Lost in your eyes - Story of a broken dream

di AnAngelFallenFromGrace
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Biting memories ***
Capitolo 2: *** Waking dream ***
Capitolo 3: *** Our secret ***
Capitolo 4: *** Coming to the senses ***
Capitolo 5: *** Sing with me ***
Capitolo 6: *** Impossible desires' list ***
Capitolo 7: *** Unexpected call ***
Capitolo 8: *** Like brother and sister ***
Capitolo 9: *** 'Tween funny tales, tiffs and recording studios ***
Capitolo 10: *** Night of fear ***
Capitolo 11: *** A ride in your mind ***
Capitolo 12: *** The black Cat and a snowball ***
Capitolo 13: *** Knocking on Hell's door ***
Capitolo 14: *** Flying away ***
Capitolo 15: *** Bonfire ***
Capitolo 16: *** Labyrinthine thoughts ***
Capitolo 17: *** Just a song - Pt 1 ***
Capitolo 18: *** Just a son - Pt 2 ***
Capitolo 19: *** And here we go again ***
Capitolo 20: *** Addicted ***
Capitolo 21: *** Lost in your eyes ***
Capitolo 22: *** Fatal awakening ***
Capitolo 23: *** Ink&Souvenirs ***
Capitolo 24: *** Kiss and Tell ***
Capitolo 25: *** And nothing else matters ***
Capitolo 26: *** Lies and jelousy ***
Capitolo 27: *** New Arrivals ***
Capitolo 28: *** All the troubles and fears ***
Capitolo 29: *** Crash ***
Capitolo 30: *** I would feel fine, like I always do ***
Capitolo 31: *** Alternative ending ***



Capitolo 1
*** Biting memories ***


Prologue


Biting memories


'Cause every dream is destineted to be shattered


24 Maggio


E' strano pensare a quante cose possa riservarti il futuro. Talvolta nulla. Talvolta un sogno. La seconda opzione sembra di gran lunga preferibile. Ma siamo sicuri che lo sia? Il momento di svegliarsi e aprire gli occhi, di riaffacciarci al mondo reale, arriva sempre. Presto o tardi. E fa male.

Eppure continuiamo a sperare. A desiderare che il giorno non giunga mai, che la notte continui a cullarci tra le sue dolci braccia.

Al momento mi è difficile continuare a crederci, nonostante sia un'eterna sognatrice.
Il perchè è semplice: mi sono appena svegliata.
Svegliata dal sogno più bello della mia vita.

Okay, forse 17 anni non sono poi così tanti. Sei ancora giovane per buttarti così giù, sento già qualcuno mormorare.
Questo non lo metto in dubbio: un giorno, forse domani, riuscirò a superarlo.

Ma adesso ho 17 anni, adesso. E' questo il tempo che ho vissuto. Ed è adesso che sto soffrendo.

E credetemi, non penso proprio che un'altra situazione del genere si ripresenterà.

**

Ormai anche gli ultimi passeggeri dell'aereo Helsinki-Milano hanno spento la luce.

Ascolto il respiro leggero di Arianna, addormentata sul sedile accanto al mio. Arianna è la mia migliore amica, o forse dovrei dire la mia compagna di (dis)avventure.
Il suo miglior pregio? Riuscire ad addormentarsi in ogni luogo, per quanto scomodo.

Scherzo naturalmente. Lei è la mia coscienza, spesso in vacanza a dire il vero; è l'unica a sapere sempre cosa sto pesando, a come strapparmi un sorriso tra le lacrime. Che condivide la mia gioia, la mia tristezza, pronta anche a sgridarmi all'occorrenza, facendo appello alla sua matura età di 21 anni.

Ma ora non voglio che si preoccupi per me. Che stia male per la mia stupida ingenuità.

Sarà ora di rispondere a qualche altra domanda.
Cosa sto facendo su un aereo per Milano, partito da Helsinki?
Torno a casa, dopo le stupende settimane passate con Arianna. Il nostro viaggio folle.

Mi ricordo ancora il momento in cui avevamo deciso di partire, così, di punto in bianco.

Mi ero rifugiata da lei, con lo zaino preparato in tutta fretta, le lacrime ancora calde a rigarmi il volto di nero, sciogliendo il trucco, insieme alla maschera di normalità che avevo con fatica fabbricato.

Me ne ero andata. Avevo deciso di lasciare la mia casa per sempre. Di lasciare quell'uomo che per me non era mai stato un vero padre. Che non mi aveva mai capita. Che non mi aveva mai accettata per quello che ero.

Volevo lasciare tutto.
Speravo nell'unica persona in cui ancora credevo.
E che come sempre non mi aveva negato il suo appoggio.

Era stata quella notte stessa che, dopo qualche bicchiere di vodka di troppo, avevamo deciso di andarcene davvero.
Di abbandonare io la scuola e lei il suo stupido lavoro.
Luke, un nostro amico, cantante alle prime armi, aveva ricevuto una proposta di lavoro ad Helsinki.
E noi saremmo andate con lui.

Noi, con la nostra conoscenza perfetta dell'inglese. Noi, con la nostra voglia di divertirci. Noi, con il nostro bisogno di dimenticare il mondo.

Sorrido, ripensando ai disastri combinati non appena salite sull'aereo.
E' questo che devo fare: sorridere.
E' stata un'esperienza stupenda, mi ripeto, che non potrò mai dimenticare.

Forse riposare un poco mi farebbe bene, ma non riesco a prendere sonno in alcun modo.
Quanto invidio Arianna in questo momento.

Il silenzio dell'aereo, disturbato soltanto dal respiro dei passeggeri, certo non mi aiuta a distendere i pensieri.
Forse un po' di musica mi farà bene. Sollevo le cuffie appoggiate sul tavolino al mio fianco, sistemandomele nelle orecchie.
Abbasso il volume, per non disturbare nessuno, chiudo gli occhi e finalmente accendo.

...Love's the funeral of hearts and an ode for cruelty
when angels cry blood on flowers of evil in bloom.
The funeral of hearts and a plea for mercy
when love...”

Non sono mai stata troppo fortunata. Perchè le cose dovrebbero cambiare adesso?
La morsa che mi attanaglia lo stomaco si fa sempre più stretta; cerco di controllare il respiro, inghiottisco, ma tutto è inutile.
I miei occhi hanno già ceduto, come il mo cuore del resto, lasciando cadere lacrime salate che è inutile asciugare.

Dovrei spegnere, lo so. Ma non ci riesco.
Resto ad ascoltare la sua voce mentre il marchio del dolore torna a bruciare come fuoco vivo.

Volete sapere com'è successo?
Cosa serve fingere di star dimenticando ogni cosa. E' solo una bugia; è impossibile. Almeno per ora.

Questa allora è la mia storia, la storia di un sogno troppo irreale e breve.
Una farfalla dai meravigliosi e caldi colori, appena nata, che, così prematuramente, si trova a piangere le sue ali strappate.


The last rites for souls on fire
Three little words and a question:
Why?”






ecco qua...è da un po' che questa ff girella nel mio computer...ma non volevo decidermi a postarla..forse perchè non sono mai soddisfatta e continuo a cambiarla (sono stata afflitta da gravi problemi esistenziali per l'età XD ringrazio tutti quelli che mi hanno sopportato)..ma alla fine ho deciso di esporla alla luce del mondo XD

spero non abbia fatto male^^

lo so che non si capisce molto per ora..ma è solo un piccolo prologo..il primo capitolo è già pronto

fatemi sapere presto i vostri commenti..sono sicura che con il vostro aiuto posso migliorare^^

basta va...non voglio annoiarvi troppo.( ogni giorno di più mi accorgo che quando sono nervosa divento logorroicaXD)

allora alla prossima^^
kiss kiss

- FallenAngel -

'Questa storia è totalmente frutto della mia fantasia, non è stata scritta a scopo di lucro e non ha nessuna attinenza con la realtà. Inoltre , non ha intenzione di offendere i personaggi citati in alcun modo '




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Capitolo 2
*** Waking dream ***




Waking dream


How long is it going to last?

2 Maggio


Mi trovavo ancora in uno stato di dormiveglia. Ma già percepivo l'inconfondibile mal di testa post sbornia. Lo conoscevo fin troppo bene. Cercai di ricordare qualcosa della sera precedente, ma fu tutto inutile. Nella mia testa regnava il buio totale.


Ma quando ricominciai a riacquistare le mie facoltà mi resi conto che non ero da sola in quel letto. E che a coprire il mio corpo non vi era altro che un sottile lenzuolo.


Potevo percepire il suono regolare del respiro di qualcuno proprio sul mio collo, e il caldo abbraccio che mi avvolgeva. E a quel punto fui presa dal panico. Non avevo alcun desiderio di aprire gli occhi. Forse era tutto un sogno. O meglio un incubo.


Cosa avevo combinato? Non ero mai stata una ragazza troppo tranquilla. No, per niente. Ma non ero mai arrivata a quel punto. Come ero potuta finire a letto con uno sconosciuto? Cosa era successo quella notte? Perchè non ricordavo nulla? Dov'era finita Arianna?


Troppe domande a cui non sapevo dare una risposta.
L'unica cosa da fare era prendere coraggio e aprire gli occhi.
In fondo quel che era fatto ormai era fatto. Non potevo tornare indietro.


Dopo aver tirato un respiro profondo, finalmente mi decisi a socchiudere le palpebre, gettando un rapido sguardo al braccio che mi avvolgeva la vita.


Le sbattei più e più volte. Non potevo credere all'immagine che mi trovavo davanti. Avrei riconosciuto quel braccio ovunque. Quei tatuaggi ovunque.


Mi lasciai scappare una risatina isterica.
Mi ero preoccupata tanto per nulla. Quello era di certo un sogno.


Restai ad aspettare il tempo necessario, fino al momento in cui l'illusione sarebbe svanita e mi sarei nuovamente trovata nel mondo reale. Al contempo però desideravo che il sogno non finisse e biasimavo me stessa per averne goduto così poco.


Non so quanto tempo passò: rimasi lì immobile, aspettando l'inevitabile e nel frattempo aspirando il suo profumo, cercando di imprimere dentro di me quella sensazione, nella speranza di portare nel mondo reale un po' di quella magia.


Forse avrei dovuto girarmi, toccare almeno una volta il suo volto prima che l'incanto svanisse, ma se l'avessi fatto ero sicura che tutto mi sarebbe scivolato via dalle dita.


Eppure c'era qualcosa di strano. Non riuscivo a capire, ma: era tutto così...reale.
E poi c'era quel fastidiosissimo mal di testa...


Richiusi gli occhi lasciandomi cullare dal suo dolce respiro.


Fin quando la magia non si infranse.


La sua voce ruppe il silenzio della stanza. Un'esclamazione di sorpresa, ma di cui non conoscevo il significato.
Il mio cuore accelerò i battiti fino all'inverosimile. Mentre la sua presa lasciava il mio corpo, istintivamente mi sollevai di scatto e mi voltai nella sua direzione.


Trovai due occhi verdi ad osservarmi pieni di incertezza e di stupore, che si spostarono veloci dal mio volto al mio corpo.


Abbassai subito lo sguardo, sentendo le gote in fiamme, cercando di sollevare il più possibile quello stupido lenzuolo che faceva resistenza.
Quasi senza accorgermene avevo iniziato ad indietreggiare fino a quando...


Cazzo!” sbottai mio malgrado, massaggiandomi la schiena.
Naturalmente ero caduta dal letto.
Certo. Come potevo risparmiarmi una figura del genere?


Subito si sporse per potermi vedere, questa volta stando bene attento a posare i suoi penetranti occhi solo sul mio viso, mentre cercavo disperatamente di coprirmi con il lenzuolo che mi ero portata dietro nella mia rovinosa caduta.
Va tutto bene?” domandò, adottando saggiamente la lingua inglese, avendo intuito che io e il finlandese non avevamo molto in comune.


Quella voce! Quante volte avevo sospirato ascoltandola attraverso una stupida macchina.
E il suo viso? Quegli occhi! Io...


Temo che rimasi a lungo, troppo a lungo, a fissarlo con un'espressione inebetita stampata in faccia, mentre il mio cervello cercava di rammentare come mettere insieme una frase di senso compiuto in quella lingua di cui tante volte mi ero vantata esperta conoscitrice.


Alla fine riuscii a balbettare ben poco: “Tu...tu...sei reale?”


Non trattenne una sonora risata: “ Sì. Direi che lo sono.”


Mi massaggiai più volte le tempie: certo quel mal di testa non mi rendeva molto lucida.
Quindi” puntualizzai come se stessi ripetendo un problema di geometria “tu sei davvero qui. Non è un sogno. Tu...” a quel punto la voce faticò ad uscire “ tu sei davvero Ville Valo”. Voleva essere un'affermazione, ma suonava molto più come una domanda.


Già. Proprio io. Temo di non ricordare il tuo nome.”
Elisa” lo pronunciai all'inglese, come solevo fare in diverse occasioni. “Certo io non sono una famosa cantante” azzardai.
Sorrise: “Wow. Devo essere veramente famoso. Tu non sei di certo una mia compaesana, vero?”
Direi proprio di no” ricambiai senza alcuno sforzo il sorriso, scostandomi una ciocca di capelli corvini dietro l'orecchio destro. “Sono italiana”
Italiana? Gran bel paese l'Italia. Di sicuro più caldo di qua.”
Già.”


Poi il silenzio tornò a cadere sulla stanza.
Ma cosa stavo facendo?
Abbassai gli occhi in direzione del pavimento. Stavo facendo una tranquilla conversazione con uno dei cantanti più sexy della storia, i nostri vestiti sparsi ovunque per la stanza tranne che dove avrebbero dovuto essere, dopo una notte in cui...


Quella situazione rasentava la follia.


Quando ardii a sollevare il viso trovai ancora una volta il suo magnetico sguardo su di me. Mi pareva di leggervi una discreta preoccupazione adesso.


Ricordi qualcosa di ieri notte?” domandò.
No, nulla” confessai, mordendomi il labbro inferiore “ e tu?”
Solo ricordi confusi. Ero molto ubriaco.” Eh, a chi lo dici. “Credo di averti incontrato al Midnight Wish.” era possibile: ricordavo quel nome. Era un locale dove ci aveva portato Luke un paio di volte, molto carino e, ci aveva annunciato, frequentato da un pubblico più esclusivo. Non avrei mai pensato tanto esclusivo.


E poi” proseguì “ temo mi sia lasciato un po' trasportare, senza dare troppo peso alle conseguenze di quello che stavo facendo e ad alcuni particolari non poi così poco rilevanti, come la tua età. Quanti anni hai? Ventidue, ventitre?”
Ehm” tossicchiai “ diciassette veramente.”


Si lasciò scappare quella che non avevo alcun dubbio fosse un'imprecazione.
Non pensavo...così giovane. Non sei neanche maggiorenne. Sembri molto più grande.”


Beh...in fondo sono 18 fra due mese.” balbettai.
Sembrava davvero preoccupato della situazione. Non potevo vederlo in quel modo. Non per colpa mia.
Hey” cercai di rassicurarlo “non temere. Non ne uscirà di certo uno scandalo. Non ho intenzione di raccontare a nessuno quello che è successo. Quando sarò uscita da quella porta sarà come se non fosse mai accaduto.”


Questo non bastò a tranquillizzarlo, certo. Non poteva fidarsi subito di una sconosciuta. Per quanto ne sapeva potevo andare a spifferare tutto alla prima rivista scandalistica capitata a tiro. Cosa che non mi passava neanche per l'anticamera del cervello.
Eppure non aveva scelta. Doveva fidarsi di me.


Sospirai. “Sarà meglio che vada a farmi una doccia.”
Ville annuì.
Rimanemmo ad osservarci a lungo. In realtà io aspettavo, ma lui non sembrò accorgersene. Sembrava terribilmente assorto nei suoi pensieri, eppure non aveva ancora interrotto il silenzioso dialogo tra i nostri occhi. Sembrava stesse cercando di sondare la mia anima.


Un brivido lungo e intenso mi attraversò la schiena.
Lasciando ricadere i capelli davanti agli occhi mormorai: “Scusa...potresti voltarti un momento...mentre raccolgo i miei vestiti.”

Oh. Certo. Scusa” borbottò voltandosi. Forse iniziavo ad avere delle allucinazioni, ma mi sembrava proprio che fosse arrossito. Certo non avrebbe mai potuto battere il colore che da quando mi ero svegliata non aveva ancora abbandonato le mie gote.


Mi alzai, ancora traballante, avvolgendomi intorno alla belle e meglio il lenzuolo, e iniziai la disperata ricerca dei miei vestiti, controllando ogni tanto con la coda dell'occhio di non essere osservata.


Fu davvero una ricerca disperata e nemmeno del tutto fruttuosa: nonostante il mio impegno non riuscii a ritrovare il mio stupido reggiseno.
Che disastro che ero.
Ma non potevo mica restare lì tutta la vita a cercare.
Decisi di lasciar perdere e dirigermi verso la porta del bagno.
Attraversata la soglia mi voltai come per salutarlo.


Stavo per chiudere la porta, quando Ville disse: “Hai gli occhi più particolari che abbia mai visto, sai? Non nasconderli” arrossii di nuovo violentemente, sorridendo, e desiderando di non perdere il controllo proprio in quel momento.





Ed eccomi con il primo capitolo^^
Più passa il tempo più sta storia non mi convince...ke eterna incontentabile che sono!!
Spero che questo chappy non vi sia dispiaciuto, anche se un po' interrotto a metà..hihihi..non vi preoccuate avrete presto mie notizie...sfortunatamente lo soXD
Ah, non ho plagiato la cloclo..vero mentora? XD


@Ginny: sto postando mentre sei in gita..e spero tanto che tu ti stia divertendo^^ comunque in primo luogo..che eresie vai dicendo!! Tu scivi stupendamente!! Io sono soltanto una dilettante al confronto!! Ti ringrazio lo stesso davvero tantissimo..grashie grashie mia cara^^..prevedi casini..uhm..noooooooooooXD


@Dana: la mia danuccia^^però..magnifica??? ma vaaaaa..grashie tanto tanto anche se mi sa che hai sbagliato a recensireXD Lo so che ci sei tesora^^ciauuuuu


@Cloclo: ma come potevo non dedicarla alla mia mentora!!! Grashie my darling per aver commentato..spero davvero di non deluderti^^ ave agli istrici XD kisses e che ville sia con te!!


@Lady Numb: ma grazieeeeeee^^ me molto felice che ti piaccia il mio stile (nn sapevo di averne unoXD no dai scherzo^^) faccio del mio meglio..o almeno ci provo^^spero che anche questo cap ti sia piaciuto...kisses


Un abbraccio a tutti quelli che hanno letto..grazie mille^^

- FallenAngel-

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Capitolo 3
*** Our secret ***


Chapter 2

Our secret


I won't break my promise



Chiusi gli occhi, abbandonandomi contro la parete della doccia; lasciai che il getto d'acqua mi colpisse a lungo, nella speranza di schiarirmi un po' le idee, fin quando, percorsa da forti tremiti, non decisi di aprire l'acqua calda.

Ma era tutto inutile: neanche un milione di docce avrebbero reso quella situazione più chiara.

Avevo fatto l'amore con una persona che non avrei mai sognato nemmeno di incontrare se non da una distanza di sicurezza che intercorre tra fans e personaggi famosi. Era successo. Ma sfortunatamente non ricordavo nulla.

Come potevo non ricordare nulla?

Uscii dalla doccia e, avvoltami in un asciugamano, iniziai a pettinare davanti allo specchio i miei lunghi capelli color dell'ebano.

Rimasi ad osservare il mio riflesso a lungo, come se fosse stata la prima volta: la mia pelle troppo chiara, il naso un poco all'insù, le labbra troppo sottili.

Come era potuto succedere proprio a me? Non ero poi così speciale.

E poi mi soffermai sui miei occhi. Ricordai la frase pronunciata da Ville. E di nuovo mi sentii mancare.
In effetti ero sempre stata molto fiera dei miei occhi, dalle iridi scurissime, che quasi si confondevano con il nero delle pupille, e il taglio molto allungato.
Ma adesso acquistavano tutt'altro valore.

Sorrisi alla mia immagine. Non ricordavo nulla di quella notte, non avrei mai potuto raccontare a nessuno quello che era successo, e Ville probabilmente mi avrebbe dimenticato il giorno dopo, ma io avrei conservato il ricordo della sua imprevedibile dolcezza per tutta la vita.

Ormai vestita, stavo dandomi un'ultima sistemata, quando sentii delle voci provenire dalla stanza attigua.

Aprii uno spiraglio della porta, quel tanto che bastò per poter scorgere un'inconfondibile capigliatura bionda rasta e gli occhi di Ville che silenziosamente mi pregavano di non venire allo scoperto.


Hey Ville? Mi stai ascoltando?” domandò Linde leggermente irritato “Si può sapere cosa c'è di così interessante là dietro?”
Socchiusi di nuovo la porta appena prima che Linde si fosse voltato.

Così nascosta seguii una conversazione della quale solo tempo dopo avrei scoperto il significato.
Nulla” ribatté Ville, cercando di riattirare l'attenzione del compagno nella sua direzione.
Cosa dicevi?”
Dicevo...” mormorò Linde poco convinto “dicevo che la cosa mi risulta poco chiara. Dove diavolo sei finito ieri sera? Ti aspettavamo a casa di Migè.”

Ah sì. Scusate. Me n'ero dimenticato” disse Ville accendendosi una sigaretta e lasciandosi cadere sul letto, sfortunatamente, mi ritrovai a pensare mio malgrado, rivestito. Indossava un paio di jeans scuri e una T-shirt nera aderente.

Qualcuno è rimasto molto deluso dalla tua assenza” commentò l'amico.
Sarebbe?”
La tua amica, la bionda con molto cervello. Dai, hai capito...come si chiama...Henna, o Henni...non mi ricordo. Continuava a chiedere quando saresti arrivato.”
O mio Dio. Fortuna che non mi sono fatto vedere allora.” sospirò.

Non credo che riuscirai ad evitarla per sempre. In fondo è stata colpa tua...Ci sei stato una volta.” fece la voce della coscienza.
Non pensavo la considerasse una proposta di matrimonio” ribatte acido il leader degli HIM.
Ah, che ragazzo ingenuo. Comunque potrei sapere dove sei andato invece?”
Sono stato...in giro” rispose alla fine vago.

Linde, avendo preso posto di fronte a lui su una comoda poltrona, non si arrese: “E in giro sarebbe?”
Ville si spazientì: “Ma cos'è? Un interrogatorio? Non posso avere neanche un po' di privacy?”

Il chitarrista esplose in una sonora risata: “Certo che no! Sei la voce solista di una delle più importanti band del paese! Come credi di poter avere un po' di privacy! E comunque” aggiunse “ci sono in giro già delle voci...”
Quali voci?” Ville si sollevò di scatto.


Hey, calmina! Nervosetto stamattina, eh? Hai presente quell'idiota ubriacone di Touko Danke?”
Rispose con un cenno della testa.
Beh, afferma di averti incontrato ieri in uno dei privè del 'Midnight wish' e di averti visto andartene con una bella moretta...”
Silenzio.

Allora?” insistettè Linde “ E' vero?”
Ma sei scemo? Da quanto ascolti le cazzate di quell'idiota?” sbottò Ville.

Okay, okay.Ti sei proprio svegliato male stamattina. Ci sarebbe un'ultima domandina...” sogghignò l'altro. “Posso?”
Il frontman degli HIM sbuffò: “Se dicessi di no cambierebbe qualcosa?”
In effetti no...Quindi...che ci fai qui? Come mai non sei a casa tua?”
C'era troppo casino” rispose semplicemente.

Linde non riuscì a trattenersi nuovamente dal ridere: “Pensi che ad un tratto si sistemerà da sola?”
Dio quanto sei pesante oggi! Prima l'interrogatorio e poi la predica! E se ti facessi un giro? Fuori dalla porta possibilmente!”
Vado. Prima di risvegliare istinti omicidi non troppo latenti”

Stava per alzarsi accompagnato da un'occhiataccia dell'amico, quando si voltò per osservare qualcosa dietro di lui tra i cuscini della poltrona di pelle.
Ah-ah. Ecco cos'era!”
Cosa?” domandò Ville, più preoccupato che curioso.
C'era qualcosa qui sotto, che mi disturbava alquanto e...” aggiunse, assumendo un tono serio “devo ammettere Ville che i tuoi gusti in fatto di biancheria intima sono molto raffinati.”
Cosa caz...” cominciò il cantante, quando Linde mostrò l'oggetto misterioso.

Mi ci volle poco tempo per mettere a fuoco e riconoscere il mio reggiseno di raso nero.
In quel momento sarei voluta sprofondare.
Ero un disastro!

Ville si alzò di scatto ed avendo aperto la porta invitò con non troppa gentilezza l'intruso ad uscire:”Fuori!”
Non finisce qui” sogghignò Linde prima di andarsene, lasciando cadere il reggiseno sul letto sfatto.

Non appena Ville fu nuovamente da solo nella camera, uscii dal mio nascondiglio.
Rossa in viso recuperai svelta l'ultimo capo d'abbigliamento abbandonato e balbettai le mie scuse: “Mi dispiace così tanto. Io-io, ti giuro, l'avevo cercato ovunque ma...”

Non preoccuparti” mi fermò lui, indugiando troppo a lungo con lo sguardo sui bottoni della mia camicetta “Non è successo nulla di grave in fondo. Linde è un idiota, e mi romperà per non so quanto tempo ma niente di più. Certo se in un prossimo futuro dovessi leggere sui giornali dell'improvvisa e compianta morte del giovane chitarrista degli HIM” ghignò sereno “beh, allora temo dovrai convivere con il rimorso di esserne stata, almeno in parte, la causa”

Sopravviverò” sorrisi “Ma cosa ti ha detto?” aggiunsi curiosa, mordicchiandomi il labbro inferiore, sperando non si seccasse della mia indiscrezione.
Come, non hai...?” mi guardò stupito. Poi capì: “Ah certo. Non hai capito niente”
In effetti” mugugnai, spostando il peso del mio corpo da un piede all'altro.

Mi osservò qualche secondo prima di rispondere: “Nulla di interessante. Mi ha chiesto cosa avessi fatto ieri sera e perchè fossi in una camera d'albergo. Ho evitato il discorso fino a quando...”
Fino a quando con la mia sbadataggine ho rovinato tutti i tuoi sforzi” terminai sconsolata, dandomi una pacca sulla fronte.
Te l'ho detto, non devi preoccuparti. Me la caverò”

Già rimpiangendo il fatto di dover andarmene, ad un tratto un pensiero affiorò nella mia mente: “In che albergo siamo?” domandai preoccupata. E se mi fossi trovata dall'altra parte della città rispetto all'hotel dove sicuramente mi aspettava una Arianna in pena per la sua sciocca amica? Mi sarei di certo persa nel tornare indietro!

Il nome è 'White holidays'. Si trova...” non riuscii a sentire più una parola di quello che stava dicendo.

Non era possibile.

Lasciai cadere la borsetta sbalordita.
Cosa c'è? Ti senti bene?” domandò accostandosi a me e sfiorandomi il braccio.
Rabbrividii al lieve contatto.

Sì, è solo che...Stai scherzando vero? Questa è una camera del 'White holidays'?” cercai conferme.
Già” mormorò lui senza capire.
Non è possibile. E' anche il mio hotel! Cioè, l'hotel dove soggiorno. Ma...non ha nulla di speciale! Non è l'albergo in cui mi sarei aspettata di trovare Ville Valo! E poi questa camera è così diversa da...” Ecco. Avevo iniziato a parlare a raffica come al solito.

Fortunatamente il cantante degli HIM pose fine alle mie parole senza senso, sorridendo: “Eh già. Ogni tanto mi rifugio in questi piccoli hotel. Nella speranza di trovare un po' di pace. Anche se, come hai visto, riescono sempre a trovarmi” sbuffò, porgendomi la borsetta.

Mi avvicinai alla porta e mormorai: “Spero davvero di non aver causato troppi problemi.”

Avrei dovuto lasciare la stanza in quel momento, ma non riuscii a trattenermi. Con la mano già sulla maniglia mi girai per incontrare un ultima volta quegli occhi nei quali mi sarei volentieri smarrita.

Grazie di tutto. E non preoccuparti: lo giuro. Non dirò mai a nessuno quello che è successo. Sarà solo uno splendido ricordo che terrò sempre con me.”
Parlai velocemente, e poi, senza lasciargli il tempo di replicare qualsiasi cosa, aprii la porta, attraversai di corsa il corridoio deserto e iniziai a scendere a perdifiato le scale, senza voltarmi indietro.


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Eccomi di notte ad aggiornare la ff^^ ke pazza ke sono...
Alluraaaaa, cosa ve ne è sembrato di questo nuovo capitolo? Personalmente adoro Linde XD..
Grazieee per tutti i commenti! Siete troppo dolci^^

@Crazy4frankiero: ke cosa ci fa cn una 17?? eheheh..sì lo so..in effetti è una bella differenza di età..ma questa ff è nata da un sogno e ho deciso di cambiare il meno possibile..poi quando è successo erano tutte due un tantino brilliXD e naturalmente lei sembra più grande!! :p Comunque sn strafelice che ti incuriosisca..e la frase alla fine..eheh..come è romantico il nostro villuccio

@LadyNumb: ma graaaaaashie..mi fai arroshire^^ me contentaa!! però io l'avrei messo tra i dieci motivi per prendere una sbornia XD ah povera me XD Che bello adesso sei in viaggio!! grazie mille per avermi anke avvertito..sei un tesoro^^ allora ci sentiamo quando torni..spero ke anche quasto chap ti piaccia..ciauuuuu

@Cloclo: ahhhh..la mia sweet mentora..sei sempre così teneraaa!!I tuoi incoraggiamenti mi aiutano tantissimo! Grazieeee!! te vojo beneeeee!! Stavo pensando che ci vorrebbe un bel monumento all'istrice..che diciXD??

@grimilde: guarda qui la mia streghetta^^ mi devi voler veramente bene per continuare a leggere la fic sul tuo AMATISSIMO ville eh..XD..dai ke prima o poi ti farò innamoraree..grashie pulciotta^^

@Ginny002: eheheh..non te lo aspettavi eh? Muahahahah.. (scusate me fuoriXD)...guarda che ti combino poi..grashieeeee cara!! e tu scrivi supermeglissimo!! kiss

@linkin park: eh lo soooo!! ha una fortuna sfacciata..è per questo ke l'ho chiamata elisa..XD..fortunata cm quella simpaticona di mia sorellaXD...davvero ti piace?? me mooooooolto felice!! shishishi!! davvero tanto^^ spero anke questo ti sia piaciuto


Okay ora vi lascio...grazie ancora a tutti quelli che leggono^^ alla prossima!!
La vostra
- Fallen Angel -

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Capitolo 4
*** Coming to the senses ***


ff2

Chapter 3



Coming to the senses


...and so the last shreds of the illusion are carried away by the sunlight




Dopo non so quanti gradini, il cuore in gola, decisi di fermarmi.
Mi appoggiai alla parete bianca e fredda, aspettando che il mio respiro tornasse regolare.
Quindi uscii nel corridoio e cercai il numero del piano: V.

Per quella volta sentii il bisogno di prendere l'ascensore. Cosa molto stupida, considerando che mi mancavano soltanto due piani.
Ma il mio cervello in quel momento aveva altro a cui pensare.

Aspettai paziente che le porte scorrevoli di fronte a me si aprissero, ingannando l'attesa nell'osservare il contrasto tra i miei stivali neri e la moquette bordox del corridoio.
Quando l'ascensore arrivò non era vuoto: dentro c'era una ragazza bionda con un tailleur azzurro che mi salutò cortese e mi osservò curiosa per diversi secondi.
Sbirciai il mio sottile orologio da polso: in effetti la camicetta rossa piuttosto scollata e la minigonna scura che indossavo non erano l'abbigliamento più consono alle 11 del mattino.

Percorso il corridoio del terzo piano per tutta la sua lunghezza, arrivai alla stanza 127. Fortunatamente la chiave magnetica era ancora al suo posto nella borsetta.
Aprii lentamente la porta e prima che potessi muovere un passo di più fui avvolta in un forte abbraccio.

La stanza sembrava così piccola: il confronto con quella che avevo appena abbandonato era ridicolo. Prima non ci avevo fatto quasi caso: adesso invece mi stupivo del fatto che oltre al letto matrimoniale, l'armadio e i pochi mobili di legno scuro vi fosse ancora lo spazio per muoversi.

I rossi riccioli di Arianna mi solleticavano il viso, mentre in punta di piedi non sembrava più voler lasciare la sua presa intorno al mio collo.
“Ti odio” bofonchiò al mio orecchio, prima di scostarsi.
“Scusa, scusami tanto, io...” cominciai, ma lei mi fermò con un gesto della mano.

“No che non ti scuso! Non hai idea di quello che mi hai fatto passare!” mi sgridò, fulminandomi con i suoi freddi occhi chiari. “Sei scomparsa! Naturalmente il cellulare è un optional. Ma ti rendi conto! Mi sono svegliata stamattina alle 8! Alle 8! E di te non c'era traccia. Nessuno sapeva nulla e io...”

Non riuscii a trattenere un sorriso.
“Ed ora cosa c'è?” domandò frustrata.
“Nulla” mormorai scuotendo la testa “Solo che a volte sembri proprio la mia mamma.”

Mi guardò per qualche istante, fino a che i suoi lineamenti non si addolcirono e si avvicinò per stringermi di nuovo fra le sue braccia.
Sapeva bene quanto valessero le parole che avevo appena pronunciato.
Mia madre, la mia vera madre, era morta quando avevo solo due anni.
Non ricordavo nulla di lei. Il nulla più assoluto. E di certo mio padre non era una grande fonte di infomazioni.
Arianna era riuscita a coprire anche questo vuoto con la sua amicizia e il suo affetto.

“Scusami” ripetei. Questa volta mi lasciò parlare “Non volevo farti preoccupare. E' stato...un incidente”
“Ma dove sei finita?”

Giocherelli a lungo con la chiusura della borsetta. Cosa dovevo raccontarle? Non la verità. Ero sicura di potermi fidare di Arianna, ma quello non era un segreto soltanto mio. Avevo promesso. Ma quanto era difficile mentirle! Optai per l'omissione.
“A dire il vero non ricordo assolutamente nulla dell'altra sera. Devo aver bevuto molto. E stamattina appena mi sono svegliata sono tornata qui.”

Mi fissò a lungo, per nulla soddisfatta di quel resoconto molto dettagliato. Aspettò che continuassi, ma avendo capito che non ne avevo l'intenzione domandò preoccupata: “E dove ti sei svegliata?”
Sospirai, abbassando lo sguardo: “Non è importante. Quello che conta è che sia tutto a posto no?” dipinsi sul mio volto un sorriso radioso.

Arianna mi quardò contrariata e affatto convinta.
“Te lo giuro su tutto quello che vuoi. Non è successo nulla di brutto, te lo direi altrimenti. Solo non posso parlarne.”
“Giuralo sulla nostra amicizia”
“Lo giuro.” risposi prontamente.

“Se non è una cosa grave, mi incuriosisci terribilmente! Sei sicura di non potermelo dire?” mi pregò sbattendo le ciglia.
Le tirai affettuosamente una sberla sul fondoschiena. “No, non posso” risposi ilare “E tu sei proprio un'impicciona”

Mi gettai quindi sul letto, affondando la testa in un cuscino.
“Basta” mugugnai “Qualcuno mi stacchi la testa!”
“Così impari ad ubriacarti” mi urlò Arianna da bagno.
“Certo, certo, senti chi parla” borbottai, al cuscino più che ad altri.
Ma lei non so come mi sentì: “Cosa, cosa, cosa?”
“Niente”
Stranamente non replicò. Rimasi a godermi quel silenzio inaspettato, fino a quando...

“Nooo!” gemetti, nascondendo la testa sotto il cuscino e premendolo il più possibile sulle orecchie.

On cold wings she's coming
You better keep moving
For warmth, you'll be longing
Come on just feel it
Don't you see it?
You better believe it

Le note di 'Ice queen' alzata a tutto volume si diffondevano violente per la camera non troppo vasta.
Non avevo mai avuto particolare simpatia per gli Within Temptation.
Ma tentavo di sopportare per Arianna, che invece adorava il gruppo.
Naturalmente lei sapeva benissimo che non sarei stata altrettanto comprensiva in un momento del genere.

“Sei un'infame! Spegnilo ti prego!” protestai.
Ma non ascoltò certo le mie richieste, anzi le sovrastò cantando a squarciagola.
Fui così costretta ad alzarmi e, armata di cuscino, mi avventai contro di lei.
Cercò di sfuggirmi ma alla fine riuscii a raggiungerla e la colpii.

“Hey! Non è valido! Non è leale!” si lamentò facendosi scudo con le braccia.
“E per quale motivo di grazia?” mi fermai, tenendo comunque il cuscino pronto.
“Lei non conosce le regole del codice della guerra dei cuscini” asserì, nell'atteggiamento più serio possibile.
“Cioè?” chiesi impaziente.
“Non si può attaccare un uomo disarmato!” proclamò, sconvolta dalla mia ignoranza. “Un'arma prego”

Sbuffai e mi voltai verso il letto per recuperare un altro cuscino, che le lanciai addoso con non troppa delicatezza.
“Contenta ora?”
“Adesso me la paghi!” gridò prima di lanciarsi all'attacco.

Continuammo la nostra battaglia ridendo come matte, fino a quando, stremate, ci lasciammo cadere per terra, su un letto di candide piume.
Di certo tutto quel movimento non mi fece bene, tanto che solo dopo pochi istanti dovetti rifugiarmi in bagno.

**

Seduta in un tavolino all'aperto di Helsinki giravo svogliatamente il cucchiaino nel mio caffè. Tenevo su la testa, ancora troppo pesante, con il braccio sinistro, mentre osservavo il sole di maggio tramontare troppo presto dietro i tetti delle case.

Caspita come siamo allegre” commentò Arianna sarcastica.
La fulminai con lo sguardo.
Qualcuno avrebbe potuto lasciarmi dormire ancora un po'.”
Come sei noiosa.” borbottò lei agitando una mano nell'aria. Diede un'occhiata all'orologio: “Queste rock star” sbuffò “Non c'è mai una volta che siano puntuali”
Alzai le spalle. Al momento proprio non mi importava.
Il mio gesto la fece irritare ancora di più: “Uffi! Ma si può sapere cosa ti prende? Sei ancora qui sulla Terra?”

Fortunatamente in quel momento arrivò Luke, seguito da Andrea, il bassista della sua band, e un'altro ragazzo finlandese con cui avevano stretto amicizia, di cui in quel momento non ricordavo il nome. Doveva avere più o meno venticinque anni, la pelle chiara, i capelli biondi legati in una coda bassa.
Quasi fui fulminata dal suo sorriso, mentre prendeva posto accanto a me.

Ce l'avete nel sangue, eh? Riuscirete mai a non arrivare in ritardo?” li sgridò Arianna.
Luke si grattò la testa, scompigiandosi i capelli: “Sorry, Ri. Sai com'è,il tempo vola. Vi ricordate di Gabriel?” aggiunse veloce, adottando la lingua inglese per rendere l'amico partecipe della conversazione.

Certo” rispose Arianna solare. Mi limitai a fare un cenno con la testa. “Come va Gabriel?” domandò lei cortese.
Tutto bene, grazie. Sono felice di rivedervi. E' tutto il giorno che sopporto questi due” ghignò indicando i due ragazzi alla sua sinistra “Non so come facciate a resistere . Fortunatamente ho conosciuto anche voi, altrimenti mi sarei fatto proprio una brutta opinione degli italiani.”
Tutti scoppiarono a ridere di gusto. Beh, tutti tranne me. Non avevo sentito una parola di quello che aveva detto Gabriel.

Hey, ma che cos'ha oggi Liz?” bisbigliò Andrea all'orecchio di Arianna.
Non ne ho idea. E' tutto il giorno che si comporta in modo strano” Mi diede una gomitata nello stomaco.
Ahia” mi lamentai.
Torni fra noi o no?” risvegliata dai miei pensieri, trovai quattro paia di occhi osservarmi curiosi.
Scossi la testa: “Scusatemi, oggi non ci sto proprio con la testa”
Ce ne siamo accorti” sogghignò Luke.

Mentre ordinavano dei cocktail, diede una sbirciata alla mia tazza: “Solo un caffè? Potresti darci almeno una corretina. Magari ti tiri su” suggerì.
No grazie.” mormorai disgustata “Non voglio vedere una goccia d'alcol.”
Una bella sbronza, eh?” domandò Andrea, osservandomi con i suoi divertiti occhi nocciola.

Che intuito!” risposi, forse un po' acida. “A proposito, vorrei fare un po' di luce sull'altra sera”
Cosa è successo l'altra sera?” chiese Gabriel alzando un sopracciglio.
E' proprio quello che vorrei sapere anche io” voltai il mio sguardo seccato verso il cantante.
Non guardarmi in quel modo.” mise le mani avanti Luke “Ieri sera sei sparita. Pensavo fossi tornata in albergo...Kiitos” ringraziò poi la cameriera che aveva portato i loro cocktail.

La ragazza li pose sul tavolino con studiata lentezza e sorrise sbattendo le ciglia.
Non male la biondina” commentò Andrea non appena la cameriera si fu allontanata.
La mancia gliela lascio io...” ammiccò Luke, che con la sua battuta ottenne qualche risata ma soprattutto un bel calcio sotto il tavolo. Da parte mia naturalmente.

Ahia!” gridò, fulminandomi con i suoi occhi grigi.
"Vogliamo concentrarci per favore! Dobbiamo ancora ricostruire la serata!”
Non c'è bisogno di azzopparmi!”

Sicuro?” accorse in mio soccorso Gabriel “Per un paio di belle gambe perdi la testa”
Arianna non si trattenne dal battere le mani: “Wow! Davvero, dove lo avete pescato questo ragazzo? E' troppo intelligente!”
Che fai? Ti metti a fare il cavaliere?” domandò Luke, tirandogli un pugno contro il braccio muscoloso.
Semplicemente ha un po' di sale in zucca!” ribattei acida.
Hey! La ragazza è proprio sclerata”

Scossi la testa. Avevano ragione loro. Cosa mi aveva preso? Forse avevo bisogno di dormire ancora un po'.
Touchè” borbottai a mo' di scusa “Okay, cerco di darmi una regolata. Allora ripercorriamo ciò che è successo. Siamo usciti insieme e siamo andati in un bar, giusto?”
Lì c'ero anche io” annuì Arianna.
Andrea intervenne, sorseggiando il suo aperitivo: “Sì ma poi tu sei rimasta con Katriina e gli altri al pub, mentre noi con Liz siamo andati al Midnight Wish”.

Un brivido mi attraversò la schiena: 'Credo di averti incontrato al Midnight Wish,e poi temo mi sia lasciato un po' trasportare...'. Scacciai quei pensieri, riportando la mia attenzione sulle parole di Andrea: “Dopo qualche altro giro non ti abbiamo più vista, ma non ci siamo preuccupati più di tanto. Magari eri tornata in albergo accompagnata da uno di quei ragazzi che ti stavano dietro.
Forse ti eri dimenticata di avvertirci.”

Avreste dovuto darle un' occhiata in più” sentenziò Arianna contrariata.
No non è colpa loro” li difesi. “Non sono mica la mia balia solo perchè sono la sua piccola”.
Raccolsi la borsa e tirai fuori i soldi per il mio caffè,che posai sul tavolino accanto alla mia tazzina.

Grazie di tutto. Ci vediamo ragazzi.”
Te ne vai?”chiese Luke stupito.
Non sono di gran compagnia. Meglio che ci dorma sopra.”
Vieni stasera? Proprio ieri ci hanno chiesto se cantavamo uno o due pezzi al Midnight”.
Scossi la testa, istintivamente “Non credo. In bocca al lupo comunque”.

Vuoi che ti accompagni?” si offrì Gabriel, mentre mi stavo alzando.
Non ti preoccupare” sorrisi ai suoi grandi occhi celesti. “Non mi dispiace fare due passi da sola”.
E così nel chiaro tramonto, stringendomi nella mia giacca di pelle, ripercorsi le strade di Helsinki verso il mio albergo.



Eccomiiiiii!! Per la vostra gioia( see..cm no?XD) sono tornata con un nuovo capitolo^^
Ehh, un capitolo piuttosto di passaggio a dire il vero, ma utile per iniziare ad inquadrare altri personaggi della storia (io personalmente adoro LukeXD vedrete poi cosa combina nel prox capitoloXD)
Va beh^^ ditemi un po' cosa ne pensate!

AAAhhh..quasi dimenticavo: nessuna offesa per i mitici within! L'autrice nn la pensa come l'elisa (capito CloClo!!! XD)

E poi non so come ringraziarvi per i commenti! Mi rendono felicissima!! Non avete idea di quanto!

@Kadma32: ma graaaaaazie^^ ke bello! Davvero ti ha preso così tanto? Wow! Spero che riusciranno a farlo anche i prox capitoli..ciauuuuuuuuuuuu

@crazyforfrankiero: eheheh..già quel reggiseno..muahahahah..oky mi ripiglioXD eh in effetti villuccio era di passaggio nell'hotel..maa..direi che nonostante la sua assenza in questo chap..ce lo ritroveremo molto presto nella storia...moooooooooolto presto..hihihihi..ciauuu

@linkinpark: hihihi..ho un debole per lindeXD (ville mi osserva cn uno sguardo poco raccomandabile me: maaaa villuccio!!! cosa hai capitooooo??? non quel genere di debole!! ci sei solo tu nel mio cuoricino!!XD) cmq grazieee cara^^ me strafelice che ti sia piaciuto!!

@LadyNumb: uuuh..mi dispiace che il tuo viaggio sia saltato..e so che il mio capitolo non è stato una gran consolazioneXD cmq grazie per aver commentato ancoraa...me sempre più peperoneee..aahhh^^ke billo..uhm..un nterrogatorio..beh..credo che sarai accontentata^^ciauuuu

@Cloclo: la mia sweet mentoraaaaaaaa^^ eheheh..sìì..lo so..povero ville..sempre nei casiniXD hey..mi sa ke di questo capitolo te ne mancava un pezzo (sacrilegioXD) e poi la scena ci sarà preeeeeeesto^^ kiss cara

@grimilde: uuhhh..ke brava che è la mia tata (so ke adori se ti chiamo cosìXD) lo so che prima o poi ti convertirò!! dai intanto sn ruscita a farti venire simpatico lindeXD prima o poi ti convincer che ville è fantastico!! okay ardua impresaXD ma nn mi arrenderò muahahahahha!!!! grashie millissime cmq^^ troppo (TROPPO!) buona^^

Ecco ho finito di blaterareXD..grashie a tutte ancora!!
Kiss Kiss
La vostra
- FallenAngel -








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Capitolo 5
*** Sing with me ***


Chapter 4


Sing with me


Wipe away your inhibitions


4 Maggio


“Dai! Non vorrai mica passare un'altra serata in albergo chiusa in questo buco?” esclamò Arianna, tirandomi per un braccio e costringendomi ad alzare.

“Guarda che ieri sera non sono rimasta in camera” le feci notare “Ho passato il tempo nella hall con altri ospiti”.

Sbuffò: “Immagino: un ammasso di cariatidi, giusto?”

“No, veram...” iniziai a ribattere, ma mi fermò scuotendo energicamente la testa: “Shh! Non voglio sentire altre storie! Adesso ti vesti e usciamo insieme”

“E dove dovremmo andare?”

“Sorpresa!”

La guardai storto per qualche secondo: “Al Midnight Wish vero?”

“Beccata. Dai! E' stupendo quel locale. In fondo che ti importa? Questa volta...”

“Va bene, ci vengo” sospirai, mentre ancora parlava.

“E poi...” continuò la sua filippica “Hai detto sì? Uh, bravissima!” esclamò ballandomi quasi intorno.

Non potei non sorridere: “Quanti anni hai scusa?”

“Ventuno” rispose facendomi la linguaccia.


Mi avvicinai all'armadio per scegliere cosa indossare; perchè non sarei dovuta andare in quel locale? Che stupida idea. Per prima cosa non mi sarei ubricata. E poi...non c'era assolutamente la possibilità che potesse accadere nulla di simile.

Ma chi stavo prendendo in giro? Era proprio la certezza che non sarebbe potuto più succedere che faceva male.

Basta. Non dovevo più pensarci.


Tirai fuori un paio di jeans a vita bassa e sbirciai nei cassetti alla ricerca di un top adatto.

Arianna si avvicinò e, senza esitare, mi mise sotto il naso una camicetta blu con le spalline di pizzo.

“Coordinato con gli occhi di Gabriel” bisbigliò al mio orecchio.

“Cosa?” mi voltai di scatto.

Ridacchiò, sfilando da un omino un abito scuro con una generosa scollatura e una caratteristica cintura, e si dileguò canticchiando.


“Ary! Dove credi di andare!” le corsi dietro.

“Dai! Non dirmi che non te ne sei accorta”

“Di cosa?” domandai stupita.

Nascose il viso fra le mani, in un gesto di sfinimento.

“Quando ti ci metti sei proprio una volpe! Si capisce lontano chilometri che ha un debole per te. La solita fortunata” sbuffò.

“Ma figurati” negai con decisione “E' solo molto gentile” Ripensai ai suoi grandi occhi azzurri e arrossii involontariamente.

“Sì, sì, come dici tu” mi assecondò per niente convinta, mentre infilava gli stivali.


“E tu che mi dici? Per chi è che ti sei vestita in quel modo?” domandai con tono malizioso.

“Eh, sapessi...” sbattè le ciglia e poi scoppiò a ridere “Uomini di Helsinki, preparatevi! Arriva l'inarrestabile e irresitibile Arianna! Anche se il migliore te lo sei già preso” aggiunse poi a voce più bassa.

Era incorreggibile. Quando si metteva in testa una cosa era impossibile farle cambiare idea.


Sbucò all'improvviso alle mie spalle mentre cercavo di tracciare la linea sottile di eyeliner sulle mie palpebre.

“Per poco non mi infilo la matita nell'occhio!”

“Scusami, scusami. Posso farti le trecce?”

“Cosa?” domandai stupita

“Ti stanno così bene! Per favore” mi pregò, tirandomi qualche ciocca.

Mi arresi, lasciandomi cadere sul letto: “Prego, darling”

Sorridendo, si sedette dietro di me e iniziò a intrecciare i miei capelli d'ebano con mani esperte.

“Non tirare troppo” sbuffai.

“Piantala un po' di lamentarti” mi sgridò “Piuttosto ammira il risultato”

Mi condusse davanti allo specchio: osservai a lungo il mio riflesso, fingendomi concentrata, prima di mormorare: “Discreto”

“Bugiarda”

Come al solito aveva ragione. Dovevo proprio ammetterlo? Naaa, pensai tra me e me.

Mi limitai a scrollare le spalle: “Andiamo va. Non vorrai mica arrivare più in ritardo di Luke”


**


“Vado a prendermi una birra” avvisai Gabriel, terminata la canzone.

“Ti aspetto alla base” scherzò.

“Come vuoi” gli sorrisi senza alcuno sforzo. Era quasi mezz'ora che ballavamo senza sosta nella pista circolare del locale e, dovevo ammetterlo, mi stavo davvero divertendo.

L'Ary non aveva torto, quel ragazzo era quasi irreale.


Con la mia Heineken tornai ad uno dei tavolini neri quadrati dove Arianna ed altri ragazzi chiacchieravano allegramente.

“Hey! La ballerina è tornata” mi diedero il benvenuta.

Feci un inchino per poi sedermi accanto a Danny, un altro dei 'nostri ragazzi', come eravamo soliti chiamarli io e l'Ary, precisamente il chitarrista del gruppo.


“Quante ne hai bevute?” mi domandò Luke, sospettoso, accennando con la testa alla bottiglia che avevo ancora in mano.

“E' la prima” misi le mani avanti.

“Sei sicura?” continuò ad investigare il cantante, corrugando la fronte.

“Davvero, davvero” tutti scoppiarono in una sonora risata.


Mi guardai intorno, ripercorrendo con gli occhi la sala del Midnight Wish.

L'atmosfera in quel luogo era indefinibile: gotica forse, ma allo stesso tempo acogliente. Speciale.

Le luci artificiali si posavano tenuamente sulla pista davanti al palco e sull'area disseminata di tavolini tutti uguali, affollati ma mai esageratamente.


Nessun raggio di luce filtrava attraverso le grandi vetrate a mosaico sul lato ovest. Proprio a destra dell'entrata si trovava il lungo bancone dove barman esperti servivano da bere a velocità vertiginosa e senza dare troppa attenzione alla fisionomia dei clienti, o alla loro età, a differenza che in molti altri locali di Helsinki.


Nell'ala nord-est del locale si inserivano le aree riservate: i camerini accanto al palco e più in là una serie di privè.

Nella stessa zona doveva probabilmente trovarsi la scala per accedere al secondo piano, una terrazza che si affacciava sulla pista, di fronte al palco, ma che non avevo mai visitato, essendo molto esclusivo. O forse non mi ricordavo di averlo fatto, sospirai tra me e me.

Tutta l'area era ben sorvegliata: come diavolo avevo fatto a passare?


“Non pensi anche tu, Liz?” si rivolse a me Andrea, accentuando con forza il mio nome e strappandomi ai miei pensieri.

“Cosa scusa?” domandai.

Il ragazzo scosse la testa, sbuffando: “Sempre sulle nuvole, eh?”

“Sai com'è, ci si sta tanto bene: è tutto così soffice” risposi prontamente, con aria sognante “Comunque cosa dicevi?”

“Davamo un giudizio sui ragazzi che si sono buttati nel karaoke” intervenne Gabriel “Alcuni sono davvero bravi”

Annui con entusiasmo: “Sì sì, avete ragione. Molto meglio di certi che si definiscono professionisti” commentai con finta noncuranza, grattandomi il collo.


“Spero non alludessi a nessuno in particolare” mi squadrò Luke, battendo le dita sul tavolo.

“Oh no, certo che no” lo guardai con occhi innocenti, per poi voltarmi verso il palco, sorridendo sotto i baffi, per ascoltare con più attenzione un ventenne che interpretava con molto successo 'In lust' dei Poisonblack.

“Ragazzi siete l'emblema della concordia” rise Andrea, seguito da tutto il gruppo, mentre Luke lasciava il suo posto.

“Ma no, cosa dite? Io voglio così tanto bene alla mia dolce Liz” disse, abbracciandomi da dietro. “Scusate ora devo fare una cosa” aggiunse poi allontanandosi a grandi passi.


“E ora dove sta andando?” domandò Katriina scostandosi una ciocca ramata dal viso. Katriina era una ragazza non lontana dalla trentina che avevamo conosciuto in una casa discografica. Era stata lei ad aprire a noi nuovi arrivati le porte di Helsinki: si era rivelata subito una ragazza solare e terribilmente simpatica, senza contare che conosceva i migliori negozi della città di abbigliamento dark-goth e non solo. Inutile dire che era diventata subito nostra amica, anche se non riuscivamo proprio a capire quella specie di sbandata che si era presa per Luke.

“E chi lo sa?”


When fear of life keeps crawling in
She wipes it all away
Day turns to night repeats the sin
I'm in lust so let love reign”


Ormai le ultime note della canzone avevano attraversato la sala: ci voltammo tutti verso il palco per fare un applauso all'improvvisato cantante, ma rimanemmo tutti di stucco quando a sostituire il ragazzo fu una persona alquanto conosciuta e riconosciuta anche dal pubblico del locale.

“Ma cosa cazzo sta combinando?” sbottò Andrea “Si vuole mettere a cantare senza di noi?”

Alzai le spalle: “Forse vuole darsi anche lui al karaoke nel tentativo di dimostrare qualcosa. Lo sai come è fatto no? E' completamente fuori...”


Mi sorpresi nel notare quante persone battessero le mani e lo salutassero a gran voce. Aveva cantato solo qualche volta da quanto ne sapevo, ma doveva essere piaciuto molto. Ero fiera di lui, ma certo non glielo sarei mai andata a dire. Già il suo ego doveva correre a mille al momento.


Prese in mano il microfono e la gente sulla pista si fece meno rumorosa. Anche il nostro gruppo tacque completamente e aspettammo che iniziasse a parlare, curiosi di sapere cosa avesse in mente.

“Hey! Ragazzi! Vedo che siete carichissimi stasera. Ma ho una brutta notizia per voi: non avrete il piacere di ascoltare la mia fantastica voce” Scossi la testa: poco modesto come al solito. Ma allora per quale razza di motivo era salito su quel palco? Solo per farsi vedere?

Non attesi molto per scoprirlo. Anche se sarebbe stato meglio non sapere.


“Non preoccupatevi però. C'è una mia amica qui stasera che non aspetta altro che cantare per voi. E vi assicuro che ha una voce, beh...discreta...nulla in confronto alla mia naturalmente, però direi che non potete lamentervi. Vero Liz?” si volse a guardarmi, e prima che potessi connettere i miei neuroni e capire cosa stava accadendo, mi sentii sommersa da centinaia di occhi e iniziai a sprofondare piano piano sulla sedia, nella speranza che una voragine si aprisse sotto i miei piedi e mi risucchiasse.

Ma cosa diavolo credeva di fare?


“Liz? Cosa aspetti?” domandò di nuovo, ghignando senza ritegno.

Iniziai a sentire diverse pacche sulle spalle.

“Dai Ely vai!” mi incoraggiò Arianna.

La guardai allibita: “Ma sei matta?”

“Dai devi andare! Sei bravissima a cantare e lo sai!”

“E poi non vorrai mica darla vinta a quell'idiota!” aggiunse Andrea, ridendo sotto i baffi.


Scossi la testa. No, no e poi no!

Non avevo mai cantato davanti ad una folla così vasta, abituata oltre a tutto ad ascoltare cantanti professionisti.


“Mi sa che la mia amica è stata colta da un momento di timidezza” riprese Luke “Vogliamo darle un piccolo incraggiamento? Insieme a me: Elisa! Elisa! Elisa!”

Chiusi gli occhi. Non stava succedendo davvero, giusto? Vi prego svegliatemi da questo incubo.

Ben presto tutto il locale aveva attacato ad inneggiare il mio nome.

Arianna si avvicinò al mio orecchio per farsi sentire: “Devi andare, my darling. Vedrai che andrà benissimo.”

Sentii qualcuno prendermi un braccio e tirarmi su. Mi arresi, non opponendo resistenza.


“Hey! Sembra che l'abbiamo convinta!” battè le mani il cantante.

Con non troppa fretta raggiunsi la scaletta del palco, mentre il mio “futuro pubblico” si apriva per lasciarmi passare. Era tutto così terribilemente imbarazzante.


Quando finalmente raggiunsi il mio aguzzino lo guardai torva.

“Eccola qui ragazzi! La nostra Liz. Fatele un bell'applauso”

Mi inchinai per ringraziare, mentre mi veniva passato un microfono. Prima di rivolgermi a tutte quelle persone mi avvicinai a Luke e sibilai: “Questa me la paghi”

“Grazie davvero di questa accoglienza. Anche se non credo di meritarla. Penso gradireste molto di più ascoltare un prrofessionista come il nostro Luke. Quindi penso che gli lascerò volentieri il testimone”

Il moro scosse la testa: “No, no cara. Io ho già dimostrato più volte il mio talento. E' ora di lasciare spazio a nuove stelle. Volete sentire cantare la mia amica vero?”

Guardai supplichevole le persone sulla pista, ma sembravano tutte d'accordo. Tutte d'accordo contro di me.


“Okay, okay. Se è proprio questo che vuoi sono pronta a toglierti fino all'ultimo fan!” asserii a testa alta.

“Wow! L'avete sentita eh? Adesso minaccia anche”

“Certo. Non crederai mica che abbia paura?” Cazzata. Grandissima cazzata. “Direi che possiamo iniziare. Sei hai intenzione di lasciarmi un po' di spazio naturalmente. Sai tu e il tuo ego siete molto ingonbranti” le risate che risuonarono nella sala mi diedero coraggio “Credo che canter...”


“Hey, hey...piano...sono io che decido cosa canti” mi fermò lui.

Sbattei gli occhi più di una volta. “Cosa?”

“Hai capito benissimo amore. Tanto tu non hai mica paura” mi fece il verso.

Ed eccola lì la voglia di strozzarlo che si faceva sempre più grande.

“Oh d'accordo. Allora cosa proponi?” lo guardai con aria di sfida.

Sogghignando si voltò e andò a bisbigliare qualcosa all'orecchio dei musicisti che si trovavano sul palco per accompagnare le esibizioni.

Li vidi annuire, leggermente sconcertati. E iniziai a preoccuparmi seriamente.

“Allora?” domandai ansiosa.

In tutta risposta Luke fece un gesto con la mano alla band, affinchè accennasse le prime note.


“Proprio una a caso vedo” scossi la testa non appena ebbi riconosciuto la canzone. Non molto tempo prima mi ero ritrovata a cantarla, ma non ero molto in me. Beh, sì avete indovinato, ero alquanto brilla anche quella volta. E il risultato era stato molto discutibile. E imbarazzate.


“Ah-ah...non vorrai mica ritirarti cara?” Luke lo sapeva bene quello che era successo. E adesso si stava divertendo un mondo nel mettermi in difficoltà. Dire che era vendicativo era un eufemismo.

Sentii la folla ricominciare a chiamare il mio nome, divertita dal nostro continuo battibecco e curiosa di sapere come me la sarei cavata.

Ormai ero fregata. Cosa potevo fare se non prendere coraggio e dare del mio meglio?


“Molto bene” sorrisi, cercando di scacciare definitivamente la paura. Ero brava. Ce l'avrei fatta. E avrei lasciato di stucco quell'idiota “Come il mio amico qui presente ben sa, ho un particolare legame con questa canzone” lo udii sogghignare alle mie spalle “Ma non sa che la cara Liz ha fatto i compiti ed è diventata molto brava. E glielo dimostrerà.” annunciai con fare sicuro, mentre sentivo gli applausi salire dalla folla.

Mi voltai verso il nostro tavolo, con gratitudine. Sapevo da dove erano partiti.

Feci un inchino e aggiunsi sorridendo: “Hey, però non sono Tarja”. Le risate riempirono la sala.


Facendo un bel respiro svuotai la mente da tutto e mi voltai verso il gruppo.

“Pronta?” mi domandò il chitarrista. Annui con decisione, tornando a fronteggiare il “mio pubblico” ; sorrisi al pensiero: non mi era mai capitato di cantare davanti a così tanta gente. Ma in fondo c'è sempre una prima volta no? E per quella sera sarei stata anche io una rock star.

Mentre le note iniziavano a farsi strada nel locale sentii l'adrenalina salire. E poi iniziai a intonare 'Over the hills and far away'.


They came for him one winter's night.
Arrested, he was bound.
They said there'd been a robbery,
his pistol had been found.”


Non resistetti all'impulso di voltarmi per guardare in viso il cantante, che mi mandò un bacio da lontano e riprese a battere le mani a ritmo di musica insieme al resto della sala.

Scossi le spalle e ricominciai a cantare, invitando tutti i presenti ad accompagnarmi con la loro voce durante i ritornelli.


Over the hills and far away,
for ten long years he'll count the days.
Over the mountains and the seas,
a prisoner's life for him there'll be.”


Ma cosa stavo facendo? Quella vacanza era qualcosa di straordinario. E non sapevo che le sorprese non erano ancora finite.

Osservai divertita Arianna, Gabriel e gli altri, che, avvicinatisi al palco urlavano e ballavano senza freni.


Each night within his prison cell,
he looks out through the bars.
He reads the letters that she wrote.
One day he'll know the taste of freedom.


Over the hills and far away,
she prays he will return one day.
As sure as the rivers reach the seas,
back in his arms he swears she'll be.

Over the hills and far away,
he swears he will return one day.
far from the mountains and the seas,
back in her arms is where he'll be.

Over the hills and far away,
she prays he will return one day.
As sure as the rivers reach the seas,
back in his arms is where she'll be.

Over the hills,
over the hills and far away.

Over the hills,
over the hills and far away.”




Abbassai il microfono, soddisfatta. E felice. Era andata bene. Era andata bene sì.

Rimasi a godermi gli applausi dei presenti, ringraziando ogni tanto con uno stupido inchino mentre riprendevo fiato e voce.

“Hey complimenti cadetto” mormorò Luke, arrivandomi alle spalle e abbracciandomi la vita.

“Eh lo so. Cosa ci vuoi fare. La classe è classe” mi vantai scherzando.

“la fortuna del principiante più che altro”

Mi scostai di scatto, mettendo il broncio: “Sei sempre il solito” mi finsi arrabbiata.

“Beh dai con una sola canzone...” cominciò per stuzzicarmi.

“Fagliela vedere!” urlò qualcuno dal centro della pista.

“Sì cantaci un'altra canzone!” “Vai Elisa!”


Ben presto un nuovo coro intonava a gran voce il mio nome.

Presa dall'entusiasmo non me lo lasciai ripetere due volte.

“E' tutto tuo cara” sussurrò Luke al mio orecchio, prima di allontanarsi dal palco.


Sorrisi tra me e me: lo adoravo. Li adoravo tutti quanti. E Non avevano fatto altro tutta la sera che cercare di riportare il sorriso sulle mie labbra e farmi divertire. E probabilente non li meritavo. Non una ragazza egoista e musona come me.

Luke sapeva quanto mi piacesse cantare, ma di sicuro se me lo avesse proposto senza sfidarmi non mi sarei mai buttata.

“Grazie” bisbigliai sfiorando la sua mano.


Scelsi immediatamente la canzone e la comunicai al gruppo.

Tormentai a lungo le trecce, sistemandole davanti alle spalle, mentre, avendo fatto un profondo respiro, riprendevo la parola: “La dedico ad una persona speciale che è riuscita a regalarmi le stesse emozioni che è in grado di sucitare in me questa canzone ogni volta che la ascolto, anche se..beh, questa persona non lo sa” E non lo saprà mai.


Vidi Arianna strizzarmi l'occhio dalla prima fila, compiaciuta.

Quasi mi scappò da ridere. Quella pazza. Chissà a cosa stava pensando. Anzi no, credevo di saperlo: di sicuro già congetturava il mio fidanzamento con Gabriel.

Ma questa volta non ci aveva preso.

Chiusi gli occhi, dando il via alla mia esibizione.

Mi sciolsi completamente, lasciando che le note della canzone che avevo amato sin dall'inizio diventassero parte di me.


Un ultimo pensiero attraversò la mia mente, prima che cominciassi a dar voce alle parole: era in fondo così buffo o perlomeno strano dedicare una canzone alla stessa persona che l'aveva scritta.


Memories, sharp as daggers
Pierce into the flesh of today
Suicide of love took away all that matters
And buried the remains in an unmarked grave in your heart”


**


Mentre era impegnaa su quel palco, a mia insaputa, cinque ragazzi fecero il loro ingresso nella locale da un'entrata secondaria e più protetta.

“Hey, ma questa canzone la conosco!” commentò Migè con ironia non appena ebbe messo piede, per primo, nella sala.

“Ville vieni un po' a vedere” Burton chiamò il frontman della band, che era rimasto poco più indietro per spegnere l'ennesima sigaretta della giornata.

“C'è qualcuno che ti sta fregando il lavoro...”

“...e con molto successo tra l'altro” sogghignò Gas osservano i ragazzi in fermento sulla pista da ballo.


With the venemous kiss you gave me
I'm killing loneliness
With the warmth of your arms you saved me,
Oh, I'm killing loneliness with you
I'm killing loneliness that turned my heart into a tomb
I'm killing loneliness”


“Hey Ville, tutto okay?” domandò Linde all'amico, tirandogli una pacca sulla spalla, dopo che questi si era pratcamente bloccato sulla soglia con uno sguardo terribilmente stupito negli occhi.

“Temo che il caro Ville si sia accorto che la ragazza è davvero brava. Anche più di lui” continuò il batterista.


Fu il turno di tutti gli altri membri della band a rimanere a bocca aperta quando il darkman non rispose alla provocazione, ma si allontanò a grandi passi, dopo averli liquidati con un veloce 'Devo fare una cosa. Ci vediamo di sopra'

“Ma dove cazzo sta andando?” chiese infine Burton.

“Speriamo non voglia liberarsi della concorrenza” rise Migè.

Il rasta li guidò verso la scala: “Dai andiamo!”

“Però potremmo farci un pensierino...” commentò Gas fermandosi al secondo gradino.

“Su cosa?” domandò curioso il bassista.

“A scambiare Ville con quella gran gnocca!”


**


Era proprio come se anche lui fosse con me su quel palco.

Ma la canzone finì, e con essa la magia.


Di nuovo Luke tornò da affiancarmi: “Ma tu sempre qui a cercare di prenderti i miei applausi?”

commentai, scuotendo la testa.

“Veramente sono venuto a portarti via di qui, prima che tu metta radici” rispose lui prendendomi sotto braccio.

Ma fu allora che salì sul palco un ragazzo non troppo alto, con uno strano tatuaggio tribale sul collo, che lavorava dietro le quinte.


“Aspetta tesoro” si rivolse a me.

“Sì?” domandai stupita, arricciando il naso: non amavo appellativi troppo confidenziali da gente sconosciuta.

“C'è un ragazzo là dietro” spiegò indicando alle proprio spalle “a cui piacerebbe cantare un brano con te”.

Annuii e qualche ciocca corvina mi cadde sul viso: “ Certo, se a loro non dispiace sopportarmi ancora per qualche minuto.” Ormai ero lanciatissima.

Subito i ragazzi si fecero sentire.

“Bene allora” sorrisi “digli di salire sul palco”.


“Veramente preferirebbe venire allo scoperto solo all'ultimo momento”

“Abbiamo un tipo timido eh?” scherzò Luke con il pubblico.

Il moro non riuscì a trattenere una risatina: “Beh, diciamo così” si comportava in modo strano, come se nascondesse qualcosa “Allora accetti comunque?”

Alzai le spalle: “Okay. Quale canzone?”
“Visto che hai cantato una canzone degli HIM il ragazzo di là si chiedeva se conoscessi il remake di Summer Wine, inciso dal loro leader poco tempo fa, insieme a Natalia Avelon. Anche se è un po' sui generis.”


Mi uscì una strana smorfia, nel tentativo di non scoppiare a ridere, ripensando ai duetti miei e di Arianna davanti allo specchio, lei a prendere in giro l'attrice tedesca che avremmo voluto uccidere per la sua fortuna sfacciata (all'epoca reputavo ne avesse avuta davvero tanta, non sapevo infatti cosa sarebbe accaduto qualche mese dopo alla sottoscritta) e io a cercare di imitare la profonda voce di Ville.

Il ragazzo mi guardò spaesato per alcuni istanti.


“Sì sì, la conosco” mi affrettai a rispondere. Avrei solo dovuto cambiare parte, ma non era di certo un problema.

“Bene, allora quando inizia la musica tu comincia pure e non preoccuparti che il cantante arriva” mi assicurò.

“Okay” risposi semplicemente grattandomi la punta del naso.

“Allora ti lascio di nuovo. Comportati bene” mi ammonì il mio amico.

Gli feci la linguaccia e mi posizionai per la terza volta al centro della pedana, aspettando che la band attaccasse.


Ma successe qualcosa che non mi aspettavo: il locale si fece all'improvviso scuro, mentre una tenue luce soffusa si accendeva intorno al palco.

D'un tratto calò il silenzio, interrotto soltanto da qualche mormorio di stupore.

Era tutto così strano. Nessuna esibizione di dilettanti quella sera aveva ricevuto un simile trattamento.

Iniziai a sentirmi alquanto a disagio. Sembrava tutto più serio adesso.


Ma subito dopo mi diedi mentalmente della stupida: cosa cambiava in fondo? Dovevo solo cantare come avevo fatto prima. Anzi, non vedendo tutte quelle persone avrei potuto lasciarmi andare completamente.


“Pronta?” sentii chiedere alle mie spalle.

“As always”

Dopo quelle due brevi note di introduzione iniziai a cantare con voce suadente, procedendo lentamente lungo il palco. Mi sentivo molto stupida. Ma cosa importava in fondo?


Strawberries cherries and an angel's kiss in spring
My summer wine is really made from all these things”

Sorrisi divertita e, continuando a ballare, mi voltai aspettando il mio partner.


I walked in town on silver spurs that jingled too
A song that I had only sang to just a few...”

La voce giunse prima della persona. Ma bastò solo quella. Perfetta. Troppo perfetta.

La folla cominciò ad urlare più forte. Le ragazze in particolare furono quelle a farsi sentire di più.

Per quanto mi riguardava sentii il sorriso morirmi sulle labbra e i muscoli irrigidirsi, mentre il cuore comiciava a battere più forte.

Fin quando Ville Valo non fu a due passi da me, cantando in un modo così terribilmente sexy e guardandomi negli occhi.


...She saw my silver spurs and said let pass some time
And I will give to you summer wine...”


Beh, a quel punto credo che il mio povero cuore mancò un colpo. O forse due.


...Oohh-oh summer wine”






Sì speravate lo so di esservi dimenticati di meee!! ma no, eccomi sono tornata!! della serie un'aggiornamento più rapido non poteva farlo sta pazza...scusate ho avuto problems con il comp..e poi sono partita quasi subito (e devo ripartire domenicaXD)

Ringrazio troppissimo le sweethearts che hanno lasciato un commento tipo tre mesi fa al mio capitolo^^ scusate davvero il ritardo e se non ringrazio a dovere ma sono di frettissima.

p.s per LadyNumb: te ricordi l'interrogatorio??XD beh me sa ke dovrà aspettare qualche capitoletto ma non me lo sono scordata!

Beh che dire, il capitoletto è bello lungo..spero non ci morirete sopra!

Fatemi sapere i vostri commentini!!

Baci

La vostra
-FallenAngel-



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Capitolo 6
*** Impossible desires' list ***


Charter 5

 

 

Impossible desires’ list

 

Kissed by the Blinded Goddess

 

Sbattei più volte le palpebre, mentre cercavo di riprendere il mio autocontrollo. Forse se avesse smesso di fissarmi con quegli occhi magnetici almeno per un secondo raggiungere il mio obiettivo sarebbe stato più semplice. Avevo la sensazione che si stesse divertendo un mondo.

Deglutii ed entrai nel panico. Dovevo cantare: era arrivato il mio turno! Cazzo Elisa svegliati!

 

Non so come, la voce iniziò ad uscire , sebbene piuttosto insicura, all’inizio quasi impercettibile, poi sempre più forte, fin quando riuscii a riprendere un certo contegno. Beh, restavo sempre una statua dotata di corde vocali.

Quando finalmente riuscii a staccare gli occhi dai suoi e voltarmi verso la pista buia, tutto divenne più facile.

 

Non appena ebbi finito il mio pezzo girai appena la testa per potergli gettare una fugace occhiata, nascosta dalla frangia che mi era ricaduta sugli occhi.

Tanto bastò per poter accorgermi che il darkman non era altrettanto fermo, ma si stava avvicinando sempre di più.

Finsi di essere molto concentrata sul pubblico, mentre sentivo la sua voce ad un passo da me.

 

Stavo a poco a poco perdendo coscienza della realtà. Le ipotesi erano in fondo tre: che stessi completamente perdendo la ragione, che fosse sempre uno stramaledetto sogno (un sogno molto lungo), o che fosse tutto vero: al momento proprio non sapevo scegliere quale fosse la più plausibile. Era giunto il momento di controllare che nella mia famiglia vi fossero casi di pazzia acuta?

Avevo accettato quello che era successo due giorni prima, mi ero convinta che fosse reale, ma adesso ogni certezza si infrangeva in minuscoli frammenti. Potevo essere davvero così fortunata?

 

D’un tratto mi tornarono alla mente le parole che Arianna mi aveva rivolto poco tempo addietro: “Tu pensi troppo! Vivi la tua vita e non continuare a ponderare ogni minima azione! E soprattutto prendi tutto quello che la sorte ti regala e non convincerti ogni volta di non esserne all’altezza, o finirai per perderti tutto ciò che il mondo ha di bello da offrirti!” Di certo il lupo perde il pelo ma non il vizio. Forse, probabilmente, aveva ragione.

Ero davvero così fortunata e dovevo ringraziare la sorte e non cercare di sfuggirle.

 

Lasciai indietro ogni paura e inibizione e mi voltai nuovamente verso Ville. Quando giunse la mia parte non mi lascia trovare impreparata ma cantai sorridendo di rimando al mio partner.

Finalmente rilassata riuscii a prendere parte a quel gioco di sguardi e sempre più coinvolti iniziammo a girare intorno l’uno all’altra, provocandoci un po’, ma senza mai avvicinarci troppo.

Mi ritrovai quindi a ricevere un mare di applausi, con un compagno che di certo li meritava molto più di me.

Non sapendo bene come comportarmi decisi di lasciare a Ville il palco e sparire dietro le quinte con un ultimo inchino.

 

**

 

Mi nascosi nell’angolino più defilato e mi lasciai cadere su una cassa abbandonata di traverso, inutilizzata, e mi abbracciai le ginocchia, quasi completamente al buio. Un sorriso inebetito ancora stampato in faccia.

Decisi di restare lì per un po’ a crogiolarmi nel mio sogno personale, nella speranza di poter trattenere ancora qualche granello di magia e sicura che nessuno mi avrebbe trovata.

Non subito almeno.

 

“Fuga dai fan?” una voce interruppe i miei pensieri.

Connettere i miei poveri neuroni e rendermi conto a chi apparteneva quella voce fu un altro colpo. Per avere 17 anni rischiavo troppe volte di avere un infarto.

“Scusa, non volevo spaventarti. Se vuoi ti lascio in pace” mormorò Ville.

“No!” mi affrettai a rispondere, forse con troppo slancio, vergognandomene subito dopo “E’ solo che…pensavo di aver trovato un buon nascondiglio” spiegai, tralasciando il piccolo dettaglio ‘ogni volta che mi rivolgi la parola mi dimentico anche come si respira.

 

Lo sentii sogghignare: “Trovi? E’ esattamente quello che penso anch’io. Mi rifugio spesso qui prima o dopo i concerti per stare un po’ da solo”.

Per un momento mi ero quasi illusa che mi stesse cercando. Forse era meglio non esagerare con la fantasia.

“Sono un’usurpatrice quindi?”

“In un certo senso…” scoppiò a ridere. “Ma penso che sia abbastanza grande per entrambi. E’ la prima volta che ci trovo qualcun altro. Ma vediamola in un altro modo: dobbiamo essere molto simili tu ed io, non pensi? Stessa mente contorta almeno”

Eh, magari…

 

Rimasi zitta, ancora con quello stupido sorriso stampato in faccia. Ringraziai con tutto il cuore il cielo che la luce fosse così scarsa e che il darkman non potesse vedermi bene in viso, sebbene anche nella penombra riuscivo a  percepire il suo sguardo magnetico su di me.

“Posso sedermi?” chiese infine, non sapendo bene come interpretare il mio silenzio.

Ancora una volta non riuscii a ritrovare la parola e mi scostai semplicemente più a destra, lasciandogli un po’ di spazio.

 

“Non mi avevi detto che sei una cantante” commentò.

“Cosa?” sbottai “Dai non prendermi in giro!”

“Non lo sto facendo. Da quanto tempo canti?” sembrava davvero interessato.

“No davvero!” misi le mani avanti “Io non canto! Lo faccio solo per divertirmi ogni tanto. Solitamente su costrizione, a dire il vero.”

Prese il pacchetto dalla tasca dei jeans estrasse una sigaretta che mise subito in bocca e me ne offrì un’altra, che però rifiutai.

 

“Beh” riprese, lasciando morire la fiamma dell’accendino “Allora è un vero peccato. Ti assicuro che ho sentito davvero tante persone cantare ‘Killing loneliness’, troppe volte oserei dire, la maggior parte delle quali mi sarei volentieri risparmiato, e credo di poter affermare che tu l’abbia fatto stupendamente, soprattutto considerando il fatto che sei una donna…”

“Hey! E questo cosa vorrebbe dire!” brontolai subito. Il mio animo cocciuto e femminista non poteva restare in campana di fronte ad un’affermazione del genere, nemmeno davanti a Ville Valo!

“No, no, non faccio discriminazioni sessuali – spiegò – Intendevo soltanto che seguendo toni molto bassi è ancora più difficile da cantare per una donna!”

“Allora direi che in qualità di donna accettò il complimento” risi “ anche se temo che il mondo dovrà perdersi il privilegio di deliziarsi con la mia voce!”

 

Alzò le spalle: “Potresti sempre cambiare idea”

“Ne dubito. Ma non si può mai dire, giusto?”

“Certo, per poco non si perdeva anche la mia di voce! Non dovevo essere io il cantante del gruppo, ma in mancanza di una persona idonea…”

“Sarei dovuta nascere qualche anno prima, eh? Avreste avuto la cantante perfetta per il gruppo”

“Beh, non sarebbe servito in realtà. Noi cercavamo UN cantante”

Non riuscii a trattenermi dal tirargli una gomitata: “Niente discriminazioni sessuali?”

“Giusto un pochino” ammise “Ma eravamo ragazzi, e i nostri idoli avevano band composte da uomini. Potevamo essere da meno?”

 

Mi dimostrai soddisfatta della risposta, ma per provocarmi il darkman aggiunse subito dopo: “E comunque, se vogliamo proprio dire tutta la verità, gli uomini restano sempre il sesso dominante”

Sbuffai, spingendolo con troppa violenza.

“Calma Furia, ti prendevo in giro. Se mi distruggi credo poi non ti resterà molto tempo da vivere, con quelle pazze qua fuori!” scherzò.

Mi ritrassi subito: per un momento avevo dimenticato con chi stavo parlando.

“Scusa” biascicai.

 

“Le star faticano a perdonare sai? Di solito per ottenere la grazia si paga un fio piuttosto elevato” proruppe subito, cercando di non farmi sprofondare di nuovo nell’imbarazzo. Stetti al gioco:

“E cosa dovrei fare, sentiamo…”

“Mmh” fece finta di pensarci un secondo, prima di spingermi a sua volta, facendomi quasi finire per terra, ma prendendomi poi per la vita appena in tempo. “Credo che ora siamo pari”

Per lo spavento – o meglio per l’improvviso contatto – il cuore ricominciò a martellarmi nel petto: eravamo così vicini che non fui l’unica ad accorgersene.

Ville mi lasciò andare immediatamente e io ritornai sull’orlo della cassa.

 

“Inizieranno a chiedersi se dopo la mia discutibile esibizione abbia deciso di fuggire in un altro continente; che so, l’Antartide, per esempio” cercai di riportare la conversazione su toni leggeri.

“O se qualche fan abbia tentato di rapirti. Che poi non è del tutto una bugia. Sei stata trattenuta tutto questo tempo e disturbata da un tuo fan. Dal tuo fan numero 1!”

“Non costringermi a picchiarti di nuovo!” lo minacciai.

“Dico sul serio! Anche se forse hai già un fan numero 1, che sarà già in giro a cercarti.”

Lo guardai accigliata per qualche secondo.

 

Ormai i nostri occhi si erano abituati all’oscurità e Ville cercò di rispondere al mio sguardo confuso: “Il ragazzo con te sul palco. Il tuo ragazzo?” tirò ad indovinare.

Scoppiai in una risata: “Intendi Luke? Il  moro che cercava di rubarsi i miei applausi? Fortunatamente non è il mio ragazzo” Non riuscivo a smettere di ridere. Era così assurdo.

“Beh, dalle occhiate che lanciava mentre eri sul palco, avrei detto che fosse geloso” commentò, grattandosi il naso.

 “Ma figurati! E’ soltanto molto protettivo. E geloso di cosa poi? Forse solo del successo che abbiamo avuto” mi alzai, scuotendo le mani sui jeans “Uh, a proposito. Lo dovresti conoscere! Lui si che è un cantante che merita. Si chiama Luke Varden”

“Me lo ricorderò” promise.

 

“Beh, allora che dire, grazie di nuovo. Anche per la canzone. Ora ho due spunte da mettere alla mia lista dei sogni nel cassetto impossibili”

Non cessò di fissarmi curioso, aspettando che continuassi.

“Conoscere Ville Valo e fare un duetto con Ville Valo!”

 E andare a letto con Ville Valo…

 

“E’ stato un piacere” sorrise “Ma prima che tu te ne vada dal tuo non-ragazzo…” si voltò, alzandosi e cercando qualcosa nelle tasche “Cazzo, ma è possibile che non ho mai un pezzo di carta?” sbottò “Non è che ne hai uno per caso?”

Scossi la testa: “No, mi dispiace. Ma posso sap…”

“Un momento” mi fermò con un gesto della mano “Sto pensando…”

Riuscii non so come a trattenermi dallo scoppiare a ridere di fronte alla sua espressione assorta.

“Beh, direi che non c’è alternativa…” borbottò più a se stesso che a me.

 

Dopo avermi chiesto di seguirlo si spostò in un punto dove la luce era un po’ più forte. Quindi mi  consegnò un pennarello nero.

“Cioè? E io cosa dovrei farci con questo?” chiesi spiegazioni, guardandolo stupita.

Si aprì la giacca, indicando la propria camicia. “Autografala” disse semplicemente.

 

Il mio ‘what’ risuonò per tutte le quinte.

“Dai sul serio, voglio il tuo autografo!” mi incitò.

“Ma sei fuori?” strabuzzai gli occhi “Primo, cosa te ne fai della mia stupida firma? E secondo, se proprio non hai di meglio da fare, almeno cerchiamo un foglio! Di sicuro non ti rovinerò una camicia”

“Per favore” mi pregò, guardandomi dritta negli occhi “Elisa…

 

Non so se fu quello sguardo capace di sciogliermi in un istante, o la sorpresa nel constatare che ricordava il mio nome, ma cedetti alla sua richiesta e, sebbene continuassi a pensare che fosse una follia, scribacchiai il mio nome sulla sua camicia, contro il suo petto, con la mano che tremava.

Sbirciò subito dall’alto in basso: “Nemmeno una dedica?” pareva realmente dispiaciuto.

Mi avvicinai sbuffando e aggiunsi ‘To my number 1 fan and my inspiring muse’ “Ora va bene?” domandai.

