di sangue dovuta probabilmente alla ferita che visibile si stagliava sulla sua fronte, un Non morto femmina che teneva gli occhi chiusi in uno stato meditativo e quello che Kriystal riconobbe come un Ogre, grossolana creatura riconducibile all’Orda ma non ufficialmente legata ad essa. L’Ogre al contrario degli altri non era in ginocchio, ma con legate mani e piedi si rotolava nel fango dando sfogo a tutta la furia che aveva in corpo.
“Comincia dal bestione!” ordinò l’ufficiale, vedendo cenni di esitazione nell’atteggiamento di Maohne.
Il soldato semplice si chinò sul prigioniero disperato, mantenendo comunque una certa distanza di sicurezza, e con cautela gli sciolse il bavaglio che gli impediva la parola. Così, l’Ogre si lasciò andare in un ruggito che rimbombò con ferocia nell’aria.
“Hai tutto il nostro rispetto, mostro” gli parlò il soldato Maohne, recitando una prassi alla quale nemmeno lui pareva credere: “e per questo ti concediamo l’ultima preghiera prima di raggiungere con dignità un posto migliore”.
Kriystal si soffermò sulla parola dignità, e non fece a meno di pensare che probabilmente era la prima cosa della quale quei prigionieri erano stati privati.
L’Ogre non si pronunziò, forse perché non capace o forse perché sperava ancora di potersi slegare e di staccare ogni singolo arto ai nemici che ora lo stavano guardando con ghigni beffardi sul volto. Altri ruggiti uscirono dall’enorme bocca della creatura che non pareva rassegnarsi alla sua condizione, quando l’ufficiale fece cenno al soldato di chiudere la cosa in fretta.
Kriystal volle gridare, Vonch restò impassibile e Soran chiuse istintivamente gli occhi quando un suono netto di lama portò un silenzio agghiacciante.
“Non verrai dimenticato.” concluse il comizio il soldato Maohne, apparentemente provato nonostante essere stato il carnefice, mentre due Non morti già si lanciavano sul corpo senza vita del gigante.
“Ottimo lavoro soldato” si congratulò l’ufficiale: “ma non è abbastanza!”.
Kriystal poté riconoscere il suo stesso senso di impotenza negli occhi del soldato semplice, mentre costretto passava al prigioniero successivo. Questa volta anche l’ufficiale si avvicinò, forse per assistere all’esecuzione da più vicino.
“Che cosa abbiamo qui?” Con una certa serpeggiante ambiguità nel tono della voce l’ufficiale studiò dall’alto al basso il Non morto femmina, che a sua volta non gli rivolse la benché minima attenzione: “dovevi essere molto carina quando eri in vita.”
Kriystal passò oltre alla sensazione di viscido che riscontrava nelle parole di quell’uomo, ma anche lei dovette constatare come a differenza dei Non morti che aveva visto ad Undercity, la prigioniera aveva dei lineamenti ancora ben definiti ed un colore della pelle grigiastra che contrastava alla perfezione con i capelli nero corvino.
“Apri gli occhi, tesoro!” le ordinò l’ufficiale, come per confermare la veridicità delle proprie affermazioni. La femmina non morta obbedì senza esitare, mantenendo quella calma meditativa che la contraddistingueva fortemente con l’atteggiamento precedente dell’Ogre.
Avevi dei bellissimi occhi trasparenti, di un vitreo sovrannaturale, che ora fissavano il suo nemico con l’indifferenza degna di chi aveva già vissuto una vita a pieno e non se ne faceva niente dell’arroganza di un semplice umano.
“Sergente” intervenne Maohne, e quasi sembrò distogliere l’ufficiale da chissà quali fantasie sul destino della Non morta: “forse è il caso di lasciare i restanti prigionieri in vita, per il momento, e portarli al cospetto di sua maest..”
“Non siamo qui per conto di sua maestà!!” lo aggredì verbalmente il superiore, seccato dall’impudenza del soldato. Kriystal ora sapeva che l’uomo disgustoso che aveva davanti era di grado un sergente e dalle sue parole si era tenuta bene a mente la parte in cui affermava che non agivano per ordine del loro Re.
“Sono impazziti!?” tentò di mantenere basso il tono della voce Vonch: “e rischiano così di rompere la tregua?”
Kriystal sapeva benissimo di che cosa stava parlando il suo compagno ed era perfettamente a conoscenza  che rompendo tale tregua tra Orda e Alleanza sarebbe potuta scoppiare l’ennesima guerra.
“Sto solo dicendo..” provò coraggiosamente a continuare il soldato Maohne: “che dovremmo valutare di più l’importanza di..”
“Bly!” il sergente aveva totalmente ignorato la posizione di Maohne e ora aveva chiamato all’appello un secondo soldato che impavido avanzò verso il superiore. Il soldato Bly aveva visibilmente qualche anno in più di Maohne e sicuramente più esperienza.
“Signorsì!”
“Soldato Bly, esponi al nostro compagno quale la tua opinione a proposito del destino dei prigionieri.” ordinò il sergente.
“Signorsì, signore!” Bly si voltò verso il suo compagno Maohne ed estrasse la spada.
Maohne restò impassibile nonostante la sua paura gli si idlagasse nuda in volto, quando il soldato Bly portò fulmineamente la propria attenzione alla non morta inginocchiata e con la mano sinistra l’afferrò per i capelli. Bly rivolse un altro sguardo silenzioso a Maohne, come per dirgli che era quello il modo giusto per farlo, e in una manciata di secondi aveva trafitto la gola della prigioniera.
Kriystal seguì i vitrei occhi di lei ancora aperti in un espressione di un vuoto glaciale mentre accasciata in una pozzanghera di sangue agognava i suoi ultimi attimi.
Il soldato Maohne sembrava sul punto di mettersi a piangere, ma resisteva, mentre il sergente appoggiava una mano sulla spalla del soldato Bly per congedarlo.
“E adesso uccidete gli ultimi due rimanenti!” ordinò senza un minimo di umiltà. Ma proprio mentre altri due anonimi soldati avanzavano per sbarazzarsi dei prigionieri accadde un miracolo imprevisto, se pur sottoforma nemica.
“Sergente Flaghart, signore!” Il sergente Flaghart, questo era il suo nome, si inumidì furtivamente la cicatrice che portava in viso e con una camminata rapida raggiunse il soldato che gli stava portando rapporto.
“Signore sono in arrivo dei nemici, signore!”
“Nemici?” Flaghart guardava il soldato come se ciò che gli era stato appena detto fosse privo di valore, se non addirittura futile: “Tu vieni qui per dirmi che stanno arrivando dei nemici!? Che vengano pure! I nostri sgorbi hanno fame!” si riferiva ovviamente ai Non morti che ancora si saziavano con l’Ogre e che non avevano risparmiato neppure la carne fredda dell’ultima vittima.
“Signore” e nel rispondere il soldato sembrava più allarmato di prima: “sono ufficiali dell’Orda. Elfi del sangue, per l’esattezza!”.
Flaghart si inumidì tre volte la cicatrice prima di trovare le parole per rispondere. Era stato palesemente preso alla sprovvista. Infatti, secondo le deduzioni di Kriystal, anche se in passato era di routine per Orda e Alleanza attaccare i villaggi ostili tra loro adesso non conveniva imbattersi tra eserciti nemici, altrimenti da simili e gratuiti episodi sarebbe potuta scoppiare una guerra tra fazioni.
E dalla reazione agghiacciata del sergente flaghart una guerra tra fazioni era l’ultima cosa che anch’egli avrebbe voluto provocare.
“Radunate i viveri raccolti, prendete l’oro, tenete al sicuro la runa e salite in sella. Quando gli ufficiali giungeranno noi saremo già lontani!” e date le direttive lo stesso Flaghart cominciò a dirigersi alla propria cavalcatura, mentre il Troll e l’Orco restarono legati nel fango.
“Sono salvi!” esultò Kriystal, sottovoce: “Gli uomini se ne stanno andando!”
In meno di una decina di minuti il villaggio era sgombro da uomini e da servi Non morti, i quali avevano seguito obbedientemente i soldati nella loro fuga improvvisa.
“Adesso possiamo entrare!” constatò Soran, che per tutto il tempo era restato impassibilmente in silenzio.
Alla vista dei tre Elfi del sangue L’orco sembrò agitarsi dalla gioia spalancando gli enormi occhi gialli, mentre il Troll rimase fermo in attesa di essere liberato.
Kriystal stette ben attenta a non calpestare alcun corpo, e fu triste scoprire che nel perimetro ve ne erano davvero troppi. L’odore di morte aleggiava ancora nell’aria, anche dopo avere sciolto i due prigionieri dai loro bavagli.
“Siete stati molto fortunati.” disse Soran all’Orco, mentre si era offerto di controllargli il taglio sulla fronte.
“Solo presi alla sprovvista!” rispose rocamente l’Orco: “Sono arrivati che ancora metà villaggio dormiva e l’altrà metà era impegnato nei propri vaolri quotidiani. Hanno fatto fuori il Non morto che gestiva la stazione di volo così nessuno è potuto scappare. Non riesco a pensarci, c’erano femmine, cuccioli..”
“C’era mio figlio..” intervenne il Troll, senza però guardare nessuno, semplicemente mantenendo lo sguardo in quel punto nel terreno nel quale si era concentrato durante tutto il tempo della prigionia.
Kriystal ora aveva la possibilità di seguire il suo sguardo e rabbrividì nello scorgere tra fango e altri corpi un fagotto di veli e fasce dalle quali usciva una grigiastra manina priva di vita.
“Mi dispiace, compagno.” fece le condoglianze Vonch, raccogliendosi in pochi istanti di tributaria riflessione.
“Ormai è andato” rispose il Troll privo di empatia: “è il terzo che mi portano via.”
“Non è la prima volta che veniamo attaccati” spiegò l’Orco: “Voglio dire, in un territorio contestato come questo i passaggi degli Alleati erano d’abitudine e con essi le battaglie. Ma questa volta è stato diverso.”
“Diverso come?” cercò spiegazioni Vonch, particolarmente attaccato alla causa.
“Prima di tutto per la presenza di quei Non morti, li avete visti no? Non erano certo figli di Sylvanas. Poi la mancanza di onore di cui l’Alleanza solitamente è sempre andata fiera. Sembra tutto molto strano.”
“Ma che importa!” fece il Troll, alzandosi dalla panca scheggiata sulla quale si era seduto e dirigendosi verso una baracca in pezzi: “Io prendo le mie cose e me ne vado a lavorare.”
“Aspetta Tha’re!” lo implorò l’Orco: “dobbiamo seppellire i nostri fratelli! Dobbiamo seppellire tuo figlio!”
Tha’re si girò con un’espressione ora priva di dolore, ma colma di ira: “Che venga Thrall in persona a seppellire mio figlio! Che venga Thrall in persona a rimettere in piedi le abitazioni! Io mi tiro fuori!”
“Ma tuo figlio..” provò Kriystal, ma venne interrotta dalle parole del Troll che uscirono quasi come uno stonato lamento di sofferenza: “Ho già seppellito due figli! Ho già seppellito la loro madre! Ho seppellito persino un figlio dei miei figli!!” ora acri lacrime gli rigavano lo smilzo volto terminando nelle lunghe zanne ai lati della bocca: “Sono stanco di scavare fosse. Il mio lavoro è l’unica cosa che mi è rimasta.” e tornò a passo incerto a dirigersi alla baracca in pezzi.
“Un’ingiustizia bella e buona.” osservò in tono riflessivo l’Orco, rassegnatosi alla disperazione del compagno.
“Anch’io ho perso tutta la mia famiglia!” intervenne Vonch a voce alta, perché Tha’re lo sentisse, e perché proprio al Troll il Warlock si stava rivolgendo: “sono morti tutti davanti ai miei occhi!”
Kriystal era senza parole e seduta su una trave di legno ascoltava le parole del compagno trattenendo il respiro.
“E non mi sono ancora arreso all’idea di lasciare andare chi gli ha fatto questo!”
Tha’re si fermò, ormai ben distante da Vonch, e dopo avergli comunicato un qualcosa con lo sguardo che solo due con esperienze così simili tra loro potevano comprendere, riprese ad allontanarsi.
“Non mi avevi mai detto di avere perso la tua famiglia” Kriystal si rivolse cautamente a Vonch per evitare che egli si sentisse compatito.
“Non me lo hai mai chiesto!” le rispose lui mostrando uno dei suoi sorrisi beffardi, usati come suo solito per mascherare il suo vero stato d’animo.
L’elfa avrebbe voluto chiedere di più, avrebbe voluto sapere tutta la verità sul conto del Warock dai capelli biondi che sventolava a gran voce la propria innocenza nonostante tutto il resto del mondo gli fosse contro. Ma non ci fu nemmeno il tempo di pronunciare un’altra sillaba, quando zoccoli di cavallo cominciarono ad udirsi all’esterno delle staccionate. Da lì a pochi istanti giunsero sulla scena i tre Elfi del sangue della compagnia imperiale in sella alle loro cavalcature.
Thehorde, Bithah e Robil rimasero per alcuni attimi in allarmato silenzio mentre cercavano di capire cos’era appena accaduto intorno a loro.
Kriystal fu la prima a trovare il coraggio di alzarsi in piedi e di pronunciarsi direttamente a Thehorde: “Sono stati gli uomini dell’Alleanza. Noi non saremmo mai stati capaci di tali azioni!”
Inizialmente Thehorde sembrò non avere nemmeno ascoltato le parole dell’elfa, quando senza spiccicare parola scese da cavallo e atterrò con i suo i pesanti stivali a pochi centimetri da un piccolo raggruppamento di copri ammassati.
“So di cosa non sareste capaci.” Rispose freddamente.
“Non mi sembra il momento di provocare ulteriori discus..”
“Non era una provocazione!” la interruppe il Warlock rosso, avanzando ora verso lei e gli altri superstiti: “intendo dire seriamente che vi ritengo incapaci di compiere una simile strage. Ho bisogno di sapere ogni dettaglio sull’avvenuta invasione.”
Anche Bithah scese da cavallo e si diresse al fianco del suo compagno, mentre Robil avanzò restando in sella.
Kriystal rimase sorpresa dall’immediata solidarietà di Thehorde: “D’accordo allora” disse lei “ma credo che sia giusto che sia l’orco a raccontare.”
L’orco annuì e tamponandosi la fronte ferita con una pezza bagnata procuratagli da Soran cominciò: “Era prima mattina. Le femmine lavoravano le stoffe, i cuccioli giocavano a farsi la guerra o dormivano, mentre alcuni dei loro padri vangavano i campi qui dietro. Il primo attacco avvenne immediatamente alle cavalcature volanti della stazione di volo, una mossa astuta per impedire a tutti noi di scappare. Come di consuetudine non abbiamo aspettato un secondo prima di rispondere al fuoco, ma l’esercito di zombie che si sono portati appresso ci ha colti alla sprovvista.”
“Zombie?” indagò Bithah: “intendi i reietti di Sylvanas?”
“No, intende gli schiavi del Flagello.” Spiegò Soran, senza usare mezzi termini.
“Sappiamo tutti che il Flagello ormai è solo storia passata!” smorzò le ipotesi più terrificanti Vonch.
“Dico solo quello che abbiamo visto tutti quanti!” Rispose in propria difesa Soran:“hanno esplicitamente dichiarato di non avere agito in nome di Stormwind.” Stormwind era la capitale dell’Alleanza e dimora del suo Re.
“E per quale motivo voi siete ancora vivi?” domandò Thehorde, noncurante degli screzi tra gli altri due Warlock.
“Sono fuggiti grazie al vostro arrivo.” Spiegò Kriystal, tentando di leggere il pensiero di Thehorde attraverso il suo profondo sguardo raccolto in molteplici interrogativi su quanto accaduto. Per un momento l’elfa arrossì, o le apparve di essere arrossita, al ricordo della smorfia divertita di Thehorde e di ciò che aveva inconsciamente provocato in lei nel vederla. Ma quest’ultimo invece era determinato più che mai a raccogliere maggiori informazioni sulla faccenda: “Sei sopravvissuto solo tu, orco?”
“No, fratello” rispose egli: “Io e un altro compagno Troll di nome Tha’re. Al momento egli si trova in quella baracca a raccogliere il necessario per andare a lavorare.”
“Probabilmente ha perso tutto quanto gli fosse più caro, eppure pensa a lavorare?” si intromise scettico Robil.
“Non si ha mai abbastanza l’idea di cosa non si faccia alle volte pur di non affrontare la realtà.” espose la propria visione delle cose Bithah.
Dopo aver riflettuto ulteriormente su chissà quale processo d’indagine Thehorde rivolse un’occhiata a Vonch.
“Sono in arresto, lo so.” Rispose indifferentemente quest’ultimo.
“Tutto ad un tratto collabori?” scherzò Bithah, mentre estratta una corda cominciò a legare le mani di Vonch dietro la schiena.
“Forse dovremmo prima fare luce su tutta la faccenda accaduta qui!” propose Kriystal, trovando secondario al momento l’arresto del compagno.
“Prima riportiamo il prigioniero a Silvermoon e te da tuo padre, poi fatto rapporto al congresso dei sette Signori essi manderanno una lettera ad Orgrimmar.”
“Da Thrall!?” scattò improvvisamente Vonch, come svegliato da un coma temporaneo: “Portatemi con voi direttamente al suo cospetto! Egli potrà scagionarmi dalle accuse!”
“E come?” lo schernì Robil: “conti sulla grazia Reale?”
“Lui mi conosce!” rispose Vonch, senza controbattere verbalmente alla provocazione dell’assassino: “lui conosce la mia causa!”
“Forse conviene verificare.” Si rivolse Bithah a Thehorde.
“Basta sciocchezze! non abbiamo tempo da perdere. Si torna a casa.” tagliò corto quest’ultimo.
“Dagli almeno una possibilità!” si intromise nuovamente Kriystal, stavolta imponendosi a voce un po’ troppo alta. Thehorde le lanciò una fulminata con lo sguardo, poi le si avvicinò pestando rumorosamente le pozzanghere sotto ai propri piedi: “Hai idea di quante possibilità vi abbiamo già dato!?”
“Dateci l’ultima.” Contrattò l’elfa mantenendo una postura di pietra dovuta all’invasiva vicinanza del Warlock dai capelli rossi, che in un flash la riportò a quando egli le aveva spostato la frangia da davanti agli occhi nel mezzo della Dead Scar.
“Sarebbe solo uno spreco di tempo.”
“In verità sarebbe tempo risparmiato non dovendo fare avanti e indietro per Silvermoon, ma affrontando invece un unico viaggio per Orgrimmar.” Ricambiò Kriystal, con la dialettica nelle contrattazioni che solo lei sapeva tenere.
“E su questo non puoi darle torto.” Ammise Bithah, visibilmente divertito sotto il suo elmo massiccio.
“Ma non sappiamo nemmeno se Thrall attualmente si trova ad Orgrimmar, o se è in viaggio!” cominciò a dare segni di ira Thehorde, sentendosi incompreso da entrambe le parti.
“Lo so io!” un’altra voce entrò nel dibattito, mentre con borsa in spalla, canottiera e pantaloncini corti da lavoro Tha’re avanzava verso di loro: “sto andando lì in questo momento.”
“Tha’re è un navigatore di sommergibili aerei e navi.” spiegò l’orco.
“Thrall , Signore della guerra e dell’Orda, partirà da Orgrimmar tra cinque giorni” illustrò il Troll: “avrete tutto il tempo di essere ricevuti se è questo che volete. Io posso accompagnarvi alla stazione di volo per il Durotar.
Il Durotar era una regione del Kalimdor, il continente ad Est di Azeroth. Al solo pensiero di visitare un continente per lei ancora sconosciuto Kriystal si sentì in fibrillazione. Alla fine era questo il senso del suo viaggio, spingersi oltre a schemi e barriere visionarie che le erano state insegnate fin da piccola per tenerla al sicuro. Ora poteva farlo, nonostante le circostanze impreviste aveva la possibilità di abbandonare i regni Orientali.
Thehorde sembrò valutare attentamente l’intenzione di restare sulle sue e portare i tre ricercati a Silvermoon, ma poi si rivolse a Tha’re con fare rassegnato: “Quanto dista la stazione?”
“Attraccheremo dalle stazioni di fronte alle rovine di Lordaeron, signore.” Rispose cordialmente il Troll.
“Prima risolviamo questa faccenda e meglio sarà per tutti noi.” concluse l’accordo il Warlock rosso.
“Conviene davvero che tu dica la verità sul tuo rapporto con Thrall, fratello” disse Bithah rivolgendosi ad un Vonch più che soddisfatto di come si erano svolte le trattative: “Converrà seriamente,o temo che sarà egli stesso ad impalare la tua testa all’ingresso di Orgrimmar.”

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Capitolo 10
*** Non più sola ***


X
Non più sola

 

Il gruppo si era incamminato sulla strada del ritorno per le rovine di Lordaeron e questa volta Kriystal, Vonch e Soran potevano godere della possibilità di passare per i sentieri principali, evitando così attacchi da parte delle sinistre creature dei boschi di Silverspine. 
L’aspirante paladina non aveva mai visto di persona Thrall, ma la sua fama era conosciuta e rispettata in tutta Azeroth e l’idea di poterlo conoscere da lì a poche ore la elettrizzava almeno quanto la sua rocambolesca fuga da casa. Certo nulla di ciò che era successo quel giorno poteva esser previsto o anche solo immaginato inizialmente, ma dopotutto poteva ritenersi soddisfatta degli accaduti. 
Era ancora viva e si ritrovava a far parte di un gruppo di esperti guerrieri e avventurieri che privi di timori percorrevano i grigi paesaggi del Trisfal Glades. 
Thehorde, figura ostile e socialmente complesso, in quel preciso istante era uno dei punti saldi che riusciva a farla sentire più al sicuro;
a seguire il giovane Bithah, bruno paladino dal grande cuore che sin dal primo momento si era mostrato amichevole e fiducioso nei confronti della stessa Kriystal; 
Anche Soran  si rivelava sempre più una sorpresa e a fatica Kriystal riusciva a rammentare il suo volto tondo e bambinesco dell’infanzia passata. Era un adulto ormai, era un servitore di Silvermoon, un Warlock;
e se pensava ai tre Warlock con i quali aveva avuto a che fare nel corso della mattinata Kriystal non poté che rivolgere un pensiero anche a Vonch. Il prigioniero viaggiava sulla stessa cavalcatura guidata dall’assassino Robil e con fare più che rasserenato sembrava non veder l’ora di prendere quel sommergibile aereo.
Qual’era la sua storia? Perché poneva così tanta fiducia e speranza nella comprensione del signore della guerra?
“Vuoi favorire?” era la prima volta che Tha’re si rivolgeva a Kriystal, mentre affiancando la cavalcatura sulla quale lei stava viaggiando avvinghiata a Bithah le porse un’abbondante tocco di pane.
Kriystal gradì l’offerta e non se lo fece ripetere due volte. Non ricordava l’ultima volta in cui aveva azzannato con cotanta voracità del cibo. Anche se viveva all’esterno delle mura di Silvermoon era comunque vincolata da un legame indissolubile con le sue radici di sangue nobile ed era conseguentemente stata viziata da lunghi e infiniti bacchetti ricchi di cibo proveniente d’ogni dove.
Tra sé sfiorò il pensiero che in quel momento anche le sdegnose zampette di Murlock sarebbero state un pasto appetitoso.
“Una volta in volo potrai abbuffarti a volontà. C’è una taverna a bordo e la spesa è sempre compresa nel pedaggio.” Spiegò il Troll. Kriystal notò come per quanto di carattere burbero e scontroso, maturato presumibilmente con le orribili esperienze passate a causa dell’Alleanza, Tha’re si sforzasse di essere continuamente gentile.
“Di quante ore di viaggio stiamo parlando?” domandò l’elfa.
“Passeremo da un continente ad un altro, non è certo una breve passeggiata. Ma ti assicuro che a suo modo saprà essere piacevole.”
“A meno che qualche Goblin non stia testando un razzo mal funzionante e noi ci troviamo sulla sua traiettoria!” scherzò Robil.
“Non passeremo sopra l’isola di Kezan quindi penso che il pericolo si possa scampare!” intervenne anche Bithah, tranquillizzando chi come kriystal non aveva recepito l’ironia nella battuta di Robil.
“Mi sarebbe piaciuto intravvedere l’isola dei Goblin!” si confessò lei.
“Lasciali lì dove sono” fece Soran: “Hanno colonizzato anche troppo i regni orientali e il Kalimdor, non mancherai certo di incrociarli!”.
“E poi cambieresti opinione se ti trovassi al centro delle turbolenze dovute alla presenza del Maelstrom, a pochi chilometri dall’isola.”
“Beh, però in quel caso potreste approfittarne per buttar mici dentro!” ironizzò Vonch, viste dopotutto le condizioni in cui lo stavano tenendo.
“Sei anche fortunato per avere guardato negli occhi ben due dei Sette signori di Silvermoon ed esserne uscito vivo.” Rispose Robil, tornando nelle vesti ufficiali di guardia imperiale.
Passò ancora un’ora scarsa e nel frattempo Kriystal aveva diviso il suo cibo con Vonch, quando in lontananza cominciarono a riemergere le distrutte mura di Lordaeron.
“Questa volta non dovremmo esser minacciati da alcun contadino armato di forcone, spero.” Fece Vonch.
Infatti stavolta non passarono attraverso i campi coltivati dagli umani, ma percorsero la strada interrata che tagliava le vaste e nebbiose pianure del posto. 
Giunsero proprio d’innanzi al varco d’ingresso delle rovine, che altro non era che la facciata frontale di quello che una volta doveva essere un maestoso castello.
“Tranquilla, non dobbiamo rientrare lì dentro” Per l’ennesima volta Vonch placò i suoi timori prima ancora che lei li esprimesse: “è aldilà della nebbia infondo a quella collina ciò che stiamo cercando.”
Kriystal seguì con lo sguardo l’indicazione di Vonch e mano a mano che le cavalcature passavano oltre elle rovine di Lordaeron al centro del nulla di una pianura riuscì ad intravedere tra i banchi di nebbia due enormi strutture alte una decina di metri.
“Sono le stazioni di volo” Spiegò Tha’re, ma tutti tranne l’elfa del sangue sembravano averlo già intuito.
“Stazioni?” domandò Soran: “non sapevo portassero in più direzioni. Ero convinto conducessero solo nel Kalimdor!”
“Infatti è così” confermò Tha’re: “la seconda stazione è fuori servizio. Conduce al continente del Nord, ma per ora è irraggiungibile visti i recenti avvenimenti.”
Kriystal recepì immediatamente il riferimento all’emigrazione di Arthas nel Northrend.
“Dimmi un po’!” intervenne a sorpresa Thehorde, rivolto a Soran: “Ma c’è qualcosa che tu e la tua amica conosciate?”
“Molto più di quanto tu creda.” Ribatté l’elfo del sangue in tono di sfida.
“Allora non ti dispiacerà se interrompiamo le descrizioni della guida turistica!”.
Kriystal era di dotta ignoranza, e per questo decise di restarne fuori. Thehorde aveva tutto il diritto di lamentarsi, dal suo punto di vista quella non era una gita di piacere.
Nel frattempo le stazioni di volo si erano fatte sempre più vicine e la loro forma sempre più delineata. Ora Kriystal poté riconoscerne la struttura composta in pietra con strette rampe di scale a chiocciola che vi salivano tutt’intorno, culminando su una passerella in assi di legno sospesa nel vuoto.
“Sei in ritardo!” una voce stridula provenne dalla cima di una delle due torri.
“Uno dei tanti contrattempi della vita!” controbatté Tha’re, e Kriystal si chiese come potesse mascherare così bene ciò che gli era appena successo.
“Quello lassù è il mio capo” spiegò il Troll: “uno di quei Goblin che si improvvisano piccoli imprenditori. Una vera carogna.”
Il gruppo richiamò le rispettive cavalcature a sé e salirono la stazione ove si trovava il Goblin schiamazzante.
Gradino dopo gradino Kriystal imparò ad evitare di guardare in basso. La larghezza delle rampe era stretta quanto sembrava e più si saliva in alto, più il legno cigolava e si aveva la sensazione di cadere nel vuoto.
Invidiò la disinvoltura dei suoi compagni, tra tutte quella dell’impassibile Thehorde, che capofila seguiva passo a passo il Troll navigatore.
“Le cabine non sono molte, ma vi farò avere tra le migliori. Siete come miei ospiti, se non foste intervenuti al villaggio a quest’ora anche io e il mio grossolano compagno non saremmo più in questo mondo.”
“è un dovere d’ogni fratello.” Rispose Thehorde, e Kriystal si domandò se fosse sincero o se seguisse una precisa e fredda prassi.
Intanto raggiunsero la passerella in legno e al loro cospetto si presentò un sinistro ometto verdognolo che l’elfa del sangue riconobbe come un Goblin, anche se in realtà aveva avuto occasione di vederne assai pochi in passato.
“Che ti avevo detto?” le diede un colpetto di gomito Soran: “sono dappertutto.”
Kriystal rise e immediatamente venne fulminata con lo sguardo dal piccolo essere.
“Siamo molto più scaltri di quanto voi crediate!”
Kriystal si trattenne dal non scoppiare a ridere una seconda volta quando la sua attenzione cadde sulle deformi orecchie appuntite e a sventola del Goblin; la testa completamente calva e la barba fatta a dir poco male davano in lui un qualcosa di ulteriormente ridicolo.
“Sono arrivato comunque in tempo!” si anticipò una scusante Tha’re.
“Spero che sia successo qualcosa di davvero grave per essere arrivato così all’ultimo minuto.”
Ma ancora una volta Tha’re tacque. Aveva appena perso il suo ultimo figlio e non gli era rimasto nessun’altro. Kriystal provò pietà per la maschera che il troll si ostinava ad indossare.
 “Quanti siete?” domandò il Goblin, rivolgendo la parola al gruppo di Thehorde.
“Sei, signore.” Rispose quest’ultimo, con una cordialità che Kriystal avrebbe preteso anche nei suoi confronti.
Il Goblin sbuffò, come se infastidito da così tanti Elfi del sangue tutti in una volta: “Sono otto ori a testa.”
Thehorde estrasse una consistente quantità di danaro e la consegnò al Goblin, che con una rapidità impressionante ripose nella sua borsa di pelle. Kriystal si accorse in ritardo che Thehorde aveva appena pagato anche per lei, Soran e Vonch.
“Guarda che il mio biglietto potevo benissimo pagarmelo da sola!” lo rimproverò.
Thehorde si voltò e la squadrò dall’alto al basso: “Ne sono più che convinto principessa, anzi, sono certo che potresti pagare tre biglietti a testa per tutti quanti. Ma ciò non toglie che al momento è il sottoscritto ad avervi in custodia. Si chiama professionalità. Quando ne avrai acquisita un minimo allora potrai sdebitarti.”
Kriystal soffocò un ruggito. Odiava essere in debito con qualcuno, per di più con uno sbruffone come il Warlock rosso.
Ma non ci fu il tempo di avanzare ulteriori repliche, quando dalla fitta nebbia aldilà della passerella sospesa nel vuoto sulla quale si trovavano gli avventurieri si udì un echeggiante suono di tromba.
Nel lasso di pochi istanti una caravella volante mantenuta in aria da due enormi vele circolari emerse dal denso grigiore delle terre del vecchio Lordaeron.
Il mezzo si arrestò proprio al culmine della passerella e gli Elfi del sangue furono liberi di salire a bordo. L’accoglienza non fu delle più calorose, ma certamente caotica. Marinai di ogni razza trasportavano diversi materiali da una parte all’altra del ponte. Su uno degli alberi maestri due sentinelle Goblin buttavano fuori il dalla bocca il fumo delle loro pipe canticchiando versi popolari. Kriystal dovette spostarsi all’ultimo momento per non essere urtata da un grossolano e grigio Troll dall’aria burbera. Il via e vai a bordo della caravella volante non sembrò disorientare nessuno, tranne lei.
“Seguitemi, vi mostrerò le vostre cabine.”
Kriystal seguì più che volentieri Tha’re, che fino a quel momento si era dimostrato il più cordiale degli addetti al volo. A lei venne assegnata una cabina con Soran e Robil, mentre Vonch fu accompagnato in una piccola cella proprio affianco alla stanza di Bithah e Thehorde. Kriystal avrebbe voluto riservargli un trattamento migliore, ma avevano già preteso troppo negli avvenimenti precedenti.
Quando Tha’re augurò ai suoi passeggeri un buon viaggio Vonch ripose ironicamente: “Indubbiamente”.
Il dirigibile cominciò a muoversi e Kriystal buttò la sua borsa sul letto esalando un profondo sospiro.
Era la prima volta in tutta la giornata che poteva fermarsi a riposare. Soran e Robil le permisero di essere la prima ad usufruire di un buon bagno caldo e lei non se lo fece ripetere una seconda volta.
La camera era grande, apposita per tre, ma per la mattinata che aveva appena passato il bagno le parve ancora più grande. Un’ampia vasca rivestita in legno –come tutto il resto delle pareti- si riempì in pochi minuti di profumati vapori e acqua calda.
Kriystal si spogliò dei suoi abiti e prima di abbandonarsi al piacere di un bagno caldo si soffermò un istante d’innanzi allo specchio sul lavabo. Era appannato per il calore e la sua snella figura pareva soffusa, ma poteva incrociare i suoi profondi occhi violacei semi coperti da un liscio ciuffo di capelli rossi. Si sentiva già diversa rispetto alla mattina di quello stesso giorno. Mentre correva per arrivare in tempo all’esame di ammissione di Silvermoon era la semplice figlia di uno dei sette signori di Silvermoon. Ora in quello sguardo riusciva a cogliere un’identità in più. 
Dopo una buona trentina di minuti tornò nella camera e scoprì che Soran e Robil si erano temporaneamente assentati. Sul letto di Kriystal c’era un biglietto firmato da Robil: ‘Ci trovi in taverna al piano di sopra. Affrettati se non vuoi restare senza cena; l’abito sul mobile infondo alla camera è destinato a te. ’
Kriystal lasciò il biglietto dove lo aveva trovato e si diresse immediatamente ad indossare finalmente panni nuovi. Erano stati sicuramente rilasciati dalla direzione. Non che si aspettasse un grande servizio, ma con tutti gli ori che erano stati costretti a pagare per poter salire a bordo due vestiti puliti e vitto gratuito erano d’obbligo. Prima di uscire passò nuovamente davanti ad uno specchio e decise che per essere ancor più presentabile per la cena si sarebbe legata i capelli e così fece. Si stupì di quanto poté risultare ancor più femminile.
Uscì dalla stanza e attraversato il lungo corridoio di camere illuminato a lume di candela si trovò a salire una rampa di scale in legno. In poco tempo era nell’ampia taverna e attorno a lei si manifestava una scena tutt’altro che regale. Elfi del sangue, Troll, Ogre e altre specie indescrivibili ingurgitavano volgarmente enormi quantità di boccali di birra accompagnate da interi pezzi di carne animale ben arrostiti. Suoni di ogni genere venivano emesse da ogni dove e Kriystal si accorse di quanto fosse stato inutile prepararsi a dovere per un luogo così scurrile.
“Che cosa c’è principessa, non sei abituata a luoghi di questo genere?” Thehorde avanzò tra le tavole imbandite d’ogni alimento: “se tutto filerà liscio tornerai a vivere tranquilla nella tua torre d’avorio proprio fuori dalle mura di Silvermoon”.
Kriystal preferì evitare il suo sguardo per non uscire con parole indegne se pronunciate da una femmina: “Forse dimentichi che ho dato il via ad una sommossa popolare nella colonia di Tranquillien”.
“No di certo” Thehorde trovava in quella situazione qualcosa di inspiegabilmente divertente. Quando si mostrava socievole Kriystal lo odiava ancora di più. A cosa serviva se l’istante dopo sarebbe diventato l’essere scontroso di sempre?
“Dopotutto questo viaggio potrebbe anche farti bene. Dovresti rifocillarti a dovere, se incappassimo in chissà quale altro nemico hai bisogno di energie e di un minimo di massa corporea.”
“Se trovi divertente trattarmi come una novizia figlia di famiglia nobile dovresti cominciare a rivolgerti a me con il voi” sapeva di essere stata schietta, ma quella era l’occasione per farsi rispettare.
Thehorde si guardò intorno come per formulare la risposta più pungente che potesse pensare, poi sorridendo fece un inchino: “Avete ragione principessa. Vi lascio alla vostra cena, passiate una buona serata!” e con fare vittorioso si allontanò, mentre Kriystal avrebbe voluto avere con sé la propria spada per sfidarlo a duello.
“Hei, Kriystal!” Bithah la chiamò da un tavolo lì vicino, al quale presenziavano anche Soran e Robil.
Kriystal si sedette al loro fianco e subito non poté resistere al tanto cibo che si trovò davanti.
“Mangia quanto vuoi. E non accusare le frecciatine di Thehorde, come avrai notato sa essere un simpaticone alle volte.”
Kriystal annuì e prima di rispondere si assicurò che il soggetto in questione fosse sparito: “ma la maggior parte delle volte è un essere egoista, scontroso, arrogante e sfrontato, non è vero?”
Robil soffocò una risata, Soran continuò passibilmente a sorseggiare il suo calice di mosto e Bithah alzò un sopracciglio e sorrise: “Non hai tutti i torti.”
Era la prima volta che Kriystal poteva osservare bene il volto di Bithah senza elmo. I capelli corti e bruni, insoliti per un elfo maschio, la carnagione pallida e un taglio degli occhi orientaleggiante lo rendevano simile ad un essere umano di altezza spropositata e con le orecchie a punta.
“Tra quanto saremo ad Orgrimmar?” domandò l’Elfa, poco prima di ricominciare a ingozzarsi delle prime cose che le capitavano sotto mano. Non era poi tanto diversa dagli ubriaconi del locale, rifletté.
Fu Robil a rispondere: “conta che dobbiamo attraversare l’oceano per arrivare nel Kalimdor. Arriveremo che sarà certamente mattina. Ti consiglio pertanto di riposarti dopo cena.”
“Ti sei persa il tramonto sul ponte” disse Soran: “uno spettacolo che non capita tutti i giorni.”
“Non mancherò la prossima volta.”
“Dove sarà finito Thehorde?” si domandò Robil.
“Sarà sicuramente sul ponte a meditare. Sai bene quanto non sia uno di compagnia.”
Kriystal ascoltava i discorsi dei compagni e non riusciva a togliersi dalla testa il fastidioso volto del Warlock rosso. Poteva certo sentirsi le spalle coperte finché viaggiava con lui e con gli altri membri della compagnia imperiale, ma non sopportava l’idea di dipendere da un elfo del sangue tanto prepotente.
Finita la cena si congedò dal resto dei compagni e si diresse sul ponte per respirare l’aria genuina dell’alta quota notturna. Lo spazio in cui si trovava era semi vuoto esclusi lievi mormorii di altri viaggiatori come lei che incuriositi guardavano aldilà del parapetto. Kriystal poté godersi lo spettacolo di un azzurro mare di nuvole alternato alle macchie nere dell’oceano. La brezza somigliava a quella secca delle terre fantasma, ma più viva e ancor più impregnata di magia.
A prua, Thehorde si applicava con magistrale eleganza in esercizi meditativi, allenamenti abituali d’ogni Warlock. I gesti delle mani si intrecciavano in scie infuocate e sfere d’energia corporea. In penombra, illuminato dalla luce dei propri incantesimi Kriystal poté scoprire uno sguardo diverso. Gli occhi che prima erano rossi ora si mostravano di un azzurro quasi bianco, persi in chissà quale oscuro artefatto. Gli elfi del sangue erano le uniche creature che riuscivano a raccogliere tutto il proprio potere dalla natura che li circondava, atto ignobile per i fratelli Elfi alti che per questa ragione vi si separarono.
Kriystal decise di lasciarlo ai suoi allenamenti. Si erano maltrattati a sufficienza quella sera.
Così salì le scale del secondo piano del ponte e con grande piacere scoprì Tha’re al lavoro col timone. Il navigatore la salutò con il gesto della mano e la invitò ad avvicinarsi al suo fianco. Da quella postazione lo spettacolo era ancora più mozzafiato. Sembrava che il dirigibile tagliasse di netto, ma con dolcezza, nuvole di burro notturno. Alzando di poco lo sguardo si scopriva un cielo  sovrastato da infiniti puntini luccicanti.
“Dopo sessantacinque anni che faccio questo lavoro riesco ancora a stupirmi del panorama.”
Tha’re si divideva in due personalità. Quella burbera che mascherava ogni tipo di dolore, e quella estremamente gentile.  
“Ho passato molte notti ad osservare il cielo dalle terre di Silvermoon e ho sempre creduto che mai avrei visto qualcosa di più affascinante. In un solo giorno fuori casa mi sono sbagliata più volte.”
“Siete in viaggio da solo un giorno?”
“La mia è una storia un po’ particolare. Non siamo quella che si può definire una vera e propria compagnia d’avventura.” Kriystal trattenne una risata al solo pensiero.
“Beh, è un vero peccato! A me siete sembrati affiatati. Comunque non è mai per caso che si finisce al cospetto del signore della guerra..” Tha’re assunse uno sguardo saggio: “..evidentemente il destino ha qualcosa per lo meno di divertente per te, giovane Elfa del sangue.”
Kriystal avrebbe voluto continuare la chiacchierata, quando le loro voci furono interrotte da una più  potente e arrabbiata. A poppa un alto Non morto si era appena liberato della presenza di un Goblin buttandolo giù dalla nave.
Kriystal stava per intervenire quando Tha’re la fermò posandole una mano sulla spalla ridendo.
“La scena si ripete un giorno si e l’altro no. Sono fatti per litigare quei due, ma quando poi manca uno l’altro si fa in mille per cercarlo.”
“Ma allora perché lo ha buttato in pieno oceano!?” Kriystal non capiva.
“Beh, perché lui è Pungo!” Bithah era sbucato dalla scaletta in legno.
“Pungo.” Ripeté Kriystal, basita.
“Si, nessuno sa il suo vero nome. Ma si fa chiamare da tutti Pungo!”
“Ti do quindici ori se vai lì e gli chiedi il significato del suo nome” la sfidò Tha’re.
Ma Kriystal non aveva colto la retorica della sfida, così si avviò verso il Non morto che ora si fumava una pipa seduto su un barile.
Da lontano Tha’re e Bithah colti alla sprovvista avevano un’espressione sconcertata.
“Perdonami..” Kriystal optò per la gentilezza: “..mi stavo domandando per quale motivo ti fai chiamare Pungo.”
Pungo la ignorò e guardò aldilà del mare.
Kriystal era consapevole della propria impertinenza, ma non se ne sarebbe tornata dai compagni senza aver vinto la sfida, così decise di mettere benzina sul fuoco: “Insomma, che cosa pungi?” fu difficile risultare seria.
Pungo finalmente le rivolse lo sguardo, uno sguardo seccato e minaccioso. Le sbuffò in viso il fumo della pipa e trattenendo un ringhio rispose: “..i paladini troppo curiosi.”
 In lontananza si udirono le fragorose risate di Tha’re e Bithah, mentre Kriystal a passo veloce si affrettò a raggiungerli stizzita.
“Non si fa chiamare Pungo, non è vero?” domandò imbarazzata mentre il suo viso si arrossì dalla  vergogna per essere cascata in un trappola tanto stupida.
Tha’re faticava a parlare per le risate: “Non so come diavolo si faccia chiamare, ma a quanto pare pungente lo è eccome!”
Kriystal non poté che cedere anche lei ad una risata, la quale inconsciamente riuscì a scaricarla definitivamente di tutte le fatiche della giornata. 
Fu solo quando stanchissima si avviò alle camere per andare a dormire, che si accorse di come il Non morto sul ponte l’avesse riconosciuta, nonostante tutto, come una paladina. 

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Capitolo 11
*** Confessioni e verità ***


XI
Confessioni e verità 

 
Si svegliò di sobbalzo a causa dei rumori in sottofondo provenienti dal soffitto. Qualunque cosa stesse accadendo sul ponte  Kriystal tentò innanzitutto di capire se si trovasse ancora nel mezzo della notte o se il sole fosse già sorto. Acquisì in fretta lucidità e presto si accorse che Soran e Robil non erano nella camera. 
Non vedendo neppure i loro bagagli intuì facilmente che si sarebbe dovuta affrettare a imitarli. Raccolse tutti i suoi affetti nella borsa e con una logora corda riuscì ad inventarsi un sostegno per portarsi la spada dietro la schiena il più comodamente possibile. Si sciolse i capelli e in preda al desiderio di avventura questa volta ignorò del tutto lo specchio davanti al quale passò di corsa.
Il ponte si presentò come lo aveva immaginato, colmo di avventurieri e marinai pronti all’approdo.
Da subito Kriystal faticò ad abituarsi alla luce del sole; si ritrovò baciata da un’accecante bagliore e da un azzurro cielo limpido macchiato da qualche batuffolo di nuvola bianca.
Non era certo abituata a climi del genere e si prese un istante per godere del calore che accogliente la invitava a dimenticare le fitte nebbie delle terre fantasma e l’insopportabile umidità dei Tirisfal Glades.
Si sporse oltre il parapetto e scoprì di viaggiare su vaste terre secche e desolate, prive di vegetazione e inondate a tutto tondo dalla luce del sole. Sopra di alcune colline rocciose creature animali alzavano lo sguardo verso l’enorme caravella volante che sempre più si abbassava di quota.
Kriystal riconobbe un cucciolo di dinosauro, ma tentò di reprimere un sospiro addolcito per evitare di farsi deridere dalla bolgia di rozzi individui con i quali stava viaggiando; così decise di rimandare l’avanscoperta a più tardi e si immerse nella folla alla ricerca dei suoi compagni, i quali non furono difficili da scovare.
Thehorde, Bithah, Robil, l’amico Soran e Vonch –ancora legato- erano persi in discorsi circa il da farsi una volta giunti al cospetto di Thrall.
“Viaggiato bene, rossiccia?” Vonch era ovviamente ironico, ma Kriystal non gli nascose una risposta più che affermativa. “Tranquillo, se ciò che porterai ad Orgrimmar sarà la pura verità sarà sicuramente fatta giustizia.”
“Se la giustizia fosse così semplice non sarei mai stato spinto a fare ciò che ho dovuto, a rapirti e a trovarmi in questa situazione. Ma a noi Elfi del sangue farà bene abbronzarci un po’, dopotutto”
Kriystal volle dimostrargli la sua solidarietà poggiandogli una mano sulla spalla: “Sarò più che felice di ascoltare la tua storia”.
“Abbiamo qui la dormigliona dell’equipaggio!” Soran si era svegliato di buon umore: “ho preferito non svegliarti e Robil deve cinque ori a Bithah per avere perso la scommessa.”
“Quale scommessa?” fece Kriystal.
“Se fossimo riusciti a lasciarti a bordo o se ti saresti alzata in tempo!” irruppe Bithah con già elmo ed armatura indosso e con un sorriso solare quanto il continente sul quale erano appena arrivati.
Nel frattempo il dirigibile rallentò la velocità e si apprestò a fermarsi alla presenza di una stazione di volo pressoché identica a quella dalla quale erano partiti.
Prima di abbandonare il mezzo Kriystal riuscì a trovare Tha’re intento a sciogliere alcuni nodi di fune.
“Che cosa farai ora?” chiese lei, dispiaciuta nel lasciare un compagno rivelatosi tanto caro.
“Continuo a vivere. Quel despota del mio capo mi ha trasferito per una settimana alle navi del porto di Ratchet. Odio quel posto, hai a che fare con esseri di ogni specie.”
“Allora ti auguro buona fortuna, fratello!”
Tha’re sventolò il braccio finché non vide l’elfa del sangue svanire tra la folla oltre la passerella in legno della stazione di volo.
“Buona fortuna a te”.
 
“Non mi mancava affatto il caldo di questo posto.” Ringhiò tra i denti Thehorde una volta poggiati i piedi sull’ardente suolo del deserto. 
“Per questo motivo non volevi accompagnarmi da Thrall?” lo stuzzicò Vonch: “pensavo fosse solo perché non ti andava di perdere tempo con un fantoccio come me. Sono contento di scoprire che infondo mi rispetti!”
Thehorde lo ignorò e Vonch si poté ritenere soddisfatto.
Kriystal si passò un braccio sulla fronte e scoprì di essere già sudata. L’afa non la divertiva più così tanto. 
“Quanto manca ad Orgrimmar?” domandò a Soran.
“Non temere. È proprio dietro a quell’enorme roccia che ci impedisce la visuale.”
Soran non mentiva. Superato l’ostacolo una colossale montagna rocciosa –come roccioso si era rivelato tutto il deserto- si presentò al numeroso gruppo di persone sbarcate dal dirigibile.
Emersa dalle pietre, un’enorme muraglia delineava la facciata principale della fortezza costruita in sasso e legno, che portò Kriystal ad innamorarsi immediatamente di quella che riconobbe come la famosissima città degli orchi. Orgrimmar appariva stupefacente come le avevano sempre raccontato.
Da due alte torri vedette in legno incastonate nelle mura –ai lati del varco d’ingresso- penzolavano bandiere riportanti lo stemma dell’Orda in dimensioni spropositate. Alcune grossolane orchesse di guardia li osservavano dall’alto, mentre il gruppo di visitatori superava le caratteristiche zanne di elefante piantate nel terreno come passaggio e varcava la soglia d’ingresso spingendosi aldilà dell’arcata.
L’interno della città si manifestò ancor più spettacolare della facciata esterna. Kriystal e la sua compagnia si trovarono avvolti in un vortice di vita quotidiana di ogni tipo di specie appartenente all’orda. Un Tauren tirava un carro pieno di sacchi di sale, mentre un Troll Darkspear si muoveva a passo pesante attraverso la folla diretto in una bottega identica a tutte le abitazioni di quel luogo. Esse non erano altro che capanni in pietra con tetti di pagliericcio. L’intera zona del centro della città vantava di numerose torri di avvistamento e stazioni di volo; Kriystal era affascinata dall’architettura costruita su livelli sfalsati collegati tra loro da ponti in legno un po’ rudimentali, ma allo stesso tempo caratteristici della capitale dell’Orda.
Forse nulla a che vedere con l’eleganza di Silvermoon, ma forse ancor più viva grazie all’alto numero di abitanti e forestieri che ne popolavano le strade.
Un gruppo di cuccioli di orco scorrazzavano tra le gambe delle persone e Kriystal poté giurare di aver sentito l’insensibile sospiro spazientito di Thehorde, ma scelse di lasciar scorrere. Era troppo emozionata per la nuova scoperta, per potersi permettere di discutere.
Su insegne in legno scheggiato appese alle porte delle varie botteghe erano incisi i nomi delle rispettive attività. Attività delle quali Kriystal si fece mentalmente una lista per poterle visitare tutte in un secondo momento. C’erano aste, una banca centrale, un fabbro e spazi riservati alle diverse classi.
Tra sé si chiese dove fosse la zona dei paladini. 
Le guardie erano certo meno eleganti di quelle statuarie di Silvermoon. Rozzi orchi di stazze spropositate dalle verde pelle e dai gialli occhi sanguinari restavano impassibili alle porte dei diversi ingressi e dei diversi edifici.
Il fattore affascinante degli orchi di Orgrimmar e di tutti gli orchi ora facenti parte dell’Orda era senza ombra di dubbio la spiccata intelligenza coltivata grazie alla collaborazione spirituale della popolazione dei Tauren del Kalimdor.
I Tauren erano un’altra razza profondamente interessante: simili a minotauri nell’aspetto, ma profondi anche più degli esseri umani nel cuore.
C’era molto da imparare dalle diverse sfaccettature delle razze che costituivano il corpo dell’Orda e ciò rendeva Kriystal orgogliosa di farne parte.
Thehorde guidò la sua parte di gruppo su una strada che sembrava portare all’interno del canyon retrostante la città. Questa è un’ottima tecnica contro ipotetici invasori, pensò Kriystal. 
Anteriormente Orgrimmar era difesa dall’enorme muraglia all’ingresso, mentre il resto della struttura era ben protetta da naturali catene rocciose.
Quello in cui nel frattempo si stavano addentrando era un vero e proprio intreccio di enormi grotte illuminate da numerose lanterne costruite nel cuore del canyon stesso. Un secondo centro della città prendeva vita nell’entro terra delle rocce di Durotar. 
Lungo il cunicolo che stavano attraversando sfilavano su piani rialzati e collegati tra loro da cigolanti ponticelli in legno altri negozietti dalle più svariate funzioni.
“Egli è tornato, voi non capite! Egli è tornato!” due guardie portavano via con forza un vecchio Gnomo in catene che sputando qua e là predicava la sua visione contorta del mondo.
“Come ogni capitale che si rispetti Orgrimmar ospita il più vasto miscuglio di razze al suo interno ed il più efficace corpo dell’esercito dell’Orda” spiegò generosamente Bithah: “sai perché si chiama Orgrimmar?”
Kriystal si fece trovare più preparata del previsto: “Come tributo a Orgrimm Doomhammer, mentore e grande amico dello stesso Thrall. La città è stata fondata dal signore della guerra in persona dopo che era riuscito a liberare questa enorme parte di canyon di Durotar dalla popolazione dei centauri. Anche Durotar stessa è stata battezzata da Thrall, il nome è in memoria di suo padre. Il territorio non si era presentato come uno dei più abitabili –e ce ne siamo accorti- ma con la costruzione di questa fortezza il signore della guerra è riuscito a fare di queste terre aride e in buona parte prive di vegetazione la propria casa. Divenne immediatamente una storia esemplare.”
Bithah sorrise: “Ci credo che non muori dalla voglia di conoscere Thrall. Sembra che tu gli abbia dedicato tutta la tua infanzia!”
“Da che io abbia memoria è sempre stata con il naso sui libri dell’accademia!” intervenne Soran, spettinando amichevolmente i capelli dell’elfa.
“Non farmi passare per una sacerdotessa!” 
“Credo che qui sia ben chiaro a tutti chi vuoi diventare!” la rincuorò l’amico. Kriystal era contenta di avere un amico come Soran con sé in un momento così movimentato della sua vita. Pensò un istante a suo padre e le parve di rivedere il suo volto sconvolto e pietrificato nel vederla fuggire di casa.
Ora però Kriystal era in grado di scegliere di cancellare quell’immagine dalla testa, e così fece.
Il gruppo arrivò in una piazzetta nel cuore delle grotte delimitata da un gruppo di capanne degli stessi materiali applicati a tutta l’edilizia della città. Fu semplice intuire quale fosse quella dove erano diretti.
La struttura ed i materiali con i quali era stato costruito un edificio che spiccava in particolare tra tutti gli altri dichiarava apertamente l’importanza di chi vi avrebbero trovato all’interno.
La fitta presenza di guardie della città indicava l’autorità del luogo nel quale si erano inoltrati.
Una sottile fessura nella roccia sul soffitto permetteva ad un raggio di sole di filtrare, inondando di luce soffusa l’intero piazzale.
Una figura decisa uscì a passi autoritari dall’ingresso del capannone e per pochi istanti Kriystal rischiò di scambiarla per una guardia di Silvermoon. A distinguerlo dalla sua città natale, l’elfo del sangue che si era appena presentato al gruppo di Thehorde portava un’armatura scura e pesantissima  -tipica dei soldati di Orgrimmar- e brandiva un’arma che Kriystal non aveva mai avuto occasione in passato di vedere di persona. Una spada, la quale lama era assiduamente divorata da fiamme colte dai crateri vulcanici della penisola infernale.
I capelli di un biondo quasi bianco e lunghi fino alla schiena luccicavano sotto alla luce filtrata nella rientranza.
Thehorde gli si avvicinò e i due aprirono un dialogo a distanza troppo poco ravvicinata perché Kriystal potesse cogliere cosa stessero dicendo. La guardia annuì alle parole di Thehorde senza rispondere, poi senza rivolgere uno sguardo al resto dei presenti girò i tacchi e tornò all’interno dell’edificio.
Era ormai chiaro anche a Kriystal come quello fosse il palazzo reale di Thrall, ma odiava non poter comprendere affondo tutta la burocrazia  necessaria per poter ricevere un’udienza.
Nel lasso di pochi secondi la guardia dalla presenza importante ricomparve e si fermò sulla soglia di ingresso per poter rivolgere l’attenzione a tutti i presenti: “Il signore della guerra ha accettato di ricevervi. Vi prego di seguirmi in maniera ordinata e diligente.”
Kriystal sentì bruciare la coda di paglia e si chiese se con ordinata e diligente la guardia alludesse a lei. Già ad altre persone era figurata al primo apparire come una fanciulla viziata, ma si promise di non destare lo stesso sospetto al signore della guerra.
Thehorde guidò i cinque compagni sui gradini in legno e oltre la guardia che li aveva così freddamente ospitati. Quello era uno di quei momenti nei quali Kriystal seguiva molto volentieri una figura più esperta di lei, e in quel luogo sconosciuto scelse quella del Warlock rosso. 
L’impatto con l’interno del palazzo era del tutto differente da quello degli ambienti visitati sino ad ora.
Non c’erano corridoi secondari o cunicoli angusti, ma solo un ampio salone congiunto da un altare in pietra sopra al quale –avvolto come da un abbraccio di smisurate zanne di mammuth - presenziava il famoso trono in ossa del signore della guerra e dell’Orda. Le pareti illuminate dalle torce riportavano in vita arazzi e stendardi della casata; l’intero salone era abitato da guardie di ogni razza e classe, compreso il biondo elfo del sangue che aveva accolto gli ospiti. 
Trattenendo a lungo il respiro Kriystal poté osservare per la prima volta e da vicino la famigerata e massiccia figura di Thrall seduto sul suo seggio. Apparve come Ermelaid lo aveva sempre descritto e come le carte accademiche delle guerre contro i centauri e contro l’alleanza lo avevano sempre ritratto: di stazza colossale e ingigantito dai possenti spallacci borchiati, Thrall impugnava alla sua sinistra l’arma preceduta dalla propria fama: il Doomhammer. Un martello d’acciaio e d’ottone fungente da catalizzatore per il mana di chi lo maneggia. Molti crani avevano ceduto rumorosamente sotto la pesantezza e la forza di quel martello.
Gli occhi gialli di Thrall studiavano in silenzio i presenti. Kriystal vide prima Thehorde, poi tutti gli altri suoi compagni inchinarsi al cospetto del loro re e non aspettò un secondo prima di imitarli.
Inginocchiandosi notò come il pavimento era coperto da una morbida Moquet di pelli animali. Alzò di poco il viso per osservare bene il suo signore. Egli aveva la fisionomia tipica dell’orco, due minacciose zanne si innalzavano dal ponte di denti inferiore mentre più in basso il fermo mento quadrato era sfumato da una lunga barba bruna. La pelle verdastra impallidiva sotto la luce fioca dell’ambiente e i neri capelli tirati all’indietro terminavano in lunghe trecce che sinuosamente gli cadevano lungo le spalle.
Thrall fece il segno di rialzarsi e il gruppo obbedì all’istante.
“Lieto di rivederti, caro amico!”
Kriystal faticò inizialmente a capire con chi il signore della guerra si rivolgesse con cotanta confidenza, ma una volta compreso faticò ad accettarlo: “Thehorde! Quanto tempo!”
La voce di Thrall roca e profonda riecheggio in tutta la sala mentre Thehorde già in piedi accennò ad un secondo inchino: “Vostra signoria. È un onore rincontrarvi dopo così tanti anni.”
Kriystal assorbì tutta la smielata ma chiaramente sincera umiltà e gentilezza del Warlock.
Per la felicità Thrall colpì con il palmo della mano il poggia braccia del trono e il terreno parve vibrare: “Per mille nani brufolosi! Saranno quanti? Trent’anni che non mi onoravate della vostra presenza?” 
Mai l’elfa del sangue si sarebbe aspettata simili parole lusinghiere e informali da parte del signore della guerra.
“Pressappoco dal declino della legione infuocata, credo. Durante gli anni del flagello voi mi trasferiste a Silvermoon per restare vicino alla capitale, se ricordo bene.”
“Si, si! Come dimenticarlo. Ho perso molto con la tua partenza. Che gioia, che gioia!”
Poi lo sguardo di Thrall cadde su una figura ancora inginocchiata con il viso abbassato verso il suolo e la sua espressione cambiò immediatamente: “E voi? Chi siete?”
Vonch alzò lo sguardo ma non si alzò: “Vostra signoria, il mio nome è Vonchjaih di Acramand, figlio di Lorbton di Acramand. Mi trovo al vostro cospetto quest’oggi per raccontare la mia storia.
Mi vedete ammanettato, poiché mi trovo accusato di crimini che io non ho commesso.”
Kriystal era tutta orecchie. Portò l’attenzione al viso di Thehorde che anche se del tutto privo di fiducia nei confronti di Vonch restò rispettosamente in silenzio e in attesa.
“Mio padre mi parlò più volte di voi, prima di..”
Thrall non si aspettava che Vonch finisse la frase, ma sembrò cogliere nelle parole del prigioniero qualcosa di famigliare, qualcosa che parve sconvolgerlo: “Siete il figlio del rimpianto Lorbton? Il vecchio e carissimo Lorbton?”
Vonch annuì e un sottile singhiozzo parlò al suo posto.
“Perché si trova legato!?” Thrall sembrò su tutte le furie e cercava una spiegazione da Thehorde.
“l’imputato è stato accusato di alto tradimento, signore, e di sterminio di massa. Ha raso al suolo la sua terra natale che fino a pochi soli fa sorgeva semi nascosta ai piedi dei pini di Silverspine.”
Vonch aveva perso tutta l’ironia e il fare provocatorio che lo avevano contraddistinto sino a quel punto. Kriystal restò in ascolto.
“So che in passato il rapporto che legava vostra signoria a mio padre era molto forte. So che avete combattuto fianco a fianco e che mio padre le ha cucito con ago e filo più ferite di quante un prete non avesse potuto curare con mille incantesimi.”
“Lorbton era un esemplare cacciatore. Un eroe, per  la nostra famiglia.” Thrall osservò pochi secondi di silenzio: “con le accuse che voi portate sulle spalle non posso concedermi il lusso di credervi sulla parola quando mi dite che siete il suo primo genito di cui Lorbton ha sempre parlato fiero e orgoglioso. Per tanto, con la coerenza delle leggi grazie alla quale è stato costruito tutto ciò che è ora l’impero dell’orda e in assenza delle prove del tuo legame famigliare con Lorbton di Acramand, il tuo viaggio rischia d’essersi rivelato inutile.”
“Ho tutte le prove di cui necessito.”
Kriystal emanò dentro sé un sospiro di sollievo. Nel profondo credeva nell’innocenza dell’amico.
“Paladino” Vonch si rivolse a Bithah: “ti prego di aprire la mia borsa ed estrarvi il sacchetto in pelle”.
Bithah guardò esitante Thrall il quale con l’inclinazione del viso acconsentì alla richiesta. Il paladino rovistò nel logoro bagaglio di stoffa e senza troppo da fare esibì come fosse un pesce appena pescato con successo una piccola sacca nera in pelle. 
Con rumori meccanici dovuti all’imponente corazza Thrall si alzò in piedi abbandonandosi il trono alle spalle. Tutti i presenti si inginocchiarono all’istante sorpresi da tale azione.
“Ebbene paladino, scoprite il contenuto dell’involucro.”
“Sissignore!” Bithah slegò la sottile cordicella che teneva sigillato il sacchetto e con un’espressione disgustata estrasse quello che a prima vista protetto dal pugno del paladino pareva un grosso uovo.
 “Apri la mano..” ordinò il signore della guerra.
Al riconoscimento di ciò che Bithah teneva in mano si formò tra i presenti un coro di sdegno.
Un occhio viscido, marcio e di grosse dimensioni dondolava a vuoto sul palmo del paladino. 
“L’occhio di Luzran” fece Thrall, per nulla sorpreso: “era un codice segreto ideato da Lorbton in persona. Dopo l’ultima guerra mi mandò una lettera ove scrisse che presto o tardi gli sarebbe accaduto qualcosa di terribile e che la persona che mi avrebbe portato la vista del guardiano del fosso della morte avrebbe posseduto la verità sulla sua fine.”
Vonch sorrise. Kriystal non riusciva a crederci. Per tutto questo tempo il Warlock biondo aveva portato con sé l’occhio di quel mostro con lo scopo di mostrarlo al vecchio compagno di battaglie del padre, niente poco di meno che il signore della guerra.
“Era tutto calcolato?” fece lei, sussurrando.
“Qual è dunque la verità?” continuò Thrall.
“Vi dirò la verità, nient’altro che essa, allo scopo di non lasciare infangata l’identità di mio padre” rispose Vonch: “ero presente la notte della strage, ma non sono il carnefice.”
“Ora ci verrai a dire che sono stati gli alleati?” domandò arrogantemente Thehorde. 
“Silenzio, amico mio!” lo zittì cordialmente Thrall.
 Vonch inchinò il viso e poi continuò: “Acramand è da sempre una piccola colonia di elfi del sangue. Resistette alla legione infuocata, resistette all’ondata del Flagello. Ma non resistette alla furia del drago.”
“Un drago!?” la guardia bionda che li aveva accolti intervenne con fare ancor più scontroso di quello del Warlock rosso: “non ci sono draghi nei Trisfal Glades!” un coro di risate degli altri soldati riecheggiò nella sala.
“Silenzio!” infuriò Thrall: “Com’era, il drago?”
“Ancora stento a crederlo, ma non a ricordarlo” Vonch cominciò a tremare e Kriystal poté leggere per la prima volta il suo viso come fosse un libro aperto: “Un drago bianco. Un drago bianco e informe si schiantò violentemente sulle nostre case. Pensammo fosse un’attacco dell’alleanza, ma quando vedemmo scendere dalla vallata i Non morti fu come tornare indietro di qualche anno fa.”
“Non morti?” lo interruppe nuovamente la guardia: “ma è pieno di non morti in quelle pianure nebbiose, mai hanno aggredito noi fratelli!”
“I Non morti di Sylvanas non lo hanno mai fatto” sottolineò attentamente Thrall: “ma forse il nostro giovane amico ci sta parlando di altre creature. Di freddi presagi.”
“Freddo.. proprio così” Vonch cadde in uno stato di trance, come se dentro sé stesse rivivendo quei momenti: “calò un improvviso freddo e davanti ai miei occhi la mia gente cominciò a crollare come ramoscelli sotto gli attacchi glaciali del drago e sotto le incantate armi dei dannati.”
“Sei sicuro di ciò che stai raccontando?” domandò Thehorde, suscettibile: “ti rendi conto che potresti scatenare una guerra contro l’alleanza?”
“Non era l’alleanza!!” urlò Vonch, portando il silenzio in tutta l’area circostante.
“Continua, figlio di Lorbton” con ammirevole calma Thrall appoggiò ancora una volta Vonch. Kriystal conosceva per fama la generosità e il gran cuore dell’orchesco sciamano, ma ora che vedeva il volto dell’amico improvvisamente invaso da silenziose lacrime avrebbe voluto credere prima alle sue parole.
“Non si sentivano altro che urla, schianti e esplosioni. Io e la mia famiglia combattemmo fianco a fianco, sino a che non perdemmo di vista la mia cara madre. Non ho solo ucciso i Non morti arrivati con il drago, ma anche..”
La pausa sembrò eterna.
“Signore, i guerrieri caduti si rialzavano in stato di non morte. Ho.. ucciso la femmina che mi a messo al mondo. L’ho uccisa con le mie stesse mani. L’ultima cosa che ricordo è mio padre faccia a faccia con la diabolica creatura alata venuta dai ghiacci. Non ho memorizzato altri particolari, perché il luogo era pervaso dai fumi della battaglia.
Ho fatto solo in tempo a vedere mio padre svanire sotto alla ferocia del dragone.”
L’aria sembrò essersi ghiacciata come se anche il salone di Thrall fosse stato raso al suolo dall’orda di Non morti.
“E tu come sei sopravvissuto?” domandò Robil.
“Sono scappato, lasciando mio padre agonizzante tra le fauci del mostro.”
La risposta fu sufficiente abbastanza da zittire gli ascoltatori.
Solo il tonfo dei passi di Thrall, pesanti e decisi, riecheggiava nello scendere i gradini dell’altare e dirigendosi verso gli ospiti. Rimasero tutti inchinati, onorati e allo stesso tempo intimiditi da tale vicinanza.
“Ma qual è la verità?” domandò: “cosa centrano le carte che hai rubato a Silvermoon?”
“La verità, signore..” Vonch incrociò i suoi occhi azzurri e lucidi con quelli gialli e profondi dell’orco: “.. è che c’è del marcio a Silvermoon”.
Un coro di borbottii e di imprecazioni si elevò tra i presenti compresi i componenti della compagnia imperiale di Silvermoon: “Queste sono ingiurie!” urlò Robil.
“Tu menti!” partecipò la guardia bionda.
“Fate silenzio!” ordinò Thehorde, lasciando tutti quanti di stucco.
Kriystal nel frattempo non aveva abbandonato gli occhi impassibili di Thrall, come se da un momento all’altro lo sciamano decidesse di spaccare il cranio di Vonch sotto al peso del Doomhammer. Invece il signore della guerra si era limitato a restare in contatto con lo sguardo comunicativo del Warlock biondo, finché  non decise di inchinarsi alla sua stessa altezza per appoggiargli su una spalla la sua grossa e verde mano.
“Non hai rubato tu quelle carte.”
Vonch restò in silenzio e Thrall lo prese come un sì.
“Qualcuno le ha fatte sparire” continuò l’orco: “qualcuno di potente. Qualcuno di Silvermoon”.
Kriystal si sentì sprofondare. Uno dei sette signori? nella sua mente non poté che prender forma la viscida espressione compiaciuta di Chidril.
“Ho motivo di credere che parte delle alte cariche di Silvermoon siano fortemente collegate all’attacco subito dalla mia gente..” confessò Vonch.
“E come saresti venuto a conoscenza di tali documenti?” lo interrogò Thehorde, che però non mostrava più alcun segno di arroganza o sfiducia.
Vonch rispose senza pensarci troppo: “Pur essendo un cacciatore, mio padre non dava la caccia solo ad animali. Per decenni ha studiato i diversi governi che hanno costituito nella storia le istituzioni di Orda e Alleanza. Tale studio ha portato a scoprire diverse ombre nere dietro alle facciate lucide e dorate che volevano mostrarci. Mio padre è andato vicinissimo allo scoprire un segreto che presto o tardi sconvolgerà l’intera Azeroth..”
“Un complotto?” provò a completare i tasselli mancanti Bithah.
“..temo qualcosa di ancor più grande.”
Kriystal aveva visto quell’aria devastata già una volta negli occhi azzurri di Vonch. Ricordava alla perfezione quando poco tempo prima il Warlock aveva dato in escandescenze in sua presenza, e ora cominciava a farsi una ragione dei motivi che lo avevano spinto.
“le ondate di Non morti, le resurrezioni, il male.. lo abbiamo già incontrato in passato.”
“Ciò al quale stai alludendo potrà essere altamente gravoso al futuro delle nostre vite.” Lo avvisò Thehorde.
“Lascio a voi le ipotesi sul burattinaio che muove i fili dell’intera Azeroth. Ciò che è importante sapere e che posso affermare con certezza, è che tra le carte sparite dagli archivi di Silvermoon vi è una lista di nomi.”
“Nomi coinvolti in tutta questa ambigua storia?” chiese Robil.
“Penso proprio di si. Deve essere una sorta di patto ufficiale sotto al quale brillano le firme di chi probabilmente ha contribuito a quello che a mio parere non sarà l’ultimo attacco.”
Thrall nel frattempo era ancora inginocchiato di fronte a Vonch: “Ti ringrazio per la tua storia. Sono molto riconoscente a te e al tuo caro padre. Sai bene come io possa comprendere alla perfezione la perdita dei propri affetti e l’ingiustificata prigionia. Ma non temere, da questo momento ti dichiaro Elfo libero.”
Kriystal avrebbe voluto correre ad abbracciare il signore della guerra, ma la promessa che si era fatta prima di entrare glielo impedì. Vonch sorrise tra le lacrime non ancora asciutte e Bithah -con una nascosta soddisfazione- lo liberò dalle funi. 
“E ora?” domandò Thehorde direttamente al signore della guerra: “adesso cosa dovremmo fare? Qual è la prossima mossa?”
Thrall si alzò in piedi e fu immediatamente imitato da tutti gli altri: “Adesso ho bisogno che voi sei partiate per un viaggio.”
Kriystal temette per un istante che il cuore le balzasse fuori dal petto, mentre Thehorde e il resto della compagnia sembrarono ancor più sbigottiti dalle parole del loro superiore.
“Un viaggio, signore?” domandò Vonch.
“Un viaggio, esatto. Come prima cosa vi recherete a Thunderbluff, dai miei cari compagni Tauren. Lì probabilmente vi sta già attendendo una mia vecchia amica, la quale vi dirà esattamente come comportarvi e dove andare.”
“Ma qual è la missione nello specifico, signore?” domandò Thehorde, confuso.
“La missione signori è evitare una guerra che potrebbe cambiare definitivamente le sorti di Azeroth.”
“Ma da chi ci stiamo difendendo?” osservò Robil.
“Speriamo di non scoprirlo troppo tardi.” Rispose l’orco.
“Ma perché Thunderbluff? E perché ci stanno aspettando?” Domandò Vonch.
Thrall si risedette sul trono ed esibì un giallastro sorriso paterno: “Perché è lì che ho portato la salma di tuo padre”.

