Lost in your eyes - Story of a broken dream di AnAngelFallenFromGrace (/viewuser.php?uid=22478)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Biting memories ***
Capitolo 2: *** Waking dream ***
Capitolo 3: *** Our secret ***
Capitolo 4: *** Coming to the senses ***
Capitolo 5: *** Sing with me ***
Capitolo 6: *** Impossible desires' list ***
Capitolo 7: *** Unexpected call ***
Capitolo 8: *** Like brother and sister ***
Capitolo 9: *** 'Tween funny tales, tiffs and recording studios ***
Capitolo 10: *** Night of fear ***
Capitolo 11: *** A ride in your mind ***
Capitolo 12: *** The black Cat and a snowball ***
Capitolo 13: *** Knocking on Hell's door ***
Capitolo 14: *** Flying away ***
Capitolo 15: *** Bonfire ***
Capitolo 16: *** Labyrinthine thoughts ***
Capitolo 17: *** Just a song - Pt 1 ***
Capitolo 18: *** Just a son - Pt 2 ***
Capitolo 19: *** And here we go again ***
Capitolo 20: *** Addicted ***
Capitolo 21: *** Lost in your eyes ***
Capitolo 22: *** Fatal awakening ***
Capitolo 23: *** Ink&Souvenirs ***
Capitolo 24: *** Kiss and Tell ***
Capitolo 25: *** And nothing else matters ***
Capitolo 26: *** Lies and jelousy ***
Capitolo 27: *** New Arrivals ***
Capitolo 28: *** All the troubles and fears ***
Capitolo 29: *** Crash ***
Capitolo 30: *** I would feel fine, like I always do ***
Capitolo 31: *** Alternative ending ***
Capitolo 1 *** Biting memories ***
Prologue
Biting
memories
'Cause
every dream is destineted to be shattered
24 Maggio
E' strano pensare a quante
cose possa
riservarti il futuro. Talvolta nulla. Talvolta un sogno. La seconda
opzione sembra di gran lunga preferibile. Ma siamo sicuri che lo sia?
Il momento di svegliarsi e aprire gli occhi, di riaffacciarci al
mondo reale, arriva sempre. Presto o tardi. E fa male.
Eppure continuiamo a
sperare. A
desiderare che il giorno non giunga mai, che la notte continui a
cullarci tra le sue dolci braccia.
Al momento mi è
difficile
continuare a crederci, nonostante sia un'eterna sognatrice.
Il perchè è semplice: mi
sono appena svegliata.
Svegliata dal sogno più bello
della mia vita.
Okay, forse 17 anni non
sono poi così
tanti. Sei ancora giovane per buttarti così giù,
sento
già qualcuno mormorare.
Questo non lo metto in dubbio: un
giorno, forse domani, riuscirò a superarlo.
Ma adesso ho 17 anni,
adesso. E' questo
il tempo che ho vissuto. Ed è adesso che sto soffrendo.
E credetemi, non penso
proprio che
un'altra situazione del genere si ripresenterà.
**
Ormai anche gli ultimi
passeggeri
dell'aereo Helsinki-Milano hanno spento la luce.
Ascolto il respiro leggero
di Arianna,
addormentata sul sedile accanto al mio. Arianna è la mia
migliore amica, o forse dovrei dire la mia compagna di
(dis)avventure.
Il suo miglior pregio? Riuscire ad
addormentarsi in ogni luogo, per quanto scomodo.
Scherzo naturalmente. Lei
è la
mia coscienza, spesso in vacanza a dire il vero; è l'unica a
sapere sempre cosa sto pesando, a come strapparmi un sorriso tra le
lacrime. Che condivide la mia gioia, la mia tristezza, pronta anche a
sgridarmi all'occorrenza, facendo appello alla sua matura
età
di 21 anni.
Ma ora non voglio che si
preoccupi per
me. Che stia male per la mia stupida ingenuità.
Sarà ora di
rispondere a qualche
altra domanda.
Cosa sto facendo su un aereo per
Milano, partito da Helsinki?
Torno a casa, dopo le stupende
settimane passate con Arianna. Il nostro viaggio folle.
Mi ricordo ancora il
momento in cui
avevamo deciso di partire, così, di punto in bianco.
Mi ero rifugiata da lei,
con lo zaino
preparato in tutta fretta, le lacrime ancora calde a rigarmi il volto
di nero, sciogliendo il trucco, insieme alla maschera di
normalità
che avevo con fatica fabbricato.
Me ne ero andata. Avevo
deciso di
lasciare la mia casa per sempre. Di lasciare quell'uomo che per me
non era mai stato un vero padre. Che non mi aveva mai capita. Che non
mi aveva mai accettata per quello che ero.
Volevo lasciare tutto.
Speravo nell'unica persona in cui
ancora credevo.
E che come sempre non mi aveva negato
il suo appoggio.
Era stata quella notte
stessa che, dopo
qualche bicchiere di vodka di troppo, avevamo deciso di andarcene
davvero.
Di abbandonare io la scuola e lei il
suo stupido lavoro.
Luke, un nostro amico, cantante alle
prime armi, aveva ricevuto una proposta di lavoro ad Helsinki.
E noi saremmo andate con lui.
Noi, con la nostra
conoscenza perfetta
dell'inglese. Noi, con la nostra voglia di divertirci. Noi, con il
nostro bisogno di dimenticare il mondo.
Sorrido, ripensando ai
disastri
combinati non appena salite sull'aereo.
E' questo che devo fare: sorridere.
E' stata un'esperienza stupenda, mi
ripeto, che non potrò mai dimenticare.
Forse riposare un poco mi
farebbe bene,
ma non riesco a prendere sonno in alcun modo.
Quanto invidio Arianna in questo
momento.
Il silenzio dell'aereo,
disturbato
soltanto dal respiro dei passeggeri, certo non mi aiuta a distendere
i pensieri.
Forse un po' di musica mi farà
bene. Sollevo le cuffie appoggiate sul tavolino al mio fianco,
sistemandomele nelle orecchie.
Abbasso il volume, per non disturbare
nessuno, chiudo gli occhi e finalmente accendo.
“...Love's the funeral of hearts
and an ode for cruelty
when
angels cry blood on flowers of evil in bloom.
The
funeral of hearts and a plea for mercy
when
love...”
Non sono mai stata troppo
fortunata. Perchè le cose dovrebbero cambiare adesso?
La morsa che mi attanaglia lo
stomaco si fa sempre più stretta; cerco di controllare il
respiro, inghiottisco, ma tutto è inutile.
I miei occhi hanno già
ceduto, come il mo cuore del resto, lasciando cadere lacrime salate
che è inutile asciugare.
Dovrei spegnere, lo so. Ma non ci
riesco.
Resto ad ascoltare la sua voce
mentre il marchio del dolore torna a bruciare come fuoco vivo.
Volete sapere com'è
successo?
Cosa serve fingere di star
dimenticando ogni cosa. E' solo una bugia; è impossibile.
Almeno per ora.
Questa allora è la mia
storia, la storia di un sogno troppo irreale e breve.
Una farfalla dai meravigliosi e
caldi colori, appena nata, che, così prematuramente, si
trova
a piangere le sue ali strappate.
“The
last rites for souls on fire
Three little words and a question:
Why?”
ecco
qua...è da un po' che
questa ff girella nel mio computer...ma non volevo decidermi a
postarla..forse perchè non sono mai soddisfatta e continuo a
cambiarla (sono stata afflitta da gravi problemi esistenziali per
l'età XD ringrazio tutti quelli che mi hanno sopportato)..ma
alla fine ho deciso di esporla alla luce del mondo XD
spero
non abbia fatto male^^
lo so
che non si capisce molto per
ora..ma è solo un piccolo prologo..il primo capitolo
è
già pronto
fatemi
sapere presto i vostri
commenti..sono sicura che con il vostro aiuto posso migliorare^^
basta
va...non voglio annoiarvi
troppo.( ogni giorno di più mi accorgo che quando sono
nervosa
divento logorroicaXD)
allora
alla prossima^^
kiss kiss
-
FallenAngel -
'Questa
storia è totalmente frutto della mia fantasia, non
è stata scritta a scopo di lucro e non ha nessuna attinenza
con la realtà. Inoltre , non ha intenzione di offendere i
personaggi citati in alcun modo '
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Capitolo 2 *** Waking dream ***
Waking
dream
How
long is it going to last?
2
Maggio
Mi
trovavo ancora in uno stato di
dormiveglia. Ma già percepivo l'inconfondibile mal di testa
post sbornia. Lo conoscevo fin troppo bene. Cercai di ricordare
qualcosa della sera precedente, ma fu tutto inutile. Nella mia testa
regnava il buio totale.
Ma
quando ricominciai a
riacquistare le mie facoltà mi resi conto che non ero da
sola
in quel letto. E che a coprire il mio corpo non vi era altro che un
sottile lenzuolo.
Potevo
percepire il suono regolare
del respiro di qualcuno proprio sul mio collo, e il caldo abbraccio
che mi avvolgeva. E a quel punto fui presa dal panico. Non avevo
alcun desiderio di aprire gli occhi. Forse era tutto un sogno. O
meglio un incubo.
Cosa
avevo combinato? Non ero mai
stata una ragazza troppo tranquilla. No, per niente. Ma non ero mai
arrivata a quel punto. Come ero potuta finire a letto con uno
sconosciuto? Cosa era successo quella notte? Perchè non
ricordavo nulla? Dov'era finita Arianna?
Troppe
domande a cui non sapevo
dare una risposta.
L'unica cosa da fare era prendere
coraggio e aprire gli occhi.
In fondo quel che era fatto ormai
era fatto. Non potevo tornare indietro.
Dopo
aver tirato un respiro
profondo, finalmente mi decisi a socchiudere le palpebre, gettando un
rapido sguardo al braccio che mi avvolgeva la vita.
Le
sbattei più e più
volte. Non potevo credere all'immagine che mi trovavo davanti. Avrei
riconosciuto quel braccio ovunque. Quei tatuaggi ovunque.
Mi
lasciai scappare una risatina
isterica.
Mi ero preoccupata tanto per
nulla. Quello era di certo un sogno.
Restai
ad aspettare il tempo
necessario, fino al momento in cui l'illusione sarebbe svanita e mi
sarei nuovamente trovata nel mondo reale. Al contempo però
desideravo che il sogno non finisse e biasimavo me stessa per averne
goduto così poco.
Non so
quanto tempo passò:
rimasi lì immobile, aspettando l'inevitabile e nel frattempo
aspirando il suo profumo, cercando di imprimere dentro di me quella
sensazione, nella speranza di portare nel mondo reale un po' di
quella magia.
Forse
avrei dovuto girarmi,
toccare almeno una volta il suo volto prima che l'incanto svanisse,
ma se l'avessi fatto ero sicura che tutto mi sarebbe scivolato via
dalle dita.
Eppure
c'era qualcosa di strano.
Non riuscivo a capire, ma: era tutto così...reale.
E poi c'era quel fastidiosissimo
mal di testa...
Richiusi
gli occhi lasciandomi
cullare dal suo dolce respiro.
Fin
quando la magia non si
infranse.
La sua
voce ruppe il silenzio
della stanza. Un'esclamazione di sorpresa, ma di cui non conoscevo il
significato.
Il mio cuore accelerò i
battiti fino all'inverosimile. Mentre la sua presa lasciava il mio
corpo, istintivamente mi sollevai di scatto e mi voltai nella sua
direzione.
Trovai
due occhi verdi ad
osservarmi pieni di incertezza e di stupore, che si spostarono veloci
dal mio volto al mio corpo.
Abbassai
subito lo sguardo,
sentendo le gote in fiamme, cercando di sollevare il più
possibile quello stupido lenzuolo che faceva resistenza.
Quasi senza accorgermene avevo
iniziato ad indietreggiare fino a quando...
“Cazzo!”
sbottai mio malgrado, massaggiandomi la schiena.
Naturalmente ero caduta dal letto.
Certo. Come potevo risparmiarmi
una figura del genere?
Subito
si sporse per potermi
vedere, questa volta stando bene attento a posare i suoi penetranti
occhi solo sul mio viso, mentre cercavo disperatamente di coprirmi
con il lenzuolo che mi ero portata dietro nella mia rovinosa caduta.
“Va
tutto bene?” domandò, adottando saggiamente la
lingua
inglese, avendo intuito che io e il finlandese non avevamo molto in
comune.
Quella
voce! Quante volte avevo
sospirato ascoltandola attraverso una stupida macchina.
E il suo viso? Quegli occhi! Io...
Temo che
rimasi a lungo, troppo a
lungo, a fissarlo con un'espressione inebetita stampata in faccia,
mentre il mio cervello cercava di rammentare come mettere insieme una
frase di senso compiuto in quella lingua di cui tante volte mi ero
vantata esperta conoscitrice.
Alla
fine riuscii a balbettare ben
poco: “Tu...tu...sei reale?”
Non
trattenne una sonora risata: “
Sì. Direi che lo sono.”
Mi
massaggiai più volte le
tempie: certo quel mal di testa non mi rendeva molto lucida.
“Quindi”
puntualizzai come se stessi ripetendo un problema di geometria
“tu
sei davvero qui. Non è un sogno. Tu...” a quel
punto la voce
faticò ad uscire “ tu sei davvero Ville
Valo”. Voleva
essere un'affermazione, ma suonava molto più come una
domanda.
“Già.
Proprio io. Temo di non ricordare il tuo nome.”
“Elisa”
lo pronunciai all'inglese, come solevo fare in diverse occasioni.
“Certo io non sono una famosa cantante” azzardai.
Sorrise: “Wow. Devo essere
veramente famoso. Tu non sei di certo una mia compaesana,
vero?”
“Direi
proprio di no” ricambiai senza alcuno sforzo il sorriso,
scostandomi una ciocca di capelli corvini dietro l'orecchio destro.
“Sono italiana”
“Italiana?
Gran bel paese l'Italia. Di sicuro più caldo di
qua.”
“Già.”
Poi il
silenzio tornò a
cadere sulla stanza.
Ma cosa stavo facendo?
Abbassai gli occhi in direzione
del pavimento. Stavo facendo una tranquilla conversazione con uno dei
cantanti più sexy della storia, i nostri vestiti sparsi
ovunque per la stanza tranne che dove avrebbero dovuto essere, dopo
una notte in cui...
Quella
situazione rasentava la
follia.
Quando
ardii a sollevare il viso
trovai ancora una volta il suo magnetico sguardo su di me. Mi pareva
di leggervi una discreta preoccupazione adesso.
“Ricordi
qualcosa di ieri notte?” domandò.
“No,
nulla” confessai, mordendomi il labbro inferiore “
e tu?”
“Solo
ricordi confusi. Ero molto ubriaco.” Eh, a chi lo dici.
“Credo di
averti incontrato al Midnight Wish.”
era possibile: ricordavo quel nome. Era un locale dove ci aveva
portato Luke un paio di volte, molto carino e, ci aveva annunciato,
frequentato da un pubblico più esclusivo. Non avrei mai
pensato tanto esclusivo.
“E
poi” proseguì “ temo mi sia lasciato un
po' trasportare,
senza dare troppo peso alle conseguenze di quello che stavo facendo e
ad alcuni particolari non poi così poco rilevanti, come la
tua
età. Quanti anni hai? Ventidue, ventitre?”
“Ehm”
tossicchiai “ diciassette veramente.”
Si
lasciò scappare quella
che non avevo alcun dubbio fosse un'imprecazione.
“Non
pensavo...così giovane. Non sei neanche maggiorenne. Sembri
molto più grande.”
“Beh...in
fondo sono 18 fra due mese.” balbettai.
Sembrava davvero preoccupato della
situazione. Non potevo vederlo in quel modo. Non per colpa mia.
“Hey”
cercai di rassicurarlo “non temere. Non ne uscirà
di certo
uno scandalo. Non ho intenzione di raccontare a nessuno quello che
è
successo. Quando sarò uscita da quella porta sarà
come
se non fosse mai accaduto.”
Questo
non bastò a
tranquillizzarlo, certo. Non poteva fidarsi subito di una
sconosciuta. Per quanto ne sapeva potevo andare a spifferare tutto
alla prima rivista scandalistica capitata a tiro. Cosa che non mi
passava neanche per l'anticamera del cervello.
Eppure non aveva scelta. Doveva
fidarsi di me.
Sospirai.
“Sarà meglio
che vada a farmi una doccia.”
Ville annuì.
Rimanemmo ad osservarci a lungo.
In realtà io aspettavo, ma lui non sembrò
accorgersene.
Sembrava terribilmente assorto nei suoi pensieri, eppure non aveva
ancora interrotto il silenzioso dialogo tra i nostri occhi. Sembrava
stesse cercando di sondare la mia anima.
Un
brivido lungo e intenso mi
attraversò la schiena.
Lasciando ricadere i capelli
davanti agli occhi mormorai: “Scusa...potresti voltarti un
momento...mentre raccolgo i miei vestiti.”
“Oh.
Certo. Scusa” borbottò voltandosi. Forse iniziavo
ad avere
delle allucinazioni, ma mi sembrava proprio che fosse arrossito.
Certo non avrebbe mai potuto battere il colore che da quando mi ero
svegliata non aveva ancora abbandonato le mie gote.
Mi
alzai, ancora traballante,
avvolgendomi intorno alla belle e meglio il lenzuolo, e iniziai la
disperata ricerca dei miei vestiti, controllando ogni tanto con la
coda dell'occhio di non essere osservata.
Fu
davvero una ricerca disperata e
nemmeno del tutto fruttuosa: nonostante il mio impegno non riuscii a
ritrovare il mio stupido reggiseno.
Che disastro che ero.
Ma non potevo mica restare lì
tutta la vita a cercare.
Decisi di lasciar perdere e
dirigermi verso la porta del bagno.
Attraversata la soglia mi voltai
come per salutarlo.
Stavo
per chiudere la porta,
quando Ville disse: “Hai gli occhi più particolari
che abbia
mai visto, sai? Non nasconderli” arrossii di nuovo
violentemente,
sorridendo, e desiderando di non perdere il controllo proprio in quel
momento.
Ed
eccomi con il primo capitolo^^
Più passa il tempo più
sta storia non mi convince...ke eterna incontentabile che sono!!
Spero che questo chappy non vi sia
dispiaciuto, anche se un po' interrotto a metà..hihihi..non
vi
preoccuate avrete presto mie notizie...sfortunatamente lo soXD
Ah, non ho plagiato la
cloclo..vero mentora? XD
@Ginny:
sto postando mentre sei in
gita..e spero tanto che tu ti stia divertendo^^ comunque in primo
luogo..che eresie vai dicendo!! Tu scivi stupendamente!! Io sono
soltanto una dilettante al confronto!! Ti ringrazio lo stesso davvero
tantissimo..grashie grashie mia cara^^..prevedi
casini..uhm..noooooooooooXD
@Dana:
la mia
danuccia^^però..magnifica??? ma vaaaaa..grashie tanto tanto
anche se mi sa che hai sbagliato a recensireXD Lo so che ci sei
tesora^^ciauuuuu
@Cloclo:
ma come potevo non
dedicarla alla mia mentora!!! Grashie my darling per aver
commentato..spero davvero di non deluderti^^ ave agli istrici XD
kisses e che ville sia con te!!
@Lady
Numb: ma grazieeeeeee^^ me
molto felice che ti piaccia il mio stile (nn sapevo di averne unoXD
no dai scherzo^^) faccio del mio meglio..o almeno ci provo^^spero che
anche questo cap ti sia piaciuto...kisses
Un
abbraccio a tutti quelli che
hanno letto..grazie mille^^
-
FallenAngel-
|
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Capitolo 3 *** Our secret ***
Chapter 2
Our
secret
I won't
break my promise
Chiusi
gli occhi, abbandonandomi contro la parete della doccia; lasciai che
il getto d'acqua mi colpisse a lungo, nella speranza di schiarirmi un
po' le idee, fin quando, percorsa da forti tremiti, non decisi di
aprire l'acqua calda.
Ma
era tutto inutile: neanche un milione di docce avrebbero reso quella
situazione più chiara.
Avevo
fatto l'amore con una persona che non avrei mai sognato nemmeno di
incontrare se non da una distanza di sicurezza che intercorre tra
fans e personaggi famosi. Era successo. Ma sfortunatamente non
ricordavo nulla.
Come
potevo non ricordare nulla?
Uscii
dalla doccia e, avvoltami in un asciugamano, iniziai a pettinare
davanti allo specchio i miei lunghi capelli color dell'ebano.
Rimasi
ad osservare il mio riflesso a lungo, come se fosse stata la prima
volta: la mia pelle troppo chiara, il naso un poco all'insù,
le labbra troppo sottili.
Come
era potuto succedere proprio a me? Non ero poi così speciale.
E
poi mi soffermai sui miei occhi. Ricordai la frase pronunciata da
Ville. E di nuovo mi sentii mancare.
In
effetti ero sempre stata molto fiera dei miei occhi, dalle iridi
scurissime, che quasi si confondevano con il nero delle pupille, e il
taglio molto allungato.
Ma
adesso acquistavano tutt'altro valore.
Sorrisi
alla mia immagine. Non ricordavo nulla di quella notte, non avrei mai
potuto raccontare a nessuno quello che era successo, e Ville
probabilmente mi avrebbe dimenticato il giorno dopo, ma io avrei
conservato il ricordo della sua imprevedibile dolcezza per tutta la
vita.
Ormai
vestita, stavo dandomi un'ultima sistemata, quando sentii delle voci
provenire dalla stanza attigua.
Aprii
uno spiraglio della porta, quel tanto che bastò per poter
scorgere un'inconfondibile capigliatura bionda rasta e gli occhi di
Ville che silenziosamente mi pregavano di non venire allo scoperto.
“Hey
Ville? Mi stai ascoltando?” domandò Linde
leggermente
irritato “Si può sapere cosa c'è di
così
interessante là dietro?”
Socchiusi
di nuovo la porta appena prima che Linde si fosse voltato.
Così
nascosta seguii una conversazione della quale solo tempo dopo avrei
scoperto il significato.
“Nulla”
ribatté Ville, cercando di riattirare l'attenzione del
compagno nella sua direzione.
“Cosa
dicevi?”
“Dicevo...”
mormorò Linde poco convinto “dicevo che la cosa mi
risulta
poco chiara. Dove diavolo sei finito ieri sera? Ti aspettavamo a casa
di Migè.”
“Ah
sì. Scusate. Me n'ero dimenticato” disse Ville
accendendosi
una sigaretta e lasciandosi cadere sul letto, sfortunatamente, mi
ritrovai a pensare mio malgrado, rivestito. Indossava un paio di
jeans scuri e una T-shirt nera aderente.
“Qualcuno
è rimasto molto deluso dalla tua assenza”
commentò
l'amico.
“Sarebbe?”
“La
tua amica, la bionda con molto cervello. Dai, hai capito...come si
chiama...Henna, o Henni...non mi ricordo. Continuava a chiedere
quando saresti arrivato.”
“O
mio Dio. Fortuna che non mi sono fatto vedere allora.”
sospirò.
“Non
credo che riuscirai ad evitarla per sempre. In fondo è stata
colpa tua...Ci sei stato una volta.” fece la voce della
coscienza.
“Non
pensavo la considerasse una proposta di matrimonio” ribatte
acido
il leader degli HIM.
“Ah,
che ragazzo ingenuo. Comunque potrei sapere dove sei andato
invece?”
“Sono
stato...in giro” rispose alla fine vago.
Linde,
avendo preso posto di fronte a lui su una comoda poltrona, non si
arrese: “E in giro sarebbe?”
Ville
si spazientì: “Ma cos'è? Un
interrogatorio? Non posso
avere neanche un po' di privacy?”
Il
chitarrista esplose in una sonora risata: “Certo che no! Sei
la
voce solista di una delle più importanti band del paese!
Come
credi di poter avere un po' di privacy! E comunque” aggiunse
“ci
sono in giro già delle voci...”
“Quali
voci?” Ville si sollevò di scatto.
“Hey,
calmina! Nervosetto stamattina, eh? Hai presente quell'idiota
ubriacone di Touko Danke?”
Rispose
con un cenno della testa.
“Beh,
afferma di averti incontrato ieri in uno dei privè del
'Midnight wish' e di averti visto andartene con una bella
moretta...”
Silenzio.
“Allora?”
insistettè Linde “ E' vero?”
“Ma
sei scemo? Da quanto ascolti le cazzate di quell'idiota?”
sbottò
Ville.
“Okay,
okay.Ti sei proprio svegliato male stamattina. Ci sarebbe un'ultima
domandina...” sogghignò l'altro.
“Posso?”
Il
frontman degli HIM sbuffò: “Se dicessi di no
cambierebbe
qualcosa?”
“In
effetti no...Quindi...che ci fai qui? Come mai non sei a casa
tua?”
“C'era
troppo casino” rispose semplicemente.
Linde
non riuscì a trattenersi nuovamente dal ridere:
“Pensi che
ad un tratto si sistemerà da sola?”
“Dio
quanto sei pesante oggi! Prima l'interrogatorio e poi la predica! E
se ti facessi un giro? Fuori dalla porta possibilmente!”
“Vado.
Prima di risvegliare istinti omicidi non troppo latenti”
Stava
per alzarsi accompagnato da un'occhiataccia dell'amico, quando si
voltò per osservare qualcosa dietro di lui tra i cuscini
della
poltrona di pelle.
“Ah-ah.
Ecco cos'era!”
“Cosa?”
domandò Ville, più preoccupato che curioso.
“C'era
qualcosa qui sotto, che mi disturbava alquanto e...”
aggiunse,
assumendo un tono serio “devo ammettere Ville che i tuoi
gusti in
fatto di biancheria intima sono molto raffinati.”
“Cosa
caz...” cominciò il cantante, quando Linde
mostrò
l'oggetto misterioso.
Mi
ci volle poco tempo per mettere a fuoco e riconoscere il mio
reggiseno di raso nero.
In
quel momento sarei voluta sprofondare.
Ero
un disastro!
Ville
si alzò di scatto ed avendo aperto la porta
invitò con
non troppa gentilezza l'intruso ad uscire:”Fuori!”
“Non
finisce qui” sogghignò Linde prima di andarsene,
lasciando
cadere il reggiseno sul letto sfatto.
Non
appena Ville fu nuovamente da solo nella camera, uscii dal mio
nascondiglio.
Rossa
in viso recuperai svelta l'ultimo capo d'abbigliamento abbandonato e
balbettai le mie scuse: “Mi dispiace così tanto.
Io-io, ti
giuro, l'avevo cercato ovunque ma...”
“Non
preoccuparti” mi fermò lui, indugiando troppo a
lungo con lo
sguardo sui bottoni della mia camicetta “Non è
successo
nulla di grave in fondo. Linde è un idiota, e mi
romperà
per non so quanto tempo ma niente di più. Certo se in un
prossimo futuro dovessi leggere sui giornali dell'improvvisa e
compianta morte del giovane chitarrista degli HIM”
ghignò
sereno “beh, allora temo dovrai convivere con il rimorso di
esserne
stata, almeno in parte, la causa”
“Sopravviverò”
sorrisi “Ma cosa ti ha detto?” aggiunsi curiosa,
mordicchiandomi
il labbro inferiore, sperando non si seccasse della mia
indiscrezione.
“Come,
non hai...?” mi guardò stupito. Poi
capì: “Ah
certo. Non hai capito niente”
“In
effetti” mugugnai, spostando il peso del mio corpo da un
piede
all'altro.
Mi
osservò qualche secondo prima di rispondere:
“Nulla di
interessante. Mi ha chiesto cosa avessi fatto ieri sera e
perchè
fossi in una camera d'albergo. Ho evitato il discorso fino a
quando...”
“Fino
a quando con la mia sbadataggine ho rovinato tutti i tuoi
sforzi”
terminai sconsolata, dandomi una pacca sulla fronte.
“Te
l'ho detto, non devi preoccuparti. Me la caverò”
Già
rimpiangendo il fatto di dover andarmene, ad un tratto un pensiero
affiorò nella mia mente: “In che albergo
siamo?” domandai
preoccupata. E se mi fossi trovata dall'altra parte della
città
rispetto all'hotel dove sicuramente mi aspettava una Arianna in pena
per la sua sciocca amica? Mi sarei di certo persa nel tornare
indietro!
“Il
nome è 'White holidays'. Si trova...” non riuscii
a sentire
più una parola di quello che stava dicendo.
Non
era possibile.
Lasciai
cadere la borsetta sbalordita.
“Cosa
c'è? Ti senti bene?” domandò
accostandosi a me e
sfiorandomi il braccio.
Rabbrividii
al lieve contatto.
“Sì,
è solo che...Stai scherzando vero? Questa è una
camera
del 'White holidays'?” cercai conferme.
“Già”
mormorò lui senza capire.
“Non
è possibile. E' anche il mio hotel! Cioè, l'hotel
dove
soggiorno. Ma...non ha nulla di speciale! Non è l'albergo in
cui mi sarei aspettata di trovare Ville Valo! E poi questa camera
è
così diversa da...” Ecco. Avevo iniziato a parlare
a raffica
come al solito.
Fortunatamente
il cantante degli HIM pose fine alle mie parole senza senso,
sorridendo: “Eh già. Ogni tanto mi rifugio in
questi piccoli
hotel. Nella speranza di trovare un po' di pace. Anche se, come hai
visto, riescono sempre a trovarmi” sbuffò,
porgendomi la
borsetta.
Mi
avvicinai alla porta e mormorai: “Spero davvero di non aver
causato
troppi problemi.”
Avrei
dovuto lasciare la stanza in quel momento, ma non riuscii a
trattenermi. Con la mano già sulla maniglia mi girai per
incontrare un ultima volta quegli occhi nei quali mi sarei volentieri
smarrita.
“Grazie
di tutto. E non preoccuparti: lo giuro. Non dirò mai a
nessuno
quello che è successo. Sarà solo uno splendido
ricordo
che terrò sempre con me.”
Parlai
velocemente, e poi, senza lasciargli il tempo di replicare qualsiasi
cosa, aprii la porta, attraversai di corsa il corridoio deserto e
iniziai a scendere a perdifiato le scale, senza voltarmi indietro.
_______________________________________________________________________________________________________________________
Eccomi
di notte ad aggiornare la ff^^ ke pazza ke sono...
Alluraaaaa,
cosa ve ne è sembrato di questo nuovo capitolo?
Personalmente
adoro Linde XD..
Grazieee
per tutti i commenti! Siete troppo dolci^^
@Crazy4frankiero:
ke cosa ci fa cn una 17?? eheheh..sì lo so..in effetti
è
una bella differenza di età..ma questa ff è nata
da un
sogno e ho deciso di cambiare il meno possibile..poi quando
è
successo erano tutte due un tantino brilliXD e naturalmente lei
sembra più grande!! :p Comunque sn strafelice che ti
incuriosisca..e la frase alla fine..eheh..come è romantico
il
nostro villuccio
@LadyNumb:
ma graaaaaashie..mi fai arroshire^^ me contentaa!! però io
l'avrei messo tra i dieci motivi per prendere una sbornia XD ah
povera me XD Che bello adesso sei in viaggio!! grazie mille per
avermi anke avvertito..sei un tesoro^^ allora ci sentiamo quando
torni..spero ke anche quasto chap ti piaccia..ciauuuuu
@Cloclo:
ahhhh..la mia sweet mentora..sei sempre così teneraaa!!I
tuoi
incoraggiamenti mi aiutano tantissimo! Grazieeee!! te vojo beneeeee!!
Stavo pensando che ci vorrebbe un bel monumento all'istrice..che
diciXD??
@grimilde:
guarda qui la mia streghetta^^ mi devi voler veramente bene per
continuare a leggere la fic sul tuo AMATISSIMO ville eh..XD..dai ke
prima o poi ti farò innamoraree..grashie pulciotta^^
@Ginny002:
eheheh..non te lo aspettavi eh? Muahahahah.. (scusate me
fuoriXD)...guarda che ti combino poi..grashieeeee cara!! e tu scrivi
supermeglissimo!! kiss
@linkin
park: eh lo soooo!! ha una fortuna sfacciata..è per questo
ke
l'ho chiamata elisa..XD..fortunata cm quella simpaticona di mia
sorellaXD...davvero ti piace?? me mooooooolto felice!! shishishi!!
davvero tanto^^ spero anke questo ti sia piaciuto
Okay
ora vi lascio...grazie ancora a tutti quelli che leggono^^ alla
prossima!!
La
vostra
-
Fallen Angel -
|
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Capitolo 4 *** Coming to the senses ***
ff2
Chapter
3
Coming
to the senses
...and
so the last shreds of the illusion are carried away by the sunlight
Dopo
non so quanti gradini, il cuore in
gola, decisi di fermarmi.
Mi appoggiai alla parete bianca e
fredda, aspettando che il mio respiro tornasse regolare.
Quindi uscii nel corridoio e cercai il
numero del piano: V.
Per
quella volta sentii il bisogno di
prendere l'ascensore. Cosa molto stupida, considerando che mi
mancavano soltanto due piani.
Ma il mio cervello in quel momento
aveva altro a cui pensare.
Aspettai
paziente che le porte
scorrevoli di fronte a me si aprissero, ingannando l'attesa
nell'osservare il contrasto tra i miei stivali neri e la moquette
bordox del corridoio.
Quando l'ascensore arrivò non
era vuoto: dentro c'era una ragazza bionda con un tailleur azzurro
che mi salutò cortese e mi osservò curiosa per
diversi
secondi.
Sbirciai il mio sottile orologio da
polso: in effetti la camicetta rossa piuttosto scollata e la
minigonna scura che indossavo non erano l'abbigliamento più
consono alle 11 del mattino.
Percorso
il corridoio del terzo piano
per tutta la sua lunghezza, arrivai alla stanza 127. Fortunatamente
la chiave magnetica era ancora al suo posto nella borsetta.
Aprii lentamente la porta e prima che
potessi muovere un passo di più fui avvolta in un forte
abbraccio.
La
stanza sembrava così piccola:
il confronto con quella che avevo appena abbandonato era ridicolo.
Prima non ci avevo fatto quasi caso: adesso invece mi stupivo del
fatto che oltre al letto matrimoniale, l'armadio e i pochi mobili di
legno scuro vi fosse ancora lo spazio per muoversi.
I
rossi riccioli di Arianna mi
solleticavano il viso, mentre in punta di piedi non sembrava
più
voler lasciare la sua presa intorno al mio collo.
“Ti odio” bofonchiò al mio
orecchio, prima di scostarsi.
“Scusa, scusami tanto, io...”
cominciai, ma lei mi fermò con un gesto della mano.
“No
che non ti scuso! Non hai idea di
quello che mi hai fatto passare!” mi sgridò,
fulminandomi
con i suoi freddi occhi chiari. “Sei scomparsa! Naturalmente
il
cellulare è un optional. Ma ti rendi conto! Mi sono
svegliata
stamattina alle 8! Alle 8! E di te non c'era traccia. Nessuno sapeva
nulla e io...”
Non
riuscii a trattenere un sorriso.
“Ed ora cosa c'è?” domandò
frustrata.
“Nulla” mormorai scuotendo la testa
“Solo che a volte sembri proprio la mia mamma.”
Mi
guardò per qualche istante,
fino a che i suoi lineamenti non si addolcirono e si
avvicinò
per stringermi di nuovo fra le sue braccia.
Sapeva bene quanto valessero le parole
che avevo appena pronunciato.
Mia madre, la mia vera madre, era morta
quando avevo solo due anni.
Non ricordavo nulla di lei. Il nulla
più assoluto. E di certo mio padre non era una grande fonte
di
infomazioni.
Arianna era riuscita a coprire anche
questo vuoto con la sua amicizia e il suo affetto.
“Scusami”
ripetei. Questa volta mi
lasciò parlare “Non volevo farti preoccupare. E'
stato...un
incidente”
“Ma dove sei finita?”
Giocherelli
a lungo con la chiusura
della borsetta. Cosa dovevo raccontarle? Non la verità. Ero
sicura di potermi fidare di Arianna, ma quello non era un segreto
soltanto mio. Avevo promesso. Ma quanto era difficile mentirle! Optai
per l'omissione.
“A dire il vero non ricordo
assolutamente nulla dell'altra sera. Devo aver bevuto molto. E
stamattina appena mi sono svegliata sono tornata qui.”
Mi
fissò a lungo, per nulla
soddisfatta di quel resoconto molto dettagliato. Aspettò che
continuassi, ma avendo capito che non ne avevo l'intenzione
domandò
preoccupata: “E dove ti sei svegliata?”
Sospirai, abbassando lo sguardo: “Non
è importante. Quello che conta è che sia tutto a
posto
no?” dipinsi sul mio volto un sorriso radioso.
Arianna
mi quardò contrariata e
affatto convinta.
“Te lo giuro su tutto quello che
vuoi. Non è successo nulla di brutto, te lo direi
altrimenti.
Solo non posso parlarne.”
“Giuralo sulla nostra amicizia”
“Lo giuro.” risposi prontamente.
“Se
non è una cosa grave, mi
incuriosisci terribilmente! Sei sicura di non potermelo
dire?” mi
pregò sbattendo le ciglia.
Le tirai affettuosamente una sberla sul
fondoschiena. “No, non posso” risposi ilare
“E tu sei proprio
un'impicciona”
Mi
gettai quindi sul letto, affondando
la testa in un cuscino.
“Basta” mugugnai “Qualcuno mi
stacchi la testa!”
“Così impari ad ubriacarti”
mi urlò Arianna da bagno.
“Certo, certo, senti chi parla”
borbottai, al cuscino più che ad altri.
Ma lei non so come mi sentì:
“Cosa, cosa, cosa?”
“Niente”
Stranamente non replicò. Rimasi
a godermi quel silenzio inaspettato, fino a quando...
“Nooo!”
gemetti, nascondendo la
testa sotto il cuscino e premendolo il più possibile sulle
orecchie.
On
cold wings she's coming
You
better keep moving
For
warmth, you'll be longing
Come
on just feel it
Don't
you see it?
You
better believe it
Le
note di 'Ice queen' alzata a tutto
volume si diffondevano violente per la camera non troppo vasta.
Non avevo mai avuto particolare
simpatia per gli Within Temptation.
Ma tentavo di sopportare per Arianna,
che invece adorava il gruppo.
Naturalmente lei sapeva benissimo che
non sarei stata altrettanto comprensiva in un momento del genere.
“Sei
un'infame! Spegnilo ti prego!”
protestai.
Ma non ascoltò certo le mie
richieste, anzi le sovrastò cantando a squarciagola.
Fui così costretta ad alzarmi e,
armata di cuscino, mi avventai contro di lei.
Cercò di sfuggirmi ma alla fine
riuscii a raggiungerla e la colpii.
“Hey!
Non è valido! Non è
leale!” si lamentò facendosi scudo con le braccia.
“E per quale motivo di grazia?” mi
fermai, tenendo comunque il cuscino pronto.
“Lei non conosce le regole del codice
della guerra dei cuscini” asserì,
nell'atteggiamento più
serio possibile.
“Cioè?” chiesi impaziente.
“Non si può attaccare un uomo
disarmato!” proclamò, sconvolta dalla mia
ignoranza.
“Un'arma prego”
Sbuffai
e mi voltai verso il letto per
recuperare un altro cuscino, che le lanciai addoso con non troppa
delicatezza.
“Contenta ora?”
“Adesso me la paghi!” gridò
prima di lanciarsi all'attacco.
Continuammo
la nostra battaglia ridendo
come matte, fino a quando, stremate, ci lasciammo cadere per terra,
su un letto di candide piume.
Di certo tutto quel movimento non mi
fece bene, tanto che solo dopo pochi istanti dovetti rifugiarmi in
bagno.
**
Seduta
in un tavolino all'aperto di Helsinki giravo svogliatamente il
cucchiaino nel mio caffè. Tenevo su la testa, ancora troppo
pesante, con il braccio sinistro, mentre osservavo il sole di maggio
tramontare troppo presto dietro i tetti delle case.
“Caspita
come siamo allegre” commentò Arianna sarcastica.
La
fulminai con lo sguardo.
“Qualcuno
avrebbe potuto lasciarmi dormire ancora un po'.”
“Come
sei noiosa.” borbottò lei agitando una mano
nell'aria. Diede
un'occhiata all'orologio: “Queste rock star”
sbuffò “Non
c'è mai una volta che siano puntuali”
Alzai
le spalle. Al momento proprio non mi importava.
Il
mio gesto la fece irritare ancora di più: “Uffi!
Ma si può
sapere cosa ti prende? Sei ancora qui sulla Terra?”
Fortunatamente
in quel momento arrivò Luke, seguito da Andrea, il bassista
della sua band, e un'altro ragazzo finlandese con cui avevano stretto
amicizia, di cui in quel momento non ricordavo il nome. Doveva avere
più o meno venticinque anni, la pelle chiara, i capelli
biondi
legati in una coda bassa.
Quasi
fui fulminata dal suo sorriso, mentre prendeva posto accanto a me.
“Ce
l'avete nel sangue, eh? Riuscirete mai a non arrivare in
ritardo?”
li sgridò Arianna.
Luke
si grattò la testa, scompigiandosi i capelli:
“Sorry, Ri.
Sai com'è,il tempo vola. Vi ricordate di Gabriel?”
aggiunse
veloce, adottando la lingua inglese per rendere l'amico partecipe
della conversazione.
“Certo”
rispose Arianna solare. Mi limitai a fare un cenno con la testa.
“Come va Gabriel?” domandò lei cortese.
“Tutto
bene, grazie. Sono felice di rivedervi. E' tutto il giorno che
sopporto questi due” ghignò indicando i due
ragazzi alla sua
sinistra “Non so come facciate a resistere . Fortunatamente
ho
conosciuto anche voi, altrimenti mi sarei fatto proprio una brutta
opinione degli italiani.”
Tutti
scoppiarono a ridere di gusto. Beh, tutti tranne me. Non avevo
sentito una parola di quello che aveva detto Gabriel.
“Hey,
ma che cos'ha oggi Liz?” bisbigliò Andrea
all'orecchio di
Arianna.
“Non
ne ho idea. E' tutto il giorno che si comporta in modo
strano” Mi
diede una gomitata nello stomaco.
“Ahia”
mi lamentai.
“Torni
fra noi o no?” risvegliata dai miei pensieri, trovai quattro
paia
di occhi osservarmi curiosi.
Scossi
la testa: “Scusatemi, oggi non ci sto proprio con la
testa”
“Ce
ne siamo accorti” sogghignò Luke.
Mentre
ordinavano dei cocktail, diede una sbirciata alla mia tazza:
“Solo
un caffè? Potresti darci almeno una corretina. Magari ti
tiri
su” suggerì.
“No
grazie.” mormorai disgustata “Non voglio vedere una
goccia
d'alcol.”
“Una
bella sbronza, eh?” domandò Andrea, osservandomi
con i suoi
divertiti occhi nocciola.
“Che
intuito!” risposi, forse un po' acida. “A
proposito, vorrei fare
un po' di luce sull'altra sera”
“Cosa
è successo l'altra sera?” chiese Gabriel alzando
un
sopracciglio.
“E'
proprio quello che vorrei sapere anche io” voltai il mio
sguardo
seccato verso il cantante.
“Non
guardarmi in quel modo.” mise le mani avanti Luke
“Ieri sera sei
sparita. Pensavo fossi tornata in albergo...Kiitos”
ringraziò
poi la cameriera che aveva portato i loro cocktail.
La
ragazza li pose sul tavolino con studiata lentezza e sorrise
sbattendo le ciglia.
“Non
male la biondina” commentò Andrea non appena la
cameriera si
fu allontanata.
“La
mancia gliela lascio io...” ammiccò Luke, che con
la sua
battuta ottenne qualche risata ma soprattutto un bel calcio sotto il
tavolo. Da parte mia naturalmente.
“Ahia!”
gridò, fulminandomi con i suoi occhi grigi.
"Vogliamo
concentrarci per favore! Dobbiamo ancora ricostruire la
serata!”
“Non
c'è bisogno di azzopparmi!”
“Sicuro?”
accorse in mio soccorso Gabriel “Per un paio di belle gambe
perdi
la testa”
Arianna
non si trattenne dal battere le mani: “Wow! Davvero, dove lo
avete
pescato questo ragazzo? E' troppo intelligente!”
“Che
fai? Ti metti a fare il cavaliere?” domandò Luke,
tirandogli
un pugno contro il braccio muscoloso.
“Semplicemente
ha un po' di sale in zucca!” ribattei acida.
“Hey!
La ragazza è proprio sclerata”
Scossi
la testa. Avevano ragione loro. Cosa mi aveva preso? Forse avevo
bisogno di dormire ancora un po'.
“Touchè”
borbottai a mo' di scusa “Okay, cerco di darmi una regolata.
Allora
ripercorriamo ciò che è successo. Siamo usciti
insieme
e siamo andati in un bar, giusto?”
“Lì
c'ero anche io” annuì Arianna.
Andrea
intervenne, sorseggiando il suo aperitivo: “Sì ma
poi tu sei
rimasta con Katriina e gli altri al pub, mentre noi con Liz siamo
andati al Midnight Wish”.
Un
brivido mi attraversò la schiena: 'Credo di averti
incontrato
al Midnight Wish,e poi temo mi sia lasciato un po' trasportare...'.
Scacciai quei pensieri, riportando la mia attenzione sulle parole di
Andrea: “Dopo qualche altro giro non ti abbiamo
più vista,
ma non ci siamo preuccupati più di tanto. Magari eri tornata
in albergo accompagnata da uno di quei ragazzi che ti stavano dietro.
Forse
ti eri dimenticata di avvertirci.”
“Avreste
dovuto darle un' occhiata in più”
sentenziò Arianna
contrariata.
“No
non è colpa loro” li difesi. “Non sono
mica la mia balia
solo perchè sono la sua piccola”.
Raccolsi
la borsa e tirai fuori i soldi per il mio caffè,che posai
sul
tavolino accanto alla mia tazzina.
“Grazie
di tutto. Ci vediamo ragazzi.”
“Te
ne vai?”chiese Luke stupito.
“Non
sono di gran compagnia. Meglio che ci dorma sopra.”
“Vieni
stasera? Proprio ieri ci hanno chiesto se cantavamo uno o due pezzi al
Midnight”.
Scossi
la testa, istintivamente “Non credo. In bocca al lupo
comunque”.
“Vuoi
che ti accompagni?” si offrì Gabriel, mentre mi
stavo
alzando.
“Non
ti preoccupare” sorrisi ai suoi grandi occhi celesti.
“Non mi
dispiace fare due passi da sola”.
E
così nel chiaro tramonto, stringendomi nella mia giacca di
pelle, ripercorsi le strade di Helsinki verso il mio albergo.
Eccomiiiiii!!
Per la vostra gioia( see..cm no?XD) sono tornata con un nuovo capitolo^^
Ehh,
un capitolo piuttosto di passaggio a dire il vero, ma utile per
iniziare ad inquadrare altri personaggi della storia (io
personalmente adoro LukeXD vedrete poi cosa combina nel prox
capitoloXD)
Va
beh^^ ditemi un po' cosa ne pensate!
AAAhhh..quasi
dimenticavo: nessuna offesa per i mitici within! L'autrice nn la
pensa come l'elisa (capito CloClo!!! XD)
E
poi non so come ringraziarvi per i commenti! Mi rendono felicissima!!
Non avete idea di quanto!
@Kadma32:
ma graaaaaazie^^ ke bello! Davvero ti ha preso così tanto?
Wow! Spero che riusciranno a farlo anche i prox
capitoli..ciauuuuuuuuuuuu
@crazyforfrankiero:
eheheh..già quel reggiseno..muahahahah..oky mi ripiglioXD eh
in effetti villuccio era di passaggio nell'hotel..maa..direi che
nonostante la sua assenza in questo chap..ce lo ritroveremo molto
presto nella storia...moooooooooolto presto..hihihihi..ciauuu
@linkinpark:
hihihi..ho un debole per lindeXD (ville mi osserva cn uno sguardo
poco raccomandabile me: maaaa villuccio!!! cosa hai capitooooo???
non quel genere di debole!! ci sei solo tu nel mio cuoricino!!XD) cmq
grazieee cara^^ me strafelice che ti sia piaciuto!!
@LadyNumb:
uuuh..mi dispiace che il tuo viaggio sia saltato..e so che il mio
capitolo non è stato una gran consolazioneXD cmq grazie per
aver commentato ancoraa...me sempre più
peperoneee..aahhh^^ke
billo..uhm..un nterrogatorio..beh..credo che sarai
accontentata^^ciauuuu
@Cloclo:
la mia sweet mentoraaaaaaaa^^ eheheh..sìì..lo
so..povero ville..sempre nei casiniXD hey..mi sa ke di questo
capitolo te ne mancava un pezzo (sacrilegioXD) e poi la scena ci
sarà
preeeeeeesto^^ kiss cara
@grimilde:
uuhhh..ke brava che è la mia tata (so ke adori se ti chiamo
cosìXD) lo so che prima o poi ti convertirò!! dai
intanto sn ruscita a farti venire simpatico lindeXD prima o poi ti
convincer che ville è fantastico!! okay ardua impresaXD ma
nn
mi arrenderò muahahahahha!!!! grashie millissime cmq^^
troppo
(TROPPO!) buona^^
Ecco
ho finito di blaterareXD..grashie a tutte ancora!!
Kiss
Kiss
La
vostra
-
FallenAngel -
|
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Capitolo 5 *** Sing with me ***
Chapter
4
Sing
with me
Wipe
away your inhibitions
4
Maggio
“Dai! Non vorrai
mica passare
un'altra serata in albergo chiusa in questo buco?”
esclamò
Arianna, tirandomi per un braccio e costringendomi ad alzare.
“Guarda che ieri
sera non sono
rimasta in camera” le feci notare “Ho passato il
tempo nella hall
con altri ospiti”.
Sbuffò:
“Immagino: un ammasso
di cariatidi, giusto?”
“No,
veram...” iniziai a ribattere,
ma mi fermò scuotendo energicamente la testa:
“Shh! Non
voglio sentire altre storie! Adesso ti vesti e usciamo
insieme”
“E dove dovremmo
andare?”
“Sorpresa!”
La guardai storto per
qualche secondo:
“Al Midnight Wish vero?”
“Beccata. Dai! E'
stupendo quel
locale. In fondo che ti importa? Questa volta...”
“Va bene, ci
vengo” sospirai,
mentre ancora parlava.
“E
poi...” continuò la sua
filippica “Hai detto sì? Uh,
bravissima!” esclamò
ballandomi quasi intorno.
Non potei non sorridere:
“Quanti anni
hai scusa?”
“Ventuno”
rispose facendomi la
linguaccia.
Mi avvicinai all'armadio
per scegliere
cosa indossare; perchè non sarei dovuta andare in quel
locale?
Che stupida idea. Per prima cosa non mi sarei ubricata. E poi...non
c'era assolutamente la possibilità che potesse accadere
nulla
di simile.
Ma chi stavo prendendo in
giro? Era
proprio la certezza che non sarebbe potuto più succedere che
faceva male.
Basta. Non dovevo
più pensarci.
Tirai fuori un paio di
jeans a vita
bassa e sbirciai nei cassetti alla ricerca di un top adatto.
Arianna si
avvicinò e, senza
esitare, mi mise sotto il naso una camicetta blu con le spalline di
pizzo.
“Coordinato con
gli occhi di Gabriel”
bisbigliò al mio orecchio.
“Cosa?”
mi voltai di scatto.
Ridacchiò,
sfilando da un omino
un abito scuro con una generosa scollatura e una caratteristica
cintura, e si dileguò canticchiando.
“Ary! Dove credi
di andare!” le
corsi dietro.
“Dai! Non dirmi
che non te ne sei
accorta”
“Di
cosa?” domandai stupita.
Nascose il viso fra le
mani, in un
gesto di sfinimento.
“Quando ti ci
metti sei proprio una
volpe! Si capisce lontano chilometri che ha un debole per te. La
solita fortunata” sbuffò.
“Ma
figurati” negai con decisione
“E' solo molto gentile” Ripensai ai suoi grandi
occhi azzurri e
arrossii involontariamente.
“Sì,
sì, come dici tu”
mi assecondò per niente convinta, mentre infilava gli
stivali.
“E tu che mi
dici? Per chi è
che ti sei vestita in quel modo?” domandai con tono malizioso.
“Eh,
sapessi...” sbattè le
ciglia e poi scoppiò a ridere “Uomini di Helsinki,
preparatevi! Arriva l'inarrestabile e irresitibile Arianna! Anche se
il migliore te lo sei già preso” aggiunse poi a
voce più
bassa.
Era incorreggibile. Quando
si metteva
in testa una cosa era impossibile farle cambiare idea.
Sbucò
all'improvviso alle mie
spalle mentre cercavo di tracciare la linea sottile di eyeliner sulle
mie palpebre.
“Per poco non mi
infilo la matita
nell'occhio!”
“Scusami,
scusami. Posso farti le
trecce?”
“Cosa?”
domandai stupita
“Ti stanno
così bene! Per
favore” mi pregò, tirandomi qualche ciocca.
Mi arresi, lasciandomi
cadere sul
letto: “Prego, darling”
Sorridendo, si sedette
dietro di me e
iniziò a intrecciare i miei capelli d'ebano con mani esperte.
“Non tirare
troppo” sbuffai.
“Piantala un po'
di lamentarti” mi
sgridò “Piuttosto ammira il risultato”
Mi condusse davanti allo
specchio:
osservai a lungo il mio riflesso, fingendomi concentrata, prima di
mormorare: “Discreto”
“Bugiarda”
Come al solito aveva
ragione. Dovevo
proprio ammetterlo? Naaa, pensai tra me e me.
Mi limitai a scrollare le
spalle:
“Andiamo va. Non vorrai mica arrivare più in
ritardo di
Luke”
**
“Vado a prendermi
una birra”
avvisai Gabriel, terminata la canzone.
“Ti aspetto alla
base” scherzò.
“Come
vuoi” gli sorrisi senza
alcuno sforzo. Era quasi mezz'ora che ballavamo senza sosta nella
pista circolare del locale e, dovevo ammetterlo, mi stavo davvero
divertendo.
L'Ary non aveva torto, quel
ragazzo era
quasi irreale.
Con la mia Heineken tornai
ad uno dei
tavolini neri quadrati dove Arianna ed altri ragazzi chiacchieravano
allegramente.
“Hey! La
ballerina è tornata”
mi diedero il benvenuta.
Feci un inchino per poi
sedermi accanto
a Danny, un altro dei 'nostri ragazzi', come eravamo soliti chiamarli
io e l'Ary, precisamente il chitarrista del gruppo.
“Quante ne hai
bevute?” mi domandò
Luke, sospettoso, accennando con la testa alla bottiglia che avevo
ancora in mano.
“E' la
prima” misi le mani avanti.
“Sei
sicura?” continuò ad
investigare il cantante, corrugando la fronte.
“Davvero,
davvero” tutti
scoppiarono in una sonora risata.
Mi guardai intorno,
ripercorrendo con
gli occhi la sala del Midnight Wish.
L'atmosfera in quel luogo
era
indefinibile: gotica forse, ma allo stesso tempo acogliente.
Speciale.
Le luci artificiali si
posavano
tenuamente sulla pista davanti al palco e sull'area disseminata di
tavolini tutti uguali, affollati ma mai esageratamente.
Nessun raggio di luce
filtrava
attraverso le grandi vetrate a mosaico sul lato ovest. Proprio a
destra dell'entrata si trovava il lungo bancone dove barman esperti
servivano da bere a velocità vertiginosa e senza dare troppa
attenzione alla fisionomia dei clienti, o alla loro età, a
differenza che in molti altri locali di Helsinki.
Nell'ala nord-est del
locale si
inserivano le aree riservate: i camerini accanto al palco e
più
in là una serie di privè.
Nella stessa zona doveva
probabilmente
trovarsi la scala per accedere al secondo piano, una terrazza che si
affacciava sulla pista, di fronte al palco, ma che non avevo mai
visitato, essendo molto esclusivo. O forse non mi ricordavo di averlo
fatto, sospirai tra me e me.
Tutta l'area era ben
sorvegliata: come
diavolo avevo fatto a passare?
“Non pensi anche
tu, Liz?” si
rivolse a me Andrea, accentuando con forza il mio nome e strappandomi
ai miei pensieri.
“Cosa
scusa?” domandai.
Il ragazzo scosse la testa,
sbuffando:
“Sempre sulle nuvole, eh?”
“Sai
com'è, ci si sta tanto
bene: è tutto così soffice” risposi
prontamente, con
aria sognante “Comunque cosa dicevi?”
“Davamo un
giudizio sui ragazzi che
si sono buttati nel karaoke” intervenne Gabriel
“Alcuni sono
davvero bravi”
Annui con entusiasmo:
“Sì sì,
avete ragione. Molto meglio di certi che si definiscono
professionisti” commentai con finta noncuranza, grattandomi
il
collo.
“Spero non
alludessi a nessuno in
particolare” mi squadrò Luke, battendo le dita sul
tavolo.
“Oh no, certo che
no” lo guardai
con occhi innocenti, per poi voltarmi verso il palco, sorridendo
sotto i baffi, per ascoltare con più attenzione un ventenne
che interpretava con molto successo 'In lust' dei Poisonblack.
“Ragazzi siete
l'emblema della
concordia” rise Andrea, seguito da tutto il gruppo, mentre
Luke
lasciava il suo posto.
“Ma no, cosa
dite? Io voglio così
tanto bene alla mia dolce Liz” disse, abbracciandomi da
dietro.
“Scusate ora devo fare una cosa” aggiunse poi
allontanandosi a
grandi passi.
“E ora dove sta
andando?” domandò
Katriina scostandosi una ciocca ramata dal viso. Katriina era una
ragazza non lontana dalla trentina che avevamo conosciuto in una casa
discografica. Era stata lei ad aprire a noi nuovi arrivati le porte
di Helsinki: si era rivelata subito una ragazza solare e
terribilmente simpatica, senza contare che conosceva i migliori
negozi della città di abbigliamento dark-goth e non solo.
Inutile dire che era diventata subito nostra amica, anche se non
riuscivamo proprio a capire quella specie di sbandata che si era
presa per Luke.
“E chi lo
sa?”
“When
fear of life keeps crawling in
She
wipes it all away
Day
turns to night repeats the sin
I'm
in lust so let love reign”
Ormai le ultime note della canzone
avevano attraversato la sala: ci voltammo tutti verso il palco per
fare un applauso all'improvvisato cantante, ma rimanemmo tutti di
stucco quando a sostituire il ragazzo fu una persona alquanto
conosciuta e riconosciuta anche dal pubblico del locale.
“Ma
cosa cazzo sta combinando?” sbottò Andrea
“Si vuole
mettere a cantare senza di noi?”
Alzai le spalle: “Forse vuole
darsi anche lui al karaoke nel tentativo di dimostrare qualcosa. Lo
sai come è fatto no? E' completamente fuori...”
Mi sorpresi nel notare quante
persone battessero le mani e lo salutassero a gran voce. Aveva
cantato solo qualche volta da quanto ne sapevo, ma doveva essere
piaciuto molto. Ero fiera di lui, ma certo non glielo sarei mai
andata a dire. Già il suo ego doveva correre a mille al
momento.
Prese in mano il microfono e la
gente sulla pista si fece meno rumorosa. Anche il nostro gruppo
tacque completamente e aspettammo che iniziasse a parlare, curiosi di
sapere cosa avesse in mente.
“Hey!
Ragazzi! Vedo che siete carichissimi stasera. Ma ho una brutta
notizia per voi: non avrete il piacere di ascoltare la mia fantastica
voce” Scossi la testa: poco modesto come al solito. Ma allora
per
quale razza di motivo era salito su quel palco? Solo per farsi
vedere?
Non attesi molto per scoprirlo.
Anche se sarebbe stato meglio non sapere.
“Non
preoccupatevi però. C'è una mia amica qui stasera
che
non aspetta altro che cantare per voi. E vi assicuro che ha una voce,
beh...discreta...nulla in confronto alla mia naturalmente,
però
direi che non potete lamentervi. Vero Liz?” si volse a
guardarmi, e
prima che potessi connettere i miei neuroni e capire cosa stava
accadendo, mi sentii sommersa da centinaia di occhi e iniziai a
sprofondare piano piano sulla sedia, nella speranza che una voragine
si aprisse sotto i miei piedi e mi risucchiasse.
Ma cosa diavolo credeva di fare?
“Liz?
Cosa aspetti?” domandò di nuovo, ghignando senza
ritegno.
Iniziai a sentire diverse pacche
sulle spalle.
“Dai
Ely vai!” mi incoraggiò Arianna.
La guardai allibita: “Ma sei
matta?”
“Dai
devi andare! Sei bravissima a cantare e lo sai!”
“E
poi non vorrai mica darla vinta a quell'idiota!” aggiunse
Andrea,
ridendo sotto i baffi.
Scossi la testa. No, no e poi no!
Non avevo mai cantato davanti ad
una folla così vasta, abituata oltre a tutto ad ascoltare
cantanti professionisti.
“Mi
sa che la mia amica è stata colta da un momento di
timidezza”
riprese Luke “Vogliamo darle un piccolo incraggiamento?
Insieme a
me: Elisa! Elisa! Elisa!”
Chiusi gli occhi. Non stava
succedendo davvero, giusto? Vi prego svegliatemi da questo incubo.
Ben presto tutto il locale aveva
attacato ad inneggiare il mio nome.
Arianna si avvicinò al mio
orecchio per farsi sentire: “Devi andare, my darling. Vedrai
che
andrà benissimo.”
Sentii qualcuno prendermi un
braccio e tirarmi su. Mi arresi, non opponendo resistenza.
“Hey!
Sembra che l'abbiamo convinta!” battè le mani il
cantante.
Con non troppa fretta raggiunsi la
scaletta del palco, mentre il mio “futuro pubblico”
si apriva per
lasciarmi passare. Era tutto così terribilemente
imbarazzante.
Quando finalmente raggiunsi il mio
aguzzino lo guardai torva.
“Eccola
qui ragazzi! La nostra Liz. Fatele un bell'applauso”
Mi inchinai per ringraziare,
mentre mi veniva passato un microfono. Prima di rivolgermi a tutte
quelle persone mi avvicinai a Luke e sibilai: “Questa me la
paghi”
“Grazie
davvero di questa accoglienza. Anche se non credo di meritarla. Penso
gradireste molto di più ascoltare un prrofessionista come il
nostro Luke. Quindi penso che gli lascerò volentieri il
testimone”
Il moro scosse la testa: “No, no
cara. Io ho già dimostrato più volte il mio
talento. E'
ora di lasciare spazio a nuove stelle. Volete sentire cantare la mia
amica vero?”
Guardai supplichevole le persone
sulla pista, ma sembravano tutte d'accordo. Tutte d'accordo contro di
me.
“Okay,
okay. Se è proprio questo che vuoi sono pronta a toglierti
fino all'ultimo fan!” asserii a testa alta.
“Wow!
L'avete sentita eh? Adesso minaccia anche”
“Certo.
Non crederai mica che abbia paura?” Cazzata. Grandissima
cazzata.
“Direi che possiamo iniziare. Sei hai intenzione di lasciarmi
un
po' di spazio naturalmente. Sai tu e il tuo ego siete molto
ingonbranti” le risate che risuonarono nella sala mi diedero
coraggio “Credo che canter...”
“Hey,
hey...piano...sono io che decido cosa canti” mi
fermò lui.
Sbattei gli occhi più di
una volta. “Cosa?”
“Hai
capito benissimo amore. Tanto tu non hai mica paura” mi fece
il
verso.
Ed eccola lì la voglia di
strozzarlo che si faceva sempre più grande.
“Oh
d'accordo. Allora cosa proponi?” lo guardai con aria di sfida.
Sogghignando si voltò e
andò a bisbigliare qualcosa all'orecchio dei musicisti che
si
trovavano sul palco per accompagnare le esibizioni.
Li vidi annuire, leggermente
sconcertati. E iniziai a preoccuparmi seriamente.
“Allora?”
domandai ansiosa.
In tutta risposta Luke fece un
gesto con la mano alla band, affinchè accennasse le prime
note.
“Proprio
una a caso vedo” scossi la testa non appena ebbi riconosciuto
la
canzone. Non molto tempo prima mi ero ritrovata a cantarla, ma non
ero molto in me. Beh, sì avete indovinato, ero alquanto
brilla
anche quella volta. E il risultato era stato molto discutibile. E
imbarazzate.
“Ah-ah...non
vorrai mica ritirarti cara?” Luke lo sapeva bene quello che
era
successo. E adesso si stava divertendo un mondo nel mettermi in
difficoltà. Dire che era vendicativo era un eufemismo.
Sentii la folla ricominciare a
chiamare il mio nome, divertita dal nostro continuo battibecco e
curiosa di sapere come me la sarei cavata.
Ormai ero fregata. Cosa potevo
fare se non prendere coraggio e dare del mio meglio?
“Molto
bene” sorrisi, cercando di scacciare definitivamente la
paura. Ero
brava. Ce l'avrei fatta. E avrei lasciato di stucco quell'idiota
“Come il mio amico qui presente ben sa, ho un particolare
legame
con questa canzone” lo udii sogghignare alle mie spalle
“Ma non
sa che la cara Liz ha fatto i compiti ed è diventata molto
brava. E glielo dimostrerà.” annunciai con fare
sicuro,
mentre sentivo gli applausi salire dalla folla.
Mi voltai verso il nostro tavolo,
con gratitudine. Sapevo da dove erano partiti.
Feci un inchino e aggiunsi
sorridendo: “Hey, però non sono Tarja”.
Le risate
riempirono la sala.
Facendo un bel respiro svuotai la
mente da tutto e mi voltai verso il gruppo.
“Pronta?”
mi domandò il chitarrista. Annui con decisione, tornando a
fronteggiare il “mio pubblico” ; sorrisi al
pensiero: non mi era
mai capitato di cantare davanti a così tanta gente. Ma in
fondo c'è sempre una prima volta no? E per quella sera sarei
stata anche io una rock star.
Mentre le note iniziavano a farsi
strada nel locale sentii l'adrenalina salire. E poi iniziai a
intonare 'Over the hills and far away'.
“They
came for him one winter's night.
Arrested, he was bound.
They
said there'd been a robbery,
his pistol had been found.”
Non
resistetti all'impulso di voltarmi per guardare in viso il cantante,
che mi mandò un bacio da lontano e riprese a battere le mani
a
ritmo di musica insieme al resto della sala.
Scossi
le spalle e ricominciai a cantare, invitando tutti i presenti ad
accompagnarmi con la loro voce durante i ritornelli.
“Over
the hills and far away,
for ten long years he'll count the days.
Over the mountains and the seas,
a prisoner's life for him
there'll be.”
Ma
cosa stavo facendo? Quella vacanza era qualcosa di straordinario. E
non sapevo che le sorprese non erano ancora finite.
Osservai
divertita Arianna, Gabriel e gli altri, che, avvicinatisi al palco
urlavano e ballavano senza freni.
“Each
night within his prison cell,
he looks out through the bars.
He
reads the letters that she wrote.
One day he'll know the taste of
freedom.
Over
the hills and far away,
she prays he will return one day.
As
sure as the rivers reach the seas,
back in his arms he swears
she'll be.
Over the hills and far away,
he swears he will
return one day.
far from the mountains and the seas,
back in
her arms is where he'll be.
Over the hills and far away,
she
prays he will return one day.
As sure as the rivers reach the
seas,
back in his arms is where she'll be.
Over the
hills,
over the hills and far away.
Over the hills,
over
the hills and far away.”
Abbassai il microfono,
soddisfatta. E
felice. Era andata bene. Era andata bene sì.
Rimasi a godermi gli
applausi dei
presenti, ringraziando ogni tanto con uno stupido inchino mentre
riprendevo fiato e voce.
“Hey complimenti
cadetto” mormorò
Luke, arrivandomi alle spalle e abbracciandomi la vita.
“Eh lo so. Cosa
ci vuoi fare. La
classe è classe” mi vantai scherzando.
“la fortuna del
principiante più
che altro”
Mi scostai di scatto,
mettendo il
broncio: “Sei sempre il solito” mi finsi arrabbiata.
“Beh dai con una
sola canzone...”
cominciò per stuzzicarmi.
“Fagliela
vedere!” urlò
qualcuno dal centro della pista.
“Sì
cantaci un'altra canzone!”
“Vai Elisa!”
Ben presto un nuovo coro
intonava a
gran voce il mio nome.
Presa dall'entusiasmo non
me lo lasciai
ripetere due volte.
“E' tutto tuo
cara” sussurrò
Luke al mio orecchio, prima di allontanarsi dal palco.
Sorrisi tra me e me: lo
adoravo. Li
adoravo tutti quanti. E Non avevano fatto altro tutta la sera che
cercare di riportare il sorriso sulle mie labbra e farmi divertire. E
probabilente non li meritavo. Non una ragazza egoista e musona come
me.
Luke sapeva quanto mi
piacesse cantare,
ma di sicuro se me lo avesse proposto senza sfidarmi non mi sarei mai
buttata.
“Grazie”
bisbigliai sfiorando la
sua mano.
Scelsi immediatamente la
canzone e la
comunicai al gruppo.
Tormentai a lungo le
trecce,
sistemandole davanti alle spalle, mentre, avendo fatto un profondo
respiro, riprendevo la parola: “La dedico ad una persona
speciale
che è riuscita a regalarmi le stesse emozioni che
è in
grado di sucitare in me questa canzone ogni volta che la ascolto,
anche se..beh, questa persona non lo sa” E non lo
saprà mai.
Vidi Arianna strizzarmi
l'occhio dalla
prima fila, compiaciuta.
Quasi mi scappò
da ridere.
Quella pazza. Chissà a cosa stava pensando. Anzi no, credevo
di saperlo: di sicuro già congetturava il mio fidanzamento
con
Gabriel.
Ma questa volta non ci
aveva preso.
Chiusi gli occhi, dando il
via alla mia
esibizione.
Mi sciolsi completamente,
lasciando che
le note della canzone che avevo amato sin dall'inizio diventassero
parte di me.
Un ultimo pensiero
attraversò la
mia mente, prima che cominciassi a dar voce alle parole: era in fondo
così buffo o perlomeno strano dedicare una canzone alla
stessa
persona che l'aveva scritta.
“Memories,
sharp as daggers
Pierce
into the flesh of today
Suicide
of love took away all that matters
And
buried the remains in an unmarked grave in your heart”
**
Mentre era impegnaa su quel
palco, a
mia insaputa, cinque ragazzi fecero il loro ingresso nella locale da
un'entrata secondaria e più protetta.
“Hey, ma questa
canzone la conosco!”
commentò Migè con ironia non appena ebbe messo
piede,
per primo, nella sala.
“Ville vieni un
po' a vedere”
Burton chiamò il frontman della band, che era rimasto poco
più
indietro per spegnere l'ennesima sigaretta della giornata.
“C'è
qualcuno che ti sta
fregando il lavoro...”
“...e con molto
successo tra l'altro”
sogghignò Gas osservano i ragazzi in fermento sulla pista da
ballo.
“With
the venemous kiss you gave me
I'm
killing loneliness
With
the warmth of your arms you saved me,
Oh,
I'm killing loneliness with you
I'm
killing loneliness that turned my heart into a tomb
I'm
killing loneliness”
“Hey
Ville, tutto okay?” domandò Linde all'amico,
tirandogli una
pacca sulla spalla, dopo che questi si era pratcamente bloccato sulla
soglia con uno sguardo terribilmente stupito negli occhi.
“Temo
che il caro Ville si sia accorto che la ragazza è davvero
brava. Anche più di lui” continuò il
batterista.
Fu il turno di tutti gli altri
membri della band a rimanere a bocca aperta quando il darkman non
rispose alla provocazione, ma si allontanò a grandi passi,
dopo averli liquidati con un veloce 'Devo fare una cosa. Ci vediamo
di sopra'
“Ma
dove cazzo sta andando?” chiese infine Burton.
“Speriamo
non voglia liberarsi della concorrenza” rise Migè.
Il rasta li guidò verso la
scala: “Dai andiamo!”
“Però
potremmo farci un pensierino...” commentò Gas
fermandosi al
secondo gradino.
“Su
cosa?” domandò curioso il bassista.
“A
scambiare Ville con quella gran gnocca!”
**
Era proprio come se anche lui
fosse con me su quel palco.
Ma la canzone finì, e con
essa la magia.
Di nuovo Luke tornò da
affiancarmi: “Ma tu sempre qui a cercare di prenderti i miei
applausi?”
commentai, scuotendo la testa.
“Veramente
sono venuto a portarti via di qui, prima che tu metta radici”
rispose lui prendendomi sotto braccio.
Ma fu allora che salì sul
palco un ragazzo non troppo alto, con uno strano tatuaggio tribale
sul collo, che lavorava dietro le quinte.
“Aspetta
tesoro” si rivolse a me.
“Sì?”
domandai stupita, arricciando il naso: non amavo appellativi troppo
confidenziali da gente sconosciuta.
“C'è
un ragazzo là dietro” spiegò indicando
alle proprio
spalle “a cui piacerebbe cantare un brano con te”.
Annuii e qualche ciocca corvina mi
cadde sul viso: “ Certo, se a loro non dispiace sopportarmi
ancora
per qualche minuto.” Ormai ero lanciatissima.
Subito i ragazzi si fecero
sentire.
“Bene
allora” sorrisi “digli di salire sul
palco”.
“Veramente
preferirebbe venire allo scoperto solo all'ultimo momento”
“Abbiamo
un tipo timido eh?” scherzò Luke con il pubblico.
Il moro non riuscì a
trattenere una risatina: “Beh, diciamo
così” si comportava
in modo strano, come se nascondesse qualcosa “Allora accetti
comunque?”
Alzai le spalle: “Okay. Quale
canzone?”
“Visto che hai cantato una canzone degli HIM il
ragazzo di là si chiedeva se conoscessi il remake di Summer
Wine, inciso dal loro leader poco tempo fa, insieme a Natalia Avelon.
Anche se è un po' sui generis.”
Mi uscì una strana smorfia,
nel tentativo di non scoppiare a ridere, ripensando ai duetti miei e
di Arianna davanti allo specchio, lei a prendere in giro l'attrice
tedesca che avremmo voluto uccidere per la sua fortuna sfacciata
(all'epoca reputavo ne avesse avuta davvero tanta, non sapevo infatti
cosa sarebbe accaduto qualche mese dopo alla sottoscritta) e io a
cercare di imitare la profonda voce di Ville.
Il ragazzo mi guardò
spaesato per alcuni istanti.
“Sì
sì, la conosco” mi affrettai a rispondere. Avrei
solo dovuto
cambiare parte, ma non era di certo un problema.
“Bene,
allora quando inizia la musica tu comincia pure e non preoccuparti
che il cantante arriva” mi assicurò.
“Okay”
risposi semplicemente grattandomi la punta del naso.
“Allora
ti lascio di nuovo. Comportati bene” mi ammonì il
mio amico.
Gli feci la linguaccia e mi
posizionai per la terza volta al centro della pedana, aspettando che
la band attaccasse.
Ma successe qualcosa che non mi
aspettavo: il locale si fece all'improvviso scuro, mentre una tenue
luce soffusa si accendeva intorno al palco.
D'un tratto calò il
silenzio, interrotto soltanto da qualche mormorio di stupore.
Era tutto così strano.
Nessuna esibizione di dilettanti quella sera aveva ricevuto un simile
trattamento.
Iniziai a sentirmi alquanto a
disagio. Sembrava tutto più serio adesso.
Ma subito dopo mi diedi
mentalmente della stupida: cosa cambiava in fondo? Dovevo solo
cantare come avevo fatto prima. Anzi, non vedendo tutte quelle
persone avrei potuto lasciarmi andare completamente.
“Pronta?”
sentii chiedere alle mie spalle.
“As
always”
Dopo quelle due brevi note di
introduzione iniziai a cantare con voce suadente, procedendo
lentamente lungo il palco. Mi sentivo molto stupida. Ma cosa
importava in fondo?
“Strawberries
cherries and an angel's kiss in spring
My summer wine is really
made from all these things”
Sorrisi divertita e, continuando a
ballare, mi voltai aspettando il mio partner.
“I
walked in town on silver spurs that jingled too
A song that I had
only sang to just a few...”
La voce giunse prima della
persona. Ma bastò solo quella. Perfetta. Troppo perfetta.
La folla cominciò ad urlare
più forte. Le ragazze in particolare furono quelle a farsi
sentire di più.
Per quanto mi riguardava sentii il
sorriso morirmi sulle labbra e i muscoli irrigidirsi, mentre il cuore
comiciava a battere più forte.
Fin quando Ville Valo non fu a due
passi da me, cantando in un modo così terribilmente sexy e
guardandomi negli occhi.
“...She
saw my silver spurs and said let pass some time
And I will give to
you summer wine...”
Beh, a quel punto credo che il mio
povero cuore mancò un colpo. O forse due.
“...Oohh-oh
summer wine”
Sì
speravate lo so di
esservi dimenticati di meee!! ma no, eccomi sono tornata!! della
serie un'aggiornamento più rapido non poteva farlo sta
pazza...scusate ho avuto problems con il comp..e poi sono partita
quasi subito (e devo ripartire domenicaXD)
Ringrazio
troppissimo le
sweethearts che hanno lasciato un commento tipo tre mesi fa al mio
capitolo^^ scusate davvero il ritardo e se non ringrazio a dovere ma
sono di frettissima.
p.s per
LadyNumb: te ricordi
l'interrogatorio??XD beh me sa ke dovrà aspettare qualche
capitoletto ma non me lo sono scordata!
Beh che
dire, il capitoletto è
bello lungo..spero non ci morirete sopra!
Fatemi
sapere i vostri
commentini!!
Baci
La vostra
-FallenAngel-
|
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Capitolo 6 *** Impossible desires' list ***
Charter
5
Impossible
desires’ list
Kissed
by the Blinded Goddess
Sbattei
più volte le palpebre,
mentre cercavo di riprendere il mio autocontrollo. Forse se avesse
smesso di
fissarmi con quegli occhi magnetici almeno per un secondo raggiungere
il mio
obiettivo sarebbe stato più semplice. Avevo la sensazione
che si stesse
divertendo un mondo.
Deglutii
ed entrai nel panico.
Dovevo cantare: era arrivato il mio turno! Cazzo Elisa svegliati!
Non
so come, la voce iniziò ad
uscire , sebbene piuttosto insicura, all’inizio quasi
impercettibile, poi
sempre più forte, fin quando riuscii a riprendere un certo
contegno. Beh,
restavo sempre una statua dotata di corde vocali.
Quando
finalmente riuscii a
staccare gli occhi dai suoi e voltarmi verso la pista buia, tutto
divenne più
facile.
Non
appena ebbi finito il mio
pezzo girai appena la testa per potergli gettare una fugace occhiata,
nascosta
dalla frangia che mi era ricaduta sugli occhi.
Tanto
bastò per poter accorgermi
che il darkman non era altrettanto fermo, ma si stava avvicinando
sempre di
più.
Finsi
di essere molto concentrata
sul pubblico, mentre sentivo la sua voce ad un passo da me.
Stavo
a poco a poco perdendo
coscienza della realtà. Le ipotesi erano in fondo tre: che
stessi completamente
perdendo la ragione, che fosse sempre uno stramaledetto sogno (un sogno
molto
lungo), o che fosse tutto vero: al momento proprio non sapevo scegliere
quale
fosse la più plausibile. Era giunto il momento di
controllare che nella mia
famiglia vi fossero casi di pazzia acuta?
Avevo
accettato quello che era
successo due giorni prima, mi ero convinta che fosse reale, ma adesso
ogni
certezza si infrangeva in minuscoli frammenti. Potevo essere davvero così fortunata?
D’un
tratto mi tornarono alla
mente le parole che Arianna mi aveva rivolto poco tempo addietro:
“Tu pensi
troppo! Vivi la tua vita e non continuare a ponderare ogni minima
azione! E
soprattutto prendi tutto quello che la sorte ti regala e non
convincerti ogni
volta di non esserne all’altezza, o finirai per perderti
tutto ciò che il mondo
ha di bello da offrirti!” Di certo il lupo perde il pelo ma
non il vizio.
Forse, probabilmente, aveva ragione.
Ero
davvero così fortunata e
dovevo ringraziare la sorte e non cercare di sfuggirle.
Lasciai
indietro ogni paura e inibizione
e mi voltai nuovamente verso Ville. Quando giunse la mia parte non mi
lascia
trovare impreparata ma cantai sorridendo di rimando al mio partner.
Finalmente
rilassata riuscii a
prendere parte a quel gioco di sguardi e sempre più
coinvolti iniziammo a
girare intorno l’uno all’altra, provocandoci un
po’, ma senza mai avvicinarci
troppo.
Mi
ritrovai quindi a ricevere un
mare di applausi, con un compagno che di certo li meritava molto
più di me.
Non
sapendo bene come comportarmi
decisi di lasciare a Ville il palco e sparire dietro le quinte con un
ultimo
inchino.
**
Mi
nascosi nell’angolino più
defilato e mi lasciai cadere su una cassa abbandonata di traverso,
inutilizzata, e mi abbracciai le ginocchia, quasi completamente al
buio. Un
sorriso inebetito ancora stampato in faccia.
Decisi
di restare lì per un po’ a
crogiolarmi nel mio sogno personale, nella speranza di poter trattenere
ancora
qualche granello di magia e sicura che nessuno mi avrebbe trovata.
Non
subito almeno.
“Fuga
dai fan?” una voce interruppe
i miei pensieri.
Connettere
i miei poveri neuroni
e rendermi conto a chi apparteneva quella voce fu un altro colpo. Per
avere 17
anni rischiavo troppe volte di avere un infarto.
“Scusa,
non volevo spaventarti.
Se vuoi ti lascio in pace” mormorò Ville.
“No!”
mi affrettai a rispondere,
forse con troppo slancio, vergognandomene subito dopo
“E’ solo che…pensavo di
aver trovato un buon nascondiglio” spiegai, tralasciando il piccolo dettaglio ‘ogni volta
che mi
rivolgi la parola mi dimentico anche come si respira.
Lo
sentii sogghignare: “Trovi? E’
esattamente quello che penso anch’io. Mi rifugio spesso qui
prima o dopo i
concerti per stare un po’ da solo”.
Per
un momento mi ero quasi
illusa che mi stesse cercando. Forse era meglio non esagerare con la
fantasia.
“Sono
un’usurpatrice quindi?”
“In
un certo senso…” scoppiò a
ridere. “Ma penso che sia abbastanza grande per entrambi.
E’ la prima volta che
ci trovo qualcun altro. Ma vediamola in un altro modo: dobbiamo essere
molto
simili tu ed io, non pensi? Stessa mente contorta almeno”
Eh,
magari…
Rimasi
zitta, ancora con quello
stupido sorriso stampato in faccia. Ringraziai con tutto il cuore il
cielo che
la luce fosse così scarsa e che il darkman non potesse
vedermi bene in viso,
sebbene anche nella penombra riuscivo a
percepire il suo sguardo magnetico su di me.
“Posso
sedermi?” chiese infine,
non sapendo bene come interpretare il mio silenzio.
Ancora
una volta non riuscii a
ritrovare la parola e mi scostai semplicemente più a destra,
lasciandogli un
po’ di spazio.
“Non
mi avevi detto che sei una
cantante” commentò.
“Cosa?”
sbottai “Dai non
prendermi in giro!”
“Non
lo sto facendo. Da quanto
tempo canti?” sembrava davvero interessato.
“No
davvero!” misi le mani avanti
“Io non canto! Lo faccio solo per divertirmi ogni tanto.
Solitamente su
costrizione, a dire il vero.”
Prese
il pacchetto dalla tasca
dei jeans estrasse una sigaretta che mise subito in bocca e me ne
offrì
un’altra, che però rifiutai.
“Beh”
riprese, lasciando morire
la fiamma dell’accendino “Allora è un
vero peccato. Ti assicuro che ho sentito
davvero tante persone cantare ‘Killing loneliness’,
troppe volte oserei dire,
la maggior parte delle quali mi sarei volentieri risparmiato, e credo
di poter
affermare che tu l’abbia fatto stupendamente, soprattutto
considerando il fatto
che sei una donna…”
“Hey!
E questo cosa vorrebbe
dire!” brontolai subito. Il mio animo cocciuto e femminista
non poteva restare
in campana di fronte ad un’affermazione del genere, nemmeno
davanti a Ville
Valo!
“No,
no, non faccio
discriminazioni sessuali – spiegò –
Intendevo soltanto che seguendo toni molto
bassi è ancora più difficile da cantare per una
donna!”
“Allora
direi che in qualità di
donna accettò il complimento” risi “
anche se temo che il mondo dovrà perdersi
il privilegio di deliziarsi con la mia voce!”
Alzò
le spalle: “Potresti sempre
cambiare idea”
“Ne
dubito. Ma non si può mai
dire, giusto?”
“Certo,
per poco non si perdeva
anche la mia di voce! Non dovevo essere io il cantante del gruppo, ma
in
mancanza di una persona idonea…”
“Sarei
dovuta nascere qualche
anno prima, eh? Avreste avuto la cantante perfetta per il
gruppo”
“Beh,
non sarebbe servito in
realtà. Noi cercavamo UN cantante”
Non
riuscii a trattenermi dal
tirargli una gomitata: “Niente discriminazioni
sessuali?”
“Giusto
un pochino” ammise “Ma
eravamo ragazzi, e i nostri idoli avevano band composte da uomini.
Potevamo
essere da meno?”
Mi
dimostrai soddisfatta della
risposta, ma per provocarmi il darkman aggiunse subito dopo:
“E comunque, se
vogliamo proprio dire tutta la verità, gli uomini restano
sempre il sesso
dominante”
Sbuffai,
spingendolo con troppa
violenza.
“Calma
Furia, ti prendevo in
giro. Se mi distruggi credo poi non ti resterà molto tempo
da vivere, con
quelle pazze qua fuori!” scherzò.
Mi
ritrassi subito: per un
momento avevo dimenticato con chi stavo parlando.
“Scusa”
biascicai.
“Le
star faticano a perdonare
sai? Di solito per ottenere la grazia si paga un fio piuttosto
elevato”
proruppe subito, cercando di non farmi sprofondare di nuovo
nell’imbarazzo.
Stetti al gioco:
“E
cosa dovrei fare, sentiamo…”
“Mmh”
fece finta di pensarci un
secondo, prima di spingermi a sua volta, facendomi quasi finire per
terra, ma
prendendomi poi per la vita appena in tempo. “Credo che ora
siamo pari”
Per
lo spavento – o meglio per
l’improvviso contatto – il cuore
ricominciò a martellarmi nel petto: eravamo
così vicini che non fui l’unica ad accorgersene.
Ville
mi lasciò andare
immediatamente e io ritornai sull’orlo della cassa.
“Inizieranno
a chiedersi se dopo
la mia discutibile esibizione abbia deciso di fuggire in un altro
continente;
che so, l’Antartide, per esempio” cercai di
riportare la conversazione su toni
leggeri.
“O
se qualche fan abbia tentato
di rapirti. Che poi non è del tutto una bugia. Sei stata
trattenuta tutto
questo tempo e disturbata da un tuo fan. Dal tuo fan numero
1!”
“Non
costringermi a picchiarti di
nuovo!” lo minacciai.
“Dico
sul serio! Anche se forse
hai già un fan numero 1, che sarà già
in giro a cercarti.”
Lo
guardai accigliata per qualche
secondo.
Ormai
i nostri occhi si erano
abituati all’oscurità e Ville cercò di
rispondere al mio sguardo confuso: “Il
ragazzo con te sul palco. Il tuo ragazzo?” tirò ad
indovinare.
Scoppiai
in una risata: “Intendi
Luke? Il moro che
cercava di rubarsi i
miei applausi? Fortunatamente non è il mio
ragazzo” Non riuscivo a smettere di
ridere. Era così assurdo.
“Beh,
dalle occhiate che lanciava
mentre eri sul palco, avrei detto che fosse geloso”
commentò, grattandosi il
naso.
“Ma figurati!
E’ soltanto molto protettivo. E
geloso di cosa poi? Forse solo del successo che abbiamo
avuto” mi alzai,
scuotendo le mani sui jeans “Uh, a proposito. Lo dovresti
conoscere! Lui si che
è un cantante che merita. Si chiama Luke Varden”
“Me
lo ricorderò” promise.
“Beh,
allora che dire, grazie di
nuovo. Anche per la canzone. Ora ho due spunte da mettere alla mia
lista dei
sogni nel cassetto impossibili”
Non
cessò di fissarmi curioso,
aspettando che continuassi.
“Conoscere
Ville Valo e fare un
duetto con Ville Valo!”
E
andare
a letto con Ville Valo…
“E’
stato un piacere” sorrise “Ma
prima che tu te ne vada dal tuo non-ragazzo…” si
voltò, alzandosi e cercando
qualcosa nelle tasche “Cazzo, ma è possibile che
non ho mai un pezzo di carta?”
sbottò “Non è che ne hai uno per
caso?”
Scossi
la testa: “No, mi
dispiace. Ma posso sap…”
“Un
momento” mi fermò con un
gesto della mano “Sto pensando…”
Riuscii
non so come a trattenermi
dallo scoppiare a ridere di fronte alla sua espressione assorta.
“Beh,
direi che non c’è
alternativa…” borbottò più a
se stesso che a me.
Dopo
avermi chiesto di seguirlo
si spostò in un punto dove la luce era un po’
più forte. Quindi mi consegnò
un pennarello nero.
“Cioè?
E io cosa dovrei farci con
questo?” chiesi spiegazioni, guardandolo stupita.
Si
aprì la giacca, indicando la
propria camicia. “Autografala” disse semplicemente.
Il
mio ‘what’ risuonò per tutte
le quinte.
“Dai
sul serio, voglio il tuo
autografo!” mi incitò.
“Ma
sei fuori?” strabuzzai gli
occhi “Primo, cosa te ne fai della mia stupida firma? E
secondo, se proprio non
hai di meglio da fare, almeno cerchiamo un foglio! Di sicuro non ti
rovinerò
una camicia”
“Per
favore” mi pregò,
guardandomi dritta negli occhi “Elisa…”
Non
so se fu quello sguardo
capace di sciogliermi in un istante, o la sorpresa nel constatare che
ricordava
il mio nome, ma cedetti alla sua richiesta e, sebbene continuassi a
pensare che
fosse una follia, scribacchiai il mio nome sulla sua camicia, contro il
suo
petto, con la mano che tremava.