Osservò per qualche istante il risultato. “Musa ispiratrice! Wow! Ma vale anche se sono un uomo?”

“Pensava avessi capito: sono per la parità dei sessi io!” affermai “Quasi sempre almeno”

 

Un idea balenò nella mi testa “Ehi aspetta, ancora una cosa” gli feci cenno di riavvicinarsi.

Ville seguì l’ordine senza protestare.

“Ecco fatto!” Annunciai subito dopo.

Non appena fu riuscito ad interpretare al contrario la mia aggiunta, mi squadrò, corrugando la fronte: “Girls rule?”

“Certo!” sogghignai “Ora tu!” gli ordinai, prima che potesse replicare alcunché, mettendogli in mano il pennarello.

 

“C’è sempre il problema della carta” ricordò.

“Ma no, non preoccuparti, firma anche tu sulla maglia” lo invitai.

“Sei sicura?” mi guardò di traverso “Quando te l’ho proposto io sembravi così contraria. Mi hai anche dato del pazzo!”

“Ma non è mica la stessa cosa! Tu ti sei fatto macchiare la camicia da un’emerita sconosciuta, mentre io avrò l’autografo di Ville Valo! Che mi invidieranno milioni di ragazzine”

Sbuffò: “Sciocchezze. Sei poco coerente, punto.”

Tolse comunque il pennarello e si avvicinò, indugiando forse un po’ troppo, vagamente imbarazzato, non sapendo esattamente dove scrivere. Alla fine si abbassò e iniziò ad autografare il top sulla pancia.

Di nuovo il ritmo dei miei battiti si fece accelerato e mi mancò quasi il respiro. Era troppo sperare che non se ne fosse accorto?

 

Non appena ebbe terminato mi affrettai a leggere, curiosa.

Nella sua inconfondibile calligrafia era scritto: ‘To my wildcat, the best killing singer ever. Ville groupie Valo”

Le mie labbra si aprirono subito in un sorriso: “Come dovrei interpretare quel ‘killing singer’?”

Ville ridacchio di rimando: “Naturalmente è solo un chiaro riferimento alla canzone. Perché?” domandò con finta innocenza.

“Addio groupie. E’ stato un piacere conoscerti” lo salutai, nonostante la mia voglia di andarmene fosse pari a zero.

“Il piacere è stato mio. Mi raccomando: non tradire le aspettative dei tuoi fan!”

“Certo, aspetta e spera! Addio”

“Ciao”

 

Mi allontanai il più velocemente possibile, sperando di aver preso la strada giusta per uscire dalle quinte e di non essere costretta a tornare indietro, facendo la figura della perfetta idiota.

Ancora una volta fui assistita dalla Dea bendata.

 

**

 

Appena fui entrata nella sala principale cercai i miei amici sulla pista. Non impiegai molto tempo a riconoscere i rossi boccoli di Arianna tra la folla.

La stavo raggiungendo quando, notando che chiacchierava sola con un ragazzo castano davvero altissimo, mi bloccai, non volendo disturbarla; ma ormai era tardi.

Anche lei mi vide e mi fece subito cenno di avvicinarmi.

 

“Hey” salutai, non appena fui vicina.

“WOW” gridò lei eccitata “IO NON CI CREDO! Dimmi che hai cantato davvero con VILLE VALO!”

“Ebbene sì. Ma ne parliamo dopo…Adesso non voglio distrarti” mormorai., lanciando un’eloquente occhiata al povero ragazzo che ci osservava confuso, non capendo una sola parola di quello che stavamo dicendo.

“Cosa? Ah, sì un momento” si voltò quindi verso il castano e, riadottando la lingua inglese, lo liquidò in pochi secondi, lasciando me a bocca aperta  e il malcapitato alquanto offeso.

“Ma poveraccio!” la sgridai.

“Naaa, era un idiota. Fortuna che sei arrivata piuttosto, se no non mi mollava più” mi spiegò risoluta. Quella ragazza era fantastica “Beh allora che aspetti? Racconta! Com’è stato? Waa che invidia!”

 

Non mi lasciò nemmeno aprir bocca, accorgendosi della scritta sul top: “Vediamo, vediamo…Hey, che significa ‘my wildcat’? Che forte! E’ troppo divertente. Beh, in effetti, ‘killing singer’, non ha proprio tutti i torti.”

La colpii immediatamente: “Groupie?” scoppiò a ridere di guasto.

Mi unii alla sua allegria: “Lo so: è tutto matto! Molto più di quanto pensassimo.”

“Dio, ancora non riesco a capacitarmene”
“Pensa io!”

“Cioè, ti rendi conto? Hai cantato con Ville Valo! E gli hai parlato. E lui ti ha firmato la maglietta. E…” sembrava una bomba ad orologeria in procinto di esplodere.

 

“Sì!” mi lasciai andare ad un moto di euforia, abbracciandola forte “Si è notato che sul palco mi stava tipo venendo un infarto?”

“Giusto un pochino” ridacchiò “Ma credo che sia venuto un colpo a tutti in sala. Comunque poi hai cantato benissimo. Certo non meglio di me…”
“Naturalmente ho cercato di emulare la maestra, ma non avrei mai potuto superarla”

 

“Oddio ma quanto è bello” sospirò, con aria trasognata “Che fortuna sfacciata! Quanto mi sarebbe piaciuto essere al tuo posto.”

“Puoi sempre dire di essere la migliore amica della cantante preferita di Ville Valo” la presi in giro.

In tutta risposta ricevetti una linguaccia.

“Dai, torniamo dagli altri”

“Sì, ma poi mi racconti parola per parola quello che vi siete detti”

“Certo”

“Ah sì, e poi un’altra cosetta…”

 

“Tell me” la guardai e, dall’espressione furba dipinta sul suo viso, già sapevo che la domanda non mi avrebbe fatto piacere. Conoscevo fin troppo bene quello sguardo.

“Allora, a chi hai dedicato ‘Killing loneliness’?”

Ecco lo sapevo! Sbuffai, alzando gli occhi al cielo: “Al mio amore segreto!”

“E non me lo vuoi dire?” mormorò, sfoggiando due occhi da cerbiatta.

“L’avevo dedicata a Ville”

Mi guardò, aggrottando le sopracciglia: “Ma ancora non ci avevi parlato. Non cercare di imbrogliarmi. Io penso di sapere invece…”

E’ proprio vero che quando uno dice la verità non c’è mai nessuno che gli crede. Sorrisi: tanto valeva accontentarla. In fondo, nemmeno quella era una vera bugia: ero stata davvero bene quella sera con Gabriel.

“Bene Sherlock, se già sai la risposta, allora perché fai domande?”

“Shi! Grande! E’ troppo dolce quel ragazzo” mi strinse la mano, felice “Anche se non è Ville Valo…

 

 

 

 

 

Eccomi dopo due mesi di ritorno dalle vacanzuole con un nuovo chapter!! Della serie chi non muore si rivede..(cioè..più o menoXD)

Ho già pronti altri quattro capitoli così per un po’ avremo un aggiornamento decenteXD

 

Comunque non blateriamo oltre..ditemi ditemi che cosa ne pensate!!

Ringrazio tutti quelli che anno letto lo scorso cap e in particolare quelli che hanno commentato!

 

@Bell_Lua: grashie tesora dei compliments!! Ehhh anke io adoro quella song!! Poi un duetto con villuccioo...grashie ancora!!! smack

 

@Sisteeeeer: grashie cara! I tuoi commenti sono sempre molto dolci! Poi è colpa tua se sto a scrivere queste storie!!XD Spero tu gradisca anche sto chapter!! Vkiss

 

@Scarlet Angel: non preoccuparti! Anche se fosse una critica sarebbe ben accetta! Altrimenti come posso sperare di migliorare?? In effetti questa storia è nata proprio da un sogno, e ho cercato di restarci piuttosto fedele seppur con numerosissime aggiunte: già l’età protagonista è molto irreale lo so..Ma spero che resti comunque una storia piacevole da leggere^^  sono contenta che tu abbia apprezzato le songs!!! Kisses

 

 

E qui vi lascio..

 

VenomousKiss

 

La vostra

- FallenAngel -

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Capitolo 7
*** Unexpected call ***


Chapter 6

 

Unexpected call

When everything seems normal again, something happens…

 

6 Maggio

 

 

Davanti allo specchio, mentre ancora mi lavavo i denti, senza pensarci mi ritrovai a cantare sulle note di ‘What have you done’.

 

“…I know I'd better stop trying
You know that there's no denying
I won't show mercy on you now…”

 

“Hey! Guarda che ti ho sentito! Stavi cantando una loro canzone” Arianna spuntò in bagno all’improvviso, proprio come un fungo.

Finsi indifferenza: “Sarà stato lo spazzolino”

Mi fulminò con lo sguardo.

“Okay, ti confesso che sono innamorata di Keith Caputo”

“E ammettere che ti piacciono gli Within Temptation?”

“Mai!” proclamai risoluta.

“Come non detto”

 

“Allora che si fa stamattina?” cambiai discorso.

Mi guardò ridacchiando: “Stamattina? Mia cara principessa, sarebbero le 12 e 30”

Mi grattai la testa: “Ah”

“Già, già. Te l’ho già detto che le signore delle pulizie ci adorano? Devono sempre lasciare la nostra camera per ultima”

“Sorry, lo so. Sono una pigrona”

“Dai, comunque possiamo sempre andare a farci un giretto”

Terminammo di prepararci e ci dirigemmo nella hall dell’albergo, per vedere se qualcun altro dei nostri compagni aveva evitato, volontariamente o meno, di puntare la sveglia. Io, per mio conto, odiavo le sveglie e il loro stupido suono martellante con tutto il cuore, e non avevo nemmeno un ottimo legame con la puntualità.

 

I candidi divanetti e poltroncine disposte a semicerchio intorno a tavolini di legno scuro erano pressoché vuoti, fatta eccezione per una coppia di anziani signori che mi salutarono cortesi.

“Cariatidi, come avevo detto” bisbigliò al mio orecchio Arianna.

“Shh” la zittii, scambiando qualche parola con Elmer e Martta.

 

Prendendo sotto braccio la mia amica, la condussi oltre, verso il bar.

“Un caffè?” proposi.

“Come rifiutare mon amie?”

 

Eravamo sedute davanti al bancone e Arianna mi stava ancora prendendo in giro per via delle mie serate di pazzo divertimento nella hall dell’albergo rinchiusa con il circolo degli ultrasettantenni (inutile ripeterle che c’erano anche persone della nostra età o giù di lì) quando il cellulare iniziò a vibrare nella tasca dei jeans.

“Chiunque sia lo farò santo” affermai sollevando il telefono per guardare il numero sul display. Corrugai la fronte.

Strano, era un numero sconosciuto, e per giunta stranissimo.

“Hello?” risposi incerta “E piantala!” sbottai subito dopo ridendo, rivolta ad Arianna, che non la smetteva di farmi il verso. Presi la sua borsetta per tirargliela addosso.

 

Elisa?” lasciai cadere la borsetta e quasi persi l’equilibrio io stessa sull’alto sgabello.

Presi un profondo respiro: “Sì?” mormorai a mezza voce, senza ascoltare minimamente i rimproveri di Arianna per aver lasciato andare per terra tutte le sue cose.

Ciao! Sono Ville” la sua voce giunse chiara e stupenda attraverso l’apparecchio, anche se mi era bastato sentirlo pronunciare il mio nome per riconoscerlo “Valo” aggiunse subito dopo non ricevendo alcuna risposta, forse temendo che non avessi capito.

“Sì, sì” mi affrettai a dire “Ciao…Ville” deglutii.

 

Vidi Arianna fare quasi la mia stessa fine giù dallo sgabello.

“Cosa?” mimò, facendosi più vicina per poter sentire.

Tutto bene? Non è che disturbo? Stavi dormendo forse?” domandò il darkman.

“Ma no, che dici. Non preoccuparti, sono sveglia da un po’” sentii la mia amica trattenere una risata, al mio fianco. Era solo una piccola bugia in fondo, no? “Comunque tutto bene, e tu?”

 

Bene grazie. Ho chiamato per controllare come procede il tuo lavoro

Nuovamente, una profonda linea solcò la mia fronte: “Lavoro?”

Sì, le tue canzoni, il tuo album…” spiegò, come fosse la cosa più naturale del mondo “A che punto sono?”

“Mh” finsi di pensarci su “Beh, direi a buon punto”

Cioè?
“Ho appena terminato la mia seconda non canzone! Vuoi sentirla?”

Certo!

 

Rimasi in silenzio per diversi secondi “Ecco fatto! Allora cosa ne pensi? Non essere troppo duro mi raccomando” scherzai “Lo sai che il giudizio della mia Musa è molto importante per me”

Allora…direi che potresti lavorarci ancora un po’ su. Ma la base non è male

“Uffa! Oltre che Musa non eri anche il mio fan numero uno? Mi aspettavo un po’ più di entusiasmo dal mio groupie!” mi finsi offesa.

Forse ho solo bisogno di una replica. Diciamo stasera?

Il cuore mi saltò in gola. “Stasera?” ripetei, come una stupida.

 

Sì, i ragazzi vorrebbero conoscerti. C’è Gas che continua a ripetermi che hanno una proposta da farti. Non ho idea di cosa si tratti, ma sto iniziando ad essere davvero curioso. Al Midnight Wish?

 

Cioè io, proprio io, uscire con Ville e gli Him?

 

Scusa, forse sei già impegnata…”

Ricevetti una gomitata nello stomaco: “Cosa? No, no, va benissimo”

Okay, allora ti aspetto alla scala per salire al piano superiore alle 11?

“Ehm” balbettai “Non credo mi lasceranno passare”

Ah, giusto. Non preoccuparti, fai così: cerca il tizio di nome Ilkka e ripetigli questa frase: The octupus lives in dark waters

“Cosa?” scoppiai in una sonora risata.

E’ una frase in codice

“Beh, questo l’avevo capito, ma…una frase migliore no?”

Io adoro i polpi!” ribattè lui, punto sul vivo.

“Okay, okay. Posso portare una persona?”

 

Il tuo non-ragazzo?” domandò lui, con un filo di ironia.

Ancora se ne ricordava? “In realtà pensavo alla mia best friend, ma se vuoi posso portare pure lui”

Meglio di no, non credo che mi ami molto

Io e Arianna ci guardammo confuse.

Anche la tua amica è una cantante?

“Naturalmente!” risposi, beccandomi un’altra gomitata.

“Allora vi aspettiamo. Preparate le corde vocali” mi avvertì “Buona giornata

 

“Grazie, anche a voi” Ma prima di attaccare un pensiero attraversò la mia mente “Hey, Ville?”

Sì?” rispose lui prontamente.

“Io non sono nota per la mia memoria di ferro, ma davvero non ricordo di averti dato il mio numero l’altra sera…” Lo sentii ridacchiare dall’altra parte del filo “…o no?” cominciavo a non esserne più sicura. Cominciavo a non essere più sicura di nulla ormai.

Mh, forse. No, ti confesso che numero non l’ho avuto da te

“E come l’hai avuto allora?” domandai stupita.

 

Ho le miei fonti” sogghignò, lasciandomi sulle spine.

Ma io non mi arresi: “Cioè?”

Che testarda! Noi celebrità abbiamo i nostri segreti. Hey scusa, mi chiamano, devo scappare. Ci vediamo stasera K-singer.”

Mi liquidò in un mezzo secondo e chiuse la conversazione prima che potessi replicare.

 

“Ely…”

“Sì?” risposi, sentendo la mia voce lontana chilometri.

“Stasera usciamo con gli HIM” anche lei parlava con una calma innaturale ed era come se la sua voce non le appartenesse veramente.

“Già”

“Ora non mi meraviglierei se vedessi passare un elefante volante davanti alla finestra”

Entrambe ci girammo involontariamente verso la grande porta finestra che dava sul cortile interno.

Accorgendoci del nostro insensato comportamento scoppiammo a ridere senza riuscire a fermarci.

 

“Quanto siamo cretine” boccheggiò Arianna con le lacrime agli occhi “Comunque lo sai che ti adoro?” mi abbracciò stretta.

“Certo, opportunista!”

“Credo proprio che ormai i nostri caffè siano una schifezza”

“Almeno ne è valsa la pena”

Sorseggiai la bevanda ormai fredda, ma poco importava. Tutto quello a cui riuscivo a pensare era la sua voce.

“Vado a controllare gli eventuali messaggi alla reception” Arianna mi lasciò davanti alla tazzina ormai vuota, a passare le dita sul liscio bancone di granito.

 

Ascoltai la conversazione di due ragazze distanti pochi posti da me, con la scusa di allenare un po’ il mio finlandese, tentando di capire più parole possibili, ma senza concentrarmi sul serio.

D’un tratto il cellulare vibrò di nuovo, informandomi dell’arrivo di un sms. Il cuore ricominciò a battermi nel petto mentre con mano tremante afferravo il telefono.

 

Mi diedi mentalmente della stupida. Era di sicuro qualcuno del gruppo, o al massimo Gabriel, o forse qualcuno lontano chilometri, a casa.

Ma mi sbagliavo.

 

Il tuo numero l’ho ottenuto dal tuo non-ragazzo, con non poca fatica a dire il vero! Ho impiegato un’ora per convincerlo: sei proprio sicura che non sia il tuo ragazzo? See U Later, VGroupieV

Digitai veloce una risposta: “No, è il mio bodyguard. Tiene lontani i fan troppo insistenti. Beware groupie!”

 

**

 

In fila davanti al Midnight Wish, accanto a Luke e Andrea per assicurarci un posto nel locale, sentii l’agitazione crescere a dismisura.

Un leggero alito di vento mi passò attraverso la giacca, facendomi rabbrividire.

Helsinki di notte era ancora più emozionante che di giorno, con le sue luci soffuse e l’atmosfera quasi irreale che avvolgeva ogni cosa.

 

“…e ricordatevi di chiedergli anche…” Andrea continuava la sua lista infinita di domande da fare al gruppo.

Sperai che Arianna fosse stata più attenta della sottoscritta. Continuava a fare cenno di sì con la testa, vagamente esasperata, ma qualcosa mi diceva che non avesse afferrato davvero lo sproliloquio del bassista.

 

“Quand’è che vi faranno entrare dall’entrata dei vip? Sono stufa di queste code” bisbigliai a Luke.

“Molto presto, non preoccuparti. Comunque qualcuno si è un po’ montato la testa eh? E ci tradisce oggi…”

“Colpa tua Dr Frankestain! Sei tu che mi hai spinto su quel palco”

“Suppongo tu abbia ragione. Direi che mi devi un favore”

“Mh, direi di sì. Anche se mi hanno riferito che stavi cercando di sabotare questa serata” osservai.

Mi guardò confuso: “Cosa intendi?”

 

“Hai fatto difficoltà a dare il mio numero a Ville” quasi mi scoppiò da ridere al pensiero di Luke che discuteva al telefono con Ville Valo.

Alzò le spalle, sbuffando: “Come potevo essere certo che fosse davvero lui? E frontman degli HIM o no, resta sempre un ragazzo di 30 anni, troppo grande per te”

Questa volta non resistetti: “Ma sei scemo?? Ma cosa vai a pensare? Non mi vedrebbe mai sotto

quella luce!” Almeno non da sobrio.

 

“Io non ne sarei così sicuro”

“Ma ti rendi conto di cosa stai dicendo? Lui è Ville Valo! E io sono un’insignificante ragazzina. Non potrebbe mai considerarmi. E poi come hai detto tu sono troppo giovane”

“C’è un sacco di gente che non si fa problemi di età, per approfittarsi di una ragazza”

Lo guardai allibita. Non avevo assolutamente intenzione di pensare ad una cosa del genere.

 

“Okay, forse ora sto esagerando. Tu comunque stai attenta. Ma ci saranno solo loro?” domandò poi. Sembrava ancora un po’ teso e continuava a non guardarmi negli occhi, ma a stare girato verso Arianna ed Andrea.

“Immagino di sì, non ne ho idea” risposi sinceramente. Si comportava in modo così strano…

“E comunque ho la borsetta piena di spray al pepe e il tuo numero di cellulare è il primo della lista, mamma

Mi diede una sberla dietro al collo. “Cretina!”

 

“Hey non picchiare il mio lasciapassare!” intervenne Arianna.

“Come il tuo lasciapassare? E dell’incolumità della tua amica non ti interessa proprio?” protestai.

“Sì se la mia amica è un lasciapassare!” continuò la rossa prendendomi in giro.

“Potrei sempre decidere di portare qualcun altro più meritevole, tipo l’Andre”minacciai.

Lo vidi saltare subito su: “Sì sì, vengo io! IO IO IO!”

Scoppiammo tutti a ridere: “Sarà per la prossima volta, te lo prometto!”

Sei mai ci fosse stata una prossima volta.

 

“Comunque come cavolo ha fatto Ville a contattarti per chiederti il mio numero?” tornai a rivolgermi al cantante “C’è qualcosa che non sappiamo?”

Luke scosse la testa: “No, cara, ha preso semplicemente il mio numero dalle liste del Midnight. Immagino che per Mr Valo, qui in Finlandia, molte regole come quella della privacy siano messe da parte come niente…”

 

Nel frattempo eravamo giunti all’interno del locale, quel giorno un poco meno affollato del solito.

Posai subito gli occhi sul mio orologio da polso. Mancavano 10 alle 11.

In qualche parte del mondo doveva essere successa qualche disgrazia, per bilanciare il fatto che io e gli altri (Luke in particolare) non solo non fossimo arrivati in ritardo di qualche fuso orario, ma addirittura in anticipo.

Si, era decisamente un fatto inspiegabile, che necessitava qualche studio approfondito.

 

Ma adesso c’era un altro problema da risolvere: cosa si fa quando sei in anticipo? Non ero molto ferrata in materia. Non avevo, come dire, esperienza. A inventare scuse sul perché avevo mancato un appuntamento di un’ora, in quello si che ero brava!

“Un salto alla toilette?” mi salvò Arianna.

Annui subito con decisione, prendendola per un braccio e guidandola verso il bagno.

 

**

 

Non appena la porta si fu chiusa alle nostre spalle mi appoggiai contro il muro in cerca di un sostegno.

“Hey tesora rilassati! Vedrai che andrà tutto bene.” Arianna fu subito al mio fianco, carezzandomi i capelli che avevo legato in un’alta coda di cavallo.

“Ci sto provando…è solo che…è così difficile”

“No, non è vero. Non lo è. Devi solo smettere di preoccuparti. E’ normale essere un po’ agitati, ma l’importante è essere te stessa, come l’altro giorno. Da quanto mi hai raccontato direi che è andato tutto molto bene no?” ammiccò.

Annuì, sciogliendomi un po’.

 

“Ecco brava! Guarda che anche io sono eccitatissima! E dovrei essere più spaventata di te: non sono mica io l’idolo del groupie Valo” scherzò, recuperando dalla borsetta il beauty con tutto il necessario per risistemarsi il trucco.

Le portai via la matita viola, con la quale ripassai il contorno dei miei occhi, coordinata con la maglia a righe dello stesso colore e nere, e con le maniche di rete, che avevo deciso di indossare quella sera.

 

Dopo avermi preso sotto braccio, uscimmo entrambe dalla toilette e salutammo da lontano i nostri amici un’ultima volta.

Giunte davanti all’ala ovest aguzzai la vista alla ricerca di Ilkka, il bodyguard di cui mi aveva parlato Ville.

Non impiegai molto a riconoscerlo, di certo non era poco visibile, con la sua stazza massiccia.

Sentendomi una stupida e stringendo più forte il braccio della mia best friend, mi avvicinai al buttafuori che ci fissava con aria non troppo amichevole.

 

“The octupus lives in dark waters” pronunciai cercando di rimanere seria.

Subito le labbra di Ilkka si allargarono in un sorriso: “Benvenuta Elisa, giusto?”

“Sì sono io, e lei è una mia amica. Avevo già avvertito che sarebbe venuta anche lei” spiegai.

“Certo, Ville mi ha detto tutto. Potete passare” ci invitò scostandosi di lato per lasciarci avanzare.

 

Varcai la soglia sommersa da numerose occhiate curiose e piene di invidia.

Ci ritrovammo in un atrio ben arredato, dai colori sempre molto scuri e dalle luci soffuse, circondato da numerose porte. Di fronte a noi, sull’altro lato della stanza iniziava la grande scala che portava al piano superiore.

In un angolo più caldo e meno lontano dall’ingresso si trovavano invece alcuni divanetti, su uno dei quali era seduta una ragazza sulla trentina dai lunghi capelli castani, che non appena ci vide si alzò, venendoci incontro.

 

Non era troppo alta, ma proporzionata nelle forme, e indossava un maglioncino indaco leggero sopra una gonna di qualche tonalità più chiara.

Sentii Arianna tirarmi per un braccio: “Ma è lei vero? E’ Manna?” mi domandò sorpresa.

La ragazza che si avvicinava sorridente era decisamente la compagna del chitarrista degli HIM. Dovevamo essere preparate no? Ma immagino che ogni volta che ti capita di incontrare personaggi famosi, per quanto puoi esserti preparato, fa sempre un certo effetto.

 

“Ciao, devi essere Elisa?” mi domandò cortese.

Annuii, scostandomi la ciocca ribelle dagli occhi e allungando una mano che lei subito strinse.

“Piacere, io sono Manna” si presentò “Sono la…”

“Certo, sappiamo chi sei! Siamo anche delle fan della tua voce stupenda”

“Davvero? Non pensavo di essere così famosa” si schermì “E comunque non sono di certo così brava. Mi hanno detto invece che tu canti divinamente!”

“No, assolutamente non è vero.”

 

“Oh sì che lo è, è solo molto modesta” intervenne Arianna sorridendo.

“Beh allora abbiamo qualcosa in comune” sorrise Manna, allungando la mano verso l’Ary.

“Arianna. Felicissima di conoscerti!”

“Sai che adoro già i tuoi capelli” confessò la cantante, osservando con un pizzico di invidia i lunghi boccoli della rossa.

“Grazie. O forse dovrei ringraziare la mia mamma, o la dea bendata.”

 

“Vogliamo iniziare a salire?” propose Manna, indicandoci la scala “Naturalmente i ragazzi sono un po’ in ritardo, per questo ho deciso di arrivare più presto per non lasciarvi aspettare da sole. Non ci si può mai fidare…” spiegò scuotendo la testa.

“Non preoccuparti. Capiamo benissimo. Anche noi siamo portatrici dello stesso difetto, di solito” confessai, piegando leggermente la testa da un lato, come per nascondermi.

“Davvero? Beh oggi siete perfettamente puntuali ragazze”

 

Ci precedette lungo la nera scala a chiocciola molto larga. Non appena avemmo raggiunto la cima, subito mi innamorai della vasta sala che si apriva davanti ai miei occhi: molto simile a quella principale, era tuttavia più intima e tranquilla, e la musica proveniente dal palco e dalle casse era meno forte ma allo stesso tempo il suono era perfetto. Notai che i tavolini erano un poco più grandi e le sedie davano l’idea di essere più comode. A rendere l’atmosfera ancora più speciale, molte delle luci elettriche erano state sostituite da candele. Naturalmente non mancava una pista da ballo.

Numerose e sorridenti cameriere giravano per i tavolini non facendo mancare nulla ai coccolati clienti.

 

Subito la mia attenzione venne però carpita dalla figura accomodata presso due tavolini che erano stati uniti insieme, che sfogliava distrattamente una delle carte accuratamente plastificate dove erano elencati in bella grafia tutti i cocktail del locale. Con l’altra mano tamburellava sul piano scuro, e pareva quasi…nervoso?

 

“Hey non credo ai miei occhi” commentò Manna a bassa voce, sollevando un sopracciglio, stupita. Poi, alzando la voce in modo che la persona al tavolo poco distante la potesse sentire, continuò: “Ville! Già qui?”

Il darkman alzò il volto dal foglio, spostando lo sguardo dalla compagna di Linde, ad Arianna, fino a incontrare i miei occhi. Fui scossa da un leggero tremore quando le sue labbra si incurvarono in un sorriso.

Anche lui si alzò per venirci incontro. Tutte quelle attenzioni mi stavano iniziando a mettere un po’ a disagio. Non ero mica la regina d’Inghilterra io! “Non volevo far aspettare le nostre ospiti”.

 

Ecco appunto.

 

“Vedo che non hai avuto problemi a passare, Furia” mi squadrò un momento, con un espressione beffarda sul volto.

“Furia?” domandò Manna, piuttosto sconcertata.

Qualcosa scattò subito dentro di me: “Certo che no!” ribattei “Anche se non avessi avuto la parola d’ordine sarei riuscita ad entrare comunque!”

Ville si volto verso la compagna dell’amico: “Ecco la mia Furia, vedi?” spiegò, ridendo sotto i baffi.

 

Beh, sì dovevo ammettere di essere alquanto suscettibile. Ma ogni volta che sentivo di essere presa in giro…

Era strano: ma era come se Ville avesse saputo esattamente cosa dire per farmi saltare subito su. Era come se mi conoscesse da tempo.

Notai che anche Arianna mi osservava sorpresa. Cercai di allontanare l’attenzione dalla mia persona, presentandola al darkman.

 

“Questa è la mia amica, spiritosone. Arianna”

Ville si esibì in buffo inchino: “Piacere Ville Valo”

Non so come facemmo a trattenerci dal ridere.

 

“Oh Ville. Ma cosa ti sei fumato stasera?” la voce di Migè giunse dalla scala, dal quale era appena entrata nella sala tutto il resto della band.

 

To be continued…



 

 

 

                                                                                       

Ed ecco il nuovo capitolooo. Dai questa volta l’aggiornamento è avvenuto in tempi decentiXD

Spero che abbiate apprezzato il capitolo! Io mi sono divertita  troppo a scrivere la telefonata…e vedrete poi cosa succede durante la serata con gli HIM…ditemi ditemi!! Come al solito scrivetemi tutto quello che vi salta per la testa!!! 

E soprattutto grashie grashie per i commentini!!

@la mentora: cioè qui, come dici tu, un grazie non è abbastanza!! Ogni volta che leggo i tuoi commenti mi brilluccicano gli occhi! Anche io ti vojo troppo beneee! Si anche io amo la parte della dedica! Sono pucciosetti eh? Direi proprio che killing singers è azzeccatissimo per noi the villersXD Potrei piazzarci un capitoletto con loro due che ballano under the rose..anzi forse è mejo di no! Soprattutto perché devi vedere com’è il balletto XD ancora grashie amoraaa! Kisses 

@Bell_Lua: mamma mia che commento da peperone (cioè me è diventata un peperoneXD) ma grazie sei troppo dolce!! Sono tanto contenta ke ti sia piaciuto! Eh e non si capisce che io sono innamorata persa di ville? XD beh forse un pokino..grazie ancora!! Spero che anche questo cap ti sia piaciuto!! Fammi sapere! Kiss kiss

@Shine no Kami: dai direi che è abbastanza breve..sperooo..XD Un besooo

A presto la seconda parte del chapteeer

 See ya soon!!

 VenomousKisses

 La vostra
-FallenAngel-

 

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Capitolo 8
*** Like brother and sister ***


Chapter 7

 

Like brother and sister

 

Same mind, same behaviour, same tastes…same stubbornness.

 

 

 

 

“Oh Ville. Ma cosa ti sei fumato stasera?” la voce di Migè giunse dalla scala, dalla quale era appena entrata nella sala tutto il resto della band.

 

“Nulla che non approveresti” si difese il frontman.

“Beh questa non è certo una cosa rassicurante” commentò Linde, scatenando il riso generale, prima di chinarsi per baciare la moglie sulle labbra.

“Per stasera farò finta di non aver colto” sbuffò il bassista “Ringrazia tua moglie e le nostre ospiti.”

 

Si avvicinò quindi per baciare la mano di Arianna e poi la mia “Migè, enchantèe”

Scossi la testa: “Temo davvero che oggi abbiate preso qualcosa di non troppo legale” mi azzardai a dire “Primo, potrei anche offendermi: pensate che la mia cultura musicale sia così tremenda, da non conoscere a menadito il nome di tutti i componenti degli HIM?”

“E’ un peperino la ragazza eh?” sogghignò “Mi piace sempre di più!”

 

“Chiediamo umilmente perdono” proruppe Ville, piegandosi in un secondo inchino.

“E piantala” gli diedi una leggera spinta, ridendo. “Sono io che dovrei presentarmi. Io sono…”

Migè non mi diede il tempo di finire di parlare “Elisa! Eheheheh, come vedi anche noi abbiamo fatto i compiti!”

“Poi con Ville che ha parlato di te ogni dieci minuti negli ultimi due giorni, sarebbe stato difficile scordarsi il tuo nome…Non so cosa tu gli abbia detto l’altra sera dopo la canzone, ma è rimasto davvero colpito… ” aggiunse Linde.

 

Prima che potessi sprofondare il darkman riprese la parola, togliendoci entrambi dall’imbarazzo: “Lei invece è Arianna” presentò la mia amica anche al resto del gruppo.

“Molto silenziosa la ragazza” commentò Gas, sempre con il tatto di un elefante.

“No, mi devo solo ambientare un momento” rispose pronta la rossa “Appena mi sono ripresa dalla shock di trovarmi dove sono; datemi diciamo altri…mh” fece finta di consultare l’orologio “diciamo sei minuti e mezzo, e poi parto come un treno e desidererete che non abbia mai aperto bocca”

Di nuovo le risate si diffusero veloci nel gruppo.

 

Prendemmo tutti posto presso i due tavolini precedentemente occupati dal frontman. Mi ritrovai in mezzo a Burton e Gas, mentre Migè si era subito accaparrato la sedia accanto all’Ary. Ville mi era invece proprio di fronte e ogni tanto sentivo il bisogno di abbassare o voltare la testa, tanto intensa era la potenza del suo sguardo.

 

Nonostante la lunga lista di cocktail e l’insistenza delle cameriere, prendemmo tutti una birra.

E iniziammo a parlare come una compagnia di vecchi amici.

Degli argomenti più disparati: dai progressi della piccola Olivia, la quale già si apprestava a strimpellare sulla chitarra del padre, all’ultimo concerto degli HIM, a cosa avevamo mangiato a mezzogiorno, il che per quanto riguardava Gas e Migè, e anche, con mia meraviglia, Burton (rinominato il falso Acciugo) era una cosa piuttosto impegnativa e non troppo breve. Naturalmente io e Arianna non riuscimmo a scampare un vero e proprio interrogatorio sulle nostre vite.

 

Era così naturale stare in mezzo a loro: di certo non erano persone a cui il successo aveva dato alla testa. Erano sempre ragazzi semplici e terribilmente simpatici. Mi sentivo davvero a mio agio, tranne forse quando mi accorgevo di incantarmi per troppo tempo davanti a quel viso così dannatamente sexy, rapita da ogni singolo, minuscolo gesto. Ogni volta speravo che nessun altro oltre me stessa avesse indovinato i miei pensieri.

 

“Gradite qualcos’altro?” domandò cortese Henni, la cameriera vestita con un corto abito di satine nero, indicando le nostre bottiglie ormai vuote.

Ci apprestavamo ad ordinare il terzo giro di birre, tranne Manna che annunciò che per lei era abbastanza. Arianna mi guardò di sottecchi per qualche secondo.

“Non eravamo sull’astemio per qualche tempo?” mi ricordò.

Sbuffai: “Lo so, ma con tre birre non vado fuori, non ti preoccupare, e poi mi tenete sotto controllo no?”

 

“Che succede? Qualcuno ha fatto la ragazza cattiva dopo aver bevuto un goccio di troppo?” domandò Gas curioso.

“Beh, in realtà non lo sappiamo” la rossa bevve un lungo sorso della bevanda appena servita.

“Cosa intendi?” tutti attendevano una spiegazione.

“Praticamente la nostra Ellie si è volatilizzata nel nulla ed è ricomparsa solo la mattina dopo. E da quanto dice i suoi ricordi sulla serata sono molto confusi…”

Mi irrigidii sulla sedia. Oddio, perché aveva tirato fuori quella storia proprio adesso?

 

“Uh-uh. Una bella sbornia eh?” commentò Migè facendomi l’occhiolino.

Annuì: “Una bella tosta. Non mi ricordo assolutamente nulla di quella sera.”

“E quando è successo?”

Esitai, ma Arianna prese subito la parola: “Mah, qualche giorno fa, tra l’altro proprio qui al Midnight”

 

Ville quasi si strozzò con la sua birra.

“Hey tutto bene?” Linde gli tirò una pacca sulla schiena.

“Sì, sì, c’era qualcosa nel bicchiere…” tagliò corto, lanciandomi un fugace sguardo preoccupato.

 

“Inizio a capire comunque perché Ville sia così preso da questa ragazza” annunciò il chitarrista.

Il povero darkman rischiò di farsi di nuovo del male, voltandosi di scatto verso l’amico strabuzzando gli occhi. “Uhm?” fu l’unico suono che riuscì ad emettere.

“Già, pure io” ci si mise anche Migè.

Fortunatamente Linde, forse di fronte alle nostre facce desiderose di sapere e preoccupate (avete presente quella sensazione, quando sembra di essere quasi trasparenti, e che tutti abbiano acceso ai tuoi pensieri e ai tuoi ricordi? Ecco, mi sentivo esattamente così), ebbe il buon cuore di darci una spiegazione: “Credo non esista una persona così tanto simile a Ville. Davvero. Nei gusti, nei gesti, nei comportamenti, nelle reazioni, ragazzi siete due gocce d’acqua! Siete proprio sicuri di non essere fratello e sorella?”

 

Credo che rimasi a fissarlo per un minuto buono, sconvolta dall’affermazione.

“Temo che la nostra Ellie non l’abbia presa troppo bene” rise Gas.

“Beh, in effetti non so se possa essere considerato come qualcosa di positivo” proruppe il bassista, ottenendo una gomitata nello stomaco.

“No, no” sorrisi “Sono onorata. E’ solo che ci sono un po’ rimasta…Non capita tutti i giorni di essere paragonati ad uno dei propri cantanti preferiti…”

Ville mi osservò a lungo, fingendosi offeso: “Solo uno dei? Non il tuo cantante preferito?”

“Montato” lo apostrofai, scatenando l’iralità generale.

“Sì, hai proprio ragione!” disse Gas “Sono troppo forti!”

 

“Cara little sister, temo che qui nessuno apprezzi veramente il nostro genio” sospirò Ville, alzando gli occhi al cielo.

“Certo certo. Ma tornando a monte. Tra le varie cose che accomunano i nostri presunti fratelli, c’è quella di sparire nel nulla, non è vero Mr Valo?” proseguì Linde, con tono indagatore.

“Giusto Ville” gli diede spago Burton “Non ci hai ancora detto dove sei stato l’altra sera quando ci hai dato palo”

Il frontman trasse un profondo respiro prima di replicare: “Ancora con questa storia? Ve l’ho già detto: non sono fatti vostri!”

 

“Eh dai, Ville!”
“No”

“Siamo curiosi”

“Forza”
“Su non farti pregare. Sputa il rospo.”

“Vatti a guardare nello specchio e ci troverai il tuo rospo, Migè!” sbottò il darkman, incrociando le braccia, ben deciso a non parlare.

Non appena i nostri occhi si incontrarono, non ebbi dubbi sul fatto che anche il suo interrogatorio fosse riferito a quella stessa serata. La situazione rasentava il ridicolo.

“Testardi come muli” rise Arianna “Deve essere un difetto di famiglia”

 

“Oh beh, ho paura che stasera non riusciremo a cavare un ragno dal buco. E direi che oltre ai numerosi difetti, possiamo accordare ai nostri ragazzi almeno un pregio, o meglio un dono, certo il merito non è vostro ma di madre natura. Comunque sia, parlavo della vostra voce. E, a tale proposito, Elisa, avevamo una proposta da farti” mi comunicò Gas, dopo un discorso chilometrico, durante il quale avevo rischiato seriamente di perdermi.

“Cavolo Gas, pensavo ti si fossero impallati i circuiti. Già cercavo di ricordare come staccarti le batterie” lo prese in giro Migè, dando voce ai miei pensieri.

 

“Dai, basta con le cazzate e sentiamo questa famosa proposta, che sono curioso” Ville riportò l’attenzione sull’argomento principale, sollevandosi un poco sulla sedia e riprendendo una posizione più corretta per ascoltare meglio.

“Sono tutta orecchie” assicurai al batterista.

“Siccome pensavamo di attuare un cambio di immagine, quale migliore mutamento se non quello di liberarsi di una vecchia ciminiera e sostituirla con un fiore fresco e molto più, come dire, gradevole alla vista”

Tutti scoppiarono in fragorose risate.

“Ti è venuta proprio bene sai” boccheggiò il bassista tra le risa, con le lacrime agli occhi “Pure in poesia”
“Così Ville, non potrai dire di essere stato messo da parte senza classe!”

“Ridi, ridi, Migè! Guarda che le lascio subito il posto alla mia sister, ma poi mi becco il tuo. Come doveva essere dall’inizio!” lo rimbeccò il frontman.

 

Guardai Arianna, scuotendo la testa. La rossa mi sorrise, lanciandomi uno sguardo di incoraggiamento.

“Temo che non abbiate tenuto in conto il fatto che io non potrò mai prendere quel posto” mi intromisi nella discussione.

“E perché mai?” domandò Gas.

“Ma naturalmente perché non divido la gloria con nessuno!” proclamai a testa alta. “O forse dovrei dire che non voglio condividere con nessuno i pomodori marci” aggiunsi subito dopo.

 

“Ma non diciamo sciocchezze! Dai cantaci qualcosa. Non ho con me i pomodori marci, ma potrei sempre versarti la birra in testa!” promise il batterista.

Scossi la testa con fermezza, guardandomi intorno in cerca di una possibile via di fuga. Forse potevo lanciarmi direttamente dalla terrazza, sperando in un atterraggio di fortuna. Anche se a quell’altezza non so quanto la fortuna conti.

“La mia Furia è un po’ timida e si è autoconvinta di non saper cantare bene” mi sgridò Ville, trapassandomi con il suo sguardo smeraldo.”Non mi avevi promesso una replica?”

 

Sbuffai, cercando di pensare a qualcosa di efficace da controbattere, quando le note iniziali di ‘Right here in my arms’ si diffusero per il locale, salvandomi come la campanella nel bel mezzo di un’interrogazione non troppo brillante.

“Hey sentite un po’…” commentai.

“Sì la conosciamo bene. E adesso non cercare di cambiare argomento” minacciò il darkman.

“Ma non vi viene una voglia assurda di ballare non appena la sentite?” continuai, facendo finta di non sentirlo. Guardai Arianna e Manna in cerca di aiuto.

“E’ vero. Succede anche a me” quest’ultima accolse prontamente il mio sos e si alzò, prendendo per un braccio il compagno che oppose un po’ di resistenza ma alla fine la seguì.

La imitai subito, e lo fece anche Arianna, sotto il peso del mio sguardo non troppo amichevole.

Come una molla, anche Migè fu immediatamente in piedi, con la scusa “Sarà divertente ballare su una nostra canzone”


Dopo numerose insistenze, riuscimmo a convincere anche Burton, ma Ville rimaneva irremovibile.

“No, no, io non ballo.”
“E dai!” lo pregai.

Linde mi si accostò: “E’ tempo perso. Non riusciamo mai a farlo ballare”

“Su andate, o la canzone finisce” ci incoraggiò Gas “Resto io a fare compagnia a Brontolo”

 

Subito io e Arianna ci lanciammo sulla pista, molto più libera rispetto a quanto eravamo abituate.

“Non ti sembra di essere nel salotto di casa mia?” mi domandò la rossa, mettendosi a ballarmi accanto.

“Certo! Se dimentichi il piccolo particolare delle persone che ci stanno intorno. Persone qualunque!” le feci notare.

In tutta risposta mi fece la linguaccia e minacciò di abbandonarmi per Migè.

Lasciando da parte timidezza e razionalità, mi lasciai andare, seguendo la musica, insieme alla mia compagna, che almeno per quella canzone non mi abbandonò.

 

She'll be right here in my arms
So in Love
She'll be right here in these arms
She can't let go

 

“La prossima volta che giriamo un video vi prendiamo a ballare!” sentenziò il bassista, non staccando gli occhi un momento dalla mia partner.

Di certo qualcuno aveva fatto colpo quella sera.

Non appena la musica finì, iniziammo a batterci le mani a vicenda come degli stupidi.  

“Wow! Siete uno spettacolo!” ci assicurò una voce alle nostre spalle. Non appena ci voltammo ci trovammo di fronte un Ville ghignante, che insieme al batterista, si era spostato proprio sul bordo della pista.

Nessuno lo degnò di una risposta.

Tuttavia, prima ancora che potesse iniziare la canzone successiva, tutti erano già usciti.

 

“Hey! Dove state andando?” borbottai.

“A cercare di dimenticare quello che ho appena fatto” confessò Migè.

“Ma no! Restate qui!”

Nonostante le mie proteste sulla pista rimasero solo Manna e Linde, ed io mi ritrovai scoppiata.

Stavo quasi per tornare al tavolo, ma mi bloccai accorgendomi che la canzone successiva era ‘Time is running out’ dei Muse.

 

Piacevolmente sorpresa, decisi di non volermene ancora andare.

Mi girai, e scoprii che Ville era rimasto accanto alla pista. Gli feci cenno di raggiungermi, ma lui scosse la testa, sorridendo.

Alzando le spalle, ricominciai a ballare, chiudendo gli occhi e concentrandomi solo sulla musica.

 

Non rimasi a lungo sola: quasi subito mi si avvicinò un ragazzo che portava i lunghi capelli castani legati in una coda: era più alto di me di almeno 7 o 8 cm e dovetti riconoscere che si muoveva molto bene. Ci ritrovammo a ballare insieme.

 

I think I'm drowning
Asphyxiated
I wanna break the spell
You've created

 

You're something beautiful
A contradiction
I wanna play the game
I want the friction

 

You will be the death of me
Yeah you will be the death of me

 

Con la coda dell’occhio notai che anche Ville aveva trovato compagnia: il suo sorriso era ora rivolto verso una bionda che indossava una canottiera dalla scollatura troppo abbondante.

 

Provai un istantaneo e irrazionale moto di gelosia. E non appena il volto del darkman fu di nuovo verso la pista, ridussi al minimo la distanza tra il mio corpo e quella del mio improvvisato compagno e iniziai a danzare con più foga, mantenendo comunque il contatto visivo con Ville: il suo sguardo bruciava come fuoco sulla mia pelle.

“Sei la migliore!” mi gridò Arianna, dall’altra parte della sala, infrangendo l’incantesimo. Mi costrinsi a girarmi, per mandare un bacio alla mia ammiratrice che mi salutò alzando la sua bottiglia.

Quando tornai a cercare con la coda dell’occhio il frontman, mi accorsi che era sparito.

 

Finita la canzone raggiunsi il gruppo che mi accolse con un applauso, trovandomi però alquanto distratta.

Mi morsi un labbro, per evitare che la domanda che mi rimbalzava nello stomaco trovasse un modo di uscire.

“Vado a prendere una boccata d’aria” annunciai, prendendo la scusa del troppo caldo. In realtà volevo soltanto sfuggire agli sguardi dei ragazzi, temendo che ci avrebbero letto qualcosa che non ci doveva essere.

 

Non appena misi piede nella terrazza che si affacciava sulle strade fievolmente illuminate di Helsinki, fui avvolta dalla fredda brezza notturna, che mi fece rabbrividire fino alla punta delle dita.

Mi avvicinai al parapetto, sfregando le mani sulle braccia nel tentativo di riscaldarmi, e lasciai vagare lo sguardo sulle case addormentate, fino al mare che completava sullo sfondo il suggestivo scorcio.

 

“Se non sapessi che abbiamo la stessa testa, potrei pensare che mi stavi seguendo…” mormorò Ville, spuntando al mio fianco, facendomi sobbalzare.

“Beh, potrebbe anche essere” scherzai, anche se lo stupore sul mio viso era troppo evidente per essere mascherato “Di certo non siamo qui per lo stesso motivo …” dissi, indicando la sigaretta che aveva in mano.

“Giusto. Proprio contraria al fumo?”

Alzai le spalle: “No, non direi. Penso che ognuno abbia il diritto di fare quello che gli pare della sua vita. Io non ci vedo nulla di interessante nel fumare, non mi attira proprio. Ma non posso sapere quello che ispira agli altri”

“Me la scrivi? Potrei usarla contro quelli che rompono i coglioni se fumo”

“Ciò non vuol dire che sei autorizzato a fumare vicino a qualcuno a cui da fastidio” aggiunsi saggiamente.

Sbuffò. Poi tra di noi cadde il silenzio.

 

“E’ bella, vero?” sospirò d’un tratto, cambiando argomento. Mi voltai verso di lui, e lo trovai con lo sguardo sognante perso nell’orizzonte.

“Oh sì, lo è davvero”

“Credo sia la mia maggior musa ispiratrice” disse, facendomi l’occhiolino. “Molte delle mie canzoni sono nate sotto questo cielo, davanti ai tetti di Helsinki, in notti come questa. E come se riuscissi a sentire l’anima della città parlarmi. E’…”
“Magico” completai il suo pensiero, riuscendo a sentire quello che cercava di esprimere come si mi appartenesse.

Sorrise: “Magico. Wow, inizia a farmi paura…”

“Che cosa?” domandai, scrutandolo negli occhi.

“La nostra connessione” rispose in un sussurro, senza alcuna nota ironica, ricambiando il mio sguardo.

 

Per un momento tutto ciò che mi circondava diventò sfuocato e ogni suono ovattato. Scommetto che se per caso avessi perso l’equilibrio e fossi caduta dalla terrazza non me ne sarei nemmeno accorta. Almeno fino all’impatto.

 

Una raffica di vento più forte ci riscosse da quello strano torpore.

“Inizio ad aver freddo. Sarà meglio entrare” disse a voce alta, chinando il capo.

“Vai pure, vi raggiungo fra un attimo” gli assicurai.

Senza farselo ripetere due volte quasi fuggì dalla terrazza.

 

E io rimasi a fissare la bianca luna, in cerca di risposte.

 

 

­­­­­­­­­­­

Ma saaaaaaaalve!!

 

Eccomi qui con il nuovo aggiornamentino...beh che dire? Allura intanto io adoro i componenti della band in sto capitolo mi fanno morire..c’ho messo anche un piccino interrogatorio per la LadyNumb che però è scomparsina!! Cara se passassi di qui il capitolo è per toi!!

 

Non chiedetemi come mi è uscita la storia della sorella..ma li vedo molto simili..

E magari villuccio è un bravissimo ballerino ma nn so perché ho sta convinzione che nn gli piaccia ballare..cioè no..in realtà ho visto un video su youtube in cui faceva una sottospecie di ballo cn bamXD ma m è venuto così…

 

Ah poi i muse erano nel sogno..quindi ce li ho piazzati lì..poi io adoro quella songXD

 

Beh la pianto un po’ di blaterare e ringrazio di cuore tutti quelli che hanno commentato!!! Davvero sapere cosa ne pensate è davvero importante! Poi ormai lo avete capito che io sn nata con qualche rotella in meno…

 

@Darky: hey sorellinaaa..che triste rileggere il commento di una settimana fa..quando stavi per venire..uffi vojo tornare indietro nel tempo!! Comunque lo sai che i tuoi commenti m fanno sempre piacere..e appena hai tempo puoi dare anche solo una letterina veloce^^ giusto per sapere cosa ne pensa la mentora! Ma quando riesci..nessuna fretta! Te vojo beneeeeee

 

@Shine no Kami: beh dai anche questo è stato abbastanza velocino no?? :p spero di poter continuare a questo velocità anche se è iniziata quella stupida di school..uff!! Uh comunque se hai qualche commento da fare, anche qualche bella critica, mi raccomando nn esitare! Sono contenta che segui la mia ff^^ grashie grashie..kiss

 

@Bell_Lua: ma quanto sono belliii i tuoi commenti!! Ma grashie..sono così contenta che ti piaccia questa ff!! certo sentirselo dire fa sempre molto beneXD cmq anche se avessi qualche critica la ascolterei ad orecchie ben tese (o forse la leggerei ad okki ben apertiXD) ehehhehe hai visto che pazzi gli HIM?? In effetti questo della mia fanfiction è un po’ in villuccio idealizzato..però in generale mi dà l’idea di essere un tipo simpatico! Grazie mille cara ancora!! VenomousKiss

 

@grimilde: ma figurati tesora!! Ma cosa faresti all’elisa se te la trovassi davanti?? XDXDXD Sono contenta che ti piaccia in generale la storia e gli altri personaggi! Sei sempre troppo tenera! Grashiee*.*

 

 

Alla prossima

 

La vostra

-FallenAngel-

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Capitolo 9
*** 'Tween funny tales, tiffs and recording studios ***


Chapter 8

 

Tween Funny tales, tiffs and recording studios

 

I just can imagine how much loving and petty you had to be, my little Strawberry…

 

7 Maggio

 

Merendina dietetica o crostatina della nonna?

 

Vi siete mai fermati a pensare a quante scelte bisogna fare nel corso della giornata? Anche decidere cosa prendere ad una stupida macchinetta diventa un dubbio esistenziale. Almeno per me.

 

In primo luogo quella mattina ci avevo impiegato venti minuti buoni a decidere se alzarmi da quel letto oppure no. Alla fine, ripensandoci, non avevo poi concluso nulla. Ero stata buttata giù dal letto contro la mia volontà.

E adesso mi trovavo davanti a quella macchinetta. Nel corridoio di una sala discografica.

Già. Proprio in una sala discografica.

E con dei ciceroni di eccezione: Migè Amour e Gas Lipstick.

 

Era stato il bassista la sera precedente, prima che ci riaccompagnassero in hotel, a proporre la visita.

Non credendo alle nostre orecchie avevamo subito accettato, anche se la mattina avevo iniziato ad essere un po’ più titubante.

Dopo il nostro incontro sulla terrazza Ville si era comportato in modo strano tutto il resto della serata, evitando di rivolgermi la parola o quasi.

Non ero sicura che volesse rivedermi, ma Arianna aveva così insistito e io non avevo nessun apparente motivo per rifiutare di andare. Cosa potevo dirle? E poi, come potevo essere certa che il comportamento del darkman fosse legato a me? Non stavo diventando un po’ troppo egocentrica?

 

Non appena i ragazzi erano venuti a prenderci sul retro del nostro hotel, avevo scoperto che tutte le mie remore erano state inutili: all’ultimo minuto infatti Ville aveva informato gli amici che non ce l’avrebbe fatta a venire.

Non dovevo essere quindi troppo lontana dalla verità. Avevo cercato comunque di non pensarci, e godermi la visita.

 

Affermare che Gas e Migè fossero simpatici era davvero riduttivo: avevano sempre una battuta pronta e ci avevano fatto letteralmente morire dalle risate raccontando episodi e disgrazie capitate alla band, come la volta in cui Burton, in New Jersey, era stato scambiato per un pericoloso fuorilegge ed era stato trattenuto nella prigione di stato di una piccola città per due giorni. O di quando Ville si era preso un’ustione terribile ed era rimasto bloccato in una camera d’albergo con la febbre a 40.

In particolare si erano a lungo soffermati sui difetti e gli anedotti più imbarazzanti dei loro compagni che non erano presenti per potersi difendere.

 

Il mio stomaco riprese a brontolare, facendomi scendere dalle nuvole e ricordandomi il motivo per cui mi  trovavo davanti ad una macchinetta mangiasoldi: naturalmente quella mattina per non arrivare in ritardo avevo saltato la colazione.

“Se me lo dicevi che venivi qui ti accompagnavo!” Gas spunto alle mie spalle “E’ uno dei miei posti preferiti” ammiccò.

Non potei non sorridere: “Beh allora cosa mi consigli?”

“Uhm” il batterista si grattò la testa pelata, osservando con attenzione le varie merendine che riempivano i ripiani della macchina “Io personalmente mi prenderò un bel Mars. Non ti va?”

Storsi un po’ il naso: “Na, ora no. Come sono queste crostatine?”

“Non sono male” commentò, addentando il suo Mars.

Seguii il consiglio del mio Cicerone e poi ci avviammo insieme per raggiungere Arianna e Migè: li trovammo seduti ad un tavolino poco lontano, a chiacchierare allegramente.

 

“Ah eccoli qua. Bene, sono riuscito a sistemare per quella cosa” comunicò il bassista al compagno.

“Uh bravo”

“Che cosa?” domandai, ingoiando l’ultimo boccone e gettando l’involucro in un cestino vicino. Guardai Arianna curiosa, ma lei alzò le spalle, ricambiando il mio sguardo confuso.

Ci rivolgemmo quindi entrambe verso i due musicisti, aspettando una risposta.

“No, no, le nostre bocche sono cucite.” Scosse la testa Migè “E’ una piccola sorpresa”

Arianna sbuffò, incrociando le braccia, come una bambina: “Uffi, io odio le sorprese. Sono troppo curiosa!”

Io odio le sorprese” le fece il verso Migè, imitando il puffo brontolone “Hey puffetta, non facciamo le rompine”
La rossa si elevò in tutta la sua altezza, squadrando con terribile cipiglio il povero bassista. “Puffetta a chi?”

Tutti scoppiammo a ridere di gusto.

 

“Dai venite” ci fecero strada i due componenti degli HIM “Così sazieremo subito la curiosità della nostra Rossa”

Mentre camminavamo lungo i corridoi della casa discografica, le cui bianche pareti erano ornate con placche e cornici contenenti attestati di uscite di album e vendite record, Migè ricominciò a sogghignare tra sé e sé: in quel momento assomigliava davvero ad un rospo.

Gas gli tirò una sonora pacca sulla spalla: “Che ti prende scusa?”

L’altro scosse la testa, continuando a ridacchiare: “Niente, è solo che…ripensando a episodi divertenti…ci siamo scordati di raccontargli di quello successo a Ville in quell’hotel di Istambul…”

Non appena ebbe sentito il nome della città anche il batterista iniziò a ghignare senza ritegno. “Giusto, dai dai raccontagliela che quella è una perla”

“Sì, siamo tutte orecchie” ci affrettammo a far sapere loro, sbattendo le ciglia.

 

“Bene, allora…”cominciò Migè, schiarendosi la gola, tentando di smettere di ridere “Era durante uno dei nostri tour: dovevamo passare la notte in questo hotel che aveva prenotato la nostra agenzia. Durante la notte, nella camera di Ville inizia a suonare l’allarme antincendio. Subito il poveretto si alza di soprassalto e non ha il tempo nemmeno di rendersi conto di cosa sta succedendo che iniziano a bussare come pazzi alla porta. Ancora mezzo addormentato si trascina fino alla porta e non appena la apre viene trascinato fuori da due camerieri che continuano a gridargli qualcosa in turco, per poi sparire dentro la sua stanza chiudendosi la porta alle spalle. Ville è in mezzo al corridoio, con indosso soltanto i boxer, che si guarda intorno come un idiota…”

Già io e Arianna iniziavamo a faticare a trattenerci “E non è ancora finita” ci avvertì “Ora arriva il meglio, perché…”

 

“Non ti azzardare a dire un’altra parola” minacciò una voce profonda alle nostre spalle.

Ci voltammo tutti di scatto, trovandoci davanti un Ville Valo a dir poco incazzato.

“Ops” mormorò Migè, stampandosi in faccia un sorriso a trentadue denti “Ville, non ti aspettavamo…”

Il darkman si avvicinò, tirando un sonoro coppino contro il bassista “L’ho visto che non mi aspettavate…e invece vi ho fatto una sorpresa”

“Ami ancora le sorprese?” Arianna girò il coltello nella piaga.

“Spiritosa”

“Non avevamo convenuto che certe storie dovrebbero restare private?” sibilò Ville.

“Non dovresti preoccuparti troppo, ormai ne abbiamo già sentite delle belle” cercai di tirarlo su e con aria angelica aggiunsi: “Fragolino

 

Ancora cercavo di immaginare un Ville Valo di quattro anni travestito da fragola recitare nello spettacolo della scuola. Ma da quanto mi avevano riferito Gas e Migè, Jesse, il fratello del cantante, doveva avere qualche foto nascosta da qualche parte…

Subito il darkman avvampò fino alla punta delle orecchie. Mi lanciò una fugace occhiata per poi sfuriare nuovamente contro i suoi presunti amici: “Ma anche questo gli avete raccontato! Ma siete degli infami!”

Il batterista cercò di difendersi: “E dai cosa vuoi che sia! E’ una bella storia. Eri così carino, Fragolino…”

“Ti conviene piantarla Gas, potrei raccontare io certe storie…e anche su di te, deficiente là dietro”

“Oh beh” deglutì Migè, cercando subito di cambiare argomento “Ville, stavamo giusto andando TuSaiDove. Hanno subito accettato”

“Okay, continua pure a fare strada” sospirò il frontman, abbandonando i piani di vendetta, e seguendo il gruppo che ricominciava a muoversi.

 

Dopo pochi passi ci ritrovammo fianco a fianco.

Mi azzardai a voltare leggermente la testa e lo sorpresi a sbirciarmi a sua volta.

“Cosa c’è?” domandai, senza tanti preamboli, temendo che il lungo silenzio della sera prima dovesse continuare ancora a lungo.

“Stavo pensando a cos’altro possono averti raccontato, veramente. Di cosa dovrei vergognarmi” confessò, infilando le mani in tasca.

Nella mia mente sospirai di sollievo.

“Oh, niente di che…” mentii.

Mi scrutò sollevando un sopracciglio: “Chissà perché non ne sono troppo convinto”

“Giusto quello che deve sapere una sorella minore per mettere in imbarazzo il fratellone all’occorrenza”

“Ecco, adesso sono più tranquillo” borbottò.

Mi lasciai andare ad una risata argentina: “Ma dai, non ti devi mica vergognare. Chissà com’eri tenero e coccoloso”

 

Per mia esperienza personale so che difficilmente un ragazzo accetta di buon grado le parole ‘tenero e coccoloso’ se riferite a lui medesimo. E Ville non smentì i miei calcoli.

“Cosa?” sbottò, per poi nascondere la testa tra le mani “Oddio”

“Tenero e coccoloso? Wow non pensate che siano aggettivi perfetti per il nostro Villuccio?” intervenne Migè, che aveva origliato parte del nostro dibattito.

“Cosa ho detto!” gli ricordò Ville, e la frase, che suonava davvero come un ultimatum, fece zittire immediatamente il bassista. Migè doveva nascondere qualche scheletro bello grosso nel suo armadio…

 

“E anche tu cara sister dovresti frenare un po’ la lingua. Sono sicuro che ci siano delle storie divertenti anche sul tuo conto. Vero Arianna?”

L’Ary si voltò sorridendo: “Naturalmente”

La fulminai con lo sguardo: “Ma…?”

In tutta risposta alzò le spalle: “Beh in effetti, come sorella maggiore, sono solidale con il povero Valo. Non è giusto che combattiate ad armi impari”
“Traditrice” la apostrofai, continuando a guardarla male.

“Hey micette, tirate dentro le unghie che siamo arrivati” ci avvertì Gas, fermandosi davanti ad una doppia porta sulla quale era attaccata una targhetta che riportava una scritta in suomi e il numero 14.

“Studio” tradusse prontamente Ville, indovinando i miei pensieri.

“Oh grazie” balbettai, presa di sorpresa. Adesso mi leggeva anche nella testa? Oh, ma che idiozie. Era facile indovinare e poi…Ma, un momento.

 Studio?

 

D’un tratto il mio stomaco iniziò a contorcersi in modo strano. Avevo un brutto presentimento.

Non appena la porta si fu aperta il dubbio lasciò spazio alla certezza. Studio come studio di registrazione.

 

Non era di certo la prima volta che ne vedevo uno. Avevo assistito più volte alle prove e alla registrazione di canzoni dei ragazzi.

Tuttavia rimasi a bocca aperta. Era una cosa completamente diversa. Era enorme e fornito di macchinari di tali dimensioni da mettere soggezione e così pieni di tasti da far girare la testa. Insomma, cose da film.

“Quando glielo raccontiamo ai ragazzi ci uccidono” bisbigliai ad Arianna, che come me si aggirava per la stanza con gli occhi spalancati.

Non appena il batterista ebbe fatto partire un interruttore, mi ritrovai a guardare attraverso lo spesso vetro che divideva la prima stanza dalla sala prove vera e propria, anch’essa molto vasta e già dotata di numerosi strumenti e microfoni.

 

“Chiudi la bocca, pescetto” mi sussurrò Ville all’orecchio, facendomi saltar su.

“E’ davvero bello” commentai.

“Oh sì, non c’è male” Il darkman aprì la porta laterale, facendoci passare nell’altra sala. “E…”

“E’ tutta per voi!” completò la frase Migè, entusiasta.

“Cosa?” esclamammo entrambe, una nota di panico nella voce.

 

“Pensavi davvero che mi fossi dimenticato che ieri alla fine non avete cantato nulla!” mi ricordò Ville, le mani sui fianchi. “Avevi promesso!”

Oh cavolo.

E io pensavo che se ne fosse scordato davvero.

 

“IO non ho mai promesso” cercai una via di fuga, ma ero con le spalle al muro.

“E’ la tua occasione per fare qualche prova con le canzoni del tuo disco!” suggerì Ville, con l’espressione più seria che potesse avere.

Si beccò subito uno spintone.

Mi aggrappai all’ultimo cavillo: “Ma come facciamo? Della tastiera possiamo anche fare a meno, ma con la chitarra…”

Subito Ville imbracciò lo strumento: “Ecco qui il tuo chitarrista”

Senza più alcuna speranza e con un tacito accordo, io e Arianna decidemmo di accettare la sfida.

“Un’ultima cosa…” aggiunse Migè, prendendo il basso.

 

“Sì?” domandò la rossa, alquanto preoccupata, con le mani che già sudavano intorno al microfono appena ricevuto.

“Deve essere una nostra canzone”

“E per quale motivo, di grazia? Noi avevamo già in mente una canzone” protestai.

“Ah sì?” borbottò Arianna, grattandosi la punta del naso.

 

“Certo” subito dopo essermi schiarita la gola intonai “If you’re happy and you know clap your hands, if your happy and you know clap your hands…”

Tutti scoppiarono a ridere di gusto.

“No, no, niente storie! Una nostra canzone!” ripeté Ville “Non dirmi che non vi ricordate nemmeno un testo...Siete delle fan degli HIM oppure no?”

“Come osi? Certo che conosciamo i testi! Anche meglio di te che gli hai scritti!”

Gas ridacchiò dalla sala di controllo del suono: “Hey Villuccio non farla arrabbiare va’! E’ un consiglio spassionato”

“Scusami Furia. Prego…” si inchinò.

 

Alzai gli occhi al cielo per poi lanciargli uno sguardo di sufficienza, come una gran dama d’altri tempi mortalmente offesa, non riuscendo però a restare seria a lungo.

La mia compagna mi richiamò alla realtà: “Beh allora cosa cantiamo?” sembrava ansiosa di finire tutto al più presto. Che sciocca, non eravamo ancora riusciti a convincerla che avesse una bella voce!

Osservai pensierosa la punta delle mie Converse ricoperte di teschi: “Uhm, non saprei, scegli tu…”

“Oh no, sei tu che ci hai infilato in questo pasticcio. Decidi te!” ribatté Arianna.

Ecco, un’altra decisione da prendere!

 

D’un tratto un’idea balenò nella mia testa. Tirai fuori il lettore mp3 dalla tasca dei jeans.

“Cosa stai combinando?” chiese Ville, sospettoso.

“Ora lo vedrai” pronunciai sibillina.

Misi la modalità casuale e aspettai di vedere la prima canzone che il computer mi avrebbe mandato.

Appena lessi il titolo sogghignai: “Eheheh, carina questa…”

Mi avvicinai all’Ary per mostrarlo anche a lei e chiedere il suo parere.

“Uh, okay”

“Come al solito eh!”

Mi guardò un momento sconcertata: “Vuoi dire…?”

“Sì dai!” le sorrisi incoraggiante.

“Va benissimo, è solo che…”

“Cosa?”

Scosse la testa: “No niente. Mi chiedevo solo che fine avesse fatto la ragazza che ieri quasi si vergognava sulla pista da ballo. Ma ormai ho rinunciato a cercare di capirti. Sei peggio del Dr Jeckil”

Mi morsi il labbro. Sì, sì, non l’ho già ammesso che sono lunatica peggio di un lupo mannaro?

 

“Possiamo esserne messi al corrente anche noi?” domandarono i membri della nostra band improvvisata.

“Ma naturalmente”
“Giusto perché dovete suonarla…” commentò Arianna.

“Beh certo, solo per questo. Comunque, in primo luogo voglio dire che dedico questa canzone al mio fan numero uno” stava diventando un abitudine eh? Anche se questa volta era uno scherzo…

“Mio caro groupie” mi rivolsi quindi verso Ville, trasformando il mio viso in una maschera di finta disperazione “Sono davvero dispiaciuta ma la nostra storia è finita…”

“Ohhh” mormorò alle nostre spalle Migè.

“…In primo luogo perché non sono per niente soddisfatta del tuo comportamento nell’ultimo periodo. Cioè! L’ultimo commento alla mia canzone è stato la base non è male!” scossi la testa indignata, non lasciandogli il tempo di replicare “Poi io sono troppo per te. Non posso più sopportare di vederti soffrire per la tua inferiorità. Davvero è meglio così…”

 

Il darkman mi osservò sbattendo le ciglia: “Non me l’aspettavo. Ne sei proprio sicura?” posò la chitarra e si inginocchiò ai miei piedi con le mani giunte.

“Villino non piangere mi raccomando!” gli disse il bassista, fingendo di asciugarsi una lacrima “Già ci sono qui io. Non riesco a resistere davanti ad una storia così triste!”

“Oh Ely, come puoi essere così heartless?” Arianna non riusciva a trattenere le risa.

“Mi dispiace tesoro, ma non ho intenzione di cambiare idea”

“C’è anche quel piccolo incestuoso dettaglio della scoperta della vostra parentela!” mi ricordò Gas dall’altra parte del vetro.

 

“Ah giusto, pure quello. Vedi, è proprio destino” aggiunsi, alzando le spalle, sebbene il mio vero impulso, vedendolo lì ai miei piedi, sarebbe stato quello di saltargli addosso.

“Oh beh, allora credo che me ne farò una ragione” disse con un sorriso sghembo stampato in faccia, assolutamente adorabile (alla Edward Cullen XD NdLaAngel). Si era consolato in fretta, non c’era che dire.

 

Ma non appena si fu alzato in piedi, troppo veloce perché potessi rendermi conto di cosa stava per fare, mi scoccò un leggero bacio sulla guancia. Indietreggiai istintivamente: mi aveva preso completamente alla sprovvista ed ora il mio cuore aveva preso a battere al ritmo di una sveglia impazzita.

“Ultimo bacio” spiegò subito dopo, ridacchiando della mia reazione.

Sebbene sentissi le gote in fiamme, sperai fosse soltanto una mia stupida e orribile impressione, e

cercai di mantenere un contegno impassibile, almeno davanti agli altri.

 

“Bene se i due ex-coppiati parenti hanno finito la loro scenetta potremmo iniziare questa canzone!” rammentò Migè con un filo di impazienza.

“Certo” tossicchiai “La canzone in questione fa più o meno così: I'm not with you my baby
just to see you cry...”

“Amo quella canzone...” sospirò Ville, sognante.

“Certo, tu le ami tutte, le hai scritte tu, mio caro narcisista!” lo interruppe secco il batterista.

Il frontman gli lanciò un’occhiataccia “Chiudi il collegamento, MrBrain, che iniziamo a suonare”

“Certo” Gas eseguì la richiesta immediatamente.

“Tutti pronti?” chiese il bassista. Tutti annuimmo con vigore.

 

Con il microfono stretto in mano, io e Arianna ci posizionammo una di fronte all’altra, aspettando il momento opportuno per cominciare.

Fui io ad attaccare, prendendo una delle sue mani, e riassumendo un atteggiamento dispiaciuto.

 

“I'm not with you my baby
Just to see you cry...”

 

“...I'm in love with you
Not the tears in your eyes”

Continuò l’Ary, ritraendosi e voltandosi nella direzione opposta.

Ma io la seguii, prendendo il suo mento fra le mani e costringendola a guardarmi.

 

“I can't remember
The last time you smiled...”

 

“...Oh I know how it feels
I know what it's like

 

Cantò lei, liberandosi nuovamente dalla mia presa.

Quanto eravamo stupide! Ma quanto ci divertivamo! Questo era il modo in cui ci mettevamo a cantare quasi ogni canzone, le spazzole in mano come microfoni, a piedi nudi nel suo salotto o sopra il letto.

Nella piccola pausa alla fine della prima strofa ci voltammo sorridendo verso i “nostri” musicisti e ci accorgemmo con piacere che anche loro si stavano godendo alla grande il nostro nuovo video per la canzone.

 

“To be
In love and lonely
In love and lonely”

 

Unimmo le nostre voci in un incrocio di microfoni per il ritornello per poi tornare a dividerci le parti e a recitare, scambiandoci i ruoli.

 

“Don't know what to do my baby
It's not alright…”


“…This can't be the end
The time to say good bye

Oh no…”

“No I won't walk away that easy
After all this time…”

“…Oh you know how it feels
You know what it's like”

“To be
In love and lonely
In love and lonely”

 

Dopo l’ultimo assolo di Migè, i due ragazzi iniziarono a battere le mani come dei pazzi.

“E’ stato una forza!” commentò il bassista solare.

La porta della sala d’incisione si aprì all’improvviso con un tonfo, facendosi sobbalzare.

“Me-ra-vi-glio-so!” gridò Gas, entusiasta entrando nella stanza con la grazia di un elefante “Deve essere venuta una registrazione superba!”

“Una registrazione” gli occhi di Arianna erano serrati.

 

“Sì, deve essere venuta molto bene! Anche se sarebbe stato ancora meglio filmarvi!”

“Peccato, non ci abbiamo proprio pensato” sospirò il bassista leggermente deluso, anche lui apparentemente ignaro della reazione della rossa. Ma, conoscendola fin troppo bene, sapevo che non sarebbe stato facile ignorarla ancora per molto…

“Beh, sarà per un’altra volta” propose Ville, ammiccandomi.

“Di sicuro” continuò Migè “ dobbiamo organizzarci ma credo che…”

 

“CI AVETE REGISTRATO?” sbraitò Arianna, riottenendo l’attenzione generale.

Ecco, io lo sapevo.

Mi avvicinai al darkman sussurrandogli all’orecchio: “Eh, brutta idea. Adesso vedrete chi è la Furia…”

E restammo divertiti ad osservare la tigre appena risvegliata dal sonno avventarsi sul povero Gas, agitando i lunghi boccoli rossi che d’un ricordavano terribilmente i serpenti di Medusa…

 

 

 

 

Ecco qui il nuovo aggiornamento, con un giorno di ritardo rispetto alla mia routine settimanale, che non so per quanto ancora riuscirò a tenereXD

 

Mi sono divertita molto anche a scrivere questo capitolo, soprattutto del Villuccio Fragolino XD

Spero non sia dispiaciuto anche a voi^^

 

Ah non ho assolutamente nessuna esperienza di sale di registrazione o case discografiche, probabilmente non vi sono studi di incisione dentro, o forse sì XD boh, potrebbe essere tutto, ma mi serviva che ve ne fosse uno quiXD

 

Grazie davvero tanto a tutti quelli che hanno commentatoo!! Davvero! Adoro i commentiniXD…

 

Bell_Lua: ma quanto sei dolce cara^^ forse l’avrò già detto ma davanti ai tuoi commentino mi sbrilluccicano gli okkietti^^ sono contenta che ti sia piaciuta l’ultima scena..direttamente dal mio lato romantico che adoro la notte e la luna piena *.*  In effetti il loro rapporto è molto particolare e si complicherà ancora con il passare del tempo. Grazie ancora tanto tantoooo..kisses

 

Judeau: uhh ma saaalve^^ sei approdato anche tu alla mia storia^^ mooolto onorata!! Capisco la tua sviscerale ammirazione per quest’uomo. Io non vorrei essere lui, ma vorrei qualcos’altroXD Comunque me felice che ti sia piaciuta! Grazie grazie! Hai visto anche nella mia storia c’è una Rossa! Con dei bellissimii boccoliXD Ave al Valo e abbasso il rospo Migè (no dai scherzo porello vojo bene pure a lui!!) Fammi sapere cosa ne pensi di questo chap! Kisseeees

 

Shine no Kami: uhh povera cara!! In bocca al lupo!!!! Spero tu abbia apprezzato questo capitulettì^^ Baciis

 

Linkin park: caraaaaaaaaa!! Ke bello mi erano mancati i tuoi commentiniii!! Shii tanto!! Grazie davvero^^ io me li immagino un po’ così! Simpaticissimi…non so, ho questa idea! Grazie ancoraa! Kissottii!

 

Grimilde: OOhh Sublime Commentatrice, la ringrazio per quest’altra recci!! Sempre tenerissima, nonostante i progettino per uccide la elii..porellaXD (che la paola trova sconvolgenteXD mah) sai che sono molto romantica oltre che sadicaXD grazie amora!! Un bacioooo

 

 

 

Ancora grazie a tutti quanti!! Alla prossimaaaaaa^^

 

VenomousKiss

- FallenAngel -




 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Night of fear ***


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Chapter 9

 

 

Night of Fear

 

Ghost’s whispers in a secret garden

 

8 Maggio 

 

“Uffa, questi film dell’orrore sono sempre una delusione” mi lamentai mentre uscivo da un piccolo cinema nella zona ovest di Helsinki “E’ da una vita che non ne vedo uno decente! Non chiedo di morire sulla sedia per la paura, ma almeno non rischiare di addormentarmi. E hanno anche il coraggio di chiamarmelo ‘Night of Fear’! Bah!”

“Beh dai, almeno i pop-corn erano buoni” cercò di sdrammatizzare il mio compagno di visione.

“Sì, sì, a parte il fatto che ci ho trovato dentro un capello!” storsi il naso “Ed era biondo!”

 

Gabriel mi guardò storto per qualche secondo con i suoi grandi occhi azzurri: “E come avresti fatto a vedere che era biondo se eravamo in una sala buia?”

“Vista bionica” affermai come se fosse una cosa ovvia.

“Ah sì?” alzò un sopracciglio “E sentiamo mia cara supereroina, oltre alla vista bionica possiedi anche la supervelocità?”

“Eh?” prima ancora che potessi capire la battuta il finlandese si era già messo a correre, portandosi via la mia borsa a tracolla di Emily, una delle pochissime che possedevo. Ero più un tipo da tasche strabordanti, ecco.

 

Sentii la sua risata argentina risuonare per la via alberata, mentre si allontanava tra la folla.

“Aspetta!” gli urlai, iniziando a rincorrerlo. Per fortuna quella sera non avevo dato retta ad Arianna e invece degli stivali col tacco avevo mantenuto le mie amate Converse! In fondo essere alti aveva qualche vantaggio. Non avevo mai amato i tacchi: qualche volta va bene, ma perché far soffrire i piedi gratuitamente?

“Appena ti riacchiappo vedi!” minacciai Gabriel, sotto lo sguardo sconcertato dei passanti, cercando di non perderlo di vista: quella zona della città non la conoscevo molto bene e non avevo molta voglia di perdermi.

 

Ero sicura di averlo visto voltare l’angolo, ma quando imboccai il piccolo viottolo lo trovai completamente deserto.

“Gabriel?” chiamai, continuando a camminare, seguendo la strada, apparentemente senza uscita: dopo qualche minuto di marcia, iniziavo ormai a temere di aver sbagliato strada, quando giunsi in un’angusta piazzetta circondata da antichi edifici abbandonati, la maggior parte dei quali in rovina. I muri avevano perduto il loro colore, i vetri delle finestre frantumati e le porte erano sbarrate con travi di legno chiodate.

 

Al centro della piazza era situata una piccola statua, di un bronzo pallido ormai consumato e imbruttito dal tempo spietato: il piedistallo era sporco e coperto di lattine e bottiglie di birra abbandonate senza alcun riguardo. Raffigurava una bambina minuta dai lunghi boccoli sciolti sulle fragili spalle, le braccia distese in avanti nel tentativo di afferrare qualcosa e la testa debolmente piegata da un lato. Fui subito colpita dalla sua espressione assorta e al tempo stesso così infelice.

Un lungo brivido percorse la mia spina dorsale, mentre con il cuore che batteva forte mi giravo in un’altra direzione, per sfuggire a quello sguardo che pareva reale.

 

“Gabriel” gridai ancora, una nota di panico nella voce. Ormai la paura stava prendendo il sopravvento. Dovevo tornare indietro, ritrovare la strada principale. Non doveva essere troppo complicato, ma se avessi incontrato qualcuno lungo il cammino? La sola idea mi terrorizzava.

Un fruscio alle mie spalle mi fece voltare di scatto, mentre il mio cuore mancava un colpo. Scrutai la piazza con occhi attenti, ma pareva ancora completamente deserta.

 

Forse era stato solo uno scherzo della mia fervida immaginazione, ma se davvero c’era qualcuno, non mi interessava certo scoprirlo.

Maledicendo mentalmente Gabriel, stavo per rimboccare lo stretto viottolo, quando sentii una mano afferrarmi il polso.

Lanciai un urlo terribile, e istintivamente tirai una gomitata con tutta la forza di cui ero capace al mio aggressore, il quale mollò immediatamente la presa, indietreggiando e perdendo quasi l’equilibrio.

“Ohi” si lamentò una voce famigliare alle mie spalle.

 

Mi voltai stupita, trovandomi davanti un Gabriel piegato in due per il dolore.

“Certo che ci dai dentro eh!” biascicò, massaggiandosi lo stomaco.

“Oddio scusa!” mi avvicinai preoccupata, per verificare come stesse.

Ci sedemmo su una panchina mezza distrutta ai piedi della statua.

“No, non preoccuparti, non è nulla” sorrise debolmente.

“Sei sicuro che non ti sia fatto troppo male?” domandai premurosa.

Si sollevò stoicamente a sedere diritto, per dimostrarmi la sua pronta guarigione: “Certo”

“Ah bene, se è così allora…” gli tirai una sonora sberla dietro la testa.

Mi guardò strabuzzando gli occhi: “Hey!”

“Sei proprio un deficiente! Mi hai fatto prendere una paura assurda!” gli gridai, piena di risentimento.

 

Lo sentii ridacchiare, per niente pentito “Non sei contenta? Così ti sei rifatta del film! Un reale sano spavento, nessuna finzione può competere”

Lo squadrai di traverso: “Quindi dovrei ringraziarti secondo te?”

Alzò le spalle, stirando il collo prima a sinistra e poi a destra: “Così farebbe una persona educata e gentile”

“Oh capisco” risposi, portando un dito alle labbra, come una bambina ingenua “Nessuno ti ha informato che sono stata allevata dalle scimmie?” Feci una strana smorfia, a sostegno della mia asserzione.

Gabriel esplose in una sonora risata.

Sorrisi compiaciuta. Il finlandese se ne accorse e mi fissò un momento scuotendo la testa.

 

“Sei strana forte”

“Eh, lo so, lo so. Grazie!”

“Prego” riuscii nuovamente a far incurvare le sue labbra.

La vibrazione del cellulare interruppe momentaneamente la nostra allegra discussione.

Chiamando una breve tregua controllai il nuovo messaggio.

 

“Amora! Come procede la serata con il nostro rubacuori? Successo qualcosa di interessante? *.* Eheheh ricordati chi ti ha combinato questo appuntamento mi raccomando!”

Alzai gli occhi al cielo. La solita Ary.

 

“Che succede?” domandò divertito dalla smorfia sul mio volto.

“Niente” risposi scuotendo la testa “I messaggi intelligenti della mia amica. Ma non preoccuparti, sono subito da te”

Inviai subito la mia risposta: “Cose indecenti e inenarrabili. Ti dico solo che rischiavo di restarci secca. A dopo Lovva (se il mio cavaliere non decide di tenermi per sempre con sé)

Ritornai a rivolgere tutta la mia attenzione verso Gabriel.

 

“Comunque sorvolando sul fatto che è stata proprio una cosa ignobile farmi prendere uno spavento tale…” ricominciai, alzando un sopracciglio “Per quale motivo mi hai portato qui?”

Ridacchiò sotto i baffi: “Non ti piace?”

“Sinceramente…non molto”

Assunse un’espressione seria: “Okay, la verità è che questo posto è infestato da un fantasma”

Aggrottai la fronte, raddrizzandomi sulla panca, sulla quale mi trovavo in una situazione poco ortodossa, seduta sopra una delle ginocchia.

“Davvero!” protestò davanti alla mia aria scettica. “Ecco guarda!” aggiunse, allungando il braccio e indicando di fronte a se.

 

Seguii la direzione del suo dito, incontrando soltanto gli occhi profondi e tristi della statua in rovina.

Rabbrividii nuovamente, mio malgrado.

“Il suo nome era Leena Enäästi” spiegò fissando anch’egli la bambina di bronzo “O forse dovrei dire è, se si da retta alle leggende che circolano da queste parti”

Sbuffai, cercando di scrollarmi di dosso quella strana sensazione che mi aveva pervasa.

 

Distogliendo lo sguardo, chiesi a Gabriel maggiori informazioni su questa Leena e sul perché le fosse stata dedicata una statua in una piazza, per saziare un’improvvisa e irrazionale curiosità.

I suoi occhi si illuminarono mentre si apprestava a raccontare: “Leena nacque nella prima metà del 1800, figlia di un’importante famiglia nobile dell’epoca, forse una delle più ricche. Grandi progetti erano già stati preparati per il suo brillante futuro, ma ad appena sette anni la bambina si ammalò di tubercolosi. Naturalmente vennero chiamati i più dotati medici del paese, ma non c’era nulla da fare. Dopo neanche qualche mese la bambina era già morta”

 

“Oh” fu tutto quello che riuscii a commentare e d’un tratto mi parve di vederla, una fragile bambina costretta in un letto, gli occhi infossati e stanchi. Scacciai il pensiero, inquieta.

“I genitori, due ottime persone, decisero di utilizzare parte delle loro ricchezze per fondare un orfanotrofio, per tutti quei bambini che invece avevano avuto il dono della vita, ma poco altro, e che riempivano a frotte le strade” questa volta segnò il più grande degli edifici alla nostra sinistra, chiuso da un maestoso cancello serrato e coperto d’edera.