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Capitolo 12
*** Il consiglio al crepuscolo ***


XII
 
Il Consiglio al crepuscolo

 
 
 
Andava manifestandosi il crepuscolo sulle cime degli alberi di Eversong Woods, mentre le guglie patinate in oro massiccio e i palazzi in marmo bianco della capitale degli Elfi del sangue divenivano ben delineate sagome in contrasto con il rosa-arancione del cielo.
L’ora dei soli calanti conciliava volutamente con la radunata del consiglio dei Sette signori di Silvermoon nella sala agone del Furore solare. I partecipanti all’assemblea sedevano tutti su panche parallele alla forma dell’aula. Un anfiteatro in marmo e pietre preziose al centro del quale, a turno, un Signore, deputato, magistro o consigliere che fosse, esponeva problemi e riforme riguardanti la capitale.
Ermelaid si era presentato con abbondante anticipo dato il coinvolgimento personale riguardo ad uno dei punti che si sarebbero affrontati quella sera. Il primo giorno dalla scomparsa di sua figlia lo aveva logorato interiormente come difficilmente un Elfo del sangue riusciva a sentirsi. 
L’idea che potesse essere anche solo in minima parte sua la responsabilità dei motivi che avevano spinto la giovane Kriystallina e il giovane Soran a fuggire al fianco di un criminale ormai famoso in tutti i regni orientali gli faceva dimenticare in certi momenti la carica che da una ventina di anni ricopriva all’interno del governo di Silvermoon. Avrebbe lasciato tutto e tutti e sarebbe partito personalmente alla ricerca della propria prole se solo il suo ruolo e il suo compito nei confronti degli abitanti non lo costringessero moralmente a non alzarsi dall’aula. 
Proprio mentre era assorto in tali e profondi rammarichi nella stanza cominciarono ad entrare a turno alcuni tra i più importanti membri del consiglio. 
Il magistro Alddarend seguito da quattro giovani Elfi in tunica di un color cremino, simbolo dei laureandi appena usciti dall’accademia. capelli grigi e ricci gli cadevano delicatamente sulle spalle mentre pavoneggiandosi ad alta e riecheggiante voce con gli studenti mostrava svariati appunti sulle proprie pergamene. Prese posto tre scalinate più in basso di Ermelaid, il quale ammiccò con il movimento della testa ad un sorriso che non fu ricambiato.
Il Signore di Silvermoon non si offese, il magistro era solito a certi sgarbati atteggiamenti. Tutta invidia dovuta all’enorme abisso tra le due rispettive cariche.
Con molta più eleganza di Alddarend entrò accompagnato da un’altra decina di figure l’ufficiale al comando il Ranger Halduron, corrazzato dalla testa ai piedi della sua luccicante e rossa armatura militare. I suoi lunghi e argentei capelli portarono per un istante alla mente di Ermelaid la propria figura da giovane, quando combatteva ancora nell’esercito come semplice grado B; Subito dietro Halduron si poté scorgere la presenza divenuta leggendaria dell’orco guerriero Shiac, ormai conosciuto oltremare come lo sterminatore di massa, al momento il più temuto membro dell’Orda. Un ospite d’onore inaspettato, ma assai gradito;
Nel frattempo, alto, snello, quasi totalmente calvo - una capigliatura insolita per gli Elfi del sangue -  e con alle spalle un seguito di monaci, entrò in scena anche Chaessay, sacerdote di Silvermoon. Praticante la sua carica da ormai settecentosessantasei anni Chaessay portava per ogni ruga del proprio volto il ricordo di tante guerre e tante perdite, ma la sua risonante presenza confermava anche le numerosissime vittorie ottenute dalla gente di Silvermoon. Egli fu il primo a rivolgere un saluto al padre di Kriystal, il quale con un gesto aggraziato della mano ricambiò.
Una sfilza di altri nomi importanti dell’Orda percorrevano solenni l’ingresso della sala e prendevano posto lungo tutta la tribuna. Al momento Ermelaid non aveva alcun vicino, ma questo perché la postazione dove si trovava era riservata a priori ai Sette signori di Silvermoon, che da lì a breve fecero la loro comparsa.
Erona, Signora di Silvermoon, era un Elfa del sangue maga. I capelli dorati legati in una treccia risaltavano il collo lungo e magro. La pelle candida era inferocita dai surreali occhi verdi. Il popolo l’amava, e lei affermava di amare il popolo;
O’ildkim, Signore di Silvermoon guerriero, prese posto alla sinistra di Ermelaid. La rossa barba lunga terminava sullo stemma dell’Orda cucito sulla fibbia della cinta. O’ildikim era un radicale. Quando si trattava di formulare riforme di tipo penale lui optava sempre per l’impiccagione immediata anche per un semplice furto di una mela; 
Etorsul, Signore di Silvermoon warlock, portava sulla spalla un barbagianni dall’aria spiritata. Etorsul era un moderato. Troppo moderato secondo Ermelaid. Qualsiasi riforma venisse proposta egli l’accettava;
Chidril, Signore di Silvermoon prete, entrando nella sala fulminò con lo sguardo il compagno Ermelaid. Quest’ultimo salutò con un cenno del capo, ma il prete distolse l’attenzione e si perse in argomenti vari con diversi magistri che lo avevano assaltato di quesiti e complimenti. Chidril era molto apprezzato dai membri del governo, ma con il suo modo di fare alle volte si dimenticava che il congresso dei sette era stato istituito per il bene della città, e non per il ceto degli individui del quale era composto;
U’irvar ed Emann, Signori di Silvermoon, gemelli ed entrambi paladini, si sedettero dopo avere strinto la mano a diverse figure del consiglio;
Ermelaid, Signore di Silvermoon sciamano, sapeva che quella sera avrebbe discusso con la maggior parte degli Elfi del sangue che sedevano al suo fianco.
Il mormorio iniziale che inondava l’intera sala cessò immediatamente grazie all’ingresso di una figura indossante una lunga tunica rossa, e che prese posto dietro ad una scrivania in pietra posta al congiungimento delle tribune.
“Lanthan Perilon? Non poteva restare a fare lezioni ai suoi studentelli sulle rive dello stagno cristallino?” sussurrò O’ildkim.
Ermelaid ignorò totalmente tale affermazione. Egli provava profondo rispetto nei confronti di Perilon e dei suoi metodi di insegnamento. La sua stessa figlia aveva imparato grandi cose assistendo alle sue lezioni.
Lanthan Perilon portava una folta barba e i capelli bianchi lunghi fino alle spalle. 
Intanto alla sua destra Ermelaid poté notare con stupore la presenza di Chidril, il quale gli si avvicinò delicatamente per sussurrare: “Questa sera ci saranno scintille, mio caro.”
Ermelaid non rispose, sapeva perfettamente che il suo compagno aveva ragione. Quella sera si sarebbero discussi diversi punti, ma in primo piano scottava la questione del ladro di carte pluriomicida e dei suoi complici.
“Cari compagni” esordì ad alta voce Perilon, portando il silenzio nell’aula: “siamo qui riuniti stasera per questionare i principali temi riguardanti la situazione attuale del nostro paese. Tre soli orsono all’ultimo consiglio è stato portato alla luce tra queste mura un terribile evento riguardante la gente dell’Orda e la colonia di Elfi del sangue di Acramand..”
Ermelaid sospettava che il sacerdote del tempio della Luna introducesse l’argomento in vesti da diplomatico cominciando con un piccolo tributo alla strage avvenuta pochi giorni prima.
“..anzitutto invito voi altri e l’intera popolazione di Silvermoon a non dimenticare ciò che è accaduto tra le pianure abbandonate del vecchio Lordaeron. Sono state ovviamente svolte inchieste tra i nemici del castello di Ambermill e del Pyrewood, ma sinora nulla che possa avere un nesso logico con tutta questa storia.”
“In questi giorni non si fa altro che vociferare di carte scomparse! onorateci della conoscenza di tali cartelle, per cortesia!” tentò di arrivare al dunque Alddarend, provocando un fastidioso mormorio di assensi tra i suoi discepoli. Il ministro non aveva tutti i torti. Ermelaid stesso poteva confermare la scomparsa di cartelle e documenti rinchiuse nella banca di Silvermoon, ma nemmeno egli ne conosceva il contenuto. Si ipotizzava fossero archivi ereditati dal vecchio Re, deposto poco prima della formazione dei Sette. 
“Sono documenti della massima importanza e segretezza. Ci eviti dunque i suoi riti sovversivi e rivoluzionari, caro ministro.” rispose dall’alto O’ildikim con tono sicuro e autoritario. Alddarend cuoceva nella propria rabbia, ma non aggiunse altro.
“..se posso continuare, signori” riprese Perilon: “vorrei portare questa sera alla vostra attenzione gli eventi e i personaggi connessi alla strage della nostra compianta colonia.”
“Non vorrete ritirare fuori nuovamente la storiella di quel ‘traditore’!?” interruppe nuovamente Alddarend ridacchiando e contagiando anche gli studenti attorno a lui: “…si nasconde ben altro che un singolo Elfo del sangue dietro a questa faccenda, e sarebbe ora che i sette Signori di Silvermoon cominciassero ad agitare le staffe a fare comparire tra noi qualche verità!”
“Silenzio, prego!” pretese ordine il capo assemblea: “con cautela analizzeremo i diversi aspetti del caso Acramand, strettamente collegato alla sparizione dei documenti e all’assassinio di un innocente cittadino di Silvermoon!”
“E dove sono le prove di tale connessione!?” Chaessay si alzò in piedi prendendo ferma posizione. Balbettii e grida si alzarono tra i presenti.
“Si ricomponga immediatamente.” La voce fredda e acuta di Chidril riportò la quiete in aula. Ermelaid ricordava le accese discussioni passate cessate sempre in favore del compagno. Chaessay si mostrò intimorito, Chidril era un prete assai più importante di lui all’interno della città.
“Esigiamo verità, Signore...” provò.
“La ricerca della verità è per gli stolti...” rispose Chidril, scrutando il prete ufficiale di Silvermoon dall’alto al basso: “… chi merita di possederla l’ha già in mano sin dal principio.”
“Non era secondo questi ideali che abbiamo eletto la cerchia dei Sette Signori di Silvermoon!”
“Siete solo inverso poiché voi non ne fate ancora parte, mio caro Chaessay!”
Il prete si risedette al proprio posto scandalizzato dalle parole del Signore di Silvermoon.
“Se posso riprendere il filo del consiglio..” tentò di continuare Perilon.
“Basta con tutte queste sciocchezze!” adesso a parlare era l’orco Shiac. Tutta l’aula si ammutolì in presenza di un insolito partecipante al consiglio: “sono anni che non tornavo a Silvermoon, ma davvero non avrei mai pensato di ritrovarla assorta in un tale declino.”
“Perdonateci, sterminatore di masse, se eravamo qui ad affrontare l’ondata del Flagello mentre voi eravate in giro per le terre esterne a farvi un nome!” Chidril era pungente come suo solito. Ermelaid rimase composto, incuriosito dallo svolgersi degli eventi.
“Farmi un nome!?” infuriò Shiac: “io ero a liberare le nostre colonie dai detriti della legione infuocata che voi avete lasciato senza guinzaglio! E poi mi dite di esser stati occupati con il Flagello? Non mi pare proprio, visto che metà delle vostre terre ora sono ancora infestate dalle creature soggette all’infezione!”
“Abbiamo preso dure decisioni al riguardo!” intervenne O’ildkim: “abbiamo scelto di non fare lo stesso errore dell’ultimo Re!”
“Ma quali errori!?” ruggì Shiac, spaventando molti dei presenti: “voi vi siete liberati del grande reggente Lor’themar solo per potere istituire una sinistra cerchia di cervelli colmi di doppi fini e segreti!”
“Con quale coraggio violi la nostra legge, nominando colui che è stato esiliato per averci condotto d’innanzi alle fauci dell’inferno!?”
“Non è stato Lor’Themar a condurci all’inferno, ma il suo predecessore, Kael’Thas, forse ve lo siete già dimenticato? O faceva comodo che la storia fosse insegnata così!?”
“La sua è insubordinazione!” O’ildkim alzò ulteriormente i toni. Sembrava che da un momento all’altro sarebbe scoppiata una ressa.
“Insubordinazione!? E perché? Volete forse negare che avete cambiato la storia degli ultimi quarant’anni a dispetto della verità per i vostri figli e le generazioni future!?
Hanno affermato forse il falso le voci che mi sono giunte riguardo alle falsità che si mormorano e che si scrivono sulle pergamene accademiche della vostra capitale circa la cicatrice morta e l’origine del fosso della morte!?”
Ermelaid guardò Chidril e con stupore si accorse che il compagno non era affatto preoccupato. Ciò che accadeva all’interno del consiglio restava all’interno del consiglio.
La Signora di Silvermoon Erona si alzò in piedi: “Abbiamo dovuto modificare alcune parti della nostra storia perché le nostre generazioni future non facciano i nostri stessi errori!”
“Ma che cosa ti è preso, cara Erona!?” le domandò il guerriero: “non ti ricordavo così stolta! Così facendo evitate che i giovani Elfi del sangue siano capaci di affrontare la seconda ondata delle armate del Flagello, ecco cosa evitate!”
“Colui che le comanda è morto solo e assiderato tra i ghiacci del continente del Nord, Orco!” intervenne anche Etorsul.
“Ah, è così che avete deciso?” Concluse Shiac, visibilmente ferito.
“Mio caro Shiac..” decise di parlare Ermelaid, con toni pacati e una risolutezza ben differente dai suoi compagni: “… negli anni non abbiamo più avuto prove certe che dimostrino la sopravvivenza del principe dell’ormai caduta Lordaeron.”
“Ermelaid..” Shiac si rivolse al Signore di Silvermoon con rispetto, come fosse un vecchio conoscente: “..sai meglio di me come non abbiate prova nemmeno della sua morte.”
In quell’istante un brusio più forte dei precedenti si alzò tra tutti i presenti. Le parole dell’orco erano risultate come fiamme ardenti e ora su di egli volavano accuse e ingiurie da ogni dove.
“Questo è il colmo” Chidril si rivolse a Ermelaid a voce bassa: “…l’orco rischia di capovolgere il governo del nostro paese. È meglio congedarlo al più presto.”
Ermelaid non sapeva cosa pensare. Sapeva perfettamente che prima o poi la verità sarebbe venuta a galla.
Egli stesso aveva trasferito tutta la sua famiglia sull’isola Solealto dietro alle rovine di Silvermoon per paura che essa venisse nuovamente invasa dalle forze del male. Per un momento pensò a tutte le volte che aveva risposto alle domande circa la Cicatrice morta che gli poneva la figlioletta: lui si era inventato una fantasiosa storia su maledizioni e fati crudeli; non era così lontano dalla realtà, pensò, ma non era la verità.
“L’Orco ha ragione!” ritornò il Magistro Alddarend: “quasi non rammento nemmeno i motivi per i quali abbiamo deposto il nostro Reggente, grande eroe di guerra e del popolo! Voi negate il suo nome, lui negava il termine Re, poiché lo distanziava troppo dalla gente che serviva..”
“Un Re che serve la propria gente, ma che non sa farsi servire e che affidava nelle mani del suo popolo troppa libertà!” ribatté il Paladino Emann.
“Con tutto rispetto, Emann, Signore di Silvermoon, ma ciò che avete appena esposto era anche l’atteggiamento monarchico del padre di colui che soggiogato dal potere ha dato vita al fenomeno del Flagello che tutt’oggi ci affligge!” disse la propria opinione anche il Ranger Haldurion.
“Adesso anche i militari hanno il diritto di parola…” sbuffò Chidril.
“Pensavo l’avessero sempre avuto…” rispose Ermelaid, abbastanza vicino al prete da sentirlo.
“..e sentiamo!” la voce di Shiac prevalse un’altra volta su tutto il concerto di urla e grida che si era manifestato nell’aula: “quale Capo espiatorio avete creato per poter distrarre l’intera comunità di Silvermoon dal fenomeno del Flagello? L’avvento dei Miserabili? Gli Elfi del sangue ingordi di potere e di cristalli? Ma fatemi il piacere!”
Un altro polverone di ingiurie e membri del consiglio che si alzavano e si sedevano a seconda della situazione.
Perilon sussurrava qualcosa alle guardie, come per prepararle ad intervenire. La riunione di consiglio era divenuta una vera e propria assemblea autogestita.
Shiac abbandonò la propria postazione e si recò al centro dell’aula, al fianco di Perilon, per guardare in volto tutti i presenti. Seguito da tale azione il completo silenzio avvolse le tribune.
“E infine!? Cos’altro vi rimane da inventarvi?” urlò l’Orco. La sua voce rimbombava drammaticamente nell’area: “Quale altra legge inventerete per rendere più realistica la parte di storia della vostra terra e dell’intera Azeroth che avete deciso di riscrivere a vostro piacere!? Magari vi inventerete che determinate razze non possono intraprendere un certo tipo di classe?”
Ermelaid si sentì smorzare il fiato per un istante. Shiac colse tale reazione al volo, come se l’avesse fiutata.
Al centro della silenziosa atmosfera creatosi nell’aula di consiglio del Furore solare gli occhi quasi bianchi dell’Orco Shiac trafiggevano quelli profondi di Ermelaid.
“Che possiate essere maledetti…” sussurrò Shiac incredulo: “…avete già fatto una tale follia?”
“Le leggi di Silvermoon, se restano all’interno di Silvermoon, non sono affari tuoi, Orco!” riaccese gli animi Chidril. Ma Shiac non parve farci caso, ripetendo ancora ad Ermelaid: “Non avrete fatto una tale follia!?” stavolta la sua voce sembrò trasformarsi in un ruggito che fece vibrare le mura di pietra.
“Guardie!” urlò Chidril: “scortate il nostro ospite fuori dalle mura di Silvermoon, e che non vi faccia più ritorno per altri vent’anni!”
Cinque guardie di grado B obbedirono all’istante e circondarono armati il guerriero. Quest’ultimo non oppose resistenza, ma si limitò a restare a guardare attonito e incredulo il signore di Silvermoon Ermelaid, che a sua volta non pronunciò una parola.
“Non disturbatevi..” parlò a tono calmo Shiac senza distaccare lo sguardo dal padre di Kriystal: “.. vi libererò della mia presenza spontaneamente.”
Chidril si risedette, soddisfatto.
“Non potrete protrarre a lungo questa messa in scena.” Shiac abbandonò l’aula dirigendosi oltre all’enorme portone in oro massiccio che lo avrebbe diretto all’uscita del Furore solare, lasciando basite le facce di tutti i presenti.
“Siamo stati costretti!” gli urlò alle spalle Ermelaid, come per giustificarsi: “Non poteva ripetersi la storia di Sylvanas! Non potevamo perdere le nostre mogli e le nostre figlie! Ranger, Paladine, graverebbero solo al nostro esercito! Tu devi capirci! Devi capirmi! Io devo proteggere mia figlia!”
L’Orco continuò per la sua strada senza voltarsi un istante, finché le guardie non richiusero il portone alle sue spalle.
‘dovevo proteggere mia figlia’ Ermelaid si ripeté tra sé le sue ultime parole. Per tutti gli ultimi anni aveva sempre respinto il reclutamento della figlia nell’esercito di Silvermoon rallentando così sempre più il suo sogno di diventare una paladina, con la speranza che col tempo smettesse di sognare.
Questo non perché fosse un cattivo padre. Quando i Sette signori di Silvermoon furono formati trent’anni orsono Chidril propose come una delle prime leggi la proibizione del reclutamento di Elfe del sangue femmina con classe Paladina e Ranger all’interno dell’esercito della capitale. Non era altro che una discriminazione razziale quella del prete, ma Ermelaid pensò in primis alla sicurezza della propria figlia. Aveva visto morire sua madre e Sylvanas Windrunner. Non riusciva assolutamente a immaginare la figlioletta Kriystal strisciare per la cicatrice morta con la bava alla bocca o nel migliore dei casi come reietta sotto alla giurisdizione della nuova Sylvanas. Era terrorizzato all’idea che Kriystal perisse in battaglia. Aveva già perso l’Elfa che aveva amato per oltre cent’anni, l’aveva vista trasformarsi sotto ai suoi occhi in un essere viscido e privo d’ogni ragione.
Come aveva potuto mentire a sua figlia anche a tal proposito? Sulla morte della madre.
Come poteva aver pensato che Kriystal se ne sarebbe stata per sempre buona, ad ingoiare ogni menzogna che le veniva offerta?
Tutto ad un tratto trovò una miriade di motivi che giustificavano la sua fuga.
“Adesso che è tornato l’ordine in aula..” continuò Lanthan Perilon: “potremmo finalmente valutare il caso del traditore di carte. Spero vivamente di non avere ulteriori interruzioni al riguardo, se non dopo avere aggiornato gli archivi.”
I presenti magistri, ufficiali e Signori di Silvermoon parvero esser d’accordo.
“Eccellente, chiamo all’appello dunque il Ranger Halduron a far rapporto sugli inviati all’inseguimento dei fuggitivi.”
Fuggitivi. Ermelaid sentì una scarica elettrica nel proprio corpo a sentir definire la propria figlia una fuggitiva.
Il Ranger Halduron nel frattempo prese posto al centro dell’aula e rivolto a tutti scelse accuratamente le proprie parole: “Come ben voi tutti sapete la Compagnia imperiale, capitanata dal Warlock al comando Thehorde e dal vice comandante paladino Bithah è stata mandata in spedizione presso le rovine di Lordaeron, Undercity precisam..”
“..che notizie avete dalla Compagnia?” non lo lasciò finire Chidril, che appena conclusa la domanda lanciò un’occhiata ad Ermelaid.
“..in anticipo vi chiedo di restare calmi e di non saltare a conclusioni quando vi dico che al momento la Compagnia va ritenuta dispersa, non avendo ricevuto alcuna notizia nelle ultime quarantottore.”
“Stiamo scherzando!?” irruppe Ermelaid, fuori di sé: “e non ha pensato di inviare altri soldati!?”
“Signore io ho piena fiducia nell’esperienza del comandante Thehorde” rispose il Ranger: “sono certo che saranno già sulla via del ritorno.”
“Eccellente!” esclamò Chidril, alzandosi all’improvviso in piedi e raggiungendo Halduron al centro della sala: “Signori miei, è arrivato il momento di avvisarvi che un fonte anonima nella giornata di ieri mi ha informato d’una questione a dir poco gravosa per tutti noi..”
“Definire ‘figura anonima’, prego ..” chiese Perilon.
“Mi sarà dovuto specificarlo una volta che tutto sarà concluso.”
“Tutto cosa?” domandò anche Halduron.
“Signori, calmi” rispose ad alta voce Chidril, per farsi sentire da tutti: “sto attendendo un messaggero che arriverà a breve. Egli possiede un’informazione a noi di vitale importanza per i disagi che stiamo passando.”
“Vogliamo maggiori spiegazioni!” infuriò Chaessay.
“Ebbene, stiamo inseguendo l’Elfo sbagliato miei cari. Questo poiché secondo il mio informatore il traditore si trova tra noi, qui presenti.”
Si alzò d’improvviso un vociare ancor più chiassoso delle reazioni alle accuse precedenti dell’Orco guerriero.
“Che cosa stai dicendo!?” fece Ermelaid.
“Mio caro Ermelaid, miei cari fratelli Signori di Silvermoon. Il traditore è tra noi sette, e presto io svelerò la sua identità!”
“Chi ci dice che non sei tu, Chidril!?” aizzò il magistro Alddarend. Ermelaid si era fatto la stessa domanda.
“Calma, calma signori. Tutto a suo tempo. È inutile cercare risposte ora che nemmeno io posso procurarvele. Datemi una decina di giorni e il messaggero sarà qui da noi, in quest’aula.”
“Insomma chi sarebbe questo fantomatico messaggero!?” domandò un altro magistro.
“Quello che tu dici è pericoloso, fratello Chidril!” intervenne anche la Signora di Silvermoon Erona: “come puoi chiederci di abbandonare le ricerche del traditore per un informazione anonima?” 
“Mia cara non ho mai detto di interrompere le ricerche..” rispose Chidril.
“Che cosa intendi dire con questo!?”
“..intendo dire che l’Elfa del sangue Kriystal, l’Elfo del sangue Soran e il loro complice sono comunque traditori della patria. Non appena verranno riportati tra le nostra mura verranno giustiziati seduta stante!”
Nella testa di Ermelaid riecheggiò per una frazione di secondo la frase di Chidril: ‘verranno giustiziati’.
“Chidril!! È di mia figlia che stiamo parlando!”
Il silenzio calò per l’ennesima volta nelle tribune. Ermelaid era in piedi, con la staffa puntata al centro dell’aula.
Una decina di guardie si avvicinò a Chidril pronte a reagire nel caso Ermelaid avesse l’intenzione di emanare qualche incantesimo.
“Abbassate le armi.” Fece Chidril tranquillo, rivolto alle guardie.
“Mio caro Ermelaid, hai fatto di tua figlia una criminale nell’esatto istante in cui l’hai lasciata fuggire contro la volontà presente di due dei sette Signori di Silvermoon. Un tempo eri un grande sostenitore della rigidità nell’applicare le nostre leggi.
Ma qualcosa mi dice che una volta svelata l’identità del vero traditore le cose cambieranno, qui a Silvermoon.”
Anche quest’ultima affermazione arrivò ad Ermelaid come una frecciata la cuore. Chidril sospettava forse della sua fedeltà nei confronti della capitale Elfica? 
“Chidril, sono pronto a giurare con il mio sangue l’innocenza mia e di mia figlia Kriystal. Sono sicuro che con l’aiuto del giovane Soran ritroveranno la retta via.”
Chidril dal basso ricambiava lo sguardo con i suoi occhi affilati: “In tal caso noi li aspetteremo infondo alla via, mio caro Ermelaid.”  
 

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Capitolo 13
*** Eventualità agghiaccianti ***


 

XIII

Eventualità agghiaccianti



Da sempre Kriystal aveva ritenuto il cielo della sua terra natale come il più maestoso e ricco manto stellato di tutta Azeroth. Tuttavia la notte di Orgrimmar la costrinse a ricredersi.
Quando studiava all’accademia del Sole alto Kriystal aveva imparato tutto ciò che era dato sapere sulla complessa costellazione di Azeroth, e con essa la miriade di altri universi al di fuori di esso. Ne era sempre rimasta infantilmente affascinata, ma in quel momento al centro di decine e decine di corpi danzanti e di musica folcloristica fatta di tamburi e corni strappati agli eterni nemici, capì di esser coinvolta in qualcosa di più grande. Non si trattava più di una fuga da casa, né di esser diventata involontariamente complice di un sospettato pluriomicida e ladro di carte, ma il suo destino sembrava riservarle qualche cosa di più.
Seduta a gambe incrociate all’interno di un enorme cerchio composto da razze diverse provenienti da etnie disparate e in passato contrapposte, Kriystal cercava di leggere attraverso le fiamme del falò posto al centro e circondato da suonatori e danzatrici, lodatori e lodatrici di antiche divinità, quale fosse il suo destino.
Divenire un Paladino non significava semplicemente ricoprire una classe, o una carica all’interno di un esercito, o di una compagnia; realizzare il proprio sogno significava prendere le sembianze di una bilancia metaforica col compito di detenere la capacità di pendere ogni volta dalla parte giusta. 
In quel momento il suo sguardo cadde su un Warlock che sedeva al suo fianco e che, come lei, studiava la danza degli abitanti di Orgrimmar e del fuoco.
“Mio padre diceva che il fuoco è l’origine di ogni cosa. Come tu ben sai nessuno come noi Elfi del sangue può comprendere la natura e tutte le sue sfaccettature. Noi viviamo di essa, ci cibiamo della sua energia.
La mia famiglia è ovviamente originaria della capitale e solo in seguito si era trasferita nelle radure ormai abbandonate e semi infestate del Lordaeron. I miei genitori avevano progettato di fare avvenire la nascita del primo figlio in concomitanza con l’inaugurazione della nuova colonia dell’orda stabilitasi nelle ormai sterili pianure del Lordaeron..”
Da poco più di una decina di minuti Vonch stava raccontando ricordi ben definiti e ancora vivissimi in lui circa la sua infanzia e la sua famiglia. Kriystal lo ascoltava con piacere e si concentrava a tal punto sulle sue parole da aver trasformato la musica e i cori intorno a sé in un semplice sottofondo.
“.. la prima volta in cui misi piede a Silvermoon la ricordo alla perfezione. Diciamo pure che fu sicuramente un’accoglienza molto diversa rispetto all’ultima volta in cui ci sono stato, mano caotica la definirei. Mio padre mi ci aveva portato per farmi questo discorso sulla natura e per addentrarmi gradualmente in un mondo fatto di armonia e spiritualità, come di sangue e di dolore. Mi mostrò una ad una le lapidi dei più grandi eroi della nostra terra e mi insegnò ad udire i loro sommessi sussurri. Nessun popolo poteva vantare una tale capacità e un tale numero di campioni.”
In contemporanea con le parole del compagno Kriystal riusciva a riconoscere un proprio orgoglio del far parte di una razza come quella degli Elfi del sangue. Vonch aveva ragione, vantavano di un gran numero di eroi del passato ed erano gli unici capaci di un così intenso rapporto con la natura dallo riuscire ancora a sentire la presenza dei loro cari aleggiare nell’aria.
“In particolare ricordo quando sostammo nell’isoletta di Sole Alto, ora residenza delle famiglie più nobili di Silvermoon” Kriystal arrossì, ma Vonch non parve riferirsi a lei: “ in quel luogo mi spiegò tutto del Pozzo solare e di ciò che un tempo significava per la nostra gente. Ricordo che conosceva moltissimi nomi di compagni caduti in battaglia per difenderne la sua energia. 
Poco dopo mi imbattei finalmente nel vero motivo per il quale mi aveva portato sino a lì: mi inginocchiai su un’enorme monumento in memoria del più grande archetipo del valore della nostra razza. Sai di chi parlo?”
“ Certo! ” Kriystal lo sapeva davvero e si vergognò quando si rese conto che negli ultimi anni era così abituata alla sua residenza a Sole Alto, che passava di fronte a quella scultura senza farci ormai più caso.
“ Inginocchiato di fronte a quel simbolo vidi per la prima volta mio padre scoppiare in lacrime. Non sapevo chi vi fosse seppellito ma non seppi resistere e lo seguì a ruota. Piangevo e piangevo e non riuscivo a smettere. Nell’aria c’era qualcosa di così intenso.”
Kriystal conosceva la sensazione di sostare di fronte alla tomba del primo Re del popolo degli Elfi del sangue, Dath’remar ma non capiva perché Vonch avesse scelto di raccontarlo proprio quell’episodio della sua vita.
“ A volte quando mi sento come questa sera penso a quanto mi piacerebbe tornare in quel luogo. So di interi pellegrinaggi destinati davanti a quella tomba e so di miriadi di creature di ogni razza che si sono inginocchiate ai suoi piedi per pregare e per ricevere consigli..” adesso Kriystal cominciava a capire dove il Warlock volesse andare a parare.
“E penso che mio padre prima di morire abbia pensato a quella tomba, per infondersi coraggio e prendere coscienza del fatto che gli antichi in quel momento erano con lui e lo sostenevano.
Dal giorno dell’attacco non faccio altro che sognare quel monumento ogni singola notte. Ci insegnano sin da piccoli ad ascoltare i consigli degli antichi e ad appropriarcene per produrre qualche cosa di buono nel nostro presente. Il sogno è sempre accompagnato dalle solite parole in un linguaggio che io non riesco a comprendere. Poi cala quella nebbia glaciale e il freddo”. Kriystal riusciva a sentire i brividi sotto la pelle mentre Vonch raccontava. Il compagno era visibilmente travagliato dal giorno in cui aveva perso la sua famiglia. Per un istante il suo pensiero andò alla notte prima e alla piccola e umida cella in cui probabilmente Vonch si era rotolato nei suoi incubi e nelle ragnatele, mentre lei dormiva beata su un morbido materasso con acqua corrente e vestiti puliti. Il Warlock invece indossava la stessa armatura di maglia ormai sgualcita di quando lo aveva conosciuto.
“Mi dispiace di avere dubitato di te” si perdonò lei nella speranza di avere una piccola possibilità di essere perdonata.
“Con quello che ci aspetta è bene che cominciamo ad alzare un muro nei confronti del prossimo, Kriystal. D’ora in poi non fidarti mai di nessuno, in primis di chi ti è più caro”. Kriystal non poté che portare lo sguardo a Soran, seduto al di fuori del cerchio al bancone di una taverna illuminata a candele.
“Tu ti sei fidato di me quando hai deciso di coinvolgermi in tutto questo” 
“Avevo bisogno di qualcuno per trovare aiuto”
“Hai strappato l’occhio a Luzran, vuoi dirmi che avevi già programmato di finire davanti a Thrall?”
“Mio padre si era creato una stretta cerchia di fidati, uno di questi era Thrall. Ero venuto a conoscenza del codice materiale per provare la mia identità di figlio di Lorbton, così me ne sono appropriato.”
Kriystal constatò come tutto sembrasse avere improvvisamente una logica, ma ancora un dubbio l’attanagliava: “Resta il fatto che per prendere l’occhio del guardiano del fosso della morte hai sacrificato la vita dei tuoi cinque compagni d’avventura. Io e Soran eravamo destinati ad una fine simile se non fosse intervenuta la compagnia?” kriystal guardò Vonch negli occhi con determinazione. Dopotutto era normale avere dubitato di lui.
“I miei cinque compagni d’avventura?” Vonch pareva quasi essersi dimenticato della squadra di avventurieri con la quale aveva rapito Kriystal e attuato un’apparentemente fallimentare invasione del Fosso della morte: “quelli non erano miei compagni d’avventura. Li definirei piuttosto compagni di ventura.”
“Compagni di ventura? Cioè mercenari? e ti sembra giusto averli portati in quel luogo pur sapendo che li avrebbe aspettati la morte?” si sentiva così stupida nel porre una domanda così ovvia.
“Erano criminali, Kriystal. Assassini, ladri e farabutti. Erbaccia di Azeroth utile al solo scopo di riportare l’equilibrio tra le cose”. Kriystal sentì il forte tocco di cinismo nelle parole rabbiose di Vonch, ma non trovava alcuna ragione sul momento per dargli torto. Se ciò di cui si era in parte discusso nel pomeriggio assieme a Thrall fosse corrisposto al vero, sull’intera Azeroth stava per calare un inverno improvviso ed eterno. I cosiddetti miserabili, o Elfi del sangue corrotti dall’odio e dal potere strappato alla natura, non potevano essere considerati individui abbastanza utili alla società da esser salvaguardarti. Pensò alle direttive che Thrall aveva dato all’intera compagnia circa le prossime mosse e si chiese se davvero le notizie e le testimonianze di Vonch erano in grado di prevenire quella che poteva essere la più grande catastrofe di sempre.
“Lo troverò Kriystal. Troverò il drago bianco che mi condurrà all’artefice della disfatta della mia gente”.
Kriystal aveva sentito diverse storie sull’effetto del desiderio di vendetta capace di corrodere il più forte spirito, ma si rese conto che se avesse potuto avrebbe portato la testa di quel drago in patria lei stessa. 
“Sempre così festose le notti qui ad Orgrimmar!” Bithah prese improvvisamente posto alla destra di Kriystal porgendole un grande piatto contenente i più svariati generi di frutta esotica e colorata che l’elfa avesse mai visto.
“è tutta frutta del luogo” spiegò sorridente Bithah, il viso privo dell’elmo che il più delle volte durante le giornate gli ricopriva le fattezze: “avete entrambi bisogno di cibo e riposo. Mi sono occupato io stesso di procurare un letto comodo e panni puliti anche per te” fece rivolto a Vonch, il quale ringraziò con un cenno del capo.
“E per te mia prode paladina provetta ho vinto alle aste questo pomeriggio un’armatura che penso possa andarti bene!”. Kriystal non credeva alle proprie orecchie, in tutte le avventure sino a quel momento passate aveva sempre indossato una sottile armatura di maglia e pelle con piccole spalline di metallo. Anche gli stivali cominciavano a dar l’impressione d’esser consumati. 
“E magari anche un’arma?” domandò ironica, ma speranzosa.
“Per adesso la tua spada e il tuo pugnale possono andar bene!”
“Il mio pugnale? Cosa posso farmene di un pugnale?”
“Scherzi!? Forse la damigella ha omesso di dirti paladino, che proprio ieri ha fatto strage di ragni nelle foreste di Silverspine” irruppe Vonch con il suo fare scherzoso e a momenti alterni ritrovato.
“Ragni?” approfondì Bithah: “mi auguro che fossero enormi!” e tra il paladino e il Warlock scoppiò una risata, che però Kriystal non prese a male. Anzi le parve così strano ritrovarsi con perfetti estranei, in una città estranea in piena festa a ridere e mangiare davanti a danze attorno ad un fuoco.  
“Erano orribili. Ma immagino che là fuori c’è di peggio e vorrò esser pronta ad affrontarlo”.
“Mi sembra giusto” constatò Bithah: “per questo volevo proporti una volta arrivati a Thunderbluff un addestramento!”
“Un addestramento?” Kriystal non riusciva a capire al volo se Bithah faceva sul serio o meno.
“Si, per approfondire l’arte d’esser paladino!” Bithah esplicò con tanta naturalezza l’ultima frase, che Kriystal solo in quel momento si rese conto di quanto era vicina al suo sogno. I paladini non sono solo spada o scudo, e questo Kriystal lo sapeva. Essere paladini era una vera e propria arte e per impararla bisognava addestrare lo spirito ancor prima del corpo.
“Per mille Ally Rossiccia, Se ne vedranno delle belle!” punzecchiò Vonch, prima di mandar giù un lungo sorso di birra.
 
Thrall guardava il proprio popolo in festa dall’alto di un torretta da vedetta. Il suo sguardo sembrava ogni tanto rivolgersi al cielo, come per tenere la situazione sotto controllo anche lì.
“Eventualità agghiaccianti, signore.” Thrall aveva già sentito la presenza di Thehorde da qualche minuto alle sue spalle e Thehorde ne era a sua volta consapevole.
“Si, caro amico. Temo che tu abbia trovato il termine giusto.”
Thehorde affiancò il signore della guerra e si mise anch’egli a scrutare il cielo stellato: “Quest’oggi abbiamo tutti discusso molto delle informazioni portateci dal figlio di Lorbton, ma nessuno ha ancora avuto il coraggio di pronunciare il suo nome. Io e lei sappiamo perfettamente l’origine della creatura che ha seminato il terrore ad Acramand e la storia del suo mandante.”
“Ne ero sicuro che anche stavolta pensavamo la medesima cosa…” Thrall manteneva un tono sommosso, pacato: “…e al contrario dei vostri sette signori io non ho mai dato per scontato che fossimo già tutti in salvo”.
“Silvemoon negli ultimi tempi è cambiata molto, signore. Ed è cambiata in peggio. Sono state modificate leggi, che più che far valere la giustizia sembrano voler contenere il terrore.”
Thrall annuì con uno sbuffo: “Quante ne abbiamo affrontate insieme, amico mio?”
“Mai troppe, signore.”
“C’è un motivo se il tuo nome d’arte , The-horde, appartiene a te e non agli altri grandi guerrieri. Nemmeno Garrosh ha più ricordi sul campo di quanti ne possiedi te.”
“Garrosh Hellscream, quella vecchia testaccia”.
“Già, o Shiac con la fama che ora si sta facendo in tutto il mondo. Lo chiamano lo sterminatore dell’Alleanza” Thrall si lasciò andare ad una breve risatina nostalgica, assorto tra sé e sé.
“Forse molto presto Signore saremo costretti a rincontrarci nuovamente tutti assieme per affrontare un antico nemico.”
“Forse …” Thrall abbassò il capo: “… ma il problema è se siamo abbastanza pronti per quello che ci aspetta.”
“Cominceremo dalla missione che mi ha affidato e una volta che i nostri alleati avranno preso coscienza dell’eventualità di ciò che sta per accadere saremo pronti a tutto”.
“Spero fortemente di poter contare anche su Silvermoon.” Thrall aveva posto una domanda della quale conosceva già la risposta.
“Dipende da chi governerà Silvermoon quando scoppierà la guerra” sentenziò il Warlock.
“Come non detto. Anche stavolta hai trovato il termine adatto, guerra.”
“E come vede i nemici dell’Alleanza in tutta questa storia, Signore?”
“L’argomento Alleanza soprattutto qui a Orgrimmar, centro dell’Orda, è molto più delicato del solito negli ultimi tempi. Vedi, ultimamente è stata spesso messa in dubbio la mia autorità dati i tentativi di tregua che io e la leader degli  Alleati cerchiamo di mantenere il più coerentemente possibile.”
“Le voci sulla presunta relazione tra lei e l’umana?”
“Jaina, già. Mi piacerebbe sapere come la pensi a tal proposito amico mio.”
“Con tutto il rispetto non mi intendo di questioni mondane e pettegolezzi, signore. Ciò che riguarda le sue relazioni private non è di mio riguardo. Io sono qui per servirla, ogni giorno indosso quest’armatura col solo intento di servirla. Nemmeno il trasferimento a Silvermoon ha alterato in qualche maniera il mio rispetto per lei e per il lavoro e la responsabilità che svolge qui a Orgrimmar, Signore.”
“Si Thehorde, non ho mai dubitato della tua fedeltà. Prima di essere Signore e soldato, noi siamo fratelli. Spero che tu comprenda i motivi per i quali io ti abbia trasferito nell’esercito di Silverm..”
“Non ho mai dubitato, signore” Thehorde conduceva lo sguardo ancora sulla panoramica di Orgrimmar, ma il tono era sincero: “quando mi trasferì mi spiegò le ragioni della sua decisione e dopo dieci anni di servizio a Silvermoon posso confermare che la sua fu una scelta saggia. Solo all’interno della compagnia imperiale sono potuto entrare a contatto con i Sette signori di Silvermoon e tenerli controllati.”
“Mi addolora avere sacrificato la tua carriera chiudendoti nella tua capitale, ma le informazioni che mi hai passato corrispondono esattamente a quelle del figlio di Lorbton e lo scagionano sulla parola. Avvengono dei sotterfugi a Silvermoon e il misterioso responsabile e traditore sostiene la campagna di colui che sta per tornare..” Thrall si fermò un istante: “Maledizione. Nemmeno io sono più abituato a pronunciare il suo nome”.
 
Al banco di una taverna Soran finì la propria cena in disparte dal chiasso della folla in festa. Non era sempre stato così associale, ma certo è che trovava fastidiosissima la pronuncia dialettica dei Troll e che tra i festaioli ce ne erano parecchi.
“Tutto solo?” cercò dialogo una giovane orchessa dai lineamenti vagamente femminili dall’altra parte del bancone.
“Diciamo che è colpa della spossatezza. Dammi un altro boccale per cortesia” il tintinnio delle monete che lasciò cadere sul bancone fu attutito dalla pergamena sulla quale poco prima stava scrivendo.
“Sembri molto indaffarato per essere stanco. Perché non ti prendi una pausa?”
Soran sorrise gentilmente all’oste ma ignorò l’offerta, gli ultimi avvenimenti erano di così grande portata che non poteva certo permettersi di lasciarsi andare all’ozio. Da semplice figlio di un giardiniere si era ritrovato alle prese con un’avventura di alto grado al fianco della compagnia imperiale. Grandi cose stanno per avvenire, penso tra sé e sé piegando il foglio di pergamena e infilandolo in borsa. Kriystal in lontananza gli rivolse un sorriso, che lui ricambiò. 

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Capitolo 14
*** Centauri ***


XIV

Centauri


La mattina seguente Kriystal si presentò in perfetto orario davanti alle porte di Orgrimmar all’ombra di un sole che cuoceva ancor più del pomeriggio precedente, mentre nell’aria aleggiava uno sfumato profumo di patria. La festa locale era finita con il primo chiarore dell’alba e Kriystal era riuscita a chiudere occhio solo per tre ore, ma si sentiva fresca e carica per affrontare ciò che li aspettava: una giornata di cammino tra canyon e savana sotto il vivo calore del Kalimdor. A quell’ora le strade di Orgrimmar erano già piene di abitanti del luogo indaffarati nelle loro faccende quotidiane, nonostante i numerosi corpi ancora addormentati e sbronzi di orchi e troll festaioli. Per un istante l’elfa si domandò se avesse mai più rivisto Orgrimmar e i suoi colori. Proprio in quel momento una grottesca orchessa le passò vicino e le fece un grossolano gesto di saluto con la mano. Kriystal ricambiò e si rese conto come l’armatura regalatogli da Bithah le donasse un’aria più ufficiosa e di come sarebbe stato più difficile da quel momento passare inosservata. L’armatura era un modello medio standard, un ensamble di materiali adatti alla classe paladina con piccole spalline appuntite. Da esse scendeva lungo la schiena un corto mantello di pelle di lupo, trafugato direttamente dalle montagne dei nani! aveva esordito Bithah alla consegna degli abiti acquistati alle aste. Sembrava andare molto fiero di quel regalo e Kriystal non voleva deluderlo. Si sentiva un po’ appesantita dalle varie componenti in ferro, ma aveva comunque trovato il modo di personalizzarsi il resto dell’armatura staccando le protezioni per gli avambracci e per le ginocchia. Il risultato era molto più femminile e leggero. Per lo meno le braccia potevano respirare.
“Che fine ha fatto la gabbia invernale che ti ha sganciato l’El-mo del sangue paladino?” Soran arrivò dalla direzione della banca centrale con un grande sorriso, la spada e la staffa legate ai fianchi e due borse in più rispetto al giorno precedente. Il soprannome affibbiato a Bithah era stato coniato ovviamente da Vonch durante la festa della notte prima, elaborando un gioco di parole tra Elfo del sangue ed elmo, data la tendenza del paladino di portare il copricapo in tutte le ore del giorno. Il risultato fu molto sottile, ma ironico. Nacque così l’Elmo-del-sangue-paladino Bithah. Quest’ultimo ovviamente l’aveva presa in ridere e si era concesso a qualche pettegolezzo riguardo le avventure passate con i due compagni della compagnia imperiale. Thehorde non era il vero nome del Warlock rosso, il ché era in realtà abbastanza intuibile e Kriystal non si stupì più di tanto. Fu sorpresa invece dalle descrizioni che il paladino faceva del Warlock che lo vedevano come un elfo d’onore, un amico fedele e un eroe della patria. Possibile allora che solo l’elfa del sangue lo vedesse come un elfo arrogante, pieno d’orgoglio e sempre pronto a farsi nemici?
“Abbiamo affrontato tante di quelle battaglie insieme” aveva continuato il paladino:“i primi due anni nella compagnia si era caratterizzato come il più sfacciato e saccente soldato di tutto l’esercito di Silvermoon. Ma se solo lo aveste visto in azione durante la guerra. Si è costruito amicizie con i più grandi campioni di Azertoh.” Kriystal riconobbe alcuni dei nomi di tali campioni. In rare occasioni Shiac, orco guerriero conosciuto in tutta Azeroth e oltre come lo sterminatore di Ally, si era presentato alle cerimonie rituali della capitale elfica. Ma Kriystal non riusciva proprio a vedere Thehorde e Shiac bersi una birra insieme e coprirsi le spalle contro la legione infuocata, anzi, non riusciva proprio immaginarsi Thehorde costruirsi amicizie con qualcuno. Eppure secondo i racconti di Bithah il Warlock rosso riusciva ad essere rispettato, temuto, odiato e amato contemporaneamente da tutti i continenti. Una promessa leggenda.
Quella mattina Kriystal pensò che il leggendario Thehorde si fosse dimenticato a letto dato il suo ritardo nel presentarsi all’appuntamento. Dopo Soran si presentò Vonch accompagnato da Robil: “Se continui a scortarmi ovunque io vada comincerò a pensare di essere ancora in arresto” lo stuzzicava il Warlock biondo: “o peggio, che tu sia innamorato follemente di me!”
“così innamorato da trafiggerti il cuore con una mia freccia” rispose l’assassino.
“mai innamorarti di un assassino, rossiccia. Non hanno il senso dell’umorismo” Kriystal sorrise ad un Vonch ora visto con occhi diversi:“ma guardati! Adesso si che sembri una paladina. O almeno una che prova ad esserlo!”.
Bithah e Thehorde arrivarono in coppia e la compagnia poté ritenersi al completo. Un assassino, un paladino, una civile e tre Warlock. Nonostante la presenza di Kriystal, la civile, a stonare sembrava essere l’alto numero di Warlock: un ricercato alla ricerca di luce sulla propria innocenza, un amico d’infanzia tramutatosi in un coraggioso avventuriero e un ufficiale despota, arrogante, vile e associale. Sarebbero mai andati tutti d’accordo?
“Non potevi sbarazzarti del tuo tacchino durante il soggiorno?” Thehorde si rivolse all’elfa passandole davanti e guardandola dall’alto della suo destriero ardente. No, pensò Kriystal in sella al suo modesto Silbar, non sarebbero mai potuti andare d’accordo. Il caso aveva voluto che individui così diversi venissero accomunati dalla guida del signore della guerra Thrall per tentare di evitare quella che sarebbe potuta essere la più agghiacciante guerra di sempre. Una volta compiuta la missione sarebbe tornato tutto come prima, ma lei che fine avrebbe fatto? Valeva la pena tornare a Silvermoon per essere condannata ad una vita triste e insoddisfatta? “è uno struzzo arcobaleno!” ribatté con tutta la fierezza che poteva avere in corpo.
“Per raggiungere la regione del Mulgore dovremmo attraversare le Lande e metterci tutta la giornata, arriveremo ai piedi di Thunderbluff per il tramonto” spiegò diligentemente Bithah: “sei sicura Kriystallina di riuscire a stare al passo con il resto del gruppo? Non devi sentirti in imbarazzo a chiedere a uno di noi di portarti in sella” Kriystal guardò una ad una le espressioni dei loro compagni sperando di non riconoscere in nessuna di esse l’ombra di compassione, mentre Thehorde già le rivolgeva le spalle e si incamminava a Sud lungo il sentiero che tagliava l’arido paesaggio. “Si, starò al passo benissimo” concluse, decisa a dimostrare al Warlock rosso di essere tutt’altro che un’inetta: “anzi spero siate abbastanza veloci!” e scattò furtiva e saltellante dietro a Thehorde lasciandosi alle spalle il resto del gruppo.
“Fa sul serio?” domandò Vonch.
“Tu non immagini quanto” sorrise Soran.
Così la compagnia partì in direzione Mulgore, pianura circondata da catene montuose attraversabili solo tramite le Lande al confine con il Durotar. Le cavalcature erano tutte cariche di bagagli e rifornimenti. Durante il viaggio Kriystal ebbe modo di conversare con la maggior parte del gruppo escluso Thehorde, il quale sempre taciturno restava in testa alla fila. L’elfa ebbe anche occasione di confrontare le varie opinioni dei compagni sulla missione affibbiatogli dal signore della guerra.
“Deduco che tu abbia sentito parlare di Ner’zhul” rispose accademicamente Bithah mentre con una mano stringeva le redini del cavallo: “colui che senza nemmeno degnarsi di presentazioni ha disseminato paura, morte e pestilenza per tutta Azeroth”.
“Il re dei Linch” sussurrò quasi con timore Kriystal: “so tutto quello che è riportato sui libri”
“Questo mi fa sentire molto vecchio” sorrise il paladino: “io ero già parte dell’esercito di Silvermoon quando il principe umano di una fiorente lordaeron perse il lume della ragione”.
“Tu hai combattuto contro le armate del Flagello!?”
“Credo che tutti i qui presenti abbiano avuto a che fare con quel capitolo di storia, esclusi te e Soran ovviamente. Erano i tempi in cui la cosa peggiore del venire uccisi era che ci si sarebbe risvegliati sotto l’influsso del Re dei linch”
“I soggetti all’influsso del Flagello” completò i tasselli Kriystal: “gli stessi che seguivano fedelmente quell’ufficiale umano nel villaggio distrutto!”
“Esatto. Per questo siamo in stato di allerta. Sai bene come sia finita, o come non sia mai finita la guerra contro il principe di Lordaeron?”
“Arthas. Il paladino corrotto dal male” rispose prontamente Kriystal: “dopo aver capovolto gli assetti dei due continenti è scappato con la coda tra le gambe nel Continente del Nord dove presumibilmente avrebbe trovato l’aiuto diretto del suo maestro. Ner’zhul”.
“Per l’appunto. È giusto che tu sia preparata per quello che sta per avvenire. Se il ritorno di Arthas corrisponde al vero è mia opinione che non si accontenterà di un esercito di non morti privi di cervello. Temiamo che sia alla ricerca di un modo per migliorare le proprie armi.”
“Stiamo parlando di una guerra, non è vero?”
“Forse riusciremo ad evitare di arrivare a tal punto. I nostri fratelli Shu’halo sapranno darci le risposte”.
Kriystal proseguì per qualche istante in silenzio, pensierosa sulle constatazioni fatte assieme all’amico. All’accademia di SoleAlto le era stata narrata la battaglia contro la pestilenza del Flagello come una storia lontana anni luce. Possibile che nessuno si fosse mai occupato di accertarsi della morte del più grande e più atroce paladino corrotto di tutta Azeroth? I campioni di Orda e Alleanza erano stati sottomessi entrambi alla potenza di Arthas e del suo maestro. Silvermoon perse Sylvanas.
“Un momento. Per quale motivo Sylvanas è di una tipologia di non morto diversa da quelli che abbiamo visto capitanati da Flaghart?”
“Molto semplice. Ai tempi in cui Sylvanas venne tragicamente uccisa e poi fatta risorgere da Arthas, egli ne fece una Banshee. Una sorta di principesse guerriere, più forti e più sveglie degli altri servitori. Così forti e sveglie da essersi ritorte contro il loro stesso creatore”.
Kriystal concordò:“Allora Arthas starà cercando di creare una razza di non morti ridimensionata. Forte quanto le Banshee ma più fedele.”
“Per soggiogare a tal punto un essere vivente serve profanare la più oscura natura occulta. Figuriamoci per creare un esercito. Avrebbe bisogno di qualche artefatto potentissimo, delle erbe, delle rune o addirittura degli elementi antichi non più esistenti!”
“Delle rune!” Kriystal ebbe un’illuminazione e dallo spavento Silbar si lasciò andare ad un gracchiante e stonato lamento.
“Fate tacere quel pennuto!” ordinò poco distante Thehorde. Ma Kriystal scelse di ignorarlo, la sua mente stava praticando difficili operazioni tentando di mettere assieme i vari pezzi dell’insieme che in maniera ancora troppo vaga andava a render chiaro il progetto del prima principe e poi Re di Lordaeron. Bithah la osservava ansioso di sapere cosa le fosse preso.
“Al villaggio distrutto dall’Alleanza Flaghart e i suoi avevano trafugato tutte le abitazioni. Ho sentito parlare di oro, viveri e di una runa!” Bithah sembrò aver capito al volo e i suoi occhi si spalancarono:“ma perché non ce lo avete detto subito? Un’informazione del genere sarebbe stato fondamentale riferirla a Thrall!”
“Mi era totalmente passato di mente” rispose Kriystal:“io credevo che le rune avessero solo un modesto valore economico, non potevo immaginare che qualche folle le potesse utilizzare com..” all’improvviso l’attenzione di tutto il gruppo venne attirata da un suono dalla provenienza indefinita.
“Per mille Ally! Cosa diavolo è stato!?” urlò Vonch intento a tener calmo il proprio destriero. Tutte le cavalcature sembravano essere impazzite a causa di quello stridulo suono e Kriystal non riusciva a vedere nient’altro intorno a sé che enormi colline rocciose e il tipico deserto di Durotar.
“I corni dei Taruen?” ipotizzò Robil.
“No” rispose Thehorde: “siamo quasi al confine col le Lande, i Tauren non si spostano in mandrie sino a qui. Rischierebbero di scontrarsi con i…”
“Centauri!” urlò Soran indicando l’orizzonte di fronte a loro. Prima erano solo piccole figure sfocate dal calore del sole, poi cominciarono a udirsi sempre più forte rumori di zoccoli e urla d’assalto.
“Sono diretti verso di noi!” esclamò Kriystal estraendo la spada. Conosceva la razza dei centauri e la loro storica faida di confine con i Tauren, ma non ne aveva mai visto uno dal vivo. A prima vista e dato il tremare rumoroso del terreno ora stava per incontrarne a centinaia.
“Grazie per l’accorgimento, principessa! Potrebbero non avercela con noi, quindi non si torna indietro per alcun motivo!” in risposta agli ordini di Thehorde il resto del gruppo estrasse le armi.
“Resta vicino a me, Kriystallina!” disse Bithah:“anche se da quel che si dice in giro nel corpo a corpo saresti più abile del sottoscritto!”
“Sinceramente spero di non dovertene dare prova in questo momento!” rispose in tutta onestà l’elfa.
L’armata dai centauri era ormai a pochissimi passi dal gruppo e con fare minaccioso si dispiegò tutt’attorno ad esso. Erano esattamente come Kriystal li aveva studiati sulle pergamene dell’accademia. Esseri dall’aspetto metà equini e metà umani, degli umanoidi alti mediamente un paio di metri e pesanti una tonnellata, forti e dalle pelli olivastre di diverse tonalità e il pelo inferiore scuro. A caratterizzarli erano le singole ciocche di capelli portati dietro la nuca come una vera e propria criniera di cavallo. Se quello che Kriystal aveva studiato era vero, cioè che i guerrieri più forti del popolo dei centauri si riconoscevano dalla lunghezza dei codini più maggiore rispetto agli altri, il centauro che ora avanzava temerario verso di loro doveva essere il capo tribù. I bicipiti sembravano per scoppiare sotto ai laccietti in pelle e il petto scolpito da addominali sino a quel momento a Kriystal sconosciuti rendevano la fisionomia della minacciosa creatura ancora più scultorea. Il viso simile a quello di una fusione forzata tra un orco e un umano tradiva la perfezione del busto traducendosi in un’espressione agrottata e accesa da quegli occhi rosso sangue. Kriystal si aspettava che di fronte al suo esercito il capo tribù pronunciasse qualche classica frase guerrigliera prima di un attacco, ma invece si limitò con fare teatrale a puntare il dito su ognuno degli elfi del sangue intento in una conta tra sé e sè: “Sin’dorei” disse con una voce dall’accento sconosciuto e i piccoli denti a punta visibili ad ogni aprir di labbra:“ben sei Sin’dorei alle porte delle Lande. Un viaggetto presso i vostri compagni a Mulgore?”
“Non siamo in cerca di scontri!” tagliò corto Thehorde, senza mostrare alcun’ombra di timore.
“Non è questo che ti ho chiesto!” cambiò tono il centauro trasformando la sua roca voce in un sibilio, per poi tornare al suo ritmo pacato:“Non è cosa di tutti i giorni trovare una compagnia costituita da membri della stessa razza. Non è cosa di tutti i giorni per voi carogne sottoposte ai dittatori delle terre libere!” e tra la schiera numerosissima di centauri si alzò un urlo in una lingua incomprensibile che stava probabilmente a significare approvazione per le parole del loro capo:“il mio nome è Kathraal Hammstrange, capo della dinastia degli Hamm e capitano della fazione Nord delle Lande!”
Capo della dinastia? Fazione Nord delle Lande?” lo schernì Thehorde, rompendo la tensione che si era creata:“vedo che non siete cambiati molto. Sempre il popolo più primitivo di tutto il Kalimdor!” le parole di Thehorde scatenarono la rabbia dei centauri, i quali se non fossero stati frenati da un gesto della mano di Kathraal avevano già sguainato lance e archi con frecce. Kriystal si domandò se Thehorde non fosse impazzito, ma guardando i propri compagni li trovò più che al loro agio. Bithah notò la sua sconcertazione:“Va tutto bene” le sussurrò.
“Sei Sin’dorei!” ripetè Kathraal ad alta voce per farsi sentire dalle file retrostanti del suo esercito: “e duecentoventicinque figli del popolo dei centauri!” un altro urlo stavolta più duraturo si innalzò lungo tutte le teste con codini attorno a Kriystal. Il suo cuore batteva all’impazzata. Una compagnia di sei elfi del sangue costruita su due piedi contro duecentoventicinque centauri guerrieri nati e cresciuti per combattere. Non poteva finire molto bene, non se non fossero stati loro a fare la prima mossa.
“Non è la mia battaglia” proclamò Thehorde, non allentando però la stretta della sua staffa:“eviterei quindi di strappare al popolo dei centauri duecentoventicinque dei figli di Cenarius in un giorno solo!”
Kathraal Hammstrange guardò dietro di sé le reazioni contrarie e scontrose dei suoi compagni:“Ciò che tu affermi warlock è offensivo e pericoloso!”
“Oh si, non è pericoloso soltanto quello che dice!” aizzò ulteriormente Robil.
Ma la reazione di Kathraal fu differente da come Kriystal aveva immaginato. Il centauro mostrò un ghignò diabolico che doveva nel migliore dei modi somigliare ad un sorriso: “Ho sempre avuto molto rispetto per la vostra razza di orecchie a punta. Avete avuto una storia travagliata almeno quanto la nostra, eppure sembrate ostinarvi in maniera compulsiva ad attaccarvi a qualcuno al quale leccare i piedi. È così fraternizzare con L’orda, non è vero? L’orco che gioca con forze perfino a lui sconosciute comanda e voi obbedite. Mentre noi dobbiamo continuare a combattere per le nostre terre contro Cairne e la sua tribù bovina che reclamano da decenni la mia testa!”
Thehorde sospirò spazientito e si diede un’occhiata intorno. Una mandria di centauri che non aspettavano altro che il momento propizio per fare a pezzi lui e la sua combriccola all’interno della quale gli unici a salvarsi erano i suoi compagni Bithah e Robil. Diede un’occhiata a quest’ultimi i quali ricambiarono. Kriystal notò l’intesa e interpretandola capì cosa stava per accadere.
“Tuttavia mi state simpatici” continuò Kathraal:“così dovrete solo farmi il favore di mandare un messaggio a Cairne da parte mia!” ed estraendo dal fodero una grossa spada usurpata a chissà quale nemico ucciso diede il via ai suoi compagni i quali fecero lo stesso, facendo luccicare al sole del Kalimdor armi di tutte le tipologie possibili, alcune rudi e altre più sofisticate, da asce, lance, spade e archi.
“Cominciano le danze!” sorrise Vonch posizionandosi in direzione contraria del gruppo per poter coprire il resto della schiera nemica ormai prossima alla battaglia.
Kathraal sbraitò un altro e ultimo ordine nella sua lingua prima di scattare assieme a tutti i suoi duecentoventicinque compagni. L’azione si svolse nel lasso di pochi vorticosi eventi. La prima ondata di luce scaturì dalla staffa di Thehorde che scaraventò in aria le prime due file della fazione nemica di fronte a sé Katraahl compreso. Robil scese subito dalla sua cavalcatura ed estrasse dalla cinta i due suoi pugnali dalla lama curva coi quali cominciò a mietere vittime a catena con un ritmo non lontano da quello di una danza.
Vonch evocò immediatamente il suo fedele spirito e lo lanciò contro la ressa inferocita mentre un nemico dal corpo decorato di cicatrici si avvicinò a lui brandendo una lancia:“Scendi da cavallo orecchie-a-punta!
“Spiacente, prediligo uno scontro alla pari!” e prima che l’umanoide potesse bofonchiare qualcosa di rimando il Warlock biondo gli aveva già schiantato un incantesimo in pieno muso.
Thehorde impugnava in una mano la spada e nell’altra la staffa e così anche Vonch e Soran. Quest’ultimo maneggiava l’arma presa in prestito ad Undercity con maestria e sicurezza. Decine di centauri cadevano al suolo privi di sensi o di vita al suono di ogni incantesimo o affondo.
Con meno effetti pritoecnici ma non meno efficace Bithah era preso da un continuo schivare e colpire fatalmente. Kriystal cominciava a capire come funzionavano le cose nella nuova compagnia: accetta una missione, non tirarti indietro davanti a uno scontro – anzi, se puoi, non esitare a provocarlo – combatti e infine uccidi. Il paladino Bithah non mostrava paura, l’assassino non aveva paura, i Warlock non provavano timore e questa volta nemmeno lei. Fin dallo scoppio della controversia Kriystal era infatti scesa dal suo Silbar per confrontarsi temerariamente contro i nemici. I centauri sono molto alti rispetto alla statura dell’elfo del sangue comune, ma ciò costituiva paradossalmente un vantaggio per quest’ ultima razza.
Due centauri l’attaccarono simultaneamente e lei rapida saltò evitando il fendente di uno e decisa infierì con la spada sull’altro, il quale tenendosi la parte lesa si accasciò agonizzante al suolo. Kriystal non ebbe il tempo di contemplare la sua vittima dovendo dedicare la propria attenzione subito sul prossimo fortunato. Quest’ultimo ritentò il suo attacco d’ascia che però Kriystal restituì incrociandolo con la sua arma. Il suono delle due lame  che si scontrarono prevalse sul sottofondo delle urla e del chiasso tutto intorno a loro. “Non sai fare di meglio!?” le ringhiò tra i denti il centauro. Lei non si perse in parole. Evitò un terzo tentativo di mutilazione abbassandosi e mirò con precisione proprio nel ventre del nemico, dal quale zampillò sangue in grande quantità che si riversò a terra assieme al corpo. Intanto il polverone venutosi a creare dai vari scontri non le permise di inquadrare quale potesse essere il prossimo bersaglio. Vide Soran utilizzare ancora l’incantesimo della paura e decine di centauri ritirarsi travolti dal terrore. Bithah non accennava al minimo indebolimento e così tutti gli altri. Kriystal si sentiva carica di adrenalina e assetata di energia. Si ritrovò a fronteggiare altri cinque centauri e a sconfiggerli tutti prima di esser scaraventata al suolo da un colpo alla nuca. Rialzarsi fu più difficile del previsto. Il colpo alla testa era stato forte e improvviso, così ci impiegò qualche secondo per riacquisire totalmente lucidità. Si rimpossessò della spada pronta ad alzarsi, ma dietro sé sentì la pesante presenza del nemico pronto a darle il colpo di grazia. Il lungo monocodino dell’umanoide oscillò mentre alzava il possente braccio sinistro armato di macete pronto a scaricarlo sulla giovane elfa. Kriystal si guardò intorno, seduta era troppo bassa per difendersi a colpi di spada, così simultaneamente all’abbassarsi dell’arma del nemico ebbe un’idea: vicino a sé un immobile, largo e piatto masso di roccia contrastava con lo scenario caotico circostante. Kriystal afferrò l’oggetto e priva di ogni eleganza lo utilizzò come scudo per difendersi dall’attacco. Il gesto fu disperato, ma efficace. Il masso si ruppe tra le mani dell’elfa ma la sua vita era salva. Il centauro spazientito da tale grossolana improvvisazione si rigettò immediatamente contro Kriystal, la quale stavolta non si fece trovare impreparata. Con una capriola laterale si spostò furtivamente dalla traiettoria dell’assalto nemico e con una leggerezza degna della sua razza si ritrovò per la prima volta in vita sua in sella ad un centauro inferocito. Kriystal gli tirò il codino per tenerlo a bada mentre lui dimenandosi cercava di disarcionarla da sé stesso, imprecando in più lingue. Lei si sentì gli occhi addosso di Bithah e Robil, i quali si chiamarono a vicenda per assistere alla scena. Kriystal sapeva cosa doveva fare e non ebbe alcuna pietà. Con un urlo guerrigliero trapassò la spina dorsale del nemico ed estrasse la spada solo quando egli precipitò rovinosamente al suolo privo di vita. Kriystal atterrò in piedi e si prese un secondo per stupirsi di sé stessa prima di rilanciarsi nella mischia.
Poco distante, ai piedi di un esercito di centauri morti, anche Thehorde aveva assistito alle gesta dell’elfa del sangue. Per qualche attimo anche se breve Vonch –che appena sceso dalla sua cavalcatura si trovava al suo fianco- gli scorse una smorfia divertita. Ma lo sguardo di Thehorde tornò serio e si dirisse verso il Warlock biondo: “Abbassati!”. Vonch obbedì così velocemente che il centauro che aveva appena tentato di coglierlo alle spalle potè addirittura vedere il nascere del lampo verde dalla cima della staffa di Thehorde, prima che esso lo carbonizzasse all’istante. “A buon rendere!” sorrise Vonch.
“Tu-combatti-con-me!” un urlo costinse Thehorde a voltarsi e a difendersi con la sua lama dallo spadone di Kathraal: “Tu-sei-mio!” ringhiò. Thehorde riuscì a liberarsi dalla sottomissione e restituì l’attacco il quale venne però parato a sua volta. Vonch non poté intervenire perché coinvolto in uno scontro con altri due nemici aiutato dal suo spirito. Kriystal vide a distanza il Warlock rosso faccia a faccia con il capo centauro. Era la prima volta che lo vedeva in un corpo a corpo ravvicinato con la spada invece che la staffa. Kathraal aveva palesemente più forza nelle braccia rispetto al Warlock e i colpi ripetuti costringevano Thehorde ad indietreggiare sempre più finchè con un giro di mano a centottanta gradi riuscì sorprendentemente a disarmare il centauro, il quale ferocemente si buttò con tutto il corpo sull’elfo del sangue caricandolo di peso e rischiantandolo al suolo. Kriystal si trovò inconsapevolmente in allarme per la piega che aveva preso la situazione e trattenne il respiro finchè Thehorde non si mosse dando segno di vita. Bithah aveva appena ucciso un altro nemico e dopo avere constatato le condizioni del suo amico guardò Kriystal e gli fece con il cenno del capo segno di non intromettersi. Bithah aveva così tanta fiducia in Thehorde dal non preoccuparsi per la sua incolumità?
“Deboli, fragili Sin’dorei” infieriva verbalmente Kathraal, mentre recuperato lo spadone si avvicinò al corpo ancora a terra di Thehorde: “guardati! A faccia in giù nel terreno che fino a poco prima calpestavi con la tua arroganza! Cairne non avrà la mia testa, ma impalerò la tua al confine con del villaggio dei Bloodho…” mentre Kathraal si era perso in parole Thehorde aveva trovato il tempo necessario per sferrare a raso suolo una falciata di spada che amputò di netto le zampe anteriori del centauro, il quale crollando liberò il dolore in un verso simile ad un latrato canino. Le pochissime decine di centauri ancora in vita restarono pietrificati nel vedere il loro capo agonizzante e reso innocuo circondato dai suoi nemici. Kriystal, Bithah, Robil, Soran e Vonch si erano intanto avvicinati per assicurarsi della totale infermità del centauro.
“Non c’è vergogna più grande per il vostro popolo che non poter più cavalcare lungo le vostre terre” disse Thehorde alzandosi e spolverandosi l’armatura sporca di sabbia: “questo è il vostro capo!?” urlò ai nemici ancora in piedi indicando il guerriero caduto: “Voi, figli di Cenarius! questa è la guida su cui fate conto!? Un debole, un menomato!”
I centauri offesi da tale affronto si avventarono in direzione dei sei elfi del sangue, i quali non esitarono a rispondere contrattaccando. Robil ne uccise contemporaneamente quattro con poche imbroccate e montanti. Vonch colpì fisicamente con la staffa un centauro e con la spada ne abbattè un secondo. Bithah si trovò in uno scontro ravvicinato con un possente umanoide a aiutandosi con la forza del proprio corpo riuscì a scaraventarlo clamorosamente al suolo e a trafiggerlo. Soran si lanciò alla carica seminando numerosi corpi dietro al proprio passaggio. Thehorde uccise uno alla volta i centauri che gli si avventavano addosso restando comunque immobile affianco al corpo agonizzante e sofferente di Kathraal, come ad impedire che i suoi riuscissero a portarglielo via. Kriystal continuò a difendersi e ad attaccare riuscendo piano piano a sentire il ritmo dei nemici calare fino ad udire solo le urla di dolore del capo branco. Dei duecentoventicinque centauri era rimasto solo Kathraal privato della possibilità di rialzarsi.
“Razziamo i corpi?” suggerì Vonch, la cui voce rimbombò nell’improvviso silenzio.
“Non siamo avventurieri allo sbaraglio” lo riprese Thehorde severo:“abbiamo tutto il denaro di cui necessitiamo. E non abbiamo il tempo di occuparci di tutti i corpi”.
Vonch si guardò intorno constatando il numero delle vittime:“Per mille Ally capo, io una volta finito con voi sarò nuovamente un vagabondo senza soldi. Perciò se non vi spiace, compagni, io mi guadagno da vivere” e così dicendo si mise a studiare le armi dei guerrieri caduti e a frugare dentro le loro sacche estraendo di tanto in tanto qualche moneta. “Stupido ladruncolo” sussurrò indignato Thehorde, accorgendosì però che Kriystal lo aveva sentito e che lo stava fulminando con lo sguardo. Poi il Warlock rosso portò la sua attenzione all’unico, inerme, centauro sopravvissuto.
“Che ne facciamo di lui?” domandò Robil, pulendo le sue lame con un fazzoletto attaccato alla cinta.
Bithah guardò subito Kriystal e lei non battè ciglia una volta recepita la risposta. Thehorde passò la propria staffa a Robil e impugnò solo la spada. Poi si avvicinò a Kathraal e lo tirò con forza per il codino di capelli costringendolo ad alzare la testa e a dimenarsi come un indemoniato: “Maledetto Sin’dorei!”
Thehorde lo fissava impassibile lasciandosi scivolare addosso le parole del nemico come fossero fumo. “Bestia” disse a bassa voce, così bassa che lo stesso Kathraal faticò a sentirlo:“non porteremo alcun messaggio a Cairne Bloodhoof da parte tua. Tuttavia gli porteremo un dono!” e così dicendo con un colpo secco di spada la testa del centauro rimase gli rimase in mano appesa per il codino, mentre il resto del corpo si abbandonò in una pozzanghera di sangue scuro identico a tutto quello sparso per la terra circostante.
Non era la prima volta che Kriystal assisteva ad una esecuzione pubblica. La prima fu quando aveva appena quindici anni, ma né allora né nel mezzo del deserto del Kalimdor provò compassione per il giustiziato. La politica Sin’dorei era molto cruenta, ma non per questo ingiusta.
Thehorde infilò la testa di Kathraal in uno sporco sacco trovato da Vonch fra i caduti e lo appese grazie all’aiuto di una corda alla propria sella. “Riprendiamo il cammino” impose con fermezza.
Kriystal non si era accorta che Silbar era scomparso durante la battaglia, forse ucciso da qualche centauro, così dovette rievocarlo per poi salirgli in sella. “Sei stata molto brava” le confidò Bithah:“per quanto riguarda il corpo a corpo non avrò molto da insegnarti durante il nostro addestramento”.
“Quando cominciamo?” chiese Kriystal mentre intanto il gruppo rirpendeva a marciare lasciandosi dietro la frotta di spoglie dei centauri. “A quanto pare abbiamo già cominciato” rispose lui.
“Trovato qualcosa di utile?” domandò Soran a Vonch raggiungendolo al suo fianco:“qualche pietra preziosa o arma pregiata?” “Nah. Solo qualche soldo, per il resto tutti oggetti rudi e rovinati”.
“Non un vero e proprio bottino” infierì beffardamente Soran. Vonch convenì amaramente e poi rivolse l’attenzione al Warlock rosso che galoppava di fronte a loro a debita distanza. “Hei tu, con quel grazioso abitino in pelle ” chiamò Robil ed egli si avvicinò con il suo cavallo: “il tuo amico laggiù, quel Thehorde, o come si chiama, è sempre così scostante? Voglio dire, ha sempre quel tono grottesco quando uccide qualcuno? Del tipo ‘tuttavia gli porteremo un dono… ZACK!” Soran e Robil scoppiarono in una risata spontanea, ma Thehorde nemmeno se ne accorse.
“Tu piuttosto, giovane Warlock” Robil si riferiva a Soran:“sei stato ammirevole in battaglia, se teniamo conto del fatto che quell’arma non è nemmeno tua”
“Ho promesso di restituirla” mentì Soran:“non appena la missione sarà conclusa”
“Proprio non lo avete capito vero?” si intromise Vonch, al centro fra i due:“questa missione sarà molto più lunga del previsto.”