Sbirciò
subito dall’alto in basso:
“Nemmeno una dedica?” pareva realmente dispiaciuto.
Mi
avvicinai sbuffando e aggiunsi
‘To my number 1 fan and my inspiring muse’
“Ora va bene?” domandai.
Osservò
per qualche istante il risultato. “Musa ispiratrice! Wow! Ma
vale anche se sono un uomo?”
“Pensava
avessi capito: sono per
la parità dei sessi io!” affermai “Quasi
sempre almeno”
Un
idea balenò nella mi testa “Ehi
aspetta, ancora una cosa” gli feci cenno di riavvicinarsi.
Ville
seguì l’ordine senza
protestare.
“Ecco
fatto!” Annunciai subito
dopo.
Non
appena fu riuscito ad
interpretare al contrario la mia aggiunta, mi squadrò,
corrugando la fronte:
“Girls rule?”
“Certo!”
sogghignai “Ora tu!” gli
ordinai, prima che potesse replicare alcunché, mettendogli
in mano il
pennarello.
“C’è
sempre il problema della
carta” ricordò.
“Ma
no, non preoccuparti, firma
anche tu sulla maglia” lo invitai.
“Sei
sicura?” mi guardò di
traverso “Quando te l’ho proposto io sembravi
così contraria. Mi hai anche dato
del pazzo!”
“Ma
non è mica la stessa cosa! Tu
ti sei fatto macchiare la camicia da un’emerita sconosciuta,
mentre io avrò
l’autografo di Ville Valo! Che mi invidieranno milioni di
ragazzine”
Sbuffò:
“Sciocchezze. Sei poco
coerente, punto.”
Tolse
comunque il pennarello e si
avvicinò, indugiando forse un po’ troppo,
vagamente imbarazzato, non sapendo
esattamente dove scrivere. Alla fine si abbassò e
iniziò ad autografare il top
sulla pancia.
Di
nuovo il ritmo dei miei
battiti si fece accelerato e mi mancò quasi il respiro. Era
troppo sperare che
non se ne fosse accorto?
Non
appena ebbe terminato mi
affrettai a leggere, curiosa.
Nella
sua inconfondibile
calligrafia era scritto: ‘To my wildcat, the best killing singer ever. Ville
groupie Valo”
Le
mie labbra si aprirono subito
in un sorriso: “Come dovrei interpretare quel
‘killing singer’?”
Ville
ridacchio di rimando:
“Naturalmente è solo un chiaro riferimento alla
canzone. Perché?” domandò con
finta innocenza.
“Addio
groupie. E’ stato un
piacere conoscerti” lo salutai, nonostante la mia voglia di
andarmene fosse
pari a zero.
“Il
piacere è stato mio. Mi
raccomando: non tradire le aspettative dei tuoi fan!”
“Certo,
aspetta e spera! Addio”
“Ciao”
Mi
allontanai il più velocemente
possibile, sperando di aver preso la strada giusta per uscire dalle
quinte e di
non essere costretta a tornare indietro, facendo la figura della
perfetta
idiota.
Ancora
una volta fui assistita
dalla Dea bendata.
**
Appena
fui entrata nella sala
principale cercai i miei amici sulla pista. Non impiegai molto tempo a
riconoscere
i rossi boccoli di Arianna tra la folla.
La
stavo raggiungendo quando,
notando che chiacchierava sola con un ragazzo castano davvero
altissimo, mi
bloccai, non volendo disturbarla; ma ormai era tardi.
Anche
lei mi vide e mi fece
subito cenno di avvicinarmi.
“Hey”
salutai, non appena fui
vicina.
“WOW”
gridò lei eccitata “IO NON
CI CREDO! Dimmi che hai cantato davvero con VILLE VALO!”
“Ebbene
sì. Ma ne parliamo
dopo…Adesso non voglio distrarti” mormorai.,
lanciando un’eloquente occhiata al
povero ragazzo che ci osservava confuso, non capendo una sola parola di
quello
che stavamo dicendo.
“Cosa?
Ah, sì un momento” si
voltò quindi verso il castano e, riadottando la lingua
inglese, lo liquidò in
pochi secondi, lasciando me a bocca aperta
e il malcapitato alquanto offeso.
“Ma
poveraccio!” la sgridai.
“Naaa,
era un idiota. Fortuna che
sei arrivata piuttosto, se no non mi mollava più”
mi spiegò risoluta. Quella
ragazza era fantastica “Beh allora che aspetti? Racconta!
Com’è stato? Waa che
invidia!”
Non
mi lasciò nemmeno aprir
bocca, accorgendosi della scritta sul top: “Vediamo,
vediamo…Hey, che significa
‘my wildcat’? Che forte! E’ troppo
divertente. Beh, in effetti, ‘killing
singer’, non ha proprio tutti i torti.”
La
colpii immediatamente:
“Groupie?” scoppiò a ridere di guasto.
Mi
unii alla sua allegria: “Lo
so: è tutto matto! Molto più di quanto
pensassimo.”
“Dio, ancora non riesco a
capacitarmene”
“Pensa io!”
“Cioè,
ti rendi conto? Hai
cantato con Ville Valo! E gli hai parlato. E lui ti ha firmato la
maglietta. E…”
sembrava una bomba ad orologeria in procinto di esplodere.
“Sì!”
mi lasciai andare ad un
moto di euforia, abbracciandola forte “Si è notato
che sul palco mi stava tipo
venendo un infarto?”
“Giusto un
pochino” ridacchiò “Ma credo che sia
venuto un
colpo a tutti in sala. Comunque poi hai cantato benissimo. Certo non
meglio di
me…”
“Naturalmente ho cercato di emulare la maestra, ma non avrei
mai potuto
superarla”
“Oddio
ma quanto è bello”
sospirò, con aria trasognata “Che fortuna
sfacciata! Quanto mi sarebbe piaciuto
essere al tuo posto.”
“Puoi
sempre dire di essere la
migliore amica della cantante preferita di Ville Valo” la
presi in giro.
In
tutta risposta ricevetti una
linguaccia.
“Dai,
torniamo dagli altri”
“Sì,
ma poi mi racconti parola
per parola quello che vi siete detti”
“Certo”
“Ah
sì, e poi un’altra cosetta…”
“Tell
me” la guardai e,
dall’espressione furba dipinta sul suo viso, già
sapevo che la domanda non mi
avrebbe fatto piacere. Conoscevo fin troppo bene quello sguardo.
“Allora,
a chi hai dedicato
‘Killing loneliness’?”
Ecco
lo sapevo! Sbuffai, alzando
gli occhi al cielo: “Al mio amore segreto!”
“E
non me lo vuoi dire?” mormorò,
sfoggiando due occhi da cerbiatta.
“L’avevo
dedicata a Ville”
Mi
guardò, aggrottando le
sopracciglia: “Ma ancora non ci avevi parlato. Non cercare di
imbrogliarmi. Io
penso di sapere invece…”
E’
proprio vero che quando uno
dice la verità non c’è mai nessuno che
gli crede. Sorrisi: tanto valeva
accontentarla. In fondo, nemmeno quella era una vera bugia: ero stata
davvero bene
quella sera con Gabriel.
“Bene
Sherlock, se già sai la
risposta, allora perché fai domande?”
“Shi!
Grande! E’ troppo dolce
quel ragazzo” mi strinse la mano, felice “Anche
se non è Ville Valo…”
Eccomi
dopo due mesi di ritorno dalle vacanzuole con un nuovo chapter!! Della
serie
chi non muore si rivede..(cioè..più o menoXD)
Ho
già pronti altri quattro capitoli così per un
po’ avremo un aggiornamento
decenteXD
Comunque
non blateriamo oltre..ditemi ditemi che cosa ne pensate!!
Ringrazio
tutti quelli che anno letto lo scorso cap e in particolare quelli che
hanno
commentato!
@Bell_Lua:
grashie tesora dei compliments!! Ehhh anke io adoro quella song!! Poi
un duetto
con villuccioo...grashie ancora!!! smack
@Sisteeeeer:
grashie cara! I tuoi commenti sono sempre molto dolci! Poi è
colpa tua se sto a
scrivere queste storie!!XD Spero tu gradisca anche sto chapter!! Vkiss
@Scarlet
Angel: non preoccuparti! Anche se fosse una critica sarebbe ben
accetta! Altrimenti
come posso sperare di migliorare?? In effetti questa storia
è nata proprio da
un sogno, e ho cercato di restarci piuttosto fedele seppur con
numerosissime
aggiunte: già l’età protagonista
è molto irreale lo so..Ma spero che resti
comunque una storia piacevole da leggere^^ sono
contenta che tu abbia apprezzato le songs!!!
Kisses
E qui
vi lascio..
VenomousKiss
La
vostra
-
FallenAngel -
|
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Capitolo 7 *** Unexpected call ***
Chapter 6
Unexpected call
When
everything seems normal again, something happens…
6 Maggio
Davanti
allo specchio, mentre
ancora mi lavavo i denti, senza pensarci mi ritrovai a cantare sulle
note di
‘What have you done’.
“…I
know I'd better stop trying
You know that there's no denying
I won't show mercy on you now…”
“Hey!
Guarda che ti ho sentito!
Stavi cantando una loro canzone” Arianna spuntò in
bagno all’improvviso,
proprio come un fungo.
Finsi
indifferenza: “Sarà stato
lo spazzolino”
Mi
fulminò con lo sguardo.
“Okay,
ti confesso che sono
innamorata di Keith Caputo”
“E
ammettere che ti piacciono gli
Within Temptation?”
“Mai!”
proclamai risoluta.
“Come
non detto”
“Allora
che si fa stamattina?”
cambiai discorso.
Mi
guardò ridacchiando:
“Stamattina? Mia cara principessa, sarebbero le 12 e 30”
Mi
grattai la testa: “Ah”
“Già,
già. Te l’ho già detto che
le signore delle pulizie ci adorano? Devono sempre lasciare la nostra
camera
per ultima”
“Sorry,
lo so. Sono una pigrona”
“Dai,
comunque possiamo sempre
andare a farci un giretto”
Terminammo
di prepararci e ci
dirigemmo nella hall dell’albergo, per vedere se qualcun
altro dei nostri
compagni aveva evitato, volontariamente o meno, di puntare la sveglia.
Io, per
mio conto, odiavo le sveglie e il loro stupido suono martellante con
tutto il
cuore, e non avevo nemmeno un ottimo legame con la
puntualità.
I
candidi divanetti e poltroncine
disposte a semicerchio intorno a tavolini di legno scuro erano
pressoché vuoti,
fatta eccezione per una coppia di anziani signori che mi salutarono
cortesi.
“Cariatidi,
come avevo detto”
bisbigliò al mio orecchio Arianna.
“Shh”
la zittii, scambiando
qualche parola con Elmer e Martta.
Prendendo
sotto braccio la mia
amica, la condussi oltre, verso il bar.
“Un
caffè?” proposi.
“Come
rifiutare mon amie?”
Eravamo
sedute davanti al bancone
e Arianna mi stava ancora prendendo in giro per via delle mie serate di
pazzo
divertimento nella hall dell’albergo rinchiusa con il circolo
degli ultrasettantenni
(inutile ripeterle che c’erano anche persone della nostra
età o giù di lì)
quando il cellulare iniziò a vibrare nella tasca dei jeans.
“Chiunque
sia lo farò santo”
affermai sollevando il telefono per guardare il numero sul display.
Corrugai la
fronte.
Strano,
era un numero
sconosciuto, e per giunta stranissimo.
“Hello?”
risposi incerta “E
piantala!” sbottai subito dopo ridendo, rivolta ad Arianna,
che non la smetteva
di farmi il verso. Presi la sua borsetta per tirargliela addosso.
“Elisa?” lasciai cadere la
borsetta e quasi persi l’equilibrio io
stessa sull’alto sgabello.
Presi
un profondo respiro: “Sì?”
mormorai a mezza voce, senza ascoltare minimamente i rimproveri di
Arianna per
aver lasciato andare per terra tutte le sue cose.
“Ciao! Sono Ville” la sua voce
giunse chiara e stupenda attraverso
l’apparecchio, anche se mi era bastato sentirlo pronunciare
il mio nome per
riconoscerlo “Valo”
aggiunse subito
dopo non ricevendo alcuna risposta, forse temendo che non avessi capito.
“Sì,
sì” mi affrettai a dire
“Ciao…Ville” deglutii.
Vidi
Arianna fare quasi la mia
stessa fine giù dallo sgabello.
“Cosa?”
mimò, facendosi più
vicina per poter sentire.
“Tutto bene? Non è che disturbo? Stavi
dormendo forse?” domandò il
darkman.
“Ma
no, che dici. Non
preoccuparti, sono sveglia da un po’” sentii la mia
amica trattenere una
risata, al mio fianco. Era solo una piccola bugia in fondo, no?
“Comunque tutto
bene, e tu?”
“Bene grazie. Ho chiamato per controllare come
procede il tuo lavoro”
Nuovamente,
una profonda linea
solcò la mia fronte: “Lavoro?”
“Sì, le tue canzoni, il tuo
album…” spiegò, come fosse la
cosa più
naturale del mondo “A che punto sono?”
“Mh”
finsi di pensarci su “Beh,
direi a buon punto”
“Cioè?”
“Ho appena terminato la mia seconda non canzone! Vuoi
sentirla?”
“Certo!”
Rimasi
in silenzio per diversi
secondi “Ecco fatto! Allora cosa ne pensi? Non essere troppo
duro mi
raccomando” scherzai “Lo sai che il giudizio della
mia Musa è molto importante
per me”
“Allora…direi che potresti lavorarci
ancora un po’ su. Ma la base non è
male”
“Uffa!
Oltre che Musa non eri
anche il mio fan numero uno? Mi aspettavo un po’
più di entusiasmo dal mio
groupie!” mi finsi offesa.
“Forse ho solo bisogno di una replica. Diciamo
stasera?”
Il
cuore mi saltò in gola.
“Stasera?” ripetei, come una stupida.
“Sì, i ragazzi vorrebbero conoscerti.
C’è Gas che continua a ripetermi
che hanno una proposta da farti. Non ho idea di cosa si tratti, ma sto
iniziando ad essere davvero curioso. Al Midnight Wish?”
Cioè
io, proprio io, uscire con Ville
e gli Him?
“Scusa, forse sei già
impegnata…”
Ricevetti
una gomitata nello
stomaco: “Cosa? No, no, va benissimo”
“Okay, allora ti aspetto alla scala per salire al
piano superiore alle
11?”
“Ehm”
balbettai “Non credo mi
lasceranno passare”
“Ah, giusto. Non preoccuparti, fai così:
cerca il tizio di nome Ilkka e
ripetigli questa frase: The octupus lives in dark waters”
“Cosa?”
scoppiai in una sonora
risata.
“E’ una frase in codice”
“Beh,
questo l’avevo capito,
ma…una frase migliore no?”
“Io adoro i polpi!”
ribattè lui, punto sul vivo.
“Okay,
okay. Posso portare una
persona?”
“Il tuo non-ragazzo?”
domandò lui, con un filo di ironia.
Ancora
se ne ricordava? “In
realtà pensavo alla mia best friend, ma se vuoi posso
portare pure lui”
“Meglio di no, non credo che mi ami molto”
Io
e Arianna ci guardammo
confuse.
“Anche la tua amica è una cantante?”
“Naturalmente!”
risposi,
beccandomi un’altra gomitata.
“Allora
vi aspettiamo. Preparate le corde vocali”
mi avvertì “Buona giornata”
“Grazie,
anche a voi” Ma prima di
attaccare un pensiero attraversò la mia mente
“Hey, Ville?”
“Sì?” rispose lui
prontamente.
“Io
non sono nota per la mia
memoria di ferro, ma davvero non ricordo di averti dato il mio numero
l’altra
sera…” Lo sentii ridacchiare dall’altra
parte del filo “…o no?” cominciavo a
non esserne più sicura. Cominciavo a non essere
più sicura di nulla ormai.
“Mh, forse. No, ti confesso che numero non
l’ho avuto da te”
“E
come l’hai avuto allora?”
domandai stupita.
“Ho le miei fonti”
sogghignò, lasciandomi sulle spine.
Ma
io non mi arresi: “Cioè?”
“Che testarda! Noi celebrità abbiamo i
nostri segreti. Hey scusa, mi
chiamano, devo scappare. Ci vediamo stasera K-singer.”
Mi
liquidò in un mezzo secondo e
chiuse la conversazione prima che potessi replicare.
“Ely…”
“Sì?”
risposi, sentendo la mia
voce lontana chilometri.
“Stasera
usciamo con gli HIM”
anche lei parlava con una calma innaturale ed era come se la sua voce
non le
appartenesse veramente.
“Già”
“Ora
non mi meraviglierei se
vedessi passare un elefante volante davanti alla finestra”
Entrambe
ci girammo involontariamente
verso la grande porta finestra che dava sul cortile interno.
Accorgendoci
del nostro insensato
comportamento scoppiammo a ridere senza riuscire a fermarci.
“Quanto
siamo cretine” boccheggiò
Arianna con le lacrime agli occhi “Comunque lo sai che ti
adoro?” mi abbracciò
stretta.
“Certo,
opportunista!”
“Credo
proprio che ormai i nostri
caffè siano una schifezza”
“Almeno
ne è valsa la pena”
Sorseggiai
la bevanda ormai
fredda, ma poco importava. Tutto quello a cui riuscivo a pensare era la
sua
voce.
“Vado
a controllare gli eventuali
messaggi alla reception” Arianna mi lasciò davanti
alla tazzina ormai vuota, a
passare le dita sul liscio bancone di granito.
Ascoltai
la conversazione di due
ragazze distanti pochi posti da me, con la scusa di allenare un
po’ il mio
finlandese, tentando di capire più parole possibili, ma
senza concentrarmi sul
serio.
D’un
tratto il cellulare vibrò di
nuovo, informandomi dell’arrivo di un sms. Il cuore
ricominciò a battermi nel
petto mentre con mano tremante afferravo il telefono.
Mi
diedi mentalmente della
stupida. Era di sicuro qualcuno del gruppo, o al massimo Gabriel, o
forse
qualcuno lontano chilometri, a casa.
Ma
mi sbagliavo.
“Il tuo numero l’ho ottenuto dal tuo
non-ragazzo, con non poca fatica a
dire il vero! Ho impiegato un’ora per convincerlo: sei
proprio sicura che non
sia il tuo ragazzo? See U Later, VGroupieV”
Digitai
veloce una risposta: “No,
è il mio bodyguard. Tiene lontani i fan troppo insistenti.
Beware groupie!”
**
In
fila davanti al Midnight Wish,
accanto a Luke e Andrea per assicurarci un posto nel locale, sentii
l’agitazione crescere a dismisura.
Un
leggero alito di vento mi
passò attraverso la giacca, facendomi rabbrividire.
Helsinki
di notte era ancora più
emozionante che di giorno, con le sue luci soffuse e
l’atmosfera quasi irreale
che avvolgeva ogni cosa.
“…e
ricordatevi di chiedergli
anche…” Andrea continuava la sua lista infinita di
domande da fare al gruppo.
Sperai
che Arianna fosse stata
più attenta della sottoscritta. Continuava a fare cenno di
sì con la testa,
vagamente esasperata, ma qualcosa mi diceva che non avesse afferrato
davvero lo
sproliloquio del bassista.
“Quand’è
che vi faranno entrare
dall’entrata dei vip? Sono stufa di queste code”
bisbigliai a Luke.
“Molto
presto, non preoccuparti.
Comunque qualcuno si è un po’ montato la testa eh?
E ci tradisce oggi…”
“Colpa
tua Dr Frankestain! Sei tu
che mi hai spinto su quel palco”
“Suppongo
tu abbia ragione. Direi
che mi devi un favore”
“Mh,
direi di sì. Anche se mi
hanno riferito che stavi cercando di sabotare questa serata”
osservai.
Mi
guardò confuso: “Cosa
intendi?”
“Hai
fatto difficoltà a dare il
mio numero a Ville” quasi mi scoppiò da ridere al
pensiero di Luke che
discuteva al telefono con Ville Valo.
Alzò
le spalle, sbuffando: “Come
potevo essere certo che fosse davvero lui? E frontman degli HIM o no,
resta
sempre un ragazzo di 30 anni, troppo grande per te”
Questa
volta non resistetti: “Ma
sei scemo?? Ma cosa vai a pensare? Non mi vedrebbe mai sotto
quella
luce!” Almeno non da
sobrio.
“Io
non ne sarei così sicuro”
“Ma
ti rendi conto di cosa stai
dicendo? Lui è Ville Valo! E io sono
un’insignificante ragazzina. Non potrebbe
mai considerarmi. E poi come hai detto tu sono troppo giovane”
“C’è
un sacco di gente che non si
fa problemi di età, per approfittarsi di una
ragazza”
Lo
guardai allibita. Non avevo
assolutamente intenzione di pensare ad una cosa del genere.
“Okay,
forse ora sto esagerando.
Tu comunque stai attenta. Ma ci saranno solo loro?”
domandò poi. Sembrava
ancora un po’ teso e continuava a non guardarmi negli occhi,
ma a stare girato
verso Arianna ed Andrea.
“Immagino
di sì, non ne ho idea”
risposi sinceramente. Si comportava in modo così
strano…
“E
comunque ho la borsetta piena
di spray al pepe e il tuo numero di cellulare è il primo
della lista, mamma”
Mi
diede una sberla dietro al
collo. “Cretina!”
“Hey
non picchiare il mio
lasciapassare!” intervenne Arianna.
“Come
il tuo lasciapassare? E
dell’incolumità della tua amica non ti interessa
proprio?” protestai.
“Sì
se la mia amica è un
lasciapassare!” continuò la rossa prendendomi in
giro.
“Potrei
sempre decidere di
portare qualcun altro più meritevole, tipo
l’Andre”minacciai.
Lo
vidi saltare subito su: “Sì
sì, vengo io! IO IO IO!”
Scoppiammo
tutti a ridere: “Sarà
per la prossima volta, te lo prometto!”
Sei
mai ci fosse stata una
prossima volta.
“Comunque
come cavolo ha fatto
Ville a contattarti per chiederti il mio numero?” tornai a
rivolgermi al
cantante “C’è qualcosa che non
sappiamo?”
Luke
scosse la testa: “No, cara,
ha preso semplicemente il mio numero dalle liste del Midnight. Immagino
che per
Mr Valo, qui in Finlandia, molte regole come quella della privacy siano
messe
da parte come niente…”
Nel
frattempo eravamo giunti
all’interno del locale, quel giorno un poco meno affollato
del solito.
Posai
subito gli occhi sul mio
orologio da polso. Mancavano 10 alle 11.
In
qualche parte del mondo doveva
essere successa qualche disgrazia, per bilanciare il fatto che io e gli
altri
(Luke in particolare) non solo non fossimo arrivati in ritardo di
qualche fuso
orario, ma addirittura in anticipo.
Si,
era decisamente un fatto
inspiegabile, che necessitava qualche studio approfondito.
Ma
adesso c’era un altro problema
da risolvere: cosa si fa quando sei in anticipo? Non ero molto ferrata
in
materia. Non avevo, come dire, esperienza. A inventare scuse sul
perché avevo
mancato un appuntamento di un’ora, in quello si che ero brava!
“Un
salto alla toilette?” mi
salvò Arianna.
Annui
subito con decisione,
prendendola per un braccio e guidandola verso il bagno.
**
Non
appena la porta si fu chiusa
alle nostre spalle mi appoggiai contro il muro in cerca di un sostegno.
“Hey
tesora rilassati! Vedrai che
andrà tutto bene.” Arianna fu subito al mio
fianco, carezzandomi i capelli che
avevo legato in un’alta coda di cavallo.
“Ci
sto provando…è solo che…è
così difficile”
“No,
non è vero. Non lo è. Devi
solo smettere di preoccuparti. E’ normale essere un
po’ agitati, ma
l’importante è essere te stessa, come
l’altro giorno. Da quanto mi hai raccontato
direi che è andato tutto molto bene no?”
ammiccò.
Annuì,
sciogliendomi un po’.
“Ecco
brava! Guarda che anche io
sono eccitatissima! E dovrei essere più spaventata di te:
non sono mica io l’idolo
del groupie Valo” scherzò, recuperando dalla
borsetta il beauty con tutto il
necessario per risistemarsi il trucco.
Le
portai via la matita viola,
con la quale ripassai il contorno dei miei occhi, coordinata con la
maglia a
righe dello stesso colore e nere, e con le maniche di rete, che avevo
deciso di
indossare quella sera.
Dopo
avermi preso sotto braccio,
uscimmo entrambe dalla toilette e salutammo da lontano i nostri amici
un’ultima
volta.
Giunte
davanti all’ala ovest aguzzai
la vista alla ricerca di Ilkka, il bodyguard di cui mi aveva parlato
Ville.
Non
impiegai molto a
riconoscerlo, di certo non era poco visibile, con la sua stazza
massiccia.
Sentendomi
una stupida e
stringendo più forte il braccio della mia best friend, mi
avvicinai al buttafuori
che ci fissava con aria non troppo amichevole.
“The
octupus lives in dark
waters” pronunciai cercando di rimanere seria.
Subito
le labbra di Ilkka si
allargarono in un sorriso: “Benvenuta Elisa,
giusto?”
“Sì
sono io, e lei è una mia
amica. Avevo già avvertito che sarebbe venuta anche
lei” spiegai.
“Certo,
Ville mi ha detto tutto.
Potete passare” ci invitò scostandosi di lato per
lasciarci avanzare.
Varcai
la soglia sommersa da
numerose occhiate curiose e piene di invidia.
Ci
ritrovammo in un atrio ben
arredato, dai colori sempre molto scuri e dalle luci soffuse,
circondato da
numerose porte. Di fronte a noi, sull’altro lato della stanza
iniziava la
grande scala che portava al piano superiore.
In
un angolo più caldo e meno
lontano dall’ingresso si trovavano invece alcuni divanetti,
su uno dei quali
era seduta una ragazza sulla trentina dai lunghi capelli castani, che
non
appena ci vide si alzò, venendoci incontro.
Non
era troppo alta, ma
proporzionata nelle forme, e indossava un maglioncino indaco leggero
sopra una
gonna di qualche tonalità più chiara.
Sentii
Arianna tirarmi per un
braccio: “Ma è lei vero? E’
Manna?” mi domandò sorpresa.
La
ragazza che si avvicinava
sorridente era decisamente la compagna del chitarrista degli HIM.
Dovevamo
essere preparate no? Ma immagino che ogni volta che ti capita di
incontrare
personaggi famosi, per quanto puoi esserti preparato, fa sempre un
certo
effetto.
“Ciao,
devi essere Elisa?” mi
domandò cortese.
Annuii,
scostandomi la ciocca
ribelle dagli occhi e allungando una mano che lei subito strinse.
“Piacere,
io sono Manna” si
presentò “Sono la…”
“Certo,
sappiamo chi sei! Siamo
anche delle fan della tua voce stupenda”
“Davvero?
Non pensavo di essere
così famosa” si schermì “E
comunque non sono di certo così brava. Mi hanno
detto invece che tu canti divinamente!”
“No,
assolutamente non è vero.”
“Oh
sì che lo è, è solo molto
modesta” intervenne Arianna sorridendo.
“Beh
allora abbiamo qualcosa in
comune” sorrise Manna, allungando la mano verso
l’Ary.
“Arianna.
Felicissima di
conoscerti!”
“Sai
che adoro già i tuoi
capelli” confessò la cantante, osservando con un
pizzico di invidia i lunghi
boccoli della rossa.
“Grazie.
O forse dovrei
ringraziare la mia mamma, o la dea bendata.”
“Vogliamo
iniziare a salire?”
propose Manna, indicandoci la scala “Naturalmente i ragazzi
sono un po’ in
ritardo, per questo ho deciso di arrivare più presto per non
lasciarvi
aspettare da sole. Non ci si può mai
fidare…” spiegò scuotendo la testa.
“Non
preoccuparti. Capiamo
benissimo. Anche noi siamo portatrici dello stesso difetto, di
solito”
confessai, piegando leggermente la testa da un lato, come per
nascondermi.
“Davvero?
Beh oggi siete
perfettamente puntuali ragazze”
Ci
precedette lungo la nera scala
a chiocciola molto larga. Non appena avemmo raggiunto la cima, subito
mi
innamorai della vasta sala che si apriva davanti ai miei occhi: molto
simile a
quella principale, era tuttavia più intima e tranquilla, e
la musica
proveniente dal palco e dalle casse era meno forte ma allo stesso tempo
il
suono era perfetto. Notai che i tavolini erano un poco più
grandi e le sedie
davano l’idea di essere più comode. A rendere
l’atmosfera ancora più speciale,
molte delle luci elettriche erano state sostituite da candele.
Naturalmente non
mancava una pista da ballo.
Numerose
e sorridenti cameriere
giravano per i tavolini non facendo mancare nulla ai coccolati clienti.
Subito
la mia attenzione venne
però carpita dalla figura accomodata presso due tavolini che
erano stati uniti
insieme, che sfogliava distrattamente una delle carte accuratamente
plastificate dove erano elencati in bella grafia tutti i cocktail del
locale.
Con l’altra mano tamburellava sul piano scuro, e pareva
quasi…nervoso?
“Hey
non credo ai miei occhi”
commentò Manna a bassa voce, sollevando un sopracciglio,
stupita. Poi, alzando
la voce in modo che la persona al tavolo poco distante la potesse
sentire,
continuò: “Ville! Già qui?”
Il
darkman alzò il volto dal
foglio, spostando lo sguardo dalla compagna di Linde, ad Arianna, fino
a
incontrare i miei occhi. Fui scossa da un leggero tremore quando le sue
labbra
si incurvarono in un sorriso.
Anche
lui si alzò per venirci
incontro. Tutte quelle attenzioni mi stavano iniziando a mettere un
po’ a
disagio. Non ero mica la regina d’Inghilterra io!
“Non volevo far aspettare le
nostre ospiti”.
Ecco
appunto.
“Vedo
che non hai avuto problemi
a passare, Furia” mi squadrò un momento, con un
espressione beffarda sul volto.
“Furia?”
domandò Manna, piuttosto
sconcertata.
Qualcosa
scattò subito dentro di
me: “Certo che no!” ribattei “Anche se
non avessi avuto la parola d’ordine
sarei riuscita ad entrare comunque!”
Ville
si volto verso la compagna
dell’amico: “Ecco la mia Furia, vedi?”
spiegò, ridendo sotto i baffi.
Beh,
sì dovevo ammettere di
essere alquanto suscettibile. Ma ogni volta che sentivo di essere presa
in giro…
Era
strano: ma era come se Ville
avesse saputo esattamente cosa dire per farmi saltare subito su. Era
come se mi
conoscesse da tempo.
Notai
che anche Arianna mi
osservava sorpresa. Cercai di allontanare l’attenzione dalla
mia persona,
presentandola al darkman.
“Questa
è la mia amica,
spiritosone. Arianna”
Ville
si esibì in buffo inchino:
“Piacere Ville Valo”
Non
so come facemmo a trattenerci
dal ridere.
“Oh
Ville. Ma cosa ti sei fumato
stasera?” la voce di Migè giunse dalla scala, dal
quale era appena entrata
nella sala tutto il resto della band.
To
be continued…
Ed
ecco il nuovo capitolooo. Dai questa volta l’aggiornamento
è avvenuto in tempi
decentiXD
Spero
che abbiate apprezzato il capitolo! Io mi sono divertita troppo a scrivere la
telefonata…e vedrete poi
cosa succede durante la serata con gli HIM…ditemi ditemi!!
Come al solito
scrivetemi tutto quello che vi salta per la testa!!!
E
soprattutto grashie grashie per i commentini!!
@la
mentora: cioè qui, come dici tu, un grazie non è
abbastanza!! Ogni volta che
leggo i tuoi commenti mi brilluccicano gli occhi! Anche io ti vojo
troppo
beneee! Si anche io amo la parte della dedica! Sono pucciosetti eh?
Direi
proprio che killing singers è azzeccatissimo per noi the
villersXD Potrei
piazzarci un capitoletto con loro due che ballano under the rose..anzi
forse è
mejo di no! Soprattutto perché devi vedere
com’è il balletto XD ancora grashie
amoraaa! Kisses
@Bell_Lua:
mamma mia che commento da peperone (cioè me è
diventata un peperoneXD) ma
grazie sei troppo dolce!! Sono tanto contenta ke ti sia piaciuto! Eh e
non si
capisce che io sono innamorata persa di ville? XD beh forse un
pokino..grazie
ancora!! Spero che anche questo cap ti sia piaciuto!! Fammi sapere!
Kiss kiss
@Shine
no Kami: dai direi che è abbastanza breve..sperooo..XD Un
besooo
A
presto la seconda parte del chapteeer
See
ya soon!!
VenomousKisses
La
vostra
-FallenAngel-
|
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Capitolo 8 *** Like brother and sister ***
Chapter
7
Like
brother and sister
Same
mind, same behaviour, same tastes…same stubbornness.
“Oh
Ville. Ma cosa ti sei fumato stasera?” la voce di
Migè giunse dalla scala, dalla
quale era appena entrata nella sala tutto il resto della band.
“Nulla
che non approveresti” si difese il frontman.
“Beh
questa non è certo una cosa rassicurante”
commentò Linde, scatenando il riso
generale, prima di chinarsi per baciare la moglie sulle labbra.
“Per
stasera farò finta di non aver colto”
sbuffò il bassista “Ringrazia tua moglie
e le nostre ospiti.”
Si
avvicinò quindi per baciare la mano di Arianna e poi la mia
“Migè, enchantèe”
Scossi
la testa: “Temo davvero che oggi abbiate preso qualcosa di
non troppo legale”
mi azzardai a dire “Primo, potrei anche offendermi: pensate
che la mia cultura
musicale sia così tremenda, da non conoscere a menadito il
nome di tutti i
componenti degli HIM?”
“E’
un peperino la ragazza eh?” sogghignò
“Mi piace sempre di più!”
“Chiediamo
umilmente perdono” proruppe Ville, piegandosi in un secondo
inchino.
“E
piantala” gli diedi una leggera spinta, ridendo.
“Sono io che dovrei
presentarmi. Io sono…”
Migè
non mi diede il tempo di finire di parlare “Elisa! Eheheheh,
come vedi anche
noi abbiamo fatto i compiti!”
“Poi
con Ville che ha parlato di te ogni dieci minuti negli ultimi due
giorni,
sarebbe stato difficile scordarsi il tuo nome…Non so cosa tu
gli abbia detto
l’altra sera dopo la canzone, ma è rimasto davvero
colpito… ” aggiunse Linde.
Prima
che potessi sprofondare il darkman riprese la parola, togliendoci
entrambi
dall’imbarazzo: “Lei invece è
Arianna” presentò la mia amica anche al resto del
gruppo.
“Molto
silenziosa la ragazza” commentò Gas, sempre con il
tatto di un elefante.
“No,
mi devo solo ambientare un momento” rispose pronta la rossa
“Appena mi sono
ripresa dalla shock di trovarmi dove sono; datemi diciamo
altri…mh” fece finta
di consultare l’orologio “diciamo sei minuti e
mezzo, e poi parto come un treno
e desidererete che non abbia mai aperto bocca”
Di
nuovo le risate si diffusero veloci nel gruppo.
Prendemmo
tutti posto presso i due tavolini precedentemente occupati dal
frontman. Mi
ritrovai in mezzo a Burton e Gas, mentre Migè si era subito
accaparrato la
sedia accanto all’Ary. Ville mi era invece proprio di fronte
e ogni tanto
sentivo il bisogno di abbassare o voltare la testa, tanto intensa era
la
potenza del suo sguardo.
Nonostante
la lunga lista di cocktail e l’insistenza delle cameriere,
prendemmo tutti una
birra.
E
iniziammo a parlare come una compagnia di vecchi amici.
Degli
argomenti più disparati: dai progressi della piccola Olivia,
la quale già si
apprestava a strimpellare sulla chitarra del padre,
all’ultimo concerto degli
HIM, a cosa avevamo mangiato a mezzogiorno, il che per quanto
riguardava Gas e
Migè, e anche, con mia meraviglia, Burton (rinominato il
falso Acciugo) era una
cosa piuttosto impegnativa e non troppo breve. Naturalmente io e
Arianna non
riuscimmo a scampare un vero e proprio interrogatorio sulle nostre
vite.
Era
così naturale stare in mezzo a loro: di certo non erano
persone a cui il
successo aveva dato alla testa. Erano sempre ragazzi semplici e
terribilmente
simpatici. Mi sentivo davvero a mio agio, tranne forse quando mi
accorgevo di
incantarmi per troppo tempo davanti a quel viso così
dannatamente sexy, rapita
da ogni singolo, minuscolo gesto. Ogni volta speravo che nessun altro
oltre me
stessa avesse indovinato i miei pensieri.
“Gradite
qualcos’altro?” domandò cortese Henni,
la cameriera vestita con un corto abito
di satine nero, indicando le nostre bottiglie ormai vuote.
Ci
apprestavamo ad ordinare il terzo giro di birre, tranne Manna che
annunciò che
per lei era abbastanza. Arianna mi guardò di sottecchi per
qualche secondo.
“Non
eravamo sull’astemio per qualche tempo?” mi
ricordò.
Sbuffai:
“Lo so, ma con tre birre non vado fuori, non ti preoccupare,
e poi mi tenete
sotto controllo no?”
“Che
succede? Qualcuno ha fatto la ragazza cattiva dopo aver bevuto un
goccio di
troppo?” domandò Gas curioso.
“Beh,
in realtà non lo sappiamo” la rossa bevve un lungo
sorso della bevanda appena
servita.
“Cosa
intendi?” tutti attendevano una spiegazione.
“Praticamente
la nostra Ellie si è volatilizzata nel nulla ed è
ricomparsa solo la mattina
dopo. E da quanto dice i suoi ricordi sulla serata sono molto
confusi…”
Mi
irrigidii sulla sedia. Oddio, perché aveva tirato fuori
quella storia proprio
adesso?
“Uh-uh.
Una bella sbornia eh?” commentò Migè
facendomi l’occhiolino.
Annuì:
“Una bella tosta. Non mi ricordo assolutamente nulla di
quella sera.”
“E
quando è successo?”
Esitai,
ma Arianna prese subito la parola: “Mah, qualche giorno fa,
tra l’altro proprio
qui al Midnight”
Ville
quasi si strozzò con la sua birra.
“Hey
tutto bene?” Linde gli tirò una pacca sulla
schiena.
“Sì,
sì, c’era qualcosa nel
bicchiere…” tagliò corto, lanciandomi
un fugace sguardo
preoccupato.
“Inizio
a capire comunque perché Ville sia così preso da
questa ragazza” annunciò il
chitarrista.
Il
povero darkman rischiò di farsi di nuovo del male,
voltandosi di scatto verso
l’amico strabuzzando gli occhi. “Uhm?” fu
l’unico suono che riuscì ad emettere.
“Già,
pure io” ci si mise anche Migè.
Fortunatamente
Linde, forse di fronte alle nostre facce desiderose di sapere e
preoccupate
(avete presente quella sensazione, quando sembra di essere quasi
trasparenti, e
che tutti abbiano acceso ai tuoi pensieri e ai tuoi ricordi? Ecco, mi
sentivo
esattamente così), ebbe il buon cuore di darci una
spiegazione: “Credo non
esista una persona così tanto simile a Ville. Davvero. Nei
gusti, nei gesti,
nei comportamenti, nelle reazioni, ragazzi siete due gocce
d’acqua! Siete
proprio sicuri di non essere fratello e sorella?”
Credo
che rimasi a fissarlo per un minuto buono, sconvolta
dall’affermazione.
“Temo
che la nostra Ellie non l’abbia presa troppo bene”
rise Gas.
“Beh,
in effetti non so se possa essere considerato come qualcosa di
positivo”
proruppe il bassista, ottenendo una gomitata nello stomaco.
“No,
no” sorrisi “Sono onorata. E’ solo che ci
sono un po’ rimasta…Non capita tutti
i giorni di essere paragonati ad uno dei propri cantanti
preferiti…”
Ville
mi osservò a lungo, fingendosi offeso: “Solo uno
dei? Non il tuo cantante
preferito?”
“Montato”
lo apostrofai, scatenando l’iralità generale.
“Sì,
hai proprio ragione!” disse Gas “Sono troppo
forti!”
“Cara
little sister, temo che qui nessuno apprezzi veramente il nostro
genio” sospirò
Ville, alzando gli occhi al cielo.
“Certo
certo. Ma tornando a monte. Tra le varie cose che accomunano i nostri
presunti
fratelli, c’è quella di sparire nel nulla, non
è vero Mr Valo?” proseguì Linde,
con tono indagatore.
“Giusto
Ville” gli diede spago Burton “Non ci hai ancora
detto dove sei stato l’altra
sera quando ci hai dato palo”
Il
frontman trasse un
profondo respiro prima di replicare: “Ancora con questa
storia? Ve l’ho già detto:
non sono fatti vostri!”
“Eh
dai, Ville!”
“No”
“Siamo
curiosi”
“Forza”
“Su non farti pregare. Sputa il rospo.”
“Vatti
a guardare nello specchio e ci troverai il tuo rospo,
Migè!” sbottò il darkman,
incrociando le braccia, ben deciso a non parlare.
Non
appena i nostri occhi si incontrarono, non ebbi dubbi sul fatto che
anche il
suo interrogatorio fosse riferito a quella stessa serata. La situazione
rasentava il ridicolo.
“Testardi
come muli” rise Arianna “Deve essere un difetto di
famiglia”
“Oh
beh, ho paura che stasera non riusciremo a cavare un ragno dal buco. E
direi
che oltre ai numerosi difetti, possiamo accordare ai nostri ragazzi
almeno un
pregio, o meglio un dono, certo il merito non è vostro ma di
madre natura.
Comunque sia, parlavo della vostra voce. E, a tale proposito, Elisa,
avevamo
una proposta da farti” mi comunicò Gas, dopo un
discorso chilometrico, durante
il quale avevo rischiato seriamente di perdermi.
“Cavolo
Gas, pensavo ti si fossero impallati i circuiti. Già cercavo
di ricordare come
staccarti le batterie” lo prese in giro Migè,
dando voce ai miei pensieri.
“Dai,
basta con le cazzate e sentiamo questa famosa proposta, che sono
curioso” Ville
riportò l’attenzione sull’argomento
principale, sollevandosi un poco sulla
sedia e riprendendo una posizione più corretta per ascoltare
meglio.
“Sono
tutta orecchie” assicurai al batterista.
“Siccome
pensavamo di attuare un cambio di immagine, quale migliore mutamento se
non
quello di liberarsi di una vecchia ciminiera e sostituirla con un fiore
fresco
e molto più, come dire, gradevole alla vista”
Tutti
scoppiarono in fragorose risate.
“Ti
è venuta proprio bene sai” boccheggiò
il bassista tra le risa, con le lacrime
agli occhi “Pure in poesia”
“Così Ville, non potrai dire di essere stato messo
da parte senza classe!”
“Ridi,
ridi, Migè! Guarda che le lascio subito il posto alla mia
sister, ma poi mi
becco il tuo. Come doveva essere dall’inizio!” lo
rimbeccò il frontman.
Guardai
Arianna, scuotendo la testa. La rossa mi sorrise, lanciandomi uno
sguardo di
incoraggiamento.
“Temo
che non abbiate tenuto in conto il fatto che io non potrò
mai prendere quel
posto” mi intromisi nella discussione.
“E
perché mai?” domandò Gas.
“Ma
naturalmente perché non divido la gloria con
nessuno!” proclamai a testa alta.
“O forse dovrei dire che non voglio condividere con nessuno i
pomodori marci”
aggiunsi subito dopo.
“Ma
non diciamo sciocchezze! Dai cantaci qualcosa. Non ho con me i pomodori
marci,
ma potrei sempre versarti la birra in testa!” promise il
batterista.
Scossi
la testa con fermezza, guardandomi intorno in cerca di una possibile
via di
fuga. Forse potevo lanciarmi direttamente dalla terrazza, sperando in
un
atterraggio di fortuna. Anche se a quell’altezza non so
quanto la fortuna
conti.
“La
mia Furia è un po’ timida e si è
autoconvinta di non saper cantare bene” mi
sgridò Ville, trapassandomi con il suo sguardo
smeraldo.”Non mi avevi promesso
una replica?”
Sbuffai,
cercando di pensare a qualcosa di efficace da controbattere, quando le
note
iniziali di ‘Right here in my arms’ si diffusero
per il locale, salvandomi come
la campanella nel bel mezzo di un’interrogazione non troppo
brillante.
“Hey
sentite un po’…” commentai.
“Sì
la conosciamo bene. E adesso non cercare di cambiare
argomento” minacciò il
darkman.
“Ma
non vi viene una voglia assurda di ballare non appena la
sentite?” continuai,
facendo finta di non sentirlo. Guardai Arianna e Manna in cerca di
aiuto.
“E’
vero. Succede anche a me” quest’ultima accolse
prontamente il mio sos e si
alzò, prendendo per un braccio il compagno che oppose un
po’ di resistenza ma
alla fine la seguì.
La
imitai subito, e lo fece anche Arianna, sotto il peso del mio sguardo
non
troppo amichevole.
Come
una molla, anche Migè fu
immediatamente in piedi, con la scusa “Sarà
divertente ballare su una nostra
canzone”
Dopo numerose insistenze, riuscimmo a convincere anche Burton, ma Ville
rimaneva irremovibile.
“No,
no, io non ballo.”
“E dai!” lo pregai.
Linde
mi si accostò: “E’ tempo perso. Non
riusciamo mai a farlo ballare”
“Su
andate, o la canzone finisce” ci incoraggiò Gas
“Resto io a fare compagnia a
Brontolo”
Subito
io e Arianna ci lanciammo sulla pista, molto più libera
rispetto a quanto
eravamo abituate.
“Non
ti sembra di essere nel salotto di casa mia?” mi
domandò la rossa, mettendosi a
ballarmi accanto.
“Certo!
Se dimentichi il piccolo particolare delle persone che ci stanno
intorno.
Persone qualunque!” le
feci notare.
In
tutta risposta mi fece la linguaccia e minacciò di
abbandonarmi per Migè.
Lasciando
da parte timidezza e razionalità, mi lasciai andare,
seguendo la musica,
insieme alla mia compagna, che almeno per quella canzone non mi
abbandonò.
She'll
be right here in my arms
So in Love
She'll be right here in these arms
She can't let go
“La
prossima volta che giriamo un video vi prendiamo a ballare!”
sentenziò il
bassista, non staccando gli occhi un momento dalla mia partner.
Di
certo qualcuno aveva fatto colpo quella sera.
Non appena la musica
finì, iniziammo a batterci le
mani a vicenda come degli stupidi.
“Wow!
Siete uno spettacolo!” ci assicurò una voce alle
nostre spalle. Non appena ci
voltammo ci trovammo di fronte un Ville ghignante, che insieme al
batterista,
si era spostato proprio sul bordo della pista.
Nessuno
lo degnò di una risposta.
Tuttavia,
prima ancora che potesse iniziare la canzone successiva, tutti erano
già
usciti.
“Hey!
Dove state andando?” borbottai.
“A
cercare di dimenticare quello che ho appena fatto”
confessò Migè.
“Ma
no! Restate qui!”
Nonostante
le mie proteste sulla pista rimasero solo Manna e Linde, ed io mi
ritrovai
scoppiata.
Stavo
quasi per tornare al tavolo, ma mi bloccai accorgendomi che la canzone
successiva era ‘Time is running out’ dei Muse.
Piacevolmente
sorpresa, decisi di non volermene ancora andare.
Mi
girai, e scoprii che Ville era rimasto accanto alla pista. Gli feci
cenno di
raggiungermi, ma lui scosse la testa, sorridendo.
Alzando
le spalle, ricominciai a ballare, chiudendo gli occhi e concentrandomi
solo
sulla musica.
Non
rimasi a lungo sola: quasi subito mi si avvicinò un ragazzo
che portava i
lunghi capelli castani legati in una coda: era più alto di
me di almeno 7 o 8 cm e dovetti
riconoscere che
si muoveva molto bene. Ci ritrovammo a ballare insieme.
I
think I'm drowning
Asphyxiated
I wanna break the spell
You've created
You're
something beautiful
A contradiction
I wanna play the game
I want the friction
You
will be the death of me
Yeah you will be the death of me
Con
la coda dell’occhio notai che anche Ville aveva trovato
compagnia: il suo
sorriso era ora rivolto verso una bionda che indossava una canottiera
dalla scollatura
troppo abbondante.
Provai
un istantaneo e irrazionale moto di gelosia. E non appena il volto del
darkman
fu di nuovo verso la pista, ridussi al minimo la distanza tra il mio
corpo e
quella del mio improvvisato compagno e iniziai a danzare con
più foga,
mantenendo comunque il contatto visivo con Ville: il suo sguardo
bruciava come
fuoco sulla mia pelle.
“Sei
la migliore!” mi gridò Arianna,
dall’altra parte della sala, infrangendo
l’incantesimo. Mi costrinsi a girarmi, per mandare un bacio
alla mia ammiratrice
che mi salutò alzando la sua bottiglia.
Quando
tornai a cercare con la coda dell’occhio il frontman, mi
accorsi che era
sparito.
Finita
la canzone raggiunsi il gruppo che mi accolse con un applauso,
trovandomi però
alquanto distratta.
Mi
morsi un labbro, per evitare che la domanda che mi rimbalzava nello
stomaco trovasse
un modo di uscire.
“Vado
a prendere una boccata d’aria” annunciai, prendendo
la scusa del troppo caldo.
In realtà volevo soltanto sfuggire agli sguardi dei ragazzi,
temendo che ci
avrebbero letto qualcosa che non ci doveva essere.
Non
appena misi piede nella terrazza che si affacciava sulle strade
fievolmente
illuminate di Helsinki, fui avvolta dalla fredda brezza notturna, che
mi fece
rabbrividire fino alla punta delle dita.
Mi
avvicinai al parapetto, sfregando le mani sulle braccia nel tentativo
di
riscaldarmi, e lasciai vagare lo sguardo sulle case addormentate, fino
al mare
che completava sullo sfondo il suggestivo scorcio.
“Se
non sapessi che abbiamo la stessa testa, potrei pensare che mi stavi
seguendo…”
mormorò Ville, spuntando al mio fianco, facendomi sobbalzare.
“Beh,
potrebbe anche essere” scherzai, anche se lo stupore sul mio
viso era troppo
evidente per essere mascherato “Di certo non siamo qui per lo
stesso motivo …”
dissi, indicando la sigaretta che aveva in mano.
“Giusto.
Proprio contraria al fumo?”
Alzai
le spalle: “No, non direi. Penso che ognuno abbia il diritto
di fare quello che
gli pare della sua vita. Io non ci vedo nulla di interessante nel
fumare, non
mi attira proprio. Ma non posso sapere quello che ispira agli
altri”
“Me
la scrivi? Potrei usarla contro quelli che rompono i coglioni se
fumo”
“Ciò
non vuol dire che sei autorizzato a fumare vicino a qualcuno a cui da
fastidio”
aggiunsi saggiamente.
Sbuffò.
Poi tra di noi cadde il silenzio.
“E’
bella, vero?” sospirò d’un tratto,
cambiando argomento. Mi voltai verso di lui,
e lo trovai con lo sguardo sognante perso nell’orizzonte.
“Oh
sì, lo è davvero”
“Credo
sia la mia maggior
musa ispiratrice” disse, facendomi l’occhiolino.
“Molte delle mie canzoni sono
nate sotto questo cielo, davanti ai tetti di Helsinki, in notti come
questa. E
come se riuscissi a sentire l’anima della città
parlarmi. E’…”
“Magico” completai il suo pensiero, riuscendo a
sentire quello che cercava di
esprimere come si mi appartenesse.
Sorrise:
“Magico. Wow, inizia a farmi paura…”
“Che
cosa?” domandai, scrutandolo negli occhi.
“La
nostra connessione” rispose in un sussurro, senza alcuna nota
ironica,
ricambiando il mio sguardo.
Per
un momento tutto ciò che mi circondava diventò
sfuocato e ogni suono ovattato.
Scommetto che se per caso avessi perso l’equilibrio e fossi
caduta dalla
terrazza non me ne sarei nemmeno accorta. Almeno fino
all’impatto.
Una
raffica di vento più forte ci riscosse da quello strano
torpore.
“Inizio
ad aver freddo. Sarà meglio entrare” disse a voce
alta, chinando il capo.
“Vai
pure, vi raggiungo fra un attimo” gli assicurai.
Senza
farselo ripetere due volte quasi fuggì dalla terrazza.
E
io rimasi a fissare la bianca luna, in cerca di risposte.
Ma
saaaaaaaalve!!
Eccomi
qui con il nuovo aggiornamentino...beh che dire? Allura intanto io
adoro i
componenti della band in sto capitolo mi fanno morire..c’ho
messo anche un
piccino interrogatorio per la LadyNumb che però è
scomparsina!! Cara se
passassi di qui il capitolo è per toi!!
Non
chiedetemi come mi è uscita la storia della sorella..ma li
vedo molto simili..
E magari
villuccio è un bravissimo ballerino ma nn so
perché ho sta convinzione che nn
gli piaccia ballare..cioè no..in realtà ho visto
un video su youtube in cui
faceva una sottospecie di ballo cn bamXD ma m è venuto
così…
Ah
poi i muse erano nel sogno..quindi ce li ho piazzati lì..poi
io adoro quella
songXD
Beh
la pianto un po’ di blaterare e ringrazio di cuore tutti
quelli che hanno
commentato!!! Davvero sapere cosa ne pensate è davvero
importante! Poi ormai lo
avete capito che io sn nata con qualche rotella in meno…
@Darky:
hey sorellinaaa..che triste rileggere il commento di una settimana
fa..quando
stavi per venire..uffi vojo tornare indietro nel tempo!! Comunque lo
sai che i
tuoi commenti m fanno sempre piacere..e appena hai tempo puoi dare
anche solo
una letterina veloce^^ giusto per sapere cosa ne pensa la mentora! Ma
quando
riesci..nessuna fretta! Te vojo beneeeeee
@Shine
no Kami: beh dai anche questo è stato abbastanza velocino
no?? :p spero di
poter continuare a questo velocità anche se è
iniziata quella stupida di
school..uff!! Uh comunque se hai qualche commento da fare, anche
qualche bella
critica, mi raccomando nn esitare! Sono contenta che segui la mia ff^^
grashie
grashie..kiss
@Bell_Lua:
ma quanto sono belliii i tuoi commenti!! Ma grashie..sono
così contenta che ti
piaccia questa ff!! certo sentirselo dire fa sempre molto beneXD cmq
anche se
avessi qualche critica la ascolterei ad orecchie ben tese (o forse la
leggerei
ad okki ben apertiXD) ehehhehe hai visto che pazzi gli HIM?? In effetti
questo
della mia fanfiction è un po’ in villuccio
idealizzato..però in generale mi dà
l’idea di essere un tipo simpatico! Grazie mille cara
ancora!! VenomousKiss
@grimilde:
ma figurati tesora!! Ma cosa faresti all’elisa se te la
trovassi davanti?? XDXDXD
Sono contenta che ti piaccia in generale la storia e gli altri
personaggi! Sei sempre
troppo tenera! Grashiee*.*
Alla
prossima
La
vostra
-FallenAngel-
|
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Capitolo 9 *** 'Tween funny tales, tiffs and recording studios ***
Chapter 8
‘Tween Funny tales, tiffs and recording
studios
I
just can imagine how much loving and petty you had to be, my little
Strawberry…
7 Maggio
Merendina
dietetica o crostatina della nonna?
Vi siete
mai fermati a pensare a quante scelte bisogna fare nel corso della
giornata?
Anche decidere cosa prendere ad una stupida macchinetta diventa un
dubbio
esistenziale. Almeno per me.
In primo
luogo quella mattina ci avevo impiegato venti minuti buoni a decidere
se
alzarmi da quel letto oppure no. Alla fine, ripensandoci, non avevo poi
concluso nulla. Ero stata buttata giù dal letto contro la
mia volontà.
E adesso mi
trovavo davanti a quella macchinetta. Nel corridoio di una sala
discografica.
Già.
Proprio in una sala discografica.
E con dei
ciceroni di eccezione: Migè Amour e Gas Lipstick.
Era stato
il bassista la sera precedente, prima che ci riaccompagnassero in
hotel, a
proporre la visita.
Non
credendo alle nostre orecchie avevamo subito accettato, anche se la
mattina
avevo iniziato ad essere un po’ più titubante.
Dopo il
nostro incontro sulla terrazza Ville si era comportato in modo strano
tutto il
resto della serata, evitando di rivolgermi la parola o quasi.
Non ero
sicura che volesse rivedermi, ma Arianna aveva così
insistito e io non avevo
nessun apparente motivo per rifiutare di andare. Cosa potevo dirle? E
poi, come
potevo essere certa che il comportamento del darkman fosse legato a me?
Non
stavo diventando un po’ troppo egocentrica?
Non appena
i ragazzi erano venuti a prenderci sul retro del nostro hotel, avevo
scoperto
che tutte le mie remore erano state inutili: all’ultimo
minuto infatti Ville
aveva informato gli amici che non ce l’avrebbe fatta a venire.
Non dovevo
essere quindi troppo lontana dalla verità. Avevo cercato
comunque di non pensarci,
e godermi la visita.
Affermare
che Gas e Migè fossero simpatici era davvero riduttivo:
avevano sempre una
battuta pronta e ci avevano fatto letteralmente morire dalle risate
raccontando
episodi e disgrazie capitate alla band, come la volta in cui Burton, in
New
Jersey, era stato scambiato per un pericoloso fuorilegge ed era stato
trattenuto nella prigione di stato di una piccola città per
due giorni. O di
quando Ville si era preso un’ustione terribile ed era rimasto
bloccato in una
camera d’albergo con la febbre a 40.
In
particolare si erano a lungo soffermati sui difetti e gli anedotti
più
imbarazzanti dei loro compagni che non erano presenti per potersi
difendere.
Il mio
stomaco riprese a brontolare, facendomi scendere dalle nuvole e
ricordandomi il
motivo per cui mi trovavo
davanti ad una
macchinetta mangiasoldi: naturalmente quella mattina per non arrivare
in
ritardo avevo saltato la colazione.
“Se
me lo
dicevi che venivi qui ti accompagnavo!” Gas spunto alle mie
spalle “E’ uno dei
miei posti preferiti” ammiccò.
Non potei
non sorridere: “Beh allora cosa mi consigli?”
“Uhm”
il
batterista si grattò la testa pelata, osservando con
attenzione le varie
merendine che riempivano i ripiani della macchina “Io
personalmente mi prenderò
un bel Mars. Non ti va?”
Storsi un
po’ il naso: “Na, ora no. Come sono queste
crostatine?”
“Non
sono
male” commentò, addentando il suo Mars.
Seguii il
consiglio del mio Cicerone e poi ci avviammo insieme per raggiungere
Arianna e
Migè: li trovammo seduti ad un tavolino poco lontano, a
chiacchierare
allegramente.
“Ah
eccoli
qua. Bene, sono riuscito a sistemare per quella cosa”
comunicò il bassista al
compagno.
“Uh
bravo”
“Che
cosa?”
domandai, ingoiando l’ultimo boccone e gettando
l’involucro in un cestino
vicino. Guardai Arianna curiosa, ma lei alzò le spalle,
ricambiando il mio
sguardo confuso.
Ci
rivolgemmo quindi entrambe verso i due musicisti, aspettando una
risposta.
“No,
no, le
nostre bocche sono cucite.” Scosse la testa Migè
“E’ una piccola sorpresa”
Arianna
sbuffò, incrociando le braccia, come una bambina:
“Uffi, io odio le sorprese.
Sono troppo curiosa!”
“Io odio le sorprese” le fece il
verso
Migè, imitando il puffo brontolone “Hey puffetta,
non facciamo le rompine”
La rossa si elevò in tutta la sua altezza, squadrando con
terribile cipiglio il
povero bassista. “Puffetta a chi?”
Tutti
scoppiammo a ridere di gusto.
“Dai
venite” ci fecero strada i due componenti degli HIM
“Così sazieremo subito la
curiosità della nostra Rossa”
Mentre
camminavamo lungo i corridoi della casa discografica, le cui bianche
pareti
erano ornate con placche e cornici contenenti attestati di uscite di
album e
vendite record, Migè ricominciò a sogghignare tra
sé e sé: in quel momento
assomigliava davvero ad un rospo.
Gas gli
tirò una sonora pacca sulla spalla: “Che ti prende
scusa?”
L’altro
scosse la testa, continuando a ridacchiare: “Niente,
è solo che…ripensando a
episodi divertenti…ci siamo scordati di raccontargli di
quello successo a Ville
in quell’hotel di Istambul…”
Non appena
ebbe sentito il nome della città anche il batterista
iniziò a ghignare senza
ritegno. “Giusto, dai dai raccontagliela che quella
è una perla”
“Sì,
siamo
tutte orecchie” ci affrettammo a far sapere loro, sbattendo
le ciglia.
“Bene,
allora…”cominciò Migè,
schiarendosi la gola, tentando di smettere di ridere
“Era durante uno dei nostri tour: dovevamo passare la notte
in questo hotel che
aveva prenotato la nostra agenzia. Durante la notte, nella camera di
Ville
inizia a suonare l’allarme antincendio. Subito il poveretto
si alza di
soprassalto e non ha il tempo nemmeno di rendersi conto di cosa sta
succedendo
che iniziano a bussare come pazzi alla porta. Ancora mezzo addormentato
si
trascina fino alla porta e non appena la apre viene trascinato fuori da
due
camerieri che continuano a gridargli qualcosa in turco, per poi sparire
dentro
la sua stanza chiudendosi la porta alle spalle. Ville è in
mezzo al corridoio,
con indosso soltanto i boxer, che si guarda intorno come un
idiota…”
Già
io e
Arianna iniziavamo a faticare a trattenerci “E non
è ancora finita” ci avvertì
“Ora
arriva il meglio, perché…”
“Non
ti
azzardare a dire un’altra parola”
minacciò una voce profonda alle nostre
spalle.
Ci voltammo
tutti di scatto, trovandoci davanti un Ville Valo a dir poco incazzato.
“Ops”
mormorò Migè, stampandosi in faccia un sorriso a
trentadue denti “Ville, non ti
aspettavamo…”
Il darkman
si avvicinò, tirando un sonoro coppino contro il bassista
“L’ho visto che non
mi aspettavate…e invece vi ho fatto una sorpresa”
“Ami
ancora
le sorprese?” Arianna girò il coltello nella piaga.
“Spiritosa”
“Non
avevamo convenuto che certe storie dovrebbero restare
private?” sibilò Ville.
“Non
dovresti preoccuparti troppo, ormai ne abbiamo già sentite
delle belle” cercai
di tirarlo su e con aria angelica aggiunsi: “Fragolino”
Ancora
cercavo di immaginare un Ville Valo di quattro anni travestito da
fragola
recitare nello spettacolo della scuola. Ma da quanto mi avevano
riferito Gas e
Migè, Jesse, il fratello del cantante, doveva avere qualche
foto nascosta da
qualche parte…
Subito il
darkman avvampò fino alla punta delle orecchie. Mi
lanciò una fugace occhiata
per poi sfuriare nuovamente contro i suoi presunti amici: “Ma
anche questo gli
avete raccontato! Ma siete degli infami!”
Il
batterista cercò di difendersi: “E dai cosa vuoi
che sia! E’ una bella storia.
Eri così carino, Fragolino…”
“Ti
conviene piantarla Gas, potrei raccontare io certe storie…e
anche su di te,
deficiente là dietro”
“Oh
beh”
deglutì Migè, cercando subito di cambiare
argomento “Ville, stavamo giusto
andando TuSaiDove. Hanno subito accettato”
“Okay,
continua pure a fare strada” sospirò il frontman,
abbandonando i piani di
vendetta, e seguendo il gruppo che ricominciava a muoversi.
Dopo pochi
passi ci ritrovammo fianco a fianco.
Mi azzardai
a voltare leggermente la testa e lo sorpresi a sbirciarmi a sua volta.
“Cosa
c’è?”
domandai, senza tanti preamboli, temendo che il lungo silenzio della
sera prima
dovesse continuare ancora a lungo.
“Stavo
pensando a cos’altro possono averti raccontato, veramente. Di
cosa dovrei
vergognarmi” confessò, infilando le mani in tasca.
Nella mia
mente sospirai di sollievo.
“Oh,
niente
di che…” mentii.
Mi
scrutò
sollevando un sopracciglio: “Chissà
perché non ne sono troppo convinto”
“Giusto
quello che deve sapere una sorella minore per mettere in imbarazzo il
fratellone all’occorrenza”
“Ecco,
adesso sono più tranquillo” borbottò.
Mi lasciai
andare ad una risata argentina: “Ma dai, non ti devi mica
vergognare. Chissà
com’eri tenero e coccoloso”
Per mia
esperienza personale so che difficilmente un ragazzo accetta di buon
grado le
parole ‘tenero e coccoloso’ se riferite a lui
medesimo. E Ville non smentì i
miei calcoli.
“Cosa?”
sbottò, per poi nascondere la testa tra le mani
“Oddio”
“Tenero
e
coccoloso? Wow non pensate che siano aggettivi perfetti per il nostro
Villuccio?” intervenne Migè, che aveva origliato
parte del nostro dibattito.
“Cosa
ho
detto!” gli ricordò Ville, e la frase, che suonava
davvero come un ultimatum,
fece zittire immediatamente il bassista. Migè doveva
nascondere qualche
scheletro bello grosso nel suo armadio…
“E
anche tu
cara sister dovresti frenare un po’ la lingua. Sono sicuro
che ci siano delle
storie divertenti anche sul tuo conto. Vero Arianna?”
L’Ary
si
voltò sorridendo: “Naturalmente”
La fulminai
con lo sguardo: “Ma…?”
In tutta
risposta alzò le spalle: “Beh in effetti, come
sorella maggiore, sono solidale
con il povero Valo. Non è giusto che combattiate ad armi
impari”
“Traditrice” la apostrofai, continuando a guardarla
male.
“Hey
micette, tirate dentro le unghie che siamo arrivati” ci
avvertì Gas, fermandosi
davanti ad una doppia porta sulla quale era attaccata una targhetta che
riportava una scritta in suomi e il numero 14.
“Studio”
tradusse prontamente Ville, indovinando i miei pensieri.
“Oh
grazie”
balbettai, presa di sorpresa. Adesso mi leggeva anche nella testa? Oh,
ma che
idiozie. Era facile indovinare e poi…Ma, un momento.
Studio?
D’un
tratto
il mio stomaco iniziò a contorcersi in modo strano. Avevo un
brutto
presentimento.
Non appena
la porta si fu aperta il dubbio lasciò spazio alla certezza.
Studio come studio
di registrazione.
Non era di
certo la prima volta che ne vedevo uno. Avevo assistito più
volte alle prove e
alla registrazione di canzoni dei ragazzi.
Tuttavia
rimasi a bocca aperta. Era una cosa completamente diversa. Era enorme e
fornito
di macchinari di tali dimensioni da mettere soggezione e
così pieni di tasti da
far girare la testa. Insomma, cose da film.
“Quando
glielo raccontiamo ai ragazzi ci uccidono” bisbigliai ad
Arianna, che come me
si aggirava per la stanza con gli occhi spalancati.
Non appena
il batterista ebbe fatto partire un interruttore, mi ritrovai a
guardare
attraverso lo spesso vetro che divideva la prima stanza dalla sala
prove vera e
propria, anch’essa molto vasta e già dotata di
numerosi strumenti e microfoni.
“Chiudi
la
bocca, pescetto” mi sussurrò Ville
all’orecchio, facendomi saltar su.
“E’
davvero
bello” commentai.
“Oh
sì, non
c’è male” Il darkman aprì la
porta laterale, facendoci passare nell’altra sala.
“E…”
“E’
tutta
per voi!” completò la frase Migè,
entusiasta.
“Cosa?”
esclamammo entrambe, una nota di panico nella voce.
“Pensavi
davvero che mi fossi dimenticato che ieri alla fine non avete cantato
nulla!”
mi ricordò Ville, le mani sui fianchi. “Avevi
promesso!”
Oh cavolo.
E io
pensavo che se ne fosse scordato davvero.
“IO
non ho
mai promesso” cercai una via di fuga, ma ero con le spalle al
muro.
“E’
la tua
occasione per fare qualche prova con le canzoni del tuo
disco!” suggerì Ville,
con l’espressione più seria che potesse avere.
Si
beccò
subito uno spintone.
Mi
aggrappai all’ultimo cavillo: “Ma come facciamo?
Della tastiera possiamo anche
fare a meno, ma con la chitarra…”
Subito
Ville imbracciò lo strumento: “Ecco qui il tuo
chitarrista”
Senza
più
alcuna speranza e con un tacito accordo, io e Arianna decidemmo di
accettare la
sfida.
“Un’ultima
cosa…” aggiunse Migè, prendendo il
basso.
“Sì?”
domandò la rossa, alquanto preoccupata, con le mani che
già sudavano intorno al
microfono appena ricevuto.
“Deve
essere una nostra canzone”
“E
per
quale motivo, di grazia? Noi avevamo già in mente una
canzone” protestai.
“Ah
sì?”
borbottò Arianna, grattandosi la punta del naso.
“Certo”
subito dopo essermi schiarita la gola intonai
“If you’re happy and you know clap your hands, if
your happy and you know clap
your hands…”
Tutti
scoppiarono a ridere di gusto.
“No,
no,
niente storie! Una nostra canzone!” ripeté Ville
“Non dirmi che non vi
ricordate nemmeno un testo...Siete delle fan degli HIM oppure
no?”
“Come
osi?
Certo che conosciamo i testi! Anche meglio di te che gli hai
scritti!”
Gas
ridacchiò dalla sala di controllo del suono: “Hey
Villuccio non farla
arrabbiare va’! E’ un consiglio
spassionato”
“Scusami
Furia. Prego…” si inchinò.
Alzai gli
occhi al cielo per poi lanciargli uno sguardo di sufficienza, come una
gran
dama d’altri tempi mortalmente offesa, non riuscendo
però a restare seria a
lungo.
La mia
compagna mi richiamò alla realtà: “Beh
allora cosa cantiamo?” sembrava ansiosa
di finire tutto al più presto. Che sciocca, non eravamo
ancora riusciti a
convincerla che avesse una bella voce!
Osservai
pensierosa la punta delle mie Converse ricoperte di teschi:
“Uhm, non saprei,
scegli tu…”
“Oh
no, sei
tu che ci hai infilato in questo pasticcio. Decidi te!”
ribatté Arianna.
Ecco,
un’altra decisione da prendere!
D’un
tratto
un’idea balenò nella mia testa. Tirai fuori il
lettore mp3 dalla tasca dei
jeans.
“Cosa
stai
combinando?” chiese Ville, sospettoso.
“Ora
lo
vedrai” pronunciai sibillina.
Misi la
modalità casuale e aspettai di vedere la prima canzone che
il computer mi
avrebbe mandato.
Appena
lessi il titolo sogghignai: “Eheheh, carina
questa…”
Mi
avvicinai all’Ary per mostrarlo anche a lei e chiedere il suo
parere.
“Uh,
okay”
“Come
al
solito eh!”
Mi
guardò un
momento sconcertata: “Vuoi dire…?”
“Sì
dai!”
le sorrisi incoraggiante.
“Va
benissimo, è solo che…”
“Cosa?”
Scosse la
testa: “No niente. Mi chiedevo solo che fine avesse fatto la
ragazza che ieri
quasi si vergognava sulla pista da ballo. Ma ormai ho rinunciato a
cercare di
capirti. Sei peggio del Dr Jeckil”
Mi morsi il
labbro. Sì, sì, non l’ho già
ammesso che sono lunatica peggio di un lupo
mannaro?
“Possiamo
esserne messi al corrente anche noi?” domandarono i membri
della nostra band
improvvisata.
“Ma
naturalmente”
“Giusto perché dovete
suonarla…” commentò Arianna.
“Beh
certo,
solo per questo. Comunque, in primo luogo voglio dire che dedico questa
canzone
al mio fan numero uno” stava diventando un abitudine eh?
Anche se questa volta
era uno scherzo…
“Mio
caro
groupie” mi rivolsi quindi verso Ville, trasformando il mio
viso in una
maschera di finta disperazione “Sono davvero dispiaciuta ma
la nostra storia è
finita…”
“Ohhh”
mormorò alle nostre spalle Migè.
“…In
primo
luogo perché non sono per niente soddisfatta del tuo
comportamento nell’ultimo
periodo. Cioè! L’ultimo commento alla mia canzone
è stato la base non è
male!” scossi la testa indignata, non lasciandogli
il
tempo di replicare “Poi io sono troppo per te. Non posso
più sopportare di
vederti soffrire per la tua inferiorità. Davvero
è meglio così…”
Il darkman
mi osservò sbattendo le ciglia: “Non me
l’aspettavo. Ne sei proprio sicura?”
posò la chitarra e si inginocchiò ai miei piedi
con le mani giunte.
“Villino
non piangere mi raccomando!” gli disse il bassista, fingendo
di asciugarsi una
lacrima “Già ci sono qui io. Non riesco a
resistere davanti ad una storia così
triste!”
“Oh
Ely,
come puoi essere così heartless?” Arianna non
riusciva a trattenere le risa.
“Mi
dispiace tesoro, ma non ho intenzione di cambiare idea”
“C’è
anche
quel piccolo incestuoso dettaglio della scoperta della vostra
parentela!” mi
ricordò Gas dall’altra parte del vetro.
“Ah
giusto,
pure quello. Vedi, è proprio destino” aggiunsi,
alzando le spalle, sebbene il
mio vero impulso, vedendolo lì ai miei piedi, sarebbe stato
quello di saltargli
addosso.
“Oh
beh,
allora credo che me ne farò una ragione” disse con
un sorriso sghembo stampato
in faccia, assolutamente adorabile (alla Edward Cullen XD NdLaAngel).
Si era
consolato in fretta, non c’era che dire.
Ma non
appena si fu alzato in piedi, troppo veloce perché potessi
rendermi conto di
cosa stava per fare, mi scoccò un leggero bacio sulla
guancia. Indietreggiai
istintivamente: mi aveva preso completamente alla sprovvista ed ora il
mio
cuore aveva preso a battere al ritmo di una sveglia impazzita.
“Ultimo
bacio” spiegò subito dopo, ridacchiando della mia
reazione.
Sebbene
sentissi le gote in fiamme, sperai fosse soltanto una mia stupida e
orribile
impressione, e
cercai di
mantenere un contegno impassibile, almeno davanti agli altri.
“Bene
se i
due ex-coppiati parenti hanno finito la loro scenetta potremmo iniziare
questa
canzone!” rammentò Migè con un filo di
impazienza.
“Certo”
tossicchiai “La canzone in questione fa più o meno
così: I'm not with
you my baby
just to see you cry...”
“Amo
quella
canzone...” sospirò Ville, sognante.
“Certo,
tu le ami
tutte, le hai scritte tu, mio caro narcisista!” lo interruppe
secco il
batterista.
Il frontman gli
lanciò un’occhiataccia “Chiudi il
collegamento, MrBrain, che iniziamo a
suonare”
“Certo”
Gas eseguì la
richiesta immediatamente.
“Tutti
pronti?”
chiese il bassista. Tutti annuimmo con vigore.
Con il
microfono
stretto in mano, io e Arianna ci posizionammo una di fronte
all’altra,
aspettando il momento opportuno per cominciare.
Fui io ad
attaccare,
prendendo una delle sue mani, e riassumendo un atteggiamento
dispiaciuto.
“I'm
not with you my baby
Just to see you cry...”
“...I'm in love
with you
Not the tears in your eyes”
Continuò
l’Ary, ritraendosi e voltandosi nella direzione opposta.
Ma io la
seguii, prendendo il suo mento fra le mani e costringendola a guardarmi.
“I
can't remember
The last time you smiled...”
“...Oh
I know how it feels
I know what it's like”
Cantò
lei,
liberandosi nuovamente dalla mia presa.
Quanto
eravamo stupide! Ma quanto ci divertivamo! Questo era il modo in cui ci
mettevamo a cantare quasi ogni canzone, le spazzole in mano come
microfoni, a
piedi nudi nel suo salotto o sopra il letto.
Nella
piccola pausa alla fine della prima strofa ci voltammo sorridendo verso
i
“nostri” musicisti e ci accorgemmo con piacere che
anche loro si stavano
godendo alla grande il nostro nuovo video per la canzone.
“To be
In love and lonely
In love and lonely”
Unimmo le
nostre voci in un incrocio di microfoni per il ritornello per poi
tornare a
dividerci le parti e a recitare, scambiandoci i ruoli.
“Don't
know what to do my baby
It's not alright…”
“…This can't be the end
The time to say good bye
Oh
no…”
“No I won't walk away that easy
After all this time…”
“…Oh
you know how it feels
You know what it's like”
“To be
In love and lonely
In love and lonely”
Dopo
l’ultimo assolo di Migè, i due ragazzi iniziarono
a battere le mani
come dei pazzi.
“E’
stato una forza!” commentò il bassista solare.
La porta della
sala d’incisione si aprì all’improvviso
con un tonfo,
facendosi sobbalzare.
“Me-ra-vi-glio-so!”
gridò Gas, entusiasta entrando nella stanza con la
grazia di un elefante “Deve essere venuta una registrazione
superba!”
“Una
registrazione” gli occhi di Arianna erano serrati.
“Sì,
deve essere venuta molto bene! Anche se sarebbe stato ancora meglio
filmarvi!”
“Peccato,
non ci abbiamo proprio pensato” sospirò il
bassista
leggermente deluso, anche lui apparentemente ignaro della reazione
della rossa.
Ma, conoscendola fin troppo bene, sapevo che non sarebbe stato facile
ignorarla
ancora per molto…
“Beh,
sarà per un’altra volta” propose Ville,
ammiccandomi.
“Di
sicuro” continuò Migè “
dobbiamo organizzarci ma credo che…”
“CI
AVETE REGISTRATO?” sbraitò Arianna, riottenendo
l’attenzione
generale.
Ecco, io lo
sapevo.
Mi avvicinai al
darkman sussurrandogli all’orecchio: “Eh, brutta
idea.
Adesso vedrete chi è la Furia…”
E restammo
divertiti ad osservare la tigre appena risvegliata dal sonno
avventarsi sul povero Gas, agitando i lunghi boccoli rossi che
d’un ricordavano
terribilmente i serpenti di Medusa…
Ecco
qui il nuovo aggiornamento, con un giorno di ritardo rispetto alla mia
routine
settimanale, che non so per quanto ancora riuscirò a tenereXD
Mi
sono divertita molto anche a scrivere questo capitolo, soprattutto del
Villuccio Fragolino XD
Spero
non sia dispiaciuto anche a voi^^
Ah
non ho assolutamente nessuna esperienza di sale di registrazione o case
discografiche, probabilmente non vi sono studi di incisione dentro, o
forse sì
XD boh, potrebbe essere tutto, ma mi serviva che ve ne fosse uno quiXD
Grazie
davvero tanto a tutti quelli che hanno commentatoo!! Davvero! Adoro i
commentiniXD…
Bell_Lua:
ma quanto sei dolce cara^^ forse l’avrò
già detto ma davanti ai tuoi commentino
mi sbrilluccicano gli okkietti^^ sono contenta che ti sia piaciuta
l’ultima
scena..direttamente dal mio lato romantico che adoro la notte e la luna
piena
*.* In effetti il
loro rapporto è molto
particolare e si complicherà ancora con il passare del
tempo. Grazie ancora
tanto tantoooo..kisses
Judeau:
uhh ma saaalve^^ sei approdato anche tu alla mia storia^^ mooolto
onorata!!
Capisco la tua sviscerale ammirazione per quest’uomo. Io non
vorrei essere lui,
ma vorrei qualcos’altroXD Comunque me felice che ti sia
piaciuta! Grazie
grazie! Hai visto anche nella mia storia c’è una
Rossa! Con dei bellissimii
boccoliXD Ave al Valo e abbasso il rospo Migè (no dai
scherzo porello vojo bene
pure a lui!!) Fammi sapere cosa ne pensi di questo chap! Kisseeees
Shine
no Kami: uhh povera cara!! In bocca al lupo!!!! Spero tu abbia
apprezzato
questo capitulettì^^ Baciis
Linkin
park: caraaaaaaaaa!! Ke bello mi erano mancati i tuoi commentiniii!!
Shii
tanto!! Grazie davvero^^ io me li immagino un po’
così! Simpaticissimi…non so,
ho questa idea! Grazie ancoraa! Kissottii!
Grimilde:
OOhh Sublime
Commentatrice, la ringrazio per quest’altra recci!! Sempre
tenerissima,
nonostante i progettino per uccide la elii..porellaXD (che la paola
trova
sconvolgenteXD mah) sai che sono molto romantica oltre che sadicaXD
grazie
amora!! Un bacioooo
Ancora
grazie a tutti
quanti!! Alla prossimaaaaaa^^
VenomousKiss
-
FallenAngel -
|
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Capitolo 10 *** Night of fear ***
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Chapter
9
Night of Fear
Ghost’s
whispers in a secret garden
8
Maggio
“Uffa,
questi film dell’orrore sono sempre una delusione”
mi lamentai mentre uscivo da
un piccolo cinema nella zona ovest di Helsinki “E’
da una vita che non ne vedo
uno decente! Non chiedo di morire sulla sedia per la paura, ma almeno
non
rischiare di addormentarmi. E hanno anche il coraggio di chiamarmelo
‘Night of Fear’!
Bah!”
“Beh
dai,
almeno i pop-corn erano buoni” cercò di
sdrammatizzare il mio compagno di
visione.
“Sì,
sì, a parte
il fatto che ci ho trovato dentro un capello!” storsi il naso
“Ed era biondo!”
Gabriel mi
guardò storto per qualche secondo con i suoi grandi occhi
azzurri: “E come
avresti fatto a vedere che era biondo se eravamo in una sala
buia?”
“Vista
bionica” affermai come se fosse una cosa ovvia.
“Ah
sì?”
alzò un sopracciglio “E sentiamo mia cara
supereroina, oltre alla vista bionica
possiedi anche la supervelocità?”
“Eh?”
prima
ancora che potessi capire la battuta il finlandese si era
già messo a correre,
portandosi via la mia borsa a tracolla di Emily, una delle pochissime
che
possedevo. Ero più un tipo da tasche strabordanti, ecco.
Sentii la
sua risata argentina risuonare per la via alberata, mentre si
allontanava tra
la folla.
“Aspetta!”
gli urlai, iniziando a rincorrerlo. Per fortuna quella sera non avevo
dato
retta ad Arianna e invece degli stivali col tacco avevo mantenuto le
mie amate
Converse! In fondo essere alti aveva qualche vantaggio. Non avevo mai
amato i
tacchi: qualche volta va bene, ma perché far soffrire i
piedi gratuitamente?
“Appena
ti
riacchiappo vedi!” minacciai Gabriel, sotto lo sguardo
sconcertato dei
passanti, cercando di non perderlo di vista: quella zona della
città non la
conoscevo molto bene e non avevo molta voglia di perdermi.
Ero sicura
di averlo visto voltare l’angolo, ma quando imboccai il
piccolo viottolo lo
trovai completamente deserto.
“Gabriel?”
chiamai, continuando a camminare, seguendo la strada, apparentemente
senza
uscita: dopo qualche minuto di marcia, iniziavo ormai a temere di aver
sbagliato strada, quando giunsi in un’angusta piazzetta
circondata da antichi
edifici abbandonati, la maggior parte dei quali in rovina. I muri
avevano perduto
il loro colore, i vetri delle finestre frantumati e le porte erano
sbarrate con
travi di legno chiodate.
Al centro
della piazza era situata una piccola statua, di un bronzo pallido ormai
consumato e imbruttito dal tempo spietato: il piedistallo era sporco e
coperto
di lattine e bottiglie di birra abbandonate senza alcun riguardo.
Raffigurava
una bambina minuta dai lunghi boccoli sciolti sulle fragili spalle, le
braccia
distese in avanti nel tentativo di afferrare qualcosa e la testa
debolmente
piegata da un lato. Fui subito colpita dalla sua espressione assorta e
al tempo
stesso così infelice.
Un lungo
brivido percorse la mia spina dorsale, mentre con il cuore che batteva
forte mi
giravo in un’altra direzione, per sfuggire a quello sguardo
che pareva reale.
“Gabriel”
gridai ancora, una nota di panico nella voce. Ormai la paura stava
prendendo il
sopravvento. Dovevo tornare indietro, ritrovare la strada principale.
Non
doveva essere troppo complicato, ma se avessi incontrato qualcuno lungo
il
cammino? La sola idea mi terrorizzava.
Un fruscio
alle mie spalle mi fece voltare di scatto, mentre il mio cuore mancava
un
colpo. Scrutai la piazza con occhi attenti, ma pareva ancora
completamente
deserta.
Forse era
stato solo uno scherzo della mia fervida immaginazione, ma se davvero
c’era
qualcuno, non mi interessava certo scoprirlo.
Maledicendo
mentalmente Gabriel, stavo per rimboccare lo stretto viottolo, quando
sentii
una mano afferrarmi il polso.
Lanciai un
urlo terribile, e istintivamente tirai una gomitata con tutta la forza
di cui
ero capace al mio aggressore, il quale mollò immediatamente
la presa,
indietreggiando e perdendo quasi l’equilibrio.
“Ohi”
si
lamentò una voce famigliare alle mie spalle.
Mi voltai
stupita, trovandomi davanti un Gabriel piegato in due per il dolore.
“Certo
che
ci dai dentro eh!” biascicò, massaggiandosi lo
stomaco.
“Oddio
scusa!” mi avvicinai preoccupata, per verificare come stesse.
Ci sedemmo
su una panchina mezza distrutta ai piedi della statua.
“No,
non
preoccuparti, non è nulla” sorrise debolmente.
“Sei
sicuro
che non ti sia fatto troppo male?” domandai premurosa.
Si
sollevò
stoicamente a sedere diritto, per dimostrarmi la sua pronta guarigione:
“Certo”
“Ah
bene,
se è così allora…” gli tirai
una sonora sberla dietro la testa.
Mi
guardò
strabuzzando gli occhi: “Hey!”
“Sei
proprio un deficiente! Mi hai fatto prendere una paura
assurda!” gli gridai,
piena di risentimento.
Lo sentii
ridacchiare, per niente pentito “Non sei contenta?
Così ti sei rifatta del
film! Un reale sano spavento, nessuna finzione può
competere”
Lo squadrai
di traverso: “Quindi dovrei ringraziarti secondo
te?”
Alzò
le
spalle, stirando il collo prima a sinistra e poi a destra:
“Così farebbe una
persona educata e gentile”
“Oh
capisco” risposi, portando un dito alle labbra, come una
bambina ingenua
“Nessuno ti ha informato che sono stata allevata dalle
scimmie?” Feci una
strana smorfia, a sostegno della mia asserzione.
Gabriel
esplose in una sonora risata.
Sorrisi
compiaciuta. Il finlandese se ne accorse e mi fissò un
momento scuotendo la
testa.
“Sei
strana
forte”
“Eh,
lo so,
lo so. Grazie!”
“Prego”
riuscii nuovamente a far incurvare le sue labbra.
La
vibrazione del cellulare interruppe momentaneamente la nostra allegra
discussione.
Chiamando
una breve tregua controllai il nuovo messaggio.
“Amora!
Come procede la serata con
il nostro rubacuori? Successo qualcosa di interessante? *.* Eheheh
ricordati
chi ti ha combinato questo appuntamento mi raccomando!”
Alzai gli
occhi al cielo. La solita Ary.
“Che
succede?” domandò divertito dalla smorfia sul mio
volto.
“Niente”
risposi scuotendo la testa “I messaggi intelligenti della mia
amica. Ma non
preoccuparti, sono subito da te”
Inviai
subito la mia risposta: “Cose indecenti e inenarrabili. Ti
dico solo che
rischiavo di restarci secca. A dopo Lovva (se il mio cavaliere non
decide di
tenermi per sempre con sé)
Ritornai a
rivolgere tutta la mia attenzione verso Gabriel.
“Comunque
sorvolando sul fatto che è stata proprio una cosa ignobile
farmi prendere uno
spavento tale…” ricominciai, alzando un
sopracciglio “Per quale motivo mi hai
portato qui?”
Ridacchiò
sotto
i baffi: “Non ti piace?”
“Sinceramente…non
molto”
Assunse
un’espressione seria: “Okay, la verità
è che questo posto è infestato da un
fantasma”
Aggrottai
la fronte, raddrizzandomi sulla panca, sulla quale mi trovavo in una
situazione
poco ortodossa, seduta sopra una delle ginocchia.
“Davvero!”
protestò davanti alla mia aria scettica. “Ecco
guarda!” aggiunse, allungando il
braccio e indicando di fronte a se.
Seguii la
direzione del suo dito, incontrando soltanto gli occhi profondi e
tristi della
statua in rovina.
Rabbrividii
nuovamente, mio malgrado.
“Il
suo
nome era Leena Enäästi” spiegò
fissando anch’egli la bambina di bronzo “O forse
dovrei dire è, se si da retta alle leggende che circolano da
queste parti”
Sbuffai,
cercando di scrollarmi di dosso quella strana sensazione che mi aveva
pervasa.
Distogliendo
lo sguardo, chiesi a Gabriel maggiori informazioni su questa Leena e
sul perché
le fosse stata dedicata una statua in una piazza, per saziare
un’improvvisa e
irrazionale curiosità.
I suoi
occhi si illuminarono mentre si apprestava a raccontare:
“Leena nacque nella
prima metà del 1800, figlia di un’importante
famiglia nobile dell’epoca, forse
una delle più ricche. Grandi progetti erano già
stati preparati per il suo
brillante futuro, ma ad appena sette anni la bambina si
ammalò di tubercolosi.
Naturalmente vennero chiamati i più dotati medici del paese,
ma non c’era nulla
da fare. Dopo neanche qualche mese la bambina era già
morta”
“Oh”
fu
tutto quello che riuscii a commentare e d’un tratto mi parve
di vederla, una
fragile bambina costretta in un letto, gli occhi infossati e stanchi.