 

“Venne dedicato alla bambina giusto?” intuii “Alla piccola Leena”

“Già. Venne costruito in questa piazza, non lontano dalla loro domus patronale, e qui venne eretta una statua in suo onore.”

Mi sentivo terribilmente triste per la bambina, ma almeno la sua morte aveva portato un po’ di felicità a qualcun altro. Lo feci notare a Gabriel,  ma lui scosse la testa sconsolato.

“L’orfanotrofio non venne mai utilizzato”
“Come?” non riuscii a trattenermi dal gridare, ormai presa dalla storia “Perché?”

“Anche i genitori di Leena perirono poco dopo la loro unigenita, proprio alla fine dei lavori di costruzione: dicono di dolore, o forse anch’essi malati. Non si sa esattamente: le cause della morte sono ancora oggi incerte e oscure. Fatto sta che lasciarono il patrimonio e le redini della famiglia alla sorella minore del signor Enäästi, la quale era molto diversa dal suo defunto parente. In primo luogo decise che un orfanotrofio non l’avrebbe di certo arricchita e quindi stabilì seduta stante di trasformare l’edificio in un nuovo palazzo. Ma non appena ricominciarono i lavori, subito si accorsero che c’era qualcosa di strano…”

 

“Cosa intendi?” domandai curiosa: pendevo letteralmente dalle sue labbra.

Lui se ne accorse e prima di riprendere a raccontare vidi il bianco dei suoi denti brillare nella notte: “Gli operai iniziarono a fuggire dal cantiere, affermando che l’edificio era infestato da oscure presenze o dal demonio stesso: troppi incidenti si erano susseguiti, ed un uomo aveva rischiato anche la vita. Impegnata in altre faccende, la nobildonna decise infine di abbandonare il progetto. E della casa non si curò più nessuno. Si diffuse ben presto la voce che la dimora fosse infestata non di meno dal fantasma di Leena, adirata con la zia per l’uso che avrebbe voluto fare del suo orfanotrofio. E così ben presto l’edificio e la storia vennero sotterrati nelle sabbie del tempo. Ormai, come puoi vedere tu stessa, questo è solo un posto in rovina, frequentato di tanto in tanto soltanto da gente poco raccomandabile”

“E tu mi ci hai fatto venire da sola” grugnii.

 

Tornò subito serio, questa volta per davvero, tendendo la fronte “No, sono stato dietro di te tutto il tempo, non avrei mai lasciato che ti accadesse nulla. E poi è difficile che ci sia qualcuno. E’ un luogo molto isolato e piuttosto nascosto”

Ero sicura che non mentisse, ma continuai a fingere di essere arrabbiata per qualche secondo, sebbene non riuscii a resistere a lungo davanti ai suoi occhi imploranti.

“Sei bravo a raccontare storie” gli dissi poi con sincerità, sentendomi anche un po’ in colpa. Naturalmente il complimento gli fece enormemente piacere.

 

“Come fai a sapere così tante cose?” lo interrogai, con il mento appoggiato sulla mano.

La sua spiegazione non si fece attendere a lungo: “Ho scoperto questo posto quando ero bambino, con il mio migliore amico. E ne sono rimasto subito affascinato. Così sin da allora, ho iniziato a fare delle ricerche. E poi adesso le mie conoscenze si sono ampliate con i miei studi.”

Lo guardai un attimo confusa.

“Non te l’ho detto?” mormorò piegando la testa da un lato “Studio Storia all’Università; nella fattispecie, la mia specializzazione è quella della storia del mio paese. Non mi manca molto per finire.”

“Molto patriottico da parte tua” commentai, prendendolo bonariamente in giro.

 

Ma lui non sembrò cogliere la nota ironica nella mia voce, evidentemente molto orgoglioso dei suoi sentimenti verso la sua terra d’origine: “Già”

“Non pensavo seguissi una facoltà del genere…”

“Perché?” sorrise “Non mi vedi come professore all’Università?”

Ci pensai su qualche istante, mordicchiandomi un labbro: “Uhm, no direi di no” risposi alla fine, puntando un dito contro il suo petto muscoloso.

Tutto il suo corpo tremò, scosso dalle risate: “Come no? E come mi vedresti allora?”

Uff, odiavo questo tipo di domande-indovinello. Sì, sì, lo so, io odio le domande in generale e sono molto noiosa: “Oh, non ne ho idea!” sbuffai.

 

“Okay, forse è un po’ strano, ma è sempre stata la mia passione. E tu invece in che facoltà sei? Fammi indovinare aspetta…” iniziò a massaggiarsi le tempie con gli occhi chiusi: come veggente era terribilmente buffo. “Uhm, legge?”

Feci una smorfia disgustata.

“Okay, no ho sbagliato. Allora…architettura?”

Ecco un altro indirizzo che non avrei mai seguito“Per fortuna non mi hai mai visto prendere una matita in mano” sospirai, alzando gli occhi al cielo.

 

Si grattò un momento la testa, prima di esclamare tutto infervorato: “Ma certo che stupido! Dopo averti sentito cantare l’altra volta avrei dovuto capire subito che sei in un conservatorio!”

Trattenni a stento le risa “Molto lusingata, ma, temo che le tue orecchie ti abbiano ingannato. Come si dice dalle mie parti, molto foderate di prosciutto. La cornacchia qui presente non è iscritta ad alcun conservatorio”

Sebbene non sembrasse molto d’accordo con quello che avevo detto, continuò disperatamente a trovare la soluzione a quel mistero: “Giornalismo? Veterinaria? Medicina? Biologia?”

 

Poverino. Forse era giunto il momento di confidargli che non avrebbe mai potuto indovinare?

Scossi la testa per l’ennesima volta “Aspetta Gabriel, perché…”

Ma mi fermò con un gesto della mano: “No, no aspetta tu. Devo indovinare!”

Che testardo.

“Allora è Meccanica!”

“Eh?”

“No, scusa, scherzavo. Ah ecco! Mediazione linguistica!”

“Mi piacerebbe, ma…no”

Si arrese, abbassando la testa sconfitto: “Ho finito le idee”

 

“Se ti può consolare anche con più fantasia non avresti potuto indovinare” lo stuzzicai sibillina.

“Non frequenti l’università?” sembrava davvero sorpreso.

“No”

“Davvero? Non so perché ma non lo avrei mai detto”

Non sei di certo il primo che mi dà più anni di quanti ne ho, pensai fra me e me. E naturalmente tra le migliaia di persone che mi avevano ritenuta più grande il mio cervello mi continuava a riproporre l’immagine di un individuo a caso!

 

“Allora lavori? Sei sicura di non essere anche tu in un gruppo o comunque lavorare nel campo…” continuò ad avanzare ipotesi.

Sospirai esasperata. No, non aveva capito.

Mi alzai in piedi, le braccia appoggiate ai fianchi.

“Quanti anni ho Gabriel?”

Mi rivolse uno sguardo confuso “Non lo so a dire il vero” confessò, passandosi una mano fra i capelli chiari.

“Prova a indovinare” lo incitai.

 

Non sembrava molto felice: “So per esperienza che le donne non sono mai contente se qualcuno sbaglia la loro età…” bisbigliò titubante.

Mi lasciai andare ad una risata, rilassando le braccia lungo il busto: “Prometto che non mi arrabbio”

“Sincero?”

“Certo! Spara!”

“Ti vedo più o meno come una mia coetanea. Forse un anno più giovane” ammise, cinciscianchiando con la cerniera del suo giubbotto.

“E tu hai?”
“Ventitré anni”

 

“Eh non è colpa tua. Lo so, lo so. Sono un’ottima attrice” mi elogiai da sola, fingendo di sventolare un gran ventaglio e sbattendo le ciglia. “Hai sbagliato di cinque anni. Beh tecnicamente ancora sei…” puntualizzai, più a me stessa che a lui. Odiavo quegli stupidi due mesi che mi separavano dal diritto al voto. Non che mi interessasse davvero mettere una scheda crocettata in una qualche urna e non ero mai stata molto rispettosa del potere che il mio tutore (chiamarlo padre mi risultava sempre più difficile) aveva ancora su di me. Ma era diventata più che altro una questione di principio.

 

Gabriel mi fissava con un’espressione riconducibile né più né meno che ad un pesce lesso:  “Mi stai prendendo in giro”

“No, no” gli assicurai “Sono ancora una studentessa di un istituto commerciale” Non una gran studentessa a dire il vero. Non erano le capacità a mancarmi, ma il mio animo ribelle era difficile da domare. E avevo ancora la stupida ma radicata convinzione di una bambina di due anni che saltare la scuola era come fare un dispetto a mio padre e non a me stessa. Ma in fondo mi ero praticamente convinta che non avrei potuto mai fare nulla nella vita. “Per tua informazione comunque, se mai frequenterò l’Università la mia prima scelta è Matematica” materia che avevo sempre adorato e nella quale non riuscivo ad andare male nemmeno impegnandomici.

 

Era ancora piuttosto scosso, quando lo tirai per il braccio impaziente: “Allora che si fa adesso?”

Sembrò risvegliarsi: “Prima di andare volevo mostrarti un’ultima cosa…”

“Un’altra?” ero piuttosto scettica.

“Questa ti piacerà” mi assicurò.

Si alzò in piedi, dirigendosi a passo spedito verso il cancello in ferro battuto dell’orfanotrofio.

Con la grazia di un felino, scavalcò le sbarre nel punto più basso: nel giro di due secondi era già dall’altra parte.

Rimasi a guardarlo con gli occhi fuori dalle orbite: “Non penserai che faccia la stessa cosa vero?” gli annunciai, prima che si mettesse in testa strane idee.

Ma naturalmente fu inutile: quell’idea era già ben piantata nel suo cranio: “Andiamo! Non è difficile”

 

Facendo un profondo respiro, gli lanciai la borsa e poi presi ad arrampicarmi. La scalata fu piuttosto indolore: ebbi qualche problema in più con la discesa, durante la quale persi l’equilibrio e rischiai di sfracellarmi contro il terreno umido del giardino: per fortuna Gabriel era pronto ad acchiapparmi e così finii semplicemente fra le sue braccia.

In quella posizione, con il mio viso a pochi centimetri dal suo, sentii il cuore iniziare a battermi forte, e non ero sicura che fosse soltanto per lo spavento.

Restammo in quella posizione più del dovuto, fino a quando biascicai un grazie soffocato.

 

Il ragazzo mi posò immediatamente a terra con delicatezza, mentre la pelle chiara sulle sue gote assumeva un colorito scarlatto.

Voltandosi dall’altra parte mi invitò a seguirlo, non prima però di avermi teso la sua mano: l’afferrai saldamente, accorgendomi che, nonostante la temperatura esterna, era piacevolmente calda.

Mi guidò lungo uno dei muri che avevano perduto gran parte del loro intonaco, fino a raggiungere una piccola porta di legno, molto bassa. Vi era un forte odore di pioggia e di muschio, l’erba alta mi passava attraverso i jeans, pizzicandomi le gambe.

 

Con solo una lieve pressione della mano, Gabriel aprì la porticina, la cui serratura era già stata manomessa. Mi domandai se non fosse stato lo stesso Gabriel tempo prima.

Stavo quasi per chiederglielo, ma quando varcammo la soglia le parole mi morirono sulle labbra.

 

Ci ritrovammo in un altro giardino, piuttosto ampio, nel quale crescevano liberi e selvaggi decine e decine di specie di fiori diverse, che coloravano l’area recintata di tenui e caldi colori, macchie di varie intonazioni di giallo, rosso, viola e azzurro tra fitte foglie e i lunghi steli.

Strabuzzai un momento gli occhi, e mi guardai veloce indietro. Tutto ciò che era al di là della porticina era ancora grigio e reale, ma da quest’altra parte…

Nascosti nel giardino, tra la spontanea vegetazione, distinsi due altalene che ancora cigolavano, spinte dalla brezza leggera.

 

“Che posto è?” mormorai a nessuno in particolare, quasi pensando di essere entrata in una favola.

Ma la voce di Gabriel risuonò chiara e gentile alla mia destra, ostentandomi la sua presenza: “E’ un piccolo giardino creato per l’orfanotrofio. Nonostante sia stato completamente abbandonato le piante e i fiori hanno continuato a crescere da soli. Pensa a quanto sarebbe stato bello!”

“Anche così è meraviglioso” la mia voce sembrava provenire da chilometri di distanza, tanto era fievole.

In quel luogo, l’inquietudine che avevo provato nella piazza era completamente svanita.

Provai il forte impulso di avvicinarmi ad una di quelle altalene, e spingermi fino alla cima, lasciando i capelli liberi nel vento. Ma la parte razionale del mio cervello mi sconsigliò caldamente di tentare un simile gesto: le corde arrugginite non davano l’idea di essere molto stabili.

Quell’altalena apparteneva a Leena, e a lei soltanto. Concentrandomi, mi sembrava quasi di sentire un’infantile risata mescolarsi all’incessante cigolio.

 

Tenendo sempre stretta la mano di Gabriel, iniziai a vagare nel giardino, sentendomi molto come Alice nel Paese delle Meraviglie.

Seguendo questa volta il mio istinto mi lasciai  cadere tra i fiori porpora e violacei, seguita a ruota dal finlandese.

Respirai a fondo il loro buon profumo.

“Sai anche che fiori sono?” domandai al mio mentore, piena di curiosità.

“Mi dispiace, questo non te lo so dire…” non staccò un momento gli occhi da me, tanto che dopo un po’ dovetti voltare il capo, imbarazzata.

 

“Cosa c’è? Il fantasma di Leena è dietro di me?” domandai arricciando il naso, cercando di allentare la tensione.

Gabriel sorrise divertito, ma continuò ad osservarmi senza posa “No, è solo che il riflesso di questi fiori nei tuoi occhi e nei tuoi capelli d’ebano è ammaliante sai?”

Strappò a mani nude uno dei boccioli dai petali violaci e me lo appoggiò con delicatezza dietro all’orecchio.

Rabbrividii, mentre un’alito di vento gelido mi attraversava da parte a parte.

Mi strinsi più forte nella mia giacca, senza però riuscire a scaldarmi.

 

“La temperatura è scesa molto oggi, non trovi?” commentai con leggerezza.

“Già, succede a volte, probabilmente domani sarà ancora peggio” mi rispose, ma poi allargò le braccia e bisbigliò timidamente: “Posso scaldarti?”

Senza nemmeno pensarci, appoggiai la schiena al suo petto, e lasciai che le sue braccia si avvolgessero intorno al mio corpo.

“Solo perché sto gelando” misi in chiaro, accoccolandomi più comoda nel suo abbraccio.

“Ed io solo per questo te l’ho domandato” ribattè lui reggendomi il gioco.

Completamente a mio agio, chiusi gli occhi, respirando piano.

 

Fu il suono gracchiante del telefono che mi informava dell’arrivo di un nuovo sms a riportarmi, mio malgrado, alla realtà.

“Sta a vedere che è di nuovo quella polla” brontolai, cercando di recuperare il cellulare dalla tasca.

Ma il calcolo delle probabilità della mia cara e amata Matematica, ancora una volta, mi portò all’errata conclusione.

Mi irrigidii d’un tratto, non appena comparve il numero sul display.

 

Ancora lui?

 

“Tutto okay?” domandò la voce dell’altro ragazzo.

“Cosa? Oh sì certo” mentii.

“Sempre lei?”

“Eh già” sperai che la mia voce non tradisse l’eccitazione.

Mi riappoggiai al suo petto.

 

Ma adesso tutta la magia era scomparsa.

 

Quanto ti odio, pensai.

 

Ma mi rimisi a leggere di nuovo il messaggio.

“Il mio avvocato (cioè me medesimo) richiede la sua presenza per discutere i dettagli della nostra rottura. Ricorda il contratto prematrimoniale sister? Domani mattina, mi farebbe l’onore? Magari se capita le offro anche un caffè. TheManWithABrokenHeart”

 

 

 

 

 

 

 

Ed eccomi un po’ in ritardo con il nuovo capitolo. Vi chiedo umilmente perdono, ma la colpa è sempre della solita e odiosa scuola. Quei dannati professori non hanno alcun rispetto per noi scrittori squattrinati XD

 

Capitolo un po’ particolare e un po’ di stacco, ma ci tenevo a quadrare un po’ meglio il personaggio di Gabriel, a cui vojo un gran bene e che sarà piuttosto importante nel corso della storia…lo so che la mancanza di Ville si fa sentire, ma vi assicuro che nella mia mente anche Gabriel è un partito di tutto rispettoXD e la grimilde se n’è già innamorata vero cara? Sì merita, anche se è biondo à nota: è biondo giusto perché è finlandeseXD me non ama particolarmente i biondini…

 

Anche lo sfondo e l’ambiente sono un po’ diversi, diciamo che è un capitolo che mi è piaciuto scrivere per mettere un po’ alla prova le mie capacità, per il gusto di scrivere ecco.

 

Spero non vi sia dispiaciuto anche a voi^^

Fatemi sapere! E non preoccupatevi: nel prossimo capitolo ci sarà mooolto Villuccio, con qualche sviluppo nel loro rapporto particolare^^

 

Grazie millissime a coloro che hanno commentato! Grazie grazie davvero^^

 

@Judeau: sono contenta che sia piacevole da leggere^^ di certo questa prima parte della storia è nata per essere piuttosto divertente e sono felice di aver raggiunto almeno un po’ il mio intento! E per quanto riguarda il fragolino..XD..credo che tutti abbiamo un passato teatrale da nascondereXD e ho pensato perché non anche il nostro Profeta del LoveMetal? La notizia mi è stata riportata da jesse in persona (sé magariXD). Nel rispetto comunque della sua elevazione e nella continua adorazione per la sua persona e la sua poesia! Ancora grazie per il commento! Dracula me manca già tanto…non faresti una one shot su di lui per me?XD Kuss

 

@linkin park: darling! Scusa me dispiace tanto! La tua pusher si è fatta attendere stavoltaXD ma ecco qui il nuovo chapter! E ti ringrazio tanto per il commento allo scorso capitolo! ^^ sei sempre dolcissima! Anche io d’accordo sul pestaggioXD e felice dell’apprezzamento per il fragolinoXD Kisseeeees

 

@kiki91: hihihihi…ehhhhhh vedo che qualcuno ha notato la mia citazione twilightosa! Shi lo so anche io sono morta al pensiero di un sorriso sghembo, anche se bene come ad edward non viene nemmeno a ville temo! XD Ma villuccio non preoccuparti che continui ad essere il primo nel mio cuore! Comunque sono contenta che ti sia piaciuta^^ spero continuerai a seguirmi! Un besso!

 

@Shine no Kami: uh davvero? Che tenera^^ io non mi ricordo da cosa mi vestivano..ah sì, una volta da fata dei fioriXD oh mamma..comunque…grazie come al solito per i commenti^^ alla prossima! Baciotti!

 

@grimilde: XDXDXDXD tu non hai idea di quanto abbia risoXD soprattutto mentre ti immaginavo con l’espressione castrese!XD ma un commento più bello non poteva essere scritto, mia Sublime Commentatrice^^ davvero ogni volta mi diverto, ma allo stesso tempo arrossisco tanto tanto! E sono contenta che ti piacciano i miei scarabocchi^^ però dimentichiamoci del VillinoFragolino vaXD ecco, ho postato il suo capitolo preferito Sublime Commentatrice del suo Gabrielino..hihihihi

Suukko

 

@Bell_Lua: ma di cosa ti scusi tesora? ma figurati!! Sei sempre così tenera a commentare! E fallo quando hai tempo e voja! Grazie grazie grazie! I tuoi commentini sono sempre graditissimi comunque, tanto, tanto! Mi lasciano ogni volta con il sorriso. Sono molto contenta che ti sia piaciuto anche quel capitulett! Tell me about this one! Kisseees

 

E un saluto anche alla mia sister a cui penso sempre e che resta la mia mentora preferita! Un beso dalla capraXD

 

SeeYouSoon dears!

 

VenomousKiss

La vostra

- FallenAngel -

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Capitolo 11
*** A ride in your mind ***


Capitolo 10

 

A ride in your mind

 

Leaving cruel reality and feeling like at home, in joy and sorrow

 

 

9 Maggio

 

Camminai a tentoni nella camera ancora immersa nell’oscurità, grazie alle pesanti tende che ricoprivano le grandi finestre e non lasciavano trasparire alcun raggio di luce.

Dove diavolo avevo lasciato la borsa la sera precedente? Non so come avevo avuto il buon senso di preparare i vestiti nel bagno, ma la borsa me l’ero completamente scordata. Non c’era nulla da fare, non avevamo un buon rapporto io e quello strano oggetto.

 

Rinunciai presto all’impresa, affidandomi alle mie leali tasche. Diedi un veloce sguardo allo schermo illuminato del cellulare per scoprire che – guarda caso – ero già in ritardo.

Imprecando mentalmente mi affrettai verso la porta della stanza praticamente alla cieca, ma presi male le misure, e proprio quando pensavo di avercela fatta, sbattei con la grazia di un elefante contro uno dei pochi mobili presenti, che, seppur piccolo, fece un baccano assurdo.

 

“Cosa??” intravidi la sagoma di Arianna sollevarsi di scatto dal letto, spaventata.

“Non è successo nulla” bisbigliai, mordendomi un labbro e massaggiandomi con foga l’anca che aveva urtato il mobile ‘fantasma’ “Torna pure a dormire. Ci vediamo più tardi”

Non sono convinta che la mia amica capì veramente quello che avevo detto, ma nonostante fosse ancora praticamente addormentata, riaffondò immediatamente tra le coperte, seguendo il mio consiglio.

Ancora indolenzita riuscii finalmente a varcare la porta della stanza.

Immagino vi chiederete come abbia fatto ad uscire quando fuori era ancora buio. Io, proprio io, il bradipo della situazione.

Ebbene non vi ingannate. Diciamo che…non era proprio così presto…o forse lo era soltanto per i miei standard.

Non appena mi ritrovai nello stretto corridoio dell’hotel, strinsi gli occhi, nel tentativo di abituarmi alla luce del mattino. Delle 10 e 30 del mattino, per essere precisi.

 

Sbirciai sotto il maglione nero a collo alto che avevo indossato, ritrovandomi ad osservare con espressione corrucciata un lungo segno rosso lungo il mio fianco destro. La solita imbranata.

Ma ora non c’era altro tempo da perdere. Saltai sul primo ascensore libero, e non appena fui al piano terra, mi diressi di corsa verso il giardino, nel quale vi era appunto un accesso per il cortile sul retro.

 

Continuai a correre fino a quando non fui a pochi metri dall’uscita: a quel punto cercai di riprendere un certo contegno e tentai di sistemare qualche ciocca di capelli dietro le orecchie. Quella mattina non avevo avuto nemmeno il tempo per truccarmi: dovevo essere veramente uno sfacelo.

Ma era strano…quasi non me ne importava. Era come se stessi per uscire con un vecchio amico del quale non avevo affatto paura di un giudizio negativo. Ero pervasa dall’irrazionale convinzione che mi avrebbe accettato così com’ero, anche senza bisogno di maschere.

 

Ora che avevo smesso di correre e il mio respiro si faceva a poco a poco regolare di nuovo, mi accorsi di quanto fosse ancora più freddo all’esterno. Indossai immediatamente il cappotto, osservando le calde nuvolette di vapore che uscivano dalle mie labbra.

Trovai una macchina nera dai vetri scuri ad aspettarmi appena fuori dal cancello. Mi stavo avvicinando a passo sostenuto, cercando di immaginare cosa avrei potuto dire, quando una voce mi apostrofò alle spalle.

“Ci facciamo desiderare?”

 

Certo che ci prendeva proprio gusto a prendermi di sorpresa eh? Mi voltai di scatto, ed eccolo lì, appoggiato ad un muro, con fare spavaldo, una sigaretta di traverso fra le labbra incurvate in un furbo sorriso.

Mi grattai la testa, con espressione indifferente: “Sono stata bloccata dai fan…”

“Capisco” mi squadrò per qualche secondo da capo a piedi, prima di scoppiare in una fragorosa risata.

“Ehm, che cosa c’è?” domandai vagamente sconcertata.

“Abbiamo ottimo gusto nel vestire non credi?”

Persa ad ammirare quanto potesse essere bello, non mi ero accorta che anche Ville indossava un cappotto nero, ma non solo, questi andava a coprire un maglione di lana nero, sopra un paio di jeans dello stesso colore. Esattamente i vestiti che io stessa avevo scelto per quella mattina.

Mi unii immediatamente alle sue risa, sebbene alquanto sconvolta dalla rivelazione. Mi feci più vicina, per poterlo osservare meglio, ma di certo i miei occhi non mi stavano ingannando: “Dimmi la verità, tu mi controlli! Hai assoldato qualcuno a spiarmi per vedere cosa avrei indossato e copiarmi”

 

Sembrò pensarci su per qualche secondo, ma alla fine scosse la testa: “Non mi pare proprio. Ah no aspetta, c’era quel detective privato che avevo chiamato per scoprire con chi mi tradivi…”

Era chiaro che stesse scherzando, ma arrossii involontariamente e mi sentii d’un tratto in colpa mentre l’immagine di me e Gabriel abbracciati mi passava davanti agli occhi. Ma…era una cosa assolutamente ridicola! Da quando dovevo rendere conto di quello che facevo a Ville? Di sicuro non era quello che si aspettava, assolutamente no. Eppure…

“Ma è stata una totale perdita di tempo; l’ho dovuto licenziare subito. Era proprio un disastro” continuò lui ammiccando.

 

Alzai un sopracciglio, fingendo un’espressione torva: “Quindi davvero hai cercato di violare la mia privacy! Non pensavo saresti caduto così in basso!”

“Avevo il cuore infranto…” si difese, riuscendo a restare serio non so come.

“Come avevi?” gli feci subito notare.

“Eh oramai mi è passata. Ora come ti ho già preannunciato dobbiamo discutere i dettagli legali”

Scossi la testa con vigore e portai le braccia ai fianchi per evidenziare il mio sdegno, ma ahimè lo feci anche con troppo foga, colpendo il medesimo punto contro cui avevo sbattuto poco prima.

Il mio viso si contrasse subito in una smorfia di dolore che non sfuggì al darkman.

 

“Che succede?” domandò immediatamente, cercando i miei occhi.

“Nulla, è solo che…” uff, ma lo dovevo proprio raccontare? “E’ imbarazzante…” mi schermii, continuando a guardare per terra.

“Dai, dimmelo” mi pregò lui “Non lo sai che sono terribilmente curioso?” sbattè le ciglia con aria angelica.

Non potei non sorridere: “Okay okay” mi arresi “Stamattina, mentre cercavo di uscire dalla mia stanza al buio per non disturbare l’Ary, sono finita contro un mobile e mi sono distrutta un’anca” sbuffai, alzando gli occhi al cielo “Ecco ora puoi anche ridere”

Lui cercò di trattenersi, sebbene a fatica: “Non hai la vista da micetta eh? Più che altro ti avvicini di più ad un bisonte”

Gli feci una linguaccia, voltandogli le spalle offesa.

“Ehh sister, sister. Posso vedere?”

Mi rigirai di scatto, esterrefatta: “Che cos…? No!” esclamai.

“Lo so che è una cosa strana, ma mi diverto a guardare i lividi e cercare di individuarne le forme” mi spiegò, lasciandomi però ancora più sconvolta di prima.

“Guardare le nuvole no?” suggerii.

Fece una strana smorfia, molto simile ad un ghigno, allargando le braccia: “Troppo banale”

“Certo che sei tutto matto. Non che non lo avessi capito da tempo, ma…”

“Beh allora posso vedere?” insistette.

Sentendomi alquanto a disagio sollevai un poco il maglione, quel tanto che bastava per mostrare il segno violaceo che già si andava formando sopra la mia anca.

Ville si accucciò al mio fianco per esaminarlo e quando sfiorò la mia pelle con le dita fredde sussultai, trattenendo il respiro.

 

“Mh” borbottò “Proprio come pensavo…”

Lo guardai stranita dall’alto in basso, cercando di tornare completamente lucida: “Cioè?”

“Il tuo livido ha decisamente la forma…” commentò come se fosse materia di studio universitario e non una semplice botta “…di un heartagram!”

Completò la frase rivolgendomi un ampio sorriso, mentre io alzavo gli occhi al cielo. Per riattirare la mia attenzione Ville premettè sadicamente le dita sul livido.

“Ahia!” mi lamentai, tirandogli una pacca sulla spalla e allontanandomi all’istante.

Questa volta fu il suo turno di mostrare la lingua: “Mai contraddire il fratello maggiore!” mi ricordò, mentre si risollevava in posizione eretta.

“Ma io non ho detto niente!” protestai, incrociando le braccia al petto.

“Né si fanno facce!” proseguì. “Dai ora è meglio che andiamo, prima che arrivi qualcuno” e prendendomi per mano mi condusse alla macchina nera.

 

**

 

Poggiai la fronte contro il finestrino freddo della macchina, guardando le vie di Helsinki sfrecciare

veloci davanti ai miei occhi, mentre il verde dei numerosi alberi si confondeva con il grigio degli edifici.

“Come siamo silenziosi” commentò Ville, facendomi voltare di scatto, e quasi picchiare la testa a dire il vero. “A cosa pensi?”

Sbuffai: “Caspita sei davvero curioso”

Alzò le spalle: “Ebbene sì, l’ho già ammesso no?”

Lasciai vagare il mio sguardo ancora sul panorama mentre rispondevo alla sua domanda: “A dirti la verità ancora cercavo di rendermi conto del fatto che sono in una macchina con te” Sì, lo so. Ancora. Ma cosa ci potevo fare?

 

Voltai la testa, ritrovando i suoi grandi occhi che mi scrutavano attenti.

“E’ una cosa così strana. Cioè, prova a pensare se quando eri più giovane e non ancora famoso ti fosse capitato di passare del tempo con, che so, Ozzy Osbourne. E’ così incredibile. Sai quanto ho desiderato di poterti conoscere?”

Appoggiò un braccio contro la portiera, a sostenere la testa inclinata e poggiata contro il palmo della mano, sempre rivolta nella mia direzione: “E’ difficile vederla in questo modo dalla mia posizione. Nonostante sia famoso ormai da tempo non riesco ancora a credere che la mia musica sia così importante per altre persone. Io mi sento una persona normale in fondo. Dio, capisco cosa intendi, ma non posso credere che tu possa sentirti in questo modo”

Sorrisi, accorgendomi che in fondo era davvero un semplice ragazzo. Restando comunque un poeta di grande talento e dalla voce stupenda.

 

“Beh è proprio così invece. E sai ci ho pensato a lungo. Ma non ti ho ancora ringraziato per tutto quello che hai fatto per me. Tu e i ragazzi” sospirai, attorcigliando le dita tra loro.

“Ma, davvero, in fondo non abbiamo fatto nulla. Vi abbiamo solo fatto visitare un po’ la casa discografica e registrato una canzone, cosa della quale Arianna non sembrava poi tanto felice…” minimizzò, aggrottando le sopracciglia.

Scossi la testa, sfiorando il suo braccio per cercare di spiegargli: “No, non è questo che intendevo. Anche se è stato tanto divertente e un’esperienza stupenda, come anche l’altra sera al Midnight” gli assicurai.

Continuava a non capire: “E allora cosa intendi?”

 

Prendendo coraggio decisi di confessare tutto, non osando però alzare lo sguardo di nuovo sul suo viso “E’ da quando avevo 13 anni che la vostra musica mi aiuta a superare i momenti più difficili. Tutte le volte che chiusa in camera mia versavo lacrime amare sul cuscino, da sola, ogni volta che pensavo che non ce l’avrei fatta ad andare avanti ancora, ogni volta che il domani sembrava troppo lontano e insicuro, avevo sempre un conforto: le vostre canzoni, la tua voce, i tuoi testi. C’era sempre un modo per evadere dalla realtà e sentirmi a casa, in joy ma soprattutto in sorrow” lasciai le mie labbra aprirsi in un timido sorriso.

 

Aspettai qualche secondo, ma Ville non aprì bocca. Mi azzardai alla fine a guardarlo: “Lo trovi stupido, immagino”

Quasi mi mancò il respiro, sotto il peso del suo sguardo: “No…è…incredibile” mormorò con la voce un poco malferma.

“Che fai mi copi?” brontolai, ignorando un brivido.

“Cosa?”

“Ho usato la parola ‘incredibile’ qualche minuto fa”

Entrambi scoppiammo a ridere: “No, davvero, non l’ho fatto apposta. Cavolo ma parliamo anche nello stesso modo? Non è possibile!” esplose, nascondendo il volto tra le mani.

Quando si fu ripreso continuò: “Comunque davvero, è molto bello sapere che il lavoro di una vita sia d’aiuto a qualcuno, oltre che me stesso. Ma non riesco a capire: ti fanno realmente questo effetto le nostre canzoni? Possono davvero confortarti? C’è stato qualcuno che mi ha addirittura accusato di togliere speranza alle persone e deprimerle”

 

“No, non è affatto così, almeno non per me. La maggior parte delle parole che scrivi riesce a catturare la mia attenzione e, se le ascolto con attenzione, hanno il potere di astrarmi dalla realtà, di portarmi in un mondo diverso, dove qualcun altro condivide il mio dolore e dove non mi sento più sola” scossi la testa, alzando gli occhi al cielo “Odio le persone che hanno pregiudizi e sono convinte che la musica diversa sia per forza pericolosa! Ti assicuro che mi deprimo molto di più ascoltando qualche rapper da strapazzo” mi iniziai a scaldare, gesticolando come una pazza.

Ville ridacchiò, afferrandomi con delicatezza il polso per farmi fermare: subito mi bloccai, mordicchiandomi un labbro: “Non ti arrabbiare adesso”

 

Abbassai il capo, imbarazzata, lasciando cadere il braccio che il darkman lasciò prontamente: “Scusa” borbottai “Ogni tanto mi lascio un po’ trasportare…”

“L’ho notato. Ma non preoccuparti, capisco cosa provi” i suoi lineamenti si erano di nuovo addolciti “E’ molto bello quello che hai detto. E sai, devo confessarti che anche a me le canzoni allegre mettono tristezza.”

“Abbiamo delle menti malate” sospirai mentre nascondevo gli occhi dietro una mano.

“O forse siamo normali e viviamo in un mondo al contrario” suggerì lui facendo spallucce.

Tornai a squadrarlo, con un sopracciglio alzato: “No, tu sei decisamente matto”

“Può darsi, ma sono anche un genio” si vantò a testa alta.

“Cosa scusa?”

“Beh sono un artista di grande talento, in grado di trasmettere emozioni indescrivibili e…” continuò il suo soliloquio narcisista per un minuto buono, sotto il mio sguardo sempre più marcatamente scettico. “Non l’hai detto anche tu?” terminò infine.

Sbuffai sonoramente: “Cioè, io non ho mica detto che quell’effetto me lo fanno solo le vostre canzoni, sono fra le tante. E, non sono mica sicura che sia proprio merito delle tue parole, probabilmente è la musica…” asserii, per stuzzicarlo.

 

Ville si raddrizzò meglio sul sedile: “Ah sì? Lo sapevi che la maggior parte non solo dei testi, ma anche delle basi musicali, le scrivo io?”

“Sì, ma…non credo siano neppure le musiche in sé, più che altro il modo in cui i ragazzi suonano, sì, sì, deve essere quello!”

Il darkman si finse offeso, incrociando le braccia al petto, e smise di parlarmi.

Restai a guardarlo divertita per qualche minuto, ma lui continuò a tenere lo sguardo fisso davanti a  sé e la fronte corrugata.

 

“Hai deciso di fare finta che non esista?” domandai, ma fu come se non avessi aperto bocca.

Mi feci quindi più vicina e cominciai a fargli boccacce e smorfie davanti al naso: anche questo trattamento sembrava non aver sortito alcun effetto, quando, all’improvviso, Ville si voltò di scatto verso di me e, afferratami per i fianchi, cominciò a farmi il solletico.

Cercai di difendermi, tirando pugni a vuoto e chiudendomi a guscio, ma non ero mai stata brava a sopportare il solletico, lo soffrivo troppo.

“Basta dai, basta!” lo supplicai, ma lui continuò implacabile e senza pietà.

“Scusa, scusa mi arrendo, ma ora smettila!” pregai ancora, ormai allo stremo delle forze. Questa volta decise di darmi finalmente ascolto. Rimase comunque sopra di me, che ormai ero finita quasi sdraiata sul sedile, tenendomi le braccia bloccata.

 

“Ti rimangi tutto?” mi domandò con un ghigno soddisfatto.

“Sei proprio insopportabile” grugnii, ancora ansimante. “Non si usa la forza bruta su una donna!”

“Oh, ma tu non sei una Donna! Sei la mia sorellina, e ho il diritto di fare questo ed altro” ribattè, facendomi la linguaccia.

“Io SONO una DONNA! E ora alzati immediatamente!” gli intimai, ferita nell’orgoglio. “Non si può certo dire che tu sia un dolce peso!”

j

Ville incurvò le labbra in un nuovo e assolutamente provocante sorriso: per un momento la mia vista si fece meno chiara e fui pervasa dal folle e potente desiderio di coprire la distanza che c’era fra i nostri volti, di far passare le dita fra i suoi capelli, di…ma a cosa diavolo stavo pensando? Ero completamente fuori di testa! Ma d’altra parte non potevo farci niente, quelle labbra erano così dannatamente invitanti…Alzati, alzati ti prego, prima che possa fare qualcosa di stupido!

Ma era ancora lì, immobile, il suo sguardo perso nel mio, l’espressione del volto di nuovo seria e quasi spaventata, così vicino da far fremere ogni cellula del mio corpo. Il mio cuore cominciò a battere forte e non sapevo per quanto sarei riuscita a controllarmi.

“Elisa…” deglutii e quasi dimenticai di respirare, mentre pronunciava titubante il mio nome. E poi…

 

Poi la macchina si fermò di colpo, con un’inchiodota tremenda: la brusca frenata non produsse alcun effetto sulla mia posizione già quasi supina, ma incise molto sul precario equilibrio di Ville, che si reggeva con un braccio per non shiacciarmi davvero. Il povero darkman finì così sbalzato quasi nel buco tra i sedili posteriori e quelli davanti.

Quando si risollevò, massaggiandosi la schiena indolenzita, con un’espressione ancora assolutamente sconvolta e stordita dipinta in volto, non riuscii a trattenere una risata.

 

L’autista si girò immediatamente nella nostra direzione e rivolse ad un frontman sempre più stizzito quelle che, a giudicare dal tono, dovevano essere scuse pietose.

Sentire Ville imprecare in finlandese era davvero uno spasso. Quando ebbe terminato di strigliare il povero autista, si girò nella mia direzione: “Hai finito di ridere?” sbuffò, cercando di riprendere un certo contegno.

Annui velocemente, prendendo un bel respiro: “E chi sta ridendo?”

E non mi fu difficile fingermi seria, perché non appena cercai di non pensare alla rovinosa caduta del frontman, mi tornarono alla mente come le immagini troppo vivide di un film, quello che stava accadendo prima della frenata. Risentendo la sua voce e rivedendo il suo volto così vicino, mi sentii di nuovo terribilmente in imbarazzo e anche stupidamente pentita, di non aver detto o fatto nulla prima che…Ma erano soltanto sciocchezze, probabilmente il ricordo già ingigantiva la realtà e io volevo vederci qualcosa che non c’era…

 

La mano di Ville sul mio braccio mi sottrasse ai miei pensieri.

“Hey tutto a posto?” chiese, corrugando la fronte.

“Cosa? Oh si certo, perché?” risposi con un’altra domanda, spalancando gli occhi.

“No, nulla, è che ti ho chiamato due volte ma sembrava che non mi sentissi”

Mi mordicchiai il labbro inferiore: “Ehm, scusa”

“A cosa pensavi?”

Assunsi un’aria scocciata: “Direi che oggi ho saziato abbastanza la tua curiosità, non ti pare?”

Fece spallucce “Okay, okay, allora scendiamo miss”

Mi precedette fuori dalla macchina e mi porse la mano, come un vero gentiluomo, per aiutarmi a scendere: senza esitare la presi, ma mentre uscivo e posavo i piedi a terra, Ville allungò il proprio, facendomi lo sgambetto: e di certo sarei finita per terra se non fosse stato subito pronto ad afferrarmi.

Lo guardai esterrefatta mentre sogghignando mi faceva notare ancora una volta quanto fossi aggraziata.

“Sei proprio un bambino” lo apostrofai, avvolgendo più stretto il capotto intorno al mio corpo e cominciando a camminare.

 

 

 

 

 

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Ed eccomi tornata con un nuovo capitoletto^^ sìsì lo sooo..io sparisco per millenni e poi dopo qualche tempo riappaio…comunque rieccomi qui! Non vi siete liberati di me!! Muahahahhahaha

 

Questo capitolo è…mmm…come dire…piuttosto riflessivo^^ forse qualcuno si ritroverà nei pensieri di Elisa, o forse sono l’unica matta!!XD

Mi sono divertita a scrivere soprattutto la parte della fine!! Anche se mi hanno dato un po’ della sadica!XD e della malata mentale per la storia dei lividiXD

Comunque giudicate voi!! E fatemi sapere^^

 

Grazie millizzimeee alla Kiki91, alla Mentora e naturalmente alla SublimeCommentatrice!!(mi spiace di nuovo il villinoXD)

E un grassie anche alla Lu! Altrimenti questo capitolo non vedeva la luce ancora per chissà quanto tempo!

 

E poi come potevo non postare per il compleanno della mia Sister! In fondo la ficcy è nata grazie a te! AUGURI TESORAAAAA!

 

Allora a presto – dai si prometto a presto!!XD

VenomousKisses

La vostra

FallenAngel

 

 

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Capitolo 12
*** The black Cat and a snowball ***


 Chapter 11

 

The black Cat and a snowball

 

Viens, mon beau chat, sur mon cœur amoureux..

 

 

 

Al calduccio in un piccolo cafè nel centro, osservavo in silenzio e alquanto scocciata una cameriera dalle labbra troppo carnose e tinte di rosso, e la cui camicetta avrebbe dovuto presentare almeno uno o due bottoni in più allacciati, che si stava trattenendo presso il nostro tavolo da più di cinque minuti, sbattendo le ciglia e intrappolando Ville in una conversazione labirintica della quale avevo naturalmente capito ben poco: ma, finlandese o no, quello a casa mia era chiamato decisamente flirtare.

 

Quando la ragazza si esibì in una sottospecie di risatina, molto simile allo squittio di un topo, mi ritrovai a sbuffare troppo sonoramente.

Il darkman parve essersi ricordato di nuovo della mia presenza e decise di degnarmi della sua attenzione: “Tutto a posto?” domandò con finta innocenza.

“Certo” mugugnai, affondando di qualche centimetro sotto il tavolo. “Potrei avere un irish coffee?” mi rivolsi quindi alla simpatica biondina, con il mio miglior sorriso.

Questa mi squadrò un momento con puro odio, ma di nuovo le sue labbra si piegarono con crudele rivincita, quando Ville fermò con decisione il mio ordine: “No, no, niente alcool per la mia sorellina. Un’acqua tonica andrà benissimo”

 

“Che cosa?” mi raddrizzai immediatamente a sedere, gli occhi spalancati “E da quando hai il diritto di decidere tu scusa? Voglio un irish coffee!”

Ville mi ignorò completamente e velocissimo congedò una cameriera ancora troppo sorridente.

Incrociai le braccia al petto: “Allora?”

“La tua acqua tonica sta arrivando” mormorò molto tranquillamente.

Mi stavo già preparando a rispondere per le rime, quando aggiunse: “E le ho detto che può anche dare un’occhiatina ai tuoi documenti, così, tanto per…”

“Quando è iniziata la guerra?” domandai, sorreggendo la testa fra le mani, i gomiti sul tavolo, guardandolo fisso negli occhi.

“Da quando” rispose, sporgendosi verso di me, fino a portare il suo viso a pochi centimetri dal mio “hai iniziato a chiamarmi Fragolino in mezzo alla strada! O forse è semplice natura fraterna”

 

Mi morsi un labbro, ricordando l’avvenimento in questione; in effetti non era stato proprio carino da parte mia, ma lui se l’era abbastanza cercata: quando aveva iniziato a prendermi in giro per il mio naso diventato rosso ciliegia a causa del freddo pungente, non avevo saputo resistere e avevo rispolverato il suo caro scheletro rivestito da un costume da fragola. Ed era strabiliante quanto sentir pronunciare la parola fragolino in mezzo alla gente potesse imbarazzarlo.

 

Era stata una mattinata davvero strana, sebbene ero sorpresa dal fatto che non ci avesse fermato ogni pedone che avevamo incontrato: di certo non era mancata qualche ragazza pronta a chiedere un autografo o una fotografia insieme a Ville, ma il loro numero era discretamente ridotto e si trattava soprattutto di stranieri.

Quando gliel’avevo fatto notare, seduti presso una fontana la cui acqua era ormai ghiacciata, il darkman era scoppiato in una sonora risata: “E secondo te io come potrei sopravvivere? Credi che ad ogni spostamento sia perseguitato da uno stuolo di fan? Fortunatamente non accade spesso, altrimenti i miei nervi sarebbero già saltati da lungo tempo. Penso che ormai le persone si siano abituate alla mia presenza; e poi, la maggior parte di loro è troppo impegnata con i propri pensieri e problemi, per accorgersi del mio passaggio, anche se mi conosce. Tu guardi sempre tutte le persone che ti passano accanto quando cammini? Soprattutto se hai altri pensieri per la testa?”

Dovetti concordare che il suo ragionamento aveva perfettamente senso.

“Ma giri sempre così, da solo? Non è pericoloso?” gli avevo poi domandato, stranita dal fatto che non fosse circondato da un gruppo di enormi bodyguard.

“Devo confessarti che capita spesso che me ne vada per conto mio, sono un tipo piuttosto..ehm..diciamo testardo e disobbediente, al quale piace fare un po’ come gli pare” aveva ammiccato “Ma c’è chi vorrebbe che girassi sorvegliato tutto il tempo. Comunque, in questo caso, non siamo propriamente soli…”

Avevo strabuzzato gli occhi, senza capire: “Cosa intendi dire?”

Accostatosi a me, e acquisito il mio stesso punto di vista aveva cercato di darmi qualche indicazioni: “Ecco, vedi quel uomo laggiù?”

Annuii.

“E’ un ottimo attore non trovi? Sembra una persona qualunque, impegnata nelle sue faccende, ma in realtà…”

In effetti in seguito, mentre ci spostavamo, avevo notato che il tipo con cappotto e ventiquattrore non aveva smesso di seguirci un momento, sebbene a distanza e senza disturbarci con la sua presenza.

 

Di certo il momento più strano della giornata era stato quando, fermati da una giovane coppia vicino al Comune della città, Ville non era stato l’unico a cui era stato richiesto un autografo.

“Cosa? Stai scherzando vero?” avevo domandato stranita dalla domanda.

“No davvero!” aveva insistito il ragazzo, porgendomi il foglio dove svettava la dedica di Ville “Eravamo al Midnight Wish qualche giorno fa e ti abbiamo sentito cantare! Magari avremo in anteprima l’autografo di una stella nascente” aveva sorriso.

E così mi ero ritrovata a firmare il mio primo autografo – pardon, il mio secondo autografo in effetti.

“Visto? Non sono l’unico a credere certe cose allora” aveva rincarato la dose il darkman, una volta che ci eravamo trovati di nuovo soli.

“Sai, inizio a pensare una cosa…”

“Ti stai finalmente convincendo di essere brava?” aveva domandato petulante, con l’espressione di chi è convinto di aver sempre ragione.

“No” avevo sbuffato “Piuttosto credo che voi finlandesi abbiate qualche rotella di meno”.

 

E così adesso eravamo in quel bar, ad aspettare la mia acqua tonica e il suo caffè.

“Com’è il rapporto con tuo fratello?” domandai d’un tratto, curiosa.

“Mh” mormorò Ville, risollevandosi e massaggiandosi il mento pensieroso “Siamo una squadra troppo scoppiata” ridacchiò “Ma immagino che rispetto a molti altri fratelli andiamo piuttosto d’accordo. Lui è un grande. Ricordo ancora quando, mentre suonavamo, sbucava dal suo nascondiglio dietro qualche mobile nel garage: ogni volta lo cacciavamo via, accusandolo di disturbarci. Poveretto.” Sorrise all’immagine “Era appena un ragazzino, ma mi ha sempre sostenuto nella mia carriera. Ed è sempre stato uno dei nostri più grandi fan. Anche lui ha una band sai? Ed è molto bravo” mi informò con orgoglio “ma soprattutto e un campione di Thai box, anche se ormai ha lasciato. In generale comunque sì direi che andiamo piuttosto d’accordo”

Rimasi affascinata ad ascoltarlo, scoprendo così che più lo conoscevo più la mia “adorazione platonica e irrazionale” (come era stata definita da una mia amica tempo prima) non faceva altro che trasformarsi in simpatia sempre più profonda.

 

“E tu invece?” mi chiese poi, giocherellando con il contenitore dei tovagliolini. “Qualche bestia feroce in casa?”

Scossi la testa, colta d’un tratto da una lieve tristezza: “No, sono figlia unica. Anche se Arianna è un po’ come una sorella per me”

Ville sembrò percepire immediatamente il cambio di tono nella mia voce e come per un riflesso involontario sembrò avvicinare la mano, per sfiorare la mia, ma la ritirò immediatamente, cercando di dissimulare il gesto.

Accorgendomi del suo imbarazzo, voltai subito lo sguardo verso destra, fingendomi molto interessata nell’osservare l’arrivo di un gruppo di ragazzi al tavolo a fianco al nostro.

 

“Siete molto legate vero?” udii la sua voce domandare qualche secondo dopo.

Annuii con un sorriso, rincontrando i suoi occhi “E’ più che un’amica, più di una sorella, quasi…” mi fermai d’un tratto, accorgendomi che la conversazione stava diventando troppo personale, e su quella strada avrei finito per raccontare particolari della mia vita che dovevano restare solo miei. Parlare con Ville era così naturale, ma non potevo distruggere il mio scudo protettivo.

Il frontman capì immediatamente che non era il caso di insistere: “Sai, i ragazzi ancora hanno ben impressa nella mente la sua sfuriata” scherzò, alleggerendo la tensione.

“Non è molto saggio in effetti farla arrabbiare” concordai “Ma è una ragazza dolcissima di solito e simpatica come poche”

“E con ottimi gusti musicali, oltre che una bella voce” intervenne lui.

“Su quello non ci sono dubbi. E sai, adesso che ci penso credo sia grazie a lei che vi ho conosciuti” gli confessai, ricordando ancora distintamente, come se fosse stato il presente, la prima volta che avevo ascoltato ‘Join me’ e ne ero rimasta completamente rapita. E’ impressionante come la memoria posso dipendere dai suoni e ancor di più dalle melodie. Quasi riuscivo a vedere il tappeto di foglie davanti alla panchina in quel parco vicino a casa, e sentire il profumo della pioggia, mentre una più giovane Arianna mi osservava sorridendo ascoltare estasiata il suo walkman.

 

Nel frattempo la nostra amica cameriera era ritornata con il nostro ordine; rimase molto delusa nel constatare che adesso Ville era troppo preso dalla conversazione con la sottoscritta per darle retta. Dal canto mio, non potevo che non sogghignare sotto i baffi.

“Devo proprio?” domandai sbirciando sconsolata il mio bicchiere di acqua tonica.

“Certo” rispose risoluto, riassumendo la parte del fratello maggiore o del sergente maggiore

Mi rammentai d’un tratto del suo messaggio: “Ricordo male o mi avevi promesso un caffè?” lo pungolai.

“Questo era prima che tu cercassi di barare e chiedessi un Irish coffee!” rispose Ville prontamente “E poi inizio a sospettare che la caffeina non avrebbe un effetto…come dire…salutare, sulla tua persona”

Non raccolsi la provocazione, e facendo finta di non aver sentito, mi accinsi a bere dal mio bramato bicchiere.

 

E d’un tratto accadde qualcosa di assolutamente inaspettato e, almeno all’inizio, assolutamente imbarazzante.

Ero ancora in un offeso silenzio, a sorseggiare la mia acqua tonica, sotto l’incessante sguardo del darkman, quando sentii qualcosa sfiorarmi la gamba, all’altezza della caviglia.

Mi bloccai immediatamente, deglutendo a fatica, e spalancai gli occhi. No, non era possibile. Ma di certo non c’era altra spiegazione razionale. Ma Ville non poteva aver…cioè non poteva – oddio era imbarazzante anche solo da pensare – non poteva assolutamente aver strusciato il piede contro la mia gamba!

 

Le mie gote si infiammarono e il collo del maglione aveva iniziato a pizzicare terribilmente.

Cercai di allargarlo un poco, per respirare con maggior facilità, e naturalmente il frontman non trascurò il mio gesto.

“Non dirmi che l’acqua tonica era avvelenata” mi prese in giro “o vuoi soltanto farmi sentire in colpa per non aver ordinato qualcosa di alcolico?”.

 

Non risposi, cercando di riprendere il controllo. Dopotutto potevo soltanto averlo immaginato. In questo periodo la mia mente era stata fin troppo sollecitata e la mia fantasia stava iniziando probabilmente a galoppare, ormai senza freni.

Ma proprio quando stavo per riuscire a convincermi da sola delle mie congetture, accadde di nuovo: questa volta il gesto fu ancora più intenso, lento e prolungato, tanto da provocarmi non pochi brividi e una tachicardia non proprio normale.

 

Completamente stordita e senza parole, non riuscii a trattenermi: “Ma cosa stai combinando?” sbottai, a voce troppo alta, cosa di cui mi vergognai terribilmente qualche istante dopo.

Lui mi guardò allarmato e senza capire: “Cosa intendi?”

Sempre più rossa e imbarazzata, mi avvicinai un poco, mantenendo un tono più pacato e privato; anche Ville accorciò le distanze per potermi ascoltare meglio: “Beh, sì hai capito” bisbigliai “Smetti immediatamente di fare quello che stai facendo. Ma ti sembra il caso?”

Lo sguardo che mi rivolse non fu di certo molto confortante, più che altro sembrava stesse considerando seriamente l’ipotesi che fossi uscita di testa, o che venissi da un altro pianeta: “Non ho assolutamente idea a cosa tu ti stia riferendo”

Come poteva essere un attore così bravo? Dava quasi sui nervi. Di certo l’aveva fatto apposta. Per mettermi a disagio e schernirmi e adesso, adesso dovevo anche dirlo ad alta voce e…

Scossi la testa: “Oh beh, smettila di…” chissà come si diceva in inglese “di…di sfiorarmi la gamba con il tuo piede!” terminai in un sussurro.

 

La mia temperatura corporea doveva essere salita alle stelle, ma quello che mi lasciò assolutamente spiazzata fu il constatare che anche il viso di Ville aveva cambiato decisamente colore. Per qualche secondo rimase impietrito, come incapace di parlare: “Ma io non ho fatto nulla” mormorò alla fine, impacciatissimo, quasi fosse tornato adolescente.

Ora proprio non sapevo come non avrei potuto credergli.

“Ma allora…se non sei stato tu…” scosse la testa; ci guardammo stupiti e poi entrambi ci abbassammo contemporaneamente per sbirciare sotto il tavolino.

 

Non vi dico la sorpresa, quando mi ritrovai a fissare gli occhi gialli di un piccolo gatto dal morbido manto d’ebano, accoccolato accanto alla mia sedia.

“E tu cosa ci fai qui?” domandai all’animale, corrugando la fronte. Non  appena incontrai lo sguardo del darkman esplodemmo in una fragorosa risata, mentre l’imbarazzo andava via via scemando.

Presi il micio per la collottola e lo deposi sulle mie ginocchia. Certo avevo fatto una gran bella figura! Ero un disastro totale. Anche se dalla mia parte stava il fatto che non era una cosa proprio comune trovare un gatto che non hai mai visto strusciarti contro le gambe in un bar. O forse ad Helsinki lo era?

Per distrarmi da ricordi ancora troppo recenti e poco piacevoli, cominciai a carezzare con delicatezza il morbido pelo, mentre il felino mi scrutava con attenzione e in profondità, quasi stesse cercando di ipnotizzarmi.

 

Subito mi tornarono alla mente le parole di una poesia, e quasi senza accorgermene mi ritrovai a recitarle, in un francese forse non troppo perfetto:

 

“ Viens, mon beau chat, sur mon cœur amoureux;

Retiens les griffes de ta patte,

Et laisse-moi plonger dans tes beaux yeux,

Mêlés de métal e d’agate.”

 

Terminata la prima strofa un sorriso ebete e stupito si dipinse sul mio viso, mentre la profonda voce di Ville si affiancava alla mia nel recitare la poesia.

 

“Lorsque mes doigts caressent à loisir

Ta tête et ton dos élastique,

Et que ma main s’enivre du plaisir

De palper ton corps électrique”

 

Poi mi fermai, per ascoltarlo estasiata ripetere gli ultimi versi.

“Sei una continua sorpresa, Elisa” mormorò, con voce un poco trasognata, ancora immerso nella magia che solo la poesia può regalare.

Per quanto mi riguardava, ero ancora ad un palmo da terra, con la sua voce nelle mie orecchie a risuonarmi leggera e a scuotere ogni fibra del mio essere.

“Non sapevo conoscessi il francese” commentai stupita.

“Appena appena” sogghignò lui “Ma queste poesie le so ormai a memoria, anche nella loro lingua originale, dopo averle letto per così tante volte”

“Dalla tua pronuncia si sente che hai avuto più tempo di me per esercitarti” sorrisi, vergognandomi del mio modo terribile di masticare quella lingua.

“Non posso crederci” scosse la testa, trattenendo una risata “Non dirmi che nemmeno tu hai mai studiato il francese, e che ti sforzi di parlarlo solo per riuscire a recitare le sue poesie”

Annuii timidamente: “Per riuscire a catturare un po’ di più l’essenza dei versi di Baudelaire e…”

Mi fermò con un gesto: “Non c’è bisogno che me lo spieghi. So bene cosa intendi”

 

La padrona del bar, non appena si fu accorta di che fine aveva fatto il suo micio, fuggito dal retro del locale, accorse subito al nostro tavolo, domandandoci infinite scuse per l’inconveniente.

Le assicurai che era stato soltanto un piacere poter coccolare il suo splendido animale, e quasi mi dispiacque consegnare fra le sue braccia il morbido batuffolo di lana nera.

“Ti manca forse la vista a raggi x, ma credo che i tuoi occhi siano molto simile a quelli del Gatto” mi confidò Ville, abbandonando immediatamente la venatura ironica del principio della frase.

“Vuoi dire che anche io ho gli occhi gialli?” chiesi, sbattendo le ciglia.

“No” spiegò serio “Ma profondi, e freddi, come l’onice, e taglienti come frecce. Mi piacciono molto i tuoi occhi” terminò con un piccolo sorriso. Le mie gote andarono di nuovo a fuoco, di fronte al complimento; con molto buon senso, Ville aggiunse immediatamente: “Certo non quanto amo i miei”

Risi alla battuta, ma ormai la mia testa era lontana.

 

Hai gli occhi più particolari che abbia mai visto, sai? Non nasconderli.

 

Chissà se ancora ricordava quella mattina e quello che era successo fra noi? Probabilmente sì, forse però cercava di cancellarne la memoria, forse ci stava riuscendo. Di certo non poteva ricordare ogni frase e ogni parola, impresse a fuoco nella mia mente, come nel mio cuore.

 

“Usciamo?” il darkman mi riportò al presente, praticamente già in piedi vicino alla sua sedia.

Lo precedetti svelta fuori dal locale, dopo essermi naturalmente avvolta stretta stretta nel mio caldo cappotto.

Ma appena misi piede oltre la porta mi bloccai a bocca aperta, tremando come una foglia per il cambio di temperatura, e forse anche un po’ per la meraviglia.

“Oh mio Dio” boccheggiai “Ville hai visto!” gli gridai quasi nell’orecchio, afferrando con troppa foga la sua mano.

Rimase un attimo scosso dalla mia reazione violenta e si massaggiò con una smorfia l’orecchio bombardato.

“Scusami” lo pregai con un sorriso di passare sopra al mio comportamento esuberante “E’ solo che…” il mio sguardo era di nuovo perso e sognante, rivolto verso tutto ciò che mi circondava.

“Non hai mai visto la neve?” domandò il frontman stupito.

“Sì, ma…non così!”

Nel giro di un’ora o poco più tutto si era fatta completamente bianco, coperto da uno spesso e soffice velo candido, e ancora fiocchi giganteschi continuavano a cadere silenziosi e instancabili.

“Qui accade spesso” mi informò Ville “anche in primavera. Ogni tanto ci sono queste terribili ondate di freddo e non è raro che inizi anche a nevicare cani e gatti” scherzò, modificando il proverbio inglese.

 

“E’ bellissimo” sospirai, lasciando la presa intorno alla sua mano e facendo qualche passo avanti, protendendo il braccio in avanti per sfiorare la neve.

“Lo so. C’è qualcosa che però adoro più di tutto” mi confidò avvicinandosi.

Non ebbi nemmeno il tempo di domandargli di cosa si trattasse, che una grossa palla gelata si era già insinuata dentro il collo del mio maglione.

“Sei matto!” imprecai in italiano, troppo sconvolta per ricordarmi di usare la lingua inglese, allontanandomi il più possibile da lui e dalle sue spire.

“Esattamente questo” rise malvagiamente “Non so cosa tu abbia detto, ma sembrava divertente”

“Ho detto che sei completamente fuori di testa! E…” mi abbassai il più velocemente possibile per raccogliere la neve “ora me la paghi” gli gridai, scagliando la pallina, e colpendolo esattamente in piena faccia.

“Ma...come diavolo hai fatto?” domandò attonito per la mia precisione.

Scoppiai a ridere: “Non ne ho idea. La Giustizia ha guidato il lancio, immagino”

Ville sbuffò, prima di raccogliere altra neve e iniziare a rincorrermi: “Te la faccio vedere io la giustizia!”

“Corri come una femminuccia, Fragolino!” lo punzecchiai, mentre fuggivo, cercando di scansare le persone che ci guardavano scuotendo bonariamente la testa per la nostra pazzia.

 

Quando le mani di entrambi erano ormai troppo congelate per poter mettere insieme un’altra palla di neve, la nostra battaglia raggiunse finalmente una tregua.

Allargando le braccia, come ali dispiegate, iniziai a girare in tondo su me stessa, ad occhi chiusi, persa nel turbinio di candide farfalle.

Volteggiai, ancora e ancora, immersa nel mio volo irreale, al suono di una musica immaginaria, come spesso avevo fatto, sola nella mia stanza, fino a quando la testa non cominciò a girarmi e le gambe si fecero molli, tanto da non reggere più il mio corpo.

Caddi per terra, sprofondando nel gelido manto.

Ville mi fu subito accanto, preoccupato: “Stai bene?” riconobbi subito la sua voce allarmata a pochi centimetri dal mio viso.

Aprii un momento gli occhi, ma ancora le immagini erano doppie e sfuocate, quindi li richiusi di scatto, aspettando che tutto tornasse normale

.

Le mie labbra si incurvarono alla fine in un sorriso divertito: “Certo. Mai stata meglio”

Anche l’espressione del darkman si addolcì suo malgrado: “Sei…” scosse la testa, non trovando le parole adatte “…indescrivibile”

“Lo prenderò come un complimento”

Lui arricciò un po’ il naso “Non proprio. Ma adesso andiamo, prima di morire assiderati” si sollevò velocemente dal suolo, scuotendo parte della neve che aveva addosso, anche se restava ancora completamente zuppo, come la sottoscritta del resto.

Una volta in piedi allungò una mano per aiutarmi: ma quando mi fui alzata mi accorsi che le gambe non erano ancora pronte a sopportare tutto il mio peso. Sarei di certo caduta di nuovo se Ville non fosse stato pronto a sorreggermi.

Prese una della mie braccia e la avvolse saldamente intorno alla sua vita, poi mise il proprio sopra le mie spalle, e così abbracciati ricominciammo a camminare, ondeggiando un poco come due ubriachi.

 

“Per fortuna non ti ho fatto bere alcolici, se no chissà dove saremmo finiti” brontolò, non appena rischiammo di inciampare per l’ennesima volta nei nostri stessi piedi.

Iniziai a ridere come una sciocca, contagiando presto anche il mio compagno di avventure.

Fummo scossi da diversi tremiti, un po’ per le risa sconnesse, un po’ per il freddo.

Ci stringemmo ancora più uno all’altra, cercando di scaldarci a vicenda. Con il capo appoggiato alla sua spalla, mi sentivo ubriaca sì, ma del suo profumo e della sua vicinanza, mentre la sua voce mi sussurrava all’orecchio quanto fossi pazza.

 

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Ehhehehehheeh

Fortuna che c’è la Lu che mi ricorda di aggiornare!! Sono una pigronaaa..ma adesso eccomi qui!! Oggi non mi dilungo con le sciocchezzuole..Ditemi voi cosa ne pensate di questo capitoletto^^

AHh naturalmente la poesia è del Grande Baudelaire, Il Gatto. Davvero troppo bella!

Mi ci chiuderei a leggere a vita quelle poesie *.*

 

Un grassie grandizzimizzimo alla Linkin Park--> poveraaaa, lo sooo!! Me dispiace tanto che tu abbia dovuto scavare così tanto tra tutte quelle storiee..ma sono tanto felice che tu abbia letto il capitoletto!! Dimmi dimmi che cosa ne penzi di questo qui^^ Baciunzoli

E alla mia dolcissima Lu-->hihihi zii quella frase ci sta troppo in bocca a ville!! Almeno per meXD Sono contentissima che ti sia piaciuto il capitolus^^ Sì in effetti l’inchiodata era un po’ cattivella..ma..vabbè nulla..me tace!! Ecco qui il nuovo chapter!! È grassie a te che è qui^^ dimmi cosa ne pensi^^

 

Grazie millissime anche a chi ha solo letto!!

 

VenomousKisses

 

La vostra

FallenAngel

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Capitolo 13
*** Knocking on Hell's door ***


Chapter 12

 

Knocking on Hell’s door

Don’t wake the Wildcat up

 

11 Maggio

 

Mi trovavo ancora una volta sul palco del Midnight Wish, ma in questa occasione non stavo esercitando le mie corde vocali, no; ero seduta sul ciglio della piattaforma, le gambe a penzoloni.

Non c’era nessun pubblico ad applaudire o tirare pomodori marci, il silenzio regnava sovrano e il locale era deserto, solo una luce fievole e diffusa a lambire i contorni dei tavolini e del bancone lontano.

Beh, in realtà quasi deserto.

 

“Sapevo di trovarti qui” mormorò una voce profonda alle mie spalle, facendomi voltare di scatto.

“Come sempre” sorrisi alla sagoma scura che si avvicinava a grandi passi.

Ville prese subito posto al mio fianco, dandomi una piccola spinta con la spalla: “Scusa” ridacchiò, mettendo le mani avanti e fingendosi, senza neanche troppo impegno a dire il vero, dispiaciuto.

“Sei proprio un imbranato” sbuffai sonoramente e in tutta risposta il darkman allungò una mano per scompigliarmi la frangia.

 

Questa volta non ebbi però tempo di arrabbiarmi, perché ogni facoltà di pensiero si congelò nella mia testa, e la voce rimase bloccata in fondo ad un pozzo, quando le sue dita scivolarono tra i miei capelli, fino a sfiorare la pelle calda del collo.

I suoi occhi si posarono gravi su di me: “Ti ho cercato perché…perché devo dirti una cosa”

Annuii brevemente, invitandolo a continuare.

Lui ritrasse il braccio e voltò il capo, fissando il pavimento. Non lo avevo mai visto tanto agitato e stavo iniziando a preoccuparmi.

“Ecco…” incominciò “Domani dobbiamo partire per una specie di tour”

“Oh” fu tutto quello che riuscii a dire. “Non sapevo ne aveste uno in programma” aggiunsi dopo lunghi istanti di silenzio.

“No, infatti non era programmato” spiegò scuotendo la testa “E’stata una proposta venuta fuori all’ultimo momento. Ma abbiamo deciso di accettare comunque”

 

Mi sforzai di piegare le labbra un piccolo e debole sorriso: “Sono sicura andrà benissimo.”

Doveva andare. Andarsene via.

Mi morsi un labbro, mentre sentivo un peso crescere all’altezza del petto, e i miei occhi iniziare a bruciare.

“Quanto starai via?” mi informai, sebbene non volessi davvero conoscere la risposta.

“Non lo so esattamente. Ma almeno un mese”

La sua voce mi trafisse come un pugnale.

“Ma…” continuò, tornando finalmente a posare il suo sguardo su di me “c’era…c’era  un’altra cosa che volevo chiederti...”

“Cosa?” domandai, deglutendo a fatica per la tensione.

“Beh, so che è una cosa assurda: ma….Vorrei tanto che venissi con noi”

 

I miei piedi, che prima avevano colpito ritmicamente e senza sosta il lato del palco,  spinti dall’agitazione crescente, si bloccarono immediatamente.

“Stai…stai dicendo sul serio?” boccheggiai, guardandolo con gli occhi spalancati.

Ville prese la mia mano, appoggiata, o meglio abbarbicata, ai jeans.

“So che può sembrare una richiesta sciocca, ma non me la sento di andarmene e non vederti più per chissà quanto tempo” mi sorrise con dolcezza, accorciando la distanza fra di noi, tanto che potevo sentire il suo respiro caldo sul mio viso e il suo cuore battere veloce insieme al mio.

“E’ molto sciocco infatti” mormorai, non riuscendo a staccare gli occhi dalla sua bocca, ormai senza respirare.

 

La sua voce era poco più di un sussurro mentre le sue parole carezzavano dolcemente le mie labbra: “Non mi interessa essere ragionevole”

Abbassai le palpebre, perdendomi completamente in quel bacio: esistevano soltanto la sua lingua, che combatteva sensualmente con la mia, le mie dita, intrappolate tra i suoi capelli, le sue mani, avide sulla mia schiena e sui miei fianchi.

Ma d’un tratto un rumore assordante ruppe la magia.

 

Ci separammo spaventati, ricercando la fonte di quel trambusto. Le sedie di un tavolo poco lontano erano state tutte sbattute contro il pavimento e giacevano abbandonate e inerti, capovolte con le gambe all’aria. Una sagoma si faceva strada nella sala di nuovo immersa nel silenzio.

“Il gioco è finito ragazzina” tuonò l’intruso “Tornerai a casa con me”

“Mai” gridai di rimando, mentre la rabbia mi faceva tremare le mani.

Mi girai verso Ville, in cerca di aiuto e di conforto, ma il darkman era sparito.

 

“Farai quello che ho detto invece” ribattè mio padre, ormai a pochi passi da me; ed ecco la sua presa ferrea intorno al mio braccio e quell’inconfondibile lezzo di alcool.

Volevo scappare, ma le gambe sembravano aver perso ogni possibilità di movimento.

Ero in trappola…

 

 

Mi svegliai all’improvviso, sentendomi soffocata dalle coperte e con un disperato bisogno d’aria che sfiorasse il mio volto accaldato.

Era stato solo un sogno, uno stupido sogno.

Cercai con gli occhi nell’oscurità la mia compagna di viaggio, incontrandone la sagoma profondamente addormentata al mio fianco.

Nella mia mente era ancora impresso il volto adirato di mio padre e mi stupii di quanto ancora lo ricordassi bene: avevo cercato di dimenticarlo, di cancellarlo dalla mia memoria, ma per quanti sforzi avessi fatto i suoi occhi neri d’odio continuavano a perseguitarmi.

Ma adesso lui non era lì, non sapeva dove mi trovassi, ero al sicuro.

Tentai di autoconvincermene per diversi minuti; tuttavia una morsa sempre più stretta attanagliava il mio stomaco e il disagio e il timore sembravano non aver alcuna intenzione di abbandonarmi.

 

Cosa sarebbe successo se fosse riuscito davvero a trovarmi?

E, cosa più importante, avrei potuto davvero continuare a scappare per il resto della mia vita?

Erano ormai passate quasi tre settimane da quando ero arrivata ad Helsinki ed era stato tutto stupendo, un periodo magico, ma decisamente irreale.

Di certo non sarebbe potuto durare per sempre. Non sarei potuta restare in quella camera, trascorrendo le mie giornate senza combinare nulla di costruttivo, semplicemente divertendomi e passando da un locale all’altro.

 

Quando ero partita, o meglio fuggita, non avevo pensato al futuro, a quello che sarebbe successo. Avevo impacchettato le mie cose ed ero salita su un aereo.

Ma adesso era arrivato il momento di affrontare i problemi. Forse avrei dovuto rifare le valigie e tornare a casa. Quella era di sicuro la cosa più sensata da fare. Ma era anche la scelta più lontana dai miei desideri.

Chiamatemi sciocca, pazza, fuori di testa, ma non mi sarei mai riabbassata a rimettere piede sotto lo stesso tetto di quell’uomo. Dopotutto  fra meno di due mesi sarei diventata maggiorenne e non avrebbe trovato nessuna legge utile per incastrarmi ancora una volta.

Non avevo altro luogo dove tornare, che potessi chiamare casa con cognizione di causa, quindi almeno per quel momento non desideravo lasciare quella città che tanto mi aveva dato. C’erano Luke e i ragazzi, i quali erano ormai vicini a firmare un contratto con la casa discografica; c’era Katriina, c’era Gabriel e c’erano tutti i nuovi amici. C’era Ville…

Scacciai la sua immagine dalla testa, sentendomi completamente infantile. Una stupida sognatrice.

Invece dovevo restare concentrata, concentrata sulla realtà.

 

Se volevo rimanere ad Helisinki era necessario che trovassi un posto dove vivere, e un lavoro. Non che avessi un bisogno impellente di denaro. Quello non era mai stato un vero problema; anche se mio padre avesse deciso di tagliarmi completamente i fondi.

Mia madre aveva un fratello, mio zio, anche se era per me quasi uno sconosciuto. Aveva accettato di incontrarmi in un paio di occasione ed era stato subito molto chiaro nei suoi propositi: sposato senza figli, non aveva certo voglia né tempo di occuparsi di una nipote nata da una relazione che non aveva mai approvato. Restavo sempre senza una famiglia, ma avevo un appoggio finanziario davvero consistente.

Ciò non toglieva che non potevo nemmeno vivere alla stregua di un parassita per tutta la mia esistenza. Dovevo almeno cominciare da qualcosa di piccolo.

 

Discretamente soddisfatta del mio progetto ancora molto approssimativo, mi sentii un poco più rilassata, con un peso in meno ad opprimermi il petto.

Ma questa sensazione non durò a lungo.

C’era ancora una parte del sogno con cui fare i conti. La parte decisamente più piacevole ma altrettanto inquietante. Lo sentivo: il mio già labile filo conduttore con il mondo reale si stava pian piano sfaldando completamente.

 

Qualche sorriso e piacevoli ore trascorse insieme, e già cominciavo ad illudermi. Illudermi che Ville provasse per me qualcosa di più che una simpatia.

Chiunque avrebbe dato chissà cosa per avere la sfacciata fortuna che mi era toccata, senza alcun merito, e io mi trovavo a desiderare di più.

A desiderare le sue labbra e le sue carezze; e tutto era così sbagliato e fuori dalla mia portata.

 

Arianna cominciò a mugugnare qualche frase senza senso contro il suo cuscino e mi distrasse dai miei pensieri.

Mi domandai per quanto tempo fossi rimasta a fare piani e congetture: sembrava un’eternità.

Con qualche altro suono indefinito la mia amica cominciò a stiracchiarsi e finalmente si sollevò, recuperando dal comodino il cellulare per sbirciare l’ora. Evidentemente convinta che, almeno per i nostri standard, fosse ancora presto riaffondò pesantemente sotto le coperte.

 

“Qualcuno sta cercando di superare il mio record da ghiro” commentai, rompendo il silenzio.

Arianna si alzò di scatto, esterrefatta: “Sei già sveglia?” domandò, con un tono di voce, sconvolto.

Le tirai il mio cuscino sulla testa con davvero poca delicatezza: “Sì! E non è proprio il caso di essere così sorpresi!”

Mi alzai quindi dal letto, per aprire le spesse tende e lasciar filtrare una dispettosa luce.

“Sei una persona orribile!” mi accusò la rossa, coprendosi gli occhi “Ma scusa! Non avrei mai pensato di trovarti sveglia alle 8 e mezza del mattino! Cosa ti è successo?” mi interrogò, con una punta di curiosità.

“Incubo” spiegai, senza entrare nei particolari “E poi mi sono fermata un po’ a pensare”

 

La osservai mentre cercava di abituarsi all’improvvisa luminosità, sbattendo più volte le palpebre e riavviandosi indietro i capelli.

“A proposito…c’è qualcosa di cui ti vorrei parlare” cominciai, tormentando con le dita il bordo del mio pigiama.

Annuì, grattandosi la punta del naso: “Dimmi”
“Beh” esitai “Mi sono resa conto che…” ma il mio discorso venne interrotto da un improvviso bussare alla porta.

 

Io e la mia compagna di stanza ci guardammo stupite: chi poteva essere alle otto e mezza del mattino? Non conoscevamo nessuno di tanto…ehm…mattiniero.

Non avendo ottenuto alcuna risposta, i battiti si fecero più insistenti. Spinta dalla curiosità mi avvicinai alla porta e sbirciai dallo spioncino, ma tutto sembrava molto appannato. Diedi allora un segno di vita: “Sì?”

“Servizio in camera” proclamò una voce decisamente molto acuta.

“Hai ordinato da mangiare?” domandò meravigliata Arianna dal letto, tirandosi un poco più su, un’espressione ancora non propriamente sveglia stampata in faccia.

“No” scossi la testa, facendo velocemente mente locale. No, avevo passato tutta la mattinata a letto al buio, quindi…

La rossa fece spallucce: “Avranno sbagliato”

“Mi dispiace, deve esserci stato un errore” gridai al legno scuro della porta.

“Nessun errore!” mi assicurò la voce “Stanza 127”

Sbuffai, tornando a fissare la mia amica: “Che faccio?”

“Dai apri. Vediamo cosa hanno portato. Mi è venuta una discreta famina” ridacchiò, prima di uscire da sotto le coperte e infilarsi in bagno.

 

Sovrappensiero, poggiai la mano sulla maniglia, e aprii la porta, non riuscendo a trattenere un enorme sbadiglio.

“Sai…sei decisamente sexy in questa mise!” mi schernì Ville, squadrandomi con interesse da capo a piedi, un sorriso beffardo ad incurvargli le labbra.

Rimasi a guardarlo a bocca aperta per un tempo indefinito, gli occhi fuori dalle orbite e incapace di muovermi.

E poi gli sbattei la porta sul naso.

Fissai a lungo il piano scuro della porta, poi il mio pigiama dai pantaloncini slargati di qualche misura in più e la maglia un tempo rossa e adesso di un indeterminato colore, vagamente simile all’arancione. Portai una mano ai capelli: secchi come paglia, e non molto diversi da un gomitolo appena attaccato dalle unghie di un gatto. Quando mi perdevo profondamente nei miei pensieri ero solita iniziare ad attorcigliare le dita tra le ciocche, per rilassarmi. Ogni volta con molto poco giovamento per quanto riguardava i capelli stessi. Non osai guardare allo specchio in che stato fossero in quel momento.

 

Ehm.

Fantastico.

Quando mi fui parzialmente ripresa mi accorsi che ormai il danno era fatto, e quindi tanto valeva scoprire cosa diavolo era saltato in mente a quel pazzo e al suo degno compagno Migè.

Riaprii la porta, incrociando le braccia e lanciando fiamme dagli occhi ridotti a due fessure.

Ville e il bassista non si erano di certo arresi dopo il mio caloroso benvenuto: era ancora lì, nel corridoio, a ridersela beatamente.

“Siamo un po’ su di giri stamattina, eh?” commentò il frontman “Scesa dalla parte sbagliata del letto? No aspetta, a giudicare dal tuo aspetto, direi più che altro caduta!”

Aggrottai ancor di più le sopracciglia: “Parla il Sovrano del fashion? Tu da dove saresti uscito scusa? Dal grande magazzino dei folletti troppo cresciuti?” Se io non dovevo aver fatto un’ottima impressione, certo Ville era l’ultimo a poter parlare, imbacuccato fino al naso, con in testa un colorato berretto ornato per giunta di pompon! In quel momento aveva ben poco della rockstar bella e dannata.

 

Il cantante si avvicinò di qualche centimetro: “Ma quanto non è adorabile?” domandò retoricamente a Migè, mentre mi sfiorava una guancia.

Gli feci una smorfia.

“Si può sapere cosa cavolo ci fate qua a quest’ora? E conciati in questo modo?”

“Non credo sia stata un’ottima idea, Ville. Te l’avevo detto” ricordò il bassista, ridendo sotto i baffi.

Ville fece un gesto con la mano, come per minimizzare le conseguenze della sua ideona: “Ma no. La mia sister fa tutta scena. In realtà è molto felice di vederci. E poi come avremmo potuto perderci uno spettacolo del genere?” ammiccò nella mia direzione.

Naturalmente non si salvò da una meritata sberla sulla spalla.

“Allora?”

Ma il nostro battibecco venne interrotto dalla voce di Arianna, appena uscita dal bagno dopo una rapida doccia, con addosso l’accappatoio dell’albergo: “Allora cosa hanno portato?”

 

Non appena si accorse che la porta era ancora aperta e che la sottoscritta non era da sola, il suo viso si trasformò in una maschera di incomprensione “Ma cosa diavolo…?” e poi di vergogna, non appena i suoi occhi riuscirono a mettere a fuoco i due visitatori “Cazzo!” sbottò, prima di rifuggire in bagno.

“Ehm, scusatela” mormorai, spostando il peso da un piede all’altro.

“Non preoccuparti, tanto non abbiamo capito nulla” si premurò di informarmi Migè.

Ville non trattenne una risata: “Beh, diciamo che ormai qualche parola l’ho imparata…”

“Elisa!” mi chiamò Arianna dalla stanza attigua “Potresti venire qui? Adesso!” la sua voce non era proprio amichevole.

Mi assentai un momento, pregando i nostri ospiti di attendere ancora qualche minuto fuori dalla porta, dato che la Nostra Reggia, a dire il vero non poco disordinata, non era decisamente adatta per accoglierli al momento.

 

Non appena ebbi varcato la soglia del bagno Arianna mi fulminò con i suoi grandi occhi celesti: “Cosa ci fanno loro qui?” sibilò, portando una mano alla fronte, tra i capelli bagnati.

Sebbene sapessi che era di certo l’ultima cosa al mondo che avrei dovuto fare, non riuscii a non sogghignare.

“Davvero, non è ho idea. Sono sbucati qui all’improvviso! Secondo te mi sarei fatta trovare in questo stato se avessi saputo che sarebbero venuti?” le feci notare saggiamente.

Sollevò un sopracciglio, come per valutare l’idea: “Mmh, no in effetti non credo. Ma allora perché sono qui?”

Alzai le spalle: “E chi lo sa? Se vuoi vado a scoprirlo”

“Sì, sì vai pure! Io ti aspetto qui” mi spinsi praticamente fuori dalla stanza di peso. Ma non abbastanza in fretta da non permettermi di incontrare senza volerlo il mio riflesso nello specchio.

Solo tre parole: Oh my God.

 

Decisi di scacciare assolutamente la spiacevole immagine e mi concentrai su Ville: “Allora? A cosa dobbiamo l’onore?”

I suoi occhi si illuminarono: “Volevamo porgervi un piccolo invito”

“Ah sì? E per cosa?”

“Gita sulla neve!” esclamò, mentre il suo sorriso si faceva più ampio “Una sorta di settimana bianca ma più corta non preoccupatevi!”

“Cì sarà tutto il gruppo. Hanno già preparato le macchine” illustrò il bassista compiaciuto.

Sbirciai fuori dalla finestra: certo la neve non mancava anche nel cortile dell’hotel, ma erano così esaltati dall’idea che non me la sentii di smontarli.

“Ehm…per me va bene. Devo chiedere all’Ary…” ma prima che avessi il tempo anche solo di voltarmi, la testa della rossa sbucò da dietro lo stipite: “Okay!” annuì con entusiasmo.

Che donna.

 

“Va bene. Allora se ci lasciate il tempo di prepararci vi raggiungiamo in un attimo. Faremo presto!” assicurai, passandomi una mano fra i capelli. Cioè, più o meno presto, mi ritrovai a pensare incontrando quel groviglio.

“D’accordo. Allora vi aspettiamo al solito posto. E mi raccomando!” ricordò Ville con tono perentorio “Indossate abiti pesanti”

Alzai gli occhi al cielo, già nell’atto di serrare la porta della camera.

“Ah e un ultima cosa!” gridò il darkman (che quel giorno non era poi tanto darkmanXD ndA), portando un piede avanti per impedirmi di chiudere.

Lo squadrai con impazienza: “Sì?”

Riaperta la porta con una leggera pressione della mano, tirò fuori dalla tasca un altro orribile cappello simile al suo e senza troppe cerimonie me lo schiacciò sulla testa.

“Ecco fatto!” esultò soddisfatto.

“E per quale motivo di grazia dovrei indossare questo..coso?” domandai arricciando il naso.

“Perché” spiegò Ville dando una sistemata al pompon con far teatrale “Oramai sei anche tu una famosa rockstar e hai bisogno di un travestimento. Non possiamo mica essere perseguitati dai fan e dai paparazzi tutto il giorno!”

“No, certo che no”

 

 

________________________________________________________________________

 

Eccoci quiii con il nuovo capitoletto^^

In primo luogo, non uccidetemi per quel piccolo bacetto non proprio realeXD (già una mia amica mi ha percosso per beneXD)

E in secondo luogo, permettetemi tutte queste licenze su VilluccioXD  Prima il Fragolino e adesso il cappello con il pompon, ma insomma…anche lui ha bisogni di un buon travestimento no?? Ahahahahah

 

Va ben. Fatemi un po’ sapere come vi è sembrato questo chapter!! Sono curiosissima!