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Capitolo 15
*** Villaggio Bloodhoof ***


CAPITOLO XV

Villaggio Bloodhoof



Il passaggio dal Durotar alle Lande fu graduale e Kriystal se ne accorse solo dopo un paio di chilometri quando cominciò a rendersi contro della metamorfosi che il paesaggio stava subendo. Ciò che prima era una terra desolata e secca ora era una savana piana con un discreto numero di piante, alberi e animali selvatici. Vide in lontananza un leone aggredire un cinghiale e poco distante un triceratopo curare le sue uova. Le Lande, famose per la loro lunghezza e per essere un territorio fortemente spartito a suon di battaglie da Orda e Alleanza, avevano più vita animale di quanto Kriystal avesse immaginato. In cielo risuonavano i canti di uccelli di diverse specie e su una collina rocciosa una leonessa coi suoi cuccioli riposava al sole al sicuro dai Raptors, mentre a pochi passi un rinoceronte si abbeverava in una pozzanghera di acqua sporca. A Kriystal venne sete, ma si accorse a malincuore che l’acqua nella borraccia era quasi finita.
   “Tutto bene?” domandò Bithah, affiancandola. Per tutto il viaggio il paladino, Vonch e Soran, erano stati ben attenti a non lasciare l’elfa come ultima del gruppo. Questo un po’ la infastidiva, ma vedere Thehorde fregarsene totalmente e tirare dritto le faceva riacquistare un po’ di autostima.
   “Tutto perfetto” sorrise lei: “almeno finchè non veniamo nuovamente aggrediti da centauri o tirannosauri”, In tutta risposta Bithah rise delle parole dell’elfa. “Cosa ho detto che fa tanto ridere?”
   “Scusami!” rispose lui senza però riuscire a trattenersi:“è che di tirannosauri nelle Savane non se ne sono mai visti e credo che mai se ne vedranno.      Qualcosa mi dice che non sei mai stata nel cratere di Un’goro”
   “Molto divertente. Penso che senza rendermene conto con gente come voi potrei trovarmici al centro senza nemmeno accorgermene!”
   “Fidati” ribatté lui guardando il cielo come se un ricordo non così divertente gli si stesse materializzando davanti:“quando finisci in posti come quelli non puoi non accorgertene!”
   Mentre Bithah raccontava di quando era stato punto da una zanzara gigante e velenosa in diverse parti del corpo il gruppo passò davanti ad una torretta in legno e tende in pelle addobbata di stendardi dell’orda sbiaditi dalla luce. In cima una vedetta salutò con un grugnito animale, ma quando  Kriystal cercò di guardarla in volto non riuscì a distinguerne nemmeno la figura per intero, a causa dei riflessi del sole. Giurò tuttavia di avervi scorto un paio di corna sulla testa.
   “Stiamo per addentrarci ufficialmente nelle Lande del Sud, dette anche Savane meridionali!” annunciò Thehorde ai compagni.
   “Ciò significa altre cinque ore con il profumo dell’erba selvatica e di sterco di leone!” tradusse Vonch.
   “Ricordami perché lo stiamo facendo!” Robil implorò Thehorde: “gli avrei tagliato la lingua già quattro ore fa!”
   “Solo quattro ore?” lo stuzzicò Vonch:“vuoi dirmi che nelle restanti quarantotto ti sono stato simpatico?”
   “Ora basta voi due” ordinò Thehorde, il quale sapeva che alle sue spalle il Warlock biondo gli stava facendo smorfie di diversa natura. Tuttavia, quando si voltò il suo sguardo cadde su Kriystal, che a sua volta lo stava guardando: “Siete comoda sulla vostra lussuosa carrozza, principessa?”,    Kriystal si limitò ad accarezzare Silbar e a sussurrargli: “Non lo stare a sentire. È solo invidioso perché almeno tu non vai a fuoco”.
   Il viaggio proseguì per altre tre ore e per reggersi in piedi Kriystal mandò giù qualche boccone delle delizie esportate da Orgrimmar. Poco prima Vonch le aveva offerto del vino, ma in uno stato di disidratazione fu una pessima idea e ora aveva tutta la bocca impastata.
   “Dimmi Kriystallina, sei mai stata così lontano da casa?” le chiese Robil ad un certo punto del cammino. Era la prima volta che Robil le domandava qualcosa e Kriystal ne era ancora in parte intimorita. Effettivamente si trattava della prima volta in assoluto in cui affrontava un discorso con un assassino. Di solito li vedeva in accademia o nelle esercitazioni pubbliche comparire improvvisamente da tutti i cantoni e sparare dal nulla dardi avvelenati. Nessun assassino le aveva mai chiesto quanto fosse mai stata lontana da casa.
   “La mia infanzia non ha mai superato i confini delle foreste di Eversong Woods” rispose infine lei arrossendo un pò:“mio padre…” poi si corresse, ricordandosi che parlava con un ufficiale:“… Ermelaid, mi ha sempre tenuta sotto una campana di vetro. Ha trovato il modo tramite la bellezza della capitale e le magie uniche delle nostre terre di tenermi per anni legata a lui”.
   “Non ti è davvero mai venuto in mente di andartene?” Kriystal trovò un po’ banale la domanda di Robil, essendo stato a causa proprio dell’improvvisa idea di andarsene che ora si trovava immischiata in un affare di grandezza mondiale: “Voglio dire, senza stringere alleanza con presunti pluriomicidi o traditori” aggiunse lui scherzando. Nel frattempo il trottare delle cavalcature era il suono prevalente nell’area circostante.
   “La legge parla chiaro. Se desidero diventare una paladina dovevo nascere di sesso maschile”
   “La legge di Silvermoon parla chiaro” la corresse Robil:“sai bene quanto quella dell’abolizione della classe paladina femminile sia una riforma nata negli ultimi anni. Tu sei giovane, ma fino a pochi anni fa Silvermoon vantava le più grandi paladine di tutti i regni orientali e ora sono state semplicemente trasferite nelle isole esterne.”
   “Certo, ma questo non cambia le cose. Non potrò mai essere una paladina di Silvermoon”
   “Ma puoi esserlo in ogni altra città! Non capisci? Silvermoon negli ultimi anni ha messo leggi su misura per evitare errori del passato senza accorgersi che questo è un grande errore del presente! Il codice civile di Silvermoon va contro il codice civile dell’intera Azeroth!”
   Kriystal fu colpita dal modo di parlare di Robil. Dopotutto era un membro della compagnia imperiale, come poteva giudicare così male i suoi superiori? Ma aveva ragione. Solo Silvermoon vietava alle sue cittadine femmine di poter intraprendere classi come il paladino.
   “Dovrei entrare a far parte di un esercito al di fuori della mia capitale …” constatò Kriystal senza però rivolgersi a Robil. La sua mente ormai stava viaggiando in una dimensione alternata da ricordi del passato e possibilità per il futuro. “Io e Thehorde non ci siamo addestrati a Silvermoon” si confessò l’assassino: “la mia carriera si è formata altrove, nonostante io sia nato nelle foreste del canto eterno come tutti gli altri. Lo stesso non posso dirlo di Thehorde”
   “Non è nato ad Eversong woods!?” Kriystal stette bene attenta a non alzare la voce per non farsi sentire dal Warlock rosso: “ allora da dove viene?”
   “Isole esterne” rispose Robil prontamente:“nella Penisola infernale, o  forse nelle periferie di Shattrath, ma questo non è importante. Quello che conta è che ha avuto una storia totalmente differente dalla nostra prima che i nostri destini si incrociassero”. Kriystal si prese un istante per riflettere.   Quell’individuo tutto d’un pezzo, dall’aria snob e arrogante portava con sé un passato misterioso e infinite cicatrici di battaglie passate assieme a grandi personaggi della storia di Azeroth. “e com’è finito a guidare la compagnia imperiale di Silvermoon?” domandò al culmine della curiosità.
   “Non è una storia molto interessante. Semplicemente è una spia” 
   Kriystal rimase si pietrificò seduta stante e le servì qualche secondo per riprendersi e per capire se avrebbe dovuto ridere trovandosi davanti ad una battuta o meno: “U-una spia!?”,  ma Robil rimase composto:“Andiamo paladina, non avrai davvero creduto che uno come Thehorde sarebbe potuto stare alle regole di un governo vecchio e corrotto come quello di Silvermoon?”, Kriystal continuava a non capire e il suo sguardo non si staccava dall’assassino, in attesa di chiarimenti.
   “Ma cos’hai capito!?” la schernì:“non c’è niente di losco. Siamo tipi a posto, noi” e con noi rivolse lo sguardo a Vonch prendendolo come mezzo di paragone:“Thehorde è un inviato di Thrall. Mandato appositamente come corvo per recapitargli cambiamenti e sotterfugi nel governo della capitale elfica”.
   “Thrall ha incaricato Thehorde di tener sott’occhio mio padre!?” Kriystal era sbalordita.
   “Tuo padre è una carica pubblica e detto fra noi fa parte di quella cerchia di governanti che sta mandando all’aria tutto il sistema della città, senza offesa”
   “Nessuna offesa, ma…”
   “Si tratta di politica, paladina, e a quanto pare la comparsa di Vonch sta a significare che il lavoro di Thehorde di questi anni non è stata fatica sprecata”.
   Kriystal non sapeva cosa dire. Suo padre e tutti i sette signori di Silvermoon erano tenuti di mira dal Signore della guerra in persona tramite spie insidiate nella compagnia imperiale.
   “Non lo andrai a dire a papino?” scherzò Robil. Kriystal era ancora sotto shock, ma dovette apprezzare la sincerità di Robil. Dopotutto era fuggita dalla sua casa perché ormai troppo stretta, innaturalmente troppo stretta. Qualcosa sotto Silvermoon c’era sul serio, ma si rifiutava di credere che suo padre ne facesse parte.
   “Per la cronaca, tuo padre è un buon elfo” aggiunse Robil, come se le avesse scrutato nella mente. Un’abilità troppo comune in quella compagnia:“in questi anni Thehorde non ha mai raccolto informazioni incriminanti sulla sua persona. È solo un padre che accecato dall’amore per l’unica cosa rimastagli non si accorge di esporre a nudo le sue debolezze”
   “Cosa intendi con esporre le sue debolezze?”
   “Davvero non te ne sei resa conto?” Robil parve provare improvvisamente una forte pena nei confronti dell’elfa:“Ermelaid non ti ha mai raccontato com’è morta tua madre”, quella dell’assassino non era una domanda, ma un’amara osservazione. Kriystal stette per formulare con difficoltà una risposta quando da lontano di fronte a loro comparve un muro di polvere e sabbia che avvicinandosi si faceva sempre più imponente.  “Nemici!?” domandò Soran in allerta. “No” rispose Thehorde: “sono compagni”.
   Gradualmente fra il polverone cominciarono a farsi nitide numerose e massicce figure portanti diversi stendardi dell’orda e di casate che Kriystal aveva visto solo sui libri. I nuovi arrivati si manifestarono in sella a grossolane creature simili a rinoceronti allungati i quali tra un grugnito e l’altro pestavano fragorosamente il terreno con le loro enormi zampe. I cavalieri avevano sembianze bovine, dotati di corna come la precedente figura in ombra in cima alla vedetta e armati fino ai denti di lance, spadoni, mazze e asce.
   “Tauren!” esclamò meravigliata Kriystal. Non era la prima volta che ne incontrava qualcuno, poiché spesso Silvermoon aveva avuto l’onore di ospitarne alcune tribù. I Tauren, di stazza in media intorno ai due metri e dieci, sono umanoidi dalle sembianze torine e di origine nomade. Grazie ad un’alleanza passata con gli orchi aiutarono personalmente Thrall nella costruzione di Orgrimmar e contribuirono ad aiutare la razza del signore della guerra nel cammino dello spiritualismo. Così se gli orchi poterono garantirsi incrementi  di gran lunga maggiori di intelligenza e forza, i Tauren a loro volta trovarono nell’orda l’alleato perfetto contro le quotidiane invasioni di centauri e arpie, potendosi finalmente stabilire definitivamente nel Kalimdor.
   Il plotone giunto sul confine tra le Savane meridionali e Mulgore si arrestò a pochi metri dal gruppo, così che Kriystal poté godere al massimo della maestosità dei campioni di Thunderbluff. Gli indumenti indossati erano per la maggior parte in pelle e cuoio, dalle polsiere ai copricapi piumati. Al centro una figura in particolare spiccava su tutte. Un Tauren dal pelo scuro e un diadema sul capo avanzò verso Thehorde, vece anche in quest’occasione dell’intero gruppo. Kriystal notò, oltre all’armatura più elaborata rispetto a quella degli altri Tauren, che il loro boss portava a tracolla dietro la schiena due enormi e pesantissimi totem runici e nella mano sinistra stringeva minacciosamente un possente martello incantato emanante una luce azzurrognola.
   “Baine Bloodhoof, figlio del capo tribù Cairne Bloodhoof” salutò Thehorde senza scomporsi: “su richiesta di Thrall, signore della guerra e dell’Orda, e in accordo con tuo padre siamo venuti in pace come vostri onoratissimi ospiti”. Baine a sua volta non scrollò un muscolo e anzi si limitò a sbuffare dalle sue larghe narici passando con un’occhiata tutti i membri del gruppo, Kriystal compresa. “Thrall ha mandato sei Sin’dorei sin quaggiù quando invece avrebbe potuto mandare un solo messaggero?”
   Kriystal non si intromise, ma provò a immaginare un singolo messaggero contro duecentoventicinque centauri.
   “Come tu ben sai ,Baine figlio di Cairne, le Savane sono insidiose di pericoli e creature selvagge. Tuo padre attende un giovane ospite che è tra noi in questo momento per poter dare avvio alle cerimonie funebri di Lorbton cacciatore di Acramand”. A queste parole del Warlock rosso finalmente Baine sembrò dar segni di vita, ripassando in rassegna tutti gli elfi del sangue e soffermandosi in ultimo su Vonch. Indovinato all’istante, pensò Kriystal. “Hai gli occhi di tuo padre” notò Baine.
   “Ti ringrazio.” Si limitò a dire Vonch.
   “Inoltre abbiamo un dono per te e la tua gente…” aggiunse Thehorde sfilando il sacco contenente la testa di Kathraal il centauro e gettandola dall’alto del suo cavallo ai piedi del principe Tauren. Tra gli abitanti del Mulgore presentì si alzò un brusio sommesso e interrogatorio. Baine provò a scrutare il sacco senza entrarne in contatto, ma quando parve anche solo intuire la natura del contenuto alzò prima gli occhi increduli verso Thehorde e poi si lanciò a raccogliere il fagotto per verificare i suoi dubbi. “Kathraal” sussurrò senza distrarre lo sguardo dalla salma del capo tribù dei centauri del Sud.     Poi d'improvviso e rivolto ai suoi compagni il principe estrasse il tumulto dal fagotto e lo alzò in aria lanciando un grido animalesco e vittorioso. I bestioni levarono un’esultanza dissonante alzando il pugno destro verso il cielo. Baine imitò i suoi compagni e poi tornò a voltarsi verso il gruppo di elfi del sangue mostrando un volto totalmente differente da quello che li aveva accolti:“Voi avete portato al popolo di Cairne il presente più grande che poteste fare!” i suoi enormi occhi bruni luccicavano. Il nuovo sorriso mostrava una larga dentatura e le narici pelose dilatate ulteriormente. Thehorde fece per rispondere che era stato un piacere, quando il principe Tauren lo raggiunse e lo elevò improvvisamente da terra con una presa da spezza schiena: “Benvenuto Thehorde, amico mio!” il suo ululato di gioia accompagnato da un’altrettanto cerimonioso coro della sua gente indicava che quell’abbraccio, per Baine, era un caloroso gesto di ringraziamento e ospitalità:“Benvenuti amici miei!” esclamò il Tauren con la sua voce calda e soddisfatta mentre riposava il povero e impietrito Thehorde coi piedi per terra:“Benvenuti a tutti voi membri della compagnia imperiale di Silvermoon, benvenuta a te giovane fanciulla e tu figlio di Lorbton cacciatore di Acramand!” si soffermò su quest’ultimo il quale si mostrò impreparato a tale comportamento e non riuscì a buttar giù una delle sue solite e improvvisate battute quando Baine gli prese dolcemente la testa fra le sue massicce zampe:“come ho già detto sei identico a lui. Se vali anche solo un quarto di quel che valeva l’uomo che ti ha messo al mondo allora non se ne sarà andato in vano.” Vonch non rispose, o semplicemente Baine tornando alle sue lusinghe e ai suoi saluti non gli diede il tempo, tornando a rivolgersi al gruppo al completo:“Allora è deciso. Voi sarete nostri ospiti per volere di Cairne Bloodhoof in persona! Seguite noi e i nostri Kodo, amici miei, saranno lieti di farvi strada!” Kriystal cercò di sbirciare aldilà della robusta figura di Baine Bloodhoof incuriosita dalla presenza delle cavalcature dei Tauren chiamate Kodo. Erano lunghe e larghe bestie appartenenti alla lontana alle famiglie dei più comuni rinoceronti. A seconda dell’importanza di rango dei loro padroni i Kodo erano agghindati con le selle più pregiate e colorate o corrazzati con armature fino ai denti. Dalla loro stazza inoltre sembravano capaci di portare in groppa enormi pesi, a partire dai loro cavalieri.
   Baine tornò alla sua cavalcatura e vi salì e Thehorde e il resto del gruppo fecero lo stesso pronti a seguire il branco. Il cammino riprese e il suono degli zoccoli dei cavalli sul sentiero furono coperti dal tonfo delle pesanti zampate dei Kodo.
   Ora che Kriystal si trovava in viaggio con una ventina di Tauren venne sopraffatta da odori di diversa provenienza. Le stalle erano ben lontane dalle abitazioni signorili di Solealto, ma immaginò che la sensazione di doversene occupare fosse proprio quella.  
   “Guarda dove siamo finiti.” Affermò a bassa voce Soran affiancandola con la sua cavalcatura ardente:“non è cosa da tutti i giorni, eh?”
   “immagino di no” sorrise lei, ritrovando per pochi istanti una briciola di quella complicità che materna li aveva cresciuti assieme.   
   Poco distante, in testa, Thehorde e Vonch cavalcavano rispettivamente alla destra e alla sinistra di Baine Bloodhoof. Thehorde sembrò infastidito dalla posizione di ospite d’onore che il warlock biondo sembrava essersi guadagnato.
   “Kathraal ci creava fastidi ormai da anni. Non abbiamo avuto spesso modo di incontrarlo di persona e come potete immaginare il mio caro padre non è molto incline alla violenza. Così abbiamo vissuto sulla difensiva per limitare i danni e le perdite oltre che conservare un minimo di pace nei nostri villaggi nel Mulgore.”
   “Si trova oltre a quelle catene montuose di fronte a noi, è corretto?” domandò Vonch.
   “Ottimo senso dell’orientamento, figlio di cacciatore! Mulgore è una pianura circondata da colli rocciosi, accessibile solo per questa strada e da pochi altri ingressi segreti e sotterranei.”
   “Una posizione strategica” notò Vonch.
   “Non abbastanza per difendersi dagli stormi di arpie” si fece trovare pronto e aggiornato Thehorde.
   “Arpie: gran brutta razza” grugnì Baine, poi alzò fiero il tono della voce:“ma molto fragili sotto il peso del mio martello!”
   “Non c’è che dire” rispose Vonch:“un bel pezzo d’arma!”
   “Non è in vendita, siamo intesi?” lo stroncò verbalmente Thehorde timoroso che Vonch commettesse una qualche sciocchezza.
   “Sorridi un po’ Thehorde!” Baine accompagnò la sua esclamazione con una forte manata pesante e ‘amichevole’ sulla schiena del warlock rosso il quale fu costretto a qualche secondo di tosse.
   Alle loro spalle Kriystal pensò quanto dovessero essere forti fisicamente i Tauren. Baine aveva alzato Thehorde come fosse una piuma nonostante il peso dei due totem legati a tracolla sulla schiena.
   Nel frattempo, fra le montagne ormai attorno a loro andò ampliandosi sempre più un varco che avrebbe delimitato gradualmente la fine delle Savane meridionali e l’inizio della terra di Cairne Bloodhoof e della sua gente. La compagnia degli elfi del sangue si trovò in poco tempo di fronte al vasto panorama naturalistico di Mulgore. Kriystal accarezzò il profumo di erba portato dalla leggera corrente che si faceva strada attraverso gli spiragli delle montagne. Non vedeva un paesaggio così verde da quando aveva lasciato Eversong woods. Tuttavia dovette ammettere fra sé che persino la sua terra natale non vantava d’esser baciata così pienamente dalla luce del sole com’era invece l’enorme distesa pianeggiante di fronte alla quale si trovava in quel momento. Pur circondata da monti, infatti, Mulgore possedeva poche parti in ombra a causa della sua estensione. Un sentiero sterrato separava grandi campi in fioritura abitati da pacifici animali. La brezza provocava nell’erba e nei fiori dei campi un movimento ondulatorio che assomigliava ad un corteggiamento amoroso. Ora il cielo azzurro sopra di loro sembrava avere trovato un senso.
   “Sensazionale” Soran si espresse con poche parole e così anche Bithah e Robil. Che fosse stata la loro prima visita o meno parvero stupefatti quanto Kriystal.
   Sentendosi a casa e agiati dai loro padroni i Kodo rallentarono il passo e permisero agli ospiti di godere di tutta la discesa della vallata.
   “Un angolo di paradiso nascosto nel Kalimdor.” si congratulò compostamente Thehorde.
   “Merito della nostra tolleranza nei confronti di molte razze.” Spiegò Baine.
   “Ricevete ancora visite dagli elfi della notte?”
   “Di tanto in tanto. Mio padre è ancora in buoni rapporti con gli abitanti del monte. Io stesso devo molto agli orchi e all’Orda, ma non abbiamo alcun motivo di dichiarare guerra al mondo intero.”
   “Un po’ pacifista, ma ammirevole.” rispose Thehorde.
   Baine cambiò argomento:“dobbiamo fare rifornimento d’acqua potabile giù al villaggio Bloodhoof. Vi spiace se ci tratteniamo per poco a valle? Il villaggio è per la maggior parte abitato da contadini e pastori, ma mio padre ama ancora ritirarsi lì qualche volta. Ci forniscono materie prime da portare su.”
   Kriystal sapeva che parlando di su Baine intendeva la capitale Thunderbluff, e moriva dalla curiosità di conoscere l'infrastruttura e l'architettura del popolo Taurenora che era a conoscenza di quella degli orchi e dei reietti di Sylvanas.
   La discesa a valle fu piacevole e spensierata, un elisir per distrarsi dal combattimento precedente coi centauri e dalle vicissitudini che li avevano portati in quel luogo. Kriystal scoprì che esistevano delle simpatiche creature a Mulgore denominate Zampalunga. Sottospecie di alti tacchini che zampettavano qua e là per cercare cibo o fuggire dai continui attacchi dei carnivori. Di certo Silbar trovò la presenza dei Zampalunga molto famigliare.
   “Hai un bellissimo esemplare di Zampalesta” si congratulò un Tauren femmina al fianco di Kriystal. I suoi capelli erano bellissime trecce di pelo colorate e decorate da piume e pietre di diversa specie.
   “Come dici?” domandò l’elfa improvvisamente agitata.
   “Zampa-lesta” ripeté l’altra con fare molto accogliente. Kriystal capì con sorpresa che il Tauren si riferiva a Silbar. “Parli di Silbar! Per me è sempre stato presentato come volatile Arcobaleno, non immaginavo appartenesse alla famiglia dei Zampadestra”
   “Zampalesta” la corresse il Tauren regalandole un esteso sorriso: “Zampa-lesta grandi amici fedeli di colui che li sa comprendere.” Kriystal annuì fingendo che le parole della gentile Tauren sembrassero avere un senso, così la conversazione evaporò in qualche risata e scambi di informazioni culturali.
   In breve tempo cominciarono ad intravvedersi le prime abitazioni del villaggio Bloodhoof e i primi abitanti, i quali lanciavano cordiali e calorosi saluti di benvenuto agli elfi e omaggi di bentornato al plotone del principe. Anche i Kodo sembrarono entusiasti d'esser tornati a casa e a turno emanavano strani versi dovuti molto probabilmente alla stanchezza e alla sete. Una volta giunti nel ventre del piccolo villaggio i Tauren lasciarono i Kodo alle rive di un limpido lago per abbeverarsi e lo stesso fu per Silbar e per le diverse cavalcature degli elfi del sangue.
   La femmina Tauren che aveva parlato con Kriystal appena arrivati a Mulgore ora le illustrava tutte le attività e le particolarità del villaggio. Guidò la paladina e Soran dentro ad una caratteristica tenda in pelle dove un Tauren dal pelo grigio era impegnato a forgiare lame di diversa fattezza. Qui Kriystal fu invitata a lasciare gli spallini dell’armatura lievemente danneggiati durante la battaglia dei centauri con la promessa che l'indomani se fosse tornata al villaggio li avrebbe trovati come nuovi di zecca. L'elfa pensò a quanto ci teneva Bithah al dono che le aveva acquistato all'asta di Orgrimmar, così accetto ben volentieri l'offerta del fabbro.
   Benqui Piumaria, questo era il nome della Tauren che si era presa in cura Kriystal, presto si rivelò allevatrice di Zampalunga. Qui venne spiegato il suo interesse e le sue conoscenze riguardo alle origini di Silbar. Ella mostrò a Kriystal il suo lavoro quotidiano e le fece vedere come stava dedicando il suo tempo ad un esemplare di Zampalunga ferito da un lupo qualche giorno prima. Ora il singolare animale si stava già rimettendo e saltellava quanto poteva nel recinto all'interno del quale veniva temporaneamente tenuto. Kriystal assaporò queste piccole perle di vita quotidiana lontana da casa e la presenza di Soran che la seguiva passo per passo, forse perché messo a disagio da razze estranee, le infondeva ancor più sicurezza.
   Nel frattempo Thehorde, Bithah e Vonch erano stati accolti nella tenda più ampia del villaggio. All'esterno d'essa erano inchiodate ai sostegni in legno teste imbalsamate dei Kodo appartenenti ai più grandi campioni di quella terra. Attorno al focolare acceso all'interno dell'abitazione Baine depositò al suo fianco martello e totem e cominciò a scambiare reciprocamente coi suoi ospiti le ultime notizie dei Regni orientali e del Kalimdor.
   Robil intanto girava per le tende dei mercanti del villaggio a curiosare fra le varie spezie e probabilmente fra i vari veleni nei sotto banchi del venditore di erbe. Conclusi i propri acquisti un vecchio pastore lo implorò di aiutarlo a riportare indietro il suo lupo domestico che terrorizzava i greggi di pecore dall'altra parte del lago e i protetti Zampalunga di Benqui. L’autoritario assassino che era in Robil si prese una pausa per inseguire goffamente l’animale nei dintorni del villaggio provocando risatine ben nascoste nelle giovani fanciulle Tauren impegnate a realizzare e rattoppare abiti e arazzi.
   I soldati di Baine raccoglievano dagli impianti appositi enormi contenitori d'acqua che sarebbero state apportati alle selle e alle armature dei Kodo, i quali li avrebbero trasportati sino a Thunderbluff.
   La tre ore seguenti passarono alla svelta ma con piacere. Kriystal aveva giocato con un cucciolo di Zampalunga e aveva cercato invano di fargli fare amicizia con il suo Silbar. Benqui le spiegò come i primi esemplari di Zampalesta furono donati a Silvermoon molti anni prima della sua nascita e di come un tempo le loro piume colorate fossero preziosa merce di scambio. Per quanto riguardava i Zampalunga invece venivano allevati e protetti dai   Tauren, ma allo stesso tempo la loro tenera carne non veniva affatto sprecata una volta passati a miglior vita. Kriystal si sentì in colpa per avere l'acquolina in bocca e allo stesso tempo giocare con un prelibato cucciolo di Zampalunga ignaro del suo destino.
   La vita dei Tauren scorreva così a contatto diretto con la natura. Non erano per nulla erbivori, ma rispettavano comunque il resto del mondo animale, come quello di ogni razza. Kriystal aveva sempre ammirato sin da piccola come il popolo Tauren riuscisse a mantenere un certo tipo di equilibrio non solo in natura, ma anche fra Orda e Alleanza. Cairne sarebbe morto pur di onorare Thrall, ma finché non ce ne fosse stato bisogno avrebbe evitato ogni tipo di conflitto anche con la fazione nemica. Pensando all'importanza che davano a Cairne in quel villaggio fondato da egli stesso Kriystal si domandò quando avesse avuto finalmente l'occasione di conoscerlo.
   “Vita in Mulgore è ciclo naturale” disse Benqui piumaria distraendola dalle sue riflessioni. Erano su una piccola canoa al centro del lago e Kriystal poteva riflettersi sullo specchio d'acqua.
   “Tutto è ciclo naturale” rispose ingenuamente Kriystal mentre con la mano sfiorò la sua immagine in superficie. Questo provocò in Benqui una solare risata. “Ho detto qualcosa che non va?”
   “No, no. È vero amica di Zampalesta, tutto è ciclo naturale. Me, te, vita, morte. Ma Mulgore risponde al richiamo di questo ciclo e si lascia trasportare.” Kriystal avrebbe voluto davvero capire le parole spirituali di Banqui, ma non ne fu capace. I Tauren erano creature bellissime, sensibili e profonde. L'elfo del sangue, essere dall'aspetto molto più regale, non sarebbe mai stato all'altezza di un tale spirito.
   Più tardi Kriystal fu richiamata da Soran che l'aspettava alla riva del lago intrattenuto da un simpatico Tauren zoppo il quale cercava di insegnargli le migliori tecniche di pesca. Soran non ne volle sapere di imbarcarsi con Kriystal e Banqui, poiché da che l'elfa ne avesse memoria il giovane Warlock non aveva mai imparato l'arte del nuotare. I due lasciarono Banqui Piumaria al suo lavoro e tornarono ad unirsi alla compagnia imperiale che ormai era pronta per riprendere il cammino.
   “Gradito il breve soggiorno a villaggio Bloodhoof, fanciulla?” le domandò Baine in persona.
   “Il vostro villaggio è senza dubbio una grande fonte di rilassamento e spiritualità e Banqui Piumaria è una cara amica” rispose spontanea.
   “Banqui Piumaria è una cara sorella” la corresse Baine sorridendo. Poi organizzò i suoi e il gruppo tornò a seguire il sentiero sterrato, oltrepassarono il ponte del fiume che costeggiava villaggio Bloodhoof e proseguirono a passo regolare per quasi un’ora. Ad un certo punto due guardie posteggiavano ai lati della strada ma grazie alla presenza di Baine lasciarono passare tutti senza domande. Fu allora che Kriystal si accorse delle quattro alture che si ergevano d’innanzi a loro nascoste in parte dalle bianche nuvole e dalla luce abbaiante del sole. E fu quando si scambiò un sorriso di complicità con Bithah che poté esser certa d’esser arrivata finalmente ai piedi di Thunderbluff, una delle più grandi meraviglie dell’intera Azeroth.

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Capitolo 16
*** Ciclo naturale ***


XVI

Ciclo naturale

 

 
   L’ascesa per Thunderbluff fu un’esperienza che Kriystal non aveva mai provato prima. L’innovativo meccanismo di elevazione era costituito da una piattaforma in legno dall’ampia capienza, larga almeno da poter sostenere l’intero gruppo di elfi del sangue e di Tauren arrivati dalle Savane, la quale tramite congegni rudimentali fatti di corde e ingranaggi scorreva verticale lungo la parete rocciosa dell’altura. Una simile invenzione era stata pensata e affiancata ad essa per trasportare i litri d’acqua potabile prelevati dal villaggio Bloodhoof.
   Oltre al moto elevatore, a differenziare tali piattaforme da quella che poco tempo prima aveva condotto Kriystal nel cuore sotterraneo di Undercity  era senz’altro lo straordinario panorama. L’ultima volta che Kriystal era stata ad un’altezza simile fu sul dorso di un enorme pipistrello e nemmeno la torre più alta di Silvermoon offriva una tale veduta aerea delle terre circostanti: Il villaggio precedentemente visitato era vagamente riconoscibile al centro delle vaste pianure verdi e alle piccole chiazze azzurre dei laghi e dei fiumi. Kriystal si sporse verso il vuoto e si ritrovò a pochi centimetri da una nuvola.
   “Ci si sente potenti da quassù, non è vero?” le domandò Soran evidentemente anch’egli assorto nel paesaggio.  “Ci si sente bene” lo corresse lei sorridendo come il sole sopra le loro teste.
   In poco tempo la carrucola prese a rallentare e i cigolii diminuirono il ritmo mentre la parete retrostante scomparve rivelando il centro della capitale del popolo Shu’ halo in tutto il suo splendore. Quella in cui si trovarono doveva senza dubbio esser l’altura centrale ed anche la più grande. Tutte le quattro alture della città erano collegate tramite semplici viadotti in legno. Kriystal aveva sentito parlare di simili vie di comunicazione per la mobilità in un’altra colonia Tauren poco distante chiamata Thousand Needles.
   La superficie sulla quale si trovò a camminare era erbosa come la valle di sotto, ma il numero degli abitanti superava di gran lunga quello del villaggio Bloodhoof. Il vociare era in gran parte Taur’ahe, lingua parlata del posto, ma qualche Tauren  soldato o civile si fermava al passaggio degli elfi del sangue per omaggiarli in lingua comune. Baine parlava perfettamente la lingua comune e l’accento Taur’ahe era solo poco accennato, mentre del padre Cairne Bloodhoof si diceva conoscesse ben cinque lingue fra le quali l’elfico.
   Il gruppo marciò verso il centro dell’altura dove fra le varie abitazioni arcaiche e i negozianti ambulanti si ergeva una torretta che richiamava quella dei dirigibili vicino alle rovine del Lordaeron, ma dall’architettura rudimentale. Quando Kriystal vide in cima alla struttura un via e vai di creature alate non identificate riconobbe in essa una stazione di volo come quella di Tranquillien. Si domandò se anche il popolo di Thunderbluff utilizzasse enormi pipistrelli grigi come cavalcature volanti.
   Un Tauren si distinse dagli altri abitanti per il suo volto scarno segnato dall’età, la sua lunga tunica blu scura e la sua elaborata staffa runica. Inizialmente Kriystal pensò a quell’individuo dall’aspetto millenario come l’immagine che si era formulata nella sua mente di Cairne Bloodhoof. Ma gli eventi smentirono tale ipotesi.
“Costui è l’Arcidruido Hamuul Runetotem, il più grande e potente druido del circolo Cenariano” Thehorde strinse la mano al saggio Hamuul e gli porse i più sinceri saluti, mentre Kriystal si avvicinò al Warlock rosso per udire meglio i dialoghi. “Siete benvenuti fratelli miei” si espresse sommessamente l’Arcidruido: “è da molto tempo che non abbiamo l’onore di ospitare elfi del sangue nella nostra capitale. A dire il vero mai abbiamo avuto l’onore di incontrare i Sette signori di Silvermoon fuori dalle loro mura da quando sono diventati da semplici ministri dell’alto collegio a regnanti. Comprendo i loro impegni e li rispetto, ovviamente.”
“Porterò loro il vostro gentile invito. È un onore anche per noi visitare le meraviglie delle vostre terre.” Thehorde si fece trovare pronto come sempre e Kriystal attendeva invano il momento in cui anche con lei avrebbe mostrato un così esemplare rispetto.  
   “Ma seguitemi prego, vi condurrò al cospetto del capo tribù Cairne Bloodhoof. Egli sarà lieto di ricevervi, lo troveremo all’Altura dello spirito.” Il gruppo stette dietro al ritmo calmo di Hamuul Runetotem, attraversarono un altro ponte che collegava l’altura centrale a quella dello spirito e per qualche minuto si trovarono a camminare sul vuoto sopra alla distesa intera del Mulgore. Kriystal amava ogni tipo di panorama, tuttavia non vedeva l’ora di arrivare alla fine di quel sottile e traballante ponte in legno che emetteva un gridolino sotto ad ogni passo. Hamuul e Baine invece si dimostrarono pienamente al loro agio nonostante la maggior parte del moto ondulatorio del ponte fosse probabilmente provocato dal loro consistente peso.
   Kriystal notò che una volta giunti nella capitale la scorta di Baine si era subito sciolta in diverse commissioni. Evidentemente il principe Tauren all’interno della propria città a metri e metri di altezza da terra si riteneva totalmente al sicuro. L’elfa invidiò tale fiducia nella propria terra e il suo pensiero sfiorò per un istante il ricordo di casa. Ma per fortuna un concerto di corni intonò una marcia di benvenuto per gli ospiti e il principe Baine. I colori sgargianti degli abiti da cerimonia e l’addobbamento riportarono Kriystal alla realtà. Erano lì per un funerale, così era stato detto quando erano ad Orgrimmar, eppure la celebrazione sembrava tutto fuorché funebre. Striscioni con diversi stemmi in onore di varie tribù e razze avvolgevano le torrette da vedetta e i totem mentre alle porte di ogni abitazione famiglie di Tauren lanciavano petali gialli sul cammino della compagnia.
   “Un benvenuto coi fiocchi” constatò Soran meravigliato almeno quanto gli altri.
   “Un benvenuto coi fiori vorrai dire” rispose Robil al suo fianco.
   “Per una volta in cui Vonch si degna di non ribattere ci pensi tu?” e quando sentì questa frase Kriystal fu costretta ad accertarsi effettivamente della presenza del Warlock biondo, il quale da alcuni minuti non aveva ancora detto nulla. E invece eccolo lì, ancora al fianco di Baine ad accennare un inchino ad ogni complimento o saluto dei Tauren. Un comportamento insolito da parte di Vonch, ma il rispetto da parte di Kriystal crebbe smisuratamente.
   “Lorbton doveva essere molto conosciuto” le fece notare Bithah.
   “Un ottimo cacciatore a quanto pare” rispose lei: “e probabilmente un  buon padre. Questo tipo di cerimonie è riservato il più delle volte ad alte cariche o a famiglie nobili”
   “Qui a Thunderbluff non la pensano così. Non fanno grandi differenze fra un principe o un popolano qualsiasi”
   “Tutto è ciclo naturale” Kriystal recitò le parole di Banqui Piumaria come se all’improvviso tutto fosse più chiaro.
“Tutto è ciclo naturale” concordò Bithah con uno dei suoi gentili sorrisi.
   Giunti al centro dell’Altura dello spirito ad ognuno degli elfi del sangue fu consegnata e messa al collo una collana di benvenuto realizzata con gli stessi fiori i quali petali erano stati sparsi su tutto il terreno all’arrivo degli ospiti. Al centro della piazza sulla superficie di un piccolo stagno era stata installata una pira la cui funzione non necessitava di spiegazioni.
   Andava nel frattempo manifestandosi il tramonto. Il sole si abbandonava alla discesa fra i colli che circondavano la pianura del Mulgore e gli ultimi stormi di uccelli accompagnavano il silenzio che in pochi minuti era venuto a crearsi fra i numerosi presenti. Kriystal si guardò intorno, non erano tutti ospiti d’onore: C’erano famiglie, contadini, guerrieri. Chiunque avesse desiderato porgere gli ultimi saluti a Lorbton di Acramand era lì, in quel momento. Non ci vollero molti istanti prima che Kriystal si pentisse di non averlo potuto conoscere.
   Il rispettoso e suggestivo silenzio dell’altura dello spirito non si interruppe nemmeno alla tanto attesa comparsa di Cairne Bloodhoof. Kriystal assistette alla scena da troppo lontano perché potesse ascoltare le parole che il capo tribù dei Tauren si scambiò con la prima fila formata dal figlio Baine, Thehorde, diversi ufficiali Tauren e Vonch, al quale strinse entrambe le mani fra le sue e col quale si dilungò ulteriormente in omaggi e confidenze.
Cairne dimostravai suoi anni più di molti altri Tauren. Kriystal conosceva leggende su leggende sul personaggio che le stava a breve distanza: Cairne Bloodhoof, colui che dall’esser guida di una semplice mandria nomade in continuo conflitto e in svantaggio con il popolo dei centauri divenne fondatore della più grande unione di Tauren di sempre; colui che partecipò insieme agli orchi di Thrall e a Jaina Proudmoore alla guerra contro la legione infuocata e  che dopo la battaglia del monte Hyjal depose con il capo della nuova Orda le prime pietre di quella che sarebbe divenuta l’imperiosa Orgrimmar. Contribuendo al nascere della grande fazione di Orchi, Throll, Ogre, Non morti e in seguito Elfi del sangue, Cairne sparì quasi dalle scene dedicandosi unicamente al consistere della propria razza mantenendo contemporaneamente ottimi rapporti di alleanza con Orda e anche Elfi della notte.
   Il corpo di Cairne Bloodhoof era coperto da un pelo vissuto, lungo e grigio. A differenza delle corna sul capo degli altri Tauren e rispetto a quelle del figlio ancora prive di alcuna ammaccatura quelle di Cairne, entrambe terribilmente mozzate, raccontavano un passato di battaglie e sofferenze. Legati ad esse numerose piume e amuleti pendevano e dondolavano accarezzati dal vento. Indossava un corto gilè in cuoio tipico della cultura Tauren e impugnava la sua famosa quanto temibile ascia da combattimento. Kriystal trovò simpatica l’idea di un pacifista armato di un’enorme ascia affilata e lucente.
   Dopo essersi consultato anche con la saggia figura di Hamuul Runetotem e sempre con tono pacato, riservato e confidenziale, Cairne fece cenno verso una guardia posta all’ingresso di una capanna dalla quale pochi istanti dopo uscì un piccolo corteo di sacerdoti Tauren impugnanti torce scintillanti. La fiaccolata fu seguita da un concerto di corni che Kriystal riconobbe questa volta come funebri. Così cercò di farsi strada fra le enormi corna dei Tauren per poter vedere la salma che insieme alla processione veniva trasportata verso lo stagno dov’era situata la pira. Lorbton di Acramand era stato vestito con la più bella armatura in mitril che Kriystal avesse mai visto, le mani incrociate sul petto erano appoggiate sull’impugnatura della sua balestra. Il volto era pallido, cereo, eppure era di una luminosità sovrannaturale. I capelli legati in una lunga coda come quelli del figlio erano come circondati da un alone argenteo che rivestiva il cacciatore di luce propria. Vonch fu invitato da un accenno di Cairne ad avanzare assieme ad Hamuul Runetotem verso le spoglie del padre per poter procedere con la cerimonia. Una volta al centro della piazza e al fianco del padre il volto di Vonch sembrava raccolto in uno stato di afflizione. Gli occhi azzurri non erano lucidi e nessuna lacrima gli rigava il volto, eppure Kriystal poté giurare che l’amico stesse piangendo disperatamente. Tuttavia Vonch rimase lì, in una posa scultorea accanto alla pira. Kriystal pensò alla pena che doveva provare in quel momento. Fra sé e sé constatò che nonostante l’accoglienza d’oro del popolo dei Tauren forse era stato dato troppo poco tempo al Warlock biondo per elaborare la situazione. Doveva esser la prima volta che rivedeva il padre dopo l’attacco del drago e non si era nemmeno potuto togliere l’armatura per indossare un abito adeguato alla celebrazione.
   Nel frattempo Hamuul Runetotem passò a Vonch una delle grandi torce portate dai sacerdoti ed egli la alzò a mezz’aria di fronte a sé come un soldato durante il giuramento ufficiale. Cairne Bloodhoof gli si avvicinò e accese la propria fiaccola con il fuoco di quella di Vonch: “Adesso figliolo ripeti con me:figlio, guerriero, soldato e padre. Questa è la fiamma che fa luce sulla terra, questo è il sangue degli antichi che scorre nelle vene d’ogni essere vivente. Questo sei tu, che ancora ci guidi lungo il nostro cammino” Vonch ripeté parola per parola alla perfezione. Poi si avvicino ulteriormente immergendo gli stivali nell’acqua dello stagno e si accostò al feretro di modo che tutti i presenti potessero assistere al rito, e continuò:
    “Questa è la fiamma dell’esistenza, ombre e luci traballano ad ogni suo passo di danza. Luci e ombre prevalgono a seconda del vento. Padre, continuerò ad innalzare la tua fiamma perché tutti possano ricordare il tuo nome, le tue gesta e perché il forte vento della tua dipartita non cancelli dalla storia il tuo volto. Adesso tornerai fra le braccia della grande madre e seminerai tutta la tua energia per le nostre terre e per i nostri spiriti affinché non venga reso vano il senso del tuo e del nostro viaggio”.
Kriystal non poté trattenere le lacrime. Le parole dell’amico se pur recitate da manuale secondo la tradizione l’avevano toccata nel profondo. Si chiese senza nemmeno sapere il motivo, se avesse sentito anche lei a tal punto la mancanza di suo padre. La mente andò alle guglie di Silvermoon, una bambina distratta correva e ballava tra i tendaggi viola degli empori mentre il padre a seguito d’una scorta di guardie domandava fiero se mai avessero conosciuto creatura più bella di lei.
   “Devo a te caro padre molto più di quanto ti abbia mai dimostrato, e perché venga data una ragione a tutto questo tu non temere: non verrai dimenticato”. I corni ricominciarono a suonare mentre Vonch appoggiava la torcia sul pagliericcio della pira. Esso prese fuoco in poco tempo e dolcemente il corpo di Lorbton di Acramand venne accolto dalle fiamme dell’esistenza e diventò un tutt’uno con cielo, terra e mare. Kriystal tentò di incrociare lo sguardo con Vonch, ma i penetranti occhi azzurri erano tutti presi dall’addio all’elfo del sangue che lo aveva messo al mondo.
   Ad un tratto una mano prese quella dell’elfa: “Stai bene?” le domandò Soran sottovoce.
   “Temo d’essermi commossa” sorrise imbarazzata.
   “Immagino tu stia pensando a tuo padre”
   “Come fai a saperlo?”
   Lui le strinse ancor più la mano: “Forse perché anch’io stavo pensando al mio”. Kriystal ebbe uno strattone al cuore. Come poteva esserselo dimenticato? Probabilmente proprio quella sera a Silvermoon stavano celebrandosi i funerali del giardiniere di corte Noria e Soran non era lì ad assistere all’addio al padre. Con il viso ormai rigato di lacrime Kriystal ricambiò la stretta di mano all’amico e guardando un punto vuoto fra le fiamme dove fino a pochi attimi prima c’era Lorbton sussurrò: “Ti do la mia parola che anch’egli non verrà dimenticato”.
 
Secondo la tradizione Shu’halo proprio nell’attimo in cui il sole ormai ridotto ad una sottilissima mezza luna sparisce dietro l’orizzonte le ceneri del defunto vanno lasciate trasportare dal vento. Se non fossero stati a decine di metri d’altezza non sarebbe soffiato nemmeno un filo d’aria, ma per gli ultimi presenti rimasti ad assistere alla cerimonia di addio a Lorbton di Acramand l’omaggio delle ceneri alla natura fu uno spettacolo indimenticabile. La maggior parte dei Tauren che avevano presenziato al funerale si erano ritirati nelle loro faccende quotidiane e il cerchio ristretto rimasto per l’atto più intimo di tutta la cerimonia era costituito dal gruppo di Sind’orei, da padre e figlio Bloodhoof, da Hamuul Runetotem con il seguito di sacerdoti e ovviamente da Vonch, il quale raccolto un pugno di ceneri dall’incendio ormai estinto le lanciò oltre il limite dell’altura dello spirito sopra le pianure del Mulgore, lasciando che ciò che restava di Lorbton di Acramand venisse accolto fra le braccia della grande madre di tutte le creature.
   Per chiudere del tutto il rito Hamuul Runetotem recitò in lingua Taur’ahe brevi racconti sugli antichi e la leggenda sulle origini dei cacciatori. Kriystal conosceva tutti quei miti perché da bambina amava farseli raccontare prima di addormentarsi. Al termine ufficiale della funzione Vonch tornò a mischiarsi con Kriystal e gli altri Sind’orei e a scambiarsi qualche breve omaggio. Robil gli raccontò d’aver incontrato suo padre in più occasioni e in più battaglie e che il suo onore e la sua fama andava ben oltre i regni orientali; Bithah e Soran si limitarono a stringergli la mano e a sussurrargli in elfico parole di condoglianze. Quando Vonch si fermò davanti a Kriystal lei non seppe immediatamente cosa dire: “Io … “ provò.
   “Non devi scusarti, rossiccia. Anch’io avrei diffidato da me stesso. Ci siamo conosciuti in circostanze particolari, ma tutto sommato visto dove siamo ora pare quasi ne sia valsa la pena, non credi?”
   Kriystal era confusa: “Ah si?”
   “Guardati intorno: Thunderbluff, mucche alla riscossa, pascoli infiniti e tanto, tanto cibo! Hai idea di quanti elfi del sangue si releghino nei meandri della loro bella corte d’orata e non vedranno mai i posti che abbiamo visitato in così poco tempo?”
   “Ottimo modo di vedere le cose” sorrise lei. Lui le prese la mano e gliela sfiorò con le labbra: “Dobbiamo gioire di questi momenti, perché non sapremo mai se domani ne avremo ancora l’occasione”.
  “Si tratta di un altro proverbio Shu’halo?” domandò lei.
  “Si tratta di ciò che probabilmente ci aspetta” le sorrise lui profeticamente, ma Kriystal non lo trovò divertente. Non vedeva certo l’ora di affrontare nuove avventure lontano da casa, ma  quanto sarebbe stato alto il prezzo da pagare mano a mano che si sarebbe proseguito il cammino?
  
   Gradualmente le alture di Thunderbluff vennero avvolte dal buio della sera e si accesero i lumi per le vie e le capanne della città. Nell’ampissima tenda allestita per l’occasione venne imbandito il banchetto in onore degli ospiti e del ritorno del plotone di Baine dal raccolto delle Savane. Il principe Tauren portò al lungo tavolo pieno di vivande diverse notizie sui movimenti dei centauri e delle altre fazioni nemiche. Cairne raccolse tutte le informazioni utili senza esprimersi per alcuni minuti, poi con il suo solito fare distaccato domandò: “Notizie dal presidio di Altovento?”
   “La situazione è ancora la stessa. I Grimtotem sembrano non cambiare idea sulle loro posizioni. Ancora nessuna traccia di Maghata.”
   “Molto strano” si limitò a commentare il vecchio Tauren spezzando un enorme tronco di pane.
   “Problemi con una della vostre tribù?” domandò Vonch non curante della bocca piena.
   “I Grimtotem non sono mai stati d’accordo con la nostra linea politica” spiegò sintetico Cairne.
   “Modesto come sempre, padre” intervenne Baine: “Maghata Grimtotem è una vera e propria minaccia alla nostra pacifica famiglia. È una sciamana dell’occulto, gioca con poteri aldilà delle sue potenzialità. Prima o poi esploderà e i danni si riverseranno su tutti noi.”
   “Maghata è diventata molto potente giovane Bloodhoof, è in grado di contenere i propri poteri più di quanto possiamo immaginare” Hamuul Runetotem sembrò conoscere bene la sciamana di cui si stava discutendo.
   “Tuttavia non c’è da allarmarci veramente finché non fanno la loro prima mossa. Il clan dei Grimtotem è sempre stata una massa di teste calde e…”
   “Hai ragione padre, e quelle teste calde potrei schiacciarle in pochi istanti sotto il peso del mio martello!”
   “Non vorrei essere al loro posto!” esclamò divertito Vonch provocando qualche risata anche tra i Tauren e i Sind’orei. Kriystal sedeva tra Bithah e Soran e ascoltava interessatissima tutti i discorsi sui fastidi del clan Grimtotem, sull’ultima vittoria di Baine e i suoi contro uno stormo di arpie le quali avevano occupato un passaggio tra le montagne che collegavano Mulgore al sud del Kalimdor, per concludere con l’enfatica versione di Vonch sulla vicenda dei centauri e di Kathraal Hammstrange.
   “Avete reso un grande omaggio alla mia città con l’abbattimento del plotone di centauri a Nord delle lande” Cairne Bloodhoof individuò ancora una volta Thehorde come capo della compagnia, ma sembrò parlare a tutti gli elfi del sangue: “Gli Hamm impazziranno quando non vedranno rientrare il loro capo e questo per noi è un sollievo.”
   “Possiamo sempre spedirgli la sua testa!” Baine diede un massiccio colpo sul tavolo con il pugno sinistro e poi scoppiò in una roca risata degna di un orco ed effettivamente insolita per un Tauren.
   “Non penso che sarebbe il caso di tirarci a dietro ulteriori nemici” consigliò saggiamente Hamuul.
   “E presidio Altovento?” Kriystal si accorse solo dopo l’improvviso silenzio calato fra i presenti che aveva appena interrotto le tre più alte cariche di Thunderbluff. Padre, figlio e addirittura arcidruido.
   Bithah soffocò una risata mentre Thehorde fulminò l’elfa con una della sue occhiate.
   “Una fanciulla interessata alle strategie di guerra” disse Cairne, con un sorriso gentile sul muso:“e d’altronde non capita tutti i giorni di vederci sul piede di guerra, soprattutto contro i nostri simili”
   “La deve perdonare signore, è stato un oltraggio interromper…” provò Thehorde.
   “Suvvia non esser noioso. Non eri così serioso l’ultima volta che ci siamo incontrati, anzi, se non ricordo male eri l’anima della festa. O dovrei dire del combattimento?”
   “Fu un’occasione ben diversa” si giustificò il Warlock rosso, non solo di capelli ma ora anche in volto:“la qui presente ha bisogno di qualche lezione su come ci si comporta in qualità d’ospite!” Kriystal avrebbe voluto sfoderare la spada. Quale diritto aveva per trattarla così?
   “Sciocchezze, Thehorde. Come ho già detto non capita spesso di discutere di guerra alla mia tavola. Ed è tutt’altro che un dispiacere parlarne con una graziosa creatura come la nostra… ?”
   “Kriystal” lo aiutò Bithah:“il suo nome è Kriystal, signore”.
   Kriystal sarebbe voluta sprofondare, l’attenzione era tutta su di lei.
   “Ebbene Kriystal” continuò Cairne Bloodhoof:“cosa desideri sapere?”
   “Domando venia, signore. Prendo atto del mio comportamento increscioso, ma il mio interesse era verso le vostre intenzioni nei confronti della colonia di Altovento. Non temete che il presidio dei Grimtotem diventi un’azione sovversiva verso i vostri territori?”
   “Mi piace come parla quest’elfa!” esclamò Baine:“dovremmo discutere su come farla pagare a quegli sciacalli!”
   Era impossibile leggere il pensiero di Cairne Bloodhoof semplicemente guardandolo in volto. A differenza di tutti i presenti egli era un libro chiuso. Kriystal si sentì un’infantile prepotente per essersi permessa di prendere parola durante una cena in cui, dopotutto, era l’unica femmina.
   Poi come se il silenzio di quei secondi fosse servito proprio per lasciare i presenti in uno stato tensione            Cairne Bloodhoof soffocò con la zampa destra una divertita risata:“Ecco perché voi elfi del sangue avete una così bella corte come capitale. Un po’ arrugginita negli ultimi tempi, ma avete infiniti ruoli nella storia di Azeroth di cui essere orgogliosi. Sai tenere un segreto?”
Kriystal non rispose nemmeno, che segreto era se i presenti saranno stati una decina?
   “Anche Lor’themar aveva il tuo stesso spirito quando era seduto a questa tavola, proprio lì dove sei seduta tu” Kriystal non credeva alle parole di Cairne.
   “Lei mi lusinga, signore”.
   “Kriystal ha ragione, signori miei. La faccenda di Altovento è molto più delicata di quanto credessimo. Di solito sono bravo a non farmi convincere dal fuoco della gioventù di mio figlio e cerco piuttosto d’esser il meno violento possibile per contenere i danni, ma non possiamo negare un problema così concreto. Se nei prossimi giorni Maghara Grimtotem non decide di scendere a patti con la città di Thunderbluff saremo costretti ad intervenire.”
   “Era ora!” rise Baine.
   “L’importante signore sarà agire con coscienza e riguardo” si raccomandò Hamuul.
   “Non penso abbiate altre alternative” manifestò la propria opinione Thehorde.
   “Possiamo venire anche noi?” anche stavolta la voce squillante di Kriystal portò un grave silenzio sulla tavola di Cairne Bloodhoof. Thehorde aveva gli occhi fuori dalle orbite e stavolta fu Robil a doversi trattenere dal non scoppiare a ridere. Kriystal non aveva saputo contenere l’eccitazione e si era lasciata coinvolgere dal momento:“domando nuovamente venia, signore, non so cosa mi sia preso, io…”
   “No, no, non c’è bisogno di scusarsi” la tranquillizzò Cairne:“apprezzo sinceramente la tua offerta d’aiuto e se si presentasse l’occasione, durante il vostro soggiorno qui a Thunderbluff, non esiterò sicuramente a domandarvelo”
   Kriystal evitò di guardare i suoi compagni Sind’orei, tranne Thehorde, il quale non aveva distolto il suo sguardo funesto dall’aspirante paladina. In quel momento lei si scoprì soddisfatta di averlo infastidito.
 
   Il continuo della cena proseguì su altri orizzonti, vennero affrontati diversi argomenti su Kalimdor e i regni orientali, finché finalmente non si arrivò al motivo principale per il quale si trovavano lì.
   “Non era solo l’ultimo saluto a mio padre il motivo per cui il signore della guerra ci ha mandati al tuo cospetto” rese trasparente la comunicazione Vonch.
   “No, effettivamente no, figliolo”  ammise Cairne, utilizzando ora un tono che dichiarava la delicatezza e la serietà della questione:“partiamo dal principio, signori miei. Qualcuno dei qui presenti ha idea di che cosa sia una runa di cristallo?”
  “Solitamente le rune fungono da conduttori di mana per armi di maghi e stregoni, o da artefatto per riti mistici e spirituali” rispose accademicamente Thehorde.
  “Esemplare amico mio, ma la mia domanda non era a che scopo viene utilizzata una runa, ma quale sia la natura di un determinato tipo di runa, in questo caso quella denominata di cristallo”. Kriystal lanciò un’occhiata soddisfatta al Warlock rosso. Anche tu commetti errori, pensò divertita.
   “A differenza delle altre immagino che la runa di cristallo sia …” ipotizzò Bithah: “… di cristallo?” I presenti risero dell’amico.
   “Beh, giovane paladino, effettivamente anche tu non hai del tutto torto. Essa deriva da certuni cristalli, chiaramente, tuttavia non sono molti i luoghi dove rune di questo tipo possono crescere indisturbate. Qual è un posto dove è consigliato non andare se non si è abituati alle cose troppo … fuori dal comune?”
   “Isole esterne” rispose Baine in abito da scolaro:“non fanno così paura come mi raccontavano da cucciolo, ma senz’altro non sono fatte per i giovani d’oggi di Azeroth”
   Kriystal sentiva gli occhi di Robil su di sé, come se l’assassino temesse che da un momento all’altro l’elfa del sangue sparasse a Thehorde domande sulle sue origini, ma cercò di non farci caso. Cosa doveva importarle se il Warlock più odioso della storia dei Warlock fosse o meno nato e cresciuto in un enorme frammento di pianeta che fluttuava nella Distorsione fatua?
   “Isole esterne” confermò Cairne senza scomporsi:“le rune d’argento vengono importate ad Azeroth a un solo scopo. È certificato che il nemico, che si stia parlando di un vecchio nemico o di una nuova minaccia, sta raccogliendo da più regioni dei regni orientali e del nostro continente un numero consistente di quei mistici artefatti. Le prime notizie che abbiamo di tali pietre risalgono all’origine di una delle più temute spade di tutta la storia di Azeroth e oltre”.
   “Quella spada?” domandò Vonch stavolta senza ironia.
   “Proprio quella spada” gli confermò Hamuul.
   “Froustmourne?” il gelo cadde nuovamente sulla tavola di Cairne Bloodhoof. Kriystal aveva utilizzato il nome che nessun’altro avrebbe osato pronunciare.
   “La spada del fu Arthas Menethil” entrò nel dettaglio Cairne, con cautela:“l’arma che ha dato il via ad uno dei capitoli della nostra storia più terribili. Abbiamo tutti perso qualcuno a causa degli eventi che essa provocò. Voi Sind’orei ne portate ancora una lunga cicatrice nelle vostre foreste” Kriystal tentò di convincersi di non avere capito bene. Ma il collegamento fu rapido ed inevitabile: la Dead Scar. Tuttavia non era il momento di fare domande, le carte più importanti erano in gioco.
   “Dobbiamo prenderne atto: il principe dell’ormai vecchia Lordaeron è ancora vivo e sembrerebbe essersi rifugiato per tutti questi anni nel continente del Nord, dov’eravamo convinti che avesse trovato la morte nel tentativo di fuggire alle nostre forze alleate”.
   “Girano voci che abbia trovato qualcosa di peggiore della morte” intervenne Thehorde.
   “Thrall ci ha raccontato di un plotone di settemila soldati dell’Orda mandati in missione nel continente del Nord” spiegò Bithah:“quelli che tornarono portarono storie, per lo più leggende, su ciò che accadde in quel posto”.
   “Mi stupisco che siano anche solo riusciti a lasciare Northrend” constatò Cairne.
   “Ne sono rincasati cinque, signore” ammise Bithah abbassando lo sguardo sul proprio piatto. Kriystal era presente quando Thrall aveva spiegato gli ultimi avvenimenti attorno al fuoco della propria sala del trono, ma il suo corpo non smetteva di tremare ogni volta risentiva quelle statistiche.
   Il silenzio di Cairne Bloodhoof valse più di mille parole:“Questa notte pregherò gli antichi perché non dimentichino”.
   “Noi non dimenticheremo” rispose Thehorde.
   “No di certo” aggiunse Kriystal, la quale colse lo sguardo del Warlock rosso quando la fissò e riconobbe il suo stesso senso di vuoto e impotenza. Nessuna smorfia, nessuna frecciatina, forse era la prima volta che rivolgeva un minimo di rispetto all’elfa del sangue.
   “Riguardo quelle leggende, paladino?” domandò Hamuul.
   “I cinque sopravvissuti al continente del Nord parlano di un esercito” rispose Bithah:“un esercito infinito di reietti. Non figli di Sylvanas, nossignore, ma corrotti dai sintomi di quella che tutti ricordiamo come la Piaga dei non morti che in passato stravolse le nostre vite”.
   “E Arthas è divenuto uno di loro?” chiese con tono più agitato Cairne.
   “Temiamo che Arthas ne sia a comando, Signore”
   “Come ho affermato prima, Signore” continuò Thehorde:“il principe di Lordaeron è incappato in qualcosa di più grande di lui, qualcosa di peggiore della morte. I cinque sopravvissuti vaneggiarono di un duello. Un duello di fuoco e ghiaccio”.
   “Illidan” capì al volo Cairne.
   “Lo stesso Illidan a capo della legione infuocata?” domandò Kriystal senza più riserbo e passando inascoltata.
   “Diamo ormai per certo che Illidan Stormrage e Arthas Menethil si siano scontrati sulle terre ghiacciate del Northrend. In un’altra situazione avremmo gioito dell’esito della battaglia, poiché incredibilmente Illidan Stormrage è stato abbattuto. Ma la vittoria di Arthas ha un prezzo per tutti noi”
   “Spiegati meglio” anche Baine era senza parole.
   “Mi duole essere io a portare la notizia ufficiale che Arthas Menethil ha indossato l’elmo del suo grande maestro oscuro. Per salvarle il lich supremo dalla minaccia di Illidan pare che il principe di Lordaeron si sia fuso con egli, divenendo un essere di natura non identificata”.
   “Un umano unito a Ner’zul? Quindi adesso Arthas è un Lich?” Il coraggioso Baine Bloodhoof non credeva alle proprie orecchie.
   “No, figlio mio” lo corresse Cairne, con gli occhi sbarrati e un tono spettrale:“Egli ormai è il Re dei lich”.

    

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Capitolo 17
*** L'addestramento ***



XVII

L'addestramento

 

 Ciò che Kriystal aveva assimilato dei discorsi della sera prima la tormentò per tutta la notte. Si rantolò nel giaciglio imbottito che le era stata gentilmente concesso dalla gente di Cairne. Cominciarono a formarsi immagini nella mente silente dell’elfa: eserciti di demoni e di Non morti soggiogati dal Flagello marciano tra i ghiacci del Continente del Nord. Un enorme edificio torrificato, nero e ricoperto interamente di stalattiti e neve e male. Due fazioni avverse tra loro, un incontro imprevisto per entrambi. Per quattro lune il continente intero viene inghiottito dal ghiaccio e dal fuoco. Scariche di energie e tuoni e fulmini, finché un elemento prevale definitivamente sull’altro. Un uomo dai lunghi capelli bianchi come neve sporca rimane in piedi al centro di un mare di sangue e profonde crepe nel freddo suolo. Arthas Merethil si inchina ai piedi di un trono fatto di ghiaccio e oscurità. Alle sue spalle un popolo di reietti denominati Lich assiste alla scena attendendo il susseguirsi degli eventi. Arthas sembra parlare da solo, ma essi sanno che qualcuno lo sta ascoltando.
   Un elmo. Questa è la risposta. Una volta sancito il matrimonio tra l’elmo e la spada runica il Re risorgerà. Arthas tiene fra le mano il copricapo pregustando la sua imminente unione con il grande Maestro.
   Poi di scatto alza lo sguardo. I profondi occhi blu perduti in un immenso abisso puntano verso qualcosa di indefinito di fronte a sé. Le labbra screpolate dal freddo e dalla sete si aprono leggermente: “Kriy… stal” come? Kriystal si avvicina al paladino ancora inginocchiato ai piedi del trono per ascoltare meglio.
   Un respiro pesante e una mano l’afferra:
   “KRIYSTAL!”
 