Scacciai
il pensiero, inquieta.
“I
genitori, due ottime persone, decisero di utilizzare parte delle loro
ricchezze
per fondare un orfanotrofio, per tutti quei bambini che invece avevano
avuto il
dono della vita, ma poco altro, e che riempivano a frotte le
strade” questa
volta segnò il più grande degli edifici alla
nostra sinistra, chiuso da un
maestoso cancello serrato e coperto d’edera.
“Venne
dedicato alla bambina giusto?” intuii “Alla piccola
Leena”
“Già.
Venne
costruito in questa piazza, non lontano dalla loro domus patronale, e
qui venne
eretta una statua in suo onore.”
Mi sentivo
terribilmente triste per la bambina, ma almeno la sua morte aveva
portato un
po’ di felicità a qualcun altro. Lo feci notare a
Gabriel, ma lui
scosse la testa sconsolato.
“L’orfanotrofio
non venne mai utilizzato”
“Come?” non riuscii a trattenermi dal gridare,
ormai presa dalla storia
“Perché?”
“Anche
i
genitori di Leena perirono poco dopo la loro unigenita, proprio alla
fine dei
lavori di costruzione: dicono di dolore, o forse anch’essi
malati. Non si sa
esattamente: le cause della morte sono ancora oggi incerte e oscure.
Fatto sta
che lasciarono il patrimonio e le redini della famiglia alla sorella
minore del
signor Enäästi, la quale era molto diversa dal suo
defunto parente. In primo
luogo decise che un orfanotrofio non l’avrebbe di certo
arricchita e quindi
stabilì seduta stante di trasformare l’edificio in
un nuovo palazzo. Ma non
appena ricominciarono i lavori, subito si accorsero che c’era
qualcosa di
strano…”
“Cosa
intendi?”
domandai curiosa: pendevo letteralmente dalle sue labbra.
Lui se ne
accorse e prima di riprendere a raccontare vidi il bianco dei suoi
denti
brillare nella notte: “Gli operai iniziarono a fuggire dal
cantiere, affermando
che l’edificio era infestato da oscure presenze o dal demonio
stesso: troppi
incidenti si erano susseguiti, ed un uomo aveva rischiato anche la
vita.
Impegnata in altre faccende, la nobildonna decise infine di abbandonare
il
progetto. E della casa non si curò più nessuno.
Si diffuse ben presto la voce
che la dimora fosse infestata non di meno dal fantasma di Leena,
adirata con la
zia per l’uso che avrebbe voluto fare del suo orfanotrofio. E
così ben presto
l’edificio e la storia vennero sotterrati nelle sabbie del
tempo. Ormai, come
puoi vedere tu stessa, questo è solo un posto in rovina,
frequentato di tanto
in tanto soltanto da gente poco raccomandabile”
“E tu
mi ci
hai fatto venire da sola” grugnii.
Tornò
subito serio, questa volta per davvero, tendendo la fronte
“No, sono stato
dietro di te tutto il tempo, non avrei mai lasciato che ti accadesse
nulla. E
poi è difficile che ci sia qualcuno. E’ un luogo
molto isolato e piuttosto
nascosto”
Ero sicura
che non mentisse, ma continuai a fingere di essere arrabbiata per
qualche
secondo, sebbene non riuscii a resistere a lungo davanti ai suoi occhi
imploranti.
“Sei
bravo
a raccontare storie” gli dissi poi con sincerità,
sentendomi anche un po’ in
colpa. Naturalmente il complimento gli fece enormemente piacere.
“Come
fai a
sapere così tante cose?” lo interrogai, con il
mento appoggiato sulla mano.
La sua
spiegazione non si fece attendere a lungo: “Ho scoperto
questo posto quando ero
bambino, con il mio migliore amico. E ne sono rimasto subito
affascinato. Così
sin da allora, ho iniziato a fare delle ricerche. E poi adesso le mie
conoscenze si sono ampliate con i miei studi.”
Lo guardai
un attimo confusa.
“Non
te
l’ho detto?” mormorò piegando la testa
da un lato “Studio Storia
all’Università; nella fattispecie, la mia
specializzazione è quella della
storia del mio paese. Non mi manca molto per finire.”
“Molto
patriottico da parte tua” commentai, prendendolo bonariamente
in giro.
Ma lui non
sembrò cogliere la nota ironica nella mia voce,
evidentemente molto orgoglioso
dei suoi sentimenti verso la sua terra d’origine:
“Già”
“Non
pensavo seguissi una facoltà del
genere…”
“Perché?”
sorrise “Non mi vedi come professore
all’Università?”
Ci pensai
su qualche istante, mordicchiandomi un labbro: “Uhm, no direi
di no” risposi
alla fine, puntando un dito contro il suo petto muscoloso.
Tutto il
suo corpo tremò, scosso dalle risate: “Come no? E
come mi vedresti allora?”
Uff, odiavo
questo tipo di domande-indovinello. Sì, sì, lo
so, io odio le domande in
generale e sono molto noiosa: “Oh, non ne ho idea!”
sbuffai.
“Okay,
forse è un po’ strano, ma è sempre
stata la mia passione. E tu invece in che
facoltà sei? Fammi indovinare aspetta…”
iniziò a massaggiarsi le tempie con gli
occhi chiusi: come veggente era terribilmente buffo. “Uhm,
legge?”
Feci una
smorfia disgustata.
“Okay,
no
ho sbagliato. Allora…architettura?”
Ecco un
altro indirizzo che non avrei mai seguito“Per fortuna non mi
hai mai visto
prendere una matita in mano” sospirai, alzando gli occhi al
cielo.
Si
grattò
un momento la testa, prima di esclamare tutto infervorato:
“Ma certo che
stupido! Dopo averti sentito cantare l’altra volta avrei
dovuto capire subito
che sei in un conservatorio!”
Trattenni a
stento le risa “Molto lusingata, ma, temo che le tue orecchie
ti abbiano
ingannato. Come si dice dalle mie parti, molto foderate di prosciutto.
La
cornacchia qui presente non è iscritta ad alcun
conservatorio”
Sebbene non
sembrasse molto d’accordo con quello che avevo detto,
continuò disperatamente a
trovare la soluzione a quel mistero: “Giornalismo?
Veterinaria? Medicina?
Biologia?”
Poverino.
Forse era giunto il momento di confidargli che non avrebbe mai potuto
indovinare?
Scossi la
testa per l’ennesima volta “Aspetta Gabriel,
perché…”
Ma mi
fermò
con un gesto della mano: “No, no aspetta tu. Devo
indovinare!”
Che
testardo.
“Allora
è
Meccanica!”
“Eh?”
“No,
scusa,
scherzavo. Ah ecco! Mediazione linguistica!”
“Mi
piacerebbe, ma…no”
Si arrese,
abbassando la testa sconfitto: “Ho finito le idee”
“Se
ti può
consolare anche con più fantasia non avresti potuto
indovinare” lo stuzzicai
sibillina.
“Non
frequenti l’università?” sembrava
davvero sorpreso.
“No”
“Davvero?
Non so perché ma non lo avrei mai detto”
Non sei di
certo il primo che mi dà più anni di quanti ne
ho, pensai fra me e me. E
naturalmente tra le migliaia di persone che mi avevano ritenuta
più grande il
mio cervello mi continuava a riproporre l’immagine di un
individuo a caso!
“Allora
lavori? Sei sicura di non essere anche tu in un gruppo o comunque
lavorare nel
campo…” continuò ad avanzare ipotesi.
Sospirai
esasperata. No, non aveva capito.
Mi alzai in
piedi, le braccia appoggiate ai fianchi.
“Quanti
anni ho Gabriel?”
Mi rivolse
uno sguardo confuso “Non lo so a dire il vero”
confessò, passandosi una mano
fra i capelli chiari.
“Prova
a
indovinare” lo incitai.
Non
sembrava molto felice: “So per esperienza che le donne non
sono mai contente se
qualcuno sbaglia la loro età…”
bisbigliò titubante.
Mi lasciai
andare ad una risata, rilassando le braccia lungo il busto:
“Prometto che non
mi arrabbio”
“Sincero?”
“Certo!
Spara!”
“Ti
vedo
più o meno come una mia coetanea. Forse un anno
più giovane” ammise,
cinciscianchiando con la cerniera del suo giubbotto.
“E tu
hai?”
“Ventitré anni”
“Eh
non è
colpa tua. Lo so, lo so. Sono un’ottima attrice” mi
elogiai da sola, fingendo
di sventolare un gran ventaglio e sbattendo le ciglia. “Hai
sbagliato di cinque
anni. Beh tecnicamente ancora sei…” puntualizzai,
più a me stessa che a lui. Odiavo
quegli stupidi due mesi che mi separavano dal diritto al voto. Non che
mi
interessasse davvero mettere una scheda crocettata in una qualche urna
e non
ero mai stata molto rispettosa del potere che il mio tutore (chiamarlo
padre mi
risultava sempre più difficile) aveva ancora su di me. Ma
era diventata più che
altro una questione di principio.
Gabriel mi
fissava con un’espressione riconducibile né
più né meno che ad un pesce
lesso: “Mi
stai prendendo in giro”
“No,
no”
gli assicurai “Sono ancora una studentessa di un istituto
commerciale” Non una
gran studentessa a dire il vero. Non erano le capacità a
mancarmi, ma il mio
animo ribelle era difficile da domare. E avevo ancora la stupida ma
radicata
convinzione di una bambina di due anni che saltare la scuola era come
fare un
dispetto a mio padre e non a me stessa. Ma in fondo mi ero praticamente
convinta che non avrei potuto mai fare nulla nella vita. “Per
tua informazione
comunque, se mai frequenterò
l’Università la mia prima scelta è
Matematica”
materia che avevo sempre adorato e nella quale non riuscivo ad andare
male
nemmeno impegnandomici.
Era ancora
piuttosto scosso, quando lo tirai per il braccio impaziente:
“Allora che si fa
adesso?”
Sembrò
risvegliarsi: “Prima di andare volevo mostrarti
un’ultima cosa…”
“Un’altra?”
ero piuttosto scettica.
“Questa
ti
piacerà” mi assicurò.
Si
alzò in
piedi, dirigendosi a passo spedito verso il cancello in ferro battuto
dell’orfanotrofio.
Con la
grazia di un felino, scavalcò le sbarre nel punto
più basso: nel giro di due
secondi era già dall’altra parte.
Rimasi a
guardarlo con gli occhi fuori dalle orbite: “Non penserai che
faccia la stessa
cosa vero?” gli annunciai, prima che si mettesse in testa
strane idee.
Ma
naturalmente fu inutile: quell’idea era già ben
piantata nel suo cranio:
“Andiamo! Non è difficile”
Facendo un
profondo respiro, gli lanciai la borsa e poi presi ad arrampicarmi. La
scalata
fu piuttosto indolore: ebbi qualche problema in più con la
discesa, durante la
quale persi l’equilibrio e rischiai di sfracellarmi contro il
terreno umido del
giardino: per fortuna Gabriel era pronto ad acchiapparmi e
così finii
semplicemente fra le sue braccia.
In quella
posizione, con il mio viso a pochi centimetri dal suo, sentii il cuore
iniziare
a battermi forte, e non ero sicura che fosse soltanto per lo spavento.
Restammo in
quella posizione più del dovuto, fino a quando biascicai un
grazie soffocato.
Il ragazzo
mi posò immediatamente a terra con delicatezza, mentre la
pelle chiara sulle
sue gote assumeva un colorito scarlatto.
Voltandosi
dall’altra parte mi invitò a seguirlo, non prima
però di avermi teso la sua
mano: l’afferrai saldamente, accorgendomi che, nonostante la
temperatura
esterna, era piacevolmente calda.
Mi
guidò
lungo uno dei muri che avevano perduto gran parte del loro intonaco,
fino a
raggiungere una piccola porta di legno, molto bassa. Vi era un forte
odore di
pioggia e di muschio, l’erba alta mi passava attraverso i
jeans, pizzicandomi
le gambe.
Con solo
una lieve pressione della mano, Gabriel aprì la porticina,
la cui serratura era
già stata manomessa. Mi domandai se non fosse stato lo
stesso Gabriel tempo
prima.
Stavo quasi
per chiederglielo, ma quando varcammo la soglia le parole mi morirono
sulle
labbra.
Ci
ritrovammo in un altro giardino, piuttosto ampio, nel quale crescevano
liberi e
selvaggi decine e decine di specie di fiori diverse, che coloravano
l’area
recintata di tenui e caldi colori, macchie di varie intonazioni di
giallo,
rosso, viola e azzurro tra fitte foglie e i lunghi steli.
Strabuzzai
un momento gli occhi, e mi guardai veloce indietro. Tutto
ciò che era al di là
della porticina era ancora grigio e reale, ma da quest’altra
parte…
Nascosti
nel giardino, tra la spontanea vegetazione, distinsi due altalene che
ancora
cigolavano, spinte dalla brezza leggera.
“Che
posto
è?” mormorai a nessuno in particolare, quasi
pensando di essere entrata in una
favola.
Ma la voce
di Gabriel risuonò chiara e gentile alla mia destra,
ostentandomi la sua
presenza: “E’ un piccolo giardino creato per
l’orfanotrofio. Nonostante sia
stato completamente abbandonato le piante e i fiori hanno continuato a
crescere
da soli. Pensa a quanto sarebbe stato bello!”
“Anche
così
è meraviglioso” la mia voce sembrava provenire da
chilometri di distanza, tanto
era fievole.
In quel
luogo, l’inquietudine che avevo provato nella piazza era
completamente svanita.
Provai il
forte impulso di avvicinarmi ad una di quelle altalene, e spingermi
fino alla
cima, lasciando i capelli liberi nel vento. Ma la parte razionale del
mio cervello
mi sconsigliò caldamente di tentare un simile gesto: le
corde arrugginite non
davano l’idea di essere molto stabili.
Quell’altalena
apparteneva a Leena, e a lei soltanto. Concentrandomi, mi sembrava
quasi di
sentire un’infantile risata mescolarsi
all’incessante cigolio.
Tenendo
sempre stretta la mano di Gabriel, iniziai a vagare nel giardino,
sentendomi
molto come Alice nel Paese delle Meraviglie.
Seguendo
questa volta il mio istinto mi lasciai
cadere tra i fiori porpora e violacei, seguita a ruota dal
finlandese.
Respirai a
fondo il loro buon profumo.
“Sai
anche
che fiori sono?” domandai al mio mentore, piena di
curiosità.
“Mi
dispiace, questo non te lo so dire…” non
staccò un momento gli occhi da me,
tanto che dopo un po’ dovetti voltare il capo, imbarazzata.
“Cosa
c’è?
Il fantasma di Leena è dietro di me?” domandai
arricciando il naso, cercando di
allentare la tensione.
Gabriel
sorrise divertito, ma continuò ad osservarmi senza posa
“No, è solo che il
riflesso di questi fiori nei tuoi occhi e nei tuoi capelli
d’ebano è ammaliante
sai?”
Strappò
a
mani nude uno dei boccioli dai petali violaci e me lo
appoggiò con delicatezza
dietro all’orecchio.
Rabbrividii,
mentre un’alito di vento gelido mi attraversava da parte a
parte.
Mi strinsi
più forte nella mia giacca, senza però riuscire a
scaldarmi.
“La
temperatura è scesa molto oggi, non trovi?”
commentai con leggerezza.
“Già,
succede a volte, probabilmente domani sarà ancora
peggio” mi rispose, ma poi
allargò le braccia e bisbigliò timidamente:
“Posso scaldarti?”
Senza
nemmeno pensarci, appoggiai la schiena al suo petto, e lasciai che le
sue
braccia si avvolgessero intorno al mio corpo.
“Solo
perché sto gelando” misi in chiaro, accoccolandomi
più comoda nel suo
abbraccio.
“Ed
io solo
per questo te l’ho domandato” ribattè
lui reggendomi il gioco.
Completamente
a mio agio, chiusi gli occhi, respirando piano.
Fu il suono
gracchiante del telefono che mi informava dell’arrivo di un
nuovo sms a
riportarmi, mio malgrado, alla realtà.
“Sta
a
vedere che è di nuovo quella polla” brontolai,
cercando di recuperare il
cellulare dalla tasca.
Ma il
calcolo delle probabilità della mia cara e amata Matematica,
ancora una volta,
mi portò all’errata conclusione.
Mi
irrigidii d’un tratto, non appena comparve il numero sul
display.
Ancora lui?
“Tutto
okay?” domandò la voce dell’altro
ragazzo.
“Cosa?
Oh
sì certo” mentii.
“Sempre
lei?”
“Eh
già”
sperai che la mia voce non tradisse l’eccitazione.
Mi
riappoggiai al suo petto.
Ma adesso
tutta la magia era scomparsa.
Quanto ti
odio, pensai.
Ma mi
rimisi a leggere di nuovo il messaggio.
“Il
mio avvocato (cioè me medesimo)
richiede la sua presenza per discutere i dettagli della nostra rottura.
Ricorda
il contratto prematrimoniale sister? Domani mattina, mi farebbe
l’onore? Magari
se capita le offro anche un caffè.
TheManWithABrokenHeart”
Ed
eccomi un po’ in ritardo
con il nuovo capitolo. Vi chiedo umilmente perdono, ma la colpa
è sempre della
solita e odiosa scuola. Quei dannati professori non hanno alcun
rispetto per
noi scrittori squattrinati XD
Capitolo
un po’ particolare e
un po’ di stacco, ma ci tenevo a quadrare un po’
meglio il personaggio di
Gabriel, a cui vojo un gran bene e che sarà piuttosto
importante nel corso
della storia…lo so che la mancanza di Ville si fa sentire,
ma vi assicuro che
nella mia mente anche Gabriel è un partito di tutto
rispettoXD e la grimilde se
n’è già innamorata vero cara?
Sì merita, anche se è biondo à nota: è biondo giusto
perché è finlandeseXD me non
ama particolarmente i biondini…
Anche
lo sfondo e l’ambiente
sono un po’ diversi, diciamo che è un capitolo che
mi è piaciuto scrivere per
mettere un po’ alla prova le mie capacità, per il
gusto di scrivere ecco.
Spero
non vi sia dispiaciuto
anche a voi^^
Fatemi
sapere! E non
preoccupatevi: nel prossimo capitolo ci sarà mooolto
Villuccio, con qualche
sviluppo nel loro rapporto particolare^^
Grazie
millissime a coloro
che hanno commentato! Grazie grazie davvero^^
@Judeau:
sono contenta che
sia piacevole da leggere^^ di certo questa prima parte della storia
è nata per
essere piuttosto divertente e sono felice di aver raggiunto almeno un
po’ il
mio intento! E per quanto riguarda il fragolino..XD..credo che tutti
abbiamo un
passato teatrale da nascondereXD e ho pensato perché non
anche il nostro
Profeta del LoveMetal? La notizia mi è stata riportata da
jesse in persona (sé
magariXD). Nel rispetto comunque della sua elevazione e nella continua
adorazione per la sua persona e la sua poesia! Ancora grazie per il
commento!
Dracula me manca già tanto…non faresti una one
shot su di lui per me?XD Kuss
@linkin
park: darling! Scusa
me dispiace tanto! La tua pusher si è fatta attendere
stavoltaXD ma ecco qui il
nuovo chapter! E ti ringrazio tanto per il commento allo scorso
capitolo! ^^
sei sempre dolcissima! Anche io d’accordo sul pestaggioXD e
felice
dell’apprezzamento per il fragolinoXD Kisseeeees
@kiki91:
hihihihi…ehhhhhh
vedo che qualcuno ha notato la mia citazione twilightosa! Shi lo so
anche io
sono morta al pensiero di un sorriso sghembo, anche se bene come ad
edward non
viene nemmeno a ville temo! XD Ma villuccio non preoccuparti che
continui ad
essere il primo nel mio cuore! Comunque sono contenta che ti sia
piaciuta^^
spero continuerai a seguirmi! Un besso!
@Shine
no Kami: uh davvero?
Che tenera^^ io non mi ricordo da cosa mi vestivano..ah sì,
una volta da fata
dei fioriXD oh mamma..comunque…grazie come al solito per i
commenti^^ alla
prossima! Baciotti!
@grimilde:
XDXDXDXD tu non
hai idea di quanto abbia risoXD soprattutto mentre ti immaginavo con
l’espressione castrese!XD ma un commento più bello
non poteva essere scritto,
mia Sublime Commentatrice^^ davvero ogni volta mi diverto, ma allo
stesso tempo
arrossisco tanto tanto! E sono contenta che ti piacciano i miei
scarabocchi^^
però dimentichiamoci del VillinoFragolino vaXD ecco, ho
postato il suo capitolo
preferito Sublime Commentatrice del suo Gabrielino..hihihihi
Suukko
@Bell_Lua:
ma di cosa ti
scusi tesora? ma figurati!! Sei sempre così tenera a
commentare! E fallo quando
hai tempo e voja! Grazie grazie grazie! I tuoi commentini sono sempre
graditissimi comunque, tanto, tanto! Mi lasciano ogni volta con il
sorriso.
Sono molto contenta che ti sia piaciuto anche quel capitulett! Tell me
about
this one! Kisseees
E
un saluto anche alla mia
sister a cui penso sempre e che resta la mia mentora preferita! Un beso
dalla
capraXD
SeeYouSoon
dears!
VenomousKiss
La
vostra
-
FallenAngel -
|
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Capitolo 11 *** A ride in your mind ***
Capitolo
10
A ride in your
mind
Leaving
cruel reality and feeling like at home, in joy and sorrow
9 Maggio
Camminai a
tentoni nella camera ancora immersa nell’oscurità,
grazie alle pesanti tende
che ricoprivano le grandi finestre e non lasciavano trasparire alcun
raggio di
luce.
Dove
diavolo avevo lasciato la borsa la sera precedente? Non so come avevo
avuto il
buon senso di preparare i vestiti nel bagno, ma la borsa me
l’ero completamente
scordata. Non c’era nulla da fare, non avevamo un buon
rapporto io e quello
strano oggetto.
Rinunciai
presto all’impresa, affidandomi alle mie leali tasche. Diedi
un veloce sguardo
allo schermo illuminato del cellulare per scoprire che –
guarda caso – ero già
in ritardo.
Imprecando
mentalmente mi affrettai verso la porta della stanza praticamente alla
cieca,
ma presi male le misure, e proprio quando pensavo di avercela fatta,
sbattei
con la grazia di un elefante contro uno dei pochi mobili presenti, che,
seppur
piccolo, fece un baccano assurdo.
“Cosa??”
intravidi la sagoma di Arianna sollevarsi di scatto dal letto,
spaventata.
“Non
è
successo nulla” bisbigliai, mordendomi un labbro e
massaggiandomi con foga
l’anca che aveva urtato il mobile
‘fantasma’ “Torna pure a dormire. Ci
vediamo
più tardi”
Non sono
convinta che la mia amica capì veramente quello che avevo
detto, ma nonostante
fosse ancora praticamente addormentata, riaffondò
immediatamente tra le
coperte, seguendo il mio consiglio.
Ancora
indolenzita riuscii finalmente a varcare la porta della stanza.
Immagino vi
chiederete come abbia fatto ad uscire quando fuori era ancora buio. Io,
proprio
io, il bradipo della situazione.
Ebbene non
vi ingannate. Diciamo che…non era proprio così
presto…o forse lo era soltanto
per i miei standard.
Non appena
mi ritrovai nello stretto corridoio dell’hotel, strinsi gli
occhi, nel
tentativo di abituarmi alla luce del mattino. Delle 10 e 30 del
mattino, per
essere precisi.
Sbirciai
sotto il maglione nero a collo alto che avevo indossato, ritrovandomi
ad
osservare con espressione corrucciata un lungo segno rosso lungo il mio
fianco
destro. La solita imbranata.
Ma ora non
c’era altro tempo da perdere. Saltai sul primo ascensore
libero, e non appena
fui al piano terra, mi diressi di corsa verso il giardino, nel quale vi
era
appunto un accesso per il cortile sul retro.
Continuai a
correre fino a quando non fui a pochi metri dall’uscita: a
quel punto cercai di
riprendere un certo contegno e tentai di sistemare qualche ciocca di
capelli
dietro le orecchie. Quella mattina non avevo avuto nemmeno il tempo per
truccarmi: dovevo essere veramente uno sfacelo.
Ma era
strano…quasi non me ne importava. Era come se stessi per
uscire con un vecchio
amico del quale non avevo affatto paura di un giudizio negativo. Ero
pervasa
dall’irrazionale convinzione che mi avrebbe accettato
così com’ero, anche senza
bisogno di maschere.
Ora che
avevo smesso di correre e il mio respiro si faceva a poco a poco
regolare di
nuovo, mi accorsi di quanto fosse ancora più freddo
all’esterno. Indossai
immediatamente il cappotto, osservando le calde nuvolette di vapore che
uscivano dalle mie labbra.
Trovai una
macchina nera dai vetri scuri ad aspettarmi appena fuori dal cancello.
Mi stavo
avvicinando a passo sostenuto, cercando di immaginare cosa avrei potuto
dire,
quando una voce mi apostrofò alle spalle.
“Ci
facciamo desiderare?”
Certo che
ci prendeva proprio gusto a prendermi di sorpresa eh? Mi voltai di
scatto, ed
eccolo lì, appoggiato ad un muro, con fare spavaldo, una
sigaretta di traverso
fra le labbra incurvate in un furbo sorriso.
Mi grattai
la testa, con espressione indifferente: “Sono stata bloccata
dai fan…”
“Capisco”
mi squadrò per qualche secondo da capo a piedi, prima di
scoppiare in una
fragorosa risata.
“Ehm,
che
cosa c’è?” domandai vagamente
sconcertata.
“Abbiamo
ottimo gusto nel vestire non credi?”
Persa ad
ammirare quanto potesse essere bello, non mi ero accorta che anche
Ville
indossava un cappotto nero, ma non solo, questi andava a coprire un
maglione di
lana nero, sopra un paio di jeans dello stesso colore. Esattamente i
vestiti
che io stessa avevo scelto per quella mattina.
Mi unii
immediatamente alle sue risa, sebbene alquanto sconvolta dalla
rivelazione. Mi
feci più vicina, per poterlo osservare meglio, ma di certo i
miei occhi non mi
stavano ingannando: “Dimmi la verità, tu mi
controlli! Hai assoldato qualcuno a
spiarmi per vedere cosa avrei indossato e copiarmi”
Sembrò
pensarci su per qualche secondo, ma alla fine scosse la testa:
“Non mi pare
proprio. Ah no aspetta, c’era quel detective privato che
avevo chiamato per
scoprire con chi mi tradivi…”
Era chiaro
che stesse scherzando, ma arrossii involontariamente e mi sentii
d’un tratto in
colpa mentre l’immagine di me e Gabriel abbracciati mi
passava davanti agli
occhi. Ma…era una cosa assolutamente ridicola! Da quando
dovevo rendere conto
di quello che facevo a Ville? Di sicuro non era quello che si
aspettava,
assolutamente no. Eppure…
“Ma
è stata
una totale perdita di tempo; l’ho dovuto licenziare subito.
Era proprio un
disastro” continuò lui ammiccando.
Alzai un
sopracciglio, fingendo un’espressione torva:
“Quindi davvero hai cercato di
violare la mia privacy! Non pensavo saresti caduto così in
basso!”
“Avevo
il
cuore infranto…” si difese, riuscendo a restare
serio non so come.
“Come
avevi?” gli feci subito
notare.
“Eh
oramai
mi è passata. Ora come ti ho già preannunciato
dobbiamo discutere i dettagli
legali”
Scossi la
testa con vigore e portai le braccia ai fianchi per evidenziare il mio
sdegno,
ma ahimè lo feci anche con troppo foga, colpendo il medesimo
punto contro cui
avevo sbattuto poco prima.
Il mio viso
si contrasse subito in una smorfia di dolore che non sfuggì
al darkman.
“Che
succede?” domandò immediatamente, cercando i miei
occhi.
“Nulla,
è
solo che…” uff, ma lo dovevo proprio raccontare?
“E’ imbarazzante…” mi
schermii, continuando a guardare per terra.
“Dai,
dimmelo” mi pregò lui “Non lo sai che
sono terribilmente curioso?” sbattè le ciglia
con aria angelica.
Non potei
non sorridere: “Okay okay” mi arresi
“Stamattina, mentre cercavo di uscire
dalla mia stanza al buio per non disturbare l’Ary, sono
finita contro un mobile
e mi sono distrutta un’anca” sbuffai, alzando gli
occhi al cielo “Ecco ora puoi
anche ridere”
Lui
cercò
di trattenersi, sebbene a fatica: “Non hai la vista da
micetta eh? Più che
altro ti avvicini di più ad un bisonte”
Gli feci
una linguaccia, voltandogli le spalle offesa.
“Ehh
sister, sister. Posso vedere?”
Mi rigirai
di scatto, esterrefatta: “Che cos…? No!”
esclamai.
“Lo
so che
è una cosa strana, ma mi diverto a guardare i lividi e
cercare di individuarne
le forme” mi spiegò, lasciandomi però
ancora più sconvolta di prima.
“Guardare
le nuvole no?” suggerii.
Fece una
strana smorfia, molto simile ad un ghigno, allargando le braccia:
“Troppo
banale”
“Certo
che
sei tutto matto. Non che non lo avessi capito da tempo,
ma…”
“Beh
allora
posso vedere?” insistette.
Sentendomi
alquanto a disagio sollevai un poco il maglione, quel tanto che bastava
per
mostrare il segno violaceo che già si andava formando sopra
la mia anca.
Ville si
accucciò al mio fianco per esaminarlo e quando
sfiorò la mia pelle con le dita
fredde sussultai, trattenendo il respiro.
“Mh”
borbottò “Proprio come
pensavo…”
Lo guardai
stranita dall’alto in basso, cercando di tornare
completamente lucida: “Cioè?”
“Il
tuo
livido ha decisamente la forma…”
commentò come se fosse materia di studio
universitario e non una semplice botta “…di un
heartagram!”
Completò
la
frase rivolgendomi un ampio sorriso, mentre io alzavo gli occhi al
cielo. Per
riattirare la mia attenzione Ville premettè sadicamente le
dita sul livido.
“Ahia!”
mi
lamentai, tirandogli una pacca sulla spalla e allontanandomi
all’istante.
Questa
volta fu il suo turno di mostrare la lingua: “Mai contraddire
il fratello
maggiore!” mi ricordò, mentre si risollevava in
posizione eretta.
“Ma
io non
ho detto niente!” protestai, incrociando le braccia al petto.
“Né
si
fanno facce!” proseguì. “Dai ora
è meglio che andiamo, prima che arrivi
qualcuno” e prendendomi per mano mi condusse alla macchina
nera.
**
Poggiai la
fronte
contro il finestrino freddo della macchina, guardando le vie di
Helsinki
sfrecciare
veloci
davanti ai miei occhi, mentre il verde dei numerosi alberi si
confondeva con il
grigio degli edifici.
“Come
siamo
silenziosi” commentò Ville, facendomi voltare di
scatto, e quasi picchiare la
testa a dire il vero. “A cosa pensi?”
Sbuffai:
“Caspita sei davvero curioso”
Alzò
le
spalle: “Ebbene sì, l’ho già
ammesso no?”
Lasciai
vagare il mio sguardo ancora sul panorama mentre rispondevo alla sua
domanda:
“A dirti la verità ancora cercavo di rendermi
conto del fatto che sono in una
macchina con te” Sì, lo so. Ancora. Ma cosa ci
potevo fare?
Voltai la
testa, ritrovando i suoi grandi occhi che mi scrutavano attenti.
“E’
una
cosa così strana. Cioè, prova a pensare se quando
eri più giovane e non ancora
famoso ti fosse capitato di passare del tempo con, che so, Ozzy
Osbourne. E’
così incredibile. Sai quanto ho desiderato di poterti
conoscere?”
Appoggiò
un
braccio contro la portiera, a sostenere la testa inclinata e poggiata
contro il
palmo della mano, sempre rivolta nella mia direzione:
“E’ difficile vederla in
questo modo dalla mia posizione. Nonostante sia famoso ormai da tempo
non
riesco ancora a credere che la mia musica sia così
importante per altre
persone. Io mi sento una persona normale in fondo. Dio, capisco cosa
intendi,
ma non posso credere che tu possa sentirti in questo modo”
Sorrisi,
accorgendomi
che in fondo era davvero un semplice ragazzo. Restando comunque un
poeta di
grande talento e dalla voce stupenda.
“Beh
è
proprio così invece. E sai ci ho pensato a lungo. Ma non ti
ho ancora
ringraziato per tutto quello che hai fatto per me. Tu e i
ragazzi” sospirai, attorcigliando
le dita tra loro.
“Ma,
davvero, in fondo non abbiamo fatto nulla. Vi abbiamo solo fatto
visitare un
po’ la casa discografica e registrato una canzone, cosa della
quale Arianna non
sembrava poi tanto felice…” minimizzò,
aggrottando le sopracciglia.
Scossi la
testa, sfiorando il suo braccio per cercare di spiegargli:
“No, non è questo che
intendevo. Anche se è stato tanto divertente e
un’esperienza stupenda, come
anche l’altra sera al Midnight” gli assicurai.
Continuava
a non capire: “E allora cosa intendi?”
Prendendo
coraggio decisi di confessare tutto, non osando però alzare
lo sguardo di nuovo
sul suo viso “E’ da quando avevo 13 anni che la
vostra musica mi aiuta a
superare i momenti più difficili. Tutte le volte che chiusa
in camera mia
versavo lacrime amare sul cuscino, da sola, ogni volta che pensavo che
non ce
l’avrei fatta ad andare avanti ancora, ogni volta che il
domani sembrava troppo
lontano e insicuro, avevo sempre un conforto: le vostre canzoni, la tua
voce, i
tuoi testi. C’era sempre un modo per evadere dalla
realtà e sentirmi a casa, in
joy ma soprattutto in sorrow” lasciai le mie labbra aprirsi
in un timido
sorriso.
Aspettai
qualche secondo, ma Ville non aprì bocca. Mi azzardai alla
fine a guardarlo:
“Lo trovi stupido, immagino”
Quasi mi
mancò il respiro, sotto il peso del suo sguardo:
“No…è…incredibile”
mormorò con
la voce un poco malferma.
“Che
fai mi
copi?” brontolai, ignorando un brivido.
“Cosa?”
“Ho
usato
la parola ‘incredibile’ qualche minuto fa”
Entrambi
scoppiammo a ridere: “No, davvero, non l’ho fatto
apposta. Cavolo ma parliamo
anche nello stesso modo? Non è possibile!”
esplose, nascondendo il volto tra le
mani.
Quando si
fu ripreso continuò: “Comunque davvero,
è molto bello sapere che il lavoro di
una vita sia d’aiuto a qualcuno, oltre che me stesso. Ma non
riesco a capire:
ti fanno realmente questo effetto le nostre canzoni? Possono davvero
confortarti? C’è stato qualcuno che mi ha
addirittura accusato di togliere
speranza alle persone e deprimerle”
“No,
non è
affatto così, almeno non per me. La maggior parte delle
parole che scrivi
riesce a catturare la mia attenzione e, se le ascolto con attenzione,
hanno il
potere di astrarmi dalla realtà, di portarmi in un mondo
diverso, dove qualcun
altro condivide il mio dolore e dove non mi sento più
sola” scossi la testa,
alzando gli occhi al cielo “Odio le persone che hanno
pregiudizi e sono
convinte che la musica diversa sia per forza pericolosa! Ti assicuro
che mi
deprimo molto di più ascoltando qualche rapper da
strapazzo” mi iniziai a
scaldare, gesticolando come una pazza.
Ville
ridacchiò, afferrandomi con delicatezza il polso per farmi
fermare: subito mi
bloccai, mordicchiandomi un labbro: “Non ti arrabbiare
adesso”
Abbassai il
capo, imbarazzata, lasciando cadere il braccio che il darkman
lasciò
prontamente: “Scusa” borbottai “Ogni
tanto mi lascio un po’ trasportare…”
“L’ho
notato. Ma non preoccuparti, capisco cosa provi” i suoi
lineamenti si erano di
nuovo addolciti “E’ molto bello quello che hai
detto. E sai, devo confessarti
che anche a me le canzoni allegre mettono tristezza.”
“Abbiamo
delle menti malate” sospirai mentre nascondevo gli occhi
dietro una mano.
“O
forse
siamo normali e viviamo in un mondo al contrario”
suggerì lui facendo
spallucce.
Tornai a
squadrarlo, con un sopracciglio alzato: “No, tu sei
decisamente matto”
“Può
darsi,
ma sono anche un genio” si vantò a testa alta.
“Cosa
scusa?”
“Beh
sono
un artista di grande talento, in grado di trasmettere emozioni
indescrivibili
e…” continuò il suo soliloquio
narcisista per un minuto buono, sotto il mio
sguardo sempre più marcatamente scettico. “Non
l’hai detto anche tu?” terminò
infine.
Sbuffai
sonoramente: “Cioè, io non ho mica detto che
quell’effetto me lo fanno solo le
vostre canzoni, sono fra le tante. E, non sono mica sicura che sia
proprio
merito delle tue parole, probabilmente è la
musica…” asserii, per stuzzicarlo.
Ville si
raddrizzò meglio sul sedile: “Ah sì? Lo
sapevi che la maggior parte non solo
dei testi, ma anche delle basi musicali, le scrivo io?”
“Sì,
ma…non
credo siano neppure le musiche in sé, più che
altro il modo in cui i ragazzi
suonano, sì, sì, deve essere quello!”
Il darkman
si finse offeso, incrociando le braccia al petto, e smise di parlarmi.
Restai a
guardarlo divertita per qualche minuto, ma lui continuò a
tenere lo sguardo
fisso davanti a sé
e la fronte
corrugata.
“Hai
deciso
di fare finta che non esista?” domandai, ma fu come se non
avessi aperto bocca.
Mi feci
quindi più vicina e cominciai a fargli boccacce e smorfie
davanti al naso:
anche questo trattamento sembrava non aver sortito alcun effetto,
quando,
all’improvviso, Ville si voltò di scatto verso di
me e, afferratami per i
fianchi, cominciò a farmi il solletico.
Cercai di
difendermi, tirando pugni a vuoto e chiudendomi a guscio, ma non ero
mai stata
brava a sopportare il solletico, lo soffrivo troppo.
“Basta
dai,
basta!” lo supplicai, ma lui continuò implacabile
e senza pietà.
“Scusa,
scusa mi arrendo, ma ora smettila!” pregai ancora, ormai allo
stremo delle
forze. Questa volta decise di darmi finalmente ascolto. Rimase comunque
sopra
di me, che ormai ero finita quasi sdraiata sul sedile, tenendomi le
braccia
bloccata.
“Ti
rimangi
tutto?” mi domandò con un ghigno soddisfatto.
“Sei
proprio insopportabile” grugnii, ancora ansimante.
“Non si usa la forza bruta
su una donna!”
“Oh,
ma tu
non sei una Donna! Sei la mia sorellina, e ho il diritto di fare questo
ed
altro” ribattè, facendomi la linguaccia.
“Io
SONO
una DONNA! E ora alzati immediatamente!” gli intimai, ferita
nell’orgoglio.
“Non si può certo dire che tu sia un dolce
peso!”
j
Ville
incurvò le labbra in un nuovo e assolutamente provocante
sorriso: per un
momento la mia vista si fece meno chiara e fui pervasa dal folle e
potente
desiderio di coprire la distanza che c’era fra i nostri
volti, di far passare
le dita fra i suoi capelli, di…ma a cosa diavolo stavo
pensando? Ero completamente
fuori di testa! Ma d’altra parte non potevo farci niente,
quelle labbra erano
così dannatamente invitanti…Alzati, alzati ti
prego, prima che possa fare
qualcosa di stupido!
Ma era
ancora lì, immobile, il suo sguardo perso nel mio,
l’espressione del volto di
nuovo seria e quasi spaventata, così vicino da far fremere
ogni cellula del mio
corpo. Il mio cuore cominciò a battere forte e non sapevo
per quanto sarei
riuscita a controllarmi.
“Elisa…”
deglutii e quasi dimenticai di respirare, mentre pronunciava titubante
il mio
nome. E poi…
Poi la
macchina si fermò di colpo, con un’inchiodota
tremenda: la brusca frenata non
produsse alcun effetto sulla mia posizione già quasi supina,
ma incise molto
sul precario equilibrio di Ville, che si reggeva con un braccio per non
shiacciarmi davvero. Il povero darkman finì così
sbalzato quasi nel buco tra i
sedili posteriori e quelli davanti.
Quando si
risollevò, massaggiandosi la schiena indolenzita, con
un’espressione ancora
assolutamente sconvolta e stordita dipinta in volto, non riuscii a
trattenere
una risata.
L’autista
si girò immediatamente nella nostra direzione e rivolse ad
un frontman sempre più
stizzito quelle che, a giudicare dal tono, dovevano essere scuse
pietose.
Sentire
Ville imprecare in finlandese era davvero uno spasso. Quando ebbe
terminato di
strigliare il povero autista, si girò nella mia direzione:
“Hai finito di
ridere?” sbuffò, cercando di riprendere un certo
contegno.
Annui
velocemente, prendendo un bel respiro: “E chi sta
ridendo?”
E non mi fu
difficile fingermi seria, perché non appena cercai di non
pensare alla rovinosa
caduta del frontman, mi tornarono alla mente come le immagini troppo
vivide di
un film, quello che stava accadendo prima della frenata. Risentendo la
sua voce
e rivedendo il suo volto così vicino, mi sentii di nuovo
terribilmente in
imbarazzo e anche stupidamente pentita, di non aver detto o fatto nulla
prima
che…Ma erano soltanto sciocchezze, probabilmente il ricordo
già ingigantiva la
realtà e io volevo vederci qualcosa che non
c’era…
La mano di
Ville sul mio braccio mi sottrasse ai miei pensieri.
“Hey
tutto
a posto?” chiese, corrugando la fronte.
“Cosa?
Oh
si certo, perché?” risposi con un’altra
domanda, spalancando gli occhi.
“No,
nulla,
è che ti ho chiamato due volte ma sembrava che non mi
sentissi”
Mi
mordicchiai il labbro inferiore: “Ehm, scusa”
“A
cosa
pensavi?”
Assunsi
un’aria scocciata: “Direi che oggi ho saziato
abbastanza la tua curiosità, non
ti pare?”
Fece
spallucce “Okay, okay, allora scendiamo miss”
Mi precedette
fuori dalla macchina e mi porse la mano, come un vero gentiluomo, per
aiutarmi
a scendere: senza esitare la presi, ma mentre uscivo e posavo i piedi a
terra,
Ville allungò il proprio, facendomi lo sgambetto: e di certo
sarei finita per
terra se non fosse stato subito pronto ad afferrarmi.
Lo guardai
esterrefatta mentre sogghignando mi faceva notare ancora una volta
quanto fossi
aggraziata.
“Sei
proprio un bambino” lo apostrofai, avvolgendo più
stretto il capotto intorno al
mio corpo e cominciando a camminare.
________________________________________________________________________________
Ed eccomi tornata con un nuovo
capitoletto^^ sìsì lo
sooo..io sparisco per millenni e poi dopo qualche tempo
riappaio…comunque
rieccomi qui! Non vi siete liberati di me!! Muahahahhahaha
Questo capitolo
è…mmm…come dire…piuttosto
riflessivo^^ forse
qualcuno si ritroverà nei pensieri di Elisa, o forse sono
l’unica matta!!XD
Mi sono divertita a scrivere
soprattutto la parte della
fine!! Anche se mi hanno dato un po’ della sadica!XD e della
malata mentale per
la storia dei lividiXD
Comunque giudicate voi!! E fatemi
sapere^^
Grazie millizzimeee alla Kiki91, alla
Mentora e naturalmente
alla SublimeCommentatrice!!(mi spiace di nuovo il villinoXD)
E un grassie anche alla Lu!
Altrimenti questo capitolo non
vedeva la luce ancora per chissà quanto tempo!
E poi come potevo non postare per il
compleanno della mia
Sister! In fondo la ficcy è nata grazie a te! AUGURI
TESORAAAAA!
Allora a presto – dai si
prometto a presto!!XD
VenomousKisses
La vostra
FallenAngel
|
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Capitolo 12 *** The black Cat and a snowball ***
Chapter
11
The black Cat
and a snowball
Viens, mon
beau chat, sur mon cœur amoureux..
Al
calduccio in un piccolo cafè nel centro, osservavo in
silenzio e alquanto
scocciata una cameriera dalle labbra troppo carnose e tinte di rosso, e
la cui
camicetta avrebbe dovuto presentare almeno uno o due bottoni in
più allacciati,
che si stava trattenendo presso il nostro tavolo da più di
cinque minuti,
sbattendo le ciglia e intrappolando Ville in una conversazione
labirintica
della quale avevo naturalmente capito ben poco: ma, finlandese o no,
quello a
casa mia era chiamato decisamente flirtare.
Quando la
ragazza si esibì in una sottospecie di risatina, molto
simile allo squittio di
un topo, mi ritrovai a sbuffare troppo sonoramente.
Il darkman
parve essersi ricordato di nuovo della mia presenza e decise di
degnarmi della
sua attenzione: “Tutto a posto?” domandò
con finta innocenza.
“Certo”
mugugnai, affondando di qualche centimetro sotto il tavolo.
“Potrei avere un
irish coffee?” mi rivolsi quindi alla simpatica biondina, con
il mio miglior
sorriso.
Questa mi
squadrò un momento con puro odio, ma di nuovo le sue labbra
si piegarono con
crudele rivincita, quando Ville fermò con decisione il mio
ordine: “No, no,
niente alcool per la mia sorellina. Un’acqua tonica
andrà benissimo”
“Che
cosa?”
mi raddrizzai immediatamente a sedere, gli occhi spalancati
“E da quando hai il
diritto di decidere tu scusa? Voglio un irish coffee!”
Ville mi
ignorò completamente e velocissimo congedò una
cameriera ancora troppo
sorridente.
Incrociai
le braccia al petto: “Allora?”
“La
tua
acqua tonica sta arrivando” mormorò molto
tranquillamente.
Mi stavo
già preparando a rispondere per le rime, quando aggiunse:
“E le ho detto che
può anche dare un’occhiatina ai tuoi documenti,
così, tanto per…”
“Quando
è
iniziata la guerra?” domandai, sorreggendo la testa fra le
mani, i gomiti sul
tavolo, guardandolo fisso negli occhi.
“Da
quando”
rispose, sporgendosi verso di me, fino a portare il suo viso a pochi
centimetri
dal mio “hai iniziato a chiamarmi Fragolino in mezzo alla
strada! O forse è
semplice natura fraterna”
Mi morsi un
labbro, ricordando l’avvenimento in questione; in effetti non
era stato proprio
carino da parte mia, ma lui se l’era abbastanza cercata:
quando aveva iniziato
a prendermi in giro per il mio naso diventato rosso ciliegia a causa
del freddo
pungente, non avevo saputo resistere e avevo rispolverato il suo caro
scheletro
rivestito da un costume da fragola. Ed era strabiliante quanto sentir
pronunciare la parola fragolino in mezzo alla gente potesse
imbarazzarlo.
Era stata
una mattinata davvero strana, sebbene ero sorpresa dal fatto che non ci
avesse
fermato ogni pedone che avevamo incontrato: di certo non era mancata
qualche
ragazza pronta a chiedere un autografo o una fotografia insieme a
Ville, ma il
loro numero era discretamente ridotto e si trattava soprattutto di
stranieri.
Quando
gliel’avevo fatto notare, seduti presso una fontana la cui
acqua era ormai
ghiacciata, il darkman era scoppiato in una sonora risata: “E
secondo te io
come potrei sopravvivere? Credi che ad ogni spostamento sia
perseguitato da uno
stuolo di fan? Fortunatamente non accade spesso, altrimenti i miei
nervi
sarebbero già saltati da lungo tempo. Penso che ormai le
persone si siano
abituate alla mia presenza; e poi, la maggior parte di loro
è troppo impegnata
con i propri pensieri e problemi, per accorgersi del mio passaggio,
anche se mi
conosce. Tu guardi sempre tutte le persone che ti passano accanto
quando
cammini? Soprattutto se hai altri pensieri per la testa?”
Dovetti
concordare che il suo ragionamento aveva perfettamente senso.
“Ma
giri
sempre così, da solo? Non è
pericoloso?” gli avevo poi domandato, stranita dal
fatto che non fosse circondato da un gruppo di enormi bodyguard.
“Devo
confessarti che capita spesso che me ne vada per conto mio, sono un
tipo
piuttosto..ehm..diciamo testardo e disobbediente, al quale piace fare
un po’
come gli pare” aveva ammiccato “Ma
c’è chi vorrebbe che girassi sorvegliato
tutto il tempo. Comunque, in questo caso, non siamo propriamente
soli…”
Avevo
strabuzzato gli occhi, senza capire: “Cosa intendi
dire?”
Accostatosi
a me, e acquisito il mio stesso punto di vista aveva cercato di darmi
qualche
indicazioni: “Ecco, vedi quel uomo
laggiù?”
Annuii.
“E’
un
ottimo attore non trovi? Sembra una persona qualunque, impegnata nelle
sue
faccende, ma in realtà…”
In effetti
in seguito, mentre ci spostavamo, avevo notato che il tipo con cappotto
e
ventiquattrore non aveva smesso di seguirci un momento, sebbene a
distanza e
senza disturbarci con la sua presenza.
Di certo il
momento più strano della giornata era stato quando, fermati
da una giovane
coppia vicino al Comune della città, Ville non era stato
l’unico a cui era
stato richiesto un autografo.
“Cosa?
Stai
scherzando vero?” avevo domandato stranita dalla domanda.
“No
davvero!” aveva insistito il ragazzo, porgendomi il foglio
dove svettava la
dedica di Ville “Eravamo al Midnight Wish qualche giorno fa e
ti abbiamo
sentito cantare! Magari avremo in anteprima l’autografo di
una stella nascente”
aveva sorriso.
E
così mi
ero ritrovata a firmare il mio primo autografo – pardon, il
mio secondo
autografo in effetti.
“Visto?
Non
sono l’unico a credere certe cose allora” aveva
rincarato la dose il darkman,
una volta che ci eravamo trovati di nuovo soli.
“Sai,
inizio a pensare una cosa…”
“Ti
stai
finalmente convincendo di essere brava?” aveva domandato
petulante, con
l’espressione di chi è convinto di aver sempre
ragione.
“No”
avevo
sbuffato “Piuttosto credo che voi finlandesi abbiate qualche
rotella di meno”.
E
così
adesso eravamo in quel bar, ad aspettare la mia acqua tonica e il suo
caffè.
“Com’è
il
rapporto con tuo fratello?” domandai d’un tratto,
curiosa.
“Mh”
mormorò Ville, risollevandosi e massaggiandosi il mento
pensieroso “Siamo una
squadra troppo scoppiata” ridacchiò “Ma
immagino che rispetto a molti altri
fratelli andiamo piuttosto d’accordo. Lui è un
grande. Ricordo ancora quando,
mentre suonavamo, sbucava dal suo nascondiglio dietro qualche mobile
nel
garage: ogni volta lo cacciavamo via, accusandolo di disturbarci.
Poveretto.”
Sorrise all’immagine “Era appena un ragazzino, ma
mi ha sempre sostenuto nella
mia carriera. Ed è sempre stato uno dei nostri
più grandi fan. Anche lui ha una
band sai? Ed è molto bravo” mi informò
con orgoglio “ma soprattutto e un
campione di Thai box, anche se ormai ha lasciato. In generale comunque
sì direi
che andiamo piuttosto d’accordo”
Rimasi
affascinata ad ascoltarlo, scoprendo così che più
lo conoscevo più la mia
“adorazione platonica e irrazionale” (come era
stata definita da una mia amica
tempo prima) non faceva altro che trasformarsi in simpatia sempre
più profonda.
“E tu
invece?” mi chiese poi, giocherellando con il contenitore dei
tovagliolini.
“Qualche bestia feroce in casa?”
Scossi la
testa, colta d’un tratto da una lieve tristezza:
“No, sono figlia unica. Anche
se Arianna è un po’ come una sorella per
me”
Ville
sembrò percepire immediatamente il cambio di tono nella mia
voce e come per un
riflesso involontario sembrò avvicinare la mano, per
sfiorare la mia, ma la
ritirò immediatamente, cercando di dissimulare il gesto.
Accorgendomi
del suo imbarazzo, voltai subito lo sguardo verso destra, fingendomi
molto
interessata nell’osservare l’arrivo di un gruppo di
ragazzi al tavolo a fianco
al nostro.
“Siete
molto legate vero?” udii la sua voce domandare qualche
secondo dopo.
Annuii con
un sorriso, rincontrando i suoi occhi “E’
più che un’amica, più di una sorella,
quasi…” mi fermai d’un tratto,
accorgendomi che la conversazione stava
diventando troppo personale, e su quella strada avrei finito per
raccontare
particolari della mia vita che dovevano restare solo miei. Parlare con
Ville
era così naturale, ma non potevo distruggere il mio scudo
protettivo.
Il frontman
capì immediatamente che non era il caso di insistere:
“Sai, i ragazzi ancora
hanno ben impressa nella mente la sua sfuriata”
scherzò, alleggerendo la
tensione.
“Non
è
molto saggio in effetti farla arrabbiare” concordai
“Ma è una ragazza
dolcissima di solito e simpatica come poche”
“E
con
ottimi gusti musicali, oltre che una bella voce” intervenne
lui.
“Su
quello
non ci sono dubbi. E sai, adesso che ci penso credo sia grazie a lei
che vi ho
conosciuti” gli confessai, ricordando ancora distintamente,
come se fosse stato
il presente, la prima volta che avevo ascoltato ‘Join
me’ e ne ero rimasta
completamente rapita. E’ impressionante come la memoria posso
dipendere dai
suoni e ancor di più dalle melodie. Quasi riuscivo a vedere
il tappeto di
foglie davanti alla panchina in quel parco vicino a casa, e sentire il
profumo
della pioggia, mentre una più giovane Arianna mi osservava
sorridendo ascoltare
estasiata il suo walkman.
Nel
frattempo la nostra amica cameriera era ritornata con il nostro ordine;
rimase
molto delusa nel constatare che adesso Ville era troppo preso dalla
conversazione con la sottoscritta per darle retta. Dal canto mio, non
potevo
che non sogghignare sotto i baffi.
“Devo
proprio?” domandai sbirciando sconsolata il mio bicchiere di
acqua tonica.
“Certo”
rispose risoluto, riassumendo la parte del fratello maggiore o del
sergente
maggiore
Mi
rammentai d’un tratto del suo messaggio: “Ricordo
male o mi avevi promesso un
caffè?” lo pungolai.
“Questo
era
prima che tu cercassi di barare e chiedessi un Irish
coffee!” rispose Ville prontamente “E poi inizio a
sospettare
che la caffeina non avrebbe un effetto…come
dire…salutare, sulla tua persona”
Non
raccolsi la provocazione, e facendo finta di non aver sentito, mi
accinsi a
bere dal mio bramato bicchiere.
E
d’un
tratto accadde qualcosa di assolutamente inaspettato e, almeno
all’inizio,
assolutamente imbarazzante.
Ero ancora
in un offeso silenzio, a sorseggiare la mia acqua tonica, sotto
l’incessante
sguardo del darkman, quando sentii qualcosa sfiorarmi la gamba,
all’altezza
della caviglia.
Mi bloccai
immediatamente, deglutendo a fatica, e spalancai gli occhi. No, non era
possibile. Ma di certo non c’era altra spiegazione razionale.
Ma Ville non
poteva aver…cioè non poteva – oddio era
imbarazzante anche solo da pensare – non
poteva assolutamente aver strusciato il
piede contro la mia gamba!
Le mie gote
si infiammarono e il collo del maglione aveva iniziato a pizzicare
terribilmente.
Cercai di
allargarlo un poco, per respirare con maggior facilità, e
naturalmente il
frontman non trascurò il mio gesto.
“Non
dirmi
che l’acqua tonica era avvelenata” mi prese in giro
“o vuoi soltanto farmi
sentire in colpa per non aver ordinato qualcosa di alcolico?”.
Non
risposi, cercando di riprendere il controllo. Dopotutto potevo soltanto
averlo
immaginato. In questo periodo la mia mente era stata fin troppo
sollecitata e
la mia fantasia stava iniziando probabilmente a galoppare, ormai senza
freni.
Ma proprio
quando stavo per riuscire a convincermi da sola delle mie congetture,
accadde
di nuovo: questa volta il gesto fu ancora più intenso, lento
e prolungato,
tanto da provocarmi non pochi brividi e una tachicardia non proprio
normale.
Completamente
stordita e senza parole, non riuscii a trattenermi: “Ma cosa
stai combinando?”
sbottai, a voce troppo alta, cosa di cui mi vergognai terribilmente
qualche
istante dopo.
Lui mi
guardò allarmato e senza capire: “Cosa
intendi?”
Sempre
più
rossa e imbarazzata, mi avvicinai un poco, mantenendo un tono
più pacato e
privato; anche Ville accorciò le distanze per potermi
ascoltare meglio: “Beh,
sì hai capito” bisbigliai “Smetti
immediatamente di fare quello che stai
facendo. Ma ti sembra il caso?”
Lo sguardo
che mi rivolse non fu di certo molto confortante, più che
altro sembrava stesse
considerando seriamente l’ipotesi che fossi uscita di testa,
o che venissi da
un altro pianeta: “Non ho assolutamente idea a cosa tu ti
stia riferendo”
Come poteva
essere un attore così bravo? Dava quasi sui nervi. Di certo
l’aveva fatto
apposta. Per mettermi a disagio e schernirmi e adesso, adesso dovevo
anche
dirlo ad alta voce e…
Scossi la
testa: “Oh beh, smettila di…”
chissà come si diceva in inglese “di…di
sfiorarmi
la gamba con il tuo piede!” terminai in un sussurro.
La mia
temperatura corporea doveva essere salita alle stelle, ma quello che mi
lasciò
assolutamente spiazzata fu il constatare che anche il viso di Ville
aveva
cambiato decisamente colore. Per qualche secondo rimase impietrito,
come
incapace di parlare: “Ma io non ho fatto nulla”
mormorò alla fine,
impacciatissimo, quasi fosse tornato adolescente.
Ora proprio
non sapevo come non avrei potuto credergli.
“Ma
allora…se non sei stato tu…” scosse la
testa; ci guardammo stupiti e poi
entrambi ci abbassammo contemporaneamente per sbirciare sotto il
tavolino.
Non vi dico
la sorpresa, quando mi ritrovai a fissare gli occhi gialli di un
piccolo gatto
dal morbido manto d’ebano, accoccolato accanto alla mia sedia.
“E tu
cosa
ci fai qui?” domandai all’animale, corrugando la
fronte. Non appena
incontrai lo sguardo del darkman
esplodemmo in una fragorosa risata, mentre l’imbarazzo andava
via via scemando.
Presi il
micio per la collottola e lo deposi sulle mie ginocchia. Certo avevo
fatto una
gran bella figura! Ero un disastro totale. Anche se dalla mia parte
stava il
fatto che non era una cosa proprio comune trovare un gatto che non hai
mai
visto strusciarti contro le gambe in un bar. O forse ad Helsinki lo era?
Per
distrarmi da ricordi ancora troppo recenti e poco piacevoli, cominciai
a
carezzare con delicatezza il morbido pelo, mentre il felino mi scrutava
con
attenzione e in profondità, quasi stesse cercando di
ipnotizzarmi.
Subito mi
tornarono alla mente le parole di una poesia, e quasi senza
accorgermene mi
ritrovai a recitarle, in un francese forse non troppo perfetto:
“ Viens,
mon beau chat, sur mon cœur amoureux;
Retiens
les griffes de ta patte,
Et
laisse-moi plonger dans tes beaux yeux,
Mêlés
de métal e d’agate.”
Terminata
la prima strofa un sorriso ebete e stupito si dipinse sul mio viso,
mentre la
profonda voce di Ville si affiancava alla mia nel recitare la poesia.
“Lorsque
mes doigts caressent à loisir
Ta
tête et ton dos élastique,
Et
que ma main s’enivre du plaisir
De
palper ton corps électrique”
Poi mi
fermai, per ascoltarlo estasiata ripetere gli ultimi versi.
“Sei
una
continua sorpresa, Elisa” mormorò, con voce un
poco trasognata, ancora immerso
nella magia che solo la poesia può regalare.
Per quanto
mi riguardava, ero ancora ad un palmo da terra, con la sua voce nelle
mie
orecchie a risuonarmi leggera e a scuotere ogni fibra del mio essere.
“Non
sapevo
conoscessi il francese” commentai stupita.
“Appena
appena” sogghignò lui “Ma queste poesie
le so ormai a memoria, anche nella loro
lingua originale, dopo averle letto per così tante
volte”
“Dalla
tua
pronuncia si sente che hai avuto più tempo di me per
esercitarti” sorrisi,
vergognandomi del mio modo terribile di masticare quella lingua.
“Non
posso
crederci” scosse la testa, trattenendo una risata
“Non dirmi che nemmeno tu hai
mai studiato il francese, e che ti sforzi di parlarlo solo per riuscire
a
recitare le sue poesie”
Annuii
timidamente: “Per riuscire a catturare un po’ di
più l’essenza dei versi di
Baudelaire e…”
Mi
fermò
con un gesto: “Non c’è bisogno che me lo
spieghi. So bene cosa intendi”
La padrona
del bar, non appena si fu accorta di che fine aveva fatto il suo micio,
fuggito
dal retro del locale, accorse subito al nostro tavolo, domandandoci
infinite
scuse per l’inconveniente.
Le
assicurai che era stato soltanto un piacere poter coccolare il suo
splendido
animale, e quasi mi dispiacque consegnare fra le sue braccia il morbido
batuffolo di lana nera.
“Ti
manca
forse la vista a raggi x, ma credo che i tuoi occhi siano molto simile
a quelli
del Gatto” mi confidò Ville, abbandonando
immediatamente la venatura ironica
del principio della frase.
“Vuoi
dire
che anche io ho gli occhi gialli?” chiesi, sbattendo le
ciglia.
“No”
spiegò
serio “Ma profondi, e freddi, come l’onice, e
taglienti come frecce. Mi
piacciono molto i tuoi occhi” terminò con un
piccolo sorriso. Le mie gote
andarono di nuovo a fuoco, di fronte al complimento; con molto buon
senso,
Ville aggiunse immediatamente: “Certo non quanto amo i
miei”
Risi alla
battuta, ma ormai la mia testa era lontana.
Hai gli
occhi più particolari che abbia mai visto, sai? Non
nasconderli.
Chissà
se ancora ricordava quella mattina e quello che era successo fra
noi? Probabilmente sì, forse però cercava di
cancellarne la memoria, forse ci
stava riuscendo. Di certo non poteva ricordare ogni frase e ogni
parola,
impresse a fuoco nella mia mente, come nel mio cuore.
“Usciamo?”
il darkman mi riportò al presente, praticamente
già in piedi
vicino alla sua sedia.
Lo precedetti
svelta fuori dal locale, dopo essermi naturalmente avvolta
stretta stretta nel mio caldo cappotto.
Ma appena misi
piede oltre la porta mi bloccai a bocca aperta, tremando
come una foglia per il cambio di temperatura, e forse anche un
po’ per la
meraviglia.
“Oh
mio Dio” boccheggiai “Ville hai visto!”
gli gridai quasi nell’orecchio,
afferrando con troppa foga la sua mano.
Rimase un
attimo scosso dalla mia reazione violenta e si massaggiò con
una smorfia l’orecchio bombardato.
“Scusami”
lo pregai con un sorriso di passare sopra al mio comportamento
esuberante “E’ solo che…” il
mio sguardo era di nuovo perso e sognante, rivolto
verso tutto ciò che mi circondava.
“Non
hai mai visto la neve?”
domandò il frontman stupito.
“Sì,
ma…non così!”
Nel giro di
un’ora o poco più tutto si era fatta completamente
bianco,
coperto da uno spesso e soffice velo candido, e ancora fiocchi
giganteschi continuavano
a cadere silenziosi e instancabili.
“Qui
accade spesso” mi informò Ville “anche
in primavera. Ogni tanto ci
sono queste terribili ondate di freddo e non è raro che
inizi anche a nevicare
cani e gatti” scherzò, modificando il proverbio
inglese.
“E’
bellissimo” sospirai, lasciando la presa intorno alla sua
mano e facendo
qualche passo avanti, protendendo il braccio in avanti per sfiorare la
neve.
“Lo
so. C’è
qualcosa che però adoro più di tutto”
mi confidò avvicinandosi.
Non ebbi
nemmeno il tempo di domandargli di cosa si trattasse, che una grossa
palla
gelata si era già insinuata dentro il collo del mio maglione.
“Sei
matto!” imprecai in italiano, troppo sconvolta per ricordarmi
di usare la
lingua inglese, allontanandomi il più possibile da lui e
dalle sue spire.
“Esattamente
questo” rise malvagiamente “Non so cosa tu abbia
detto, ma sembrava divertente”
“Ho
detto
che sei completamente fuori di testa! E…” mi
abbassai il più velocemente
possibile per raccogliere la neve “ora me la paghi”
gli gridai, scagliando la
pallina, e colpendolo esattamente in piena faccia.
“Ma...come
diavolo hai fatto?” domandò attonito per la mia
precisione.
Scoppiai a
ridere: “Non ne ho idea. La Giustizia ha guidato il lancio,
immagino”
Ville
sbuffò, prima di raccogliere altra neve e iniziare a
rincorrermi: “Te la faccio
vedere io la giustizia!”
“Corri
come
una femminuccia, Fragolino!” lo punzecchiai, mentre fuggivo,
cercando di
scansare le persone che ci guardavano scuotendo bonariamente la testa
per la
nostra pazzia.
Quando le
mani di entrambi erano ormai troppo congelate per poter mettere insieme
un’altra palla di neve, la nostra battaglia raggiunse
finalmente una tregua.
Allargando
le braccia, come ali dispiegate, iniziai a girare in tondo su me
stessa, ad
occhi chiusi, persa nel turbinio di candide farfalle.
Volteggiai,
ancora e ancora, immersa nel mio volo irreale, al suono di una musica
immaginaria, come spesso avevo fatto, sola nella mia stanza, fino a
quando la
testa non cominciò a girarmi e le gambe si fecero molli,
tanto da non reggere
più il mio corpo.
Caddi per
terra, sprofondando nel gelido manto.
Ville mi fu
subito accanto, preoccupato: “Stai bene?” riconobbi
subito la sua voce
allarmata a pochi centimetri dal mio viso.
Aprii un
momento gli occhi, ma ancora le immagini erano doppie e sfuocate,
quindi li
richiusi di scatto, aspettando che tutto tornasse normale
.
Le mie
labbra si incurvarono alla fine in un sorriso divertito:
“Certo. Mai stata
meglio”
Anche
l’espressione del darkman si addolcì suo malgrado:
“Sei…” scosse la testa, non
trovando le parole adatte
“…indescrivibile”
“Lo
prenderò come un complimento”
Lui
arricciò un po’ il naso “Non proprio. Ma
adesso andiamo, prima di morire
assiderati” si sollevò velocemente dal suolo,
scuotendo parte della neve che
aveva addosso, anche se restava ancora completamente zuppo, come la
sottoscritta del resto.
Una volta
in piedi allungò una mano per aiutarmi: ma quando mi fui
alzata mi accorsi che
le gambe non erano ancora pronte a sopportare tutto il mio peso. Sarei
di certo
caduta di nuovo se Ville non fosse stato pronto a sorreggermi.
Prese una
della mie braccia e la avvolse saldamente intorno alla sua vita, poi
mise il
proprio sopra le mie spalle, e così abbracciati
ricominciammo a camminare,
ondeggiando un poco come due ubriachi.
“Per
fortuna non ti ho fatto bere alcolici, se no chissà dove
saremmo finiti”
brontolò, non appena rischiammo di inciampare per
l’ennesima volta nei nostri
stessi piedi.
Iniziai a
ridere come una sciocca, contagiando presto anche il mio compagno di
avventure.
Fummo
scossi da diversi tremiti, un po’ per le risa sconnesse, un
po’ per il freddo.
Ci
stringemmo ancora più uno all’altra, cercando di
scaldarci a vicenda. Con il
capo appoggiato alla sua spalla, mi sentivo ubriaca sì, ma
del suo profumo e della
sua vicinanza, mentre la sua voce mi sussurrava all’orecchio
quanto fossi
pazza.
________________________________________________________________________________
Ehhehehehheeh
Fortuna che c’è
la Lu che mi ricorda di aggiornare!! Sono una
pigronaaa..ma adesso eccomi qui!! Oggi non mi dilungo con le
sciocchezzuole..Ditemi
voi cosa ne pensate di questo capitoletto^^
AHh naturalmente la poesia
è del Grande Baudelaire, Il
Gatto. Davvero troppo bella!
Mi ci chiuderei a leggere a vita
quelle poesie *.*
Un grassie grandizzimizzimo alla
Linkin Park-->
poveraaaa, lo sooo!! Me dispiace tanto che tu abbia dovuto scavare
così tanto
tra tutte quelle storiee..ma sono tanto felice che tu abbia letto il
capitoletto!! Dimmi dimmi che cosa ne penzi di questo qui^^ Baciunzoli
E alla mia dolcissima
Lu-->hihihi zii quella frase ci sta
troppo in bocca a ville!! Almeno per meXD Sono contentissima che ti sia
piaciuto il capitolus^^ Sì in effetti l’inchiodata
era un po’
cattivella..ma..vabbè nulla..me tace!! Ecco qui il nuovo
chapter!! È grassie a
te che è qui^^ dimmi cosa ne pensi^^
Grazie millissime anche a chi ha solo
letto!!
VenomousKisses
La vostra
FallenAngel
|
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Capitolo 13 *** Knocking on Hell's door ***
Chapter
12
Knocking
on
Hell’s door
Don’t wake the Wildcat up
11 Maggio
Mi trovavo
ancora una volta sul palco del Midnight Wish, ma in questa occasione
non stavo
esercitando le mie corde vocali, no; ero seduta sul ciglio della
piattaforma,
le gambe a penzoloni.
Non
c’era
nessun pubblico ad applaudire o tirare pomodori marci, il silenzio
regnava sovrano
e il locale era deserto, solo una luce fievole e diffusa a lambire i
contorni
dei tavolini e del bancone lontano.
Beh, in
realtà quasi deserto.
“Sapevo
di trovarti
qui” mormorò una voce profonda alle mie spalle,
facendomi voltare di scatto.
“Come
sempre” sorrisi alla sagoma scura che si avvicinava a grandi
passi.
Ville prese
subito posto al mio fianco, dandomi una piccola spinta con la spalla:
“Scusa”
ridacchiò, mettendo le mani avanti e fingendosi, senza
neanche troppo impegno a
dire il vero, dispiaciuto.
“Sei
proprio un imbranato” sbuffai sonoramente e in tutta risposta
il darkman
allungò una mano per scompigliarmi la frangia.
Questa
volta non ebbi però tempo di arrabbiarmi, perché
ogni facoltà di pensiero si
congelò nella mia testa, e la voce rimase bloccata in fondo
ad un pozzo, quando
le sue dita scivolarono tra i miei capelli, fino a sfiorare la pelle
calda del
collo.
I suoi
occhi si posarono gravi su di me: “Ti ho cercato
perché…perché devo dirti una
cosa”
Annuii
brevemente, invitandolo a continuare.
Lui ritrasse
il braccio e voltò il capo, fissando il pavimento. Non lo
avevo mai visto tanto
agitato e stavo iniziando a preoccuparmi.
“Ecco…”
incominciò “Domani dobbiamo partire per una specie
di tour”
“Oh”
fu
tutto quello che riuscii a dire. “Non sapevo ne aveste uno in
programma”
aggiunsi dopo lunghi istanti di silenzio.
“No,
infatti non era programmato” spiegò scuotendo la
testa “E’stata una proposta
venuta fuori all’ultimo momento. Ma abbiamo deciso di
accettare comunque”
Mi sforzai
di piegare le labbra un piccolo e debole sorriso: “Sono
sicura andrà benissimo.”
Doveva
andare. Andarsene via.
Mi morsi un
labbro, mentre sentivo un peso crescere all’altezza del
petto, e i miei occhi
iniziare a bruciare.
“Quanto
starai via?” mi informai, sebbene non volessi davvero
conoscere la risposta.
“Non
lo so
esattamente. Ma almeno un mese”
La sua voce
mi trafisse come un pugnale.
“Ma…”
continuò, tornando finalmente a posare il suo sguardo su di
me
“c’era…c’era
un’altra cosa che volevo
chiederti...”
“Cosa?”
domandai, deglutendo a fatica per la tensione.
“Beh,
so
che è una cosa assurda: ma….Vorrei tanto che
venissi con noi”
I miei
piedi, che prima avevano colpito ritmicamente e senza sosta il lato del
palco, spinti
dall’agitazione crescente, si
bloccarono immediatamente.
“Stai…stai
dicendo sul serio?” boccheggiai, guardandolo con gli occhi
spalancati.
Ville prese
la mia mano, appoggiata, o meglio abbarbicata, ai jeans.
“So
che può
sembrare una richiesta sciocca, ma non me la sento di andarmene e non
vederti
più per chissà quanto tempo” mi sorrise
con dolcezza, accorciando la distanza
fra di noi, tanto che potevo sentire il suo respiro caldo sul mio viso
e il suo
cuore battere veloce insieme al mio.
“E’
molto
sciocco infatti” mormorai, non riuscendo a staccare gli occhi
dalla sua bocca,
ormai senza respirare.
La sua voce
era poco più di un sussurro mentre le sue parole carezzavano
dolcemente le mie
labbra: “Non mi interessa essere ragionevole”
Abbassai le
palpebre, perdendomi completamente in quel bacio: esistevano soltanto
la sua
lingua, che combatteva sensualmente con la mia, le mie dita,
intrappolate tra i
suoi capelli, le sue mani, avide sulla mia schiena e sui miei fianchi.
Ma
d’un
tratto un rumore assordante ruppe la magia.
Ci
separammo spaventati, ricercando la fonte di quel trambusto. Le sedie
di un
tavolo poco lontano erano state tutte sbattute contro il pavimento e
giacevano
abbandonate e inerti, capovolte con le gambe all’aria. Una
sagoma si faceva
strada nella sala di nuovo immersa nel silenzio.
“Il
gioco è
finito ragazzina” tuonò l’intruso
“Tornerai a casa con me”
“Mai”
gridai di rimando, mentre la rabbia mi faceva tremare le mani.
Mi girai
verso Ville, in cerca di aiuto e di conforto, ma il darkman era sparito.
“Farai
quello che ho detto invece” ribattè mio padre,
ormai a pochi passi da me; ed
ecco la sua presa ferrea intorno al mio braccio e
quell’inconfondibile lezzo di
alcool.
Volevo
scappare, ma le gambe sembravano aver perso ogni possibilità
di movimento.
Ero in
trappola…
…
Mi svegliai
all’improvviso, sentendomi soffocata dalle coperte e con un
disperato bisogno
d’aria che sfiorasse il mio volto accaldato.
Era stato
solo un sogno, uno stupido sogno.
Cercai con
gli occhi nell’oscurità la mia compagna di
viaggio, incontrandone la sagoma
profondamente addormentata al mio fianco.
Nella mia
mente era ancora impresso il volto adirato di mio padre e mi stupii di
quanto
ancora lo ricordassi bene: avevo cercato di dimenticarlo, di
cancellarlo dalla
mia memoria, ma per quanti sforzi avessi fatto i suoi occhi neri
d’odio
continuavano a perseguitarmi.
Ma adesso
lui non era lì, non sapeva dove mi trovassi, ero al sicuro.
Tentai di
autoconvincermene per diversi minuti; tuttavia una morsa sempre
più stretta
attanagliava il mio stomaco e il disagio e il timore sembravano non
aver alcuna
intenzione di abbandonarmi.
Cosa
sarebbe successo se fosse riuscito davvero a trovarmi?
E, cosa
più
importante, avrei potuto davvero continuare a scappare per il resto
della mia
vita?
Erano ormai
passate quasi tre settimane da quando ero arrivata ad Helsinki ed era
stato
tutto stupendo, un periodo magico, ma decisamente irreale.
Di certo
non sarebbe potuto durare per sempre. Non sarei potuta restare in
quella
camera, trascorrendo le mie giornate senza combinare nulla di
costruttivo,
semplicemente divertendomi e passando da un locale all’altro.
Quando ero
partita, o meglio fuggita, non avevo pensato al futuro, a quello che
sarebbe
successo. Avevo impacchettato le mie cose ed ero salita su un aereo.
Ma adesso
era arrivato il momento di affrontare i problemi. Forse avrei dovuto
rifare le
valigie e tornare a casa. Quella era di sicuro la cosa più
sensata da fare. Ma
era anche la scelta più lontana dai miei desideri.
Chiamatemi
sciocca, pazza, fuori di testa, ma non mi sarei mai riabbassata a
rimettere
piede sotto lo stesso tetto di quell’uomo. Dopotutto fra meno di due mesi sarei
diventata
maggiorenne e non avrebbe trovato nessuna legge utile per incastrarmi
ancora
una volta.
Non avevo
altro luogo dove tornare, che potessi chiamare casa con cognizione di
causa,
quindi almeno per quel momento non desideravo lasciare quella
città che tanto
mi aveva dato. C’erano Luke e i ragazzi, i quali erano ormai
vicini a firmare
un contratto con la casa discografica; c’era Katriina,
c’era Gabriel e c’erano
tutti i nuovi amici. C’era Ville…
Scacciai la
sua immagine dalla testa, sentendomi completamente infantile. Una
stupida
sognatrice.
Invece
dovevo restare concentrata, concentrata sulla realtà.
Se volevo
rimanere ad Helisinki era necessario che trovassi un posto dove vivere,
e un
lavoro. Non che avessi un bisogno impellente di denaro. Quello non era
mai
stato un vero problema; anche se mio padre avesse deciso di tagliarmi
completamente i fondi.
Mia madre
aveva un fratello, mio zio, anche se era per me quasi uno sconosciuto.
Aveva
accettato di incontrarmi in un paio di occasione ed era stato subito
molto
chiaro nei suoi propositi: sposato senza figli, non aveva certo voglia
né tempo
di occuparsi di una nipote nata da una relazione che non aveva mai
approvato.
Restavo sempre senza una famiglia, ma avevo un appoggio finanziario
davvero
consistente.
Ciò
non
toglieva che non potevo nemmeno vivere alla stregua di un parassita per
tutta
la mia esistenza. Dovevo almeno cominciare da qualcosa di piccolo.
Discretamente
soddisfatta del mio progetto ancora molto approssimativo, mi sentii un
poco più
rilassata, con un peso in meno ad opprimermi il petto.
Ma questa
sensazione non durò a lungo.
C’era
ancora una parte del sogno con cui fare i conti. La parte decisamente
più
piacevole ma altrettanto inquietante. Lo sentivo: il mio già
labile filo
conduttore con il mondo reale si stava pian piano sfaldando
completamente.
Qualche
sorriso e piacevoli ore trascorse insieme, e già cominciavo
ad illudermi.
Illudermi che Ville provasse per me qualcosa di più che una
simpatia.
Chiunque
avrebbe dato chissà cosa per avere la sfacciata fortuna che
mi era toccata,
senza alcun merito, e io mi trovavo a desiderare di più.
A
desiderare le sue labbra e le sue carezze; e tutto era così
sbagliato e fuori
dalla mia portata.
Arianna
cominciò a mugugnare qualche frase senza senso contro il suo
cuscino e mi
distrasse dai miei pensieri.
Mi domandai
per quanto tempo fossi rimasta a fare piani e congetture: sembrava
un’eternità.
Con qualche
altro suono indefinito la mia amica cominciò a stiracchiarsi
e finalmente si
sollevò, recuperando dal comodino il cellulare per sbirciare
l’ora.
Evidentemente convinta che, almeno per i nostri standard, fosse ancora
presto
riaffondò pesantemente sotto le coperte.
“Qualcuno
sta cercando di superare il mio record da ghiro” commentai,
rompendo il
silenzio.
Arianna si
alzò di scatto, esterrefatta: “Sei già
sveglia?” domandò, con un tono di voce,
sconvolto.
Le tirai il
mio cuscino sulla testa con davvero poca delicatezza:
“Sì! E non è proprio il
caso di essere così sorpresi!”
Mi alzai
quindi dal letto, per aprire le spesse tende e lasciar filtrare una
dispettosa
luce.
“Sei
una
persona orribile!” mi accusò la rossa, coprendosi
gli occhi “Ma scusa! Non
avrei mai pensato di trovarti sveglia alle 8 e mezza del mattino! Cosa
ti è
successo?” mi interrogò, con una punta di
curiosità.
“Incubo”
spiegai, senza entrare nei particolari “E poi mi sono fermata
un po’ a pensare”
La osservai
mentre cercava di abituarsi all’improvvisa
luminosità, sbattendo più volte le
palpebre e riavviandosi indietro i capelli.
“A
proposito…c’è qualcosa di cui ti vorrei
parlare” cominciai, tormentando con le
dita il bordo del mio pigiama.
Annuì,
grattandosi la punta del naso: “Dimmi”
“Beh” esitai “Mi sono resa conto
che…” ma il mio discorso venne interrotto da
un improvviso bussare alla porta.
Io e la mia
compagna di stanza ci guardammo stupite: chi poteva essere alle otto e
mezza
del mattino? Non conoscevamo nessuno di
tanto…ehm…mattiniero.
Non avendo
ottenuto alcuna risposta, i battiti si fecero più
insistenti. Spinta dalla
curiosità mi avvicinai alla porta e sbirciai dallo
spioncino, ma tutto sembrava
molto appannato. Diedi allora un segno di vita:
“Sì?”
“Servizio
in camera” proclamò una voce decisamente molto
acuta.
“Hai
ordinato da mangiare?” domandò meravigliata
Arianna dal letto, tirandosi un
poco più su, un’espressione ancora non
propriamente sveglia stampata in faccia.
“No”
scossi
la testa, facendo velocemente mente locale. No, avevo passato tutta la
mattinata a letto al buio, quindi…
La rossa
fece spallucce: “Avranno sbagliato”
“Mi
dispiace, deve esserci stato un errore” gridai al legno scuro
della porta.
“Nessun
errore!” mi assicurò la voce “Stanza 127”
Sbuffai,
tornando a fissare la mia amica: “Che faccio?”
“Dai
apri.
Vediamo cosa hanno portato. Mi è venuta una discreta
famina” ridacchiò, prima
di uscire da sotto le coperte e infilarsi in bagno.
Sovrappensiero,
poggiai la mano sulla maniglia, e aprii la porta, non riuscendo a
trattenere un
enorme sbadiglio.
“Sai…sei
decisamente sexy in questa mise!” mi schernì
Ville, squadrandomi con interesse
da capo a piedi, un sorriso beffardo ad incurvargli le labbra.
Rimasi a
guardarlo a bocca aperta per un tempo indefinito, gli occhi fuori dalle
orbite
e incapace di muovermi.
E poi gli
sbattei la porta sul naso.
Fissai a
lungo il piano scuro della porta, poi il mio pigiama dai pantaloncini
slargati
di qualche misura in più e la maglia un tempo rossa e adesso
di un indeterminato
colore, vagamente simile all’arancione. Portai una mano ai
capelli: secchi come
paglia, e non molto diversi da un gomitolo appena attaccato dalle
unghie di un
gatto. Quando mi perdevo profondamente nei miei pensieri ero solita
iniziare ad
attorcigliare le dita tra le ciocche, per rilassarmi. Ogni volta con
molto poco
giovamento per quanto riguardava i capelli stessi. Non osai guardare
allo
specchio in che stato fossero in quel momento.
Ehm.
Fantastico.
Quando mi
fui parzialmente ripresa mi accorsi che ormai il danno era fatto, e
quindi
tanto valeva scoprire cosa diavolo era saltato in mente a quel pazzo e
al suo
degno compagno Migè.
Riaprii la
porta, incrociando le braccia e lanciando fiamme dagli occhi ridotti a
due
fessure.
Ville e il
bassista non si erano di certo arresi dopo il mio caloroso benvenuto:
era
ancora lì, nel corridoio, a ridersela beatamente.
“Siamo
un
po’ su di giri stamattina, eh?” commentò
il frontman “Scesa dalla parte sbagliata
del letto? No aspetta, a giudicare dal tuo aspetto, direi
più che altro
caduta!”
Aggrottai
ancor di più le sopracciglia: “Parla il Sovrano
del fashion? Tu da dove saresti
uscito scusa? Dal grande magazzino dei folletti troppo
cresciuti?” Se io non
dovevo aver fatto un’ottima impressione, certo Ville era
l’ultimo a poter
parlare, imbacuccato fino al naso, con in testa un colorato berretto
ornato per
giunta di pompon! In quel momento aveva ben poco della rockstar bella e
dannata.
Il cantante
si avvicinò di qualche centimetro: “Ma quanto non
è adorabile?” domandò
retoricamente a Migè, mentre mi sfiorava una guancia.
Gli feci
una smorfia.
“Si
può
sapere cosa cavolo ci fate qua a quest’ora? E conciati in
questo modo?”
“Non
credo
sia stata un’ottima idea, Ville. Te l’avevo
detto” ricordò il bassista, ridendo
sotto i baffi.
Ville fece
un gesto con la mano, come per minimizzare le conseguenze della sua
ideona: “Ma
no. La mia sister fa tutta scena. In realtà è
molto felice di vederci. E poi
come avremmo potuto perderci uno spettacolo del genere?”
ammiccò nella mia
direzione.
Naturalmente
non si salvò da una meritata sberla sulla spalla.
“Allora?”
Ma il
nostro battibecco venne interrotto dalla voce di Arianna, appena uscita
dal
bagno dopo una rapida doccia, con addosso l’accappatoio
dell’albergo: “Allora
cosa hanno portato?”
Non appena
si accorse che la porta era ancora aperta e che la sottoscritta non era
da
sola, il suo viso si trasformò in una maschera di
incomprensione “Ma cosa
diavolo…?” e poi di vergogna, non appena i suoi
occhi riuscirono a mettere a
fuoco i due visitatori “Cazzo!” sbottò,
prima di rifuggire in bagno.
“Ehm,
scusatela” mormorai, spostando il peso da un piede
all’altro.
“Non
preoccuparti, tanto non abbiamo capito nulla” si
premurò di informarmi Migè.
Ville non
trattenne una risata: “Beh, diciamo che ormai qualche parola
l’ho imparata…”
“Elisa!”
mi
chiamò Arianna dalla stanza attigua “Potresti
venire qui? Adesso!” la sua voce
non era proprio amichevole.
Mi assentai
un momento, pregando i nostri ospiti di attendere ancora qualche minuto
fuori
dalla porta, dato che la Nostra Reggia, a dire il vero non poco
disordinata,
non era decisamente adatta per accoglierli al momento.
Non appena
ebbi varcato la soglia del bagno Arianna mi fulminò con i
suoi grandi occhi
celesti: “Cosa ci fanno loro qui?”
sibilò, portando una mano alla fronte, tra i
capelli bagnati.
Sebbene
sapessi che era di certo l’ultima cosa al mondo che avrei
dovuto fare, non
riuscii a non sogghignare.
“Davvero,
non è ho idea. Sono sbucati qui all’improvviso!
Secondo te mi sarei fatta
trovare in questo stato se avessi saputo che sarebbero
venuti?” le feci notare
saggiamente.
Sollevò
un
sopracciglio, come per valutare l’idea: “Mmh, no in
effetti non credo. Ma
allora perché sono qui?”
Alzai le
spalle: “E chi lo sa? Se vuoi vado a scoprirlo”
“Sì,
sì vai
pure! Io ti aspetto qui” mi spinsi praticamente fuori dalla
stanza di peso. Ma
non abbastanza in fretta da non permettermi di incontrare senza volerlo
il mio
riflesso nello specchio.
Solo tre
parole: Oh my God.
Decisi di
scacciare assolutamente la spiacevole immagine e mi concentrai su
Ville:
“Allora? A cosa dobbiamo l’onore?”
I suoi
occhi si illuminarono: “Volevamo porgervi un piccolo
invito”
“Ah
sì? E
per cosa?”
“Gita
sulla
neve!” esclamò, mentre il suo sorriso si faceva
più ampio “Una sorta di
settimana bianca ma più corta non preoccupatevi!”
“Cì
sarà
tutto il gruppo. Hanno già preparato le macchine”
illustrò il bassista
compiaciuto.
Sbirciai
fuori dalla finestra: certo la neve non mancava anche nel cortile
dell’hotel,
ma erano così esaltati dall’idea che non me la
sentii di smontarli.
“Ehm…per
me
va bene. Devo chiedere all’Ary…” ma
prima che avessi il tempo anche solo di
voltarmi, la testa della rossa sbucò da dietro lo stipite:
“Okay!” annuì con
entusiasmo.
Che donna.
“Va
bene.
Allora se ci lasciate il tempo di prepararci vi raggiungiamo in un
attimo.
Faremo presto!” assicurai, passandomi una mano fra i capelli.
Cioè, più o meno
presto, mi ritrovai a pensare incontrando quel groviglio.
“D’accordo.
Allora vi aspettiamo al solito posto. E mi raccomando!”
ricordò Ville con tono
perentorio “Indossate abiti pesanti”
Alzai gli
occhi al cielo, già nell’atto di serrare la porta
della camera.
“Ah e
un
ultima cosa!” gridò il darkman (che quel giorno
non era poi tanto darkmanXD ndA),
portando un piede avanti per impedirmi di chiudere.
Lo squadrai
con impazienza: “Sì?”
Riaperta la
porta con una leggera pressione della mano, tirò fuori dalla
tasca un altro
orribile cappello simile al suo e senza troppe cerimonie me lo
schiacciò sulla
testa.
“Ecco
fatto!” esultò soddisfatto.
“E
per
quale motivo di grazia dovrei indossare questo..coso?”
domandai arricciando il naso.
“Perché”
spiegò Ville dando una sistemata al pompon con far teatrale
“Oramai sei anche
tu una famosa rockstar e hai bisogno di un travestimento. Non possiamo
mica
essere perseguitati dai fan e dai paparazzi tutto il giorno!”