Un abbraccio speciale a tutti quelli che leggono questa storia! E in particolare a:

 

@Bell_Lua: zizi davvero non avrei postatoXD sono una pigroscola cronicaXD Sono contenta ti ziano piaciute quelle scene. Il micio è il mio mito (me lo sono sognato di notteXD) e poi quanto me sarebbe piaciuto anche a me beccare Ville in piena faccia muahaahha..nooo scherzoo, povero! E naturalmente Baudelaire riesce a regalare sempre quel tocco in più! Comunque hai visto che ho postato presto^^ sei fiera di meee??? Dimmi come ti è parso! Un baciunzoloo!! (e abbasso l’Irlanda a Marzo!!)

 

@linkin park: anche tu una fan di fragolino for life??XD puoi aggiungerti al club! Ormai per la mia streghetta grimilde Ville se chiama solo cosìXD Sono davvero felicizzima che ti sia piaciuto! E spero che quest’altro non ti deluda! A preeeesto. Kisses

 

@Kagome14: grassie grassie!! Anche i nightwish naturalmente rule foreve! Sono contenta tu abbia apprezzato! Dimmi cosa pensi anche degli altri chapterini se ti va^^ Baciii

 

@Grimilde: ahhhhhh eccotiiiXD pensavo avessi abbandonato definitivamente la tua amatissima eli!! La faccina da rudolfino..ahahahhahaha..che forte! Zizi il mio è il mio personaggio preferito in assoluto, la mia creazione più stupenderrimaXD Questo chapterin nun so se lo avevi letto!! Dimmi dimmi che ne penzi!! E compra  “I Fiori del Male”! kussss

 

Allora alla prossima!!

La vostra

FallenAngel

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Capitolo 14
*** Flying away ***


Capitolo 13

Flying away

When I say No, it’s No!

 

 

“…è stato davvero orribile.” disse una voce lontana e famigliare.

Tentai, concentrandomi, di capire a chi appartenesse quella voce, ma i miei neuroni non sembravano aver ancora intenzione di funzionare, e il sonno inibiva ogni facoltà.

“Non credo me ne scorderò mai” aggiunse la voce, e questa volta non mi fu difficile riconoscere il tono ironico e divertito di Arianna.

 

Stava di certo parlando con qualcuno, ma al momento non ricordavo proprio dove mi trovassi. Una parte di me (una grande parte di me) desiderava continuare a dormire, ma c’era anche la parte curiosa che era decisa ad aprire gli occhi.

Ero ancora in uno stato di torpore e di lotta interiore quando sentii un’altra persona ridere di gusto proprio sopra la mia testa. Fu allora che compresi che il mio capo non era poggiato contro un morbido cuscino, ma sulla spalla di qualcuno. Facile – e al tempo stesso troppo imbarazzante -  indovinare chi fosse quel qualcuno.

 

Sollevai lentamente la testa e mi stropicciai un poco gli occhi, per poi ritrovarmi a fissare le dita sporche di nero. La solita furba.

Ero seduta al centro, sul sedile posteriore di una macchina. Al volante Gas e semisdraiato accanto a lui Migè. Il mio cervello ricominciava finalmente a rielaborare le informazioni.

“Ma salve!” mi salutò Arianna, sbattendo la mano contro la mia gamba.

“Mhh” borbottai “Credo di essermi addormentata”

“Molto perspicace” ridacchiò Ville al mio fianco. Mi voltai, incrociando gli occhi allegri del darkman che si stiracchiava le ossa, come fa chiunque sia rimasto nella stessa posizione per molto tempo. Chissà quanto a lungo era restato immobile per evitare di svegliarmi.

 

Gli domandai scusa, per averlo sfruttato senza troppi complimenti come cuscino.

Lui scosse la testa, sminuendo il gesto: “Non preoccuparti. Almeno ero comodo?”

“Sì sì, decisamente. Se la tua carriera di cantante dovesse avere presto termine puoi sempre proporti come poggiatesta”

“Sì Ville, ti ci vedo bene” sghignazzò Gas “Anche se non riesco veramente a capire come possa essere comodo quello scheletrino lì”

“Tu pensa a guidare” ribattè il frontman, facendo una smorfia.

“Certo, certo. Siamo arrivati comunque” annunciò, parcheggiando la macchina, accanto ad una jeep.

“Qualcuno svegli il nostro angioletto” scherzò Ville, riferendosi al bassista della band, che mi aveva a lungo fatto compagnia tra le braccia di Morfeo.

 

Appena scesa dalla macchina rabbrividii mio malgrado: il clima era se possibile ancora più gelido che nella capitale. Il cantante fu subito al mio fianco, l’orribile cappello colorato stretto in mano.

“Non dimentichi qualcosa?”

Feci finta di scappare.

“E dai!” mi pregò “Ti stava così bene!”

Sospirai, riinfilandomi il berretto con il pompon. Ville si premurò di trarre fuori i miei lunghi capelli dal cappotto e sistemare ancora meglio il nostro segno di riconoscimento: “Ecco perfetto!”

 

“Siete adorabili!” esclamò Manna con un sorriso, mentre lei, Linde, Burton e la sua compagna, che ci avevano seguito con la macchina del chitarrista, si avvicinavano a grandi passi “Posso farvi una foto?” domandò tirando fuori con prontezza la sua macchinetta dallo zaino.

“Fuori questione!” “Ma certo!” furono le nostre immediate e opposte risposte.

Tutti scoppiarono in fragorose risa.

 

“Su Eli non fare il solito Bastian contrario!” mi incitò la rossa “Vieni sempre tanto bene nelle foto!”

Le lanciai un’occhiata di fuoco: “Ma dove?”

“Ehm…okay forse non è vero” confessò “Ma sembrate davvero due gemellini!”

Approfittando della mia distrazione, mentre ero intenta a rispondere per le rime alla mia amica, Ville mi abbraccio da dietro all’improvviso, allacciando le sue braccia intorno alla mia vita. D’un tratto non ricordai nemmeno quello che stavo per dire.

“Scatta presto! Approfittane finché la mia Furia è ancora in catene!” avvertì Manna, tenendomi sempre stretta a sé e poggiando l’incavo del suo collo sopra la mia spalla “E tu vedi di sorridere” mi ammonì con un sussurro.

Se non ci fossero state le sue braccia a reggermi immagino che sarei immediatamente collassata.

Mi aspettavo che subito dopo i due scatti il darkman mi avrebbe lasciata andare, ma con mia grande sorpresa continuai a sentire il suo corpo attaccato alla mia schiena. Non osavo muovere un muscolo.

Arianna si avvicinò alla cantante per ammirare il risultato; quindi mi guardò, strabuzzando gli occhi.

“Non mi dire: questa volta la mia faccia è uguale ad un ananas con la cresta colorata!” sbuffai: nella mia vita avevo raccolto una vasta collezione di foto nelle quali assomigliavo a diversi tipi di ortaggi o agli animali più strani e dai nomi irripetibili. Era la mia croce: non ero affatto fotogenica.

“No, al contrario!” esclamò esterrefatta “Sei venuta decentemente!”

“Io direi che sono venuti proprio molto bene!” aggiunse Manna, con la sua smisurata dolcezza.

Ero piuttosto scettica: “Mmh, chissà perché fatico a crederci”

Tutti si fecero avanti per scrutare la famosa foto e sfornare il loro commento. Alzai gli occhi al cielo: guarda se si dovevano comportare in quel modo teatrale per una foto!

Tossicchiai: “Beh…potrei vedere anche io?”

“No, no, non dargliela! Altrimenti la cancella di sicuro!” Arianna scosse risoluta la testa, avvertendo gli altri del mio brutto vizio di far sparire nel nulla il maggior numero di foto possibili nelle quali comparisse la mia persona.

“Non preoccupatevi! La controllo io!” assicurò il darkman, afferrando entrambe le mie mani “Portate qui la macchina”

“Non c’è bisogno di tutto questo!” ringhiai, fingendomi arrabbiata “Prometto di non cancellarla!”

“Potremmo anche crederti, ma sento un po’ freddo, quindi non mi dispiace usarti come coperta ancora per un po’” mi confidò il leader degli HIM “In fondo tu hai approfittato di me come cuscino prima…”

Finalmente potei posare gli occhi sull’immagine della digitale di Manna, tenuta saldamente nelle mani della mia amica, lontano dalla mia portata.

Restai a lungo in silenzio, mordendomi il labbro inferiore.

“Siamo assolutamente ridicoli” brontolai alla fine, allontanando i miei veri pensieri.

“No. Questo sarebbe impossibile! In ogni foto trasudo sensualità, non lo vedi?” asserì quel borioso di Ville.

Cercai – impresa impossibile – di ridurre almeno un poco il suo smisurato ego. “Ehm…no, non direi proprio. Continuo a sostenere la tesi del povero Elfo smarrito”

Punto sul vivo, il darkman sciolse infine il suo abbraccio, e andò a poggiare un braccio sulla spalla di Arianna.

“Pensi anche tu queste eresie?” le domandò, scrutandola dall’alto in basso.

“Certo che no!” rispose lei prontamente, scuotendo la testa.

“Ecco. Bene. Allora andiamocene e lasciamo da sola questa matta” la invitò, spingendola dolcemente avanti.

“Traditrice!” la apostrofai. Lei si voltò per lanciarmi un furbo sorriso e farsi perdonare con un battito di ciglia, ed un’espressione sulla quale potevo chiaramente leggere: ‘In fondo è sempre Ville Valo!’

Come potevo darle torto?

Ripensai a quella foto e la mia testa cominciò a farsi leggera. Solo un mese prima l’unico modo per avere una fotografia con il frontman degli HIM sarebbe stato creare un fotomontaggio.

“Non vieni?” chiese Migè premuroso sfiorandomi un braccio: ormai tutti gli altri erano già in cammino.

“No, certo eccomi”

“Non preoccuparti!” sogghignò raccogliendo con le grandi mani una montagna di neve “Ti vendicherò molto presto!”

**

 

La giornata era trascorsa troppo velocemente, e quel sole, troppo debole per sciogliere il manto bianco che copriva il terreno, sparì ben presto oltre le basse colline.

Come un branco di ragazzini, non avevamo fatto altro che rincorrerci tutto il tempo, inventando sempre nuove battaglie, e alleandoci a turno tutti insieme contro una povera vittima designata al momento. Inutile dire che, come membro più giovane della comitiva, mi ritrovai spesse volte a svolgere con mia immensa gioia la parte dell’agnello sacrificale.

Plasmammo anche un fantastico pupazzo di neve, che Burton avrebbe tanto voluto chiamare Gas, per le sue dimensioni esuberanti, ma che alla fine fu battezzato Bob. Regalai con estremo dispiacere a Bob il mio cappello. Di certo non si era mai visto un pupazzo di neve senza berretto!

“Che ne direste di un giro sullo slittino?” suggerì d’un tratto Ville con un sorriso a trentadue denti.

Il suo entusiasmo venne accolto da grugniti e mormorii di completo dissenso.

“Io inizio ad avere un po’ freddo, non potremmo rientrare?” fu la controproposta di Linde, considerata decisamente più ragionevole.

“Mi vorreste mandare un’altra volta da solo?” sbuffò il darkman, incrociando le braccia al petto “Siete un branco di fifoni”

Migè gli tirò una pacca sulla spalla: “Lo sai che non piace a nessuno…e poi lo sappiamo che tu non resti mai più di venti secondi da solo. Prova a chiedere a Bob”

Ville sbirciò il pupazzo con sguardo vago: “Non credo che starebbe su uno slittino”

“Tenta con i nostri nuovi acquisti allora”

Arianna si fece più piccola sulla panchina ghiacciata sulla quale era seduta: “Mi sarebbe piaciuto molto, ma sono troppo distrutta. Mi avete fatto quasi slogare una caviglia!” annunciò, lanciando un’occhiata arcigna verso il bassista.

“Sister?”

Ancora quegli occhi… “NOO! Questa volta è un no e non mi farai cambiare idea in nessun modo!” asserii, puntando i piedi.

“Elisa non ha una grandissima simpatia per le altezze. Non hai mai voluto nemmeno imparare a sciare” confidò la mia amica che mi conosceva anche troppo bene.

“Ma ci sono io…dai non ti fidi?” ormai Ville era a pochi centimetri da me…

“No, ho detto di no” scossi la testa con fermezza.

“Per favore”

“No, no e ancora NO!”

 

**

 

Come volevasi dimostrare, qualche minuto dopo ero a fare la fila per poter affittare gli slittini.

Poco lontano due ragazze mi guardavano frustrate con occhi iniettati di puro odio: ma non avevo nemmeno la forza di ricambiare con un sorriso di vittoria, poiché ogni mio muscolo era immobilizzato per il freddo e la paura. Riuscivo soltanto a fissare con le palpebre spalancate le persone che scendeva a tutta velocità, con esclamazioni divertite, giù per un piccolo pendio innevato, fin troppo ripido per i miei gusti.

Nascosi il viso tra le mani: “…astro” borbottai tra me e me

“Cosa stai andando blaterando?” rise Ville.

“Ho detto che sono un disastro” spiegai “Ogni volta non riesco mai a dire di no e resto sempre fregata” sbuffai, accorgendomi che ormai le persone in coda davanti a noi erano un numero decisamente esiguo.

“Ti capisco. Deve essere anche questo un difetto di famiglia. E’ bello poterlo sfruttare qualche volta a proprio favore”

Avrei voluto giocare la parte dell’arrabbiata ancora per un po’, ma sembrava davvero felice, ed era talmente ridicolo che Ville Valo mi pregasse di fare qualcosa con lui, quando la maggior parte delle ragazze che conoscevo avrebbero anche corso chilometri sui carboni ardenti solo per fargli piacere.

“E poi ti assicuro che è davvero divertente!” aggiunse, volgendo lo sguardo verso i volti sereni delle persone che arrivavano a terra.

“Forse per te” mormorai, mordendomi un labbro “Ma io soffro di vertigini. Ed essere lì da sola su…su quel coso. Per quanto ne so potrebbe anche ribaltarsi!” profetizzai catastrofica, agitando una mano nell’aria.

Il frontman la afferrò prontamente: “Hey, ma chi ha detto che ci vai da sola. Saliremo insieme. Pensi che potrei lasciarti cadere?”

“Io…” balbettai, gli occhi fissi sul terreno.

Con una leggera pressione delle dita sul mio mento mi costrinse a guardarlo: “Ricordi? Una volta mi hai chiesto di fidarmi di te. Ora ti chiedo lo stesso. Ti fidi?”

Le gambe iniziarono a tremarmi e qualcosa nel mio sistema respiratorio cominciò a non funzionare nel modo giusto, perché mi ritrovai a boccheggiare.

Soltanto in quel momento mi resi conto che forse anche lui ricordava del nostro primo incontro più di quanto immaginassi.

Annuii brevemente, mentre sentivo il viso andare in fiamme. Ed effettivamente Ville lasciò la presa, quasi come se si fosse scottato.

“Bene” annunciò schiarendosi la voce “Non te ne pentirai”

Dopo essermi ripresa dallo stordimento, riuscii anche a rispondergli a tono: “Lo spero bene, per la tua incolumità!”

“Cosa vorresti fare Furia? Chiamare il tuo cuginetto Yeti?” mi schernì con un ghigno divertito.

Tirai fuori la lingua: “Può darsi. Guarda che tocca a noi, simpaticone…”

 

Risalii la collinetta ad un’andatura degna di una tartaruga zoppa. Ero bravissima quando si trattava di prolungare l’agonia. Ma alla fine, troppo presto, raggiungemmo la cima del piccolo pendio.

Ville prese posto sul trabiccolo infernale, e mi invitò a raggiungerlo, battendo con la mano sullo spazio del sedile davanti a lui.

“Sicuro sicuro?” esitai ancora un momento, fino a quando il suo sorriso si trasformò in un’espressione alquanto scocciata.

“Okay okay” sospirai e quindi mi sedetti trattenendo il fiato, senza un motivo preciso.

Lui se ne accorse subito: “Se continui così rischi di diventare viola!”

“Mi dispiace è più forte di me” tentai di scusarmi: dovevo sembrare davvero patetica. Mi voltai appena per poterlo vedere in viso: “Mi fido, davvero…è solo che…”

Posò un dito sulla punta del mio naso e poi sulle mie labbra, per farmi tacere: “Aspetta un secondo”

Frugò un momento nelle tasche, per poi tirarne fuori una scatola nera grande come il palmo di una mano.

“Tieni” mormorò porgendomela.

Lo guardai senza capire: “E cosa sarebbe questo?”

“Un piccolo regalo” rispose semplicemente.

“Un regalo? Perché?”

Mi diede un piccolo pizzico su un fianco, ridendo: “Deve esserci per forza un motivo?”

“Non posso accettarlo” dichiarai, respingendo il pacchetto.

“Certo che sì! Non preoccuparti non è un anello se questo a cui stai pensando, mia cara”
Arrossii subito violentemente, e desiderai di potermi scavare una fossa, lì in mezzo alla neve.

“Cosa? Non mi era nemmeno passata per l’anticamera del cervello una cosa del genere!” balbettai, cercando di sembrare il più convincente possibile. No, un anello non era di certo, la scatola era poi decisamente grande, ma ciò non cambiava il fatto che un regalo, un regalo qualsiasi, era troppo per me.

“Beh meglio così, non avrei voluto che restassi delusa. E’ una piccola cosa, molto stupida. Consideralo un po’ come un amuleto”

Tentai di combattere ancora: “No, Ville sul serio, non avresti dovuto…” ma mi fermò di nuovo, minacciandomi: “Se non lo apri subito scendo prima che tu possa contare fino ad uno e ti lancio giù per la collina!”

“Sei un ricattatore!” lo apostrofai, accingendomi con mani tremanti ad aprire il piccolo pacchetto.

All’interno, delicatamente appoggiato ad un cuscinetto di velluto bordeaux vi era una collana d’argento: ad essa era appeso un Heartagram, perfettamente rifinito e dai contorni decorati. Non ne avevo mai visto uno così ben fatto.

“E’…davvero molto bello…ma” pronunciai confusamente.

“Mi dispiace, ma niente ma! E’ tuo, non posso nemmeno riciclarlo” sogghignò, tirandolo fuori con riguardo dalla custodia, e mostrandomi il retro “Vedi?”

Osservai con attenzione il cerchio esterno, sul quale era incisa una piccola dedica: ‘To my LoveMetalSister and sweet wildcat. Ville’

“E’ solo tuo” sussurrò al mio orecchio.

Cercai di non cedere allo stordimento che quelle poche sillabe potevano provocare in me, schiarendomi la voce roca: “Come faccio a sapere che non chiami ‘wildcat’ tutte le ragazze?”

Rise di gusto: “Beh, semplicemente per il fatto che di solito le ragazze mi trattano come una divinità e non si azzarderebbero mai a mettermi le mani addosso o a sgridarmi come puoi fare solo tu”

Mi morsi la lingua, non riuscendo però a trattenere un sorriso.

Ville scostò i capelli dal mio collo, poggiandoli oltre la spalla sinistra, e allacciò il ciondolo, sfiorandomi la pelle con le dita fredde.

“Scusa” mormorò, sentendomi rabbrividire.

“Non importa”

“Adesso hai anche il tuo amuleto portafortuna. Sei pronta?”

“Mh-mh” non riuscii a replicare una risposta di senso compiuto.

“Allora rilassati” mi disse, avvolgendo un braccio intorno alla mia vita e facendo aderire il suo corpo alla mia schiena. Usai ciò che restava del mio autocontrollo per obbedire alla sua richiesta.

Lo sentii ben presto ridere a fior di labbra: “Hai ancora paura vero?”

“No” mentii.

“Lo sento. Il tuo cuore assomiglia ad un martello pneumatico” mi fece notare.

“Ehm…forse ancora un po’” e questa volta era in effetti la verità, anche se la causa del mio quasi collasso cardiaco non era propriamente la fifa…

“Se ti cantassi una canzone potrebbe aiutare?” mi domandò, con tenerezza.

“Prova” lo incoraggiai in un sussurro.

Rimase qualche istante in silenzio, per poi intonare con la sua voce profonda una delle sue canzoni.

 

“Your love is the only thing I live for in this world
Oh how I wait for the day your heart burns
In these heavenly flames I've already scorched in
I just want you to know I'll always be waiting”

 

Chiusi gli occhi e, stringendo la sua mano con la mia, mi lasciai completamente andare alla magia. Quasi non mi accorsi di quando la melodia si interruppe e cominciammo a scendere veloci giù per il pendio; le mie palpebre erano ancora serrate, il suo braccio intorno al mio corpo, il mio porto sicuro.

Mi dimenticai della paura, della montagna e del piccolo slittino; almeno fino a quando arrivammo a terra e finimmo quasi a gambe all’aria.

Sospettai che l’avesse fatto apposta, a farci ribaltare giusto alla fine, ma finsi di credere al suo sguardo innocente quando mi domandò mille volte scusa.

“Allora? E’ stato così terribile?”

Portai un dito alle labbra, pensierosa: “Mh, non poi così tanto”

Not at all.

 

 

_____________________________________________________________

 

Ed eccomi qui con un nuovo capitoletto^^

Oggi suno un po’ di fretta (sì dovrei essere a studiare in effetti..ma comunqueeee xD) quindi non vi beccate il solito sproloquio di mezz’ora. Attendo ansiosa i vostri commentino^^

E naturalmente un grassie gigantesco a tutti quelli che leggono e soprattutto che commentano!

 

@sis: sis solo te puoi fare ste coseXD sei la mia lettrice che non legge preferita lo sai vero?? Ti vojo beneee

 

@Bell_Lua: visto??? Ho aggiornato prima della tua partenza!! Zizi! E per la gita sono stracontentissima! Così ci possiamo vedere per il concerto! Si lo so sono una pigrona, ma sono contenta che il chap ti zia piaciuto^^ spero che non ti dispiaccia nemmeno questo! Grassieee tesora! Bacini

 

@linkin park: ahahhaha il tuo commento è stupendissimo. Ti capisco, anche a me il Valo fa il medesimo effetto! Sisi molto persone ha dichiarato di volermi uccidere dopo aver scoperto che il bacio non era vero, ma sono contenta sia stato apprezzato cmq^^ Anche in questo capitolino c’è una scena un po’ dolciosa nu? Dimmi cosa ne penzi cara! Kisseeeees

 

@Malaena: uhh che bello! Sono davvero felice che anche tu abbia iniziato a leggere questo mio scribacchiamento scleroso*.*  Davvero vuoi quel cappello? xD pensavo che mi avreste picchiato per questa idea malsana..se vuoi la Eli te lo regala volentieri..ahh no lo ha regalato a Bob, beh lo puoi rubare a luiXD ukkei sto partendo per la tangenziale..cooomunque grazie mille per il commento^^ e spero che troverai anche questo cap di tuo gusto^^ VenomousKisses

 

Alla prossima

La vostra

FallenAngel

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Capitolo 15
*** Bonfire ***


Chapter 14

 

Bonfire

 

Blooming rose or withered flower?

 

Ricordo che quando ero molto piccola ero convinta che tra le fiamme del camino abitassero tanti spiritelli, i quali, di tanto in tanto, per la smania di muoversi e il desiderio di conoscere luoghi sconosciuti, cercavano di sfuggire al fuoco che li imprigionava insieme: balzavano quindi fuori dal camino, in piccoli zampilli dorati: ma una volta usciti, lontani dal calore del fuoco stesso, esalavano sempre il loro ultimo respiro, ancor prima di aver toccato terra.

Ancora una volta riflettei su quanto fosse triste quella storia, mentre osservavo con un mesto sorriso la legna ardere allegramente nel grande camino della baita nella quale avevamo deciso di trascorrere la notte.

Cercai di rammentare chi mi avesse raccontato quella favola, ma per quanto mi sforzassi non mi riusciva proprio.

 

“Tutto bene?” domandò Luisa, sfiorandomi appena il braccio.

Mi voltai, cercando di mettere a fuoco il suo viso, dopo aver fissato tanto a lungo la luce intensa delle fiamme.

“Oh certo. Mi ero soltanto incantata”

“Fa spesso quest’effetto” annuì comprensiva “Ma, sembravi tanto infelice. Forse questa potrebbe aiutare” sorrise, porgendomi una tazza di cioccolata profumata  e fumante.

“Oddio grazie, sei gentilissima” le espressi la mia riconoscenza per quel piccolo gesto, prendendo dalle sue mani la bevanda “Comunque va tutto bene, è solo un po’ di nostalgia”

“Ti manca casa tua?” indagò con premura.

Scossi la testa istintivamente: “No, non è quello. Più che altro credo mi manchi un’infanzia che non ho mai vissuto” sospirai, più a me stessa che a Luisa.

“Oh” mormorò lei, vedendo i miei occhi tornare a rabbuiarsi “Forse non avrei dovuto chiedertelo”

“Non preoccuparti” la rassicurai “Non hai fatto nulla di sbagliato.”

Le sue labbra si incurvarono in un’espressione serena e piena di tenerezza: “So che praticamente non ci conosciamo, ma se hai bisogno di qualsiasi cosa comunque, sappi che sono pronta ad ascoltarti”

Alle sue parole mi si strinse il cuore: potevano esistere delle persone così dolci?

Annuii, senza riuscire a risponderle nulla, se non un semplice grazie.

 

D’un tratto la stanza intorno a noi si fece meno tranquilla, segno che gli altri membri del gruppo avevano deciso di raggiungerci.

“…e tu sei sempre convinto di avere ragione!” stava gridando Migè al suo cantante, il quale lo squadrava con uno sguardo di sufficienza.

“Non ne sono convinto. Io ho ragione!” sibilò Ville.

“Visto?” si lamentò il bassista alzando gli occhi al cielo e poi posandoli su un’Arianna sempre più divertita “E’ come parlare con un sordo!”

Burton si avvicinò alla moglie, affondando il viso nei suoi capelli, con un rantolo disperato: “Vi prego, fateli smettere”

“Cosa è successo questa volta?” domandò lei, piegando il capo da un lato.

“Indovina! Sempre le solite scemenze! Si sono messi a discutere di piste da  sci”

“E cosa ne sanno loro scusa? Non mi risulta che Ville abbia mai visto nemmeno da lontano un paio di sci!” intervenne Gas, tra un boccone e l’altro dell’ennesima brioche.

“Appunto! E’ proprio quello che dico anche io!” esclamò Migè, felice che qualcuno lo aiutasse a sostenere la sua tesi “Come può saperne!”

Il darkman sbuffò sonoramente, lasciandosi cadere su uno dei divanetti disposti nell’accogliente taverna: “Perché tu invece sei un esperto vero?”

“Beh almeno io…” ricominciò l’amico, ma i loro compagni riuscirono fortunatamente a sciogliere l’infinito dibattito, mettendo in mano al bassista una bella tazza di cioccolata.

 

Uno dopo l’altro, prendemmo tutti posto intorno al fuoco. Mi guardai velocemente intorno, fin quando il mio sguardo cadde sul posto vuoto accanto a Ville, il quale pareva insoddisfatto della mancata conclusione del discorso e fissava in cagnesco Migè, seduto a qualche metro di distanza.

Ma, quasi come se il mio solo sguardo avesse fatto un qualche rumore, il frontman si voltò immediatamente nella mia direzione e mordendomi il labbro inferiore, mi mancò anche solo il coraggio di avvicinarmi.

Mi accoccolai sulla poltrona vicino ad Arianna, appoggiandomi alle sue gambe con la schiena, mentre con fare materno mi accarezzava i capelli. Contro la mia volontà, mi ritrovai a volgere nuovamente gli occhi verso Ville, che sostenne a lungo lo sguardo in silenzio, senza abbassare mai le ciglia sulle sue iridi chiare. Tentai invano di sfuggire a quella prigione, ma sembrava quasi che un incantesimo governasse i miei gesti. Quasi non mi accorsi delle mie dita che si erano avvolte sempre più strette intorno alla calda tazza, fino a quando la mia pelle cominciò a bruciare e quasi rovesciai la cioccolata per terra.

 

“Hey, non ti starai mica addormentando?” sogghignò Arianna, accorgendosi del mio disastro prevenuto per un soffio.

Piegai la testa all’indietro per mostrarle la lingua: “No sono sveglissima”. Forse non lucida, ma sveglia sì.

“Ma che fine ha fatto Linde?” chiese ad un certo punto la voce di Burton.

Ci guardammo intorno curiosi, accorgendoci dell’assenza anche della sua compagna.

“Forse i piccioncini hanno deciso che per loro era già tempo di infilarsi sotto le coperte” osservò maliziosamente Migè.

“Mi spiace deluderti, ma siamo ancora qui!” Linde e Manna comparvero all’improvviso nella sala dove si respirava un forte profumo di quercia e di cedro. “E guardate cosa vi abbiamo portato!” proclamò con enfasi, mostrando con un gesto le due chitarre che trasportavano.

 

“Bravi! Che bella idea!” gridò Luisa, battendo le mani sulle gambe del marito “Mi sembra di essere tornata adolescente, con le serate intorno ai falò” sospirò sognante, e d’un tratto mi accorsi di quanto io poco c’entrassi in quel quadro. Io, che ancora ero davvero solo un’adolescente. Mi domandai come potessi apparire ai loro occhi. Una ragazzina, una sciocca, forse simpatica, ma infantile ragazzina, di cui prendersi cura. Uno svago temporaneo. L’idea prese piede nel mio animo: era questo che ero per Ville? Soltanto un intermezzo divertente e un po’ diverso della sua vita?

 

Mandando giù a fatica il denso liquido color nocciola, tentai di scacciare quei pensieri.

“Chi vuole iniziare a suonare qualcosa?” invitò Linde, lasciando vagare occhiate ammiccanti per tutta la sala.

“Inizio io” mi offrii, agitando la mano, nella speranza di distrarmi almeno un po’.

“Grande! Questo è lo spirito!” esclamò il chitarrista, porgendomi lo strumento “E cosa ci canti?”

“Ah, io non ho detto che canterò” misi ben in chiaro “Disporrò i miei umili servigi per una nobile voce” feci un profondo inchino, volgendomi verso la mia amica.

 

Arianna mi guardò senza capire per qualche istante, sbattendo frequentemente le ciglia: “Cosa…? Oh no, guarda che hai capito proprio male!”

“Su Ary non farti pregare ancora! Tanto ti abbiamo già sentito cantare. Non ti vergognerai di noi vero?” insistette il batterista degli HIM.

“Ohhh, ma basta con questa storia. Ely! Sei tu quella che adora cantare. Perché mi devi sempre mettere in mezzo?” sospirò sconsolata.

“Perché di questa canzone non conosco bene le parole” ridacchiai, lasciando scivolare il plettro sulle corde lisce della chitarra.

Dopo pochi tentativi, riuscii finalmente a ricordare gli accordi.

 

“Aspetta come faceva? Lost in the darkness, hoping for a sign” cominciai, lanciando un radioso sorriso ad Arianna, la quale stringeva mani e pugni per cercare di resistere all’impulso di mettersi a cantare una delle canzoni del suo gruppo preferito, proprio ora che le facevo l’onore di suonarla per lei: cosa che, visto il mio folle amore per i Within Temptation, non accadeva proprio tutti i giorni.

 

“I want to embrace you…” continuai, sbagliando di proposito la strofa.

I suoi occhi si spalancarono immediatamente, mentre scuoteva energicamente la testa: “No, no, no! Quella è la seconda strofa!”

“Oops, scusa” mormorai con innocenza “Non è che mi ricorderesti la versione giusta? Per favore?”

Con una sbuffata ed un gesto di sussistenza, la Rossa acconsentì finalmente a cantare: “Solo perché non voglio che rovini una così bella canzone”

Fingendo di credere alle sue stupide scuse, suonai la canzone dalle note iniziali, accompagnata dalla dolce e malinconica voce della mia amica.


Lost in the darkness, hoping for a sign.
Instead there is only silence,
can't you hear my screams?
Never stop hoping,
Need to know where you are,
but one thing is for sure,
you're always in my heart.

Chorus:
I'll find you somewhere.
I'll keep on trying until my dying day.
I just need to know whatever has happened,
the truth will free my soul.”

 

Giunta al ritornello, alzai il capo dalle corde della chitarra, per gettare un rapido sguardo sugli altri e in particolare sulle due coppie che si tenevano teneramente abbracciate, con gli occhi un po’ lucidi.

Mi resi conto di quanto amassi quella melodia, anche se questo Arianna non lo avrebbe mai saputo.

 

Lost in the darkness, try to find your way home.
I want to embrace you and never let you go.
Almost hope you're in heaven so no one can hurt your soul.
Living in agony cause I just do not know
where you are.

Chorus:
I'll find you somewhere.
I'll keep on trying until my dying day.
I just need to know whatever has happened,
the truth will free my soul

Wherever you are, I won't stop searching.
Whatever it takes, I need to know.”

Forse mi tradii da sola, quando alla fine della canzone non riuscii più a frenare la voce e sotto lo sguardo divertito e compiaciuto della mia amica, la seguii nel suo ultimo vocalizzo.

 

“Chorus:
I'll find you somewhere.
I'll keep on trying until my dying day.
I just need to know whatever has happened,
the truth will free my soul”

 

“Davvero bellissimo!” commentò Luisa, stringendo più forte la mano di Burton “Mi hai fatto stringere il cuore!”

“Veramente!” rincarò la dose Gas, il quale aveva occupato il posto che io non avevo osato prendere “Stavo quasi per saltare in braccio a Ville!”

Il darkman gli tirò una gomitata nello stomaco: “E per fortuna ti sei trattenuto!”

 

“Ma no cosa dite” si schermì Arianna “Sono un completo disastro. E’ la canzone che è magnifica, tanto che proprio tutti” e accentuò con decisione la parola tutti “alla fine cedono. Non è vero Ellie?”

Mi grattai la punta del naso con indifferenza: “Non capisco cosa tu voglia insinuare…”

 

“Ma adesso potrei fare io una richiesta?” riprese, alzando la mano, come a scuola e ignorando le mie patetiche bugie.

“Certo, tutto quello che vuoi!” la incoraggiò Manna.

La rossa non se lo fece ripetere due volte, e guardando fisso proprio la cantante avanzò la sua domanda “Lasciando il campo a chi lo fa di mestiere, mi piacerebbe tanto sentire dal vivo ‘Just for tonight’”

“Beh, correggendomi, forse non proprio tutto”

Tutti risero di gusto. “Ma cosa è successo? Come mai stasera siete tutti così timidi?” fece notare Migè “Su dai fate il vostro dovere!”

Mentre Ville faceva sloggiare il batterista, per lasciare spazio alla sua compagna di duetto, riconsegnai la chitarra al suo proprietario.

Linde se la accomodo sulle gambe con una smorfia: “Odio questa canzone” sibilò, poggiando le dita sulle corde.

“Non sarai mica geloso Lily?” ghignò leggermente Ville, avvolgendo un braccio intorno alla vita di Manna e soffiandole tra i capelli.

“Tsk” borbottò il chitarrista irritato “Geloso di te? Dovrei essere messo veramente male!”

Ma dopo qualche secondo aggiunse: “Ma tu tieni lontani i tuoi tentacoli dalla mia donna!”

 

Dopo che tutti ebbero smesso di ridere, il chitarrista diede finalmente avvio alla prova.

Ville e Manna, si sistemarono più comodi, l’uno di fronte all’altra raddrizzando il busto, e poi cominciarono a cantare.

 

“Too late, won't stop
Tonight I want to go deeper
Tomorrow takes it all away
Time's running out
The night is only a shell
Soon morning comes and breaks the spell
To the yesterday, to a dream

Just for tonight, we'll keep on dancing
And the city won't tell a soul
Just for tonight, the lights are shining
And our secret stays untold”

Involontariamente, mi abbracciai le ginocchia strette al petto che si alzava e abbassava veloce, mentre lunghi brividi attraversavano la mia spina dorsale. Il connubio delle due voci era quasi divino, e neanche lontanamente paragonabile alla riproduzione attraverso un qualsiasi lettore cd o mp3. Ma con mio sgomento, mi accorsi che ciò che stringeva le mie viscere, non era soltanto la meraviglia per quel canto così melodioso. No. Era un’irrazionale e stupida gelosia, per gli sguardi che i due si scambiavano durante il duetto. Desideravo con tutta me stessa poter essere io la meta di quegli occhi così profondi, la musa a cui erano dedicati quei versi, l’unica persona a poter godere di ogni singola nota, di ogni minimo sussurro, di ciascuno di quei piccoli sospiri che Ville si lasciava scappare per prendere fiato e ricominciare una nuova frase.

Respirare mi divenne quasi impossibile, e ad ogni boccata sentivo i polmoni bruciare. Sperai davvero con tutto il cuore che nessuno si accorgesse della mia follia.

Non mi riconoscevo nemmeno più. Cosa mi stava succedendo? Non avevo mai creduto di essere così dannatamente sciocca.

 

“These streets are mine
Tonight I'll keep on walking
Won't stop as long as the city sleeps
Don't look back once
Or you might turn around
Tonight I'll give myself to you
And our secret stays untold

Just for tonight, we'll keep on dancing
And the city won't tell a soul
Just for tonight, the lights are shining
And our secret stays untold
Just for tonight, we'll keep on dancing
And the city won't tell a soul
Just for tonight, the lights are shining
And our secret stays untold

(They can't see us now)
They can't see us now
(They won't catch us now)
They can't see us now
(They can't see us now)
They can't see us now
(They won't catch us now)
They can't see us now”

 

Terminato il brano il darkman si esibì in buffo inchino, alzandosi per andare a prendere qualcosa da bere. Voltai saggiamente il capo. Non ero sicura di cosa avrebbe potuto leggere nei miei occhi.

 

“Dai Lily. Perché adesso non ci delizi tu con qualche canzoncina?” propose, tirando una sonora pacca sulla spalla dell’amico.

Linde gli gettò un’occhiata di ghiaccio: “Non vorrei umiliarti…”

“Correrò il rischio” gli assicurò il darkman, stappandosi una bottiglia.

Il chitarrista sembrò pensarci un attimo su, prima di accettare: “Ma vorrei Elisa come compagna”

O il mio cervello iniziava a farmi brutti scherzi, o Ville ci impiegò più del dovuto ad inghiottire la sua birra, prima di alzare le spalle, senza un commento.

 

Raccolsi dal muro contro cui era appoggiata la seconda chitarra, e mi andai a sedere accanto a Linde.

“Vuoi rubarmi il mestiere?” mi accusò con un sorriso.

Scossi la testa leggermente: “Ho solo voglia di tenere le mani occupate”

“Cosa vuoi cantare?”

“Mmh” mormorai, cercando di trovare un brano adatta. Mi ricordai all’improvviso di aver letto tempo addietro che tra gli idoli di Linde vi era anche Slash, dei Guns. E pensando al gruppo di Axl Rose, una sola canzone riempì subito la mia testa, insieme con l’immagine di un ragazzo speciale che un giorno aveva deciso di dedicarmela. L’unico ragazzo di cui mi ero innamorata e che senza volerlo, mi aveva spezzato il cuore.

Sorrisi del passato, mentre piccoli flash attraversavano la mia mente.

 

“Credo di avercela!” comunicai raggiante al chitarrista, iniziando ad eseguire le primissime note della ballata, e accorgendomi con piacere che le rammentavo tutte ancora molto chiaramente.

Non appena mi misi a fischiare seguendo il motivo, tutti capirono immediatamente di che canzone si trattava.

Non tutte le reazioni furono però uguali: Linde annuì felice, mentre i suoi lunghi dreads ondeggiavano con vigore. Ville invece nascose il viso tra le mani mugolando: “Noo, ti prego. Perché hai ritirato fuori i Guns! Adesso quello lì chi lo trattiene più?”

“Sapendo che non ti è gradita sono ancora più orgogliosa della mia scelta!” affermai, con una smorfia infantile, illudendomi che gesti così puerili potessero farmi stare meglio.

Il frontman mi rivolse uno sguardo incerto, che non riuscii a decifrare.

Fortunatamente Linde mi richiamò alla realtà, invitandomi a suonare insieme a lui.

 

“Shed a tear 'cause I'm missing you
I'm still alright to smile
Girl, I think about you every day now”


Intonai, mentre le mie mani si muovevano veloci e sicure lungo il manico della chitarra, e i miei lunghi capelli si muovevano leggeri a tempo con la musica.

 

“Was a time when I wasn't sure
But you set my mind at ease
There is no doubt you're in my heart now”

 

Continuò il chitarrista, mentre la mia testa affondava sempre più nel vortice psichedelico della musica e della memoria. Ed un prato primaverile lussureggiante di fiori scarlatti aveva sostituito la piccola baita con le pareti di legno chiaro.

 

“Said woman take it slow
It'll work itself out fine
All we need is just a little patience
Said sugar make it slow
And we'll come together fine
All we need is just a little patience”

 

Ed ero sola. Sola con il mio Stefano. L’unico ad avermi fatto sentire felice e completa con un singolo, tenero bacio e il suo sguardo dolce e pieno di desiderio; desiderio che però aveva saputo sempre controllare perché, nonostante io credessi di essere già una donna. a dispetto dei mie sedici anni, esperta della vita, per lui ero rimasta sempre un bocciolo di rosa, non ancora pronto ad aprirsi.

Non ero mai riuscita a decidermi se avesse avuto torto o ragione; forse quel fiore era già sbocciato e appassito molto tempo prima del suo arrivo.

 

Socchiusi le palpebre, per sbirciare il volto sereno e allegro di Linde, mentre attaccava con la seconda strofa, dandoci dentro al massimo.

 

“Sit here on the stairs
'Cause I'd rather be alone
If I can't have you right now, I'll wait dear
Sometimes, I get so tense
But I can't speed up the time
But you know, love, there's one more thing to consider”

 

Quella canzone mi aveva fatto decisamente bene. Per un tacito accordo decidemmo di aumentare un po’ il ritmo e l’intensità delle battute, solo per quell’ultimo ritornello.

 

“Said woman take it slow
Things will be just fine…”

 

Sollevai il capo, mentre i miei occhi si trovavano ancora una volta a collidere con quelli profondi e magnetici del darkman.

Ma questa volta – potevo sentirlo - non ero io ad avere paura.

 

“You and I'll just use a little patience”

“Said sugar take the time
'Cause the lights are shining bright
You and I've got what it takes to make it
We won't fake it, Oh never break it
'Cause I can't take it”

E così, tra una canzone e l’altra, trascorremmo tutta la sera, e buona parte della notte.

Nessuno potè esimersi da almeno una performance, anche se Ville si rifiutò di cantare ancora, soprattutto quando gli domandai di cantare ‘Resurrection’.

Poi qualcuno iniziò a mostrare i primi segni della stanchezza.

 

“Migè! Mettiti una mano davanti alla bocca quando sbadigli!” Linde strapazzò per bene l’amico “Vedere tutto il tuo apparato digerente non è la nostra massima aspirazione nella vita!”

Il bassista alzò le spalle con noncuranza: “Sorry ragazzi, ma sarà meglio che io e il mio posteriore andiamo a far conoscenza con il nostro letto. Sono troppo vecchio ormai per certe cose”

“Migè ha ragione; si è fatto tardi, sarà meglio andare a dormire. Domani noi non possiamo tornare a casa troppo tardi” disse Manna rivolgendosi al compagno “Ho chiesto a Matleena di tenere Olivia solo in mattinata. Non possiamo abusare della sua disponibilità”

Così tutti ci dirigemmo verso le rispettive camere.

 

Ma mentre stavo per salire le scale a chiocciola, che mi avrebbero condotto al piano superiore dove era situata la mia stanza, Gas mi chiamò, chiedendomi di accompagnarlo un momento fino alla cucina.

Dopo aver scambiato un’occhiata curiosa con Arianna, decisi di seguire il batterista nella sua spedizione.

 

“Cosa ti succede? Hai paura di arrivare alla cucina da solo?” lo presi in giro non trattenendo un sorriso.

“Beh sì, in effetti ho un po’ paura del buio” confessò “Ma soprattutto avevo bisogno di chiederti una cosa”

Raggiungemmo la sala fiocamente illuminata e mi accomodai sopra il tavolo, salendovi con una leggera spinta delle braccia, attendendo maggiori informazioni “Vai avanti”

“Ricordi il mio desiderio di averti nella nostra band?” domandò, versandosi un’altra tazza di cioccolata, contenuta in un immenso termos.

Cominciai a dondolare con un movimento cantilenante le gambe, seguendo la loro ombra riflessa sul pavimento “Sì certo che ricordo! Ma, per quanto odi Ville, non potrei mai rubare la sua band!” gli comunicai con un ghigno.

“Lo sospettavo. E ho messo da parte definitivamente i sogni per un progetto a lungo termine. Tuttavia” si fermò un momento per bere “potrebbe essere un’eccezione…”

Una profonda ruga si scavò tra le mie sopracciglia: “Cioè?”

“Ci piacerebbe – cioè a me e agli altri – che cantassi una volta con noi”

“Vuoi dire duettando con Ville?”

Scosse la testa: “No, in realtà al posto di Ville”

Il mio sguardo di risposta fu molto scettico: “E lui sarebbe d’accordo?”

“No, cioè, lui non lo sa” Gas confermò i miei dubbi “Ma perché è una sorpresa, per lui intendo. Sarebbe una piccola sorpresa per lui” ripetè con aria angelica.

“Non so…” cincischiai.

“Eddai! Sarà divertente. E ti garantisco che lui gradirà moltissimo lo spettacolo!” mi assicurò, con un sorriso a trentadue denti.

 

Ci pensai un momento: alla fine avevo già cantato in pubblico, cosa potevo perderci? E poi, quando mai si risarebbe presentata un’occasione del genere?

Decisi di acconsentire: “Va bene…”

“Fantastico!” esultò il batterista “Sono sicuro che sarai una Venere perfetta!”

“Cosa?” sbottai. Ma non ero sicura di voler sapere esattamente a cosa avevo appena accettato di andare incontro.

Una…Venere?

 

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Ma salve^^

Ecco qui il nuovo capitolo dopo meno di una settimana! Mi sorprendo di me stessa xD

Capitolo piuttosto canoro, ma ogni tanto mi piace inserire un po’ di canzoncine nella storia: e siccome poco tempo fa ero stata colta da una fissa assurda per Patience ho dovuto mettercela dentro xD Non ho idea se a Ville piacciano oppure no i Guns e naturalmente anche la storia dello sci viene dalla mia testa xD

Ma adesso bando alle cianciozzole e passiamo ai ringraziamenti.

 

@Sis: siiis ma tu vuoi fare piangere me!! *.* anche io ti vojo troppo troppo troppo bene. In questo capitoluzzo mettere Just for tonight mi fa pensare troppo alla prima volta che l’abbiamo ascoltata insieme *lacrimuccia*. Non vedo l’ora di riabbracciarti. The Villers alla conquista. Muahahahahhahah

 

@Malaena: ma grassieeeeee. Sono felice tu abbia apprezzato le frasi pazze che la mia testa produce xD  eh sìììì la scena sullo slittino è una delle mie preferite: naturalmente spero tu sia riuscita a immedesimarti per bene^^ Uhh se poi ascolti “Our diabolikal rapture” nell’mp3 e senti solo con la cuffia destra, quando c’è il pezzo che ho messo nel capitolo scorso, senza la base musicale, sembra proprio che Ville ti sussurri nell’orecchio e immedesimarsi è ancora più semplice!hihihi! Grassie ancoraa^^ Nun vedo l’ora che aggiorni anche tu. Besi

 

@Vampire_Heart: zizi è esattamente quello che penso anche io! Potrebbe essere anche travestito da pollo o da melanzana, ma sarebbe lo stesso paurosamente sexy! Suno tanto contenta che il capitolo ti sia piaciuto e mi si sono illuminati gli occhietti vedendo anche il tuo nome tra i commenti^^ Fammi sapere cosa pensi di codesto. baciuetti

 

@Crist: chiedo umilmente perdono! Lo so! Hai ragione! Anche una mia amica prima o poi mi ucciderà nel sonno per lo stesso motivo xD Devi sapere che questa storia ha tutta una sua scaletta, che sto a mano a mano accorciando, per l’evidente fatto che sta diventando chilometrica: d’altra parte ogni volta mi viene in mente qualche altra idea, e inoltre il rapporto tra Ville ed Elisa è ai miei occhi sempre complicato a causa della differenza di età e sto cercando di immedesimarmi al massimo nei pensieri e nelle paure che possono assalire entrambi. Ma non preoccuparti: ancora poco e finalmente si vedrà qualche sviluppo sostanziale!! Sìsì lo so, anche io ho per certi versi quell’immagine di Ville, ma in questa storia mi sono concentrata su quel lato dolce e romantico (e anche un po’ stupido xD) che sono convinta che possieda. Sono davvero stracontenta di scoprirti lettrice della mia storia^^ grassie mille per il commento e continua a farmi sapere la tua opinion! L’ho molto apprezzato. A prestooo! Baciiz

 

@Bell_Lua: Luuuu! Suno contenta ti sia piaciuto tanto^^ Grassie grassie! E sono ancora più felice di sapere che ci sarai di certoo! Ho aggiornato stasera nella speranza che tu possa leggerlo prima di partire. Altrimenti quando torni^^ Buona gitaaaa! Ci vediamo tra pochizzimo. Suno curiosa di sapere cosa ne pensi (scrivere Axl Rose mi ha fatto pensare ad una certa persona che non deve essere nominata xD) Zaaaaau

 

@linkin park: ma sera caVa!! *.* uhh me felice ti sia piaciuto tanto! Anche io vojo un regalo da villucciooooo..vabbè mi modero xD Spero che anche questo chapter sia di tuo gradimento o mia fedele lettrice. Baciuuni

 

Adesso vi lascio!

Alla prossima

La vostra

FallenAngel

 

 

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Capitolo 16
*** Labyrinthine thoughts ***


Chapter 15

 

Labyrinthine thoughts

Find an answer inside your heart

 

12 Maggio

 

Vorrei tanto che venissi con noi…Non me la sento di andarmene e non vederti più per chissà quanto tempo… Non mi interessa essere ragionevole…”

 

“Liz, tutto okay? Ti sei fatta male?”

Sollevai il capo all’insù, ritrovandomi a fissare il volto preoccupato di Gabriel, che mi allungava una mano per aiutarmi ad alzare. La afferrai, scuotendo la testa brevemente, e cercando di rimettermi in piedi e recuperare un po’ del mio precario equilibrio.

Ma le mie gambe indolenzite non sembravano essere del medesimo parere: rischiai di scivolare più volte sulla pista ghiacciata, prima di raggiungere una posizione verticale.

Nel frattempo, un piccolo teatrino si era già formato intorno a me, attirato dalla mia rovinosa caduta.

 

“Nulla di rotto?” domandarono le altre voci impensierite e curiose dei miei amici.

Agitai le mani in avanti, per scacciare tutta quella folla: “Sì,sì…tutto bene! Caspita, sembra che non abbiate mai visto nessuno cadere su una pista di pattinaggio” sbuffai scontrosa, e piuttosto imbarazzata.

Luke si avvicinò, tirandomi una piccola pacca sulla spalla: “Questo lo dici perché non hai visto il volo che hai fatto!”

In effetti il mio fondoschiena si stava lamentando alquanto, ma non era certo il caso di ammetterlo.

Strascicai i pattini per un metro o due, fino a raggiungere il parapetto. “E’ stato così orribile?” domandai poi ad Arianna, che ricambiò il mio sguardo mordendosi un labbro per trattenere una risata.

“Beh…” tentò di essere il più possibile diplomatica “Diciamo che è stato memorabile.”

Sentii l’impulso di gettarmi al di là del parapetto, e iniziare a correre a perdifiato tra gli spalti e via, fuori da lì. Ma con quei pattini ai piedi non sarei andata di certo lontano. Al massimo sarei finita a gambe all’aria un’altra volta.

“Va bene, evito di indagare. Ma ora lasciatemi un attimo riprendere. Arrivo subito”

Gabriel continuò a fissarmi pensieroso: “Sicura? Se vuoi posso aspettare qui un poco con te”

Gli diedi una spinta scherzosa: “Dai, lasciami crogiolare un po’ nella vergogna da sola”

 

Gli seguii con gli occhi, mentre si allontanavano veloci verso il centro della pista, un turbinio di colori che si mescolavano nel freddo del mattino, al ritmo di una musica decisamente troppo pop, almeno per i miei gusti.

Ed ora che sei rimasta sola, mia cara Elisa, ti meriti una bella lavata di testa.

Sognare ad occhi aperti era decisamente l’ultima cosa da fare mentre sfrecci sul ghiaccio, supportata soltanto da due sottili lame di acciaio, questo lo sapevo bene.

Soprattutto per me, che avevo il brutto difetto di non saper fare due cose contemporaneamente e che, diciamolo, non ero proprio una pattinatrice provetta.

Ecco, ci ero ricascata di nuovo! Mi ero rimessa a pensare a quello stupido sogno. Ero decisamente più immatura di quanto la gente potesse pensare.

Forse mi ero meritata di volare per terra, anche se sarebbe stato meglio picchiare la testa e perdere quella sottospecie di impulsi nervosi che ancora osavo chiamare facoltà mentali.

 

Concentrandomi su ogni movimento che compievo rincorsi i miei amici e mi aggrappai al bomber grigio di Andrea, il quale per poco non perse l’equilibrio a sua volta.

Si girò nella mia direzione, quasi fulminandomi con i suoi occhi castani: “Cosa stai combinando? Se hai voglia di spatasciarti sul ghiaccio fallo da sola!”

In tutta risposta gli feci una smorfia e lo abbracciai stretto stretto: “Lo sai vero che ti voglio tanto, tanto bene?”

Lui sbuffò, senza nemmeno degnarmi di un altro sguardo, borbottando ancora una volta qualcosa sul fatto che non gli avevo ancora fatto conoscere i membri della sua band preferita.

 

Continuammo a pattinare abbracciati, quando, ad un tratto, mi sentii sollevare e mi ritrovai a volare a mezz’aria, ad una velocità decisamente eccessiva per i miei standard.

Serrai gli occhi spaventata e mi abbarbicai a quel pazzo che aveva deciso di sfidare le leggi della fisica.

Quando li riaprii per una frazione di secondo, l’immagine che registrai non fu quella che mi sarei aspettata: “Gabriel?” stridetti sorpresa “Cosa hai intenzione di fare? Credevo che queste cavolate le potesse pensare solo Luke! Meglio se mi metti giù”

Sentii distintamente il suo petto vibrare, scosso dalle risa: “Non ti mollo, non preoccuparti”

Questo non era di certo molto rassicurante: anche se non mi avesse lasciato andare e fossimo finiti insieme oltre il parapetto o contro un povero pattinatore innocente non credo che sarebbe stato divertente comunque.

Cercai di rilassarmi, respirando profondamente, mentre il dopobarba di Gabriel mi pizzicava le narici; ma avevo un impellente bisogno di rimettere i piedi per terra.

“Dov’è il mio Andrea? Ti prego, fammi scendere e riportami dal mio Papà Orso” balbettai con voce tenue.

“Potrei anche offendermi” mi fece notare il finlandese, fingendosi arrabbiato, mentre però rallentava la sua corsa.

Scossi la testa, o almeno la scossi di qualche millimetro prima a destra e poi a sinistra, quasi avessi avuto paura che un gesto troppo brusco ci avrebbe fatto saltare in aria come una bomba ad orologeria.

“Nulla di personale, solo tanta voglia di sentire il terreno sotto ai piedi” cercai di mantenere un tono di voce neutro, per non ferire davvero i suoi sentimenti, ma quando finalmente fui riposata a terra tirai un sospiro di sollievo.

 

Non appena Andrea mi fu accanto riallacciai le braccia intorno alla sua vita e gli intimai di fermarsi.

“Hey che ti hanno fatto?” sghignazzò Luke ponendosi a due centimetri dal mio naso “Hai un colorito decisamente verde”

“Mh” mugugnai, affondando il viso contro il petto del mio protettore.

Quando non avevo la forza di rispondere alle provocazioni di quell’arrogante, era un chiaro segno che stessi davvero male.

“Temo non sia stata una grande idea” commentò il cantante, tirando una gomitata a Gabriel “Di certo non la giusta tecnica per conquistarla” aggiunse abbassando la voce, ma non abbastanza perché io non potessi sentire.

Mi comportai tuttavia in modo noncurante, come se non avessi capito proprio nulla, per evitare di mettere in imbarazzo il povero finlandese, che sembrava aver perso tutte le parole.

 

“Dov’è la mia sorellina?” domandai d’un tratto, per cambiare argomento, mentre mi staccavo a rallentatore dall’ala della mia chioccia per dare un’occhiata intorno.

Fu Andrea a riconoscerla per primo, qualche metro più in là, mentre chiacchierava animatamente con l’ennesimo ragazzo, che pendeva completamente dalle sue labbra.

“Quella donna è incorreggibile” commentò Danny scuotendo la testa “Darle della ‘Mangiauomini’ è un eufemismo” La sua affermazione fu accompagnata da diversi commenti di assenso.

“Siete solo gelosi!” li rimbeccai “Solo perché lei ha uno charme che voi non potreste nemmeno raggiungere con una pozione magica!”

 

Mi voltai verso Luke, aspettandomi un’altra risposta per le rime, ma le sue labbra erano serrate, e sospettavo non avesse sentito una sola sillaba di quello che avevo appena detto.

Il suoi occhi erano tesi e ridotti a due fessure, e il suo sguardo sembrava perso nel vuoto; ma non era affatto così.

“Ora ha superato il segno” sembrò bofonchiare, prima di ripartire a tutta velocità sui suoi pattini, che stridettero quasi sul ghiaccio, lasciandoci tutti allibiti.

“Ma cosa ha intenzione di fare?”

Io e Andrea ci scambiammo una rapida occhiata, e quella bastò per spingerci a seguire il nostro amico, ad un’andatura naturalmente un po’ meno sostenuta.

Era meglio non sottovalutare gli scatti di quella testa calda di Luke: non si sapeva mai a cosa potevano portare…

Raggiungemmo la nostra meta, appena in tempo per sentire il cantante intimare ad Arianna di seguirlo, dopo averla presa per un braccio.

Il viso della ragazza si trasformò in una maschera di stupore: “Che cosa? Ma sei impazzito?”

Lui non rispose, ma la trasse verso di sé, mentre la Rossa cercava di liberarsi dalla sua presa.

“Lasciami subito andare!”

“Luke, ma cosa stai facendo?” cercò di intervenire Andrea, ora visibilmente preoccupato, contemporaneamente al ragazzo sconosciuto, che squadrava con aria truce il cantante.

Questi aprì finalmente la mano, liberando il braccio di Arianna e scivolando indietro sui pattini.

 

“Ma cosa ti ha preso?” Andrea si mise in mezzo ai due, sperando che la situazione non si sarebbe risolta in una rissa.

La mia amica teneva i pugni serrati e le labbra strette in una smorfia adirata. Il biondino, che portava la frangia liscia troppo lunga sugli occhi verde acqua, tentò di avvicinarsi, ma lei non sembrò nemmeno accorgersene. Si spinse più avanti, dando una spintone a Luke in pieno petto, mentre i suoi palmi affondavano nella calda giacca. Lo colpì una volta, e poi ancora un’altra.

“Cosa credi di fare eh? “ lo assalì.

Lui cercò di mantenere la posizione, barcollando pericolosamente: “Devi smettere di fare la gatta morta con tutti quelli che ti capitano a tiro!” affermò, storcendo il naso e non abbassando lo sguardo nemmeno per un secondo.

“E da quando le persone con cui parlo sono diventate una tua preoccupazione?” domandò lei sarcastica.

Luke parve perdere d’un tratto la parola: “Da quando…da quando tu...ohh! devi smetterla e basta!”

Un silenzio glaciale calò come un sipario sul loro scambio di insulti.

“Ragazzi non credo che…” la voce di Andrea sembrò scalfire appena quella cupola di ghiaccio che li aveva avvolti.

“E tu zitto!” gridarono in coro i due litiganti, che solo per quel momento sembravano essere finalmente d’accordo su qualcosa, pur continuando a guardarsi in cagnesco, prima di voltarsi entrambi ed andare per la loro strada, da soli.

 

“Qualcuno mi spiega cosa diavolo è successo?” mormorò il bassista, la bocca ancora aperta come un pesce.

Aggrottai la fronte pensierosa: “Non ne ho assolutamente idea.”

Il comportamento di Luke era stato inspiegabile, la reazione di Arianna altrettanto esagerata.

Avrei voluto subito rincorrerli uno per uno, e interrogarli fino allo sfinimento; ma sfortunatamente non avevo proprio tempo.

Un gruppo di quattro personaggi altrettanto matti mi stava aspettando per non sapevo ancora esattamente quale impresa.

 

**

 

Con un leggero mal di testa e la gola un po’ secca, mi accoccolai sui gradini della scala di emergenza godendomi la mia meritata, anzi meritatissima pausa.

A pranzo avevo mangiato un panino di corsa per evitare di arrivare in ritardo e adesso che il mio cervello dava i primi segni della carenza di zuccheri non c’era una fiesta a soccorrermi.

Non avevo mai pensato a quanto stressante e faticoso fosse cantare, ad un livello superiore di quello semplicemente amatoriale. Ma lo era, caspita se lo era…

“Ti abbiamo distrutto?” ridacchiò Linde comparendo alle mie spalle tutt’ad un tratto, facendomi sussultare. Questi ragazzi avevano il potere di ritrovarmi anche nei posti più impensabili.

 

Feci un gesto di diniego con la mano, ma a giudicare dalla smorfia divertita del chitarrista non dovevo essere stata molto convincente.

“Spero non riporterai danni permanenti” mi prese in giro, appoggiandosi alla ringhiera e scostandosi un dread dal viso.

Mi fermai a pensare su quanto tempo fosse stato necessario per creare la sua elaboratissima capigliatura e fui quasi sul punto di chiederglielo, ma mi trattenni, onde evitare di fare la figura della perfetta idiota.

“Lo spero anch’io” sospirai “Ma non ci metterei una mano sul fuoco”

“Non è poi così facile fare la rock star eh?”

“Decisamente no. Non oso pensare come sia farlo per tutta la vita!”

Linde mi rivolse un altro sorriso, ma questa volta velato di tristezza: “E’ una carriera gratificante certo, ma a volte ti sembra di non riuscire ad andare avanti un altro giorno, sopportare la tensione e la stanchezza. E poi mi piacerebbe passare più tempo con la mia Olivia”

 

Lo guardai attentamente, e vidi davanti ai miei occhi non il chitarrista della mia band preferita con la sua gibson in mano, ma un semplice uomo che desiderava poter avere un po’ più di tempo da dedicare alla sua bambina. Che la fama non è tutto è di certo una gran verità, sebbene nessun uomo comune lo pensi. Eppure chi può dire quale sia la scelta migliore? Ogni strada imboccata ha i suoi pro e contro.

 

“E’ una bambina estremamente intelligente sai? E furbissima” mi assicurò, mentre i suoi occhi si illuminavano “Devo assolutamente fartela conoscere!”

Sorrisi a mia volta “Sarebbe fantastico!” esclamai entusiasta. Vedere un padre parlare con tanto orgoglio di sua di figlia mi riempì il cuore di gioia.

“Appartenere ad un gruppo ed eseguire tour in tutto il mondo è una vita difficile e piena di incertezze” proseguì, facendo scivolare le dita sul corrimano con estrema lentezza, perso nei suoi pensieri “Ma è bello sapere che c’è qualcuno sempre pronto ad appoggiare le tue decisioni e ad aiutarti. Se non avessi Manna e la mia piccola, non so come farei”

 

Alzò lo sguardo all’improvviso, intrappolando il mio: “Per Ville non è così. Lui non ha mai trovato una persona che sapesse volergli bene davvero e che lo aiutasse ad andare avanti, senza aspettarsi nulla in cambio. E’ molto più fragile di quanto sembri”

Sentii l’impulso di abbassare gli occhi, ma non ci riuscii. Ad ogni sua parola sentivo il sangue gelarsi nelle mie vene. Perché lo stava venendo a dire a me?

Mi morsi un labbro, non sapendo cosa dire.

“Si merita qualcuno che lo apprezzi per quello che è, non per quello che rappresenta, ma tutti sembrano attratti soltanto dalla sua fama”

Iniziai a sentire caldo al viso, mentre il mio cervello lavorava all’impazzata. Possibile che Linde potesse pensare che avevo anche la minima intenzione di ferire Ville e che mirassi soltanto a farmi pubblicità?

 

Mi alzai di scatto in piedi, a fronteggiarlo: “Di certo queste persone non hanno capito proprio nulla e non sono degne nemmeno di averlo conosciuto. Forse un giorno capiranno i loro errori, ma fin quando non lo avranno fatto saranno le uniche a perderci veramente. Ma c’è qualcuno, qualcuno che ha soltanto da chiedere grazie, a cui è già stato dato tanto e che vorrebbe trovare solo un modo per ricambiare” Parlai veloce, masticando le sillabe tutt’ad un fiato, tanto che dubitai avesse capito un acca di tutto quel discorso contorto. Le mie guance ormai erano in fiamme e mi sentii una perfetta idiota imbarazzata.

 

Ma l’espressione stupita di Linde si addolcì ben presto: “Sarà meglio tornare” suggerì con dolcezza “La nostra cantante ha bisogno ancora di qualche prova, non credi?”

Annuì brevemente, seguendolo su per la scala.

 

**

 

 

14 Maggio

 

Di certo non si poteva dire che il discorso di Linde non mi avesse toccata.

Non riuscivo ancora a capire il motivo per cui il chitarrista mi avesse rivolto parole che mi avevano graffiata tanto. Che avesse frainteso le mie intenzioni? Mi considerava forse una fan sanguisuga, desiderosa soltanto di finire sulla prima pagina di qualche rivista scandalistica?  Che avesse scoperto tutto quello che era successo più di una settimana prima? Ma proprio per questo non riusciva a capire che io non volevo proprio nulla?

Troppe domande affollavano la mia testa e ad ogni colpo di spazzola sembrava che una bomba fosse sul punto di esplodere. Con tutti quei colpi di spazzola prima o poi non ci sarebbe stato più nulla da pettinare.

 

Appoggiai la spazzola sul comodino e sfiorai lo specchio con l’indice, tracciando il profilo del mio volto triste. Forse avevo sbagliato a rispondere agli inviti di Ville, forse avrei dovuto lasciar perdere dall’inizio, dimenticare ciò che era successo.

D’altro canto non avevo fatto nulla. Nulla di male.

Mi alzai in piedi e spalancai l’armadio, iniziando a tirar fuori abiti alla rinfusa dai cassetti. Ben presto la trapunta cobalto scomparve, coperta da macchie di colore e forme indistinte. Continuai a lanciare vestiti, fino a quando nei cassetti non rimase più nulla.

Raccolsi da terra un abito rosso e legai con cura i nastri al collo. Nascosi i miei occhi sotto uno strato troppo pesante di matita, dipinsi le mie labbra di un rosso che risaltava come sangue sulla mia pelle diafana.

 

Il giorno seguente avrei detto ai ragazzi che non me la sentivo più di cantare insieme a loro. Da quella sera stessa avrei cominciato a vivere una vita reale, chiudendo per sempre i miei sogni in quello stupido cassetto lasciato vuoto.

Avvertii Gabriel che accettavo l’invito a cena per quella sera e mi sedetti a terra, appoggiata contro il muro freddo e spoglio aspettando che arrivassero le 7, cercando dentro di me un po’ di quella che forza che tante volte mi aveva aiutato.

Non sarebbe stato facile sbattere la porta in faccia ad un sogno così allettante, ma probabilmente era meglio farlo prima che qualcuno potesse farsi del male.

 

Trovata almeno un po’ di calma, mi rimboccai le maniche e cominciai a mettere un po’ d’ordine in quel campo di battaglia.

Quasi per caso, passando accanto al comodino, mi accorsi che il telefono stava squillando.

Risposi, senza pensarci, senza guardare il numero sul display, troppo presa da altre questioni nella mia testa.

“Pronto?” risposi distratta, il cellulare incastrato tra la mia guancia e la spalla, mentre tentavo con non troppa delicatezza di infilare un maglione in quello che, evidentemente, non era il suo posto.

“Ciao” rispose Ville semplicemente, senza troppo entusiasmo, senza alcuna nota ironica, senza tristezza, senza stizza. Semplicemente.

“Ciao” replicai con voce atona.

“Tutto bene? Ti sento strana”

Deglutii, accostandomi allo stipite della porta. Provai ad aprire bocca per rispondergli che andava tutto straordinariamente bene, soprattutto perché non lo vedevo da due giorni, ma non riuscivo a mentire.

 

“Non è stata una grande giornata a dire il vero” sospirai infine, lasciandomi scivolare fino a sedermi a terra.

“Neanche la mia a dire il vero” ripetè lui, facendomi il verso. Ero sicura che in quel momento le sue labbra fossero incurvate in un sorriso, cosa che mi fece storcere il naso e irritare non poco.

“Mi sta prendendo in giro, signor Valo?”

La sua risata di scherno penetrò dritta nel mio orecchio: “No, no, stavo dicendo sul serio” si fermò un momento, come a riflettere, per poi riprendere qualche istante più tardi “Ma in effetti ti stavo anche prendendo un po’ in giro”

Inarcai le sopracciglia, ma ricordandomi che non poteva vedermi sbuffai: “Sei davvero divertente”

“Hey, qualcuno si sente acidello oggi! Temo che l’astinenza da Ville Valo faccia proprio male; non hai sentito qualche canzone per tirarti un po’ su? Lo so che ascoltare solo la mia voce non è abbastanza, ma può aiutare…”

 

Sebbene tentassi di fare la scorbutica, Ville riuscì inevitabilmente a strapparmi un sorriso: “Hai ragione, non è affatto come poter vedere la tua faccia da schiaffi”

“Lo prenderò come un complimento!” borbottò, fingendosi offeso.

“Oh, non lo è proprio!”

Non sapevo esattamente perché mi stessi comportando in quel modo. Forse perché mi terrorizzava ammettere che, nonostante i miei buoni propositi, Ville aveva perfettamente ragione: non lo vedevo da due giorni e mi mancava terribilmente. E il pensiero di non vederlo più mi faceva ancora più male. Ero una sciocca. Un’emerita sciocca.

 

“Come mai hai chiamato?” domandai in un sussurro: una parte di me desiderava mettere fine a quell’agonia. L’altra, sperava che per qualche strano motivo la conversazione non potesse avere termine.

“Non lo so neanche io esattamente” mormorò con sincerità “Prima ancora di pensarci veramente avevo già digitato il numero. E’ una cosa stupida?” domandò, e sembrava volesse conoscere davvero ciò che ne pensassi al riguardo.

Rimanemmo in silenzio per mezzo minuto buono ed io ascoltai il suo respiro lento attraverso la cornetta, ad occhi chiusi, prima di decidermi finalmente a rispondere.

“Sì…forse…probabilmente” blaterai parole sconnesse.

“In realtà una scusa l’avevo” si ricordò d’un tratto “Per chiamare intendo”

“Ah sì?”

“Volevo assicurarmi che domani sera venissi al Midnight Wish. Migè mi ha garantito che già lo sapevi, ma ho voluto comunque esserne certo per conto mio. Anche se, adesso che ci penso, non riesco a capire esattamente come lui faccia a saperlo” nella sua voce potevo percepire il dubbio e la curiosità.

“Ve l’ho detto l’altra sera” mentii “Non te lo ricordi più?”

“Uhm, forse hai ragione. La vecchiaia fa brutti scherzi talvolta…”

 

“Ville…” lo fermai, biascicando il suo nome.

Luì tacque all’istante, per ascoltarmi.

Cercai ancora una volta le parole adatte, per dirgli che in realtà avevo cambiato idea, che non sarei venuta, che non sarei più venuta…

“Cosa c’è Liz?” mi incoraggiò, ottenendo però l’effetto contrario.

Rimasi muta come un pesce, mentre il silenzio divenne quasi insostenibile. Fu Ville a rompere quell’odiosa quiete, sebbene involontariamente.

D’un tratto infatti un rumore inaspettato riempì le miei orecchie, seguito da un’esclamazione di rabbia non troppo fine.

“Cosa è successo?” domandai preoccupata, spalancando gli occhi e ritirando inconsciamente le gambe al petto.

 

“Nulla nulla” cercò di distogliere l’attenzione dall’avvenimento, con un timbro di voce alquanto strano.

“Cosa?!” insistetti, con un tono che non ammetteva repliche.

“Ehm” borbottò imbarazzato “Ho per sbaglio fatto cadere una sedia…sul mio piede” confessò.

L’ansia e il tormento che si erano accumulate in quei due giorni, e che avevano raggiunto il culmine negli ultimi minuti, portate all’esasperazione dal timore, causarono una disfunzione del mio povero e martoriato sistema nervoso: scoppiai in una risata, una risata incontrollabile.

“Piantala di ridere!” mi gridò Ville irritato, anche se non perfettamente serio come avrebbe voluto “Non è affatto carino!”

 

“Scusa” mormorai con le lacrime agli occhi “Sei il mio mito”

“Anche quando non mi comporto da rock star e sono solo un ragazzo imbranato?”

“Soprattutto quando sei solo un ragazzo imbranato” gli confidai.

“La verità è che sono io ad avere bisogno di vederti, non il contrario immagino. Verrai quindi domani?”

Un brivido scivolò giù per la mia spina dorsale, mentre uno strano calore risvegliava il mio volto: in quel momento capii che né l’opinione degli altri, né le mie paure avrebbero potuto impedirmi di scegliere la mia strada. Anche perché il mio cuore la sua scelta l’aveva fatta.

 

“Giusto perché è l’unico modo per non farti uscire di testa, Ville Valo”

“Spirito da crocerossina insomma?” ironizzò.

Ridacchiai: “Una specie. Ma ho il mio tornaconto personale”

“Mmh davvero? E cioè?” domandò curioso.

“Non penso proprio che te lo dirò” ribattei sicura, alzandomi in piedi e iniziando a camminare per la stanza.

Passai inevitabilmente accanto allo specchio, incrociando quegli occhi che pur nascosti da tutto quel trucco ora brillavano di una luce nuova. Mi ritrovai a sorridere come una sciocca. Ma almeno ora sorridevo.

 

“Ah sì? Potrei venire lì e costringerti a parlare” minacciò scherzando. Ci impiegai qualche secondo per capire ciò che significavano davvero quelle parole. Quando me ne resi conto un nuovo senso di colpa tornò ad opprimermi il petto.

Ville era rimasto in silenzio ad attendere la mia risposta. Cercai di recuperare quel mio attimo di confusione cinguettando con quanta più naturalezza potevo fingere: “Mi dispiace ma dovrai conservare le tecniche di tortura per un’altra volta. Stavo per uscire” le ultime parole furono poco più che un sussurro.

“Oh” Ville si lasciò scappare un’esclamazione sorpresa e alquanto…delusa? ma subito dopo riprese il suo tono beffardo: “Allora scusa se ti ho fatto perdere tempo! Dovrai ancora prepararti e nascondere i tuoi bitorzoli da strega! Non vorremo far aspettare il tuo non-ragazzo Luke!”

Sbuffai esasperata: “Ancora con questa storia? Ti ho già detto che non è il mio ragazzo e poi non esco con lui” blaterai troppo e me ne pentii subito.

“Ah no? E allora con chi esci?” incalzò subito, con estrema noncuranza.

“Amici”

Per quale motivo avevo dovuto mentire? Non ci avevo nemmeno pensato. Lo avevo fatto e basta.

 

La sua voce mi parve più allegra quando decise di darmi la buonanotte: “Allora ti lascio alla tua serata! Non fare tardi sorellina!”

“Certo Mamma!”

Dall’altra parte dell’apparecchio sentii provenire un gorgoglio strano, che sarebbe stato difficile definire risata o altro.

“A domani. Ho bisogno della mia Furia”

E prima ancora che potessi avere il tempo di replicare, interruppe la comunicazione.

 

Con un po’ di struccante e olio di gomito, cancellai la mia maschera.

Il vestito ritornò sulla sua gruccia, mentre un caldo e comodo maglioncino color cenere scendeva a coprirmi le spalle nude.

Riposi nella mia fidata borsa di Nightmare Before Christmas il telefono e infilai senza più esitazione le converse.

Usci veloce dalla mia camera, come una bambina. Sì, forse non ero nulla più di una bambina, ma era arrivato comunque il momento di chiarire le mie intenzioni con Gabriel.

 

 

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Eccumiiiiiiiii!! Pensavo di non riuscire a finire prima del concerto, ma ce l’ho fatta! Mi è venuto fuori un capitolo lungo e un po’ controverso…ma forse a questo punto la ragazza si è chiarita un po’ le idee…spero…XD

E poi non ho resistito a mettere una scenetta su Luke e l’Ary, che, se devo confessarlo, sono i miei personaggi preferiti, si forse anche più di Villuccio…forse XD

 

Un grazie gigantesco a:

 

@Malaena: nuuuuu! Non volevo attentare alla tua vitaaa! Scusa scusa! Però era davvero imperdibilee! Gas è un grande! Anche se mia madre sostiene che lo faccia mangiare troppo..l’ha soprannominato PoldoXD Sono contenta che ti sia piaciuto^^ un clima di intimità e amicizia era proprio quello che volevo cercare di ricreare! Grassiee! Spero sarai sopravvissuta anche a questo chap! Fammi sapere! Baciii

 

@Crist: grassie cara! Lo so che ti sto facendo penare…sono proprio un danno! Sto tagliando pezzi qua e là per accorciare ma proprio non sono fatta per le storie breviXD Mi piace cercare di descrivere un po’ le emozioni e approfondire il rapporto sempre più..anche se stanno per scoppiare poveriniXD Un bacio!!!

 

@lampo-MAPO: lampoXD che devo stare a dirti? Sei la mia gemeeeeeeeeeee..ma quanto ti adoro?? Sono felicissima di averti tra le commentatrici (che sorpresaXD) e mi sa che questo per questo capitolo..niente anteprimaXD lampoooo torna dalla tua spedizione che ti devo parlareeeee! Bacino imouhhhh

 

@Sis: non mi soffermo troppo..visto che domani ci vediamoXD ma un salutino velocizzimo e un bacionzolo alla mia sisssss! DOMANIIIIIIIIIIIII! Te vojo beneee

 

@linkin park: ma sssalve my darling! Zono contenta che tu abbia gradito il chapter musicale! Anche a me piacciono tanto tanto quelle song^^ Intuisci qualcosa?? Hihihi Beh al prossimo capitolo il mistero sarà svelato!! Baciii

 

 @vampire_heart: ma grazieeeeeee! Sono troppo contenta che ti sia piaciuto! Ragazze avete tutte dei fantastici gusti musicali xD Ecco qui un nuovo pezzettino della storia..spero non ti abbia deluso^^ Kissessssss

 

@Bell_Lua: uhh la mia dolce Lu! Mi fai commuovere troppo! Sei fantasticissimaaa! Nun vedo l’ora di poterti abbracciare! Grazie grazie! spero troverai altrettanto interessante anche questo^^ suukko

 

Un abbraccio anche a tutti quelli che leggono e basta^^ se vi va di lasciare un commentino mi fareste ancora più felice.

 

BuonCOncerto a tutte quelle che ci andrannooo!!!

LaVostra

-FallenAngel-

 

 

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Capitolo 17
*** Just a song - Pt 1 ***


Chapter 16

 

Just a song – Pt 1

And keep begging for more of this Resurrection

 

13 Marzo

 

Passeggiare per le vie di Helsinki era qualcosa di indescrivibile: ogni strada, ogni edificio, dolcemente accarezzato dai raggi di un tenue sole che tentava in ogni modo di non soccombere dietro a nuvole grigie, riusciva a regalarmi un senso di pace e di sicurezza.

Sì, sicurezza, nonostante avessi rischiato più di una volta di scivolare sui marciapiedi dove a poco a poco neve e ghiaccio si trasformavano in acqua.

 

“Eccoci!” esclamò ad un tratto Katriina, indicando una via laterale a pochi metri di distanza.

La nostra guida ci condusse fino davanti all’insegna scura del negozio, che occupava buona parte dell’angusta strada. ‘Secret Temptation’ recitava in caratteri gotici l’insegna.

Mi fermai ad osservare la vetrina, mentre a poco a poco la mia bocca si apriva in una buffa smorfia di stupore, che scatenò il riso di Kat.

“Spero tu non stia per avere un arresto cardiaco” mi prese in giro, posandomi una mano sulla spalla.

Incapace di rispondere, continuai ad ammirare con gli occhi fuori dalle orbite un manichino vestito di tutto punto, con un corsetto di raso nero decorato con fregi arzigogolati di un rosso così intenso che parevano quasi disegnate con il sangue. La lunga gonna, interamente composta da strati di pizzo finissimo, arrivava a sfiorare il suolo e presentava sul davanti una grande e bellissima croce gotica. Morbidi lacci avvolgevano stretti la stoffa del corpetto e si dipanavano sui lati della gonna, rendendo il completo assolutamente perfetto.

Un pensiero attraverso alla fine il mio cervello, prima completamente congelato: “E’ stupendo ma…chissà quanto costa!” Naturalmente non c’era alcuna targhetta ai piedi, a informare i passanti del prezzo: un classico, per qualunque negozio decisamente d’élite. Genere di negozio che ero abituata a non sbirciare nemmeno da lontano.

 

“Perché siamo venute qui?”

Arianna sbuffò sonoramente, prendendomi per mano e attirandomi verso l’entrata: “Non cominciamo eh! Non devi preoccuparti assolutamente di nulla. La brutta notizia è che il tuo abito è già stato scelto e non è quello in vetrina. Ma quella buona è che è già stato pagato”

“C-come scusa?” balbettai, mentre venivo spinta all’interno dalle due ragazze.

Tutti avevano insistito che per la sera della mia famosa prova – che per la cronaca, era esattamente quella sera – avrei dovuto indossare un abito nuovo e spettacolare. Nonostante le mie proteste non ero riuscita a far cambiare idea né agli HIM né ad Arianna, ma avevo comunque stabilito che avrei scelto un abito carino, ma non esagerato. I miei aguzzini mi avevano liquidato con un veloce sì ed io ero stata così ingenua da prenderli sul serio. Avrei dovuto capire che avrebbero comunque fatto di testa loro.

 

“Ma, ma…” continuai a blaterare “Dovevo sceglierlo io il vestito e soprattutto pagarlo IO!”

“Mi dispiace ma è andata un po’ diversamente”

Incenerii la mia amica con lo sguardo “No, assolutamente no! Adesso diciamo alla commessa che non possiamo acquistarlo e così restituiamo i soldi a…ma chi diavolo ha pagato?”

“Ci ha pensato la tua band! Naturalmente sono stati loro a sceglierlo, io ho fatto da consulente e ho fornito le misure” spiegò la Rossa con un sorrisino compiaciuto “Ah, quasi dimenticavo: non può essere restituito perché è stato fatto apposta per te. E a tempo di record dovrei aggiungerei”

“Ed è assolutamente meraviglioso” le diede spago Kat, con l’espressione di chi sembrava rammentare un’apparizione divina.

“Anche tu sapevi di questo inganno?” le domandai con gli occhi fuori dalle orbite “Non ci posso credere! Come avete potuto permettere una cosa del genere? IO…” il mio tono iniziava a toccare corde particolarmente elevate, quando infine giunse la commessa, con un sorriso a trentadue denti incorniciato da due labbra rosse carnose.

 

“Buongiorno. Bentornate!” ci accolse la donna con voce soave e poi, rivolta a me, aggiunse “Lei deve essere la famosa Elisa. Siete davvero bella come vi avevano descritta e penso proprio che l’abito vi starà a pennello. Spero sarà di vostro gradimento. I nostri sarti hanno fatto davvero del loro meglio”

Arrossii violentemente, e mi sentii in un imbarazzo inverosimile: non potevo credere a quello che aveva appena detto. Era tutto troppo, troppo per me.

Fu Arianna a supplire alla mia mancanza di parole; “Certo che le piacerà”

 

Con un altro immenso sorriso, la donna ci invitò a seguirla, portandoci nella stanza accanto, dove uno sgabello rivestito con una copertura bordeaux era posto davanti a tre alti specchi, cerchiati da una cornice bronzea.

Là l’attendemmo qualche minuto, fino a quando, aiutata da un collega, non condusse nella stanza un altro manichino dotato di ruote e sopraelevato, a causa del lungo strascico del vestito.

Schiusi le labbra, ma ancora una volta le parole mi morirono in gola, mentre il telo che fino a poco prima lo nascondeva, scivolava ai piedi del manichino…

 

***

 

“Resta ferma cinque minuti, per favore” mi sgridò Arianna, facendo la voce grossa, ma guardandomi con un misto di tenerezza e divertimento.

Chiusi un momento gli occhi e respirai profondamente: “Ci sto provando davvero” cercai di giustificarmi, attorcigliando un fazzoletto tra le mani, o meglio, ciò che restava di un fazzoletto “Ma...”

Lei mi abbracciò da dietro un momento, prima di ricominciare a muovere febbrilmente le mani tra i miei capelli: “Sei proprio tenera a volte, un cucciolo”

La guardai nello specchio con occhi d’un tratto tristi: “Sono una bambina non è vero? Una sciocca bambina agitata come per la recita scolastica. Sono chilometri distante dall’essere adulta” Sentivo di essere sull’orlo delle lacrime.

“Calmati” mi ordinò, con dolcezza ma altrettanta fermezza “Non intendevo questo. E’ normale essere agitati, succede a tutti. Tu sei adulta. Sei adulta già da molto, troppo tempo. Sei più matura della maggior parte delle persone che conosco, più matura di me probabilmente” tentò di rassicurarmi.

La fissai a lungo, cercando di appigliarmi alla sua sicurezza: sapevo che stava parlando con sincerità, non mi avrebbe mai mentito, ma temevo che non mi conoscesse abbastanza.

 

“Devi solo promettermi una cosa” mi disse poi, attorcigliando una ciocca bruna intorno al ferro.

“Cosa?” domandai in attesa.

“Stai attenta. Non lasciare il tuo cuore perdersi senza freni. Ricorda sempre di non smarrire la strada. Ma non imbrigliarlo nemmeno troppo stretto.”

Mi morsi un labbro, annuendo lievemente. Forse mi sbagliavo: mi conosceva davvero meglio di chiunque altro.