   Kriystal aprì gli occhi e la luce che filtrava dalla tenda la folgorò come se risvegliatosi da un lungo e profondo coma. Bithah era seduto su una seggiola al fianco della branda con la mano destra poggiata sulla spalla della paladina: “Era ora, credevo di dover chiamare un prete, o qualcuno che potesse svegliarti con qualche incantesimo!” sorrise.
   “è già l’alba?” si limitò a domandare l’elfa ancora intontita.
   “L’alba ci ha lasciati già da un paio d’ore. È stato un grande spettacolo oltretutto!”
   Kriystal non credeva alle sue orecchie, non aveva dimenticato perché fosse fondamentale svegliarsi così presto quella mattina:“Ho perso il nostro addestramento!”
   “Suvvia, qualche incubo di troppo non guasterà di certo le nostre lezioni”
   “Come fai ad esser così sicuro che stessi facendo un incubo?”
   Bithah sorrise nuovamente. Ma era un sorriso fraterno, non la prendeva in giro:“C’ero anch’io ieri sera, sai? È stata messa così tanta carne al fuoco che sfido chiunque a non faticare ad addormentarsi!”
   Kriystal si mise in posizione seduta:“Hai avuto brutti sogni anche tu?”
   “Molte volte. Ma non stanotte, no.”
   Kriystal sentì di dover cercare un confronto:“Vuoi dire che a te non hanno toccato tutti gli argomenti affrontati?”
   Bithah sorrise di nuovo e poi, guardando l’elmo rosso che teneva fra le mani, rispose:“Io appartengo a quella parte del popolo di Azeroth che non ha mai creduto fino infondo che la fuga del principe di Lordaeron lo avesse condotto alla morte nelle fredde terre di Northrend. Sapevo che in quel luogo avrebbe cercato aiuto e rinforzi. Era solo questione di tempo.”
   “E per quale motivo si è aspettato così tanto tempo? Perché nelle accademie di Silvermoon hanno tralasciato di raccontarci questo capitolo della storia?”
   “Nell’attesa del ritorno del nemico le istituzioni hanno passato il tempo a preoccuparsi d’altro, vedi Orgrimmar o Undercity per esempio. E alcune terrorizzate dal fenomeno del Flagello hanno pensato addirittura che cambiare alcune leggi e nascondere alcuni punti della storia alle giovani leve bastasse per evitare proprio che tale storia si ripetesse”.
   “Vedi Silvermoon” capì Kriystal, come se un mondo le si fosse spalancato d’innanzi.
   “Vedi Silvermoon” confermò Bithah:“la nostra città a seguito dell’avvenuta del Flagello non ha perso soltanto l’energia scaturita un tempo dal Pozzo solare. Ha perso anche molte vite e con esse troppi valori”
   “Credi anche tu che si sia insinuato qualche cosa di marcio nella nostra capitale?”
   Il silenzio di Bithah fu eloquente.
   “E questo e il drago di Acramand possono in qualche modo essere collegati ad un piano proveniente dal Continente del Nord?”
   “Al momento sono solo ipotesi, noi non …”
   “Ma è effettivamente possibile?” insistette l’elfa.
   Bithah tornò a guardare il proprio copricapo nell’intento di formulare una risposta:“ Certo è che in quel villaggio nei pressi di Silverspine in cui siete incappati tu, Vonch e Soran, i mercenari che avete incontrato con il loro seguito di flagellati erano giunti con l’intenzione di raccogliere una runa di cristallo. Lo stesso tipo di runa che possedevano come riserva di denaro una famiglia di contadini della piccola colonia di Acramand. Per questo è ipotizzabile che anche l’attacco del drago fosse indirizzato a tale scopo”.
   “Creare un nuovo legame fra le armi e chi le padroneggia, come ha spiegato Cairne?”
   “Secondo Cairne le rune di cristallo potrebbero essere utilizzate proprio allo scopo di creare una nuova tipologia di guerriero. E vista la classe di combattimento di Arthas Merethil io non escluderei che il suo nuovo esercito speciale possa essere costituito per lo più da paladini”.
   “Paladini oscuri” rifletté Kriystal rabbrividendo:“come si corrompe l’anima di un paladino?”
   “L’arcidruido Hamuul Runetotem ha individuato due modi possibili e probabilmente entrambi utilizzati: il primo consiste nell’infettare il paladino con la Piaga dei Non morti poco prima di togliergli la vita, in tal maniera egli risorgerà sottoforma di Lich.
   Il secondo è anche quello più inquietante. Come apprenderai dal nostro addestramento noi paladini abbiamo la capacità di ‘guarire’ ferite per lo più superficiali. Non con la stessa efficacia di un prete, si intende, ma è una qualità in più che ci distingue dalle altre classi. Ne hai avuta una prova la prima volta in cui ci siamo incontrati, ricordi? si dice che alcuni paladini più forti del sottoscritto siano in grado di riportare indietro i propri compagni dalla morte”.
   Kriystal ne fu sconvolta:“Non credevo fosse possibile!”
   “Il più delle volte sarebbe meglio se non lo fosse. Quando il corpo muore residui del nostro mana vanno spegnendosi più lentamente. Queste tipologie di paladini sono in grado recuperando quelle briciole di mana ancora in vita, di attuare il cosiddetto rito della resurrezione
   “Ma ci hanno sempre insegnato che ogni azione contro natura porta con sé un prezzo!”
   “E infatti è così” rispose prontamente Bithah:“di regola la pratica della resurrezione spinge il paladino all’estremo delle proprie forze. Perdono una quantità enorme di mana e alcuni non sopravvivono nemmeno.
   Inoltre, sempre secondo gli studi di Hamuul Runetotem, Arthas si sarebbe servito dell’aiuto di forze oscure per trovare la maniera di instaurare un vero e proprio catalizzatore, una sorta di filtro, un qualcosa che inciti il paladino a tornare in vita, che lo illuda di trovare la forza di tornare indietro…”
   “Perché ad Arthas interesserebbe tanto interferire con la morte di un paladino?”
   Bithah si fece più cupo:“Perché se il paladino ascoltasse Arthas e tornasse in vita, il prezzo da pagare per il risorto sarebbe la metà della sua anima. Tanto mana quanto basta al Re dei Lich per…”
   “… riempire altri cadaveri di paladini da poter trasformare nei suoi burattini” concluse Kriystal non credendo alle proprie parole:“come fa ad esserne capace? È solo un uomo!”
    “Non più ormai” la corresse freddamente Bithah:“non più da molto tempo. Il suo cuore ha smesso di essere umano quando ha sporcato il trono di Lordaeron con il sangue del suo stesso padre”.
   Kriystal aveva il cuore in gola. Quanto domande irrisolte aveva ancora da fare e quanti dubbi. Cosa stava strisciando per i borghi di Silvermoon? Cosa stavano nascondendo i Sette signori?  E ancora, tutti i Sette signori di Silvermoon stavano nascondendo qualche cosa? Anche suo padre?
   Visioni di diversa natura presero piede nella testa dell’elfa finché una voce amica non la riportò alla realtà:“In conclusione se non vuoi morir di fame e diventare un gingillo del Re dei Lich ti consiglio di scender dal letto, nutrirti, indossare l’armatura e seguirmi” Bithah fu chiaro e Kriystal seguì le sue direttive alla lettera.
   Quella mattina non vide nessun’altro Sind’Orei al di fuori del suo nuovo maestro. Fecero colazione insieme ad alcuni cuccioli Tauren ritardatari in una capanna nell’altura principale, comprarono qualche alimento per il resto della giornata e cominciarono ad imbarcarsi sulle piattaforme per scendere a valle.
   “Allora, cosa faremo oggi?” domandò Kriystal prima di dare un morso alla mela che teneva in mano.
   “Partiremo imparando a gestire il tuo mana, a distribuirlo omogeneamente in modo da poterlo ricalibrare per potere utilizzare gli incantesimi” sull’ultima parola Kriystal vacillò e Bithah se ne accorse subito:“problemi con gli incantesimi?”
   Lei arrossì:“è molto grave il fatto che io sappia evocare soltanto la mia cavalcatura?”
   “A tutto può esserci rimedio!” sorrise divertito il paladino.
   Kriystal fu felice all’idea di rimettere piede sull’erba morbida del Mulgore e il solo pensiero le risollevò il morale dalla notte passata. La carrucola prese a rallentare e atterrare sulla terra pianeggiante ricondusse l’elfa ad una sorta di equilibrio con le proprie vertigini. Niente più ponti cigolanti, niente più vuoto sotto ai piedi. Quella mattina doveva essere tutta dedicata ad un sano addestramento a metri zero d’altezza.
   “Seguimi” ordinò Bithah e Kriystal obbedì. Il paladino abbandonò il sentiero principale dal quale erano venuti il giorno precedente e tagliò per campi dall’erba alta fino alla vita.
   “Devo aspettarmi una scampagnata?” domandò ironica l’elfa.
   “Il mio maestro d’accademia ci faceva percorrere sempre diversi chilometri di cammino prima di allenare le nostra facoltà. Quando partecipai alla mia prima battaglia purtroppo non ne avemmo il tempo” nel suo tono c’era ironia, ma Kriystal colse la tragicità della questione.
   “Devo prepararmi dunque a consumare i miei stivali prima della mia spada?”
   “No, non temere io non sono il mio maestro. Preferisco un approccio diretto, o quasi. È inutile farti credere che avrai sempre il tempo di meditare prima di agire” Kriystal afferrò il consiglio dell’amico e decise di farne tesoro. Il sole sopra le loro teste illuminava tutto il verde circostante e in un laghetto poco distante uno scorcio di cielo azzurro e batuffoli bianchi sorrideva riflesso sulla superficie. Kriystal teneva il passo degnandosi di non fare i capricci sul perché non evocassero le cavalcature per raggiungere il luogo designato. Che si trattasse della prima fase dell’addestramento?
   “Ti starai domandando dove siamo diretti” Kriystal fu lieta che il paladino non avesse costretto lei a fare quella domanda e il suo silenzio valse come risposta.
“Ebbene, per il nostro primo esercizio ci serve uno spazio tranquillo e ben esteso, caratteristiche entrambe appartenenti al Mulgore, il ché è bene. Secondariamente dobbiamo stare lontani dai sentieri principali, lontani quindi da distrazioni come passanti, soldati, o mercanti di cibo. Il cibo è fonte maligna per il nostro addestramento, cancella quindi dalla tua mente ogni immagine commestibile. L’appetito in battaglia è male.”
   “Ma in battaglia potrò sempre portarmi dei viveri!”
   “Ci sono battaglie che non ti danno il tempo di raccoglierne”
   “E per l’acqua?”
   “L’acqua è reperibile più facilmente rispetto al cibo. Se stai per accennarmi la frutta sugli alberi pensa di trovarti in un luogo totalmente estraneo alle tue conoscenze, esistono alimenti selvatici che possono essere dieci volte più letali del veleno di un assassino” Kriystal non obiettò. Passò un’altra ora e ormai anche le alture di Thunderbluff erano scomparse alle loro spalle. Ben visibili invece e sempre più vicine erano diventate le montagne che facevano da confine di protezione al Mulgore.
   “Ai piedi delle montagne” rifletté Kriystal:“affronteremo stormi di arpie?”
   “Le arpie non sono previste nel programma della giornata” rispose Bithah.
   “Nani dunque? Non so se sarei già in grado di vedermela faccia a faccia contro un Ally!”
   “Un Ally?”
   “Devo avere assimilato parte del vocabolario di Vonch. Intendevo dire che forse è un po’ presto per scontrarmi con l’Alleanza, senza contare che probabilmente non è il momento più adatto”
   “Non solo non è il momento” aggiunse il paladino:“ma non è nemmeno quello che avevo in mente per te”
   “E dove stiamo andando allora?” cominciò  spazientirsi l’elfa. Bithah si fermò improvvisamente, si guardò intorno e poi si rivolse a Kriystal con uno dei suoi gentili sorrisi:“Qui andrà benissimo!”
   “Qui?” Kriystal studiò il luogo in cui si trovavano: un immenso campo punteggiato da migliaia di fiori di diversa specie. Poco distante un enorme distesa di lavanda emanava un fresco profumo che la trasportò furtivamente per i campi in cui correva ai tempi della sua infanzia. Natura, il primo elemento vitale di un Elfo del sangue. In pochi istanti Kriystal si sentì rigenerata. Soffioni, papaveri, margherite e i famosi Occhi di Lupo delle Valli arrivavano fino al busto dell’armatura.
   “Immersione tra i fiori?” scherzò lei. Erano poco distanti dalle montagne di confine e circondati da limpidi laghetti. Un posto un po’ troppo piacevole per addestrare le proprie capacità di combattimento.
   “Questo dipende da te!” Bithah rise, ma Kriystal non colse l’ironia:“Coraggio, deponi il tuo pugnale e la spada su quel masso in riva allo stagno” l’elfa comprese ancor meno.
   “Non combatteremo ad armi pari?”
   “Certamente!” e prese Egli per primo a slacciarsi il fodero della spada e a lasciarlo a pochi metri da sé:“le lame ci sarebbero d’intralcio” Kriystal seguì l’esempio del paladino scegliendo di non tormentarsi più domandandosene i motivi. Ora erano faccia a faccia a poco più di quattro piedi l’uno dall’altra in un paradiso terrestre dal profumo primaverile.
   “In un combattimento ravvicinato, se armata della prima cosa che ti capita in mano, te la sai cavare più che discretamente. Ho visto come hai utilizzato il masso per improvvisare uno scudo contro quel centauro, ma un paladino non è solo pura improvvisazione. Da brava studiosa lo sai meglio di me”
Kriystal seguiva perfettamente il filo del discorso che a sua volta seguiva alla lettera le lezioni dell’accademia:“Un paladino si distingue da guerrieri e preti poiché capace di apprendere l’equilibrio di entrambe le arti”
   “Hai studiato il manuale a memoria?”
   “Ho avuto molto tempo a disposizione”
   “Dunque è arrivato il momento di metterlo in pratica!” esclamò entusiasta.
   passarono alcuni istanti di imbarazzante silenzio. Bithah attendeva una qualche reazione alla sua esclamazione, ma Kriystal non aveva la minima idea di cosa avrebbe dovuto fare.
   “Ebbene?” sarebbe voluta sprofondare, ma il suo sguardo basito bastò perché il paladino capisse di dover ricominciare dalle basi:“utilizza un qualsiasi incantesimo, evoca la tua cavalcatura se è l’unica cosa che sai fare!” Kriystal decise così di accantonare il ritegno e di mostrare al meglio della forma l’evocazione del suo Silbar, si concentrò e portando le mani al petto cominciò a incanalare mana.
   “Sempre che io te ne lasci il tempo!” prima ancora che l’elfa reagisse alla provocazione Bithah era scattato nella sua direzione intenzionato a caricare un destro molto veloce. Così veloce da costringere Kriystal a schivarlo per un pelo scansandosi furtivamente sulla sinistra e afferrando il polso fermo del paladino, il quale tuttavia non si sbilanciò. Egli ritrasse con forza il braccio dalla fragile presa dell’avversaria e con una rapida contorsione degli avambracci mirò allo stomaco dell’elfa con i palmi di entrambe le mani. Non fu un vero e proprio colpo. Prima ancora che i due entrassero in contatto Kriystal si sentì travolgere da una forza espulsiva che la fece sbalzare all’indietro di qualche metro fiondandola nelle fresche acque del lago. Quando emerse non si era ancora resa conto di cosa fosse successo.
    “Esorcismo!” sorrise Bithah da una distanza di circa sette metri dove Kriystal lo aveva lasciato:“oggi il nome di questo incantesimo è un po’ anacronistico, ma purtroppo nemmeno così tanto. Venne fatto acquisire ai paladini con l’avvenuta del Flagello. Migliaia di non morti sono stati abbattuti da quest’attacco”.
    Prima di esprimersi Kriystal si tastò in cerca di qualche ferita:“Un incantesimo contro i Reietti” rifletté:“è per questo motivo che io ne sono uscita indenne?”
    “L’esorcismo è efficace tanto su un Non morto quanto su qualsiasi essere vivente. L’etimologia del termine è vincolata al periodo storico della guerra contro il Flagello, tuttavia ciò non toglie che ad oggi è uno delle più potenti abilità di un paladino!”
   “E immagino che come ogni altro episodio riguardante quel determinato periodo storico Silvermoon abbia deciso di non insegnarlo e tenerlo nascosto alle nuove generazioni” quella di Kriystal non era una domanda e in quanto tale non aveva alcun bisogno di una risposta. Il silenzio di Bithah poteva bastare.
   “Sei rimasta indenne perché io ho scelto di incanalare quel tanto di mana che una volta rilasciato non ti conferisse alcun danno”
   “Se utilizzavi più mana potevi ferirmi?”
   “Con una quantità consistente ti avrei uccisa”
   “Volevi uccidermi?”
   “Volevo la tua completa attenzione. L’ho ottenuta?”
   Kriystal raccolse per un istante tutto ciò che stava accadendo e i motivi che l’avevano condotta in quel luogo, in quel momento:“Come lo imparo?” domandò decisa.
   Bithah parve sorpreso:“Non vuoi prima asciugarti? Tutto l’equipaggiamento sarà più pesante ora che…” ma Kriystal era già fuori dall’acqua e con i capelli fradici ancora appiccicati al viso si mise a correre combattiva verso il paladino. “Come non detto!” sorrise Bithah, prima di assumere posizione e di parare un colpo che se fosse andato a segno gli avrebbe quasi sicuramente fratturato il setto nasale passando per l’unica apertura dell’elmo. “Un colpo al viso è troppo prevedibile!” l’ammonì mentre effettuava la manovra che gli permise afferrando il braccio dell’elfa di ritorcere la presa, impedendo all’avversaria l’immediato movimento:“immobilizzare il nemico invece è un buon inizio a proprio vantaggio!” Kriystal si agitò nella speranza di liberarsi dalla sottomissione del maestro che la costringeva a dargli le spalle:“Sei un ingenuo se pensi di avermi in pugno!”
   “A me non pare altrimenti!” la prese in giro Bithah. Ma questa volta fu quest’ultimo a peccare di tracotanza, quando l’elfa scattò con la testa all’indietro picchiando il duro copricapo del paladino, il quale senza aver subito alcun danno dovette comunque prendersi quel brevissimo lasso di tempo per ristabilirsi, che permise a Kriystal di liberare il proprio braccio, voltarsi di scatto e incanalare tutto il mana nei palmi delle mani mentre esse colpivano in pieno petto l’avversario. L’azione si svolse in pochi istanti. Tuttavia non accadde nulla. L’esorcismo di Kriystal aveva avuto tutt’altro che effetto e lei era rimasta in una sciocca posizione, immobile, convinta, con le mani poggiate sull’armatura di Bithah, il quale non si era mosso di un centimetro.
   “Per un momento credevo che ci fossi riuscita sul serio” sorrise Bithah.
   Kriystal si tirò indietro e osservò i punti esatti dove il mana si sarebbe dovuto sprigionare:“Ero certa di riuscirci!”
   “Si chiama addestramento per un motivo” la esortò Bithah:“probabilmente servono solo più dimostrazioni!” In due soli movimenti sprigionò mana e lei volò nuovamente nel lago.
   Risorgendo dalla superficie dell’acqua Kriystal ebbe modo di porsi tutti i dubbi dovuti. Forse diventare una paladina non era il suo destino.
   “Siamo a due esorcismi per me!” la schernì Bithah a distanza:“Per oggi possiamo fermarci qui se vuoi!”
   “NO!” urlò Kriystal. Il suo tono suonò più come un grido di battaglia:“niente e nessuno mi impedirà di farcela!”
   Bithah ebbe il rispetto di non domandare il significato delle sue parole. Piuttosto mostrò un altro dei suoi sorrisi amichevoli:“Raccogli le tue armi dunque!”.
   Kriystal era ancora al centro dello specchio d’acqua immersa fino alla vita:“Un duello?” domandò incredula.
   “Sei tu l’esperta di teoria. Le nuove leve lo chiamano ancora così?” chiese ironico lui mentre raccoglieva la propria arma:“recupera spada e pugnale e vieni ad affrontarmi!”
   Kriystal questa volta non ci pensò due volte. Uscì velocemente dall’acqua e ignorando il peso considerevole della maglia sotto l’armatura si riappropriò delle armi. Nell’esatto momento in cui rientrò in contatto con esse sentì come la sensazione che le fosse ricresciuto un arto prima perduto.
   “Riconosco quell’espressione” disse serio Bithah, togliendosi improvvisamente il copricapo e lasciandolo nell’erba alta. Kriystal lo aveva già visto senza elmo, ma ogni volta si stupiva. I suoi capelli bruni erano insolitamente corti per un Sind’Orei, come quelli di un mercenario delle Isole esterne, e i lineamenti del volto lo distinguevano radicalmente dai canoni degli elfi del sangue di Silvermoon.
   “Quegli occhi” continuò Bithah indicando l’elfa di fronte a lui:“sono certamente gli occhi di un paladino!” Kriystal arrossì e presa tremendamente alla sprovvista abbassò lo sguardo sui fiori colorati sotto di lei.
   “Cuore e spada!” recitò ad alta voce Bithah:“queste precise parole ti dicono qualcosa?”
   Ovviamente Kriystal conosceva la risposta:“I primi paladini avevano un motto che veniva utilizzato prima di ogni battaglia, primo di ogni missione o viaggio di ricognizione. Tale motto accompagnava  il gruppo per tutto l’andamento dell’avventura. La leggenda vuole che l’equilibrio della compagnia fosse guidato dalla figura di un paladino, colui che conteneva tale armonia fra il suo cuore e l’arma che portava”.
   “Per questo motivo molte campagne sono guidate da un paladino” continuò Bithah:“una guida, questa è la parola chiave. Prima di conoscere la tua arma devi conoscere il tuo cuore, prima di guidare un gruppo devi sapere guidare entrambe le cose”.
   “Il cuore e la spada” ripeté fra sé Kriystal.
   “Ora” continuò il paladino:“ad oggi i primi paladini sono tutti degli anziani tremanti e sull’orlo dell’estinzione, ma il loro insegnamento è la base per intraprendere una classe come la nostra. Il cuore, l’onore, un codice, è tutto ciò che ci distingue dai guerrieri. La spada, è tutto ciò che ci distingue dai preti”
   “Che ne è dell’allenamento senz’armi allora?”
   “Se sei destinata a diventare una paladina vorrà dire che non avrai mai occasione di trovarti senza di esse”
   Kriystal provò a dare significato alle parole di Bithah e al suo improvviso cambio di modalità d’addestramento. Il cuore e la spada, come aveva potuto dimenticarsene? Esisteva qualcosa più affilato della lama di un’arma: la virtù del paladino.
   Più che un duello, ciò che seguì sembrò una danza. Ogni impatto fra le due lame riportava in vita il nome di ogni paladino che aveva costruito con sangue e fatiche ciò che erano oggi le civiltà di Azeroth. Nessuno dei due fece realmente sul serio, nemmeno Bithah sembrò colpire per ferire. Era una vera e propria lezione su come raggiungere l’armonia con la propria arma. Non era proprio l’idea con cui era partito l’addestramento di quella mattina, ma il tempo per imparare qualche incantesimo fondamentale, le promise Bithah, ci sarebbe stato. Così fu nei giorni seguenti, quando nei momenti in cui Kriystal non era impegnata ad aiutare gli abitanti di Thunderbluff e del Villaggio Bloodhoof nelle faccende quotidiane, come caccia e coltivazione, la si trovava in quel campo fiorito ad allenare le proprie capacità con la spada e non. Il tempo scorreva lento e piacevole e quasi sembrava esser stato temporaneamente rimosso ciò che dal Nord incombeva minacciosamente.
   Anche Thehorde sembrava meno teso durante il soggiorno nel Mulgore. La mattina si svegliava per primo ( nonostante Kriystal avesse imparato ad alzarsi sul nascere dell’alba ) e si incamminava assieme ad una piccola compagnia di Tauren guidati dal principe Baine in lunghe ricognizioni dalle quali facevano ritorno solo al crepuscolo. Durante le cene e le feste serali sembrò addirittura aver lasciato da parte l’ostentata tentazione di ostacolare la vita e la pazienza dell’elfa del sangue. Kriystal fu felice di poter evitare dialoghi aperti e screzi con l’elfo del sangue più sbruffone e arrogante che avesse mai conosciuto. Chidril era più sopportabile, pensò lasciandosi scappare un sorrisetto che non sembrò comunque attirare l’attenzione del warlock rosso, il quale continuava imperterrito a mangiare moderatamente e ad evitare i contatti con il resto del mondo.
   “Hai provato la birra?” la distrasse dai suoi pensieri Soran:“la produce un contadino Tauren nelle sue proprietà agricole nei pressi di Silithus. È difficile pensare a viveri di qualità prodotti in terre così ostiche, ma forse sono proprio tali proprietà climatiche a definire il sapore così forte di questa bevanda deliziosa”
Kriystal lo trovò divertente:“Sei un esperto di birre ora?”
   “Come?”
   “Prima che accadesse tutto questo eri semplicemente Soran, il Sind’orei che era cresciuto al mio fianco scorazzando per Eversong woods a dar la caccia a cuccioli di leone e a raccogliere frammenti elementali per Mastro Perilon. Durante lo svolgimento dei recenti eventi ti sei dimostrato cambiato, ma forse è un mio abbaglio e sei semplicemente cresciuto. Un Warlock dal carattere timido, riservato e molto abile in battaglia…”
   “Smettila con i complimenti, arriva al punto…” Soran non sembrava infastidito, ma piuttosto curioso.
   “Ora fai l’esperto di birre. Insomma, forse la mia sensazione di non conoscerti più è data solo dai miei sensi di colpa per aver trascurato la nostra amicizia negli ultimi anni”
   “Eri impegnata ad entrare a fa parte dell’esercito. E lo ero anch’io”
   “E ci sei riuscito” ricordò Kriystal felice per lui:“ma forse avremmo potuto esercitarci assieme, condividere le nostre insicurezze…”
   “Che fine ha fatto la Kriystallina che doveva esser castigata perché chiedesse scusa  o ammettesse i propri errori?” Soran le donò un sorriso che lei non vedeva da molto tempo:“tuttavia non c’è motivo perché tu mi chieda scusa e non c’è alcun errore che tu abbia commesso nei miei confronti. Ci siamo persi un po’ di vista, tutto qui. Da parte mia non c’è alcun rancore!”
   Fu un dialogo dal contenuto quasi infantile, ma a Kriystal parve d’essersi tolta un grosso peso:“Nemmeno da parte mia” sorrise rasserenata.
   Tale tranquillità d’animo le fece cominciare l’addestramento del giorno dopo al pieno delle proprie forze. Un ottimo contributo veniva anche dai bellissimi panorami, dal sole e dalla fresca aria della regione che l’ospitava. Era difficile immaginare d’essere a non tanti chilometri di distanza da una terra così arida come il Durotar.
   Da bravo soldato qual’era, Bithah si trovava già sul posto. Aveva portato con sé un grosso tronco di legno alto almeno quanto Kriystal:“Oggi possiamo riprendere l’incipit con cui volevo cominciare il nostro addestramento. Hai avuto molto tempo a disposizione per affinare la tua tecnica con la spada e hai già dimostrato una grande capacità di apprendimento, oltre alle basi che già possedevi. Vedo che hai seguito le indicazioni del mio messaggio. Hai con te solo il tuo pugnale?” Kriystal annuì. Nel foglio di pergamena che Bithah le aveva lasciato al risveglio era chiaro l’ordine di presentarsi disarmata.
   “Per il momento abbandona anch’esso sopra il masso accanto a te” l’elfa obbedì senza fiatare.
   “Ottimo!” esclamò Bithah:“Ti presento il tuo nemico per questa lezione!” quando il paladino poggiò orgogliosamente la mano destra sul tronco piantato nell’erba Kriystal non poté che rimanere basita:“Un pezzo di legno?”
   “Che cosa ti aspettavi? Che ti portassi subito un totem incantato? Con questo tipo di legname sono state costruite quasi tutte le abitazioni, le infrastrutture e gli acquedotti delle città Tauren. Ci vorranno parecchi tentativi perché tu riesca a scalfirlo senz’armi!” Kriystal pensò immediatamente ai ponti cigolanti costruiti dai Tauren e trovò automaticamente dubbie le parole del maestro.
   “Nel nostro primo incontro ti ho mostrato l’incantesimo dell’esorcismo, ne rammenti?”
   “Avrei portato abiti di ricambio se mi avessi avvisata che sarei volata nuovamente in acqua!”
   “Non ho alcuna intenzione di colpirti!” sorrise Bithah:“da oggi ci concentreremo sul tuo approccio all’esorcismo. Hai incanalato il mana tutte le sere come ti ho suggerito?”
   “Ogni sera prima di dormire!” confermò pronta Kriystal.
   “Molto bene, ho sentito dire che i preti prima di dormire pregano. Noi invece immagazziniamo mana e impariamo a proporzionarlo. Oggi tu non dovrai fare altro che questo: colpisci il bersaglio con l’Esorcismo provando a distruggerlo!”
   “Vuoi già che lo distrugga? Non dovrei prima imparare a emanare l’incantesimo ad un livello non-letale?”
   Bithah rise delle parole dell’allieva:“Parli come se distruggere quel tronco fosse una cosa semplicissima. Ti dirò una cosa interessante, per quanto questo legno sia resistente, quando avrai imparato a scalfirne la sua corazza avrai raggiunto un livello tale che ti permetterà a malapena di ferire un essere vivente”
   Kriystal era confusa:“Ma ne hai parlato finora come se fosse impenetrabile!”
   “E infatti lo è! Ma la difficoltà di scheggiarlo non è minimamente paragonabile alla quantità di mana che serva per fermare un cuore senza trafiggerlo, figuriamoci se si parla di purificare l’anima di un non-morto!”
   “Allora quali risultati dovrei ottenere per capire di aver raggiunto il livello richiesto per abbattere un nemico?”
   Bithah sembrò divertito, come se attendesse quella domanda da tempo:“Dovrai riuscire a colpire ciò a cui non hai mirato”. Kriystal non domandò il significato delle parole del paladino, perché sapeva che Egli non le avrebbe risposto. Si limitò a seguire le sue istruzioni e cominciò l’esercizio. Ci provò cinque, dieci, venti volte per tre, sei, nove ore, finché il corpo non la implorò di fermarsi. Esaurita si accasciò per riprendere fiato ai piedi del tronco indenne. Bithah l’aveva lasciata all’addestramento dopo solo pochi minuti dall’inizio. Ora si trovava da sola, in una pianura fiorita alle ultime luci del giorno. Decise che per il momento poteva bastare.
   Seguirono giorni di numerosi svolgimenti per il popolo di Cairne e pochissimi progressi per l’allenamento di Kriystal. Per tutta Thunderbluff si mormorava di un possibile scontro imminente con il clan dei Grimtotem e l’aspirante paladina non sapeva nemmeno ferire un pezzo d’albero. Cairne Bloodhoof fu costretto ad inviare un ultimatum ai fratelli in rivolta perché abbandonassero l’idea di fargli guerra. In quei giorni di tensione sul volto dell’anziano capo tribù sembrarono gravare maggiormente i segni del tempo. Passava la maggior parte delle giornate nella sua tenda a meditare e a bruciare erbe in cerca di qualche segno da parte degli Spiriti degli antichi.
   “Mio padre ha sempre portato avanti ostinatamente un suo concetto di pace in tutta Azeroth” le Spiegò Baine una sera davanti al fuoco:“Ha sempre ripudiato l’idea di scontrarsi con le altre razze, figuriamoci con i propri fratelli”
   “Un fratello non dovrebbe avere sulle mani il proprio sangue” commentò durante una tranquilla battuta di pesca la cara Banqui Piumaria:“Tutto dipende ora dalla risposta che rientrerà assieme al messaggero di Cairne. Dovrebbe trattarsi di pochi giorni ormai” tentò di sembrare ottimista, ma Kriystal non se la bevve. La risposta di Magatha Grimtotem non sarebbe stata nulla di buono.
   Scambiandosi osservazioni e opinioni, Banqui Piumaria aiutò Kriystal anche nell’addestramento. Le preparò spezie naturali da sciogliere nell’acqua calda la sera e le donò una lignea e sottile collana, che secondo le sue indicazioni l’avrebbe portata ad ottenere maggior omogeneità con il proprio mana. Quando Kriystal timidamente la indossò Banqui indicò il ciondolo in legno simile alla forma di un tacchino:“Amico-zampalesta” le sorrise mostrando gli enormi denti centrali e le larghe narici. Onorata l’elfa ricambiò il sorriso. Si tenne a mente quel concetto, come se parole confortanti da parte di una figura amica rischiassero di sparire da un momento all’altro.
   Dopo tre giorni il messaggero non era ancora di ritorno. I più radicali come lo stesso Baine premevano per un intervento tempestivo, ma Cairne Bloodhoof chiese a fratelli e figli un ultimo ed estremo sforzo. Quella che ad un primo sguardo poteva apparire speranza, con il tramontare delle giornate si rivelò contenuta disperazione. Kriystal provò un’immensa pena per il conflitto che il vecchio capo tribù aveva già avviato da tempo, la battaglia più dura, che non vedeva né vinti né vincitori: quella interiore.
   L’elfa comprese questo e molti altri valori nel lungo soggiorno a Thunderbluff. Lezioni morali che in certi momenti, nel cuore della notte, la facevano sentire lontana da casa.
   Il sesto giorno dopo il dono di Banqui Piumaria finalmente si manifestò un primo risultato durante l’allenamento. Nei primi due tentativi di Esorcismo della mattinata il cambiamento fu quasi impercettibile. Ma la terza volta, quando Kriystal picchiò i palmi delle mani contro la ruvida superficie del tronco, qualcosa si mosse. Il bersaglio non sembrava aver accusato alcun danno, ma l’elfa poté giurare di aver intravisto i fiori dietro di esso piegarsi leggermente per poi tornare alla loro posizione originaria. Come se fossero soggetti ad una folata improvvisa di vento nonostante quella mattina il cielo fosse immacolato e nessun filo d’erba accennava a muoversi. Ci riprovò immediatamente con foga tenendo d’occhio ogni piccolo moto insolito. L’effetto soffiato si ripeté. Era come se l’attacco di Kriystal non affondasse nel tronco, ma fuoriuscisse e si sfogasse oltre. Provò ancora una, due volte, finché le parole di Bithah non le riecheggiarono in testa come se Egli fosse lì presente al suo fianco. Colpire ciò a cui non hai mirato.
   Come se il suo cervello si fosse fermato per settimane, tutto le fu improvvisamente chiaro. L’obiettivo non era distruggere superficialmente l’oggetto fisico. Se Kriystal fosse riuscita a danneggiare il tronco ciò le avrebbe permesso solo il primo passo per completare la pratica dell’Esorcismo. Ma ora era riuscita a fare ben altro. Come presa dall’irrefrenabile necessità di dar forma al processo che la sua mente stava compiendo si allontanò momentaneamente dal bersaglio e allargò le braccia verso il basso sfiorando delicatamente con le dita i petali colorati. Cercò di concentrarsi a fondo incanalando tutto il mana necessario nelle mani. Né troppo, né troppo poco. Sentì la pressione scorrere lungo le arterie e culminare nei polpastrelli irrigiditi dallo sforzo. Gradualmente lasciò disperdere il mana intorno a sé senza liberarlo totalmente. Non sapeva se il ciondolo di Banqui servisse sul serio, ma sentiva finalmente il mana confluire attraverso il proprio corpo esattamente come lei voleva che confluisse. Sinora aveva sempre schiantato il mana accumulato contro il bersaglio senza controllarlo sul serio. Lentamente i fiori e i fili d’erba intorno a lei presero a inclinarsi come se oppressi da un corpo fisico. Stava facendo pressione su loro senza toccarli realmente.
   Fermare un cuore senza trafiggerlo. Le parole le tornarono alla mente come se avessero assunto autentico significato da un momento all’altro. Presa dallo scorrere del mana in tutto il corpo Kriystal iniziò a volteggiare per il campo piegando i fiori e i fili d’erba sotto al non tocco del suo potere.
   Quando il sole cominciò a tramontare finalmente seppe cosa doveva fare. Si fermò al centro del podere policromo in un punto frontale rispetto al ceppo nemico. Credeva di avere sprecato tutto il mana durante il giorno, eppure lo sentiva ancora fremere come se non vedesse l’ora di traboccare definitivamente in un’esplosione di energia. Senza pensarci troppo sapeva che era il momento giusto: con una decisa spinta in avanti cominciò a correre verso il bersaglio trattenendo il mana che si agitava all’altezza delle mani. Due passi, tre passi. In un tuono secco i palmi di Kriystal picchiarono contro il duro legno, che vibrò per la prima volta sotto il suo colpo. Senza rendersene nemmeno conto durante l’attacco aveva chiuso entrambi gli occhi e riaprendoli si accorse con stupore del risultato raggiunto. Una lunga scia di fiori spezzati e accasciati al suolo si estendeva per metri e metri dietro l’oggetto colpito. Sembrava fossero stati investiti in pieno da un violento ciclone. Tuttavia si rimproverò, ritenendo che non fosse abbastanza. L’adrenalina cessò di colpo e Kriystal cadde in ginocchio ai piedi del fusto legnoso. Guardò dal basso quest’ultimo e quasi le sembrò che esso si prendesse gioco di lei. Era così convinta che avesse funzionato, perché non si era distrutto?
   Proprio quando era convinta di avere fallito per l’ennesima volta, notò un piccolo dettaglio che prima non aveva scorto. Era piccolo, quasi invisibile, ma era lì ad osservarla. Un sottile, breve, ma profondo solco aveva preso forma fra le increspature della corteccia. Vuoi vedere che … , scommise incredula fra sé e sé. Quasi presa da un raptus improvviso si dimenticò della stanchezza dovuta al mana consumato che fino a pochi istanti prima l’aveva stremata. Recuperò il pugnale abbandonato di consuetudine vicino al masso a pochi metri da lei, lo sfilò dal fodero in pelle e lo conficcò con forza nell’insenatura provocata dal suo incantesimo. Affondò a più riprese la lama di Silvermoon nella dura corteccia nel tentativo di allargare il più possibile la ferita. Si ritrovò a stupirsi della propria veemenza nel voler scoprire se la sua teoria era sensata o meno. Doveva avere funzionato, doveva. Colpì ancora un paio di volte il ceppo d’albero finché non riuscì a squarciarne la superficie potendone finalmente vedere il cuore. Ciò che l’elfa aveva sotto gli occhi per poco non le fece perdere l’equilibrio. In quel campo fiorito infuocato dal tramonto del Mulgore, in ginocchio in un mare di schegge di legno, Kriystal era riuscita nel suo intento. Tutto l’interno del tronco era annerito, marcio, morto. Così putrefatto da sbriciolarsi fra le mani. Kriystal aveva colpito ciò a cui non aveva mirato. I fiori erano serviti ad equilibrare il mana e imparare a contenerlo a piacere, mentre tutto quello aveva che appreso in quelle settimane e in quel pomeriggio l’aveva portata a comprendere come l’obiettivo non fosse quello di distruggere esternamente il nemico, ma internamente, utilizzando solo il mana necessario. L’Esorcismo era compiuto.
   In un’esplosione simile a fuochi artificiali l’elfa schizzò in piedi urlando di gioia e lanciando i pugni al cielo.    
  
   Poco distante dal luogo dell’addestramento Thehorde era di ritorno dalla ricognizione quotidiana assieme a Baine Bloodhoof. Dal rialzò di terreno su cui si trovava gli parve di vedere in un campo a pochi metri da lui una figura saltellante e schiamazzante. Non gli servirono più di una manciata di secondi per capire di chi si trattasse. “Mi devi trenta argenti!” gli ricordò orgoglioso il principe Tauren alle sue spalle:“te lo avevo detto che presto o tardi ce l’avrebbe fatta!”
   “Trenta ori e una birra” rilanciò distrattamente Thehorde , mantenendo gli occhi su una Kriystal ora accasciata fra i fili d’erba, stremata dallo sforzo:“complimenti principessa” sorrise fra sé, consapevole che lei non poteva sentirlo.  
 
   Quella stessa sera Bithah si congratulò con Kriystal per l’obiettivo raggiunto, Vonch e Soran improvvisarono una pungente e scherzosa canzone sulla Paladina che lottò giorni e giorni fino al calar del sole per imparare ad abbattere un albero. Con gran dispiacere dell’elfa i Tauren ne trovarono l’aria molto divertente e passarono tutto l’arco di tempo della cena ad ingurgitare birra e carne fischiettando e intonandone a gran voce il testo. Ma sarebbe servito molto più quella sera per ferire l’orgoglio di Kriystal. Solo poco tempo prima, all’inizio del soggiorno presso il popolo di Cairne, il suo destino di diventare paladina era stato messo in dubbio dalla sua poca esperienza nell’arte degli incantesimi. Il risultato ottenuto quel giorno, se pur basilare, poteva rappresentare il primo di molti traguardi.
   Per fortuna il suo maestro era l’unico a pensarla esattamente come lei:“Il primo passo per diventare un paladino!” esclamò picchiando il suo boccale contro quello dell’allieva.
   “Credevo che avrei dormito in quel campo, ora invece mi sento rinata!”
   “Tuttavia non interrompere i tuoi momenti di incanalamento di mana. Già domani pensavo di insegnarti un altro incantesimo”
   Kriystal si sentì mancare al solo pensiero:“Così presto?” il suono della sua domanda si trasformò in uno squittio.
   “Tempi duri rossiccia!” la punzecchio Vonch. E tragicamente le sue furono le parole più profetiche di tutta la serata. Tempi duri in cui Azeroth non avrebbe passato più periodi così tranquilli.
   L’alba del giorno seguente Bithah trovò con stupore Kriystal giunta in anticipo nel punto d’incontro. Il paladino portava con sé quello che l’elfa riconobbe con orrore come un ceppo di legno pressoché identico a quello ostinatamente abbattuto. “Dimmi che non è vero!” lo implorò.
   “La parte di lezione sull’Esorcismo possiamo darla per conclusa. Oggi volevo insegnarti un’abilità di minor impatto, ma essenziale in casi estremi dove la tua spada non fosse a disposizione e il nemico si trovasse a troppa distanza per abbatterlo con un incantesimo ravvicinato”
   “Non credevo che il paladino fosse capace di tali magie” ammise Kriystal ora entusiasta di scoprire il proseguimento.
   “Per questo la classe paladina è una delle più poliedriche” sorrise Bithah:“e per questo oggi ti addestrerò nell’utilizzo del Martello dell’ira!” Inizialmente Kriystal non fece altro con lo sguardo se non buttarsi nella ricerca di un martello posto nei dintorni. Ma quando a mani vuote tornò al suo maestro Egli le spiegò il tutto:“Anche qui come per l’Esorcismo il nome non ha più il significato originale. Tutto lascia intendere che il primo paladino che utilizzo quest’incantesimo fosse dotato di un martello, e per questo il nome è rimasto tale”
   “Stai cercando di dirmi che oggi siamo in grado di armeggiare quest’abilità con qualsiasi arma?”
  “Non con qualsiasi!” l’ammonì Bithah:“ma con l’arma più in simbiosi con il paladino”.
Il pensiero di Kriystal balenò immediatamente al pugnale. Senza nemmeno rendersene conto la sua mano si era poggiata alla fodera che lo conteneva. “Proprio così” rispose il paladino ad una domanda che questa volta l’elfa non aveva fatto. Le ore che seguirono Kriystal le passò lanciando l’arma dal manico in legno di quercia tentando di conficcarlo a debita distanza nella corteccia del tronco. Tale esercizio apparentemente non aveva alcuno scopo, ma l’elfa fu lieta di scoprire che le riusciva più che bene. Dopo solo una decina di tentativi Bithah le chiese di smettere e quando Kriystal gli domandò se qualcosa non andava nel suo modo di praticare la prova Egli le rispose semplicemente che era giunto il momento di avvicinarsi ulteriormente all’apprendimento del sortilegio.
  “Ne dovrei dedurre che posso risparmiarmi giorni e giorni a provare ad uccidere poveri alberi?” concluse allegra l’elfa consumando il pasto che si erano portati dal villaggio.
   “Non ne avremmo comunque il tempo” sorrise il paladino prendendo a morsi un fresco tocco di pane:“Se si riterrà conclusa la faida fra i Bloodhoof e i Grimtotem potremo nel giro di due soli ripartire per il nostro viaggio. Alcuni adepti di Cairne hanno portato indicazioni su dove recuperare la runa di cristallo individuata da te, Soran e Vonch. Se tutto andrà secondo i piani riusciremo ad impedire a quei mercenari di consegnare il pacchetto. Speriamo d’esser fortunati, la riuscita della nostra missione comporterebbe non solo rallentare i piani del Re dei Lich, ma anche ottenere informazioni utili circa il disegno di Arthas da quel Flaghart di cui ci avete parlato” Kriystal era abbastanza cosciente da capire che da una loro semplice missione di basso grado potevano dipendere le sorti di un’imminente guerra la cui minaccia incombeva su tutta Azeroth. Tuttavia l’idea di rivedere quel viscido e crudele umano bastò a farle passare l’appetito.
   In poco tempo furono nuovamente nel cuore della lezione:“Ora voglio che focalizzi questo pugnale!” le ordinò Bithah facendo pendere fra le sue dita la piccola arma dell’elfa:“voglio che tu prova la sensazione sottile, quasi invisibile, di un’intimità nascosta che ti colleghi ad esso”. Kriystal non sapeva come riuscire in tutto ciò, ma si impegnò a fondo affinché sentisse un qualsiasi brivido o tremito lungo il corpo. Niente.
  “Niente?” indovinò Bithah:“nulla che ti impedisca di restare senza questa lama?”
  “Mi sta molto a cuore, certo, ma non capisco come questo ne possa fare l’arma che permetterà di attuare quest’incantesimo!”
  “Non è un’emozione a permetterti di usare questo pugnale come Martello dell’ira. L’emozione c’è già, quest’arma è la prescelta, io lo so..”
   “Come lo sai?” lo interruppe senza riguardo Kriystal.
   “Con un semplice sguardo più profondo alla sua natura vi si può leggere il vero e unico testimone del motivo che ti ha spinta ad intraprendere questo viaggio. Ti è stato donato da tuo padre. Ti chiedi come posso saperlo? ogni primo figlio di sangue nobile raggiunta la maggiore età riceve un dono all’apparenza insignificante. Qualcosa costruito con materiale originario della terra natia. Ed è chiaro che il manico di questo pugnale è fatto di un particolare tipo di quercia. Essa nasce nelle foreste del regno di Silvermoon. Dimentichi che anch’io ho passeggiato lungo i sentieri di quei boschi incantati. Riconoscerei questa corteccia anche fra milioni!”
   “Questo non vuol dire che sia l’arma giusta per…”
   “Tuo padre è uno dei motivi che ti ha fatta fuggire da Silvermoon e che ti ha portata a provocare involontariamente una rivolta popolare nella pacifica e spettrale colonia di Tranquillien. Vuoi diventare un paladina ma la legge della tua città natale, legge rappresentata da tuo padre e dagli altri Signori di Silvermoon, te l’ha impedito ogni volta che hai cercato di presentarti agli esami di ammissione. Sei combattuta con te stessa per la scelta che hai preso. Ogni volta che chiudi gli occhi interpreti un dialogo immaginario con tuo padre e se una notte gli chiedi scusa per averlo abbandonato, la notte dopo difendi a spada tratta i motivi per cui lo hai fatto!”
   “Chiaro” ammise Kriystal, azzerata. Aveva sempre sperato di non essere così trasparente agli occhi dei suoi compagni di viaggio. Tuttavia fu contenta che fosse Bithah ad averla scoperta:“ma non voglio tornare a casa proprio ora”
   “No che non lo vuoi” concordò il paladino:“ed è proprio per questo che tu sei qui. Proprio perché non ti vuoi arrendere ora hai bisogno di tenere stretto questo oggetto e lui ha bisogno di rimanere stretto a te. Cominci a capire?”
   Kriystal non guardava più il suo maestro, i suoi occhi erano penetrati a fondo nel pugnale che ancora pendeva nel vuoto:“Credo di si”.
   Ma quando finalmente l’elfa sembrava essersi convinta Bithah abbassò l’arma:“Molto bene. Passerai il resto della giornata a cercare di perforare a distanza il tuo bersaglio” girò improvvisamente i tacchi e fece per andarsene. Kriystal si trovò a non capire ancora una volta cosa stesse accadendo:“Te ne stai andando? E il mio pugnale?”
   Bithah si limitò a regalare un altro dei suoi cordiali sorrisi:“Se questa è davvero l’arma giusta focalizzala nella tua mente, incanala il mana e il Martello dell’Ira avrà successo!” e in pochi istanti l’aveva nuovamente abbandonata. Come poteva lanciare il pugnale che il paladino si era appena portato via con sé?
   Avendo imparato nei giorni passati a Thunderbluff che non valeva la pena porsi un numero esagerato di domande, Kriystal arrivò alla conclusione che doveva trattarsi sicuramente di un esercizio basato sulla postura adatta per lanciare un’arma a distanza. Sembrò quasi avere un senso, se non fosse che quella fase doveva essere appartenuta a tutta la prima parte della giornata.
   Persa fra mille aghi verdi Kriystal ancora una volta non sapeva cosa doveva fare, se non eseguire l’unica indicazione di Bithah che sembrasse sensata: incanalare il mana. Dove incanalarlo, ancora una volta l’Elfa lo scoprì per tentativi. Per tre volte simulò il lancio dell’arma, ma non accadde nulla. Si sentì improvvisamente una stupida e arrossì al solo pensiero che individui altezzosi come Thehorde potessero scovarla in una situazione ridicola come quella. Thehorde era il primo Elfo del sangue incontrato sulla sua strada il giorno in cui era fuggita da Silvermoon. Ricordò controvoglia come in quell’occasione Egli le aveva salvato eroicamente la vita. Le seccava più di ogni altra cosa l’idea d’essere in debito con una figura odiosa come quella del Warlock rosso. Eppure il pensiero di sentirsi indifesa al centro della Cicatrice morta la esortò improvvisamente a trovare l’energia adatta. Immaginò al posto del ceppo legnoso uno di quegli abomini abitanti il lungo crepaccio privo di vegetazione. Non fece troppa fatica a ricordare l’orribile sensazione del fiato pesante e affannato sul collo. Come dal nulla, il pugnale sembrò apparirle in mano.
   Kriystal era ben consapevole che si trattasse di una semplice impressione, scrutandosi la mano sinistra non vide nulla, ma sapeva che il suo mana stava riproducendo in tutto e per tutto le fattezze dell’arma. Decisa a scoprire se tutto ciò avesse un senso prese posizione senza pensarci troppo e con forza e precisione simulò un lancio in direzione del suo bersaglio. Se il silenzio non fosse stato interrotto da un secco suono, Kriystal avrebbe creduto che non fosse accaduto nulla.
   Si avvicinò timorosa al tronco. La ferita del suo pugnale era proprio lì, sulla corteccia. La riconobbe fra le altre perché ancora consumava quel vapore cristallino e leggero tipico degli incantesimi, pressoché identico a quello presente quando evocava Silbar o quando Vonch chiamava in campo il suo Spirito.
   Era riuscita utilizzando il mana a creare un’identica copia istantanea del suo pugnale. La funzione di un incantesimo come il Martello dell’Ira era esplicita: colpire nemici a distanza senza il disturbo di dover recuperare ogni volta l’arma. Si trovò ancora una volta stupita di sé stessa. Era convinta che ciò che le avrebbe permesso la riuscita dell’incantesimo fosse focalizzare qualcosa, o qualcuno, legato all’arma, a casa, a sé. Credeva che sarebbe servito rievocare l’immagine di suo padre, come motivo del suo viaggio, come costante che la spronava a continuare il suo cammino. Invece, Thehorde.
   Il più despota, insopportabile e sgradevole Sind’orei che avesse mai incontrato dopo il vecchio Chidril. La chiave di volta che l’aveva appena spinta ad utilizzare un incantesimo di medio livello fu il ricordo del giorno in cui si incontrarono per la prima volta. La Cicatrice Morta. Forse perché inconsciamente aveva sin da subito desiderato ardentemente colpirlo con il Martello dell’Ira? Sorrise fra sé e si sedette tra i fiori colorati, persa in mille pensieri  ma soddisfatta per il risultato del proprio repentino addestramento. Anche questa è fatta, pensò, e raccolte le proprie cose si avviò verso le alture ansiosa di raccontare tutto a Bithah.
   Per pura coincidenza una volta giunta ai piedi di Thunderbluff la carrucola levatoia stava fermandosi al suolo e rivelò contenere un gruppo formato dal paladino, Vonch, Robil e il Warlock rosso, assieme a Baine e Cairne Bloodhoof.
   “Eccoti! non crederai mai a quel che sto per raccontarti!” esclamò entusiasta l’elfa correndo verso il maestro. Ma dovette fermarsi di colpo quando sia accorse che l’attenzione dei presenti era fortemente rivolta verso un punto oltre le sue spalle, qualcosa giù a valle che ancora lei non riusciva a vedere.
   “Dalle alture hanno avvistato un Kodo imbizzarrito diretto verso di noi” l’avvisò Bithah ignorando del tutto le parole dell’elfa e mantenendo uno sguardo teso all’orizzonte.
   “Un Kodo con sella e stendardi di Thunderbluff” aggiunse Cairne. Il tono grave della sua voce lo faceva assomigliare terribilmente ad un animale ferito:“eppure senza cavaliere”.
   Ora che avrebbe preferito ignorare il tutto Kriystal capì e non ebbe più bisogno di ulteriori spiegazioni. Se la cavalcatura del messaggero di Cairne era di ritorno sano e salvo, dov’era il messaggero di Cairne?
   “Figliolo, non c’è tempo di chiamare altri soldati. Riesci a fermarlo da solo?” domandò il capo villaggio ad un Baine che annuì in silenzio.
   “Potete contare su di noi” offrì il suo appoggio Thehorde.
   “Troppe persone sarebbero solo un intralcio, ma ti ringrazio fratello”
   “Un Kodo è grosso da fermare con la sola forza delle mani” fece notare Bithah, senza mancare di rispetto al corpo muscoloso del Tauren.
   “E chi ha detto che lo fermo con le mani?”
   “Ma Baine!” lo rimproverò l’anziano Cairne con meno energia di quanto avrebbe voluto.
   “Padre, se fosse solo un Kodo impaurito ne potrei fermare tre in una volta sola. Ma quel poveretto è soggetto ad un qualche sortilegio dei Grimtotem!”
   “Come fai ad esserne certo?” domandò Robil.
   “Un Kodo non è un lupo, od un qualsiasi animale che sappia ritrovare casa affidandosi al proprio olfatto. In preda al panico fuggirebbe alla rinfusa senza un ordine preciso. Questo invece sta correndo lungo il sentiero principale” spiegò Cairne, sconfortato, perché costretto per forza di cose ad appoggiare il figlio:“fai ciò che devi figliolo”
   “Si, padre” Obbedì Baine e slacciò il suo enorme martello dal fodero della cinghia. Gli occhi e la postura erano quelli di un guerriero, ma l’espressione non era colma di rabbia. Anche un’ingenua come Kriystal riconobbe la pena e il dolore sotto al pelo del principe Tauren. Baine prese posizione dando le spalle al gruppo di Sind’orei e al padre. Le gambe larghe, la schiena leggermente incurvata. Dalla prospettiva in cui si trovava Kriystal lo vide ancora più grosso del solito. Nell’arco di un paio di minuti anche lei poté scorgere la grottesca e robusta figura del povero animale che, terrorizzato da chissà che cosa, alzava sotto ai suoi pesanti passi un polverone di sabbia e terra. Il tonfo dei passi era sempre più forte.
   La bestia spaventata ora era a pochissimi metri da loro e quando vide davanti a sé l’imponente figura di Baine Bloodhoof non si intimorì. Al contrario, incalzò abbassando la testa. Quando la collisione era ormai inevitabile il movimento del martello di Baine fu così deciso che il rumore provocato all’impatto con il cranio dell’animale fu terrificante. Sembrava che avesse colpito in pieno un masso. Il Kodò sbandò violentemente a sinistra e se non fosse soggiogato a qualche incantesimo sicuramente se la sarebbe filata. Invece una volta riassestato si dedicò nuovamente ad aggredire il principe Tauren, il quale sembrava solo voler concludere lo scontro nel più breve tempo possibile. Un altro colpo di martello arrivò dal basso e fracassò la mascella della creatura, la quale sembrò non accorgersene nemmeno.
   “Ti prego, deciditi a morire!” lo implorò Baine, scansandosi per evitare l’ennesimo tentativo di carica del Kodo che lo portò a scivolare nel terriccio, alzando un banco enorme di polvere. Approfittando del nemico temporaneamente accasciato al suolo e goffo nel tentativo di rialzarsi, Baine non demorse. Afferrò nuovamente il martello con due mani e con tutta la sua evidente forza schiacciò sotto al suo peso la testa dell’animale. Il rumore che risuonò nell’area circostante lasciò intendere senza ombra di dubbio che il nemico era morto. “Scusami” sussurrò Baine cadendo inginocchio fra la polvere e il sangue.
   “Nessun messaggio? Niente da parte dei Grimtotem?” tagliò corto Cairne. Alle parole del padre Baine tornò alla realtà. Cominciò a studiare l’equipaggiamento da cavalcata del Kodo abbattuto, alla ricerca di qualche indizio circa la sorte del messaggero. D’un tratto scorse un sacco legato all’intelaiatura della sella che prima non aveva notato:“Qui c’è qualcosa!” il gruppo rimase immobile in attesa della verità.
   Baine abbandonò a terra il martello e cominciò a sfilare il laccio per scoprire l’involucro. Senza che il resto dei presenti accedesse anch’egli al contenuto del sacco l’improvvisa reazione di Baine fu esplicativa. Il grosso Tauren cominciò a farfugliare qualcosa in lingua Tha’re.
   “Cos’è che non è possibile? Parla!” lo esortò Cairne.
   Il lamento di Baine cominciò ad assomigliare ad un ululato soffocato. Thehorde sorpassò il vecchio capo villaggio e si avvicinò al principe Tauren ancora inginocchiato. Dall’alto delle spalle di Baine l’occhio del Warlock rosso cadde sul fagotto che il grosso guerriero stringeva piangente fra le mani. Lo sguardo che Thehorde rivolse immediatamente a Cairne Bloodhoof tradusse tutto il dolore che il figlio stava provando:“Il vostro messaggero è tornato” disse:“Maghata Grimototem ha risposto negativamente alla vostra offerta”
Cairne Bloodhoof non disse una parola. Come perso in un mondo tutto suo borbottò qualcosa fra sé e girando le spalle a tutti ritornò in tutta fretta alla carrucola levatoia. Kriystal stava ancora guardando il Warlock rosso cercare di convincere il guerriero a lasciare andare il sacco che solo ora rivelava ciuffi di manto scuro.
   “Penso sia inutile rivelarti quel che c’è là dentro” Bithah si rivolse a Kriystal come sua pari:“Inutile dirti che stiamo per essere coinvolti in una battaglia che non è nostra”
   Le parole di Bithah non toccarono minimamente l’elfa. Sapeva che Baine Bloodhoof stava stringendo e piangendo la testa mozzata del messaggero inviato ad Altovento per contrattare con Maghata Grimtotem. Sapeva cosa ne sarebbe conseguito. Le lacrime furono difficili da trattenere, esattamente come era difficile trattenere i pensieri che le stavano inondando la testa come un fiume in piena:“Ho intenzione di combattere” il suono della sua voce era un sussurro quasi inudibile:“combatteremo e li uccideremo. Li uccideremo tutti”.



Nd. Che dire, siamo arrivati infine al dicciassettesimo capitolo di questo racconto basato sul fantastico mondo di World of Warcraft. 
   Pur non essendo fra i più cliccati lasciatemi dire personalmente che è un onore controllare periodicamente il mio account e notare l'accrescimento del numero dei miei lettori ( ad oggi il primo capitolo
 ha raggiunto i 600 lettori! ) e ogni volta gustarmi opinioni e critiche del mio unico recensore ( come farei senza? ). Non sapendo precisamente quale seguito di fedeli stia avendo la mia storia mi baso sulle cifre e per questo vi ringrazio di cuore, da chi è giunto sin qui e anche a chi ci ha provato ma proprio non riesce a farsene una ragione: GRAZIE! e proprio attaccandomi a quest'ultimo fattore ( la lunghezza dei capitoli ) un grazie di cuore a chi sta leggendo questa Nota d'autore, perchè significa che è arrivato infondo ad un ostico capitolo come questo e spero non sarà l'ultimo che leggerà! mi rendo conto di quanto sembri che in esso non sia accaduto alcunchè, ma ai più osservatori risulterà chiaro che si tratta di un importante passo di maturazione per la nostra ingenua eroina. Kriystal sta crescendo sotto ai nostri occhi, lentamente certo ( il 24 Ottobre abbiamo festeggiato i 3 anni di vita del racconto! ), ma il soggiorno a Thunderbluff, le insidie e le faide fra i Clan di Tauren, le amicizie e le antipatie fra i Sind'orei suoi compagni e le figure che incontra lungo il suo cammino ( per non parlare dalla minaccia del Nord che vede l'entrata in scena [anche se Extradiegetica] di un personaggio come Arthas Merethil, conosciuto da tutti i veri appassionati del videogioco come il protagonista dell'espansione WRATH OF THE LICH KING, periodo storico in cui gli eventi della mia storia sono ambientati ) sembrano avvicinare sempre più l'aspirante paladina a dare un senso al suo viaggio. 
Raggiunta questa tappa apparentemente di puro transito, Kriystal e i suoi compagni sono in dirittura d'arrivo verso la conclusione dell'avventura alla quale non manca poi così tanto. Spero di vederci infondo! continuate a seguirmi e a darmi le vostre opinioni! ;)

 

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Capitolo 18
*** La battaglia di Altovento ***



XVIII

La battaglia di Altovento
 

 


 Quella notte non ci furono cerimonie, né si danzò attorno al fuoco. Il cenone non si tenne nella tenda dell’anziano capo villaggio, ma in una più piccola nell’Altura dei cacciatori. Non ci fu corno da cui uscì una singola nota. Nessun accenno ad alcun festeggiamento. Fu la prima volta che Kriystal si trovò intorno ad una tavola con un così alto numero di Tauren ed un tale silenzio.
   Cairne Bloodhoof non era fra i presenti. A rappresentarlo come per la maggior parte del tempo negli ultimi giorni fu il figlio Baine, anch’Egli privato di tutta la grinta che lo caratterizzava.
   Sul popolo di Thunderbluff gravava una battaglia che inesorabile avrebbe preso il via con il sorgere del sole del mattino seguente. Se si fosse trattato di allontanare centauri e arpie, o di sgombrare una cava nanica, l’idea d’esser costretti a combattere sarebbe stata più semplice da mandar giù. Ma scontrarsi con i propri fratelli, se pur portatori di diversi nomi e costumi, sembrava risultar per loro inconcepibile. Kriystal ammirava tale sensibilità e legame, ma allo stesso tempo sapeva di non poter nemmeno immaginare cosa volesse dire trovarsi al posto di uno qualsiasi delle creature taurine sedute accanto a lei.
   “Partiremo domani al passo con la luce che si diffonde sulle Savane del sud. Attaccheremo in volo e via terra. I primi che saranno avvistati da quei vermi dei Grimtotem voglio che siano i cavalieri di Viverne, guerrieri e arcieri. A seguire, in sella ai Kodo e a piedi, il resto delle unità giungerà in soccorso.  Avremo le spalle coperte dagli Elfi della notte, come promesso dalle truppe di Feralas” I Tauren si limitavano ad annuire alle direttive del loro principe. Kriystal era a conoscenza dell’alleanza fra il popolo di Cairne e quello dei cosiddetti Kaldo’rei, per quanto lei stessa faticasse a farsene una ragione. Gli Elfi della notte infatti appartenevano alla fazione dell’Alleanza assieme a umani, nani e gnomi. Fazione avversa in tutto e per tutto all’Orda, costituita da orchi, Elfi del sangue, troll, non morti e dagli stessi Tauren. Guerre fra queste e altre razze si erano susseguite in tutta la storia di Azeroth. Eppure, Cairne Bloodhoof era riuscito sinora a mantenere  l’equilibrio fra il suo debito personale nei confronti degli orchi di Thrall, e quindi dell’Orda, e il suo ideale di pacificazione fra tutti i popoli indipendentemente dallo stemma riportato sugli stendardi. Così facendo, nel corso della storia aveva coltivato a poco a poco il legame di tolleranza con i vicini abitanti di Feralas, gli Elfi della notte, e guadagnatosi la loro fiducia si assicurò anche il loro reciproco sostegno. Nonostante il suo disprezzo per l’Alleanza Kriystal fu più che felice di tutto ciò.
   Dalle parole di Baine la battaglia si sarebbe conclusa in mattinata. I Grimtotem era un clan costituito da meno di due centinaia di unità. Le famiglie di Thunderbluff e gli Elfi della notte avrebbero costituito plotoni da migliaia di combattenti. La missione non sembrava difficile, eppure le espressioni quella sera denotavano un’incommensurabile quantità di profonda sofferenza. All’indomani della Battaglia di Altovento l’atmosfera che aleggiava in quella tenda era pesante come se l’indomani non sarebbe mai arrivato.
   Qualunque sarebbe stato il verdetto dello scontro, il popolo di Thunderbluff avrebbe perso un alto numero di fratelli. Né vinti, né vincitori. Il resto della cena si svolse allo stesso modo di una cerimonia funebre.
   A notte inoltrata ognuno ritornò nelle proprie abitazioni. Kriystal abbandonò la tenda e si soffermò sull’esteso panorama notturno del Mulgore. Le piccole luci di Villaggio Bloodhoof lasciavano intendere che anche lì qualche Tauren non sarebbe riuscito a dormire.
   Illuminata solo da un fuoco acceso a due passi da lei Kriystal ricordò la sua richiesta fatta a Cairne Bloodhoof la prima volta di prendere in considerazione l’aiuto dei Sind’Orei qual’ora se ne fosse presentato il bisogno. Ora si chiedeva se davvero sarebbe potuta essere utile alla buona riuscita della missione. L’istinto omicida e vendicativo con il quale si era seduta alla tavola di Baine ora si era unito ad un’inclina amarezza. Uccidere un Tauren per vendicarne un altro era come uccidere lo stesso due volte. È così che doveva vederla il vecchio Cairne. E Magatha Grimtotem lo sapeva bene.
   “Dovresti già essere al tuo alloggio ad incanalare mana” Kriystal trasalì quando Bithah le apparve alle spalle. Anche lui aveva assistito alle direttive di Baine ed era fra gli ultimi ad essere uscito dalla sua tenda:“ho voluto approfondire personalmente il ruolo che svolgerai nella battaglia di domani. Baine ritiene opportuno che tu salga su una Viverna assieme ad uno dei suoi guerrieri. Piomberai nel mezzo dell’azione in tutta sicurezza”
   “In tutta sicurezza? E tu dove sarai?”
   “Anch’io sarò su una Viverna, ma farò parte della prima ondata”
   “Prima ondata? Cioè quella che verrà sicuramente travolta da un muro di frecce?” Kriystal si scoprì contrariata all’idea della vita del paladino messa a rischio.
   “Io come anche Vonch e Robil. Non preoccuparti. Saremo all’incirca trecento soldati e a metri e metri di altezza. Ci sono poche possibilità che uno di noi venga colpito”
    A malincuore Kriystal scelse di fidarsi ancora una volta dell’amico:“E Soran? Anche lui come me giungerà assieme al secondo plotone di Viverne?”
   “Lui e Thehorde sono Warlock molto capaci e sicuramente più affidabili di Vonch. Sapranno rendersi più utili con le loro magie che con la spada. Giungeranno via terra immediatamente dopo di noi, quando ormai i Grimtotem saranno alle strette. Invero comincio a credere che non fosse così necessaria la nostra partecipazione”.
   “Voglio esserci quando pagheranno per ciò che hanno fatto” una sfumatura d’ira prese nuovamente il sopravvento.
   Bithah restò un momento in silenzio, poi con calma disse:“Vorrei che venissi un momento con me”
   “Dove?” domandò l’elfa.
   “In questo tempo trascorso a Thunderbluff ho avuto la possibilità di insegnarti qualche base. L’Esorcismo ti ha impegnata molto, ma con il Martello dell’Ira hai fatto un gran bel lavoro. Ora ho intenzione di sfruttare il pochissimo tempo rimastomi per mostrarti un’ultima cosa che rientra nelle capacità fondamentali per un paladino”
   “E cioè? Dimmi di cosa si tratta”
   “Vieni con me” ripeté irremovibile. Kriystal lasciò la presa e si trovò a seguire il suo maestro un’ultima volta attraverso le vie e le abitazioni delle alture di Thunderbluff. Qualsiasi lezione Bithah le volesse impartire questa volta non si diressero alle carrucole, ma si fermarono nell’altura principale solitamente gremita da mercanti e abitanti della città. Quella notte silenziosa era solo illuminata dalle poche fiaccole ancora accese.    L’elfa pensò a tutte le famiglie di Tauren che in quel preciso momento stavano dormendo o pregando negli alloggi tutti attorno a loro.
   “Non disturberemo qualcuno allenandoci qui?”
   Bithah continuava a camminare:“è lì che andremo” rispose indicando un padiglione poco più grosso degli altri e illuminato a dovere. Qualcuno evidentemente era ancora sveglio.
   Si addentrarono lentamente nell’abitato. Una luce fioca tingeva di ombre le pareti interne della tenda e l’arredo dell’ambiente era costituito soltanto da poche candele, una piccola tavola e una brandina sulla quale giaceva dormiente un Tauren dal pelo nero.
   “Sono riuscita a farlo tranquillizzare. Ma l’effetto dell’infuso non combatterà il dolore per molto” la voce calda e femminile li raggiunse da uno sgabello posto all’angolo opposto.
   “Kriystallina, ti presento Jaquira. A mio parere uno fra i migliori guaritori di cui Cairne Bloodhoof possa vantare” proclamò Bithah con parole di rispetto.
   “Certe lusinghe mi fanno solo sembrare più vecchia, Sind’Orei” sorrise Jaquira, pur rimanendo ferma al suo posto.
   “Che cosa gli è capitato?” arrivò al dunque Kriystal riferendosi all’infermo.
   “Nulla di incurabile” rispose la Tauren senza distogliere lo sguardo dall’aspirante paladina:“lui è Tanith del clan dei Cornogrigio. Quando non è un valoroso soldato di Cairne Egli indossa le vesti di fabbro di Thunderbluff. Come potrai immaginare quest’oggi avrà avuto un gran da fare in vista degli avvenimenti di domani. Asce, spade, lance. Un intero arsenale in così poco tempo. Era prevedibile che potesse capitare un incidente”
   “Si è fatto molto male?” domandò l’elfa.
   “Nel forgiare le armi che toglieranno la vita dei suoi stessi fratelli? Certamente. Ustionandosi una mano? Io non credo”
   Kriystal soppesò le parole del suo interlocutore e poi si rivolse a Bithah: “Perché mi hai portata qui?”
   “Per assegnarti un compito molto importante. Forse non ti salverà la vita nella battaglia di domani, ma la mia speranza è che un giorno possa tornarti utile”
   “Guarire le ferite” indovinò l’elfa, trasportando la sua attenzione sulla mano destra del Tauren avvolta in una benda di foglie scure.
  “Per lo più ferite minori. Non ci sarebbe il tempo di approfondire il tutto e portare l’incantesimo ad un livello superiore” senza che Kriystal avesse qualcosa da ribattere Bithah aveva già aggiunto una seconda seggiola a quella vuota presente affianco al giaciglio. Ci si sedette e fece gentilmente segno all’allieva di imitarlo. Lei obbedì e in pochi istanti si trovò vicinissima al respiro pesante del Tauren..
   “Slega delicatamente l’impacco di foglie umide” ordinò senza perdere troppo tempo il paladino:“Non temere, ha ingurgitato così tanti infusi sedativi che non si accorgerà di nulla, o quasi”.
   Kriystal esitò:“Non so se ne sarò capace”
   Bithah non mostrò segni di delusione. Raccolse la grossa mano del paziente e la posò su quelle piccole dell’elfa. “Lascia che ti dica due parole su di lui. Tanith è figlio di un grande soldato di nome Camira Cornogrigio. Egli morì combattendo, proprio come il padre e i capostipiti delle due generazioni precedenti. Ciò può sembrarti incomprensibile, ma per questo guerriero perdere l’occasione di partecipare alla battaglia di domani sarebbe peggio della morte stessa”. Bithah aveva ragione, era difficile da capire. Eppure Kriystal lo trovò meno incomprensibile di tante altre cose:“Non c’è morte più valorosa per un guerriero di morire combattendo”
   Il paladino parve sorpreso. Allargò un immenso sorriso:“Mi stupisci sempre più, Kriystallina.”
   L’elfa ne fu lieta e in tutta risposta cominciò pur con timore a togliere le foglie dalla brutta ferita di Tanith. La scottatura era più vasta di quanto sembrasse. La carne ridotta al vivo era colma di sangue secco che rendeva difficoltosa la rimozione della garzatura di Jaquira. Un piccolo lamento nel sonno servì a Kriystal per moderare la forza e indirizzarsi sulla pressione da applicare. Dopo un calvario di qualche momento poté finalmente appoggiare le foglie umide sul tavolo vicino e quando tornò alla mano ustionata, ancora sostenuta dalla sua, poté osservare la ferita in tutta la sua gravità. Anche una dilettante come lei sapeva che nessun impacco di erbe avrebbe potuto curare quella bruciatura nel solo arco di una notte.
   “Non è certo l’ideale per impugnare un’ascia” tramutò in parole le sue preoccupazioni Bithah.
   “No, infatti. E io non ho la minima idea di come poterlo aiutare!” le paure dell’elfa erano accompagnate da un senso di inutilità. La stessa sensazione che aveva provato solo in due occasioni, entrambe recenti: l’ultima conversazione con Chidril che provocò la sua scelta di fuggire da Silvermoon e l’esecuzione pubblica di quella femmina Non morta per mano dei soldati di Flaghart.
   “In questo momento solo due tipi di persone possono aiutarlo: un prete e un paladino” Infierì Bithah senza interrompere il contatto visivo con lei.
   “Curalo tu!” lo implorò:“tu ne sei in grado, ho visto con i miei occhi che puoi…”
   Bithah la zittì riportando la sua mano sotto quella dell’elfa:“Sì. E Jaquira è ancora più capace di me. Ma non stavolta. Ti ho portata qui perché voglio che sia tu a farlo, e solamente tu.” Le sorrise e poi si sistemò sulla sua seggiola, lasciandola da sola a tenere stretto il braccio e la vita di un guerriero.
   Jaquira nel suo angolo sembrava esser diventata un tutt’uno con le pareti in pelle.
   “Ora chiudi gli occhi” la esortò Bithah. Kriystal obbedì, pur avendo il battito cardiaco più accelerato che mai:“chiudi gli occhi e rilascia con scioltezza una piccola quantità di mana. Lascia che scorra da te a lui come acqua da una borraccia a un boccale.”
   Kriystal percepì il mana rispondere quando lo chiamò. Lo sentì attraversarle il corpo come se il sangue confluisse più rapidamente attraverso le vene. Un brivido la colse e ostacolò il passaggio del mana.
   “Devi calmarti se vuoi riuscire a trasmetterglielo” la guidò sapientemente Bithah notando l’espressione crucciata dell’elfa. Seguì il consiglio e gradualmente sentì che il flusso non terminava in lei, ma scorreva senza impedimenti attraverso il suo corpo in quello del Tauren.
   “Proprio così!” la incoraggiò:“lascialo scorrere lentamente. Non devi sforzarlo, fai in modo che confluisca naturalmente”
Kriystal si rendeva conto della quantità di energia che la stava abbandonando. Guarire qualcuno costava molto più di qualsiasi altro incantesimo. Il suo ricordò andò al giorno in cui Bithah le sistemò il braccio dopo la disavventura con il guardiano del Fosso della morte. In quell’occasione l’incantesimo di guarigione del paladino le aveva provocato incredibile dolore. Si chiese se anche Tanith Cornogrigio ne stesse provando.
   “Mantieni la concentrazione!” la sgridò Bithah:“Non manca molto. Lascia andare, non sforzare il mana e … ora interrompi!” ordinò improvvisamente e Kirystal riuscì a fermare il flusso di mana appena in tempo.
   “Adesso la tua energia è in sospeso nel suo corpo. In questo stato non è molto utile e questa fatica non sarebbe servita a nulla. Per mandarlo in circolazione e fare in modo che abbia effetto ci vuole una bella spinta
   “Una spinta?” la testa le pulsava terribilmente.
   “Quando è il momento devi dare un’ultima, potente scarica di mana” ciò che Bithah cercava di impartirle non era chiarissimo, ma Kriystal scelse comunque di dargli retta.
   Al chiaro segnale del paladino, l’elfa scatenò quasi tutto ciò che restava del suo mana. La sensazione fu simile a ciò che si prova schiantando un Esorcismo, ma l’effetto sul bersaglio fu tutt’altro che devastante. Ad un primo bagliore scaturito dal punto in cui era stato emanato l’incantesimo si sostituì una mano perfettamente sana, priva di scottature e colma di pelo nero come le piume eleganti di un corvo.
   “Eccellente prestazione giovane Sind’Orei!” esclamò Jaquira, ricomparsa dal nulla.
   “Sembra proprio che tu ci sia riuscita” si complimentò Bithah, come se ne fosse stato convinto sin dall’inizio. E senza accorgersene anche Kriystal sorrideva, nonostante l’improvviso calore infernale che stava provando e le forze che gradualmente la stavano abbandonando:“Ce l’ho fatta” si ripeté, incredula.
   La cerimonia fra i presenti si interruppe di colpo quando il massiccio corpo di Tanith diede segni di vita e i grandi occhi del Tauren cominciarono ad aprirsi. Kriystal si alzò improvvisamente dalla seggiola e si sporse sul paziente per osservare meglio le sue condizioni:“Ben tornato! il mio nome è Kriystal. Come ti senti?”
   Tanith parve un attimo confuso. Ispezionò l’area passando i suoi occhi scuri dal paladino alla guaritrice Tauren, poi tornò all’elfa piegata coi suoi buffi capelli rossicci su di lui.
   “Mae’rhi” sussurrò a fatica. Prima che qualcuno potesse aggiungere qualche cosa Egli era già ripiombato nel sonno.
   “Non c’è da allarmarsi” la rassicurò calorosamente Bithah “Il suo corpo deve ancora ristabilirsi, ma nel giro di poche ora starà benone e grazie a te domani potrà scendere in campo!”
   “Mae’rhi” ripeté Kriystal:“che significa?” domandò a Jaquira, la quale sorrise mostrando i suoi grandi denti e un volto quasi materno:“Nella lingua comune significa ‘tocco-delicato’”.
   Kriystal sorrise lusingata poco prima di sentirsi mancare. Se Bithah non l’avesse afferrata in tempo si sarebbe sicuramente trovata a terra nel giro di pochi attimi.
   “Forse e il caso di rientrare. Domani ci aspetta una dura giornata”
   Mentre abbandonavano il padiglione Jaquira pronunciò per loro una preghiera in lingua Taur’ahe.
   “Anche tu domani starai meglio” quella di Bithah rivolta a Kriystal pareva proprio una promessa, mentre l’accompagnava sotto braccio per le vie deserte di Thunderbluff. Kriystal sapeva quanto fosse stato importante imparare un incantesimo di guarigione la notte prima di una battaglia e fu grata al paladino per questo.
   “Hai parlato con Banqui Piumaria questa sera?” le domandò improvvisamente sulla soglia della tenda che divideva Kriystal da un comodo letto su cui riposare. La testa dell’elfa era in procinto di esplodere per la stanchezza. Perché Bithah le parlava di Banqui a quell’ora della notte?
   “Sai bene che non sono stata al villaggio Bloodhoof questa sera” tagliò corto, sperando con tutta se stessa che il paladino le perdonasse quell’involontario tono di arroganza.
   “L’ho vista qui in città. Così mi chiedevo se aveste parlato del ritorno del messaggero di Cairne”
   “Ne abbiamo parlato nei giorni precedenti” perché tutte queste domande? “Ne riparliamo domani, d’accordo? sono sfinita” la sua voce scemò, mentre cominciando a vederci doppio prese ad avviarsi all’interno della tenda.
   “Ti ha anche detto che era suo figlio?” la voce di Bithah alle spalle dell’elfa sembrò improvvisamente lontana. Tutto attorno prese a girare e dovette tenersi alle bassi pareti in pelle per non barcollare. Come poteva esser stata così stupida? Tutti a Thunderbluff parlavano da giorni e giorni dell’atteso ritorno del messaggero con la risposta di Magatha Grimtotem in tasca. Ma Banqui Piumaria ne parlava più di tutti gli altri. Perché non le aveva detto che è di suo figlio di cui discutevano nelle loro giornate al villaggio? Si sentì tremendamente colpevole per non esserle stata accanto quella sera. Fu un’emozione che non servì a migliorare il suo stato d’animo e fisico.
   “Mi sono sentito in dovere di parlartene” si scusò Bithah, ora all’interno della tenda di Kriystal. Come c’erano arrivati? Doveva averla accompagnata per non lasciarla accasciata fuori. Lui era in piedi sulla soglia d’ingresso e lei sdraiata sulla branda con lo sguardo perso rivolto verso il soffitto.
   “Non è colpa tua” tentò di dire l’elfa, non riuscendo a sentire nemmeno la propria voce da quant’era esausta.
   “Nemmeno tua” rispose secco il paladino.  
   “Non sarebbe cambiato nulla” si auto convinse, ma era sempre stata più brava a far valere il suo pensiero quando era rivolto agli altri. Il baratro in cui stava sprofondando le impediva di tenere gli occhi aperti.
   “Penso proprio di no. Magatha Grimtotem è malvagia e non potevi prevedere che si trattasse del figlio di Banqui. Soprattutto se ha scelto di non dirtelo”
   “Non potevo prevederlo” fece eco Kriystal. Le immagini sempre più sfocate. La voce del paladino ridondante.
   “Buona notte Kriystallina. Domani combatteremo anche per Banqui”.
  
Lo squarcio di cielo che si poteva intravedere attraverso il fitto fogliame degli alberi era nascosto da un grigio velo di nubi. Gocce di pioggia cominciavano a picchiettare sul suo volto e lei, sdraiata sulla schiena in una fangosa radura, sentiva la vita venirle strappata dal petto. Come un ricordo rimosso inconsciamente. Non si trovava più a Thunderbluff, non era nella sua tenda avvolta dal calore del fuoco acceso da Bithah prima che si addormentasse. Era sola e morente in una terra ostile.
Dopo pochi istanti tutto quanto diventò intangibile.
 