“No,
certo
che no”
________________________________________________________________________
Eccoci quiii con il nuovo
capitoletto^^
In primo luogo, non uccidetemi per
quel piccolo bacetto non
proprio realeXD (già una mia amica mi ha percosso per beneXD)
E in secondo luogo, permettetemi
tutte queste licenze su
VilluccioXD Prima
il Fragolino e adesso
il cappello con il pompon, ma insomma…anche lui ha bisogni
di un buon
travestimento no?? Ahahahahah
Va ben. Fatemi un po’
sapere come vi è sembrato questo
chapter!! Sono curiosissima!
Un abbraccio speciale a tutti quelli
che leggono questa
storia! E in particolare a:
@Bell_Lua: zizi davvero non avrei
postatoXD sono una
pigroscola cronicaXD Sono contenta ti ziano piaciute quelle scene. Il
micio è
il mio mito (me lo sono sognato di notteXD) e poi quanto me sarebbe
piaciuto
anche a me beccare Ville in piena faccia muahaahha..nooo scherzoo,
povero! E
naturalmente Baudelaire riesce a regalare sempre quel tocco in
più! Comunque
hai visto che ho postato presto^^ sei fiera di meee??? Dimmi come ti
è parso!
Un baciunzoloo!! (e abbasso l’Irlanda a Marzo!!)
@linkin park: anche tu una fan di
fragolino for life??XD
puoi aggiungerti al club! Ormai per la mia streghetta grimilde Ville se
chiama
solo cosìXD Sono davvero felicizzima che ti sia piaciuto! E
spero che
quest’altro non ti deluda! A preeeesto. Kisses
@Kagome14: grassie grassie!! Anche i
nightwish naturalmente
rule foreve! Sono contenta tu abbia apprezzato! Dimmi cosa pensi anche
degli
altri chapterini se ti va^^ Baciii
@Grimilde: ahhhhhh eccotiiiXD pensavo
avessi abbandonato
definitivamente la tua amatissima eli!! La faccina da
rudolfino..ahahahhahaha..che
forte! Zizi il mio è il mio personaggio preferito in
assoluto, la mia creazione
più stupenderrimaXD Questo chapterin nun so se lo avevi
letto!! Dimmi dimmi che
ne penzi!! E compra “I
Fiori del Male”!
kussss
Allora alla prossima!!
La vostra
FallenAngel
|
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Capitolo 14 *** Flying away ***
Capitolo 13
Flying away
When
I say
No, it’s No!
“…è
stato
davvero orribile.” disse una voce lontana e famigliare.
Tentai,
concentrandomi, di capire a chi appartenesse quella voce, ma i miei
neuroni non
sembravano aver ancora intenzione di funzionare, e il sonno inibiva
ogni
facoltà.
“Non
credo
me ne scorderò mai” aggiunse la voce, e questa
volta non mi fu difficile
riconoscere il tono ironico e divertito di Arianna.
Stava di
certo parlando con qualcuno, ma al momento non ricordavo proprio dove
mi trovassi.
Una parte di me (una grande parte di me) desiderava continuare a
dormire, ma
c’era anche la parte curiosa che era decisa ad aprire gli
occhi.
Ero ancora
in uno stato di torpore e di lotta interiore quando sentii
un’altra persona
ridere di gusto proprio sopra la mia testa. Fu allora che compresi che
il mio
capo non era poggiato contro un morbido cuscino, ma sulla spalla di
qualcuno.
Facile – e al tempo stesso troppo imbarazzante - indovinare chi fosse quel qualcuno.
Sollevai
lentamente la testa e mi stropicciai un poco gli occhi, per poi
ritrovarmi a
fissare le dita sporche di nero. La solita furba.
Ero seduta
al centro, sul sedile posteriore di una macchina. Al volante Gas e
semisdraiato
accanto a lui Migè. Il mio cervello ricominciava finalmente
a rielaborare le
informazioni.
“Ma
salve!”
mi salutò Arianna, sbattendo la mano contro la mia gamba.
“Mhh”
borbottai “Credo di essermi addormentata”
“Molto
perspicace” ridacchiò Ville al mio fianco. Mi
voltai, incrociando gli occhi
allegri del darkman che si stiracchiava le ossa, come fa chiunque sia
rimasto
nella stessa posizione per molto tempo. Chissà quanto a
lungo era restato
immobile per evitare di svegliarmi.
Gli
domandai scusa, per averlo sfruttato senza troppi complimenti come
cuscino.
Lui scosse
la testa, sminuendo il gesto: “Non preoccuparti. Almeno ero
comodo?”
“Sì
sì,
decisamente. Se la tua carriera di cantante dovesse avere presto
termine puoi
sempre proporti come poggiatesta”
“Sì
Ville,
ti ci vedo bene” sghignazzò Gas “Anche
se non riesco veramente a capire come
possa essere comodo quello scheletrino lì”
“Tu
pensa a
guidare” ribattè il frontman, facendo una smorfia.
“Certo,
certo. Siamo arrivati comunque” annunciò,
parcheggiando la macchina, accanto ad
una jeep.
“Qualcuno
svegli il nostro angioletto” scherzò Ville,
riferendosi al bassista della band,
che mi aveva a lungo fatto compagnia tra le braccia di Morfeo.
Appena
scesa dalla macchina rabbrividii mio malgrado: il clima era se
possibile ancora
più gelido che nella capitale. Il cantante fu subito al mio
fianco, l’orribile
cappello colorato stretto in mano.
“Non
dimentichi qualcosa?”
Feci finta
di scappare.
“E
dai!” mi
pregò “Ti stava così bene!”
Sospirai,
riinfilandomi il berretto con il pompon. Ville si premurò di
trarre fuori i
miei lunghi capelli dal cappotto e sistemare ancora meglio il nostro
segno di
riconoscimento: “Ecco perfetto!”
“Siete
adorabili!” esclamò Manna con un sorriso, mentre
lei, Linde, Burton e la sua
compagna, che ci avevano seguito con la macchina del chitarrista, si
avvicinavano
a grandi passi “Posso farvi una foto?”
domandò tirando fuori con prontezza la
sua macchinetta dallo zaino.
“Fuori
questione!” “Ma certo!” furono le nostre
immediate e opposte risposte.
Tutti
scoppiarono in fragorose risa.
“Su
Eli non
fare il solito Bastian contrario!” mi incitò la
rossa “Vieni sempre tanto bene
nelle foto!”
Le lanciai
un’occhiata di fuoco: “Ma dove?”
“Ehm…okay
forse non è vero” confessò
“Ma sembrate davvero due gemellini!”
Approfittando
della mia distrazione, mentre ero intenta a rispondere per le rime alla
mia
amica, Ville mi abbraccio da dietro all’improvviso,
allacciando le sue braccia
intorno alla mia vita. D’un tratto non ricordai nemmeno
quello che stavo per
dire.
“Scatta
presto! Approfittane finché la mia Furia è ancora
in catene!” avvertì Manna,
tenendomi sempre stretta a sé e poggiando l’incavo
del suo collo sopra la mia
spalla “E tu vedi di sorridere” mi
ammonì con un sussurro.
Se non ci
fossero state le sue braccia a reggermi immagino che sarei
immediatamente
collassata.
Mi
aspettavo che subito dopo i due scatti il darkman mi avrebbe lasciata
andare,
ma con mia grande sorpresa continuai a sentire il suo corpo attaccato
alla mia
schiena. Non osavo muovere un muscolo.
Arianna si
avvicinò alla cantante per ammirare il risultato; quindi mi
guardò,
strabuzzando gli occhi.
“Non
mi
dire: questa volta la mia faccia è uguale ad un ananas con
la cresta colorata!”
sbuffai: nella mia vita avevo raccolto una vasta collezione di foto
nelle quali
assomigliavo a diversi tipi di ortaggi o agli animali più
strani e dai nomi
irripetibili. Era la mia croce: non ero affatto fotogenica.
“No,
al
contrario!” esclamò esterrefatta “Sei
venuta decentemente!”
“Io
direi
che sono venuti proprio molto bene!” aggiunse Manna, con la
sua smisurata
dolcezza.
Ero
piuttosto scettica: “Mmh, chissà perché
fatico a crederci”
Tutti si
fecero avanti per scrutare la famosa foto e sfornare il loro commento.
Alzai
gli occhi al cielo: guarda se si dovevano comportare in quel modo
teatrale per
una foto!
Tossicchiai:
“Beh…potrei vedere anche io?”
“No,
no,
non dargliela! Altrimenti la cancella di sicuro!” Arianna
scosse risoluta la
testa, avvertendo gli altri del mio brutto vizio di far sparire nel
nulla il
maggior numero di foto possibili nelle quali comparisse la mia persona.
“Non
preoccupatevi! La controllo io!” assicurò il
darkman, afferrando entrambe le
mie mani “Portate qui la macchina”
“Non
c’è
bisogno di tutto questo!” ringhiai, fingendomi arrabbiata
“Prometto di non
cancellarla!”
“Potremmo
anche crederti, ma sento un po’ freddo, quindi non mi
dispiace usarti come
coperta ancora per un po’” mi confidò il
leader degli HIM “In fondo tu hai
approfittato di me come cuscino prima…”
Finalmente
potei posare gli occhi sull’immagine della digitale di Manna,
tenuta saldamente
nelle mani della mia amica, lontano dalla mia portata.
Restai a
lungo in silenzio, mordendomi il labbro inferiore.
“Siamo
assolutamente ridicoli” brontolai alla fine, allontanando i
miei veri pensieri.
“No.
Questo
sarebbe impossibile! In ogni foto trasudo sensualità, non lo
vedi?” asserì quel
borioso di Ville.
Cercai
–
impresa impossibile – di ridurre almeno un poco il suo
smisurato ego. “Ehm…no,
non direi proprio. Continuo a sostenere la tesi del povero Elfo
smarrito”
Punto sul
vivo, il darkman sciolse infine il suo abbraccio, e andò a
poggiare un braccio
sulla spalla di Arianna.
“Pensi
anche tu queste eresie?” le domandò, scrutandola
dall’alto in basso.
“Certo
che
no!” rispose lei prontamente, scuotendo la testa.
“Ecco.
Bene. Allora andiamocene e lasciamo da sola questa matta” la
invitò,
spingendola dolcemente avanti.
“Traditrice!”
la apostrofai. Lei si voltò per lanciarmi un furbo sorriso e
farsi perdonare
con un battito di ciglia, ed un’espressione sulla quale
potevo chiaramente
leggere: ‘In fondo è sempre Ville Valo!’
Come potevo
darle torto?
Ripensai a
quella foto e la mia testa cominciò a farsi leggera. Solo un
mese prima l’unico
modo per avere una fotografia con il frontman degli HIM sarebbe stato
creare un
fotomontaggio.
“Non
vieni?” chiese Migè premuroso sfiorandomi un
braccio: ormai tutti gli altri
erano già in cammino.
“No,
certo
eccomi”
“Non
preoccuparti!” sogghignò raccogliendo con le
grandi mani una montagna di neve
“Ti vendicherò molto presto!”
**
La giornata
era trascorsa troppo velocemente, e quel sole, troppo debole per
sciogliere il
manto bianco che copriva il terreno, sparì ben presto oltre
le basse colline.
Come un
branco di ragazzini, non avevamo fatto altro che rincorrerci tutto il
tempo,
inventando sempre nuove battaglie, e alleandoci a turno tutti insieme
contro
una povera vittima designata al momento. Inutile dire che, come membro
più
giovane della comitiva, mi ritrovai spesse volte a svolgere con mia
immensa
gioia la parte dell’agnello sacrificale.
Plasmammo
anche un fantastico pupazzo di neve, che Burton avrebbe tanto voluto
chiamare
Gas, per le sue dimensioni esuberanti, ma che alla fine fu battezzato
Bob.
Regalai con estremo dispiacere a Bob il mio cappello. Di certo non si
era mai
visto un pupazzo di neve senza berretto!
“Che
ne
direste di un giro sullo slittino?” suggerì
d’un tratto Ville con un sorriso a
trentadue denti.
Il suo
entusiasmo venne accolto da grugniti e mormorii di completo dissenso.
“Io
inizio
ad avere un po’ freddo, non potremmo rientrare?” fu
la controproposta di Linde,
considerata decisamente più ragionevole.
“Mi
vorreste mandare un’altra volta da solo?”
sbuffò il darkman, incrociando le
braccia al petto “Siete un branco di fifoni”
Migè
gli
tirò una pacca sulla spalla: “Lo sai che non piace
a nessuno…e poi lo sappiamo
che tu non resti mai più di venti secondi da solo. Prova a
chiedere a Bob”
Ville
sbirciò il pupazzo con sguardo vago: “Non credo
che starebbe su uno slittino”
“Tenta
con
i nostri nuovi acquisti allora”
Arianna si
fece più piccola sulla panchina ghiacciata sulla quale era
seduta: “Mi sarebbe
piaciuto molto, ma sono troppo distrutta. Mi avete fatto quasi slogare
una
caviglia!” annunciò, lanciando
un’occhiata arcigna verso il bassista.
“Sister?”
Ancora
quegli occhi… “NOO! Questa volta è un
no e non mi farai cambiare idea in nessun
modo!” asserii, puntando i piedi.
“Elisa
non
ha una grandissima simpatia per le altezze. Non hai mai voluto nemmeno
imparare
a sciare” confidò la mia amica che mi conosceva
anche troppo bene.
“Ma
ci sono
io…dai non ti fidi?” ormai Ville era a pochi
centimetri da me…
“No,
ho
detto di no” scossi la testa con fermezza.
“Per
favore”
“No,
no e
ancora NO!”
**
Come
volevasi dimostrare, qualche minuto dopo ero a fare la fila per poter
affittare
gli slittini.
Poco
lontano due ragazze mi guardavano frustrate con occhi iniettati di puro
odio:
ma non avevo nemmeno la forza di ricambiare con un sorriso di vittoria,
poiché
ogni mio muscolo era immobilizzato per il freddo e la paura. Riuscivo
soltanto
a fissare con le palpebre spalancate le persone che scendeva a tutta
velocità,
con esclamazioni divertite, giù per un piccolo pendio
innevato, fin troppo
ripido per i miei gusti.
Nascosi il
viso tra le mani: “…astro” borbottai tra
me e me
“Cosa
stai
andando blaterando?” rise Ville.
“Ho
detto
che sono un disastro” spiegai “Ogni volta non
riesco mai a dire di no e resto
sempre fregata” sbuffai, accorgendomi che ormai le persone in
coda davanti a
noi erano un numero decisamente esiguo.
“Ti
capisco. Deve essere anche questo un difetto di famiglia. E’
bello poterlo
sfruttare qualche volta a proprio favore”
Avrei
voluto giocare la parte dell’arrabbiata ancora per un
po’, ma sembrava davvero
felice, ed era talmente ridicolo che Ville Valo mi pregasse di fare
qualcosa
con lui, quando la maggior parte delle ragazze che conoscevo avrebbero
anche
corso chilometri sui carboni ardenti solo per fargli piacere.
“E
poi ti
assicuro che è davvero divertente!” aggiunse,
volgendo lo sguardo verso i volti
sereni delle persone che arrivavano a terra.
“Forse
per te”
mormorai, mordendomi un labbro “Ma io soffro di vertigini. Ed
essere lì da sola
su…su quel coso. Per quanto ne so potrebbe anche
ribaltarsi!” profetizzai
catastrofica, agitando una mano nell’aria.
Il frontman
la afferrò prontamente: “Hey, ma chi ha detto che
ci vai da sola. Saliremo
insieme. Pensi che potrei lasciarti cadere?”
“Io…”
balbettai, gli occhi fissi sul terreno.
Con una
leggera pressione delle dita sul mio mento mi costrinse a guardarlo:
“Ricordi?
Una volta mi hai chiesto di fidarmi di te. Ora ti chiedo lo stesso. Ti
fidi?”
Le gambe
iniziarono a tremarmi e qualcosa nel mio sistema respiratorio
cominciò a non
funzionare nel modo giusto, perché mi ritrovai a
boccheggiare.
Soltanto in
quel momento mi resi conto che forse anche lui ricordava del nostro
primo incontro
più di quanto immaginassi.
Annuii
brevemente, mentre sentivo il viso andare in fiamme. Ed effettivamente
Ville
lasciò la presa, quasi come se si fosse scottato.
“Bene”
annunciò schiarendosi la voce “Non te ne
pentirai”
Dopo
essermi ripresa dallo stordimento, riuscii anche a rispondergli a tono:
“Lo
spero bene, per la tua incolumità!”
“Cosa
vorresti fare Furia? Chiamare il tuo cuginetto Yeti?” mi
schernì con un ghigno
divertito.
Tirai fuori
la lingua: “Può darsi. Guarda che tocca a noi,
simpaticone…”
Risalii la
collinetta ad un’andatura degna di una tartaruga zoppa. Ero
bravissima quando
si trattava di prolungare l’agonia. Ma alla fine, troppo
presto, raggiungemmo
la cima del piccolo pendio.
Ville prese
posto sul trabiccolo infernale, e mi invitò a raggiungerlo,
battendo con la
mano sullo spazio del sedile davanti a lui.
“Sicuro
sicuro?” esitai ancora un momento, fino a quando il suo
sorriso si trasformò in
un’espressione alquanto scocciata.
“Okay
okay”
sospirai e quindi mi sedetti trattenendo il fiato, senza un motivo
preciso.
Lui se ne
accorse subito: “Se continui così rischi di
diventare viola!”
“Mi
dispiace è più forte di me” tentai di
scusarmi: dovevo sembrare davvero
patetica. Mi voltai appena per poterlo vedere in viso: “Mi
fido, davvero…è solo
che…”
Posò
un
dito sulla punta del mio naso e poi sulle mie labbra, per farmi tacere:
“Aspetta un secondo”
Frugò
un
momento nelle tasche, per poi tirarne fuori una scatola nera grande
come il
palmo di una mano.
“Tieni”
mormorò porgendomela.
Lo guardai
senza capire: “E cosa sarebbe questo?”
“Un
piccolo
regalo” rispose semplicemente.
“Un
regalo?
Perché?”
Mi diede un
piccolo pizzico su un fianco, ridendo: “Deve esserci per
forza un motivo?”
“Non
posso
accettarlo” dichiarai, respingendo il pacchetto.
“Certo
che
sì! Non preoccuparti non è un anello se questo a
cui stai pensando, mia cara”
Arrossii subito violentemente, e desiderai di potermi scavare una
fossa, lì in
mezzo alla neve.
“Cosa?
Non
mi era nemmeno passata per l’anticamera del cervello una cosa
del genere!”
balbettai, cercando di sembrare il più convincente
possibile. No, un anello non
era di certo, la scatola era poi decisamente grande, ma ciò
non cambiava il
fatto che un regalo, un regalo qualsiasi, era troppo per me.
“Beh
meglio
così, non avrei voluto che restassi delusa. E’ una
piccola cosa, molto stupida.
Consideralo un po’ come un amuleto”
Tentai di
combattere ancora: “No, Ville sul serio, non avresti
dovuto…” ma mi fermò di
nuovo, minacciandomi: “Se non lo apri subito scendo prima che
tu possa contare
fino ad uno e ti lancio giù per la collina!”
“Sei
un
ricattatore!” lo apostrofai, accingendomi con mani tremanti
ad aprire il
piccolo pacchetto.
All’interno,
delicatamente appoggiato ad un cuscinetto di velluto bordeaux vi era
una
collana d’argento: ad essa era appeso un Heartagram,
perfettamente rifinito e
dai contorni decorati. Non ne avevo mai visto uno così ben
fatto.
“E’…davvero
molto bello…ma” pronunciai confusamente.
“Mi
dispiace, ma niente ma! E’ tuo, non posso nemmeno
riciclarlo” sogghignò, tirandolo
fuori con riguardo dalla custodia, e mostrandomi il retro
“Vedi?”
Osservai
con attenzione il cerchio esterno, sul quale era incisa una piccola
dedica: ‘To
my LoveMetalSister and sweet wildcat. Ville’
“E’
solo
tuo” sussurrò al mio orecchio.
Cercai di
non cedere allo stordimento che quelle poche sillabe potevano provocare
in me,
schiarendomi la voce roca: “Come faccio a sapere che non
chiami ‘wildcat’ tutte
le ragazze?”
Rise di
gusto: “Beh, semplicemente per il fatto che di solito le
ragazze mi trattano
come una divinità e non si azzarderebbero mai a mettermi le
mani addosso o a
sgridarmi come puoi fare solo tu”
Mi morsi la
lingua, non riuscendo però a trattenere un sorriso.
Ville
scostò i capelli dal mio collo, poggiandoli oltre la spalla
sinistra, e
allacciò il ciondolo, sfiorandomi la pelle con le dita
fredde.
“Scusa”
mormorò, sentendomi rabbrividire.
“Non
importa”
“Adesso
hai
anche il tuo amuleto portafortuna. Sei pronta?”
“Mh-mh”
non
riuscii a replicare una risposta di senso compiuto.
“Allora
rilassati”
mi disse, avvolgendo un braccio intorno alla mia vita e facendo aderire
il suo
corpo alla mia schiena. Usai ciò che restava del mio
autocontrollo per obbedire
alla sua richiesta.
Lo sentii
ben presto ridere a fior di labbra: “Hai ancora paura
vero?”
“No”
mentii.
“Lo
sento.
Il tuo cuore assomiglia ad un martello pneumatico” mi fece
notare.
“Ehm…forse
ancora un po’” e questa volta era in effetti la
verità, anche se la causa del
mio quasi collasso cardiaco non era propriamente la fifa…
“Se
ti
cantassi una canzone potrebbe aiutare?” mi
domandò, con tenerezza.
“Prova”
lo
incoraggiai in un sussurro.
Rimase
qualche istante in silenzio, per poi intonare con la sua voce profonda
una
delle sue canzoni.
“Your
love is the only thing I live for in this
world
Oh how I wait for the day your heart burns
In these heavenly flames I've already scorched in
I just want you to know I'll always be waiting”
Chiusi gli
occhi e, stringendo la sua mano con la mia, mi lasciai
completamente andare alla magia. Quasi non mi accorsi di quando la
melodia si
interruppe e cominciammo a scendere veloci giù per il
pendio; le mie palpebre
erano ancora serrate, il suo braccio intorno al mio corpo, il mio porto
sicuro.
Mi dimenticai
della paura, della montagna e del piccolo slittino; almeno
fino a quando arrivammo a terra e finimmo quasi a gambe
all’aria.
Sospettai che
l’avesse fatto apposta, a farci ribaltare giusto alla
fine, ma finsi di credere al suo sguardo innocente quando mi
domandò mille
volte scusa.
“Allora?
E’ stato così terribile?”
Portai un dito
alle labbra, pensierosa: “Mh, non poi così
tanto”
Not at all.
_____________________________________________________________
Ed
eccomi qui con un nuovo
capitoletto^^
Oggi
suno un po’ di fretta
(sì dovrei essere a studiare in effetti..ma comunqueeee xD)
quindi non vi
beccate il solito sproloquio di mezz’ora. Attendo ansiosa i
vostri commentino^^
E
naturalmente un grassie
gigantesco a tutti quelli che leggono e soprattutto che commentano!
@sis:
sis solo te puoi fare
ste coseXD sei la mia lettrice che non legge preferita lo sai vero?? Ti
vojo
beneee
@Bell_Lua:
visto??? Ho
aggiornato prima della tua partenza!! Zizi! E per la gita sono
stracontentissima! Così ci possiamo vedere per il concerto!
Si lo so sono una
pigrona, ma sono contenta che il chap ti zia piaciuto^^ spero che non
ti
dispiaccia nemmeno questo! Grassieee tesora! Bacini
@linkin
park: ahahhaha il
tuo commento è stupendissimo. Ti capisco, anche a me il Valo
fa il medesimo
effetto! Sisi molto persone ha dichiarato di volermi uccidere dopo aver
scoperto che il bacio non era vero, ma sono contenta sia stato
apprezzato cmq^^
Anche in questo capitolino c’è una scena un
po’ dolciosa nu? Dimmi cosa ne
penzi cara! Kisseeeees
@Malaena:
uhh che bello!
Sono davvero felice che anche tu abbia iniziato a leggere questo mio
scribacchiamento scleroso*.* Davvero
vuoi quel cappello? xD pensavo che mi avreste picchiato per questa idea
malsana..se vuoi la Eli te lo regala volentieri..ahh no lo ha regalato
a Bob,
beh lo puoi rubare a luiXD ukkei sto partendo per la
tangenziale..cooomunque
grazie mille per il commento^^ e spero che troverai anche questo cap di
tuo
gusto^^ VenomousKisses
Alla
prossima
La
vostra
FallenAngel
|
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Capitolo 15 *** Bonfire ***
Chapter
14
Bonfire
Blooming rose or withered flower?
Ricordo che
quando ero molto piccola ero convinta che tra le fiamme del camino
abitassero
tanti spiritelli, i quali, di tanto in tanto, per la smania di muoversi
e il
desiderio di conoscere luoghi sconosciuti, cercavano di sfuggire al
fuoco che
li imprigionava insieme: balzavano quindi fuori dal camino, in piccoli
zampilli
dorati: ma una volta usciti, lontani dal calore del fuoco stesso,
esalavano
sempre il loro ultimo respiro, ancor prima di aver toccato terra.
Ancora una
volta riflettei su quanto fosse triste quella storia, mentre osservavo
con un
mesto sorriso la legna ardere allegramente nel grande camino della
baita nella
quale avevamo deciso di trascorrere la notte.
Cercai di
rammentare chi mi avesse raccontato quella favola, ma per quanto mi
sforzassi
non mi riusciva proprio.
“Tutto
bene?” domandò Luisa, sfiorandomi appena il
braccio.
Mi voltai,
cercando di mettere a fuoco il suo viso, dopo aver fissato tanto a
lungo la
luce intensa delle fiamme.
“Oh
certo.
Mi ero soltanto incantata”
“Fa
spesso
quest’effetto” annuì comprensiva
“Ma, sembravi tanto infelice. Forse questa
potrebbe aiutare” sorrise, porgendomi una tazza di cioccolata
profumata e fumante.
“Oddio
grazie, sei gentilissima” le espressi la mia riconoscenza per
quel piccolo
gesto, prendendo dalle sue mani la bevanda “Comunque va tutto
bene, è solo un
po’ di nostalgia”
“Ti
manca
casa tua?” indagò con premura.
Scossi la
testa istintivamente: “No, non è quello.
Più che altro credo mi manchi un’infanzia
che non ho mai vissuto” sospirai, più a me stessa
che a Luisa.
“Oh”
mormorò lei, vedendo i miei occhi tornare a rabbuiarsi
“Forse non avrei dovuto
chiedertelo”
“Non
preoccuparti” la rassicurai “Non hai fatto nulla di
sbagliato.”
Le sue
labbra si incurvarono in un’espressione serena e piena di
tenerezza: “So che
praticamente non ci conosciamo, ma se hai bisogno di qualsiasi cosa
comunque,
sappi che sono pronta ad ascoltarti”
Alle sue
parole mi si strinse il cuore: potevano esistere delle persone
così dolci?
Annuii,
senza riuscire a risponderle nulla, se non un semplice grazie.
D’un
tratto
la stanza intorno a noi si fece meno tranquilla, segno che gli altri
membri del
gruppo avevano deciso di raggiungerci.
“…e
tu sei
sempre convinto di avere ragione!” stava gridando
Migè al suo cantante, il
quale lo squadrava con uno sguardo di sufficienza.
“Non
ne
sono convinto. Io ho ragione!” sibilò Ville.
“Visto?”
si
lamentò il bassista alzando gli occhi al cielo e poi
posandoli su un’Arianna
sempre più divertita “E’ come parlare
con un sordo!”
Burton si
avvicinò alla moglie, affondando il viso nei suoi capelli,
con un rantolo
disperato: “Vi prego, fateli smettere”
“Cosa
è
successo questa volta?” domandò lei, piegando il
capo da un lato.
“Indovina!
Sempre
le solite scemenze! Si sono messi a discutere di piste da sci”
“E
cosa ne
sanno loro scusa? Non mi risulta che Ville abbia mai visto nemmeno da
lontano
un paio di sci!” intervenne Gas, tra un boccone e
l’altro dell’ennesima
brioche.
“Appunto!
E’ proprio quello che dico anche io!”
esclamò Migè, felice che qualcuno lo
aiutasse a sostenere la sua tesi “Come può
saperne!”
Il darkman
sbuffò sonoramente, lasciandosi cadere su uno dei divanetti
disposti
nell’accogliente taverna: “Perché tu
invece sei un esperto vero?”
“Beh
almeno
io…” ricominciò l’amico, ma i
loro compagni riuscirono fortunatamente a
sciogliere l’infinito dibattito, mettendo in mano al bassista
una bella tazza
di cioccolata.
Uno dopo
l’altro, prendemmo tutti posto intorno al fuoco. Mi guardai
velocemente
intorno, fin quando il mio sguardo cadde sul posto vuoto accanto a
Ville, il
quale pareva insoddisfatto della mancata conclusione del discorso e
fissava in
cagnesco Migè, seduto a qualche metro di distanza.
Ma, quasi
come se il mio solo sguardo avesse fatto un qualche rumore, il frontman
si
voltò immediatamente nella mia direzione e mordendomi il
labbro inferiore, mi
mancò anche solo il coraggio di avvicinarmi.
Mi
accoccolai sulla poltrona vicino ad Arianna, appoggiandomi alle sue
gambe con
la schiena, mentre con fare materno mi accarezzava i capelli. Contro la
mia
volontà, mi ritrovai a volgere nuovamente gli occhi verso
Ville, che sostenne a
lungo lo sguardo in silenzio, senza abbassare mai le ciglia sulle sue
iridi
chiare. Tentai invano di sfuggire a quella prigione, ma sembrava quasi
che un
incantesimo governasse i miei gesti. Quasi non mi accorsi delle mie
dita che si
erano avvolte sempre più strette intorno alla calda tazza,
fino a quando la mia
pelle cominciò a bruciare e quasi rovesciai la cioccolata
per terra.
“Hey,
non
ti starai mica addormentando?” sogghignò Arianna,
accorgendosi del mio disastro
prevenuto per un soffio.
Piegai la
testa all’indietro per mostrarle la lingua: “No
sono sveglissima”. Forse non
lucida, ma sveglia sì.
“Ma
che
fine ha fatto Linde?” chiese ad un certo punto la voce di
Burton.
Ci
guardammo intorno curiosi, accorgendoci dell’assenza anche
della sua compagna.
“Forse
i
piccioncini hanno deciso che per loro era già tempo di
infilarsi sotto le
coperte” osservò maliziosamente Migè.
“Mi
spiace
deluderti, ma siamo ancora qui!” Linde e Manna comparvero
all’improvviso nella
sala dove si respirava un forte profumo di quercia e di cedro.
“E guardate cosa
vi abbiamo portato!” proclamò con enfasi,
mostrando con un gesto le due
chitarre che trasportavano.
“Bravi!
Che
bella idea!” gridò Luisa, battendo le mani sulle
gambe del marito “Mi sembra di
essere tornata adolescente, con le serate intorno ai
falò” sospirò sognante, e
d’un tratto mi accorsi di quanto io poco c’entrassi
in quel quadro. Io, che
ancora ero davvero solo un’adolescente. Mi domandai come
potessi apparire ai
loro occhi. Una ragazzina, una sciocca, forse simpatica, ma infantile
ragazzina, di cui prendersi cura. Uno svago temporaneo.
L’idea prese piede nel
mio animo: era questo che ero per Ville? Soltanto un intermezzo
divertente e un
po’ diverso della sua vita?
Mandando
giù a fatica il denso liquido color nocciola, tentai di
scacciare quei
pensieri.
“Chi
vuole
iniziare a suonare qualcosa?” invitò Linde,
lasciando vagare occhiate
ammiccanti per tutta la sala.
“Inizio
io”
mi offrii, agitando la mano, nella speranza di distrarmi almeno un
po’.
“Grande!
Questo è lo spirito!” esclamò il
chitarrista, porgendomi lo strumento “E cosa
ci canti?”
“Ah,
io non
ho detto che canterò” misi ben in chiaro
“Disporrò i miei umili servigi per una
nobile voce” feci un profondo inchino, volgendomi verso la
mia amica.
Arianna mi
guardò senza capire per qualche istante, sbattendo
frequentemente le ciglia:
“Cosa…? Oh no, guarda che hai capito proprio
male!”
“Su
Ary non
farti pregare ancora! Tanto ti abbiamo già sentito cantare.
Non ti vergognerai
di noi vero?” insistette il batterista degli HIM.
“Ohhh,
ma
basta con questa storia. Ely! Sei tu quella che adora cantare.
Perché mi devi
sempre mettere in mezzo?” sospirò sconsolata.
“Perché
di
questa canzone non conosco bene le parole” ridacchiai,
lasciando scivolare il
plettro sulle corde lisce della chitarra.
Dopo pochi
tentativi, riuscii finalmente a ricordare gli accordi.
“Aspetta
come faceva?
Lost
in the darkness, hoping for a sign” cominciai, lanciando un
radioso
sorriso ad Arianna, la quale stringeva mani e pugni per cercare di
resistere
all’impulso di mettersi a cantare una delle canzoni del suo
gruppo preferito,
proprio ora che le facevo l’onore di suonarla per lei: cosa
che, visto il mio
folle amore per i Within Temptation, non accadeva proprio tutti i
giorni.
“I
want to
embrace you…” continuai, sbagliando di proposito
la strofa.
I suoi
occhi si spalancarono immediatamente, mentre scuoteva energicamente la
testa:
“No, no, no! Quella è la seconda strofa!”
“Oops,
scusa” mormorai con innocenza “Non è che
mi ricorderesti la versione giusta?
Per favore?”
Con una
sbuffata ed un gesto di sussistenza, la Rossa acconsentì
finalmente a cantare:
“Solo perché non voglio che rovini una
così bella canzone”
Fingendo di
credere alle sue stupide scuse, suonai la canzone dalle note iniziali,
accompagnata dalla dolce e malinconica voce della mia amica.
“Lost in the darkness, hoping for a
sign.
Instead there is only silence,
can't you hear my screams?
Never stop hoping,
Need to know where you are,
but one thing is for sure,
you're always in my heart.
Chorus:
I'll find you somewhere.
I'll keep on trying until my dying day.
I just need to know whatever has happened,
the truth will free my soul.”
Giunta al
ritornello, alzai il capo dalle corde della chitarra, per gettare un
rapido
sguardo sugli altri e in particolare sulle due coppie che si tenevano
teneramente abbracciate, con gli occhi un po’ lucidi.
Mi resi conto
di quanto amassi quella melodia, anche se questo Arianna non lo avrebbe
mai
saputo.
“Lost in
the
darkness, try to find your way home.
I want to embrace you and never let you go.
Almost hope you're in heaven so no one can hurt your soul.
Living in agony cause I just do not know
where you are.
Chorus:
I'll find you somewhere.
I'll keep on trying until my dying day.
I just need to know whatever has happened,
the truth will free my soul
Wherever you are, I won't stop searching.
Whatever
it takes, I need to know.”
Forse mi
tradii da sola, quando alla fine della canzone non riuscii
più a frenare la
voce e sotto lo sguardo divertito e compiaciuto della mia amica, la
seguii nel
suo ultimo vocalizzo.
“Chorus:
I'll find you somewhere.
I'll keep on trying until my dying day.
I just need to know whatever has happened,
the truth will free my soul”
“Davvero
bellissimo!” commentò Luisa, stringendo
più forte la mano di Burton “Mi hai
fatto stringere il cuore!”
“Veramente!”
rincarò la dose Gas, il quale aveva occupato il posto che io
non avevo osato
prendere “Stavo quasi per saltare in braccio a
Ville!”
Il darkman
gli tirò una gomitata nello stomaco: “E per
fortuna ti sei trattenuto!”
“Ma
no cosa
dite” si schermì Arianna “Sono un
completo disastro. E’ la canzone che è
magnifica, tanto che proprio tutti”
e
accentuò con decisione la parola tutti “alla fine
cedono. Non è vero Ellie?”
Mi grattai
la punta del naso con indifferenza: “Non capisco cosa tu
voglia insinuare…”
“Ma
adesso
potrei fare io una richiesta?” riprese, alzando la mano, come
a scuola e
ignorando le mie patetiche bugie.
“Certo,
tutto quello che vuoi!” la incoraggiò Manna.
La rossa
non se lo fece ripetere due volte, e guardando fisso proprio la
cantante avanzò
la sua domanda “Lasciando il campo a chi lo fa di mestiere,
mi piacerebbe tanto
sentire dal vivo ‘Just for tonight’”
“Beh,
correggendomi, forse non proprio tutto”
Tutti
risero di gusto. “Ma cosa è successo? Come mai
stasera siete tutti così
timidi?” fece notare Migè “Su dai fate
il vostro dovere!”
Mentre
Ville faceva sloggiare il batterista, per lasciare spazio alla sua
compagna di
duetto, riconsegnai la chitarra al suo proprietario.
Linde se la
accomodo sulle gambe con una smorfia: “Odio questa
canzone” sibilò, poggiando
le dita sulle corde.
“Non
sarai
mica geloso Lily?” ghignò leggermente Ville,
avvolgendo un braccio intorno alla
vita di Manna e soffiandole tra i capelli.
“Tsk”
borbottò il chitarrista irritato “Geloso di te?
Dovrei essere messo veramente
male!”
Ma dopo
qualche secondo aggiunse: “Ma tu tieni lontani i tuoi
tentacoli dalla mia
donna!”
Dopo che
tutti ebbero smesso di ridere, il chitarrista diede finalmente avvio
alla
prova.
Ville e
Manna, si sistemarono più comodi, l’uno di fronte
all’altra raddrizzando il
busto, e poi cominciarono a cantare.
“Too
late, won't stop
Tonight I want to go deeper
Tomorrow takes it all away
Time's running out
The night is only a shell
Soon morning comes and breaks the spell
To the yesterday, to a dream
Just for tonight, we'll keep on dancing
And the city won't tell a soul
Just for tonight, the lights are shining
And our secret stays untold”
Involontariamente,
mi abbracciai le ginocchia strette al petto che si alzava e abbassava
veloce,
mentre lunghi brividi attraversavano la mia spina dorsale. Il connubio
delle
due voci era quasi divino, e neanche lontanamente paragonabile alla
riproduzione attraverso un qualsiasi lettore cd o mp3. Ma con mio
sgomento, mi
accorsi che ciò che stringeva le mie viscere, non era
soltanto la meraviglia
per quel canto così melodioso. No. Era
un’irrazionale e stupida gelosia, per
gli sguardi che i due si scambiavano durante il duetto. Desideravo con
tutta me
stessa poter essere io la meta di quegli occhi così
profondi, la musa a cui
erano dedicati quei versi, l’unica persona a poter godere di
ogni singola nota,
di ogni minimo sussurro, di ciascuno di quei piccoli sospiri che Ville
si
lasciava scappare per prendere fiato e ricominciare una nuova frase.
Respirare
mi divenne quasi impossibile, e ad ogni boccata sentivo i polmoni
bruciare.
Sperai davvero con tutto il cuore che nessuno si accorgesse della mia
follia.
Non mi
riconoscevo nemmeno più. Cosa mi stava succedendo? Non avevo
mai creduto di
essere così dannatamente sciocca.
“These
streets are mine
Tonight I'll keep on walking
Won't stop as long as the city sleeps
Don't look back once
Or you might turn around
Tonight I'll give myself to you
And our secret stays untold
Just for tonight, we'll keep on dancing
And the city won't tell a soul
Just for tonight, the lights are shining
And our secret stays untold
Just for tonight, we'll keep on dancing
And the city won't tell a soul
Just for tonight, the lights are shining
And our secret stays untold
(They can't see us now)
They can't see us now
(They won't catch us now)
They can't see us now
(They can't see us now)
They can't see us now
(They won't catch us now)
They can't see us now”
Terminato
il brano il darkman si esibì in buffo inchino, alzandosi per
andare a prendere
qualcosa da bere. Voltai saggiamente il capo. Non ero sicura di cosa
avrebbe
potuto leggere nei miei occhi.
“Dai
Lily.
Perché adesso non ci delizi tu con qualche
canzoncina?” propose, tirando una
sonora pacca sulla spalla dell’amico.
Linde gli
gettò un’occhiata di ghiaccio: “Non
vorrei umiliarti…”
“Correrò
il
rischio” gli assicurò il darkman, stappandosi una
bottiglia.
Il
chitarrista sembrò pensarci un attimo su, prima di
accettare: “Ma vorrei Elisa
come compagna”
O il mio
cervello iniziava a farmi brutti scherzi, o Ville ci impiegò
più del dovuto ad
inghiottire la sua birra, prima di alzare le spalle, senza un commento.
Raccolsi
dal muro contro cui era appoggiata la seconda chitarra, e mi andai a
sedere
accanto a Linde.
“Vuoi
rubarmi il mestiere?” mi accusò con un sorriso.
Scossi la
testa leggermente: “Ho solo voglia di tenere le mani
occupate”
“Cosa
vuoi
cantare?”
“Mmh”
mormorai, cercando di trovare un brano adatta. Mi ricordai
all’improvviso di
aver letto tempo addietro che tra gli idoli di Linde vi era anche
Slash, dei
Guns. E pensando al gruppo di Axl Rose, una sola canzone
riempì subito la mia
testa, insieme con l’immagine di un ragazzo speciale che un
giorno aveva deciso
di dedicarmela. L’unico ragazzo di cui mi ero innamorata e
che senza volerlo,
mi aveva spezzato il cuore.
Sorrisi del
passato, mentre piccoli flash attraversavano la mia mente.
“Credo
di
avercela!” comunicai raggiante al chitarrista, iniziando ad
eseguire le
primissime note della ballata, e accorgendomi con piacere che le
rammentavo
tutte ancora molto chiaramente.
Non appena
mi misi a fischiare seguendo il motivo, tutti capirono immediatamente
di che
canzone si trattava.
Non tutte
le reazioni furono però uguali: Linde annuì
felice, mentre i suoi lunghi dreads
ondeggiavano con vigore. Ville invece nascose il viso tra le mani
mugolando:
“Noo, ti prego. Perché hai ritirato fuori i Guns!
Adesso quello lì chi lo
trattiene più?”
“Sapendo
che non ti è gradita sono ancora più orgogliosa
della mia scelta!” affermai,
con una smorfia infantile, illudendomi che gesti così
puerili potessero farmi
stare meglio.
Il frontman
mi rivolse uno sguardo incerto, che non riuscii a decifrare.
Fortunatamente
Linde mi richiamò alla realtà, invitandomi a
suonare insieme a lui.
“Shed a tear 'cause I'm missing you
I'm still alright to smile
Girl, I think about you every day now”
Intonai,
mentre le mie mani si muovevano veloci e sicure lungo il manico della
chitarra,
e i miei lunghi capelli si muovevano leggeri a tempo con la musica.
“Was a time when I wasn't sure
But you set my mind at ease
There is no doubt you're in my heart now”
Continuò
il
chitarrista, mentre la mia testa affondava sempre più nel
vortice psichedelico
della musica e della memoria. Ed un prato primaverile lussureggiante di
fiori
scarlatti aveva sostituito la piccola baita con le pareti di legno
chiaro.
“Said woman take it slow
It'll work itself out fine
All we need is just a little patience
Said sugar make it slow
And we'll come together fine
All we need is just a little patience”
Ed ero
sola. Sola con il mio Stefano. L’unico ad avermi fatto
sentire felice e
completa con un singolo, tenero bacio e il suo sguardo dolce e pieno di
desiderio; desiderio che però aveva saputo sempre
controllare perché,
nonostante io credessi di essere già una donna. a dispetto
dei mie sedici anni,
esperta della vita, per lui ero rimasta sempre un bocciolo di rosa, non
ancora
pronto ad aprirsi.
Non ero mai
riuscita a decidermi se avesse avuto torto o ragione; forse quel fiore
era già
sbocciato e appassito molto tempo prima del suo arrivo.
Socchiusi
le palpebre, per sbirciare il volto sereno e allegro di Linde, mentre
attaccava
con la seconda strofa, dandoci dentro al massimo.
“Sit here on the stairs
'Cause I'd rather be alone
If I can't have you right now, I'll wait dear
Sometimes, I get so tense
But I can't speed up the time
But you know, love, there's one more thing to consider”
Quella
canzone mi aveva fatto decisamente bene. Per un tacito accordo
decidemmo di
aumentare un po’ il ritmo e l’intensità
delle battute, solo per quell’ultimo
ritornello.
“Said woman take it slow
Things will be just fine…”
Sollevai il
capo, mentre i miei occhi si trovavano ancora una volta a collidere con
quelli profondi
e magnetici del darkman.
Ma questa
volta – potevo sentirlo - non ero io ad avere paura.
“You and I'll just use a little
patience”
“Said sugar take the time
'Cause the lights are shining bright
You and I've got what it takes to make it
We won't fake it, Oh never break it
'Cause I can't take it”
E
così, tra
una canzone e l’altra, trascorremmo tutta la sera, e buona
parte della notte.
Nessuno
potè esimersi da almeno una performance, anche se Ville si
rifiutò di cantare
ancora, soprattutto quando gli domandai di cantare
‘Resurrection’.
Poi
qualcuno iniziò a mostrare i primi segni della stanchezza.
“Migè!
Mettiti una mano davanti alla bocca quando sbadigli!” Linde
strapazzò per bene
l’amico “Vedere tutto il tuo apparato digerente non
è la nostra massima
aspirazione nella vita!”
Il bassista
alzò le spalle con noncuranza: “Sorry ragazzi, ma
sarà meglio che io e il mio
posteriore andiamo a far conoscenza con il nostro letto. Sono troppo
vecchio
ormai per certe cose”
“Migè
ha
ragione; si è fatto tardi, sarà meglio andare a
dormire. Domani noi non
possiamo tornare a casa troppo tardi” disse Manna
rivolgendosi al compagno “Ho
chiesto a Matleena di tenere Olivia solo in mattinata. Non possiamo
abusare
della sua disponibilità”
Così
tutti
ci dirigemmo verso le rispettive camere.
Ma mentre
stavo per salire le scale a chiocciola, che mi avrebbero condotto al
piano
superiore dove era situata la mia stanza, Gas mi chiamò,
chiedendomi di
accompagnarlo un momento fino alla cucina.
Dopo aver
scambiato un’occhiata curiosa con Arianna, decisi di seguire
il batterista
nella sua spedizione.
“Cosa
ti
succede? Hai paura di arrivare alla cucina da solo?” lo presi
in giro non
trattenendo un sorriso.
“Beh
sì, in
effetti ho un po’ paura del buio”
confessò “Ma soprattutto avevo bisogno di
chiederti una cosa”
Raggiungemmo
la sala fiocamente illuminata e mi accomodai sopra il tavolo, salendovi
con una
leggera spinta delle braccia, attendendo maggiori informazioni
“Vai avanti”
“Ricordi
il
mio desiderio di averti nella nostra band?”
domandò, versandosi un’altra tazza
di cioccolata, contenuta in un immenso termos.
Cominciai a
dondolare con un movimento cantilenante le gambe, seguendo la loro
ombra
riflessa sul pavimento “Sì certo che ricordo! Ma,
per quanto odi Ville, non
potrei mai rubare la sua band!” gli comunicai con un ghigno.
“Lo
sospettavo. E ho messo da parte definitivamente i sogni per un progetto
a lungo
termine. Tuttavia” si fermò un momento per bere
“potrebbe essere un’eccezione…”
Una
profonda ruga si scavò tra le mie sopracciglia:
“Cioè?”
“Ci
piacerebbe – cioè a me e agli altri –
che cantassi una volta con noi”
“Vuoi
dire
duettando con Ville?”
Scosse la
testa: “No, in realtà al posto di Ville”
Il mio
sguardo di risposta fu molto scettico: “E lui sarebbe
d’accordo?”
“No,
cioè,
lui non lo sa” Gas confermò i miei dubbi
“Ma perché è una sorpresa, per lui
intendo. Sarebbe una piccola sorpresa per lui”
ripetè con aria angelica.
“Non
so…”
cincischiai.
“Eddai!
Sarà divertente. E ti garantisco che lui gradirà
moltissimo lo spettacolo!” mi
assicurò, con un sorriso a trentadue denti.
Ci pensai
un momento: alla fine avevo già cantato in pubblico, cosa
potevo perderci? E
poi, quando mai si risarebbe presentata un’occasione del
genere?
Decisi di
acconsentire: “Va bene…”
“Fantastico!”
esultò il batterista “Sono sicuro che sarai una
Venere perfetta!”
“Cosa?”
sbottai. Ma non ero sicura di voler sapere esattamente a cosa avevo
appena
accettato di andare incontro.
Una…Venere?
________________________________________________________________________
Ma
salve^^
Ecco
qui il nuovo capitolo
dopo meno di una settimana! Mi sorprendo di me stessa xD
Capitolo
piuttosto canoro,
ma ogni tanto mi piace inserire un po’ di canzoncine nella
storia: e siccome
poco tempo fa ero stata colta da una fissa assurda per Patience ho
dovuto
mettercela dentro xD Non ho idea se a Ville piacciano oppure no i Guns
e
naturalmente anche la storia dello sci viene dalla mia testa xD
Ma
adesso bando alle
cianciozzole e passiamo ai ringraziamenti.
@Sis:
siiis ma tu vuoi fare
piangere me!! *.* anche io ti vojo troppo troppo troppo bene. In questo
capitoluzzo mettere Just for tonight mi fa pensare troppo alla prima
volta che
l’abbiamo ascoltata insieme *lacrimuccia*. Non vedo
l’ora di riabbracciarti.
The Villers alla conquista. Muahahahahhahah
@Malaena:
ma grassieeeeee.
Sono felice tu abbia apprezzato le frasi pazze che la mia testa produce
xD eh
sìììì la scena sullo
slittino è una delle
mie preferite: naturalmente spero tu sia riuscita a immedesimarti per
bene^^
Uhh se poi ascolti “Our diabolikal rapture”
nell’mp3 e senti solo con la cuffia
destra, quando c’è il pezzo che ho messo nel
capitolo scorso, senza la base
musicale, sembra proprio che Ville ti sussurri nell’orecchio
e immedesimarsi è
ancora più semplice!hihihi! Grassie ancoraa^^ Nun vedo
l’ora che aggiorni anche
tu. Besi
@Vampire_Heart:
zizi è
esattamente quello che penso anche io! Potrebbe essere anche travestito
da
pollo o da melanzana, ma sarebbe lo stesso paurosamente sexy! Suno
tanto
contenta che il capitolo ti sia piaciuto e mi si sono illuminati gli
occhietti
vedendo anche il tuo nome tra i commenti^^ Fammi sapere cosa pensi di
codesto.
baciuetti
@Crist:
chiedo umilmente
perdono! Lo so! Hai ragione! Anche una mia amica prima o poi mi
ucciderà nel
sonno per lo stesso motivo xD Devi sapere che questa storia ha tutta
una sua
scaletta, che sto a mano a mano accorciando, per l’evidente
fatto che sta
diventando chilometrica: d’altra parte ogni volta mi viene in
mente qualche
altra idea, e inoltre il rapporto tra Ville ed Elisa è ai
miei occhi sempre
complicato a causa della differenza di età e sto cercando di
immedesimarmi al
massimo nei pensieri e nelle paure che possono assalire entrambi. Ma
non
preoccuparti: ancora poco e finalmente si vedrà qualche
sviluppo sostanziale!!
Sìsì lo so, anche io ho per certi versi
quell’immagine di Ville, ma in questa
storia mi sono concentrata su quel lato dolce e romantico (e anche un
po’
stupido xD) che sono convinta che possieda. Sono davvero stracontenta
di
scoprirti lettrice della mia storia^^ grassie mille per il commento e
continua
a farmi sapere la tua opinion! L’ho molto apprezzato. A
prestooo! Baciiz
@Bell_Lua:
Luuuu! Suno
contenta ti sia piaciuto tanto^^ Grassie grassie! E sono ancora
più felice di
sapere che ci sarai di certoo! Ho aggiornato stasera nella speranza che
tu
possa leggerlo prima di partire. Altrimenti quando torni^^ Buona
gitaaaa! Ci vediamo
tra pochizzimo. Suno curiosa di sapere cosa ne pensi (scrivere Axl Rose
mi ha
fatto pensare ad una certa persona che non deve essere nominata xD)
Zaaaaau
@linkin
park: ma sera caVa!!
*.* uhh me felice ti sia piaciuto tanto! Anche io vojo un regalo da
villucciooooo..vabbè mi modero xD Spero che anche questo
chapter sia di tuo
gradimento o mia fedele lettrice. Baciuuni
Adesso
vi lascio!
Alla
prossima
La
vostra
FallenAngel
|
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Capitolo 16 *** Labyrinthine thoughts ***
Chapter
15
Labyrinthine
thoughts
Find
an answer inside your heart
12
Maggio
Vorrei tanto
che venissi con noi…Non
me la sento di andarmene e non vederti più per
chissà quanto tempo… Non mi
interessa essere ragionevole…”
“Liz,
tutto
okay? Ti sei fatta male?”
Sollevai il
capo all’insù, ritrovandomi a fissare il volto
preoccupato di Gabriel, che mi allungava
una mano per aiutarmi ad alzare. La afferrai, scuotendo la testa
brevemente, e
cercando di rimettermi in piedi e recuperare un po’ del mio
precario equilibrio.
Ma le mie
gambe indolenzite non sembravano essere del medesimo parere: rischiai
di
scivolare più volte sulla pista ghiacciata, prima di
raggiungere una posizione
verticale.
Nel
frattempo, un piccolo teatrino si era già formato intorno a
me, attirato dalla
mia rovinosa caduta.
“Nulla
di
rotto?” domandarono le altre voci impensierite e curiose dei
miei amici.
Agitai le
mani in avanti, per scacciare tutta quella folla:
“Sì,sì…tutto bene! Caspita,
sembra che non abbiate mai visto nessuno cadere su una pista di
pattinaggio”
sbuffai scontrosa, e piuttosto imbarazzata.
Luke si
avvicinò, tirandomi una piccola pacca sulla spalla:
“Questo lo dici perché non hai
visto il volo che hai fatto!”
In effetti
il mio fondoschiena si stava lamentando alquanto, ma non era certo il
caso di
ammetterlo.
Strascicai
i pattini per un metro o due, fino a raggiungere il parapetto.
“E’ stato così
orribile?” domandai poi ad Arianna, che ricambiò
il mio sguardo mordendosi un
labbro per trattenere una risata.
“Beh…”
tentò di essere il più possibile diplomatica
“Diciamo che è stato memorabile.”
Sentii
l’impulso di gettarmi al di là del parapetto, e
iniziare a correre a perdifiato
tra gli spalti e via, fuori da lì. Ma con quei pattini ai
piedi non sarei
andata di certo lontano. Al massimo sarei finita a gambe
all’aria un’altra
volta.
“Va
bene,
evito di indagare. Ma ora lasciatemi un attimo riprendere. Arrivo
subito”
Gabriel
continuò a fissarmi pensieroso: “Sicura? Se vuoi
posso aspettare qui un poco
con te”
Gli diedi
una spinta scherzosa: “Dai, lasciami crogiolare un
po’ nella vergogna da sola”
Gli seguii
con gli occhi, mentre si allontanavano veloci verso il centro della
pista, un
turbinio di colori che si mescolavano nel freddo del mattino, al ritmo
di una
musica decisamente troppo pop, almeno per i miei gusti.
Ed ora che
sei rimasta sola, mia cara Elisa, ti meriti una bella lavata di testa.
Sognare ad
occhi aperti era decisamente l’ultima cosa da fare mentre
sfrecci sul ghiaccio,
supportata soltanto da due sottili lame di acciaio, questo lo sapevo
bene.
Soprattutto
per me, che avevo il brutto difetto di non saper fare due cose
contemporaneamente e che, diciamolo, non ero proprio una pattinatrice
provetta.
Ecco, ci
ero ricascata di nuovo! Mi ero rimessa a pensare a quello stupido
sogno. Ero
decisamente più immatura di quanto la gente potesse pensare.
Forse mi
ero meritata di volare per terra, anche se sarebbe stato meglio
picchiare la
testa e perdere quella sottospecie di impulsi nervosi che ancora osavo
chiamare
facoltà mentali.
Concentrandomi
su ogni movimento che compievo rincorsi i miei amici e mi aggrappai al
bomber
grigio di Andrea, il quale per poco non perse l’equilibrio a
sua volta.
Si
girò
nella mia direzione, quasi fulminandomi con i suoi occhi castani:
“Cosa stai
combinando? Se hai voglia di spatasciarti sul ghiaccio fallo da
sola!”
In tutta
risposta gli feci una smorfia e lo abbracciai stretto stretto:
“Lo sai vero che
ti voglio tanto, tanto bene?”
Lui
sbuffò,
senza nemmeno degnarmi di un altro sguardo, borbottando ancora una
volta
qualcosa sul fatto che non gli avevo ancora fatto conoscere i membri
della sua
band preferita.
Continuammo
a pattinare abbracciati, quando, ad un tratto, mi sentii sollevare e mi
ritrovai a volare a mezz’aria, ad una velocità
decisamente eccessiva per i miei
standard.
Serrai gli
occhi spaventata e mi abbarbicai a quel pazzo che aveva deciso di
sfidare le
leggi della fisica.
Quando li
riaprii per una frazione di secondo, l’immagine che registrai
non fu quella che
mi sarei aspettata: “Gabriel?” stridetti sorpresa
“Cosa hai intenzione di fare?
Credevo che queste cavolate le potesse pensare solo Luke! Meglio se mi
metti
giù”
Sentii
distintamente il suo petto vibrare, scosso dalle risa: “Non
ti mollo, non
preoccuparti”
Questo non
era di certo molto rassicurante: anche se non mi avesse lasciato andare
e
fossimo finiti insieme oltre il parapetto o contro un povero
pattinatore
innocente non credo che sarebbe stato divertente comunque.
Cercai di
rilassarmi, respirando profondamente, mentre il dopobarba di Gabriel mi
pizzicava le narici; ma avevo un impellente bisogno di rimettere i
piedi per
terra.
“Dov’è
il
mio Andrea? Ti prego, fammi scendere e riportami dal mio
Papà Orso” balbettai
con voce tenue.
“Potrei
anche offendermi” mi fece notare il finlandese, fingendosi
arrabbiato, mentre
però rallentava la sua corsa.
Scossi la
testa, o almeno la scossi di qualche millimetro prima a destra e poi a
sinistra, quasi avessi avuto paura che un gesto troppo brusco ci
avrebbe fatto
saltare in aria come una bomba ad orologeria.
“Nulla
di
personale, solo tanta voglia di sentire il terreno sotto ai
piedi” cercai di
mantenere un tono di voce neutro, per non ferire davvero i suoi
sentimenti, ma
quando finalmente fui riposata a terra tirai un sospiro di sollievo.
Non appena
Andrea mi fu accanto riallacciai le braccia intorno alla sua vita e gli
intimai
di fermarsi.
“Hey
che ti
hanno fatto?” sghignazzò Luke ponendosi a due
centimetri dal mio naso “Hai un
colorito decisamente verde”
“Mh”
mugugnai, affondando il viso contro il petto del mio protettore.
Quando non
avevo la forza di rispondere alle provocazioni di
quell’arrogante, era un
chiaro segno che stessi davvero male.
“Temo
non
sia stata una grande idea” commentò il cantante,
tirando una gomitata a Gabriel
“Di certo non la giusta tecnica per conquistarla”
aggiunse abbassando la voce,
ma non abbastanza perché io non potessi sentire.
Mi
comportai tuttavia in modo noncurante, come se non avessi capito
proprio nulla,
per evitare di mettere in imbarazzo il povero finlandese, che sembrava
aver
perso tutte le parole.
“Dov’è
la
mia sorellina?” domandai d’un tratto, per cambiare
argomento, mentre mi
staccavo a rallentatore dall’ala della mia chioccia per dare
un’occhiata
intorno.
Fu Andrea a
riconoscerla per primo, qualche metro più in là,
mentre chiacchierava
animatamente con l’ennesimo ragazzo, che pendeva
completamente dalle sue
labbra.
“Quella
donna è incorreggibile” commentò Danny
scuotendo la testa “Darle della
‘Mangiauomini’ è un eufemismo”
La sua affermazione fu accompagnata da diversi
commenti di assenso.
“Siete
solo
gelosi!” li rimbeccai “Solo perché lei
ha uno charme che voi non potreste
nemmeno raggiungere con una pozione magica!”
Mi voltai
verso Luke, aspettandomi un’altra risposta per le rime, ma le
sue labbra erano
serrate, e sospettavo non avesse sentito una sola sillaba di quello che
avevo
appena detto.
Il suoi
occhi erano tesi e ridotti a due fessure, e il suo sguardo sembrava
perso nel
vuoto; ma non era affatto così.
“Ora
ha
superato il segno” sembrò bofonchiare, prima di
ripartire a tutta velocità sui
suoi pattini, che stridettero quasi sul ghiaccio, lasciandoci tutti
allibiti.
“Ma
cosa ha
intenzione di fare?”
Io e Andrea
ci scambiammo una rapida occhiata, e quella bastò per
spingerci a seguire il
nostro amico, ad un’andatura naturalmente un po’
meno sostenuta.
Era meglio
non sottovalutare gli scatti di quella testa calda di Luke: non si
sapeva mai a
cosa potevano portare…
Raggiungemmo
la nostra meta, appena in tempo per sentire il cantante intimare ad
Arianna di
seguirlo, dopo averla presa per un braccio.
Il viso
della ragazza si trasformò in una maschera di stupore:
“Che cosa? Ma sei
impazzito?”
Lui non
rispose, ma la trasse verso di sé, mentre la Rossa cercava
di liberarsi dalla
sua presa.
“Lasciami
subito andare!”
“Luke,
ma
cosa stai facendo?” cercò di intervenire Andrea,
ora visibilmente preoccupato,
contemporaneamente al ragazzo sconosciuto, che squadrava con aria truce
il
cantante.
Questi
aprì
finalmente la mano, liberando il braccio di Arianna e scivolando
indietro sui
pattini.
“Ma
cosa ti
ha preso?” Andrea si mise in mezzo ai due, sperando che la
situazione non si
sarebbe risolta in una rissa.
La mia
amica teneva i pugni serrati e le labbra strette in una smorfia
adirata. Il
biondino, che portava la frangia liscia troppo lunga sugli occhi verde
acqua,
tentò di avvicinarsi, ma lei non sembrò nemmeno
accorgersene. Si spinse più
avanti, dando una spintone a Luke in pieno petto, mentre i suoi palmi
affondavano nella calda giacca. Lo colpì una volta, e poi
ancora un’altra.
“Cosa
credi
di fare eh? “ lo assalì.
Lui
cercò
di mantenere la posizione, barcollando pericolosamente: “Devi
smettere di fare
la gatta morta con tutti quelli che ti capitano a tiro!”
affermò, storcendo il
naso e non abbassando lo sguardo nemmeno per un secondo.
“E da
quando le persone con cui parlo sono diventate una tua
preoccupazione?” domandò
lei sarcastica.
Luke parve
perdere d’un tratto la parola: “Da
quando…da quando tu...ohh! devi smetterla e
basta!”
Un silenzio
glaciale calò come un sipario sul loro scambio di insulti.
“Ragazzi
non credo che…” la voce di Andrea
sembrò scalfire appena quella cupola di
ghiaccio che li aveva avvolti.
“E tu
zitto!” gridarono in coro i due litiganti, che solo per quel
momento sembravano
essere finalmente d’accordo su qualcosa, pur continuando a
guardarsi in
cagnesco, prima di voltarsi entrambi ed andare per la loro strada, da
soli.
“Qualcuno
mi spiega cosa diavolo è successo?”
mormorò il bassista, la bocca ancora aperta
come un pesce.
Aggrottai
la fronte pensierosa: “Non ne ho assolutamente
idea.”
Il
comportamento di Luke era stato inspiegabile, la reazione di Arianna
altrettanto esagerata.
Avrei
voluto subito rincorrerli uno per uno, e interrogarli fino allo
sfinimento; ma
sfortunatamente non avevo proprio tempo.
Un gruppo
di quattro personaggi altrettanto matti mi stava aspettando per non
sapevo
ancora esattamente quale impresa.
**
Con un
leggero mal di testa e la gola un po’ secca, mi accoccolai
sui gradini della
scala di emergenza godendomi la mia meritata, anzi meritatissima pausa.
A pranzo
avevo mangiato un panino di corsa per evitare di arrivare in ritardo e
adesso
che il mio cervello dava i primi segni della carenza di zuccheri non
c’era una
fiesta a soccorrermi.
Non avevo
mai pensato a quanto stressante e faticoso fosse cantare, ad un livello
superiore di quello semplicemente amatoriale. Ma lo era, caspita se lo
era…
“Ti
abbiamo
distrutto?” ridacchiò Linde comparendo alle mie
spalle tutt’ad un tratto,
facendomi sussultare. Questi ragazzi avevano il potere di ritrovarmi
anche nei
posti più impensabili.
Feci un
gesto di diniego con la mano, ma a giudicare dalla smorfia divertita
del
chitarrista non dovevo essere stata molto convincente.
“Spero
non
riporterai danni permanenti” mi prese in giro, appoggiandosi
alla ringhiera e
scostandosi un dread dal viso.
Mi fermai a
pensare su quanto tempo fosse stato necessario per creare la sua
elaboratissima
capigliatura e fui quasi sul punto di chiederglielo, ma mi trattenni,
onde
evitare di fare la figura della perfetta idiota.
“Lo
spero
anch’io” sospirai “Ma non ci metterei una
mano sul fuoco”
“Non
è poi
così facile fare la rock star eh?”
“Decisamente
no. Non oso pensare come sia farlo per tutta la vita!”
Linde mi
rivolse un altro sorriso, ma questa volta velato di tristezza:
“E’ una carriera
gratificante certo, ma a volte ti sembra di non riuscire ad andare
avanti un
altro giorno, sopportare la tensione e la stanchezza. E poi mi
piacerebbe
passare più tempo con la mia Olivia”
Lo guardai
attentamente, e vidi davanti ai miei occhi non il chitarrista della mia
band
preferita con la sua gibson in mano, ma un semplice uomo che desiderava
poter
avere un po’ più di tempo da dedicare alla sua
bambina. Che la fama non è tutto
è di certo una gran verità, sebbene nessun uomo
comune lo pensi. Eppure chi può
dire quale sia la scelta migliore? Ogni strada imboccata ha i suoi pro
e
contro.
“E’
una
bambina estremamente intelligente sai? E furbissima” mi
assicurò, mentre i suoi
occhi si illuminavano “Devo assolutamente fartela
conoscere!”
Sorrisi a
mia volta “Sarebbe fantastico!” esclamai
entusiasta. Vedere un padre parlare
con tanto orgoglio di sua di figlia mi riempì il cuore di
gioia.
“Appartenere
ad un gruppo ed eseguire tour in tutto il mondo è una vita
difficile e piena di
incertezze” proseguì, facendo scivolare le dita
sul corrimano con estrema
lentezza, perso nei suoi pensieri “Ma è bello
sapere che c’è qualcuno sempre
pronto ad appoggiare le tue decisioni e ad aiutarti. Se non avessi
Manna e la
mia piccola, non so come farei”
Alzò
lo sguardo
all’improvviso, intrappolando il mio: “Per Ville
non è così. Lui non ha mai
trovato una persona che sapesse volergli bene davvero e che lo aiutasse
ad
andare avanti, senza aspettarsi nulla in cambio. E’ molto
più fragile di quanto
sembri”
Sentii
l’impulso
di abbassare gli occhi, ma non ci riuscii. Ad ogni sua parola sentivo
il sangue
gelarsi nelle mie vene. Perché lo stava venendo a dire a me?
Mi morsi un
labbro, non sapendo cosa dire.
“Si
merita
qualcuno che lo apprezzi per quello che è, non per quello
che rappresenta, ma
tutti sembrano attratti soltanto dalla sua fama”
Iniziai a
sentire caldo al viso, mentre il mio cervello lavorava
all’impazzata. Possibile
che Linde potesse pensare che avevo anche la minima intenzione di
ferire Ville
e che mirassi soltanto a farmi pubblicità?
Mi alzai di
scatto in piedi, a fronteggiarlo: “Di certo queste persone
non hanno capito
proprio nulla e non sono degne nemmeno di averlo conosciuto. Forse un
giorno
capiranno i loro errori, ma fin quando non lo avranno fatto saranno le
uniche a
perderci veramente. Ma c’è qualcuno, qualcuno che
ha soltanto da chiedere
grazie, a cui è già stato dato tanto e che
vorrebbe trovare solo un modo per
ricambiare” Parlai veloce, masticando le sillabe
tutt’ad un fiato, tanto che
dubitai avesse capito un acca di tutto quel discorso contorto. Le mie
guance
ormai erano in fiamme e mi sentii una perfetta idiota imbarazzata.
Ma
l’espressione stupita di Linde si addolcì ben
presto: “Sarà meglio tornare”
suggerì con dolcezza “La nostra cantante ha
bisogno ancora di qualche prova,
non credi?”
Annuì
brevemente, seguendolo su per la scala.
**
14 Maggio
Di certo
non si poteva dire che il discorso di Linde non mi avesse toccata.
Non
riuscivo ancora a capire il motivo per cui il chitarrista mi avesse
rivolto
parole che mi avevano graffiata tanto. Che avesse frainteso le mie
intenzioni?
Mi considerava forse una fan sanguisuga, desiderosa soltanto di finire
sulla
prima pagina di qualche rivista scandalistica?
Che avesse scoperto tutto quello che era successo
più di una settimana
prima? Ma proprio per questo non riusciva a capire che io non volevo
proprio
nulla?
Troppe
domande affollavano la mia testa e ad ogni colpo di spazzola sembrava
che una
bomba fosse sul punto di esplodere. Con tutti quei colpi di spazzola
prima o
poi non ci sarebbe stato più nulla da pettinare.
Appoggiai
la spazzola sul comodino e sfiorai lo specchio con l’indice,
tracciando il
profilo del mio volto triste. Forse avevo sbagliato a rispondere agli
inviti di
Ville, forse avrei dovuto lasciar perdere dall’inizio,
dimenticare ciò che era
successo.
D’altro
canto non avevo fatto nulla. Nulla di male.
Mi alzai in
piedi e spalancai l’armadio, iniziando a tirar fuori abiti
alla rinfusa dai
cassetti. Ben presto la trapunta cobalto scomparve, coperta da macchie
di
colore e forme indistinte. Continuai a lanciare vestiti, fino a quando
nei
cassetti non rimase più nulla.
Raccolsi da
terra un abito rosso e legai con cura i nastri al collo. Nascosi i miei
occhi
sotto uno strato troppo pesante di matita, dipinsi le mie labbra di un
rosso
che risaltava come sangue sulla mia pelle diafana.
Il giorno
seguente avrei detto ai ragazzi che non me la sentivo più di
cantare insieme a
loro. Da quella sera stessa avrei cominciato a vivere una vita reale,
chiudendo
per sempre i miei sogni in quello stupido cassetto lasciato vuoto.
Avvertii
Gabriel che accettavo l’invito a cena per quella sera e mi
sedetti a terra,
appoggiata contro il muro freddo e spoglio aspettando che arrivassero
le 7,
cercando dentro di me un po’ di quella che forza che tante
volte mi aveva
aiutato.
Non sarebbe
stato facile sbattere la porta in faccia ad un sogno così
allettante, ma
probabilmente era meglio farlo prima che qualcuno potesse farsi del
male.
Trovata
almeno un po’ di calma, mi rimboccai le maniche e cominciai a
mettere un po’
d’ordine in quel campo di battaglia.
Quasi per
caso, passando accanto al comodino, mi accorsi che il telefono stava
squillando.
Risposi,
senza pensarci, senza guardare il numero sul display, troppo presa da
altre
questioni nella mia testa.
“Pronto?”
risposi distratta, il cellulare incastrato tra la mia guancia e la
spalla,
mentre tentavo con non troppa delicatezza di infilare un maglione in
quello
che, evidentemente, non era il suo posto.
“Ciao”
rispose Ville semplicemente, senza troppo entusiasmo, senza alcuna nota
ironica, senza tristezza, senza stizza. Semplicemente.
“Ciao”
replicai con voce atona.
“Tutto
bene? Ti sento strana”
Deglutii,
accostandomi allo stipite della porta. Provai ad aprire bocca per
rispondergli
che andava tutto straordinariamente bene, soprattutto perché
non lo vedevo da
due giorni, ma non riuscivo a mentire.
“Non
è
stata una grande giornata a dire il vero” sospirai infine,
lasciandomi
scivolare fino a sedermi a terra.
“Neanche
la
mia a dire il vero” ripetè lui, facendomi il
verso. Ero sicura che in quel
momento le sue labbra fossero incurvate in un sorriso, cosa che mi fece
storcere il naso e irritare non poco.
“Mi
sta
prendendo in giro, signor Valo?”
La sua
risata di scherno penetrò dritta nel mio orecchio:
“No, no, stavo dicendo sul
serio” si fermò un momento, come a riflettere, per
poi riprendere qualche
istante più tardi “Ma in effetti ti stavo anche
prendendo un po’ in giro”
Inarcai le
sopracciglia, ma ricordandomi che non poteva vedermi sbuffai:
“Sei davvero
divertente”
“Hey,
qualcuno si sente acidello oggi! Temo che l’astinenza da
Ville Valo faccia
proprio male; non hai sentito qualche canzone per tirarti un
po’ su? Lo so che
ascoltare solo la mia voce non è abbastanza, ma
può aiutare…”
Sebbene
tentassi di fare la scorbutica, Ville riuscì inevitabilmente
a strapparmi un
sorriso: “Hai ragione, non è affatto come poter
vedere la tua faccia da
schiaffi”
“Lo
prenderò come un complimento!”
borbottò, fingendosi offeso.
“Oh,
non lo
è proprio!”
Non sapevo
esattamente perché mi stessi comportando in quel modo. Forse
perché mi
terrorizzava ammettere che, nonostante i miei buoni propositi, Ville
aveva
perfettamente ragione: non lo vedevo da due giorni e mi mancava
terribilmente.
E il pensiero di non vederlo più mi faceva ancora
più male. Ero una sciocca.
Un’emerita sciocca.
“Come
mai
hai chiamato?” domandai in un sussurro: una parte di me
desiderava mettere fine
a quell’agonia. L’altra, sperava che per qualche
strano motivo la conversazione
non potesse avere termine.
“Non
lo so
neanche io esattamente” mormorò con
sincerità “Prima ancora di pensarci
veramente avevo già digitato il numero. E’ una
cosa stupida?” domandò, e
sembrava volesse conoscere davvero ciò che ne pensassi al
riguardo.
Rimanemmo
in silenzio per mezzo minuto buono ed io ascoltai il suo respiro lento
attraverso la cornetta, ad occhi chiusi, prima di decidermi finalmente
a
rispondere.
“Sì…forse…probabilmente”
blaterai parole sconnesse.
“In
realtà
una scusa l’avevo” si ricordò
d’un tratto “Per chiamare intendo”
“Ah
sì?”
“Volevo
assicurarmi che domani sera venissi al Midnight Wish. Migè
mi ha garantito che
già lo sapevi, ma ho voluto comunque esserne certo per conto
mio. Anche se,
adesso che ci penso, non riesco a capire esattamente come lui faccia a
saperlo”
nella sua voce potevo percepire il dubbio e la curiosità.
“Ve
l’ho
detto l’altra sera” mentii “Non te lo
ricordi più?”
“Uhm,
forse
hai ragione. La vecchiaia fa brutti scherzi
talvolta…”
“Ville…”
lo
fermai, biascicando il suo nome.
Luì
tacque
all’istante, per ascoltarmi.
Cercai
ancora una volta le parole adatte, per dirgli che in realtà
avevo cambiato
idea, che non sarei venuta, che non sarei più
venuta…
“Cosa
c’è
Liz?” mi incoraggiò, ottenendo però
l’effetto contrario.
Rimasi muta
come un pesce, mentre il silenzio divenne quasi insostenibile. Fu Ville
a
rompere quell’odiosa quiete, sebbene involontariamente.
D’un
tratto
infatti un rumore inaspettato riempì le miei orecchie,
seguito da
un’esclamazione di rabbia non troppo fine.
“Cosa
è
successo?” domandai preoccupata, spalancando gli occhi e
ritirando
inconsciamente le gambe al petto.
“Nulla
nulla” cercò di distogliere l’attenzione
dall’avvenimento, con un timbro di
voce alquanto strano.
“Cosa?!”
insistetti, con un tono che non ammetteva repliche.
“Ehm”
borbottò imbarazzato “Ho per sbaglio fatto cadere
una sedia…sul mio piede”
confessò.
L’ansia
e
il tormento che si erano accumulate in quei due giorni, e che avevano
raggiunto
il culmine negli ultimi minuti, portate all’esasperazione dal
timore, causarono
una disfunzione del mio povero e martoriato sistema nervoso: scoppiai
in una
risata, una risata incontrollabile.
“Piantala
di ridere!” mi gridò Ville irritato, anche se non
perfettamente serio come
avrebbe voluto “Non è affatto carino!”
“Scusa”
mormorai con le lacrime agli occhi “Sei il mio mito”
“Anche
quando non mi comporto da rock star e sono solo un ragazzo
imbranato?”
“Soprattutto
quando sei solo un ragazzo imbranato” gli confidai.
“La
verità
è che sono io ad avere bisogno di vederti, non il contrario
immagino. Verrai
quindi domani?”
Un brivido
scivolò giù per la mia spina dorsale, mentre uno
strano calore risvegliava il
mio volto: in quel momento capii che né l’opinione
degli altri, né le mie paure
avrebbero potuto impedirmi di scegliere la mia strada. Anche
perché il mio
cuore la sua scelta l’aveva fatta.
“Giusto
perché è l’unico modo per non farti
uscire di testa, Ville Valo”
“Spirito
da
crocerossina insomma?” ironizzò.
Ridacchiai:
“Una specie. Ma ho il mio tornaconto personale”
“Mmh
davvero? E cioè?” domandò curioso.
“Non
penso
proprio che te lo dirò” ribattei sicura, alzandomi
in piedi e iniziando a
camminare per la stanza.
Passai
inevitabilmente accanto allo specchio, incrociando quegli occhi che pur
nascosti da tutto quel trucco ora brillavano di una luce nuova. Mi
ritrovai a
sorridere come una sciocca. Ma almeno ora sorridevo.
“Ah
sì?
Potrei venire lì e costringerti a parlare”
minacciò scherzando. Ci impiegai
qualche secondo per capire ciò che significavano davvero
quelle parole. Quando
me ne resi conto un nuovo senso di colpa tornò ad opprimermi
il petto.
Ville era
rimasto in silenzio ad attendere la mia risposta. Cercai di recuperare
quel mio
attimo di confusione cinguettando con quanta più naturalezza
potevo fingere:
“Mi dispiace ma dovrai conservare le tecniche di tortura per
un’altra volta.
Stavo per uscire” le ultime parole furono poco più
che un sussurro.
“Oh”
Ville
si lasciò scappare un’esclamazione sorpresa e
alquanto…delusa? ma subito dopo
riprese il suo tono beffardo: “Allora scusa se ti ho fatto
perdere tempo!
Dovrai ancora prepararti e nascondere i tuoi bitorzoli da strega! Non
vorremo
far aspettare il tuo non-ragazzo Luke!”
Sbuffai
esasperata: “Ancora con questa storia? Ti ho già
detto che non è il mio ragazzo
e poi non esco con lui” blaterai troppo e me ne pentii subito.
“Ah
no? E
allora con chi esci?” incalzò subito, con estrema
noncuranza.
“Amici”
Per quale
motivo avevo dovuto mentire? Non ci avevo nemmeno pensato. Lo avevo
fatto e
basta.
La sua voce
mi parve più allegra quando decise di darmi la buonanotte:
“Allora ti lascio
alla tua serata! Non fare tardi sorellina!”
“Certo
Mamma!”
Dall’altra
parte dell’apparecchio sentii provenire un gorgoglio strano,
che sarebbe stato
difficile definire risata o altro.
“A
domani.
Ho bisogno della mia Furia”
E prima
ancora che potessi avere il tempo di replicare, interruppe la
comunicazione.
Con un
po’
di struccante e olio di gomito, cancellai la mia maschera.
Il vestito
ritornò sulla sua gruccia, mentre un caldo e comodo
maglioncino color cenere
scendeva a coprirmi le spalle nude.
Riposi
nella mia fidata borsa di Nightmare Before Christmas il telefono e
infilai
senza più esitazione le converse.
Usci veloce
dalla mia camera, come una bambina. Sì, forse non ero nulla
più di una bambina,
ma era arrivato comunque il momento di chiarire le mie intenzioni con
Gabriel.
________________________________________________________________________
Eccumiiiiiiiii!!
Pensavo di
non riuscire a finire prima del concerto, ma ce l’ho fatta!
Mi è venuto fuori
un capitolo lungo e un po’ controverso…ma forse a
questo punto la ragazza si è
chiarita un po’ le idee…spero…XD
E
poi non ho resistito a
mettere una scenetta su Luke e l’Ary, che, se devo
confessarlo, sono i miei
personaggi preferiti, si forse anche più di
Villuccio…forse XD
Un
grazie gigantesco a:
@Malaena:
nuuuuu! Non volevo
attentare alla tua vitaaa! Scusa scusa! Però era davvero
imperdibilee! Gas è un
grande! Anche se mia madre sostiene che lo faccia mangiare
troppo..l’ha
soprannominato PoldoXD Sono contenta che ti sia piaciuto^^ un clima di
intimità
e amicizia era proprio quello che volevo cercare di ricreare! Grassiee!
Spero
sarai sopravvissuta anche a questo chap! Fammi sapere! Baciii
@Crist:
grassie cara! Lo so
che ti sto facendo penare…sono proprio un danno! Sto
tagliando pezzi qua e là
per accorciare ma proprio non sono fatta per le storie breviXD Mi piace
cercare
di descrivere un po’ le emozioni e approfondire il rapporto
sempre più..anche
se stanno per scoppiare poveriniXD Un bacio!!!
@lampo-MAPO:
lampoXD che
devo stare a dirti? Sei la mia gemeeeeeeeeeee..ma quanto ti adoro??
Sono
felicissima di averti tra le commentatrici (che sorpresaXD) e mi sa che
questo
per questo capitolo..niente anteprimaXD lampoooo torna dalla tua
spedizione che
ti devo parlareeeee! Bacino imouhhhh
@Sis:
non mi soffermo
troppo..visto che domani ci vediamoXD ma un salutino velocizzimo e un
bacionzolo alla mia sisssss! DOMANIIIIIIIIIIIII! Te vojo beneee
@linkin park: ma sssalve my darling! Zono contenta che tu abbia
gradito il chapter musicale! Anche a me
piacciono tanto tanto quelle song^^ Intuisci qualcosa?? Hihihi Beh al
prossimo
capitolo il mistero sarà svelato!! Baciii
@vampire_heart: ma
grazieeeeeee! Sono troppo
contenta che ti sia piaciuto! Ragazze avete tutte dei fantastici gusti
musicali
xD Ecco qui un nuovo pezzettino della storia..spero non ti abbia
deluso^^
Kissessssss
@Bell_Lua:
uhh la mia dolce
Lu! Mi fai commuovere troppo! Sei fantasticissimaaa! Nun vedo
l’ora di poterti
abbracciare! Grazie grazie! spero troverai altrettanto interessante
anche
questo^^ suukko
Un
abbraccio anche a tutti
quelli che leggono e basta^^ se vi va di lasciare un commentino mi
fareste
ancora più felice.
BuonCOncerto
a tutte quelle
che ci andrannooo!!!
LaVostra
-FallenAngel-
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Capitolo 17 *** Just a song - Pt 1 ***
Chapter
16
Just a song – Pt 1
And keep begging for more of this Resurrection
13
Marzo
Passeggiare
per le vie di Helsinki era qualcosa di indescrivibile: ogni strada,
ogni
edificio, dolcemente accarezzato dai raggi di un tenue sole che tentava
in ogni
modo di non soccombere dietro a nuvole grigie, riusciva a regalarmi un
senso di
pace e di sicurezza.
Sì,
sicurezza, nonostante avessi rischiato più di una volta di
scivolare sui
marciapiedi dove a poco a poco neve e ghiaccio si trasformavano in
acqua.
“Eccoci!”
esclamò ad un tratto Katriina, indicando una via laterale a
pochi metri di
distanza.
La nostra
guida ci condusse fino davanti all’insegna scura del negozio,
che occupava buona
parte dell’angusta strada. ‘Secret
Temptation’ recitava in caratteri gotici
l’insegna.
Mi fermai
ad osservare la vetrina, mentre a poco a poco la mia bocca si apriva in
una
buffa smorfia di stupore, che scatenò il riso di Kat.
“Spero
tu
non stia per avere un arresto cardiaco” mi prese in giro,
posandomi una mano
sulla spalla.
Incapace di
rispondere, continuai ad ammirare con gli occhi fuori dalle orbite un
manichino
vestito di tutto punto, con un corsetto di raso nero decorato con fregi
arzigogolati di un rosso così intenso che parevano quasi
disegnate con il
sangue. La lunga gonna, interamente composta da strati di pizzo
finissimo,
arrivava a sfiorare il suolo e presentava sul davanti una grande e
bellissima
croce gotica. Morbidi lacci avvolgevano stretti la stoffa del corpetto
e si
dipanavano sui lati della gonna, rendendo il completo assolutamente
perfetto.
Un pensiero
attraverso alla fine il mio cervello, prima completamente congelato:
“E’
stupendo ma…chissà quanto costa!”
Naturalmente non c’era alcuna targhetta ai
piedi, a informare i passanti del prezzo: un classico, per qualunque
negozio
decisamente d’élite. Genere di
negozio che ero abituata a non sbirciare nemmeno da lontano.
“Perché
siamo venute qui?”
Arianna
sbuffò sonoramente, prendendomi per mano e attirandomi verso
l’entrata: “Non
cominciamo eh! Non devi preoccuparti assolutamente di nulla. La brutta
notizia
è che il tuo abito è già stato scelto
e non è quello in vetrina. Ma quella
buona è che è già stato
pagato”
“C-come
scusa?” balbettai, mentre venivo spinta all’interno
dalle due ragazze.
Tutti
avevano insistito che per la sera della mia famosa prova –
che per la cronaca,
era esattamente quella sera – avrei dovuto indossare un abito
nuovo e
spettacolare. Nonostante le mie proteste non ero riuscita a far
cambiare idea
né agli HIM né ad Arianna, ma avevo comunque
stabilito che avrei scelto un abito
carino, ma non esagerato. I miei aguzzini mi avevano liquidato con un
veloce sì
ed io ero stata così ingenua da prenderli sul serio. Avrei
dovuto capire che
avrebbero comunque fatto di testa loro.
“Ma,
ma…”
continuai a blaterare “Dovevo sceglierlo io il vestito e
soprattutto pagarlo
IO!”
“Mi
dispiace ma è andata un po’ diversamente”
Incenerii
la mia amica con lo sguardo “No, assolutamente no! Adesso
diciamo alla commessa
che non possiamo acquistarlo e così restituiamo i soldi
a…ma chi diavolo ha
pagato?”
“Ci
ha
pensato la tua band! Naturalmente sono stati loro a sceglierlo, io ho
fatto da
consulente e ho fornito le misure” spiegò la Rossa
con un sorrisino compiaciuto
“Ah, quasi dimenticavo: non può essere restituito
perché è stato fatto apposta
per te. E a tempo di record dovrei aggiungerei”
“Ed
è
assolutamente meraviglioso” le diede spago Kat, con
l’espressione di chi
sembrava rammentare un’apparizione divina.
“Anche
tu
sapevi di questo inganno?” le domandai con gli occhi fuori
dalle orbite “Non ci
posso credere! Come avete potuto permettere una cosa del genere?
IO…” il mio tono
iniziava a toccare corde particolarmente elevate, quando infine giunse
la
commessa, con un sorriso a trentadue denti incorniciato da due labbra
rosse
carnose.
“Buongiorno.
Bentornate!” ci accolse la donna con voce soave e poi,
rivolta a me, aggiunse
“Lei deve essere la famosa Elisa. Siete davvero bella come vi
avevano descritta
e penso proprio che l’abito vi starà a pennello.
Spero sarà di vostro
gradimento. I nostri sarti hanno fatto davvero del loro
meglio”
Arrossii
violentemente, e mi sentii in un imbarazzo inverosimile: non potevo
credere a
quello che aveva appena detto. Era tutto troppo, troppo per me.
Fu Arianna
a supplire alla mia mancanza di parole; “Certo che le
piacerà”
Con un
altro immenso sorriso, la donna ci invitò a seguirla,
portandoci nella stanza
accanto, dove uno sgabello rivestito con una copertura bordeaux era
posto
davanti a tre alti specchi, cerchiati da una cornice bronzea.
Là
l’attendemmo qualche minuto, fino a quando, aiutata da un
collega, non condusse
nella stanza un altro manichino dotato di ruote e sopraelevato, a causa
del
lungo strascico del vestito.
Schiusi le
labbra, ma ancora una volta le parole mi morirono in gola, mentre il
telo che
fino a poco prima lo nascondeva, scivolava ai piedi del
manichino…
***
“Resta
ferma cinque minuti, per favore” mi sgridò
Arianna, facendo la voce grossa, ma
guardandomi con un misto di tenerezza e divertimento.
Chiusi un
momento gli occhi e respirai profondamente: “Ci sto provando
davvero” cercai di
giustificarmi, attorcigliando un fazzoletto tra le mani, o meglio,
ciò che
restava di un fazzoletto “Ma...”
Lei mi
abbracciò da dietro un momento, prima di ricominciare a
muovere febbrilmente le
mani tra i miei capelli: “Sei proprio tenera a volte, un
cucciolo”
La guardai
nello specchio con occhi d’un tratto tristi: “Sono
una bambina non è vero? Una
sciocca bambina agitata come per la recita scolastica. Sono chilometri
distante
dall’essere adulta” Sentivo di essere
sull’orlo delle lacrime.
“Calmati”
mi ordinò, con dolcezza ma altrettanta fermezza
“Non intendevo questo. E’
normale essere agitati, succede a tutti. Tu sei adulta. Sei adulta
già da
molto, troppo tempo. Sei più matura della maggior parte
delle persone che
conosco, più matura di me probabilmente”
tentò di rassicurarmi.