“Sai” commentai “Qualche volta mi ricordi una sacerdotessa greca dai responsi sibillini”

Arianna sorrise, allungando una mano, affinché le passassi una forcina.

 

“Ieri sono uscita con Gabriel” mormorai a mezza voce.

Lei rimase in silenzio, aspettando che continuassi.

“Gli ho parlato sinceramente. Non potevo continuare a fingere e imbrogliare le carte. Gli voglio bene ma…solo come ad un amico”

“Nonostante penso che tu abbia due pezze gigantesche sugli occhi” commentò scuotendo bonariamente il capo “credo anche che tu abbia fatto bene. E adesso?”

Alzai le spalle: “Adesso aspetterò il mio grande amore pazientemente” mormorai facendo finta di nulla.

“Mh” fu la sua unica risposta, poco convinta.

 

Cambiai discorso: “E il tuo, di cuore? Non è che hai scordato di ascoltarlo?”

La sua espressione subì un mutamento repentino, mentre i suoi occhi chiari si accendevano di curiosità e apprensione, e le sopracciglia fulve si piegavano in una posa innaturale: “Cosa vuoi dire?”

“Sai esattamente cosa voglio dire” risposi prontamente, trattenendomi dal scuotere il capo. La mia parrucchiera non lo avrebbe certo apprezzato.

“Ti sbagli” mi assicurò, ma la sua voce non sembrava più tanto sicura. “Non c’è proprio nessuno che il mio cuore agogni, mia cara innamorata”

Arrossi involontariamente, ma cercai di non lasciarmi distrarre dai suoi subdoli trucchetti “Smettila. Non c’è bisogna che tu menta con me.”

“Non lo sto facendo” ribadì, e sembrava quasi convinta delle sue stesse parole.

Forse non mi stava davvero mentendo. Stava ancora mentendo a se stessa. Ma ero sicura che con il tempo non avrebbe più potuto negare l’evidenza.

Rimanemmo in silenzio fino a quando non ebbe terminato di acconciarmi i capelli. Nel frattempo riflettei su quanto lei e Luke fossero simili. E diversi. E fatti per stare insieme.

Probabilmente lo avevo sempre saputo. Sperai se ne accorgessero anche loro al più presto.

 

***

 

Tesa? No, tesa non era la parola giusta.

Terribilmente agitata? Ancora troppo poco.

Terrorizzata? Decisamente meglio. Ma non avrei saputo trovare un aggettivo che potesse davvero descrivere in che stato mi trovavo al momento.

In compenso stavo facendo un elenco strano di parole con la T, forse era il segnale di una qualche forma di pazzia e instabilità mentale.

Mi sedetti su una sedia che era stata messa lì per me. Non avevo nemmeno fatto a tempo ad appoggiarmi, che ero già in piedi, come una molla.

Sbirciai di nuovo sul palco, ancora vuoto.

Dovevo aspettare, aspettare, aspettare. Ma l’attesa mi stava uccidendo. Ero nota per essere una persona piuttosto paziente e accomodante, ma adesso anche un secondo si trasformava in ora. Mi sembrava di essere finita in un varco spazio-temporale o in un buco nero.

E così restai ancora da sola, nell’ala sinistra del backstage, quella usata più raramente, sin quando, finalmente, le luci nella sala si affievolirono e il brusio del pubblico si fece sempre più sommesso.

 

Poi all’improvviso tutti scoppiarono in grida di gioia e applausi, e seppi che finalmente erano arrivati.

Mi azzardai a guardare meglio, senza però rischiare di essere vista a mia volta. Salutando con un sorriso i suoi fan, Ville si posizionò al centro del palco, accompagnato dai suoi compagni. Indossava un paio di pantaloni neri, e una giacca dello stesso colore che gli cadeva addosso perfettamente, come se fosse stata cucita apposta per lui. E probabilmente era proprio così. Era elegante e assolutamente bellissimo. Inutile dire che sentii le gambe tremare per un momento. O forse due.

 

Prima di prendere in mano il microfono, parve scrutare a lungo il pubblico, in cerca di qualcosa, o qualcuno.

I suoi occhi sembrarono illuminarsi per un secondo, nel notare una persona nelle prime file, ma subito dopo sul suo volto si dipinse un’espressione turbata.

Seguii il suo sguardo. Meta del suo cenno stupito e pieno di domande era Arianna, la quale alzò le braccia, ad indicare che lei non ne sapeva proprio nulla.

Quando fu sicura che lui non la stesse più fissando però, la Rossa si voltò nella mia direzione per incontrare a colpo sicuro i miei occhi, e ammiccare furbescamente.

 

Il frontman avvicinò quindi alle labbra il microfono, mentre il silenzio calava di nuovo sul Midnight Wish.

“Buonasera a tutti!” esordì, utilizzando a sorpresa la lingua inglese “Questa sera avevo deciso di tormentare un po’ le vostre orecchie per fare una sorpresa ad una mia amica. Ma a quanto pare, sembra essere sparita dalla circolazione” commentò, ancora sorpreso e deluso, mentre alle sue spalle Gas non sapeva più cosa fare per trattenersi dal ridere.

“Ma anche se lei non c’è, spero non vi dispiaccia se canterò ugualmente?”

La reazione del pubblico di certo non aveva bisogno di essere interpretata.

“Lo prenderò come un sì” ridacchiò, sistemandosi meglio il cappello di lana sulla testa.

 

“Questa è per la mia piccola sorellina traditrice, che ha risvegliato una parte di me che credevo smarrita per sempre” mormorò, guardando un punto fisso davanti a sé, come perso nei suoi pensieri.

There was a time when I could breath my life in you…” sospirò in un sussurro, la bocca a baciare dolcemente il microfono che stringeva tra le mani.

“…and one by one your pale fingers started to move” continuò a cappella, piegando appena un poco il capo, ad occhi chiusi, e un’espressione così concentrate dipinta in volto, che mi fece accapponare la pelle.

 

Avvolsi le braccia intorno al corpo, mentre permettevo ad un’unica lacrima solitaria di rigarmi il viso.

La musica cominciò ad accompagnare le parole di quella canzone che adoravo tremendamente, e la melodia la rese ancora più struggente.

“And I touched your face and all life was erased…”

Avrei voluto uscire dal mio nascondiglio e domandargli perdono, perdono per avergli fatto credere anche solo per un secondo che io non ero lì per lui, come mi aveva chiesto.

Ma dovevo attenermi al piano.

 

“…You smiled like an angel…” cantò Ville, facendo scivolare una mano sull’asta del microfono, come se avesse carezzato l’aria, per poi muoverle lentamente, seguendo la melodia, sempre con le ciglia abbassate sulle iridi chiare.

“Fallen from grace” intonarono tutti i presenti ed io nel mio cuore.

We’ve been slaves to this love from the moment we touched
And keep begging for more
Of this Resurrection

 

Ripensai a quella prima sera, quando avevo cantato su quello stesso palco ‘Killing loneliness’ e l’avevo dedicate a lui, interpretata per lui, e per lui solo.

Era passata poco più di una settimana. Ma sembrava una vita intera.

Forse anche io ero risorta grazie al suo sorriso e al suo comportamento assolutamente fuori dal normale. Ma, ad onor del vero, la mia resurrezione era iniziata ancor prima, al suono della sua voce e della sua musica.

 

Dicono che un angelo che ha perso le sue ali un giorno tornerà comunque a volare. Non sapevo se il mio angelo reo e dannato avrebbe un giorno ripreso il volo, ma desiderai ardentemente che, ovunque fosse andato, Inferno o Paradiso, mi portasse con sé.

 
You kissed my lips with those once cold fingertips

You reached out for me, but, oh, how you missed
And You touched my face and all life was erased
You smiled like an angel
[Fallen From Grace]
We’ve been slaves to this love from the moment we touch
And we’re begging for more
Of this Resurrection

 

This Resurrection

Mormorò Ville, mentre i battiti acceleravano rapidi, come a rincorrere i tocchi della batteria.

 

Of this Resurrection

Ripetè, e le mie dita nivee e congelate si richiusero in due pugni serrati.

 

This Resurrection

Le unghie si insidiarono nei palmi, quasi lacerando la carne.

 

In profondità. Sempre più in profondità, mentre i suoi sospiri aumentavano con pari intensità. Sono certa che per un breve, brevissimo arco di tempo, le mie funzioni vitali si bloccarono: il cuore si fermò in ascolto, per timore di oscurare con il suo pulsare frenetico anche il più piccolo suono e i polmoni smisero di pompare aria inutile dentro e fuori il mio corpo. Sì, per poco più di qualche secondo ero davvero morta.

 

Ma il mio angelo senza ali era pronto a sorreggermi e riportarmi indietro con la sua voce, per un ultimo, sofferto, ritornello.

“We’ve been slaved to this love from the moment we touch
And we’re begging for more

Of this Resurrection

(End first part)

 

________________________________________________________________________

Hei!

Siii lo so, sono pessima: ma dopo il concerto (anzi..i concerti :p) ho iniziato a scrivere come una dannata e mi è venuto fuori un altro capitolo chilometrico che ho deciso di dividere a metà.

Finalmente posso scrivere della canzone che mi ha dato il nome xD Ma quanto può essere bella? Temo però che non mi sarà mai concesso di sentirla live (non che mi sia dispiaciuto sentire le altre sia chiaro xD) Ho cercato di trasmettere un po’ delle emozioni che provo ascoltandola, ma è terribilmente difficile. Sono sicura però che potete capire.

Nun preoccupatevi la seconda metà arriva presto! E sono già all’opera con il capitolo successivo (aiutooo non sono io! Un’alieno si è impossessato del mio corpo)

Fatemi sapere come vi è sembrato. Sono supercuriosa come al solito^^

E restando in clima di dediche, questo capitolo lo dedico a Ville e a tutti gli HIM, per la meravigliosa performance che ci hanno regalato.

 

Un grazie gigantesco a:

 

@Crist: nooo cara non voglio farti impazzire. Dai in questo capitolo ho tolto uno degli ostacoli al loro rapporto (il mio povero Gabrieluccio) e quindi…hihihi. Nooo peccato che non ci siamo potute vedere! C’erano un sacco di assatanate come noi all’alcatraz x D magari eravamo vicine e nemmeno lo sapevamo! Ma quanto era bello lui? *.*

 

@FrozenTearAkaLampo: Lampo la tua recensione mi fa sempre più ridere ad ogni lettura xD sei il mio mito! Grazie amorina miaaaa nun è vero è bellissima! Avevi ragione, una catastrofe era in arrivo L non vedo l’ora di sentirti geme, ho bisogno di te…comunque tornando alla storia: spero tu abbia capito che l’essere inutile non era né Luke né Gabriel ma quel tizio che ci provava con l’Ari (sembra che sto parlando dei miei amici di scuola xD) ukkeeeei? x D e poi sì, lei è un po’ sciocchina, ma alla fine l’ha convinta visto, è molto persuasivo! A presto amorina. Attendo commentino..bacini imooooouh and normals

 

@Vampire_heart: grassie tesora! sisi hai ragione, è stato devastante *.* ma troppo bello! Sono tanto contenta che ti sia piaciuto il capitolo. Siamo tutte in astinenza! Però questa fortunella della Eli se lo può vedere per benino quando vuole.. uffaaaaaaaa xD posso essere gelosa di una mia creatura? Vabbè si posso xD Suukko

 

@Malaena: Eccomiii! Scusa il ritardino, ma dopo il concerto dovevo riprendermi x D Siii si sta muovendo qualcosa! Solo che Arianna e Luke sono cocciuti come muli, e quindi la situazione è pochino complessa anche su quel fronte. Ma non disperiamo! Con Gabriel Liz ha cercato di sistemare le cose, con Ville…mmm…lascio decidere a voi nei prossimissimi capitoli xD Dimmi come ti è sembrato questo qui^^ Un bacettoo

 

Un abbraccio fortissimo anche alla mia Sis e alla Lu che ci manca immensamente: ti rivogliamolo!

 

Allora a presto

La vostra

-FallenAngel-

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Just a son - Pt 2 ***


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Just a song – Pt 2

The moon kissed the sun and now we hold her in our blood

 

 

 

Asciugai svelta il mio viso bagnato, tentando di non rovinare quel trucco perfetto.

Tirai su un poco col naso, contenta che non ci fosse nessuno a vedermi o sentirmi.

Ville lasciò il microfono, ringraziando il pubblico per i suoi caldi applausi. Il sorriso che addolciva il suo volto mostrava quanto amasse che la sua musica fosse tanto apprezzata. Eppure un lieve bagliore di delusione brillava ancora nei suoi occhi, tradendolo.

 

Stava per uscire oltre le quinte, nonostante numerosi fan chiedessero un bis della performance, ma Migè lo fermò.

“Non fuggire” lo ammonì, parandoglisi davanti.

Il frontman lo osservò stupito sbattendo le ciglia, poi gli fece una strana smorfia divertita: “Perché?” lo interrogò.

Sicuro che l’amico non se ne andasse, il bassista tornò al suo microfono, per rendere tutto il Midnight Wish partecipe della conversazione.

“Non abbiamo ancora terminato stasera” ridacchiò. Sembrava proprio che facesse una fatica terribile a mantenere almeno un atteggiamento apparentemente serio.

Ville si voltò a guardare i tecnici oltre le quinte, con la fronte corrugata. Nessuno però sembrava disposto a fornirgli la risposta che cercava. Rassegnato, prese a sua volta il proprio microfono: “Ah no?”

 

“Io e i ragazzi abbiamo preparato una piccola sorpresa per te. Ville per favore contieniti e conserva quella faccia da pesce lesso per dopo” continuò tutto convinto Migè, dondolando il suo basso.

Linde si avvicinò per mettere un braccio intorno alla spalla di un frontman sempre più confuso. Ville puntò gli occhi sul volto del rasta: “Cosa avete combinato?”

Migè sbuffò spazientito: “Sempre a pensare male! Non te la meriteresti proprio la nostra sorpresa! Ma siccome noi siamo i tuoi migliori amici e abbiamo un cuore infinitamente grande, abbiamo deciso di fartela lo stesso”

Il darkman fece un breve cenno del capo e poi un piccolo inchino di ringraziamento: “Procedete allora. Di cosa si tratta?”

 

“Forse non tutti sanno che la vostra rockstar preferita” proseguì il bassista rivolto al pubblico “è in realtà un idiota. No scusate, mi correggo. Questo lo sapete tutti”

Il locale rispose con una risata, mentre un’occhiata inceneritrice andava a posarsi sull’incauto musicista. Lui di certo non se ne preoccupò: “Ma probabilmente ancora non siete a conoscenza delle sue ossessioni. Quando viene preso dalla spirale di una di queste manie, allora diventa un tormento allucinante e vi assicuro che stargli attorno diventa soffocante”

“Ehm, ehm” tossì Ville “Non potresti arrivare al punto? O potrei venire a prenderti a calci in diretta”

Migè fece roteare gli occhi: “Ecco cosa vi dicevo? Comunque la sua ultima idea fissa è quella di essere stato visitato nei suoi sogni dalla Dea Venere in persona”

“Hai finito?” commentò nuovamente il darkman, piuttosto in imbarazzo.

“Ma non la vuoi sentire la parte migliore Valo? Noi, da buoni, anzi ottimi amici, abbiamo trovato la tua Venere!”

 

“Cosa?” borbottò Ville strabuzzando gli occhi.

Guardando la sua espressione Linde non riuscì a trattenere una fragorosa risata.

“Sì Ville, se ti metti lì in quell’angolo la facciamo venire” spiegò Migè, con quel tono che si usa con i bambini, evidenziando la loro inferiorità.

Troppo stranito per rispondere per le rime, il darkman seguì la richiesta senza aprir bocca, quindi si fermò ad aspettare pazientemente, insieme con i curiosi spettatori.

 

Ecco. Era arrivato il momento.

Il mio cuore aveva rimesso in funzione la modalità “martello pneumatico”. Asciugai i palmi delle mani sudate nel vestito e mi schiarii la voce, sperando che non mi abbandonasse proprio in quel momento.

I membri della band presero posto davanti ai loro strumenti, mentre le luci tornavano a farsi soffuse, e il palco completamente buio.

Il silenzio era così opprimente che riuscivo a percepire distintamente il sangue pulsarmi nelle vene.

Poi Gas iniziò a colpire il tamburo della batteria. 8 battute d’attacco. Costrinsi i miei piedi a muoversi, seguendo un percorso immaginario fino al centro, ancora nella più completa oscurità. Nel frattempo Linde, Migè e Burton si unirono al compagno, suonando l’introduzione. Dopo il secondo giro di chitarra, la quiete tornò sovrana.

 

“Her heaven’s a lie to those who threw away the key…” sussurrai lentamente, ringraziando mentalmente il mio cervello che senza essere interpellato, si era ricordato autonomamente di accendere il microfono.

Un riflettore si accese all’improvviso inondando il palco e la luce colorata si rispecchiò nella stoffa del mio abito, mentre la musica riprendeva alle mie spalle.

 

“…her God is alive and well when the higher believes” feci un altro passo avanti, cantando più forte. Lo strascico del vestito frusciava leggero contro il pavimento, coperto dall’esplosione di grida dei ragazzi in sala. Sorrisi stupita di un così caldo benvenuto e sentii la tensione sciogliersi appena un poco.

 

“…and you can bend the river of her dreams, or understand the divine words she speak…”

Arrivata al ritornello mi decisi finalmente a girare il capo verso quel lato rimasto buio del palco, il quale però non era abbastanza scuro perché non potessi scorgere gli occhi chiari del darkman che seguivano ogni mio movimento e nei quali si mescolava il riverbero dell’argenteo del mio vestito.

 

Venus denies your seven towers above dark water, you can’t quench her thirst with the fear hiding away from the day” la mia voce adesso si univa alle note più sicura, mentre la mia testa era occupata soltanto dalla sua immagine. Con uno sforzo di volontà immane riuscii a distogliere un momento lo sguardo.

Venus denies you in your dark waters, the moon kissed the sun and now we hold her” sollevai le braccia, invitando tutti gli altri fan come me, a cui non era stata data un’occasione tanto impossibile, a intonare insieme quell’ultima frase

 “In our blood

 

Perché l’amore per quella musica era qualcosa che ci univa tutti, che si era impossessato di noi, aveva invaso il nostro cuore e ora circolava nel nostro corpo come linfa vitale, nelle nostre vene.

Altri due giri di chitarra, il tempo di riprendere fiato, e toccava di nuovo a me.

 

Her savior was never on a cross pierced with nails” mormorai, lasciando le unghie graffiare la pelle delle mie braccia nude giù, sino ai polsi.

Thirty pieces of silver never retraced her mistake” non rimasi più ferma, ma iniziai a camminare leggera a piedi scalzi, non più preoccupata di inciampare. Arrivai sin davanti a Ville: lui continuava a guardarmi con quei suoi occhi dannatamente profondi e sembrava che riuscissi a racchiudere nel suo sguardo ogni centimetro del mio corpo. Allungai una mano, cercando la sua.

 

She'll always be free…” cantai, mentre le sue dita si incrociavano con le mie “…from the arms of your sins” ma tutto quello che desideravo era essere intrappolata per sempre tra quelle braccia.

“…that make you weak as your world started crumbling…”

Al colpo più forte della batteria mi staccai di scatto e rivolgendogli un ultimo e malizioso sorriso, riscappai in mezzo a Linde e Migè.

 

Venus denies your seven towers above dark water, you can’t quench her thirst with the fear hiding away from the day, Venus denies you in your dark waters, the moon kissed the sun and now we hold her

 

In our blood!” rispose il coro.

Mi esibii quindi in assolo di chitarra, che Linde aveva aggiunto apposta per me. Mi impegnai al massimo, dato che suonare mi risultava assai più difficile che cantare, sotto lo sguardo compiaciuto del mio maestro, che mi incitava a non mollare. Le mie dita si muovevano sempre più veloci sulle corde, mentre un rivolo di sudore scivolava giù per la mia schiena scoperta.

“Perfetto” mi assicurò a mezza voce, prima che riprendessi con l’ultimo ritornello.

 

Accettare tutti quegli applausi mi sembrava ancora una volta esagerato: feci un inchino e corsi ad abbracciare uno ad uno i membri della band, prima di fuggire, nonostante le loro proteste, di nuovo giù dal palco. Mi accorsi ben presto che la mia folle corsa non poteva continuare, perché nella fretta lo strascico del vestito si era impigliato in alcuni fili.

Mi voltai per tentare di liberarmi, ma qualcuno era già chinato ai miei piedi per aiutarmi.

 

“Visto che non hai nessuna scarpetta da perdere hai deciso di attirare in un altro modo la mia attenzione?” sorrise Ville, sollevando il capo.

Aprii la bocca, senza riuscire però a parlare.

Lui si rialzò in piedi, e mi ritrovai il suo volto a pochi centimetri dal mio. Mi scrutò fisso per qualche istante, per poi imitare la mia espressione da pesce.

Rendendomi conto che mi stava prendendo in giro, arrossii violentemente e arretrai di due passi.

Ma il frontman mi fermò, afferrandomi il polso: “Non posso lasciarti scappare. Sei il mio miraggio”

“Occhi umani non possono sostare troppo a lungo al cospetto di una Dea” gli ricordai, ritrovando finalmente la parola. Prese allora immediatamente la mia mani e se le pose sugli occhi.

“Non puoi nemmeno toccare le sacre membra di una divinità” lo sgridai.

In tutta risposta egli guidò la mia mano fino alle sue labbra. E con uno sguardo di sfida mormorò contro il dorso pallido: “Voglio solo adorare la divinità. Mi è concesso?”

 

Ero come pietrificata, tutto quello che riuscii a fare fu continuare a mordermi il labbro inferiore, fin quando non sentii in bocca l’amaro sapore del sangue.

Ritrassi infine la mano, riuscendo a impostare un piccolo sorriso: “No”

“Sei stata davvero brava” si complimentò e adesso parlava seriamente.

“Grazie”

“Forse dovrei seriamente preoccuparmi. Ma penso che lo debba fare anche Linde: non sapevo sapessi suonare anche la chitarra elettrica” osservò sorpreso.

“Sono una donna – anzi una dea –“ mi corressi, riuscendo finalmente a sostenere il suo sguardo “piena di risorse”

Il darkman sogghignò sotto i baffi: “Ormai ne sono convinto. Mi domando quale sarà il prossimo colpo”

“Chi può saperlo” mormorai sibillina, cercando nuovamente di allontanarmi veloce come un gambero, mentre lui mi seguiva lentamente, con uno strano sorriso a piegargli le labbra.

 

Tuttavia, dopo pochi passi, fui costretta a constare a mie spese, che ero nuovamente in trappola.

“Ohi” mi lamentai, trovandomi a sbattere contro una parete.

Ville non nascose una risata: “Sei un po’ imbranata come divinità” mi fece notare.

Misi il broncio, fingendomi offesa e inerme, ma quando fu abbastanza vicino non mi lasciai intimidire e gli pestai un piede.

“Parliamo di imbranati?” risi malignamente soddisfatta della sua smorfia di dolore, mentre lui si allontanava di istinto “Ho scelto il piede giusto?”

“Sì” borbottò colpito nell’orgoglio. Ma si riprese subito, riavvicinandosi coraggiosamente. Riavvicinandosi troppo.

 

“Mi piace questo vestito” bisbigliò, sfiorando la seta che si avvolgeva meno stretta vicino alla mia coscia e abbassando lo sguardo.

Il vestito era davvero meraviglioso, interamente confezionato con sottile seta argentata, e fasciava attillato il mio busto. Proseguiva meno serrato lungo le gambe, in virtù di uno spacco che, tagliato ben oltre il ginocchio nella parte destra, mi permetteva il movimento. Sul retro si dipanava quindi un lungo strascico, che ricordava gli abiti da sposa che ogni donna sogna da bambina.

Al momento, quel vestito risultava anche troppo stretto per il mio cuore che sembrava del tutto intenzionato di balzarmi fuori dal petto.

 

Ville sollevò l’altra mano, posandola sul fermaglio argenteo a forma di farfalla, che sorreggeva la complicata acconciatura che mi cingeva il capo.

“Rip out the wings of a butterfly” pronunciò in un sussurro, prima di staccare con un movimento rapido della mano il fermaglio dalla mia chioma e quindi allontanarsi veloce con un furbo sorriso.

Una cascata di riccioli corvini mi ricadde sulle spalle e sul viso, coprendomi gli occhi, truccati anch’essi d’argento.

Quando riacquistai la possibilità di vedere, lo trovai davanti a me, a ridere con un bambino.

Mi ritrovai a chiedermi chi di noi fosse davvero più grande.

 

“Hai strappato tutta la farfalla, non solo le ali” trassi un sospiro, indispettita.

Lui alzò le spalle, mettendosela in tasca: “La volevo tutta quanta per me”

Scossi la testa alzando gli occhi al cielo: “Dai andiamo dagli altri” suggerii, dandogli le spalle.

Mi lasciai scappare un urlo, quando mi sollevò da dietro, prendendomi di sorpresa.

“Cosa fai?”

“Non vorrai mica arrivare di sopra a piedi nudi!” mi rispose risoluto, senza scomporsi.

Sbuffai: “Certo che no, stavo andando in camerino a cambiarmi infatti!”

“Allora ti porterò in camerino a prendere delle scarpe, ma di certo non ti permetterò di cambiarti”

Lo squadrai crucciata, dandogli un piccolo pizzicotto di stizza.

“Tieni dentro le unghie, pantera” mi ammonì, stringendo più forte la presa intorno alla mia vita “Comunque puoi spiegarmi per quale malsano motivo sei senza scarpe”

“Era una cosa che ho sempre sognato di fare” affermai, davanti al suo sguardo scettico.

“Aspetta. Non dirmi che è un’altra spunta alla tua famosa lista?”

Spalancai gli occhi, stupita ogni volta di quanto potesse ricordare: “Già…”

“Prima o poi dovrai ricompensarmi come merito, dopo tutte le spunte che stai facendo grazie a me

“Sì, Ville sì. Ma adesso mettimi giù!”

 

***

 

Anche quella sera fu davvero stupenda. Tutti gli HIM si amalgamarono perfettamente al gruppo dei miei amici, e così trascorremmo ore e ore ridendo e scherzando. Senza contare che finalmente Andrea era riuscito a conoscere i suoi idoli, e da quella sera non avrebbe più potuto lamentarsi (non che i suoi continui ringraziamenti futuri non sarebbero stati molto meno stressanti delle sue recriminazioni).

 

Seguire le continue sfrecciatine che si lanciavano Luke e Arianna poi divenne il passatempo preferito di tutti. La tensione era talmente spessa, che non sarebbe stato difficile tagliarla con un coltello. I loro tentativi di far ingelosire l’altro erano poi così evidenti che forse soltanto loro non se n’erano accorti.

Eppure non tutto era perfetto. Quando Gabriel raggiunse il nostro gruppo fu come se un macigno fosse stato scaraventato sul mio petto.

“Hei” mormorò a voce talmente bassa che mi stupii di essere riuscita a sentirlo, mentre ero andata a cercare la mia borsa per recuperare il cellulare.

“Hei” risposi, curvando le labbra.

“Sei stata eccezionale stasera. E sei ancora più bella”

“Gabriel io…” balbettai in imbarazzo.

 

“No, non preoccuparti” mi rassicurò lui, sfiorandomi un braccio, gesto che mi fece sussultare “Ho capito quello che hai detto ieri sera, e me lo ricordo bene. Era solo un complimento sincero. Sei una cantante straordinaria” mi rivolse un sorriso, ma era un sorriso terribilmente triste e spento.

“Grazie” la mia voce era talmente flebile e impastata che non la riconobbi quasi come mia.

“Mi dispiace” non riuscii a trattenermi dal sussurrare, sebbene sapessi che era un errore continuare a sottolineare la mia sofferenza. Di certo le mie scuse non servivano proprio a nulla, se non a farlo stare peggio.

Gabriel scosse la testa: “E’ stato meglio così. Ma…” d’un tratto la sua bocca si fece muta, mentre la sua mano indugiava troppo a lungo sul mio braccio, sfiorandolo con delicatezza.

Inghiottii a fatica, cercando la forza di allontanarmi senza fargli ancora più male.

 

“Allora hai trovato questo telefono nei meandri della tua borsa Mary Poppins?” il sarcastico commento di Ville parve giungere da chilometri di distanza.

Gabriel si staccò di scatto, ma dal guizzo degli occhi del darkman, indovinai che non si fosse perso il gesto. Il suo sguardo, indecifrabile, si posò sul suo biondo connazionale, che riassunto un atteggiamento rispettabile, si allontanò con la scusa di prendere qualcosa da bere.

“Tutto a posto?” chiese Ville, sospettoso, cercando di scrutare in quegli occhi che tenevo fissi a terra.

“Sì certo” lo liquidai “L’ho trovato, andiamo” e recuperato il cellulare mi riavviai al tavolo.

Prima che avessi il tempo di sedermi sull’unica sedia libera, con uno scatto ben poco cavalleresco mi rubò il posto.

Non ebbi il tempo nemmeno di mettere il broncio, perché mi aveva già tratta a sé e fatta sedere sulle sue gambe.

Sapevo che protestare e divincolarmi sarebbe stato inutile. E a dirla tutta non ne avevo proprio nessuna voglia. La stretta presa delle sue braccia intorno ai miei fianchi era proprio quello di cui avevo bisogno.

 

 

 

________________________________________________________________________________

 

Ed ecco qui la seconda parte^^

Sono un po’ di fretta quindi non mi dilungo…fatemi sapere come l’avete trovato ;)

Grazie millissime a chi ha commentato lo scorso capitolo!

 

@Vampire_heart: oddio grazie cara^^ mi fa davvero piacere sentirlo! Ormai è diventato il tormentone qui a casa mia questa song! Mia madre non riesce nemmeno più a dormire perché dice che se la sogna di notte xD Mamma mia, capolavoro *.* sei un angelo. Spero che anche la seconda parte regga il giudizio! Baci

 

@FrozenTear: Lampo..oddio non sai quanto mi manchi! Anzi mi sa che tra un’oretta o due ti chiamo x D I tuoi commenti sono sempre troppo divertenti x D anche se lo si vero che non voglio ridurre il tuo encefalogramma (che secondo me intendevi elettrocardiogramma, anche perché temo che il nostro encefalogramma sia sempre piatto lampo xD) ad una schiacciatina! E comunque non sono una lumaca perfettina!  Credo…Anche se so già cosa ne pensi, se vuoi lascia un commentino! Ti vojo beneee! Bacini imouh!

 

@Crist: caspita come corri xD dall’alto dei suoi 17 anni non credo che la Eli pensi già a dei bimbi xD ma non si può mai dire hahahhaha. Lo sooo era troppo bello! Eh, io sono stata fortunata ad esserci anche a Firenze! Ma come orsacchiotto potto? Ma poveroXD Dimmi cosa pensi di questo chapter e attendi bene il prossimo perché sono sicura che ti piacerà! ;) Kisseees

 

Allora a presto^^

Buona pasquetta in ritardo!

La vostra

-FallenAngel

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Capitolo 19
*** And here we go again ***


Chapter 18

 

And here we go again

Sometimes it seems to me I’m walking the same damn path. It does never change

 

14 Marzo

 

Mi guardai intorno perplessa, riconoscendo immediatamente il luogo dove Kat mi aveva trascinato nel bel mezzo del pomeriggio.

“Cosa ci facciamo qui a quest’ora? Non è un po’ presto?” domandai davanti all’insegna del Midnight Wish: ero quasi convinta che non fosse nemmeno aperto.

Lei non mi degnò nemmeno di uno sguardo, ma corse più veloce fino all’entrata, costringendomi a seguirla.

Suonò il citofono e non appena ebbe pronunciato il suo nome le fu aperto.

 

Quindi non avevo torto: il locale era effettivamente chiuso e fu molto strano per me trovarlo completamente deserto, e illuminato dalla luce diurna, sebbene sempre molto soffusa.

Ci venne incontro un uomo sulla quarantina, che indossava un paio di blue jeans e una semplice camicia colorata. Aveva un’aria davvero informale, con un paio di occhi verdi piuttosto slavati ma vigili, un naso affatto finnico e i capelli brizzolati. Non appena posai lo sguardo su di lui, mi resi conto che non era per me una faccia nuova. Anche se proprio non ricordavo in che occasione l’avessi già incontrato.

 

Salutò la bionda con affetto, rivolgendole qualche domanda, che però non fui in grado di capire.

Lei rispose altrettanto affettuosamente, mutando tuttavia la lingua della conversazione per rendermi partecipe.

“Questa è Elisa, la ragazza di cui ti ho parlato” lo informò facendo un breve cenno nella mia direzione.

“Piacere” mi presentai solare, allungando la mano.

Lui la strinse piacevolmente sorpreso. Una stretta forte e sicura.

“Piacere mio. Mi chiamo Aaron Sakkavo. Ma so già chi sei tu” sorrise strizzandomi l’occhio.

“Davvero?” domandai incerta, corrugando la fronte. Che l’avessi davvero già conosciuto da qualche parte?

 

Annuì concitato: “Ma certo. Sei la nostra Venere in mentite spoglie!” mi spiegò, scoppiando poi in una risata divertita.

Cercai di unirmi alla sua allegria, ma mi era piuttosto difficile, considerando l’imbarazzo in cui ero sprofondata: “Ehm, sì…proprio lei”

“Complimenti. Hai davvero una voce stupenda”

Iniziai a muovere i piedi, nella speranza forse di poter scavare un tunnel e fuggire nel sottoruolo: “Ehm…grazie davvero”

“Allora pensi possa andare bene?” intervenne Katriina, mettendomi una mano sulla spalla.

“Ma certo che sì” replicò Aaron immediatamente “Anche se è quasi uno spreco nascondere una voce così particolare dietro ad una divisa” commentò pensieroso.

Tossii leggermente: “Ehm, di cosa state parlando?”

Aaron ridacchiò: “Come di cosa stiamo parlando?” mi scrutò a lungo, forse decidendo se stessi scherzando o avessi qualche problema mentale.

“Lei non lo sa. Doveva essere una sorpresa” chiarì la finlandese.

La curiosità iniziava a pizzicarmi con le sue chele, come un granchio: “Cos’è che non so?” Sembrava proprio che alla gente piacesse tenermi all’oscuro. Forse avrei dovuto mettere meglio in chiaro il fatto che io non amavo molto le sorprese.

“Che tu, Elisa, sarai la nuova cameriera o barista del Midnight Wish, come preferisci. Sempre che tu sia interessata…”

 

***

 

Seduta su una panchina nel parco, stavo abbracciando per l’ennesima volta Katriina.

“Hey okay, ho capito. Anche io ti voglio bene” stava cercando di borbottare, tra una stretta e l’altra, ormai senza fiato.

Dopo pochi giorni da quando le avevo esposto i miei progetti di trovarmi un lavoro e un piccolo appartamento e avevo domandato il suo aiuto, Kat era riuscita già a trovare sia a me che Arianna, un posto, anzi un ottimo posto; senza contare il fatto che mi aveva assicurato che era anche a buon punto per quanto riguardava la ricerca dell’appartamento. Non solo sarei stata la barista al mio locale preferito 3 sere a settimana, con una paga assolutamente esagerata, ma avrei dato anche una mano nel ristorante accanto a mezzogiorno.

 

“Scusa…ma, io non riesco a contenermi. Sei stata troppo gentile” tentai di esprimerle ancora la mia riconoscenza.

“Ma no, che vuoi che sia” minimizzò “Conosco Aaron da molti anni, lui si occupa della gestione del locale, quindi non è stato difficile” mi assicurò con un altro caldo sorriso.

Ero al settimo cielo, e anche Arianna aveva fatto i salti di gioia, non appena l’avevo informata per telefono.

“L’Ari mi ha detto di avvertirti di munirti di una solida armatura, perché non appena ti vede ti salta addosso!”

La ragazza rigettò la testa indietro con una sonora risata: “Voi siete tutte matte”

Alzai le spalle: non avevo nulla da replicare, aveva perfettamente ragione.

 

“E da quelle parti come va? Sono ancora vivi?” domandò sempre con un sorriso, anche se parte della sua allegria aveva abbandonato i suoi occhi.

Arianna, in qualità non di manager ufficiale, ma quasi, aveva accompagnato i ragazzi in una piccola missione di lavoro a Turku. Potete immaginare quante urla lei e Luke si erano lanciati contro a vicenda, ancor prima di salire in macchina.

“Tutto okay. Andrea mi ha riferito che sono stranamente calmi. Hanno deposto l’ascia di guerra per una causa superiore. Bisogna soltanto vedere quanto durerà questa tregua.”

“Sono cotti eh?” sospirò, cercando di mantenere sempre un tono neutro. Sapevo della piccola infatuazione che si era presa per Luke, e sperai che non ne soffrisse troppo.

“Eh già” mormorai con cautela “Credo che ormai gli unici a non averlo capito siano loro. Mi dispiace”

Lei mi rivolse un altro sorriso, un po’ malinconico ma sincero: “Non preoccuparti. Luke mi piaceva, ma, sai come si dice, il mare è pieno di pesci no?”

“Naturalmente! E ti assicuro che non ti sei persa nulla!” confermai, facendo una smorfia.

 

“A proposito guarda quel ragazzo là” disse indicando un giovane allegro ad un piccolo chiostro non lontano “Credo proprio che andrò a prendere qualcosa da bere. Tu vuoi qualcosa?” mi chiese gentile, con sguardo astuto.

“No grazie, vai pure all’attacco tigre. Io ti aspetto qui!”

Mentre la guardavo allontanarsi, percepii il mio cellulare vibrare nella tasca dei jeans. Era un messaggio. Un suo messaggio.

 

“Ma buongiorno mia dolce Venere” alzai gli occhi al cielo: alle 18 del pomeriggio ‘buongiorno’ non era esattamente il saluto più adatto. “Stasera è impegnata con il sottoscritto. La passo a prendere alle 21 presso la sua camera d’albergo. Si faccia trovare pronta. VGV.”

Quel presuntuoso. Più che un invito sembrava un ordine.

Mi stavo accingendo a rispondere al messaggio per le rime, quando l’apparecchio ricominciò a tremare fra le mie mani.

 

Senza avere il tempo di guardare, per sbaglio attivai la comunicazione. Ero quasi certa che fosse Ville, forse per lamentarsi della mia lentezza nel rispondere ai suoi sms, così risposi con un ‘pronto’ divertito.

“Finalmente ti degni di rispondere!” tuonò una voce, che non era affatto quella di Ville. Il sorriso appassì sulle mie labbra, serrate.

“Non ti azzardare a mettere giù questo telefono” proseguì. La voce era forte, ma non sicura. Era la voce di un ubriaco.

“Cosa diavolo vuoi?” ringhiai a denti stretti.

“Lo sai benissimo! Devi tornare immediatamente a casa. Cosa credi? Ormai so dove ti nascondi”

“Te l’ho detto! Devi lasciarmi in pace. Lasciami in pace!” sibilai, con tutto l’odio che provavo.

“Sei solo una stupida. Cosa credi di fare? Non sei nessuno! Non sei assolutamente niente. Il tuo gioco è finito. Ti verrò a prendere”

“No! Non tornerò mai indietro!”

“Sei soltanto una bambina. Tu…”

Ma non permise a quell’uomo di continuare. Spensi il telefono e resistetti all’impulso di scagliarlo lontano.

 

Restai a fissare immobile il suolo, gli occhi che bruciavano.

Non sei nessuno. Non sei assolutamente niente.

Le sue parole mi laceravano insidiose dall’interno.

“Liz, ti senti bene?” Kat mi richiamò alla realtà. Non mi ero nemmeno accorta del suo arrivo.

Alzai lo sguardo, per incrociare la sua espressione preoccupata.

“Sì” risposi come un automa “Scusa ma…vorrei tornare in albergo”

 

***

 

Corsi nella stanza, con precario equilibrio, e quasi inciampai nei miei stessi piedi prima di raggiungere la porta alla quale avevano appena bussato.

Non appena lo vidi, lì, davanti a me, con il suo cappotto aperto sopra una camicia nera attillata e i capelli spettinati dal vento, con un sorriso compiaciuto, del quale solo io ero beneficiaria, non riuscii a trattenermi e gli saltai letteralmente addosso, avvinghiandomi al suo collo.

“Hey, quanto entusiasmo” mormorò alquanto sorpreso una volta che mi fui staccata da lui.

Indugiò troppo a lungo con lo sguardo sulla scollatura del mio corpetto, per poi voltare il capo, imbarazzato. Si riprese comunque quasi subito: “Sono arrivato 5 minuti in ritardo, ma non pensavo che la tua crisi di astinenza fosse ad uno stadio così critico”

 

Mi limitai a rivolgergli uno stupido sorriso, scostandomi dal viso accaldato una ciocca di capelli.

Gli presi la mano e lo condussi veloce verso l’ascensore, lasciando che la porta si richiudesse alle mie spalle.

Lasciai tutto com’era, desiderosa di allontanare Ville il più presto possibile da quel luogo. Un senso di vergogna ancora mi pervadeva, consapevole delle bottigliette che giacevano, vuote, ai piedi del letto

 

***

 

“E’ così strano il cielo senza luna” mormorò d’un tratto Ville, il capo reclinato all’indietro ad osservare il cielo.

Eravamo gli unici occupanti dei tavolini disposti in bell’ordine sulla terrazza. Gli unici matti che non sembravano per niente preoccupati dal vento gelido che graffiava la notte.

Ma con tutto l’alcol che circolava nel mio sangue, il freddo era l’ultima delle percezioni che toccavano il mio animo.

“E’ come un oceano senza il suo faro e le stelle sono marinai che hanno perso la rotta” borbottai, bevendo l’ultima goccia del mio cocktail.

Ville ridacchiò sotto i baffi: “Piccola poetessa, non sarebbe meglio smettere di bere per stasera?”

 

Traballando un po’ sulle gambe, pur non avendo un controllo perfetto dei miei movimenti, riuscii ad avvicinare la mia sedia alla sua.

Con un gesto provocatorio, gli rubai il suo bicchiere dalle mani e ne trangugiai svelta il contenuto.

“Stai cercando di sfidarmi?” domandò, strappandomelo a sua volta.

“Forse” confermai, arrotolando una ciocca fra le dita e continuando a fissarlo negli occhi intensamente, fin quando non distolse lo sguardo “Vuoi ordinare qualcos’altro adesso?”

“No, non credo sia il caso.” Scosse la testa, ancora sorridendo, ma con una nota seria nella voce “Non voglio che tu beva ancora. Mi sembra abbastanza per stasera”

Sbuffai, sbirciandolo di traverso “Non vorrai mica farmi la paternale. Tu!”

Si irrigidì per un momento, ma ancora una volta riuscì a mascherare al meglio i suoi sentimenti: “Sono pur sempre il tuo fratello maggiore no?” scherzò, con voce un po’ roca.

 

Mi allungai sulla sedia, posando una mano sulla sua coscia e accostandomi più del dovuto. “No, non lo sei” gli alitai, sul collo.

Lasciai l’altra mano vagare tra i suoi capelli, sentendolo rabbrividire al solo contatto, mentre serrava, involontariamente, le palpebre.

Si costrinse ad aprirle quasi immediatamente, lasciandomi scorgere nel verde dei suoi occhi apprensione e desiderio.

Con un coraggio che dipendeva dall’alcol che sentivo pulsarmi fin nel cervello e che aveva messo a tacere ogni freno inibitorio, lo attirai a me, buttandomi sulla sua bocca, e mordendo con urgente violenza il suo labbro.

Dopo un attimo di disorientamento i sensi presero il sopravvento, e le sue mani cominciarono a muoversi frenetiche lungo il profilo del mio volto, e poi dietro, sulla mia nuca e il collo, mentre la sua lingua entrava con rabbia nella mia bocca senza incontrare resistenza.

 

Lasciò scorrere le dita contro le mie braccia, seguendo un percorso infuocato sulla mia pelle. Quando raggiunse i polsi li afferrò con forza e mi trasse a se, facendomi alzare in piedi e poi sedere a cavalcioni sulle sue gambe. Riprese quindi a baciarmi con foga, premendo le mani sui miei fianchi così fortemente da farmi quasi male.

Mi aggrappai alle sue spalle, mentre la sua bocca scendeva giù, fino alla clavicola.

Con rapido movimento del capo, iniziai a baciarlo a mia volta, slacciando i bottoni della sua camicia, lasciando scivolare le mani fredde sul suo petto caldo scosso dai battiti veloci del suo cuore sconvolto.

La mia testa si riempì dei suoi sospiri e non capii più nulla. Cercai di sfibbiarmi il corpetto: tutto ciò che desideravo era sentire le sue mani e le sue labbra su ogni centimetro della mia pelle.

 

Ma a quel punto Ville, con altrettanto vigore, mi fermò.

Sfuggire alla sua presa fu impossibile. Quando alzai di nuovo lo sguardo per incontrare il suo, il suo viso era arrossato e grave.

“No…” bisbigliò, il fiato corto.

Sbattei le palpebre, confusa.

“Perché?” sentii la mia voce domandare irritata.

“No” continuò a scuotere la testa “Sei ubriaca. Non voglio che la storia si ripeta, in questo modo…”

In quel momento non capii le sue parole, ma mi liberai con uno scossone, adirata, e me ne andai, sistemandomi una spallina.

“Aspetta Elisa!” mi chiamò, ma non ascoltai.

Entrai svelta nel locale, dirigendomi ancora una volta al bancone del bar.

 

***

 

Di ciò che accadde dopo ho un ricordo piuttosto sfuocato.

Musica. Luci colorate. Corpi premuti contro il mio e mani sconosciute.

E poi finalmente una voce familiare e altre mani a condurmi in un abbraccio sicuro.

“Elisa!” chiamò severa la voce, mentre dita fredde colpivano le mie guance, ripetutamente, per farmi riprendere.

La mia vista si fece più chiara e riuscii a distinguere il verde d’angoscia dei suoi occhi.

Le lacrime iniziarono a scorrere lungo quelle stesse guance e indietreggiai. “Lasciami stare” gli intimai, in un lamento.

Ma Ville non seguì affatto la mia richiesta. Sordo alle mie proteste, mi sollevò di peso, simile ad un sacco.

 

“Mettimi subito giù! Ora!” scalciai e tirai pugni, continuando a urlare senza ritegno.

Proseguii con questo comportamento pietoso a lungo.

Lui non si scompose un istante, accettando tutti i miei coloriti insulti.

In bagno aspettò che avessi rigettato l’anima, sostenendomi e carezzandomi la fronte sudata.

Caddi inerme tra le sue braccia e mi addormentai al suono delle sue parole.

 

***

 

Quando mi svegliai ero nel mio letto, nella mia camera d’albergo.

Il respiro cadenzato di Arianna riempiva il silenzio della stanza e una piccola luce si irradiava a intermittenza attraverso le persiane socchiuse.

All’inizio la mia testa era completamente vuota, bianca come un foglio immacolato.

Poi, ricordi troppo vividi presero a riempire come macchie quel fragile pezzo di carta.

Soffocai i singhiozzi nel cuscino, desiderando di poter cancellare tutto quanto.

Ma non avrei mai potuto. Ormai avevo rovinato ogni cosa. Perché in fondo ero esattamente uguale a quell’uomo che tanto disprezzavo e lo sarei sempre stata.

Mi odiai. Mi odiai e bramai di bruciare viva nella mia vergogna.

Ma sarebbe stato troppo semplice. Una via di fuga degna soltanto di una codarda.

D’un tratto un’idea balenò nella mia mente folle e la speranza mi sfiorò come una calda fiamma.

Dovevo tentare di riparare e forse…forse avevo una possibilità di farlo subito.

 

Era un’idea sciocca, senza fondamento, un’illusione infantile.

Ma era tutto ciò che avevo.

Se fossi rimasta ancora in quel letto mi sarei logorata l’anima fino al midollo.

Sgusciai fuori dalle coperte e mi precipitai come una folle verso la porta.

A piedi scalzi corsi per le scale, a perdifiato, inciampando e cadendo sui gradini.

Con le ginocchia che bruciavano arrivai al nono piano, e poi davanti ad un’altra porta.

Una porta che mi ero lasciata alle spalle molti giorni prima, quando ero convinta di essermi appena svegliata da un sogno, quando invece il sogno era appena cominciato.

Forse adesso il sogno si era davvero concluso. Ed io ero soltanto una stupida a tentare di scappare ancora dalla realtà.

 

Ma bussai ugualmente a quella porta. Non sapevo chi avrebbe aperto: di certo non lui, lui che aveva una casa e che voleva mettere più distanza possibile tra di sè e una pazza che non aveva fatto altro che insultarlo, mentre lui cercava di aiutarla. Avrebbe aperto qualcuno che, dopo aver posato gli occhi su una ragazza dalle occhiaie pronunciate, gli occhi gonfi, scarmigliata e con i calzoncini sformati e una canottiera scolorita, avrebbe pensato immediatamente se fosse il caso o meno di chiamare la sicurezza.

O forse non ci sarebbe stato proprio nessuno. E quella ragazza sarebbe rimasta a tremare davanti al legno scuro di una porta inclemente.
Ma mi sbagliavo.

 

Fu il suo sguardo stupito ad accogliermi e a farmi fermare il cuore nel petto.
Tormentai il labbro inferiore con i denti cercando dentro di me una forza che non avevo.
“Mi dispiace” mormorai infine con voce flebile che faticai a riconoscere come mia.
“Mi dispiace”.

 

 

________________________________________________________________________

 

E si alzano cori lontani ‘Alleluja, Alleluja, Alleluuuuuuuuuuuja’
Questa è stata la reazione delle mie prime lettrici xD Beh in effetti 18 capitoli è un bel record per un bacetto xD ma d’altra parte ormai conoscete la mia perfidia.
Spero vi sia piaciuto il capitolo^^ e attendo curiosissima i vostri commenti!

 

Un grazie gigantesco a:

 

@Crist: grazieee cara! Io voglio quel vestito xD Sii in effetti ero tentata di metterci un bacino, ma alla fine il mio lato sadico ha prevalso! MA finalmente è successo!!! Spero mi sia fatta perdonare almeno per il momento! Fammi sapere cosa ne pensii! Ciaaaaao! Bacii

 

@linkin park: davvero ti fa questo effetto?? *.* me è strafelicee! Si anche io tendo a immedesimarmi abbastanza xD grazie grazie grazie per i complimenti *.* speriamo che nn ti perdi questo capitolino perché sono curiosa di sentire cusa pensi del bacetto! Zaau! Kiss kiss

 

@grimilde: sublime commentatrice *.* non ho parole per ringraziarti per quello che hai scritto..davvero Grazie..sebbene non pensi di meritare affatto tutto quello che hai detto, è stato comunque bellissimo e toccante leggerlo! Sei perdonata ora! Anche se la prossima volta che ti dico che ho aggiornato credimi xD Ciao bellissima, la tua Semplice scrittrice squattrinata XD baciiii

 

@Sis: ahahha beh si, dovremmo fargli la lista delle canzoni da cantarci!! Ehm..mi sa che non basterebbe una settimana di concerti! Grassieeeee sis! Sei pazza pazza ma ti vojo troppo bene!! Chissà se riuscirai a dare una sbirciatina a codesto chapter hihihi Suukkoooo

 

@vampire_heart: un grazie anche alla mia collega dei calzini che commento quel di su msn!! Grassieeee! Vedi che sono stata buona questa voltaa eh! Hihihi baciii

 

Allora attendo fiduciosa!

A presto
La vostra
-FallenAngel-

 

 

 

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Capitolo 20
*** Addicted ***


Chapter 19

 

Addicted

 

We live in a World, a world without Years, Rules or Limits. It’s Our world and you are its Goddess

 

 

Rimasi così, senza muovere un muscolo, quasi senza respirare, mentre attendevo una qualunque reazione.

Ma anche Ville era immobile come una statua: sbattè due o tre volte le palpebre, per abituarsi alla luce improvvisa, seppur esile, del corridoio, in contrasto con l’oscurità completa della sua stanza.

Serrai gli occhi, non riuscendo a sopportare di vedere ancora il suo torso nudo, senza provare l’impulso di allungare una mano.

L’attesa stava diventando insostenibile: erano passati secondi od ore? Non avrei saputo dirlo con certezza. Perché non faceva nulla? Forse avrei preferito vedermi la porta sbattuta in faccia, piuttosto che sopportare quel silenzio.

 

Risollevai lentamente le palpebre, con un sguardo di supplica. Mi accorsi che sarei stata pronta anche a chiedere scusa in ginocchio, se fosse servito a qualcosa. Ormai quel poco di dignità che ancora avevo si era polverizzato quella sera stessa.

Con un’espressione indecifrabile dipinta sul volto teso, Ville si scostò dall’entrata, lasciandomi lo spazio necessario per passare.

Mi avvicinai con passo insicuro, mentre lui accendeva la luce e richiudeva la porta alle mie spalle, per poi voltarsi a fronteggiarmi.

Continuò a non dire nemmeno una parola, ma restò semplicemente a guardarmi, tanto che mi ritrovai a pensare che forse presentarmi alle quattro del mattino davanti alla sua camera non fosse stata poi una grande idea. Tuttavia, non era il momento di essere codardi.

 

Emisi un respiro profondo e iniziai a balbettare frasi sconnesse, cercando di sopprimere i singhiozzi che tentavano di assalirmi a tratti: “Scusa, scusami davvero. Il mio comportamento è stato semplicemente imperdonabile. Io…io, non so cosa mi sia preso” scossi la testa, stringendo i pugni “No, non è vero. So cosa mi è preso: ero ubriaca marcia e ho fatto, e detto…oh Ville, ti ho detto delle cose terribili, e non ci sono scuse per quello che è successo, ma io…lo so non dovrei nemm-“ lacrime bollenti avevano rotto gli argini dei miei occhi e ora scorrevano copiose lungo le mie guance. E scoppiai a piangere come una bambina, non riuscendo nemmeno più a parlare “Non volevo, scu…scusa. T-ti… io…”

 

Finalmente quella statua di ghiaccio parve sciogliersi: cogliendomi di sorpresa, mi venne incontro all’improvviso, prendendomi tra le sue braccia.

Stupita e senza respiro, abbandonai priva di difese il capo contro la sua spalla, continuando a piangere. Ville mi strinse più forte, facendomi aderire al suo corpo piacevolmente caldo, in un abbraccio che non aveva bisogno di parole.

Eppure io dovevo parlargli, non potevo lasciare tutto com’era senza una spiegazione.

“Ville, io…” riprovai, ma la mia voce continuava a tradirmi.

 

“Shhh” mi fermò, massaggiandomi delicatamente la schiena e posando le sue labbra sui miei capelli “Non devi dire nulla, non importa”

Scossi la testa con vigore, riuscendo ad allontanarmi da quell’agognata prigione: “No” ripetei testarda, gli occhi ancora velati di lacrime nei suoi “Voglio davvero spiegarti”

Ville mi regalò un dolcissimo sorriso, riavviando all’indietro qualche ciocca di capelli che era rimasta attaccata alla fronte sudata: “Come vuoi tu, ma prima devi calmarti”

 

Annuii più volte, asciugandomi il viso con le mani in un modo talmente buffo e infantile che il darkman non riuscì a celare una piccola risata, affrettandosi a porgermi un fazzoletto.

Quindi mi guidò fino al letto, dove mi sedetti senza protestare, sfiorando con le dita le morbide lenzuola, mentre involontariamente ricordavo l’ultima volta che avevo messo piede in quella stanza.

Lui si sistemò sul bordo, cancellando un’ultima lacrima testarda, rimasta sola, sul mio mento; con una piccola pressione delle dita mi costrinse a sollevare lo sguardo, che tenevo fisso su un punto qualsiasi della moquette bordeaux.

“Scusa” sospirai per l’ennesima volta, sentendomi ancora terribilmente in colpa “Non pensavo veramente tutto quello che ho detto. Non pensavo nulla di quello che ho detto” mi corressi, cercando di spiegare davvero quello che sentivo, ottenendo l’unico risultato di ingarbugliare ancora di più la situazione “Eri solo la persona più vicina…nel momento sbagliato”

 

Senza preavviso lui scoppiò a ridere. Lo squadrai sconcertata, battendo un paio di volte le palpebre, giacché non ero affatto sicura di non avere qualche allucinazione post-sbornia.

“Come mi hai fatto notare gentilmente questa sera” sottolineò l’avverbio con un ghigno divertito, mentre io avrei soltanto desiderato poter scomparire come la fata turchina con un piccolo ‘bop’ “non ho di certo alcun diritto per giudicarti. Tu non hai idea in che stato mi sia ridotto a volte…il veleno che ho sputato in faccia ai miei amici…” tornò serio, lasciando vagare gli occhi inquieti per la stanza, come in cerca di un perdono che non aveva mai voluto concedere a se stesso “Se fossi stato nei loro panni, non credo avrei resistito tanto, ma avrei rotto i ponti molto tempo fa. Ho fatto e detto cose di gran lunga peggiori, ti assicuro. So come funziona, e so che non intendevi ferirmi con tutti quei coloriti insulti”

Tentò di rassicurarmi con  un sorriso, disegnando con il pollice il profilo della mia mandibola.

 

Una breve e intensa scossa attraversò svelta la mia spina dorsale, e la mia schiena si raddrizzò istantaneamente, seguendo l’impulso quasi elettrico.

Ville interpretò il brusco movimento come una reazione al freddo: avendo constatato che le mie gambe erano effettivamente gelide si affrettò ad avvolgermi con cura in una coperta.

“Sto bene, non devi disturbarti” affermai, scuotendo il capo, non meritevole di tutte quelle attenzioni.

Sbuffò con enfasi, senza darmi minimamente ascolto. Si risedette poi alle mie spalle e iniziò a passare le mani tra i miei capelli, con delicatezza, facendomi un poco il solletico.

“No…che stai facendo?” protestai “Sono un disastro”

Sogghignò apertamente: “Appunto”

Mi guardai un po’ in giro, inquieta. Sebbene fosse lì da poche ore, in quella camera regnava già la confusione più totale. Vestiti che non avevo assolutamente idea da dove potessero essere giunti giacevano sparpagliati sui divani: donavano un tocco poetico in più libri e fogli di carta dispersi un po’ ovunque.

Senza concedermi alcuna delucidazione, Ville si sedette alle mie spalle e cominciò a spazzolarmi i capelli.

 

Ad un tratto mi voltai a fissarlo: “Perché lo stai facendo?”

Alzò le spalle: “Il mio animo estetico e amante del bello immagino, non sopporto di vedere un guazzabuglio simile” disse, impostando un tono di voce ben poco naturale.

Mi finsi ancora un poco imbronciata, ma poi chiusi gli occhi e assaporai la sensazione delle sue mani che mi solleticavano a tratti il collo. Mi ritrovai scioccamente a pensare che la mia parrucchiera preferita aveva trovato un rivale.

“Sei reale?” chiesi ad un certo punto, come avevo fatto molto tempo prima, la prima volta che avevo posato gli occhi sul suo volto ancora turbato dal sonno.

Quasi mi aspettavo che fosse lui a sparire, come un miraggio. Ma le sue braccia strette intorno alla mia vita e i suoi denti affondati nella carne della mia spalla erano certamente veri.

 

“Ahi” mi lamentai, spalancando le palpebre per lo stupore.

“Volevo solo dimostrare la mia consistenza”

“Mi bastava un pizzico” blaterai pedante, ma mi addolcii subito dopo: “Davvero non sei arrabbiato?”

“Davvero, davvero” bisbigliò al mio orecchio, tornando a passare le dita tra la disordinata massa corvina, lisciando ogni ciocca con cura.

“Vorrei raccontarti lo stesso perché…perché l’ho fatto. Vuoi ascoltare?” lo interrogai con esile voce.

“Certo” mi rassicurò.

Presi la coperta tra le mani, e cominciai a torturarne il bordo, inspirando ed espirando profondamente: “E’ tutto a causa di mio padre” rivelai, dicendo tutto e niente.

Ville rimase in silenzio, aspettando paziente fin quando non fui pronta a proseguire

.

“E’ un alcolista. Non è mai stato un padre in realtà, se non per quanto riguarda la questione puramente biologica. Mia madre è morta quando avevo poco più di due anni e sono cresciuta quindi da sola, con lui. Credo sia almeno un po’ per causa sua se sono venuta con principi morali così deboli, un caratteraccio tremendo e tale propensione per l’alcol”

“Ma…”

Tentò di intervenire, ma non glielo permisi: “No, ti prego, lasciami finire. E’ stato lui quindi per molti anni la mia unica famiglia. Poi è arrivata Arianna e molte cose sono cambiate: mi ha fatto capire cosa significasse essere davvero amati, come ci si sentisse a non essere da soli. Tuttavia temo che una parte di quel seme marcio che è in me non sia mai scomparsa. Ho cercato per tutta la vita di fuggire dall’ombra di quell’uomo, ma per quanti sforzi faccia, per quanto corra forte e lontano, sembra sempre in grado di raggiungermi. Sono arrivata anche a cambiare stato, ma non pare ancora sufficiente” ansimai frustrata, ancora una volta sull’orlo delle lacrime.

 

“E’ per questo che sei venuta in Finlandia?”

“Sì. E speravo di essermi lasciata tutto alle spalle. Ma scappare non serve a nulla non è vero?”

“E’ arrivato fin qui?” domandò preoccupato.

“No, quello no. Ma accadrà presto. Oggi per sbaglio ho risposto ad una delle sue chiamate. Era ubriaco naturalmente e mi ha ricordato quanto fosse fiero di avere una figlia talmente insignificante” sibilai, piena d’odio, stringendo i pungi intorno all’orlo della coperta ormai ridotto ad uno straccio.

“E quindi hai bevuto” dedusse Ville, spostando i capelli, ora più morbidi, oltre la spalla destra, e appoggiandosi quindi con il mento su quella sinistra, cosicché percepivo il suo respiro caldo sul collo e il suo corpo contro la mia schiena.

“Sì. Perché in fondo sono identica a lui. L’unica cosa che so fare di fronte ai problemi è obliarli nell’alcol” ribattei acida, stringendo la mascella.

 

“Non devi punirti in questo modo. So perché l’hai fatto. No, non sto cercando di giustificarti. E’ sbagliato. Ma so cosa significa pensare di essere da soli ed essere certi che non ci sia altro sollievo contro il dolore se non il nulla. Tuttavia so anche che l’unica meta a cui può portarti questa strada è la fine di tutto, della vita, ma non della sofferenza. Quella non si può cancellare se non affrontandola: me l’ha ricordato una persona importante, mentre tentavo di dimenticare la storia con Jonna per mezzo di un’infinità di bicchieri di troppo. E sai una cosa? Adesso sto veramente meglio, a parte ogni tanto. Qualche volta i ricordi tornano a bussare ed hanno il sopravvento”

“Ti manca ancora?” chiesi a bruciapelo, non sapendo trattenermi, ma rammaricandomi immediatamente della richiesta.

“Lei? Jonna intendi? Oh no, lei non mi manca più” mormorò guardando perso un punto oscuro davanti a sé.

 

“Sono comunque troppo debole” ribadii sconsolata “Ogni volta giuro che è l’ultima, e poi…poi risento la sua voce e tutto quello che desidero è poter scordare chi sono. E’ successo anche quell’altra volta” cercai le parole adatte, rendendomi conto ben presto che non ne esistevano “La prima volta che ci siamo incontrati”

“Oh”

Notando la sua tensione tentai di non indugiare troppo in quelle acque.

“E così riesci sempre ad esserci quando tiro fuori il peggio di me, eh?” la mia battuta era fragile e povera di ironia persino alle mie stesse orecchie “Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere ancora una volta. Ma quando sono ubriaca, ciò che di peggio vi è nella mia natura prevale, e mi trovo a parlare e agire in modi imperdonabili, facendo cose di cui mi pento amaramente”

Lo sentii irrigidirsi per un momento. Ma fu solo un attimo.

“Basta ora” sussurrò con dolcezza, facendomi sdraiare lentamente lungo il letto e cullandomi nel suo abbraccio sicuro. Poggiai la testa contro il suo petto, che bagnai ancora di sale.

“Adesso sai che ci sono. Ti proteggerò io. Non c’è più bisogno di dimenticare”

 

Avrei voluto sollevare il capo e cercare le sue labbra, avrei voluto sentire i battiti dei nostri cuori fondersi in uno solo. Tuttavia, la mia mente questa volta non aveva cancellato, e serbava distintamente il ricordo del suo rifiuto solo qualche ora prima.

“Sarai ancora il fratello maggiore che non ho mai avuto?” domandai, ordinando al mio animo ribelle di frenare la sua corsa e godere del profumo di quei fiori che aveva incrociato nella sua strada, senza agognare sempre i più rari e i più irraggiungibili.

Ville parve esitare, ma forse era stata soltanto la mia immaginazione.

“Certo”

 

Rimanemmo a lungo così, stretti in un piccolo bozzolo, dal quale, sentivo, sarei uscita un po’ più farfalla.

“Riuscirò mai a trovare un modo per sdebitarmi?” mi chiesi ad un tratto, dubitando che avrei trovato mai una risposta affermativa al mio quesito.

“Fidati, l’hai già fatto” giurò, scoccandomi un bacio sulla fronte.

Non riuscivo assolutamente a figurarmi come avessi potuto fare una cosa del genere, ma desideravo con tutta me stessa credergli.

“Ti sembrerà un po’ stupido” dissi poi, alzando lo sguardo per incontrare i suoi occhi “ma voglio dirti una cosa”

“Cosa?” un sorriso curioso gli illuminò il viso.

Toccai fuggevolmente una piccola ruga d’espressione sul suo volto.

“Nulla, volevo soltanto vedere il tuo sorriso”

 

Quando rise, il letto tremò alquanto, ed io con esso.

“Sei così…”

“Pazza, idiota, fuori di testa?” stilai una serie di aggettivi poco carini che si addicevano alla mia persona.

Accolsi volentieri anche il suo sguardo scocciato: “Perché devi smontarmi sempre quando cerco di dire qualcosa di carino?”

Sollevai quasi impercettibilmente le spalle: “Perché sono perfida e malvagia?”.

Fece per allontanarsi, ma sapevo bene che era soltanto una finta.

Si sollevò sul gomito per potermi squadrare meglio e quando ritenne che avessi finito di fare la sciocca, almeno per il momento, continuò: “Il termine che volevo usare era unica, speciale, ineguagliabile” trasse un lungo sospiro, passando nuovamente le dita fra i miei capelli “All’inizio pensavo che tutta l’energia che provavo nel starti vicino dipendesse dalla tua età; ma mi sono reso conto che l’età non centra proprio nulla: è come se vivessimo in un mondo parallelo dove non esistono anni, nè regole o confini”

 

“Credi possa esserci davvero un mondo del genere?” domandai, cercando la sincerità nei suoi occhi.

“Certo. Tu me l’hai mostrato” mi assicurò, attorcigliano una ciocca intorno alle dita.

“Ci sono sempre delle regole” gli feci notare, con una punta di tristezza.

“Solo perché tu immagini che esistano. Sei tu la Dea di questo universo, sei tu che fai le regole”

Gli tirai un leggero pungo contro il petto: “Ora smettila di prendermi in giro”

Un altro inenarrabile e infernale sorriso.

Mi strinse di nuovo a sè, seguendo le linee curve delle vene sul dorso della mia mano.

“Sei davvero speciale, per me. Sei la mia piccola Furia, love metal sister”

“Ti importa davvero di me?” mi ritrovai a chiedere mio malgrado.

 

Non ebbi bisogno di attendere la sua risposta: “Irrazionalmente e indubbiamente…sì, molto più di quanto avrei potuto pensare”

Le sue parole così strane e inconsuete mi confermarono quanto fosse malata – e sincera – la sua mente.

Rimasi ancora un po’ a godere del caldo tepore del suo corpo, fin quando una voce dentro di me cominciò a ricordarmi che quello non era il mio posto. Provai a seppellirla a lungo, zittita a tratti da desideri e sogni ad occhi aperti.

Ma alla fine dovetti cedere. Simulai uno sbadiglio e scostai il capo dall’incavo del suo collo.

“Sarà meglio che vada a dormire almeno un pochino” sussurrai “E sarebbe meglio che Arianna mi trovasse nel mio letto stavolta, a meno che non vogliamo che scoppi la Terza guerra mondiale. Sa già qualcosa non è vero?” chiesi un po’ preoccupata.

Il sorriso divertito di Ville uccise ogni mia speranza “Ehm…direi di sì”

Beh, l’avevo immaginato.

 

Ancor meno desiderosa di partire, mi alzai in piedi, scoccandogli un piccolo bacio sulla guancia.

“Ancora mille volte grazie”

Mosse veloce una mano sopra la mia testa, rovinando in parte la sua stessa opera: “Quando vuoi”

“Ci sentiamo presto” aggiunse, mentre mi guardava varcare la porta.

 

**

 

 

15 Maggio

 

Quando mi risvegliai era già mattina inoltrata.
Arianna era seduta contro lo schienale del letto, tutta intenta nella lettura di un libro del quale, con gli occhi ancora impastati dal sonno, non riuscii a mettere a fuoco bene la copertina.
Mi stirai con poco cerimonie, per poi rivolgerle un timido buongiorno.
Lei sollevò lo sguardo dal suo libro e incrociò le braccia al petto, scuotendo la testa.
“Non ti posso lasciare sola un momento eh?”
“Mi dispiace” mormorai, sbattendo le ciglia e facendole gli occhi dolci.
Sospirò, battendo le mani sopra le gambe.
“Sai che non voglio fare la mamma cattiva, non ne hai bisogno. Ma non voglio che ti succeda nulla di brutto. Poi ho promesso, quindi non posso arrabbiarmi”

 

“Promesso?” ridacchiai, mettendomi in ginocchio sul letto.

“Già” disse agitando una mano in aria “al tuo Principe Azzurro, o forse dovrei dire Nero”

Le mie guance si tinsero istantaneamente di rosso, mentre riinfilavo dietro l’orecchio una ciocca che mi solleticava il viso.

“Mi ha chiesto espressamente di non prendermela, e se avevo proprio voglia di arrabbiarmi con qualcuno dovevo farlo con lui” Arianna fece una smorfia molto eloquente, ma io feci finta di nulla.

Alzò gli occhi al cielo: “Beh, d’accordo, non mi arrabbierò, ma almeno dimmi cos’è successo. E questa volta non ammetto omissioni”

Così le raccontai tutto, o quasi. Mi vergognavo ancora troppo per confessarle che in un momento di debolezza ero saltata letteralmente addosso a Ville.

Lei fu talmente dolce: seppe perdonarmi, e promise di starmi vicina, sebbene non avessi bisogno di rassicurazioni: ero sicura che lo avrebbe fatto.

 

“Sarà meglio cominciare a prepararci” mi spronò, tirandomi una cordiale pacca sulla spalla “Non vorrai fare tardi al nostro primo giorno di lavoro!”
Con un balzo era già in piedi, le labbra aperte in un radioso sorriso: “Adoro dire questa frase!”
“Sì, Ari, sì” la assecondai, spingendola verso il bagno “Ora vai a farti la doccia, o dovrai recitare anche la parte ‘Siete arrivate tardi il primo giorno e quindi siete licenziate!’” imitai il suo tono forte e allegro.
Lei naturalmente non gradì, e prima di sbattermi la porta sul naso, vidi le sue iridi celesti scintillare di pura indignazione.

 

Ero sola da pochi minuti, quando bussarono alla porta.
Aprii con espressione confusa, trovandomi davanti Jaakob, uno dei camerieri dell’hotel, vestito come al solito di tutto punto.
“Buongiorno Miss Gerani” pronunciò il mio cognome con quell’accento strano che mi metteva di buon umore. Risposi al suo sorriso senza alcuna difficoltà: “Buongiorno!”
Sporse in avanti il vassoio che portava con sé, sul quale erano disposti in bell’ordine una lettera chiusa e un piattino con un gigantesco biscotto a forma di gatto.

 

“Per me?” domandai scioccamente, stralunata.
“Certo Miss, se vuole posso appoggiarlo su un tavolino” si offrì, evidentemente divertito dalla mia reazione sconcertata.
“Eh? Oh, si naturalmente” annuii, continuando a fissare il vassoio, che rimase fermo dov’era.
“Ehm, se mi lasciasse passare…”
Mi guardai le scarpe, rendendomi conto che ero esattamente davanti alla porta e impedivo il passaggio.
“Oddio scusa!” lo pregai, togliendomi subito di mezzo.
Jaakob fu molto gentile, e non rimase a prendermi in giro: “Non si preoccupi” mi assicurò, prima di salutarmi e sparire nel corridoio con il suo carrello.

 

Mi avvicinai titubante al tavolino, e raccolsi la lettera.

Prima di aprirla la annusai, come facevo sempre: le mie narici furono immediatamente colpite dall’aroma di tabacco e del suo odore. Non riuscivo a identificarlo esattamente, ma stavo ormai imparando a conoscerlo.

Dischiusi curiosa la busta e ne estrassi un foglio di carta leggermente stropicciato, sul quale svettavano i caratteri della sua calligrafia affatto chiara, ma che fortunatamente ormai riuscivo a interpretare facilmente dopo i pomeriggi passati a scrutare ogni piccolo particolare dei libricini di lyrics all’interno dei suoi CD.

 

My dear wildcat,
Se stai leggendo questa lettera vuol dire che ieri sera (o meglio stamattina) sei riuscita a giungere sana e salva alla tua camera.
I miei più sentiti complimenti.
Ora siediti e consuma la tua nutriente colazione (ti piace il biscotto? Ho chiesto espressamente ad una mia amica in cucina di prepararlo per te! Non trovi ti assomigli?)

 

Posai nuovamente lo sguardo sul biscotto dalle dimensioni decisamente esagerate e l’aria appetitosa e alzai un sopracciglio: io non ci vedevo poi tutta questa somiglianza…

 

Ed ora sei pronta per iniziare una nuova meravigliosa giornata.
Buon primo giorno di lavoro.
Ti penserò (un pochino)

Ville

 

 

Rilessi quelle poche righe due o tre volte, felice, quando nuovi colpi risuonarono contro il legno duro della porta.

Mi guardai in giro, cercando qualcuno con cui condividere la mia confusione forse; ma mi ritrovai a fissare gli occhi del mio gatto di pastafrolla, con una silenziosa domanda sulle labbra.

Dato che il mio interlocutore non era di molte parole, mi decisi ad andare a vedere chi fosse stavolta.

 

Il mio cuore iniziò a scalciare senza controllo, attaccandosi ad un assurdo presentimento.

“Mi dispiace sono ancora io, Miss” sorrise Jaakob di fronte alla mia espressione evidentemente delusa.

“No, cosa dici!” cercai di recuperare, dandomi mentalmente della stupida “Sono felice di rivederti…così presto!”

“Ho qualcos’altro per lei!” esclamò entusiasta, facendo comparire da dietro la schiena un nuovo vassoio d’argento, sul quale però giaceva una meravigliosa rosa dai petali neri e un’altra lettera.

Nuovamente i miei occhi si spalancarono per lo stupore: “Grazie Jaakob” mormorai con voce fievole.

“Si figuri, lo lascio accanto all’altro” si propose, sempre ridacchiando sotto i baffi.

Questa volta dovetti sedermi, perché non ero sicura che le gambe mi avrebbero retto ancora a lungo.

Sfiorai i petali vellutati del fiore e poi passai le dita sul gambo e le spine acuminate: sentii le punte pungermi la pelle e provai per un istante il masochistico impulso di stringere le mani e ferirmi.

 

Ma presi invece la lettera e la aprii, come la precedente. Al suo interno non trovai soltanto un foglio di carta, ma anche una chiave elettronica…

 

Stavo scherzando.
Non ricordi affatto quel gatto. Sei come questa Rosa.
Fragile, nera, bellissima.
Pericolosa.

Questo pomeriggio ho qualche faccenda da sbrigare, ma mi piacerebbe vederti questa sera. Non so esattamente quando sarò di ritorno. Così, se hai voglia di venire, ti lascio la chiave della mia stanza. Puoi aspettarmi lì.
A meno che tu non abbia altri programmi.
Non preoccuparti.

Your addicted Valo

 

 

 

 

 

 

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Oh mie care donne! Mi dispiace di essere un po’ in ritardo! Ma me è stata in gita a Praga settimana scorsa, e quindi ero rimasta un pochettino indietro!
Spero di riuscire a scrivere il prossimo più in fretta possibile, anche se mi aspetta una settimana brutta brutta. Ma ho troppa VOGLIA di scrivere il prossimo xD
Grazie millissime alle mie sante commentatrici!

 

@Crist: siiiiiii anche io vojo picchiare il padre! A dire il vero vojo picchiare pure il mio ma questa è un’altra storia. Ehm, io lo so che ormai tu mi odi xD ma che posso dire? Sono un pochino sadica? O semplicemente mi piacciono le storie tormentate! E tu sei un angioletto cara che riesce ancora dopo tanto tempo a seguirmi! Al prossimo capitolooo!! Baci

 

@SIs: ma certo che pazza pazza era un complimento! il tuo commentino è decisamente TROPPO bello! Sono contenta che la scena del bacio ti sia piaciutaaaa *.* soprattutto il finale drammatico xD solo tu mi capisci!! Si guarda il padre e l’arpia devono finire insieme nella stessa pira. Ah ma tu non hai idea di cosa abbia combinato ieri sera! Ma almeno me ne sono liberata! Mi rifiuto di vederla un’altra volta nella mia vita! Comunque questa non è la sede, poi ti spiego… sisi cmq povero ville xD ormai gli stiamo organizzando l’esistenza, spero sia d’accordo! xD Ukkeeeeeei a presto mio amor! Bacii

 

@Malaena: tesoraaaaaaa!! Nun sai quanto ero felice quando ho visto che eri tornata a commentare! Mi sei mancata! Mi stavo chiedendo proprio che fine avessi fatto! ( a propositooo, vero che aggiorni presto?? *.* mi manca tantissimo anche la tua storia!) Beh hai visto cosa ti ho combinato? xD La situazione si fa sempre più complicata, perché quando sembra che la matassa sia sul punto di sciogliersi la riingarbuglio ancora di più xD direi che i miei poveri personaggi sono condannati xD chissà che nel prossimo non sia più buona xD kisskiss

 

@Vampire_heart:  ziii direi una colonna sonora perfetta xD beh si direi che tutti hanno apprezzato quell’abbigliamento! Ormai basta, deve andare in giro sempre così xD vabbè non c’è problema! Tanto glieli laviamo noi i vestiti e gli facciamo trovare pronti solo quelli che vojamo noi! Muahahahahahahah okay non sto bene xD Cmq grassieeeeeeee cara! Alla prossima collegas! Baci

 

@Lampoz: ed ecco qui il commento chilometrico di lampo xD in primo luogo io sono Mors senza un motivo, eppure sono Mors perché così è scritto nel grande libro della vita. Capito?? Coomuque! Lampo XD XD XD ma lo sai che posso leggere i tuoi commenti anche duecentoventidue volte ma ogni volta muoio dalle risate XD comunque temo che mamma rovo non abbia usato molta crescina da queste parti! Mors è boccolosa ma nun ha poi così tanti capellini. Lampo sono contenta che tu continui a canticchiare quella canzone così bella *.* poi c’è dentro anche uno dei nomi di mors!! Invece me è da ieri che canto ‘smother me’ ma lo sai xD zono felice che ti sia piaciuto tantooo! Ti vojo benissimoooooooo! E devo andare a fare inglese sigh (perché la mia scuola non fa seggio come quella di QUALCUN ALTRO!) ci zentiamo dopooo! Baciii! P.s. il maschile di strega è stregone XD

 

Allora spero a presto!

La vostra

FallenAngel

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Capitolo 21
*** Lost in your eyes ***


Chapter 20

 

Lost in your eyes

I cannot…

 

 

Canticchiando a voce alta una vecchia canzone dei Black Sabbath, le cuffie del mio mp3 ben fisse nelle orecchie, saltai appena in tempo sull’ascensore che si stava proprio per chiudere.

L’uomo in doppio petto che era stato così gentile da non tenere le porte aperte attendendo il mio arrivo, mi squadrò per qualche istante, probabilmente non approvando il mio abbigliamento alquanto alternativo. Poi aprì la bocca, ma dalle sue labbra non uscì alcun suono.

Mi tolsi malvolentieri una cuffia: “Scusi, non ho capito”

“A quale piano sale?” ripeté stizzito, con un accento americano.

“Nono” gli risposi educata.

 

L’espressione dipinta sul suo volto sembrava dubitare seriamente della veridicità delle mie parole. Per sua fortuna, non fece alcun commento, ma si limitò a premere il tasto del sesto piano e a darmi, quindi, le spalle.

A dire il vero non mi meravigliai neppure quando, giunto a destinazione, non si premurò di salutare. Di certo non era finlandese.

Ancora scuotendo la testa, arrivai davanti alla stanza n 906.

Recuperai dalla tasca dei jeans la chiave magnetica e la rigirai per qualche istante tra le dita, non ancora sicura che quella fosse la cosa giusta da fare.

Ma per quanto avessi deciso di non dar retta al cuore ma alla testa, il mio cervello non riuscì ad elaborare alcun motivo valido per non entrare in quella camera. Lasciai passare quindi la scheda sull’apposito scanner e infilai la testa dentro.

 

“Heilà?” chiamai, ma la camera si rivelò desolatamente vuota. Nonché indiscutibilmente e stranamente in perfetto ordine.

Sbattei due volte le palpebre e poi finalmente feci il mio ingresso.

Abbandonai l’mp3 su un tavolino e mi precipitai immediatamente nella stanza da letto, saltellando come una sciocca, come facevo sempre quando ero sicura che nessuno potesse vedermi. Mi accinsi quindi a sbirciare ogni singolo centimetro di quelle pareti, spinta da un’inguaribile curiosità.

Aprii il grande armadio, aspettandomi di trovarlo vuoto e ritrovandomi invece a scrutare con la fronte aggrottata una quantità discreta di capi di vestiario, e lascio alla vostra fantasia immaginare quale fosse il colore dominante. Rimasi alquanto interdetta dalla scoperta e cercai a lungo di comprendere la mente contorta di quell’uomo noto al mondo come Ville Valo: rinunciai presto all’impresa, lasciandomi cadere a peso morto sul grande letto, con le braccia spalancate, sognando ancora una volta di essere quell’angelo caduto nominato nella mia canzone preferita.

 

Fissai il soffitto, ripensando alla mattinata trascorsa: come primo giorno di lavoro era andato tutto decisamente bene e, nonostante la mia proverbiale leggiadria, ero riuscita a non far cadere a terra nemmeno un piatto. Certo la velocità dei miei movimenti continuava a far concorrenza ad una tartaruga menomata, ma d’altra parte avevo anch’io bisogno di qualche giorno di pratica. Presto, speravo, i clienti del ristorante sarebbero riusciti a mettere le mani sui loro ordini prima di raggiungere l’età senile.

Per Arianna era tutta un’altra storia: lei si spostava tra i tavoli aggraziata e veloce come una gazzella, senza paura di mettere anche solo un piede nel modo sbagliato e rovinare a terra (pensiero che aveva invece perseguitato me per tutta la durata del turno).

 

Più rimanevo in quella stanza più una strana sensazione mi avviluppava sempre più stretta, come un velo sottile ma allo stesso tempo opprimente. Quando abbassai per un solo istante le palpebre, quasi mi parve di non essere più sola. Era un’impressione assolutamente irrazionale, ma sembrava che ogni più piccola fibra di quel luogo fosse impregnata della sua essenza e ovunque mi girassi credevo di vederlo comparire con il suo sorriso sornione dipinto in volto, così come ogni qualvolta che respiravo, potevo percepire distintamente il suo profumo.

Spalancai gli occhi all’improvviso e mi rialzai a sedere, diritta. Scappai da quella prigione psichedelica, nutrendo la speranza che il salottino antistante la camera, dove non avevo mai passato molto tempo con Ville, stuzzicasse meno la mia mente già troppo eccitata.

 

Subito la mia attenzione fu catturata dal televisore dalle dimensioni affatto trascurabili, poggiato su un piccolo mobile in legno dotato di rotelle, che spiccava sul lato della stanza opposto rispetto al divanetto e alle poltrone di pelle nera.

Affondai pesantemente in una di queste, accendendo l’apparecchio nel tentativo di distrarmi. Forse in un’altra occasione sarei riuscita ad apprezzare molto di più i vividi colori dello schermo a cristalli liquidi e l’audio quasi perfetto che rendevano la performance di Tarja Turunen in un vecchio video dei Nightwish ancora più spettacolare.

Ma al momento non riuscivo a trovare un diversivo abbastanza interessante da farmi dimenticare l’attesa.

 

Lasciai vagare lo sguardo sul tavolino davanti alla poltrona, dove giacevano dimenticate alcune riviste, qualche giornale e un volume piuttosto grosso, seppur in edizione economica, con la copertina flessibile sgualcita dal tempo e, forse, dai viaggi. Lo presi fra le mani, curiosa. Le mie labbra si aprirono in un sorriso involontario nello scoprire che si trattava di una raccolta di racconti di Edgar Allan Poe.

Quando lasciai il volume aprirsi a caso sulle mie gambe, le pagine si separarono più o meno a metà dell’opera, in corrispondenza di una piccola piega nell’angolo della pagina destra: mi domandai, divertita, se quel segno fosse stato fatto intenzionalmente, o se fosse una semplice ‘orecchia’, come quelle che spesso deturpavano molte delle pagine dei miei quaderni alle scuole elementari, per la gioia dei miei insegnanti.

 

Notai immediatamente che una frase era stata sottolineata con cura, a matita. Recitava così: ‘All in vain; because Death, in approaching him had stalked with is black shadow before him and enveloped the victim’ Rabbrividii mio malgrado, scuotendo il capo: di certo Ville non si smentiva mai. Tornai qualche pagina indietro, scoprendo che il racconto in questione aveva titolo ‘The tell-tale heart’. Lo divorai in pochi minuti, accorgendomi ben presto di conoscerlo già. Il racconto di ossessione non riuscì però di certo a calmarmi, ma al contrario mi mise più ansia addosso, tanto che riposai con un tonfo il libro sul tavolo.