   Aprì gli occhi e i primi raggi del mattino che entravano nella sua tenda la scaldarono dal gelo di una notte tormentata. Una volta indossata l’armatura, aldilà del telo in pelle trovò una Thunderbluff in subbuglio e immersa nei preparativi. Il sole non era ancora sorto del tutto. La battaglia stava per cominciare.
   “Grande giornata!” la salutò Vonch equipaggiato a dovere:“ti senti rinvigorita? Bithah ha detto di averti lasciata distrutta dalla stanchezza. Fare le ore piccole non è bene il giorno prima di una battaglia”
   “Mi ha insegnato a guarire le ferite” Kriystal non aveva assolutamente voglia del sarcasmo del Warlock biondo.
   “Stavo scherzando, Rossiccia. Sono io ad averglielo consigliato. Lui credeva non ce ne fosse il tempo, ma io so che sei più intelligente di quel che sembra!” le strappò un sorriso contro la sua volontà e lei lo punì con una spinta che lo fece collidere con un grosso Tauren dall’umore nero e dal carico pesante. Mentre Vonch si scusava e offriva il suo aiuto per trasportare i materiali, Kriystal ne approfittò per andare da Baine a fare il punto della situazione. Proprio ad un passo dall’entrare nella tenda del principe Tauren una voce la colse alle spalle:“Non lo troverai” Banqui Piumaria le si avvicinò con il suo sguardo amichevole. Nonostante l’aspetto non fosse dei più raggianti, Kriystal notò quel qualcosa di diverso in lei.“ma guardati Sind’Orei, sembri un vero e proprio soldato” dicendolo le sistemò le spalle dell’armatura e le ordinò la frangia di capelli rossi.“se agirai con un quarto della destrezza che hai utilizzato nello scontro con i centauri ti farai sicuramente onore. L’Assassino e il giovane Warlock tuoi amici hanno decantato le tue gesta in più occasioni”
   “Banqui” provò l’elfa:“io non trovo le parole per esprimere la mia sorpresa e il mio dolore quando mi è stata riferita la tua perdita”
   Esperta qual’era, l’amica Tauren mascherò attentamente i suoi sentimenti:“Non valeva la pena caricarti di futili preoccupazioni. Il tuo addestramento era già abbastanza difficile senza che ti innestassi altri pensieri. D’altronde sarebbe cambiato nulla”
   “Ma potevi comunque dirmelo. Noi siamo complici!” e dicendolo le venne naturale mostrare il ciondolo regalatole proprio da Banqui:“Amiche, come il mio Zampalesta. Potevo darti appoggio e sostenerti”
   “Sarebbe vivo, ora?” se ci fosse stata risposta alla domanda di Banqui Piumaria, Kriystal non voleva saperlo. “Non verrà dimenticato” seppe solo dire.
   “Ti credo Kriystallina. E mi dispiace per non avertene parlato. Ma poc’anzi ho avuto modo di incontrare Baine Bloodhoof. Ho interceduto con lui circa il tuo ruolo in questa battaglia”
   “Io combatterò, Banqui. Non mi desisterai da questo”
   “Lo so, lo so bene” rise:“non ho intenzione di tenerti a casa. Non è l’ho fatto con mio figlio pur essendo consapevole delle alte probabilità che venisse ucciso. Non ti ostacolerò. Tuttavia desidero chiederti un favore personale”
   Kriystal rimase in ascolto. Avrebbe soddisfatto ogni richiesta da parte di una preziosa persona come Banqui.
   “Riporta a casa quel che resta di mio figlio” la sua voce vacillò un istante:“potrebbero non averlo ancora bruciato e conoscendo i Grimtotem non sono così organizzati da seppellirlo o abbandonarlo nel canyon il giorno prima di una battaglia. Potrebbero esser stati impegnati ad accoglierci come si deve, quindi con tutta probabilità lo tengono ancora nel luogo in cui lo hanno tenuto prigioniero”
   “Sai che potrei tornare a mani vuote, vero?”
   “Ne sono cosciente. Ma se c’è anche solo un minimo spiraglio di speranza di avere la possibilità di concedergli una vera cerimonia d’addio…” parve non trovare la forza di continuare.“farai questo per me?”
   Era una grande responsabilità, ma Kriystal promise di impegnarsi per riuscirci:“Indicami dove posso trovare Baine, chiederò a lui dove è meglio che incominci a cercare per…”
   “Oh, questo non è possibile. Non ti hanno detto che la prima squadra è già partita?”
   Kriystal spalancò gli occhi:“La prima squadra?” aveva dimenticato le direttiva impartitegli da Bithah la sera prima. In quel momento probabilmente il paladino si trovava già nel campo di battaglia. Lui, Robil e … Vonch?
   “Vonch doveva essere con loro!” non si accorse nemmeno del suo improvviso isterismo.“perdonami. Devo correre a carcarlo!” e senza indugi si dileguò. Corse come una forsennata attraverso le vie e le alture di Thunderbluff. Dove si era cacciato? Ragionò qualche istante e seguendo l’andamento della folla scoprì che tutti in un modo o nell’altro convergevano verso l’Altura principale. Si rimproverò per esser stata così sciocca da non aver preso in considerazione la stazione di volo. Raggiunse in tempo la torre e una volta arrivata in cima trovò schierato un buon numero di creature quadrupedi simili a leoni alati
   “Viverne!” la accolse Vonch. Con fare teatrale indietreggiò di qualche passo.“non avrai intenzione di spingermi contro uno di quei cosi per vedere se mi sbranano?”
   “Per quale motivo sei ancora qui?” il tono di inquisizione dell’elfa lasciò di stucco il Warlock.
   “Partecipo alla battaglia” rispose attonito.
   “Ma tu dovresti già essere lì!”
   “Oh, intendi lo schema originale? il tuo paladino ha preferito che nella tua squadra ci fosse qualcuno di cui potessi fidarti”
   “E ha scelto te?” ora Kriystal non poté trattenere una sfumature di ironia.
   “Beh, la scelta era fra me e quel simpaticone di Thehorde con il quale tu vai tanto d’accordo.
   La verità è che se escludiamo Soran e la sua staffa ‘presa in prestito’ io sono l’elfo del sangue che conosci da più tempo” strano a dirsi, eppure le parole di Vonch avevano un senso.
   Nel frattempo il tetto della torre si riempì in fretta di Tauren indossanti grossolane armature per lo più in cuoio, pelle e legno. Le armi dal gusto arcaico spaziavano da lance, spade dalle lame rovinate e archi dall’aspetto molto fragile. Il chiasso di ordini, esclamazioni e urla guerrigliere era tale che Kriystal aveva smesso da qualche minuto di sentire le parole dell’amico.
   “Eccoti finalmente!” una voce roca e calorosa rivelò fra la folla un rinvigorito Tanith Cornogrigio. Ora che Kriystal poteva vederlo nel pieno della salute si accorse di quanto il mantello nero di cui il suo corpo era rivestito fosse corto e lucente. La sua giovane grinta era evidente rispetto a molti altri Tauren con i quali aveva avuto il piacere di parlare. “Mae’rhi! È un piacere rivederti. Gli ordini di Baine e del paladino Bithah sono stati chiari. Tu volerai con me!” Vonch si fermò a lungo ad osservare da vicino il bianco sorriso del guerriero:“Aspetta un secondo bestione, e io allora a che servo?”
   “Quali domande! Tu volerai con noi!” e con enfasi raccolse Vonch in un forte abbraccio e lo posizionò come un fantoccio in sella ad una delle Viverne. Divertita dallo sbigottimento del Warlock, Kriystal accettò volentieri di volare assieme a Tanith.
   Il sorgere del sole fu uno spettacolo indimenticabile. Se Kriystal non stesse assistendo a quegli eventi di persona, non avrebbe mai creduto che quel giorno molti dei Tauren al suo fianco non avrebbero fatto ritorno a Thunderbluff.
   Quando tutti i cavalieri furono in posizione un soffio di corno sancì la loro partenza. Kriystal dovette stringersi forte all’armatura di Vonch, e lo stesso Lui si trovò costretto a fare con quella di Tanith.
   Il decollo fu un’altra di quelle esperienze che non capita tutti i giorni. Complice era certamente la bellezza che caratterizzava animali come le Viverne. Anche Silvermoon ne aveva posseduta qualcuna in passato e Kriystal aveva visto spesso i pastori portare loro cibo e latte. Come il felino più pericoloso avevano affilate sciabole al posto dei denti, una folta criniera rossa lungo la schiena e un manto più chiaro che rivestiva tutto il resto del loro corpo. Alzandosi sempre più in volo emanarono in coro un concerto di ruggiti. Il suono che avrebbe terrorizzato qualsiasi animale preso di mira incoraggiò invece Kriystal ad entrare nello spirito dello scontro.
    Il plotone si mosse tutto assieme senza scomporsi mai per l’intera durata del il viaggio. In testa un Tauren del pelo grigio e dall’armatura più rinforzata rispetto alle altre gridava direttive in lingua Taur’ahe, alzando la spada ad ogni esclamazione e incitando gli altri soldati ad imitarlo.
   “Volare con una mandria di mucche!” urlò Vonch per farsi sentire dall’elfa. “devo spuntare dalla mia lista una delle dieci cose da fare assolutamente prima di morire!”
   “Sicuro di riuscire a fare le altre nove?” lo provocò Tanith sorridendo. Vonch scelse di non sfidare la grossa ascia che portava legata sulla schiena, nella quale riusciva addirittura a specchiarsi.
   Kriystal volle stare ben attenta al mutare del paesaggio al di sotto. Il Mulgore fu sorpassato rapidamente e i suoi monti lasciarono lo spazio alle vaste savane identiche a quelle di cui l’elfa aveva già fatto conoscenza.
   “Che cosa sapete con esattezza delle Thousand Needles?” li interrogò Tanith intento a pilotare la Viverna.
   “Un’enorme e asciutto crepaccio nel terreno abitato da centauri e altre creature selvagge e maleodoranti!” rispose con sarcasmo Vonch.
   “Le Thousand Needles sono per definizione un vasto canyon asciutto punteggiato da Alture torreggianti. Ad est si aprono in direzione della distesa di sale utilizzata dai Goblin per mettere alla prova le loro bizzarre invenzioni. Ad ovest invece si apre la strada per Feralas. Dovrei dedurne che in quella direzione siamo coperti dai vostri alleati Kald’orei.
   Si dice che il canyon sia stato creato dall’evaporazione del mare ai tempi dell’antica Kalimdor, all’alba della Grande catastrofe!” Kriystal fece il punto della situazione con più rigore di quanto lo stesso Tanith si sarebbe aspettato.
   “E io che cosa ho detto? Un’enorme e asciutta crepa nel terreno abitata da centauri e altre creature sel…”
   lo ammonirono in coro l’elfa e il Tauren prima che finisse la frase.
   “In origine voi Tauren vi siete sistemati in cima alle alture per sopravvivere alle orde di centauri che minacciavano la vostra incolumità. Qualche presidio è rimasto anche dopo la costruzione di Thunderbluff e Altovento è uno di questi” continuò Kriystal esibendo quanto aveva studiato.
   “Tu sai molto, Sind’orei!” si congratulò Tanith. La smorfia che Vonch rivolse a Kriystal fu impagabile.“se siamo riusciti ad affrontare i nostri più antichi nemici è stato grazie agli orchi di Thrall e all’Orda. Vi saremo eternamente grati per questo!” Kriystal accolse le parole del Tauren, anche se sapeva bene che nel periodo storico di cui Egli parlava gli Elfi del sangue ancora non facevano parte della fazione avversa all’Alleanza.
   Gradualmente, aldilà di alcune piante selvagge cominciò a intravvedersi l’enorme crepaccio che interrompeva le savane del Sud allungandosi trasversalmente per chilometri e chilometri. Sapendo che ad est sfociava nel Gran mare Kriystal non si sarebbe mai aspettata un paesaggio così aspro. Un esteso e arido territorio sprofondava nell’entroterra in profondità e sulle numerose alture che lo contrassegnavano si potevano già vedere piccole sagome in fermento. La battaglia si stava scatenando sotto di loro.
   “Quello è il ponte levatoio di cui ci serviamo slitamente per accedere alle alture. Quei maledetti lo hanno distrutto. Ora i rinforzi a piedi dovranno trovare un’altra strada. Un momento!…” Kriystal cercò di collegare le immagini che vedeva in lontananza al tono preoccupato di Tanith, senza però trarne una conclusione.
   “Correggetemi se sbaglio, ma non dovevano essere così tanti!” esclamò Vonch.
   “No infatti. Quelli non sono solo Grimtotem! Devono avere coinvolto altre famiglie” Kriystal capì al volo la gravità della situazione. Le viverne presero a perdere quota.
   “Atterreremo su una delle alture centrali. appena scesi non avremo il tempo di organizzarci, quindi buttatevi nella mischia e fatela pagare a quei traditori!” Kriystal e Vonch annuirono.
   Man mano che scendevano in picchiata l’elfa cercò di distinguere le varie figure coinvolte negli scontri. Non sembrava esserci una sola altura in cui non si stesse vivendo una lotta. Anche i ponti di collegamento erano gremiti di soldati che si fronteggiavano senza tregua. Ora erano così vicini da sentire anche le urla e i rumori della gente e delle lame in conflitto fra loro.
   “Reggetevi!” urlò Tanith quando con un atterraggio non troppo morbido toccarono terra alzando un denso polverone. Senza indugi abbandonarono la Viverna e si ritrovarono nel cuore della battaglia. Intorno a sé Kriystal vedeva solo Tauren combattere con tutta la loro forza e la loro rabbia. Non era semplice distinguere un clan dall’altro e non c’era alcuna traccia né di Bithah, né di Robil. Accantonò i pensieri peggiori.
   “Che cosa aspetti? Segui me!” Vonch si fece strada fra i drappelli di Tauren. Impegnate entrambe le mani con staffa e spada corta, con la prima schiantava incantesimi addosso a chi si metteva sulla sua strada e con le seconda mieteva vittime a suon di affondi e fendenti. Kriystal gli stava dietro e il chiasso era assordante. Un Tauren le si accasciò davanti e dovette saltare per superarne l’ormai cadavere.
   “Non ci vedo molto! C’è troppa polvere!” si lamentò con il Warlock, il quale però sembrava concentrato sulla sua missione primaria: aprirsi uno spiraglio. Kriystal alzò lo sguardo ad un cielo pieno di cavalieri in sella alle loro viverne che sostenevano i soldati a terra scagliando frecce all’impazzata. Mentre continuava a controllare la caotica situazione e a tenere il passo di Vonch non poté evitare di incrociarsi con un energumeno dalle evidenti cattive intenzioni:“Sei finita!”, ma era tanto grande e grosso quanto lento. Mentre si prendeva il tempo di alzare la sua pesante mazza chiodata Kriystal gli era già sotto con la spada. Con forza sentì la sua lama affondare nel massiccio corpo del Tauren, il quale mugugnò qualcosa di incomprensibile prima di inginocchiarsi sanguinante a terra. L’elfa lo lasciò così, senza esser certa di averlo abbattuto del tutto o meno e terrorizzata all’idea di perdere di vista Vonch. Quest’ultimo si era diretto al ponte in legno che avrebbe permesso loro di raggiungere l’altura successiva e di abbandonare quella affollata in cui si trovavano ora.
   “Tutti vogliono concludere questa battaglia nel minor tempo possibile!” le urlò Vonch mentre continuavano a marciare e a liberarsi dei Tauren che gli si gettavano contro:“quindi vedi di non farti buttare giù!” L’elfa non poté che dare un’occhiata al suolo sottostante. La caduta da uno di quei ponti avrebbe certamente significato un risultato molto spiacevole. Ai piedi delle alture vide gli Elfi della notte con le loro bianche armature e le sinuose movenze nell’arte del combattimento. Veloci e scattanti sembravano non avere grandi problemi nel difendere a spada tratta gli accessi ai sentieri per salire in cima.
   “Grimtotem e Nubescura!” esclamò Vonch:“i vigliacchi hanno unito i clan per formare uno squadrone!” e con un colpo di staffa scagliò un Tauren nel vuoto. Kriystal vide in tempo un altro minacciare la vita del Warlock biondo e così vi si scagliò addosso lama contro lama. Lo spadone del Tauren che aveva davanti era possente e la forza nelle braccia maggiore, ma ancora una volta l’elfa poté puntare sulla propria statura e agilità. Parò due potenti colpi e ritenne un miracolo che la propria arma non le si fosse spezzata in mano, finché non fu il momento di scattare a lato dell’avversario e mirare al fianco destro. L’urlo del bestione le lacerò i timpani. Imprecò contro di lei in Taur’ahe e l’attacco che le servì di seguito fu ancora più violento e dominato da una traboccante  furia cieca. Così cieca da permetterle di evitarlo con non troppa difficoltà e di affondare per diritto la lama nella larga schiena. Un altro avversario era stato abbattuto.
Tirò un sospiro di sollevo e si voltò senza abbassare la guardia. Era pronta ad accogliere eventuali assalitori, ma con grande sorpresa il ponte si rivelò improvvisamente sgombro. Il sollievo che provò nel trovarsi il sentiero libero sfumò immediatamente quando sentì Vonch chiamarla da lontano. Troppo lontano.
   Lo cercò, ma di fronte a sé vide solo un’altra altura con un muro costituito da diversi Tauren che si scontravano a muso duro.
   “KRIYSTAL!” il richiamo ancora più forte, poi finalmente lo vide. Gli azzurri occhi spalancati dell’amico le rivelarono il motivo per cui si trovava da sola su un ponte completamente vuoto. Un muscoloso soldato dal pelo chiaro lo teneva fermo mentre un altro sogghignava rivolto verso l’elfa. Anche da quella distanza poteva capire l’intenzione del Tauren che la stava osservando. In preda al panico cominciò a correre verso di loro, doveva togliersi di lì il prima possibile.
   Vonch si agitava nella presa del nemico mentre l’altro alzava l’ascia e la faceva ricadere violenta su uno dei due pilastri a cui erano legate le corde che sostenevano il ponte. Kriystal sentì il vuoto improvviso sotto ai propri piedi. Le assi in legno sulle quali poggiava poco prima cedettero e lei si trovò sospesa nel vuoto stringendo con una sola mano le uniche corde rimaste in piedi. Poteva ancora sentire Vonch urlare il suo nome e imprecare contro i suoi nemici. La spada non le era mai sembrata così pesante. Riusciva solo a pensare a come potesse scivolarle la presa da un momento all’altro. Scelse di dimenticare che cosa l’aspettasse se ciò fosse accaduto. Le bastò la brezza che le sfiorava i capelli per ricordarle a che altezza si trovasse.
   Spostò a fatica lo sguardo in direzione del punto in cui si trovava Vonch e lo colse nell’atto di liberarsi del nemico che lo teneva fermo e di impedire all’altro di tranciare gli ultimi sostegni del ponte. Pur essendo grata al Warlock biondo, sentì la propria fine solo ritardata di qualche istante. Stava abbandonando l’idea di potersi salvare quando sentì un ruggito amabilmente familiare.
   “Non temere Mae’rhi!” la presa possente di Tanith la strappò via dalla morte. La Viverna si librò in volo allontanandosi dal ponte, da Vonch e dalla battaglia.
  “Non possiamo lasciarli soli!” gridò l’elfa.
   “Non lo faremo. Ma la Viverna è ferita, non resisterebbe ad una manovra complicata come un atterraggio al centro della lotta. Ora ci fermiamo sulla sponda nord dove c’è quell’incavo nella roccia. Lì dovremmo essere al sicuro!” Kriystal stentava a credere che esistesse un solo spiazzo in quel luogo in cui potessero ritenersi protetta da arcieri e bovini bipedi imbizzarriti.
   La Viverna atterrò senza problemi, ma appena l’elfa e il Tauren scesero a terra la povera creatura andò ad accovacciarsi vicino ad un grosso masso dalla forma a mezzaluna. Un profondo taglio di falce le si estendeva lungo tutto il fianco. “Posso guarirla” sostenne convinta Kriystal.
   “Conserva l’energia per il combattimento” le consigliò Thanit. Il suo tono non nascondeva preoccupazione per le sorti della battaglia.“se solo ci fossimo interrogati sulla fedeltà di tutti gli altri clan non saremmo finiti in questa situazione. A quest’ora Magatha Grimtotem marcirebbe sul fondo delle Thousand Needles!” la sua voce si tramutò in un ringhio. Senza indugi si sfilò dalla cintura un grosso corno adornato di ciondoli e pietre colorate.“Adesso non ci rimane che chiamare qualcuno in grado di portarci via da questo scoglio”.
   La descrizione di Tanith del luogo in cui si trovavano era molto vicina alla realtà. Una piccola rientranza nelle pareti rocciose del canyon. Dalla loro postazione il caos sulle alture era ridotto a piccole figure confuse fra loro. Nessuno sarebbe riuscito a vederli da così lontano.
Dietro di loro l’enorme cinta del canyon era rivestita in gran parte da un intreccio di rami  coperti da grosse spine che correvano per metri lungo la superficie verticale. L’eventualità di arrampicarsi era fuori discussione. Se fosse stata sola Kriystal sarebbe rimasta intrappolata in quell’avvallamento abbastanza tempo da essiccarsi al sole del Kalimdor meridionale. Per fortuna i Tauren conoscevano i rischi di quelle terre e il corno nel quale Tanith stava investendo tutto il fiato che aveva in corpo ne era la prova. Presto li avrebbero soccorsi.   
   Cominciarono a passare alcuni istanti.
   “Che cosa aspettano?” cominciò a preoccuparsi l’elfa dopo il terzo tentativo del Tauren. Questi non rispose e provò ancora.
   “Ci stiamo perdendo lo scontro. Perché non ci vengono a prendere?”
   “Non lo so” concluse.“forse non riescono a liberarsi dei loro avversari”
   “Tutti quanti?” insistette Kriystal. Guardò le alture davanti a sé. Tutti continuavano a combattere senza mostrare il minimo accorgimento dei due intrappolati in quell’insenatura. Un lamento della Viverna la riportò alla realtà. Le possibilità dell’animale di sopravvivere erano tante quanto quelle che qualcuno avesse sentito il loro richiamo. “Usiamo questi strumenti per comunicare da distanze inverosimili, spesso da una montagna all’altra. È impossibile che non sia stato udito” Tanith sembrò innervosirsi. “molti fra i nostri più antichi nemici sono stati colti di sorpresa grazie alle nostre strategie legate al richiamo dei corni. Non c’è mezzo esistente in grado di impedirci di percepirne il suono, tranne se ci trovassimo in tutt’altra regione e forse se…” la sua riflessione vibrò sospesa nell’aria.
   “Forse che cosa?” lo scosse Kriystal.
   “Tranne forse per mezzo della magia” Tanith portò i suoi grandi occhi al volto confuso dell’elfa.“Magatha Grimtotem potrebbe essere capace di utilizzare simili trucchetti”
   “Ha incantato tutti i vostri corni affinché nessuno sentisse il loro suono?” Kriystal era cosciente di apparire sciettica.
   “Prova ad ascoltare i rumori della battaglia. Che cosa senti?” l’aspirante paladina guardò ancora una volta di fronte a sé. Guardò, ma non riuscì a sentire nulla. “Siamo isolati” lei stessa non credeva alle parole che erano appena uscite dalla sua bocca.
   “Lo siamo” concordò tetro il guerriero. “gli sciamani come Magatha e Hamuul Runetotem hanno simili capacità. Segnano l’area di un determinato spazio delimitandone alcuni punti cardine tramite totem o altri artefatti magici. All’interno di tale perimetro sono in grado di fare qualsiasi cosa sia in loro potere. Ad esempio  impedire ai nemici di utilizzare incantesimi, rendere immune l’incantatore da attacchi esterni, o in questo caso isolare qualsiasi rumore …”
   “Magatha Grimtotem avrebbe incantato il grosso sasso su cui ci troviamo affinché non venissero in nostro soccorso?” tutto ciò continuava a non avere un senso.
   “Anch’io ne dubito. Ho motivo di credere che nemmeno sappia chi siamo. Temo piuttosto che atterrando in questo punto abbiamo involontariamente varcato i confini del suo nascondiglio e potremmo essere più vicini all’obiettivo più di chiunque altro si trovi su quelle alture in questo momento”
   Kriystal rabbrividì all’idea, ma si guardò intorno e non poté che scuotere le spalle:“Qui io non la vedo”
   “Non qui ovviamente!” la bacchettò Tanith. Nel breve tempo trascorso lontano dal combattimento aveva perso tutto il suo senso dell’umorismo. Kriystal lo capiva perfettamente. Non aveva rimosso cosa ci fosse in ballo:“Forse lassù” la mano dell’elfa si alzò indicando la cima della parete. “ma non possiamo scalare. I rovi sono pieni di spine”
   “I rovi?” Tanith sembrò illuminarsi. Si avvicinò alla fitta barriera di piante intersecate fra loro e prese a studiarle scrupolosamente:“Ah-aaah!”  l’esclamazione vittoriosa del Tauren fece trasalire l’elfa.“forse non avremo bisogno di scalare!” Kriystal si avvicinò desiderosa di venire a conoscenza della scoperta. Tanith le mostrò un’enorme sorriso aspettandosi una reazione simile.
   “Ebbene?” domandò impaziente l’elfa.
   Il Tauren sospirò:“Ricordami di farti assaggiare la nostra favolosa zuppa di carota una volta tornati a Thunderbluff. Fa bene alla vista e all’intelletto!” e ironizzando sulla poca attenzione dell’elfa ai particolari il guerriero infilò la propria ascia attraverso la trama di spine. Non passò altro tempo prima che anche l’aspirante paladina capisse. Il braccio del Tauren era scomparso aldilà del muro di spine, come se aldilà non ci fosse nulla.
   “Non c’è roccia dietro!” esclamò Kriystal.“può trattarsi di una via d’uscita?”
   “è quello che spero, Mae’rhi!” esultò Tanith Cornogrigio, cominciando ad abbattere la cespugliosa barriera a colpi d’ascia. Dopo un alto numero di rami tranciati Kriystal riuscì ad intravvedere ciò che si stagliava oltre. Scavato nella roccia uno stretto sentiero saliva verso quella che l’elfa riconobbe come la luce del sole.
   “Siamo salvi!” gioì.
   “Procediamo con cautela. Non sappiamo cosa troveremo lassù. Potremmo piombare al centro di un imboscata nemica, o addirittura trovarci di fronte la sciamana in persona.”
   Kriystal osservò lo sguardo determinato del guerriero:“L’idea spaventa anche te?”
   “No” Una scintilla nei suoi occhi. “affrontare la responsabile di tutto questo è il mio desiderio più grande”
 



N.D Il19esimo capitolo è già pronto, a breve qui su EFP. See u soon!

 

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Capitolo 19
*** Forze arcane ***



XIX

Forze arcane

 


Cominciarono ad affrontare il sentiero appena scoperto. Entrambi i lati del passaggio erano interamente protetti da pareti rocciose la cui altezza diminuiva man mano che si avanzava.
   “Giunti in cima al valico cosa faremo?” Kriystal aveva mille pensieri. Non aveva smesso un istante di domandarsi se Bithah, Soran o Vonch fossero ancora vivi e si interrogava sulle sorti della battaglia sulle alture di  Altovento. Al ricordo del rischio che aveva corso pochi minuti prima su quel ponte le tornarono i brividi. Ma ciò che poteva attenderli oltre quella rampa poteva significare ben peggio.
   “Agiremo a seconda della situazione. Se come suppongo siamo entrati nel territorio della sciamana, l’unica cosa che ci resterà da fare sarà combattere. Tuttavia se avremo il tempo di organizzarci sarebbe bene attendere dei rinforzi” la voce di Tanith era limitata quasi ad un sussurro. Come se anche i sassi in quel luogo avessero facoltà di ascolto.
   “E come chiameremo i rinforzi?” a quella domanda il Tauren preferì non rispondere e ciò non tranquillizzò affatto l’elfa.
   “Credi che la capo clan dei Grimtotem si trovi sola, senza nessuno a farle da guardia?” Kriystal tentava di convincere il guerriero di qualcosa che nemmeno lei sapeva. Non c’era niente da discutere. Quella era l’unica strada da percorrere e qualunque cosa fosse accaduta non si poteva agire altrimenti.
   “Non la credo sola, no. Sarà certamente in compagnia di qualche fidato incantatore o guerriero.
   Ma sopra ogni altra cosa, voglio che non dimentichi quella più importante” si fermò un istante per verificare che l’elfa fosse attenta alle sue parole.“non illuderti mai, nemmeno per un secondo, che Magatha Grimtotem possa essere indifesa o non nociva. Questo vale sia che abbia al suo seguito mille soldati, o che sia sola con il suo bastone” Kriystal si domandò che aspetto avesse questa terribile incantatrice. Si limitò ad annuire confidando nel coraggio del compagno.
   Raggiunsero la cima del pendio e si appostarono furtivamente dietro ad un grosso masso dalla superficie irregolare per studiare in tutta tranquillità quello che si rivelò loro come un vasto accampamento costituito da tutto il necessario per sostare in un luogo per giorni. C’erano oltre una decina di tende, postazioni per i focolari, recenti avanzi di cibo posti in disordine lungo improvvisate tavolate. Il numero di boccali diede un accurato numero di quanti Tauren avessero alloggiato in quel campo. Le armerie svuotate furono un sollievo per Kriystal. Significava che i padroni di casa erano usciti.
   Tanith rimase in silenzio per qualche istante. Kriystal si domandò cosa aspettassero. La visuale era più che chiara ed escludendo la roccia dietro cui si nascondevano non c’erano molti altri luoghi dove centinaia di soldati potessero spiarli in attesa della prima mossa falsa per tender loro un’imboscata. Persino il cielo azzurro sembrava sgombro di nuvole. La battaglia era lontana da quel posto dove non sembrava proprio esserci alcun segno di anima viva.
   “Magatha è troppo astuta. Stento a credere che la via sia realmente libera”
   “Sono tutti impegnati nei combattimenti. Lo trovi così strano?” l’ingenuità dell’elfa fece tenerezza al Tauren.
   “Vedi quello?” Tanith indicò l’alto totem al centro del campo. Così alto che era impossibile da ignorare.“I volti rappresentano gli Antichi ritratti con le fattezze dei fondatori del clan Nubescura”
   “Un tributo alle radici. Questo cosa dovrebbe significare?”
   “Un Nubescura non lascerebbe mai le proprie abitazioni e santuari abbandonati. Ci dev’essere qualche sentinella”
   “Quante? Una, due. Abbastanza da potercela cavare, non trovi anche tu?”
   “Forse” Tanith non parve ancora del tutto convinto. “ammiro la tua determinazione e sono sicuro che io e te potremmo davvero riuscire a sopravvivere. Ma la situazione continua a non piacermi affatto” Kriystal concordava in tutto e per tutto, ma non trovava altra soluzione possibile. Dovevano attraversare il campo, sviare attraverso i bassi colli che lo nascondevano all’esterno e uscire dal perimetro incantato, suonare il corno e chiamare i rinforzi.
   “Ebbene lo faremo” rispose Tanith senza che alcuna domanda venisse posta.“se non agiamo ora rischiamo di attendere qui finché qualcuno rientri. A quel punto temo che sarebbe davvero troppo tardi”
   Kriystal aveva ancora la spada in mano. Impugnò l’elsa con forza e insieme lasciarono con cautela la postazione per avviarsi attraverso le tende nemiche, ispezionando la zona in cerca di qualche sgradita sorpresa. Era il deserto più totale.
   “Ferma!” Kriystal si irrigidì di colpo. Tanith aveva interrotto la marcia e scrutava tutt’attorno agitato.
   “Perché mi hai ordinato di…”
   “Aspetta un momento!” la interruppe il Tauren:“non senti le voci?”
   “Quali voci?” l’area era completamente silenziosa.
   “Sembrano bisbigli. Parole sussurrate. Incantesimi forse!”
   “Lei è qui?” ora Kriystal era terrorizzata. Controllava in maniera ossessiva le tende circostanti e le pareti rocciose. Eppure nulla sembrava muoversi. Lei non sentiva alcuna voce.
   “Provengono da lì” l’elfa seguì lo sguardo del guerriero e la sua attenzione cadde su un varco nella parete rocciosa alla loro destra. Un’apertura che prima gli era sfuggita.
   “Una caverna” la voce dell’aspirante paladina tremò.
   “Un covo” la corresse Tanith brandendo a due mani la sua grande ascia:“stammi dietro”.
   Inizialmente l’elfa pensò che il compagno intendesse inoltrarsi nella fitta oscurità dell’antro, ma quando lui allargò le gambe assumendo la posizione da combattimento capì che qualcuno dall’oscurità della caverna stava avanzando verso loro.
   “A dire il vero nemmeno covo mi appassiona più di tanto” una voce maschile precedette la figura di un muscoloso Tauren dal manto grigio e disordinato. Uno dei due corni sul capo era spezzato e una vistosa cicatrice segnava metà del volto. Gli occhi erano di un colore che Kriystal non aveva mai visto nella gente di Thunderbluff. Un rosso che la fece indietreggiare di qualche passo.
   “Grundig Nubescura” Tanith riconobbe il sinistro arrivato. “perché non sono sorpreso?”
   “Cornogrigio. Sempre i soliti!” esclamò Grundig poggiandosi sulla larga spalla una pesante mazza ferrata“incessantemente alla passionale ricerca del peggior modo di morire!”
   “Veramente la mia ricerca ha come oggetto Magatha Grimtotem” Tanith rispose al sarcasmo e non abbasso la guardia.
   “Tu e…?” Grundig chinò il capo per vedere la gracile figura dell’elfa dietro alla torchiata sagoma del guerriero. Poi scoppiò in una volgare risata.“d’accordo te lo concedo! questa proprio non me l’aspettavo. Una Sind’orei! Attendevo qualche altro scagnozzo del vecchio Cairne, o uno di quegli orecchie-a-punta dalla pelle scura, ma un piccolo elfo del sangue femmina è degno d’esser definito un colpo di scena! Non ci sarà mica un Troll nascosto dietro qualche roccia, vero?” Kriystal lasciò che la collera prevalse e avanzò verso il nemico, ma Tanith le impedì il passaggio. Con la coda degli occhi le chiese di pazientare e lei acconsentì. Abbassò la spada senza tormentarne la presa.
   “Nessuno Troll. Ho controllato!” una seconda voce estranea fece sussultare l’elfa. Da una delle tende uscì un Tauren femmina dal pelo marrone.
   “Isha Asciatetra” Tanith tentò di mascherare la preoccupazione. “Anche tu coinvolta. Nessun’altro all’appello?”
   “Se la mettiamo così” Kriystal non sapeva più da che parte guardare quando una terza voce riecheggiò dallo stesso varco da cui era uscito Grundig Nubescura. “non ritenevo necessario il mio intervento, ma è meschino attendere nell’ombra e vederti morire, non trovi?” l’elfa si scoraggiò ulteriormente quando un Tauren molto più grosso dei primi due dal pelo corto e nero come quello di Tanith si rivelò alla luce del sole. La spessa lama del suo spadone era scura come la pece.
   “Arnak Grimtotem” questa volta una sfumatura nel tono della voce di Tanith tradì il suo autocontrollo. Il Tauren alto e muscoloso che si faceva chiamare Arnak era evidentemente il più autorevole e minaccioso del gruppo.
   “Così è Magatha che cercate? Allora dovete aver trovato deludente la nostra presenza” Il Nubescura e l’Asciatetra risero alle parole provocatorie del loro capo.
   “Che cosa facciamo?” la voce di Kriystal ridotta a un sussurro.“quando mi hai detto che sentivi delle voci non mi hai detto che appartenevano a tre mostruose …”
   “I bisbigli di cui parlavo non sono cessati con il loro arrivo. Questo indica che c’è qualcos’altro là dentro”
   “Non importa cosa ci sia alle mie spalle” si intromise Arnak facendo scrocchiare le ossa del collo. “ciò che conta è che per voi sarà davvero complicato entrarvi!”. Senza ricevere veri ordini Grundig avanzò verso il guerriero di Thunderbluff roteando a mezz’aria la mazza ferrata. Quest’ultimo sembrò ingrossarsi, pronto ad accogliere il Tauren con la cicatrice sul volto:“Tu non morire” disse rivolgendosi all’elfa, come se le avesse appena imposto un ordine.
   “Non morire nemmeno tu” lo implorò lei. Senza più indugi si voltò verso la Tauren Isha, la quale era già pronta a combattere maneggiando una spada di medie dimensioni in una mano e una balestra corta nell’altra:“La prendi sul personale se ti confesso che speravo di vedermela con il principino Baine in persona? non avevo certo previsto di combattere contro un orecchie-a-punta dei Regni Orientali!”
   “Spiacente per la delusione!” controbatté l’elfa mantenendo la spada all’altezza del busto. Prediligendo un’azione sulla difensiva attendeva che l’Asciatetra facesse la prima mossa. Si studiarono per un tempo che parve infinito. Isha poteva lanciarsi sull’elfa del sangue o scagliare la sua freccia a distanza. La possibilità di avere una scelta tale denotava un vantaggio non da poco.
   “Non hai una faretra” Kriystal prese tempo.“hai intenzione di batterti con una freccia sola?” .
   Isha Asciatetra si limitò ad accennare ad un sorriso presuntuoso:“Una freccia basta e avanza per il mio scopo!” e alzò di scatto la propria balestra.
   Kriystal fece per scansarsi, ma presto si accorse che la freccia non era partita nella sua direzione. Il bersaglio sembrò esser alle sue spalle. Con terrore si voltò. L’urlo di Tanith Cornogrigio accompagnò la macchia scura che andava allargandosi sulla scapola sinistra laddove la punta della freccia di Isha era penetrata.
   “Chiamasi diversivo!” la voce della Tauren era tremendamente più vicina rispetto a prima e quando Kriystal tornò distratta al suo avversario se la trovò già addosso. Parò la lama della spada calata su di lei, ma la forza del nemico era schiacciante. Non avrebbe resistito per molto. Sarebbe voluta correre in soccorso di Tanith, ma Isha aveva studiato bene la dinamica del combattimento. Ferendo il guerriero aveva dato vantaggio a Grundig Nubescura e al tempo medesimo si era ritagliata il pretesto per allentare e destabilizzare l’attenzione dell’aspirante paladina.
   Arrivarono altri due colpi di spada e Kriystal si trovò a dover indietreggiare. Al terzo attacco si spostò di lato facendo scivolare la propria lama lungo l’asse di quella nemica. Così facendo riuscì ad ottenere più dinamicità attraverso il campo di battaglia. Data la mole fisica dell’avversaria l’elfa cercò di orientarsi verso le tende cercando fra un contraccolpo e l’altro oggetti da usare come scudo o arma contundente. Ma prima che se ne rendesse conto Isha Asciatetra aveva ancora una volta cambiato strategia. Afferrò l’elfa per il colletto dell’armatura e sollevandola come fosse una piuma la scagliò contro un padiglione poco distante. Kriystal si trovo a collidere improvvisamente contro pareti di pelle e travi in legno. Parte della struttura si riversò sul terreno assieme all’elfa. Tentò di stabilizzarsi alla svelta, ma Isha era su di lei prima ancora che trovasse il tempo di rialzarsi. Ritenendola l’azione più veloce in quelle condizioni Kriystal preferì alla spada un calcio in pieno stomaco. Isha si piegò in due, ma non abbastanza da poterla prendere alla sprovvista con un fendente.   Afferrò per lo stivale Kriystal e la sollevò da terra facendole improvvisare una piroetta a mezz’aria prima di lanciarla nuovamente. Fiondò dolorosamente contro i tavoli e con il peso della la schiena spezzò in due l’asse in legno portandosi dietro tutto ciò che c’era apparecchiato sopra. Ora i capelli erano fradici di birra e altri avanzi di cibo. Rialzandosi capì di non essersi mai sentita così ridicola. Tale sensazione fu accompagnata dalla risata di Isha:“Scusa. Pensavo ti andasse uno spuntino!” e ancora una volta caricò un attacco. Ma questa volta l’elfa era pronta e vigile. Nell’istante in cui Isha affondò la propria spada Kriystal si era portata avanti parte dell’asse in legno distrutta. Questo le servì come scudo. La lama di Isha si infilzò a fondo nella superficie del tavolo e le ci vollero alcuni tentativi per estrarla. Abbastanza perché Kriystal potesse colpire. Utilizzò l’asse impegnata da Isha come trampolino, vi saltò sopra e con una capriola atterrò alle spalle del Tauren.
   “Numero da gnomi!” imprecò Isha mentre finalmente liberava la sua lama dalla trappola di legno. Ma Kriystal le era già sotto proprio nel momento in cui la Tauren aveva alzato le braccia per colpire. La lama dell’elfa tagliò trasversalmente da fianco a fianco l’addome del nemico. Inizialmente Isha sembrò non aver subito alcun danno. Il suo sguardo furioso precedette l’impetuosità e la violenza che utilizzò nel seguente colpo di spada. Sembrò aver perso la ragione mentre il punto che Kriystal aveva passato a fil di lama cominciava abbondantemente a sanguinare. Parare l’attacco del nemico fu ancora più stremante dei precedenti. La foga di Isha costrinse l’elfa a ripiegare di molti passi. Troppi. Senza accorgersene aveva superato i confini del campo dei Nubescura e ora si dirigeva retrocedendo ad un dirupo quasi invisibile che divideva due grosse rocce l’una dal’altra. Poteva già intravedere il baratro che l’attendeva se vi fosse precipitata. Distraendosi alla ricerca di una via d’uscita da quella situazione non vide la radice nel terreno nella quale inciampò. Cadde rovinosamente di schiena alleviando l’impatto con i gomiti. Poteva sentire ora il sangue cominciare a scorrerle lungo le braccia, ma il peggio risuonò con un secco crack a pochi passi da lei. Isha aveva calpestato con il suo peso la spada dell’elfa e ne aveva spezzato in due la lama. Kriystal vide la propria morte negli occhi del nemico. Il vuoto a meno di un metro e un Tauren imbestialito di fronte a sé.
   “Sai? Non ho mai ucciso un elfo del sangue” la voce di Isha tremava, guidata da una collera indomabile. Era ancora più grossa vista dalla posizione a terra di Kriystal:“credo che questa sera danzeremo sulle tue piccole ossa!” ringhiò, e alzò la spada con due mani pronta a calarla fatalmente sull’aspirante paladina.
   Kriystal pensò fosse giunto il momento di chiudere gli occhi. Era finita. Ma qualcosa nel suo corpo le ordinò il contrario. Sentì il mana scorrere come un fiume in piena. Come il migliore arciere sa maneggiare il proprio arco, lasciò il mana di colpo lanciando un pugnale che non esisteva. Quello dal manico intagliato di Eversong woods era ancora nella rispettiva fodera.
   Isha Asciatetra bloccò il proprio colpo a mezz’aria. Spalancò gli occhi, poi la presa dell’elsa si allentò e la spada le cadde ai piedi.
   “Tu …” la voce del Tauren era smorzata. Si portò incredula le mani alla giugulare e improvvisamente attraverso le spesse dita pelose cominciarono a sgorgare rivoli di sangue scuro:“…tu…” ripeté, ma ormai il pugnale di mana che Kriystal le aveva piantato alla gola le impedì di parlare. Crollò inesorabilmente con tutto il peso sulle ginocchia, continuando a tenersi la ferita aperta. Kriystal era ancora a terra quando Isha ormai agli ultimi stenti fece per cascarle addosso. Se l’elfa non si fosse lasciata guidare ancora una volta dall’istinto di sopravvivenza sarebbe finita schiacciata da tonnellate di pelo. impugnò la spada appartenuta fino a poco prima a Isha e fece in modo che vi si trafiggesse nella caduta. Poté sentire la punta della lama penetrare la carne mentre i chili del Tauren le si riversarono addosso. Impiegò tutta la sua forza per tenere il corpo del nemico sollevato con la spada conficcatovi, ma non avrebbe resistito per molto. Il muso inerme, anch’esso incredibilmente pesante, era ad una sola panna dal suo naso. Sembrava essere in trappola, costretta a restare in eterno in quell’assurda posizione. All’improvviso il cadavere di Isha Asciatetra divenne leggerissimo. Con un grugnito dovuto alla fatica Tanith Cornogrigio la scrollò via da Kriystal e tramite una prova di forza immane la lanciò nel dirupo che fino a poco prima sembrava destinato all’elfa.
   “Allora hai un tocco più forte quando ti impegni!” Tanith la prese in giro mentre l’aiutava ad alzarsi. Ma Kriystal non poté mascherare il proprio orrore nel vedere i vari punti del corpo del guerriero intrisi di sangue. Il combattimento con Grundig aveva causato in lui diverse ferite, compresa la freccia di Isha che ancora gli sporgeva dalla schiena:“non c’è da preoccuparsi. Non è tutto mio. La tua spada è andata?”
   Kriystal annuì:“Anche la tua ascia” notò. Il Tauren era disarmato quanto lei.
   “Anche Grundig Nubescura e Isha Asciatetra, a quanto pare” ironizzò, ma l’elfa sapeva contare bene. “Il Grimtotem?”
   “Completamente volatilizzato. Quando ho finito a mani nude quel sudicio di un Nubescura, Arnak sembrava avere rincasato nel suo nido di roccia e pece. Ma visti i risvolti degli ultimi scontri il piano è cambiato. Non possiamo combattere Magatha, propongo quindi di lasciare l’accampamento e…”
   “TANITH!” il grido di Kriystal riecheggiò così forte che se non fosse stato isolato dalla magia della sciamana qualcuno li avrebbe certamente sentiti. Sarebbe stato colto anche l’urlo di dolore del guerriero di Thunderbluff quando Arnak Grimtotem aveva afferrato la freccia nella sua schiena penetrandola a fondo con tutta la forza che aveva in corpo. Kriystal si accorse solo ora di come Tanith sembrava addirittura piccolo in confronto al nemico. “Grimtotem!” ruggì il figlio di Camira Cornogrigio nel labile tentativo di liberarsi dalla dolente presa.“colpisci alle spalle come il peggiore dei vigliacchi!”
   “Lascio il codice d’onore ai vinti!” le parole di Arnak uscivano ancor più minatorie per l’impegno che applicava sulla freccia. Per Kriystal si fece impossibile intervenire. Ogni tentativo di colpire il nemico avrebbe rappresentato il rischio di coinvolgere Tanith, il quale stava già scatenando tutta la sua energia dimenandosi nella morsa. Irrimediabilmente Kriystal percepì le intenzioni del Grimtotem prima ancora che Egli le attuasse, ma ciò non servì a evitarlo. Ogni sua prospettiva di intervento svanì quando la spessa e scura lama fuoriuscì dal ventre del guerriero portando via con sé ogni speranza.
   Tanith smise di agitarsi e Arnak mollò la presa sulla freccia:“Salutami tuo padre” gli sussurrò all’orecchio, mostrando piccoli denti sottili. La spada penetrò del tutto e il fidato combattente dei Grimtotem sembrò assaporarne tutto il piacere.
   “No…” quello di Kriystal questa volta non fu un grido. Non poteva credere agli occhi dell’amico che ora sembravano fissare un punto vuoto nel cielo. Accadde l’imprevedibile quando Arnak fece per ritirare la spada.
   “Ma cosa!?” finalmente una sfumatura di sorpresa influenzò le parole del nemico nel vedere come in una stretta sanguinosa Tanith tratteneva la lama nel proprio corpo.
   “Cedi maledetto Cornogrigio. È finita!” quello che sembrava un doloroso tiro della corda Kriystal lo patì in tutta la propria inservibilità. Arnak impugnò nuovamente la freccia e ricominciò a spingerla per allentare la resistenza dell’avversario. Ma il guerriero si mostrò ulteriormente ostinato a non restituire l’arma che lo stava lentamente uccidendo. Per il dolore multiplo che il nemico gli stava causando e per lo sforzo immenso applicato attorno alla parte della lama che sporgeva dal suo stomaco, Tanith non riuscì più a trattenere un disperato urlo animale. Kriystal non poteva sopportare oltre. Senza nemmeno più pensare ai possibili rischi scagliò il Martello dell’Ira contro il nemico. Il pugnale di mana andò a trafiggerlo sul bicipite sinistro, eppure Egli sembrò non accorgersene nemmeno.
   “Gli occhi di Grun... dig” Kriystal non intuì al volo che le frammentarie parole di Tanith erano indirizzate a lei.“gli occhi di Grundig, la taglia di Arnak … sono i risultati delle forze arcane di Magatha Grimtotem! È lei che ha incantato le loro capacità e il loro… spirito! Ha incrementato le loro proprietà affinché riuscisse nell’intento di dar vita ad un esercito co… corrotto dalla magia!”
   “Affrettati a morire!” gli ringhiò addosso Arnak, innervosito dalla sua opposizione.
   “Dopo che avrai battuto Magatha dovrai riferire tutto a Cairne! Dovrai spiegargli i progetti della sciamana e la minaccia che grava su Thun…derbluff, se lasceremo che agisca liberamente!”
   “Glielo dirai tu stesso! Spiegheremo tutto una volta che saremo tornati nel Mulgore!” il volto di Kriystal era rigato da lacrime. Lanciò un altro pugnale contro l’enorme nemico, il quale sembrò come infastidito da una puntura d’insetto.
   “Quando avrò finito te penserò alla piccola elfa che ti sei portato dietro!” alle parole meschine di Arnak Tanith parve trovare l’ultima scintilla di cui aveva un estremo e disperato bisogno. I muscoli delle braccia sotto al pelo nero sembrarono sul punto di scoppiare. Le dita attorno all’arma tagliente del nemico continuavano a perdere sangue, quando questa finalmente si spezzò.
   Arnak sbraitò qualcosa in lingua Taur’hae. Anche Kriystal fu scioccata dalla forza dell’amico, il quale liberatosi dell’arma nel proprio corpo cadde sulle ginocchia per accasciarsi al suolo. L’elfa elaborò velocemente l’unica soluzione possibile: liberarsi del nemico e soccorrere in tempo Tanith al fine di guarirlo. Ma quando Arnak rinunciò alla propria arma buttando a terra ciò che ne restava e le rivolse il suo grugno duro colmo d’ira, intimorita si trovò ad indietreggiare. Si fermò sul bordo del dirupo alle sue spalle ripensando alla spada di Isha Asciatetra e a quanto le potesse tornare utile in quel momento.
   “Trovo superfluo avvisarti che non tornerai da Cairne Bloodhoof per raccontargli come sia andata la tua giornata” il tentato umorismo di Arnak non nascondeva la rabbia fra i denti. In tutta la sua mole avanzava a lenti passi verso l’elfa come se stesse giocando con lei. Kriystal lo sapeva. Era cosciente della sua posizione e con altrettanta finta disinvoltura prese a raggirare il dirupo, fronteggiando con instabile coraggio l’avversario.
   “Tanith dice il vero? Magatha ha incantato le tue capacità. Lo trovo un trucco in stile Flagello” prese tempo continuando a piccoli passi a giare intorno al Tauren, il quale non distoglieva un istante lo sguardo ostile.
   “I sortilegi del Signore del nord prevedono cadaveri. Burattini privi di vita” Arnak fece scricchiolare le spalle avanzando ulteriormente verso l’elfa, la quale deviò ancora direzione per allontanarlo.“quella di Magatha invece è arte arcana. Nulla a che vedere con pestilenze, o stragi contadine. Lei è in grado di donarci la forza necessaria per difendere la nostra tribù, i nostri fratelli!”
  “Cairne è vostro fratello” Kriystal azzardò e Arnak rispose con un grosso sputo rivolto al suolo.
  “Cairne è un traditore! un utopico despota abbastanza vecchio da non durare ancora per molto!”
  “Grundig e Isha invece credevano di durare molto più a lungo?” giocava con il fuoco, ma se fosse stata abbastanza vigile l’instabilità del nemico le sarebbe potuta tornare utile.
  Con sua meraviglia Arnak scoppiò in una risata:“Sai? Si dice che al nord i cadaveri dei paladini facciano molta gola. Potrei ricavare grandi benefici dalle tue spoglie!”
  “Sai molto delle voci che il vento porta dal continente del nord. Sembrate aggiornati quanto le altre tribù del Mulgore. Cos’è, per caso avete una rete di spie a Thunderbluff?”
  Arnak rise ancora:“Forse utilizziamo un po’ di magia, ma non siamo ancora così corrotti come voi Elfi del sangue! Come siete stati accolti dalla gente di Feralas? So che non corrono buoni rapporti fra voi!”
  “Chiedi ai tuoi fratelli come sono stati accolti dagli Elfi della Notte. In questo momento stanno bloccando tutti i varchi per le alture. Ho visto almeno una ventina di Grimtotem e Nubescura soccombere sotto i loro attacchi!”
  Il sorriso sul muso di Arnak scomparve improvvisamente. Gli occhi sembrarono incendiarsi:“Tu parli troppo per essere già morta!”, allargò le braccia e prese a caricare nella sua direzione. Evitarlo questa volta era impossibile. Il mana era accumulato già da un po’ e tutto sembrava essere andato secondo i piani. Piegò leggermente le ginocchia e nel momento propizio le sue mani collisero con il duro petto del nemico creando un breve lampo accecante. Arnak indietreggiò di molto, costernato per non aver capito cosa fosse accaduto. Si guardò in cerca di danni, ma nulla:“Effetti pirotecnici, orecchie-a-punta?” prese ad avanzare nuovamente verso di lei. Ancora le mani contro il petto e un altro bagliore fece ritornare il Tauren sui suoi passi. Questa volta fu Kriystal a incalzare e scatenò sul nemico altri due Esorcismi apparentemente inutili quanto i primi. Ma senza accorgersene Arnak si era bruciato molto terreno indietreggiando fino a pochi metri dal dirupo dove prima si trovava Kriystal. Circumnavigare il nemico era servito affinché fosse lui a trovarsi con il vuoto alle spalle. A differenza di Kriystal contro Isha, in quel momento l’elfa aveva un ulteriore vantaggio: Arnak non se ne era accorto.
   “Ora basta con il solletico!” con la furia e la magia che scorrevano nelle sue vene, se Arnak avesse afferrato con una sola mano l’elfa l’avrebbe certamente fatta a pezzi. Avanzò ponderoso verso Kriystal mentre lei organizzava le ultime riserve di mana. Ancora una volta attaccò per prima liberando maggior energia.
   Arnak sembrò finalmente accusare il colpo, ma le forze arcane di Magatha dovevano averlo reso sordo al dolore, poiché proseguì imperterrito.  
   “Per il figlio di Banqui” Kriystal si trovò a sussurrare fra sé queste parole come incentivo alla sopravvivenza.
   Arnak si imbestialì ulteriormente:“Cominci anche a borbottare ora!? Questa farsa è durata anche troppo!” alzò il grosso braccio destro pronto a schiacciare le ossa dell’elfa sotto il suo peso.
   “Questo è per il figlio di Banqui!” ripeté questa volta a parole ben chiare. Il mana sembrava spingere per liberarsi come un fiume in piena propenso a straripare.
   Arnak mostrò un ghigno fatale:“E chi sarebbe questa Banqui!?”. La risposta alla sua domanda arrivò in forma di balenante raggio di luce. Un faro che spinse la stessa Kriystal a tenersi salda al terreno per non balzare via. L’Esorcismo respinse Arnak Grimtotem ignorando tutto il suo peso e come previsto e sperato il nemico barcollò scimmiottante aldilà del precipizio.
   Stremata, Kriystal crollò sulle ginocchia. Mai era riuscita a raggiungere un tale livello nei suoi incantesimi e ora gran parte del mana l’aveva abbandonata.
   Ignorando la debolezza, le sue attenzioni si rivolsero immediatamente al corpo disteso nella polvere di Tanith Cornogrigio. Lo raggiunse, gli estrasse la freccia e lo girò sulla schiena. La ferita aperta all’altezza dell’addome perdeva ancora enormi quantità di sangue. Il pelo nero era intriso di liquido scuro.
Fu paradossalmente sollevata quando lui reagì con un lamento all’estrazione della punta. Aprì leggermente i suoi grandi occhi e quando la vide disegnò sul volto sofferente l’ombra di un sorriso. Portò la sua grande mano destra sulla guancia umida dell’elfa. L’accarezzò con delicatezza.
   “Ma…’heri…” la sua voce era un filo sottile troppo facile da spezzare.
   “Posso guarirti” cercò di tranquillizzarlo Kriystal studiando freneticamente la ferita senza riuscire a trattenere il pianto.“io so di poterlo fare!”
   “Non farlo” era chiaramente un ordine.“devi conservare le tue forze per l’ultimo scontro che sarai… sarai costretta ad affrontare!” una convulsione lo colse per un istante.
   “L’ultimo scontro con chi? Sono tutti sconfitti” ora Kriystal piangeva come una bambina, perché sapeva che l’amico aveva ragione. Mancava ancora qualcuno.
   “L’ultimo scontro con lei…” la mano di Tanith indicò debolmente l’antro oscuro scavato nella roccia che gli esponenti dei Grimtotem, Nubescura e Asciatetra avevano difeso con le loro stesse vite. La presa di coscienza di Kriystal fu accompagnata da un improvviso vociferare in lingue sconosciute che le strisciò infidamente nella testa.
   “I bisbigli” guardò Tanith e lui annuì. “li senti anche tu ora, non è vero?”
   “Ma cosa sono?”
   “È lei. Magatha. Ti sta convocando a sé. Vuole… vuole che vai da lei”
   “Una trappola bella e buona!” Kriystal tornò alla ferita del Tauren.“ti guarisco e poi andremo assieme!”
   “Non c’è tempo” Tanith sembrò implorarla.“se ora tu mi guarisci entrambi non avremo abbastanza energia per fronteggiarla. Tu… tu devi entrare e finirla”
   “Non ne sono capace. Mi ucciderà all’istante!” l’elfa non smise di lacrimare. Tuttavia sapeva che il guerriero non aveva torto. Anche dopo esser guarito gli sarebbe servito del tempo per stabilizzarsi. Troppo tempo. Le voci sussurrate all’orecchio sembravano esser divenute addirittura insistenti.
   “Sono anche disarmata” parlò da sola, poiché Tanith aveva perso nuovamente i sensi.
   Nei pochi attimi a sua disposizione per prendere una decisione scelse di ascoltare l’amico. Si alzò con ancora le mani colorate del suo sangue e di quello del guerriero. Senza nemmeno sapere cosa l’aspettava oltre quel velo di oscurità vi si inoltrò a passi incerti con il cuore in gola e il desiderio inconsapevole di avere Bithah al suo fianco.
   Procedendo gradualmente, la luce come anche la visibilità andavano diminuendo. Ciò che indubbiamente restava un dato di fatto erano le pareti rocciose che solide e claustrofobiche accompagnavano il cammino di Kriystal nei meandri della grotta. Il percorso parve deviare, ma la monotona ambientazione sembrò non cambiare minimamente. Svoltato per altre due volte finalmente un cambiamento balzò all’occhio. Aguzzando la vista nelle tenebre Kriystal notò gli stessi identici rovi rampicanti che avevano condotto lei e Tanith nell’accampamento dei Nubescura. Quando il sentiero si aprì in una biforcazione Kriystal imboccò con un’incosciente certezza la strada per la quale i rami spinosi continuavano imperterriti la loro guida. Non era così ingenua da non sapere che chiunque avesse incontrato nel cuore di quel luogo era a conoscenza del suo arrivo. Tuttavia non c’era altra soluzione. Camminò nel freddo buio per altri minuti senza il fievole calore luminoso di alcuna torcia o candela. Lasciò da parte i timori di essere aggredita da qualche altro Tauren o dalla sciamana in persona, poiché accumulare il terrore non sarebbe servito a nulla.
Il coro di sussurri che ancora l’accompagnavano sembravano farsi sempre più agitati e vicini. Passo dopo passo sfumature di luce azzurra cominciarono a tingere le pareti, quando il sentiero deviò un’ultima volta e finalmente si trovò in quella che sembrava la fine della galleria.
   Si trattava di uno spazio chiuso, un piccolo covo illuminato dai giochi di chiaroscuro causati dal fuoco magico al centro, lo stesso che provocava quel’atmosfera liquida e spettrale. Il perimetro era circondato da sette gabbie e solamente due contenevano qualcosa, o qualcuno.
   “C’è nessuno?” ancora troppa oscurità per vedere adeguatamente. La sua voce riecheggiò in maniera stridula.“non c’è nessuno” concluse, sentendosi tragicamente sciocca.
   Il suo sguardo vagabondò senza alcuno scopo per pochi istanti, nell’arco dei quali studiò ancora l’ambiente povero e austero in cui si trovava. Non sembrava certo il tipico rifugio di un grande incantatore.
   “… salvami …” uno dei richiami sussurrati fu improvvisamente distinguibile e la loro fonte ancor più certa. Dalle gabbie velate nel buio qualcuno stava implorando il suo aiuto.
   “Chi sei?” si stupì lei stessa del proprio tono colloquiale. Qualcosa le suggeriva che non si trattasse di Magatha Grimtotem.
  “… sono qui dentro …” l’accento del suo parlato non assomigliava a nessuna lingua di Azeroth. Tuttavia il sinistro interlocutore sembrava sforzarsi a parlare in lingua comune:“Tu … puoi salvarmi?” Kriystal sforzò ancor più la vista e con piccoli passi prudenti prese ad avvicinarsi alle gabbie. Come aveva già avuto modo di notare solo due sembravano abitate. Colui che abitava la gabbia più grossa parlò ancora:“Non ho intenzione di farti del male…”.
   “Mostrati allora…” Kriystal stessa non sapeva come comportarsi e cosa aspettarsi da un incontro in un luogo del genere. In tutta risposta due zampe dall’incarnato nero, più nero della stessa ombra in cui erano immerse, afferrarono le sbarre della loro prigione. Kriystal fece un passo indietro. Nessuna creatura che abitasse quelle terre aveva un tale aspetto. Nella fioca luce che veniva prodotta dalle braci incantate due occhi scintillarono come gemme dorate.
   “Che cosa sei?” il cambio di domanda era d’obbligo. La figura premuta contro le sbarre possedeva in prima apparenza tutte le fattezze di un orso. Kriystal Aveva sentito di grossi orsi ai confini delle Terre spettrali, o per i boschi di Silverspine nei Trisfal glades. Ma quello non era affatto un orso comune. Il pelo che ricopriva il suo corpo era un mantello bicromatico bianco e nero. Due chiazze scure circondavano i piccoli occhi splendenti.
   “Sembri un orso” espresse il suo pensiero ad alta voce. Lui annuì in silenzio.“ma un orso non parla” Lo sconosciuto confermò ancora  con un cenno del volto.“e che io sappia un orso non porta vestiti” quando fece la sua ultima osservazione si sentì un’inetta per non essersene accorta prima. L’ignota creatura infatti vestiva ciò che restava di una pastrano nero dai bordi del colletto e delle maniche rossi. La condizione lacera dell’abito era dovuta con tutta probabilità alla condizione di prigionia.
   “Non temere ciò che non conosci” la esortò l’estraneo. Qualcosa nei suoi occhi traspariva fiducia.“non sono malvagio”.
   Kriystal soppesò le parole della bestia. Qualcosa nei suoi occhi e nella sua voce sembrarono rappresentare il vero.“No. Non sei malvagio” quella era la sua conclusione. Chiunque stesse per liberare poteva possedere qualsivoglia natura, benevola o maligna. Ma se fosse stato di natura benevola, allora non sarebbe sta più sola nello scontro con Magatha Grimtotem. Forse poteva trarne un’alleanza.
   “È stata Magatha a ingabbiarti?” voleva esser sicura di quello che stava per fare.
   “Magatha è il suo nome. Ma le forze che risveglia con la sua magia oscura hanno diversi nomi e provengono da luoghi remoti e proibiti. Venti molto simili al freddo che proviene da nord
   “Perché non ti ha ucciso?”
  “La sciamana ha sete di ignoto. Vuole conoscere tutto di me e della mia gente, affinché possa trarne un qualche vantaggio. Io non ho parlato” le chiazze rosso scuro sulle parti di pelo bianco testimoniavano in suo favore. Era stato torturato allo scopo di conoscere le sue origini, la sua natura. Kriystal volle distinguersi da azioni così vili.
   “Non sei malvagio” ripeté, questa volta più convinta. Senza più indugi cominciò a rovistare fra il povero arredo della grotta. Tavoli pieni di carte in lingua Taur’ahe, scrigni colmi di artefatti come teschi o pietre preziose. Nulla che assomigliasse ad una chiave.
   “Se è la chiave che cerchi la troverai addosso a Lui” Kriystal raggelò alle parole dell’orso bianco e nero. Aveva totalmente rimosso l’esistenza dell’abitante della seconda gabbia. Con cautela si avvicinò, ma un orribile fetore la fece arretrare. Odore di morte.
   “È stato quello alto” spiegò il recluso:“credo fosse un messaggero o qualcosa del genere. Lo hanno tenuto in vita per avere informazioni su una città dal lungo nome…
“Thunderbluff” terminò per lui l’elfa. Se fosse riuscita a ricavarne un lato positivo sarebbe stato l’aver trovato il figlio di Banqui, eppure non riuscì ad esserne compiaciuta. Avvicinandosi riuscì a distinguere il corpo muscoloso e una volta caldo del Tauren accasciato al suolo senza vita. Non rabbrividì quando vide il nulla al di sopra delle spalle. Arnak Grimtotem lo aveva decapitato dopo aver tentato di estrapolargli informazioni utili circa Cairne e la sua gente. Durante il loro breve incontro Kriystal aveva capito che doveva esser caratteristica di Arnak prendersi gioco di nemici e prigionieri, reputandoli tutti creature inferiori. Così doveva essergli balenata in testa la perversa idea di metter le chiavi addosso al cadavere del messaggero di Thunderbluff per beffeggiarsi ulteriormente delle sue spoglie e deridere lo strano orso, il quale impossibilitato ad intervenire era restato a guardare.
   “Anche lui non ha parlato. Si è comportato con orgoglio e con onore. Da dove provengo io persone come lui vengono trattate con rispetto e lodi
   Kriystal era inginocchiata davanti alla gabbia del figlio di Banqui e con il pugnale cercava di staccare il mazzo di chiavi dalla cintura:“Suppongo sia inutile chiederti da dove provieni” il silenzio fu una risposta sufficiente.“fatto” la sua non fu un’esclamazione. Non provava fierezza per l’esser riuscita a sganciare le chiavi da un cadavere. Tuttavia sembrava esser stata l’unica cosa utile che era riuscita a fare da quand’era nelle Thousand Needles. Tanith stava morendo di stenti in un campo nemico e per quanto ne sapeva Soran e gli altri potevano già esser caduti in battaglia. Era lì, sola e prossima a liberare un completo estraneo, decisa a ignorare le possibili conseguenze.
   “Adesso io ti farò uscire di qui, ma tu devi promettermi che mi aiuterai nello sconfiggere Magatha” c’era determinazione nelle sue parole.
   Lo sguardo dell’orso sembrò splender di speranza:“Se mi farai uscire, sarò in debito con te per tutta la vita. Aiutarti ad uscire viva da qui sarà il minimo…” ancora una volta Kriystal si trovò nella posizione di non poter fare a meno di credergli. O così, o entrambi non avrebbero più rivisto la luce del sole. Lasciò la gabbia del figlio di Banqui e fece per dedicarsi alla serratura da aprire, quando cadde rovinosamente in avanti. Picchiò parte del volto contro la dura superficie e sentì immediatamente che le chiavi non erano più in mano sua. Le vide a pochi metri da lei, scagliate lontano durante la caduta. Tentò di rialzarsi, ma non riuscendoci scoprì la causa che l’aveva fatta caracollare. Con stupore riconobbe la pianta rampicante che l’aveva condotta in quel luogo torcerle la gamba destra dalla caviglia al polpaccio. Era sbucata dal suolo come per magia e ora l’avvolgeva a spirale in una ferrea presa. Sentì le spine affondare nella pelle e agì senza tergiversare troppo. Aveva perso le chiavi, ma non il pugnale. Cominciò a passare la lama fra i rovi spinosi nel tentativo di tranciarli, ma la cosa si fece più difficile del previsto. Erano abbastanza spessi da non permettere alla lama lo spazio necessario per muoversi fra un ramo e l’altro. Con meraviglia e dolore sentì la presa farsi ancora più stretta. Aumentò la pressione della lama, quando accadde l’imprevedibile. Sentì il braccio con il quale maneggiava il pugnale esser trattenuto e poi tirato con forza a terra. Quando Kriystal si trovò completamente sdraiata su un fianco capì d’esser stata nuovamente imprigionata da un’altra pianta identica alla prima. Ora gamba e braccio erano saldamente agganciati al terreno. Poté vedere chiaramente rivoli di sangue vicino alla spalla dove le spine erano entrate.
   Cercò verso la gabbia dell’orso e lo vide sforzarsi di arrivare alle chiavi cadute lì vicino, ottenendo purtroppo scarsi risultati.
   L’elfa cercò di recuperare il pugnale con la mano libera, ma ecco che un altro rovo spinoso le avvolgeva il polso e glielo appiattiva al suolo. Quello che prima sembrava un singolare fastidio ora si tramutava gradualmente in sofferenza. In pochi istanti gran parte del corpo era avvolto dalle piante e flagellato dalle spine. Era completamente soggetta all’immobilità.
   “Se arrivo alle chiavi corro a liberarti” le parole dello strano orso sembrarono confortanti quanto lontane. Improvvisamente le fiamme azzurre al centro della grotta divamparono, allungando le ombre degli oggetti sulle mura rocciose.
   “Sind’Orei…” una voce femminile. Fredda, quasi strisciante.“una delle creature corrotte più affascinanti dell’intera Azeroth. Sono anche fra gli esseri più irritanti quando si avvicinano a tal punto a te da farti sentire il fetore della loro energia rubata” Kriystal non perse tempo a dar retta a quelle parole. Cercò con movimenti agitati e dolenti la fonte. Poi la vide.
   Affianco al fuoco, laddove prima non c’era nessuno, ora una Tauren restava immobile a fissarla contorcersi fra le spine. Come se avesse appena visto uno spettro di Tranquillien, Kriystal cominciò a sudare freddo.
   L’incarnato di Magatha Grimtotem era poco più chiaro rispetto a quello di Arnak. Indossava un lungo pastrano di pelle adornato da una grigia pelliccia. Dall’elmo che portava sul capo dal quale uscivano due scure corna, lunghe trecce nere cadevano lungo le larghe spalle. Non impugnava né spada, né staffa, eppure comandava le liane che torcevano Kriystal tramite la magia. Tanith aveva tremendamente ragione.
   “In verità all’interno dell’Orda ho sempre avuto un certo interesse nei confronti dei Non morti. Dopotutto non l’ho mai tenuto nascosto. Non è un segreto nemmeno che qualcun altro sembra interessarsi al loro potenziale quanto me”
   “Arthas Merethil?” Kriystal trovò immediatamente il coraggio di controbattere.“Sylvanas Windrunner ha già liberato una volta i reietti dall’influenza del flagello. Sarà in grado di farlo ancora!” fronteggiare l’avversaria verbalmente era l’unica opzione.
   “I reietti di Sylvanas sono dei deboli” Magatha non sembrò innervosita, anzi parve lieta di intraprendere quella discussione. Come se l’elfa fosse stata seduta ad un tavolo assieme a lei invece che sanguinante fra sabbia e polvere.“non è indipendenza lasciare un capo per seguirne un altro”
   “Ma il loro primo capo li comandava come fossero marionette senza valore. Sylvanas invece li governa” Kriystal non avrebbe mai creduto di poter affrontare quell’argomento in tali condizioni.
   “Se un principe è davvero capace, scoprirà che annullare il confine fra comando e governo è estremamente facile ed efficiente”
   “Come hai fatto tu con la tua gente? Incrementare le loro capacità, la forza, la loro taglia. Per cosa? conquistare il mondo?”
   “Portare la nostra razza a prevalere su tutte le altre” Kriystal si ammutolì sentendo con quale tranquillità Magatha esponeva un così folle progetto. “Kalimdor e tutta Azeroth si piegherebbero al nostro cospetto se solo volessimo. Se gente come Cairne Bloodhoof non portasse avanti i suoi assurdi discorsi di pace e armonia fra i popoli non ci sarebbero più evoluzioni fallite come Elfi del sangue o della notte. Io ero fra coloro decisi a estirpare gli Elfi alti all’origine, cosicché voi non sareste nemmeno esistiti.
   Noi al contrario siamo qui dall’alba dei tempi. Il mondo ci ha visti nascere ancor prima dell’arrivo dei Titani. Quando l’ombra provocata dalle braccia della Madre Terra passo sul terreno, Ella ci diede la vita proclamandoci i prescelti destinati a governare questo mondo”
   Kriystal approfittò del monologo intrapreso da Magatha per guardare con fatica verso la gabbia. Il prigioniero sembrava aver rinunciato a raggiungere la chiave. Kriystal trovò la sua scelta molto saggia. Se Magatha si fosse accorta del suo sforzo avrebbe infranto ogni sua possibilità di fuga.
   “Sicura che il vostro popolo sia il più antico?” la voce calda proveniente dalla gabbia attirò l’attenzione della sciamana. “questo mondo ha molti popoli, ognuno con la sua storia.
   “Ti riferisci al tuo, specie di mostro?” ora una sfumatura di sdegno segnava il muso di Magatha. “pensavo fosse chiaro che non volevo sentire la tua insulsa voce. O  per caso vuoi tornare sottoforma di salma fra le nebbie delle tue terre?” l’orso chinò il capo e indietreggiò nella penombra, obbedendo controvoglia all’incantatrice.
   “Ebbene, che fare ora di te?” ad ogni passo con cui Magatha avanzava verso l’immobilizzata Kriystal le piante si facevano sempre più strette“penso che ti ucciderò e poi brucerò il tuo corpo. Non voglio che le tue sporche spoglie siano un tutt’uno con queste terre” la freddezza della sciamana era paurosa. Se Isha Asciatetra l’aveva più volte messa alle strette e se l’ira di Arnak appariva invalicabile, il rumore dei passi lenti e striscianti di Magatha Grimtotem a contatto con il pavimento duro e sabbioso sembrarono esser l’ultimo suono che Kriystal avrebbe udito in vita. Per un momento desiderò che le ferite di Tanith non fossero così gravi da ridurlo inerte fra sangue e polvere. Avrebbe deluso Banqui, perché il corpo di suo figlio si sarebbe decomposto nell’ombra di una squallida gabbia finché un giorno i Nubescura non ne avrebbero fatto un vanto di conquista usurpandone il ricordo con qualche macabro rito. E di lei che cosa ne sarebbe stato?
   “Questo è per impedire che altre profane parole escano dalla tua bocca” e con un solo gesto della mano un’altra pianta uscì a comando dal terreno e si attorcigliò come un cappio attorno al collo dell’aspirante paladina. Data la forte morsa il respiro le mancò quasi immediatamente. Si agitò con tutti i muscoli del corpo senza ricavarne alcunché. Stringeva ancora il pugnale, ma il polso era ben stretto fra le spine dei rovi.
   “Non agitarti troppo o morirai più in fretta” con un agghiacciante atteggiamento materno Magatha si chinò sul corpo dell’elfa e le passo delicatamente una mano fra i capelli.“devi lasciarti andare. Brava. Arrenditi. Andrà tutto per il meglio”. Lo sforzò per liberarsi e l’incredulità per la freddezza della sciamana provocarono sul volto di Kriystal lacrime che rimpianse all’istante.
   “Non piangere!” lo schiaffò di Magatha risuonò in tutta l’area.“non permetterò che ti penta della tua natura ad un passo della morte! Te ne andrai con lucidità, in modo che possa sentire il tuo spirito abbandonare il corpo e dissolversi nella polvere!”
   Il ferroso sapore di sangue dovuto al colpo della sciamana stava gradualmente diffondendosi nella bocca dell’elfa, rendendo ancor più difficile mantenere il controllo e gestire le pochissime riserve d’ossigeno rimaste. Magatha stava raggiungendo il suo scopo. Kriystal stava coscienziosamente morendo e la consapevolezza di ciò si fece ancor più concreta quando la vista cominciò ad annebbiarsi. La sciamana che rideva di lei pronunciando folli parole ora era solo una macchia di colori tendenti al marrone. La presa sul pugnale andò allentandosi sempre più. Morire a Thousand Needles non era mai stato nei suoi piani. E per fortuna parve non essere nemmeno in quelli di qualcun altro.
   Di ciò che accadde in seguito Kriystal vide solo in parte. Scorse senza sapere se fosse un’allucinazione o la realtà la scintilla di luce verde scoppiettante e velocissima che prese a picchiare contro le pareti rocciose da una parte all’altra, come un razzo goblin impazzito e acceso in uno spazio troppo piccolo. Fra la veglia e la morte si domandò se fosse un gioco di prestigio di Magatha o se il falò magico fosse impazzito. Ma quando le urla della capotribù dei Grimtotem rimbombarono in tutta l’area Kriystal fu certa che stava accadendo qualcosa di diverso. Con grande sollievo anche la presa alla gola e al resto del corpo cominciò ad allentarsi e le piante spinose si ritirarono nel terreno lasciando piccoli fori nella sabbia. Kriystal poté constatare con meraviglia di essere sopravvissuta, ma nel tentativo di alzarsi si scoprì troppo debole per muovere anche solo un dito. Si distese sulla schiena guardando il soffitto roccioso illuminato qua e la dal quel misterioso proiettile danzante.
   Ora chino su di lei non c’era più il volto dai lineamenti confusi e sfocati di Magatha Grimtotem, ma il buffo faccione bianco e nero dello strano orso liberatosi dalla gabbia. Le porse quello che doveva essere una specie di sorriso:“Sei viva. E sei salva. La sciamana è stata abbattuta e a momenti verranno per portarti via da questo posto…
   Kriystal si sentiva così debole da non riuscire a manifestare a pieno la sua gioia. La vista non era ancora tornata a posto e tutto il corpo le doleva incredibilmente:“Tu… come ti sei liberato?” anche parlare risultò difficile.
   “Sono riuscito a prendere la chiave. È merito tuo
   Kriystal non capì:“Sei tu ad avermi salvato…”
   “No. Non sono stato io. Evidentemente sei meno sola di quel che credi. Utilizzando la magia qualcuno ha steso Magatha Grimtotem e adesso sta venendo per salvarti
   La situazione non era ancora affatto chiara, ma se davvero quella scheggia saltellante aveva sconfitto la sciamana, allora scelse di reputare le informazioni perpetratole sufficienti:“Che farai ora?” domandò alla strana creatura.“puoi venire con noi se non hai un posto in cui tornare”
   L’orso scosse la testa:“Tutti abbiamo un posto in cui tornare. La mia gente mi sta aspettando e la tua anche. C’è una cosa però che desidero darti prima di partire” infilò una mano dentro al colletto del logoro pastrano nero e con uno scattò strappò un cordoncino che prima portava al collo. Kriystal era priva di forze e non poté né replicare, né mettere a fuoco l’incisione riportata sul piccolo ciondolo a forma romboidale.“Nel luogo da cui provengo si tramanda un’usanza secondo la quale si è debitore per tutta la vita a chi ti ha aiutato a non morire. Porta questo ciondolo sempre con te. Quando avrai bisogno del mio aiuto, saprai come utilizzarlo e io sarò da te.” Pronunciò una sorta di saluto o ringraziamento in una lingua che Kriystal non aveva mai sentito e si dileguò nel nulla.
   L’idea d’esser ancora sola in quel posto provocò in Kriystal brividi di terrore. Ma se lo strano orso aveva detto il vero, i passi sempre più vicini che risuonavano dalla galleria bastarono a tranquillizzarla.
   Quando il suo salvatore arrivò sul posto lei aveva già perso i sensi.