La fissai a
lungo, cercando di appigliarmi alla sua sicurezza: sapevo che stava
parlando
con sincerità, non mi avrebbe mai mentito, ma temevo che non
mi conoscesse
abbastanza.
“Devi
solo
promettermi una cosa” mi disse poi, attorcigliando una ciocca
bruna intorno al
ferro.
“Cosa?”
domandai in attesa.
“Stai
attenta. Non lasciare il tuo cuore perdersi senza freni. Ricorda sempre
di non
smarrire la strada. Ma non imbrigliarlo nemmeno troppo
stretto.”
Mi morsi un
labbro, annuendo lievemente. Forse mi sbagliavo: mi conosceva davvero
meglio di
chiunque altro.
“Sai”
commentai “Qualche volta mi ricordi una sacerdotessa greca
dai responsi
sibillini”
Arianna
sorrise, allungando una mano, affinché le passassi una
forcina.
“Ieri
sono
uscita con Gabriel” mormorai a mezza voce.
Lei rimase
in silenzio, aspettando che continuassi.
“Gli
ho
parlato sinceramente. Non potevo continuare a fingere e imbrogliare le
carte.
Gli voglio bene ma…solo come ad un amico”
“Nonostante
penso che tu abbia due pezze gigantesche sugli occhi”
commentò scuotendo
bonariamente il capo “credo anche che tu abbia fatto bene. E
adesso?”
Alzai le
spalle: “Adesso aspetterò il mio grande amore
pazientemente” mormorai facendo
finta di nulla.
“Mh”
fu la
sua unica risposta, poco convinta.
Cambiai
discorso: “E il tuo, di cuore? Non è che hai
scordato di ascoltarlo?”
La sua
espressione subì un mutamento repentino, mentre i suoi occhi
chiari si
accendevano di curiosità e apprensione, e le sopracciglia
fulve si piegavano in
una posa innaturale: “Cosa vuoi dire?”
“Sai
esattamente cosa voglio dire” risposi prontamente,
trattenendomi dal scuotere
il capo. La mia parrucchiera non lo avrebbe certo apprezzato.
“Ti
sbagli”
mi assicurò, ma la sua voce non sembrava più
tanto sicura. “Non c’è proprio
nessuno che il mio cuore agogni, mia cara innamorata”
Arrossi
involontariamente, ma cercai di non lasciarmi distrarre dai suoi
subdoli
trucchetti “Smettila. Non c’è bisogna
che tu menta con me.”
“Non
lo sto
facendo” ribadì, e sembrava quasi convinta delle
sue stesse parole.
Forse non
mi stava davvero mentendo. Stava ancora mentendo a se stessa. Ma ero
sicura che
con il tempo non avrebbe più potuto negare
l’evidenza.
Rimanemmo
in silenzio fino a quando non ebbe terminato di acconciarmi i capelli.
Nel
frattempo riflettei su quanto lei e Luke fossero simili. E diversi. E
fatti per
stare insieme.
Probabilmente
lo avevo sempre saputo. Sperai se ne accorgessero anche loro al
più presto.
***
Tesa? No,
tesa non era la parola giusta.
Terribilmente
agitata? Ancora troppo poco.
Terrorizzata?
Decisamente meglio. Ma non avrei saputo trovare un aggettivo che
potesse
davvero descrivere in che stato mi trovavo al momento.
In compenso
stavo facendo un elenco strano di parole con la T, forse era il segnale
di una
qualche forma di pazzia e instabilità mentale.
Mi sedetti
su una sedia che era stata messa lì per me. Non avevo
nemmeno fatto a tempo ad
appoggiarmi, che ero già in piedi, come una molla.
Sbirciai di
nuovo sul palco, ancora vuoto.
Dovevo
aspettare,
aspettare, aspettare. Ma l’attesa mi stava uccidendo. Ero
nota per essere una
persona piuttosto paziente e accomodante, ma adesso anche un secondo si
trasformava in ora. Mi sembrava di essere finita in un varco
spazio-temporale o
in un buco nero.
E
così
restai ancora da sola, nell’ala sinistra del backstage,
quella usata più
raramente, sin quando, finalmente, le luci nella sala si affievolirono
e il brusio
del pubblico si fece sempre più sommesso.
Poi
all’improvviso tutti scoppiarono in grida di gioia e
applausi, e seppi che
finalmente erano arrivati.
Mi azzardai
a guardare meglio, senza però rischiare di essere vista a
mia volta. Salutando
con un sorriso i suoi fan, Ville si posizionò al centro del
palco, accompagnato
dai suoi compagni. Indossava un paio di pantaloni neri, e una giacca
dello
stesso colore che gli cadeva addosso perfettamente, come se fosse stata
cucita
apposta per lui. E probabilmente era proprio così. Era
elegante e assolutamente
bellissimo. Inutile dire che sentii le gambe tremare per un momento. O
forse
due.
Prima di
prendere in mano il microfono, parve scrutare a lungo il pubblico, in
cerca di
qualcosa, o qualcuno.
I suoi
occhi sembrarono illuminarsi per un secondo, nel notare una persona
nelle prime
file, ma subito dopo sul suo volto si dipinse un’espressione
turbata.
Seguii il
suo sguardo. Meta del suo cenno stupito e pieno di domande era Arianna,
la
quale alzò le braccia, ad indicare che lei non ne sapeva
proprio nulla.
Quando fu
sicura che lui non la stesse più fissando però,
la Rossa si voltò nella mia
direzione per incontrare a colpo sicuro i miei occhi, e ammiccare
furbescamente.
Il frontman
avvicinò quindi alle labbra il microfono, mentre il silenzio
calava di nuovo
sul Midnight Wish.
“Buonasera
a tutti!” esordì, utilizzando a sorpresa la lingua
inglese “Questa sera avevo
deciso di tormentare un po’ le vostre orecchie per fare una
sorpresa ad una mia
amica. Ma a quanto pare, sembra essere sparita dalla
circolazione” commentò,
ancora sorpreso e deluso, mentre alle sue spalle Gas non sapeva
più cosa fare
per trattenersi dal ridere.
“Ma
anche
se lei non c’è, spero non vi dispiaccia se
canterò ugualmente?”
La reazione
del pubblico di certo non aveva bisogno di essere interpretata.
“Lo
prenderò come un sì”
ridacchiò, sistemandosi meglio il cappello di lana sulla
testa.
“Questa
è
per la mia piccola sorellina traditrice, che ha risvegliato una parte
di me che
credevo smarrita per sempre” mormorò, guardando un
punto fisso davanti a sé,
come perso nei suoi pensieri.
“There was a time when I could breath my life
in you…” sospirò in un
sussurro, la bocca a baciare dolcemente il microfono
che stringeva tra le mani.
“…and one by one your pale fingers started to
move” continuò a cappella, piegando
appena un poco il capo, ad occhi
chiusi, e un’espressione così concentrate dipinta
in volto, che mi fece
accapponare la pelle.
Avvolsi le
braccia intorno al corpo, mentre permettevo ad un’unica
lacrima solitaria di
rigarmi il viso.
La musica
cominciò ad accompagnare le parole di quella canzone che
adoravo tremendamente,
e la melodia la rese ancora più struggente.
“And
I touched your face and all life was erased…”
Avrei
voluto uscire dal mio nascondiglio e domandargli perdono, perdono per
avergli
fatto credere anche solo per un secondo che io non ero lì
per lui, come mi
aveva chiesto.
Ma dovevo
attenermi al piano.
“…You
smiled like an angel…”
cantò Ville, facendo scivolare una
mano sull’asta del microfono, come se avesse carezzato
l’aria, per poi muoverle
lentamente, seguendo la melodia, sempre con le ciglia abbassate sulle
iridi
chiare.
“Fallen
from grace” intonarono tutti i presenti ed io nel mio cuore.
“We’ve been slaves to this love from the
moment we touched
And
keep begging for more
Of this Resurrection”
Ripensai a
quella prima sera, quando avevo cantato su quello stesso palco
‘Killing
loneliness’ e l’avevo dedicate a lui, interpretata
per lui, e per lui solo.
Era passata
poco più di una settimana. Ma sembrava una vita intera.
Forse anche
io ero risorta grazie al suo sorriso e al suo comportamento
assolutamente fuori
dal normale. Ma, ad onor del vero, la mia resurrezione era iniziata
ancor
prima, al suono della sua voce e della sua musica.
Dicono che
un angelo che ha perso le sue ali un giorno tornerà comunque
a volare. Non
sapevo se il mio angelo reo e dannato avrebbe un giorno ripreso il
volo, ma
desiderai ardentemente che, ovunque fosse andato, Inferno o Paradiso,
mi
portasse con sé.
“You kissed my lips with those once
cold
fingertips
You
reached out for me, but, oh, how you missed
And You touched my face and all life was erased
You smiled like an angel
[Fallen From Grace]
We’ve been slaves to this love from the moment we touch
And we’re begging for more
Of this Resurrection”
“This Resurrection”
Mormorò
Ville, mentre i battiti acceleravano rapidi, come a rincorrere i tocchi
della
batteria.
“Of this Resurrection”
Ripetè,
e
le mie dita nivee e congelate si richiusero in due pugni serrati.
“This Resurrection”
Le unghie
si insidiarono nei palmi, quasi lacerando la carne.
In
profondità. Sempre più in profondità,
mentre i suoi sospiri aumentavano con
pari intensità. Sono certa che per un breve, brevissimo arco
di tempo, le mie funzioni
vitali si bloccarono: il cuore si fermò in ascolto, per
timore di oscurare con
il suo pulsare frenetico anche il più piccolo suono e i
polmoni smisero di
pompare aria inutile dentro e fuori il mio corpo. Sì, per
poco più di qualche
secondo ero davvero morta.
Ma il mio
angelo senza ali era pronto a sorreggermi e riportarmi indietro con la
sua
voce, per un ultimo, sofferto, ritornello.
“We’ve
been slaved to this love from the moment we touch
And we’re begging for more
Of this
Resurrection”
(End first part)
________________________________________________________________________
Hei!
Siii
lo so, sono pessima: ma
dopo il concerto (anzi..i concerti :p) ho iniziato a scrivere come una
dannata
e mi è venuto fuori un altro capitolo chilometrico che ho
deciso di dividere a
metà.
Finalmente
posso scrivere
della canzone che mi ha dato il nome xD Ma quanto può essere
bella? Temo però
che non mi sarà mai concesso di sentirla live (non che mi
sia dispiaciuto
sentire le altre sia chiaro xD) Ho cercato di trasmettere un
po’ delle emozioni
che provo ascoltandola, ma è terribilmente difficile. Sono
sicura però che
potete capire.
Nun
preoccupatevi la seconda
metà arriva presto! E sono già
all’opera con il capitolo successivo (aiutooo
non sono io! Un’alieno si è impossessato del mio
corpo)
Fatemi
sapere come vi è
sembrato. Sono supercuriosa come al solito^^
E
restando in clima di
dediche, questo capitolo lo dedico a Ville e a tutti gli HIM, per la
meravigliosa performance che ci hanno regalato.
Un
grazie gigantesco a:
@Crist:
nooo cara non voglio
farti impazzire. Dai in questo capitolo ho tolto uno degli ostacoli al
loro
rapporto (il mio povero Gabrieluccio) e quindi…hihihi. Nooo
peccato che non ci
siamo potute vedere! C’erano un sacco di assatanate come noi
all’alcatraz x D
magari eravamo vicine e nemmeno lo sapevamo! Ma quanto era bello lui?
*.*
@FrozenTearAkaLampo:
Lampo la
tua recensione mi fa sempre più ridere ad ogni lettura xD
sei il mio mito! Grazie
amorina miaaaa nun è vero è bellissima! Avevi
ragione, una catastrofe era in
arrivo L non vedo l’ora di
sentirti geme, ho bisogno di te…comunque tornando alla
storia: spero tu abbia
capito che l’essere inutile non era né Luke
né Gabriel ma quel tizio che ci
provava con l’Ari (sembra che sto parlando dei miei amici di
scuola xD)
ukkeeeei? x D e poi sì, lei è un po’
sciocchina, ma alla fine l’ha convinta
visto, è molto persuasivo! A presto amorina. Attendo
commentino..bacini
imooooouh and normals
@Vampire_heart:
grassie
tesora! sisi hai ragione, è stato devastante *.* ma troppo
bello! Sono tanto
contenta che ti sia piaciuto il capitolo. Siamo tutte in astinenza!
Però questa
fortunella della Eli se lo può vedere per benino quando
vuole.. uffaaaaaaaa xD
posso essere gelosa di una mia creatura? Vabbè si posso xD
Suukko
@Malaena:
Eccomiii! Scusa il
ritardino, ma dopo il concerto dovevo riprendermi x D Siii si sta
muovendo
qualcosa! Solo che Arianna e Luke sono cocciuti come muli, e quindi la
situazione è pochino complessa anche su quel fronte. Ma non
disperiamo! Con
Gabriel Liz ha cercato di sistemare le cose, con
Ville…mmm…lascio decidere a
voi nei prossimissimi capitoli xD Dimmi come ti è sembrato
questo qui^^ Un
bacettoo
Un
abbraccio fortissimo anche
alla mia Sis e alla Lu che ci manca immensamente: ti rivogliamolo!
Allora
a presto
La
vostra
-FallenAngel-
|
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Capitolo 18 *** Just a son - Pt 2 ***
html>
Just a song – Pt 2
The moon kissed the sun and now we hold her in
our blood
Asciugai
svelta il mio viso bagnato, tentando di non rovinare quel trucco
perfetto.
Tirai su un
poco col naso, contenta che non ci fosse nessuno
a vedermi o sentirmi.
Ville
lasciò il microfono, ringraziando il pubblico per i
suoi caldi applausi. Il sorriso che addolciva il suo volto mostrava
quanto
amasse che la sua musica fosse tanto apprezzata. Eppure un lieve
bagliore di
delusione brillava ancora nei suoi occhi, tradendolo.
Stava per
uscire oltre le quinte, nonostante numerosi fan
chiedessero un bis della performance, ma Migè lo
fermò.
“Non
fuggire” lo ammonì, parandoglisi davanti.
Il frontman lo
osservò stupito sbattendo le ciglia, poi gli
fece una strana smorfia divertita:
“Perché?” lo interrogò.
Sicuro che
l’amico non se ne andasse, il bassista tornò al
suo microfono, per rendere tutto il Midnight Wish partecipe della
conversazione.
“Non
abbiamo ancora terminato stasera” ridacchiò.
Sembrava
proprio che facesse una fatica terribile a mantenere almeno un
atteggiamento
apparentemente serio.
Ville si
voltò a guardare i tecnici oltre le quinte, con la
fronte corrugata. Nessuno però sembrava disposto a fornirgli
la risposta che
cercava. Rassegnato, prese a sua volta il proprio microfono:
“Ah no?”
“Io e
i ragazzi abbiamo preparato una piccola sorpresa per
te. Ville per favore contieniti e conserva quella faccia da pesce lesso
per
dopo” continuò tutto convinto Migè,
dondolando il suo basso.
Linde si
avvicinò per mettere un braccio intorno alla spalla
di un frontman sempre più confuso. Ville puntò
gli occhi sul volto del rasta:
“Cosa avete combinato?”
Migè
sbuffò spazientito: “Sempre a pensare male! Non te
la
meriteresti proprio la nostra sorpresa! Ma siccome noi siamo i tuoi
migliori
amici e abbiamo un cuore infinitamente grande, abbiamo deciso di
fartela lo
stesso”
Il darkman fece
un breve cenno del capo e poi un piccolo
inchino di ringraziamento: “Procedete allora. Di cosa si
tratta?”
“Forse
non tutti sanno che la vostra rockstar preferita”
proseguì il bassista rivolto al pubblico
“è in realtà un idiota. No scusate, mi
correggo. Questo lo sapete tutti”
Il locale
rispose con una risata, mentre un’occhiata
inceneritrice andava a posarsi sull’incauto musicista. Lui di
certo non se ne
preoccupò: “Ma probabilmente ancora non siete a
conoscenza delle sue
ossessioni. Quando viene preso dalla spirale di una di queste manie,
allora
diventa un tormento allucinante e vi assicuro che stargli attorno
diventa
soffocante”
“Ehm,
ehm” tossì Ville “Non potresti arrivare
al punto? O
potrei venire a prenderti a calci in diretta”
Migè
fece roteare gli occhi: “Ecco cosa vi dicevo? Comunque
la sua ultima idea fissa è quella di essere stato visitato
nei suoi sogni dalla
Dea Venere in persona”
“Hai
finito?” commentò nuovamente il darkman, piuttosto
in
imbarazzo.
“Ma
non la vuoi sentire la parte migliore Valo? Noi, da
buoni, anzi ottimi amici, abbiamo trovato la tua Venere!”
“Cosa?”
borbottò Ville strabuzzando gli occhi.
Guardando la
sua espressione Linde non riuscì a trattenere
una fragorosa risata.
“Sì
Ville, se ti metti lì in quell’angolo la facciamo
venire” spiegò Migè, con quel tono che
si usa con i bambini, evidenziando la
loro inferiorità.
Troppo stranito
per rispondere per le rime, il darkman seguì
la richiesta senza aprir bocca, quindi si fermò ad aspettare
pazientemente,
insieme con i curiosi spettatori.
Ecco. Era
arrivato il momento.
Il mio cuore
aveva rimesso in funzione la modalità “martello
pneumatico”. Asciugai i palmi delle mani sudate nel vestito e
mi schiarii la
voce, sperando che non mi abbandonasse proprio in quel momento.
I membri della
band presero posto davanti ai loro strumenti,
mentre le luci tornavano a farsi soffuse, e il palco completamente buio.
Il silenzio era
così opprimente che riuscivo a percepire
distintamente il sangue pulsarmi nelle vene.
Poi Gas
iniziò a colpire il tamburo della batteria. 8
battute d’attacco. Costrinsi i miei piedi a muoversi,
seguendo un percorso
immaginario fino al centro, ancora nella più completa
oscurità. Nel frattempo
Linde, Migè e Burton si unirono al compagno, suonando
l’introduzione. Dopo il
secondo giro di chitarra, la quiete tornò sovrana.
“Her
heaven’s a lie to
those who threw away the key…” sussurrai
lentamente, ringraziando mentalmente il mio
cervello che senza essere interpellato, si era ricordato autonomamente
di
accendere il microfono.
Un riflettore
si accese all’improvviso inondando il palco e
la luce colorata si rispecchiò nella stoffa del mio abito,
mentre la musica
riprendeva alle mie spalle.
“…her God is alive and well when the higher
believes” feci un altro passo avanti, cantando
più forte. Lo strascico
del vestito frusciava
leggero contro il pavimento, coperto dall’esplosione di grida
dei ragazzi in
sala. Sorrisi stupita di un così caldo benvenuto e sentii la
tensione
sciogliersi appena un poco.
“…and you can bend the river of her dreams, or
understand the divine words she speak…”
Arrivata al
ritornello mi decisi finalmente a girare il capo
verso quel lato rimasto buio del palco, il quale però non
era abbastanza scuro
perché non potessi scorgere gli occhi chiari del darkman che
seguivano ogni mio
movimento e nei quali si mescolava il riverbero dell’argenteo
del mio vestito.
“Venus denies your
seven towers above dark water, you can’t quench her thirst
with the fear hiding
away from the day” la mia voce adesso si univa alle
note più sicura, mentre
la mia testa era occupata soltanto dalla sua immagine. Con uno sforzo
di
volontà immane riuscii a distogliere un momento lo sguardo.
“Venus denies you in your
dark waters, the moon kissed the sun and now we hold her”
sollevai le
braccia, invitando tutti gli altri fan come me, a cui non era stata
data
un’occasione tanto impossibile, a intonare insieme
quell’ultima frase
“In
our blood”
Perché
l’amore per quella musica era qualcosa che ci univa
tutti, che si era impossessato di noi, aveva invaso il nostro cuore e
ora
circolava nel nostro corpo come linfa vitale, nelle nostre vene.
Altri due giri
di chitarra, il tempo di riprendere fiato, e
toccava di nuovo a me.
“Her savior was never on a cross pierced with
nails” mormorai, lasciando le unghie graffiare la
pelle delle mie braccia
nude giù, sino ai polsi.
“Thirty pieces of
silver never retraced her mistake” non rimasi
più ferma, ma iniziai a
camminare leggera a piedi scalzi, non più preoccupata di
inciampare. Arrivai
sin davanti a Ville: lui continuava a guardarmi con quei suoi occhi
dannatamente profondi e sembrava che riuscissi a racchiudere nel suo
sguardo
ogni centimetro del mio corpo. Allungai una mano, cercando la sua.
“She'll always be free…”
cantai, mentre le sue dita si incrociavano con le mie “…from
the arms of your sins” ma tutto quello che
desideravo era
essere intrappolata per sempre tra quelle braccia.
“…that make you weak as your world started crumbling…”
Al colpo
più forte della batteria mi staccai di scatto e
rivolgendogli un ultimo e malizioso sorriso, riscappai in mezzo a Linde
e Migè.
“Venus denies your seven towers above dark
water, you can’t quench her thirst with the fear hiding away
from the day, Venus
denies you in your dark waters, the moon kissed the sun and now we hold
her”
“In our blood!”
rispose il coro.
Mi esibii
quindi in assolo di chitarra, che Linde aveva
aggiunto apposta per me. Mi impegnai al massimo, dato che suonare mi
risultava
assai più difficile che cantare, sotto lo sguardo
compiaciuto del mio maestro,
che mi incitava a non mollare. Le mie dita si muovevano sempre
più veloci sulle
corde, mentre un rivolo di sudore scivolava giù per la mia
schiena scoperta.
“Perfetto”
mi assicurò a mezza voce, prima che riprendessi
con l’ultimo ritornello.
Accettare tutti
quegli applausi mi sembrava ancora una volta
esagerato: feci un inchino e corsi ad abbracciare uno ad uno i membri
della
band, prima di fuggire, nonostante le loro proteste, di nuovo
giù dal palco. Mi
accorsi ben presto che la mia folle corsa non poteva continuare,
perché nella
fretta lo strascico del vestito si era impigliato in alcuni fili.
Mi voltai per
tentare di liberarmi, ma qualcuno era già
chinato ai miei piedi per aiutarmi.
“Visto
che non hai nessuna scarpetta da perdere hai deciso
di attirare in un altro modo la mia attenzione?” sorrise
Ville, sollevando il
capo.
Aprii la bocca,
senza riuscire però a parlare.
Lui si
rialzò in piedi, e mi ritrovai il suo volto a pochi
centimetri
dal mio. Mi scrutò fisso per qualche istante, per poi
imitare la mia
espressione da pesce.
Rendendomi
conto che mi stava prendendo in giro, arrossii
violentemente e arretrai di due passi.
Ma il frontman
mi fermò, afferrandomi il polso: “Non posso
lasciarti scappare. Sei il mio miraggio”
“Occhi
umani non possono sostare troppo a lungo al cospetto
di una Dea” gli ricordai, ritrovando finalmente la parola.
Prese allora
immediatamente la mia mani e se le pose sugli occhi.
“Non
puoi nemmeno toccare le sacre membra di una
divinità”
lo sgridai.
In tutta
risposta egli guidò la mia mano fino alle sue
labbra. E con uno sguardo di sfida mormorò contro il dorso
pallido: “Voglio
solo adorare la divinità. Mi è
concesso?”
Ero come
pietrificata, tutto quello che riuscii a fare fu
continuare a mordermi il labbro inferiore, fin quando non sentii in
bocca
l’amaro sapore del sangue.
Ritrassi infine
la mano, riuscendo a impostare un piccolo
sorriso: “No”
“Sei
stata davvero brava” si complimentò e adesso
parlava
seriamente.
“Grazie”
“Forse
dovrei seriamente preoccuparmi. Ma penso che lo debba
fare anche Linde: non sapevo sapessi suonare anche la chitarra
elettrica”
osservò sorpreso.
“Sono
una donna – anzi una dea –“ mi corressi,
riuscendo
finalmente a sostenere il suo sguardo “piena di
risorse”
Il darkman
sogghignò sotto i baffi: “Ormai ne sono convinto.
Mi domando quale sarà il prossimo colpo”
“Chi
può saperlo” mormorai sibillina, cercando
nuovamente di
allontanarmi veloce come un gambero, mentre lui mi seguiva lentamente,
con uno
strano sorriso a piegargli le labbra.
Tuttavia, dopo
pochi passi, fui costretta a constare a mie
spese, che ero nuovamente in trappola.
“Ohi”
mi lamentai, trovandomi a sbattere contro una parete.
Ville non
nascose una risata: “Sei un po’ imbranata come
divinità” mi fece notare.
Misi il
broncio, fingendomi offesa e inerme, ma quando fu
abbastanza vicino non mi lasciai intimidire e gli pestai un piede.
“Parliamo
di imbranati?” risi malignamente soddisfatta della
sua smorfia di dolore, mentre lui si allontanava di istinto
“Ho scelto il piede
giusto?”
“Sì”
borbottò colpito nell’orgoglio. Ma si riprese
subito,
riavvicinandosi coraggiosamente. Riavvicinandosi troppo.
“Mi
piace questo vestito” bisbigliò, sfiorando la seta
che
si avvolgeva meno stretta vicino alla mia coscia e abbassando lo
sguardo.
Il vestito era
davvero meraviglioso, interamente
confezionato con sottile seta argentata, e fasciava attillato il mio
busto.
Proseguiva meno serrato lungo le gambe, in virtù di uno
spacco che, tagliato
ben oltre il ginocchio nella parte destra, mi permetteva il movimento.
Sul
retro si dipanava quindi un lungo strascico, che ricordava gli abiti da
sposa
che ogni donna sogna da bambina.
Al momento,
quel vestito risultava anche troppo stretto per
il mio cuore che sembrava del tutto intenzionato di balzarmi fuori dal
petto.
Ville
sollevò l’altra mano, posandola sul fermaglio
argenteo
a forma di farfalla, che sorreggeva la complicata acconciatura che mi
cingeva
il capo.
“Rip
out the wings of a butterfly” pronunciò in un
sussurro,
prima di staccare con un movimento rapido della mano il fermaglio dalla
mia
chioma e quindi allontanarsi veloce con un furbo sorriso.
Una cascata di
riccioli corvini mi ricadde sulle spalle e
sul viso, coprendomi gli occhi, truccati anch’essi
d’argento.
Quando
riacquistai la possibilità di vedere, lo trovai
davanti a me, a ridere con un bambino.
Mi ritrovai a
chiedermi chi di noi fosse davvero più grande.
“Hai
strappato tutta la farfalla, non solo le ali” trassi un
sospiro, indispettita.
Lui
alzò le spalle, mettendosela in tasca: “La volevo
tutta
quanta per me”
Scossi la testa
alzando gli occhi al cielo: “Dai andiamo
dagli altri” suggerii, dandogli le spalle.
Mi lasciai
scappare un urlo, quando mi sollevò da dietro,
prendendomi di sorpresa.
“Cosa
fai?”
“Non
vorrai mica arrivare di sopra a piedi nudi!” mi rispose
risoluto, senza scomporsi.
Sbuffai:
“Certo che no, stavo andando in camerino a
cambiarmi infatti!”
“Allora
ti porterò in camerino a prendere delle scarpe, ma
di certo non ti permetterò di cambiarti”
Lo squadrai
crucciata, dandogli un piccolo pizzicotto di
stizza.
“Tieni
dentro le unghie, pantera” mi ammonì, stringendo
più
forte la presa intorno alla mia vita “Comunque puoi spiegarmi
per quale malsano
motivo sei senza scarpe”
“Era
una cosa che ho sempre sognato di fare” affermai,
davanti al suo sguardo scettico.
“Aspetta.
Non dirmi che è un’altra spunta alla tua famosa
lista?”
Spalancai gli
occhi, stupita ogni volta di quanto potesse
ricordare: “Già…”
“Prima
o poi dovrai ricompensarmi come merito, dopo tutte le
spunte che stai facendo grazie a me”
“Sì,
Ville sì. Ma adesso mettimi giù!”
***
Anche quella
sera fu davvero stupenda. Tutti gli HIM si
amalgamarono perfettamente al gruppo dei miei amici, e così
trascorremmo ore e
ore ridendo e scherzando. Senza contare che finalmente Andrea era
riuscito a
conoscere i suoi idoli, e da quella sera non avrebbe più
potuto lamentarsi (non
che i suoi continui ringraziamenti futuri non sarebbero stati molto
meno
stressanti delle sue recriminazioni).
Seguire le
continue sfrecciatine che si lanciavano Luke e
Arianna poi divenne il passatempo preferito di tutti. La tensione era
talmente
spessa, che non sarebbe stato difficile tagliarla con un coltello. I
loro
tentativi di far ingelosire l’altro erano poi così
evidenti che forse soltanto
loro non se n’erano accorti.
Eppure non
tutto era perfetto. Quando Gabriel raggiunse il
nostro gruppo fu come se un macigno fosse stato scaraventato sul mio
petto.
“Hei”
mormorò a voce talmente bassa che mi stupii di essere
riuscita a sentirlo, mentre ero andata a cercare la mia borsa per
recuperare il
cellulare.
“Hei”
risposi, curvando le labbra.
“Sei
stata eccezionale stasera. E sei ancora più bella”
“Gabriel
io…” balbettai in imbarazzo.
“No,
non preoccuparti” mi rassicurò lui, sfiorandomi un
braccio, gesto che mi fece sussultare “Ho capito quello che
hai detto ieri
sera, e me lo ricordo bene. Era solo un complimento sincero. Sei una
cantante
straordinaria” mi rivolse un sorriso, ma era un sorriso
terribilmente triste e
spento.
“Grazie”
la mia voce era talmente flebile e impastata che
non la riconobbi quasi come mia.
“Mi
dispiace” non riuscii a trattenermi dal sussurrare,
sebbene sapessi che era un errore continuare a sottolineare la mia
sofferenza.
Di certo le mie scuse non servivano proprio a nulla, se non a farlo
stare
peggio.
Gabriel scosse
la testa: “E’ stato meglio così.
Ma…” d’un
tratto la sua bocca si fece muta, mentre la sua mano indugiava troppo a
lungo
sul mio braccio, sfiorandolo con delicatezza.
Inghiottii a
fatica, cercando la forza di allontanarmi senza
fargli ancora più male.
“Allora
hai trovato questo telefono nei meandri della tua
borsa Mary Poppins?” il sarcastico commento di Ville parve
giungere da
chilometri di distanza.
Gabriel si
staccò di scatto, ma dal guizzo degli occhi del
darkman, indovinai che non si fosse perso il gesto. Il suo sguardo,
indecifrabile, si posò sul suo biondo connazionale, che
riassunto un
atteggiamento rispettabile, si allontanò con la scusa di
prendere qualcosa da
bere.
“Tutto
a posto?” chiese Ville, sospettoso, cercando di
scrutare in quegli occhi che tenevo fissi a terra.
“Sì
certo” lo liquidai “L’ho trovato,
andiamo” e recuperato
il cellulare mi riavviai al tavolo.
Prima che
avessi il tempo di sedermi sull’unica sedia
libera, con uno scatto ben poco cavalleresco mi rubò il
posto.
Non ebbi il
tempo nemmeno di mettere il broncio, perché mi
aveva già tratta a sé e fatta sedere sulle sue
gambe.
Sapevo che
protestare e divincolarmi sarebbe stato inutile.
E a dirla tutta non ne avevo proprio nessuna voglia. La stretta presa
delle sue
braccia intorno ai miei fianchi era proprio quello di cui avevo bisogno.
________________________________________________________________________________
Ed
ecco qui la seconda parte^^
Sono
un po’ di fretta quindi non mi dilungo…fatemi
sapere come l’avete trovato ;)
Grazie
millissime a chi ha commentato lo scorso capitolo!
@Vampire_heart:
oddio grazie cara^^ mi fa davvero piacere sentirlo! Ormai è
diventato il
tormentone qui a casa mia questa song! Mia madre non riesce nemmeno
più a
dormire perché dice che se la sogna di notte xD Mamma mia,
capolavoro *.* sei
un angelo. Spero che anche la seconda parte regga il giudizio! Baci
@FrozenTear:
Lampo..oddio non sai quanto mi manchi! Anzi mi sa che tra
un’oretta o due ti
chiamo x D I tuoi commenti sono sempre troppo divertenti x D anche se
lo si
vero che non voglio ridurre il tuo encefalogramma (che secondo me
intendevi
elettrocardiogramma, anche perché temo che il nostro
encefalogramma sia sempre
piatto lampo xD) ad una schiacciatina! E comunque non sono una lumaca
perfettina!
Credo…Anche
se so già cosa ne pensi, se
vuoi lascia un commentino! Ti vojo beneee! Bacini imouh!
@Crist:
caspita come corri xD dall’alto dei suoi 17 anni non credo
che la Eli pensi già
a dei bimbi xD ma non si può mai dire hahahhaha. Lo sooo era
troppo bello! Eh,
io sono stata fortunata ad esserci anche a Firenze! Ma come
orsacchiotto potto?
Ma poveroXD Dimmi cosa pensi di questo chapter e attendi bene il
prossimo perché
sono sicura che ti piacerà! ;) Kisseees
Allora
a presto^^
Buona
pasquetta in ritardo!
La
vostra
-FallenAngel
|
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Capitolo 19 *** And here we go again ***
Chapter 18
And here we go again
Sometimes it seems to me I’m walking
the same
damn path. It does never change
14
Marzo
Mi guardai
intorno perplessa, riconoscendo immediatamente il
luogo dove Kat mi aveva trascinato nel bel mezzo del pomeriggio.
“Cosa
ci facciamo qui a quest’ora? Non è un
po’ presto?”
domandai davanti all’insegna del Midnight Wish: ero quasi
convinta che non
fosse nemmeno aperto.
Lei non mi
degnò nemmeno di uno sguardo, ma corse più veloce
fino all’entrata, costringendomi a seguirla.
Suonò
il citofono e non appena ebbe pronunciato il suo nome
le fu aperto.
Quindi non
avevo torto: il locale era effettivamente chiuso
e fu molto strano per me trovarlo completamente deserto, e illuminato
dalla
luce diurna, sebbene sempre molto soffusa.
Ci venne
incontro un uomo sulla quarantina, che indossava un
paio di blue jeans e una semplice camicia colorata. Aveva
un’aria davvero
informale, con un paio di occhi verdi piuttosto slavati ma vigili, un
naso
affatto finnico e i capelli brizzolati. Non appena posai lo sguardo su
di lui,
mi resi conto che non era per me una faccia nuova. Anche se proprio non
ricordavo in che occasione l’avessi già incontrato.
Salutò
la bionda con affetto, rivolgendole qualche domanda,
che però non fui in grado di capire.
Lei rispose
altrettanto affettuosamente, mutando tuttavia la
lingua della conversazione per rendermi partecipe.
“Questa
è Elisa, la ragazza di cui ti ho parlato” lo
informò
facendo un breve cenno nella mia direzione.
“Piacere”
mi presentai solare, allungando la mano.
Lui la strinse
piacevolmente sorpreso. Una stretta forte e
sicura.
“Piacere
mio. Mi chiamo Aaron Sakkavo. Ma so già chi sei
tu” sorrise strizzandomi l’occhio.
“Davvero?”
domandai incerta, corrugando la fronte. Che
l’avessi davvero già conosciuto da qualche parte?
Annuì
concitato: “Ma certo. Sei la nostra Venere in mentite
spoglie!” mi spiegò, scoppiando poi in una risata
divertita.
Cercai di
unirmi alla sua allegria, ma mi era piuttosto
difficile, considerando l’imbarazzo in cui ero sprofondata:
“Ehm, sì…proprio
lei”
“Complimenti.
Hai davvero una voce stupenda”
Iniziai a
muovere i piedi, nella speranza forse di poter
scavare un tunnel e fuggire nel sottoruolo:
“Ehm…grazie davvero”
“Allora
pensi possa andare bene?” intervenne Katriina,
mettendomi una mano sulla spalla.
“Ma
certo che sì” replicò Aaron
immediatamente “Anche se è
quasi uno spreco nascondere una voce così particolare dietro
ad una divisa”
commentò pensieroso.
Tossii
leggermente: “Ehm, di cosa state parlando?”
Aaron
ridacchiò: “Come di cosa stiamo
parlando?” mi scrutò a
lungo, forse decidendo se stessi scherzando o avessi qualche problema
mentale.
“Lei
non lo sa. Doveva essere una sorpresa” chiarì la
finlandese.
La
curiosità iniziava a pizzicarmi con le sue chele, come un
granchio: “Cos’è che non so?”
Sembrava proprio che alla gente piacesse tenermi
all’oscuro. Forse avrei dovuto mettere meglio in chiaro il
fatto che io non
amavo molto le sorprese.
“Che
tu, Elisa, sarai la nuova cameriera o barista del
Midnight Wish, come preferisci. Sempre che tu sia
interessata…”
***
Seduta su una
panchina nel parco, stavo abbracciando per
l’ennesima volta Katriina.
“Hey
okay, ho capito. Anche io ti voglio bene” stava
cercando di borbottare, tra una stretta e l’altra, ormai
senza fiato.
Dopo pochi
giorni da quando le avevo esposto i miei progetti
di trovarmi un lavoro e un piccolo appartamento e avevo domandato il
suo aiuto,
Kat era riuscita già a trovare sia a me che Arianna, un
posto, anzi un ottimo posto; senza
contare il fatto che
mi aveva assicurato che era anche a buon punto per quanto riguardava la
ricerca
dell’appartamento. Non solo sarei stata la barista al mio
locale preferito 3
sere a settimana, con una paga assolutamente esagerata, ma avrei dato
anche una
mano nel ristorante accanto a mezzogiorno.
“Scusa…ma,
io non riesco a contenermi. Sei stata troppo
gentile” tentai di esprimerle ancora la mia riconoscenza.
“Ma
no, che vuoi che sia” minimizzò “Conosco
Aaron da molti
anni, lui si occupa della gestione del locale, quindi non è
stato difficile” mi
assicurò con un altro caldo sorriso.
Ero al settimo
cielo, e anche Arianna aveva fatto i salti di
gioia, non appena l’avevo informata per telefono.
“L’Ari
mi ha detto di avvertirti di munirti di una solida
armatura, perché non appena ti vede ti salta
addosso!”
La ragazza
rigettò la testa indietro con una sonora risata:
“Voi siete tutte matte”
Alzai le
spalle: non avevo nulla da replicare, aveva
perfettamente ragione.
“E da
quelle parti come va? Sono ancora vivi?” domandò
sempre con un sorriso, anche se parte della sua allegria aveva
abbandonato i
suoi occhi.
Arianna, in
qualità non di manager ufficiale, ma quasi,
aveva accompagnato i ragazzi in una piccola missione di lavoro a Turku.
Potete
immaginare quante urla lei e Luke si erano lanciati contro a vicenda,
ancor
prima di salire in macchina.
“Tutto
okay. Andrea mi ha riferito che sono stranamente
calmi. Hanno deposto l’ascia di guerra per una causa
superiore. Bisogna
soltanto vedere quanto durerà questa tregua.”
“Sono
cotti eh?” sospirò, cercando di mantenere sempre
un
tono neutro. Sapevo della piccola infatuazione che si era presa per
Luke, e
sperai che non ne soffrisse troppo.
“Eh
già” mormorai con cautela “Credo che
ormai gli unici a
non averlo capito siano loro. Mi dispiace”
Lei mi rivolse
un altro sorriso, un po’ malinconico ma
sincero: “Non preoccuparti. Luke mi piaceva, ma, sai come si
dice, il mare è
pieno di pesci no?”
“Naturalmente!
E ti assicuro che non ti sei persa nulla!”
confermai, facendo una smorfia.
“A
proposito guarda quel ragazzo là” disse indicando
un
giovane allegro ad un piccolo chiostro non lontano “Credo
proprio che andrò a
prendere qualcosa da bere. Tu vuoi qualcosa?” mi chiese
gentile, con sguardo
astuto.
“No
grazie, vai pure all’attacco tigre. Io ti aspetto
qui!”
Mentre la
guardavo allontanarsi, percepii il mio cellulare
vibrare nella tasca dei jeans. Era un messaggio. Un suo
messaggio.
“Ma
buongiorno mia dolce Venere” alzai gli occhi al cielo:
alle 18 del pomeriggio ‘buongiorno’ non era
esattamente il saluto più adatto.
“Stasera è impegnata con il sottoscritto. La passo
a prendere alle 21 presso la
sua camera d’albergo. Si faccia trovare pronta.
VGV.”
Quel
presuntuoso. Più che un invito sembrava un ordine.
Mi stavo
accingendo a rispondere al messaggio per le rime,
quando l’apparecchio ricominciò a tremare fra le
mie mani.
Senza avere il
tempo di guardare, per sbaglio attivai la
comunicazione. Ero quasi certa che fosse Ville, forse per lamentarsi
della mia
lentezza nel rispondere ai suoi sms, così risposi con un
‘pronto’ divertito.
“Finalmente
ti degni di rispondere!” tuonò una voce, che non
era affatto quella di Ville. Il sorriso appassì sulle mie
labbra, serrate.
“Non
ti azzardare a mettere giù questo telefono”
proseguì.
La voce era forte, ma non sicura. Era la voce di un ubriaco.
“Cosa
diavolo vuoi?” ringhiai a denti stretti.
“Lo
sai benissimo! Devi tornare immediatamente a casa. Cosa
credi? Ormai so dove ti nascondi”
“Te
l’ho detto! Devi lasciarmi in pace. Lasciami in
pace!”
sibilai, con tutto l’odio che provavo.
“Sei
solo una stupida. Cosa credi di fare? Non sei nessuno!
Non sei assolutamente niente. Il tuo gioco è finito. Ti
verrò a prendere”
“No!
Non tornerò mai indietro!”
“Sei
soltanto una bambina. Tu…”
Ma non permise
a quell’uomo di continuare. Spensi il
telefono e resistetti all’impulso di scagliarlo lontano.
Restai a
fissare immobile il suolo, gli occhi che
bruciavano.
Non sei
nessuno. Non
sei assolutamente niente.
Le sue parole
mi laceravano insidiose dall’interno.
“Liz,
ti senti bene?” Kat mi richiamò alla
realtà. Non mi ero
nemmeno accorta del suo arrivo.
Alzai lo
sguardo, per incrociare la sua espressione
preoccupata.
“Sì”
risposi come un automa “Scusa ma…vorrei tornare in
albergo”
***
Corsi nella
stanza, con precario equilibrio, e quasi
inciampai nei miei stessi piedi prima di raggiungere la porta alla
quale
avevano appena bussato.
Non appena lo
vidi, lì, davanti a me, con il suo cappotto
aperto sopra una camicia nera attillata e i capelli spettinati dal
vento, con
un sorriso compiaciuto, del quale solo io ero beneficiaria, non riuscii
a
trattenermi e gli saltai letteralmente addosso, avvinghiandomi al suo
collo.
“Hey,
quanto entusiasmo” mormorò alquanto sorpreso una
volta
che mi fui staccata da lui.
Indugiò
troppo a lungo con lo sguardo sulla scollatura del
mio corpetto, per poi voltare il capo, imbarazzato. Si riprese comunque
quasi
subito: “Sono arrivato 5 minuti in ritardo, ma non pensavo
che la tua crisi di
astinenza fosse ad uno stadio così critico”
Mi limitai a
rivolgergli uno stupido sorriso, scostandomi
dal viso accaldato una ciocca di capelli.
Gli presi la
mano e lo condussi veloce verso l’ascensore,
lasciando che la porta si richiudesse alle mie spalle.
Lasciai tutto
com’era, desiderosa di allontanare Ville il
più presto possibile da quel luogo. Un senso di vergogna
ancora mi pervadeva,
consapevole delle bottigliette che giacevano, vuote, ai piedi del letto
***
“E’
così strano il cielo senza luna”
mormorò d’un tratto
Ville, il capo reclinato all’indietro ad osservare il cielo.
Eravamo gli
unici occupanti dei tavolini disposti in
bell’ordine sulla terrazza. Gli unici matti che non
sembravano per niente
preoccupati dal vento gelido che graffiava la notte.
Ma con tutto
l’alcol che circolava nel mio sangue, il freddo
era l’ultima delle percezioni che toccavano il mio animo.
“E’
come un oceano senza il suo faro e le stelle sono
marinai che hanno perso la rotta” borbottai, bevendo
l’ultima goccia del mio
cocktail.
Ville
ridacchiò sotto i baffi: “Piccola poetessa, non
sarebbe meglio smettere di bere per stasera?”
Traballando un
po’ sulle gambe, pur non avendo un controllo
perfetto dei miei movimenti, riuscii ad avvicinare la mia sedia alla
sua.
Con un gesto
provocatorio, gli rubai il suo bicchiere dalle
mani e ne trangugiai svelta il contenuto.
“Stai
cercando di sfidarmi?” domandò, strappandomelo a
sua
volta.
“Forse”
confermai, arrotolando una ciocca fra le dita e continuando
a fissarlo negli occhi intensamente, fin quando non distolse lo sguardo
“Vuoi
ordinare qualcos’altro adesso?”
“No,
non credo sia il caso.” Scosse la testa, ancora
sorridendo, ma con una nota seria nella voce “Non voglio che
tu beva ancora. Mi
sembra abbastanza per stasera”
Sbuffai,
sbirciandolo di traverso “Non vorrai mica farmi la
paternale. Tu!”
Si
irrigidì per un momento, ma ancora una volta
riuscì a
mascherare al meglio i suoi sentimenti: “Sono pur sempre il
tuo fratello
maggiore no?” scherzò, con voce un po’
roca.
Mi allungai
sulla sedia, posando una mano sulla sua coscia e
accostandomi più del dovuto. “No, non lo
sei” gli alitai, sul collo.
Lasciai
l’altra mano vagare tra i suoi capelli, sentendolo
rabbrividire al solo contatto, mentre serrava, involontariamente, le
palpebre.
Si costrinse ad
aprirle quasi immediatamente, lasciandomi
scorgere nel verde dei suoi occhi apprensione e desiderio.
Con un coraggio
che dipendeva dall’alcol che sentivo
pulsarmi fin nel cervello e che aveva messo a tacere ogni freno
inibitorio, lo
attirai a me, buttandomi sulla sua bocca, e mordendo con urgente
violenza il
suo labbro.
Dopo un attimo
di disorientamento i sensi presero il
sopravvento, e le sue mani cominciarono a muoversi frenetiche lungo il
profilo
del mio volto, e poi dietro, sulla mia nuca e il collo, mentre la sua
lingua
entrava con rabbia nella mia bocca senza incontrare resistenza.
Lasciò
scorrere le dita contro le mie braccia, seguendo un
percorso infuocato sulla mia pelle. Quando raggiunse i polsi li
afferrò con
forza e mi trasse a se, facendomi alzare in piedi e poi sedere a
cavalcioni
sulle sue gambe. Riprese quindi a baciarmi con foga, premendo le mani
sui miei
fianchi così fortemente da farmi quasi male.
Mi aggrappai
alle sue spalle, mentre la sua bocca scendeva
giù, fino alla clavicola.
Con rapido
movimento del capo, iniziai a baciarlo a mia
volta, slacciando i bottoni della sua camicia, lasciando scivolare le
mani
fredde sul suo petto caldo scosso dai battiti veloci del suo cuore
sconvolto.
La mia testa si
riempì dei suoi sospiri e non capii più
nulla. Cercai di sfibbiarmi il corpetto: tutto ciò che
desideravo era sentire
le sue mani e le sue labbra su ogni centimetro della mia pelle.
Ma a quel punto
Ville, con altrettanto vigore, mi fermò.
Sfuggire alla
sua presa fu impossibile. Quando alzai di
nuovo lo sguardo per incontrare il suo, il suo viso era arrossato e
grave.
“No…”
bisbigliò, il fiato corto.
Sbattei le
palpebre, confusa.
“Perché?”
sentii la mia voce domandare irritata.
“No”
continuò a scuotere la testa “Sei ubriaca. Non
voglio
che la storia si ripeta, in questo modo…”
In quel momento
non capii le sue parole, ma mi liberai con
uno scossone, adirata, e me ne andai, sistemandomi una spallina.
“Aspetta
Elisa!” mi chiamò, ma non ascoltai.
Entrai svelta
nel locale, dirigendomi ancora una volta al
bancone del bar.
***
Di
ciò che accadde dopo ho un ricordo piuttosto sfuocato.
Musica. Luci
colorate. Corpi premuti contro il mio e mani
sconosciute.
E poi
finalmente una voce familiare e altre mani a condurmi
in un abbraccio sicuro.
“Elisa!”
chiamò severa la voce, mentre dita fredde colpivano
le mie guance, ripetutamente, per farmi riprendere.
La mia vista si
fece più chiara e riuscii a distinguere il
verde d’angoscia dei suoi occhi.
Le lacrime
iniziarono a scorrere lungo quelle stesse guance
e indietreggiai. “Lasciami stare” gli intimai, in
un lamento.
Ma Ville non
seguì affatto la mia richiesta. Sordo alle mie
proteste, mi sollevò di peso, simile ad un sacco.
“Mettimi
subito giù! Ora!” scalciai e tirai pugni,
continuando a urlare senza ritegno.
Proseguii con
questo comportamento pietoso a lungo.
Lui non si
scompose un istante, accettando tutti i miei coloriti
insulti.
In bagno
aspettò che avessi rigettato l’anima, sostenendomi
e carezzandomi la fronte sudata.
Caddi inerme
tra le sue braccia e mi addormentai al suono
delle sue parole.
***
Quando mi
svegliai ero nel mio letto, nella mia camera d’albergo.
Il respiro
cadenzato di Arianna riempiva il silenzio della
stanza e una piccola luce si irradiava a intermittenza attraverso le
persiane
socchiuse.
All’inizio
la mia testa era completamente vuota, bianca come
un foglio immacolato.
Poi, ricordi
troppo vividi presero a riempire come macchie
quel fragile pezzo di carta.
Soffocai i
singhiozzi nel cuscino, desiderando di poter
cancellare tutto quanto.
Ma non avrei
mai potuto. Ormai avevo rovinato ogni cosa.
Perché in fondo ero esattamente uguale a
quell’uomo che tanto disprezzavo e lo
sarei sempre stata.
Mi odiai. Mi
odiai e bramai di bruciare viva nella mia
vergogna.
Ma sarebbe
stato troppo semplice. Una via di fuga degna
soltanto di una codarda.
D’un
tratto un’idea balenò nella mia mente folle e la
speranza
mi sfiorò come una calda fiamma.
Dovevo tentare
di riparare e forse…forse avevo una
possibilità di farlo subito.
Era
un’idea sciocca, senza fondamento, un’illusione
infantile.
Ma era tutto
ciò che avevo.
Se fossi
rimasta ancora in quel letto mi sarei logorata
l’anima fino al midollo.
Sgusciai fuori
dalle coperte e mi precipitai come una folle
verso la porta.
A piedi scalzi
corsi per le scale, a perdifiato, inciampando
e cadendo sui gradini.
Con le
ginocchia che bruciavano arrivai al nono piano, e poi
davanti ad un’altra porta.
Una porta che
mi ero lasciata alle spalle molti giorni
prima, quando ero convinta di essermi appena svegliata da un sogno,
quando
invece il sogno era appena cominciato.
Forse adesso il
sogno si era davvero concluso. Ed io ero
soltanto una stupida a tentare di scappare ancora dalla
realtà.
Ma bussai
ugualmente a quella porta. Non sapevo chi avrebbe
aperto: di certo non lui, lui che aveva una casa e che voleva mettere
più
distanza possibile tra di sè e una pazza che non aveva fatto
altro che
insultarlo, mentre lui cercava di aiutarla. Avrebbe aperto qualcuno
che, dopo
aver posato gli occhi su una ragazza dalle occhiaie pronunciate, gli
occhi
gonfi, scarmigliata e con i calzoncini sformati e una canottiera
scolorita,
avrebbe pensato immediatamente se fosse il caso o meno di chiamare la
sicurezza.
O forse non ci
sarebbe stato proprio nessuno. E quella
ragazza sarebbe rimasta a tremare davanti al legno scuro di una porta
inclemente.
Ma mi sbagliavo.
Fu il suo
sguardo stupito ad accogliermi e a farmi fermare
il cuore nel petto.
Tormentai il labbro inferiore con i denti cercando dentro di
me una forza che non avevo.
“Mi dispiace” mormorai infine con voce flebile che
faticai a
riconoscere come mia.
“Mi dispiace”.
________________________________________________________________________
E
si alzano cori lontani ‘Alleluja, Alleluja,
Alleluuuuuuuuuuuja’
Questa
è stata la reazione delle mie prime lettrici xD Beh in
effetti 18 capitoli è un
bel record per un bacetto xD ma d’altra parte ormai conoscete
la mia perfidia.
Spero
vi sia piaciuto il capitolo^^ e attendo curiosissima i vostri commenti!
Un
grazie gigantesco a:
@Crist:
grazieee cara! Io voglio quel vestito xD Sii in effetti ero tentata di
metterci
un bacino, ma alla fine il mio lato sadico ha prevalso! MA finalmente
è
successo!!! Spero mi sia fatta perdonare almeno per il momento! Fammi
sapere
cosa ne pensii! Ciaaaaao! Bacii
@linkin
park: davvero ti fa questo effetto?? *.* me è strafelicee!
Si anche io tendo a
immedesimarmi abbastanza xD grazie grazie grazie per i complimenti *.*
speriamo
che nn ti perdi questo capitolino perché sono curiosa di
sentire cusa pensi del
bacetto! Zaau! Kiss kiss
@grimilde:
sublime commentatrice *.* non ho parole per ringraziarti per quello che
hai
scritto..davvero Grazie..sebbene non pensi di meritare affatto tutto
quello che
hai detto, è stato comunque bellissimo e toccante leggerlo!
Sei perdonata ora!
Anche se la prossima volta che ti dico che ho aggiornato credimi xD
Ciao
bellissima, la tua Semplice scrittrice squattrinata XD baciiii
@Sis:
ahahha beh si, dovremmo fargli la lista delle canzoni da cantarci!!
Ehm..mi sa
che non basterebbe una settimana di concerti! Grassieeeee sis! Sei
pazza pazza
ma ti vojo troppo bene!! Chissà se riuscirai a dare una
sbirciatina a codesto
chapter hihihi Suukkoooo
@vampire_heart:
un grazie anche alla mia collega dei calzini che commento quel di su
msn!!
Grassieeee! Vedi che sono stata buona questa voltaa eh! Hihihi baciii
Allora
attendo fiduciosa!
A
presto
La
vostra
-FallenAngel-
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Capitolo 20 *** Addicted ***
Chapter
19
Addicted
We live in a World, a world without Years,
Rules
or Limits. It’s Our world and you are its Goddess
Rimasi
così, senza muovere un muscolo, quasi senza
respirare, mentre attendevo una qualunque reazione.
Ma anche
Ville era immobile come una statua: sbattè due o
tre volte le palpebre, per abituarsi alla luce improvvisa, seppur
esile, del
corridoio, in contrasto con l’oscurità completa
della sua stanza.
Serrai gli
occhi, non riuscendo a sopportare di vedere
ancora il suo torso nudo, senza provare l’impulso di
allungare una mano.
L’attesa
stava diventando insostenibile: erano passati
secondi od ore? Non avrei saputo dirlo con certezza. Perché
non faceva nulla?
Forse avrei preferito vedermi la porta sbattuta in faccia, piuttosto
che
sopportare quel silenzio.
Risollevai
lentamente le palpebre, con un sguardo di
supplica. Mi accorsi che sarei stata pronta anche a chiedere scusa in
ginocchio, se fosse servito a qualcosa. Ormai quel poco di
dignità che ancora
avevo si era polverizzato quella sera stessa.
Con
un’espressione indecifrabile dipinta sul volto teso,
Ville si scostò dall’entrata, lasciandomi lo
spazio necessario per passare.
Mi avvicinai
con passo insicuro, mentre lui accendeva la
luce e richiudeva la porta alle mie spalle, per poi voltarsi a
fronteggiarmi.
Continuò
a non dire nemmeno una parola, ma restò
semplicemente a guardarmi, tanto che mi ritrovai a pensare che forse
presentarmi alle quattro del mattino davanti alla sua camera non fosse
stata
poi una grande idea. Tuttavia, non era il momento di essere codardi.
Emisi un
respiro profondo e iniziai a balbettare frasi
sconnesse, cercando di sopprimere i singhiozzi che tentavano di
assalirmi a
tratti: “Scusa, scusami davvero. Il mio comportamento
è stato semplicemente
imperdonabile. Io…io, non so cosa mi sia preso”
scossi la testa, stringendo i
pugni “No, non è vero. So cosa mi è
preso: ero ubriaca marcia e ho fatto, e
detto…oh Ville, ti ho detto delle cose terribili, e non ci
sono scuse per
quello che è successo, ma io…lo so non dovrei
nemm-“ lacrime bollenti avevano
rotto gli argini dei miei occhi e ora scorrevano copiose lungo le mie
guance. E
scoppiai a piangere come una bambina, non riuscendo nemmeno
più a parlare “Non
volevo, scu…scusa. T-ti… io…”
Finalmente
quella statua di ghiaccio parve sciogliersi: cogliendomi
di sorpresa, mi venne incontro all’improvviso, prendendomi
tra le sue braccia.
Stupita e
senza respiro, abbandonai priva di difese il capo
contro la sua spalla, continuando a piangere. Ville mi strinse
più forte,
facendomi aderire al suo corpo piacevolmente caldo, in un abbraccio che
non
aveva bisogno di parole.
Eppure io
dovevo parlargli, non potevo lasciare tutto
com’era senza una spiegazione.
“Ville,
io…” riprovai, ma la mia voce continuava a
tradirmi.
“Shhh”
mi fermò, massaggiandomi delicatamente la schiena e
posando le sue labbra sui miei capelli “Non devi dire nulla,
non importa”
Scossi la
testa con vigore, riuscendo ad allontanarmi da
quell’agognata prigione: “No” ripetei
testarda, gli occhi ancora velati di
lacrime nei suoi “Voglio davvero spiegarti”
Ville mi
regalò un dolcissimo sorriso, riavviando
all’indietro qualche ciocca di capelli che era rimasta
attaccata alla fronte
sudata: “Come vuoi tu, ma prima devi calmarti”
Annuii
più volte, asciugandomi il viso con le mani in un
modo talmente buffo e infantile che il darkman non riuscì a
celare una piccola
risata, affrettandosi a porgermi un fazzoletto.
Quindi mi
guidò fino al letto, dove mi sedetti senza
protestare, sfiorando con le dita le morbide lenzuola, mentre
involontariamente
ricordavo l’ultima volta che avevo messo piede in quella
stanza.
Lui si
sistemò sul bordo, cancellando un’ultima lacrima
testarda, rimasta sola, sul mio mento; con una piccola pressione delle
dita mi
costrinse a sollevare lo sguardo, che tenevo fisso su un punto
qualsiasi della
moquette bordeaux.
“Scusa”
sospirai per l’ennesima volta, sentendomi ancora
terribilmente in colpa “Non pensavo veramente tutto quello
che ho detto. Non
pensavo nulla di quello che ho detto” mi corressi, cercando
di spiegare davvero
quello che sentivo, ottenendo l’unico risultato di
ingarbugliare ancora di più
la situazione “Eri solo la persona più
vicina…nel momento sbagliato”
Senza
preavviso lui scoppiò a ridere. Lo squadrai
sconcertata, battendo un paio di volte le palpebre, giacché
non ero affatto
sicura di non avere qualche allucinazione post-sbornia.
“Come
mi hai fatto notare gentilmente questa
sera” sottolineò l’avverbio con un
ghigno
divertito, mentre io avrei soltanto desiderato poter scomparire come la
fata turchina
con un piccolo ‘bop’ “non ho di certo
alcun diritto per giudicarti. Tu non hai
idea in che stato mi sia ridotto a volte…il veleno che ho
sputato in faccia ai
miei amici…” tornò serio, lasciando
vagare gli occhi inquieti per la stanza,
come in cerca di un perdono che non aveva mai voluto concedere a se
stesso “Se
fossi stato nei loro panni, non credo avrei resistito tanto, ma avrei
rotto i
ponti molto tempo fa. Ho fatto e detto cose di gran lunga peggiori, ti
assicuro. So come funziona, e so che non intendevi ferirmi con tutti
quei
coloriti insulti”
Tentò
di rassicurarmi con
un sorriso, disegnando con il pollice il profilo della mia
mandibola.
Una breve e
intensa scossa attraversò svelta la mia spina
dorsale, e la mia schiena si raddrizzò istantaneamente,
seguendo l’impulso
quasi elettrico.
Ville
interpretò il brusco movimento come una reazione al
freddo: avendo constatato che le mie gambe erano effettivamente gelide
si
affrettò ad avvolgermi con cura in una coperta.
“Sto
bene, non devi disturbarti” affermai, scuotendo il
capo, non meritevole di tutte quelle attenzioni.
Sbuffò
con enfasi, senza darmi minimamente ascolto. Si
risedette poi alle mie spalle e iniziò a passare le mani tra
i miei capelli,
con delicatezza, facendomi un poco il solletico.
“No…che
stai facendo?” protestai “Sono un
disastro”
Sogghignò
apertamente: “Appunto”
Mi guardai un
po’ in giro, inquieta. Sebbene fosse lì da
poche ore, in quella camera regnava già la confusione
più totale. Vestiti che
non avevo assolutamente idea da dove potessero essere giunti giacevano
sparpagliati sui divani: donavano un tocco poetico in più
libri e fogli di
carta dispersi un po’ ovunque.
Senza
concedermi alcuna delucidazione, Ville si sedette alle
mie spalle e cominciò a spazzolarmi i capelli.
Ad un tratto
mi voltai a fissarlo: “Perché lo stai
facendo?”
Alzò
le spalle: “Il mio animo estetico e amante del bello
immagino, non sopporto di vedere un guazzabuglio simile”
disse, impostando un
tono di voce ben poco naturale.
Mi finsi
ancora un poco imbronciata, ma poi chiusi gli occhi
e assaporai la sensazione delle sue mani che mi solleticavano a tratti
il
collo. Mi ritrovai scioccamente a pensare che la mia parrucchiera
preferita
aveva trovato un rivale.
“Sei
reale?” chiesi ad un certo punto, come avevo fatto
molto tempo prima, la prima volta che avevo posato gli occhi sul suo
volto
ancora turbato dal sonno.
Quasi mi
aspettavo che fosse lui a sparire, come un
miraggio. Ma le sue braccia strette intorno alla mia vita e i suoi
denti
affondati nella carne della mia spalla erano certamente veri.
“Ahi”
mi lamentai, spalancando le palpebre per lo stupore.
“Volevo
solo dimostrare la mia consistenza”
“Mi
bastava un pizzico” blaterai pedante, ma mi addolcii
subito dopo: “Davvero non sei arrabbiato?”
“Davvero,
davvero” bisbigliò al mio orecchio, tornando a
passare le dita tra la disordinata massa corvina, lisciando ogni ciocca
con
cura.
“Vorrei
raccontarti lo stesso perché…perché
l’ho fatto. Vuoi
ascoltare?” lo interrogai con esile voce.
“Certo”
mi rassicurò.
Presi la
coperta tra le mani, e cominciai a torturarne il
bordo, inspirando ed espirando profondamente: “E’
tutto a causa di mio padre”
rivelai, dicendo tutto e niente.
Ville rimase
in silenzio, aspettando paziente fin quando non
fui pronta a proseguire
.
“E’
un alcolista. Non è mai stato un padre in realtà,
se non
per quanto riguarda la questione puramente biologica. Mia madre
è morta quando
avevo poco più di due anni e sono cresciuta quindi da sola,
con lui. Credo sia
almeno un po’ per causa sua se sono venuta con principi
morali così deboli, un
caratteraccio tremendo e tale propensione per
l’alcol”
“Ma…”
Tentò
di intervenire, ma non glielo permisi: “No, ti prego,
lasciami finire. E’ stato lui quindi per molti anni la mia
unica famiglia. Poi
è arrivata Arianna e molte cose sono cambiate: mi ha fatto
capire cosa
significasse essere davvero amati, come ci si sentisse a non essere da
soli.
Tuttavia temo che una parte di quel seme marcio che è in me
non sia mai
scomparsa. Ho cercato per tutta la vita di fuggire dall’ombra
di quell’uomo, ma
per quanti sforzi faccia, per quanto corra forte e lontano, sembra
sempre in
grado di raggiungermi. Sono arrivata anche a cambiare stato, ma non
pare ancora
sufficiente” ansimai frustrata, ancora una volta
sull’orlo delle lacrime.
“E’
per questo che sei venuta in Finlandia?”
“Sì.
E speravo di essermi lasciata tutto alle spalle. Ma
scappare non serve a nulla non è vero?”
“E’
arrivato fin qui?” domandò preoccupato.
“No,
quello no. Ma accadrà presto. Oggi per sbaglio ho
risposto ad una delle sue chiamate. Era ubriaco naturalmente e mi ha
ricordato
quanto fosse fiero di avere una figlia talmente
insignificante” sibilai, piena
d’odio, stringendo i pungi intorno all’orlo della
coperta ormai ridotto ad uno
straccio.
“E
quindi hai bevuto” dedusse Ville, spostando i capelli,
ora più morbidi, oltre la spalla destra, e appoggiandosi
quindi con il mento su
quella sinistra, cosicché percepivo il suo respiro caldo sul
collo e il suo
corpo contro la mia schiena.
“Sì.
Perché in fondo sono identica a lui. L’unica cosa
che
so fare di fronte ai problemi è obliarli
nell’alcol” ribattei acida, stringendo
la mascella.
“Non
devi punirti in questo modo. So perché l’hai
fatto. No,
non sto cercando di giustificarti. E’ sbagliato. Ma so cosa
significa pensare
di essere da soli ed essere certi che non ci sia altro sollievo contro
il
dolore se non il nulla. Tuttavia so anche che l’unica meta a
cui può portarti
questa strada è la fine di tutto, della vita, ma non della
sofferenza. Quella
non si può cancellare se non affrontandola: me
l’ha ricordato una persona
importante, mentre tentavo di dimenticare la storia con Jonna per mezzo
di
un’infinità di bicchieri di troppo. E sai una
cosa? Adesso sto veramente
meglio, a parte ogni tanto. Qualche volta i ricordi tornano a bussare
ed hanno
il sopravvento”
“Ti
manca ancora?” chiesi a bruciapelo, non sapendo
trattenermi, ma rammaricandomi immediatamente della richiesta.
“Lei?
Jonna intendi? Oh no, lei non mi
manca più” mormorò guardando perso un
punto oscuro
davanti a sé.
“Sono
comunque troppo debole” ribadii sconsolata “Ogni
volta
giuro che è l’ultima, e poi…poi risento
la sua voce e tutto quello che desidero
è poter scordare chi sono. E’ successo anche
quell’altra volta” cercai le
parole adatte, rendendomi conto ben presto che non ne esistevano
“La prima
volta che ci siamo incontrati”
“Oh”
Notando la
sua tensione tentai di non indugiare troppo in
quelle acque.
“E
così riesci sempre ad esserci quando tiro fuori il peggio
di me, eh?” la mia battuta era fragile e povera di ironia
persino alle mie
stesse orecchie “Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere
ancora una volta. Ma
quando sono ubriaca, ciò che di peggio vi è nella
mia natura prevale, e mi
trovo a parlare e agire in modi imperdonabili, facendo cose di cui mi pento amaramente”
Lo sentii
irrigidirsi per un momento. Ma fu solo un attimo.
“Basta
ora” sussurrò con dolcezza, facendomi sdraiare
lentamente lungo il letto e cullandomi nel suo abbraccio sicuro.
Poggiai la
testa contro il suo petto, che bagnai ancora di sale.
“Adesso
sai che ci sono. Ti proteggerò io. Non
c’è più
bisogno di dimenticare”
Avrei voluto
sollevare il capo e cercare le sue labbra,
avrei voluto sentire i battiti dei nostri cuori fondersi in uno solo.
Tuttavia,
la mia mente questa volta non aveva cancellato, e serbava distintamente
il
ricordo del suo rifiuto solo qualche ora prima.
“Sarai
ancora il fratello maggiore che non ho mai avuto?”
domandai, ordinando al mio animo ribelle di frenare la sua corsa e
godere del
profumo di quei fiori che aveva incrociato nella sua strada, senza
agognare
sempre i più rari e i più irraggiungibili.
Ville parve
esitare, ma forse era stata soltanto la mia
immaginazione.
“Certo”
Rimanemmo a
lungo così, stretti in un piccolo bozzolo, dal
quale, sentivo, sarei uscita un po’ più farfalla.
“Riuscirò
mai a trovare un modo per sdebitarmi?” mi chiesi
ad un tratto, dubitando che avrei trovato mai una risposta affermativa
al mio
quesito.
“Fidati,
l’hai già fatto” giurò,
scoccandomi un bacio sulla
fronte.
Non riuscivo
assolutamente a figurarmi come avessi potuto
fare una cosa del genere, ma desideravo con tutta me stessa credergli.
“Ti
sembrerà un po’ stupido” dissi poi,
alzando lo sguardo
per incontrare i suoi occhi “ma voglio dirti una
cosa”
“Cosa?”
un sorriso curioso gli illuminò il viso.
Toccai
fuggevolmente una piccola ruga d’espressione sul suo
volto.
“Nulla,
volevo soltanto vedere il tuo sorriso”
Quando rise,
il letto tremò alquanto, ed io con esso.
“Sei
così…”
“Pazza,
idiota, fuori di testa?” stilai una serie di
aggettivi poco carini che si addicevano alla mia persona.
Accolsi
volentieri anche il suo sguardo scocciato: “Perché
devi smontarmi sempre quando cerco di dire qualcosa di
carino?”
Sollevai
quasi impercettibilmente le spalle: “Perché sono
perfida e malvagia?”.
Fece per
allontanarsi, ma sapevo bene che era soltanto una
finta.
Si
sollevò sul gomito per potermi squadrare meglio e quando
ritenne che avessi finito di fare la sciocca, almeno per il momento,
continuò:
“Il termine che volevo usare era unica, speciale,
ineguagliabile” trasse un
lungo sospiro, passando nuovamente le dita fra i miei capelli
“All’inizio
pensavo che tutta l’energia che provavo nel starti vicino
dipendesse dalla tua
età; ma mi sono reso conto che l’età
non centra proprio nulla: è come se
vivessimo in un mondo parallelo dove non esistono anni, nè
regole o confini”
“Credi
possa esserci davvero un mondo del genere?” domandai,
cercando la sincerità nei suoi occhi.
“Certo.
Tu me l’hai mostrato” mi assicurò,
attorcigliano una
ciocca intorno alle dita.
“Ci
sono sempre delle regole” gli feci notare, con una punta
di tristezza.
“Solo
perché tu immagini che esistano. Sei tu la Dea di
questo universo, sei tu che fai le regole”
Gli tirai un
leggero pungo contro il petto: “Ora smettila di
prendermi in giro”
Un altro
inenarrabile e infernale sorriso.
Mi strinse di
nuovo a sè, seguendo le linee curve delle vene
sul dorso della mia mano.
“Sei
davvero speciale, per me. Sei la mia piccola Furia,
love metal sister”
“Ti
importa davvero di me?” mi ritrovai a chiedere mio
malgrado.
Non ebbi
bisogno di attendere la sua risposta:
“Irrazionalmente e indubbiamente…sì,
molto più di quanto avrei potuto pensare”
Le sue parole
così strane e inconsuete mi confermarono
quanto fosse malata – e sincera – la sua mente.
Rimasi ancora
un po’ a godere del caldo tepore del suo
corpo, fin quando una voce dentro di me cominciò a
ricordarmi che quello non
era il mio posto. Provai a seppellirla a lungo, zittita a tratti da
desideri e
sogni ad occhi aperti.
Ma alla fine
dovetti cedere. Simulai uno sbadiglio e scostai
il capo dall’incavo del suo collo.
“Sarà
meglio che vada a dormire almeno un pochino” sussurrai
“E sarebbe meglio che Arianna mi trovasse nel mio letto
stavolta, a meno che
non vogliamo che scoppi la Terza guerra mondiale. Sa già
qualcosa non è vero?”
chiesi un po’ preoccupata.
Il sorriso
divertito di Ville uccise ogni mia speranza
“Ehm…direi di sì”
Beh,
l’avevo immaginato.
Ancor meno
desiderosa di partire, mi alzai in piedi,
scoccandogli un piccolo bacio sulla guancia.
“Ancora
mille volte grazie”
Mosse veloce
una mano sopra la mia testa, rovinando in parte
la sua stessa opera: “Quando vuoi”
“Ci
sentiamo presto” aggiunse, mentre mi guardava varcare la
porta.
**
15 Maggio
Quando mi
risvegliai era già mattina inoltrata.
Arianna era seduta contro lo schienale del letto, tutta
intenta nella lettura di un libro del quale, con gli occhi ancora
impastati dal
sonno, non riuscii a mettere a fuoco bene la copertina.
Mi stirai con poco cerimonie, per poi rivolgerle un timido
buongiorno.
Lei sollevò lo sguardo dal suo libro e incrociò
le braccia
al petto, scuotendo la testa.
“Non ti posso lasciare sola un momento eh?”
“Mi dispiace” mormorai, sbattendo le ciglia e
facendole gli
occhi dolci.
Sospirò, battendo le mani sopra le gambe.
“Sai che non voglio fare la mamma cattiva, non ne hai
bisogno. Ma non voglio che ti succeda nulla di brutto. Poi ho promesso,
quindi
non posso arrabbiarmi”
“Promesso?”
ridacchiai, mettendomi in ginocchio sul letto.
“Già”
disse agitando una mano in aria “al tuo Principe
Azzurro, o forse dovrei dire Nero”
Le mie guance
si tinsero istantaneamente di rosso, mentre
riinfilavo dietro l’orecchio una ciocca che mi solleticava il
viso.
“Mi
ha chiesto espressamente di non prendermela, e se avevo
proprio voglia di arrabbiarmi con qualcuno dovevo farlo con
lui” Arianna fece
una smorfia molto eloquente, ma io feci finta di nulla.
Alzò
gli occhi al cielo: “Beh, d’accordo, non mi
arrabbierò,
ma almeno dimmi cos’è successo. E questa volta non
ammetto omissioni”
Così
le raccontai tutto, o quasi. Mi vergognavo ancora
troppo per confessarle che in un momento di debolezza ero saltata
letteralmente
addosso a Ville.
Lei fu
talmente dolce: seppe perdonarmi, e promise di starmi
vicina, sebbene non avessi bisogno di rassicurazioni: ero sicura che lo
avrebbe
fatto.
“Sarà
meglio cominciare a prepararci” mi spronò,
tirandomi
una cordiale pacca sulla spalla “Non vorrai fare tardi al
nostro primo giorno
di lavoro!”
Con un balzo era già in piedi, le labbra aperte in un
radioso sorriso: “Adoro dire questa frase!”
“Sì, Ari, sì” la assecondai,
spingendola verso il bagno “Ora
vai a farti la doccia, o dovrai recitare anche la parte
‘Siete arrivate tardi
il primo giorno e quindi siete licenziate!’” imitai
il suo tono forte e
allegro.
Lei naturalmente non gradì, e prima di sbattermi la porta
sul naso, vidi le sue iridi celesti scintillare di pura indignazione.
Ero sola da
pochi minuti, quando bussarono alla porta.
Aprii con espressione confusa, trovandomi davanti Jaakob,
uno dei camerieri dell’hotel, vestito come al solito di tutto
punto.
“Buongiorno Miss Gerani” pronunciò il
mio cognome con
quell’accento strano che mi metteva di buon umore. Risposi al
suo sorriso senza
alcuna difficoltà: “Buongiorno!”
Sporse in avanti il vassoio che portava con sé, sul quale
erano disposti in bell’ordine una lettera chiusa e un
piattino con un
gigantesco biscotto a forma di gatto.
“Per
me?” domandai scioccamente, stralunata.
“Certo Miss, se vuole posso appoggiarlo su un
tavolino” si
offrì, evidentemente divertito dalla mia reazione
sconcertata.
“Eh? Oh, si naturalmente” annuii, continuando a
fissare il
vassoio, che rimase fermo dov’era.
“Ehm, se mi lasciasse passare…”
Mi guardai le scarpe, rendendomi conto che ero esattamente
davanti alla porta e impedivo il passaggio.
“Oddio scusa!” lo pregai, togliendomi subito di
mezzo.
Jaakob fu molto gentile, e non rimase a prendermi in giro:
“Non si preoccupi” mi assicurò, prima di
salutarmi e sparire nel corridoio con
il suo carrello.
Mi avvicinai
titubante al tavolino, e raccolsi la lettera.
Prima di
aprirla la annusai, come facevo sempre: le mie
narici furono immediatamente colpite dall’aroma di tabacco e
del suo odore. Non
riuscivo a identificarlo esattamente, ma stavo ormai imparando a
conoscerlo.
Dischiusi
curiosa la busta e ne estrassi un foglio di carta
leggermente stropicciato, sul quale svettavano i caratteri della sua
calligrafia affatto chiara, ma che fortunatamente ormai riuscivo a
interpretare
facilmente dopo i pomeriggi passati a scrutare ogni piccolo particolare
dei
libricini di lyrics all’interno dei suoi CD.
My dear
wildcat,
Se stai leggendo
questa lettera vuol dire che ieri sera (o meglio stamattina) sei
riuscita a
giungere sana e salva alla tua camera.
I miei più sentiti
complimenti.
Ora siediti e consuma
la tua nutriente colazione (ti piace il biscotto? Ho chiesto
espressamente ad
una mia amica in cucina di prepararlo per te! Non trovi ti assomigli?)
Posai
nuovamente lo sguardo sul biscotto dalle dimensioni decisamente
esagerate e
l’aria appetitosa e alzai un sopracciglio: io non ci vedevo
poi tutta questa
somiglianza…
Ed ora sei
pronta per
iniziare una nuova meravigliosa giornata.
Buon primo giorno di
lavoro.
Ti penserò (un
pochino)
Ville
Rilessi
quelle poche righe due o tre volte, felice, quando
nuovi colpi risuonarono contro il legno duro della porta.
Mi guardai in
giro, cercando qualcuno con cui condividere la
mia confusione forse; ma mi ritrovai a fissare gli occhi del mio gatto
di
pastafrolla, con una silenziosa domanda sulle labbra.
Dato che il
mio interlocutore non era di molte parole, mi
decisi ad andare a vedere chi fosse stavolta.
Il mio cuore
iniziò a scalciare senza controllo,
attaccandosi ad un assurdo presentimento.
“Mi
dispiace sono ancora io, Miss” sorrise Jaakob di fronte
alla mia espressione evidentemente delusa.
“No,
cosa dici!” cercai di recuperare, dandomi mentalmente
della stupida “Sono felice di
rivederti…così presto!”
“Ho
qualcos’altro per lei!” esclamò
entusiasta, facendo
comparire da dietro la schiena un nuovo vassoio d’argento,
sul quale però
giaceva una meravigliosa rosa dai petali neri e un’altra
lettera.
Nuovamente i
miei occhi si spalancarono per lo stupore:
“Grazie Jaakob” mormorai con voce fievole.
“Si
figuri, lo lascio accanto all’altro” si propose,
sempre
ridacchiando sotto i baffi.
Questa volta
dovetti sedermi, perché non ero sicura che le
gambe mi avrebbero retto ancora a lungo.
Sfiorai i
petali vellutati del fiore e poi passai le dita
sul gambo e le spine acuminate: sentii le punte pungermi la pelle e
provai per
un istante il masochistico impulso di stringere le mani e ferirmi.
Ma presi
invece la lettera e la aprii, come la precedente.
Al suo interno non trovai soltanto un foglio di carta, ma anche una
chiave
elettronica…
Stavo
scherzando.
Non ricordi affatto
quel gatto. Sei come questa Rosa.
Fragile, nera,
bellissima.
Pericolosa.
Questo
pomeriggio ho
qualche faccenda da sbrigare, ma mi piacerebbe vederti questa sera. Non
so
esattamente quando sarò di ritorno. Così, se hai
voglia di venire, ti lascio la
chiave della mia stanza. Puoi aspettarmi lì.
A meno che tu non
abbia altri programmi.
Non preoccuparti.
Your addicted
Valo
_______________________________________________________________________________________________________________________________________________
Oh mie care donne! Mi
dispiace di essere un po’ in ritardo!
Ma me è stata in gita a Praga settimana scorsa, e quindi ero
rimasta un
pochettino indietro!
Spero di riuscire a scrivere il prossimo più in fretta
possibile, anche se mi aspetta una settimana brutta brutta. Ma ho
troppa VOGLIA
di scrivere il prossimo xD
Grazie millissime alle mie sante commentatrici!
@Crist: siiiiiii anche io
vojo picchiare il padre! A dire il
vero vojo picchiare pure il mio ma questa è
un’altra storia. Ehm, io lo so che
ormai tu mi odi xD ma che posso dire? Sono un pochino sadica? O
semplicemente
mi piacciono le storie tormentate! E tu sei un angioletto cara che
riesce
ancora dopo tanto tempo a seguirmi! Al prossimo capitolooo!! Baci
@SIs: ma certo che pazza
pazza era un complimento! il tuo
commentino è decisamente TROPPO bello! Sono contenta che la
scena del bacio ti
sia piaciutaaaa *.* soprattutto il finale drammatico xD solo tu mi
capisci!! Si
guarda il padre e l’arpia devono finire insieme nella stessa
pira. Ah ma tu non
hai idea di cosa abbia combinato ieri sera! Ma almeno me ne sono
liberata! Mi
rifiuto di vederla un’altra volta nella mia vita! Comunque
questa non è la
sede, poi ti spiego… sisi cmq povero ville xD ormai gli
stiamo organizzando
l’esistenza, spero sia d’accordo! xD Ukkeeeeeei a
presto mio amor! Bacii
@Malaena: tesoraaaaaaa!!
Nun sai quanto ero felice quando ho
visto che eri tornata a commentare! Mi sei mancata! Mi stavo chiedendo
proprio
che fine avessi fatto! ( a propositooo, vero che aggiorni presto?? *.*
mi manca
tantissimo anche la tua storia!) Beh hai visto cosa ti ho combinato? xD
La situazione
si fa sempre più complicata, perché quando sembra
che la matassa sia sul punto
di sciogliersi la riingarbuglio ancora di più xD direi che i
miei poveri
personaggi sono condannati xD chissà che nel prossimo
non sia più buona xD kisskiss
@Vampire_heart: ziii
direi una colonna sonora perfetta xD beh si direi che tutti hanno
apprezzato
quell’abbigliamento! Ormai basta, deve andare in giro sempre
così xD vabbè non
c’è problema! Tanto glieli laviamo noi i vestiti e
gli facciamo trovare pronti
solo quelli che vojamo noi! Muahahahahahahah okay non sto bene xD Cmq
grassieeeeeeee cara! Alla prossima collegas! Baci
@Lampoz: ed ecco qui il
commento chilometrico di lampo xD in
primo luogo io sono Mors senza un motivo, eppure sono Mors
perché così è
scritto nel grande libro della vita. Capito?? Coomuque! Lampo XD XD XD
ma lo
sai che posso leggere i tuoi commenti anche duecentoventidue volte ma
ogni
volta muoio dalle risate XD comunque temo che mamma rovo non abbia
usato molta
crescina da queste parti! Mors è boccolosa ma nun ha poi
così tanti capellini.
Lampo sono contenta che tu continui a canticchiare quella canzone
così bella
*.* poi c’è dentro anche uno dei nomi di mors!!
Invece me è da ieri che canto
‘smother me’ ma lo sai xD zono felice che ti sia
piaciuto tantooo! Ti vojo
benissimoooooooo! E devo andare a fare inglese sigh (perché
la mia scuola non
fa seggio come quella di QUALCUN ALTRO!) ci zentiamo dopooo! Baciii!
P.s. il
maschile di strega è stregone XD
Allora spero a presto!
La vostra
FallenAngel
|
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Capitolo 21 *** Lost in your eyes ***
Chapter
20
Lost in your eyes
I
cannot…
Canticchiando
a voce alta una vecchia canzone dei
Black Sabbath, le cuffie del mio mp3 ben fisse nelle orecchie, saltai
appena in
tempo sull’ascensore che si stava proprio per chiudere.
L’uomo
in doppio petto che era stato così gentile
da non tenere le porte aperte attendendo il mio arrivo, mi
squadrò per qualche
istante, probabilmente non approvando il mio abbigliamento alquanto
alternativo. Poi aprì la bocca, ma dalle sue labbra non
uscì alcun suono.
Mi
tolsi malvolentieri una cuffia: “Scusi, non ho
capito”
“A
quale piano sale?” ripeté stizzito, con un
accento americano.
“Nono”
gli risposi educata.
L’espressione
dipinta sul suo volto sembrava
dubitare seriamente della veridicità delle mie parole. Per
sua fortuna, non
fece alcun commento, ma si limitò a premere il tasto del
sesto piano e a darmi,
quindi, le spalle.
A dire
il vero non mi meravigliai neppure quando,
giunto a destinazione, non si premurò di salutare. Di certo
non era finlandese.
Ancora
scuotendo la testa, arrivai davanti alla
stanza n 906.
Recuperai
dalla tasca dei jeans la chiave magnetica
e la rigirai per qualche istante tra le dita, non ancora sicura che
quella
fosse la cosa giusta da fare.
Ma per
quanto avessi deciso di non dar retta al
cuore ma alla testa, il mio cervello non riuscì ad elaborare
alcun motivo
valido per non entrare in quella camera. Lasciai passare quindi la
scheda
sull’apposito scanner e infilai la testa dentro.
“Heilà?”
chiamai, ma la camera si rivelò
desolatamente vuota. Nonché indiscutibilmente e stranamente
in perfetto ordine.
Sbattei
due volte le palpebre e poi finalmente feci
il mio ingresso.
Abbandonai
l’mp3 su un tavolino e mi precipitai
immediatamente nella stanza da letto, saltellando come una sciocca,
come facevo
sempre quando ero sicura che nessuno potesse vedermi. Mi accinsi quindi
a
sbirciare ogni singolo centimetro di quelle pareti, spinta da
un’inguaribile
curiosità.
Aprii
il grande armadio, aspettandomi di trovarlo
vuoto e ritrovandomi invece a scrutare con la fronte aggrottata una
quantità
discreta di capi di vestiario, e lascio alla vostra fantasia immaginare
quale
fosse il colore dominante. Rimasi alquanto interdetta dalla scoperta e
cercai a
lungo di comprendere la mente contorta di quell’uomo noto al
mondo come Ville
Valo: rinunciai presto all’impresa, lasciandomi cadere a peso
morto sul grande
letto, con le braccia spalancate, sognando ancora una volta di essere
quell’angelo caduto nominato nella mia canzone preferita.
Fissai
il soffitto, ripensando alla mattinata
trascorsa: come primo giorno di lavoro era andato tutto decisamente
bene e,
nonostante la mia proverbiale leggiadria, ero riuscita a non far cadere
a terra
nemmeno un piatto. Certo la velocità dei miei movimenti
continuava a far
concorrenza ad una tartaruga menomata, ma d’altra parte avevo
anch’io bisogno
di qualche giorno di pratica. Presto, speravo, i clienti del ristorante
sarebbero riusciti a mettere le mani sui loro ordini prima di
raggiungere l’età
senile.
Per
Arianna era tutta un’altra storia: lei si
spostava tra i tavoli aggraziata e veloce come una gazzella, senza
paura di
mettere anche solo un piede nel modo sbagliato e rovinare a terra
(pensiero che
aveva invece perseguitato me per tutta la durata del turno).
Più
rimanevo in quella stanza più una strana
sensazione mi avviluppava sempre più stretta, come un velo
sottile ma allo
stesso tempo opprimente. Quando abbassai per un solo istante le
palpebre, quasi
mi parve di non essere più sola. Era
un’impressione assolutamente irrazionale,
ma sembrava che ogni più piccola fibra di quel luogo fosse
impregnata della sua
essenza e ovunque mi girassi credevo di vederlo comparire con il suo
sorriso
sornione dipinto in volto, così come ogni qualvolta che
respiravo, potevo
percepire distintamente il suo profumo.
Spalancai
gli occhi all’improvviso e mi rialzai a
sedere, diritta. Scappai da quella prigione psichedelica, nutrendo la
speranza
che il salottino antistante la camera, dove non avevo mai passato molto
tempo
con Ville, stuzzicasse meno la mia mente già troppo eccitata.
Subito
la mia attenzione fu catturata dal
televisore dalle dimensioni affatto trascurabili, poggiato su un
piccolo mobile
in legno dotato di rotelle, che spiccava sul lato della stanza opposto
rispetto
al divanetto e alle poltrone di pelle nera.
Affondai
pesantemente in una di queste, accendendo
l’apparecchio nel tentativo di distrarmi. Forse in
un’altra occasione sarei
riuscita ad apprezzare molto di più i vividi colori dello
schermo a cristalli
liquidi e l’audio quasi perfetto che rendevano la performance
di Tarja Turunen
in un vecchio video dei Nightwish ancora più spettacolare.
Ma al
momento non riuscivo a trovare un diversivo
abbastanza interessante da farmi dimenticare l’attesa.
Lasciai
vagare lo sguardo sul tavolino davanti alla
poltrona, dove giacevano dimenticate alcune riviste, qualche giornale e
un
volume piuttosto grosso, seppur in edizione economica, con la copertina
flessibile sgualcita dal tempo e, forse, dai viaggi. Lo presi fra le
mani,
curiosa. Le mie labbra si aprirono in un sorriso involontario nello
scoprire
che si trattava di una raccolta di racconti di Edgar Allan Poe.
Quando
lasciai il volume aprirsi a caso sulle mie
gambe, le pagine si separarono più o meno a metà
dell’opera, in corrispondenza
di una piccola piega nell’angolo della pagina destra: mi
domandai, divertita,
se quel segno fosse stato fatto intenzionalmente, o se fosse una
semplice
‘orecchia’, come quelle che spesso deturpavano
molte delle pagine dei miei
quaderni alle scuole elementari, per la gioia dei miei insegnanti.