 

Lo spostamento d’aria troppo forte fece volare oltre il divanetto opposto un foglio di carta solitario, che era disposto in bilico sull’orlo di vetro accanto ad una penna.

Mi affrettai subito ad andare a raccoglierlo e, facendo il giro del divano, scoprii che dietro al bracciolo era appoggiata una bella e lucida chitarra acustica. Ne sfiorai le corde con tenerezza, per poi concentrare la mia attenzione sull’insulso pezzo di carta atterrato vicino alla sua base, dove svettavano alcune frasi scomposte, tracciate dall’inconfondibile e, se possibile, ancor più confusa mano di Ville. Sui bordi erano poi riconoscibili diversi ghirigori senza senso, che mi lasciarono inginocchiata a terra a sorridere come un ebete per mezz’ora. Non proprio l’immagine della sanità mentale.

Cercai di interpretare quei geroglifici che ancora si ostinava a chiamare scrittura, ricorrendo a fantasia e intuito.

 

Quando riconobbi un pentagramma tracciato molto semplicemente, con poche note base, il cuore iniziò a battermi più rapido nel petto: compresi infatti che ciò che avevo davanti non era affatto un insulso pezzo di carta, ma l’embrione di una nuova canzone. Sì, ne ero praticamente certa.

Le parole erano ancora poche, sistemate alla rinfusa, e in percentuale assai inferiore rispetto agli spazi vuoti; cancellature su cancellature rivelavano l’oblio dal quale la poesia non era ancora riuscita ad emergere completamente.

Eppure c’era qualcosa che era stato scritto con più sicurezza e una calligrafia quasi leggibile: “Venus Doom” recitava una didascalia in cima alla pagina e nuovamente era ripetuta in una frase più o meno a metà del foglio, sottolineata con una linea sottile e diritta: ‘Watch me fall for you my Venus Doom’.

Senza pensarci un altro istante presi in mano la chitarra e tentai di seguire la melodia non ancora completa, basandomi sulle note che erano state accennate di fretta.

Provai e riprovai, chiedendomi se mi fossi almeno avvicinata all’idea originale.

 

Leave all behind now to watch her crawl through our dark --- of insanity’

Una parola era stata eliminata con vigore e la frase era stata lasciata incompleta: senza accorgermi di quello che stavo facendo presi la penna in mano e riempii quello spazio vuoto.

Solo dopo aver compiuto il misfatto mi resi conto della gravità della mia azione. Quello non era uno dei miei schizzi, né delle mie bozze. Non avevo alcun diritto di metterci il becco, era qualcosa di personale. Sentendomi terribilmente in colpa, riappoggiai penna, foglio e chitarra al loro posto, per evitare di essere colta dall’impulso di modificare qualche altro particolare.

Nascosi anzi il pezzo di carta sotto una rivista, come una bambina che nasconde i cocci del barattolo di marmellata appena distrutto.

 

Animata da una febbrile agitazione, riaccesi la televisione, e mi sdrai sul divano, cercando di restare immobile, per non combinare qualche altro disastro.

Ma essere così scossi era più faticoso del previsto, e dopo pochi minuti, ancora stravolta per la notte passata quasi in bianco, mi addormentai con la testa sul bracciolo e i lunghi capelli abbandonati sul viso.

***

 

Era stato un sonno profondo e senza sogni, e quando cominciai a riprendere i sensi non mi ricordai immediatamente dove mi trovassi.

Sollevai leggermente le palpebre ma, disturbata dalla luce che avvolgeva la stanza, le richiusi immediatamente. Attesi qualche secondo, mentre a poco a poco la consapevolezza della realtà che mi circondava prendeva piede nella mia mente. Feci un secondo tentativo, questa volta più cauto, di aprire gli occhi e alla mia vista ancora annebbiata si mostrò l’immagine di qualcosa che non mi aspettavo di vedere.

 

Ville sedeva sulla poltrona di fronte al divano con le gambe incrociate, sulle quali era appoggiato un grande blocco da disegno.

Sul suo volto era dipinta una buffa espressione concentrata, che disegnava tante piccole rughe sulla sua fronte aggrottata. Le iridi chiare brillavano attente seguendo le linee tracciate dalla mano esperta, mentre le sue dita indugiavano a tratti sul foglio, per sfumare un contorno.

Quando sollevò lo sguardo per rivolgerlo nella mia direzione, serrai istintivamente le palpebre, per la seconda volta, arrossendo però al contempo. Sperai che la sua vista non fosse tanto allenata da notare il repentino cambiamento.

Troppo affascinata dal suo viso assorto, la mia mente non aveva collegato tutte le informazioni a sua disposizione: ma ora, di nuovo al buio e senza distrazioni, compresi che l’oggetto della manifestazione dell’estro artistico del cantante ero…io.

Fui colta da un misto di vergogna e irritazione, ma imposi a me stessa di restare immobile.

 

Mi azzardai quindi a socchiudere gli occhi e sbirciare Ville attraverso le ciglia: tutta la sua attenzione era di nuovo rivolta al disegno. Inizio a mordersi il labbro inferiore e a grattarsi la fronte con la sua aria corrucciata, come cercando nuova ispirazione: ma così facendo si sporcò tutto con le dita nere di carboncino, e al vedere quelle bizzarre strisce scure contro la sua pelle nivea, non riuscii a trattenermi dal prorompere in una piccola e innocente risata.

Tentai di essere il più silenziosa possibile, ma fu tutto inutile: Ville sobbalzò visibilmente e alzò il capo dalla sua opera, sorpreso.

 

Quindi mi indirizzò un sorriso divertito e scocciato insieme: “Da quanto tempo sei sveglia?”

Mi sollevai a sedere, stiracchiandomi; mentre fingevo noncuranza, gli lanciai addosso il primo oggetto capitatomi a tiro: per la sua fortuna sfacciata si trattava soltanto di un cuscino. “Da abbastanza!” replicai sdegnata “Cosa diavolo stai combinando?”

In tutta risposta, alzò le spalle candidamente: “Passavo il tempo”

Inarcai le sopracciglia: “Ah si? E posso vedere i frutti del tuo ‘passare il tempo’?” domandai legittimamente, mentre mi avvicinavo a lui, curiosa.

Ville ritrasse il blocco verso di sé, nascondendo il ritratto. “No” ribattè, serio all’improvviso.

Lo guardai per un attimo, interdetta dalla sua reazione inaspettata: “No? Perché no?”

Lui scosse la testa, deciso: “No, è semplicemente terribile. Non sono bravo con questo genere di cose” tentò di spiegare “con le caricature me la cavo molto meglio, ma…”

 

Sorrisi involontariamente, stupita dal suo imbarazzo, e mi inginocchiai accanto alla poltrona, cercando i suoi occhi: “Non posso proprio vederlo?” lo pregai, corrosa dalla curiosità “Prometto di non ridere o fare niente del genere. Voglio solo vedere quanto mi vedi orribile e bitorzoluta!”

Accolse la mia battuta con una smorfia affatto divertita. Capii che non era la tecnica giusta per raggiungere il mio scopo; quindi mi dedicai alle suppliche e agli occhi dolci: “Davvero. Sarò muta come un pesce. Per favore!”

Ville trasse un lungo sospiro, guardandosi intorno indeciso. Alla fine, dopo aver roteato gli occhi e fatto molta scena, si decisi a girare il quaderno, ammonendomi di mantenere la promessa.

 

Quando posai lo sguardo sul disegno, ridere fu l’ultimo dei pensieri che attraversarono la mia mente. Anzi, per un momento dimenticai proprio cosa significasse ridere.

Restai ammutolita per un minuto buono, carpendo ogni particolare e tratto dell’opera a carboncino. Non avevo mai voluto che nessuno mi ritraesse, per una strana e malsana paura: forse la stessa che impediva alcune tribù indigene di sottoporsi all’obiettivo di una macchina fotografica.

 

Su quel foglio vedevo ora riflessa una parte di me stessa: la parte più vulnerabile, quella che avevo cercato di sopprimere per tanto tempo. Eppure Ville era riuscito a coglierla, a leggere nei miei lineamenti qualcosa che non ci sarebbe dovuto essere, e questo mi spaventava terribilmente.

Il darkman scrutò la mia espressione turbata con attenzione: “E’ così tanto brutto?” mi interrogò, fraintendendo il mio silenzio.

“No, affatto” sussurrai sincera “E’ terribilmente perfetto”

Indugiai con la punta delle dita sul foglio, seguendo la sagoma del mio stesso profilo addormentato, carezzando le linee che si incrociavano al di sopra della fronte, le fitte ciglia e poi le labbra dischiuse.

Ville sfiorò il mio mento, costringendomi a guardarlo: “Va tutto bene?” bisbigliò, confuso.

 

Annuii, abbozzando un sorriso, mentre sentivo gli occhi bruciare: “E’ davvero molto bello. Davvero” aggiunsi dopo qualche istante “Un altro innegabile talento”

Mi scompigliò i capelli con la mano, ridendo: “Sei decisamente sconvolta per qualcosa. Non mi avresti mai fatto un complimento tanto esplicito, quanto immeritato”

Mi ritrassi subito, guardandolo in cagnesco mentre cercavo di risistemare ciocche di capelli in una posizione ortodossa.

 

Stavo per rispondergli a dovere, quando il mio stomaco vuoto decise di dover intervenire al mio posto.

Ville riprese a ridere come un bambino, mentre mi schermivo imbarazzata: “Ehm…ma che ore sono?”

Indicò l’orologio attaccato alla parete alle sue spalle, che segnava le 10 meno un quarto.

Strabuzzai gli occhi: “Che cosa? Ma per quanto tempo ho dormito?”

“A questo non so rispondere” mi informò il cantante, alzandosi in piedi per riporre nella libreria il blocco “Ma quando sono arrivato, più o meno due ore fa credo, stavi già russando sul mio divano!”

Borbottai qualche frase senza senso, sorpresa della mia stanchezza e anche arrabbiata con Ville perché non mi aveva svegliata.

“Presumo tu abbia fame” notò allegro, allungandomi una mano per farmi alzare.

Incrociai le braccia al petto, voltandomi dall’altra parte, senza degnarlo di una risposta. Non che questa fosse difficile da indovinare. In effetti avevo praticamente saltato di nuovo il pranzo…

 

Il darkman non attese che i miei bollenti spiriti si freddassero, ma essendosi rimboccato le maniche, mi sollevò di peso, facendo passare un braccio sotto alle mie ginocchia.

“Cosa stai facendo adesso?” scossi la testa, aggrappandomi alle sue spalle.

“Ingombravi il passaggio” mi rispose con un ghigno, lasciando improvvisamente la presa intorno alle mie gambe. Mi strinse più forte intorno alla vita, mentre i miei piedi ritornavano, poco delicatamente, a terra.

“Sei un idiota!” lo apostrofai, ancora allacciata a lui per la fifa.

“Beh adesso sei a terra. Potresti anche smettere di abbracciarmi” mi fece notare con calma, mentre le mie dita sembravano decisamente a loro agio intorno alle sue spalle, e il mio corpo si sentiva unito perfettamente, come il pezzo di un puzzle, al suo.

Ma mi staccai, tornando a guardarlo dritto negli occhi con aria truce.

“Allora…la vuoi una pizza?”

Alzai teatralmente lo sguardo al cielo: “Vuoi rifilare una pizza ad un’italiana?”

Lui mi sbirciò incerto, evidentemente non aspettandosi una risposta del genere. In fondo la pizza piace a tutti no? Non riusciva a cogliere il problema.

Sbuffai sonoramente, ma poi scoppiai a ridere: “Sì, la pizza va benissimo” non volevo provocare problemi esistenziali.

 

***

 

Le nostre pizze arrivarono in tempo record. Cominciavo a pensare che essere famosi facesse proprio comodo.

D’altra parte la fama e il successo non ti rendono automaticamente più elegante nelle tue maniere a tavola: e Ville era decisamente buffo nel divorare una pizza.

Quasi mi strozzai con un morso, quando lo vidi costretto a tagliare con le dita, scocciato, l’ennesimo filamento di formaggio.

“Hai finito di prendermi in giro?” proruppe irritato “Non è mica colpa mia se questo formaggio sta cercando di uccidermi!”

“Certo Ville” continuai a ridere “E’ sicuramente colpa del formaggio”

E proseguii con le mie risate spastiche fin quando non mi ritrovai uno dei pomodorini della mia pizza letteralmente spiaccicato sul mio naso.

“Ooops” Ville si finse sorpreso “Qualcuno sembra più imbranato di me o sbaglio?”

Mi pulii il naso rosso con un gesto stizzito per poi prendere la mia fetta di pizza e schiacciarla sul suo viso, prima che potesse difendersi: “Mmm, temo che tu ti sbagli”

 

Mi guardò incredulo, prendendo un tovagliolo e pulendosi a sua volta.

“Sei vendicativa eh!” commentò, allungando la mano verso la sua lattina di birra e bevendone un sorso.

Sorrisi di rimando: “All’occorrenza, sì. E anche molto orgogliosa” precisai, godendomi la mia inaspettata vittoria: Ville sembrava aver abbandonato l’ascia di guerra.

Si passò la lingua sulle labbra, annuendo. Quindi mi fissò a lungo negli occhi, e d’un tratto, sebbene fossi seduta, sentii le gambe molli.

Quando poi iniziò a sporgersi sempre più pericolosamente vicino, il mio piccolo cuoricino si mise a ballare animatamente la salsa.

“Hai saltato un punto” mormorò a voce bassa, sfiorandomi con le dita fredde la punta del naso e poi una guancia.

Sentii un lungo brivido attraversarmi la spina dorsale e poi tutto il busto, mentre chiudevo gli occhi inconsapevolmente. Strano, pensai, sembrava che una scossa elettrica mi avesse attraversato davvero il corpo, ma questa scossa era decisamente… bagnata? (*)

 

“Anche io sono alquanto vendicativo sai?” proseguì, per poi scuotermi con una sonora risata. Spalancai le palpebre e abbassai lo sguardo, accorgendomi che la mia maglia dell’Hard Rock Cafè di Berlino era completamente fradicia.

“Ma che ti salta in testa?” sbraitai, tirandogli uno spintone.

“Pareggio i conti” ridacchiò “Non pensavi veramente che ti avrei lasciato vincere eh?”

No, infatti mi sembrava davvero molto strano. Eppure, mi ero lasciata incantare. Non era stato affatto corretto! Aveva utilizzato il suo sex-appeal per prendermi in giro.

Provai a fargliela pagare in qualche modo, ma questa volta Ville fu più scaltro di me, e riuscì a bloccare ogni mio tentativo.

 

“Cosa credi di fare?” gorgogliò, il viso a pochi centimetri dal mio e le dita strette intorno ai miei polsi “Direi che sarebbe meglio se ti cambiassi…puzzi un po’ di birra!”

Mi morsi un labbro per costringermi a tacere e, dopo essermi liberata dalla sua presa, mi aggrappai al bordo della sua maglietta e iniziai a tirare verso l’alto.

“Cosa combini?” ripetè, braccando nuovamente le mie mani.

“Mi prendo la tua maglia!” brontolai asciutta “Visto che è colpa tua se la mia puzza!”

Ma Ville di certo non mi permise di portare avanti il mio progetto: nonostante fosse così magro, aveva nelle braccia più forza di quanta potessi immaginare.

Mi spinse lontano, slacciando le mie dita dalla sua maglia, e poi cominciò a torturarmi un po’ con quell’odioso solletico che non potevo assolutamente sopportare.

“Non cominciare!” boccheggiai, scalciando a tutto spiano, tra una risata e l’altra.

 

Quando si fu divertito abbastanza, mi permise di alzarmi a sedere, e i nostri visi tornarono alla stessa altezza.

“Ti odio” dissi, riprendendo fiato. Lui appoggiò la fronte contro la mia: “Non potevo mica permetterti di spogliarmi!”

“Puoi prestarmi un’altra maglietta almeno?”

Ville si alzò, precedendomi nella sua camera. Aprì uno dei cassetti e ne trasse fuori una maglia degli AC-DC. Gliela strappai letteralmente dalle mani e con un’espressione sdegnata richiusi la porta del bagno alle mie spalle, con un tonfo.

 

***

 

Quando uscii linda e profumata dal bagno, sebbene non particolarmente elegante, trovai Ville sdraiato sul letto, con il mio i-pod nelle orecchie.

Lo raggiunsi lanciandomi letteralmente sul letto, tanto che il materasso continuò a traballare e cigolare per un minuto buono.

“La grazia di un elefante, non c’è che dire!” osservò il darkman, togliendosi una cuffia.

Mostrai senza cerimonie la lingua, poi mi accoccolai accanto a lui: “Invadi un po’ la mia privacy?”

 

Ville voltò appena il capo, ma potei distinguere comunque lo scintillio divertito nei suoi occhi: “Stavo controllando che fossi una vera fan. E in effetti direi che posso definirti anche una fan maniaca dopo aver visto questo” ridacchiò. Appoggiandomi sul gomito, mi avvicinai un poco, quel tanto che bastava per poter vedere cosa avesse tanto colpito il cantante.

L’apparecchio elettronico riportava il titolo di quella che non era proprio una canzone: ‘Ville sings happy birthday to his mother’.

 

“Oddio” borbottai, avvampando di vergogna. “Ehm…non so come sia potuta finire lì sopra” mentii, cercando di salvare ciò che restava del mio orgoglio ferito. Ben poco in effetti.

Quella registrazione era lì sopra da quando Arianna l’aveva trovata per caso in una delle sue pazze ricerche di informazioni su Internet. Mi divertivo ad ascoltarla ogni tanto, fantasticando su quel lato per così dire più ‘normale’ e meno irraggiungibile di Ville Valo. D’altra parte non era l’unica prova di forte squilibrio mentale memorizzata in quel lettore.

Il frontman rise più forte: “Sì certo Liz” mi prese in giro.

 

“Stavo guardando anche la concorrenza” aggiunse poi “E devo ammettere che sono abbastanza fiero dei gusti musicali della mia piccola sister”

Gli regalai un sorriso ironico: “Ti aspettavi di trovare l’intera discografia di Avril Lavigne o dei Blue?”

“Avrei dovuto?” rispose con un’altra domanda “Certo qualcosa mi ha lasciato un tantino perplesso…” mi confidò, tornando al menù principale e poi vertendo la sua scelta sull’intera cartella dedicata ai My Chemical Romance “E questi?” domandò, inarcando le sopracciglia.

“Hanno anche loro un posticino nel mio cuore” asserii, con un tono che non dava adito a repliche. Il cantante si limitò a sbuffare, ma non proferì altra parola nei confronti della band americana.

 

Appoggiai la testa sulla sua spalla e continuammo a ridere e scherzare su tutti i membri della colonna sonora della mia vita.

“Non ci sono canzoni italiane” notò Ville all’improvviso.

“Solo una” lo corressi, con una nota malinconica nella voce. “Non molto patriottico da parte mia, non trovi?”

“E’ piuttosto strano più che altro. Ci sono più canzoni in una lingua che quasi non conosci, come il finnico” In effetti non aveva tutti i torti: era piuttosto ridicolo. “Qual è?” domandò curioso, voltando il capo, così che sentii il suo respiro caldo lambirmi la fronte.

Presi l’mp3 dalle sue mani, e cercai la canzone in uno dei meandri più nascosti dell’apparecchio. Era da così tanto tempo che non la ascoltavo…

 

“Il titolo è daisy, ‘Margherita’ in italiano” tradussi per lui.

“Margherita” ripetè, con quello strano accento che fece allargare le mie labbra in un sorriso. “E cos’ha di tanto speciale questa canzone per te, tanto da avere l’onore di essere l’unica canzone in italiano del tuo i-pod”

Ci impiegai qualche istante a rispondere: “Margherita” sospirai “era il nome di mia madre”

“Oh” Ville sussultò alla notizia “Se vuoi possiamo evitare…” mi rassicurò, mentre gli riporgevo la cuffia.

Scossi la testa: “No, mi piacerebbe che tu la ascoltassi. Anche se temo non capirai nulla, forse non ne hai voglia…” mi resi conto che il mio impeto di nostalgia poteva essere per lui solo fonte di noia.

“Certo che sì” proclamò invece risoluto, sistemandosi la cuffietta nell’orecchio.

 

Quando la musica partì, mi rannicchiai quasi inconsapevolmente più vicina al petto di Ville. Lui capì immediatamente, senza bisogno di parole, e mi racchiuse delicatamente nel suo abbraccio. Una lacrima, una sola, scivolò rapida lungo la mia guancia, terminando la sua corsa nell’incavo del mio collo.

Quella canzone rappresentava tutto ciò che non conoscevo, e che avrei desiderato conoscere. Era così che immaginavo mia madre: una donna piena di vita e di amore da regalare al mondo, un mondo che l’aveva persa troppo presto.

 

“Grazie” mormorai, quando la musica cessò “Avevo bisogno di ricordare”

“Di cosa parla?” mi interrogò, dopo aver posato un leggero bacio a fior di labbra sulla mia fronte.

“Se vuoi posso provare a tradurla per te” proposi, alzandomi a sedere, mentre lui faceva lo stesso.

Annuì, assecondandomi.

Riaccesi la musica, accingendomi a traslare ogni frase in inglese, sperando di essere in grado di mantenere un po’ della poesia.

Io non posso stare fermo con le mani nelle mani
tante cose devo fare prima che venga domani
e se lei già sta dormendo io non posso riposare
farò in modo che al risveglio non mi possa più scordare


Perché questa lunga notte, non sia nera più del nero
fatti grande dolce luna e riempi il cielo intero
e perché quel suo sorriso possa ritornare ancora
splendi sole domattina come non hai fatto ancora

E per poi farle cantare, le canzoni che ha imparato
io le costruirò un silenzio che nessuno ha mai sentito
sveglierò tutti gli amanti, parlerò per ore ed ore
abbracciamoci più forte, perché lei vuole l'amore.

Poi corriamo per le strade e mettiamoci a ballare
perché lei vuole la gioia, perché lei odia il rancore,
e poi coi secchi di vernice coloriamo tutti i muri,
case, vicoli e palazzi, perché lei ama i colori
raccogliamo tutti i fiori, che può darci primavera
costruiamole una culla, per amarci quando è sera
poi saliamo su nel cielo, e prendiamole una stella,
perché Margherita è buona, perché Margherita è bella.

Perché Margherita è dolce, perché Margherita è vera
perché Margherita ama, e lo fa una notte intera
perché Margherita è un sogno, perché Margherita è il sale
perché Margherita è il vento e non sa che può far male
perché Margherita è tutto, ed è lei la mia pazzia
Margherita, Margherita...Margherita...adesso è mia...

“Adesso so da chi hai preso” sussurrò alla fine Ville, giocherellando con una ciocca dei mie capelli.

Lo guardai senza capire.

“Perché sei il sogno che ha stregato ogni angolo della mia mente” la sua voce era roca e profonda “e il sale che ha trasformato il mio mondo in un cocktail esplosivo e affascinante” continuò, accennando un sorriso, mentre concentrava il suo sguardo su quell’unica ciocca color del petrolio “e sei come il vento che strazia inconsapevolmente il mio cuore”

Lasciò infine andare i capelli e ritrasse la mano, sollevando lo sguardo e incontrando i miei occhi stupiti e ancora lucidi.

 

“Assomigli sempre di più ad un pescetto” ridacchiò in tono metallico, nascondendosi dietro l’ironia.

Serrai le labbra, mortificata. Mi diedi mentalmente della stupida: ancora una volta stava scherzando con me, ed io avevo fatto la figura della stupida.

Sorrisi forzatamente, con un velo di tristezza negli occhi, che sperai non fosse così evidente.

“Sarà meglio che vada adesso” gli comunicai. Lui, preso in contropiede, guardò l’orologio: “Oh, è già così tardi”

“Già” annuii, scendendo dal letto “Ti dispiace se mi porto via la maglietta? Te la riporto presto”

“Certo, fai pure”

 

Era ancora seduto sul letto quando ero ormai giunta alla porta della camera: forse non aveva nemmeno voglia di accompagnarmi.

“Allora buonanotte” lo salutai, prima di voltarmi. Ma stavo già per scappare via da quel luogo, ancora una volta, quando lo sentii chiamare il mio nome.

Tornai sui miei passi, incontrandolo a metà della stanza.

“Sì?” domandai, incerta.

“Ecco io…io volevo dirti una cosa, prima che tu vada via” mi accorsi immediatamente che era in difficoltà: non lo avevo mai visto così agitato, spostare il peso da un piede all’altro e muovere le mani in maniera frenetica. Sospettai che desiderasse accendersi una sigaretta. Tuttavia non lo fece.

Prese invece una delle mie mani e la strinse forte.

“Dimmi” lo incoraggiai, sfiorandogli il braccio.

 

“Io…io non posso…” sussurrò, pronunciando ogni parola con fatica.

Lasciò la presa intorno alla mia mano e posò le dita sulla mia guancia: “Non posso essere ancora il tuo fratello maggiore. Non posso”

Si sentiva un traditore, lo potevo leggere nei suoi occhi tristi.

Eppure non riuscivo a capire. Che non volesse più vedermi? Aveva forse paura di essere visto in mia compagnia per qualche motivo? Ma perché aveva aspettato a dirmelo solo allora?

“Cosa vuoi dire?” chiesi, sempre più confusa.

 

Ville scosse la testa, non riuscendo a trovare una giusta spiegazione. Percepii le sue dita dietro la mia nuca e poi le sue labbra calde sulle mie. Fu un tocco lieve e delicato, quasi timoroso.

Quando il contatto divenne più profondo e altrettanto inatteso, sentii il respiro cominciare a mancarmi e cominciai a indietreggiare lentamente, come in cerca di un appiglio solido a cui appoggiarmi. Dopo pochi passi incontrai la parete e distesi le braccia contro di essa, premendo contro il muro per sorreggermi.

“Ville…” pronunciai il suo nome in un sussurro, inspirando profondamente in un bisogno disperato d’aria. Lui scostò infine la sua bocca dalla mia, allontanando le sue mani: nascose il viso nell’incavo del mio collo, attendendo che il respiro tornasse regolare, ben attento a che nemmeno un altro centimetro dei nostri corpi si sfiorasse.

 

“Scusami” singhiozzò d’un tratto “Perdonami, perdonami se puoi” alzò la testa, guardandomi in faccia, ormai completamente diviso da me, ma al contempo così vicino che potevo avvertire ogni fibra del suo essere spingere e opprimermi contro quella parete, facendomi sentire violabile e indifesa.

Non riuscì a sostenere a lungo il mio sguardo: “Non volevo farlo. Volevo essere ciò di cui avevi bisogno, starti accanto senza farti soffrire. Ma sono così dannatamente egoista”

Nonostante la luce fosse sempre più tenue, potei scorgere una piccola goccia scorrere e rilucere su una delle sue guance; sentii l’impulso di allungare una mano e spazzare via quel segno di sofferenza, e con esso tutta la sofferenza stessa. Ma avevo paura.

 

“Ti desidero, ti desidero così intensamente che ogni volta che mi sorridi mi sento morire e ogni volta che ti sfioro vorrei soltanto poter stringerti tra le mie braccia e baciarti ancora e ancora” mentre parlava tenendo gli occhi bassi le sue dita seguirono, esitanti, un tortuoso sentiero, dalle mie labbra, lungo il profilo del mento, più giù, percorrendo la curva del mio seno e poi quella dei mie fianchi, senza mai toccare davvero il mio corpo, ma facendomi tremare di desiderio ad ogni passo e sospirare di piacere. Era forse un incantesimo, quella dolce tortura?

 

“Forse ti ho deluso” continuò il darkman facendomi sussultare “ma non potevo più fingere. E forse adesso non mi vorrai più vedere, perché ho cercato e voluto qualcosa che per te era stato solo un errore…”

Le sue parole mi smossero come un ramo in balia della tempesta. In quell’istante capii quanto fossi stata stupida: per la mia paura di essere respinta, per la mia dannata insicurezza, avevo detto la frase sbagliata al momento sbagliato. E ognuno aveva frainteso i sentimenti dell’altro.

 

Rimasi ferma, immobile troppo a lungo. Di nuovo l’interpretazione più ovvia era quella sbagliata: Ville temette che il suo comportamento mi avesse davvero turbata e cominciò ad allontanarsi, concedendomi l’opportunità di andarmene per sempre.

Ma non lasciai che la possibilità di essere felice mi sfuggisse di nuovo tra le dita, come sabbia nel vento: “Aspetta” gli intimai, con quanta determinazione mi restava, afferrando le sue mani.

Incrociare il suo sguardo quasi arreso e sbigottito fu la cosa più dolce del mondo. Lo attirai a me, guidando le sue mani intorno alla mia vita: lo presi poi per il colletto della maglia, alzandomi sulla punta dei piedi e cercando di nuovo le sue labbra, desiderando in qualche modo di non staccarmene più, anche se questo avrebbe significato morire tra le sue braccia senza respiro.

 

Sentii le sue mani come braci ardenti sulle mie anche, e poi sotto la stoffa umida della maglietta, mentre il suo corpo premeva forte contro il mio.

La sua bocca rispose con desiderio alla mia, in un impeto per troppo tempo trattenuto.

Mi sentivo prigioniera di un sortilegio troppo forte per essere spezzato. Schiava di un desiderio che cancellava ogni altro particolare, grande o piccolo, della realtà. Protagonista di una storia che tante volte avevo sentito raccontare e che adesso era semplice verità.

 

We’ve been slaves to this love from the moment we touched
And keep begging for more of this resurrection

 

Lasciai che Ville mi aiutasse ad abbandonare a terra la maglia degli AC-DC, la quale non aveva trascorso molto tempo indossata, e questa volta lui permise a me di spogliarlo della sua. Anche i miei jeans distrutti scivolarono a terra, accompagnati dalle sue mani, mentre una scia di baci raggiungeva il mio ombelico e sfiorava l’elastico dei miei slip. Non restarono a lungo soli, i miei poveri jeans.

Tentai di aggrapparmi nuovamente alla parete liscia e senza appigli, mentre la sua bocca risaliva piano, superando l’ostacolo del reggiseno ormai slacciato.

La sua lingua tornò poi a intrattenere la mia, in una danza infuocata e troppo rapida anche per i battiti accelerati del mio cuore. Mi sollevò con dolcezza, adagiandomi sulle lenzuola nere come l’abisso in cui ero irrimediabilmente annegata.

 

Prima di fondersi a me, al mio corpo tremante e fragile, ruppe il sigillo delle nostre labbra, per poter scrutare nei miei occhi grandi e trasognati. Riavviò i miei capelli indietro, allontanandoli da mio volto umido, e poi si avvicinò al mio orecchio: “Mi sono perso nei tuoi occhi, sin dal primo momento” sussurrò.

Quella notte imparai cosa significasse davvero fare l’amore. E lo feci con una passione che non avrei mai creduto possibile. Mentre accoglievo ogni movimento, ogni bacio, ogni carezza, con un nuovo e sincero sospiro o grido di appagamento, mi resi conto di quanto i discorsi cinici e disillusi che avevano a lungo riempito la mia testa non valessero proprio nulla, di fronte all’amore incondizionato.

Impressi ciascun singolo, minuscolo istante nella mia memoria. Ogni parola, ogni emozione. Questa volta avrei ricordato. E lo avrai fatto per sempre.

 

perché Margherita è tutto, ed è lei la mia pazzia
Margherita, Margherita...Margherita...adesso è mia...

Cocciante

 

 

(*) Tutti i diritti alla mia piccola Lamapoz xD Amor mio: questo è tutto per teee

________________________________________________________________________________

 

 

‘Per te che è ancora notte già prepari il tuo caffè…” cantava Battisti, ma potrei cambiarlo con per te che aggiorni la tua storiaaa. Che poi non è più notte ma è ancora relativamente presto, quindi concedetemelo.
Va beh xD La giornata è appena cominciata e già deliro xD Scusate la febbre è tornata e me non ne può più!
Comunque oggi sarò di poche parole…direi che il capitolo già dice tutto^^ E sono davvero curiosa di sapere se la mia vita è finalmente salva xD
No davvero    questo capitolo l’ho ripreso in mano 200 volte e non ero mai soddisfatta, spero non sia così sotto le vostre aspettative…
Fatemi sapere, me è straANSIOSISSIMA.
Una dedica speciale a Crist che attendeva da un po’ questo momento e io l’ho fatta tanto penare!

 Grazie millissime a chi ha commentato lo scorso capitolo^^

 @Sis: la talpa di ville??? XD Nooooo mi fai troppo ridere siis! Ti adoro! Nono sis, hai ragione. Infatti lui tentava di rappresentare la figura del fratello maggiore, perché pensava che fosse quello che lei desiderava…ma alla fine è scoppiato XD Sono contenta che tu abbia colto la sfumatura^^  Anche io ti voglio troppo troppissimo bene. ma noi non abbiamo bisogno di parole! Ci basterà riabbracciarci venerdì^^ A presto amorina miaaa! Baci

 @UsagiChan92: *.* oddiooo ma grazie! Il tuo commentino è troppo bello! Ma grazie grazie davvero! Mi hai fatto arrossire! Spero che questo nuovo chapter non ti abbia deluso^^ Fammi sapereee! Grazie ancora! KissKiss

 @Crist: sisi invece! Sei il mio angioletto e una delle mie lettrici più fedeli! E spero questa volta di averti fatta contenta^^ tutti e due sanissimi e nel pieno delle loro facoltà xD Aspetto impaziente il tuo commentino^^ Baci

 @Lamapoz: beh lampsXD che direeee! Questa volta sei battuta nella tua rece XD peggio dei miei messaggi XD Non sto a rispondere a tutto quello che hai scritto se no sto fino a domani mattina xD perun! xD ormai noi e la frutta siamo una cosa sola! Vabbè lamapoz..posso solo citare ramazzotti (ramazzotti??? Ehhhh?? Vabbè sta cosa è giusta XD): GRAZIE DI ESISTEREEEEEEEEE! E grazie delle rece xD La tua mors sempre più innamorata

 Allora a presto^^
Grazie perché mi spronate sempre ad andare avanti!
Un abbraccio
La vostra
FallenAngel

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Capitolo 22
*** Fatal awakening ***


Chapter 21

 

Fatal awakening

This is a kiss worth dying for

 

16 Maggio

 

Mi trovavo ancora in quello stato intermedio tra il sonno e la veglia, quando i tuoi sensi sono offuscati e non sai distinguere tra sogno e realtà.

Tutto ciò che sapevo per certo era che mi sentivo così dannatamente bene, pervasa da un dolce tepore, dalla superficie morbida della mia pelle sin dentro alle mie ossa.

Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a ricordare di aver mai provato nulla di simile.

 

Let me wake up into your arms…

D’un tratto il mio cuore parve fermarsi e il tempo con esso; quella voce affatto sconosciuta penetrò lieve nella mia testa, cancellando tutto il resto.

Non provai nemmeno ad aprire gli occhi, sicuro che fosse soltanto un brutto, anzi meraviglioso, scherzo della mia immaginazione troppo fervida.

 

…hear you say it’s not all right…

Ma la voce non cessò di risuonare nella mia mente, come un magico incantesimo sussurrato a fior di labbra.

 

…let me be so dead and gone…

E adesso non era più soltanto melodia: potevo percepire il respiro caldo contro la pelle del mio collo e una mano percorrere lieve il contorno della mia clavicola.

Un timido ma sincero sorriso si allargò sulle mie labbra, mentre il mio cuore tornava a battere troppo veloce.

 

…so far away from life…

Dischiusi le palpebre per poter godere del suo sorriso di rimando, mentre, appoggiato sul gomito sinistro, Ville si sollevava per cercare la mia bocca con la sua.

 

…Just close my eyes, hold me tight…

Mormorò, le labbra ancora unite alle mie, le dita della mano destra che scorrevano lungo il mio fianco, scoprendomi, fino a raggiungere la stretta ansa della mia vita.

 

…and bury me deep inside your heart

Era vero, tutto reale, cercai di convincermi, mentre la sua bocca scendeva rapida fino al mio cuore, il quale non sapevo per quanto a lungo ancora sarebbe riuscito a resistere, imprigionato nel mio petto.

Sollevò un momento il capo, per sbirciare il mio volto trasognato, e sorridere, compiaciuto, dei miei battiti tanto accelerati.

Non ebbi il tempo di aprir bocca, che la sua lingua già tormentava il mio seno, lasciandomi ancora una volta senza respiro.

 

Una mia mano scivolò tra i suoi capelli mossi e spettinati, mentre dalla mia gola chiusa affiorava un sospiro di piacere.

Quando le sue dita superarono di gran lunga la fine della mia schiena, lo costrinsi a risollevarsi spinta da un irresistibile desiderio di incontrare ancora quelle labbra.

Lo spinsi sul letto, sotto di me e lui mi lasciò fare, allargando le braccia sopra la testa.

Indugiai per qualche istante sulle sue iridi, che ora brillavano con una nuova luce ed emozione, chiamando silenziosamente il mio nome.

 

All I Ever Wanted Was You, My Love” fu il mio turno di cantare, mentre i nostri corpi aderivano ancora una volta l’uno all’altro, come i pezzi di un puzzle e i duplici desideri venivano con dolcezza appagati.

 

“Un risveglio decisamente mortale…” ansimò, il respiro ancora irregolare.

Non riuscii a trattenermi dal ridacchiare, il capo appoggiato al suo ventre.

“E’ colpa tua” lo rimbeccai, sfiorando il profilo del suo heartagram.

Un leggero pizzico solleticò il mio fianco.

“Si sta forse lamentando?” domandò con ironia.

“Mh…forse”

 

Mi sentii immediatamente sollevare, mentre il mio cuscino cambiava posizione. Non so come mi ritrovai seduta sulle gambe di Ville.

Iniziò a giocherellare con il ciondolo che avevo appeso al collo.

“Sei troppo bella con questo addosso” commentò, strappandomi un altro sorriso imbarazzato.

Raccolse una ciocca dei miei capelli scompigliati dietro l’orecchio e sussurrò con la sua voce bassa e baritonale “Con solo questo addosso”

Questa volta le mie guance si infiammarono ed io mi nascosi dietro ad un altro bacio.

 

Non riuscivo a immaginare cosa sarebbe successo al mio povero cuore dipendente, quando non avrei avuto la possibilità di baciarlo ogni momento.

Perché non saremmo potuti restare in quella stanza per sempre, non è vero?

Un’ombra passò sui miei occhi e non restò inosservata.

 

“Sei pentita?” chiese serio, scrutando attento oltre le mie ciglia “Di ciò che è successo”

Non risposi immediatamente, stordita da un quesito simile.

Toccai fuggevolmente il suo labbro inferiore.

“Come puoi chiedermi una cosa del genere? Come puoi anche solo pensarla?” scossi la testa con vigore “No, certo che no. Vorrei soltanto poter stare così per sempre” gli confessai, abbracciandolo più stretto.

“Possiamo farlo se vuoi” mi disse, serio, piegando il capo da un lato “Cosa ci importa del mondo là fuori?”

Non potei fare a meno di ridere lievemente “Due cuori e una camera d’albergo? Non pensavo fossi un romanticone simile”

Ville fece spallucce “Per me è abbastanza”

“Neanche mangiare?” lo stuzzicai, aggrottando le sopracciglia.

Lui sbuffò, agitando la mano: “Cosa importa in fondo? Al massimo moriamo di fame. Ma sai che ti seguirei ovunque, my darling. Even in death” bisbigliò, recitando le parole di una sua canzone.

 

Ogni volta che sentivo dedicarmi un pezzo dei suoi testi, sentivo il petto traboccarmi di gioia. Non era forse ciò che avevo desiderato per tanto tempo? Sarei rimasta ad ascoltarlo per tutto il giorno, dimenticando il resto.

Ma non resistetti dal prenderlo un po’ in giro: “Beh, si da il caso che invece io abbia proprio fame. Quindi…” allungai un po’ il collo, aggrappandomi alle sue spalle e gli diedi un piccolo morso sul naso.

“Ahia!” si lamentò, allontanandomi istintivamente.

“Ahhh” sospirai di soddisfazione, accoccolandomi di nuovo contro il suo petto “Ho sempre voluto farlo”

“Mordermi il naso?” domandò sorpreso.

“Sì, sì” risposi sicura, davanti alla sua espressione incredula “Tu di certo non hai visto le inquadrature che fanno al tuo naso durante i live” spiegai “Viene voglia di mangiarselo!”

 

Ville scoppiò in una sonora risata, facendo tremare tutto il letto.

“Tu sei malatissima” commentò, passandosi una mano tra i capelli “Ma con chi sono finito?”

Gli rivolsi un’occhiata glaciale: “Cosa vorresti dire?”

“Assolutamente nulla” mi assicurò, le labbra piegate in sorriso sghembo irresistibile, prima di baciare ancora la mia bocca, mordicchiando con delicatezza le mie labbra.

Di certo, se avesse continuato a comportarsi in quel modo, non sarei mai riuscita ad arrabbiarmi.

Di nuovo il bacio si intensificò a dismisura e rischiava di sfociare in qualcos’altro, se Ville non si fosse staccato con difficoltà, frapponendo qualche centimetro tra i nostri volti.

“Questo è di certo un bacio per la quale vale la pena morire” ansimò, facendomi tremare.

 

“Ti prego, fuggi dalla mia vista almeno per un po’, altrimenti non so se riuscirò a trattenermi dall’impulso di incatenarti a questo letto e farti mia prigioniera per sempre” confessò, con un filo di voce.

Gli regalai un ultimo malizioso sorriso, prima di seguire l’invito e scappare dalle sue braccia, così all’improvviso da lasciarlo con una strana espressione basita dipinta sul volto.

“Hey, non così in fretta, non ero ancora pronto!” protestò, imbronciato, facendo segno di riavvicinarmi.

Scossi la testa, con un grandissimo sforzo di volontà: “Vado a farmi una doccia! Riuscirai a resistere senza di me per una mezz’ora”

 

Con uno scatto velocissimo, che avrei reputato impossibile, il darkman era in piedi di fianco a me, le braccia intorno alla mia vita.

Mi spinse contro la parete, premendo il suo corpo contro il mio e facendomi sussultare.

Le sue labbra erano ancora una volta saldate irrimediabilmente alle mie, fin quando ci dimenticammo di respirare e dovemmo dividerci per riprendere fiato.

“Ci sono ricascato, eh?” borbottò, appoggiando la fronte contro l’incavo del mio collo.

“Temo di sì”

“Potrei accompagnarti” si offrì, con sguardo angelico.

Avrei mai potuto rifiutare? Lo presi per una mano, e lo condussi con me oltre la porta del bagno.

 

**

 

Sbirciando il mio riflesso nello specchio opaco del bagno, quasi non mi riconobbi. Quel sorriso impossibile da cancellare sul mio volto non sembrava appartenermi.

Mi sembrava tutto ancora così irreale e anche la mia immagine appariva ai miei occhi come l’aura incantata di una fata o di qualche strana creatura uscita da un libro di fiabe.

Quando spensi per un momento il phon che stavo usando per asciugare i miei capelli troppo lunghi, udii quasi per caso il mio telefono suonare nella stanza accanto.

Corsi a prenderlo, domandando cosa mai stesse combinando Ville nel salottino per non averlo sentito.

 

“Pronto?” risposi, forse al ventesimo squillo.

“Ah! Allora sei ancora viva!” la nota ironica nella voce di Arianna era decisamente malcelata.

Abbassai gli occhi, con aria colpevole: “Ehm, sì…”

“E potrei anche sapere dove sei?”

“Ehm…da Ville” sussurrai, sedendomi sul letto sfatto.

Arianna rimase un attimo in silenzio, forse considerando tutte le implicazioni di quell’unica frase. Anzi, di quelle due sole parole.

“Si, lo sospettavo, ma…” si fermò un momento, traendo un bel respiro “sentirtelo dire fa tutto un altro effetto!”

Mi ritrovai involontariamente a sorridere. Quanto era scema.

 

“Oddio, no, non ne possiamo parlare qui al telefono. Avrò l’onore di vederti a pranzo?”

“Pranzo?” ripetei, incerta. L’ora di pranzo sembrava anche troppo vicina…non ero sicura di riuscire ad allontanarmi da lui così presto.

Arianna ridacchiò dall’altra parte del filo: “Diciamo cena allora?”

Cena suonava decisamente meglio.

“Si, certo. Cena” mi mostrai assolutamente d’accordo a questo incontro posticipato.

“Va bene cara, allora ti aspetto nella hall! Fatti sentire ogni tanto eh!” mi rimproverò bonariamente, prima di attaccare.

 

Rubai un’altra maglietta dal cassetto di Ville – ormai era un vizio – e mi affrettai a raggiungerlo nel salottino.

Lo trovai seduto su una della poltrone a fissare un foglio di carta con un’espressione indecifrabile disegnata sul volto.

Lo chiamai. Lui sollevò immediatamente il capo, volgendo verso di me i suoi occhi verdi sgranati.

“Cosa c’è?” domandai preoccupata, fissando a mia volta l’apparentemente innocuo pezzo di carta; fu allora che lo riconobbi e sentii il sangue gelarsi nelle mie vene.

“Oddio Ville scusami! Mi dispiace tanto!” iniziai a parlare a ruota libera, gettandomi sul divano accanto a lui e prendendogli la mano “So che non avrei dovuto farlo, ma è stato un impulso irresistibile. Sono un’impicciona ficcanaso e oltretutto ho pure dovuto lasciarci il mio zampino. Arrabbiati, arrabbiati pure se vuoi!” terminai, riprendendo fiato, dopo che avevo blaterato per mezzora senza respirare.

 

Ma Ville non gridò, né si adirò, e nemmeno mi guardò male. Si mise semplicemente a ridere di gusto, senza riuscire a smettere.

Rimasi ferma, accigliata e stupita da una simile reazione: “Tutto a posto?”

Passò una mano dietro la mia nuca e mi avvicinò a sé, baciandomi il collo: “Quanto sei idiota, sweetheart” il suo respiro così vicino mi lasciò ancora una volta stordita.

“Non sono arrabbiato. Sono solo colpito, o meglio impressionato e sbalordito” tornò a posare lo sguardo sul foglio che teneva ancora stretto nell’altra mano.

“E’ perfetto” mormorò soltanto, incredulo.

“Dici sul serio? Non ti dispiace?” domandai, cercando i suoi occhi per capire se stava dicendo davvero la verità.

 

“Io non so come tu abbia fatto. Ma hai trovato esattamente ciò che cercavo” quando si voltò a fissarmi così intensamente fui quasi presa dal panico “Ne sono quasi spaventato, davvero. Sii sincera” mi disse poi, portandosi il palmo della mia mano aperta alla bocca “Sei una strega non è vero?”

Sorrisi di rimando, scuotendo la testa: “Sono solo una sciocca, che ha scritto la prima cosa che le è venuta in mente”

Ville rimase a scrutarmi a lungo, perso in non so quali pensieri.

 

“Io…io non l’ho mai fatto ma…” lasciò andare la mia mano, piegandosi di lato per afferrare la sua chitarra “Non ho mai fatto ascoltare a nessuno le mie canzoni, se non agli altri membri della band, prima che fossero finite. Ho sempre avuto paura, tutto questo mi fa sentire maledettamente fragile e indifeso. Ma con te è diverso” si morse un labbro, riavviandosi i capelli indietro e tenendo gli occhi fissi a terra. Si fermò un istante, come cercando le parole giuste “E’ come se fossi una parte di me, molto più di una musa. Ci sono state altre donne nella mia vita” confessò, mormorando ogni parola con calma “Poche hanno ispirato alcune delle canzoni a cui sono più legato, mi hanno fatto stare bene, mi hanno fatto soffrire, ma non penso di essermi mai sentito così simile ad un’altra persona. Mai prima d’ora”

I miei occhi cominciarono a bruciare e la pelle del mio viso a diventare calda e febbricitante. Asciugai una lacrima con la manica della maglietta, prima ancora che potesse scivolare lungo il mio viso, prima ancora che Ville potesse accorgersene.

 

“Suona” la mia voce era più leggera del soffio del primo vento di primavera “Suona per me”

Le sue dita sfiorarono delicate le corde della chitarra, come poco prima avevano lambito il mio corpo. Chiusi gli occhi, mentre Ville ritrovava gli accordi e cantava per me e me sola le prime note di quella nuova poesia.

“Leave all behind now to watch her crawl

Through our dark gardens of insanity…”

Quando pensavo che la magia fosse terminata, il frontman mi sorprese, continuando a interpretare parole ancora sconosciute.

“…she’ll be the light to guide you back home

Just give her a kiss worth dying for”

Spalancai all’improvviso le palpebre, incontrando il suo dolcissimo sguardo.

 

‘Un bacio per la quale vale la pena morire’ ripetei nella mia testa, ricordando la frase che mi aveva detto solo qualche ora prima. Affondai le dita sotto il cuscino del divano, abbarbicandomi ad esso, per resistere all’impulso di corrergli incontro e stringerlo, tentando con un gesto di esprimere almeno una parte dei sentimenti che affollavano il mio cuore.

Ma rimasi immobile, non volendo affatto disturbarlo, dopo che mi aveva accoratamente confidato quanto fosse difficile per lui aprirsi in questo modo con una persona, spogliandosi delle sue difese.

“Ti piace?” mi chiese timidamente.

Feci un piccolo gesto di assenso, sicura che se avessi cercato di parlare sarei scoppiata in singhiozzi.

 

Un sorriso felice trasfigurò ancora una volta il suo viso, illuminandogli gli occhi.

“Riprovo di nuovo, c’è qualcosa che non mi convince” borbottò, più a se stesso che a me, con un’adorabile aria corrucciata.

Feci di nuovo sì con la testa e mi appoggiai con il gomito sul bracciolo del divano, sorreggendo con la mano il capo piegato.

Lo ascoltai in silenzio provare diverse combinazioni, ma nessuna parve soddisfarlo a sufficienza. C’era sempre un punto che non lo convinceva a pieno.

Mi concentrai attentamente, lasciando che la musica entrasse dentro di me.

 

“Prova un fa” suggerii all’improvviso. Il suono della mia voce, dopo una quiete tanto prolungata, lo fece trasalire.

“Cosa?” domandò, puntando il suo sguardo penetrante su di me.

Arrossii, imbarazzata. Mi ero lasciata di nuovo prendere dall’entusiasmo e avevo aperto bocca senza pensarci.

“No, nulla, dicevo solo che…” cominciai a balbettare, persuadendomi sempre di più di quanto fosse sciocca la mia idea “forse potresti provare a sostituire quel re con un fa. E poi subito dopo il mi minore. Ma è soltanto una proposta, stupida per giunta” aggiunsi alla fine.

Ville seguì immediatamente il consiglio, rimanendo sorpreso dal risultato.

“Sei semplicemente fantastica. Come hai fatto?”

Tutti quegli elogi mi stavano dando decisamente alla testa: “E’ stata solo un’intuizione” minimizzai “Nulla di eccezionale…”

 

Trascorremmo in questo modo l’intera giornata, dimenticandoci perfino di mangiare. Davvero.

La nostra sintonia era realmente impressionante e insieme riuscimmo a stilare una piccola bozza di canzone, cosa che, a detta di Ville, a volte poteva richiedere anche mesi interi.

 

Scoprii che stare tra le sue braccia era la cosa più naturale del mondo. Era davvero sentirsi come a casa. Una vera casa.

Ricalcai per l’ennesima volta il contorno del cuore tatuato sul polso destro e poi le parole ad esso legate.

‘When I love, I love” recitai in silenzio e mi chiesi se davvero per Ville amare significasse dare tutto. Una sola risposta era chiara nella mia mente, accompagnata però da un’altra domanda dolorosa: avrebbe mai potuto amare me?

Scacciai lo scomodo pensiero, premendo più forte le dita sul suo braccio.

“Ti piace il mio tatuaggio eh?” notò il darkman con una risatina.

“Decisamente si” confessai, sollevando lo sguardo “Credo sia il mio preferito in assoluto. Così semplice e al tempo stesso complicato”

Cosa vi è in fondo di più complesso dell’amore?

 

“Tu…” cominciò Ville, ma si fermò subito, scuotendo la testa.

“Cosa?” lo incalzai.

“No, nulla. Lascia stare” mormorò, lasciandomi affogare nella mia curiosità. Il mio broncio offeso non potette nulla contro la sua testardaggine.

“Ti odio profondamente” dichiarai infine, voltandogli le spalle.

Le sue braccia si insinuarono attorno alla mia vita e di nuovo quella sensazione, di non essere più sola, mi avvolse come il calore del sole, che risveglia i  boccioli dei primi fiori appena nati.

“Sei sicura?” sussurrò, cullandomi lentamente.

“Si” assicurai testarda, ma la mia voce non era affatto ferma come avrei voluto.

“Veramente?” serrai gli occhi, cercando di non prestare attenzione al fatto che le sue labbra ora sfioravano la mia guancia.

“Si” ripetei in un soffio.

“Sei la peggior bugiarda che io conosca” mi disse, premendo leggermente le dita sulla mia mandibola e costringendomi a girare il viso.

Qual era la domanda? Mi ritrovai a pensare, dimentica di ogni problema, mentre assaporavo ancora la dolcezza di un suo bacio.

 

 

 

__________________________________________________________________________

 

Ecco qui il nuovo capitolo di Mors xD
Oddio quanto mi fa strano scrivere cose tanto felici e dolciose, dopo che gli ho fatti soffrire tanto tempo xD Ma d’altra parte è giusto che conceda loro un po’ di pace. Almeno per un pochino xD
Questo capitolo non mi convince molto (come mia madre ben sa xD in effetti le ho fatto una testa tanta xD)..fatemi sapere cosa ne pensate!!
Le note che ho messo alla fine le ho sparate molto a caso! xD Non sono molto esperta..ancora..vero Puz?? xD

 

Passiamo ai ringraziamenti:

 

@Sis: *.* *.* *.* che bel commentino caraaa! Sono così contenta che ti sia tanto piaciuto! Davvero! Quando l’ho letto per la prima volta stavo per mettermi a piangere! Ti vojo tanto bene! Suukko

 

@Vampire_heart:  grassie mia dolce ale! Anche io mi sono sciolta a leggere i vostri commentini! Grassie grassie grassieeeeeee! Spero che anche questo chapter non ti deluda! Kisses

 

@Crist: uhhhhh sono contenta di averti finalmente fatto felice ^^ Dai per ora va tutto bene! La dedica ci stava proprio! Grassie mille caVa! Bacini

 

@UsagiChan92: *.* sono così happy che ti sia piaciuto tanto!! Ahhh non mi stufo mai di ascoltare un po’ di elogi anche se immeritati xD Si si lo so, anche io volevo scappare in Finlandia dopo che l’ho scritto! No, in realtà io vojo sempre scappare in Finlandia, ma fa niente xD Spero che questo chapter ti abbia soddisfatto , anche se non era così pieno di discorsi filosofici xD Cmq si^^ anche nel mio cuoricino c’è un posto per i chimici! E tra l’altro c’è in cantiera anche una fic su di loro che comparirà presto xD Allora a prestooo! Bacini

 

@Lamps: lamps mi è venuta tristezza a rileggere la rece! Perché penzavo che quando l’hai scritta eravamo cossì vicine e adesso inveceee..UFFA! cmq zi lo soXD nemmeno mors ama cocciante xD solo la canzone! E poi siii, andrà tutto beneeee (ehm..coff coff)..cmq lamps stiamo parlando su msn xD quindi tiro breve..LAMAPOZ SEI LA MEJO! Tanti bacini imouh!

 

@PUz: siii mi ricordo quando l’hai commentata e riletta (ma quante volte?? xD Matta!) in diretta..e mi prende malissimo adesso che non siamo insieme! Però c’è sempre villuccio che ci tiene unite *.* Grassieeeeeee

 

Una dedica speciale anche da parte mia alle mie Angels! Grazie grazie grazie perché siete voi e siete sempre fantastiche! Vi vojo tanto troppissimo bene!

 

Allora alla prossima!
La vostra
FallenAngel

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** Ink&Souvenirs ***


chap 22

Chapter 22

 

Ink & Souvenirs

The importance of being twin-cones

 

 

“Hai finito?” domandò Arianna, avvicinandosi al bancone, in un momento di pausa.

Smisi per un secondo di riempire l’ennesimo boccale di birra, guardandola senza capire.

Lei sbuffò sonoramente, allargando le braccia: “Di sorridere come un ebete! Non hai ancora finito?” mi prese in giro, facendomi arrossire.

“No, non credo di poterlo fare” le feci una linguaccia, cercando tuttavia di contenermi.

 

Era il mio primo giorno di lavoro come barman e non potevo permettermi di essere così distratta; d’altra parte era tutto molto, molto difficile.

Fortunatamente, ero riuscita a strappare a Ville la promessa di non presentarsi al Midnight Wish per quella sera, dato che, se fosse comparso al mio cospetto, ero sicura che non sarei riuscita a trattenermi dal saltargli addosso.

Il darkman aveva iniziato allora a tempestarmi di messaggi, uno più idiota dell’altro, ed io ero stata costretta a spegnere il cellulare, per evitare di continuare a ridere senza ritegno invece di ascoltare le ordinazioni di clienti sempre più irritati.

Arianna scosse bonariamente la testa: “Basta, ormai è persa. Cerca almeno di non farti licenziare il primo giorno per favore!”

Se ne andò con un sospiro di rassegnazione, sebbene non mi sfuggì il fatto che anche le sue labbra erano incurvate leggermente all’insù.

 

Quando le avevo raccontato tutto quello che era successo, solo qualche ora prima, era rimasta semplicemente sconvolta. Rendersi veramente conto che la tua quasi sorella ha un rapporto che va ben oltre l’amicizia con una rock star di fama mondiale deve essere un colpo non da poco. Se poi quella persona non è una celebrità qualunque, ma il cantante i cui poster riempiono quasi interamente la tua stanza e davanti alle cui fotografie hai lasciato un milione dei tuoi sospiri più sognanti, allora la situazione si fa sempre più difficile da affrontare.

Sedute al tavolo di un ristorante cinese, avevo visto passare sul suo volto una lunga serie di emozioni diverse: dapprima la sorpresa, seguita a ruota da quella che avevo riconosciuto mio malgrado come un po’ di gelosia. Ma Arianna aveva cercato immediatamente di nascondere questa sua debolezza, fronteggiando la notizia con molta più maturità di quella che sarebbe stata dimostrata da qualunque altra ventunenne. Mi aveva guardato negli occhi, chiedendomi se ero veramente sicura di quello che stavo facendo.

Per un istante ero rimasta interdetta dalla domanda e una parte di me aveva sentito l’impulso di gridarle contro che non erano affari suoi, ma poi mi ero accorta che era una richiesta assolutamente legittima e un argomento importante su cui riflettere.

 

No, la mia testa ben sapeva che la situazione in cui mi ero buttata a capofitto non era la più razionale e priva di rischi. La mia nuvola di zucchero filato, anche se in quel momento sembrava fatta di materiale indistruttibile, si sarebbe presto o tardi dissolta nel nulla ed io sarei precipitata nel vuoto, senza alcun appiglio a cui aggrapparmi. Tuttavia, la voce della coscienza era stata da tempo sottomessa a quella del cuore, che sosteneva ad oltranza, scacciando ogni altro ostacolo, una sola risposta.

Davanti al mio timido annuire, anche parte della sua preoccupazione era scivolata via, lasciando abbastanza spazio per un sorriso sincero.

“Quel che conta è essere felici, non è vero?” aveva sussurrato, passando un braccio intorno alle mie spalle “Spero davvero che questo sentiero, per quanto tortuoso possa essere, sia finalmente quello giusto”

“Grazie” avevo mormorato, stringendola forte.

“Anche se…” aveva aggiunto ad un tratto tirando leggermente la ciocca dei mie capelli che stava rigirando tra le dita “non è affatto giusto che tu ti sia presa come compagno di viaggio Ville Valo, il quale dovrebbe essere patrimonio universale dell’umanità…”

 

**

 

Tra chiacchiere e tanto, tanto lavoro, il mio turno era finalmente giunto a termine. Avevo già servito al bancone durante qualche concerto liberamente organizzato a scuola o da amici, ma quello non poteva essere nemmeno lontanamente paragonato al numero infinito di ordinazioni che un barman può ricevere in un locale come il Midnight Wish. Ero inequivocabilmente distrutta.

 

Mi lasciai pesantemente cadere su una delle panche dello spogliatoio del personale.

“Caspita…” fu tutto quello che riuscii a blaterare.

“Pff” borbottò Arianna, scalza e sdraiata sulla panca accanto “Smettila di lamentarti! TU almeno sei rimasta ferma tutto il tempo! IO invece non ho fatto altro che correre di qua e di là per l’intera serata! Senza contare tutte le volte che quegli idioti di Andre e Luke hanno cercato di farmi lo sgambetto!”

Ridacchiai, senza riuscire a trattenermi, rammaricandomi di non aver potuto seguire la scena.

 

La prima cosa che feci non appena ebbi tirato un po’ il fiato fu di riaccendere il cellulare. Ritrovai due sms e ben quattro messaggi nella segreteria telefonica. Li ascoltai uno dopo l’altro, accorgendomi che la voce di Ville, nonché le cose che diceva, si facevano sempre più strane ad ogni messaggio. Sembrava decisamente…ubriaco.

Lo richiamai immediatamente e rimasi ad aspettare a lungo, ascoltando il segnale di libero rimbombare nelle mie orecchie, mentre il sangue cominciava a defluire troppo svelto nelle mie vene. Quando poi scattò la sua segreteria, staccai con un gesto frustrato la comunicazione e riprovai ancora.

Nessuna risposta.

 

Provai a calmarmi, ma senza molti risultati. Ecco, perfetto. Iniziavo a comportarmi come una fidanzata gelosa solo dopo poche ore e solo perché Ville non aveva risposto subito al telefono! Ero proprio una scema e mi odiavo per la mia dannata insicurezza. Ma sapevo che quella sera il frontman era andato alla festa organizzata da un’amicA di Migè, ed io non potevo sentirmi completamente tranquilla, soprattutto dopo aver scoperto che non era rimasto proprio in sé…

 

“Hey! Ecco che arriva la più imbranata barista di tutta la Finlandia!” mi salutarono in coro Luke e Danny, con una patetica imitazione della mia performance.

“Ah.ah.” risposi alla provocazione, senza divertimento.

“Oh no, che ti è successo? Non dirmi che la nuvola sulla tua testa ha ricominciato a gocciolare!” si lamentò Luke, dandosi una manata sulla fronte “Sei la persona più lunatica che abbia mai messo piede sulla terra!”

Mi morsi un labbro, grattandomi il collo: “Ehm…si lo so” ammisi “Ma mi amate anche per questo, non è vero?”

Un coro di no accolse la mia non felice uscita, facendomi scoppiare a ridere “Ah beh, buono a sapersi!”

Andrea mi diede un piccolo colpetto sulla spalla: “Allora, andiamo a festeggiare questo primo giorno di lavoro?”

Non era forse la mia massima aspirazione al momento, ma decisi di seguire i miei amici, per tenere la mente occupata.

 

**

 

17 Maggio

 

Quella sera, nonostante la stanchezza, feci davvero fatica ad addormentarmi.

Ville non aveva più richiamato ed io ero rimasta immersa fino al collo nella paranoia, a rigirarmi come un’ossessa tra le coperte, rischiando ad ogni calcio involontario di svegliare la mia sventurata compagna di letto.

Poi, proprio quando ormai potevo distinguere ogni più piccola crepa del soffitto, ero sprofondata in un sonno agitato e fin troppo leggero, tanto che non mi fu difficile risvegliarmi di soprassalto non appena bussarono alla porta.

 

All’inizio, con le palpebre spalancate a sondare l’oscurità, pensai di essermi sognata tutto.

Ma il ritmico rumore riprese qualche istante dopo, facendomi sussultare.

Sbirciai Arianna con la coda dell’occhio: naturalmente la rossa non si era accorta di nulla, ancora profondamente addormentata.

Scivolai fuori dalle coperte, sgambettando in punta di piedi sul pavimento gelato. Aprii la porta appena un poco, lasciando filtrare meno luce possibile all’interno della stanza.

Mi ci volle qualche istante per abituarmi al cambiamento e mettere a fuoco di nuovo le immagini.

 

“Ciao” una timida voce decise di aiutare la mia vista in difficoltà.

Il mio cuore mancò un colpo, mentre il viso di Ville entrava finalmente nel mio campo visivo: aveva i capelli ancora più spettinati del solito e l’espressione alquanto sbattuta.

“Cosa ti è successo?” domandai preoccupata, dimenticandomi d’un tratto di essere profondamente irritata per il fatto che non avesse risposto alle mie chiamate.

“Ehm” abbassò lo sguardo a terra, apparentemente concentrato nell’osservare i miei piedi nudi “Mi sono addormentato…dopo aver bevuto un po’ troppo…” spiegò imbarazzato, passandosi più volte una mano fra i capelli, come per un tic nervoso.

 

Uscii nel corridoio, socchiudendo la porta alle mie spalle.

Nonostante i miei sforzi, non riuscii a trattenere una piccola risata nasale. Ville alzò il capo di scatto, guardandomi sorpreso.

“Stai ridendo?” chiese conferma, alzando un sopracciglio.

Mi coprii una mano con la bocca, cercando di rimanere seria “Si, scusa. Adesso la pianto”

“No, no, non è che sia offeso. Solo che…” scosse la testa “pensavo fossi arrabbiata”

“No” risposi veloce “Cioè…prima lo ero…un pochino” riformulai la frase con più sincerità “Anche se non ne avevo propriamente il diritto, solo ero un po’ preoccupata”

“Preoccupata?”

Fu il mio turno di analizzare con attenzione la moquette del corridoio: “Sì…che ti fossi già scordato di me e…”

Non ebbi il tempo di dire altro. Fu solo un attimo: prima le sue dita sfiorarono il mio mento costringendomi, con delicatezza e decisione insieme, a risollevare il viso; quindi fu la sua bocca a sovrapporsi dolcemente alla mia, risvegliandomi completamente.

 

“Ed io credevo di essere un idiota…” sospirò, la fronte appoggiata alla mia.

“E non lo sei?” ridacchiai, sollevata, ora che il sapore delle sue labbra era di nuovo così vivido in me.

“Beh, di certo tu lo sei di più” ribatté, facendo scorrere una mano lungo la mia schiena. Chiusi gli occhi, inspirando profondamente, troppo impegnata a ricordare quanto fosse bello essere fra le sue braccia per rispondere a tono.

“Come diavolo avrei potuto dimenticarmi di te?” mi sgridò, allontanandosi di pochi centimetri, per potermi inchiodare con i suoi occhi “Quando ho passato il tempo a  cercare di scacciare dalla mia testa l’immagine del tuo viso, e di quest’adorabile fossetta…” mormorò, posando l’indice sul piccolo buco accanto alla mia bocca, che si era formato all’allargarsi del sorriso che le sue parole avevano scatenato.

 

 “…e il profumo della tua pelle…” rabbrividii quando prese la mia mano, portandola al volto e mordendo con i denti i polpastrelli, per poi disegnare una scia sottile di baci lungo tutto il dorso.

 “…la morbidezza dei tuoi capelli…” continuò, giocherellando con le punte della mia chioma, disciolta oltre le spalle, mentre nel frattempo piegava appena la schiena, poggiando l’altra mano sopra la mia coscia.

“…e anche qualcos’altro” terminò, abbassando la voce, mentre la mano risaliva veloce insinuandosi tra le mie gambe.

Sussultai, tremando, anche a fronte di quel tocco appena accennato ma al tempo stesso carico di promesse.

Ville scostò la mano, sorridendo leggermente.

 

“Anche se” mi confidò poi, facendosi di nuovo serio “la mia parte preferita in assoluto rimangono i tuoi piedi”

Rivolsi istintivamente gli occhi verso il basso: “I miei piedi?”

“Sì” confermò, unendosi alla mia attenta osservazione “Sono così dannatamente eccitanti”

Proruppi in una nuova, sciocca risata: “Quanto sei stupido”

“Ma guarda che dicevo sul serio” mi assicurò ed effettivamente era molto difficile dubitare di quel volto angelico, sebbene sapessi quanto era semplice per lui ingannarmi. Con quegli occhi, avrebbe potuto convincermi anche che il sole girasse intorno alla terra. “Comunque, per quanto riguarda questa sera” ritornò repentinamente a monte del discorso “sono arrivato due o tre volte sul punto di rompere la mia promessa e venire a cercarti, ma sono riuscito a trattenermi. Poi però, quando hai spento il cellulare per evitare di essere troppo distratta, ho dovuto trovare un modo per tenere a mia volta la mente occupata, per evitare di passare la serata a piagnucolare come un bambino sulla spalla di Migè. Anche se ancora una volta bere non si è dimostrato una soluzione molto efficace” fece una strana smorfia eloquente, arricciando il naso “E così alla fine non ho smesso un momento di blaterare e mi sono comunque addormentato sulla spalla di Migè, il quale tra l’altro sarà decisamente incazzato, considerando il fatto che gli ho rovinato la serata”

Non mi fu difficile immaginare l’espressione irritata del bassista, mentre tentava di scrollarsi di dosso un frontman ubriaco e completamente fuori di sé.

 

“Allora, cosa ne pensi?” domandò con un sorriso sardonico “Sei soddisfatta dell’incantesimo che hai scagliato sopra il mio povero cuore?”

Appoggiai la mano aperta contro il suo petto e riavvicinai il mio volto al suo.

“Mmmh” mormorai, soffiando lievemente sulla sua bocca. Ville serrò gli occhi, restando immobile e così teneramente indifeso.

Attese che le mie labbra chiudessero quella poco distanza che era rimasta fra noi, ma tutto ciò che ottenne fu un lussurioso e doloroso morso, mentre le unghie della mia mano si chiudevano in una stretta morsa intorno al cuore stesso.

“Non ancora…” replicai sadicamente, riconoscendo l’amaro gusto del sangue, mentre mi allontanavo, fino ad incontrare la parete.

Ville spalancò gli occhi per lo stupore, passandosi un dito sulle labbra e lasciando che si macchiasse di una piccola striscia vermiglia.

Non disse nulla, ma mi rivolse uno strano sguardo ed un sorriso obliquo, al quale risposi passandomi lentamente la lingua lungo i contorni della mia bocca.

 

“Vuoi venire con me, mia perfida selvaggia?” mi interrogò con voce suadente.

Lo osservai con interesse, curiosa: “Dove?”

“E’ una sorpresa” dichiarò semplicemente, sul suo viso un’espressione indecifrabile.

“Verrò” assicurai, arrotolando l’indice intorno ad una ciocca laterale, atteggiando il mio corpo in una posizione seducente “Ma prima…” imposi una condizione “…baciami”

Non ebbi quasi il temo di respirare, che il suo naso era già attaccato al mio.

“Non hai per nulla paura che ti morda ancora? Potrei essere ancora più cattiva questa volta” lo provocai, sbattendo le ciglia.

Per tutta risposta mi sentii spinger ancor di più contro la parete. I miei piedi si sollevarono da suolo di qualche centimetro, mentre il suo corpo aderiva in ogni sua parte al mio, tanto che potevo percepire il suo desiderio premere contro di me.

Colsi per un istante la luce diabolica nei suoi occhi, prima che si facesse strada senza troppa dolcezza nella mia bocca, lasciandomi senza fiato e riprendendo in mano la guida di quei giochi pericolosi.

 

**

 

“Posso sapere dove stiamo andando, adesso?” cercai di informarmi per l’ennesima volta, mentre camminavamo a passo spedito per una via poco nota del centro.

Erano passate da poco le otto e la città era ancora in parte addormentata: solo qualche sporadico passante si dirigeva rapidamente al proprio posto di lavoro, guardando fisso davanti a sé, pensando ciascuno ai propri problemi.

Da quando ero ad Helsinki, ed era già un sacco di tempo, avevo perso una qualsiasi routine quotidiana: non dover uscire presto tutte le mattine per andare a scuola non era di certo qualcosa per la quale piangere in greco. Eppure, ai limiti della consapevolezza, sapevo che c’era qualcosa che non andava, che mancava nella mia vita.

 

Scacciai i pensieri molesti, spegnendo quel campanello nella mia testa che ogni tanto mi ricordava che stavo semplicemente sfuggendo dalla realtà, ancora una volta. Mi concentrai sul volto di Ville, il quale era sempre, assolutamente, impassibile.

“Lo scoprirai presto” cantilenò.

Sbuffai, stringendogli il braccio più forte: “Sei consapevole del fatto che io sia una delle persone meno pazienti che abbiano mai messo piede su questa terra?”

Il darkman scoppiò a ridere, l’ultima delle reazioni che avrei voluto suscitare: “Si, si lo so. E’ un difetto che conosco molto bene, come dire, personalmente”

 

Proseguimmo a camminare per qualche istante, in silenzio.

“Ville…” fui io a rompere la quiete, dubbiosa.

“Mh?”

“Hai mai pensato al fatto che l’essere così simili…potrebbe essere un problema?” gli esternai la mia paura, non senza difficoltà.

Il sorriso che mi rivolse mi fece capire che la stessa idea aveva attraversato anche la sua testa.

“Sì, ci ho pensato. E mi sono reso conto che per ora riesco a trovarla solo una cosa meravigliosa” sollevò lo sguardo al cielo, completamente immerso nei suoi pensieri “E’ come aver trovato una piccola pigna gemella. Adesso non mi sento più solo su questo grande albero”

 

Continuai a fissarlo, fin quando non scese dalla sua nuvola e tornò a guardarmi.

“Che c’è?” domandò, non riuscendo a decifrare la mia  espressione stranita.

“Una pigna?” per rispondere, mi feci inquisitrice a mia volta.

Ville si strinse nelle spalle: “Sì, mi piacciono le pigne!”

Certo non si poteva dire che Ville Valo non avesse dei gusti bizzarri…

“E poi” aggiunse “la nostra testa non è forse dura come una pigna? Non ci sta bene il collegamento?”

Questa volta dovetti concordare che in effetti non aveva tutti i torti.

 

“Sono davvero la tua pigna gemella?”

Si sporse per darmi un leggero bacio sulla fronte: “Certo. E per noi pigne, come ti ho già detto, non valgono le regole di questo mondo. Se per gli altri essere simili è fonte di problemi, per noi è tutto il contrario”

Il sorriso si allargò sulle mie labbra: sebbene la spiegazione non avesse alcun senso razionale, per me era abbastanza.

 

“Eccoci qui!” mi annunciò poco dopo, fermandosi davanti alla vetrina di un negozio decisamente chiuso. Mi avvicinai di più, per lanciare un’occhiata più approfondita al luogo in questione, accorgendomi in questo modo che non si trattava affatto di un semplice negozio…

Mi voltai verso Ville, spalancando gli occhi: “E’ uno studio di tatuaggi?” chiesi conferma, sebbene ne fossi praticamente certa.

“Ehm…si” annuì il darkman.

“E perché siamo qui? A quest’ora poi…guarda” indicai col dito un cartello appeso alla porta “Dice che non apre prima delle undici!”

Ville alzò gli occhi al cielo: “Sì, sono a conoscenza di questo piccolo particolare. Ma il tatooer è un mio amico”

 

Schiacciò il citofono, al quale evidentemente era collegata una telecamera, perché non servi nemmeno che il frontman aprisse bocca per dichiarare la sua identità: la porta era già stata aperta.

Mi rivolse un sorrisetto vittorioso: “Visto?”

Gli mostrai la lingua e mi rifiutai di seguirlo.

“Dai andiamo!” mi spronò, cercando la mia mano “Scusami, non volevo offenderti”

Scossi la testa, abbassando lo sguardo: “Non è questo…” borbottai, incollando i piedi al cemento della via deserta.

 

“Credo di essermi persa un passaggio: perché siamo qui?” riformulai ancora la domanda, sebbene avessi paura di sapere la verità.

“Secondo te?”

Ecco, già questa risposta non mi piaceva per niente.

“Fidati di me” mi sussurrò, traendomi a sé.

Perché questo stupido cuore aveva deciso di non darmi più ascolto? Sembrava in completa balia della sua voce.

E così, mi ritrovai a varcare con riluttanza la soglia.

 

**

 

“Puoi aprire gli occhi, sweetheart” mi assicurò, prendendomi lievemente in giro “Qui nessuno sta per morire dissanguato”

La sua roca risata riempì la stanza, insieme a quella di Ilari, tatuatore e amico di infanzia di Ville.

Socchiusi le palpebre, appena un poco, strizzando tuttavia ancora gli occhi, mentre le mie unghie affondavano sempre più in profondità nei miei jeans.

“Mi dispiace” cercai di scusare il mio comportamento infantile “Ma ho sempre avuto paura degli aghi”

Una terribile fobia degli aghi a dire il vero. E adesso che uno di essi era ad una distanza ridotta in modo così preoccupante iniziavo a non controllare più le mie azioni.

Mancava così poco e poi…

Rabbrividii mio malgrado.

 

“Beh, questo lo avevo intuito” mi fece notare il cantante con tranquillità “Ma nessuno ti sta obbligando a farti incidere la pelle. Ti ho portato qui per accompagnare me…”

Ah si. Piccolo dettaglio.

Stavo letteralmente andando nel panico perché l’ago stava per toccare il braccio di Ville.

“Ma se pensi proprio di non farcela…”

Scossi la testa, deglutendo a fatica e costringendomi ad sollevare una volta per tutte le ciglia, completamente.

Il darkman era seduto in perfetta tranquillità, un grande sorriso a increspargli le labbra, il braccio teso verso l’amico.

“Non preoccuparti” intervenne quest’ultimo “Se è la vista del sangue che temi, non ci sarà nessun lago, al massimo qualche schizzo” ghignò.

“Dai Ilari, piantala” lo sgridò il frontman, lanciandogli un’occhiataccia “Non dargli retta Liz, nessuno schizzo”

“Non preoccuparti, non è la vista del sangue a turbarmi, comunque. La mia è una paura irrazionale e senza senso. Ma farò del mio meglio. Non mi hai detto cosa stai per tatuarti” cambiai argomento, nel tentativo di distrarmi.

“Guarda, e vediamo se capisci” replicò lui, sibillino.

 

Assistere al processo non fu affatto così terribile come pensavo. Anzi. Fu…affascinante.

Senza contare il fatto che sembrava che Ville stesse facendo qualsiasi altra cosa, escluso farsi bucare la pelle e soffrire. I due amici non smisero di parlare un momento, come avrebbero fatto in un’allegra scampagnata in cerca di castagne.

“Finito!” comunicò Ilari, con uno strano schiocco della lingua.

Ville voltò il capo, per osservare meglio il risultato, con occhio critico. Dopo pochi istanti un’espressione compiaciuta comparve sul suo viso: “Perfetto”

“Allora hai intuito di cosa si tratta?” mi apostrofò, aspettando impaziente una risposta.

Sbuffai, scocciata, avvicinandomi alla sua sedia: “Certo che sì!”

 

L’avevo capito quasi subito e la mia reazione non era stata di sicuro la spavalda noncuranza che stavo ostentando in quel momento; no, non appena avevo compreso quale fosse il suo nuovo tatuaggio il mio cuore aveva iniziato ad accelerare la sua corsa e per diversi attimi ero andata quasi in apnea. Per fortuna nessuno sembrava essersene accorto, o forse aveva attribuito lo strano comportamento alla paura.

Perché quei due segni che si era fatto tatuare sul braccio non erano semplici simboli inventati o riconducibili a qualche strano culto. Erano molto di più.

Erano parole, le cui lettere erano state sovrapposte in modo da ridursi a due sole immagini. Due semplici parole, Venus Doom, il titolo della sua nuova canzone. Della nostra canzone.

 

Quando fui abbastanza rasente alla sedia il cantante fece passare il braccio interamente tatuato da molto più tempo intorno alla mia vita, guardandomi negli occhi: “Ebbene, cosa c’è scritto?” domandò nuovamente, non ancora soddisfatto della mia risposta. Quindi non mi credeva?

Alzai gli occhi al cielo: “Hai proprio una bella opinione della mia intelligenza!”

Lui non disse nulla, rimase a fissarmi, sempre aspettando.

“Venus doom” sospirai, arrendendomi.

Le sue iridi si illuminarono e solo per questo concordai con me stessa che era valsa la pena di frenare l’orgoglio.

“Complimenti” accondiscese, facendomi segno con il dito di piegarmi un po’ in avanti.

Feci come mi era stato richiesto, ritirando così il mio premio: non appena entrai ancora una volta in contatto con le sue labbra calde, riformulai il pensiero di qualche secondo prima. Ne era valsa decisamente la pena.

 

**

 

“Grazie di tutto Ilari, un ottimo lavoro come sempre” Ville espresse la sua riconoscenza all’amico, mentre ci accingevamo a lasciare lo studio.

“Allora andate?” chiese sorpreso, alzandosi insieme a noi “Non avevi detto che…”

Il darkman lo interruppe: “Sì, era stata un’idea così, ma non sapevo quale fosse la situazione. A questo punto mi sembra evidente che non sia poi questo geniale progetto…” ghignò in direzione del tatooer, il quale posò un momento lo sguardo su di me e poi ridacchiò di rimando.

“Eh, in effetti non hai tutti i torti!”

“Che cosa?” intervenni, non riuscendo a frenare la curiosità. Mi era molto difficile rimanere all’oscuro di qualche discorso, soprattutto se ne ero tanto apertamente l’oggetto.

“Nulla tesoro” mi rispose Ville, scuotendo la testa.

Pensava davvero di liquidarmi in quel modo?

Gli lanciai uno sguardo di ghiaccio: “Cosa?” sibilai.

 

Il frontman si risedette, emettendo un profondo sospiro rassegnato. Tirò fuori un pezzo di carta, più volte ripiegato. “Ieri sera” iniziò a raccontare mentre svolgeva il foglio lentamente “mentre ho avuto l’illuminazione delle lettere, ho disegnato anche questo…”

Spinse il foglio sul tavolo, verso di me.

Lo presi, corrugando la fronte. Rimasi poi a fissarlo a lungo, incapace di parlare, mentre percepivo distintamente lo stomaco attorcigliarsi con strane circonvoluzioni.

“E’-è per me?” boccheggiai infine, osando alzare lo sguardo su di lui.

Ville alzò le spalle, arrossendo leggermente “Beh, l’idea era quella ma…”

Non lo lasciai nemmeno finire e presa da un moto di passione dichiarai semplicemente: “Voglio farlo”

 

Due paia di occhi si posarono su di me, increduli.

“Cosa?” esclamò il darkman “Sei impazzita? Ci stai prendendo in giro?”

“Assolutamente no” sorrisi di sbieco “Voglio farlo. Subito. Prima che cambi idea”

“Ma ne sei certa? Eri terrorizzata solo dal fatto che IO facessi un tatuaggio, e adesso vuoi lasciare che sia la tua pelle ad essere toccata dall’ago?”

Mi morsi un labbro, deglutendo: “Ecco e se la piantassi di ricordarmelo sarebbe anche tutto più facile” bofonchiai “Se te lo dico io! Sono adulta” ehm…quasi “ e vaccinata e posso prendere le mie decisioni da sola!”

Ville scoppiò a ridere, prendendo la mia mano: “Non ho nessuna intenzione di fermarti se è quello che vuoi veramente. Solo sono sempre più convinto di ciò che ho pensato la prima volta che abbiamo parlato”

“Cioè?” lo interrogai curiosa, piegando la testa da un lato.

“Che sei tremendamente incoerente!” scherzò, ma non troppo.

“Ah, dettagli” minimizzai con un gesto “Ormai ho deciso” e non c’era più nulla da fare.

 

Ilari mi venne vicino: “Allora, dove lo vuoi?”

Ci pensai ancora per un secondo, ma in fondo avevo già deciso dal primo momento che l’avevo visto.

“Sul piede” annunciai, sicura.

Il tatuatore mi scrutò, colto alla sprovvista, grattandosi il collo: “Sul piede?” mi fece il verso “Davvero? Lo sai che è uno dei punti in cui fa più male” mi informò, non comprendendo bene il mio strano desiderio.

Mi voltai verso Ville, con un aperto sorriso. Anche il darkman era rimasto per un istante stupito della mia scelta, ma non appena vide il mio sguardo le sue labbra si incurvarono come in uno specchio e i suoi occhi rifletterono il nostro intimo segreto.

 

“Non importa” assicurai poi a Ilari, ma davanti alla sua aria scettica cercai di spiegarmi meglio, nuovamente “Non era il dolore a spaventarmi, più che altro l’idea dell’ago in sé”

“Ah” mormorò, ancora poco convinto “Come preferisci cara”

Si allontanò quindi nella stanza accanto, per recuperare il materiale necessario.

“Te lo chiederò per un ultima volta” soggiunse Ville, non appena fummo soli “Ne sei assolutamente certa?”

Annuii immediatamente, con vigore.

 

E quando fui io ad essere seduta su quel lettino, con le sue dita intrecciate alle mie, la sua voce profonda a sussurrarmi incoraggiante all’orecchio, la paura sembrò essere andata definitivamente in vacanza.

Attesi in silenzio, ad occhi chiusi, fin quando non seppi che una parte di lui era stata impressa per sempre dentro di me.

 

 

 

________________________________________________________________________________

 

La piccola mors è senza internet e chiede perdono se ci ha impiegato così tanto ad aggiornare! Ma mia sorella è molto generosa e mi presta il suo computer mooolto facilmente -.-‘’

Anche ora sono in fuga sigh!

Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo^^

Ringrazio tantissimo le mie adorate lettriciii: Lamps (lamps semplicemente ti amoooo e nn buttarti sotto nessun autobus xD), la mia sis in trasferta (sisi la eli è na scemaXD nooooo che dici nessun riferimento xD) Puz (nun so puz XD resta sempre troppo dolcioso xD siii le note azzeccatissime xD vojo la mia chitarraaa), Crist (per ora il sogno è ancora tutto intero^^ no no, non hai scritto nessuna cazzata! I tuoi commentino mi fanno sempre un piacere immenso! P.s. la tua rece è stata la num 100!!!) e Kagome14 (grazie mille^^ spero continuerai a seguirmi!)

 

Allora a prestoooo! (si spera xD)

 

Un bacio!