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Capitolo 20
*** La missione di Ermelaid ***


XX


La missione di Ermelaid


 

A quell’ora del tardo pomeriggio il Pinnacolo del sole era pressoché vuoto. Gli allievi dell’accademia di Falthrien rientravano in città mentre i maestri si dedicavano ai propri studi tra i fitti scaffali della biblioteca, o sulle panche dei giardini di Solealto a quell’ora incendiati dal tramonto.
   Gli unici suoni udibili nei corridoi del secondo piano del Pinnacolo del sole erano i manici di scopa incantati addetti alle pulizie e i passi lunghi e veloci di Ermelaid, accompagnati da quelli più sgraziati e rumorosi di Larminit.
   “Per quanto tempo hai detto che sarà impegnato?”
   Era più che evidente il fatto che Larminit non si fosse ancora del tutto abituato a quell’assurda situazione in cui si era cacciato:“Secondo Granminit il tempo necessario per la nostra missione, signore. Mio fratello ha lanciato un falso allarme circa l’ennesima invasione di Golem elementali sul cammino dell’eroe”
   Ermelaid sembrò analizzare in silenzio gli aspetti del piano:“e quanto ci metterà Chidril a capire che non c’è alcun Golem elementale sul cammino dell’eroe?”
   L’imbarazzo di Larminit divampò:“S-signore, a dire il vero mastro Chidril troverà sul serio dei Golem elementali!”
   Ermelaid fermò la sua marcia di colpo per affondare gli occhi quasi vitrei in quelli gialli e impauriti del mezz’orco. La fatica a cui il suo corpo e la sua mente erano stati sottoposti negli ultimi giorni era tutta concentrata nelle scure e profonde occhiaia:“Mi stai dicendo che avete introdotto entro i confini di Solealto una pericolosissima creatura alta quattro metri e soggetta all’influenza incantata dei cristalli elementali?”
   Larminit restò in silenzio, incapace di trovare il coraggio per rispondere. Strinse i denti in attesa di un severo rimprovero.
   “Semplicemente geniale” inaspettatamente, Ermelaid parve addirittura orgoglioso. Mantenendo sul volto uno dei suoi rarissimi sorrisi, che gli donò una buffa espressione sul volto, riprese deciso l’attraversamento del lungo corridoio.“così, il buon vecchio Chidril in questo momento se la starà vedendo con un grosso Golem, dovrebbe essere sufficiente per…”
   “Otto grossi Golem, signore…” Larminit sarebbe voluto sprofondare.
   Ermelaid lo guardò nuovamente, ma questa volta passò meno tempo prima che scoppiasse in una roca risata:“Che grande giornata!”
   Larminit si limitò a seguire il signore di Silvermoon in silenzio. Dopotutto, fino a quel momento gli era andata anche troppo bene. Dai tempi in cui era un semplice cadetto, il mezz’orco non aveva mai visto nessuno ricevere tali approvazioni e trattamenti amichevoli dalla figura austera e autorevole del padre di Kriystal. Inoltre, Larminit non si era lasciato fuggire il suo strano comportamento degli ultimi tempi. Durante i consigli tra le autorità cittadine Ermelaid restava in silenzio, si lasciava scivolare le parole e i discorsi addosso come se non gliene importasse nulla. L’ombra di una scura barba cominciava a crescere sulla liscia e bianca pelle del viso dell’elfo. La cura degli abiti e dei capelli poi sembrava esser l’ultimo dei suoi problemi.
   Data la grande ammirazione per la sua persona e l’affetto per la figlia, Larm provava una gran pena per lui. Nonostante il timore e l’alone di distaccato rispetto che si era creato attorno alla figura di Ermelaid, tutti gli abitanti delle Eversong woods conoscevano l’enorme differenza tra la bontà del suo cuore a confronto con quella dell’infimo Chidril, colui che il cuore non si sapeva neppure se l’avesse.
   “Mi permetto di esprimere un mio dubbio, signore…” Larminit parlò a bassa voce, timoroso che qualche sentinella incantata potesse captare le loro intenzioni.“siete pienamente convinto di trovare qualcosa all’interno di quello studio?”
   Per qualche istante Ermelaid sembrò averlo totalmente ignorato, preso dall’ispezionare ogni porta davanti alla quale passavano, poi rispose:“Mi stai domandando se sono certo di trovare qualcosa, o che cosa sembro così certo di trovare?”
   Larm non si spinse oltre:“Qualunque cosa sia ,signore, andrò fino infondo a questa storia assieme a voi, se questo mi permetterà di contribuire al ritrovamento di Kriys!”
   “Kriys…” Ermelaid sembrò perdersi in remoti ricordi.“viene ancora chiamata così? L’ultimo che ho sentito esclamare il suo nome fu dalla bocca di quel giovanotto, Soran” sorrise fra sé.“quanti guai mi hanno fatto passare quando erano solo dei marmocchi scorrazzanti …” poi si incupì nuovamente.“…Soran”.
   “Ogni cosa a suo tempo, signore. Nemmeno il caro Noria è colpa vostra” Se il suo interlocutore non fosse stato una delle più alte cariche di Silvermoon, Larminit avrebbe certamente sigillato tale solidarietà di spirito con una forte pacca sulla schiena.
   “Mi domando solo se avrei potuto evitarlo” una scintilla attraversò il suo sguardo.“giuro sugli antichi dei che oggi ho intenzione di scoprirlo”. Imboccando un corridoio secondario, finirono col trovarsi finalmente nell’ala est del palazzo. Larm trovò la maggior parte dell’arredo dell’edificio interno asettico e monotono. Tendaggi viola filtravano luce tenue attraverso le alte vetrate delle finestre. La nuda pietra delle pareti si alternava a lievi nicchie marmoree contenenti sculture di antichi eroi e grandi guide della capitale. Il Pinnacolo del sole, dormitorio delle alte famiglie, si presentava come il riflesso in scala ridotta di ciò che era Silvermoon: lanterne incantate, incensi profumati, arazzi raffiguranti la genesi dei Sind’orei, architetture lisce e sinuose. Il mezz’orco conosceva tutto questo a memoria, nulla a che vedere con quel che doveva rappresentare al contrario Orgrimmar, eppure non poteva fare a meno di constatare come quel luogo silenzioso e magico lo facesse sentire a casa. Cresciuti a Eversong woods, Larm e Gram non avevano mai visto coi loro occhi la famosa città degli orchi. Da infanti aveva giocato per le vie dei quartieri bassi di Silvermoon e dall’inizio della loro carriera militare non avevano fatto altro che difendere il cancello di quest’ultima. Con tutti questi pensieri al passato e al futuro, Larm e Ermelaid si arrestarono davanti ad un portone in cedro con intagliati motivi mistici, teschi e scritture elfiche. Se solo l’ingresso dello studio di Chidril metteva tanta soggezione, Larm fu pronto a non stupirsi di nulla, una volta varcata la soglia.
   “Sarà certamente chiusa a chiave” ipotizzò il mezz’orco in un sussurro.
   “Non per me” Ermelaid disegnò un arco a mezz’aria con un gesto della staffa. Clack. La porta si aprì.
   Larm trattenne il respiro. Tali arti gli erano estranee quanto la poca igiene del fratello. Ermelaid sparì aldilà della porta. Il mezz’orco esitò un istante, poi lo seguì.
 
   Quando entrò nelle stanze di Chidril, Larminit trovò Ermelaid già intento a rovistare freneticamente in giro.
    “Resta vicino al corridoio” ordinò l’elfo.“avvisami se senti avvicinarsi qualcuno” Larm obbedì.
    Immobile, con uno stivale dentro allo studio e l’altro nel corridoio, il mezz’orco restò ad osservare la frenetica perquisizione dell’abitato. Ermelaid aveva già passato a setaccio tutti i cassetti e ora studiava a fondo i singoli fogli sparsi in giro, inseriti dentro ai grandi quaderni o tenuti fermi sotto il peso delle diverse ampolle contenenti strani liquidi colorati.
   Passò del tempo. Larm cominciò ad agitarsi e anche Ermelaid parve manifestare i primi cenni di impazienza:“ho controllato tutto. Niente di niente!” lo studio di Chidril non era uno spazio molto grande. Si trattava di una stanza a pianta quadrata piena di arnesi singolari e cartacce macchiate. Strani ciondoli in vetro smerigliato pendevano dal basso soffitto riempiendo le pareti in pietra di una vasta e velata scala di colori tendente al rosso.
   “Nulla di chiuso a chiave” rifletté ad alta voce.“nulla lasciato al caso” andò nuovamente alla scrivania di Chidril. Inchiostri, lettere, diverse collezioni di pietre e odori aromatici. Aprì i pesanti cassetti e ne rovesciò il contenuto sul pavimento.
   “Signore!” Larm non riuscì a far finta di nulla.“non trova imprudente mettere tutto sotto sopra?”
   “Sarebbe imprudente tentare di impedirmelo” quella di Ermelaid non suonava come una vera e propria minaccia, tuttavia bastò affinché il mezz’orco si ritirasse nuovamente nella sua funzione di sentinella.
   Ermelaid passò in rassegna ogni pergamena, documento e addirittura disegni abbozzati di cristalli e piante. Finché ciò che stava cercando non gli si palesò tra le mani come per magia. Una pagina completamente bianca.
   “Perché si è fermato?” Larm si porse all’interno della stanza.“ha forse trovato qualcosa?”
   Ermelaid non rispose. Si alzò da terra, spiegò la pagina linda sul piano della scrivania e la squadrò per alcuni istanti in completo silenzio.
   “Io non so leggere, Signore. Tuttavia non vedo nemmeno una traccia di inchiostro” Larminit si era materializzato al suo fianco, incuriosito dalle fantomatiche prove che avrebbero incastrato Chidril di chissà quale complotto contro Silvermoon.
   “La pila di pergamene vergini è sul primo scaffale di quella libreria. Conosco abbastanza bene Chidril da essermi scontrato spesso con la sua patologica precisione nelle cose, nei dettagli. E io cosa trovo? Fra tante carte scritte un solo documento vuoto.” Larminit restò in silenzio. Continuava a non capire come potesse rappresentare un passo avanti nell’indagine.
   Ermelaid sospirò. Avrebbe funzionato. Doveva. Entrando in uno stato massimo di concentrazione, cominciò a sussurrare parole antiche imparate in un passato remoto. Toccò con il dito indice e medio la superficie cartacea, laddove dopo il suo passaggio segni d’inchiostro prima insistenti riempirono gradualmente la pagina.
   “Pensavi di nasconderti. Ti sbagliavi” Larminit sapeva benissimo chi fosse l’interlocutore immaginario di Ermelais.“vediamo che cosa ti passa per la mente, Chidril” con un impercettibile movimento della staffa accese le candele sulla scrivania. Ne raccolse una e l’avvicinò al foglio di pergamena per farsi luce. Le parole riportate in superficie dalla magia di Ermelaid erano scritte in un carattere piccolissimo. La prima parte sembrava riguardare una lista di nomi. Tre di essi erano Signori di Silvermoon.
Mastro Chidril Albagrigia
O’ildikim Cuoreteso
Etorsul l’attento
   Poi fu il momento di nomi ad Ermelaid meno familiari. Ufficiali dell’esercito, ministri del consiglio, signori delle terre circostanti. La cosa più assurda, se poteva esistere cosa più assurda, la notò Larminit:“Questi nomi infondo” il suo tozzo dito verdastro puntò la coda della lista.“non si tratta di carattere elfico. Vero?”
   Ermelaid annuì con un cenno del capo. Anche lui si era accorto di quel rilevante particolare. Sette nominativi non appartenevano ad alcun Sind’orei. Tre erano certamente umani.
Jon Termount
Abram Flaghart
Cristoph Crabb
   “In che cosa siamo coinvolti?” il palmo della mano appoggiata alla scrivania cominciò a tremare. Larminit si trattenne a forza dal non allontanare l’attenzione del Signore di Silvermoon da quelle carte. Il loro contenuto sembrava consumarlo ogni secondo che passava.
   “Non preoccuparti” Ermelaid si rivolse al mezz’orco, ma non distolse lo sguardo dalla pergamena.“sto subendo l’effetto dell’incantesimo di Chidril. Non avrebbe mai permesso a nessuno di appropriarsi così facilmente di queste carte. E ora ogni parola che leggerò mi toglierà una massiccia quantità di mana dal corpo”
   “E allora dia una poderosa lettura e corriamo via da questo covo del male!”
   “Non posso” un’autorevole determinazione nella sua voce.“devono venire via con noi”
   “Chidril se ne accorgerà subito!” quella di Larminit suonò esplicitamente come un avvertimento.
   “Chidril non è l’unico a conoscere qualche trucco” Ermelaid si asciugò il sudore sulla fronte.
   Larminit mollo la presa. Se Ermelaid aveva anche solo un quinto della testardaggine della figlia, allora non avrebbe mai cambiato la sua posizione a riguardo.“Quello è un abbozzo della città?” non poté fingere di non averlo visto.
   “Esatto” la mano di Ermelaid andò sul disegno in scala della pianta di Silvermoon situato infondo al contenuto della pergamena.“una mappa come tante altre. Se non fosse per questo particolare” Larm non fece fatica a seguire l’indicazione dell’elfo. Un piccolo simbolo circolare segnava un’area della città dove nulla doveva esserci e dove a nessuno era consentito introdursi.
   “La zona contaminata” i suoi grandi occhi gialli si spalancarono.
   “Quella che molti chiamano la zona fantasma” esplicò Ermelaid.“distrutta dal Flagello nell’ultima battaglia contro Arthas” non ebbe timore a pronunciare quel nome. Larminit ne fu orgoglioso.“il giorno in cui perdemmo molta della nostra gente. Lo stesso in cui Kriystal perse sua madre” Se la sua voce non subì un cedimento nel pronunciare l’uomo che aveva fatto tremare l’intera Azeroth, essa vacillò al ricordo dell’elfa che aveva messo al mondo Kriystallina.
   “Non lo ricordavo” ammise Larm.“fu infettata?”
   Ermelaid rimase in silenzio. Non ci fu risposta affermativa più risonante di quella:“fui io a darle il colpo di grazia” altro tremito nelle mani, ma forse questa volta non fu l’incantesimo di Chidril.
   Schiarendosi rumorosamente la voce, Ermelaid tornò ad interpretare il documento che si trovava davanti:“In quel luogo avverrà qualcosa. Un’incontro forse.”
   “Con chi dovrebbe incontrarsi? Con i personaggi qui elencati?” Larminit aveva il cuore in gola.
   “No, io non credo. Questi nomi hanno dato il loro permesso per avviare un qualche ingranaggio.” La sua mente lavorò alla velocità della luce e solo un particolare resistette al flusso di informazioni.“Chidril ha detto di aspettare un messaggero. Forse si incontreranno nelle rovine della città, lontano da occhi indiscreti”
   “C’è scritto quando questo incontro avverrà?”
   “No, al riguardo non c’è niente” Ermelaid parve deluso, ma non rassegnato. Soffiò sulle candele e le risistemò come le aveva trovate. Arrotolò la pergamena e se la infilò sotto la larga manica della tunica.
   “Signore, io…”
   “Tu non hai visto niente” gli occhi di Ermelaid imploravano complicità. Il mezz’orco annuì:“Allora dobbiamo muoverci.” Ancora prima che finisse la frase la frase molti oggetti della stanza si alzarono all’unisono. Con larghi movimenti di staffa Ermelaid riordinò le carte, le ampolle e i libri nelle loro locazioni originarie.
   “Non credo ai miei occhi!” esclamò Larm.“dovrebbe passare a riordinare le mie stanze qualche volta!” poi si morse violentemente la lingua, quando si rese conto per l’ennesima volta della persona alla quale si stava rivolgendo.
   Ermelaid sorrise per la seconda volta in un giorno. Diede una rapida pacca sulla grossa spalla del complice e insieme lasciarono la sinistra stanza così come l’avevano trovata. Attraversarono a lunghi passi il corridoio, quando dall’angolo davanti a loro cominciarono a riecheggiare alcune voci.
   “Davvero Signore, dovremmo brindare al suo successo! Lasci che le offra una pinta all’Angolo dello sbronzo!” l’espressione goffa, mal recitata.
   “Sono mio fratello è Chidril!” Larminit si allarmò.
   “Mantieni la calma amico mio” lo rassicurò Ermelaid.“lascia parlare me”.
   Quando le figure del corpulento Granminit e di Chidril si manifestarono, gli occhi dei due Signori di Silvermoon si incontrarono reciprocamente.
   “Ermelaid” lo stregone fu il primo a parlare.“quale lieta sorpresa. A quest’ora sono solito trovarmi in solitudine per questi silenziosi corridoi”
   “Domando venia se abbiamo disturbato la tua quiete serale” Ermelaid nascose quanto possibile il suo odio.“prepari qualche lezione per i nuovi cadetti?”
   “Mastro Chidril ha sconfitto otto Golem elementali, Signore!” intervenne Granminit, trasparendo falsa ammirazione.“avreste dovuto vederlo. Con il primo incantesimo tre di quei mostri erano già ridotti ad un ammasso di pietrisco.”
   “Stupefacente” Ermelaid non staccò gli occhi da quelli di Chidril.
   “Nulla di eccezionale. Immagino che il giovane mezz’orco fosse venuto ad avvisare anche te”
   “Si, infatti. Stavamo venendo a controllare la situazione, ma vedo che hai già risolto da solo”
   Chidril mostrò l’ombra di un sorriso nell’angolo destro della bocca:“Ebbene, ora che i due fratelli si sono casualmente riuniti potranno andare a ripulire assieme le pietre e la polvere rimaste sul cammino dell’eroe. Non sia mai che al riunirsi del consiglio tra due giorni, magistri e soldati si trovino costretti ad attraversare un cimitero di sassi.” I due mezz’orchi annuirono meccanicamente e con l’accenno di un inchino si congedarono.
   “Ti avrei dato una mano se fossi stato avvisato per tempo” Ermelaid parve poco convincente anche a sé stesso. Chidril prese ad avviarsi in direzione del suo studio e passando affianco ad Ermelaid si fermò un istante:“Non mi prenderei mai la libertà di dubitarne. Tuttavia il mio suggerimento adesso è quello di riposarti. Sei pallido, Ermelaid, il tuo volto pare invecchiato di vent’anni” Ermelaid strinse i denti immaginando di affondare una lama in quella falsa misericordia.“ci vediamo al consiglio. Conserva le energie per allora”
   “Non mancherò” promise Ermelaid, quando ormai Chidril era già scomparso dietro la pesante porta del suo studio. In quel momento si rese conto che a quel punto la pergamena arrotolata nella sua manica poteva consumare anche ogni parte di lui, ma l’amore per la figlia e l’odio per Chidril sarebbero sopravvissuti per sempre.
 
   Mastro Chidril si richiuse la porta dello studio alle spalle. Con una veduta generale ispezionò la stanza alla ricerca di qualche cambiamento. Tutto appariva in ordine come lo aveva lasciato. Con un gesto della mano i cassetti della scrivania si aprirono e si schierarono ordinati sul pavimento. Chidril alzò la staffa e con essa tutti i fogli di pergamena contenuti nei cassetti si sollevarono a mezz’aria e restarono sospesi in verticale, spiegati come se posti su un lèggio. Chidril sapeva quale di quei documenti gli premeva controllare e lo riconobbe fra un centinaio. La pagina vuota era lì, al sicuro. Prese ovviamente in considerazione l’idea che potesse esser stata sostituita. Ermelaid sarebbe stato capace di questo e altro. Sussurrò l’incantesimo e le parole apparvero sul foglio.
    Chidril emise un sospiro contenuto. Nessuno era entrato lì dentro. Nessuno sapeva.
 
   “Signore” il volto di Granminit, scolpito dalle ombre disegnate dal fuoco acceso al centro delle rovine di Silvermoon, appariva ancora più grottesco del solito.“non passerà molto tempo prima che Chidril si accorga dell’illusione che ha generato”
   “Mio fratello ha ragione” Larm parlò mentre attizzava le fiamme con una ramoscello.“Lei ha creato una copia perfetta della carta trafugata dallo studio di Chidril, ma pur sempre di una copia si tratta. Se l’effetto dell’incantesimo svanisse?
   “L’incantesimo svanirà presto” Ermelaid rileggeva con attenzione ogni parola tracciata d’inchiostro.“ma non prima del prossimo consiglio, quando svelerò a tutta Silvermoon quel che c’è dietro alla storia del traditore. Fino ad allora il vostro compito sarà fare da guardia a questo posto.”
   “La storia del traditore. Non ci avevo pensato! a questo punto le prove scagionano quel Vonch, non è vero? Le accuse erano infondate, lo provava già quel telegramma. Con ogni probabilità le presunte carte rubate erano della stessa tipologia di quella sequestrata dallo studio di Chirdil. Le avranno fatte sparire per ridurre le possibilità di essere smascherati” dedusse Larminit.
   “Non c’è soltanto questo” La voce di Ermelaid si fece grave.“qualunque cosa stia per accadere, secondo quel che c’è scritto qui non partirà da Silvermoon.”
   “L’Alleanza?” ipotizzò Gran.
   “Peggio” le mani che stringevano la pergamena ripresero a tremare.“si tratta del Nord”.
   Fra le rovine desolate della capitale quella notte soffiò un vento gelido. Così gelido che il fuoco tenuto acceso dalle due guardie non sarebbe bastato a placarlo.

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Capitolo 21
*** Rune ***


XXI

Rune

 

   Non era passato molto tempo da quando aveva abbandonato la baia, quando Barrish intravide tra la nebbia il vascello indicatogli poco prima dall’uomo butterato. Se si fosse voltato all’indietro poteva ancora intravedere la sagoma scura delle colline che delimitavano la città lagunare. “Al demonio!” imprecò tra sé. Mandò giù un altro sorso di room prima di riprendere a remare verso la nave. Aveva passato gli ultimi mesi a fare l’elemosina sul pontile durante i tempi di bassa e alta marea. A bordo non poteva certo trovare qualcosa di peggio.
   “Sono soldi che vuoi?” gli aveva domandato l’alta figura del capitano con la cicatrice sul labbro.“ebbene è il tuo giorno fortunato. Ho perso molti uomini durante l’ultimo nubifragio. Sono qui per arruolarne di nuovi e ancor più temerari”
   Barrish aveva guardato l’uomo in piedi davanti a lui:“Si muore una volta sola, capitano!” gli aveva risposto stonante a causa degli effetti dell’alcool. Si era alzato traballante.“e ditemi, quand’è che si salpa?”
   L’uomo butterato si era leccato nervosamente la cicatrice. Barrish lo trovò simile ad uno di quei serpenti marini che avevano strappato la gamba destra di sua zia Marie. Tuttavia, quando lo sconosciuto aveva fatto risuonare nella propria mano un buon numero di monete d’argento, l’unico occhio del vecchio marinaio aveva cominciato a lacrimare per la meraviglia.“Non solo comincerai subito” disse l’uomo.“ma questo è il tuo anticipo, venticinque argenti. Prendi pure la scialuppa con la quale sono approdato. In questa città ho delle faccende da sbrigare, non avrò problemi a procurarmene un’altra.”
   Barrish barcollò e per non cadere in mare dovette afferrare il tronco del molo, picchiando goffamente la testa contro la lampada a olio appesa a mezz’aria.“vede signore, io –ich!- posso fare ritorno alla vostra barca assieme a voi, una volta che avrete finito le vostre commissioni!”
   “Non preoccuparti buon’uomo” insistette lo sconosciuto poggiandogli una mano sulla spalla.“a bordo hanno bisogno di voi. Coraggio, ha forse dei ripensamenti?”
   Barrish era ubriaco da capo a piedi, ma non stupido. Imitò malamente un saluto militare e con ancora la sua bottiglia in mano si avviò alla scialuppa ormeggiata:“Ci vediamo a bordo, Ca…ich!... Capitano!”
   Abram Flaghart si inumidì la cicatrice mentre guardava il vecchio marinaio maleodorante e pieno di liquore prendere il largo sulla sua barca e sparire nella nebbia. Riprese ad attraversare il pontile bagnato dalla pioggia e gradualmente si trovò nel cuore della vita portuaria. Aveva sempre odiato i goblin e le loro costruzioni. Quei piccoli, infimi ometti dalla pelle verdastra e le orecchie a punta scorrazzavano lungo la banchina trasportando avanti e indietro casse contenenti chissà quali stramberie in vendita a prezzo fuori dal normale. Flaghart sputò per terra non troppo lontano da un marmocchio che giocava a spade di legno contro una grossa botte.
   Attraversò le abitazioni rudimentali e ammassate una sull’altra, evitando di soffermarsi sugli abitanti di quei sudici tuguri. Stormwind non gli era mancata mai tanto come in quel momento.
   Infondo alla banchina in legno scorse finalmente un’insegna familiare. La locanda in cui i suoi uomini dovevano essersi incontrati poco prima con l’acquirente delle rune. Flaghart aveva scelto i migliori mercenari esiliati dalla corona per mettere assieme la sua ciurmaglia. Erano gente con storie simili alla sua, eppure ancora stentava a fidarsi di loro e se ora si trovava in quel posto era proprio perché tormentato dal timore che qualcosa potesse essere andato storto.
   Entrò nel locale e immediatamente fu invaso dall’aria gonfia di odori e del calore del camino che tanto lo facevano sentire a casa. Ovunque andava non vedeva mai l’ora di soffermarsi in taverne e locande. Quei luoghi sapevano farti sentire a tuo agio in qualsiasi luogo ti trovassi e per qualsiasi motivo ti avesse condotto lì. Infatti, in quella locanda i goblin, razza di casa, sembravano esser la minoranza costituita soltanto dall’oste e da alcuni mercanti in sosta. Il bello di una terra condivisa e contestata come quella città stava nell’infastidire l’orco seduto alla tavola vicina con la certezza che entro i confini della città non poteva metterti le mani addosso per nessun motivo. Se qualcuno infrangeva le loro regole i goblin sapevano rivelarsi ancora più ostili.
   Per questo Flaghart aveva assicurato ai suoi uomini che quello fosse il luogo perfetto per l’incontro. La creatura che sarebbe venuta a prelevare le rune lo metteva terribilmente in soggezione, nonostante lavorassero entrambi per la stessa persona.
   Si guardò intorno alla ricerca di soldati con le armature dell’Alleanza. Aveva ordinato lui che continuassero a indossarle nonostante non facessero più parte dell’esercito. Non era saggio sbandierare all’intera Azeroth la loro non appartenenza ad alcuna corona. Qualunque reato o delitto commettessero, finché lo stemma dell’Alleanza splendeva sui loro pettorali l’unico responsabile sarebbe stato re Varian Wrynn.
   Con enorme amarezza Flaghart trovò i suoi uomini all’angolo della taverna intenti a cantare e mandar giù litri di birra ramata. Il generale si precipitò a lunghi passi alla tavolata e manifestò immediatamente la sua presenza afferrando per i capelli uno dei suoi soldati e sbattendolo con forza nel piatto di avanzi. Fra i presenti calò il silenzio e Flaghart sentì gli occhi di tutto il locale attorno a sé. I suoi incrociarono subito quelli dell’oste, una grassoccia e anziana goblin dallo sguardo austero. Nel momento in cui aveva colpito il suo uomo la proprietaria del locale aveva interrotto le sue mansioni e prestava massima attenzione a ciò che stava accadendo. Se Flaghart non avesse escogitato qualcosa e subito, presto il locale sarebbe stato impestato di guardie goblin. Afferrò così il boccale di birra del soldato aggredito e lo alzò in aria:“Al denaro!” urlò. I presenti li stavano ancora squadrando, finché un nano seduto poco distante replicò al brindisi alzando i suoi due litri di bevanda:“Alla birra!” e poi se ne versò gran parte sulla folta barba rossa. Toccò poi ad un gruppo di orchi, una tavolata di uomini e un esiguo numero di troll relegati nella penombra, i quali gridarono ognuno il proprio auspicio. Un menestrello cominciò e suonare e ognuno tornò ai propri affari.
   Flaghart buttò giù dalla panca il soldato svenuto e prese il suo posto tra gli uomini:“Ora, qualcuno saprebbe darmi una spiegazione plausibile del perché non siete già a sgobbare sul ponte della mia nave!? Il piano era semplice da poter essere messo in pratica anche da un gruppo di bifolchi come voi!” sul finale quasi ringhiò.
   “Signore” fu il soldato semplice Maohne a parlare.“l’incontro non è avvenuto. I-il Cavaliere non si è presentato”
   Flaghart lo folgorò con lo sguardo. Maohne conosceva abbastanza il suo superiore da sapere di che cosa sarebbe stato capace. Si leccò freneticamente la bianca cicatrice e poi a occhi serrati guardò uno ad uno i suoi soldati.“Non si è … presentato?”
   “Lo abbiamo aspettato qui come lei ci ha ordinato, signore” il tono del soldato Bly trasudava forzato coraggio.“il Cavaliere non è mai arrivato” qualcuno tra i sei presenti deglutì rumorosamente.
Flaghart restò a fissarli qualche istante in più per assicurarsi che nessuno si stesse prendendo gioco di lui. Poi si ricompose, afferrò una pagnotta al centro del tavolo, la spezzò in due e ne azzannò una parte:“Sapete? A bordo abbiamo vino e carne in gran quantità. Ma è una vita che non mangio un tocco di pane come si deve”
   “Esatto, signore” provò il soldato Ethan.“è proprio questo il punto. In attesa del Cavaliere ci siamo un po’ lasciati andare. Vede, deve ammettere come dopo giorni di navigazione, giungendo in un locale caldo, accogliente e colmo di squisitezze, quanto possa risultare difficile resistere alla tentazione, signore.”
   Flaghart sorrise. Gli uomini rabbrividirono alla visione dei suoi denti neri e marci:“Accordato, diavoli che non siete altro. Come resistere a questi luoghi gonfi di odore di sudore e maiale arrosto?” qualcuno rise alle sue parole.“d’altronde abbiamo perso molti uomini nell’ultima tempesta e altri li abbiamo dovuti dare in pasto a quei cosi insaziabili. Anzi, vi dirò una cosa…” si chinò sulla tavola affinché nessun estraneo potesse ascoltare le sue parole.“posso giurarvi che se quel verme di un Cavaliere non si fa vivo, scaricherò personalmente quegli abomini su questo porto di sorci. Immaginatevi le guardie goblin che cercano di abbatterli con le loro assurde invenzioni, costretti poi ad accorgersi a costo delle loro vite che ciò non è possibile. I primi verrebbero certamente sbranati. I reietti non lascerebbero neppure un brandello di questa schifosa feccia di Azeroth che ci troviamo attorno. Poi, una volta saziati a dovere, comincerebbero a dare solo morsi superficiali. Si prenderebbero cura di non uccidere le loro vittime,affinché l’infezione divampi e il morso si trasformi in maledizione. In meno di due giorni questa balia di mercanti e pirati diverrebbe un cimitero di morti viventi. Questo farò. Siete d’accordo?”
   Sulla tavolata era calato un silenzio spettrale. Maohne sembrava davvero sul punto di scoppiare a piangere e anche il valoroso Bry mostrava sudore freddo sull’alta fronte e sotto i folti baffi.
                                                                                              Un uomo qualsiasi poteva lasciarsi andare a certi pensieri in preda all’ira. Poi dopo due boccali avrebbe inneggiato i canti delle Tre sirene e dell’Isola del sesto tesoro a gran voce. Ma non Abram Flaghart. Flaghart era realmente capace di un tale scempio.
   “Signore, noi vogliamo chiudere quest’affare in fretta quanto lei” lo rassicurò Ethan.“a tal proposito prendevamo in giro Bly per la sua fobia di questo posto”
   “Murloc, signore” spiegò Bly.“odio i Murloc. Ed è risaputo che le spiagge di Stranglethorn pullulano di quegli esseri!”
   “Anfibi” fece maohne.“sono semplici anfibi”
   “Si, come no! Milioni di anfibi viscidi e armati di lance. Solo il pensiero mi fa ribrezzo!”
    All’improvviso la porta in legno si spalancò e un’aria gelida si insediò nel locale, attirando l’attenzione di molti dei presenti. “Ma che diavolo…?” Flaghart si impietrì quando vide la figura che aveva appena fatto il suo ingresso nella locanda. L’alto individuo indossava una cappa grigio scuro con il cappuccio alzato che gli copriva gran parte del volto. Tuttavia non era necessario doverlo guardare negli occhi per riconoscerlo come un forestiero ben diverso dagli altri.
   “È lui?” sussurrò Bly senza scostare lo sguardo dall’estraneo. Flaghart non rispose. Restò a fissare l’individuo misterioso avvicinarsi verso la loro tavolata. I soldati si sistemarono cercando di risultare il più temerari possibile. L’incappucciato si fermò affianco alla panca su cui era seduto Flaghart. Dietro  le larghe spalle spuntava una grossa elsa nera. L’uomo dalla cicatrice sul labbro si domandò se si trattasse di una delle famose spade runiche di cui aveva sentito tanto parlare e alla cui creazione stava dando il suo contributo.
   “Sei in ritardo. I miei uomini ti stanno aspettando da ore” Bly, Ethan e gli altri guardarono stupefatti il loro superiore. Non sapevano se il suo fosse coraggio o istinto suicida.
   “Avete le rune?” il Cavaliere ignorò le parole di Flaghart. La sua voce non possedeva nulla di umano, come se due persone parlassero attraverso un solo corpo.
  “Tu hai il nostro denaro?” Flaghart si inumidì la cicatrice. Avrebbe tenuto testa a chiunque, non gli importava chi avesse davanti, fosse anche il re dei Lich in persona. Nessuno lo avrebbe sottomesso.
   Il Cavaliere allungò una mano bianca. Così bianca che sembrava quella di un morto assiderato. Aprì le sottili dita e lasciò cadere sul tavolo un pesante sacchetto in cuoio. Il suono fu quello del denaro. Molto denaro.
   Flaghart non riuscì a trattenere un ghigno diabolico. Fece un cenno a Bly, il quale gli passò cautamente un piccolo involucro chiuso con un filo di spago. Flaghart lo soppesò sul palmo della mano:“Queste ci sono costate molta fatica e molti uomini, Cavaliere. Per ricambiare il favore potresti farci vedere il tuo bel facci…”
    Senza lasciarlo finire l’estraneo gi afferrò il polso con la sua fredda mano. Fredda e dura come il ghiaccio del nord. Flaghart resse lo sguardo. Il Cavaliere alzò il mento mostrando nella penombra del cappuccio due piccole fiamme azzurre al posto degli occhi. Quella visione travolse Flaghart come una valanga. Si liberò dalla presa e lasciò cadere il sacchetto sul tavolo. Il Cavaliere lo recuperò senza problemi. Flaghart si tenne il braccio nel punto in cui era stato afferrato. La pelle era violacea come se l’avesse tenuta immersa nella neve per un giorno intero.“Sparisci dalla mia vista, Cavaliere della morte”.
   I soldati lo guardarono terrorizzati. Credevano che il Cavaliere avrebbe sfoderato la sua enorme spada per poi farli tutti a pezzi. Invece, Egli non batté ciglio. Si voltò, attraverso a ritroso il locale e scomparve proprio com’era apparso. Incredibilmente il fuoco del camino sembrò tornare a scaldare.
   Flaghart si scoprì tremante. Si ricompose prima che i suoi uomini se ne accorgessero:“Ora non rimane che aspettare Tezya e Jeredh. I due Kald’orei ci condurranno alla prossima runa”
   Gli uomini non smisero di fissarlo increduli. Fu il soldato Bly a parlare per primo:“Adesso ho proprio bisogno di bere”.
 
   “Ti ha mandato il capitano?” un soldato in armatura bianca si era affacciato sul parapetto.“quale capitano?”
   Un altro uomo calvo con una barba grigia gli si era affiancato dandogli una gomitata:“il capitano, non capisci? Lo ha mandato il nostro capitano!”
   L’altro ci pensò su e poi esclamò in tono accondiscendente:“Aah! Il capitano! Ma certo, che tu sia il benvenuto allora!” e lanciò verso Barrish una lunga scaletta in corde. Il vecchio marinaio ondeggiò un po’ per restare in equilibrio sulla scialuppa, quando finalmente riuscì ad afferrare la scaletta e prese ad arrampicarsi con la bottiglia di room ben stretta fra le dita. Arrivato a buon punto il soldato calvo gli allungò una mano per facilitargli la scalata.
   “Sapete? Non avete l’aspetto da marinai” constatò una volta appoggiati entrambi i piedi sul ponte.“quegli equipaggiamenti che portate addosso sono troppo ‘signorili’. Non sarete mica soldati?”
   “Tranquillo, vecchio. Tutto a suo tempo” rispose il soldato che gli aveva lanciato la scala.
   Nonostante fosse tardo pomeriggio, il cielo oscurato dal mal tempo trasformava l’ambiente in un notturno tempestoso. Barrish dovette sforzare smisuratamente la vista e sfidare il proprio stato di ebbrezza per contare il numero di soldati sul ponte intenti a far tutto fuorché svolgere ruoli da marinaio. C’è chi lisciava la propria spada in disparte, chi giocava a dadi, o si scaldava vicino ad un fuoco acceso dentro ad una botte in ferro.
   “Per le zanne marce di un Troll!” imprecò.“vedo che non vi date molto da fare quassù!” e mandò giù un altro sorso.“Ai miei tempi –ich!- si che si lavorava. Sgobbavamo di continuo per poi festeggiare la sera con buon vino e –ich!- belle donne!”
   “Oh, ma è per questo che il nostro capitano deve averti scelto!” lo elogiò falsamente il soldato calvo.“per insegnarci i trucchi del mestiere, io credo!”
   “Eh, non mi stupisce che siate rimasti in così pochi in ciurma” decretò il vecchio Barrish.
   “Ebbene, vecchio! Immagino che avrai fame. Nella stiva abbiamo preparato un banchetto per i nuovi arruolati. Carne, vino e anche una sventola che noi chiamiamo Girella!”
   “Giovani d’oggi” ringhiò il vecchi ubriacone.“non sapete che porta sfortuna avere donne a bordo?”
   “Oh, ma lei ti farà cambiare idea!” un altro soldato gli mise le mani attorno alle spalle e lo accompagnò con pacche amichevoli alla porta della stiva.
   “Sembra buio pesto là dentro!” osservò Barrish spiando attraverso le vetrate opache della cabina.
   “È per fare atmosfera!” urlò un soldato prima di lanciare i dadi sul coperchio di un barile e provocare un coro generale di risate.
   Barrish aprì la porta e si lasciò inondare dall’oscurità della cabina. Il suo occhio puntò subito la bellissima collezione di bottiglie schierate su un tavolo illuminato dall’unica finestra presente. Si fiondò su di esse e cominciò ad assaggiarle una ad una. “Alla salute, capitano!” sbiascicò tra sé.
   Un fruscio dietro di lui. Si voltò di scatto, ma tutto sembrava immobile. Forse era la sua stessa ombra contro la parete in legno ad averlo messo in allerta. Tornò alle sue bevute, quando un altro rumore lo colse di soprassalto, come un oggetto che cade e comincia a rotolare. Barrish scrutò a fondo nelle tenebre e si chinò a terra. Oggi è sul serio il mio giorno fortunato, pensò studiando a fondo la moneta d’oro che si era portata fino a lui. Ma a seguire si udì un altro rumore simile a un mobile urtato accidentalmente da qualcuno.
   “Chi va là!?” domandò Barrish rivolto all’oscurità.“Gi-Girella?”
   Dai banchi di tenebra di fronte a sé, piccole scintille di luce azzurra presero ad accendersi. Prima due, poi quattro. Finché l’intera area immersa nell’ombra dell’abitacolo fu infestata da quei fuochi fatui. “molto divertente!” esclamò il vecchio.“credo di avere superato la prova di iniziazione, ragazzi – ich!- ora il gioco può finire!” ma le piccole fiamme presero ad avanzare. Barrish indietreggiò entrando in collisione con il tavolo dietro di sé e provocando la caduta di tutte le sue amate bottiglie che inesorabilmente andarono in pezzi sul pavimento. Fu troppo tardi quando il vecchio marinaio riconobbe in quelle scintille tanti piccoli occhi affamati.
   L’urlo di terrore si diffuse in fretta su tutto il ponte. L’equipaggio rimase in silenzio mentre un concerto di versi disumani si consumava all’interno della cabina del capitano.
   “O lui o noi” sentenziò un soldato prima di riprendere ad affilare la sua spada. 

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Capitolo 22
*** Energia del caos ***


XXII

Energia del caos


 
Le alture di Thunderbluff proiettavano lunghe ombre sul sentiero che tagliava le pianure verdeggianti del Mulgore e collegava direttamente la capitale al villaggio vicino, quando Kriystal, Bithah, Robil, Soran e Vonch si trovarono schierati assieme a centinaia di Tauren ai piedi delle cinque alture per il saluto e i ringraziamenti di Cairne Bloodhoof a Tyrande Soffiabrezza, signora dei Kald’orei, per il contributo svolto nella battaglia di Altovento.
   In tale occasione Kriystal ebbe l’opportunità di osservare molto da vicino e con attenzione le caratteristiche del popolo un tempo reso immortale dall’Albero del mondo chiamato Nordrassil. Conosceva a memoria le centinaia di leggende circa la storia degli Elfi della notte. Era impossibile dimenticare come il suo popolo fosse inesorabilmente legato per natura a quello di quelle strane creature dalla carnagione violacea e gli strani dipinti sulla pelle.
   “È a causa nostra” aveva risposto Vonch quando Kriystal gli aveva domandato per quale motivo Cairne Bloodhoof non avesse invitato gli Elfi della notte ad unirsi ai festeggiamenti.“diciamo che la loro regina ha aiutato la gente di Thunderbluff solo e unicamente per il suo rapporto di alleanza con i Tauren. Non hanno e non vogliono avere nulla da spartire con noi”. Kriystal conosceva i rancori riservati alla razza degli Elfi del sangue. Creature nate dall’odio e dall’energia del caos. Demoni assetati di potere e disposti a tutto pur di ottenerlo. Non poterono che tornarle in mente le parole di Magatha Grimtotem, ma decisa a non ricordare il male subito le respinse all’istante.
   “Sai, alle volte sono spinto a pensare che si concentrino tanto sull’odio verso la nostra razza per tener lontane le loro di origini. Noi un tempo siamo stati Elfi alti. Loro non erano altro che Troll oscuri più corrotti dell’intera Eversong woods. Lascio a te il confronto” Soran scelse parole dure, ma Kriystal non poté che trovarsi d’accordo. Ora il popolo dei Kald’orei trasudava eleganza e misticismo da tutti i pori. Le armature bianche, i capelli tendenti al blu e al verde, gli occhi bianchi come le stelle. Le pantere-ombra adottate dal popolo di Teldrassil come cavalcature ringhiavano sommessi agli sconosciuti. Il pelo scuro, le zanne a sciabola e l’aspetto selvaggio di tali creature costrinsero Kriystal a riconoscerne il fascino, allo stesso modo con cui trovava innegabile la bellezza di Tyrande. La compagna di  vita del leggendario Malfurion Grantempesta portava lisci capelli blu notte abbandonati sugli spallacci dell’armatura e un diadema a forma di luna rispondeva alla morte del sole con scintillii intermittenti nei momenti in cui con brevi cenni del capo rispondeva agli scambi di parole con l’anziano Cairne Bloodhoof. Kriystal non arrivava a sentire i loro dialoghi, eppure ebbe la sensazione che le sentinelle dalla pelle viola osservavano lei e i suoi compagni con disdegno. “Tieni alto il mento e ignorali” le suggerì Vonch.“abbiamo preso noi Magatha Grimtotem”
 
Al calar del sole seguirono le cerimonie per i caduti. Kriystal sedeva accanto ad uno dei focolari accesi nell’altura centrale e studiava i punti del proprio corpo prima flagellati dalle spine.
   “Se ti è rimasto un po’ di prurito è normale. Domattina non sentirai più alcun fastidio” Bithah si sedette al suo fianco e le donò un sorriso gentile.“visto quello che hai passato sei uscita anche troppo illesa”
   “Vorrei poter dire lo stesso di Tanith” l’elfa respinse l’istinto di piangere. Alla fine il guerriero non era sopravvissuto alla ferite inferte per mano di Arnak. “credo ancora che avrei dovuto ignorare la chiamata di quella strana creatura e guarire Tanith. Fuggire e chiamare i rinforzi”
   “In quel caso sarebbero potute accadere due cose: all’arrivo dei rinforzi Magatha Grimtotem poteva esser fuggita da tempo, o semplicemente non vi avrebbe permesso di lasciare il campo. Hai portato a termine la missione, recuperando la salma del figlio di Banqui e consegnando la sciamana alla legge di Thunderbluff. Non potevi fare di meglio”.
   Kriystal non aveva ascoltato una parola di ciò che aveva detto il paladino. Il suo sguardo perso nelle fiamme e nelle danze si rifiutava di soffermarsi sui lati positivi dell’aver vinto la battaglia.
   “Ho indagato sullo strano orso di cui ci hai parlato” continuò Bithah.“Hamuul Runetotem sostiene che si trattasse di un Pandaren. È raro incontrare una creatura simile nei due continenti, ma non è la prima che attraversa queste terre. Ogni tanto qualche esemplare sosta addirittura dentro le mura di Orgrimmar come un qualsiasi viaggiatore”
   “Dunque da dove arrivava?” domandò Kriystal senza distogliere lo sguardo dal fuoco.
   “I Pandaren hanno una terra madre sconosciuta. Alcuni pellegrini attraversano il Kalimdor ed è possibile incontrarli soprattutto al tavolo di qualche taverna intenti a scolarsi litri e litri di birra in compagnia dei nuovi conosciuti. Sono creature pacifiche e sembrerebbe che se fai loro un favore si mettono nella posizione di essere in debito con te per tutta la vita”
   Automaticamente Kriystal portò una mano al ciondolo romboidale donatole dallo strano orso. Egli aveva detto che al momento propizio lei avrebbe saputo come utilizzarlo. Kriystal ne studiò a fondo la composizione e non notò nulla di strano. La liscia superficie di legno non aveva incisioni strane, o fessure in cui soffiare. Nulla. L’accettò come ricordo di un fortunato incontro e l’aveva aggiungendolo alla stessa corda del ciondolo di Banqui.  “Domani faranno la fiaccolata per i caduti in battaglia” per la prima volta in tutta la sera Kriystal si voltò e i suoi occhi incontrarono il volto senza elmo del paladino.“Banqui avrà bisogno della mia presenza”
   “Domani a questa stessa ora saremo già parecchio lontano dal Mulgore…”
   “Lo so” Kriystal tornò delusa a fissare il fuoco.“solo che avrei voluto abbandonare queste alture in tempi migliori”.
   “Se portiamo a termine la nostra missione, recuperando la runa dell’accampamento Grom’gol, allora contribuiremo a portare tempi migliori” Bithah le poggiò una mano sulla spalla nuda.“poi torneremo finalmente a casa”.
 
   Kriystal evitò per tutto il resto della serata ogni Sind’orei o Tauren che fosse stato nei paraggi. Era restata volutamente in solitudine a cercare di ignorare quel fastidioso senso di disgusto che le aveva contagiato le viscere da quando aveva assistito alla sfilza di cadaveri scoperti alla luce del sole rincasare lungo la strada principale che collegava il villaggio Bloodhoof alla capitale. Era rimasta inerme a fissare dall’alto delle alture un lunghissimo cordone di dolore e disperazione. I lamenti e i canti si erano uniti in un unico concerto di angoscia e  tormento. L’unica che non pianse quel giorno fu Banqui Piumaria. Quando riebbe tra le braccia la salma mutilata del figlio si impegnò per intere ore a inneggiare canti di ringraziamento agli antichi dei.
   Quella sera Kriystal ne aveva abbastanza di tutti. Bithah, Soran e Robil non facevano altro che ripeterle quanto era stata brava ad abbattere due Tauren come Isha e Arnak. Come se non fosse al corrente di quante altre decine ne avevano abbattuti i suoi compagni sulle alture di Altovento. Quella pietosa messa in scena forse era solo un modo per starle vicino e tenerle presente che non era sua responsabilità la morte di Tanith Cornogrigio. Ma allora perché lei sentiva di aver fallito?
   Mentre interrogava la larga e nera pianura del Mulgore, proprio fra quei campi d’erba alta avvolti dal mantello della notte una scia luminosa apparve e scomparve in un istante. Kriystal aveva già visto qualcosa di simile. Restò a osservare ancora qualche momento e la scia si ripresentò saltellante da un punto all’altro in direzione del lago vicino al quale si era addestrata con il paladino. L’istinto la spinse a voler conoscere quella scheggia fatua che l’aveva strappata dalle braccia della morte.
   Attraversò il centro di Thunderbluff agitato da canti e danze attorno al fuoco. Passò davanti a Cairne Bloodhoof e nemmeno se ne accorse. Si sentì come quando a pochi anni di vita correva da Solealto a Silvermoon ignorando chiunque fosse sulla strada, o quando intraprendeva una vera e propria gara contro il tempo per raggiungere il Furore Solare e affrontare l’esame di ammissione. Ormai aveva perso il conto delle guardie che la prendevano in giro per il suo eccessivo coinvolgimento emotivo in tale evento non così raro per chi lo vedeva accadere ogni anno con la certezza di non dover dimostrare più nulla a nessuno. Kriystal si costruì l’idea che era perché le guardie di Silvermoon credevano di non dover più dimostrare nulla a nessuno, il motivo per cui metà della città fu devastata. Lei non avrebbe mai commesso quell’errore.
   In poco tempo raggiunse le piattaforme che la condussero ai piedi dell’altura. Tutto il panorama attorno a lei era buio pesto e la falce di luna che sormontava le catene collinose del Mulgore era l’unica fonte di illuminazione che permettesse ai viaggiatori di non finire col rompersi un femore in un fossato. Kriystal seguì per una breve tratta la strada principale, poi si infilò fra l’erba alta in direzione del campo in cui le era parso fosse diretta la singolare presenza.
   Se l’oscurità rendeva difficile e pericoloso l’attraversamento, la muraglia verde tutta attorno a Kriystal pareva un labirinto senza via d’uscita. Si servì delle alture di Thunderbluff e del manto stellato come punti di riferimento per mantenere le coordinate che si era prefissata per raggiungere il lago. Minuscole lucciole notturne fluttuavano attorno a lei agitate dallo spostamento dei fili d’erba, quando un sibilo sottile suggerì a Kriystal d’esser vicina all’obiettivo. Con entrambi le mani l’elfa si aprì la strada tra la fitta vegetazione finché non si trovò in un piccolo spiazzo che le permise di riprendere il respiro. La brezza notturna era fresca a pulita. Il fetido odore di morte che aleggiava nella città Tauren ora era solo un ricordo lontano. Un suono familiare attirò nuovamente la sua attenzione. Senza che Kriystal potesse individuarne l’origine, cominciò a manifestarsi tutto attorno a lei un balletto di luci bianche e verdi simili a stelle cadenti. Non capendo se fosse una o molte, Kriystal cercò di catturarle giocosamente lanciandosi su di esse. Ma proprio quando sembrava che le avesse afferrate, ecco che la magica scintilla si trovava dal lato opposto dell’avvallamento. Quando Kriystal si voltò per prepararsi al prossimo attacco, la natura dell’arcana creatura fu finalmente rivelata. Forse stanco di saltellare e infastidire l’aspirante paladina, un piccolo essere tutto nero, avvolto dall’alone verdognolo che scaturiva quando impazzava nelle sue estreme acrobazie, stava seduto su di un piccolo masso coperto di muschio, mentre ridacchiava dell’inettitudine della sua compagna di giochi.
   “Lo trovi divertente?” Kriystal non poté lasciarsi scappare un sorrisetto.“cos’è che saresti?” l’esserino in tutta risposta si lasciò andare ad una stridula risatina, mostrando una schiera di piccolissimi denti appuntiti e dilatando i suoi bianchi occhi vuoti. Le dimensioni della creatura che si stava facendo beffe di Kriystal non superavano quelle della pietra su cui sedeva e per quanto l’elfa ne sapesse poteva benissimo trattarsi di una qualche specie di gnomo. La pelle nera come la pece, le piccole orecchie a punta e la sottilissima coda che ondeggiava ad ogni movimento, restringevano di molto il cerchio di appartenenza geografica. Non era certamente una creatura del Mulgore e forse non proveniva nemmeno da Azeroth. “Sai parlare?” provò ancora Kriystal, tentando di avvicinarsi molto lentamente.
   L’omino stava lì, a fissarla con sguardo vacuo e curioso, finché lei non finì con lo spezzare con il piede un piccolo ramoscello. L’essere drizzò le orecchie, si guardò attorno freneticamente e poi ridacchiando tornò a saltellare come una scheggia impazzita scomparendo nuovamente fra l’erba. Questa volta Kriystal gli stette dietro. Si fiondò all’inseguimento piombando di soprassalto sulle rive del lago che aveva avvistato dall’alto di Thunderbluff.
   “Cosa ci fai tu qui?” non capì al volo da dove provenisse la voce che l’aveva interpellata, quando guardando al largo delle acque nere si imbatté nella figura immersa fino alla vita di Thehorde. La pelle nuda era resa cristallina dalla luce della luna e lunghe pitture astratte ricoprivano parte del corpo dalla spalla destra al basso ventre. Quando si rese conto d’essersi soffermata troppo nell’osservare il Warlock, Kriystal gli diede nervosamente le spalle:“I-io non volevo! Stavo rincorrendo uno gnomo quando…”
   “Uno gnomo nel Muglore?” Thehorde sembrò quasi divertito. Ignorando la presenza dell’elfa strizzò uno straccio nell’acqua del lago e si pulì alcuni graffi sul fianco sinistro.
   Kriystal si voltò di un quarto e notò il sangue sul panno bagnato:“sei ferito” non era una domanda.
   “Hai sbirciato?” domandò Thehorde, beffandosi dell’elfa.
   Kriystal fece per lasciarlo lì, quando il verso riconoscibilissimo dell’esserino tutto nero attirò nuovamente la sua attenzione. La piccola creatura incantata stava giocherellando sulle rive del lago dando la caccia ad un insetto. “lo vedi anche tu non è vero!?” domandò Kriystal.
   “Parli di Nakrot?” domandò l’elfo del sangue, dando una breve occhiata alla creatura.
   Kriystal era attonita:“Tu lo conosci?”
   “È il mio demone. Ho affrontato più battaglie al suo fianco che bevute tra amici” Thehorde si passò lo straccio umido sul sangue incrostato senza emettere un solo gemito di dolore.
   “Su questo non c’è dubbio” Kriystal fece per avvicinarsi al demone.“e così tu sei Nakrot. Sei piccolo per essere un demone”
   “Dillo a Magatha Grimtotem” se quello di Thehorde fu un tentativo di far trasparire tracce di  orgoglio, non lo diede a vedere.
   “Questo è vero…” Kriystal allungò una mano e il piccolo demone si lasciò accarezzare senza problemi:“Bithah mi ha raccontato di come mi hai trovata, laggiù…”
   “Se sei venuta per ringraziarmi sappi che non ce n’è alcun bisogno” si protesse immediatamente il Warlock.
   “Lo so” controbatté quasi infastidita l’elfa.“a dire il vero credo di essere qui per il tuo stesso motivo”
   “Per fare un bagno?”
   “No. È solo che… io credo che neanche tu sopporta tutto questo…”
   “Tutto questo?” ora gli occhi di Thehorde si spostarono sull’aspirante paladina, chinata sulle rive del lago al fianco del suo demone.
   “Sì. Intendo le cerimonie, i canti. Le parole di conforto e gratitudine. Banqui Piumaria ha speso parole preziose sulla mia persona per averle riportato il cadavere del figlio. Il cadavere, capisci?”
   Thehorde abbassò il capo, fingendo di non ascoltare o non ascoltando affatto.
   “Io non devo essere ringraziata per nulla. Non ho fatto nulla. Ho combattuto al fianco di uno dei più valorosi guerrieri di Thunderbluff e non sono stata capace nemmeno di…” le parole le si strozzarono in gola.“… di salvarlo quando era finalmente il mio momento di agire. Lo riconosco, fu Tanith stesso a ordinarmi di conservare le energie per combattere Magatha. Eppure se non fosse stato per il tuo intervento in questo momento non sarei nemmeno qui a piangermi addosso.
   Ho fallito. Tanith è morto e vengo quasi riverita per questo. Bithah dice che mi hai raccolta da terra e mi hai portata via da quella grotta. Deve essere stato uno spettacolo patetico per te…”
   Thehorde non rispose, uscì dall’acqua e ancora grondante cominciò a rivestirsi. Kriystal rivolse tutto il tempo il suo sguardo al piccolo demone in procinto di addormentarsi sotto le sue amorevoli cure:“Non posso biasimarti per l’opinione che hai di me. Avevi ragione, sono un frutto troppo acerbo per esser staccato dall’albero. Ritengo che avresti dovuto pensare prima a Tanith, poi a me.” Fece per alzarsi, spogliata di tutto il suo onore, quando voltandosi verso il Warlock rosso vide che Egli ora indossava una semplice camicia biancastra sopra braghe marroni e stivali di pelle lunghi fino al ginocchio.
   “Chiedo perdono per averti disturbato…” Kriystal chinò il capo in segno di saluto.
   “A Nakrot sembra aver fatto piacere…” rispose lui con il suo solito tono piatto, una barriera attraverso cui era ancora impossibile leggere alcuna emozione. Si sedette su un masso vicino ad una borsa in cuoio dalla quale estrasse due piccole pietre focaie. Nel piegarsi la bocca si piegò in un brevissimo attimo di dolore. Preso da un attimo di rabbia scagliò nel lago le pietre, impugnò la staffa e accese il fuoco con la magia. Le fiamme presero subito a danzare sotto la brezza leggera della notte.
   “Se lasciassi che io dia un’occhiata alla ferita potrei…” provò l’elfa.
   “Non importa. L’importante è averla pulita, poi il resto verrà da sé”
   “Se per il resto intendi un’infezione!” lo sgridò Kriystal.“se la piantassi di schivare il mondo, io potrei guarirti”. Quando i capelli bagnati di Thehorde oscillarono e i suoi occhi caddero nuovamente su di lei, non poteva credere di avere pronunciato quelle parole. Era come se il volto di Tanith Cornogrigio le si fosse materializzato davanti. “Scusami. Sono proprio una sciocca, non so se ne sarei in grado dopotutto. Ma ti prometto che ti manderò Bithah. Sembra un taglio profondo per guarire naturalmente” senza aggiungere altro  fece per andarsene.
 “Mi piacciono le cicatrici” confessò Thehorde. Kriystal non seppe se era cortesia o un modo gentile per invitarla a liberarlo della sua presenza.“e non credo che tu debba addossartene la colpa”
   “Perché dovrei sentirmi colpevole per le tue cicatrici?” Kriystal riscoprì il tono litigioso riservato all’elfo. Egli la fissò intensamente in volto come se per la prima volta fosse interessato a leggervi qualcosa.
   “Quando sono giunto nell’accampamento dei Nubescura, Tanith Cornogrigio giaceva nella polvere privo di vita. Non potevo farci nulla e a giudicare dalle sue ferite non potevi nemmeno tu. Era già morto nel momento in cui ha scelto di spezzarsi una lama all’interno del suo corpo”
   Kriystal non si aspettava che Thehorde avrebbe affrontato quel discorso con lei:“Forse è vero, però avrei potuto provare a…”
   “Così, priva dell’energia necessaria, saresti morta pochi istanti prima che io arrivassi a soccorrerti. Mentirei se ti dicessi che Tanith Cornogrigio contava realmente sul fatto che tu sconfiggessi Magatha Grimtotem. Ma era un guerriero, un combattente e sapeva il fatto suo. Ha lasciato apposta che tu conservassi le energie affinché avessi la riserva utile a sopravvivere”
   “Non poteva essere certo che saresti arrivato tu…”
   “No, non poteva. Questa è la guerra, principessa. È incertezza. È morte. L’unica energia su cui si possa contare è quella del caos” a quelle parole Nakrot sembrò quasi sentirsi preso in causa:“quel che conta realmente è che il tuo nome non venga dimenticato nella storia avvenire.”
   Kriystal soppeso le parole di Thehorde. Se per la prima volta lui aveva formulato delle frasi prive di offese alla sua persona, lei per la prima volta aveva preso in considerazione la possibilità d’essersi sbagliata sul suo conto. L’arrogante Warlock della cicatrice morta in quel momento non parve meno arrogante. Tuttavia c’era qualcosa nel suo sguardo che era estraneo alla compassione che si respirava sulle alture di Thunderbluff.
Kriystal lo lasciò lì, al calore di un fuoco in compagnia del suo fedele compagno di avventure e delle proprie barriere, quella notte leggermente abbassate per lei.

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Capitolo 23
*** Benvenuti a Booty bay! ***


XXIII


Benvenuti a Booty bay!