Notai
immediatamente che una frase era stata
sottolineata con cura, a matita. Recitava così: ‘All in vain; because Death, in approaching
him had stalked with is black shadow before him and enveloped the victim’
Rabbrividii mio malgrado, scuotendo il capo: di certo Ville non si
smentiva
mai. Tornai
qualche pagina indietro, scoprendo che il racconto in questione aveva
titolo
‘The tell-tale heart’. Lo divorai in pochi minuti,
accorgendomi ben presto di
conoscerlo già. Il racconto di ossessione non
riuscì però di certo a calmarmi,
ma al contrario mi mise più ansia addosso, tanto che riposai
con un tonfo il
libro sul tavolo.
Lo
spostamento d’aria troppo forte fece volare
oltre il divanetto opposto un foglio di carta solitario, che era
disposto in
bilico sull’orlo di vetro accanto ad una penna.
Mi
affrettai subito ad andare a raccoglierlo e,
facendo il giro del divano, scoprii che dietro al bracciolo era
appoggiata una
bella e lucida chitarra acustica. Ne sfiorai le corde con tenerezza,
per poi concentrare
la mia attenzione sull’insulso pezzo di carta atterrato
vicino alla sua base,
dove svettavano alcune frasi scomposte, tracciate
dall’inconfondibile e, se
possibile, ancor più confusa mano di Ville. Sui bordi erano
poi riconoscibili
diversi ghirigori senza senso, che mi lasciarono inginocchiata a terra
a
sorridere come un ebete per mezz’ora. Non proprio
l’immagine della sanità
mentale.
Cercai
di interpretare quei geroglifici che ancora
si ostinava a chiamare scrittura, ricorrendo a fantasia e intuito.
Quando
riconobbi un pentagramma tracciato molto
semplicemente, con poche note base, il cuore iniziò a
battermi più rapido nel
petto: compresi infatti che ciò che avevo davanti non era
affatto un insulso
pezzo di carta, ma l’embrione di una nuova canzone.
Sì, ne ero praticamente
certa.
Le
parole erano ancora poche, sistemate alla
rinfusa, e in percentuale assai inferiore rispetto agli spazi vuoti;
cancellature su cancellature rivelavano l’oblio dal quale la
poesia non era
ancora riuscita ad emergere completamente.
Eppure
c’era qualcosa che era stato scritto con più
sicurezza e una calligrafia quasi leggibile: “Venus
Doom” recitava una didascalia in cima alla pagina e
nuovamente era ripetuta in una frase più o meno a
metà del foglio, sottolineata
con una linea sottile e diritta: ‘Watch
me fall for you my Venus Doom’.
Senza
pensarci un altro istante presi in mano la
chitarra e tentai di seguire la melodia non ancora completa, basandomi
sulle
note che erano state accennate di fretta.
Provai
e riprovai, chiedendomi se mi fossi almeno
avvicinata all’idea originale.
‘Leave all
behind now to watch her crawl
through our dark --- of insanity’
Una
parola era stata eliminata con vigore e la frase
era stata lasciata incompleta: senza accorgermi di quello che stavo
facendo
presi la penna in mano e riempii quello spazio vuoto.
Solo
dopo aver compiuto il misfatto mi resi conto
della gravità della mia azione. Quello non era uno dei miei
schizzi, né delle
mie bozze. Non avevo alcun diritto di metterci il becco, era qualcosa
di
personale. Sentendomi terribilmente in colpa, riappoggiai penna, foglio
e
chitarra al loro posto, per evitare di essere colta
dall’impulso di modificare
qualche altro particolare.
Nascosi
anzi il pezzo di carta sotto una rivista,
come una bambina che nasconde i cocci del barattolo di marmellata
appena
distrutto.
Animata
da una febbrile agitazione, riaccesi la
televisione, e mi sdrai sul divano, cercando di restare immobile, per
non
combinare qualche altro disastro.
Ma
essere così scossi era più faticoso del
previsto, e dopo pochi minuti, ancora stravolta per la notte passata
quasi in
bianco, mi addormentai con la testa sul bracciolo e i lunghi capelli
abbandonati sul viso.
***
Era
stato un sonno profondo e senza sogni, e quando
cominciai a riprendere i sensi non mi ricordai immediatamente dove mi
trovassi.
Sollevai
leggermente le palpebre ma, disturbata
dalla luce che avvolgeva la stanza, le richiusi immediatamente. Attesi
qualche
secondo, mentre a poco a poco la consapevolezza della realtà
che mi circondava
prendeva piede nella mia mente. Feci un secondo tentativo, questa volta
più
cauto, di aprire gli occhi e alla mia vista ancora annebbiata si
mostrò
l’immagine di qualcosa che non mi aspettavo di vedere.
Ville
sedeva sulla poltrona di fronte al divano con
le gambe incrociate, sulle quali era appoggiato un grande blocco da
disegno.
Sul
suo volto era dipinta una buffa espressione
concentrata, che disegnava tante piccole rughe sulla sua fronte
aggrottata. Le
iridi chiare brillavano attente seguendo le linee tracciate dalla mano
esperta,
mentre le sue dita indugiavano a tratti sul foglio, per sfumare un
contorno.
Quando
sollevò lo sguardo per rivolgerlo nella mia
direzione, serrai istintivamente le palpebre, per la seconda volta,
arrossendo
però al contempo. Sperai che la sua vista non fosse tanto
allenata da notare il
repentino cambiamento.
Troppo
affascinata dal suo viso assorto, la mia
mente non aveva collegato tutte le informazioni a sua disposizione: ma
ora, di
nuovo al buio e senza distrazioni, compresi che l’oggetto
della manifestazione
dell’estro artistico del cantante ero…io.
Fui
colta da un misto di vergogna e irritazione, ma
imposi a me stessa di restare immobile.
Mi
azzardai quindi a socchiudere gli occhi e
sbirciare Ville attraverso le ciglia: tutta la sua attenzione era di
nuovo
rivolta al disegno. Inizio a mordersi il labbro inferiore e a grattarsi
la
fronte con la sua aria corrucciata, come cercando nuova ispirazione: ma
così
facendo si sporcò tutto con le dita nere di carboncino, e al
vedere quelle
bizzarre strisce scure contro la sua pelle nivea, non riuscii a
trattenermi dal
prorompere in una piccola e innocente risata.
Tentai
di essere il più silenziosa possibile, ma fu
tutto inutile: Ville sobbalzò visibilmente e alzò
il capo dalla sua opera,
sorpreso.
Quindi
mi indirizzò un sorriso divertito e
scocciato insieme: “Da quanto tempo sei sveglia?”
Mi
sollevai a sedere, stiracchiandomi; mentre
fingevo noncuranza, gli lanciai addosso il primo oggetto capitatomi a
tiro: per
la sua fortuna sfacciata si trattava soltanto di un cuscino.
“Da abbastanza!”
replicai sdegnata “Cosa diavolo stai combinando?”
In
tutta risposta, alzò le spalle candidamente:
“Passavo il tempo”
Inarcai
le sopracciglia: “Ah si? E posso vedere i
frutti del tuo ‘passare il tempo’?”
domandai legittimamente, mentre mi
avvicinavo a lui, curiosa.
Ville
ritrasse il blocco verso di sé, nascondendo
il ritratto. “No” ribattè, serio
all’improvviso.
Lo
guardai per un attimo, interdetta dalla sua
reazione inaspettata: “No? Perché no?”
Lui
scosse la testa, deciso: “No, è semplicemente
terribile. Non sono bravo con questo genere di cose”
tentò di spiegare “con le
caricature me la cavo molto meglio, ma…”
Sorrisi
involontariamente, stupita dal suo imbarazzo,
e mi inginocchiai accanto alla poltrona, cercando i suoi occhi:
“Non posso
proprio vederlo?” lo pregai, corrosa dalla
curiosità “Prometto di non ridere o
fare niente del genere. Voglio solo vedere quanto mi vedi orribile e
bitorzoluta!”
Accolse
la mia battuta con una smorfia affatto divertita.
Capii che non era la tecnica giusta per raggiungere il mio scopo;
quindi mi
dedicai alle suppliche e agli occhi dolci: “Davvero.
Sarò muta come un pesce.
Per favore!”
Ville
trasse un lungo sospiro, guardandosi intorno
indeciso. Alla fine, dopo aver roteato gli occhi e fatto molta scena,
si decisi
a girare il quaderno, ammonendomi di mantenere la promessa.
Quando
posai lo sguardo sul disegno, ridere fu
l’ultimo dei pensieri che attraversarono la mia mente. Anzi,
per un momento
dimenticai proprio cosa significasse ridere.
Restai
ammutolita per un minuto buono, carpendo
ogni particolare e tratto dell’opera a carboncino. Non avevo
mai voluto che
nessuno mi ritraesse, per una strana e malsana paura: forse la stessa
che
impediva alcune tribù indigene di sottoporsi
all’obiettivo di una macchina
fotografica.
Su
quel foglio vedevo ora riflessa una parte di me
stessa: la parte più vulnerabile, quella che avevo cercato
di sopprimere per
tanto tempo. Eppure Ville era riuscito a coglierla, a leggere nei miei
lineamenti
qualcosa che non ci sarebbe dovuto essere, e questo mi spaventava
terribilmente.
Il
darkman scrutò la mia espressione turbata con
attenzione: “E’ così tanto
brutto?” mi interrogò, fraintendendo il mio
silenzio.
“No,
affatto” sussurrai sincera “E’
terribilmente
perfetto”
Indugiai
con la punta delle dita sul foglio,
seguendo la sagoma del mio stesso profilo addormentato, carezzando le
linee che
si incrociavano al di sopra della fronte, le fitte ciglia e poi le
labbra
dischiuse.
Ville
sfiorò il mio mento, costringendomi a
guardarlo: “Va tutto bene?” bisbigliò,
confuso.
Annuii,
abbozzando un sorriso, mentre sentivo gli
occhi bruciare: “E’ davvero molto bello.
Davvero” aggiunsi dopo qualche istante
“Un altro innegabile talento”
Mi
scompigliò i capelli con la mano, ridendo: “Sei
decisamente sconvolta per qualcosa. Non mi avresti mai fatto un
complimento
tanto esplicito, quanto immeritato”
Mi
ritrassi subito, guardandolo in cagnesco mentre
cercavo di risistemare ciocche di capelli in una posizione ortodossa.
Stavo
per rispondergli a dovere, quando il mio
stomaco vuoto decise di dover intervenire al mio posto.
Ville
riprese a ridere come un bambino, mentre mi
schermivo imbarazzata: “Ehm…ma che ore
sono?”
Indicò
l’orologio attaccato alla parete alle sue
spalle, che segnava le 10 meno un quarto.
Strabuzzai
gli occhi: “Che cosa? Ma per quanto
tempo ho dormito?”
“A
questo non so rispondere” mi informò il
cantante, alzandosi in piedi per riporre nella libreria il blocco
“Ma quando
sono arrivato, più o meno due ore fa credo, stavi
già russando sul mio divano!”
Borbottai
qualche frase senza senso, sorpresa della
mia stanchezza e anche arrabbiata con Ville perché non mi
aveva svegliata.
“Presumo
tu abbia fame” notò allegro, allungandomi
una mano per farmi alzare.
Incrociai
le braccia al petto, voltandomi
dall’altra parte, senza degnarlo di una risposta. Non che
questa fosse
difficile da indovinare. In effetti avevo praticamente saltato di nuovo
il
pranzo…
Il
darkman non attese che i miei bollenti spiriti
si freddassero, ma essendosi rimboccato le maniche, mi
sollevò di peso, facendo
passare un braccio sotto alle mie ginocchia.
“Cosa
stai facendo adesso?” scossi la testa,
aggrappandomi alle sue spalle.
“Ingombravi
il passaggio” mi rispose con un ghigno,
lasciando improvvisamente la presa intorno alle mie gambe. Mi strinse
più forte
intorno alla vita, mentre i miei piedi ritornavano, poco delicatamente,
a
terra.
“Sei
un idiota!” lo apostrofai, ancora allacciata a
lui per la fifa.
“Beh
adesso sei a terra. Potresti anche smettere di
abbracciarmi” mi fece notare con calma, mentre le mie dita
sembravano
decisamente a loro agio intorno alle sue spalle, e il mio corpo si
sentiva
unito perfettamente, come il pezzo di un puzzle, al suo.
Ma mi
staccai, tornando a guardarlo dritto negli
occhi con aria truce.
“Allora…la
vuoi una pizza?”
Alzai
teatralmente lo sguardo al cielo: “Vuoi
rifilare una pizza ad un’italiana?”
Lui mi
sbirciò incerto, evidentemente non
aspettandosi una risposta del genere. In fondo la pizza piace a tutti
no? Non
riusciva a cogliere il problema.
Sbuffai
sonoramente, ma poi scoppiai a ridere: “Sì,
la pizza va benissimo” non volevo provocare problemi
esistenziali.
***
Le
nostre pizze arrivarono in tempo record.
Cominciavo a pensare che essere famosi facesse proprio comodo.
D’altra
parte la fama e il successo non ti rendono
automaticamente più elegante nelle tue maniere a tavola: e
Ville era
decisamente buffo nel divorare una pizza.
Quasi
mi strozzai con un morso, quando lo vidi
costretto a tagliare con le dita, scocciato, l’ennesimo
filamento di formaggio.
“Hai
finito di prendermi in giro?” proruppe
irritato “Non è mica colpa mia se questo formaggio
sta cercando di uccidermi!”
“Certo
Ville” continuai a ridere “E’ sicuramente
colpa del formaggio”
E
proseguii con le mie risate spastiche fin quando
non mi ritrovai uno dei pomodorini della mia pizza letteralmente
spiaccicato
sul mio naso.
“Ooops”
Ville si finse sorpreso “Qualcuno sembra
più imbranato di me o sbaglio?”
Mi
pulii il naso rosso con un gesto stizzito per
poi prendere la mia fetta di pizza e schiacciarla sul suo viso, prima
che
potesse difendersi: “Mmm, temo che tu ti sbagli”
Mi
guardò incredulo, prendendo un tovagliolo e
pulendosi a sua volta.
“Sei
vendicativa eh!” commentò, allungando la mano
verso la sua lattina di birra e bevendone un sorso.
Sorrisi
di rimando: “All’occorrenza, sì. E anche
molto orgogliosa” precisai, godendomi la mia inaspettata
vittoria: Ville
sembrava aver abbandonato l’ascia di guerra.
Si
passò la lingua sulle labbra, annuendo. Quindi mi
fissò a lungo negli occhi, e d’un tratto, sebbene
fossi seduta, sentii le gambe
molli.
Quando
poi iniziò a sporgersi sempre più
pericolosamente vicino, il mio piccolo cuoricino si mise a ballare
animatamente
la salsa.
“Hai
saltato un punto” mormorò a voce bassa,
sfiorandomi con le dita fredde la punta del naso e poi una guancia.
Sentii
un lungo brivido attraversarmi la spina
dorsale e poi tutto il busto, mentre chiudevo gli occhi
inconsapevolmente.
Strano, pensai, sembrava che una scossa elettrica mi avesse
attraversato
davvero il corpo, ma questa scossa era decisamente… bagnata? (*)
“Anche
io sono alquanto vendicativo sai?” proseguì,
per poi scuotermi con una sonora risata. Spalancai le palpebre e
abbassai lo
sguardo, accorgendomi che la mia maglia dell’Hard Rock
Cafè di Berlino era
completamente fradicia.
“Ma
che ti salta in testa?” sbraitai, tirandogli
uno spintone.
“Pareggio
i conti” ridacchiò “Non pensavi
veramente
che ti avrei lasciato vincere eh?”
No,
infatti mi sembrava davvero molto strano.
Eppure, mi ero lasciata incantare. Non era stato affatto corretto!
Aveva
utilizzato il suo sex-appeal per prendermi in giro.
Provai
a fargliela pagare in qualche modo, ma
questa volta Ville fu più scaltro di me, e riuscì
a bloccare ogni mio
tentativo.
“Cosa
credi di fare?” gorgogliò, il viso a pochi
centimetri dal mio e le dita strette intorno ai miei polsi
“Direi che sarebbe
meglio se ti cambiassi…puzzi un po’ di
birra!”
Mi
morsi un labbro per costringermi a tacere e,
dopo essermi liberata dalla sua presa, mi aggrappai al bordo della sua
maglietta e iniziai a tirare verso l’alto.
“Cosa
combini?” ripetè, braccando nuovamente le mie
mani.
“Mi
prendo la tua maglia!” brontolai asciutta
“Visto che è colpa tua se la mia puzza!”
Ma
Ville di certo non mi permise di portare avanti
il mio progetto: nonostante fosse così magro, aveva nelle
braccia più forza di
quanta potessi immaginare.
Mi
spinse lontano, slacciando le mie dita dalla sua
maglia, e poi cominciò a torturarmi un po’ con
quell’odioso solletico che non
potevo assolutamente sopportare.
“Non
cominciare!” boccheggiai, scalciando a tutto
spiano, tra una risata e l’altra.
Quando
si fu divertito abbastanza, mi permise di
alzarmi a sedere, e i nostri visi tornarono alla stessa altezza.
“Ti
odio” dissi, riprendendo fiato. Lui appoggiò la
fronte contro la mia: “Non potevo mica permetterti di
spogliarmi!”
“Puoi
prestarmi un’altra maglietta almeno?”
Ville
si alzò, precedendomi nella sua camera. Aprì
uno dei cassetti e ne trasse fuori una maglia degli AC-DC. Gliela
strappai letteralmente
dalle mani e con un’espressione sdegnata richiusi la porta
del bagno alle mie
spalle, con un tonfo.
***
Quando
uscii linda e profumata dal bagno, sebbene
non particolarmente elegante, trovai Ville sdraiato sul letto, con il
mio i-pod
nelle orecchie.
Lo
raggiunsi lanciandomi letteralmente sul letto,
tanto che il materasso continuò a traballare e cigolare per
un minuto buono.
“La
grazia di un elefante, non c’è che
dire!”
osservò il darkman, togliendosi una cuffia.
Mostrai
senza cerimonie la lingua, poi mi
accoccolai accanto a lui: “Invadi un po’ la mia
privacy?”
Ville
voltò appena il capo, ma potei distinguere
comunque lo scintillio divertito nei suoi occhi: “Stavo
controllando che fossi
una vera fan. E in effetti direi che posso definirti anche una fan
maniaca dopo
aver visto questo” ridacchiò. Appoggiandomi sul
gomito, mi avvicinai un poco,
quel tanto che bastava per poter vedere cosa avesse tanto colpito il
cantante.
L’apparecchio
elettronico riportava il titolo di
quella che non era proprio una canzone: ‘Ville sings happy
birthday to his
mother’.
“Oddio”
borbottai, avvampando di vergogna. “Ehm…non
so come sia potuta finire lì sopra” mentii,
cercando di salvare ciò che restava
del mio orgoglio ferito. Ben poco in effetti.
Quella
registrazione era lì sopra da quando Arianna
l’aveva trovata per caso in una delle sue pazze ricerche di
informazioni su
Internet. Mi divertivo ad ascoltarla ogni tanto, fantasticando su quel
lato per
così dire più ‘normale’ e
meno irraggiungibile di Ville Valo. D’altra parte non
era l’unica prova di forte squilibrio mentale memorizzata in
quel lettore.
Il
frontman rise più forte: “Sì certo
Liz” mi prese
in giro.
“Stavo
guardando anche la concorrenza” aggiunse poi
“E devo ammettere che sono abbastanza fiero dei gusti
musicali della mia
piccola sister”
Gli
regalai un sorriso ironico: “Ti aspettavi di
trovare l’intera discografia di Avril Lavigne o dei
Blue?”
“Avrei
dovuto?” rispose con un’altra domanda
“Certo
qualcosa mi ha lasciato un tantino perplesso…” mi
confidò, tornando al menù
principale e poi vertendo la sua scelta sull’intera cartella
dedicata ai My
Chemical Romance “E questi?” domandò,
inarcando le sopracciglia.
“Hanno
anche loro un posticino nel mio cuore”
asserii, con un tono che non dava adito a repliche. Il cantante si
limitò a
sbuffare, ma non proferì altra parola nei confronti della
band americana.
Appoggiai
la testa sulla sua spalla e continuammo a
ridere e scherzare su tutti i membri della colonna sonora della mia
vita.
“Non
ci sono canzoni italiane” notò Ville
all’improvviso.
“Solo
una” lo corressi, con una nota malinconica
nella voce. “Non molto patriottico da parte mia, non
trovi?”
“E’
piuttosto strano più che altro. Ci sono più
canzoni
in una lingua che quasi non conosci, come il finnico” In
effetti non aveva
tutti i torti: era piuttosto ridicolo. “Qual
è?” domandò curioso, voltando il
capo, così che sentii il suo respiro caldo lambirmi la
fronte.
Presi
l’mp3 dalle sue mani, e cercai la canzone in
uno dei meandri più nascosti dell’apparecchio. Era
da così tanto tempo che non
la ascoltavo…
“Il
titolo è daisy, ‘Margherita’ in
italiano”
tradussi per lui.
“Margherita”
ripetè, con quello strano accento che
fece allargare le mie labbra in un sorriso. “E
cos’ha di tanto speciale questa
canzone per te, tanto da avere l’onore di essere
l’unica canzone in italiano
del tuo i-pod”
Ci
impiegai qualche istante a rispondere:
“Margherita” sospirai “era il nome di mia
madre”
“Oh”
Ville sussultò alla notizia “Se vuoi possiamo
evitare…” mi rassicurò, mentre gli
riporgevo la cuffia.
Scossi
la testa: “No, mi piacerebbe che tu la
ascoltassi. Anche se temo non capirai nulla, forse non ne hai
voglia…” mi resi
conto che il mio impeto di nostalgia poteva essere per lui solo fonte
di noia.
“Certo
che sì” proclamò invece risoluto,
sistemandosi la cuffietta nell’orecchio.
Quando
la musica partì, mi rannicchiai quasi
inconsapevolmente più vicina al petto di Ville. Lui
capì immediatamente, senza
bisogno di parole, e mi racchiuse delicatamente nel suo abbraccio. Una
lacrima,
una sola, scivolò rapida lungo la mia guancia, terminando la
sua corsa
nell’incavo del mio collo.
Quella
canzone rappresentava tutto ciò che non
conoscevo, e che avrei desiderato conoscere. Era così che
immaginavo mia madre:
una donna piena di vita e di amore da regalare al mondo, un mondo che
l’aveva
persa troppo presto.
“Grazie”
mormorai, quando la musica cessò “Avevo
bisogno di ricordare”
“Di
cosa parla?” mi interrogò, dopo aver posato un
leggero bacio a fior di labbra sulla mia fronte.
“Se
vuoi posso provare a tradurla per te” proposi,
alzandomi a sedere, mentre lui faceva lo stesso.
Annuì,
assecondandomi.
Riaccesi
la musica, accingendomi a traslare ogni
frase in inglese, sperando di essere in grado di mantenere un
po’ della poesia.
Io non
posso stare fermo
con le mani nelle mani
tante cose devo fare prima che venga domani
e se lei già sta dormendo io non posso riposare
farò in modo che al risveglio non mi possa più
scordare
Perché questa lunga notte, non sia nera più del
nero
fatti grande dolce luna e riempi il cielo intero
e perché quel suo sorriso possa ritornare ancora
splendi sole domattina come non hai fatto ancora
E per
poi farle cantare, le
canzoni che ha imparato
io le costruirò un silenzio che nessuno ha mai sentito
sveglierò tutti gli amanti, parlerò per ore ed ore
abbracciamoci più forte, perché lei vuole l'amore.
Poi
corriamo per le strade
e mettiamoci a ballare
perché lei vuole la gioia, perché lei odia il
rancore,
e poi coi secchi di vernice coloriamo tutti i muri,
case, vicoli e palazzi, perché lei ama i colori
raccogliamo tutti i fiori, che può darci primavera
costruiamole una culla, per amarci quando è sera
poi saliamo su nel cielo, e prendiamole una stella,
perché Margherita è buona, perché
Margherita è bella.
Perché
Margherita è dolce,
perché Margherita è vera
perché Margherita ama, e lo fa una notte intera
perché Margherita è un sogno, perché
Margherita è il sale
perché Margherita è il vento e non sa che
può far male
perché Margherita è tutto, ed è lei la
mia pazzia
Margherita, Margherita...Margherita...adesso è mia...
“Adesso
so da chi hai preso” sussurrò alla fine
Ville, giocherellando con una ciocca dei mie capelli.
Lo
guardai senza capire.
“Perché
sei il sogno che ha stregato ogni angolo
della mia mente” la sua voce era roca e profonda “e
il sale che ha trasformato
il mio mondo in un cocktail esplosivo e affascinante”
continuò, accennando un
sorriso, mentre concentrava il suo sguardo su quell’unica
ciocca color del
petrolio “e sei come il vento che strazia inconsapevolmente
il mio cuore”
Lasciò
infine andare i capelli e ritrasse la mano,
sollevando lo sguardo e incontrando i miei occhi stupiti e ancora
lucidi.
“Assomigli
sempre di più ad un pescetto” ridacchiò
in tono metallico, nascondendosi dietro l’ironia.
Serrai
le labbra, mortificata. Mi diedi mentalmente
della stupida: ancora una volta stava scherzando con me, ed io avevo
fatto la
figura della stupida.
Sorrisi
forzatamente, con un velo di tristezza
negli occhi, che sperai non fosse così evidente.
“Sarà
meglio che vada adesso” gli comunicai. Lui,
preso in contropiede, guardò l’orologio:
“Oh, è già così
tardi”
“Già”
annuii, scendendo dal letto “Ti dispiace se
mi porto via la maglietta? Te la riporto presto”
“Certo,
fai pure”
Era
ancora seduto sul letto quando ero ormai giunta
alla porta della camera: forse non aveva nemmeno voglia di
accompagnarmi.
“Allora
buonanotte” lo salutai, prima di voltarmi.
Ma stavo già per scappare via da quel luogo, ancora una
volta, quando lo sentii
chiamare il mio nome.
Tornai
sui miei passi, incontrandolo a metà della
stanza.
“Sì?”
domandai, incerta.
“Ecco
io…io volevo dirti una cosa, prima che tu
vada via” mi accorsi immediatamente che era in
difficoltà: non lo avevo mai
visto così agitato, spostare il peso da un piede
all’altro e muovere le mani in
maniera frenetica. Sospettai che desiderasse accendersi una sigaretta.
Tuttavia
non lo fece.
Prese
invece una delle mie mani e la strinse forte.
“Dimmi”
lo incoraggiai, sfiorandogli il braccio.
“Io…io
non posso…” sussurrò, pronunciando ogni
parola con fatica.
Lasciò
la presa intorno alla mia mano e posò le
dita sulla mia guancia: “Non posso essere ancora il tuo
fratello maggiore. Non
posso”
Si
sentiva un traditore, lo potevo leggere nei suoi
occhi tristi.
Eppure
non riuscivo a capire. Che non volesse più
vedermi? Aveva forse paura di essere visto in mia compagnia per qualche
motivo?
Ma perché aveva aspettato a dirmelo solo allora?
“Cosa
vuoi dire?” chiesi, sempre più confusa.
Ville
scosse la testa, non riuscendo a trovare una
giusta spiegazione. Percepii le sue dita dietro la mia nuca e poi le
sue labbra
calde sulle mie. Fu un tocco lieve e delicato, quasi timoroso.
Quando
il contatto divenne più profondo e
altrettanto inatteso, sentii il respiro cominciare a mancarmi e
cominciai a
indietreggiare lentamente, come in cerca di un appiglio solido a cui
appoggiarmi. Dopo pochi passi incontrai la parete e distesi le braccia
contro
di essa, premendo contro il muro per sorreggermi.
“Ville…”
pronunciai il suo nome in un sussurro,
inspirando profondamente in un bisogno disperato d’aria. Lui
scostò infine la
sua bocca dalla mia, allontanando le sue mani: nascose il viso
nell’incavo del
mio collo, attendendo che il respiro tornasse regolare, ben attento a
che
nemmeno un altro centimetro dei nostri corpi si sfiorasse.
“Scusami”
singhiozzò d’un tratto “Perdonami,
perdonami se puoi” alzò la testa, guardandomi in
faccia, ormai completamente
diviso da me, ma al contempo così vicino che potevo
avvertire ogni fibra del
suo essere spingere e opprimermi contro quella parete, facendomi
sentire
violabile e indifesa.
Non
riuscì a sostenere a lungo il mio sguardo: “Non
volevo farlo. Volevo essere ciò di cui avevi bisogno, starti
accanto senza
farti soffrire. Ma sono così dannatamente egoista”
Nonostante
la luce fosse sempre più tenue, potei
scorgere una piccola goccia scorrere e rilucere su una delle sue
guance; sentii
l’impulso di allungare una mano e spazzare via quel segno di
sofferenza, e con
esso tutta la sofferenza stessa. Ma avevo paura.
“Ti
desidero, ti desidero così intensamente che
ogni volta che mi sorridi mi sento morire e ogni volta che ti sfioro
vorrei
soltanto poter stringerti tra le mie braccia e baciarti ancora e
ancora” mentre
parlava tenendo gli occhi bassi le sue dita seguirono, esitanti, un
tortuoso
sentiero, dalle mie labbra, lungo il profilo del mento, più
giù, percorrendo la
curva del mio seno e poi quella dei mie fianchi, senza mai toccare
davvero il
mio corpo, ma facendomi tremare di desiderio ad ogni passo e sospirare
di
piacere. Era forse un incantesimo, quella dolce tortura?
“Forse
ti ho deluso” continuò il darkman facendomi
sussultare “ma non potevo più fingere. E forse
adesso non mi vorrai più vedere,
perché ho cercato e voluto qualcosa che per te era stato
solo un errore…”
Le sue
parole mi smossero come un ramo in balia
della tempesta. In quell’istante capii quanto fossi stata
stupida: per la mia
paura di essere respinta, per la mia dannata insicurezza, avevo detto
la frase
sbagliata al momento sbagliato. E ognuno aveva frainteso i sentimenti
dell’altro.
Rimasi
ferma, immobile troppo a lungo. Di nuovo
l’interpretazione più ovvia era quella sbagliata:
Ville temette che il suo
comportamento mi avesse davvero turbata e cominciò ad
allontanarsi, concedendomi
l’opportunità di andarmene per sempre.
Ma non
lasciai che la possibilità di essere felice
mi sfuggisse di nuovo tra le dita, come sabbia nel vento:
“Aspetta” gli
intimai, con quanta determinazione mi restava, afferrando le sue mani.
Incrociare
il suo sguardo quasi arreso e sbigottito
fu la cosa più dolce del mondo. Lo attirai a me, guidando le
sue mani intorno
alla mia vita: lo presi poi per il colletto della maglia, alzandomi
sulla punta
dei piedi e cercando di nuovo le sue labbra, desiderando in qualche
modo di non
staccarmene più, anche se questo avrebbe significato morire
tra le sue braccia
senza respiro.
Sentii
le sue mani come braci ardenti sulle mie
anche, e poi sotto la stoffa umida della maglietta, mentre il suo corpo
premeva
forte contro il mio.
La sua
bocca rispose con desiderio alla mia, in un
impeto per troppo tempo trattenuto.
Mi
sentivo prigioniera di un sortilegio troppo
forte per essere spezzato. Schiava di un desiderio che cancellava ogni
altro
particolare, grande o piccolo, della realtà. Protagonista di
una storia che
tante volte avevo sentito raccontare e che adesso era semplice
verità.
We’ve been slaves to this love from
the moment we
touched
And keep begging for more of this resurrection
Lasciai
che Ville mi aiutasse ad abbandonare a
terra la maglia degli AC-DC, la quale non aveva trascorso molto tempo
indossata, e questa volta lui permise a me di spogliarlo della sua.
Anche i
miei jeans distrutti scivolarono a terra, accompagnati dalle sue mani,
mentre
una scia di baci raggiungeva il mio ombelico e sfiorava
l’elastico dei miei
slip. Non restarono a lungo soli, i miei poveri jeans.
Tentai
di aggrapparmi nuovamente alla parete liscia
e senza appigli, mentre la sua bocca risaliva piano, superando
l’ostacolo del
reggiseno ormai slacciato.
La sua
lingua tornò poi a intrattenere la mia, in
una danza infuocata e troppo rapida anche per i battiti accelerati del
mio
cuore. Mi sollevò con dolcezza, adagiandomi sulle lenzuola
nere come l’abisso
in cui ero irrimediabilmente annegata.
Prima
di fondersi a me, al mio corpo tremante e
fragile, ruppe il sigillo delle nostre labbra, per poter scrutare nei
miei
occhi grandi e trasognati. Riavviò i miei capelli indietro,
allontanandoli da
mio volto umido, e poi si avvicinò al mio orecchio:
“Mi sono perso nei tuoi
occhi, sin dal primo momento” sussurrò.
Quella
notte imparai cosa significasse davvero fare
l’amore. E lo feci con una passione che non avrei mai creduto
possibile. Mentre
accoglievo ogni movimento, ogni bacio, ogni carezza, con un nuovo e
sincero
sospiro o grido di appagamento, mi resi conto di quanto i discorsi
cinici e disillusi
che avevano a lungo riempito la mia testa non valessero proprio nulla,
di
fronte all’amore incondizionato.
Impressi
ciascun singolo, minuscolo istante nella
mia memoria. Ogni parola, ogni emozione. Questa volta avrei ricordato.
E lo
avrai fatto per sempre.
perché
Margherita è tutto, ed è lei la mia pazzia
Margherita, Margherita...Margherita...adesso è mia...
Cocciante
(*)
Tutti i diritti alla
mia piccola Lamapoz xD Amor mio: questo è tutto per teee
________________________________________________________________________________
‘Per
te che è ancora notte
già prepari il tuo caffè…”
cantava Battisti, ma potrei cambiarlo con per te che
aggiorni la tua storiaaa. Che poi non è più notte
ma è ancora relativamente
presto, quindi concedetemelo.
Va beh xD La giornata è appena
cominciata e già deliro xD Scusate la febbre è
tornata e me non ne può più!
Comunque oggi sarò di poche
parole…direi che il capitolo già dice tutto^^ E
sono davvero curiosa di sapere
se la mia vita è finalmente salva xD
No davvero questo
capitolo l’ho ripreso in mano 200
volte e non ero mai soddisfatta, spero non sia così sotto le
vostre aspettative…
Fatemi sapere, me è
straANSIOSISSIMA.
Una dedica speciale a Crist
che attendeva da un po’ questo momento e io l’ho
fatta tanto penare!
Grazie
millissime a chi ha
commentato lo scorso capitolo^^
@Sis:
la talpa di ville??? XD
Nooooo mi fai troppo ridere siis! Ti adoro! Nono sis, hai ragione.
Infatti lui
tentava di rappresentare la figura del fratello maggiore,
perché pensava che
fosse quello che lei desiderava…ma alla fine è
scoppiato XD Sono contenta che
tu abbia colto la sfumatura^^ Anche
io
ti voglio troppo troppissimo bene. ma noi non abbiamo bisogno di
parole! Ci
basterà riabbracciarci venerdì^^ A presto amorina
miaaa! Baci
@UsagiChan92:
*.* oddiooo ma
grazie! Il tuo commentino è troppo bello! Ma grazie grazie
davvero! Mi hai
fatto arrossire! Spero che questo nuovo chapter non ti abbia deluso^^
Fammi
sapereee! Grazie ancora! KissKiss
@Crist:
sisi invece! Sei il
mio angioletto e una delle mie lettrici più fedeli! E spero
questa volta di
averti fatta contenta^^ tutti e due sanissimi e nel pieno delle loro
facoltà xD
Aspetto impaziente il tuo commentino^^ Baci
@Lamapoz:
beh lampsXD che
direeee! Questa volta sei battuta nella tua rece XD peggio dei miei
messaggi XD
Non sto a rispondere a tutto quello che hai scritto se no sto fino a
domani
mattina xD perun! xD ormai noi e la frutta siamo una cosa sola!
Vabbè
lamapoz..posso solo citare ramazzotti (ramazzotti??? Ehhhh??
Vabbè sta cosa è
giusta XD): GRAZIE DI ESISTEREEEEEEEEE! E grazie delle rece xD La tua
mors
sempre più innamorata
Allora
a presto^^
Grazie perché mi spronate
sempre ad andare avanti!
Un abbraccio
La vostra
FallenAngel
|
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Capitolo 22 *** Fatal awakening ***
Chapter
21
Fatal
awakening
This
is a kiss worth dying for
16
Maggio
Mi
trovavo ancora in quello stato intermedio tra il
sonno e la veglia, quando i tuoi sensi sono offuscati e non sai
distinguere tra
sogno e realtà.
Tutto
ciò che sapevo per certo era che mi sentivo
così dannatamente bene, pervasa da un dolce tepore, dalla
superficie morbida
della mia pelle sin dentro alle mie ossa.
Per
quanto mi sforzassi, non riuscivo a ricordare
di aver mai provato nulla di simile.
“Let
me wake up into your arms…”
D’un
tratto il mio cuore parve fermarsi e il tempo
con esso; quella voce affatto sconosciuta penetrò lieve
nella mia testa,
cancellando tutto il resto.
Non
provai nemmeno ad aprire gli occhi, sicuro che
fosse soltanto un brutto, anzi meraviglioso, scherzo della mia
immaginazione
troppo fervida.
“…hear
you say it’s not all right…”
Ma la
voce non cessò di risuonare nella mia mente,
come un magico incantesimo sussurrato a fior di labbra.
“…let
me be so dead and gone…”
E
adesso non era più soltanto melodia: potevo
percepire il respiro caldo contro la pelle del mio collo e una mano
percorrere
lieve il contorno della mia clavicola.
Un
timido ma sincero sorriso si allargò sulle mie
labbra, mentre il mio cuore tornava a battere troppo veloce.
“…so
far away from life…”
Dischiusi
le palpebre per poter godere del suo
sorriso di rimando, mentre, appoggiato sul gomito sinistro, Ville si
sollevava
per cercare la mia bocca con la sua.
“…Just
close my eyes, hold me tight…”
Mormorò,
le labbra ancora unite alle mie, le dita della
mano destra che scorrevano lungo il mio fianco, scoprendomi, fino a
raggiungere
la stretta ansa della mia vita.
“…and
bury me deep inside your heart”
Era
vero, tutto reale, cercai di convincermi,
mentre la sua bocca scendeva rapida fino al mio cuore, il quale non
sapevo per
quanto a lungo ancora sarebbe riuscito a resistere, imprigionato nel
mio petto.
Sollevò
un momento il capo, per sbirciare il mio
volto trasognato, e sorridere, compiaciuto, dei miei battiti tanto
accelerati.
Non
ebbi il tempo di aprir bocca, che la sua lingua
già tormentava il mio seno, lasciandomi ancora una volta
senza respiro.
Una
mia mano scivolò tra i suoi capelli mossi e
spettinati, mentre dalla mia gola chiusa affiorava un sospiro di
piacere.
Quando
le sue dita superarono di gran lunga la fine
della mia schiena, lo costrinsi a risollevarsi spinta da un
irresistibile
desiderio di incontrare ancora quelle labbra.
Lo
spinsi sul letto, sotto di me e lui mi lasciò
fare, allargando le braccia sopra la testa.
Indugiai
per qualche istante sulle sue iridi, che
ora brillavano con una nuova luce ed emozione, chiamando
silenziosamente il mio
nome.
“All
I Ever Wanted Was
You, My Love” fu il mio turno di cantare, mentre
i nostri corpi aderivano
ancora una volta l’uno all’altro, come i pezzi di
un puzzle e i duplici
desideri venivano con dolcezza appagati.
“Un
risveglio decisamente mortale…”
ansimò, il respiro ancora irregolare.
Non
riuscii a trattenermi dal
ridacchiare, il capo appoggiato al suo ventre.
“E’
colpa tua” lo rimbeccai, sfiorando
il profilo del suo heartagram.
Un
leggero pizzico solleticò il mio
fianco.
“Si
sta forse lamentando?” domandò con
ironia.
“Mh…forse”
Mi
sentii immediatamente sollevare,
mentre il mio cuscino cambiava posizione. Non so come mi ritrovai
seduta sulle
gambe di Ville.
Iniziò
a giocherellare con il ciondolo
che avevo appeso al collo.
“Sei
troppo bella con questo addosso”
commentò, strappandomi un altro sorriso imbarazzato.
Raccolse
una ciocca dei miei capelli
scompigliati dietro l’orecchio e sussurrò con la
sua voce bassa e baritonale
“Con solo questo addosso”
Questa
volta le mie guance si
infiammarono ed io mi nascosi dietro ad un altro bacio.
Non
riuscivo a immaginare cosa sarebbe
successo al mio povero cuore dipendente, quando non avrei avuto la
possibilità
di baciarlo ogni momento.
Perché
non saremmo potuti restare in
quella stanza per sempre, non è vero?
Un’ombra
passò sui miei occhi e non
restò inosservata.
“Sei
pentita?” chiese serio, scrutando
attento oltre le mie ciglia “Di ciò che
è successo”
Non
risposi immediatamente, stordita da
un quesito simile.
Toccai
fuggevolmente il suo labbro
inferiore.
“Come
puoi chiedermi una cosa del genere? Come puoi
anche solo pensarla?” scossi la testa con vigore
“No, certo che no. Vorrei
soltanto poter stare così per sempre” gli
confessai, abbracciandolo più
stretto.
“Possiamo
farlo se vuoi” mi disse, serio, piegando
il capo da un lato “Cosa ci importa del mondo là
fuori?”
Non
potei fare a meno di ridere lievemente “Due
cuori e una camera d’albergo? Non pensavo fossi un
romanticone simile”
Ville
fece spallucce “Per me è abbastanza”
“Neanche
mangiare?” lo stuzzicai, aggrottando le
sopracciglia.
Lui
sbuffò, agitando la mano: “Cosa importa in
fondo? Al massimo moriamo di fame. Ma sai che ti seguirei ovunque, my
darling.
Even in death” bisbigliò, recitando le parole di
una sua canzone.
Ogni
volta che sentivo dedicarmi un pezzo dei suoi
testi, sentivo il petto traboccarmi di gioia. Non era forse
ciò che avevo
desiderato per tanto tempo? Sarei rimasta ad ascoltarlo per tutto il
giorno,
dimenticando il resto.
Ma non
resistetti dal prenderlo un po’ in giro:
“Beh, si da il caso che invece io abbia proprio fame.
Quindi…” allungai un po’
il collo, aggrappandomi alle sue spalle e gli diedi un piccolo morso
sul naso.
“Ahia!”
si lamentò, allontanandomi istintivamente.
“Ahhh”
sospirai di soddisfazione, accoccolandomi di
nuovo contro il suo petto “Ho sempre voluto farlo”
“Mordermi
il naso?” domandò sorpreso.
“Sì,
sì” risposi sicura, davanti alla sua
espressione incredula “Tu di certo non hai visto le
inquadrature che fanno al
tuo naso durante i live” spiegai “Viene voglia di
mangiarselo!”
Ville
scoppiò in una sonora risata, facendo tremare
tutto il letto.
“Tu
sei malatissima” commentò, passandosi una mano
tra i capelli “Ma con chi sono finito?”
Gli
rivolsi un’occhiata glaciale: “Cosa vorresti
dire?”
“Assolutamente
nulla” mi assicurò, le labbra
piegate in sorriso sghembo irresistibile, prima di baciare ancora la
mia bocca,
mordicchiando con delicatezza le mie labbra.
Di
certo, se avesse continuato a comportarsi in
quel modo, non sarei mai riuscita ad arrabbiarmi.
Di
nuovo il bacio si intensificò a dismisura e
rischiava di sfociare in qualcos’altro, se Ville non si fosse
staccato con
difficoltà, frapponendo qualche centimetro tra i nostri
volti.
“Questo
è di certo un bacio per la quale vale la
pena morire” ansimò, facendomi tremare.
“Ti
prego, fuggi dalla mia vista almeno per un po’,
altrimenti non so se riuscirò a trattenermi
dall’impulso di incatenarti a
questo letto e farti mia prigioniera per sempre”
confessò, con un filo di voce.
Gli
regalai un ultimo malizioso sorriso, prima di
seguire l’invito e scappare dalle sue braccia,
così all’improvviso da lasciarlo
con una strana espressione basita dipinta sul volto.
“Hey,
non così in fretta, non ero ancora pronto!”
protestò, imbronciato, facendo segno di riavvicinarmi.
Scossi
la testa, con un grandissimo sforzo di
volontà: “Vado a farmi una doccia! Riuscirai a
resistere senza di me per una
mezz’ora”
Con
uno scatto velocissimo, che avrei reputato
impossibile, il darkman era in piedi di fianco a me, le braccia intorno
alla
mia vita.
Mi
spinse contro la parete, premendo il suo corpo
contro il mio e facendomi sussultare.
Le sue
labbra erano ancora una volta saldate
irrimediabilmente alle mie, fin quando ci dimenticammo di respirare e
dovemmo
dividerci per riprendere fiato.
“Ci
sono ricascato, eh?” borbottò, appoggiando la
fronte contro l’incavo del mio collo.
“Temo
di sì”
“Potrei
accompagnarti” si offrì, con sguardo
angelico.
Avrei
mai potuto rifiutare? Lo presi per una mano,
e lo condussi con me oltre la porta del bagno.
**
Sbirciando
il mio riflesso nello specchio opaco del
bagno, quasi non mi riconobbi. Quel sorriso impossibile da cancellare
sul mio
volto non sembrava appartenermi.
Mi
sembrava tutto ancora così irreale e anche la
mia immagine appariva ai miei occhi come l’aura incantata di
una fata o di
qualche strana creatura uscita da un libro di fiabe.
Quando
spensi per un momento il phon che stavo
usando per asciugare i miei capelli troppo lunghi, udii quasi per caso
il mio
telefono suonare nella stanza accanto.
Corsi
a prenderlo, domandando cosa mai stesse
combinando Ville nel salottino per non averlo sentito.
“Pronto?”
risposi, forse al ventesimo squillo.
“Ah!
Allora sei ancora viva!” la nota ironica nella
voce di Arianna era decisamente malcelata.
Abbassai
gli occhi, con aria colpevole: “Ehm,
sì…”
“E
potrei anche sapere dove sei?”
“Ehm…da
Ville” sussurrai, sedendomi sul letto
sfatto.
Arianna
rimase un attimo in silenzio, forse
considerando tutte le implicazioni di quell’unica frase.
Anzi, di quelle due
sole parole.
“Si,
lo sospettavo, ma…” si fermò un
momento,
traendo un bel respiro “sentirtelo dire fa tutto un altro
effetto!”
Mi
ritrovai involontariamente a sorridere. Quanto
era scema.
“Oddio,
no, non ne possiamo parlare qui al
telefono. Avrò l’onore di vederti a
pranzo?”
“Pranzo?”
ripetei, incerta. L’ora di pranzo
sembrava anche troppo vicina…non ero sicura di riuscire ad
allontanarmi da lui
così presto.
Arianna
ridacchiò dall’altra parte del filo:
“Diciamo cena allora?”
Cena
suonava decisamente meglio.
“Si,
certo. Cena” mi mostrai assolutamente
d’accordo a questo incontro posticipato.
“Va
bene cara, allora ti aspetto nella hall! Fatti
sentire ogni tanto eh!” mi rimproverò
bonariamente, prima di attaccare.
Rubai
un’altra maglietta dal cassetto di Ville –
ormai era un vizio – e mi affrettai a raggiungerlo nel
salottino.
Lo
trovai seduto su una della poltrone a fissare un
foglio di carta con un’espressione indecifrabile disegnata
sul volto.
Lo
chiamai. Lui sollevò immediatamente il capo,
volgendo verso di me i suoi occhi verdi sgranati.
“Cosa
c’è?” domandai preoccupata, fissando a
mia
volta l’apparentemente innocuo pezzo di carta; fu allora che
lo riconobbi e
sentii il sangue gelarsi nelle mie vene.
“Oddio
Ville scusami! Mi dispiace tanto!” iniziai a
parlare a ruota libera, gettandomi sul divano accanto a lui e
prendendogli la
mano “So che non avrei dovuto farlo, ma è stato un
impulso irresistibile. Sono
un’impicciona ficcanaso e oltretutto ho pure dovuto lasciarci
il mio zampino.
Arrabbiati, arrabbiati pure se vuoi!” terminai, riprendendo
fiato, dopo che
avevo blaterato per mezzora senza respirare.
Ma
Ville non gridò, né si adirò, e
nemmeno mi
guardò male. Si mise semplicemente a ridere di gusto, senza
riuscire a
smettere.
Rimasi
ferma, accigliata e stupita da una simile
reazione: “Tutto a posto?”
Passò
una mano dietro la mia nuca e mi avvicinò a
sé, baciandomi il collo: “Quanto sei idiota,
sweetheart” il suo respiro così
vicino mi lasciò ancora una volta stordita.
“Non
sono arrabbiato. Sono solo colpito, o meglio
impressionato e sbalordito” tornò a posare lo
sguardo sul foglio che teneva
ancora stretto nell’altra mano.
“E’
perfetto” mormorò soltanto, incredulo.
“Dici
sul serio? Non ti dispiace?” domandai,
cercando i suoi occhi per capire se stava dicendo davvero la
verità.
“Io
non so come tu abbia fatto. Ma hai trovato
esattamente ciò che cercavo” quando si
voltò a fissarmi così intensamente fui
quasi presa dal panico “Ne sono quasi spaventato, davvero.
Sii sincera” mi
disse poi, portandosi il palmo della mia mano aperta alla bocca
“Sei una strega
non è vero?”
Sorrisi
di rimando, scuotendo la testa: “Sono solo
una sciocca, che ha scritto la prima cosa che le è venuta in
mente”
Ville
rimase a scrutarmi a lungo, perso in non so
quali pensieri.
“Io…io
non l’ho mai fatto ma…”
lasciò andare la mia
mano, piegandosi di lato per afferrare la sua chitarra “Non
ho mai fatto
ascoltare a nessuno le mie canzoni, se non agli altri membri della
band, prima
che fossero finite. Ho sempre avuto paura, tutto questo mi fa sentire
maledettamente fragile e indifeso. Ma con te è
diverso” si morse un labbro,
riavviandosi i capelli indietro e tenendo gli occhi fissi a terra. Si
fermò un
istante, come cercando le parole giuste “E’ come se
fossi una parte di me,
molto più di una musa. Ci sono state altre donne nella mia
vita” confessò,
mormorando ogni parola con calma “Poche hanno ispirato alcune
delle canzoni a
cui sono più legato, mi hanno fatto stare bene, mi hanno
fatto soffrire, ma non
penso di essermi mai sentito così simile ad
un’altra persona. Mai prima d’ora”
I miei
occhi cominciarono a bruciare e la pelle del
mio viso a diventare calda e febbricitante. Asciugai una lacrima con la
manica
della maglietta, prima ancora che potesse scivolare lungo il mio viso,
prima
ancora che Ville potesse accorgersene.
“Suona”
la mia voce era più leggera del soffio del
primo vento di primavera “Suona per me”
Le sue
dita sfiorarono delicate le corde della
chitarra, come poco prima avevano lambito il mio corpo. Chiusi gli
occhi,
mentre Ville ritrovava gli accordi e cantava per me e me sola le prime
note di
quella nuova poesia.
“Leave
all behind now to watch her crawl
Through
our dark gardens of insanity…”
Quando
pensavo che la magia fosse terminata, il
frontman mi sorprese, continuando a interpretare parole ancora
sconosciute.
“…she’ll
be the light to guide you back home
Just
give her a kiss worth dying for”
Spalancai
all’improvviso le palpebre, incontrando
il suo dolcissimo sguardo.
‘Un
bacio per la quale vale la pena morire’ ripetei
nella mia testa, ricordando la frase che mi aveva detto solo qualche
ora prima.
Affondai le dita sotto il cuscino del divano, abbarbicandomi ad esso,
per
resistere all’impulso di corrergli incontro e stringerlo,
tentando con un gesto
di esprimere almeno una parte dei sentimenti che affollavano il mio
cuore.
Ma
rimasi immobile, non volendo affatto
disturbarlo, dopo che mi aveva accoratamente confidato quanto fosse
difficile
per lui aprirsi in questo modo con una persona, spogliandosi delle sue
difese.
“Ti
piace?” mi chiese timidamente.
Feci
un piccolo gesto di assenso, sicura che se
avessi cercato di parlare sarei scoppiata in singhiozzi.
Un
sorriso felice trasfigurò ancora una volta il
suo viso, illuminandogli gli occhi.
“Riprovo
di nuovo, c’è qualcosa che non mi
convince” borbottò, più a se stesso che
a me, con un’adorabile aria
corrucciata.
Feci
di nuovo sì con la testa e mi appoggiai con il
gomito sul bracciolo del divano, sorreggendo con la mano il capo
piegato.
Lo
ascoltai in silenzio provare diverse
combinazioni, ma nessuna parve soddisfarlo a sufficienza.
C’era sempre un punto
che non lo convinceva a pieno.
Mi
concentrai attentamente, lasciando che la musica
entrasse dentro di me.
“Prova
un fa” suggerii all’improvviso. Il suono
della mia voce, dopo una quiete tanto prolungata, lo fece trasalire.
“Cosa?”
domandò, puntando il suo sguardo penetrante
su di me.
Arrossii,
imbarazzata. Mi ero lasciata di nuovo
prendere dall’entusiasmo e avevo aperto bocca senza pensarci.
“No,
nulla, dicevo solo che…” cominciai a
balbettare, persuadendomi sempre di più di quanto fosse
sciocca la mia idea
“forse potresti provare a sostituire quel re con un fa. E poi
subito dopo il mi
minore. Ma è soltanto una proposta, stupida per
giunta” aggiunsi alla fine.
Ville
seguì immediatamente il consiglio, rimanendo
sorpreso dal risultato.
“Sei
semplicemente fantastica. Come hai fatto?”
Tutti
quegli elogi mi stavano dando decisamente
alla testa: “E’ stata solo
un’intuizione” minimizzai “Nulla di
eccezionale…”
Trascorremmo
in questo modo l’intera giornata,
dimenticandoci perfino di mangiare. Davvero.
La
nostra sintonia era realmente impressionante e
insieme riuscimmo a stilare una piccola bozza di canzone, cosa che, a
detta di
Ville, a volte poteva richiedere anche mesi interi.
Scoprii
che stare tra le sue braccia era la cosa
più naturale del mondo. Era davvero sentirsi come a casa.
Una vera casa.
Ricalcai
per l’ennesima volta il contorno del cuore
tatuato sul polso destro e poi le parole ad esso legate.
‘When
I love, I love” recitai in silenzio e mi
chiesi se davvero per Ville amare significasse dare tutto. Una sola
risposta
era chiara nella mia mente, accompagnata però da
un’altra domanda dolorosa:
avrebbe mai potuto amare me?
Scacciai
lo scomodo pensiero, premendo più forte le
dita sul suo braccio.
“Ti
piace il mio tatuaggio eh?” notò il darkman con
una risatina.
“Decisamente
si” confessai, sollevando lo sguardo
“Credo sia il mio preferito in assoluto. Così
semplice e al tempo stesso complicato”
Cosa
vi è in fondo di più complesso
dell’amore?
“Tu…”
cominciò Ville, ma si fermò subito, scuotendo
la testa.
“Cosa?”
lo incalzai.
“No,
nulla. Lascia stare” mormorò, lasciandomi
affogare nella mia curiosità. Il mio broncio offeso non
potette nulla contro la
sua testardaggine.
“Ti
odio profondamente” dichiarai infine,
voltandogli le spalle.
Le sue
braccia si insinuarono attorno alla mia vita
e di nuovo quella sensazione, di non essere più sola, mi
avvolse come il calore
del sole, che risveglia i boccioli
dei
primi fiori appena nati.
“Sei
sicura?” sussurrò, cullandomi lentamente.
“Si”
assicurai testarda, ma la mia voce non era
affatto ferma come avrei voluto.
“Veramente?”
serrai gli occhi, cercando di non
prestare attenzione al fatto che le sue labbra ora sfioravano la mia
guancia.
“Si”
ripetei in un soffio.
“Sei
la peggior bugiarda che io conosca” mi disse,
premendo leggermente le dita sulla mia mandibola e costringendomi a
girare il
viso.
Qual
era la domanda? Mi ritrovai a pensare,
dimentica di ogni problema, mentre assaporavo ancora la dolcezza di un
suo
bacio.
__________________________________________________________________________
Ecco qui il
nuovo capitolo di Mors xD
Oddio quanto mi fa strano scrivere cose tanto felici e
dolciose, dopo che gli ho fatti soffrire tanto tempo xD Ma
d’altra parte è
giusto che conceda loro un po’ di pace. Almeno per un pochino
xD
Questo capitolo non mi convince molto (come mia madre ben sa
xD in effetti le ho fatto una testa tanta xD)..fatemi sapere cosa ne
pensate!!
Le note che ho messo alla fine le ho sparate molto a caso!
xD Non sono molto esperta..ancora..vero Puz?? xD
Passiamo ai
ringraziamenti:
@Sis: *.* *.*
*.* che bel commentino caraaa! Sono così
contenta che ti sia tanto piaciuto! Davvero! Quando l’ho
letto per la prima
volta stavo per mettermi a piangere! Ti vojo tanto bene! Suukko
@Vampire_heart:
grassie mia dolce ale! Anche io mi sono sciolta a leggere
i vostri
commentini! Grassie grassie grassieeeeeee! Spero che anche questo
chapter non
ti deluda! Kisses
@Crist:
uhhhhh sono contenta di averti finalmente fatto
felice ^^ Dai per ora va tutto bene! La dedica ci stava proprio!
Grassie mille
caVa! Bacini
@UsagiChan92:
*.* sono così happy che ti sia piaciuto
tanto!! Ahhh non mi stufo mai di ascoltare un po’ di elogi
anche se immeritati
xD Si si lo so, anche io volevo scappare in Finlandia dopo che
l’ho scritto! No,
in realtà io vojo sempre scappare in Finlandia, ma fa niente
xD Spero che
questo chapter ti abbia soddisfatto , anche se non era così
pieno di discorsi
filosofici xD Cmq si^^ anche nel mio cuoricino c’è
un posto per i chimici! E
tra l’altro c’è in cantiera anche una
fic su di loro che comparirà presto xD
Allora a prestooo! Bacini
@Lamps: lamps
mi è venuta tristezza a rileggere la rece! Perché
penzavo che quando l’hai scritta eravamo cossì
vicine e adesso inveceee..UFFA! cmq
zi lo soXD nemmeno mors ama cocciante xD solo la canzone! E poi siii,
andrà
tutto beneeee (ehm..coff coff)..cmq lamps stiamo parlando su msn xD
quindi tiro
breve..LAMAPOZ SEI LA MEJO! Tanti bacini imouh!
@PUz: siii mi
ricordo quando l’hai commentata e riletta (ma
quante volte?? xD Matta!) in diretta..e mi prende malissimo adesso che
non
siamo insieme! Però c’è sempre
villuccio che ci tiene unite *.* Grassieeeeeee
Una dedica
speciale anche da parte mia alle mie Angels! Grazie
grazie grazie perché siete voi e siete sempre fantastiche!
Vi vojo tanto
troppissimo bene!
Allora alla
prossima!
La vostra
FallenAngel
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Capitolo 23 *** Ink&Souvenirs ***
chap 22
Chapter 22
Ink
& Souvenirs
The
importance of being twin-cones
“Hai
finito?” domandò Arianna, avvicinandosi al
bancone, in un momento di pausa.
Smisi
per un secondo di riempire l’ennesimo boccale
di birra, guardandola senza capire.
Lei
sbuffò sonoramente, allargando le braccia: “Di
sorridere come un ebete! Non hai ancora finito?” mi prese in
giro, facendomi
arrossire.
“No,
non credo di poterlo fare” le feci una
linguaccia, cercando tuttavia di contenermi.
Era il
mio primo giorno di lavoro come barman e non
potevo permettermi di essere così distratta;
d’altra parte era tutto molto,
molto difficile.
Fortunatamente,
ero riuscita a strappare a Ville la
promessa di non presentarsi al Midnight Wish per quella sera, dato che,
se
fosse comparso al mio cospetto, ero sicura che non sarei riuscita a
trattenermi
dal saltargli addosso.
Il
darkman aveva iniziato allora a tempestarmi di
messaggi, uno più idiota dell’altro, ed io ero
stata costretta a spegnere il
cellulare, per evitare di continuare a ridere senza ritegno invece di
ascoltare
le ordinazioni di clienti sempre più irritati.
Arianna
scosse bonariamente la testa: “Basta, ormai
è persa. Cerca almeno di non farti licenziare il primo
giorno per favore!”
Se ne
andò con un sospiro di rassegnazione, sebbene
non mi sfuggì il fatto che anche le sue labbra erano
incurvate leggermente
all’insù.
Quando
le avevo raccontato tutto quello che era
successo, solo qualche ora prima, era rimasta semplicemente sconvolta.
Rendersi
veramente conto che la tua quasi sorella ha un rapporto che va ben
oltre
l’amicizia con una rock star di fama mondiale deve essere un
colpo non da poco.
Se poi quella persona non è una celebrità
qualunque, ma il cantante i cui
poster riempiono quasi interamente la tua stanza e davanti alle cui
fotografie
hai lasciato un milione dei tuoi sospiri più sognanti,
allora la situazione si
fa sempre più difficile da affrontare.
Sedute
al tavolo di un ristorante cinese, avevo
visto passare sul suo volto una lunga serie di emozioni diverse:
dapprima la
sorpresa, seguita a ruota da quella che avevo riconosciuto mio malgrado
come un
po’ di gelosia. Ma Arianna aveva cercato immediatamente di
nascondere questa
sua debolezza, fronteggiando la notizia con molta più
maturità di quella che
sarebbe stata dimostrata da qualunque altra ventunenne. Mi aveva
guardato negli
occhi, chiedendomi se ero veramente sicura di quello che stavo facendo.
Per un
istante ero rimasta interdetta dalla domanda
e una parte di me aveva sentito l’impulso di gridarle contro
che non erano
affari suoi, ma poi mi ero accorta che era una richiesta assolutamente
legittima e un argomento importante su cui riflettere.
No, la
mia testa ben sapeva che la situazione in
cui mi ero buttata a capofitto non era la più razionale e
priva di rischi. La
mia nuvola di zucchero filato, anche se in quel momento sembrava fatta
di
materiale indistruttibile, si sarebbe presto o tardi dissolta nel nulla
ed io
sarei precipitata nel vuoto, senza alcun appiglio a cui aggrapparmi.
Tuttavia,
la voce della coscienza era stata da tempo sottomessa a quella del
cuore, che
sosteneva ad oltranza, scacciando ogni altro ostacolo, una sola
risposta.
Davanti
al mio timido annuire, anche parte della
sua preoccupazione era scivolata via, lasciando abbastanza spazio per
un
sorriso sincero.
“Quel
che conta è essere felici, non è vero?”
aveva
sussurrato, passando un braccio intorno alle mie spalle
“Spero davvero che
questo sentiero, per quanto tortuoso possa essere, sia finalmente
quello
giusto”
“Grazie”
avevo mormorato, stringendola forte.
“Anche
se…” aveva aggiunto ad un tratto tirando
leggermente la ciocca dei mie capelli che stava rigirando tra le dita
“non è
affatto giusto che tu ti sia presa come compagno di viaggio Ville Valo,
il
quale dovrebbe essere patrimonio universale
dell’umanità…”
**
Tra
chiacchiere e tanto, tanto lavoro, il mio turno
era finalmente giunto a termine. Avevo già servito al
bancone durante qualche
concerto liberamente organizzato a scuola o da amici, ma quello non
poteva
essere nemmeno lontanamente paragonato al numero infinito di
ordinazioni che un
barman può ricevere in un locale come il Midnight Wish. Ero
inequivocabilmente
distrutta.
Mi
lasciai pesantemente cadere su una delle panche
dello spogliatoio del personale.
“Caspita…”
fu tutto quello che riuscii a blaterare.
“Pff”
borbottò Arianna, scalza e sdraiata sulla
panca accanto “Smettila di lamentarti! TU almeno sei rimasta
ferma tutto il
tempo! IO invece non ho fatto altro che correre di qua e di
là per l’intera
serata! Senza contare tutte le volte che quegli idioti di Andre e Luke
hanno
cercato di farmi lo sgambetto!”
Ridacchiai,
senza riuscire a trattenermi,
rammaricandomi di non aver potuto seguire la scena.
La
prima cosa che feci non appena ebbi tirato un
po’ il fiato fu di riaccendere il cellulare. Ritrovai due sms
e ben quattro
messaggi nella segreteria telefonica. Li ascoltai uno dopo
l’altro,
accorgendomi che la voce di Ville, nonché le cose che
diceva, si facevano
sempre più strane ad ogni messaggio. Sembrava
decisamente…ubriaco.
Lo
richiamai immediatamente e rimasi ad aspettare a
lungo, ascoltando il segnale di libero rimbombare nelle mie orecchie,
mentre il
sangue cominciava a defluire troppo svelto nelle mie vene. Quando poi
scattò la
sua segreteria, staccai con un gesto frustrato la comunicazione e
riprovai
ancora.
Nessuna
risposta.
Provai
a calmarmi, ma senza molti risultati. Ecco,
perfetto. Iniziavo a comportarmi come una fidanzata gelosa solo dopo
poche ore
e solo perché Ville non aveva risposto subito al telefono!
Ero proprio una
scema e mi odiavo per la mia dannata insicurezza. Ma sapevo che quella
sera il
frontman era andato alla festa organizzata da un’amicA di
Migè, ed io non
potevo sentirmi completamente tranquilla, soprattutto dopo aver
scoperto che
non era rimasto proprio in sé…
“Hey!
Ecco che arriva la più imbranata barista di
tutta la Finlandia!” mi salutarono in coro Luke e Danny, con
una patetica
imitazione della mia performance.
“Ah.ah.”
risposi alla provocazione, senza
divertimento.
“Oh
no, che ti è successo? Non dirmi che la nuvola
sulla tua testa ha ricominciato a gocciolare!” si
lamentò Luke, dandosi una
manata sulla fronte “Sei la persona più lunatica
che abbia mai messo piede
sulla terra!”
Mi
morsi un labbro, grattandomi il collo: “Ehm…si
lo so” ammisi “Ma mi amate anche per questo, non
è vero?”
Un
coro di no accolse la mia non felice uscita,
facendomi scoppiare a ridere “Ah beh, buono a
sapersi!”
Andrea
mi diede un piccolo colpetto sulla spalla:
“Allora, andiamo a festeggiare questo primo giorno di
lavoro?”
Non
era forse la mia massima aspirazione al
momento, ma decisi di seguire i miei amici, per tenere la mente
occupata.
**
17
Maggio
Quella
sera, nonostante la stanchezza, feci davvero
fatica ad addormentarmi.
Ville
non aveva più richiamato ed io ero rimasta
immersa fino al collo nella paranoia, a rigirarmi come
un’ossessa tra le
coperte, rischiando ad ogni calcio involontario di svegliare la mia
sventurata
compagna di letto.
Poi,
proprio quando ormai potevo distinguere ogni
più piccola crepa del soffitto, ero sprofondata in un sonno
agitato e fin
troppo leggero, tanto che non mi fu difficile risvegliarmi di
soprassalto non
appena bussarono alla porta.
All’inizio,
con le palpebre spalancate a sondare
l’oscurità, pensai di essermi sognata tutto.
Ma il
ritmico rumore riprese qualche istante dopo,
facendomi sussultare.
Sbirciai
Arianna con la coda dell’occhio:
naturalmente la rossa non si era accorta di nulla, ancora profondamente
addormentata.
Scivolai
fuori dalle coperte, sgambettando in punta
di piedi sul pavimento gelato. Aprii la porta appena un poco, lasciando
filtrare meno luce possibile all’interno della stanza.
Mi ci
volle qualche istante per abituarmi al
cambiamento e mettere a fuoco di nuovo le immagini.
“Ciao”
una timida voce decise di aiutare la mia
vista in difficoltà.
Il mio
cuore mancò un colpo, mentre il viso di
Ville entrava finalmente nel mio campo visivo: aveva i capelli ancora
più
spettinati del solito e l’espressione alquanto sbattuta.
“Cosa
ti è successo?” domandai preoccupata,
dimenticandomi d’un tratto di essere profondamente irritata
per il fatto che
non avesse risposto alle mie chiamate.
“Ehm”
abbassò lo sguardo a terra, apparentemente
concentrato nell’osservare i miei piedi nudi “Mi
sono addormentato…dopo aver
bevuto un po’ troppo…” spiegò
imbarazzato, passandosi più volte una mano fra i
capelli, come per un tic nervoso.
Uscii
nel corridoio, socchiudendo la porta alle mie
spalle.
Nonostante
i miei sforzi, non riuscii a trattenere
una piccola risata nasale. Ville alzò il capo di scatto,
guardandomi sorpreso.
“Stai
ridendo?” chiese conferma, alzando un
sopracciglio.
Mi
coprii una mano con la bocca, cercando di
rimanere seria “Si, scusa. Adesso la pianto”
“No,
no, non è che sia offeso. Solo che…”
scosse la
testa “pensavo fossi arrabbiata”
“No”
risposi veloce “Cioè…prima lo
ero…un pochino”
riformulai la frase con più sincerità
“Anche se non ne avevo propriamente il
diritto, solo ero un po’ preoccupata”
“Preoccupata?”
Fu il
mio turno di analizzare con attenzione la
moquette del corridoio: “Sì…che ti
fossi già scordato di me e…”
Non
ebbi il tempo di dire altro. Fu solo un attimo:
prima le sue dita sfiorarono il mio mento costringendomi, con
delicatezza e
decisione insieme, a risollevare il viso; quindi fu la sua bocca a
sovrapporsi
dolcemente alla mia, risvegliandomi completamente.
“Ed
io credevo di essere un idiota…”
sospirò, la
fronte appoggiata alla mia.
“E
non lo sei?” ridacchiai, sollevata, ora che il
sapore delle sue labbra era di nuovo così vivido in me.
“Beh,
di certo tu lo sei di più” ribatté,
facendo
scorrere una mano lungo la mia schiena. Chiusi gli occhi, inspirando
profondamente, troppo impegnata a ricordare quanto fosse bello essere
fra le
sue braccia per rispondere a tono.
“Come
diavolo avrei potuto dimenticarmi di te?” mi
sgridò, allontanandosi di pochi centimetri, per potermi
inchiodare con i suoi
occhi “Quando ho passato il tempo a
cercare di scacciare dalla mia testa l’immagine
del tuo viso, e di
quest’adorabile fossetta…”
mormorò, posando l’indice sul piccolo buco accanto
alla mia bocca, che si era formato all’allargarsi del sorriso
che le sue parole
avevano scatenato.
“…e il
profumo della tua pelle…” rabbrividii quando prese
la mia mano, portandola al
volto e mordendo con i denti i polpastrelli, per poi disegnare una scia
sottile
di baci lungo tutto il dorso.
“…la
morbidezza dei tuoi capelli…” continuò,
giocherellando con le punte della mia
chioma, disciolta oltre le spalle, mentre nel frattempo piegava appena
la
schiena, poggiando l’altra mano sopra la mia coscia.
“…e
anche qualcos’altro” terminò, abbassando
la
voce, mentre la mano risaliva veloce insinuandosi tra le mie gambe.
Sussultai,
tremando, anche a fronte di quel tocco
appena accennato ma al tempo stesso carico di promesse.
Ville
scostò la mano, sorridendo leggermente.
“Anche
se” mi confidò poi, facendosi di nuovo serio
“la mia parte preferita in assoluto rimangono i tuoi
piedi”
Rivolsi
istintivamente gli occhi verso il basso: “I
miei piedi?”
“Sì”
confermò, unendosi alla mia attenta
osservazione “Sono così dannatamente
eccitanti”
Proruppi
in una nuova, sciocca risata: “Quanto sei
stupido”
“Ma
guarda che dicevo sul serio” mi assicurò ed
effettivamente era molto difficile dubitare di quel volto angelico,
sebbene
sapessi quanto era semplice per lui ingannarmi. Con quegli occhi,
avrebbe
potuto convincermi anche che il sole girasse intorno alla terra.
“Comunque, per
quanto riguarda questa sera” ritornò
repentinamente a monte del discorso “sono
arrivato due o tre volte sul punto di rompere la mia promessa e venire
a
cercarti, ma sono riuscito a trattenermi. Poi però, quando
hai spento il
cellulare per evitare di essere troppo distratta, ho dovuto trovare un
modo per
tenere a mia volta la mente occupata, per evitare di passare la serata
a
piagnucolare come un bambino sulla spalla di Migè. Anche se
ancora una volta
bere non si è dimostrato una soluzione molto
efficace” fece una strana smorfia
eloquente, arricciando il naso “E così alla fine
non ho smesso un momento di
blaterare e mi sono comunque addormentato sulla spalla di
Migè, il quale tra
l’altro sarà decisamente incazzato, considerando
il fatto che gli ho rovinato
la serata”
Non mi
fu difficile immaginare l’espressione
irritata del bassista, mentre tentava di scrollarsi di dosso un
frontman
ubriaco e completamente fuori di sé.
“Allora,
cosa ne pensi?” domandò con un sorriso
sardonico “Sei soddisfatta dell’incantesimo che hai
scagliato sopra il mio
povero cuore?”
Appoggiai
la mano aperta contro il suo petto e
riavvicinai il mio volto al suo.
“Mmmh”
mormorai, soffiando lievemente sulla sua
bocca. Ville serrò gli occhi, restando immobile e
così teneramente indifeso.
Attese
che le mie labbra chiudessero quella poco
distanza che era rimasta fra noi, ma tutto ciò che ottenne
fu un lussurioso e
doloroso morso, mentre le unghie della mia mano si chiudevano in una
stretta
morsa intorno al cuore stesso.
“Non
ancora…” replicai sadicamente, riconoscendo
l’amaro gusto del sangue, mentre mi allontanavo, fino ad
incontrare la parete.
Ville
spalancò gli occhi per lo stupore, passandosi
un dito sulle labbra e lasciando che si macchiasse di una piccola
striscia
vermiglia.
Non
disse nulla, ma mi rivolse uno strano sguardo
ed un sorriso obliquo, al quale risposi passandomi lentamente la lingua
lungo i
contorni della mia bocca.
“Vuoi
venire con me, mia perfida selvaggia?” mi
interrogò con voce suadente.
Lo
osservai con interesse, curiosa: “Dove?”
“E’
una sorpresa” dichiarò semplicemente, sul suo
viso un’espressione indecifrabile.
“Verrò”
assicurai, arrotolando l’indice intorno ad
una ciocca laterale, atteggiando il mio corpo in una posizione
seducente “Ma
prima…” imposi una condizione
“…baciami”
Non
ebbi quasi il temo di respirare, che il suo
naso era già attaccato al mio.
“Non
hai per nulla paura che ti morda ancora?
Potrei essere ancora più cattiva questa volta” lo
provocai, sbattendo le
ciglia.
Per
tutta risposta mi sentii spinger ancor di più
contro la parete. I miei piedi si sollevarono da suolo di qualche
centimetro,
mentre il suo corpo aderiva in ogni sua parte al mio, tanto che potevo
percepire il suo desiderio premere contro di me.
Colsi
per un istante la luce diabolica nei suoi
occhi, prima che si facesse strada senza troppa dolcezza nella mia
bocca,
lasciandomi senza fiato e riprendendo in mano la guida di quei giochi
pericolosi.
**
“Posso
sapere dove stiamo andando, adesso?” cercai
di informarmi per l’ennesima volta, mentre camminavamo a
passo spedito per una
via poco nota del centro.
Erano
passate da poco le otto e la città era ancora
in parte addormentata: solo qualche sporadico passante si dirigeva
rapidamente
al proprio posto di lavoro, guardando fisso davanti a sé,
pensando ciascuno ai
propri problemi.
Da
quando ero ad Helsinki, ed era già un sacco di
tempo, avevo perso una qualsiasi routine quotidiana: non dover uscire
presto
tutte le mattine per andare a scuola non era di certo qualcosa per la
quale
piangere in greco. Eppure, ai limiti della consapevolezza, sapevo che
c’era
qualcosa che non andava, che mancava nella mia vita.
Scacciai
i pensieri molesti, spegnendo quel
campanello nella mia testa che ogni tanto mi ricordava che stavo
semplicemente
sfuggendo dalla realtà, ancora una volta. Mi concentrai sul
volto di Ville, il
quale era sempre, assolutamente, impassibile.
“Lo
scoprirai presto” cantilenò.
Sbuffai,
stringendogli il braccio più forte: “Sei
consapevole del fatto che io sia una delle persone meno pazienti che
abbiano
mai messo piede su questa terra?”
Il
darkman scoppiò a ridere, l’ultima delle
reazioni che avrei voluto suscitare: “Si, si lo so.
E’ un difetto che conosco
molto bene, come dire, personalmente”
Proseguimmo
a camminare per qualche istante, in
silenzio.
“Ville…”
fui io a rompere la quiete, dubbiosa.
“Mh?”
“Hai
mai pensato al fatto che l’essere così
simili…potrebbe essere un problema?” gli esternai
la mia paura, non senza
difficoltà.
Il
sorriso che mi rivolse mi fece capire che la
stessa idea aveva attraversato anche la sua testa.
“Sì,
ci ho pensato. E mi sono reso conto che per
ora riesco a trovarla solo una cosa meravigliosa”
sollevò lo sguardo al cielo,
completamente immerso nei suoi pensieri “E’ come
aver trovato una piccola pigna
gemella. Adesso non mi sento più solo su questo grande
albero”
Continuai
a fissarlo, fin quando non scese dalla
sua nuvola e tornò a guardarmi.
“Che
c’è?” domandò, non riuscendo
a decifrare la
mia espressione
stranita.
“Una
pigna?” per rispondere, mi feci inquisitrice a
mia volta.
Ville
si strinse nelle spalle: “Sì, mi piacciono le
pigne!”
Certo
non si poteva dire che Ville Valo non avesse
dei gusti bizzarri…
“E
poi” aggiunse “la nostra testa non è
forse dura
come una pigna? Non ci sta bene il collegamento?”
Questa
volta dovetti concordare che in effetti non
aveva tutti i torti.
“Sono
davvero la tua pigna gemella?”
Si
sporse per darmi un leggero bacio sulla fronte:
“Certo. E per noi pigne, come ti ho già detto, non
valgono le regole di questo
mondo. Se per gli altri essere simili è fonte di problemi,
per noi è tutto il
contrario”
Il
sorriso si allargò sulle mie labbra: sebbene la
spiegazione non avesse alcun senso razionale, per me era abbastanza.
“Eccoci
qui!” mi annunciò poco dopo, fermandosi
davanti alla vetrina di un negozio decisamente chiuso. Mi avvicinai di
più, per
lanciare un’occhiata più approfondita al luogo in
questione, accorgendomi in
questo modo che non si trattava affatto di un semplice
negozio…
Mi
voltai verso Ville, spalancando gli occhi: “E’
uno studio di tatuaggi?” chiesi conferma, sebbene ne fossi
praticamente certa.
“Ehm…si”
annuì il darkman.
“E
perché siamo qui? A quest’ora
poi…guarda”
indicai col dito un cartello appeso alla porta “Dice che non
apre prima delle
undici!”
Ville
alzò gli occhi al cielo: “Sì, sono a
conoscenza di questo piccolo particolare. Ma il tatooer è un
mio amico”
Schiacciò
il citofono, al quale evidentemente era
collegata una telecamera, perché non servi nemmeno che il
frontman aprisse
bocca per dichiarare la sua identità: la porta era
già stata aperta.
Mi
rivolse un sorrisetto vittorioso: “Visto?”
Gli
mostrai la lingua e mi rifiutai di seguirlo.
“Dai
andiamo!” mi spronò, cercando la mia mano
“Scusami, non volevo offenderti”
Scossi
la testa, abbassando lo sguardo: “Non è
questo…” borbottai, incollando i piedi al cemento
della via deserta.
“Credo
di essermi persa un passaggio: perché siamo
qui?” riformulai ancora la domanda, sebbene avessi paura di
sapere la verità.
“Secondo
te?”
Ecco,
già questa risposta non mi piaceva per
niente.
“Fidati
di me” mi sussurrò, traendomi a sé.
Perché
questo stupido cuore aveva deciso di non
darmi più ascolto? Sembrava in completa balia della sua voce.
E
così, mi ritrovai a varcare con riluttanza la
soglia.
**
“Puoi
aprire gli occhi, sweetheart” mi assicurò,
prendendomi lievemente in giro “Qui nessuno sta per morire
dissanguato”
La sua
roca risata riempì la stanza, insieme a
quella di Ilari, tatuatore e amico di infanzia di Ville.
Socchiusi
le palpebre, appena un poco, strizzando
tuttavia ancora gli occhi, mentre le mie unghie affondavano sempre
più in
profondità nei miei jeans.
“Mi
dispiace” cercai di scusare il mio
comportamento infantile “Ma ho sempre avuto paura degli
aghi”
Una
terribile fobia degli aghi a dire il vero. E
adesso che uno di essi era ad una distanza ridotta in modo
così preoccupante
iniziavo a non controllare più le mie azioni.
Mancava
così poco e poi…
Rabbrividii
mio malgrado.
“Beh,
questo lo avevo intuito” mi fece notare il
cantante con tranquillità “Ma nessuno ti sta
obbligando a farti incidere la
pelle. Ti ho portato qui per accompagnare me…”
Ah si.
Piccolo dettaglio.
Stavo
letteralmente andando nel panico perché l’ago
stava per toccare il braccio di Ville.
“Ma
se pensi proprio di non farcela…”
Scossi
la testa, deglutendo a fatica e
costringendomi ad sollevare una volta per tutte le ciglia,
completamente.
Il
darkman era seduto in perfetta tranquillità, un
grande sorriso a increspargli le labbra, il braccio teso verso
l’amico.
“Non
preoccuparti” intervenne quest’ultimo “Se
è la
vista del sangue che temi, non ci sarà nessun lago, al
massimo qualche schizzo”
ghignò.
“Dai
Ilari, piantala” lo sgridò il frontman,
lanciandogli un’occhiataccia “Non dargli retta Liz,
nessuno schizzo”
“Non
preoccuparti, non è la vista del sangue a
turbarmi, comunque. La mia è una paura irrazionale e senza
senso. Ma farò del
mio meglio. Non mi hai detto cosa stai per tatuarti” cambiai
argomento, nel
tentativo di distrarmi.
“Guarda,
e vediamo se capisci” replicò lui,
sibillino.
Assistere
al processo non fu affatto così terribile
come pensavo. Anzi. Fu…affascinante.
Senza
contare il fatto che sembrava che Ville
stesse facendo qualsiasi altra cosa, escluso farsi bucare la pelle e
soffrire.
I due amici non smisero di parlare un momento, come avrebbero fatto in
un’allegra scampagnata in cerca di castagne.
“Finito!”
comunicò Ilari, con uno strano schiocco
della lingua.
Ville
voltò il capo, per osservare meglio il
risultato, con occhio critico. Dopo pochi istanti
un’espressione compiaciuta
comparve sul suo viso: “Perfetto”
“Allora
hai intuito di cosa si tratta?” mi
apostrofò, aspettando impaziente una risposta.
Sbuffai,
scocciata, avvicinandomi alla sua sedia:
“Certo che sì!”
L’avevo
capito quasi subito e la mia reazione non
era stata di sicuro la spavalda noncuranza che stavo ostentando in quel
momento; no, non appena avevo compreso quale fosse il suo nuovo
tatuaggio il
mio cuore aveva iniziato ad accelerare la sua corsa e per diversi
attimi ero
andata quasi in apnea. Per fortuna nessuno sembrava essersene accorto,
o forse
aveva attribuito lo strano comportamento alla paura.
Perché
quei due segni che si era fatto tatuare sul
braccio non erano semplici simboli inventati o riconducibili a qualche
strano
culto. Erano molto di più.
Erano
parole, le cui lettere erano state
sovrapposte in modo da ridursi a due sole immagini. Due semplici
parole, Venus
Doom, il titolo della sua nuova canzone. Della nostra
canzone.
Quando
fui abbastanza rasente alla sedia il cantante
fece passare il braccio interamente tatuato da molto più
tempo intorno alla mia
vita, guardandomi negli occhi: “Ebbene, cosa
c’è scritto?” domandò
nuovamente,
non ancora soddisfatto della mia risposta. Quindi non mi credeva?
Alzai
gli occhi al cielo: “Hai proprio una bella
opinione della mia intelligenza!”
Lui
non disse nulla, rimase a fissarmi, sempre
aspettando.
“Venus
doom” sospirai, arrendendomi.
Le sue
iridi si illuminarono e solo per questo concordai
con me stessa che era valsa la pena di frenare l’orgoglio.
“Complimenti”
accondiscese, facendomi segno con il
dito di piegarmi un po’ in avanti.
Feci
come mi era stato richiesto, ritirando così il
mio premio: non appena entrai ancora una volta in contatto con le sue
labbra
calde, riformulai il pensiero di qualche secondo prima. Ne era valsa decisamente la pena.
**
“Grazie
di tutto Ilari, un ottimo lavoro come
sempre” Ville espresse la sua riconoscenza
all’amico, mentre ci accingevamo a
lasciare lo studio.
“Allora
andate?” chiese sorpreso, alzandosi insieme
a noi “Non avevi detto che…”
Il
darkman lo interruppe: “Sì, era stata
un’idea
così, ma non sapevo quale fosse la situazione. A questo
punto mi sembra
evidente che non sia poi questo geniale progetto…”
ghignò in direzione del
tatooer, il quale posò un momento lo sguardo su di me e poi
ridacchiò di
rimando.
“Eh,
in effetti non hai tutti i torti!”
“Che
cosa?” intervenni, non riuscendo a frenare la
curiosità. Mi era molto difficile rimanere
all’oscuro di qualche discorso,
soprattutto se ne ero tanto apertamente l’oggetto.
“Nulla
tesoro” mi rispose Ville, scuotendo la
testa.
Pensava
davvero di liquidarmi in quel modo?
Gli
lanciai uno sguardo di ghiaccio: “Cosa?”
sibilai.
Il
frontman si risedette, emettendo un profondo
sospiro rassegnato. Tirò fuori un pezzo di carta,
più volte ripiegato. “Ieri
sera” iniziò a raccontare mentre svolgeva il
foglio lentamente “mentre ho avuto
l’illuminazione delle lettere, ho disegnato anche
questo…”
Spinse
il foglio sul tavolo, verso di me.
Lo
presi, corrugando la fronte. Rimasi poi a
fissarlo a lungo, incapace di parlare, mentre percepivo distintamente
lo
stomaco attorcigliarsi con strane circonvoluzioni.
“E’-è
per me?” boccheggiai infine, osando alzare lo
sguardo su di lui.
Ville
alzò le spalle, arrossendo leggermente “Beh,
l’idea era quella ma…”
Non lo
lasciai nemmeno finire e presa da un moto di
passione dichiarai semplicemente: “Voglio farlo”
Due
paia di occhi si posarono su di me, increduli.
“Cosa?”
esclamò il darkman “Sei impazzita? Ci stai
prendendo in giro?”
“Assolutamente
no” sorrisi di sbieco “Voglio farlo.
Subito. Prima che cambi idea”
“Ma
ne sei certa? Eri terrorizzata solo dal fatto
che IO facessi un tatuaggio, e adesso vuoi lasciare che sia la tua
pelle ad
essere toccata dall’ago?”
Mi
morsi un labbro, deglutendo: “Ecco e se la
piantassi di ricordarmelo sarebbe anche tutto più
facile” bofonchiai “Se te lo
dico io! Sono adulta” ehm…quasi “ e
vaccinata e posso prendere le mie decisioni
da sola!”
Ville
scoppiò a ridere, prendendo la mia mano: “Non
ho nessuna intenzione di fermarti se è quello che vuoi
veramente. Solo sono
sempre più convinto di ciò che ho pensato la
prima volta che abbiamo parlato”
“Cioè?”
lo interrogai curiosa, piegando la testa da
un lato.
“Che
sei tremendamente incoerente!” scherzò, ma non
troppo.
“Ah,
dettagli” minimizzai con un gesto “Ormai ho
deciso” e non c’era più nulla da fare.
Ilari
mi venne vicino: “Allora, dove lo vuoi?”
Ci
pensai ancora per un secondo, ma in fondo avevo
già deciso dal primo momento che l’avevo visto.
“Sul
piede” annunciai, sicura.
Il
tatuatore mi scrutò, colto alla sprovvista,
grattandosi il collo: “Sul piede?” mi fece il verso
“Davvero? Lo sai che è uno
dei punti in cui fa più male” mi
informò, non comprendendo bene il mio strano
desiderio.
Mi
voltai verso Ville, con un aperto sorriso. Anche
il darkman era rimasto per un istante stupito della mia scelta, ma non
appena
vide il mio sguardo le sue labbra si incurvarono come in uno specchio e
i suoi
occhi rifletterono il nostro intimo segreto.
“Non
importa” assicurai poi a Ilari, ma davanti
alla sua aria scettica cercai di spiegarmi meglio, nuovamente
“Non era il
dolore a spaventarmi, più che altro l’idea
dell’ago in sé”
“Ah”
mormorò, ancora poco convinto “Come preferisci
cara”
Si
allontanò quindi nella stanza accanto, per
recuperare il materiale necessario.
“Te
lo chiederò per un ultima volta” soggiunse
Ville, non appena fummo soli “Ne sei assolutamente
certa?”
Annuii
immediatamente, con vigore.
E
quando fui io ad essere seduta su quel lettino,
con le sue dita intrecciate alle mie, la sua voce profonda a
sussurrarmi
incoraggiante all’orecchio, la paura sembrò essere
andata definitivamente in
vacanza.
Attesi
in silenzio, ad occhi chiusi, fin quando non
seppi che una parte di lui era stata impressa per sempre dentro di me.
________________________________________________________________________________
La piccola mors è senza
internet e chiede perdono se ci ha
impiegato così tanto ad aggiornare! Ma mia sorella
è molto generosa e mi presta
il suo computer mooolto facilmente -.-‘’
Anche ora sono in fuga sigh!