La vostra
FallenAngel aka Mors

 

 

 

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Capitolo 24
*** Kiss and Tell ***


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Chapter 23

 

Kiss and Tell

I’ll be the thorns in every rose you’ve been sent by hope

 

 

“Dai smettila” mi lamentai, ma senza troppa convinzione, mentre Ville mi stringeva da dietro, affondando il volto nei miei capelli e facendomi così il solletico.

“Potrebbe salire qualcuno da un momento all’altro!” gli feci notare, tentando di divincolarmi. L’ascensore in cui ci trovavamo non era di certo il luogo più privato e sicuro al mondo…

Ville non mi diede assolutamente retta: rese al contrario la presa intorno alla mia vita ancora più salda, ridacchiando, la sua bocca a pochi centimetri dal mio orecchio: “Non mi interessa”

“Oh si che ti interessa” replicai, cercando in ogni modo di restare lucida e non lasciarmi trasportare dall’istinto. Ispirai profondamente, ad occhi chiusi, fingendo – senza buoni risultati – che il suo respiro sul mio collo non provocasse brividi e sussulti in tutto il mio organismo.

 

Per fortuna mia e dell’ascensore, giungemmo presto al mio piano. Sbirciai fuori con la coda dell’occhio: nessuno in vista, via libera.

“Su, lasciami posare la borsa in camera, piccolo polpo” borbottai, facendo un passo nel corridoio, sempre con la mia piacevole appendice attaccata alla schiena.

“Devo proprio?” soffiò tra i miei capelli.

No, no, no.

“Già” mi costrinsi a rispondere, in un sussurro appena percettibile, che gli diede la possibilità di prendermi in giro:

“Cosa? Non ho sentito bene…”

“Sì” ripetei, alzando la voce.

“Mh, davvero? Beh io dico di no”

Voltai il capo, sorridendo: “Ville…”

Lui colse immediatamente l’occasione per zittirmi, posando la sua bocca sulla mia.

 

“Va bene” sbuffò infine, sconfitto, prima di staccarsi all’improvviso, facendomi quasi perdere l’equilibrio. Rimasi interdetta e immobile in mezzo al corridoio.

“Allora?” rise, precedendomi lungo la strada verso la mia stanza “Non avevi tanto fretta?”

Avanzai, scuotendo la testa, leggermente irritata.

“Ari?” chiamai non appena ebbi aperto la porta “Ci sei?”

Non ottenni alcuna risposta e non ebbi nemmeno il tempo di indagare meglio, perché mi sentii sollevare all’improvviso, mentre la porta si chiudeva con un tonfo alle mie spalle.

 

In un batter d’occhio ero sdraiata sul letto, Ville appoggiato su di me.

“Posso avere il tempo di respirare?” domandai ironica, spalancando le palpebre.

Il darkman mi lanciò una scaltra occhiata, strappandomi la borsa di mano e facendola cadere con poca grazia per terra. Si tolse quindi il cappotto e mi aiutò a fare altrettanto, poggiando tutto sul bordo del letto, dall’altra parte.

Libero da impedimenti, tornò a baciarmi con trasporto.

 

“Ecco, era troppo tempo che non ti davo un bacio come si deve” sospirò soddisfatto, dopo avermi fatto andare quasi in iperventilazione.

Lo guardai di sbieco, per quanto la situazione me lo permettesse: “Troppo tempo? Mh, e cosa mi dici di quando il tuo autista ha dovuto suonare il clacson per farsi sentire e comunicarci che eravamo arrivati davanti all’hotel, più o meno un quarto d’ora fa?”

“Non me lo ricordo proprio” sogghignò, alzandosi a sedere. Mi diede quindi le spalle, volgendosi verso le mie gambe. Mi sollevai anch’io sui gomiti, per poter scorgere quel che stava combinando.

Ville mi sfilò con delicatezza una scarpa, liberando il mio piede appena tatuato. Ritrassi la gamba all’indietro, ridendo: “Mi fai il solletico”

Rispose timidamente al mio sorriso: “Scusa, volevo soltanto rivederlo”

Mi accoccolai contro il bordo del letto, piegando le ginocchia fino al petto, dopo aver scalciato via anche l’altra scarpa: “Prego” lo invitai a sollevare la garza di protezione.

Lui non se lo fece dire due volte: con movimenti morbidi e attenti rimosse la benda, mentre il bruciore aumentavano a dismisura.

 

Ma non appena posai i miei occhi sul dorso arrossato del mio piede destro il dolore passò in secondo piano.

Una rosa nera, con un lungo stelo fitto di spine che risaliva in alto, fino ad avvolgere parte della caviglia, spiccava contro la pelle scarlatta. Tra i petali ben disegnati un occhio attento avrebbe riconosciuto subito un piccolo heartagram, mentre intorno all’intera figura scorrevano come un fiume sottili e pericolose parole: ‘I’ll be the thorns in every rose, you’ve been sent by hope”

Era ancora da sistemare qualche dettaglio, ma già così era semplicemente meraviglioso.

Rimasi a rimirarlo a lungo, gli occhi che brillavano.

 

Quando sollevai il capo incontrai lo sguardo vigile di Ville: “E’ bellissima” ripetei, per la milionesima volta, che di certo non sarebbe stata nemmeno l’ultima.

Il cantante sfiorò leggermente il bordo, senza però toccare l’area lesa: “Te l’ho detto. E’ ciò che meglio ti rappresenta. Ma piuttosto” aggiunse poi, sondando la mia mente in profondità con i suoi occhi penetranti “adesso ci sarà sempre qualcosa che ti appartiene intimamente a ricordarti di me. Non ne sei spaventata?”

Avrei voluto dirgli che non era necessario un marchio sulla mia pelle: ne aveva già lasciato uno ben più potente e ancor più duraturo nel mio cuore, per sempre. Non ne ero spaventata. Non avrei mai potuto dimenticare, in qualunque caso. Ciò di cui avevo paura veramente era perderlo troppo presto.

 

Mi limitai però a scuotere la testa, insicura dei miei pensieri.

“E se col passare del tempo tu inizierai ad odiarmi? E se un giorno non vorrai più vedermi?” insistette, con un’aria grave, che mi fece gelare il sangue “Se dovesse succedere, cosa farai?”

“La rosa è passione, nel bene e nel male. Se un giorno le spine diventeranno più forti e feriranno la mia carne, non spegneranno comunque la passione. L’odio è fuoco, e non è poi tanto distante dall’amore. Per quanto potrò mai odiarti o detestarti, sarai sempre una parte importante della mia vita e non ne sarò mai pentita”

Lasciai che fosse la mia anima contorta a parlare, seguendo i suoi astrusi e complessi ragionamenti, che la mente non avrebbe forse mai potuto comprendere.

Ville rimase in silenzio, troppo a lungo, tanto che iniziai a pensare di essere stata io, al contrario, a spaventarlo.

 

“Ville, io…” cercai di spiegare, ma il suo indice si posò sulle mie labbra.

“Shh” mormorò, scostando poi i capelli da un lato. Una lunga scossa mi attraversò tutta, dalla cervice fino alla base della schiena, non appena le sue labbra scesero a tormentare il mio collo.

Presi il suo volto fra le mani, inducendolo ad affrontare il mio sguardo.

“No, Ville, aspetta…io…” desideravo spiegarmi, volevo che capisse davvero. Ma non sapevo come fare.

“Shh, non ce n’è bisogno” mi tranquillizzò, le punte dei nostri nasi appena tangenti “Hai stregato già abbastanza ogni mia facoltà. Non è necessario che tu dica altro. Hai rapito anima e corpo ed io sono già tuo”

 

Prese una delle mie mani, poggiandosela al petto, in modo che potessi sentire i battiti del suo cuore, innaturalmente accelerati.

In risposta, sul mio viso si dipinse un sorriso adorante e intenerito insieme, mentre un sottile bruciore mi faceva sbattere più volte le palpebre.

“Ed io voglio essere tua” ribadii, allargandole le gambe e riavvolgendole intorno alla sua vita, per trarlo a me.

Lui riuscì a girarsi completamente e con pochi movimenti era sopra di me, le sue mani esperte intente a sottrarre al mio busto il caldo maglione che lo avvolgeva.

Tremai, sentendomi fragile e minuta. Lui si tolse la felpa e la maglietta che indossava, insieme, per poter tornare ad abbracciarmi stretta, scaldandomi con il suo corpo.

 

E con un semplice gesto, tutto era diverso. Ville era il mio castello, la mia bramata prigione, la fortezza in cui mi sentivo protetta e forte quanto non sarei mai potuta essere.

Mentre mi baciava chiusi gli occhi, trattenendo il respiro per concentrarmi sul tocco delle sue dita lungo la mia schiena e sui miei fianchi, fino al bottone dei jeans.

Ma d’un tratto la magia si infranse: la porta della camera si aprì e si richiuse subito dopo con un tonfo, facendoci sobbalzare.

Ville interruppe immediatamente il contatto fra le nostre labbra, rotolando sull’altro lato del letto. Allungai la mano alla cieca, alla ricerca del mio maglione, ma probabilmente doveva essere finito da qualche parte sul pavimento, perché tutto quello che riuscii a raccattare, tralasciando i cappotti che erano decisamente troppo pesanti, fu la sciarpa di Ville. Non esattamente utile al momento.

Ci lanciammo un fugace sguardo preoccupato e finalmente osammo alzare il capo verso la porta, rossi in viso per l’imbarazzo.

 

Ma era inutile impensierirsi. Chi era appena entrato nella stanza non si era accorto minimamente della nostra presenza, troppo impegnato da un altro genere di attività: rimasi a lungo con bocca e occhi spalancati quando mi resi conto che il ragazzo che stava baciando Arianna con molto trasporto non mi era affatto sconosciuto.

Nonostante avessi sempre pensato che prima o poi sarebbe successo, mi fece un effetto molto strano vedere le mani di Arianna passare con avidità tra i capelli nerissimi di Luke e il suo sorriso mentre, sospirando, lasciava che lui le mordesse il collo e le stringesse con forza la vita.

 

Per Ville, passato la spavento iniziale, la situazione era invece diventata assolutamente esilarante. Mentre io restavo immobile e sconvolta, il darkman aveva recuperato nel frattempo i suoi vestiti.

Mi pizzicò leggermente il braccio, facendomi tornare in me, e mi passò il mio maglione, sempre sogghignando davanti alla mia espressione inebetita.

Capii che dovevo fare qualcosa. Certo, se i due piccioncini non si fossero fermati proprio sopra la porta, saremmo potuti sgattaiolare fuori senza essere visti. Erano troppo presi per accorgersene. Ma in questo caso…

 

Mi coprii il viso con le mani, tornando rossa come un peperone, mentre Ville non riusciva più a trattenere le risate.

“Ehm ehm” mi schiarii la voce, nel modo più rumoroso possibile, per attirare la loro attenzione.

Fu il turno dei due soggetti in pieno sfogo ormonale di congelarsi all’istante, trasformandosi in statue perfettamente immobili.

Nella stanza calò un silenzio così pesante che riuscivo a sentire, come se fosse stato il mio, il rumore del respiro accelerato di Arianna e le imprecazioni ripetute non abbastanza sottovoce da Luke.

Il cantante si voltò molto lentamente, posando come Arianna il suo sguardo su di me. Accolsi le loro occhiate sbigottite con le braccia incrociate al petto, la fronte aggrottata.

 

“E-ely” balbettò Arianna, mentre le sue guance si tingevano di un rosso che quasi poteva competere con i suoi capelli scarmigliati.

“Ari” risposi, non aiutandola di certo in quella situazione di imbarazzo.

Lei si passò una mano tra i riccioli, ravviando un ciuffo ribelle e tossendo leggermente: “Ehm…beh cosa ci fai qui?”

“Beh, sai com’è, questa è la mia stanza…” le feci notare con più acidità di quanta intendessi.

“Beh anche la mia” ribattè, cominciando a riprendersi, mentre incrociava le braccia a sua volta con aria di sfida.

 

“Beh…” cercai testarda una replica adatta: quando iniziavamo a punzecchiarci a vicenda in quel modo entrambe volevamo avere a tutti i costi l’ultima parola. “Non è la sua però!”

borbottai, volgendo la mia attenzione su Luke, che era ancora fermo nella stessa posizione, senza parole come non lo avevo mai visto.

“Beh!” proclamò lei indignata, ma con un sorriso di vittoria che già le aleggiava sulle labbra: il sorriso che già preannunciava la mia sconfitta “Nemmeno la sua!”

Seguii il suo indice, puntato minacciosamente contro Ville, della cui presenza silenziosa sul letto accanto a me mi ero quasi dimenticata.

Oh cavolo.

Uno a zero per lei.

Ancora una volta.

 

***

 

 Circa mezz’ora dopo eravamo ancora in quella stanza, a discutere non sapevamo nemmeno più bene di cosa.

Ville era appoggiato al muro, vicino alla finestra e osservava la situazione quasi ne fosse stato completamente estraneo. Luke era seduto sul letto e gli lanciava ogni tanto qualche occhiata in cagnesco.

“Allora siamo d’accordo?” sospirai, ai limiti della sopportazione “Nessuno dirà nulla e si terrà per sé quello che ha visto”

Arianna annuì e allungò una mano, in attesa di una stretta che sancisse il patto. Ma dopo esserci strette la mano proseguimmo per abitudine con il nostro particolarissimo gesto che prevedeva una serie stupida di mosse infantili. Una sciocca consuetudine che durava ormai da un tempo infinito.

Sorrisi involontariamente alla mia amica, ma quando incrociai gli occhi di Ville il sorriso mi morì sulle labbra.

“Ehm, ora vado. Ci vediamo dopo al ristorante” mi precipitai letteralmente fuori dalla camera, rossa per l’imbarazzo.

Il darkman salutò la nuova coppia con un inchino e mi seguì prontamente in corridoio.

 

Ridacchiando come un bambino iniziò ad eseguire un paio di gesti senza senso, nel patetico tentativo di imitarmi.

Mi sentii avvampare ancora di più: “Piantala!” lo rimbeccai, ottenendo solo un ghigno spavaldo e altre battutine.

“Molto maturo da parte tua” brontolai, allontanandomi verso l’ascensore, senza una vera meta.

Lui mi fu subito di fianco, con un’espressione completamente mutata e due occhioni grandi e imploranti: “Su, lo sai che stavo scherzando. Se vuoi possiamo salire e proseguire il nostro discorso…”

Era di certo una proposta allettante, come invitanti erano le sue mani, che si erano poggiate sensualmente sui miei fianchi; ma non avevo intenzione di cascarci così facilmente: “Ma anche no” replicai, scostandomi bruscamente.

 

Cambiai all’improvviso direzione e, invece di prendere l’ascensore, varcai di corsa la porta alla mia sinistra, scendendo a due a due i gradini delle scale così poco utilizzate.

Dopo i primi secondi di sorpresa, Ville mi era di nuovo alle calcagna.

“Smettila di correre così!” lo sentii gridare, con una nota di disapprovazione.

“Su, non lamentarti” lo stuzzicai fermandomi all’improvviso, con una rampa di scale a dividerci “Forse se la smettessi di fumare come un turco avresti il fiato per una corsetta”

La mia uscita simpatica lo fece stizzire ancor di più, tanto che smise di giocare e cominciò a inseguirmi sul serio e giunti alla fine delle scale mi aveva ormai raggiunto.

 

Quando mi stava sfiorando già con il braccio tentai un ultimo tentativo di fuga.

“E’ inutile, tanto ormai ti ho preso!” mi assicurò, ormai senza fiato, ma con le dita ben avvolte intorno al mio polso, ponendo fine alla mia viaggio.

Ma con tutta la rincorsa che avevamo preso, l’improvvisa sosta non riuscì a frenare completamente lo slancio e perdemmo l’equilibrio come due ubriachi, finendo addosso ad un povero inserviente dell’albergo che aveva appena fatto il suo ingresso nell’anticamera.

 

“Typerys¹!” gridò quest’ultimo, non appena il suo fondoschiena toccò il pavimento. Si sollevò immediatamente in piedi, mortalmente indignato.

Quando tuttavia si accorse che la persona che gli aveva fatto un simile torto era Ville Valo i suoi insulti si trasformarono subito in scuse; il povero malcapitato era già fuggito ancor prima che il cantante potesse assicurargli che era stata tutta colpa sua.

Nel frattempo io mi ero allontanata, cercando di sistemarmi i capelli e riassumere un certo contegno.

“Non devi fingere” ridacchiò nel momento in cui fummo di nuovo soli.

Lasciai che si riavvicinasse a me, guardandolo senza capire: “Fingere?”

Annuì, sfiorandomi la mandibola con una mano: “Sì fingere, che tra di noi non ci sia nulla, come hai fatto due secondi fa. Non è necessario. Come non è necessario che chiunque sia a conoscenza di questa storia debba tenere la bocca chiusa”

Abbassai lo sguardo, mordendomi il labbro.

 

“Hey, so che lo stai facendo per me” insistette, prendendomi delicatamente per le spalle “Ma non voglio che tu lo faccia. Tanto presto lo sapranno tutti e Migè penso abbia già intuito molto…”

“No” lo interruppi, forse troppo bruscamente “Penso sia meglio di no. Non voglio che tu sia tormentato per questa storia”

“Oh ma…” cercò di replicare, ma non glielo permisi.

“No niente ma, è meglio non sbandierare la cosa troppo in giro…Almeno fino a quando non sarò un adulta a tutti gli effetti” mormorai infine, scuotendo il capo.

 

Un sottile silenzio calò sopra di noi: continuai a tenere gli occhi bassi, pur percependo il suo sguardo su di me. Era un problema che non aveva considerato? Era qualcosa che io ricordavo tutti i giorni.

“Bene, come preferisci” mi promise alla fine con cautela, spingendomi ad alzare il capo.

“Ma solo per un altro mese, fino a quando non diventerai più vecchia, se la cosa ti fa sentire meglio” aggiunse con un ghigno.

“Okay” gli sorrisi.

Ville posò un leggero bacio sulla mia fronte: “E ora possiamo uscire di qui? Sta diventando claustrofobico” si lamentò con una smorfia.

Insieme, ma divisi, ci avviammo verso la hall.

Un mese. Sembrava così semplice. Ma sapevo che un mese era un sacco di tempo. E in un mese potevano succedere un sacco di cose.

 

 

 

__________________________________________________________________________

 

Piccolo aggiornamento prima della partenzaaa *.*

Scusatemi se vi ho fatto attendere, sono stata un po’ pigra xD Ma adesso che finalmente raggiungerò la terra del Nostro Valo tornerò spero ancora più inspirata e pronta ad aggiornare xD o forse ci risentiamo a settembre xD

 

Grazie alla mia dolce Puz, alla fedelissima Crist e naturalmente a Lamps per i commenti all’ultimo capitolo!
Vi adoroooo *-*

 

Alla prossima
Baci
FallenAngel

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Capitolo 25
*** And nothing else matters ***


Chapter 24

 

And nothing else matters

 

Only you and me, underneath a cyanide sun

 

18 Maggio

 

Mi ritrovai a fissare con gli occhi sgranati una torta a più piani, interamente coperta da strati di soffice panna montata e grandi fragoloni rossi.

Non sapevo se la torta fosse per me. Non ricordavo che il mio compleanno fosse già arrivato.

Con la fronte corrugata mi avvicinai alla torta, che sembrava sospesa nell’aria. Sentivo l’irresistibile impulso di allungare una a mano e infilarci le dita: potevo? Non potevo? Non c’era nessuno a fermarmi.

 

Ma non appena sfiorai una fragola con la punta dell’indice Arianna parve comparire dal nulla e cominciò a saltellarmi intorno, gridando.

“Oh mio Dio! Oh mio Dio!” continuava a ripetere senza posa, con un tono di voce decisamente acuto.

Rimasi interdetta a fissarla, mentre la torta si dissolveva a poco a poco, trasformandosi in un fumo denso, poi in una nebbia sottile. Fino a scomparire del tutto.

 

Nel buio assoluto, con l’eco degli squittii da topo di Arianna ancora nelle orecchie mi chiesi incerta e preoccupata se chi aveva cucinato la torta si fosse ricordato di spegnere il forno.

 

Fu a quel punto che mi svegliai, accorgendomi dopo qualche istante di confusione che né nebbia, né fumo, né – ahimè -  torta erano reali. A differenza dei gridolini della mia best friend, che mi stavano letteralmente trapanando il cervello.

“Cos’hai?” mugugnai, la voce impastata dal sonno. Da quando la nuova relazione con Luke era finalmente esplosa, la ragazza era ancora più su di giri del solito.

“Io TI ODIO!” dichiarò, lanciandosi e facendo brontolare le doghe.

“Ah si?” misi a fuoco con molta calma il suo viso, mentre con altrettanta lentezza mi sollevavo a sedere, facendo pressione sui gomiti. “Potrei sapere il motivo?”

Lei si voltò, indicando un enorme pacco che torreggiava sul piccolo tavolino di legno, dando l’impressione di volerlo seppellire: “Ecco il motivo!”

 

Vi assicuro che non era delle stesse dimensioni della torta, ma poco ci mancava.

“Cos’è quello?” balbettai, d’un tratto perfettamente sveglia.

Arianna ridacchiò, alzando le spalle: “Guarda tu stessa”

Curiosa come una scimmia, mi catapultai fuori dalle coperte, sollevando il coperchio della scatola a tempo di record.

La carta sottile che proteggeva il contenuto era tutta stropicciata, segno innegabile del passaggio delle mani di Arianna; quando la scostai le mie dita scivolarono su un tessuto nero fresco e liscissimo, che sembrava quasi seta.

 

Dopo una rapida osservazione del panno nero mi resi conto che quella non sembrava, era seta!

Lo estrassi con un unico gesto: si trattava di un abito lungo quasi fino ai piedi, interamente confezionato con quel materiale tanto morbido e prezioso. Lo appoggiai sul letto per poterlo ammirare meglio: copriva interamente il petto e lo sterno, allacciandosi al collo, mentre intuii che dovesse lasciare buona parte della schiena scoperta. Era semplice, ma al tempo stesso elegante; ricordava uno di quei vestiti che indossavano giovani aristocratiche alle sere di gala nei vecchi film in bianco e nero.

“E’ una meraviglia” sospirò Arianna, sfiorandone la sagoma.

 

Una domanda mi sorse spontanea: “E di chi sarebbe?”

Lei mi regalò la sua migliore smorfia esasperata: “Di chi vuoi che sia? E’ tuo!” si lasciò cadere sul letto con un altro sospiro “Sfortunatamente non sono stata io a far perdere la testa ad una rock star”

“No”

No. No. E no.

Mi rifiutavo di crederlo: non poteva aver fatto quella follia anche lui! Avevano forse deciso di riempirmi l’armadio? Il mio parere a riguardo non lo voleva proprio sentire nessuno?

“C’è un biglietto comunque laggiù, vicino alla scatola-mostro” aggiunse Arianna sbadigliando.

Presi il foglio tra le mani, ancora alterata ma con l’ombra di un sorriso che proprio non riuscivo a soffocare.

 

“ALT. So già cosa stai pensando. Primo, no, non è un regalo. Diciamo più

che altro un prestito. E secondo, lo faccio per me ed

esclusivamente per me e non per farti piacere. Messi ben in chiaro questi due punti,

ti chiederei di indossarlo stasera. Una macchina passerà a prenderti

al solito posto alle nove. Se avevi altri impegni per stasera, beh…

cancellali.

                                                                                                           VGV”

 

Ancora una volta, più che un invito sembrava un ordine. Ma forse avrei anche potuto sottomettermi alla richiesta. Per quella volta.

 

***

 

Quella sera, quando scesi sul retro dell’albergo, il taxi dai vetri oscurati era già lì, ad aspettarmi.

Tuttavia Ville non c’era.

Salii incerta, ma senza protestare. Domandai all’autista dove fossimo diretti e non rimasi affatto sorpresa quando questi scelse di avvalersi della facoltà di non rispondere.

Uscito dal centro, il taxi si diresse immediatamente verso nord, risalendo Mannerheimintie: sbirciai dal finestrino la strada ormai quasi deserta, mentre la luce del giorno cominciava finalmente ad affievolirsi. Quando ci lasciammo alle spalle il teatro dell’opera , i due stadi e il Palazzetto del ghiaccio un pensiero iniziò a farsi strada nella mia testa. Non appena l’autista svoltò a sinistra su Tukholmankatu l’ipotesi divenne certezza e il mio battito cardiaco mutò il suo normale corso.

 

Al primo semaforo l’autista sbirciò il mio volto e sono sicura che quello che vide fu più eloquente di mille parole, perché non riuscì a trattenere un sorriso.

Mi appoggiai allo schienale del sedile, stringendo i pugni e poggiando le mani in grembo: chiusi gli occhi, tentando di mantenere la calma.

Mi sentii subito meglio, anche se l’esigua tranquillità recuperata svanì immediatamente, appena schiusi le palpebre, accorgendomi che in troppo poco tempo avevamo già attraversato il piccolo ponte che giungeva a Munkkiniemi.

 

Riconobbi immediatamente l’imboccatura di Solnantie, la stretta via che si insinuava in un pacifico e verdissimo quartiere residenziale, dove numerose villette si affacciavano sulla strada con i loro muri chiari e talvolta coperti d’edera, e i giardini ben curati.

Ci ero stata molto tempo, non appena giunta in Finlandia. Era stato uno dei primi pellegrinaggi che io e Arianna avevamo compiuto, sentendoci due sciocche, abbassando lo sguardo al passaggio di tutti gli abitanti: perché alla fine di Solnantie, a due passi dal mare, c’era una delle ragioni per le quali avevamo accettato così di buon grado di fuggire ad Helsinki.

 

Quella torre che avevo osservato con un sospiro e un mezzo sorriso dal basso, chiedendomi come sarebbe stato poter far visita al suo proprietario, magari per un caffè.

Quella stessa torre davanti alla quale il mio taxi si era appena fermato.

L’autista scese dal veicolo, aprendomi la portiera e offrendomi galantemente il braccio.

Alzai lo sguardo verso la torre, tremando per il freddo o forse di più per l’emozione.

“Posso accompagnarla se vuole” si mise subito a mia disposizione il finlandese, ma scossi il capo: “Credo che riuscirò a trovare la strada. Grazie” gli assicurai, mordicchiandomi il labbro inferiore.

“Allora buona serata” si congedò, con un altro piccolo ghignò che non si premurò di nascondere.

Non appena rimasi sola, mi avvicinai al folto cespuglio di fiori e cominciai a risalire la scala, incespicando a tratti nei miei tacchi alti. Quando giunsi in cima, dove non avevo mai osato arrivare, e mi accinsi ad aggirare l’antico edificio il mio cuore scalpitava sempre più forte.

 

Bussai alla porta e attesi; tuttavia nessuno venne ad aprirmi. Sorpresa, provai ad occuparmene di persona, trovando così i battenti socchiusi.

Mi accolse un ampio salone, completamente immerso nel silenzio.

“C’è nessuno?” boccheggiai insicura, dandomi un’occhiata intorno: le finestre erano state coperte da pesanti tende, così da rendere vani i tentativi degli ultimi raggi di sole di insinuarsi all’interno della dimora. Il buio non era tuttavia completo, dato che numerose candele erano state disposte per tutta la stanza e illuminavano con il loro flebile tocco ogni angolo più remoto.

“Ville?” ritentai, ma ancora nessuna risposta. Sciolsi la cintura del mio cappotto e lo sfilai, poggiandolo su un divano di pelle alla mia destra, lasciando che il mare di boccoli perfettamente rifiniti che inanellavano i miei capelli mi scorresse sulla schiena, facendomi il solletico.

 

Avanzai di forse un metro, ascoltando il rumore dei miei passi che rimbalzava sulle pareti: fu allora che mi accorsi che sul pavimento era stato tracciato uno strano percorso, con tanti heartagram disegnati; anche la fila delle candele si era all’improvviso ristretta, creando una via luminosa che conduceva alle scale.

Mentre un sorriso si apriva sul mio volto e il mio stomaco si attorcigliava in qualche nuova e impossibile figura, seguii lentamente il tragitto che mi era stato indicato.

La fiamma tremolante della candele mi cullò fino ad una stanza altrettanto grande al piano superiore: la scia di heartagram terminò poco oltre la soglia della sala e anche le luci si fecero più rade. Capii subito che il mio viaggio era finito.

 

Non dovetti attendere a lungo, prima che il silenzio della torre fosse infine violato dal suono di una musica lenta e malinconica, che echeggiò subito nota alle mie orecchie.

Rimasi immobile, sbattendo le palpebre mentre i miei occhi si abituavano pian piano all’atmosfera più oscura. E poi, in un istante, non fui più sola: due braccia si allacciarono morbidamente alla mia vita, togliendomi il respiro.

“So close no matter how far” Ville sussurrò, il volto immerso nei miei capelli, vicinissimo all’orecchio

“Couldn’t be much more from the heart” continuò, stringendomi ancora di più a sé per poi permettermi di girarmi di 180 gradi

“Forever trusting who we are” pur nell’oscurità potevo scorgere distintamente la luminosità dei suoi, che ancora una volta sembravano così irreali. Anche le sue labbra, incurvate a ripetere le parole di quella canzone che non mi erano mai parse così vive, esercitavano su di me un potere quasi magnetico.

Appoggiai le mani al suo petto e mi alzai un poco sulle punte: “And nothing else matter” gli risposi, cedendo al desiderio.

 

Never opened myself this way
Life is ours, we live it our way
All these words I don’t just say
And nothing else matters

 

Quel bacio fu così dolce e delicato, più di tutti quelli che ci eravamo scambiati: non c’era fretta o violenta urgenza, ma un calore altrettanto forte. Fu quello il bacio che più mi lasciò sorpresa. E spaventata.

Da quel momento capii che, anche se lo avessi voluto, non sarei mai più potuta tornare indietro.

Mi ero innamorata.

E tutto il resto non contava più.


Trust I seek and I find in you
Every day for us something new
Open mind for a different view
And nothing else matters

Never cared for what they do
Never cared for what they know
But I know

So close no matter how far
I be much more from the heart
Forever trusting who we are
And nothing else matters

Never cared for what they do
Never cared for what they know
But I know

Never opened myself this way
Life is ours, we live it our way
All these words I I just say
And nothing else matters

Trust I seek and I find in you
Every day for us something new
Open mind for a different view
And nothing else matters

Never cared for what they say
Never cared for games they play
Never cared for what they do
Never cared for what they know
And I know

So close no matter how far
Couldn’t be much more from the heart
Forever trusting who we are
No nothing else matters

 

Ballammo abbracciati fin quando il silenzio non tornò sovrano nella sala.

Sempre senza parlare, Ville mi sorrise incoraggiante e mi prese la mano, guidandomi oltre un’altra porta sconosciuta.

 

Altre candele decoravano la sua camera da letto, gettando spiragli di colore sui numerosi quadri che riempivano le pareti bianche.

“Non avresti dovuto fare tutto questo” bisbigliai, scuotendo la testa davanti ad una tale preparazione.

Ma non mi permise di protestare: “Shh” comandò, premendo le dita sulla mia bocca “Per questa sera si fa a modo mio”

Non potei fare altro che ubbidire. E così feci quando mi domandò di restare immobile, mentre con le sue mani percorreva il profilo del mio capo, dalla fronte fino alla mandibola.

 

Cercai di non fare alcun movimento, malgrado le mie gambe fossero deboli e rischiassero di tremare ad ogni tocco. Evitai quasi di respirare.

Quando ebbe tracciato ogni tratto del mio volto, lasciò scorrere le dita fra i miei capelli, con delicatezza, cullando fra i polpastrelli ogni ciocca, fino alle punte. La destra scivolò poi fin sotto la nuca, al mio collo e prima ancora che potessi rendermene conto, Ville aveva slacciato il nastro che legava l’abito, senza il quale quest’ultimo cadde ai miei piedi in un sol colpo, tanto la seta era morbida e liscia.

 

Quando le sue mani si spostarono sul mio corpo, accarezzando anche il più piccolo e insulso centimetro di pelle, mi risultò assai più difficile trattenermi, ma provai in ogni modo a non spezzare la promessa.

Sempre con studiata lentezza, mi aiutò ad adagiarmi sul letto, accompagnando ogni gesto con piccoli e lievi baci a fior di labbra.

 

Entrò piano dentro di me, misurando ogni movimento e prolungando al massimo quel tormentato piacere. Sembrava che per questa volta volesse godere di ogni singolo istante, il più a lungo possibile.

Ogni volta che incontrai il suo sguardo mi sembrò di leggervi quelle stesse parole che io non avevo il coraggio di pronunciare. Ma forse era soltanto la mia immaginazione, che mi portava a vedere non ciò che era davvero reale, bensì il frutto dei miei desideri.

‘Ti amo’ avrei voluto gridare, tuttavia non lo feci. Rinchiusi i miei pensieri nella prigione più oscura. Perché era tutto terribilmente sciocco e infantile. E Ville era adulto, e ai suoi occhi sarei apparsa come la bambina che ancora ero.

 

***

 

 

19 Maggio

 

Quando mi svegliai, mi scoprii da sola tra le morbide lenzuola.

Mi sollevai, sbirciando in un attimo l’intera stanza: trovai Ville seduto vicino alla finestra, le gambe piegate, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e lo sguardo perso a contemplare forse il mare che si distingueva nettamente oltre gli alberi.

Mi alzai per raggiungerlo, ma mentre lasciavo il letto notai un brillio sul suo comodino. Quando guardai meglio, incuriosita, riconobbi il mio fermaglio a forma di farfalla, quello che avevo indossato la sera della mia esibizione al Midnight Wish. L’aveva conservata davvero dunque? Il pensiero mi fece tremare.

 

Attesi qualche istante, poi sgattaiolai silenziosa sul piallato parquet.

“Wow” mormorai semplicemente, prendendolo di sorpresa. Si voltò di scatto, rilassandosi subito dopo, accecandomi con uno dei suoi sorrisi.

“Vero? E’ qualcosa di cui non potrò mai stancarmi” annuì, lanciando un ultimo sguardo al suo panorama privato prima di rivolgere tutta la sua attenzione alla sottoscritta.

Lasciò cadere le gambe oltre la sedia e mi invitò ad accoccolarmi tra le sue braccia.

“Dormito bene?” mi interrogò, sistemandomi i capelli.

“Divinamente” risposi con sincerità, lasciandomi vezzeggiare, mentre a mia volta lasciavo che i miei occhi si smarrissero oltre l’orizzonte.

 

Mi ritrovai a pensare all’Italia, lontana, oltre la distesa d’acqua. E a come sarebbe stata diversa la mia vita se quel giorno non avessi deciso di fuggire.

Dall’espressione del suo viso, compresi che anche Ville non stava ammirando semplicemente il mare incontaminato della sua Helsinki, ma come me stava ripensando ad un luogo distante, ad un'altra vita abbandonata alle spalle.

 

“Cos’hai lasciato indietro?” domandai, guardandolo attentamente. Lui trasalì e rimase turbato dalla mia uscita, ma sapevo che aveva capito esattamente cosa intendessi; non c’era bisogno di ulteriori spiegazioni.

Non rispose immediatamente: sembrò indeciso fino all’ultimo se parlare francamente oppure no.

“Un amore impossibile, una storia senza futuro” sospirò, senza riuscire a guardarmi direttamente negli occhi “che apparteneva al passato e che al passato sarà per sempre legata”

‘Ma non è questo ciò che avresti voluto’ replicai silenziosamente, mentre un nodo mi stringeva le viscere: sarei mai stata importante quanto quell’amore impossibile?

“E’ una questione chiusa comunque” proseguì più sereno, tornando a sfiorarmi con lo sguardo “L’oceano ha infisso l’ultima barriera”

“L’oceano non è un ostacolo invalicabile” gli feci notare, cercando di sembrare il più impassibile possibile.

Il darkman accarezzò piano la mia guancia: “Oh si che lo è, quando non ci sono più ponti da attraversare, ne basi sui quali costruirli”

 

“Non vuoi raccontarmi?” tentai, sebbene non fossi sicura di voler veramente sapere. Ma se fosse servito per farlo stare meglio avrei sopportato qualunque confessione.

Un sorriso autentico si aprì sulle sue labbra: “L’ho già fatto”

Di fronte alle mie sopracciglia aggrottate e la mia espressione confusa il sorriso si allargò ancora di più: “Qualche tempo fa ormai. La prima volta che ci siamo incontrati. Quando ti ho raccontato la mia storia tu mi hai guardato negli occhi e con lo sguardo più dolce che mi fosse mai stato rivolto mi hai detto che la vita a volte ha dei risvolti imprevedibili, che a volte il destino sembra voltarci per sempre le spalle e abbandonarci completamente a noi stessi, dopo averci tolto ciò che di buono ci rimaneva in questo mondo. E a volte è davvero finita, ma in altre occasioni può riscattarsi, offrendoci un’altra chance”

 

Lo fissai stupita, desiderando poter ricordare qualcosa.

“Hai aggiunto anche che eri sicura che un giorno sarebbe tornata da me. Hai detto” lentamente ripetè le mie testuali parole “tu hai il potere di trasformare la vita delle persone, come hai trasformato la mia con le tue canzoni, e questo è il dono più grande: è giusto che le preghiere degli angeli vengano esaudite. E anche se sapevo che eri ubriaca” non si trattenne dal ridacchiare leggermente “e probabilmente non pensavi neanche la metà di quello che avevi farfugliato, le tue parole hanno guarito in una sola notte le ferite più profonde”

Era di nuovo serio e la sua voce profonda quasi tremava. Una lacrima scivolò come una saetta giù per il mio viso.

Posai un bacio salato sulla sua fronte: “Penso ogni parola”

 

Asciugandomi le guance Ville sussurrò: “Non importa più nulla ormai. Adesso ci sei tu”

Rimanemmo a lungo abbracciati, a ricordarci quanto fosse importante non essere soli al mondo.

 

D’un tratto scoppiai a ridere, ricevendo subito uno sguardo interdetto: “Cosa c’è?”

Dondolai il capo, imbarazzata: “No, nulla. E’ solo che ho ripensato hai miei saggi discorsi da ubriaca” risi di nuovo “Come hai fatto a non farmi spedire subito in una clinica?”

“In primo luogo” mi ricordò risistemandosi meglio a sedere “anche io non c’ero completamente con la testa. E poi, come ti ho detto, sono state davvero importanti per me”

“Quindi tu ti ricordi di quella notte?” domandai incerta, mordendomi il labbro.

“All’inizio i ricordi erano appannati, ma poi sì, tutti i tasselli sono ritornati a posto. Rammento tutto, o quasi”

“Potresti raccontarmelo?” lo pregai, diventando rossa per l’imbarazzo “E’ terribilmente triste da dire, ma la mia mente riguardo a quella sera è rimasta sempre vuota”

Lui mi guardò per un momento, incerto, quasi spaventato. Ma subito la sua espressione cambiò.

“Certo” mi assicurò, offrendomi la sua spalla per appoggiare la testa affinché stessi più comoda “E non essere dura con te stessa. Non potresti ricordare neanche se lo desiderassi più di ogni altra cosa al mondo”.

 

**

 

E così quel giorno Ville colmò il buco nero nella mia memoria. Lo lasciai parlare, senza interromperlo nemmeno una volta. Ascoltai in silenzio, cercando tra i miei ricordi un appiglio inesistente.

 

“Non era passato molto tempo da quando ero ritornato da Seattle nella mia Helsinki. Mi sentivo un uomo nuovo, avevo superato quello stato di eterna depressione nel quale ero sprofondato così a lungo. Mi ero riconciliato con i miei amici, avevo riabbracciato la mia famiglia, avevo ricominciato a scrivere canzoni. Ero come rinato e i pezzi della mia vita, come in un puzzle, stavano ritornando lentamente a posto.

 

Ma a volte, quando scendeva la notte e mi ritrovava da solo nella mia torre a guardare il mare la solitudine e il dolore delle ferite del cuore tornava ad assalirmi più forte che mai.

E, ancora troppo debole per affrontare tutto questo da solo, tornavo a rifugiarmi nell’alcol.

Quella sera mi ritrovai quasi senza accorgermene davanti al Midnight Wish: volevo starmene in pace, per conto mio, così mi diressi immediatamente nell’ala privata del locale. E mentre ero seduto ad uno dei tavolini, con qualche bicchiere di vodka come unici compagni, ti vidi. Eri seduta qualche metro più in là, insieme ad un idiota patentato che conoscevo giusto di vista.

 

Ti osservai a lungo, il modo in cui attorcigliavi le dita in una ciocca di capelli, il modo in cui ti scostavi il colletto della camicia troppo stretto per il caldo nella sala, il modo in cui piegavi il capo di lato ogni volta che le parole di quel deficiente risultavano troppo stupide anche per la tua mente già obliata dall’alcol. Pensai subito che eri troppo bella per stare con un tipo del genere, ma in fondo chi ero per giudicare? Tentai di farmi gli affari miei, ma avevi esercitato su di me un’attrazione intensa sin dal primo momento, e non potevo fare a meno che voltarmi verso il vostro tavolo. Fu così che mi accorsi della pasticca che quell’uomo aveva fatto scivolare svelto nel tuo bicchiere.

Non so se tu te ne fossi accorta oppure no, ma quando sollevasti il bicchiere e lo portasti alle labbra, incrociasti il mio sguardo.

Rimasi quasi stordito da quegli occhi talmente neri e profondi. Due pozzi di tristezza e inquietudine. Vidi lo stupore scendere sul tuo volto, un’ombra appena percettibile. Sentii immediatamente l’impulso di alzarmi in piedi, di soccorrerti: ma quando arrivai al tavolo era già troppo tardi; il bicchiere era vuoto.

 

Il musicista da strapazzo non fu di certo contento della mia intrusione: cercò di mandarmi via, ma appena mi ebbe guardato in faccia gran parte del suo coraggio si dissolse; talvolta la fama può ritornare utile.

Mi accorsi di non sapere nemmeno cosa dire: avevo seguito un impulso irrazionale, non avevo motivo di intromettermi. Tornai a guardare il tuo volto: i tuoi occhi grandi seguivano ogni mio movimento, una nuova fiamma a infuocare le iridi e le pupille che quasi non potevano essere distinte.

Tutto questo mi diede audacia: annunciai a quell’uomo che eri con me e che era ora di andare. Questi mi squadrò stupefatto e irato: sono sicuro che se non fossi stato una delle persone più famose e protette di tutta la Finlandia mi avrebbe preso a pugni, e probabilmente avrebbe avuto la meglio. Invece si voltò per chiederti conferma.

Nascondesti immediatamente la meraviglia, un’espressione impassibile sul volto. Incrociasti i miei occhi un’ultima volta ed eri già in piedi pronta a seguirmi.

 

Ancora adesso mi chiedo cosa ti spinse a fidarti di me, piuttosto che di quell’uomo. Forse perché, come avrei scoperto poco dopo, non ero per te un completo sconosciuto.

Uscimmo da quel locale insieme, in silenzio, non sapendo bene cosa dire. Ti guardavo dondolare al mio fianco, sorreggendoti ogni qualvolta i tuoi piedi sembravano non essere in grado di sostenerti a dovere. E ogni volta venivo ricompensato con un sorriso timido e colmo di gratitudine.

 

“Drunk on shadows and lost in light” rompesti ad un tratto il silenzio, intonando il ritornello di una mia canzone.

Fu il mio turno di restare sorpreso. Non ero abituato a comportamenti così misurati da parte di fan straniere, per giunta ubriache.

Mi assicurasti invece di esserlo e di saper recitare tutti i testi a memoria, anche in quello stato. Risi ascoltando i tuoi tentavi di cantare It’s all tears, con tanto di cambio di voce.

Tutto il resto divenne facile: ci ritrovammo seduti su una delle panchine del porto deserto, avvolti da una notte stanca. Senza alcuna spiegazione logica ti raccontai tutto quello che non ero riuscito a confessare nemmeno ai miei amici più intimi: tu ascoltasti e sotterrando la malinconia dietro un sorriso sapesti consolarmi.

 

Quando cominciasti a tremare, ti portai senza pensarci in quella camera d’albergo che restava riservata per il mio utilizzo gran parte dell’anno: avrei dovuto riaccompagnarti a casa o dovunque dormissi, ma egoisticamente non ero ancora pronto a lasciarti andare, avevo bisogno della tua presenza.

Se chiudo gli occhi, ora, in questo istante, riesco ancora vederti seduta su quel letto, le gambe allacciate al petto, terribilmente fragile e d’un tratto silenziosa.

Provai ad aiutarti, come tu avevi fatto con me, ma mi sentivo completamente impotente. L’unica possibilità sembrava affogare di nuovo i problemi dentro un altro bicchiere. Non sono affatto fiero di quello che ho fatto. Davvero, desideravo aiutarti, ma forse approfittai di te più di quanto avrebbe fatto quell’altro.

 

Mentre eravamo lì, insieme, però non ci pensai: sotto l’effetto dell’alcol tornammo a ridere e fare gli idioti. Fin quando non cademmo sul pavimento: uno spettacolo davvero penoso probabilmente, ma non mi importava.

 Quando allungai una mano per scostarti una ciocca dal viso, mi mordesti le dita, sorridendo. Pensavo stessi ancora giocando, ma mi sbagliavo: i giochi erano finiti.

 

Trattenesti il mio braccio, posando una scia di baci sul dorso della mia mano e poi sul polso. Mi abbandonai all’istinto, impossessandomi della tua bocca e del tuo corpo.

Mi lasciai pian piano sprofondare nel desiderio, lasciando tutto il resto del mondo, con i suoi problemi e le sue regole, al di fuori. Lasciai che la tua vita pulsasse nelle mie vene.

E tutto il resto non contava.”

 

***

 

Qualche ora dopo eravamo in uno dei parchi di Munkkiniemi, vicino alla torre, ancora tanto tranquillo da dare quasi i brividi. Il vento ci riportava il suono di rare macchine che passavano di quando in quando. Se si tendeva accuratamente l’orecchio si poteva distinguere l’infrangersi delle onde sulla riva.

 

Non riuscivo a smettere di pensare a quello che Ville mi aveva raccontato. Quindi ero stata drogata, GHB probabilmente: e cosa sarebbe successo se quella sera non lo avessi incontrato? Se fossi rimasto con quell’uomo di cui non ricordavo nemmeno il volto?

Il darkman non aveva fatto altro che scusarsi, preoccupato, per il suo comportamento. E per quanto continuassi a ripetere che non ero arrabbiata, sembrava non voler avere mai più intenzione di fermarsi. Ma davvero, non serviva: ero sicura che quello che mi avesse raccontato fosse la verità ed ero altrettanto sicura di essere stata consenziente.

Mi conoscevo abbastanza bene. E lui, beh, lui era Ville Valo ed io lo avevo quasi venerato come una divinità per diversi anni.

 

Temeva che mi sentissi usata, ma neanche questo era vero. Entrambi quella notte avevamo bisogno di conforto, e l’avevamo trovato uno nelle braccia dell’altro. Niente di più, niente di meno.

 

Mentre eravamo sdraiati sull’erba a goderci un po’ di quel sole finalmente ritornato dopo i lunghi giorni di maltempo, cercai di riportare la conversazione su toni più leggeri.

“Quindi” notai, girandomi sul fianco per guardarlo in viso “Sei venuto a letto con me soltanto perché eri ubriaco. Altrimenti non mi avresti mai calcolato”

Lui spalancò le palpebre, prima di scuotere il capo: “Sei proprio un’idiota”

Gli tirai un pugno sul petto: “Hey, come ti permetti! Non è forse vero?” lo sfidai a sostenere il contrario.

“Mh” sembrò pensarci su qualche istante, poi mi mostrò un ghignò maligno “Sì”

Mi stavo per alzare in segno di protesta, ma come al solito fu più rapido e mi fermò, imprigionandomi con un braccio.

 

“Ma se devo essere davvero sincero” aggiunse, ad un passo dalle mie labbra “Ti continuo a trovare dannatamente attraente, sobrio come ubriaco”.

Quando tentò di baciarmi voltai la testa per gioco, facendolo irritare. Mi feci perdonare subito.

“Forse però, se avessi saputo la tua età, mi sarei fermato” soggiunse poco dopo, lo sguardo serio mentre tracciava spirali immaginarie sul mio ventre “Ancora adesso non riesco a capacitarmene. Quando la scoprii, il giorno dopo, quasi ebbi paura che fosse stata la tua prima volta. Anche se tutto diceva il contrario”

Ridacchiai sotto i baffi, leggendo nei suoi occhi una punta di imbarazzo: “No, non lo era”

 

Mi guardò curioso, aspettando che continuassi.

“E’ stato tanto tempo fa. Troppo. Non sono fiera di quello che ho fatto. Di quello che sono. Mi sono lasciata andare troppo presto, avevo appena 15 anni, o forse nemmeno. Ho gettato via la mia adolescenza, come del resto la mia infanzia. A volte vorrei poter tornare indietro” mormorai, abbracciando il cielo terso con lo sguardo “Ma non si può. Ormai sono quello che sono e devo imparare a conviverci”

 

Ville mi sfiorò una guancia, costringendomi a voltarmi: “Devi essere fiera di quello che sei, invece. Forse hai vissuto troppo in fretta, ma tutto quello attraverso cui sei passata ti ha reso una donna forte e fantastica. Ora sei adulta e indipendente quanto posso esserlo io”

Rimasi incatenata a quegli occhi sinceri, quasi senza respirare.

“Beh, per quanto io possa essere un esempio adeguato…Forse no” scherzò, arricciando le labbra.

Mi lasciai abbracciare stretta, ridendo.

“E comunque potrei anche sentirmi piuttosto in soggezione di fronte ad una donna così…matura ed esperta” mi sussurrò nell’orecchio, giocando, ma non troppo. Potevo percepire nel suo tono una reale nota di preoccupazione.

 

Gli tirai un calcio negli stinchi, arrossendo: “Piantala” gli intimai, spingendolo lontano.

“Con tutte le tue conquiste come faccio ad essere sicuro di essere andato bene per te…” continuò imperterrito, facendomi spalancare gli occhi.

Non potevo credere che anche Ville si facesse venire queste paranoie.

Uomini…

 

“Ma io che dovrei dire? Chissà quante donne hai avuto tu!” replicai, scuotendo la testa.

“Non significa nulla. Mi sembra di averti fatto capire quanto tu sia brava” borbottò imbarazzato “Mentre tu…”

Pur sapendo che era l’ultima cosa da fare, non riuscii a trattenermi dal ridere. Davanti al suo sguardo da cucciolo ferito, allacciai le braccia al suo collo e mi avvicinai di nuovo, facendo aderire il mio corpo al suo in ogni sua parte.

“Fare l’amore con te è stata la seconda esperienza più bella della mia vita” sussurrai, facendo scivolare le mie labbra sul suo mento.

 

“E qual è stata la prima?” domandò, ancora un po’ rigido.

“Ascoltarti cantare” risposi prontamente.

Ville mi spinse sull’erba, appoggiandosi al mio corpo e baciandomi con passione, fin quando non rimanemmo senza fiato.

 

“E se domani ti stufassi di me? E se domani non fossi più abbastanza?” chiesi, stringendo la sua mano.

“Non so dirti cosa succederà domani. Adesso mi risulta difficile pensare ad un domani senza la tua presenza. Ti vorrei con me anche se la terra diventasse quadrata o il sole diventasse blu”

Alzai un sopracciglio: “Blu?”

“Sì blu. Un sole di cianuro” aggiunse pensoso.

Poi mi regalò uno dei suoi sorrisi e mi sentii scaldare il cuore.

Anche un sole di cianuro andava bene, se mi guardava in quel modo.

 

 

________________________________________________________________________________

 

Ed eccomi qui, di ritorno dalle vacanze con un nuovo chilometrico capitolo!

Non so se sia rimasto qualcuno a seguire questa storia senza fine, ma volevo informare tutti che finalmente sono riuscita, approfittando dell’estate, a scrivere la fine xD (dopo un anno e mezzo!! xD) quindi cercherò di postare tutto in tempi brevi!

In questo capitolo ho finalmente spiegato quello che era successo quella famosa notte xD

Bien, fatemi sapere come vi è sembrato^^

Un ringraziamento particolare alla mia Puz (ora in trasferta ad Hels *-*) per l’ultimo commentino!

A prestoooo

 

FallenAngel aka Mossi

 

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Capitolo 26
*** Lies and jelousy ***


Chapter 25

 

Lies and jealousy

It’s easy to loose the threads of dangerous games

 

 

Quella sera Burton e Luisa organizzarono una piccolo aperitivo nella loro nuova casa, e anche io ed Arianna ricevemmo l’invito.

 

Alle sette, poco prima che la macchina di Ville e Migè passasse a prenderci, la mia amica era ancora al telefono a discutere con il suo ragazzo sulla faccenda: Luke non sembrava molto contento di lasciarla andare da sola ad una festa dove sicuramente troppi uomini le avrebbero messo gli occhi addosso. Se era protettivo nei miei confronti, che ero solo un’amica, nei suoi aveva raggiunto un livello quasi inconcepibile.

 

Arianna cercò di convincerlo per un’ora intera, ricordandogli che se si fosse presentato pur senza invito a farle il cane da guardia la loro fantastica copertura sarebbe saltata e tutti avrebbero scoperto la loro relazione ‘segreta’. Naturalmente mi guardai bene dal farle notare che la loro relazione non era affatto segreta come pensavano. Tutti si erano accorti che qualcosa era cambiato e più di uno li aveva addirittura trovati a sbaciucchiarsi in qualche stanzino o angolo non poi così nascosto, senza che loro se ne accorgessero. Bisognava dire che io e Ville avevamo molta più classe e buon senso.

 

Alla fine riuscì a superare l’ostacolo: ma non appena salimmo sulla macchina e Migè vide la sua faccia stravolta, le domandò se avesse combattuto con un leone in un arena.

Arianna, esasperata, sputò immediatamente il rospo, per poi sbattere più volte la testa contro il sedile quando Ville le fece sapere molto tranquillamente che non ci sarebbe stato nessun problema se fosse venuta anche la nostra nuova promessa del metal. Non riuscimmo a smettere di ridere per tutto il viaggio.

 

Alla festa stare vicino a Ville e fingere di essere soltanto amici si rivelò più difficile di quanto avessi potuto pensare; ogni volta che incrociavo il suo sguardo o, anche per sbaglio, sentivo il suo braccio sfiorarmi, sentivo il mio corpo prendere fuoco e facevo  davvero fatica a trattenermi.

Cominciai allora ad evitarlo, cercando di immergermi in altre conversazioni, facendo i complimenti alla padrona di casa, ascoltando i racconti delle ultime gesta della piccola Olivia.

 

La situazione mi piaceva poco e sapevo che Ville stava soffrendo di quel mio comportamento: ma non avrei saputo cos’altro fare. Cercai aiuto in Arianna, ma questa volta la mia saggia amica non aveva una formula magica per risolvere i miei problemi.

Sentii gli occhi del darkman seguirmi per lungo tempo quella sera, ma ogni volta che lo ritrovavo al mio fianco riuscivo a scambiarci solo qualche parola prima di rimettermi a fuggire il più lontano possibile.

 

Fino a quando percepii distintamente che qualcosa era cambiato.

 

Le voce di Manna si fece lontana, così come le risa di Arianna; mi voltai indietro, sbirciando attentamente nel salotto affollato.

Quasi il punch mi cadde di mano, quando finalmente riconobbi Ville che sussurrava qualcosa nell’orecchio di una sconosciuta: doveva trattarsi di qualcosa di estremamente divertente, perché quest’ultima rise di gusto, aggrappandosi al suo braccio e non staccando più la mano per molto, troppo tempo.

Anche Ville rise, la sua risata roca e perfetta. Quella di cui, qualche ora prima, potevo godere io sola.

 

Mentre sentivo il sangue ribollirmi nelle vene, come la lava nel cratere di un vulcano attivo e in procinto di eruttare, osservai la donna in questione: portava i capelli castani raccolti in uno chignon, dal quale sfuggiva qualche ciocca ondulata che le ricadeva ai lati del viso sottile, dalla pelle chiara. I denti bianchi brillavano ad ogni nuovo sorriso, come anche gli occhi celesti e magistralmente truccati. Non era molto alta, ma aveva un bel corpo e gambe slanciate, che sapeva mettere in mostra con eleganza. Era bella. E adulta.

 

Vacillai.

 

Ma fu solo un attimo. Questa volta non mi permisi di soccombere alla paura; la rabbia prese il sopravvento.

Attraversai a grandi passi la stanza, avvicinandomi ai due, i quali erano sempre impegnati in una fitta conversazione in finlandese, della quale nessuno sembrava essere degno di esserne fatto partecipe.

 

Attesi per un poco, ma Ville non sembrò far caso alla mia presenza. O forse fece semplicemente finta di non vedermi. Fui costretta ad urtarlo accidentalmente per attirare, finalmente, la sua attenzione.

Lui si voltò, alquanto stizzito per essere stato interrotto.

“Oh, mi dispiace” mi sforzai di scusarmi, con un tono talmente falso da far tintinnare il bicchiere di cristallo che tenevo in mano.

“Elisa” disse spalancando gli occhi, fingendosi sorpreso “Mi ero quasi dimenticato che fossi qui. Non abbiamo avuto molte occasioni di parlare” aggiunse con un ghigno.

Ingoiai la bile e tentai un sorriso: “Ti ho visto molto impegnato”

“Oh sì. E’ stata davvero una sorpresa incontrare qui Katja” assicurò, abbracciando la sconosciuta che allacciò prontamente un braccio intorno alla sua vita.

 

Katja mi scrutò a lungo, da capo a piedi, poi alzando la testa verso Ville domandò candidamente: “Non ci presenti?”

“Certamente” le sorrise. Poi, rivolgendosi a me, spiegò: “Elisa, lei è Katja, una vecchia e carissima amica”

“La tua preferita” lo corresse lei, dandogli un pizzico sul fianco.

Lui rise forte, chiedendo venia: “La mia preferita. Katja, lei è Elisa. Lei è…” fece una minuscola pausa, senza smettere di fissarmi dritto negli occhi “la nuova barista al Midnight Wish” terminò freddamente.

Mi morsi un labbro, sentendomi avvampare per l’irritazione.

 

Katja allungò una mano, che strinsi per educazione: “Piacere” cinguettò. Risposi con un cenno del capo.

“Da dove vieni?” mi interrogò.

“Dall’Italia”

“Davvero? Dove in Italia?” continuò, mentre io tentavo con difficoltà di guardarla in faccia: il mio sguardo continuava a cadere sul braccio di Ville avvolto, stretto, intorno alla sua vita.

“Milano”

“Non sono mai stata a Milano, ma ne ho sentito parlare. Ci avete suonato qualche volta no?” chiese conferma al frontman degli HIM, il quale annuì distrattamente.

“E come mai sei ad Helsinki?” riprese con le sue domande curiose.

Mi irrigidii, incerta su cosa rispondere: “Sono qui con una band di amici, che ha ricevuto un’offerta di lavoro nella vostra città”

 

Lei non smise di fissarmi, mettendomi un po’ a disagio, ma tenni la testa alta, sostenendo lo sguardo. Poi la sua attenzione fu attirata dal ciondolo che spiccava sulla pelle bianca sotto il mio collo. Sorrise: “Una vera fan degli HIM. Anche io ne ho portato uno del genere per un po’ di tempo, quando eravamo ragazzi”

Allungò una mano per toccarlo, ma io mi ritrassi involontariamente, nascondendo l’heartagram nel pugno.

Rimase stranita e indispettita dal mio atteggiamento: “Scusa, non volevo mica portartelo via”

Lasciai la presa, scuotendo la testa: “No, certo. Scusa tu”

 

Ma i miei nervi erano troppo tesi e il silenzio di Ville, che sembrava solo impegnato ad abbracciare la donna e spiare le mie relative reazioni, non mi permisero di sostenere una normale conversazione.

Katja si stufò ben presto e siccome non sembrava che avessi comunque intenzione di andarmene, invitò Ville a ballare.

Il darkman mi lanciò un ultima lunghissima occhiata e poi, con mia grande meraviglia, accettò con disinvoltura.

Rimasi impietrita sul posto, da sola.

 

“Stai bene?” la voce di Arianna veniva dalle mie spalle.

“Sì” bisbigliai per inerzia, non riuscendo a staccare gli occhi dal corpo di Katja, troppo vicino a quello di Ville.

Mi si affiancò, lanciandomi uno sguardo grave, pieno di comprensione ma anche di saggezza: “Non puoi dirgli nulla. Lo hai evitato per tutta la sera”

Sapevo che aveva ragione, ma ero troppo testarda per ammetterlo. E troppo gelosa per permettere un simile comportamento.

“Sai perché l’ho fatto. L’ho fatto per lui e dovrebbe saperlo” replicai, brusca “Non può trattarmi in questo modo”

“Hai ragione, ma…”

Non era più il tempo dei ma. Ormai mi ero riscossa, e avevo tutta l’intenzione di fargliela pagare.

 

Riprendendo tutto il mio contegno, raggiunsi Sami, il cugino di Luisa, che mi era stato presentato forse una mezz’ora prima. Avevo imparato ormai da tempo a riconoscere gli sguardi di desiderio che mi erano rivolti, ma li avevo ignorati, sazia delle attenzioni che ricevevo da tutt’altra direzione. Ma adesso che queste attenzioni mi erano state sottratte, avevo bisogno di sfruttare tutto il mio sex-appeal per riprendermele.

“Ti va di ballare?” gli chiesi, sorridendo innocentemente.

 

Il ragazzo non si fece pregare e mi accompagnò entusiasta nella piccola pista che era stata allestita nel salotto. Stringendogli la mano, lo guidai esattamente a pochi passi da Ville.

Questa volta il cantante si accorse immediatamente del mio arrivo e distolse la propria concentrazione dalla sua compagna di ballo. Gli rivolsi un sorriso pieno di malizia, per poi dargli le spalle e iniziare a ballare con Sami.

 

Quando ancora ero una ragazzina e la mia amicizia con Arianna non era ancora ben salda, altre persone avevano svolto la figura di guide nella mia vita, nella quale era sempre mancato un leader. Per molto tempo il mio punto di riferimento era stato Lucia, una ragazza di vent’anni dal carattere libertino e mai troppo responsabile: aveva saputo volermi bene, a suo modo, sebbene non fosse mai stata un vero modello da prendere in considerazione. Grazie ai suoi insegnamenti avevo preso confidenza col mio corpo e avevo imparato a come trarre dalle mie parole e dai miei gesti i più grandi vantaggi con gli uomini. Ma soprattutto, Lucia mi aveva insegnato a ballare e a muovermi nel modo più seducente possibile.

 

Quella sera non mi trattenni e non mi risparmiai. Misi a frutto tutto ciò che mi era stato insegnato, ignorando l’espressione poco fiera della mia coscienza.

Quando reputai che fosse stato abbastanza, lasciai la pista, sempre seguita da Sami, con la scusa di prendere qualcosa da bere.

“Wow” mormorò quest’ultimo, con una faccia ancora parzialmente sconvolta, davanti alla quale non riuscii a trattenere una piccola risata.

“Si?” lo stuzzicai, sollevando le sopracciglia.

“Balli…molto bene” assicurò, sistemandosi il colletto della camicia.

 

Proprio mentre stavo per ringraziarlo dei complimenti mi accorsi che anche Ville sembrava essere stato colpito da un’improvvisa, terribile sete. Si avvicinò al tavolo al quale io stessa ero appoggiata e si accinse a prendere una bottiglia di birra proprio dalla pila dietro di me.

Feci finta di non sentire affatto il suo braccio che sfiorava il mio, sebbene l’atto mi procurò non pochi brividi. Continuai a sorridere a Sami, appoggiando una mano alla sua spalla e avvicinandomi quel tanto che bastava per posare un casto bacio sulla sua guancia: “Grazie”

 

Ville non si perse il gesto e rovesciò parte della sua birra sul tavolo.

“Tutto a posto, Valo?” domandò premurosamente il mio cavaliere.

“Si certo” borbottò lui, arrossendo vistosamente.

Non appena i nostri sguardi si incrociarono, sentii il cuore ricominciare a battere e mi resi conto che se non me ne fossi andata immediatamente non sarei riuscita a portare a termine la mia vendetta.

“Torniamo in pista?” proposi, sperando che il tremore nella mia voce fosse solo frutto della mia immaginazione.

 

Stavo per avviarmi, quando Ville mi fermò, prendendomi per il polso: “Aspetta”

Mi voltai, squadrandolo con la fronte corrugata: “Cosa c’è?”

“Devo parlarti”

“E io non ho proprio nulla da dirti” ribattei, orgogliosa.

Vidi i suoi occhi verdi scintillare per la rabbia, appena prima che mi girassi nuovamente, tentando di divincolarmi.

Ma la sua presa si fece più salda e con forza mi trasse a sé. Sotto lo sguardo allibito di Sami e della stessa Katja, mi portò via dalla sala, verso il corridoio, in penombra e deserto.

 

Quando fummo da soli, lasciò finalmente il mio polso, che mi massaggiai fissandolo in cagnesco.

“Beh?” proruppi, dato che sembrava aver perso d’un tratto la lingua.

“Beh? Secondo te posso starmene zitto e fermo mentre fai la deficiente con un altro?”

“Stavo solo ballando”

Rise, ma senza divertimento: “Non stavi solo ballando e lo sai benissimo. Mi stavi provocando”

Feci un passo avanti, portando il mio volto a pochi centimetri da suo: “Sei un egocentrico. Non tutto quello che faccio gira intorno a te!”

“E allora per cos’era?” ribatté duro.

“Stavo ballando per un ragazzo che ha dimostrato di apprezzare” sibilai “E molto”

 

Prima ancora che potessi rendermene conto, le sue braccia mi avevano spinto con violenza contro il muro, non abbastanza da farmi male, ma abbastanza da spaventarmi.

Dopo un momento di spiazzamento, in cui lo guardai con gli occhi spalancati, mi riscossi spingendolo lontano: “Non ci provare mai più!”

“E tu smettila di prendermi in giro”

La mia voce iniziò a toccare toni troppo elevati: “Così tu ti puoi arrabbiare e metterti a provarci con quella Katja e io devo stare a guardare senza dire nulla?”

“Cercavo solo di attirare la tua attenzione. Visto che sembravi esserti dimenticata di me” disse con una calma che gli invidiai.

“Smettila! Sai benissimo perché l’ho fatto! E hai davvero un bel modo per attirare la mia attenzione!” sbottai, a denti stretti“Hai lasciato che si strusciasse contro di te tutta la sera!”

Quando Ville non rispose, continuai a sfogarmi, nascondendo tutta la mia sofferenza sotto un velo di acidità: “Ma in fondo cosa importa? Nessuno ti vieta di farlo, sei libero, come sono libera io. Questa non è una vera relazione. Mi hai portato a letto qualche volta, e basta. Giusto? Fino all’arrivo di qualcuno più interessante”

 

Di nuovo, sentii il suo corpo premere contro il mio, spingendomi contro la parete, ruvida e fredda: appoggiò le mani al muro, creando una prigione con le sue braccia tese.

Le sue labbra erano così vicine che il suo respiro agitato quasi si confondeva con il mio.

“Sai che è una bugia” sussurrò, mentre il suo sguardo mi feriva in profondità, come la lama di un coltello.

 

“E’ tutto a posto?” l’inconfondibile voce di Migè ci fece trasalire. Ville si allontanò immediatamente, voltandosi verso l’amico, che ci guardava con una strana espressione, a forse due metri di distanza.

“Sì certo” rispose il frontman, tossendo imbarazzato. Annuii con vigore, per confermare.

“Okay” parlottò il bassista, grattandosi la barba “Tornate a farci compagnia di là?”

“Un momento e arriviamo” assicurò Ville, teso.

Migè ci lanciò un’ultima occhiata carica di sospetti, e poi finalmente tornò nella stanza attigua.

Il darkman sospirò, abbandonando le spalle.

 

Aspettai che continuasse il discorso che era stato interrotto così bruscamente, ma rimase in silenzio, fissando il pavimento.

Trattenendo le lacrime, mi scostai dal muro, pronta ad andarmene.

Ma all’ultimo momento Ville mi fermò, prendendo la mia mano questa volta, con più delicatezza e attenzione.

Lasciai che mi portasse oltre una porta, fino a quel momento rimasta chiusa.

Prima ancora che potessi fare domande, aveva già chiuso a chiave. Osservai perplessa i mobili bianchi e celesti di quel bagno di raffinata ceramica.

 

“Ville, sai che quest…” ma non ebbi il tempo di esplicare a voce alta i miei dubbi, perché il darkman mi afferrò per le spalle e coprì con foga e rapidità la distanza tra le nostre bocche.

Non appena sentii le sue labbra morbide sulle mie, fui tentata, dannatamente tentata di cedere, di dimenticare tutto quello che era successo e lasciarmi andare.

 

Ma non era in questo modo che si risolvevano i problemi.

Lo costrinsi ad allontanarsi, gentilmente ma con decisione, scuotendo il capo, prima che quel briciolo di lucidità che ancora mi restava non si dissolvesse nel nulla.

“No”

Fissai la mia attenzione sul mobiletto dei profumi alla mia sinistra, per evitare i suoi occhi da cucciolo cacciato.

“Stavamo parlando di una cosa seria. Non puoi pensare di risolvere sempre tutto con un bacio”

 

Tenendo il mio mento fra le dita, mi spinse a guardarlo: “Quello che hai detto prima non ha alcun senso. Sai quanto ci tengo a te. Non volevo fare nulla con Katja, è solo un’amica. Voglio solo te” mormorò con tanta lascivia da farmi tremare.

Cercai di liberarmi: “Ed io come posso esserne sicura?”

Lui parve colpito dalla frase e si rabbuiò, lasciando cadere la mano: “Pensavo ti fidassi di me”

Volevo fidarmi, lo desideravo con tutto il cuore. Ma ero terribilmente spaventata: “Ho solo paura di non essere abbastanza. Ho visto i tuoi occhi quando…”

Ville mise le mani intorno ai miei fianchi e con un unico movimento mi sollevò, facendomi sedere sul piano di fronte allo specchio, urtando una bottiglietta di sapone che cadde di lato. Allacciai istintivamente le braccia al suo collo, per evitare di cadere.

“Cosa…?” cercai di domandare, ma mi zittì, premendo due dita sulle mie labbra.

“Basta con queste sciocchezze. Guarda i miei occhi adesso, mentre ti guardo e dimmi se ci leggi lo stesso desiderio”

 

Mi morsi le labbra, sentendomi tanto fragile davanti a quegli occhi così profondi e colmi di crudele e violenta smania.

Ville comprese il mio disagio e i suoi tratti si addolcirono immediatamente: lasciò scivolare la bocca lungo il mio collo e sulla mia spalla, scostando le spalline del mio top con una mano e massaggiandomi il fianco con l’altra.

Protestai, ma troppo debolmente per essere presa sul serio.

 

Chiusi gli occhi, perdendomi nel rumore ritmico dei nostri cuori che battevano insieme e non mi accorsi immediatamente che le sue mani ora scorrevano rapide lungo le mie cosce, fino alla fine.

Trattenni un grido di piacere, spalancando gli occhi.

“Ville…” boccheggiai, facendo segno di no con la testa e bloccando la sua mano.

Ma lui mi pregò con lo sguardo, uno sguardo serio e dolce al tempo stesso, al quale non seppi resistere: “Lasciami amarti e dimostrarti che non desidero altro”

Scostai la mano, riportandola dietro la sua nuca, e lasciai che mi sfilasse lentamente gli slip, accarezzandomi la gamba.

Slacciò veloce i suoi jeans e senza aspettare, senza preavviso, era già dentro di me.

 

Questa volta non fu tenero, o delicato. Fu violento, e forte, e mi lasciò tremante ad ogni spinta. Strinsi con aggressività le mani intorno alle sue spalle, alla sua schiena, affondando le unghie nella carne, sotto alla camicia troppo sottile per proteggere la sua pelle.

Fare l’amore con lui non era mai la stessa cosa. Ma riusciva a lasciarmi sempre senza fiato e senza difese, incapace di comprendere come un’altra persona potesse abbattere così semplicemente ogni barriera del mio cuore.

 

“Ti voglio” ansimò contro il mio orecchio “E voglio che tu sia mia”

Quando non risposi immediatamente, Ville aumentò ancora il ritmo.

“Sono tua” gemetti, tentando di non gridare forte.

“Solo mia” aggiunse, respirando affannosamente.

“Solo tua” sorrisi e gli morsi il naso, come la prima volta.

Raggiungemmo l’apice insieme, uno dopo l’altro. Poi rimanemmo per qualche secondo immobili, ancora abbracciati.

 

***

 

Ci sistemammo alla meglio, con un nuovo sorriso sulle labbra.

“Come sto?” domandò Ville, dandosi un’ultima occhiata nello specchio.

Non potei trattenere una risata: “Bellissimo. Ma un po’ sbattuto”

Mi squadrò di sottecchi: “Che spiritosa”

Lo baciai un’ultima volta, prima di trascinarlo fuori.

 

“Ma dove diavolo eravate finiti?” incontrammo Linde a metà strada, appena svoltato l’angolo buio nel corridoio.

Feci un salto all’indietro, e così Ville, accanto a me.

“Noi? Da nessuna parte” risposi istantaneamente.

Linde accese all’improvviso la luce, mettendo allo scoperto i nostri volti arrossati e i capelli scomposti.

“Eravamo fuori, a prendere una boccata d’aria” spiegò Ville, spingendomi avanti e urlandomi mentalmente di svignarmela il più presto possibile.

“Certo” il sarcasmo nella voce del rasta era ben poco nascosto.

“Torniamo di là?” proposi, facendomi strada nel corridoio.

Così io e Ville sgattaiolammo via, e ci mancò poco che non ci mettessimo a correre.

 

Molta più classe e buon senso?

Sì Elisa, come al solito avevi ragione.

Pensai che forse, ancora una volta, la mia mentora aveva qualcosa da insegnare.

 

 

 

________________________________________________________________________________

 

 

Ed ecco qui moossiii con il vostro aggiornamentino! Che roba strana poter aggiornare così velocemente xD

 

Un ringraziamento a tutti quelli che hanno letto e soprattutto a chi ha commentato *-*

 

 

@Cherasade: ehhh si in effetti è mooolto cuccioloso xD in questo capitolo un po’ meno però xD Ti piace anche così?? Hihihi Sono contenta che ti piaccia e che continui a seguire la storia! Grazie mille! *-* Alla prossimaa! Bacini

 

@MissMar23: ziii finalmente sono tornata! Ohhh ma grazie *-* sìsì ho scritto tanto quest’estate! Avrete un po’ di aggiornamenti rapidi ^^ Grazie ancoraaa! Kisses

 

@Sweetie: comeee nun lo avevi letto??? E questo qui?? Lo so^^ Infatti lo avevo scritto appena tornata da Hels!! Passerà pulcina mia, o almeno, migliorerà un pochino! E poi dobbiamo resistere fino a dicembre in fondo!! Grazie davvero!!! Ora vado a leggere di violaaa! Bacini

 

@Puz: *-* I tuoi commentino riempiono sempre il cuoricino di Mus! Non so come farei senza la mia grande e immeritatissima fan! Grassieeee *-*

 

 

Allora a prestoooo!

VenomousKisses

Moss aka FallenAngel

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Capitolo 27
*** New Arrivals ***


Chapter 26

New arrivals

There are smiles that worth more than a thousand words

 

 

20 Maggio

 

Quel mattino, mentre passeggiavo per Fredrenkikatu diretta al Kamppi, incrociai per caso Linde: il chitarrista era tanto immerso nei suoi pensieri, mentre osservava la vetrina di un negozio di giocattoli con una buffa espressione, che sarei potuta passargli di fianco senza che nemmeno se ne accorgesse.

 

E dopo quello che era successo la sera precedente fui tentata di farlo.

Ma se poi mi avesse riconosciuta, anche da lontano, avrei di certo fatto una pessima figura.

 

Così, prendendo coraggio e dipingendo sul mio volto il mio miglior sorriso sicuro, mi avvicinai al chitarrista con le mani in tasca: “Hei Lily!”

Lui si girò, sorpreso.

“Oh, ciao Elisa” mi salutò, ricambiando il sorriso.

“Che ci fai da queste parti?” domandai, curiosa.

Alzò le spalle, incurvando in una strana smorfia il labbro inferiore: “Facevo quattro passi. Poi ho pensato di comprare qualcosa per la mia Olivia”

Sentii il sorriso aprirsi ancor più sulle mie labbra, e questa volta senza alcuno sforzo.

 

Ancora una volta mi ritrovai ad ammirare l’amore che Linde aveva per la sua bimba e pensai che quest’ultima fosse la persona più fortunata del mondo.

 

“E cosa avevi pensato di prenderle?”

Il rasta si grattò il collo, pensieroso: “Veramente ero un po’ indeciso. Sai, ormai ha imparato a leggere piuttosto bene, è molto avanti per la sua età” mi informò con orgoglio “quindi pensavo ad un libro. Anche se forse apprezzerebbe di più una bambola. Non so cosa scegliere!” dichiarò infine, spalancando le braccia.

“Vorrei poterti aiutare” gli assicurai, poggiando una mano sulla sua spalla e volgendo gli occhi verso la vetrina “Ma non conosco i suoi gusti”

Linde sospirò, mentre un alone di tristezza scivolava sul suo volto: “Ho paura di non conoscerli nemmeno io abbastanza bene. Sono sempre via, e lei cresce così in fretta…”

Il mio stomaco si aggrovigliò su se stesso ed io mi maledissi per la mia uscita infelice.

“Non dire così. Sei un padre fantastico e sono certa che Olivia apprezza gli sforzi che fai per starle accanto” tentai di consolarlo.

Capii dal suo sguardo che era ancora insicuro, così aggiunsi: “Mi sarebbe davvero piaciuto avere un padre come te, Linde. Il mio non è una famosa rockstar, ma non vale la metà di te. Neanche lontanamente”

“Dici sul serio?” domandò, con una nuova luce negli occhi.

“Certo” esclamai con più entusiasmo “E ora scegli il tuo regalo”

 

“Mhh” meditò ancora qualche secondo “Penso che per questa volta prenderò la bambola. Hai voglia di aiutarmi a scegliere quale?” mi supplicò “Non vorrei stare qui altre due ore”

Ridendo, lo accompagnai all’interno del negozio.

 

In realtà non ero molto esperta di bambole. Da piccola non ne avevo possedute molte, forse solo una, ma indicai a Linde quella che più si avvicinava alla mia idea di bambola ideale. Lui parve approvare la mia scelta.

 

Tuttavia, quando eravamo già in fila alla cassa, notai che il suo sguardo era caduto sull’espositore dove erano sistemati in bella mostra diversi libri per bambini, tra cui uno riguardante diversi strumenti musicali.

Gli occhi del chitarrista si illuminarono e rabbuiarono in un secondo. Sbirciò la bambola che teneva in mano, e poi ancora il libro. Scosse la testa, imbronciato: “Uffa. Pensavo di esserne sicuro, ma adesso…”

Senza pensarci un secondo di più, mi avvicinai all’espositore e presi il libro sulla musica.

 

Linde mi osservò confuso.

“Era questo quello che stavi guardando?” chiesi conferma.

Lui annuì, con la fronte ancora aggrottata.

“Bene! Allora questo glielo regalo io ad Olivia. Sempre che tu abbia ancora intenzione di farmela conoscere, come mi avevi promesso” gli ricordai, con una piccola nota di rimprovero nella voce.

“Davvero?” il rasta tornò a sorridere “Certo che voglio fartela conoscere!” Ci pensò qualche istante e poi dichiarò: “Posso portarla questa sera al Midnight Wish, se ci sei”

Annuì felice: “Sì, sì. Ci sono. Sono di turno oggi.”

“Allora è perfetto. Anche se il suo vocabolario di inglese non è ancora molto ampio…”

“Come il mio di finnico” risi “Anzi, credo che sia proprio la persona giusta per potermi aiutare un po’ a perfezionarmi”

 

Terminati i nostri acquisti, fui costretta a congedarmi da Linde in tutta fretta.

Dovevo infatti ancora passare da un negozio e poi andare a vedere un appartamento in una zona piuttosto distante dal centro, quindi avrei dovuto prendere anche un autobus.

“Ma hai bisogno di una macchina?” si premurò di chiedermi Linde “Noi ne abbiamo una che non usa nessuno. Se vuoi puoi prenderla, almeno per un po’”

Fui davvero commossa dall’offerta, ma non potevo sfruttarla: “Sei davvero gentile, ma – ahimè – niente patente, niente macchina” sospirai.

Il chitarrista sbuffò, contrariato: “Anche tu senza patente? Speravo che quest’altra magagna non l’avessi ereditata dal tuo pseudo-fratello”

Sottolineò la parola ‘pseudo’ con troppa enfasi.

 

Risi, arrossendo un tantino, e cercai di difendermi: “Beh non è mica la stessa cosa! Lui non è riuscito a passare l’esame, io non ci ho ancora provato. Ma appena ne faccio diciotto sarò la prima in pista!”

Linde mi guardò senza capire: “Diciotto?”

“Già” alzai le spalle, incerta “Ancora un mese e ci sono”

La confusione non abbandonò il suo volto: “Tu” fece una piccola pausa “Hai diciassette anni?”

Annuii, sentendomi un poco a disagio: non pensavo fosse una novità. Ero convinta che anche gli altri ne fossero al corrente.

“Non lo sapevi?”

“No. In effetti non l’ho mai chiesto, ma ero convinto che fossi molto più grande. Più giovane, sì, ma non così tanto…”

 

Rimanemmo per un po’ di tempo in silenzio. Io ripensai al mio primo incontro con Ville, alle sue prime parole, alle sue prime paure. Sembrava quasi un deja-vù.

“Beh, ora meglio che tu vada. Ti ho già fatto perdere un sacco di tempo” disse Linde, cercando di riportare tutto alla normalità con un sorriso, troppo labile per ingannare entrambi “Ci vediamo stasera”

“A stasera”

Mi rimisi in cammino, ma non più serena. Dentro di me, sentivo che un vecchio ostacolo tornava in superficie.

 

***

 

Cercai di tenere la mente occupata per tutta la giornata e alla fine, la sera, mi sentivo piuttosto rilassata.

 

Dopo quel primo, discutibile inizio, la mia carriera di barista aveva preso il volo e adesso mi muovevo sicura tra le bottiglie d’alcol, servendo birre e cocktail ad una velocità perlomeno decente.

‘Non potresti fare nemmeno questo’ si intromise all’improvviso una voce nella mia testa ‘Sei troppo piccola’

‘Fatti gli affaracci tuoi’ avrei voluto gridare, ma se mi fossi messa ad urlare contro me medesima probabilmente la gente intorno non l’avrebbe presa proprio bene.

Chi mi aveva assunto era perfettamente al corrente della mia situazione e se aveva deciso di prendersi questo rischio non era una mia responsabilità. O almeno così speravo.

Perché quel maledetto mese sembrava non voler passare mai?

 

“Dannato, dannatissimo tempo!” imprecai sottovoce, ma non abbastanza.

“Hai detto qualcosa?” mi domandò Lilli, la mia collega, corrugando la fronte.

“Ehm, no…assolutamente nulla” le assicurai innocentemente, arrossendo fin sopra l’attaccatura dei capelli.

 

Fu l’insolito silenzio che cadde sul locale a distrarre l’attenzione della bionda, la quale si volse verso il palco, mentre il pubblico piano piano si riscuoteva e si metteva ad urlare più forte.

“Hey, ma quello è Valo” esclamò Lilli, stupita.

 

Seguii il suo sguardo, mentre la birra continuava a sgorgare dentro un boccale già sufficientemente pieno.

“Ely attenta!” mi riscosse, chiudendo il rubinetto appena in tempo.

“Oddio scusa” la pregai, distruggendomi il labbro inferiore, ancora più imbarazzata.

Per fortuna lei non si arrabbiò, ma si mise a ridere del mio bizzarro comportamento: “Non ho mai conosciuto una ragazza così strana”

Decisi di prenderlo come un complimento e feci un piccolo inchino.

 

Poi tornai a guardare quel matto di Ville che salutava il cantante della band alla quale aveva appena portato via pubblico e palco.

“Scusate per l’interruzione” esordì, con il suo solito sorriso sornione “Ma ho promesso ad una delle mie fan preferite che avrei cantato una canzone per lei, quindi eccomi qui”

A quanto pareva, nessuno sembrava particolarmente scontento del cambiamento di programma. Io compresa.

“Ma la mia piccola fan ha chiesto specificamente che non fossi da solo a cantare. Quindi, Elisa, potresti venire qui subito?” aggiunse, indirizzando il suo sguardo esattamente dove sapeva che mi avrebbe trovato.

Mi correggo: non ero per niente felice del cambiamento di programma.

 

Soprattutto dopo che uno stupido riflettore andò a posizionarsi, guarda caso, proprio sopra la mia testa. In un attimo, centinaia di occhi erano incollati alla mia faccia terrorizzata.

Scossi il capo, istintivamente. Forse era un gesto stupido, non ero nemmeno sicura che potesse vedermi bene.

Dato che non sembravo dare segni di muoversi il cantante ricominciò: “Elisa sai benissimo che sto parlando con te, piantala di fare la timida come tuo solito e vieni qui”

Sono in servizio, non posso andare, cercai di tranquillizzarmi. Questa volta sono al sicuro.

Fu proprio in quel momento che Aaron comparve dal nulla alle mie spalle, facendomi sobbalzare.

“Non preoccuparti” mi incoraggiò con un sorriso, mal interpretando il mio viso atterrito “Puoi prenderti il resto della serata libero. Vai pure”

No.

Perché i datori di lavoro dovevano essere sempre gentili nel momento sbagliato?

 

Sbuffando e mandando maledizioni a destra e a manca, mi avviai lentamente verso il palco.

“Entro oggi possibilmente” mi incalzò Ville, guardandomi dall’alto in basso.

Gli lanciai un’occhiata inceneritrice, squadrando poi con torvo cipiglio anche i membri di quella stupida band che gli avevano permesso di cantare durante la loro esibizione.

 

“Ti odio” borbottai, quando fui abbastanza vicina.

“Non è vero” replicò, ancora con quel sorrisetto stampato in faccia. Per un momento, pensai molto concretamente di tirargli un pugno sul naso. Poi mi ricordai che buona parte della popolazione femminile sulla Terra non me lo avrebbe mai perdonato. Così mi trattenni.