 
  
  Il mattino seguente, la partenza procedette come da programma. Carichi dei propri bagagli e di molto cibo offerto generosamente dalle cucine dei Tauren, i sei Sind’orei vennero accompagnati da un numerosissimo corteo. Dai cacciatori ai pescatori del villaggio Bloodhoof, tutti gli esponenti delle diverse tribù affiancarono i loro ospiti fino al confine con le Savane. Onde evitare altri spiacevoli incontri con i clan dei centauri, al sorgere del sole Cairne Bloodhoof aveva mandato in ricognizione un gruppo di soldati capitanati dal figlio Baine e da Thehorde. Kriystal e gli altri li avrebbero trovati ad attenderli all’accampamento Turajo, dove sarebbero stati scortati sino a Ratchet, un piccolo porto confinante con il Durotar.
   Il cammino attraverso il Mulgore fu piacevole e distrasse per qualche tempo Kriystal dai propri tormenti. Nonostante il sangue e le lacrime versate, l’aria che si respirava in quella verde e soleggiante valle le sarebbe certamente mancata. In sella al suo Silbar, affiancata da Soran e preceduta dagli altri, Kriystal si voltò indietro per individuare volti famigliari come Banqui e Jaquira. Non le vide, tuttavia sapeva che si trovavano sicuramente tra quel fiume in piena di creature taurine scese dalle loro alture per omaggiare la loro partenza.
   Il popolo dei Tauren era fatto così, non importava conoscere uno o due dei loro componenti. Essi si ritenevano un popolo omogeneo e indistinto, accomunato e unito dal loro amore per la natura e da un progetto di pacificazione tra i popoli di Azeroth.
   “Non è detto che questo sia un addio” la rincuorò Soran dall’alto del suo stallone infuocato.“se lo scorrere degli eventi è parte del ciclo naturale, come loro stessi predicano, una volta percorso, solitamente un ciclo riconduce al punto di partenza. Non è escluso quindi che un giorno tu possa trovarti nuovamente a passeggiare per queste pianure. Personalmente, a me piace crederci”. Kriystal prese a cuore le parole dell’amico. Tuttavia la battaglia di Altovento le aveva insegnato come fosse fondamentale salutare ogni volta un luogo come se fosse l’ultima occasione di viverlo. In un passeggero attimo di nostalgia si domandò se mai avrebbe rivisto le fontane in marmo e i viottoli della sua città.
   Davanti a loro Bithah  dialogava con Cairne Bloodhoof, il quale si muoveva a piedi come molta della sua gente. Robil restava come al solito in disparte, mentre Vonch scambiava parole con Hamuul Runetotem. L’elfa non si lasciò fuggire la pergamena che l’arcidruido consegnò al Warlock.
   “Ratchet sarà un avamposto dell’Orda?” domandò Soran.
   “Non ne sono sicura. Ma solitamente i porti sono territori contestati, entro i cui confini membri di Orda e Alleanza possono stanziare pacificamente”
   “Pacificamente?” sorrise lui, dandole un’amichevole spinta. Il viaggio proseguì così, finché non raggiunsero il punto d’incontro dove si ricongiunsero con Thehorde. L’accampamento Turajo non era altro che un forte costruito l’ungo l’insenatura che collegava il Mulgore alle Savane. In quanto avamposto di controllo, le poche abitazioni consistevano in alte torrette in legno foderate da stendardi dell’orda e da vessilli delle tribù Tauren confederate al territorio governato dai Bloodhoof. Thehorde si fece trovare all’ombra di una torretta seduto ad un tavolino, dove il principe Baine continuava a riempirgli il boccale di birra. All’arrivo del corteo, il Warlock si alzò e raggiunse Cairne Bloodhoof per fargli rapporto:“Le devo porgere i nostri ringraziamenti. Con l’appoggio di suo figlio e dei vostri soldati, setacciare il percorso delle savane fino all’incrocio per Ratchet è stato semplice. Distribuendo sentinelle ad ogni duecento piedi sarà impossibile non intercettare imboscate dei popoli di Cenarius. Se questo sistema funzionasse saremmo a Ratchet in mezza giornata.”
   “Si tratta di un grande risparmio di tempo” notò felicemente Bithah.
   “Per la delicatezza della vostra missione non c’è certo il tempo di ulteriori distrazioni” rispose saggiamente Cairne.“ogni soldato che incontrerete lungo il cammino vi guiderà fino a quello seguente, così fino a destinazione non sarete lasciati soli”
   “Da un lato mi rattrista non incontrarmi nuovamente con i centauri” se ne uscì Vonch attirando l’attenzione dei presenti.“i profitti non sono certo irrilevanti!”
   “Non devi elaborare espressioni troppo complicate per infastidirci. Ti bastano due o tre parole” controbatté Robil, provocando una risata generale.
   “Grazie al vostro aiuto raggiungeremo Stranglethorn nel pomeriggio. Vi siamo debitori” Thehorde scambiò una forte stretta di mano con il capo Tauren, il quale insistette nel sottolineare come il contributo offerto alla battaglia di Altovento fosse più che sufficiente.
   Kriystal osservò il Warlock e non riuscì a trovare traccia dell’elfo del sangue in costume civile e dai capelli bagnati della notte prima. Quella che ora aveva davanti, era il capitano della compagnia di Silvermoon, adornato dalla sua massiccia armatura rossa con teschi in pietra incastonati negli larghi spallacci e un lucente giustacuore che chiudeva il lungo mantello.
   “Ora fate buon viaggio, giovani Sind’orei” continuò Cairne.“portate a termine la vostra missione e fate ritorno a casa. Se riuscirete a interrompere lo scambio di rune nel sud dei Regni orientali, il vostro contributo apparentemente superfluo potrebbe sventare la minaccia di una guerra. Una guerra che cambierebbe per sempre le sorti del nostro mondo” le parole di Cairne suonarono profetiche. Kriystal guardò la strada di fronte a sé. Il sentiero sterrato si allungava attraverso un afoso paesaggio deformato dal calore e incorniciato da secca erba alta. Un ostico cammino si profilava davanti a loro e lei doveva essere pronta per ciò che li aspettava.
   Lasciarono l’accampamento Turajo poco dopo averlo raggiunto. Come promesso da Cairne non percorsero nemmeno una decina di metri senza essere affiancati da un soldato Tauren. Un semplice soldato può sembrare poco rinforzo, ma dopo avere visto Tanith in combattimento Kriystal aveva buona consapevolezza delle loro capacità. Giunsero al fatidico incrocio dove la strada principale si ramificava in tre diverse vie. Una ad Ovest che portava alle montagne Stonetalon e una a Nord che conduceva ad Ashenvale. La loro direzione Est, laddove se avessero superato il fiume Southfury sarebbero giunti nel Durotar. Ma loro tappa era aldilà della regione degli orchi. Avrebbero aggirato il fiume e sarebbero salpati al largo del Grande mare, attraversandolo sino ad arrivare al continente opposto: i Regni Orientali. Kriystal non poté ignorare l’ironia, stava tornando nel continente da cui era fuggita. Solo che era partita da Nord, dai piccoli sentieri delle Eversong woods abitati da creature incantate, e ora tornava dal polo opposto.
   Imboccarono la loro via e costeggiarono basse colline pietrose, totalmente identiche a tutti gli enormi sassi che avevano fatto da paesaggio per tutto il cammino, mantenendo il passo fino all’aprirsi della panoramica marittima.
   “Il Grande mare” esordì Vonch.“tempo fa lo abbiamo percorso via aerea. Temo che ora non avremo la stessa comodità.”
   “Perché non possiamo prendere lo stesso zeppeling che ci ha condotto qui nel Kalimdor?” domandò Kriystal.
   “Dov’eri quando facevo la stessa domanda al tuo paladino? Comunque, sembrerebbe che nel nostro luogo di destinazione non ci sia una stazione di volo. Un accampamento dell’orda poco distante né e munito, ma perderemmo troppo tempo”.
   “Booty bay è un porto mercantile, l’unico mezzo per raggiungerlo direttamente è via nave” chiarì Soran.
   “Ed è anche l’unico modo per lasciarlo?” chiese l’elfa.
   “Dipende dalla tua destinazione successiva. Nel nostro caso, una volta finita la missione attraverseremo il continente verso Nord a bordo del primo Zeppeling che riusciremo a prendere. Silvermoon comincia a mancarmi”.
   “Siete molto sicuri di voi” si intromise Vonch.
   “Che cosa intendi?” Soran parve, quasi infastidito dall’interpellanza del Warlock biondo.
   “Niente di che. Mi domandavo solo come fate ad esser così certi che verrete accolti con gioia, una volta tornati in patria. Dopotutto avete ignorato l’esplicito ordine di due Signori di Silvermoon di non toccare il portale per il  Lordaeron. Non avete preso in considerazione l’eventualità che magari non sarete visti come gli eroi che vengono a portare la verità nella capitale? Quel intendo dire, è che durante il nostro viaggio abbiamo avuto conferma di un collegamento tra Silvermoon ed una delle più grandi minacce con cui Azeroth abbia mai fatto i conti. Potreste essere presenze alquanto scomode.”
   “Azeroth ha già fatto i conti una volta con Arthas Merethil” controbatté a muso duro Soran.“la tua amichetta Sylvanas lo sa molto bene” spronò le cinghie del suo destriero e precedette Kryistal e Vonch nella cavalcata.
   “Che cosa gli è preso?” domandò basito Vonch.“non era di questo che stavo parlando”
   “Sa bene di cosa stavi parlando” si fece portavoce l’elfa, mentre guardava davanti a sé l’immagine di Soran cavalcare in solitudine.“solo che cerca di convincersi del contrario. Silvermoon deve aver bisogno di noi. è questo quello in cui vuole credere”.
   “E tu che cosa credi?” la domanda che le rivolse Vonch la colse impreparata.
   “Io voglio impedire questa guerra”
   “Ne deduco che tu non voglia più diventare una paladina”
   “Porteremo a termine la missione, torneremo a Silvermoon e consegneremo i responsabili della sua corruzione ad Orgrimmar. Poi, se Silvermoon mi vorrà come sua paladina bene. Altrimenti mi rivolgerò altrove. Azeroth è molto vasta”.
   Vonch sorrise soddisfatto. L’elfa in sella al Zampalesta che cavalcava goffamente al suo fianco non era la stessa che aveva preso in ostaggio di fronte al Fosso della morte:“Se tuo padre non avrà bisogno di una paladina, ti accompagnerò personalmente ad Orgrimmar, dove Thrall acconsentirà ad addestrarti e farti ottenere il titolo di paladino. Sarà un percorso molto lungo, ma potresti trovarti tra i capitani dell’esercito più importante dell’orda. A quel punto io ovviamente sarei già lontano. Non è la vita che fa per me, sai? Io preferisco la mia armatura scheggiata, niente colori uniformi. Inoltre, la missione che mi sono prefissato non andrebbe molto a genio a persone così ammaestrate!”
   Kriystal riuscì a farsi strappare un sorriso. Poi rifletté sul significato delle parole di Vonch. Solo in quel momento  ricordò che per lui non sarebbe terminato nulla una volta concluso il loro viaggio:“Sei ancora intenzionato a cercare quel drago, non è vero?”
  Vonch non rispose immediatamente, né usò l’umorismo di cui faceva un vanto. La lunga coda dorata ondeggiava dietro la nuca a ritmo dei trotti del destriero tipico dei Warlock. Le crepe nella pelle nera dell’animale lasciavano intravedere i carboni ardenti all’interno. “Io e Hamuul Runetotem concordiamo che la bestia non abbia fatto ritorno nel continente del Nord. È stato certamente mandato dal Signore dei Lich per prendere la runa, questo ormai è certo, tuttavia pensiamo si aggiri ancora per i Regni Orientali”
   “Non credi che si noterebbe un enorme drago bianco?” Kriystal non poté trattenere il proprio scetticismo.
   “Facciamo così. Ti mostro una cosa che mi ha consegnato l’arcidruido prima di lasciare Thunderbluff” e si sfilò della cintura il rotolo di pergamena che Kriystal aveva intravisto durante i saluti.“dice di aver commissionato delle ricerche durante il nostro soggiorno nella città. Sai, in onore dei tempi in cui frequentò mio padre e cose del genere. Quello che importa è che la tua teoria del drago bianco che non può passare inosservato non avrebbe alcuna pecca. Eppure, la sorte ha voluto che una creatura simile si aggiri da tempo tra le giungle di Stranghletorn”
   A Kriystal si raggelò il sangue. Avrebbe aiutato volentieri Vonch a vendicare il padre, ma non si era aspettata di trovare un drago feroce nel luogo in cui sarebbero approdati. Srotolò la pergamena che Vonch le aveva passato ed ebbe finalmente una chiara veduta del sud dei Regni orientali. La regione di Stranghletorn vale, dove erano diretti, era un’enorme distesa di giungla e rovine antiche, per lo più abitate da tribù di Troll selvaggi. Con il dito percorse i sentieri segnati e finì con imbattersi nella città portuaria di Booty bay, costruita lungo la costa che delimitava l’estremo Sud del continente. Diede un’altra occhiata generale, finché non notò una traccia d’inchiostro più recente rispetto alle altre. La scritta in lingua comune diceva Pianura del drago.
   “Hamuul l’ha denominata così?”
   “Quei pochi che affermano di aver visto il drago sosterebbero che si nasconda in quell’avvallamento nella giungla. Io ho sentito di draghi che abitano le vette delle montagne, o le caverne più recondite. Quale razza di lucertolone sceglierebbe una pianura?”
   Kriystal ci pensò su ed effettivamente trovò la cosa singolare:“Potrebbe essere ferito. Magari ha scelto il primo posto che gli è capitato a tiro…”
   “Un drago che con ogni probabilità è assoggettato alla maledizione del Flagello?” Vonch inarcò un sopracciglio, sfidandola a dargli torto.
   “Forse hai ragione. Vale la pena controllare” chiuse la pergamena, non ancora totalmente convinta.
   “Non ho intenzione di mandare all’aria la missione per una vendetta personale. E nemmeno è mio desiderio coinvolgervi. Per questo mi recherò nella vallata solo dopo che avremo catturato quel Flaghart. Non c’è alcun bisogno che voi veniate con me.”
   Kriystal gli riconsegnò offesa la pergamena:“Sei un illuso se credi di liberarti di me” e in sella al suo saltellante Silbar, anche lei lo superò.
   Il gruppo costeggiò il mare, fino all’aprirsi finalmente delle piccole abitazioni in legno del piccolo villaggio di Ratchet. Piccoli goblin verdi trasportavano avanti e indietro mercanzie e materiale per aggiustare le imbarcazioni. Thehorde congedò con cordiali parole l’ultimo soldato di Cairne e guidò la compagnia attraverso la via centrale, nonché l’unica, baciata per tutto il tragitto dal blu lucente dell’oceano. Kriystal sapeva che al contrario delle città già visitate Ratchet sarebbe stato solo di passaggio, perciò non ci rimase troppo male quando Thehorde ritirò la cavalcatura e imboccò il molo che portava alle navi. I compagni lo imitarono e così Kriystal, la quale prima di seguirli volle soffermarsi un istante in singolari personaggi che avevano attirato la sua attenzione. Tre uomini in armatura bianca e dai mantelli blu e oro stavano in piedi alle porte di una locanda, intenti in un’accesa conversazione.
   “È la prima volta che vedi un gruppo di Alleati?” gli domandò Bithah, il quale le avvolse immediatamente un braccio attorno alle spalle per invitarla a proseguire.“per me no. Ne ho ucciso anche qualcuno, in circostanze in cui altrimenti lo avrebbero fatto loro. Non restare troppo a fissarli, o penseranno che ce l’abbiamo con loro. L’Alleanza ora dev’essere l’ultimo dei nostri problemi” Kriystal obbedì senza troppa resistenza. La sua era stata semplice curiosità. Prima che Flaghart si rivelasse al soldo del Signore dei lich, Kriystal lo aveva creduto un ufficiale di Sotrmwind. Escluso il mercenario e i suoi uomini, quindi, non poteva dire di aver mai visto un vero soldato dell’Alleanza. Allontanandosi dai tre cavalieri e percorrendo il molo in legno eretto sulle acque del Grande mare, si domandò se in futuro ne avrebbe incontrati molti altri.
   “Ma quanti siete!? Mica faccio viaggiare famiglie di elfi dannati sulla mia nave per pura bontà d’animo, puah!” ad aver dimostrato il suo disprezzo nei confronti della razza dei Sind’orei era un basso ometto dalla pelle chiara, con tonde lenti sopra quel che era rimasto dei suoi buffi capelli viola.
   “Ti pagheremo il dovuto, gnomo. Quest’oggi la tua imbarcazione è l’unica diretta al porto di Booty Bay. Saremo molto grati a te e al tuo equipaggio se ci ospitassi a bordo” la solita diplomazia di Thehorde sembrò portare buoni risultati. Lo gnomo lo scrutò guardingo come se accettasse passeggeri a seconda di quanto reggessero il gioco di sguardi.
   “Quella che chiedo per il passaggio da un continente all’altro è una consistente somma. Non so se sareste in grado di sostenerla”
   “Il denaro non ci manca”
   Lo gnomo esitò ancora un istante, poi mostrò un sottile sorriso dall’aria sinistra:“Molto bene. Per membri dell’orda sono venti ori. Venti ori a cranio, si intende.”
   “Razza di…” sussurrò tra i denti Kriystal. Bithah le prese delicatamente il braccio, invitandola alla cautela. Mentre Thehorde pagava l’usuraio e il gruppo cominciava ad avviarsi all’ormeggio, il paladino le si avvicinò ulteriormente per sussurrarle all’orecchio:“Devo chiederti di fare più attenzione. Soprattutto quando saremo approdati a Booty bay. Per mantenere la tregua tra Orda e Alleanza entro i propri confini, i goblin prevedono gravi condanne per chi prende parte ad un qualsiasi scontro tra fazioni. Esprimendo impulsivamente ogni cosa che ci passa per la testa finiremmo col non portare mai più a termine alcuna missione. Ho la tua parola?”
   Kriystal annuì:“Puoi contare su di me”.
   Bithah le mostrò uno dei suoi sorrisi:“Ne ero certo. Andiamo, prima che il costoso gnomo cambi idea”.
   Mano a mano che si avvicinava alla scaletta, Kriystal si rese conto di non avere mai affrontato realmente un viaggio in mare aperto. Domandandosi se questo le avrebbe creato dei problemi oppure no, cominciò ad arrampicarsi. Il veliero dello gnomo, che intanto aveva detto di chiamarsi Tari, era due volte più grande rispetto allo zeppeling del Lordaeron, dotato di tre alberature vestite di larghe e bianche vele e ricoperto da spesse assi di legno levigato e lucidato a puntino. “Questa è la più veloce nave del Kalimdor, signori. Non avreste davvero trovato servizio migliore per raggiungere i Regni Orientali.
   Gli zeppeling? Sono più quelli che vengono travolti dalle tempeste, che quelli che giungono a destinazione” quando Kriystal poggiò i piedi sul ponte, Tari stava spendendo tutte quelle parole con una coppia di umani vestiti in abiti civili.“esploratori, dite?” continuò Tari:“allora Stranghletorn sarà di vostro gradimento! Rovine, antichi reperti. È sempre stata una meta ambita per molti della vostra professione. Dite di venire dallo Goldshire? Ma è alle porte della capitale! Sapete, io ho visitato le foreste di Elwynn soltanto due volte in vita mia. Sono più un lupo di mare, capite…” Kriystal abbandono volentieri il patetico quadretto per dedicarsi al mezzo che l’avrebbe trasportata da un continente all’altro. Il ponte era immenso e gremito di passeggeri di diverse specie. L’equipaggio era formato per lo più da bizzarri gnomi e da qualche umano. Come al solito, Thehorde aveva fatto presto a volatilizzarsi, nonostante Tari fosse stato chiaro che non voleva “elfi dannati” a spasso per la sua nave. Robil e Bithah erano seduti su due barili poggiati contro il parapetto, dove consumavano le loro riserve di cibo preparate con cura dagli abitanti di Thunderbluff. Soran si era isolato in un angolo, visibilmente scosso da quella confusione di gnomi schiamazzanti e passeggeri felici.
   Vonch, poco distante, consultava attentamente la mappa di Hamuul Runetotem.
   Rimasta momentaneamente sola, Kriystal godette del panorama di Ratchet dall’altezza in cui si trovava. Il villaggio si limitava davvero ad un unico viale, il quale fungeva da condotto per i diversi traffici. Gli abitanti non potevano superare certo il centinaio e la posizione strategica, dietro grandi rocce e di fronte il Grande mare, passava sicuramente inosservato alle creature selvagge delle Savane.
   Gradualmente, l’imbarcazione abbandonò la costa per addentrarsi al largo. Mentre i passeggeri godevano della brezza marina dell’oceano, l’equipaggio urlava ordini da ogni punto della nave.
   Con lo scorrere delle ore kriystal non aveva fatto altro che scrutare l’orizzonte e dialogare in rari momenti con Bithah e Soran, quando venivano a offrirle la loro compagnia. Il viaggio a bordo del vascello le servì a ritagliarsi ulteriore tempo per riflettere sulla propria condizione, sul da farsi e su quello che ormai era già stato irrimediabilmente compiuto. Con amarezza constatò come il Mulgore cominciava a diventare un ricordo sfumato, una tappa tra le tante. Cairne, Baine, Banqui, tutti volti che era certa non avrebbe mai dimenticato, non l’avrebbero mai abbandonata. Eppure, con ogni probabilità non li avrebbe più rivisti per molto tempo.
   Non conosceva nemmeno un quarto del Kalimdor, eppure ciò che aveva vissuto da Orgrimmar a Thousand Needles l’aveva segnata profondamente. L’incontro con Thrall, il sapore ferroso del sangue causato dal colpo infertogli da Magatha Grimtotem. Non tutte le cicatrici erano state rimarginate dagli incantesimi di guarigione, eppure non facevano altro che tornarle in mente le parole del Warlock rosso espresse la notte precedente.
   “L’importante è non essere dimenticati”. Se le avessero domandato se avrebbe dimenticato il Kalimdor, Kriystal avrebbe messo una mano sul fuoco giurando che ciò non sarebbe mai accaduto. Ma se lei sarebbe stata ricordata o meno, questo le lasciò un insidioso dubbio nel cuore.
   Presa da tutti questi tormentati pensieri, senza accorgersi di quanto tempo fosse passato, l’elfa fu destata da urla di meraviglia provenienti dalla parte opposta del ponte. Senza tergiversare si diresse verso l’oggetto di tanta attrazione, nonostante la difficoltà nell’attraversare la folla che si era venuta a creare a ridosso del parapetto. Qualcosa nelle acque cristalline del Grande mare aveva attirato la loro attenzione e Kriystal voleva assolutamente scoprirne la natura.
   “Si tratta certamente di un Goblin” fece uno dei due passeggeri accolti con tanto calore dallo gnomo Tari.
   “Chi lo avrà mai costruito?” domandò un altro passeggero.
   “Ogni volta la solita storia. Tanta solfa per una statua!” sbraitò un orco dell’equipaggio carico di pesanti travi.
   “Goblin. L’ha sempre affermato il sottoscritto: è una razza con manie di grandezza” quando Kriystal sentì l’ironica e familiare voce di Vonch, si precipitò immediatamente al suo fianco, dalla cui posizione sperava di riuscire a intravedere qualcosa.“chi non ha il mal di mare si rivede, rossiccia”.
   “Quello che cos’è?” Kiystal era incredula ancora prima di volgere lo sguardo sul mare. E quando finalmente ci riuscì, lo spettacolo fu all’altezza delle aspettative.
 La nave stava circumnavigando un piccolo isolotto al centro del quale, tra i banchi di nebbia che inesorabili avevano avvolto l’intera zona, si ergeva un’altissima statua raffigurante un imponente goblin dalle braccia aperte in segno di benvenuto. Kriystal aveva visto sculture simili ai cancelli di Silvermoon, in cui erano ritratti i volti dei grandi eroi del popolo Sind’orei. Si domandò se per gli abitanti del luogo in cui stavano per approdare quel monumento rappresentasse un qualche antico e glorioso personaggio o, per dare ragione alle congetture di Vonch, erano solo le manie di grandezza di una razza tirchia e avara. Il vociferare meravigliato delle persone scemò gradualmente man mano che si allontanavano dalla scultura.
   “Dalla nebbia e dal gigante di pietra che abbiamo appena superato, credo che tra pochi minuti dovremmo intravvedere il molo” il Warlock biondo guardava verso prua, laddove Kriystal non sapeva ancora cosa aspettarsi. Finché, alla stessa maniera in cui le coste del Kalimdor si erano dissolte, lentamente presero definizione tra le nebbia altre imbarcazioni simili a quella su cui stavano navigando. I versi di gabbiani che volavano a tondo sulle loro teste annunciavano possibili temporali.
   A seguire, incastonate in grandi promontori verdi, si mostrarono agli occhi dell’elfa le prime singolari strutture abitative che caratterizzavano, l’una costruita su livelli differenti dall’altra, l’intera architettura del posto più trafficato dei continenti Orientali.
   “Signore e signori” Tari si recò al centro del ponte per attirare su sé l’attenzione dei passeggeri. Goffamente si prestò ad un inchino che voleva certamente risultare formale.“benvenuti a Booty bay!”

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Capitolo 24
*** L'inizio della fine ***


XXIV

 L’inizio della fine


 
 
   Ancora prima di mettere piede sul cigolante pontile, già affollato di marinai e mercanti, Kriystal fu travolta dall’aria gonfia di odori che aleggiava per la laguna.
   Radunata la compagnia di Sind’orei, Thehorde li guidò nel cuore della città costruita a ridosso della costa Sud dei Regni orientali, incastonata nei verdi colli costieri punteggiati da grandi palme, dietro i quali si estendevano le fitte giungle di Stranglethorn Vale.
   Le occhiatacce da parte dei padroni di casa giunsero puntuali. Tuttavia, il movimento e la vita della città portuale sollevarono lo spirito dell’elfa, distraendola dai propri torpori e calandola alla perfezione nella missione che, dal momento in cui erano scesi dalla nave del dispotico Tari, aveva ufficialmente preso il via.
   “Il primo luogo in cui andremo è la locanda della città” disse Thehorde con un tono che lo decretò formalmente a capo del gruppo.
   “Oh, che tu per una volta sia lodato vecchio mio!” esordì Vonch alle sue spalle.“avevo proprio voglia di mandar giù qualcosa di decente. Dopo il cibo di Cairne, per mare ho bevuto solo vino diluito con acqua salata e ingurgitato quegli strani molluschi pescati dai marinai. Disgustosi…”.
   “Andremo in quella locanda solo per…” provò il Warlock rosso.
   “Solo per chiedere informazioni sui tipi loschi che stiamo cercando. Lo so, lo so…”
   Percorrendo il molo inferiore, Kriystal notò la sfumatura di razze che incrociavano il loro cammino. Orchi, troll, gnomi e goblin, uno dall’aria più sinistra dell’altro. Booty bay era chiaramente un posto in cui nessuno avrebbe mai potuto abitare stabilmente, esclusi i nativi. Il mare alla loro destra era avvolto nella nebbia che li aveva accolti e l’isolotto con la scultura gigante in cui si erano imbattuti ne era stato totalmente assorbito.
Presa dalle sue considerazioni sulla città costiera, Kriystal non si era accorta che i compagni di fronte a lei si erano fermati di fronte ad una catapecchia mezza scoperchiata, come molte di quelle circostanti, fuori dalla quale un goblin dalla barba grigia, un grosso anello al naso e un volto perennemente imbronciato, aveva smesso di martellare una spada lunga sull’incudine per rispondere alle domande in lingua comune di Bithah.
   “Nah! Niente attacchi ai villaggi della valle, oggi. Se ne vedono spesso, sapete? La gente come voi viene in questa città per fare i loro affari e poi esce dal piano superiore e se ne va a depredare e saccheggiare i villaggi confinanti con le giungle. Non sono le pantere che mi spaventano, nossignore! Ho passato tutta la mia vita in queste terre e vi dico che la razza peggiore … sono i pirati. Puah!
   Bithah guardò con amarezza lo sputo del goblin andato a finire sulla punta del suo stivale. Kriystal ricordava alla perfezione la promessa fatta al paladino riguardo al mantenere il controllo entro i confini della città, e sapeva che lui sarebbe stato il primo a non infrangerla. Sospirando, Bithah si sistemò saldamente l’elmo sotto braccio:“noi non siamo pirati, signore”.
  Il fabbro sbuffò:“A no? Se c’è qualcuno di cui mi fido meno dei pirati, sono coloro che dicono di non esserlo. E comunque vi ho detto quel che volevate. Ora sloggiate, gli abitanti di questo porto lavorano. Sapete cosa vuol dire? Non vanno in giro a cercare villaggi disponibili al saccheggio. Via, Via!” e alzò il martello per farsi capire meglio. Ma il gruppo non perse altro tempo e si allontanarono. Abbandonando l’irascibile ometto, Kriystal si avvicinò al paladino:“Non sarà facile colloquiare con gli abitanti del luogo, vero?”.
   “Vero. E i viaggiatori ne sapranno almeno quanto noi…” Bithah sembrò scoraggiato, tuttavia le sorrise, riuscendo ad esprimere più ottimismo di quanto ne possedesse in realtà.
   “Eccoci arrivati. Ogni avventuriero, mercante o ladro che sia, una volta sbarcato non vede l’ora di recarsi nella locanda del luogo” dicendo ladro, Thehorde guardò Vonch, il quale lo ignorò e si diresse per primo verso l’edificio di fronte a loro. La locanda era costruita su tre piani dislocati tra loro, come se edificati in fretta e furia, con scale esterne in legno dai gradini irregolari e una bizzarra terrazza ricavata dalla prua di una nave, colma di bevitori abituali sempre sul punto di piombare a picco nell’oceano. Il frastuono era invivibile anche dall’esterno.
   Thehorde si rivolse a Robil:“Ci divideremo. Io e Bithah entriamo dall’ingresso principale. Tu e il giovane Warlock raggiungete il retro dell’edificio, nel caso qualcuno decida di scappare” poi si voltò verso Kriystal.“tu resta fuori dai guai, come il tuo amico là dentro” Kriystal sentì il dovere di difendere sé stessa e Vonch, ma decise di trattenersi per non rovinare quello straccio di dialogo che lei e il Warlock rosso si erano riservati la notte precedente. Robil e Soran si divisero dal gruppo, come richiesto da Thehorde. Prima che quest’ultimo e Bithah entrassero nel locale, il paladino si rivolse a bassa voce all’elfa:“Ormai conosci Thehorde. Ma per questa volta dagli retta, non fare qualche pazzia con l’intenzione di dimostrargli qualcosa…”
   “Io non devo dimostrare nulla a nessuno” rispose lei determinata.
   “Proprio quello che volevo sentire” sorrise lui.“le leggi sulla tregua valgono per noi come per chiunque altro, quindi dovresti essere al sicuro.
   Dubitando che dalla visita al locale ne ricaveremo alcunché, ne deduco che saremo fuori in un batter d’occhio. Rimani nei dintorni e stai all’erta”.
   Guardando Bithah e Thehorde avviarsi verso l’ingresso della locanda, Kriystal si sentì una sciocca. Era stata lasciata fuori dall’azione, come se la sua presenza avesse potuto significare il fallimento della missione.
   Abbandonata lì per la strada, Kriystal volse lo sguardo alle passerelle sopra la propria testa. Il fabbro aveva parlato di un livello superiore, laddove probabilmente si trovava lo sbocco che collegava la città a Stranglethorn Vale. Trattenendosi con tenacia dal non andare a esplorare gli altri angoli della baia, Kriystal si appoggiò ad una ombrosa parete laterale della locanda, al fianco di una piccola porticina in legno, da cui proveniva un invitante profumo di carne e voci sovrapposte fra loro. Quando di colpo la porta si aprì, ne uscì un umano alto, dalle larghe spalle e pochi capelli dietro la testa. Dalla sorpresa Kriystal sobbalzò di qualche passo, mentre l’umano parve averla ignorata e continuava la propria mansione, che consisteva nel ammucchiare sul pontile casse contenenti avanzi di pesce. Dopo aver sistemato l’ultima cassa sulla pila, si erse in tutta la propria statura e posò il suo sguardo su Kriystal:“Cos’abbiamo qui? un’elfa del sangue, in solitudine, sulla porta della mia cucina. Non può che trattarsi di una bella sbronza prima del tramonto. È così?”
   Sul momento Kriystal non seppe che cosa rispondere. Era la prima volta che un uomo le rivolgeva la parola, tuttavia l’estraneo non sembrava avere cattive intenzioni.
   “Il tuo silenzio mi da ragione. Ebbene, lascia che ti dia qualcosa da metter sotto ai denti” prima che Kriystal potesse controbattere in qualunque maniera, l’uomo scomparve e riapparve dall’uscio da cui era spuntato. Nella massiccia mano destra le porgeva una pagnotta di considerevole dimensione. “Non è molto, ma dovrebbe aiutarti a riprendere un po’ di lucidità”.
   Kriystal gradì l’offerta e fece per portare le mani al proprio borsello. L’uomo scosse una mano per fermarla:“no, no! Il tuo è il volto di una che si trova qui per la prima volta. Certo è mirabile che tu sia riuscita a ubriacarti senza entrare, ma qui alla taverna del Mordace marinaio vigila una regola: il primo boccone lo offre la casa” tra i duri lineamenti di un uomo grezzo e abituato ad un basso tenore di vita, si fece largo l’ombra di un cordiale sorriso.
   Kriystal prese la pagnotta e l’addentò sul momento.
   “Ecco, brava. Ora dovresti sentirti meglio. Non c’è nulla di più saziante del famoso pane di Kelsey Yance, che poi sarei io. Se ti va, passando dalla porta principale, il menu prevede tanti altri piatti che ho ideato personalmente.
   Kriystal era quasi tentata, ma ricordava quel che aveva promesso:“Non posso. Sono solo di passaggio”
   “Tutti lo sono, a Booty bay!” l’uomo le sorrise nuovamente e fece per tornare in cucina.
   “Aspetta un momento!” Kriystal prese l’occasione al balzo. Dopotutto non era entrata nel locale e non si sarebbe comunque cacciata nei guai. Voleva fare anche lei la sua parte, chiedendo qualche semplice informazione:“sto cercando un uomo. Forse un gruppo di uomini, capitanati da un ufficiale dai capelli lunghi e una vistosa cicatrice sul viso. Sai forse dirmi se li hai incontrati?”
   L’uomo rimase sulla soglia della porta e guardò in aria, pensieroso:“Sai, qui passano un mucchio di persone e da qui dietro io ne vedo circa la metà”.
   Kriystal annuì, un po’ delusa.
   “Però, ora che mi ci fai pensare …” riprese il cuoco:“ieri è accaduto un fatto singolare”
   Kriystal mandò giù in fretta un pezzo di pane:“Cos’è successo?”
   L’uomo appoggiò la schiena al capostipite della porta e incrociò le braccia sul grembiule macchiato di sangue e grasso:“Non saprei nemmeno come descriverlo. È stato tutto molto veloce, hai presente? il tempo sembrava essersi fermato per pochi minuti. Sono entrato in sala anch’io, poiché il gelo aveva raggiunto la cucina, spegnendo il focolare su cui facevo cuocere il cinghiale.”
   “Cos’ha causato quel gelo?” incalzò Kriystal.
   “Non so, forse è stata solo una soggezione momentanea. Certo è che in quel momento era entrato uno strano individuo, tanto incappucciato da non mostrare un solo straccio di carne. Si è fermato ad un tavolo di soldati dell’Alleanza e poi se n’è andato, così com’era arrivato. Non so come spiegarlo. È come se con sé si portasse dietro il peso dell’inverno”
O della morte. Fu una sinistra voce interiore a suggerire a Kriystal questo pensiero:“Lo descrivereste come un umano?”
   “Poteva essere qualsiasi cosa. Ma un umano? No. Non c’era niente di umano in quella creatura.” Il ghigno dell’omone sembrò deformarsi in una smorfia di disgusto al ricordo dell’accaduto.
   “I soldati. Sembravano avere qualcosa a che fare con quell’essere?”
   “Misericordia, eccome. Chiariamoci, qui a Booty bay siamo abituati a scambi di ogni tipo. Perciò non è insolito vedere due persone intraprendere affari di natura misteriosa. Ma c’era un uomo…” si fermò un istante, come per raffigurarsi accuratamente nella testa ciò che stava raccontando:“un uomo che, anche se l’ho visto solo di spalle, potrebbe corrispondere alla tua descrizione. Aveva l’aria di comando e vestiva l’armatura da soldato di Stormwind con tanta credibilità come la indosserei io”
   “Dove sono andati? Li ha rivisti?”
   Kelsey Yance scosse la testa:“Poco dopo sono stati raggiunti da due Elfi della notte. Calderoni, o come diavolo si fanno chiamare. Quando sono tornato la seconda volta in sala gli uomini erano già spariti”.
   Kriystal non si arrese:“e i Kald’orei? Anche loro potrebbero avere lasciato la città?”
   “Al contrario! Quei due hanno affittato una camera. In questo momento dovrebbero trovarsi ancora all’interno del Mordace marinaio”.
   Kriystal sgranò gli occhi. Non aveva altro tempo da perdere: doveva avvisare Bithah e Thehorde e procedere con l’arresto dei due Elfi della notte. Ringraziando rapidamente il cuoco per le informazioni e il pasto offerto, l’elfa si recò nuovamente di fronte alla facciata della locanda. Facendo per addentrarsi all’interno del locale, una risata raggelante la immobilizzò sul posto. Alzando lo sguardo scorse sulla terrazza a forma di prua ciò che stava cercando. I due Kald’orei erano lì sopra, poggiati al parapetto e coinvolti in un’accesa conversazione che sembrava divertirli. Kriystal si appiattì automaticamente alla parete sottostante, spiandoli attraverso un’asse del pavimento mancante. A quel punto, forse non ci sarebbe stato il tempo di avvisare gli altri. Era giunto il momento di prendere l’iniziativa.
 
   “Glielo ripeto, da come descrive l’uomo che cerca, potrebbe trattarsi di almeno metà dei presenti!” si lamentò la bassa goblin mentre asciugava nervosamente e malamente piatti e boccali incrostati.
   “Ne è sicura? Quanti soldati dell’alleanza potranno mai aver messo piede in questo posto negli ultimi due giorni?” Thehorde si trattenne dallo sbattere un pugno sul bancone.“andiamo, si concentri. Prima ha detto di quel tipo raggelante che è ieri è entrato in questa sala. Non sa dirmi se coloro con cui ha trattato fossero soldati o meno?”
   “Le ho detto che non me lo ricordo. Ma insomma, che vuole? Il tempo in questa città scorre tranquillo perché ognuno si fa i fatti propri, senza cercare rogne. Andate dal barone Revilgaz, se avete bisogno di informazioni in veste ufficiale. Lui è l’unico che può parlare senza rischiare la galera.
   Noi altri, qui, facciamo il nostro meglio per lavorare tranquilli. Ora, se volete, vi servo un buon boccale di birra e altro da mangiare. Altrimenti, andate a da un’altra parte a importunare le persone!”.
   Bithah prese Thehorde per un braccio, invitandolo alla calma. Allontanandosi dal bancone gli parlò piano:“Tu che cosa ne pensi? Parlo dell’individuo alto e incappucciato che ha destato tanta curiosità tra gente che da stupirsi a mio parere ha ben poco”
   “Un Cavaliere della morte, senza alcuna ombra di dubbio” Thehorde si fece improvvisamente cupo.“se a quei demoni è già permesso di aggirarsi per i Regni orientali, mi domando se non siamo arrivati troppo tardi”.
   “Io ho buone novelle, compagni!” Vonch si era fatto strada tra le tavolate con in mano un boccale mezzo pieno. “o forse non così tanto buone, ma almeno qualcuno ha parlato!”
   “Muoviti” ringhiò Thehorde.
   Vonch sostenne lo sguardo, tenendolo sulle spine, poi riprese:“e va bene. L’uomo con la cicatrice sul labbro superiore è stato avvistato lasciare la baia attraverso il tunnel”
   “Il tunnel?” domandò Bithah.
   “Il tunnel che collega la città a Stranglethorn” rispose Thehorde:“ti hanno detto quand’è successo?”
   “In mattinata. Se il loro obiettivo fosse davvero l’accampamento Grom’gol, ci conviene muoverci”.
 
   Per quanto ci provasse, Kriystal non riusciva a captare nulla dal discorso dei due Kald’orei. Doveva avvicinarsi ulteriormente. Si guardò attorno per capire se c’era qualcuno che osservava la follia che stava per compiere. Accertatasi di un momento in cui non c’era nessuno nei paraggi, cominciò ad arrampicarsi lungo la fiancata della locanda, cercando appoggi prima su una piramide di casse, poi sui davanzali delle finestre e i cardini in legno della struttura. Rischiando una o due volte d’esser vista dall’interno o di scivolare e spezzarsi il collo sul pontile, arrivò finalmente ad aggrapparsi all’ancora che pendeva dalla terrazza. Tenendosi saldamente, si accorse con sommo dispiacere che i due dialogavano in lingua darnassiana, estraniandola così da ogni interpretazione.
   Dopo pochi istanti in cui Kriystal era restata in ascolto, una terza voce femminile si era aggiunta al duo. L’accento era sempre darnassiano, ma il nuovo Elfo della notte sopraggiunto sul luogo si sforzava di parlare in lingua comune:“Il soldato Mahone mi ha appena riferito che è giunto il tempo di recarci nel posto prestabilito. Ci raduneremo lì in attesa di ulteriori direttive”.
   “Prima parliamo di soldi” il tono di uno dei due Kald’orei che prima parlavano fra loro si accese.“data la delicatezza del compito, crediamo si debba prendere in considerazione un aumento”.
   “Parleremo di questo con il comandante” questa volta a rispondere era chiaramente un umano. La pronuncia in lingua comune era perfetta, ma sfumata da quel che sembrava terrore. Kriystal si arrampicò lungo l’ancora, cercando di cogliere più informazioni possibili. Ciò che riuscì a vedere erano i due elfi di spalle, dai lunghi capelli blu e i vestiti in logora pelle, la femmina Kald’orei e l’umano, avvolto da una cappa grigia che copriva tutto il corpo.
   “Vede, Mahone…” fece il secondo Elfo della notte.“forse una piccola garanzia ci incoraggerebbe a seguirvi più volentieri, non credete?”
   Il soldato Mahone era un uomo esile, chiaramente indispettito e impaurito dalle creature con cui aveva a che fare. Senza opporsi, alzò la cappa e si slacciò dalla cinta un borsellino che porse all’elfa al suo fianco. Quel fulmineo movimento fu sufficiente affinché Kriystal cogliesse l’armatura argentata sotto la cappa grigia del soldato. Era un uomo di Flaghart.
   “Non mettetemi nei guai, ve ne prego. Avete dato la vostra parola al comandante. Ritirarvi ora metterebbe a rischio l’intera…”
   “Non vi agitate, Mahone…” il Kald’orei che aveva protestato gli pose amichevolmente una mano sulla spalla.“ti seguiremo senza opporci. Abbiamo tutti da guadagnarci qualcosa da questa storia, dopotutto..”
   Il tempo stava scadendo. Il gruppo era sul punto di abbandonare la terrazza. Presa dal panico di perdere l’occasione, Kriystal reagì quasi d’istinto
   Aggrappandosi al parapetto, sopraggiunse con un salto sul ponte, uscendo allo scoperto alle spalle del soldato Mahone. Prima ancora che venisse notata la sua presenza, aveva già estratto il pugnale dal fodero e lo aveva premuto contro la schiena dell’umano. “Non fate un altro passo” intimò, con il cuore in gola:“non-muovetevi!”.
   I tre Kald’orei rimasero inizialmente sorpresi dalla comparsa dell’elfa. Si scambiarono alcuni sguardi indecifrabili, poi si rivolsero a lei con maligni sorrisi sui violacei visi:“Come dicevo, abbiamo tutti da guadagnarci da questa storia. Anche tu, chiunque tu sia. Ignoro come ti sia saltata in mente la folle idea di intervenire, sola, contro quattro soggetti armati in una città vigilata dai goblin. Se qualcuno di noi ora facesse un solo fischio all’interno della locanda, nel giro di poco tempo ti ritroveresti senza alcun indumento che valga la pena d’esser venduto a marcire in un’umida galera. Questo senza che nessun’altro sfoderi le proprie armi”.
   “Se voi attirerete le guardie goblin su questa terrazza a me basterà un solo fischio perché voi ritardiate sulla vostra tabella di marcia. Cosa accadrebbe se non vi presentaste allo scambio di rune?”
   Quando Kriystal pronunciò rune, tutti i presenti cambiarono espressione. Mahone deglutì rumorosamente:“Ti prego, non mi uccidere!” Kriystal provò quasi pena per quel poveretto, ma minacciare con la lama gli altri tre sarebbe stato troppo pericoloso.
   “Molto bene” prese la parola la Kald’orei femmina. Portava lunghi capelli verdi e circolari tatuaggi sul volto.“ma cosa ti farebbe credere che la vita del tuo ostaggio ci impedisca di lasciare questa locanda, in questo preciso istante?”
   “Ha ragione” intervenne il primo.“per quale motivo dovrebbe starci a cuore la vita di quell’umano? ci penserebbero i suoi simili ad aprirgli la gola, se solo potessero guadagnarci qualche argento…”
   Kriystal soppesò le parole dei tre Elfi della notte, i quali nel frattempo l’avevano circondata. Salvaguardandosi da ogni possibilità di attacco, continuava a tirare con una mano il cappuccio del soldato Mahone, e con l’altra teneva ben saldo il pugnale contro la sua schiena.
   “I miei compagni sono nella locanda…” prese altro tempo Kriystal.“non mancherà molto perché notino la mia assenza e si rechino qui sù”.
   “Chissà…”  La Kald’orei femmina avanzò verso Kriystal come un felino che gioca con la preda.“forse anche i tuoi compagni non hanno tanto a cuore la tua di vita…”
   Kriystal non si lasciò ingannare:“Non si parla della mia vita. Si tratta di fermare il vostro folle progetto e di consegnarvi all’autorità di Orgrimmar!” Il tono di voce tradì per un istante la sicurezza che cercava di mostrare.
   Uno dei due Kald’orei maschi tuonò una raggelante risata:“Passare il resto della mia vita a seccarmi al sole di una fossa piena di orchi e pulci? No, grazie”
   “Non passeresti la tua vita a Ogrimmar” puntualizzò Kriystal, tenendo stretto Mahone e il coraggio che minacciava di fuggirle da un momento all’altro.“Verrete accusati di avere complottato ai danni dei popoli di Azeroth. Condannati da Orda e Alleanza, verrete abbandonati a voi stessi e giustiziati pubblicamente nel giro di un paio di giorni”.
    Il sorriso del Kald’orei si spense improvvisamente:“Ebbene. Questo non possiamo proprio permettertelo!” Fece un passo avanti verso l’elfa, e quel che accadde in seguito si svolse nell’arco di pochi istanti. L’elfo della notte estrasse un’ascia corta e la lanciò in direzione di Kriystal, la quale dovette farsi scudo con il corpo di Mahone. Quando la lama lacerò l’armatura del soldato all’altezza della spalla destra, Egli si lasciò andare a grida di dolore. Kriystal non poté fare altro che lasciarlo accasciare a terra. Mentre estraeva la spada per affrontare i tre nemici, si accorse troppo tardi che solo due di essi erano sotto la sua visuale. Il secondo Kald’orei che era fuggito alla sua attenzione si trovava già alla sua destra. Kriystal volse lo sguardo al nemico e fece in tempo a cogliere la lama che, troppo veloce, cadeva su di lei.
   Finiva così, sulla terrazza di una locanda di porto, uccisa da tre mercenari. Terminava tutto nel disonore, colpita alle spalle dall’ultimo dei vigliacchi. Sarebbe certamente finita così, miserabilmente, se il sonante cozzare di due lame non destò Kriystal dalla sua tragica resa. Si voltò e vide Bithah, in piedi al suo fianco, e la spessa lama del suo spadone incrociata con quella del nemico. La sua comparsa attirò parecchi curiosi dall’interno della locanda.
   “Tu non puoi…” sibilò il Kald’orei, preso alla sprovvista e pressato dalla forza del paladino.“…la tregua!”
   Bithah incrementò la pressione sulla sua arma, costringendo l’elfo della notte a piegarsi al suo volere. Accompagnato da quello che risuonò come un ruggito, Bithah respinse l’avversario, slanciandosi improvvisamente all’indietro per garantirsi libertà d’azione.
   Con la coda dell’occhio, Kriystal vide gli altri due Elfi della notte sparire tra la folla. Decise di non seguirli, preoccupata per le sorti dell’amico giunto a salvarla.
   Bithah continuava a fronteggiare il Kald’orei, il quale mostrava la piena consapevolezza d’essere in svantaggio. La mole del paladino infatti non era paragonabile all’esile massa del mercenario. Tuttavia un’espressione folle si dipinse sul suo volto di quest’ultimo, poco prima di scatenarsi contro il Sind’orei abbattendo una serie di falciate dall’alto. Bithah le parò tutte senza problemi. Ad ogni impatto tra le due lame, il mormorio della folla aumentava. Qualche goblin stava già chiamando le guardie.
   La strategia di Bithah era chiaramente basata sullo sfinimento. Il Kald’orei infatti non dava un attimo di respiro al paladino, continuando ad attanagliarlo a colpi di spada.
   Improvvisamente, Bithah si scansò di lato anziché parare il colpo e la lama del nemico andò a conficcarsi in profondità nel legno del parapetto. I pochi istanti che servirono al Kald’orei per liberare la propria arma, bastarono al paladino per reagire. Con un secco colpo tranciò di netto il braccio sinistro del nemico. Fiotti di sangue inondarono la terrazza. L’elfo della notte non ebbe nemmeno il tempo di emettere un grido, poiché estratta la lama corta dal legno, con un secco fendente alla gola Bithah lo mise a tacere per sempre. L’elfo della notte esalò gli ultimi affannosi respiri ai piedi dal paladino.
   Quando Egli si voltò verso Kriystal, l’elfa stentò a riconoscerlo. Il viso sempre pulito, ora era chiazzato del sangue nemico, i denti ancora digrignati per l’ira. Si risistemò lo spadone dietro la schiena e poi si diresse a passi svelti verso di lei, afferrandola per le spalle:“Ora devi andare!” gli disse il paladino. Parlava rapidamente, come il tempo stesse sfuggendo dalle loro mani. Kriystal era confusa, si guardò intorno e si accorse solo ora della terrazza gremita di persone. Tra loro, Vonch e Soran si stavano avvicinando.
   “Gli altri due elfi sono scappati…” disse lei.“forse siamo ancora in tempo per raggiungerli!”
  “Hanno approfittato della confusione per fuggire. Adesso ascoltami!” insistette Bithah, concentrando tutto il suo sguardo su Kriystal, affinché lei ascoltasse le sue parole.“Stanno venendo a prendermi, Kriystal.Ora tu, Vonch e Soran raggiungerete Robil e Thehorde…”
   “Ma che dici?” Kriystal era incredula. La stretta di Bithah era forte, e lei aveva voglia di mettersi a piangere.“verrai anche tu..!”
“Ti ho detto di ascoltarmi, Kriystal!” la scosse. “necessito di tutto il tuo coraggio e della tua attenzione! Per prima cosa un paladino porta a termine la propria missione, indipendentemente da chi rimane indietro… capito?”
   “Parleremo con le guardie, spiegheremo loro l’accaduto e…” insistette lei inutilmente.
   “Non c’è tempo! Non capisci!? Ho infranto la legge di questa città. Hanno già chiamato le guardie e sarebbe un sacrificio inutile se prendessero entrambi. Vattene di qui, fuori Booty bay Thehorde e Robil vi stanno aspettando.
   “E poi?” domandò, improvvisamente colta da un’ondata di terrore.“tu cosa farai!?”
   Bithah ammorbidì l’espressione, donandole un sorriso che le fermò il cuore. In quel momento giunsero sul posto le prime guardie. Cinque goblin in armatura circondarono il paladino con lunghe alabarde. Altri due gli si gettarono alle gambe per costringerlo a inginocchiarsi.
   “NO!” Kriystal strinse la spada, ma qualcuno le afferrò le braccia da dietro.
   “Hai sentito” era Soran a parlarle all’orecchio.“è ora di andare”.
   Kriystal si dimenò convulsamente per liberarsi dalla presa dell’amico. Ma quando alla resistenza si aggiunse anche Vonch, non ci fu più nulla da fare.
   “Sparite di qui!” ordinò loro Bithah, mentre altre guardie gli si buttavano addosso per riuscire nell’intento di metterlo in ginocchio.“raccontate a Thehorde quanto è accaduto. Lui saprà cosa fare! Andate!” le parole di Bithah si fecero sempre più lontane, mentre Vonch e Robil costringevano Kriystal ad arretrare attraverso la folla di spettatori. Da lontano, la figura di Bithah pareva ora una montagna di piccoli goblin ammassati l’uno su l’altro.
   Kriystal continuava a gridare il suo nome, ma lui sembrava non udire più la sua voce. Quando ormai il paladino sparì del tutto dalla loro visuale, scoppiò definitivamente in lacrime.
   “È tutta colpa mia!” si rimproverò, mentre Vonch la tirava con la forza giù dalle scale e Soran li guidava.“che cos’ho fatto?”

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Capitolo 25
*** Nessuno resta impunito ***


xxv

Nessuno resta impunito

 



Durante l’affannata corsa lungo le passerelle di Booty bay, Soran dovette sostenere Kriystal per impedire ogni suo tentativo di ritorno alla locanda. Dal canto suo l’elfa non riusciva a ragionare lucidamente.

“Dov’è quel dannato tunnel?” domandò Soran.

“Dobbiamo raggiungere la banchina sopra le nostre teste!” rispose Vonch, imboccando una rampa in salita. Booty bay era un labirinto strutturato su diversi livelli. Sembrava di percorrere sempre la stessa via lungo mare, ma ad altezze diverse.

“Dove lo porteranno?” domandò Kriystal ad un imprecisato interlocutore.

“Il barone Revilgaz risiede all’ultimo piano della taverna. È il signore della città e non sarà certamente passato molto tempo prima che si sia accorto dell’accaduto. Non ci resta che fare come ci ha detto Bithah. Avviseremo Thehorde e lasceremo che se ne occupi lui mentre noi porteremo a termine la missione…” dicendo questo Soran continuava a strattonarla per seguirlo.

A breve giunsero finalmente a una spaziosa apertura nella parete rocciosa. L’arco era stato ricavato dal gigantesco scalpo di uno squalo bianco. L’affilato apparato di denti aguzzi fungeva da evidente avviso per coloro che avessero avuto il coraggio e lo sprovveduto spirito d’avventura per addentrarsi nelle giungle al di fuori della città. Sicuramente un ottimo ed efficiente incentivo per tenere i visitatori ben stretti agli affari di Booty bay.

Prima ancora che potesse volgere un ultimo sguardo alle sue spalle, Kristal si trovò immersa nella semioscurità dell’entroterra. Il tunnel di collegamento tra la città dei goblin e le giungle di Stranglethorn era illuminato da poche torce affisse alle pareti rocciose. La luce che gradualmente li condusse nel nuovo e ostile paesaggio finì quasi con l’accecarla. Quando riuscì finalmente a riadattare la vista, la prima cosa a cui riuscì a dare forma fu il sentiero lungo il quale si trovavano, che a un certo punto si apriva in un bivio. Una delle due vie scompariva nella fitta vegetazione dalla quale si trovavano circondati, mentre l'altra sembrava andare in direzione del mare.

“Mettiamo subito le cose in chiaro” esordì Vonch.“qualcuno tra i presenti ha stretto amicizia con qualche Troll selvaggio nel corso della propria vita? Perché ora avrebbe fatto molto comodo”.

“Non servirà che andiate là dentro” quando Kriystal riconobbe la voce di Thehorde le raggelò il sangue nelle vene. Il Warlock rosso e Robil erano spuntati da un insieme di grovigli di piante selvatiche, dopo avere probabilmente passato il tempo in ricognizione. Mordendosi un labbro si interrogò su come spiegare gli avventimenti di Booty Bay.

Inizialmente Thehorde restò in silenzio, attendendo che qualcuno si pronunciasse, poi domandò:“Dov’è?” come se in realtà conoscesse già la risposta.“Dove-è-Bithah?”

Fu Soran a farsi avanti. Kriystal non ne ebbe l’immediato coraggio:“Lo hanno preso, Thehorde. Le guardie del barone lo hanno arrestato. Ci ha ordinato di rivolgerci a te per rimediare…”

“Rimediare a che cosa?” il modo in cui Thehorde cercava di restare calmo garantì il silenzio generale.

“Te l’ho appena riferito” rispose Soran, anch’Egli visibilmente in difficoltà.“… hanno preso Bithah. Ha bisogno che tu vada a…”

Rimediare a che cosa!?” infuriò di botto il Warlock rosso.“che cosa è successo?”

Fu solo allora che Kriystal prese la parola:“Bithah ha bisogno di te per rimediare ad un mio errore. È arrivato in mio soccorso, uccidendo uno dei tre Elfi della notte che Io avevo tentato di catturare da sola, contro il tuo preciso ordine di restare fuori dai…”

“…fuori dai guai” concluse la suo posto Thehorde, con lo sguardo abbassato sul terriccio del sentiero che gli consentì un'illeggibile espressione amareggiata.

“Possiamo tornare indietro!” incalzò Kriystal.“imploreremo per la sua scarcerazione e spiegheremo nei dettagli come si sono svolti gli eventi, noi potremmo…”

In quel momento, la reazione di Thehorde provocò subbuglio in tutto il gruppo. Il Warlock scattò in avanti in direzione dell’elfa e l’afferrò con foga per il colletto dell’armatura:“Una cosa che ti deve entrare in testa, principessa, è che non esiste alcun noi, non è mai esistito e mai esisterà” sussurrò queste parole tra i denti, naso a naso con l’aspirante paladina, la quale si ritrovò inerme di fronte alla rabbia del compagno.“Tu hai creato abbastanza problemi per oggi”, la lasciò andare e si rivolse a Robil.“Guidali all’accampamento Grom’gol. Potrebbe essere già troppo tardi, dobbiamo muoverci in fretta”. Robil annuì senza indugi. In quel momento Kriystal ebbe chiara la differenza tra lei e l’assassino. La gerarchia all’interno del gruppo, la strategia alla base di una missione. Provocando l’arresto di Bithah aveva messo a rischio l’intera compagnia e combinato un vero disastro. Poteva quasi riconoscere il ghigno di Chidril nell’espressione disgustata di Thehorde.

Quando il Warlock rosso scomparve dentro al tunnel dal quale erano appena usciti, Kriystal fu quasi tentata di seguirlo, anche se ciò avrebbe significato infrangere nuovamente un suo ordine.

Vonch intuì le sue intuizioni e l’afferrò per un braccio:“Forse è meglio andare. Coraggio.”

Un po’ stordita, Kriystal si aggregò al gruppo costituito ora da Robil, Vonch e Soran, i quali evocarono le rispettive cavalcature e presero a percorrere il sentiero che attraversava la sinistra giungla di Stranglethorn.

“Mantenendo la via principale saremo al sicuro?” domandò dopo poco tempo Soran.

“Le pantere selvagge tendono a restare fuori dai sentieri principali” rispose Robil.“Nel peggiore dei casi potremmo finire prigionieri di qualche tribù di Troll cannibali, ma solo nel peggiore!”.

“Ockay” si aggiunse alla conversazione Vonch.“E nel migliore?”

“Nel migliore dei casi faremo le feste a qualche umano mercenario da quattro soldi!”

Kriystal avrebbe voluto lasciarsi andare a un timido riso quando Vonch scimmiottò Robil ripetendo a bassa voce 'tsk! Assassini'. Tuttavia i suoi pensieri erano tutti rivolti a ciò che stava accadendo in quel momento al centro di Booty bay.

Nel frattempo, i quattro Sind’orei giunsero a un punto in cui il sentiero prendeva due direzioni opposte.

Robil arrestò subito il passo, riflettendo sulla via da intraprendere.

“Un altro bivio!” esclamò teatralmente Vonch.“perfetto”.

“E ora?” anche Kriystal riuscì finalmente a interagire, distogliendo così le preoccupazioni per Bithah e Thehorde:“dove andiamo ora?”. Un’improvvisa esplosione in lontananza squarciò ogni ombra di dubbio e agitò le cavalcature. Non molto lontano dal punto in cui si trovavano, attraverso il poco cielo visibile oltre alle folte chiome degli alberi, si intravide una nera colonna di fumo.

“Da quella parte!” all’ordine di Robil le cavalcature scattarono simultaneamente. Il tragitto a passo rapido aveva preso il ritmo costante di una vera e propria corsa contro il tempo. Man mano che si avvicinavano al punto da cui si innalzava la colonna di fumo Kriystal riusciva sempre più a distinguere l’odore di bruciato e le prime grida di battaglia. A breve si trovarono nel mezzo dello scontro dove, proprio di fronte alle mura in fiamme che fino a pochi momenti prima dovevano essere l’unica misura di difesa dell’accampamento dell’orda, diversi gruppi di orchi erano coinvolti in combattimenti contro umani in armatura bianca.

PER L’ORDA!” ruggì un orco dalla folta barba grigia.

“Risparmia il fiato amico mio! Non è l’alleanza il nemico che abbiamo davanti!” lo rimproverò Robil mentre si fiondava fisicamente addosso all’umano in armatura. L’orco che aveva soccorso non mancò di grugnirgli un ringraziamento, poi assieme presero ad aiutare i compagni nella lotta.

Anche Kriystal scese immediatamente di sella e prima ancora che riuscisse a inquadrare un nemico da fronteggiare qualcuno aveva colpito Silbar con una freccia. Prima ancora che l’animale si dissolse in una polvere di mana Kriystal aveva già scelto il proprio obiettivo. L'ometto basso e calvo col quale si fronteggiava tentò di farle fare la stessa fine del suo Zampalesta, ma Kriystal evitò la freccia con un semplice e laterale movimento di spalle. Scoprendosi alquanto seccata da tutta la situazione venutasi a creare e desiderosa di sfogare la propria frustrazione, non lasciò passare un altro istante prima di schiantargli un Martello dell’ira in pieno volto. Estratta anche la spada, si lanciò addosso agli altri avversari.

 

Il barone Revilgaz era seduto sulla sua pregiata scrivania in legno di noce. La confusione di quel pomeriggio non gli aveva concesso il tempo che quotidianamente utilizzava per lucidarne la superficie a dovere. In ogni caso i nervi tesi glielo avrebbero impedito. Se c’era una cosa che non poteva sopportare, oltre ai clienti forestieri con troppo olfatto per gli affari, erano certamente i visitatori forestieri che creavano subbuglio nella sua città. Incapace di restare calmo, si alzò dalla poltrona e prese a girovagare per la stanza.

I crimini commessi a Booty bay non sono mai rimasti impuniti, pensò, soffermandosi davanti alla grande vetrata della finestra che si affacciava direttamente sulla terrazza della taverna. Quattro igoblin erano ancora intenti a far andare via il sangue dell’elfo della notte dal legno delle travi. Per lo meno, mi auguro che l’equipaggiamento dell’Elfo demoniaco che abbiamo incarcerato possa giovare considerevolmente alle casse della baia. In quel momento qualcuno bussò alla porta.

“Avanti” disse il barone, massaggiandosi la testa. I miei poveri nervi.

La porta si aprì ed entrò un attendente con un elmo a scodella due volte più grande della sua testa:“Con il vostro permesso, Signore. Una persona afferma di dover parlare con Voi!” senza attendere la risposta l’esile figura dell’attendente venne messa in ombra da Thehorde, il quale prese piede nella stanza in tutto il suo metro e novanta di altezza e la minacciosa espressione sul volto.

Non appena il barone Revilgaz si imbatté nel Warlock rosso, venne colto da un brivido di terrore e non riuscì a nascondere un rumoroso sussulto. Un Sind’orei! Pensò, mentre valutava seriamente l’idea di nascondersi sotto la sua preziosa scrivania in legno di noce.

“Vi porto i miei saluti, Barone” Thehorde mimò forzatamente un inchino.“sono venuto personalmente a parlare in difesa dell’elfo del sangue incarcerato dalle vostre guardie questo pomeriggio…”

“Dimenticate ingiustamente.” Lo interruppe il barone, superato dal suo stesso orgoglio, ma mantenendo comunque il maggior numero di oggetti della stanza tra lui e il suo interlocutore.

Thehorde non nascose la sua sorpresa:“Prego?”

“Non avete detto ingiustamente incarcerato. Non siete il primo ad avere certe pretese, sapete? Solitamente i cari dei prigionieri oltrepassano la soglia di quella porta per difendere a spada tratta l’innocenza dell’imputato. Vista la vostra scelta di parole ne deduco siate consapevole della colpevolezza del vostro amico”

Thehorde chiuse gli occhi, poi riprese:“Avete colto nel segno, Signore. Il Sind’orei in questione è colpevole di avere preso parte ad una battaglia e di avere ucciso all’interno dei confini della città. Ciò nonostante il Sind’orei in questione è niente di meno che un paladino. Il suo ordine e la sua classe lo hanno indotto a intervenire nel conflitto acceso non da lui, ma dall’elfo della notte che in questo momento marcisce sul fondale dell'oceano!” Il tono di voce non era riuscito a rimanere lo stesso di quando era entrato.

“E immagino che Voi ne siate stato testimone…” dal canto suo il Barone aveva scoperto un coraggio che non credeva di avere.

“Nossignore, non ero presente. Ma posso assicurarvi che…”

“Perché nel caso foste stato presente” lo interruppe nuovamente il barone.“la vostra presenza qui equivarrebbe ad una confessione. Una confessione di complicità che vi renderebbe tanto colpevole quanto il vostro amico per il quale perdete tanto tempo!”.

“Mi trovo costretto ad insistere, Signore. Essendomi nota la dinamica dell’inciden…”

“Ho visto con i miei occhi, da questa finestra, l’elfo del sangue aprire la gola dell’elfo della notte come un pesce!” il barone era si era lasciato andare a tal punto da spingersi a picchiare un pugno sulla scrivania.“nessuno-resta-impunito-a Booty bay! Nessuno!”

Thehorde serrò fortemente la mascella per restare calmo. Tuttavia, non gettò la spugna:“Signore. Non ho alcuna intenzione di andarmene senza averlo tolto d a quella cella”.

Inizialmente il barone Revilgaz rimase immobile, come pietrificato. Nel poco tempo in cui avrebbe chiamato le guardie, con un colpo della staffa il Warlock lo avrebbe trasformato sicuramente in una pecora. Non restava alcuna via di scampo, così giocò ancora una volta di attacco:“Ebbene, raggiunga il suo amico. Le guardie saranno felici di farvi accomodare nella cella affianco alla sua.” Un sinistro e aguzzo sorriso gli deformò l’espressione del volto.

Thehorde sembrò sciogliere i muscoli. Poi, accennando un altro inchino con l’abbassamento del capo, si limitò a rispondere:“Domando venia per la mia rocambolesca irruzione. Vogliate scusarmi”. E voltando le spalle al barone sparì oltre la soglia della porta senza attendere ulteriori risposte.

Il goblin restò pietrificato sul posto per altri due minuti, prima di mollare il bracciale della poltrona al quale si stava aggrappando con tutta la forza nella speranza di fuggire a un possibile scatto d’ira del Warlock.

Ma l’elfo del sangue aveva riconosciuto la grande autorità del signore di Booty bay e se l’era data a gambe non appena il gioco cominciava a farsi duro. Meglio per lui, pensò sogghignando, significa che tiene alla sua testa più di quel che dà a vedere.

 

 

La cella umida in cui era stato recluso assomigliava ad una catacomba in cui molti anni fa aveva svolto una difficoltosa missione nell’entroterra delle Terre fantasma. Che cosa ci faceva ora in quel tugurio, spogliato di spada e armatura e lasciato con solo addosso le braghe, gli stivali ed una sporca e logora camicia appartenuta in passato a chissà quale altro condannato a morte prima di lui, ancora non riusciva a spiegarselo. Interrogandosi sulla sua situazione e le sue condizioni, Bithah sentì aprirsi la porticina infondo al corridoio. I rapidi passi in lontananza si rivelarono appartenenti a un piccolo goblin in armatura, che si fermò davanti alle sbarre della sua cella.

“Hai chiesto dell’acqua?” domandò il secondino con fare seccato.

“Sì” rispose Bithah.“Per darmi una rinfrescata, sai…” sperava che la maschera di sangue secco che portava in volto bastasse per convincerlo. M sul volto puntiglioso del goblin prese forma un espressione di disgusto tutt'altro che amichevole:“Coraggio, allora. Allontanati dalle sbarre e siediti all’angolo della cella!” dettati gli ordini impugnò una mazza ferrata ed estrasse un mazzo di chiavi arrugginite. Bithah arretrò nella penombra della cella, mentre con un suono stridulo le sbarre si spalancarono. Poi il secondino si portò due corte dita alle labbra e fischiò. In un istante, un umano tutt’ossa e in catene si fece avanti con un capiente secchio d’acqua. Bithah guardò il poveraccio con un velo di pietà. Quando il secondino richiuse le sbarre della cella, il paladino si inginocchiò sul secchio e cominciò a sciacquarsi il viso.

“Vedi di fartela bastare fino… bè, hai capito no?” e per essere ancora più chiaro il golbin si portò le dita alla gola e mimò senza mezzi termini il concetto di decapitazione. Bithah finse di non dargli retta, ma quando il goblin si allontanò e il paladino si ritrovò solo, il suo volto riflesso nell’acqua sporca sembrò travolto da un’ondata di inquietudine. Dunque è così che sarebbe finita? Anche se non aveva dubbi sul successo di Kriystal e gli altri di fuggire dalla città, in quel momento avrebbe pagato oro per sapere con altrettanta certezza se erano sani e salvi, lontano dalle minacce dei mercenari a servizio del nord.

Immerso in tali angosce, a un tratto non poté ignorare una stranezza nello specchio d’acqua all'interno del secchio. Tutto in quell’ambiente era immobile, eppure gli era sembrato che l’acqua avesse oscillato. Si avvicinò ulteriormente per verificare che il fenomeno si ripetesse, quando uno forte scoppiò fece tramare tutto il sotterraneo. Ora l’acqua nel secchio era per metà straripata e Bithah impiegò qualche secondo prima di riuscire a riacquistare l’equilibrio per mettersi in piedi. Allo scopo di capire cosa stesse accadendo si portò alle sbarre della cella:“Guardie!” nessuno rispose.“Hei guardie! C’è qualcuno? Cosa succede lassù!?” Finalmente una porta alla sinistra del corridoio parve aprirsi. Sbucarono quattro guardie goblin armate fino ai denti, le quali attraversarono il corridoio di corsa ignorando del tutto il prigioniero. Poi il sotterraneo fu illuminato da un’accecante lampo verde e Bithah vide le quattro guardie goblin volare all’indietro di qualche metro. Con un sorriso meravigliato, Bithah capì chi le aveva emanato quell’incantesimo ancora prima che il suo salvatore comparisse d’innanzi a lui. “Non abbiamo molto tempo” tagliò corto Thehorde, raggiunta la cella.

“Ciao anche a te” lo schernì ironicamente Bithah:“e anche a te”. Disse al secondino goblin che il Warlock teneva alzato a mezz’aria dal colletto dell’armatura.

“Ve ne pentirete…” il goblin biascicava le parole a causa del labbro rotto e delle diverse contusioni fornitegli da Thehorde.“…non andrete molto lontano…”

“Le chiavi. Ora!” gli urlò contro il Warlock, avvicinandogli la staffa al volto.

Il goblin tentennò per un altro istante, ma poi cedette e tirò fuori il mazzo di chiavi.

“Di lui cosa ne facciamo?” domandò Bithah mentre il goblin apriva le sbarre.

Thehorde non rispose. Trascinò il goblin all’interno della cella e lo incastrò con forza nel secchio d’acqua. “Maledetti elfi demoniaci!” continuò a inveire l’ometto.“pagherete cara il vostro affronto, il barone Revil…” il sinistro che Bithah gli assestò sul muso lo fece ruzzolare assieme al secchio contro la parete infondo alla cella.

“Non ho avuto modo di recuperare le tue cose” lo informò Thehorde.“credi di riuscire a cavartela?”

Bithah rifletté un attimo. Lungo il corridoio raggiunse una delle guardie goblin atterrate dall’amico. “Mi farò bastare questa!” esclamò dopo essersi impossessato di una spada corta..

Abbandonato il corridoio salirono una rampa di scale anch’essa seminata dei corpi inerti di soldati che si erano messi sul cammino del Warlock rosso.

“Mi auguro che avessi messo in conto di non passare inosservato” sorrise Bithah.

“Ho messo in conto che metteranno una taglia sulle nostre teste, e che né Silvermoon e nemmeno Thrall in persona potranno fare nulla per salvarci la pelle” Dicendo questo Thehorde condusse Bithah nella stanza delle guardie. All’esterno sembrava divampare un grande incendio e Il fumo aveva già invaso la stanza in cui si trovavano.

“Prospettiva ottimista. Anche le fiamme là fuori sono opera tua?”

“La fonte dell’incendio è a tre isolati dal carcere. Avevo bisogno di attirare l’attenzione da un’altra parte e mi è sembrata la cosa migliore”.

Quando Bithah notò la porta barricata da diversi mobili e il forte bussare delle frenetiche guardie all’esterno, la domanda sorse spontanea:“Come hai intenzione di uscire da questo posto? Faremo la fine dei topi!”

Come al suo solito Thehorde preferì mostrare la soluzione senza troppe spiegazioni. Si diresse in un angolo della stanza e dando una forte pestata sul pavimento in legno una trave cedette senza troppi problemi.

“Dritto nel canale di scarico?” indovinò Bithah, non del tutto convinto se fosse una cosa buona o negativa:“cosa troveremo là sotto? Oltre ai topi, intendo”-

“Tu ripetiti che è solo acqua” gli consigliò Thehorde, alzando con una mano il resto delle travi quel tanto che servì per permettere a lui e al paladino di buttarsi all’interno.“e non respirare col naso”.

Con un salto si trovarono immersi fino alle spalle in putrida acqua scura. L’ambiente era per lo più immerso nell’oscurità, illuminato soltanto dalla fievole luce infondo al condotto:“Non scherzavi sul tanfo!” esclamò Bithah, mentre si facevano largo attraverso ogni tipo di marciume scaricato dagli abitanti di Booty bay.

“Siamo proprio sotto le palafitte. Se siamo fortunati non si accorgeranno troppo in fretta della nostra via di fuga e avremo una possibilità”. Mano a mano che raggiungevano l’uscita della grotta il livello dell’acqua sembrava diminuire. Quando Bithah fu finalmente pervaso dalla luce del sole poté emettere un sospiro di sollievo. Si trovavano su una spiaggia al di fuori di Booty bay, con alle spalle le minacciose rocce che proteggevano la città, dietro le quali si ergeva una corposa colonna di fumo dovuta all’incendio appiccato da Thehorde.

Ora erano liberi, salvi e bagnati fradici:“Il lato positivo di non avere l’armatura” Scherzò Bithah.

“Mai come in questo momento ti avrebbe fatto comodo!” Thehorde riconobbe all'istante la stridula voce del Barone Revilgaz e voltandosi, lo trovarono irato e stropicciato a causa del caos scoppiato nella sua città, scortato da altre cinque guardie armate di alabarde e spade corte.“maledetti esseri demoniaci. Pagherete molto cara ciò che avete fatto! Non vi permetterò di lasciare Booty bay. Questa piccola spiaggia sarà la vostra tomba!”

Bithah guardò prima Thehorde, poi guardò il Grande mare blu, vigile e austero, cercando una via alternativa. Ma aveva troppa esperienza per illudersi a tal punto. Voltando lo sguardo al cielo, percepì aria di tempesta. Ancora prima che le cinque guardie armate di alabarde e spade corte muovessero un solo muscolo, i due Sind’orei gli erano già addosso.

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Capitolo 26
*** Alla ricerca delle rune ***


XXVI

Alla ricerca delle rune

 



Kriystal aveva perso il conto dei nemici abbattuti. Ovunque si girasse vedeva orchi e Troll immersi in violenti scontri con gli umani, i quali finalmente sembravano diminuire di numero.

Vonch e Soran non sembravano avere ancora preso fiato e uno a uno i loro avversari cadevano al suolo senza vita. Raggi di luce di diversi bagliori sfrecciavano a mezz’aria in tutto il campo di battaglia e se anche gli uomini possedevano nelle loro fila qualche incantatore, nessuno sembrava comunque essere all’altezza dei Warlock.

Quando combatteva Robil era invece difficile seguire le sue mosse. L'elfo si muoveva velocemente e furtivamente, scivolando da uno scontro all’alto passando a fil di lama i nemici prima ancora che si accorgessero di Lui. L’arte dell’assassino era completamente estranea a Kriystal, la quale prediligeva un conflitto frontale, conoscere a fondo l’espressione minacciosa del nemico un istante prima dell'incrocio delle due lame e ricordarne lo sguardo vuoto una volta sconfitto.

Erano giunti tardi per impedire l’attacco a Grom gol, ma non per affiancare gli abitanti nel difendere le ultime mura rimaste in piedi. Se solo di fronte al varco d’ingresso si era creato tutto quel trambusto, non osava immaginare l’inferno all’interno del villaggio.

“Kriystal!” Robil la chiamò a distanza. Kriystal lo cercò con lo sguardo e finalmente lo vide mentre si liberava di un nemico che si era illuso di coglierlo alle spalle. Poi l’assassino alzò il braccio sinistro, per indicare qualcosa in direzione dell’accampamento. Anche attraverso la nebbia di fumo Kriystal delineò le quattro figure a cavallo che si facevano strada in mezzo alla battaglia, ignorando i compagni caduti e tirando dritto lungo la via principale.“Sono loro!?” domandò Robil.

Per esserne del tutto certa Kriystal ebbe bisogno di qualche istante. Si era fermata nel bel mezzo dello scontro, abbastanza scoperta da poter essere presa di soprassalto da qualunque nemico, ma doveva concentrarsi il più possibile per tentare di riconoscere quello sguardo. Poi, quando la piccola cavalleria le passò a pochissimi metri di distanza non ebbe più dubbi. Flaghart, l’uomo con la cicatrice sul labbro, guidava il gruppo in sella ad un cavallo biancastro. Voltandosi verso Robil gli fece il segnale: era l'uomo che cercavano.

“Coraggio!” Robil si liberò di altri due umani, stampò un calcio sul petto ad un terzo e poi attirò l’attenzione di Vonch e Soran con un fischio acuto. I due Warlock notarono la cavalleria prendere il largo e percepirono istantaneamente le intenzioni dell’assassino. Quando Kriystal vide i tre compagni evocare rapidamente le cavalcature e darsi all’inseguimento del gruppo di Flaghart, fece lo stesso e tutti assieme abbandonarono la battaglia. L'oggetto della loro missione se ne stava andando a cavallo, gli abitanti di Grom gol se la sarebbero cavati benissimo da soli contro i pochi essere umani rimasti. Se la runa era realmente in mano a Flaghart, non potevano lasciarselo scappare.

Cavalcare a tutta velocità per i sentieri immersi nella giungla si rivelò più disorientante del previsto e per non perdersi Kriystal si limitò a restare alle calcagna dei propri compagni. Silbar era certamente più lento degli equini su cui Robil, Soran e Vonch erano in sella, ma dimostrò di sapere il fatto suo e restò al passo con loro.

Improvvisamente il destriero di Robil scoppiò in una nuvola di mana, colpito da una freccia comparsa dal nulla. Gli uomini di Flaghart sapevano che qualcuno avrebbe provato a seguirli e per garantirsi un vantaggio dovevano avere organizzato un’imboscata. Robil riuscì a non rovinare al suolo, atterrando agilmente sui piedi. Senza nemmeno voltarsi aveva già estratto la sua balestra:“Ascoltatemi, non possiamo permetterci di perdere altro tempo. Qui ci penserò io. Precedetemi, state attaccati a quell’umano e riportate indietro la runa! andate!” se l’assassino si aspettava che i compagni avrebbero obbedito senza problemi, era troppo abituato a collaborare con altri professionisti del calibro di Thehorde.

“Avrai bisogno di noi!” esclamò Soran.

“Non possiamo lasciarti solo” gli fece eco Kriystal.

Robil si mostrò decisamente contrariato. Senza nemmeno prendere la mira, puntò la balestra in alto e scoccò la freccia verso la spiovente chioma di un albero. Il soldato in armatura bianca che precipitò sul terriccio fangoso non emise nemmeno un grido.

“Bene, può cavarsela da solo” decretò Vonch.“Coraggio, statemi dietro!”

 

Ancora prima che Kriystal, Vonch e Soran sparissero nella giungla all’inseguimento della runa, l’assassino Robil si era trovato coinvolto in uno scontro iniquo contro cinque uomini dei sei che avevano teso loro un’imboscata. Mediante mirabili acrobazie, il primo non aveva nemmeno avuto il tempo di alzare la spada contro il nemico prima di ritrovarsi un arcata sanguinate nel basso ventre. Robil aveva agilmente estratto le sue due fidate lame a mezza luna, con le quali aveva cominciato un gioco dal quale i suoi opponenti non sarebbero mai usciti vivi. Un altro cadeva morto ai suoi piedi, quando i restanti due si fermarono un istante con un’espressione scioccata sul volto.

“Portali qui, ora!” un uomo dai folti baffi grigi e pochi capelli in testa si era rivolto ad uno più giovane, il quale non sembrava convintissimo dell’ordine appena ricevuto, ma poi girò i tacchi e sparì nella selvatica vegetazione.

“Chiamate i rinforzi?” incalzò Robil:“non vi troveranno in buono stato!” Il vecchio umano dai baffi grigi sembrava convinto di sapere dove si trovasse il nemico, ma improvvisamente se lo trovò alle spalle. La curva lama lacerò la carne e l’uomo urlò:“Risparmiami, ti prego! Risparmiami!” Robil non esitò. Un assassino non esita mai. La lama salì vertiginosamente, aprendo in due la schiena del nemico.

Adesso Robil era solo, nel lago di sangue da lui versato. Un fruscio nella siepe in cui era scomparso il giovane umano mandato a chiamare rinforzi lo costrinse a mantenere alta la guardia.