Fatemi sapere cosa ne pensate di
questo capitolo^^
Ringrazio tantissimo le mie adorate
lettriciii: Lamps (lamps
semplicemente ti amoooo e
nn buttarti sotto nessun autobus xD), la mia sis
in trasferta (sisi la eli è na scemaXD nooooo che dici
nessun
riferimento xD) Puz (nun so puz XD
resta sempre troppo dolcioso xD siii le note azzeccatissime xD vojo la
mia
chitarraaa), Crist (per ora il
sogno
è ancora tutto intero^^ no no, non hai scritto nessuna
cazzata! I tuoi commentino
mi fanno sempre un piacere immenso! P.s. la tua rece è stata
la num 100!!!) e Kagome14 (grazie
mille^^ spero
continuerai a seguirmi!)
Allora a prestoooo! (si spera xD)
Un bacio!
La vostra
FallenAngel aka Mors
|
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Capitolo 24 *** Kiss and Tell ***
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Chapter 23
Kiss
and Tell
I’ll
be the thorns in every rose you’ve been sent by
hope
“Dai
smettila” mi lamentai, ma senza troppa
convinzione, mentre Ville mi stringeva da dietro, affondando il volto
nei miei
capelli e facendomi così il solletico.
“Potrebbe
salire qualcuno da un momento all’altro!”
gli feci notare, tentando di divincolarmi. L’ascensore in cui
ci trovavamo non
era di certo il luogo più privato e sicuro al
mondo…
Ville
non mi diede assolutamente retta: rese al
contrario la presa intorno alla mia vita ancora più salda,
ridacchiando, la sua
bocca a pochi centimetri dal mio orecchio: “Non mi
interessa”
“Oh
si che ti interessa” replicai, cercando in ogni
modo di restare lucida e non lasciarmi trasportare
dall’istinto. Ispirai
profondamente, ad occhi chiusi, fingendo – senza buoni
risultati – che il suo
respiro sul mio collo non provocasse brividi e sussulti in tutto il mio
organismo.
Per
fortuna mia e dell’ascensore, giungemmo presto
al mio piano. Sbirciai fuori con la coda dell’occhio: nessuno
in vista, via
libera.
“Su,
lasciami posare la borsa in camera, piccolo
polpo” borbottai, facendo un passo nel corridoio, sempre con
la mia piacevole
appendice attaccata alla schiena.
“Devo
proprio?” soffiò tra i miei capelli.
No,
no, no.
“Già”
mi costrinsi a rispondere, in un sussurro
appena percettibile, che gli diede la possibilità di
prendermi in giro:
“Cosa?
Non ho sentito bene…”
“Sì”
ripetei, alzando la voce.
“Mh,
davvero? Beh io dico di no”
Voltai
il capo, sorridendo: “Ville…”
Lui
colse immediatamente l’occasione per zittirmi,
posando la sua bocca sulla mia.
“Va
bene” sbuffò infine, sconfitto, prima di
staccarsi all’improvviso, facendomi quasi perdere
l’equilibrio. Rimasi
interdetta e immobile in mezzo al corridoio.
“Allora?”
rise, precedendomi lungo la strada verso la
mia stanza “Non avevi tanto fretta?”
Avanzai,
scuotendo la testa, leggermente irritata.
“Ari?”
chiamai non appena ebbi aperto la porta “Ci
sei?”
Non
ottenni alcuna risposta e non ebbi nemmeno il
tempo di indagare meglio, perché mi sentii sollevare
all’improvviso, mentre la
porta si chiudeva con un tonfo alle mie spalle.
In un
batter d’occhio ero sdraiata sul letto, Ville
appoggiato su di me.
“Posso
avere il tempo di respirare?” domandai
ironica, spalancando le palpebre.
Il
darkman mi lanciò una scaltra occhiata,
strappandomi la borsa di mano e facendola cadere con poca grazia per
terra. Si
tolse quindi il cappotto e mi aiutò a fare altrettanto,
poggiando tutto sul
bordo del letto, dall’altra parte.
Libero
da impedimenti, tornò a baciarmi con
trasporto.
“Ecco,
era troppo tempo che non ti davo un bacio
come si deve” sospirò soddisfatto, dopo avermi
fatto andare quasi in
iperventilazione.
Lo
guardai di sbieco, per quanto la situazione me
lo permettesse: “Troppo tempo? Mh, e cosa mi dici di quando
il tuo autista ha
dovuto suonare il clacson per farsi sentire e comunicarci che eravamo
arrivati
davanti all’hotel, più o meno un quarto
d’ora fa?”
“Non
me lo ricordo proprio” sogghignò, alzandosi a
sedere. Mi diede quindi le spalle, volgendosi verso le mie gambe. Mi
sollevai
anch’io sui gomiti, per poter scorgere quel che stava
combinando.
Ville
mi sfilò con delicatezza una scarpa,
liberando il mio piede appena tatuato. Ritrassi la gamba
all’indietro, ridendo:
“Mi fai il solletico”
Rispose
timidamente al mio sorriso: “Scusa, volevo
soltanto rivederlo”
Mi
accoccolai contro il bordo del letto, piegando
le ginocchia fino al petto, dopo aver scalciato via anche
l’altra scarpa:
“Prego” lo invitai a sollevare la garza di
protezione.
Lui
non se lo fece dire due volte: con movimenti
morbidi e attenti rimosse la benda, mentre il bruciore aumentavano a
dismisura.
Ma non
appena posai i miei occhi sul dorso arrossato
del mio piede destro il dolore passò in secondo piano.
Una
rosa nera, con un lungo stelo fitto di spine
che risaliva in alto, fino ad avvolgere parte della caviglia, spiccava
contro
la pelle scarlatta. Tra i petali ben disegnati un occhio attento
avrebbe
riconosciuto subito un piccolo heartagram, mentre intorno
all’intera figura
scorrevano come un fiume sottili e pericolose parole: ‘I’ll be the thorns in every rose,
you’ve been sent by hope”
Era
ancora da sistemare qualche dettaglio, ma già
così era semplicemente meraviglioso.
Rimasi
a rimirarlo a lungo, gli occhi che
brillavano.
Quando
sollevai il capo incontrai lo sguardo vigile
di Ville: “E’ bellissima” ripetei, per la
milionesima volta, che di certo non
sarebbe stata nemmeno l’ultima.
Il
cantante sfiorò leggermente il bordo, senza però
toccare l’area lesa: “Te l’ho detto.
E’ ciò che meglio ti rappresenta. Ma
piuttosto” aggiunse poi, sondando la mia mente in
profondità con i suoi occhi
penetranti “adesso ci sarà sempre qualcosa che ti
appartiene intimamente a
ricordarti di me. Non ne sei spaventata?”
Avrei
voluto dirgli che non era necessario un marchio
sulla mia pelle: ne aveva già lasciato uno ben
più potente e ancor più duraturo
nel mio cuore, per sempre. Non ne ero spaventata. Non avrei mai potuto
dimenticare, in qualunque caso. Ciò di cui avevo paura
veramente era perderlo
troppo presto.
Mi
limitai però a scuotere la testa, insicura dei
miei pensieri.
“E
se col passare del tempo tu inizierai ad
odiarmi? E se un giorno non vorrai più vedermi?”
insistette, con un’aria grave,
che mi fece gelare il sangue “Se dovesse succedere, cosa
farai?”
“La
rosa è passione, nel bene e nel male. Se un
giorno le spine diventeranno più forti e feriranno la mia
carne, non
spegneranno comunque la passione. L’odio è fuoco,
e non è poi tanto distante
dall’amore. Per quanto potrò mai odiarti o
detestarti, sarai sempre una parte
importante della mia vita e non ne sarò mai
pentita”
Lasciai
che fosse la mia anima contorta a parlare,
seguendo i suoi astrusi e complessi ragionamenti, che la mente non
avrebbe
forse mai potuto comprendere.
Ville
rimase in silenzio, troppo a lungo, tanto che
iniziai a pensare di essere stata io, al contrario, a spaventarlo.
“Ville,
io…” cercai di spiegare, ma il suo indice
si posò sulle mie labbra.
“Shh”
mormorò, scostando poi i capelli da un lato.
Una lunga scossa mi attraversò tutta, dalla cervice fino
alla base della
schiena, non appena le sue labbra scesero a tormentare il mio collo.
Presi
il suo volto fra le mani, inducendolo ad
affrontare il mio sguardo.
“No,
Ville, aspetta…io…” desideravo
spiegarmi,
volevo che capisse davvero. Ma non sapevo come fare.
“Shh,
non ce n’è bisogno” mi
tranquillizzò, le
punte dei nostri nasi appena tangenti “Hai stregato
già abbastanza ogni mia
facoltà. Non è necessario che tu dica altro. Hai
rapito anima e corpo ed io
sono già tuo”
Prese
una delle mie mani, poggiandosela al petto,
in modo che potessi sentire i battiti del suo cuore, innaturalmente
accelerati.
In
risposta, sul mio viso si dipinse un sorriso
adorante e intenerito insieme, mentre un sottile bruciore mi faceva
sbattere
più volte le palpebre.
“Ed
io voglio essere tua” ribadii, allargandole le
gambe e riavvolgendole intorno alla sua vita, per trarlo a me.
Lui
riuscì a girarsi completamente e con pochi
movimenti era sopra di me, le sue mani esperte intente a sottrarre al
mio busto
il caldo maglione che lo avvolgeva.
Tremai,
sentendomi fragile e minuta. Lui si tolse
la felpa e la maglietta che indossava, insieme, per poter tornare ad
abbracciarmi stretta, scaldandomi con il suo corpo.
E con
un semplice gesto, tutto era diverso. Ville
era il mio castello, la mia bramata prigione, la fortezza in cui mi
sentivo
protetta e forte quanto non sarei mai potuta essere.
Mentre
mi baciava chiusi gli occhi, trattenendo il
respiro per concentrarmi sul tocco delle sue dita lungo la mia schiena
e sui
miei fianchi, fino al bottone dei jeans.
Ma
d’un tratto la magia si infranse: la porta della
camera si aprì e si richiuse subito dopo con un tonfo,
facendoci sobbalzare.
Ville
interruppe immediatamente il contatto fra le
nostre labbra, rotolando sull’altro lato del letto. Allungai
la mano alla
cieca, alla ricerca del mio maglione, ma probabilmente doveva essere
finito da
qualche parte sul pavimento, perché tutto quello che riuscii
a raccattare,
tralasciando i cappotti che erano decisamente troppo pesanti, fu la
sciarpa di
Ville. Non esattamente utile al momento.
Ci
lanciammo un fugace sguardo preoccupato e
finalmente osammo alzare il capo verso la porta, rossi in viso per
l’imbarazzo.
Ma era
inutile impensierirsi. Chi era appena
entrato nella stanza non si era accorto minimamente della nostra
presenza,
troppo impegnato da un altro genere di attività: rimasi a
lungo con bocca e
occhi spalancati quando mi resi conto che il ragazzo che stava baciando
Arianna
con molto trasporto non mi era affatto sconosciuto.
Nonostante
avessi sempre pensato che prima o poi
sarebbe successo, mi fece un effetto molto strano vedere le mani di
Arianna
passare con avidità tra i capelli nerissimi di Luke e il suo
sorriso mentre,
sospirando, lasciava che lui le mordesse il collo e le stringesse con
forza la
vita.
Per
Ville, passato la spavento iniziale, la
situazione era invece diventata assolutamente esilarante. Mentre io
restavo
immobile e sconvolta, il darkman aveva recuperato nel frattempo i suoi
vestiti.
Mi
pizzicò leggermente il braccio, facendomi
tornare in me, e mi passò il mio maglione, sempre
sogghignando davanti alla mia
espressione inebetita.
Capii
che dovevo fare qualcosa. Certo, se i due
piccioncini non si fossero fermati proprio sopra la porta, saremmo
potuti
sgattaiolare fuori senza essere visti. Erano troppo presi per
accorgersene. Ma
in questo caso…
Mi
coprii il viso con le mani, tornando rossa come
un peperone, mentre Ville non riusciva più a trattenere le
risate.
“Ehm
ehm” mi schiarii la voce, nel modo più
rumoroso possibile, per attirare la loro attenzione.
Fu il
turno dei due soggetti in pieno sfogo
ormonale di congelarsi all’istante, trasformandosi in statue
perfettamente
immobili.
Nella
stanza calò un silenzio così pesante che
riuscivo a sentire, come se fosse stato il mio, il rumore del respiro
accelerato di Arianna e le imprecazioni ripetute non abbastanza
sottovoce da
Luke.
Il
cantante si voltò molto lentamente, posando come
Arianna il suo sguardo su di me. Accolsi le loro occhiate sbigottite
con le
braccia incrociate al petto, la fronte aggrottata.
“E-ely”
balbettò Arianna, mentre le sue guance si
tingevano di un rosso che quasi poteva competere con i suoi capelli
scarmigliati.
“Ari”
risposi, non aiutandola di certo in quella
situazione di imbarazzo.
Lei si
passò una mano tra i riccioli, ravviando un
ciuffo ribelle e tossendo leggermente: “Ehm…beh
cosa ci fai qui?”
“Beh,
sai com’è, questa è la mia
stanza…” le feci
notare con più acidità di quanta intendessi.
“Beh
anche la mia” ribattè, cominciando a
riprendersi, mentre incrociava le braccia a sua volta con aria di sfida.
“Beh…”
cercai testarda una replica adatta: quando
iniziavamo a punzecchiarci a vicenda in quel modo entrambe volevamo
avere a
tutti i costi l’ultima parola. “Non è la
sua però!”
borbottai,
volgendo la mia attenzione su Luke, che
era ancora fermo nella stessa posizione, senza parole come non lo avevo
mai
visto.
“Beh!”
proclamò lei indignata, ma con un sorriso di
vittoria che già le aleggiava sulle labbra: il sorriso che
già preannunciava la
mia sconfitta “Nemmeno la sua!”
Seguii
il suo indice, puntato minacciosamente
contro Ville, della cui presenza silenziosa sul letto accanto a me mi
ero quasi
dimenticata.
Oh
cavolo.
Uno a
zero per lei.
Ancora
una volta.
***
Circa
mezz’ora dopo eravamo ancora in quella stanza, a discutere
non sapevamo nemmeno
più bene di cosa.
Ville
era appoggiato al muro, vicino alla finestra
e osservava la situazione quasi ne fosse stato completamente estraneo.
Luke era
seduto sul letto e gli lanciava ogni tanto qualche occhiata in cagnesco.
“Allora
siamo d’accordo?” sospirai, ai limiti della
sopportazione “Nessuno dirà nulla e si
terrà per sé quello che ha visto”
Arianna
annuì e allungò una mano, in attesa di una
stretta che sancisse il patto. Ma dopo esserci strette la mano
proseguimmo per
abitudine con il nostro particolarissimo gesto che prevedeva una serie
stupida
di mosse infantili. Una sciocca consuetudine che durava ormai da un
tempo
infinito.
Sorrisi
involontariamente alla mia amica, ma quando
incrociai gli occhi di Ville il sorriso mi morì sulle labbra.
“Ehm,
ora vado. Ci vediamo dopo al ristorante” mi
precipitai letteralmente fuori dalla camera, rossa per
l’imbarazzo.
Il
darkman salutò la nuova coppia con un inchino e
mi seguì prontamente in corridoio.
Ridacchiando
come un bambino iniziò ad eseguire un
paio di gesti senza senso, nel patetico tentativo di imitarmi.
Mi
sentii avvampare ancora di più:
“Piantala!” lo
rimbeccai, ottenendo solo un ghigno spavaldo e altre battutine.
“Molto
maturo da parte tua” brontolai,
allontanandomi verso l’ascensore, senza una vera meta.
Lui mi
fu subito di fianco, con un’espressione
completamente mutata e due occhioni grandi e imploranti: “Su,
lo sai che stavo
scherzando. Se vuoi possiamo salire e proseguire il nostro
discorso…”
Era di
certo una proposta allettante, come
invitanti erano le sue mani, che si erano poggiate sensualmente sui
miei
fianchi; ma non avevo intenzione di cascarci così
facilmente: “Ma anche no”
replicai, scostandomi bruscamente.
Cambiai
all’improvviso direzione e, invece di
prendere l’ascensore, varcai di corsa la porta alla mia
sinistra, scendendo a
due a due i gradini delle scale così poco utilizzate.
Dopo i
primi secondi di sorpresa, Ville mi era di
nuovo alle calcagna.
“Smettila
di correre così!” lo sentii gridare, con
una nota di disapprovazione.
“Su,
non lamentarti” lo stuzzicai fermandomi
all’improvviso, con una rampa di scale a dividerci
“Forse se la smettessi di
fumare come un turco avresti il fiato per una corsetta”
La mia
uscita simpatica lo fece stizzire ancor di
più, tanto che smise di giocare e cominciò a
inseguirmi sul serio e giunti alla
fine delle scale mi aveva ormai raggiunto.
Quando
mi stava sfiorando già con il braccio tentai
un ultimo tentativo di fuga.
“E’
inutile, tanto ormai ti ho preso!” mi assicurò,
ormai senza fiato, ma con le dita ben avvolte intorno al mio polso,
ponendo
fine alla mia viaggio.
Ma con
tutta la rincorsa che avevamo preso,
l’improvvisa sosta non riuscì a frenare
completamente lo slancio e perdemmo
l’equilibrio come due ubriachi, finendo addosso ad un povero
inserviente
dell’albergo che aveva appena fatto il suo ingresso
nell’anticamera.
“Typerys¹!”
gridò quest’ultimo, non appena il suo
fondoschiena toccò il pavimento. Si sollevò
immediatamente in piedi,
mortalmente indignato.
Quando
tuttavia si accorse che la persona che gli
aveva fatto un simile torto era Ville Valo i suoi insulti si
trasformarono
subito in scuse; il povero malcapitato era già fuggito ancor
prima che il
cantante potesse assicurargli che era stata tutta colpa sua.
Nel
frattempo io mi ero allontanata, cercando di
sistemarmi i capelli e riassumere un certo contegno.
“Non
devi fingere” ridacchiò nel momento in cui
fummo di nuovo soli.
Lasciai
che si riavvicinasse a me, guardandolo
senza capire: “Fingere?”
Annuì,
sfiorandomi la mandibola con una mano: “Sì
fingere, che tra di noi non ci sia nulla, come hai fatto due secondi
fa. Non è
necessario. Come non è necessario che chiunque sia a
conoscenza di questa
storia debba tenere la bocca chiusa”
Abbassai
lo sguardo, mordendomi il labbro.
“Hey,
so che lo stai facendo per me” insistette,
prendendomi delicatamente per le spalle “Ma non voglio che tu
lo faccia. Tanto
presto lo sapranno tutti e Migè penso abbia già
intuito molto…”
“No”
lo interruppi, forse troppo bruscamente “Penso
sia meglio di no. Non voglio che tu sia tormentato per questa
storia”
“Oh
ma…” cercò di replicare, ma non glielo
permisi.
“No
niente ma, è meglio non sbandierare la cosa
troppo in giro…Almeno fino a quando non sarò un
adulta a tutti gli effetti”
mormorai infine, scuotendo il capo.
Un
sottile silenzio calò sopra di noi: continuai a
tenere gli occhi bassi, pur percependo il suo sguardo su di me. Era un
problema
che non aveva considerato? Era qualcosa che io ricordavo tutti i giorni.
“Bene,
come preferisci” mi promise alla fine con
cautela, spingendomi ad alzare il capo.
“Ma
solo per un altro mese, fino a quando non
diventerai più vecchia, se la cosa ti fa sentire
meglio” aggiunse con un
ghigno.
“Okay”
gli sorrisi.
Ville
posò un leggero bacio sulla mia fronte: “E
ora possiamo uscire di qui? Sta diventando claustrofobico” si
lamentò con una
smorfia.
Insieme,
ma divisi, ci avviammo verso la hall.
Un
mese. Sembrava così semplice. Ma sapevo che un
mese era un sacco di tempo. E in un mese potevano succedere un sacco di
cose.
__________________________________________________________________________
Piccolo
aggiornamento prima
della partenzaaa *.*
Scusatemi
se vi ho fatto
attendere, sono stata un po’ pigra xD Ma adesso che
finalmente raggiungerò la
terra del Nostro Valo tornerò spero ancora più
inspirata e pronta ad aggiornare
xD o forse ci risentiamo a settembre xD
Grazie
alla mia dolce Puz,
alla fedelissima Crist e naturalmente a Lamps per i commenti
all’ultimo
capitolo!
Vi adoroooo *-*
Alla
prossima
Baci
FallenAngel
|
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Capitolo 25 *** And nothing else matters ***
Chapter
24
And nothing else matters
Only
you and me, underneath a cyanide sun
18
Maggio
Mi
ritrovai a fissare con gli occhi sgranati una
torta a più piani, interamente coperta da strati di soffice
panna montata e
grandi fragoloni rossi.
Non
sapevo se la torta fosse per me. Non ricordavo
che il mio compleanno fosse già arrivato.
Con la
fronte corrugata mi avvicinai alla torta,
che sembrava sospesa nell’aria. Sentivo
l’irresistibile impulso di allungare
una a mano e infilarci le dita: potevo? Non potevo? Non c’era
nessuno a
fermarmi.
Ma non
appena sfiorai una fragola con la punta
dell’indice Arianna parve comparire dal nulla e
cominciò a saltellarmi intorno,
gridando.
“Oh
mio Dio! Oh mio Dio!” continuava a ripetere
senza posa, con un tono di voce decisamente acuto.
Rimasi
interdetta a fissarla, mentre la torta si
dissolveva a poco a poco, trasformandosi in un fumo denso, poi in una
nebbia
sottile. Fino a scomparire del tutto.
Nel
buio assoluto, con l’eco degli squittii da topo
di Arianna ancora nelle orecchie mi chiesi incerta e preoccupata se chi
aveva
cucinato la torta si fosse ricordato di spegnere il forno.
Fu a
quel punto che mi svegliai, accorgendomi dopo
qualche istante di confusione che né nebbia, né
fumo, né – ahimè -
torta erano reali. A differenza dei gridolini
della mia best friend, che mi stavano letteralmente trapanando il
cervello.
“Cos’hai?”
mugugnai, la voce impastata dal sonno.
Da quando la nuova relazione con Luke era finalmente esplosa, la
ragazza era
ancora più su di giri del solito.
“Io
TI ODIO!” dichiarò, lanciandosi e facendo
brontolare le doghe.
“Ah
si?” misi a fuoco con molta calma il suo viso,
mentre con altrettanta lentezza mi sollevavo a sedere, facendo
pressione sui
gomiti. “Potrei sapere il motivo?”
Lei si
voltò, indicando un enorme pacco che
torreggiava sul piccolo tavolino di legno, dando
l’impressione di volerlo
seppellire: “Ecco il motivo!”
Vi
assicuro che non era delle stesse dimensioni
della torta, ma poco ci mancava.
“Cos’è
quello?” balbettai, d’un tratto
perfettamente sveglia.
Arianna
ridacchiò, alzando le spalle: “Guarda tu
stessa”
Curiosa
come una scimmia, mi catapultai fuori dalle
coperte, sollevando il coperchio della scatola a tempo di record.
La
carta sottile che proteggeva il contenuto era
tutta stropicciata, segno innegabile del passaggio delle mani di
Arianna;
quando la scostai le mie dita scivolarono su un tessuto nero fresco e
liscissimo, che sembrava quasi seta.
Dopo
una rapida osservazione del panno nero mi resi
conto che quella non sembrava, era
seta!
Lo
estrassi con un unico gesto: si trattava di un
abito lungo quasi fino ai piedi, interamente confezionato con quel
materiale
tanto morbido e prezioso. Lo appoggiai sul letto per poterlo ammirare
meglio:
copriva interamente il petto e lo sterno, allacciandosi al collo,
mentre intuii
che dovesse lasciare buona parte della schiena scoperta. Era semplice,
ma al
tempo stesso elegante; ricordava uno di quei vestiti che indossavano
giovani
aristocratiche alle sere di gala nei vecchi film in bianco e nero.
“E’
una meraviglia” sospirò Arianna, sfiorandone la
sagoma.
Una
domanda mi sorse spontanea: “E di chi sarebbe?”
Lei mi
regalò la sua migliore smorfia esasperata:
“Di chi vuoi che sia? E’ tuo!” si
lasciò cadere sul letto con un altro sospiro
“Sfortunatamente non sono stata io a far perdere la testa ad
una rock star”
“No”
No.
No. E no.
Mi
rifiutavo di crederlo: non poteva aver fatto
quella follia anche lui! Avevano forse deciso di riempirmi
l’armadio? Il mio
parere a riguardo non lo voleva proprio sentire nessuno?
“C’è
un biglietto comunque laggiù, vicino alla
scatola-mostro” aggiunse Arianna sbadigliando.
Presi
il foglio tra le mani, ancora alterata ma con
l’ombra di un sorriso che proprio non riuscivo a soffocare.
“ALT.
So già
cosa stai pensando. Primo, no, non è un regalo. Diciamo
più
che
altro un
prestito. E secondo, lo faccio per me ed
esclusivamente
per me e non per farti piacere. Messi ben in chiaro questi due punti,
ti
chiederei
di indossarlo stasera. Una macchina passerà a prenderti
al
solito
posto alle nove. Se avevi altri impegni per stasera, beh…
cancellali.
VGV”
Ancora
una volta, più che un invito sembrava un
ordine. Ma forse avrei anche potuto sottomettermi alla richiesta. Per
quella
volta.
***
Quella
sera, quando scesi sul retro dell’albergo,
il taxi dai vetri oscurati era già lì, ad
aspettarmi.
Tuttavia
Ville non c’era.
Salii
incerta, ma senza protestare. Domandai
all’autista dove fossimo diretti e non rimasi affatto
sorpresa quando questi
scelse di avvalersi della facoltà di non rispondere.
Uscito
dal centro, il taxi si diresse
immediatamente verso nord, risalendo Mannerheimintie: sbirciai dal
finestrino
la strada ormai quasi deserta, mentre la luce del giorno cominciava
finalmente
ad affievolirsi. Quando ci lasciammo alle spalle il teatro
dell’opera , i due
stadi e il Palazzetto del ghiaccio un pensiero iniziò a
farsi strada nella mia
testa. Non appena l’autista svoltò a sinistra su
Tukholmankatu l’ipotesi
divenne certezza e il mio battito cardiaco mutò il suo
normale corso.
Al
primo semaforo l’autista sbirciò il mio volto e
sono sicura che quello che vide fu più eloquente di mille
parole, perché non
riuscì a trattenere un sorriso.
Mi
appoggiai allo schienale del sedile, stringendo
i pugni e poggiando le mani in grembo: chiusi gli occhi, tentando di
mantenere
la calma.
Mi
sentii subito meglio, anche se l’esigua
tranquillità recuperata svanì immediatamente,
appena schiusi le palpebre,
accorgendomi che in troppo poco tempo avevamo già
attraversato il piccolo ponte
che giungeva a Munkkiniemi.
Riconobbi
immediatamente l’imboccatura di
Solnantie, la stretta via che si insinuava in un pacifico e verdissimo
quartiere residenziale, dove numerose villette si affacciavano sulla
strada con
i loro muri chiari e talvolta coperti d’edera, e i giardini
ben curati.
Ci ero
stata molto tempo, non appena giunta in
Finlandia. Era stato uno dei primi pellegrinaggi che io e Arianna
avevamo
compiuto, sentendoci due sciocche, abbassando lo sguardo al passaggio
di tutti
gli abitanti: perché alla fine di Solnantie, a due passi dal
mare, c’era una
delle ragioni per le quali avevamo accettato così di buon
grado di fuggire ad
Helsinki.
Quella
torre che avevo osservato con un sospiro e
un mezzo sorriso dal basso, chiedendomi come sarebbe stato poter far
visita al
suo proprietario, magari per un caffè.
Quella
stessa torre davanti alla quale il mio taxi
si era appena fermato.
L’autista
scese dal veicolo, aprendomi la portiera
e offrendomi galantemente il braccio.
Alzai
lo sguardo verso la torre, tremando per il
freddo o forse di più per l’emozione.
“Posso
accompagnarla se vuole” si mise subito a mia
disposizione il finlandese, ma scossi il capo: “Credo che
riuscirò a trovare la
strada. Grazie” gli assicurai, mordicchiandomi il labbro
inferiore.
“Allora
buona serata” si congedò, con un altro
piccolo ghignò che non si premurò di nascondere.
Non
appena rimasi sola, mi avvicinai al folto
cespuglio di fiori e cominciai a risalire la scala, incespicando a
tratti nei
miei tacchi alti. Quando giunsi in cima, dove non avevo mai osato
arrivare, e
mi accinsi ad aggirare l’antico edificio il mio cuore
scalpitava sempre più
forte.
Bussai
alla porta e attesi; tuttavia nessuno venne
ad aprirmi. Sorpresa, provai ad occuparmene di persona, trovando
così i
battenti socchiusi.
Mi
accolse un ampio salone, completamente immerso
nel silenzio.
“C’è
nessuno?” boccheggiai insicura, dandomi
un’occhiata intorno: le finestre erano state coperte da
pesanti tende, così da
rendere vani i tentativi degli ultimi raggi di sole di insinuarsi
all’interno
della dimora. Il buio non era tuttavia completo, dato che numerose
candele
erano state disposte per tutta la stanza e illuminavano con il loro
flebile
tocco ogni angolo più remoto.
“Ville?”
ritentai, ma ancora nessuna risposta.
Sciolsi la cintura del mio cappotto e lo sfilai, poggiandolo su un
divano di
pelle alla mia destra, lasciando che il mare di boccoli perfettamente
rifiniti
che inanellavano i miei capelli mi scorresse sulla schiena, facendomi
il
solletico.
Avanzai
di forse un metro, ascoltando il rumore dei
miei passi che rimbalzava sulle pareti: fu allora che mi accorsi che
sul
pavimento era stato tracciato uno strano percorso, con tanti heartagram
disegnati; anche la fila delle candele si era all’improvviso
ristretta, creando
una via luminosa che conduceva alle scale.
Mentre
un sorriso si apriva sul mio volto e il mio
stomaco si attorcigliava in qualche nuova e impossibile figura, seguii
lentamente il tragitto che mi era stato indicato.
La
fiamma tremolante della candele mi cullò fino ad
una stanza altrettanto grande al piano superiore: la scia di heartagram
terminò
poco oltre la soglia della sala e anche le luci si fecero
più rade. Capii
subito che il mio viaggio era finito.
Non
dovetti attendere a lungo, prima che il
silenzio della torre fosse infine violato dal suono di una musica lenta
e
malinconica, che echeggiò subito nota alle mie orecchie.
Rimasi
immobile, sbattendo le palpebre mentre i
miei occhi si abituavano pian piano all’atmosfera
più oscura. E poi, in un
istante, non fui più sola: due braccia si allacciarono
morbidamente alla mia
vita, togliendomi il respiro.
“So
close no matter how far” Ville sussurrò, il
volto immerso nei miei capelli, vicinissimo all’orecchio
“Couldn’t
be much more from the heart” continuò,
stringendomi ancora di più a sé per poi
permettermi di girarmi di 180 gradi
“Forever
trusting who we are” pur nell’oscurità
potevo scorgere distintamente la luminosità dei suoi, che
ancora una volta
sembravano così irreali. Anche le sue labbra, incurvate a
ripetere le parole di
quella canzone che non mi erano mai parse così vive,
esercitavano su di me un
potere quasi magnetico.
Appoggiai
le mani al suo petto e mi alzai un poco
sulle punte: “And nothing else matter” gli risposi,
cedendo al desiderio.
Never opened myself this way
Life is ours, we live it our way
All these words I don’t just say
And nothing else matters
Quel
bacio fu così dolce e delicato,
più di tutti quelli che ci eravamo scambiati: non
c’era fretta o violenta
urgenza, ma un calore altrettanto forte. Fu quello il bacio che
più mi lasciò
sorpresa. E spaventata.
Da
quel momento capii che, anche se
lo avessi voluto, non sarei mai più potuta tornare indietro.
Mi
ero innamorata.
E
tutto il resto non contava più.
Trust I seek and I find in you
Every day for us something new
Open mind for a different view
And nothing else matters
Never cared for what they do
Never cared for what they know
But I know
So close no matter how far
I be much more from the heart
Forever trusting who we are
And nothing else matters
Never cared for what they do
Never cared for what they know
But I know
Never opened myself this way
Life is ours, we live it our way
All these words I I just say
And nothing else matters
Trust I seek and I find in you
Every day for us something new
Open mind for a different view
And nothing else matters
Never cared for what they say
Never cared for games they play
Never cared for what they do
Never cared for what they know
And I know
So close no matter how far
Couldn’t be much more from the heart
Forever trusting who we are
No nothing else matters
Ballammo
abbracciati fin quando il silenzio non
tornò sovrano nella sala.
Sempre
senza parlare, Ville mi sorrise
incoraggiante e mi prese la mano, guidandomi oltre un’altra
porta sconosciuta.
Altre
candele decoravano la sua camera da letto,
gettando spiragli di colore sui numerosi quadri che riempivano le
pareti
bianche.
“Non
avresti dovuto fare tutto questo” bisbigliai,
scuotendo la testa davanti ad una tale preparazione.
Ma non
mi permise di protestare: “Shh” comandò,
premendo le dita sulla mia bocca “Per questa sera si fa a
modo mio”
Non
potei fare altro che ubbidire. E così feci
quando mi domandò di restare immobile, mentre con le sue
mani percorreva il
profilo del mio capo, dalla fronte fino alla mandibola.
Cercai
di non fare alcun movimento, malgrado le mie
gambe fossero deboli e rischiassero di tremare ad ogni tocco. Evitai
quasi di
respirare.
Quando
ebbe tracciato ogni tratto del mio volto, lasciò
scorrere le dita fra i miei capelli, con delicatezza, cullando fra i
polpastrelli ogni ciocca, fino alle punte. La destra scivolò
poi fin sotto la
nuca, al mio collo e prima ancora che potessi rendermene conto, Ville
aveva
slacciato il nastro che legava l’abito, senza il quale
quest’ultimo cadde ai
miei piedi in un sol colpo, tanto la seta era morbida e liscia.
Quando
le sue mani si spostarono sul mio corpo,
accarezzando anche il più piccolo e insulso centimetro di
pelle, mi risultò
assai più difficile trattenermi, ma provai in ogni modo a
non spezzare la
promessa.
Sempre
con studiata lentezza, mi aiutò ad adagiarmi
sul letto, accompagnando ogni gesto con piccoli e lievi baci a fior di
labbra.
Entrò
piano dentro di me, misurando ogni movimento e
prolungando al massimo quel tormentato piacere. Sembrava che per questa
volta
volesse godere di ogni singolo istante, il più a lungo
possibile.
Ogni
volta che incontrai il suo sguardo mi sembrò
di leggervi quelle stesse parole che io non avevo il coraggio di
pronunciare.
Ma forse era soltanto la mia immaginazione, che mi portava a vedere non
ciò che
era davvero reale, bensì il frutto dei miei desideri.
‘Ti
amo’ avrei voluto gridare, tuttavia non lo
feci. Rinchiusi i miei pensieri nella prigione più oscura.
Perché era tutto
terribilmente sciocco e infantile. E Ville era adulto, e ai suoi occhi
sarei
apparsa come la bambina che ancora ero.
***
19
Maggio
Quando
mi svegliai, mi scoprii da sola tra le
morbide lenzuola.
Mi
sollevai, sbirciando in un attimo l’intera stanza:
trovai Ville seduto vicino alla finestra, le gambe piegate, i gomiti
appoggiati
sulle ginocchia e lo sguardo perso a contemplare forse il mare che si
distingueva nettamente oltre gli alberi.
Mi
alzai per raggiungerlo, ma mentre lasciavo il
letto notai un brillio sul suo comodino. Quando guardai meglio,
incuriosita,
riconobbi il mio fermaglio a forma di farfalla, quello che avevo
indossato la
sera della mia esibizione al Midnight Wish. L’aveva
conservata davvero dunque?
Il pensiero mi fece tremare.
Attesi
qualche istante, poi sgattaiolai silenziosa
sul piallato parquet.
“Wow”
mormorai semplicemente, prendendolo di
sorpresa. Si voltò di scatto, rilassandosi subito dopo,
accecandomi con uno dei
suoi sorrisi.
“Vero?
E’ qualcosa di cui non potrò mai
stancarmi”
annuì, lanciando un ultimo sguardo al suo panorama privato
prima di rivolgere
tutta la sua attenzione alla sottoscritta.
Lasciò
cadere le gambe oltre la sedia e mi invitò
ad accoccolarmi tra le sue braccia.
“Dormito
bene?” mi interrogò, sistemandomi i
capelli.
“Divinamente”
risposi con sincerità, lasciandomi
vezzeggiare, mentre a mia volta lasciavo che i miei occhi si
smarrissero oltre
l’orizzonte.
Mi
ritrovai a pensare all’Italia, lontana, oltre la
distesa d’acqua. E a come sarebbe stata diversa la mia vita
se quel giorno non
avessi deciso di fuggire.
Dall’espressione
del suo viso, compresi che anche
Ville non stava ammirando semplicemente il mare incontaminato della sua
Helsinki, ma come me stava ripensando ad un luogo distante, ad un'altra
vita
abbandonata alle spalle.
“Cos’hai
lasciato indietro?” domandai, guardandolo
attentamente. Lui trasalì e rimase turbato dalla mia uscita,
ma sapevo che
aveva capito esattamente cosa intendessi; non c’era bisogno
di ulteriori
spiegazioni.
Non
rispose immediatamente: sembrò indeciso fino
all’ultimo se parlare francamente oppure no.
“Un
amore impossibile, una storia senza futuro”
sospirò, senza riuscire a guardarmi direttamente negli occhi
“che apparteneva
al passato e che al passato sarà per sempre legata”
‘Ma
non è questo ciò che avresti voluto’
replicai
silenziosamente, mentre un nodo mi stringeva le viscere: sarei mai
stata
importante quanto quell’amore impossibile?
“E’
una questione chiusa comunque” proseguì
più
sereno, tornando a sfiorarmi con lo sguardo
“L’oceano ha infisso l’ultima
barriera”
“L’oceano
non è un ostacolo invalicabile” gli feci
notare, cercando di sembrare il più impassibile possibile.
Il
darkman accarezzò piano la mia guancia: “Oh si
che lo è, quando non ci sono più ponti da
attraversare, ne basi sui quali
costruirli”
“Non
vuoi raccontarmi?” tentai, sebbene non fossi
sicura di voler veramente sapere. Ma se fosse servito per farlo stare
meglio
avrei sopportato qualunque confessione.
Un
sorriso autentico si aprì sulle sue labbra:
“L’ho già fatto”
Di
fronte alle mie sopracciglia aggrottate e la mia
espressione confusa il sorriso si allargò ancora di
più: “Qualche tempo fa
ormai. La prima volta che ci siamo incontrati. Quando ti ho raccontato
la mia
storia tu mi hai guardato negli occhi e con lo sguardo più
dolce che mi fosse
mai stato rivolto mi hai detto che la vita a volte ha dei risvolti
imprevedibili, che a volte il destino sembra voltarci per sempre le
spalle e
abbandonarci completamente a noi stessi, dopo averci tolto
ciò che di buono ci
rimaneva in questo mondo. E a volte è davvero finita, ma in
altre occasioni può
riscattarsi, offrendoci un’altra chance”
Lo
fissai stupita, desiderando poter ricordare
qualcosa.
“Hai
aggiunto anche che eri sicura che un giorno
sarebbe tornata da me. Hai detto” lentamente
ripetè le mie testuali parole “tu
hai il potere di trasformare la vita delle persone, come hai
trasformato la mia
con le tue canzoni, e questo è il dono più
grande: è giusto che le preghiere
degli angeli vengano esaudite. E anche se sapevo che eri
ubriaca” non si
trattenne dal ridacchiare leggermente “e probabilmente non
pensavi neanche la
metà di quello che avevi farfugliato, le tue parole hanno
guarito in una sola
notte le ferite più profonde”
Era di
nuovo serio e la sua voce profonda quasi tremava.
Una lacrima scivolò come una saetta giù per il
mio viso.
Posai
un bacio salato sulla sua fronte: “Penso ogni
parola”
Asciugandomi
le guance Ville sussurrò: “Non importa
più nulla ormai. Adesso ci sei tu”
Rimanemmo
a lungo abbracciati, a ricordarci quanto
fosse importante non essere soli al mondo.
D’un
tratto scoppiai a ridere, ricevendo subito uno
sguardo interdetto: “Cosa c’è?”
Dondolai
il capo, imbarazzata: “No, nulla. E’ solo
che ho ripensato hai miei saggi discorsi da ubriaca” risi di
nuovo “Come hai
fatto a non farmi spedire subito in una clinica?”
“In
primo luogo” mi ricordò risistemandosi meglio a
sedere “anche io non c’ero completamente con la
testa. E poi, come ti ho detto,
sono state davvero importanti per me”
“Quindi
tu ti ricordi di quella notte?” domandai
incerta, mordendomi il labbro.
“All’inizio
i ricordi erano appannati, ma poi sì,
tutti i tasselli sono ritornati a posto. Rammento tutto, o
quasi”
“Potresti
raccontarmelo?” lo pregai, diventando
rossa per l’imbarazzo “E’ terribilmente
triste da dire, ma la mia mente
riguardo a quella sera è rimasta sempre vuota”
Lui mi
guardò per un momento, incerto, quasi
spaventato. Ma subito la sua espressione cambiò.
“Certo”
mi assicurò, offrendomi la sua spalla per
appoggiare la testa affinché stessi più comoda
“E non essere dura con te
stessa. Non potresti ricordare neanche se lo desiderassi più
di ogni altra cosa
al mondo”.
**
E
così quel giorno Ville colmò il buco nero nella
mia memoria. Lo lasciai parlare, senza interromperlo nemmeno una volta.
Ascoltai
in silenzio, cercando tra i miei ricordi un appiglio inesistente.
“Non
era passato molto
tempo da quando ero ritornato da Seattle nella mia Helsinki. Mi sentivo
un uomo
nuovo, avevo superato quello stato di eterna depressione nel quale ero
sprofondato
così a lungo. Mi ero riconciliato con i miei amici, avevo
riabbracciato la mia
famiglia, avevo ricominciato a scrivere canzoni. Ero come rinato e i
pezzi
della mia vita, come in un puzzle, stavano ritornando lentamente a
posto.
Ma a volte,
quando
scendeva la notte e mi ritrovava da solo nella mia torre a guardare il
mare la
solitudine e il dolore delle ferite del cuore tornava ad assalirmi
più forte
che mai.
E, ancora
troppo
debole per affrontare tutto questo da solo, tornavo a rifugiarmi
nell’alcol.
Quella sera
mi
ritrovai quasi senza accorgermene davanti al Midnight Wish: volevo
starmene in
pace, per conto mio, così mi diressi immediatamente
nell’ala privata del
locale. E mentre ero seduto ad uno dei tavolini, con qualche bicchiere
di vodka
come unici compagni, ti vidi. Eri seduta qualche metro più
in là, insieme ad un
idiota patentato che conoscevo giusto di vista.
Ti osservai a
lungo,
il modo in cui attorcigliavi le dita in una ciocca di capelli, il modo
in cui
ti scostavi il colletto della camicia troppo stretto per il caldo nella
sala,
il modo in cui piegavi il capo di lato ogni volta che le parole di quel
deficiente risultavano troppo stupide anche per la tua mente
già obliata
dall’alcol. Pensai subito che eri troppo bella per stare con
un tipo del
genere, ma in fondo chi ero per giudicare? Tentai di farmi gli affari
miei, ma
avevi esercitato su di me un’attrazione intensa sin dal primo
momento, e non
potevo fare a meno che voltarmi verso il vostro tavolo. Fu
così che mi accorsi
della pasticca che quell’uomo aveva fatto scivolare svelto
nel tuo bicchiere.
Non so se tu
te ne
fossi accorta oppure no, ma quando sollevasti il bicchiere e lo
portasti alle
labbra, incrociasti il mio sguardo.
Rimasi quasi
stordito
da quegli occhi talmente neri e profondi. Due pozzi di tristezza e
inquietudine. Vidi lo stupore scendere sul tuo volto,
un’ombra appena
percettibile. Sentii immediatamente l’impulso di alzarmi in
piedi, di
soccorrerti: ma quando arrivai al tavolo era già troppo
tardi; il bicchiere era
vuoto.
Il musicista
da
strapazzo non fu di certo contento della mia intrusione:
cercò di mandarmi via,
ma appena mi ebbe guardato in faccia gran parte del suo coraggio si
dissolse;
talvolta la fama può ritornare utile.
Mi accorsi di
non
sapere nemmeno cosa dire: avevo seguito un impulso irrazionale, non
avevo
motivo di intromettermi. Tornai a guardare il tuo volto: i tuoi occhi
grandi
seguivano ogni mio movimento, una nuova fiamma a infuocare le iridi e
le
pupille che quasi non potevano essere distinte.
Tutto questo
mi diede audacia:
annunciai a quell’uomo che eri con me e che era ora di
andare. Questi mi
squadrò stupefatto e irato: sono sicuro che se non fossi
stato una delle
persone più famose e protette di tutta la Finlandia mi
avrebbe preso a pugni, e
probabilmente avrebbe avuto la meglio. Invece si voltò per
chiederti conferma.
Nascondesti
immediatamente la meraviglia, un’espressione impassibile sul
volto. Incrociasti
i miei occhi un’ultima volta ed eri già in piedi
pronta a seguirmi.
Ancora adesso
mi
chiedo cosa ti spinse a fidarti di me, piuttosto che di
quell’uomo. Forse
perché, come avrei scoperto poco dopo, non ero per te un
completo sconosciuto.
Uscimmo da
quel locale
insieme, in silenzio, non sapendo bene cosa dire. Ti guardavo dondolare
al mio
fianco, sorreggendoti ogni qualvolta i tuoi piedi sembravano non essere
in
grado di sostenerti a dovere. E ogni volta venivo ricompensato con un
sorriso
timido e colmo di gratitudine.
“Drunk
on shadows and
lost in light” rompesti ad un tratto il silenzio, intonando
il ritornello di
una mia canzone.
Fu il mio
turno di
restare sorpreso. Non ero abituato a comportamenti così
misurati da parte di
fan straniere, per giunta ubriache.
Mi
assicurasti invece
di esserlo e di saper recitare tutti i testi a memoria, anche in quello
stato.
Risi ascoltando i tuoi tentavi di cantare It’s all tears, con
tanto di cambio
di voce.
Tutto il
resto divenne
facile: ci ritrovammo seduti su una delle panchine del porto deserto,
avvolti
da una notte stanca. Senza alcuna spiegazione logica ti raccontai tutto
quello
che non ero riuscito a confessare nemmeno ai miei amici più
intimi: tu
ascoltasti e sotterrando la malinconia dietro un sorriso sapesti
consolarmi.
Quando
cominciasti a
tremare, ti portai senza pensarci in quella camera d’albergo
che restava
riservata per il mio utilizzo gran parte dell’anno: avrei
dovuto
riaccompagnarti a casa o dovunque dormissi, ma egoisticamente non ero
ancora
pronto a lasciarti andare, avevo bisogno della tua presenza.
Se chiudo gli
occhi,
ora, in questo istante, riesco ancora vederti seduta su quel letto, le
gambe
allacciate al petto, terribilmente fragile e d’un tratto
silenziosa.
Provai ad
aiutarti,
come tu avevi fatto con me, ma mi sentivo completamente impotente.
L’unica
possibilità sembrava affogare di nuovo i problemi dentro un
altro bicchiere.
Non sono affatto fiero di quello che ho fatto. Davvero, desideravo
aiutarti, ma
forse approfittai di te più di quanto avrebbe fatto
quell’altro.
Mentre
eravamo lì,
insieme, però non ci pensai: sotto l’effetto
dell’alcol tornammo a ridere e
fare gli idioti. Fin quando non cademmo sul pavimento: uno spettacolo
davvero
penoso probabilmente, ma non mi importava.
Quando allungai una mano per
scostarti una
ciocca dal viso, mi mordesti le dita, sorridendo. Pensavo stessi ancora
giocando,
ma mi sbagliavo: i giochi erano finiti.
Trattenesti
il mio
braccio, posando una scia di baci sul dorso della mia mano e poi sul
polso. Mi
abbandonai all’istinto, impossessandomi della tua bocca e del
tuo corpo.
Mi lasciai
pian piano
sprofondare nel desiderio, lasciando tutto il resto del mondo, con i
suoi
problemi e le sue regole, al di fuori. Lasciai che la tua vita pulsasse
nelle
mie vene.
E tutto il
resto non
contava.”
***
Qualche
ora dopo eravamo in uno dei parchi di
Munkkiniemi, vicino alla torre, ancora tanto tranquillo da dare quasi i
brividi. Il vento ci riportava il suono di rare macchine che passavano
di
quando in quando. Se si tendeva accuratamente l’orecchio si
poteva distinguere
l’infrangersi delle onde sulla riva.
Non
riuscivo a smettere di pensare a quello che
Ville mi aveva raccontato. Quindi ero stata drogata, GHB probabilmente:
e cosa
sarebbe successo se quella sera non lo avessi incontrato? Se fossi
rimasto con
quell’uomo di cui non ricordavo nemmeno il volto?
Il
darkman non aveva fatto altro che scusarsi,
preoccupato, per il suo comportamento. E per quanto continuassi a
ripetere che
non ero arrabbiata, sembrava non voler avere mai più
intenzione di fermarsi. Ma
davvero, non serviva: ero sicura che quello che mi avesse raccontato
fosse la
verità ed ero altrettanto sicura di essere stata
consenziente.
Mi
conoscevo abbastanza bene. E lui, beh, lui era
Ville Valo ed io lo avevo quasi venerato come una divinità
per diversi anni.
Temeva
che mi sentissi usata, ma neanche questo era
vero. Entrambi quella notte avevamo bisogno di conforto, e
l’avevamo trovato
uno nelle braccia dell’altro. Niente di più,
niente di meno.
Mentre
eravamo sdraiati sull’erba a goderci un po’
di quel sole finalmente ritornato dopo i lunghi giorni di maltempo,
cercai di
riportare la conversazione su toni più leggeri.
“Quindi”
notai, girandomi sul fianco per guardarlo
in viso “Sei venuto a letto con me soltanto perché
eri ubriaco. Altrimenti non
mi avresti mai calcolato”
Lui
spalancò le palpebre, prima di scuotere il
capo: “Sei proprio un’idiota”
Gli
tirai un pugno sul petto: “Hey, come ti
permetti! Non è forse vero?” lo sfidai a sostenere
il contrario.
“Mh”
sembrò pensarci su qualche istante, poi mi
mostrò un ghignò maligno
“Sì”
Mi
stavo per alzare in segno di protesta, ma come
al solito fu più rapido e mi fermò,
imprigionandomi con un braccio.
“Ma
se devo essere davvero sincero” aggiunse, ad un
passo dalle mie labbra “Ti continuo a trovare dannatamente
attraente, sobrio
come ubriaco”.
Quando
tentò di baciarmi voltai la testa per gioco,
facendolo irritare. Mi feci perdonare subito.
“Forse
però, se avessi saputo la tua età, mi sarei
fermato” soggiunse poco dopo, lo sguardo serio mentre
tracciava spirali
immaginarie sul mio ventre “Ancora adesso non riesco a
capacitarmene. Quando la
scoprii, il giorno dopo, quasi ebbi paura che fosse stata la tua prima
volta.
Anche se tutto diceva il contrario”
Ridacchiai
sotto i baffi, leggendo nei suoi occhi
una punta di imbarazzo: “No, non lo era”
Mi
guardò curioso, aspettando che continuassi.
“E’
stato tanto tempo fa. Troppo. Non sono fiera di
quello che ho fatto. Di quello che sono. Mi sono lasciata andare troppo
presto,
avevo appena 15 anni, o forse nemmeno. Ho gettato via la mia
adolescenza, come
del resto la mia infanzia. A volte vorrei poter tornare
indietro” mormorai,
abbracciando il cielo terso con lo sguardo “Ma non si
può. Ormai sono quello
che sono e devo imparare a conviverci”
Ville
mi sfiorò una guancia, costringendomi a
voltarmi: “Devi essere fiera di quello che sei, invece. Forse
hai vissuto
troppo in fretta, ma tutto quello attraverso cui sei passata ti ha reso
una
donna forte e fantastica. Ora sei adulta e indipendente quanto posso
esserlo
io”
Rimasi
incatenata a quegli occhi sinceri, quasi
senza respirare.
“Beh,
per quanto io possa essere un esempio
adeguato…Forse no” scherzò, arricciando
le labbra.
Mi
lasciai abbracciare stretta, ridendo.
“E
comunque potrei anche sentirmi piuttosto in
soggezione di fronte ad una donna così…matura ed
esperta” mi sussurrò
nell’orecchio, giocando, ma non troppo. Potevo percepire nel
suo tono una reale
nota di preoccupazione.
Gli
tirai un calcio negli stinchi, arrossendo:
“Piantala” gli intimai, spingendolo lontano.
“Con
tutte le tue conquiste come faccio ad essere
sicuro di essere andato bene per te…”
continuò imperterrito, facendomi
spalancare gli occhi.
Non
potevo credere che anche Ville si facesse
venire queste paranoie.
Uomini…
“Ma
io che dovrei dire? Chissà quante donne hai
avuto tu!” replicai, scuotendo la testa.
“Non
significa nulla. Mi sembra di averti fatto
capire quanto tu sia brava” borbottò imbarazzato
“Mentre tu…”
Pur
sapendo che era l’ultima cosa da fare, non
riuscii a trattenermi dal ridere. Davanti al suo sguardo da cucciolo
ferito,
allacciai le braccia al suo collo e mi avvicinai di nuovo, facendo
aderire il
mio corpo al suo in ogni sua parte.
“Fare
l’amore con te è stata la seconda esperienza
più bella della mia vita” sussurrai, facendo
scivolare le mie labbra sul suo
mento.
“E
qual è stata la prima?” domandò, ancora
un po’ rigido.
“Ascoltarti
cantare” risposi prontamente.
Ville
mi spinse sull’erba, appoggiandosi al mio
corpo e baciandomi con passione, fin quando non rimanemmo senza fiato.
“E
se domani ti stufassi di me? E se domani non
fossi più abbastanza?” chiesi, stringendo la sua
mano.
“Non
so dirti cosa succederà domani. Adesso mi
risulta difficile pensare ad un domani senza la tua presenza. Ti vorrei
con me
anche se la terra diventasse quadrata o il sole diventasse
blu”
Alzai
un sopracciglio: “Blu?”
“Sì
blu. Un sole di cianuro” aggiunse pensoso.
Poi mi
regalò uno dei suoi sorrisi e mi sentii
scaldare il cuore.
Anche
un sole di cianuro andava bene, se mi
guardava in quel modo.
________________________________________________________________________________
Ed
eccomi qui, di ritorno dalle vacanze con un
nuovo chilometrico capitolo!
Non so
se sia rimasto qualcuno a seguire questa
storia senza fine, ma volevo informare tutti che finalmente sono
riuscita,
approfittando dell’estate, a scrivere la fine xD (dopo un
anno e mezzo!! xD)
quindi cercherò di postare tutto in tempi brevi!
In
questo capitolo ho finalmente spiegato quello
che era successo quella famosa notte xD
Bien,
fatemi sapere come vi è sembrato^^
Un
ringraziamento particolare alla mia Puz (ora in
trasferta ad Hels *-*) per l’ultimo commentino!
A
prestoooo
FallenAngel
aka Mossi
|
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Capitolo 26 *** Lies and jelousy ***
Chapter
25
Lies
and jealousy
It’s
easy to loose the threads of dangerous games
Quella
sera Burton e Luisa organizzarono una
piccolo aperitivo nella loro nuova casa, e anche io ed Arianna
ricevemmo
l’invito.
Alle
sette, poco prima che la macchina di Ville e
Migè passasse a prenderci, la mia amica era ancora al
telefono a discutere con
il suo ragazzo sulla faccenda: Luke non sembrava molto contento di
lasciarla
andare da sola ad una festa dove sicuramente troppi uomini le avrebbero
messo
gli occhi addosso. Se era protettivo nei miei confronti, che ero solo
un’amica,
nei suoi aveva raggiunto un livello quasi inconcepibile.
Arianna
cercò di convincerlo per un’ora intera,
ricordandogli che se si fosse presentato pur senza invito a farle il
cane da
guardia la loro fantastica copertura sarebbe saltata e tutti avrebbero
scoperto
la loro relazione ‘segreta’. Naturalmente mi
guardai bene dal farle notare che
la loro relazione non era affatto segreta come pensavano. Tutti si
erano
accorti che qualcosa era cambiato e più di uno li aveva
addirittura trovati a
sbaciucchiarsi in qualche stanzino o angolo non poi così
nascosto, senza che
loro se ne accorgessero. Bisognava dire che io e Ville avevamo molta
più classe
e buon senso.
Alla
fine riuscì a superare l’ostacolo: ma non
appena salimmo sulla macchina e Migè vide la sua faccia
stravolta, le domandò
se avesse combattuto con un leone in un arena.
Arianna,
esasperata, sputò immediatamente il rospo,
per poi sbattere più volte la testa contro il sedile quando
Ville le fece
sapere molto tranquillamente che non ci sarebbe stato nessun problema
se fosse
venuta anche la nostra nuova promessa del metal. Non riuscimmo a
smettere di
ridere per tutto il viaggio.
Alla
festa stare vicino a Ville e fingere di essere
soltanto amici si rivelò più difficile di quanto
avessi potuto pensare; ogni
volta che incrociavo il suo sguardo o, anche per sbaglio, sentivo il
suo
braccio sfiorarmi, sentivo il mio corpo prendere fuoco e facevo davvero fatica a
trattenermi.
Cominciai
allora ad evitarlo, cercando di
immergermi in altre conversazioni, facendo i complimenti alla padrona
di casa,
ascoltando i racconti delle ultime gesta della piccola Olivia.
La
situazione mi piaceva poco e sapevo che Ville
stava soffrendo di quel mio comportamento: ma non avrei saputo
cos’altro fare.
Cercai aiuto in Arianna, ma questa volta la mia saggia amica non aveva
una
formula magica per risolvere i miei problemi.
Sentii
gli occhi del darkman seguirmi per lungo
tempo quella sera, ma ogni volta che lo ritrovavo al mio fianco
riuscivo a
scambiarci solo qualche parola prima di rimettermi a fuggire il
più lontano
possibile.
Fino a
quando percepii distintamente che qualcosa
era cambiato.
Le
voce di Manna si fece lontana, così come le risa
di Arianna; mi voltai indietro, sbirciando attentamente nel salotto
affollato.
Quasi
il punch mi cadde di mano, quando finalmente riconobbi
Ville che sussurrava qualcosa nell’orecchio di una
sconosciuta: doveva
trattarsi di qualcosa di estremamente divertente, perché
quest’ultima rise di
gusto, aggrappandosi al suo braccio e non staccando più la
mano per molto,
troppo tempo.
Anche
Ville rise, la sua risata roca e perfetta.
Quella di cui, qualche ora prima, potevo godere io sola.
Mentre
sentivo il sangue ribollirmi nelle vene,
come la lava nel cratere di un vulcano attivo e in procinto di
eruttare,
osservai la donna in questione: portava i capelli castani raccolti in
uno
chignon, dal quale sfuggiva qualche ciocca ondulata che le ricadeva ai
lati del
viso sottile, dalla pelle chiara. I denti bianchi brillavano ad ogni
nuovo
sorriso, come anche gli occhi celesti e magistralmente truccati. Non
era molto
alta, ma aveva un bel corpo e gambe slanciate, che sapeva mettere in
mostra con
eleganza. Era bella. E adulta.
Vacillai.
Ma fu
solo un attimo. Questa volta non mi permisi
di soccombere alla paura; la rabbia prese il sopravvento.
Attraversai
a grandi passi la stanza, avvicinandomi
ai due, i quali erano sempre impegnati in una fitta conversazione in
finlandese, della quale nessuno sembrava essere degno di esserne fatto
partecipe.
Attesi
per un poco, ma Ville non sembrò far caso
alla mia presenza. O forse fece semplicemente finta di non vedermi. Fui
costretta ad urtarlo accidentalmente per attirare, finalmente, la sua
attenzione.
Lui si
voltò, alquanto stizzito per essere stato
interrotto.
“Oh,
mi dispiace” mi sforzai di scusarmi, con un
tono talmente falso da far tintinnare il bicchiere di cristallo che
tenevo in
mano.
“Elisa”
disse spalancando gli occhi, fingendosi
sorpreso “Mi ero quasi dimenticato che fossi qui. Non abbiamo
avuto molte
occasioni di parlare” aggiunse con un ghigno.
Ingoiai
la bile e tentai un sorriso: “Ti ho visto
molto impegnato”
“Oh
sì. E’ stata davvero una sorpresa incontrare
qui Katja” assicurò, abbracciando la sconosciuta
che allacciò prontamente un
braccio intorno alla sua vita.
Katja
mi scrutò a lungo, da capo a piedi, poi
alzando la testa verso Ville domandò candidamente:
“Non ci presenti?”
“Certamente”
le sorrise. Poi, rivolgendosi a me,
spiegò: “Elisa, lei è Katja, una
vecchia e carissima amica”
“La
tua preferita” lo corresse lei, dandogli un
pizzico sul fianco.
Lui
rise forte, chiedendo venia: “La mia preferita.
Katja, lei è Elisa. Lei è…”
fece una minuscola pausa, senza smettere di
fissarmi dritto negli occhi “la nuova barista al Midnight
Wish” terminò
freddamente.
Mi
morsi un labbro, sentendomi avvampare per l’irritazione.
Katja
allungò una mano, che strinsi per educazione:
“Piacere” cinguettò. Risposi con un
cenno del capo.
“Da
dove vieni?” mi interrogò.
“Dall’Italia”
“Davvero?
Dove in Italia?” continuò, mentre io
tentavo con difficoltà di guardarla in faccia: il mio
sguardo continuava a
cadere sul braccio di Ville avvolto, stretto, intorno alla sua vita.
“Milano”
“Non
sono mai stata a Milano, ma ne ho sentito
parlare. Ci avete suonato qualche volta no?” chiese conferma
al frontman degli
HIM, il quale annuì distrattamente.
“E
come mai sei ad Helsinki?” riprese con le sue
domande curiose.
Mi
irrigidii, incerta su cosa rispondere: “Sono qui
con una band di amici, che ha ricevuto un’offerta di lavoro
nella vostra città”
Lei
non smise di fissarmi, mettendomi un po’ a
disagio, ma tenni la testa alta, sostenendo lo sguardo. Poi la sua
attenzione
fu attirata dal ciondolo che spiccava sulla pelle bianca sotto il mio
collo.
Sorrise: “Una vera fan degli HIM. Anche io ne ho portato uno
del genere per un
po’ di tempo, quando eravamo ragazzi”
Allungò
una mano per toccarlo, ma io mi ritrassi
involontariamente, nascondendo l’heartagram nel pugno.
Rimase
stranita e indispettita dal mio
atteggiamento: “Scusa, non volevo mica portartelo
via”
Lasciai
la presa, scuotendo la testa: “No, certo.
Scusa tu”
Ma i
miei nervi erano troppo tesi e il silenzio di
Ville, che sembrava solo impegnato ad abbracciare la donna e spiare le
mie
relative reazioni, non mi permisero di sostenere una normale
conversazione.
Katja
si stufò ben presto e siccome non sembrava
che avessi comunque intenzione di andarmene, invitò Ville a
ballare.
Il
darkman mi lanciò un ultima lunghissima occhiata
e poi, con mia grande meraviglia, accettò con disinvoltura.
Rimasi
impietrita sul posto, da sola.
“Stai
bene?” la voce di Arianna veniva dalle mie
spalle.
“Sì”
bisbigliai per inerzia, non riuscendo a
staccare gli occhi dal corpo di Katja, troppo vicino a quello di Ville.
Mi si
affiancò, lanciandomi uno sguardo grave,
pieno di comprensione ma anche di saggezza: “Non puoi dirgli
nulla. Lo hai
evitato per tutta la sera”
Sapevo
che aveva ragione, ma ero troppo testarda
per ammetterlo. E troppo gelosa per permettere un simile comportamento.
“Sai
perché l’ho fatto. L’ho fatto per lui e
dovrebbe saperlo” replicai, brusca “Non
può trattarmi in questo modo”
“Hai
ragione, ma…”
Non
era più il tempo dei ma. Ormai mi ero riscossa,
e avevo tutta l’intenzione di fargliela pagare.
Riprendendo
tutto il mio contegno, raggiunsi Sami,
il cugino di Luisa, che mi era stato presentato forse una
mezz’ora prima. Avevo
imparato ormai da tempo a riconoscere gli sguardi di desiderio che mi
erano
rivolti, ma li avevo ignorati, sazia delle attenzioni che ricevevo da
tutt’altra direzione. Ma adesso che queste attenzioni mi
erano state sottratte,
avevo bisogno di sfruttare tutto il mio sex-appeal per riprendermele.
“Ti
va di ballare?” gli chiesi, sorridendo
innocentemente.
Il
ragazzo non si fece pregare e mi accompagnò
entusiasta nella piccola pista che era stata allestita nel salotto.
Stringendogli la mano, lo guidai esattamente a pochi passi da Ville.
Questa
volta il cantante si accorse immediatamente
del mio arrivo e distolse la propria concentrazione dalla sua compagna
di
ballo. Gli rivolsi un sorriso pieno di malizia, per poi dargli le
spalle e
iniziare a ballare con Sami.
Quando
ancora ero una ragazzina e la mia amicizia
con Arianna non era ancora ben salda, altre persone avevano svolto la
figura di
guide nella mia vita, nella quale era sempre mancato un leader. Per
molto tempo
il mio punto di riferimento era stato Lucia, una ragazza di
vent’anni dal
carattere libertino e mai troppo responsabile: aveva saputo volermi
bene, a suo
modo, sebbene non fosse mai stata un vero modello da prendere in
considerazione. Grazie ai suoi insegnamenti avevo preso confidenza col
mio
corpo e avevo imparato a come trarre dalle mie parole e dai miei gesti
i più
grandi vantaggi con gli uomini. Ma soprattutto, Lucia mi aveva
insegnato a
ballare e a muovermi nel modo più seducente possibile.
Quella
sera non mi trattenni e non mi risparmiai.
Misi a frutto tutto ciò che mi era stato insegnato,
ignorando l’espressione
poco fiera della mia coscienza.
Quando
reputai che fosse stato abbastanza, lasciai
la pista, sempre seguita da Sami, con la scusa di prendere qualcosa da
bere.
“Wow”
mormorò quest’ultimo, con una faccia ancora
parzialmente sconvolta, davanti alla quale non riuscii a trattenere una
piccola
risata.
“Si?”
lo stuzzicai, sollevando le sopracciglia.
“Balli…molto
bene” assicurò, sistemandosi il
colletto della camicia.
Proprio
mentre stavo per ringraziarlo dei
complimenti mi accorsi che anche Ville sembrava essere stato colpito da
un’improvvisa, terribile sete. Si avvicinò al
tavolo al quale io stessa ero
appoggiata e si accinse a prendere una bottiglia di birra proprio dalla
pila
dietro di me.
Feci
finta di non sentire affatto il suo braccio
che sfiorava il mio, sebbene l’atto mi procurò non
pochi brividi. Continuai a
sorridere a Sami, appoggiando una mano alla sua spalla e avvicinandomi
quel
tanto che bastava per posare un casto bacio sulla sua guancia:
“Grazie”
Ville
non si perse il gesto e rovesciò parte della
sua birra sul tavolo.
“Tutto
a posto, Valo?” domandò premurosamente il
mio cavaliere.
“Si
certo” borbottò lui, arrossendo vistosamente.
Non
appena i nostri sguardi si incrociarono, sentii
il cuore ricominciare a battere e mi resi conto che se non me ne fossi
andata
immediatamente non sarei riuscita a portare a termine la mia vendetta.
“Torniamo
in pista?” proposi, sperando che il
tremore nella mia voce fosse solo frutto della mia immaginazione.
Stavo
per avviarmi, quando Ville mi fermò,
prendendomi per il polso: “Aspetta”
Mi
voltai, squadrandolo con la fronte corrugata:
“Cosa c’è?”
“Devo
parlarti”
“E
io non ho proprio nulla da dirti” ribattei,
orgogliosa.
Vidi i
suoi occhi verdi scintillare per la rabbia,
appena prima che mi girassi nuovamente, tentando di divincolarmi.
Ma la
sua presa si fece più salda e con forza mi
trasse a sé. Sotto lo sguardo allibito di Sami e della
stessa Katja, mi portò
via dalla sala, verso il corridoio, in penombra e deserto.
Quando
fummo da soli, lasciò finalmente il mio
polso, che mi massaggiai fissandolo in cagnesco.
“Beh?”
proruppi, dato che sembrava aver perso d’un
tratto la lingua.
“Beh?
Secondo te posso starmene zitto e fermo mentre
fai la deficiente con un altro?”
“Stavo
solo ballando”
Rise,
ma senza divertimento: “Non stavi solo
ballando e lo sai benissimo. Mi stavi provocando”
Feci
un passo avanti, portando il mio volto a pochi
centimetri da suo: “Sei un egocentrico. Non tutto quello che
faccio gira
intorno a te!”
“E
allora per cos’era?” ribatté duro.
“Stavo
ballando per un ragazzo che ha dimostrato di
apprezzare” sibilai “E molto”
Prima
ancora che potessi rendermene conto, le sue
braccia mi avevano spinto con violenza contro il muro, non abbastanza
da farmi
male, ma abbastanza da spaventarmi.
Dopo
un momento di spiazzamento, in cui lo guardai
con gli occhi spalancati, mi riscossi spingendolo lontano:
“Non ci provare mai
più!”
“E
tu smettila di prendermi in giro”
La mia
voce iniziò a toccare toni troppo elevati:
“Così tu ti puoi arrabbiare e metterti a provarci
con quella Katja e io devo
stare a guardare senza dire nulla?”
“Cercavo
solo di attirare la tua attenzione. Visto
che sembravi esserti dimenticata di me” disse con una calma
che gli invidiai.
“Smettila!
Sai benissimo perché l’ho fatto! E hai
davvero un bel modo per attirare la mia attenzione!” sbottai,
a denti
stretti“Hai lasciato che si strusciasse contro di te tutta la
sera!”
Quando
Ville non rispose, continuai a sfogarmi,
nascondendo tutta la mia sofferenza sotto un velo di
acidità: “Ma in fondo cosa
importa? Nessuno ti vieta di farlo, sei libero, come sono libera io.
Questa non
è una vera relazione. Mi hai portato a letto qualche volta,
e basta. Giusto?
Fino all’arrivo di qualcuno più
interessante”
Di
nuovo, sentii il suo corpo premere contro il
mio, spingendomi contro la parete, ruvida e fredda: appoggiò
le mani al muro,
creando una prigione con le sue braccia tese.
Le sue
labbra erano così vicine che il suo respiro
agitato quasi si confondeva con il mio.
“Sai
che è una bugia” sussurrò, mentre il
suo
sguardo mi feriva in profondità, come la lama di un coltello.
“E’
tutto a posto?” l’inconfondibile voce di
Migè
ci fece trasalire. Ville si allontanò immediatamente,
voltandosi verso l’amico,
che ci guardava con una strana espressione, a forse due metri di
distanza.
“Sì
certo” rispose il frontman, tossendo
imbarazzato. Annuii con vigore, per confermare.
“Okay”
parlottò il bassista, grattandosi la barba
“Tornate a farci compagnia di là?”
“Un
momento e arriviamo” assicurò Ville, teso.
Migè
ci lanciò un’ultima occhiata carica di
sospetti, e poi finalmente tornò nella stanza attigua.
Il
darkman sospirò, abbandonando le spalle.
Aspettai
che continuasse il discorso che era stato
interrotto così bruscamente, ma rimase in silenzio, fissando
il pavimento.
Trattenendo
le lacrime, mi scostai dal muro, pronta
ad andarmene.
Ma
all’ultimo momento Ville mi fermò, prendendo la
mia mano questa volta, con più delicatezza e attenzione.
Lasciai
che mi portasse oltre una porta, fino a
quel momento rimasta chiusa.
Prima
ancora che potessi fare domande, aveva già
chiuso a chiave. Osservai perplessa i mobili bianchi e celesti di quel
bagno di
raffinata ceramica.
“Ville,
sai che quest…” ma non ebbi il tempo di
esplicare a voce alta i miei dubbi, perché il darkman mi
afferrò per le spalle
e coprì con foga e rapidità la distanza tra le
nostre bocche.
Non
appena sentii le sue labbra morbide sulle mie,
fui tentata, dannatamente tentata di cedere, di dimenticare tutto
quello che
era successo e lasciarmi andare.
Ma non
era in questo modo che si risolvevano i
problemi.
Lo
costrinsi ad allontanarsi, gentilmente ma con
decisione, scuotendo il capo, prima che quel briciolo di
lucidità che ancora mi
restava non si dissolvesse nel nulla.
“No”
Fissai
la mia attenzione sul mobiletto dei profumi
alla mia sinistra, per evitare i suoi occhi da cucciolo cacciato.
“Stavamo
parlando di una cosa seria. Non puoi
pensare di risolvere sempre tutto con un bacio”
Tenendo
il mio mento fra le dita, mi spinse a
guardarlo: “Quello che hai detto prima non ha alcun senso.
Sai quanto ci tengo
a te. Non volevo fare nulla con Katja, è solo
un’amica. Voglio solo te” mormorò
con tanta lascivia da farmi tremare.
Cercai
di liberarmi: “Ed io come posso esserne
sicura?”
Lui
parve colpito dalla frase e si rabbuiò,
lasciando cadere la mano: “Pensavo ti fidassi di me”
Volevo
fidarmi, lo desideravo con tutto il cuore.
Ma ero terribilmente spaventata: “Ho solo paura di non essere
abbastanza. Ho visto
i tuoi occhi quando…”
Ville
mise le mani intorno ai miei fianchi e con un
unico movimento mi sollevò, facendomi sedere sul piano di
fronte allo specchio,
urtando una bottiglietta di sapone che cadde di lato. Allacciai
istintivamente
le braccia al suo collo, per evitare di cadere.
“Cosa…?”
cercai di domandare, ma mi zittì, premendo
due dita sulle mie labbra.
“Basta
con queste sciocchezze. Guarda i miei occhi
adesso, mentre ti guardo e dimmi se ci leggi lo stesso
desiderio”
Mi
morsi le labbra, sentendomi tanto fragile
davanti a quegli occhi così profondi e colmi di crudele e
violenta smania.
Ville
comprese il mio disagio e i suoi tratti si
addolcirono immediatamente: lasciò scivolare la bocca lungo
il mio collo e
sulla mia spalla, scostando le spalline del mio top con una mano e
massaggiandomi il fianco con l’altra.
Protestai,
ma troppo debolmente per essere presa
sul serio.
Chiusi
gli occhi, perdendomi nel rumore ritmico dei
nostri cuori che battevano insieme e non mi accorsi immediatamente che
le sue
mani ora scorrevano rapide lungo le mie cosce, fino alla fine.
Trattenni
un grido di piacere, spalancando gli
occhi.
“Ville…”
boccheggiai, facendo segno di no con la
testa e bloccando la sua mano.
Ma lui
mi pregò con lo sguardo, uno sguardo serio e
dolce al tempo stesso, al quale non seppi resistere:
“Lasciami amarti e
dimostrarti che non desidero altro”
Scostai
la mano, riportandola dietro la sua nuca, e
lasciai che mi sfilasse lentamente gli slip, accarezzandomi la gamba.
Slacciò
veloce i suoi jeans e senza aspettare,
senza preavviso, era già dentro di me.
Questa
volta non fu tenero, o delicato. Fu
violento, e forte, e mi lasciò tremante ad ogni spinta.
Strinsi con
aggressività le mani intorno alle sue spalle, alla sua
schiena, affondando le
unghie nella carne, sotto alla camicia troppo sottile per proteggere la
sua
pelle.
Fare
l’amore con lui non era mai la stessa cosa. Ma
riusciva a lasciarmi sempre senza fiato e senza difese, incapace di
comprendere
come un’altra persona potesse abbattere così
semplicemente ogni barriera del
mio cuore.
“Ti
voglio” ansimò contro il mio orecchio “E
voglio
che tu sia mia”
Quando
non risposi immediatamente, Ville aumentò
ancora il ritmo.
“Sono
tua” gemetti, tentando di non gridare forte.
“Solo
mia” aggiunse, respirando affannosamente.
“Solo
tua” sorrisi e gli morsi il naso, come la
prima volta.
Raggiungemmo
l’apice insieme, uno dopo l’altro. Poi
rimanemmo per qualche secondo immobili, ancora abbracciati.
***
Ci
sistemammo alla meglio, con un nuovo sorriso
sulle labbra.
“Come
sto?” domandò Ville, dandosi un’ultima
occhiata nello specchio.
Non
potei trattenere una risata: “Bellissimo. Ma un
po’ sbattuto”
Mi
squadrò di sottecchi: “Che spiritosa”
Lo
baciai un’ultima volta, prima di trascinarlo
fuori.
“Ma
dove diavolo eravate finiti?” incontrammo Linde
a metà strada, appena svoltato l’angolo buio nel
corridoio.
Feci
un salto all’indietro, e così Ville, accanto a
me.
“Noi?
Da nessuna parte” risposi istantaneamente.
Linde
accese all’improvviso la luce, mettendo allo
scoperto i nostri volti arrossati e i capelli scomposti.
“Eravamo
fuori, a prendere una boccata d’aria”
spiegò Ville, spingendomi avanti e urlandomi mentalmente di
svignarmela il più
presto possibile.
“Certo”
il sarcasmo nella voce del rasta era ben
poco nascosto.
“Torniamo
di là?” proposi, facendomi strada nel
corridoio.
Così
io e Ville sgattaiolammo via, e ci mancò poco
che non ci mettessimo a correre.
Molta
più classe e buon senso?
Sì
Elisa, come al solito avevi ragione.
Pensai
che forse, ancora una volta, la mia mentora
aveva qualcosa da insegnare.
________________________________________________________________________________
Ed
ecco qui moossiii con il vostro aggiornamentino! Che roba strana poter
aggiornare così velocemente xD
Un
ringraziamento a tutti quelli che hanno letto e soprattutto a chi ha
commentato
*-*
@Cherasade:
ehhh si in effetti è mooolto cuccioloso xD in questo
capitolo un po’ meno però
xD Ti piace anche così?? Hihihi Sono contenta che ti piaccia
e che continui a
seguire la storia! Grazie mille! *-* Alla prossimaa! Bacini
@MissMar23:
ziii finalmente sono tornata! Ohhh ma grazie *-*
sìsì ho scritto tanto quest’estate!
Avrete un po’ di aggiornamenti rapidi ^^ Grazie ancoraaa!
Kisses
@Sweetie:
comeee nun lo avevi letto??? E questo qui?? Lo so^^ Infatti lo avevo
scritto
appena tornata da Hels!! Passerà pulcina mia, o almeno,
migliorerà un pochino! E
poi dobbiamo resistere fino a dicembre in fondo!! Grazie davvero!!! Ora
vado a
leggere di violaaa! Bacini
@Puz:
*-* I tuoi commentino riempiono sempre il cuoricino di Mus! Non so come
farei
senza la mia grande e immeritatissima fan! Grassieeee *-*
Allora
a prestoooo!
VenomousKisses
Moss
aka FallenAngel
|
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Capitolo 27 *** New Arrivals ***
Chapter 26
New
arrivals
There
are smiles that worth more than a thousand words
20
Maggio
Quel
mattino, mentre passeggiavo per Fredrenkikatu
diretta al Kamppi, incrociai per caso Linde: il chitarrista era tanto
immerso
nei suoi pensieri, mentre osservava la vetrina di un negozio di
giocattoli con
una buffa espressione, che sarei potuta passargli di fianco senza che
nemmeno
se ne accorgesse.
E dopo
quello che era successo la sera precedente
fui tentata di farlo.
Ma se
poi mi avesse riconosciuta, anche da lontano,
avrei di certo fatto una pessima figura.
Così,
prendendo coraggio e dipingendo sul mio volto
il mio miglior sorriso sicuro, mi avvicinai al chitarrista con le mani
in
tasca: “Hei Lily!”
Lui si
girò, sorpreso.
“Oh,
ciao Elisa” mi salutò, ricambiando il sorriso.
“Che
ci fai da queste parti?” domandai, curiosa.
Alzò
le spalle, incurvando in una strana smorfia il
labbro inferiore: “Facevo quattro passi. Poi ho pensato di
comprare qualcosa
per la mia Olivia”
Sentii
il sorriso aprirsi ancor più sulle mie
labbra, e questa volta senza alcuno sforzo.
Ancora
una volta mi ritrovai ad ammirare l’amore
che Linde aveva per la sua bimba e pensai che quest’ultima
fosse la persona più
fortunata del mondo.
“E
cosa avevi pensato di prenderle?”
Il
rasta si grattò il collo, pensieroso: “Veramente
ero un po’ indeciso. Sai, ormai ha imparato a leggere
piuttosto bene, è molto
avanti per la sua età” mi informò con
orgoglio “quindi pensavo ad un libro.
Anche se forse apprezzerebbe di più una bambola. Non so cosa
scegliere!”
dichiarò infine, spalancando le braccia.
“Vorrei
poterti aiutare” gli assicurai, poggiando
una mano sulla sua spalla e volgendo gli occhi verso la vetrina
“Ma non conosco
i suoi gusti”
Linde
sospirò, mentre un alone di tristezza
scivolava sul suo volto: “Ho paura di non conoscerli nemmeno
io abbastanza
bene. Sono sempre via, e lei cresce così in
fretta…”
Il mio
stomaco si aggrovigliò su se stesso ed io mi
maledissi per la mia uscita infelice.
“Non
dire così. Sei un padre fantastico e sono
certa che Olivia apprezza gli sforzi che fai per starle
accanto” tentai di
consolarlo.
Capii
dal suo sguardo che era ancora insicuro, così
aggiunsi: “Mi sarebbe davvero piaciuto avere un padre come
te, Linde. Il mio
non è una famosa rockstar, ma non vale la metà di
te. Neanche lontanamente”
“Dici
sul serio?” domandò, con una nuova luce negli
occhi.
“Certo”
esclamai con più entusiasmo “E ora scegli
il tuo regalo”
“Mhh”
meditò ancora qualche secondo “Penso che per
questa volta prenderò la bambola. Hai voglia di aiutarmi a
scegliere quale?” mi
supplicò “Non vorrei stare qui altre due
ore”
Ridendo,
lo accompagnai all’interno del negozio.
In
realtà non ero molto esperta di bambole. Da
piccola non ne avevo possedute molte, forse solo una, ma indicai a
Linde quella
che più si avvicinava alla mia idea di bambola ideale. Lui
parve approvare la
mia scelta.
Tuttavia,
quando eravamo già in fila alla cassa,
notai che il suo sguardo era caduto sull’espositore dove
erano sistemati in
bella mostra diversi libri per bambini, tra cui uno riguardante diversi
strumenti musicali.
Gli
occhi del chitarrista si illuminarono e
rabbuiarono in un secondo. Sbirciò la bambola che teneva in
mano, e poi ancora
il libro. Scosse la testa, imbronciato: “Uffa. Pensavo di
esserne sicuro, ma
adesso…”
Senza
pensarci un secondo di più, mi avvicinai
all’espositore e presi il libro sulla musica.
Linde
mi osservò confuso.
“Era
questo quello che stavi guardando?” chiesi
conferma.
Lui
annuì, con la fronte ancora aggrottata.
“Bene!
Allora questo glielo regalo io ad Olivia.
Sempre che tu abbia ancora intenzione di farmela conoscere, come mi
avevi
promesso” gli ricordai, con una piccola nota di rimprovero
nella voce.
“Davvero?”
il rasta tornò a sorridere “Certo che
voglio fartela conoscere!” Ci pensò qualche
istante e poi dichiarò: “Posso
portarla questa sera al Midnight Wish, se ci sei”
Annuì
felice: “Sì, sì. Ci sono. Sono di turno
oggi.”
“Allora
è perfetto. Anche se il suo vocabolario di
inglese non è ancora molto ampio…”
“Come
il mio di finnico” risi “Anzi, credo che sia
proprio la persona giusta per potermi aiutare un po’ a
perfezionarmi”
Terminati
i nostri acquisti, fui costretta a
congedarmi da Linde in tutta fretta.
Dovevo
infatti ancora passare da un negozio e poi
andare a vedere un appartamento in una zona piuttosto distante dal
centro,
quindi avrei dovuto prendere anche un autobus.
“Ma
hai bisogno di una macchina?” si premurò di
chiedermi Linde “Noi ne abbiamo una che non usa nessuno. Se
vuoi puoi
prenderla, almeno per un po’”
Fui
davvero commossa dall’offerta, ma non potevo
sfruttarla: “Sei davvero gentile, ma –
ahimè – niente patente, niente macchina”
sospirai.
Il
chitarrista sbuffò, contrariato: “Anche tu senza
patente? Speravo che quest’altra magagna non
l’avessi ereditata dal tuo
pseudo-fratello”
Sottolineò
la parola ‘pseudo’ con troppa enfasi.
Risi,
arrossendo un tantino, e cercai di
difendermi: “Beh non è mica la stessa cosa! Lui
non è riuscito a passare
l’esame, io non ci ho ancora provato. Ma appena ne faccio
diciotto sarò la
prima in pista!”
Linde
mi guardò senza capire: “Diciotto?”
“Già”
alzai le spalle, incerta “Ancora un mese e ci
sono”
La
confusione non abbandonò il suo volto:
“Tu” fece
una piccola pausa “Hai diciassette anni?”
Annuii,
sentendomi un poco a disagio: non pensavo
fosse una novità. Ero convinta che anche gli altri ne
fossero al corrente.
“Non
lo sapevi?”
“No.
In effetti non l’ho mai chiesto, ma ero
convinto che fossi molto più grande. Più giovane,
sì, ma non così tanto…”
Rimanemmo
per un po’ di tempo in silenzio. Io
ripensai al mio primo incontro con Ville, alle sue prime parole, alle
sue prime
paure. Sembrava quasi un deja-vù.
“Beh,
ora meglio che tu vada. Ti ho già fatto
perdere un sacco di tempo” disse Linde, cercando di riportare
tutto alla
normalità con un sorriso, troppo labile per ingannare
entrambi “Ci vediamo
stasera”
“A
stasera”
Mi
rimisi in cammino, ma non più serena. Dentro di
me, sentivo che un vecchio ostacolo tornava in superficie.
***
Cercai
di tenere la mente occupata per tutta la
giornata e alla fine, la sera, mi sentivo piuttosto rilassata.
Dopo
quel primo, discutibile inizio, la mia
carriera di barista aveva preso il volo e adesso mi muovevo sicura tra
le
bottiglie d’alcol, servendo birre e cocktail ad una
velocità perlomeno decente.
‘Non
potresti fare nemmeno questo’ si intromise
all’improvviso una voce nella mia testa ‘Sei troppo
piccola’
‘Fatti
gli affaracci tuoi’ avrei voluto gridare, ma
se mi fossi messa ad urlare contro me medesima probabilmente la gente
intorno
non l’avrebbe presa proprio bene.
Chi mi
aveva assunto era perfettamente al corrente
della mia situazione e se aveva deciso di prendersi questo rischio non
era una
mia responsabilità. O almeno così speravo.
Perché
quel maledetto mese sembrava non voler
passare mai?
“Dannato,
dannatissimo tempo!” imprecai sottovoce,
ma non abbastanza.
“Hai
detto qualcosa?” mi domandò Lilli, la mia
collega, corrugando la fronte.
“Ehm,
no…assolutamente nulla” le assicurai
innocentemente, arrossendo fin sopra l’attaccatura dei
capelli.
Fu
l’insolito silenzio che cadde sul locale a
distrarre l’attenzione della bionda, la quale si volse verso
il palco, mentre
il pubblico piano piano si riscuoteva e si metteva ad urlare
più forte.
“Hey,
ma quello è Valo” esclamò Lilli,
stupita.
Seguii
il suo sguardo, mentre la birra continuava a
sgorgare dentro un boccale già sufficientemente pieno.
“Ely
attenta!” mi riscosse, chiudendo il rubinetto
appena in tempo.
“Oddio
scusa” la pregai, distruggendomi il labbro
inferiore, ancora più imbarazzata.
Per
fortuna lei non si arrabbiò, ma si mise a
ridere del mio bizzarro comportamento: “Non ho mai conosciuto
una ragazza così
strana”
Decisi
di prenderlo come un complimento e feci un
piccolo inchino.
Poi
tornai a guardare quel matto di Ville che
salutava il cantante della band alla quale aveva appena portato via
pubblico e
palco.
“Scusate
per l’interruzione” esordì, con il suo
solito sorriso sornione “Ma ho promesso ad una delle mie fan
preferite che
avrei cantato una canzone per lei, quindi eccomi qui”
A
quanto pareva, nessuno sembrava particolarmente
scontento del cambiamento di programma. Io compresa.
“Ma
la mia piccola fan ha chiesto specificamente
che non fossi da solo a cantare. Quindi, Elisa, potresti venire qui
subito?”
aggiunse, indirizzando il suo sguardo esattamente dove sapeva che mi
avrebbe
trovato.
Mi
correggo: non ero per niente felice del
cambiamento di programma.
Soprattutto
dopo che uno stupido riflettore andò a
posizionarsi, guarda caso, proprio sopra la mia testa. In un attimo,
centinaia
di occhi erano incollati alla mia faccia terrorizzata.
Scossi
il capo, istintivamente. Forse era un gesto
stupido, non ero nemmeno sicura che potesse vedermi bene.
Dato
che non sembravo dare segni di muoversi il
cantante ricominciò: “Elisa sai benissimo che sto
parlando con te, piantala di
fare la timida come tuo solito e vieni qui”
Sono
in servizio, non posso andare, cercai di
tranquillizzarmi. Questa volta sono al sicuro.
Fu
proprio in quel momento che Aaron comparve dal
nulla alle mie spalle, facendomi sobbalzare.
“Non
preoccuparti” mi incoraggiò con un sorriso,
mal interpretando il mio viso atterrito “Puoi prenderti il
resto della serata
libero. Vai pure”
No.
Perché
i datori di lavoro dovevano essere sempre
gentili nel momento sbagliato?