“Piuttosto, te la ricordi ‘Beyond Redemption’?” mi domandò, sistemando uno dei microfoni alla mia altezza.

“Certo che me la ricordo!” brontolai, emettendo fumo dalle orecchie “Accidentalmente ho imparato tutta la vostra discografia a memoria!”

“Perfetto” ammiccò, ignorando volontariamente la nota di acida ironia nella mia voce “Allora si comincia!”

 

“Aspetta” lo fermai preoccupata, posando una mano sul suo braccio “Come vorresti cantarla? Voglio dire, non è mica un duetto…”

“Shh, non pensarci. Tu canta e basta”

Fece un piccolo segno al gruppo, che si mise a suonare le prime note d’attacco.

Per niente convinta, presi in mano il microfono e cominciai a cantare, non risparmiando Ville di un’altra serie di occhiatacce.

 

Oh I see your scars, I know where they're from

So sensually carved and…

 

Bleeding until you’re dead and gone

 

I’ve seen it all before, beauty and splendour torn

It’s when heaven turns…

 

To black and hell to white

Right so wrong and wrong so right now!”

 

Giunti al ritornello, mi ero già scordata di essere arrabbiata. Mi ero dimenticata anche dove fossi. Ero persa nella musica, ancora una volta.

 

Feel it turning your heart into stone
Feel it piercing your courageous soul
Beyond now - redemption
No one's gonna catch you when you fall

 

Spontaneamente, il mio sguardo cadde sulle mie consumatissime e fedelissime converse, e ringraziando di non aver messo i tacchi nemmeno quella sera, pensai a cosa sarebbe successo se fossi veramente caduta.

Non potei fare a meno di ridere tra me e me: Ville alzò un sopracciglio, senza poter soddisfare la sua curiosità.

 

Oh I see you crawl you can barely walk
With arms wide open…”

                             

“You keep on begging for more”

 

I've been there before knocking on the same door
It's when hate turns…”

 

To love and love to hate
Faith to doubt and doubt to faith now

 

Feel it turning your heart into stone
Feel it piercing your courageous soul
Beyond now - redemption
No one's gonna catch you when you fall”

 

Cantai più forte e anche i miei gesti si fecero più arditi, fino ad allungare le mani e spingere Ville proprio all’altezza delle spalle.

Lui, colto di sorpresa, fece un salto all’indietro per evitare di cadere.

Con una strana espressione dipinta sul viso, che non prometteva niente di buono, mi aggirò, sistemandosi alle mie spalle. Afferrò quindi una delle mie braccia tese, e quasi posando il mento nell’incavo del mio collo, sussurrò: “Feel it turning your heart into stone”

 

Feeling piercing your courageous soul” risposi, voltando appena il capo.

 

Beyond now redemption…”

 

Ville si allontanò, per terminare il brano con un ultimo assolo:

No one’s gonna catch you when you fall!”

 

Raccolti i nostri applausi, sparimmo insieme nel backstage.

“Hey, mi ci sto abituando…” commentò Ville, asciugandosi un rivolo di sudore dalla fronte. Aveva tirato fuori di nuovo uno dei suoi soliti cappelli: avrei voluto ricordargli che era Giugno, e le temperature erano in salita, ma già una volta avevo provato a mettere becco sui suoi cappelli, e non era finita bene. Per me.

“A che cosa?” domandai, allungando le mani su una bottiglietta d’acqua.

“A cantare insieme. Vorresti farmi sempre da partner?”

Lo guardai con gli occhi sbarrati, sputacchiando acqua da tutte le parti e soffocandomi da sola.

Davanti ad una simile reazione, Ville scoppiò in una sonora risata: “Sto scherzando! Secondo te, potrei mai dividere la gloria con te? E cosa direbbero tutte le mie fan?”

“Scemo!” lo sgridai, pestandogli un piede “Devi piantarla di farmi prendere questi colpi”

Lui rise più forte, accarezzandomi i capelli in un gesto di compatimento: “Non pensavo che fossi così ingenua”

 

Mi scansai, lanciandogli addosso un po’ della mia bibita.

“Dai, dai scusa” cercò di salvarsi “Adesso andiamo che c’è qualcuno che vuole conoscerti”

Mi strappò un sorriso, non appena compresi a chi si stava riferendo.

“Okay. Però prima accompagnami a prendere una cosa nei camerini, intanto mi tolgo la divisa”

 

***

 

Salimmo insieme al piano superiore e subito riconobbi lo strano cappello indossato dal chitarrista degli HIM per contenere tutti i suoi dreads.

Facemmo pochi passi in quella direzione ed ecco che una piccola bambina, con i capelli castani legati in due trecce e un delizioso vestitino blu oltremare, sgusciò via dall’abbraccio della sua mamma e si lanciò come una scheggia nella nostra direzione.

 

“Setä Ville¹!” gridò felice, saltando in braccio al darkman, che la accolse a braccia aperte sollevandola da terra.

“Hei kirppu!²” la salutò, posandole un bacio sulla fronte e dandole un pizzicotto su una guancia.

“Minä en ole kirppu!” protestò Olivia facendo il broncio “Minä olen isoksi!³

Tutti scoppiarono a ridere, mentre Ville posava a terra la bambina, scompigliandole la frangetta.

“Ymmärtän” le spiegò, con il suo sorriso obliquo “Mutta sinä aina olet minun kirppuni!

Mentre ancora Olivia lo guardava storto, lui la prese per mano, voltandosi verso di me. “Tule” la esortò, spingendola avanti.

 

“Lei è Elisa” mi presentò, facendo un gesto nella mia direzione “Lei invece è Olivia”

“Ciao Olivia” mi chinai alla sua altezza, mentre un ampio sorriso si apriva sempre di più sulle mie labbra “Piacere di conoscerti” aggiunsi, allungando la mia mano.

Lei mi osservò curiosa per qualche istante, quasi nascosta dietro le gambe di Ville. Poi, piano piano, si avvicinò per stringermi la mano. La sua stretta fu morbida e un po’ incerta.

“Così ‘Beyond Redemption’ è la tua canzone preferita?” le domandai, parlando nel miglior modo possibile.

Lei ascoltò con attenzione e poi annuì timidamente, mordicchiandosi il labbro inferiore e ritirando entrambe le mani dietro la schiena.

“Anche a me piace molto sai?” le confidai, ritrovando nei suoi occhi lo stesso sguardo dolce del padre.

 

Rimanemmo pochi attimi in silenzio. Attesi che fosse lei a parlare, quando ne avesse avuto voglia.

“Canti molto bene” bisbigliò, piegando il capo da un lato e scegliendo accuratamente le parole.

“Oh, grazie” le risposi, scostandomi una ciocca di capelli dal viso “E tu parli molto bene l’inglese”

Olivia rise, aggrappandosi ai jeans di Ville, forse per darsi sicurezza.

“Penso anche che sei bellissima” continuò, sempre a voce bassa.

Arrossii un poco, sollevando la testa e incontrando per un secondo gli occhi del darkman, che sorrideva del mio imbarazzo.

La ringraziai ancora, assicurandole che era la bambina più adorabile che avessi mai incontrato.

 

Quindi tirai fuori il pacchetto che avevo preparato per lei e glielo porsi.

Olivia lo fissò stupita a lungo, fin quando non trovò il coraggio di mormorare: “E’ per me?”

“Certo!” lo protesi più vicino, affinché lo afferrasse con le sue manine.

Non appena lo ebbe tra le dita, si voltò per sbirciare il viso dei propri genitori; entrambi le sorrisero, annuendo, invitandola ad aprire il pacchetto.

Strappò la carta con quella rapidità che è propria dei bambini. Quindi scrutò attentamente la copertina del libro, leggendone il titolo con una fluidità che invece non era affatto comune tra i suoi coetanei.

Dopo la sua accorta osservazione. mi guardò sorridendo: “Grazie”

“E’ stato un piacere, sweetie” ricambiai il sorriso, mentre mi alzavo in piedi “Puoi chiederle se ha voglia di sfogliarlo insieme a me, così magari mi insegna un po’ di finlandese?” domandai, rivolta a Ville, perché mi facesse da traduttore.

Non appena ebbe ascoltato la mia richiesta, Olivia accettò con entusiasmo.

 

Così ci sedemmo in un angolo del tavolo e ci chiudemmo nel nostro mondo, fatto di musica e di quel nostro linguaggio dove il mio povero e stentato finlandese si univa con il suo vocabolario inglese ancora ridotto; non avemmo mai tuttavia bisogno di un intervento esterno: con qualche gesto e sorriso, fummo sempre in grado di capirci, dimentiche degli sguardi meravigliati di Ville e dei suoi genitori, i quali non erano stati invitati nel nostro salottino privato.

Ora che le pagine del libro terminarono, io ed Olivia eravamo già diventate ottime amiche: imbarazzo e timidezza erano ormai scomparsi, e il sorriso illuminava incessantemente il suo volto.

 

“Posso toccare i tuoi capelli? Sono così belli” mi interrogò, sbattendo le ciglia.

“Ma certo” le assicurai, alzando le spalle. La invitai a sedersi sulle mie ginocchia, e lei non si fece pregare.

Un’altra rivale per la mia parrucchiera preferita, pensai, mentre le dita sottili di Olivia passavano tra i miei capelli.

“Le piaci davvero tanto sai?” mi confidò Manna “Di solito non si comporta in questo modo con le persone che non conosce”

“Sono davvero felice” sorrisi, accarezzando la schiena della bambina, mentre questa era impegnatissima a legare i miei capelli in due trecce, simili alle sue.

 

Le ore passarono veloci, quasi fossero minuti, mentre chiacchieravo insieme a Ville e ai suoi amici, e la piccola Olivia si teneva occupata con i miei capelli, fino a quando, stanca, si addormentò tra le mie braccia, ancora con il sorriso sulle labbra.

“Se vuoi la prendo io” si fece subito avanti Manna “Probabilmente ti pesa”

“No affatto” scossi la testa “Non mi pesa affatto. Se non ti da fastidio, mi piacerebbe tenerla ancora un po’”

“Certo” esclamò lei, risistemandosi comodamente sulla sua sedia “Credo proprio che abbiamo trovato una fantastica babysitter”

“Quando volete!”

 

Mi sentivo felice e davvero a casa. Anche se ogni volta che incrociavo lo sguardo di Linde, sembrava che la magia si spezzasse. Mi diedi più volte della paranoica, ma non riuscii mai a cacciare quella strana sensazione.

 

Quando la serata sembrava ormai agli sgoccioli, arrivarono Burton e Luisa.

Li accogliemmo con un sorriso, accorgendoci però subito che la coppia era visibilmente agitata: Burton non riusciva quasi a stare seduto, Luisa attorcigliava in modo scomposto la corda della sua borsetta, ancora e ancora.

“Ragazzi, tutto bene?” domandò Manna alla fine, dando voce alla preoccupazione di tutti i presenti.

I due si guardarono a lungo negli occhi, poi entrambi annuirono, mentre noi altri attendevamo confusi.

Burton si avvicino alla sedia della moglie e, posatele le mani sulle spalle, si schiarì la voce: “Beh…ehm, c’era qualcosa che volevamo dirvi. Cioè, in realtà avremmo voluto dirvelo ieri sera, ma abbiamo sbagliato, avevamo invitato così tanta gente e…alla fine non ce la siamo sentita”

 

Fece una lunga pausa, posando il suo sguardo assorto su ognuno di noi, probabilmente senza neanche vederci.

Dato che non dava segni di voler andare avanti, Ville, con il suo solito tatto lo riscosse bruscamente: “Beh?” domandò, impaziente.

Il tastierista parve svegliarsi finalmente dalla sua trance e, dopo aver dato una stretta più forte alla mano di Luisa, che era scivolata a coprire la sua, mormorò: “Aspettiamo un bambino”

“Ma è stupendo!” gridò Manna, saltando al collo di entrambi.

Così quella sera si trasformò in una notte da ricordare e fu la consapevolezza di farne in qualche modo parte, quando Luisa mi abbracciò stretta stretta, che mi fece commuovere.

 

***

 

“Non posso crederci, hai anche la lacrima facile” mi prese in giro Ville, quando fummo soli, mentre mi accompagnava al taxi che mi avrebbe riportato all’hotel.

“Taci” gli feci la linguaccia “Anche tu avevi gli occhi lucidi”

“Non è assolutamente vero” si schermì, scuotendo la testa.

Sbuffai, ricordandomi che la sua testardaggine era solo pari alla mia e che quindi non avrei cavato un ragno dal buco.

 

“Comunque sia è stata una serata splendida!”

Ville sorrise, prendendo la mia mano “Ti piace la piccola Olivia, eh?”

“E’ semplicemente fantastica”

“Eravate davvero bellissime insieme” notò, accarezzandomi una guancia “Ma come fai?”

 

Inarcai le sopracciglia, confusa dalla domanda.

 “Ad incantare sempre il mio cuore, con ogni gesto, ogni azione, anche la più semplice” sussurrò, accostando il suo viso al mio, così tanto che la punta del suo naso sfiorava la mia.

“E’ il tuo mondo ad essere magico” bisbigliai di rimando, prima che le sue labbra si posassero sulle mie.

 



 

Note:

¹ Setä Ville = zio Ville

² Hei kirppu = ciao pulce

³ Minä en ole kirppu - Minä olen isoksi = non sono una pulce, sono diventata grande

Ymmärtän - Mutta sinä aina olet minun kirppuni  = capisco – ma sarai sempre la mia pulce

Tule = vieni

 

 

 

 

________________________________________________________________________________

 

Ancora un giorno di libertà per me T.T e poi si torna a scuolina! MA che barba!

Comunque ecco qui il nuovo aggiornamentt!

Questa storia è agli sgoccioli (finalmente vero? xD) ma ancora qualche capitolino esiste!

Fatemi sapereeee!

 

Kiitos a chi a letto lo scorso capitolo e soprattutto a chi ha commentato ^^

 

@Queenrock: Uhhh me è felicissima di saperlo *-* grazieee! Troppo generosa! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! Bacini

 

@Puz: Mia adorata amorina! Adesso tu stai facendo l’esame di spagnolo probabilmente, mentre mossi è un po’ agitata per il tatuagginooo xD  Comunque, grazie Pux *-* Questo capitolo doveva essere di riempitivo e invece poi vi è piaciuto così tanto *-* Mossi è super felice e ti ama troppo!

 

@Crist: oohh cara! Mi sei mancata un sacco! *-* Sono contenta che tu sia tornata! Grazie davvero! Grazie grazie grazie! Alla prossima! Baciiii

 

La vostra

FallenAngel aka Mossiii

 

 

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Capitolo 28
*** All the troubles and fears ***


Chapter 27

 

 

All the Troubles and Fears

You can’t forget. Not this time

 

 

21 Maggio

 

“Benchè le tue crudeli sopracciglia

Ti diano un’aria strana

Che non è certo angelica,

 O strega dai begli occhi seducenti,

 

Ti adoro, o mia frivola

 Mia tremenda passione!

Con l’ardore

Del prete per il suo idolo.

 

Il deserto gonfia di odori le tue trecce ruvide

E insieme le profuma di bosco,

Il capo ti si atteggia

Enigmatico e segreto.

 

Volteggia, come intorno a un incensiere,

sulla tua carne il profumo;

Mi affascini come la sera

O ninfa tenebrosa e calda.

 

Ah! I filtri più potenti

Nulla sono al confronto della tua indolenza,

E tu bene conosci la carezza

Con la quale rivivere fai i morti!

 

Dei tuoi seni e del dorso

Innamorate son le tue anche,

E affascini i cuscini

Con le tue pose languide.

 

Talvolta, per placare

Una rabbia misteriosa,

Con serietà dispensi

Il morso e il bacio;

 

Tu mi strazi, o mia bruna,

Col tuo malizioso riso,

E mi posi poi sul cuore,

L’occhio tuo dolce, come la luna.

 

Sotto le scarpe tue di raso,

Sotto i tuoi serici piedi affascinanti,

Depongo la mia grande gioia,

Genio e destino,

 

E quest’anima da te guarita,

Da te, colore e luce!

Scoppio di fiamme

Nella buia mia Siberia.” ¹

 

                                                                                        Buongiorno,

                                                                                               Ville

 

 

Ripiegai con cura il foglio, e lo riposi nel cassetto insieme agli altri biglietti che avevo raccolto in quei giorni.

Aprire gli occhi e ritrovare sul cuscino anche poche righe scritte di suo pugno era sempre un dolce risveglio. Doveva smetterla però, o mi sarei abituata troppo bene.

 

Lasciai l’attico dell’albergo, raggiungendo la mia piccola e modesta cameretta al terzo piano.

Arianna era già uscita, così trovai il bagno tutto per me. Mi preparai con calma, accendendo lo stereo e cantando insieme a Gerard Way sulle note di ‘The Sharpest Lives’.

Presi il cellulare per chiamare la mia best e chiederle dove si trovasse per raggiungerla, ma non feci a tempo a digitare la A del suo nome nella rubrica che lei mi precedette.

La telepatia era proprio una gran bella cosa. Anche se faceva paura a volte.

 

“Hey bellissima!” la salutai solare.

“Eli” esordì, con un tono di voce davvero strano “Dove sei?”

“In albergo” risposi senza capire, corrugando la fronte.

“E non sei ancora uscita?” mi interrogò concitata “Non hai incontrato o parlato con nessuno?”

“Ehm, no” dissi, tenendo il telefono tra l’orecchio e la spalla, mentre infilavo le scarpe “Stavo proprio per chiamarti per chiederti dov’eri e venire. Ma perché? Che diavol…?”

Ma non mi lasciò finire nemmeno la frase. Dopo un profondo sospiro di sollievo mi ordinò: “Ah bene. Allora vieni subito al solito bar. Ti dobbiamo dire una cosa. Ma mi raccomando vieni qui di filata e cerca di non parlare con nessuno, per favore”

“Ari ma stai bene?” sbottai, avendo assolutamente perso il filo del discorso.

“Sì, sì” tagliò corto risoluta “Tu fallo e basta, okay? Fidati”

Poi chiuse la conversazione, lasciandomi su quel letto con un punto di domanda gigante sulla testa.

 

Uscii dalla mi stanza e presi l’ascensore. Era una mia impressione o il ragazzo che era con me mi stava guardando con troppa attenzione? Alzai il capo di scatto e lui, colto in flagrante, si girò immediatamente nella direzione opposta.

Ridacchiai sotto i baffi, stupita da quel comportamento tanto evidente.

Quella bizzarra sensazione però non mi abbandonò per tutto il tragitto verso il cafè. Ero di certo diventata paranoica, ma sembrava che in ogni vicolo in cui passassi qualche persona mi lanciasse occhiate oblique o soltanto curiose.

 

Ferma ad un semaforo, controllai di avere due scarpe, dello stesso colore possibilmente, un paio di pantaloni, una maglietta, la mia giacca di pelle: era tutto lì, al suo posto e non mi sembrava di vedere macchie o scritte strane. Misi una mano tra i capelli e sopra la testa, per accertarmi che anche ai piani alti fosse tutto come doveva essere: apparentemente, nulla di strano.

Voltando il capo per controllare il semaforo, mi accorsi di una ragazzina di forse 13 anni, che mi fissava con uno sguardo di puro odio. E non c’erano santi: stava fissando proprio me, senza pudore.

Iniziando a sentirmi un tantino a disagio, scappai letteralmente dall’altra parte della strada non appena il semaforo si fece verde.

 

Stavo cercando ancora di figurarmi una possibile ragione per quello strano comportamento, quando, passando davanti ad un Kioski, capii: feci un salto all’indietro, la circolazione sanguigna bloccata e il cuore in gola, mentre i miei occhi increduli si posavano sulla prima pagina dell’ Iltalehti.

Chiusi gli occhi, pregando che fosse solo un’allucinazione causata dal mio stomaco ancora desolatamente vuoto: ma quando li riaprii non era, ahimè, cambiato proprio nulla.

Perché sulla prima pagina del quotidiano erano state messe in mostra due foto, che riportavano i medesimi soggetti: Ville e…me.

 

La prima era stata scattata la sera precedente durante la nostra esibizione al Midnight Wish e fin lì non c’era nulla di così terribile, se si escludeva la mia faccia da pesce lesso mentre cantavo. Ma la seconda, la più grande e più evidente, era stata fatta a tradimento qualche ora dopo, all’uscita del locale, mentre io e Ville credevamo di essere soli, impegnati in quello che non sarebbe mai potuto passare per un innocente bacio tra amici.

Presi in mano il giornale e lo sfogliai con mani tremanti, scoprendo che all’interno le sorprese non erano finite. Rimisi a posto il giornale, cercai nella borsa gli occhiali da sole e, nonostante il cielo quel giorno fosse piuttosto nuvoloso, mi catapultai così conciata verso il luogo dell’appuntamento.

 

“Temo che sappia già qualcosa” intuì Kat, vedendo il mio volto sconvolto, non appena mi avvicinai al tavolo dove lei e Arianna aspettavano impazienti il mio arrivo.

Mi lasciai cadere sulla sedia, senza salutare. Con calma artificiale spostai gli occhiali sopra la testa e fissai la tazzina di caffè di Arianna con molto, troppo interesse.

 

Trascorse forse un minuto; le mie amiche attendevano in silenzio una qualunque reazione, che non tardò ad arrivare. Scoppiai, nascondendo il viso tra le mani: “Che disastro!”

“Beh, direi che sa già tutto” puntualizzò la rossa, posando una mano sulla mia spalla e tirando fuori quel maledetto quotidiano.

“Oh sì” mormorai, sbirciando l’insieme di fogli di carta con una smorfia “Perché?” domandai, a nessuno in particolare.

Arianna non riuscì a trattenere una risata: “Perché? Beh perché c’è qualcuno qui che non riesce a controllare i suoi ormoni”

 

Davanti alla mia espressione disperata, si rimangiò subito tutto: “Lo sai come sono i giornalisti, darlin’. Sempre a caccia di nuovi scoop, non guardano in faccia nessuno. L’importante è fare notizia”

“Ma l’ Iltalehti non è un giornale scandalistico!” mi lamentai “E’ un quotidiano, letto da migliaia di persone oltretutto. Non dovrebbe trattare di argomenti un po’ più importanti?”

Kat mi rivolse un sorriso comprensivo: “Normalmente avresti ragione. Ma non stiamo parlando di una persona qualsiasi. Lui è Ville Valo, e la stampa è attenta ad ogni sua mossa. E’ da quando si è lasciato con Jonna che tutti aspettano impazientemente una nuova fiamma…”

 

Alzai gli occhi al cielo, sbuffando: “Voglio morire”

“Dai non prenderla così male. Tanto prima o poi sarebbe venuto fuori” cercarono di consolarmi. Ma non riuscivano a capire. Avevamo deciso che doveva restare una cosa segreta, almeno per un po’ di tempo e adesso invece…

“Non hai idea di come sia là fuori. Un sacco di gente mi fissava quasi avessi due antenne in testa” borbottai, sollevando quello stupido giornale e squadrandolo nel modo peggiore che conoscessi, forse sperando che si rimangiasse tutto “Ma non è neanche questo quello che mi fa veramente arrabbiare: è per Ville. Come si fa adesso? Non lo lasceranno più in pace”

“Se la caverà” mi assicurò Arianna, costringendomi a guardarla.

“Mh” mugugnai, per niente convinta “Potresti leggermi cosa hanno scritto?” domandai poi, rivolta alla mia amica finnica.

 

Kat prese il giornale dalle mie mani, e iniziò a tradurre: “Già da diversi giorni si vociferava che Ville Valo, frontman degli HIM, avesse finalmente trovato una nuova compagna che curasse il suo cuore ancora ferito, dopo la rottura con la nota modella e vj Jonna Njgren. E ieri sera le dicerie si sono trasformate in certezza, quando il nostro inviato ha sorpreso il cantante e la ragazza in questione in atteggiamenti compromettenti all’uscita del famoso locale alternativo, perla nera di Helsinki, il Midnight Wish. I due avevano passato insieme la serata, dopo aver cantato davanti al pubblico del locale un brano della band di Valo. Siamo venuti a sapere che non era la prima volta che i due si esibivano insieme su quello stesso palco e sembra che la loro intesa sia anche musicale, dopotutto”

Storsi il naso, chiedendomi chi mai avesse potuto scrivere un articolo simile.

 

“Ma veniamo alla domanda che tutti si stanno ponendo: chi è questa misteriosa ragazza, dalla pelle pallida e i capelli corvini, che sembra uscita direttamente da una delle fantasia del nostro tenebroso poeta?”

 

“Che cosa?” non riuscii a trattenermi dal gracchiare, gli occhi fuori dalle orbite “Ma chi diavolo ha scritto questo articolo?”

“E’ di Iikka Partanen. E’ un pescecane” mi spiegò Kat, scuotendo la testa “E’ forse il giornalista più velenoso dell’Iltelehta, ma anche uno dei più seguiti”

“Okay, okay, vai avanti” la pregai, cercando di calmarmi.

 

“Il suo nome è Elisa Bonizzi e come avrete intuito dal nome, non è una nostra concittadina: l’Italia è il suo paese d’origine e non abbiamo ancora scoperto per quali ragioni sia qui ad Helsinki. E’ la barista del già sopra citato locale, ed è probabile che i due si siano conosciuti proprio al Midnight Wish…”

“Scherzavo, è abbastanza” mi corressi, non riuscendo più a sopportare quella lenta agonia.

 

“Direi che la parte terribile è finita” mi tranquillizzò Kat “Poi parla soprattutto di Ville”

“Non c’è nulla sulla mia età?” chiesi, sull’orlo del terrore.

Ma fortunatamente quel tasto non era stato toccato, anche se sapevo che sarebbe stata solo questione di tempo.

“Bene, adesso sono diventata la migliore amica di una vip” si vantò Arianna, cercando di risollevare il mio umore.

“Non dire stupidaggini” la sgridai ridendo mio malgrado davanti alla sua espressione orgogliosa, mentre mi alzavo in piedi.

 

Lei mi superò, approfittando del fatto che la mia giacca si era impigliata alla sedia e sembrava volerci restare per sempre.

“Dai vieni, Ragazza di Ville Valo!” mi chiamò, quasi vicina alla porta del cafè.

“Non chiamarmi così!” brontolai, tirandole uno scappellotto sulla testa.

“Ah no scusa, hai ragione” si corresse, alzando gli occhi al cielo “Fantasia del nostro tenebroso poeta” recitò le stupide parole del giornalista, stringendo le labbra come un pesce.

“Ah-ah”

 

***

 

Mentre ci dirigevamo al lavoro, fatto un profondo sospiro per darmi coraggio, presi il cellulare e avviai una chiamata.

“Hei wildcat” mi rispose quella voce profonda e, a differenza di quanto mi sarei aspettata, decisamente tranquilla.

“Hei”

“Cosa è successo?” chiese allarmato, riconoscendo subito nella mio tono una nota sbagliata.

Inarcai le sopracciglia: “Come, non hai visto i giornali?” replicai, con un'altra domanda.

“Ah, quello” borbottò “Sì, sì, gli ho visti”

 

“E non sei arrabbiato, spaventato, qualcosa insomma?” continuai incredula, non riuscendo proprio a capire come potesse prendere la cosa così alla leggera.

Ville rise dall’altra parte della cornetta: “Sì certo che lo sono, ma non ci posso fare proprio nulla. Ormai ci sono abituato. Mi dispiace che sia stata coinvolta anche tu però”

“E i nostri piani? La segretezza e tutto il resto? E’ andato tutto a rotoli” sospirai.

“Non ti preoccupare di questo. Tanto sarebbe stata questione di tempo” ripetè quella cantilena che per me non aveva nessun significato.

“Non è poi così grave. Dovrai farci l’abitudine, a meno che tu non abbia già deciso di mollarmi”

“Che stupido che sei” ribattei, cercando di non ridere.

 

“Ah, allora ho capito qual è il problema!” esclamò allora “Non ti piace come sei venuta nelle foto. Mh, beh in effetti questa non è certo la tua angolatura migliore, il tuo lato dal pesce è molto evidente…”

“Hai finito?” mi spazientii, cosa che lo fece soltanto ridere più forte.

“Forse. Devo andare adesso, ti richiamo tra un po’, okay?”

“Sì”

“Allora a dopo. E smettila di preoccuparti, non è successo nulla di grave”

 

***

 

Eppure, come avevo temuto, non tutti la pensavano esattamente come Ville.

 

Non appena la notizia cominciò a circolare all’interno dell’entourage, i problemi spuntarono come ciliegie. Soprattutto quando Seppo venne a sapere che la nuova compagna del suo frontman era ancora minorenne.

Nonostante avesse cercato di nascondermelo in tutti i modi, venni a sapere che Ville aveva finito per litigare con il suo manager e altra gente che non era per niente d’accordo sul fatto che la situazione fosse soltanto affar suo.

 

Nemmeno nei suoi compagni, per quanto mi volessero bene, riuscì a trovare un vero appoggio. Aveva mentito, o omesso la verità: faceva poca differenza.

 

“Sapevo che questa storia non avrebbe portato nulla di buono” scagliai un sasso, contro il mare, frustrata “E’ tutta colpa mia”

“No, non è vero” mi fermò Ville, trattenendomi il braccio “Sono loro che dovrebbero farsi gli affari propri” affermò, irato.

“Ti sto incasinando la vita!” dissi, liberandomi dalla presa e alzandomi in piedi “Ti ho fatto litigare anche con i tuoi amici”

“Ti ho detto che non è colpa tua” mi ricordò, scattando velocemente al mio fianco, e afferrandomi per le spalle “Ho un cervello? Posso decidere io cosa voglio fare?” mi domandò, con calma ma con fermezza.

Annuii, abbracciandolo: “E’ solo che non voglio causare altri problemi” sospirai “Sembra la cosa che mi riesce meglio”

Lui mi strinse forte, baciandomi la fronte dolcemente: “Basta, non ci pensare, riusciremo a risolvere tutto. E non ti preoccupare per i ragazzi: sono sicuro che gli sarà già passata. Domani sera siamo stati invitati ad una cena di beneficenza e dobbiamo suonare uno o due pezzi: sarà già tutto a posto”

 

Mi lasciai cullare nel suo abbraccio, perdendomi in quelle che, speravo ardentemente, non si sarebbero rivelate soltanto parole al vento.

“Vieni” mi bisbigliò ad un tratto, prendendomi per mano “Voglio mostrarti una cosa”

 

Lo seguii, risalendo insieme a lui il parco sopra la scogliera. Camminammo per qualche minuto, fino a fermarci quasi sulla cima di una collinetta, davanti ad una vecchia costruzione.

Voltandosi indietro, si riusciva a sfiorare con lo sguardo miglia e miglia di acqua salata e, poco lontano, Suomenlinna e le altre isolette, mentre il vento suonava tra i rami degli alberi la sua antica e mai superata melodia.

Ville si sedette per terra, invitandomi a fare lo stesso.

“La senti?” sussurrò, chiudendo gli occhi “E’ Helsinki a parlarti”

Sorrisi, imitandolo e ascoltando attentamente, lasciando scivolare via, come un velo, ogni paura e preoccupazione.

 

“Un giorno ho passato un’intera giornata quassù” mi confidò “Ad ascoltare il mare, il vento, a guardare il sole nascere e morire e la luna prendere il suo posto. Poi sai cos’è successo?”

“Dimmelo” lo spronai, voltandomi a fissarlo.

“Ho visto una stella cadente; e in quel momento ho capito” fece una piccola pausa, inspirando a pieni polmoni l’aria salmastra “Ho capito che tutto muore, ma non deve essere per forza una cosa triste. Quando cade una stella le persone esprimono un desiderio, ripongono in essa i loro sogni più reconditi, sono felici. Perché con la morte delle persone non dovrebbe essere la stessa cosa?”

Corrugai la fronte, mordendomi un labbro per non ridere: “Ma non è proprio la stessa cosa…”

 

“Perché?” mi domandò direttamente “Alla mia morte non vorrei che le persone fossero tristi, vorrei che esprimessero un desiderio, come per una stella cadente. E per ogni cosa che finisce, bisognerebbe esprimere un desiderio

 

Era di sicuro un ragionamento un po’ strano, ma mi piacque ugualmente.

“Forse hai ragione” concordai, appoggiandomi alla sua spalla.

“Subito dopo è venuta la mia canzone” continuò, insinuando una mano sotto al mio braccio e avvolgendo la mia vita.

“Quale canzone?” chiesi curiosa, accoccolandomi meglio contro di lui.

 

Ville si schiarì la voce e poi cominciò a cantare, sussurrando quelle parole tanto note al mio orecchio:

She was the sun, shining upon, the tomb of your hopes and dreams, so frail

 

Mentre già mi perdevo nella melodia, il cantante si interruppe; voltai il capo e incontrai il suo ambiguo sorriso.

He was the moon, painting you, with its gloom so vulnerable and pale” continuai, sfiorando il suo profilo, quasi le mie dita fossero state un pennello su una tela bianca.

 

Love’s the funeral of hearts, and an ode for cruelty,

 when angels cry blood on flowers of evil in bloom.

The funeral of hearts, and a plea for mercy,

 when love is a gun, separating me from you

 

Le parole rimbalzavano nell’aria, confondendosi con il vento e lo stormire delle fronde. Allungai una mano per afferrarle, come se fossero state lucciole, ma erano già fuggite via.

 

She was the wind, carrying in. all the troubles and fears. been for years, trying to forget

He was the fire, restless and wild, and you were like a moth, to that flame”

 

“The heretics seal beyond divine, a prayer to a God who’s deaf and blind,

 the last rites for souls on fire, three little words and a question, why?”

 

“E quali sono le tre parole?” chiesi alla fine, cercando una risposta da tempo bramata.

“E’ un segreto” bisbigliò, solleticandomi il collo “Chiedi al vento e forse ti risponderà”

 

 

 

 

 

 

 

Note:

¹ Charles Baudelaire, Chanson d’après-midi,  Le fleurs du Mal

 

 

 

 

 

___________________________________________________________________________________________________

 

 

Che faticaccia aggiornare xD odiooo la scuola ! Alla faccia dell’ultimo anno e della maturità. Alla maturità non ci arrivo di sicuro se si continua così xD

 

Comunque qualche problemino in questo capitolo eh? xD Il mondo di Elisa e Ville non è sempre rose e fiori…

Questo capitolo è stranamente corto per i miei standard, spero apprezzerete comunque hihihi

Fatemi sapere^^

 

Un ringraziamento alle mie lettrici e soprattutto a:

 

@Sweetie: ma nun preoccupe pulcetta! Mi dispiace che te li eri persi! Beh adesso sei bella in pari xD Grazie mille tesoro, i tuoi commenti mi fanno sempre tanto piacere *-* Bacini

 

@Crist: io ne sono innamorata xD Anche se quello era il lato perfetto..adesso iniziano ad uscire le magagne xD ehh si, il prossimo è l’ultimo più l’epilogo! Mamma mia questa storia è stata un parto infinito! Non vedo l’ora di leggere la tua fic! Grazie millissimeeeee, alla prossima! Baciniii

 

@Malaena: *.* Ma ciaaaaaaaaao! Ma sei tornata! Mi sei mancata un sacco sai? Proprio poco tempo fa sono passata dal tuo blog per vedere se eri tornata, e volevo lasciare un commentino ma poi non sapevo se avresti capito chi ero xD Grazie mille per i mai monotoni e non meritati complimenti xD Spero che tornerai presto ad aggiornare anche la tua storia! Baciii

 

@Queenrock: sono davvero felice di saperlo ** spero che anche questo chap non ti abbia deluso! Kissesss

 

Alla prossima! (se sopravvivo ahahhaha)

LA vostra

FallenAngel aka Mossi

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Capitolo 29
*** Crash ***


Chapter 28

Crash

And, finally, the end

22 Maggio

 

Contrariamente ad ogni mia aspettativa, il giorno successivo sembrò assecondare ogni previsione fatta da Ville. Tanto da farmi riflettere sul fatto che, forse, il nomignolo di pessimista cronica, riferito alla mia persona, non era poi lontano dal vero.

 

Tutto cominciò quel mattino: mentre io e Arianna preparavamo i tavoli per il pranzo nel ristorante dove lavoravamo come cameriere, fui richiamata dalla direttrice di sala nell’ingresso.

Intento a sbirciare i pesci multicolori di un acquario, trovai il chitarrista degli HIM.

“Linde?” esclamai sorpresa.

Lui si voltò, posando lo sguardo prima sul mio viso e poi, subito dopo, sulle forchette che ancora impugnavo.

“Hai deciso di pugnalarmi?” ridacchiò, alzando un sopracciglio.

“Cosa?” mi accorsi che il modo in cui tenevo le posate non era proprio raccomandabile “Oh, no, che stai dicendo” borbottai imbarazzata, lasciandole cadere nella tasca del grembiule. “By the way, cosa diavolo ci fai qui?”

Lui non riuscì a trattenere un altro sorriso divertito.

“Ehm cioè, volevo dire, come mai da queste parti?” Volevo sprofondare.

 

“Ti ho portato questo” mi spiegò, porgendomi un pezzo di carta plastificata.

Lo presi, titubante, e lo osservai curiosa: si trattava di un invito. L’invito per la festa di beneficenza di quella sera.

“Come lo hai avuto?”

Lui alzò le spalle: “Che importanza ha?”

Mi morsi la lingua, sorridendo: “Nessuna, immagino”

“Vuoi venire?” mi interrogò, facendo una faccia buffa.

 

Ci pensai qualche istante: non ero sicura di voler affrontare tutte quelle persone. Non sarebbe stata più la stessa cosa, adesso che si sapeva tutto di me e Ville. D’altra parte era forse egoistico lasciarlo far fronte a tutto, ancora una volta, da solo.

“Sì” assicurai infine, stringendo più forte il biglietto “Grazie”

Lui si sfiorò la visiera del cappello, in atto di saluto: “A stasera”.

 

***

 

La festa era stata organizzata in un antico palazzo dell’inizio del secolo. Attraversai lentamente l’ingresso, seguendo alcuni invitati che si dirigevano al piano superiore. Percorsi una lunga scalinata, lasciando scivolare le dita su un liscio corrimano dipinto d’oro. All’entrata della sala principale sollevai il capo, con un sospiro: i soffitti, altissimi erano decorati con stucchi e affreschi; angeli dalle lunghe ali posavano i loro occhi stanchi su donne e uomini elegantemente vestiti.

 

Mi domandai quanti ricevimenti avessero visto quegli angeli, quali balli, quali abiti, quali intrighi, quali segreti.

Sorrisi della mia fantasia troppo fervida e passai oltre.

 

Mi confusi nella folla, incrociando curiosi sguardi, fuggendo volti sconosciuti.

Mentre giravo in tondo, guardandomi intorno senza posa, urtai accidentalmente qualcuno. E persi quella stupida borsetta che avevano insistito che portassi come accompagnamento al mio abito.

“Mi dispiace” mi scusai, alzando una mano alla fronte.

“No, scusami tu” replicò lo sconosciuto, chinatosi rapidamente ai miei piedi. Mi porse la borsetta con un sorriso, ed io rimasi a lungo a fissare i suoi lunghi e bellissimi capelli biondi.

“Ti sei persa?” domandò, notando il mio spaesamento.

“Ehm…in un certo senso” biascicai, grattandomi il collo “Non riesco a trovare delle persone”

“Beh in questa folla è più che normale” notò. Lo guardai meglio in faccia, e mi accorsi che aveva un naso davvero strano. Mi resi anche conto che quel viso non mi era estraneo…

“Se vuoi posso accompagnarti al tavolo del buffet. Li è più facile trovare qualcuno” ridacchiò, allungando un braccio come per indicarmi la strada.

“Grazie” gli sorrisi, lasciandomi guidare.

 

Fu in quel momento che intravidi Manna e Luisa, sedute ad un tavolino.

“Ho appena visto la mia ancora di salvezza” lo informai, fermandomi e sfiorandogli il braccio.

“Benissimo” accolse la notizia con un altro mezzo sorriso “Allora il mio compito si è concluso. Ora devo fuggire, oh donzella in difficoltà. Alla prossima” e con un profondo inchino si dileguò tra la folla.

 

Raggiunsi le due donne, che all’inizio quasi non mi riconobbero. Il lungo abito di raso blu, lungo fino alle caviglie, che mi era stato prestato da Katriina, non era di certo molto da me.

Così come quegli stupidi tacchi che non potevo sopportare, e i capelli legati stretti in uno chignon sopra la testa.

“Olivia ti avrebbe scambiata per una principessa” mi rivelò Manna “Anche se non avrebbe visto di buon occhio i tuoi capelli imprigionati in quel modo”

Insieme attendemmo che i diversi gruppi che erano stati invitati si esibissero su un piccolo palco che era stato montato per l’occasione e che forse stonava un pochino con il resto del palazzo.

 

Gli HIM suonarono per terzi, subito dopo gli Apocalyptica. Mi diedi mentalmente dieci mila volte della stupida, quando riconobbi tra i tre violoncellisti il mio salvatore.

Era strano vedere Ville vestito in giacca e cravatta. Uno spettacolo davvero buffo. Dopotutto, non sembravo essere l’unica persona non proprio a suo agio quella sera.

Mi tenni nascosta il più possibile, sebbene fossi sicura che Ville non avrebbe mai alzato tanto gli occhi sulla folla, per evitare di esserne distratto. Cantò Wicked Game, e subito dopo The funeral of hearts.

 

Mi sentii stringere il cuore quando le sue labbra si incurvarono in un sorriso, forse mentre ripensava alla sera precedente.

 

Pochi minuti dopo la fine della loro esibizione il gruppo ci aveva già raggiunto. Tutti gli HIM, meno un componente.

Incrociai lo sguardo di Linde, mordendomi la lingua per non comportarmi come una bambina, ed essere discreta, senza chiedere immediatamente dove fosse finito.

“Non sa che sei qui” mi disse il chitarrista, leggendomi nel pensiero “Voleva essere una sorpresa, giusto?”

“Oh” mormorai, piuttosto confusa dalle sue parole “Credo di sì”

“E’ in una delle stanze nel corridoio dietro il palco” mi informò “La quarta porta a destra, non ti puoi sbagliare. E’ la stanza che ci hanno dato per prepararci, e per gli strumenti”

Un sorriso affiorò immediatamente sulle mie labbra: “Allora vado…” sussurrai, incerta, non sapendo bene se mi fosse permesso.

Lui annuì, ricambiando il sorriso.

 

Ero troppo felice per potermi accorgere di quella strana tempesta che invadeva i suoi occhi di solito così calmi.

Ero troppo lontana con la mente per potermi accorgere di una parola che uscì leggera dalle sue labbra, così flebile da poter essere percepita solo da un ascoltatore davvero attento.

“Scusa”

 

***

 

Camminai svelta, quasi dimentica del male ai piedi e di quelle stupide macchine da tortura che indossavo.

Quando giunsi nel corridoio deserto mi misi a correre, proprio come una bambina.

La porta era chiusa, ma non a chiave. Mi bastò abbassare la maniglia, e sospingerla lentamente, perché la stanza mi fosse accessibile.

 

Ma non misi mai piede in quella stanza.

 

Ricordo bene la sensazione che provai quella sera, ricordo tutto come se fosse ora. Fu come se d’un tratto il grande gigante Atlante avesse deciso che la sua pena fosse finalmente finita e, senza avvertirmi, avesse abbandonato il fardello del cielo, lasciando che questo crollasse sopra di me, con tutto il suo peso, con tutto il suo dolore.

 

Quando posai i miei occhi sul volto di Ville, non fu la gelosia a trafiggermi, a farmi ribollire il sangue nelle vene per la rabbia. Fu la consapevolezza di averlo perduto per sempre a congelare ogni mio impulso.

 

Un’unica voce gridava nella mia testa, riempiendo la scatola cranica, risuonando in ogni fibra del mio corpo: ‘Ecco, è arrivato il momento. Svegliati. Il sogno è finito’

 

Ci sono cose che sappiamo di sapere, ma non sappiamo spiegare il perché.

Io sapevo che quella donna dai lunghi capelli castani, accesi di fuoco dalla luce artificiale di una lampadario troppo forte, che premeva la sua bocca su quella di Ville, stringendo il suo volto tra le mani tremanti, non era una donna qualunque.

 

Fu per questo che non mi misi ad urlare, non entrai scalciando nella stanza, magari scagliando contro il muro il primo oggetto capitato a tiro. Fu per questo che non corsi da lui, gridandogli in faccia la mia ira per le promesse infrante, per le bugie sussurrate in un abbraccio.

Sapevo che era lei. Lo sentivo, sebbene non l’avessi mai incontrata, sebbene non l’avessi mai vista.

 

Lei. Il mio più grande timore. L’unica, contro cui non avrei mai potuto competere. Era tornata.

 

Come un flash, ripassò davanti ai miei occhi il ricordo dello sguardo del cantante, perso oltre l’orizzonte.

“E’ una questione chiusa comunque. L’oceano ha infisso l’ultima barriera”

“L’oceano non è un ostacolo invalicabile”

Come al solito, il destino aveva scelto il momento più appropriato per darmi ragione.

 

Volevo andarmene, sapevo che dovevo andarmene.

Ma non riuscivo a staccare gli occhi dal suo volto, quasi avessi voluto ricordarne ogni tratto. Conservare un’ultima memoria, prima che il sogno sfuggisse via, per sempre.

 

Stetti troppo a lungo.

 

La borsetta, quella dannata borsetta, mi scivolò tra le dita sudate, cadendo sul pavimento.

Rimasi impietrita sul posto. Ville voltò il capo, all’istante, interrompendo il bacio.

Il mio sguardo, non volendo, incrociò il suo.

 

Fu un secondo, o forse meno. Ma lasciò un marchio indelebile nel mio cuore.

 

Raccolsi da terra la borsetta e corsi via.

Corsi veloce, più veloce che potevo, noncurante di tutti quegli occhi che osservavano curiosi e straniti la mia folle fuga.

Prima di scendere la lunga scalinata di marmo scalzai le scarpe e, senza quasi vedere, volai sui gradini, spaventata, terrorizzata che potesse raggiungermi.

Mentre scendevo, sentii le forcine che tenevano insieme la mia elaborata acconciatura sfilarsi via, una ad una.

 

Ero giunta ormai quasi fuori dall’edificio, quando una mano afferrò il mio polso. Trasalii, trattenendo il fiato.

“Hai perso la scarpetta Cinderella” osservò una voce. Per mia fortuna, non la voce che mi sarei aspettata.

Mi voltai, incontrando ancora gli occhi chiari e questa volta preoccupati di Eicca.

“Ti prego, lasciami andare” sussurrai, mentre sentivo già le lacrime combattere contro la mia volontà per sgorgare libere sul mio volto.

“Cosa ti è successo?” domandò, continuando a tenere ben salda la presa sul mio braccio, quasi avesse temuto che potessi di nuovo perdermi in quella realtà troppo caotica.

“Devo andare via di qui. Subito” dichiarai con voce strozzata, implorandolo con lo sguardo di esaudire il mio desiderio.

Lui lasciò la mia mano, annuendo. Ma prima di lasciarmi fuggire aggiunse: “C’è un taxi qui fuori. Puoi usarlo se vuoi”

 

Senza riuscire ad esprimere quanto gli fossi grata, uscii all’aperto, scoprendo che le nuvole di quel pomeriggio avevano dato vita ad un tremendo acquazzone.

Appena salita sulla macchina, intimai al conducente di partire.

“Ma dove vuole che la porti?” domandò sconcertato l’uomo.

Dissi il primo posto che mi venne in mente, senza pensarci. Poi chiusi gli occhi, lasciandomi cadere sul sedile, esausta.

 

***

 

La terra era soffice sotto i miei piedi nudi, che sprofondavano ad ogni passo nel prato bagnato.

Il cadere incessante della pioggia ovattava ogni suono, rendeva tutto irreale, come sospeso nel tempo.

Camminavo lentamente, ascoltando i battiti irregolari del mio cuore, unico rumore distinto. Unico appiglio alla realtà.

Una folata di vento più forte spinse i miei capelli, sciolti e bagnati, contro il mio volto. Non mi preoccupai di spostarli. Continuai a procedere senza meta.

Sorpassai la piccola costruzione sulla collina. Scivolai sull’erba. Caddi. Mi rialzai.

 

Una vecchia altalena, dalle lunghe corde corrose dal tempo, apparve dal nulla, davanti ai miei occhi appannati.

Dondolai a lungo, il capo abbandonato contro il pugno stretto intorno alle corde.

Piangevo, e i cardini cigolavano. I cardini cigolavano, ed io piangevo. Fin quando il lamento diventò uno, mentre la pioggia intorno a me piano piano cessava, lasciando dietro sé un intenso profumo di fango e di muschio.

 

“Avresti dovuto scegliere un altro posto, se volevi davvero fuggirmi”

La sua voce giunse da così lontano. Da un altro mondo forse. Per molto tempo credetti di averla solo immaginata.

Ma mi costrinsi ad aprire gli occhi e lui era lì, davanti a me. I capelli fradici di pioggia, la cravatta perduta chissà dove, la camicia attaccata al petto che si alzava e abbassava veloce.

 

Era bellissimo. Come la prima volta che lo avevo visto.

Tuttavia adesso sapevo che non sarebbe stato mio.

 

Mi alzai in piedi, asciugandomi il viso con le dita. L’odore del ferro si insinuò nelle mie radici, stordendomi.

Traballai qualche istante, ma recuperai presto l’equilibrio, incamminandomi nella direzione opposta a quella dalla quale era arrivato.

“Lasciami stare” sussurrai fievolmente.

“Aspetta” mi gridò, parando misi davanti “Lasciami spiegare…”

 

Abbassai il capo, non potendo sopportare la vista di quegli occhi pieni di sofferenza.

“Lasciami stare” ripetei, tremando.

“No, non posso” esalò in un lamento “Ti prego ascoltami, devo spiegarti…”

Appoggiò entrambe le sue mani sulle mie braccia e un alito di vento gelido mi accarezzò la faccia, mentre mi sentivo mancare. Non potevo, dovevo essere forte. Almeno per quella volta.

 

“Lasciami stare!” questa volta gridai, scoppiando in un singhiozzo, allontanandomi da lui “Non c’è nulla che puoi spiegarmi. Quel che ho visto mi è bastato”

Ville non demorse. Ad ogni passo che ritraevo, lui si riavvicinava: “No, devo spiegarti” continuava a ripetere: ormai era diventata una cantilena senza senso, il gemito convulso di un folle.

Quando sentii che il dolore era diventato insopportabile, allungai le braccia e lo spinsi con forza, obbligandolo a fermarsi: “Basta!” gli intimai “Smettila, ti prego”

Osai guardare la sua bocca: era muta ora, ma tremava, incessantemente. Una lacrima scivolò sul suo viso, troncandomi il respiro.

No, non doveva piangere. Non doveva.

 

Allungai una mano, incapace di trattenermi, e asciugai il suo viso: “No, non devi piangere” mormorai, scuotendo il capo.

Lui sollevò la sua mano, posandola sulla mia, aggrappandocisi, spingendola più vicina a sé, alle sue labbra.

Sapevo che tutto questo era sbagliato. Ci avrebbe fatto soltanto più male.

“Io non volevo ferirti…” singhiozzò, cercando i miei occhi.

Ritrassi le mani, ma con dolcezza: “Lo so”

“Allora ascoltami”

“Non è necessario.” Feci una pausa “Non voglio”

“Perché?”

 

Avrei voluto coprirmi le orecchie, fuggire da tutto quel dolore.

“Perché sarebbe un’altra bugia” sospirai, trattenendo a mia volta le lacrime.

Lo fermai, prima che potesse replicare: “Forse tu non te ne renderesti nemmeno conto. Ma sarebbero bugie. So che mi vuoi bene, ma è giusto che io me ne vada adesso…”

“No” ribadì testardo.

“Sì invece!” asserii, con tutta la fermezza di cui ero capace “Tu non sei per me. E lo sai anche tu”

 

Mi girai, biascicando il mio ultimo addio.

“Ti amo” gridò, quando mi ero allontanata di forse pochi passi.

Sebbene la ragione mi ordinasse di proseguire, di non voltarmi più indietro, non potei ascoltarla.

Mi fermai, stringendo le dita intorno al mio vestito, fin quasi a farmi male.

Mi pugnalò alle spalle, penetrando fino al cuore. Perché le sue parole, per quell’unica volta, non furono in inglese.

 

Sapeva che un ‘I love you’ non avrebbe significato nulla. Un ‘I love you’ non avrebbe mai potuto definire un sentimento. Qual è il filo sottile che divide affetto e amore? Quel verbo non riusciva a designarlo.

Pronunciò quell’unica frase nella mia lingua, lasciandomi senza parole.

 

Forse, se quello fosse stato veramente un sogno, o una bella favola, mi sarei gettata tra le sue braccia, urlando ‘Anch’io. Per sempre’. E avrei cercato la sua bocca, ancora e ancora, godendo del suo abbraccio, delle sue mani sul mio corpo.

 

Ma quella non era una favola. Era la vita reale ed io non potevo più permettermi di sognare.

Di credere ad una bugia, che pur dolce, innocente e inconsapevole, restava sempre una bugia.

 

“Ti amo” ripetè, facendosi sempre più vicino.

Serrai le palpebre e strinsi i denti per un ultima volta.

Poi mi voltai e trovai la forza per guardarlo negli occhi, con tanta intensità che ne fu quasi sorpreso, tanto che le parole gli morirono sulle labbra.

“No. Non è così. Per quanto mi piacerebbe crederlo, per quanto lo desideri con tutta me stessa” sorrisi con malinconia e forse un po’ di rancore “questa non è la verità. Ciò che c’è stato fra noi è finito”

 

Presi nel pugno l’heartagram che pendeva dal mio collo e strappai la catenella con violenza.

“Finito, Ville, capisci? Per sempre”

Lasciai cadere la collana ai suoi piedi.

 

“Esprimi un desiderio”

 

 

 

­­­­­­­­­­­__________________________________________________________________________

 

No beh, giusto per dire quanto sono normale…solo io posso smettere di postare una storia a due capitoli dalla fine…

Vabbè ma tanto avete capito che non sono normale…

Comunque eccoci arrivati al finalone strappalacrime…

Ve lo aspettavate??’ Volete uccidermi? Volete riuccidermi (per chi già lo conosce xD)? Se qualcuno ancora legge mi faccia sapere ^^

Comunque manca ancora l’epilogo xD

 

Grazie millissime ai miei lettori e in particolare a Crist <3

 

Tornerò presto! I promise

Baciniiii

FAllenAngel

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Capitolo 30
*** I would feel fine, like I always do ***


Epilogue

 

I would feel fine, like I always do

 

And then I will convince myself, it’s true

 

 

24 Maggio

 

Quella è stata l’ultima volta che l’ho visto. Per mia scelta, certo.

Ho passato tutta la mattina successiva chiusa nella mia stanza, seduta sul letto sfatto, con il cuscino stretto in grembo, a fissare il muro bianco davanti a me senza nemmeno vederlo.

Mi sono rifiutata di uscire anche soltanto per permettere alle addette dell’albergo di pulire la nostra camera.

 

Arianna ha cercato a lungo di scuotermi, mi ha portato la colazione, mi ha abbracciato in silenzio. Non mi ha chiesto nulla, aspettando che fossi io a confidarmi. Ma non ero ancora pronta.

 Ad un certo punto ha capito, senza bisogno che parlassi, che non c’era nulla che potesse fare in quel momento. Così ha preso la sua giacca e ha posato un bacio sulla mia fronte, andando a lavorare.

 

Quando è tornata, ho compreso subito, leggendo il suo volto, che sapeva.

“Adesso non ce la faccio” ho mormorato, con un sorriso tirato.

Lei mi ha accarezzato dolcemente i capelli, annuendo. Poi ha preso il suo libro, appoggiato sul comodino, e si è buttata sul letto accanto a me.

“Non devi stare qui per forza” le ho ricordato, ma lei mi ha assicurato, testarda, che aveva bisogno di un’immersione intellettuale.

 

Eravamo così, silenziose e insieme, da forse due ore, quando lui è arrivato. Ha iniziato a bussare insistentemente alla porta, pregandomi di uscire.

Ho guardato Arianna, terrorizzata: “Fallo andare via, ti supplico”

“E’ davvero questo che vuoi tesoro?” mi ha sussurrato, stringendomi la mano “Forse se lo ascoltassi…”

Ho scosso la testa, sentendo le lacrime salire a miei occhi spalancati: “No, voglio che vada via. E’ peggio per entrambi, non riesce a capirlo…”

Così Arianna ha seguito la mia richiesta, è uscita al mio posto, pregandolo di lasciarmi sola.

Hanno discusso a lungo oltre quella porta. Sentire la sua voce chiamare il mio nome era, ogni volta, una nuova ferita.

Ho nascosto la testa sotto il cuscino, coprendomi le orecchie per non sentire. Ho pianto fino a quando l’oblio del sonno non mi ha avvolto, cancellando ogni cosa.

 

Quando mi sono risvegliata Arianna era ancora sdraiata al mio fianco e mi scrutava pensosa.

“Devo andare via” le parole mi sono affiorate alle labbra naturalmente, come se fosse stato il Destino a suggerirmele durante la notte.

Ha cercato a lungo di persuadermi, così come anche gli altri amici. Ma non c’era nulla da discutere. Sapevo che era l’unica soluzione possibile.

Ho bisogno di andare lontano e seguire un’altra strada. Helsinki è troppo piccola, i nostri sentieri finirebbero inevitabilmente per sovrapporsi un’altra volta, soprattutto adesso che lui preme perché questo accada. Le mie foto affollano ancora i quotidiani. La situazione è insostenibile.

Ho salutato tutti, trattenendo nuove lacrime, ho abbandonato a malincuore il mio lavoro stupendo.

 

All’aeroporto ho scoperto che non sarei partita da sola.

“Non voglio che tu lasci tutto per colpa mia!” ho gridato ad Arianna “Non puoi farlo. Qui c’è la tua nuova vita, c’è Luke!”

Lei mi ha zittita, ritirando il suo biglietto: “Non posso lasciarti sola adesso. Se lo vorrò, ritornerò appena starai bene. Luke sopravvivrà senza di me, tu invece hai bisogno della mia presenza. E smettila di insistere, tanto non ti ascolto”

 

***

 

E così eccoci qui, su questo aereo che ci sta riportando a casa.

Ancora non so che cosa ne sarà della mia vita. Tutti i miei nuovi progetti erano laggiù, nella poetica città nordica. Riusciremo a riabituarci al caos e al disordine di casa nostra, mi ha domandato Arianna prima di addormentarsi, sospirando.

So che le è dispiaciuto davvero partire, ma non ho avuto la forza di fermarla. In fondo ha ragione, ho un tremendo bisogno di lei, adesso più che mai. Ma appena starò meglio, la ricaccerò sul primo aereo per Helsinki.

E chissà, forse un giorno, forse presto, riuscirò a tornare. E sarà come se non fossi mai partita.

 

Asciugo le ultime lacrime e guardo fuori dal finestrino: la luce si è fa sempre più fioca, a mano a mano che voliamo verso sud. Ormai l’oscurità è densa, le nuvole quasi indistinguibili.

D’un tratto la voce di una hostess, nell’altoparlante, rompe il silenzio.

“Informiamo i signori passeggeri che tra pochi minuti arriveremo all’aeroporto di Milano Malpensa. Sono le 4 e 20 minuti e la temperatura…”

“Uffa, devono parlare così forte?” brontola Arianna, sbadigliando e cercando di nascondere il viso dietro la spalla.

Non riesco a trattenere una risata: “Preferiresti restare qui sull’aereo, senza che ti avvertano che devi scendere?”

“Ehh, dettagli” borbotta, stropicciandosi gli occhi “Tu non hai dormito?” mi domanda poi, premurosa.

“Un pochino” mento, sorridendole “Per quanto il tuo russare me lo potesse permettere”

Lei si spazientisce, tirandomi uno schiaffo sulla coscia: “Non dire palle. Io NON russo!”

“Come dici tu…” continuo a stuzzicarla, facendo l’indifferente.

 

L’atterraggio è pulito, quasi perfetto.

“Eccoci qui” mormora, guardando le luci della pista d’atterraggio.

“Eccoci qui” le faccio eco, sfiorando il vetro del finestrino.

 

24 Maggio 2006.

Il mio sogno si è infranto e anche gli ultimi frammenti sono stati spazzati via dal vento.

Mi aspetta di nuovo la realtà, con i suoi guai, con i suoi ostacoli, con i suoi pro e i suoi contro.

Mi chiedo se saprò affrontarla, ma in fondo non ho alternative. Ci riuscirò, come sempre, accontentandomi di ciò che il futuro ha in serbo per me. Mi sento un po’ più matura, un po’ più grande. Un po’ più me.

Proseguirò il mio percorso, vivendo alla giornata.

Almeno fino al prossimo sogno.

 

                                                                                                                Elisa

 

 

I wish I could sit here all alone

Thinking this is okay

don’t need anybody, tonight

Just complete silence and the candle lights

 And I drink my coffee

Won’t worry at all, won’t worry at all

 

I would feel fine, like I always do

I would be smiling, laughing too

Don’t need anybody,

Least of all you

And then I will convince myself, it’ s true

 

I wish I could stare at the wall

And see something different every time

Every time

The candle wouldn’t stop burning

I can lay down and I wouldn’t be crying

 

I would feel fine, like I always do

I would be smiling, laughing too

Don’t need anybody,

Least of all you

And then I will convince myself, it’ s true¹

 

 

 

 

 

Note:

 

¹ ‘It’s true’, Lene Marlin

The End ???

 

 

____________________________________________________________

 

Ed eccoci qui!!

Dopo un anno e mezzo di attesa questa storia è giunta finalmente a termine. Tutto finisce, anche il sogno più bello o, in questo caso, il vostro peggiore incubo.

Vedo che il finale ha sconvolto molti…non ve lo aspettavate? Devo dire che se ci ripenso sono stata piuttosto cattiva, ma questo è stata, sin dall’inizio, la fine di questa storia, sin da quando ho avuto il sogno.

Ma dopo un anno e mezzo, mi sono affezionato troppo ai miei personaggi, ormai sono come compagni di classe, vicini di casa, sono parte della mia vita. Infatti, non credo di essere ancora pronta ad abbandonarli…(chi ha orecchie per intendere intenda xD)

 

Ma ora passiamo a ringraziare.

Essendo l’ultimo capitolo, ci tengo a ringraziare tutti quelli che hanno letto e soprattutto commentato i capitoli durante tutta la storia e mi hanno spinto a proseguire per tutto questo tempo, anche quando pensavo che non ne valesse più la pena. Grazie *-* Davvero.

 

Ed ora, un ringraziamento a chi ha commentato l’ultimo capitolo ^-^

 

Malaena: non ti preoccupare, ogni volta che ritorni è sempre più bello. Grazie mille per il commento. Sono lusingata del fatto che ti abbia commosso, anche se mi dispiace tanto che tu sia triste per altri motivi. Spero si sia risolto o che si risolva tutto molto presto. Anche io sono stata male nel scriverlo xD (e uno dirà: ma perché l’hai fatto allora? xD) Non lo so nemmeno io perché, so solo che questo era il finale della mia storia, da sempre. E sono davvero contenta che tu l’abbia trovato tagliente e duro, era proprio come speravo che fosse^^ Forse perché ancora non ho deciso se sono una povera romantica o un’altrettanto povera disillusa. Devo ancora decidere, o forse sono entrambe. Comunque questa era la giusta fine del sogno. Ma potrebbe esserci comunque un riscatto…

 

Sweetie: lo so ale, questo finale è proprio cattivo xD Ma ssssiiii tranquilla lo sai che puoi fidarti di Mossi U.U Ma non mi chiudere dentrooooooooooooooooooooooooooo, please xD Mi faccio perdonare presto U.U  Grazie del commentino *-* bacini

 

Vampireknight: Aleeee! Non lo sapevo che leggessi questa storia o.O oddio scusamiiiii, mi dispiace di averti sconvolta in questo modo. Mi hanno sgridato tantissimo, la tua Twin voleva anche togliermi il saluto xD Ma ho trovato un modo per farmi perdonare xD Comunque sono davvero felice di venirti a scoprire lettrice *-* Grazieeeeeeeeee! E scusa ancora xD

 

E dunque…

Arrivederci e a presto^^

La vostra

FallenAngel

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Capitolo 31
*** Alternative ending ***


Se non siete rimasti soddisfatti dal finale,

Se il vostro cuoricino romantico desiderava un vero happy ending…

 

 

 

 

             

Chapter 28 – Second edit

Alternative ending

 

Forever and always

Polyglot love

 

22 Maggio

 

Contrariamente ad ogni mia aspettativa, il giorno successivo sembrò assecondare ogni previsione fatta da Ville. Tanto da farmi riflettere sul fatto che, forse, il nomignolo di pessimista cronica, riferito alla mia persona, non era poi lontano dal vero.

 

Tutto cominciò quel mattino: mentre io e Arianna preparavamo i tavoli per il pranzo nel ristorante dove lavoravamo come cameriere, fui richiamata dalla direttrice di sala nell’ingresso.

Intento a sbirciare i pesci multicolori di un acquario, trovai il chitarrista degli HIM.

“Linde?” esclamai sorpresa.

Lui si voltò, posando lo sguardo prima sul mio viso e poi, subito dopo, sulle forchette che ancora impugnavo.

“Hai deciso di pugnalarmi?” ridacchiò, alzando un sopracciglio.

“Cosa?” mi accorsi che il modo in cui tenevo le posate non era proprio raccomandabile “Oh, no, che stai dicendo” borbottai imbarazzata, lasciandole cadere nella tasca del grembiule. “By the way, cosa diavolo ci fai qui?”

Lui non riuscì a trattenere un altro sorriso divertito.

“Ehm cioè, volevo dire, come mai da queste parti?” Volevo sprofondare.

 

“Ti ho portato questo” mi spiegò, porgendomi un pezzo di carta plastificata.

Lo presi, titubante, e lo osservai curiosa: si trattava di un invito. L’invito per la festa di beneficenza di quella sera.

“Come lo hai avuto?”

Lui alzò le spalle: “Che importanza ha?”

Mi morsi la lingua, sorridendo: “Nessuna, immagino”

“Vuoi venire?” mi interrogò, facendo una faccia buffa.

 

Ci pensai qualche istante: non ero sicura di voler affrontare tutte quelle persone. Non sarebbe stata più la stessa cosa, adesso che si sapeva tutto di me e Ville. D’altra parte era forse egoistico lasciarlo far fronte a tutto, ancora una volta, da solo.

“Sì” assicurai infine, stringendo più forte il biglietto “Grazie”

Lui si sfiorò la visiera del cappello, in atto di saluto: “A stasera”.

 

***

 

La festa era stata organizzata in un antico palazzo dell’inizio del secolo. Attraversai lentamente l’ingresso, seguendo alcuni invitati che si dirigevano al piano superiore. Percorsi una lunga scalinata, lasciando scivolare le dita su un liscio corrimano dipinto d’oro. All’entrata della sala principale sollevai il capo, con un sospiro: i soffitti, altissimi erano decorati con stucchi e affreschi; angeli dalle lunghe ali posavano i loro occhi stanchi su donne e uomini elegantemente vestiti.

 

Mi domandai quanti ricevimenti avessero visto quegli angeli, quali balli, quali abiti, quali intrighi, quali segreti.

Sorrisi della mia fantasia troppo fervida e passai oltre.

 

Mi confusi nella folla, incrociando curiosi sguardi, fuggendo volti sconosciuti.

Mentre giravo in tondo, guardandomi intorno senza posa, urtai accidentalmente qualcuno. E persi quella stupida borsetta che avevano insistito che portassi come accompagnamento al mio abito.

“Mi dispiace” mi scusai, alzando una mano alla fronte.

“No, scusami tu” replicò lo sconosciuto, chinatosi rapidamente ai miei piedi. Mi porse la borsetta con un sorriso, ed io rimasi a lungo a fissare i suoi lunghi e bellissimi capelli biondi.

“Ti sei persa?” domandò, notando il mio spaesamento.

“Ehm…in un certo senso” biascicai, grattandomi il collo “Non riesco a trovare delle persone”

“Beh in questa folla è più che normale” notò. Lo guardai meglio in faccia, e mi accorsi che aveva un naso davvero strano. Mi resi anche conto che quel viso non mi era estraneo…

“Se vuoi posso accompagnarti al tavolo del buffet. Li è più facile trovare qualcuno” ridacchiò, allungando un braccio come per indicarmi la strada.

“Grazie” gli sorrisi, lasciandomi guidare.

 

Fu in quel momento che intravidi Manna e Luisa, sedute ad un tavolino.

“Ho appena visto la mia ancora di salvezza” lo informai, fermandomi e sfiorandogli il braccio.

“Benissimo” accolse la notizia con un altro mezzo sorriso “Allora il mio compito si è concluso. Ora devo fuggire, oh donzella in difficoltà. Alla prossima” e con un profondo inchino si dileguò tra la folla.

 

Raggiunsi le due donne, che all’inizio quasi non mi riconobbero. Il lungo abito di raso blu, lungo fino alle caviglie, che mi era stato prestato da Katriina, non era di certo molto da me.

Così come quegli stupidi tacchi che non potevo sopportare, e i capelli legati stretti in uno chignon sopra la testa.

“Olivia ti avrebbe scambiata per una principessa” mi rivelò Manna “Anche se non avrebbe visto di buon occhio i tuoi capelli imprigionati in quel modo”

Insieme attendemmo che i diversi gruppi che erano stati invitati si esibissero su un piccolo palco che era stato montato per l’occasione e che forse stonava un pochino con il resto del palazzo.

 

Gli HIM suonarono per terzi, subito dopo gli Apocalyptica. Mi diedi mentalmente dieci mila volte della stupida, quando riconobbi tra i tre violoncellisti il mio salvatore.

Era strano vedere Ville vestito in giacca e cravatta. Uno spettacolo davvero buffo. Dopotutto, non sembravo essere l’unica persona non proprio a suo agio quella sera.

Mi tenni nascosta il più possibile, sebbene fossi sicura che Ville non avrebbe mai alzato tanto gli occhi sulla folla, per evitare di esserne distratto. Cantò Wicked Game, e subito dopo The funeral of hearts.

Mi sentii stringere il cuore quando le sue labbra si incurvarono in un sorriso, forse mentre ripensava alla sera precedente.

 

Pochi minuti dopo la fine della loro esibizione il gruppo ci aveva già raggiunto. Tutti gli HIM, meno un componente.

Incrociai lo sguardo di Linde, mordendomi la lingua per non comportarmi come una bambina, ed essere discreta, senza chiedere immediatamente dove fosse finito.

“Non sa che sei qui” mi disse il chitarrista, leggendomi nel pensiero “Voleva essere una sorpresa, giusto?”

“Oh” mormorai, piuttosto confusa dalle sue parole “Credo di sì”

“E’ in una delle stanze nel corridoio dietro il palco” mi informò “La quarta porta a destra, non ti puoi sbagliare. E’ la stanza che ci hanno dato per prepararci, e per gli strumenti”

Un sorriso affiorò immediatamente sulle mie labbra: “Allora vado…” sussurrai, incerta, non sapendo bene se mi fosse permesso.

Lui annuì, ricambiando il sorriso.

 

***

 

Camminai svelta, quasi dimentica del male ai piedi e di quelle stupide macchine da tortura che indossavo.

Quando giunsi nel corridoio deserto mi misi a correre, proprio come una bambina.

La porta era chiusa, ma non a chiave. Mi bastò abbassare la maniglia, e sospingerla lentamente, perché la stanza mi fosse accessibile.

 

Proprio mentre stavo per fare un passo dentro, il cellulare iniziò a vibrare nella mia borsetta, come impazzito.

Sollevai lo sguardo, incrociando quello del darkman che mi fissava inebetito, il cellulare ancora appoggiato all’orecchio.

Ci guardammo negli occhi per qualche istante, prima di scoppiare entrambi a ridere.

 

“Cosa ci fai qui?” domandò, pigiando un tasto e chiudendo una comunicazione che non era mai nemmeno cominciata.

“Mh” mormorai, fingendomi pensosa “Sono venuta ad ascoltare gli Apocalyptica. Ti ho mai detto di quanto trovi affascinanti i suonatori di violoncello?”

Mi avvicinai, lasciando che la porta si chiudesse dietro le mie spalle.

“No” mi assicurò lui, sbuffando e squadrandomi torvo, appoggiato contro un muro.

“Si, si” rincarai la dose, abbandonando la borsetta su un tavolino “E sai una cosa? Ho incontrato anche Eicca là fuori. Ed è stato tremendamente gentile”

 

“Non mi dire” borbottò Ville, alzando gli occhi al cielo “E come mai allora sei venuta qui?” mi fece notare, abbandonando la sua posizione per venirmi incontro e posare le sue mani sui miei fianchi.

“Non potevo mica perdermi l’occasione di prenderti in giro!” gli spiegai, scuotendo il capo, come se la sua fosse stata la domanda più sciocca e inutile che avessi mai sentito “A proposito, la cravatta ti dona molto”

“Ahh spiritosa” fece una smorfia, prima di piegare il capo per sfiorare con le labbra il lobo del mio orecchio “Mi piacciono le ragazze con il senso dell’umorismo”

“Tutte le ragazze con il senso dell’umorismo?” chiesi, impostando un buffo broncio.

“Solo una” sussurrò, affondando appena un poco i denti nella cartilagine.

 

Lasciai che la sua bocca scivolasse lungo il profilo del mio viso e poi sul mio collo.

“Mhhh” sospirai “Forse ripensandoci preferisco i cantanti che sanno usare bene la lingua”

Il suo corpo tremò tutto, scosso da una roca e profonda risata, ed io, stretta nel suo abbraccio, con lui.

“Per snocciolare bene le parole delle loro canzoni, si intende” puntualizzai, sorridendo.

“Naturalmente”

 

Mi diede un ultimo dolcissimo bacio sulla fronte e poi mi lasciò, ahimè, andare.

“Dovremmo uscire di qui” osservò, seppure a malincuore.

“Dobbiamo proprio?” mi lamentai, cercando di convincerlo con gli occhi da cucciolo ferito che forse non era davvero necessario.

Ottenni l’unico risultato di farlo ridere di nuovo: “Ricordami di insegnarti a come commuovere i tuoi ascoltatori. Così non va proprio”

Mi spazientii, incrociando le braccia al petto.

“Dobbiamo andare per forza” mi sollecitò, prendendo la mia mano e traendomi verso l’uscita “Devo presentare ad un po’ di persone la nuova fiamma di Ville Valo”

“Sei sicuro?” domandai, pregandolo di pensare davvero attentamente alla sua risposta. Giurai a me stessa che sarebbe stata l’ultima volta.

 

Ville mi fissò serio, dritto negli occhi, mentre il mio cuore batteva forte, rapido quanto il mio respiro irregolare.

“Sì” garantì, stringendo più intensamente la mia mano.

“Ti fidi di me?” aggiunse poi, così piano da farmi rabbrividire.

“Sempre”

 

***

 

Qualche ora dopo ero seduta sul cornicione del grande terrazzo del palazzo, mentre Ville mi stringeva la vita, per essere sicuro che non cadessi.

Teneva la testa appoggiata alla mia spalla e potevo percepire distintamente il suo respiro caldo sul mio collo.

Non eravamo soli: un sacco di persone si trovavano su quella terrazza, aspettando l’inizio dei fuochi.

 

Ma Ville sembrava essere perfettamente a suo agio. Come era parso per tutto il resto della serata del resto: aveva parlato con forse la metà degli ospiti della festa, presentandomi a tutti, nessuno escluso, come la sua nuova ragazza.

Ogni volta era un nuovo tuffo al cuore. Mi sarebbe servito molto, molto tempo per abituarmi. Ma non sarebbe stato poi questo gran sacrificio…

 

Alcuni si rivelarono felici per lui, altri invece mormorano le loro congratulazioni con falsi sorrisi e smorfie contrariate. Lui rispose sempre cortese, senza lasciarsi impressionare.

 

“Hai visto? Non è poi così difficile” mormorò al mio orecchio, facendomi sussultare “E anche se lo sarà, riusciremo a superarlo. Insieme”

Voltai il capo, cercando le sue labbra, mentre uno spettacolo di luci e colori riempiva all’improvviso il cielo di Helsinki.

 

“C’è un ultima cosa che voglio mostrarti…” mi confidò alla fine, prendendomi per mano.

 

***

 

Il silenzio regnava sempre sovrano nel grande e meraviglioso parco dove generazioni di famigliari e amanti riposavano per sempre, sepolti nella terra, sotto l’ombra di alti ed eleganti alberi.

Di notte, quel silenzio era quasi materiale; come un velo, o una cupola di vetro forse.

Quel cimitero, se mai si fosse potuto chiamare tale, era una delle cose che più mi aveva impressionato di Helsinki e dalle quali era più rimasta affascinata. Un giorno mi sarebbe piaciuto essere sepolta in un luogo simile.

Restava comunque un posto curioso per un appuntamento…

 

Decisi di farglielo notare.

“Ville? Perché mi hai portato qui? Non che non sia bello, ma…” bisbigliai, mentre camminavamo mano nella mano.

Sul suo volto si dipinse un sorriso obliquo: “Te l’ho detto, volevo mostrarti una cosa”

Scossi il capo, rassegnata: perché stupirsi? Dopotutto parlavamo sempre di Ville Valo…

 

Lo seguii così in silenzio, mentre si avventurava nella zona originaria del cimitero. Le tombe si facevano sempre più frequenti e procedere diveniva sempre più difficile, tanto che rischiai di cadere un paio di volte.

Ci fermammo all’improvviso, davanti ad un piccolo sepolcro.

 

Era formato da due lapidi, accostate una all’altra. Era molto antico, la pietra non nascondeva i segni del tempo trascorso. I ritratti, racchiusi dentro a piccole finestrelle ovali, erano ormai troppo rovinati per essere distinti; tuttavia, le incisioni che riportavano i nomi e le date, erano ancora ben visibili.

Si trattava di una coppia, due persone anziane, morte a pochi giorni di distanza, quasi mezzo secolo prima.

Le due lapidi erano divise dal resto del parco da un basso cancelletto ormai arrugginito. All’interno di quest’ultimo era stata posta anche una piccola panchina in ferro battuto, dalle linee sottili e i bracci decorati.

 

“Chi sono?” domandai piano, rivolgendomi a Ville.

Lui scosse la testa, guardando quel sepolcro così particolare: “Non l’ho mai saputo. Scoprii questa tomba quando ero un ragazzo. Ne rimasi subito colpito e tornai qui molto spesso, a pensare”

Rimase qualche istante in silenzio, sorridendo tra sé e sé: “Sono rimasti insieme fino alla fine, vedi? Poi se ne sono andati uno dopo l’altro, quasi non potessero sopravvivere l’uno senza l’altra” mi fece notare, indicandomi con le dita le date sulle lapidi “E vedi quelle frasi?”

Annuii, poggiando un mano sul suo braccio: “Cosa dicono?”

“Dice: ‘Per sempre insieme, sulla nostra panchina, nella vita come nella morte’”

Non appena recitò le parole, un alito di vento più forte scosse le foglie degli alberi, e passò attraverso il mio cappotto slacciato, carezzando le pieghe del mio abito.

Rabbrividii, stringendomi di più a Ville.

 

Lui ridacchiò, sbirciandomi con un’espressione di scherno: “Non avrai mica paura dei fantasmi vero?”

Mi allontanai di scatto, dandogli una spinta e facendo il broncio, offesa: “Sai sempre come rovinare la magia”

Come al solito, il mio comportamento lo fece soltanto divertire di più.

Ma non gli diedi retta; riportai la mia attenzione sulla panchina, accorgendomi di un fiore di pietra posato sulla base.

 

Il fatto era che ai fantasmi io ci credevo, eccome. Non che la mia fosse una vera paura, più che altro un fascino forse un po’ morboso. Chiusi gli occhi, cercando di distinguere, tra le note del vento, la voce dei due innamorati.

 

Sussultai quando Ville prese la mia mano, ma cercai di non darlo a vedere.

“Vieni” mormorò, guidandomi ancora oltre, verso l’albero che cresceva proprio ai piedi del sepolcro.

“Da allora ho sempre cercato l’amore vero, quella persona che avrebbe atteso con me la morte sulla nostra panchina” sospirò, fissando il tronco. Prese la mia mano e la appoggiò sul legno: mi resi subito conto che la superficie non era regolare, ma era stata sicuramente incisa. Mi avvicinai, tentando di leggere, ma l’ombra dei rami rendeva l’impresa impossibile.

 

Ville si fece immediatamente avanti, illuminando il tronco con il suo accendino, tenendolo comunque a debita distanza da foglie e legno.

All I want is  you to take my into your arms, when love and death embrace” recitai ad alta voce, percorrendo le linee di ogni lettera con le dita.

 

Ville abbassò l’accendino, illuminando un’altra porzione di corteccia graffiata: nel legno era stato inciso il suo nome e una semplice congiunzione.

“Ville e…?” domandai curiosa, in un sussurro. Premetti più forte le dita contro il tronco, ma null’altro era stato inciso.

 

Ville non rispose. Con delicatezza, spinse il mio braccio perché mi scostassi; poi, estrasse dalla tasca un coltellino e, aiutandosi con la luce della fiamma, sotto il mio sguardo sbigottito, incise il mio nome accanto al suo.

Ammutolii, pietrificata.

Quando ebbe terminato, allungai una mano per sfiorare il suo lavoro con le dita che tremavano. Una lacrima scivolò, senza che potessi trattenerla, lungo la mia guancia.

Lui se ne accorse immediatamente e, preso il mio volto tra le mani, per asciugarla con le sue labbra.

 

“Che fai, piangi?” ridacchiò, respirando più forte contro il mio collo e facendomi il solletico.

“No” mentii, prendendolo in giro “Sono allergica alle manifestazioni di romanticismo troppo marcato”

“Oh” borbottò, sollevando immediatamente il capo per potermi guardare negli occhi “Potrebbe essere un problema. E se io facessi qualcosa di peggio potrebbe venirti anche una crisi asmatica?”

 

Non riuscii a trattenere una risata, soprattutto a causa della sua espressione così seria.

“Di peggio?” indagai sospettosa.

“Tu rispondi” controbatté testardo.

Scossi la testa: “Nessuna crisi asmatica, prometto”

Anche perché io non soffrivo d’asma…

“Bene” sorrise compiaciuto “Allora…” la sua bocca scivolò lungo il profilo del mio mento, fino a risalire all’orecchio, mentre il tono della sua voce si era fatto ancora più basso “c’è una cosa che devo confessarti”

Sbattei una volta le palpebre, cercando di restare lucida “Si?” boccheggiai.

 

“Ti amo” sussurrò piano, facendomi rabbrividire.

Mi allontanai di un passo, cercando i suoi occhi. Lui sostenne lo sguardo, senza vacillare, mentre lo fissavo sbigottita e disarmata, non soltanto dalla portata di quelle parole, ma anche dal modo in cui le espresse. Perché le sue parole, per quell’unica volta, non furono in inglese.

 

Sapeva che un ‘I love you’ non avrebbe significato nulla. Un ‘I love you’ non avrebbe mai potuto definire un sentimento. Qual è il filo sottile che divide affetto e amore? Quel verbo non riusciva a designarlo.

Pronunciò quell’unica frase nella mia lingua, lasciandomi senza parole.

 

“Dillo ancora, ti prego” lo supplicai, mordendomi il labbro inferiore.

Un sorriso increspò le sue labbra; posò le mani sulla mia vita e mi trasse di nuovo a sé.

“Ti amo” ripetè, con quel suo stranissimo accento “Ti amo, ti amo, ti amo”

Per riuscire a trattenere le lacrime ed evitare così di essere derisa per gioco, mi sollevai in punta di piedi ed incontrai le sue labbra.

 

Quando schiusi la bocca, per riprendere fiato, lasciai che la mia risposta si insinuasse leggera tra di noi.

“Rakastan sinua” mormorai, affondando le dita tra i suoi capelli.

 

Ci accoccolammo sotto quello che sarebbe diventato il nostro albero e restammo a lungo abbracciati, inframmezzando il silenzio con i baci, consci che da quel momento tutto sarebbe stato diverso.

“Una lingua non ci bastava più. Adesso sono tre” mi fece notare, lasciando scorrere le dita sul palmo della mia mano, avanti e indietro. Rise, facendo vibrare la sua scatola toracica ed io con essa.

“Siamo diventati poliglotti” scherzai, guardandolo di sotto in su.

Ville si sporse per baciarmi la punta del naso: “Mh. E’ carino”

 

“Je t’âme” cinguettai, utilizzando l’idioma del nostro poeta preferito.

“Seaw  deq” replicò, dopo essersi schiarito la gola.

 

Scostai la testa dalla sua spalla, corrugando la fronte: “E questa che lingua sarebbe?” lo interrogai.

Lui parve pensarci un attimo; poi, ammiccando, disse: “The Valo and Bonizzi’s language?”

Scoppiai a ridere, dandogli un colpetto contro il petto: “Che idiota che sei”

“Non ti piace?” domandò, fingendosi offeso.

“Certo che sì” riparai, scoccandogli un altro bacio sulla fronte.

Mi riappoggiai, contro il suo busto, volgendo il mio sguardo verso il cielo, dove qualche stella era appena appena visibile.

 

“Ville”

“Si?” mi invitò a continuare.

“Tuvak iw ert, ol byak ol somw”

Lui ridacchiò, soffiandomi tra i capelli: “Sono un po’ arrugginito. Questo cosa vuol dire?”

Presi la sua mano, portandola alle labbra: “Insieme per sempre, nella vita come nella morte”

In tutta risposta, Ville strinse più forte la mia mano.

 

“Seaw deq, Ville”

“Seaw deq, sweetheart”

 

 

 

                                                                                      The end

 

 

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Ed eccoci qui! Finalmente mi sono decisa a postare il finale alternativo xD

Appena torno dalle vacanzuole a Helsinkiiiiii <3 posto la seconda parte della storia ^-^

Buon Natale a tutti!

Bacini

La vostra

FallenAngel

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