“Coraggio. So che sei lì dietro, ragazzo. Ti sento. Se ti sei nascosto invece di chiamare i rinforzi per salvare la pelle a te e ai tuoi compagni non ti fa certo onore, ma è comprensibile. Se salti fuori di lì ti prometto che si svolgerà tutto in un battito d'ali!” Un altro frusciò. I lunghi capelli biondi di Robil erano fradici di sudore, ma come se non fosse abbastanza una pioggia leggera ricominciò a picchiettare sordamente sull’ostile paesaggio. Se c’era una cosa che ostacolava una tecnica di combattimento rapida come la sua, era certamente il terreno scivoloso. “Ockai, adesso basta. Vengo a prenderti” e fece davvero per avventarsi contro il cespuglio, quando ne uscì qualcosa di totalmente inaspettato. Il cadavere del giovane uomo si riversò in una pozzanghera di fango. Robil lo studiò, ma scelse di non avvicinarsi troppo. Qualcuno sembrava avergli strappato la giugulare a morsi. Il terrore era stato immortalato sul liscio volto del soldato e l’orecchio sinistro gli era stato letteralmente staccato.

Una pantera della notte, pensò Robil, allontanandosi cautamente dal cadavere e dalle piante da cui era uscito. Un Troll selvaggio, forse. Ma poi versi che non avevano nulla a che vedere con specie indigene o pericolosi felini fecero accapponare la pelle anche a un duro come lui. Lamenti striscianti dalla fonte indefinita sembravano averlo circondato:“Quanti siete? Coraggio, fatevi avanti!”.

In tutta risposta, dalla penombra della fitta giungla uscì una creatura indossante un’armatura degli uomini del Nord, i panni spessi e due paia di corna affisse in cima all’elmo. Ma di umano non era rimasto nulla. Il volto che una volta doveva essere scarno e barbuto, ora era nel pieno della decomposizione. Brandelli di carne penzolavano ad ogni suo avanzare. Robil aveva già avuto a che fare con molti Non morti, ma ricordava bene la differenza tra i reietti di Sylvanas Windrunner e i soldati del Flagello. Quando il fu Arthas Meretheil, prima che cercasse riparo tra le braccia di Nerz’hul nei ghiacci dell’estremo Nord, aveva portato la morte fino a Silvermoon. Molti Sind’orei quel giorno persero molto più che la vita e Sylvanas ne sarà per sempre una personale testimone. Anche a Robil era stato ucciso qualcuno, quando quelle maledette fiamme azzurre presero il posto dei verdi occhi di sua sorella.

Ricadere improvvisamente in certi dolorosi ricordi lo aiutò ad agire. Con un movimento a girandola su sé stesso, le due lame andarono a tranciare di netto la testa del nemico, che cadde al suolo come un involucro vuoto.

“Odio ciò che dovrebbe essere morto!” urlò a spettatori nascosti e in attesa di farsi vedere.“CORAGGIO!”.

Poi le fiamme azzurre sembrarono accendersi da ogni direzione. Robil cercò di avere meno punti cechi possibili attorno a sé, ma non riusciva a tenere il conto dei Flagellati che, striscianti, ora avanzavano verso di lui. Dieci, venti, trenta …

“Siete troppi” Robil si mise in posizione, non sapendo più da che parte aspettarsi il primo attacco. Un assassino sa quando lo aspetta un destino infausto. In quell’istante, Robil capì che quel giorno le cose non sarebbero andate come dovevano andare. Ma anche quando è giunto ormai alla fine, quando sa che non rivedrà mai più la madre patria, c’è solo una cosa che un assassino sa fare bene.

 

“Gli siamo dietro?” domandò Kriystal, tenendo a fatica il passo dei suoi due compagni. Quella situazione, di un calibro nettamente diverso, le ricordava un’altra assurda situazione in cui si erano trovati lei, Soran e Vonch. Ma ad Undercity i fuggiaschi erano loro, e ricordava bene la sensazione di impotenza provata quello stesso giorno, quando non poterono fare nulla per salvare il villaggio distrutto e saccheggiato dagli uomini di Flaghart. Quel giorno, la sua vita si era incrociata con le vicende che avrebbero potuto portare ad una delle più grandi guerre a cui Azeroth era mai stata protagonista. Una guerra, nella quale il Re dei Lich avrebbe riversato su Kalimdor e sui Regni Orientali tutto il freddo del Nord. E la loro missione avrebbe potuto rappresentare un significativo risultato per l’impedimento di un tale conflitto. Questo Kriystal lo sapeva, come sapeva che prima che la pioggia smettesse di cadere sulle loro teste, Abram Flaghart doveva morire. E voleva essere lei ad assicurarselo.

“Riesco ancora a vederli!” rispose Vonch, sfrecciando lungo un sentiero che via via sembrava farsi sempre più stretto, invaso dall’incolta vegetazione selvaggia di Stranglethorn.“Sentite il terreno? È in salita. Stiamo salendo di quota. Sono diretti verso le montagne, forse una grotta utilizzata come covo segreto, o qualcosa di simile!”

“In tre abbiamo qualche possibilità di farcela?” domandò Soran, dietro di Lui.

“Per mille Ally!” rispose animosamente Vonch.“non abbiamo molta scelta, non trovi?”

“Non dovremmo aspettare Thehorde, Bithah e…” provò Soran.

“Vonch ha ragione, Soran” intervenne Kriystal, ultima della fila.“non abbiamo scelta. Potremmo trovarci dieci, cento o mille avversari, ma dobbiamo prendere quella runa! Se non andiamo noi ora da lei, un giorno verrà lei da noi, incastonata nello spadone di qualche Cavaliere della morte!”

La scelta di parole di Kriystal parve colpire particolarmente Soran, il quale sembrò tentare di costringersi a prendere atto della loro veridicità.

“Non credo che sappiano d’esser seguiti!” continuò Vonch.“non hanno mostrato alcun tentativo di seminarci. Sembrano andare dritto verso la loro meta!”.

“è una cosa positiva, giusto?” domandò Kryistal.

Vonch sembrò titubante:“Può essere una cosa positiva, sì. Forse credono di averci fermato in quell’imboscata. Oppure, sono tranquilli perché sanno che ad attenderci ci saranno un centinaio di spade sguainate puntate verso di noi!”

“In entrambi i casi, ritengo sia la cosa migliore continuare a mantenere costantemente questa distanza. Se c’è anche solo la minima possibilità di averli inseguiti passando inosservato, dovremmo sfruttare questo vantaggio a nostro favore!”.

“Finalmente siamo d’accordo su qualcosa, non è vero?” sorrise Vonch, strattonando le redini e facendo scattare in avanti la propria cavalcatura.

Silbar faceva visibilmente molta fatica a stare dietro ai due stalloni in fiamme. Tuttavia, dopo pochi minuti poté trovare il tempo di riposarsi, quando Vonch ordinò ai compagni di arrestare la corsa.

“Che succede?” fece Soran. Senza nemmeno accorgersene, sembrano essersi lasciati alle spalle la ricca vegetazione che sinora li aveva tenuti nascosti da occhi indiscreti. Ora si trovavano al centro di una gola rocciosa. Sopra le alte pareti qualsiasi arciere avrebbe potuto annientarli prima ancora che fossero riusciti a so federare le armi.

“Ecco la prova che nessuno si è accorto di noi”

“E cioè?” gli andò dietro Soran.

“Siamo ancora vivi” rispose Vonch.“se stessero attendendo il nostro arrivo, questo era il luogo ideale per scatenarci addosso una pioggia di dardi. Se ciò non è avvenuto, vuol dire che la prossima mossa è ancora in mano nostra”.

“E quale sarebbe la prossima mossa?” insistette Soran.“Più tempo restiamo fermi tra queste montagne rocciose di confine, più aumenta la possibilità di perdere le loro tracce! Stanno lasciando Stranglethorn, questo è evidente. Mi rifiuto di seguirli per tutti i Regni Orientali. Dobbiamo agire ora!

“Calma i bollori, giardiniere” rispose a tono Vonch, sicuro della propria posizione.“Non stanno oltrepassando il confine, non capisci?” il silenzio di Soran bastò.

“Hanno voltato a sinistra” rispose Kriystal, prima che Vonch continuasse. La battaglia di Altovento aveva incrementato il suo spirito di orientamento in ambienti ostili e rocciosi come le Thousand Needles. Ricordava benissimo il sentiero quasi invisibile che lei e Tanith avevano scoperto e che li avrebbe condotto nella tana di Magatha Grimtotem. Soran si era intestardito con il voler continuare a percorrere la via principale, attraverso la gola, sicuro che i nemici fossero diretti al di fuori del paese. Invece, Kriystal non si era lasciata sfuggire il piccolo sentiero in salita che si insinuava attraverso la parete sinistra.“sono andati da quella parte” indicò.

“Grazie!” esultò Vonch.“mi rassicura sapere di non essere l’unico cervello all’interno del trio! Coraggio, continuiamo a piedi. È evidente che siamo giunti al termine della corsa. Arrivare lassù in sella alle nostre cavalcature attirerebbe troppo l’attenzione”.

“Non fa una piega” ammise Soran, visibilmente infastidito. I tre ritirarono le proprie cavalcature e si incamminarono su per la stretta salita. Ben presto, il ripido sentiero bagnato dalla pioggia incessante curvò, portandosi l’alta parete rocciosa a sinistra e costeggiando un grande vuoto a destra.

“Quanti saranno?” domandò Kriystal, continuando a camminare il più possibile appiattita alla nuda superficie della montagna.“Venti, trenta metri?”

“Meglio non pensarci” tagliò corto Soran, seguendo Vonch lungo il sottile passo che gradualmente cominciava a tornare piano e praticabile. Arrivati a un certo punto raggiunsero un ponte in legno che attraversava il grande burrone. Tuttavia, Vonch consigliò di continuare per la salita, ignorando la via più semplice. Quando Soran obiettò, Vonch tirò fuori la sua natura fa figlio di un cacciatore, e mostrò ai compagni il motivo per il quale non era possibile che gli umani avessero attraversato il ponte:“La pioggia ha reso indefinita ogni forma di traccia, certamente. Tuttavia il terreno fangoso che stiamo percorrendo presenta segni riconducibili a passi parecchi pesanti, come quelli di un cavallo. Inoltre, c’è così tanto fango che chiunque avesse messo piede sulle travi di questo ponte avrebbe lasciato almeno un grumo di terriccio. Invece niente, nemmeno una macchia. Ascoltate me, continuiamo per di qua”.

Kriystal fu la prima a seguirlo, mentre Soran sembrava sempre più a disagio in previsione di ciò che li aspettava.

“Fermi qui!” ordinò Vonch dopo solo pochi passi, cercando di mantenere un tono non troppo alto.“siamo arrivati al termine del pendio”.

Dietro l’ultima curva, cominciavano a udirsi alcune voci. Ci furono delle risate. Tre, forse quattro nemici dialogavano tra loro inconsapevoli della presenza dei Sind’orei.

Kriystal si sporse con attenzione dietro un’ampia roccia, intenta a studiare il possibile campo di battaglia. Due uomini di spalle, coperti da lunghe cappe grigie parlavano con uno molto più basso di loro, dai capelli rossi come la lunga barba. “Due umani e un nano” comunicò i dettagli Kriystal.“Tre tende e un fuoco spento dalla pioggia. Si tratta di un accampamento, ma dov'è Flaghart e…?

Si interruppe bruscamente quando un assordante e acuto grido la costrinse a ritirarsi dietro al suo nascondiglio.

“Che cosa diamine è stato?!” domandò Soran, già armato di staffa.

“Non ne ho la più pallida idea” rispose quatta Kriystal.

“Non è un accampamento” si incupì improvvisamente Vonch.“è una stazione di volo”.

A confermare la teoria del Warlock biondo, un secondo verso arrivò sopra le loro teste. Inizialmente Kriystal pensò che, di qualunque cosa si trattasse, stesse scendendo in picchiata su di loro. Poi la creatura si manifestò chiaramente: un’aquila di considerevoli dimensioni e dalle grandi ali, atterrò proprio al centro dell’accampamento nemico. Kriystal si sporse nuovamente per capire che cosa stesse succedendo. Il corpo del volatile era rivestito di un bellissimo manto di piume marroni, e la testa bianca si muoveva a scatti in attesa di comandi. Il nano si avvicinò fiero, legò una corda al collare del pennuto e imboccò il giallo becco con cibo raccolto da un tegame prima riposto accanto alla legna bruciata. “Vecchia mia, puntuale come sempre! Tieni. Ormai è fredda, ma non penso che ti negheresti un bel boccone. Ah ah ah!”

Kriystal continuava a non capire. “Fai dare un’occhiata a me” disse Vonch, prendendo il suo posto.“l’aquila è la cavalcatura volante tipica dell’Alleanza. Ma la mancanza degli stendardi di Stormwind mi fa pensare che siamo sulla strada giusta: sono certamente mercenari. Adesso bisogna capire dove sia finito il gruppo che abbiamo inseguito sin qui”

“Ve lo dicevo che avranno tirato dritto per la via principale” fece Soran.

“Forse” rispose Vonch.“Ma qualcosa mi suggerisce che è qui la loro destinazione. Qualsiasi cosa ci sia sotto una cosa è certa, questo è il luogo di incontro da cui la runa prenderà il volo”.

“Hei Tork’an, non ingozzarla troppo. Ha un lungo viaggio da affrontare!” uno dei due umani rimproverò il nano.

“Non dirmi quello che devo fare, spilungone. Vuoi che rimanga a digiuno? Così creperà di freddo e di fame prima di arrivare a Northrend!”

“Voi due, basta così!” il secondo umano zittì i compagni.“Che cos’ha la bestiaccia, si può sapere?”

“Sergente. A me sembra che si comporti in modo inquietante come qualsiasi volatile”

“No invece!” anche il nano si era accorto dello strano atteggiamento dell’animale. Quando l’aquila roteò di scatto i neri occhi tondi in direzione del masso dietro al quale si nascondevano lei, Soran e Vonch, Kriystal decise di trattenere il respiro, come se ciò bastasse a passare inosservati.

“Ve lo dico io che cos’ha la mia vecchia compagna di avventure!” continuò il nano, estraendo una singolare staffa in ferro poco più lunga della sue braccia.“ha percepito qualcosa, laggiù”.

“Qualcosa…o qualcuno?” il sergente tirò fuori dal fodero la propria spada, facendo un passo in direzione dei Sind’orei.

Non muovetevi” sussurrò Vonch.“non finché non lo dico io”.

Se quei pochi istanti sembrarono durare una vita, i seguenti si svolsero nel lasso di pochissimi secondi.

Adesso basta perdere tempo!” si oppose Soran, alzandosi in piedi.

Così ti vedranno, razza di ingenuo!” lo rimproverò Vonch.

“Torna qui, Soran!” Kriystal lo tirò per un braccio. Ma il giovane elfo del sangue aveva già alzato la staffa, e con un solo passo uscì allo scoperto.“PER L’ORDA!” urlò.

Immediatamente Vonch corse a dargli man forte con Kriystal al seguito.

Il sergente fu il primo a rispondere all’attacco. Si lanciò su Soran, il quale lo respinse con un solo movimento di staffa. Imprecando, l’umano fu scaraventato addosso ad una delle tende, mandandola in pezzi. Kriystal entrò in conflitto con il secondo umano in armatura. Vonch si diresse verso il nano, ma il nemico sembrava puntare la sua estranea arma in un’altra direzione.

Un rumore sordo rimbalzò tra le nude rocce circostanti e riecheggiò nella profonda gola sottostante. Vonch e Kriystal capirono quel che era successo solo quando videro il corpo di Soran balzare all’indietro e rotolarsi sul suolo terroso.

“SORAN!” urlò Kriystal. La distrazione dell’elfa parve giovare all’umano, il quale non ci pensò due volte a tentare di colpirla alle spalle. Pochi istanti prima che la lama calasse sull’elfa, Vonch aveva lanciato il suo incantesimo che schiantò l’uomo contro la parete rocciosa.

“Come sta?” domandò Vonch, recatosi al capezzale di Soran. Una rossa macchia si allargava sul farsetto dell’armatura a pochi centimetri dal cuore.

“Non…non era un incantesimo… che cosa diavolo è successo…” provò a parlare Soran, senza riuscire a mascherare il dolore.

“Non sforzarti. Adesso provo a guarirti!” lo zittì Kriystal, fingendo coraggio e ignorando il terrore che l’aveva pervasa.

“Un’arma da fuoco” rifletté a voce alta Vonch.“tecnologia nanica…”

“Coraggio vecchia mia, divertiamoci!” esclamò alle loro spalle il nano, con tono che sfiorava il sadismo. Il Warlock biondo e Kriystal si voltarono simultaneamente. L’ombra delle enormi ali dell’aquila coprì la luce del sole sopra di loro, quando l’animale si librò in aria pronto a fiondarsi in picchiata.

“Dobbiamo ritirarci, ora!” esclamò Vonch. Scansando Kriystal con forza tentò di alzare in piedi Soran.“te la senti di correre?”

“Ho scelta?” tentò di essere ironico Soran.

“Coraggio allora!” i tre discesero il pendio di corsa e senza guardarsi indietro. Se mano a mano che tornavano sui loro passi la minaccia del volatile sembrava farsi sempre più lontana, un rumore di zoccoli di cavallo sembrò stargli alle calcagna. Kriystal volse un rapido sguardo dietro di sé quel tanto che bastò per riconoscere il sergente che Soran aveva colpito con i suoi incantesimi. Un rivolo di sangue partiva dall’alta fronte e finiva sui folti baffi rossicci dell’uomo, il quale cavalcava furiosamente il proprio destriero deciso a raggiungerli.

“Estraiamo le cavalcature!” urlò Kriystal.

“Non ce ne sarebbe il tempo!” fu costretto a fare i conti con la realtà Vonch.“adesso ho bisogno che voi continuiate a correre!”

“Cosa intendi dire!?” domandò Soran, visibilmente affaticato.

“Per una volta in vita vostra, pivelli: obbedite!” detto questo Vonch arrestò il passo e impugnò con forza la staffa. Kriystal fece automaticamente per fermarsi e aiutare l’amico. Non avrebbe permesso nessun’altro sacrificio. Ma Soran l’afferrò forte per il braccio e le impedì di interrompere la corsa.

“Non possiamo abbandonarlo!”

“Non lo stiamo abbandonando. Lui ha scelto di darci un vantaggio. Fermarci ora vorrebbe dire mettere a repentaglio la sua strategia. Abbiamo una missione da portare a termine, ricordi?”

Kriystal si promise di smettere di correre, ma non poteva farlo. Soran aveva ragione.

 

Fino all’ultimo istante Vonch non sapeva se ciò che aveva fatto era l’atto più eroico della sua vita o l’ultima follia di una serie innumerevole di follie. Quando lo spirito da combattimento scaturì dalla punta della sua staffa e disarcionò l’umano da cavallo capì che, qualsiasi cosa stesse facendo, non aveva intenzione di morire contro un mercenario con un così orribile paio di baffi.

“Maledetti demoni dalle orecchie a punta!” imprecò l’uomo alzandosi dalla polvere.“per te è finita!”

Quando vide il nemico avventarsi su di sé, Vonch interpellò la spada corta per parare i colpi. Il cozzare delle lame riempiva l’area circostante. Parata dopo parata, i due si spostarono di qualche metro in direzione della giungla. Da bravo figlio di cacciatore, Vonch sapeva che la vegetazione fitta sarebbe potuta essere un campo di battaglia piacevolmente mutevole. Con un movimento di staffa ordinò allo spirito da combattimento di intrattenere il nemico quel tanto che bastava per ripararsi nella giungla e pensare a un modo per portare lo scontro a proprio favore. Pregò gli Antichi di non trovare Kriystal e Soran nascosti dietro a un cespuglio in attesa del suo arrivo. La sua speranza era che i due se la fossero data a gambe come gli aveva ordinato.

D’altronde sapeva benissimo che il proprio era tutt’altro che altruismo. Dividersi da Kriystal e Soran a quel punto aveva un doppio fine. Nel migliore dei casi avrebbe ucciso l’umano e si sarebbe dedicato alla ricerca del drago. Nessuno si sarebbe sorpreso del suo egoismo. Azeroth lo vedeva come un ladruncolo da quattro soldi, perché si sarebbe dovuto comportare diversamente? Deludere le aspettative non era in suo stile.

Quando in lontananza udì il pestare degli stivali seppe di avere il nemico alle calcagna e di dover agire prontamente. Senza guardarsi indietro si inoltrò nell’ostile oscurità della giungla. Attraversare un luogo simile fuori dal sentiero principale era già di per sé un pericolo qualsiasi avventuriero. 

Con la lama della spada corta tagliò qua e là i ramoscelli che trovava lungo il cammino, assicurandosi di lasciare ben visibili delle tracce che anche un bifolco avrebbe saputo seguire. Erano passati decenni da quando Lorbton gli aveva insegnato a dar la caccia ai cinghiali. La differenza tra un umano e un suino non era così abissale.

 

Il sergente Bly si passò una mano guantata sui folti bassi per asciugarsi il sangue che sembrava non volerne sapere di smettere di colare dal naso. Quel dannato elfo del sangue gliel’aveva quasi fatta, utilizzando come diversivo quel mistico mostriciattolo muscoloso ne aveva approfittato per riparare nella giungla.

Ma c’era una cosa che l’orecchie a punta ignorava: prima di lavorare per Flaghart e raccogliere pietre arcane per il Re del nord, Stormwind era stato il suo campo d’addestramento militare. In gioventù il sergente bly aveva combattuto al fianco di quelli che sarebbero stati gli eroi dell’Alleanza per quel traffico mercantile illecito a quest’ora anch’Egli avrebbe avuto una qualche medaglia spillata al giustacuore dorato. Invece, sporco di fango e sangue secco ora vagava per la giungla dello Stranglethorn Vale alla ricerca di un elfo del sangue che avrebbe potuto mandare tutto all’aria da un momento all’altro. Niente rune, niente soldi. O peggio… il solo pensiero rivolto a tutti quei non morti guidati dal re del Nord gli provocava una sensazione nauseabonda. Non sarebbe divenuto uno di loro. Né quel giorno, né mai. Doveva trovare e uccidere quei maledetti demoni prima che le rune di cui Flaghart era ancora in possesso finissero nelle mani sbagliate.

Ignorando il vago sentore di essere osservato da chissà quale creatura nascosta tra l’oscurità dei numerosi fusti di piante, Bly trovò finalmente il segno che cercava. Rami tranciati di netto erano sparsi sul terreno fangoso e andavano formando un preciso percorso che il Sind’orei essersi ingenuamente aperto a colpi di spada. “Dilettante” si pronunciò a voce alta. Continuò di qualche passo finché giunse ad una pietra dalla superficie piatta, semi incastonata nel terreno come una lapide di marmo. La pioggia che incessante continuava a cadere aveva cancellato in parte quelle che sembravano essere parole dipinte con del fango sulla pietra, ma Bly provò comunque a leggere quel che c’era scritto:“Per…mille…Ally? Cosa diamine significa!? Immagino si tratti di qualche rito assurdo di quei maledetti Troll della giungla…”.

“Non si tratta di Troll della giungla!” non appena udì la voce, Bly alzò lo sguardo alle fronde degli alberi sopra la sua testa. Ci mise troppo per capire dove si trovasse Vonch, il quale, in cima ad un albero, si lanciò aggrappato a una liana urlando.“ma grazie per averlo notato!”.

Il sergente Bly impugnava la spada, ma lo slancio di Vonch era stato troppo rapido e il calcio che lo colpì in pieno petto, sulla corazza di piastre, lo respinse all'indietro. L’astuzia di un figlio di cacciatore si rivelò prima che Bly potesse trovare un appiglio per non cadere goffamente nel terreno paludoso. Il dirupo che dava sul Grande mare era stato finora invisibile, poiché coperto da un muro di vegetazione selvatica troppo fitto da potervi scrutare oltre. Con l’unica mano libera Bly provò ad arrancarsi alla pietra sul quale il Sind’orei aveva scritto quella estranea espressione, ma il ramo si staccò e il sergente precipitò nel vuoto. Con la schiena colpì rovinosamente contro una sporgenza della scogliera e rimbalzò a peso morto sulla spiaggia. Quando gran parte dell'impatto con il suolo fu attutito, il sergente Bly fu grato alla sabbia nella quale ora affondava il volto. Doveva essersela cavata rompendosi solo una costola o due, ma quel Sind'orei gliel'aveva fatta e ora, dalla cima della scogliera, si assicurava che la propria trappola avesse avuto successo.

“Niente di personale!” gli urlò Vonch dall'alto.

“Vieni quaggiù, sporco ammasso di lerciume!” replicò furioso il sergente Bly, tenendosi un taglio sulla fronte dalla quale sgorgava copiosamente un rivolo di sangue. “Vieni qui se ne hai il coraggio!”. Ma Vonch era già scomparso, e ora Bly si trovava da solo, con il Grande mare alle spalle e un altissima parete rocciosa di fronte a sé.

Poi, un verso molto simile a un rigurgito attirò la sua attenzione. Esso parve provenire proprio dall'acqua, ma Bly dovette strizzare gli occhi più volte per riconoscere le creature che incurvate e lente avanzavano verso di lui.

Mmmrrrggglll! Sbiascicò con un suono gutturale la figura dominante sulla decina di figure che ora accerchiavano il soldato, il quale era ancora inginocchiato nella sabbia e pareva immobilizzato.

“N-non può essere...” disse Bly, terrorizzato. Provò a mettersi in piedi, ma i danni causati dalla caduta si fecero vivi e le gambe gli cedettero.

Mmuuurgglll! schiamazzò la creatura, fermandosi a pochissimi passi dall'uomo. Di fronte a quegli esseri anfibi con grandi occhi a palla da pesce, mani e piedi palmati e squame di diversi colori, Bly non ebbe più dubbi. Provò ancora una volta ad alzarsi, gridando:“Io odio...!” inciampò. “io odio i Murloc!”.

Prima ancora che potesse strisciare nella sabbia il più lontano possibile, le lance piovvero a pochi centimetri dal suo viso, e in un coro di Glrglglrglr e Murgurgulgla i Murloc gli si chiusero addosso.

 

 

Vonch sapeva con precisione il cammino da percorrere. La cartina donatagli da Hamuul Runetotem era ben dettagliata e chiarissimi punti di riferimento corrispondevano alla perfezione a i luoghi della selvaggia giungla di Stranglethorn. Era stato anche troppo semplice sbarazzarsi dell'umano, ma ancora molti mercenari pullulavano li attorno. Certo non tutti sapevano di lui e del baccano scatenato alla stazione di volo, ma il nano col suo volatile era sicuramente sulle loro tracce.

Prestando attenzione a non cadere in trappola, che fosse dei mercenari o delle popolazioni indigene del luogo, Vonch trovò quel che cercava. Quel che in un'antica era doveva essere un alto basilisco, ora era poco più che un piedistallo in rovina, molto comodo per chi volesse sedercisi sopra. Vonch sapeva perfettamente che si trattava molto più che di un semplice sasso. Quello era il punto esatto che sulla cartina dello sciamano indicava l'inizio della radura del drago.

“Siamo prossimi alla fine” disse tra sé il Warlock, scendendo un rapido pendio che lo portò ad una vasta vallata, una verde oasi nascosta nel cuore della giungla. Affondò fino alle ginocchia nel morbido manto erboso e con cura studiò l'area circostante. L'assenza di uccelli prometteva bene. Se quel luogo era effettivamente presieduto da una temibile creatura come un drago, se pur ferito, tutte le altre specie migravano oltre.

Il silenzio nella vallata era quasi surreale. Vonch si era abituato ai minacciosi suoni della giungla e non gli pareva ancora vero che in un polmone di terra così paradisiaco potesse celarsi il suo peggior nemico. Ma l'atmosfera sospesa fu presto interrotta da uno stridulo grido che squarciò il silenzio. L'aquila gigante planò in tutta velocità verso la pianura in cui si trovava il warlock, il quale dovette gettarsi tra i fili d'erba per scappare ai taglienti artigli dell'uccello.

“Sarò sincero, amico. Vi ho visto in molti modi sai? Ma mai avrei creduto che voi orecchie-a-punta poteste essere così stupidi!” la voce del nano arrivò alle sue spalle dai confini della giungla. “Hai ettari ed ettari di intricate boscaglie in cui nasconderti e tu ti ripari in una radura a cielo aperto? Lasciatelo dire, amico, questo è essere dilettanti!” Dicendolo si sfilò dalla spalla l'arma da fuoco con cui aveva atterrato Soran. L'aquila volteggiava ancora sopra le loro teste, attendendo un ordine dal suo padrone.

“Chiamami ancora una volta amico” lo avvertì Vonch, puntandogli contro la staffa.”E sarà l'ultima parola che formulerai”.

Il nano sogghignò, eccitato per la sfida appena lanciata. Fece un passo avanti verso il centro della radura, ma il piede colpì qualcosa che inizialmente sembrava essere un cumulo di grosse pietre tonde, avvolte da un cuscino di foglie e rami secchi. “Ma che?”

Vonch sgranò gli occhi, cercando di capire a distanza di che cosa si trattasse:“Sono... uova?”

“Uova?” schernì il nano, sferrando un forte calcio ad una di esse, facendola rotolare lontano. “Non è il momento di parlare di uova!”

Ma Vonch non reagì. La scoperta delle uova lo aveva lasciato letteralmente di stucco:“Questo vuol dire che il drago non è ferito, e non è nemmeno venuto qui per nascondersi da qualche nemico...”

“Che cosa vai blaterando!?” urlò il nano, puntando l'arma e prendendo per bene la mira.

“Era gravido. Ecco perché ha cercato un rifugio...” concluse Vonch, più deluso che sorpreso.

Improvvisamente, un bianco raggio di luce partì verticalmente da un punto non lontano da loro e attraversò il cielo, come un fulmine in pieno giorno. Sia Vonch che il nano capirono di che cosa si trattasse solo quando, una volta che il fascio luminoso si estinse, un corpo nero come il carbone precipitò nel tratto di pianura che li divideva, seguito da una scia di fumo scuro.

Il nano abbassò l'arma da fuoco e gradualmente sul suo volto si dipinse un'espressione di stupore e ira. Poi il gridò di dolore, e il nano prese a correre verso ciò che pochi attimi prima il fulmine aveva colpito in pieno. Per l'aquila non c'era ormai più nulla da fare. Il rapace era ridotto a un ammasso di piume carbonizzate e giaceva immobile, al centro dello spiazzo.

Ignorando i tristi lamenti del nemico, Vonch si guardò attorno, estraendo la spada con l'unica mano libera:“Lui è qui” sussurrò, con gli occhi fissi sulla giungla circostante.

Sei stato tu!” inveì il nano, abbandonando il compagno caduto e avanzando minaccioso verso il Warlock.“Quale dei tuoi amici ha fatto questo alla mia piccola?” Tu sai chi sono io, lurido orecchie-a-punta? Tor'kan, figlio di Tork'den! E quella che hai ucciso era Pirquinn, la più leale compagna di avventure che potesse esistere!”

“Allontanati dalle uova!” gli consigliò automaticamente Vonch.“Non siamo soli, non lo capisci? È un drago che ha ucciso la tua cavalcatura! Ed è qui, in questa radura. Ha reagito dopo che hai attentato alla vita di uno dei suoi cuccioli, devi allontanarti dalle uova!”

“Da queste?” domandò il nano, guardando le lisce pietre raccolte assieme.“Mi prendi in giro!?” ruggendo distolse la mira da Vonch e puntò la propria arma al nido. Con un suono tuonante, le uova andarono in mille pezzi.“Eccole le tue stramaledette uova!”

“Sei un folle!” sbraitò Vonch, incredulo.

“Io sarei un folle? È questo che accade quando...” ma poi un boato risuonò attorno a loro, alzando stormi di uccelli in lontananza a facendo vibrare il terreno. “Un altro dei tuoi trucchi, lurido Orecchie-a-punta!?”

“Nessun trucco...” rispose Vonch, concentrato su ciò che sarebbe sbucato fuori da un momento all'altro. “...Hai fatto arrabbiare qualcosa, uccidendo quei cuccioli. E quel qualcosa sta venendo a dire la sua!”

“Adesso basta!” Tor'kan rialzò nuovamente l'arma da fuoco, puntandola contro Vonch.“Dì addio, mangia demoni!”. Per un'istante Vonch credette che fosse finita. La creatura che saettò serpentinamente fuori dalla giungla fu talmente veloce che il nano non ebbe il tempo di premere il grilletto. La bianca corazza di squame di cui il drago era ricoperto brillava alla luce del sole come migliaia di scudi da guerra. I grandi occhi erano di un blu glaciale, il corpo lungo una quindicina di metri. La maestosa postura lo faceva apparire ancora più alto di quel che era e le ampie ali impennate preannunciavano l'attacco. Il nano gli sparò addosso con la sua arma da fuoco, la quale però non sembrò avere alcun effetto sulla creatura. Il drago inclinò il capo, pronto a rispondere.

Vonch non perse tempo e vi si fiondò contro, ma una codata lo schiantò contro una roccia ai bordi della radura. Nel balzo, il Warlock perse la spada che impugnava nel braccio che subì l'impatto. Ci mise qualche istante a tirarsi in piedi, visto il duro colpo. Sentì per primi gli imprechi di Tor'kan, il quale continuava ad armeggiare il proprio fucile invano, ma con un solo scatto della testa il drago afferrò tra le aguzze fauci il corpo del nano e dopo qualche strattone lo sputò a metri di distanza. Il corpo spezzato volò nell'erba non lontano da Vonch e adesso il drago sembrava aver portato l'attenzione proprio su di lui, il quale poteva contare solo sulla sua staffa e sul proprio spirito di sopravvivenza. Alle spalle una parete rocciosa, attorno una radura priva di nascondigli e di fronte il nemico che aveva tanto cercato. La cosa che aveva ucciso suo padre si prostrava d'innanzi a lui, in tutta la sua antica bellezza.

Poi accadde qualcosa. Un particolare negli occhi del drago destò Vonch dal suo stato. Ora che poteva osservare con estrema cura la grande creatura alata, ora che era troppo tardi, si accorse dell'errore che gli sarebbe costato la vita:“Per mille Ally...” si rimproverò.“...non sei tu”.

Il drago gli si avventò contro. La sua velocità era impressionante e nello stesso momento in cui il Warlock alzò la staffa, le fauci si spalancarono su di lui.

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Capitolo 27
*** La canzone del paladino ***


XXVII

La canzone del paladino




Kriystal correva. A onor del vero pensò di non aver mai corso così tanto quanto nel tempo che aveva trascorso lontano Silvermoon. Prima la Dead scar, poi la fuga da Undercity e infine l'inseguimento dei mercenari che al momento si era definitivamente invertito. Lei, Soran e Vonch credevano di esser stati dietro Flaghart, il possessore della runa, fino alla stazione di volo. Ma una volta giunti a destinazione, avevano scoperto d'esser stati portati fuori strada. Dopo aver lasciato Vonch indietro, Soran e Kriystal si trovavano ora i compagni di Flaghart alle calcagna, i quali sembravano moltiplicarsi ogni istante che passava. Guardando di tanto in tanto i rari sprazzi di cielo che si riuscivano a intravedere tra le fronde degli alberi, Kriystal trovò confortante che almeno l'aquila del nano non sembrava essere sulle loro tracce.

“Quanti saranno?” domandò all'amico.

“Dieci, forse dodici!” rispose Soran, in testa. Il Sind'orei correva tenendosi la spalla ancora sanguinante, dopo il colpo infertogli dall'arma da fuoco del nano mercenario.

“Dobbiamo trovare la runa. Fuggire è inutile!”

“Fuggire è utile alle nostre vite. La runa non è lontana. Flaghart sapeva di essere inseguito, per questo non si è presentato alla stazione di volo. Ma questo vuole anche dire che deve trovare un altro modo per lasciare Stranglethorn. E i modi per andarsene da qui non sono molti!”

“Una nave?” ipotizzò Kriystal, col fiato appesantito dalla corsa.

“Probabile. Ma non oserebbe esporsi al pericolo recandosi nuovamente a Booty bay. È ancora qui, ti dico. Ed è possibile che sia in agguato, pronto a riprendere il passo una volta che i suoi uomini si saranno sbarazzati di noi! ...ngh!” Soran gemette dal dolore. La ferita gravava fortemente sulla resistenza del giovane warlock, ma non avevano nemmeno un istante per fermarsi a tentare un incantesimo di guarigione.

Improvvisamente un nitrire di destrieri li allarmò.

“Sono arrivati!” esclamò Soran, pallido in viso.

“Hai perso troppo sangue, Soran. Dobbiamo fermarci da qualche parte e rimarginare la ferita!”

“NO!” quello del warlock era un ordine.“non abbiamo tempo, capisci? Se ci fermassimo un istante a guardarci alle spalle vedremmo uomini in armatura farsi largo fra la vegetazione per venirci a uccidere!”. Kriystal sapeva che Soran aveva ragione, ma sapeva anche che continuare quella folle corsa li avrebbe condotti entrambi a un nefasto destino.

“Guarda laggiù!” continuò Soran. “c’è un ponte che attraversa il fiume. Il salto sarà abbastanza pericoloso da non invogliare i nostri inseguitori a venirci dietro!”

Kriystal guardò oltre le spalle dell’amico di fronte a lei, ed ebbe conferma all’istante della sua descrizione. Erano giunti in prossimità di un ponte in legno costruito sulle rapide del fiume in piena. La riuscita di sopravvivenza era improbabile. Inoltre Soran non aveva mai imparato l’arte del nuoto, l’impresa era pressoché un suicidio.

“Soran, non se ne parla. Se non sarà il salto a ucciderti, ci penserà l’acqua!”

“Non intendo discutere in questo stato, Kriystallina. Conto fino a tre! Ci siamo quasi…”

Kriystal avrebbe voluto fermarlo, ma arrestare la propria corsa avrebbe significato farsi catturare. Non restava che persuaderlo a rinunciare:“È una follia e tu lo sai, Soran. Continui a perdere sangue, te ne rendi conto?”

“Uno…!” gridò Soran.

“Non possiamo, non sai nemmeno nuotare!”

“Due…!” gli uomini dietro di loro erano così vicini da potersi fermare e prendere la mira coi loro archi. Kriystal e Soran ormai si trovavano sul ponte.

“Fermati!” insistette Kriystal, esasperata.“non sai quel che fai!”

Soran si arrestò improvvisamente, al centro del ponte. Si voltò verso Kriystal e i loro sguardi si incontrarono reciprocamente:“Tu lo hai mai saputo?” domandò il Warlock, sorridendo.

Più che lanciarsi, Soran lasciò che il suo corpo caracollasse aldilà dei corrimano in corda del ponte. Un numero indefinito di frecce sfiorarono Kriystal, evitandola per miracolo.

I dadi erano tratti e a lei non restava che seguire l’amico. Si tuffò, chiudendo gli occhi e sperando con tutta sé stessa di non collidere con alcuna sporgenza rocciosa sul fondo del fiume. L’impatto con l’acqua fu terribilmente gelido, quasi lacerante. Dapprima Kriystal sentì che il proprio corpo era in balia della corrente. Non riuscì a slacciarsi gli spallacci dell’armatura e credette che questo avrebbe segnato la sua fine. Ma proprio la corrente violenta le impedì di colare a piccò, trascinandola con sé.

Il fodero della spada sbatté qua e là contro diverse rocce e una lieve cascata incrementò il continuo roteare del corpo come fosse un tronco d’albero. Trattenendo il fiato agitava le mani alla ricerca di un qualsiasi appiglio in grado di salvarla da morte sicura. Un altro colpo contro una roccia le provocò un brutto graffia sulla coscia sinistra e sentì la borsa da cinta venirle strappata dalla vita.

Il piccolo involucro conteneva solo qualche soldo, ne avrebbe dati molti di più a chiunque fosse riuscito a tirarla fuori da lì.

Poi, quando anche l’ultima riserva d’ossigeno sembrava abbandonarla, una ferrea presa la abbracciò da dietro e la tirò su con forza. Non appena uscì dall’acqua, Kriystal riprese convulsivamente a respirare, mentre chi l’aveva salvata la depose sull’erba bagnata dalla pioggia.

“Oggi pesca grossa, eh?” Kriystal non aveva ancora del tutto ripreso il controllo, ma la voce di Bithah la riportò rapidamente alla realtà. Senza sprechi di parole gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò fortissimo:“Mi dispiace per quanto successo. Sono stata una sciocca, è tutta colpa mia!”

“Smettila di frignare” Thehorde, in piedi dietro a Bithah, la guardava come sempre dall’altro al basso. “Non ci rimane più tempo!”

Bithah era inginocchiato vicino a Kriystal, la quale cominciò a riassestarsi. Il paladino le prese dolcemente il volto tra le mani e la guardò dritto negli occhi, ancora una volta allo scopo di essere il più chiaro possibile:“Thehorde ha ragione, Kriystal. Abbiamo un’ultima carta da giocarci per prendere le rune a Flaghart e i suoi uomini. Su un tratto di spiaggia a Ovest di Booty bay un gruppo di pirati del posto aspettano Flaghart per prendere il largo, diretti a Nord…”

“Pirati?” domandò Kriystal. Poi tutto sembrò non avere più importanza. In preda al terrore si guardò prima intorno. Non vedendo altro oltre a tanta giungla, Bithah e Thehorde, si voltò a fissare lo scorrere tormentato del fiume da cui Bithah l’aveva salvata:“Soran! Avete visto Soran? Mi aveva preceduta, non può non esservi passato davanti agli occhi!”

Bithah, alzò lo sguardo verso Thehorde, il quale sembrò non volerne sapere nulla. Poi si rivolse a Kriystal:“Deve essere uscito dall’acqua prima di te. È così per forza. Se fosse stato trascinato sin qui dalla corrente lo avremmo tratto in salvo, come abbiamo fatto con te”.

“Voi non capite!” inveì Kriystal, alzandosi in piedi. L’armatura era tremendamente appesantita.“Soran era ferito a un spalla, perdeva molto sangue e non sa nemmeno nuotare! A quest’ora potrebbe essere già morto!”

“Kriystal” Bithah restò calmo, affinché le sue parole penetrassero con più efficacia nell’aspirante paladina.“se è come affermi, allora potrebbe non esserci più nulla da fare. Non possiamo permetterci di perdere le rune per cercare Soran. Lo stesso vale per Robil, o Vonch. Se non sono con voi voglio sperare nel meglio, e credere che siate stati costretti a dividervi.

Speranza, kriystal. La speranza è una delle poche cose che rimangono fino all’ultimo. Teniamocela stretta, d’accordo?”.

Kriystal non avrebbe voluto ammetterlo, ma Bithah aveva ragione. Vederlo in piedi di fronte a lei, vivo e vegeto, era una dimostrazione che non tutto era perduto. Guardò ancora il fiume per pochi istanti, poi si rivolse al paladino:“Dov’è la tua armatura?”

Bithah si diede un colpetto sulla fradicia camicia che aveva indosso:“Perché, non ti piace il mio nuovo equipaggiamento?”

“Non ce l’hai proprio, l’equipaggiamento!” esclamò Kriystal.

“Si,beh. Sono certo che un giorno ritroverò tutti gli oggetti di mia proprietà a qualche asta Goblin. Mai disperare, giusto Thehorde?”

“A me importa che ci muoviamo!” ringhiò il Warlock rosso.“quella ti rallenterà?”.

Kriystal credette inizialmente che Thehorde si riferisse alla sua persona, poi capì che intendeva la ferita che aveva riportato sulla coscia sinistra durante le colluttazioni in acqua. “Questa?” Kriystal passò lievemente una mano sul graffio, provocando un breve bagliore roseo. Poi tolse la mano, e la ferita si era rimarginata.“no, non mi rallenterà” rispose, guardando alla pari il Warlock.

“Procediamo allora!” Thehorde voltò le spalle e prese a marciare.

Al contrario, Bithah guardò orgoglioso la sua allieva:“Grandi progressi, vedo!”

Kriystal annuì, sorridendo, poi si accorse che mancava qualcosa:“Il mio pugnale!” assieme alla borsa, doveva essersi strappato anche il fodero che conteneva il pugnale di Silvermoon.

“Non ci siamo soffermati per il tuo amico” rispose seccato Thehorde, avanti di qualche passo rispetto a loro.“non intendo mettere a rischio il destino dell’intera Azeroth perché tu hai perso il tuo giocattolo!”

Kriystal avrebbe voluto lì per lì piantargli un Martello dell’ira nella schiena. Ma Thehorde aveva ragione, e la missione veniva prima di tutto.

Sotto una pioggia che piano piano cominciava a farsi battente, il trio affrontò ancora una volta i meandri della giungla di Stranglethorn.

“Prima Robil, poi Vonch e ora Soran” ricapitolò Bithah, mentre camminavano.“che fosse previsto o no, quei bastardi sono riusciti a dividerci”.

“Robil è restato indietro per sventare un’imboscata” spiegò Kriystal.“mentre Vonch ha aiutato me e Soran a fuggire da una stazione di volo dell’Alleanza, dove Flaghart e i suoi uomini ci avevano condotto in trappola. Chi avrebbe pensato che la loro destinazione era la spiaggia”.

“Noi lo abbiamo saputo dopo avere battuto le guardie di Revilgaz e avere seppellito quest’ultimo. Abbiamo attraversato la spiaggia e in lontananza abbiamo avvistato la nave e i pirati”.

“Avete ucciso il barone di Booty bay?” domandò Kriystal, sconvolta.

“Chi ha detto che lo abbiamo ucciso?” sorrise Bithah. “lo abbiamo seppellito nella sabbia fino al collo. Il peggio che può succedergli è prendere un’insolazione!”

“Passerete dei guai, lo sapete questo?” Kriystal non riusciva a trovare il lato divertente della cosa, per quanto fosse felice che Bithah fosse in salvo.

“Lo sappiamo eccome” rispose Bithah.“ma ogni cosa a suo tempo. Adesso abbiamo una missione da compiere!”

“E a quanto pare siamo sulla strada giusta” intervenne improvvisamente Thehorde, il quale arrestò il passo ai piedi di un’alta struttura in pietra parzialmente coperta dalla natura selvaggia, di fronte a quella che sembrava essere la cancellata d’ingresso di una rocca o di un edificio simile. Le colonne erano a forma di enormi serpenti, e ad esse erano legati quattro cavalli equipaggiati di sella.

“Che cos’è?” domandò Bithah.“un tempio Troll?

“Peggio, temo” rispose Thehorde, con un insolito tono cupo.“in ogni caso quei cavalli appartengono senza dubbio agli uomini di Flaghart. Lui potrebbe averli preceduti ed essersi diretto alla spiaggia, oppure tutti e cinque hanno trovato rifugio entro questa costruzione, nel caso in cui fossimo stati noi a raggiungere per primi la spiaggia”.

“Non sanno più cosa inventarsi, vero?” fece Kriystal.

“La cosa comunque non mi piace” espresse la propria opinione Bithah.“chi si nasconde non lascia le proprie cavalcature in bella vita”.

“Possiamo permetterci di ignorare l’eventualità che siano stupidi umani e continuare il nostro cammino imperterriti?” domandò retoricamente Thehorde.

“D’accordo” si arrese Bithah, impugnando la spada corta.“Tu sei pronta?”

Kriystal annuì, brandendo a sua volta la spada. I tre attraversarono l’arcata e con loro sorpresa si ritrovarono in uno spazio aperto a pianta circolare. La fitta nebbia alzata dalla pioggia li costrinse a studiare a fondo l’ambiente che li circondava.

“Dove siamo finiti?” domandò Kriystal. Le gradinate che percorrevano tutto il perimetro della struttura parevano chiudersi su di loro.“Sembra la sala del consiglio di Sivermoon. Solo molto, molto più grande”.

“Ora mi è chiaro dove ci troviamo” disse Bithah, guardandosi attorno.“questa è un’arena”.

“Un’arena risalente all’antico impero Gurubashi” specificò Thehorde.“e questa è chiaramente una trappola”. A conferma delle sue parole, improvvisamente un numero indefinito di frecce piovvero su di loro. Il Warlock agitò la staffa una sola volta a mezz’aria, e le frecce si spezzarono contro una parete invisibile.

“Attaccate!” Kriystal riconobbe nel grido echeggiante la voce di Flaghart, ma non riuscì a individuarne la fonte.

“Lui è qui!” fece sapere ai compagni, mentre tutti e tre alzavano la guardia.“quello schifoso umano è qui!”

Dalla coltre di nebbia non quattro, ma una decina di uomini si avventarono su di loro, urlando e alzando le loro spade. Bithah parò il primo colpo, stese il nemico con un calcio all’addome e si dedicò subito al secondo.

Thehorde trafisse un umano con la sua spada, poi con la staffa ne fece volare via di qualche metro altri due.

Kriystal affrontò ad armi pari un uomo dai capelli lunghi e grigi. Il nemico aveva abbastanza forza, ma Kriystal era più svelta. Scansando due affondi, attese il momento giusto per contrattaccare e quando ci riuscì un solo colpo bastò a uscirne vittoriosa. Altri due umani la aggredirono simultaneamente. Uno di loro fu caricato fisicamente da Bithah, il quale lo schiantò a terra e poi lo trafisse con la spada corta. Kriystal uccise il suo avversario, appena prima di vedere un piccolo ometto intento a cogliere Thehorde alle spalle. Con un martello dell’ira lo colpì dritto nel petto, e con sua enorme gioia Thehorde se ne accorse:“Non ti aspetterai che ti ringrazi, vero?”

“Non c’è di che!” rispose lei, mimando un inchino mentre Bithah finiva l'ultimo uomo.

“Fatti vedere!” urlò Thehorde.“Niente trucchi, nessun sotterfugio. Vieni avanti e affrontaci!”

In tutta risposta, le perfide risa di Flaghart riecheggiarono nell'arena. Il gioco di rimbombi permetteva al mercenario di non far individuare la sua posizione, cosicché la sua presenza abitasse l'intera area circostante:«In altri tempi sarebbe stato un onore fare la tua conoscenza, Stregone rosso. La tua fama e il mistero che aleggia intorno a te ti precedono e si tramandano anche fra la mia gente. Quanto sangue ti trascini dietro, Sind'orei. Quali agghiaccianti segreti cela il tuo nome?» Kriystal guardò Bithah, il quale guardava Thehorde. Non c'era stupore negli occhi del paladino, bensì la solita fiducia e complicità che da sempre lo caratterizzavano. Dal canto suo, Thehorde non batté ciglio.

Poi altre risate si aggiunsero a quelle di Flaghart. Stridule ilarità circondarono i tre Sind'orei, come se un esercito di Gnoll li stesse per assalire.

«A sinistra!» gridò improvvisamente Bithah, e repentinamente Thehorde parò altre due frecce nel punto in cui il paladino aveva indicato. «Riconosco queste risa. Sono i Kald'orei sopravvissuti allo scontro a Booty Bay. Quei maledetti sembrano in trenta, ma sono soltanto due!»

«Astuto, il Sind'orei dai capelli corti» la voce di Flaghart era tornata a farsi dominante, ma la nebbia impediva loro di scovare il suo nascondiglio.«Lo sai? I miei compagni hanno un conto in sospeso con voi, per avere ucciso uno di loro. Ho dato loro l'ordine di recarsi alla spiaggia, vi conviene muovervi se non volete perdervi le rune!»

«Venite a prenderci!» gridò l'Elfa della notte, poi si sentirono alcuni passi allontanarsi.

«Se crede che cadremo nella sua trappola...» disse Bithah.

«Li inseguo io» lo interruppe deciso Thehorde.

«Cosa?» Bithah e Kriystal esordirono simultaneamente.

«Sono d'accordo con te, Bithah. È sicuramente una trappola. Ma se c'è la minima possibilità che Flaghart dica il vero e che quei due abbiano la runa, allora non possiamo lasciarcela scappare».

«È una follia!» esclamò Kriystal.

«Eccome se lo è» concordò Bithah, scambiandosi una lunga occhiata con il Warlock.«Tuttavia Thehorde ha ragione».

«Come!?» Kriystal insistette, ma parve che i due compagni avessero già deciso.

«Molto bene. Voi guardatevi le spalle l'un l'altra. Flaghart tenta di allontanarci da lui, ma ciò non significa che non sia solo. Tornerò da voi non appena avrò ucciso i due Kal'dorei!» detto questo, Thehorde evocò il suo destriero infuocato e cavalcò fuori dall'arena Gurubashi, lasciando Kriystal e Bithah in balia della nebbia.

«Hai paura?» le domandò Bithah.

«Sì» ammise Kriystal.

«Fanne la tua arma migliore».

«Sapevo che non sarebbe stato facile liberarmi di tutti e tre» Flaghart tornò a riecheggiare. «Ma ho qualcosa anche per voi». Improvvisamente si sentì un forte cigolio, come se più cancellate venissero aperte tutte assieme. Poi versi smorzati e passi striscianti cominciarono ad avvicinarsi al centro dell'arena in cui si trovavano Bithah e Kriystal.

«Questo non è rimbombo» disse Bithah alzando la guardia.«siamo davvero circondati».

«E credo di sapere di che cosa si tratta» Aggiunse Kriystal, la quale brandì la spada posizionandosi schiena contro schiena con il paladino, pronta a ricevere nemici da ogni direzione. Suo malgrado aveva riconosciuto quel tipo di lamenti e respiri affannosi. Le stesse creature che si erano cibate delle carcasse del villaggio vicino alle Foreste di Silverspine ora erano lì, a pochi passi da loro.

«Ricordati, la spada e il cuore. Nient'altro. Tutto ciò che devi mettere nella battaglia è questo» la preparò Bithah, in vista della messa in pratica del loro addestramento.

«La spada e il cuore» ripeté Kriystal, a bassa voce.

Improvvisamente, la nebbia attorno a loro si illuminò di decine di fiamme azzurre elevate a mezz'aria, simili a fuochi fatui. Poi attorno ad esse si delinearono i volti tumefatti dei non morti assoggettati al Flagello. Quel che restava delle loro armature rivestiva la poca carne di cui i loro corpi erano rivestiti. Che essi in vita fossero stati Elfi, orchi o umani adesso era impossibile da riconoscere.

«Lich...» sussurrò Bithah. «Laddove la spada non saprà svolgere il suo compito, noi due abbiamo un'altra arma a nostra disposizione. Ora più che mai il suo effetto sarà devastante».

Kriystal sapeva perfettamente di che cosa stesse parlando il paladino. L'Esorcismo era nato per annientare i Flagellati della prima epidemia. Adesso che entrambi sapevano utilizzarlo le sorti della battaglia potevano volgere a loro favore.

Uno dei non morti si avventò per primo sui due Sind'Orei e Bithah seppe abbatterlo facilmente piantandogli la propria spada in mezzo agli occhi:«Coraggio, Kriystal. Possiamo uscirne vivi. Ti copro le spalle!».

Kriystal annuì, poi si lanciò sui due non morti vicino a lei. Con un solo fendente tagliò loro la testa e liberando una mano dall'elsa della spada ne uccise un altro con un ondata di Esorcismo. I nemici erano in netta maggioranza numerica rispetto a loro, ma la magia sembrò funzionare alla perfezione e i non morti caddero uno ad uno come pedine.

Poi dalla coltre di nebbia si sentirono dei passi forti e pesanti. Mentre atterrava altri tre nemici Kriystal poté osservare il nemico che avanzava verso di loro. Era un non morto possente e decisamente più grosso di tutti gli altri. Indossava un armatura nera e corazzata, e impugnava uno spadone che emanava un bagliore simile a quello degli occhi del Flagellati.

«Il cavaliere è mio!» le gridò Bithah, lanciandosi contro il campione dei non morti. Kriystal avrebbe optato per affrontare assieme il bestione, ma se lei non si fosse occupata degli altri nemici Bithah si sarebbe trovato addosso anche loro.

Il paladino si trovò faccia a faccia con il cavaliere, il quale era almeno due stazze più grosso di lui. Tuttavia egli fu imperterrito e fronteggiò il pericolo senza arretrare di un solo passo. La spada trafugata ai goblin cozzò contro la lama potenziata dalle rune di cristallo, che sembrò non sortire alcun effetto di cedimento.

Il cavaliere rispose con più affondi, che Bithah riuscì prontamente ad evitare. Il quarto affondo gli procurò un profondo graffio alla spalla sinistra, abbassando per un istante la sua guardia.

Kriystal seguiva il duello a tratti mentre difendeva la propria vita contro i reietti del nord, che finalmente sembravano calare di numero.

«Questa non ci voleva» ringhiò Bithah, parando faticosamente l'ennesimo attacco nemico. Il cavaliere sembrava non esser toccato dallo sfinimento, bensì continuava a infierire senza prendersi un secondo di respiro. «Se soltanto avessi la mia spada e la mia armatura, ti farei vedere io chi...» poi, improvvisamente il nemico cambiò strategia di attacco e riuscì a disarmare Bithah amputandogli tre dita della mano. Il paladino soffocò un urlo di dolore e si gettò immediatamente a recuperare la spada corta volata a terra. Ma con una forza disumana, il cavaliere pestò la lama di Bithah, impedendogli di alzare l'arma. Bithah mise tutta la sua forza nello sfilare la spada da sotto lo stivale del non morto, ma essa non si mosse.

Quando vide il cavaliere alzare in aria il suo spadone, pronto a calarlo sul paladino, Kriystal seppe di dovere intervenire. Generò il suo pugnale di mana e lo lanciò in direzione del cavaliere, trafiggendolo in mezzo al petto. Il gesto dell'elfa sembrò soltanto attirare l'attenzione del nemico su di lei. Tuttavia, questo bastò a Bithah per tentare nuovamente a tornare in possesso della spada corta. Diede un ultimo strattone, che però spezzò in due la lama. Bithah raccolse quel poco che era rimasto della sua arma e vide il cavaliere cominciare ad avanzare verso Kriystal. Guardando il piccolo frammento di lama rimasto attaccato all'elsa, Bithah capì di avere un ultima, disperata possibilità. Con un urlo degno di un combattente dell'orda, il paladino prese a correre verso il nemico brandendo i resti della spada. Assalì il cavaliere alle spalle con un forte pugno al costato, tanto da riuscire a farlo piegare di poco. Poi, quando il cavaliere si girò verso di lui, lo trafisse alla giugulare con tutta la sua forza. La lama spezzata della spada corta penetrò nella carne del non morto, i cui occhi infuocati si spensero e il cui corpo si accasciò a terra.

Anche Bithah dovette inginocchiarsi al suolo per riprendere fiato. Quando alzò lo sguardo verso Kriystal, scoprì che l'elfa si era liberata di tutti gli altri non morti:«Mi hai salvato la vita» disse, riprendendo fiato e stringendosi la spalla ferita con la mano sana.

Kriystal si chinò su di lui e appoggiò delicatamente il palmo della propria mano sul taglio procuratogli dal cavaliere. Con l'altra mano afferrò quella mutilata del compagno:«Stai tranquillo, non ho intenzione di farti del male».

Nonostante una fitta di dolore, Bithah sorrise:«Sembra la mia giornata fortunata. Sei un altro Warlock forse?»

Kriystal ricordava a memoria le prime parole che i due si erano scambiati ai cancelli del Fosso della morte, e le seppe recitare a memoria:«Spiacente di deluderti, non sono un Warlock. Ora stringi forte i denti, sentirai soltanto molto dolore».

Bithah non seppe trattenere un'altra risata e guardò Kriystal negli occhi:«Allora devi essere un Prete!»

Kriystal concentrò il suo mana:«Se lo fossi, accadrebbe questo?» dal suo tocco scaturì una forte luce e quando lasciò libera la spalla e la mano del paladino la ferite si erano rimarginate quasi del tutto. Le dita della mano non furono ricresciute, ma l'amputazione era del tutto cicatrizzata.

Bithah guardò con orgoglio il frutto degli addestramenti nel Mulgore, ma poi la sua attenzione fu attirata da qualcosa dietro a Kriystal:«Attenta, ne è rimasto uno!»

Kriystal si voltò e vide un non morto a breve distanza trascinare il suo corpo ossuto nella loro direzione:«Ci penso io». Con passo deciso camminò verso il non morto, il quale sembrava non accorgersi nemmeno del destino a cui andava incontro. Kriystal depose la spada nel fodero e incrociò le mani sul seno, incanalando la riserva di mana. Arrivata di fronte al Flagellato, lo schiantò con un Esorcismo. Il corpo del non morto cadde a pezzi, come un tronco dall'interno marcito.

Quando Kriystal si voltò nuovamente verso il compagno, egli si era alzato in piedi e con fierezza aveva osservato le sue azioni:«È questo ciò che sei, Kriystal. Non ci sono esami di ammissione, non ci sono leggi che fanno di noi ciò di cui essenzialmente siamo capaci. Tu sei mossa dal cuore, e il tuo cuore comunica attraverso la battaglia per mezzo della tua spada. Questo e ciò che sei. Questo è ciò che significa essere un paladino, quello a cui hai tanto agognato e che in realtà non è mai stato qualche cosa al di fuori o lontano da te. La tua classe è parte di te, nessuno può obbligarti ad acquisirla e nessuno può vietartelo. Sei una paladina, Kriystal. Questo è ciò che sei».

Le parole di Bithah scaldarono il cuore dell'elfa. Al centro di un'antica arena bagnata dalla pioggia battente, a pochi passi l'uno dall'altra e avvolti dalla fitta coltre di nebbia che li estraniava dal mondo esterno, i due paladini si sorridevano reciprocamente. Reduci entrambi da un estenuante prova che aveva contribuito ulteriormente ad avvicinarli.

Distratta da quell'istante di complicità, improvvisamente Kriystal vide un'ombra incombere alle spalle del compagno. In sella al suo destriero, Flaghart uscì dalla nebbia brandendo la propria spada. Kriystal urlò il nome dell'amico, ma a nulla servì.

La spada di Flaghart tranciò di netto la testa di Bithah prima ancora che il paladino riuscisse ad accorgersi di quel che stava accadendo. Il grido di orrore di Kriystal squarciò l'aria, le gambe le cedettero. Cadde sulle ginocchia e il respiro le si spezzò in gola, come se tutto il mana di cui fosse in possesso le venisse strappato brutalmente dal petto.

La testa di Bithah roteò fino al punto in cui Kriystal si era accasciata in preda al dolore. Gli occhi vitrei del paladino non guardavano nulla. Nessun sorrido, nessuna smorfia. L'espressione totalmente assente faceva assomigliare la testa a un oggetto inanimato, fittizio, come un fantoccio di paglia o una scultura marmorea.

Tutto attorno a Kriystal aveva preso a roteare. Provò a pronunciare qualche parola, ma non uscì un filo di voce. Ciò che era appena successo non le parve possibile. Allungò entrambe le mani verso il volto dell'amico per accarezzarne i corti capelli.

Quando riuscì a trovare la forza di alzare lo sguardo di fronte a sé, vide il corpo decapitato di Bithah riversato a terra, ai piedi del quale Flaghart si ergeva immobile, ancora in sella al suo destriero.

«Perché?...» Kriystal non sapeva quel che stava dicendo, e parlava talmente piano che probabilmente l'umano non l'aveva nemmeno sentita.«...era di spalle, disarmato e indifeso».

Flaghart si leccò repentinamente la cicatrice sul labbro, poi indicò l'elfa con la punta della spada ancora gocciolante di sangue.«Questo è quello che succede quando si cerca di interferire con eventi più grandi di noi, lo capisci? Voi non dovevate essere qui. Potevate starvene tranquilli, nelle vostre foreste incantate a fare volare pesanti tomi e altre cose da demoni. Non dovevate credervi così importanti per questa guerra. Questa guerra, coloro che la combatteranno e chiunque la vincerà, nemmeno ricorderanno il vostro nome, né il mio. Per quale motivo dovevate infierire sulle vostre misere esistenze in questo modo? Era tutto molto più semplice se sceglievate di fare come il sottoscritto!»

Mentre Flaghart parlava, le sue parole non sfioravano Kriystal nemmeno per un secondo. L'elfa era assorta in una specie di trance e continuava a vegliare sul capo decollato del paladino come se stesse dormendo.

«Io ho scelto di vivere ai margini della storia!» continuò Flaghart.«Non mi importa se i posteri sapranno che ho partecipato o meno all'apertura delle danze. Io combatto soltanto per il denaro, l'oro e l'argento necessari per potermi ritirare in terre lontane assieme a mia moglie e mio figlio. Cosa può volere un uomo più di questo?»

Quest’ultimo quesito destò per un istante Kriystal dal proprio stato di ipnosi:«Davvero lo fai solo per questo?»

«Come?» fece Flaghart, troppo lontano per sentire distintamente le parole dell'elfa.

«Distruggi villaggi, uccidi persone. Tutto questo, lo fai solo per te stesso? Per raggiungere la somma di denaro che ti garantisca una pacifica vecchiaia?»

Flaghart rise delle domane dell'elfa, come se avesse di fronte a sé un fanciullo alle prese con le prime perplessità sul mondo:«Rassegnati, Zuccherino. Tutti voi avete agito diversamente dal sottoscritto, avete obbedito scrupolosamente alla vostra patria, avete combattuto e siete morti per servire persone che al terminare di questa pioggia non si ricorderanno nemmeno del vostro nome! Ma dico, guardati intorno! Tutti i tuoi amici sono morti e tu sei sola, triste e spaventata. Lo sai? dovrei ammazzarti come un animale allo stesso modo in cui ho ucciso il tuo amico. Tuttavia, ho deciso che oggi vivrai, affinché tu possa guardare al domani sapendo che la tua sopravvivenza è stata frutto di un mio desiderio, della mia volontà. Affinché tu sia consapevole che né noi né nessun altro su questo mondo ha libera scelta della propria vita. C'è sempre qualcuno di superiore che decide per noi, come io oggi ho fatto con te».

Kriystal passò con le dita della mano i lineamenti impassibili del volto di Bithah, là dove un tempo era scolpito costantemente un sorriso:«...non andartene». Disse, nuovamente assente.

«Sii fiera di quello che oggi tu e il tuo gruppo avete guadagnato in queste giungle selvagge» infierì Flaghart.«Avete perso tutto, e a te ora non rimane più nulla per cui combattere. Se non fosse stato per l'elfo che si è introdotto nel vostro gruppo per conto mio, a quest'ora non vi avrei messo in trappola e mi sareste ancora alle calcagna. Se lo incontrassi nuovamente portagli i miei omaggi.

E ricorda, zuccherino, se ti ostinerai a seguirmi farai la loro stessa fine!», poi girò il cavallo e sparì a galoppo nella nebbia.

Kriystal allontanò lentamente le mani dalla testa di Bithah, poi alzò lo sguardo e fissò il punto in cui Flaghart era apparso e scomparso come uno spettro. Afferrò l'elsa della propria spada e tremando la sfilò dal fodero. Parte di quello che l'umano aveva detto infondo era vero. Con ogni probabilità era l'unica sopravvissuta del suo gruppo. Tuttavia, Flaghart aveva torto nel definirla triste e spaventata. Quel che le provocava il tremore in tutto il suo corpo e che ora le aveva permesso di alzarsi in piedi era un irrefrenabile ira e una profonda sete di vendetta.

«Ho detto di non andartene!» gridò alla nebbia. Poi evocò Silbar, gli salì in sella e lasciandosi Bithah alle spalle si fiondò verso l'uscita dell'arena, all'inseguimento di Flaghart.

 

Kriystal correva. Il fango incollato alle zampe di Silbar era l'unico suono che si udiva nell'area circostante, mentre l'elfa attraversava rapidamente la giungla di Stranglethorn incurante dei pericoli di cui lei e i suoi compagni fino a poco prima si erano tanto preoccupati. Correva e non le importava di feroci pantere o Troll selvaggi, della pioggia che le scivolava sulla pelle o del mondo che inesorabilmente le era crollato addosso. Il suo unico obiettivo aveva un nome, un volto e una pallida cicatrice sulle labbra.

Ma Flaghart era lontano. Troppo lontano perché Kriystal potesse raggiungerlo. Distante dalla strada principale e da qualsiasi punto di riferimento, l'elfa non aveva idea su come raggiungere la spiaggia da cui i pirati lo avrebbero aiutato a prendere il largo. Tuttavia non arrestò il passo, né allentò la presa sull'elsa della sua spada. Tutto ciò che la circondava non aveva forma, non aveva alcun significato. Piante, cortecce e frutti non erano altro che tratti indistinti di un tutt'uno privo di valore. Kriystal saettava da un sentiero incolto a un altro, saltando pozzanghere e fossati ignorandone il pericolo.

Per un momento le parve che delle voci si sovrapponessero attorno a lei. Decise di ignorarle e proseguì imperterrita la sua folle corsa. Poi le voci divennero canti. I canti si alternarono a stridule risa. Questo distrasse Kriystal dalla freccia che sbucò dal nulla e che andò a conficcarsi nel fianco scoperto di Silbar, il quale sparì in un cumulo di polvere di mana. Kriystal si cappottò in avanti e finì di schiena nel fango. Quando si alzò, le risate attorno a lei si rivelarono due.

«So chi siete!» gridò Kriystal, tenendo alta la guardia. «Fatevi avanti!».

In tutta risposta, un'altra freccia fu scagliata verso di lei. Quando con la spada riuscì a spezzarla, una seconda le si piantò nella gamba sinistra. Kriystal strinse i denti e continuò a guardarsi attorno, per capire dove si nascondessero i nemici.

«Il paladino va, che cosa troverà...» la voce della Kald'orei femmina era incredibilmente nitida. Doveva trovarsi a pochissima distanza da lei, eppure Kriystal non riusciva a vederla. «...Usa la spada, sanguina e sbava, il paladino se ne va...!» Altre risate. Poi il compagno riprese la canzoncina. Nel frattempo era smesso di piovere, tuttavia una giungla restava il posto meno indicato per evitare attacchi nemici.

«Venite qui, vigliacchi!» inveì Kriystal, furiosa. Riuscì a udire lo scoccare di un'altra freccia, ma non fu abbastanza veloce per fermarla. La punta trapassò l'armatura all'altezza dell'addome. Kriystal si piegò per un attimo, ma l'istante seguente fu pronta a reagire all'attacco di un feroce felino.

Una pantera dal manto scuro le sie era lanciata contro e per poco Kriystal non ci aveva rimesso la giugulare. Dopo aver mancato il colpo, la pantera sparì nuovamente nella giungla.

«L'hai mancata, ma come hai fatto?» domandò l'elfa della notte al suo compagno.«Guarda e impara!». Una terza freccia colpì Kriystal al bicipite sinistro, nel braccio con cui impugnava la spada. Ormai raggiunto il limite della sofferenza Kriystal riuscì comunque ad accorgersi di un secondo agguato da parte della pantera. Lanciandosi di lato, l'elfa evitò che le fauci del felino riuscissero a penetrare la carne fino in fondo, ma ciò non la risparmiò da un profondo graffio all'altezza del ventre.

Reggendosi a mala pena in piedi, Kriystal tentò nuovamente di intimorire i nemici a farsi avanti:«Fatevi sotto. Trasformatevi in pantere, orsi, o in quello che preferite. Ma vi farò a pezzi, uno dopo l'altro!». I due elfi della notte tornarono a intonare la canzone del paladino e a ridere delle condizioni dell'elfa, rimasta sola e gravemente ferita.

Le forze di Kriystal vennero gradualmente a mancare. Prima le cedette la gamba martoriata, poi senza accorgersene lasciò andare anche la spada. La vista le si fece fioca, distorta, e le ferite cominciarono a bruciare sempre meno. Mentre Kriystal, in ginocchio, perdeva lentamente lucidità, l'elfa della notte dai capelli verdi decise finalmente di mostrarsi. Alle sue spalle avanzò anche l'altro Kald'orei, sulle cui labbra era ancora visibile il sangue prelevato all'elfa quando l'aveva azzannata sotto forma di felino.

«Vi ucciderò entrambi...» provò a parlare con fatica Kriystal.«...e poi prenderò Flaghart».

La Kald'orei sembrò studiare la sua preda da capo a piedi, come se si stesse gustando a pieno quell'immagine del suo nemico trafitto, agonizzante e completamente disarmato.

«Sai? Devo riconoscerti di esserti dimostrata parecchio ostinata. Io non mi sarei mai spinta in totale solitudine nel cuore della giungla per rincorrere un umano a cavallo. Nemmeno se egli mi avesse appena ucciso tutti i miei amichetti, capisci?». Quest'ultima frase provocò un cinico sghignazzamento al compagno. Kriystal riusciva a percepire solo in parte gli scherni dei nemici, poiché i sensi la stavano ormai abbandonando del tutto. La Kald'orei alzò l'arco, incoccò un delle sue frecce e la puntò verso l'elfa:«Hai un'ultima cosa da aggiungere?».

Kriystal guardava il cielo, quel poco scuro di cielo che era visibile aldilà delle fronde. Nel momento in cui la punta della freccia Kald'orei andava a configgersi all'altezza della trachea, l'elfa era riuscita soltanto a formulare mentalmente le uniche parole che avrebbe voluto pronunciare:«...Mi dispiace». Il fiato le morì in gola prima che le esprimesse, poi si riversò al suolo con tutto il peso del corpo. Lo squarcio che si poteva intravedere attraverso il fitto fogliame degli alberi era nascosto da un grigio velo di nubi. Gocce di pioggia cominciavano a picchiettare sul suo volto e lei, sdraiata sulla schiena in una fangosa radura, sentiva la vita venirle strappata dal petto. Come un ricordo rimosso inconsciamente. Non c'erano più gli occhi del padre a spronarla, non c'era più il sorriso di Bithah a darle sicurezza. Era sola e morente in una terra ostile.

Dopo pochi istanti tutto quanto diventò intangibile, una spada senza il suo paladino e un cuore senza il suo battito.







 N.D
Gentili lettori, 

Dopo cinque anni di lento, ma provato lavoro sono lieto di annunciare che mancano due capitoli per la conclusione del racconto "World of Warcraft: Kriystal". Il nome degli ultimi due capitoli saranno:

 

  • XXVIII - "Il cuore e la spada"
  • XXIX - "Esilio (Epilogo)"
​Colgo l'occasione (anche se lo rifarò al momento della chiusura dei giochi) per ringraziare chi ha avuto la tenacia e il piacere di avermi seguito in quest'avventura. Rileggere ora i primi capitoli di Kriystal provoca in me qualche sorriso, perché parliamo di ben cinque anni fa e il mio cammino è stato al quanto vissuto (se c'è stata maturazione nella scrittura è vostro compito dirlo, non mio!), se pur da dilettante e basato su un mondo fantastico in gran parte già ben delineato. Io mi sono divertito molto (bè, nel caso di questo ventisettesimo capitolo mi son più rattristato!) nel costruire il personaggio di Kriystal e il suo viaggio, e più di ogni altra cosa spero di avere trasmesso la sua di crescita, e il definirsi di un destino che, a vedersi, ha qui trovato conclusione.
A presto!


Sinful Theatre 
 



 

 

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