Sbuffando
e mandando maledizioni a destra e a
manca, mi avviai lentamente verso il palco.
“Entro
oggi possibilmente” mi incalzò Ville,
guardandomi dall’alto in basso.
Gli
lanciai un’occhiata inceneritrice, squadrando
poi con torvo cipiglio anche i membri di quella stupida band che gli
avevano
permesso di cantare durante la loro esibizione.
“Ti
odio” borbottai, quando fui abbastanza vicina.
“Non
è vero” replicò, ancora con quel
sorrisetto
stampato in faccia. Per un momento, pensai molto concretamente di
tirargli un
pugno sul naso. Poi mi ricordai che buona parte della popolazione
femminile
sulla Terra non me lo avrebbe mai perdonato. Così mi
trattenni.
“Piuttosto,
te la ricordi ‘Beyond Redemption’?” mi
domandò, sistemando uno dei microfoni alla mia altezza.
“Certo
che me la ricordo!” brontolai, emettendo
fumo dalle orecchie “Accidentalmente ho imparato tutta la
vostra discografia a
memoria!”
“Perfetto”
ammiccò, ignorando volontariamente la
nota di acida ironia nella mia voce “Allora si
comincia!”
“Aspetta”
lo fermai preoccupata, posando una mano
sul suo braccio “Come vorresti cantarla? Voglio dire, non
è mica un duetto…”
“Shh,
non pensarci. Tu canta e basta”
Fece
un piccolo segno al gruppo, che si mise a
suonare le prime note d’attacco.
Per
niente convinta, presi in mano il microfono e
cominciai a cantare, non risparmiando Ville di un’altra serie
di occhiatacce.
“Oh
I
see your scars, I know where they're from
So
sensually carved and…”
“Bleeding until you’re
dead and gone”
“I’ve seen it all
before, beauty and splendour torn
It’s when heaven turns…”
“To
black and hell to white
Right
so wrong and wrong so right now!”
Giunti
al ritornello, mi ero già scordata di essere
arrabbiata. Mi ero dimenticata anche dove fossi. Ero
persa nella musica, ancora una volta.
“Feel
it turning your heart into stone
Feel it piercing your courageous soul
Beyond now - redemption
No one's gonna catch you when you fall”
Spontaneamente,
il mio sguardo cadde sulle mie
consumatissime e fedelissime converse, e ringraziando di non aver messo
i
tacchi nemmeno quella sera, pensai a cosa sarebbe successo se fossi
veramente
caduta.
Non
potei fare a meno di ridere tra me e me: Ville
alzò un sopracciglio, senza poter soddisfare la sua
curiosità.
“Oh
I
see you crawl you can barely walk
With arms wide open…”
“You keep on begging for
more”
“I've
been there before knocking on the same door
It's when hate turns…”
“To love and love to hate
Faith to doubt and doubt to faith now”
“Feel
it turning your heart into stone
Feel it piercing your courageous soul
Beyond now - redemption
No one's gonna catch you when you fall”
Cantai
più forte e anche i
miei gesti si fecero più arditi, fino ad allungare le mani e
spingere Ville
proprio all’altezza delle spalle.
Lui,
colto di sorpresa,
fece un salto all’indietro per evitare di cadere.
Con
una strana espressione
dipinta sul viso, che non prometteva niente di buono, mi
aggirò, sistemandosi
alle mie spalle. Afferrò quindi una delle mie braccia tese,
e quasi posando il
mento nell’incavo del mio collo, sussurrò:
“Feel
it turning your
heart into stone”
“Feeling
piercing your courageous soul”
risposi, voltando appena il capo.
“Beyond
now redemption…”
Ville
si allontanò, per
terminare il brano con un ultimo assolo:
“No one’s gonna catch you when you fall!”
Raccolti
i nostri applausi,
sparimmo insieme nel backstage.
“Hey,
mi ci sto abituando…”
commentò Ville, asciugandosi un rivolo di sudore dalla
fronte. Aveva tirato
fuori di nuovo uno dei suoi soliti cappelli: avrei voluto ricordargli
che era
Giugno, e le temperature erano in salita, ma già una volta
avevo provato a mettere
becco sui suoi cappelli, e non era finita bene. Per me.
“A
che cosa?” domandai,
allungando le mani su una bottiglietta d’acqua.
“A
cantare insieme.
Vorresti farmi sempre da partner?”
Lo
guardai con gli occhi
sbarrati, sputacchiando acqua da tutte le parti e soffocandomi da sola.
Davanti
ad una simile
reazione, Ville scoppiò in una sonora risata: “Sto
scherzando! Secondo te,
potrei mai dividere la gloria con te? E cosa direbbero tutte le mie
fan?”
“Scemo!”
lo sgridai,
pestandogli un piede “Devi piantarla di farmi prendere questi
colpi”
Lui
rise più forte,
accarezzandomi i capelli in un gesto di compatimento: “Non
pensavo che fossi
così ingenua”
Mi
scansai, lanciandogli
addosso un po’ della mia bibita.
“Dai,
dai scusa” cercò di
salvarsi “Adesso andiamo che c’è
qualcuno che vuole conoscerti”
Mi
strappò un sorriso, non
appena compresi a chi si stava riferendo.
“Okay.
Però prima
accompagnami a prendere una cosa nei camerini, intanto mi tolgo la
divisa”
***
Salimmo
insieme al piano
superiore e subito riconobbi lo strano cappello indossato dal
chitarrista degli
HIM per contenere tutti i suoi dreads.
Facemmo
pochi passi in
quella direzione ed ecco che una piccola bambina, con i capelli castani
legati
in due trecce e un delizioso vestitino blu oltremare,
sgusciò via
dall’abbraccio della sua mamma e si lanciò come
una scheggia nella nostra
direzione.
“Setä
Ville¹!”
gridò felice, saltando in braccio al darkman, che
la accolse a braccia aperte sollevandola da terra.
“Hei
kirppu!²”
la salutò, posandole un bacio sulla fronte e
dandole un pizzicotto su una guancia.
“Minä
en ole kirppu!” protestò Olivia facendo il broncio
“Minä olen isoksi!³”
Tutti
scoppiarono a ridere,
mentre Ville posava a terra la bambina, scompigliandole la frangetta.
“Ymmärtän”
le spiegò, con il suo sorriso obliquo “Mutta
sinä aina olet minun kirppuni!”
Mentre
ancora Olivia lo
guardava storto, lui la prese per mano, voltandosi verso di me.
“Tule”
la esortò, spingendola avanti.
“Lei
è Elisa” mi presentò,
facendo un gesto nella mia direzione “Lei invece è
Olivia”
“Ciao
Olivia” mi chinai
alla sua altezza, mentre un ampio sorriso si apriva sempre di
più sulle mie
labbra “Piacere di conoscerti” aggiunsi, allungando
la mia mano.
Lei mi
osservò curiosa per
qualche istante, quasi nascosta dietro le gambe di Ville. Poi, piano
piano, si
avvicinò per stringermi la mano. La sua stretta fu morbida e
un po’ incerta.
“Così
‘Beyond Redemption’ è
la tua canzone preferita?” le domandai, parlando nel miglior
modo possibile.
Lei
ascoltò con attenzione
e poi annuì timidamente, mordicchiandosi il labbro inferiore
e ritirando
entrambe le mani dietro la schiena.
“Anche
a me piace molto
sai?” le confidai, ritrovando nei suoi occhi lo stesso
sguardo dolce del padre.
Rimanemmo
pochi attimi in
silenzio. Attesi che fosse lei a parlare, quando ne avesse avuto voglia.
“Canti
molto bene”
bisbigliò, piegando il capo da un lato e scegliendo
accuratamente le parole.
“Oh,
grazie” le risposi,
scostandomi una ciocca di capelli dal viso “E tu parli molto
bene l’inglese”
Olivia
rise, aggrappandosi
ai jeans di Ville, forse per darsi sicurezza.
“Penso
anche che sei
bellissima” continuò, sempre a voce bassa.
Arrossii
un poco,
sollevando la testa e incontrando per un secondo gli occhi del darkman,
che
sorrideva del mio imbarazzo.
La
ringraziai ancora,
assicurandole che era la bambina più adorabile che avessi
mai incontrato.
Quindi
tirai fuori il
pacchetto che avevo preparato per lei e glielo porsi.
Olivia
lo fissò stupita a
lungo, fin quando non trovò il coraggio di mormorare:
“E’ per me?”
“Certo!”
lo protesi più
vicino, affinché lo afferrasse con le sue manine.
Non
appena lo ebbe tra le
dita, si voltò per sbirciare il viso dei propri genitori;
entrambi le
sorrisero, annuendo, invitandola ad aprire il pacchetto.
Strappò
la carta con quella
rapidità che è propria dei bambini. Quindi
scrutò attentamente la copertina del
libro, leggendone il titolo con una fluidità che invece non
era affatto comune
tra i suoi coetanei.
Dopo
la sua accorta
osservazione. mi guardò sorridendo:
“Grazie”
“E’
stato un piacere,
sweetie” ricambiai il sorriso, mentre mi alzavo in piedi
“Puoi chiederle se ha
voglia di sfogliarlo insieme a me, così magari mi insegna un
po’ di
finlandese?” domandai, rivolta a Ville, perché mi
facesse da traduttore.
Non
appena ebbe ascoltato
la mia richiesta, Olivia accettò con entusiasmo.
Così
ci sedemmo in un
angolo del tavolo e ci chiudemmo nel nostro mondo, fatto di musica e di
quel
nostro linguaggio dove il mio povero e stentato finlandese si univa con
il suo
vocabolario inglese ancora ridotto; non avemmo mai tuttavia bisogno di
un
intervento esterno: con qualche gesto e sorriso, fummo sempre in grado
di
capirci, dimentiche degli sguardi meravigliati di Ville e dei suoi
genitori, i
quali non erano stati invitati nel nostro salottino privato.
Ora
che le pagine del libro
terminarono, io ed Olivia eravamo già diventate ottime
amiche: imbarazzo e
timidezza erano ormai scomparsi, e il sorriso illuminava
incessantemente il suo
volto.
“Posso
toccare i tuoi
capelli? Sono così belli” mi interrogò,
sbattendo le ciglia.
“Ma
certo” le assicurai,
alzando le spalle. La invitai a sedersi sulle mie ginocchia, e lei non
si fece
pregare.
Un’altra
rivale per la mia
parrucchiera preferita, pensai, mentre le dita sottili di Olivia
passavano tra
i miei capelli.
“Le
piaci davvero tanto
sai?” mi confidò Manna “Di solito non si
comporta in questo modo con le persone
che non conosce”
“Sono
davvero felice”
sorrisi, accarezzando la schiena della bambina, mentre questa era
impegnatissima a legare i miei capelli in due trecce, simili alle sue.
Le ore
passarono veloci,
quasi fossero minuti, mentre chiacchieravo insieme a Ville e ai suoi
amici, e
la piccola Olivia si teneva occupata con i miei capelli, fino a quando,
stanca,
si addormentò tra le mie braccia, ancora con il sorriso
sulle labbra.
“Se
vuoi la prendo io” si
fece subito avanti Manna “Probabilmente ti pesa”
“No
affatto” scossi la
testa “Non mi pesa affatto. Se non ti da fastidio, mi
piacerebbe tenerla ancora
un po’”
“Certo”
esclamò lei,
risistemandosi comodamente sulla sua sedia “Credo proprio che
abbiamo trovato
una fantastica babysitter”
“Quando
volete!”
Mi
sentivo felice e davvero
a casa. Anche se ogni volta che incrociavo lo sguardo di Linde,
sembrava che la
magia si spezzasse. Mi diedi più volte della paranoica, ma
non riuscii mai a
cacciare quella strana sensazione.
Quando
la serata sembrava
ormai agli sgoccioli, arrivarono Burton e Luisa.
Li
accogliemmo con un
sorriso, accorgendoci però subito che la coppia era
visibilmente agitata:
Burton non riusciva quasi a stare seduto, Luisa attorcigliava in modo
scomposto
la corda della sua borsetta, ancora e ancora.
“Ragazzi,
tutto bene?”
domandò Manna alla fine, dando voce alla preoccupazione di
tutti i presenti.
I due
si guardarono a lungo
negli occhi, poi entrambi annuirono, mentre noi altri attendevamo
confusi.
Burton
si avvicino alla
sedia della moglie e, posatele le mani sulle spalle, si
schiarì la voce:
“Beh…ehm, c’era qualcosa che volevamo
dirvi. Cioè, in realtà avremmo voluto
dirvelo ieri sera, ma abbiamo sbagliato, avevamo invitato
così tanta gente
e…alla fine non ce la siamo sentita”
Fece
una lunga pausa,
posando il suo sguardo assorto su ognuno di noi, probabilmente senza
neanche
vederci.
Dato
che non dava segni di
voler andare avanti, Ville, con il suo solito tatto lo riscosse
bruscamente:
“Beh?” domandò, impaziente.
Il
tastierista parve
svegliarsi finalmente dalla sua trance e, dopo aver dato una stretta
più forte
alla mano di Luisa, che era scivolata a coprire la sua,
mormorò: “Aspettiamo un
bambino”
“Ma
è stupendo!” gridò
Manna, saltando al collo di entrambi.
Così
quella sera si
trasformò in una notte da ricordare e fu la consapevolezza
di farne in qualche
modo parte, quando Luisa mi abbracciò stretta stretta, che
mi fece commuovere.
***
“Non
posso crederci, hai
anche la lacrima facile” mi prese in giro Ville, quando fummo
soli, mentre mi
accompagnava al taxi che mi avrebbe riportato all’hotel.
“Taci”
gli feci la
linguaccia “Anche tu avevi gli occhi lucidi”
“Non
è assolutamente vero”
si schermì, scuotendo la testa.
Sbuffai,
ricordandomi che
la sua testardaggine era solo pari alla mia e che quindi non avrei
cavato un
ragno dal buco.
“Comunque
sia è stata una
serata splendida!”
Ville
sorrise, prendendo la
mia mano “Ti piace la piccola Olivia, eh?”
“E’
semplicemente
fantastica”
“Eravate
davvero bellissime
insieme” notò, accarezzandomi una guancia
“Ma come fai?”
Inarcai
le sopracciglia,
confusa dalla domanda.
“Ad incantare
sempre il mio cuore, con ogni
gesto, ogni azione, anche la più semplice”
sussurrò, accostando il suo viso al
mio, così tanto che la punta del suo naso sfiorava la mia.
“E’
il tuo mondo ad essere
magico” bisbigliai di rimando, prima che le sue labbra si
posassero sulle mie.
Note:
¹
Setä Ville
= zio Ville
² Hei kirppu = ciao pulce
³
Minä en ole
kirppu - Minä olen isoksi = non sono una
pulce, sono
diventata grande
Ymmärtän - Mutta sinä aina olet minun
kirppuni = capisco – ma
sarai sempre la mia pulce
Tule =
vieni
________________________________________________________________________________
Ancora un giorno di
libertà per me T.T e poi si torna a
scuolina! MA che barba!
Comunque ecco qui il nuovo
aggiornamentt!
Questa storia è agli
sgoccioli (finalmente vero? xD) ma
ancora qualche capitolino esiste!
Fatemi sapereeee!
Kiitos a chi a letto lo scorso
capitolo e soprattutto a chi
ha commentato ^^
@Queenrock: Uhhh me è
felicissima di saperlo *-* grazieee!
Troppo generosa! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! Bacini
@Puz: Mia adorata amorina! Adesso tu
stai facendo l’esame di
spagnolo probabilmente, mentre mossi è un po’
agitata per il tatuagginooo xD Comunque,
grazie Pux *-* Questo capitolo
doveva essere di riempitivo e invece poi vi è piaciuto
così tanto *-* Mossi è
super felice e ti ama troppo!
@Crist: oohh cara! Mi sei mancata un
sacco! *-* Sono
contenta che tu sia tornata! Grazie davvero! Grazie grazie grazie! Alla
prossima! Baciiii
La vostra
FallenAngel aka Mossiii
|
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Capitolo 28 *** All the troubles and fears ***
Chapter 27
All
the Troubles and Fears
You
can’t forget. Not this time
21
Maggio
“Benchè
le tue
crudeli sopracciglia
Ti
diano un’aria strana
Che
non è certo
angelica,
O strega dai begli occhi
seducenti,
Ti
adoro, o mia
frivola
Mia tremenda passione!
Con
l’ardore
Del
prete per il suo
idolo.
Il
deserto gonfia di
odori le tue trecce ruvide
E
insieme le profuma
di bosco,
Il
capo ti si atteggia
Enigmatico
e segreto.
Volteggia,
come
intorno a un incensiere,
sulla
tua carne il
profumo;
Mi
affascini come la
sera
O
ninfa tenebrosa e
calda.
Ah!
I filtri più
potenti
Nulla
sono al
confronto della tua indolenza,
E
tu bene conosci la
carezza
Con
la quale rivivere
fai i morti!
Dei
tuoi seni e del
dorso
Innamorate
son le tue
anche,
E
affascini i cuscini
Con
le tue pose
languide.
Talvolta,
per placare
Una
rabbia
misteriosa,
Con
serietà dispensi
Il
morso e il bacio;
Tu
mi strazi, o mia
bruna,
Col
tuo malizioso
riso,
E
mi posi poi sul
cuore,
L’occhio
tuo dolce,
come la luna.
Sotto
le scarpe tue
di raso,
Sotto
i tuoi serici
piedi affascinanti,
Depongo
la mia grande
gioia,
Genio
e destino,
E
quest’anima da te
guarita,
Da
te, colore e luce!
Scoppio
di fiamme
Nella
buia mia
Siberia.” ¹
Buongiorno,
Ville
Ripiegai
con cura il foglio, e lo riposi nel
cassetto insieme agli altri biglietti che avevo raccolto in quei giorni.
Aprire
gli occhi e ritrovare sul cuscino anche
poche righe scritte di suo pugno era sempre un dolce risveglio. Doveva
smetterla però, o mi sarei abituata troppo bene.
Lasciai
l’attico dell’albergo, raggiungendo la mia
piccola e modesta cameretta al terzo piano.
Arianna
era già uscita, così trovai il bagno tutto
per me. Mi preparai con calma, accendendo lo stereo e cantando insieme
a Gerard
Way sulle note di ‘The Sharpest Lives’.
Presi
il cellulare per chiamare la mia best e
chiederle dove si trovasse per raggiungerla, ma non feci a tempo a
digitare la
A del suo nome nella rubrica che lei mi precedette.
La
telepatia era proprio una gran bella cosa. Anche
se faceva paura a volte.
“Hey
bellissima!” la salutai solare.
“Eli”
esordì, con un tono di voce davvero strano
“Dove sei?”
“In
albergo” risposi senza capire, corrugando la
fronte.
“E
non sei ancora uscita?” mi interrogò concitata
“Non hai incontrato o parlato con nessuno?”
“Ehm,
no” dissi, tenendo il telefono tra l’orecchio
e la spalla, mentre infilavo le scarpe “Stavo proprio per
chiamarti per
chiederti dov’eri e venire. Ma perché? Che
diavol…?”
Ma non
mi lasciò finire nemmeno la frase. Dopo un
profondo sospiro di sollievo mi ordinò: “Ah bene.
Allora vieni subito al solito
bar. Ti dobbiamo dire una cosa. Ma mi raccomando vieni qui di filata e
cerca di
non parlare con nessuno, per favore”
“Ari
ma stai bene?” sbottai, avendo assolutamente
perso il filo del discorso.
“Sì,
sì” tagliò corto risoluta “Tu
fallo e basta,
okay? Fidati”
Poi
chiuse la conversazione, lasciandomi su quel
letto con un punto di domanda gigante sulla testa.
Uscii
dalla mi stanza e presi l’ascensore. Era una
mia impressione o il ragazzo che era con me mi stava guardando con
troppa
attenzione? Alzai il capo di scatto e lui, colto in flagrante, si
girò
immediatamente nella direzione opposta.
Ridacchiai
sotto i baffi, stupita da quel
comportamento tanto evidente.
Quella
bizzarra sensazione però non mi abbandonò
per tutto il tragitto verso il cafè. Ero di certo diventata
paranoica, ma
sembrava che in ogni vicolo in cui passassi qualche persona mi
lanciasse
occhiate oblique o soltanto curiose.
Ferma
ad un semaforo, controllai di avere due
scarpe, dello stesso colore possibilmente, un paio di pantaloni, una
maglietta,
la mia giacca di pelle: era tutto lì, al suo posto e non mi
sembrava di vedere
macchie o scritte strane. Misi una mano tra i capelli e sopra la testa,
per
accertarmi che anche ai piani alti fosse tutto come doveva essere:
apparentemente, nulla di strano.
Voltando
il capo per controllare il semaforo, mi
accorsi di una ragazzina di forse 13 anni, che mi fissava con uno
sguardo di
puro odio. E non c’erano santi: stava fissando proprio me,
senza pudore.
Iniziando
a sentirmi un tantino a disagio, scappai
letteralmente dall’altra parte della strada non appena il
semaforo si fece
verde.
Stavo
cercando ancora di figurarmi una possibile
ragione per quello strano comportamento, quando, passando davanti ad un
Kioski,
capii: feci un salto all’indietro, la circolazione sanguigna
bloccata e il
cuore in gola, mentre i miei occhi increduli si posavano sulla prima
pagina
dell’ Iltalehti.
Chiusi
gli occhi, pregando che fosse solo
un’allucinazione causata dal mio stomaco ancora desolatamente
vuoto: ma quando
li riaprii non era, ahimè, cambiato proprio nulla.
Perché
sulla prima pagina del quotidiano erano
state messe in mostra due foto, che riportavano i medesimi soggetti:
Ville
e…me.
La
prima era stata scattata la sera precedente
durante la nostra esibizione al Midnight Wish e fin lì non
c’era nulla di così
terribile, se si escludeva la mia faccia da pesce lesso mentre cantavo.
Ma la
seconda, la più grande e più evidente, era stata
fatta a tradimento qualche ora
dopo, all’uscita del locale, mentre io e Ville credevamo di
essere soli,
impegnati in quello che non sarebbe mai potuto passare per un innocente
bacio
tra amici.
Presi
in mano il giornale e lo sfogliai con mani
tremanti, scoprendo che all’interno le sorprese non erano
finite. Rimisi a
posto il giornale, cercai nella borsa gli occhiali da sole e,
nonostante il
cielo quel giorno fosse piuttosto nuvoloso, mi catapultai
così conciata verso
il luogo dell’appuntamento.
“Temo
che sappia già qualcosa” intuì Kat,
vedendo
il mio volto sconvolto, non appena mi avvicinai al tavolo dove lei e
Arianna
aspettavano impazienti il mio arrivo.
Mi
lasciai cadere sulla sedia, senza salutare. Con
calma artificiale spostai gli occhiali sopra la testa e fissai la
tazzina di caffè
di Arianna con molto, troppo interesse.
Trascorse
forse un minuto; le mie amiche
attendevano in silenzio una qualunque reazione, che non
tardò ad arrivare.
Scoppiai, nascondendo il viso tra le mani: “Che
disastro!”
“Beh,
direi che sa già tutto” puntualizzò la
rossa,
posando una mano sulla mia spalla e tirando fuori quel maledetto
quotidiano.
“Oh
sì” mormorai, sbirciando l’insieme di
fogli di
carta con una smorfia “Perché?”
domandai, a nessuno in particolare.
Arianna
non riuscì a trattenere una risata:
“Perché? Beh perché
c’è qualcuno qui che non riesce a controllare i
suoi
ormoni”
Davanti
alla mia espressione disperata, si rimangiò
subito tutto: “Lo sai come sono i giornalisti,
darlin’. Sempre a caccia di
nuovi scoop, non guardano in faccia nessuno. L’importante
è fare notizia”
“Ma
l’ Iltalehti non è un giornale
scandalistico!”
mi lamentai “E’ un quotidiano, letto da migliaia di
persone oltretutto. Non
dovrebbe trattare di argomenti un po’ più
importanti?”
Kat mi
rivolse un sorriso comprensivo: “Normalmente
avresti ragione. Ma non stiamo parlando di una persona qualsiasi. Lui
è Ville
Valo, e la stampa è attenta ad ogni sua mossa. E’
da quando si è lasciato con
Jonna che tutti aspettano impazientemente una nuova
fiamma…”
Alzai
gli occhi al cielo, sbuffando: “Voglio
morire”
“Dai
non prenderla così male. Tanto prima o poi
sarebbe venuto fuori” cercarono di consolarmi. Ma non
riuscivano a capire.
Avevamo deciso che doveva restare una cosa segreta, almeno per un
po’ di tempo
e adesso invece…
“Non
hai idea di come sia là fuori. Un sacco di
gente mi fissava quasi avessi due antenne in testa”
borbottai, sollevando
quello stupido giornale e squadrandolo nel modo peggiore che
conoscessi, forse
sperando che si rimangiasse tutto “Ma non è
neanche questo quello che mi fa
veramente arrabbiare: è per Ville. Come si fa adesso? Non lo
lasceranno più in
pace”
“Se
la caverà” mi assicurò Arianna,
costringendomi
a guardarla.
“Mh”
mugugnai, per niente convinta “Potresti
leggermi cosa hanno scritto?” domandai poi, rivolta alla mia
amica finnica.
Kat
prese il giornale dalle mie mani, e iniziò a
tradurre: “Già da diversi giorni si vociferava che
Ville Valo, frontman degli
HIM, avesse finalmente trovato una nuova compagna che curasse il suo
cuore
ancora ferito, dopo la rottura con la nota modella e vj Jonna Njgren. E
ieri
sera le dicerie si sono trasformate in certezza, quando il nostro
inviato ha
sorpreso il cantante e la ragazza in questione in atteggiamenti
compromettenti
all’uscita del famoso locale alternativo, perla nera di
Helsinki, il Midnight
Wish. I due avevano passato insieme la serata, dopo aver cantato
davanti al
pubblico del locale un brano della band di Valo. Siamo venuti a sapere
che non
era la prima volta che i due si esibivano insieme su quello stesso
palco e sembra
che la loro intesa sia anche musicale, dopotutto”
Storsi
il naso, chiedendomi chi mai avesse potuto
scrivere un articolo simile.
“Ma
veniamo alla domanda che tutti si stanno
ponendo: chi è questa misteriosa ragazza, dalla pelle
pallida e i capelli corvini,
che sembra uscita direttamente da una delle fantasia del nostro
tenebroso
poeta?”
“Che
cosa?” non riuscii a trattenermi dal
gracchiare, gli occhi fuori dalle orbite “Ma chi diavolo ha
scritto questo
articolo?”
“E’
di Iikka Partanen. E’ un pescecane” mi
spiegò
Kat, scuotendo la testa “E’ forse il giornalista
più velenoso dell’Iltelehta,
ma anche uno dei più seguiti”
“Okay,
okay, vai avanti” la pregai, cercando di
calmarmi.
“Il
suo nome è Elisa Bonizzi e come avrete intuito
dal nome, non è una nostra concittadina: l’Italia
è il suo paese d’origine e
non abbiamo ancora scoperto per quali ragioni sia qui ad Helsinki.
E’ la
barista del già sopra citato locale, ed è
probabile che i due si siano
conosciuti proprio al Midnight Wish…”
“Scherzavo,
è abbastanza” mi corressi, non
riuscendo più a sopportare quella lenta agonia.
“Direi
che la parte terribile è finita” mi
tranquillizzò Kat “Poi parla soprattutto di
Ville”
“Non
c’è nulla sulla mia età?”
chiesi, sull’orlo
del terrore.
Ma
fortunatamente quel tasto non era stato toccato,
anche se sapevo che sarebbe stata solo questione di tempo.
“Bene,
adesso sono diventata la migliore amica di
una vip” si vantò Arianna, cercando di risollevare
il mio umore.
“Non
dire stupidaggini” la sgridai ridendo mio
malgrado davanti alla sua espressione orgogliosa, mentre mi alzavo in
piedi.
Lei mi
superò, approfittando del fatto che la mia
giacca si era impigliata alla sedia e sembrava volerci restare per
sempre.
“Dai
vieni, Ragazza di Ville Valo!” mi chiamò,
quasi vicina alla porta del cafè.
“Non
chiamarmi così!” brontolai, tirandole uno
scappellotto sulla testa.
“Ah
no scusa, hai ragione” si corresse, alzando gli
occhi al cielo “Fantasia del nostro tenebroso
poeta” recitò le stupide parole
del giornalista, stringendo le labbra come un pesce.
“Ah-ah”
***
Mentre
ci dirigevamo al lavoro, fatto un profondo
sospiro per darmi coraggio, presi il cellulare e avviai una chiamata.
“Hei
wildcat” mi rispose quella voce profonda e, a
differenza di quanto mi sarei aspettata, decisamente tranquilla.
“Hei”
“Cosa
è successo?” chiese allarmato, riconoscendo
subito nella mio tono una nota sbagliata.
Inarcai
le sopracciglia: “Come, non hai visto i
giornali?” replicai, con un'altra domanda.
“Ah,
quello” borbottò “Sì,
sì, gli ho visti”
“E
non sei arrabbiato, spaventato, qualcosa
insomma?” continuai incredula, non riuscendo proprio a capire
come potesse
prendere la cosa così alla leggera.
Ville
rise dall’altra parte della cornetta:
“Sì
certo che lo sono, ma non ci posso fare proprio nulla. Ormai ci sono
abituato.
Mi dispiace che sia stata coinvolta anche tu però”
“E
i nostri piani? La segretezza e tutto il resto?
E’ andato tutto a rotoli” sospirai.
“Non
ti preoccupare di questo. Tanto sarebbe stata
questione di tempo” ripetè quella cantilena che
per me non aveva nessun
significato.
“Non
è poi così grave. Dovrai farci
l’abitudine, a
meno che tu non abbia già deciso di mollarmi”
“Che
stupido che sei” ribattei, cercando di non
ridere.
“Ah,
allora ho capito qual è il problema!”
esclamò
allora “Non ti piace come sei venuta nelle foto. Mh, beh in
effetti questa non
è certo la tua angolatura migliore, il tuo lato dal pesce
è molto evidente…”
“Hai
finito?” mi spazientii, cosa che lo fece
soltanto ridere più forte.
“Forse.
Devo andare adesso, ti richiamo tra un po’,
okay?”
“Sì”
“Allora
a dopo. E smettila di preoccuparti, non è
successo nulla di grave”
***
Eppure,
come avevo temuto, non tutti la pensavano
esattamente come Ville.
Non
appena la notizia cominciò a circolare
all’interno dell’entourage, i problemi spuntarono
come ciliegie. Soprattutto
quando Seppo venne a sapere che la nuova compagna del suo frontman era
ancora
minorenne.
Nonostante
avesse cercato di nascondermelo in tutti
i modi, venni a sapere che Ville aveva finito per litigare con il suo
manager e
altra gente che non era per niente d’accordo sul fatto che la
situazione fosse
soltanto affar suo.
Nemmeno
nei suoi compagni, per quanto mi volessero
bene, riuscì a trovare un vero appoggio. Aveva mentito, o
omesso la verità:
faceva poca differenza.
“Sapevo
che questa storia non avrebbe portato nulla
di buono” scagliai un sasso, contro il mare, frustrata
“E’ tutta colpa mia”
“No,
non è vero” mi fermò Ville,
trattenendomi il
braccio “Sono loro che dovrebbero farsi gli affari
propri” affermò, irato.
“Ti
sto incasinando la vita!” dissi, liberandomi
dalla presa e alzandomi in piedi “Ti ho fatto litigare anche
con i tuoi amici”
“Ti
ho detto che non è colpa tua” mi
ricordò,
scattando velocemente al mio fianco, e afferrandomi per le spalle
“Ho un
cervello? Posso decidere io cosa voglio fare?” mi
domandò, con calma ma con
fermezza.
Annuii,
abbracciandolo: “E’ solo che non voglio
causare altri problemi” sospirai “Sembra la cosa
che mi riesce meglio”
Lui mi
strinse forte, baciandomi la fronte
dolcemente: “Basta, non ci pensare, riusciremo a risolvere
tutto. E non ti
preoccupare per i ragazzi: sono sicuro che gli sarà
già passata. Domani sera
siamo stati invitati ad una cena di beneficenza e dobbiamo suonare uno
o due
pezzi: sarà già tutto a posto”
Mi
lasciai cullare nel suo abbraccio, perdendomi in
quelle che, speravo ardentemente, non si sarebbero rivelate soltanto
parole al
vento.
“Vieni”
mi bisbigliò ad un tratto, prendendomi per
mano “Voglio mostrarti una cosa”
Lo
seguii, risalendo insieme a lui il parco sopra la
scogliera. Camminammo per qualche minuto, fino a fermarci quasi sulla
cima di
una collinetta, davanti ad una vecchia costruzione.
Voltandosi
indietro, si riusciva a sfiorare con lo
sguardo miglia e miglia di acqua salata e, poco lontano, Suomenlinna e
le altre
isolette, mentre il vento suonava tra i rami degli alberi la sua antica
e mai
superata melodia.
Ville
si sedette per terra, invitandomi a fare lo
stesso.
“La
senti?” sussurrò, chiudendo gli occhi
“E’
Helsinki a parlarti”
Sorrisi,
imitandolo e ascoltando attentamente,
lasciando scivolare via, come un velo, ogni paura e preoccupazione.
“Un
giorno ho passato un’intera giornata
quassù” mi
confidò “Ad ascoltare il mare, il vento, a
guardare il sole nascere e morire e
la luna prendere il suo posto. Poi sai cos’è
successo?”
“Dimmelo”
lo spronai, voltandomi a fissarlo.
“Ho
visto una stella cadente; e in quel momento ho
capito” fece una piccola pausa, inspirando a pieni polmoni
l’aria salmastra “Ho
capito che tutto muore, ma non deve essere per forza una cosa triste.
Quando
cade una stella le persone esprimono un desiderio, ripongono in essa i
loro
sogni più reconditi, sono felici. Perché con la
morte delle persone non
dovrebbe essere la stessa cosa?”
Corrugai
la fronte, mordendomi un labbro per non
ridere: “Ma non è proprio la stessa
cosa…”
“Perché?”
mi domandò direttamente “Alla mia morte
non vorrei che le persone fossero tristi, vorrei che esprimessero un
desiderio,
come per una stella cadente. E per ogni
cosa che finisce, bisognerebbe esprimere un desiderio”
Era di
sicuro un ragionamento un po’ strano, ma mi
piacque ugualmente.
“Forse
hai ragione” concordai, appoggiandomi alla
sua spalla.
“Subito
dopo è venuta la mia canzone” continuò,
insinuando una mano sotto al mio braccio e avvolgendo la mia vita.
“Quale
canzone?” chiesi curiosa, accoccolandomi
meglio contro di lui.
Ville
si schiarì la voce e poi cominciò a cantare,
sussurrando quelle parole tanto note al mio orecchio:
“She was the sun,
shining upon, the tomb of your hopes and dreams, so frail”
Mentre
già mi perdevo nella melodia, il cantante si
interruppe; voltai il capo e incontrai il suo ambiguo sorriso.
“He was the
moon, painting you, with its gloom so vulnerable and
pale”
continuai, sfiorando il suo profilo, quasi le mie dita fossero state un
pennello
su una tela bianca.
“Love’s the funeral of hearts, and an
ode for cruelty,
when
angels cry blood on flowers
of evil in bloom.
The funeral of hearts, and a plea for mercy,
when
love is a gun, separating me
from you”
Le
parole rimbalzavano nell’aria, confondendosi con il vento e
lo stormire delle
fronde. Allungai una mano per afferrarle, come se fossero state
lucciole, ma
erano già fuggite via.
“She was the wind,
carrying in. all the troubles and fears. been for years, trying to
forget”
“He was
the fire, restless and
wild, and you were like a moth, to that flame”
“The heretics seal beyond divine, a
prayer to a God who’s deaf and
blind,
the
last rites for souls on fire,
three little words and a question, why?”
“E
quali sono le tre parole?” chiesi alla fine, cercando una
risposta da tempo
bramata.
“E’
un segreto” bisbigliò, solleticandomi il collo
“Chiedi al vento e forse ti
risponderà”
Note:
¹
Charles Baudelaire, Chanson d’après-midi,
Le fleurs du Mal
___________________________________________________________________________________________________
Che faticaccia aggiornare xD odiooo
la scuola ! Alla
faccia dell’ultimo anno e della maturità. Alla
maturità non ci arrivo di sicuro
se si continua così xD
Comunque qualche problemino in questo
capitolo eh? xD Il
mondo di Elisa e Ville non è sempre rose e fiori…
Questo capitolo è
stranamente corto per i miei standard,
spero apprezzerete comunque hihihi
Fatemi sapere^^
Un ringraziamento alle mie lettrici e
soprattutto a:
@Sweetie: ma nun preoccupe pulcetta!
Mi dispiace che te li
eri persi! Beh adesso sei bella in pari xD Grazie mille tesoro, i tuoi
commenti
mi fanno sempre tanto piacere *-* Bacini
@Crist: io ne sono innamorata xD
Anche se quello era il lato
perfetto..adesso iniziano ad uscire le magagne xD ehh si, il prossimo
è l’ultimo
più l’epilogo! Mamma mia questa storia
è stata un parto infinito! Non vedo l’ora
di leggere la tua fic! Grazie millissimeeeee, alla prossima! Baciniii
@Malaena: *.* Ma ciaaaaaaaaao! Ma sei
tornata! Mi sei
mancata un sacco sai? Proprio poco tempo fa sono passata dal tuo blog
per
vedere se eri tornata, e volevo lasciare un commentino ma poi non
sapevo se
avresti capito chi ero xD Grazie mille per i mai monotoni e non
meritati
complimenti xD Spero che tornerai presto ad aggiornare anche la tua
storia! Baciii
@Queenrock: sono davvero felice di
saperlo ** spero che
anche questo chap non ti abbia deluso! Kissesss
Alla prossima! (se sopravvivo
ahahhaha)
LA vostra
FallenAngel aka Mossi
|
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Capitolo 29 *** Crash ***
Chapter
28
Crash
And,
finally, the end
22
Maggio
Contrariamente
ad ogni mia aspettativa, il giorno
successivo sembrò assecondare ogni previsione fatta da
Ville. Tanto da farmi
riflettere sul fatto che, forse, il nomignolo di pessimista cronica,
riferito
alla mia persona, non era poi lontano dal vero.
Tutto
cominciò quel mattino: mentre io e Arianna
preparavamo i tavoli per il pranzo nel ristorante dove lavoravamo come
cameriere, fui richiamata dalla direttrice di sala
nell’ingresso.
Intento
a sbirciare i pesci multicolori di un
acquario, trovai il chitarrista degli HIM.
“Linde?”
esclamai sorpresa.
Lui si
voltò, posando lo sguardo prima sul mio viso
e poi, subito dopo, sulle forchette che ancora impugnavo.
“Hai
deciso di pugnalarmi?” ridacchiò, alzando un
sopracciglio.
“Cosa?”
mi accorsi che il modo in cui tenevo le
posate non era proprio raccomandabile “Oh, no, che stai
dicendo” borbottai
imbarazzata, lasciandole cadere nella tasca del grembiule.
“By the way, cosa
diavolo ci fai qui?”
Lui
non riuscì a trattenere un altro sorriso
divertito.
“Ehm
cioè, volevo dire, come mai da queste parti?”
Volevo sprofondare.
“Ti
ho portato questo” mi spiegò, porgendomi un
pezzo di carta plastificata.
Lo
presi, titubante, e lo osservai curiosa: si
trattava di un invito. L’invito per la festa di beneficenza
di quella sera.
“Come
lo hai avuto?”
Lui
alzò le spalle: “Che importanza ha?”
Mi
morsi la lingua, sorridendo: “Nessuna, immagino”
“Vuoi
venire?” mi interrogò, facendo una faccia
buffa.
Ci
pensai qualche istante: non ero sicura di voler
affrontare tutte quelle persone. Non sarebbe stata più la
stessa cosa, adesso
che si sapeva tutto di me e Ville. D’altra parte era forse
egoistico lasciarlo
far fronte a tutto, ancora una volta, da solo.
“Sì”
assicurai infine, stringendo più forte il
biglietto “Grazie”
Lui si
sfiorò la visiera del cappello, in atto di
saluto: “A stasera”.
***
La
festa era stata organizzata in un antico palazzo
dell’inizio del secolo. Attraversai lentamente
l’ingresso, seguendo alcuni
invitati che si dirigevano al piano superiore. Percorsi una lunga
scalinata,
lasciando scivolare le dita su un liscio corrimano dipinto
d’oro. All’entrata
della sala principale sollevai il capo, con un sospiro: i soffitti,
altissimi
erano decorati con stucchi e affreschi; angeli dalle lunghe ali
posavano i loro
occhi stanchi su donne e uomini elegantemente vestiti.
Mi
domandai quanti ricevimenti avessero visto
quegli angeli, quali balli, quali abiti, quali intrighi, quali segreti.
Sorrisi
della mia fantasia troppo fervida e passai
oltre.
Mi
confusi nella folla, incrociando curiosi
sguardi, fuggendo volti sconosciuti.
Mentre
giravo in tondo, guardandomi intorno senza
posa, urtai accidentalmente qualcuno. E persi quella stupida borsetta
che
avevano insistito che portassi come accompagnamento al mio abito.
“Mi
dispiace” mi scusai, alzando una mano alla
fronte.
“No,
scusami tu” replicò lo sconosciuto, chinatosi
rapidamente ai miei piedi. Mi porse la borsetta con un sorriso, ed io
rimasi a
lungo a fissare i suoi lunghi e bellissimi capelli biondi.
“Ti
sei persa?” domandò, notando il mio
spaesamento.
“Ehm…in
un certo senso” biascicai, grattandomi il
collo “Non riesco a trovare delle persone”
“Beh
in questa folla è più che normale”
notò. Lo
guardai meglio in faccia, e mi accorsi che aveva un naso davvero
strano. Mi
resi anche conto che quel viso non mi era estraneo…
“Se
vuoi posso accompagnarti al tavolo del buffet.
Li è più facile trovare qualcuno”
ridacchiò, allungando un braccio come per
indicarmi la strada.
“Grazie”
gli sorrisi, lasciandomi guidare.
Fu in
quel momento che intravidi Manna e Luisa,
sedute ad un tavolino.
“Ho
appena visto la mia ancora di salvezza” lo
informai, fermandomi e sfiorandogli il braccio.
“Benissimo”
accolse la notizia con un altro mezzo
sorriso “Allora il mio compito si è concluso. Ora
devo fuggire, oh donzella in
difficoltà. Alla prossima” e con un profondo
inchino si dileguò tra la folla.
Raggiunsi
le due donne, che all’inizio quasi non mi
riconobbero. Il lungo abito di raso blu, lungo fino alle caviglie, che
mi era
stato prestato da Katriina, non era di certo molto da me.
Così
come quegli stupidi tacchi che non potevo
sopportare, e i capelli legati stretti in uno chignon sopra la testa.
“Olivia
ti avrebbe scambiata per una principessa”
mi rivelò Manna “Anche se non avrebbe visto di
buon occhio i tuoi capelli
imprigionati in quel modo”
Insieme
attendemmo che i diversi gruppi che erano
stati invitati si esibissero su un piccolo palco che era stato montato
per
l’occasione e che forse stonava un pochino con il resto del
palazzo.
Gli
HIM suonarono per terzi, subito dopo gli
Apocalyptica. Mi diedi mentalmente dieci mila volte della stupida,
quando
riconobbi tra i tre violoncellisti il mio salvatore.
Era
strano vedere Ville vestito in giacca e
cravatta. Uno spettacolo davvero buffo. Dopotutto, non sembravo essere
l’unica
persona non proprio a suo agio quella sera.
Mi
tenni nascosta il più possibile, sebbene fossi
sicura che Ville non avrebbe mai alzato tanto gli occhi sulla folla,
per
evitare di esserne distratto. Cantò Wicked Game, e subito
dopo The funeral of hearts.
Mi
sentii stringere il cuore quando le sue labbra
si incurvarono in un sorriso, forse mentre ripensava alla sera
precedente.
Pochi
minuti dopo la fine della loro esibizione il
gruppo ci aveva già raggiunto. Tutti gli HIM, meno un
componente.
Incrociai
lo sguardo di Linde, mordendomi la lingua
per non comportarmi come una bambina, ed essere discreta, senza
chiedere
immediatamente dove fosse finito.
“Non
sa che sei qui” mi disse il chitarrista,
leggendomi nel pensiero “Voleva essere una sorpresa,
giusto?”
“Oh”
mormorai, piuttosto confusa dalle sue parole
“Credo di sì”
“E’
in una delle stanze nel corridoio dietro il
palco” mi informò “La quarta porta a
destra, non ti puoi sbagliare. E’ la
stanza che ci hanno dato per prepararci, e per gli strumenti”
Un
sorriso affiorò immediatamente sulle mie labbra:
“Allora vado…” sussurrai, incerta, non
sapendo bene se mi fosse permesso.
Lui
annuì, ricambiando il sorriso.
Ero
troppo felice per potermi accorgere di quella
strana tempesta che invadeva i suoi occhi di solito così
calmi.
Ero
troppo lontana con la mente per potermi
accorgere di una parola che uscì leggera dalle sue labbra,
così flebile da
poter essere percepita solo da un ascoltatore davvero attento.
“Scusa”
***
Camminai
svelta, quasi dimentica del male ai piedi
e di quelle stupide macchine da tortura che indossavo.
Quando
giunsi nel corridoio deserto mi misi a
correre, proprio come una bambina.
La
porta era chiusa, ma non a chiave. Mi bastò
abbassare la maniglia, e sospingerla lentamente, perché la
stanza mi fosse
accessibile.
Ma non
misi mai piede in quella stanza.
Ricordo
bene la sensazione che provai quella sera,
ricordo tutto come se fosse ora. Fu come se d’un tratto il
grande gigante
Atlante avesse deciso che la sua pena fosse finalmente finita e, senza
avvertirmi, avesse abbandonato il fardello del cielo, lasciando che
questo
crollasse sopra di me, con tutto il suo peso, con tutto il suo dolore.
Quando
posai i miei occhi sul volto di Ville, non
fu la gelosia a trafiggermi, a farmi ribollire il sangue nelle vene per
la
rabbia. Fu la consapevolezza di averlo perduto per sempre a congelare
ogni mio
impulso.
Un’unica
voce gridava nella mia testa, riempiendo
la scatola cranica, risuonando in ogni fibra del mio corpo:
‘Ecco, è arrivato
il momento. Svegliati. Il sogno è finito’
Ci
sono cose che sappiamo di sapere, ma non
sappiamo spiegare il perché.
Io
sapevo che quella donna dai lunghi capelli
castani, accesi di fuoco dalla luce artificiale di una lampadario
troppo forte,
che premeva la sua bocca su quella di Ville, stringendo il suo volto
tra le
mani tremanti, non era una donna qualunque.
Fu per
questo che non mi misi ad urlare, non entrai
scalciando nella stanza, magari scagliando contro il muro il primo
oggetto
capitato a tiro. Fu per questo che non corsi da lui, gridandogli in
faccia la
mia ira per le promesse infrante, per le bugie sussurrate in un
abbraccio.
Sapevo
che era lei. Lo sentivo, sebbene non
l’avessi mai incontrata, sebbene non l’avessi mai
vista.
Lei.
Il mio più grande timore. L’unica, contro cui
non avrei mai potuto competere. Era tornata.
Come
un flash, ripassò davanti ai miei occhi il
ricordo dello sguardo del cantante, perso oltre l’orizzonte.
“E’
una
questione chiusa comunque. L’oceano ha infisso
l’ultima barriera”
“L’oceano
non
è un ostacolo invalicabile”
Come
al solito, il destino aveva scelto il momento
più appropriato per darmi ragione.
Volevo
andarmene, sapevo che dovevo andarmene.
Ma non
riuscivo a staccare gli occhi dal suo volto,
quasi avessi voluto ricordarne ogni tratto. Conservare
un’ultima memoria, prima
che il sogno sfuggisse via, per sempre.
Stetti
troppo a lungo.
La
borsetta, quella dannata borsetta, mi scivolò
tra le dita sudate, cadendo sul pavimento.
Rimasi
impietrita sul posto. Ville voltò il capo,
all’istante, interrompendo il bacio.
Il mio
sguardo, non volendo, incrociò il suo.
Fu un
secondo, o forse meno. Ma lasciò un marchio
indelebile nel mio cuore.
Raccolsi
da terra la borsetta e corsi via.
Corsi
veloce, più veloce che potevo, noncurante di
tutti quegli occhi che osservavano curiosi e straniti la mia folle fuga.
Prima
di scendere la lunga scalinata di marmo
scalzai le scarpe e, senza quasi vedere, volai sui gradini, spaventata,
terrorizzata che potesse raggiungermi.
Mentre
scendevo, sentii le forcine che tenevano
insieme la mia elaborata acconciatura sfilarsi via, una ad una.
Ero
giunta ormai quasi fuori dall’edificio, quando
una mano afferrò il mio polso. Trasalii, trattenendo il
fiato.
“Hai
perso la scarpetta Cinderella” osservò una
voce. Per mia fortuna, non la voce che mi sarei aspettata.
Mi
voltai, incontrando ancora gli occhi chiari e
questa volta preoccupati di Eicca.
“Ti
prego, lasciami andare” sussurrai, mentre
sentivo già le lacrime combattere contro la mia
volontà per sgorgare libere sul
mio volto.
“Cosa
ti è successo?” domandò, continuando a
tenere
ben salda la presa sul mio braccio, quasi avesse temuto che potessi di
nuovo
perdermi in quella realtà troppo caotica.
“Devo
andare via di qui. Subito” dichiarai con voce
strozzata, implorandolo con lo sguardo di esaudire il mio desiderio.
Lui
lasciò la mia mano, annuendo. Ma prima di
lasciarmi fuggire aggiunse: “C’è un taxi
qui fuori. Puoi usarlo se vuoi”
Senza
riuscire ad esprimere quanto gli fossi grata,
uscii all’aperto, scoprendo che le nuvole di quel pomeriggio
avevano dato vita
ad un tremendo acquazzone.
Appena
salita sulla macchina, intimai al conducente
di partire.
“Ma
dove vuole che la porti?” domandò sconcertato
l’uomo.
Dissi
il primo posto che mi venne in mente, senza
pensarci. Poi chiusi gli occhi, lasciandomi cadere sul sedile, esausta.
***
La
terra era soffice sotto i miei piedi nudi, che
sprofondavano ad ogni passo nel prato bagnato.
Il
cadere incessante della pioggia ovattava ogni
suono, rendeva tutto irreale, come sospeso nel tempo.
Camminavo
lentamente, ascoltando i battiti
irregolari del mio cuore, unico rumore distinto. Unico appiglio alla
realtà.
Una
folata di vento più forte spinse i miei
capelli, sciolti e bagnati, contro il mio volto. Non mi preoccupai di
spostarli. Continuai a procedere senza meta.
Sorpassai
la piccola costruzione sulla collina.
Scivolai sull’erba. Caddi. Mi rialzai.
Una
vecchia altalena, dalle lunghe corde corrose
dal tempo, apparve dal nulla, davanti ai miei occhi appannati.
Dondolai
a lungo, il capo abbandonato contro il
pugno stretto intorno alle corde.
Piangevo,
e i cardini cigolavano. I cardini
cigolavano, ed io piangevo. Fin quando il lamento diventò
uno, mentre la
pioggia intorno a me piano piano cessava, lasciando dietro
sé un intenso
profumo di fango e di muschio.
“Avresti
dovuto scegliere un altro posto, se volevi
davvero fuggirmi”
La sua
voce giunse da così lontano. Da un altro
mondo forse. Per molto tempo credetti di averla solo immaginata.
Ma mi
costrinsi ad aprire gli occhi e lui era lì,
davanti a me. I capelli fradici di pioggia, la cravatta perduta
chissà dove, la
camicia attaccata al petto che si alzava e abbassava veloce.
Era
bellissimo. Come la prima volta che lo avevo
visto.
Tuttavia
adesso sapevo che non sarebbe stato mio.
Mi
alzai in piedi, asciugandomi il viso con le
dita. L’odore del ferro si insinuò nelle mie
radici, stordendomi.
Traballai
qualche istante, ma recuperai presto
l’equilibrio, incamminandomi nella direzione opposta a quella
dalla quale era
arrivato.
“Lasciami
stare” sussurrai fievolmente.
“Aspetta”
mi gridò, parando misi davanti “Lasciami
spiegare…”
Abbassai
il capo, non potendo sopportare la vista
di quegli occhi pieni di sofferenza.
“Lasciami
stare” ripetei, tremando.
“No,
non posso” esalò in un lamento “Ti prego
ascoltami, devo spiegarti…”
Appoggiò
entrambe le sue mani sulle mie braccia e
un alito di vento gelido mi accarezzò la faccia, mentre mi
sentivo mancare. Non
potevo, dovevo essere forte. Almeno per quella volta.
“Lasciami
stare!” questa volta gridai, scoppiando
in un singhiozzo, allontanandomi da lui “Non
c’è nulla che puoi spiegarmi. Quel
che ho visto mi è bastato”
Ville
non demorse. Ad ogni passo che ritraevo, lui
si riavvicinava: “No, devo spiegarti” continuava a
ripetere: ormai era
diventata una cantilena senza senso, il gemito convulso di un folle.
Quando
sentii che il dolore era diventato
insopportabile, allungai le braccia e lo spinsi con forza, obbligandolo
a
fermarsi: “Basta!” gli intimai “Smettila,
ti prego”
Osai
guardare la sua bocca: era muta ora, ma
tremava, incessantemente. Una lacrima scivolò sul suo viso,
troncandomi il
respiro.
No,
non doveva piangere. Non doveva.
Allungai
una mano, incapace di trattenermi, e
asciugai il suo viso: “No, non devi piangere”
mormorai, scuotendo il capo.
Lui
sollevò la sua mano, posandola sulla mia,
aggrappandocisi, spingendola più vicina a sé,
alle sue labbra.
Sapevo
che tutto questo era sbagliato. Ci avrebbe
fatto soltanto più male.
“Io
non volevo ferirti…” singhiozzò,
cercando i
miei occhi.
Ritrassi
le mani, ma con dolcezza: “Lo so”
“Allora
ascoltami”
“Non
è necessario.” Feci una pausa “Non
voglio”
“Perché?”
Avrei
voluto coprirmi le orecchie, fuggire da tutto
quel dolore.
“Perché
sarebbe un’altra bugia” sospirai,
trattenendo a mia volta le lacrime.
Lo
fermai, prima che potesse replicare: “Forse tu
non te ne renderesti nemmeno conto. Ma sarebbero bugie. So che mi vuoi
bene, ma
è giusto che io me ne vada adesso…”
“No”
ribadì testardo.
“Sì
invece!” asserii, con tutta la fermezza di cui
ero capace “Tu non sei per me. E lo sai anche tu”
Mi
girai, biascicando il mio ultimo addio.
“Ti
amo” gridò, quando mi ero allontanata di forse
pochi passi.
Sebbene
la ragione mi ordinasse di proseguire, di
non voltarmi più indietro, non potei ascoltarla.
Mi
fermai, stringendo le dita intorno al mio
vestito, fin quasi a farmi male.
Mi
pugnalò alle spalle, penetrando fino al cuore.
Perché le sue parole, per quell’unica volta, non
furono in inglese.
Sapeva
che un ‘I love you’ non avrebbe significato
nulla. Un ‘I love you’ non avrebbe mai potuto
definire un sentimento. Qual è il
filo sottile che divide affetto e amore? Quel verbo non riusciva a
designarlo.
Pronunciò
quell’unica frase nella mia lingua,
lasciandomi senza parole.
Forse,
se quello fosse stato veramente un sogno, o
una bella favola, mi sarei gettata tra le sue braccia, urlando
‘Anch’io. Per
sempre’. E avrei cercato la sua bocca, ancora e ancora,
godendo del suo abbraccio,
delle sue mani sul mio corpo.
Ma
quella non era una favola. Era la vita reale ed
io non potevo più permettermi di sognare.
Di
credere ad una bugia, che pur dolce, innocente e
inconsapevole, restava sempre una bugia.
“Ti
amo” ripetè, facendosi sempre più
vicino.
Serrai
le palpebre e strinsi i denti per un ultima
volta.
Poi mi
voltai e trovai la forza per guardarlo negli
occhi, con tanta intensità che ne fu quasi sorpreso, tanto
che le parole gli
morirono sulle labbra.
“No.
Non è così. Per quanto mi piacerebbe crederlo,
per quanto lo desideri con tutta me stessa” sorrisi con
malinconia e forse un
po’ di rancore “questa non è la
verità. Ciò che c’è stato
fra noi è finito”
Presi
nel pugno l’heartagram che pendeva dal mio
collo e strappai la catenella con violenza.
“Finito,
Ville, capisci? Per sempre”
Lasciai
cadere la collana ai suoi piedi.
“Esprimi
un
desiderio”
__________________________________________________________________________
No
beh, giusto per dire
quanto sono normale…solo io posso smettere di postare una
storia a due capitoli
dalla fine…
Vabbè
ma tanto avete capito
che non sono normale…
Comunque
eccoci arrivati al
finalone strappalacrime…
Ve
lo aspettavate??’ Volete
uccidermi? Volete riuccidermi (per chi già lo conosce xD)?
Se qualcuno ancora
legge mi faccia sapere ^^
Comunque
manca ancora l’epilogo
xD
Grazie
millissime ai miei
lettori e in particolare a Crist <3
Tornerò
presto! I promise
Baciniiii
FAllenAngel
|
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Capitolo 30 *** I would feel fine, like I always do ***
Epilogue
I
would feel fine, like I always do
And
then I will convince myself, it’s true
24
Maggio
Quella
è stata l’ultima volta che l’ho visto.
Per
mia scelta, certo.
Ho
passato tutta la mattina successiva chiusa nella
mia stanza, seduta sul letto sfatto, con il cuscino stretto in grembo,
a
fissare il muro bianco davanti a me senza nemmeno vederlo.
Mi
sono rifiutata di uscire anche soltanto per
permettere alle addette dell’albergo di pulire la nostra
camera.
Arianna
ha cercato a lungo di scuotermi, mi ha
portato la colazione, mi ha abbracciato in silenzio. Non mi ha chiesto
nulla,
aspettando che fossi io a confidarmi. Ma non ero ancora pronta.
Ad un certo
punto ha capito, senza bisogno che parlassi, che non c’era
nulla che potesse
fare in quel momento. Così ha preso la sua giacca e ha
posato un bacio sulla
mia fronte, andando a lavorare.
Quando
è tornata, ho compreso subito, leggendo il
suo volto, che sapeva.
“Adesso
non ce la faccio” ho mormorato, con un
sorriso tirato.
Lei mi
ha accarezzato dolcemente i capelli,
annuendo. Poi ha preso il suo libro, appoggiato sul comodino, e si
è buttata
sul letto accanto a me.
“Non
devi stare qui per forza” le ho ricordato, ma
lei mi ha assicurato, testarda, che aveva bisogno di
un’immersione
intellettuale.
Eravamo
così, silenziose e insieme, da forse due
ore, quando lui è arrivato. Ha iniziato a bussare
insistentemente alla porta, pregandomi
di uscire.
Ho
guardato Arianna, terrorizzata: “Fallo andare
via, ti supplico”
“E’
davvero questo che vuoi tesoro?” mi ha
sussurrato, stringendomi la mano “Forse se lo
ascoltassi…”
Ho
scosso la testa, sentendo le lacrime salire a
miei occhi spalancati: “No, voglio che vada via. E’
peggio per entrambi, non
riesce a capirlo…”
Così
Arianna ha seguito la mia richiesta, è uscita
al mio posto, pregandolo di lasciarmi sola.
Hanno
discusso a lungo oltre quella porta. Sentire
la sua voce chiamare il mio nome era, ogni volta, una nuova ferita.
Ho
nascosto la testa sotto il cuscino, coprendomi
le orecchie per non sentire. Ho pianto fino a quando l’oblio
del sonno non mi
ha avvolto, cancellando ogni cosa.
Quando
mi sono risvegliata Arianna era ancora
sdraiata al mio fianco e mi scrutava pensosa.
“Devo
andare via” le parole mi sono affiorate alle
labbra naturalmente, come se fosse stato il Destino a suggerirmele
durante la
notte.
Ha
cercato a lungo di persuadermi, così come anche gli altri
amici. Ma non c’era
nulla da discutere. Sapevo che era l’unica soluzione
possibile.
Ho
bisogno di andare lontano e seguire un’altra
strada. Helsinki è troppo piccola, i nostri sentieri
finirebbero
inevitabilmente per sovrapporsi un’altra volta, soprattutto
adesso che lui preme
perché questo accada. Le mie foto affollano ancora i
quotidiani. La situazione
è insostenibile.
Ho
salutato tutti, trattenendo nuove lacrime, ho
abbandonato a malincuore il mio lavoro stupendo.
All’aeroporto
ho scoperto che non sarei partita da
sola.
“Non
voglio che tu lasci tutto per colpa mia!” ho
gridato ad Arianna “Non puoi farlo. Qui
c’è la tua nuova vita, c’è
Luke!”
Lei mi
ha zittita, ritirando il suo biglietto: “Non
posso lasciarti sola adesso. Se lo vorrò,
ritornerò appena starai bene. Luke
sopravvivrà senza di me, tu invece hai bisogno della mia
presenza. E smettila
di insistere, tanto non ti ascolto”
***
E
così eccoci qui, su questo aereo che ci sta
riportando a casa.
Ancora
non so che cosa ne sarà della mia vita.
Tutti i miei nuovi progetti erano laggiù, nella poetica
città nordica.
Riusciremo a riabituarci al caos e al disordine di casa nostra, mi ha
domandato
Arianna prima di addormentarsi, sospirando.
So che
le è dispiaciuto davvero partire, ma non ho
avuto la forza di fermarla. In fondo ha ragione, ho un tremendo bisogno
di lei,
adesso più che mai. Ma appena starò meglio, la
ricaccerò sul primo aereo per
Helsinki.
E
chissà, forse un giorno, forse presto, riuscirò a
tornare. E sarà come se non fossi mai partita.
Asciugo
le ultime lacrime e guardo fuori dal
finestrino: la luce si è fa sempre più fioca, a
mano a mano che voliamo verso
sud. Ormai l’oscurità è densa, le
nuvole quasi indistinguibili.
D’un
tratto la voce di una hostess,
nell’altoparlante, rompe il silenzio.
“Informiamo
i signori passeggeri che tra pochi
minuti arriveremo all’aeroporto di Milano Malpensa. Sono le 4
e 20 minuti e la
temperatura…”
“Uffa,
devono parlare così forte?” brontola
Arianna, sbadigliando e cercando di nascondere il viso dietro la spalla.
Non
riesco a trattenere una risata: “Preferiresti
restare qui sull’aereo, senza che ti avvertano che devi
scendere?”
“Ehh,
dettagli” borbotta, stropicciandosi gli occhi
“Tu non hai dormito?” mi domanda poi, premurosa.
“Un
pochino” mento, sorridendole “Per quanto il tuo
russare me lo potesse permettere”
Lei si
spazientisce, tirandomi uno schiaffo sulla
coscia: “Non dire palle. Io NON russo!”
“Come
dici tu…” continuo a stuzzicarla, facendo
l’indifferente.
L’atterraggio
è pulito, quasi perfetto.
“Eccoci
qui” mormora, guardando le luci della pista
d’atterraggio.
“Eccoci
qui” le faccio eco, sfiorando il vetro del
finestrino.
24
Maggio 2006.
Il mio
sogno si è infranto e anche gli ultimi
frammenti sono stati spazzati via dal vento.
Mi
aspetta di nuovo la realtà, con i suoi guai, con
i suoi ostacoli, con i suoi pro e i suoi contro.
Mi
chiedo se saprò affrontarla, ma in fondo non ho
alternative. Ci riuscirò, come sempre, accontentandomi di
ciò che il futuro ha
in serbo per me. Mi sento un po’ più matura, un
po’ più grande. Un po’ più me.
Proseguirò
il mio percorso, vivendo alla giornata.
Almeno
fino al prossimo sogno.
Elisa
I
wish
I could sit here all alone
Thinking
this is okay
don’t
need anybody, tonight
Just
complete silence and the candle lights
And I drink my coffee
Won’t
worry at all, won’t worry at all
I
would
feel fine, like I always do
I
would
be smiling, laughing too
Don’t
need anybody,
Least
of all you
And
then I will convince myself, it’ s true
I
wish
I could stare at the wall
And
see
something different every time
Every
time
The
candle wouldn’t stop burning
I
can
lay down and I wouldn’t be crying
I
would
feel fine, like I always do
I
would
be smiling, laughing too
Don’t
need anybody,
Least
of all you
And
then I will convince myself, it’ s true¹
Note:
¹
‘It’s true’, Lene Marlin
The End ???
____________________________________________________________
Ed
eccoci qui!!
Dopo
un anno e mezzo di
attesa questa storia è giunta finalmente a termine. Tutto
finisce, anche il
sogno più bello o, in questo caso, il vostro peggiore incubo.
Vedo
che il finale ha
sconvolto molti…non ve lo aspettavate? Devo dire che se ci
ripenso sono stata
piuttosto cattiva, ma questo è stata, sin
dall’inizio, la fine di questa
storia, sin da quando ho avuto il sogno.
Ma
dopo un anno e mezzo, mi
sono affezionato troppo ai miei personaggi, ormai sono come compagni di
classe,
vicini di casa, sono parte della mia vita. Infatti, non credo di essere
ancora
pronta ad abbandonarli…(chi ha orecchie per intendere
intenda xD)
Ma
ora passiamo a
ringraziare.
Essendo
l’ultimo capitolo, ci
tengo a ringraziare tutti quelli che hanno letto e soprattutto
commentato i
capitoli durante tutta la storia e mi hanno spinto a proseguire per
tutto
questo tempo, anche quando pensavo che non ne valesse più la
pena. Grazie *-*
Davvero.
Ed
ora, un ringraziamento a
chi ha commentato l’ultimo capitolo ^-^
Malaena:
non ti preoccupare,
ogni volta che ritorni è sempre più bello. Grazie
mille per il commento. Sono
lusingata del fatto che ti abbia commosso, anche se mi dispiace tanto
che tu
sia triste per altri motivi. Spero si sia risolto o che si risolva
tutto molto
presto. Anche io sono stata male nel scriverlo xD (e uno
dirà: ma perché l’hai
fatto allora? xD) Non lo so nemmeno io perché, so solo che
questo era il finale
della mia storia, da sempre. E sono davvero contenta che tu
l’abbia trovato
tagliente e duro, era proprio come speravo che fosse^^ Forse
perché ancora non
ho deciso se sono una povera romantica o un’altrettanto
povera disillusa. Devo
ancora decidere, o forse sono entrambe. Comunque questa era la giusta
fine del
sogno. Ma potrebbe esserci comunque un riscatto…
Sweetie:
lo so ale, questo
finale è proprio cattivo xD Ma ssssiiii tranquilla lo sai
che puoi fidarti di
Mossi U.U Ma non mi chiudere dentrooooooooooooooooooooooooooo, please
xD Mi
faccio perdonare presto U.U Grazie
del
commentino *-* bacini
Vampireknight:
Aleeee! Non lo
sapevo che leggessi questa storia o.O oddio scusamiiiii, mi dispiace di
averti
sconvolta in questo modo. Mi hanno sgridato tantissimo, la tua Twin
voleva
anche togliermi il saluto xD Ma ho trovato un modo per farmi perdonare
xD
Comunque sono davvero felice di venirti a scoprire lettrice *-*
Grazieeeeeeeeee!
E scusa ancora xD
E
dunque…
Arrivederci
e a presto^^
La
vostra
FallenAngel
|
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Capitolo 31 *** Alternative ending ***
Se
non siete rimasti soddisfatti dal
finale,
Se
il vostro cuoricino romantico
desiderava un vero happy ending…
Chapter 28 – Second edit
Alternative ending
Forever
and always
Polyglot
love
22
Maggio
Contrariamente
ad ogni mia aspettativa, il giorno
successivo sembrò assecondare ogni previsione fatta da
Ville. Tanto da farmi
riflettere sul fatto che, forse, il nomignolo di pessimista cronica,
riferito
alla mia persona, non era poi lontano dal vero.
Tutto
cominciò quel mattino: mentre io e Arianna
preparavamo i tavoli per il pranzo nel ristorante dove lavoravamo come
cameriere, fui richiamata dalla direttrice di sala
nell’ingresso.
Intento
a sbirciare i pesci multicolori di un
acquario, trovai il chitarrista degli HIM.
“Linde?”
esclamai sorpresa.
Lui si
voltò, posando lo sguardo prima sul mio viso
e poi, subito dopo, sulle forchette che ancora impugnavo.
“Hai
deciso di pugnalarmi?” ridacchiò, alzando un
sopracciglio.
“Cosa?”
mi accorsi che il modo in cui tenevo le
posate non era proprio raccomandabile “Oh, no, che stai
dicendo” borbottai
imbarazzata, lasciandole cadere nella tasca del grembiule.
“By the way, cosa
diavolo ci fai qui?”
Lui
non riuscì a trattenere un altro sorriso
divertito.
“Ehm
cioè, volevo dire, come mai da queste parti?”
Volevo sprofondare.
“Ti
ho portato questo” mi spiegò, porgendomi un
pezzo di carta plastificata.
Lo
presi, titubante, e lo osservai curiosa: si
trattava di un invito. L’invito per la festa di beneficenza
di quella sera.
“Come
lo hai avuto?”
Lui
alzò le spalle: “Che importanza ha?”
Mi
morsi la lingua, sorridendo: “Nessuna, immagino”
“Vuoi
venire?” mi interrogò, facendo una faccia
buffa.
Ci
pensai qualche istante: non ero sicura di voler
affrontare tutte quelle persone. Non sarebbe stata più la
stessa cosa, adesso
che si sapeva tutto di me e Ville. D’altra parte era forse
egoistico lasciarlo
far fronte a tutto, ancora una volta, da solo.
“Sì”
assicurai infine, stringendo più forte il
biglietto “Grazie”
Lui si
sfiorò la visiera del cappello, in atto di
saluto: “A stasera”.
***
La
festa era stata organizzata in un antico palazzo
dell’inizio del secolo. Attraversai lentamente
l’ingresso, seguendo alcuni
invitati che si dirigevano al piano superiore. Percorsi una lunga
scalinata,
lasciando scivolare le dita su un liscio corrimano dipinto
d’oro. All’entrata
della sala principale sollevai il capo, con un sospiro: i soffitti,
altissimi
erano decorati con stucchi e affreschi; angeli dalle lunghe ali
posavano i loro
occhi stanchi su donne e uomini elegantemente vestiti.
Mi
domandai quanti ricevimenti avessero visto
quegli angeli, quali balli, quali abiti, quali intrighi, quali segreti.
Sorrisi
della mia fantasia troppo fervida e passai
oltre.
Mi
confusi nella folla, incrociando curiosi
sguardi, fuggendo volti sconosciuti.
Mentre
giravo in tondo, guardandomi intorno senza
posa, urtai accidentalmente qualcuno. E persi quella stupida borsetta
che
avevano insistito che portassi come accompagnamento al mio abito.
“Mi
dispiace” mi scusai, alzando una mano alla
fronte.
“No,
scusami tu” replicò lo sconosciuto, chinatosi
rapidamente ai miei piedi. Mi porse la borsetta con un sorriso, ed io
rimasi a
lungo a fissare i suoi lunghi e bellissimi capelli biondi.
“Ti
sei persa?” domandò, notando il mio
spaesamento.
“Ehm…in
un certo senso” biascicai, grattandomi il
collo “Non riesco a trovare delle persone”
“Beh
in questa folla è più che normale”
notò. Lo
guardai meglio in faccia, e mi accorsi che aveva un naso davvero
strano. Mi
resi anche conto che quel viso non mi era estraneo…
“Se
vuoi posso accompagnarti al tavolo del buffet.
Li è più facile trovare qualcuno”
ridacchiò, allungando un braccio come per
indicarmi la strada.
“Grazie”
gli sorrisi, lasciandomi guidare.
Fu in
quel momento che intravidi Manna e Luisa,
sedute ad un tavolino.
“Ho
appena visto la mia ancora di salvezza” lo
informai, fermandomi e sfiorandogli il braccio.
“Benissimo”
accolse la notizia con un altro mezzo
sorriso “Allora il mio compito si è concluso. Ora
devo fuggire, oh donzella in
difficoltà. Alla prossima” e con un profondo
inchino si dileguò tra la folla.
Raggiunsi
le due donne, che all’inizio quasi non mi
riconobbero. Il lungo abito di raso blu, lungo fino alle caviglie, che
mi era
stato prestato da Katriina, non era di certo molto da me.
Così
come quegli stupidi tacchi che non potevo
sopportare, e i capelli legati stretti in uno chignon sopra la testa.
“Olivia
ti avrebbe scambiata per una principessa”
mi rivelò Manna “Anche se non avrebbe visto di
buon occhio i tuoi capelli
imprigionati in quel modo”
Insieme
attendemmo che i diversi gruppi che erano
stati invitati si esibissero su un piccolo palco che era stato montato
per
l’occasione e che forse stonava un pochino con il resto del
palazzo.
Gli
HIM suonarono per terzi, subito dopo gli
Apocalyptica. Mi diedi mentalmente dieci mila volte della stupida,
quando
riconobbi tra i tre violoncellisti il mio salvatore.
Era
strano vedere Ville vestito in giacca e
cravatta. Uno spettacolo davvero buffo. Dopotutto, non sembravo essere
l’unica
persona non proprio a suo agio quella sera.
Mi
tenni nascosta il più possibile, sebbene fossi
sicura che Ville non avrebbe mai alzato tanto gli occhi sulla folla,
per
evitare di esserne distratto. Cantò Wicked Game, e subito
dopo The funeral of hearts.
Mi
sentii stringere il cuore quando le sue labbra
si incurvarono in un sorriso, forse mentre ripensava alla sera
precedente.
Pochi
minuti dopo la fine della loro esibizione il
gruppo ci aveva già raggiunto. Tutti gli HIM, meno un
componente.
Incrociai
lo sguardo di Linde, mordendomi la lingua
per non comportarmi come una bambina, ed essere discreta, senza
chiedere
immediatamente dove fosse finito.
“Non
sa che sei qui” mi disse il chitarrista,
leggendomi nel pensiero “Voleva essere una sorpresa,
giusto?”
“Oh”
mormorai, piuttosto confusa dalle sue parole
“Credo di sì”
“E’
in una delle stanze nel corridoio dietro il
palco” mi informò “La quarta porta a
destra, non ti puoi sbagliare. E’ la
stanza che ci hanno dato per prepararci, e per gli strumenti”
Un
sorriso affiorò immediatamente sulle mie labbra:
“Allora vado…” sussurrai, incerta, non
sapendo bene se mi fosse permesso.
Lui
annuì, ricambiando il sorriso.
***
Camminai
svelta, quasi dimentica del male ai piedi
e di quelle stupide macchine da tortura che indossavo.
Quando
giunsi nel corridoio deserto mi misi a
correre, proprio come una bambina.
La
porta era chiusa, ma non a chiave. Mi bastò
abbassare la maniglia, e sospingerla lentamente, perché la
stanza mi fosse
accessibile.
Proprio
mentre stavo per fare un passo dentro, il
cellulare iniziò a vibrare nella mia borsetta, come
impazzito.
Sollevai
lo sguardo, incrociando quello del darkman
che mi fissava inebetito, il cellulare ancora appoggiato
all’orecchio.
Ci
guardammo negli occhi per qualche istante, prima
di scoppiare entrambi a ridere.
“Cosa
ci fai qui?” domandò, pigiando un tasto e
chiudendo una comunicazione che non era mai nemmeno cominciata.
“Mh”
mormorai, fingendomi pensosa “Sono venuta ad
ascoltare gli Apocalyptica. Ti ho mai detto di quanto trovi
affascinanti i suonatori
di violoncello?”
Mi
avvicinai, lasciando che la porta si chiudesse
dietro le mie spalle.
“No”
mi assicurò lui, sbuffando e squadrandomi
torvo, appoggiato contro un muro.
“Si,
si” rincarai la dose, abbandonando la borsetta
su un tavolino “E sai una cosa? Ho incontrato anche Eicca
là fuori. Ed è stato
tremendamente gentile”
“Non
mi dire” borbottò Ville, alzando gli occhi al
cielo “E come mai allora sei venuta qui?” mi fece
notare, abbandonando la sua
posizione per venirmi incontro e posare le sue mani sui miei fianchi.
“Non
potevo mica perdermi l’occasione di prenderti
in giro!” gli spiegai, scuotendo il capo, come se la sua
fosse stata la domanda
più sciocca e inutile che avessi mai sentito “A
proposito, la cravatta ti dona
molto”
“Ahh
spiritosa” fece una smorfia, prima di piegare
il capo per sfiorare con le labbra il lobo del mio orecchio
“Mi piacciono le
ragazze con il senso dell’umorismo”
“Tutte
le ragazze con il senso dell’umorismo?”
chiesi, impostando un buffo broncio.
“Solo
una” sussurrò, affondando appena un poco i
denti nella cartilagine.
Lasciai
che la sua bocca scivolasse lungo il
profilo del mio viso e poi sul mio collo.
“Mhhh”
sospirai “Forse ripensandoci preferisco i
cantanti che sanno usare bene la lingua”
Il suo
corpo tremò tutto, scosso da una roca e
profonda risata, ed io, stretta nel suo abbraccio, con lui.
“Per
snocciolare bene le parole delle loro canzoni,
si intende” puntualizzai, sorridendo.
“Naturalmente”
Mi
diede un ultimo dolcissimo bacio sulla fronte e
poi mi lasciò, ahimè, andare.
“Dovremmo
uscire di qui” osservò, seppure a
malincuore.
“Dobbiamo
proprio?” mi lamentai, cercando di
convincerlo con gli occhi da cucciolo ferito che forse non era davvero
necessario.
Ottenni
l’unico risultato di farlo ridere di nuovo:
“Ricordami di insegnarti a come commuovere i tuoi
ascoltatori. Così non va
proprio”
Mi
spazientii, incrociando le braccia al petto.
“Dobbiamo
andare per forza” mi sollecitò, prendendo
la mia mano e traendomi verso l’uscita “Devo
presentare ad un po’ di persone la
nuova fiamma di Ville Valo”
“Sei
sicuro?” domandai, pregandolo di pensare
davvero attentamente alla sua risposta. Giurai a me stessa che sarebbe
stata
l’ultima volta.
Ville
mi fissò serio, dritto negli occhi, mentre il
mio cuore batteva forte, rapido quanto il mio respiro irregolare.
“Sì”
garantì, stringendo più intensamente la mia
mano.
“Ti
fidi di me?” aggiunse poi, così piano da farmi
rabbrividire.
“Sempre”
***
Qualche
ora dopo ero seduta sul cornicione del
grande terrazzo del palazzo, mentre Ville mi stringeva la vita, per
essere
sicuro che non cadessi.
Teneva
la testa appoggiata alla mia spalla e potevo
percepire distintamente il suo respiro caldo sul mio collo.
Non
eravamo soli: un sacco di persone si trovavano
su quella terrazza, aspettando l’inizio dei fuochi.
Ma
Ville sembrava essere perfettamente a suo agio.
Come era parso per tutto il resto della serata del resto: aveva parlato
con
forse la metà degli ospiti della festa, presentandomi a
tutti, nessuno escluso,
come la sua nuova ragazza.
Ogni
volta era un nuovo tuffo al cuore. Mi sarebbe
servito molto, molto tempo per abituarmi. Ma non sarebbe stato poi
questo gran
sacrificio…
Alcuni
si rivelarono felici per lui, altri invece
mormorano le loro congratulazioni con falsi sorrisi e smorfie
contrariate. Lui
rispose sempre cortese, senza lasciarsi impressionare.
“Hai
visto? Non è poi così difficile”
mormorò al
mio orecchio, facendomi sussultare “E anche se lo
sarà, riusciremo a superarlo.
Insieme”
Voltai
il capo, cercando le sue labbra, mentre uno
spettacolo di luci e colori riempiva all’improvviso il cielo
di Helsinki.
“C’è
un ultima cosa che voglio mostrarti…” mi
confidò alla fine, prendendomi per mano.
***
Il
silenzio regnava sempre sovrano nel grande e
meraviglioso parco dove generazioni di famigliari e amanti riposavano
per
sempre, sepolti nella terra, sotto l’ombra di alti ed
eleganti alberi.
Di
notte, quel silenzio era quasi materiale; come
un velo, o una cupola di vetro forse.
Quel
cimitero, se mai si fosse potuto chiamare
tale, era una delle cose che più mi aveva impressionato di
Helsinki e dalle
quali era più rimasta affascinata. Un giorno mi sarebbe
piaciuto essere sepolta
in un luogo simile.
Restava
comunque un posto curioso per un
appuntamento…
Decisi
di farglielo notare.
“Ville?
Perché mi hai portato qui? Non che non sia
bello, ma…” bisbigliai, mentre camminavamo mano
nella mano.
Sul
suo volto si dipinse un sorriso obliquo: “Te
l’ho detto, volevo mostrarti una cosa”
Scossi
il capo, rassegnata: perché stupirsi?
Dopotutto parlavamo sempre di Ville Valo…
Lo
seguii così in silenzio, mentre si avventurava
nella zona originaria del cimitero. Le tombe si facevano sempre
più frequenti e
procedere diveniva sempre più difficile, tanto che rischiai
di cadere un paio
di volte.
Ci
fermammo all’improvviso, davanti ad un piccolo
sepolcro.
Era
formato da due lapidi, accostate una all’altra.
Era molto antico, la pietra non nascondeva i segni del tempo trascorso.
I
ritratti, racchiusi dentro a piccole finestrelle ovali, erano ormai
troppo
rovinati per essere distinti; tuttavia, le incisioni che riportavano i
nomi e
le date, erano ancora ben visibili.
Si
trattava di una coppia, due persone anziane,
morte a pochi giorni di distanza, quasi mezzo secolo prima.
Le due
lapidi erano divise dal resto del parco da
un basso cancelletto ormai arrugginito. All’interno di
quest’ultimo era stata
posta anche una piccola panchina in ferro battuto, dalle linee sottili
e i
bracci decorati.
“Chi
sono?” domandai piano, rivolgendomi a Ville.
Lui
scosse la testa, guardando quel sepolcro così
particolare: “Non l’ho mai saputo. Scoprii questa
tomba quando ero un ragazzo.
Ne rimasi subito colpito e tornai qui molto spesso, a pensare”
Rimase
qualche istante in silenzio, sorridendo tra
sé e sé: “Sono rimasti insieme fino
alla fine, vedi? Poi se ne sono andati uno
dopo l’altro, quasi non potessero sopravvivere
l’uno senza l’altra” mi fece
notare, indicandomi con le dita le date sulle lapidi “E vedi
quelle frasi?”
Annuii,
poggiando un mano sul suo braccio: “Cosa
dicono?”
“Dice:
‘Per sempre insieme, sulla nostra panchina,
nella vita come nella morte’”
Non
appena recitò le parole, un alito di vento più
forte scosse le foglie degli alberi, e passò attraverso il
mio cappotto
slacciato, carezzando le pieghe del mio abito.
Rabbrividii,
stringendomi di più a Ville.
Lui
ridacchiò, sbirciandomi con un’espressione di
scherno: “Non avrai mica paura dei fantasmi vero?”
Mi
allontanai di scatto, dandogli una spinta e
facendo il broncio, offesa: “Sai sempre come rovinare la
magia”
Come
al solito, il mio comportamento lo fece
soltanto divertire di più.
Ma non
gli diedi retta; riportai la mia attenzione
sulla panchina, accorgendomi di un fiore di pietra posato sulla base.
Il
fatto era che ai fantasmi io ci credevo, eccome.
Non che la mia fosse una vera paura, più che altro un
fascino forse un po’
morboso. Chiusi gli occhi, cercando di distinguere, tra le note del
vento, la
voce dei due innamorati.
Sussultai
quando Ville prese la mia mano, ma cercai
di non darlo a vedere.
“Vieni”
mormorò, guidandomi ancora oltre, verso
l’albero che cresceva proprio ai piedi del sepolcro.
“Da
allora ho sempre cercato l’amore vero, quella
persona che avrebbe atteso con me la morte sulla nostra
panchina” sospirò,
fissando il tronco. Prese la mia mano e la appoggiò sul
legno: mi resi subito
conto che la superficie non era regolare, ma era stata sicuramente
incisa. Mi
avvicinai, tentando di leggere, ma l’ombra dei rami rendeva
l’impresa
impossibile.
Ville
si fece immediatamente avanti, illuminando il
tronco con il suo accendino, tenendolo comunque a debita distanza da
foglie e
legno.
“All
I want is you to
take my into your arms, when love and
death embrace”
recitai ad alta voce, percorrendo le linee di ogni lettera con
le dita.
Ville
abbassò l’accendino, illuminando
un’altra porzione
di corteccia graffiata: nel legno era stato inciso il suo nome e una
semplice
congiunzione.
“Ville
e…?” domandai curiosa, in un sussurro.
Premetti più forte le dita contro il tronco, ma
null’altro era stato inciso.
Ville
non rispose. Con delicatezza, spinse il mio
braccio perché mi scostassi; poi, estrasse dalla tasca un
coltellino e,
aiutandosi con la luce della fiamma, sotto il mio sguardo sbigottito,
incise il
mio nome accanto al suo.
Ammutolii,
pietrificata.
Quando
ebbe terminato, allungai una mano per
sfiorare il suo lavoro con le dita che tremavano. Una lacrima
scivolò, senza
che potessi trattenerla, lungo la mia guancia.
Lui se
ne accorse immediatamente e, preso il mio
volto tra le mani, per asciugarla con le sue labbra.
“Che
fai, piangi?” ridacchiò, respirando più
forte
contro il mio collo e facendomi il solletico.
“No”
mentii, prendendolo in giro “Sono allergica
alle manifestazioni di romanticismo troppo marcato”
“Oh”
borbottò, sollevando immediatamente il capo
per potermi guardare negli occhi “Potrebbe essere un
problema. E se io facessi
qualcosa di peggio potrebbe venirti anche una crisi asmatica?”
Non
riuscii a trattenere una risata, soprattutto a
causa della sua espressione così seria.
“Di
peggio?” indagai sospettosa.
“Tu
rispondi” controbatté testardo.
Scossi
la testa: “Nessuna crisi asmatica, prometto”
Anche
perché io non soffrivo d’asma…
“Bene”
sorrise compiaciuto “Allora…” la sua
bocca
scivolò lungo il profilo del mio mento, fino a risalire
all’orecchio, mentre il
tono della sua voce si era fatto ancora più basso
“c’è una cosa che devo
confessarti”
Sbattei
una volta le palpebre, cercando di restare
lucida “Si?” boccheggiai.
“Ti
amo” sussurrò piano, facendomi rabbrividire.
Mi
allontanai di un passo, cercando i suoi occhi.
Lui sostenne lo sguardo, senza vacillare, mentre lo fissavo sbigottita
e
disarmata, non soltanto dalla portata di quelle parole, ma anche dal
modo in
cui le espresse. Perché le sue parole, per
quell’unica volta, non furono in
inglese.
Sapeva
che un ‘I love you’ non avrebbe significato
nulla. Un ‘I love you’ non avrebbe mai potuto
definire un sentimento. Qual è il
filo sottile che divide affetto e amore? Quel verbo non riusciva a
designarlo.
Pronunciò
quell’unica frase nella mia lingua,
lasciandomi senza parole.
“Dillo
ancora, ti prego” lo supplicai, mordendomi
il labbro inferiore.
Un
sorriso increspò le sue labbra; posò le mani
sulla mia vita e mi trasse di nuovo a sé.
“Ti
amo” ripetè, con quel suo stranissimo accento
“Ti amo, ti amo, ti amo”
Per
riuscire a trattenere le lacrime ed evitare
così di essere derisa per gioco, mi sollevai in punta di
piedi ed incontrai le
sue labbra.
Quando
schiusi la bocca, per riprendere fiato,
lasciai che la mia risposta si insinuasse leggera tra di noi.
“Rakastan
sinua” mormorai, affondando le dita tra i
suoi capelli.
Ci
accoccolammo sotto quello che sarebbe diventato
il nostro albero e restammo a lungo abbracciati, inframmezzando il
silenzio con
i baci, consci che da quel momento tutto sarebbe stato diverso.
“Una
lingua non ci bastava più. Adesso sono tre” mi
fece notare, lasciando scorrere le dita sul palmo della mia mano,
avanti e
indietro. Rise, facendo vibrare la sua scatola toracica ed io con essa.
“Siamo
diventati poliglotti” scherzai, guardandolo
di sotto in su.
Ville
si sporse per baciarmi la punta del naso:
“Mh. E’ carino”
“Je
t’âme” cinguettai, utilizzando
l’idioma del
nostro poeta preferito.
“Seaw deq”
replicò, dopo essersi schiarito la gola.
Scostai
la testa dalla sua spalla, corrugando la
fronte: “E questa che lingua sarebbe?” lo
interrogai.
Lui
parve pensarci un attimo; poi, ammiccando,
disse: “The Valo and Bonizzi’s language?”
Scoppiai
a ridere, dandogli un colpetto contro il
petto: “Che idiota che sei”
“Non
ti piace?” domandò, fingendosi offeso.
“Certo
che sì” riparai, scoccandogli un altro bacio
sulla fronte.
Mi
riappoggiai, contro il suo busto, volgendo il
mio sguardo verso il cielo, dove qualche stella era appena appena
visibile.
“Ville”
“Si?”
mi invitò a continuare.
“Tuvak
iw ert, ol byak ol somw”
Lui
ridacchiò, soffiandomi tra i capelli: “Sono un
po’ arrugginito. Questo cosa vuol dire?”
Presi
la sua mano, portandola alle labbra: “Insieme
per sempre, nella vita come nella morte”
In
tutta risposta, Ville strinse più forte la mia
mano.
“Seaw
deq, Ville”
“Seaw
deq, sweetheart”
The end
________________________________________________________________________________
Ed eccoci qui!
Finalmente mi sono decisa a postare il finale alternativo xD
Appena torno
dalle vacanzuole a Helsinkiiiiii <3 posto la seconda parte della
storia ^-^
Buon Natale a
tutti!
Bacini
La vostra
FallenAngel
|
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